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RIFLESSI DELLA GRANDE ARTE
SUL SARCOFAGO DI TORRE SAN SEVERO

Quando pubblicai il Sarcofago etrusco di Torre San Se-
vero, con quattro scene del Ciclo Troiano (1), avvertii che
« Se si volessero prendere in esame separatamente tutte le

figure che compongono i quadri di questo monumento, e

confrontarle con i tipi analoghi offerti dalla storia dell’ arte
greca ed etrusca, per scoprirne le affinità e le dipendenze,
bisognerebbe scrivere un lavoro apposito, indagando solo il
lato formale delle varie scene» (2). Tale studio infatti non
mi era consentito di fare allora dati i limiti obbligatori di
quella mia memoria illustrativa, e nemmeno mi propongo
di condurlo a termine ora nel presente breve articolo. Il
sarcofago predetto, sebbene non ancora entrato in circola-
zione nel mondo degli studi archeologici, è un monumento
così importante e complesso non solo per i soggetti mitici
delle scene che lo decorano, ma anche dal lato stilistico e
formale, da offrire vasta e varia materia di indagine a co-

loro che di esso vorranno occuparsi. Per dar qui intanto un

esempio e la prova di quanto affermo, scelgo solo un gruppo
di figure del lato B, col sacrifizio di Polissena dinanzi al se-
polero di Achille (3), che mi propongo di.analizzare ed il-
luminare particolarmente, confrontandole con tipi e schemi
già fissati dall'arte greca della fine del sec. V av. Cr.
Trattasi del gruppo centrale della rappre sentazione, com-

(1) In Monwmenti Antichi dei Lincei, XXIV, pagg. 6-110.

(2) Cfr. pag. 108. ;

(3) Cfr. op. cit., pag. 50 sgg.; fig. 7-B a pag. 20, e II tav. policroma annessa
alla monografia.

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posto di tre figure: Neottolemo a sinistra ha gettato a terra Po-
lissena (nel centro) e la minaccia con la spada (1); mentre dal
lato destro l'ombra materializzata di Achille si eurva con ge-
sto propiziatorio verso la vittima. Nel fondo, dietro i tre per-
sonaggi sorge sopra una roccia il sepolcro architettonico del-
l’eroe, rappresentato da una specie di edicola di peculiare
foggia etrusca. Questo quadretto, sebbene composto — come
vedremo — di vari elementi disparati e fusi poi dallo scultore
del sarcofago, sta a sè, incastrato come sembra nella scena che
comprende altre sei figure accessorie distribuite in due serie
simmetriche e contrapposte. Esso adunque può essere avulso
dal resto senza danno, ed esaminato separatamente. Per ciò
fare, esibisco nella fig. 1 il gruppo in questione da un disegno
analitico, il quale contribuirà a rendere chiare le mie osse
rvazioni.

‘Il pannello dellato B del monumento su cui è riprodotta
a bassorilievo policromo la scena che ci interessa, mostra
— a differenza dell'altro lato lungo A con l'uccisione dei pri-
gionieri troiani alla tomba di Patroclo, di stile assolutamente
diverso, più vario, più mosso, più vivace — queste particola-
rità, dipendenti da una concezione artistica cristallizzata.
. Il gruppo di Polissena fiancheggiata da Neottolemo e
dallombra di Achille s'impone subito guardando il rilievo,
poiché esso occupa più della metà di tutta la superficie del
quadro. Ció avviene perché i tre personaggi principali della
scena sono di proporzioni maggiori degli altri sei accessori,
e di più disposti con un criterio di singolare ampiezza; co-
sicchè le immagini ad essi laterali diventano secondarie e
restano in ombra, non solo sotto la luce del mito ma anche,
e più evidentemente, nei rapporti formali.

(1) Per l'origine artistica e la diffusione grandissima di questo schema, forse
dipendente dalle megalografie della prima metà del sec. V, e che — come si vedrà
più oltre — fu fissato, nella forma a noi giunta anche sul sarcofago di Torre S. Se-
vero, da Fidia, vedansi le osservazioni e i confronti monumentali, specialmente pla-
stici, addotti dal Rizzo in Vasi greci della Sicilia, nei Monumenti Antichi dei Lin-
cei, XIV (1904), pag. 95 sgg.

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^ E. GALLI

Ne risulta quindi, senza tener conto del resto, ma con-
centrando per il momento tutta la nostra attenzione sulle
sole figure, uno schema di prospettiva analogo a quello delle
figurazioni chiuse nello spazio triangolare del timpano sui
templi greci. La forma triangolare del frontone è evidente
che sia stata scelta per ovviare al difetto di poter disporre
le immagini su vari piani successivi in profondità: le prin-
cipalissime della scena rappresentata, nel centro, sul da-
vanti, in piena luce; le altre accessorie ai lati, degradanti
come in lontananza, in ombra. Era idealmente un triangolo
col vertice rivolto verso gli spettatori, e con la base proiet-
tata e distesa indietro. Però non potendosi ottenere simile
disposizione praticamente, data la forma rettangolare obbli-

‘gatoria dell’edifizio, il vertice del triangolo fu spinto verso

il cielo, e invece di presentar le figure su due superficie

divergenti, un unico spazio frontale uniforme le

racchiuse

tutte. Le tracce di questa vana ed arcaica ricerca di una
più varia prospettiva si notano anche sul lato B del sarco-
fago, sebbene qui si abbia una superficie rettangolare. Ed è

invero strano come lo scultore etrusco sia rimasto ligio
al vecchio canone di variare artificialmente in profondità

una prospettiva piana, mentre egli d'altra parte ha accoz-

zato su questa medesima faccia del monumento, e più an-
cora nel lato breve D, con la visione dell Hades che si ri-
vela ad Ulisse nel momento in cui egli sacrifica per evocare
.lo spirito di Tiresia, elementi derivati dallo stile polignoteo,
e quindi propri di una fase di grande evoluzione artistica, la

quale finalmente era riuscita a sfondare le vecchie barriere;

consentendo di.spingere lontano lo sguardo. Questi strani

contrasti formano appunto le caratteristiche piü notevoli di
quell'arte provinciale ed imitativa della greca, rivelataci
dalle urne e dai sarcofagi etruschi. Con l'analisi minuziosa
di tali prodotti figurati si perviene a distinguere spesso tutte
le stratificazioni culturali, tutti i residui di vecchie conce-

zioni, tutte le pastoie dell’arcaismo, che si erano venuti ac-
RIFLESSI DELLA GRANDE ARTE ECC. T

cumulando lentamente nei repertori degli artefici confinati
alla periferia della civiltà ellenica, mescolandosi altresi con
le piü recenti innovazioni tecniche, raggiunte in ispecie per
mezzo della grande pittura parietale, senza che perciò que-
ste. ultime fossero riuscite a sgombrare il campo dalle viete
tendenze. S:

sul lato B del sarcofago la distribuzione dei personaggi
è informata alla tradizionale regola di prospettiva dei fron-
toni templari, ma per di piü con qualche cosa di nuovo e
di insolito, che si deve giustificare in base al vasto feno-
meno di contaminazione artistica, onde tutto il mirabile mo-
numento é come impregnato.

I sei uomini dei due drappelli laterali, che da opposte
direzioni muovono verso il vertice dell'ideale triangolo rap-
presentato dalla figura di Polissena, sono stretti e in parte
nascosti l'uno dietro le spalle dell'altro (cfr. fig. 2). L'illu-
sione che essi. provengano processionalmente da lontano è
raggiunta a sufficienza con tale disposizione, sebbene in realtà
occupino un unico piano, -e siano-di-uguale altezza fra di loro.

Da ciò nacque la necessità per lo scultore di riprodurre
in più ampie proporzioni i tre personaggi centrali del dramma
e della scena figurata. Un altro mezzo egli inoltre escogitò
per rendere più sensibile all'occhio lo schema formale della
sua rappresentazione, col proiettare in lontananza, nel fondo,
il sepolcro di Achille, riproducendolo quindi di proporzioni
assai piccole al confronto delle figure umane. Il sepolero tut-
tavia rappresentando l’ asse mediano ed il cardine del quadro,
concorre a mantenere percettibile la reminiscenza della pri-
mitiva concezione triangolare. Ingenui espedienti, come si
vede, per raggiungere un effetto desiderato sì, ma incon-
sueto nelle più antiche visioni prospettiche. É strano poi come
la roccia, da cui si eleva il lontano edifizio sepolcrale, fu
dall’ artefice etrusco tirata innanzi sul primissimo piano per
farla calcare dal piede destro dello spirito di Achille; ma
esamineremo più oltre il perchè di questo motivo nuovo in-

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Fig. 2. — Sarcofago di Torre San Severo nel Museo di Orvieto.

Il lato B col sacrifizio di Polissena, fiancheggiato da demoni etruschi.
P RIFLESSI DELLA GRANDE ARTE ECC. 9
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serito nel bel mezzo di una formale e tipica concezione
arcaica. Intanto per tradurre in pianta, con chiarezza grafica,
tale concezione a base triangolare, offro il seguente schizzo :.

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sini era ancora quella stessa che aveva servito ai decora-
o n tori dei templi di Egina, di Olimpia e dell'Acropoli, erano
T tuttavia giunti a lui, e si erano imposti al suo spirito sen-
i «sibile alla bellezza, elementi e motivi di più ampio respiro,
cd emanazioni dirette di un'arté libera, vivace, varia, affasci-
nante, che già aveva toccato il suo apogeo in Grecia sulla
fine del sec. V, ed ormai precipitava in decadenza oppressa
dalla prolissità dei particolari, dalla ricercatezza eccessiva
e dalla leziosità delle forme, travolta da un barocchismo
pieno di fronzoli e di superfetazioni, allorché fu scolpito il
sarcofago di Torre San Severo, il quale per le ragioni che
addussi nella mia citata memoria, deve discendere verso il
declinare del successivo sec. IV av. Cr. I nuovi predetti ele-
menti e motivi quindi costituiscono un fenomeno di persi-
stenza artistica, la quale interessa, sotto certi riguardi, an-
| che il contenuto concettuale della rappresentazione.
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diverse, e furono associate qui da una mente che subiva il
travaglio di una profonda e rapida trasformazione estetica.
Esso costituisce. un esempio straordinariamente dimostrativo
dell’arte etrusca nel suo accelerato divenire sotto l'impulso-

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105 E. GALLI

di cause e di fenomeni esteriori. Vediamo ora donde deri-
vano le tre predette figure, e che valore esse hanno nei ri-
guardi della cronologia del mito cui si riferiscono.

Neottolemo e Polissena.

Il gruppo di sinistra composto dell’assalitore e della vit-
tima, gettata al suolo e ealpestata, riproduce uno schema
figurativo che da almeno un secolo prima del sarcofago era
comparso nella scultura attica, sia pure per esprimere un
concetto diverso da questo in esame, peró sempre con un

senso di estrema violenza. E' probabile che tal motivo ar-

tistico, così come ci viene presentato dai monumenti che ora
esamineremo, risalga a Fidia, e fosse stato concepito per
rendere un episodio della lotta tra Greci ed Amazzoni. Lo
riscontriamo infatti, sostanzialmente simile al nostro, sul fa-
moso scudo Strangford con rilievi al Museo Britannico, che

si ritiene un apografo assai vicino allo scudo della Parthe-

nos scolpito da Fidia (1). Dalla tav. CXCVI del citato arti-
colo del Conze è tolta la nostra fig. 3, e da questa si rileva

. più che la mia descrizione non riesca a dire. L’Amazzone è
‘stata raggiunta in corsa dallavversario, che ghermitala per

le chiome, l’ha costretta a piegare sui ginocchi. L'assalitore
brutalmente le calpesta la gamba destra, mentre la donna

‘smarrita e semidiscinta, cerca con la mano di liberarsi dalla

stretta fatale. Quest’ ultimi due particolari si conservano
inalterati fin sul sarcofago di Torre San Severo; ma nella

‘creazione fidiaca che abbiamo dinanzi, enucleata dal resto
dello scudo, le due figure in conflitto, seguendo una tendenza
arcaica largamente provata dalle pitture vascolari e dai ri- ‘

lievi, presentano i visi di profilo e i corpi quasi di pro-
spetto. Altro segno di fedeltà all'arcaismo potremmo ricono-

(1) Cfr. A. CoNzE, in Archéologische Zeitung, XXIII (Aprile-Maggio 1885), pa-
gina 34 sgg., tav. CXCVI-CXCVII.

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4
RIFLESSI DELLA GRANDE ARTE ECC. 11

scerlo nell'abbondante chioma del guerriero, visibile sotto
l' elmo. |

Comunque però si voglia sezionarlo ed analizzarlo nei
suoi elementi stilistici, appare molto fondata l'ipotesi che il

Fig. 3. — Scudo Strangford nel Museo Britannico. |
Guerriero greco che abbatte un'Amazzone. M.

gruppo in esame non debba considerarsi come un’ interpo-
lazione dello scultore dello. scudo Strangford, ma piuttosto
| i come un motivo originario passato integralmente dall'arche-
| tipo nella copia giunta flno a noi. L'Amazzone che sta per
AS . soccombere sotto la violenza del Greco, occupa l'orlo destro
inferiore del monumento citato, che per sfortuna manca di una .
notevole porzione in alto a sinistra; e nel medesimo punto
sì riscontra anche sopra lo scudo della statuetta marmorea
della Parthenos fidiaca, scoperta nel 1859 in Atene, e fatta

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12 E. GALLI

conoscere da Carlo Lenormant (1). L' unica differenza fra
le due simili rappresentazioni è questa: l'Amazzone assalita,
sullo scudo della statuetta, non cerca di liberarsi dalla stretta
avversaria, ma porta la mano destra sul proprio petto. Si
tratta evidentemente di un-infiacchimento, di un’attenuazione
di tono prodottasi nel successivo passaggio da un apografo
all’altro. Le varianti che si notano nei due scudi, a parte il
gruppo in discussione, dimostrano bensi che essi derivano
da una stessa fonte, ma che nè l’uno nè l’altro può conside-
rarsi come una diretta ed immediata ripetizione dell’originale
del sec. V; e tanto più ciò sembra attendibile se si tien conto
delle figure che vennero «assimilate da questi due analoghi
esemplari, traendole con ogni probabilità da un repertorio
artistico successivo all'opera di Fidia, e straordinariamente
sviluppato e arricchito specie in virtù dei pittori vascolari.

‘Nell’uno e nell’altro scudo, per esempio, tra le immagini
variamente distribuite nel campo circolare intorno alla pro-
tome di Gorgone che occupa il centro, si vede a sinistra
un'Amazzone ferita che casca giù a capofitto. Ora tale figura
ha una strana rassomiglianza con quella di un uomo che si
tuffa da una rupe nel mare al sorgere del sole, sul ben
noto cratere Blacas a Londra (2). Un motivo del tutto simile
si riscontra pure nella tomba etrusca dipinta di Tarquinia,
detta « della Caccia e della Pesca » (3), che contro l'opi-
nione del Ducati il quale la fa risalire al sec. VI av. Cr., asso-
ciandola alle idrie ceretane di stile ionico (4), io credo avesse

(1) Cfr. CoNzE, in An. Inst., 1801, pag. 334 sgg., tav. d'agg. OP — Per altre
indicazioni bibliograflche sino al 1865, si veda anche CoNZE, Arch. Zeit. cit., pag. 39-40,
. nota 5. : :
(2) Cfr. per la b.bliografia relativa, C. SMITH, Catalogue of the Greek and Etru-
scan Vases in the British Museum, III, pag. 284 sg., n. E 466.
(3) Cfr. Mon. Inst., XII, tav. XIV-a.
(4) DUCATI, La Pittura funeraria degli Etruschi, in Atene e Roma, XVII (1914),
n. 185-86, pag. 138.

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RIFLESSI DELLA GRANDE ARTE ECC.

subito l'influenza polignotea al pari del citato vaso (1). Sullo

stesso scudo della statuetta Lenormant si vede inoltre, nella .

parte superiore, un'Amazzone che solleva sul capo con le”
due mani un masso per lanciarlo contro un nemico. Tale
motivo trova riscontro nella scena di Gigantomachia dipinta
sopra un celebre vaso del Louvre, che fra breve dovremo
prendere in esame, e conferma cosi l'opinione del Conze (2),
secondo cui la piccola figura marmorea incompleta sco-
perta in Atene non può essere considerata — anche perchè
sulla sua base non è raffigurata la nascita di Pandora, ma
forse una scena di carattere votivo — come una riprodu-
zione integrale e fedele dell'originale criselefantino di Fidia,
ma piuttosto come una replica della Parthenos nel suo insieme.

Tutti codesti raffronti e considerazioni collaterali peral-
tro, se giovano ad illuminare l' ambiente artistico donde
emerse il motivo dell'Amazzone assalita dal Greco, non de-
vono distoglierci dal tener fissa l'attenzione su tale gruppo,
per poterlo seguire attraverso le ulteriori varianti sino sul
sarcofago che é oggetto della nostra indagine.

Questo gruppo, nato con ogni probabilità nel campo della
megalografia, ma formulato e fissato nello schema in esame
dalla concezione di una mente eccelsa quale poté essere
quella di Fidia, ebbe una singolare fortuna, che risulta dalle
repliche numerose di esso fatte anche sui sarcofagi greco-
romani, aleuni dei quali giunti fino a noi in natura, altri
conosciuti attraverso vecchi appunti e disegni (3). Ed è no-
tevole che in questi monumenti pure a rilievi ed inspi-
rati dalla grande arte, il gruppo predetto mantenga sempre
il suo significato originario, poiché ci si rivela come uno

(1) 11 CoNzE, Arch. Zeit. cit., pag. 36, riconosce nella distribuzione delle figure
idealmente, ma non prospetticamente in più piani sui due scudi, un espediente già
adottato da Polignoto nelle pitture parietali della Lesche di Delfi. Si contronti a tal
proposito anche ROBERT, Die Marathonschlachi, pag. 48 sgg.

(2) Ann. Inst., 1861, pag. 338.

(3) Cfr. C. RoBERT, Die Antiken Sarkophag vreliefs, II, pag. 99 sgg., tav. XXXIII

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E. GALLI

degli elementi fondamentali, comunque collocato o nel mezzo
o ad una estremità del quadro, nelle scene di Amazzonoma-
chie. Naturalmente però esso ebbe un poco a variare e ad
alterarsi nel lavorio dei copiatori, nell’attrito quasi delle
successive ripetizioni. Per mostrare alcuni aspetti di questo
fenomeno, scelgo ed esibisco nelle figure 4 e 5 due esempi
tolti dalla citata opera del Robert. Il primo di essi (fig. 4)

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Fig. 4. — Sarcofago del Museo Vaticano.
Guerriero greco che trae a sé un'Amazzone per ucciderla,

appartiene ad un sarcofago del Vaticano (1), e si differenzia

-già notevolmente dal rilievo Strangford, non solo per l'a:

spetto diverso del guerriero, barbato, con balteo e scudo
sul sarcofago, ma soprattutto per il suo atteggiamento che
rivela un'intenzione un po' difforme da quella espressa sul
clipeo di Londra. In quest ultimo il guerriero greco ha
raggiunto proprio or ora l'avversaria, che porta ancora al
braccio lo scudo lunato caratteristico (pelta) per difendersi, e
sembra tutto concentrato e soddisfatto dalla vendetta che sta,

(1) Ex ROBERT, 07. cit., II, tav. XXXIV, n. 80.
RIFLESSI DELLA GRANDE ARTE ECC.

per eseguire; mentre sul sarcofago vaticano l’uomo pare che
voglia trarre a sè, più lontano, trascinandola per-i capelli,
l'avversaria che ha perduto lo scudo e con entrambe le mani
tenta di liberarsi (1). Tale intenzione di trascinare la donna
prima di ucciderla si sviluppa ancora di più nella nostra
fig. 5 (2), dove si vede il guerriero, simile al precedente

Fig. 5. — Rilievo di sarcofago nel codice Pozzo - Windsor.

Guerriero greco che trascina un'Amazzone per trafiggerla.

sì, ma voltato col corpo addirittura a sinistra, come se vo-
lesse procedere verso quella parte, trascinando seco la donna
soccombente. Ai due rilievi di sarcofagi dunque presiede un
dinamismo che si sviluppa e si accentua dall'una all'altra
replica, ma che d'altra parte risulta ignoto almonumento piü
vicino all'archetipo, cioè al citato scudo Strangford nel Mu-
seo Britannico.

Dimostrato pertanto che la tradizione artistica la quale
tramandò sino ai repertori (donde gli scultori dei sarcofagi

(1) Ometto dal notare tutte le differenze formali dei due personaggi, che ogni
lettore intelligente può rilevare da sé confrontando le figure qui riprodotte.
(2) Ex ROBERT, 02. Cit., II, tav. XXXV, n. 80" (Codex Pozzo-Windsor).

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attinsero largamente non solo per i miti ma anche per i tipi)
il gruppo che ci interessa, non nella sua veste originaria e
genuina, chè anzi il gruppo stesso — perpetuandosi in tale
direzione — mutó sensibilmente di senso e di aspetto, ve-
diamo se l'artefice del sarcofago etrusco ebbe per avven-
tura a seguire il medesimo indirizzo dei suoi colleghi greco-
romani, o non piuttosto uno schema figurativo rimasto piü
ligio e fedele alla primitiva creazione. E diró subito, rife-
rendomi anche a quanto esposi al riguardo in piü punti del
mio citato lavoro intorno al sarcofago di Torre San Severo,

che l'autore di questo non solo nella scena del sacrifizio di

Polissena, ma anche nelle altre si riveló seguace di un in-
dirizzo pittorico.

Un'importante conferma alla tesi da me enunciata si ot-
tiene dal confronto del gruppo di Neottolemo e Polissena con
un analogo gruppo dipinto sulla celebre anfora da Melos al
Louvre con Gigantomachia (1). Tutta la superficie dipinta di
questo vaso ci appare come un campo di battaglia anima-

tissimo e suddiviso in più episodi, nel quale volano fiaccole

e macigni lanciati dagli avversari e i mitici rivali si azzuf-
fano in una artificiosa e fanciullesca successione di piani
prospettici. Ma ciò non toglie che la scena nel suo com-
plesso sia una delle più vivaci e solenni che la pittura va-

scolare attica di stile fiorito ci abbia tramandato. Rimirando

questa, si può arrivare a formarsi un’idea concreta degli
effetti sorprendenti che i grandi artefici megalografici del

‘ciclo di Polignoto riuscivano ad ottenere sia pure con mezzi

rudimentali di prospettiva.

Sull’anfora del Louvre, in basso a destra (proprio come
nelle due repliche dello scudo fidiaco !) si vede Hermes con
petaso, clamide, coronato di lauro quale vincitore, che ha
raggiunto in corsa un gigante, barbuto (per antitesi col nume

(1) Cfr. FURTWiNGLER-REICHHOLD, Griechischen Vasenmalerei, tav. 96, donde é
tolta la nostra figura 6.

»
RIFLESSI DELLA GRANDE ARTE ECC. 17

giovanile, bellissimo) e coperte le spalle da una barbarica
nebride svolazzante, e afferratolo per i capelli sta per uc-

Fig. 6. — Anfora attica al Louvre, con Gigantomachia.
Hermes abbatte un Gigante.

ciderlo, non già con la propria spada, che gli pende sul
fianco dal balteo, bensi con quella tolta all'avversario scon-

fitto.

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E. GALLI

Il superbo nemico del nume, al pari della vergine Pria-
mide del sarcofago etrusco, ma con espressione di maggiore
energia, tenta invano di staccare con la sinistra la mano che
l ha ghermito nei capelli, mentre con la destra puntata con-
tro il petto dell'assalitore cerca di respingere la minaccia
immanente. Il parallelismo fra i due gruppi è perfetto, con
questa differenza però, che mentre sul sarcofago il volto
della fanciulla — sebbene rozzamente reso — è atteggiato
a calma ed a rassegnazione, il gigante invece, espresso dai
mezzi pittorici con una efficacia insuperabile, sbarra gli oc-
chi di traverso, sotto il terrore del suo triste destino. .La
sostanza del nostro confronto non puó subire variazioni per
le piccole differenze del tutto formali ed esteriori che si no-
tano sulle due figure del vaso di Parigi, e che risaltano an-
cor di più principalmente dal fatto che l'altro termine .di
paragone, vale a dire la nostra tarda.copia scolpita, ebbe a
subire una naturale ed ovvia attenuazione di vivacità nella
sua ultimà redazione etrusca. É evidente poi che come lo

«scultore del sarcofago, il ceramista attico adottò lo schema

già noto per esprimere un episodio di tutt'altra natura mi-
tica. Risulta quindi che l'originaria composizione una volta
perpetuatasi ed-entrata in circolazione nei repertori figura-
tivi delle varie arti, fini per perdere il suo preciso signifi-

. eato primitivo, per servire secondo le circostanze e i gusti

degli artefici a rendere i più svariati concetti (1). Anche
questa constatazione — a prescindere dalla parte formale ed
evidente — mi sembra una discreta prova per ammettere

‘che il decoratore del nostro sarcofago seguì un indirizzo

comune a quello del vaso di Parigi, assorbendo cioè ele-

(1) Questo motivo di un'origine tanto illustre ricompare, sebbene molto variato,
perfino nella tarda ceramica apula.

Sopra un vaso fliacico, con parodia di una ignota tragedia, riprodotto da E.
ROMAGNOLI nel suo recente « Regno di Dioniso », fig. 37 a pag. 28, si vede una donna
quasi in ginocchio sotto la minaccia di due uomini che l'hanno ghermita per le
braccia e brandiscono con l’altra mano la spada. L' uomo di sinistra « calpesta la
gamba alla donna semicaduta ».
RIFLESSI DELLA GRANDE ARTE ECC. 19

menti da un’atmosfera artistica profondamente influenzata
dalla pittura polignotea (1). Le conseguenze sostanziali di
quanto finora si è cercato di dimostrare, saranno riassunte
più oltre nei riguardi del valore che viene ad assumere,
così rischiarato, il gruppo di Polissena e Neottolemo nel
lato B del sarcofago. Per il momento contentiamoci di con-
siderare il terzo personaggio di questo gruppo, vale a dire
l'ombra di Achille, in tutto simile a persona vivente — tranne
la benda che le circonda il volto, avanzo della prothesis
mortuaria (2) — la quale é uscita dal suo tempio-sepolcro
per esser presente al selvaggio rito che sta per compiersi
in suo onore.

L'ombra dell' eroe.

A pag. 61 della mia citata memoria dimostrai che detta
immagine trova riscontro, formale ed ideologico, nelle perso-
nificazioni di defunti sulle lekythoi attiche a fondo bianco,
un chiaro esempio delle quali riprodussi anche nella fig. 96;
ma ora occorre indagare più particolarmente l’ origine arti-
stica di questo personaggio di natura oltremondana. Intanto
riguardiamo la sua attitudine, Esso ha.la gamba destra alzata
press’ a poco come Neottolemo e come il greco che sta per
uccidere l'Amazzone sullo scudo fidiaco, però è in atteggia-
mento di riposo, col piede poggiato sopra un rialzo roccioso e
con la mano sinistra sul fianco. Il mantello raccolto gli pende

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(1) Ciò riconobbe il FURTWANGLER, 0p. sopra cít., pag. 193 Sgg. del testo, ri-
ferendo l'anfora proveniente da Melos con Gigantomachia alla scuola attica dello
scorcio del V sec. av. Cr. : j ;

E la nostra odierna indagine serve di conferma a tale giusta datazione.

(2) Che questa benda passata sotto la gola e annodata al sommo della testa
facesse parte dell’ apparecchio funebre, risulta in maniera evidente non solo dalle -
considerazioni da me addotte in Monumenti Lincet, XXIV, pag. 58 sg., ma soprattutto
dal riscontro dirette con una morta così accomodata, che si vede sopra una loutro-
phora di Atene edita da PEnaoT-CuiPiEZ, Histoire de l'Art dans l’antiquite, X,
pag. 677, e fig. 371 a pay. 679.

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20 E. GALLI

dalla coscia destra e dalla spalla sinistra. Non ho bisogno
di dilungarmi per dimostrare che la roccia, alla quale lo
scultore non seppe rinunziare — al contrario del lato A— è
un elemento paesistico che ritorna spessissimo nelle pitture
vascolari post polignotee. Basta cercare infatti fra la ceramica

Fig. 7. — Anfora polignotea nel Museo di Berlino.
Un Tracio ascolta il divino Orfeo.

di questo periodo per persuaderci che egli tolse tutta la fi-
eura da un repertorio già comune ai vasai, e le impresse
quel particolare significato nella rappresentazione scolpita, il
quale ben s’accorda con la tradizione epica del soggetto e col
ricordo più recente delle statue funerarie, di cui permaneva
il riflesso sulle lekythoi attiche. Gli esempi che si. potreb- RIFLESSI DELLA GRANDE ARTE ECC. T

bero addurre per documentare siffatta derivazione formale
da un tipo ben definito e molto diffuso nell'ambito della pit-
tura ceramica, sono numerosi; ma per ragioni di economia
limito il riscontro a due. soli celebri vasi, rappresentativi
dell'indirizzo prevalente alla fine del secolo V.

Il primo di essi è la ben nota anfora polignotea prove
niente da Gela ed ora nel Museo di Berlino, con Orfeo fra
i Traci (1), donde è tolta la nostra fig. 7. Il divino cantore,
assiso sopra un rialzo roccioso, è nell estasi della sua pro-
digiosa virtü: un giovine l'ascolta attentamente, pieno di
stupore, col piede destro poggiato sulla roccia e con la mano
al fianco in segno di riposo. A parte le particolarità nel co-
pricapo e nel mantello dell’ individuo in ascolto, che sono i
segni della sua origine straniera, il parallelismo formale con
l'ombra di Achille del sarcofago è quanto mai evidente. Seb-
bene informati ad un senso cosi diverso, non é difficile am-

mettere che il secondo personaggio — artisticamente par-
lando — sia figlio del-primo. -

Il secondo esempio che credo opportuno di presentare
qui a riscontro, é tolto dalla famosa hydria firmata da Mi-
dia nel Museo Britannico (2). Si tratta di Klytios che nella
zona inferiore del vaso parla con Hygiea. La posizione del
personaggio, come si rileva dalla nostra fig. 8, è inversa
paragonata a quella dell'ombra di Achille; ma le due im-
magini concordano sostanzialmente in tutto il resto. Klytios
ha pure una gamba alzata sopra un rialzo del terreno, e da
essa pende il mantello raecolto, in modo analogo alla figura
predetta del sarcofago, con la quale ha inoltre comune il
gesto della mano destra sollevata e protesa. Anche nell'hy-
dria di Londra adunque ci si presenta un. tipo consueto,
analogo al nostro, cioè prodotto di una medesima concezione
artistica, sebbene con un significato del tutto indipendente.

(1) A. FURTWÜNGLER, Orpneus, attische Vase aus Gela, in 50 Berl. Winckel-
mannsprogr (1890), pag. 154 sgg., tav. II. — Cfr. RoBERT, NehRyia, pag. 93, passim.
(2) Cfr. FURTWiNGLER-REIcHHOLD, Griechisehen Vascnmalerei, tav. 8.

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Klytios e il Tracio in ascolto offrono tutti gli elementi che
troviamo riuniti e fusi nell'immagine del morto eroe sul

Fig. 8. — Hydria di Midia nel Museo Britannico.

Zona inferiore: Klytios discorre con Hygiea.
sarcofago. E questa aggregata a sua volta al gruppo di Po-
lissena e Neottolemo, fa vedere chiaramente come l'artefice
etrusco, per esprimere il tema prescelto, avesse avuto biso-

^ RIFLESSI DELLA GRANDE ARTE ECO. 23

gno di togliere in prestito ed adottare al caso suo tipi for-

mali già penetrati nella consuetudine dei vasai attici di circa -

un secolo prima (1). Tutta l'arte etrusca del resto, discen-
dendo per gli ultimi stadi della sua pur gloriosa storia, ri-
vela spesso tanta povertà di contenuto ed offre interessanti
fenomeni di contaminazioni formali negli stessi schemi de-
sunti dal repertorio greco. Nel caso del sarcofago, . lo 'scul-
tore che ne decoró le quattro faece con preordinata ed orga-
nica coordinazione di Scene, e che per questo e per la tec-
nica del suo lavoro non doveva essere invero un maestru-
colo qualunque, ridusse tuttavia e principalmente l' affer-

mazione della propria nazionalità alle due sontuose figure

demoniache che fiancheggiano il pannello con l'episodio di
Polissena.

Attraverso quali fonti egli avesse avproso questo . epi-
sodio e gli altri con cui istoriò i lati del monumento, non è
possibile dire; ma limitandoci per il momento al solo sacri-
fizio della Priamide, l'indagine stilistica ora compiuta non
distrugge, anzi conferma l'ipotesi da me enunciata (2), che
lo scultore del sarcofago, al pari degli autori di altri'analo-
ghi monumenti figurati da collocarsi tra il sec. V e il II
av. Cr. avesse seguito una fonte tragica, e con ogni verisi-

miglianza la tradizione vulgata e purificata dell'eroica fan-.

ciulla che non viene costretta con la forza alla suprema ri-
nunzia, quale è offerta dall’ Ecuba di Euripide (3).

Non di rado le urne ed i sarcofagi etruschi istoriati,
sebbene di un periodo assai tardo (IV-II sec.), serbano tracce
della più pura tradizione epica, che inspirò i monumenti
arcaici del mondo ellenico, ma nel caso della nostra scena

(1) Credo opportuno di ricordare di nuovo qui che per la suppellettile conco-
mitante, e in base alle considerazioni esposte ‘specialmente a pag. 19 della mia ci-
tata memoria, il sarcofago di Torre San Severo deve Donors opera della fine del
sec. IV av. Cr. :
(2 Monumenii Antichi dei Lincei, XXIV, pag. 70 sgg.
(3) v. 521 sgg.

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tutto concorre a farci ritenere che l'artefice di essa fosse
sotto il dominio di un racconto rielaborato. Egli infatti per
rendere con figure appropriate la sua concezione, non seppe
far di meglio che adottare — attenuandone a-ragion veduta
i caratteri dell'originaria violenza — uno schema generico
ed identico a quello che la ceramica attica della fine del
sec. V — sotto la diretta influenza delle rappresentazioni
teatrali (1) — aveva fissato e tramandato. Alla rinnovazione
del racconto corrisponde nitidamente “una nuova espressione
artistico-formale, molto diversa e quasi agli antipodi di quella
adottata per esempio sull'anfora ionica di Londra, dove si
vede Polissena tenuta orizzontale da ben tre eroi greci (An-
filochos, Antifates, Aiace d’ Oileo), mentre Neottolemo la
scanna sul tumulo paterno (2). Poichè il momento del dramma
è il medesimo tanto sull'anfora arcaica che sul sarcofago
etrusco, non si potrebbe davvero giustificare una differenza
così grande ed evidente fra le due rappresentazioni, se un
unico racconto del fatto le avesse entrambe inspirate.

È quindi molto più probabile, per non dire certo addi-
rittura, che l’artefice etrusco avesse informato la sua cultura
mitica ed artistica particolarmente alle correnti che si de-
terminarono e diffusero da Atene per tutto il mondo greco,
compresa l'Etruria, a partire dalla seconda ‘metà del sec. V,
e che pertanto fosse indotto a desumere da queste non solo
il contenuto spirituale, ma anche la veste esteriore, vale a
dire le immagini materializzate della propria rappresenta-
zione.

Ma pervenuti a questo punto, si affaccia un altro pro-
blema cui bisogna rispondere. Il nostro artefice ebbe sotto
gli occhi un quadro con la rappresentazione che ci interessa

(1) Ciò fu riconosciuto, con buona ragione, da G. NICOLE, Meidias et le style
Neuri dans la Céramique attique, pag. 119 sg.

(2) Cfr. la riproduzione da me datane a pag. 66, fig. 37 della mia citata mono-
grafia, ed ivi i precedenti riscontri bibliografici.
RIFLESSI DELLA GRANDE ARTE ECC. 25

già composta, e che egli si limitò a copiare, ovvero dovette
da sè, affidandosi al proprio ingegno ed alle cognizioni ac-
quisite, associare, armonizzandoli, gli elementi della scena?

Per diverse considerazioni a me pare che convenga at-
tenerci alla seconda ipotesi. Innanzi tutto — come si è vi-
sto — noi non abbiamo trovato riscontri se non parziali del
quadretto preso in esame, e perció si deve supporre che la
definitiva redazione di esso sia dovuta alla iniziativa dell'o-
scuro maestro. Inoltre si ha dietro le figure del gruppo il
sepolcro architettonico di Achille, di pretto stile etrusco,
come a suo tempo dimostrai (1). Ed anche nella scelta e nel-
.laggruppamento simmetrico dei sei personaggi laterali che
assistono al sacrifizio, vedrei un’altra prova che si tratti non
già di un apografo puro e semplice, bensi di una riduzione
e rielaborazione personale di un soggetto che forse era stato
riprodotto in Grecia in un vasto fregio dipinto. Paragonando
il lato A col lato B tale sensazione si fortifica, poiché ab-
biamo nel primo — a parte le arbitrarie interpolazioni. di
carattere locale — uno schema figurativo identico ad altri
monumenti etruschi; mentre nel secondo non si scorge che
un nucleo rappresentativo solamente analogo ad altri mo-
numenti greci ed etruschi, influenzati dalla redazione tragica
del vetusto racconto. Dal paragone predetto si desume inol-
tre un elemento probativo di notevole importanza per la
nostra tesi, che lo scultore del sarcofago cioè abbia subito
— nei riguardi del lato con Polissena — l’influenza indiretta.
dell’ Ecuba di Euripide, perchè infatti se egli avesse avuto
intenzione di rappresentare il cruento sacrifizio della ver
gine troiana in base al più antico racconto epico, avrebbe
potuto parodiare, nella sua primordiale crudezza, il gruppo
del lato A, con Achille che scanna un prigioniero troiano.
E tanto più legittima ed appropriata sarebbe apparsa la ri-
petizione sostanziale di questo gruppo, quando si consideri

(1) Cfr. Monumenti Antichi dei Lincei, XXIV, pag. 55 sg., figg. 24 e 29 sgg.

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26: E. GALLI

con quanta cura l'artefice abbia cercato di mantenere il pa-
rallelismo fra i due lati, materialmente ed ideologicamente
contrapposti, in cui compaiono elementi simili, come il se-
polero dell'eroe al quale si tributa il sacrifizio, l'ombra di
lui emersa dalla funebre dimora, gli spettatori analogamente
aggruppati.

Dalle differenze, non di forma soltanto ma di sostanza,
che si notano nei gruppi centrali delle due scene coordi-

‘ nate, scaturisce la prova più luminosa che l’oscuro artefice
? ?

orientando il suo animo per il lato B verso tradizioni a lui
più. vicine, fu indotto a cercare nel ciclo di esse anche i
mezzi materiali e stilizzati — cioé le forme — per rendere
il proprio pensiero. Nell'opera insigne a lui soprav vissuta, .
noi oggi siamo in grado di scorgere — dopo quasi 23 secoli —

i segni delle direttive spirituali che presiedettero alla com-
posizione dell'interessante quadretto a rilievo.

EDOoARDO GALLI.

Firenze, 9 Giugno 1919.
DOVE FU STAMPATA LA PRIMA EDIZIONE
della DIVINA COMMEDIA

E noto che la Divina Commedia per la prima volta fu
: stampata in Foligno l'anno 1472, come si legge nell'ultima
pagina di quel volume, ove questa data è ricordata cosi:

Nel mille quattrocento septe e due
nel quarto mese a di cinque et sei
quest'opera gentile impressa fue.
Io Giovanni Numeister opera dei
alla dicta: impressione et meco fue

el fulginato Evangelista Mei (1).

In questa nota tipografica. sono nominati due tipografi
ovvero editori, uno tedesco, Giovanni Numeister, un altro di
Foligno, Evangelista Mei. La tradizione ‘vuole che l'officina
tipografica, nella quale si pubblicò quel libro, si trovasse nella
palazzina Orfini, in piazza Vittorio Emanuele, nella cui fac-
ciata, in occasione del centenario Dantesco del 1865, fu mu-
rata questa iscrizione:

(1) Vedi il mio studio: « La prima edizione della Divina Commedia » nel pe-
riodico: I4 VI Centenario Dantesco, Ravenna, 1916, vol. III, pp. 98-112.

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M. FALOCI PULIGNANI

NEL XIII DI MAGGIO MDCCCLXV
CELEBRANDO ITALIA
LA FESTA SECOLARE DI DANTE ALIGHIERI
SEICENTO ANNI DOPO LA SVA NASCITA
A PERPETVARE LA MEMORIA
CHE EMILIANO ORFINI
VOLLE DIVVLGATA AL MONDO
LA DIVINA COMMEDIA
CON LA PRIMA STAMPA FATTA IN QVESTA CASA
NEL QVARTO MESE DEL MCCCCLXXII
PER GIOVANNI NVMEISTER ALEMANNO
ED EVANGELISTA MEI FVLGINATE
IL MVNICIPIO POSE

Non senza ragione in questa epigrafe si legge il nome
di Emiliano Orfini (sebbene esso non si legga nella nota tipo-
grafica del libro) sì perchè quella palazzina appartenne alla
illustre famiglia Orfini, sì perchè, prima e dopo questa data,
Emiliano Orfini ebbe rapporti e fece con il Numeister ed altri
tipografi di Alemagna una società industriale per la stampa
di altri libri. E utile ricordare qui tali rapporti.

Scriveva nel 1855 l'avv. Filippo Senesi, che egli posse-
deva due manoscritti, cioè un Commentarium Gambilioni de
Actionibus, ed una Repetitionem Imolensis super c. Cum contingat, i
quali manoscritti a Moguntinis Calligraphis an. 1463 Fulginei
excripta fuerunt (1). Ci mancano i nomi di questi calligrafi di

(1). Bibliotheca selectà adv. Philippi Senesii Civis Perusini, collectionibus con-
stans plus minusve copiosis quas aversa pagina indicabit, cum annotatiunculis biblto-
graphicis. Florentiae, 1855. Opuscolo rarissimo in 16, di p. 80. Il Senesi premette al
suo catalogo un breve prologo « Lectori Bibliophito » in data del Febbraio 1855, da
Firenze, e dice che di tali cataloghi « Collectionum classes », ne aveva pronti 14, dei
quali dà l'elenco a p. 2, e questo é il primo, che contiene un « Catalogus codicum. sae-
culo XV impressorum adiecto an. MD cum annotatiunculis ». È un elenco di 425

incunabuli diligentemente descritti, che erano di sua proprietà, e che egli mise in
vendita con l'avvertenza: Egere noto : Opulentus esse recuso. Il catalogo delle altre

18 collezioni mi è sconosciuto. Al caso nostro è da aggiungere che il Senesi, dopo

aver fatto un cenno di Emiliano Orfini e di Giovanni Numeister (p. VI-VII), sog-
DOVE FU STAMPATA, ECC. 29

Magonza, ma intanto non è da dimenticare che era di Magonza
il tipografo Giovanni Numeister sopradetto, il quale essendosi
trasferito nel 1480 per esercitare l’arte tipografica a Tolosa,
ivi stampò quel Commentarium de Actionibus, che i suoi con-
cittadini di Magonza avevano copiato in Foligno nel 1463 (1).
Cominciamo dunque con lo stabilire che nel 1463 risiedevano
in Foligno dei cittadini di Magonza occupati a trascriver
codici, i quali poi dovevano essere stampati. - =

Questo fatto, che nel 1463 trovavasi a Foligno una società
di calligrafi di Magonza, occupati a trascriver libri destinati
alla stampa, e che nella stessa città, dal 1470 al 1474 vi era
una seconda società di maguntini che lavoravano ordigni per
stampar libri (e se ne stamparono di fatti) apparisce per la
storia della tipografia tanto importante, cbe qualcuno dubitó
della esattezza delle notizie date dal Senesi (2). Questi però,
come risulta dalle sue lettere inedite, era tale e cosi dili-
cente bibliofilo e bibliografo (3), che dubitar di lui senza
motivi, è cosa assolutamente arbitraria.

Ecco quindi, cronologicamente, le notizie remotissime
sui primi calligrafi-tipografi tedeschi e italiani che divulga-
rono la stampa in Foligno.

1463. In Foligno si trovavano dei calligrafi di Magonza
che trascrissero una Repetitionem Imolensis super c. cum contin-
gat, ed un Commentarium Gambilioni de Actionibus. Questo poi

giunge: « Alia huc pertinentia dicturi sumus, tum inter Aldinas (il catalogo delle
‘edizioni aldine possedute dal Senesi era il secondo) ad an. 1545 et 1568 quibus O-
pera Fr. Patritii occurrunt; tum inter MSS (il catalogo dei suoi manoscritti era il
14) ad Commentarium Gambilioni de Actionibus, et ad Imolensis Repetitionem super
c. Cum contingat, quae a Maguntinis Calligraphis an. 1463. Fulginei excripta fue-
runt, ambo ni fallor, adhuc inedita ». :

(1) CLAUDIN F., Les peregrinations de.I. Numeister, Paris, 1880, p. 85; HarN,
Repert. Bibliograph., n. 1614; COPINSER, n. 1614.

(2) Vedi un’ articolo del Marzi nell'Archivio Storico Italiano. Firenze, 1903,
vol. XXXI, p. 498-501,
(3) Vedi le sue lettere al Vermiglioli nella Biblioteca Comunale di Perugia,

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. XVI. Nuove ricerche, Perugia, Boncom

90nes M. FALOCI PULIGNANI

da un tipografo maguntino che nel 1470 stava a Foligno,
come dicemmo, fu stampato dieci anni dopo nella Città di
Tolosa.

Nel 1470 troviamo in Foligno una società, composta di
Emiliano Orfini di Foligno, del nominato Giovanni Numeister
e dei suoi compagni, i quali stamparono l’ opera di Leonardo
Aretino De bello italico adversus. Gothos (1), e questo libro fu
stampato « Fulginei in domibus eiusdem Emiliani ».

Nel 1472 fu stampata, come si é detto, la Divina Com-
media, e ne furono editori i nominati Giovanni Numeister ed
Evangelista Mei; ma nella nota tipografica non si fa il nome:
nè dell’ Orfini, nè dei compagni del Numeister, e neppure si
dice in quale casa sia stato impresso quel libro.

In anno incerto, ma certo non posteriore all’anno 1474,
fu stampato in Foligno un volume delle lettere familiari
di Cicerone, e si legge che il libro fu stampato dall’Emiliano.
Sopradetto, dai suoi fratelli, e dal Numeister, e che il detto
libro fu stampato « Fulginei, laribus Emiliani » (2). :

‘Tali notizie "le rileviamo dalle note tipografiche di quei
tre volumi, ma gli Archivi di Perugia ci dànno altre noti-
Zie. Da un processo fatto colà nel 1471, e publicato dal fu
Adamo Rossi in un volume rarissimo, rimasto incompiuto (3),
rilevasi che, non dopo il 1476, in Foligno erasi costituita una
Società « in arte impressionis litterarum ^», e chei componenti
questa Società erano tutti di Magonza, come erano moguntini
i calligrafi del 1463, come era moguntino il Numeister. Fa-
cevano parte di questa società Stefano di Magonza, il quale

fabbricò « unum istrumentum aptum ad iactandum literas ad im-

(1) Vedi nella Bibliofilia del comm, Olschki, Firenze, 1909 il mio studio: L'arte
tipografica a Foligno durante il XV secolo. E nell’ estratto, a pp. 12-16.

(2) Bebliofilia loc. cit., pp. 28-31. 1

(3) L'arte tipografica in. Perugia durante il secolo XV e la prima metà det
pagni, 1868. Il volumetto, nel mio esemplare,

arriva alla p. 64, e poi vi sono 72 pagine di Documenti Conosco qualche esemplare:

che arriva anche alla p. 88.
DOVE FU STAMPATA, ECO. 21

primendum libros », Crafto di Magonza il quale con Stefano
« laboravit ad limandum et aptandum puntellos matrices et literas:
aptas ad imprimendum libros », e Giovanni di Pietro, altrimenti
detto Papa, il quale fu presente quando i due suddetti co-
stituirono in Foligno una « societatem in arte impressionis lit-
terarum » (1). È probabile che col tempo si riesca a sapere
qualche cosa di più intorno a questa primitiva società tipo-
grafica editrice, che dal 1463 al 1474 si occupava-in Foli-
gno, a trascriver codici, a fonder lettere, a stampar libri; ma
intanto, ció-che risulta certo é che nel 1463 i Moguntini e l’Or-

fini, se non erano legati da patti legali od a convenzioni ti- -

pografiche, dovevano peró avere rapporti professionali mol-
teplici, sopra tutto se si rifletta che l'Orfini apparteneva ad
una famiglia di orefici, che per tre generazioni, come ve-
dremo, esercitarono quella professione.

Ma in quale luogo della città l' Orfini teneva — dal 1463.
al 1414 — la:sua bottega? .Non risulta che la tenesse nella
casa dove nel 1865 fu.posta l'iscrizione Commemorativa del
centenario di Dante, poiché non si hanno prove che nel 1472
queste fossero le case o i lar degli Orfini, mentre la palazzina.
dove è affissa lepigrafe riferita fu eretta, ore staurata non
prima del 1515 da Pierorfino degli Orfini, il quale nel fregio
della porta fece intagliare il suo nome cosi:

,

PETRVS ORPHINVS DE ORPHINIS M.D.XV. (2)

L’anno seguente egli ingrandì questa casa, acquistando
dal Comune alcuni vani prossimi, che facevano parte del
Palazzo del Podestà (3), ma ripeto, dove fossero le case di
questa famiglia prima del 1515, e dove fossero esse dal 1463

(1) Rosst, op. cit., p. 24 dei Documenti.

(2) Vedi riprodotta questa porta e l'iscrizione nel citato VI Centenario Dan-
tesco, lI, 107.

(3) Archivio Comunale di Foligno, Vacchette delle Riformanze, 1514-1517, ad d. 11
febbraio 1516; Regístri, 1510-1541, fol. 125.
32 M. FALOCI PULIGNANI

al 1474, cioè nel periodo in cui erano in Foligno i tipografi di
Magonza, e perció dove fossero quando, nel 1472, si stampó
la Divina Commedia, oggi, allo stato delle ricerche, non si
conosce.

Ben peró si conosce dove in quel periodo di tempo
Emiliano Orfini teneva la sua bottega di lavoro, nella quale
egli eseguiva i punzoni per fabbricar monete, dove condu-
ceva a termine le sue medaglie, i suoi calici, quelle opere
di oreficeria che lo resero celebre.

Dinanzi alla palazzina costruita nel 1515 da Pierorfino,
sorge nella parte orientale della Piazza Vittorio Emanuele
il vetusto Palazzo delle Canoniche del Duomo, le cui nume-
rose botteghe al pian terreno erano allora affittate agli orefici
ed a pittori più conosciuti della Città. Dal 1440 al 1475 vi
teneva la. bottega il pittore M. Pietro di Giovanni Mazza-
forte (1), dal 1453 al 1460 il pittore M. Cristoforo di Iacopo (2),
dal 1477 al 1483 il pittore M. Polidoro di M. Bartolomeo (3),
dal 1470 al 1482 il pittore M. Nicolò da Liberatore detto
l'Alunno (4, dal 1464 al 1483 il pittore M. Pierantonio Me-
zastris (5), che-aveva la bottega vicino a quella dell'Alunno.
Questi i pittori. Non erano meno: numerosi gli orefici. Ivi

(1) Archivio del Duomo di Foligno, Libro della Croce (segnato N. 1132. B. 70)-
fol. 69, 497, etc. etc. Vedi di lul Rossi A., I Pittori di Foligno ecc. Perugia, 1812,
p. 13-15. L'unica opera di questo pittore, oggi perduta, è ricordata nel COLUCCI.
Antichità Picene, Tom. XXV, p. 212. Vedi ROsIN!, Storia della Pittura Italiana, Pisa,
1841, vol. III, p. 161.

(2) Ibid., fol. 72, 478. etc. Vedi Rossi, op. cit., p. 16-17. Una sua opera del 1467,
firmata, é in S. Maria delle Grazie di Rasiglia, presso Foligno. Vedi Rossi A., Giunte
ai Pittori di Foligno. Perugia, 1883, p. 5.

(3) Ibid., fol. 484. Vedi Rossi, op. cit.. p. 15-16: 4-5.

(4) Ibid., fol. 483, 484. Vedi Rossi, opp. citt.. p. 18-40: 5-6. Superfluo citare i libri
che parlano di lul e delle opere sue. Indico un'opera che é sconosciuta alla mag-
gior parte degli serittori che si sono occupati di questo maestro: Niccolò di Libe-
ratore genaunt Alunno. Sive Kunthristorische studie von D.r Rudolf Enges. Mün-
chen, Bruckmann, 1912. In 8, di p. 138. con 70 illustrazioni. È questa l'opera piü
completa che si abbia suil'Alunno.

(5) Ibid., fol. 482, etc. Vedi Rossi opp. citt., p. 46-42: 8. E vedi una mia nota
biografica nell’Almanacco delle Famiglie Cristiane del Desclée, Roma, 1910, p. 13-19
ove é anche riprodotto a colori l'affresco del Mesastris di 5. Lucia di Foligno.

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‘tenne il suo laboratorio dal 1420 al 1422 un orefice mila-
nese M. Giovanni (1), dal 1422 al 1440 I’ orefice romano Marco
Doddi (2), poi, dal 1440 al 1448 i due orefici di Foligno
M. Tommaso e M. Marinangelo, i quali lavoravano in so-
cietà (3), un altro maestro orefice, Marinangelo di Iacopo vi
lavorava dal 1442 al 1488 (4), un M. Gasperino orefice dal
1452 al 1475 (5), e finalmente un M. Battista nel 1469 (6).
Come si vede, abbiamo una serie di botteghe dove si alterna-
vano in quel secolo orefici e pittori, il che dava al'palazzo
dei Canonici una impronta artistica molto geniale. Ora, una
di quelle botteghe era ‘tenuta in affitto dagli orefici di casa
Orfini, almeno per tre generazioni. Si hanno ricordi che dal

1420 al 1427 la teneya M. Salvoro di Emiliano orefice (1),
dal 1443 al 1455 il di lui figlio M. Piermatteo di Salvoro,
orefice anche esso (8), e dal 1458 al 1465 il figlio di Pier-
matteo, il nostro Emiliano, (9) che era nel tempo istesso
orefice, zecchiere, tipografo. Non tutti gli anni i Camerlenghi
del Duomo registravano i nomi degli artisti ai quali locavano
quelle botteghe, e per giunta il codice, che contiene quei
ricordi, è illegibile sulla fine, sicchè non possiamo stabilire
fino a quale anno durasse la locazione fatta ad Emiliano di
‘unà di quelle botteghe. Ma è ovvio ritenere che se per
tre generazioni gli Orfini, dal 1420 al 1465, tennero in affitto

quelle botteghe, poichè non ci risulta che dopo quell’anno

Emiliano abbia trasferito altrove il suo laboratorio, questo

(1) Ibid , fol. 3, 18, etc.

(2) Ibid., fol. 18, etc.

(3) Ibid., fol. 68, 495, etc.

(4) lbid. fol. 70, 497, etc.

(5) Ibid., fol. 477, etc.

(6) Ibid., fol, 483.

(7) Ibid., fol. 3, 7, etc. Anche il bisavo del nostro Emiliano, chiamato anch'esso
Emiliano, era orefice, e nel 1381 avea fatto pel Comune un sigillo di argento. Ar-
chivio Comunale, Carte dal 1385 al 1489, In una busta.

(8) Ibid. fol. 497, etc.

(9) Archivio detto, Libro fabbrica della Chiesa, 1457-1460 (segnato N. 1115,
B. 81, 1), fol. 183, e Libro della Croce, fol. 482.

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34 M. FALOCI PULIGNANI

non poté stare altrove che nella bottega la quale era stata
affittata a suo nonno, poi a suo padre, e poi a sé stesso, al-
.meno fino al 1473 in cui il Papa lo chiamò a Roma (1).
Che poi gli Orfini non avessero la loro bottega nella
palazzina restaurata nel 1515 da Pierorfino é cosa sicura
per me, poiché se essi allora fossero stati proprietari di
quello stabile, e se ivi avessero posseduto uno o piü fondi
per esercitarvi le loro professioni, non si comprende perché
avrebbero dovuto prendere in affitto una bottega'cosi poco
distante dalla casa loro, mentre questa, come il palazzo dei
Canonici, stava sulla medesima piazza, dinanzi alla medesima
Chiesa, in mezzo ai due grandi palazzi del Comune e del
Podestà. Se quindi per tre generazioni gli Orfini ebbero la
loro bottega sotto la Canonica, se ivi lavoravano quando i
calligrafi e i tipografi tedeschi preparavano arnesi e carat-
teri per stampar libri, se questi oltramontani fecero allora
società editoriali con i Fratelli Orfini, l'officina tipografica di
questi, ove preparava torchi, e punzoni, e lettere mobili,
non poteva essere che in una delle botteghe che tenev
in affitto dai Canonici.
Ecco quindi trovata la bottega dove Emiliano esercitava
la sua professione, dove dovettero prepararsi le stampe dei -
volumi che hanno il nome suo, dove i tipografi e i calligrafi
di Magonza, dove il Numeister, Crafto, Stefano, Giovanni di
. Pietro lavoravano i punzoni, fondevano le lettere, costruivano

. gli ordigni, che poi dovevano servire alla stampa della Divina
Commedia. E nessun luogo era più

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acconcio di-quello per la
novella e geniale industria importata dai Moguntini, accolta
e favorita dai Folignati. All'ombra della prima Chiesa della
Città, dinanzi al Palazzo del Comune e del Podestà, a pochi
metri dal Palazzo Trinci, il quale allora era nel più vivo
fulgore dell'arte, nel dentro della città, dove si svolgeva il
mercato pubblico, avendo da ut lato la bottega dove l'Alunno,

(1) Vedi la Bibitofüia, cit., p. 80.
5



DOVE FU STAMPATA, ECC.

dipingeva i suoi polittici, da un altro quella dove il Mezastris
preparava i cartoni delle sue Madonne, e quinci e quindi altri
orafi e dipintori, Emiliano Orfini lavorava in un luogo che si
prestava mirabilmente per quella industria esordiente, e tutti,
cittadini e forestieri, potevano ammirare i candidi prodotti
del nuovo commercio, ed ivi acquistare a mite prezzo i
volumi. della latina e della italiana letteratura. Merita quindi
il palazzo dei Canonici di Foligno un onorato ricordo, per-

chè, fra tanti artefici della rinascenza, ivi si dettero con-
vegno e si mescolarono i tipografi italiani e tedeschi che:
vi prepararono le lettere e i torchi, se pur non fu proprio.
‘ivi che impressero per la prima volta, sotto gli auspici di

Emiliano Orfini, la Divina Commedia. Le lettere e le arti ivi
si dettero convegno. Vicino all'Alunno era il Mezastris, vi-
cino a questo era M. Polidoro, e poi Pietro Mazzaforte, e poi
altri assai. Da Milano si recó a lavorare oreficerie in quelle
botteghe M. Giovanni, il quale sembra escogitasse una forma
speciale di calici di argento, con degli smalti nel piede, che
si chiamavano fatti « al modo de Ianni » (1); da Roma venne a
lavorare nelle botteghe suddette M. Nardo Doddi, che ac-
conciava turiboli e fabbricava calici, ed altre cose faceva
conformi all’arte sua (2); da Pisa venne a Foligno nel 1461

un maestro « Antonius Pisanus, gemmarum pretiosarumque la-

pidum sculptor » (3). Ma fra tutti primeggiava Emiliano Orfini,
che il Governatore di Foligno, Francesco Patrizi, nel 1464,
chiamava Vir acutissimi ingenii (4): e piace veder intorno a
lui, e dentro la sua bottega, dal 1458.al 1472 almeno, tanti
egregi artisti e letterati, di Foligno e fuori, affollati intorno
al suo banco, svolgere i candidi volumi di Cicerone e del-
l'Alighieri, e diffondere per la città e per l’Italia V utilità

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36

M. FALOCI PULIGNANI

della nuova industria, che in quelle botteghe, con la stampa
del divino poema, ebbe cosi intelligente ospitalità.

L'Alighieri nel suo poema ricordó quasi tutte le città

dell'Umbria settentrionale: Gubbio, Perugia, Assisi, Nocera,
Gualdo: Foligno peró non ebbe l'onore di essere nominato
in quella cantica. Ma la piccola città umbra assai nobilmente
si vendicò di quell'oblio; e quando né a Roma, nè a Firenze,
né a Venezia, né a Milano, nessun industriale, nessun lette-
rato, nessun Mecenate pensava a pubblicare per le stampe
quel poema, per timore di rimetterci le spese, Foligno osó
per primo mettere in commercio quel libro, che formó al-
lora la fortuna e l'onore di quei tipografi, come oggi forma
una delle più belle gemme dei saggi collettori di belli e
buoni libri. ;
DOCUMENTI

per la storia della medicina in Perugia

(DALLE EPOCHE PIÙ REMOTE AL 1400)

Tornato dopo un lungo periodo di interruzione alle in-
dagini ed agli studi di Archivio, il mio primo pensiero è stato
quello di riprendere la stampa dei documenti per la storia
della medicina in Perugia, iniziata, parecchio tempo fa, negli
Annali della nostra facoltà medica (1).

Una difficoltà però mi si presentò subito dinnanzi, e fu
quella di non poterne continuare la pubblicazione in quello
stesso periodico, perchè in questo scorcio di tempo aveva
cessato di vivere. A superarla mi soccorse la benevolenza
del Presidente della nostra Società di Storia Patria per l'Um-
bria, il conte Vincenzo Ansidei, il quale non solo ritenne che
il materiale raccolto poteva essere stampato nel Bollettino
della Società, ma volle essermi largo, nella sua gentilezza,
di preziosi aiuti per le altre ricerche d'Archivio, che ebbi
necessità di compiere in seguito, a complemento di quelle
in antecedenza fatte. A lui vadano pertanto le espressioni
più vive della mia riconoscenza.

E cosi oggi viene ripubblicato il poco già edito, si può
dire con veste quasi del tutto nuova, per le modificazioni
ed aggiunte introdottevi, e rese necessarie avendo trovato

(1) Annali della facoltà di medicina dell’ Università di Perugia 1908. Vo-

lume VIII, fasc. I e II. Perugia, Tipografia Guerra.
^L. TARULLI

altri dati importanti; e stampata la parte più numerosa e
più interessante dei documenti finora del tutto inediti.

Alcuni dovevano essere posti in appendice. ad un mio la-
voro dal titolo « Gentile da Foligno nello Studio di Perugia e la
Scuola medica perugina dei suoi temp? » (1). Ma non essendo esso
pronto, per ragioni che è inutile qui indicare, mi decisi di
pubblicare quello che avevo raccolto, stimolato in particolar
modo dagli studiosi di cose mediche, ai quali parve che le
‘notizie, come si trovavano, potevano riuscire egualmente utili,
sia per la storia della medicina, come per quella dell'Ateneo
di Perugia, di cui la medicina stessa fu insegnamento tanto
importante fin dal suo principio.

Non era però cosa facile raccogliere in uno studio so-
lamente, e quindi in una unica pubblicazione, tutto quanto
poteva interessare un periodo lungo di tempo, deciso come
ero di occuparmi della medicina dalle epoche piü remote
alle più recenti. Le ricerche sarebbero forse riuscite affret-
tate e quindi poco esatte. Non cosi invece se'si fossero di-
vise, come di fatto è avvenuto, in periodi diversi, distinti
ciascuno per circostanze Speciali, cioé in relazione, sia con
avvenimenti politici interessanti la vita cittadina, sia colle
deliberazioni legislative, che riguardavano i vari problemi
del Comune, studiati e risolti con maggiore o minore pre-.
mura e fortuna, a seconda del maggiore o minore stato di
floridezza e di libertà, in cui Perugia venne a trovarsi.

E così questa prima serie d'indagini arriva fino a tutto
l’anno 1400, epoca per la nostra città di eccezionale impor- -
tanza, polché in quest'anno i Perugini — infiacchiti dalle
lotte interne di partito, che li tenevano sempre divisi, da

(1) Il detto mio studio farà parte del volume che in breve sarà

dato
alla luce in onore di Gentile da Fo

ligno, contenente scritti, dedicati alle
opere, alla vita ed ai tempi del sommo Maestro, ed.

ranze che l'Università di Perugia volle tributate
dei suoi più grandi Lettori, il 2 Luglio 1911.

il resoconto delle ono-
alla memoria di Lui, uno
DOCUMENTI DELLA STORIA DELLA MEDICINA IN PERUGIA 39

rinunciare per proprio volere e con estrema vergogna ad
ogni residuo d’indipendenza, di cui per il passato erano stati
tanto fieri — dimentichi delle proprie virtù, per le quali .
erano riusciti ad afferrare il governo del Comune, eserci-
tandovi ampia signoria, determinando in pari tempo nell'età
delle libere e fiorenti democrazie una influenza moderatrice
sopra i destini d’Italia, così « da impedire la restaurazione
dell’orgoglioso imperialismo d'oltre Alpi » (1), si dettero in-
sieme alla città ed al contado tutto al Duca di Milano. Fra
le convenzioni fissate con il nuovo Signore vi fu che Io Studio
dovesse mantenersi immutato, con i suoi Privilegi e Statuti;
e con la dotazione annua di duemila fiorini. Così in mezzo
a tanta sventura si cercò, e questa fu una vera fortuna, di
conservare la gloria più bella che Perugia possedeva, con-
tinuandosi a chiamare, perchè leggessero in ciascuna facoltà,
anche in quei tristi momenti, come si era fatto nei giorni
lieti, uomini eminenti per dottrina ed ingegno.

Le fonti a cui si può attingere per rintracciare le me-
morie riguardanti la vita dell’Ateneo perugino non sono certo
molte, e sparse un po’ da per tutto, di guisa che non riesce
cosa facile il consultarle. Ecco la ragione per cui non ab-
biamo ancora una raccolta copiosa di dati, specialmente per
i primi tempi della sua esistenza, tanto che vi è molto da
fare, per scriverne degnamente. Allo stesso modo è sempre
scarso il materiale storico già pubblicato, riguardante i me-
dici, sia perugini che forestieri, venuti ad esercitare ed in-
segnare, o liberamente, ovvero agli stipendi del Comune od
a quelli delle Università degli scolari, appunto perchè le
deliberazioni in antico prese, sono sempre a noi ignote, in
quanto trovansi racchiuse negli Archivi, i quali attendono
tutt'ora chi li esplori e li esamini esaurientemente.

^

(1) Awsipgr e BrigantI, Bartholomeus de Gabriellibus de regno Francie e
Ugo de Belciampolo de Inghilterra, Conestabili al servizio del Com. di Perugia
nel 1321. Boll. di stor. pat., vol. XXI, pag. 222. Perugia.
L. TARULLI

Le ‘presenti ricerche, condotte forse con maggior dili-
genza delle altre fin qui eseguite, mi hanno procurato la
fortuna di trovare una messe assai più ricca di quella finora
posseduta. Non sarei però mai giunto, ed è doveroso affer-
marlo con sincerità, ai risultati attuali, se avessi trascurato
di consultare, e più di una volta, attentamente i manoscritti
del Mariotti « il principe degli eruditi », come, con giusta
lode, ebbe a chiamarlo il prof. Adamo Rossi, che visse, si
può dire l’intera vita, nel raccogliere ed illustrare le glorie
della patria sua. :

Affinché poi il presente lavoro riuscisse utile il piü che
fosse possibile ai cultori della storia medica ed a quelli del-
l'Università nostra, accanto ai dati nuovi trovati, ho voluto
ripubblicare, senza affatto occuparmi di quelli riguardanti
l'insegnamento della legge, quelli che interessano lo Studio
nella sua organizzazione generale, e la medicina in modo
speciale, già stampati in libri, periodici, oggi addivenuti rari.
e difficili ad aversi fra mano. Ho riportato anche qualche
notizia intorno a cose affini alla medicina, come p. es. in-
torno agli ospedali; adottando la regola di dare per i docu-
menti editi ed inediti di poca importanza un breve sunto, e
di trascrivere per intero gli altri di speciale interesse.

Ed é proprio in questo momento necessario affermare,
come il presente studio, sebbene compiuto con maggiore
larghezza degli altri, non abbia affatto la pretesa di essere
completo. Non vi ha dubbio alcuno che altri nomi, altri
particolari, più o meno interessanti, potranno venir fuori, a
mano a mano che più intenso si farà il lavoro di ricerca
negli Archivi pubblici e privati. Anzi soltanto dopo queste
nuove indagini è lecito sperare di possedere una lista com-
pleta, o quasi, di medici e di pubblici lettori in medicina,
ed un materiale organico riguardante le disposizioni prese
dai nostri maggiori, sul servizio medico della città e del
contado.

Pur tuttavia quel tanto che ora abbiamo è più che suf-
DOCUMENTI DELLA STORIA DELLA MEDICINA. IN PERUGIA 41

ficiente per ritenere con sicurezza come, fin dalle origini

dello Studio, il pensiero del magistrato cittadino fosse rivolto

non solo a permettere, ma a sollecitare, per mezzo di méssi
speciali, che i giovani delle altre città si recassero fra noi
a studiare anche l'arte salutare, come vi erano stati invitati
ad imparare il diritto.

Una deliberazione del Consiglio maggiore di Perugia, di
cui facevano parte i cittadini, scelti in determinato numero
per ognuna delle cinque porte, costituenti i rappresentanti

più diretti e quindi i più autorevoli della volontà popolare,

in data 15 Settembre 1266, stabiliva in ‘una pubblica adu-
nanza, dietro proposta fatta dal Potestà « Dominus Albertinus
de boscettis » ed alla presenza « nobilis viri Domini Uguccionis
de oxelettis » Capitano del popolo, che si spedissero lettere
pro facto studii expensis comunis undique per civitates et loca
convenientia,

Questo documento è il più antico di quanti ne conosciamo
fino ad oggi riguardo al nostro Ateneo. Il prof. Rossi (1), che
per il primo lo rese di pubblica ragione, sebbene il Mariotti
ne fosse stato lo scopritore, aggiungeva come commento, che
il tenore della deliberazione ed il mese in cui fu presa, am-
monivano non essere stata questa la prima sopra un fatto
di tanto interesse; altrimenti essa non sarebbe stata cosi
semplice, nè in termini tali, come se si trattasse di una
cosa ordinaria; riferendosi piuttosto, come osserva giusta-
mente il prof. Oscar Scalvanti, « ad un Istituto che da molti

(1) Apamo Rossi, Documenti per la storia dell’ Università di Perugia con

l'albo dei professori ad ogni quarto di secolo. Perugia, Tipografia di G. Bon-

compagni e C., 1876, fase. I, pag. 3. Tutti questi documenti editi prima
nel Giornale di Erudizione artistica stampato dalla stessa .tipografia, furono
poi dallo stesso Autore riuniti in due fascicoli separati, dei quali il primo
conteneva quelli riguardanti le origini dell’ Università fino al 1325, ed il
secondo gli altri dal 1826 al 1875. A questi fascicoli si riferiscono le cita-

zioni dell’opera del Rossi che verranno fatte nella presente pubblicazione.

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E: gia nel V centenario della morte del grande giureconsulto.

42 L. TARULLI .

anni era sorto » (1). Ed io mi permetto di aggiungere essere
verosimilissimo che analoghe proposte fossero state fatte
nella stessa forma, cioé come cosa del tutto abituale, anche
negli anni successivi, sebbene ce ne manchi la prova diretta,
all'avvicinarsi del nuovo anno scolastico, che, anche a Pe-
rugia, come fu a Bologna ed a Padova, ebbe inizio, prima
ai 29 Settembre (in festo beati michaelis) e più tardi ai 99
Ottobre (in festo santi luce); e che in pari tempo. si pensasse
alla condotta di alcuni lettori, come si conveniva ad uno
Studio, il quale aveva raggiunto un certo ordinamento, e che

‘era posto sotto la tutela dei magistrati della Repubbiica.

Una prova, che conferma l'esattezza del giudizio emesso
dai due insigni storici dell’Università nostra per il 1266, si
può anche ricavare da alcune frasi registrate in una deli-
berazione del grande Consiglio di Perugia, in data 4 Mag-
gio proprio dello stesso anno. Trattandosi di eseguire un'o-
perazione di sindacato di molto interesse per la città, ordi-
nata dal magistrato cittadino, concordavit Consilium quod Po-
festas et Capitaneus habeant quatuor sapientes de sapientioribus
Civitatis utriusque iuris et cum consilio eorum mittant Sindaco
nostro cartam sindacatus. Non iscarseggiava dunque (ripeterò

.le stesse parole del Mariotti, dal quale ho attinto questa

notizia) Perugia neppure in questi tempi di dottori legisti,
se tanti ve ne erano nel diritto civile, come nel canonico,
da potere fra essi sceglierne quattro, che fossero fra gli altri '
i più valenti (2). :
Del resto, se è vero ehe fino ad oggi mancano altri do-
cumenti per stabilire una esistenza ancora più antica dello

(1) Oscar Scarvanmi, /7 seminario giuridico secondo le tradizioni delle U-

niversità medioevali. Nel vol. L’opera di Baldo pub. dall’ Università di Peru-

Perugia, Tipi del-
l’ Unione cooperativa, MCMI.

(2) Marroni, Mes. esistenti nella Bibi. com. di Perugia. La deliberazione

è nell'Ann. Xvir. anno 1266.
DOCUMENTI DELLA STORIA DELLA MEDICINA IN PERUGIA 43

Studio, non fanno certamente difetto indizi, attestanti che in
‘epoche più remote vi furono fra noi scuole modeste, quanto
dir si voglia, cioè senza la pretesa di formare un qualche -
cosa di completo e di organicamente perfetto, da richiamarvi
anche un buon numero di scolares forenses; ma che tuttavia
rappresentavano un centro di cultura locale, frequentato in
gran prevalenza dai cives scolares; palestra per i più ga-
gliardi ingegni, atti ad insegnare, rossi o no della sem-
plice licentia docendi o dell’altra più ampia «bique docendi;

campo ubertoso in cui si coltivavano i futuri sostegni Bu
grandezza della patria.

Difatti, sfogliando le scritture che il tempo ha rispettato
(la ricerca avrebbe dato sicuramente risultati migliori, se non
fossero andate distrutte molte memorie) è facile trovare, fin
dall'inizio del sec. XIII ed anche prima, nomi di giudici, di
giurisperiti, di notai, in genere di persone autorevoli per il
loro sapere, e di medici, con questo solo titolo o con l’altro
più onorifico di magister, sempre in minor numero dei legisti ;
nomi che si vanno facendo più rari, a seconda che si stu-
diano periodi piü lontani.

Ebbene, ecco il dato storico quanto mai dimostrativo
che ci dice, come insegnamenti di legge e di medicina, in-
sieme forse a qualche altro di minore importanza, venissero
impartiti in Perugia, frequentati, come si é detto, in special
modo dai Perugini, essendo cosa certa e ben nota, che allora,
quando lo apprendere era privilegio di pochi, almeno fra i
laici, quel tanto che si sapeva era il frutto di studi compiuti
nella « scuola sorta e cresciuta privata » (1) nella propria
città e meglio anche nella propria famiglia, almeno per al-
cune discipline, se non lo era anche per tutte.

Il numero sicuramente maggiore degli uomini di leg ege
in relazione a quelli di medicina, si spiegherebbe col bisogno

(1) Carpucci, Lo Studio bolognese. Discorso 1888 Bologna.
44 ; L. TARULLI

sentito anche in Perugia, appena costituitasi in libertà, di
coltivare con grande premura la giurisprudenza, addivenuta
importantissima nella vita pubblica, per le contese sorte fra
Papi ed Imperatori e Comuni, e dei Comuni fra loro, ed ono-
rata ad un tempo « dagli Italiani antichi più forse che i
titoli di nobiltà quanto il pregio della spada e della rin-
ghiera » (1). I medici (almeno cosi fu da noi, ma mon allo
stesso modo da per tutto (2)) raramente chiamati a prestare, e
ciò per l' indole ed il carattere della loro cultura, aiuti di:
retti al Comune, sebbene fossero abbastanza numerosi, non
potevano essere annotati nelle pubbliche scritturé, dove si
registravano, in particolar modo, cose, fatti, persone in rela
zione alle pratiche svoltesi più specialmente per la conquista
dei privilegi nuovi e per la conferma e sanzione degli an-
tichi. Fu solo più tardi, quando ebbe consolidamento il nuovo
governo, e quando si perfezionò tutto il sistema amministra-
tivo della città, che essi sono ricordati, insieme ai provve-
dimenti presi per la tutela della salute pubblica, fatta o
getto di cure speciali ed assidue dal magistrato popolare.

Ed è precisamente sui primi del secolo XIII che non
vanno dimenticati alcuni Perugini, i quali per il loro valore
resero più stimata Perugia in quei tempi, fino a ieri tanto
oscuri, ma non più così oggi, e che Alinda Bonacci Bruna-

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(1) Canpuccr, Il libro delle prefazioni. Saggi critici letterari, pag. 14. Mi-
lano, Casa ed. lib. Erm. Bruciati e Comp.

(2) Gli ordinamenta sacrata et sacratissima populi terre Prati del 1292,
imitazione di quelli bolognesi, compilati sotto la ispirazione del famoso Ro-
landino Passeggieri nel 1282, e nel 1284, furono emanati per Consilium terre
Prati, di cui faceva, parte un tal magister Tursus medicus insieme ad altri
Pratesi. E numerosi esempi si potrebbero addurre intorno all’opera prestata
dai medici nella compilazione delle leggi municipali, tanto da essere sempre
più raffermato il concetto che gli studiosi degli Statuti comunali hanno sul
concorso prestato da tutte le classi dei cittadini, e non da alcune soltanto,

nelle varie manifestazioni della vita del proprio Comune nel medio evo.

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DOCUMENTI DELLA STORIA DELLA MEDICINA IN PERUGIA 45

monti, la poetessa nostra illustre, chiamò con felice espres-
sione

Or feroci or gentili, e pur mai sempre

Di nostra fiacca età più venerandi,

Due di essi, in special modo, un notaio ed un medico,
dotati di forte iniziativa, animati da vigorosa operosità, già
esperti nelle loro dottrine, lasciato il natio loco, aprirono
scuole in Bologna, il centro più rigoglioso in Italia della vita
intellettuale di allora, e dove peregrinavano le menti più
elette, avide di imparare, accorse non solo dalle varie città
italiane, ma eziandio dalle regioni straniere più remote. L'al-
‘tro legista, non meno dei due artisti famoso, rimasto però
in Perugia, dedicó ogni sua energia entro le mura della
propria patria al benessere di questa, da meritarne onori
quanto mai invidiati e raramente concessi.

E volendo per ora riportarci ai due primi, sfogliando la
matricola dei notai della città di Bologna per il 1219, tro-
viamo registrato il nome di un Magister Rainerius Perrusinus,
accanto ad altri sprovvisti di questo titolo (1): il che fa giu-
stamente pensare come questo nostro non solo professasse
larte sua, ma la insegnasse anche. Alcuni documenti. pro-
‘vano ciò chiaramente. Difatti in uno di essi, un istromento
di vendita redatto nel 1221, è lo stesso Rainiero che.lo dice:
in scholis mei notarii juris dominorum de montebellio (2), vo-

-

(1) Sarti, De claris Archigym. Bonon. profess. a sec. XI usque ad secu-
lum XIV. Tom. I, p. I, pag. 422. Bononie MDOCLXIX.

(2) Il Cavazza (Le scuole dell’antico Studio di Bologna, Atti e mem. della
R. Dep. di Storia patria per le prov. di Romagna, Terza Ser., Vol. IX,
an. 1895), dal quale ho desunto tale notizia, crede che per dominorum de
Montebellio si debbano intendere con molta probabilità i Canonici della Pieve
di Monteveglio, i quali possedevano in Bologna la Chiesa di S. Apollinare
con case ad essa annesse. Il notaro Rainiero le avrà prese in affitto per
andarvi ad abitare e per impartirvi il suo insegnamento, vivendo in quei

locali coi propri scolari una vita comune, da formare con essi ‘una vera

famiglia scolastica, come era costume di quel periodo storico universitario. '

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46 L. TARULLI

lendo in tal guisa indicare il luogo dove era stato stipulato
il contratto, «che termina con questa formula di sottoscrizione:
Et ego Rainerius perusinus de portanova bonon. imperiali auctori-
tate iudex et notarius dictis omnibus presens ut supra legitur
dictorum paciscentium mandato et secundum formam statuti Bo-
nonie per extensas sillabas legi et suscripsi (1). In un secondo,
che é un rogito di un altro suo collega, in data 15 Aprile
1228, leggiamo come Züainerius Magister notarie avesse redatto
l'istromento nelle proprie scuole: in scholis magistri Rainieri
de porta nova (2); scuole che si trovavano (e questo partico-
lare é quanto mai interessante per la figura del nostro Rai-
niero) iurta scholas domini Azonis (3), il famoso lettore di
diritto nello studio bolognese. :

Che Rainiero fosse in Bologna anche in epoca anteriore.

“a quella fissata dalla detta matricola, si può affermare con

tutta sicurezza, esaminando la sua Ars notaria, che il tempo
ha risparmiato, permettendo anzi che essa giungesse fino a.
noi in più di un esemplare, e dove si trovano atti per il
maggior numero portanti la data. del 1214 (ve ne sono an-
che dei- posteriori ‘a questa, cioè del 1216) (4); nella quasi
totalità da lui medesimo stipulati, con indicazione di luoghi

(1) Raynieri de Perusio. Ars notaria edidit Augustus Gaudentius. Bononie
1890. In appendice trovasi precisamente l' atto di vendita stipulato nelle
scuole di Rainiero e la firma nella forma come è stata sopra riportata.

(2) Sarti, loc. cit.

(3) Raynieri de Perusio. Ars notaria cit.

(8) Il Palmieri (Appunti e documenti per la storia dei glossatori. Il « For-
mularium Tabellionum di Irnerio ». Bologna, Libreria Fratelli Treves di

P. Virano, 1893), parlando dell'Ars notaria pubblicata dal Gaudenzi nel se-

condo volume della Biblioteca juridica medii Aevi, dice che di quest! opera

egli conosce quattro manoscritti: uno appartenente alla bib. di San Gallo,
conosciuto e ben studiato dal Savigny (Storia-del diritto romano nel medio
evo. Lib. V): altri due, l'uno glossato e l'altro n0, presso la bib. pub. di
Siena, sotto le segnature H.' V. 29, H. V. 30; il quarto presso il Barone
di Saint-Pierre, cultore appassionato di studi storici.
DOCUMENTI DELLA S'TORIA DELLA MEDICINA IN PERUGIA 47

e di personaggi realmente esistiti, a differenza di quanto si
osserva in altri trattati consimili, scritti anteriormente e po-
steriormente a quello di Rainiero (1), nei quali accade spesso
di leggere le formule notarili con nomi di persone e di lo-
calità immaginarie.

Creato giudice e notaro, auctoritate imperiali, (non è ben
facile stabilire da chi e mediante quali procedure) non sa
dimenticare la patria lontana, e vuole, certo a titolo di onore,
che sia ben nota la sua provenienza, poichè il più delle
volte si firma Raznierius perurinus. Anzi in un atto fissa la
sua origine con maggior precisione, dicendosi dellago peru-
gino, auctoritate domini Rainieri de lacu perusino. Raramente:
si sottoscrive con la formula Rainierius auctoritate imperiali
notarius, e con minor frequenza ancora con l’altra più sem-
plice e più modesta di Aa?enéeriíus notarius (2).

Cosa insegnasse non è difficile saperlo, quando si -esa-
mini con qualche diligenza la sua opera, giustamente chia-
mata un vero trattato organico intorno all’arte del notariato,
composto di una parte teorica e di un formulario (3), « ra-
dicato tutto sulle norme del diritto romano », scritto dietro
preghiere insistenti dei suoi colleghi, riuniti già in colle-
eio (4); e quando si pensi a quello che gli storici del gius
ci dicono intorno ai notari di quei tempi, i quali, oltre ad

essere « scrittori di contratti, segretari dei principi, dei co-

(1) Si allude al Formularium di Irnerio anteriore a quello di Rainiero
e a quelli di Rolandino Passeggieri e di altri, scritti in epoche ancora più
posteriori.

(2) Gaupenzi, loc. cit.

(8) PaoLi, Programma scolastico di paleografia latina e di diplom. Disp. I;
pag. 54.

(4) Diuturnis sodales vestris peticionibus, ego Rainerius per omnia vires
intendens hoc opus ex profusis farmulariorum prolixitatibus, nec non et ambiguis
concordantiis compendiose decerptum et distinctum sub certis titulis. evidenter ho-
norande societati vestre duri mitius offerendum. Al principio del Proemio del-

P.Ars notaria. GAuDpENZI, loc. cit.
met

L. TARULLI

muni, delle società, gli impiegati. pubblici, i cancellieri dei
tribunali, gli autori di tutte le scritture importanti per la
vita dello Stato e dei privati », nell'epoca delle oscure e
confuse leggi furono i custodi gelosi delle tradizioni del di
ritto e gli interpreti autorevoli di esso, da riuscire nelle fac-
cende delle nuove repubbliche forse più utili e più ricercati '
degli stessi doctores juris. :

Che egli fosse anche magister in medicina, forse non pra-
tieandola, si potrebbe affermare senza esitanza. Numerosi
sono gli esempi di notai e medici ad un tempo che si tro-
vavano un po’ da per tutto (1). Anche nell'Umbria ne ab-
biamo parecchi, e fra costoro voglio ricordare un allievo di
Rainiero che, per strana combinazione di cose,. portava lo
stesso nome: cioè un tal Magister Raynerius Physicus Arreti-
nus (2), il quale, avendo insegnata a Bologna l'arte medica
stipulò più tardi solo istrumenti e scrisse un trattato sull’ Ars
tabellionatus (3). : -

(1) In Assisi nel 1233 facendosi il censimento dei focolari per ordine
del Comune si trovò che ben sedici erano i notai che vi esercitavano l’arte
e fra questi un tal Johannes notarius et medicus (Miscellanea francescana,
Vol. XV, pag. 136). Di un Matteo Medico e Notaro parla il Doc. V di questa
v eo raccolta. i
(2) Il Mariotti (mss. citati) ricorda quest’altro notaro umbro sopra no-
tizie fornitegll dali’ Abate Ludovico Coltellini, erudito di Arezzo e suo in-
timo, il quale ebbe a comunicargli avere presso di se in Arezzo un mano-
scritto membranaceo dal titolo: Casus artis tabellionatus magistri Rainieri
perusini et Ars tabellionatus magistri Raynieri physici et. nobilis: aretini. Ed è
in questo manoscritto che si apprende (sempre secondo il Mariotti) come il
Rainiero di Arezzo, il quale viveva e rogava nel 1272, chiami il Rainiero
da Perugia suo maestro.
Ho già condotto a termine un mio studio, sopra questi due notai, dal
| titolo: Rainerius perusinus magister artis notariae e Magister Raynerius Phy-

sicus Arretinus, che spero di poter pubblicare fra breve. b.

(8) Il Sarti (loc. cit.) pone fra i lettori di Medicina a Bologna per il
ee 1267 Magister Raynerius Physicus Arretinus. Niente di improbabile, sempre
RE secondo il Mariotti, che questi sia lo stesso personaggio che stipulava nel
1272.
DOCUMENTI DELLA STORIA DELLA MEDICINA IN PERUGIA 49

Un documento del 1284 ci dà’ notizia di una lite sorta
in quest'anno fra Rolandino di Rodulfino de’ Passeggeri, au-
tore della famosa Summa artis notariae, ricordato nelle carte
del tempo, esempio assai raro, col titolo di artis notarie
doctor, e due suoi emuli Magister Nicholinus de Fraseneto e
Magister Venancius Monti de Osmo; i quali volevano, al pari
di Rolandino, insegnare in Civitate Bononie artem et scien-
tiam notarie quod jus dicebat ipse dominus Rolandinus.solunmodo
sibi et aliis civibus Bononie et qui per viginti annos steterunt et
habitaverunt in Civitate Bononie continue ... et nulli ali compe-
tere et sic non competere predictis magistris Nicholino et Venan-
lio utpote forensibus et omnino aligenis a Civitate Bononie. Or
bene questi particolari, che riguardano un successore di
Rainiero nell'esercizio professionale e nell'insegnamento, e
che fu anche suo discepolo (1) ei dicono come egli per in-
segnare dovette essere stato in Bologna o per venti anni di
seguito, ovvero avervi ottenuta la cittadinanza, dopo qualche
anno di dimora. Mi sembra piü verosimile che si sia verifi-
cata questa seconda ipotesi e che recatosi in questa città
pieno di entusiasmi e di speranze, riconosciutosi presto il suo
valore, ottenesse con facilità di essere annoverato fra i Cives
civitatis Bononie (2). Il neo cittadino non ritornò più nella

(1) È lo storico Sarti (loc. cit.) che afferma il Rolandino de’ Passeggeri
essere stato scolaro di Rainiero perugino.

