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Anno XXVI. Fasorcorr I-IT-III (n. 68-70),

BOLLETTINO

DELLA REGIA DEPUTAZIONE

DI

STORIA PATRIA

PER L'UMBRIA

VoLUME XXVI.



PERUGIA
UNIONE TIPOGRAFICA COOPERATIVA
(PAL AZZO PROVINCIALE)

1923



IH



PRESIDENZA DELLA R. DEPUTAZIONE
| (1921-23)

Core ine

PRESIDENTE

Prof. Comm. FRANCESCO GUARDABASSI

VICE- PRESIDENTE

Prof. Comm. Mons. D. MICHELE FALOCI PULIGNANI

SEGRETARIO - ECONOMO

Prof. LUIGI TARULLI BRUNAMONTI
COMMISSIONE PER LE PUBBLICAZIONI

Ansidei V. — Briganti F. — Degli Azzi G. — Faloci Puli-

i gnani M. — Fumi L. — Tenneroni A.

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ATTI DELLA R. DEPUTAZIONE

-



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ADUNANZA DEL CONSIGLIO
tenuta in Perugia il 19 Settembre 1922 ore 15

nella sua propria Sede

Presidenza: Prof. comm. FRANCESCO GUARDABASSI.

Presenti i soci ordinari:

FALOCI PULIGNANI prof. comm. mons. D. MicHELE, Vice-Pre-
sidente — MAGHERINI GRAZIANI comm. GIOVANNI — DEGLI Azzi
march. comm. dott. GIUSTINIANO — FAUSTI prof. can.co D. LUIGI —
SACCHETTI SASSETTI prof. cav. ANGELO — CONESTABILE conte dott.

GIANCARLO — ANSIDEI conte cav. dott. VINCENZO — BRIGANTI
dott. FRANCESCO — CENCI prof. mons. Pro — MORINI cav. dott.
ApoLFo — TARULLI BRUNAMONTI prof. LurGI, Segretario.

Si apre la seduta.

Si dà lettura del verbale dell’ ultima adunanza del 14
Ottobre 1920, che viene approvato.

Il Segretario presenta le giustificazioni inviate dai soci
ordinari assenti:

FUMI conte comm. Lurer — BELLUCCI prof. ALESSANDRO —
FILIPPINI dott. prof. ENRICO — LAURETI avv. PASQUALE — CRI-
STOFANI prof. GusTAVvO.

Poscia il Presidente prende la parola onde ringraziare
— essendo questa la prima adunanza ordinaria tenuta dopo
la sua elezione — i Colleghi dell’onore a lui fatto per essere









VIII ATTI DELLA R. DEPUTAZIONE

stato prescelto all’alto Ufficio, al quale è affidato non solo il
mandato di curare che la Società pubblichi regolarmente le
proprie memorie ed i resoconti dei suoi progressi, dimostra -
zioni evidenti di fervida vitalità, ma l’altro, ancora più im-
portante, di mantenere sempre ed in maggiore onore il
culto della storia e l’ amore verso di essa. Questa non deve
essere — così Egli proseguiva — una raccolta, anche ac-
curata, di monografie erudite, ma studio ampio, diligentè e
sereno di tutti gli avvenimenti della vita vissuta e vivente,
accompagnato da uno spirito di critica e di ricostruzione
ad un tempo e tale da formare un nobile e durevole monu-
mento di sapienza e di cultura patria.

Ed appuuto, in relazione a questa concezione un pò di-
versa di quella finora avutasi nel programma da svolgere,
che si dovrà sentire, come logica conseguenza, la necessità
di una migliore intesa fra le Deputazioni consorelle ed in
special modo con quelle in stretti rapporti con la Nostra,
onde raggiungere un più attivo scambio di idee intorno ai
lavori da compiersi, da portare una ognor crescente ed omo-
genea produzione, accompagnata anche da emulazione nelle
ricerche, più forte ancora di quella finora avutasi.

Del resto così operando, non si va incontro ad un fatto
nuovo, ma si seguono le norme con tanta sapienza preparate
e con tanto ardore sostenute e diffuse nei ripetuti Congressi
di storia dai nostri sommi Maestri, i quali, auspicando co-
stantemente una maggiore unione tra gli studiosi, indicavano
i vantaggi immensi che da essa ne sarebbero derivati nell’e-
same dei complessi problemi storici, la cui soluzione spesso
non è possibile senza l’aiuto reciproco di molti e valenti
collaboratori.

Il Presidente pone termine al suo dire, esprimendo l’au-
gurio che al suo buon volere non manchi e la cooperazione
di quanti portano amore alle nostre ricerche e quella dei
soci tutti della R. Deputazione di storia patria per VUmbria,
più delle altre ambita e desiderata.



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e grae ei * ME macer came _—_____ _ _

E

ATTI DELLA R. DEPUTAZIONE IX

I presenti, accogliendo con segni manifesti di unanime
e cordiale assentimento le parole del loro Capo, facevano
comprendere di condividerne il pensiero e di approvarlo
interamente.

Il Segretario quindi, ad invito del Presidente, rende
informati i soci delle pratiche compiute, con esito fortu-
nato, presso il R. Commissario del Comune cav. Farina, in
mancanza del Consiglio Comunale, perchè la R. Deputazione
avesse una nuova sede — quella attuale — più comoda e
più decorosa della precedente; del trasporto ivi fatto, oltre
che di tutte le proprie pubblicazioni, dei periodici venuti in
cambio; dei libri; delle monografie inviate in dono, le quali
ultime costituiscono una copiosa miscellanea, sapientemente
ordinata e formante la raccolta più pregevole della Biblio-
teca della Deputazione medesima per l’importanza e la ric-
chezza del contenuto.

In questa sistemazione, resasi indispensabile anche per
il copioso materiale che ogni giorno più veniva accumulan-
dosi, e nel suo ordinamento, l'Ufficio di Presidenza fu vali-
damente coadiuvato dal Direttore e dal personale della Bi-
blioteca Comunale di Perugia, la quale fino ad ora aveva,
con vera signorilità, ospitata la sua sorella minore, provve-
dendo generosamente a tutte le sue occorrenze.

In vista pertanto dei nuovi bisogni per una migliore e
maggior custodia ed incremento della propria Biblioteca il
Segretario esprime il desiderio che la R. Deputazione fis-
si nel suo bilancio una somma, sempre nei limiti della pro-
pria potenzialità economica, collo scopo principale, per il
momento, di provvedere nel modo più adatto perchè le
collezioni che presentassero delle lacune siano completate.

Il Consiglio, su proposta del Presidente, stabilisce di in-
viare parole di ringraziamento al cav. Farina ed al socio
dott. Briganti, Direttore della Comunale, per gli aiuti prestati
e per la cooperazione offerta e di stanziare nel bilancio una
somma conveniente per la Biblioteca, la quale ora forma







DA ATTI DELLA R. DEPUTAZIONE

lornamento più decoroso e più bello della R. Deputazione.
La cifra dovrà però essere fissata nella discussione del pre-
ventivo degli anni 1922-23.

Il Segretario - Economo fa poi la sua relazione intorno
alle condizioni economiche della Società. Su di essa s'ini-
Zia subito un'ampia ed esauriente discussione, con lo scopo
precipuo di provvedere alle più urgenti necessità che nel-
lora presente gravano sul suo modesto bilancio, rappresen-
tate specialmente dalle spese che si sostengono per le va-
rie pubblicazioni, spese aumentate in modo notevole per
il cresciuto costo della carta e della mano d’opera. Vi pren-
dono parte il Presidente, i soci dott. MORINI, dott. DEGLI
Azzi, dott. BRIGANTI, conte ANSIDEI ed il Segretario. Si sta-
bilisce ad unanimità di dare incarico all’ Ufficio di Presi-
denza perchè inizi le pratiche più opportune onde ottenere
un notevole aumento nei sussidi dello Stato e della Provin-
cia finora elargiti e di modificare, incominciando dal prossimo
anno 1925, i contributi che i vari soci appartenenti alle dif-
ferenti categorie pagano, nel modo seguente: la quota dei
soci ordinari e collaboratori viene elevata da L. 10 a L. 18
e quella dei soci aggregati e corrispondenti a L. 20; ed il
costo di ogni annata del Bollettino portate per l’Italia a
L. 40 e per Y Estero à L. 50.

Si nominano a revisori dei consuntivi 1920-1921 i soci
dott. GIANCARLO CONESTABILE e dott. GIUSTINIANO DEGLI
Azzi. Ma in vista dell'ora tarda e dei numerosi argomenti
ancora da trattare il Consiglio delibera di riunirsi nuova-
mente nelle ore antimeridiane del giorno seguente per com-
pletare la discussione dell'ordine del giorno.

IL PRESIDENTE
Prof. GUARDABASSI.

Il Segretario
Prof. TARULLI BRUNAMONTI. ATTI DELLA R. DEPUTAZIONE XI

ADUNANZA DEL CONSIGLIO
del 20 Settembre 1922 in Perugia, ore 9

Presidenza : GUARDABASSI prof. comm. FRANCESCO.

Intervenuti i soci ordinari :

FaLocI PULIGNANI Vice-Presidente — MAGHERINI GRAZIANI —
DEGLI Azzi — FAUSTI — SACCHETTI SASSETTI — CONESTABILE —
ANnsIDEI — BRIGANTI — CeNcI — MoRINI — TARULLI BRUNAMONTI,

Segretario.

I Revisori dei consuntivi ;1920-1921 presentano la loro
relazione, che, dopo breve discussione, viene approvata ad
unanimità.

Il Segretario sottopone all’ esame degli adunati i pre-
ventivi del 1922-1923 facendo rilevare in particolar modo
come l'attivo dei medesimi si presenti per il momento
in condizioni relativamente buone, specialmente per le vive
premure dell'Ufficio di Presidenza, il quale, con opportune
circolari a stampa aveva curato che i soci ritardatari nei
pagamenti compissero il proprio dovere. I risultati ottenuti
sono stati veramente confortanti, tanto che non lieve é stata
la somma riscossa. Il beneficio delle riscossioni arretrate
mancherà però nei futuri bilanci.

Dopo un attivo scambio d’ idee intorno ai vari Capitoli
si stabilisce che, incominciandosi dal 1923, si stanzi una
somma per la conservazione ed il miglioramento della Bi-
blioteca sociale, che per quest'anno viene fissata in L. 400
e per il completamento delle varie collezioni dei periodici e
L. 500 per la rilegatura delle medesime.

Si conviene inoltre di dare al personale di Segreteria

delle gratificazioni, in quei limiti che il Presidente crederà









XII ATTI DELLA R. DEPUTAZIONE

di stabilire, per il lavoro di ufficio che ogni giorno si fa più
intenso.

Dopo di che i preventivi stessi sono approvati.

Si viene alla nomina di due soci ordinari per comple-
tare il numero fissato dallo Statuto. Si eleggono gli scruta-
tori nelle persone dei soci dott. BRIGANTI e dott. DEGLI
Azzi. Fatta la votazione per schede segrete, dallo spoglio
delle medesime si ha il seguente risultato :

PERALI cav. prof. PERICLE votanti 12 - voti 12
TorDI prof. comm. DOMENICO » 12:-.»... 12

Riescono quindi eletti ad unanimità i signori:
PeERALI eav. prof. PERICLE e Tompi prof. comm. DOMENICO

i cui nomi saranno sottoposti all’ approvazione sovrana.
Vengono poi nominati nuovi soci nelle varie categorie,
secondo l’urt. 2 dello Statuto.

Soci onorari :

FEDELE prof. Pietro, Ordinario di storia moderna nella R.
Università di Roma — Pars prof. Pietro, Senatore del Regno, Or-
dinario di Storia antica nella R. Università di Roma — Munoz
prof. AnToNIO, Sopraintendente ai Monumenti di Roma, docente
di storia dell’ arte nella R. Università di Roma — NOGARA prof.
BARTOLOMEO, Direttore generale dei Musei Vaticani — Dr BAR-
TOLOMEIS prof. Vincenzo, Ordinario di storia comparata delle let-
terature neolatine nella R. Università di Bologna — BEDA CARDI-
NALE mons. GiovaNNI, Arcivescovo titolare di Chersona, Nunzio
Apostolico nella Repubblica Argentina.

Soci collaboratori :

FORTINI avv. ARNALDO, Presidente dell’ Accademia Proper-
ziana di Assisi — PossenTI cav. prof. Prer GAETANO, Scultore




XIII



ALTI DELLA R. DEPUTAZIONE




























architetto — ALunNo prof. AURELIO, Direttore della R. Scuola
Tecnica di Gubbio.

Soci corrispondenti :

GuIpI prof. cav. uff. arch. Pierro — DELLA TorRE cav. EN-
RICO, R. Ispettore dei Monumenti a Gubbio — PEscI dott. Don |
UwBERTO, Membro della Società per la Storia Eecelesiastica del- |
l’Umbria — SeLvaeGi comm. Marco, Direttore dei Musei di Lecce |

|

|

|

| ^

| — Costanzi comm. prof. PIETRO.
Y 2 . Il
Socl aggregati :

CraurRO prof. cav. ITALO, Direttore didattico delle Scuole |
elementari di Perugia — PeRGOLANI magg. MARIO — FANTOZZI
I prof. ANTONIETTA — MONTESPERELLI-BoNUOCI contessa CAROLINA, |
i Presidente del Cireolo di Cultura femminile di Perugia Vittoria |
Aganor Ponpilj — BknLuccr dott. BRUNO — Sig.na VITTORIA FA-
BRIZI DE’ BIANI — FANI avv. AMEDEO — TrincI prof. GruLio, In- |
segnante di Zoologia nell'Università di Perugia — CALZONI àvv. |
UMBERTO — Sig.na ANTOLINI-PASQUINI TiNA — PAOLETTI dott.

ANNA.

Non essendovi altri affari da trattare, l’ adunanza è

| sciolta.

IL PRESIDENTE
Prof. GUARDABASSI

Il Segretario
Prof. TARULLI BRUNAMONTI.





XIV ATTI CELLA R. DEPUTAZIONE

ASSEMBLEA GENERALE
del giorno 20 Settembre 1922, a ore 10
in Perugia nella gran Sata del Palazzo Comunale

gentilmente concessa

Presidenza : prof. comm. GUARDABASSI.

Presenti i soci ordinari :

FALOCI PULIGNANI, Vice-Presidente, Rappresentante anche la

Società per la Storia Ecclesiastica per l’ Umbria — MAGHERINI
GRAZIANI — DEGLI Azzi — FAUSTI — SASSETTI SACCHETTI — Co-
NESTABILE — ANSIDEI — BRIGANTI — CENCI — MORINI — CRI-
STOFANI — TARULLI BRUNAMONTI, Segretario.

Ed i soci:

VALENTI T. — CorBuccI V. — Pucci BomcamBI R. — AN-
TONELLI M. — RiccierI D. A. — FERRERO D. — BELFORTI R. —
BoccoLINI P. — OppI BaGLIONI A. — ANGELINI L. — Pascucci G.
— VIGNAROLI E. — CeRoNI G. — MENCARELLI F. — GIUBBINI A.
— PossENTI P. G. — Pensi G. — Pesci F. — PIASTRELLI D. L.

— ANTOLINI C.

Sono intervenuti il R. Prefetto comm. Franzè; il cav. Fa-
rina R. Commissario del Comune; i Generali di Divisione e
di Brigata, con i loro Ufficiali di Ordinanza; il comm. Bor-
relli per la Commissione della Provincia; il R. Procuratore
del Re comm. Andreoli , il Rettore dell’ Università; il pro-
fessore Fedele dell'Univ. di Roma, in rappresentanza anche
della Società Romana di Storia Patria, dell'Istituto Storico Lom-
bardo e della R. Deputazione di Storia di Torino; il comm.
Astorre Lupatelli Presidente dei Corsi estivi di cultura ; l'avv.
Arnaldo Fortini Presidente dell' Accademia Properziana di
Assisi; il comm. Selvaggi Direttore dei Musei di Lecce; il
prof. A. Iraci Vice-Presidente della Brigata degli Amici del-









ATTI DELLA



R. DEPUTAZIONE XV

l'Arte, rappresentante anche dell’ Accademia di Belle Arti
di Perugia; il prof. Angelo Lupatelli.

Il Segretario da lettura dei telegrammi e delle adesioni
inviate da S. E. l’on. Cingolani Sottosegretario di Stato, il
quale si scusa di non poter esser presente, come delegato
speciale del R. Governo e per proprio conto, perchè richia-
mato d’urgenza in Roma per ragioni dell’alto ufficio; dai soci
prof. Sabatier e prof. Pennacchi, quest’ultimo anche per in-
carico della Società Internazionale di Studi francescani di cui
è presidente; parimenti dal socio prof. Perali direttore del
Museo Etrusco Romano di Perugia; del socio avv. Laureti
presidente dell’ Accademia Spoletina; dal P. Cavanna diret-
tore dell’ Oriente Serafico; dal prof. comm: Albano Sorbelli
direttore della Rivista l Archiginnasio di Bologna, della Bi-
blioteca dell’ Archiginnasio bolognese e segretario dell’ Istituto
per la Storia dell’ Università di Bologna; dal prof. comm.
Giuseppe Agnelli presidente della Deputazione ferrarese di
Storia patria; dal prof. D. Placido Lugano direttore della
Rivista Storica Benedettina; dai soci prof. comm. Ciro Tra-
balza, conte Giuseppe Manzoni, prof. Guerra Coppioli comm.
Luigi, D. Mauro Pierleoni cassinese, colonnello Leonetti Lu-
parini D., Ricci prof. D. Ettore d. o., Valentini on. conte
Luciano, cav. uff. Perelli C., dall'avv. Gio: Antonio Pierani,
dal prof. Emilio Robiony.

Il Presidente dichiara aperto il Congresso.

Il Segretario da lettura dei verbali delle adunanze te-
nute nel 1919-1920 e dei resoconti finanziario e morale della
R. Deputazione di detti anni, nonchè dei consuntivi 1920-1921
e preventivi degli anni 1922-1923, già approvati nelle sedute
del Consiglio del 19 Settembre 1923.

Parimenti comunica le designazioni dallo stesso Consiglio
fatte circa la nomina dei nuovi soci nelle varie categorie.

L'assemblea approva.

Quindi prende-la parola il Presidente prof. comm. Fran-
cesco Guardabassi.







XVI ATTI DELLA R. DEPUTAZIONE

Signore e Signori,

A malgrado delle giuste diffidenze verso ogni forma
«di quella modestia retorica che quasi sempre si atteg-
gia nei preamboli dei discorsi, in aspetto di commosso
pentimento, per aver ceduto all’ invito di parlare, il che
non vieta che l'oratore, certo dell'assoluzione, trascorra
poi ardito nel campo delle ipotesi, delle affermazioni e
spesso anche delle invettive; quantunque m’ incresca' sin-
‘ceramente di accennare a me stesso, nel prendere la
parola innanzi a voi, o Signori, vi prego di tener per
fermo che niuna indulgenza di amico potrebbe dissua-
dermi dalla convinzione che altri più degno di me do-
veva riaprire, la serie dei convegni dei Soci della R. De-
putazione di Storia Patria dell’ Umbria, dopo l’ultima
adunanza dell’ 11 novembre 1916.

E se posso ancor meglio manifestare una tal mia
convinzione, dirò che spettava al Conte Vincenzo Ansi-
dei di rievocare e confermare quest'oggi a voi, o Signori,
quella fede nella vittoria delle nostre armi e nel trionfo
dei nostri diritti, che in quell’ultima seduta dell’ Assem-
blea generale dei Soci vibrava nell'animo suo e avvi-
vava la sua eletta parola. Ma la vera modestia di lui,
disgraziatamente confortata da una disposizione statu-
taria, che se puó esser ragionevole per Società di diverso
carattere, non sembra conveniente a un Sodalizio di col-
tura come il nostro, non ha permesso che codesto no-
stro desiderio fosse appagato.

La Presidenza nuovamente eletta è ben consapevole
degli obblighi che le incombono in questo momento della
vita della Società. Le cause a tutti note determinarono
una sosta nella attività sua, di guisa che può ben dirsi
che sia questo un turning point della nostra esistenza, per
la imprescindibile necessità di rimettere in valore ener-
gie, intenti, direttive, criteri, ponendoli in funzione con
‘correnti culturali, con metodi critici con mezzi di divul-

gazione.o radicalmente modificati o assorti a nuove si-

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ATTI DELLA R. DEPUTAZIONE XVII

gnificazioni per effetto della crisi storica del breve aevi
spatium di questi ultimi anni.

Avviseremo con voi, o Signori, le più opportune
misure per rinvigorire l’azione nostra e accenneremo a
più avveduti spedienti per ottenere i più solleciti e felici
resultati, ma è doverosa consuetudine di questi nostri
convegni rivolgere dapprima uno sguardo al cammino
percorso, per ricordare, per trarre dai ricordi conforti e
ammaestramento.

E i ricordi che ricorrono subito alla mente sono per-
vasi dalla tristezza che cagiona la estrema dipartita
delle persone più caramente dilette, sono i ricordi dei
nostri soci che con la feconda collaborazione e col sus-
sidio dei consigli e dell’ assistenza amorevole alimenta-
rano la Società nostra, per il maggior decoro della
nazione e degli studi storici nazionali. Son molti, e la
parola li enumera con mesto senso di rimpianto, che
vorrebbe nè può effondersi nella accurata descrizione
delle loro benemerenze. Sono il Conte Paolo di Cam-
pello Della Spina, il Prof. Leopoldo Tiberi, il Prof. An-
gelo Blasi, il Prof. Torquato Cuturi, il Conte Paolano
Manassei, il Prof. Giuseppe Bellucci, il Prof. Pietro
Tommasini, e ancora il Conte Serafino Frenfanelli Cibo,
il Prof. Dante Viviani, il Prof. Francesco Moretti, il
Prof. Abd el Kader Salza, il Conte Girolamo Dominici,
il Conte Luigi de Baglion de la Dufferie, il Dott. Giulio
Goggiola, il Conte Favorino Fiumi, il Dott. Raniero Gi-
gliarelli.

Triste elenco che la parola compilava nell’angustia
incresciosa dei limiti che le sono imposti da questa trat-
tazione, ma in ogni nome dei nostri morti, qual fremito
di vita non palpita ancora, non palpiterà sempre, susci-
tando nei nostri cuori nobili sensi di emulazione e fer-
vido culto della più pure idealità dello spirito nostro!

E qui mi si permetta di esprimere un voto che è in
relazione a intendimento già espresso dal mio predeces-
sore nella Presidenza a questa assemblea, per rispetto

ad una commemorazione da tenersi in onore dei soci







XVIII ATTI DELLA R DEPUTAZIONE

defunti Nicasi, Scalvanti e Sordini. In una prossima
adunanza dei soci (io vorrei che queste adunanze si con-
vocassero più di frequente e stimo che i resultati dei
nostri lavori sarebbero anche più efficaci, quando si
volesse far di meno di quelle gite e di quei banchetti,
che ad alcuni sembrano indispensabili in tali circo-
stanze) in una prossima adunanza dei soci sarebbe rito
solenne di affetto e di gratitudine ed opera utile agli
studi nostri, ricordare l’attività dei compianti nostri
colleghi che in notevole parte si affermò anche nel
nostro periodico, per delinearne i caratteri fondamen-
tali di criteri e di metodo, per mettere in migliore evi-
denza, nei confronti della indagine storica nazionale,
alcuni accertamenti da loro ottenuti, o ignorati, o mal
noti.

Son persuaso che siffatte coscenziose ralutazioni,
eseguite con amoroso uso di sapienza, gioveranno a of-
frire ancor più saldi criteri di selezione degli scritti pro-
posti per la pubblicazione nel Bollettino alla Commis-
sione, che deve tornare a funzionare regolarmente, assi-
duamente, dacchè come la Presidenza non può arrogarsi
diritto di accettazione o di rifiuto che statutariamente non
non le spetta, così non può ammettersi che il Segretario
Economo della nostra Deputazione abbia sempre la col-
tura, il disinteresse, la pazienza che ha avuto il Prof. Ta-
rulli per ottenere che vedesse la voce il Volume 25° del
Bollettino, frale difficoltà e i fastidi dei ritardi frapposti
dagli autori degli articoli, degli indugi del tipografo e
delle,mie tormentose sollecitazioni. Col valido aiuto della
Commissione, la Presidenza come rivolse, non appena
entrò in carica, le sue prime cure al Bollettino, conti-
nuerà a dare opera quanto potrà efficace, affinchè la
pubblicazione rientri nella sua completa regolarità di
date e di numeri di fascicoli per ogni anno, secondo gli
impegni con gli associati, e si adottino tutti i miglio-
ramenti consentiti dal bilancio, e quelle modificazioni

che i consigli vostri vorranno indicarci.

Ed i Tu

|
|





ATTI DELLA R. DEPUTAZIONE XIX

E a quest'ultimo fine come anche a opportuna ras-
segna del lavoro compiuto, intrattenendoci sulle pubbli-
cazioni sociali apparse dopo il novembre del 1916, po-
tranno aver luogo alcune osservazioni atte a imprimere
migliore indirizzo alle più cospicue affermazioni delle
nostre attività.

Dal fascicolo 1°, n. 56, dell’anno 22 sg’ inizia la serie
degli scritti ai quali si rivolge l’attenzione nostra, e l'in-
teressante e insieme profondo studio del chiaro signor

Galli sopra un cippo orvietano con scena di commiato

funebre, ci porge argomento per confermare quanto

esponemmo intorno alla necessità di un diligente studio
da parte della Commissione per le pubblicazioni, allo
scopo di determinare con precisione, così i criteri generali
relativi alla accettazione delle monografie, nei riguardi
del loro contenuto, come il metodo della distribuzione
delle monografie stesse. Se infatti si voirà decidere per
deliberato proposito, non già per cortese condiscendenza
del momento verso -questo o quello fra i nostri collabo-
ratori, che il Bollettino di Storia patria per l’ Umbria
accolga anche scritti di Storia dell'arte, di Archeologia,
di Storia letteraria, potrebbe forse esser preso utilmente
in esame il progetto di dare ai fascicoli di carattere pu-
ramente storiografico alcune appendici dedicate agli
altri generi.

Segue lo scritto del Conte Vincenzo Ansidei sulla
tregua fra Galeotto Malatesta, signore di Rimini e An-
tonio di Montefeltro, conte di Urbino. È documento cer-
tamente inedito di notevolissimo pregio della tregua del
21 marzo 1380, confermata il 7 aprile successivo nelle
mani dei Priori e dei Tre Super bono et pacifico Statu
et conservatione libertatis del Comune di Perugia, dacchè
i dissensi fra i Malatesta e i Montefeltro si complicarono
con loro particolari dissidi col Comune perugino. L’il-
lustrazione del documento viene eseguito dall’ Ansidei
con diligente circospezione e i raffronti coi molti passi
degli Annali decemvirali proiettano viva luce sui fatti

presi in esame,






ATTI DELLA R. DEPUTAZIONE

Contributo di particolare interesse, se non di im-
portanza singolarissima, come avverte lo stesso sig. Gio-
vanni Mischi sono gli Ordinamenta Mortuorum di Città
di Castello che egli annota con sobrietà efficace,

Ed ecco Giustiniano Degli Azzi che torna a offrire
al nostro Bollettino la sua geniale perizia del metodo,
la sua mirabile diligenza, la sua indefessa operosità col
Saggio di bibliografia archivistica Umbra, per attuare il
proposito di una ‘completa Guida archivistica Umbra,
per riunire (son le sue parole) in quadro sintetico e il
più presto possiblle tutto il materiale archivistico sparso
per la nostra vasta regione, tutta la ingente suppellet-
tile documentaria che si trova così presso le pubbliche
ammininistrazioni come presso i privati, di carattere
politico, amministrativo, giudiziario ed ecclesiastico di

. epoche antiche e moderne.

Son certo che il mio pensiero è quello stesso di
tutti i soci qui convenuti, quando esprimo il desiderio
che Giustiniano Degli Azzi torni presto in seno alla sua
Perugia, per dar compimento a questo suo proposito di
così grande utilità agli studi storici dell’ Umbria, per
porgere il suo validissimo aiuto all’ opera nostra, per
continuare la pubblicazione del suo studio che più in-
nanzi troviamo iniziato in questo periodo della nostra
produzione: voglio dire le Leggi Suntuarie perugine nel-
l’età di Comuni. à

E ricordata la bella memoria del Dott. Adolfo Mo-
rini su Todi illustrata dallo storico di Cascia Panfilo
Cesi, additato, con qualche dubbio sulla convenienza di
accogliere anche progetti di restauri da servire per
concorsi a cattedre di architettura; il lavoro del Profes-
sor Tarchi sul ripristino e restauro (che non sarà mai
effettuato) del palazzo del Capitano del Popolo di Pe-
rugia; voglio soffermarmi con voi dinanzi al nome ve-
nerato ed illustre di Luigi Fumi, che con lo scritto sul-
l’ Assedio di Enrico di Svevia, re dei Romani, contro
la città di Orvieto nel 1186, in virtù della perspicacia
dell’ acuto ingegno e della sapiente indagine pronta ed



ATTI DELLA R. DEPUTAZIONE XXI

accorta ad afferrare le rispondenze dei fatti cautamente
accertati, dissipa la nebbia delle leggende e getta un
fascio di luce sulla verità.

Da questo convegno onde la nuova era di attività
del nostro Istituto deve trarre i suoi auspici, vada un
fervido saluto a Luigi Fumi, onore degli studi storici
dell’ Umbria e d' Italia tutta, con la calda preghiera che
sempre costante sia il suo sussidio all’opera nostra, la
quale non potrà esser proficua se non sarà animata da
quella stessa fede che avvivava il suo nobile intelletto,
quando egli reggeva i primi passi della nascente So-
cietà!

Di seguito alla monografia del Fumi, come a rendere
onore al maestro insigne, si succedono notevoli studi del
Rieceri sul Castello di Poggio Aquilone col testo dello
Statuto del 1556 ; del Fausti su Camillo Orsini e la paci-
ficazione di Spoleto del 1516 e sul Portico del Duomo di
Spoleto; del Canuti sulla Patria del Pittore Giannicola ;
del Pomponi sul Battisterio di S. Maria Maggiore di
Spello; e di singolare importanza lo studio del Dottor
Francesco Briganti sopra: Un protocollo di Pietro Petrioli
di Bettona, notaro di Andrea Bontempi Vescovo di Pe-
rugia.

Il Dott. Briganti, veramente benemerito dellà nostra
Società, col plauso e con la più vera compiacenza di
tutti gli studiosi perugini, nominato or non è molto Bi-
bliotecario della nostra comunale, degno continuatore
dell’opera del Conte Ansidei, ha illustrato questo docu-
mento con la sua consueta valentia. Rivivono nel proto-
collo del Petrioli i nomi di Bartolo, di Baldo, dell’Al-
bornoz, del Caradonna, dell’Orsini, dei Trinci e gli atti
che lo compongono si riferiscono al periodo più bello
della libertà perugina, quando, nel pieno vigore dei suoi
ordinamenti, nella coscienza della sua forza e della sua
autorità, pur serbando fede al principio animatore della
sua politica, contrasta con audacia ad ogni tentativo di
sopraffazione da parte di ogni potere che tendesse a co-

stringere l’azione sua.



XXII ATTI DELLA R. DEPUTAZIONE T

È inoltre da ricordare lo speciale interesse delle os- |
servazioni del Dott. Briganti sovra alcune forme di con- |
tratto di matrimonio che si rilevano dal documento. |

Fu già detto come in questo periodo si rendesse più |
diffieile la pubblicazione del nostro Bollettino, ma a soc- do
correre la buona volontà dei compilatori, vediamo of- |
frirsi l’aiuto . di Monsignor Faloci Pulignani, presidio
e decoro (mi permetta l’ illustre uomo di rivolgergli la
parola di Orazio con più dignitosa significazione di |
pensiero) presidio e decoro degli studi storici umbri, che |
con gli seritti su Siena e Foligno, sulle Cronache di
Spello degli Olorini, con la memoria Dove fu stampata la
1* edizione della Divina Commedia avvalora V importanza
degli ultimi fascicoli dei volumi 23 e 24, adorni anche
dei lavori del Pardi sull’ Umbria e il Barbarossa, del
Prof. Tarulli, che inizia nel volume 24 la pubblicazione
dei Documenti per la Storia della Medicina in. Perugia, 5
testimonianza dei meriti acquistati dai suoi diligentis- T^
simi studi e dell'amore purissimo da lui nutrito per la
nostra Università.

In questo volume, se togli gli scritti del Faloci, del
Tarulli già ricordati, del Sabatier sulla bolla inedita di
Innocenzo III, come il Privilegio di povertà a S. Chiara
d’ Assisî e di Ettore Ricci sulla Leggenda di S. Mustiola e
il furto del Santo Anello, abbiamo un’accolta di lavori di
Archeologia e di Storia dell'Arte, fra i quali primeggia
la monografia sulla Tomba etrusca dei Volumni di Emi-
lia Zalapy, richiamandoci con cura ancor più viva alle
osservazioni già espresse nel principio di questa ras-
segna.

Il volume 25°, testè edito, comprende il Regesto della
Pergamena della Sperelliana di Gubbio del solertissimo
socio Pio Cenci, lo Studio del Valentini su Braccio da À.
Montone e il Comune di Orvieto che non promette, ma
attesta un’energia singolare di studioso, la continuazione
dei Documenti della Storia della Medicina in Perugia
del Prof. Tarulli e il Regestum reformationum comunis

^,

Perusini dal 1256 al 1300 dell’ Ansidei, che imprende così





ATTI DELLA R. DEPUTAZIONE XXIII

da par suo a dar attuazione ad uno dei primi progetti
formulati dai fondatori della Società, offrendoci come
segno augurale della nostra operosità, a questa svolta
della vita della Deputazione, la testimonianza del suo
culto ai principi informativi del Sodalizio.

Volto così lo sguardo all’ultimo tratto del cammino
percorso (e può bene affermarsi che non mai come per
per noi in questo punto può dirsi con Dante che giova
i riguardare) mi sia data ancora per breve tempo la
vostra tolleranza affinchè esponga alcune idee sull’ a-
zione nostra, esprima alcuni voti, manifesti la nostra

gratitudine a coloro che vollero confortarei col loro
aiuto, incoraggiarne con la loro benevolenza.

È mia opinione che anche da nostra parte debbasi
concorrere a rinvigorire e orientare quel moto che ha
già dato segni di una notevole maturità di intenti per

riuscire e organare a forza comune le varie energie dello



RR. Deputazioni i Storia patria e degli Istituti affini
e produrre più salutari effetti sulla coltura nazionale.
Non affronterò la complessità dell’ argomento, che po-
trebbe convenientemente esser trattato in una di quelle
adunanze generali dei soci alle quali facevo cenno, ma
dirò insieme con molti valenti cultori delle discipline
storiche che gli Istituti di studi storici, dopo il non
breve fruttuoso periodo di investigazione locale, dovreb-
bero appressarsi più efficacemente alle forme di vita
culturale della nazione, per infondere loro molti valori
di verità storiche, vale a dire di benefica esperienza umana
che rimangono ancora inattive.

L'insegnamento della Storia d'Italia nelle nostre
scuole medie (e il danno è maggiore in quelle classiche)
offre un esempio forse il più evidente a giustificare quel
desiderio che è materiato di senso di dignità di studi
e di vero amor patrio.

Vi fu chi in guisa assai vivace affermò che è
colpa dei moderatori della scuola italiana se nelle nostre
scuole medie classiche non v'è Cattedra della Storia d’ I-

talia, mentre le vicende della patria nostra vengono
e



XIV ATTI DELLA R. DEPUTAZIONE

esposte fuggevolmente, a intervalli, nocivi per la più
esatta comprensione dei rapporti dei fenomeni storici,
in quel variopinto caleidoscopio che è la Storia Uni-
versale dei nostri Licei.

Non valuteremo la fondatezza dell’accusa e la ve-
rità dell’apprezzamento, ora: ma è certo che se pren-
diamo in esame molti dei Manuali di Storia che si offrono
allo studio dei nostri liceisti e vogliamo riscontrar l'e-
sattezza di aleune notizie di avvenimenti occorsi nelle
regioni nostre, bene spesso riscontriamo errori grosso-
lani. Si può pertanto giudicare assennato il proponimento
di valorizzare meglio, come dicesi in questa età dei
subiti guadagni, l’opera dei singoli Istituti storici d’ I-
talia, perchè meglio s’ insegni e si apprenda nelle scuole
italiane la Storia d' Italia.

E questa unione di forze, questo scambio piü frut-
tuoso di iniziative potrebbe, a mio avviso, eliminare non
poche incertezze che per recenti controversie, si sono
ancor più aggravate intorno aj limiti dell’indagine storica
e di conseguenza intorno ai limiti entro i quali devono
contenersi le pubblicazioni degli Istituti di studi storici.
Sarebbe vera e propria aberrazione s’io volessi riassu-
mere la questione dibattutasi fino a non molto tempo
fa, da che il Bernheim la risollevò più vivamente,

quando si diè ad abbattere quelle barriere che al di-

latarsi dei confini della Storiografia, aveva già eretto

il Boeck proclamando la Filologia das Erkennen des
Erkannten; restringo il mio pensiero entro l' ambito de
modesto voto che intervenga presto uu accordo, allo

scopo di dare unità di carattere (per rispetto alla com-

prensione dei generi degli scritti da pubblicare) alle.

Riviste e ai Bollettini degli Istituti di Storia patria.
Un Congresso dei Presidenti di queste Società potrebbe
con utili resultati trattare questo e altri argomenti che
interessano una più stretta relazione fra questa attività

di indagini con la coltura nazionale,

Ma intanto, mi pare che si pensi da taluno degli;

ascoltatori, pensiamo ad assolvere nel miglior modo il









)- — * à

ATTI DELLA R. DEPUTAZIONE XXV

nostro compito e a provvedere alle nostre condizioni,
per migliorarle per ogni rispetto.

E diciamo subito che l'iperbolico aumento del prezzo
della earta e del lavoro tipografico determina la neces-
sità di due riforme: ottenere dal Ministero un sussidio
maggiore di quel modesto emolumento di L. 800, che
per le implacabili esigenze fiscali, vien poi liguidato in
una forma di modestia tale che perde tutti i caratteri
di quella bella virtù, e invitare i soci a contribuzioni
straordinarie, riservandosi di modificare lo Statuto per
rispetto ai pagamenti.

Restituito al bilancio quel pregio tanto esaltato dai
finanzieri e raramente riscontrato in molti altri bilanci,
cioè la sua elasticità, noi potremo riprendere fiduciosi
la via e corrispondere alle promesse fatte e dare ter-
mine a lavori iniziati.

Vorremo quindi dare esecuzione al disegno della
Bibliografia storica regionale, così magistralmente deli-
neato dal Comm. Fumi; attuare il progetto del Comm.
Degli Azzi per la Guida archivistica dell'Umbria, di cui
abbiam parlato; promuovere la raccolta di Documenti
relativi alla guerra redentrice, in conformità delle norme
tracciate dalla nota circolare ministeriale: ottenere e
organare da parte di tutti i soci il loro valido aiuto
per la tutela degli archivi locali, affinchè lo scarto dei
rifiuti da cedersi alla Croce Rossa, sia più razionalmente
e più cautamente eseguito.

Ai Fonti e agli Indici abbiam già rivolto le pre-
mure nostre doverose e fra breve uscirà un fascicolo
dedicato agli Indici. Delle Appendici sarà completata
la pubblicazione per alcun tempo sospesa, e se al nostro
buon volere si uniranno la vostra cooperazione e i vo-
stri utili suggerimenti, non mancheremo certo di rag-
giungere la méta.

A due vitali questioni debbo ancora riferirmi, in-
vocando tutto l'aiuto di consigli, di autorevole azione e
di consentimento che voi potete porgere o Signori.

L'una è quella della istituzione di un Archivio di



XXVI ATTI DELLA R. DEPUTAZIONE

di Stato ; l’altra si riferisce alle carte perugine seque-
strate dal Governo nella Villa di Gardone. Non le e-
spongo a voi, perchè a voi tutti ben note, e sulla prima
lucidamente espresse il suo pensiero il Dott. Briganti
nel volume 23 dell’anno 1918 del nostro Bollettino e la
seconda con la consueta esattezza ha riassunto il Pro-
fessor Tarulli nel volume di recente pubblicazione.

Questo chiede a voi il Consiglio: che alle pratiche
da espletarsi per risolvere le due importantissime ver-
tenze che tanto interessano gli studi nostri soccorra
sempre la vostra azione collettiva e individuale.

Se posso temere di avere deluso l’ aspettativa vo-
stra, o Signori, son certo di raccogliere ora con le mie
ultime parole tutti i vostri consensi in un unanime e-
spressione di gratitudine verso il Commissario prefetti-
zio del Comune di Perugia, Cav. Farina, che concesse
con la sua più cortese benevolenza un più decoroso col-
locamento all’Officio della Deputazione e oggi ne accoglie
con signorile ospitalità; verso il «signor Prefetto della
Provincia, Comm. Franzè, che confermando il suo affetto
per ogni nobile manifestazione di vita e di coltura della
regione, agevolava le convenzioni intercedute fra questa
R. Deputazione e il Comitato dei corsi estivi superiori ;
verso tutte le Autorità che vollero onorarcicon la loro
presenza.

E intenso, unanime consentimento son certo di ot-
tener da voi tutti alla mia proposta di inviare insieme
ai voti nostri il nostro ossequio a S. E. il Ministro della
P. L. : di volgere oggi il saluto, il pensiero, l’animo nostro

a Roma immortale.

In vista dell'ora tarda il Presidente rinvia la seduta alle
ore 15, per lo svolgimento delle comunicazioni di indole

storica.
IL PRESIDENTE

Prof. GUARDABASSI.

Il Segretario
Prof. TARULLI BRUNAMONTI.



|
|
|





XXVII



ATTI DELLA R. DEPUTAZIONE

ASSEMBLEA DEI SOCI

tenuta il 19 Settembre 1922 a ore 15

nella gran sata del Palazzo Comunale

Presidenza: Prof. Comm. GUARDABASSI.

Presenti i soci intervenuti all'adunanza antimeridiana.

Si intraprende lo svolgimento delle comunicazioni d'in-
dole storica, delle quali ora si dà il semplice titolo non es-
sendo stati inviati all'Ufficio di Segreteria i relativi sunti per
la loro inserzione negli Atti (1).

1. — FEDELE P. Illustrazione della iscrizione medioevale
esistente sulla facciata della Chiesa di S. Croce presso Villa
Pitignana (Perugia) portante la data del 1295.

2. — FORTINI A. L'influenza della lotta sociale del sec. XII
nella formazione dell’idea Francescana.

3. — CorBuUccI V. Relazione intorno al riordinamento del-
l'Archivio segreto del. Comune di Città di Castello.

..4. — PERALI P. Di alcuni bronzi preistorici che si dicono
rinvenuti presso Contigliano (Rieti).
5. — IDEM. Di alcuni contratti di Società in Orvieto tra
il, sec. MIV.e;il XVI.
6. — CERONI G. La Basilica di Vescovio in Sabina nel-
l'arte.
7. — PossENTI P. G. Intorno all’azione da svolgersi per la

conservazione ‘della Cascata delle Marmore.

(1) Solo pochissimi hanno rimesso brevi e parziali indicazioni di quanto
da essi fu detto o letto nell’adunanza. In vista di ciò si è deciso di non
pubblicare nulla, anche per non scemare l’ importanza delle comunicazioni
stesse, che così presentate sarebbero apparse incomplete e quindi di minor
pregio. Dovendo esse poi essere inserite nel Bollettino, il danno per gli stu-

diosi rimane, almeno per il momento, assai limitato.





XXVII ATTI DELLA R. DEPUTAZIONE

8. — CENCI P. Sull'autenticità dei frammenti della Cronaca
di Grettolino di Valeriano.

9. — FaLocI PULIGNANI M. Emiliano Orfini tipografo ed
orefice del sec. XV.

10. — IDEM. Corrispondenza tra il Governatore di Foligno
ed il Papa Pio II.

11. — Persi G. Alcune notizie intorno a Cataluccio « Pe-

tri », orafo todino, autore del grande calice d’argento smaltato,
esistente nella R. Galleria di Perugia.

12. — TARULLI L. La Divina Commedia, studiata a Pe:
rugia nel scc. XIV. — Maestro Biagio da Perugia lettore di
Dante a Bologna nel 1395. Maestro Biagio da Perugia lettore
di medicina a Bologna nel 1396 e 1397 ed a Perugia nel 1399.

15. — DEGLI Azzi G. e BRIGANTI F. Sulla pubblicazione
degli Statuti del Comune di Perugia dal sec. XIII al sec. XVI.
14. — VALENTI R. Sopra le Memorie autografe di Bene-

detto Valenti, procuratore fiscale sotto Clemente VII e Paolo III
(1528-1541).

Esauriti tutti gli argomenti da trattare, il Presidente,
prima di dichiarare chiuso il Congresso, prende ancora la
parola onde ringraziare i soci per lo zelo e per l’interessa-
mento posto nell’intervenire numerosi alle singole adunanze
e per l’operosità addimostrata nel preparare e svolgere le
pregevoli comunicazioni fatte, prova ben manifesta dell’ in-
tenso e costante amore che tutti hanno per le discipline sto-
riche in genere e per quelle in special modo interessanti
l'Umbria nostra.

E parole di riconoscenza rivolge all'insigne maestro
professore FEDELE, che, non solo volle prendere parte alle
discussioni avvenute durante lo svolgimento dei vari temi,
portandovi sempre il suo alto pensiero e la sua indiscussa
autorità, ma si compiacque di illustrare l’ iscrizione me-
dioevale della Chiesa di S. Croce, portante la data del 1295,
che ricorda la spontanea rinuncia al papato di Celestino V
e la prigionia da questi subita per ordine di Bonifacio VIII.

Da ap E TA



XXIX



ATTI DELLA R. DEPUTAZIONE

Il Presidente inoltre accoglie la proposta dello stesso prof.
Fedele perchè si facciano le più opportune pratiche presso
le Autorità competenti onde la preziosissima epigrafe venga
tolta ai pericoli di danneggiamenti o di sottrazioni e venga
trasferita per maggior cautela nel civico Museo di Perugia,
gia ricco ed insigne per tanti altri cimeli del genere.

In pari tempo ringrazia i Soci altamente benemeriti della
R. Deputazione dott. DEGLI Azzi e dott. BRIGANTI per avere
assicurato che il lavoro difficile e lungo di preparazione per
la stampa degli Statuti del Comune di Perugia dal Sec. XIII

al Sec. XVI — glorioso monumento di altissima sapienza
cittadina — condotta da essi con ognor crescente. energia,

secondo le norme più accurate della critica moderna sta
per essere ultimato, in modo da potersene vedere compiuta
in breve la pubblicazione.

Dichiarando quindi sciolta l'adunanza, il Presidente in-
vita gli intervenuti al prossimo Congresso che nel Settembre
del venturo anno avrà luogo in Perugia, celebrandosi solen-
nemente il IV centenario dalla morte di PIETRO PERUGINO.

IL PRESIDENTE
Prof. GUARDABASSI

Il Segretario
Prof. TARULLI BRUNAMONTI.

ADUNANZA STRAORDENA RIA
della Presidenza della R. Deputazione di Storia Patria
tenuta in Perugia il 24. Marzo 1925
nell-& sua propria Residenza
Preseati :
Ij Presidente: GuARDABAsSI prof. comm. FRANCESCO — Fa-
LOCI PULIGNANI prof. comm. mons. D. MicHELE, Vice-Presidente
— TARULLI BRUNAMONTI prof. LuIcI, Segretario- Economo.






































XXX ATTI DELLA R. DEPUTAZIONE

Invitati i soci ordinari :

ANSIDEI conte cav. dott. VINCENZO, membro del Comitato per
le onoranze a Pietro Perugino — BRIGANTI dott. FRANCESCO, Di-
rettore della Biblioteca Comunale di Perugia e membro dello stesso
Comitato.

Il Presidente, aperta la seduta, dichiara essere stato suo
desiderio di riunire in via straordinaria l'Ufficio di Presi-
denza, con l’intervento dei soci Ansidei e Briganti, che
hanno gentilmente tenuto l'invito, come membri del Comi-
tato per le solenni onoranze che Perugia ha deciso di ren-
dere nel prossimo settembre a Pietro Perugino, in occasione
del IV Centenario dalla morte, onde stabilire in qual maniera
la.R. Deputazione di Storia Patria. per l’ Umbria dovesse
prendervi parte. E tenuto conto delle finalità a cui essa
tende, propone che la Deputazione stessa prenda una parte
fattiva alle onoranze, mediante la pubblicazione di un vo-
lume speciale, che potrebbe contenere il materiale documen-
tario raccolto intorno al Sommo Maestro da un nostro stu-
dioso, valente ed accurato, il conte U. Gnoli R. Soprainten-
dente ai Monumenti e Direttore della R. Galleria di Perugia,
il quale con squisita amabilità lo ha posto a disposizione
della Presidenza.

Egli inoltre espone che questo potrebbe essere il mo-
mento per riunire a Congresso i rappresentanti delle RR. De-
putazioni e così dare esecuzione a quanto fu deliberato nelle
adunanze della nostra R. Deputazione nello scorso settembre
in cui si esprimeva l'augurio che sempre più intimi si fa-
cessero i rapporti che ora uniscono le varie Deputazioni,
allo scopo di ottenere nelle indagini storiche un più vasto
orientamento, conducente a risultati migliori e più immediati
nella cultura nazionale (1). La presenza poi dei detti rap-

(1) La circolare fu inviata a firma del Presidente, in data 22 Agosto 1923,

alle varie RR. Deputazioni nazionali.





ATTI DELLA R. DEPUTAZIONE XXXI

presentanti, insieme a quella dei delegati delle consorelle
Brigate degli amici dell’arte, invitate per l'occasione, avreb-
bero potuto rendere più decorose le manifestazioni, che
avranno luogo in quella circostanza.

Gli intervenuti, mentre ringraziano il proprio Capo delle
proposte fatte, deliberano di accettarle, dando al medesimo
il più ampio mandato per porle in esecuzione.

Su proposta del Vice-Presidente, che ha riferito intorno
al desiderio manifestato dal socio avv. CoRBUCCOI per aiuti
finanziari nella pubblicazione da lui preparata del Regesto
di documenti dell’ Arvhivio segreto del Comune di Città di Ca-
stello, si stabilisce di concorrervi con il contributo di Lire
Mille, da darsi però a lavoro ultimato, e dopo l'invio di
un certo numero di copie per la Biblioteca della R. Depu-
tazione.

Si fissano infine più precise intese intorno alle memorie
presentate per la loro pubblicazione nel Bollettino del pros-
simo anno 1924. 3
Dopo di che la seduta viene tolta.

IL PRESIDENTE

Prof. GUARDABASSI

Il Segretario
Prof. TARULLI BRUNAMONTI.






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BRACCIO DA MONTONE

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IL COMUNE DI ORVIETO

( Continuazione e fine vedi fascicolo 65-67)

CAPITOLO IV.

Il prestigio di Braccio nell’ Umbria — Uccisione di Paolo Orsini — La
guerra Malatestiana e le sue fasi — Ribellioni al governo Braccesco
— La pace coi Malatesta -- Pr&potere di Braccio e Tartaglia nel Pa-
trimonio — Braccio signore di Roma e deposizione dell’Isolani — In-
tervento dello Sforza e cattura dello Stefaneschi — Una commemora-

zione a scopo politico e l’atteggiamento dei comuni dell'Umbria.

Ai Perugini non rimase che assoggettarsi alla volontà
del vincitore: la pace fu firmata il 16 luglio nel convento
degli Olivetani di Montemorcino (1).

(1) Campano, vol. cit., p. 537; PeLuini, II, 225; Bonazzi, I, 635. Un
documento dell’ Arch. di Todì segnala sotto il 18 luglio 1416 l’elezione di
B. a Signor di Perugia. MazzatintI, Gli Archivi d'Italia, IIT, 125.

Della battaglia di S. Felice il Campano e L. Spirito (Altro Marte, Cap.
XVIII-XIX, Vicenza, 1489) dànno due versioni non sempre conformi. Il
primo (p. 528) tributa a Malatesta Baglioni ed a Cherubino degli Armanni
la lode di aver deciso le sorti del combattimento. L. Spirito riserba que-
st'onore al Tartaglia ed a Niccoló Piccinino, ai quali B. avrebbe affidato
il compito di attaccare a fondo il nemico che, tormentato dall’arsura e dal
polverone, piegava verso il Tevere. A. Biarra (Muratori, XIX, 52) afferma
che B. approfittò della stanchezza del nemico dietro suggerimento del Tar-
taglia, col quale si sarebbe lanciato all’attacco vittorioso.

Non accade qui valutare l’attendibilità storica dell’ Altro Marte, narrazione

in versi della vita e gesta di N. Piccinino. L. Spirito con N. da Montefalco,











2 R. VALENTINI

Tanta vittoria aumentó prodigiosamente il prestigio di
Braccio e la fantasia popolare diceva che « illu havia spiriti:
diabolichi incantati al suo comandu per li grandi avisi et vo-
luntà de fortuna » (1).

Sta il fatto che in breve tempo era. divenuto padrone
di territori così estesi, da far supporre un prossimo assorbi-
mento degli altri: lo obbedivano Orvieto, Todi, Spello, Pe-
rugia, dove entrò, trionfatore, il 19 di questo mese (2). Volle
che tutti i fuorusciti potessero tornarvi indisturbati, in com-
penso lasciò sopravvivere una larva delle istituzioni del
passato governo. In realtà il suo luogotenente concentra in
sè ogni potere, ma sopravvivono formalmente Priori e Ca-
merlenghi. E la considerazione ancora inerente all’ esterio-
rità di queste magistrature, accessibili a qualunque ceto,
attirano nelle corporazioni delle arti i figli delle grandi ca-
sate perugine.

Braccio usò con Perugia la stessa politica praticata per
Orvieto: con oculata clemenza promuovere in un primo

col Campano, col giovane Maturanzio ed altri letterati visse in un am-
biente in cui tutto ancora parlava del grande scomparso (Trurri, Giostre
e cantori di giostre, p. 89); ma è innegabile che l’opera fu terminata nel 1470
(VermionioLi, Biograf. degli scritt. perug., II, 299 e Gor. storic. lett. ital.,
XXI, 415) cioè quando l'elemento fantasioso s’era potuto sovrapporre alla
verità storica e deformarla. E veramente nei racconti di duelli che s’ an-
nodano e intrecciano a questa narrazione poetica chiaramente s’ avverte
che il poeta ha prevalso sullo storico, troppo palesemente parziale nella
celebrazione del suo eroe.

(1) ZAMPOLINI, (ed. Sansi) op. cit., 149. La diceria è raccolta anche
dal Campano (Muratori, XIX, 540), nuova conferma della parte lasciata
alla tradiziono orale nella Biografia.

(2) Ne dette partecipazione agli Orvietani con lettera dello stesso
giorno. Appendice N. 21. La vittoria e l'assunzione al dominio di Peru-
gia furono celebrate con luminarie e feste (Rif. CXXIV, 41 t). Spese del
luglio 1416). Il Campano concorda con la nostra cronologia (p. 538). Spello
si dette a Braccio a circa tre giorni dalla vittoria di S. Felice. Zampo-
LINI, 144.











BRACCIO DA MONTONE, ECO. 3

tempo la pacificazione degli animi, per appoggiarsi poi ad
un partito — e qui la scelta non poteva esser dubbia —
violando senza scrupoli leggi, tradizioni, patti, promesse (1).

In Perugia la soddisfazione e la gloria di vedersi d’un
tratto trasformata quasi nella capitale di una signoria na-
scente attutirono nel popolo il dolore della perduta autonomia.
Da questo tempo gli atti di Braccio sono informati ad un
piano politico che conferisce loro un carattere spiccatamente
diverso da quelli di un capitano di ventura. D'ora in poi

vedremo in lui l'uomo di stato — legalmente riconosciuto
o no, poco importa — che mira ad una continua espansione

e consolidamento del proprio dominio, deciso a tutelarne
l’ integrità e il possesso con un esercito agguerrito e fedele.
La sua preponderanza politica aumenta in ragione della sua
forza e dell’altrui debolezza. Durante la vacanza della sede
apostolica sarà l’arbitro della politica delle signorie, piccole
e grandi, legali e usurpate, dell’ Italia centrale. Quando poi
comincerà a delinearsi, insanabile, il dissidio tra lui e l’e-
letto di Costanza, verso Braccio graviteranno quanti per op-
portunismi, prossimi o remoti, avverseranno la politica di
ricostruzioue di Martino V.

Braccio provveduta la Città di uno stato, decimo post
receptam urbem die (2) venne in territorio Assisiate, deciso
di sistemare ogni pendenza con Guidantonio di Montefeltro
e poi muovere contro le terre dei Malatesta per esercitare
le sue vendette ed imporre colla forza una taglia che lo

(1) Un pubblico bando (25 lugli

conservazione del Priorat

>) assicurava al popolo perugino la




ito e degli altri Uffici ordinari (Con-



servatori, Massari,). Anche gli Statuti sarebbero rimasti vigenti,
nella linea generale; non érano escluse eventuali restrizioni da parte di B.
o del suo Luogotenente. Per altre disposizioni d'ordine economico o politico

vedi il testo del bando in FanngTT



I, Note e documenti, p. 114. Cronache, II, 80.
Cfr. altresì L. pe BagLion, Pérouse et les Baglioni. Paris, 1909, 49.

(2) Muratori, XIX, 541. Non già nel novembre come crede il PeLLINI,
II, 227.







4 R. VALENTINI

indennizzasse delle ingenti spese sostenute, Ma una elemen-
tare prudenza consigliava a non lasciarsi alle spalle Paolo
Orsini con gente ostile. Dopo la sconfitta dei collegati, questi
era venuto con grossa brigata verso Spello, poi a Vallo di
Nocera (1). Quantunque nella battaglia di S. Felice si fosse
tenuto in disparte (2), Braccio e Tartaglia non vollero per-
donargli la poco spontanea neutralità, che avrebbe potuto
riuscire a Braccio esiziale (3).

Fattagli offerta di partecipare con essi agli utili di una
spedizione contro i Malatesta, lo sorpresero in territorio Fo-
lignate ed il 5 di agosto a Colfiorito, per istigazione del Tar-
taglia, fu ucciso da un suo personale nemico, Lodovico Co-
lonna (4). i

Colla vita pagava così l’estrema delle sue perfidie.

Intanto Tartaglia di Lavello, senza staccarsi da Braccio,

(1) Zamporini, (ed. Sansi), p. 144. Così almeno si diceva a Spoleto.

(2) Ibd. Verso il 15 luglio si mosse da Narni e venne a Spello, donde
si allontanò dopo aver ricevuto un messo di Braccio.

(3) Come è palese, ho decisamente rifiutato la versione del Pellini
(Parte II, 219), accettata dal FarrETTI (Biog., I, 155), che suppone un at-
tacco formale di Braccio contro Paolo Orsini, anteriore alla battaglia di

ice.



Tale spedizione, organizzata ai danni di un nemico che sfugge alla
stretta avversaria e si rifugia, indisturbato, sui dirupati colli di Narni, è
assolutamente difforme dalla consapevole scaltrezza di Braccio. Egli poteva
esser certo di vederselo piombare alle spalle non appena si fosse impe-
gnato con gli altri nemici.

Mi sono attenuto allo ZampoLini (Sansi, p. 142) e al Mixuri (p. 187) i

samente dicono di un patto intervenuto tra i due e lasciano



quali espre

aramente intendere che Braccio dovette pel momento preferire alla de-



CI
cisa ostilità di Paolo una neutralità anche infida.

(4) Cfr. Muratori, XIX, 542. ZampoLini, op. cit., 145. Ant. PETRI,
Diar. Rom., 103. Ecipi, Le cronache di Viterbo scritte da frate F. d'Andrea
in Arch, Soc. Rom. di Stor. Pat., vol. XXIV (1901), fasc. 1-2, p. 197.
Doro, op. cit., p. 199. L. Spirito, op. cit., Lib. I, cap. XXI. Male in-
formato è Ser Guerriero DA GuBsIO, (op. cit., p. 89) e le Cronache Fermane

(op. cit.. p. 45).



^









E

BRACCIO DA MONTONE, ECO. D

ritornava nel Patrimonio, contro Montecalvello, a guerreg-
giare con Ulisse da Mugnano (Teverina) ed altri signorotti
circonvicini che avevano ai propri stipendi Mezzo Budello (1).
Questo valente caporale passó poi al soldo di Braccio; mi-
litó all'assedio di Roma e durante la ritirata (26 agosto 1411),
fu lui che uccise Giovanni Colonna (2).

Braecio sempre piü favorito dalla fortuna e dalla fama
acquistata, in questo tempo (primi di agosto 1416) riceveva
in soggezione Rieti e Narni e poi S. Gemini (3). Si avventuró
allora in una impresa temeraria di cui non intuì la portata
e che fu ad un punto per annullare i vantaggi delle passate
vittorie: la guerra coi Malatesta.

Ebbe fama tra le principali del tempo e trasse nel pro
prio ambito molti signori della Marca: come vedremo, dopo
lungo battagliare si trovó alla vertenza una soluzione diplo-
matica che Braecio dovette accettare, sebbene alquanto dif-
forme dalle speranze concepite.

Le cronache di Fermo sotto la data del 13 agosto 1416

(1) Il 15 novembre di quest’anno i contendenti si accordarono sopra
una tregua di circa un mese, come fa fede la presente segnalazione che ne
dette il Tartaglia al Luogotenente di B. in Orvieto.

[1416] novembre 15. Rif. CXXIV, o. 74.

- Magnifieis fratribus carissimis domino Rugerio de Antignalla locum-

tenenti ete et Prioribus civitatis Vrbisveteris.

^

« Magnifici fratres ca[ri|ssimi, post salutem . Significamove como ogi,

in questo di. avemo fermata la tregua con Vlisse da Mognano . E per-

^

tanto non besogna avere pagura de mego Bodello nè de sue genti d’essere

^

^

offesi . E semoce stati a campo parecchi dì . E Avemola fermata infine
« a Natale . Paratus etc . In felici campo die XV novembris.
« Tartalia de Lavello
« eapitaneus ac Rector ».
(2) Antoni Perri, Diarium Rom. (ed. Isoldi), p. 111. Secondo il Mmuti
mori poi nell'ottobre del 1417. Op. cit., p. 214.
(3) Il Siuvestri (Memorie stor. di Terni, Rieti 1856, 49) lascia indeter-
minato il mese ed il giorno dell’atto di soggezione delle due città al fortu-

nato condottiero.





6 R. VALENTINI

segnalano che il signore di quella città, Lodovico Migliorati,
ebbe la terra di S. Giusto e cavalcò con tutte le sue genti
a S. Severino, dove « invenit Brachium cum tota brigata
ad campum supra dictam terram et Bernardum de Came-
rino » (1).

Difatü proprio da S. Severino il 14 agosto Braccio ri-
volge un invito ai Conservatori di Orvieto di rieleggere per
altri sei mesi alla Podesteria della città Angelo degli Ubaldi
da Perugia (2).

Una prova tangibile della preponderanza acquistata da
Braecio nella Marca si ha nell'atto di sommissione di Mace-
rata, stipulato il 16 agosto di quest'anno (8. Quella città
richiese per garanzia che il capitolato fosse ratificato anche
da Braccio e volle ne portasse il sigillo: tanto piü che il
capitano perugino era succeduto alla carica occupata da
Paolo Orsini, già agli stipendi dell’arcivescovo di Ragusa (4).

Il 23 agosto lo troviamo a campo sotto Filottrano (5).

Ma prima di seguire Braccio nella guerra Malatestiana,
è necessario dare uno sguardo a quanto avveniva nell’ Um-
bria. Affiorano qua e là movimenti rivoltosi, forse coordi-
nati ad un vasto piano di sollevazione che segna, con le
sue convulsioni, la transizione dei precedenti governi alla do-
minazione Braccesca. In Orvieto i Melcorini, esasperati dal-
lonere di che il Governatore per Braccio li aveva tassati,
cominciarono a spargere un odio acre, insidioso contro di
lui; il perchè i Conservatori si videro nella necessità di
eleggere otto cittadini « qui sint una cum eis et domino
locumtenente ad colloquium » per avvisare quanto repu-

(1) Doc. di Stor. Ital., vol. IV, p. 46.

(2) Appendice N. 22.

(3) Vedilo in FaBrETTI (Doc., p. 119) riportato dalla Storia picena del
ComPAGNONI.

(4) Ibd., p. 118.

(5) Ibd., p. 120.

: r ; Jer zu
M ct - ni







: pem i





BRACCIO DA MONTONE, ECC. 7

tassero utile « pro bono statu, gubernatione et manutentione
civitatis et civium » (12 agosto 1416) (1).

‘ La misura preventiva non valse a scongiurare il moto
insurrezionale preparato dai Melcorini e scoppiato nell’ as-
senza momentanea del luogotenente Ruggero d’ Antognolla.

Questi represse il movimento con energia e celerità in-
viando da Todi a presidio dalla città ben 180 fanti e 26 ca-
valieri per otto giorni. E mentre 40 vi rimasero per un’altra
settimana, si provvide a mobilitare 100 uomini al soldo del
comune per custodia e difesa della città.

La rivolta aggravava notevolmente le condizioni, già
disastrose del bilancio: e, come segue da tutti i movimenti
inconsulti, non emersero che danni. Le spese di presidio fu-
rono rimborsate al luogotenente in 150 fiorini d’oro (2) e,
nel timore di una più grave reazione da parte di Braccio,
gli fu inviata un’ambasceria, composta dei principali di parte
Muffata, che esponesse candidamente il caso occorso e ne
domandasse indulgenza e perdono (3). Da questo momento
la parte Muffata guadagnò le simpatie di Braccio e gli rimase
fautrice e fedele.

Il luogotenente pretese dai Conservatori il giuramento
« quod siquid sentient seu ad eorum vel ipsorum alterius
« aures notitiam deveniet, quod tenderet seu resultaret ad
« oppressionem status et dominii prenominati domini Braccii,
« quod absque dilatione revelabunt et notificabunt ipsi do-
« mino vel ipsius domini locumtenenti horetenus (sic) vel per
« litteras et numptium specialem, in tali forma, quod ipsi
«,domino penitus revelabitur et notificabitur ac ipsius no-
« titie et ad eius notitiam deveniet incessanter » (4).

Ma la sollevazione di Orvieto non era un movimento

(1) Rif. CXXIV, o. 44 t.

(2) Rif. OXXIV, c. 58 t-59 (17 settembre 1416).
(3) Appendice N. 23.

(4) Rif., vol. cit., c. 53.









8 R. VALENTINI

sporadico, anzi coincide con altre insurrezioni contro il par-
tito di Braccio, quelle di Perugia e di Castel della Pieve (1).

Nelle spese straordinarie dell'agosto di quest'anno le Ri-
formanze orvietane registrano 155 fiorini d'oro « pro stipen-
dio famulorum destinatorum in campum ad m. d. n. Braccium
ac etiam pro stipendio XL famulorum destinatorum ad Ca-
strum Plebis flor. CXXX vel circha » (2).

In codesta fortezza erano riusciti ad entrare Lodovico Mi-
chelotti e Franceschino della Mirandola e l'avevano ribellata,
profittando degli odi suscitati dal governo sopraffattore ed
iniquo del rappresentante di Braccio.

Cherubino degli Armanni, generale commissario e luo-
gotenente in Perugia, mosse con forze adeguate (3), alle quali
si aggiunse il contributo orvietano, contro quel castello. E,
come persisteva nella sua resistenza, gli Orvietani tentarono,
di loro arbitrio, una via conciliativa per ridurlo pacifica-
mente alla soggezione di Braccio. Ma consci dell'opportu-
nità di sottoporre il proprio intervento all'approvazione di
Cherubino, questi da Pacciano il 18 settembre ringraziò i
Conservatori dello zelo in favore del comune signore, però
ritenne l'intervento per speciali ragioni inopportuno (4). In
fatti il popolo della Pieve anzi che restituirsi in libertà, pre-
ferì raccomandarsi alla mediazione e protezione del luogo-

(1) La prima fu repressa mandando a confine gli autori o i sospetti.
PeLLni, II, 227.

(2) Rif. CXXIV, c. 50-51. Orvieto si considerò in stato di guerra con
Castel della Pieve come risulta da un atto di sequestro. Appendice N. 24.
Alla ribellione di Castel della Pieve accenna vagamente il Campano (p. 543)
e ne sposta i termini cronologici. Bene informato è invece il PreLunI, IT,
228.

(8) A quanti della città e contado di Perugia, atti a portar armi, si ri-
fiutassero di partecipare alla spedizione furono comminate ed imposte pene
gravissime. PeLumi, II, 228.

(4) Appendice N. 25. Rimase nella stessa località per tutto 1’ ottobre

e novembre. (Rif. CXXIV, c. 66 t-67-75).









——









BRACCIO DA MONTONE, ECC. 9

tenente di Perugia, per allontanare da sè la vendetta dei

Bracceschi (1).

Prima del 4 dicembre di quest’ anno (1416) il castello
aveva riconosciuto la signoria di Braccio, che lo cedette allo
stesso Cherubino (2). Non ci fu bisogno di un intervento ar-
mato da parte del condottiero che era frattanto tornato a Pe-
rugia.

In Orvieto il consiglio generale del 1 settembre volle
che i Conservatori giurassero: « Item quod nullo tempore
« eritis opere, facto, dicto, consilio vel favore, aliquo quesito
« colore, contra sanctam matrem Ecclesiam et eius pastores,
« neque contra prefatum dominum nostrum Braccium nec
« contra statum ipsorum: ypsos in Eorum dominio, statu et
« triu[m]pho defensabitis, manutenebitis et agumentabitis
« contra omnem personam de mundo totis viribus vestris » (3).

L’ambasceria intanto era arrivata a Braccio il quale,
per dare in apparenza una soddisfazione al partito Melcorino,

.in realtà perchè Ruggeri d’Antognolla gli era più utile al-

trove, lo sostituì nella carica di luogotenente e governatore
con un proprio concittadino, Cinello Alfani, cui nominò da
Montalboddo con lettera del 3 settembre (4). Questi entrò in
carica il 6 decembre e nel frattempo Ruggero si chiamò
luogotenente in Orvieto e Todi per Braccio (5).



(1) Cfr. A. Bacioni, Ciità della Pieve illustrata. Montefiascone, 1845,
p. 120.

(2) Rif. CXXIV, c. 81-81 t (4 decembre 1416). Il governatore e luogo-
tenente di Orvieto Ruggero d'Antognolla deliberando sopra una supplica dei
naturali di Monteleone, chiedenti una decurtazione sulle imposte « consi-
« deratis guerris habitis, temporibus retroactis, et precipue cum castro Ple-
« bis tempore, quo non fuit in obedientia dicti magnifici domini nostri
« (Braecio) et damnis receptis », riduce ogni lor somma, dovuta ad O.,
a quaranta fiorini, a ragione di cinque libre di den. per ogni fiorino.

In O ecc. — Ofr. altresì FarrEdrI, Cronache, II, 80.

(9) Rif. CXXIV, c. 52.
(4) Ibd., c. 80 t. « Datum in felici campo nostro iuxta Montembodii ».
(5) Ibd., e. 135 t (16 settembre 1416).







10 R. VALENTINI



Dopo il ritorno dell’ambasceria (1) il luogotenente ed i
Conservatori elessero il nuovo consiglio generale (2) e quindi
otto cittadini (formavano con i quattro conservatori il con-
siglio dei dodici) « qui una cum ipsis dominis habeant et
debeant videre, sentire, ordinare et disponere ceu eis vide-
bitur convenire et placebit » (3). i

La concessione di Braccio creava, se pure tempora-
neamente, un corpo deliberativo che, temperando l’ auto-
rità del luogotenente e rappresentando gli interessi delle due
fazioni, poteva assicurare alla città una pace duratura.

Braccio era ancora nelle Marche. Da S. Severino s'era
accampato a Montalboddo, uno dei castelli che occupò senza
trovar resistenza (4). Ma presto a difesa delle terre di Carlo
venne il fratello Pandolfo, che, pacificatosi col Visconti e
domandata licenza (23 agosto) alla Signoria di Venezia (5),
con Martino da ‘Faenza arrestò l'avanzata dei Bracciani (6).
Prima erano state inutilmente esperite le vie conciliative..
Subito dopo la cattura dei Malatesta, la consorte di Carlo fece
istanza alla Signoria di Venezia, che domandasse in proprio
nome la liberazione dei prigionieri (7). Partì, ambasciatore
a Braccio, Andrea Contarini, che riferì — la lettera s’ ebbe

(1) « Die lune VII septembris redierunt ad Urbemveterem oratores
directi ad d. n. Braccium ». Ibd., c. 48.

(2) Ibd., c. 56.

(3) Ibd., c. 57. Gli eletti sono: Corrado Monaldeschi, conte Ranuccio
di Corbara, Pietro « Simonecti Petri »,.Monalduecio « Nerii », Ser Luzio
« Ser Berardini », Nieoló « Benedicti », Ser Bartolomeo « Ser Plebani », Ser
Bartolomeo « Cobutii ». ;

(4) Munarom, XIX, p. 542.

(5) Munaronr, XXII, p. 909.

(6) Martino Faentino transitò per Forlì con una compagnia (di 3000 ca-
valli, secondo gli Annali Forlivesi) [MAzzaTmTI, 85] il 23 settembre I416. Il
21 era passato per il territorio bolognese. La Cronaca del MartIoLI assegna
a Martino più che 2000 cavalli (ed. Ricci, p. 288).

(7) Ibd.









Apice,

BRACCIO DA MONTONE, ECO. 11

il 5 agosto a Venezia — aver Braccio imposta a Carlo una
taglia di centomila ducati e trentamila al nepote, essere ir-
removibile da tali decisioni, a cui lo forzavano le ristrette
condizioni finanziarie e le forti spese per tanta gente in
armi (1).

L'inflessibilità di Braccio e l'invasione della marca di
Ancona provocarono l’ intervento di Pandolfo, al quale ac-
cennammo. Costui aveva mobilitato contro il capitano peru-
gino quanti aveva alleati ed amici, tra i quali anche Gian
Francesco Gonzaga, Signore di Mantova (2). L' intervento di
Pandolfo e dei suoi alleati fu commisurato alla portata delle
conquiste di Braccio che, con rapidità fulminea, aveva rag-
giunto successi inaspettati.

In una lettera del 17 settembre 1416, che prelude al-
l’entrata in azione dei collegati, notifica agli Orvietani d’aver
ridotto alla soggezione della Chiesa, che val quanto dire alla
propria, ogni terra in contado di Fano fino ad Ascoli, d'aver

sostituito con i propri tutti gli ufficiali dei Malatesta, di aver

occupato gran parte del contado di Iesi, stretta alleanza col
Re di Napoli. In possesso di tanti pegni, sperava di concludere
presto un accordo coi Malatesta, per esser libero di passare
nella Teverina contro i castellani di Mugnano, Roccalvecce,
Montecalvello, che funestavano con scorrerie il territorio
orvietano (3); implacati nemici di Braccio e del Tartaglia
dopo l’ uccisione di P. Orsini.

Mentre si attendeva l’esito delle trattative riprese con
Pandolfo Malatesta, i gravi malumori che serpeggiavano per
l'Umbria e la necessità di provvedere con esazioni al soldo
della Compagnia consigliarono a Braccio un tempestivo ri-

(1) MurarorI, XIX, p. 544.

(2) F. Tarpucci, Gianfrancesco Gonzaga signore di Mantova, in Arch.
Stor. Lomb. Fasc. XXXV (1902), p. 58.

(3) Appendice N. 26.











ss







12 R. VALENTINI

torno a Perugia (1). Infatti con Andrea Contarini aveva in-
viato a Venezia un suo ambasciatore (2) per iniziare una
composizione diplomatica della vertenza.

Si era verso la fine del settembre. Appunto in questo
tempo si diffuse in Orvieto la notizia di un prossimo arrivo
di Braccio. L’ultima ambasceria del Comune lo aveva pre-
gato, anche per scopi politici, che, capitandogli di ritornare
in patria, volesse degnarsi di visitare la città. L'occasione
pareva presentarsi inattesa, dati gli eventi e le complicazioni
della guerra contro i Malatesta.

Il comune di Orvieto finanziariamente era in condizioni
disastrose.

« Cum de presenti in Comuni reperiantur et sint debita
mille florenorum auri et ultra et cotidie superveniunt et oc-

^

currunt expense extraordinarie ... que evitari non possunt,
ac etiam de proximo sit venturus ad hanc civitatem magni-
ficus et victoriosus dominus noster Braccius de Fortebrac-
ciis etc. sitque providendum et adhibendus ordo effectivus

^

^

^

^

de honore et insenio fiendo eidem d. n. » (3), su proposta di

A

Pietro Tey fu approvato di imporre una gravezza, intesa a
sanare il bilancio e provvedere al dono per Braccio (4). Fu
stabilita la tangente per ogni centinaio di allibrato e per
ogni focolare (5) e nominati gli esattori del nuovo contributo

(1) Muratori, XIX, p. 543. Anche il Comune di Todi era tutt'altro
che pacifico. Lo dimostrano le frequenti assenze del luogotenente da Orvieto
per recarsi in quella città « pro quibusdam agibilibus statum prefati domini
« nostri concernentibus » Rif. OXXIV c. 59 t. (21 sett. 1416), c. 64t,
(17 ottobre), eil soldo pagato alle scolte « ad custodiam et velectam in turri
belli de Tuderto, c. 57 ».

(2), Ibd., XXIL, p; 912:

(8) Rif. OXXIV, c. 60-61, c. 27 settembre 1416).

(4) Ibd.

(5) Ibd., c. 64, (18 ottobre 1416). La probabilità dell’ arrivo di Braccio
in questo tempo già pareva dileguata. L'imposta è motivata così: « pro
satisfatione mille florenorum auri debitorum comunis ae pro ducentis florenis

pro insenio et honore fiendo d. n. Braecio si veniret ad partes ....















BRACCIO DA MONTONE, ECC. 13



straordinario, imponibile anche al contado per una somma
di 600 fiorini (1). Ma la venuta di Braccio nel novembre era
definitivamente rimandata. Questi aggravi d’imposte e di

straordinarie esazioni, che si succedevano con qualche fre-
quenza, divenivano insopportabili alla città ed al contado;
ad ovviare più gravi malumori si provvide all'elezione di
una commissione di otto cittadini, che escogitassero un mezzo
da alleviare i contribuenti e ridurre tutte quelle spese che
non sembrassero indispensabili (2). Braccio non poteva per-
mettere che il malumore da Todi si propagasse in Orvieto,
tanto più che ancora non era domata la ribellione di Castel
della Pieve e la vertenza coi Malatesta non lasciava preve-
dere una pacifica soluzione. D'altra parte in alcuni castelli
del contado a causa delle precedenti guerre gli abitanti o
erano notevolmente diminuiti o ridotti in una povertà deso-
lante (3). I limiti della resistenza erano stati toccati: andar
oltre avrebbe provocato una inevitabile reazione, che ragioni

.del momento consigliavano di evitare.

L'ambasciatore di Braccio era giunto a Venezia con
Andrea Contarini il 18 di novembre (4), ma l'accordo non
era stato raggiunto. Le ostilità furono subito riprese, e Brac-
cio ritornò a capo della compagnia, lasciata nella marca di
Ancona. Il suo atteggiamento provocò l'immediato intervento,

(1) f. vol. cit., c. 73, (9 novembre).

(2) I conservatori considerando che « comunitas est nimis gravata sum-
ptibus et expensis... adeo quod est insupportabile ac cives et comitatini
conqueruntur... » eleggono 8 cittadini che, per mandato e volontà del gover-
natore «Jimitent, modificent et diminuant » le spese... pro statu, magnificentia
et triumpho prelibati d. n. Braccii ac quiete et tranquillitate comunis....
Rif. vol. cit. c. 74 (22 novembre).

(8) Si sente dalle suppliche di sgravio dai tributi, che vennero pre-
sentate da alcuni castelli, notevoli quelle di Parrano (Rif. CXXIV, c. 59)
e di Prodo (Ibd., c. 82), dove sono esposte tutte le vessazioni e i danni patiti
in questi anni di guerra.

(4) Muratori, Vite dei Duchi di Venezia, T. XXII, p 912.







14 R. VALENTINI

quasi contemporaneo, di Firenze e di Guidantonio da Monte-
feltro. La Signoria l’ 11 decembre inviò a Rocca Contrada
(Arcevia) Agnolo di Filippo Pandolfini e Piero di Luigi Guic-
ciardini, così a Braccio come a Pandolfo Malatesta, perchè
si facessero mediatori tra le due parti di un. negoziato ad
eque condizioni per la libertà dei prigionieri (1). Guidantonio
offrì anche egli ai contendenti la propria mediazione (2).

Le ostilità intanto continuavano e le forze dei rivali e
loro aderenti salivano ad un numero considerevole.

Mentre Braccio era impegnato a Rocca Contrada con-
tro le forze di P. Malatesta, in Perugia i popolari si sol-
levarono contro i nobili — partito Braccesco — e fu im-

pegnata una zuffa fratricida (3). Il movimento pare si do-

vesse estendere, se è lecito arguirlo dalle misure preventive
prese in Orvieto e nel contado. Perchè il 21 decembre Ci-
nello Alfani, che succedeva nella luogotenenza a Ruggero
d’Antognolla, ordinò al compratore della gabella delle carni
di pagare il necessario danaro « pro stipendio quinquaginta
famulorum conductorum ad stipendium dieti comunis et ad
custodiam civitatis » (4) ed a Rotecastello — confine del
contado perugino — furono numerati 24 fiorini, 4 lire e 5
soldi ad Antonello de Rosis, « recipienti nomine magnifici
capitanei Tartaglie (5b) ». Al quale avevano fatto ricorso cosi

(1) Cronache e storie inedite della Città di Perugia im Arch. Stor. Ital.
T. XVI (1851) parte 22, p. 579.

(2) Cronaca di Ser Guerriero da Gubbio, (MzzaTINTI), p. 89.

(8) FasrettI, Cronache II, p. 80, (19 decembre 1416). Nel racconto del
Campano (p. 544) si sente come una difesa della condotta degli ottimati.

(4) Rif. CXXIV, c. 91. Il 17 decembre fu ventilata la proposta di
assumere a difesa del comune 100 uomini. Ibd., c. 89.

(O locumtenens mandavit ac commisit quod domini Conserva-
tores facerent bullectam et appodissam de florenis XXIV, libris IV et
soldis V quos debent remictere in comuni ilii de Rotecastello, quod dieta

quantitas persolvatur Anthonello de Rosis. Kf. vol. cit., c. 88 t.











BRACCIO DA MONTONE, ECO. 15

Braccio come il luogotenente d’Orvieto (1) chiedendo il suo
ausilio nelle difficoltà presenti.

E non a lui soltanto: chè il 3 ottobre la Signoria di
Firenze, aderendo ad un desiderio espresso dal luogotenente
di Perugia, aveva notificato al capitano di Cortona la de-
liberata volontà di negare il transito per quel territorio à
Lodovico Michelotti, ricoverato a Borgo S. Sepolcro con
cento fanti e duecento cavalli (2). E con lui poco dopo
s'era congiunto Martino da Faenza a sostenere la solleva-
zione dei raspanti in nome dei Malatesta (3). Fu questo uno
dei più grandi tumulti che le fazioni avverse scatenarono in
Perugia, per cui molti cittadini esularono (4) e Braccio fu
costretto a far intervenire, in suo nome e con pieni poteri,
Giacomo di m. Francesco degli Arcipreti (5).

Intanto continuava la lotta intorno ad Arcevia. Fran-
cesco Gonzaga vi perdette il migliore dei suoi capitani, il
mantovano Paolo da Riva, ed egli stesso vi fu ferito a una
coscia (6). :

Le ripercussioni dei moti perugini si avvertono anche
in altre città del Patrimonio.

Il luogotenente d’ Orvieto (10 gennaio 1417) diffidò con
pubblico bando tutti i detentori di armi, pavesi, balestre,
rotelle, di farne entro 10 giorni consegna nel palazzo dei
Conservatori (7), pena 10 lire per ciascun’arma di cui fosse
constatata l’ illecita detenzione. Si temevano offese da genti

(1) Ofr.: Spese del decembre. Rif., vol. cit., c. 92t.

(2) Arch. Stor. Ital. XVI (1851), parte 2*, p. 579.

(3) La notizia è dello Zampolini, sempre bene informato. SaAwsr, op. cit.,
p. 145. Entro questi limiti va ridotta la notizia di una dedizione di Perugia
a Pandolfo Malatesta data dalle Vite dei Dogi. Muratori XXII, p. 913.

(4) FagrertIi, Note e Doc., p. 117.

(5) Pertini, II, p. 228.

(6) Tarpucci in Arch. Stor. Lomb. Fasc. XXXV, (1902), p. 53 segg.

(7) Rif. CXXIV, c. 96.













16 R. VALENTINI

nemiche (1) ed alle misure preventive seguirono le vie conci-
liative, specie in città, nel timore che le fazioni risollevas-
sero la testa (2). E nel successivo febbraio, nella ricorrenza
del carnevale, perchè la licenza dei giorni non offrisse pre-
testo all'insulto impunito o a collettive repressioni, una prov-
vida misura di ordine pubblico dette balia al podesta « pu-

.niendi et torquendi omnes et singulos qui proiecerint fan-

chum, lotum seu aliam bructitudinem et zozzuram adver-
sus aliquem ... ac etiam illos qui iverint ad domos alienas ad
dicendum et disserint aliquam iniuriam, contumeliam » (3).

Mentre le operazioni militari seguivano nella Marca il
loro corso, non erano state interrotte le trattative diploma-
tiche. Guidantonio da Montefeltro arrivò a quest’ uopo a Fi-
renze il 26 gennaio 1417 e vi rimase fino al 2 di febbraio (4).
L’opera da lui spiegata prelude ad un definitivo accordo,
nel quale Braccio dovette in parte deflettere da quelle che
erano le primitive pretese!

Sempre a Rocca Contrada (5) egli sapeva di non navi
gare in buone acque e di alienarsi l'animo delle popo-
lazioni soggette, obbligate a tenere in armi contingenti
di troppo eecedenti la loro capacità contributiva. S'avvide
d'aver male giudicato della forza dei Malatesta, ridusse le

(1) Nelle spese di. Gennaio 1417: « Iacobo Teotonico destinato per
comitatum quod caveant ab offensionibus emulorum. Zif., vol. cit., c. 107 t.
(2) Il 26 gennaio 1417 si deputarono otto cittadini a promuovere la
pace tra la città ed il contado, poichè i conservatori ritenevano « utilis-

« simum fore modum et ordinem adinveniri quibus universaliter omnes

^

cives diete Civitatis ad invicem et vinculo dilectionis reintegrentur et

^

conversationem et praticam habeant et gerant et cum oblivione ingnu-

riarum offensionum ac robariarum pro preterito hine inde illatarum, factarum

^

et commissarum, mutua dilectione se diligant prout decet »... Rf., vol.
016,6." 106.

(8) Ibd., c. 110.

(4) B. neL Corazza, op. cit., in Arch. Stor. Ital., 1894, p. 256.

^

^

(5) Appendice N. 27.

n. cdd







BRACCIO DA MONTONE, ECC. 17

sue pretese sulla taglia dei prigionieri e finalmente il 19
febbraio da Rocca Contrada annunciò agli Orvietani la pace

conclusa (1). Il Perugino cantò vittoria, ma questa mancò;
s'illuse di dare a credere di non aver provocato la guerra,
ed espresse con circolare alle città soggette la propria sod-
disfazione per la riconciliazione cum hiis tam potentibus ho-
stibus, che lo avevano perseguitato usque în agros patrie (2). —
Era stato ad un punto di riveder sollevata Perugia. — Confida
che i benefici di cui sarebbe apportatrice la pace, avrebbero
cancellato il ricordo dei disagi a tutti imposti da quella
guerra che, iniziata sette mesi innanzi, trovava una soluzione
diversa bensì da quella vagheggiata, non tuttavia sfavorevole.
Certo il suo sogno di conquista nella Marca svaniva da-
vanti alla resistenza accanita di Pandolfo Malatesta; e la
forte taglia, sulla quale si accordavano, veniva in gran parte
assorbita dalle. spese ingenti della compagnia. Alle quali
avevano dovuto contribuire, per quanto riluttanti ed esauste,
le popolazioni a lui già sottomesse, che depauperate e divise,
piegavano il capo alle sue imposizioni esasperanti.

La, pace fu annunciata a Spoleto il 21 febbraio in seguito
alla circolare di Braccio (3), ma la firma si ebbe molto più
tardi, certo dopo il 22 marzo (4). Così a Fermo il bando fu

(1) Appendice N. 28. La lettera, come fa intendere la successiva, N. 29,
non fu recapitata per un errore del latore.