(2) Non ho potuto costatare, perchè me ne è mancato il modo, se negli
antichi Statuti di Bologna gli insegnanti, per il loro magistero, addivenivano
cittadini, senza la necessità di avervi dimorato almeno per breve spazio di
tempo. È certo che nel 1284 gli seolari erano considerati quali cittadini
« quod scolares sint cives et tamquam. cives ipsi habeantur et pro civibus repu-
lentur donec scolares fuerint et res ipsorum. tamquam civium defendantur >»;
venendo nello stesso tempo agli stessi concesse agevolezze, privilegi, che
sarebbe quasi impossibile enumerare del tutto. Si sa, almeno per certi Studi,
che tanto i maestri come gli allievi venivano chiamati indistintamente sco-
lares, cioó uomini di scuola. Niente quindi di strano ammettere che per gli

Statuti bolognesi del 1284 e forse anche per quelli pià antichi gli insegnanti

4
50 L. TARULLI

sua patria. Fondò nella nuova dimora una scuola: ebbe al-
lievi che fecero onore al maestro: si formò una famiglia e,
morendo, la sua salma dovette esser composta in una sepol-
tura onorata, come era costume di seppellire gli uomini il-
lustri.

Dell’altro perugino medico e contemporaneo del notaro
Rainiero sappiamo che nel 1222 esercitava la sua professione,
e che ai 4 di Maggio 1246 moriva, come si rileva da un obi-
tuario della Chiesa di S. Salvatore di Bologna, dove è scritto
sotto quella data: obijt magister Petrus perusinus medicus vul-
nerum (1). ;

Il titolo di cui lo vediamo insignito, allo stesso modo
dell'altro suo conterraneo, ce lo dice lettore; e che risco-
tesse fama, lo possiamo dedurre dal fatto, ch' egli era salito
‘ agli ambiti onori di un capo scuola.

In tutto il sec. XII, ed. anche sui primi del sec. XIII,
gli esercenti l’arte salutare erano indistintamente chiamati
medici e tenuti in grande considerazione. Non allo stesso modo
quelli che si dedicavano alle operazioni di chirurgia, passata
nelle mani degli empirici, niente altro che volgari praticanti,
non maestri, nè addottorati nelle scuole mediche di allora.
Pietro dovette rialzare le sorti di costoro, richiamando in
vigore, sia nell’ esercizio professionale, come nell’ insegna-
mento, un'usanza dell'antica e sana Scuola ippocratica e ga-
lenica, che voleva separata la medicina dalla chirurgia.

per diritto fossero considerati cittadini veri e propri, alla pari dei loro di-
scepoli.

Piü tardi divenne frequentissimo l'uso di conferire non solo la citta-
dinanza ai lettori famosi per indurli o a venire o à rimanere nelle città,
ove erano sorti gli Studi generali, ma si cercó di eliminare per essi tutte
le restrizioni, che gravavano sempre. sopra i forestieri, riconoscendo ad essi
l'esercizio di tutti i diritti civili, e proteggendoli nelle persone e negli
averi.

(1) Sarti, loc. cit,
DOCUMENTI DELLA STORIA DELLA MEDICINA IN PERUGIA 5I

Da Salerno, l’ Urbs medicorum scholis illustris et ubique
famosa, attratti dalla fama che si diffondeva attorno alle
nuove scuole sorte in Bologna, l’alma mater studiorum, emi-
grarono un gran numero di maestri e scolari, recandovi libri
e tradizioni scolastiche (1). Pietro dovette compiacersene, e
fra questi, poiché la chirurgia era stata sempre coltivata
con reputazione nello Studio salernitano, trovó terreno fertile
la parola sua ardente e persuasiva, ispiratasi ai concetti ga-
lenici ed arabistici ad un tempo, armonizzanti il nuovo con
lantico, sempre secondo il pensiero del Maestro di Coo, da
venir fuori un complesso di dottrine basate sulla teoria (la
glossa) e sulla pratica (l'esercizio sui malati), per cui gli ope-
ratori tornarono ad avere nella stima generale il merito a
cui avevano diritto, ed una fiducia maggiore dei pazienti. Si
fabbricarono, come conseguenza pratica del nuovo indirizzo,
istrumenti chirurgici finora sconosciuti, ed alcuni di essi as-
sunsero l'appellativo di bolognesi per l'uso fattone in queste
scuole; gli antichi furono modificati, in base ad idee più
semplici e piü vere, e sul posto delle pratiche comunemente
in uso, ne sorsero altre migliori, come, ad esempio, quella
di servirsi nelle lussazioni, per ridurle, dell'aiuto di un brac-
cio vigoroso di un assistente, in luogo di macchine pesanti
ed ingombranti. E così, mentre fra quelli che si erano spe-
cializzati in medicina raggiunse il primo posto Maestro Pietro

(1) La ragione della decadenza della scuola medica di Salerno, dove si
insegnava la medicina secundum Hippocratis et Galeni precepta, va ricercata
in particolar modo nella decadenza politica di quella città. Finchè Salerno
rimase capoluogo del principato. ebbe floridissimi i commerci e le scuole
mediche, dalle quali partivano ‘per insegnare, un po’ da per tutto, maestri
illustri. Trasportata la sede a Napoli tutto decadde ed anche l'insegnamento
medico, che pur vi rimase per lunghi anni, non ebbe più l’importanza. di

una volta,

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in i e ee TERME 52 L. TARULLI

da Vercelli (1), fra questi che studiarono e coltivarono di pre-
ferenza la chirurgia, il primato fu tenuto da Maestro Pietro
da Perugia. i

Una intera famiglia di dotti Ugo, Federico, Feltro, Franco
da Lucca, quest’ ultimo fattosi poi nostro nel 1237, seguì in-
sieme con moltissimi altri la nuova scuola, approvata anche
dai giudici del tempo; i quali, quando sentirono il bisogno di
far notomizzare i cadaveri (cosa allora rara, ma non raris-
sima, come alcuni vorrebbero) per le perizie, spesso nomi-
navano, come tecnici, accanto ai medici fisici, i medici chi-
rurgi.

E si può dire che proprio in questo periodo storico, per
opera prevalentemente del perugino Pietro, trovasi delineato
con contorni ben precisi nella medicina questo gruppo di eser-
centi, non molto vicini ai chirurgi dell’epoca nostra, ma nep-
pur lontanissimi, chiamati medici vulnerum, medici plagarum,
cerusici, i quali si distinguevano dai physici o medici physici
‘o professores physice o physicalis scientie, che esercitavano in
particolar modo la medicina.

Dominus Synibaldus Magistri Mattei Iudex è l'uomo esperto
nelle leggi, che si deve ancora rammentare e che appare per la
prima volta nei nostri Annali nel 1237, trovandovisi fino al
1266, anno in cui di lui si perde ogni traccia. Egli, insieme
con altri cittadini perugini, egualmente insigniti del titolo di
Dominus e di ludex, è assiduo nelle pubbliche adunanze,
dove in locum arrengherie pro bono et pacifico statu Civitatis
et Comunis Perusij discute con profonda dottrina e con grande
amore di patria sopra argomenti di vario interesse, venendo
costantemente a lui affidati incarichi difficili, sempre adem-

(1) Pietro da Vercelli al pari di Pietro da Perugia abbandonò il proprio
paese per venire a Bologna, quando egli attendeva alla sua prima educa-
zione scientifica in Vercelli. Questa città, per il Piemonte, riscuoteva la stessa
fama che Perugia aveva per l’Umbria, era cioè un.centro di cultura mu-
nicipale di grande valore,

NEGLI aereo Tr Tron

-— uve e." Me. DA P d
DOCUMENTI DELLA STORIA DELLA MEDICINA IN PERUGIA 53

piuti con soddisfazione di tutti. Ebbene, a quest'uomo di vi-
goroso intelletto, Innocenzo IV con bolla datata in Perugia
ai 14 d’Aprile 1253, dopo averlo dichiarato degno dell’ufficio
di giudice e di notaro, concede la facoltà dandi tutores et cura-
tores emancipandi manumectendi adoptandi exemplandi protocolla
interponendi decretum. decernendi alimenta publicandi testes et in-
strumenta, ordinandosi che coloro, in hiis que ad predicta per-
tinent, ricorrano a Sinibaldo. il quale doveva disimpegnare
que ad eadem. officia pertinent ... prudenter et fideliter (1).

Se nella storia dei privilegi elargiti dai Papi e dagli
Imperatori, i due grandi poteri dell'età di mezzo, e da altri
personaggi autorevoli, per speciali grazie ricevute, è dato
riscontrare con frequenza la nomina all’ufficio di notaro e
di giudice anche di persone non del tutto meritevoli, tanto
da essersi sentita in seguito la necessità di richiedere agli
interessati non solamente la esibizione dei privilegia et pro-
bationes ottenuti, ma di sottoporli ad esami a mezzo di indi-
vidui prepositos offitio eraminandi tabelliones, non è altrettanto
frequente incontrarsi con privati cittadini a cui si affidavano
attribuzioni che non erano abitualmente in stretto rapporto
colla carica di. giudice e di notaro, delle quali Innocenzo
dichiarò anche investito il nostro Sinibaldo.

Il diritto di dare tutori e curatori, di emancipare, di
manomettere, di adottare era, come regola generale, riser-
vato ai Comuni, meglio ai loro Consigli generali, i quali
delegavano alla lor volta, per esercitarlo, i propri capi che
agivano sempre auctoritate Consilz; e non per propria auto-
rità: ai Vescovi, agli Abati, ai Signori feudali, ai Conti pa-
latini: in una parola a quelli che tenevano nelle proprie
mani la somma del potere.

Se Sinibaldo godette egli solo di sì gran favore, ed è certo
che nessuno dei suoi concittadini ne ebbe di simili, pur

(1) BeLrorti, Ind. dei Brevi esist. nella Canc. Xvirale. N. 8.

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54 L. TARULLI di

avendo il Pontefice date altre prove di stima ai colleghi del
suo grande amico, come quella che nessuno di Perugia dovesse
esser chiamato a giudizio fuori di essa, certamente perchè
teneva in grande considerazione il valore personale dei giu-
dici perugini (1); ciò vuol dire che la sua abilità, la sua one-
stà, la sua cultura giuridica erano al di sopra di un fatto co-
mune, per cui era lecito derogare a ciò che le Consue-
tudini stabilivano in modo preciso e ben chiaro. E nell’ o-
norare Sinibaldo, Innocenzo volle rendere omaggio a Pe-
rugia, ch’ egli ben conosceva anche prima (an. 1230) (2), che
fosse eletto Papa e dove poi, salito a tanto onore, rimase
“per circa due anni (an. 1251-1253), chiamatovi con insi-
stenti premure (3), e della quale ebbe certamente oppor-
tunità di apprezzare non solo il culto verso la libertà, la
forza delle armi, il promettente esordire delle corporazioni
artigiane, ma sopra tutto la fama che già riscuoteva di città
illustre e sapiente.

Ed ora, volendo tornare alle prove documentarie della
vita del nostro Ateneo dopo il 1266, bisogna aspettare quasi
dieci anni per trovare qualche altra notizia di esso.

Di fatti soltanto in data 19 Settembre 1275, cioè pochi
giorni prima che si aprissero le pubbliche scuole, noi tro-
viamo una Riformanza del Consiglio, colla quale, dietro ri-

(1) Mazzammrr, Gli Archivi della Storia d'Italia, Vol. I, pag. 108.

(2) Nel 1230 il Cardinale Sinibaldo Fieschi dei conti di Lavagna (ad-
divenuto poi Innocenzo IV) legato di Perugia e dell'Umbria gettó solen-
nemente la prima pietra della chiesa di S. Francesco, chiamata oggi S. Fran-
cesco al prato, perché i frati minori, avuta in dono quella località dai nobili
di Perugia, che l'avevano per loro acquistata dai canonici di S. Lorenzo,
ne abbandonarono la coltivazione ad ortaglie, come era in antecedenza, tanto
che nei primi tempi si chiamò S. Francesco in Campo d'orto. Sembra che
la nuova chiesa francescana fosse eretta sopra l’antica dedicata a S. Su-
sanna, dalla quale il rione assunse il nome. Manrorrr, Mem. Stor. P. S.
S. e LawciLorm, Scorta Sacra.

(8) Manrormt, loc. cit.
DOCUMENTI DELLA STORIA DELLA MEDICINA IN PERUGIA 55

chiesta del Potestà, annuente il Capitano del popolo, si or-
dinava che agli studenti, i quali intendevano recarsi a Pe-
rugia ad studium, si concedessero alcuni privilegi; e nel 1276,
sempre nello stesso mese (21 Settembre), una proposta di
mandare un messo del Comune per ferras circumstantes pe-
rusio per ìnvitare tutti gli scolari che volessero ascoltare un
dottore di leggi, il quale desiderava studere, ossia insegnare
pubblicamente fra noi (1). Il permesso di fare scuela a questo
nuovo maestro, e l’altro di inviare i relativi avvisi, concessi
nella deliberazione presa il giorno successivo, dovettero pro-
babilmente lusingar l’amor proprio di altri personaggi, dotti
in altre discipline, che dimoravano parimenti in Perugia,
poichè si trova, a brevissima distanza, cioè il 23 Settembre,
che un quidam maister, il quale chiedeva studere in civitate
perusij in. Gramatica loica et aliis artibus, domandava che
linearicato del Comune a portare literas pro maistro legum ...
portet et portare debeat ipsius maistri gramatice expensis comunis
perusij non obstantibus “represalis contra illos qui venient ad
studendum. Anche questa proposta fu approvata a grande
maggioranza nella. Riformanza del giorno stesso.

Non sappiamo se accanto a questi due pubblici insegnanti
ve ne fosse stato un terzo, nello stesso anno 1276,il quale

avesse chiesto di studere in fixica, riportandone la relativa.

(1) Studere vale. qui certamente tenere, aperire studium. Così il Rossi
(loc. cit., pag. 4) annotando il docum. in cui è riferita la detta frase (V.
docum. di questa raccolta). i

Il Martinotti in proposito così scrive: « Secondo le parole ben note
di Odofredo, Pepo incominciò a leggere per autorità sua; Irnerio cominciò
a studiare per se e studiando cominciò ad insegnare. Quidam dominus Pepo
cepit autoritate sua legere in legibus ... dominus Yrnerius ... cepit per se stu-
dere in libris nostris et studendo cepit. docere in legibus ... Odofredo cit. da
C. Rroccr in I primordi dello Studio bolognese, 1887, pag. 12. MARTINOTTI,

L'insegnamento: dell’ Anatomia in Bologna prima del sec. XIX. Bologna, 1911.

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56 i L. TARULLI

autorizzazione; ovvero se il lettore di logica (1) si fosse preso
la cura di dar lezioni anche di medicina. Vedremo a suo
tempo, come fin dai primi del sec. XIII si fosse verificato
un po’ da per tutto un forte risveglio negli studi dell'arte
salutare; tanto che si vede cresciuto il numero dei medici,
Che furono tenuti anche in maggior stima del passato, da
far pensare che anche in Perugia ve ne fossero di quelli
saliti in grande rinomanza, attorno ai quali si aggruppavano
volonterosi coloro che amavano d'imparare; e come assai di
frequente si trovasse chi dotto nella legge, nella grammatica,
nella filosofia, nella medicina, insegnasse ora l'una ora l'oltra,
à seconda dell'invito ricevuto e delle convenzioni stabilite.
Era stato chiamato nella città nostra e condotto con
pubblico stipendio, parecchi anni innanzi (1237), Franco da
Lucca, figlio di Ugo (capo come si é visto di una famiglia
di medici valentissimi ed uno dei maestri più autorevoli della
scuola medica bolognese) accolto e trattato con segni par-
ticolari di grande considerazione. Ma nel 1276 è probabile
che egli non ci fosse più. Invece, proprio in quest'anno, eser.
citava, forse liberamente, un tal maestro Filippo da Camerino,
il quale non troppo tranquillo per le rappresaglie che erano
state concesse ad alcuni Perugini, contro gli uomini della
sua terra, chiedeva di esser risparmiato, insieme ai suoi fa-
miliari ed alle cose sue, volendo servire liberalissime quelli
che l'ospitavano. Il Consiglio, consapevole dell'opera benefica
da lui prestata a vantaggio del Comune, deliberava, con una-
nimità di suffragi (placuit omnibus), come egli potesse restare
cum tota sua familia con animo sereno e che quelli che ve-
nivano a lui, certo per consultarlo nelle loro malattie e per
invitarlo a recarsi altrove per visitare gli infermi, potessero

(1) La logiea era parte importantissima degli studi di medicina, tanto
che molti medici avevano il titolo di professori di logica: la fraseY medici-

nalis et logicalis scientiae professor si trova assai spesso nella storia dell'arte
salutare.
DOCUMENTI DELLA STORIA DELLA MEDICINA IN PERUGIA 57

venire stare et redire a loro beneplacito. E sempre nello stesso
anno si permetteva, per votazione concorde del Consiglio,
che Guiduccio figlio del marchese di Montemixano, esiliato da
Perugia con altri del partito dei nobili, tornasse in patria, per
curarsi de quadam infermitate quam habet et patitur. Questa
concessione, che pone in bella vista l'animo generoso dei
Perugini verso i propri nemici, fa credere che proprio Z'-
lippo da Camerino fosse il medico da tutti ricercató' ed in
pari tempo il maestro che insegnava pubblicamente, verso
il quale gli avi nostri si mostravano grati e riconoscenti.

Ma lasciando per il momento di fare delle supposizioni,
per altro attendibilissime, né escludendo fin da orain modo
assoluto che un altro medico, maestro Bernardino, specialista
per le malattie d’occhi, il quale chiedeva parimenti che chiun-
que de aliqua Civitate seu alicuius districtus affetto egritudine
oculorum potesse venire redire et stare sanus salvus et securus
in persona et in rebus, fosse anche pubblico lettore, sempre
nel 1276, non dobbiamo fare molto cammino per rintracciare
il documento, che potremo chiamare ufficiale, almeno fino
ad ora, intorno all’ insegnamento pubblico della medicina.
Difatti al 20 Ottobre 1277 piacque al Consiglio generale che
messi e lettere si spedissero per render noto come in Pe-
rugia vi fosse chi faceva una lettura di fisica, aggiungendosi
nella Riformanza di detto Consiglio che questo fatto, cioè la
lectura in fixica facienda in Civitate perusij, ridondava. ad o-
nore, utilità e vantaggio del Comune; considerazione questa
che manca nelle altre Riformanze prese nell'interesse dei
maestri di legge e di grammatica, e che potrebbe giustamente.
far pensare ad un merito scientifico e professionale vera-
-mente non comune del medico lettore.

Né mancano altre prove che attestino come in questo
periodo di tempo, cioé nella seconda metà del sec. XIII, si
coltivassero fra di noi con onore gli studi medici. Lo Statuto
del 1279, il più antico che abbiamo, e che raccoglie, come
è noto, documenti anteriori a quest'epoca, riguardanti gli
58 L. TARULLt

ordinamenti interni con cui si governava la Repubblica pe-
rugina, stabilisce che tutti gli infermi che vi si recavano,
causa faciendi medicari, dovessero essere ben trattati e
bene accolti, senza cioè che si esercitassero contro di essi
delle rappresaglie, salvo rare eccezioni, per le quali poi tutto
fa credere che si concedessero permessi speciali, come do-
vette succedere proprio per il figlio del marchese di Mon-
temixano (1). Orbene, se il magistrato sentì il bisogno di
registrare nella raccolta delle sue leggi una tale decisione,
per cui si garantiva in modo assoluto la libertà di coloro
che venivano, vuol dire che numerosi erano i malati, che
speravano trovare un qualche sollievo alle proprie sofferenze,
consultando non uno, ma più medici, la cui fama aveva sor-
passato la cerchia delle mura paesane, i quali, secondo il
costume del tempo, dovettero insegnare liberamente e pub-
blicamente, come si è detto accadesse per Filippo da Came-
rino.

Ma vi è ancora qualche cosa di più. Sempre nello stesso
Statuto si trovano altre deliberazioni, come quella, per e-
sempio, con cui si eleggevano gli incaricati a custodire
gli infermi ed a tener lontani dalla città e dai borghi i
lebbrosi per timore del contagio; l'altra riguardante la
sorveglianza da esercitarsi dai capi della città sugli ospe-
dali, che erano molto numerosi, più di quello che ora non
si pensi e dove erano ricevuti nello stesso tempo pellegrini,
poveri ed infermi e gli inabili al lavoro; le norme per la
nomina di duo boni medici scilicet unus fisicus et alter cerusicus,
pagati col pubblico denaro e che potrebbero paragonarsi ai
medici e chirurghi condotti dei giorni nostri; l'ordinanza
mediante la quale ad una famiglia di medici senesi, fra cui
una medichessa, veniva concesso il privilegio della cittadi-
nanza, distinzione grandemente ambita e concessa solo a

(1) Dott. Giustiniano DeGLi Azzi, Le rappresaglie negli Statuti perugini,
Perugia. 1895.
DOCUMENTI DELLA STORIA DELLA MEDICINA IN PERUGIA 59

quelli che avevano dimorato un certo tempo continue in civitate
vel burgis vel districtu, o che avevano prestato segnalati ser-
vizi. Fatti questi che dimostrano come in mezzo alle gravi
cure dei legislatori, riflettenti il benessere, la prosperità, la
grandezza della patria, non si trascurasse di provvedere al
servizio della pubblica igiene, alla custodia dei malati e si
cercasse, con serî propositi, di formare dei buoni medici e
di averne sempre in gran numero e di gran fama.

Uguale premura quindi, uguale interessamento si ebbe
perchè l'insegnamento della medicina, insieme a quello della
legge, con qualche altro di minore importanza, venissero
impartiti in Perugia, prima anche che si pensasse ad im-
primere un maggiore sviluppo e a dare una più stabile or-
ganizzazione allo Studio, a differenza di quello che accadde
in altre città, dove l’Università ebbe principio con un solo
insegnamento, quello della legge. E quando si decise di porre
ad effetto questo completamento, vivamente bramato dalla
città, la quale ne sperava maggior lustro e più forti vantaggi
economici (1), il che avvenne nel Giugno del 1306, allo scopo
di ottenere dal Pontefice, come si usava allora, la conces-

(1) Non era Perugia soltanto che sperava ottenere dallo Studio benefici
fnanziari e la fama di città dotta. Altre città cercavano di raggiungere gli
stessi scopi. Così operò Firenze, la quale nel 1335, confermando la delibe-
razione del 1321, volle che entro le sue mura vi fosse lo Studio generale,
stanziando a tale fine la cospicua somma di 1500 fiorini d’oro. « Rallentata
la mortalità (scrive Matteo Villani nelle sue Croniche, t. I, lib. I, cap. VIII,
pag. 15) e assicurati alquanto i cittadini che avevano a governare il Co-
mune di Firenze, volendo attrarre gente alla nostra città e dilatarla in fama
e in onore e dare materia ai suoi cittadini d'essere scienziati e virtuosi,
con buon consiglio il Comune provvide e mise in opera che in Firenze
fosse generale Studio di ciascuna scienza e in legge canonica e civile e di
teologia e a ció fare ordinarono ufficiali e la moneta che bisognava per

avere i dottori della scienza ».

VES ro f í PISTE WT
PRSE eni M pai lir c

E: 60 L. TARULLI

sione dello Studio generale, con i privilegi ad esso inerenti (1);
si stabili che in Perugia vi fosse continue ad legendum un
certo numero di dottori e di maestri (il che dimostra come
per il passato l'insegnamento venisse impartito con poca ef:
ficacia e con poca regolarità), fissandosi che quattro dovessero
essere i lettori per il diritto civile, due per il canonico, uno
per la medicina (numero questo poco dopo notevolmente ac-
cresciuto), uno per la logica, uno per la grammatica, tutti
nelle proprie scienze e facoltà laureati. Questo il primo Sta-
tuto riguardante lo Studio, compilato dai Priori della città
insieme ai Savi, già in antecedenza eletti (1269) per il buon
governo del medesimo; a cui tennero dietro quasi subito la
Bolla di Clemente V (1307), la quale ordinava che sorgesse
nella città nostra generale studium ... in qualibet facultate da
rimanere in perpetuis futuribus temporibus; e più tardi quelle
di Giovanni XXII, una del 1318, con cui si accordava, o
meglio si riconfermava il diritto di addottorare in gius civile
e canonico, l’altra del 1321 per addottorare in medicina e
nelle arti liberali.

Raggiunta così la meta desiderata, mediante il volere
concorde di ogni classe di cittadini, che vi dedicarono tutte
le loro energie; accanto alle bolle papali che stabilivano le
norme per il conferimento dei gradi accademici; accanto ai
numerosi e saggi provvedimenti dei magistrati per popolare
meglio che fosse stato possibile l'Ateneo, tornato a vita no-
vella e prosperosa; vicino a dei giureconsulti famosi, che
insegnavano il diritto civile ed il canonico, noi troviamo
alcuni fra i più celebrati medici del tempo, eletti qualche
volta dal volere concorde dei capi del Comune e degli sco-
lari, tal altra per solo volere dei primi o dei loro diretti
rappresentanti, i Savi dello Studio; i quali tutti ponevano

(1) « Non plus stare possunt Studia generalia sine privilegiis, quam corpus
sine anima (Burarus, Hist. Univ. Parisienis, t. I, pag. 980. V. MartINOTTI,
loc. cit., pag. 15 in nota).

NUTUS. CENE SAI. DOCUMENTI DELLA STORIA DELLA MEDICINA IN PERUGIA 61

costantemente il più grande interessamento per chiamare i
migliori, che sempre dovevano offrire serie garanzie prima
di essere eletti, per cui l’Università nostra ebbe anche nelle
mediche discipline dei periodi di grande splendore.

In tal guisa i nomi di Jacobo da Belviso, di Giovanni
d' Andrea. bolognese, di Cino da Pistoia, di Bartolo e Baldo, e
di altri luminari delle scienze giuridiche si trovano associati
piü specialmente a quelli di Tebaldo di Arezzo, di Gentile da
Foligno, di Tommaso del Garbo e forse anche di suo padre
Dino, di Bartolomeo da Varignana, di Matteo d'Assisi, di Gio-

vanni da S. Sofia, di Mondino Mondini, di Francesco da Siena,

dottissimi nelle scienze mediche.

Ed io sono lieto che i nuovi documenti provino fra l' al-
tro come in Perugia fosse invitato ad esercitare l'arte sua
Taddeo Alderotti fiorentino, chiamato negli atti del Comune
Taddeo da Bologna, per la lunga dimora fatta in questa città,
quando la maggior luce di gloria circondava il suo nome.
Egli fu eletto a venire fra noi nel 1287. Il nostro Comune,
trovandosi in quest'anno sprovvisto di medici salariati, do-
vendo a norma degli Statuti provvedervi meglio che fosse
stato possibile « cum n statutis Comunis continetur de duobus

medicis habendis in Civitate perusij », aveva spedito littere pro -

parte Comunis Perusij Magistro Tadeo medico Bononiensi. Va-
lentissimo nel curare le malattie, da essere con premura
ricercato dai Principi e dai Papi, che lo tennero in somma
stima; emulo nell'Ateneo bolognese del grande legista Ac-
cursio nell'insegnare pubblicamente, Taddeo fu considerato,
e con ragione, il vero restauratore degli studi medici del
sec. XIII e XIV, avendo avuto il merito principalissimo di
richiamare alle pure fonti dell'antica sapienza greca e latina
la medicina, che aveva, specialmente nella prima età del
medio evo, smarrito ogni indirizzo pratico nella ricerca dei
fatti morbosi, coinvolta come fu nelle spire di aridi sistemi
filosofici.

Fornito di ammirabile spirito di osservazione, intuendo

Me ar T Mu e aa a Seta

-—
UT TERT T
"dew de

62 L. TARULLI

con l'acutezza della sua mente gli immensi vantaggi che
sarebbero venuti nella interpretazione dei fenomeni vitali,
quando questi fossero stati ben fissati, cioè studiati più dav-
vicino che fosse stato possibile nelle loro molteplici manife-
stazioni, mentre altri torturavano le loro menti solo con vane
discussioni scolastiche per cercar di comprenderli, non si li-
mitò a diffondere dalla cattedra i concetti galenici ed ippo-
cratici che rimise in onore, dopo averli spogliati degli errori
arabistici, diffusi un po’ da per tutto, ma volle che i suoi

. discepoli apprendessero la sintomatologia delle malattie, più

specialmente esaminando con ogni cura i malati, ritenendo,
con sano criterio, come ogni commento dovesse riuscire vano
e perituro se fosse poggiato sul falso. Cosi l’AJderotti, audace
innovatore per quei tempi, nei quali si prestava cieca fede
ai precetti dei maestri, anche quando l’osservazione più sem-
plice dimostrava il contrario, moderando l'autorità dei me-
desimi ed anche abbandonandola del tutto, quando i fatti lo
imponessero, cercò di accoppiare l'insegnamento teorico al
pratico, che svolse in modo familiare al letto di quelli che
quotidianamente visitava con i propri scolari, registrandone
poi con somma diligenza i fenomeni più importanti nei suoi
consulti medici, pregevole raccolta di osservazioni cliniche,
da lui scritte direttamente, o dettate ad altri e poscia com-

,mentate nelle lezioni fatte di sera.

Questi i primi bagliori nel medio evo del nuovo orien-
tamento della medicina verso il metodo sperimentale, il quale,
tornato in qualche considerazione verso la seconda metà del
sec. XIII e del sec. XIV per opera di Taddeo e della sua
scuola, andò sempre più diffondendosi, finchè nel secolo suc-
cessivo potè mettere salde radici e quindi progredire vitto-
rioso anche per opera di Leonardo da Vinci, il quale « lasciò
un'orma profonda in tutti i campi dello scibile umano ».

Ed i documenti, che abbiamo intorno alla medicina in.

Perugia, dimostrano chiaramente come nell'insegnamento im-
partito fra noi fin dai primi del sec. XIV si seguissero i
DOCUMENTI DELLA STORIA DELLA MEDICINA IN PERUGIA 63

precetti del grande Alderotti. diffusi forse da lui stesso nella
breve dimora che vi fece, ovvero portativi dagli allievi che
furono moltissimi, sparsi quà e là da per tutto.

Parimenti torna a grande gloria nostra il vedere come
Gentile da Foligno, uno dei suoi discepoli più illustri, conti-
nuatore del maestro nel raccogliere le osservazioni cliniche
sui malati, desunte dal lungo esercizio professionale, consi
derate dagli storici come il monumento più duraturo del suo
ingegno, fosse eletto più volte dal magistrato cittadino ad
insegnare e ad esercitare la medicina nella città nostra, dove
egli introdusse, e meglio ancora dove potè coltivare libera-
mente gli studi anatomici, emanazione essi pure della scuola
di Taddeo, dei quali seppe innamorare medici e discepoli.
| Ed io ritengo, e credo di esser nel vero, che le dispo-
sizioni fissate dal Comune di Perugia, in data 27 Agosto 1566,
colle quali si ordinava che il Potestà ed il Capitano del po-
polo dovessero concedere, pena una multa, su domanda del
Rettore dello Studio, i cadaveri dei forestieri giustiziati pro
notomia facienda saltem bis in anno,fosser o emesse in base
specialmente al nuovo indirizzo dato alla scuola medica pe-
rugina da Gentile, che voleva scientia anathomie deberet primo
doceri introducendis, sicut docentur littere alphabeti debenti di
scere et legere. | :

E cosi per merito di questo Grande — il quale nella
terribile pestilenza del 1348 visitava, soccorreva, insieme
ad altri medici perugini, gli appestati, esempio si puó dire.
unico in quel tempo, registrando nei suoi Consilia i caratteri
del morbo e notomizzando i cadaveri « et li medici fecero la
nottomya de alcuni corpi > (1) per rilevarne le alterazioni,
onde poi rintracciare la causa e suggerire i rimedi oppor-
tuni, rimanendone vittima egli pure, — il nostro Ateneo può

(1) Cronaca del Graziani, pubblicata nelle croniche e storie inedite della

Città di Perugia. Perugia, 1850, pag. 149,
64 L. TARULLI

vantarsi di essere stato uno dei primi, se non effettivamente
il primo, a possedere deliberazioni statutarie ben precise, che
permettevano e disciplinavano lo studio dell'anatomia. Tutto
ciò non avveniva in altri Studi, compreso quello bolognese
che primeggiava su tutti, diffondendo intorno a se tanta luce
di dottrine per il valore dei lettori e per la grande sapienza
con cui si governavano le corporazioni scolastiche e dove
non si eseguivano che dei tentativi isolati compiuti da pochi
Coraggiosi, i quali, spinti dall'amore per la ricerca del vero

facevano dei veri miracoli quando riuscivano a dona
cadaveri, affrontando i pregiudizi delle masse e ponendosi

contro le leggi che lo impedivano (1).

In tal guisa in mezzo a noi la ricerca anatomica, a cui
era associata la ricerca fisiologica, non certamente giunte
nè all’onore delle scienze delle forme nè a quello delle fun-
zioni, ma pallide luci apparse timidamente onde illuminare
il mistero della vita, precorrendo i tempi, venivano poste
con profondo discernimento, accanto all indagine clinica, for-
mando la base dello studio della medicina.

L'Università nostra quindi ben fece, volendo che, nel Tem-
pio massimo delle sue glorie, Gentile da Foligno fosse ricordato,
appartenendo egli alla schiera dei sommi, addivenuti da cit-
tadini di una terra modesta, cittadini del mondo, poichè la
loro vita si è fusa colla storia della umanità e della scienz Zà,
dove lo studioso di ogni parte vi arreca la luce del proprio
intelletto e la forza operante del bene, rendendo onorato con
monumento più duraturo del bronzo il paese che li vide
nascere, che li educó e che contribui alla loro grandezza.

Ed ora l’immagine sua è in luogo degno di lui, e lo
Spirito suo par che balzi fuori dal freddo marmo, mercé

(1) Connapr, Dello studio e dell insegnamento | dell" anatomia. in Italia nel
medio evo ecc. Padova, 1873. .
2 ® 00 0 o

65

DOCUMENTI DELLA STORIA DELLA MEDICINA IN PERUGIA

l’opera sapiente dell’artista (1), vivo e palpitante e sembra
che anche oggi voglia cogliere i misteri delle malattie, che
studiò con alto sentimento di amore e con vastità di dottrina,
e portare, ancora più profondamente, l'indagine sua scruta-
trice sulla malattia che l'uccise, la peste nera, la tiranna che
fa sempre stragi dove passa e par che si beffi di chi tenta
agguantarla, per combatteria ed annientarla.

Nè fu vacua festività quella che si svolse il 2 Luglio
1911 nell'Ateneo nostro, ma manifestazione solenne Verso il

| Maestro, una volta acclamato dalla scienza e dall’ umanità
? ?

piü tardi dimenticato e caduto nella buia notte del tempo; e
riparazione compiutasi per volere concorde degli insegnanti
e degli allievi, dei dotti delle scienze mediche, dei cultori
della storia della medicina, ed in particolar modo di Perugia
e Foligno. madre questa amantissima del suo figlio, città
l’altra sempre generosa e grata verso gli uomini di ogni
contrada ed in ogni tempo venuti ad esercitare pubbliche
funzioni, e piü specialmente linsegnamento. Ed in quell' oc-
casione tornò sotto i nostri occhi un periodo di fervida ope-
rosità intellettuale, anche nelle mediche discipline, special-
mente per il sec. XIV, e la figura di Gentile, simbolo del
merito insigne nel campo scientifico per i tempi suoi « divinus
ille Gentilis nostrae et suae aetatis medicorum. princeps », e del
sacrificio fino alla morte in quello professionale per ogni e-
poca « martire della scienza, maestro del dovere, cavaliere del-
VUmanità », parve che li abbracciasse tutti, modesti e va-
lorosi quanti essi furono i medici, che sorsero qui in Perugia,
o che passarono in questa Università, degna di ammirazione
al pari delle altre consorelle, arricchendo direttamente od
indirettamente la dottrina medica di quell’età.

Di essi parlano i presenti documenti, raccolti con alacre
pazienza e tervida devozione.

. (1) Il busto inaugurato nell'aula magna dell'Università è opera prege-

volissima dello scultore perugino prof. Venusto Mignini.
Em

66 L. TARULLI

Ma prima di porre termine a questa breve introduzione
dei medesimi, mi è caro riportare, intorno all'importanza ed
alla finalità di questi studi, il pensiero di un illustre fisiologo,
morto or son pochi anni (an. 1884), il compianto prof. L. Se-
verini dell'Università perugina, il quale desiderava che ac-

canto al progredire delle indagini biologiche, non fossero

trascurate quelle riguardanti la storia delle scienze speri-
mentali. Egli, alla fine di una breve nota scritta con l'intento.
di dimostrare l'importanza della scuola medica di Perugia, in
particolar modo nel sec. XIV, poneva queste parole, che oggi
hanno la stessa freschezza del tempo in cui furono scritte:
« Ed io faccio voti perché il dotto ed instancabile bibliote-
cario (alludeva al prof. Adamo Rossi, direttore della Comu-
nale di Perugia, defunto nel 1891, che per il primo si puó
dire abbia posto mano ad una pubblicazione ordinata dei
documenti sullo Studio perugino) trovi nell’ aiuto del Muni-
cipio, della Provincia, del Governo un incoraggiamento a
proseguire ricerche così preziose, che non solamente onorano
la nostra Università, ma ci danno un raro e nobilissimo e-
sempio del come si debba preparare la via, che ci può con-
durre a costruire una storia completa ed esatta delle Uni-
versità italiane e del movimento scientifico della patria
nostra » (1).

Aiuti non vennero però come si sperava; anzi la sven-
tura impedì al Rossi di proseguire le ricerche iniziate con
soddisfazione di tutti. Altri subentrarono al suo posto e così
l’opera, interrotta per poco, fu ripresa con maggior lena e
con miglior fortuna dai non pochi studiosi di cose patrie, i
quali, consapevoli che l'Ateneo di Perugia formava sempre,
e lo sarà anche per l’avvenire, praecipua corona et decus unicus
civitatis, come avevano lasciato scritto i nostri maggiori, ad

(1) Lurer Severini, Contributo alla Storia della Medicina in Italia nel se-
colo XIV secondo documenti raccolti dal prof. Rossi per la Storia dell’ Univ. di
Perugia. Lo Sperimentale, an. 1879, Firenze.

mn EMI
DOCUMENTI DELLA STORIA DELLA MEDICINA IN PERUGIA 67

esso rivolsero il loro pensiero, illustrandone con amore i suoi
fasti.

E primo fra costoro va ricordato il prof. Oscar Scalvanti,
tolto rapidamente ed immaturamente all'affetto dei suoi ed
alla stima dei colleghi e dei discepoli. Questo ricercatore
dotto, paziente, d'ingegno brillante e quanto mai versatile si
era occupato nella storia dell'Ateneo perugino in particolar
modo delle scienze giuridiche. Ed era giusto che» fosse così,
essendo egli cultore e lettore pregiato ed apprezzato delle
medesime. | |

Ma: lo Scalvanti aveva osservato, nelle ricerche eseguite,
come i nostri Archivi possedessero un materiale utile per la
storia anche della medicina. Ed io, che mi ero a lui rivolto
per aiuti e consigli, novizio in queste indagini, condotte non
con un programma ben definito, ma soltanto per diletto, ebbi
la dolce sorpresa di trovare nellanimo suo incoraggiamenti
direi quasi, inaspettati. Fu proprio l'uomo cortese, che mi
pose sott'occhio il giudizio severo intorno all'opera negativa
dei medici nell'illustrare la storia delle loro dottrine, emesso
da un dotto giurista, il prof. Brugi, il quale voleva che, sul-
l'esempio delle nazioni d'oltre alpe, si preparasse, anche fra
noi,il materiale occorrente per quindi pubblicare, nobile im-
presa, la storia delle scienze in Italia (1) Ebbene — perché

(1) Braaro Bnmuer, La scienza italiana e la sua storia. Storia delle scienze
e storia delle Università ecc. Atti del R. Istituto veneto di scienze lett. ed
arti, 1904-1905.

Le parole scritte dal ch. prof. Brugi oggi non hanno più ragione di
essere, perché alla storia della medicina e delle scienze naturali, con attività
sempre maggiore, attendono molti studiosi e la Rivista di storia critica delle
scienze mediche e naturali fu fondata or sono dieci anni con questo nobile
intento. Ma anche prima che essa sorgesse in Italia pochi ve ne erano,
ma valorosissimi, che andavano illustrando colle loro ricerche un passato.
glorioso per gli studi medici. E fra costoro è doveroso il ricordare in par--
ticolar modo il Giacosa di Torino, il Del Gaizo di Napoli, il Barduzzi di
Siena, il Fedeli di Pisa, l’Albertotti di Padova, il Majocchi di Bologna, il
Pensuti di Roma. i
68 L. TARULLI

A

non dirlo? — la lettura di quella breve monografia inspirata
ad un elevatissimo sentimento d'italianità, mi spinse a pro
seguire con ardore le ricerche da tempo iniziate ed illustrate
nell'anno scolastico 1904-1905 all’ apertura del mio Corso di
Chimica e Fisica fisiologica, parlando agli allievi dei medici e
dei primordi della scuola medica perugina.

I documenti sono andati man mano aumentando; e per
loro mezzo oggi veniamo a conoscere in special modo i nomi
degli artefici di un edificio con mano vigorosa costruito, e
da cui venne fuori tanta ed esuberante vita di scienza.

Più tardi cercheremo di sapere quali siano stati gli sforzi
da costoro compiuti nella indagine della sapienza medica,
colla assidua e feconda cooperazione di lettori e di discepoli,
formanti una sola famiglia, unita da vincoli di affettuosità e
di stima reciproca; con molte ore di scuola nel giorno e con
molti mesi di studio durante l’anno; colle lezioni; colle di-
spute; colle ripetizioni nell'Università, non già istituto profes-
Sionale, ma vero istituto scientifico. :

E nei vecchi e polverosi volumi relegati a torto nelle
soffitte delle biblioteche dalla superba sapienza dei giorni
nostri, se essi venissero letti con pazienza e con diligenza,
accanto ad affermazioni, pensieri, ipotesi, giustamente dichia-
rate errate, noi troveremo, piü spesso anche di quello che
non si immagini, concetti ai quali il biologo fornito dei mi-
gliori mezzi d'indagine, sottoscriverebbe senza esitare: idee
dalle quali scaturirono altre, addivenufe ora patrimonio
scientifico bene accertato; supposizioni ardite, che forse do-
mani potranno essere il punto di partenza di esperienze
nuove, da condurci piü tardi alla constatazione di fatti finora
del tutto ignorati.

In mezzo a questi sprazzi di luce fra le tenebre « Lux
în tenebris » è specialmente nelle opere minori di quei dotti,
che si delineano con estrema chiarezza, i tentativi abbastanza

‘ energici fatti per allontanare da essi lo spirito dialettico, del

quale tutti erano ripieni, alimentato dalla convinzione che con
DOCUMENTI DELLA STORIA DELLA MEDICINA IN PERUGIA 69

il solo ragionamento potesse venir fuori in tutte le discipline
la verità, affannosamente ricercata, e per orientarsi in ma-
niera più o meno decisiva, à seconda dei vari individui e
delle varie tendenze, verso una sana e positiva osservazione
dei fatti naturali.

Era il pensiero del grande Bacone sine esperientia nihil
sufficienter sciri potest ... haec sola scientiarum domina specula-
ivarum ... che si andava lentamente infiltrando, esi veniva
affermando ogni giornoe più chiaramente in quelle menti.

Alla ricostruzione delle dottrine mediche nello Studio
perugino, specialmente per il secolo XIV, mirano le nuove
ricerche già da tempo iniziate (1) e che spero di condurre
a termine con sollecitudine. i i

Ed io sono sicuro che lo spirito del Maestro, verso il
qnale profonda è la riconoscenza, consapevole delle pre-
mure poste nell'illustrare una parte finora poco conosciuta
della storia dell Università di Perugia, da lui altamente
onorata cogli scritti e coll'insegnamento, se ne allieterà già

felice nell’
« Amor che muove il Sole e le altre Stelle ».

(1) In volume su Gentile da Foligno di prossima pubblicazione, com

si è detto anteriormente.

,

ate tres RO pini

DPI
Va A quelle époque sainte Claire d'Assise

obtint- elle du souverain pontife le !! Privilége de la pauvreté ,, ?

Avec une bulle solennelle, inédite, d' Innocent «IH.

' (Privilége de San Paolo, prés d'Assise, du 6 mai 1201).

SOMMAIRE. — Introduction: ce qu’ on entend par « Privilége de la pau-
vreté ». — Sens précis du mot « privilegium » dans le langage de
la curie au XIII* siécle. — Exemple d'un privilegium peu antérieur

à celui de sainte Claire; bulle solennelle d'Innocent III en faveur
de San Paolo, prés d'Assise (6 mai 1201) monastére oü sainte Claire
passa quelques jours en 1212. — Claire implore d'Innocent III un
privilége de pauvreté. — Le pape se montre favorable à sa demande
et en écrit la primam notulam. Sens de ces mots. — Texte du Privi-
lége de la pauvreté d'aprés les « Firmamenta » de 1512. — Sa teneur
est-elle de nature à faire douter de son authenticité ? — Passage du
testament de sainte Claire, où elle raconte qu'elle obtint d'Inno-
cent III le Privilége de la pauvreté et le fit renouveler par chacun
de ses successeurs. — Ce que dit la légende de sainte Claire du renou-
vellement du Privilége par Innocent IV. — Texte du Privilége de la
pauvreté accordé aux soeurs de S. Damien par Grégoire IX, le 17
sept. 1228. — Examen des vues du P. Sbaralea: d'aprés lui, l'au-
thenticité de cette bulle infirmerait celle du document attribué à In-
nocent III. — L'authenticité incontestable de la bulle de Grégoire IX
témoigne de l’authenticité du Privilége d' Innocent III.

L'expression « Privilegium paupertatis » remonte à
Sainte Claire (1); et c'est probablement elle, la virile vierge
ombrienne, qui, la première, maria ces deux mots, si peu

(I) V. par ex. Test. Clarae $ 12; Leg. Clar. (1255) éd. Pennacchi, 14; 40 (47); il
est mentionné aussi dans la légende de Claire ad usum chori, qui commence Vene-
rabilis Christi sponsae, contemporaine de la précédente et publiée dans Mombri-
tius V. t. I, p, 294 et par le R. P. Bihl, Arch. Fr. Hist. VII (1917) V. p. 42 1. 30 ss.. Il
faut aussi rappeler ce que dit 1 Cel. 19, en 1228, à propos des soeurs de S. Damien:
« Sic omnes altissimae paupertatis sunt titulo insignitae ». Enfin, entre 1260 et 1263,
Bon. 93 (VII, 6), parlant des vertus qui brillérent en saint Francois, ajoute: Licet
gloriari praeelegerit in privtlegio paupertatis.

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72 P. SABATIER

faits, semble-til pour étre rapprochés. Elle désigna sous ce
nom la charte fondamentale de son ordre, approuvée par le
pape dans la bulle Sicut manifestum est, par laquelle il lui
accordait la faveur de ne pouvoir pas étre forcée à accepter
des biens ou des propriétés. Etrange privilége, pensera-t-on,
au premier abord! N'estil pas trés facile de rester pauvre ?
Mais ceux qui connaissent, si peu que ce soit, la vie de
l'ardente collaboratrice du « Poverello », savent qu'elle eut
infiniment plus de peine à défendre son titre de pauvreté,
que d'autres à se faire combler de richesses.

Elle eut besoin de toute son énergie pour rester fidéle
à son premier voeu, et c'est cet effort inlassable qui fait
l'unité et la beauté de sa vie, l'associe à la rénovation
franciscaine à un degré que les hagiographes et les histo-
riens n'ont pàs encore percu complétement.

La date à laquelle, en implorant du S. Siége ce privi-
lége inoui, Claire d'Assise a fixé sa mission, domine donc
sa vie, et on pourrait méme dire toute l'histoire du mouve-
ment franciscain. <

Les nombreux écrivains et critiques qui, dans ces der-
niers temps, ont publié des -essais, parfois remarquables, sur
sa biographie, n'ont pas éprouvé le besoin de tirer au clair
cette question, pas plus que l'idée ne semble leur étre venue
de commencer par fixer la valeur historique du testament
qui lui est attribué, ou celle de la légende que lui consacra
Thomas de Celano. Il est pourtant difficile d'émettre une
opinion fondée sur les détails de sa vie, tant qu'on n’a pas
étudié ces problémes fondamentaux.

On voudra donc bien excuser les proportions du travail
qui suit. En le préparant je ne m'étais pas proposé de dé-
fendre telle ou telle thése, est-il nécessaire de le dire? Mais
javais besoin d'arriver à une conclusion solidement établie.

Ce n'est, certes, pas ma faute, si je prends les lecteurs
par la main, et si, les entrainant dans des salles d'archives,
où parfois ne sont pas entrés ceux-là mémes qui ont pré-
cugine

A QUELLE ÉPOQUE SAINTE CLAIRE D'ASSISE, ECC. T3

tendu nous en révéler les trésors (1), je suis obligé de les
inviter à vérifier tous les textes, à s'armer parfois de la
loupe, pour sonder les marges des documents, et y déchif-
frer jusqu'à des notes de chancellerie. Les travaux du P. Sba-
raglia (Sbaralea) et du P. Eubel méritent notre reconnais-
sance; mais c'est mal la prouver que d'en parler comme
s'ils avaient une valeur définitive et absolue. C'est, en par-
ticulier, pour s'étre attachés trop fort aux affirmations de
ces deux illustres érudits, que certains franciscanisants vien-
nent de commettre de regrettables erreurs. Leurs travaux,
peut-étre à cause de leur allure scientifique, ont été loués
sans mesure par des amis qui les ont appréciés d'un peu
loin et de confiance. Quoi qu'il en soit, on ne peut pas
adopter des vues différentes de celles qu' ils croient pouvoir
imposer, sans les avoir justifiées.

La conclusion à laquelle j'arrive étant la plus conser-
vatrice qui se puisse imaginer, il a bien fallu que je con-
duise mes lecteurs jusque dans les broussailles de l'érudition.
Je n'ose guère me flatter que cette course les fera peut-étre
passer non loin de quelque rafraichissant filet d'eau; mais
méme si ce mémoire n'avait d'autre effet que de montrer la
nécessité de reprendre de fond en comble les travaux de
Sbaralea et d'Eubel, il ne serait pas inutile.

Cette étude pourrait aussi servir de réponse à un grand
nombre de personnes qui ne cessent de s'étonner de ce

(1) Le R. P. Eubel, par exemple, s'est bien, naguére, rendu à Assise, pour y
étudier les bulles du Sacro Convento, et en à publié une nomenclature dans l'Arch.
Fr. Hist. t. I (1903) p. 601 ss. Mais le cinquiéme diplóme qu'il montionne ne s'y trouve
pas. Il s'agit de la bulle Quia populares tumultus qui serait datée de Rieti 3 déc.
1224, Son attention aurait dü étre d'autant plus en éveil que cette date est impossi-
ble. Honorius III n'était pas alors à Rieti. En réalité l'éminent religieux a' été sug-
gestionné là par Sbaralea (Bull. t. I, p. 20), qui a purement et simplement emprunté:
son texte au fameux ouvrage du P. Angeli, Collis Paradisi Amoenitas, p. 2 du lib. II.
Les lacunes et les erreurs de ce travail du P. Eubel viennent d'étre, en partie, re-
levées dans un beau mémoire du trés regretté Prof. Leto Alessandri, publié par les.
Soins de son successeur comme bibliothécaire de la ville d'Assise, le Prof. Fr. Pen-
nacchi, en cours de publication dans le méme Arch. Fr. Hist. t. VIII, p. 592 ss..
74 P. SABATIER

qu'elles appellent « le retard » de la nouvelle « Vie de
saint Francois » que j'ai promise depuis tant d'années. Il
n'y a aucun retard dans la publication d'une oeuvre scien-
tifique, quand tout le temps écoulé a été employé à en étu-
dier les bases et à en préparer les matériaux. Il y aurait
eu háte, et méme hate coupable, si, pour donner satisfaction
à des souhaits plus affectueux qu' éclairés, j'avais encombré
le champ des études franciscaines d'un nouvel ouvrage qui
n'aurait été qu'un remaniement littéraire de celui auquel le
publie a fait jadis un si cordial accueil.

A cette époque, le fait que je m'étais permis de discuter
la valeur historique du témoignage de Thomas de Celano,
et de constater que sa premiére biographie de saint Fran-
cois était influencée parles vues du parti de frére Elie, pro-
voqua un véritable scandale dans certains milieux. Aujour-
d'hui, c'est dans les mémes milieux qu'on dépouille de toute
valeur la page de Celano concernant la concession du Pri-
vilége de la pauvreté par Innocent III. La saine critique

me fait un devoir de marquer, aujourd'hui, l'exactitude de

ses indications, comme elle m'en faisait un, hier, de relever
les lacunes et les imperfections historiques d'une oeuvre qui,
d'ailleurs, avait surtout des préoccupations ascétiques et lit-
téraires. Je ne me constitue pas plus maintenant son avocat
que je ne songeais jadis à me donner pour son adversaire.

Pour en revenir à la question du retard de la nouvelle
« Vie de saint Frangois », ceux qui prendront la peine de
lire jusqu'au bout la présente discussion, pourront s'imaginer

ce que chaque épisode de la nouvelle biographie a demandé
de temps et de recherches.

'

C RR.

Ceux des. lecteurs qui connaissent le sens exact des
termes employés couramment par la curie et le monde re-
ligieux du moyen áge, voudront bien excuser quelques ex-

Ay
wt
Tc

M ES | ITA
^

A QUELLE ÉPOQUE SAINTE CLAIRE D'ASSISE, ECC. 15

plications données pour ceux qui n'ont pas la méme initia-
tion.

Dans le langage courant, ou appelle souvent priviléges
toutes les faveurs accordées par le S. Siége. Au XIII siécle,
ce mot, lorsqu'il était employé correctement, avait un sens

. précis, beaucoup plus. restreint:.il désignait celles des lettres

apostoliques qu'on à appelées aussi bulles solennelles ou
consistoriales. Tandis que les bulles ordinaires ne pórtaient
aucune signature et n'étaient authentiquées que par le sceau
de plomb du pontife régnant, les priviléges, outre beaucoup
d'autres caractères particuliers, étaient signés ou souscrits
par le pape et par tous les cardinaux présents à la curie
au moment de l'obtention. Ce sont, pour la plupart, des
chartes par lesquelles le S. Siége prend sous sa protection
particuliére tantót un ordre, tantót une maison religieuse,
indique sa régle, donne une nomenclature de ses propriétés
et lui accorde un ensemble de faveurs qui constituent sa
situation définitive (1).

Ce n'est pas une faveur de détail, c'est la reconnais-
sance officielle d'un institut incorporé pour toujours, 2n per-
petuum, comme dit la formule particuliére à ces bulles, à
la Sainte Eglise Romaine.

L'obtention du « Privilége » était donc la grande pré-
occupation soit des ordres nouveaux, soit des maisons reli-
gieuses autonomes, qui venaient à se fonder: elle marquait
le couronnement de la longue série des approbations plus
ou moins provisoires par lesquelles le S. Siége mettait à
l'épreuve les fondations nouvelles.

(1) Le nom de privilegium est souvent donné à ces bulles dans leur texte méme:
praesentis scripti privilegio communimus comme on le verra au second alinéa du
texte publié plus loin (p. 4). Considérées dans leurs effets juridiques et disciplinai-
res, elles ne sont rien moins que des constitutions apostoliques, comme il est dit
dans les clauses finales, où sont fulminées les menaces de chátiments contre ceux
qui viendraient à ne pas les respecter. Le pape Alexandre III dans une bulle insé-
rée dans les Décrétales de Grégoire IX (Livre II, tit. XXII. chap. 3) oppose les pri-
viléges, titres de propriété, à toutes les autres lettres du S. Siége.

WUTRL UNE I» un NE n
76 P. SABATIER

G'était une nécessité du méme genre que l'est de nos
jours, pour certains instituts, l'obtention de la personnalité
juridique, ou leur reconnaissance comme établissements d'u-
tilité publique.

Saint Frangois se garda bien de solliciter pour son ordre
cette charte: il avait horreur de tous les priviléges: celui-ci,
dont l'objet essentiel était de donner à la dotation des in-
stituts religieux un caractere de propriété perpétuelle, était
en contradiction absolue avec l'esprit de sa régle.

Il en avait été tout autrement chez les fréres Précheurs.
Dés le 22 décembre 1216 saint Dominique avait obtenu
d'Honorius III le privilége AKeligiosam vitam (1) confirmant
à son ordre ses biens présents et futurs.

Sainte Claire, au contraire, enthousiaste de l'idéal nou-
veau, plus consciente que saint Francois des difficultés qui
allaient se dresser sous leurs pas, ne voulut pas se contenter
de dédaigner les titres de propriété, elle voulut leur lancer
une sorte de défi et leur opposer un titre de pauvreté, la
charte d'un christianisme nouveau. |

Avant d'aller plus loin et pour que les lecteurs se ren-
dent parfaitement compte de ce qu'étaient les privilèges, il
sera bon d'en mettre un sous leurs yeux. Ces documents
sont en général d'une teneur identique: composés de formu-
«les qui n'ont varié que trés peu et fort lentement au cours
des siécles, ils ne différent les uns d'avec les autres que
par l’indication de la régle observée, la nomenclature des
propriétés et quelques autres particularités (2). Je pourrais

(1 On en trouve une reproduction lithographique dans Balme et Lelaidier, Car-
tulaire ou histoire diplomatique de saint Dominique, t. II, p. 78.

(2) Le privilége Is qui Ecclestam du 22 avril 1230, Sbaralea, Bull. Fr. I, p. 60.
Auvray, Registres de Grégoire IX, n. 453 est un de ceux, quí par les détails, s'éloi-
gnent du type conimun.
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A QUELLE ÉPOQUE SAINTE CLAIRE D'ASSISE, ECC. - (Ul

donc me contenter de reproduire ici les parties qui leur
sont communes, mais ayant eu la bonne fortune de trouver
chez un bouquiniste un cahier de vieux papiers (1) où se

‘trouve la copie du privilége inédit accordé par Innocent III

au couvent de Saint Paul d'Assise, il me semble préférable
de le publier ici. Une bulle d'Innocent III n'est jamais sans
importance, surtout quand la copie ne peut qu'inspirer toute
confiance quant à son exactitude (2): celle qui suit, concerne
le monastére où saint Francois conduisit sainte Claire, aprés
qu'elle eut .prononcé ses voeux (nuit du Lundi saint 18-19
mars 1212), et constitue, indirectement, un des documents
de l'histoire de la fondatrice de l'ordre des Pauvres soeurs
de Saint-Damien.

La fille spirituelle de saint Francois peut donc avoir
connu la bulle de San Paolo; et on peut méme se demander
si ce ne serait pas la vue et la connaissance de ce privilége
de propriété qui l'amena à la résolution d'obtenir d'Inno-
cent III un privilégze de pauvreté.

INNOCENTIUS EPISCOPUS SERVUS SERVORUM DEI, DILECTIS IN CHRISTO
FILIABUS SIBILIAE ABBATISSAE MONASTERII SANCTI PAULI FONTIS TI-
BERTINI EJUSQUE SORORIBUS TAM PRAESENTIBUS QUAM FUTURIS RE-
GULAREM VITAM PROFESSIS IN PERPETUUM.

(1) C'est, si je ne me trompe, une épave des riches archives du chevalier An-
tonio Frondini (4 1841), vendues comme vieux papiers par les héritiers de ses fils.
Presque tout parait avoir disparu; une partie pourtant fut achetée par Mgr. Andrea
Tini, aujour d'hui vicaire général de l'évéque d'Assise. Un important manuscrit de
cette collection a été acheté par le R. P. Louis Antoine de Porrentruy, Capucin, pour
son musée franciscain: c'est une Serie cronologica dei vescovi di Assisi par le cha-
noine Lod. Amatucci, et continuée par Frondini. D'autres piéces avaient été acqui.
ses par le franciscanisant Louis Richard, de Romagnieu (Isére).

Qu'on veuille bien exeuser ces indieations étrangéres à la question traitée i-
ci: elles ont paru utiles, parce qu'elles puurront aider à déterminer la provenance
d'autres piéces concernant Assise.

Quand la copie, base de notre texte, a été effectuée (vers 1830? le vidimus.

qu'elle reproduit se trouvait dans les archives du monastére de ‘Sant’ Apollinare à
Assise. Il est vraisemblable qu'il s' y trouve encore aujourd' hui.

(2) Elle a été exécutée dans la premiére moitié du XIX siécle d'aprés un vidi-
mus daté du 13 sept. 1381. Quelques corrections manifestement nécessaires ont été
faites ici, mais en ce cas, la lecon de la copte est toujours indiquée en note.

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18 P. SABATIER

Prudentibus virginibus quae sub habitu religioso accensis lampa-
dibus per opera sanctitatis jugiter se praeparant ire obviam Sponso:

sedes apostolica debet praesidium impertiri, ne forte cujuslibet teme-
ritatis incursus aut eas a proposito revocet, aut robur (1), quod absit,
sacrae religionis infringat.

Eapropter, dileetae in' Christo filiae, vestris justis postulationibus
clementer annuimus et praefatum monasterium Sancti Pauli Fontis Ti-
bertini in quo divino estis obsequio mancipatae sub beati Petri et no-
Stra protectione suscipimus et praesentis scripti privilegio communimus.

In primis siquidem statuentes ut ordo monasticus qui secundum
Deum et beati Benedicti regulam in eodem monasterio institutus esse
dignoscitur perpetuis ibidem temporibus inviolabiliter observetur.

Praeterea quascumque possessiones et quaecumque bona idem
monasterium impraesentiarum juste et canonice possidet aut in futurum
concessione pontificum, largitione regum vel principum, oblatione fi-
delium, seu aliis justis modis, praestante Domino, poterit adipisci, firma
vobis et eis quae vobis successerint et illibata permaneant: in quibus
haec propriis duximus exprimenda vocabulis: locum ipsum in quo prae-
fatum monasterium situm est cum possessionibus et omnibus aliis suis
pertinentiis; tenimentum quod habetis in civitate Assisinat. intus et
extra cum ommibus suis pertinentiis; tenimentum quod habetis in In-
sula Romanesca (2) intus et extra eum hominibus et aliis suis perti-
nentiis; cappellam Saneti Bartholomaei de Claxi (3) cum pertinentiis
suis; jus quod habetis in cappella Sancti Johannis de Claxi et jus quod
habetis in cappella Sanctae Luciae ejusdem loci, cappellam Saneti An-
dreae de Valle quae est extra civitatem Fulginaten. et tenimentum
hominum et terrarum quod habetis a Claxi usque ad viam trans ripam.

Sane novalium vestrorum quae propriis manibus aut sumptibus
colitis sive de nutrimentis animalium vestrorum nullus a vobis decimas
exigere vel extorquere praesumat.

Liceat quoque vobis personas liberas et absolutas a saeculo fugien-
tes ad conversionem recipere et eas absque contradictione aliqua re-
tinere.

(1) Copie robore.

(2) Aujourd' hui Bastia.

(3) Il y a une chapelle San Bartolomeo, avec une jolie abside du XII siécle, au:
nord d’Assise, à environ une demi heure de la ville, gracieusement située sur une
croupe qui domine le Tescio; mais est-ce bien de celle-là qu'il s'agit? Je ne voudrais
pas l'affirmer. L'église du monastére S. Paolo existe encore et sert de chapelle au
cimetiére de Bastia; elle est à un quart d' heure au N. de cette localité; à quelques.
minutes du pont sur le Chiagio, en aval duquel celui-ci recoit le Tescio.
——

————

A QUELLE ÉPOQUE SAINTE CLAIRE D'ASSISE, ECC. 2.05

Prohibemus insuper ut nulli sororum vestrarum post factam in
loco vestro professionem fas sit absque abbatissae suae licentia de eo-
dem discedere; discedentem vero absque communium litterarum cautione
nullus audeat retinere.

Cum autem generale interdictum terrae fuerit, liceat vobis, clausis.
januis, exclusis excommunicatis et interdictis, non pulsatis campanis,
suppressa voce divina officia celebrare.

Ad haec praesenti pagina vobis duximus indulgendum ut non
liceat episcopo vestro diocesano cappellanum vestrum sine causa ma-
nifesta et rationabili interdicere seu excommunicare, ne duntiforte vobis.
divina officia subtrahuntur otiositati vacetis, quae, juxta eloquium 5.
Scripturae, inimica animae perhibetur.

Obeunte vero te, nunc ejusdem loci abbatissa, vel earum qualibet.
quae tibi successerit, nulla ibi qualibet subreptionis astutia seu vio-
lentia praeponatur, nisi quam. sorores communi consensu vel sororum
pars consilii senioris secundum Dei timorem et beati Benedicti regulam
providerint eligendam. .

Sepultura praeterea ipsius loci liberam esse decernimus ut eorum
devotioni et extremae voluntati qui se illie sepeliri deliberaverint, nisi
forte excommunicati vel interdicti sint, nullus obsistat, salva tamen
justitia illarum ecclesiarum a quibus mortuorum corpora assumuntur.

Decernimus ergo ut nulli omnino hominum liceat praefatum mo-
nasterium temere perturbare aut ejus possessiones auferre, vel ablatis,
retinere, minuere, seu quibuslibet vexationibus fatigare, sed omnia
integra conserventur earum pro quarum gubernatione ac sustentatione
concessa sunt usibus omnimodis profutura, salva sedis apostolicae auc-
toritate et diocesani episcopi canonica justitia.

Ad indicium autem hujus a sede apostolica protectionis duos so-
lidos Lucensis monetae nobis nostrisque successoribus annis singulis.
persolvetis.

Si qua igitur in futurum ecclesiastica saecularisve persona hanc
nostrae constitutionis paginam sciens contra eam temere venire tenta-
verit, secundo tertiove commonita, nisi reatum suum congrua satisfac-
tione correxerit, potestatis honorisque sui dignitate careat, reamque se
divino judicio existere de perpetrata iniquitate cognoscat, a sacratis-
simo Corpore ac Sanguine Dei et Domini Redemptoris nostri Christi
aliena fiat atque in extremo examine divinae ultioni subjaceat.

Cunetis autem eidem loco sua jura servantibus sit pax Domini
nostri Jesu Christi quatenus et hic fruetum bonae actionis percipiant

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S

de ten ad

Inte
80 P. SABATIER

et apud districtum judicem praemia aeternae pacis inveniant. Amen.
Amen. Amen.

+ Ego Innocentius catholicae ecclesiae episcopus subscripsi. Bene
valete (1). i

1 Ego Johannes Albanen. episcopus subscripsi.

+ Ego Petrus portuen. et S. Rufinae episcopus subscripsi.

t Ego Guido panestrinae sedis episcopus subscripsi.

+ Ego Landus basilicae Duodecim Apostolorum presbyter cardi-
nalis subscripsi.

t Ego Petrus tituli Sanctae Caeciliae presbyter cardinalis subscripsi.

t Ego Jordanus Saneti ... (2) presbyter cardinalis subscripsi.

+ Ego Hieronymus presbyter cardinalis Saneti Martini — ... (3)
subseri psi.

t Ego Johannes tituli Saneti Stephani in Coelio Monte presbyter
cardinalis subscripsi.

t Ego Gerardus Sancti Petri in Vincula presbyter cardinalis tituli
Eudoxiae.
Ego Gregorius presbyter cardinalis tituli Sancti Vitalis.
Ego Petrus tituli Saneti ... presbyter cardinalis.
Ego Benedictus Sanctae Suzannae presbyter cardinalis.

+ + +

+ Ego Gratianus Sanctorum Cosmae et Damiani diaconus cardi-

nalis subscripsi.
+ Ego Gerardus Sancti Adriani diaconus cardinalis subscripsi.

(1) Le vidimus a été fait avec grand soin, puisque la copie reproduit la rota
qui était une des caractéristiques des bulles solennelles, et la montre avec ses qua-
tre cantons et les mentions ceutumiéres: en haut à gauche: Sanctus Petrus ; à droite:
Sanctus Paulus; en bas à gauche: Inno. papa; à droite centtus III. En exergue,
la devise du pontife: Fac mecum Domine signum in bonum et la croix qui consti-
tuait son seing manuel.

La salutation Bene valete a été trés exactement dessinée.

Il serait hors de propos de s'arréter ici à faire la critique de ce document. On
pourra facilement combler les vides de la copie gráce à la Hierarchia Catholica
Medii Aevi du P. Eubel, et corriger quelques erreurs de lecture, faites peut-étre par
la copie Frondini ou son modéle, dans la liste des cardinaux. Le nom de ceux-ci,
jusqu'à Landus inclusivement occupe une ligne, et il n'y a pas à hésiter sur l'or-
dre dans lequel on doit les écrire. Pour les suivants, le copiste semble avoir voulu
économiser le papier, et les a disposés sur deux colonnes irréguliéres, si bien que
l'ordre à adopter pour reproduire son texte reste incertain.

(2) Les points sont dans la copie Frondini.

(3) Les points, comme aussi aux lignes suivantes, sont dans la copie Frondini ;
quant au —iLremplace ici un signe abréviatif de la méme copie, qui veut dire pro-
bablement et Sancti.

rem

gere = ere

A QUELLE ÉPOQUE SAINTE CLAIRE D'ASSISE, ECC. 81

Ego Gregorius Sanctae Mariae in Porticu diaconus cardinalis.

EIE

Ego Gregorius Sancti Angeli diaconus cardinalis.
Ego Hugo Sancti Eustachii diaconus cardinalis.

nate
i

Ego Leo Sanctae Luciae ad ... diaconus cardinalis.
Ego Matthaeus Sancti Theodori diaconus cardinalis.

+ +

Ego Johannes Sanctae Mariae in Cosmedin diaconus cardinalis.

Datum Laterani per manum Blaxii Sanctae Romanae Ecclesiae

subdiaconi et notarii secundo nonas maii, indictione quarta, .Incarna-

tionis dominicae anno M° CC? I° pontificatus vero domini Innocentii
papae III quarto (6 mai 1201).

Onze ans aprés que cette charte avait été obtenue,
sainte Claire allait frapper à la porte du monastère de
Saint Paul, et y passait les premiéres journées de sa vie re-
ligieuse. Sans tomber dans le roman historique on peut s'ima-
einer l’acueil qui lui fut fait : accueil joyeux, enthousiaste,
car elle était jeune, elle était belle, elle était noble; accueil
pourtant bien vite mélangé de quelque surprise et d'un peu
de dépit, lorsqu'on s’apereut que la nouvelle venue ne de-
mandait absolument qu'une hospitalité provisoire. Il est bien
difficile à des religieuses de n'avoir pas pour leur ordre un
culte quelque peu exclusif. Au point de vue des dames de
Saint Paul, la régle de saint Benoit était sans doute le code
par excellence de la vie monastique.

Elles ne pouvaient rien imaginer au delà. La démarche
de saint Francois auprés de leur abbesse leur sembla quel-
que chose de plus qu'un hommage de l'ordre nouveau à
l'égard de l'ordre consacré par les siècles, elles se figurérent
peut-étre que le mouvement franciscain allait devenir comme
un nouveau rameau greffé sur le tronc bénédictin. N'avait il
pas pour berceau le sanctuaire tout proche de la Portion-
cule? (1).

(1) Il ne faut pas oublier la condition mise par l'abbé de San Benedetto al Monte
Subasio à la donation de la Portioncule aux Franciscains: St Dominus hanc con-
gregationem vestram multiplicaverit, volumus, quod locus iste sit caput omnium
vestrum Spec. Perf... 55,9.

LES IR edid e 33
P. SABATIER

Plus avaient. été erandes les illusions des premiers in-
stants, plus amére. dut étre la déception, lorsqu' on vit qu'on
s'était trompé. Quand on disait à Claire que le monastere
était privilegiatum, elle ne ressentait pas le moins du monde
les sentiments qu'on espérait provoquer chez elle.

. 1l est permis de croire qu'elle alla un peu au delà. At-
taquée, elle se défendit, ou plutót défendit ses idées, celles
de celui qui, l'avait consacrée à Dieu et à la pauvreté.

Une pareille situation était sans issue. Il était aussi im-
possible aux religieuses de Saint Paul de garder Claire, qu'à
celle-ci de rester avec elles. Quelques jours aprés, elle émigra
à Sant’ Angelo in Panso, autre maison bénédictine, à une
demi-heure de la cité (1).

Là, les mémes causes amenérent sans doute des effets
analogues. La biographie officielle constate, en quelques
mots d'une briéveté assez transparente, qu'elle n'y avait pas
trouvé l'accueil quil lui aurait fallu (2).

Ce bref passage dans deux maisons bénédictines influa
profondément ‘sur elle. Aux religieuses qui avaient étalé sous
ses yeux les trésors de leurs archives, leur privilége solennel,
comme une sorte de palladium (3), elle avait répondu comme
elle avait pu, disant que la régle franciscaine avait été ap-
prouvée par le pape vivae vocis oraculo; mais on congoit
avec quelle vigueur dut naître en elle le désir de serrer
sur son sein et de pouvoir exposer au monde l'approbation
pleine et entiére de la vie pauvre par le S. Siége.

(1) A l'est-sud-est. Les bátiments existent encore en partie.

(2) Statim, eam. ad ecclesiam Sancti Pauli sanctus. mranciscus, deduxit,. donec
aliud. provideret Altissimus, in eodem loco mansuram... Paucis interjectis diebus, ad
ecclestam Sancti Angeli de Panso transivit, ubi cum non plene mens ejus quiesceret,
tandem ad ecclesiam Sancti Damiani beati Francisci consilio, commigrawvit. Ibi
mentis ancoram quasi in certo figens, non jam pro loci mutatione ulterius fluctuat.
Legenda sanctae Clarae 8-10, éd. Pennacchi p. 13-15.

(3) Dans lc langage de cette époque on appelait ces titres les munimenta. V ..
par ex. RD Registres de Grégoire IX, 5025; 5033, 5206, 5268. V. Ducange, Glossa.

rium, S. V. munimina.
“x
A QUELLE ÉPOQUE SAINTE CLAIRE D'ASSISE, ECC. 83

Peut-étre saint Frangois avaitil déjà fait remarquer en
souriant que ses fréres avait un privilége plus ancien que
tous les autres, puisque Jésus-Christ lui méme leur à donné
leur nom dans l'Evangile et a prophétisé leur venue (1).

. De pareilles affirmations émouvaient profondément les
àmes les plus ardentes, mais n'étaient pas.faites pour con-
vaincre celles qui n'étaient pas prédisposées à se-aisser
gagner. |

Sainte Claire, pleinement assurée que saint Francois
accomplissait une mission divine, trouvait nécessaire, pour
lefficacité de cette mission, que sa légitimité fat constatée
sans réserve par l'autorité ecclésiastique. Puisque la vie de
pauvreté avait été approuvée, par le vicaire du Christ, ‘il
fallait, pour l| honneur de Dieu et l’accomplissement des
temps nouveaux, que cela füt proclamé à la face du monde;
il fallait que l'effort de ceux qui voulaient se vouer au Christ
et à la vie apostolique füt, non seulement toléré, mais dé-
claré canonique, signalé et salué comme le moyen de ré-
générer et de sauver l'Eglise en péril (2).

Innocent III était homme à comprendre ces désirs gran-
dioses et cet enthousiasme: la réforme de l'Eglise avait été
sa grande préoccupation, en convoquant le Concile de Lat-
ran (3), Lorsqu'il arriva à Pérouse, au milieu du mois de
mai 1216, il ne s'était guére écoulé que six années depuis
que le petit pauvre d'Assise, vilis et despectus, était allé s'a-
genouiller devant lui, pour faire, entre ses mains, acte d’hu-

(1) Hac novissima hora fratres Minores commodati sunt mundo wt electi in
eis. comgpleant unde a. Iudice commendentur : « Quod uni fecistis ex fratribus meis
minoribus, mihi fecistis ». Unde privilegiatam magno Propheta dicebat religionem ,
qui titulum nominis ejus tam evidenter expresstt. 2 Cel. 2,17 (II, 41). Cf. Matth. 25
40-45. ^

(2) Dans 3 Soc. 48 (XII, 16) le cardinal Jean de S.-Paul dit à Innocent 3I: Ir

vani virum perfectissimum, qui vult vivere secundum formam sancti Evangelii, per

quem eredo quod Domtnus velit in toto mundo ftdem:sanctae Ecclesiae reformare.
(3) V. la bulle Vineam Domtni du 19 avril 1213, Bull. Rom. éd. Cocquelines t. III,

p. 160.

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La. 84 P. SABATIER

milité et de foi en Dieu et en son vicaire. Et pourtant, en
ces quelques années, l'atmosphére de la chrétienté s'était
rassérénée, purifiée; le message franciscain s'était répandu
dans toute l'Italie et méme au delà, comme une force vi-
vifiante. Les hésitations, bien naturelles, que le pontife avait
éprouvées, au premier abord, devant Francois, avaient fait
place à une confiance parfaite, mélée d'étonnement et d'ad-

miration. Avec son tempérament d'homme passionné et de:

mystique convaincu, il. était plein de reconnaissance pour
celui qui tout à coup était venu l'aider si puissamment à
réaliser ses réves, à la fois ecclésiastiques et religieux. Si
partout oü il passait, à travers les campagnes ombriennes,
il sentait les coeurs s'épanouir et chanter, en songeant au
successeur de Pierre, l'hymne oü le psalmiste chante la
gloire du tróne de Dieu (Ps. 44, T. 8)

Sedes tua, Deus, in saeculum saeculi ;
virga directionis virga regni tui.
Dilexisti justitiam et odisti iniquitatem,
propterea unxit te, Deus, Deus tuus, oleo laetitiae prae consortibus
[tuis (1).

il savait à qui il devait cette gloire qui donnait maintenant
à son pontificat comme des teintes d'apothéose.

Aussi l'accueil qu'il réserva aux démarches de Claire (2)
sollicitant un privilége de pauvreté futil comme un triom-
phe. Le coeur du souverain pontife vibrait comme celui de
la jeune religieuse, et leurs espérances étaient presque pa-

(1) C'est là un des passages qu’ Innocent III aimait à citér dés le début de son
ipontificat. V. par exemple la bulle Ad hoc unxit nos Deus oleo laetitiae du 2 mars
1198 (Potthast 31).

(2) Il est impossible de se rendre compte par le texte qu'on va lire, si Claire
'se rendit personnellement auprés du pape, ou se fit représenter auprés de lui par
un mandataire. On ne songerait pas à poser la question, si plus tard la vie des Cla-
risses n'était pas devenue une existence de claustration absolue. J'incline donc à
croire qu'elle alla elle-méme trouver Innocent III, accompagnée de quelques reli-
:gieuses et de saint Francois.

4*——
———

A QUELLE ÉPOQUE SAINTE CLAIRE D'ASSISE, ECC. 85

reilles. De ces instants où il se sentit comme soulevé au-
dessus de lui-méme par l'inspiration franciscaine, et oü les
rénovateurs de la pauvreté évangélique se trouvérent en
communion ardente avec le chef de l'Eglise, la légende de
sainte Claire donne une esquisse singuliérement précise dans
sa briéveté. )

Volens enim |beata Clara] religionem suam intitulari titulo. pau-
pertatis a bonae memoriae Innocentio III paupertatis privilegiwm postu-
lavit. Qui vir magnificus tanto virginis fervori congratulans, singulare
dicit esse propositum, quod nunquam tale privilegium a Sede Apostolica
fuerit postulatum. Et ut insolitae petitioni favor insolitus arrideret, pon-
tifex ipse cum hilaritate magna petiti privilegii sua manu conscripsit
primam motulam (1).

On voit combien ce qui a été dit dans les lignes qui
précédent concorde avec les expressions du biographe. Il
est fort regrettable que parmi les nombreux auteurs qui ont
retracé la vie de sainte Claire, aucun, méme parmi les plus
récents, n'ait songé à serrer ce texte de prés, de facon à
en mettre toutes les indications en' valeur. Les premiers
mots: Volens religionem suam intitulari titulo montrent qu'il
faut bien donner ici au terme Privilegium son sens le plus
précis. C'est une approbation éclatante que Claire voulait
obtenir et qu'elle recut.

Il y à un autre mot dans ces lignes qui n'est pas moins -

‘important et sur le sens duquel on s'est mépris compléte
ment: C'est celui de notulam (2).
Ceux qui étudient les légendes sont souvent un peu trop

(1) Leg. S. Clarae 14, ed Pennacchi, p. 22.

(2) J'ai. commis jadis la méme erreur (Vie de saint Franccis d'Assise, p. 184) en
traduisant primam notulam par « commencement ». Je me laissai guider par un
principe de critique, solidement établi, mais qu'il faut pourtant appliquer avec di-
serétion: quand un vieux texte présente une difficulté, il faut, pour en fixer le sens
exact tenir grand compte des anciennes interprétations. Dans le cas présent primam
notulam a été remplacé par Barthélemy de Pise par principium (Conform. ed. Milan
1510, 84 à 2; An. Fr. t. IV, p. 393 1.20 ss.). Il me sembla done qu'il n'y avait qu'à
se rallier à son explication. j :

LN
^

siae

»

Pg 1 Ww Ea Y
dif eee M el PRE ril, tnde a

iL git ntn n

Ratto Petar

palate tina.

tetta

M

- P. SABATIER

| persuadés que, dans ces oeuvres, il n'y a que bien peu de
jr chose à glaner au' point de vue historique. Les encombrants
| | lieux communs du protocole hagiographique leur font croire
quil ne s'y trouve rien d'autre, et ils lisent distraitement,
| persuadés que ces tentures cramoisies, ces baldaquins d'un
des blane et d'un jaune défraichi, sont la pompe majestueuse et
| ms aussi banale qu'obligatoire de toutes les canonisations. i
ld c : C'est ainsi que, dans le passage qui nous occupe, on a
: li T M vu ce qu'on était prédisposé à y voir, une scéne d'apparat
i bien racontée; surtout utile pour des panégyriques, ou pour
| servir de médaillon sur le socle de la statue de là primiciere
il ORA des Pauvres soeurs de Saint Damien. On l'a done traduit
i au petit bonheur, ou plus exactement d'une facon si mal-
RR heureuse qu'on a abouti à la fin. à un véritable contre sens.
Il est inutile d'établir ici la nomenclature de toutes les

———— OO

IN c traductions ineptes — je prends l'expression dans son. sens
4 d ji * ii L to r r , ; A [ . ]
i . latin — qui ont été données du mot notulam. Pour étre équi- L
Sira table, il faut pourtant constater Que deux ou trois critiques

ont dà flairer'quélque difficulté dans son interprétation; et
War sagement, pour éviter toute érreur, ils se sont bornés à citer
UM IT Re cr. le texte latín.

I liess "^. Tous les autres (1) ont parlé comme si, pour donner à
Il i Iis | sainte Claire une preuve matérielle de sa joie, Innocent III
! i: avait écrit de sa propre main le début, ou quelque Autre
FIT partie principale de la bulle. Personne, parmi ceux qui ont

(1) Sauf pourtant Antonio Cristofani, qui a, peut-étre, vu le sens exact de la
phrase; mais, comme il ne s'explique pas, et emploie simplement le mot carta, il |
lis . est difficile de voir exactement quelle a été sa pensée. Voici sa traduction: Il pon- d
| à tefice medesimo volle con grande allegrezza scrivere di sua propria mano la prima
[s carta di siffatto privilegio. Storia della chiesa e del Chiostro di S. Damiano, Peru-
ili vider gia, 1876, in 16 de 264 pages V. p. 92, 3» éd\ Assisi, 1882, in 16 de 244 pages. V. p. 87.

SANE Quoiqu'il en soit, le trés regretté historien d'Assise aà évité dans son chapitre sur
fis ; le;Privilége de.la pauvreté, la plupart des erreurs dans lesquelles sont tombés
: avant et aprés lui de nombreux franeiscanisants.

Mer '*" Le D.r' Boehmer, 'dans ses Analekten: zur ‘Geschichte des Franciscus von As-

Y. sisi, Tübingen, 1904, p. XLIV et 125 parait avoir vu; lui aussi, le véritable sens de
l'expression primam notulam. i

— M

a seas
O

‘A QUELLE ÉPOQUE SAINTE CLAIRE D'ASSISE, ECC. 87
)

vu des exemplaires originaux de privileges solennels, ne
peut songer à une pareille interprétation : il n'y aurait pas
eu de favor insolitus de la part du pape à écrire quelque
chose de sa main dans un tel privilége, puisque sa sous-
cription y était constante.

En réalité, l'ardent pontife'fit beaucoup plus et beau-
coup mieux: il ne se borna pas à donner à la collaboratrice
de saint Francois un témoignage extérieur de son auguste
bienveillance, il voulut l'aider de toutes ses forces et reven-
diquer hautement sa part de responsabilité dans un acte de-
stiné à constituer la date la plus sainte et la plus g glorieuse
de son pontificat.

Le mot notula n'a rien d'imprécis ni de mystérieux, et
il aurait suffi d'ouvrir le glossaire de Ducange pour étre mis
sur la bonne voie: dans le langage de la curie romaine, la
nota ou notula correspondait à ce que les notaires appellent
énéore d'ün nom analogue la minuté d'un acte: c'était le
brouillon avec les données essentielles pour la rédaction. Cette
notuld passait ensuite en d'autres mains, pour etre écrite

sous forme d'expédition ou de grosse, et étre ainsi remise >

+

au destinataire (1).

En dressant lui-méme la minute originale du Privilége
de la pauvreté, Innocent III ne faisait pas seulement un ge-
ste destiné à témoigner sa souveraine complaisance à sainte
Claire et à saint Frangois, il unissait son effort au leur, et
avertissait dé la facon la plus nette le sacré college. de Ia
vig ueur avec laquelle il entendait protéger les novateurs (2).

(1) V. outre Ducange, aux mots nota ou notula, Léopold Delisie, Mémoire sur
les actes d'Innocent III, p. 2 ss.; Cf. C. Rodenberg, Epistolae Pontificum Romano-
rum selectae, t. I, p. VII; t. II, p. VIII; À. Giry, Manuel de Diplomatique, p. 686;
830 et 831; R. L. Poole, History of the Papal Chancery down to the S of Inno-
cent III, Cambridge, 1915, p. 133.

(2.Le móuvement franciscain comptait, en effet, d' irréductibles adversaires
parmi les cardinaux. V. Spec. Perf. 65, 19: Cumque "pervenisset Fiorentiam [beatus
Franciscus], invenit ibi dominum Hugonem, episcopum Ostiensem, qui postea fuit
Papa Gregorius. Qui cum audisset a beato Francisco quod volebat ire in Franciam

Vel dac AU oni A tnter a Sali TETI, Mu aei o 7 270

v7 SEAN urea

P. SABATIER

Pour les lettres importantes. le texte, rédigé sur les in-
dications précises des chefs de la chancellerie ou du pape
luiziméme; par un fonctionnaire appelé « abréviateur », de-
vait étre lu au souverain pontife, qui dictait alors les modi-
fieations à y apporter. Mais la requéte de Claire était un
fait si nouveau dans les annales de la curie, que le souve-
rain pontife jugea prudent de ne s'en remettre à personne
pour la rédaction du Privilége de la pauvreté. On peut ima-
giner l'embarras dans lequel se seraient trouvés les « scripto-
res » qui n'avaient jamais préparé. que des priviléges de
propriété pour libeller un acte si opposé. L’attitude résolue
d'Innocent III en cette affaire montre quel désastre fut sa
mort pour l'ordre nouveau,

Un vieux recueil franciscain, devenu fort rare, intitulé
Firmamenta trium ordinum (1) imprimé à Paris en 1512,
dans sa cinquiéme partie et au f? 5a 1 donne le texte du
Privilége de la pauvreté, précédé de la rubrique suivante:

s []

prohibwit ei ut non iret, dicens: « Frater, nolo quod vadas ultra montes, quia multi
sunt qui libenter impedirent bona tuae religionis in curia romana. Ego autem et
alii cardinales qui ipsam religionem diligimus, libentius protegemus et adjuvabi-
mus eam si manseris in circuitu istius provinciae ».