(2) Appendice N. 29.

(3) Sansi, op. cit., p. 145.

(4) Cristoforo « Iohannis de Nursia » che aveva l’ înterim della luogo-
tenenza per Cinello Alfani, in data 22 marzo 1417 ordinò che il gabelliere

del macinato anticipasse sull’ ultima paga dodici fiorini d’oro « pro vestito

^

facto illi numptio qui tulit et portavit in comuni litteram et palmam

pacis inite et firmate inter prefatum dominum nostrum (Braecio) et

^

Dominos de Malatestis ac pro factura dieti vestiti et pictura armorum;

ac etiam unum florenum et medium solvit Bernardo de Venetiis, alio

^

^

numptio, qui aliam litteram presentavit dicte pacis in comuni ac aliis

^

numptiis etc. ac alios sumptus in comuni occursos premissorum occaxione

2















18 R. VALENTINI

celebrato die dominica ultima martii (1). La firma fu preceduta
da un compromesso in cui entrarono Bartolomeo de Bonetti
d’Orvieto, commissario del sacro Concilio di Costanza, Angelo
Pandolfini e Pietro dei Guicciardini per Firenze, Guidantonio
da Urbino ed i procuratori dei Malatesta; e per la parte di
Braccio Bernardo da Camerino, Sallustio di Guglielmo da
Perugia e Bindaccio dei Fibindacci de’ Ricasoli, suoi pro-
curatori, un delegato del Tartaglia, alleato di Braccio (2)
e dei Migliorati Lodovico e Gentile, e Ridolfo di Gentile da
Varano (3), che pure teneva per lui.

Il 4 aprile 1417 si ebbe la ratifica del lodo pronunciato
da Bartolomeo Bonetti (4). Braccio ritenne come ostaggi i
prigionieri che furono rilasciati — dopo il 9 aprile (5) — me-
diante il versamento di 60 mila fiorini (6) c un residuo di
20 mila da pagarsi più tardi e dei quali restò mallevadore
Guidantonio da Montefeltro (7).

Braccio prima del 28 febbraio era tornato a Perugia.
L'impresa contro i Malatesta gli aveva fatto trascurare troppi
interessi nell’Umbria, dove alcune città (Todi) non erano an-
cora del tutto tranquille (8), in altre le pessime condizioni

« ete». Rif. CXXIV, c. 119. Nelle spese del Marzo 1417 « Symoni Agneli
Tini pro CXX pagnonis pro gaudio pacis, lib. III, s. VII?» (c. 121).

(1):Ofr. Doc. di. Stor./ IHal., T. IV; p.46.

(2) Ibd., p. 140.

(3) Cronache e Stor. inedite della città di ‘Perugia in Arch. Stor. Ital.,
T. XVI (1851), parte 22, p. 580.

(4) Ibd.

(5) Secondo le Vite dei Dogi (Muratori, XXII, p. 913) Carlo ai 10 di
aprile sarebbe giunto a Rimini, e 1°11, certo più giustamente, secondo il
Chron. Forliviense (Muratori, XIX, 886).

(6) Il Minumi credette 60 mila (op. cit. 191); di 80 mila ducati parlano
il Campano (Muratori XIX, p. 545) e la Cronaca di Fermo.

(7) Arch. Stor. Ital., T. XVI, parte, II, p. 580.

(8) Muratori XIX, p. 545.





BRACCIO DA MONTONE, ECC. 19

finanziarie (1) costituivano un fomite di continui perturba-
menti.

Come nella precedente venuta di Braccio a Perugia,
così anche questa volta si tornò a parlare del suo prossimo
arrivo in Orvieto. E non erano ciarle soltanto: l'aveva riscritto
più volte lo stesso luogotenente Cinello Alfani allora in Pe-
rugia, chiamatovi da Braccio (2); lo asserivano con insistenza
i cittadini che di là tornavano. Nuovo aggravio per il Comune,
oberato di debiti. Per riceverlo degnamente si pensò riadat-
tare il palazzo vescovile e le spese di riattamento ed ad-
dobbo furono preventivate a 150 fiorini. Fu devoluta, per
far fronte alla spesa, al camerlingo della Fabriceria del
Duomo la gabella della Selva di Monte Rofeno: si decretò
anche un « insenium » fino alla spesa di 200 fiorini (3).

(1) Il comune di Orvieto era adesso oberato di debiti. L° 11 febbraio
fu obbligato a due ebrei il residuo della gabella delle carni per un anti-
cipo al comune di 275 fiorini (Rif. CXXIV c. 100-100 t.); ad altri eredi-
tori, in mancanza di fondi, furono ceduti i proventi della gabella degli straor-
dinari (c. 101); per mandare oratori a Braccio, il 3 marzo, si dovette
obbligare il gabelliere del macinato ad antistare la paga del giugno (c. 117);
per soddisfare il credito di Francesco « ser Vannicelli » da Lugnano, addetto
alla custodia del castello, gli fu ceduta per due anni la gabella del pedagio
(c. 101t); per rinnovare bdanderias tubectarum comunis si ricorse ad altri
ripieghi (c. 120), e vano espediente fu la nomina di quattro regolatori delle
spese (c. 115 t.).

(2) Era partito il 23 febbraio, deputando in suo luogo il proprio uditore
Cristoforo di Giovanni « de Nursia », (c. 113 t.).

(8) Ecco la proposta avanzata nel consiglio del 24 marzo 1417. Avendo
il Luogotenente scritto più volte da Perugia ed i cittadini di là tornanti

confermato « quod vietoriosus et prepotens dominus noster Braccius de

^

Fortebraccis etc de proximo sit venturus ad civitatem Wetanam nec sit

^

locus habilis et honorabilis in quo ipse sit mansurus preter palatium

Episcopatus, quod palatium eget reparatione et acconeimine, pro qua

^

reparatione fienda requiruntur expense circha quantitas florenorum auri

^

CL secundum declarationem mazistrorum lignaminis, qui dictum viderunt

^

laborerium fiendum et reparationem, sitque necessarium fieri pro honore

^

et debito Comunis ac pro magnifica habitatione dieti domini nostri, igitur

v

quid videtur et placet dictis consiliariis » ecc. Rif. OXXIV, o. 119.





























20 R. VALENTINI

Il lungo soggiorno di Braccio a Perugia, il richiamo di
Cinello Alfani, la sua dimora a Todi, dove era Ruggero di
Antognolla, preludono ad avvenimenti di straordinaria im por-
tanza.

All’annuncio della fine della grande lotta coi Malatesta
le città soggette a Braccio avevano sperato una tregua ai
contributi esorbitanti a cui le forzavano i suoi esattori: ma
il suo governo diveniva ognor più vessatorio, inteso a trarre
d’ogni terra il massimo rendimento. Orvieto si vide tassato per
1322 fiorini d’oro (1) mentre i creditori divenivano sempre
più petulanti e quando in cassa non,c’era un soldo da taci-
tarli! Ma le lettere di Braccio assumono un tono sempre più
aspro. Per lo più sono ordini perentori, crudi, imperiosi,
prima; poi lasciano trasparir l'abitudine di chi era avvezzo
imporre colla forza il proprio tornaconto e minacciar vio-
lenza in caso di inadempienza.

Del suo arrivo in città nessuno seppe più nulla.

Jen altro era il piano già combinato per la primavera
e l'estate:

A ben intendere le cause che determinarono gli avve-
nimenti che seguono è necessario ritornare brevemente sulla
situazione romana. Colla scomparsa di Paolo Orsini — van-
taggiosa al Tartaglia non meno che a Braccio — la condi-
zione del cardinale Isolani si aggravò notevolmente e, per
sorreggersi, dovette scendere a transazioni con la parte
popolare che faceva capo al suo rivale, cardinale Pietro
Stefaneschi e, per lui, al binomio Braccio-Tartaglia.

(1) Rif. CXXIV e. 121 t. Nella sala superiore (del palazzo dei Con-
servatori) si riparte tra quei del contado la metà dei 1322 fiorini d’oro
impositionis nove.

Il 4 maggio 1417 giurò il nuovo podestà Francesco « ser Viviani » da
Firenze, eletto da Ruggeri d'Antognolla il 16 settembre 1416, (Rif. vol. cit.,
c. 185 t.) per un semestre a cominciare dalla data del giuramento (c. 132).

Il 25 aprile furono eletti i conservatori per il bimestre maggio-giugno

(c. 195 t).







BRACCIO DA MONTONE, ECO. 21



Oramai in Roma esisteva, e forte, un partito dello Stefa-
neschi in opposizione all'Isolani, che il 27 agosto 1416 dovette
transigere colla parte avversa ed aecordarsi sulla nomina di
tre governatori che presiedessero alla scelta degli Ufficiali,
come a tutti gli atti del Governo (1).

Fu tra costoro quel Nardo Venetini (2), creatura di Gio-
vanni XXIII, che noi trovammo in Orvieto nell'agosto del 1413.

Evidentemente il Cardinale Isolani perdeva tuttavia
terreno. Il nuovo governo costrinse il Legato a comporre.
una tregua col Tartaglia, ormai forte più di prima per i
servizi resi a Braccio e per la fratellanza d’ armi che ancora
li univa. 7

A negoziare a Sutri col Tartaglia si recarono, il 14 set-
tembre 1416, il Cardinale Stefaneschi, Nardo Venetini e
Giovanni Cenci (3). Il capitolato c’è noto (4); e sono così
vantaggiose le condizioni accordate al Tartaglia, che vien
fatto di pensare che lo Stefaneschi già fin d’allora avesse
‘in animo di mettere Roma alla mercè di lui e di Braccio.

Ma allora la guerra coi Malatesta ancora durava, e
l'impresa a cui lo Stefaneschi invitava Braccio esigeva una
poderosa preparazione: diplomatica e militare, alla quale
potè attendere solo ora. Sia che gli mancasse un vero pegno
da assicurarsi il possesso dei suoi domini nell’ Umbria, quando
il Concilio si fosse accordato sull’elezione di un pontefice,
sia, che il Concilio di Costanza non avesse levato alcuna

(1) Diar. Rom., p. 104.

(2) Questo stesso Nardo « de Venectinis » in un atto dei Conservatori
di Roma, riportato nel protocollo del 1421-25, è intitolato custos et registr[ator]
salis saline maioris palatii Capitolini et. Camere urbis. Tomasserti, Sale e foca-
tico del Com. di Roma nel M. E., in Arch. S. Rom. S. P. XX, p. 328.

(9) Diar. Rom., p. 104.

(4) Arch. Soc. Hom. St. Pat., III, p. 417-21.

Il Diario di Antonio di Pietro dello Schiavo ci mette in condizione di
misurare l’attività politica del cardinale Pietro Stefaneschi nel periodo che

previene l’occupazione di Braccio.









22 R. VALENTINI

protesta contro le sue occupazioni, sia che lo spingesse una
incomposta bramosia di gloria volle tentare un gran colpo
che in seguito giustificasse e legittimasse un suo dominio
nel Patrimonio.

L'impresa di Roma fu maturata e curata nei saoi par-
ticolari in questi mesi di permanenza in Perugia (Febbraio-
Maggio 1417) (1).

La cooperazione del Tartaglia era indispensabile : bisognò
indulgere alle richieste in base alle quali mercanteggiava il
proprio intervento. Desiderò le terre che possedeva lo Sforza
nella Maremma e che confinavano con i suoi possessi. Muzio
Attendolo le aveva lasciate in custodia a Michele, che mili-
tava con onore nelle file di Braccio (27.

La richiesta riuscì dolorosa al Perugino, ma l' ambizione
soffocò in lui ogni altra voce. Licenziò bruscamente — senza
preoccuparsi delle conseguenze, Michele Attendolo (3) e lasciò
mano libera al Tartaglia di impadronirsi di tutte quelle terre
che lo Sforza aveva acquistate, a cui rimasero Sorano ed
Acquapendente (4).

Condotto a tal prezzo il Tartaglia, affidava a Bernardo

(1) Nel Campano (p. 545) nessun accenno né alla preparazione, nè alle
cause remote che portarono all’impresa di Roma.

(2) CrivenLi, De vita Sfortiae, in Muratori XIX, p. 671.

(3) Minuti, op. cit., p. 196.

(4) Fu ‘questa la causa precipua delle future rivalità tra Braccio e
Sforza. Muti, Ibd., p. 197. Già prima del giugno 1416 i Senesi avevauo
finito per comperare dallo Sforza Chiusi, la terra e rocca di Piancastagnaio,
Montegiovi, Montenero, la Ripa e Bagno Vignoni per una somma di 18 mila
fiorini, ivi compresi gli 8 mila fiorini, pagati dal Comune di Siena a Cocco
Salimbeni, creditore a Sforza con garanzia sopra la fortezza della Ripa e
Bagno Vignoni. Cfr. I castelli della Val d° Orcia in Bull. Senese di St. P.,
1908, p. 63.

Per le vicende di queste terre durante la prigionia dello Sforza cfr.
Hist. Sen. in Muratori XX, p. 15 e segg. Macavorti, Hist. Senese, III,
p. 10-11. Annali Senesi in MurarorI, XIX, p. 425.







BRACCIO DA MONTONE, ECC. 23



da Camerino la tutela ed il presidio dei suoi territori nella
Marca.

Quello che maggiormente difettava era il denaro da
stipendiare la compagnia.

L’undici maggio scriveva da Perugia ai conservatori di
Orvieto (1); il 12 era contro Spoleto e si accampava a Busano.
Contrattata con gli Spoletini l'evacuazione dal territorio, se
ne partì il 17 maggio (2).

Alla taglia contribuirono anche quei di Norcia per non
vedersi depredato il territorio (3).

Il 20 maggio sostava presso Collescipoli, fra Terni ‘e
Narni (4), come ci segnala un nostro documento.

L'aspirazione alla conquista di Roma, pare ed è, un
atto di temeraria audacia. Nè intendo dir questo rispetto alle
operazioni strategiche. Dietro le mura Aureliane non era
più un popolo feroce della propria tradizione! Quella cinta
imperiale non era stata violata dal Tartaglia e dallo Sforza?

E come avrebbe resistito a Braccio, quando al di là di
quelle mura lo attendeva una fazione devota? L'audacia, la
temerità è nell’aver preteso di mantenere un tanto acquisto,
morale più che materiale, lui che provvedeva al soldo della
compagnia con tributi estorti a città depauperate. S'illudeva
di restituire sul trono pontificio lo spagnolo Pietro di Luna,
per averlo poi ligio alla sua volontà? Veramente di un
piano ordito per consegnare Roma nelle mani di Benedetto
XIII, parla il cardinale Isolani in una lettera alla Repub-
blica di Siena, a giustificazione della cattura del Cardinale
Stefaneschi; ma non è facile sceverare dal vero quanto
l'odio potè suggerirgli a carico del cardinale di S. Angelo

(1) Appendice N. 30.
(2) Sawsr, op. cit. 146. Non mosse quindi contro Spoleto il 8 maggio,
oome crede L. Srmrro. Lib. I., cap. XXI.
(3) Muratori, XIX, 545.
(4) Appendice, N. 31.

























24. R. VALENTINI



che, notoriamente parteggiava con Braccio, con Battista
de’ Savelli, Giacomo Colonna e Riccardo de la Molara e
tramava da anni per liberarsi di lui e ritornare in qualità di
Legato al governo pontificio (1).

Dalle trattative seguite coll'Isolani risulta che Braccio
intendeva di farsi nel possesso di Roma un pegno che gli
rendesse. obbligato il nuovo pontefice (2).

Arrivato dunque a Narni, desiderò abboccarsi con un
ambasciatore da parte del Cardinale Isolani, che gli inviò
Giacomo Del Bene (3). Dissimulata la sua vera intenzione
ed intesa la tranquillità del legato, il giovedì tre giugno si
accampò a Castel Giubileo.

Il 9 si portò fino a S. Agnese, a tre miglia da Roma,
dove ricevette il Cardinale Isolani che giungeva inerme, a
nuova prova di inalterata amicizia. E Braccio sembra rin-
novasse le sue proteste di devozione incondizionata alla
Chiesa (4).

La sua condotta cambia decisamente dopo l' intervento del
piü subdolo nemico dell'Isolani, il cardinale Pietro Stefane-
schi. Questi il sabato 12 giugno ebbe con Braccio un primo

(1) Fumi, Cod. Dip., p. 673.

(2) Ibd.

(8) Ibd. p. 670.

(4) Anton Perri, Diarium Romanum, p. 109 (Ed. Isoldi). Lasciò scritto
Pietro dello Schiavo in questo passo che B. venne a Roma de mandato
et voluntate d. Legati ..., e la notizia parve ai critici così assurda,
che la supposero un errore del Diarista romano. Se non che una strana
coincidenza ha finito per convincermi del contrario. Braccio in una lettera
circolare alle città soggette — e quindi in un documento di ragion pub-
blica! — dice espressamente: dominus Legatus una cum cunctis
rectoribus alme Urbis me vocaverunt...(Fum, Cod. Dipl., 670).

Equivoca a ragion veduta sulla persona del Legato che, per lui, sarebbe
lo Stefaneschi? Non pare: io suppongo che 1’ Isolani, a corto di ogni al-
tro mezzo, decidesse combattere lo Stefaneschi con le sue stesse armi e
accattivarsi Braccio invitandolo formalmente a comporre le cose di Roma,

lontano dal supporre in lui l’audacia di meditarne il dominio.









BRACCIO DA MONTONE, ECO. 25



abboccamento ; la domenica sera radunò nel proprio palazzo
tutti i signori romani, i conservatori i caporioni e fu deli-
berato di accogliere Braccio in città (1). Ma il popolo, sol
levato dall’Isolani, proruppe in furore e cinque ambasciatori
notificarono a Braccio che i romani non erano disposti a rico-
noscere altra Signoria all'infuori della Chiesa. Cominciarono
le trattative con l’Isolani, ma pretendendo il perugino un
titolo di gubernator rei publice Romanorum, l’Isolani oppose
che tale denominazione annullava la sua autorità di Legato.
Braccio aprì allora le ostilità. L’Isolani, al giorno dell’opera
attivissima che svolgeva lo Stefaneschi, adesso coi nobili,
riallacciò le trattative, propose a Braccio il titolo di De-
fensor S. R. E. ac protector rei publice Romanorum a condi-
zione che giurasse nelle sue mani. Ma Braccio pretendeva
dal Legato speciali garanzie anche a nome del futuro ponte-
fice, se fosse riconosciuto dalle grandi potenze, alla quale
richiesta non pare che l'Isolani potesse accedere (2).

Intanto il cardinale Stefaneschi d'accordo con Giacomo
Colonna, i conservatori, i baroni romani, i caporioni col pre-
testo di non esporre la città alla fame, gridando « Viva
Braccio! » con palme nelle mani gli mossero incontro e lo
introdussero in Città per porta Appia (16 giugno), mentre
il cardinale Isolani per timore lasciava il Campidoglio e
cercava un asilo a Castel S. Angelo (3) in attesa del pro-
messo soccorso della Regina di Napoli.

Braccio come non aveva calcolato che la cacciata di
Micheletto Attendolo gli avrebbe tirato addosso le rappre-
saglie dello Sforza, cosi ora non commisuró i mezzi che di-

(1) A. Perri, Diar., 109.

(2) Fumi, Cod. Dip., 671. Francesco di Messer Catalano da Todi trat-
tava per Braccio. Pare che si fosse trovato l’accordo sopra un capitolato,
che il Perugino all’ultima ora rifiutò di firmare.

(3) Antoni PETRI, Diarium, p. 109. Il dialogo tra l’Isolani e Braccio
quale lo immagina il Campano, (p. 545) 6 artificioso ed eccessivamente

ingenuo.







26 R. VALENTINI



venivano indispensabili a dominare Roma, una volta assunto
codesto atteggiamento decisamente avverso alla Chiesa. Nè
un uomo come lui avrebbe dovuto illudersi di aver forze
sufficienti, da imporre alla cristianità un papa in Benedet-
to XIII.

Certo un incontenuto desiderio di gloria momentanea-
mante gli fece velo; a sentir l’ Isolani mancarono anche
abili diplomatici (1), ma la causa precipua dell’aperta ribel-
lione di Braccio alla Chiesa fu, secondo lo stesso Cardinale,
la febbre di conquista del condottiero Perugino.

« Chè s’eglie fosse stato uno vostro paro a reprimere
questo fumo et appetito disordinato, così scriveva a Niccola
Uzzano lui haveva da nui uno stato honorevole con bona
fama e securo, dove se trovarà lo contrario (2) ». Profeta
l' Isolani!

Nella lettera circolare alle città soggette a fausto annunzio
della presa di possesso di Roma, Braccio si atteggiò a pala-
dino della Chiesa, a tutore della culla della cristianità, dove
era accorso, invocato dal Legato pontificio, ad evitarne l’ im-
minente rovina. E in parte questo era vero (3). Ma chi gli
credette ?

Il Legato protestava altamente davanti alla cristianità
della violenza patita e, prigione in Castel S. Angelo, invo-
dava soccorsi (4).

(1) Noi havemo havuto desasio de boni mezatori, Fumi, Cod. Dip., p. 672.
Queste parole mi confermano nell’ opinione che il Legato sperò di trovare
un modus vivendi da salvaguardare i diritti della Chiesa e soddisfare alle
brame di Braccio.

(2) Ibd.

(8) Appendice N. 32. A Venezia l'occupazione di Roma si seppe il
26 giugno. Braccio asseriva d’ esservi entrato d’ordine del Concilio. Mura-
tori, XXII, p. 915.

(4) Importantissima è la lettera (1° luglio 1417) a Niccolò da Uzzano,
e per lui al Valori e al Guadagni, edita dal Fuwr nel Cod. Dip., p. 670.
Del resto a Fermo fin dall'ultimo di giugno era nota la prigionia e la
deposizione dell'Isolani. Ofr. Doc. di Stor. ltal., T. IV, 47.







BRACCIO DA MONTONE, ECO. 21



Perché Braccio, lasciata S. Maria del Priorato, s'era
stanziato nel palazzo del Papa e 1’ 8 di luglio poneva as-
sedio a Castel S. Angelo (1. La Regina Giovanna che ne
era padrona, non credette piü oltre indugiare e deliberó af-
fidare allo Sforza un corpo di spedizione con cui recupe-
rare Roma per consegnarl al futuro eletto di Costanza.

A Braccio i preparativi di Napoli (2) non erano ignoti,
come il risentimento dello Sforza ; ed il Tartaglia, chiamato a
rinforzo il 24 luglio con tutta la sua gente pose primamente il
campo apud Valcam S. Petri (3). E prima della venuta dello
Sforza Braccio aveva sollecitato l'arrivo di Bernardo Va-
rani, Signore di Camerino e di Roggero Cane de’ Ranieri
con 600 cavalli, lasciati a presidio della Marca (4) Sempre
cauto nel prevenire possibili attacchi, Braccio prospettò al
suo luogotenente in Perugia la probabilità di zffrontare un
assalto, che profittando del momento, avrebbero potuto sfer-
rare le brigate dei Malatesta (5).

Lo Sforza, punita la defezione di Iacopo Caldora e del
Conte di Monteoderisio, che pare avessero tramato un in-
ganno in segreta corrispondenza con Braccio (6), si accampò
col suo esercito il 10 agosto verso la porta di S. Giovanni
in Laterano. Rifiutando Braccio un formale atto di sfida,
Sforza cavalcò verso Ostia, e venne per la via Trasteverina
fino a Monte Mario, per sorprenderlo alle spalle e libe-
rare Castel S. Angelo, dove era prigione il Legato. La mossa

(1) Perri, Diar. Rom., p. 110.

(2) Per far fronte alle spese della spedizione la Regina alienò molti
feudi e castella, Faragia, Storia della regina Giovanna II, Lanciano 1904, p. 88.

(3) A. Perri, Diarium, p. 111.

(4) Perni, II, p. 230.

(5) In questa contingenza Bindaccio de’ Fibindacci de’ Ricasoli richiese
la comunità di Orvieto di cento fanti (Appendice N. 33) e il contado fu
avvisato di attendere a solerte custodia. Rif. CXXIV, c. 163 t.

(6) Minuti, op. cit., p. 207. Furono vinti e fatti prigioni dallo Sforza

il 1° agosto alla Badia di Casamala.











































28 R. VALENTINI



strategica, più probabilmente che la peste, tratta in ballo dal
Campano (p. 547), obbligava Braccio alla ritirata : il 26 ago-
sto lasciò il Vaticano e col Tartaglia e Bernardo da Came-
rino passò il Ponte Milvio, che poi fece tagliare dietro di
sè (1), e con grande corruccio (2) abbandonò Roma.

L’aveva dominata 70 giorni. Dopo la cattura del Car-
dinale Stefaneschi (3 settembre) (3), Braccìo vide tramontare
ogni speranza di ritorno, si tenne tuttavia a Narni, spiando
le mosse dello Sforza; Tartaglia andò a Toscanella, e Ber-
nardo da Camerino tornò nelle Marche.

Se la dominazione di Roma legava per sempre il nome di
Braccio alla storia e il suo prestigio ne guadagnava, fu pure
sua fortuna che le condizioni dell’ esercito dello Sforza e
del Reame non permettessero di dar fondo all’azione intra-
presa, altrimenti l'avventura romana avrebbe potuto riuscir-
gli esiziale.

Invece tutto il danno si limitó alle versioni tendenziose
che in questo tempo furono diffuse per l' Umbria (4). Cercó
provvedere comunicando con circolare alle città soggette
che l’ allontanamento da Roma era stato volontario, abor-
rendo (lui!) dal sangue romano, e determinato di rimanere
nell'obbedienza della Chiesa (5).

(1) Ibd.,.p: 210.

(2) InrEssuRrA, p. 22 (Tomassini).

(8) Fu voluta dall'Isolani e dallo Sforza. Vedine il ragguaglio dato
per lettera ai Senesi il 5 settembre 1417 in Fumi, Cod. Dip., p. 673.

Il documento dimostra tutta la triste potenza acquistata dallo Stefa-
neschi e la sua pertinace resistenza. Pare che, valendosi della sua amicizia
collo Sforza, s'illudesse di guadagnarlo alla sua causa e, dopo averlo
allontanato da Roma, richiamare Braccio ed i Baroni fautori di lui. A giu-
stificare la cattura l’Isolani si esprime: non valentes Awic pestilentie aliter
providere. Il Cardinale in processo di pochi giorni moriva in Castel S. Angelo
(il 81 ottobre secondo il Cracconio, Vitae Pont. II, p. 810) a quanto pare
di morte naturale. Corio, p. 314.

(4) SansI, op. cit., p. 146.

(5) Appendice, N. 34.









BRACCIO DA MONTONE, ECC. 29.



Ma a codeste espressioni non era più chi credesse e se
ne ebbe una eloquente prova proprio nel momento in cui
trionfava nell’ Urbe. Decise allora celebrare con insolita pompa
a Perugia l'anniversario della sua vittoria del 12 luglio. Im-
pose alle terre soggette di farsi rappresentare alla cerimo-
nia da alcuni messi che dovevano offrire un pallio (1). Da
Orvieto ne pretese uno « de velluto de fiorini cinquanta de
valuta » (2). « Et fate che questo non sia fallo, per quanto
havete caro la gratia nostra: che lo havaressimo troppo a
male » (3). Così ai Conservatori: e rinnovò istanti premure
a Cinello Alfani, ai Conservatori, al proprio luogotenente in
Perugia (4).

Quale significato doveva assumere questa celebrazione?
Donde tanta insistenza da parte di Braccio presso i propri
luogotenenti, perchè le città soggette fossero tutte rappre-
sentate? Nessuno mai si propose questa domanda, lontani
dal supporre in Braccio altri fini che la solennizzazione del-
l'anniversario. La ragione è altra. Mentre dalla prigionia
di Castel S. Angelo il cardinale Isolani denunciava all’Italia
il tradimento di Braccio, e lo escludeva dalla comunione
della Chiesa, al condottiero necessitava sondare se il suo
prestigio fosse stato scosso e opporre alle scomuniche del
l'Isolani un plebiscito dei paesi del Patrimonio che, non cu-
ranti delle querele del Legato, dessero prova di mantener-
gli la più fedele soggezione. Ma il giuoco era troppo pa-
lese, e gli Orvietani, pur non rifiutando l'omaggio (5), inte-
sero dir chiaro che la loro offerta non significava adesione
alla ribellione di Braccio.

(1) Pertini, II, p. 281. Quanto ai precedenti di questa forma di tri-
buto cfr. M. Moresco Il Patrimonio di S. Pietro, 1916, 293.

(2) Rif. CXXIV, c. 168 (21 giugno).

(8) Appendice, N. 35.

(4) Appendice N. 36-39.

(5) L'atto di soggezione riuscì particolarmente grato a Braccio. Appen-
dice N. 40.











30 R. VALENTINI



« Ben ne dolémo co reverentia che tucte l'altre Com-
« munità del decto Magnifico Signor Braccio non fando quisto
« signo né quisto presente, et spetialmente Tode ». Avver-
tono i propri delegati che « facendo l’altre Communità si-
mile acto, vogliate et operateve che quisto nostro presente
et dono se faccia più honestamente et remotamente che

A

A

si può, sì che la nostra Ciptà nè sia messa ad sono de
trombe, nè in voce de popolo per questo, che noy facemo
solamente al decto Magnifico nostro Signore Braccio et per
sua contemplatione et no per altro .. » (Hif, CXXIV
6. 201)

Con questo atteggiamento le città umbre, specie la marzia
Todi, disapprovarono l'impresa di Roma (1).

Orvieto profittó del momento per inviargli Paolo da
Bolsena a rappresentargli il crescente impoverimento della
città (2).

Paese eminentemente agricolo, con poche arti fiorenti
(tintorie di lana, vasellari) non era più in grado di soppor-
tare tanto eccessivi gravami finanziari: mancavano altresi
le esazioni del contado e distretto, dove le guerre continue
avevano seminato fame e miseria (83). Braccio rispose che
avrebbe presto provveduto ai bisogni di questa terra: ve-
dremo come.

Finchè Braccio rimase a Narni in attesa di conoscere
il piano dello Sforza, impegnato contro il Tartaglia, per il
territorio orvietano fu un continuo transitare di gente d' ar-

^

^

^

A

(1) Secondo il Petrini (II, 231) a B. pervennero i palli delle seguenti
città: Orvieto, Narni, Terni, Rieti, S. Gemini, Iesi, Montalboddo, Rocca
Contrada, Gualdo, Nocera, Cesi, Monterotondo, Castel della Pieve, Colle-
scipoli, Spello, Cannara, Todi. Quest'ultima avrebbe ceduto alle intimazioni
di Braccio, che finì per avere l’unanimità desiderata.

(2) Appendice N. 41.

(3) Appendice N. 42.













BRACCIO DA MONTONE, ECC. 31

me (1). Dopo la ritirata di Braccio, Niccolò Piccinino, accorso
a Roma con 400 cavalli, in un fatto d’arme rimase prigione
dello Sforza con oltre 60 dei suoi (2). Se Braccio volle libero
il Perugino, dovette indurre il Tartaglia a rilasciare tutti gli
uomini d'arme catturati mentre usurpò a Micheletto Atten-
dolo le terre che teneva lo Sforza nel Patrimonio. Lo scam-
bio avvenne nel settembre di quest’ anno e ne sentiamo un
eco anche in Orvieto. Fra le spese straordinarie del settem-
bre è segnalato: « Adamo destinato mandato domini locumte-
nentis ad magnificam capitaneum Tartaliam pro facto tre-
gue » (3).

Liberati Sforzeschi e Bracceschi, Sforza con una parte
della Compagnia (4) era venuto d’ottobre a Viterbo, per pro-
teggere dai venturieri del Tartaglia le operazioni della se-
mina (5) e quivi rimase fino al termine del novembre.

Quando l’Isolani si vide Braccio e Tartaglia decisamente
ostili, proibì a tutte le comunità religiose di pagare loro le
solite corrisposte onde erano gravate — e per alcune bisogno
d'incitamenti non c’era. Ma ai due capitani venivano a man-
care larghi cespiti, proprio quando le spese per la gente
d'arme crescevano. Braccio dalla Rocca di Narni il 20 set
‘tembre 1417 intimò con' lettera di taglia a tutti i vescovi
abati, priori, prevosti, arcipreti, preti, pievani, chierici, ret-

(1) Spese di luglio: « Luce de Perusio destinato in Alfinam ad sen-
tiendum nova gentis illac transeuntes. Rif. CXXIV, c. 174t. Spese di
Agosto: cuidam numptio qui venit a Venano, quando transivit certa gens
armorum (c. 182 t.). Frequenti i messi ad Acquapendente e Toscanella.

Che Braccio da Roma facesse ritorno a Perugia è asserzione gratuita
del Campano (p. 547), contradetta dai nostri documenti.

(2) Mmuni, op. cit., p. 218. PeLumi, II, p. 230. Della cattura tace
L. Semriro.

(8) Rif. OXXIV, c. 189 t (26 settembre 1417).

(4) Il 5 settembre il cardinale Isolani scrive: « Iam duo millia equo-
rum recesserant de Urbe versus Regum ... ». Fumi, Cod. Dip., p. 674.
(5) Minuti, p. 214.













32 R. VALENTINI



tori di Chiese e comunità delle terre del Patrimonio (1) il
pagamento degli arretrati e delle dative in corso — « ut est
de voluntate et consensu m. fratris nostri Tartalie de La-
vello » — e ciò « ut nostre gentes armigere de dictis sub-
sidiis manuteneantur ». Comminò il doppio della taglia se il
pagamento del sussidio del ‘16 non fosse stato effettuato entro
un mese, e nei legali termini quello dell’anno in corso (2).

CAPITOLO. V.

Situazione politica nel Patrimonio dopo la cacciata di Braccio da Roma —
Gravi difficoltà finanziarie di Braccio — Incursione in territorio di
Fermo -- L’impresa di Cetona -—- Assedio di Mugnano — Spedizioni

5
contro Lucca e Norcia — Il soggiorno di Iesi — Mediazione dei Fio-
rentini tra Braccio e Martino V. — Orvieto dissanguata dalle imposi-
zioni di Braccio — Apertura delle ostilità contro il Montefeltro ed il

Pontefice — La conquista di Spoleto.

Gli effetti dell'errore romano cominciavano a farsi sen-
tire. L’Isolani non poteva aspirare ad altra rivalsa che creare
a Braccio e Tartaglia tutte le difficoltà possibili alle esazioni
fiscali, presentandoli alle popolazioni come due indegni usur-
patori dei diritti della Chiesa. Martino V segui, anch'egli, la
stessa politica, la quale, se realmente metteva in serio im-
barazzo i due capitani, che non potevano provvedere altri-
menti al soldo delle compagnie, è anche vero che tornò a
suscitare le fazioni e i travagli della guerriglia civile. Braccio,
a corto di danari, tolse a pretesto le più futili ragioni per
esercitare in diverse regioni grassazioni su vasta scala.

Spiate le mosse e le intenzioni dello Sforza, si ritirò con
la compagnia a Todi, dove apprese la defezione di Sassofer-

(1) Appendice N. 43.

(2) Rif. CXXIV, c. 190 t-191. Il Campano si guarda bene dal far pa-
rola di tutto ciò e si indugia a descriverci i Judi perugini. Per la battaglia
dei sassi vedi Riv Stor. I, 801.







BRACCIO DA MONTONE, ECC. 33

rato (1). Soffocata quella piccola sollevazione colla distru-
zione delle case dei rivoltosi, venne a Rocca Contrada donde
a Perugia e di nuovo a Todi, dove il 17 ottobre lo trovarono
gli ambasciatori orvietani (2).

Braccio si vide finalmente costretto da ragioni politiche
a non più differire la promessa visita alla città d’ Orvieto.
Tanto più che non si allontanava dallo Sforza, tuttavia a
Viterbo, sul quale teneva assiduamente fisso lo sguardo. Gli
ambasciatori di ritorno da Todi (18 ottobre) portarono la
nuova dell’arrivo imminente.

Una offerta era indispensabile: in mancanza di fondi il
camerlengo fu autorizzato ad erogare tre rate della gabella
del macinato e poi, trovandosi insufficiente la somma stan-
ziata, fu imposto un prestito forzoso di 100 fiorini da resti-
tuire mercè il reddito di una imposta dalla quale i poveri
sarebbero stati esentati (3). Braccio entrò in Orvieto il 22

(1) Muratori, XIX, p. 549.

(2) Fra le spese straordinarie dell'ottobre vien registrato (Rif. CX XIV,
e. 197 t-198) :

. « Anthonio Schiavo destinato ad dominum nostrum Braccium in
« Roccha Contrada lib. VJ, s: X ».

. « Luce de Perusio destinato Tudertum ad dominum nostrum Brac-
« eiim Hd RE War

.. « Luee de Perusio destinato ad dominum nostrum Perusium
:dib. N28 XV

Da Todi scrisse ai Conservatori la lettera che riportiamo in Appen-
dice N. 44.

(8) Rif. CXXIV, c. 195 t (22 ottobre) « Cum illustris et prepotens
dominus noster Braccius de Fortebraciis, predictus ete venerit ad hanc

^

Civitatem pro defensa et salute Civitatis et totius patrie, sitque conve-

niens ae nostra Civitas teneatur et debeat honorifieare dominationem

^

^

suam, maxime in hoe primo suo adventu; et aliqualis provisio facta

fuerit per dominos Conservatores de pecunia dicti Comunis in parva

^

quantitate circha insenium sibi largiendum et deficiat pecunia in Comuni

^

pro supplendo predictis, et ne ex hoc sequatur dedecus Comuni, et vi-

tium ingratitudinis ipsam comunitatem pro huiusmodi materia non com-

^

prehendat, igitur quid videtur et placet ... ».











34 R. VALENTINI



ottobre del 1417, il 25 concesse un’ amnistia per tutte le
sentenze emanate contro qualsiasi delitto « usque in diem
quo reintraverunt exiticii dicte Civitatis Urbevetane > (1).
Con questi atti di clemenza Braccio s'argomentava comporre
le fazioni che declinavano e smorzare gli odi, non ancora
del tutto placati, sui quali i Melcorini soffiavano. I contri-
buenti reclamavano uno sgravio dalle eccessive imposte;
col contado occorreva usare ogni cautela, per non dover ri-
correre alle esazioni per mezzo di armati, il mantenimento
dei quali ne avrebbe assorbita gran parte.

Intanto lo Sforza verso la metà del novembre, prima di
abbandonare il territorio viterbese, volle tentare una rivalsa
sul Tartaglia che aveva tolto a Micheletto le terre della
Maremma. Braccio saputo del pericolo che correva l’alleato,
venne a Montefiascone dove lo trovarono gli ambasciatori
orvietani il 13 novembre (2). Sforza, conosciuto l'arrivo di
Braecio, non credette opportuno continuare a molestare il
Tartaglia, chiuso in Toscanella, e negozió con lui una tre-
gua (3).

Il 15 di questo mese il Perugino soggiornava ancora a
Montefiascone dove nominò ser Bartolomeo Megliorutiî di
quella terra (4) cancelliere di Orvieto per sei mesi: ed il 17
entrava anche lui nella tregua già conclusa tra lo Sforza e
il Tartaglia: nel darne agli Orvietani l'annuncio si augurava

Si dà facoltà ai Conservatori con quattro cittadini d’ imporre una pre-
stanza di 100 fiorini a 50 cittadini, la quale somma s' abbia a realizzare
dalla prima imposta.

(1) Tbd:; dc. 196%.

(2) Appendice N. 45.

(3) Minuri, op. cit., p. 122. Il CriveLLi é il solo storico che menzioni
la venuta di Braccio a Montefiascone (Muratori, XIX, p. 682) pienamente
suffragata dal nostro documento.

(4) Rif. CXXV, c. 2t; altrove d’Amelia.







BRACCIO DA MONTONE, ECO. 35

che alla tregua seguisse con la Regina di Napoli una pace
- duratura (1).

Lo Zampolini ci informa che il 23 novembre entrava in
Terni con la sua compagnia (2).

Mentre Sforza ritornava in Roma, si riseppe per l’ Um-
bria la notizia che il cardinale Oddone Colonna era stato
eletto papa a Costanza (3). I Perugini per ottenere da lui il
riconoscimento della signoria di Braccio, gli inviarono am-
basciatori Bernardo da Camerino, Matteo Baldeschi, Ruggeri
d’Antognolla, il gentiluomo della Penna (4).

A questo punto le Riformanze della città d’Orvieto pre-
sentano una lacuna di circa sette mesi (5) e noi perderemmo
il filo conduttore da ricalcare le orme di Braccio (6), se non
venisse in nostro aiuto un buon manipolo di lettere che, sus-
seguendosi frequentissime durante questo periodo, ci rendono
meno lamentabile la lacuna anche riguardo alla grama vita

'
Appendice N. 46. documento porta d’altra mano se "an -
1) Append N. 46. Il documento ta d’altra no segnato l’ ar
no 1415. E certamente una data falsa, come già ebbi a dimostrare. Il PeL-
LINI (II, 282) registra nei primi mesi del 1418 una tregua tra B. e la Re-
gina di Napoli. Da nn documento del 21 gennaio 1425, conservato nelle
Riformanze Orvietane (vol. CXXXI, e. 89-90), sembra risulti che durante
questa tregua « per Ambrosino et certi homini d’arme della compagnia di B.
fo facta una cavalcata ad Acquapendente et dapnificati certi servitori et
subditi del decto conte Francesco (Sforza) >.
Dell'osservanza della tregua erano tenuti Luca di Bernardo, Monaldo
di Bernardo e Pietro Antonio di Buonconte.
(2) Sansi, op. cit., p. 147. In perfetto accordo coi nostri documenti.
(3) Saxsr. Ibd. A Spoleto l’elezione di Martino V fu conosciuta il 24
novembre.
(4) PrzuLmr, II, p. 231. Ruggeri è elogiato come « huomo di molto
valore a B. gratissimo e dottor di legge famosissimo », p. 282.

(5) Dal 30 ottobre 1417 si passa al 2 giugno 1418.



(6) I1 suo biografo se la cava facilmente lasciandolo negli accampa-

menti d' inverno.









36 R. VALENTINI



di quel Comune, sempre assillato dai tesorieri di Braccio
e da creditori impazienti (1).

Dalla corrispondenza che tenne Braccio con i Conser-
vatori rileviamo che la sua amicizia col Tartaglia era dive-
nuta sempre più intima. Ed egli mirò a favorirlo con tutti i
mezzi.

Ancora a Terni. il 25 novembre, consigliò gli Orvietani
a fornirsi del sale in Corneto, dove lo avrebbero dal Tar.
taglia « compare e fratello », al massimo buon mercato (2).

Nel decembre (17) era a Todi (3); alla fine del mese
stesso a Iesi (4). i

Martino V era pontefice dall’ 11 novembre 1417 e Brac-
cio non ne aveva ancora partecipato l'elezione alle città
soggette, non cambiata l'intitolazione degli atti pubblici,
non ordinati i soliti segni di gaudio. Se ne dolsero con lui
gli Orvietani, e Braccio, tornato a Todi, il 14 gennaio
1418 scusò l’omissione col pretesto di ignorare anche egli il
da farsi, non avendo ancora ricevuto gli ambasciatori di
ritorno da Martino V, diretti a Iesi, dove non lo trovarono.
Prese occasione per sollecitare dal clero orvietano il paga-
mento del sussidio dovuto (5). Per esigere 150 fiorini nel
gennaio venne in Orvieto Cristoforo da Lavello, e il Comune
salassato in tutte le guise, non aveva di che soddisfare il
proprio podestà, per quanto Braccio avesse precedentemente
sgravato la città della spesa del luogotenente, carica che
venne soppressa.

(1) Le dobbiamo a quella specie di salvataggio archivistico operato nel
1875 da L. Fumi. Cfr. L. Fum, L’archivio segreto del Com. di Orvieto.
Siena, 1875; Ephem. Urbev., I, p. 473.

(2) Appendice N. 47.

(3) Ibd. N. 48-51. Da una lettera apprendiamo che fungeva da pode-
stà in Orvieto Antonio da Montaguto.

(4) Ibd. N. 52.

(5) Ibd. N. 53.







BRACCIO DA MONTONE, ECC. 3°

Braccio soggiornò a Todi fino al 19 gennaio; il 24 era
^a Perugia, dove rimase fino alla metà del marzo. Le lettere
di questo periodo (1) contengono ordini crudi, secchi, impe-
riosi: sono per lo più richieste di danaro da un Comune
stremato, dove il podestà procedeva con la forza all'esazione
delle tasse, che molti rifiutavano di pagare. In marzo non
era stata ancora versata a Braccio la provvisione del decem-
bre dell’anno precedente, il podestà non poteva esigere il
proprio salario. Nè è da credere navigassero finanziariamente
in migliori acque le altre città dell'Umbria; d'altra parte
Braccio e Tartaglia avevano da provvedere per questa via
al soldo dei propri venturieri, quando le campagne dell’estate
e dell'autunno precedenti (1417) finanziariamente erano riu-
scite quasi passive.

Lettere di un tenore non molto diverso dalle precedenti
si susseguono alternate da Todi a Perugia dal 15 marzo al
13 aprile: la sollecitudine con cui nelle ultime è fatto il ri-
chiamo di un uomo d’arme, lascia intravedere i preparativi
di una immediata spedizione (2).

Ma perchè Braccio era costretto a presidiare il terri
torio ?

Il fatto che il Campano e quanti lo seguono (3), deci-
samente contradetti dai nuovi documenti, fanno precedere
la spedizione di Cetona alla campagna contro il Migliorati,
e la riconquista di due castelli della Montagna, operata poco
appresso da Chernbino degli Armanni (4), mi autorizzano a
ritenere che fin da ora i conti di Corbara, signori di Cetona,
capeggiassero un movimento di rivolta contro Braccio (5).
(1) Ibd. N. 54-66.

(2) Sono otto lettere, da una delle quali apprendiamo che B. impose
al Comune di Orvieto l'elezione a Podestà di un suo concittadino, Fiora-
vante di Biordo degli Oddi. Appendice N. 67-73.

(3) Pzvuumr, II, 232.

(4) Vedi p. 45.

(5) Il Pzrriwxr erede che defraudassero B. delle corrisposte.



38 R. VALENTINI



Ma questi mosse subito a reprimere la sollevazione ed
a punire gli insorti?

I documenti rispondono che nel maggio il Comune di
Orvieto presentò un'offerta al condottiero che transitava pel
nostro territorio, ed una lettera lo segnala a Castel della
Pieve il 22 dello stesso mese (1).

Orbene se il 6 maggio — come si vedrà — Fallerona
era già stata espugnata, non ci resta che ritenere l'impresa
di Cetona successiva alla spedizione nella Marca (2).

La corrispondenza subisce una interruzione per 15 giorni
ed il 28 aprile una lettera credenziale in persona di Angelo

(1) Vedi p. 40, nota 3.

(2) Quando fu venduta Cetona ai Senesi? Gli Annali Senesi rispondono
(Muratori, XIX, 427) che il 1° gennaio 1418 venne l’ulivo di Cetona acqui-
stata dal signor Braccio. Ma fino al 5 nov. era ancora in suo potere, come
dal presente biglietto di uno dei cancellieri del Perugino, Lodovico del-
l'Amoroso.

Magnificis Dominis nostris, Conservatoribus pacis populo Urbevetano
Presidentibus.

Magnifici Domini mei. In questa hora ho recevuto queste lettere. dal
mio Signore. Pregove, veduta la presente, le mandiate a Todi, per che
sono de importanza. Io sarò domani là. Pregove spacciate quello ve ha
scripto Ser ...

Scìtonii v novembris.

Lodovicus J. d. Braccii
Cancellarius etc.

Arch. di Orvieto. Lett. Orig.

Per rappresaglia i Monaldeschi dalle terre limitrofe non cessarono di
tormentare il territorio di Cetona anche dopo che B. l'ebbe venduta.

Cfr. Rif. CXXVIII, c. 112 (17 dec. 1420). I1 C. di Siena ai Conser-
vatori d'O. Nei passati giorni alcuni fuorusciti « terre nostre Scitone »
bruciarono un molino « nostrorum dilectorum filiorum Seitonensium et
« continuo in terra Camposelvoli receptum habent, super qua re Petro An-
« tonio Boncontis de Monaldensibus, domino dicti Camposelvoli Civi vestro,
« scripsimus multipliciter condolendo ». Seppero poi che i fuorusciti ave-
van distrutto anche un altro molino. Si meravigliano che nelle terre sotto-
poste ad. O. e a cittadini orvietani sian ricettati e favoriti uomini, che

commettono simili azioni. Pregano si provveda.







às
xi

4

'

1







BRACCIO DA MONTONE, ECC. 39

degli Ubaldi, ambasciatore ai Conservatori di Orvieto reca
la data « in campo nostro prope Moglianum » (1). Il nostro
documento si salda colla cronaca della città di Fermo. Nel-
laprile del 1418, ivi é detto, Braccio mosse contro la Marca
con 4000 cavalieri (2). Si accampò contro S. Severino poi,
supra castrum Petrioli et ipsum circumcirca dextruit et post-
modum inter castrum Molliani, Lauri et Masse (3). Fin. dal-
l’anno precedente (1417) la regina di Napoli non si era con-
tentata di approntare una spedizione per cacciar Braccio da
Roma, ma dal 2 ottobre (1417) aveva spedito a Carlo Ma-
latesta ed a Lodovico Migliorati messer Francesco de Ric-
cardis di Ortona per comporre una lega a tutela della
Chiesa e del futuro pontefice e creare così a Braccio nuovi
e più gravi imbarazzi nelle Marche e nell’ Umbria (4). La
presenza dello Sforza in Viterbo impedì per il momento a
Braccio di distrarre milizie contro i collegati, ma, ora che
lo poteva li affrontava decisamente per separarli e per bat-
terli.

Davanti ai successi di Braccio la regina Giovanna tentò
riorganizzare ed ampliare la lega di resistenza, cui aderirono
il 27 aprile Carlo e Malatesta dei Malatesta (5). Ma Braccio

(1) Appendice N. 74.

(2) La cifra mi pare esagerata. L° Apami L., II, cap. XLII la riduce
a 2000. Il Campano (p. 549) ed altri dopo di lui fanno precedere, contra-
detti dai nuovi documenti, la spedizione contro Cetona. Le ostilità di que-
sta terra contro il territorio di Castel della Pieve e d’Orvieto si fecero più
minacciose quando Braccio era ancora impegnato contro Lodovico Miglio-
rati. Perciò inviò sul luogo due suoi capitani, a tutela degli averi e delle
persone.

(3) Doc. di Stor. Ital., vol. IV. p. 48.

(4) FarAGLIA, op. cit., p. 101. Nell'ettobre (14) dello stesso anno la
Regina aveva spinto anche Città Ducale contro Braccio ed aveva ordinato
al conte di Carrara di perseguitar con la guerra i Reatini, che a lui si
erano dati nel travaglio delle fazioni civili.

(5) Arch. Stor. Ital., T. XVI (1851) Parte II, p. 580.





40 R. VALENTINI

continuò imperterrito la sua azione contro Lodovico Miglio-
rati: entrò in Fallerona (1) espugnata, fece Lodovico prigio-
niero e lo obbligò a riscattarsi per novemila ducati (2).

Nelle due lettere da Fallerona (6 ed 8 maggio 1418) ai
Conservatori orvietani, si notifica loro il ritorno di-Cherubino
degli Armanni e Malatesta Baglioni, i quali con l’aiuto del
lüogotenente di Perugia e di 500 nomini, lasciati a presidio
del territorio, erano in grado di far fronte a qualunque ri-
chiesta di aiuto. Orvieto era minacciato d'assedio da parte
di quei di Cetona.

Braccio si affrettó a concludere col Migliorati una tregua:
venne di nuovo in territorio orvietano; per Castel della
Pieve (3) raggiunse Chiusi e di li si presentó sotto Cetona;
in breve la ridusse in suo potere e vi lasció un presidio.
Siamo alla fine di maggio del 1418 (4).

(1) Appendice N. 75-76.

(2) Doc. di Stor. Ital., vol. IV, p. 48.

(8) Fra le lettere.di Braccio (Arch. di Orv. Lettere originali) una ne
ho ritrovata datata presso Castel della Pieve il 22 maggio XJ Indizione
(1418).

(4) Nessuno storico ha lasciato menzione di questa nuova venuta di
Braccio nell’ Orvietano. Eppure la presente deliberazione consiliare del
24 giugno 1418 (Rif. CXXV, c. 14t) non mi pare lasci adito ad alcun
dubbio. Si tratta di restituire 64 fiorini erogati a tempo del presente con-
servatorato [i conservatori duravano in carica 2 mesi e proprio il 24 giugno
furono estratti i nuovi per il luglio e l’agosto fra cui Barnaba magistri Pauli
(c. 16t)] pel dono offerto a Braccio, per le balestre spedite a Cetona, pei
falegnami e scalpellini mandati a Mugnano.

. « eum tempore presentis conservatoratus (maggio-giugno 1418) fue-

rit imposita nonnullis civibus urbevetanis certa prestantia ... causa fa-

^

ciendi honorem ... domino nostro Braccio de Fortebraciis ... que qui-

^

dem prestantia exacta ascendit ad quantitatem LXIIIJ' florenorum vel

^

circa, et ipse pecunie, tam in dono facto dicto domino nostro, quam in

^

balisteriis missis ad castrum Sceptoni, et magistris lignaminis et lapi-
« dum missis ad campum contra Mugnanum et etiam in scalis et aliis

missis et portatis dicto domino nostro de suo mandato fuerint et sint

^

expense, et non sit pecunia in comuni pro restituendo dictam prestan-

^

s Mam o ».










BRACCIO DA MONTONE, ECC. 41

Punita Cetona della sua temerità, e fattosene padrone,
Braccio era venuto contro Ulisse degli Orsini a Mugnano.

Il Tartaglia avendo condotto fiaccamente le ostilità
aveva, senza volerlo, rafforzato il prestigio di lui e suoi col-
legati. Braccio, scendendo da Cetona, decise liberare defini-
tivamente le sue terre dalle assidue rappressaglie e scorrerie
dell’ Orsini.

Non fu codesta un’impresa tanto agevole, come ce la pro-
spetta il Campano; né l'Orsini, aiutato e difeso dai Signori
di Montecalvello, Roccalvecce, Soriano, fu tanto docile a
piegarsi ai voleri del condottiero Perugino (1). L'assedio s'an-
nuncia fin dal principio molto aspro. Con lettera del 7 giugno
« in campo nostro prope Mansionem Baln[eoregiae] ». Brac-
cio espose ai Conservatori di Orvieto la necessità di aver
subito a campo quattro giovani maestri di pietra e due di
legname « con tucti loro ferramenti, seghe, accepte, tanavelli
granni e piccholi « e quattro scale lunghe 22 piedi o al-
« meno 20 per ciascuna (2). Apresso quilli da Sceptona fa-
« ranno venire uno ceppo de bombarda li, et anche quactro
scale (3). Date ordene che arrivati li, siano subito per
li vostri recati qui a nuy: et similiter mandate delle vi-

^

ctuaglie il più che possete. Insuper cento lance che de-

^

gono essere venute li da Peroscia, mandatele qua, viduta .
la presente lettera » (4).

L'assedio di Mugnano (Teverina) cominció subito: il 3
giugno Braccio era già stato ferito leggermente — altro par-

^

^

(1) Muratori, XIX, p. 50.
(2) Doveva possederle la Fabriceria del Duomo.
(8) Il documento sta a dimostrare quanto sia recente l'impresa di Ce-
tona, dove il 7 giugno giacevano ancora gli istrumenti impiegati nell'assedio.
- (4) Rif. OXXV, c. 8t (7 giugno 1418) Ed il giorno successivo die
mercurii partono e vanno a Braccio i maestri, che il Comune gli manda;
e cioó: « Magister Xpofanus, caputmagister Fabrice Ecclesie Sancte Marie ;
« Nicolaus Teotonicus; Gasbar de Roma; Anthonius Valentini de Tuderto ;

« Jacobus magistri Bernardi; Palamides Buccepti ».
5 ) p





42 R. VALENTINI

ticolare ignorato dai suoi biografi — perchè richiese d’ ur-
genza il podestà d’Orvieto « quod deberet mictere ad eum
sufficientiorem in artibus medecine qui reperiretur in Urbe-
veteri ». E dai Conservatori maestro Andrea magistri Pauli
ottenne licenza di andare « ad dictum dominum nostrum
Braccium, existentem in campo contra Mugnanum, ibique
standi pro ipsius domini libito voluntatis » (1). Il 21 giugno
era di ritorno insieme coi marmorari e falegnami della Fa-
briceria. Di codesto medico, che Braccio sperimentò come
perito nell’arte sua, il condottiero. ebbe molto a lodarsi e
raccomandò agli Orvietani gli venisse corrisposto più pun-
tualmente il. salario (2), obbligandogli d'ora in poi la gabella
della cassetta del mercato.

Il 19 giugno Braccio non aveva ancora abbandonato il
territorio di Mugnano (3).
Portata a termine con I espugnazione di quel castello la
spedizione punitiva contro Ulisse Orsini e collegati, volse
l'animo ai preparativi, sempre minuziosi e consapevoli, per
l'aggressione contro Paolo Guinigi, signore di Lucca. L’in-
determinatezza cronologica del primo biografo (4), gli errori
dell’Historia Senensis (D) e degli Annali Senesi (6) fuorviarono

(1) Rif. CKXV; c. bt.

(2) Ibd., c. 19 (21 giugno 1418) in Campo prope Mugnanum.

Braccio ai Conservatori. « È stato da nuy alla cura d’ una mia feri-
« tecta mastro Andrea, vostro medico, el quale s'é tanto laudabilissima-
« mente portato verso de noi e con tanta prudentia, che meritamente ve n'é
« da essere commendato et etiandio como benemerito vello recomman-
« damo >».

La lettera fu presentata al Podestà ed ai Conservatori il 24 giugno.

(3) Braccio sotto questa data rilasciò una raccomandazione in favore
di Nanni « de Sabutino da Peroscia », invitando Fioravante degli Oddi ad
adibirlo come castellano ad una delle due porte di Orvieto. In campo nostro
prope Mugnanum. Rif., CXXV, c. 73t.

(4) Munaronr, XIX, 550.

(5) Munaronr, XX, 17-18.

(6) Ibd., XIX, 497.



















BRACCIO DA MONTONE, ECO. 43

non pochi narratori di questo avvenimento, che tenteremo
qui esporre e inquadrare nell'attività politica e bellica del
nostro condottiero in base a fonti piü attendibili, confortate
da documenti inediti.

Si trattava di sorprendere, armata mano, un Signore che
ne mai aveva recato offesa a Braccio, nè aveva ragioni per
dubitare, un simile affronto. A darci ragione di questa mossa
precipitosa, in zona tanto lontana dalla cerchia dei suoi più
prossimi interessi, bisogna supporre un accordo segreto con
chi aveva comperato la sua spada per fiaccare un nemico
o realizzare per violenza un acquisto. Il 29 giugno 1418,
afferma il Sercambi (1), Braccio venne sul contado di Luc-
ca (2) e divise la compagnia in due squadre: l'una accam-
pata all’ Annunziata: a mezzo miglio dalla città, l' altra à -
S. Anna.« facendo quanto male far si puó » (3).

Considerato che le sue genti erano passate indisturbate
per quel di Firenze, si dubitó — « e cos? fu » — recisamente
afferma il Sercambi, che il condottiero operasse per mandato
dei Fiorentini (4). .

E non-altrimenti la pensava l'Imperatore che sapeva
costoro desiderosi dell’ acquisto di Lucca. Per questo pare
che comandasse al Duca di Milano di aiutare con ogni sua
forza Paolo Guinigi, perchè Braccio levasse il campo e i
Fiorentini desistessero dall'impresa (5). Pare altresì che se

(1) SercamBI, III, 236 (ed. Bongi).

(2) ... come persona poco leale, senza alcuno disfidamento né altro
honesto modo, come traditore et huomo derubatore et micidiale, giunse in
sul terreno di Lucha. Ibd.

(3) Ibd., 256. ;

(4) Ofr. Inventario del R. Arch. di Stato di Lucca, I, 152.

Il MoreLLI (Ricordi etc., in Delizie erud. tosc., XIX, 28) c'informa che
B. prometteva di consegnare Lucca ai Fiorentini dietro versamento di
100 mila ducati, ma che i savi uomini del Consiglio deliberarono non
accettare.

(5) Cfr. L. Frari, Papa Martino V'e il Diario di Cambio Cantelmi, in
Arch. Stor. Ital., 1911, p. 124.









44 R. VALENTINI

il Guinigi fosse stato d'accordo con l'Imperatore, non avrebbe
patito l'insulto di Braccio (1) Facendo la debita parte alle
ragioni politiche che poterono ispirare questa affermazione (2)
indiscutibilmente l'aggressione del Perugino sollevò tali iu-
cidenti diplomatici, che il 12 luglio la Signoria di Firenze
— fosse o no una finzione — redasse una istruzione per
Pietro di Leonardo Beccanugi e Giovanni di Luigi Guicciar-
dini che andassero in veste ufficiale a querelarsi con Braccio

dell'invasione del territorio del Guinigi e —- in ciò più sin-
ceri — per offrire a costui la mediazione della Repubblica,

per trattare le condizioni di un accomodamento (8).

Il Guinigi per mezzo di ambasciatori aveva in realtà
sollecitata la mediazione fiorentina (4), perché Braccio aveva,
preso fin dal 3 luglio Pontetetto (5) e ristava minaccioso alle
porte di Lucca, asportando dal territorio preda ingente.

Le trattative furono lunghe e il soggiorno di Braccio in
territorio lucchese si protrasse fino oltre la seconda metà
del luglio. Datato il 7 luglio, ho rinvenuto un suo biglietto
scritto « in campo nostro contra et prope Luccham » (6) e del
18 luglio pure « datum in campo Lucce » 6 un foglio di via
rilasciato da Brace o a Tuccio « ser Franciscii » da Monte-
fiascone (1).

(1) Ibd.

(2) È una lettera, in parte cifrata, del 7 agosto 1418 pervenuta alla
corte pontificia dopo che B. s'era composto col Signore di Lucca.

(3) Arch. Stor. Ital., v. XVI, II, 580.

(4) Un tale Clodio « de Mutiliana » proveniente da Firenze riferiva al
seguito del Papa di aver veduto oratori del Signore di Lucca a Firenze.
FRATI, art. cit., p. 117.

(5) Ibd.

(6) Appendice N. 77.

(7) Rif. CXXV, c. 50. Braccio notifica che Tuccio da Montefiascone,
fratello del suo fedelissimo medico m.° Antonio di detto luogo, è suo de-
voto servitore. Dovendo egli per gl’interessi del suo signore e propri recarsi

ad, diversas mundi partes, B. prega quanti leggeranno la presente, di conce-

c












BRACCIO DA MONTONE, ECC. 45



Quando Paolo Guinigi ebbe comperata a fiorini sonanti
la liberazione del territorio, verso la fine del luglio (1) Braccio
tornò con la compagnia neli'Umbria. Pare che il 30 si tro-
vasse con l’esercito nei pressi di Città di Castello ed era
andato a Montone « a riponere la taglia et allogare li pre-
gioni » (2). Conteinporaneamente Cherubino degli Armanni
gli riconquistava Monte Leone e Monte Gabione in territorio

‘ orvietano (3).

Quanto aveva preteso Braccio per sgombrare dalle sol.

dergli libero transito senza pagamento di pedagio, anzi, al bisogno, lo prov-
vedano di salvacondotto e scorta sufficiente. Tuccio presentò questa lettera
di transito ai Conservatori orvietani il 5 agosto 1418.

(1) Non è possibile credere al Sercampi (Cronache, III, 238) che B.
abbandonasse Lucca il giorno di S. Paolino (12 luglio).

(2) Diario di C. Cantelmi in Arch. St. Ital., 1911, p. 122.

(8) Si rileva da una domanda di risarcimenti di danni provocati dalle
operazioni delle compagnie. :

Nel Consiglio generale del 16 agosto 1418 fu letta una supplica di quei
di Montegabione. Esposero al Comune come Cherubino da Perugia « cum

gentium armorum comitiva venit et castrameltatus fuit in tenimento vestri

^

^

Castri Montiseabionis ... petens aliquid ab hominibus et comunantia dicti

^

Castri ». Il castello non volle consentire nel timore di errare contro il
patrio Comune al quale fece subito ricorso, narrando tutti gli avvenimenti
ed obbedendo alle istruzioni pervenute. « Set quia propter moram, quam

prefatus vir Nobilis Cherubinus cum dicta eius armigerum equitum comi-

tiva fecit ìn tenimentis et campis bladatis dicti castri ... multa et gravia

^

dampna pertulerint in bladis, que in dietis eorum campis extabant rese-

^

cata, paschulata et devastata fuerunt et sunt a dictis armigeris et eorum

^

equis, ... quod dampnum trasce[n]dit ad valorem et quantitatem II c. flore-

^

^

norum auri » (secondo la relazione degli ambasciatori del Comune orvie-
tano), pregano esser esentati da fazioni, collette, pagamenti, dative ecc.
Informano che detti armigeri incendiarono molte case e devastarono vigne.
Si deliberó che Montegabione continuasse a corrispondere quanto per
il passato. Il Comune poi avrebbe fatto grazia di 50 fiorini al detto castello
« pro dampnis, ut supra, per eos receptis ». Rif. OXXV, c. 59 t-61.
Della conquista ha notizia anche il Pruriwi (IL, 283) che peró la pone,

erroneamente, alla fine di quest’ anno.





46 . R. VALENTINI



datesche il territorio lucchese? Le fonti sono discordi, ma
non difettano documenti da desumere dati sicuri.

Il Sercambi, pur lamentando che l'aggressione avesse
portato a Lucca un danno complessivo di 75,090 fiorini (1),
crede che il Guinigi si obbligò al pagamento di 25,000 fio-
rini in oro e 10,000 in drappi di seta (2).

Nulla ci autorizza a contradire al Sercambi l’ avvenuto
anticipo di una prima rata in fiorini 12,000: un acconto ‘
Braccio l'ebbe e pretese ostaggi per il resto. Chi essi fossero
lo sappiamo dal Sercambi: Giovanni di Michele Guinigi,
cugino di Paolo, Nicola Arnolfini, Stefano Cecorini, Jacopo
Viviani (3). La notizia ci mette in condizioni di intendere
pienamente una lettera di Paolo Guinigi, che sono qui co-
stretto a riprodurre, essendo stata dai primi editori fraintesa,
non solo, ma coartata eziandio a provare quello che, per
ragioni cronologiche, non poteva (4).

« Paolo Guinigi a Giovanni Guinigi ed altri [ostaggi].
Carissimi nostri. E" stato qua ser Jacopo de la Fracta, can-
ceglieri et procuratore del Magnifico Signor Braccio al quale
abbiamo fatto pagare fiorini cinquantamila di resto. Et
per tanto sollecitate lo spaccio vostro, perchè dal lato nostro
s'è adempiuto interamente quello che per noi fu promesso,
come ancora dal prefato ser Jacopo sarete informati. Il quale
ci à promesso, come arriva costà, di farvi spacciare presta-
mente, perchè ne possiate venire per li facti vostri et d'ac-
compagnarvi in luogo sicuro.

Luce, die VI augusti 1418 ».

Ne desumiamo che meglio del Sercambi è informato il

(1) Op. cit., IIT, 288.
(2) Ibd., 237.
(3) Ibd., 288.

(4) Studi Storici, III, 246. Gli editori vollero vedere in questo docu-
mento del 1418 la prova di un.avvenuto pagamento per una lega difensiva

conclusa nel 1422.



















BRACCIO DA MONTONE, ECO. 47

‘ampano, che fece salire la taglia imposta al Signore di Lucca
‘a 50,000 fiorini (1). Come segnala la presente lettera, fin dai
primi di agosto ogni pendenza era stata liquidata e gli
ostaggi, licenziati, « a Lucha tòrnoro sani e salvi » (2).

Nell’anniversario del 12 luglio pretese anche quest'anno
un pallio di 50 fiorini dal povero comune di Orvieto (3), che
per provvedere al pagamento di 129 fiorini per la sua prov-
vigione (4) ed al credito del podestà, non pagato da tre
mesi (100 fiorini), ricorse ad una straordinaria imposta, da
esigere anche dal contado fino a 150 fiorini (5). Ma per
quanti bandi si facessero, non si arrivò a raggiungere le
somme dovute, e convenne fissare ai morosi un termine pe-
rentorio e una multa (6). La ragione di queste riluttanze va
ricercata in una espressa proibizione papale di non corrispon-
dere tasse ed imposte se non al proprio tesoriere. Fu questa

(1) Muratori, XIX, 551. Non è improbabile che al Campano fosse stato
alterato l’ammontare della taglia da chi aveva interesse che in un docu-
mento ufficiale il latrocinio non apparisse in tutta la sua entità.

(2) Sercampi, III, 238.

(8) Rif, ‘vol. citi, c. 95.

(4) Ibd., c. 87 t. « Cum Magnifichus et Illustris dominus noster Bra-

cius ete. teneatur habere de presenti mense pro provisione sue persone

^

ultra fruetus, redditus et proventus gabellarum pedagii et macinatus sibi

^

pro dieta sua provisione obligatarum flor. auri CXXVIIIJ, pro quibus

^

pluries rescripsit; et pro predicta provisione inter cetera presentialiter

^

destinavit ser Ludovichum eius cancellarium ... ».

(5) L’assectus è fatto al Botto, la roccha de « Sbernia », Castiglione,
Sermognano, Lubriano, « la Torre de Poliucio », Torre di S. Severo, Sugano,
«la Roccha de Ripeseno », Bardano, Castel Viscardo, « Monte Robaglio »,
Benano, Torre dell’Alfina, « Meana videlicet Franchi », « Lerona », « Cam-
porsevole », Carnaiola, Montegiove, Montegabione, Monteleone, Pornello,
Castel di Fiore, Castel Vecchio, Parrano, Melonta, Massaia, Civitella di
Manno, « El palaco de Buccio », « Rotacastello », Terracane, « Ripal-
bella », Collelungo, S. Venanzio, Castelpeccio, « Bagno », Mucarone, la
Sala, Mealla, Ficulle, « Poio de Guidetto », Fabro, Salci, « la Fratta de
Guido » (17 luglio 1418, Rif., vol. cit., c. 42).

(6) Rif. CXXV, c. 59t (16 agosto 1418).













48 R. VALENTINI



la precipua cagione che provocò da parte di Braccio l’in-
vasione della Marca e la lega di resistenza tra la Regina
Giovanna e Lodovico Migliorati, a cui più tardi aderirono
i Malatesta di Rimini e di Pesaro (1).

Il 4 agosto Braccio sostava presso Gubbio, e di là pro-
rogava per un altro semestre l’ufficio di podestà di Orvieto
a Fioravante degli Oddi (2). Mosse poi contro Norcia. L’as-
sedio fu breve, non si protrasse certo oltre il mese, perchè
il 26 agosto ritornarono a Spoleto 200 fanti che il Comune
era stato obbligato di inviargli in soccorso (3). Il Campano
c’'informa che se Norcia volle esser libera dovette numerar-
gli 14,000 fiorini (4).

Di là venne a Iesi coll’intenzione di svernarvi. Non ri-
mase però inoperoso, perchè al Campano risulta che espu-
gnò Castagna e la Pergola (5). Certo soggiornò in Iesi fino
al termine di quest'anno, come fanno fede le frequenti lettere
inviate al comune di Orvieto per affari di ordinaria ammi-
nistrazione o per esigere danari (6) Intanto in Orvieto fin
dall'ottobre infieriva una pestilenza, che la città aveva reso
deserta, causa i morti e i fuggiti (1).



(1) Tonmi, Storia di Rimini, vol. V. Appendice, p. 120-1.

(2) Datum in eampo prope Eugubium. KRif., vol. cit., 49 t.

(8) Saxsr, op. cit., p. 147. Rif., vol. cit., quaderno aggiunto, c. 5-6.

Item dedit et solvit Martino famulo conservatorum nuntio misso per
prefatos conservatores ad eccelsum d. n. Braccium, commorantem ad Nur-
sciam ...

(4) Muratori, XIX, 552. L'assedio è giustamente riportato all'agosto
anche dal Campano.

(5) Muratori, XIX, 552.

(6) Le lettere si susseguono in quest'ordine: 9 settembre; 18 ottobre;

ND

27 ottobre; 27 novembre; 29 novembre. In Appendice ne riportiamo una
sola, non sembrando le altre degne di rilievo. N. 78. Le spese dell'ottobre
segnalano alcuni messi con lettere di B. al Tartaglia ora dimorante a To-
scanella, ora a Pitigliano. Rif. CXXV, c. 84t.

(7) Un'adunanza di cittadini indisse anche le ferie nei pubblici giudizi.
Rif., vol. cit., c. 79 (20 ottobre 1418).

Item « cum propter pestem vigentem in civitate Urbevetana multi cives



BRACCIO DA MONTONE, ECC. 49



Malgrado la moria l’esattore di Braccio fu inesorabile
ed il Comune dovette pagare 300 fiorini, come provvigione
del suo signore per i mesi di ottobre e novembre (1).

Mentre Braccio soggiornava a Iesi, il 12 ottobre entrava
in Milano, forte della sua abilità diplomatica e della sua vo-
lontà, più che della potenza spirituale, Martino V, il principe
spodestato.

I Fiorentini compresero subito quanto si presentasse
delicata per loro la nuova situazione diplomatica. Accostarsi
al Pontefice significava aver Braccio nemico; osteggiarlo,
equivaleva spingerlo all’alleanza col Visconti. Tentarono l’im-
possibile, avvicinare Braccio a Martino V. La commissione
al Papa, deliberata il 29 settembre 1418, ebbe. queste istru-
zioni:

« Il magnifico signor Braccio de’ Fortebracci ... affettuo-
sissimamente raccomanderete alla Santità del Papa pregan-
dolo e supplicandolo che così si degni reputarlo e tenerlo;
ricordando de’ servigi per lui fatti alla Chiesa: che né più
fedele o esperto capitano di lui potrebbe avere ... v’intro-
mettete sì, che buona concordia sia fra nostro Signore e
Braccio; in questo operando quanto vi sarà possibile » (2).

Rinaldo degli Albizzi, ambasciatore per Firenze, s'in-

recesserint de civitate et multi alii propter mortem filiorum et consan-

^

guineorum, qui quotidie decedunt, sint in maximo dolore et malanconia,

^

^

nec sit bene congruum et licitum litigare et multi accesserint ad dictos

dominos conservatores, ut ferie pro certo tempore indicantur » ; si concede

^

potestà di provvedere unitamente ai. Conservatori « cum quatuor civibus
« per eos eligendis ».

(1) Rif. CXXV, c. 98 (4 decembre 1418). Ser Lodovico « de Civitate
« penne », cancelliere di Braccio, fa quietanza di trecento fiorini d’oro, a
ragione di cinque libre il fior., dovuti ad esso Braccio, « domino dicte
civitatis », per sua provvigione di ottobre e novembre, prossimamente
decorsi, a ragione di 150 fiorini al mese.

(2) Commissioni di Rinaldo degli Albizzi per il Comune di Firenze, vol. I,
p. 298 e 303.













50 R. VALENTINI

trattenne col Papa a parlargli segretamente di Braccio. (1),
che pure era rappresentato da suoi fiduciari nelle persone
di Ruggeri conte d’Antognolla e Matteo Baldeschi (2).

Già prima del 23 agosto 1418 alla corte di Martino V
era stato occultamente sussurrato che i Fiorentini, Senesi e
Bolognesi e il conte Braccio avevano stretto una lega se-
greta e stipendiata gente d’arme, agli ordini di Braccio, col
fine precipuo di conservare Bologna in libertà e Braccio
nella signoria delle terre occupate.(3). Una vera iattura per
la Chiesa. Queste ciarle alienavano sempre piü da Braccio
l'animo di Martino. Il quale, tutto intento alla sua politica
di concentramento dello stato ecclesiastico, come si mostró
coi Bolognesi tenace e ostinato assertore di un diritto storico
di padronanza su Bologna (4), cosi non intese mai di cedere
sul vicariato richiesto da Braccio, tanto più che gli faceva
buon giuoco un articolo della sinodo di Costanza (5) che
impegnava il papa a non infeudare nè distrarre i fondi o i
domini della Chiesa.

In realtà la prepotenza di Braccio fu per Martino un
pruno all'occhio fin dall'inizio del suo pontificato e ogni suo
atto, di pontefice e di diplomatico, fu costantemente converso
all’umiliazione dell’odiato usurpatore. Ma i mezzi da soppri-
merlo difettavano. E quando, con cruccio ed umiliazione pari
all’alto concetto che egli aveva della dignità pontificia, do-
vette rinunciare alle sue idee di dominio su Bologna, volle
che almeno quella terra si obbligasse a contribuire con 100
lance alla futura guerra contro il Perugino. Fu questo il pro-
blema che lo preoccupò fin d’allora: nei rapporti con Braccio
la sua volontà si mostrò subito risoluta a nulla concedere e

(1) Ibd., p. 307. Fu il lunedì 17 ottobre.

(2) Ibd., p. 805. Pxrrmi, II, 234.

(8) L. Fram, art. cit., p. 181. Zaori, Libertas Bononiae, p. 86.
(4) Z^onr, Libertas Bononiae ete., p. 9T.

(5) Ibd., p. 58.













BRACCIO DA MONTONE, ECO. 51

tutto procrastinare. E gli oratori fiorentini non tardarono a
‘convincersi che gli interessi del Pontefice e le aspirazioni di
Braccio si prospettavano come termini inconciliabili. Nei loro
rapporti convennero che il papa era pronto a fare « quanto
l'onestà sua pativa, ma che Braccio domandava cose che mai
non gli si potrebbono concedere, perchè sono troppo ecces-
sive e massime in volere vicariato di Perugia, il quale mai
non si consentì altro che al popolo » (1).

E dopo la loro partenza, sotto la data del 2 novembre,
nella vacchetta del Cantelmi troviamo notato: « Mostra N.
S. non volere gente de arme per covelle e vorrà che ‘1 si-
gnor Bracio e Tartalia dicessero contentarse al facto de lo
stato per altro modo che no fanno e non dechiara più oltra (2).

Evident:mente l'animo del pontefice temeva che la pre-
sente debolezza potesse comprometterlo con transazioni di
cui un giorno avrebbe potuto pentirsi; e d’altra parte bandire
una crociata contro gli usurpatori sarebbe stata follia. Spe-
rava che un giorno chi frodava avrebbe restituito il mal
tolto, ma per il momento non rimaneva che querelarsi del-
l’ingiuria e riaffermare verbalmente i propri diritti, dilazio-
nando qualsiasi composizione o accordo di transazione.

E l’8 di novembre da Mantova Luca Trinci scriveva a
Nicolò de’ Conti: « N. S. ha remesso ne le mani de monsi-
gnor de’ Brancacci e de Jacomo Colonna li fatti del Signor
Braccio (3).

A cui non valsero per accattivarsi le grazie del Colonna
gli onori straordinari e le pubbliche feste con cui i Magi-
strati lo accolsero in nome del signore a Perugia, quando
Giacomo transitò diretto, come messo di pace, alla regina
di Napoli (4). Il Pontefice come non precludeva gli aditi ad

(1) Commissioni, I, 309.
(2) Fnamr, art. cit., p. 134
(8) Fnamr, art. cit., p. 131.
(4) PeLumi, II, 234.

9
o
>









52 R. VALENTINI

una speranza di accomodamento, persisteva nel negare a
Braccio il riconoscimento di ogni forma di Signoria. Il Papa,
accorto statista, freddo ed astuto calcolatore, sap-va di poter
trarre a vantaggio della propria politica di ricostruzione e
concentramento quelle discordie e gelosie che travagliavano i
vari stati italiani e troppo spesso ne compromettevano l'e-
quilibrio instabilissimo.

Braccio prevedendo che. l’ostinazione del Pontefice a-
vrebbe segnato l'inizio di una lotta, della quale era iipre-
vedibile la durata e la portata, prima del 15 gennaio 1419,
dopo una lunga assenza, era tornato a Perugia (1).

Il comune di Orvieto profittó della vicinanza per mandare
al suo Signore un'ambasceria — delegarono il Podestà con i
Conservatori in carica, Francesco « Butii » e Pietro « Nutii » —
per felicitarsi con lui del nuovo ritorno in patria e prospet-
targli le gravissime difficoltà in cui si dibatteva l'ammini-
strazione a causa degli abitanti del contado che, istigati dal
partito della Chiesa, rifiutavano il pagamento dei tributi e,
peggio ancora, esportavano tanta quantità di grano, da pro-
vocare una vera carestia (2).

Braccio, sotto pena di 25 fiorini d’oro e confisca del fru-
mento e delle bestie, vietò qualsiasi esportazione di grano

(4) Rif. OXXVI, c. 18t (15 gennaio 1419) ... cum nupér m. d. n.
Braecius Perusium appulerit et summa cognoscatur necessitas ambaxiatores
ad eum mictere ... L'ultimo documento che abbiamo da Jesi segna la con-
ferma di Ser Bartolomeo da Montefiascone a cancelliere d'Orvieto per un
semestre (27 nov. 1418). Rif. OXXV, c. 97 t.

Posteriore è una lettera credenziale di Braccio ai Conservatori datata
Tolentini XXVIIJ decembris. (Lettere originali).

(2) Ibd., c. 14-14 t. I1 8 gennaio di quest'anno (1419) il Tartaglia es-
sendo per celebrare il suo matrimonio, desiderò un rappresentante del
Comune. Il quale non potendo presentarsi a mani vuote, poichè il Tartaglia
« semper bonus amicus fuerit et sit dicte comunitatis », si deliberò con
gran sacrificio presentargli « ad dictum eius gaudium celebrandum decem

tagcie de argento » del valore di 30 fiorini. C. 12 t-18.







BRACCIO DA MONTONE, ECC. 53

e comminò la costrizione violenta a quanti del contado e
distretto rifiutassero il pagamento delle imposte (31 gennaio
31419) (1).

Non é a credere che ottenesse con questo un pratico
effetto. Il 4 marzo — cioè alla distanza di un mese e mezzo —
- andó a lui una seconda ambasceria, perchè inducesse il Po-
destà ad agire « contra quilli contadini che non vogliono
« obedire alla ciptà, nè pagare alcuna gravezza; et che ci
« sonno le lettere patenti de la sua Signoria et sonno state
« presentate alli dicti contadini et non le vogliono obedire,
« per defecto de la qual cosa non bastamo, nè semo sofficienti,
« ad portare le gravezze ... » (2). Le quali si può dire gra-
vassero unicamente su i cittadini, assottigliati dalla peste e
ridotti in miseria.

E Braccio aveva ingiunto che .per mezzo marzo si pa-
gassero i mille ducati d’oro, canone della città. Reco qui
un brano delle istruzioni date agli ambasciatori Tolosano di
Marco e Cola di Jacobuccio, perchè in quelle di Orvieto si
veda l'immagine delle condizioni comuni alle città dell’Um-
bria (3). |

« Con ció sia cosa per la sua Magnificentia sia stato
scripto ad questa sua comunità che ad mezo marzo se pa-
ghino mille ducati d'oro, che considerata la summa penuria,
la summa povertà et miseria de tucti, ciptadini et contadini,
et anche la continuata mortalità che ci é stata et é, la Si-
gnoria sua se degni haverci compassione et non ponerci al
presente si facta gravezza intollerabile; et in questo con
instantia operare. Et se pure la sua volontà fosse del si,
supplicarlo che al manco ne levi de si facta summa quella
quantità per la quale ci sia possibile ad poder pagare; et

(1) Rif. CXXVI, c. 19-19 t.
(2) Ibd., c. 27-27 t.
.(8) Ibd., c. 26 t-97.

———————————S

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Í
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54 R. VALENTINI

che ne proroghi et allonghi el termine, che possibel non serria
poderli havere al termine che la sua Signoria li domanda » (1).

Braccio fu insensibile a queste suppliche; gli ambascia-
tori lo trovarono in Assisi ed ottennero (12 marzo) una dimi-
nuzione di 200 fiorini sulla taglia e la promessa di cavalli
e fanti da imporre colla forza le tasse al contado. Null’ al-
tro! (2).

Il Perugino non ignorava che tali resistenze, tuttavia più
tenaci, procedessero dalla ferma volontà del Pontefice di non
scendere a transazioni di sorta. Il dissidio si manifestava
fin dal principio insanabile; occorreva o ingaggiare una lotta
o rassegnarsi ad una sottomissione.

Col pretesto di procurarsi quei denari che non riusciva
ad esigere, si volse contro il conte Guidantonio da Monte-
feltro, muovendo da Gualdo.

Per mezzanità di Cecciolo de’ Gabrielli (3) il 6 marzo
1419 introdusse in Gubbio le genti di Roggier Cane dei Ra-
nieri e per il valore di Niccolò Piccinino e Malatesta Baglioni
potè impadronirsi anche di Assisi (4). Da Gubbio Roggiero
fu presto cacciato a furor di popolo (5) e Braccio dovette
riparare a Gualdo (6), donde tornò in Assisi per prendere le

(1) Ibd., c. 27.

(2) L. De Bagtion, op. cit., p. 50.

(8) La lettera reca la data « Asisii XIJ Martii ». Rif. CXXVI, c. 29t.

Per pagare in termine di 15 giorni, quanti ne concesse il cancelliere
di Braecio, Ser Niecoló d'Urbino, s'impose un contributo straordinario di
900 fiorini, dei quali 800 per Braccio e 100 in favore di alcuni cittadini
ritenuti come ostaggi per rappresaglia di certi crediti di un cittadino se-
nese. Rif., vol. cit., 82 t-83 t.

(4) Scontò poi il tradimento (in agosto), impiccato insieme al fratello
Gabriele, sopra quella che è oggi porta Trasimeno. A. PeLLEGRINI, Gubbio
sotto à conti e duchi d' Urbino, in Boll. S. P. per l'Umbria, 1905, p. 179.

(5) Cronaca di Ser Guerriero (MazzanintI), p. 40. Vedi anche in Fa-
eretti, Note e documenti, la Laude di Guido Pecci sulla liberazione di
Gubbio, p. 133. L. SPIRITO, op. cit., cap. XXII.

(6) MuratorI, XIX, 552.






BRACCIO DA MONTONE, ECC. 55

rocche. Colà ebbe il colloquio con gli ambasciatori di. Orvieto
e poco dopo, verso il 22 marzo, con quelli di Firenze (1).

La loro presenza in Assisi è nuova testimonianza del-
JV illusione che perseguivano, per tentare un accomodamento
tra Braccio e il Pontefice. Il quale dal 26 febbraio di que-
stanno era entrato a Firenze, allogato nel convento di
S. Maria Novella, la cui costruzione non era per anco ulti-
mata (2). Quel convento seppe le notti insonni.di Martino V
che andava avvisando il modo o di ridurre con le buone

questo ribelle o di domarlo, con tutte le armi di cui avesse.

potuto valersi (3). Quello che ottenne l'ambasceria fioren-
tina non c'è noto, ma il papa aveva da tempo compreso che
a fiaccare così ostinato e prepotente avversario non c’era
che una via: opporre violenza a violenza.

Braccio il 29 marzo occupata la Bastia (4) era tornato

(1)° Si ricava da una lettera di B. ai conservatori di Orvieto in data
25 marzo 1419. Perché con gli ambascidtori si era associato tale Tommaso
Frescobaldi, che restava ad esigere dal comune orvietano certa somma della
podesteria in precedenza gestita.

Braccio ingiunse che si provvedesse per modo « che inconvenientia
non ci possa nascere ». In Assisi ... Rif. CXXVI, c. 85. Per tacitarlo
si deliberò (81 marzo) la vendita della gabella delle, carni. Cfr. c. 37.

« ... post hec cum ad presens venerit Thomas de Freschobaldis de
Florentia dudum civitatis huius potestas cum preceptoriis licteris ... domini

nostri Braccii ... in quibus continetur quod eidem 'Thome omnino sol-

^

^

^

vantur quinquaginta floreni quos réstavit pro residuo sui salarii ab hac

^

comunitate recipere, qui quinquaginta floreni licet fuissent in buechis
Alleroni et Ficulli penitus collocati, tamen dicte bucche converse fuerunt

^

in aliis comunis necessitatibus ... », si deliberó ricorrere ai soliti ripieghi.

^

(2) Sozomeni, Chron. univ. (Zaccagnini), p. 9.

(8) Il Papa espresse l'angoscia dei suoi giorni in una lettera del
6 agosto 1419 a Guidantonio da Montefeltro ... sepe, sepius pensavimus,
noctes plures ducentes insomnes, vias exquirentes et modos, quibus pos-
semus illum (Braecio) ad tramitem rectum reducere ... Fumi, Guidantonio
dì Montefeltro e Città di Castello, in Boll. di S. P. per l'Umbria (1900),
p. 878.