Cel. 74 à propos de la méme époque (c. 1217) parle avec encore moins de ré-
serve: « 0 quanti, maxime in principio cum haec agerentur, novellae plantationi
ordinis insidiabantur ut perderent! O quanti electam vineam, quam dominica ma-
nus benignissime in mundo. plantabat, praefocare siudebant ! Quam multi primos
et purissimos ejus fructus furari et consumere nitebantur ! Qui omnes tam. reve-
rendi patris et domini gladio interfecti, et ad nihilum sunt redacti.

(2) On ne peut songer à donner ici une description un peu exacte de cette oeu-

vre dans laquelle furent groupées non seulement beaucoup de bulles franciscai-

nes des trois premiers siécles de l'ordre, mais aussi une foule de traités qu'on cher-
cherait vainement ailleurs. L'examen de ce « mare magnum » serait à lui seul un
travail de longue haleine.

Ce recueil a ses défauts, comme toutes les oeuvres humaines, mais c'est une
collection essentiellement documentaire, et il est étrange de voir certains critiques,
qui paraissent ne pas faire fi des préoccupations scientifiques, s'efforcer de créer
une atmosphére de suspicion préalable autour de lui. Leur excuse est,sans doute,
qu'ils n'ont jamais eu l' occasion d'étudier cet ouvrage. V. ci-aprés p. 91. n. 2.

=
= ————

A QUELLE ÉPOQUE SAINTE CLAIRE D'ASSISE, ECC. 89:

Sequitur speciale privilegium domini Innocentii papae tertii a beata Clara
impetratum, videlicel quod sorores suae non possint cogi ad posses-
siones accipiendas.; Et dicitur privilegium de paupertate et de ipsius
paupertatis approbatione.

Innocentius episcopus servus servorum Dei
Dileetis in Christo filiabus Clarae et aliis ancillis ecclesiae Sancti Da-
miani Assisinatensis tam praesentibus quam futuris regularem vitam.
professis :
In perpetuum Pa
Salutem et apostolicam benedictionem.

Sicut manifestum est, cupientes soli Domino dedicari, abdicastis.
rerum temporalium appetitum, propter quod venditis omnibus et pau-
peribus erogatis, nullas omnino possessiones habere proponitis, illius
vestigiis per omnia inhaerentes qui pro nobis factus est pauper, via,
veritas, atque vita.

Nee ab hujusmodi proposito rerum vos terret inopia, nam laeva
Sponsi caelestis est sub capite.vestro ad sustentandum infirma corporis
vestri, quae legi mentis ordinata caritate stravistis. Denique qui pascit
aves coeli et lilia vestit agri ad vietum pariter et vestitum concurret,
donec seipsum vobis transiens in aeternitate ministret, cum scilicet
ejus dextera vos felicius amplexabitur in suae plenitudine visionis.

Sicut ergo supplicastis altissimae paupertatis propositum favore
apostolico roboramus, auctoritate vobis praesentium indulgentes ut re-
cipere possessiones a nulli compelli possitis. Et si qua mulier nollet
aut non posset hujusmodi propositum observare, vobiscum non habeat
mansionem: sed ad locum alium transferatur.

Decernimus ergo ut nulli omnino hominum liceat vos et ecclesiam
vestram perturbare temere seu quibuslibet vexationibus fatigare. Si qua
igitur in futurum ecclesiastica saecularisve persona hanc nostrae con-
firmationis et constitutionis sciens contra eam temere venire temptave-
rit, secundo tertiove commonita, nisi reatum suum congrua satisfactione
correxerit, potestatis honorisque sui dignitate careat reamque se divino
judicio existere de perpetrata iniquitate cognoscat et a sacratissimo
Corpore et Sanguine Dei et Domini Redemptoris nostri Iesu Christi
aliena fiat atque in extremo examine districtae subjaceat ultioni. Cunc-
tis autem vobis et eidem loco dilectionem in Christo servantibus sit
pax Domini nostri Jesu Christi, quatenus et fruetum bonae actionis
percipiant, et apud distrietum judicem praemia aeternae pacis inveniant.
Amen. Datum etc.

pe "NY s

i CU i 4 (5 M.
ABL aderat dede B e 1)
P. SABATIER

"Explicit privilegium et confirmatio sanctae paupertatis status, bea-
iae Claraé et suis Virginibus, Christi pauperis et suae pauperrimae ma-
iris aé pauperculi patris mostri ione Umitatricibus, dono Singulari
et eleganti concessum. ;

La reproduction ci-dessus laisse subsister tous les lapsus
du texte des Firmamenta. Il est particuliérement regrettable
que le Datum soit incomplet, mais dans ces lapsus et là di-
sparition du Datum, y a-til une raison suffisante de suSpec-
ter de prime abord l'authenticité de cette piéce? Il ne le
semble pas. Le recueil qui la contient, sans avoir les pré-
tentions critiques modernes, est pour tant une collection hon-
néte ét en laquelle, jusqu'à preuve du contraire, on peut
avoir le méme genre de confiance, que dans le Bullarium
du P. Sbaralea. |

Notre bulle se présente dans les Firmamenta avec les
formes spéciales des priviléges. Il'est vrai que là souscrip-
tion des cardinaux n'y est pas reproduite, mais il n y à là
rien d' extraordinaire, puisque sous les pontificats d' Inno-
cent III, d' Honorius 1II, de Grégoire IX, et une partie de
celui d'Innocent IV, elles ne sont reproduites dans les Re-
gistres que tout à fait exceptionnellement. Quand àu Datum,
il y manque souvent,
lisle (1); et il est trés possible, sinon probable, que cette
pièce ait été copiée sur les Registres d'Innocent III (2). Si

_ (1) Mémoire sur les actes d'Innocent IIT, p. 115. Pour montrer la fréquence de
ce fait, il.suffira.de noter quelques exemples. Dans les Registres de Grégoire IX, si
^on les ouvre aux bulles de la quatriéme année du pontificat (Auvray n. 432-581) on
s’ apercoit que Ies n. 440; 488; 521; 572, se terminent par Datum exactement comme
dans notre bulle. Aü n. 453 Datum est suivi de l'indication du lieu, mais non de
là/'date; et il 's'agiv du Privilégé'consistorial Is qui ecclestam,'\ibentionné plus liaut.
Il en est de-méme du n. 554, autre'bulle'franciscaine d'extraordinaire importante
'Quo-elongati. Dans ces deux derniers cas, ce-sont des expéditions.de ces bulles qui
nous en ont fourni la date: 22 avril 1230 pour la premiére; 28 sept. 1230 pour la se-
coude.

''(2) Il suffit d'un coup d'oeil sur les indications placées en téte de chaque let-
tre pas Sbaralea pour: constater ‘que beauconp' des piéces qu' il PVRHes sont emprun-
tées aux Registres.. ek a

ainsi que l'a constaté Léopold De-

tag
——— f

88 di

A QUELLE ÉPOQUE SAINTE CLAIRE D'ASSISE, ECC. 91

elle l'a été sur l'expédition originale, les difficultés de lec:

ture que présente cette partie des bulles, pour des person-
nes qui n'ont aucune habitude de manier ces documents, à
fort bien pu amener le copiste à omettre des lignes qui
pouvaient lui sembler dénuées d'importance (D.

Nous n'avons "malheureusement pas a ressource d’ é-
claircir la question en recourant aux Registres mémes du
pape Innocent III. Tout porte à croire que c'est peu de temps
avant sa mort. qu'il accorda à Claire le Privilegé'de la pau-
vreté. Or, les Registres des trois derniéres années de son
pontificat paraissent ne plus ‘exister, C'eSt-à-dire ceux qui
correspondent à la période 29 février 1214-16 juillet 1216 (2).

Il y aura lieu de revenir plus loin à la question de l'au-

| thenticité de ce texte et de la serrer de plus près. Il suffit

(1) Le P, Sbaralea, qui est pourtant au tout premier rang des professionnels

de ces questions; fait de nombreux lapsus dans sor texte di privilége Is qui eccte-

stam du 22 avril 123) (Bull. Fr. t. I p. 60) 1 entiondé plus haut.'Pour me borner à
ceux qui viennent aprés le texte inóme de là Bulle: il'n'a qu'un Amen au lieu de
trois; il; ne dit rien de.la rota; il. omet le Bene valete ; iba lu Pastor aù lieu de
tituli Pastoris ; il remplace Marci par des points; il omet ti@uli Sancti Callixti.
Pour aucun des cardinaux il'n'a su interpréter les deux'S qui équivalent à stbscri-

| psi, On dire avec ràison que ces petites taches sont le'fait dés correspondants qu'il

chargeait ün peu partout de lui copier les originàux, mais il est de stricte justice
dé' penser que le compilüteur des Firmamenta à été obligé, lui aussi, de faire appel
au concours de copistes fort peu préparés'à des bésognes de'ce genre.

(2) V. L. Delisle, Mémoire sur les actes d'Innocen! TIT,'p- 7.

Les critiques dont il a été question dans une noté précedénte (p. 88 n. 2) ont
fait état du’ silence des Registres, sans avertir leurs lecteurs de la disparition de ces
documents pour les trois derniéres années de '6e pohtificat! De plus; ils parlent
comme si toutes les lettres authentiques émanant du'S. Siége éfaient enregistrées,
et comme si; par conséquent, toute lettre non enregistrée était un faux.'Or iFn'en
est rien, Tl^suffit d'avoir fréquentó, si'péu que cé'soit, les Registres publiés, pour
savoir qu' un trés grand nombrè de bulles n'y figurent' pas et sont "pourtant d'une
inattaquable'authenticité: sans aller plüs loin, la! bulle Sicut manifestum est du 17
sept 1228 pour S. Damien dont il sera longuement question plus'loin, et dont l'ex-
pédition originale existe encóre'à Assise; n'à'pas été enregistrée. Pàs davar.taàge la
.màme bulle, du 27 juin 1229, pour Monteluce. La régle dé $uinte Claire, du 9'&aoüt
1953, ne l'à pas été non plus. On "pourráit citer 'd'aütres 'exemples "par centaines.
Céla suffit/pour montrer l'inaniié de certaines' argumentations. /

+ 1 a i f
dU UR DEUTSCH TRIES
92 P. SABATIER

pour le moment d’avoir constaté que rien, de prime abord,
n’est de nature à la faire suspecter (1).

L'essentiel des faits racontés dans les pages qui prècè-
dent est confirmé par sainte Claire elle-méme: elle dit dans
son testament (2):

(1) Il y a cependant une mention dont la presence mettra en éveil les spécia-
listes de la critique des bulles: c'est celle de Salutem et apostolicam benedictionem
Normalement l'adresse des priviléges solennels se termine par In perpetuum. Mais
on à la preuve que la formule Salutem etc. a pu étre ajoutée parinadvertance ou
exces de zéle des copistes à des diplómes parfaitement authentiques, dans la repro-
duction par Sbaralea du privilége Religiosam vitam du 22 nov. 1229, pour S. Maria
de Cuti à Todi (Bull. I, p. 52). L'éditeur, empruntant son texte aux registres de Gré-
goire IX, III année, cliap. 114, a intercalé cette formule, qu'il n'y a pas trouvée.
Cf. Auvray n. 400. De méme pour un autre privilége Religiosa vitam de méme
date, pour Lucques, Bull. I p. 53 Cf Auvray 391; pour le privilége de S. Paul de
Spoléte, ib. p. 57 Cf. Auvray n. 401 etc.

(2) La citation suivante est empruntée à Wadding. Annales Minorum, 1253 n. 5
(t. lI, p. 299-302 de l' éd. de Rome, 1731 ss. V. p. 301) qui est encore aujourd' hui la
meilleure source pour ce texte, et d'oü dérive celui qui a été donné par les Bol-
landistes A. SS. Aug. t. III, p. 747 s; De Gubernatis, Orbis:Seraphicus, t. IT, p 614-616;
et enfin [P. Hilaire de Paris] Seraphicae Legislationis Textus Originales, Quaracchi,
1897, p. 273-280. On peut pourtant, cà et là, corriger le texte de Wadding, gràce à
la traduction de ce document insérée par Marc de Lisbonne dans ses Croniche de-
gli ordini instituiti dal P. S. Francesco, t. I, lib. VIII cap. XXXV (p. 213 ss. de la
seconde partie du vol. I, de l'éd. de Venise, 1585) (p. 202 ss. de la seconde partie du
. vol. I, de l'éd. de Venise, 1599). Il y est précédé de l'indication: Come S. Chiara
| fece testamento, si come si trova scritto nel memoriale antico. Il n'est pas possible
de trouver dans Wadding une indication nette et précise sur l'origine de son do-
cument. Il l'introduit par les lignes: Eumdem autem [Franciscum] imitata [Clara]
magistrum ultimas suae voluntatis tabulas reliquit et paupertatis hereditatem eo-
dem modo quo Franciscus legaverat, universis sectatricibus piis et candidis his
verbis ex Memoriali antiquo-M. S. excerptis, devote reliquit. On est donc tenté de
penser que Mare de Lisbonne et Wadding dépendent l'un et l'autre d'une source
unique; mais comme, en marge du testament, dans Wadding, on lit; Marian. cit.
cap. 21 Marc. citat., il est possible aussi qu'il ait emprunté son texte à Mariano
. de Florence et que l'idée de parler d'un Memoriale Antiquum lui ait été suggérée
par les lignes de Marc de Lisbonne, citées plus haut. La publication des oeuvres
inédites de Mariano qui ne saurait plus beaucoup tarder, fera, il faut l'espérer, la
lumiére sur cette question.

Le Ms. Strozzi, XXXVIII, 135, de la Bibliothéque Nationale de Florence, déjà
signalé dans le Bollettino della Società Umbra di Storia Patria, t. I (1895) p. 417-420,
contient une biographie de sainte Claire dont le chap. XXXVI, f, 113-120, offre la
version italienne de son testament, mais sans que la provenance de l'original latin
soit indiquée.

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"=
2 Eat |

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A QUELLE ÉPOQUE SAINTE CLAIRE D'ASSISE, ECC. 93

Considerans igitur, ego Clara, Christi et sororum Pauperum. mo-
nasterii Sancti Damiani ancilla, licet indigna, et plantula sanct? patris,

cum aliis meis sororibus, altissimam professionem nostram et tanti pa-

tris mandatum, fragilitatem quoque aliarum quam timebamus in nobis
post obitum sancti patris mostri Francisci, qui erat columna nostra,
unica consolatio post Deum et firmamentum, iterum. atque iterum vo-
luntarie mos obligavimus dominae mostrae sanctissimae paupertati, ne
post mortem meam, sorores quae sunt et venturae sunt ab ipsa valeant
ullatenus declinare. Et sicut ego studiosa et sollicita semper, fui sanctam
paupertatem quam. Domino et patri nostro sancto Francisco promisimus
observare et ab aliis facere observari (1). [così siano obbligate le sorelle
che a me succederanno in quest’ officio ad osservarla e di farla osser-
vare (a) (2) le sorelle] Immo etiam ad «majorem cautelam sollicita fui a
domino papa Innocentio, sub cujus tempore coepimus, et ab aliis succes-
soribus suis, nostram. professionem sanctissimae paupertatis quam et pa-
tri nostro promisimus, eorum privilegiis facere corroborari, ne aliquo tem-

pore ab ipsa ullatenus declinaremus.

Dans ce passage sainte Claire rappelle donc de la ma-
niére la plus solennelle à toutes celles qui lui succéderont
dans la direction des Pauvres soeurs que, dés la fondation
de son ordre, elle eut soin de faire approuver la profession
de la très haute pauvreté par le pape Innocent III et par
les divers pontifes qui lui ont succédé; elle eut la prudence
et la précaution de se faire délivrer à cet égard les privi-
léges nécessaires, de facon à ce que cette profession ne püt
rien perdre de sa vigueur et de sa validité canonique (cor-
roborari).

Voilà qui va peut-étre étonner les personnes qui n'ont

(1) Comme l'a remarqué le P. Hilaire de Paris O. M., dans l'ouvrage cité dans
la note précédente (p. 283 n. 8, le texte latin présente ici une lacune manifeste.
Il aurait pu ajouter qu'elle a été amenée, comme cela arrive si souv ent, par une ré-
pétition de mots identiques, qui trompe le copiste. Cette fois, c'est la répétition des
mots facere observari. Lu traduction de Marc de Lisbonne permet de combler le
vide d'une facon satisfaisante.

Dans le Ms. Strozzi, XXXVIII, 9, 135, indiqué plus haut, ces lignes ont la te-
neur suivante (116 b): così sieno tenute per insino alla morte, quelle lequale a. me
succederanno nelvoffitio di osservare e fare osservare con l’aiutorio del Signiore la
santa poverta all’altre suore. t
(2) L' éd. de 1585 n'a pas a qui est ajouté dans celle de 1599.

P EPEONIIENT y an UINI

a ida ont diede B e

AE
de A

94. P. SABATIER

pas. de l'histoire des ordres religieux une connaissance do-
cumentaire. La bulle donnée un peu plus haut, penseront-

elles, n'étaitelle donc pas un privilége solennel, précédé de

la formule 7n perpetuum, destinée à en assurer la validité

jusqu'à la fin des siécles? Ce qu'on peut répondre, c'est que

la théorie juridique et canonique.s'écarte probablement ici
de l' humble réalité. Ce qui est sür, c'est qu'en pratique ces
priviléges solennels qui coütaient à ceux qui les obtenaient
tant de démarches. de dépenses et d'efforts, malgré la si-
gnature du pape et des cardinaux et les chátiments terri-
bles réservés à leurs contempteurs et les perspectives de
récompenses éternelles ouvertes à ceux qui les respecteraient,
ces priviléges n'avaient qu'une valeur éphémère : au début
de chaque pontificat il était de simple prudence de les faire
renouveler (1).

(1) Voici quelques exemples: Le monastére de Penne (Abruzzes) avait obtenu
le 9 nov. 1252 d'Innocent IV, le privilége solennel Religiosam vitam (Sbaralea,
Bull. I, p. 637). Trois ans plus tard, dés la. prem/ére année du pontificat...d' Alexan-
dre IV, il fait renouveler son titre dans des termes identiques. Le privilége du mo-
nastére S. Francois de Todi, accordé par Innocent IV, lc 13 avril 1253, est renou-
velé. textuellement par Alexandre: IV, le-16 juin 1258 (Sbaralea I, c. t. I, p, 655; t. II,
p.293). Le privilége Is qui ecclesiam, otroyé le 22 avril 1230 par "Grégoire IX à la
basilique d'Assise, est renouvelé, le 6 mars 1245, par Innocent IV, et le 15 avril 1266,
par.Clément IV (Sbaralea 1.:c.;t..I, p. 60 et 355; t. III, p. 77). Le 29 juillet 1219 le car-
dinal Hugolin accorda aux religieuses de Monteluce un privilége perpétuel qui fut
confirmé par Honorius III le 19 sept. 1222 [Il faut corriger la date donnée par Sba-
ralea t. I; p. 15 et llre XIH au lieu de VIII Kal. oct., d'aprés le R. P; Antonio Fan-
tozzi, O. M. (Arch. Fr. Hist. IX (1916) p. 243, n. 1] et renouvelé par le. méme Hugo-
lin, devenu le pape Grégoire IX, dans la bulle Religiosam vitam du 4 nov. 1229,
trouvée à la Bibliothéque Municipale de. Pérouse, et signalée par le méme religieux
dans;la note. précitée, Il est sans doute inutile de multiplier, ces exemples. On était

, Si persuadé que les faveurs apostoliques perdaient leur valeur parla. mort du.pon-

tife qui les avait accordées qu'on faisait. renouveler les indults, mé*me pour des cas
qui paraissent à peine croyables; dés le. début du pontificat d'Alexandre IV, on

.voit un marquis d'Este demander confirmation des dispenses de mariage: qui lui

avaient été accordées par Innocent IV (Bulle Cum sicut du 7 février 1255, Sbaralea,
t. II, p. 16. pe EM TORUM. i ? Si

A.propos: des lettres ;apostoliques, me. sera-t-il permis de soumettre une hypo-
thése aux critiques qui auront l'occasion de s'occuper d'elles et.d'éclaircir une foule
de détails qui n'ont.pas encore été mis complétement en lumiére? 1. semble que
pour les priviléges solennels, qui sont de véritables titres de propriété, il n'ait exi-
A QUELLE ÉPOQUE SAINTE CLAIRE D'ASSISE, ECC. 95

Cela fait comprendre aisément l' insistance avec la-
quelle sainte Claire affirme qu'elle ne laissa pas périmer
son précieux parchemin; elle avait compris, dés l'abord, que
pour vivre dans là pauvreté absolue, il fallait non seulement

sté, en dehors des minutes et.des:registres, qu'une seule;expédition'sótennelle.avec
les souscriptions du pape et des cardinaux; il suffisait que la maison intéressée eüt.
cet exemplaire dans son trésor; mais quand, au lieu de faveurs pour une maison, il
s'agit de. concessions aecordées aux membres.,d'un ordre, le nombre des-expédi-
tions se multipliait selon les besoins. C'est ainsi que dans les Archives du Sacro
Convento d'Assise, par exemple, on trouve pour certaines bulles, deux et méme
trois. expéditions.identiques: ee sont donc.les restes d'un approvisionnement, consti-
tué là à l’ intention des.fréres qui partaient en mission. Le Privilége de la pauvreté
ne peut guére étre considéré comme un privilége local. Sainte Claire l'avait obtenu
non s ulement pour elle‘et.ses soeurs de. S. Damien, mais aussi. pour celles qu'elle
enverrait dans les ;cités du voisinage, où des groupes de.jeunes filles voulaient;aussi
se consacrer à la vie pauvre. L'expédition solennelle de l'acte dut donc rester à
S. Damien, mais n’ est-il pas vraisemblable que pour les soeurs qui allaient essai-
mer;.il y eut des bulles.analogues, mals. données i» forma communi? C'était à la
fois leur régle et leur passeport ecclésiastique. i
Un fait qui parait favarable à cette hypothése, c'est ce qui s'est passe pour l’or-
dre des Dominicains::»le 22: déc. 1216 Honorius III Je confirma : par un; privilége: so-
lennel, mais à cóte de ce document d'apparat, il reste. aussi une bulle. Nos atten-
dentes, de forme commune, qui en quatre ou cinq lignes résume le grand privi-
lége (V. Balme et Lelaidier, Cartulaire de saint Domlnique t. I1, p. 71-88 ou Brémond,
Bull. :ord. Praedicatorum, t..I, p. 2. et 4). Le seul: exemplaire; original qui soiticonnu
aujourd' hui du Privilége de la, pauvreté, est.la bulle. Sicut unifestum;est de Gré-
goire IX, du 17 sept. 1228, qui n'a pas les caractéres d' un privilége solennel. comme
on le verra plus loin. N'est-ce pas aussi pour des raisons d'économie que les lettres.

Prudentibus virginibus délivrées: d'abord par le cardinal Hugolin aux monastéres de :

Monticelli à Florence.:(27.juillet-1219) de Pérouse et Sienne (29 juillet)..de -ELucques
(30 juillet) avec les formules. des priviléges solennels..furent.confirmées par Hono-
rius III (Sbaralea,. I, .p. 3-15). dans les bulles Sacrosancta: Romana, 9 dic. 1219; 24 se
pt. 1222: 19 sept. 12:2; 19 sept. 1222, rédigées sous forme non solennelle ?

Le langage courant avec ses expressions imprécises est cause de plus d'une
erreur regrettable en ce-qui concerne les lettres apostoliques. On est obligé de par-
ler le langage de son temps et de son pays et pourtant: des expressions telles que:
«.Le.Privilége de.la pauvrete, » «.la. bulle de canonisation,de saint \Francois » im-

pliquent une erreur, car elles suggérent l'idée qu'il ne peut exister qu'un seul.

texte authentique de ces lettres.

Or, les bulles Mira circa nos, du 19 juillet 1228, et Sicut phialae aureae, du len-
demain, sont deux bulles qui ont le màme objet: annoncer au mo: de catholique la
canonisation de saint Francois. Elles ne différent que par leur longueur, et de cha-
cune d'elles on connait un certain nombre d'exemplaires, portant des dates. diffé-
rentes: Il n'y a que des raisons d’ économie qui puissent, expliquer l'existence pa-
ràlléle de ces deux bulles, l'une et l'autre d'une inattaquable authenticité.

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‘96 P. SABATIER

une volonté personnelle inébranlable, mais aussi l'appui ef-
ficace du 5S. Siége.

Dans.les études hagiographiques, plus qu'ailleurs peut-
étre, la coincidence des témoignages, quand elle est indirecte
et involontaire a une force probante qu'on ne saurait atten-
dre de documents dont le but avéré “est de se préter un
mutuel concours. La légende de Claire confirme de cette
facon quelques-unes des indications fournies par le passage
cité de. son testament. Elle raconte que la sainte, maladive
depuis vingt-huit ans, vit son état empirer beaucoup, lorsque
Innocent IV était encore à Lyon. Il s'agit donc d'une date
antérieure au 17 avril 1251, jour où le pape quitta cette ville
pour rentrer en Italie. Les soeurs de Saint Damien, trés al-
larmées, tout d'abord, par l'état de leur abbesse, furent bien-
tót rassurées par la vision d'une Bénédictine de Saint Paul:
il avait été révélé à celle-ci que Claire ne quitterait pas ce
monde avant larrivée du Seigneur et de ses disciples.

Et ecce, post modicum tempus, pervenit curia romana Perusium.
Audito vero ejus infirmitatis augmento, properat de Perusio dominus O-
stiensis invisere sponsam. Christi, cujus fuerat officio pater, cura nutri-
tius, affectu purissimo semper devotus amicus. Pascit ivfirmam Domini
Corporis sacramento, pascit et reliquas salutaris exhortatione sermonis,
Supplicat illa tantum patri cum lacrymis ut suam et aliarum domina-
rum familias pro Chisti nomine habeat commendatas. Verum illud super
omnia rogat ut privilegium paupertàtis a domino papa et cardinalibus
Sibi impetret confirmari: quod fidelis ille religionis adjutor sicut verbo
promisit, sic opere adimplevit.

Revoluto anno dominus papa cum cardinalibus de Perusio transivit
Assisium ut de transitu Sanctae praeostensa visio sortiretur effectum (1).

(4) Leg. S. Clarae 39 s. (46 s.) éd. Pennacchi p. 54 ss. La lecon familias des mà-
nuscrits de Paris parait dévolr étre préfériée à celle des famulas du Ms. d'Assise.

ET
cw,

ee

A QUELLE ÉPOQUE SAINTE CLAIRE D'ASSISE, ECC. ^' 91
,

Ce passage est d'une clarté parfaite, si on se borne à
lui demander ce qu'il contient, sans le violenter pour lui
faire dire autre chose que ce qu'il dit. Il suffit de le rap-
procher des données précises que nous avons, par ailleurs
sur l'itinéraire d'Innocent IV: le pontife arriva à Pérouse
le 5 novembre 1251; c'est donc trés vite aprés cette date
que le cardinal Raynald, évéque d'Ostie, se rendit à Assise
aupres de sainte Claire (1). Celle-ci se recommande à lui,
lui recommande ses soeurs, et le supplie par-dessus tout d'ob-
tenir du pape et des cardinaux la confirmation du Privilége
de la pauvreté.

En tout cela, il n'y a pas l'ombre d'une difficulté; et,
sans de bonnes raisons, on n’ a pas le droit, que divers cri-
tiques se sont'octroyé, d'attribuer à l'auteur une confusion
entre le Privilége de ia pauvreté et la régle (2). Une régle
n'est pas un priviléze, et ce qui a été dit plus haut, de la
souscription des cardinaux au bas des priviléges, montre
pourquoi la pauvre malade suppliait l'évéque d'Ostie d'inter-

(1) IE put méme s'y rendre avant, car il n'avait pas quitté l'Italie avec les
autres cardinaux. Il était à Pérouse dés le 27 juin 1250 ou 1251, date à laquelle il
communiqua aux monastéres placés sous sa juridiction la bulle Inter personas du
6 juin 12:0 (V. Flaminio Annibali de Latera Suppl. ad Buil. Ord. Min. p. 23 n. 4 où
on trouve la lettre missive du cardinal en note à la bulle) dont in sera question
plus loin. ;

(2) La confusion est fort ancienne: on la trouve préparée, ou à moitié: faite,
dans Marc de Lisbonne, Croniche, prima parte, lib. VIIl, cap. 23 (p. 211 de la 2 par
tie du I vol éd. 1585): Sopra tutte le cose lo pregò che egli ottenesse dal Papa e dal
collegio de Cardinali un privilegio di confirmatione della santa povertà.. e a sua
instanza Papa Innocentio confirmò la sua regola, che gli fece il Padre S. Fran-
Cesco. $

Dans Wadding Ann. 1252, 19 (III, p. 287) la méprise est consommée: Commen-
davit illa Protectort optimo sui Instituti familiam rogavitque ut traditam sibi re-
gulam a sancto Francisco, quae terrenas quasque interdicebat possessiones faceret
per Pontificem ct Cardinales confirmari. Y

Depuis lors, le point de vue de Wadding a été adopté par presque tous les
historiens, V. par ex. D. Ed. Lempp, Die Anfànge des Clarissenordens, Zeitschrift
für Kirchengeschichte, t. XIII, p. 181-245 (1892) V. p. 182 ss..; 231. Il y a une circon-
stance trés atténuante à la décharge de ceux qui ont fait la confusion, c'est que
le Privilége de la pauvreté constituait la base de la profession des soeurs de Saint
Damien.

« Vw
tionem te: M

, [ Lite n POM x
Wai eee 9l inde n E eir en mnn rnit
98 I P. SABATIER

venir auprés de ses collégues. Or, les cardinaux n'apposaient E
jamais leur souscription au bas de la confirmation d'une ré- |
gle. Il est évident que quelques-uns d'entre eux pouvaient
étre consultés par le pape à cette occasion; mais ce qui est
sür, c'est que l'approbation d'une régle n'amenait pas, comme
pour beaucoup d'autres actes pontificaux, arrétés aprés une
consultation du Sacré Collège, l'insertion dans les bulles de
la formule rituelle de fratrum nostrorum consilio (1).

Sainte Claire, malade, alla d'abord au plus pressé. Elle
songeait bien, sans doute, à demander l' approbation de sa
regle, mais la confirmation du Privilége de la pauvreté n'é-
tait-elle pas plus essentielle encore? Et puis on pouvait plus
difficilement lui refuser ce que les pontifes précédents lui
avaient déjà accordé.

Il est vrai que, normalement, les démarches auraient
dü étre faites au début du pontificat, mais Innocent IV, élu
le 25 juin 1243, avait quitté Rome dés le 7 juin de l'an- a
née suivante pour aller s'installer à Lyon avec la curie. La
majorité des monastéres italiens de Clarisses furent obligés pu
d'attendre son retour pour. solliciter le renouvellement de
leurs priviléges (2). Pour Claire, aux difficultés de la distance
matérielle s'ajoutaient des obstacles d'ordre spirituel. Com-
ment ne se seraitelle pas sentie pleine d'appréhension, à la
pensée de demander la confirmation du Privilége de la pau-
vreté à un pontife qui l'avait profondément contristée, en Ì
élaborant une régle nouvelle, si éloignée de l'esprit franci-

(1) V. par ex. Auvray, Registres de Grégoire IX, 3281; 5190; 5240; 5203; 5888;
5920 s.; 5978: 5985; 6007, 6083 etc. Sbaralea, Bull. I, p. 283 343; 371; 428; 452; 616 etc.

(2) Si on se base sur Sbaralea, on trouve sept priviléges solennels délivrés à
Lyon pour les Clarisses, au cours d'une période de plus de six ans (29 nov. 1244, 19
avril 1251): ceux de Norcia, Salamanque, Alexandrie, Ciudad Rodrigo, Offida, Sara:
gosse, Venise. Par contre, on en trouve six délivrés pendant le séjour de la curie »
à Pérouse, échelonnés sur une periode.de moins de dix-huit mois (5 nov. 1251 - 27
avril 1252): ceux de Bologne, Spoléte, Nocera, Monteluce, Penne, Todi. Cette énumé-
ration suffit à montrer que la plupart des monastéres de l' Italie centrale n'avaient
pas pu trouver les intermédiaires indispensables pour s'occuper du soin de leurs
affaires, pendant la période où le souverain pontife se trouvait au-delà des Alpes.
eg

A QUELLE ÉPOQUE SAINTE CLAIRE D'ASSISE, ECC. a

scain que presque tous les monastéres s'étaient organisés
pour lui résister (1) A la fin de 1251, tous ces obstacles
avaient disparu: d'une part, Innocent IV était à Pérouse,
c'est à dire à trois ou quatre heures de chemin d'Assise; il
occupait probablement en cette ville, le palais où son glo-
rieux prédécesseur — celui dont il avait voulu prendre le
nom — avait rédigé et proclamé le Privilége de la pauvreté.
Pour des àmes exaltées, les plus petites coincidences-devien-
nent des signes providentiels. Et puis, si le pape avait jadis
commis l'erreur de vouloir imposer à tout l'ordre une régle
qui eüt été le renoncement à l'idéal de la pauvreté, ne l'a-
vait-il pas expiée par l'échec éclatant qu'elle avait subie (2)?
N'avaitil pas eu le mérite, bien rare, de reconnaitre sa faute
et de commencer a la réparer, puisqu'il avait déclaré de la
facon la plus catégorique, par la bulle Inter personas (3),
du'aucune soeur ne devait étre contrainte à observer sa
nouvelle régle?

L'optimisme n'est qu'un des aspects de la foi. On peut
s'imaginer les pensées et les espoirs qui venaient exalter
la malade de Saint Damien. Aprés sa vie de lutte incessante,
elle apercevait l'aurore du triomphe, de ce qui, pour elle,
était la victoire de Dieu (4).

(1) Il s'agit de la refonte de la régle du cardinal Hugolin par le pape Innocent
IV dans la bulle Cum omnis du 6 aoüt 1247. Cf. Quoties a nobis du 23 aoüt 1247 (V.
Sbaralea, Bull. t. I, p. 476 et 488). Sainte Claire n'avait eu évidemment aucune peine,
dés les débuts du pontificat, à comprendre le peu de bienveillance qu'avait Inno-
cent IV pour les vues des zélateurs de la pauvreté.

(2) Cet échec est maintenant constaté par tous les critiques franciscanisants.
Le P. Germain Delorme (Ferdinand Marie d'Araules) parle de son « insuccés fabu-
leux », France Franciscaine, t. III, p. 30 n. 2 Cf. Livarius Oliger O. M. De origine
regularum ordinis sanctae Clarae, p. 48 s.; M. Beaufreton, Sainte Claire, p. 182 ss..

(3) Du 6 juin 1250. Elle a été publiée en 1780 par le P. Flaminio Annibali de.
Latera, Supplementum ad Bull. ord. Min. p. 22.

(4) Le fait que par sa lettre Quia vos, du 16 sept. 1252 (insérée comme préam--
bule à la bulle Solet annuere du 9 aoüt 1253) le cardinal Raynald confirma la régle:
de sainte Claire, et que le pape, le 9 aoüt 1253, approuva cette confirmation, ne-
s'oppose en aucune maniére à ce que, peu de s:maines avant la premiére de ces
dates, ait été obtenu le renouvellement du Privilége de la pauvreté. Il suffit d'avoir-

1 = * A dE. M
df VAI — el ari nie iri o tnr droit

2 i de dh
» * 3 ; ,
ALS IO omen dedii eio B e

n
3

V ow
A T

Ads. 100 P. SABATIER

Le renouvellement du Privilége de la pauvreté, après
la bulle Inter personas ne dut pas soulever trop de difficul-
tés, et ce premier succès encouragea sans doute sainte
Claire à aller jusqu'au bout de ses revendications, et à ré-
clamer pour sa régle une approbation analogue à celle que
saint Frangois avait obtenue pour celle des fréres. Le temps
qui s'écoula entre l'acte du cardinal et son homologation
par Innocent IV montre pourtant que la lutte fut assez
vive (1).

Du passage de la légende que nous venons d'examiner
il ressort donc que Thomas de Celano y confirme l'indica-
tion donnée par sainte Claire, sur les efforts qu'elle fit pour
se faire renouveler le Privilége de la pauvreté par les di-
vers pontifes qui se succédéèrent sur la chaire de saint Pierre.
De plus la mention qui y est faite des cardinaux implique

feuilleté avec un peu d'attention la collection des bulles, pour savoir qu'on les
trouve par paquets, s'il est pemmis d'employer cette expression. Il arrive méme que
plusieurs sont adressées le méme jour au méme destinataire V. par ex. la série de
bulles adressées à Agnés de Prague en avril et mai 1238, ou celles qui, en octobre
et novembre 1246, concernent fr. Loup, evéque du Maroc. ;

Un fait qui, à lui seul, constituerait presque la preuve des vues qui précé-
dent, sur le renouvellement du Privilége de la pauvreté aux soeurs de Saint Da-
mien par Innocent 1V, en 1252 ou au commencement de 1253, c'est que cette méme
faveur aurait été accordée au Monastére de Monticelli (Florence) avant le mois de
juin 1253. Le succés de sainte Claire avait encouragé les autres zelatrices de la pau-
vreté à suivre son exemple. Tout cela s'explique et s'enchaine fort bien.

Cet important renseignement est emprunté à une notice du P. Zeffirino Lazzeri
O. M. Arch. Fr. Hist. t. VIII, p. 310-312 (1915): ce docte religieux se propose de pu-
blier le cartulaire des documents de Monticelli. Son point de vue est base sur la
bulle Licet generalis dont il a découvert une transcription par Carlo Strozzi à la
Nationale de Florence, ancien Strozziano XXV 594; aujourd'hui II, IV, 379 p. 428.
Ce document y est daté du XI non. junii. Il saute aux yeux que cette date provient
d'un lapsus de Strozzi, puisqu'en juin il n'y a que quatre jours qui puissent étre
datés des nones (2-5 juin). Si le chiffre XI est exact, le lapsus retomberait sur le
mot nonas qu'il faudrait remplacer par Kalendas; et. en ce cas, la date serait 92
mai 1253. Mais l'écart de ces dates n'a aucune importance, et le texte de la bulle
garde toute sa signification historique.

(1) L'approbation par le pape de la lettre d'un cardinal pouvait étre donnée
bien plus rapidement. Par exemple, le privilége Prudentibus virginibus, accordé
par Hugolin (comme Raynald, évéque d'Ostie), aux soeurs de Monticelli, le 27 juil-
let 1219, à Pérouse, fut confirmé à Viterbe, le 9 déc. de la méme année.

- "= "n Sn

È
A QUELLE ÉPOQUE SAINTE CLAIRE D'ASSISE, ECC. 101

de la facon la plus évidente qu'aux yeux du biographe, il
s'agissait d'un privilége dans le sens le plus étroit du mot,
c'est à dire d'un privilége consistorial, accordé dans les for-
mes les plus solennelles, et revétu de la signature des mem-
bres du sacré collége.

Tous les documents discutés jusqu'ici dans cette étude
étaient connus avant le XVIII* siécle. En 1759, le- P. Sba-
ralea, dans le premier volume de son Bullarium Francisca-
num, inséra deux fois le Privilége de la pauvreté qui avait
été accordé par Grégoire IX, d'abord aux soeurs de S. Da-
mien, le 17 sept. 1228 (1) puis à celles du Monastére de
Monteluce, à Pérouse, le 16 juin 1229 (2).

Voici le texte du premier de ces documents, d'apres la
phototypie de l'original conservé dans le monastére de Santa
Chiara, à Assise (3).

(1) Sbaralea. Bull. t. I, p. 771.

(2) Ibid. p. 50. Le rapprochement de ces deux dates, donne un exemple frap-
pant du phénoméne indiqué plus haut: l'obtention du Privilége de la pauvreté par
les soeurs de S. Damien en amenait d'autres à le réclamer pour elles aussi.

Par la bulle Pia credulitate du 15 avril 1238 (Ibid. p. 236), Grégoire IX accorda
en termes différents la méme faveur à Agnés de Prague.

(3) La phototypie a été executée par la maison Danesi de Rome, et se trouve

à la p. 2 d'un album de 30 cent. sur 40, et de 7 folios, sur la couverture duquel on
lit: Pii papae II bulla originalis (cum. plumbeo sigillo) Etsi ex suscepti 15 Kal.
‘nov. 1458 de regula sanctae Clarae et constitutionibus S. Coletae (Ex Ambianensi
S. Clarae monasterio). Gregorii papae IX bulla originalis (cum plumbeo sigillo) Sicut
manifestum est 15 kal. oct. 1228, de paupertatis privilegio S. Clarae concesso. (Ex
Assisiensi S. Clarae monasterio).

Jignore si ce recueil a été mis dans le commerce. Je tiens l'exemplaire que
j'ai sous les yeux de la T. R. M. Marie Angéle du S. Coeur, abbesse des Pauvres
Clarisses de Lyon (| 15 janv. 1903), qui pendant de longues années fut l’àme des
recherches faites pour amener la découverte et la publication des monuments pri-

mitifs de l' histoire de la fondatrice de son ordre. L'original mesure 32 cent. de

hauteur sur 35 de largeur. Il est en parfait état de conservation. La phototypie a
des dimensions un peu moindres, 225 millim. sur 253. Une autre reproduction (83
millim. sur 75) se trouve dans le charmant volume intitulé The Life of Saint Clare
ascribed to F. Thomas of Celano... translated and edited from the earliest Mss. by
F. Paschal Robinson, Philadelphie, 1910 in 12 de XLIV et 170 p. 14 illustrations.

^
P. SABATIER

Gregorius episcopus servus servorum Dei.
Dilectis in Christo filiabus Clarae ac aliis ancillis Christi E
in eeclesia Sancti Damiani episcopatus Assisii congregatis

Salutem et apostolicam benedictionem.

Sieut manifestum est, cupientes soli Domino dedicari, abdicastis

rerum temporalium appetitum, propter quod venditis omnibus et pau-
.peribus erogatis, nullas omnino possessiones habere proponitis, illius
vestigiis per omnia inhaerentes qui pro nobis factus est pauper, via,
veritas, atque vita.

Nee ab hujusmodi proposito vos rerum terret inopia, nam laeva 1
Sponsi caelestis est sub capite vestro ad sustentardum infirma corporis
vestri, quae legi mentis ordinata caritate stravistis. Denique qui pascit
aves caeli et lilia vestit agri vobis non deerit ad vietum pariter et ve-
stitum, donee seipsum vobis transiens in aeternitate ministret, cum sci-
licet ejus dextera vos felieius amplexabitur in suae plenitudine visionis.

Sieut igitur supplicastis, altissimae paupertatis propositum ve-
strum favore apostolieo roboramus, auctoritate vobis praesentium in-
dulgentes ut recipere possessiones a nullo compelli possitis. E"

Nulli ergo omnino hominum liceat hanc paginam nostrae conces-
sionis infringere, vel ei ausu temerario contraire. Si quis autem hoc
attemptare praesumpserit, indignationem omnipotentis Dei, et beatorum
Petri et Pauli Apostolorum ejus se noverit incursurum.

Datum Perusii, XV kalendas Octobris, Pontificatus nostri anno
secundo (17 sept. 1228).

Quelle était la tàche qui s'imposait au P. Sbaralea, s'il
voulait faire la critique de ce document? Il aurait pu, en
effet, ici, comme à son ordinaire, insérer les deux bulles à:
leur place chronologique, sans s'occuper de la question du
Privilége de la pauvreté en général.

Malheureusement il vivait à un moment où les contro-
verses entre Conventuels et Observants étaient trés vives,
et, sans qu'on puisse dire que ses travaux soient gàtés par
le parti pris, il faut bien constater que, quand il s'est ha-
sardé à faire de la critique, il a commis de grosses bé-

Midi men giant serrati
Ter

A QUELLE ÉPOQUE SAINTE CLAIRE D'ASSISE, ECC. 103

vues (1). Les préjugés de son ordre le rendaient, en principe,
trés indulgent pour les documents où les propriétés étaient
permises aux franciscains des premiers temps, extrémement
sévère, au contraire, pour ceux qui sont les témoins de la
stricte pauvreté.

La première constation à faire devant la bulle Sicut ma-
nifestum est du 17 sept. 1228, c'est qu'elle n'est pas un pri-
vilége. Elle n'a ni l'écriture spéciale de ces documents, ni les
formules préliminaires et finales qui leur étaient particulières.

En second lieu, si on la rapproche du document repro-
duit plus haut, d'aprés les Firmamenta de Paris 1512, on
s'apercoit que, sauf une clause trés bréve (2), en plus dans
les Firmamenta, il n'y a aucune différence essentielle entre
les deux textes: ils ne se distinguent que par le degré de
solennité extérieure. C'est un peu comme la différence qu'il
y à entre une messe basse et une messe chantée; dont là
valeur, au fond, est identique.

L'authenticité incontestable de la bulle. de Grégoire IX
prouve donc de facon absolue que le 5. Siege avait accordé
à sainte Claire l'autorisation de refuser toute propriété. Et
alors pourquoi cette faveur n'aurait-elle pas été déjà octroyée
‘ par Innocent III? Le P. Sbaralea allégue contre l'authenti-
cité du Privilége d'Innocent III trois arguments dont aucun
n'est décisif.

1l.^ Le document des Firmamenta n'a pas de date (3):
c'est exact et fort regrettable pour nous, mais l'éditeur du
Bullaire Franciscain, comme nous l'avons remarqué plus

. (1) Il donne par exemple (Bull. t. III, p. 71) la bulle Obtentu divini nominis du
12 février 1266, d' aprés le prétendu original qui se trouve encore dans les Archives
du Sacro Convento d'Assise. Or cet original est un faux éhonté. Sans doute il en a
parlé d'aprés une copie, mais comment s'est il fié à une copie, sans se soucier des
justes protestations des Observants? On trouvera une reproduction de ce document
dans un article que j' ai donné dans la Revue Historique t. 89 (1905): D'une bulle
apocryphe de Clément IV. :

(2) Et si qua mulier nollet aut non . posset hujusmodt propositum. observare,

vobiscum non habeat mansionem, sed ad locum alium transferatur. j
(3) Bull. t.-I, p. 50 n. e; p. 771 n. d.

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La 104 P. SABATIER -

^

haut, devait savoir que les Registres des papes contiennent
fréquemment des bulles sans datum (1) De plus, beaucoup
s'y terminent par la formule Datum ut supra. Parfois la sé-
rie des lettres portant cette indication est fort longue. La
course à reculons qu'on est invité à faire n'est pas toujours
facile, et il est fort naturel qu'un copiste ait simplement re-
produit cette mention. Que pouvait faire le compilateur des
Firmamenta s'il a eu un texte de ce genre sous les yeux,
sinon mettre Datum etc. (2)? Au surplus, un faussaire ne
s'arréte pas à moitié chemin; et quand il fabrique un docu-
ment, il se garde bien de ne pas le faire aussi complet et
aussi précis que possible. Enfin le P. Sbaralea a admis dans
son recueil un certain nombre de bulles auxquelles man-
que le Datum, sans qu'il ait songé à faire la moindre ré-
serve sur leur authenticité (3).

(1) V. plus haut p. 90. : :
(2) Cette marche à reculons n'est pas seulement difficile, elle a un autre dé.
faut plus grave, celui de ne pas présenter de sécurité scientifique: c'est ainsi que
les plus éminents savants spécialistes dans la connaissance des registres pontificaux
ont eté parfois induits en erreur. Voici par exemple le privilége solennel Zetígio-
sam vitam. (Sbaralea, Bull. t. I, p. 200) octroyé par Grégoire IX aux Clarisses du mo-
nastére de Vallezloria prés de Spello (Ombrie): il se termine dans les registres de
ce pape (chap. 170 de la 10° année) par la mention Datum ut supra. M. Lucien Au-
vray, voulant interpréter cette mention dans $a belle publication, n. 3253, est re-
monté à la prochaine bulle datée, le n. 3249, où il a trouvé: Dat. Interamnae VI
Kal. julii, anno decimo et il a daté la nouvelle bulle de Terni 26 juin 1230. Evidem-
ment cette date devrait étre la vraie, mais elle ne l'est pas, et comme l'avait déjà
noté Léopold Delisle, (Mémoire.... Innocent III, p. 13) Datum ut supra ne doit étre
accepté que sous bénéfice d'inventaire. Ce privilége est du 29 juillet 12936, comme
le prouve l'expédition originale, retrouvée par le P. Zeffirino Lazzeri, (Vallegloria,
p. 52) où on lit Datum Reate... IV Kal Aug... anno X. La méme correction de date
doit étre faite, me semble-t-il, au privilége solennel Religiosam vitam en faveur des
Clarisses du monastére S. M. inter Angelos (ou Angulos?) de Spoléte, Sbaralea,
Bull.t.I, p. 201; Auvray n. 3251. Cette mention Datum ut supra des registres a pu,
cependant n'étre pas erronee, car il est fort possible que le compilateur ait voulu
dire: « Méme Datum que pour la. précédente lettre de méme nature »; c'est à dire
que pour le privilége précédent et, sans aller bien loin, on arrive à la bulle Ret
giosam vitam en faveur des Clarisses de Crémone, datée en effet de Rieti 29 juillet
1236 (Auvray 3245). :
(3) V. par exemple les bulles Deus Pater, t. I, p. 37; Negotium quod (Ibid,
p. 37) qui dans les Registres de Grégoire IX ne portent pas de date (V. Auvray,
. n. 229), ef auraient dü, semble-t-il, le rendre trés circonspect dans l'émploi de l'ar-
gument de défaut de date, Cf. In ordinattone (Ibid. p. 502) etc.

Y
A QUELLE ÉPOQUE SAINTE CLAIRE D'ASSISE, ECC. 105.

Le second argument du P. Sbaralea contre l'authenticité.
du Privilége attribué à Innocent III, c'est la présence dans
ce document d'une phrase et de clauses finales développées,
qui ne sont pas dans la.bulle de Grégoire IX: « Habet post

- illa verba: A nullo compelli possitis. Et si qua mulier nollet

aut non posset hujusmodi propositum observare vobiscum
non habeat mansionem, sed ad locum alium transferatur. De-
cernimus ergo ut nulli omnino hominum liceat wes et ec-
clesiam vestram perturbare temere, seu quibuslibet vexa-
tionibus fatigare etc. usque ad illa inveniant. Amen. Datum
Unde censetur supposita et commentitia » (1).

Il y a là une double difficulté relevée par Sbaralea;
d'abord celle de la présence de la phrase Et si qua mulier ...
Si on en considére le sens, on trouvera sans doute que ce
qu'elle édicte est impliqué dans le reste de l'acte; c'est une
conséquence disciplinaire évidente: elle avait pu. étre de-
mandée par sainte Claire au début-de sa fondation pour lui
permettre d'éconduire une foule de postulantes dont la vo-
cation manquait de solidité (2), mais elle a pu disparaitre
sans que la bulle ait été substantiellement changée.

Par contre on ne comprendrait pas du tout pourquoi
lidée d'ajouter cette phrase. inoffensive serait venue à un
interpolateur.

(1) Ibid. p..50 n. e.

(2) Pour interpréter correctement ces lignes il faut avoir présent à l'esprit que
les monastéres de femmes au moyen áge étaient assaillis de vocations souvent for-
cées. Les familles nobles éxigeaient la réception de celles de leurs membres qui
génaient leurs desseins. Aussi une faveur souvent demandée à la curie était-elle
celle par laquelle le pape fixait le nombre des soeurs qu'un couvent ne de vait
pas dépasser. et au delà duquel il était interdit à qui que ce füt d'imposer par la

. force l'admission de nouvelles recrues.

Les maisons dont les ressources étaient trés limitées se défendaient en allé-
guant la modicité de leurs revenus. mais l'argument devenait inutilisable contre
certaines candidates qui apportaient largement de quoi subvenir à Ieur entretien.

Le succés méme du mouvement franciscain dut créer trés vite à Claire de
gros embarras de ce genre. Le privilége Sicut manifestum est devait y remédier; c'é-
tait tout à la fois la reconnaissance par le Saint Siége de la vie de pauvreté et l'au-
torisation de refuser les personnes dont il vient d'étre question.

Pai ,
plain a
coo See a Mr

is 106 P. SABATIER

La seconde partie de la remarque de Sbaralea concerne
les clauses finales. J'ai tenu à reproduire textuellement sa
note, car j'avoue avoir quelque peine à la comprendre: il

-me donne que le début et la fin de ces clauses, et en sup-

prime toute la partie centrale qu'il remplace par efc. Pour-
tant, cet efc. n'aurait de sens que s'il s'agissait d'une formule
courante et bien connue. Or, si l'on veut bien se reporter
au texte des Firmamenta (V. supra p. 89) on verra que ses
clauses finales, tout en ayant, à premiére vue, l'allure ha-
bituelle, dans cette partie, des priviléges de propriété, s'en
distinguent profondément. Sbaralea aurait-il lu distraitement
la piéce dont il parlait, et cru que le rédacteur du texte
des Firmamenta avait accroché au texte de l'indult permet-
tant à Claire de refuser toute possession, les clauses finales
des priviléges de propriété?

Cela décélerait, en effet, un grossier maquillage, mais
le texte n'est pas ce que Sbaralea semble avoir cru. Il suffit,
pour le constater, de comparer les clauses finales des privi-
leges de propriété, telles qu'on les trouve plus haut dans la
bulle Prudentibus virginibus du 6 mai 1201, avec celles du
Privilége de la pauvreté des Firmamenta, on verra que si
la marche des deux documents est fort analogue extérieure-
ment, dans ce dernier les changements opportuns ont été
faits avec une habileté, on pourrait méme dire une dextérité
parfaite (1).

(1) Tandis que le privilége pour les Bénédictines reproduit plus haut (p. 78 ss)
comme aussi ceux qui furent, sous les successeurs immédiats d' Innocent III,
donnés aux moniales franciscaines (V. par ex. Bulle Sacrosancta romana du 9 déc.
1219, Sbaralea, I, p. 3 ss.) portent: Nulli... liceot praefatum monasterium temere
perturbare, le privilége des Firmamenta porte: Nulli... liceat vos et ecclesiam ve-
stram perturbare temere. Cette différence d'expression est extremement précieuse
car elle fait remonter à une époque oü on ne pauvait pas encore parler de mona-
stéres pourles Pauvres soeurs. Ce fut un moment bien court dans l’ histoire de leur
institut, mais sur lequel, par un rare bonheur, nous avons un t-moignage d'une ex-
ceptionnelle valeur, celui de Jacques de Vitry, arrivé à Pérouse, le 16 juillet 1216 (V.
Collection d' Etudes et de Documents sur I histojre religieuse et littéraire du moyen
age, t. I p. 300), le document est une des bases essentielles de l'histoire des origines
franciscaines. Le futur cardinal raconte que durant son séjour à Pérouse il a trouvé,

RENTE IET
or

A QUELLE ÉPOQUE SAINTE CLAIRE D’ASSISE, ECC. 107

Le troisiéme et dernier argument de Sbaralea contre
lauthenticité de la piéce des Firmamenta est basé sur le

silence gardé par Grégoire IX dans la bulle du 17 sent. 1228

sur la faveur analogue concédée déjà par Innocent III, alors
que, d'apres lui, suivant les habitudes de la curie romaine,
il aurait dà en faire mention (1). :

En sa qualité de spécialiste des questions concernant
les bulles, l'illustre érudit aurait dü, et pu, semble-t-il, avoir
un jugement moins massif, et plus conforme à la réalité des
faits.

Il est exact que dans les priviléges solennels confir-
mant des propriétés, il était en quelque sorte de rite de
rappeler les priviléges antérieurs par la formule antecesso-
rum nostrorum bonae memoriae ... vestigiis inhaerentes auctori-
late apostolica. confirmamus ... ou quelque autre analogue, par
exemple: ad ecemplar felicis recordationis ... praedecessorum
nostrorum vomanorum pontificum ; mais la bulle du 17 sept.
1298 n'est pas un privilége solennel, et ce n'est pas non
plus une confirmation de propriété.

Dans les lettres pontificales ne concernant pas les pro-
priétés et données sous forme non solennelle, le rappel des
documents antérieurs est un fait exceptionnel. Il suffit d'ou-
vrir le recueil de Sbaralea lui-méme pour le constater. Par
exemple, la bulle quia populares tumultus du 4 mai 1221 re-

au milieu de beaucoup de tristesses et de désillusions, une consolation et un ré-
confort dans le splendide succés des fréres Mineurs, qui ont renoncé à tout. Aprés
avoir caractérisé l'activité des hommes de cette nouvelle famille religieuse, il passe
à celle des femmes, et dit: Mulieres vero juxta, civitates in diversis hospitiis simul
commorantur. Nihil accipiunt, sed de labore manitum vivunt. Valde autem turban-
tur quia a clericis et laicis plus quam vellent honorantur. Ainsi donc, Jacques de
Vitry n'emploie pas ici le terme qui serait tout naturellement venu sous sa plume,
si à cette époque les maisons des soeurs Mineures avaient réssemblé a des Mona-
stéres.

(1) Bull. I, p. 771 n. d. Quamvis entm S. Clara in suo Testamento prope mor-
tem condito asserat se suam paupertatis professionem a Domino Papa Innocentio
et ab aliis successoribus suis eorum privilegiis corroborari fecisse: tamen illud aut
diversum fuit, aut istud. editum interpolatum est; praesertim cum ‘in istis Grego-
rianis alterum Innocentii non enuncietur, utt solent Pontifices.
108 P. SABATIER

o

nouvelle, sans le mentionner le moins du monde, un docu-
ment de méme teneur du 3 déc. 1224 (1) Or le privilege
de l'autel portatif qui y est aecordé aux frères Mineurs est
un des plus importants pour l'histoire des origines de l'ordre.
La bulle Fratrum Minorum du 15 mai 1227 n'est qu'un re-
nouvellement de la lettre. de méme teneur, donnée déjà le
18 déc. 1223. Elle ne fait pourtant aucune allusion à -une
concession antérieure (2).

Si l'on désire d'autres exemples de cette absence de
toute allusion par le S. Siége à des bulles antérieures, au
moment méme oü il les répéte et les reproduit, on les trou-
vera groupés en grand nombre au début de chaque ponti-
ficat, au moment où les solliciteurs arrivaient en foule pour
se faire renouveler les faveurs du pape précédent (3).

Il était nécessaire d'exposer complétement la faiblesse:
de l'argumentation de Sbaralea: sa qualité de spécialiste
dans les questions de bulles ayant donné à ses vues sur le
Privilége de la pauvreté une sorte de consécration. Il m' a
semblé préférable de les prendre à leur source, plutót que

(1) Sbaralea, Bull: t. I, p. 27 et 20. Sbaralea donne à la premiére Quia popu-
lares la date suivante: Datum Reate III nonas Decembris pontificatus nostri anno
nono. Il y a là une erreur soit du scribe pontifical, soit du compilateur carle 3 déc.
1224 Honorlus III n'était'pas à Rieti.

(2) Sbaralea, Bull.t. I, p. 28 et 19. Les Archives du Sacro Convento, à Assise,
conservent les deux bulles originales (Recueil I, doc. 1 et 3; pour étre exact, il
faut noter que la seconde porte la date III° Idus Matt ... anno primo, c'est à dire
13 mai.1227, ce qui du reste ne changera rien à notre constatatio.

(3) Il en résulte qu'il est fort délicat de prétendre connaitre la date à laquelle
certaines décisions apostoliques ont été prises pour la premiére fois. La méme bulle
à été souvent tirée, si l'on me permet cette expression, un grand nombre de fois,
sans mentionner le numéro du tirage. Ce numéro est jusqu'à un certain point rem-
placé par la date, mais celle-ci ne permet pas de se faire une idée du nombre des
exemplaires qui ont disparu.

Il semble que quand un acte paraissait assez important pour que copie en füt
prise dans les registres pontificaux, nous devrions avoir dans la date de cet acte sur
les registres, l'époque précise à laquelle il a été dressé pour la premiére fois. Or,
méme en ce cas, il faut étre trés circonspect.

La bulle Pro zelo christianae fidei, par exemple. datée du 13 avril 1238 et portée
sur les registres à cette date (Auvray, 4400) avait été pourtant déjà donnée le 30
janvier de la méme année (Sbaralea, Bull., I, p. 236 et 231). -

or
—_

—G m

A QUELLE ÉPOQUE SAINTE CLAIRE D'ASSISE, ECC. 109

de les réfuter chez ceux des écrivains actuels qui les ont
adoptées. ;

Il fallait aussi traiter la question d'une facon compléte
et organique, toute erreur sur ce point devant se répercuter
sur l'ensemble de la vie de sainte Claire.

Le Dr. Edmond Wauer a ajouté quelques arguments
nouveaux à ceux que le P. Sbaralea avait opposés à l' au-

.thenticité du texte des Firmamenta. Le premier.serait dé-

cisif, s'il ne-reposait sur une erreur de fait: le voici tel que
l'a présenté le R. P. Livarius Oliger (1) qui parait le faire
sien,

« Apud Firmamentum trium Ordinum ... habetur quidem
textus Privilegii paupertatis sub nomine Innocentii tertii, qui
textus correspondet in omnibus bullae Gregorii IX, sed sine
anno, die et loco, quibus sit editus, et in fine quaedam ad-
duntur quae characterem ejus apocryphum demonstrant, quam-
vis quaedam ex bullis authenticis Gregorii desumpta sint,
ex eis scilicet Zeligiosam vitam incipientibus, privilegia et
possessiones Clarissarum confirmantibus, ut bene notavit
Wauer (2) ».

Il est bien évident que si les clauses, par lesquelles la
bulle des Firmamenta termine le Privilége de la pauvreté,
n'avaient été usitées à la curie qu'à partir de Grégoire IX,
cela prouverait que la pièce dont nous nous occupons ne
peut pas dater du pontificat d'Innocent IIL Mais rien, ab-
solument rien, ne force à les croire empruntées aux bulles
de Grégoire IX. Ces formules, si fréquemment employées
par la chancellerie de ce pape, avaient acquis leur forme
définitive sous Urbain II (1088-1099), et il suffit de parcourir

(1) Entstehung und Ausbreitung des Klarissenordens besonders in den deut-
schen Minoritenprovinzen, Leipzig, 1900, IV et 180 p. V. p. 3 et 4.

(2) Livarius Oliger, De origine regularum ordinis S. Clarae Arch. Fr. Hist.
t. V (1919) p. 191 s. (p. 11 s. du tirage à part). Le docte franciscain invite en note
ses lecteurs à se reporter par ex. aux priviléges du 22 nov. 1229 pour S. Maria de
Cuti à Todi, ou du 11 mai 1230 pour S. Maria de Ponte Praesajol, Sbaralea, Bull. I,
p. 92 s. et 02 ss. 3 :

Y REPNEIIES Y Har :
d rester ul iden diri, ee omnia

M NM 110 P. SABATIER

un Bullaire romain pour les retrouver sans cesse à partir

de ce pontife (1).
La constatation qui vient d'étre faite que les clauses de

la bulle attribuée à Innocent III par les Firmamenta étaient

depuis longtemps en usage, fait tomber aussi une autre con-
sidération du D." Wauer, qui n'est certes pas dénuée de
finesse: trouvant le texte des Firmamenta bien plus empha-
tique que celui du parchemin d'Assise, il dit: « Grégoire
n'était point ennemi de l'emphase; son diplóme aurait-il été
moins emphatique que celui qui lui servait de point de
départ? (2) ».

Les dispositions d'esprit et de tempérament de Gré-
goire IX ne sauraient se rechercher dans la manipulation
de formules consacrées par une tradition déjà plus que sé-
culaire. Entre les deux états du Privilèége de la pauvreté
que nous avons étudiés plus haut, il n'y a aucune différence
essentielle; les deux textes sont identiques au fond: ce qui
les sépare c'est un degré de solennité, et rien d'autre.

Ce degré de solennité plus grande se marque dés le
début par une formule de salutation spéciale qui est de rite
en ces cas-là, et qui compléte la salutation ordinaire, dans
laquelle elle s'intercale ... fam praesentibus quam futuris 1 regu-
larem vitam professis IN PERPETUUM. i

Il est bien vrai qu’un faussaire aurait pu ajouter ceci
ainsi que les clauses comminatoires; et je n'ignore pas qu'au
XIII siècle, on trouvait des spécialistes pour fabriquer des
documents faux. Mais, si le texte des Firmamenta a été fa-
briqué, il faudrait du moins reconnaitre quil l'a été avec
une singuliére habileté. Les clauses comminatoires qu'il offre,
bien loin d'avoir été empruntées massivement à un au-
tre document — serait-ce ce qu'elles ont d'original qui à

(1) On a pu les voir ici méme dans le privilége. Prudentibus. virginibus du 6.
mai 1201, V. p. 77 ss..

(2) Wauer, Entstehung, p. 4.
—E

ri

A QUELLE ÉPOQUE SAINTE CLAIRE D'ASSISE, ECC. 111

éveillé les soupgons de Sbaralea? — ont subi toutes les dé-
licates retouches nécessaires pour les mettre au point, et
leur. permettre de servir dans une circonstance si nouvelle -
et si inattendue. Ces menaces et ces bénédictions qui n'a-
valent depuis si longtemps protégé que des propriétés alla-
ient garantir un voeu de pauvreté absolu!

S'il n'avait pas été utile de suivre jusque dans ses dé-
tails l'argumentation du P. Sbaralea et de ceux qui ont adopté
ses vues, nous aurions pu nous borner à placer la bulle de
Grégoire IX en face de celle qui est attribuée à Innocent III.
L’authenticité de celle-ci est à prouver, tandis que l'authen-
ticité de celle de Grégoire IX est indiscutable. Mais en
examinant la question comme si elle n'avait jamais été étu-
diée, on est amené à penser que l'authenticité de la bulle
d’Innocent III est rendue certaine par l'authenticité de la
bulle de Grégoire IX. En effet, supposons que celle d'Inno-
cent III soit l'oeuvre d'un faussaire: ce faussaire a commis
son acte ou avant le 17 sept. 1228 date de la bulle de Gré-
goire IX, ou aprés. S'il l'a commis avant, on arrive à cette
conclusion que le pape Grégoire IX aurait copié un privi-
lége apocryphe! C'est une absurdité! Si on suppose que le
faussaire a commis son acte aprés, la conclusion n'est pas
moins claire: un faussaire a toujours quelque intérét quand
il forge des documents. Après 1228, comment l'idée aurait-
elle pu surgir de fabriquer un privilege sans valeur, attribué
à Innocent III, puisque pour les faveurs pontificales c'est
lindult du pontife régnant qui seul est pleinement efficace?
Quand on a en poche de bons titres, on ne perd pas de temps
à s'en créer de faux (1).

(1) La critique historique aitache le plus grand prix aux plus anciens exem-
plaires d'une charte. Pour les intéresses il en est autrement: c'est le dernier visa
qui compte surtout, celui qui établit qu'ils ne sont point périmés. C'est ainsi que,

AES asi aes

V d ete

LL

tel dire ie ro riy e enero e roms o. es P. SABATIER

Quoique la bulle de Grégoire IX ne fasse pas mention
explicitement d'actes antérieurs analogues, elle en témoigne
- pourtant implicitement, déjà dans l'adresse. Celle-ci est li-
bellée: Dilectis in Christo filiabus Clarae ac aliis ancillis Christi
‘in ecclesia Sancti Damiani episcopatus Assisii congregatis. Or,
dés Honorius III, les bulles en faveur des religieuses fran-
ciscaines portent des adresses bien plus précises, en ce qui
touche la qualité des destinataires. Le privilége de Monti-
celli (9 déc. 1219, Sbaralea, t. L, p. 8) est adressé Dilectis
in Christo: filiabus ... ABBATISSAE ET MONIALIBUS MONASTERII
S. Mariae ad Sanctum Sepulcrum de Monticello Florentinae dioe-
cesis, et ees formes restent eu vigueur durant de longues
années. Les six bulles concernant les Pauvres soeurs, insé-
rées dans le bullaire de Sbaralea, avant 1228 (1), s'adressent
à une abbesse (2) et à un monastére. On connait trop le
soin avec lequel la curie réglait les formules et les obser-
vait, pour qu'il ne soit pas évident que des changements
dans la rédaction des adresses correspondent à des change-
ments dans la situation des destinataires. -

D'oü vient donc que dans l'adresse du 17 sept. 1228,
Claire ne soit pas qualifiée d'abbesse, ni sa maison de mo-
nastére? Aurait-elle démérité, donné sa, démission? Non.
L'adresse, telle qu'elle est libellée ici, nous reporte à une
époque trés antérieure à 1228; à celle dont il a été question
plus haut, alors que, sous le pontificat d'Innocent III, Claire
n'avait pas encore accepté le titre d'abbesse, et oü sa maison

dans le Ms. 338 d'Assise, on a pris la peine de gratter, au f. 15 b. quelques lignes
du vénérable manuscrit, pour intercaler aprés la bulle d' Honorius III du 29 nov;
1223 approuvant la régle, les clauses finales du vidimus de Nicolas III (21 aoüt 1279).

‘L’absence méme de date, dans le Privilége de la pauvreté d' Innocent III, est
un argument d'authenticité : un faussaire ne s'arréte pas à moitié chemin, et se
garde bien d'oublier un élément essentiel pour donner bonne apparence à son oeu-
vre. Ceux pour lesquels il travaille, lui feraient tout de suite remarquer la lacune.

(1) V, Sbaralea, Bull. I, p. 10, 11; 185 32; 33.

(2) Je fais abstraction de la bulle Deus Pater (Sbaralea, loc, cit., p. 37) parce

qu'elle ne porte pas de date. 5
A QUELLE ÉPOQUE SAINTE CLAIRE D'ASSISE, ECC. 113

n'était pas un monastére, mais simplement une réunion de
femmes qui voulaient se vouer au service du Christ (1).
Mais comment se fait-il que la rédaction que nous fi-
xons, par hypothése, à 1216, soit encore usitée en 1228, pui-
sque, depuis une dizaine d'années, une autre était en usage?
L’explication est fort simple: il suffit de tenir compte: des
habitudes et de l'organisation des bureaux de la curie. où
s'établissaient les bulles. Un grand nombre de faveurs éta-
ient renouvelées sans aucune intervention du pape. Soit, par
exemple, l'indult de l'autel. portatif accordé à tous les fréres
Mineurs: seule la concession initiale, ou sa. confirmation au
début des pontificats suivants, a exigé une décision du pape.
La concession de faveurs de ce genre était signifiée au mi-
nistre général par une bulle (2). Ensuite, c'était à celui-ci,
par lintermédiaire d'un procurator (3) de se faire délivrer

(1) On peut rapprocher de l'adresse du Privilége de la pauvreté, celle de la
bulle Cum id du 29 mai 1233 (Sbaralea, Bull. I, p. 107): Dilectis in Christo filiabus
Mandulae fundatrici et sororibus Sanctae Mariae de Capite Campilongi Caesenaten .
dioecests.

(2) Dans certains dépóts d'archives, on rencontre des expéditions originales de
"bulles, sur le replé desquelles on lit le mot exemplar. Ne serait-ce pas là le ter-
me adopté par la chancellerie apostolique pour désigner précisément ces sortes
d'archétypes? Tout ce qui est dit ici sur le fonctionnement du dicastére pontifical
qui préparait les actes du S. Siége que nous englobons sous le nom de bulles,
est le résultat d'une longue étude personnelle et directe des originaux, dont on ne
peut songer à exposer ici les résultats. Ce sera l'objet d'un mémoire spécial.

(3 Léopold Delisle (Mémoire sur les Actes d'Innocent III, p. 32 s.) a mentionné
l'usage de noter au dos des actes le nom de la personne qui en poursuivait l'ex
pédition. Je suis heureux, à cette occasion, de signaler aux éruditsle nom du frére

' Mineur qui, en 1241, s'occupa, à ce titre, des affaires de son ordre, à la curie: on
lit « fr. Gabriel » au dos de quatre bulles dont l' expédition originale est encore
conservée sous les n. 33, 36, 37 et 38 du Recueil I des Archives du S. Convento
d'Assise. La premiére est Qui postposita du 27 avril 1241 ; la seconde et la troisiéme
sont deux exemplaires de Vobis erxtremam du 20 juin 1241, et la quatriéme Glorian-
tibus vobis du 19 juin 1241. Ce frére Gabriel est probablement celui qui est men-
tionné, au commencement de 1245, dans uue lettre d'Adam de Marisco (Monumenta
Franciscana, éd. Brewer, Londres 1858 t. I, p. 377 s.) comme vicarius ministri gene-
ralis in curia. Est-ce le méme fr. Gabriel de Crémone que Salimbene, alors à Lyon,
rencontra dans cette ville en 1247, et qui le renseigna sur les vins d'Auxerre (Ed.

. Holder Egger, p. 218) ? On ne saurait l'affirmer. D'aprés le P. Agostino di Stroncone
(Miscell. Franc. t. II, p. 124) il y aurait eu, avant 1253, un ministre provincial de

l'Ombrie du nom de Gabriel. ;

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Aceto P. SABATIER

par les fonctionnaires de la curie le nombre d’ exemplaires

qui lui étaient nécessaires pour les membres de son ordre (1).
L'obtention de ces exemplaires n'offrait aucune difficulté, il
suffisait de les payer; on évitait donc d'en faire faire un trop

grand nombre et on ne les demandait qu'au fur et à mesure

des: besoins.

A cóté de ces faveurs qui s'étendaient à de nombreux
bénéficiaires, il y en avait d'autres, purement. individuelles,
ou ne s'appliquant qu'à une communauté. On comprend fa-
cilement que tout indult, une fois qu'il avait été obtenu par
un individu ou par une maison, était immédiatement connu
et excitait d'autres individus ou d'autres communautés à en
demander d'analogues. Le renouvellement de faveurs de ce
genre aux premiers bénéficiaires, ou leur extension à d'au-
tres, ne se faisait naturellement pas tout à fait aussi vite
que dans le cas précédent. Ceux ou celles qui désiraient
les obtenir se présentaient au pape, soit en personne, soit
par un intermédiaire. Dans l'un et l'autre cas, le plus ex-
péditif était de se munir du document qui constituait le pré-
cédent invoqué; et, si la demande était agréée, la dite piéce
était munie, sur l'ordre de Sa Sainteté, par un des hauts
fonctionnaires du dicastère de l'expédition des lettres apo-
stoliques, de la mention Fiat ad instar, s'il ne s'agissait que
d'un exemplaire, ou Fiant ad instar, suivie d'un nombre en
chiffres romains, indiquant combien il en fallait dresser.
Cette indication, écrite en très petits caracteres, était suivie

d'une initiale, devenue souvent indéchiffrable par suite de

ses dimensions encore plus réduites. C'était le paraphe du
fonctionnaire chargé de donner l'ordre d'expédition.

Je donnerai ailleurs un certain nombre d'exemples de
ces mentions qui se trouvent, en général, dans la marge su-
périeure du document, et à gauche du lecteur. Elles ont

(1) C'est ponr cela que dans les Archives du Sacro Convento, on trouve encore.
pour certaines bulles, plusieurs exemplaires de l'expédition originale.
A QUELLE ÉPOQUE SAINTE CLAIRE D'ASSISE, ECC. 115

souvent presque disparu. Le Fiat ad instar et autres men-
tions du méme genre étaient donc un ordre, donné à ce que
nous appellerions aujourd'hui un rédacteur, de dresser un
acte analogue, pour la personne qui se présentait elle-méme,
ou au nom de laquelle un procurateur se présentait. S'agis-
saitil d'un simple renouvellement à la méme personne, la
date seule changeait et, le cas échéant, le nom du pontife;
s'il s'agissait d'un autre bénéficiaire, il fallait substituer son
nom à celui du premier impétrant.

En tenant compte de ces habitudes on comprend fort
bien comment l'adresse de la bulle Sicut manifestum est du
17 sept. 1228, au lieu d'étre conforme à la situation de cette
époque et rédigée comme l'était celle des documents d'a-
lors, se trouve tout à coup correspondre à une situation
toute différente et fort antérieure (1).

Tout ce qui précède confirme les indications de Ia Ié-
gende de sainte Claire sur l'époque où elle obtint pour la
premiére fois le Privilége de la pauvreté.

Il n'en est pas autrement si au lieu d'aborder la que-

(1) Exactement le méme fait s'est produit pour Monteluce (Pérouse). La bulle:
Indigentiam du 3 janvier 1228 (Sbaralea, I, p. 38) est adressée d'une facon tout à fait
normale Dilectis in Christo filiabus abbatissae et sororibus monasterii S. Mariae de
Monte Lucido Perusin., tandis que le 16 juin 1229 la bulle Sicut manifesium est
leur est octroyée avec l'adresse, étrange pour cette époque, Dilectis tn Christo fi-
abus Agnett et aliis ancillis Christi in ecclesia S. Mariae Montis Lucidi episcopa-
tus Perusii congregatis (Sbaralea, 1, p. 50).

On pourrait alléguer bien d'autres exemples de repétition mécanique d'une
adresse antérieure, à une époque oü la rédaction normale en comportait une autre.

© Je n'en citerai qu'un, celui de la bulle Solet annuere du 26 aoüt 1247 (Sbaralea, t. I,
p. 489). Elle est libellée : Dilectis n Christo filiabus abbatissae et conventui paupe--.

rum moniadum inclusarum monasterii S. M. de Virginibus ordinis S. Damiani.

Or à cette époque les lettres étaient constamment adressées .. inclusis ordinis:

S. Damiani. D'où vient donc l'adjonction inattendue de pauperum? Simplement du
fait que cette bulle est le renouvellement pur et simple de la méme. faveur octro-
yée dejà le 22 mars 1235 (Sbaralea, I, p. 149; Auvray 2505), et que l'adresse n'en a.
pas été changée pour la mettre à l'unisson avec les nouvelles habitudes.

^

Va SS ERE - 116 P. SABATIER

stion par son cóté critique de détail, on s'éléve un peu plus
haut jusqu'à des vues d'ensemble. Un des érudits qui a dans
ces derniers temps, par sa précision dans les détails et sa
prudence dans les conclusions, apporté une précieuse colla-
boration à l'histoire des origines de l'ordre de sainte Claire,
le R. P. Livarius Oliger, O. M., a fait une remarque trés
fine sur l'expression vir magnificus, employée par la légende,
en parlant du pontife qui octroya le Privilége (1): il con-
state que ces mots s'appliquent bien mieux à Innocent III
qu'à Grégoire IX.

On a lu plus haut (p. 85) le texte de la légende, où est
racontée la scéne de la concession par Innocent III. Il ne
faut pourtant pas séparer ce morceau de celui qui le suit
immédiatement.

Felicis recordationis dominus papa Gregorius, vir sicut sede di-
gnissimus, ita et meritis venerandus, paterno affectu sanctam. istam
arctius diligebat: Cui cum suaderet ut propter eventum, temporum, et
pericula saeculorum aliquas possessiones assentiret habere, quas et ipse
- liberaliter offerebat, fortissimo animo restitit et nullatenus acquievit. Ad
quam respondente pontifice : « Si votum formidas, mos te a voto absol-
vimus ». — « Sancte pater, ait, nequaquam a Christi sequela in perpe-
tuum (1) absolvi desidero ».

(1) De origine regularum ordinis sanctae Clarae; Archivum Fr. Hist., t. V (1919),
p. 181-209 et 413-447 et en tirage à part in 8» de 64 p. V, p. 192 (12).

(2) Si on voulait presser les termes employés ici, on pourrait se demander si
les mots 4n pergpetuwm, ne seraient pas uue allusion au début du Privilége de la
pauvreté d'Innocent III, tandis que sequela Christi serait l'écho de 4llius vestigtis
per omnia inhaerentes qui pro nobis factus est pauper ou des recommandations
de saint Francois. A un pareil moment sainte Claire ne put manquer de les évoquer
et d'y voir comme une sorte de vision prophétique. Il lui avait écrit: Ego frater
Franciscus parvulus volo SEQUI vitam et paupertatem altissimi Domini nostri
Jesu Christi et ejus sanctissimae Matris, et perseverare in ea usque in finem. Et
rogo vos, dominas meàs, et consilium do vobis ut in ista. sanctissima vita et pau-
pertate semper vivatis. Et custodite vos multum ne doctrina vel consilio alicujus ab
ipsa IN PERPETUUM ullatenus recedatis. Cette lettre fut inserée par Claire dans la
régle approuvée par Innocent IV le 9 aoüt 1253. Qui pourrait affirmer que ces pa-
roles de Francois ne contiennent pas une allusion au Privilége de la pauvreté et
4ue ce ne sont pas elles qui ont donné à Claire la trame de sa réponse à Grégoire IX ?
x

er

A QUELLE ÉPOQUE SAINTE CLAIRE D'ASSISE, ECC. 117

Ce récit et celui qui le précéde dans la légende for-
ment comme les deux compartiments d'un retable, placé
par Thomas de Celano sur l'autel de la sainte qui venait
d'étre canonisée. L'exactitude historique du second compar-
timent a eu le bonheur de ne jamais étre contestée par au-
cun critique, tandis que celle du premier a été l'objet de di-
scussions anciennes et récentes. Il semble pourtant que ceux
qui ont attribué au biographe un lapsus, qui lui aurait fait
dire Innocent III, là oü il fallait parler de Grégoire IX ou
d'Innocent IV, n'auraient pas eu besoin de la longue étude
que nous venons de faire pour voir la faiblesse de leur thése.

Si on substitue le nom de Grégoire IX à celui d'Inno-
cent III dans la page qui nous occupe, on aboutit à un ré-
cit impossible, tant au point de vue littéraire qu'à celui de
la cohérence des situations et des actes des personnages en
scene. Le bonae memoriae Innocentio tertio correspond au Fe-
licis recordationis dominus papa Gregorius. L' écrivain veut
évidemment esquisser les rapports de Claire avec deux
erands papes. Ce qu'il dit de T attitude d’ Innocent III
en face de son entreprise, ne ressemble guére à la caracté
ristique qu'il donne de celle de Grégoire IX. Or celle-ci est
strietement historique. Il en subsiste de surabondantes preu-
ves. Comme cardinal d'abord, et comme pape ensuite, il ne
cessa pas de faire effort pour amener les Franciscaines à ac-
cepter des propriétés (1). C'est à la fin de mai ou au com-
mencement de juin 1228, qu'il se rendit à Saint Damien au-
prés de sainte Claire et qu'elle lui répondit comme on l'a
vu. Quelques mois plus tard, le 17 sept. 1228, elle recevait
le renouvellement sous forme simple du Privilége de la pau-
vreté. Que Grégoire IX, devant la véhémence de la recluse,

(1) Le R. P. Livarius Oliger, De origine, p. 34 (417), conclut ses vues sur cette
question par les paroles: Veram et principaliorem possessionum apud Clarissas
introductarum causam fuisse Gregorii IX voluntatem. atque paternam provisto -
nem, tectus e Vita hujus Pontificis et Legenda S. Clarae atque e bullis allati cla ris-
sime demonstrant.
118 P. SABATIER

n'ait pas pu se refuser à viser l'acte de son prédécesseur,

se comprend facilement; tandis que lui attribuer à lui, l' ex- |j
plosion d'enthousiasme avec laquelle Innocent III avait ré- E
digé le Privilége de la pauvreté, c'est lui donner un róle |
en contradiction complète avec les directions constantes de M
son pontificat. È

Parmi les auteurs qui ont substitué dans ce récit Inno- È

cent IV à Innocent III, il en est assurément qui n'avaient
Mor: pas sous les yeux des tables chronologiques aussi parfaites
2 que celles de l'érudition moderne. Sachant qu’ Innocent IV

Si se rendit à Saint Damien auprès de sainte Claire malade,
ils crurent apporter au texte une heureuse correction, en
attribuant au méme pontife la scéne de la première conces-
sion du Privilége de la pauvreté. Pour d' autres, désireux
surtout de collectionner des exempla, c'est à dire des anec-
dotes destinées à faire bonne figure dans les panégyriques
ou les sermons, la question de savoir de quel pape il s'a-
gissait, n'avait aucune importance. Ce serait une méchante
querelle que de songer à troubler leur repos éternel. !
Mais il y a eu, dans ces derniers temps, quelques per- |

|

sonnages qui ont cru pouvoir, au nom de la science et de

la critique, imposer ici le nom d'Innocent IV, pour rempla-
cer celui d'Innocent III. Une erreur qu'on pouvait laisser |
passer, comme sans conséquence, dans des écrits qui n'ont |
d'autre but que l'édification, prend ün tout autre .caractère
«dans une étude ex professo dont l'auteur a des titres qui
paraissent donner à ses avis une certaine importance.
| En parlant ainsi, je pense en particulier, à une disser-
ii s tation qui a pour titre: Chiara di Assisi secondo alcune !
i is nuove scoperte e documenti. Studio di Giuseppe Cozza Luzi |

Sotto Bibliotecario di S. Romana Chiesa (1). ^.

(1) Rome 1895, in. 8» de 48 p. avec une reproduction phototypique. Dans la 2.e
éd. de ce mémoire l'auteur est de plus qualifié du titre de Président de l'Académie
Pontificale d'Archéologie de Rome.
A QUELLE ÉPOQUE SAINTE CLAIRE D'ASSISE, ECC. 119
)

Il se laissa aller à une erreur à peine vraisemblable,
celle de se méprendre — malgré l' avertissement que lui
adressa un savant exceptionnellement autorisé sur ces que-
stions, M. Léopold Delisle, — sur le caractere de la mention
Fiat ad instar qui se trouve sur l'expédition originale de la
bulle approuvant la régle de sainte Claire, conservée encore
aujourd'hui dans le monastére de Santa Chiara à Assise. Il
voulut y voir la primam notulam écrite de la main «du pape,
dont il est parlé dans la légende de Claire.

S'étant enchanté de sa découverte, il ne se laissa plus
arréter par aucune considération; puisque la bulle est datée
du 9 aoüt 1253, il déclara, sans la moindre hésitation, que
l'auteur de l'autographe était Innocent IV et non Innocent II.

On a vu plus haut que la mention Fiat ad instar était
tout simplement une note de chancellerie.

Cette observation suffit à ruiner l'édifice si hàtivement
élevé par Mgr. Cozza Luzi, et montrer que le récit de Tho-
mas de Celano conserve toute sa valeur.

Ily a toujours eu des historiens qui ont sollicité les
textes ou méme leur ont fait violence pour les faire cadrer
avec un système préconcu, mais la désinvolture de Mgr. Cozza
Luzi qui dénie toute exactitude à une des rares pages où
Thomas de Celano ait voulu parler de son héroine avec
précision, et qui proclame apocryphe le Testament de sainte
Claire, parce qu'il va' à l'encontre de sa théorie (1), cette
désinvolture est d'une saveur speciale, au moment méme
. où, sur la méme page, il part en guerre contre des gens

qu'il accuse de subjectivisme, et cite pour la stigmatiser,
la pensée: « Pour écrire l'histoire il faut la penser, et la

(1) Loc. cit. p. 17. Nell’esame accurato di quanto ci venne a mano su di ciò,
parve che giovassero le parole del cosidetto testamento di S. Chiara, ove si legge
che un’approvazione di regola si avesse da Innocenzo III [V. ce texte pIus haut
p. 93] ; ma, però quello scritto per me e? apocrifo nè può avere valore. Si l'on veut
bien se reporter aux paroles mémes de sainte Claire, on verra avec quelle háte
elles ont été lues par Mgr. Cozza-Luzi.
120 P. SABATIER

penser, c'est la transformer ».

mieux faire.

Les documents examinés dans les pages qui précédent
— bulles pontificales, testament de la Sainte et sa légende
par Thomas de Celano — constituent trois témoignages tout
à fait distincts et indépendants, qui, bien loin de se contre-
dire, se complétent harmonieusement, et forment un ensem-

ble non entamé par les discussions critiques les plus ré-.

‘ centes.

Sans doute pour le testament on peut regretter l'absence
de textes anciens; mais, dans ce long morceau, ceux qui
ont mis en doute son authenticité n'ont relevé aucun des
signes par lesquels les documents frauduleux révélent fata-
lement leur caractére. i

Les conclusions de notre travail se résument donc sous
les quatre chefs suivants:

1.° Le Privilége de la pauvreté a été accordé à
sainte Claire d'abord par Innocent III. Le pontife donna à
cette concession sans précédent un éclat unique et écrivit
lui-méme la minute du document.

2. Honorius III a renouvelé' ce Privilége (V. plus
haut, p. 93, Testament) mais nous ignorons jusqu'à mainte-
nant, si ce fut sous forme de bulle solennelle ou de bulle
commune.

3.° Grégoire IX le renouvela sous forme de bulle
commune dont une expédition originale existe encore (V
p. 102).

4.° Innocent IV le renouvela sous forme de bulle con-
sistoriale, comme le raconte de la facon la plus nette Thomas
de Celano (V. p. 96).