(4) PeLumi, II, 285.

——ÓÁ——————————

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|
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I













56 R. VALENTINI



in Perugia come dimostrano due lettere (1), con una delle
quali domandò al comune di Orvieto speciali onori da tri-
butare a Fioravante degli Oddi, ormai alla fine della sua
podesteria. Ma costui, se era stato molto zelante verso il
proprio signore, non lasciava certo in Orvieto un qualche
rimpianto. Braccio rimase a Perugia fino all’ 8 di aprile,
quanto, fu necessario per preparare nuove ostilità contro
il Pontefice (2). Alla fermezza del quale rispose con altret-
tanta pertinacia, e prosegui impavido alla totale conquista
del Patrimonio.

Al Papa rimaneva Spoleto. Ancora a Mantova, con Bolla
VII id. Januarii (1419) ne aveva investito Guidantonio di
Montefeltro. Operare contro quella rocca, significava far
guerra ad entrambi.

Segna quest'assedio l'inizio di quel tremendo duello, a
cui parteciperanno gran parte delle terre d’Italia e finirà
coll’annullare tragicamente in un repentino travolgimento
quella formidabile potenza di Braccio, che s’accentrava tutta
in lui.

In Spoleto la situazione interna non si presentava diversa
da quella di altre città umbre: una fiera avversione tra i
fuorusciti e i reggenti. Braccio affermava di volerne il do-
minio per sottometterla alla Chiesa. Si presentò in territorio
di Spoleto il 9 aprile, domenica delle Palme (3) e dichiarò
apertamente che desiderava il possesso incondizionato della
città e della Rocca.

In seguito a trattative coll’ambasciatore di Braccio — Mat-
teo di messer Pietro da Perugia (Ubaldi) — che si protrassero

(1) Appendice, N. 79-80.

(2) L’8 di aprile ordinava ai Conservatori Orvietani di corrispondere a
Lodovico dell’ Amoroso da Todi, a cominciare dal calendimaggio, la sua
‘provvigione di 150 fiorini mensili. Rif. CXXVI, c. 59 t.

(8) Zamporimi, Op. cit., 147.

————————



BRACCIO DA MONTONE, ECC. 57

per sei giorni (1), gli assediati di comune accordo decisero
capitolare con Braccio ed i fuorusciti che militavano con
‘lui. Alle ore ventidue del sabato santo (15 aprile 1419) il
condottiero fece introdurre le sue brigate in città; egli,
accolto trionfalmente dai priori che gli andarono incontro
fino alla Cerquiglia fuori porta S. Gregorio, vi entrò solenne-
mente il giorno diPasqua, 16 aprile (2).

Anche in questa impresa le Riformanze del comune di
Orvieto ci permettono di seguir Braccio sempre da presso.
Il 12 aprile dal campo di Bosano, presso Spoleto — la cro-
naca dello Zampolini quadra a capello con i nostri docu-
menti — dovette comminare ai sindaci e massari dei castelli
del contado Orvietano che al terzo giorno « proxime imme-
diate secuturam » personalmente, e non per sostituto, nè per
procuratore, compariscano davanti a Fioravante degli Oddi
« obedituri eidem in hiis que nostri parte per dictum Fio-
ravantem fuerit impositum et mandatum »; pena 50 fiorini
d'oro ad ogni contravventore, contro i quali si sarebbe pro-
ceduto all’esecuzione « per nostras gentes armigeras » (3).

Braccio era informato dei preparativi del Pontefice per
una lotta ad oltranza e non si dissimulava che solo con la



(1) Durante i quali B. rimase accampato a Bosano; come dai documenti
che seguono.

(2) Zamponini, Op. cit., p. 148.

(8) Rif. CKXVI, c. 41-41t (19 aprile 1419). Sotto la stessa data a
c. 41 t é registrata quest'altra lettera :

Braccio ai Conservatori. Viene in O. Angelo « Pagio », suo uomo
d’arme, latore della presente. Prega gli faccian dare cento fiorini; e a

È Simonetto da Castel di Piero dugento, e a « Loysi » dalla Cervara dugento
cinquanta; « et quisti pagamenti vogliono essere ad bolognini cinquanta

è - duy per fiorino ... Datum in campo nostro aput Bosanum prope Spole-
« tum » ... Fu proprio quest'uomo d'arme, Angelo Pagio, uno degli infor-

matori del Campano sulle vicende della guerra aquilana. Cfr. Mumaronmi,
XIX, 619. Retulit mihi Paggius, vir manu strenuus, nunc etiam aetate

venerabilis ... etc.



———zk rn x
——''J'——— E
==







58 R. VALENTINI



forza avrebbe piegato all’ obbedienza il contado, attaccatis-
simo alla Chiesa.

Egli con la conquista di Spoleto aveva lanciato al Pon-
tefice una sfida irriverente e spavalda e sapeva di doversi
tener pronto ad una immancabile reazione.

Merita il conto conoscere la versione data da Braccio
ai Conservatori Orvietani il giorno stesso della conquista di
Spoleto. Il 15 aprile alla 3* ora di notte significa loro « ad
gaudium che, essendo grave guerra tra li ussiti et quelli
dentro de Spoleti, de communa concordia me hanno chia-
mato al dominio et governo. de quella ciptà. Et oggi, quisto
dì, ad le vintidui hore messe dentro le mie brigate et for-
mato pacificamente lu statu: et io così ho acceptato per la
tranquillità et quiete del pagese » (1).

Se la città era caduta, resisteva ancora la rocca, stre-
nuamente difesa dal partito antibracciano. Fu nell’ assedio
di una torre che il 18 aprile Braccio fu ferito di verrettone
ad un piede (2) « fra le dita più grosse ». La ferita lo im-
mobilizzò per tutto l’aprile e più oltre : fu curato da medici
venuti appositamente da Perugia e Foligno (3). ‘Andò ad al-
loggiare « in domibus episcopalibus, nostre residentie » donde
è datata una sua del 26 aprile, colla quale elesse per sei
mesi a podestà d’Orvieto Rainaldo « domini Santis de Pe-
rusio > (4).

(1) Rif. CXXVI, c. 42t. La presa di Spoleto fu celebrata in Orvieto,
come nelle altre città soggette a B., con cenni di gaudio e fiaccolate, c. 46 t.
Ne fu subito data contezza al Tartaglia (Spese dell'aprile 1419).

(2) Il destro, secondo L. Spirito, cap. XXIII.

(3) Sans, Op. cit., 150. Il Campano concorda pienamente con la cro-

‘ naca dello Zampolini (553) anche in questi particolari.
(4) Rif.. vol. cit., c. 52-52 t. Dichiarò l’accettazione con lettera da Pe-

rugia 2 maggio 1419 (c. 54). Giurò il nove.
o oo













BRACCIO DA MONTONE, ECC. 59

Nel forzato riposo del loro duce, i venturieri avevano
persistito nell’ espugnazione del Cassero di Spoleto, ma
«quando Braccio si allontanò da quella terra (verso la
metà di maggio (1), la fortezza ancora resisteva gagliarda-
mente (2).

Se la conquista di Spoleto cresceva nel Patrimonio il
prestigio di Braccio, la sfida ribelle aveva anche deciso
‘Martino V a lasciare le indulgenze e le blandizie, che ve-
nivano interpretate — quali erano — debolezza e impotenza.

Inutilmente aveva sperato suam superbiam paulatim mi-
nuere ac lenire, che inciperet sapere ... recordarique beneficiis
(sic) Ecclesie, quibus erectus, sublimatus ac impinguatus extitit.

Martino aveva lasciato « non sine onere nostre conscien-
tie et, secundum multos, infamie nostre nota » che la super-
bia di Braccio infuriasse su i popoli soggetti alla Chiesa (3);
era tempo di uscire da una situazione che, data la mal
ferma stabilità del Papato, poteva di nuovo comprometterne
l’unità e risuscitare i moti scismatici..

In tali acque navigava Martino V, quando un lume di
speranza parve brillar tra le tenebre.

A Spoleto B. ricevette quel Leone Masserio che venne a querelarsi
in nome degli Anconitani ed ottenne 1’ allontanamento dei capitani di B.
da quel territorio. Il 14 aprile 1419 Agamennone di Giacomo degli Arci-
preti con N. Piccinino corsero con gente armata il territorio d’ Ancona,
movendo da Iesi. Ne tolsero gran preda e prigioni col pretesto di esser
creditori di taglie e contributi. Si fermarono nel territorio di Bompiono.
Cfr. Saracini, Notizie historiche d’Ancona, Roma, 1675, p. 245.

(1) Lo ZampoLisi crede che B. lasciasse S. Pietro di Spoleto il 21
maggio (SAxsr, Op. cit., p. 151), ma da un nostro documento si potrebbe anche
inferire che la partenza fu anteriore. Non escludo ehe B. ritornasse a Spo-
leto e ne ripartisse definitivamente in quel giorno.

(2) Sansi, p. 152.

(3) Fumi, Guidantonio da Montefeltro, ete., p. 378.

60 R. VALENTINI

CAPITOLO VI.




Risorse politiche di Martino V — Lotta tra Braccio e Sforza — Insuccesso
iniziale dello Sforza — Sollevazione delle terre soggette a Braccio per
opera dello Sforza — L°Anatema pontificio — L’intervento del conte
d’Urbino — Defezione del Tartaglia — La tregua d’Orvieto — Lotta
per Assisi e vittoria di Braccio — Il risorgere delle fazioni e ìl eo

di mano del Tartaglia in Orvieto — L’insuccesso di Gubbio.

Luigi di Angiò incominciava ad accampare qualche di-
ritto sul Reame, e Martino, mentre segretamente lo incorag- i
giava, era riuscito a negoziare con la regina Giovanna un È
pubblico riconoscimento della sua autorità (1). Dai Fioren-
tini nulla si poteva sperare, solo sfruttando i timori di Gio-
vanna II, si realizzava un efficace intervento armato contro
l’oltracotanza, tuttavia crescente, di Braccio.

L’avvicinamento del Pontefice alla regina di Napoli e E
le pressioni che fin dal 21 gennaio le faceva perchè lo Sforza n
nel mese di marzo, o non piü tardi del 15 aprile, entrasse
con le compagnie nelle terre romane (2) non furono un se-
greto per Braccio; i Fiorentini avevano speciale interesse
di tenerlo al corrente, ché comprendevano di perdere buona
parte del proprio prestigio, quando il papa si fosse liberato
del suo piü terribile avversario e speculavano sul perpe-
tuarsi dell'attuale situazione (3). E Braccio si teneva sempre
pronto alla lotta; gli bastava solo conoscere di quali contin-
genti disponesse lo Sforza, che gli moveva contro come Gon-
faloniere della Chiesa.

Le Riformanze orvietane registrano in data 16 maggio
un biglietto di Braccio ai Conservatori per autorizzare il





(1) Gazconovius, III, 637.
(2) FARAGLIA, OP. Gib... p. 427.



(3) È legittimo inferirlo da aleune considerazioni un si leggono nella
Cronaca del Sercampi, III, 248.





BRACCIO DA MONTONE, ECC. 3 61



proprio medico, mastro Angelo, ad esigere i danari della
sua provvigione (1): datum in campo nostro prope pontem:
Cardarium (2).

Ne risulta che in quel tempo egli aveva dislocato con
tingenti di fanteria sulla strada S. Gemini -Narni, donde pare
ritornasse a Spoleto. Da codesta città abbiamo una lettera a
firma di Braccio, registrata nelle Riformanze sotto il 21 mag-
gio e datata il 22, con cui provvide alla riferma di maestro
Mattia, professore di grammatica e retorica nelle scuole or-

(1) Precedentemente (3 maggio) aveva inviato un suo uomo d’ arme,
Giacomo d’Acquasparta, con la delega per la riscossione di cento fiorini
al cambio di 52 baiocchi per fiorino (Rif. CXXVI, c. 54t). Dato il carat-
tere urgentissimo della richiesta, si provvede coll’ imporre la prestanza di
un fiorino d' oro, al cambio di cinque lire e quattro soldi, ai seguenti cit-
tadini :

5 del Rione di S: Costanzo

8 « S. Salvatore
4 « S. Maria

13 « S. Leonardo
17 « S. Angelo
4 « S. Egidio

4 « S. Stefano
3 « S. Biagio

4 « S. Martino
12 « S. Pace

19 « Serancia
11 « SS. Apostoli
2 « S. Lorenzo

Con i pochi fondi del Comune si raggranellarono 140 fiorini (c. 63-
65 t). j

Braccio rimaneva creditore di cento fiorini. Per sopperire anche alle
spese di uno stato d'assedio nel quale entrava ora la città, si deliberó (27
maggio) un’ imposta di 268 fiorini; imponibili 135 ad Orvieto, i residuali
al contado. (Rif., vol. cit., c. 68t-69). I castelli tassati sono elencati a
c. 10-70 t.

(2) Vol. cit., c. 60.-Coll’ ingiunzione : et questo non falli per modo

alcuno.














62 R. VALENTINI

^

vietane (1. Il documento come atto di ordinaria ammini-
strazione, non implicherebbe la presenza di Braccio in Spo-
leto per la firma; e solo mi induce a credere ad un suo ri-
torno colà l'autorità dello Zampolini, diligente e curioso
informatore, il quale segnala la partenza di Braccio da San
Pietro di Spoleto il 21 maggio, donde, raccolto buon nerbo
di cavalleria, convenuta dai distaccamenti limitrofi (2), tornó
ad accamparsi a Ponte Cardario presso Narni (3), per pren-
dere il comando dei contingenti che provenivano da Todi.

La lotta che sta per ingaggiare Braccio con lo Sforza
ci è pervenuta in due fonti: il racconto di un testimonio ocu-
lare (4), sebbene ‘partigiano dello Sforza e qui non troppo
veritiero, Antonio Minuti; e le cronache Viterbesi.

I nostri documenti, come altrove, aggiungono partico-
lari ignorati.

Tentato con tutti i mezzi di fiaccare in Perugia il par- È
tito popolare (5), perchè nel frangente non tornasse a sorrider-
gli idea del potere, Braccio avvisò col Tartaglia il piano
da affrontare il comune nemico (6).

Il 4 giugno, venne col campo presso il Lago di Bol
sena (7) per decidere col Tartaglia un piano di difesa e di
offesa (8) poi, quando ebbe contezza delle forze del suo

(1) Appendice N. 81. La lettera, registrata il 21 (c. 69 t), reca la data
del 22.

(2) Zamporini, Op. cit., 151.

(3) Ibd., 152.

(4) Et chi serive, scrive il vero, perchè se li è trovato et vide il tutto.
Munuti, p. 239.

(5) Il 4 marzo 1419 emanò un decreto sulla restituzione dei beni con-
fiscati da oltre 24 anni ai nobili fuorusciti. FaBRETTI, Note e documenti, p. 130.

(6) Anche da Orvieto partirono messi a Toscanella con lettere di Braccio.

(7) Lo dice un biglietto Datum in campo nostro iuxta Lacum die IIII
Junii. Appendice N. 82.

(8) Campano, p. 554.



po

BRACCIO DA MONTONE, ECC. 62



rivale, si ritiró sotto la collina di Guardea, donde impose
una mobilitazione generale alle terre soggette.

« Noy havemo facto comandare ad tucte le nostre
genti uno homo per casa et ad vuy volemo fare più age-
velecca, niente di meno volemo in parte ve ne sentiate ».
Cosi ai Conservatori di Orvieto con l'ordine espresso di
mandargli al campo « cento de’ più acti iovani siano in te-
sta ciptà, et chel terco agiano le lancie longhe, el terco ro-
telle, el terco balestre. Et fate che oggi siano qui, senza ni-
gun fallo et che vengano forniti per tre di ». Li diffida a
non comportarsi come « de le victualie, che più et più let-
tere ve ne havemo scripte et de niguna havete facta stima,
de la qual cosa ho presa grandissima admiratione ». Non
provvedendo ai fanti ed al vettovagliamento in modo che
giungano in campo oggi stesso, « ve serrimo poco amici in
spetialità ad vuy, potestà. Im campo nostro suptus podium
Guardegie apud Tiberinam VII Junii (1).

Sforza all’entrata di giugno erà giunto coll’ esercito a
S. Giovanni di S. Vittore tra Montefiascone e Viterbo, per
impedire al Tartaglia di congiungersi con Braccio. Ma quello
traghettò il lago di Bolsena su barche e si unì col suo al-
leato. Allora sentendosi lo Sforza inferiore di uomini, mandò
in Viterbo a sollecitare presso Giovanni Gatto un rinforzo di
tre o quattrocento armati, e costoro il 13 giugno (2) caddero

(1) Rif., vol. CXXVI, e. 72-72t (8 giugno 1419). Il Comuue dovette
sobbarcarsi a un’altra imposta. Canta L. Spiro, (Cap. XXIII) :
MES et poi sì pose o
La sera al tardo in su la Teverina
Con tucto el campo presso a Castiglione,
Sentendo Sforza nel pian de Viterbo
Verso la costa di Montefiascone.
(2) Cronache di Viterbo, in Doc. di Stor. Ital., V, 50. Ecipr, in Arch.
Soc. Rom. di Stor. Pat., 1901, p. 168. Mimun, Op. cit., 283-4.







64 R. VALENTINI



prigionieri di Braccio nella contrada di Moiano, presso la
selva di S. Secondo (1).

Fu la prima disavventura dello Sforza: segui poi la
rotta per tradimento, a quanto sembra, di Petrino da Siena,
del conte Nicola Orsini ed altri capitani, corrotti da Brac-
cio, i quali prima intralciarono il piano dello Sforza, deciso
di attaccare Tartaglia e Braccio senza dar loro tempo di
trincerarsi e rifocillarsi, poi, presso il Bulicame si dettero
senza ragione alla fuga, portando il timore e lo scompiglio
nelle file dello Sforza; da ultimo si rifiutarono di uscire da
Viterbo per sferrare un contrattacco alle spalle dei Bracce-
schi, intenti a raccoglier bottino. Dovette cimentarvisi da solo
lo Sforza, che prodigò tutto il suo valore per risollevare le
sorti della battaglia, ma fu ferito nel collo, sotto la celata,
dal conte Brandolino (2).

Quando avveniva la rotta di Sforza? Le cronache viter-
besi la riportano al 14 (3) e il Minuti al 22 giugno 1419 (4);
ma molte ragioni mi fanno ritenere errata l'indicazione cro-
nologica di questo testimone oculare.

Lo Zampolini c’ informa che il 16 giugno giunse in Spo-
leto la novella della rotta di Sforza, confermata il 17 da un
nuncio dal campo di Braccio (5). Si badi che il cronografo
s'indugia a narrare, non senza indignazione l’ effusa esul-
tanza che ne mostrarono gli ecclesiastici, il vescovo, i
priori, il popolo tutto la domenica 18 giugno! (6).

(1) Ibd. Il Mixuri segnala questa cattura al 20 giugno, erroneamente,
p. 234.

(2) Miaxvm, Op. cit., p. 989. Doc. di Storia Ital., V, 114. Il numero dei
prigionieri accettato dal Campano 6 senz'altro fantastico (p. 555) e in ge-
nere tutta questa narrazione partigiana e inesatta, come in L. Srmiro
(cap. XXIII, XXIV). :

(8) Ecrpr, art. cit., p. 168 e L. Serrrro (cap. XXIV) « a mezzo giugno ».

(4) Op. cit., p. 236.

(5) Sansi, Op. cit., p. 153.

(6) Ibd.



BRACCIO DA MONTONE, ECO. 65



D'altra parte le Riformanze orvietane, registrando le
spese del giugno 1419, sotto la data del 24 detto mese, vi ac-
cennano come ad avvenimento passato da qualche giorno (1).
Ammesso che la rotta di Sforza seguisse il 22 e fosse
celebrata in Orvieto la sera del 23, le spese non avrebbero
certo figurato nel resoconto compilato in data del 24! Tanta
solerzia nelle amministrazioni pubiliche non è mai esistita.
Questi dati di fatto mi fanno propendere a credere, con
lo Zampolini e le cronache di Francesco d'Andrea, che la
sconfitta di Sforza cada precisamente nel 14 giugno 1419.

Il 24 una lettera agli Orvietani, c'informa che Braccio e
Tartaglia erano contro Viterbo (2); una successiva del 27 ci se-
gnala Braccio dove prima s'era accampato lo Sforza, a S. Gio-
vanni, donde annuncia di essere stato chiamato a gover-
natore e difensore di Montefiascone. Vi si accenna al’asse-
dio di Viterbo; in città la penuria del pane travagliava la
popolazione, ed i Bracceschi erano a sfidar sulle porte gli
assediati, senza che alcuno tentasse una sortita (3).

Mentre durava l’assedio di Viterbo, non è a credere che
le altre città soggette a Braccio rimanessero tranquille da
assalti nemici. Il Papa, o chi per lui, dovette aizzare nuo-
vamente le fazioni contro i due ribelli, nella speranza di solle-
var le città delle quali usurpavano il dominio. Lo sentiamo
in Spoleto, come in Orvieto. Colà il 6 giugno vennero per
Braccio a custodia della città una brigata di fanti, raccolti

(1) Rif. CXXVI, c. 82 (24 giugno 1419).

Item tubieini Tartalie quando apportavit nova victorie contra Sforzam.

Item Angelo Munaldi de Bagnuregia qui primitus dixit novam vietorie
domini contra Sforzam.

Item Angelo Ceccharelli aromatario pro III? pagnonis pro victoria
domini etc.

Item duobus biffaris in dieto gaudio libras undecim et soldos decem.

Item pro cera consumpta in gaudio facto ...

(2) Appendice, N. 88.

(8) Ibd., N. 84.

ut




66 R. VALENTINI

da Foligno, Montefalco e dalle altre terre dei Trinci (1), con
lui stretti di alleanza e parentela.

In Orvieto poi il Podestà, Rainaldo da Per.:gia, dietro
ordine di Braccio fin dal 21 giugno aveva preso possesso
dei palazzetti delle porte e ne aveva commessa la custodia
a fidati perugini (2).

E il 27 di questo mese, perdurando l'assedio di Viterbo,
i Conservatori nominarono per otto giorni due scolte a
cavallo « volentes insultibus hostilium gentium pro viribus
obviare » (3). I libri delle spese fanno testimonianza dei
nunzi frequentissimi spediti a Viterbo, come le due lettere
suaccennate tradiscono una preoccupazione ed un turbamento
negli Orvietani, timorosi di una guerra ai propri confini.

Braccio e Tartaglia come diffidavano delle fazioni con-
trarie, cosi non s'illudevano d'aver fiaccato lo Sforza, an-
cora chiuso in Viterbo. Verso la fine del giugno, chiamato
dal padre, giungeva a Canepina, con considerevoli rinforzi e
il capitano Furlan Grande, Francesco Sforza. I collegati
prudentemente si ritirarono: Braccio a Perugia, ultimo di
giugno, e il Tartaglia a Toscanella (4).

Lo Sforza inizió allora una guerriglia pertinace contro
le terre limitrofe ancora soggette a Braccio.

Il quale nel mese di luglio di quest’ anno dovette ac-
correre da una in altra terra, secondo richiedeva il bisogno.
Un documento delle Riformanze ce lo addita il 24 luglio a
S. Gemini (D) e nelle spese straordinarie leggo: Item Cicco



(1) Sansi, op. cit., 153. Governava allora Foligno ed un vasto territorio
col titolo di Vicario Pontificio Niccolò Trinci (dal 1415 al '21). Cfr. FaLocI
Purienani, IZ Vicariato dei Trinci etc., in Boll. S. P. per l'Umbria, 1912, 4.

(2) Rif. OXXVI, c. 80-80 t (21 giugno 1419). -

(8) Rif., Vol. cit., c. 85 t (27 giugno).

(4) Eom, art. cit., p. 869. Cronache Viterbesi, in Doc. etc., V, 51 e 115.

(5) È una lettera a Rainaldo domini Santis de Perusio per confermarlo
nella podesteria d'Orv. per un semestre. Dat. in arce nostra Sanctigemini.
Rif. CXXVI, c. 108-8 t (24 luglio 1419).







BRACCIO DA MONTONE, ECC. 67

nunptio misso ad Dominum Ortum cum licteris comu.
nis ... (D.

Anche quest'anno per S. Felice (12 luglio) fu celebrato
a Perugia il 3^ anniversario della vittoria (2), ma la situa-
zione generale era tutt'altro che rassicurante.

Il Pontefice erà entrato nella lotta a tutt'uomo. I blan-
dimenti, le sopportazioni, le transazioni avevano perniciosa-
mente infiuito sull'animo del venturiero. ... « Ecce, orbi notum
est, litus aravimus! »,lamenta con rammarico Martino V in
una lettera del 6 agosto 1419 a Guidantonio di Montefel-
tro (3).

Quare graves processus hiis diebus (4) contra ipsum
suosque complices et sequaces decrevimus .. Ed intimó al
conte d'Urbino di iniziare senz'altro l'offensiva ... tibique
nichilominus in virtute iuramenti, nobis et E. S. Dei per te
prestiti, ac sub excomunicationis et vicariatuum et gratia-
rum, quas et quos a nobis et Romana E. obtines, privatio-
nis et rebellionis penis, stricte precipiendo mandamus, qua-
tinus eundem Braccium suosque etc. offendas et offendere
facias, ac ad recuperationem omnium locorum que occupat,
pro nobis et S. R. E. intendes (5).

Il Pontefice, allarmato dai primi successi di Braccio
nella lotta intrapresa, era inteso a chiudere lo scomunicato
dentro un cerchio sempre più largo di nemici. E il mese ci
agosto di quest'anno (1419) assorbì tutta la febbrile attività
di Braccio per opporsi a tutti, singolarmente.

(1) Ibd., c. 92t (30 luglio 1419).

(2) Ibd., c. 90t.

(3) Fumi, Guidantonio di Montefeltro ete., in Boll. St. P. per Umbria,
1900, p. 378.

(4) Alla scomunica fu data la più larga pubblicità nelle terre del Pa-
trimonio. Alcuni comuni ricevettero l’ordine di promulgarla solennemente.
Ofr. Arch. Soc. Rom. di S. P., XX, 12-19. Mazzamwrr, Archivi d’Italia,
II, 337.

(5) Fuwi, art. cit., p. 378-9.







68 R. VALENTINI



I documenti lo additano in località diversissime : dovun-
que cercava di portare colla sua presenza quella fede e quel
coraggio che agli aderenti e seguaci cominciava a mancare.

Lo Sforza, rimessosi dal colpo che invidia gli diede,
congiuntosi al proprio figlio, aveva devastato Capitone e
Lubriano (1) e si preparava a guidare un’incursione in ter-
ritorio perugino (2).

Braccio, con celerità di movimenti, accorreva qua e là
per l'Umbria dove maggiore si avvertiva il bisogno. Perchè il
Pontefice aveva anche assoldato Lodovico Michelotti, che a
capo dei popolari esuli di Perugia, cercava ribellare contro
lo scomunicato le città ove era forte il partito fedele alla
Chiesa.

Questi alla fine del luglio era tornato ad Assisi e
Spello (3) e circa. 1’8 di agosto a Spoleto, pare senza en-

(1) Il Minuti aggiunge che mise a sacco Avigliano e che in Capitone
fece prigione il conte Brandolino e Gattamelata con-circa 200 cavalli. Op.
cit., p. 244.

(2) Epi, art. cit., p. 369. L. Srmrro compendia:

In pace mai si fé punto sogiorno,
Sempre coll'arme e co le spade al lato
Si correva el paese intorno intorno.

Cap. XXV.

(3) SansI, op. cit., 154. L’attestazione dello Zampolini è autorevolmente
confermata dai nostri documenti. Rif. CXXVI, c. 103t (29 agosto 1419).

« Item Deserto misso bis ad Dominum cum litteris comunis, quando
« erat Asisii libras octo et soldos octo »..

Messo con lettere del C. a Corrado e Luca [Monaldeschi].

- Item Valentino misso ad Dominum quando erat Asisii cum licteris
« potestatis et comunis libras quatuor et soldos quatuor ».

Messo a Corrado « de Trinciis » per il fatto di Lubriano con lettere del
Podestà e del C.

« Item Petro Freschadance misso bis ad Dominum cum licteris comunis,

« semel Asisium et alias Spoletum libras octo et soldos octo ».

BRACCIO DA MONTONE, ECC. 69




trarvi: sostò a Colfiorito per tre giorni, donde mosse per
l’Orvietano (1).

Il territorio era sconvolto di nuovo dalla guerra : in città
le defezioni al partito di Braccio si notano tra gli stessi
Conservatori (2): i venturieri dello Sforza si affacciano di
nuovo ai colli che circondano la città. Sermognano, Seppio,
Porano, il Botto (3) dovettero essere presidiati con invio di
uomini e materiali da offesa e difesa. Nella Teverina ope-
ravano genti nemiche (4). Braccio riceveva dalla città anche
due messi in un solo giorno, il che attesta la gravità della
situazione. Il 17 di agosto un biglietto ai Conservatori circa
alcuni prigionieri catturati ad Allerona è datato < in campo
prope Bulsenum III hora noctis » (5). Anche fuori del castello
di Bardano dovettero collocarsi sentinelle (1 settembre) (6).

(1) Saxsr, op. cit., 154. Secondo il PeLLINI, II, 241, B. di questo mese

"
in

fece morire Ceccolino Michelotti e Guido, suo nepote, che ancora aveva
HE tenuto prigioni. 4
(2) Il 27 agosto 1419 tra i Conservatori eletti fu tale Tommaso Lippi
che fu dovuto sostituire con « Magister Andreas depictor » quia [est] re-

E bellis, ut dicitur, et absens a civitate predicta. Rif. OXXVI, c. 102.

(3) Lo rileviamo dalle spese straordinarie di questo agosto 1419.

Item Pulito pro sex famulis quos duxit Sermognanum pro eius defen-
sione ,..

Item pro bollonis, filato de fiandria et pro duobus succhiellis missis
Sermognanum ...

Item pro uno centinario ferrorum viractonorum missorum Seppium.

Item pro certis famulis missis Poranum. Per 14 libre di bolloni, 10 di sal-
nitro e zolfo « et pro uno centinario ferrorum viractonorum miss. Poranum ... ».

Tre famigli mandati al Botto per nn giorno.

Item Monaldo Angelutii pro solvendo certis famulis missis Poranum
de mandato Potestatis. Rif. c. OXXVI, c. 108-104 t.

(4) Item Stefano Ungharo bis misso cum licteris domini potestatis ad
Dominum pro ilis gentibus que stabant in Tiberina.

(5) Arch. Com. di Orvieto. Lettere originali ad. a.

(6) Valentino di Bardano eletto dai Conservatori « (volentes in quantum
sint compotes dampnis hostilium gentium obviare) ad custodiendum extra
Bardanum et faciendum discopertam ». C. 108.









70 i R. VALENTINI



E il Podestà aveva chiesto a Braccio brigate a cavallo a
custodia dei punti più vulnerati nel confine (1).

Da Bolsena Braccio ideava col Tartaglia un colpo di
mano, che avrebbe dovuto rovesciare la situazione, profit-
tando della lontananza dello Storza. A questo discesso ac-
cenna vagamente un cronista viterbese: e qui ne suffrago
la testimonianza con questa registrazione che trovo nelle
spese dell'agosto:

« Item cuidam ebreo qui portavit licteras potestatis Domino
pro notficatione facta de discessu Sfortie libram unam soldos
undecim cum dimidio » (2).

Fu cosi che all'uscita di agosto (3) Braccio e il Tartaglia,
spalleggiati dalle comunità di Toscanella, Corneto e Monte-
fiascone (4), puntarono contro Viterbo, accampandosi tra la
città e Bagnaia. Ma al sopravvenire dello Sforza (primi di
settembre), dovettero cedere il campo e si ritirarono : lo Sforza
tentò un’incursione contro Montefiascone, che non potè ridurre
alla soggezione della Chiesa (5).

Mentre il Pontefice era impegnato a fondo in questa
lotta, apprese con indignazione e meraviglia che Guidantonio
da Montefeltro « cum Braccio de Fortebracciis, nostro et E.
S. Dei rebelli et hoste notorio, nonnullas treguas inisse etiam
post et contra fulminationem nostrorum processuum contra
ipsum suosque » (6). Duplice rovina! si perdevano tutti i van-
taggi di un attacco simultaneo e Braccio profittava della
tregua per gettarsi sullo Sforza e tentare di sopraffarlo.

(1) Appendice, N. 85.

(2) Rif. CXXVI, c. 104 (29 agosto 1419).

(3) Cronache viterbesi di F. D’Andrea, in Arch. Soc. Rom. di Stor.
Pat., 1901, p. 869.

(4) Documenti di Stor. Ital., V, 115.

(5 Contrariamente a quanto affermano le Cronache Viterbesi, i nostri
documenti provano che nell’ottobre Niccolò Piccinino ancora presidiava
Montefiascone per Braccio.

(6) Fumi, art. cit., p. 380.





*

BRACCIO DA MONTONE, ECC. 71

Non vi riusci: i due collegati di nuovo si separarono per
direzioni diverse. Lo Sforza segui a Toscanella il Tartaglia
e colle lusinghe e coll'oro poté guadagnarlo alla causa del
Pontefice. Questi intanto con lettera del 24 agosto richiamó
Guidantonio allimmediata osservanza delle convenzioni pat-
tuite, obbligandolo a denunciare una tregua: illecita ed illegale
e procedere, « visis presentibus », alla mobilitazione contro il
comune nemico (1). Guidantonio non era più solo, chè Mar-
tino V aveva anche assoldato il conte di Carrara, Berardino
della Carda, Angelo della Pergola ed altri capitani (2).

A rendere anche più critica la situazione di Braccio
VIi di settembre il Tartaglia firmava un capitolato con cui
si obbligava di restare per un anno con 300 lance allo sti-
pendio del papa (3).

Braccio, lo scomunicato, rimaneva così solo, nel centro
di una coalizione che gli si stringeva d’intorno con tutte le
armi: materiali e spirituali.

Ma se l’oro del Pontefice staccò il Tartaglia dall’alleanza
con Braccio, le scomuniche non sortirono lo stesso effetto
sui seguaci di lui, nemmeno su quelli che si professavano,
ed erano, vicari e fedeli della Chiesa: i Trinci di Foligno e
i Signori di Camerino. E non erano certo i soli: Orso da
Monterotondo, Ulisse da Mugnano, il conte Nicola Orsini,
Monaldo de’ Monaldeschi da Ripalvella, Stefano de’ Maz-

(1) Ibd. i

(2) Di quest’ultimo non fa menzione Guerriero da Gubbio, è ricor-
dato però dal Campano (Muratori, XIX, 555). Comandava cento lance
stipendiate dai Bolognesi. ZaAoLI, Libertas Bononiae etc., p. 43. Non furono
però assoldate « nominatim contra Braccium » per timore, dicevano i Bo-
lognesi, di una vendetta armata di B. contro il Comune. Ibd., p. 87. |

(3) Taemer, III, 249.

Esiste una sua lettera con questa data: In campo prope Bulsenum
XVIII Augusti III hora noctis.

72 R. VALENTINI



zocchi della Massaia d’Orvieto (1), Ciarfaglia da Baschi tene-
vano tutti dalla sua, per libera elezione o per forza.

Se la defezione del Tartaglia assottigliava di tre o quat-
trocento lance le sue compagnie, gli rimanevano pure tanti
uomini devoti ed abituati alla vittoria, da affrontare con
speranza di successo le schiere improvvisate e raccogliticce
degli avversari.

Ma più che la forza egli temeva la frode degli avversari
e l'abilità diplomatica del papa. Sapeva che Guidantonio
avrebbe di nuovo richiamato altrove la sua presenza, ma
perchè lo Sforza non trovasse innanzi a sè il terreno libero,
da assalirlo alle spalle, lasciò a presidio di Montefiascone
con una brigata di cavalli Niccolò Piccinino (2); nella Teve-
rina impose agli alleati di tener sempre desta la guerra
contro il territorio viterbese, ed in Orvieto preparò a difesa
molti castelli del contado: Sugano, Allerona, Ficulle, il Botto,
la Torre (3). E fino dal due di settembre presso Tor di Pic-
chio aveva promesso l’invio di un suo caporale, Ambro-
gino (4).

(1) Sono tutti specificatamente nominati come aderenti di Braccio nei
capitoli firmati in Firenze (26 febbraio 1420) nella pace che seguì con Mar-
tino V (efr. Boll. di Stor. Pat. per U Umbria, 1900, p. 881).

(2) Appendice, N. 86.

(8) Rif. CXXVI, c. 114t. Spese del settembre 1419.

(4) Appendice, N. 85.

A tal proposito, ritrovo sotto il 6 luglio 1420 una supplica di que-
sto tenore (Rif. CXXVIII, c. 89-89 t):

« ... et tempore Braccii in hospitio Iohannis dello Prete fuit missus et



« positus Ambrosinus de Mediolano stipendiarius dicti Bracii cum tota eius
« Comitiva, adeo quod fuerunt XXVIII equi vel id cirea et in dicto hospitio
« steterit quatuor menses et ultra, et inceperit ibidem stare de mense octo- "
« bris ... et quod peius est, dictus Ambrosinus cum suis sociis abstulerunt
« eidem Iohanni paleas, vinum, ligna et destruxerunt sibi hospitium ... ».
I giurati dell'arte degli albergatori chiedono la esenzione del pagamento
di libre 9 di gabella, che l'arte dovrebbe per d.o Giovanni pagare al ga-

belliere degli straordinarii. Il Governatore fa grazia.









BRACCIO DA MONTONE, ECC. 13

Mentre il Papa riaccendeva contro di lui la guerra per
la riconquista di Spoleto ed Assisi, meditava da quest’ altro
Jato trarre a proprio vantaggio la lontananza di Braccio per
ribellargli Orvieto.

La città era di nuovo minacciata dalle armi dello
Sforza. « Cum in comuni ad presens sit maxima denariorum
penuria et pro obviando inimicarum gentium, oporteat ho-
stilitatibus providere ne eorum nequam preposita, et que in
eorum malivolis precordiis resident contra nostra nos, in-
mani quodam ausu, et violentis insultibus exequantur, et sit
opus habere certos famulos, tam pro civitatis custodia in-
tus et extra, quam pro tuitione debita comitatus eiusdem,
et causa vitandi et divellendi errores omnes qui in dicta
civitate et comitatu possent quomodolibet exoriri...» nel
consiglio generale del 10 settembre 1419 si deliberó di co-
stringere i gabellieri a far versamenti ai camerlenghi del co-
mune, anziché a coloro cui dette gabelle erano obbligate;
‘e se il ricavato fosse insufficiente « pro conducendo ad dicte
civitatis stipendium famulos quinquaginta », s'imponesse unà
tassa straordinaria (1).

Si temeva un colpo di mano dello Sforza che in questo
mese era arrivato a Salci (2) e i Conservatori, « volentes
ne voluntates inimicorum illecebres id quod appetunt con-
sequantur, cum semper et sedulo vigilent civitatem hanc in-
laqueare et inrentiare compedibus », provvidero alla scelta
di due vedette.

L'anima della resistenza era Monaldo da Ripalvella:
Braccio, che il 15 di settembre era tornato a presidiare As-
sisi, dopo la ripresa delle ostilità da parte di Guidantonio,

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(1) Rif. CXXVI, o. 109 t-110 t.

(2) Ibd., c. 114r. Item Ianni de Ficullo, nümptio misso per potestatem
Alleronam ad notifieandum quod Sfortia erat Salcii. Anche il Campano,
(p. 556), attesta la presenza di Sforza nell’ Orvietano. M. Attendolo era di-

retto contro il Chiugi perugino. PeLLini, II, 238.





14 R. VALENTINI

inviò con 50 fanti Bartoccio da Foligno (i)\e provvide del
proprio al soldo di lui e della brigata.

E ce n’era bisogno. Che il Papa il 17 di questo mese
firmava in Firenze una bolla con la quale conferiva al dot-
tore in legge maestro Niccolò de’ Medici la facoltà di
recarsi in Orvieto « pro nonnullis nostris et E. R. negotiis
arduis » di trattare una pace.a suo beneplacito, con pieni
poteri, di assoldare e chiamare a propria tutela Giannetto
d'Acquasparta con quel numero d'uomini che avesse ritenuto
sufficienti per costringere la città alla resa (2).

Ma in Orvieto i partigiani di Braecio si preparavano a
resistere, e i Conservatori « ad obviandum inimicarum gen-
tium hostilitatibus, ne eorum vota àd dampna succederent »,
assoldarono nuove scolte per il contado (3).

Temevano però che un prossimo. ritorno di Sforza
impedisse la vendemmia e la semina: Braccio li rassicurò
con una sua da Assisi (18 settembre), che i Montefiasconesi
tenevano in scacco le genti dello Sforza, obbligato alla difesa
del territorio di Viterbo; e in caso di una incursione del suo
emulo, dava affidamento che sarebbe accorso subito con la
compagnia in loro aiuto. A presidio del territorio era intanto
maestro Matteo con buon numero d’uomini che potevano
variare a seconda del ‘bisogno (4).

Così correvano gli avvenimenti, quando il 22 di questo
mese (settembre 1419), fu bandita una tregua tra la città e
lo Sforza: assicurava tutti nelle terre, cose e persone e du-
rava < per quindecim dies mensis octobris proximi futuri à
data presenti » (5).

(1) Appendice, N. 87.

(2) Fumi, Cod. Dipl., p. 676. È inesatto quanto è scritto a p. 674, di una
tregua tra Braccio e Sforza, che non ci fu.

(3) Rif. CXXVI, c. 113 (18 settembre 1419).

(4) Appendice, N. 86. :

(5) Rif., vol. cit., c. 116 (22 sett.). Nell'atto é scritto:

« promictimus non offendere nec offendi facere civitatem et homines





«E
e





BRACCIO DA MONTONE, ECCO. . (5

Donde questa subitanea decisione? Io credo che proprio
in questi giorni arrivasse ad Orvieto quel familiare del. Papa,
Niccolò de’ Medici, coi venturieri di Giannetto d’Acquasparta.

Braccio da Assisi il 23 settembre con lettera al Podestà
espresse anche il suo desiderio che la tregua fosse osservata.
Monaldo de’ Monaldeschi e Cattabriga gli darebbero contezza
delle necessità del suo stato (1). Veramente diventavano tut-
tavia più inquietanti dopo la ripresa delle ostitità da parte
di Guidantonio: Braccio aveva sopra i suoi assalitori, mag-
giori di forze e di numero, il solo vantaggio della posizione:
di trovarsi nel centro, così da poter accorrere nei diversi
punti della periferia in previsione di attacchi combinati.

Nè questi potevano tardare più a lungo, dietro le pres-
santi insistenze del Papa.

Lo Sforza il 25 di settembre si parti dal Viterbese diretto
verso Amelia. Per la via s'era congiunto coi primi rinforzi
inviatigli dal Tartaglia al comando di Cristoforo da Lavello
e Paolo Tedesco, detto « dalle catene » (2). La mossa che
gli Orvietani avevano temuta, diveniva una triste realtà.

Informato di tutto, Braccio in data 30 settembre comu-
nicava agli Orvietani di aver disposto che Niccoló Piccinino
si portasse con la compagnia a Montecchio, pur senza offen-
dere le terre nemiche, rispettando la tregua che aveva Or-
vieto con lo Sforza (3). Nei patti espressi della quale si vie-
nobiles, incolas et habitatores civitatis Urbisveteris in rebus et bonis nec
in personis quoquomodo ...

Nec non similiter promictimus non offendere nec offendi facere modo
quo supra magnificos viros Lucam Berardi de Munaldeschis, Munaldum de
Munaldeschis et Raynaldum de Castelrebello ».

(1) Rif. CXXVI, c. 119 (23 sett. 1419).

(2) Minuti, op. cit., p. 244. :

(3) Appendice, N. 88. Non si dimentichi che mentre affrontava una
così potente coalizione, Braccio aveva la disgrazia di perdere la propria
moglie, Elisabetta della Staffa, morta appunto nel settembre di quest’anno.
PeLLini, II, 242. Di Lei ho trovato tra le lettere originali di B. il seguente

biglietto :





76 R. VALENTINI



tava che i castelli dell’ Orvietano dessero pel momento ricetto
alle genti di Braccio. Lugnano ospitando una brigata s'era
messo fuori della tregua, ed i Conservatori dovettero pregare
lo Sforza di non considerare come violati i capitoli, se quel
castello aveva ricettato un brigata « del Signor Nostro » (1).
Per ora interessava anche a Braccio che il fronte non si
estendesse anche al contado e territorio orvietano, perció
aveva annuito che la città negoziasse con lo Sforza una
tregua separata.