9." Ce renouvellement du Privilége de la pauvreté ne

Si le trop éloquent prélat
avait pris à tàche de prouver avec éclat l'exactitude de
cette innocente constatation de fait, il n' aurait guére pu

d
A QUELLE ÉPOQUE SAINTE CLAIRE D'ASSISE, ECO. 121

se confond pas avec la confirmation de la règle de sainte
Claire par le méme pontife (9 aoüt 1253).

La Maisonnette par Saint Michel-de-Chabrillanoux
(Ardéche) France, 28 aoüt 1918.

PAUL SABATIER.

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123

«LA ROCCA PAOLINA DI PERUGIA

Il 15 marzo 1540.la cittadinanza perugina si rifiutava
di comprare il sale delle Saline Pontificie a quattrini sei la
libbra, poichè lo acquistava per un prezzo minore presso le
genti di Siena. Malgrado le minaccie e la scomunica del papa
Paolo III, persistette nel suo diniego ombroso e fiero, col-
lanimo esacerbato da quellinterdetto pontificio, che non so-
lamente colpiva la vita spirituale e religiosa della Comunità,
ma era causato da una speculazione utilitaria e da un or-
goglio violento (1). Or siccome i lavori di costruzione della

(I) G. BaciLe pr CasticLIone, La Rocca Paolina di Perugia, cap. II,
pag. 16. Perugia, 19I4. Si dice che Paolo III impose la tassa del sale
per rimpinguare l’esausto patrimonio della Chiesa. La notizia è esatta. Ciò
non impediva peraltro al papa Farnese di stipendiare lautamente 56 came-
rieri segreti, 200 lanzichenecchi e un gran numero di famigliari, cortigiani
e... nepoti. In occasione del Carnevale romano, della venuta di Carlo V e
del matrimonio d' Ottavio Farnese con Margherita d'Austria, egli tenne a
sue spese molti balli, banchetti, luminarie, corse di cavalli e bufali ed al-
tre feste mondane, cui assisteva dalle loggie di Castel S. Angelo. Pur di
far sfolgorare il suo magnifico sogno di mecenatismo, di dominazione e di
gloria, non badava a spese; tanto è vero che una volta i Cardinali Carafa
e Contarini osarono muovergli rimprovero per quella prodigalità eccessiva.
Eppur tal Papa ebbe il coraggio di scomunicare i perugini, perchè si rifiu-
tarono, in dolorosi tempi di carestia, di pagare una imposta gravosa e for-
zosa! Vedi: Lupovico von Pastor, Storia dei Papi (Paolo III) vol. V, pa-
gina 199, Desclge editori, Roma, 1914. Si aggiunga poi che la Tassa del
Sale, stabilita dapprima per tre anni, diventò perpetua in virtù di una con-

tinuata proroga (ibid., V, 227).

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Rocca furono iniziati due mesi dopo quella popolare: som-
mossa, si è divulgata lungamente la notizia storica. che

Paolo III avesse fatto costruire la Cittadella soltanto per raf-
frenare la tracotante albagia dei perugini: « ad coercendam .

perusiniorum audaciam » (1).

Tale notizia non corrisponde alla limpida e genuina ve-
rità dei fatti, e nemmeno ai criteri elementari del buon senso.
Prescindendo dal considerare che è semplicemente assurdo
che un Pontefice assennato pensasse di far sorgere una Rocca
formidabile per tenere in freno alcuni facinorosi cittadini
(chè bastavano, in tal caso, le milizie papali, condotte dal
duca e gonfaloniere Pierluigi Farnese) noi ci troviamo di
fronte a parecchi elementi d’una certezza diversa ;* certezza
non metafisica, ma sperimentale.

Perugia fu sempre il piü sicuro asilo dei Papi, i quali
talvolta vi soggiornarono lungamente, sapendo che non a-
vrebbero avute molestie di nessun genere; alcuni di essi li
furono eletti dal collegio dei Cardinali, altri vi riposano nella
serena pace della morte. Attraverso i secoli, Perugia diede
prova ed esempi di essere sinceramente fedele a Dio e alla
Santa Sede; ció ci viene attestato dal gran numero di chiese,
oratori e cappelle, che riempirono in ogni tempo i suoi vec-
chi rioni; inoltre l'arte sua è cosi profondamente mistica,
nello spirituale contenuto, che certe Madonne pensose e dolci
sembrano discese direttamente dal cielo. V'ha di più. Quando
Paolo HI lanciò l'interdetto per una questione futile e venale,
i perugini indignati non bruciarono .sacre immagini, non de-
vastarono conventi, non saccheggiarono il palagio vescovile
e non andarono nemmeno da Ridolfo Baglioni per ricono-
scerlo qual loro unico signore. Invece si recarono in proces-
sione solenne ad offrire le chiavi della loro città a Gesù Cro-

(1) Così leggevasi — ed è una favola — in una lapide inaugurativa,
posta nel cortile della Cittadella, lungo la fascia della trabeazione quadri-
latera. Vedi: Srepi, Descrizione di Perugia, vol. ILL. x
LOUPE

cifisso, povero e nudo, di cui posero l'effigie tutelare sulla
porta di S. Lorenzo « per segno e per fede » Inoltre, in
quella circostanza, 25 cittadini, eletti al governo civico, fecero
coniare una moneta colla dicitura: « Perugia città di Cri-
sto ». Dove è, dunque, il ghibellinismo audace e turbolento
dei perugini se non nella fervida immaginativa di qual-
che cronista guelfo? Se, ai tempi di Paolo III, un viaggia.
tore esotico fosse entrato per la prima volta nella augusta
città dell Umbria, per visitare le magnifiche chiese d'ogni
stile, scintillanti di pitture e di ceri votivi, avrebbe potuto
dire ai perugini quel che disse S. Paolo agli Ateniesi: « Io
vedo che siete gente assai devota ».

Le cause principali dell'erezione della Rocca Paolina « da?
baluardi lunghi e coi sproni a sghembo » costruita rapidamente
nello spazio di tre anni, e su disegni di Antonio Sangallo, si
devono essenzialmente ricercare nell'animo e nell’indole del
Pontefice ideatore. Paolo III era infatti un papa ambizioso
e audace. Come il suo predecessore Giulio II, egli mirava
unicamente a consolidare e innalzare la gloria del papato
monarchico. Più che la mitra e il pastorale, gli si addicevano
meglio l'elmo e lo spadone. Sotto il suo pontificato, il feuda-
lismo sacerdotale tornó ad essere somigliante ad un congegno
mostruoso e immenso, avente il fascino dell’ orrido sublime.
Dotato d’una tempra adamantina, geloso del dominio tempo-
rale e avido di prestigio politico, egli dalla cattedra episco-

pale di S. Pietro scagliava fulmini al pari d'un Giove To-

nante. Non sembrava un uomo di carne, ma un monolito
vivente. Non vedeva anime, ma sudditi. S'identificava quasi
col fasto secolare della Chiesa. Lo Stato era /wi (1).

(1) Era così ambizioso che non sapeva perdonare Clemente: VII, già
eletto in sua vece, « di avergli rubato almeno 10 anni di Pontificato >».
« Nel suo corpo albergava uno spirito forte e una fermezza indomita di
volontà ». Era poi così fiero e dispotico, che alcuni Cardinali si lamenta-
vano di questo nuovo signore « cu? non era facile l'accesso, e che, come

volpe scaltra, non si lasciava abbindolare ». Lo spirito bellicoso era in lui

LA ROOCA PAOLINA DI PERUGIA 125

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grandiosità e magnificenza, ha una significazione profonda,

che finora sfugge persino agli ingegni più lucidi e. sottili.

Giulio II, volendo tradurre, in forma estetica, il suo superbo

sogno di dominazione e di splendore, si sceglie un ausiliario:

eminente, degno interprete dei suoi concetti d’alta sovra-
uità papale, ed ecco che Donato Bramante — il quale aveva
un tesoro di limpida e schietta romanità, chiuso e celato nel
cuore orgoglioso, — lancia al cielo laziale la chiesa di S. Pie-
tro, che ancora stende maestosamente la sua calda ombra
materna su tutta la Cristianità del mondo. Ora Paolo III’:
infiammato egualmente dal cupo ardore di quel sogno, cerca
un architetto insigne di quel tempo, Antonio da Sangallo,
che arditamente eleva sul colle di Perugia l’arce e l'arc:

del più sconfinato e indomito guelfismo. La navata centrale
di S. Pietro sembra sostenuta dal petto quadrato dei Ti-
tani; invece la Rocca Paolesca par sia sostenuta dall’omero-
ignudo dei Ciclopi. Le due costruzioni, ove spicca la solen-
nità del bronzo e la durezza del macigno, sono sorelle nel
mondo della tangibile bellezza, benchè differiscano nella fina-
lità e nell'aspetto. .

Giulio II.e Paolo III volevano éternare il nome nella
pietra durevole, e intanto celebrare il fastigio secolare del
Papato. L'ambizione smodata che li agitava con un travaglio.
di grandi idee in tumulto e in fermento, li spingeva altresi
ad affascinare e soggiogare la moltitudine dei sudditi con la
scenografia di solidità massive, di linee smisurate , di sagome
colossali. Volevano che l'architettura rivelasse, con una vasta
sintesi, quanto di vetusto, d'ieratico, di formidabile si rac-
chiude in un'istituzione dello spirito, tutta rutilante di gloria
e di luce, che sovrasta ogni principato e reame della terra

tendenza atavica e tradizione familiare, poiché « molti rampolli della sua
vigorosa famiglia si diedero al mestiere delle armi » (Lun. von PASTOR,
lib. cit., V, pagg. 12, 17, 25-28).

La costruzione della Rocca, ch'egli volle far sorgere con

bn
LA ROCCA PAOLINA DI PERUGIA 127

Il loro pensiero multiforme e multanime fu interpretato con
vigoria gagliarda da due artefici e poeti della forma, che
erano imbevuti di classicità greco-romana, e che sognavano
gli archi trionfali e le basiliche forensi; difatti il Bramante
sa ideare un tempio monumentale che è la reggia sontuosa
e brillante della. Chiesa, mentre l’architetto Sangallo vi
dà il baluardo granitico e militare del Papato. Tra quei
quattro uomini, dotati di molto talento e di passione grande,
esistette un'affinità misteriosa, di vedute, d’affetti e d’intenti,
che si tradusse al di fuori mediante un'intuizione lucida e
subitanea. Anzi Paolo III comprese il sogno di Giulio II
sino a tal punto, che sotto il sno pontificato Michelangelo
completò la basilica di San Pietro ed eresse la cupola su-
blime.

Si aggiunga però che Paolo III non si sentiva abbastanza
sicuro sul suo trono di feudatario civile, che poteva da un’ora
all'altra essere portato via, in un tragico soffio di tempesta.
Egli temeva tutti i nemici interni ed esterni del Papato, o
meglio della politica monarchia sacerdotale; e sopratutto non
sapeva star tranquillo pensando a quella potente e illustre
famiglia Baglioni di Perugia, che bramava di riacquistare
l’antico dominio, la dileguata signoria dell'Umbria. Siccome
la donazione carolingia diede ai papi un pensiero acerbo e
tormentoso, che intorbidiva spesso la serenità del potere
spirituale, Paolo III vedeva congiure e insidie dappertutto.
Mali e fantasmi immaginari lo rendevano irrequieto e ner-
voso; egli reprimeva ogni sommossa dei suoi sudditi con
violenza irruente e inesorabile giacchè voleva sventare ogni
trama, prevenire ogni attentato, dissipare ogni pericolo, al-
lontanare ogni incertezza. Nella sua mente suggestionata la

legittima protesta dei perugini, (contro la gravezza del sale)
prese proporzioni sinistre e gigantesche; di certo, gli sembrò.

di vedersi già aggredito e spodestato dalle fazioni baglione-
sche. Rivestito poi d'albagia autoritaria e sdegnosa, non
cercò di accostarsi con paterno .affetto_al cuore del suo po-

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128 MARINO MAZZARA

polo; quindi tra lui e i vassalli esisteva un dissidio inconci-
liabile, un malinteso occulto, un abisso immane. Non si ac-
corse mai a quali gravi conseguenze andasse incontro col
suo ‘sistema di pubblico reggimento. Il contegno di lui verso
‘i pacifici perugini significava sfida vittoriosa, maestà inacces-
sibile, perpetuo orgoglio, minaccia tacita. Ma il popolo di-
sprezzato si vendica colla legge del taglione, che è legge di
sopravvento e di rivincita, in cui sfogano irrompendo tutti gli
odi e i rancori accumulati: la vendetta d'un popolo è terri.
bile, ma sacra. I perugini non avevano tutti i torti nel dete-
stare l’invisa Fortezza. Attraverso quei muraglioni robusti,
muniti di contrafforti speronati, essi vedevano la rigida fi-
gura di un Uomo, non di un ente morale. E queil' Uomo era
un feudatario mitrato, un diplomatico sottile e astuto, un go-
vernatore austero e intransigente. ;

Questi ruminava, da lungo tempo, l'idea di erigere la
Fortezza inespugnabile che incutesse timore e rispetto agli
avversari vicini e lontani del Patrimonio di S. Pietro; quindi
lagitazione dei perugini per il sale gli forni un ottimo pre-
testo onde concretare i suoi progetti ambiziosi e dare più
solide fondamenta al suo trono malfermo. Dalle feritoie e
dalle casamatte della Rocca colossale egli voleva spiare la
verdeggiante vallata e la chiostra azzurra dei monti; temeva
di veder apparire all'improvviso qualche illustre capitano di
ventura, e sovratutto le orde barbaresche dei Turchi. Si, dei
Turchi aveva una paura maledetta, che fu causa coefficiente
e precipua dell'origine della Rocca ingloriosa. Difatti nel 1549
(8 giugno) Antonio Fratina, governatore pontificio del ducato
di Spoleto scriveva a tutti i Magistrati e Uffiziali dello Stato:
che per volere esplicito di « Paulus divina providentia PP. III»
si pagasse l'imposta della costruenda Cittadella, la quale era
necessaria per difendere l' Umbria e le altre terre papali
« a massimis Turcarum. tiranni periculis». Il detto Governa-

tore, dopo avere imposto una tassa « pro fabricam decem:

carlinorum singulo die » minacciava di affidare i renitenti al
LA ROCCA PAOLINA. DI PERUGIA 129

braccio secolare, previa sequestrazione dei beni « et alza
remedia juris et facti » (1). Oltre a ciò sappiamo dal Pastor,
illustre storico dei papi del Rinascimento, che nel 1531
Paolo III diede incarico al suo architetto aulico, il Sangallo,
di chiudere Roma entro una cerchia di mura fortilizie, adorne
di diciotto baluardi col mastio. E perché questo provvedi-
mento strategico ? Appunto perché «n vista del pericolo turco
sempre più minacciante a partire dal 1537, e dinanzi al quale
l' Italia tremava, Roma non pareva sufficientemente difesa contro
un improvviso assalto di pirati turcheschi ». (Pastor, ibidem,
V, 105 e segg.).

Poiché l’erezione della Cittadella perugina serviva uni-
camente, non già a punire i riottosi perugini (?) ma « ad
toius reipubblicae defensionem et tutionem » (2) ben ventisei
città dello Stato pontificio dovettero contribuire alle ingenti
spese di costruzione e di lavoro con prestazioni d'opera per-
sonale, di denaro, di bestie e di materiale. In una lettera
(3 ottobre 1541) inviata ai Magnifici Priori di Montefalco da
Mons. Bernardino Castellario, Vescovo di Casale e Luogote-
nente Generale del Papa, si rilevano i nomi di quelle città,
così disposte nell'elenco marginale: « Fuligni, Todi, Terani
(Terni), Montefalcho, Cassia, Riete, Spello, Baschio, Collazzone,
Asisi, Sassoferrato, Cannara, Bettona, Amelia, Narni, Coldisci-
poli, Limisciano, Nocera,. Treui, Beuagna, Montecastello (Mon-
tecastrilli), Castellabuono, Vallepino (Val Topino), Bastia, Col
di mancio ». Parecchie città dell'Umbria furono poscia obbli-
gate a mandar in Perugia « ad opus C'iptadelle » un certo
numero di murifabbri (« guastatores ») e siccome nessuno
voleva andare e nessuno si offriva spontaneamente, il Con-
siglio di Montefalco imbussolava i nomi degli uomini più
utili, e, fatto il sorteggio, inviava gli eletti a Perugia, man-

(2) Archivio segreto del Municipio di Montefalco, Riformanze e Consigli,
all'anno 1541, die tertia octobris.

(2) Archivio e docum. citati.

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130 MARINO MAZZARA

tenendoli ivi a sue spese (1). Dopo tutto questo, come si ose-
rebbe ancora affermare che la Rocca Paolina venne edificata
per debellare « Za temerità dei Perugini? ». Noi ci domandiamo
intanto: Come mai gli altri abitanti dell Umbria sarebbero
stati così ciechi da sottostare alle gravose imposizioni d'ogni
sorta, pur sapendo che la Cittadella era unicamente destinata
« ad coercendam perusiniorum audaciam? ». Ma questa è una
domanda pressochè oziosa. Oramai i nostri lettori avranno
capito che l'unito scopo guerresco della Rocca era quello di
far da fortezza di sbarramento sulla grande via flaminia (che
dall Umbria arrivava sino alle porte urbiche di Roma), e
per quei motivi feudali e politici già detti. Fortezze uguali
erano state inoltre costruite da Paolo III, e sempre per ar-
restare eventuali invasori, in molti luoghi dello Stato ponti-
ficio, dai colli sabini alla costiera adriatica e alla pianura
emiliana. |
Certamente fecero malissimo i perugini, quando distrus-
sero furiosamente quel gioiello di arte e di bellezza, che
doveva essere tramandato gelosamente ai posteri lontani. Il
1848 rivoluzionario e patriottico annebbiò le menti col fumo
della polvere e colla febbre della libertà (2). Quella Rocca
rappresentava un simbolo politico, che doveva morire per

(1) Vedi documento C in Appendice.

(2) La bella Rocca, costruita in tre anni (1540-1548) fu demolita in-
completamente nel 1860. Ma se il popolo non ragionava più e voleva
demolire ad ogni costo, dovevano impedire, dovevano ragionare almeno
i suoi Magistrati pubblici. Invece il Ministero della Guerra diede il per-
messo ... di demolizione, e il Municipio di Perugia agi in conformità.

"Dunque, non è responsabile il popolo, o lo è meno di quanto si creda.
L'odio popolare del 1860 non fu una rivolta contro il papa, ma contro un
regime sorpassato dai tempi nuovi.

ge
LA ROCCA PAOLINA DI PERUGIA 131

sempre; essa raffigurava un vecchio regime feudale, fecon-
datore di delitti e ingiustizie secolari, che il popolo voleva
vedere abbattuto per intero, onde piantare sulle sue rovine
i gonfaloni della rinascente libertà d’Italia, che ricordavano
alla gente italica la gloriosa epoca dei Comuni e delle re-
pubbliche marinaresche.

Arch. SALvATORE MARINO MAZZARa.

M

APPENDICE.
DOCUMENTO A.

Lettera di Mons. Ascanio Parisano, (1) Legato pontificio a Perugia,
e Vescovo di Rimini: « Sendo necessario per la istante venuta di N. S.re
(Paolo III) a perugia sollicitar il pio che si può la fabrica dela Rocca
et bisognando a questo effecto crescer la spesa delli maestri e l’altri ope-
rari che sì ricercano. Mandiamo a posta al presente Matheo da Ancona
p. riscuoter da Tucte le Città contribuente et p. co.to dicta Fabrica la
Taxa de la Terza parte intimata per lo ano futuro. Al quale (Matteo)
hauemo dato auct. di proceder contra li renitenti a tucte quelle asseg.nti
grauamenti et spese che si parranno opportune ». (Dal Libro delle « Ri-
formanze » di Montefalco, marzo 1452).

DocuMENTO B.

« ,. Sendo necessario di sollicitare più di quello se fatto finora de
la Fabrica di questa Fortezza. Col tenor di queste nostre, che col pre-
sente Cavallaro mandiamo a posta, ordinamo et Comandiamo a tutti
gli Priori, Offitiali, comunità et Huomini de le Città, Terre, Castelli et
luoghi infra notati che nel termine di do. giorni dopo fattagli l'inti-
mazione debbano aver mandato tucte le sume di denaro, che si deve
da chiascheduno. No’ mancandosi in questo de la solita obedienza et
celer exuctione sotto pena di duicento scudi applicandi a dicta Camera
Ap.a. In quorum fue datum Perusie etc. Bernardus Castellarius Ep.us
Casalensis etc. Seguono i nomi delle ventisei città umbre, che abbiamo
riportato nell'articolo (« Riformanze » 3 ottobre 1541).

(1)L'amanuense aulico e monfalchese lo chiama invece: Ascanius
Sfortia.

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DocuMENTO C.

« Item prosequentem consultum super secunda preposita dicit et Con-
suluit saluberrime consulendo ex quo plures homines apti ad opus | Cip-
tadelle reperiuntur. D. Priores eligant duo homines de Terra et duo pro
qualibus locis de Terra (1) qui prius assignent omnes homines ad. ope-
randum in dicta Ciptadella justa reformationem hactenus factam et qui
non fuerunt imbussulati et descripti describbant, imbussulant extrahant.
Qui extracti fuerunt obligati sunt et similiter dicto Bacco Camerario con-
signent cum Potestate cogendi et satisfaciendi ». (« Riformanze » anno
1541, 3 agosto).

DocuxENTO D.

Lett. di Mons. Ascanio Parisano, inviata da Perugia in data 2 lu-
glio 1452: « Vedo la contributione imposta per la ciptadella andarsene
all’infinito. Couiene ne anco è expediente che la fabrica de la ciptadella
si ritardi, ma si sollicità il pio ch’ si può. Che così tenemo comisione,
imperò contro nostra voglia, semo anzi sforzati a mandarvi lo ewibitore
presente (Pompeo Caspone) nostro comisario con ordine dt firmarsi in
ciascun luogo per spesa d’uno scudo al giorno. Couiene sollicitar li lavori
de la fabrica, che cognoscesi tanto necessaria alla pace et quiete di questa
Città e di tucta la Provincia ». (Dal citato Libro delle H.ze Cons.).

DICHIARAZIONE.

Prima di concludere, dobbiamo dichiarare che abbiamo qui giudi-
cato Paolo III soltanto come uomo politico, feudatario e legislatore ci-
vile. Giustizia vuole che si riconoscano le sue grandi benemerenze nel
campo del potere spirituale ed ecclesiastico. Si deve alla sua rettitu-
dine morale, al suo zelo apostolico, alla sua volontà adamantina e al
suo pugno di bronzo se allora potè compiersi efficacemente una grande
restaurazione cattolica. Peccato che avesse, da vero Papa del Znasci-
mento, molti difetti e debolezze, tra cui l'odioso nepotismo, che recò
tanto danno al prestigio del Papato! Ma non per nulla egli era un
perfetto figlio del suo particolare e storico ambiente.

(1) Cioè: del Comune di Montefalco.
IMRE IRETORI UM ARG

La leggenda di santa Mustiola
E IL FURTO DEL SANT'ANELLO

In una ricca tavola della Pinacoteca di Perugia, dipinta,
non sappiamo da chi, per la Confraternita della Giustizia,
nella seconda metà del secolo XV, è una bella figura di
santa Mustiola V. e M. che con la mano sinistra levata al-
l'altezza del petto sorregge i capi d'una cordicella in cui è
infilato un anello. Oltre a questa immagine, ve ne sono al-
tre in Perugia e fuori, rappresentate nel medesimo atteg-
giamento e con lo stesso particolare dell’anello, onde Maria
Vergine fu disposata a san Giuseppe.

Fu bizzarria del pittore di rappresentarla così, ovvero
questa iconografia appartiene alla leggenda della Santa? In-
tanto notiamo che questi dipinti non sono anteriori agli. ul-
timi anni del secolo decimoquarto; e ‘che mentre di queste
figure ve n’erano parecchie nella città nostra, a Chiusi non
si ha memoria che ve ne siano mai state (1).

(1) Così asserisce il dotto mons. Vittorio Leandri, Arciprete della Cat-
tedrale di Chiusi, il quale conosce molto bene la storia della sua terra na-
tiva. Ma, se vi furono, dovettero essere soltanto nella Basilica della Santa,.

che oggi è totalmente distrutta.
diremo soltanto: Può essere.

134 E. RICCI

Fino al 1783, nessuno storico accennò mai alla spiega-
zione di questo particolare; e proprio in quell’anno, Vin-
cenzo Cavallucci, dottissimo sacerdote, parroco di Santo Ste-
fano in P. S. Susanna, narrando la storia del santo Anello
sui documenti che potè raccogliere dall'archivio decemvirale
di Perugia, mise in campo l’ipotesi (però con molte riserve)
che l'insigne Reliquia fosse stata portata a Chiusi da santa
Mustiola quando, per evitare la persecuzione di Aureliano,
l'anno 270, lasciò la capitale dell'impero e venne a Chiusi,
per diffondervi la luce del Vangelo e per renderla feconda
col proprio sangue.

Bastò questo semplice accenno, perchè Adamo Rossi,
nel 1857, senz'altro prendesse a raccontare, che la prezio-
sissima gemma era stata donata ai cristiani di Chiusi da
santa Mustiola.

Prestabilita cosi la tesi, bisognava accomodare i fatti,
le date, e comporli con una buona dose di circostanze, più
o meno immaginarie, purchè avessero qualche attinenza con
la sacra Reliquia e con la vita di Mustiola. Ed ecco in po-
che parole la leggenda imbastita dal Rossi.

La sera stessa di quel terribile venerdì, ch’ è rimasto
come termine di paragone in ogni più grande sciagura, la
Madre del Crocefisso Gesù fu ospitata nella casa dell’ Apo-
stolo Giovanni, e con lui rimase fino al giorno che fu as-

sunta al regno celeste. Maria dovette senza dubbio aver

cara la gemma ond’era stata disposata a Giuseppe, in ri-

cordo del grande mistero che in lei s' era compiuto. Mo--

rendo, chi altri che il Discepolo prediletto ne poteva essere
erede? Dunque é verosimile, dice il Rossi, che Giovanni
l'abbia portato seco in tutte le sue peregrinazioni, come un
amuleto, come un talismano; e piuttosto che donarlo ad una
delle Chiese fondate da lui in Asia, se lo tenesse, come il
piü earo ricordo della Madre del Redentore.

Fin qui, senza sottoscrivere alle congetture dell’ Autore,
LA LEGGENDA DI SANTA MUSTIOLA, ECC. 135

La strada però comincia a farsi un po’ scabrosa, per
arrivare da san Giovanni fino a santa Mustiola, correndo
fra l’uno e l’altra lo spazio di quasi due secoli. Il Rossi non
se ne dà pensiero; e per via di se e di forse, prima dicendo:
è possibile, poi: è probabile, e finalmente: è certo, appiana
ogni difficoltà.

La storia ci assicura che, l'anno 95 dell’èra volgare,
san Giovanni si trovava a Roma, quando Domiziano indisse
contro i cristiani quella persecuzione che fu tra le piü san-
guinose.

L’ Apostolo venne condannato ad essere immerso in una
caldaia d’olio bollente, .e il martirio ebbe luogo fuori della
porta Latina. I particolari di questo supplizio s’ ignorano;
ma si sa con certezza, che il Santo, uscito illeso da quel
tormento, fu relegato nell'isola di Patmos.

Se però, dice sempre il Rossi, fossero pervenuti fino a
noi gli Atti di quel martirio, si saprebbe che uno di quei
diaconi, i quali di nascosto assistevano al supplizio dei cri-
stiani, per raccoglierne le reliquie, vide l'Anello e lo prese,
mentre all’ Apostolo venivano strappate di dosso le vesti.
Ovvero, la stessa corte dell'imperatore ebbe cura di con-
servare un cosi peregrino cimelio. Alla corte dell'impera-
tore, o male o bene ci siamo arrivati. Ora bisognerebbe sa-
pere come Domiziano, o chi altro della sua famiglia, aves-
sero potuto conoscere la storia di quella gemma preziosa.
Il Rossi non sa nulla in proposito. Tuttavia, continua a dire,
non fu difficile che più di un secolo e mezzo dopo, l'Anello
capitasse nelle mani di Mustiola, venuta forse dall’ Illirico
insieme. con l’imperatore Marco Aurelio Claudio, suo cu-
gino, l'anno 268, e rimasta nella corte fino alla morte di
lui, cioè fino al 270. i

In questo tempo, Mustiola, ispirata da Dio, parti da
Roma, traversò l'Umbria e, passando accanto alle colline
su eui sorge Perugia, prese la via di Magione e venne alle
rive del Trasimeno presso San Savino. Poi, rasentando il

?
= = È pesi ci

136 E. RICCI

lago fino al villaggio della Panicarola, sali a Panicale, quindi
al Ceraseto, dove la tradizione indica un sasso su cui la
Santa lasciò l'impronta del piede, e discendeudo a Paciano,
si diresse verso Chiusi, città, in quel tempo, tutt’altro che
favorevole ai cristiani. | n

La pellegrina portó seco la preziosa Reliquia, e la de-
pose nelle catacombe; affinchè i fedeli la venerassero.

Dopo il martirio della Santa, chi ebbe in custodia il sa-
cro Anello? e perchè rimase nascosto fino al decimo secolo,
cioè per ben settecentoquattordici anni? Ecco un'altra que-
stione difficile a distrigarsi. Ma con la buona volontà tutto
riesce facile. Il Rossi, fedele alla tesi che ha preso a svol-
gere, ci assicura che l'Anello rimase occulto fino a che, sul
luogo dove sono le catacombe, due cittadini di Chiusi, Gre-

.gorio ed Aresibuto fondarono una Chiesa che prese il nome

dalla santa Martire.

Così il nostro storico avrebbe accomodato tutto; ma di
tante belle e peregrine notizie, nessuno, tranne che lui, ha
saputo mai nulla: anzi ci sono due fatti storici di grande
importanza che contraddicono a tutte le sue conclusioni. Il
corpo di santa Mustiola non fu ritrovato prima del 1474,
cioè un anno dopo il furto del sacro Anello. Il documento
che pubblichiamo narra che la santa Patrona di Chiusi, ap-
parsa in sogno ad una pia vergine, la notte del sette di
aprile del 1474, le dicesse di recarsi presso i Priori della
città e di ordinar loro, che, se volevano ricuperare l'Anello,
cercassero il corpo di lei, il quale giaceva insieme con molti
altri nel sepolcro dov'era stato deposto, nella sua chiesa.

Il secondo fatto che distrugge la leggenda del Rossi è
questo: Nei libri del Comune di Chiusi, dove fu registrato

per mano di notaro il furto del sacro Anello, è detto senza

esitanza e senza accenno alcuno alla fantastica narrazione,
creata forse dopo il furto (1), che l'insigne Reliquia era stata.

(1) Vedi Documento, Pap. 149 — nota.

*

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LA LEGGENDA DI SANTA MUSTIOLA, ECC. . 137

portata a Chiusi al tempo dell' imperatore Ottone III, l'an-
no 989; ch'era stata deposta nella chiesa di santa Mustiola,
e che era rimasta nella detta città per lo spazio di 484
anni. Dunque si deve escludere assolutamente che l'Anello
sia stato portato a Chiusi da santa Mustiola.

Se è così, per qual ragione fu rappresentata la santa
Martire in atto di mostrare l' Anello, come cosa sua di cui
ella vantasse il possesso e la gloria di averlo serbato ?

Bisogna sapere che queste immagini che tuttora riman-
gono, e quelle perdute di cui abbiamo notizia, appartennero
alla chiesa di Santa Mustiola di Perugia.

Quando il sacro Anello fu portato a Chiusi, l'anno 989,
fu posto in venerazione, come ho già detto, nella Basilica
di Santa Mustiola, presso cui era il monastero dei Canonici
Regolari che l’officiavano. Quivi rimase fino all'anno 1350
in circa, quando ai Magistrati di Chiusi piacque di togliere
la preziosa Reliquia da una Chiesa suburbana (perché la
Basilica distava dalla città circa due kilometri) per tra-
sferirla nella cattedrale di S. Secondiano.

Dopo questo trasferimento, i Canonici di santa Mustiola
furono in continuo litigio con quelli di San Secondiano, af-
facciando sempre diritti sulla preziosa gemma, ed esigendo
che questi diritti venissero riconosciuti in tutto ciò che ri-
guardava la custodia della Reliquia, ma specialmente in occa-
sione delle mostre che si facevano ai fedeli tre volte all’anno.
Le gare dei due Capitoli giunsero a tal segno, che il ve-
scovo Pietro Paolo Bertini, nel 1420, a troncare di netto
ogni litigio, messosi d'aecordo con il magistrato di Chiusi,
fece portare il sacro Anello dalla Cattedrale alla chiesa
di San Francesco dei Frati Minori Conventuali.

Basta questa notizia, per poter facilmente comprendere,
che l'Anello posto in mano di santa Mustiola, più che un ricordo
storico, è un'affermazione degl'incontrastabili diritti che i
Canonici Regolari vantavano.sul medesimo; e nei quali erano
del continuo contraddetti da quelli di San Secondiano.
E. RICCI

Dunque l’iconografia di santa Mustiola, che ha dato
origine ad una immaginosa leggenda, ebbe principio da un
bisticcio! ' È

Questa iconografia, propria esclusivamente dei Canonici
Regolari che la introdussero in tutte le loro chiese, piacque
ai pittori della scuola Perugina, e più ancora piacque ai fedeli,
dopo che il sacro Anello, da Chiusi fu portato a Perugia.

Allora la gioia di possedere l’insigne Reliquia, per un
tratto specialissimo (come dicevano essi) della Provvidenza,
fu così grande ed universale, che anche la devozione verso
santa Mustiola ne fu ravvivata. Quella nobile e dolce figura
di patrizia Romana, intorno a cui la fantasia popolare aveva
composto un serto di fiori, sembrava dicesse : « Questo prezioso
gioiello, custodito nella mia chiesa per tanti anni, ora è vostro,

ed io ne sarò custode gelosa per voi, non meno di quando a .

me lo vollero affidato la prima volta! ».

Allora le immagini della Santa si moltiplicarono, e non
vi fu chiesa che fra le pitture votive, ond' erano tappezzate
tutte le pareti, non la ritraesse in quel simbolico atteggia-
mento. E che fosse questo il pensiero dei cittadini di quel
tempo, lo dice il fatto, che anche a san Giuseppe fu posto
in mano l’Anello appeso ad una cordicella (1). :

Una statua del secolo XV, che tuttora si conserva nella
nostra Cattedrale, e che prima stava al lato sinistro dell’ AI-
tare del santo Anello, mostra la detta Reliquia, con l'atteg-
giamento medesimo di santa Mustiola; e nella chiesa di Santa
Maria d'Ancaelle, situata lungo le rive del lago Trasimeno,
fra Sant'Arcangelo e San Savino, un bravo discepolo di Pie-
tro ha cosi dipinto lo Sposo della Vergine.

(1) Anche l'iscrizione che si legge sulla cimasa del cancello che chiude
la cappella di S. Giuseppe, dove si custodisce la Reliquia, esprime il me-
desimo concetto.

Hac sacer intactae matris jacet. annulus aede ;

Qui dedit est custos muneris ille sui.

€— LA LEGGENDA DI SANTA MUSTIOLA, ECC.

II furto del S. Anello.

Il documento che pubblichiamo ci dà anche molti par-
ticolari sul furto commesso da Vinterio, alemanno, frate del-
l'Ordine dei Minori. Nel luglio del 1473, costui rubò il sacro
Anello e, fuggito da Chiusi, venne a Perugia da un certo
Luca delle Mine, suo amico, per mezzo del quale offri in
dono al Magistrato la preziosa Reliquia. DE

Lo scopo del furto, come lo racconta lo stesso Vinterio
nel processo che gli venne fatto, per ordine del Delegato
Pontificio ; le trattative intercedute fra il detto Luca e Matteo
di Francesco Montesperelli, primo dei Priori, e la stessa pro-
cedura usata nel dibattito, son cose tutte così puerili e ri-
dicole, da non potermi persuadere, come tanti uomini dotti
e sommi giuristi, quanti ce n’erano a quei tempi in Perugia,
potessero prendere sul serio un imbroglio di quel genere.

I Perugini non vollero mai rendere l'Anello; nè valsero
le ripetute ambascerie e le minacce dei Senesi; perchè, trin-
ceratisi dietro lo specioso pretesto di un singolare favore del
cielo, alle giuste ragioni addotte da quelli di Chiusi, i quali
dicevano essere indegno, per una città come Perugia, tener
di mano ad un ladro sacrilego, rispondevano, che l’ Anello
era venuto per disposizione della divina Provvidenza, e che
quindi doveva rimanere in Perugia, a costo di qualunque
guerra e di qualsiasi spesa si fosse dovuta sostenere, per
difendere una causa così nobile e santa.

Ognuno vede quanto fossero stolti questi discorsi. Come
può credersi che Iddio si servisse d’un ladro, per compiere
i suoi imperscrutabili disegni ?

Ma la ragione di tanta baldanza ci viene manifestata
involontariamente in un passo degli Annali Decemvirali (1).

(1) Questo documento è sfuggito agli storici del sacro Anello; ed il
Rossi che lo vide e ne riportò le parole, avendo spiegato il latino a ro-

vescio, non nè ricavò. o non gli piacque di ricavarne il vero senso.

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Mile 140 E. RICCI

. Sedeva allora sul trono papale il genovese Francesco
della Rovere, col nome di Sisto Quarto. Quanto fosse accetto:
ai Perugini e quanto li amasse, lo dicono gli Annali in molti
luoghi. Era stato parecchi anni nel Convento di S. Francesco
al Prato, aveva letto filosofia e teologia nello Studio. pub-
blico, era stato fatto cittadino di Perugia, e, quando venne
eletto Generale dell'Ordine, ebbe cospicui doni dal Magistrato:
e manifestazioni di benevolenza da tutto il popolo.

Basti dire che i Priori. nel 1476, mandavano a Roma,
come oratore presso il Santo Padre, Giov. Battista Vincioli,
per pregarlo che si degnasse eleggere a Generale dell'Ordine
di S. Agostino i! degnissimo Maestro di Teologia fra Ercolano
da Perugia, avuto riguardo agli amori e alle compiacenze che:
Sua Santità aveva sempre avute ed aveva tuttora per la devo-
tissima città sua e popolo di Perugia (1).

In conclusione, il Papa, cui spettava di decidere la lite,
mandando la cosa un po’ per le lunghe, impose silenzio: ai
Cardinali e Prelati che patrocinavano la causa dei Chiusini,

(1) Ann. Decem., 1476, fogl. 32. Habito respectu circa amores et delectatio-
nes quas sua sanctitas semper gessit erga, suam. devotissimam civitatem perusinam
et ipsius cives, et hodie gerit, dignetur etc.

Il 10 di novembre del 1473 (fogl. 109) i Priori ringraziavano il Pon-

tefice del benigno e grato responso dato agli oratori, ex causa sacri anuli:

gli domandavano, se vi sarebbe stata guerra fra i Perugini e i Senesi!!!
e lo pregavano, che Sua Santità facesse che il sacro Anello dovesse rimanere
in questa sua peculiare città. Poi soggiungevano che: ut populus perusinus
divinis preceptis imbutus, ad bene et quiete vivendum ardentius intendat, si de-
gnasse mandare in Perugia a predicar la quaresima, o Frate Antonio da
Volterra, o Frate Cherubino da Spoleto, ambedue dell’ Ordine dei Minori.
E, come se tutto questo fosse poco, domandavano ancora, che nominasse
Generale dei ‘Frati Domenicani, Leonardo Sambuchelli, Perugino, allora
Maestro dei Sacri Palazzi.

Lo stesso fu fatto nel 1476 (fogl. 82), per Fra Ercolano da Perugia
degli Eremitani di sant'Agostino, perché fosse creato Generale dell'Ordine.
Bisogna dire, che, quanto i Perugini erano indiscreti nel domandare, al--
trettanto il Pontefice era propenso a concedere.
LA LEGGENDA DI SANTA MUSTIOLA, ECC. 141

e, dopo aver diretti alla Comunità di Perugia vari ordini,
che avevano l'apparenza di rigore, ma che non decidevano
nulla, il quattordici di febbraio del 1474, cioè sei mesi dopo
il furto, per mezzo dell’ ambasciatore Baglione di. Ugolino,
fece sapere ai Priori, ch'egli non avrebbe mai istituito il pro-
cesso sul furto, né avrebbe fatta ingiunzione ai Perugini di ve-
stituire l'Anello. E, come se questo fosse stato poco, aggiunse
altri favori che l’oratore Baglione di Ugolino, riferi in se-
greto ai Decemviri (1).

Forti della protezione del Papa, i Perugini potevano bene
sfidare le ire di quelli di Chiusi; tanto più che i Magnifici
e Potenti Signori di Siena, per ragioni politiche, avevano tutto
l'interesse di tenersi da conto il Pontefice. Infatti, dopo le
prime rimostranze, si fecero tanto rassegnati alla volontà
di Dio e ai disegni della divina Provvidenza, come non
avrebbero fatto i più umili frati Minori (2).

Così Perugia ritenne ingiustamente la preziosa Reliquia
e premiò il ladro ed il complice, dando loro un buon as-
segno onde vivere comodamente. E che fra Vinterio fosse
un ladro vero e proprio, non c’è da dubitarne punto; perchè,
insieme con l'Anello, rubò molta argenteria, come dice il
documento, e se la ritenne per sè. Ma di questa furfanteria
non si fa parola nel processo. Eppure bastava questo fatto
per condannarlo! Tutto accadeva per permissione di Dio, e
il Magistrato non aveva tempo da badare a queste minuzie !

Ora si domanda: A che fine fü commesso questo furto

(1) Ann., 1474, fogl. 19. Non committet causam prefatam, nec. mandabit

— Anulum restitui: et ad hoc quedam favorabilia (dixit se) habuisse a prefato

D. N. in secretis que revelantur nobis. Il Rossi non ha capito il significato
"delle parole: Non committet causam prefatam, le quali del resto sono la-
tinissime, anzi classiche, e traduce: Non avrebbe affidata ad altri la
causa ete. (Pag. 77).

(2) Ciò risulta da varie lettere scritte alla Comunità di Chiusi, ma

specialmente da una che citeró in appresso.

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sacrilego? Forse per spirito di devozione? Sarà, non voglio
pensar male; ma c'é da dubitare che i Perugini, ch'erano
sempre in lite con quelli di Chiusi a cagione delle Chiane
e di Castiglion del Lago, non vedessero di buon occhio, che
tanti illustri pellegrini, fra i quali parecchi sovrani, si re-
cassero a Chiusi, per venerare il sant' Anello. Ma, l'ho già
detto, non bisogna pensar male!

Invenzione del corpo di santa Mustiola.

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Però limbroglio si fa sempre più manifesto, leggendo il
nostro documento, fin qui inedito, anzi da molti scrittori
creduto irreparabilmente perito insieme con tutto l'archivio
della Cancelleria Episcopale di Chiusi (1).

‘Le poche notizie che sino ad ora si conoscevano intorno
all'invenzione del corpo di santa Mustiola, si trovano in un
libricino anonimo del 1696, intitolato: Breve Racconto etc. (2) ;.
mancante dei fatti principali che sono narrati nel documento,
ed infarcito di errori. Per fortuna il notaro del Comune di
Chiusi, Leonello dei Cavallini di Roma, ripetè tutto il rac-
conto nel libro delle Riformanze, donde io l'ho fedelmente
trascritto. L'Anonimo vide senza dubbio questo documento:
ma, essendo di scrittura minutissima e spesso illeggibile, non
seppe decifrarlo, e si contentò di attingervi quel poco da cui
potè ricavare un senso approssimativo (5).

(1) Vedi mons. Francesco LivERAwr, Le Catacombe e Antichità Cristiane
di Chiusi. Siena, 1872, pag. 46 e segg.

(2) Roma, Campana, 1696, pag. 12-13.

(3) Il foglio 203 del volume cartaceo delle Riformanze del Comune di
Chiusi, del 1474, è logoro e sudicio; mentre gli altri fogli sono conservati
perfettamente. Ciò vuol dire, che molti vi hanno studiato sopra, ma con
poco profitto. Il Pizzerti nel suo regesto ms. lo notò con poche parole
(Vedi LrverANI, op. cit., pag. 324). Il Der nel suo Codice Diplomatico ms.
Tom. I raccolse le poche notizie che si leggono nell’Anonimo. Il Liverani
poi, il quale a tutti vuol rivedere les bucce, ha lavorato sui protocolli del
Pizzetti e di altri, senza andar mai alla fonte. Ciò apparisce chiaro a chiun-
que ponga l’occhio sull’opera citata.

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LA LEGGENDA DI SANTA MUSTIOLA, ECC. 143

Dunque nel detto libro delle Riformanze si narra che, la
notte del 7 aprile del 1474, santa Mustiola apparve in sogno
ad una pia donna, ordinandole di dire ai Priori della città,
che, se volevano ricuperare l’ Anello, ritogliessero dall’ an-
tico sepolcro il corpo di lei. A questa visione ne segui-
rono delle altre: e non solo i buoni ed onesti cittadini, ma
anche i cattivi e scostumati dicevano di aver avute appa-
rizioni, e ripetevano che si facesse ricerca del corpo della
Santa. Da ultimo, una giovanetta riferi, a nome di santa Mu-
stiola, che, se non si fossero dati pensiero di fare le ricerche
da lei stessa ordinate, era decretata l’ultima rovina della
città di Chiusi. A tale annunzio il popolo fu preso da spa-
vento, e però il Vescovo Gabriele Piccolomini dei Frati Mi-
nori, Senese, insieme con i tre Priori, alcuni Religiosi ed
otto cittadini, recatisi nella chiesa di Santa Mustiola, scava-

rono dietro laltar maggiore, e ritrovarono le ossa della Ver-:

gine e Martire, Patrona di Chiusi. Ciò accadde il 25 di mag-
gio del detto anno circa le dieci del mattino. i

La sera dello stesso giorno, ne fa dato avviso ai Ma-
gnifici e Potenti Signori di Siena (1), i quali s'affrettarono a
rispondere ai loro sudditi nel tenore che abbiamo detto (2).

Dopo questo fatto, il popolo s' abbandonò alla gioia; il
Magistrato si diede a fare ambascerie alla Repubblica di
Siena; a prendere accordi col clero; a compilare leggi di
previdenza sulle offerte che piovevano d’ogni parte, per il
culto e per la conservazione del corpo di santa Mustiola; e
così, se il furto del sacro Anello non fu dimenticato, passò
in seconda linea, e rimase una questione diplomatica, la quale
dopo lunghe, ma blande discussioni, dopo molte proposte e
risposte di amichevoli accordi da una parte e dall’ altra, fi-
nalmente fu risoluta dal pontefice Innocenzo VIII, il quale

(1) Riformanze, foglio 204: La lettera fu portata da Angiolo di Brizio.

(2) Vedi LIveRANI, op. cit., pag. -326.

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riconobbe senz’ altro, spettare ai Perugini il legittimo pos-
sesso dell’Anello (1).

Qui è proprio il caso di dire, che Iddio si serve di tutti
i mezzi! Ma non è escluso, che le apparizioni e la frenesia
del popolo, perchè si ricercasse il corpo della loro Patrona,
non fossero una diversione qualunque, molto bene ideata, non
saprei dire da chi, per smorzare lincendio che divampava

a cagione del furto.

La tomba di S. Mustiola.

Il racconto dell'invenzione del corpo di santa Mustiola
è prezioso per la storia della Santa e della Basilica omo-
nima, oggi distrutta.

E SPARGE ROSASLEC TORETLLACAN
NI A
ING
Infatti per mezzo di questo veniamo a sapere, che il
sepolero dove furono riposte le sacre spoglie, dopo che fu-
rono tolte dal loculo delle catacombe, si trovava sull’impian-
tito dietro l'altar maggiore, coperto da una lastra, chiusa
entro una cornice di marmo intagliato, su cui girava l'epi-
taffio. Cosi possiamo conoscere il tempo della detta trasla-
zione, e quindi dell'erezione della prima Basilica.
Della cornice, entro cui forse doveva essere scolpita a
basso rilievo la figura della Santa, come si usava fare nelle

tombe terragne, rimane soltanto il frammento che pubbli
chiamo, lungo cent. 91 ed alto 23 (2)

(1) Rimane; Anno 1474, 26-28 maggio; 1-8-11 giugno; 3 luglio, 11-
18 sett.; 1475, 2 genn. ecc. ecc.

(2) Essendo l'iscrizione incisa sull’ estremo lembo della cornice, ne
viene per conseguenza, che la lastra dovesse essere coperta da sculture, o

fregi, o simboli, o da che altro si voglia dire.
LA LEGGENDA DI SANTA MUSTIOLA, ECC. 145

Il Liverani pensò che fosse un'architrave o stipite del-
lepoca longobarda, dei primi anni dell'ottavo secolo: ma il
tralcio di pampani e d'uve, che ripete un motivo comunis-
simo ai primi tempi cristiani, non ha che far nulla con le
sculture longobarde, né per il disegno, né per il modo come
è intagliato. Bisogna perciò credere che sia anteriore quasi
di due secoli (1).

Questa congettura è validamente confermata dall’ iscri-
zione. Non dirò dalla forma dei caratteri, chè sarebbe un
indizio non troppo sicuro; ma dallo stile e dal contenuto
dell’ iscrizione medesima, che ha sapore classico, e ram-
menta la dolce semplicità degli epitaff;j Damasiani.

Il Muratori, il Pizzetti ed il Ciampi la trascrissero
quando la barbarie dei tempi non l’aveva ancora distrutta;
e ciascuno vi fece sopra i suoi commenti, per spiegare a che
uso avessero servito quegli stipiti: ma nessuno poteva im-
maginare che fosse la cornice ond’era ornata la pietra se-
polcrale.

Merita conto riferirla per intiero, tanto più che da pochi
è conosciuta :

XK Sparge rosas, lector, et lilia candida pone,
-Et.ritu (2) sacrum sic venerare locum.
Virtutum gemmis et morum flore venustam
Hane imitare velis, si bonus esse cupis.
Hic dilecta Deo recubans Mustiola quiescit,
Clara parentatum clarior et merito.
> Ego Hanastasius obtuli martirae Christi.
Deo gratias.

(1) Liverani, op. cit., pag. 203. Giova rammentare, che i fregi longo-
bardi sono per lo più a taglio triangolare, e non arrotondato: sempre fan-
tastici e mai copiati dal vero.

(2) Il Pizzetti e gli altri hanno: rite: ma io ho sostituito ritu, perché
le due parole si scambiano facilmente; e perchè questo errore di metrica

non va, d’accordo con il resto dell’ iscrizione,

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146

E. RICCI

Questo epitaffio, per la sua antichità, rimuove autore-
volmente anche un'altro dubbio, intorno a cui i critici hanno
più volte discusso (1). Il Martirologio Romano chiama santa
Mustiola « Matrona » riferendosi certamente agli atti autentici
del martirio di lei, dove si legge: « Matronam nobilissimam
Claudii consobrinam »: quindi gli storici pensarono, che la
Santa fosse coniugata; e però parve loro di vedere una con-
tradizione tra il Martirologio e il Rituale della diocesi di

Chiusi, che la venera come Vergine.

Le parole, direi quasi rituali, del primo verso dell'iscri-

zione:

chiamano apertamente la Santa, Vergine e Martire; perchè
il simbolo delle rose e dei gigli significa proprio questo; e
non occorrono citazioni, potendo ognuno trovarle da sè in

Sparge rosas, lector, et lilia candida pone,

qualsiasi raccolta di epigrafi cristiane.

Nessuno meglio degli abitanti di Chiusi poteva essere
informato su questa materia: e il diacono Anastasio, donatore
dell'ornamento sepolcrale, ne doveva sapere anche più degli

altri.

(1) Ne do la versione, per comodo di chi non conosce il latino :

Del resto bastava l'argomento giustissimo addotto dal

Spargi rose, o lettore, e bianchi gigli,
E al sacro luogo così rendi onore.
Se tu sei pio, fa” che'a costei somigli,
Di virtù, di costumi inclito fiore.
Qui riposa Mustiola a Dio sì cara,
D'’ illustre sangue e di valor più chiara.
Alla Vergine invitta, io questi marmi,
Anastasio diacono donai :
E Dio ringrazio e prego, che salvarmi

Per lei si degni dagli eterni guai.

MULUS RU T Pes TUR SP SIT y I mac —ÀnáÀ SII,


Tx er" SVETTA

— CTZ” ”

LA LEGGENDA DI SANTA MUSTIOLA. ECO.. 147

Liverani nelle parole di Tertulliano il quale, ragionando di
questo epiteto, dice: Matrona, o madrefamiglia si chiama la
donna ancorchè vergine, e padrefamiglia l’uomo, ancorchè senza
toga (1).

Queste brevi riflessioni sul documento che pubblico,
meritano un più largo svolgimento; e questo mi auguro che
sia fatto da chi s'accingerà a scrivere la storia del sacro
Anello e della Basilica distrutta di santa Mustiela. A me

basti d'aver preparato un materiale utile all'una ed all'altra
monografia.

Die 25 mensis may 1474. (Fol. 203).

Quoniam humane nature nil comendabilius nil deni- VOTES MIOM ONE
que utilius esse potest quam de evenientibus rebus me- PORRO Mo-
moriam facere et ea efficaciter memorie comendare, quia
preterita scire futura docent; Si enim ad memoriam ha-
beremus preterita, faciliter in presentibus ageremus et
per eadem cognosceremus futura: Si vero pro vite hu-
mani corporis sustentatione prudentia virtutes inter ce-
teras singularissima dicitur, multo fortius in anime no-
bilioris corporis salutem animadvertendum est: Et si de
humanis rebus pro benegerendis regina notatur, in di-
vinis fortius et santius comparatione esse nobilitanda vi-
detur: Quare fideli Spiritu persuasus ego Leonellus in-
ter tabelliones, minimus, antiquitus de Cavallinis (1) de
urbe, quamvis in presenti regionem habens tudertinam,

notariusque scriba et cancellarius communis civitatis

(1) LrveRANI, op. cit., pag. 26.

(2) Il notaro Leonetto era forse un discendente del celebre pittore.
Pietro Cavallini, romano, contemporaneo di Giotto? Non è senza ragione,
che in questa pagina in cui ha voluto dare un saggio della sua valentia in
arte dictaminis, abbia accennato all’origine della sua famiglia con le parole
* antiquitus de Cavallinis de Urbe ». Se da questa discendenza non glie ne-

fosse venuto alcun lustro, era per lo meno inutile rammentare i suoi an--
tenati, ;

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Clusii, quoddam divinum et excellentissimum munus à
summo numine populo clusino concessum ad presen-
tium faturorumque memoriam in hoc reformationis libro
memorare decrevi; ne tantum opus ét divinum miste-
rium latere sub silentio videatur (1).

Fuit namque in prefata deo dilecta clusii civitate, in
anno a salutifera nativitate altissimi redentoris genera-
gionis humane domini nostri Yhu Xpi 989, tempore Oc-
tonis eccellentissimi regis, onichinus anulus quidam cum
quo gloriosissima virgo peccatorum advocata matre Yhu
Maria a Ioseph viro suo fuerat desponsata, apud eccle-
siam sante Mustiole divina providentia collocatus, ut
summa omnium creatoris pietas revellatione divina et
visibili sie esse disposuit, in eademque civitate perman-

sit per tempus annorum 484 (2).

(1) Dunque anche allora il fatto dell'invenzione del corpo di 8. Mustiola
parve « divinum munus, ... et divinum mysterium >.

. (2) Il giorno che fu scoperto il furto dell'Anello, lo stesso notaro Leo-
netto aveva scritto nel libro delle Riformanze questo ricordo: A dài 3 del
mese d'agosto 1473. Fase qui per me Leonecto cancelliero supra et infrascripto
mentione ... sicomo volendo li Priori ... mostrare ai popoli ... el glorioso
Anello ... reposto etcon servato nella ditta cità de Chiuscio per anni già passati
più de mille, trovarono quello essere stato furato.

Questo documento è in aperta contradizione con quello che pubbli-
chiamo. Ma la contradizione del primo ricordo non toglie nulla alla verità
del secondo. Quando il notaro Leonetto fece quel brevissimo accenno, non
conoscendo con chiarezza la storia della Reliquia, scrisse che 1° Anello era
stato in Chiusi per più di mille anni: ma un anno dopo, quando cioè s'era
tanto parlato del furto e della gemma rubata, e tutti potevano sapere con
certezza le notizie storiche concernenti il sacro Anello, allora potè affermare
che la Reliquia era stata portata in Chiusi l’anno 989, e che vi era rimasta
484 anni, quanti per l'appunto ne corrono fra il 989 e il 1478.

Il Rossi credette di aver toccato il cielo, quando lesse: « per anni più
de mille ». Tuttavia per arrivare a santa Mustiola ci mancavano altri due-
cent'anni! Ma c’era un — più/ — e in questo più ci. potevano entrare
benissimo anche duecent'anni. Ecco fatto; dal 273 al 1473, cioè, dall'epoca

* della venuta di santa Mustiola a Chiusi, al giorno del furto, corrono pre-

m bem
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PRI eT NUR ooa p =" x

LA LEGGENDA DI SANTA MUSTIOLA, E0C. 149 .

In anno vero 1473, et de mense Iulii dieti anni, cum
dietus gloriosus anulus repositus et conservatus foret
per commune civitatis prefate, (1) ob majorem ipsius civi-
tatis fidutiam, quia prefata eeclesia sante Mustiole extra

cisamente 1200 anni: dunque il sant’Anello fu portato a Chiusi da santa
Mustiola ! ?

La data del nostro documento concorda anche con la leggenda a cui
abbiamo sopra accennato, e che qui riferisco in succinto.

Al tempo dell'imperatore Ottone III, Ugo figlio di Uberto, teneva il
marchesato di Toscana, come lo aveva avuto il padre suo, secondo la legge
salica. (Lege vigente saliga, come dice un diploma dello stesso Ugo del 995.
LivERANI, op. cit., p. 281). Costui aveva in moglie Giuditta, nepote abiatica
(neptis) di Ottone III, la quale mandó a Roma un tal Raniero, orafo di
Chiusi, affinchè le acquistasse delle gioie. Raniero comperò. molte preziose
gemme da un Ebreo il quale da ultimo gli donò l'Anello sponsalizio di
Maria V., affermando ch'egli l'aveva avuto da’ suoi antenati, i quali di-
scendevano dalla stirpe stessa di Maria. Alle dichiarazioni dell’ Ebreo non
prestò fede Raniero. Tornato a Chiusi, mise 1° Anello fra le ciarpe e non
ci pensò più. Ma poi accaddero tanti prodigi, uno più inverosimile dell’ altro,
a conferma dell’autenticità della Reliquia, che l’ Anello fu posto in venera-
zione nella chiesa di Santa Mustiola. La leggenda, come si legge in un
codicetto della Biblioteca di Perugia (Mise. N. 38) termina con queste
parole: « Tempore istius imperatoris currebant anni nongenti LX XXIX, sicut
dicitur 4n cronaca ».

Sarebbe tempo perduto ragionare sulla sincerità della leggenda, tanto
è falsa dalla prima all'ultima parola. L'imperatore Ottone III aveva nove
anni quando accadde la manifestazione dell’ Anello, e già sarebbe stato
nonno!!! Poi si fa regnare prima che nascesse, perchè del 989 accaddero
i prodigi, e già erano passati parecchi anni che Raniero era andato a Roma,
e che l'Anello era rimasto dimenticato: evolutis temporibus aliquantis. È vero
che Ottone cominciò a regnare di tre anni; ma con tutto ciò non c'è modo
di mettere d'accordo le date. Tuttavia le parole: « currebant anni nongenti
LXXXIX, sicut dicitur in cronaca », ci avvertono che c'era una cronaca
dell'Anello (certamente diversa dalla favolosa leggenda), e che l' anno era
quello segnato nel documento autentico, cioè il 989.

(1) Qui il notaro ha tralasciato le parole: in ecclesia sancti. Francisci fra-
trum minorum; come si rileva da ciò che dice poco sotto: Venterius ... qui
in dicto conventu etc. Abbiamo già detto che il sacro Anello, dalla Basilica
di Santa Mustiola fu portato a San Secondiano, e, poi nella chiesa dei Con-
ventuali.

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specialmente sui nomi, che riferivano per sentito dire.

E. RICCI

muros civitatis persistebat, sub pluribus clavibus re-
clausus a prioribus populi prefate civitatis retentis : Qui.
dam frater Venterius Alamannus ordinis minorum qui
in dieto conventu per tres annos proximos preteritos
perstiterat, quem Dominus in anima et corpore maledi-

cat, diabolico spiritu persuasus et diversis ordinibus et

modis fatigatus, ut sathana infernorum princeps sibi
prostitit, ingenuis omnibus hostis, et clavaturis tempore
noctis opertis, dietum gloriosum anulum cum argente-
ria miraculorum que fecerat, que maxima erat, depre-
datus fuit et furto subtrassit et abstulit; quibus furto
et depredatione commissis, a prefata civitate recessit et
cum rebus predictis perusium accessit et adiit, et dic-
tum gloriosum anulum per manus cuiusdam Luce a
laminis, (1) habitatoris dicte civitatis perusii, amici sui,
prioribus dicte civitatis condonavit, argenteriam vero pro
se retinuit. Die vero 3% mensis augusti dieti anni, cum
innumerabilis forentium numerus de longinquis et diver-
sis partibus in prefata civitate clusii convenisset, ut
dietum gloriosum anulum videre possent, volentes do-
mini priores civitatis predicte, laudabilem consuetudi-
nem et ordinem conservare, et prefatum gloriosum anu-
lum omnibus ipsum videre cupientibus ostendere, ut in

tali die quolibet auno consuetum erat; invenerunt ip-

sum furto subtractum et depredatum fuisse, quam pre-

dationem maximo cum merore gemerunt, putans uni-
versus populus prefate civitatis, ultimam destructionem
proximam esse.

Sic vero gemens populus clusinus persistens, inefa-
bilis et summa majestas altissimi creatoris, cum multas
orationes populus prefatus fecisset, mota sua solita cle-
mentia et pietate, prefatum populum reconsolare decre-

(1) Luca dalle Mine, non a laminis. Le informazioni, che gli esplora-

tori mandavano per lettera a quelli di Chiusi, non erano sempre esatte,

1c PUTATE visa GERE

— HE

——————
7

vit (1). Quoniam nocte septima mensis aprilis 1474, gloriosa
virgo santa Mostiola, antica clusinorum advocata, cui-
dam virgini in somnis apparuit, puelle dicens, eam prio-
ribus clusinis ex ipsius gloriose virginis et martiris parte
annumptiare debere; quod, si prefatum anulum glorio-
sum reconquistare cupiunt, corpus ipsius martiris glo-
riose de antiquo sepulcro, in quo antiquitus sepulta
fuit, extrahere deberent cum multis aliis que longa ni-
mis essent recitari. Deindeque in proximis sequentibus

noctibus, duabus honeste vite mulieribus prefata gloriosa

virgo in somnis apparuit, similiter in conclusione per-

severans et dicens, tamen prefatis mulieribus subiun-
gens, quod hoc prefate civitatis episcopo notificare de-

beant, quibus sompnis post aliquorum dierum temporis

intervallum, predietum dominum episcopum et prefatos

dominos priores (sic) auditis, ut audirent domini priores
predicti, quid de predictis populo videretur, generale con-
gregaverunt consilium, in quo finaliter per sollempnem
deliberationem in dietum episcopum et dominos priores,

cum quibus aliis (quibusdam aliis) religiosis et civibus

eligendis, per eos, plenarie remissum fuit; ut, quiequid '

eis super tali materia videretur, in executionem micte-
retur.

Qui dominus episcopus, priores et aliqui in unum
pluries congregati, post deliberationem predictam, de
tali materia in commune allocuti, ut aliquid delibera-

rent, quoniam voluntates et opiniones eorum erant di-

verse circha talia supradicta, nihil deliberari poterat ;

quoniam per aliquem ipsorum dubitabatur quod mar-
moree seripture, que prefatum gloriosum corpus virginis

in eius ecclesia post majus altare, esse manifestabant,

(1) Qui è detto chiaramente che i Chiusini dovevano consolarsi della
perdita del sacro Anello, ricercando il corpo della loro Patrona. Ma siccome
era pericoloso dir subito che bisognava rinunciare per sempre all’Anello,

per accontentare gli animi, fu fatto credere che, ritrovato il corpo della

Santa, sarebbe stato facile ricuperare la Reliquia rubata.

LA LEGGENDA DI SANTA MUSTIOLA, ECC.

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E. RICCI

ficte pro prefate eeclesie devotione designate non esseut.
Et quod, que primo in dubio persistebant, clara et pa-
tefacta essent; videlicet prefatum gloriosum corpus ibi
non esse, et hoc eveniens, tota illius ecelesie devotio,
que maxima erat, deperdita foret; quod nihil tam se-
cretum fieri potest, quod non revelletur (1).

Interim non indifferenter' continuatim prefata glo-
riosa virgo, tam honeste viventibus quam inhoneste, ho-
minibus et mulieribus, parvulis, juvenibus et, senibus
apparebat in somnis, et quasi omnia sompnia ad unum
ferme tendentia, videlicet quod esepelliri cupiebat. Qua-
propter populus universus tot visionum terrore commo-
tus, et maxime quia noviter a quadam puella fuerat
nuntiatum, pro parte prefate virginis et martiris gloriose,
quod, si per totam edomadam ante pascha pentecoste
esepulta et efodita non foret, ultima prefate civitatis de-
structio breviter eveniret; noviter de domino episcopo
et prefatis prioribus murmurabant, quia vigore remissio-
nis, jam pluribus diebus elapsis per generale consilium
in eis facte nihil circha talem materiam ordinaverant.

Quare prefati domini priores, ne ad aliquod incon-

veniens populus commoveretur, die 24 mensis may 1414,

de novo ut supra tali materia provideretur, generale
congregaverunt .consilium ; in quo, nullo discordante
lupino, deliberatum fuit, quod pro prefato glorioso cor-

pore inquiri deberet, et, si reperiatur, esepelliri et efodi,

(1) Ció dimostra che fino al 1474 non si aveva nessuna notizia sicura in-

torno alla traslazione del corpo di santa Mustiola, dalle Catacombe alla Ba-

silica; anzi c’era perfino chi dubitava che l'iscrizione sepolcrale fosse stata

fatta per accrescere la devozione dei fedeli, non perché ivi fosse sepolto il

corpo della Santa. Le iscrizioni longobarde che erano nella detta Basilica,

e che oggi si vedono infisse nelle pareti di San Secondiano, non sono state

ancora studiate abbastanza, tanto da ricavarne un costrutto; e tutte le cri-

tiehe letterarie, spesso puerili, del Liverani, non approdano a nulla. E dun-

que perdonabile ai critici del secolo XV, se della Basilica e delle sue varie

trasformazioni, ne sapevano poco, come poco, anzi pochissimo, ne sappiamo

noi.

Tt:
LA LEGGENDA DI SANTA ‘MUSTIOLA, ECC.

ut numptiatum fuerat. Et ad ordinem daudum circha
dictam inquisitionem et efoditionem, sive esepelitionem
fiendam, in predicto domino episcopo et prefatis domi-
nis prioribus, cum octo civibus eligendis per eos, per
sollempnem deliberationem noviter fuit remissum. Qui
dietus episcopus et priores, audita et intellecta consilii
deliberatione, sine aliqua temporis intermissione electis

Civibus, et una cum ipsis congregatis secundum suprà-"

dietam deliberationem, in camera prefati domini epi-
scopi in unum collegialiter congregati, quid circha ta-
lem materiam agere deberent, secrete deliberaverunt.:
Eademque die, omnibus iniuriis et malevolentiis inter
se generaliter remissis, devote confessi fuerunt, et pe-
nitentiam egerunt. Mane vero sequenti, tempestive, quod
fuit die 25 dieti mensis may, prefatus excellens domi-
nus episcopus ad ejus solitum altare in eius episcopali
pallatio existens, ibi prefatis dominis prioribus et civi-
bus cum quibusdam aliis religiosis adstantibus, mis-
sam devote voluit celebrare. Qua celebrata, sua propria
manu voluit omnes illos communicare et eos devotissime
suscipientes eucaristiam accipere dignos facere. Quibus
ita peraetis, quamvis ad exequendum dictum consilium
adhue tempus non determinassent, immediate, divino

spiritu persuasi et commoti, ad exequendum propositum

jam inter eos deliberatum ierunt omnes cum necessaris

(sie) intrumentis, et quam potuerunt secretius ad pre-
fate gloriose virginis ecclesiam se tamen separatim con-
tulerunt; nomina quorum sunt haec, videlicet Reveren-
dus in Xo. pater dominus Gabriel de Piecolominibus de
senis, dei et apostolice sedis gratia episcopus clusinus:
Ser Sigismundus magistri Petri: Angelus Antonii, Ioan-
nes et Bartolomeus Rentii, domini priores civitatis pre-
diete: Antonius Nicolai, Sozzus Bartolomey: Ser An-
gelus Petri; Nicolaus Ser Vannis et Iovanfranciscus
eius filius: Antonius Nardi; Michelangelus Gabriellis et
Blaxius Vici, cives electi; Frater Iacobus de Farnia or-
dinis minorum, secretarius prefati-domini episcopi: Ser
Cristoforus Vannuzzi, presbiter et canonicus ecclesie

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santi Secundiani, et Frater Guglelmus Vannutii Lon-
ghi, presbiter et canonicus ecclesie sante Mustiole, ad
predieta per prefatum dominum episcopum et dominos
priores vocati et eleeti.

Qui cum in unum in prefata ecclesia conventi in

unum essent, positis secretis custodibus, ut decebat, ne

quis, dum tale opus agebant, ecclesiam accederet vel
intraret, habitis inter ipsos diversis rationibus et collo-
quiis, altissimo et omnipotenti deo eiusque gloriosissime
matri Virgini Marie, beatissime sante Mustiole et omni-
bus santis celestialis curie paradisi genuflexi orationes
direxerunt, quorum numinum nominibus humiliter pro
suffragio invocatis, locum post magnum altare reposi-
tum, ubi lictere in circumstantibus marmoribus desi-
gnantes prefatum gloriosum corpus recubans requiescere
affirmabant, fodere devote et trepidanter ceperunt (1):
Ubi inde primo depositis splendidis marmoreis sceriptu-
ris, quandam calcestrutii compositionem nobiliter ordi-
natam invenerunt, quam nisi maxima devotio, quam
(sic) jam in eis erat concepta fuisset, non sine maximo
et exterminato labore elevare potuissent, tam ibi forti-
ter nobiliterque firmata erat; tamen eam divina fortitu-
dine auxiliante faciliter de dicto loco deposuerunt. Qua
elevata et deposita, invenerunt sepulerum quoddam gravi
et ponderoso lapide et copertimentis custoditum. Tunc
vero ipsorum omnium corda summo gaudio et letitia
repleta fuerunt, celestialem curiam laudantes, quoniam
sperabant a summa trinitate donum recipere, et quod
habere cupiebant invenire. Deinde noviter devotissimis

orationibus supplicantes, prefatus dominus episcopus et

l

(1) Questa descrizione della tomba di santa Mustiola, in cui si dice

che l'epitaffio girava nei marmi circostanti, e del quale epitaffio sono riferite

le parole testuali: « recubans requiescere », per quanto breve, ci dà un ar-

gomento sieuro per riconoscere il frammento di cui sopra abbiamo parlato,

e per identificare l'iscrizione sepolcrale nei versi riferiti dal. Pizzetti e da

altri.

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TETI E EE TT i e Uy Um manes em Memo

ali subsequenter opportunis instrumentis predictum
ponderosum lapidem trepidanter sublevaverunt, quo sub-
levato, invenerunt iu dieto sepulero nobiliter eollocatam
cassiculam quandam de terra cocta nobiliter composi-
tam ét ordinatam copertam quatuor splendidissimis mar-
moreis lapidibus, et in ea repositum et collocatum cor-
pus gloriosissime virginis et martyris sante Mostiole,
antique clusini populi protectoris et advocate; quarum
quatuor lapidum ibi copertorium prefatus dominus epi-
scopus maxima devotione et trepidatione, omnibus leti-
tia et devotione plorantibus, de medio elevavit, et tune
corpus prefate gloriose virginis oculata fide viderunt
chopertum quodam bruno pannulo sub quo omnia pre-
fati gloriosi corporis ossa considerabantur: et in ipsius
cassicule apertura, omnibus ibi stantibus, maximum et

inestimabilem reddit odorem. Cuius inventionis nomen

quum fuit immediate in civitate clusina concursum,

universus populus actonitus letitiaque et devotione re-
pletus, summis devotisque impressionibus ad prefate
gloriose virginis ecclesiam aecessit, et ibi maximus sur-
rexit omnium clamor, una voce dicentes cum maximo
plantu: misericordia: altissimo creatori infinitas gratias
redentes de tanto munere et benefitio, per suam infini-
tam clementiam concessum et actributum.

Cuius gloriose virginis ossa per illos, qui ad ipsum
corpus inveniendum interfuerunt, dictum fuit esse omnia
invicem connessa et organizata, quamvis carnem cor-
poris prefati, temporis longanimitate fore consummata
videretur.

Fuit namque facta per sopranominatos dicta inven-

tio, die 25 mensis may 1474, ora sesta diei.

LA LEGGENDA DI SANTA MUSTIOLA, ECC.

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At e emer —
DIPINTI DEL QUATTROCENTO
A CITTÀ DI CASTELLO

I luoghi di confine adunano, di consueto, caratteri propri
a città e a terre circostanti, che vengono a comporre un
insieme di elementi diversi senza condurre peraltro ad una
netta risultanza nuova. E l’ osservazione che può ripetersi
all'infinito anche nei riguardi dell'arte, sembra che trovi la
più completa conferma quando si scorra la storia artistica
della gloriosa cittadina umbra che sorge alle porte della
Toscana.

Se si pensi poi che la felice situazione geografica di
Città di Castello posta ai piedi dell' Appennino, la destinava
come luogo di passaggio e di tappa per chi volesse rag-
giungere la Toscana venendo dalle Marche e dall’ Umbria
orientale; e si rifletta anche che per l'indole raffinata degli
abitanti (divenuta raffinatissima sotto la signoria dei Vitelli)
vennero invitati, in ogni tempo, artisti di fuori ad adornare
chiese e palazzi, ci spieghiamo con facilità come i vecchi
documenti ci abbiano conservato il nome di tanti artefici e
come un centro relativamente piccolo si sia arricchito di
cos] svariate opere d'arte.

Le medesime cause insieme congiunte, chiariscono quindi
come la messe raccolta ampiamente dal Magherini Gra-
ziani (1) non sia esaurita del tutto e come si possano ancora

(1) G. MacnERINI Graziani, L'arte a Città di Castello. Città di Castello,
1897. i ;

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M. SALMI

raggruppare — aggiungendole a quelle ormai note — altre
opere di pittura che appartengono a un tratto di tempo assai
breve e cioè alla prima metà del Quattrocento.

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Un documento del 1412 ci avverte che maestro Giorgio
di Andrea di Bartolo da Siena assumeva in quell'anno in-
sieme a Giacomo di Ser Michele da Città di Castello, l'ese-
cuzione di una tavola pei Canonici di S. Florido, obbligan-
dosi a figurarvi « con ottimi colori ed oro » la Madonna, il
Bambino e i Santi Florido ed Amanzio, per il prezzo pattuito

di trentacinque fiorini d'oro e una soma di vino (1) Come

in ogni altra parte dell'Umbria si aveva dunque predilezione
anche a Città di Castello, per gli artisti senesi e già prima
(nel 1382) un Meo di Bindo aveva dipinto nella sala del Co-
mune. Giorgio è il terzo di una famiglia di pittori, nipote a
Bartolo di Maestro Fredi la cui simpatica. fisionomia è assai

ben delineata per varie opere, e figlio di Andrea di Bartolo

conosciuto, egli pure, per qualche sua fatica.

L'attività del nostro artefice ci é ignota; un particolare
interesse quindi avrebbe presentata la sua pala di Città di
Castello che il Magherini non conosce limitandosi a ricordare,
sulla scorta del Mancini,*che doveva esser collocata nel
sotterraneo del Duomo, all’altare dei Manassei (2). Ma nella
sala capitolare, fra vari dipinti di valore e di tempo diversi,
si notano due tavole centinate a fondo d'oro, ambedue rac-
chiuse entro cornice moderna, le quali meritano una certa
attenzione in riguardo alla notizia sopra riferita. :

(1) Documenti inediti dell' Arte Toscana in Buonarroti, serie III, quad. III,
doc. 91; G. MürawEsr, Sulla storia dell'Arte toscana scritti vari. Siena 1873,
48; MAGHERINI GRAZIANI, Op. cit., 162. :

(2) Op. cit., 162, n. 4. Grac. Mancini, Memorie di alcuni artefici del di-
segno... in Città di Castello, Perugia 1832, t. II, 287 crede la tavola. per-

duta ma toglie dall’ Andreocci che si trovava un tempo nel sotterraneo.

« alla cappella Manassei ».

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DIPINTI DEL QUATTROCENTO A CITTÀ DI CASTELLO 159:

Nella maggiore (m. 1.28x0.78) siede la Vergine su di
un prato erboso sopra un cuscino arancio a fiorami d'oro
(Fig. 1). Essa porta una veste aurata a fiorami, ha un velo:

‘ Fig. 1. — Gionaro nD'AwpnEA DI BARTOLO,
Madonna col Bambino, Città di Castello, Cattedrale.

in testa e, quindi, un manto azzurro ravvivato da una stella.
che vedesi sulla spalla destra, e dal bordo d’oro graffito.
Dolcemente inclinata, volta di tre quarti, sorregge con ambe
le mani il biondo Bambino in parte coperto da un mantello:
color tortora pure listato d’oro; mentre al Putto offre ma-
ternamente la mammella alla quale esso avidamente si at-
tacca guardando verso l’osservatore (1).

Il flessuoso ed ampio panneggiare del,manto mosso in
tante risvolte, indica il principio del Quattrocento come da-

(1) Il dipinto è danneggiato dalle vernici e mostra nelle vesti copiose
tracce di restauro. L'imprimitura poi, sollevata in più punti, minaccia di

licenziarsi come è avvenuto in qualche parte, inferiormente.

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M. SALMI

tazione approssimativa della tavola. Lo stile delle figure dai
volti tondeggianti preparati di verdino e lievemente arros-
sati nei pomelli, ci ricorda l’arte senese. D'altra parte l'i-
conografia è tradizionale pei maestri trecenteschi della scuola
di Fabriano e ripetuta più volte da Francescuccio Ghissi (1).
Un esame obbiettivo ci porta dunque a queste conclusioni:
la tavola è lavoro degl’inizi del Quattrocento eseguito da un
maestro fondamentalmente senese il quale conobbe forse
l’arte marchigiana.

L/ altro pannello (m. 1.12x0.48) raffigura S. Florido an-
ch'esso sopra un verde prato e su fondo d'oro (Fig. 2). É un

Fig. 2. — Gracowmo pa CasteLLo (?) S. F'lorido
Città di Castello, Cattedrale.

vecchio con corta barba canuta e riccia, preparato di ver-
dognolo nelle carni, con mitra bianca gemmata e perlata,

vestito di camice e piviale rosa-tortora simile alla veste del

Putto, foderato di rosso vivo e orlato d'oro graffito come il

1) Cfr. A. Corasanti, Gentile da Fabriano. Bergamo, 1909 passim.
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pig sost

DIPINTI DEL QUATTROCENTO A CITTÀ DI CASTELLO 161

fermaglio di un libro verde, che porta chiuso, nella sinistra

Anguantata di bianco, e il riccio del pastorale, che tiene stretto

con la destra (1).

Che il pannello sia stato. parte di un trittico o di un
polittico, dimostra l'atteggiamento del Santo disposto di tre
quarti per stare a sinistra di una composizione centrale. Che
questa sia da credersi la tavola precedente afferma non solo
il medesimo stile, lo stesso impasto del carnato, la identica

. calda intonazione dei colori, ma anche la foggia simile delle

aureole e degli ornati graffiti e l'uguaglianza del piano
erboso. .

senonchè una certa differenza di qualità si nota non
tanto nel volto che pure é un po' piü piatto, quanto nel
disegno del piviale che scende dalle spalle del Santo diritto
e rigido, differenziandosi dalle eleganze del manto della Ver-
gine. Medesima arte dunque, ma un poco inferiore a quella
del pannello mediano. :

Ritornando ora al nostro documento, mi sembra persua-
siva l’identificazione ch'io propongo, delle due tavole come
parti del dipinto che Giorgio di Andrea di Bartolo e Giacomo
di Ser Michele imprendevano a fare nel 1412. Al primo at-
tribuisco la Madonna col Bambino; al secondo, seguace certo
ed aiuto, assegno con riserva il S. Florido, nulla potendo
dire dell'altra figura che completava l'opera, il S. Amanzio,
del quale non ho rinvenuta traccia alcuna nella Cattedrale
castellana. :

E a rendere piü valida l'attribuzione non mi sembra

inutile raffrontare la tavola principale con le cose di Andrea .

di Bartolo che insegnò certo al figlio l'arte della pittura come

egli l'aveva appresa dal padre. Di Andrea noto per un po-

littieo scomposto nella Pieve di Puoncon wet il Berenson
DUGONCO un’ Assunta firmata, oggi nella Raccolta Jerkes a

(1) Presenta — anche più gravi — i danni medesimi della tavola pre- :

cedente.

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M. SALMI

New York nella quale l'illustre critico notò una certa ana-
logia con Bartolo di Fredi ma « una maggiore rilassatezza
dei contorni e una linea più ampia propria al disegno toscano
della fine del secolo » (1). E il Perkins illustrò una Vergine
in trono col Bimbo (2) simile nel -panneggiare alla nostra e
atteggiata come questa che ne esagera peraltro i caratteri
stilistici. L'Assunta di Nuova York tu vista dal Forster presso
il Conte Castracani a Fano, e poichè conserva, con la firma,
il nome della committente « Domina honesta uxor Dom.
Ser Palamidis de Urbino » è certo che fu eseguita per una
chiesa delle Marche.

Se Andrea dunque lavorò per quella regione, assai me-
glio si spiega nel figlio quello spunto iconografico che ri-
cordai, caro ai marchigiani del Trecento.

é x

Su Antonio da Ferrara, il Bombe pubblicò interessanti

notizie che provano il soggiorno di quel maestro nell’ Um-

bria: alcuni pagamenti del 1423 e del 1424 relativi a pitture
eseguite nelle case di Braccio Fortebracci a Montone (3).

(1) Rassegna d'Arte. a. VI (1906), 34.

(2) Rassegna d’Arte senese, a. IV (1908), fasc. IV. Cfr. per Andrea. di
Bartolo anche Turewe-Becker, Allg. Lea. f. Bild. Kunst, I, 449; CO. Gmr-
Gioni in Rassegna Bibliogr. dell'Arte Italiana, a. XII (1909), 176; F. Masox
Perkins in Rassegna d’Arte antica e moderna, a I (1914), 100.

(3) W. Bone, Geschichte der Peruginer Malerei, Berlin, 1912, 70 e 800,
doc. 75. Nel 1424 il perugino Baldassarre Mattioli fu pagato « pro dicta
pictur& domorum de Montonio » e il pagamento è forse in relazione con
uno del novembre 1423 (Bownr, ibid., 307, doc. 98). È probabile che a
Montone i due artefici si siano conosciuti. D. Zaccarni, Antonio Alberti, il
suo maestro e alcuni pittori ferraresi loro contemporanei, in L’Arte, a. .XVII
(1914), 161 e segg., insieme ad altri interessanti documenti, trascrive quelli
relativi al maestro in Montone e dal Tuieme-Becker I, 590 toglie una no-

tizia secondo la quale nel 1420, Antonio già sarebbe stato a lavorare nello
ce

DIPINTI DEL QUATTROCENTO A CITTÀ DI CASTELLO 163

Il Vasari, ignorando che l’artista avesse lavorato a Mon-
tone, nella vita di Agnolo Gaddi lo indica discepolo del pit-
tore fiorentino e afferma che « fece in S. Francesco a Ur-
bino ed a Città di Castello molte bell’opere » (1). Il biografo
aretino conobbe bene la cittadina umbra per avervi anche
lavorato; non è quindi improbabile che in essa, come ad
Urbino, abbia letto in qualche tavola o in qualche affresco,
il nome di Antonio che, tuttavia, male egli ricóngiungeva
stilisticamente al Gaddi. Cavalcaselle e Crowe invano cer-
carono di riconoscere la mano del ferrarese, in una tavola
della Pinacoteca assai malandata, del 1417, in cui si riscon-
trano piuttosto affinità di forme col fiorentino Bicci di Lo-
renzo (2). Tuttavia rimane ancora a Città di Castello un’ o-

pera per la quale si può pronunziare, sebbene non sia fir-

mata, il nome di Antonio e consiste in tre pannelli già riu-
niti a trittico appartenenti alla chiesa di S. Bartolomeo (3)
ma posti oggi (dopo che quella fu chiusa al culto) nella cap-
pella Vitelli in S. Francesco.

La tavola di mezzo, segata nella sua parte inferiore e
ridotta superiormente a semicerchio (m. 1.05X0.67) mentre
era in origine archiacuta, mostra, al solito, la Vergine col

Bimbo, in trono, innanzi al quale si stende un rosso tappeto

orientale. La scena ha un raccolto carattere affettivo: la
Madonna vuol toccare con la destra il mento del Bambino
quasi per farlo sorridere e questi bruscamente si allontana
afferrando con la manina destra, la mano della madre per

stesso castello. Avendo omessa il Bombe tale notizia, è probabile che si
sia fatta confusione coi documenti più tardi.
3 Sul pittore, oltre le opp. citt., si veda: GCarzmr in. Thieme-Becker, I,
589-590; Id. in Rass. Bibl. cit., a. XI (1908), 174; L. VenruRI in Bollett.
d'Arte, a. VIII (1914), 306. :

(1) Le Vite, Ediz. Milanesi, I, 641.

(2) Storia della Pittura Italiana, ed. Le Monnier, IV, 98.

(3) G. Amicizia, Guida di Città di Castello. Città di Castello, 1899, 83
li ricorda ancora come a S. Bartolomeo, attribuendoli ad ignoto del sec. XV.

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tentare di abbassarla. Sul fondo d’oro risalta il tenero prato
erboso del piano ove il trono è disposto, prato che si rivede
nei pannelli laterali con S. Bartolomeo, il titolare della Chiesa,
(m. 1.10x0.47) rappresentato coi suoi soliti attributi e S. Be-
nedetto (m. 1.12X0.47) facilmente identificabile dalla tonaca
monastica che indossa sotto i paludamenti vescovili (1)
(Fig. 3).

Fig. 3. — Antonio DA FERRARA, Madonna e Santi,
Città di Castello, S. Francesco.

Le forme della Vergine con la testa alquanto rialzata e
convessa un po’ atticciate e non piacenti, quelle del Putto

(1) I pannelli di lato conservano le antiche dimensioni ma manca in
essi ogni traccia della vecchia cornice. Sebbene immuni da restauri, lo stato
loro e di quello centrale non è buono essendosi staccata, in più punti,

limprimitura e, copiosamente, nella tavola con S. Bartolomeo.
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DIPINTI DEL QUATTROCENTO A CITTÀ DI CASTELLO 165

dal volto rotondo si rivedranno più solide e panneggiate li-
beramente, in un'opera tarda di Antonio: nel polittico firmato
della Pinacoteca di Urbino che porta la data 1439 (1).

Cosi con due Santi vescovi di quel polittico listati nel
piviale di un alto bordo d'oro, trova riscontro il S. Bene-
detto; e coi Santi affrescati nell'Oratorio di Talamello (1437),
dai volti alquanto larghi e gli occhi grossi, tondi e rilevati,
il S. Bartolomeo. Il colorito è sordo, un po’ freddo, prepa-
rato di verde nelle carni rosee, pastose, diligentemente lu-
meggiate di biancastro, colorito che si ravviverà nelle opere
ricordate; il piegare delle vesti è un po’ rigido; ma in certi
particolari (tunica rosea del Bimbo, manto bianco a fiorami
verdi e aurei:.di S. Bartolomeo) si veggono già le pieghe
calligrafiche come mosse da una nervatura, che abbondano
nella citata tavola di Urbino, costituendo una cifra stilistica
pel pittore.

Anche il trono marrone a motivi geometrici che ne fian-

.cheggiano il dossale, a gattoni fiammeggianti di rosso con le

volute dei braccioli nei quali si vanno a nascondere fiori
verdi e aurati, è di grossolana costruzione nella sua tozza
struttura, sovraccarica di ornati gotici, che rimarrà tipica
nell’arte di Antonio specie negli affreschi di Talamello (2).

A giudicare da quest'opera giovanile che va attribuita
circa al tempo in eui l’Alberti lavorava a Montone, l'artista

ferrarese già si era formato un ideale pittorico che conser-

verà quasi invariato fino ai suoi ultimi anni giacchè egli
mori fra il 1442 e il 1449 (3).

Quel suo concepire figure massiccie e pesanti e quel
suo caratteristico bagaglio ornamentale possono ben fare

(1) Il pannello centrale si veda riprodotto da A. VentuRI; Storia del-

l'Arte, VII, p. I, 219.
(2) Riprodotti dal Zaccammwr, op. cit., 165 e segg.

(8) ZAccaARINI, op. cit., 168.

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parte degli erudimenti appresi in patria giacchè mostrano
parentela coi veneti del principio del Quattrocento. Ma a

questi elementi va aggiunto un certo influsso dei pittori 2
«dell’Italia centrale, specie di Gentile da Fabriano; mentre il È;
tipo del Putto dal volto tondeggiante, è senz’altro tolto da »

Ambrogio Lorenzetti: si confronti — per persuadersene —
il Bimbo vivace del nostro quadro con quelli di Ambrogio
nell’anconetta della Galleria di Siena (1) nel quadro della
Galleria di Budapest, (2) e nella tavola di Roccalbegna (3).
Non é dunque improbabile (e anche la tecnica dei carnati
lo confermerebbe) che Antonio abbia visitata — nella sua
giovinezza — la Toscana e particolarmente Siena.

Nella chiesa di S. Domenico che va riprendendo 1’ au- E
stera nudità delle sue linee medioevali, fra i vari affreschi ü
del sec. XV che si sono scoperti (l’edificio fu compiuto forse
nel 1424 ed era consacrato due anni dopo) (4) due superano
per qualità, gli altri frammentari che sono riapparsi, e: che
presentano semplice interesse locale.

Uno, figura S. Antonio abate e alcuni episodi della vita
sua (Fig. 4) raccolti entro una zona finita con una cornice a
semicerchio innanzi alla quale doveva svolgersi in origine un
arco a pieno centro mosso da due colonne aggettanti dai D,
muri, formando un'edicola analoga a quelle della cappella di B

(1) Riprod. dal Vrwrumr, Storia. dell' Arte, V, 718. y i

(2) Riprod dal Suma in L'Arte a. X (1907), fasc. III. |

(2) Riprod. dal Berenson, Essays in the study of sienese painting. New È
York, 1918, 23. Lit

(4) MAGHERINI GRAZIANI, Op. cit., 52.
DIPINTI DEL QUATTROCENTO A CITTÀ DI CASTELLO 167

Ciuccio Tarlati nel Duomo di Arezzo e di tre cappelle in
S. Francesco della stessa città (Fig. 4)..

Il Santo vestito con la tonaca monastica marrone e con
mantello nero, siede su di un trono a nicchia posto sopra un

Fig. 4. — IwrraronE pr GENTILE DA FABRIANO,
S. Antonio abate, Città di Castello. S: Domenico.
(Fot. del Ministero della P. I).

prato tutto verde e campato su di un fondo ultramarino. A
destra un bue accovacciato simboleggia la protezione del

Beato sugli animali; di ambe le parti si ripete uno stemma.

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168 ki M. SALMI

con un liocorno rampante nero e giallo, su campo spaccato
di giallo e di nero, l'arma della famiglia Ranucci cui ap-
partenne il committente dell’affresco.

Giova ricordare la leggenda di S. Antonio per illustrare
gli episodi che vi sono narrati. Racconta S. Atanasio. che
essendosi il Santo ritirato in un eremo posto su di un monte,
venne a lui una folla di ammalati ai quali era nota la sua
santità, e ad essi Antonio si presentò per confortarli e gua-
rirli (1). E la scena è rappresentata nella ‘storia di sinistra.

Su un paesaggio roccioso folto di alberi, si eleva una chiesa :

conservata frammentariamente insieme a una figura (quella
del Santo) che vi appare sulla porta. Innanzi ad essa im-

'ploràno vari infelici: un cieco, alcuni zoppi, un'indemoniata.

È questa l'interpretazione più retta del soggetto sebbene,
al primo vederlo, si identificherebbe per la distribuzione
delle elemosine. Dalla parte opposta, il Santo prega in gi-
nocchio fra dirupi, mentre due demoni fuggono precipitosi al
chiarore di una apparizione divina, oggi perduta. Alcune
parole sono scritte come se partissero dalla bocca del Santo:
VBI ERAS BONE YHY; e sopra interrotte dalla mancanza
dell’affresco, altre se ne leggono: ANTONI ERA[M] ...
Narra infatti la Leggenda Aurea che trovandosi Antonio
in una tomba dell’Egitto, i demoni tanto lo batterono che egli
perdette i sensi e uno dei suoi compagni credendolo morto,
lo condusse presso i confratelli. Mentre questi lo piangevano,
il Santo riacquistò le proprie facoltà e chiese di essere por-
tato dove lo si era trovato. I demoni continuarono a batterlo
e a tormentarlo; una luce sorse allora ad illuminare la ca-
verna, fugando gli spiriti maligni. Antonio che comprese
essere l’aiuto divino, disse: « Dove eri buon Gesù e perchè
non mi guarivi delle mie ferite? » E il Signore rispose: « An-

(1) AA. SS. Bollandisti, II, Antverpiae, 1648, 120 ss.

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DIPINTI DEL QUATTROCENTO A CITTÀ DI CASTELLO 169

tonio io ero là ma aspettavo di veder la tua lotta; ed ora
che hai combattuto con coraggio, diffonderó la tua gloria nel
mondo intero » (1).

Di argomento non chiaro appare invece la scena che
occupa a guisa di lunetta, l'ordine superiore diviso dall'infe-
riore mediante archetti pensili a semicerchio, gigliati e in-
trecciati. el

Movendo da sinistra, un pellegrino s'incontra con un
gentiluomo presso un edificio di cui si scorge una colonnetta
a spirale. Il gentiluomo è vestito di una ricca veste a fasce
rosse e bianche dalla quale escono le maniche e il colletto
della sottoveste giallo e nero, e porta un cappello piumato
degli stessi colori. Un falcone, simbolo di nobiltà, gli posa
sul braccio destro. Accanto, in una camera, dorme una figura
di aspetto relativamente giovane, alla quale appare un an-
gelo tutto candido. Quindi da un porticato gotico a pilastri
grigi con capitelli e basi rosse, muove lo stesso personaggio
che abbiamo visto giacente sul letto, con turbante celestino,
mantello grigio rimboccato e limitato da un bordo di piume.
Sembra dirigersi à un dirupo preceduto da una figura che
porta una torcia e dal pellegrino che ha un largo cappello,
mentre lo seguono due personaggi. Un episodio narrato nelle
leggende del Santo riferisce che mancando di viveri i mo-
naci, un angelo sotto aspetto di povero, entrò nel palazzo
del re avvertendolo, mentre dormiva, che aiutasse i frati
affinchè questi non fossero morti di fame. Il re si alzò e
guidato dall’angelo, portò gli alimenti desiderati.

Un manoscritto francese della Biblioteca Laurenziana di

Firenze, in cui è riccamente miniata la vita di S. Antonio (2)

(1) Jacques pE VoragGIne, La Légende dorée par T. De Wuyzewa. Paris,
1913, 88.

(2) Vita Sancti Antonii Abbatis, Ms. Laur. Med. Pal. 143. Appartenne

al Monastero di S. Antonio di Vienna e nel 1439 fu presentato al ponte-
fice Eugenio IV.

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Pul dirlo e on riy ee vnda ec

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riproduce l’ episodio diviso in due scene, accompagnate da
didascalie esplicative. Nella prima l'angelo pellegrino, sa-
lendo la scala del palazzo, s’ incontra sulla porta turrita
con un giovane scudiero; e nell'interno, il re vecchio e bar-
buto giace sul letto al quale s'avvicina l'angelo bisbiglian-
dogli parole all'orecchio mentre a tergo stanno diversamente
atteggiate altre due figure (1). Nella seconda un gruppo
di cammelli carichi di viveri s'incammina dalla città verso
un terreno arborato e il re lo segue con l'angelo e coi
«cortigiani (2).

Nessun episodio della vita di S. Antonio, ad eccezione
di quello descritto, può collegarsi alla nostra rappresenta-
zione espressa con tanta chiarezza nel codice di Firenze
dove langelo a rivelare la sua natura divina, porta sempre
il nimbo e le ali; e il re — anche sul letto — la corona e lo
scettro come insegne proprie al suo grado. Non altrettanto può
dirsi della scena figurata a Città di Castello dove forse si è
voluta narrare, con molta fatica bensi, una variante del me-
desimo episodio.

Comunque, l’affresco è nel complesso una cosa piacevo-
lissima della pittura dell'Italia Centrale dei primi del Quat-
trocento. Sappiamo difatti che l'altare della cappella di S. An-
tonio fu consacrato nel 1426 (3) al quale anno si può attri-

(1) C. 35 r. La didascalia dice: Quomodo angelus in figura pauperis in-
trauit palatium re | gis dicens ut alimenta deferri. facerent. fratribus in valle
com | morantibus fame afflictis.

(2) O. 85 t. Sotto si legge: Fratribus fame deficientibus post sancti preces
et lacrimas ex | alimentis delatis a duodecim camelis oneratis precedente | uno cum
tintinabulo sine ductore adventis per regem palestine dei i | nvitu paupere quo-
dam. docente casu* dimissis. :

(3) Il Cznrivr, Origine delle Chiese e Monasteri di Città di Castello ms.
del sce. XVIII nell'Archivio della Cattedr. Castellana, dice che fu consa-
-crato (insieme ad altri quattro altari) il 20 novembre, e lo ripete una lapide
del Seicento (che egli riproduce) tuttora esistente e opportunamente murata

«a lato dell'affresco, dopo i restauri. L'erudito indica l’altare come « in ca-
uo di

\

DIPINTI DEL QUATTROCENTO A CITTÀ DI CASTELLO 171

buire l'affresco che risalta per la euritmica eleganza della
composizione delle piccole istorie; per la delicatezza. ar-
monica, musicale direi, dei colori, specie della lunetta dai
cortinaggi verdi pendenti in padiglione attorno alla camera,
in eui squilla, come nota sonora, il rosso della coperta e del
berretto del dormiente; per lo sfoggio in fine dei costumi
signorili, vivaci, dei personaggi.

Il colorito luminoso, l’amore del particolare, la finezza
della tecnica, i costumi, lo stile, ci ricordano Gentile da Fa-
briano e ritornano subito a mente le parole del Vasari il
quale afferma che il nobile pittore marchigiano fece. a Città
di Castello « molte cose » (1). Ma che non si tratti veramente
del maestro ci assicurano certe particolarità di valore inferiore,
come le forme, il treppo semplice trono del Santo e l'impasto
delle carni che non è sfumato ma soffuso uniformemente di
rosa. Questo luminismo rammenta piuttosto i Salimbeni da
Sanseverino; e ricordando che Arcangelo di Cola della vicina
Camerino, dipinse nel 1416 a Città di Castello una Mad-
dalena ed altre figure nella sala grande del Palazzo Pub-
blico.(2) sembrerebbe ipotesi verosimile il pensare a lui.

Il trono non è diverso per struttura, da quello ‘nella
tavola della Collegiata di Bibbiena (3) ed è visto dall'alto
con la sua zoccolatura mistilinea come nella Madonna Long-
land di Londra (4). Neppure mancano strette analogie nel
panneggiare un po’ rigido del Santo affine a quello della

pella domini Petri Bartolomei » senza dubbio un Ranucci, il committente
cioè dell'affresco.

(1) Le Vite di Gentile da Fabriano e- il Pisanello, ediz. di Ad. Venturi,
Firenze, 1896, 4.

(2) Il 26 ottobre riceveva 30 dueati d'oro netti in conto del lavoro.
MaGHERINI GRAZIANI, Op. cit., 162.

(8) G. DE Nicora, Di alcuni dipinti nel Casentino in L'Arte, a. XVII
(1914), fasc. IV.

(4) A. Venturi, Arcangelo di Cola da Camerino in. L'Arte, a. XIII
(1910), fasc. V e De Nicora, loc. cit.

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Vergine nel dipinto casentinese e nelle forme dell’angelo ad
occhi bassi come uno di quelli ehe fan corona al gruppo
divino in quella tavola.

Ma pur prescindendo da una prima obbiezione cronolo-
gica, poichè sembra che Arcangelo si fermasse in patria dal
1425 in cui firmò il trittico oggi distrutto dal fuoco, nella
chiesa del Monastero dell’Isola (1), si oppone alla identifica-
zione una ragione stilistica perchè il Camerinese che è certo
il miglior seguace marchigiano di Gentile, si mostra nelle
sue opere ultime, più vicino al Maestro (2) di quanto non
apparisca l’autore dell'affresco nostro. Non è improbabile
dunque che il nostro frescante abbia imitato nelle forme e
nel 4rono l’affresco di Cola eseguito nel Palazzo pubblico,
che certo conobbe. L'Alberti da Ferrara in un S. Antonio
del ricordato polittico urbinate, mostra impressionanti ana-
logie col robusto e massiccio Santo della chiesa castellana.

È un vegliardo dall’ampia testa calva e rugosa anche
quello, con capelli sporgenti e folti attorno agli orecchi e
con lunga barba bifida, miniata più che dipinta (Fig. 5). Il
Beato sta in piedi tenendo un libro aperto e si volge un po’
a destra. Minori sono i rapporti — nelle piccole istorie —
con l’opera dell’Alberti, ma si nota una certa analogia fra
le architetture della lunetta e quelle, invero un po’ tozze,

della Annunciazione e della presentazione al tempio negli

affreschi di Talamello.

Se potessimo fare con certezza il nome del pittore fer-
rarese pel dipinto di S. Domenico, questo sarebbe, senza
dubbio, il suo capolavoro. Egli riesce infatti assai più equi-
librato e simpatico dipingendo a fresco piuttosto che in ta-
vola, a giudicar dal ciclo di Talamello nel quale imitò

(1) B. FeLiciancELI, Pittori camerinesi del Quattrocento in Chienti e Po-
tenza, 1911. ;
(2) L. Venturi, A traverso le Marche in L'Arte, a. XVIII (1915), 19.
DIPINTI DEL QUATTROCENTO A CITTÀ DI CASTELLO 173

non solo Gentile come già tu notato, ma anche Ottaviano
Nelli (1).

L'altro affresco di S. Domenico del quale conviene di-
scorrere, sia pure rapidamente, è una Crocefissione nella pa-

Fig. 5. — Antonio DA FERRARA,

Parte destra di un polittico, Urbino, Galleria.
(Fot. al Ministero della P. I.).

rete destra riapparsa essa. pure in seguito ai recenti re-
stauri (Fig. 6). Fu dipinta sopra altre composizioni votive di

(1) Zaccarini, loc. cit., 175. Nella Adorazione dei Magi, soltanto il re
‘inginocchiato ricorda Gentile; mentre nella costruzione della capanna, nel-
l'atteggiamento degli altri due re e nelle rimanenti figure, Antonio imita
— con una certa personale grandiosità — l’ affresco del Nelli nella Cap-
pella Trinci a Foligno, cappella che studiò anche nel comporre 1’ Annun-

ciazione e la Natività.

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cui una rimane nella parte inferiore di una figura dalla veste a
fiorami e quindi (insieme ad altre oggi pure incomplete) nella
data frammentaria: A. D. M.CCCC... Sull'intenso fondo ol-

Fig..6. — Anonimo umbro,

Crocefissione, Città di Castello, S. Domenico.
(Fot. del Ministero della P. I.).

tremare si svolge il dramma, fra scogliere sparse di alberi:
Cristo e il buon ladrone la cui piecola anima 6 portata dritta
al cielo da un angelo, sono già morti. L'altro crocefisso, si
contorce negli ultimi spasimi dell'agonia dolorosa e l'anima,
=

DIPINTI DEL QUATTROCENTO A CITTÀ DI CASTELLO 175

piccolo diavoletto agile, gli esce dalla bocca per essere ac-
ciuffata da ‘un demone.

In basso s’affollano i devoti e i manigoldi.

A sinistra, la Vergine cade fra le braccia della Madda-
lena e delle altre donne come si vede da un piccolo fram-

. mento. In secondo piano è un cavaliere armato; quindi, —

più avanti —— un brutto ceffo barbuto a cavallo, che vuol
battere con una robusta clava l'esanime corpo*del buon la-

‘dro. Un giovane fante in piedi nel mezzo, volge le spalle

allo spettatore e s’appoggia a una lancia; un altro sbirro a
cavallo coperto nel capo d’un berrettone azzurro, si volge
con sguardo felino all’altro compagno di Cristo alzando mi-
naccioso una mazza; e in primo piano un S. Giovanni piange
stringendosi ambe le mani mentre un S. Lorenzo assiste in
posa di parata e a tergo tre cavalieri tutti armati guardano
quasi indifferenti.

L'affresco non corretto di forme, e stonato nei colori
vivacissimi è tuttavia pieno d’interesse e ricco di tentativi
originali: la postura dei crocefissi di lato, la solida struttura

dei cavalli in iscorcio, quel fante messo proprio nel mezzo

della composizione con le spalle piantate contro l’osservatore
costituiscono altrettante notevoli ricerche naturalistiche di
un artista che s'approssima alla metà del Quattrocento, ano-
nimo sino ad ora, ma schiettamente umbro pel colore e pel
sentimento.

Infatti la sinfonia cromatica dei Salimbeni e di Gentile,

sì trasforma negli umbri coevi in una forte violenza di con-

trapposti che costituiscono una simpatica caratteristica della
miniatura ma nei maggiori spazi delle tavole e degli affreschi
formano note di colore alquanto stridenti. Ottaviano Nelli e
quindi Mariano di Antonio del quale notiamo la schiarata
intonazione delle tinte nel nostro affresco, sono esempi si-
gnificativi. |

Riguardo all'espressione dei vari personaggi cosi osten-
tatamente variata é quella propria degli umbri: esuberanza,

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176 \ M. SALMI

eccesso di sentimento. Si comprendono così le attitudini
drammatiche dei manigoldi che continuano a imperversare
sui crocefissi già morti e il pathos del S. Giovanni urlante
che prelude alle figure dell’Alunno e che trova riscontro in
quelle — assai inferiori — di Mariano di Antonio.

A Città di Castello sempre aperta alle più svariate ten-
denze pittoriche, l’arte umbra si era già, innanzi all’affresco
di S. Domenico, affermata col maestro che per primo esprime
con accenti propri, lo spirito della regione: Ottaviano Nelli.
Troviamo infatti proprio il Nelli in un affresco della chiesa
della Madonna delle Grazie genericamente assegnato ad un
anonimo del secolo XV (1). Oggi lo si vede nella penombra
di una cappella a destra della. chiesa dove fu trasportato
dalla parte opposta, per aprirvi il passaggio all’ oratorio
che conserva l immagine miracolosa dipinta da (Giovanni

di Piamonte. E la morte della Madonna (Fig. 7) — il sog-
getto che vi è dipinto — si limita alla parte inferiore cam-

pata su fondo azzurro chiaro; chè del Cristo in atto di
accogliere la Vergine fra una gloria di angeli, rimane una

parte dei panneggi, essendosi distrutto il rimanente dell’ af-

fresco quando fu trasferito dal luogo in cui era stato dipinto.
Nella morta terrea e negli apostoli che la circondano, ar-
rossati, un po' lividi si alternano vivacemente i colori propri
alla gamma del pittore: celestini, rossi chiari e verdi ramini
costituendo come fu bene detto per un'altra opera del Nelli,
« una violenza disordinata di tinte, non regolata da una

(1) Amicizia, Guida cit., 86.

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DIPINTI DEL QUATTROCENTO A CITTÀ DI CASTELLO 171,2

luo di ritmo e di armonia » (1). La scena, continuando la
tradizione trecentesca; é una cerimonia religiosa nella quale

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Fig. 7. — OrraviaNo NELLI,
Morte della peru. Città di Castello, S. Maria delle Grazie.
(Fot. Brogi).

vivacemente risalta il S. Pietro con un piviale rosso tutto
ornato d'oro.

Un'altra volta l' artista — nella Cappella Trinci di Fo-

imu ai Tai eroi in aoro D ns iit

(2) A. Corasawrr, Contributo alla Storia della Pittura nelle Marche, III,
"xn nella cappella di S. Aldebrando in Fossombrone, in Bollettino d? arte,
IX (1915), fasc. XII, 370.
178 M. SALMI

ligno (1424) — riprodusse lo stesso soggetto confinandolo
entro un interno a tre arcate fra le quali distribuì affollata-
' mente i vari personaggi. A Foligno certi particolari di cu-
rioso verismo alquanto umoristico, tipico pel Nelli, animano
la composizione: un apostolo avvicina una candela accesa
alla bocca della Vergine per accertarsi se in essa aliti an-
cora un filo di vita; un altro soffia nel turibolo per ravvi-
varne il fuoco; un chierichetto tiene il libro aperto innanzi
al celebrante e lo alza facendo della sua testa il leggio (1).
Nel nostro, la nota realistica ritorna: di poco il Nelli varia
il chierico tonsurato; un apostolo dondola il turibolo invece
di soffiarvi; un altro apostolo dispone sotto il capo della Ma-
donna un cuscino tutto ornato (2).

. L'affresco di Città di Castello, più organico nella composi-
zione è assai più tardo di quello di Foligno: corrisponde alle
forme maggiormente tondeggianti e atticciate, alla tecnica
più franca e spedita da affreschista sicuro, che assunse di poi
il pittore.

Ora, se del Nelli non si è trovata sino ad oggi notizia
veruna relativa ad un suo soggiorno in Città di Castello, è noto

(1) Riprodotto dal FaLoci PuriGNAwr, Foligno, Bergamo, 1907, 75.

(2) Sebbene per soggetto differenti, i Funerali di S. Agostino nella
chiesa omonima di Gubbio e quelli di S. Domenico a Fano, riproducono
un'analoga composizione. Cfr. per questi, D. L. AsioLi, La chiesa di S. Do-
menico a Fano, Fano, 1910; U. G(worni)), Affreschi del N. in Fano, in Rass.
d’Arte Umbra, a. II (1911) n. 1.

Sul Nelli oltre le opere sopra citate, il Crowe e Cavalcaselle (ed. Bo-
renius) e il Venturi, si veda: CoLucci in Antichità Picene, vol. IX. Fermo,
1791; A. H. Layarp, Account of Nelli's fresco of the Madonna and Saints‘
London, 1857, trad. da L. Bonfatti, Perugia, 1860; L. BonrattI, Elogio e
documenti riguardanti Ottaviano Nelli, Foligno, 1873; G. OnisTorANI in Augusta
Perusia, a. II (1907). 74-76; MazzatintI, Documenti per la Storia delle Arti
a Gubbio in Archivio Stor. per le Marche e per U Umbria, vol. III (1886),
fasc. IX-X ; E. Scarassa, in Rassegna Bibl. dell’ Arte Ital., a. XI (1908),
n. 11-12; U. Gwori, Una tavola sconosciuta di Ottav.' Nelli in Rass. d' Arte,
a. XI (1911), n. 4.
DIPINTI DEL QUATTROCENTO A CITTÀ DI CASTELLO 179

che nel 1436 egli dipingeva a Borgo San Sepolcro insieme
ad un maestro Antonio d’Anghiari, i gonfaloni per quel Co-
mune e ne riceveva il 10 novembre, col suo compagno,
quattro fiorini (1). È possibile che l’ artista feracissimo, do-
vendo passare da Città di Castello per raggiungere la vicina
terra toscana, vi lasciasse l’affresco di S. Maria delle Grazie
stilisticamente riferibile intorno a quel tempo.

- MARIO SALMI.

(1) EveLyn, in L'Arte, a. XVI (1913), 473.

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. LA TOMBA ETRUSCA
DEI VELIMNI A PERUGIA

CAPITOLO T. ^

Descrizione del luogo e cenno intorno alla scoperta del se-
polcro dei Volumni. — Accenno alla esistenza di una va-
sta necropoli (Palazzone) in quella medesima località.

Chi, percorrendo la strada che da Perugia conduce alla
vicina stazione di Ponte S. Giovanni, a circa due miglia
dalla città, volga alla sua sinistra lo sguardo, nella contrada
denominata Piscille, ammira una collina non molto elevata,
la quale pur; non presentando una figura geometrica rego-
lare, come quasi tutte le configurazioni di natura, si avvi-
cina ad un tronco di cono a.larga base. È cosparsa di alberi,
i quali danno ora una intonazione di vita e di produzione a
quel luogo che un tempo fu destinato alle tombe e consacrato
alla morte. Questo contrasto poi viene percepito solo da chi
si appresti a risalire col pensiero nei secoli per scrutarne le
vicende in rapporto al terreno. Il resto dell'umanità invece,
che non è uso à spingere il dotto sguardo nel sottoterra,
percorrendo quella zona così amena si contenta di ammirare
all’esterno, sullo sfondo del paesaggio umbro, quell’altura che
declina dolcemente nel Tevere.

La fisonomia esterna della località non differisce peraltro
da simili alture che nello stesso territorio perugino e altrove,

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gli Etruschi prescelsero per scavarvi dei sepolcri più o meno
vasti e sontuosi. E ció avveniva in grazia della particolare
conformazione geologica della contrada, costituita fino a no-
tevolissima profondità da uno strato compatto e tenace di
depositi alluvionali (tufo giallastro) adattissimo per esser ta-
gliato secondo le esigenze delle costruzioni funebri (1).
L'ipogeo che forma oggetto di questo studio & uno dei
più profondi scoperti finora in Etruria, ed appare pertanto
sorprendente la conoscenza che si potesse avere in quei tempi
cosi remoti della natura del sottosuolo. Ma, a parte tale con-
statazione che per i cultori di geologia può avere forse an-
che un valore scientifico, tornando nel campo delle nostre
ricerche, bisogna notare che tanto nella località che ora si
studia, quanto in altre località simili parimenti sparse di an-
tiche tombe, nessun segno visibile permane all'esterno ad

indieare i sepoleri. Ció contrasterebbe con l'uso diffusissimo

in tutto il mondo antico di stele e di cippi funerari, posti
dai superstiti ad indicare e a delimitare l'area sepolcrale.
Bisogna quindi pensare che se anche l'ipogeo in istudio a-
vesse avuto in origine dei segni o monumenti esteriori (e
tanto mi pare si possa e si debba pensare, dato il lungo uso
del sepolero che servi per varie generazioni) questi dovet-
tero sparire assai per tempo. La tomba infatti non era stata
mai aperta o comunque violata al momento della sua sco-

perta, che fu del tutto accidentale. Riporteremo fra poco le

notizie esatte, desunte da fonti contemporanee, intorno alle
circostanze della scoperta. Ma intanto si impone l'esame pre-
liminare del seguente problema : il sepolero dei Volumni deve
considerarsi indipendente dalla necropoli del Palazzone che
occupava una vasta superficie di quella collina (2) oppure
ne faceva parte, ed era anzi la tomba più sontuosa di

(1) CONESTABILE, Monumenti di Perugia etrusca e romana, parte II, tav. I-II.
(2) Id., id., parte III, p. 8 sgg.
LA TOMBA ETRUSCA DEI VELIMNI A PERUGIA 183

tutto quel complesso? Tale problema non si proposero i dotti
vissuti al tempo della scoperta, ai quali perció il sepolcro
doveva apparire come una costruzione comune differente
dalle altre della necropoli solo per la sua sontuosità. In ciò
concordano le varie. congetture alle quali essi pervennero
per spiegare l'origine della tomba (1) La critica moderna
non puó al riguardo dare molto peso alle considerazioni di
quei dotti, per stabilire l'associazione e la concomianza del-
l’ ipogeo dei Volumni con la necropoli del Palazzone. L'esame
archeologico della tomba e delle sue suppellettili al lume
della scienza moderna induce al contrario a pensare che
l ipogeo nobiliare della famiglia Velimna o Volumnia, quasi
cappella gentilizia, avesse una individualità a sé, del tutto
indipendente dai molti sepolcri circostanti e più superficiali,
con cui esso aveva appena un rapporto meramente mate-
riale e topografico. Tale condizione appare giustificata quando
si consideri non solo la struttura diversa e la sontuosità ec-
cezionale della decorazione nella tomba che si studia, in con-
fronto con quelle assai più umili, di modeste proporzioni e
di tipo comune del Palazzone, ma soprattutto la diversa arte
e i differenti simboli con cui furono ordinati gli ambienti se-
polcrali e i mobiliari funebri, a incominciare dalle urne. Se
leggiamo la descrizione dei sepolcri del Palazzone che ci la-
sciò il Conestabile (cfr. Nota 2 pag. 2) essi ci appaiono di carat-
tere plebeo e di un genere assai comune e diffuso in Etruria,
sia per la struttura (constavano infatti, per lo più di un solo
ambiente quadrato (2), raramente di due (3), ristretto e sem-
plicissimo) (4) e sia per il contenuto (si rinvennero infatti,
nel loro interno piccole urne di travertino policrome e senza

(1) Idem, op. cit. II, Aggiunta al sepolcro dei Volumni, p. 142 sg. — ORIOLI, Sul
sepolcro dei Volumni illustrato dal prof. G. B. Vermiglioli ed edito dal conte Gian
Carlo Conestabile (estratto dal Giornale Arcadico, T. CXL) p. 12.

(2) CONESTABILE, Op. cit. III, pp. 8, 13, 65, 113 etc.
(3) Idem, op. cit., pp. 42, 65.
(4) Idem, op. cit., p. 15 sgg.
184 E. ZALAPY

rivestimento di stucco, con figure recumbenti sui Coperchi,
e adorne nella, fronte di bassorilievi molto rozzi, esibenti mo-
stri marini, scille, combattimenti, scene mitologiche), mentre
l'ipogeo dei Volumni è innegabile che costituisca sotto ogni
punto di vista un’eccezione in quella particolare zona sepol-
crale del territorio perugino. Ma ciò apparirà sempre più
chiaro di mano in mano che procederemo nello studio delle
figurazioni delle celle e degli oggetti che vi furono rinve-
nuti. Per ora sia lecito di affermare, anticipando una parte
dei resultati delle odierne ricerche, che nessun rapporto in-
tenzionale dovette esistere tra la necropoli del Palazzone e
il sepolcro gentilizio della famiglia Velimna, il quale per
tanto non può considerarsi come il centro e il culmine ideale
di essa, per il solo fatto della concomitanza topografica. Chi
non sia del tutto ignaro dell'archeologia etrusca, pur senza
scendere ad un esame minuzioso, come viene imposto dal
presente lavoro, si accorge a prima vista della differenza
concettuale e artistica che divide nettamente le urne del
Palazzone da quelle dell’ ipogeo in questione, osservando la
numerosa raccolta delle prime, conservate ed esposte nell’a-
trio dell'ipogeo stesso e confrontandole con le poche sco-
perte e rimaste al loro posto di origine dentro di esso.

Questo dei Volumni per tanto, che servi, come vedremo,
a varie generazioni della stessa famiglia, va considerato, nella
sua unità costruttiva, analogo alle cappelle gentilizie del no-
stro tempo, e concepito isolatamente nello spazio assegnato-
gli, a somiglianza di altri monumenti simili che si scoprirono
sparsi e pure isolati non solo nella stessa campagna di Pe-
rugia, ma si può dire, in ogni luogo dell’antica Etruria,
presso le più famose città. i

Ciò detto, nessun obbligo scientifico deriva studiando la
tomba dei Volumni di prendere in esame anche la necropoli
del Palazzone.
| Il vasto e sontuoso ipogeo fu scoperto casualmente il
il 5 febbraio del 1840, mentre si eseguivano i lavori per la
bi

LA TOMBA ETRUSCA DEI VELIMNI A PERUGIA 185

deviazione della strada detta Cortonese, proprio nel terreno
nel quale si elevava la collina sopra descritta, di proprietà
dei Conti Baglioni e del Monastero di S. Lucia (1). Compo-
sto di più ambienti rappresenta uno dei tipi più perfetti di
quelle costruzioni funebri scavate nelia roccia tenera e ri-
producenti un’abitazione civile a schema quadrangolare e
quindi orientata secondo le linee cardinali e decumane cosi
diffuse presso gli Etruschi. Nellambiente prineipale furono
trovate sette ricchissime urne sei delle quali di travertino
rivestite di stucco bianco e una di marmo bianco.

Sebbene a Perugia le scoperte archeologiche non fossero
né nuove né rare, quasi subito, quella che ci interessa destò
un’eco profonda in tutti i dintorni, e la sua fama, come era
naturale, non tardò a diffondersi nella città. Sappiamo infatti,
che una folla numerosa di curiosi, la stessa sera del 5, ac-
corse da ogni parte ad ammirare il nuovo sepolcro, non senza.
recarvi qualche.danno, tantoché la Delegazione Apostolica
dovette prendere opportuni provvedimenti in proposito (2).

Fin dal giorno della scoperta le urne furono lasciate
ciascuna nel posto che le era stato assegnato in origine, e
il sepolcro fu del pari ben custodito,

(1) Le notizie riguardanti le circostanze della scoperta furono esposte dal Ver-
miglioli nella sua opera sul sepolcro (efr. VERMIGLIOLI, Sepolcro dei Volumni in Co-
NESTABILE, II, p. 5) e nel Bollettino dell’Istituto di Corrispondenza Archeologica (1840,
p. 17). Ma le troviamo accennate anche nei documenti di archivio contemporanei
(cfr. Archivio della Delegazione Apostolica di Perugia, protocollo 1840, n. 1678, fascicolo
Scavi 1840, n. 1485: rapporto del Gonfaloniere di Perugia al Camerlengo, rapporto
dello stesso al Delegato Apostolico, rapporto di Giulio Donati al Delegato Apostolico.

Le stesse fonti possono servire per la data precisa della scoperta (cfr. Rap-
porti ora citati e protocollo 1840, n. 1488; VERMIGLIOLI, op. cit. in CONESTABILE, II,
p. 6; CONESTABILE, I, p. 173). j

(2) Cfr. Rapporto sopra citato di Giulio Donati al Gonfaloniere di Perugia dal
quale apprendiamo che fu mandato sul posto dal Delegato Apostolico un distacca-
mento di carabinieri.

L'intervento della Delegazione Apostolica per la tutela del nuovo monumento
era reso necessario dalle leggi che allora vigevano in tutte le provincie dello Stato
Pontificio, riguardanti gli oggetti d'arte e le scoperte archeologiche (cfr. Editto del
Cardinal PaccA in N. A. FALCONE, Codice di Antichità e Belle Arti, p. 47 sgg.).

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La tomba fu poi visitata da archeologi e da uomini illu-
stri, e, come in seguito si dirà, un buon numero di relazioni
e di riproduzioni servirono in seguito a divulgarne la fama
in tutto il mondo. Prima peró di procedere oltre nel nostro
studio, eredo che sia ora opportuno fare un cenno intorno
alla famiglia Volumnia (etrusco Velimna) a cui apparteneva
il rieco sepolero, come fanno fede tutte le iscrizioni riscon-
trate in esso, sia quelle etrusche scolpite sulla fronte delle
urne in travertino e sullo stipite destro della porta d'in-
gresso, sia quella bilingue, latina ed etrusca, che si legge. È
sulla fronte e sul coperchio dell’ urna di marmo. 1

Nessuna notizia è a noi pervenuta di questa etrusca fa- j
miglia. Solo Varrone (1) ricorda un Volumnio autore di tra-
gedie etrusche. Dalla sontuosità però della tomba è lecito
congetturare l'origine patrizia della famiglia che la posse-
deva.

Sappiamo invece, che a Roma il nome dei Volumni era È
diffusissimo e di molti di essi è giunta fino a noi qualche
notizia. Ne troviamo di nobile schiatta e di origine plebea,
alcuni insigniti di alte cariche, altri, all’opposto, privi di
qualsiasi titolo onorifico. :

Livio fa menzione di un P. Volumnio console nel 410
a. C. e di un Lucio Volumnio console nel 307 e nel 296 a. C. (2).
Altri Volumni contemporanei di Cicerone troviamo citati nelle
Epistole e nelle orazioni contro Antonio (3). Nello stesso se-
colo vissero i Volumni ricordati da Giuseppe Flavio (4). Di !
altri troviamo notizie nelle Epistole di Frontone (5. Di un
L. Volunnius Horatianus sappiamo che fu sodalis Augustalis
et praetor urbanus (6).

(1) VARRONE, De lingua latina, Vico a
(2) Livio, Ab wrbe condita, III, 10; X, 15. i
(3) CICERONE, Fam., VIII, ep. 32, 33; IX, ep. 26, XI, ep. 12.

(4) Cfr. DEssAv, Prosopographia Imperii Romani, III, 639, 640, pp. 439-440.
(5) Idem, op. cit., 642 e 633.

(6) Idem, 1. c., 641.
LI

LA TOMBA ETRUSCA DEI VELIMNI A PERUGIA 187

E à Roma non mancarono neppure donne che porta-
rono tal nome. Non c'è chi non ricordi, ad esempio, la fa-
mosa Volumnia moglie di Coriolano (1) Una Volumnia Ca-
leda e una Volumnia Modesta troviamo, infine, citate dal
DESSAU nella Prosopographia I. R. (III, 644, 645, 95 e 430).

Ora qual relazione vi fosse fra le famiglie Volumnie ro-
. mane e specialmente quelle di origine patrizia, e l' etrusca
Velimna che possedette l’ ipogeo in istudio, non «sappiamo;
un rapporto però doveva necessariamente esistere. Nè si può
mettere in dubbio che l’etrusco Velimna corrispondesse al
romano Volumnius: lo attesta l'urna di marmo di tipo archi-
tettonico, a cui sopra abbiamo accennato, nella quale tro-
viamo un Velimna scolpito sul coperchio e tradotto in Vo-
lumnius sulla fronte dell’urna medesima.

CAPITOLO II.

Prime relazioni e studi intorno al sepolcro.

Le prime relazioni intorno alla insigne scoperta furono
naturalmente di carattere ufficiale ed amministrativo. Appena
la notizia pervenne al Delegato Apostolico e al Gonfaloniere
del Comune, in quel tempo le autorità più eminenti di Pe-
rugia, queste si affrettarono a comunicarle al Governo cen-
trale di Roma, conformemente ai regolamenti di allora in-
torno alle scoperte di antichità. Nel protocollo dell’ archivio
della Delegazione Apostolica del 1840, si accenna infatti,
ad alcuni « dispacci » in ‘data 6, 11, 18 febbraio di quel-
l’anno, diretti al Camerlengo in occasione della scoperta.
Del rapporto dell’ 11 febbraio si conserva ancor’ oggi la co-
pia, rimasta in Archivio. In essa il Gonfaloniere, dopo di
avere accennato brevemente alla scoperta, perchè già il Ca-

(1) Livio, Ab urbe condita, IT, 40; SCRULZE, Zur Geschichte lateinischer Eigen-
namen, p. 238.

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188 E.. ZALAPY

merlengo ne era stato informato più distesamente dal di-
spaccio precedente, del quale non è rimasta alcuna traccia
in Archivio, rivolge ‘viva preghiera a quel magistrato di
provvedere alla conservazione delle urne e degli altri 0g-
getti, lasciandoli nel luogo in cui erano stati rinvenuti. Sulle
altre informazioni che doveva contenere il dispaccio del 13
nulla qui possiamo riferire, perché neppure di quest'ultimo
ci é giunta la copia.

Ma oltre a queste notizie che non sarebbero certo valse
da sole ad acquistar fama al sepolcro discoperto, come quelle
che erano destinate per loro natura a rimanere celate neeli
archivi, il trovamento interessó subito gli studiosi locali.

Viveva in quel tempo a Perugia G. Battista Vermiglioli,
allora professore di archeologia in quella libera Università.
Il suo nome va legato a vari scritti, la maggior parte di
contenuto archeologico e di carattere locale. Il nome di Ver-
miglioli dava per sè stesso pieno affidamento per l'illustra-
zione scientifica del sepolcro, che egli si riservò e compì con
gran cura; tantochè dobbiamo considerare come una singo-
lare ventura, che in quel tempo e in quella città vivesse
un dotto come il Vermiglioli, il quale, pertanto rappre-:
senta la prima autorevole fonte della scoperta. Quest'uomo
insigne fu invitato dalla Delegazione Apostolica a dare il suo
giudizio sulla scoperta. Egli fu il primo scienziato che scese
nel sotterraneo e che provó tutta l'emozione di osservare
con occhi mortali il gentilizio recesso consacrato ai defunti.
Difatti, nel protocollo della Delegazione .Apostolica del 1840
al n. 1484 leggiamo: « La Delegazione prega il cav. Vermi-
glioli a voler visitare la Camera sepolcrale ed altro ritro-
vato nelle vicinanze del Palazzone, presso la linea di devia:
zione della Cortonese e di voler dare una relazione tutta
propria della sua dottrina, non senza esternare parere sul
possibile ritrovamento di altri vetusti avanzi ». E poiché tale
rapporto è in data del 5 febbraio, si può con sicurezza affer-
mare, che l'incarico gli pervenne lo stesso giorno della SCO”
LA TOMBA ETRUSCA DEI VELIMNI A PERUGIA 189

. perta. A ciò .si aggiunga che i proprietari del nuovo ipo-
. geo, i quali dovevano ben conoscere l'alto valore dell’ illustre
loro concittadino, non poterono non esternargli il desiderio,
che la insigne tomba e i preziosi oggetti in essa conservati,
fossero da lui descritti e quindi pubblicati; nessuno infatti
allora poteva trattarue più degnamente (1).

Il Vermiglioli si studiò di dare. una illustrazione. parti-
colareggiata e completa della. tomba, .spiegandone, in base
alla sua esperienza archeologica, tutti i simboli e le figura-
zioni, e oltre a ciò, ponendo gran eura a trascrivere e a
riferire le epigrafi. La sua opera è intitolata « Il ‘sepolcro dei
Volumni scoperto in Perugia nel 1840 » corredata da- una se-
rié di tavole rappresentative. Nonostante l'esperimentata bra-
vura dell'uomo, il compito assunto dal Vermiglioli fu. quanto

mai arduo, data la novità e la singolare sontuosità del se-

polcro da illustrare. L’opera fu annunziata da vari giornali
del tempo. (2) e,- non appena vide la luce, letta e. studiata
con particolare interesse, come, del resto, era da aspettarsi,

data la fama dell'autore e l'importanza del soggetto. Non

mancarono le lodi indirizzate al Vermiglioli da molti studiosi
in giornali italiani e stranieri, e realmente nessuno potrebbe
togliere valore alla descrizione del Vermiglioli, sia perchè
trattavasi di un uomo veramente di valore, e sia perché fu

quasi testimone della scoperta, e, primo fra gli scienziati,

visitó la tomba e subito ne inizió lo $tudio metodico (3).

— Ma, se i dotti .coutemporanei non risparmiarono al Ver-
miglioli lodi ben meritate, non passarono neppure sotto si-
lenzio alcuni errori in cui egli incorse, e non esitarono tal

(1) Bollettino dell Istituto :di Corrispondenza Archeologica, 1840, p. 17.

(2) CONESTABILE, I, p. 174, nota 3.

(8) Cfr. Archivio della Delegazione Apostolica 1840, DOLL del Gonfaloniere
di Perugia al Delegato Apostolico in cui è detto che primi a penetrare nel sepol-
ero furono il conte Baglioni, Ludovico. Lazi, agente del monastero, e il cav, G. B.
Vermiglioli. Cfr. inoltre rapporto di Giulio Donati al Delegato quon e rapporto
' dello stesso al Gonfaloniere di Perugia.

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190 E. ZALAPY

volta a mostrarsi di parere contrario. Il Gennarelli, ad esem-

pio, nel Bollettino di Corrispondenza Archeologica (anno 1841,
pag. 12 e seg.) dopo di avere chiamato « ampia e dotta »
l'illustrazione del Vermiglioli, osservò essergli sfuggito un
particolare di sommo interesse, cioè la doppia iscrizione. di
una urna. Il Raoul Rochette nel Journal des Savants del 1843,
pur avendo lodato lopera dell'archeologo perugino, mise in
evidenza alcuni errori, dovuti in gran parte alla vista, che
negli ultimi anni gli si era indebolita. E non mancó neppure
chi fece rilevare i difetti della parte figurata. Il Poletti, in-
fatti, in un suo articolo pubblicato nel Giornale Arcadico
(Tomo XCV) dichiaró, in una nota, inesatti i disegni con
cui il Vermiglioli accompagnò la sua illustrazione.

In seguito alla relazione del Vermiglioli 1’ ipogeo rimase
proprietà dei conti Baglioni e del monastero di S. Lucia nel
cui terreno, come si disse, era stato rinvenuto. Ad essi il Go-
verno Apostolico affidò la custodia del monumento, con rap-
porto del 26 ottobre (1) a condizione che fosse conservato in-
tatto.
Ma quel lavoro, composto in tutta fretta (poichè si trat-
tava di dare al più presto notizia del nuovo insigne monu-
mento), non ebbe la piena approvazione dell’ Archeologo
perugino. E difatti, negli anni successivi a tale pubblicazione,
lo vediamo intento ad ampliare e a migliorare il suo scritto,
alcune parti trattando con più cura, aggiungendo nuove no-
.tizie e nuovi particolari che nella fretta gli erano sfuggiti,
o che riguardavano fatti posteriori all'anno della scoperta,
e finalmente introducendo qualche correzione. Inoltre, dopo-
chè venne in luce quello scritto, altri dotti si occuparono e
studiarono il nuovo ipogeo, esponendo intorno a questo le
proprie opinioni in bollettini e giornali, opinioni, come si è
già detto e come fra poco vedremo, talora discordanti con

(1} Cfr. Archivio della Delegazione Apostolica protocollo 1840, n. 9697.

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LA TOMBA ETRUSCA DEI VELIMNI A PERUGIA 191

quelle del Vermiglioli, onde è naturale, come questi, saldo
nelle proprie primitive idee, sentisse il bisogno di riaffer-
marle e confutare quelle ad esse contrarie. |

Infine, a pubblicare nuovamente il suo lavoro, lo spinge-
vano le continue eccitazioni di contemporanei i quali, essen-
dosi presto esaurita la prima edizione, erano rimasti privi
di quell'opera tanto pregevole (1). Ma proprio quando stava
per venire alla luce la nuova edizione il Vermiglioli fu colto
da grave male, dal quale non si liberò che. colla morte. Si
deve al conte Gian Carlo Conestabile, uno dei più illustri
discepoli del Vermiglioli, l'avere pubblicato più tardi, e cioè
nel 1855, il manoscritto rimasto al conte Baglioni, nella sua
opera intitolata « Giovan Battista Vermiglioli — Dei monu-
menti di Perugia etrusca e romana, nuova pubblicazione per
cura di Gian Carlo Conestabile ».

Il Conestabile, nell'opera citata riprodusse del tutto fe-
delmente il manoscritto del Vermiglioli, senza tralasciare
alcun particolare da questi ricordato. Solo nella descrizione
delle urne modificò l’ordine tenuto dal Vermiglioli per mag-
gior esattezza. Ma poichè il Conestabile non poteva rinunziare
a far conoscere ai lettori le varie opinioni degli altri dotti
in quelle parti che si prestavano a diverse interpretazioni,
e di esse quelle che erano ormai le più universalmente
accettate, o quelle che egli credeva più verosimili, e anche
le proprie quando queste non coincidevano con le idee del
maestro, vi appose delle note, lasciando, così, integro il testo.
In queste inoltre, egli diede una serie di notizie utili e atte
a rendere al lettore più chiara, in certi punti, l’ esposizione
del Vermiglioli. Per maggior brevità, si riserbò di porre in
ultimo, fra le aggiunte, qualche nota troppo lunga del mae-
Stro, e di trattare più diffusamente. delle questioni più im-
portanti che riguardano l’ ipogeo.

(1) Cfr. CONESTABILE, op. cit., II, Avvertimento preliminare, p. l.

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192 . E. ZALAPY

La scoperta del sepolcro non poteva non avere un’ eco
nel Bollettino dell’ Istituto di Corrispondenza Archeologica
di Roma, che era allora il solo centro di raccolta in Italia
di tutte le notizie riguardanti le scoperte archeologiche. E
fu il Braun (1) che nel marzo del 1840 volle annunciare la
nuova scoperta pubblicando una lettera inviatagli dal Ver-
miglioli nella quale, mentre si annunzia l’opera che stava
per venire alla luce, è dato un brevissimo cenno descrittivo
della tomba e dei monumenti che essa contiene.

Inoltre, qualche. mese dopo, cioè nel luglio, lo stesso
Braun riportò due altre relazioni; luna del conte Servanzi
Collio (2) l’altra del Feurbach (3). Il primo mirò solo a dare
un’ idea generale della struttura interna dell’ ipogeo, senza
tener conto dei preziosi oggetti in esso racchiusi. Più ampia
è invece la relazione del Feurbach il quale, come sappiamo
dal Raoul Rochette (4), ebbe agio di visitare la tomba e di
esaminarla in ogni suo particolare. Molto ben curata è la
descrizione della parte architettonica, mentre alquanto som-
maria è quella che riguarda i monumenti. Ma nell’una e
nell'altra non tutte le affermazioni date dall’ autore coinci-
dono, come vedremo in seguito, con quelle del Vermiglioli.

Un'altra relazione, pubblicata lo stesso anno della sco-
perta, si trova nel Giornale scientifico letterario di Perugia
(1840), relazione suggerita dall'opera, allora recentissima, del
Vermiglioli. Essa si deve allo Speroni il quale per la descri-
zione della tomba e delle urne attinse all'opera dell’ insigne
archeologo, accettandone quasi tutte le opinioni.

; Tre anni dopo la scoperta, il Raoul Rochette, nel Journal
des Savants (1843), dedicò al sepolcro due lunghi articoli (5).
Il primo è tutto destinato alla esposizione della parte archi-

(1) Cfr. Bollettino dell’ Istituto di Corrispondenza Archeologica, 1840, p. 17 sgg.
(2) Ivi, p. 116-117.

(3) Ivi, p. 417-423.

(4) Journal des Savants, 1843,. p. 104.

(5) Ivi, pp. 588-605 ; 666-680; 738-745.
LA TOMBA ETRUSCA DEI VELIMNI A PERUGIA 193

tettonica, mentre nel secondo segue l'ésame delle singole
urne e delle epigrafi in esse scolpite.

Vedremo nel capitolo seguente come nella interpreta-
zione delle sculture e dei simboli della tomba il Rochette
non fosse spesso d’accordo col Vermiglioli e col Feurbach.
Ma del tutto diversa da quella del Vermiglioli è la spiega-
zione delle epigrafi tentata dal sullodato archeologo.

La nuova pubblicazione dell'opera del Vermigtioli ac-
compagnata dalle dilucidazioni del Conestabile, avvenuta,
come si è detto, nel 1855, diede all'Orioli occasione di pub-
blicare in quello stesso anno un articolo sul Giornale Arca-
dico, il cui oggetto principale è la determinazione cronolo-
gica del sepolcro. Tale importante questione aveva già agi-
tato gli studiosi fin dall'epoca della scoperta. E pel primo
il Vermiglioli, basandosi sullo stile delle urne e su qualche
particolare (come la mancanza di barba nei personaggi re-
cumbenti sui coperchi delle urne) credette di potere ascri-
vere la tomba al tempo dell’ impero (1) e più tardi furono
dello stesso suo avviso il R. Rochette (2) e il Micali (3).
Secondo il Poletti invece, il sepolcro è dei primi secoli di
Roma (4) Egli porta come prova l'antichità della gente Vo-
lumnia. Dato un simile contrasto di opinioni, il Conestabile
nelle sue dilucidazioni all'opera del Vermiglioli, non poteva
lasciare indiscussa simile questione. E difatti, fra le aggiunte
espose in proposito il proprio parere (5). Stabilite per la parte
architettonica due epoche diverse, l’una di costruzione origi-
naria, l’altra di restauro (6), ascrisse la prima ai primi tempi

(1) VERMIGLIOLI in CONESTABILE, II, p. 112.

(2) Journal des Savants, 1843, p. 606.

(3) MicaLi. Lettera al Vermiglioli, 19 dicembre 1849 in CONESTABILE, II, Ag-
giunte, p. 142.

(4) Giornale Arcadico, T. XCV, p. 371 e 374.

(5) CONESTABILE, op. cit., II, p. 142 sgg. |

(6) Egli si fonda sopratutto su alcuni lavori di travertino che si riscontrano
nella tomba. Tale opinione era già stata messa avanti dallo Speroni e dal Poletti
(efr. Giornale Scientifico Letterario di Perugia 1840 e Giornale Arcadico, 184,
T. XCV).

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I 194 E. ZALAPY

di Roma, e la seconda al IV e V secolo della stessa (V e IV
a. C.). A quest'ultimo periodo fece risalire anche le urne, ad
eccezione dell’ultima la quale, recando una doppia iscrizione
latina ed etrusca, ritenne dei tempi in cui l' Etruria era già
divenuta romana (Conestabile, ibidem, pag. 144).

Alla sentenza del Conestabile si oppose, dunque, vigoro-
samente l’ Orioli nell’articolo citato, in cui, dopo un accenno

all'opera del Vermiglioli, che egli riteneva di scarso valore, -

e che in quell’anno era venuta nuovamente in luce, combatté
il Conestabile e tutti coloro che erano della sua opinione, e
ascrisse la tomba e i monumenti in essa racchiusi al tempo
dell’ impero, e precisamente al periodo degli Antonini (138-
180 d. c. r.) (1). Egli addusse come prove l'analogia di stile che
il sepolero presenta colla grotta tarquiniese della famiglia
Pompia e con un'altra anch'essa tarquiniese, e l'assenza di
fittili dipinti dei quali, come egli asserisce, era allora passata
la moda (2).

I ragionamenti dell’ Orioli parvero molto convincenti al
Conestabile, tantochè nella terza parte dell’opera (3) fu in-
dotto a modificare ciò che precedentemente aveva affermato.
Ritenendo ormai insostenibile la congettura del restauro, vi
rinunziò senz'altro (4) e dopo di avere fatto discendere la
costruzione del sepolcro e delle urne alla metà del secolo V
di Roma (IV a. Cr.) cadde in ultimo in un dubbio generale (5).

Un'altra questione di cui si occupò l’ Orioli nello stesso
articolo e per la quale gli studiosi ora ricordati, furono
in discordia, riguarda il fondatore della tomba, Il Ver-
miglioli (6) ritenne che fondatore ne fosse quello stesso
Arunte Volumnio nominato nell’epigrafe della porta d'in-

(1) ORIOLI, art. cit., p. 5.

(2) Idem, p. 6.

(3) CONESTABILE, Op. cit., III, Aggiunte, p. 207 sgg.
(4) Idem, loc. cit., p. 214.

(5) Ibidem,

(6) VERMIGLIOLI in CONESTABILE, II, p. 34 e 82.

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o RN ace Wa dere regi

The cities and cemeteries of Etruria, 1848, London, 1883, II, p. 437 sgg.

LA TOMBA ETRUSCA DEI VELIMNI A PERUGIA 195

gresso e le cui ceneri si conservano secondo lui nell'urna
più sontuosa, dove quel nome si ripete. Secondo il Cone-
stabile il fondatore dell’ipogeo è diverso da quello seppellito

nell'urna più sontuosa, col quale ha soltanto relazioni di pa-

rentela (1). Tale congettura fu respinta dall’ Orioli (2), il quale
si avvicinò in ciò al Vermiglioli, ma mentre per il primo i
fondatori furono due, cioè Arunte e Larte (3), per il Vermi-
glioli (4) fu invece un Arunte Larte. |

Un altro studioso dell’ ipogeo in esame è stato in Ger-
mania Gustavo Kórte, il quale recentemente, nel 1912, pub-
blicó un suo iavoro intorno al sepolcro intitolato: « Das Vo-
lumniegrab bei Perugia. Ein Beitrag zur Chronologie der etru-
skischen Kunst. Mit einem Exkurs über das Kottabos Spiel » (5).
Egli diede una descrizione dettagliata della tomba e di tutti
gli oggetti in essa rinvenuti, e in un capitolo a parte de-
terminó anche la cronologia. Ma dell'opera del Kórte e delle
sue opinioni intorno al sepolcro dovremo occuparci in se-
guito (6).

CAPITOLO III.

Esame del materiale in base alle relazioni predette e ai dati
d'archivio.

L'attuale ingresso alla tomba non presenta alcuna son-
tuosità degna dell'insigne monumento; all'esterno una grande
porta recante il nome dei Volumni, sta ad indicare al vian-

(1) CONESTABILE, III, Aggiunte, p. 213.

(2) ORIOLI, art. cit., p. 10-12.

(3) Larte sarebbe un fratello di Arunte, seppellito anche lui dentro il sepoleros

(4) VERMIGLIOL: in CONESTABILE, p. 14 e 34.

(5) Trovasi in Abhandlungen der Kóniglichen Gesellschaft der Wissenschaften
su GOtting, Bd. XII, p. 1 sgg.

(6) Fra le altre descrizioni dell’ ipogeo dei Volumni che si trovano in parecchi
manuali di Archeologia è degna di menzione quella lasciata da GIORGIO DENNIS in

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196 E. ZALAPY

dante l’esistenza di quel funebre ricetto. Essa chiude una
costruzione non molto ampia che occupa parte del terreno
soprastante al sepolcro. Appena entrati, ci si presentano di
fronte, collocate in una serie di gradini, molte urne appar-
tenenti alla necropoli del Palazzone, alle quali abbiamo ac-
cennato. A destra della porta d’ingresso, una piccola stanza
quadrata racchiude, in appositi armadi addossati alle pareti,
una collezione di bronzi e terrecotte trovati nell'interno del-
lipogeo e sul terreno ad esso circostante. A sinistra s'apre
un'altra piccola camera, sede del custode. Si tratta di una
costruzione moderna, eretta dai proprietari con lo scopo di
proteggere il sepolcro, e poi restaurata dal Ministero della
P. I., allorchè la tomba divenne proprietà dello Stato.

A pochi passi dalla porta d’ingresso trovasi la scala per
cui si discende al sepolcro: è l’ antica scala che dava ac-
cesso allipogeo fin dall'epoca della sua costruzione, e il cui
ritrovamento è di un anno posteriore alla scoperta. Sappiamo
infatti, che nel febbraio del 1841, mentre alcuni operai erano
intenti a costruire una scala che rendesse più agevole ai
visitatori l’accesso alla tomba, essendosi scoperte alcune
tracce di gradini, si riuscì a rimettere in luce quasi tutta
la scala originaria. Data la fragilità della pietra in cui essa
è tagliata (tufo) fu subito ricoperta di tavole, e in seguito
protetta da una costruzione in muratura, e così la troviamo
attualmente (1).

A piè della scala è la porta d’ingresso allipogeo. Essa
ha stipiti ed architrave di travertino ed era ad un solo bat-
tente, costituito da un blocco rettangolare pure di travertino,
che veniva applicato senza alcun mezzo di chiusura. Que-
st'ultimo attualmente si trova adagiato alla parete destra
vicino alla porta, poichè fin dal tempo della scoperta i pro-
prietari vi sostituirono una robusta imposta di legno per

(1) Tali notizie ho potuto desumere da un rapporto del Gonfaloniere di Peru-
gia al D:legato Apostolico in data del 1845 (Archivio Comunale di Perugia).
ee pr

LA TOMBA ETRUSUA DUI VELIMNI A PERUGIA 197

garantire la sicurezza dellipogeo (1) (Cfr. fotog. Alinari,

N. 21301).

Sullo stipite destro è scolpita in etrusco una iscrizione (2)
di lunghezza notevole, la cui interpretazione è stata oggetto
di lunghe e varie discussioni.

Ciò che quelle parole letteralmente significano non è

possibile sapere, data l'oscurità odierna della lingua etrusca.

Ma qualunque possa essere la precisa interpretazione lette-
rale dell'epigrafe, nessuno ha mai dubitato che essa contenga
il nome del fondatore o dei fondatori della tomba, e per
conseguenza quello della famiglia a cui appartenne. L'indi-
cazione di pertinenza del sepolcro è costante in Etruria, e
nel Museo di Perugia, recentemente, il prof. Giuseppe Bel-

lucci è riuscito a raggruppare per famiglie — in base alle
iscrizioni — le urne cinerarie che per l’ addietro giacevano

confuse e disordinate nell’insigne Istituto. Tornando però al
nostro tema, debbo avvertire, anticipando, che il nome gen-
tilizio Velimna ricorre così nell'epigrafe dell'ingresso, come
sulle urne che furono trovate al loro posto d'origine.

La struttura architettonica del sepolcro presenta una
armoniosa regolarità; le leggi di simmetria sono rigorosa-
mente osservate, la distribuzione degli amibienti e i parti-
eolari architettonici dipendono da uno schema organicamente
preordinato.

La tomba, come moltissime altre scoperte nel territorio
dell’antica Etruria, non differisce gran che, nella sua con-
cezione ed esecuzione, da un'abitazione civile. Ciò è con-
forme alla credenza che risale a un'epoca assai remota (3),
secondo la quale il defunto continuava — in ispirito — a

(1) Cfr. protocollo dell'Archivio della D. A., 1840.

(2) Ofr. C. I. E., n. 3797.

(3) È assai probabile che tale credenza, che raffigurava lo spirito in tutto si-
mile al corpo, e per conseguenza la tomba (domicilio dello spirito) simile alla casa
(domicilio del corpo) fosse penetrata in Etruria dal mondo greco, dove la piena so-
miglianza, anzi l'identità addirittura tra spirito e corpo si delinea già nella più

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198 E. ZALAPY

vivere entro la tomba. A questa realistica concezione si ri-
collegano i riti di offerte in cibi e bevande che i superstiti
celebravano in onore dei trapassati, e il cui uso si è per-
petuato fino al periodo romano. Ora, poichè il sepolcro era
considerato la sede di una seconda esistenza, come. tale,
veniva costruito a somiglianza di un’abitazione civile, spesso
resa simbolicamente e sommariamente da un’urna in forma
di casa o da un’unica cella sotterranea; ma talvolta, come
nel nostro caso, la domus catactonica riproduceva fedelmente
tutte le caratteristiche di una civile dimora. Esaminando la
pianta planimetrica dell’ ipogeo dei Volumni (cfr. fig. 1 ex
Conestabile), si sarebbe indotti a credere di avere dinanzi
lo schema di una casa romana, di tipo quadrangolare e o-
rientato secondo le linee cardinali e decumane, come si ri-
scontra in numerosi edifici privati di Pompei, tanto è rego-
lare la corrispondenza dei vari ambienti con quelli tradizio-
nali e fondamentali della casa romana quali l' atrium (a),
tablinum (b) e intorno vari cubicula (C, 0, 65 T, ge Reed

Dalla porta d'ingresso si accede immediatamente in una
camera di pianta rettangolare, intorno alla quale si aggrup-
pano tutti gli altri ambienti, in numero di nove; questa cor-
risponde all'atrivm, nucleo fondamentale della casa etrusca
e della derivata casa romana (1) (fig. 1).

antica epopea: cfr. Iliade XXIII, v. 65 sgg. (l'ombra di Patroclo che apparisce ad
Achille dormente) :

1

79e deri Wi NatpozMfjoc BeU.o0i
Tavm adtò peyedds te xoi dupata ww. sixvta
nAÈ ud ai tota T&pl xpol sipatatoto '

c

ovi, d'ap' brép nepartig xxi muy Tpòe po9ov &suxey
(1) Ciò risulta Sidobie dall’ esame di quanto si vede ancor oggi, in molti edi-
fiel dissepolti dell'età romana, ed é stato inoltre messo in chiaro da moltisssimi ar-
cheologi: efr. PATRONI, L/or igine della domus ed un framinento Varroniano male
inteso (in Rendiconti dell’Accademia dei Lincei, XI, 1912, p. 478 sgg.) e G. CALZA, La

preminenza dell’insula nella edilizia romana (in Monumenti antichi dei Lincei,
XXIII, p. 541 sgz.).
WOOD a o te eel e n dz ni C oe T IESU. a A je M AI ipe De ir por IENA MIL
GOD re ERES CpI EE I

durre

, a ripro
l'artefice etrusco

a locale, rese facilmente
diante un complesso

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200 E. ZALAPY

riquadro intagliato, simile a un lacunare (1). Ma il costrut-
tore perugino rivela una maggior libertà e indipendenza
dalle forme tradizionali, nella concezione del soffitto dell’atrio
a doppio spiovente, però trattato sempre in dipendenza da
uno schema ligneo e intagliato nella roccia tenera forse con
gli stessi istrumenti propri della tecnica del legno.

Nella parte posteriore dell’atrium si aprono lateralmente
due piccoli ambienti di pianta quadrata, che prendono nome
di alae.

Tra le due alae e di fronte all’ingresso principale si apre
una camera più piccola della precedente che racchiude tutte
le urne e nella quale dobbiamo ravvisare — per la sua col-
locazione immediatamente dopo l’atrio, e per la sua grande
apertura sull’atrio stesso — un altro ambiente tipico della
casa romana, cioè il fablinum, corrispondente — come oggi
si direbbe — allo « studio » del padrone di casa, il luogo
dove egli trattava i suoi affari, dove teneva religiosamente
conservati i più importanti documenti di famiglia, dove ri-
ceveva le visite di amici e clienti. E con un profondo senso
di verismo l'ordinatore del sepolcro continuò e rafforzò l'a-

malogia tra la vita corporea e terrena del signore proprie-

tario della tomba e la vita spirituale e catactonica, poichè
ebbe cura di porre proprio nel tablinum sopra un’alta tribuna
l'urna con le ceneri di

MAJIVA : MAMMALIA : QUDA

(= Aruns Volumnius Auli filius).

Fiancheggiano il tablino due piccole celle quadrate, alle
quali si accede dalle alae dell'atrium ; e infine a destra e a
sinistra di quest'ultimo si aprono altre quattro piccole ca
mere, anch'esse quadrate. Son tutti. ambienti secondari, per-

‘ciò più trascurati dei principali e inoltre forse non ancora

(1) Cfr. EpoARDO GALLI In Notizie Scavi, 1915, p. 11-13, fig. 6.
201

LA TOMBA ETRUSCA DEI VELIMNI A PERUGIA

allestiti per ricevere urne cinerarie; essi corrispondono
a quelli che nella casa civile prendevano nome di cubicula (1).

Esaminata così la struttura architettonica dell'ipogeo, la
quale giustamente apprezzata ha anche un valore cronolo-
gico, in quanto — come si è cercato di dimostrare sopra —
presenta sintomatici riscontri e analogie con la casa romana
di tempi assai progrediti e notevolmente sviluppata, passiamo
alla parte decorativa dei vari locali. x

Il soffitto dell'atrio fu diligentemente intagliato nel

tufo, in modo da presentare tutti i particolari di un doppio
tavolato di robuste assi, sostenuto da un architrave centrale
e da una serie di travicelli laterali. Per analogia con altre
tombe etrusche a casa, e particolarmente se teniamo pre-
sente quella già citata di Chiusi, dobbiamo pensare che an-
che questo semplice soffitto suggerito dalla struttura lignea,
che trovava largo impiego nelle abitazioni civili dell’Etruria,
doveva essere in origine dipinto; ma l’umidità del sottoterra
cancellò quivi ogni traccia di colorazione.

Essendo l’atrium una delle parti principali della tomba,
è naturale fosse adorno di sculture e di oggetti ornamentali,
come se ne incontrano spesso nell’ atrio delle signorili di-
more dei romani.

Il soffitto a doppio spiovente generò nell’atrio in esame
un particolare architettonico ignoto nelle abitazioni dei vivi:
il vuoto triangolare della parete sulla porta d’ingresso e sulla
contrapposta porta del tablinum assunse la forma e.la fun-
zione tectonica di un vero e proprio timpano. Da ciò la ne-

‘ (1) Il CONESTABILE, à p. 68 nota (*) diede le misure principali dei singoli

ambienti : ;

Lunghezza totaie del sepolero fino al fondo del T. m. 10.38.

Larghezza della camera principale m. 3.60.

Larghezza della camera principale con le due aliae m. 8.42.

Altezza della camera stessa fino al colmo della volta m. 4,30.

Lunghezza dell'ipogeo comprese le celle m. 10.70.

Lunghezza e larghezza di ciascuna cella m. 2.10.
Altezza delle celle piccole m. 3.30.

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: 902 E. ZALAPY

cessità di decorarli convenientemente. Abbellisce il frontone
corniciato, sopra la porta d'ingresso, uno scudo rotondo a
bassorilievo (cfr. Conestabile, pag. 39 sg. e nostra fig. 2 ex
Conestabile) nel cui centro molto probabilmente era effigiata
l'immagine del sole, che idealmente doveva illuminare il

(Fig. 2).

sotterraneo edifizio; di essa oggi altro non si vede che una
porzione di raggi (cfr. Conestabile ibidem). Fiancheggiano lo
scudo due delfini, di cui quello di destra è in parte distrutto
(cfr. Conestabile, pag. 40 e nostra fig. 2). La figurazione del
sole (Helios) radiata, come già si riscontra sulle lucerne ro-
mane (1), fiancheggiata qui da delfini guizzanti, ovvii sim-
boli del mare, in tutta l’arte antica, è quanto mai compren-
sibile. Il decoratore della tomba volle riprodurre material-

(1) Cfr. PASSERI, Lucerne fittili, T. I, notae p. 71, tav. LXXXIII e LX XXIV, ivi,
p. 74. tav. LXXXXIX: T. II, notae, p. 123, tav. LXXXVII.

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LA TOMBA ETRUSCA DEI VELIMNI A PERUGIA 203

mente e in modo evidente un fenomeno che si ripete tutte
le mattine : il sole che sorge ad oriente dal mare (1). Ma
circa i delfini bisogna fare un’ altra osservazione, coordina-
tamente ad uno degli scopi principali che vorrei raggiun-
gere col presente lavoro, quello cioè di chiarire la giusta

(Fig. 3).
datazione dell’ipogeo. I delfini, i cavalli marini, e le figure
di Scilla costituiscono il repertorio comune degli scultori delle
urne e dei sarcofagi durante l'ultima fase dell’arte etru-
sca (fig. 3) (2). A destra della porta, sotto il frontone, tracce
evidenti di una grande ala (cfr. fig. 2) lasciano supporre che

(1) Diverso è il significato simbolico che il Vermiglioli e con questi il Cone-
stabile e tutti gli altri studiosi della tomba compreso il Kórte, vollero dare a tali
figurazioni, Essi videro, infatti, neil'immagine del sole un'allusione all' isola dei
beati e nei delfini il tratto dell'Oceano che le anime dovevano percorrere per rag-
giungere quel felice soggiorno. Ma l'interpretazione da noi ora esposta ci sembra
assai ovvia e più naturalmente conforme all' intenzione dell'artista.

(2) LUIGI ADRIANO MILANI, Il R. Museo Archeologico di Firenze, I, p. 62 sg., 247
Sg., 290 sg. cfr. anche nostra figura 3. i

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204. E. ZALAPY

in origine vi fosse scolpita una figura alata, con ogni pro-
babilità un personaggio demoniaco etrusco (Lasa o Charun?),
conduttore dell'anima nel cammino dell'oltrevita. Anche que-
sto però è un particolare comunissimo in tutta l'arte fune-
raria etrusca dell’ ultimo periodo e specialmente sulle urne
scolpite.

Più interessanti, sia per il carattere simbolico che per
il lato artistico, sono i rilievi del timpano, anch’ esso circon-
dato da cornice, del frontone nella parete opposta, sopra la
porta d'ingresso al fablinum (cfr. fig. 4). Nel centro-è rile-
vato uno scudo rotondo a perfetto riscontro con quello già
esaminato.

Lo scudo di modello metallico per la convessità, esibi-
sce nel centro una protome di Gorgone di prospetto, circon-
data da una larga zona a squame grosse ed eguali, costolate
nel mezzo come la foglia di alloro. Tale viso femminile è
circondato interamente dai capelli che si annodano sotto il
mento; ma esso ha perduta tutta l’orrenda mostruosità. con
cui veniva riprodotto dall'arte arcaica. La nostra figura di-
pende evidentemente dal tipo più evoluto di Gorgone o Me-
dusa, con sembianze miti e quasi patetiche ; e presenta molta,
‘ affinità, non solo per l'aspetto generale ma anche per il
particolare dei capelli divisi sulla fronte e girati sotto il
mento, con un cammeo di Berlino del periodo tolemaico (1).
Si tratta in fondo dell'ultima espressione del classico Gor-
goneion, che l’arte dei tempi avanzati purificò e ingentili, fino
al punto da togliere alla chioma il tradizionale carattere
anguicrinito, che perdura tuttavia sporadicamente anche su
qualche oggetto del periodo romano, come ad esempio, so-
pra una lucerna di terracotta scoperta nel centro di Firenze,
ed ora conservata nel locale Museo Archeologico (2). La
chioma é ben ravviata, le pupille rese mediante il color

(1) RoscaER, Lexikon der Mytologie I, 2° parte, p. 1723 sg., fig. ibidem.
(2( Cfr. E. GALLI, nella rivista fiorentina Arte e Storia, 1917, n. 9-10, p. 246, fig. 5-

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LA TOMBA
206

(1) Il Vermiglioli credette di potere identificare tale figura con l’immagine di
Apollo (efr. Vermiglioli in Conestabile, p. 56 sg.); fuil Feurbach che ravvisò pel
primo il capo di Medusa (Bollettino I, C. A., 1840, p. 113). Tale giusta interpetra-
zione fu poi accettata da tutti gli illustratori del sepolero. Senonché tutti costoro
sono d'accordo nel considerare come serpenti annodati sotto il mento quelli che
a noi sembrerebbero invece dei capelli. Per lo meno non sono qui rese visibili le
teste dei serpentelli, che invece ricorrono per esempio nella citata lucerna fio-
rentina. Nel nostro caso al più si può pensare che i capelli così abbondanti di
medusa .e resi a gros-e ciocche tondeggianti ed unite ricordino il tipo tradizionale

auguiforme.

Per il tipo di tale scudo cfr. P. GUSMAN, L'Art décoratif de Rome, IIT, tav. 139:
Vaticano, Pannello decorativo del II secolo d. C. con grande seudo circolare avente
nel centro una testa di Medusa e ovoli allungati intorno (tipo analogo alle plaeche

E. ZALAPY

bianco, e la bocca semiaperta lascia vedere i bianchissimi
denti, anch'essi ottenuti mediante il colore (1). A destra e a
sinistra dello scudo si vedono due strani oggetti, che dal Ver-
miglioli, dal Conestabile e dal Kórte furono credute spade (2)
e dal Poletti ammessi come fronde di alga (3). Essi non sono
di natura chiaramente determinabili, anche perché non tro-
vano stretto ed intero riscontro in nessun'altra rappresen-
tazione dipinta o scolpita giunta a noi dall'antichità. Che si
tratti di utensili taglienti non mi pare dubbio, tenuta pre-
sente la costola dorsale rilevata in confronto al taglio de-
presso della parte opposta. Ma più che spade io riconoscerei
il tipo notevolmente ingrandito, della coltella haruspicale
etrusca, adottata anche dai Romani nei sacrifizi, e detta se-
cespita (4). La lama ricurva e con la punta espansa nelle due

con trofei della basilica di Nettuno).

Cfr. anche GUSMAN, Op. cit., tav. 155: soffitto scolpito, proveniente dal Tabula-
rium (78 d. C.), ora nel Museo Capitolino. Esibisce varie zone, ein mezzo una larga
fascia a triplice ordine di foglie di lauro disposte a guisa di squame, e ancora op.
cit. II, tav. 65 e 66, frammento della frisa del tempio di Vespasiano al Foro Romano
(I sec.) con istrumenti sacrificali: la patera ha nel centro la testa di Giove Ammo-
ne, contornata di foglie di lauro. Questi riscontri sebbene lontani per tempo, per
iuogo e per la diversa natura dei monumenti cui si riferiscono, servono tuttavia a
farci intravedere il nesso che ricollega l'ipogeo di Perugia ad elementi artistici
propri del periodo romano.

(2) VERMIGLIOLI in CONESTABILE, IT, p. 53. — G. Kórte, Das Volumntegrav, 3p. 8.

(3) PoLETTI, Giornale Aradico, XCV, p. 367-368.

(4) Sopra un celebre asse etrusco di Cortona, nel Museo di Firenze, é ripro-
dotla la securis e la secespíta, però di forma più aguzza e con manico tubolare sor-
——

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LA 'TOMBA ETRUSCA DEI VELIMNI A PERUGIA 207

riproduzioni dei Volumni differisce dal tipo romano spesso
più corto e quasi triangolare; ma trova analogia per esem-
pio nel coltello che lo schiavo Scita degli Uffizi (la celebre
statua del così detto « Arrotino ») sta affilando per scorti-
care Marsia (1). Assai peculiare e affatto inusitata è poi
l'elsa di tali enormi secespitae decorative, che termina con
un prolungamento ricurvo foggiato a testa di cigno (cfr. fi-
gura 4). La novità della unione della protomie"di cigno, che
ha riscontri innumerevoli e lontanissimi nel repertorio de-
corativo della prima età del ferro, con l’istrumento sacer-
dotale per eccellenza, fa ritenere fondatamente che ci tro-
viamo dinanzi non a semplici oggetti ornamentali privi di
significato, ma a simboli compositi che attingono la loro
giustificazione dal culto funebre degli Etruschi del quale a
noi purtroppo non riesce percettibile ogni particolare. Ma le
concordanze. generali si possono cogliere, e cercheremo di
fissarle in questo lavoro. La natura strana e complessa delle
predette figurazioni è accresciuta dalla presenza di due uc-
celli posti di fronte sulla sommità di esse, e dei quali nè il
Vermiglioli né il Conestabile poterono determinare la na-
tura, poichè tacciono in proposito. Il Kórte vi riconobbe dei
colombi, indugiandosi per conseguenza a ricercarne il pre-
ciso significato funerario (2).- Della stessa opinione pare
fosse anche il disegnatore di cui si servi il Conestabile (cfr.
tav. III, 2), e sotto tale suggestione contribuì, quasi senza

montato da bottone: cfr. MiLaxi Guida, I, p. 186; IT, p. 26, tav. C XXX (ivi la bi-
bliografia).

La secespita è ricordata da vari scrittori latini (SERvius, ad Virg. Aen. IV, 262 ;
SYETONIO, Tiberio, 25 ecc.), ed è qualche volta riprodotta come elemento decorativo
nei bassorilievl r»mani insieme con altri istrumenti sacerdotali ; cfr. RkiNAGH, Ré-
pertoire des Reliefs, III, 181, flg. 2 (Roma, Campidoglio, altare di Atena dedicato da
un collegio di fabbri), p. 212, fig. 4-5 (Roma, Campidoglio, /regio di wn. tempio di
Nettuno (?)).

Questo fatto è assai importante per ciò che ci proponiamo di dire fra poco.

(1) W. AMELUNG, Führer in Florens, p. 47 sgg.

(2) Egli vi vide infatti un segno di buono augurio per la famiglia proprietaria.
dell'ipogeo. Cfr. KóRTE, Das Volitmniegrab, p. 8.

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E. ZALAPY

volerlo, a darci un’ immagine molto vicina a quella del co-
lombo. Ma se esaminiamo con attenzione la fotografia del
frontone (efr. nostra figura 4) e più ancora gli originali
scolpiti sulla roccia tenera, siamo tratti verso un'altra pos-
sibilità: ad ammettere, -cioè, che l'artista etrusco abbia in-
. teso di riprodurre due corvi anzichè due colombi. Del resto,
anche ammesso che si trattasse di colombi, la loro rappre-
sentazione concorda piuttosto con l’arte romana anzichè con E
l arte decorativa etrusca. Ma guardiamo questi volatili un
po’ più da vicino. Il corpo piuttosto allungato, la forma della
coda con notevole prolungamento e aperta in cima, ma so-
pratutto il caratteristico sviluppo del becco, rafforzano la
nostra ipotesi che si tratta proprio di corvi. E se corvi essi
sono, la loro presenza non è nuova in tombe etrusche del-
l’ultimo periodo. Nel territorio chiusino, (località « Tassinaia »)
fu riaperto e ristudiato di recente un piccolo sepolero etru-
sco a camera, assegnabile al II sec. a. Cr. adorno di sin-
golari pitture sulle pareti, dove sono rappresentati un corvo,
un grande scudo rotondo sulla porta d’ingresso (proprio come
ai Volumni) nonchè vari emblemi solari e lunari appesi in-
sieme con festoni vegetali (1). E chiaro dunque ehe gli ar-
tisti della decadenza etrusca, che decorarono gli interni delle
due tombe attinsero da un repertorio comune e presumibil- E.
mente diffuso in tutta la regione. Ma che fossero vieti mo- |
tivi artistiei e simbolici ad inspirare il decoratore dell'ipo-
geo perugino risulta anche da altre prove. Occupa l'angolo
destro il busto di un uomo con testa nuda e vestito di tu-
nica: dietro le sue spalle si vede un oggetto indetermina-
bile, che termina anch'esso a testa di cigno ricurva; ma
non si capisce se è sostenuto dalla mano destra della figura,
oppure se non é affatto organico con questa. Da quella spe-
cie di uncino formato dalla testa di cigno pende un piecolo

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(1) E. GALLI in Notizie Scavi, 1915, v. 14 sgg., figg. 8-10 la fig. 9 riproduce il
corvo. i
LA TOMBA ETRUSCA DEI VELIMNI A PERUGIA 209

scudo asiatico (pelta) semilunato, della specie di quelli che
spesso si vedono nei monumenti in mano alle Amazzoni (1).
Il viso è imberbe, i capelli corti e i denti e le pupille an-
- «che qui sono dipinte in bianco; il suo aspetto generale è -
- di servo.
A questo fa riscontro nell’ angolo opposto del frontone
i un altro busto virile, di cui oggi non rimangono che i lun-
È ghi capelli, essendo completamente distrutto dal tempo; ad
È esso doveva senza dubbio appartenere la lira adorna di una
testa di grifone (aquilotto, secondo il Vermiglioli) che tut-
tora si vede scolpita dietro ad esso nell’estremo angolo del
timpano (2).
Qui sorge spontanea la domanda: che simboleggiano co-
deste figure, che l’artefice seppe così bene rilevare dal vivo
tufo della tomba ?

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A prescindere però dalla più o meno precisa interpre-

| tazione dei particolari in queste- figure, dobbiamo rilevare
È la stranezza della loro parziale e come frazionata rappre- È
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sentazione complessiva, che sembra non fosse adeguatamente ADAE
presa in esame dai precedenti illustratori dell' ipogeo. Per i i
P noi l' enorme amputazione che lo scultore inflisse a queste
È figure ha una,grandissima importanza, perchè rivela in lui
l'assoluta mancanza di ogni senso comprensivo dei soggetti
che voleva riprodurre, e che altrimenti ci avrebbe esibiti in
forma meno economica e più chiara. Se egli, dunque, non
conosceva il significato dei personaggi rappresentati, è im-

h

— (1) Cfr. A. Ricu, Dizionario delle Antichità Greche e Romane, II, p. 167 « pel-
tata ». Amazzone a sinistra con lo scudo ad angoli quasi acuti come quello che
sporge dietro l'omero del personaggio in questione. Si confrontl inoltre lo scudo che
i si vede scolpito sul frammento di altare del I secolo d. C. nel Museo Nazionale Ro- i
I -* mano. P. Gusman, op. cit., III, tav. 76. ; PS
3 (2) Il FEURBACH volle ravvisare nell'oggetto in discorso l’aplustre di un navi LIUM i
glio (Bollettino I. C. A., 1840, p. 119), ma: guardando la fig. 4 non è difficile ricono- d n
Scervi una lira. |

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14 210 E. ZALAPY

' presa vana (come altri volle fare (1) il ricercare una linea
logica (qui inesistente) nell’ associazione per noi incoerente,
come si dimostrerà, dei vari oggetti riuniti su questo fron-

tone. Nessuno può mettere in dubbio che tutte le predette

figurazioni avessero, in origine, un valore simbolico; ma da
altra parte ci sembra ugualmente sicuro che, nel caso in
esame, il decoratore della tomba si servisse di elementi che
già avevano una lunga tradizione artistica e una significa-

. zione, per così dire, autonoma, nel riempire di rilievi figu-

rati lo spazio triangolare del timpano. In altri termini egli,

è certo, non inventò quei soggetti, ma si limitò a riprodurli

da un repertorio già notissimo, senza neppure capirli singo-

larmente, e sacrificando alcune figure e forse le più impor-
tanti, senza esitare, alle obbligatorie esigenze dello spazio.

Si tratta adunque di un’arte e di un simbolismo di seconda

mano, che perde ai nostri occhi molto di quel peculiare in-

teresse rituale e religioso che gli illustri studiosi dell’ ipogeo

vi vollero riconoscere (2). Appunto perchè delle due figure

umane si vede solo una piccola parte, è molto difficile iden-

tificarle e spiegarle. Allo stato delle cose non è possibile, o

almeno è molto incerto, integrarle confrontandole con imma-

gini note e ripetute nei monumenti etruschi. In generale si
può dire che i loro prototipi dovevano trovarsi nel campo
delle rappresentazioni funebri, delle quali le urne e le pit-
ture tombali specialmente ci hanno tramandato un ricco ca-
talogo. Così nell’angolo sinistro del timpano anzichè Apollo,
come suppose il Vermiglioli (3) pare fosse sommariamente
riprodotto uno di quei musici che nelle urne in cui ricorre

(1) Il VERMIGLIOLI (in CONESTABILE, II, p, 60-61) suppose che nel frontone in di-
“scorso ricorresse la rappresentazione di Apollo. come- dissipatore - dei mali, «come
pastore e come preside della musica da far riscontro con l’immagine del sole del
frontone contrapposto, nella quale vide simboleggiato il medesimo nume.

(2) Anche il Kórte si é indugiato a ricercare il preciso significato simbolico di
ciascuna figura e non tralasceremo di rilevare, fra breve, le varie sue ipotesi in
proposito.

(3) VERMIGLIOLI in CONESTABILE, p. 6l.
LA TOMBA ETRUSCA DEI VELIMNI A PERUGIA 740

la rappresentazione del viaggio del defunto nell'oltretomba,
fanno parte del funebre convoglio (1). Inoltre il particolare
della cetra nella figura in discorso richiama i citaristi di-
pinti nella tomba dei Sette Camini presso Orvieto (2).

Un insigne e convincente esempio che chiarisca quanto
fin qui si è detto, trovasi per fortuna nello stesso ipogeo dei
Volumni, in quell’ urna del Palazzone che esibisce sul da-
vanti a bassissimo rilievo il mirabile busto di un flautista
reciso dal resto, del corpo, proprio per ragioni decorative
(fig. 5). Più oscura invece, perchè priva di analogo, sicuro
attributo, è la figura di destra. Probabilmente sarà lo schiavo
che accompagna il suo signore nell’ estremo viaggio, rap-
presentazione non rara nelle urne della classe suddetta.
Ma comunque si voglia interpretare tale figura, resta sem-
pre fermo il principio che qui l’artista fu dominato dalla
preoccupazione di riempire di sculture lo spazio triangolare
(aetoma) sopra la porta del tablinum, e per conseguire questo
scopo prevalentemente ornamentale, diede luogo — copiando
e fondendo da uno o più modelli preesistenti — ad una delle
più tipiche contaminazioni artistiche e concettuali, frequenti
in monumenti etruschi figurati (3).

(1) M:CALI, L° Italia- avanti il dominio dei Romani, At. tav. XXXIV (Urna in

alabastro nel Museo di Volterra (cfr. anche KòRTE, Das Volumniegrab, p. 9).

(2) Cfr. MILANI, IL R. Museo Archeologico di Firenze, I, p. 291 sg. (ivi la biblio-
grafia).