Lo Sforza, a cui non sfuggiva la gravità della situazione
dell'avversario e presumeva che l'attacco combinatotravolgesse
in una vera catastrofe le forze di lui, il 5 di ottobre rispose
da Capitene (presso Amelia) ai Conservatori, irridendo a quel
senso di .rispettosa soggezione che nella lettera avevano
mostrato per Braccio. « Qual Brazzo appellate in la lectera
vostra nostro Signore, che sapete n. s. non s’appella sennò
dio in celo e lu papa in terra ». Li assicura che non terrà
conto dell'infrazione avvenuta a Lugnano « dichiarandovi
che nuy non stamo sennò per redurre a la dericta via de
sancta Ecclesia quelli che deviati ne fussero » (2).

Magnifieis Dominis Conservatoribus pacis Civitatis Urbis W.

Magnifici et honorabili Fratelli carissimi.

Sapete como Gasparre, nostro fameglio, servi li Guido, castellano de
la Porta Posterla et remase a darce denari d’una buletta. Si che per tanto
prima per lo dovere, et puoy per omnì altro respecto, fate che la detta
buletta sia pagata et non falli, per che non lo mandano se none per questa
cagione, et avevo bisogno operarlo in altri ... fatte.

Die XXIIII madii ete.
Bettola de Fortebraciis
Comitissa Montonis.

Braccio era minutamente informato delle mosse dello Sforza. Nelle
spese dell’ottobre (Rif., vol. cit., 127t segg.) è notato:

Item die primo octobris PetroTheotonico qui accessit ad Civitellam ad
sciendum si Sfortia transiverat citra Tyberim ... S. XX.

(1) Rif. OXXVI, c. 117 t (30 sett. 1419).

(2) bd, e. 115 T.





BRACCIO DA MONTONE, ECO. T



Braecio, al giorno di ogni avvenimento, s'era portato a
S. Gemini, spiando le mosse dello Sforza (1). Niccolò Piccinino,
ricevuto l'ordine di evacuare Montefiascone, tra l'1 e il 2
di ottobre parti di là. Lo attesta il Minuti, testimonio ocu-
lare, che peró prospetta gli avvenimenti sotto una falsa luce.
Passò il Tevere ad Alviano e si congiunse con Braccio a
S. Gemini (2).

Sforza campeggiava nell’Amerino in attesa di congiungersi
col Tartaglia, che doveva sopraggiungere col resto della
compagnia, per passare il Nera e marciare su Spoleto. La
notizia del suo appressarsi si seppe in Orvieto verso il 12
ottobre e fu subito comunicata a Braccio, sempre a S. Ge-
mini a spiare lo Sforza, e ai castelli della montagna per i
quali il Tartaglia presumibilmente poteva transitare (3). E
per mezzo di Rainaldo da Castelrubello, consenziente Brac-
cio, si ottenne dallo Sforza una dilazione del termine della
tregua che scadeva il 15 di questo mese (4).

Braccio sapeva che la grande lotta si sarebbe decisa
sul fronte Assisi-Spoleto. Quest'ultima città s'era ribellata e

(1) Ibd., c. 127t e segg. Spese del mese di ottobre 1419: Item die
4 octobris Petro Theotonico misso ad Sanctum Geminum cum litteris
potestatis et comunis ad Dominum pro factis Lugnani ...

(2) Minuti, p. 244. I nomi propri di luoghi e persone nel testo che
abbiamo sono generalmente errati. Così il Minuti: Et io che scrivo el so,
perché io essendo prigione in Montefiascone, Niccolò Piccinino, como me
doveva liberare, me menò con lui quella notte et poi me menó a Santi
[Gemini] dove era Brazo ... et andó a passare el Tevere per la via de
Alviano ...

(3) Item dicto die (12 ottob.) Mandato potestatis cuidam nunptio misso
pro castra Montaneae ad notificandum Tartaliam cum sua comitiva fore
transiturum citra Tiberim ... L. III.

(4) Rif., vol. cit., c. 127t segg. Die XII oct. cuidam numptio misso
ad Sfortiam pro parte Raynaldi (da Castelrubello) de mandato potestatis et
conservatorum pro facto tregue refirmande ...

Die V (?) octobris de mandato potestatis cuidam familiari ipsius misso
ad Dominum cum licteris ipsius domini potestatis ad sciendum si Dominus

contentabatur de tregua fienda ... L. III. S. X.









78 R. VALENTINI



lo Sforza vi aveva inviato Micheletto Attendolo in favore
dei partito della Chiesa. Fu il 15 di ottobre che riuscì a
Guidantonio, coll’aiuto dei capitani assoldati dal Papa (1) e
pr tradimento, di rientrare in Assisi e farsene padrone (2ì.
La vittoria dei Feltreschi si riseppe subito a Spoleto, dove
i figli di messer Manente, che tenevano per Braccio, cre-
dettero prudente abbandonare la città agli insorti (3). La
situazione di Braccio d’un tratto si aggravava: ma il suo
genio di guerra doveva avere ancora una volta ragione di
una potente coalizione che, sotto una condotta unica, abile e
forte, avrebbe potuto agevolmente schiacciarlo.

Le rocche di Assisi tenevano ancora per lui. Ricevuti
dai Trinci di Foligno quattrocento fanti (4) e considere-
voli rinforzi da altre terre (5), si presentò contro Assisi.
Gli assediati speravano in un pronto accorrere di Sforza
e Tartaglia che avrebbero investito le brigate braccesche alle
spalle, ma l’aiuto non venne. Il Perugino con abile stratta-
gemma (6) fece credere ai due capitani intempestivo e ormai
pericoloso ogni loro intervento. Videro di notte la marzia
Todi illuminata a festa e fu fatto credere che si celebrasse
la riconquista d'Assisi. Non era che un bonum omen. In realtà
i due capitani avevano avanti a sè pochi uomini di coper-
tura, che avrebbero potuto sopraffare agevolmente e trince-

(1) Erano il Conte di Carrara, Angelo della Pergola, Ludovico Miche-
lotti con molti fuorusciti perugini ed assisiani, Ludovico della Costa e Ber-
nardino dalla Carda. Cfr. A. PeLLEGRINI, Gubbio sotto è conti e duchi d’ Urbino,
in Boll. S. P. per l’Umbria, 1905, p. 177.

(2) (Campano, 557). J. Gurmaup, L'état pontifical après le grand. schisme.
Paris, 1896, p. 86.

(3) Sansi, op. cit., p. 154.

(4) Donio, op. cit., p. 199.

(5) PeLuini, II, 239.

(6) Murarori, XIX, 557.









BRACCIO DA MONTONE, ‘ECC. YS



rarsi in Todi. Il grosso dell’ esercito di Braccio marciava
frattanto sopra Assisi e la ricuperava (18 ottobre) (1).

La vittoria non era meno clamorosa di quella di S. Fe-
lice. Vi furono fatti prigioni due fratelli di Berardino, Gio-
vanni e Guccio, i Feltreschi battuti e dispersi. La soldatesca
di Braccio nell’insolenza della vittoria pose a ruba le case
dei cittadini, rapì i sacri arredi dalla chiesa di S. Francesco,
| fece giustizia sommaria di oltre 80 esuli perugini ed assi-
siati (2).

Così l’esperienza di guerra e l’astuzia salvavano nuova-
mente Braccio da una potente coalizione che per un momento
aveva messo in forse la sopravvivenza del suo stato. Il suo
astro rifulge qui per l’ultima volta: sebbene vincitore egli
aveva la sensazione che in una lotta a fondo contro il pon-
tefice non avrebbe potuto durarla, per ragioni economiche
e morali più che strategiche, le quali meno lo impensieri-
vano (3).

(1) Doro, op. cit., p. 199. Autorevolmente suffragano la data del Dorio
i nostri documenti. Spese di ottobre 1419. Rif., vol. cit., c. 127t segg.

Item dicto die (19 ottobre) illi nunptio qui portavit nova vietoriae, quam
dominus noster habuit in Asisio, pro uno indumento panni rubey, etc. ...

(2) Cronache della città di Fermo. In Doc. di Stor. Ital., IV, 50 e 141.
La loro presenza in Assisi è confermata dalle Cronache di Perugia. FARRETTI,
II, 81. La battaglia fu atrocemente accanita, chè i Feltreschi sostenevano
l’impeto nemico sempre fiduciosi di un immediato intervento dello Sforza
e del Tartaglia. Molti, fatta ragione dell'epoca, i morti; moltissimi i ‘pri-
gionieri. PeLuini, II, 240.

(8) Il trionfo di Assisi fu celebrato in' Orvieto con segni di tanta esul-
tanza, che stanno a dimostrare il gravissimo pericolo scampato da Braccio.

Pro uno nuptio misso mandato potestatis ad significandum factam con-
flictionem per Dominum in Asisio. Sol. XXV.

Item pro duabus libris coriandiorum consuptorum in festo facto pro
vietoria domini in palatio potestatis. Ti BEROHS s^ DET.

Item. die 22 octobris pro sexcentum pagnonis pro faciendo festum
diete viectorie Domini in palatio potestatis et dominorum conservatorum et
alibi per civitatem, quod festum duravit IIII° diebus ... L. XII (Rif.,
vol. cit. Spese dell'ottobre 1419).







80 R. VALENTINI



Liberata Assisi, si volse subito verso Spoleto per ab-
battere gl’ insorti e restaurarvi il proprio governo (1).

Sforza s'era ricondotto ad Amelia, riconquistata alla
Chiesa, ed era con lui Costantino, Episcopus Aptensis, col
titolo di Rettor Generale nel Patrimonio. Costui, largendo
sussidi ai comuni più poveri, coll’aiuto delle armi sforzesche,
aveva ribellato a Braccio. alcuni castelli del territorio Or-
vietano: Ficulle col suo piviere, Mealla e La Sala (2);
Poggio Guidetti (3), Allerona (4): il Tartaglia minacciava il
contado. Pochi giorni dopo lo Sforza, privo degli aiuti indi-
dispensabili (5) abbandonava il Patrimonio, per assistere, il
29 ottobre, a Napoli alla festa della incoronazione della Re-
gina (6).

Braccio, conforme alle necessità del momento, dovette
ripristinare in Orvieto una suà luogotenenza. Rainaldo di Mes-
ser Santi fu investito. della nuova carica, « cum ad pre-
sens expediat — cosi motivava B. il ripristino dell'uffieio —
istic quam plura agi et perpetrari nostrum statum potissime
coneernentia. Tuderti in palatio nostro die XII mensis no-
vembris 1419 » (7). Questa misura di ordine pubblico lascia
supporre l’affermarsi e consolidarsi di una fazione antibrac-

(1) Rif. Spese dell’ottobre 1419, loc. cit. Item Deserto dicto die (19 ot-
tobre) misso ad Dominum in territorio Spoletano cum licteris comunis pro
notificatione contracte tregue ...

(2) Appendice, N. 89.

(3) Appendice, N. 90. Lubriano, già conquistato e distrutto dallo Sforza,
ottenne l’esenzione per 7 anni da ogni imposta. Rif. OXXVIII, c. 45-40.

(4) Il 26 dec. sono negati sussidi stanziati al comune di Allerona, quia
effecti sunt rebelles comunis Urbisveteris (Rif. CXXVI, c. 80 t-81).

(5) Martino V se ne querelò poi con gli ambasciatori mandati dalla
Regina a Firenze nel maggio del 1420: rinfacciò loro gli errori della corte
e, più grave degli altri, i negati soccorsi allo Sforza, durante la lotta che
siamo venuti narrando. FARAGLIA, op. cit., p. 166. È

(6) Ibd., p. 151.

(7) Rif., vol. CXXVI, c. 139.







BRACCIO DA MONTONE, ECC. 81



ciana, che tra breve darà occasione al Tartaglia di tentare
un colpo di mano.

Dopo la rotta di Assisi, il timore più che l’attaccamento
al Pontefice, aveva tenuto stretti i collegati; ma il Pontefice
sapeva che « nonnulli etiam S. R. E. vicarii, officiales et
subditi, parvi pendentes graves processus nostros decretos
contra iniquitatis filium Braccium de Montone eiusque com-
plices etc. falsis dicti Braccii suggestionibus irretiti, sibi
dampnaliter adheserunt » (1); e per questo fece obbligo a
Guidantonio « quatenus quoscumque adherentes ... ab eius
adherenti et sequitu subtrahere et eximere procures et
nitaris totis viribus atque posse, promictens eisdem, si ex-
pedire cognoveris, tam nomine nostro et R. E. quam etiam
per spetialitatem tuam, ipsos à quibuscumque eos ostendere
(leggi offendere) volentibus deffendere et manutenere ... Da-
tum Flor. IV non. novembris an. II » (2).

Queste armi del pontefice più che a Braccio nuocevano
alle singole città, dove riaccendevano le fazioni. E in Orvieto
se ne intesero presto gli-effetti funesti.

Un Melcorino (partito antibracciano) (3) aveva pattuito
col Tartaglia di introdurlo di nottetempo in città per darla
in suo potere. Il luogotenente, venuto a conoscenza del trat-
tato, rivela a Braccio il tradimento e lo sollecita a provve-
dere (4). Braccio credette venuto il momento di far pagare
al Tartaglia la sua defezione. Entrato di nascosto in Orvieto,

(1) Fumi, Guidantonio di Montefeltro, etc. Boll. Stor. Pat. per l'Umbria,
1900, p. 380.
(2) Fuwr, art. cit., p. 381.

(3) Murarori, XIX, 559. ... sunt qui non captivum sed alterius factionis
hominem solieitatum velint. Cfr. Moxwarprscnur Com. hist., 129 v. Nelle Rif.,
vol. OXXVII, c. 6, in data 4.febbraio 1420 6 registrato un pubblieo giu-
ramento di un cittadino del rione di S. Biagio, Sabino « Antonii », che
promise esser fedele « et partialem partis muffate » etc. ad onore, exaltatione etc.
di Braccio. In margine: luramentum cuiusdam mercurini facti muffati.

(4) Secondo il Campano presidiava allora Orvieto Malatesta Baglioni,

p. 559.



82 ‘| R. VALENTINI

promise piena impunità al traditore, se avesse, persistendo
nel suo tradimento, usato contro il Tartaglia lo spergiuro
macchinato a suo danno. Il disgraziato cedette e il Tartaglia
dovette la sua salvezza ad un caso fortuito: e con pochi
compagni arrivò a chiudersi nel castello di Sugano (1) dove
si sottrasse all’ira di Braccio (2). Imposti alle principali fami-
glie melcorine 60. ostaggi, Braccio ai primi di decembre ri-
tornò a Todi (3).

(1) L. Spirito così narrò nel cap. XXVI dell’ Altro Marte:
E lui (Tartaglia) si rifugio senza dimora,
Recoverando dentro da Sugano
Che d’esser salvo non credeva ancora..

(2) Il duplice inganno a cui Braccio spinse il traditore ebbe tanta noto-
rietà, che ispirò le terzine di Antonio Cornazzano, in quel curioso trattato
in terza rima che scrisse De re militari. Trascrivo dall'edizione Veneta
del 1586. Lib. VIII, cap. III, p. 158.

— Ai nostri dì Tartaglia entrò in Orvieto,
Per torlo a Braccio che l’havea fornito,
Ordì trattato esseguibile et quieto.

(Come nol so) Braccio l’hebbe sentito ;
Et per redundar l’arte in l’adversario,
L’autor si fece condur stravestito.

Maggior premio gli dona, el fa vicario,
La pena annulla, ma vol che raddoppi
El tradimento che fa voluntario,

L'ingegno a tutti i nodi a tutti i groppi
Pronto promette, e per fede dà hostaggio
Moglie e figlioli e quanto è sotto i coppi.

Tartaglia el di statato entra in viaggio.
Gionto alle porte, Braccio esce e lui scappa;
Et sél nol prese fu poco vantaggio.

(3) Si arguisce da quanto segue: Bartolomeo Vannucci « cum habuisset
expresse in mandatis de magnifico domino nostro Braccio, quod una secun
Tudertum accederet », provvede alla sua sostituzione, eleggendo ser Iacobum
Petri de Urbevetere in locum sui officii camerariatus ». if. OXXVI, c. 144t
(6 dec. 1419).

E nelle spese del febbraio 1420 (Rif. CXXVII, c. 15-16):

« pro septem libris acutorum grossorum pro actando pontem Palee

« quando Dominus recessit hinc et ivit 'Tudertum libras duas et soldos V ».



de







Pa



BRACCIO DA MONTONE, ECO. 83

Se il tradimento era sventato, Orvieto si trovò tormen-
tato dalla guerriglia civile, come durante la breve domina-

‘zione dello Sforza (1). Misure di pubblica sicurezza consi-

gliarono che « qualunque persona fosse in alcun loco de la
ciptà d’Orvieto, che non sia exito nè rebello, degga venire
et adpresentarse nansi ad Locotenente infra summum d'octo
di prokimi da venire » (2).

Tartaglia, esperato del tradimento patito, aveva fatto a-
sportare l’acquedotto di piombo che da Sugano conduceva
l’acqua in città (3); il contado versava in condizioni miser-
rime. In Allerona e Ficulle, come vedemmo, i fortilizi dete-
riorati dalle guerre e dal tempo, minacciavano rovina sulle
povere casupole dei terrazzani, senza che il comune avesse
fondi da contribuire ai risarcimenti. Queste le principali
cause che alienarono i due castelli dalla fedeltà di Braccio.

La possibilità di una ripresa della guerra da parte di
Guidantonio e collegati si faceva ogni giorno minore, onde
Sforza -— tornato subito sul campo della lotta con l’ assicu-
razione di ricevere quegli aiuti che in realtà non giunsero
— e Tartaglia credettero inutile prolungare un dispendioso
soggiorno nell’ Umbria.

Il primo nel decembre lasciava in presidio di Amelia
Foschino Attendolo con buon nerbo di cavalleria ed egli
passava il Tevere a Baschi, diretto ad Acquapendente (4).

Il Tartaglia, dopo il gravissimo pericolo corso in Or-
vieto, si racchiudeva in Toscanella con pochi dei suoi.

(1) Ne fanno fede i messi frequenti in località diverse, come dalle spese
straordinarie del mese di decembre 1419. Rif. CXXVI, c. 147.

(2) Ibd., c. 146.

(3) Item pro VIIII petittis ‘vini in una manu et uno barile vini in alia
manu, quod biberunt pedites et equites armigeri, qui steterunt ad bellandum
contra gentes Tartaglie, quando furati fuerunt cannellatum plumbi, duas
libras denariorum et sollos otto. Rif. CXXVII, o. III-V t.

(4) Minuti, op. cit., p. 245. Il racconto del Campano a questo riguardo

è inattendibile, p. 561.









84 R, VALENTINI



Braccio approfittò del momento per passare all’offensiva
e costringere Guidantonio ed il Papa ad un accomodamento.

Nel mese di decembre (1419) mise a sacco la Serra di
Partuccio (1).

Il 9 gennaio del '20, rifattosi di genti (800 cavalli e 2000
fanti), venne direttamente contro Gubbio; a-difesa della
città vegliavano Guidantonio, Angelo della Pergola, Lodo-
vico della Costa. Dette alle fiamme i sobborghi, dove rimase
a campo tre giorni; ma per le considerevoli perdite, dovette
ritirarsi (2). Il 12 di gennaio era tornato a Perugia (3).

Dallo scacco subito da Braccio a Gubbio trassero abil-
mente partito i Fiorentini per tentare un defintivo accomo-
damento tra i contendenti.

Si chiude così la prima fase di questa tenacissima lotta
le cui vicende parvero suscitare in alcuni luoghi i tristi ri-
cordi delle fazioni guelfe e ghibelline.

CAPITOLO VII.

Preliminari della pace tra Braccio e Martino V — "Trionfale ingresso di
Braccio a Firenze — La pace col conte d’ Urbino — Condizioni del
comune di Orvieto dopo la guerra del 1419 — Il passaggio di Orvieto
a Martino V e il governo di Braccio — La spedizione contro Bologna

— I governatori papali in Orvieto.

Il tempo per un accordo ormai sembrava maturo: ac-
cordo soltanto dettato da reciproche convenienze e tregua
foriera di più procellose tempeste. Chi si ostina a credere
— oh la tenacia di certi errori! — lo scacco iniziale su-
bito dallo Sforza a Viterbo — che non ebbe sull’ ulteriore

(1) Cronaca di ser Guerriero da Gubbio (Mazzatinti), p. 40. Il Campano
(M. XIX, 560) non cercò di indagare il nesso di questi avvenimenti.

(2) Cronaca cit., p. 40. A. PELLEGRINI, art. cit., p. 178. L'azione contro
Gubbio per il Campano (p. 560) comincerebbe nonis Januartis.

(3) Rif. OXXVII. Spese di gennaio: ... Item pro mercede debita Bru-
glino et Ciaffarello qui iverunt Perusium ad d. n. Braccium.







x

BRACCIO DA MONTONE, ECC. 85

sviluppo della guerra conseguenze di sorta — come la precipua
causa che determinó il pontefice a conciliarsi con Braccio,
dimentica affatto le condizioni in cui entrambi versavano.

Se il papa era in grado di sollevare contro l'ostinato
ribelle i contadi dell' Umbria e delle Marche (Orvieto tra
il decembre '19 e il gennaio ’20 si vide in rivolta quasi tutti
i castelli limitrofi e le terre soggette) (1) e creargli difficoltà
tuttavia maggiori, non poteva pure disconoscere di trovarsi
dinanzi ad un uomo oceultamente favorito dai Fiorentini, in
politica astuto ed energico, abbondante di clientele e di
amici, adorato dalle sue compagnie e deciso a vendere a
caro prezzo qualsiasi rinuncia. Una decisiva vittoria su quel
nemico potente e tenace appariva pel momento sempre piü
lontana, ché l'esperienza aveva dimostrato a Martino V
quanto assegnamento potesse fare sopra i coalizzati. Sul
Reame specialmente. Non si doveva alla Regina se lo Sforza,
privo d’aiuti e del soldo per le compagnie, aveva dovuto
rinunciare a proseguire le ostilità contro Braccio ? (2).

D'altra parte il papa doveva pur uscire da una situa-
zione insostenibile che, con danno del suo prestigio e della
cristianità tutta, da troppo tempo si prolungava. La neces.
sità di difendere la propria autonomia diveniva improro-
gabile.

Egli che aveva rifiutato, per iniziare da S. Pietro la

(1) Cominciarono di nuovo le scolte intorno alla città e sulle ripe.
Porano, Sugano, Allerona, Ficulle erano contro il comune. I nemici circui-
vano il contado, come si avverte dalle spese del gennaio - febbraio 1420.
Rif. OXXVII, c. 8-5t e c. XV-XVI. Sforza e il Tartaglia tornavano in
campo contro il territorio di "Todi. Prrriwr, II, 245.

(2° FARAGLIA, op. cit., p. 157. Questa che parve a Martino imperdo-
nabile mancanza di fede e che determinò il crollo di tante speranze vagheg-
giate, lo spinse a farsi promotore dell’allontanamento dello Sforza dalla
Regina Giovanna. Il concordato, per cui lo Sforza passava agli stipendi di
Luigi III d’Angiò, fu stipulato a Firenze. De Tuwwvrirris, Notabilia tempo-

rum, p..27.











86 R. VALENTINI



tanto attesa riforma, di insediarsi nelle città della Germania
o della Francia, dopo un anno (1) era ancora tenuto in scacco
a metà strada da un prepotente usurpatore. Tale stato di
cose non poteva non menomare la sua dignità e il prestigio.
Roma reclamava la sua presenza: tutto colà era abbandono,
squallore, rovina. Deserte le chiese, cadenti le basiliche,
spogliati, denudati, contaminati i grandi monumenti della pa-
ganità, i romani ridotti ad una plebaglia di accattoni o di
violenti, pronti sempre alla rivolta, alla rapina, al saccheggio.
Per un pontefice tutto ciò costituiva una colpa della quale
avrebbe dovuto render conto alla storia. Il soggiorno fioren-
tino era divenuto intollerabile. La ostilità contro Braccio
aveva procurato a Martino una impopolarità palese e una
mal dissimulata freddezza da parte della Signoria.

Per quanto al suo animo ripugnasse una qualsiasi tran-
sazione coll’usurpatore, tentò di trarre il maggior vantaggio
da un atto a cui la forza degli eventi lo costringeva. La
sua sagacia e l’ opportunismo politico gli presentarono un
transitorio accordo coll’ odiato e pugnace avversario come
una buona occasione per sottrarsi dall’ influenza dei Fioren-
tini ed arrivare finalmente in S. Pietro, dove sarebbe stato
pienamente libero di realizzare quella politica che volta a
volta avesse ritenuta più conforme ai propri interessi.

D'altra parte anche Braccio trovava tutta la conve-
nienza in un accomodamento col Pontefice.

In una guerra aperta non poteva durarla per le conti-
nue ribeilioni delle popolazioni soggette. Inoltre la forza,
anche materiale, dei collegati non era trascurabile. Il ricono-
scimento del Papa da parte delle grandi potenze, gli faceva
comprendere che il suo sogno di costituirsi nell’ Umbria uno
stato autonomo doveva considerarsi svanito.

(1) Martino era arrivato a Firenze il 26 febb. 1419 (B. peL Corazza in
Arch. St. Ital., 1894, p. 256.









BRACCIO DA MONTONE, ECC. 87

Comunque una tregua, un concordato, anche breve, a-
vrebbe chiarito la situazione. Le terre dell’ Umbria erano
state spremute e depauperate, le guerre, la peste, l'abbandono
delle campagne avevano causato la miseria universale (1).

Gli avvenimenti bolognesi determinarono l’ animo del
Pontefice a cercar la salvezza nel suo stesso nemico !

In Bologna i dissensi cittadini e le interne convulsioni
non s'erano mai definitivamente composte (2). E Martino
come non mancò di speculare a proprio profitto sulle con-
dizioni interne della città, così non s’ adoperò mai per ri-
portarvi la pace (3). Quando i torbidi dal 27 gennaio 1420
si susseguirono più minacciosi e per la libertà cittadina
esiziali, allora non mancò il pontefice di tornare ad accam-
pare il proprio diritto di libero dominio. Ma i suoi messi il
29 febbraio ricevettero un reciso rifiuto (4). Braccio però era
già arrivato a Firenze e Martino V nei primi del marzo
consegnava a Niccolò Albergati la bolla dell’ interdetto (5).

L'ambasciatore di B. Matteo Baldeschi, sostenuto dai
Fiorentini, già dal gennaio lavorava attivamente a cercare
le basi per un accordo. Braccio doveva rassegnarsi a ce-
dere al papa non poche terre — almeno in apparenza.
Questa determinazione già si avverte in un decreto di amnistia,
concesso agli Orvietani il 1 febbraio 1420 (6).

(1) Gli artieri erano costretti ad esulare per mancanza di lavoro, gli
appaltatori di gabelle rimettevano e chiedevano a Braccio risarcimenti, i
castelli minacciavano rovina, come al Pornello. Cfr. Rif. CXXVII, c. 13-14t.

(2) ZaoLI, op. cit., 74.

(8) Ibd., p. 84.

(4) Ibd., p. 98.

(5) Ibd,, p. 101.

(6) Non era estranea anche una ragione politica. Si tentava per questa
via di ristabilire la calma in città, dove lo fazioni rialzavano la testa e gli
odi affioravano nelle esplosioni delle private vendette.

La concessione di Braccio non aveva disarmate le ire dei Melcorini;
e il Luogotenente Rainaldo « domini Sancti » fece bandire 1’11 febbraio che



































88 R. VALENTINI

L’ 8 dello stesso mese Bartolomeo Valori, Niccolò da
Uzzano, Paolo Fortini per la repubblica di Firenze signifi-
carono a Braccio che nell'ora 4» di quel giorno la pace tra
lui ed il S. Padre era divenuto un fatto compiuto, ed a tali
condizioni, che non potevano riuscirgli se non accette (1).

L’accordo col Pontefice fu comunicato da Braccio ai
Conservatori di Orvieto V11 febbraio da Todi (2). Il 15 il
luogotenente fece bandire che la sera fossero accese lumi.
narie in segno di esultanza, sospeso ogni lavoro e chiusi i
negozi fino a giovedì; che non si offendessero i castelli retti
a nome di Papa Martino (3).

Braccio aveva desiderato che due ambasciatori del Co-
mune conferissero con lui sopra le modalità del passaggio
del governo, e i governatori trovarono opportuno far sentire
la propria voce anche a Firenze, dove, a tutela dei propri
interessi, spedirono tre ambasciatori a Martino V (4) « cum
pleno et sufflcienti mandato ac cum capitulis infrascriptis et
annotatis super nonnullis negotiis huius civitatis explicandis
et postulandis » (5).

A sua volta Braccio con lettera da Perugia del 18 feb-

tutti i Melcorini residenti in Orvieto « per totum hodiernum diem debeant
« quodeunque habent genus sive petium armorum factorum tam ad offensam
« quam ad defensam, assignare eidem domino locumtenenti « ecc. » ad
« penam et sub pena duodecim scossarum funis in martorio et decem du-
« eatorum auri pro quolibet petio dictorum armorum et pro quolibet eontra
* faciente ».

Vietò altresì di ricevere in deposito e nascondere armi dei Melcorini.
Rif. CXXVII, c. 6t, per timore che insolentissero contro i Muffati durante
il passaggio di governo. ;

(1) Appendice N. 91. B. peL Corazza in Arch. St. It., 1894, p. 268.

(2) Rif. CXXVII, c. 7. Fumi, Cod. Dipl., p. 675.

(8) Ibd., c. 7-8. Cod. Dipl., p. 675-6.

(4) Furono: Giusto » Mascii », Bartolomeo « ser Plebani » e Francesco
« Butii Miscyni ».

(5) Rif., vol. cit., c. 10 t-11.











BRACCIO DA MONTONE, ECC. 89

braio aveva espresso ai Conservatori la propria volontà che
Monaldo da Ripalvella e gli ambasciatori orvietani che erano
presso di lui a Perugia, lo seguissero a Firenze. Dalla lettera
si avverte che muoveva allora per quella città, poichè con-
siglia i Conservatori di spedire direttamente a Firenze i da-
nari occorrenti ai bisogni degli ambasciatori {1). Lo accom-
pagnava anche Niccolò Trinci, uno dei principali autori del-
l'accordo, il quale dal 16 di questo mese si trovava ospite
di Braccio a Perugia per partire insieme alla volta di Fi-
renze (2).

Quando il trattato di pace fu concordato nelle linee
fondamentali con pieno consenso delle parti, a Braccio fu
permesso l'accesso à Firenze per la firma e l'udienza ai
piedi del Pontefice. I1 23 febbraio 1420 il trionfatore di As-
sisi, il capitano dalle tante vittorie, fu accolto a Firenze da
acclamazioni deliranti, onorato dal Papa e dai cardinali della
curia (3).

L’ingresso di Braccio fu quello di un re. Rilucente d’oro
e di acciaio, lui che da due anni aveva ricevuto il diritto
di cittadinanza fiorentina, entrava trionfalmente seguito dai
capitani della sua armata, dai clienti della sua fortuna, dai
signori deputati delle città sommesse, dagli oratori dei paesi
che ne ambivano la protezione, da oltre 400 cavalieri (4).

(1) Ibd., e. 12 (18 febbraio 1420).

« Sichè supplisciate & bisogni de questi che vegnono et de quella
« quantità che a voi pare et ad misser Francesco et provedete che subito
« l'agiano a Fiorenza et per questa cascione commettemo a voi che ne fac-
« ciate fare presta executione et così ne scrivo al potestà.

« Datum Perusii » ecc.
« Brachius » ecc.

Il Campano (562) fissa la partenza al 21 febbraio.

(2) Dorto, op. cit., p. 200. Secondo il Campano avrebbe fatto parte del
seguito anche il Signore di Camerino (562).

(8) PerrENs, op. cit., T. VI, p. 269. Minuti, op. cit., p. 245-6.

(4) Campano, 561. Perini, II, 246. PerRENS, ibd.



90 R. VALENTINI



Grandiose le feste, fastosa la giostra offerta al popolo fio-
rentino, il quale a sua esaltazione cantava di notte sotto la
residenza pontificia :

Papa Martino, Signor de Piombino,

Conte d'Urbino, non vale un lupino!

Ah! Ah! Ah!

Braecio valente,

Nostro parente,

Rompe ogni gente!

Ah! Ah! Ah!

Il 25 febbraio un breve di Martino V delegava l'Arci-
vescovo di Bologna, Francesco Piccolpassi, a ricevere da
Braccio il libero possesso della città di Orte, oltre alla com-
missione, già affidatagli, di riprendere in diretta soggezione
Orvieto, Narni, Terni e le altre terre e castella (1).

Il 26 febbraio furono firmati i capitoli tra Braccio e il
vice-camerlengo di Martino V, Lodovico vescovo Magalo-
nense.

Braccio restituiva alla Chiesa: Perugia, Assisi, Todi,
Orvieto, Orte, Iesi, Narni, Terni, le terre di Gualdo, Cannara
e Spello, i castelli di Cesi, Porcaria, Macerino, Acquapalomba,
Sangemini, Calvi, Otricoli, Collescipoli, Magliano, Terracane,
Rocca Contrada, Montalboddo e Staffile (2).

Le munizioni racchiuse nelle fortezze sarebbero state
vendute al Papa, a servizio del quale Braccio terrebbe per
tre anni 300 lance nella marca d’ Ancona; in Campagna e
Marittima sarebbe tenuto a mandare fino a 500 cavalli e
tenerveli per due mesi, senza che gravassero a carico del
Pana sulla provvigione convenuta (3).

Da parte sua il Papa assolveva Braccio e i suoi aderenti
dalle censure, si dichiarava neutrale tra lui e lo Sforza e
gli concedeva per un triennio il vicariato, regime, ammini-

(1) Tuxmzm, III, 255.
(2) Ibd., p. 257,
(3) Fumi, Guidantonio etc., p. 381.



BRACCIO DA MONTONE, ECO. 91




strazione di queste terre: Perugia. Iesi, Rocca Contrada,
Montalboddo, Staffile (delle diocesi di Senigallia e Iesi); Todi,
eccetto castelli e fortilizi del comune (1); le terre di Gualdo,
8 Cannara, Spello, Sangemini, Cesi, Porcaria, Macerino e Ac-
? ; quapalomba, delle diocesi di Assisi, Narni, Spoleto (2).

E Fu altresi promossa la pace tra Braccio ed il conte di



Montefeltro. Le divergenze volgevano massimamente su As-
sisi. La pace fu conclusa quando già Braccio aveva lasciato
Firenze. Il 22 maggio 1420, con pieno consenso dei contraenti,
il Papa assegnava Assisi in vicariato a Draccio, il quale
rinunciava in favore del Montefeltro ai castelli di Sangemini
e Porcaria della diocesi di Narni (3).

Delle clausole flnanziarie del trattato. maggiormente ci
interessa là parte riguardante l'Umbria. In. una bolla indi-
rizzata da Martino V al Tesoriere generale del Patrimonio,
Iacopo, priore di S. Nicola di Bagnorea « cum inter
cetera .. promissum fuerit pro parte stipendiorum et provi-
sionum tam sibi (Braccio) quam lanceis trecentis ad nostra ,
et R. E. servitia tenendisS .. eidem Braecio assignarentur
certe summe super taleis nonnullorum Episcoporum et cle-
ricorum et comitatuum nobis, R. E. et A. C. debitis et de-
bendis pro duobus annis proxime sequuturis », vengono cosi



fissati e ripartiti i canoni spettanti a ciascuno.

Civitas Narniensis octingentos quinquaginta (florenos au-
reos de Camera).

Episcopus Narniensis octoaginta (id.).

Civitas Ortana trecentos (id.).

(1) Erano: Baschi, Montecchio, Massa di Carnano, Tenaglie, Civitella
i di Massa, Poggio, Guardea, Melezzole, Toscolano, S. Restituta, Camorata,
n Mezanello, Monte e i fortilizi di Ugolino e di Enrico d'Angelo, Montevol-
paro (Fumi, Guidantonio etc., p. 383.

(2) Taemer, III, 256.

(3) Fumi, Gwidantonio etc., p. 383. I perugini emanarono un pubblico
bando (28 marzo 1420) a notificazione della pace conclusa. FaBRrETTI, Note
e doc., p. 149.



=—1_mTr—r——r_rr-__eococaena —

92 R. VALENTINI



Episcopus Ortanus cum clero triginta (id.).
Civitas Interamnensis septingentos (id.).
Episcopus Interam. et clerus quinquaginta (id.).

Civitas Reatina nonigentos (id.).

Episcopus ef clerus reatinus centum (id).

Civitas Urbevetana octingentos (id.).

Episc. et elerus urbevetanus ducentos quinquaginta (id.).

Castrum Calvi ducentos quinquaginta (id.).

Castrum Utriculi ducentos (id.).

Castrum Maleani ducentos quinquaginta (id.).

Castrum Stronconis ducentos (id.).

Castrum Colliseipionis ducentos quinquaginta (1).

Senza dubbio tutti i trattati, finanziari e territoriali, do-
vettero riuscire a Braccio di sommo gradimento. Il Papa,
pur evitando di riconoscerne la sovranità su Perugia, gli
cedeva larvatamente una parte cospicua del proprio terri.
torio, creando uno stato nello stato, in opposizione ad esso
e militarmente di gran lunga più forte Il trionfatore era
Braccio, e tale sensazione ebbero i Fiorentini.

L’annunzio delle clausole finanziarie del trattato giun-
geva in Orvieto in uno dei più tristi periodi della esistenza
del Comune. I danni della guerra del 1419 che si era pro-
tratta fino a questi primi mesi del ’20, cominciavano a pro-
urre ora un profondo malessere. I dissensi dei cittadini
durante quest’ultima fase della dominazione braccesca, la
lotta esterna sostenuta contro lo Sforza e poi culminante nel :
colpo di mano del Tartaglia, le sanguinose repressioni se-
guite, le malversazioni subite dalla prepotenza degli ultimi
presidi armati di Braccio (2) avevano prodotto una stasi

(1) Rif. CKXVIII, c. 20t-22t (25 giugno 1420). M

(2) Supplica dei giurati dell’arte degli albergatori. Espongono che, a ,
norma dello statuto, l'arte deve corrispondere alla gabella straordinaria fio-
rini 25, a ragione di quattro lire e soldi dieci; e ciò come tassa del vino,
che si vende al minuto « hospitantibus in eorum hospitiis ». Aggiungono che

« ipsi hospitatores totaliter fuerunt derobati a gentibus armorum Brachij



[skipped page]



94 , R. VALENTINI

danaro per acquistare il piombo, si deliberò fondere « con-
ductus plumbeus cannellatus antiqui » e sostituirvi tubi di
terra cotta (1).

E come se la furia degli uomini non si fosse accanita a
bastanza contro queste povere terre, a colmar la misura era
venuta la peste, che mietè vittime.

Le condizioni della città di Orvieto e contado, quando
passò da Braccio a Martino V, erano dunque pietose: né
diverse, credo, quelle dell'Umbria.

A riparare alla deficienza della popolazione, il 9 marzo
1420, si permise a tutti i contadini di trasferirsi in città, e
fu concessa una immunità quinquennale da ogni tassa per
ogni altra persona che desiderasse prendervi stabile di-
mora (2). Eletti a Conservatori uomini orientati verso il nuovo
regime — Ser Bartolomeo di Ser Plebano assunse la carica
al suo ritorno dall'ambasceria fiorentina (3) — si pensò su-
bito a preparare degne accoglienze agli ufficiali papali che
sarebbero giunti tra breve (4).

Furono inviati messi ad Orte e Narni a sollecitare l’ar-
civescovo Piccolpassi — vice-rettore del Patrimonio — che
non frapponesse indugi a prendere il possesso della città (5):
a governatore pare fosse proposto in un primo tempo Giovanni
Piccinino (6). Erano gli Orvietani male informati? Certo è «he

(1) Il 16 agosto ;1420 in consiglio generale si decretò (Rif. CXXVIII,

e. 44 t) « quod fodiatur plumbum conductus antiqui pro reparamento novi,

^

incipiendo a domo domini Monandi (sic) et ab inde infra aut deorsum

sequendo, usque habeatur suffieientia plumbi, pro restaurando novum

^

^

conductum per quem fluat aqua veniens ad fontem et unde cavatur dictum

^

plumbum, ibi remictantur per tempora cannelli de terra laborati, per quos
aqua possit defluere ad fontem de Albericis.

(2) Ruf. .OXXVII, o. 211, 97, 87 t:

(8) Ebd;, 6...23;

(4) Ibd., c. 27 t-28 (17 marzo 1420).

(5) Cfr. Spese del marzo 1420. Rif. CXXVII, c. 38-40.

(6) Rif. CXXVII, c. 28t (17 marzo 1420. I conservatori eleggono

quattro cittadini « pro deliberando quid eis videtur expendere et quantam

^





BRACCIO DA MONTONE, ECC. 95



una bolla papale aveva già eletto (11 marzo) a governatore
e podestà d'Orvieto Giovanni Coningher, barone di Castri-
gnano (1).

I: 22 marzo il notaio criminale consegnò ai nuovi con-
servatori i libri del suo ufficio (2); il 24 il Coningher presentò
la bolla della sua elezione e nominò a suo vicario Stefano
de’ Branchi da Gubbio, presente al consiglio (3).

Anche il Pontefice, come già Braccio, promosse la pace
tra le due fazioni che negli ultimi tempi aveva riacceso a
proprio vantaggio ed il 27 aprile, nobili e popolari, giurarono
di vivere d’ora innanzi nella pace e fedeltà della Chiesa (4).
Alla pacificazione segui una larga amnistia di tutti i processi
iniziati (5) e il 5 maggio altri 168 cittadini, non intervenuti
al primo atto di pacificazione, giurarono come «i primi nelle
mani del governatore, un affetto fraterno e reciproco (6).

« quantitatem super honore et festo fiendis in 'adventu in civitate domini
« Francisci de Pazolpassis de Bononia, patrimonii et terrarum specialis com-

missionis vieerectori, qui venturus est ad capiendum tenutam et posses-

^

^

^

nostro papa Martino quinto et subsequenter Magnifiei viri Iohannis Pic-

cinini, electi gubernatoris dicte civitatis Urbevetane de proximo venturi ».

^

(1) Datum Florentie V.to Idus martii pontificatus nostri anno tertio.
ed in margine: die XXIIII martii fuit lecta in publico et generali consilio.
Rif. CXXVII, c. 32-83.

(2) Ibd., c. 83. Lo stesso giorno (c. 38 t) furono estratti i sindacatori
di Rainaldo « domini Santi », già podestà e luogotenente per Braccio.

(3) Ibd., c. 34 t.

(4) Riferisco i nomi dei principali nobili. Hif. CXXVII, c. 52-54t.

Luea di Berardo Monaldeschi, Monaldo di Berardo Monaldeschi, Uguc-
cione conte di Marseiano, P. Antonio Bonconte, Conte Pietro di Corbara,
Paol P. « Corradi Berardi », "Tramo « Egidii de Seppio », conte Franc.
di Titignano, Aloisio « Luce Berardi » Monaldeschi, conte Farolfo di Titi-
gnano, Pier Novello di Bagno, Simone di Nicola di Castelpeccio, Ugolino
di Stefano « della Massaia », Pietro « Butii », Nicola « de Turri ».

(5) Ibd., c. 52 t.

(6) Ibd., c. 60 t-61t.

sionem huius civitatis pro saneta romana ecclesia et sanctissimo domino-

-



96 R. VALENTINI



Si è imprecato al mal governo di Braccio. Verità esige
un giudizio di molto attenuato. i

Se vogliamo limitarci al Comune di Orvieto, del quale
possediamo migliori elementi di giudizio, le fazioni riarsero
e lo travagliarono quando il Papa ebbe scomunicato il con-
dottiero, e, peggio, allorchè s’ebbe la convinzione che i ne-
mici fossero abbastanza forti da abbatterlo. Allora la guerra
interna ed esterna dissipa el annulla quel leggero benessere
che le popolazioni cominciavano a conseguire dopo un breve
periodo di pace.

Osserviamo i guadagni in rapporto all'economia ed alla
libertà delle istituzioni raggiunti dal Comune col passaggio
di governo. Il canone della città fu portato da Braccio a
mille fiorini, e poi ridotto ad 800: a duecento fiorini som-
mava la taglia imposta al clero. Sotto il nuovo governo lo
inasprimento è sensibilissimo, non tanto per i 50 fiorini,
eccedenti sull’imposta del clero, quanto perchè l'esenzione
generale dai canoni concessa a non poche terre e castelli,
ed estesa parzialmente alle imposte e canoni che corrispon-
deva il contado, diminuivano sensibilmente la potenzialità
contributiva del Comune.

Unico vantaggio che questo realizzava erano le spese
di mobilitazione: armamenti, custodi, scolte, che automati-
camente cessavano o si riducevano notevolmente collo spe-
gnersi di una guerra (1), che Braccio tenne desta a solo
scopo difensivo.

Né è da supporre che cessassero i contributi straordi-
nari, le prestazioni personali o gli obblighi per il comune di
tenere in armi un dato numero di uomini, quando al papa

(1) Il 8 ottobre 1420 i Conservatori deliberano « quod inter diem et

^

noctem viginti homines custodias seu guardias faciant et non plures, hoc

^

modo, videlieet quod de die fiant quatuor guardie in et ad portam Maio-

^

rem, et ad portam Pusterule quatuor alie, et de nocte due fiant per sin-

^

gulas duarum portarum, et due ponantur in Mercanthia, et due alie in
capite Mercanthie, et quatuor in Platea Populi ». Rif. OXXVIII, c. 75t.

^











BRACCIO DA MONTONE, ECC. 97

fosse sembrato opportuno. Lo si vedrà tra breve durante la
guerriglia del Tartaglia contro Giannetto di Magnomonte,
castellano di Soriano. i

Ancora:in considerazione dalle ristrette risorse comunali,
Braccio aveva ridotto lo stipendio del podestà (1), aveve
soppresso la carica del luogotenente e suo seguito, che gra-
vavano sul bilancio : e solo quando le condizioni della in-
columità del suo stato lo imposero, nell’ultimo tempo, inve-
stì il podestà delle attribuzioni di luogotenente.

Col nuovo governo il comune, pur sempre aggravato
della corrisposta a Braccio, dovette retribuire un podestà
con cento fiorini mensili e sopra un bilancio notevolmente
ridotto si trovò a pesare un vice podestà e non pochi ufficiali
di curia. ;

Passiamo alla libertà delle istituzioni.

Gli ufficiali di Braccio, il Podestà in special modo, u-
scendo di carica, erano soggetti ad un rigoroso sindacato
che ne riesaminava tutta l’opera e, li riteneva responsabili
di ogni atto. In un primo momento i podestà papali avreb-
bero voluto anche sottrarsi a questo controllo statutario a

(1) Le Riformanze (vol. CXXIV, c. 144), in data 21 maggio 1417 ci
hanno conservato una « notula pactorum cum quibus potestas civitatis Urbis-
veteris ad regimen potestarie dicte civitatis eligitur ».

Nell’assumere l’ufficio si presentava con i suoi ufficiali al Luogotenente
per giurare nelle mani di lui. Aveva per collaterale un giudice, un socio
milite, tre notai, due domicelli, sedici famigli e due cavalli.

Salario per i primi sei mesi 500 fiorini correnti al cambio di quattro
libre e dieci soldi per fiorino, rilasciando per ritenuta di colletta dodici da-
nari per ogni libra.

Nel deporre l’ufficio lasciava un pallio del valore di cinque fiorini d’oro
alla Fabrica di S. Maria; un pavese ed una balestra di tre fiorini d’oro al
Comune. :

Doveva preservare da ogni incendio l'abitazione assegnatagli. In caso
d’incendio, se attribuibile a colpa sua o della famiglia, soggiaceva alla pena

dello Statuto e conservava indenne il Comune.



98 R. VALENTINI

cui il comune, per suo onore, non aveva mai rinunciato,
neppure nei tempi più calamitosi.

I rapprentanti e podestà scelti da B. non furono certo
peggiori di quelli di altri governi: il momento in cui Orvieto
fu tassata nel modo piü spietato fu allor quando lui e Tar-
taglia comandavano in nome dell’Isolani; la tassazione an-
nua del comune giunse al massimo della contribuzione del
« subsidium >»: duemila fiorini.

Questo sguardo retrospettivo era necessario per sca-
gionare Braccio dalle tante colpe che si fanno pesare sul
suo governo. Del quale invece il più grave torto consiste,
nell’aver fomentato le lotte civili ed aver portato al massimo
limite lo sfruttamento della Città e contado, senza mai lasciare
al Comune i mezzi da riparare alle deficienze più sentite,
e senza preoccuparsi dell’eccessivo impoverimento dei suoi
soggetti.

E proseguiamo nella nostra narrazione.

Dopo un soggiorno di circa ventitre giorni a Firenze,
Braccio il 18 marzo tornava a Perugia (1), ora sua in modo
non molto diverso da quel che era prima.

Riordinato l’ esercito, mentre attendeva gli ordini del
Pontefice per effettuare la spedizione contro Bologna, ini-
ziava alcune opere di pubblica utilità (2).

Vedemmo che il Papa era decisamente determinato a
lasciare il soggiorno fiorentino, dove l’ ostilità dei cittadini
e dei governanti si aggiungevano ora a tante altre ragioni
d’ordine spirituale e temporale che gli consigliavano la più
sollecita restituzione del seggio pontificio in Roma. Uno dei
motivi per cui s'era lasciato indurre più che ad una pace,
a una tregua coll’odiato Braccio, era di valersene ad assog
gettare Bologna. Non poteva lasciarsi alle spalle un fomite
di rivolta, contro il quale da Firenze poteva meglio che da

(1) Doro, op. cit., p. 200.
(2) Pennzni, II, 247.





ce











BRACCIO DA MONTONE, ECC. 99

Roma organizzare una spedizione, ordinata alla riconquista
della città ribelle. Inutilmente fu pregato di non intervenire
nel reggimento del Comune, invano gli furono prospettati i
malanni delle fazioni che il suo intervento avrebbe riacceso
su quella terra, invano promisero un canone annuo di 8000
fiorini e si dichiararono disposti a rinunciare a determinate
libertà comunali (1). Il 17 maggio di quest'anno Braccio, a
petizione di Martino V, diffidò il Comune che il Papa recla-
mava il libero dominio della città (2). Negando quello di
assoggettarsi, si aprirono lo stesso giorno le ostilità da parte
dei condottieri della Chiesa, già in territorio Bolognese (3).

Sollevarono, durante il maggio ed il giugno, ‘molti ca-
stelli contro la città di Bologna, molti passarono spontanea-
mente alla Chiesa. Presero a forza Piumazzo, Montebudello (4):
nella città le defezioni erano frequenti, si ordivano congiure
in favore del Pontefice (5).

Quando per la seconda volta fu deviata l acqua del
Reno, e Cabrino Fondulo, intorno al quale si imperniava
ogni resistenza, si allontanò da Bologna per giustificati ti-
mori di essere ucciso, allora Antonio Bentivoglio consigliato,
come pare, dallo stesso Braccio, venne nella decisione di
permettere alla Chiesa il dominio della Città.

Per la Chiesa negoziarono il cardinale Gabriele Con-
dulmer e Braccio da Montone. Era egli capitano generale
delle genti del Papa, venuto alla testa di 300 lance e con

(1) MuratorI, XVIII, c. 610-11.
(2) De Grirronisus, Mem. Rist. (Frati e Sorbelli), p. 105.

(3) Sull’autorità del Campano, Braccio sarebbe partito dall’Umbria alla



volta di Bologna il 27 aprile (567).
(4) De GrIFFoNIBUS, p. 106. Muratori, XVIII, 611.
Il Campano (MurarorI, XIX, 569-70) parla

cina, altri crede che il castello pass




di un assedio contro Medi-

aneamente alla Chiesa, come



Se spo
S. Giovanni in Persiceto, Borgo Panicale (P. pi MarmoLO, 303) e Vedriano
(L. Frati, Storia di Castel S. Pietro, p. 27). Zac Hs BIO.

(5) De GrIrronIBus, loc. cit. ZAoLr, p. 112.

Li, Op. Cit.,









100 R. VALENTINI



lui militavano Lodovico Migliorati, signore di Fermo, Carlo
dei Malatesta, il Marchese di Ferrara ed Angelo della Per-
gola; stipendiario del Pontefice (1). Il cardinale Condulmer
entrò in Bologna per porta S. Felice la mattina del 21 lu-
glio (2).

Mentre Braccio assicurava le spalle al Pontefice, il Tar-
taglia gli spianava la via verso Roma. Quando egli si ac-
cordò con lo Sforza e disertò la causa di Braccio, mantenne
col titolo di vicario i castelli e le terre che teneva nella
Campagna. Ma nel Viterbese erano ancora desti molti fo-
colai di ribellione e resistevano alcuni signorotti che, in
mancanza d’altri cespiti, infestavano le vie: al Tartaglia fu
affidato il compito di ridurli soggetti (3). Il 12 luglio per-
venne ad Orvieto un ordine del Commissario Pontificio, Or-
tando « de Orlandis », di inviare subito cento uomini, armati
« et bene in puncto », al Castello di Soriano, dove il capi-
tano Tartaglia, « tenet campum et sua fixit temptoria con-
tra dictum castrum Suriani » (4). Il Governatore pontificio

(1) P. n: MarrioLo, p. 302. L'annuncio della capitolazione di Bologna
fu celebrato in Orvieto con luminarie e cenni di gaudio. Rif. CXXVIII,
c. 85, 28 luglio 1420.

(2) P. nr Marrioro, 307.

(3) L'AxzrLorri aveva segnalato che nei libri del Tesoriere del Patri-
monio sono registrate le spese pagate dal 1420 in poi a Braccio e al Tar-
taglia in occasioni diverse. (Cfr. Cenni sulle finanze del Patrimonio, in Arch.
Soc. Rom. di S. Pat., 1919, 351).

Io ho letto una ricevuta del cancelliere del Tartaglia per 888 ducati,
al cambio di 50 bolognini a ducato, per la prima terzaria del sussidio del-
l’anno 1420. Data in Viterbo il 29 settembre 1420. Arch. Cam., Tesoreria
del Patr., Busta IB, fol. 24r.

(4) Rif. OXXVIII, c. 24 (10 luglio 1420). Jean Jandon de Grammont
era stato nominato castellano di Soriano per dieci anni da Benedetto XIII il
17 gennaio 1395 ed era rimasto in carica fino a quest'epoca. Il 4 agosto, da Fi-
renze, Martino approvò le disposizioni emanate da quel castellano in Soriano

fino alla sua uscita di carica, e ordinò ai propri ufficiali che ne rispettas-











BRACCIO DA MONTONE, ECC. 101

armò di rotelle e balestre « et di altre arme necessarie ad
offendere » quaranta cittadini d' Orvieto, e 60 ordinò si pre-
sentassero per giovedi prossimo, comandati alle terre del
contado (1). *

Ragioni economiche e statutarie vollero che gli Orvie-
tani prospettassero al papa a mezzo di un ambasciatore le
loro garanzie, rispettate dallo stesso Braccio negli anni del
suo assolutismo, per ottenere una continuità nel reggimento
e non dare al popolo la sensazione d'aver*cambiato in peg-
gio. Il canone imposto di 800 fiorini d’oro, come dissi, gra-
vava in gran parte sulla città, date le continue esenzioni
che i castellani estorcevano al papa (2). Questi con breve
del 21 luglio 1420 significò ai conservatori che avrebbe a-
scoltato il cancelliere, Giovanni Sassi de Pileo, in Firenze e
concretato con lui per sgravarli in parte di un onere ecces-
sivamente gravoso. Chiesero una riduzione del canone, o
l'ingiunzione che tutto il contado e distretto, senza ecce-
zione, contribuissero al pagamento. Il Pontefice non fu alieno
dal concedere che anche gli esenti avessero a concorrere,
riconoscendo la fondatezza della domanda.

Essendo diminuite di molto le entrate e cresciute a di-
smisura le spese per gli ufficiali della curia, chiesero che il
salario del Podestà si riducesse nel semestre a 600 fiorini
all'aggio corrente con ritenuta di colletta, come s'era fin al-

sero l'operato e i giudicati. Cfr. Ecipi, Soriano nel Cimino e l’archivio suo,
in Arch. Soc. Rom. di S.. P.; XXVI, 390 e 403.

(1) Sono elencate in quest'ordine: Castelpeccio, Bagni, Mucarone, Mas-
saria, Terracane e Palazzo, S. Venanzo, Rotecastello, Collelungo, « Ripa-
rebella », Montegabione, Monteleone, Ficulle, Sala e Mealla, Castelvecchio,
Montegiove, Civitella di Manno, Castel di Fiore, Parrano, Castiglione, Ser-
mugnano, Porano, Cestelrubello, Sugano, Roccaripesena, Monterubiaglio,
Castelviscardo, Allerona, Torralfina, Fichino, Camporsevoli, Fabro, Benano
(Rif., vol. cit., c. 25 t-26 t (12 luglio 1420).

(2) Anche l'8 di giugno erano stati esentati per un biennio Porano e
Castelrubello. Fumi, Cod. Dip., pa 677.





102 R. VALENTINI



lora praticato, ed egli esercitasse il suo ufficio secondo lo
statuto, senza permettersi gli arbitri che molti lamentavano.
E il papa dovette acconsentire, perchè il nuovo governo non
facesse rimpiangere l’antecedente. Infatti in altri capitoli,
esposti a tutela dell’autorità dei Conservatori, si depreca che
essi « ab aliis officialibus vilipendantur » nell’ esercizio del
proprio ufficio (1)

Evidentemente questi primi ufficiali ecclesiastici, soste-
nuti dai Melcorini, scivolavano nell’abuso di potere ed il
Pontefice con breve del 6 agosto rimandò Giovanni de Pileo
informato della sua buona disposizione a riconoscere la giu-
stezza delle querele prospettate (2).

A queste richieste di indole economico-sociale se ne era
aggiunta un’altra, intesa ad ottenere la tratta del grano da
una qualunque terra della Chiesa, per sopperire al mancato
raccolto. La concessione del papa provocò una lettera del
rettore del Patrimonio, Costantino « Episcopus Aptensis »,
donde si arguisce che il 15 agosto 1420 egli era ancora col
Tartaglia « in campo prope Surianum » (3).

L'impresa fu presto condotta a termine felicemente ed
il papa ebbe libero il transito per arrivare a Roma, dove
suo fratello Giordano Colonna, a nome del popolo, lo sup-
plicava di ritornare. |

Il 29 agosto il consiglio generale orvietano deliberó la
elezione di dodici cittadini che provvedessero ad una nuova

(1) Rif. CXXVIII, c. 35t-37 (29 luglio 1420).

(2) Ibd., c. 37. Il 18 settembre con fermo atteggiamento chiesero al
pontefice che in nessun modo consentisse al vescovo e clericato orvietano
di immischiarsi nella gestione della fabbrica del Duomo, esercitata sempre
da cittadini laici. Ed ottennero il riconoscimento papale dell’ Amministra-
zione laica con Bolla del 13 nov. 1420. Fumi, Cod. Dip., 678-9.

(3) Rif. CXXVIII, c. 44. Resisteva ancora Soriano? Non è improba-
bile; ad ogni modo bisogna senz'altro escludere che il 20 luglio di questo
anno segni la cessione della castellania a Martino V. Nè mi sembra che i

documenti addotti dall'Earpr (art. cit., p. 4083) lo provino.



BRACCIO DA MONTONE, ECC. 103



ambasciata da mandarsi al papa, nel suo transito, « cum
certum sit quod Martinus ... papa quintus de brevi sit di-
scesserus Florentia'et versus partes romanas debet profi
cisci » (1).

Alla scelta degli ambasciatori s'era proceduto senza li-
cenza dell'esautorato e fiacco Giovanni Coningher, che il 2
settembre credette revocarli, pur concedendo ai Conservatori
attuali di procedere a nuova elezione (2) Inutile dirlo, i
primi furono unanimemente confermati (3); e per loro il 19
settembre si stese il seguente capitolato, che venne poi pas-
sato agli atti comunali con le risposte del Pontefice.

1. Chiedere al Papa la conferma dei privilegi ottenuti
dalla città in passato. — « Ewibeantur ».

2..La diminuzione delle spese per gli ufficiali pontifici,
essendo la città per guerre e pestilenze ridotta in massima
povertà. — « Placet ».

3. Per le stesse cagioni non fosse assillata per il re-
siduale pagamento sulla provvisione di Braccio.

4. Che il castello di Lugnano abusivamente, incame-
rato dal rettore del Patrimonio, ritornasse sotto la giurisdi-
zione e censualità di Orvieto. — iat iustitia.

5. Che la Fabbrica del Duomo fosse gestita da una

(1) Rif. CXXVIII, c. 52t-54. Martino V lasciò Firenze il 9 sett. 1420.

x I Fiorentini che miravano, da buoni mercanti, all’utilità pratica, non avendo

ottenuto nulla in proprio vantaggio da questo Pontefice, lo videro partire

senza rammarico. PerRENS, op. cit., VI, 271. MorELLI, op. cit., p. 43. Le

benemerenze di Martino V come mecenate e fautore di artisti sono troppo

note, per tar qui luogo alla solita bibliografia. Segnalo piuttosto un cospicuo

î contributo alla storia della pittura in questo tempo. Cfr. A. BeRTINI-

È Carosso, Le origini della pittura del 400 attorno a Roma, in Bollettino d'Arte,
anno XIV (1920).

(2) Ibd., e. 60t. Il 80 agosto si ventilò una imposizione di cento venti
fiorini d’oro, nella previsione che il papa nel suo passaggio si degnasse
visitare la città. Ibd., c. 55t.

(98) Ibd., c. 69t.



104 R. VALENTINI

7

amministrazione puramente laica. Z'at ad beneplacitum no
strum (1).

6. Che esigendo certi castelli i pedaggi, questi si cor-
rispondano unicamente agli appaltatori di detta gabella. —
Fiat, nisi habeant ex antiquis apostolicis privilegiis.

7. Che si revochi la salara ordinata poc'anzi nella
città e si ripristini al modo usato.

8. Che tutti del contado e distretto siano sotto la giu-
.risdizione della città. — Fiat, nisi de exemptis per nos (2).

9. Che certi capi di bestiame « securati », dal Tartaglia
ne’ suoi pascoli a ragione di sei fiorini al centinaio, dei
quali si era poi indebitamente appropriato, fossero restituiti
ai proprietari legittimi. — « Provideatur cum Tartaglia »:

(1) Ma in proposito accennammo alla Bolla 13 nov. 1420 con cui ade-
riva alla giusta richiesta.

(2) Fu molto largo con la casata dei Monaldeschi. Il 31 agosto 1420
ser Antonio Ciccarelli, procuratore di Luca di Berardo dei Monaldeschi,
presentó: 19 Una bolla di Martino V con cui si concedeva la castellania di
Rocca Ripesena, coi proventi dovuti da quei terrazzani alla Camera Orvie-
tana, a Luca, e suoi eredi. 2° Come procuratore di Paolo Pietro di Corrado
de' Monaldeschi presenta altra lettera apostolica contenente la concessione
di Sugano in vicariato ad esso Paolo Pietro - cum mero et misto imperio et
gladii potestate ac omnimoda iurisdictione temporali »... 3° Una Bolla di
Giovanni XXIII concedente il castello di Fighine a Corrado e Luca Monal-
deschi; 4° e uua Bolla confermante tutte le sopra dette concessioni, in fa-
vore di Corrado e Luca, largite in forma di vicariati o feudi. 5° Altra Bolla
di conferma di tutte le concessioni, privilegi etc. gratificati dai papi a Luca
e Paolo Pietro Monaldeschi e loro predecessori. 6° Concessione a maestro
Brandolino Monaldeschi, chierico d’Orvieto, protonotario apostolico, di tutti
i redditì della Selva di Monte Rofeno, nel modo e per il tempo contenuti
nella lettera apostolica. Rif. OXXVIII, c. 57-58 t (31 agosto 1420).

I Quanto ai parentadi stretti tra la casata dei Colonna e quella dei Mo-
naldeschi per volontà del Papa, e circa le successive concessioni papali
cfr. Fumi, Cod. Dip., p. 679. Vedi in App. N. 97 le concessioni ai fuoru-

sciti Tudertini.

BRACCIO DA MONTONE, ECCO. 105

10: Che allo stato degli ufficiali si proceda per im-
bussolazione o imborsazione, come di consuetudine. — Fiat (1).
Da tutto ciò traspare un movimento di larvata reazione
alle intemperanze degli ufficiali curiali, che profittavano
della debolezza e dell’ inettitudine del governatore Giovanni
Coningher, per conculcare ogni libertà statutaria.

L’unico vantaggio tangibile che la città godeva dall’at-
tuale stato di cose consisteva, come si vide, in una rilevante
falcidia delle spese di guerra.

Le facilitazioni concesse ed intese all’ incremento de-
mograficomnon avevano prodotto effetti sensibili. La città rima-
neva spopolata. I Conservatori « pensantes civitatem Urbe-
vetanam tum propter temporum malignitates, guerras et pe-
stes, quas retrohactis temporibus est perpessa, in presenti
tempore esse gentibus diminutam » e volendo ripopolarla,
« providerunt esse utile quod gentes alienigene in dicta ci-
vitate veniant ad habitandum ». Fecero perció bandire l'e-
senzione da ogni gravame :

-

per cinque anni a quanti non appartenessero al con-

tado e distretto ;
per tre anni ai provenienti dal distretto ;
per due anni ai provenienti dal contado (2).

(1) Rif., vol. cit., c. 70t-71t (19 sett. 1420). Nelle spese di questo
settembre trovo registrato:

« Item pro tricentum pagnonis ex quibus facta sunt luminaria in pa-
latio dominorum Conservatorum et in palatio populi et in turri pape, propter
leti[t]iam receptam de adventu domini nostri pape Martini V", libras dena-
riorum septem et soldos XVII et denarios VI ». Rif. CXXVIII, c. 72t.

(2) Rif. CXXVIII, c. 84 t (20 ottobre 1420).

I] bando non rimase senza effetto, come dimostrano le domande di
esenzioni tributarie che si trovano registrate a c. 100 e segg.

A complemento degli appunti biografici tracciati dal Fumi (Ephem. Urbev.,
T 476, noto qui che il 27 di questo mese tra i nomi dei quattro notari
« banee ad civiles causas » figura il nome del noto cronista orvietano Ser
Matteo « Catalutii ». Rif., vol. cit., c. 90t.









106 R, VALENTINI



Non possiamo terminare questo breve prospetto delle
condizioni di Orvieto all’ iniizo del nuovo regime, senza
brevemente interessasci delle condizioni del clero. Non era
nè migliore nè peggiore di altrove: e come altrove parti-
tante e fazioso. Dimentico della sua missione, intascava i
proventi dei beni ecclesiastici, che a suo talento malversava.

Basti dire che fra le suppliche da presentare al Papa,
affidate all’ambasciatore « Romanus, legum doctor » (9 marzo
1421), i Conservatori formularono il voto che questi sconci
una buona volta finissero, cum nonnullae ecclesiae existen-
tes in civitate Urbevetana et eius comitatu fuerint et sint
destructe et alique minentur ruinam propter defectum re-
ctorum et clericorum, dictarum ecelesiarum, qui tantum-
modo curant fructus et redditus earundem sumere et de-
gluctire, et circa reparationem et refectionem ipsarum eccle-
siarum minime intendunt ... » (1).

Nobili e plebei intristivano, impuniti rimanevano i de- 2
litti, gli uomini di mal affare divenivano sempre più audaci, [
anche per l'insipienza del governatore Coningher (2). È

Dopo il passaggio della Signoria nelle mani del Papa,
non è a credere che le relazioni tra Braccio e il Comune
di Orvieto si interrompano del tutto. Anzi molti nodi, che È
solo ora vennero al pettine, ci danno più precisi particolari È
del passato governo e mettono in piena luce le relazioni
postume che corsero col vicario di Papa Martino.



+ (1) Rif. OXXVIII, c. 134. Solo nel 29 decembre 1422 si procedette p
all'elezione di tre cittadini e di un notaro « circha reparationem ecclesiarum :
eiusdem civitatis que minantur ruynam ». Rif. CXXIX, c. 23.

(2) Il 25 nov. 1420 elesse a vice - podestà Luca domini Angeli de Man-

cinis de Visso. Rif., vol. cit., c. 98.









107

e

BRACCIO DA MONTONE, EC

CAPITOLO VIII.



Braccio vicario pontificio a Perugia — Sue seconde nozze — Discordia tra
i comuni di Orvieto e Perugia — Sinistra influenza di Braccio sulle
terre cedute al Pontefice — Braccio nel Reame — Il Tartaglia inviato
in aiuto dello Sforza — Morte del Tartaglia — Vittoria diplomatica dei
Fiorentini — Accordo tra Braccio e Sforza — Braccio nell’Umbria —
Gli avvenimenti del Reame e il nuovo prestigio di Braccio — L'assedio

di Aquila — Morte dello Sforza — La lega contro Braccio e sua morte.

Tornato dall’ impresa contro Bologna, Braccio alternò
la sua dimora nelle varie terre del vicariato: Perugia, As-
sisi, Todi. Nel novembre del 1420 celebrò le seconde nozze
con Niccolina Varano (1). Nel gennaio successivo Corrado III
Trinci gli affidò .l’impresa contro il famigerato castellano
nocerino, Pietro da Rasiglia (2). Verso gli ultimi dello stesso
mese era in Todi, dove ricevette la visita del cardinale di
Pisa, messo dal Papa a Spoleto come pacere tra gentiluo-
mini e popolani dî quella città (3). .

Tra il comune di Orvieto e quello di Perugia si ina-
cerbiva dal marzo 1420 una controversia che turbó per lungo
tempo le relazioni di buona vicinanza e fu causa di gravi
malumori e rappresaglie, che parvero degenerare in aperta
guerra. Come vedremo, era Braccio cbe soffiava sul fuoco,
e per questa sua larvata e funesta ingerenza nelle terre

(1) Ds BaaLi0N, op. cit., p. 52. Aveva prima (1392) condotta in moglie
Elisabetta degli Armanni, dalla quale non ebbe figli. Suppongo che in oc-
casione del suo matrimonio tenne al suo servizio in Montoné Antonio Al-
berti ed altri pittori perugini. Cfr. L’arte, an. XVII, p. 161 segg. Per le
cerimonie nuziali cfr. Perini, II, 252.

(2) Cfr. Di Corrado Trinci etc., in Boll. Stor. Pat. per l'Umbria, 1905,
p. 257 segg. Doc. di Stor. Ital., IV, p. 51 e 142. Cronaca di Ser Guerriero
da Gubbio (MazzatINTI), p. 41.

(8) Sansi, op. cit., p. 159-162.



108 R. VALENTINI

‘ già a lui direttamente soggette, occorre qui riferire succinte
notizie dello svolgersi della controversia.

Rainaldo di Messer Santi da Perugia per dieci mesi e
tredici giorni aveva gestito la carica di podestà prima e
poi di luogotenente per Braccio. Lasciato l’ufficio, sottoposto
a sindacato secondo gli statuti comunali, si constatò che lui,
come il suo milite ed ufficiale, ser Giovanni de Cingulo, erano
debitori di certe somme verso alcuni cittadini Orvietani (1).

A tutelare gli interessi di Messer Santi scese in campo
il Podestà di Perugia per Braccio, il conte Pietro Guicciar-
dini, della casata Fiorentina. i

Citò il Comune a soddisfare i crediti di Messer Santi
entro 60 giorni, comminando in caso di rifiuto le rappresa-
glie (2). Parlò di Orvieto con ostentato disprezzo come di
una città recentemente uscita dalla dominazione di Perugia;
ma i Conservatori rintuzzarono con fierezza la gratuita as-
serzione del Guicciardini (3). E la seguente corrispondenza
è così intemperante dall’ una parte e dall’ altra, da sem-
brare una invettiva tra privati, meglio che una divergenza
tra due rispettabili comunità. Dopo inutili e lunghe trat-
tative, Perugia il 18 agosto 1420 rompeva ogni relazione
commerciale con Orvieto e concedeva le rappresaglie (4).
La controversia si accaniva in codesta guisa, quando fu
officiato, che intervenisse a dirimerla, lo stesso Braccio (5).

(1) Rif. CXXVII. c. 41. Il 17 giugno 1420 furono tacitati con pubblico
danaro i privati creditori: in tutto si pagarono fiorini 19, libre 309, soldi 9,
denari 6.

(2) .Rif., vol. cit. (29 maggio 1420).

(3) Verum fuimus sub magnifico et excelso domino Braccio qui, esto
quod nobis dominaretur ad plenum, tamen nos non ita depressit, ut iuri-
sdictioni civitatis Perusii subiugaret ... Rif. OXXVIII. c. 22t (19 luglio 1420).

(4) Rif. CXXVIII, c. 47 t.

(5) Rif. CXXVIII, c. 129. Spese del febbraio. « Item pro quodam
nunctio misso ad capitanium Braecium ad civitatem Perusii et T'uderti super

facto represaliarum ». L. v. s. 5.






















BRACCIO DA MONTONE, ECC. 109

Il 21 febbraio del 1421 da Todi sembra accedesse alla
proposta che la causa venisse deferita all’ arbitrio di due
savi e nel frattempo si riprendessero tra i due comuni le
relazioni commerciali (1). Ma da successive lettere (27 marzo-
3 aprile) si intende che i reciproci furti continuavano, e
che gli &rbitri non s’erano ancora incontrati (2).

Gli Orvietani erano stati maggiormente danneggiati, in
questa prima fase della vertenza, dalla debolezza e inetti-
tudine del Coningher. In data 21 aprile 1421 con suo breve
Martino V nominò a succedergli Stefano da Gubbio; e poco
appresso (ZII Non. Maii) elesse a luogotenente di Orvieto
Agapito Colonna (3); la presenza di questo ufficiale ponti-
ficio sta a dimostrare le intenzioni del papa e la gravità
della situazione.

Il travaglio di Orvieto era comune in questo tempo alle
altre terre della Chiesa.

Dopo il trattato di Firenze, Braccio non cessò mai di
tormentare con atti ostili le città passate al Pontefice. Gliene
dessero pretesto debiti insoluti o controversie pendenti, con-
tinuò a taglieggiare quelle terre, calpestando gli obblighi
contratti, in spregio del Pontefice, che doveva subire il ca-
priccio e la prepotenza dell’ indomabile Vicario.

Basterà leggere una riformazione del comune di Rieti
(13 marzo 1421) nella quale i Conservatori avvisano i mezzi
per trovare una composizione con Braccio che, famquam
hostis Ecclesie, aveva dato ordine a Niccolò Piccinino di cor-
rere con 1400 cavalli il territorio asportandone preda e

(1) Appendice N. 93.

(2) Appendice N. 94-95.

(3) Rif., vol. cit., c. 151t. Il 13 maggio di quest’anno furono redatti
gli statuti dell’opera del Duoino. Fumi, Statuti e regesti dell’opera di S. Maria,
Roma 1891.







|

Ren E

e:



110 R. VALENTINI

prigioni, fin che la città si fosse piegata al pagamento di
2200 ducati d’oro (1).
Durante l’assenza di Braccio dall’ Umbria (dal maggio

| 1421 alla fine del giugno del ’22), malumori sempre più

gravi travagliarono Orvieto e Perugia. Le Riformanze se-
gnalano una cavalcata delle milizie Braccesche sul territo-

| rio Orvietano nel mese di ottobre (2); e nuovi sospetti si affac-

ciarono nel novembre (3). Braccio, al corrente degli avveni-
menti, aveva deciso che i prigionieri catturati ed il bestiame
asportato fossero rilasciati, previo pagamento da parte degli
Orvietani di quanto gli era dovuto (4). Ma diversamente la

(1) Cfr. M. Micnarri, Memorie storiche di Rieti, III, 823. È un docu-
mento che mette in chiara luce i rapporti che in questo momento correvano
tra il Papa ed il suo Vicario.

E non é a credere che B. non percepisse le debite quote dalla Teso-
reria Apostolica. Nel Registro citato, fol. 63r, sono riportate le somme
pagate a B. per il suo stipendio e il soldo della compagnia. I versamenti

si seguono in quest'ordine:

6 novembre 1420 fiorini 600
10 » » » 316
16 decembre ». » 180
31 xt » » 880
28 gennaio 1421 p)»: DOS
27 aprile » » 488
28 maggio » » 140

(2) Rif., vol. cit., c. 216. Spese dell'ottobre 1421:

« Item ser Nicolao de Neapoli nuntio misso cum licteris M. d. n. Romam
super facto cavalcate in territorio huius civitatis facte. L. X. sol. X. ».

« Item Martino nuntio misso cum licteris Perusium ad Cancellarium
Braccii super facto cavaleate. L. II. s. II. ».

«Item uni nunetio misso ad advisandum terras comitatus pro facto
cavalcate. L.-L s. VI: d^ ITI, ».

(8) Rif., vol. cit., c. 225. Spese del novembre 1421.

« Pro tribus nuntiis missis ad advisandum terra$ comitatus pro certa
suspitione habita da gentibus Braccii. S. LVII. d. IX. ».

(4) Hif., vol. cit., c. 228 (9 dic. 1421).

Lettera del luogotenenente di Braccio in Perugia, Bindaccio de' Fibin-

dacci dei Ricasoli, al Magnifico Agapito Colonna, luogotenente in Orvieto.











BRACCIO DA MONTONE, ECC. 111

pensava il pontefice, il quale aveva stabilito che i danni
sofferti dai cittadini orvietani nelle persone e nelle sostanze
fossero loro risarciti, defalcando l'importo sul canone che
la città corrispondeva per il sussidio di Braccio.

Per queste puntigliose intransigenze — acuite e fomen-
tate, come dicemmo, dal malvolere di Braccio, più che mai
indignato del contegno irriverente delle fazioni avverse, nè
rassegnato ancora alla perdita della città — nel luglio del
1422 la questione era ancora in alto mare con danno rile-
vante di entrambi i comuni, quando gli Orvietani fecero ap-
pello al Potefice.

Riferiamo in appendice (1) i capitoli dell'Ambasciata che
riassumono i termini della questione e il decorso; come le
risposte del Pontefice (2). Tra lui e Braccio correvano ora
relazioni, almeno apparentemente, migliori in seguito agli e-
venti che verremo esponendo.

Seguimmo l’attività di Braccio fino al marzo del 1421.
La sua biografia sembra perdere ogni. interesse, ridotta nel-
l'ambito della vita di un indocile vicario pontificio, quando
gli eventi inopinati del Reame sembrano ricondurla alla pri-
stina altezza.

Il passaggio dello Sforza a Luigi d’Angiò — voluto dal

« Per che io rispuosi più di fa alla V. M. che havea mandato dal mio

^

Mag. et Ex. signor Braccio etc. per sapere la intentione sua, che volesse

secuisse de’ prigioni et bestiame presi et predati, aviso la S. V. che ho
D pP eo ,

^

avuto dal prefato meo Signore che i prigioni et bestiame siano relapsati,

^

pagandose quello che la S. soa deve recevere ».

t

Sollecitava gli O. di inviare deputati a trattare in Perugia la soluzione
della vertenza, per i quali la presente lettera poteva fungere da salvacon-
dotto per 15 giorni, valevole per sei persone a piedi o a cavallo.

Il 13 dec. (c. 229 t) Agapito Colonna rispose a Bindaccio che, per trat-
tare il riscatto dei prigionieri, sarebbero giunti a Perugia Messer Cola di
Iacobuzzo e Lueantonio « de Ser Iohanni ».

(1) Appendice N. 96.

(2) Appendice N. 97. '







2 R. VALENTINI

Pontefice e consigliato al capitano dalla persecuzione impla-
cabile del Caracciolo (1) — avevano determinato la Regina
e il nuovo adottato, Alfonso d’ Aragona, a sollecitare per
mezzo del Caracciolo Braccio da Montone di recarsi nel
Reame a tutela dei loro interessi.

Le trattative per la condotta si protraevano già da
tempo: non s'era d'accordo sulle condizioni, poichè quelle
di Braccio parevano, ed erano, pretese eccessive.

Ma verso il 15 gennaio 1421 parve si fossero gettate
le basi di un benestare comune e Giovanna potè scrivere
ai Sulmonesi che Alfonso aveva già versato a Braccio, pel
tramite dei Fiorentini, certa quantità di danaro per gli sti-
pendi de’ suoi mercenari. E aggiungeva: « qui quidem Brac-
chius, sicut ad vestras aures pervenire potuit, infra breve
tempus est ad partes Aprutii cum suis gentibus descensu-
rus » (2). Fra queste trattative passò l'inverno, quando una
lettera di Braccio del 13 aprile preannuncia il suo arrivo nel
Reame, dove i suoi nemici sarebbero presto sgominati dal
valore della sua spada (3).

Ma il suo aiuto fu comprato a caro prezzo, chè oltre al
titolo di conestabile del Regno, pretese il principato di Ca-
pua, e un acconto sulla somma di 200,000 fiorini (4).

Il 7 di maggio con licenza del Signore di Fermo tran-
sitò con le sue bande a piedi e a cavallo per Porto S. Gior-
gio e si accampò in Ete supra ecclesiam sancte Marie ad
mare (9).

Il giorno seguente muoveva verso l’ Abruzzo. La storia
di Teramo ci conserva qualche ricordo della sorte toccata
al conte di Carrara. Braccio non tardò a guadagnarlo alla

(1) Minuti, p. 252.

(2) Faragnia, Cod. dipl. Sul., doc. COXXVII, 299.
(8) Ibd., doc. CCXXIX, 301.

(4) Commissioni, I, 811.

(5) Cronache Fermane, in Doc. di Stor. Ital.; IV, 51.









BRÁCCIO DA MONTONE, ECO. | 113



sua causa, ebbe da lui Teramo, che Pietro de’ Monaldi da
Perugia occupò il primo di giugno pel suo signore (1). Delle
lotte con gli altri baroni abruzzesi, che osarono affrontarlo,
non rimane che la narrazione del Campano (2) e le torri
dirute della rocca di Castel di Sangro, dove le genti di Gia-
como Caldora non si sentirono punto sicure contro gli squa-
droni di Braccio, che per luoghi ermi e selvaggi sboccava
verso le valli.

Terra di Lavoro,
prese Marcianise, d’onde venne a Napoli per presentare alla
Regina l'omaggio della sua devozione. Pose il campo tra
Dogliuolo e la Chiesa di S. Antonio (3). Dopo una sosta. di

Il 7 di giugno entrava nel Reame per

dieci giorni mosse verso Castellamare di Stabia che ricuperò
e mise a sacco (4). Quindi marciò contro Aversa dove Sforza,
considerata l’inferiorità numerica dei suoi, rifiutò di misurarsi
coll’avversario (5).

Martino V sapeva del divieto di esportazione — voluto
dalla Regina Giovanna — di vettovaglie destinate a Roma,

e della sospesa corrisposta del censo di 48,000 ducati, dovuti
alla Camera Apostolica. Per questo fin dagli ultimi di giugno
del 1420 aveva minacciato di scomunica quei Vescovi e Ba-
roni del Regno che avessero pagato alla Corte Reale censi
o sussidi di qualsivoglia natura. Era una misura di rappre-
saglia che preludeva ad azioni più ostili.

L'adozione di Alfonso e poi l'assoldamento delle brigate
braccesche finirono coll'esasperarlo; non riusci a simulare
più oltre il circospetto favore per Luigi III e lo Sforza, e,

.lanciatosi nella guerra a viso aperto con animo deliberato

(1) FARAGLIA, Giovanna d’Angiò, 193.

(2) MurarorI, XIX, 576 segg.

(8) FaragLia, Giovanna d’Angiò, p. 196.

(4) Gior. Nap., in Muratori, Tom. XXI, p. 1083. De TummuniLLIs, p. 91
(Corvisieri).

(5) Minum, p. 267. De Tummunin1is, 31.







114 R. VALENTINI

di fiaccare Braccio nel Napoletano, se gli era sfuggito nel-
Umbria, inviò il Tartaglia in aiuto dello Sforza (1).

I Fiorentini intuirono che l’unico ad avvantaggiarsi da
quei torbidi sarebbe stato il Duca di Milano con grande loro
detrimento. Spedirono in Roma e nel Reame due consumati
uomini politici, Rinaldo degli Albizi e Michele Castellani, ai
quali commisero il non lieve incarico di indurre i bellige-
ranti a una composizione.

Rinaldo il 16 ottobre volle sondare l’animo del Papa per
orientarsi su quali basi poteva tracciarsi una probabile con-
ferenza ed intese esser sua volontà che il Re d'Aragona
ne ripartisse cum aliqua tamen refectione ex pensarum; che
il Regno tornasse alla Regina, la quale avrebbe dovuto con-
segnargli due castelli di Napoli; e due altri Luigi III, le cui
genti sarebbero tenute a prestar giuramento nelle mani della
Regina. A Braccio era concesso di ritornare nel vicariato del.
Umbria coni patti e lo stipendio convenuti, dal quale ver-
rebbero diffalcate le somme corrispendenti al tempo della
intermissione del servizio (2).

Su questo piano del Pontefice, suscettibile di modifica-
zioni, avevano in animo gli ambasciatori fiorentini di inta-
volar presto le trattative, quando gli eventi della guerra li
costrinsero ad un forzato ed inoperoso soggiorno a Gaeta
(21 ottobre-9 novembre 1421).

Congiuntosi col Tartaglia, lo Sforza si mosse da Aversa
per sorprendere Braccio, impedito di passare il Sarno. Ma
questi, avvertito, guadò il fiume, pur annegandovi alcuni dei

(1) Gior. Nap., in Muratori, Tom. XXI, p. 1085.

I Luogotenenti di B. vigilavano più che mai intenti, nell'interesse del
loro signore, sulle mosse del Pontefice o di suoi possibili alleati. Datata da
Rocca Contrada (Arcevia) 4 agosto 1421, è una lettera di Iacopo degli Ar-
cipreti ai priori della città di Macerata, per conoscere le intenzioni di una
mossa di Carlo, figlio di Malatesta, signore di Pesaro. BaLpassini, Memorie
istoriche di Jesi, 127.

(2) Commissioni, I, 323.

PT





















BRACCIO DA MONTONE, ECC. 119

suoi per la fretta; lo Sforza l'avrebbe con tutto ció raggiunto,
se Braccio non fosse stato prevenuto della sua intenzione.
Sforza cominciò allora a dubitare seriamente della lealtà e
fedeltà del Tartaglia (1).

Braccio riparò a Capua e nell’entrata di ottobre era
contro le terre dell'Abazia di Monte Cassino: espugnó Mi
gnano, ebbe a patti S. Pietroy S. Vittore e Piedimonte. Oltre
il Liri conquistó le Fratte, Castel Nuovo, Vallefredda, S. An-
drea, S. Apollinare, S. Ambrogio e Vandra, terre tutte che
dette a Ruggero Caetani (2).

Verso la metà di ottobre operava contro i castelli del
Duca di Sessa e ne asportava prede opime e numerosi pri-
gioni (3).

Dal 29 ottobre lo troviamo contro Acerra. Fu un assedio
accanito: Bracceschi e Catalani provarono l'invitta resistenza
di Pietro Orilia, che si vedeva tuttavia meno assistito dal
Tartaglia, quanto più aumentava la furia degli assalti av-
versari. Pare che una infermità 'immobilizzasse allora lo
Sforza a quattro miglih dal campo (4). Certificatosi in seguito
e vieppiù convintosi dell’equivoco contegno del Tartaglia,
Sforza, venuto in Aversa, lo fece prendere e, convintolo di
tradimento, lo consegnò ad un rappresentante del Ponte-
fice (5).

Il giudizio non fu nè immediato, nè sommario, come

(1) Minuti, 268. Il Campano non ci induce sospettare che il Tartaglia
fosse un traditore (p. 592): ci lascia intravedere una latente discordia tra
i due capitani.

(2) Campano, 598. FaragLIA, op. cit., 204.

(8) Commissioni, I, 327.

(4) Ibd., p. 880. Durante l’assedio di Acerra E. Colleoni, allora al soldo
di B., dette prova di invitto valore. B. Exro:rn, Za cita di B. Colleoni
Bergamo, 1923, p. 62.

(5) Mum, p. 270.









116 R. VALENTINI

leggesi in alcune fonti (1): Tartaglia mori dopo l'assedio di
Acerra ed il 25 novembre era certamente ancora in vita (2).
Ragioni strategiche e diplomatiche ed il più elementare senso
di opportunità consigliavano per il momento un assoluto
riserbo sul suo tradimento, anche per non demoralizzare i
prodi difensori di Acerra.