(3) Nel lato A, ad esempio del sarcofagc etrusco di Torre S. Severo (E. GALLI,
Il sarcofago etrusco di Torre S. Severo in Monumenti Antichi dei Lincei, XXIV,
p. 6 sgg.), all'Agamennone del racconto omerico, da cui quella scena direttamente di-
pende vediamo sostituito il re dell'Ade, Plutone (op. cit., p. 44 sg. tav. I). E per citare
un altro esempio che la stessa scena ci offre, la sposa di Plutone, Proserpina, tiene
qui il luogo di Briseide, che non compare nella narrazione omerica, ma che pro-
babilmente era rappresentata nel quadro che l'artista avova preso a-modello (op.
cit., p. 47) E' inoltre notevole per chiarire il nostro concetto, l' elemento del tutto
locale offertoci dal demone barbato e dalle orecchie asinine (Caronte?) che com-
pare nell'estremità destra del quadro (tav. I), per noi di sommo interesse appunto
per la grande amputazione che l'artista gli fece subire, costretto dalla ristrettezza
dello spazio a rappresentare inorganicamente solo la testa e il collo, pur di fargli
fare capolino nella scena di origine greca (op. cit., p. 49 sg., tav. I).

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Dopo quanto ho qui esposto non credo occorra più par-
ticolareggiata discussione per convenire che il decoratore pe”
rugino operava in un ambiente e in un periodo di decadenza.

(Fig..5).

E inoltre, ammesso il principio della sua arte, per quanto
in apparenza sontuosa e vivace, ma che ci si appalesa tut-
tavia ‘incerta e di derivazione, dopo una minuziosa e pro-
D^

LA TOMBA ETRUSCA DEI VELIMNI A PERUGIA 213

fonda,disamina, conviene procedere con grandi cautele nel
tentativo di scorgere, rintracciare e ricostruire organica-
mente il pensiero dell'artista nei riguardi del simbolismo
concreto delle figure.

Quanto alla Gorgo-Medusa dello scudo, il Conestabile
col Feurbach vi ravvisò il « simbolo della luna » . da fare
riscontro coll’immagine solare della parete opposta (1). Ma
ammesso il principio del carattere prevalentemente decora-
tivo dei rilievi scolpiti in questa tomba, può anche darsi
che quella immagine, ovvia nel repertorio degli artisti etru-
schi, potesse avere solo un generico valore apotropaico, senza
- una diretta relazione con la figura radiata del sole, che le

sta di fronte, e che ha anche da sola un significato piü chiaro
e più naturale nel sotterraneo ambiente (2). In altri termini,
è bene guardarsi dal confondere il simbolismo intrinseco ed
originario di dette figure con quel particolare senso mistico
che si volle scorgere nella loro associazione. La riproduzione
poi dei delfini (frontone A) e di altri mostri marini — come
Sì è detto sopra — non è rara nelle urne e nelle tombe
etrusche, e dipendono direttamente dalla concezione del
viaggio marittimo che lo spirito doveva compiere per giun-
gere alla remota sede dei beati. Con tali simboli indicanti
la trasmigrazione delle anime dopo la morte, non contrasta
la presenza del supposto demone etrusco o Lasa, di cui è
rimasta un’ala sulla parete, di un essere, cioè, oltremondano
incaricato, come apprendiamo dalle urne, di guidare il de-
funto al regno di Hades. Nuova invece, in monumenti etru-
schi, è la rappresentazione delle secespitae (frontone B), che

(1) CONESTABILE, II, p. 58, nota (*).

(2) Anche il Kórte vede una relazione fra le immagini [dij Medusa e del Sole

: effigiate nei due scudi contrapposti e ritiene che con la prima l'artista abbia vo-
luto alludere al regno dei morti e con la seconda all' isola dei beati (cfr. Kórte, op.
cit., p. 9). Ma chi ci autorizza a sforzare il nostro dotto pensiero moderno nel ten-
tativo di cogliere da quei rilievi gli accenni e gli elementi di una particolare Ne-

. kyia etrusca, che per tante ragioni deve tenersi estranea e lontana dalla mentalità
dell'artista perugino?
214 E. ZALAPY

trovano analogie — come già si è accennato — solo in ta-
luni rilievi del periodo romano. Esse pertanto servono sem-
pre più a caratterizzare la fase di transizione, a cui risale
l'ipogeo dei Volumni, insigne e tipica manifestazione di una
civiltà che tramonta e di un'altra che sorge per sostituirsi
alla prima.

A. sinistra dell’ ingresso al fablinum sporge fuori dalla
parete, la parte anteriore di un serpente di terracotta la cui
bocca spalancata mostra la lingua di metallo dipinta in
bianco (cfr. Conestabile, tav. II, 1). Lo stesso motivo si ripete
nella parete destra e in quella di prospetto delle camere
laterali (alcune di tali figure oggi sono distaccate). E’ noto
che i serpenti nell’arte funeraria degli etruschi si trovano
spesso associati alle rappresentazioni di demoni; pertanto
non v'è dubbio che avessero un determinato significato ca-
tactonico. I serpenti sono gli abitatori del sottoterra per ec-
cellenza, e ben si addicevano agli esseri fantastici (geni
della morte), che emanavano dal mondo sotterraneo ed erano
‘ ivi localizzati dalla fantasia popolare. Ma la rappresentazione
del serpente isolato, in atto di sbucare da una parete, come
lo vediamo nella nostra tomba, è un fatto che desta parti-
colare interesse per la sua rarità, ma che si spiega benis-
simo data la concezione che gli antichi avevano del ser-
pente. Il suo modo, infatti, di camminare proprio dei rettili,
la sua predilezione per le crepature delle roccie e per le
cavità sotterranee, fecero sì che apparisse simbolo delle po-
tenze nascoste nel seno della terra, per cui fu eletto guar-
diano, non solo delle tombe sotterranee, ma di tutti i luoghi
sacri (1). Le relazioni poi che come figlio della Terra si
credeva avesse colle divinità infernali contribuirono a fargli
acquistare il carattere di simbolo funebre (2).

(1) DAREMBERG e SAGLIO, Dictionnaire des Antiquites Grecques et Romaines,
Draco, p, 406.
(2) Op. cit., p. 408.
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LA TOMBA ETRUSCA DEI VELIMNI A PERUGIA 215

Conformemente dunque a tale concezione i serpenti della
tomba perugina saranno da riguardare — in un senso con-
creto e ristretto — come custodi di essa e dei defunti ivi E ied
1 deposti, e in un senso più largo e generico, e più dimostra- 2 " "9
di tivamente, come rappresentazione del sottosuolo, del luogo sui

— «cioè in cui fu scavato il sepolcro.

Sempre nella medesima parete, a destra dell’ ingresso
—. 4l fablinum, era scolpita un’ iscrizione di cui ora rimane solo n
qualche lettera. Secondo il Vermiglioli (1) essa si riferiva alle Du
- . armi di bronzo trovate nell'atrio, alcune appese a quella
parete, altre a terra (2). Di esse ci occuperemo piü avanti.
La tomba dei Volumni continuava la somiglianza con
3 la casa civile anche per qualche oggetto che non suole man-
. . care nelle dimore dei vivi. Infatti nel centro dell'atrivm pen- | mns
deva in origine una lucerna di terracotta. La parte superiore EEUU hi nt
di questa all'atto della scoperta fu trovata intatta, sospesa Edi
mediante un filo di piombo al trave maestro, e lasciata fi- x | qu
nora al suo posto d'origine. La parte inferiore invece, ci é Ml
giunta in frammenti, oggi conservati in un armadio della
stanza soprastante all’ ipogeo.

La parte superiore esibisce ‘una figura di giovane alato,
in piedi, di prospetto, in posizione di riposo, col busto gra-
vitante sulla gamba sinistra e il capo leggermente piegato
sulla spalla destra. Ha lunghi capelli sciolti, e un collo di
cigno gli sormonta il capo a guisa di berretto. Davanti, il 1
corpo è completamente nudo e dietro un lungo mantello gli | n
Scende giü dalle spalle; con la destra raccoglie dietro il |
fianco un lembo di quest'ultimo, mentre un altro lembo é
avvolto intorno al braccio sinistro steso. I piedi sono rive-
stiti di coturni. L'indentificazione di tale figura ha da3o
luogo recentemente a una polemica tra il compianto com-
mendatore Dante Viviani soprintendente ai Monumenti di

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(1) VERMIGLIOLI in CONESTABILE, II p. 59 ;-cfr. anche C. I. E.. n. 3755. e ti
(2) CONESTABILE, ibidem.

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OS 216

Perugia,

E. ZALAPY

ed il dott. Goffredo Bendinelli. Il primo in un arti-

colo pubblicato nel Bollettino d' Arte del 1915 (p. 161 sg.)
nel dare notizia di un suo egregio ripristino in gesso della

(Fig. 6).

lucerna sopra ricordata (cfr. fig. 6) e di un'altra del tutto
simile (1) anch’essa rinvenuta in frammenti dentro la tomba,

(1) A parte lievi varianti nella mano della gentile figurina, alzata e in atto di
raccogliere un lembo del mantello appoggiato sull'omero, nella sinistra che afferra

anch'essa un altro lembo del mantelio e nell'atteggiamento del capo un po' incli-
nato verso sinistra. '
1

LA TOMBA ETRUSCA DEI VELIMNI A PERUGIA 215:

s'intrattenne sulla figura che in origine sormontava il piatto
di ciascuna lucerna, che non si puó con sicurezza determi-
nare se avesse 6 o 8 lucignoli. Il Viviani credette di poter
definire la natura e il significato di tal tipo di genietto ma-
schile, ma il suo scritto non fu e non poteva essere esau-
riente, non essendo egli archeologo. Poco dopo nello stesso
Bollettino di quell’ anno (pag. 245 e segg.) sorse a contra-
stare le sue idee il sullodato dott. Bendinellî (1). Noi non
indagheremo qui quel probabile o possibile . significato par-
ticolare che una tale figura aveva nel sepolcro, e in asso-
ciazione con altri simboli su esaminati. Ogni prova sicura al
rieuardo mi pare che manchi, e perció sarà bene limitare
le osservazioni sul solo valore intrinseco, artistico e archeo-
logico, di questa statuetta fittile. Essa, anche per la sua
funzione tectonica e decorativa in una lucerna, apparisce
come un tardo prodotto industriale. Ma d'altra parte trova
stretto riscontro tipologico in una squisita scultura in bronzo
del Museo Archeologico di Firenze della quale allego una foto-
grafia (cfr. fig. 7). Nella guida del Museo (2) il piccolo gruppo
in parola é indicato come una scultura etrusca rappresen-
tante Baeco e il suo genio, e si fa risalire al IV secolo a.
C. Si tratta dunque di una composizione ideale di un tempo

(1) Il Viviani nel suo articolo intitolato: I lampadari dell’ipogeo dei Volumnt
presso Perugia. Studio di ricostruzione, cercò di dimostrare che la figura alata in
discorso altro non è che la personificazione del cigno sacro ad Apollo, contraria-
mente a quello che invece opino il Vermiglioli, il quale vi ravvisò un Lare dal
capo ricoperto di elmo (CONESTABILE, p. 12). La rappresentazione di Apollo ben si
associava, secondo il Viviani, alle altre rappresentazioni dello stesso Dio che — ac-
cettando l'opinione del Vermiglioli — egli vedeva nelle sculture del frontone supe-
riore all'ingresso del tablino. All'articolo del Viviani fece seguito quello di Gor-
FREDO BENDINELLI intitolato Nota sopra Uipogeo dei Volumni e à suoi lampadari,
nel quale dichiarò giustamente errata l'opinione dei Viviani e dopo averla confu-
tata credette di potere ravvisàre nella figura in questione un Amorino. E, dati
i'due prototipi a cui l’ artefice coroplasta etrusco avrebbe potuto attingere
l'uno, cioé, greco riproducente Ercole scherzante con Eros e l'altro, contaminazione
di esso, esibente Bacco e il suo genio, il Bendinelli crede che la nostra statuina
dipenda dal primo. Noi invece incliniamo a riconoscervi un genio bacchico.

(2) L. A. MILANI, Op. cit., tav. 140.

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Ba LA TOMBA ETRUSCA DEI VELIMNI A PERUGIA rotg

alquanto progredito, dipendente da uno schema o prototipo
artistico sul quale si doveva trovare lI elemento-cigno delle
due sculture che ho posto a confronto. Con questa differenza
però, che nel bronzo fiorentino l'uccello è riprodotto in forma
completa, mentre nella lucerna perugina, di materia più
umile e di fattura più trascurata e più tarda, la figura del
volatile è resa sommariamente e confusamente tranne che
nel caratteristico lungo collo ripiegato in avanti, "che costi-
tuisce l'anello di sospensione della lucerna. L'arte opera sem-
pre così, quando perde la nozione dell' idea che un oggetto
era destinato a rappresentare. La parte inferiore della lu-

cerna era costituita da un piatto concavo a più becchi. Se-

condo la ricostruzione grafica fattane dal Vermiglioli, in base
ai frammenti assai scarsi del piatto e dei beccucci per i lu-
cignoli e pubblicata nuovamente dal Conestabile (efr. Cone-
stabile, tav. VIID, questi ultimi dovevano essere non meno
di 6. Il Viviani invece (Bollettino d'Arte, pag. 163) nel suo
accennato restauro in gesso attribul a ciascuna lucerna ben
otto becchi. Ma dato lo scarso numero dei frammenti rimasti,
ci sembra non sia possibile determinare con certezza il nu-
mero originario dei becchi. Possiamo solo dire che si trat-
tava di specie di lampadari a più luci. Uno solo dei becchi è
pervenuto fino a noi (cfr. Conestabile, tav. XIII) e del piatto
non rimane che il centro, la cui parte concava esibisce una
bella testa di Medusa dall'atteggiamento quasi patetico, e de-
cisamente anguicrinita. Teste di serpenti si vedono spuntare
sul capo munito anche di ali: (Conestabile, ibidem). Un'al-
tra lucerna simile pendeva dall'architrave della porta d'in-
gresso al tablinum, anch'essa mal conservata. La figura alata
si rinvenne caduta al suolo e mancante del capo, allorchè
si dovettero eseguire dei rinforzi nella parte interna della
porta (1) mentre la testa pendeva ancora dall’ architrave

(1) Ciò apprendiamo dal protocollo dell'Archivio della Delegazione Apostolica
840, n. 1380.

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legata a un filo di piombo. Della lucerna propriamente detta
non è rimasto che un frammento del centro, adorno di un’al-
tra testa di Medusa identica alla precedente. Questo lampa-
dario differisce da quello precedentemente esaminato, per-
chè un po’ più grande e anche — come si è detto — per
il diverso atteggiamento del genio, con la destra infatti rac-
coglie sull’omero un lembo del mantello, mentre un altro
lembo è tenuto dalla mano sinistra (1).

Forse non cadremo in errore se riteniamo che in ori-
gine in codeste lucerne e nei bassorilievi dianzi esaminati
la policromia sia intervenuta a dare maggior risalto ai par-
ticolari delle figure. Tale ipotesi è avvalorata dal fatto che
la policromia era diffusissima in Etruria e che di essa tro-
viamo, come vedremo, esempi sicuri nello stesso sepolcro. In
tal caso, l'assenza di ogni traccia di colorazione in tutte le
sculture sopra descritte si spiegherebbe benissimo data la
grande umidità del sotterraneo.

Nelle due pareti laterali dell'atrium sono visibili quat-
tro panchine tagliate nel tufo; esse si ripetono non solo nella
stessa tomba (ad eccezione delle quattro celle laterali del-
latrio, le altre camere infatti son tutte fornite di panchine),
ma quasi in tutte le tombe di tipo simile finora scoperte in
Etruria. Sulla loro destinazione non può cader dubbio: ser-
vivano per deporvi le urne, i vasi cinerari e la suppellettile
funebre. Ma esse non erano destinate ad accogliere solo i
resti umani racchiusi in cinerari di ogni sorta, in urne ed

(1) Il Kórte ritiene che le due lucerne non fossero destinate ad illuminare
materialmente la tomba essendo troppo piccole, data l' ampiezza del sepolero,
ma bensì a rendere ancor plù completa la riproduzione della casa dei viventi
(Rórte op. cit., p. 11), Questa idea restrittiva diviene però inaccettabile, quando si
pensi che le lucerue d'uso nelle antiche abitazioni erano relativamente assai pic-
cole in relazione agli ambienti che dovevano rischiarare, Un sintomo del tempo
relativamente tardo che bisogna assegnare al sepolcro potrebbe riscontrarsi nel
fatto che l' illuminazione artificiale in esso non era affidata ai grandi candelabri di
bronzo o di ferro così comuni nelle tombe a camere etrusche del miglior periodo,
ma a due lucerne, sebbene sontuose, di terracotta, che richiamano più da vicino le
tipiche e dappertutto diffusissime lampade romane ad olio, con uno o più lucignoli.
in sarcofagi per inumati, poichè talora accoglievano anche
cadaveri scoperti; in tal caso prendevano nome di letti fu-
nebri. Al primo di questi due usi erano certamente desti-
nate le panchine che troviamo nel fablinum, nelle due ca-
mere che lo fiancheggiano e nelle a/ae. Quanto a. quelle
dell’ atrio, il Kórte osserva che data la loro ristrettezza
difficilmente avrebbero potuto servire per collocarvi le urne
o i cadaveri. Egli pertanto ritiene che avessero T'ufficio di
sedili, la eui presenza ben si addice in un ambiente come
quello, il quale, secondo il Kórte, era il luogo di riunione
dei congiunti superstiti, in occasione del seppellimento, e
allorchè si celebravano le solenni cerimonie in onore dei
defunti (1). Ma la ristrettezza delle panchine a noi non sem-
bra una ragione sufficiente per ritenere cha l’atrio non fosse
destinato ad accogliere, come gli altri ambienti, i resti mor-
tali della famiglia Volumnia. La tomba gentilizia fu fatta
spaziosa in previsione di poter servire per lunghissimo
tempo, poi venne abbandonata per circostanze a noi ignote.
Ecco perchè rimasero vuoti l’atrio e altri vani.

L'ampio ingresso del tablinum è privo di stipiti e archi-
trave di travertino (cfr. fig. 8). Anche qui il soffitto tradisce
la tecnica lignea; esso infatti è una magnifica riproduzione
di un soffitto a cassettoni (lacunari), che, come quello a doppio
spiovente, dovette aver larga diffusione in Etruria, poiché
ricorre in molte altre tombe, specialmente del territorio chiu-
sino. Ma oltre che per la sua struttura, quel soffitto attira
lo sguardo dell’osservatore anche per la decorazione del
cassettone, esibente una testa di Medusa rilevata ed. espressa
di prospetto (cfr. fig. 9). Il viso largo e pieno, i capelli svo:
lazzanti, lo sguardo severo, ricordano più da vicino il tipo
tradizionale. La bocca è semiaperta e i denti e gli occhi
dipinti in bianco con le pupille nere. Questa maschera Gor-

(1) KORTE, op. cit., p. ll.

LA TOMBA ETRUSCA DEI. VELIMNI A PERUGIA 221

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gonica mostra ai lati della testa due ali, a differenza di
quella dianzi esaminata. Il differente tipo rivela l'origine
diversa del prototipo, e avvalora la tesi posta, che dobbiamo .

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(Fig. 9),

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riconoscere nell'ipogeo dei Volumni una corrente artistica
tarda, che attinge indifferentemente da modelli antichi e re-

domaine

centi, senza seguire un ordine logico, coordinato e rigoroso
di scelta. Tale decorazione non è rara nei soffitti a casset-
tone delle camere sepolcrali etrusche e — come tanti altri
elementi figurativi analoghi — devesi riconoscere di origine
greca. In Grecia infatti si riscontra su edifici e su oggetti
di vario uso, come vasi, gioielli, bronzi, terrecotte ornamen-

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E. ZALAPY

tali :ecc. Tale larga diffusione del capo gorgonico derivava
dal potere, di cui questo si credeva dotato, di preservare
cioè da ogni male, e di allontanare i cattivi geni. La Me-
dusa dunque ora descritta, e tutte le altre di cui è ricca la
tomba nostra, saranno da riguardare come simboli apotro-
paici: esse dunque, colle Lase scolpite e coi serpenti che
sbucan fuori dalle pareti, concorrono alla difesa ideale del
sepolcro.

Le panchine a differenza di quelle dell'atriwm qui sono
rivestite di lastre di travertino. i

Al fablinum si ricollegano per la struttura dei soffitti le
alae sulla destra e sulla sinistra dell’atrium (fotog. Alinari,
n. 21516, riproduce l'ala destra). Del tutto differente ne è
invece la decorazione. Il soffitto dell’ ala destra infatti esi-
bisce nel riquadro centrale una testa femminile con abbon-
danti capelli; essa è coperta da un velo che dal capo le
scende sugli omeri, e intorno al collo si scorge l'orlo del
vestito (fot. Alinari 21311). A questa fa riscontro nell’ ala si-
nistra un'altra testa muliebre con parte del busto (fot. Ali-
nari 21318). In questo soffitto il riquadro centrale é tagliato
in modo che i suoi lati non sono paralleli alla cornice
— come negli ultimi due esaminati — ma obliqui ad essa;

*

inoltre al quadrato é inscritto un cerchio nel cui interno,

in un secondo cerchio, é rilevata la figura femminile a cui
abbiamo accennato. Di tali semi-busti che adornano i due
soffitti in discorso è difficile dare una giusta interpreta-
zione. Il Vermiglioli non la tentò neppure. Il Conestabile in-
vece, vi riconobbe delle « teste gorgoniche ». Anche il Kórte
sì mostra incerto, tuttavia inclina a riconoscervi dei ritratti
femminili di persone di famiglia (1). Probabilmente si tratta
di semi-busti di Lase o di esseri simili.

(1) KORTE, Op. cit., p. 10.
LA TOMBA ETRUSCA DEI VELIMNI A PEBUGIA 225

Le altre camere essendo tutte secondarie e forse non

r^. L * 5 . .
finite, presentano una singolare semplicità. Gli ingressi hanno

stipiti e architrave di travertino, soltanto la prima cella a
sinistra li ha in pietra serena. I soffitti sono tutti a doppio
spiovente, in perfetta armonia con quelli dell’atrivm, ma a
differenza di questo sono completamente lisci. Nella parete
di prospetto della seconda cella a destra dell'atriwm sopra il
listello del frontone adorno di motivi architettonici sono scol-
pite — alle due estremità — due civette, il cui significato
nella tomba è ovvio. Come i corvi, anch'essi uccelli notturni,
queste stanno probabilmente ad esprimere l'idea del buio
del sottoterra. Di tutte le camere secondarie questa é la sola
che sia adorna di rilievi nelle pareti, le altre sono prive di
ogni decorazione, ad eccezione dei serpenti di terracotta dei
quali abbiamo parlato.

Infine tutte quante le camere hanno il suolo molto bene
spianato, per analogia coi pavimenti delle case dei vivi.

Prima di lasciare questa parte decorativa e ornamentale

‘dell’ ipogeo, crediamo opportuno proporci la seguente do-

manda: come spiegare l’assenza assoluta di ogni dipinto nelle
pareti ?

L'uso della pittura parietale in Etruria attestato da un
buon numero di tombe a camere esistenti in alcune regioni
etrusche, e inoltre la singolare ricchezza dell’ ipogeo, inco-
raggerebbero a supporre che vivaci scene di banchetti e di
giuochi funebri, o scene mitologiche — come in tante tombe
signorili — fossero in origine riprodotte a vivi colori su
quelle pareti ora nude, e avessero contribuito ad accrescere
la maraviglia di quel monumento. E data poi la tecnica ado-
perata dagli Etruschi nelle pitture tombali, di applicare cioè
spesso i colori direttamente sulla superficie naturale della roc-
cia, senza alcun preparato di stucco, non farebbe ostacolo alla
suaccennata preliminare supposizione la superficie liscia, ma
priva di ogni intonaco intermediario, delle pareti nella nostra
tomba. Ma su ogni tratto di queste pareti, la mancanza di

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226 E. ZALAPY

tracce di colore mai notate fin dal tempo della scoperta (1),
fa cadere la suddetta ipotesi. Meglio è perciò affermare che
nessuna pittura di nessuna sorta adornasse le pareti del sepol-
cro fin dal tempo della sua costruzione. Una ragione di ciò
potrebbe essere il fatto che la pittura parietale in Etruria
era localizzata in determinate regioni (2). E un’ altra spiega-
zione può aggiungerst a questa sintomatica assenza: il tempo
cioè a cui risale l' ipogeo. Le pitture tombali etrusche non
discendono che per rara eccezione, come ad esempio quella
più sopra citata di « Tassinaia » nel territorio chiusino, fino
al II sec. a. Cr., e non certo prima di quell'epoca fu scavato
l’ ipogeo in discussione, come vedremo più oltre. Ma se man-
cavano le scene pittoriche sulle pareti, il colore — come già
si è detto — fu tuttavia usato per accrescere la vistosità
dei rilievi parietali e delle decorazioni architettoniche.

Di tutti gli ambienti descritti, il solo destinato ad acco-
gliere i resti mortali di alcuni membri della. famiglia Ve-
limna, fu il fablinum, che perciò è da riguardare, in questo
caso, come il santuario sepolcrale per eccellenza; e qui in-
fatti si rinvennero al loro posto — come si è già avuto oc-
casione di dire — sette ricchissime urne, ben adorne e de-
gne di stare in quel luogo sontuoso. Che le urne trovate
fossero soltanto sette, è cosa che non può mettersi in dub-
bio: oltre la valida testimonianza del Vermiglioli, abbiamo
in proposito un passo di un rapporto esistente fra i docu-
menti dell’ Archivio della Delegazione Apostolica di Peru-
gia (3). Le urne collocate sulle panchine sono tutte addos-
sate alle pareti, e dai suddetti documenti non risulta che

(1) Nella relazione del Vermiglioli non troviamo infatti nessun accenno a pro-
babili tracce di pitture nelle pareti.

(2) Cfr. MARTHA, L'Art Étrusque, p. 378.

(3) Archivio della Delegazione Apostolica di Perugia - Scavi 1849 N. 485. - Rap-
porto di Giulio Donati al Gonfaloniere di Perugia: ... In questo intervallo niente fu
rimosso dal detto sotterraneo, e nessuno mosse le sette urne o alcuna parte di que-
ste ecc.
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LA TOMBA ETRUSCA DEI VELIMNI A PERUGIA 227

all’ atto della scoperta fossero rimosse dal loro posto origi-
nario, anzi si rileva che esse furono lasciate nel luogo e
nella posizione in cui erano anticamente. Quanto alla mate-
ria di cui le urne sono fatte si è detto. che ad eccezione
dell'ultima a sinistra che è di marmo lunense, le altre sono
tutte di travertino locale rivestite di una patina di stucco
fine e bianco (opus albarium). Tale rivestimento si conserva
ancora quasi intatto mentre della policromia originaria desti-
nata a mettere in rilievo i particolari e ad accrescere vi-
vacità alle sculture non rimanevano tracce apprezzabili ne-
anche al tempo della scoperta. Solo deboli sfumature riman-
gono ora fra i capelli di alcuni personaggi recumbenti sui
coperchi e nelle cavità più accentuate dei rilievi, in grazia
delle quali possiamo con sicurezza affermare che in origine
la colorazione doveva essere stata estesa a tutte quelle mi-
rabili urne. Oggi, pur troppo, esse hanno molto perduto della
nitida candidezza che presentarono all'atto della scoperta, a
causa dell'aria e del fumo. delle candele, che prima si ac-
cendevano, per renderle visibili ai visitatori. Ma ció nono-
stante, la vista di quello sfondo ancora bianco, in contrasto
col buio fitto della tomba, ci fa rimanere tuttora estatici al
primo entrare in essa.

. Passando all'esame dei singoli monumenti cominciamo
dal primo a destra.

Quest’ ultimo collocato in due blocchi quadrati di tra-
vertino é addossato allo stipite destro della porta d' ingresso.
Il cinerario propriamente detto presenta la forma di una
cassa lignea quadrata leggermente restremata; esso contiene
come tutti gli altri, le ceneri del defunto e residui di ossa,
per limperfetto processo di combustione. Ma riservandoci
di parlare delle decorazioni del cinerario piü tardi, veniamo
subito al coperchio che primo attira l'attenzione dell osser-
vatore. Questo é costituito da una lastra di travertino di me-
dio spessore, ed esibisce una kline su cui é sdraiata una fi-
sura maschile rappresentata a banchetto (cfr. fot. Alinari

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‘e si apprestavano a compiere un sacrificio (1). La collana

228 E. ZALAPY

21314). E’ evidente che esso appartiene alla numerosa classe
di urne e sarcofagi etruschi colle figure recumbenti sui co-
perchi, nella quale si afferma l'antica tendenza di conser-
vare l' effigie del defunto, manifestatasi per la prima volta
nei vasi così detti canopi (VIII-VII sec. a. Cr.) a cui la testa
umana, sostituita al coperchio, e le braccia alle anse, danno
carattere individuale. Tale tendenza vediamo continuata e
meglio affermata nelle urne della classe suddetta, sui coper-
chi delle quali troviamo riprodotta l'intera figura umana. Il
tipo che offre l'urna in esame, che riproduce il morto a ban-
chetto, è il più frequente. Il problema che qui potrebbe sor-
gere, se, cioè, il defunto è rappresentato in vita, oppure
dopo morte quando già prende parte alla vita elisiaca,
è insolubile. L' intenzione però dell artista di riprodurre le
fattezze del defunto, in tutti i sarcofagi di questa classe e
evidentissima. Ed il ritratto del defunto piü o meno idealiz-
zato, é appunto da ravvisare nella figura della nostra urna |
la quale ci mostra un uomo di età matura. Questi appoggia
il braecio sinistro su due guanciali e con la mano sostiene
il capo afferrando al tempo stesso — con mossa naturalistica
— la lunga collana che gli scende dal collo, e lasciando ve-
dere il grosso anello di cui è adorno l'anulare. L'altro brac-
cio é disteso lungo la persona, e la mano corrispondente
regge una patera ombelicata, recipiente sacrificale, usato
nelle libazioni. Il torsó è nudo, mentre il resto del corpo è
ricoperto dalla toga. Il capo è cinto da una corona, di cui
solevano adornarsi gli antichi quando sedevano a banchetto

(torques) risulta da una quantità di grossi dischi d'ambra in-
filati. Di tali dischi ne furono trovati frequentemente nelle
tombe etrusche arcaiche, col cadavere inumato (2). Tutti

(1) Cfr. PLATONE, De Republica I. 2 (il vecchio Cefalo col capo inghirlandato).
(2) Il Vermiglioli, invece, crede trattarsi di un altro tipo di collana fatta con
‘fiocchi di lana a foggia di fusaruole (Cfr. CONESTABILE, II, p. 78). Il Kórte afferma
«che i dischi di cui essa risulta sono composti di una sostanza odorosa (op. cit., p. 14).
229

LA, TOMBA ETRUSCA DEI VELIMNI A PERUGIA

gli attributi di cui è fornito il personaggio dell'urna in esame
sono comuni ai personaggi delle urne seguenti, e in generale
a quelli di moltissime urne di questa classe (1). Quanto ai
dettagli della kline questa ha un sol sostegno per i guan-
ciali ed è ricoperta da una coltre che cade sul davanti e ai
lati, mentre il personaggio è adagiato su una seconda coltre
più corta che termina con un orlo ondulato. Inoltre serviva

alla comoda salita uno sgabello di fornia semplice e liscio .

in questa e nelle tre urne seguenti, decorato invece nella
quinta. Adornavano la fronte della cassa per le ceneri, quat-
tro patere ombelicate (una per ciascun angolo) e un bel
capo di Medusa nel mezzo, racchiuso in un riquadro di ca-
rattere architettonico. Tali ornamenti non furono ottenuti
con la consueta tecnica della scultura a rilievo, bensì lavo-
rati a parte e applicati per mezzo dello stucco stesso. Le
due patere di sinistra oggi mancano e così pure la testa di
Medusa; ma per fortuna le tavole del Conestabile ci conser-
vano una fedele riproduzione di quest’ urna, quale essa fu
trovata all'atto della scoperta, fornita cioè di tutti i suoi or-
namenti (Conestabile, tav. V). E' pertanto questa lurna che
fra le altre del sepolero ebbe a risentire maggiormente le
conseguenze dell'incuria in cui fu tenuto il monumento,
prima che ricevesse dallo Stato l'assetto attuale. Tanto le
patere di tipo metallico come le protomi gorgoniche si ripe-
tono nelle tre urne seguenti e nella sesta, e sebbene si tratti
di un unico soggetto, più o meno sviluppato a seconda la
porzione di collo che in talune di queste urne fa assumere
alla immagine di Medusa un vero e proprio assetto di busto,
tuttavia il tipo non è mai uniforme. La posizione della testa
e le differenze di stile e di particolari che in esso vi si ri-

(1) Nella figura di quest’ urna il Vermiglioli (in CONESTABILE, p. 71) ravvisò
una donna, ma un attento esame del volto e dell’acconciatura dei capelli della fi-
gura, non lascia alcun dubbio che si tratti di un uomo. Inoltre le figure femminili
sui coperchi delle urne non hanno mai il torace e il ventre nudi.

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phi 230 E. ZALAPY

scontrano, dimostrano per lo meno che dette sculture non
furono eseguite da una stessa mano, e forse neanche in una
sola officina. Abbiamo già notato nell’ esaminare la Medusa
del frontone del tablinum e quelle del soffitto di quest'ultimo
e delle lucerne, il profondo contrasto che esse formano con
quella del tipo tradizionale più antico, la cui caratteristica
era la mostruosa bruttezza del volto; ma è soprattutto nelle
ultime e in questa delle urne che appare la completa tra-
sformazione che in Grecia e di là in Etruria, la libera, ca-
pricciosa fantasia dell’ arte dopo lunga, secolare evoluzione
fece subire a quella immagine, facendola passare da un’ or-
ribile bruttezza demoniaca a una bellezza tutta umana e
ideale. Questo fenomeno di assimilazione di un tipo, già tra-
sformato ed evoluto nel mondo ellenico fino a produrre la
bellissima Medusa Rondanini ora alla Glyptotheca di Mo-
naco (1) è assai diffuso nei prodotti d'arte etrusca di sva-
riate specie; ma nella tomba dei Volumni, come si è visto,
abbiamo una vera serie di tali immagini che — esprimes-
sero o no particolare significato funerario — attestano ad
ogni modo della predilezione che per esse ebbero forse i
proprietari del sepolcro, commettendo ad egregi artisti le
urne, i rilievi parietali e le lucerne. Guardando la Medusa
della nostra urna, riprodotta nelle tavole del Conestabile,
scorgiamo subito la calma che regna in quel bel volto, leg-
germente piegato verso destra, ciò nonostante essa conserva
ancora tracce dell’antico tipo nel viso un po’ largo, nel collo,
e nella capigliatura scomposta, tracce che non si riscon-
strano più in quelle seguenti le quali sono tutte di una bel-
lezza veramente perfetta e non hanno ormai altro segno della
loro natura originariamente bestiale e mostruosa, all’ infuori
di un nodo di serpi, che in quelle protomi più conservate
si nota al disotto della gola (cfr. fot. Alinari 21313). Se la

(1) Cfr. (RoscHER, Lexikon der Mytologie, p. 1733 sg., fig. ibidem (e ivi biblio-
grafia).
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231

LA TOMBA ETRUSCA DEI VELIMNI A PERUGIA

testa di Medusa, ora mancante, poteva rendere l'urna di
qualche interesse, oggi essa é da considerarsi di scarsissimo
valore artistico; basta infatti guardare la figura del defunto
e la Kline su cui è sdraiato, per accorgerci subito quanto
poca cura abbia messo l’ artista nel riprodurle; persino il
volto è reso sommariamente, sicchè l urna ci appare del
tutto rozza al confronto delle altre. L'asportazione della pro-
tome gorgonica ha reso possibile di studiare la tecnica, af-
fatto nuova nelle urne etrusche ma frequentissima nelle se
polture romane, del pezzo riportato.

Ma non sono certo queste le osservazioni di maggiore
interesse che la prima urna deturpata e le altre integre del-
l’ ipogeo perugino ci suggeriscono. Il loro tipo ha per noi
un’ importanza di prim’ ordine nei riguardi della cronologia;

ma di ciò ci cecuperemo fra poco, dopo avere passato in

rassegna tutte le altre.

Sulla fronte della cassa è scolpita in carattere etrusco
un'iscrizione (cfr. C. I. E. n. 3151) indicante il nome del per-
Sonaggio seppellito; essa cosi si puó intendere: Tiberius Vo-
lumnius Turquiae filius. Al disopra di quest'urna, nella. pa-
rete vi sono tracce di un'iscrizione che probabilmente non
aveva nessun rapporto con quella scolpita sulla fronte (cfr.
€. I. E. n. 3756). :

Le urne seguenti, a parte qualche differenza tecnica e
decorativa dovuta alla diversa esecuzione manuale, non dif-
feriscono nel loro tipo e nelle proporzioni dalla prima ora

studiata (1).

(1) Diamo qui le misure di tutte le urne:

a) 1a urna di Tiberio Volumnio: m. 0.85X0.56X0.30: coperchio m, 0.62x0.60x
0.455. i
b) 2^ urna di Aulo Volumnio: m. 0,60x0.68x0.43: coperchio m. 0.805Xx0.78X0.385.
c) 3^ urna di Larte Volumnio : m. 0.58X0.73Xx0.68: coperchio m. 1.80X0.83x0.58.
d) 4a urna di Velio Volumnio : m. 0.55x(0.68X(0.80 : coperchio : m. 0.80+-0.03x 0.58.
e) 5* urna di Arunte Volumnio : m. 0.78Xx0.99X0.66: coperchio: m. 1X0.90x0.66.
f) Ga urna di Velia Volumnia: m. 0.49X0.585X0.45: coperchio: m. 0.69X0.90x
0.55. =
9) 7^ urna di Publio Volumnio : 0.39X0.565xXx0.76 : coperchio : m. 0.58X(0.165X(0.71.

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232 E. ZALAPY

Nella seconda urna infatti, l'atteggiamento della figura
recumbente sulla Kline è del tutto analogo a quello della
figura precedente. Ma, tuttavia, si nota subito in essa una
differenza nel trattamento del volto, delle braccia e del torso
e in genere di tutta la persona. Le rughe del viso indicano
che il personaggio a cui l'urna appartiene raggiunse la vec-
chiezza. Figure di uccelli (probabilmente cigni) (1) ornano i
sostegni e le gambe della Kline, mentre le coltri cadono sul
davanti con maggior ricchezza ed eleganza di pieghe (2).
Sul davanti del coperchio e sulla fronte dell’ urna è scritta,
in etrusco, la seguente iscrizione, qui riportata in forma la-
tina: AULUS VOLUMNIUS Tiberii et Nuphorsiniae filius
(eir, Ci E Bo n. 23103).

Passando alla terza urna si scorge subito l’atteggiamento
diverso dell’ individuo riprodotto sul coperchio. Il capo è
eretto, e la sinistra qui regge una patera; .l’ avambraccio
destro disgraziatamente manca. Tale portamento ben si addice
a questa figura giovanissima, come dimostra la delicata bel-
lezza del volto (3) (cfr. fot. al n. 21312). La Kline è perfet-
tamente identica alla precedente, sia per la decorazione, sia
per il rendimento delle pieghe della coltre. Sul davanti del
coperchio si legge in etrusco; Lars Volumniùts Auli filius.
(cfr. C. I. E. n. 3759).

Il personaggio recumbente sulla kline della quarta urna,
è riprodotto in un atteggiamento diverso da tutti gli altri. An-
che questo tiene il capo eretto — come il precedente — ma,
a differenza di esso, afferra con la sinistra la collana. Il volto
rugoso lascia supporre che egli sia morto in tarda età. (cfr.

(1) Il Vermiglioli nella descrizione che fa delia cline in esame dimentica di
ricordare le figure di uccelli di cui essa è adorna nei sostegni. Il Conestabile é in-
certo se ravvisarvi dei cigni o delle oche, ma in ultimo propende per queste ultime.
(CONESTABILE, p. 82 nota (**). Il Korte é in dubbio se si tratti di aquile (Das Volum.,
p. 8).

(2) Nella cassa mancano le due patere di destra.

(3) La figura in esame sembrò al Vermiglioli femminile e primo il Feurbach
Ia ritenne maschile. (Bollettino I. C. A, p. 119).
LA TOMBA ETRUSCA DEI VELIMNI A PERUGIA 233

fot. Alinari N. 21311). La calma, fredda espressione che si
scorge nei visi delle Meduse precedenti è in questa un po’
attenuata: lo sguardo languido infatti, e l'atteggiamento delle
labbra danno a quel volto un'impronta di mestizia. L'orecchio
destro é adorno di un orecchino rotondo e eli attributi sono
anche qui in gran parte distrutti. L'iscrizione in quest' urna
si ripete in due parti: sul davanti del coperchio dove è solo
in parte leggibile, e sulla coltre della kline. Probabilmente
essa fu prima scolpita sul coperchio e poi, quando dall’ offi-
cina l'urna venne ad occupare il posto che le fu assegnato,
rimanendo le lettere in parte celate dal coperchio dell’ urna
precedente, fu necessario ripeterla sulla coltre, in alto. Ec-
cone la traduzione: Velius Volumnius Auli filius (cfr. C. I. E.
n. 9160 a e 5).

Accanto all'urna ora esaminata, nel centro della parete
di prospetto, occupa il posto d'onore il monumento che spicca
su tutti gli altri per un'eccezionale vistosità artistica. Già
guardando la figura del coperchio si distingue subito il por-
tamento piü nobile ed aristocratico. Il braccio destro com-
pletamente nudo lascia vedere i robusti muscoli; questo é
ripiegato in avanti e la mano corrispondente afferra la col-
lana in atto di avvicinarla al viso. Il braccio sinistro è ap-
poggiato ai guanciali della Kline, adorni di eleganti nappe,
e la mano tiene la patera mostrando il grosso anello del-
lanulare. Egli inoltre riposa comodamente sopra un soffice
materasso, poggiando i piedi su di un doppio guanciale e
mostra un’età matura. La Kline a differenza delle precedenti
ha due sostegni per i guanciali e presenta una maggiore
ricchezza di decorazione; oltre a figure di cigni infatti com-

‘paiono nelle gambe piccole teste di Medusa e palmette, mentre

lo sgabello qui è adorno delle solite patere di tipo metallico
e di due civette (sfingi accovacciate per il Vermiglioli. Cfr.
Conestabile pag. 87) poste alle due estremità (cfr. fig. 10).
Ma ciò che più attrae lo sguardo dello studioso è la
parte inferiore del monumento. Adornava in origine il centro

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LA TOMBA ETRUSCA DEI VELIMNI A PERUGIA 235

un dipinto non ben conservato già al tempo della scoperta,
oggi in gran parte svanito. Tale dipinto è riprodotto nelle
tavole del Conestabile (cfr. Conestabile tav. XX) e rappre-
senta una porta arcuata sulla soglia della quale stanno ferme
quattro figure femminili; due di queste si sono già spinte
molto in avanti e sono avvolte in un lungo chitone.

Quella di destra stende una mano fuori la porta, in atto
di salutare qualcuno che arriva, mentre quella di sinistra
l alza, forse per additare alle compagne di dietro ciò che
essa vede. Per lo stato di conservazione in cui ci è giunto
tale dipinto non è possibile identificare le singole figure (1).
Mettendo però in relazione ciò che esso ci mostra, con altre
rappresentazioni che ricorrono nei monumenti figurati del-
l| arte etrusca ed aventi destinazione funeraria non sarà
difficile determinarne il significato generico. La porta arcuata
difatti, ci richiama la porta dell’ Hades che vediamo spesso
riprodotta nelle urne esibenti la rappresentazione dell'arrivo
del defunto nel tenebroso regno di Plutone. Non é dunque
improbabile che il pittore abbia voluto esprimere in forma
materialistica il benvenuto che parenti premorti diano sul-
r ingresso dell'Ade al loro discendente, le. cui. ceneri erano
deposte in quell’ urna (2). A credere ciò ci induce anche
l'atteggiamento di saluto della figura di destra (ancora visi-
bile) (3).

Fiancheggiano il dipinto due grandi figure ad altissimo
rilievo, due vere e proprie statue lavorate a parte, e rap-
presentanti demoni femminili alati, del tipo di quelle che si
incontrano spesso nelle urne etrusche con rappresentazioni

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(1) L'interpretazione tentata dal Vermiglioli é molto oscura (in CONESTABILE,
p. 93).

(2) Così pensa anche il Rórte (op. cit., p. 18).

(3) È lodevole il fatto che tale importantissimo» dipinto, sopra un'urna scolpita
con eccezionale sontuosità, non sia stato ritoccato e impasticciato. E del pari si
deve ammirare il criterio di aver lasciato le urne che subirono rotture o asporta-
zione di pezzi, nel loro stato,naturale, senza tentare di restaurarle. Ciò rende sem-
pre più efficace lo studio dei monumenti antichi.

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236 E. ZALAPY

scolpite. Entrambi sono rappresentati seduti e indossano una
specie di chitone manicato che, con un particolare nuovo e
strano, è da un sottile nastro trattenuto e stretto alla vita,
dove termina in un risvolto arricciato formando così una
specie di cintura (1). Sul petto nudo scendono dal collo due 1
sottili fasce riunite nel mezzo da un bel fermaglio di tipo
metallico (2). Inoltre un manto li ricopre solo in parte, ca-
dendo in maniera varia ed elegante. Ma di speciale interesse
é in ciascuno il particolare del capo anguicrinito, analogo
cioè a quello di Medusa ripetuto più volte — come si è visto
— jn questa tomba. Ció é interessante di rilevare non solo
per renderci esatto conto della contaminazione artistica e
forse anche concettuale fra i due esseri fantastici e demo-
niaci (Lasa etrusca e Medusa greca); ma inoltre per poter
chiarire la frequente presenza dei visi gorgonici sulle pareti
e sugli oggetti del sepolero. Entrambi questi sontuosi genii !
della morte hanno il capo rivolto verso il monumento, quindi
luno a destra e l'altro a sinistra; e per di più quello di de-
stra conserva ancora la caratteristica fiaccola accesa, attri-
buto ovvio e particolare di simili figure sulle urne scolpite.
Quello di sinistra é mutilato della mano che reggeva la face,
ma in origine doveva essere identico all'altro. Si nota qualche
differenza, non peró sostanziale, nelle pieghe del manto, il
eui lembo ricadendo dietro le spalle era in origine presumi-
bilmente trattenuto in entrambi a contatto della coscia, dalla
mano sinistra libera. I piedi sono incrociati e calzati di cal-
ceoli di cuoio (ora mancano delle punte). La figura oggi piü

(1) Tale strano particolare non trova riscontro in nessun altro monumento
dell’arte etrusca e qui desta pertanto maggiore interesse. !

(2) Queste sottili fasce richiamano quella specie di pretelle che si notano sul-
l'ombra di Patroclo nella tomba Francois a Vulci (cfr. NoEL DES VERGERS, L'Etrurie,
III, tav. XXI pp. 20-21) e pure nell'ombra di Patroclo e su quella di Achille sui due
lati lunghi del sarcofago di Torre S. Severo (Cfr. E. GALLI, Jl sarcofago etrusco di
Torre S. Severo in Monumenti Antichi det Lincei, XXIV, tav. I e II, p. 43 e 49.. È
notevole il fatto che un tale particolare ricorra solo sù esseri del mondo catactonico.
LA TOMBA ETRUSCA DEI VELIMNI A PERUGIA © 237

danneggiata è quella a sinistra, nella quale l' avambraccio
mancante era fissato al resto del corpo mediante un pernio
di ferro. La leggiadra bellezza del viso, l'eleganza e la novità
dell’abbigliamento, la naturalezza del portamento, rendono
quelle figure singolarmente attraenti, ma del pari sublime è,
senza dubbio, il concetto che con esse ha voluto esprimere
l'artista: non sono quelli infatti, due miti, benevoli genii che
col vigile sguardo, sempre fisso sul monumento .stanno fe-
delmente a guardia di questo e delle ceneri in esso rac-
chiuse? Ma a parte ogni ideale considerazione sul loro pre-
ciso significato rispetto all'urna cineraria, nella quale furono
inseriti è assai notevole il fatto che questi demoni si ritro-
vano qui seduti, in atteggiamento di vigile riposo anzichè in
piedi e in movimento come su altre numerosissime urne
etrusche. È un’innovazione artistica e decorativa che non si
potè: produrre se non in un periodo di decadenza delle forme,
degli schemi e dei tipi tradizionali. L'urna in esame si di-
stingue inoltre dalle altre per la migliore esecuzione artistica.
La figura recumbente, infatti, è anche inferiormente meglio
trattata, e le pieghe della toga e delle coltri, le vesti dei due
genii, tutto rivela una maggiore diligenza di tecnica.

Sul davanti del coperchio è scritto in etrusco: « Aruns
Volumnius Auli filius » (cfr. C. I. E. 3761).

La sesta urna sebbene non differisca dalle altre per la
materia di cui è fatta, se ne allontana per forma. Il cinera-
rio è identico a quello delle prime quattro urne, ma il co-
perchio qui invece esibisce una giovane figura di donna
(cfr. fig. 11). Questa siede di prospetto su di un trono. son-
tuoso ed è vestita di un chitone succinto alla vita e di un
mantello gettato sulla spalla e sul braccio sinistro, mentre
una sottil fascia le attraversa il petto. Appoggia il gomito
destro al bracciuolo del trono e con la mano alzata è in atto
di aggiustarsi la collana o la fascia, mentre la sinistra chiusa
è adagiata sul ginocchio. Il capo è rivolto un po' verso si-

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LA TOMBA ETRUSCA. DEI VELIMNI A PERUGIA 239

nistra, e i capelli sono trattenuti da una semplice tenia (1).
Essa inoltre è adorna di collana, di anello e di armilla. Il
portamento signorile e il ricco abbigliamento rivelano la sua.
nobile origine. L/ intenzione dell’ artista è anche in quest'urna
più che mai evidente: egli volle offrirci il ritratto della de-
funta, le cui ceneri vennero ivi custodite. E che si tratti pro-
prio di una donna, oltre la figura, lo conferma il nome scolpito
sul coperchio (cfr. C. I. E. n. 3762) che in latino potrebbe
rendersi così: Velia o Veilia Volumnia Aruntis (filia). Ma la
posizione seduta, il ricco trono di dignità e di riposo, l'a-
spetto sereno dell'immagine concorrono a dimostrare che lo
scultore volle offrirci un ritratto completo della defunta, tra-
sfigurata dall’eterna giovinezza elisiaca; con la stessa inten-
zione gli etruschi posero in remotissimi tempi i vasi canopi
su una sedia di onore (2). Ma ritornando alla nostra figura
essa ci ricorda non solo le statue cinerarie del territorio
chiusino (sebbene per il tipo soltanto, poiché se ne allonta-
nano per la tecnica e per la destinazione diversa e soprat-
tutto per il concetto informatore); ma anche le note statue
muliebri sedute del periodo imperiale romano (3) ll ci-
nerario è adorno anche qui di una testa di Medusa, ma la.
soave malinconia che abbiamo visto trasparire dal volto della.
Medusa della quarta urna è qui trasformata in un atteggia-
mento doloroso. Le ciglia, infatti, sono leggermente contratte,.

(1) Questo particolare è sfuggito per lo innanzi agli occhi degli illustri studiosi
della tomba, i quali concordemente hanno interpretato come un diadema ció che a
me sembra piuttosto una tenia (cfr. CONESTABILE. II, p. 95 nota (*), KORTE, Op. Cit.,
p. 20).

(2) MILANI, Guida del R. Museo Archeologico di Firenze, Canopi fittili del Chiu-
sino, tav. LXXXIII, p. 230 sgg.

(8) EUGENIE STRONG, Roman sculpture, 11, p. 300, tav. CXV.

Il Vermiglioli vi ravvisò l'immagine di Proserpina spesso riprodotta nelle
statue cinerarie alle quali si è accennato, ma egli s'ingannò pensando a tale identi-
ficazione. Generalmente la figura di Proserpina é' caratterizzata da un serpentello
sulla fronte e dal suo attributo particolare, cioè il melagrano. Qui invece è evidente:
che ci troviamo dinanzi ad una immagine solo un poco idealizzata di persona reale.

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240 E. ZALAPY

la bocca è semiaperta, la chioma un po’ scomposta. Tre pa-
tere oggi mancano e la quarta è spezzata.

Le urne esaminate per stile, per tecnica e per la mate-
ria di cui risultano, formano un gruppo a sè; e sebbene non
si possa negare l’alto. valore che specialmente alcune di esse
hanno in arte, tuttavia non raggiungono il sommo della per-
fezione artistica, e tradiscono la loro origine industriale. Le
caratteristiche comuni per altro sono tali da fermare la no-
stra attenzione e farci chiedere come mai queste urne diffe-
riscano non poco, nel loro aspetto generale, dalle innumere-
voli altre che l’arte etrusca produsse verso la sua decadenza.
Dall’ esame esteriore si rileva che ognuna di esse fu conce-
pita come una base o piedistallo con cornice in alto (corri-
spondente alla cassa per le ceneri), sormontato da una mo-
numentale Kline intera con personaggio recumbente o da
una statua seduta (coperchio dell'urna) Abbiamo dunque un
tipo a sé, nuovo, nel quale la rappresentazione della figura
a banchetto sul coperchio non è economicamente sommaria
come nella maggior parte delle urne, ma è resa con pieno
e minuzioso sviluppo di ogni particolare (coltre, cuscini, so-
stegni della Kline ecc). Ora si tratta di vedere e di stabilire
se questo sviluppo così completo nella rappresentazione del
coperchio precedette o seguì la corrente artistica, nella quale
rientrano tutte le altre urne con scene scolpite nel fronte
e personaggio recumbente o disteso sul coperchio. Ciò è
di somma importanza per determinare l’ esatta cronologia
del sepolcro. Per quanto abbiamo finora esposto e per altre
ragioni che metteremo via via in evidenza, noi siamo con-

| vinti che un tale fatto non possa corrispondere ad una fase

iniziale, rispetto alla quale il più gran numero delle urne
rappresenterebbe un fenomeno di riduzione; ma piuttosto ad
una tarda forma, quasi barocca, del tipo comune. Non pare
neanche possibile che queste urne dei Volumni rappresen-
tino una produzione sporadica, parallela e contemporanea
di quelle tradizionali più antiche, perchè non hanno sostan-
LA TOMBA ETRUSCA DEI VELIMNI A PERUGIA 241

ziali riscontri con altri monumenti del genere usciti da ne-
cropoli etrusche. Per un fenomeno cosi isolato sarebbe assai mu.
difficile trovare una spiegazione convincente. Esse pertanto I d 1 di
1 vanno riguardate come una degenerazione del modello clas-
i. sico diffuso in Etruria, e debbono riferirsi all'ultimo stadio OPE E
dell’arte e della civiltà etrusca, in un tempo cioè in cui in- 5d
cominciavano a prevalere nuovi gusti e forme inusitate, che | |
Si affermarono poi nei monumenti dell'età romana...

L'urna che ora descriveremo e che é l'ultima, sia per Toh
la materia, sia per il tipo e per lo stile deve considerarsi LI DL
completamente indipendente dalle precedenti. Essa infatti, cn '
come si è detto, è di fine marmo lunense (1), e presenta la 1s
forma di un elegante tempietto în antis, adorno di pilastrini
con capitelli corinzi (cfr. fig. 12).

Di quest' urna in forma di tempio é facile rilevare il
concetto informatore, derivato dalla remotissima: concezione | m 35
) funebre e religiosa degli etruschi, secondo la quale la nuova d A
| vita che lo spirito del defunto era destinato a svolgere nel RO.
sottoterra, veniva localizzata e indicata dall'urna a capanna,
casa primitiva e tempio in quanto era destinata ad un es-
sere sacro cioè il morto. Questa tendenza, appunto, di .ri-
: produrre la casa del defunto consacrata dalla morte, noi ve-
1 diamo anche affermata in tempi posteriori in alcune altre hn
|: urne uscite dal territorio d’ Etruria (2). i
i Il tempio che la nostra urna perugina riproduce è quello |
greco primitivo, cioè di forma rettangolare senza pronaos
né porticati all’ intorno, e con due frontoni sui lati brevi. Il
3 coperchio fastiggiato tradisce l’ imitazione dal legno; le travi
del tetto displuviato terminano sui lati lunghi con antefisse
a piccole palmette; e in una fascia sottostante sono ripro-

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E (1) Per tale lo riconobbero gl'illustratori della tomba che lo presero in esame
(CONESTABILE, p. 111, KORTE, p. 3l).
(2) Cfr. ad esempio l'urna della Cecina. MILANI, op. cit., II tav., LXXVII, I,

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della grondaia. Adorna il centro di ciascun frontone una te-
sta di Medusa alata, la cui bocca è atteggiata al sorriso;

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LA TOMBA ETRUSCA 'DEI VELIMNI A PERUGIA 243

essa è fincheggiata da eleganti girali con foglie (1). Ai quat-
tro angoli del coperchio sono accovacciate quattro sfingi (una
di esse oggi manca). La sommità del timpano reca un’antefissa
. purein forma di palmetta, ma più grande delle precedenti.
Servivano a sollevare il coperchio due anelli di ferro posti
alle due estremità del trave maestro.

Destano notevole interesse le decorazioni dei quattro lati.

Occupa il centro della facciata principalé ‘ùna doppia
porta ermeticamente chiusa a battenti scorniciati, e di natura
lignea; questa è fiancheggiata da due pilastri con Capitelli
corinzi, che si ripetono in tutti gli altri lati. Nello spazio
che intercede fra ciascun pilastro e la porta si vede parte
del muro perimetrale a paramento d'opus quadratum regola.

rissimo. Ma ancor più interessante è la decorazione dei lati.

lunghi: in quello di destra è scolpito a bassorilievo nel mezzo
un grosso festone (encarpo) di fiori e frutta, avvolto da una
infula con estremità svolazzanti, e sostenuto da due bu-
crani di tipo romano, come quelli che ricorrono intorno al
sepolcro di Cecilia Metella sulla via Appia (2). Sopra la
ghirlanda occupa il centro un’ elegante oenochoe con bocca
trilobata legata anch'essa con infula; fiancheggiano il vaso
due uccelli (probabilmente passerotti) posati sul festone, in
atto di beccare l'uno una farfalla, l’altro un secondo insetto
di cui non è facile determinare la natura (3). Sotto l'encarpo,
nell'angolo destro, un terzo uccello (rondinella per il Vermi-
glioli; cfr. Conestabile pag. 106) protende il becco verso i
frutti, e a sinistra é scolpito un piccolo coniglio (cfr. Cone-

(1) Tale decorazione trova riscontro in un cippo funerario del Louvre del se-
colo I d. C., esibente a rilievo una testa di Medusa alata, circondata e composta con
cigni-e- fogliami-sopra-un*grande festone di fiori e-di frutta: GUSMAN, op. cit. III,
tav. 167.

(2) CAGNAT-CHAPOT, Archeologie Romaine, I, p. 355 sg., fig. 183, p. 556.

(3) GUSMAN, op. cit., II, tav. 75: urna della tomba dei Platorini (I sec. d. C.) con
encarpi tenuti da bucrani e uccelli sopra i festoni (Museo Nazionale Romano) cfr.
op. cit., tav. 62;.cippo funerario di Volusia al Louvre attribuito da Gusman al I sec.
d. C., con cigni che beccano insetti.

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stabile tav. XII, 2). Un altro festone simile e parimenti appeso
a bucrani, adorna il lato opposto; ma al vaso qui è sosti-
tuita una patera sacrificale ombelicata e baccellata, e i due
uccelli laterali sono in atto di beccare l'uno il nastro del
bucranio, l’altro forse un insetto. Sotto la ghirlanda a destra
e a sinistra due uccelli più grandi (anitre, o aironi come ri-
tiene il Kórte, cfr. pag. 32) (D, allungano il becco l'uno
verso una lucertola, l’altro verso un rospo (cfr. Conestabile
tav. XI, 2). Siamo ormai lontani dal simbolismo funerario etru-
sco. Ma altri elementi dello stesso tardo ciclo artistico di
quelli finora esaminati si vedono scolpiti sulla facciata po-
steriore dell urna (cfr. Conestabile tav. XII, 1). A sinistra
presso una palma si vede un’erma sormontata da una testa
giovanile; nel centro è un cratere in cui bevono due uccelli
(colombi) posati sull'orlo (2); dietro il cratere un alberello
fronzuto (fico o vite?); a destra un’anfora distesa sopra una
colonna con capitello ionico, e più a destra. ancora un al.
bero ramificato e con foglie della stessa natura del primo.
Non occorrono molte parole per dimostrare che questi sim-
boli non appartengono al repertorio etrusco, bensi a quello
dell'arte romana (3) e qualcuno — come ad esempio il re-
cipiente in cui bevono gli uccelli — richiama perfino pecu-
liari figurazioni della primitiva arte cristiana. Noi qui non
possiamo indugiarci, per l'economia del presente studio, a
ricercare il significato di ognuno dei simboli in parola e il
criterio del loro aggruppamento. Dobbiamo contentarci di
sapere — per non straripare oltre i limiti imposti al nostro
lavoro — che questa urna è la più recente di tutto il gruppo,

(1) Il Vermiglioli non sa se siano cigni o ibis.

(2) Cfr. GUSMAN, op. cit., tav. 112: urna di Volysius Narcissus (1 sec. d. C.) al La-
terano in forma, di tempio e.con due uccelli nel frontone che si accostano ad un
cratere per bere.

(3) Cfr. i festoni del tutto identici che ricorrono in un frammento di una parete
interna dell'Ara Pacis, in CAGNAT-CHAPOT, Op. Cit., p. 556, fig. 304.
— At

"LA TOMBA ETRUSCA DEI VELIMNI A PERUGIA 245

pita sul coperchio (1).

A proposito dell'iscrizione scolpita nell’ atrium a destra
dell' ingresso del tablinum, abbiamo detto che probabilmente
essa si riferiva ad alcune armi trovate in quel luogo. Con-
sistono esse in un frammento di scudo di lamina enea, ric-
camente decorato a cesello con figure di animali di tipo ar-
caico e palmette, due schinieri pure di bronzo, lîsci, due al-
tri lavorati e un elmo a calotta, liscio, sormontato da un
bottone (apex). Ma di esse parleremo singolarmente fra poco.

L'elenco (2) che ora daremo contiene tutti gli oggetti
attualmente conservati — intatti o in frammenti — in un appo-
sito armadio di quella stanza del piano superiore a cui abbiamo
più volte accennato. Essi costituiscono il mobiliare funebre
dell’ipogeo. In Etruria, come altrove, la pietà e le credenze
dei superstiti consigliavano a seppellire insieme con la per-
sona cara defunta, oggetti che ad essa appartenevano in vita
(come per esempio le armi), o che si riferivano alla nuova
esistenza ultraterrena (vasi con offerte di cibi e di bevande).
I materiali della suppellettile funebre raccolti nell’ ipogeo,
che nessuno dubitò mai fosse stato violato in precedenza,

il) C. I. E. n. 3703 a. b.

a) pup. velimna aw cahatial

b) P. Volumnius A. f. violens.

Cagphatia natus.

Cfr. GUSMAN, Op. cit., III, tav. 136: urne in forma di tempio al Vaticano, det
primi dell'Impero. Somigliano molto a quella marmorea dei. Volumni, ma nella so-
vrabbondanza decorativa e in altri particolari rivelano chiaramente il periodo più
progredito a cui appartengono. Non possiamo poi non far notare le analogie assai
sintomatiche esistenti fra l' ipogeo dei Volumni e le urne più antiche (I gruppo)
che esso contiene, e la tomba romana degli Haterii (I sec. della n. era) i cui rilievi
si conservano nel museo lateranense. Cfr. GUSMAN, Op. cit., tav. 15, 27, 114, 115 e par-
ticolarmente la tav. 142 dove si vede un personaggio sopra un'alta kline con ampia
coltre sul davanti proprio del tipo che si riscontra nelle urne dei Volumni ; cfr. an-
che G. SPANO, Sul rilievo sepolcrale degli Haterii rappresentante alcuni edifizi dé
Roma in Atti o Memorie dell’Accademia di Napoli, 1906, p. 227 sgg.

(2) Tale elenco è copia di quello conservato attualmente nella R, Soprainten-
denza dei Monumenti dell'Umbria a Perugia e risale al 1874.

come conferma anche chiaramente ]' epigrafe bilingue scol- -

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246 E. ZALAPY

sono alquanto scarsi al confronto dei ricchissimi oggetti rin-
venuti spesso nelle tombe etrusche più antiche. Essi inoltre
contrastano vivamente con la sontuosità delle urne e degli
ambienti sotterranei, e per la loro complessiva modestia
fanno ricordare piuttosto i parsimoniosi corredi di sepoleri
romani.

Ecco intanto l' elenco degli oggetti raccolti, con la rela-
tiva ubicazione nella tomba.

Bronzi.

a) Frammenti di scudo cesellato.

Furono rinvenuti, con le armi che seguono, nell’ atrio
e precisamente a destra dell'ingresso al tablino (cfr. Vermi-
glioli in Conestabile p. 49 e 51), e sebbene assai scarsi, ba-
stano tuttavia a farci conoscere il tipo ed in parte la deco-
razione dello scudo a cui essi appartengono. La forma cir-
colare di quest'ultimo, simile a quella dell’ &oris greco, con
cui ha comune anche la decorazione, è propria degli scudi
frequentemente riprodotti nei monumenti etruschi, e in bas-
sorilievi e pitture murali delle camere sepolcrali dell’ Etru-
ria (1), nonchè degli scudi rinvenuti dentro le tombe (2). I
frammenti rimasti appartengono propriamente alla lamina di
bronzo che rivestiva esteriormente lo scheletro di cuoio o
di legno di cui constavano la maggior parte degli scudi.
Essi pertanto fanno pensare ad un oggetto effettivo e d'uso,
anziché ad uno scudo di semplice carattere rituale. I disegni
ottenuti eol cesello che adornavano la lamina erano distri-
buiti in zone, tre delle quali si distinguono anche oggi. Nel-
l'éstrema zona periferica si nota una semplice decorazione

(1) Cfr. Tomba dei rilievi MARTHA, L’Art Étrusque, tav. II.

(2) Cfr. per esempio il clipeo etrusco scoperto nel1869 in una tomba di Corneto
DAREMBERG ET SAGLIO, Dictionnaire des Antiquités Grecques et Romaines, clipeus,
p. 1259, fig. 1057 (ivi la bibliografia).
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LA TOMBA ETRUSCA DEI VELIMNI A PERUGIA 241

a puntini, come fossero chiodi ribaditi; nella seconda, pal-
mette (derivate dal tipo greco originario) poste all'ingiü e
alternate con un motivo pure vegetale, in forma di calice
chiuso, una specie di fiore di loto, anch'esso di remota ori-
gine ellenica. La terza zóna finalmente é dedicata alle figure
zoomorfe: tori e leoni di forme assai sommarie, distribuite
come sui vasi corinzi, ai quali forse bisogna risalire per
renderci conto di simili decorazioni (cfr. Conestabile tav. XIV).

b) c) Due ocree o schinieri spettanti ad un’ armatura di
guerriero (cfr. Conestabile tav. XIV). Per il tipo non differiscono

,dagli Kvzj2eg dei Greci sui quali dovettero in origine essere

certamente modellate al pari di quelle più antiche, e quindi
più vicine ai modelli ellenici scoperti in una tomba etrusca
di Orvieto del sec. IV av. Cr. (MILANI, Museo topografico di
Etruria, p. 49). Si tratta insomma di parti essenziali dell’ ar-
matura bellica, che in genere non mutano la loro tradizio-
nale semplicità col passare dei secoli (cfr. gli schinieri lisci
come i nostri, scolpiti nella tomba dei rilievi a Cervetri:
MARTHA, Art Etrusque, tav. Il).

d) Un elmo di bronzo con apice a bottone e visiera

«senza alcun lavoro ornamentale (Conestabile, p. 51, tav. XIV,

4). Questo tipo di elmo dalla Grecia introdotto in Etruria, vi
dovette trovare larga diffusione poichè io vediamo spesso
riprodotto nelle opere dell’ arte: etrusca. Ma di esso dovremo
più diffusamente parlare in seguito, quando cioè si tratterà
di stabilire la cronologia del nostro sepolcro.

e) Istrumento d'uso incerto consistente in un bastone
di bronzo con dei piattelli o dischi (specie di sistro?) Fu tro-
vato nell'atrio e nello stesso luogo in cui si rinvennero le
armi sopra descritte (Vermiglioli in Conestabile, pag. 53,
tav. XIV, 5). Simile arnese parve agli occhi del Vermiglioli
uno strumento musicale, il cui suono doveva essere prodotto
dall’ urtarsi dei dischi fra loro. (Vermiglioli in Conestabile,
pag. 54). Ma il Conestabile rigettó l'opinione del maestro ri-
tenendo trattarsi di un candelabro (Con. loc. c.) La vera

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48 E. ZALAPY

natura e destinazione di tale oggetto noi però non potremo
determinare se non quando avremo enumerato tutti gli altri
oggetti rinvenuti in quello stesso luogo e che da esso non
possono disgiungersi.

(Fig. 13).

f) Avanzi di un fusto simile. Consistono in tre fram-
menti di un'asta identica alla precedente, ma senza dischi,
e con essa rinvenuti (Vermiglioli in Conestabile, pag. 54,
tav. XIV).

9) h) Triplice gruppo di figura romana a gambe e
piedi leonini con sfingi alate, disposto in circolo con inter-
mezzo di palmette e un piccolo fusto con quattro dischi a
cui si riuniscono le due seguenti figure (Cfr. fig. 13). Questi
e gli oggetti che seguono si rinvennero nell’atrium allorchè
si procedette ai lavori di spianamento (Vermiglioli in Cone-
stabile, p. 54). Il bronzo di cui ora ci occupiamo consta di
SERA

LA TOMBA ETRUSCA DEI VELIMNI A PERUGIA 249

un cerchio metallico intorno al quale sono collocate tre figure
umane con piedi di leone. Ciascuna è fiancheggiata da due
sfingi alate e accovacciate che la tengono strettamente av-
vinta per le braccia; gli spazi che intercedono fra i tre
gruppi sono adorni di palmette. Il Vermiglioli vi ravvisò una
« cista mistica » (Vermiglioli in Conestabile, pag. 55, ta-
vola XV, 1). Fra breve ne daremo la giusta interpretazione.

i) Due figurette di stile arcaico sospese ai lati di un
frammento del fusto superiore. Una di esse tiene con la
destra un serpe che le si è attorcigliato intorno al polso,
mentre con la. sinistra è in atto di aggrapparsi a qualche
oggetto (probabilmente all’ asta /). L'altra ha il braccio si-
nistro ripiegato e con la mano corrispondente — ora man-
cante — pare tenesse in origine qualche cosa. Anch'essa
molto probabilmente era rappresentata in atto di sospendersi
(con la destra) all'asta suaccennata (cfr. Conestabile, p. 55,
tav. XV, 2).

0) Lamina if forma di triangolo sovrastata da una fi-
gurina di stile arcaico con serpe nella destra e rotolo svolto
nella sinistra (Vermiglioli in Conestabile, pag. 55, tav. XV, 3).
Dalla lamina pendono tre ciondoli in forma di ghiande, cia-
scuno legato a una catenella. La statuetta a cui probabil-
mente tale làmina serviva da base, é molto simile alle due
già esaminate (cfr. Conestabile, tav. XV, 3). Nel passare in
rassegna i frammenti indicati con le lettere e, f, g, h, i, 0,
abbiamo via via accennato anche alle varie interpretazioni
che ne diedero il Vermiglioli e il Conestabile. Abbiamo po-
tuto \così vedere come essi vi ravvisassero i frammenti di
varii oggetti e non di un solo come è più logico supporre.

ggi infatti non può cader dubbio che si tratti di un giuoco
usato dagli Etruschi e denominato Kottabdos (1). Questo dei
(1) Per l’uso del Kottabos cfr. HELBIG, Roemische Mitteil, 1886, p. 222 Sgg.,

tav. XII; BARNABEI in Notizie Scavi, 1886, p. 315 e sgg.; KORTE, Das Volumniegrab,
p. 41 sgg.; cfr. inoltre G. BELLUCCI, Guida alle collezioni del Museo etrusco-romano

în Perugia, 1910, p. 156 sgg., dove trovasi una ricostruzione ideale del cottabos dei
Volumni, p. 159, fig. 88. j

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Volumni è il primo che si sia trovato in Etruria per cui non
farà meraviglia se al Vermiglioli e ai suoi contemporanei
sia riuscita difficile la identificazione di tutti quei frammenti.
Esso é uno dei piü bei cottabi finora usciti dal suolo di
Etruria; ed é degno di nota il fatto che la maggior parte
di simili strumenti si sia trovata nel territorio di Perugia.
La figura 14 riproduce il Kottabos in discorso recentemente
restaurato.
m) n) Due vasetti di bronzo rotti (Con. XIV, 6 e 7).
Entrambi furono rinvenuti nel tablino vicino all’ urna. di

. marmo (Conestabile III, 1). Si tratta di due oenochoai l una

di forma semplice e rozza, l’altra di sagoma più elegante.
Sono di lamina liscia, e per tipo analoghe a quelle dell’epoca
romana riprodotte con altri utensili sacerdotali sui rilievi
Sopra citati a proposito delle secespitae (cfr. pag. 224). Esse
servirono senza dubbio per le cerimonie lustrali, che ebbero
luogo nella tomba, in onore e suffragio dei defunti della fa-
miglia Velimna.

Terrecotte.

a) Una testa di Medusa che faceva parte di una lam-
pada appesa ad uno dei geni pendenti dalla volta (Conesta-
bile XIII, 2). i

b) Frammenti di altro ornamento simile. Di entrambi
abbiamo parlato a proposito delle lucerne trovate in fram-
menti nel nostro ipogeo.

Agli oggetti rinvenuti dentro l’ipogeo si crede appar-
tenesse anche una corniola con la rappresentazione del dio
Luno (Conestabile, II, pag. 58) (1).

Inoltre conservata negli armadi del Palazzone si trova
un' ematite (ossido di ferro) che da alcuni si asserisce essersi

(1) Tale corniola fu donata al Cavedoni da un erudito viaggiatore. (Cfr. Bollet-
4tno I. C. A., 1841, p. 112.
LA TOMBA ETRUSCA DEI VELIMNI A PERUGIA 251

rinvenuta dentro la nostra tomba (cfr. Conestabile, II
pag- 111 e Gennarelli in B. I. C. A. 1841, pag. 14).

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CAPITOLO IV.

L’ ipogeo dei Volumni secondo l’interpretazione e la datazione
di Gustavo Korte.

Dopo la nuova pubblicazione dell’opera del Vermiglioli,
avvenuta, come si è detto, nel 1855, l'insigne sepolcro era
caduto in oblio; per molti e molti anni nessuno dei dotti si
era più curato di studiarlo, nessuno si era più interessato
delle varie questioni a cui esso aveva dato luogo, subito dopo
la sua scoperta. sicchè, dati i progressi sempre crescenti
della scienza archeologica, il bisogno di studiare nuovamente
l’ipogeo al lume degli ultimi risultati ottenuti dalla critica
moderna, si era fatto, ai nostri giorni, imperioso. Tale bi-
sogno senti appunto Gustavo Kórte, il quale nel 1905, du-
rante un suo lungo soggiorno a Perugia, ebbe tutto l’agio
di sottoporre a un attento esame, l' etrusco sepolcro che pochi
anni dopo, e cioè nel 1909 pubblicò. La nuova opera come
‘si è accennato, è intitolata:

« Das Volumniegrab bei Perugia — Ein Beitrag zur Chro-
nologie. der etruskischen Kunst, Berlin, 1909 ».

- Egli in questo suo ampio e recente studio si prefisse un
duplice scopo: offrire una particolareggiata ed esatta descri-
zione della tomba e degli oggetti in essa rinvenuti; indagare
e spiegare il significato di ogni figurazione simbolica, per
rendere agevole e sicura la determinazione cronologica del-
l’ ipogeo. Ottimo metodo questo, che noi non possiamo non
ammirare e seguire, riserbandoci però — come siamo venuti
facendo finora — tutta la libertà di critica circa i singoli
giudizi ed apprezzamenti, onde non vengano compromesse
aprioristicamente le conseguenze scientifiche alle quali vo-
gliamo giungere.

Il nome e il valore indiscutibile dell’ illustre archeologo
straniero agirono nel senso che per circa dieci anni, fino ad
LA TOMBA ETRUSCA DEI VELIMNI A PERUGIA 253

oggi, non fu levato alcun dubbio sui resultati esposti in
quello scritto; e pertanto si è ritenuto che tutto ciò che si
poteva dire intorno all’ ipogeo dei Volumni, fu detto dal
Kéòrte. Ma riguardo alla determinazione cronologica del se-
polero — problema principalissimo — a cui egli destinò,
come abbiamo detto, buona parte dell’ opera, a noi pare si
sia del tutto ingannato. Riserbandoci di esporre nel capitolo
seguente la nostra opinione in proposito, e di*confutare le
congetture del Kórte e degli altri, alla nostra contrarie, cre-
diamo intanto necessario far conoscere succintamente l’ opi-
nione dell'etruscologo tedesco e tutti gli argomenti di cui
egli si serve per sostenerla.

Egli dunque, mantiene ben distinte le sei urne trovate
nel tablino e scolpite in travertino rivestito di stucco, dalla
settima in marmo di tipo architettonico. Quelle del primo
gruppo ritiene opera di un solo artista e fabbricate tutte
nello stesso tempo, per la piena uniformità di tecnica e di
stile che esse presentano (Das Volumniegrab, pag. 24). Se-
condo lo scrittore tedesco la loro costruzione risale al IV se-
colo a. Cr. o al più tardi alla fine del IV e al principio
del III a. Cr. Alla stessa epoca appartiene la fondazione del
sepolcro (op. cit., pag. 30). Le prove che il Kórte adduce
sono varie, e primo il carattere ligneo delle casse, che nei
suddetti monumenti servono ad accogliere le ceneri dei de-
funti. Il fatto che i sarcofagi a forma di casse lignee ebbero
largo uso nel sec. IV a. Cr. egli ritiene ragione sufficiente,
per poter ascrivere a quell’ epoca le urne del primo e più
numeroso gruppo (pag. 26-27). ^

^ Prima di proseguire crediamo opportuno di aggiungere
qui alle osservazioni finora fatte queste altre poche.

E' vero che durante il secolo IV prevalse in Etruria un
tipo di sarcofago derivato da una cassa di legno; ma ciò non
basta per assegnare una uguale cronologia alle urne (e non
sarcofagi) dell'ipogeo perugino, tenuto conto che lo schema
ligneo perdura in certe urne non solo del territorio di Pe-

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rugia, le quali, in base agli oggetti rinvenuti insieme deb-
bono riferirsi ad.un tempo posteriore alla data del Kórte (1).

Ma seguiamo ancora il suo pensiero.

A tale supposizione lo condusse anche il particolare della
sesta urna, in cui la defunta — a differenza degli uomini,
recumbenti sulla Kline — è rappresentata seduta su di un
trono. Nel IV secolo a. Cr. infatti, sostiene l'autore, in Etru-
ria (e cosi in Grecia) non era conveniente per la donna par-
tecipare ai banchetti, uso poi che divenne invece diffusissimo
nei secoli seguenti (pag. 21). Possiamo peró obiettare che le
urne sicuramente riferibili al sec. IV (per indiscutibili ma-
teriali concomitanti) assai di rado hanno figure sul coperchio,
sia pure maschili, e inoltre che anche le figure femminili
recumbenti, le quali compaiono un secolo dopo, non sono
sempre espresse come a banchetto, ma talvolta in atteggia-
mento di abbigliarsi, proprio come la-donna seduta dei Vo-
lumni (2).

Anche la mancanza di barba in tutti gli individui rap-
presentati sui coperchi costituisce per il Kórte una prova,
che serve a confermare maggiormente la sua opinione (pa-
gina 28). L’uso di radersi la barba, cominciò ad apparire
nella seconda metà del IV secolo. Ma non è difficile dimo-
strare che anche questo argomento non può costituire una
prova a sostegno della tesi del Kórte, anzi si può ritorcere
efficacemente contro di lui. Tutte le figure maschili ripro-
dotte sui coperchi dei sarcofagi e delle urne etrusche sono
prive di barba; ora, perchè pensare che proprio quelle dei
Volumni segnino il principio di questa usanza, e non si uni-
formino piuttosto al tipo già diffuso e inalterato nella re-
gione?

(1) Cfr. p. e. le urne trovate nel territorio di Pienza, E. GaLLIin Notizie Scavi,
1915, p. 264, fig. 1.

(2) Cfr. il famoso sarcofago chiusino di Larthia Seianti a Firenze: MILANI,
Guida, 1, p. 161; II, tav. 41.‘
LA TOMBA ETRUSCA DEI VELIMNI A PERUGIA 255

Infine il tipo delle Meduse che ricorre nei monumenti
in discorso, col capo leggermente piegato verso un lato, tipo
proprio dell'arte di Prassitele, la forma dell'elmo trovato
nella tomba, adoperata nel IV secolo, quella delle armi scol-
pite nel frontone superiore allingresso del tablino, non piü
in uso nel secolo III a. Cr., son tutti argomenti che egli volge
a favore della propria tesi. Vediamo peró quanta resistenza.
abbiano queste altre ragioni. -

Si può seriamente parlare di Prassitele dinanzi al tipo
evoluto della Gorgo-Medusa, che l’arte industriale, nutrita —

come sempre avviene — da una lunga tradizione, riprodusse.
in gran copia nel sepolcro perugino? Anche la forma del-

l'elmo: non è una prova utile, tenuto conto che il suo tipo
dura fino al periodo Galio-Romano (1). E quanto alle pretese
scimitarre sul frontone del tablinum, aggiungo qui a quanto
sopra ho detto, che più che spade quegli oggetti mi sembrano:
delle secespitae, la cui presenza nella nostra tomba è alquanto
sintomatica. Inoltre lo sfarzo dei monumenti suddetti, la loro
perfezione artistica, indussero il Kórte a considerarli del tutto:
indipendenti dalla numerosa classe delle urne con rilievi,
che egli ritiene più recenti (III-II a. Cr.) (cfr. pag. 24). Rileva
infatti, che nelle urne appartenenti a quest’ultima classe, la
figura del morto non è adagiata sulla Kline, ma è distesa
addirittura sul coperchio ed è per lo più trattata assai som-
mariamente nel corpo, mentre ciò non si riscontra nelle urne
dei Volumni (pag. 24-25). Un’ altra differenza che queste ul-
time presentano con le urne suddette sta, per il Kórte, nelle
Meduse lavorate a parte e applicate alla base dei nostri mo-
numenti. Nelle urne, per lui posteriori, con rilievi, invece,
esse sono scolpite a bassorilievo sulla pietra stessa dei cine-
rari, che sono destinate ad adornare. Inoltre, lo scrittore te-
desco osserva che sulle urne con rilievi è rappresentato solo

(1) Cfr. LEON COUTIL, Les casques proto etrusques, etrusques et. gaulois, Gand,
1914, p. 29, tav. VIII, fig. 4; p. 80, fig. 2, tav. IX.

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256 E. ZALAPY vi

il viso della Gorgone, mentre nelle urne dei Volumni tro-
viamo anche la testa e il collo (pag. 209). Tutte queste argo-
mentazioni del chiaro archeologo però s'infrangono contro il
principio posto sopra, che cioè l'ipogeo dei Volumni, con tutti
i monumenti che vi furono trovati, rappresenti uno stadio
avanzatissimo delle tombe per urne, una persistenza sì di
tal tipo, ma con deformazioni ed aggiunte giustificabili solo
in un periodo di gran lunga più progredito. Molto più recente
delle urne di travertino è per il Kórte quella di marmo di
tipo architettonico che egli ritiene del tempo di Augusto (30
a. Cr. - 14 d. Cr.) e posteriore alla presa di Perugia da parte
dei Romani (14 a. Cr.). Adduce come prova lo stile e la deco-
razione (bucrani e ghirlande) che non lasciano dubbi sul tempo
in eui furono eseguiti, e sopratutto il nome e cognome del
personaggio, le cui ceneri vennero conservate nell'urna (Das
Volum., pag. 32). Un'altra prova è poi offerta dall’ iscrizione
latina scolpita a grossi caratteri sulla fronte del monumento,
iscrizione che occupa il posto principale, quello cioè che
nelle altre urne è destinato all’ epigrafe etrusca, col nome
del defunto. Invece in questo caso l'iscrizione etrusca che
l'urna reca sul coperchio, deve considerarsi secondaria e
aggiunta, secondo il Kórte. per indicare che P. Volumnio
traeva origine dallantica etrusca famiglia Velimna (ibidem).
Ma per quali ragioni la tomba dopo tanti secoli sia stata ri-
aperta per accogliere quel lontano discendente della famiglia
che in origine l'aveva posseduta, il Kórte non puó spiegare,
e mostró pertanto uno dei lati più deboli della sua tesi.
Nel capitolo seguente dovremo ritornare ad occuparci
di questo problema. in relazione agli altri dati che ci inducono
a non accettare la cronologia proposta dal Korte, e perciò
ora ci limitiamo solo a porre in rilievo lo sforzo mentale
racchiuso nella sua ipotesi, unica via di salvezza per sfuggire
alla profonda contraddizione con le proprie premesse, in cui
l'avrebbe inesorabilmente cacciato la presenza nella tomba
di quell'urna in marmo lunense (quindi della fine della Re-
LA TOMBA ETRUSCA DEI VELIMNI A PERUGIA 257

pubblica) con epigrafe latina. Ma intanto proseguiamo e finiamo
l'esposizione iniziata. i

Fondatore del sepolcro fu per il Kórte, l'Arunte Volum-
nio menzionato nell’ epigrafe della porta d'ingresso deposto
in cenere dentro la tomba, nell'urna centrale più sontuosa.
Questi diede al fratello minore Larte, lonore di esser chia-
mato accanto a lui fondatore dell'ipogeo, e avrebbe dato l'in-
carico di costruire le urne destinate a racchiudere i resti di
lui e dei suoi congiunti (Das Volumi, pag. 30).

Infine, non possiamo passare sotto silenzio. un problema
di cui si è occupato il Kórte nella sua citata monografia,
problema che riguarda la nazionalità degli artisti costruttori
del sepolcro e delle urne in questo conservate.

Egli dunque, sostiene che la tomba sia stata costruita
da artefici etruschi, ma che per le decorazioni di cui è
adorna essi abbiano ricorso a modelli e disegni fatti da ar-
tisti forestieri (pag. 36). In un certo senso ciò è vero: gli
elementi decorativi dei Volumni, come già si è detto e come
appare chiaro a chiunque si occupi di archeologia, non fu-
rono inventati dagli etruschi. Essi nacquero nel mondo greco
e passarono poscia, per tramiti commerciali e per contatti
culturali, nel repertorio degli artefici etruschi. Ma questo
fatto non autorizza a pensare che — nel caso concreto —
fossero espressamente ordinati ad artisti forestieri; anzi le
amputazioni di figure, la strana e talvolta incoerente asso-
ciazione dei motivi simbolici e ornamentali ed altri fenomeni
di tal genere inducono a supporre che i decoratori dell’ ipo-
geo attinsero a vieti elementi diffusissimi in Etruria.

Quanto alle sei urne di travertino, contemporanee alla
costruzione del sepolcro, il Kórte le ritiene opera di artisti
non etruschi, essendo la tecnica dello stucco affatto estranea
all'arte etrusca. E poichè l’uso dello stucco era da lungo
tempo diffuso nella Campania, per l'influsso dell'arte greca,
che nel quarto secolo appunto era nel suo pieno vigore in
quella regione, costruttore delle -urne in discorso, secondo il

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Kérte, dovette essere un greco venuto dalla Campania, o un
Osco esercitato nell’ arte greca (pag. 225). Ora noi non sap-
piamo davvero spiegarci come mai il chiaro archeologo te-
desco non abbia attinto — prima di esporre e ribadire la
sua teoria — alla propria vastissima conoscenza monumen-
tale quelle facili obiezioni, che noi dobbiamo muovergli.

Non è vero che lo stucco fosse ignoto in Etruria, come
egli afferma; basta pensare alla tomba dipinta — sw stucco
— dei « Sette Camini » presso Orvieto (1) per convincersi
del contrario. Però è risaputo che lo stucco trovò largo im-
piego nell'arte romana, alla quale si accosta il complesso di
monumenti del sepolcro in discussione. E inoltre come si
può ammettere e giustificare l'esecuzione di quei monumenti
per opera di un greco o di un Osco, quando tutti gli ele-
menti che vi riscontriamo si ritrovano già nel dominio della
arte etrusca? Furono mai scoperti in Campania o nell’ Italia
meridionale oggetti artistici da mettere a confronto per tec-
nica, stile, decorazione con quelli perugini? — Io lo ignoro,
del resto il Kòrte non fa in questo punto e non poteva fare
richiami scientifici concreti.

CAPITOLO V.

Riassunto generale delle questioni esposte e studio critico
sulla più probabile datazione dell’ ipogeo.

In questo capitolo ci prefiggiamo di raggiungere uno
degli scopi principali del presente lavoro, di determinare cioè
la giusta o — per lo meno — la più probabile datazione
del sepolcro, mediante un rigoroso metodo di critica. Seb-
bene tale scopo non si sia mai perduto di vista durante la
esposizione precedente, pure esso non poteva pienamente
conseguirsi se non dopo l’attento e — per quanto ci è stato

(1) MILANI, Guida, I, p. 58, 291-292.
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LA TOMBA ETRUSCA DEI VELIMNI A PERUGIA 259

possibile — scrupoloso esame a cui abbiamo sottoposto l’ ipo-
geo e tutto il materiale in esso rinvenuto. Ma prima di en-
trare nell’ardua discussione non sarà inutile riassumere bre-
vemente quel che è stato detto innanzi. Ciò servirà a dare
un'idea generale dell'ipogeo in base ai risultati a cui ora
siamo pervenuti, e, nel tempo stesso a fissare in maniera
definitiva i punti più importanti.

Dopo quel che abbiamo detto in principio, € sopratutto
dopo la descrizione data nel terzo capitolo, della struttura
architettonica dell'ipogeo, delle sue decorazioni e di tutti gli
oggetti in esso racchiusi, nessuno potrà piü dubitare che il
magnifico sepolero non faceva parte integrante della vicina
necropoli del Palazzone.

Il sepolcro, scoperto, come si disse, per fortuito caso, il
9 febbraio del 1840, appartenne alla nobile famiglia Velimna
(latino Volumnia) che non puó non ricordarci le illustri fa-
miglie romane con le quali ebbe comune il nome.

Fondatore ne fu Arunte Volumnio a cui fu riservata
l’urna più sontuosa.

Si è visto come dall’anno della scoperta fino al 1855 il
sepolcro sia stato oggetto di studio da parte di archeologi e
scienziati italiani e stranieri, e come in seguito sia rimasto
per lungo tempo quasi dimenticato dalla antica archeologia.

L'ipogeo a croce latina consta di dieci vani, uno dei
quali assai vasto costituisce l’ ambiente centrale. Intorno a
questo sono distribuite le altre camere di minore ampiezza,
e talune — di riserva per l’ avvenire — rimaste disadorne e
come abbozzate. E poichè nel sepolcro perugino ci è sem-
brato di ravvisare la pianta e la struttura propria della casa
civile romana, abbiamo creduto opportuno di conservare ai
singoli vani, i nomi che in quella prendevano i vari am-
bienti, secondo la loro diversa destinazione (atrium, tablinum,
cubicula).

Si è potuto riconoscere nella parte dell’ ingresso princi-
pale l’immagine solare fiancheggiata da delfini e simboleg-

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giante, con ogni probabilità, il sole che sorge dal mare a
diffondere — idealmente — la sua luce nel tenebroso sot-
terraneo. Più in basso due Lase scolpite, guide delle anime
alla sede catactonica, contribuivano, in origine, ad adornare
quella parete; di una di esse è ancora visibile a destra qual.
che traccia di ala, mentre l'altra è completamente scom-
parsa. Nel frontone opposto si ammira nel centro una bella
immagine di Medusa che adorna uno scudo rotondo e squa-
mato, e ai lati di questo due secespitae sormontate da due
corvi. Colmano gli spazi degli angoli estremi del timpano
due semibusti maschili non privi di qualche attributo: l'uno
infatti porta uno scudo semilunato, l'altro, in gran parte di-
strutto, sosteneva la lira che vediamo scolpita dietro. Ab-
biamo a lungo parlato del preteso simbolismo di codeste fi-
gure, e qui rimanga per fermo ció che allora fu detto, che
cioé é inutile indugiarsi a indagare il loro probabile signi-
ficato avendo esse carattere e scopo prevalentemente orna-
mentale. E del pari sarebbe un vano sforzo cercare un nesso
logico nel loro aggruppamento. Ma se proprio un significato
qualcuno volesse dare a ciascuna di esse, nelle due figure
umane potremo ravvisare un servo ed un citarista: la Gorgo-
Medusa sarà un simbolo apotropaico e i due corvi forse
vogliono simboleggiare l'oscurità del sotterraneo.

Nell’ atrio e nelle camere laterali si vedono applicate
ale pareti le parti anteriori di serpenti di terracotta, sim-
boli del sottosuolo e, nel tempo stesso, fedeli custodi del se-
polcro.

Due belle lucerne di terracotta ciascuna sormontata da
un genio bacchico erano destinate ad illuminare l’ atrium e
il tablinum. Nel soffitto di quest’ ultimo colma il vuoto del ri-
quadro una testa gorgonica alata; nelle a/ae invece il casset-
tone del soffitto è adorno di un semibusto femminile, forse
di Lasa.

Nulla di notevole negli altri ambienti.
Ad accrescere rinomanza al sepolcro contribuiscono le
LA TOMBA ETRUSCA DEI VELIMNI A PERUGIA 261

sette bellissime urne trovate nel tablinum. Lé prime cinque
recano sul coperchio la figura del morto recumbente a ban-
chetto, su alta Kline e ricordano per questo particolare le
numerose urne con la figura del defunto sul coperchio (però
di tipo più ridotto e rudimentale, sparse per tutto il territorio
d' Etruria). Fatta eccezione della prima (a destra) assai rozza,
le altre sono mirabili per la perfezione di stile, per la sontuo-
sità della Kline, per le belle decorazioni dei cinerari. Fatto
assai notevole e sintomatico da tener presente è questo ; nes-
suna di esse è decorata con rilievi mitologici o di carattere
funerario etrusco. Quella che eccelle fra tutte è la quinta
adorna nella base di una pittura quasi scomparsa e di due
intere statue di alati demoni femminili seduti, i cui innega-
bili pregi abbiamo esaminati nella precedente esposizione.
Non meno interessante è la sesta urna, in cui la figura
della defunta anzichè essere sdraiata sulla Kline, siede sopra
un ricco trono. Essa indossa un lungo chitone succinto e un
mantello, ed è adorna di gioielli, tanto cari alle donne etru-
sche, ma (anche questo è un caso sintomatico) non rappre-
sentati affatto fra la suppellettile della tomba in discussione.
La settima urna è del tutto differente dalle prime sei.
La materia di cui è fatta (marmo lunense di cui si incominciò
a usufruire solo negli ultimi anni della Repubblica), la sua
forma di ‘elegante tempietto 2» antis con. pilastri corinzi e la
ricca e complicata decorazione di bucrani, di uccelli e di
encarpi la rendono pregevolissima e rara. Essa desta inte-
resse anche per l'iscrizione bilingue scolpita sulla fronte e
ripetuta sul coperchio. i
Infine facevano parte della suppellettile funebre, uno
scudo cesellato di bronzo di cui non rimangono che scarsis-
simi frammenti, un paio di schinieri di bronzo, un elmo dello
stesso metallo, due vasetti (oenochoai) e vari frammenti ri-
feribili ad un elegante Kofíabos, di cui abbiamo parlato pre-
cedentemente. EROE
Questi qui riassunti sono gli elementi sostanziali che

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debbono esclusivamente servire per accertare la data del se-
polcro. Ma per potere ciò raggiungere, occorre prima esporre
brevemente e confutare le singole opinioni che furono finora
enunciate sull'argomento.

Intanto dobbiamo notare che non fu mai raggiunto un
risultato unico e concorde al riguardo, perchè gli egregi stu-
diosi che trattarono la questione, basarono in gran parte i
loro ragionamenti su ragioni ipotetiche. Ne derivò, come era
naturale, una grande incertezza, che esige, perchè venga
dissipata, una revisione completa e fondamentale di tutta la
materia, come noi abbiamo cercato di fare nel presente la-
voro. Questo medesimo scopo si era prefisso testè il chiaro
studioso tedesco Gustavo Kórte, che credette suggellare de.
finitivamente la questione col suo verbo e con la sua apprez-
zata autorita di etruscologo. Ma poichè la sua più volte ci-
tata memoria appare tutta dominata dall’ idea contrale (pro-
babilmente preconcetta) che l'ipogeo perugino debba rife-
rirsi a un'epoca anteriore a quella in cui i fatti accertati ci
dicono che in realtà fu scavato, dobbiamo cominciare col
porre il suo dotto lavoro sullo stesso piano di quello del Ver-
miglioli e del Conestabile, e sottoporlo alla medesima critic:
serena e obbiettiva, compito che in buona parte ho già as-
solto nel precedente capitolo.

Secondo il Vermiglioli il sepolcro fu costruito al tempo
dell'Impero (1). Seguirono la sua opinione il Rochette e il
Micali (2). Tale supposizione venne principalmente suggerita

‘ al Vermiglioli dall’urna di marmo di tipo architettonico, la

quale oltre ad avere un'iscrizione latina è adorna di deco-
razioni che dipendono dall'arte romana. E veramente che si
tratti di un lavoro tardo noi non possiamo mettere in dub-
bio, anzi ciò è stato da noi affermato con opportuni riscon-

(1) Cfr. sopra Cap. II, p. 193 e nota.

(2) ROCHETTE, Journal des Savants, 1843, 606, MIcaLI, Mon. ined., p. 154, lettera
al Vermiglioli da Firenze 18 dic. 1840.
LA TOMBA ETRUSCA DEI VELIMNI A PERUGIA 263

tri, quando ci siamo occupati di quest’ urna. Ma che que:

| sta sia una ragione sufficiente per ascrivere tutto l’ ipogeo

e le altre urne a quel periodo, a noi non pare. Per accettare
l'opinione dell’ archeologo perugino si dovrebbe ammettere
che tutte le sette urne siano state collocate contemporanea-
mente nel sepolcro, cosa che a noi sembra inverosimile. L/ i-
pogeo infatti, come una cappella gentilizia dei nostri giorni,
fu costruito per servire a varie generazioni della famiglia

"Velimna, man mano che col volgere degli anni e dei secoli

venivano a mancare. Nulla di più probabile quindi che l'urna
di marmo con epigrafe etrusca e latina, racchiudendo le ce
neri del personaggio che fu ultimo a morire della famiglia
Velimna di Perugia, sia la più recente deposta nell’avito se-
polero. Ciò è una realtà così palese, che fu in sostanza ac-
cettata da tutti gli studiosi dell’ ipogeo. Ma il nodo cronolo-
gico da risolvere sta nel rapporto tra questa urna evidente-

mente recenziore e il gruppo delle altre sei. Quale differenza

di età vi é tra l'una e le altre? Per quanto tempo la tomba
servi da cappella gentilizia alla famiglia Velimna ?

In generale si puó rispondere a quest'ultima dimanda
così :

Tenuto conto che i depositi funebri non furono più di
sette in totale, e che varie celle della sotterranea dimora
non erano pur state rifinite, possiamo supporre che essa fu
usata in un ristretto periodo di tempo. In ció é implicita
anche la risposta alla prima domanda, poiché fra le urne di

travertino e quella marmorea (apparizione isolata e timida

. del nuovo materiale apuano) non dovettero trascorrere mol-

tissimi anni. Inoltre la particolarità della tecnica, dello stile
che presentano le sculture dell'ipogeo possono essere una
valida prova per farlo ritenere di un' epoca relativamente
tarda, non però del tempo dell’ Impero, come sostiene il Ver-
miglioli.

Nel 2° capitolo abbiamo visto quanto fosse vacillante la
opinione del Conestabile, il quale fece risalire il sepolcro e

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le sei urne: di travertino alla metà del V. secolo: di Roma
(IV-III a. C.) (1) dopo di avere abbandonato la prima con-
gettura, con cui veniva a stabilire per il sepolcro due epo-
che diverse. Basta idealmente passare in rassegna i prodotti
dell’arte etrusca di quel periodo, per convincerci subito della
fragilità di simile opinione. Come, infatti, ammettere che gli
artisti delle nostre urne siano stati quelli stessi che lavora-
rono le rozze figure cinerarie, proprie di quel periodo? E
prescindendo anche da ció, il tipo dell'urna con figura re-
cumbente sul coperchio si afferma solo nel IV secolo e si
sviluppa e si diffonde nel secolo seguente. Ma oltre a questa
vi sono numerose altre ragioni che esamineremo più tardi,
le quali ci inducono a respingere l'opinione del Conestabile;

L'antichità della gente Volumnia indusse anche il Po-
letti a ritenere il sepolcro. opera dei primi secoli di Roma.
. Tale argomento — oltre tutto — perde ogni valore se pen-
siamo che la famiglia Volumnia sebbene antichissima poté
benissimo perpetuarsi ed essere ancora. conspicua gens fino
al II secolo a. Cr. epoca in cui noi crediamo sia stato co-
struito il sepolero. Nel secondo capitolo abbiamo a lungo
parlato: della critica sollevata dall'Orioli contro l'opinione
del Conestabile intorno alla cronologia del sepolcro. Qui ac-
cenneremo soltanto alle prove di cui egli si servi per far.
discendere l'ipogeo al periodo degli Antonini cioé al se-
colo II dell'era cristiana. Un primo argomento é l'analogia
di stile che secondo l'autore il sepolcro presenta colla grotta
tarquiniese della famiglia Pompia e con un'altra anch'essa tar-
quiniese, Ma tale presunto parallelo per essere preso in con-
siderazione, avrebbe dovuto essere preceduto — per lo meno

(1) Il Conestabile crede che i monumenti dei Volumni siano del IV o V sec. dî
Roma solo per il fatto che già prima di quest'epoca — sappiamo da Plutarco, da
Plinio e da altri — gli Etruschi si erano distinti nell'arte scultoria. Un’ altra prova
è l'espressione bella ed energica delle Meduse aliena dalla romana influenza (Cfr.
CONESTABILE, Mon. II Aggiunte, p. 142). Con tutto il rispetto dovuto al nome insigne
del Conestabile, codeste sue ragioni oggi cadono appena enunciate.
LA TOMBA ETRUSCA DEI VELIMNI A PERUGIA 265

— dalla dimostrazione documentata e. sicura che quelle

tombe tarquiniesi siano proprio del II secolo d. Cr. e che
presentino con la nostra strettissimi e indiscutibili riscon-
tri artistici formali e concettuali. Ció il bravo Orioli non
fece perché non poteva esser fatto.

Ed eccoci finalmente ad esporre le opinioni del Kórte,
alle quali nel capitolo precedente abbiamo brevemente ac-
cennato. Nella monografia dell’ archeologo tedesco la que-
stione cronologica, come si è visto, è svolta ampiamente in
un apposito capitolo. : i

Egli cercò di dimostrare che il sepolcro appartiene al
IV secolo a. Cr. o al più tardi al principio del III, e in que-
sto tempo vi furono deposte, secondo lo scrittore tedesco, le
sei urne di travertino. Quanto all’urna di marmo, dati i suoi
rapporti non dubbi con l'arte romana e l'iscrizione latina
scolpita sulla fronte, non potè non ritenerla molto più recente
delle altre. Egli pertanto l’ascrisse al tempo di Augusto cioè
tra la fine del I secolo a. Cr. e il principio dell'era cristiana.

.Per dimostrare la sua tesi il Kórte comincia con Y af
fermare che le urne dei Volumni non hanno nessun rapporto
con le numerose urne con figura recumbente sul coperchio
e rilievi sulla cassa che egli ritiene più recenti. Gli serve di
argomento il fatto che nelle nostre urne la figura del de-
funto -è sdraiata sopra una Kline e non direttamente sul co-
perchio, come in quelle della classe suddetta. La perfezione
poi che si nota nelle figure delle urne dei Volumni ben cu-
rate in tutto il corpo, la rappresentazione più completa delle
teste gorgoniche dei cinerari, l'essere queste ultime scolpite
ad altorilievo (1) (particolari questi, per cui le nostre urne
si distinguono da tutte le altre) sono gli altri argomenti che
il Kórte adduce per dimostrare la propria tesi. A noi sem-

(1) La grande varietà di tipi che riscontriamo nelle Meduse di cui abbonda
l'ipogeo ha per noi una grande importanza. La indifferenza con cui gli artisti ri-
produssero ora un tipo ora un'altro è segno evidentissimo che essi lavorarono in
un periodo di decadenza.

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bra invece che essi stiano a dimostrare proprio il contrario.
Infatti la innegabile superiorità di stile che i monumenti dei
Volumni presentano messi a confronto colle altre urne, il
particolare della Kline affatto nuovo, e la loro sontuosità
sono indizi evidentissimi di un periodo molto progredito.
Inoltre, poiché le urne dei Volumni non presentano identità
formale, ma solo generali e vaghe analogie con altri monu-
menti etruschi del genere, sarebbe assurdo che esse stiano
a rappresentare il tipo più antico, il prototipo già perfezio-
nato, da cui sarebbero derivate le comunissime urne con
rilievi sulla cassa e figure recumbenti sui coperchi. Un si-
mile pensiero contorto e sforzato ammetterebbe semplice-
mente un'evoluzione alla rovescia! Ma la nostra logica e lo
studio obbiettivo dei monumenti antichi ci consigliano a re-
spingere a priori tale possibilità. Se le forme sono diverse
dalle consuete e piü fastose, se i tipi sono inusitati, se tutto
il complesso non rassomiglia altro che vagamente alla pro-
duzione classica dell'arte etrusca, ció vuol dire che si é già
prodotto un movimento di distacco da essa, per noi percet-
tibilissimo — come abbiamo cercato di dimostrare finora —
il quale accenna a. nuovi gusti e si orienta secondo un di-
verso orizzonte storico. Queste urne dunque rappresentano
piuttosto una forma tarda e barocca del tipo tradizionale
piü diffuso.

Riepiloghiamo ora brevemente le varie prove addotte :
dal Kórte:

a) Il carattere ligneo dei cinerari, proprio dei sarco-
fagi del IV secolo.

Nel capitolo precedente abbiamo detto, e qui ripetiamo
ancora, che non bisogna dare molto peso a tale argomento,
poiché nei secoli posteriori non mancano esempi di urne
aventi le caratteristiche proprie delle casse lignee. Si tratta
di un tipo che ebbe si larga diffusione nel IV secolo, ma
che persiste anche nei secoli seguenti.

b) Il fatto chela donna a cui appartiene la sesta urna,
LA TOMBA ETRUSCA DEI VELIMNI A PERUGIA 267

siede sopra un trono, a differenza degli uomini, sdraiati sulla
Kline.

Il Kórte ha creduto di trovare la spiegazione di ciò nel
fatto che nel secolo IV non era ancora invalso per le donne
l'uso di sedere a tavola insieme con gli uomini. Noi invece
riteniamo che l'artista abbia seguito in questo caso una cor-
rente di convenzionalismo, e quindi tale prova .perde ogni
valore cronologico. Gli artisti etruschi, quando dovevano ri-
produrre nel coperchio di un'urna una donna, rifuggivano
spesso dal rappresentarla a banchetto; in non poche urne
e sarcofagi infatti vediamo sul coperchio una figura femmi-
nile in atteggiamento di abbigliarsi e in atto di sventolarsi
col ventaglio e di tenere in mano qualche fiore. Ma la prova
migliore che la supposizione del Kórte è inconsistente deve
vedersi nel fatto che le figure femminili isolate sui coperchi
delle urne cinerarie cominciano a comparire solo nel se-
colo: IIE:a,:C.:

c) La mancanza di barba nelle figure maschili.

Secondo l'archeologo tedesco queste figure sbarbate se-

gnano il principio dell’ uso di radersi, ignoto — secondo
lui — nei secoli precedenti. Anche questo argomento peró
non ha per noi nessuna validità. Tutte le figure maschili
rappresentate sui coperchi delle urne son prive di barba (1),
onde é piü logico supporre che gli artisti di quelle dei Vo-
lumni, abbiano preso a modello il tipo piü comune.
: d) Il tipo delle Meduse che adornano le basi dei sud-
detti monumenti, tipo che é proprio del tempo di Prassitele.

Quando si pensi che ci troviamo dinanzi al tipo più evo-
luto ed industrializzato della Gorgo-Medusa, non puó non
sembrare per lo meno ardito il riscontro con l'arte del tempo
di Prassitele che vi volle vedere il Kérte.

e) La forma dell’ elmo di bronzo, rinvenuto dentro il

sepolcro.

defunti si soleva radere con i capelli anche la barba,

(1) La mancanza di barba può trovare una spiegazione logica nel fatto che ai

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Il fatto che nel IV secolo compare e si diffonde ina
forma di elmo a calotta, munito di apice, non è una ragione
sufficiente per farci ascrivere a quel tempo il sepolcro. In-
fatti tale tipo fu usato ininterrottamente da quel secolo fino
altempo dell’occupazione della Gallia da parte dei Romani,

f) La forma delle pretese spade riprodotte nel fron-
tone sopra l'ingresso al tablino, spade non più in uso nel III
secolo.

Nel terzo capitolo descrivendo le varie sculture che ri-
corrono in quel frontone, abbiamo esposto le varie ragioni
che ci inducono a ravvisare nei due oggetti che fiancheg-
giano lo scudo centrale, delle secespitae anzichè delle spade
come vorrebbe il Kórte. E se ciò è vero esse ci offrono un
dato cronologico di somma importanza. Si sa infatti, che tali
coltelle per sacrifizi erano molto in uso presso i Romani.
Ce ne offrono vari esempi alcuni bassorilievi romani, in cui
le vediamo riprodotte insieme con la securis e altri istru-
menti sacerdotali.

Le prime sei urne di travertino formano per il Kórte e
anche per noi un gruppo a sè, ben distinto dall'ultima urna
di marmo, a foggia di tempio. Questa per lo stile delle sue
decorazioni, prettamente romane e per l'iscrizione latina
che reca sulla fronte può ascriversi con sicurezza al se-
colo I a. Cr. Ciò il Kórte non potè negare. Ma allora come
spiegare la chiusura del sepolcro e il suo riaprirsi dopo due
secoli? Il Kórte tacque in proposito e non poteva fare al-
trimenti.

Confutando le varie proposizioni con le quali il Kórte
giunge alla conclusione, per noi errata, che il sepolcro fu
costruito tra la fine del IV secolo a. Cr. e il principio del
II, siamo venuti in: parte modificando la sua opinione in-
torno alla cronologia. del sepolcro. Il nostro parere è diverso,
e fin qui abbiamo cercato di rintracciare e porre in evi-
denza le prove, in base alle quali l’ ipogeo ,non può giudi-
carsi anteriore al secondo secolo a. Cr., più verso la fine
LA TOMBA ETRUSCA DEI VELIMNI A PERUGIA — 269

che non al principio di questo secolo. Richiamando ora ra:
pidamente le principali di queste prove e ragioni, si per-
viene senza sforzo alcuno a stabilire la cronologia più plau-
sibile della tomba.

Anzitutto la. struttura architettonica del sepolcro è per
noi un dato cronologico di non poca importanza. Come si è
visto nel terzo capitolo, essa presenta una grande analogia
con la casa romana di un periodo piuttosto avanzato. Nel
sepolcro esaminato troviamo infatti lo stesso sviluppo di am-
bienti e la medesima disposizione di essi che notiamo, per
esempio, in vari edifici privati di Pompei. |

Se consideriamo poi le decorazioni che adornano gli am-
bienti sotterranei la nostra ipotesi viene maggiormente raf-
forzata. I delfini infatti, scolpiti nella parete dell' ingresso
principale, trovano riscontro nei rilievi che adornano spesso
urne e sarcofagi dell'ultimo periodo dell'arte etrusca. E pas-
sando ai rilievi del frontone opposto abbiamo già cercato di
dimostrare come l'artista abbia operato in un periodo di de-
cadenza. Basta infatti esaminarli anche alla sfuggita per con-
vincersi subito che il decoratore, preoccupato solo di riem-
pire lo spazio triangolare del timpano; abbia accozzato alla
meglio e disorganicamente, vari soggetti copiandoli da reper-
tori e da modelli tradizionali che ormai persistevano solo per
una specie di inerzia artistica, ma privi della loro originaria
significazione. E se negli uccelli che sormontano le secespitae
qualcuno volesse ravvisare dei colombi anzichè dei corvi
(come a noi sembrano) avremmo un altro dato cronologico
sicuro. Di fatti il colombo come motivo ornamentale è co-
munissimo nei monumenti romani. Inoltre la maschera gor-
gonica che adorna lo scudo centrale del frontone nonchè la
lucerna e varie urne, essendo ormai un tipo diffuso dell’arte
industriale, come abbiamo chiarito con opportuni esempi,
non può più avere grande e determinato valore intrinseco
per la cronologia che si ricerca. Essa per altro unitamente
ai diversi elementi sopra ricordati può al più ribadire le

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ragioni che escludono, perchè troppo elevata, l'opinione del
Kórte. Un altro dato cronologico importante ci è fornito dalla
figura alata di terracotta che sormontava in origine le due
lucerne trovate in frammenti dentro l'ipogeo. Di esse ci
siamo occupati nel terzo capitolo; qui a noi importa solo
ricordare che si tratta anche questa volta della tarda ripro-
duzione di un tipo tradizionale, a cui il tempo fece subire
delle modificazioni. Nel nostro caso, infatti, tale figura ha
mero carattere decorativo. Infatti se confrontiamo la nostra
figura con l’altra analoga anch’essa etrusca che ricorre nel
gruppo di bronzo del Museo Fiorentino esibente Bacco e il
suo genio e che il Milani ascrisse al IV secolo a. Cr. risul-
terà subito la enorme inferiorità artistica che la rozza sta-
tuina di terracotta presenta al paragone di quella, certa-
mente più vicina per stile e per fine tecnica al prototipo
ellenico (cfr. figg. 6 e 7). Tale inferiorità della nostra figurina
trova la sua normale giustificazione nel periodo di deca-
denza in cui il coroplasta etrusco la foggió. Ma non solo
per questo le lucerne dell'ipogeo ci sono di guida nella
determinazione cronologica. Infatti, non trovano esse più
stretto riscontro nelle numerose lucerne: romane di terra-
cotta a uno o più lucignoli anzichè nei grandi candelabri
di bronzo o di ferro, che di solito illuminavano le tombe
etrusche del periodo migliore ?

Ed aggiungiamo ancora che la tecnica del pezzo ripor-
tato di cui ci offrono esempi le nostre urne era affatto ignota
agli etruschi e comunissima presso i romani. Nuovissimo poi
è il particolare delle due statue femminili di demoni, che
adornano la cassa dell’urna più sontuosa. Esse — per ciò
che abbiamo detto — non poterono prodursi che in un pe-
riodo vicinissimo all’arte romana, alla quale si ricollega an-

trono. Quanto alla settima urna, che nessuno pose in dubbio .
sia da ricollegare all’arte e al simbolismo dell’età romana,
resta il problema della associazione e concomitanza con le
LA TOMBA ETRUSCA DEI VELIMNI A PERUGIA 271

altre, diversissime, di travertino. A noi ripugna come illo-
gica e innaturale la spiegazione del Kórte; e per ciò pen-
siamo che non dovette trascorrere gran lasso di tempo fra
la deposizione della prima e dell’ultima. Ciò si accorda con
la cronologia da noi proposta. Anche la scarsa suppellettile
funebre rinvenuta nell'ipogeo è in contrasto con la grande

quantità di oggetti di ogni sorta trovati nelle tombe del mi-

glior periodo dell’arte etrusca. Essa è però *caratteristica
nelle tombe romane e quindi abbiamo un altro sintomo della
relativa tardità del sepolcro. Infine le due oenochoai di bronzo
già descritte che ci ricordano per il tipo quelle romane ri-
prodotte in vari monumenti, ci forniscono un’altra prova,
che possiamo aggiungere alle altre.

Per tutte le ragioni ora esposte non si dovrebbe più du-
bitare che l’ ipogeo appartenga all’ultima fase dell’arte etru-
sca. E forse non andremo molto lontani dal vero se riteniamo
che esso fu costruito verso il tramonto del secondo secolo

‘a. C. e adoperato quasi ininterrottamente fino al cadere della

Repubblica. Periodo di transizione, in cui si verifica nel-
l’arte etrusca una lenta ma radicale trasformazione di tipi,

.di schemi, di stile e di tecnica; esso è meravigliosamente

rappresentato dall’ipogeo dei Volumni, il quale perciò ac-
cenna il tramonto della grande civiltà etrusca e il sorgere
di un’altra ancor più grande, ma che dalla prima ricevette
indubbiamente il primo impulso (1).

(1) Crediamo qui opportuno presentare in un quadro la presunta genealogia
dei Volumni seppelliti nell’ insigne ipogeo:

(1.^ urna) TIBERIUS VOLUMNIUS (TARQUIAE filius)

(2." urna) AULUS

| | | [|
(3.8) LARS (4.8) VELIUS (5.%) ARUNS (7.8) PUBLIUS (?) (*)-
(6.2) VELIA

(*) Se il Publius dell’ urna di marmo sia figlio dell' Aulo le cui ceneri furono
deposte nella 2* urna o di un altro Aulo non seppellito nel nostro sepolcro è im-
possibile stabilire. ;
272 E. ZALAPY

La visione storica complessiva e sintetica di quanto in
questo lavoro si è cercato di esporre analiticamente, pos-
siamo così formularla.

Quando il dominio romano gia affermatosi sull’ Etruria
da oltre un secolo (1), mirava a scalzare — con lavoro sa-
piente e tenace — gli ultimi baluardi della resistenza pas-
siva nell’illustre nazione soppressa, cioè la religione, gli or-
dinamenti civili, l’arte, la nobile famiglia perugina dei Vo-
lumni, ligia per orgoglio di razza e per consuetudine atavica
alle tradizioni del luogo, stabili di far costruire, forse in un
proprio feudo il sepolcro gentilizio. Tale opera doveva essere
ad un tempo un’affermazione della sua antica stirpe, depo-
sitaria d’idee conservatrici, alle quali uniformava ogni aspetto
della vita familiare, e una reazione alle tendenze del tempo,
che fatalmente conducevano i più, e di li a poco anche gli
stessi superbi Velimni, ad accettare le forme e le usanze
della nascente civiltà romana. Furono cercati artisti provetti
a Perugia stessa, o fatti venire da città vicine come potrebbe
essere stata per esempio Chiusi (2); si pose mano all’opera
grandiosa secondo i sistemi tradizionali etruschi; ma quando
questa fu finita e vi furono calate le prime urne di traver-
tino, l'aspetto cosi sontuoso del sepolcro se riscosse la sod-
disfazione e le lodi dei contemporanei, presentava tuttavia
in sé qualche cosa di strano e d'insolito, che non avrebbe
certo appagato il gusto degli antenati dei secoli precedenti.
Gli scultori avevano già l'occhio adusato a nuove immagini,
e i loro prodotti ‘che dovevano ripetere — per commissione
— tipi ormai tramontati riuscirono solo ad essere imitazioni
approssimative, ibridi artistici che. oggi riesce anche difficile
classificare. La ricchezza delle decorazioni non era valsa ad
eliminare, anzi accrebbe il contrasto latente ed evidente fra

(1) Volsini (Orvieto) cade nel 264 a. Cr.
(2) Si tengano presenti, perché non sembri assurda tale supposizione, le ri-
levate analogie fra i lacunari dei soffitti.
LA TOMBA ETRUSCA DEI VELIMNI A PERUGIA 273

ciò che si voleva e ciò che fu possibile ottenere dagli artisti
del tempo. Con le nuove condizioni politiche si era venuta
‘ormai trasformando la. vetusta civiltà etrusca, della quale
persistevano la lingua, che è l’ultima a spegnersi fra le ca-
ratteristiche di un popolo, e talune forme artistiche degene-
rate e vuote di ogni recondita significazione. A questa fase
‘estrema e critica della razza etrusca ci fa appunto assistere
l’ipogeo perugino: gli epigoni Velimni segnarono-in quel loro
sepolcro la decadenza e la fine di tutto il popolo etrusco.

Anch'essi dalla natia Perugia vennero poi attratti a Roma,
dove — con lieve mutamento fonetico — discendenti dalla
stessa famiglia sono ricordati, come si è visto, in fonti la-
tine. Ma il pensiero della patria e la relazione con essa do-
vettero durare a lungo, se il postremo nipote Publius Volu-
mnius — in piena romanità — dispose che le sue ceneri
fossero ‘trasportate a Perugia e collocate accanto a quelle
degli avi. La sua urna marmorea è l’ ultimo documento di
questa nobile famiglia che le vicende ulteriori cancellarono
dalla storia. I loro beni perugini passarono in mani estranee,
e il sepolcro gentilizio scavato — etrusco more — nelle pro-
fondità del sottosuolo rimase suggellato e nascosto, mirabile
documento di transizione tra due epoche, fino ai nostri giorni.

EMILIA ZALAPY.

NOTA

A complemento delle ragioni addotte dalla Dott. E. Zalapy per
‘chiarire la vera natura e funzione delle parti di figure scolpite,‘ con
sola finalità decorativa, sul timpano: del tablinum, credo utile di offrire
— per mio conto — un dettaglio identico al personaggio di destra, il
più oscuro e controverso, su detto frontone (cfr. sopra fig. 4). Lo schizzo
che qui sotto riproduco si riferisce alla figura di Ulisse peregrino, a
cui la vecchia e fedele nutrice Euriklea sta lavando il piede, sul lato B
«del famoso (ed ancora quasi inedito!) skyphos attico del V sec. av. Cr.,

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274 E. ZALAPY

eon Penelope triste davanti al telaio sul lato A, esistente nel civico

Museo di Chiusi.

Ulisse porta infilata ad un bastone una cesta (per le provviste da
viaggio) e un otre (per l’acqua); e una cesta identica, sostenuta da un
bastone ricurvo, pastorale, si scorge dietro la spalla del giovane sul
rilievo dei Volumni. È certo pertanto che quest’ ultimo oscuro, e va-
riamente interpretato personaggio, non può essere altro se non un’im-
magine di un vecchio repertorio, forse greco, amputata senza riguardo
— al pari di tante altre dei Volumni e del Palazzone — ed adoperata
inconsciamente come un motivo ornamentale qualunque.

Firenze I5 Agosto 1920.
EpoarDo GALLI.

CREO, na
(NOTIZIE INEDITE)

Convento di San Fortunato.

Sulla chiesuola francescana di San Fortunato, che è po-

-Steriore ad un antico oratorio (Sacellum), edificato sulle ruine

d'un tempio gentilesco, sacrato al dio Giano (1) si hanno
ben poche notizie. Le memorie storiche della chiesa e del-
l'antico cenobio non risalgonò oltre il secolo XV, epoca della
fondazione; di ciò ne abbiamo una prova convincente in quel
che il Wadding, cronista minorita, scrive nei suoi Annali,
all'anno 1443: « Circa quest'anno, fuori le porte urbiche di

Montefalco, nella diocesi di Spoleto, la comunità dei cittadini

trasformó l'Oratorio di San Fortunato in un Tempio religioso.
Peró, soltanto nell'anno successivo fu da Eugenio IV concessa

(1) Rimangono al presente alcune colonne di esso, nel porticato del
chiostro esterno, davanti alla chiesa. Una colonna di granito bigio mostra.
le scanellature di stile dorico. Per altre notizie su quell'oratorio, o Pieve,
ove stava una Collegiata di Canonici, consultare: P. SmEFANO MONTICELLI,
Compendiosa istoria ‘della Vita di San Fortunato, e il manoscritto settecen-
tesco, posseduto dalla famiglia Pagliocchini di Bevagna, che porta il titolo
« Monumenti spettanti a Montefalco ». Da quel manoscritto il colto M. Faloci
Pulignani ha tolto parecchie notizie, che ora sono nella sua rivista « Mi-
scellanea Francescana », anno 1918, giugno-luglio.

Chiese antiche di ‘Montefalco. |

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MARINO MAZZARA

la facoltà (ai Minori Osserv.) di istituire il convento, e di
applicare a tale opera i beni elargiti da Alazoico pei poveri.
E l'edifizio fu cominciato dopo alcuni anni ... (1446). Quel.
l'Oratorio era poi in grande venerazione; perché vi giacevano
le ossa di due Santi, Fortunato e Severo da Martana (1). che
i monfalchesi invocavano col culto di Patroni » (2).

Tutti i documenti d’archivio, riguardanti la chiesarella
solitaria dei Frati Osservanti di San Fortunato — la quale
pur possiede le figurazioni mistiche di Benozzo, così fresche
e lucenti di disegno e di colore — si sono sventuratamente
sperduti per opposte vie, dopo la soppressione degli Ordini
Religiosi, che talvolta diede luogo a spoliazioni barbariche,
compiute da individui d'ogni sorta con uno zelo eccessivo,
degno certamente di miglior causa. L'Archivio Comunale di
Montefalco poco possiede in proposito, come abbiamo potuto
sperimentare durante i nostri diversi periodi di soggiorno in
quella silenziosa città dell'Umbria, « che da lungi sorride ad
Assisi, sua mistica sorella » (3). Però molte notizie storiche
potrebbe uno studioso attingere, sia dai rogiti notarili della
medesima città, sia da qualche regesto vescovile di Spoleto.
Dall'importante manoscritto, posseduto da una famiglia be-
vanate, si deduce soltanto che qualche pio testatore lasciava
una votiva offerta in denaro, oppure beni allodiali, a bene-
ficio della chiesa francescana del Patrono.

Sfogliando vari volumi delle « Riformanze e consigli »
del Municipio monfalchese, abbiamo potuto scoprire qualche

(1) Il corpo di S. Severo (nato sui colli martani) non esiste più, da un
pezzo. Rimane però il sarcofago di lui, istoriato da Benczzo Gozzoli.

(2) Traduciamo dal contesto in latino. Per altre notizie su S. Fortu-
nato consultare: G. UrBInI, Spello, Bevagna, Montefalco. Arti Grafiche, Ber-
.gamo, 1910. e dla Montefalco » Numero Unico commemorativo. Tip. Salviati,
Foligno, 1908, ecc.

(8) Epwanp Hurron, The cities of Umbria (London, Methuen, 1908). È
una splendida opera, ricca di illustrazioni e tricomie, che meriterebbe di

«essere tradotta in italiano.
Tc

CHIESE ANTICHE DI MONTEFALCO

fatto storico, inerente a detta chiesa; frammento isolato,
può paragonarsi non già ad un filone d’oro, ma ad un dia-
mante grezzo, sepolto nella terra misteriosa e profonda. Ad
ogni modo, noi riteniamo che quel dettaglio possa servire
egualmente a chi volesse compilare la storia documentata di
quella città umbra, su cui esiste al presente un tesoro intatto

‘di documenti originali. Daremo qui, con ordine cronologico,

un breve cenno di quelle riformanze consiliariy le quali con-
cernono direttamente il tempio insigne di S. Fortunato, che
i Frati Minori dell'Osservanza han posseduto dal 1443 sino
ad oggi, con un processo di continuità mai interrotta.

15 Maii 1545 — Eloquens vir D. Adriani Magri Philippi, unus
de numero de dicto Consilio, qui surgens pedibus et con-
scenndes ad solitam Arengheriam, suffragio divini Numinis in-
vocato dixit et consuluit quod Magnifici D. Priores faciant
bullam Mariocto Cam.rio / Comunis ut solvat elemosynam
Fratribus Eccl.e S.ti Fortunati in eius festivitate.

1661. — Ordine o riformanza dei Consiglieri e dei Priori
per la processione annuale (1* giugno) di S. Fortunato,
nella ricorrenza della sua commemorazione liturgica.

1667. — Si stabilisce in Consiglio di assegnare ai Frati Mi-
nori di S. Fortunato un caldarello e mezzo d'olio.

1690. — Giurisdizione civile, acquistata dal Comune, sulla
vegetazione boschiva del medesimo Convento (1).

1829. —- A cura della Comunità « magnifice Terre Montisfal-

chonis » viene restaurata, in forma più elegante, la Cap-
pella di S. Fortunato, spendendo « altri scudi cento »
pel detto scopo. Si festeggia il lieto evento con una pro-
cessione solenne e l'intervento del Vescovo di Spoleto.
1847. — S. S. Pio IX con Bolla promulgata a Roma, sub an-
nulo Piscatoris » dà a Montefalco il pomposo titolo di

(1) Si crede che l'antico tempio di Giano sorgesse appunto entro quella

selva ombrosa e folta.

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pera di A. Muwoz, Iconografia della Madonna (Editori Alinari, Firenze).

MARINO MAZZARA

Città; in tal guisa egli esprime la sua gratitudine sin-
cera ai buoni monfalchesi, che gli hanno offerto una
bella pala d’altare, dipinta dal Beato Angelico, togliendola
dalla chiesuola suburbana di S. Fortunato. La magnifica
pittura, regalata al Pontefice per una vana e sterile am-
bizione, non è certamente opera di quel monaco fieso-
lano, che sapeva stemperare sulla tavolozza colori ce-
lesti. Da nessun documento risulta che Fra Giovanni da
Fiesole sia andato a dipingere nelle chiese di Monte
falco; inoltre i suoi biografi non ci parlano assolutamente
di quell’opera pittorica, passata ora alla Pinacoteca Va-
ticana. Invece è risaputo che nel 1452 Benozzo dipinse
alcuni aftreschi gustosi nella chiesa di S. Fortuuato (1)
di cui uno raffigurante « La Vergine col Figlio » porta
la dicitura: Benotàü de Flore(n)tia MCCCCLII. E siccome
il maestro fiorentino sapeva imitare benissimo l’ Angelico,
anche nella fresca lucentezza del colorito e nella morbida
dolcezza del chiaroscuro, è facile dedurre che soltanto
egli dipinse la postergale d'altare, donata a Pio IX con...
facilità grandissima. Dal P. Monticelli, agiografo, appren-
diame che il dipinto benozziano rappresenta la S. .Ver-
gine, che, circondata dagli angeli, porge il cordone, o
cingolo, ad un giovane bellissimo. Da questa laconica
descrizione si può dedurre che l'opera d'arte sacra era
primieramente destinata per un altare di Terziari fran-
cescani, che certamente doveva esistere in quella chiesa
minorita (2).

1377. — Per opera del restauratore Mariani Annibale di Pe-

rugia vengono staccati gli affreschi delle due Maestà,

(1) Tra cui la bellissima Madonna col Bambino e sette Serafini, nella

lunetta e sull’archivolto della facciata. Inoltre, sul sarcofago bruno di S. Se-

vero. alcune figure sacre entro tondi stile rinascimento.

(2) Una riproduzione di tal dipinto bezzoniano si può vedere nell’ o-
CHIESE ANTICHE DI MONTEFALCO 279

collocati entro edicole votive, fuori il cenobio di S. For-
: tunato. Quelle due pitture squisite, condotte di buona
mano da Francesco Melanzio e Tiberio d'Assisi, furono
in quell’anno destinate ad accrescere il. patrimonio ar-
tistico della Pinacoteca civica (ex Chiesa di S. Francesco).
L'affresco di Francesco Melanzio, pittore di Montefalco
(secolo XV) raffigura una Madonna pensosa e calma, che
si disegna su una mandorla di stile peruginesco, dallo
sfondo verde chiaro. Riguardo al secondo affresco, situato
sui muri di cinta del convento, cosi si esprime Antonio
Cristofani: « Altre opere minori: una bella imagine di
nostra Donna col bambin Gesü adagiato sulle ginocchia
| materne, e una gloria di serafini all'intorno, dipinta in
Li . un tabernacolo appena fuori di terra, e a piccola di-
fi stanza da S. Fortunato in un altro tabernacolo nostra
i Donna incoronata da Cristo, e adorata da due angeli,
ed ai lati i SS. Girolamo, Gio. Battista (1), Antonio da
Padova e Bernardino da Siena » (2). Per fortuna, la
Chiesetta francescana possiede un tesoro artistico di Si-
berio Diotallevi: ossia una Cappella esterna, tutta affre.
scata con le storie dell’Indulgenza di Porziuncola, o Per-
dono d'Assisi (3), in cui il maestro assisano non fece che
ripetere fedelmente, con qualche aggiunta, ciò che Prete
Ilario da Viterbo aveva dipinto (1393) nel polittico gran-
dioso di S. Maria degli Angeli.

Chiesa di S. IIluminata.

Chi ascende sui poggi ridenti di Montefalco, gode da
lungi un'indicibile visione di bellezza, poiché la città, tutta

E (1) Questa figura del Battezzatore, dipinta nell’ intradosso dell’ edicola
E. rurale, è assai armoniosa e fine nel disegno.

E (2) A. Cmisrorawr, Storie di Assisi, pag. 357, lib. VI. (Assisi, Tip. Me-
" ! tastasio, 1902),

P : (3) Tiberio le dipinse nel /5/2, e per allogazione ricevuta da madonna

Ida di ser Bastiano, monfalchese.

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80 MARINO MAZZARA

protesa nell'azzurro dei cieli, gli apparisce con una di quelle
prospettive di palagi, torri e campanili del medio evo, che
gli antichi pittori solevano dipingere in basso ai gonfaloni
delle maestranze e confraterie, quasi a celebrare un rito di
offerta sacra davanti alla Madonna casta e misericordiosa.
Da lontano si possono riconoscere, ad occhio nudo, le
torri delle principali chiese di Montefalco, da cui misteriose
parole di speranza e di pace s'involano verso il cielo nella
mite alba e nella dolce sera. Ma la chiesa di S. Z/wminata
— verbo di luce che par effonda un fiume di splendori —
non si scorge se non quando si giunge sul sagrato erboso,
e si vede il portico esteriore della chiesuola, ove la Madon-
nina del Melanzio, frescata nella lunetta, accoglie i visitatori
con un materno sorriso. Il piccolo tempio, barbaramente re-
staurato nel settecento, contiene alcuni lavori giovanili di
Francesco Melanzio (ultima cappella, a destra) alcune figu-
razioni sacre di Tiberio d'Assisi (prima cappella, a destra) e
una Madonna con Santi, mostruosamente difettosi nell’ ana-
tomia, opera di Bernardino Mezzastris di Foligno (1501) che
non si mostrò affatto degno allievo e continuatore del padre
suo, Antonio.
Narran le vecchie cronache che il tempio di S. Illumi-
nata abbia appartenuto dapprima ad una corporazione di
sacre vergini, e che sia stato costruito in onore di S. Cate-
rina, martire alessandrina. Niente di più facile che la cosa
sia così e non altrimenti, giacchè Montefalco fu per lungo
tempo un alveare melodioso di monache, le quali si succe-
dettero senza posa. In progresso di tempo, la chiesa di S. Il-

luminata passò in potere dei Frati Minori Cappuccini, come

si rileva da questo documento inedito, che pubblichiamo in
idioma italico:

.2 gennaio, 1541. Supra î beni pubblici e la loro utilità nel Co-

mune. L’ Egregio et Prudente Orazio il vecchio, uno nel no-
vero dei Consiglieri dell’attuale Consiglio, che, alzandosi in
CHIESE ANTICHE DI MONTEFALCO 281

piedi (« surgens pedibus ») e montando sulla tribuna
(« Arengheriam ») così disse e propose, dopo avere invo-

cato l'ausilio del divino Nume: che per autorità del presente
Consiglio, si eleggano e si abbiano come confermati quattro

uomini: il Signor Martano Bennati, i| Sig. Carlo il vec-
chio, il Sig. Nicola De Cuppis e Giovanni di Lorenzo, i
quali avranno ogni piena, ampia e libera facoltà, e potestà,
quasi come tutto il Comune, di ricercare, requisire e trovare
qualche luogo conveniente. pei Frati Cappuccini dell'Ordine
di San Francesco, e di consegnarlo ad. essi per farvi dimora,

recitarvi i Uffizio divino e per ogni altro uso, come ai quattro

uomini piacerà e converrà meglio (1).

E fu così che Santa Illuminata, la creatura esile, rosea

e bionda, che si drizza come lo stelo d'un fiore sul fondo
luminoso d'una pala quattrocentesca (2), dovette forse sgra-
nare, per meraviglia, i suoi sereni e dolci occhi di bambina
nel vedersi ad un tratto circondata, non più da una teoria
di caste vergini sognanti, ma da una brigata di monaci ri-
gidi e barbuti ...

Arch. SALVATORE MARINO MAZZARA.

(1) Dal libro delle .Riformanze consiliari di Montefalco.

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(2) E ora alla Pinacoteca civica. Autore Ant.zz0 Romano.

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e sulla miglior conservazione del mosaico romano, ora nascosto sotterra

presso la demolita chiesa di S. Elisabetta in Perugia

Nell'umile borgo ad occidente della città di Perugia, in
fondo alla località denominata la « Conca », ad egual distanza
fra le due collinette sulle quali a destra si erge l’antico tempio RD
di S. Francesco delle Donne, ed a sinistra il convento dei i m
frati conventuali, sorse nel XIII secolo una modesta chiesuola ; [d
dedicata a S. Elisabetta, la giovane Principessa d'Unghe- UE
ria (1).

La chiesa fu poi ampliata nel 1338 e sulle pareti am-
miravansi pregevoli affreschi votivi. |

Tanto la chiesa come l'annessa canonica furono erette E
sull'area già occupata da una delle Terme Romane dell’ « Au- i RE
gusta Perusia », dove nel 1876 fu discoperto, con una bel
lissima lapide iscritta e con dei frammenti di colonne, di
cornicioni, di fregi, l'importante avanzo di un mosaico del - inccr
1° secolo, rappresentante Orfeo che, seduto su un macigno i y E
con la cetra in mano, attrae intorno a sé le belve ed altri i LM
animali. : EI

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(1) La Chiesa dicesi costruita appositamente dal Comune di Perugia e
venne consacrata da Papa Benedetto XI.

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Come rilevasi dalla relazione fatta nel 1876, all’epoca
della scoperta, dal Prof. Mariano Guardabassi, la parte sco-
perta del mosaico è di grandi dimensioni e si. presenta in
forma di triangolo mistilineo, del quale il lato retto, ove esi-
stono i muri della parete, misura m. 8.50, quello di. contro
m. 5.70, l’altro curvilineo metri 9.50. La figura colossale di
Orfeo misura dal bacino al tallone m. 1.75, l'elefante in lun-
ghezza m. 3.70 ed in altezza m. 1.70.

Il mosaico è composto di tessere, o quadrelli, bianchi
nel fondo e neri nelle fascie e nelle parti figurate, ed il la-
voro offre la finezza di quello che orna il pavimento della
gran sala, fatta appositamente costruire da Pio IV nel Museo
Vaticano.

Scrive sempre il Guardabassi :

« .. 6 fra i migliori che io conosca del suo genere, sia
per la varietà e naturalezza dei movimenti, come per l'in-
telligenza con cui venne condotto ».

Il Ch. conte G. Battista Rossi-Scotti che nella sua qualità
di Direttore Onorario dei Civici Musei, molto contribuì alla

‘ scoperta ed illustrazione dell'importante mosaico, narra come

un bravo operaio, Germano Marroni, che lavorava sul posto
ebbe a notare la presenza di frammenti di mosaico e si pre-
sentò a lui che comprese subito l’importanza della cosa. Tra
le persone che presero a cuore da tempo le sorti del mo-
saico è bene ricordare lo studioso di storia d’arte della no-
stra città prof. Angelo Lupattelli, il quale insieme ai soci
della Brigata perugina degli amici dell’arte ebbe a difendere
più volte le sorti del mosaico.

Questo fu poi per molti anni solamente custodito per
mezzo di una semplice tettoia, ma in seguito, essendo sog-
getto a continuo deterioramento per causa dell’acqua ivi
stagnante e per le pessime condizioni in cui si ridusse la
tettoia, in gran parte cadente, il Municipio propose di to-
glierlo e trasportarlo altrove.

In seguito all'opposizione fatta a tale proposito dall' Uf-
SULLO SCOPRIMENTO COMPLETO, ECC. 285

fficio Regionale dei Monumenti, fu suggerita dall’ Ufficio Te-
cnico Municipale la costruzione di un cunicolo dal mosaico
alla fognatura stradale, per cui sarebbe cessato il danno
prodotto dalle acque ehe vi si fermavano, perchè la piccola
di fogna romana, ivi esistente, più non funzionava.

Le continue pioggie del mese di novembre del 1893
produssero il crollo e la caduta di gran parte della tettoia
che ricopriva il mosaico, la quale per cura del Municipio
venne completamente demolita, onde evitare irreparabili
danni all’opera d’arte. |

L'Uffieio dei Monumenti, in aspettativa di ulteriori prov-
vedimenti per la buona conservazione del mosaico, trovò
opportuno ricoprirlo di terra, sospendendovi l'accesso.

Ridotta la chiesa e l’annessa canonica nel più completo
abbandono, e chiusa al culto, nei primi del 1900 il Ministero
della P. I. — allo scopo di eseguire delle ricerche archeo-
logiche per completare possibilmente il discoprimento del
pregevole mosaico e per rinvenire altri ambienti ed altro
materiale artistico, dopo lunghe trattative, riuscì ad avere
la cessione della chiesa, della canonica e annessa porzione
È di orto.

Furono quindi compiuti tutti i distacchi degli affreschi
interessanti.la parte storica ed artistica della diruta chiesa,
che per disposizione ministeriale furono lasciati in deposito
alla Pinacoteca di Perugia, dove tuttora si possono ammirare
e vennero ripresi e portati ‘innanzi i lavori murari e di sterro.

Da una relazione dell'Ufficio Regionale dei Monumenti,
dei primi del 1900, è interessante rilevare che dopo Ia de-
molizione della chiesa: « assai scarsi furono i risultati otte-
nuti dalle escavazioni, non essendosi trovati che pochi fram-
menti decorativi e di lieve interesse artistico e poche tracce
di antichi manufatti, che potessero collegarsi con gli am-
bienti del grande mosaico, che proseguiva in direzione nord,
sotto all'angusta via dell'Elce di Sotto, e a fabbricati di pri-

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vate abitazioni, delle quali non era il caso di pensare al-
l'acquisto o all'esproprio per dar seguito agli scavi ».

Questo è interessante, ripeto, a sapersi, perchè prima
di studiare un progetto sull'area adiacente al mosaico era
indispensabile anzitutto accertarsi se le fondazioni del nuovo.
edificio avessero ingombrato o nascosto tracce di antica co-
struzione; e ciò quantunque nuove escavazioni si potranno
sempre fare al piano del semi-sotterraneo, sotto il livello
stradale, a guisa di galleria, come si ammira oggi l'Ipogeo
dei Volunni.

L'area divenuta poi proprietà del Comune di Perugia,
nel 1878 per quanto riguarda l'importante mosaico e nel 1914
per quanto riguarda i terreni già pertinenti all'antica chiesa
di S. Elisabetta, misura circa mq. 765, é di forma quasi
triangolare, determinata dall'incontro delle vie Pascoli, già
5. Elisabetta, ed Elce di Sotto.

Il dispositivo della pianta da me ideata per il nuovo
fabbricato che dovrebbe racchiudere in sé e proteggere il
mosaico con la fronte principale sul Viale Pascoli, è il se-
guente: una sala centrale di aspetto, per disimpegnare da
una parte l'accesso al mosaico, dall'altra. quello alla parte
dell'edificio che dovrebbe esser destinata ai bagni pubblici.

Dato che il mosaico trovasi interrato ad una profondità
di m. 5 dal livello del Viale, ed il piano della sala centrale
di aspetto si é dovuto per necessità alzare di qualche
gradino dal viale, per permettere di trovare, nel partito ar-
chitettonico delle facciate, le finestre per illuminare i semi
sotterranei, é stata mia cura studiare anzitutto il modo di
sviluppare una lunga scala, di m. 1.80 di larghezza, per di-
scendere sino al piano del mosaico.

Dalla sala d'aspetto si accederà per il lato sinistro ad
un ballatoio che girerà tutto intorno al salone del mosaico
all'altezza di circa m. 8, dal quale i visitatori potranno am-
mirare ed abbracciare con lo sguardo tutto il grande insieme
del sottostante mosaico, apprezzandone cosi meglio la gran-
SULLO, SCOPRIMENTO COMPLETO, ECC. - . 281

diosa composizione; mentre in basso si avrà agio di esami-
narne da vicino tutti i minuti particolari e la fine fattura.

Si potranno anche collocare sulle pareti del salone, come
è segnato nel progetto, gli antichi frammenti che furono rin-
venuti durante gli scavi già eseguiti e che ora si conservano
nel civico museo.

A destra poi, entrando E sala d'aspetto, sì accederà
ai pubblici bagni.

L'architettura esterna dell’edificio sarà sobria ed ispirata
all'arte etrusco-romano, come lo esige lo stile del mosaico
ed anche il prossimo maestoso monumento della porta ur-
bica etrusca.

Tutto il fabbricato non dovrà molto elevarsi per intonarsi
alle linee dei caseggiati circonvicini, che sono piuttosto bassi,
ed anche al carattere di quella località chiamata la Conca.

L'avermi affidato l'Ill.mo Sig. Comm. Adami- -Rossi, quale
Regio Commissario del Comune di Perugia, l'onorifico inca-
rico di studiare un edificio che servisse tanto alla conserva-
zione del mosaico, quanto ad utilizzare quelle aree adiacenti
per bagni pubblici, desiderati da molto tempo dalla cittadi-
nanza perugina, mi ha permesso di ideare un insieme di
fabbricato che, per quanto improntato a semplici linee, avrà
però un aspetto monumentale, degno dell'importante mosaico
che dovrà custodire.

Così sarà restituito alla pubblica ammirazione un insigne
monumento, il quale purtroppo da parecchi anni è nascosto
agli occhi degli studiosi ed amatori d’arte peregrinanti in
gran numero verso questa meravigliosa città.

Prof. Arch. UGo TARCHI.

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DEL SEMISOTTERRANEO?
ANALEOCTA UMBRA ^

' Nel fascicolo I-II (anno XI) gennaio-aprile dell Archivum
Franciscanum Historicum il P. AwTOoNIo FanTOZZI O. M. pubblica
molti documenti relativi a fr. Angelo « Christophori » perugino, Mi-
nistro generale dell'Ordine, detto altrimenti T'oscano, del Toscano.
Tali documenti, che vanno dal 28 agosto 1413 fino al 20 agosto
1453, data della morte di fr. Angelo del Toscano, sono preceduti da
altri pochi (25 aprile 1379-15 dicembre 1401) relativi al perugino
fr. Angelo « Ser Petri », che spesso era stato erroneamente identifi-
cato eol fr. Angelo Christophori del Toscano. In appendice sono
dati aleuni documenti relativi in genere ad altri frati dell'Ordine.

È continuata a cura del prof. FRANCESCO PENNACCHI la pub-
blicazione del Bullarium pontificium quod extat in Archivo Sacri
Conventus S. Francisci Assisiensis (nunc apud publicam bibliothe-
cam Assisii).

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Nella Rassegna d'Arte del gennaio-febbraio 1919 (Anno XIX,
n. 1-2) si leggono un articolo di RAIMOND VAN MARLE: Il Maestro
di S. Francesco, e un articolo di UMBERTO GNori: Andrea d’As-
sisi detto l'Ingegno. Il Maestro di S. Francesco ha ricevuto un tal
battesimo per una tempera dipinta sulla Tavola su cui mori
S. Francesco, che trovasi in una cappella annessa alla basilica di
S. Maria degli Angeli e che è uno dei più antichi ritratti del Santo.
Il Van Merle attribuisce allo stesso pittore il gran Crocifisso sa-

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290 ANALECTA UMBRA

gomato con la data 1282 esistente nella prima sala della Pinaco-
teca di Perugia ed altri dipinti della Pinacoteca stessa.

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Una pubblicazione intesa a presentarci l’azione di S. Fran-
cesco in un campo, se non nuovo, almeno non soverchiamente cal-
cato, è quella di ANToNIo MECCOLI: IZ Santo di Assisi nel Co-
mune italiano. Certo, tutta la bellezza dello spirito eristianamente
democratico di S. Francesco apparisce nell’azione religiosa sua e
del suo Ordine molto più splendida ed efficace che non sia nel.
l’azione politica: tuttavia bisogna tener conto anche di questa, ed
è perciò apprezzabile il contributo del Meccoli.

Nella Rivista mensile Arte e Storia (n. 5 del 1918 e nn. 1-4
del 1919) si legge un articolo del prof. ANGELO LUPATTELLI inti-
tolato: I primi Servi di Maria in Perugia.

Un’ importante scoperta archeologica a Terni consistente in
tombe romane dell’ ultimo periodo repubblicano o dei primissimi
anni dell’ impero, è segnalata in Minerva (1 giugno 1919).

Il nostro illustre eonsoeio comm. LuIer Fumi ha edito l'An-
nuario del R. Archivio di Stato in Milano, 1918, dal quale è dato
vedere, come, anche nelle condizioni anormali e tutt'altro che fa-
vorevoli alle pazienti fatiche degli eruditi, si è svolta in quell’ I-
stituto un'attività davvero confortante.

Il sotterraneo etrusco di S. Manno presso Perugia fu un ipo-
geo o un tempio? La questione è piuttosto annosa, nè a defini.
tivamente risolverla vale la pubblicazione di LorENZO FIoccA: I-
pogeo etrusco presso Perugia, il quale, come si deduce dal titolo,
tiene per la prima ipotesi. L'opuscolo contiene belle riproduzioni;
ANALECTA UMBRA 291

fotografiche, fra cui quella della celebre iscrizione etrusca; ma non
reca alcun contributo nuovo nè alla storia, nè alla descrizione
del monumento.

Il medesimo si deve dire per un altro opuscolo dello stesso
autore, Le porte etrusche in Perugia, in cui sono compendiate le
varie notizie che illustratori antichi e recenti hanno dato intorno
all'Arco etrusco e alla Porta Marzia.

In un ‘terzo opuscoletto dello stesso Fiocca è illustrato un Ipo-
geo etrusco romano presso Frasso Sabino (Umbria), alle falde del
Monte Calvo presso la via Salaria.

La commissione per la vigilanza e l'ordinamento dei musei e
monumenti spoletini, composta dell’ on. sen. Fratellini, del cano-
nico Fausti e dell’avv. Laureti, avendo presentato al Comune un
accurato catalogo di tutti i monumenti cittadini distinti per epo-
che storiche, è stata invitata a fissare i limiti del lavoro pel bi-
lancio 1919. Il che è stato fatto in questi termini:

a) Sistemazione del piazzale innanzi al palazzo della Si-
gnoria;

b) Sistemazione del Duomo;

c) Completamento della Casa Romana e ordinamento del
materiale archeologico in essa trovato:

d) Azione energica, continua perchè il Governo curi il re-
stauro della basiliea di S. Salvatore e quello del grande affresco
del Lippi al Duomo. (Il Messaggero, 20.21 marzo 1919; anno XI,
DUO).

*
* *

Non per l'attuale valore storico, trattandosi di un santuario:
3

di moderna fondazione, ma per ampiezza e precisione di notizie,
e più ancora per incoraggiare i rettori dei santuari a fare o far
fare altrettanto, segnaliamo una monografia di Don Ascenso Ric-
CIERI nostro consocio sul Santuario della Madonna della Miseri-
cordia a Ponte della Pietra presso Perugia ; monografia pubblicata.
in occasione degl’importanti restauri eseguitivi, fra i quali la col-
locazione del monumentale altare settecentesco che esisteva nella.
cappella Baldeschi della chiesa di S. Francesco in Perugia.

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ANALECTA UMBRA

Lo stesso Dow RICCIERI, ricorrendo il primo anniversario della
morte di suo fratello Generale Fulvio colpito da piombo austriaco
in aspro combattimento sul Carso, ha pubblicato, dedicandola alla
di lui gloriosa memoria, una raccolta di epigrafi di guerra dettate
in varie circostanze; epigrafi, nelle quali sono da ammirarsi egual-
mente e i nobilissimi concetti e la eletta forma letteraria. i

L'on. prof. FRANCESCO INNAMORATI ha pubblicato in elegante
opuscolo il bellissimo discorso da lui tenuto jl 24 giugno 1919
nell’ aula magna dell’ Università di Perugia: Per gli Studenti
Universitari caduti in guerra.

Anche il R. Istituto Superiore Agrario ha commemorato i
suoi studenti caduti per la patria, inaugurando il 16 maggio 1920
una lapide che ricorda i nomi di quei valorosi. La targa, che
reca ai lati due figure in bronzo rappresentanti il Valor militare e
l’Agricoltura, è opera pregevole dello scultore perugino TORQUATO
TAMAGNINI. Alla solenne cerimonia pronunciarono nobilissimi di-
scorsi il senatore EuGENIO FAINA Presidente, il prof. ALESSANDRO
VIVENZA Direttore e il sig. CARLO Bonpon studente del'Istituto.

La riproduzione della targa e i discorsi sono raccolti in un
opuscolo edito dalla tipografia Perugina.

Un magister Theobaldus medicus de Perusio, chiamato nel lu-
glio 1314 a curare Naldino, nipote di Bernardo vicario del patri-
monio di S. Pietro in Tuscia, è ricordato da M. ANTONELLI nel-
l’ Archivio della R. Società romana di Storia Patria (vol. XLI,
fasc. I-IV). Questo Teobaldo per altro dev’ essere indubbiamente
«quel Teobaldo di Guidone d'Arezzo, che precisamente in quegli
anni insegnava medicina nella nostra Università, e che negli An-
nali è chiamato Theobaldus olim de Aretio per avere ottenuto la
«cittadinanza perugina. Doveva egli godere gran nome, se il vica-
rio lo chiamò al letto del nipote, de cuius vita desperabatur, dopo
ANALECTA UMBRA 293

aver consultati altri due medici, Filippo di Montefiascone e Gio-
vanni dell'Olmo da Viterbo.

x

Il nostro socio prof. ENRICO FILIPPINI, con quella singolare
competenza ch’ egli ha nelle ricerche frezziane, ha pubblicato nel
Giornate Storico della letteratura italiana, Vol. LXXV, p. 153 e
sgg. uno studio intitolato « Federico Frezzi e l’Italia politica del
suo tempo ». Il Filippini prende in esame i vari punti del Qua-
driregio, nei quali é dal poeta manifestato il suo pensiero politico,
‘e pone in evidenza come al di sopra dell'ideale patriottico comu-
nale il Frezzi avesse quello altissimo della nazione italiana, di cui
lamentava le intestine discordie. A sedar queste e a far si che la
nostra patria per il triste parteggiare dei guelfi e dei ghibellini
non andasse piü

« Dietro a due nomi strani e falsi e vani »

il Frezzi sentiva la necessità di un tiranno che venisse a regger
le sorti d’Italia; il Filippini ritiene, e a sostegno della sua opinione
porta efficaci argomenti, che il poeta credesse questo dominatore
da lui raffigurato in un « tiro » cioè in un serpente, non poter
essere altri che Gio. Galeazzo Visconti, il quale aveva appunto
per suo stemma il biscione.

Il nostro egregio collaboratore conchiude il suo studio affer-
mando che il pensiero frezziano sull’Italia politica del secolo XIV,
quale appare dall’esame del Quadriregio, è « certamente incom-
piuto e non senza contraddizioni, ma sempre animato da un sin-
coro sentimento patriottico e da un grande amore per la giustizia
e per l’umanità sofferente », e che « il Frezzi, se non fu il primo
poeta politico dopo Dante, non fu però neanche l’ultimo, e se non
potè raggiungere il Petrarca, gli restò di poco inferiore ».

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Nel Bollettino d^Arte del Ministero dellà P. I. (Anno XIII,
fase. IX-XII) il nostro socio conte UMBERTO GNoLtr illustra aleuni

T avorî francesi dei secoli XIII e XIV o di soggetto religioso o di
«uso profano esistenti nella Galleria Nazionale di Perugia, ponendoli

di Berlino, al Louvre, al Vatieano, al British Museum, nel tesoro
della eattedrale di Trani e nelle eollezioni Blumenthal di New York,

^. ^. a raffronto con altri oggetti del genere che ammiransi nel Museo

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Martin Le Roy, André, ecc. Il piccolo tabernacolo di avorio della
raccolta Blumenthal è riprodotto nell’ articolo dello Gnoli per la
prima volta.

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Lo stesso fascicolo del Bollettino d'Arte contiene la descri-
zione degli affresehi del palazzo Trinei a Foligno, che sono stati
scoperti mercè un paziente lavoro e che offrono un'idea esatta
della cultura e delle eostumanze di una corte italiana nei primi
anni del seeolo XV. Le storie di Romolo e Remo che vedonsi nella
loggia, i Pianeti e le arti liberali ehe ornano la grande sala, gli
affreschi del corridoio che metteva in comunicazione il palazzo
con la cattedrale, gli eroi e gli imperatori romani raffigurati in
proporzioni circa due volte maggiori del vero nel salone, che ap-
punto per questo fu detto dei giganti, tutti. i dipinti insomma che
ammiransi nel palazzo Trinci sono accuratamente descritti dal:
dott. MARIO SALMI del nostro Ufficio regionale per la conservazione
dei monumenti. ; :

Quanto alle fonti e allo stile degli affreschi, il Salmi crede
che il Frezzi, senza averne dato i soggetti e gli epigrammi, abbia
potuto col suo Quadriregio esserne stato l' ispiratore, e manifesta
la opinione che le storie di Romolo e Remo siano opera d'un ar-
tista di scuola folignate, sul quale esercitò notevole influenza Gen-
tile da Fabriano, che le rappresentazioni delle Arti liberali e dei
pianeti sian dovute ad un pittore, che fu collaboratore e forse di-
scepolo del primo e sentì l'influsso della miniatura francese, e che
il salone dei Giganti sia stato affrescato, se non dallo stesso Ot-
taviano Nelli, certo da un suo seguace ed imitatore.

Per nozze Marcucci-De Tullio, il nostro socio prof. ANGELO SAC-
CHETTI SASSETTI ha pubblicato un opuscolo (Rieti, tipografia Trinchi,
XXIX Dicembre MOMXIX) dedieandolo al padre della sposa avvo-
cato Stefano Marcucci. Vi sono riassunti con la cultura e l’ accura- c
tezza, che son proprie del nostro egregio socio, i rapporti che il poeta i
romanesco Giuseppe Gioacchino Belli ebbe con Perugia, specialmente
per il fatto che il figlio di lui, Ciro, fu per dieci anni in educazione $
nel Collegio Pio della Sapienza. Ad illustrare questi rapporti, dei quali
è traccia anche in alcuni dei sonetti del Belli, il Sacchetti - Sassetti
dà per la prima volta alle stampe tre lettere indirizzate dal Belli
al letterato perugino Antonio Mezzanotte, che si conservano nella
ANALECTA UMBRA 295

Biblioteca Comunale di Perugia. Nella prima recante la data del
5 febbraio 1839 leggonsi espressioni dis vivo rammarico per la
morte, avvenuta poco prima, del marchese Giuseppe Antinori, il

quale « illustrava coi costumi e colle opere le lettere »; con la

seconda del 12 settembre dello stesso anno, il Belli presenta al
Mezzanotte il P. Tizzani, che poi nel 1843 fu eletto Vescovo di
Terni e cui il Mezzanotte dedicò una sua epistola sulla Cascata
delle Marmore, giudicata dal Sacchetti-Sassetti « uno de’ migliori
componimenti italiani sull’impareggiabile veduta »; e nella terza
del 12 agosto 1841 accenna il Belli al gran bene che T Abate Tiz-
zani aveva detto del Mezzanotte a mons. Gioacchino Pecci, desti-
nato a Perugia come Delegato Apostolico, e sollecita il Mezzanotte
a presentarsi al prelato non appena questi arrivi alla sua nuova
residenza.

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Abbiamo sopra ricordato il marchese Giuseppe Antinori, che
nella seconda metà del secolo XVIII e nei primi anni del XIX si
acquistò così bella fama nelle discipline letterarie.

Il. nipote di lui, marchese Giovanni, ha nelle sue ultime vo-
lontà legato alla Biblioteca Comunale di Perugia alcuni mano-
scritti autografi dell’illustre letterato, nonchè la maschera in gesso
che ne ritrasse le estreme sembianze, e a questi preziosi ricordi
altri non meno interessanti ha voluto aggiungerne, destinando alla
Biblioteca stessa nove lettere autografe del card. Gioacchino Pecci
Vescovo di Perugia, alcuni documenti relativi al march. Spinello
Antinori figlio di Giuseppe, che fu distintissimo giureconsulto ed
ebbe col Pecci rapporti di devota amicizia, nonchè un ritratto a
matita dell'illüstre viaggiatore e scienziato march. Orazio Antinori,
fatto nel settembre 1835, mentre era detenuto per le sue idee li-
berali nelle prigioni di Monte Gualandro.

Alla memoria del compianto march. comm. Giovanni Antinori
che fu valente cultore di studi storici, specialmente di quelli aral-
dico-genealogici, vada la gratitudine degli studiosi.

Il cav. EpoARDOo MARTINORI V. Presidente dell'Istituto italiano
di numismatica e nostro socio ha pubblicato prima nel Vol. III,
fase. II degli Atti e memorie di detto Istituto e poi in estratto
(Roma, MCMXIX) interessanti « Notizie e documenti relativi alla
istituzione di una zecca in Todi e alla circolazione monetaria circa

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la seconda metà del secolo XV e la prima del XVI ». Il più an-
tico di questi documenti, la cui ricerca e trascrizione il cav. Mar-
tinori dichiara di dovere all’ egregio Bibliotecario-Archivista del
Comune di Todi, dott. Giulio Pensi, socio anch’ egli della nostra
Deputazione, riguarda le grazie e i privilegi, che da Papa Nic-
colò V furono accordati alla città di Todi con atto stipulato a Roma
il 25 Aprile 1447, e fra i quali è la concessione di batter moneta
o d’argento o d’altri metalli inferiori, avente da una parte la im-
magine di S. Fortunato e dall’altra lo stemma del Pontefice.

Crede il M. che alla concessione papale non abbia tenuto dietro
la effettiva coniazione di tali monete, ed infatti di questa non pos-
sono certo addursi a prove i documenti, che il M. pubblica, cioè
il bando del 1° Sett. 1461, i capitoli di appalto della zecca del
ducato spoletano concordati con Emiliano Orfini il 9 Sett. 1462 e
l'atto del 6 Dic. successivo concluso in Todi fra i rappresentanti
della Camera Apostolica e gli ambasciatori di Foligno. Ha senza
dubbio importanza per la tesi che il M. sostiene il fatto che tali
monete di Todi mancano nelle collezioni più accreditate e che di
esse non parla aleuno degli autori di lavori numismatici, ma d'altro
canto deve a nostro avviso tenersi nel massimo conto 1’ afferma-
zione. che si legge nella lettera indirizzata dal compianto conte
Dominici al cav. Pica, lettera che il M. riproduce nella sua me-
moria. Il Dominici vi dichiara nel modo più assoluto di essere
stato possessore di talune di queste monete da lui poi donate al
conte Leonj, e a tale dichiarazione non può non attribuirsi un
grande yalore, avuto riguardo alla particolare competenza e dili-
genza del Dominici nello studio delle cose tudertine.

F. LANZONI in un opuscolo estratto dal periodico di Milano
« La scuola cattolica » (Monza, Scuola tipogr. editr. Artigianelli,
1919) discorre de « La prima introduzione del Cristianesimo e del-
l’Episcopato nella Sabina e nel Piceno ». Comincia l’A. dalla enu-
merazione delle antiche diocesi, che esistevano in questé due re-
gioni, e la cui origine risale per quasi tutte al IV secolo e, ri-
cordandone i primi martiri, sostiene che il Cristianesimo siasi pro-
pagato nella Sabina e nel Piceno specialmente da Roma. Secondo
il Lanzoni, prima dell’anno 325 le diocesi costituite in Sabina do-
vevano essere Amiternum (oggi S. Vittorino), Cures Sabinorum,
eastelló ora distrutto che sorgeva sul colle sovrastante al confluente
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ANALECTA UMBRA 297

del Correse e del Carbulano (la località è oggi detta Tenuta degli
Arci) e Rieti. i

Nella « Rivista Storica italiana » del prof. Costanzo Rinaudo:
(Vol. XII, fase. 1 del gennaio-marzo 1920) il P. P. Lugano dà
notizia dell'inventario delle pergamene dell’ Archivio del Duomo
di Spoleto compilato dal ean. Luigi Fausti e pubblicato nell « Ar-
chivio della Società per la storia ecclesiastica dell’ Umbria » e lo
dice una guida sicura per lo storico della regione umbra.

A Cascia il 9 maggio 1920 fu scoperta una lapide in' onore di

Gaetano Palombi che, nato in quel Comune il 22 aprile 1753, morì

in Roma il 3 agosto 1826. La epigrafe scolpita a ricordo dell’ in-

signe « poeta epico lirico giocoso » fu dettata dal nostro socio

dott. ApoLFo MORINI, che pronunciò anche il discorso per l'inau-

gurazione del ricordo marmoreo. Tanto nella epigrafe quanto nel

discorso è rievocata efficacemente la figura del poeta di Cascia.

Se, accingendosi col « Medoro coronato » alla continuazione del-

i I « Orlando » dell'Ariosto, il Palombi potè apparire, com’ egli

EC stesso ebbe a confessare, « temerario » e « avido di spiegar voli

tropp'alti », pur tuttavia nell'ardua prova diè saggio di tal valore

da meritare che il Torti di Bevagna, filosofo e letterato veramente

illustre, lo spronasse à condurre a termine il poema, la cui stampa

fu compiuta due anni dopo la morte dell'autore e che meritò una

seconda edizione fatta in Roma nel 1885. Cascia ha degnamente

onorato l’illustre suo figlio, e merita lode sincera il Comitato, che
delle onoranze si è fatto promotore.

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Nella Nuova Antologia (fascicoli del 16 Giugno e del 16 Luglio
: 1920) sotto il titolo « Un uomo di Stato del Rinascimento » MI-
. OHELE SCHERILLO tratta dell’ attività politica di Gioviano Pontano,
discorrendo nel primo dei due fascicoli degli inizi e della virilità,
nel secondo degli ultimi anni di lui.

IF Pontano, nato a Cerreto di Spoleto nel 1426, venne fanciullo

a Perugia con la madre rimasta vedova a 24 anni, e seppe in

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‘ancor giovane età aequistarsi tal fama nelle lettere latine e greche

TOR (nelle quali ultime ebbe a maestro Gregorio Tifernate) da meritare

che nel '56 Re Alfonso d'Aragona affidasse a lui 1’ educazione di
;:. suo nipote Carlo di Navarra.

Da quell’epoca le sorti del Pontano, che nel '66 rifiutò financo
l'offerta fattagli dal Comune di Perugia del cancellierato della
Repubblica e della cattedra d'arte oratoria nello Studio perugino,
furono indissolubilmente legate a quelle degli Aragonesi sino alla
ealata di Carlo VIII in Italia e alla occupazione da parte dei fran-
cesi del reame di Napoli. L'ultimo atto politico di lui fu la orazione
ehe in nome del popolo napoletano tenne quando in Napoli fu in-
coronato Carlo VIII, e parrebbe questo atto fosse riprovevole in
chi aveva sempre servito fedelmente la Casa d'Aragona e aveva
spinto il giovane Ferdinando II alla resistenza. Lo Scherillo difende
da questa accusa il Pontano, basandosi specialmente sopra: una
lettera dell’ambasciatore veneto Badoer alla sua Repubblica nella
quale è detto « quello ha facto el Pontano esser de volontà e con-
sentimento » del Re Ferdinando II, ed afferma che lo statista e
letterato umbro fu « uno degli uomini più insigni del tempo suo,
venerato e prima e dopo da tutta una bella scuola di uomini se-
gnalati per dottrina e per carattere, senza alcuna defezione, a
cominciare dall’illibatissimo Sannazaro ».

Il prof. ErrorE RIccI d. O. ha per nozze Baldeschi-Spinola
pubblicato sotto il titolo « Leggende di S. Lodovico e di S. Er-
eolano dipinte nella eappella del Palazzo dei Priori in Perugia da
Benedetto Bonfigli » (Perugia, Unione tip. eoop., 1920) la spiega-
zione iconografica degli affreschi della cappella decemvirale, la
quale fu dedicata a S. Lodovico dell’ordine dei frati minori, Ve-
scovo di Tolosa e fratello di Roberto I Re di Napoli, in seguito
ad un miracolo del Santo avvenuto a Perugia e al convento dei
francescani di Cibottola, la cui narrazione il Ricci riporta dal co-

. diee volgarmente detto la Franceschina.

Il] nostro socio studia in questo opuscolo gli affreschi del
Bonfigli raffiguranti storie e leggende di. S. Lodovieo e di S. Er-
eolano,. risalendo ai fonti da cui queste son tratte, cioè il

libro delle Conformità di Fra Bartolomeo, la Cronaca dei XXIV
Generali, i Dialoghi di S. Gregorio Magno e la storia edella
Guerra dei Goti di Procopio di Cesarea. Questo accurato studio
ANALECTA UMBRA 299

ha consentito al Ricci di constatare che il soggetto del terzo di-
pinto relativo a S. Lodovico, sino ad ora da nessuno indicato, è
il prodigio, riferito anch'esso nella citata Cronaca, di un fanciullo
risuscitato, di rilevare le differenze che esistono fra i monumenti
architettonici, quali furono dal pittore rappresentati e quali essi
sono in realtà, di manifestar l’avviso che la iscrizione sul cam-
panile di S. Domenico nell’affresco della prima traslazione delle
reliquie di S. Ercolano alla Chiesa di S. Pietro, anzichè una data,
come dice il Bombe, enigmatica, rechi le parole « ultimo quatro »;
così con un’ espressione, che sa di gioia, si affermava che quel
dipinto poneva termine ad un'opera, cui per lunghi anni avevano
atteso il Bonfigli ed altri artisti.

Alla descrizione degli affreschi il Ricéi fa precedere alcune
notizie sulla costruzione della nuova cappella tratte dagli Annali
Decemvirali; ebiude poi il suo lavoro con brevi cenni, desunti
pur essi dai documenti dell’antico Archivio del Comune, sui seggi
priorali e. sull'useio della Cappella, che furono allogati, i primi a
M.o Paolino da Ascoli e il secondo a M.o Giacomo di Mariotto da
Firenze, nonchè sul quadro dell’ altare, opera del Perugino, che
ora è splendido ornamento della pinacoteca Vaticana.

‘ Per le nozze del nostro socio march. Angelo Marini -Clarelli
con la marchesina Guglielmi d'Antognolla lo stesso RiccIr ha dato
alle stampe alcune notizie sul castello di Antognolla, del quale è
proprietario il marchese Guglielmo Guglielmi padre della sposa,
e sulla cripta di S. Ercolano, che trovasi nella chiesa del castello
medesimo. Mentre le memorie di questo non risalgono a prima
del secolo XIV, le forme architettoniche della cripta e i materiali,
che hanno servito alla sua costruzione, richiamano ad epoca molto
più antica e forse anteriore al X secolo.

Narra il Ricci sulla base di documenti tratti dagli Annali De-
cemvirali che nell'ottobre dell’ anno 1378 i Priori del Comune di
Perugia fecero solennemente trasportare dal castello di Antognolla
alla Chiesa Cattedrale di S. Lorenzo le reliquie di S. Ercolano
eolà rinvenute nella eripta, e che fu in seguito dai Consigli del
Comune deliberato di commemorare con solenne processione il 18
ottobre d'ogni anno il rinvenimento e la traslazione delle reliquie,
e di raechiuder queste in un reliquiario. di rame inargentato, a

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forma di semibusto con mitria episcopale, opera del celebre orafo
Calaluecio da Todi.

Ma poichè un secolo dopo, aperto il sepolero del Santo nella
Chiesa Cattedrale, si constatò che il corpo ne era intatto, dovettero
attribuirsi ad un altro S. Ercolano le reliquie trovate ad Antognolla.
Appartengono esse al S. Ercolano I del IV secolo che sarebbe stato
Vescovo di Perugia? Sulla intricata questione il prof. Ricci si pro-
pone di tornar sopra; per ora egli fa nota nell’ opuscolo nuziale
la sua fiducia « d’aver trovato il bandolo della matassa ».

Per le stesse nozze il prof. ANGELO LUPATTELLI ha raccolto
aleune interessanti memorie sul castello di Antognolla, traendole
dai manoscritti Mariotti-Belforti, dal Lancellotti (Scorta Sacra), dal
Pellini e da altri scrittori di cose perugine.

La famiglia d'Antognolla; che possedeva le sue case in P. S. S.,
ebbe fin dai tempi più remoti una grande importanza e il Lu-
pattelli ricorda alcuni personaggi di quella casa che primeggiarono
in Perugia nei secoli XIII, XIV e XV.

Nel 1628, con assenso di Urbano VIII, il:conte Cornelio Oddi
acquistò dalla Camera Apostolica il feudo di Antognolla.

Nel primo trentennio del secolo XIX la Contea di Antognolla
passò in possesso del marchese Giov. Battista Guglielmi di Roma,
il quale, coadiuvato dal valéntissimo agronomo ing. prof. Ugo
Calindri, si diè a bonificare i fondi della vasta tenuta, incitando
i coloni alle migliorie con munifiche premiazioni. Il lavoro del
Lupattelli è stato anche pubblicato in « Arte e Storia » rivista
mensile diretta dall'ing. Carlo Papini di Firenze.

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Il prof. architetto UGo TARCHI ha ripubblicato in una elegante
edizione della casa Bestetti e Tumminelli di Milano il suo « Pro-
getto di restauro del palazzo del Capitano del Popolo e della fac-
ciata del palazzo della Corte d’Assise in Perugia » che già vide
la luce nel volume XXII di questo Bollettino, pagg. 169 e segg.

La nuova edizione è corredata di numerose illustrazioni, che
non figurano nella prima: fra le aggiunte, segnaliamo quelle ri-
producenti la piazza del Sopramuro quale è rappresentata nel di-
pinto di Gio. Battista Caporali esistente nella chiesa anteriore di
S. Bernardino, in un quadro del secolo XVI che si conserva nella
ANALECTA UMRRA 301

pinacoteca di Perugia, nella prospettiva dell’orvietano Cesare Ser-
mei (secolo XVII) posseduta dal conte Friggeri e in una stampa
dei primi anni del secolo scorso, una pianta di Perugia del 1602,
ove si vede il palazzo del Capitano del Popolo con la sua merla-
tura, nonché un baleone del palazzo comunale di Monza, e una
bifora della Certosa di Pavia, che servono al Tarchi come elementi
di raffronto eoi progettati restauri.

Inoltre questa seconda edizione è corredata di cenni storici
sulla piazza del Sopramuro, sulla Chiesa e Collegio. del Gesù, sulle
case dello Spedale (ora sede della Corte d’ Assise e di quella di
Appello) e sul palazzo del Capitano del Popolo, cenni tratti da
varie pubblicazioni e specialmente dall’ opuscolo del prof. Adamo
Rossi che tratta della piazza del Sopramuro e degli edifizi circo-
stanti. Il Tarchi poi riproduce nella nuova edizione tutta la cedola
della costruzione del palazzo del Capitano, della qual cedola aveva
dato nel Bollettino il solo principio.

A questo progetto fanno segnito nel ricco opuscolo edito dalla
casa Bestetti e Tumminelli altri progetti dello stesso prof. Tarchi
per gli edifici da erigersi in Perugia fra la Piazza del Sopramuro
e la nuova via Cesare Fani, e relazioni sulla facciata del palazzo
Ajò, che fu già dei duchi della Corgna, prospiciente la detta via,
sulla trasformazione dell’attuale Piazza d’ armi in un parco, sul
restauro e completamento della porta di S. Pietro, che ha qualche
somiglianza con la facciata del tempio Malatestiano di Rimini, e
sul rinvenimento di affreschi nell’antica Chiesa di S. Giuliana, ora
Ospedale Militare.

Il conte CARLO BANDINI socio di questa Deputazione e R. Ispet-
tore onorario degli scavi e monumenti di Spoleto ha con una rela-
zione, che attesta con quanto amore e con quanta competenza egli
adempia le mansioni affidategli, segnalato alle RR. Sovrainten-
denze degli Scavi, Monumenti e Gallerie dell'Umbria i lavori che,
a.suo giudizio, sono più urgenti e necessarî alla buona conserva-
zione dei monumenti spoletini. Il Bandini propone alcuni restauri
nella piccola chiesa dei SS. Giovanni e Paolo, ove testè sono stati
scoperti affreschi ducenteschi e trecenteschi, nell'antichissima ab-
bazia benedettina di S. Marco in pomeriis e nella cripta di S. Pon-
ziano, una delle più belle costruzioni romaniche del territorio
spoletino, nonchè il ripristino ésterno ed interno della chiesa di

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S. Gregorio che è anch’essa fra i più insigni monumenti dell’arte:
«romanica a Spoleto; raccomanda inoltre che dal piccolo paese di
S. Forsivo presso Norcia siano trasferiti nella pinacoteca di Spo-
leto i quattro pannelli laterali del polittico, opera, secondo’ lo
Gnoli, del senese Luca di Tommè. Di questo dipinto è già custodita
nella pinacoteca stessa la parte centrale, che fu sequestrata in
Norcia, ov’ era stata portata da S. Forsivo con lo scopo di ven-
derla clandestinamente. Da ultimo il Bandini fa voti perchè sia
presto compilato il catalogo del Museo spoletino, arricchitosi an-
che di recente, per opera di lui, di pregevoli oggetti e perchè
siano restaurati alcuni affreschi votivi e « Maestà » del XIV e
XV secolo.

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Lo stesso Conte BANDINI a Spoleto nella sala XVII Settembre
ha commemorato il IV centenario dalla morte di Raffaello, discor-
rendo del sommo pittore nei suoi rapporti con la nostra Umbria
e con l'arte che vi fiori splendida e rigogliosa nella seconda metà
del secolo XV e nei primi anni del XVI. Nella conferenza, che
ci auguriamo veder presto data alle stampe, il B. dimostrò come
il Sanzio, che dal Perugino trasse le sue prime ispirazioni, abbia
sempre sentito tutto il dolce fascino del misticismo umbro, anche
dopo avere a Firenze e a Roma fatto suo quanto vi era di più
perfetto nell’opera dei sommi artisti, suoi predessori o contempo-
ranei, ed essersi così affermato in modo insuperabile nella propria
individualità.

Le nozze Simonetti-Bovini hanno dato occasione al nostro col-
laboratore D. Ascenso RiccIERI di raccogliere alcune interessanti
memorie di Pieve Pagliaccia, le quali giungono anche più oppor-
tune perchè a questa località nelle memorie Belforti-Mariotti sui
castelli perugini non si accenna se non brevemente. Annibale Ma-
riotti avanza l'ipotesi che la Pieve sia denominata Pagliaccia per
il fatto che qualche edificio vi fosse rimasto coperto di paglia an-
che quando era caduto in disuso siffatto modo di copertura, ma
il Riecieri crede (e a nostro avviso con fondamento) che l’attuale
nome di Pieve Pagliaccia possa essere una trasformazione di quello:
di Plebs de Palatio, col quale la località si trova indicata fra le
ANALECTA UMBRA 303;

chiese dipendenti dalla Cattedrale di Perugia, in un diploma di
Federico Barbarossa del 1163. Le notizie messe. insieme dal Ric-
cieri giungono sino agli anni 1911 e 1912, nei quali per iniziativa
dell’attuale parroco D. Gualtiero Brozzetti e su disegno dell’ in-
gegnere Edoardo Vignaroli fu costruita sull’ area della vecchia la
nuova chiesa, includendo in questa la parte antica, sulle eui pa-
reti ammirasi un affresco recante la data del 1320.

*
* *

Il comm. ing. Bruto Calindri ha fatto dono alla Biblioteca Co-
munale di Perugia di alcuni volumi ed opuscoli a stampa o ma-
noscritti, dei quali furono autori il suo bisavolo Serafino e il padre
suo Ugo. Del primo, autore della importantissima opera intitolata
« Dizionario corografico del territorio bolognese » discorre nella
« Biografia degli scrittori perugini » il Vermiglioli, che ne loda
la grande perizia come ingegnere idrostatico e la profonda cultura
come studioso di storia e'di diplomatica. Il conto in cui egli era
tenuto dai suoi contemporanei è fatto palese dai due volumi, ora
pervenuti alla Comunale, che contengono, l’uno le lettere direttegli
da principi, cardinali e uomini illustri, e l'altro i diplomi com-
provanti la iscrizione di lui nelle più insigni Accademie italiane
e straniere e gli onori tributatigli da città e da sovrani.

Di quanta estimazione godesse il secondo, che fu valentissimo
cultore delle scienze agrarie, tanto da esser chiamato ad insegnarle
nel principato di Romania, fanno fede le dotte sue pubblicazioni
ed alcune lettere a lui scritte da uomini illustri, quali Girolamo:
Boeeardo, Ferdinando di Lesseps, Massimo D'Azeglio, Quintino
Sella. Taluni di quei lavori e le accennate lettere adesso conser-
vansi nella Biblioteca perugina per la cortesia del comm. Bruto:
Calindri, cui bene a ragione è dovuta la gratitudine degli studiosi.

*

Il dott. cav. Giuseppe Antonini, che fu per lunghi anni be-
nemerito conservatore dell’ Archivio notarile di Perugia e d'Orvieto
e fece parte della nostra Deputazione, ha nel suo testamento la-
sciato alla Biblioteca Comunale di Perugia la pregevolissima opera
dell'Abate Giuseppe Colucci « Delle antichità picene », del terzo
volume, del quale si conoscono soltanto cinque esemplari, delle
« Historie di Perugia » di Pompeo Pellini e la « Matricola del-

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l’arte dei cartolari dell’anno 1338 », codice membranaceo adorno
«di non poche miniature. Alla e. 2t si veggono in alto la Vergine
eol Bambino, avente ai lati i protettori di Perugia, S. Costanzo,
S. Ercolano e S. Lorenzo e in basso figure in atto di preghiera,
‘e ‘su altre carte, al principio degli elenchi rionali degli artefici,
sono gli emblemi dei cinque rioni della città, cioè il sole, il leone
rampante, S. Pietro, S. Susanna e S. Michele Arcangelo.

Ai volumi e al manoseritto generosamente legati dal compianto
cav. Giuseppe Antonini, il fratello ed erede di lui, dott. Antonino,
ha voluto con pari munificenza aggiungere altro codice membra-
naceo del secolo XIV, cioè la matricola dell'arte dei ciabattini.
Anche questo manoscritto è miniato e a e. 2r è raffigurata la
Vergine in trono col Bambino sulle braccia, avente ai lati i Santi
Ercolano e Francesco d’Assisi e ai piedi i giurati dell’ Arte ingi-
nocchiati. Così due altri pregevoli documenti dei perugini collegi
delle arti sono venuti ad arricchire la Biblioteca comunale della
nostra città.
RECENSIONI BIBLIOGRAFICHE

-

Luicr Fumi. — Orvieto: con 253 illustrazioni e tre tavole. - Ber-

gamo, Istituto Italiano d’arti grafiche, 1919.

L'Umbria artistica rivive sempre più bella e suggestiva nella
fedele illustrazione, che i collaboratori di Corrado Ricci ci danno
ormai da parecchi anni delle sue storiche città e dei loro più co-
spicui monumenti. Dopo Gubbio, Perugia, Foligno, Terni, Spello,
Bevagna e Montefalco, ecco la volta di Orvieto descritta come
meglio non si poteva nell’ « Italia artistica » da uno dei suoi figli
che più le fanno onore, Luigi Fumi.

Questa pubblicazione, ritardata dalla guerra, era lungamente
attesa sia per l'importanza dell'argomento in Sè, sia per la rara
competenza dell’autore, che alla profonda conoscenza della storia
umbra unisce un grande amore per l’arte e uno squisito senso
estetico. Di lui eran già noti vari scritti sui monumenti orvietani,
ma specialmente quello magistrale che s'intitola: IZ Duomo di
Orvieto ed i suoi restauri, che risale al 1891 e che fu pubblicato
& cura del Ministero dell'Istruzione pel sesto centenario del grande
monumento nazionale (1). Ed ora in questo nuovo lavoro sintetizza,
svolge e corregge le sue idee su tante questioni che si ricollegano
alla sua città, come tien conto di ciò che sullo stesso argomento
dissero numerosi prosatori e poeti, critici d’arte ed artisti veri e

(1) Senza far torto alla coltura dei lettori di questo Bollettino credo
opportuno ricordare qui che lo splendido volume in quarto di 580 pagine
stampato dalla Società Laziale di Roma in soli 500 esemplari fuori com-
mercio e contenente, oltre il testo, 52 riproduzioni dei fratelli Danesi e 80 -
cromolitografie della casa Camilla e Bertolero di Torino, si divide in quattro
parti e in quattordici capitoli ricchi ciascuno di documenti inediti, ha in
principio una lunga e dotta prefazione e in fine utilissime tavole e indici.

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306 RECENSIONI BIBLIOGRAFICHE

propri. Ed è bello vedere in un’opera come questa l'epos e il li-
rismo antieo e moderno alternarsi alla narrazione, alla deserizione
e al giudizio: la poesia è sorella delle arti del disegno, ha gli
stessi ideali ed è ispirata dagli stessi sentimenti (1).

Il volume si apre con un capitolo dedicato alle varie impres-
sioni degli scrittori su Orvieto, alle sue origini antiche, ai suoi
ricordi etruschi e romani, alla sua liberazione dal dominio dei
Goti così bene ritratta dal Fracassini nel sipario del teatro, al-
lorigine del Comune orvietano e al suo accrescimento, alle lotte
di fazioni e di famiglie di dantesca memoria chè lo fecero deca-
dere, alla costruzione della rocca e del famoso pozzo di S. Patri-
zio, che servirono ad affermare su di lui il dominio della Chiesa,
e finalmente alla parte avuta dalla città umbra nella. cosidetta
questione romana sullo scorcio del 1860. Questa rapida ed esattis-
sima sintesi storica desunta da monumenti, documenti e stampe
che nessuno meglio del Fumi conosce (2), costituisce un'introdu-

Nella prefazione il Fumi, dopo avere enumerato tutte le opere manoscritte
e stampate che si occupano del famoso Duomo, spiegava che il suo scopo
era stato quello di fornire all’architetto preposto da dieci anni ai restauri
dello stesso monumento una guida sicura e di mostrare al pubblico una
testimonianza efficace della bontà dei lavori eseguiti e da eseguire « in
« omaggio al principio di nulla innovare nelle opere d’arte antica, di sba-
« razzare, potendo, e con opportune cautele le superfetazioni aggiunte in
« altri tempi, di sostituire con perfetta conoscenza storica ciò che era an-
« dato perduto ». Vedremo in seguito come il Fumi sia rimasto fedele a
questo saggio principio. à

(1) E noto, del resto, che la città di Orvieto e specialmente il suo
Duomo ispirò diversi poeti antichi e moderni (Cfr. in proposito ApoLro Sr-
MONETTI: L'Umbria nella poesia. — Spoleto, Tipografia dell’ Umbria, 1908,
cap. XII). :

(2) Non bisogna dimenticare che il Fumi, oltre alle numerose memorie
d'argomento orvietano inserite in questo Bollettino dalla sua origine ad oggi,
pubblicò 1. IZ Codice Diplomatico della Città di Orvieto, secoli XI-XV (Fi-
renze, 1884: 2. Orvieto, note storiche (Città di Castello, 1891): 3. Carteggio
del Comune di Orvieto negli anni 1511-12 (Roma, Forzani, 1891). Egli poi ha
curato la ristampa delle Ephemerides Urbevetanae ab anno 1342 usque ad an-
num 1363 già pubblicate dal MunATOonI nel vol. XV dei suoi « Rerum Ita-
liearum Scriptores », insieme alla prima edizione del Regesto di Atti origi-
nali per le giarisdizioni del Comune compilato nel 1839 e proseguito fino alla
metà del sec. XIV, agli Annales Urbevetani e alla Cronaca Urbevetana, an-
cora incompleta: (cfr. la nuova edizione dei R. I. S. muratoriani, curata
da G. Cardueci e V. Fiorini, fascicoli 16 e 43).
RECENSIONI BIBLIOGRAFICHE 307

zione molto efficace alla esposizione dei fatti artistici, di cui dovrà
occuparsi in seguito.

In un secondo e più breve capitolo l’illustre autore ci parla
del carattere austero della città, dell’origine comunale. e non pa-
pale del palazzo del popolo (1) e del suo restauro non ancora fi-
nito, di quello che fu poi edificato per il Papa e che ora è diven-:
tato Museo dell’Opèra, e delle chiese romaniche di $. Andrea e
di S. Giovenale di Orvieto con linee ogivali che le differenziano
tanto da altre chiese di pretto stile monastico della stessa città.
In questo capitolo si accenna anche, mà troppo fugacemente, al
palazzo vecchio del Comune, di stile lombardo anch’ esso come
quello del popolo, e rifatto malamente nel 500 (2).

Ed eccoci alla fabbrica del Duomo, su cui il Fumi giusta-
mente s'indugia per ben tre capitoli di seguito, senza tuttavia
descriverne tutte le parti come ha fatto nel 1914 il prof. M. Mat-
tioni nel vol. 31 dell’Italia Monumentale. Egli discorre da pari
suo dell’origine della Cattedrale (1290) e del suo primo architetto
che non si conosce, dei primi lavori di Lorenzo Maitani da Siena,
della costruzione della facciata a lui affidata, dei meravigliosi bas-
sorilievi e musaici da lui ideati ed eseguiti da artisti toscani, e
delle vicende che ebbe dopo la sua morte tutto il disegno dell’o-
pera. Parla dei restauri compiuti in seguito nella cattedrale dan-
neggiata in più modi attraverso i tempi, parla delle opere d’arte:
scomparse, del pulpito o ambone disegnato e non eseguito, del
coro e dei suoi intagli e intarsi pregevoli, delle pitture applicate
alla famosa cappella del Corporale e alla tribuna e fatte poi rin-
frescare «da Pio IX con così poco rispetto dell’ arte antica (3).
Passa quindi ad illustrare gli affreschi della cosidetta cappella
nuova o della Madonna, opere insigni di diversi pittori, tra cui
primeggiano il Beato Angelico e Luea Signorelli; e qui si diffonde

(1) È merito del Fumi l'aver dimostrato questo fatto con solidi argo--

menti.
(2) Della primitiva forma di questo palazzo, troppo oscurata dal rifa-
cimento posteriore, manca nel libro del Fumi una riproduzione qualsiasi,

se pur si conosce.

(3) Di questa famosa e splendida cappella il Fum si era occupato già.
a parte nello studio Z/ Santuario del SS. Corporale nel Duomo di Orvieto-

(Roma, Danesi, 1896), che qui avrebbe fatto bene a ricordare. Del resto,

a parecchi di questi restauri l’autore muove delle giuste critiche sempre im

omaggio a quel principio già da lui.accettato fin dal 1891.

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4 Bah cade, i : . 808 RECENSIONI BIBLIOGRAFICHE

soprattutto sulle ardite e grandiose concezioni di quest' ultimo
artista, che descrivendo il secondo avvento del Redentore s'ispiró /
alle potenti visioni dantesche (1) e ritrasse con vigoria di senti- E
mento « la sofferenza umana e divina in tutta la sua forza «; ac-
cenna infine alle sculture in marmo ehe adornano la cappella (2) È
e conclude col dire che il Duomo d’Orvieto è un miracolo di arte, T.
un monumento glorioso di civiltà. i

L'ultimo capitolo, il sesto, è consacrato in gran parte al Museo
dell’ Opera di Orvieto, col suo prezioso reliquiario di S. Savino,
che il Fumi studia insieme a quello del Corporale, perché ambedue
sono lavori finissimi di Viva e Ugolino di Vieri da Siena, con le
sue oreficerie, le sue tavole, le sue statue e ceramiche medievali.
Dopo si passa ad illustrare le chiese minori, i palazzi privati, il
teatro comunale (3), che richiamano tutti una lunga e bella tra-
dizione d'arte, alla quale fa riscontro la gentilezza di certe costu-
manze come quella della festa della palombella, con la cui de-

serizione il volume si chiude. . È
Da questo pur breve riassunto appare tutta l’importanza della MW
monografia del Fumi. Alla quale aggiungono pregio le numerose è;
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e perfette illustrazioni, e specialmente il grande ciclorama della
città costituito da ben quindici fotografie adiacenti che il prof. M.
Mattioni ha prese dal tetto del palazzo del Capitano del popolo,
€ la trieromia della facciata del Duomo eseguita dalla nota Casa

(1) L'autore illustra qui opportunamente codeste concezioni col con-
fronto di molti versi danteschi.
(2) Nell Indice del testo è detto che il cap. V dovrebbe parlare in fine
delle sculture del Sammicheli, del Sangallo, dei due Mosca e d’ Ippolito
Scalza, mentre nel testo vero e proprio si accenna soltanto ‘alla Deposizione
dello Scalza e si riproduce la fotografia del suo Ecce Homo. E stato forse
ES abbreviato il capitolo senza ritoccare l'Indice? O è stato omesso qualche
periodo? Vero è però che di questi scultori si riportano varie riproduzioni
nel capitolo precedente.

zt (3). Anche qui il lettore si aspetta invano di trovare l'indicazione di
altre opere d'arte sparse nella città e dintorni, promessa dall’ Indice del
testo. A. pag. 176, poi, si accenna a « palazzi e case disegnati dai maestri
< che lavorarono nel duomo, Sangallo, Sammicheli, Raffaello da Montelupo, ^
* Mosca, Moschino » ecc., ciò che mi conferma nell idea che nel cap. V
sia incorsa qualche omissione. Forse l'autore allude a quelle opere che sono
State riportate in fotografia nel cap. I ad illustrazione della storia di Or-
vieto, come le tombe etrusche ai Settecamini a nord della città, la Badia

raa " «dei Santi Severo e Martirio, i ruderi e i torrioni dell'antica fortezza ecc.

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RECENSIONI BIBLIOGRAFICHE 09

Danesi di Roma. Tre indici poi fatti distintamente a servigio de-
gli argomenti trattati, delle illustrazioni inserite nel testo e dei
nomi personali a cui si allude nel corso dell’ opera, agevolano di
molto le ricerche degli studiosi, sebbene il primo sia più che altro
un indice di sommari per se stessi poco determinati o troppo ge-
nerali (1).

Orvieto é certamente una delle città umbre più conosciute in
Italia e fuori d’Italia, e questa pubblicazione non ha uno scopo
puramente informativo. Il Fumi, con quell’ autorità che nessuno

.gli può contestare dopo tanti anni di studi e di ricerche, con quel

garbo che tanto lo distingue in tutti i suoi atti, vi si fa spesso
censore, ammonitore, consigliere. Ma egli è soprattutto un grande
ammiratore del bello sparso nella sua città e ha scritto quest'opera
con entusiasmo veramente giovanile e con la speranza che la sua
sincera parola sarà degnamente apprezzata ‘e ascoltata. Perciò a
lui non mancherà la riconoscenza dei suoi concittadini e di tutti
coloro che amano le patrie memorie. e l'arte, per questa nobilis-
sima prova di dottrina e di affetto.
ExRICO FILIPPINI.

MARIA Lursa Fiumi. — Solitudine — Versi. — Casa Editrice « Ata-
nor », Todi, 1920.

La Contessa Maria ‘Luisa Petrangeli Fiumi ha pubblicato di
recente una raccolta di versi, intitolata: Solitudine. L’ irreparabile

perdita di due grandi poetesse della nostra regione — la Bruna-
monti Bonaeei Alinda e l'Aganoor Pompilj Vittoria — ci viene

ora compensata dall’arte geniale e squisita di questa scrittrice
d’Orvieto, innamorata d'ogni visione di bellezza umbra e imbevuta
dolcemente di grazia francescana.

(1) In questo Indice del testo manca anche ogni indicazione di pagine.
— Aggiungerò qui alcune osservazioni d’indole letteraria: a pag. 36 il verso
di Dante « e vedrai Santafior come si cura », dev’esser corretto in « e ve-
drai Santafior com’è sicura », secondo l'interpretazione più attendibile: a
pag. 82 il verso di Dante « d’intagli tai, che non pur Policreto » dev’ es-
ser corretto secondo la variante migliore in « d’intagli sì, che non pur Po-
licreto »: a pag. 188 il verso di Dante « com’uom che per negghiezza a star
si pone » dev'esser corretto in uno di questi due modi: « com'uom che per
negghienza a star si pone »: « com’uom per negligenza a star si pone >, che
è modo migliore del primo. i

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310 , RECENSIONI BIBLIOGRAFICHE

Come l'usignuolo solitario, che sente il bisogno di inebriare
la natura eoll'elevazione liriea del suo canto, la Fiumi gode sin-.
ceramente nell'espandere attorno a sè, con. generosità signorile,
un'irradiazione di bontà e di sentimento, di poesia e di luce. Come
quel « frate roscignolo » della leggenda, che condivideva frater-
namente il pane e la preghiera del Poverello, ella ama vivere
assorta in una cerchia di sovrane melodie, per consolare se stessa
e il euore altrui.

« Io non conosco le brune parole.
Non so che trilli, scintillii di sole
ed il conforto limpido del sogno,
non so che offrire un po’ di gioia pura
un po' di pace ad ogni creatura ».

Sul frontispizio del suo libro magnifico — edito' con fine ele-
"ganza dalla Casa Editrice « Atanor » di Todi — la poetessa ha

messo queste parole dello Shelley: « Tutte le cose son pure a chi
con puro cuore le guardi ». La frase del poeta britannico ha una
significazione profonda per l'indagatore sottile, poichè con essa la
Fiumi ha ben rivelato l'essenza, le finalità e il segreto dell'arte
sua. i
La principale caratteristica della poetessa è la soavità, quella

soavità languida e mistica — ma stranamente accoppiata ad una
rude fierezza ombrosa — che è nei paesaggi sereni, nei devoti

montanari e nelle profumate tele dell'Umbria. Un’ altra dote sin-
golare della scrittrice è la chiarezza della forma, in cui ogni im-
magine o sentimento traspare come un fiore marino dietro un velo
d’acqua. Questo poema di morbidezze, finezze e trasparenze ella
lo ha forse imparato mirando estatica le vetrate gotiche di Assisi,
o il finestrone corale d’Orvieto? Forse la sua anima si è tuffata,
col gesto grave della liturgia, in qualche placida fonte, che mor-
mora sui declivi di Assisi, sotto il vapore argenteo degli ulivi?
Tutte le deduzioni psichiche qui si riducono ad una sola: la poe-
tessa, dopo avere bevuto a lungo la casta

« Umbra serenità, fresca sorgente
Musica d’acque, coppa cristallina. »

ed essersi lasciata compenetrare dalla purità spirtale e dal solitario
splendore, che han le figurazioni mistiche nell'Umbria, è divenuta
RECENSIONI BIBLIOGRAFICHE 311

migliori sono la schiettezza e la semplicità; da ciò il fascino dol-
cissimo che s'effonde dal suo melodioso canto, il quale è davvero
come il concerto di tutti gli angioli musicanti di Boccati e di Me-
lozzo: sfiorando cioè lievemente i vostri sensi, vi scende e penetra
in fondo all’anima in un gran soffio di pace.

Noi siamo lieti di parlare ai nostri lettori di questa gentilissima
scrittrice anche per un altro motivo singolare. Ella possiede il
dolce fascino e il grande merito di saper animare intensamente,
colla potenza dell’immaginazione e del sogno, i più vetusti e glo-
riosi monumenti dèlla regione. La basilica di S.Francesco e il
convento di S. Damiano in Assisi, la Torre del Moro e il magnifico
Duomo in Orvieto sono da lei messi in luce con tutta la loro bel-
lezza misteriosa e incomparabile. E a tal riguardo vorremmo che
traducesse, col suo verso melodioso, tutto quel poema infinitamente
mistico e musicale, che sta racchiuso ‘nel sublime duomo della sua
città.

La contessa Fiumi non parla d’arte umbra in maniera super-
ficiale, ma conosce molto bene la storia dei nostri più superbi ca-.
polavori; la sua cultura è adeguata alla nobiltà degli argomenti.
Le sue conferenze storico-artistiche che han per tema « Gli angeli
musicanti » e « Gli angeli del dolore » ne sono una prova evi-
dente e luminosa.

Tutte queste tendenze naturali del suo temperamento, raffinate
dallo studio, illuminate dall’ amore, spiritualizzate dal sogno e
santificate dalla maternità, fan sì che ella riesca a esprimere e a
descrivere ogni cosa con facilità sorprendente e chiarezza mera-
vigliosa. Seene e figure dell'Umbria palpitano sotto il toeco della
sua mano esperta; ivi avete, leggendo, il senso immediato della
realtà e la percezione del colore e del suono, come in un prodigio
d'ineantesimo. Certe sue descrizioni dell' Umbria valgono bene
quanto un quadro di Claudio Lorrain o di Velasquez. Certi suoi
profili ei rieordano, colla loro lineazione perfetta, quei cartoni leo-
nardesehi in cui tutta una fisonomia sta racchiusa nel giro di pochi
tratti, espressivi e limpidi. Vorremmo però che la poetessa si li-
berasse da ogni influenza esotica e da certe reminiscenze pasco-
liane.

Sperando che continuerà ad illustrare, in ogni suo aspetto,
l’infinita bellezza dell'Umbria e la grandezza delle idealità nobili
e degne, le auguriamo una grande corona di alloro intrecciata
‘francescanamente ad un piccolo ramoscello d'ulivo.

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312 RECENSIONI BIBLIOGRAFICHE

BEDA KLEINSMIDT. Geschichte der Basilika von Heil. Franciscus
von Assisi. Band. I. Berlin Verlag für Kunstwissenschaft.

Quest'opera grandiosa di cui è apparso solo il primo volume
è una delle più belle produzioni della letteratura tedesca su l’arte
della nostra Umbria. Assisi, se è celebre nella storia religiosa per
il grande fondatore dei Minori, è pure illustre per le sue magnifiche
chiese. La duplice chiesa di S. Francesco è uno dei più bei musei
dell’arte italiana, consacrato alla glorificazione dell’ umile Pove-
rello: l' autore ha voluto con quest'opera darne una storia degna
del monumento e del Santo che vi è sepolto; una storia clie non
solo appagasse il critico, ma pure rivelasse a chi non ebbe la for-
tuna di visitare la bella città umbra, le meraviglie che essa con-
tiene.

Il volume tirato in poche copie, con un lusso e signorilità che
risponde degnamente al grande tema, illustrato da clichés, tavole
fototipiche ed a colori senza risparmio, è veramente sorprendente.
Limitandoei all'esame del testo, nella prima parte del volume noi
troviamo la deserizione e storia dell'edifieio per il lato dell'archi-
tettura. Riferito ciò ehe gli attri sostennero per il passato, l'A. si

ferma a respingere come architetto frate Filippo da Campello, che

secondo un esame accurato dei documenti, altro non fu che 1’ in-
caricato dell’Ordine per l’esecuzione dei lavori, un soprastante alla
fabbrica. Ammette' come possibile che l’architetto della chiesa sia
stato fr. Giovanni da Penna. La chiesa inferiore è pura produzione
umbra ispirata al concetto romanico non ancora tramontato: la
chiesa superiore invece ritiene sia opera di un architetto italiano
che però si è ispirato all’arte gotica francese e che potrebbe essere
anche Giovanni da Penna. Ciò per l'esecuzione tecnica; chè il
concetto ideale della duplice basilica egli lo attribuisce indubbia-
mente al grande generale dell’Ordine che ne ideò la costruzione;
frate Elia! Nel 1239 entrambe le chiese con il eampanile erano

terminate. Le cappelle invece son di un tempo posteriore: esse

vanno dai primi del secolo XIV (quelle dei cardinali Nicolò e
Giovanni Orsini) alla metà dello stesso secolo o poco oltre (la cap-
pella dell’Albornoz). Anche il convento egli lo erede sorto parte
nel XIII, e l’infermeria invece nel secolo XIV (metà) e la erede
opera dell’architetto di fiducia dell'Albornoz, Giannello Maffei da
Gubbio detto il Gattapone.

La seconda parte riguarda la plastice e la pittura in vetro.
La plastiea non è certo la più importante; va dai marmorari
RECENSIONI BIBLIOGRAFICHE, — 313

cosmateschi agli oscuri marmorari umbri, dei quali sconosciuto,
ma un vero genio dell’arte dovè essere quegli che scolpì quella

3.

meraviglia che è la rosa quattrocentesca della porta inferiore. La.

pittura in vetro al contrario segna per noi uno dei piü grandi
monumenti che abbiamo in Italia. Delle piü antiche vetrate, ispi-

rate all'arte di Cimabue, o dei suoi discepoli sono restati solo:

quattro medaglioni nella cappella di S. Antonio, nella chiesa in-

feriore; quasi integre invece son le finestre della chiesa superiore..

Tali monumenti sono stati recentemente illustrati e studiati dal

Cristofani e dal P. Giusto. Il Kleinsmidt ha voluto portarvi il suo:

contributo e dove è riuscito assai felice è stato nell’ assegnare le
date dei finestroni della chiesa superiore dove, interpetrando una

iscrizione, è riuscito ad assegnare quale mecenate di quelle vetrate:

il papa Nicolò IV, e quindi a fissarne l'epoea nei due ultimi de-
cenni del secolo XIII. Bellissima è poi la riproduzione a colori di
gran parte di quelle finestre.

Un'ultima parte tratta poi del tesoro conservato nella basilica:

riechi cimelii che dal secolo XIII vengono sino a tutto il cinque-
cento e che danno prova della profonda devozione che sovrani e
principi, papi e cardinali ebbero per S. Francesco. Quest’ ultima
parte è più descrittiva che critica.

Il secondo volume sarà riservato alle pitture e ai documenti:
però per una forte infermità dell’autore esso tarderà a vedere la
luce, sebbene. sia tutto pronto il materiale.

Mentre noi facciamo voti che l'opera venga presto completata,

esprimiamo all’autore i più sinceri rallegramenti: solo avremmo:

voluto che in questo volume e singolarmente nella sua prefazione
fossero stati ricordati i religiosi francescani d’ Italia che vi con-
corsero col porre a disposizione dell'autore un ricco tesoro di no-
tizie storiche e di documenti già raccolti e destinati allo stesso

scopo cui però essi dovettero rinunziare perl’ enormità del costo

che avrebbe portato tale lavoro

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NECROLOGI

Prof. Cav. PIETRO TOMMASINI-MATTIUCCI

“Non certo quando lo avemmo fra noi nelle nostre adunanze
tenute in Perugia l 11 novembre 1916 sarebbe venuto alla
nostra mente il doloroso pensiero che alla distanza di poco
più d’un anno, il 10 gennaio 1918, avremmo dovuto deplorare
‘la perdita di questo caro collega.

Se ragioni più forti della volontà nostra ci hanno co-

stretto a ritardare troppo a lungo l'adempimento dell impe-.

gno assunto allorchè nell’ultimo fascicolo del Bollettino demmo
l'annuncio della morte di Pietro Tommasini-Mattiucci, di ren-
der cioè su queste pagine meno indegno tributo d’onore e
d'affetto alla memoria di lui, l’ indugio non vuol dire dav-
vero che questa memoria vada dileguandosi dall’ animo no-
stro; ché anzi, col volger del tempo l'immagine del collega
ed amico ci si presenta ognora piü luminosa, e sempre più
amaro è il nostro rimpianto per averlo perduto.

Pietro Tommasini-Mattiucci nacque il 28 ottobre 1867 in
Città di Castello da nobile famiglia, nella quale sono an:
tico vanto cultura e cortesia; però da questo ‘dono della for-
tuna egli non a superbia e a vanagloria, ma trasse motivo
al rigido adempimento dei propri doveri e alla continua ele-
vazione morale ed intellettuale di sè, e della « poca nostra
nobiltà di sangue » mostrò con tutta l'opera sua quanto te-
nesse vero il detto di Dante:

« Ben se’ tu manto che tosto raecorce

Si che, se non s'appon di die in die
Lo tempo va dintorno con le force ».

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316 NECROLOGI

Se ognuno deve porre le piü amorevoli cure a che si
mantengauo e si accrescano le buone tradizioni familiari,
é pur vero che quasi nessuno alla notevolissima influenza
di queste si sottrae, e il Tommasini, rievocando in un suo
libro la figura dell’avo paterno Amilcare, afferma che l’ a-
more agli studi gli derivò dalle lunghe ore trascorse nella
domestica biblioteca col Nonno, il quale a lui e al fratello
di lui giovanetti recitava lunghi brani di classici, facendone
loro gustar le bellezze.

E quell'amore, mantenutosi costante nel giovane Pietro
e reso anzi col crescer degli anni piü vivo e piü fecondo,
portò i suoi frutti, talché. nel 1891 egli conseguì nell’ Univer-
sità di Roma a pieni voti assoluti e con lode il diploma di
laurea in belle lettere. :

Poco dopo fu il Tommasini nominato insegnante nel Gin-
nasio di Città di Castello, ma egli non volle assumer lin-
segnamento e, consapevole che il titolo di dottore non di-
spensa dallo studiare, ma deve piuttosto essere ‘sprone a
perfezionarsi nelle discipline preferite, continuò per due anni
a frequentare i corsi dell’ Università romana sotto la guida
sapiente di Ernesto Monaci.

Tornato il Tommasini nella città nativa, questa fece su-
bito tesoro di lui e dal 1893 sino al 1912 lo ebbe professore
nelle classi superiori e direttore del Ginnasio, e per breve
tempo, cioè negli anni 1897-98, maestro insigne nel Liceo co-
munale. Che tali onorevoli uffici egli tenesse non tanto per
il deferente affetto de’ suoi concittadini, che-a ragione lo eb-
bero ognora nella più alta estimazione, quanto per l’alto suo
valore, lo prova il fatto che quando nel 1904 il Ginnasio di
Città di Castello da pareggiato divenne regio gli furon con-
servati, a seguito d'ispezione ministeriale, l'insegnamento
nelle classi superiori e la direzione, lo attestano la nomina a
professore nel R. Ginnasio di Arpino, la inclusione nei ruoli
degli insegnanti ordinarî, i concorsi vinti per le cattèdre
delle RR. Scuole commerciali di Bari e di Roma, l’ insegna-

mento affidatogli prima nel R. Liceo Umberto I di Roma

e poi all « Ennio Quirino Visconti » della stessa città, ed
a fregano

NECROLOGI 917

infine la privata docenza in lettere italiane conseguita nel
1916 presso la Università di Bologna.

Con quanta tristezza si pensa alla immatura fine di que-
st'uomo egregio, che senza dubbio avrebbe tanto onorato da
una cattedra universitaria sè stesso, la sua Città di Castello,
la nostra Umbria !

Della qual cattedra il Tommasini aveva saputo rendersi
veramente degno con una mirabile attività scientifica svol-
tasi in pubblicazioni, che rimarranno a far testimonianza
della sua molta dottrina, del suo acuto ingegno, della sua
massima diligenza nei raffronti e nelle ricerche.

Fra i suoi lavori uno de’ primi in ordine.di tempo e dei
più lodati è lo studio su « Nerio Moscoli da Città di Castello
antico rimatore sconosciuto », studio, che vide la luce in
questo nostro Bollettino. Guido Mazzoni trovò in esso « co-
piose e utili notizie alla storia della nostra antica poesia »,
il Carducci disse il lavoro « condotto: con metodo » e tale da
far desiderare che fosse seguito da altri, e il Pellegrini net
Bullettino della Società Dantesca italiana pose in evidenza
che il Tommasini: Mattiucci aveva « con acume non di-
sgiunto da prudenza additato questo nuovo testimonio del
culto dantesco negli anni medesimi in cui viveva il Poeta ».
E noi Umbri dobbiamo esser grati al Tommasini se oggi la
nostra regione tiene col Moscoli un posto onorevole nella
storia delle origini della letteratura italiana.

Agli studi Manzoniani il Tommasini si dedicó con par-
ticolar eura, e non possiamo non segnalare i due interes-
santissimi suoi lavori su « D. Abbondio e i ragionamenti si-
nodali di Federigo Borromeo » e « Don Ferrante e un libro di
Storia universale ».

Nel primo, che gli meritò le congratulazioni vivissime
di Edmondo De Amicis, « l'ingegno del Tommasini (cosi disse
il prof. Guido Chialvo nella bella commerazione, che di lui
tenne innanzi agli alunni del R. Liceo E. Q. Visconti) si ad:
dimostra veramente acuto e persuasivo e schiettamente no:
strano e originale » sia nella indagine:delle opere secente-
sche che il Manzoni ebbe presenti per foggiare la figura di
D. Abbondio, sia nell'affermazione che il grande romanziere,

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318 © NECROLOGI

nel creare quel tipo di parroco pusillanime e dimentico de”
propri doveri, si valse delle prediche che il cardinale Fede-
rigo rivolse ai parroci milanesi.

Nel secondo si constata quanto profondamente il Tom
masini abbia conosciuto le condizioni della vita intellettuale
nel periodo di tempo, al quale risale l’azione dei « Pro-
messi Sposi » e con quanta efficacia abbia posto in rilievo
che « D. Ferrante, pure essendo un personaggio ideale, in-
carna una classe di persone, che in quel tempo effettiva-
mente esisteva e di quelle condizioni di cultura subiva la
influenza ».

Della sua predilezione per gli studi che han rapporto al
grande Lombardo die’ il Tommasini altro saggio in un articolo
intitolato « Un epigono di Don Ferrante professore nella scienza
cavalleresca » ed inserito nel volume miscellaneo, che per
le nozze Manzoni - Ansidei i colleghi della Deputazioné di
Storia patria vollero con benevolenza. squisitamente cortese
dedicare a chi oggi, col cuore pieno di memore gratitudine,
consacra all’ amico perduto queste povere pagine. In quel.
l'articolo il Tommasini prese ad esaminare il « Trattato ca-
valleresco », che Giuseppe Ansidei compose sulla fine del
secolo XVII, e accennando che gli autori preferiti dall’ Ansi-
dei a sostegno dei suoi argomenti erano gli stessi, sui quali
Don Ferrante.si era formato la scienza « in cui meritava e
godeva il titolo di professore », ne trasse occasione a portare
una prova di piü, se pur ce ne fosse bisogno, che anche in
questo particolare il Manzoni si attenne strettamente alla
realtà storica.

Dall'esame dell'opera di Giuseppe Ansidei prendeva inol-
tre motivo il Tommasini per far noto il suo intendimento di
pubblicare un breve studio intorno ai libri di cavalleria nella
biblioteca di Don Ferrante. Questi libri (secondo il Tomma:
sini) « oltre a farci intendere meglio e gustare di più alcuni
punti dei « Promessi Sposi », come il duello di Lodovico, la
scena del perdono, il dialogo tra il Podestà e il conte At-
tilio », ci offrono notizie copiose sulla vita italiana nei se-
coli XVI e XVII.

Anche degli studi Danteschi si occupò il Tommasini - Mat-
NECROLOGI 319

tiucci con singolare amore e nel 1899 pubblicò nel « Giornale
Dantesco » (Anno VII) una dotta nota sul secondo capitolo del-
l'opera di Eugenio Bouvy, « Voltaire et l'Italie », capitolo che
tratta di « Voltaire et la critique de Dante ». Pure ammettendo
col Barbi e col Ferrari contro la opinione avanzata dal Bouvy
che il Bettinelli, per quanto ha speciale riguardo alle Lettere
Virgiliane, non .avesse avuto la ispirazione dal Voltaire, so-
stenne il Tommasini con validi argomenti che in genere sul
letterato mantovano ebbero il Voltaire e il filosofismo critico
francese notevolissima influenza.

Né dobbiamo tacere delle ristampe dal Tommasini cu-
rate per la collezione di opuscoli danteschi inediti o rari
diretta dal Passerini, del poemetto del Bettinelli « Le Rac-
colte con il Parere dei Granelleschi e la Risposta di C. Gozzi »
e delle « Lettere Virgiliane ai legislatori della Nuova Arca-
dia » dello stesso Bettinelli. « Furono tanto il poemetto del
Bettinelli quanto le prose dei Granelleschi (son queste le pa-
role, con le quali il Tommasini pose in evidenza l'opportunità
delle nuove edizioni) componimenti:di scuola, frutto di lotte
e di odi accademici. Tuttavia, per la storia delle nostre let-
tere, e più specialmente per quella del culto di Dante, le
« Raccolte » prenunziano le « Virgiliane », come il « Pa-
rere » e l’ « Epistola » preparano la « Difesa » di Gaspare
Gozzi ».

Nello studio premesso alle « Virgiliane » il Tommasini
avvaloró con sempre maggior copia di erudizione il suo av-
viso circa la « considerevole efficacia dal Voltaire esercitata.
sullo spirito dell'abate mantovano », e con giudizio (cosi egli
scrisse) « che molti reputeranno arrischiato, ma che è il
frutto di matura riflessione » affermó che il Bettinelli « col
biasimar la cieca riverenza verso gli antichi e insieme l' i-
mitazione francese... merita di non esser dimenticato tra co-

loro i quali affidarono, sia pure inconsciamente, la nostra.

nazionalità alla letteratura, prima che quella esistesse di
fatto, e, mercè una patria ideale, affrettarono l'avvento di
quella reale ».

Prima di queste ristampe aveva il Tommasini per nozze
Corbucci-Corsi pubblicato sotto il titolo Bonagiunta Orbiciani.

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La ear: :320 NECROLOGI

nel canto XXIV del Purgatorio. alcuni appunti sulla poesia
delle origini, nei quali, rispondendo al quesito di Francesco
Novati del perché Dante scegliesse proprio Bonagiunta a
tesser le lodi della nuova poesia, concludeva esser naturale
che Dante, « applicando anche in questo episodio la pena
del contrappasso che gli fu sì cara », facesse da Bonagiunta,
che mentre era in vita aveva tanto avversato il « dolce stil
nuovo », riconoscerne la superiorità.

Tanto valore del Tommasini non poteva non essere te-
nuto nella massima considerazione dagli studiosi della nostra
letteratura; ond'é che noi lo vediamo chiamato a collaborare
negli Scrittori d’Italia del Laterza e a dirigere la raccolta
di Documenti di Storia letteraria italiana e la collezione di
Classici italiani, l'una e l'altra edite dalla Casa Lapi. Nella
collezione dei classici che, secondo il nobile intendimento
del Tommasini, « si propone come fine precipuo, piü che
di tener conto dei pregi della forma, di porre il pensiero in
valore, nella. mente dei giovani e delle persone colte », il
Tommasini- Mattiucci avea preso impegno di curare la edi-
zione dell’opera « Dei delitti e delle pene » del Beccaria, della
« Vita di Dante.» del Boccaccio, delle « Prose scelte » del
Foscolo, dei « Promessi Sposi » del Manzoni: pur troppo
la morte ha reso vani così generosi propositi di feconda ope-
Tosità!

Dei Documenti di Storia letteraria fa parte la Vita di
Ugo Foscolo scritta da Giuseppe Pecchio e pubblicata con in-
‘troduzione e note del Tommasini - Mattiucci (1). La introdu-
‘zione, ricca di notizie, per la maggior parte o del tutto igno-
rate o poco diffuse, sul Foscolo e sul suo biografo, che fu
dall'Austria condannato a morte in contumacia per delitto di
alto tradimento, e meritó forse l'amaro e severo giudizio por-
tato su lui dal suo compagno di congiura, l'eroico Federico
Confalonieri, ha la data del gennaio 1915, e noi riferiamo qui
le parole con le quali il Tommasini vi die' termine, parole

(1) I1 volume é il secondo della collezione, e vi si legge l'annuncio del terzo,
‘cioè La Scolastica dell’Ariosto con aggiunte inedite a' cura di A. Salza. Anche que-
sto caro amico, socio della nostra Deputazione, ci fu rapito da immatura morte.

—————»
NECROLOGI 321

attestatrici del fervido patriottismo di chi fu quanto dotto
maestro altrettanto coscienzioso educatore :

« In quest'ora terribile e solenne per l'Europa, per il
mondo, dobbiamo ricordare che già il Foscolo, nei primi
anni del secolo, riprendendo in parte il concetto del Machia-
velli, sentenziava che l’Italia non sarebbe libera, finchè non
fosse forte e giusta, e che a rifarla conveniva disfare le sette.
Possa la patria nostra, non più straniera a ciò che si com-
pie intorno ad essa, ammaestrata dal passato, con mirabile
concordia, all'infuori e al disopra di ogni setta, essere fiera,
vigile e giusta tutrice dei suoi diritti; e mostrare al mondo
la propria forza di pensiero e di armi; e che l' avvenire
siale di gloria.

« L'anima di Ugo Foscolo, di sotto la nuda pietra in
Santa Croce, ne fremerà di gioia ».

Così il Tommasini sentiva inevitabile l'intervento della
patria nostra nella grande guerra e preparava sè stesso, i
suoi studenti da lui amati quasi fossero della sua famiglia,
e i suoi due figli dilettissimi che poi furono al fronte sol-
dati valorosi d'Italia, ad affrontare l'arduo cimento; il quale
egli segui con trepida ansia d'italiano, di maestro, di padre,
ansia che forse affrettò la fine di lui, già logorato da un
eccesso di lavoro intellettuale.

Dei sentimenti patriottici di Pietro Tommasini - Mattiucci,
oltre che tutta l opera sua di cittadino e d' insegnante,
fanno fede più specialmente alcuni suoi lavori; intendiamo
dire la pubblicazione di Un documento Garibaldino del 1849,
il libro intitolato Una pagina di patriottismo umbro, ove sono
raccolte lettere e memorie di G. Baldeschi e L. Tommasini.
Mattiucci, ambedue ufficiali nel corpo dei volontari ponti-
fici, che sotto il comando del Generale Ferrari presero parte
alla campagna veneta del 1848, ed in fine il volumetto,
che ha per argomento /l pensiero di Carlo Cattaneo e di Giu-
seppe Mazzini nelle opere di Giosue Carducci.

Alle lettere del Baldeschi alla sua famiglia, edite insieme
a quelle indirizzate dalla famiglia Tommasini al suo congiunto
Leovigildo, va innanzi una introduzione, nella quale il Tom-
masini brevemente, ma con efficace evidenza lumeggiò le

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ragioni dell’insuccesso della rivoluzione italiana negli anni
1848 e '49, e tengon dietro in appendice alcuni cenni bio-
grafici sull'avo del Tommasini, Amilcare, che fu Gonfaloniere
di Città di Castello al tempo della Repubblica romana nel
1849, e poi membro del Governo provvisorio costituito in
quella città da F. A. Gualterio nel Settembre 1860, sullo
stesso Gualterio e sull’abate G. B. Storti, che fu dotto in
archeologia ed intimo amico di G. B. De Rossi.

Dello studio sull’influenza che il Cattaneo ed il Mazzini
esercitarono sul Carducci fu detto che dopo tanto che si era
scritto intorno al grande poeta dell'età nostra il lavoro. del
Tommasini-Mattiucci arrecò notevole contributo di studio
originale e di conclusioni nuove: e questa é lode veramente
lusinghiera.

Abbiamo sopra affermato che il Tommasini fu non solo
un dotto maestro, ma eziandio un coscienzioso educatore ;
ci confortò in questo giudizio la lettura dei Cenni sulla ri-
forma delle scuole medie in Italia che il Tommasini premise

alla traduzione del libro di G. Le Bon, Psicologia dell’ educa-'

zione, ma ad avvalorare il nostro apprezzamento non. sa-
premmo far di meglio che riportare quanto Paolo Boselli
scriveva al Tommasini il 10 aprile 1907: « Le sue pagine
sono dotte e pensate e vissute, e trovo in esse ciò che a me
pareva vero e che ora, dopo aver letto Lei, credo vero ...
Ella dice cose eccellenti e fra tanti libri, che oggi discorrono
della scuola media, la sua prefazione (o monografia \a sé?)
emerge »: di fronte a così autorevole sentenza ogni altra
lode vien meno (1).

(1) Avventurata fu Città di Castello, ché per alcuni anni ebbe un tale uomo
assessore del Comune preposto alla istruzione. La speciale competenza del T. a
reggere il delicato ufficio è dimostrata dall’opuscolo che egli pubblicò nel 1898 e
nel quale, sotto il modesto titolo di Cenni storici sull'istruzione a Città di Castello,
espose in modo esauriente tutte le provvidenze adottate dal Comune, da enti pub-
blici e da singoli cittadini affinché numerosi istituti d’ istruzione perpetuassero la
tradizione di cultura, che in quella città fu sempre viva e feconda.

Della cura amorevolissima posta dal T. a diffondere ed illustrare le belle me-
morie del paese nativo son prova anche le interessanti nctizie; che nel volumetto
stampato nel 1896, in occasione del 50° anniversario della fondazione della Società
di mufua beneficenza, raccolse sulle corporazioni d’ arti e mestieri in Città di Ca-
stello, da quella dei tintori ricordata sin dal 1242 a quella dei calzolari, che era
ancora in vita nella prima metà del secolo XVIII.
NECROLOGI 323

E che il Tommasini non si tenesse pago di studiare ari-
damente le diverse forme letterarie, ma si prefiggesse di pe-
netrare addentro nellintimo pensiero degli scrittori e di ri-
cercare quanto l'epoca in cui questi vissero contribui a farli
quali furono, e quanto per converso valse l'opera loro a mo-
dificare lo spirito del loro tempo, lo provano la traduzione
cui egli attese, del libro del Bourdeau I maestri dei pensiero
contemporaneo e le brevi, ma concettose considerazioni pre-
messevi ad esporre i motivi, che lo indussero a dar veste
italiana al piccolo volume del critico francese.

Di uomo di tanto valore non poteva non fare il massimo
conto il nostro sodalizio, ed egli fu nostro socio aggregato-
sin dal 1894, da quando cioé sotto gli auspici di Ariodante Fa-
bretti e di Luigi Fumi sorse la Società umbra di Storia pa-
tria; passó alla categoria dei collaboratori nel 1897, dopo che
le pagine di questo Bollettino eransi arricchite del pregevo-
lissimo suo studio su Nerio Moscoli; fu eletto socio ordinario
della R. Deputazione nell'adunanza che questa tenne a Città
di Castello il 1. Settembre 1900. Il giorno seguente, il Tom-
masipi, presiedendo una pubblica tornata, che l' Accademia
dei Liberi indisse cortesemente per onorare i convenuti al
congresso di Storia patria, lesse, alla presenza di Enrico Pan-
zacchi sottosegretario alla pubblica istruzione, dei soci della
R. Deputazione e di «numerosi elettissimi ascoltatori, una.
dotta conferenza su Fatti e figure di Storia letteraria di Città.
di Castello. Il discorso, nel quale è con sobria eleganza esposto
tutto lo svolgersi della cultura tifernate nel campo delle belle
lettere dai tempi più antichi, allorchè i Disciplinati cantavano»
le loro laudi e fiorivano i rimatori Nerio Moscoli e Giovanni:
de’ Bonsignori, sino ai giorni nostri, trovasi stampato nel
Vol. VII di questo Bollettino (1).

(1) Paolo Sabatier ebbe a lodare questo studio come un « vrai manuel de l'hi-
stoire littéraire » di Città di Castello. Il T. vi stampò per la prima volta due delle
laudi che trovansi in un codice della prima metà del trecento contenente i capitoli
della compagnia di S. Antonio. Altre laudi inedite, tratte dallo stesso codice e da
un libretto di rogiti di Ser Paolo di Ser Antonio, che va dal 1483 al 1485, pubblicò

il T. nel 1891 sotto il titolo Antiche poesie religiose dell'Umbria nel volume Studi dé

filologia dedicati ad E. Monaci dai suoi scolari per l'anno XXV del suo insegna-
mento.

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Delle doti veramente preziose di Pietro Tommasini - Mat-
tiucci fece la R. Deputazione tesoro, e nell'adunanza del 16
Settembre 1905 lo chiamó a far parte della Commissione che
ha per compito il sovraintendere alla pubblicazione dei fonti
storici, e a coadiuvare, insieme al Degli Azzi, il Fumi e il
Mazzatinti nella Direzione del Bollettino; fu egli confermato
in tale incarico nell'adunanza di Spoleto del 20 agosto 1910,
e da ultimo, in quella che ebbe luogo a Perugia il 6 set-
tembre 1914, fu eletto Vice Presidente della R. Deputazione.
E certo, se la sua eccessiva riservatezza non lo avesse im-
pedito, i colleghi lo avrebbero in quel giorno chiamato alla
presidenza del nostro Istituto, con quanto vantaggio di esso
ben lo sa chi a lui rende questo sincero, ancorchè inade-
guato tributo di amicizia.

Tanto la conferma quanto la nomina furono il più che
dovuto riconoscimento dell’ utilissimo concorso dal Tommasini
prestato all'opera della R. Deputazione; egli infatti collaborò
assiduamente nel Bollettino sia con le memorie, che già ab-
biamo ricordato, sia con interessanti comunicazioni, come
quella su di Un viaggiatore perugino del secolo XVI, sia con
acute ed erudite. recensioni di scritti interessanti la storia
politica, religiosa ed artistica della nostra regione, sia final-
mente con la redazione delle Analecta umbra. A questa il

Tommasini attese per lungo tempo, da quando, dopo la morte .

del Mazzatinti, fu a lui affidata la direzione del Bollettino,
e vi attese con diligentissima alacrità e con singolar com-
petenza.

« Prendendo la penna per questa rubrica del nostro Bol-
lettino (così scriveva il Tommasini nel continuare le Ana-
lecta dal Mazzatinti iniziate) non possiamo non. ripensare, an-
cora una volta, con amaro rimpianto alla perdita del nostro
bravo Mazzatinti. E non meno la deplorerà il lettore, scor-
rendo le righe di queste Analecía, rubrica cui il Mazzatinti
fu sempre liberale del suo tesoro di coltura e della sua si-
curezza di giudizio ». Parole di aurea verità per quanto ri-
guarda il Mazzatinti, ma suggerite al Tommasini dalla sua
abituale modestia nel raffronto fra il Mazzatinti e sè stesso;
chè il lettore ebbe subito campo di apprezzare nelle Ana-
NECROLOGI 325
lecta compilate dal Tommasini il tesoro di coltura e la sicu-
rezza di giudizio che già aveva ammirato in quelle del Maz-
zatinti. o

Abbiamo ricordato la commemorazione che Guido Chialvo
fece del Tommasini innanzi agli studenti del Liceo Ennio
Quirino Visconti, pochi giorni dopo la morte di lui. « Fu
detto da taluno (così il Chialvo in quel discorso commemo-
rativo) che il Tommasini Mattiucci fu un critico della nostra
storia letteraria. È vero; ma fu un critico di amima italiana,
un critico che pur negli studî pazienti e laboriosi mostrò la
genialità e l'intuito vivo, proprio della nostra razza; fu un ricer-
catore di pensieri e perfino di sentimenti, che furono talvolta
celati o che le biblioteche e gli archivi nascosero negli scaf-
fali o schedarono nelle rubriche ammassate. E quei pensieri
e quei sentimenti agitava alla luce del sole e ne traeva am-
maestramento per sè e per gli altri ... L’opera sua, lettera-
riamente, fu un prezioso contributo alla storia delle lettere
italiane; didatticamente, un vanto delle cattedre nostre; ci-
vilmente, una vera missione culturale di coscienze per la for-
mazione della gioventù italiana ».

Questo giudizio portò il Chialvo su Pietro Tommasini-
Mattiucci, questa lode gli tributò, dimostrando di averne in-
timamente conosciuto l’ animo e l’ ingegno. E noi, nel rim-
piangere amaramente l amico e collega perduto, facciamo
nostri il giudizio e la lode; mai giudizio fu più sereno, mai
lode fu più meritata.

V. ANSIDEI.

Conte Luigi de Baglion de la Dufferie

A Poitiers moriva il 29 aprile 1919 il conte Luigi de
Baglion de la Dufferie nostro socio corrispondente. Egli fu
eletto a far parte della nostra Deputazione, avuto riguardo
in piü particolar modo alla pregevole sua opera sulla fami-
glia perugina dei Baglioni, dalla. quale discendeva per un

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ramo trapiantato in Francia nel secolo XIV con un Michele
di Colaccio di Cucco Baglioni esule in seguito alle lotte ci-
vili di quegli antichi tempi.

L’opera del conte de Baglion, che sotto il titolo, « Histoire
de la Maison de Baglion - Les Baglioni de Férouse d’après les Chro-
niqueurs, les Historiens, les Archives » fu pubblicata a Poitiers
nel 1907 in una edizione splendida così per il grande for-
mato in foglio e la nitida stampa come per le molte e ricche
illustrazioni, espone tutte le vicende della potente casata pe-
rugina dalle remote e quasi leggendarie origini ai giorni
nostri; l’ autore, ancorchè vi si riveli specialmente quale
accurato studioso di memorie araldico - genealogiche, nondi-
meno, per la grande influenza che i Baglioni esercitarono
sugli avvenimenti di Perugia dal secolo XIV a tutto il XVI
e su quelli d'Italia in quest'ultimo secolo e nel precedente,
fu costretto ad entrare nel più largo campo della storia,
nonché di Perugia, d'Italia: il che fece, addimostrando una
singolare competenza. Né il desiderio di accrescer lustro ai
propri antenati o di attenuar le loro colpe fu in genere al conte
de Baglion di ostacolo alla serenità ed imparzialità dei giu-
dizi, ché questi son sempre il resultato di coscienziose inda-
gini su documenti vagliati con acuto esame, anche se tal-
volta possa da critici austeramente rigidi trovarsi nei. giu-
dizi stessi qualche traccia di quel desiderio.

E la prova migliore che il Conte de Baglion aveva dato
vita ad un'opera, il cui interesse usciva dal ristretto àmbito
dei ricordi domestici e delle rievocazioni nobiliari e si esten-
deva allo studio di avvenimenti storici di notevolissima im:
portanza sta nel fatto che, trascorsi due anni dall’ apparire
della prima edizione di lusso, ne fu pubblicato a Parigi un
riassunto nel volume « Peérouse et les Baglioni ».

Dolentissimi della morte immatura del gentiluomo egre-
gio, che alla vasta e geniale erudizione univa la più squisita
cortesia e dal quale i cultori delle discipline storiche pote-
vano ancora attendersi un utile e copioso contributo di ri-
cerche e di studî, porgiamo da queste pagine alla famiglia
de Baglion la espressione del nostro vivo cordoglio.
NECROLOGI

Dott. GIULIO COGGIOLA

Il giorno 2 Settembre 1919 fu l’ultimo della vita troppo
breve del Dott. Giulio Coggiola Bibliotecario-capo della Mar-
ciana di Venezia, vita consacrata interamente al culto degli
studi e di ogni più alta idealità.

Nel 1900 entrò il Coggiola nella carriera delle biblio-
teche, nella quale ben presto ebbe campo di porre.in evi-
denza le sue singolari attitudini ad ordinare le raccolte di
libri e di.antiche carte, a curarne con vigile amore e con
ogni miglior provvidenza la custodia e la conservazione, ‘ad
illustrarne con dotte ricerche d’archivio le storiche vicende.

La nostra Deputazione si onorò di avere il Coggiola fra
i suoi soci corrispondenti, ed egli recò ai nostri lavori un
prezioso contributo, pubblicando in questo Bollettino una in-
teressantissima monografia su Ascanio della Cornia e la sua
condotta negli avvenimenti del 1555-1556. In questo lavoro, che
entra nel ciclo degli studi compiuti dal Coggiola sul ponti-
ficato di Paolo IV, il compianto Collega, dopo aver preso in
esame molti documenti inediti relativi agli agitati eventi di
quei due anni e alla parte che vi ebbe il Capitano perugino,
giunse alla stessa conclusione, alla quale era già pervenuto
(sulla sola base però della protesta lanciata da Ascanio nel-
l'agosto 1556) il nostro Ariodante Fabretti nelle Biografie dei
Capitani venturieri dell' Umbria, e die’ termine al suo esame
critico, asserendo che da questo « la fama del Signore pe-
rugino esce illesa e rinverdita »: di tale ‘affermazione deve
compiacersi specialmente la città nostra, che si gloria di
Ascanio della Cornia, come di una delle più eminenti figure
della sua storia.

Ma se in questo ed in altri scritti offrì il Coggiola prove
non dubbie del suo valore nelle indagini storiche, è pur vero
che egli con altre numerose pubblicazioni e meglio ancora

con la sua preziosa operosità di bibliotecario dimostrò di.

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essere « il bibliografo nato, il fervido amatore e ordinatore

di antiche carte » (1).
E quella operosità si manifestó in tutta la sua pienezza

‘e s'illuminó dell’aureola del più puro amor di patria durante

e dopo la guerra, quando il Coggiola si dedicó interamente
a porre in salvo, anche con pericolo della propria vita, i
manoscritti e i volumi rari della sua diletta Marciana e di
altre biblioteche minacciate dalle insidie nemiche, a consta-
tare i danni sofferti dalle nostre preziose raccolte durante
la invasione, a rivendicare i cimeli che nel periodo della
guerra ed anche prima ci erano stati involati.

Tanto lavoro intellettuale, cui andaron congiunte anche
materiali fatiche, fiaccó la resistenza fisica del Coggiola, che,
tornato malato da Vienna, dove con zelo indefesso aveva
atteso, insieme a Paolo D'Ancona e a Gino Fogolari, ai deli-
cati e gravosi incarichi delle nostre rivendicazioni, morì a
soli 41 anni.

Noi cinchiniamo reverenti alla memoria di lui, del quale
può a ragione affermarsi che cadde, come un soldato valo-
roso, per la grandezza d'Italia!

Prof. ANGELO BLASI

Alla cara e venerata memoria di Angelo Blasi, la. cui
morte avvenuta il 12 novembre 1919 ha suscitato così vivo

ed unanime rimpianto, mandiamo da queste pagine l'estremo:

reverente saluto, sicuri d' interpetrare fedelmente l' animo di
tutti i soci della R. Deputazione di Storia Patria per l’ Umbria.

Egli, che fu fra i fondatori di questo Istituto, sempre ap-
partenne come Socio Ordinario al nostro Consiglio direttivo,

(1) S. MonPURGO, In memoria di Giulio Coggiola bibliotecario della Marciana
di Venezia (Firenze, presso la Biblioteca nazionale centrale, 1919). Alla commemo-
razione consacrata all'amico e collega dall'illustre Prefetto della Nazionale di Fi-
renze va unito l’elenco delle pubblicazioni del Coggiola compilato dai suoi colleghi
della Marciana.
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NECROLOGI 329

e dalla fiducia dei Colleghi fu prescelto a far parte della
Commissione incaricata di portare i suoi giudizi sugli scritti
da pubblicarsi o nel Bollettino o nella raccolta dei fonti
storici.

Ognuno sa di quanta dottrina e di quanta acutezza d'in-
gegno fosse il Blasi fornito, e quindi può facilmente imma-
ginare qual prezioso. contributo egli abbia arrecato nel di-
simpegno del non facile incarico e con qual fiducia abbiano
ad esso ricorso ognora per consiglio e la Presidenza della
Deputazione e la Direzione del Bollettino.

Alle nostre adunanze il Blasi partecipò con esemplare
assiduità, e tutti ascoltavano con deferenza somma la parola
di lui, che illuminava ie menti ed era suscitatrice di nobi-
lissime idealità; talvolta, anzi spesso da quella parola tra-
spariva un giudizio severo, ma la severità andava ognora
congiunta alla giustizia ed era temperata dalla benevola in-
dulgenza, tutta propria di chi a fondo conosce gli uomini
per lunga meditazione sulle loro vicende. E questa bontà
che induceva il Blasi, nonostante lisolamento nel quale per
consuetudine di vita erasi racchiuso, a considerare in ogni
essere umano un fratello degno d’ amore sopratutto pel ri-
flesso della comune miseria, traluceva dallo sguardo ora
mestamente dolce, ora vivacissimo, rivelatore sempre del
l'alto ed arguto pensiero.

Il nostro Bollettino non ha mai accolto alcuno scritto di
lui, ché egli pur troppo rifuggi dall affidare alle stampe i
preziosi frutti de'suoi studi, dei quali il desiderio resta nei
pochi amici che ebbero il godimento di conversare con lui,
e negli studenti del Liceo e dell Accademia di Belle Arti,
ai quali egli seppe rivelare tutte le feconde armonie del
vero, del bello e del buono.

Della figura peró di Angelo Blasi rimarrà il ricordo non
soltanto fra noi, che avemmo la fortuna di conoscerlo e fra
coloro che lo ebbero maestro amato e venerato; esso durerà

anche fra le generazioni venture, poiché le menti profonde:
e gli spiriti eletti non possono non lasciare di sé incancel-

labile impronta nella vita morale ed intellettuale della città,
dirò meglio della regione ove nacquero.

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Nè si potrà scrivere un giorno la storia della cultura
umbra senza che in questa storia occupi uno de’ primi posti
Angelo Blasi: il quale, è a credersi, si appartó e non curò
di fermare in qualehe volume, come bene avrebbe potuto e
saputo, i tesori della sua scienza, sia per innata modestia,
sia per quel senso d'incontentabilità e d'insoddisfazione di
sé, che è caratteristico di chi intravede per-levatura d'in-
gegno e squisitezza d'animo la perfezione e sa di non poterla
raggiungere, sia da ultimo e sopratutto per il convincimento
della vanità delle cose umane e per l'affisarsi ognora più
intenso dello spirito verso una meta ultraterrena.

A quell’anima cara, che la meta ha raggiunto, vada il
nostro memore affetto!

Va

Prof. Ing. LEOPOLDO TIBERI

(Discorso pronunziato dinnanzi al feretro il 3 Dicembre 1919)

Nella parola, che, .or non è molto, Leopoldo Tiberi a noi
rivolgeva per onorare la memoria di Ulisse Rocchi, trepidava
la commozione di un fatale presentimento, e, nel rievocare
le azioni dell’ amico, volle anche raccogliere molti ricordi
della propria vita, come volesse porgerli, estremo legato di

affetto, alla città che amava.

E Perugia, che amava l’uomo che le recò onore con la
virtù del suo ingegno, afflitta per unanime cordoglio, rivolge
alla sua salma un saluto, in cui alla tristezza dell’ estremo
addio si unisce un profondo senso di rammarico e
forto, perchè sembra che tutto un complesso di idee, di

di

A.

scon-

moti, di forme di convivenza, che furono già vitali energie,

persona che più fedelmente lo rappresentava.

Se a me, suo compagno dell'insegnamento nel Liceo cit-
tadino, seguendo l'impulso di una spontanea forza affettuosa
«di dolci memorie, che disperde quelle men grate di con-

‘ora si dilegui nelle penombre del mistero, alla dipartita della
NECROLOGI I 931

trasti di opinioni e di sentimenti discordi, sarà dato di ri-
trarre rapidamente quel senso di vita che, palpitando nella
fibra e nell'animo giovanile di lut, fu espressione di un piü
vasto senso della vita della mia, patria, stimeró di aver of-
ferto il mio modesto omaggio alla memoria di lui, a nome
della scuola che ho qui l'onore di rappresentare.

La poesia e lamor di patria furono le prime fiamme
vivaci della inente e del cuore di Leopoldo Tiberi, e, se co-
strinse, per obbedire al volere paterno, la pronta e versatile
intelligenza agli studi matematici, pur coltivando sempre con
indefesso amore lo studio dai grandi scrittori antichi e mo-
derni, non tolleró freni all'impeto che lo spingeva ad unirsi
alle rosse schiere garibaldine che trascorrevan l'Italia come
vampe di fuoco, e fra i volontari di Mentana portò l'entu-
siasmo dei suoi diciannove anni, esultanti nella speranza che
gli accendeva nell'animo la visione di Roma.

Sedati, non soffocati, i moti del 1867, torna, dopo aver
conseguito la laurea d'ingegnere, ai suoi studi prediletti, pub-
blica i suoi primi versi, non si compiace inerte dei felici
successi ottenuti e delle lodi d'insigni letterati, ma si dedica
‘con intenso amore all'insegnamento della Storia nel patrio
Liceo, essendogli stata affidata la cattedra già tenuta dal
Bonazzi.

Sarà pregio dell’opera di chi vorrà, come da molti stu-
diosi si esorta, utilmente contribuire alla storia della let-
teratura nazionale, studiando le forme delle letterature re-
gionali, il valutare gli atteggiamenti della cultura umbra e
in particolare di Perugia, nel ventennio fra il '60 e 180.

Il Tiberi ebbe il merito di arrecare in questo campo
racchiuso, una più fresca vena di poesia, un più libero senso
d'arte, e, senza suscitar gelosi rancori di autorità offese, o
promuover invidie di rivali, seppe acquistarsi la benevolenza
e l'affetto di tutti.

La buona cultura classica gli mantenne la stima dei
retrivi alle novità esotiche; la geniale assimilazione dei più
notevoli motivi demussettiani gli procurò l' ammirazione dei
giovani.

Il suo: nome fu noto oltre i monti dell’ Umbria, e la Ri-

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332 NECROLOGI

vista letteraria la Favilla, da lui fondata, fu palestra dei più
fecondi ingegni della nostra regione, destando ovunque, specie
nei primi anni della sua esistenza, plausi e incoraggiamenti.

In quegli anni avvenne la pubblicazione del suo volume
di versi « Alba Nigra » che lo ascrisse con lode nel novero
dei poeti d'Italia.

Fu questo il periodo più bello della sua vita; fu l'affer-
mazione geniale delle sue facoltà artistiche, che, ove si fos-
sero raccolte in una piü delineata forma di espressione, an-
zichè diffondersi in varie guise, sfiorando tutti i generi della
poesia, avrebbero, per avventura, dato piü efficace testimo-
nianza dell intelletto suo. Tuttavia, é certo che notevole fu
l azione del; Tiberi sulla produzione letteraria umbra, per-
ché, serbando fede alla bellezza antica, ravvivó di spiriti
nuovi il sentimento estetico e le concezioni dei giovani che
lo salutavano loro maestro, mentre la patria concepiva le
più liete speranze sullavvenire glorioso del suo poeta.

Ma le gravi cure dell officio di insegnante di Storia al
Liceo e all’ Istituto tecnico, gli incarichi anche più alieni
dagli studi suoi, che ben potevano essergli affidati per la
versatilità dell'ingegno, al quale la coltura delle scienze esatte
permetteva di volgersi dalle astrazioni estetiche alla precisa
valutazione della realtà, e le lotte politiche, infine, trascinan
dolo nel tumulto delle lotte di partito e dei dissidi cittadini,
compressero, arginarono l’alta vena di poesia che gli sgor:
gava dallanimo, sospingendolo nell’ arena delle competizioni
giornalistiche, nel campo cosparso di spine delle gare elet.
torali e delle questioni più ardenti che dividono fra loro le
fazioni.

E lo vediamo candidato della parte democratica nelle
elezioni politiche, Direttore del giornale La Provincia, Pre-
sidente dell’Accademia di Belle Arti, Consigliere dell’ Acca-

demia del Teatro Civico, Presidente dei Reduci, Consigliere

della Società di Storia Patria, socio e guida di altri sodalizi
e di molti altri comitati che si prefiggevano intenti di filan-
tropia o rivolti a promuovere utili istituzioni cittadine.
L'artista dal verso fluido e corretto, il poeta dalle gentili
ispirazioni non raccolse copiosa messe di fiori e di frutti

^ NECROLOGI 333

dall'opera multiforme della sua attività di cittadino, e nelle
contese che dovette sostenere a difendere il vero e il giusto
(o quello che egli giusto e vero stimava) die’ e ricevette acri
punte, fu percosso e percosse, ma è sacrosanto dovere di
affetto di amici e di lealtà di avversari affermare che, sempre,
dalle più incresciose polemiche, dalle più difficili situazioni
create dalle agitazioni popolari, dagli odi personali, egli potè
‘levar alta la sua fronte, sicuro sotto l’usbergo di una co-
scienza che non gli rimproverava mai loschi interessi, obliqui
mezzi per avvantaggiarsi, compromissioni fra l'onesto e il
guadagno vile o l'abietta ambizione. |

Poiché nell'anima sua, sempre, fino agli anni in cui si
affievoliscono i bagliori onde rifulgono le aurore delle spe-
ranze giovanili, sempre brilló una viva luce di amore della
bellezza dellideale e inestinguibile fu il suo libero e profondo
culto per la patria, libera e forte, per le più ardite conquiste
del progresso umano, orientato alle fulgide mete della Giu
stizia dalla fratellanza dei popoli redenti da tutte le schiavitü
dell'azione e del pensiero.

Era questa la luce che balenava di spensierata gaiezza
nel suo limpido sguardo, quel giorno, quando fra i compagni
di quella « Bohéme » perugina che attende il suo narratore, egli
inneggiò, improvvisando, al trionfo della Democrazia, mentre
gli giungeva la notizia che per tre voti era caduto nelle ele-

zioni politiche! : i

Era questa la luce. che infiammò il suo spirito nella
propaganda a favore della Pace e dell’ Alleanza dei Popoli,
nella quale opera di bene parvero concentrarsi tutte le facoltà
dell'età sua matura a dar forma vibrante di vita alla più
bella visione di Poesia e di Libertà.

Non si doveva spegner così quella luce di Energia e di
Virtù operosa.

Il Poeta, nella ancor vegeta vecchiezza, poteva ancora
incitare gli animi col libero verso; il pubblicista democratico
poteva ancor con più austera ponderatezza di savi consigli
difender la causa che lealmente sostenne per tanti anni; il
cittadino poteva nei consessi patrii recar l’aiuto della sua

esperienza; il marito, il padre adorato, doveva ancor dalla .

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sua diletta famiglia ricever in contraccambio dell'amor suo
e delle sue cure, tutti i più grati doni dell'amore e delle
cure che coronano di un'aureola di serenità e di pace il capo:
dei vegliardi.

Alla degna consorte di Leopoldo Tiberi, ai figli suoi, vada
il sincero compianto dei compagni di studi, dei colleghi nel-
linsegnamento dell’ amato estinto e sien da loro benevol-
mente accolte queste parole che vorrebber lenire il fierissimo
dolore.

Invano accorreste a circondar delle vostre braccia il
vostro caro, quando il morbo letale, contratto per adempier
un dovere, ne prostrava improvvisamente le ancor valide
forze: egli vi fu rapito, ma la patria salva dall'oblio la me-
moria di Leopoldo Tiberi e la ferma, riconoscente, -negli an-
nali della sua storia.

FRANCESCO GUARDABASSI.

Pur troppo negli ultimi tempi la sventura si è abbattuta
più e più volte sulla nostra Deputazione, e noi dobbiamo.
deplorare la morte dei soci ordinari Prof. Torquato Cu-
turi e Conte Paolano Manassei, e dei collaboratori Ing. Al-
Tonso Brizi, Conte Girolamo Dominici e Prof. Abd.el-
Kader Salza.

Nel prossimo fascicolo faremo ricordo delle doti elette
d'animo e di mente che guadagnarono agli amici e colleghi
| perduti tanta stima e tanto affetto, e diremo come e quanto
essi hanno ben meritato del nostro Istituto e degli studi.
TAVOLA DE’ NOMI DI

ALDEROTTI TADDEO, v. Taddeo Al-
derotti.

AMELUNG W., 207.

ANDREA di Bartolo, 158 e sgg.

ANGELO (S.) in Panso, 82.

ANNIBALI (P. Flaminio) de Latera,
90:

ANSIDEI V., 37, 39, 225, 315.

AnTINORI Giovanni, Giuseppe e
Orazio, 295. |

ANTONELLI M., 292.

ANTONINI Antonino e Giuseppe,
303. ‘

ANTONIO d'Anghiari, 179.

ANTONIO da Ferrara, 162 e sgg.

ANTONIO Pisano, scultore di gem-
me e di pietre preziose, 85.

ARCANGELO di Cola, 171.

AREZZO (Duomo di), 167.

ASSISI, 61.

AUVRAY L., 98 e sgg.

BaciLE DI CASTIGLIONE G., 123.

BAGLION DE LA DUFFERIE L. (Ne-
erologio di), 325.

BaGLIONI (Famiglia), 127.

BaGLIONI Riporro, 124.

BALDO, 61.

PERSONE E DI LUOGHI

BALDINI C., 301, 302.
BoNpow C., 292.
BanNanBEI, 249,
BARTOLO, 61.

BARTOLO di maestro Fredi da Sie-

na, 158 e sgg.
BarroLOMEO da Varignana, 61.
BATTISTA, Orefice, 33.
BrAUFRETON M., 99.
BeLLuccI G., 197, 249.
BENDINELLI G., 216.
BERENSON, 161.
BERNARDINO (maestro), 57.
Bicci DI LoRENZO, 163.
BLASI A. (Necrologio di), 328.
BoroGwa, 61.
BowBE W., 162.
Bonacci-BRUNAMONTI A., 44.
BorGo San SEPOLCRO, 179.
Braccio FORTEBRACCIO, 162.
BRAMANTE, 126.
BRAUN, 192.
BRIGANTI F., 39.
Brizi A. (Annuncio della morte
di), 334.
BruGI B., 67.
BupApEsT (Galleria di), 166.
BuoNcoNVENTO (Pieve di), 161.

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CaAGNAT-CHAPOT, 248 e sgg.
‘CaLINDRI Bruto e Serafino, 803.
‘CARDUCCI G., 43, 44.

CASTELLARIO BERNARDINO Vescovo.

di Casale e Luogotenente ge-
nerale del Papa, 129, 131.
‘CHIARA (S.) d’Assisi. A quelle épo-
que sainte Claire d’ Assise ob-
tint-elle du souverain Pontife le
« Privilege de la pauvreté »?
Avec une bulle solennelle, iné-
dite, d' Innocent III, 71.

«CancI P., 313.

Cino da Pistoia, 61.

Città DI CASTELLO (Dipinti del
quattrocento a), 157.

CLEMENTE V (Bolla di) per lo Stu-
dio generale in Perugia, 60.

CoGgioLa G. (Necrologio di), 327.

COLASANTI A., 160 e sgg.

‘CONESTABILE G., 182 e sgg.

CoumIL L., 955.

Cozza Luzi G., 118 e sgg.

Crarro di Magonza, 81.
'CRISTOFANI A., 86.
CRISTOFORO DI JACOPO, pittore, 32.

Cururi T. (Annuncio della morte
di), 334.

DeGLI Azzi G:, 58.

DeLIsLe L., 90, 113.

Dino DEL GarBo, 6l.

Divina ComMmeEDIA (Dove fu stam-
pata la prima edizione della), 27.

Dominici G. (Annuncio della morte
di), 334.

Doppi NARDO, orefice romano, 33,
35.

TAVOLA DE' NOMI DI PERSONE E DI LUOGHI

^

EuseL (P.), 72 e sgg.

Faina E., 292.

FaLOcI-PuLIGNANI M., Dove fu
stampata la prima edizione del-
la « Divina Commedia », 27.

FANTOZZI A., 289.

FausTI.L., 297.

FEDERICO DA Lucca, 52.

FELTRO da Lucca, 52.

FEURBACH, 192 e sgg.

. FiLiPPINI E., 298, 309.

FiLiPPO (maestro) da Camerino, 56.

Fiocca L., 290.

Fiumi Maria Luisa, 309.

FORSTER, 162.

FOLIGNO, 27.

FRANCESCO da Siena, 61.

FrancescuccIo GHISSI, 160.

Franco da Lucca, 52, 56.

FRATINA ANTONIO governatore del
ducato di Spoleto, 128.

Fumi L., 290, 305.

GADDI A., 163.

GaLLI E., Riflessi della grande arte
sul sarcofago di Torre San Se-
vero, 3.

—, 200 e sgg.

— Nota a « La tomba etrusca dei
Velimni a Perugia » di E. Za-
lapy, 273.

GASPERINO, orefice, 33.

GENNARELLI, 190 e sgg.

GENTILE da Fabriano, 166.

GENTILE da Foligno, 38, 61, 63 e
sgg.

GERMAIN DELORME (P.), 99.
TAVOLA DE’ NOMI DI PERSONE E DI LUOGHI.

Giacomo di Ser Michele da Ca-
stello, 158 e sgg.

Giorgio dí Andrea di Bartolo da
Siena, 158 e sgg.

GiovaNNI d'Andrea, bolognese, 61.

GIOVANNI da S. Sofia, 61.

GiOVANNI di Pietro detto PAPA, 31.

GIOVANNI, orefice milanese, 33, 35.

GIOVANNI XXII (Bolle di) a favore
dello Studio perugino, 60.

Giunio II, 195 e sgg.

GNori U., 289, 293.

GnEGoRIO IX, 101 e sgg.

GUARDABASSI F., Necrologio . del
prof. L. Tiberi, 330.

Guipuccio di Montemixano, 57.

Gusman P., 206 e seg.

HELBIG, 249.
JAcoPo da Belviso, 61. a

JERKES (Raccolta) a New York
ESONI6I:

b)

ILaRIO (P.) 0. M., 83.
INNAMORATI F., 292.
Innocenzo III, 71 e sgg.

Innocenzo IV, 53, 96. e sgg.

KónTE G., 195 e sgg.

Lazzeri (P. Zeffirino) O. M., 100.
LgwPP E., 97.

LoRrENZETTI AMBROGIO, 166.

MAGHERINI-GRAZIANI G., 157.
ManasspI P. (Annuncio della morte
di), 334.

MANCINI G., 158.

Marco di Lisbona, 97.

MARIANO di Antonio, 175.

MARINANGELO, orefice di Foligno,
33. :

MARIOTTI A., 40.

MARTHA, 247.

MartINORI Edoardo, 295.

MATTEO d'Assisi; 61.

MAZZAFORTE (M. Pietro di- Gio-
vanni), pittore, 32.

MAZZARA M., La Rocca paolina di

' Perugia, 193. — Chiese antiche

di Montefalco, 275.

MAZZATINTI G., 54.

MeccoLI, A., 290

MEI EVANGELISTA, 27.

Mzo di Bindo da Siena, 158.

-MEZasTRIS (M. Pierantonio), pit-

tore, 32.

MICALI, 193.

MiGNINI V., scultore, 65.

MiLani L. A., 203. -

MoNpiNO MONDINI, 61.

MoNTEFALCO (Archivio del Comune
di), 129, 131.

MONTONE, 162.

MorINI A., 297.

NELLI OTTAVIANO, 175 e sgg.

NICHOLINUS (magister) de Frase-
neto, 49.

NicoLò DI LiBERATORE detto 1’ A-
LUNNO, pittore, 32.

NUMREISTER GIOVANNI, 27.

OLIGnR Livarius 0. M., 99e sgg.
Onorio III, 120.

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338

OnriN1 EMILIANO, 28, 33.
ORIOLI, 183.

PALAZZONE (Necropoli del), 182 e
sgg.

PaLOMBI G., 291.

PaoLo III, 123 e sgg.

Parisano Ascanio Legato pontifi-
cio à Perugia, 131, 132.

PasTOR (L. von), 193 e sgg.

PeNNACCHI F., 85, 289.

Pensi G., 296.

PERKINS, 162.

PERUGIA (Documenti per la storia
della medicina in) dalle epoche
più remote al 1400, 37.

— (La Rocca Paolina di) 123.

PETRUS (magister) perusinus me-
dicus vulnerum, 50.

PIERMATTEO DI SALVORO ORFINI,
orefice, .33.

PrETRO (maestro) da Vercelli, 51.

PoLETTI, 190 e sgg.

PoripoROo DI M. BARTOLOMEO, pit-
tore, 32.

RAINALDO, Cardinale, Vescovo di
Ostia, 97, 99.

RAINERIO (maestro) fisico Aretino.
48.

RAINIERO (maestro) perugino, no-
taro, 45 e sgg.

RiccERI A., 291, 292, 302.

Ricci E., 298, 299.

RicH A., 209.

ROCCALBEGNA, 166.

Rocca PaoLINA (La) di Perugia,
123.

TAVOLA DE’ NOMI DI PERSONE E DI LUOGHI

RocuwrTE R., 190 e sgg.

RorawpiNO di Rodolfino .de' Pas-
seggeri, 49.

RoscHER, 204 e sgg.

Rossi A., 30, 40, 41, 66.

SABATIER P., A quelle

d'Assise obtint-

époque
Sainte Claire
elle du souverain Pontife le
« Privilége de la pauvreté » ?'
Avec une bulle solennelle, iné-
dite, d' Innocent III, 71.
SACCHETTI-SASSETTI A., 294.
SALIMBENI da Sanseverino, 171.
SanMi M., 294.
SALVORO DI EMILIANO ORFINI, ore-
fice, 33.
Sanza Abd-el-Kader
della morte di), 334.
SANGALLO ANTONIO, 125 e sgg.

(Annnncio

SBARAGLIA 0 SBARALEA (P.), 73 e
sgg.

SCALVANTI O., 41, 42, 67.

ScHERILLO M., 298.

SENESI FILIPPO, 28.

SETTE CaMiNI (Tomba dei) presso
Orvieto, 211.

SgERVANZI-COLLIO, 192.

SEVERINI L., 66.

Signa (Medici di) a Perugia, 58,
61.

SIENA, 158.

Spano G., 245.

SPERONI, 192.

SpoLeto (Ducato di), 128.

SPOLETO, 291.

STEFANO di Magonza, 30.

STIONG E., 239. TAVOLA DE’ NOMI DI PERSONE E DI LUOGHI

STUDIO PERUGINO; 37 e sgg.

SYNIBALDUS magistri Mattei iudex,
52.

"TAppEo ALDEROTTI fiorentino o
TApDpEO da Bologna, 61.

TALAMELLO (Oratorio di), 165.

TAMAGNINI T., 292.

TARCHI U., Sullo scoprimento com-
pleto e sulla miglior conserva-
zione del mosaico romano di
S. Elisabetta in Perugia, 988,
300.

TARULLI L., Doeumehti per la sto-
ria della medicina in Perugia
dalle epoche piü
1400, 37.

TASSINAIA nel territorio chiusino,
226.

TEBALDO di Arezzo, 61.

TiBERI L. (Necrologio di), 330.

TouMasiNI-MATTIUGOI P. (Necrolo-
gio di), 315.

Tommaso DA CELANO, 72 e sgg.

remote al

Tommaso DEL GARBO, 61.

339

Tommaso, orefice di Foligno, 33.

TorrE SAN Severo (Riflessi della
grande arte sul Sarcofago di),
3.

Uco da Lucca, 52, 56.

UGoLINO Cardinale, 99.

VELIMNI (La tomba etrusca dei) a
Perugia, 181.

VENANCIUS (Magister) Monti de
Osmo, 49.

VEnMIGLIOLI G. B., 183 e sgg.

VIVENZA A., 292.

VIVIANI D., 215.

VorLuMNI, v. Velimni (La tomba

etrusca dei) a Perugia.
— (Presunta genealogia della fa-
miglia dei), 271.

WADDING, 92.
WAUER E., 109 e sgg.

ZALAPY E., La tomba etrusca dei
Velimni a Perugia, 181.

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INDICE DEL XXIV VOLUME

Memorie e Documenti.

Riflessi della grande arte sul Sarcofago di Torre San Severo.

(E. GALLI) . : Ter

Dove fu stampata la prima Sdisione dei Diyina Commedia
(M. FALoci PULIGNANI) ) .

Documenti per la storia della medicina in paniels (L. TA-
RULLI) : ;

A quelle époque sainte Claire d TOW obiit: elle du souve-
rain pontife le « Privilége de la pauvreté »? Avec une
bulle solennelle, inédite, d' Innocent III (P. SABATIER) .

La Rocca Paolina di Perugia (MARINO MAZZARA)

La leggenda di santa Mustiola e il furto del sant VAGALO
(E. Ricci)

Dipinti del sattzocdnto a Città di Castello (M. Sana):

La tomba etrusca dei Velimni a Perugia (E. ZALAPY)

Chiese antiche di Montefalco (MARINO MAZZARA)

Sullo scoprimento completo e sulla miglior conservazione del
mosaico romano, ora nascosto sotterra presso la demolita
chiesa di S. Elisabetta in Perugia (U. TARCHI)

Analecta Umbra e Recensioni.
Analecta Umbra . È
Recensioni Bibliografiche
Necrologi.

Prof. cav. Pietro Tommasini-Mattiucei — Conte Luigi de Ba-
glion de la Dufferie — Dott. Giulio Coggiola — Prof. An-

Pag: 8
DISTA
» 37
» 71
3523] 28
»i 1838
» 157
» 5181.
> 275
» 283
» 2989
». 305

gelo Blasi — Prof. ing. Leopoldo Tiberi - Pag. 315, 325, 327, 328, 330

Tavola de’ nomi di persone e di luoghi .

Pag. 335
Era già pronto, per esser pubblicato, questo volume del

Bollettino, quando con la morte del Prof. Comm.

GIUSEPPE BELLUCCI

avvenuta il giorno 2 di questo mese un altro lutto amarissimo
colpiva la Deputazione Umbra di Storia Patria.

Di Lui, che del nostro Istituto fu vanto e decoro e ad

esso, come Socio ordinario e come Vice Presidente, consacrò

tanta parte della sua mirabile attività e arrecò tanto prezioso
contributo di geniale erudizione e di dottrina profonda, faremo
più degno ricordo in un prossimo fascicolo; per ora ci asso-
ciamo al sincerissimo, universale rimpianto suscitato dalla perdita
dell Uomo illustre, la cui rinomanza, frutto di poderoso e
versatilissimo ingegno, di ferrea e costante volontà e di assiduo
e indefesso lavoro, varcó i confini, nonchè della nostra. regione,

d'Italia e si diffuse fra gli scienziati di tutto il mondo civile.

Perugia, Gennaio 1921.

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