Alfonso e Braccio insistettero nell'assedio, ma fu tale la
abilità degli Sforzeschi e dell’Orilia, che il Re perdette ogni
speranza e s'acconció a subire lo scacco.

Proprio mentre era cominciata la fase risolutiva di questo
memorabile assedio, giunsero nel campo regio gli ambascia- ;
tori fiorentini (12 novembre).

La disfatta di quei giorni rendeva certamente più ardua
la loro opera conciliativa. Agevolati da Braccio, appiana-
rono molte asperità, e poi la domenica 23 novembre ebbero
risposta da Alfonso che avrebbe acceduto ad una pace,
a condizioni non del tutto difformi da quelle desiderate dal
Pontefice (3). Era per i Fiorentini un lusinghiero successo
diplomatico. Se ancora di pace non si può parlare, se per
salvare l’onore delle armi di Alfonso e di Braccio continua
fiaccamente l’assedio di Acerra, la guerra guerreggiata vir.

tualmente era finita.
Rimaneva aperta la partita tra Braccio e Martino V,
questione spinosa, se altra mai, e che maggiormente premeva

(1) Anche L. SPmrro, cap. XXVII.

Pigliar lo feci et comandò di ratto
Ch'’allora la testa li fussi tagliata.

(2) Commissioni, I, 344. FARAGLIA, op. cit., 220.

Per la morte del Tartaglia il Papa recuperò Toscanella, Canino, Mon-
talto, Sutri, Gradoli, le Grotti, ed altre castella e terre che il capitano
teneva in vicariato per quelle contrade. Perini, II, 260.

Dal libro delle spese della Tesoreria del Patrimonio (Busta I, Reg. IB,
fol. 24) risulta che l'8 febbraio 1422 Ludovico Colonna riprese la città di
Toscanella e la rocca (fol. 26 ‘).

(3) Commissioni, I, 344.





BRACCIO DA MONTONE, ECC. ALT.

ai Fiorentini vedere appianata. Braecio si mise nelle mani
dei due ambasciatori, i quali, come pure scrissero alla Si-
gnoria, dovettero dargli affidamento di placare lo sdegno
del Pontefice, non appena tornati in Roma (1).

Colà:dopo lunghe (fsamine e discussioni per oltre tre
ore (11 dec.), indussero il Papa ad accordarsi con Braccio, se
non che Martino, conscio della sua fedeltà, volle che per lui si
: obbligassero i Fiorentini. Ma la diffidenza era reciproca e
Braccio, che a sua volta sapeva con quale occhio lo vedesse
il Pontefice, pretendeva che i Fiorentini gli restassero ga-
ranti della lealtà del Papa. Gli ambasciatori tergiversarono
incerti (2), ma al condottiero dettero la cosa per conclusa
(14 decembre) (3). Per altro il Papa insistette sull: garanzia e
sulle modalità dell'aecordo anche con il cancelliere di Brac-
cio, Jacopo della Fratta, venuto in Roma il 28 decembre (4).

La nuova situazione politica creata dalla guerra nel
Reame, turbava profondamente la sicurezza di Firenze, ec-
cessivamente gelosa dell'espandimento territoriale del Duca
di Milano. La conquista di Genova, avvenuta in quest'anno
(novembre 1421), palesava nel Visconti intendimenti che an-
davano ben oltre la restituzione del Ducato di Milano.

I Fiorentini compresero che per non essere soffocati non
rimaneva altra via che costituire in Firenze il centro di una
coalizione degli stati dell'Italia centrale, contro un pericolo
che questa volta veniva dal nord. Ma la lega avrebbe dovuto
accentrarsi intorno ad un prode capitano che ne fosse l'anima
e disponesse di un valido esercito. Nessuno parve loro piü
adatto, anche perchè spinto da particolari interessi, di Brac-
cio, che ad ogni costo bisognava intanto riamicar col Pon-

(1) Ibd., 349.

(2) Ibd., 365. ‘

(3) Ibd., 369. Braccio prima del 18 dec., accantonata la cavalleria in
varî distaccamenti, s'era ridotto a Capua con 400 cavalli. Ibd., p. 371.

(4) Ibd., 372-3.





118 R. VA LENTINI

tefice. Con insistente lavoro diplomatico convinsero Martino V
come dal Visconti e da Luigi d’Angiò dovesse guardarsi più
che da Braccio: a questi fecero comprendere come la sicu-
rezza del suo stato riposasse sopra una apparente obbedienza
al Pontefice (1). Mirando a questo eventuale accordo, l'in-
tervento diplomatico dei Fiorentini aveva sopito la lotta nel
Reame; e la sospensione delle ostilità traeva seco un altro
vantaggio, che poteva essere abilmente sfruttato ai propri
fini dalla politica fiorentina.

Braccio e Sforza furono facilmente convinti che le re-
ciproche rivalità cesserebbero, quando di comune consenso
limitassero territorialmente la propria sfera d'azione. Si giunse
così all'accordo di Pietra Vairana (Presenzano) ed alla pa-
cificazione dei due grandi capitani (2).

In forza dei capitolati M. Attendolo non avrebbe dovuto
mai condurre eserciti oltre il Pescara e Braccio, usciva poco
dopo dal Reame. Il 20 giugno 1422 transitò nuovamente
con le sue bande per il territorio del Signore di Fermo
(Ripatransone, Grotta Azzolina, etc.) (3) e alla fine del mese
fece ritorno nell’ Umbria.

Nè quivi rimase inoperoso. Discorso il territtorio di A-
gello (5 luglio) con 2000 cavalli, il 6 alloggiò tra Gubbio e
Montone, il 7 compariva davanti alla porta di Città di Ca-
stello, richiedendone l’assoluto possesso, come città conces-
sagli dal Papa in cambio del ricupero delle terre prossime

(1) Commissioni, I, 374.

(2) Minuti, p. 274. ScALVANTI, op. cit., 592. Doc di St. Ital., IV, 52.
Sercami, Croniche, III, 295-98. L’arrivo di Sforza al campo di Braccio in
atteggiamento di chi invochi protezioue e pietà, quale se lo figura il Caw-
PANO (XIX, 604), né é conforme allo svolgersi degli avvenimenti, nó con-
fermato da altri storici.

(8) Cronache della. Città di Fermo, in Doc. di St. Ital., IV, 52. Erronea-
mente il Campano (p. 606) e con lui il FasnETTI fissa ai primi di aprile il

ritorno di Braccio.















BRACCIO DA MONTONE, ECC. 119

all'Abruzzo (1). I Castellani armando le porte, ardendo i bor-
ghi, le case, gli ospedali, i monasteri prossimi alle porte,
opposero disperata resistenza (8 luglio) (2).
Il giorno successivo offrirono a Braccio un canone an-
nuo di 4000 fiorini, gli permisero la nomina dei castellani;
ma egli reclamò la padronanza assoluta e respinse ogni of-
ferta (3). Il papa colla donazione di quella città gli aveva dato
buon filo da torcere, ma Braccio non scese a trattazioni;
quantunque pare che i Castellani non rimasero sordi alle

esortazioni dei Fiorentini, che favorivano Braccio, per aver-

selo alleato nelle lotte che prevedevansi contro il Visconti (4).

Città di Castello si arrese a Braccio all’ entrata di set-
tembre del 1422 (5); il capitano vi fece ingresso solenne il
giorno tre, e prese il possesso della città (6). In Perugia nè
fu celebrata gran festa la domenica 5 settembre (7). Nomi-
natovi un suo Luogotenente, che fu Francesco de’ Salimbene
da Siena alla testa di mille fanti, il 10 settembre Braccio

(1) Le aveva perdute antecedentemente all’accordo di Pietra Vairana.
Campano, 593.

(2) ScaLvanmi, Frammenti di cronaca perugina inedita, in Boll. di St.
Pat. per l'Umbria, anno 1905, p. 596-7.

(3) Ibd. Anche quest'anno fu celebrato a Perugia lanniversario della
battaglia di S. Felice; i palli furono dieci e cioè: Assisi, Jesi, Castel del
Piano, Gualdo di Nocera, S. Gemini. Moltalboddo, Cesi, Spello, Cannara,
Rocca Contrada.

(4) G. Simoneta, Rerum gest. Franc. Sfortiae; Muratori, XXI, 14.
Gli Orvietani gli mandarono al campo di Città di Castello, nell'agosto, un
messo con lettere del Tesoriere papale. Rif. OXXVIII, c. 308 (30 agosto 1422,
Spese straordinarie).

(5) Sercamri, Croniche, III, 801.

(6) Muzi, Memorie civili di Città di Castello, vol. I, 248. Primo podestà
per Braccio in Città di Castello fu Nello di Pandolfo Baglioni, inviatovi il
23 dec. 1422. ScaLvantI, op. cit., p. 600.

(7) Scarvanti, Frammenti etc., p. 598. La cronaca è un documento di
inestimabile valore specie per questo tempo. Ho riscontrato una perfetta

rispondenza con miei ritrovamenti d’archivio.





120 R. VALENTINI

Ac

tornó a Perugia ricevuto dal popolo festante, dai Priori, dai
più eminenti cittadini (1).

A questo punto interrompemmo la narrazione delle con-
troversie tra i Comuni di Orvieto e Perugia e dell’ interes-
semento del Pontefic». Dopo una sospensione delle rappre-
saglie, per i debiti di Rinaldo da Castel Rubelio (2), il 12
ottobre 1422 la vertenza fu composta dietro pagamento di
470 fiorini versati da Orvieto al luogotente di Braccio a Pe-
rugia (3).

Braccio fu inflessibile nell’ esigere ovunque quello che
reputava di sua spettanza e sulle terre. passate al Pontefice
ancora gravava tutta la prepotenza del condottiero, mal
grado le migliorate relazioni con Martino (4).

Da una lettera di Bindaccio Ricasoli ai Conservatori di
Orvieto apprendiamo che Braccio il 13 ottobre aveva lasciato

(1) Il prolungato soggiorno nel Reame aveva dato luogo ad alcune
rivalità tra i nobili perugini ed a gravi malumori contro i suoi luogote-
nenti, incapaci di contenere nell’ambito della legge quei prepotenti. E da
altra parte cresceva il malcontento del popolo contro questi ribaldi, che,
impuniti, s'abbandonavano alle più sfrenate licenze. Braccio reputò efficace
espediente allontanarli dalla città e li adibì in varie luogotenenze fuori della
Patria: Ruggeri d' Antognolla fu mandato luogotenente generale in Abruzzo,
Nello Baglioni era rimasto a Città di Castello, a Baglione di Fortera toccò
Ascoli; altri furono inviati con titoli diversi a Montalboddo, Camerino, Jesi,
Castel della Pieve, Todi. Perini, II, 262.

(2) Rif. CKXVIII, c. 815t (1° ottobre 1422).

(8) Ibd., e. 817t (12 ott. 1422). « Quietamus dictam comunitatem de
quatringentis septuaginta florinis de mandato supra dict. s. d. n. solutis
Bindaccio, locumtenenti magnifici d. Bracci, per ser Iohannem de Pileo pro
redemptione captivorum et animalium subtractorum et ablatorum per gentes
dicti m. d. Bracci ». Pagarono iuoltre 80 fiorini per due terzarie del sussidio
imposto « pro stipendio olim m. cap. Tartallie ».

(4) Si sente dalla registrazione di una spesa straordinaria del luglio 1422
(Rif. CKXVIII, c. 2911):

« Item uni nuntio qui accessit ad terras Comitatus ad annuntian[d]um
adventum cancellarij Braccii, qui usus fuit verbis minatorijs: libram unam

et soldos decem ».




























BRACCIO DA MONTONE, ECO. 121



Perugia, probabilmente allontanatosene per la peste che vi
infierivas« 1).

Infatti proprio in questo mese di ottobre, per sfuggire
alla moria Niccolina Varano s'era condotta alla Frattuccia,
in quel di Todi (2). E Braccio dopo una visita a Spello (5
ottobre), ‘dovette rimanere con lei per qualche mese. Di-
mora pienamente confermata dalla Cronaca edita dallo Scal-
vanti, che registra il ritorno del capitano in compagnia della
famiglia, da Todi a Perugia il 10 febbraio del. 14293. (3). .Di
codesto soggiorno a Fratta Todina, nel decembre 1422, si
sente una eco anche nelle Riformanze Orvietane (4), e quindi
è datata una lettera di Braccio al tesoriere pontificio Be-
nedetto de’ Guidalotti (5). Cade così come fantastica la no-
tizia di una scorreria in quel di Norcia e nel Lucchese che
secondo alcuni storici, antichi e moderni (6), Braccio avrebbe
operato in questo tempo. Il Campano è immune da tale er-
rore (05. Il ritorno a Perugia era imposto dalla celebrazione
di una solenne cerimonia, indetta per il 14 febbraio: Brac-
cio riceveva solennemente l'investitura del principato di
Capua, conferitagli dalla Regina Giovanna e da Alfonso d’A-
ragona (8). La cerimonia ebbe luogo nella sala maggiore
del Palazzo comunale di Perugia (9).

(1) Scarvanti, Frammenti ete., p. 598.

(2) ScaLvanti, Frammenti ete., p. 598.

(3) Ibd., p. 601. Il 9 gennaio, uscito di Todi, andò per prendere Ca-
nale: l'ebbe e l’assegnò in dote alla nepote, che divenne poi moglie di
Francesco di Niecoló Piceinino. FarbnETrI, Cronache, II, 8.

(4) Rif. CXXIX, c. 18. Spese del decembre 1422: Item pro uno
numptio misso ad Fractam ad M. d. Brachium cum littera thesaurarii pro
represaliis soldos quinquaginta duos (in margine corretto S. LII —- — 5215).

(5) Appendice N. 98.

(6) FanAGLL , Giovanna II, 268, -

(Y) In Munaronr vol. cit., p. 610.

(8) ScaLvanti, op. cit., p. 601; FasnErTI, Cronache, II, 3.

(9) Dorro, op. cit., p. 200. SCALVANTI, Op. cit., 601. Pei, II, 264.

L. Semrro ci informa che per l'occasione si corse una giostra. Cap. XXVIII:



eur

E
|
|
|



122 R. VALENTINI

Comincia ora quella seconda fase dell’ epico duello che
siamo venuti esponendo tra Martino V e Braccio : lotta gi-
gentesca fatta di ribellione insolente e sprezzante da parte
di Braccio, di simulate rinuncie, di astute transazioni, di
temporanei accomodamenti da parte del Pontefice, in vigile
attesa del momento propizio per liquidare per sempre l’odiato
avversario. Certo per imperfetta documentazione sono sfuggiti
agli studiosi molti particolari, di questa lotta esasperante nella
quale tanto guadagnano le figure dei due protagonisti.

Dicemmo che l'azione diplomatica dei Fiorentini era
riuscita soltanto a sedare momentaneamente la lotta nel
Reame. Colà la situazione creata dalla Regina portava in
sè stessa i germi del dissolvimento e la guerra.

Così Giovanna, come il Caracciolo, presto si insospetti-
rono delle intenzioni del nuovo adottato e si convinsero che
egli mirasse a privarli di ogni autorità. Seguì poi, per in-
ganno tesogli da Alfonso, la cattura del Caracciolo ed, il 27
maggio 1423, la battaglia di Casanova, dove l'indomito va-
lore di Sforza ebbe ragione di una cavalleria bene equipag-
giata e numerosa (1). i

L'atto di adozione fu subito revocato (1 luglio 1423) e
Luigi III ritornò il prediletto di una volta, con molto com-
piacimento di Martino V e del Duca di Milano, ora alleati.

Mentre la Regina, sostenuta dailo Sforza, non si era
alienata Braccio, Alfonso d’Aragona fece su lui assegnamento
per difendere quelli che riteneva suoi diritti, e gli fece for-
male invito di ritornare nel Reame.

Le condizioni generali dell’Italia parevano cospirare a
favorire una valutazione della forza e della abilità guerresca
del condottiero, ambito e ricercato ugualmente nel Reame e
dai Fiorentini, come tra breve esporremo. Braccio vide tornare
a rifulgere la propria stella e profilarsi netta la probabilità
di realizzare quel sogno di regno e di impero, precedente-

(1) FaragLia, Giovanna II, p. 288-9.





















BRACCIO DA MONTONE, ECC. 125

mente cduto davanti alla solerte scaltrezza di Matino V:
quello stato autonomo in opposizione alla Chiesa, che aveva
perduto ogni speranza di consolidare nel Patrimonio, Brac-
cio si sarebbe costituito in Abruzzo a spese dei contendenti
del Reame.

A quest’ uopo nel marzo del 1423 aveva condotto a
proprio stipendio, con parecchie lance, il figlio del conte di
Carrara (1). Ma il Papa intendeva opporsi con ogni mezzo
a questa nuova avventura di Braccio, dalla quale prevedeva
per il papato i danni più funesti, se Braccio ne fosse uscito
ingrandito di prestigio e di territori.

Uniformandosi alla politica seguita fino allora — nè al-
tro avrebbero permesso le presenti contingenze — cercò di

guadagnarsene l'animo con un solenne patto di alleanza, che
mirava a suggellare col vicolo del sangue l'amicizia tra i
Colonna e i Fortebracci. Il 22 marzo 1423 Giordano Colonna,
principe di Salerno, promise in moglie a Carlò, figlio di
Braccio, la figliola di Lorenzo Colonna, conte d’Alba, pro-
pria nipote e pupilla (2). L’abile concessione non valse ad
arrestare i desideri incomposti di Braccio.

Egli che non ammetteva. coartazioni alla nuova im-
presa della quale si mostrava ansiosissimo (lo dichiara il
rapporto di Carlo dei Fibindacci alla Signoria di Firenze,
20 maggio 1423) (3), il 27 aprile inviò due ambasciatori al
Papa con veri ultimatum e l'ingiunzione di non far ritorno,
se non con pace o con guerra (4).

Precedevano essi la compagnia che, in atteggiamento
minaccioso, si era intanto spostata verso Todi. Le reticenze

(1) ScarvantIi, Frammenti ete., p. 608.

(2) FasnrETTI, Biogr., II, 816. La notizia fu riprodotta, come poco nota,
dal Laxcrani, IZ patrimonio della famiglia Colonna al tempo di Martino V, in
Arch. Soc. Rom. di St. P., XX, 395.

(3) Commissioni, I, 413.

(4) ScALvANTI, op. cit., p. 604.



——





124 R. VALENTINI



e la fermezza del pontefice lo irritarono al punto, che il 1°
maggio 1423 avanzò da Todi fin presso Narni, al-ponte Car-
dario, dove sostò, come nella prima spedizione contro Roma,
in attesa che un terzo messo, il luogotenente. Bindaccio de’
Ricasoli, ritornasse coll’assenso del Pontefice (1). Il momento
era tragico: Martino comprese, che per evitare peggiori
danni a sè stesso e alle popolazioni dell’ Umbria (2), bisognava
cedere e si contentò di una specie di garanzia, che Braccio
nulla avrebbe intrapreso ai danni della Chiesa (3).

Con quanto rammarico vedesse Martino partire il suo
vicario alla volta dell’ Aquila, potrà indovinarlo chi pensi
che proprio in quei giorni — trenta di aprile 1423 -- Lui-
gi III, collegato col Papa ed il Visconti, aveva spedito let-
tere di privilegio agli Aquilani, per tenerseli grati e rincal-
zare cosi il proprio prestigio in Abruzzo; e dagli oratori
Aquilani, presenti in Roma, aveva ricevuto un giuramento
di fedeltà (4).

Il papa s'era molto volontieri acconciato al nuovo orien-
tamento diplomatico verso il Duca di Milano, per dimostrare
ai Fiorentini che le loro simpatie per Braccio male si con-
| ciliavano con quello zelo che simulavano verso la Santa
Sede, e che la loro protezione (5) non era per lui indispen-
sabile.

Braccio, superate le difficoltà creategli da Martino V,
potè intendere con tutte le forze all’assedio di Aquila, che
intraprendeva per proprio conto, non per prestare man forte
ad Alfonso d'Aragona od ai Fiorentini. Questi, che avrebbero
desiderato altrove la sua presenza, dovettero a malincuore

/ (1) Ibd. Di questa ambasceria ha notizia anche il PeLuimi, II, 268.
(2) Ibd., p. 603. Le popolazioni umbre erano terrorizzate: per rabbo-
nirlo in questo mese di aprile tutti gli fecero omaggio di donativi e danari.
(8) Commissioni, I, 435 (19 maggio 1422); I, 462.
(4) FARAGLIA, Op. cit., p. 266.
(b) Il MoreLni, op. cit., 50, commenta amaramente la larvata ostilità

del Pontefice contro Firenze, male dissimulata sotto le buone parole.



















BRACCIO DA MONTONE, ECO. 125



convigersi che guerreggiare contro l'Aquila equivaleva ad
alleggerire il fronte contro il quale operavano le loro milizie.

I primi approcci di Braccio cercarono di larvare agli
Aquilani la sua volontà di dominio ed i suoi ambiziosi di-
segni; ma quelli, che avevano trovato nel Papa e Luigi III
un appoggio morale, facilmente ascoltarono la voce fiera di
Antonuccio de’ Camponeschi, che li esortava a non accollarsi
un giogo straniero ed a provvedere alla propria difesa.

Braccio entrò in territorio aquilano il 7 di maggio : pare
che avesse all’inizio mille fanti e tremila e duecento cavalli. La
Posta, Santogna e Borbona gli si arresero: Pizzoli resistette due
giorni. L'11 tentò un formale assedio contro la città, ma le sue
squadre, duramente provate dalla resistenza dei difensori, in-
dietreggiarono e si ridussero a Paganica (1). Ebbero poi Pe-
scomaggiore, e il 21 maggio iniziarono l’ assedio di Paganica,
gagliardamente difesa dal fratello del Duca d’Atri; il castello
capitolò il 22 sotto la stretta degli assalitori (2).

Venne poi a campo contro il Poggio (Riense) o lo domò
in due giorni; S. Demetrio, Fossa, S. Eusanio passarono in
sua mano senza resistenza. L'assedio di Barisciano lo tenne
in armi quattro giorni; altri due stette sotto Fagnano; ebbe
Stiffe, Assergi, Picenze, Carapelle (3).

Nel frattempo Niccolò Piccinino ricevette la resa di
Guardia Grele, mentre il 22 maggio entrava in Aquila, per
il re Luigi, Antonello Papacoda (4).

Braccio s’apprestò a ritentare l’assedio dell'Aquila. L’11
giugno avanzò il campo all’ « Arenara » ed a scopo terrori-
stico piazzò una bombarda a Collemaggio, la quale, come le
altre, faceva molto più rumore che danno (5). Lo slancio di

(1) N. pi Borsona, in A. I. M. E., vol. VI, 868.

(2) FaraGLIA, p. 266; Muratori, A. I. M. ZE., VI, 869.

(3) CnuneLro, Canto II, ott. 18-291; in A. I. M. J£., VI, 976.
(4) Munaronr, A. I. M. ZE&., VI, 869.

(B) CnuxELLo, ibd., p. 974, ott. 30.





126 R. VALENTINI



fierezza, con cui lintiero popolo aquilano S'eresse come un
sol'uomo contro linvadenza straniera, è narrato con esultante
effusione nella rozza ed ingenua poesia di Niccolò Cimi-
nello (1).

Riuscito vano l'assalto, pose gli attendamenti nel piano
di S. Sisto (ultimo di giugno) (2), donde le squadre braccesche
procedettero fino alla Porta Barete, per esservi inutilmente
logorate (3).

Fallito un tentativo di accordo, Braccio disperando di
prendere la città con le armi, l'undici luglio spostò gli ac-
campamenti a Roio e prese a devastare il contado (4). Il 28
luglio puntò contro Rocca di Cambio e l’ebbe, mosse poi
contro Rocca di Mezzo, dove trovò accanita resistenza (9).
Per invito dei villani di Fossa operò una diversione su Ocre,
che, non soccorsa in tempo, passò nelle sue mani con di-
spetto e dolore degli aquilani (6). Riprese allora l’assedio di
Rocca di Mezzo, ma ad un tratto abbandonò l'impresa e
‘venne a Civita di Bagno (7). A N. Piccinino fu commesso di
proseguire l'oppugnazione di Aquila. Allora, fosse stanchezza
del lungo assedio, difetto di viveri o effetto di corruzione,
nella compagine cittadina si verificarono alcune crepe; ci
fu chi trattó segretamente con Braccio per aprirgli le porte,
ma le condanne capitali si susseguirono in Aquila dal 19 al
93 agosto (8).

Braccio, fallita anche la frode, disperó di entrare per
allora in città. Lasciati a Paganica i suoi capitani, N. Pic-
cinino, il Gattamelata ed il conte Brandolino che non ral-

(1) Ibd., ott. 31-37.

(2):Ibd;, ej LE, 0t6./98:

(3) Ibd., c. II, ott. 42

(4) Ibd., c. III, oti 9.

(5) Ibd., III, 14.
(6) Ibd., III, 22.
(7) Ibà., III, 95.

(8) N. pi Boreona, in A. I. M. &., VI, 870.















BRACCIO DA MONTONE, ECC. 127

lentassero la stretta, egli si volse alla conquista del contado.
Il 3"Éettembre ebbe i castelli di Tussio, S. Pio e Caporciano;
ricevette Bominaco in soggezione (1).

Con breve assedio debellò Civita Retenga; mise il
campo a Navelli, che poi abbandonò per l’accanita resistenza
trovatavi. Scese allora nella valle del Pescara e vide in po-
chi giorni la resa di S. Valentino (2), donde s’ avviò contro
Manoppello. A Braccio importava o di guadagnare alla sua
causa i fratelli Orsini, Pietro, Giampaolo, Giovanni, Nicola
ed Orso, o di fiaccarne la potenza. Si arresero; e questo ac-
cordo salvò Braccio dal doversene ritornare nelle sue terre
con una disfatta morale (3). Fu così che entrò in Chieti e
fu accolto amichevolmente ad Ortona per la cresciuta po-
tenza. Sorprese Lanciano e Francavilla a mare, donde fece
ritorno a Chieti, per. preparare la difesa contro lo Sforza (4).

Chi ponga mente a questi successi di Praccio ed alla
inquiet:nte situazione creatasi dopo il maggio 1423 (5), com-
prenderà come tali ragioni politiche, e queste sole, dovessero
destare nell'animo di Martino ben altre e più prossime ap-
prensioni che la Sinodo Senese (6). Gli occhi e l'animo del
Pontefice erano rivolti all'Abruzzo, dove egli rischiava di
perdere le poche autonomie territoriali e il minor prestigio
che veniva a stento riacquistando. Ecco perchè prometteva
ai conciliari di Siena personaliter interesse, sedatis hiis mo-

(1) CiuixELLo, Canto III, ott. 35-38.

(2) Ibd., Canto IV, ott. 4.

(8) G. SimwosgrA in Munaront, XXI, 184. Miuwurt, 292. Mentre B. era
sulla via di Manoppello ebbe le salmerie danneggiate dagli oppidani di Tocco
(CruxELLo, Canto IV, ott. 5).

(&) Muiwum, p. 262.

(5) Non si dimentichino le relazioni che divenivano tuttavia più tese
tra Firenze e Milano. Cfr.: Commentari di Neri pi Gino Carponi in Mura-
tori, XVIII, 1162.

(6) Non abbastanza chiaramente messe in evidenza dal Varors nel-

l’opera magistrale: Le pape et le concile, I, 30.



128 R. VALENTINI

tibus aliquantulum qui nune fervent in proximo regno nostro
Siciliae (1). Martino sentiva che si avvicinava la fase decisiva
della lotta nella quale o bisognava tendere tutte le forze per
vincere, o soccombere.

La Regina di Napoli e Luigi III non potevano più as-
sistere, spettatori inerti, all’invadente prepotenza di Braccio,
nè rimaner sordi ai disperati appelli che loro giungevano
dagli aquilani. Al Papa specialmente la cresciuta potenza del
Perugino riusciva oltremodo inquietante e, d'accordo col Vi-
sconti, fu deciso di mettere lo Sforza a capo di 10,000 uomini;
di cui cinquemila avrebbe stipendiato il Duca, tremila il
Papa, la Regina i rimanenti (2). Braccio senza abbandonare
l'assedio di Aquila chiamò a sè il Piccinino, che mandò al
Pescara, ed egli con poca gente si fortificó a Lanciano, deciso
a valersi dei fiumi, attraverso i quali doveva passare lo
Sforza, per rallentarne la marcia verso Aquila (3).

In questa occasione rifulse la sua consumata perizia
strategica, perchè lo Sforza che era venuto a Monteodo-
risio (4) fin dal 26 ottobre, alla fine di decembre era ancora
sul Pescara. Dopo aver conquistato Torino di Sangro, Vasto,
Atessa, il 2 di decembre Sforza era venuto contro Braccio
a Lanciano (5). Il Perugino si ritirò a Chieti, gli Sforzeschi
lo seguirono fino a Francavilla, e M. Attendolo si recò ad
Ortona il 22 decembre col proposito di far passare il Pescara
al figlio Francesco e Micheletto e inviarli all’ Aquila, con
buona scorta d’uomini d’ arme, per precidere a Braccio le
retrovie, e nella speranza di assaltarlo alle spalle (6). Ma
la mattina di lunedì 3 gennaio 1424 la morte lo colse nelle
acque del fiume. Il cavallo su cui guadava si salvò a nuoto



(1)
(2) Faragnia, Giovanna II, p. 216.

(3) CmuxELLo, Conto IV, ott. 20.

(4) Cimmerno, Canto IV, ott. 20.

(5) N. pi Borsona, in A. I. M. ZE., VI, 870.
(6) Muri, p. 294.









TEE

BRACCIO DA MONTONE, ECC. 129

alla riva; ma il corpo del condottiero fu inutilmente cer-
cato (1).

Braccio aveva lasciato al Pescara aleuni uomini di co-
pertura coll'incarico di impedire o ritardare con ogni mezzo
il passo alle genti dello Sforza. Egli era già partito da Chieti
alla volta dell'Aquila per prevenire gli Sforzeschi, quando
fu raggiunto da un messo, che recava la ferale notizia della
tragica fine del grande capitano. E se vogliamo prestar fede
al Minuti, se ne dolse cordialmente, chè un vero odio che’
li dividesse non c’era (2).

Braccio dopo la scomparsa del temuto rivale, pensó a
riprendere con maggior lena l'assedio di Aquila per farsene
padrone. Quivi ad uno scoramento iniziale, era seguita una
rinascita di amor patrio e di spiriti bellici, una volontà de-
cisa di tutto affrontare prima di darsi al nemico. Fatto un
censimento del grano e un rigoroso contingentamento, si
decise inviar fuori della città i deboli, i vecchi, i bambini (3):
penosa determinazione, imposta da ragioni di resistenza.

Il Piccinino il 10 di gennaio, d'ordine di Braccio, era
tornato a Paganica ed aveva subito costruito una fortezza
a S. Lorenzo della Serra di Roio e, fortificato il torrione
della Chiesa, vi aveva posto a guardia Guglielmo da Mar.
sico (4).

Fortificò poi la chiesa di S. Antonio con bertesche nel
campanile e, scavatavi intorno una fossa, vi condusse l’ac-
qua di Sant'Anza, privandone la città (5). Ma linverno in-
combeva crudo non meno sugli assaliti che sugli assalitori,
costretti a difendersi dall'inclemenza del clima. D'altronde

(1) Mimun, p. 295.

(2) Ibd., p. 800. Lo Zawronmr conferma la notizia. SansI, op. cit.,
p. 165. La morte dello Sforza fu appresa con gioia a Perugia per una let-
tera di Braccio il 7 gennaio. ScALvanti, op. cit., p. 606.

(AT MO 45 VI STO,

(4) Ibd.

(D) AD. Me. AVI Si



130 R. VALENTINI



la fame aveva insegnato agli aquilani nuovi tramiti da im-
portare viveri e sale, eludendo l’oculata vigilanza del Picci-
nino (1); e c’era in città gente così gagliarda, da non temerlo.
Anzi in una delle tante scaramuccie egli dovette la sua sal-
vezza alla celerità del cavallo, col quale riparò a Civita
Retenga (2). Ai 27 febbraio Braccio, protetto da nebbia den-
sissima, s'appressò alle mura di Aquila con più che duemila
uomini. Della sua mossa era nella città trapelata notizia:
fu accolto da una organizzata resistenza, e ritrasse i suoi
malconci e feriti (3). Gli spiriti degli aquilani erano stati
sollevati dalle lettere del Papa e dall'esito dell'ambasceria,
affidata a Simone degli Abati.

Martino nulla si dissimulava e l'ambasciatore aquilano
espose rudemente quale partita si giuocasse: Braccio, pa-
drone dell'Aquila, diveniva arbitro del Pontefice.

Soccorri Aquila, che non venea Braccia,
Che, se lui vence, di Roma ti caccia (4).

Né Martino era uomo da chiudere gli occhi per non
vedere. Se la perfidia, pari alla generosità, di Alfonso d’A-
ragona, era stata sventata alla Sinodo senese, e quel tem-
porale si dissolveva in nulla (5), rimaneva implacabilmente
angosciosa la violenza di Braccio, che minacciava travolgere
la pericolante barca di Pietro.

Dopo la morte dello Sforza, Braecio s'illudeva di non
aver più competitori, nè chi osasse frapporsi al suo cammino.
Non dissimulava con nessuno lo spregio per Martino V, il
quale si dette a tutt'uomo per schierargli contro mezza Ita-

(1) Ibd., 998.

(2) Ibd., Canto V, ott. 20.
(3) N. DI Borsona, 871.
(4) Canto V, ott. 33.

(5) VaLoIs, op. cit., I, 96 e 59.















BRACCIO DA MONTONE, ECC. ^ —— 131

lia (1). Anzi tutto: con bolla pubblica esortò gli aquilani alla
più*valida resistenza, e questi il 28 marzo innalzavano in
città le armi dei collegati: del Papa, di Giovanna II, di
Luigi III, del Duca di Milano (2). La ribellione di Tussio e
S. Pio stanno ad indicare che l'ostilità contro Braccio si
propagava (3).

Non é una esagerazione il credere che da questo assedio
dipesero le sorti dell'intiera Italia, come a suo tempo dalla
resistenza di Orvieto, quelle di Firenze.

Vedemmo come i Fiorentini tentassero opporre una lega
degli stati dell'Italia centrale all'invadenza del Duca di Mi-
lano, che era riuscito a stringere una lega col Legato pontificio
di Bologna. Niun atto politico riusci piü di questo amaro alla
Repubblica fiorentina. Alla coalizione contro il Visconti parte-
cipò Siena e, l’undici agosto 1422, anche Lucca (4) Ma i
continui reclutamenti di gente d'arme, che assoldava il Vi-
sconti, convinsero i Fiorentini che uno stato di acquiescente
adattamento li avrebbe rovinati per sempre. Avvenne allora
(17 maggio 1423) la caduta di Forli nelle mani dei commis-
sari del visconti (5). Questa occupazione precludeva a Fi-
renze ogni penetrazione verso la Romagna: tra breve sarebbe
stato soffocato ogni loro respiro verso 1’ Adriatico. Braccio
dall'Aquila li diffidava, a mezzo di Carlo de’ Fibindacci, di
spiare ogni mossa e intenzione delle genti del Duca, passate
in Romagna. Egli si dichiarava pronto a passare di là, ma
se il bisogno non fosse stato impellente, pregava gli si la-
sciasse compiere l'impresa aquilana, come vantaggiosissima

(1) Cminerro, V, 34:
Nu temarò nè d’argento nè d’auro,
Sapendo d’impegnare lo camauro.
(2) N. Di Borpona, 871.
(3) CmineLLo, Canto VI, ott. 28 (14 marzo).
(4) SercamBi, III, 307.
(5) Commissioni, I, 413.



III
M
|
|

||



132 R. VALENTINI

4

allo stato fiorentino. Che se il Duca di Milano e Luigi III,
padrone del Reame, si fossero riuniti, ogni speranza sarebbe
venuta meno così per Firenze, come per lui (1). Nel suo
disegno, Firenze ad occidente, e un suo futuro stato cusci-
netto ad oriente, avrebbero dovuto bilanciare le forze del
Duca di Milano e del Reame.

Ma Firenze vedeva ogni giorno peggiorare il proprio
prestigio al di fuori. In città il partito neutralista era ancor
forte: e se l'occupazione di Forli offriva il casus belli, c' era
pure chi esortava a non romperla col Duca, se prima non
si assicurassero tali alleanze, da affrontare con qualche spe-
ranza la forza del Visconti (2).

Dalla metà del giugno alla fine, o quasi, di agosto (142?
fu un andare e venire di oratori e di messi, un adoperarsi
per mantenere i capitoli della pace, almeno tanto, quanto
bastasse a preparare un efficace intervento armato contro il
Milanese.

Il partito interventista fini col prevalere su quanti consi-
gliavano di non romperla definitivamente col Duca. Il 23 ago-
sto 1493 Pandolfo Malatesta, lo spodestato dal Visconti, ve-
niva assunto da Firenze a capitano generale. Adoperarono
ogni loro arte i Fiorentini per conciliare Braccio con lo
Sforza, nell intento di sgombrare al primo ogni impaccio nel
Reame ed averlo piü sollecitamente a capo delle proprie
genti in Romagna (3), ma non riuscirono (4).

Pandolfo iniziò le operazioni con uno scacco al Ponte a
Ronco (6 sett. 1423), inflittogli da Angelo della Pergola; l'in-
successo confermó sulle riserve quelle città e signori che
erano per pronunciarsi in favore di Firenze (5).

(1) Ibd.

(2) Ibd., 459.

(3) Comm., I, 463.

(4) Il Papa rispondeva: « io non voglio Braccio sia sì gran maestro
che mi signoreggi ». Neri pI Gino Capponi, Comm., p. 1168.

(5) PerRENS, op. cit., VI, 278.













‘ BRACCIO DA MONTONE, ECO. 133

Il prestigio della Repubblica era in notevole ribasso.
Renato degli Albizi da Rimini riferiva alla Signoria (14 no- :
vembre 1423): aver saputo da Carlo Malatesta che il Visconti
assoldava gente ogni giorno, del che i suoi amici prendevano
sempre più animo, e che i Fiorentini, non provvedendo in
tempo utile, in primavera non avrebbero trovato a chi ri-
volgersi. Che il Visconti guadagnava altresì forza nel Reame,
e che lo stato di Braccio era esposto ad un brutto rischio (1).

A così precisa valutazione dello stato delle cose sem-
brava contradire la tracotante baldanza, con cui Braccio,
proprio in quei giorni, rispondeva ad una sfida del Visconti,
del che si congratularono i Fiorentini (2). Ma gli intenditori
disapprovavano l’ impresa dell’Aquila, della quale pronosti-
cavano una lunga durata, mentre avrebbero preferito che
Braccio avesse militato con loro, per infrangere in minor
tempo la forza del Duca su i campi di Romagna (3).

Dove la situazione strategica andava aggravandosi. Il
1° febbraio 1424 Angelo della Pergola sorprendeva Imola e
ne inviava a Milano, prigioniero, il signore, Luigi degli A-
lidosi (4). Sfumava così lo sperato accordo col Visconti; e
Guidantonio dei Manfredi si pronunciò per il Duca, mentre
Venezia lo aveva già alleato contro l’ Ungheria (5).

Martino V vedeva con giubilo avvicinarsi il momento
di prendersi su Firenze le agognate rivalse. Ritirò da Bolo-
gna il Legato Condulmier, che sapeva accetto ai Fiorentini,

(1) Comm., I, p, 569.

(2) Ibd., p. 476.

(8). Xbd.,.- p.491,

(4) Perrens, VI, 279. La notizia produsse tra i Bracceschi di Perugia
profonda e dolorosa impressione. L’autore dei Frammenti di Cronica, editi
dallo ScaLvantI, segnalò l’avvenimento non senza rilevarne l'importanza.

(5) Fu allora che i Fiorentini scrissero a Braccio (14 febbraio 1424)
per ingaggiarlo con mille lance e trecento fanti capitano generale dello
Stato e riprendere le ostilità contro il Visconti (Comm., II, 5). Avrebbero

desiderato che il 1° maggio, o il 15, al più tardi, entrasse al loro servizio.



134 R. VALENTINI




e sperava di veder presto coinvolta con quella di Firenze
la rovina di Braccio, del quale non poteva sentire pronun-
ciare il nome, senza divenire di fuoco e senza torcersi come
un serpente (1).

Se l'immatura morte dello Sforza parve moltiplicare la
potenza di Braccio, le condizioni generali della guerra per-
mettevano di bene sperare.

Il Duea di Milano, sollecitato dal Pontefice a venire in
soccorso dell'Aquila, pensando quanto gli sarebbe difficile
crearsi in cosi lontane regioni una base d'operazioni, preferi
liberare la Regina di Napoli dagli Aragonesi e Catalani e
darle il modo di ausiliare l'Aquila, con quella efficacia che
richiedeva la disperazione degli assediati (2).

Il 12 aprile 1424 gli Aragonesi, battuti, si dissipavano
per i paesi del Napoletano, e Iacopo Caldora ritornava sotto
le bandiere della Regina (3), che subito volse l'animo al soc- +.
corso degli Aquilani. Il Pontefice, conscio della posta che si
giocava, aveva allestito un corpo di spedizione, che affidò a
Luigi Colonna e ad un uomo di lettere ed armi, che in qua-
lità di Legato dovesse assistere a tutta l'azione: Francesco





Piccolpasso (4).

Alla Regina non fu difficile assoldare le compagnie de-
gli Sforza e quelle del Caldora, ai quali si unirono il conte
di S. Valentino ed il Duca di Sessa. Iacopo Caldora, che

(1) Perrens, VI, 280. Il Condulmier era succeduto dal mezzo agosto 1423
al cardinale spagnuolo dal titolo di S. Eustachio, a cui fu tolta la legazione.
(2) Nei primi mesi del '24 prima l’armata navale di Genova, poi quella

Aragonese approndarono alla spiaggia di Corneto. La prima ricevette offerte



di rinfreschi e biscotto; fu poi provveduta di farine. Anche l'Aragonese
fu vettovagliata per volontà del papa, ma con l'espressa ingiunzione che
della ciurma non si introducessero in città più di sei persone per galea.
L. Dasti Notizie storiche di Tarquinia e Corneto. Corneto, 1910, 340 segg.
(8) CiineLLo, VI, 35. FaraGLIA, Giovanna II, 291 e segg.
(4) Erano giunti ad Alba Fucense in territorio Marsicano, donde pro-
cedevano verso l'Aquila. CrumELLo, VII, 2.










BRACCIO DA MONTONE, ECO. 135

tutti avanzava in perizia e maestria, ebbe il comando della
spedizione. Mossero alla volta dell'Aquila il 20 di aprile di-
retti ai passi del piano di Cinquemiglia, di Pesco Costanzo,
di Campo di Giove.

Le terre Aquilane che mal sopportavano l'invasore, ini-
ziarono un movimento di ribellione. Cominciarono, nell’ a-
prile, Tussio e S. Pio. Quest'ultimo fu presto riconquistato
e duramente trattato. Moveva Braccio contro Tussio, quando
apprese la defezione di Barisciano. La malattia contagiosa
tendeva ad espandersi e Braccio dovette troncar fin dall’ i-
nizio, con crudeltà esemplare, questo movimento insurrezio-
nale. Fatta precipitar sul paese la torre di Barisciano, fece
entrare i suoi sulle rovine: neppure le donne furono rispar-
miate; denudate, vennero spinte sotto le mura dell’Aquila (1),
miserando spettacolo agli assediati! Sia che lo preoccupasse
il formarsi ed il sopravvenire di un ‘esercito, sia che l’ insur-
rezione, estendendosi, maggiormente compromettesse la sua
valentia, già scossa dalla tenace ed ostinata resistenza del-
l'Aquila, Braccio cominciava a perdere quel senso di chia-
roveggente moderazione, quel vigile possesso di sè stesso,
che fino ad ora gli avevano dato la coscienza della propria
superiorità e più, spesso, ragioni politiche.

Fu quindi inesorabile e insolitamente crudele.

Perchè oltre i propri insuccessi, tutta la politica italiana,
di cui oggi meritamente poteva dirsi il maggior esponente,
lo preoccuva, e si ripercotevano indirettamente su lui gli
scacchi di quanti tenevano dalla sua.

La gioia provata dai Perugini all’ annuncio della scom-
parsa dello Sforza fu presto turbata dai primi insuccessi su-
iti dai Fiorentini. La cacciata degli Aragonesi da Napoli
produsse in Perugia penossissima impressione (2). Dal marzo
del 24 nel contado non si attese che ad acconciar fortezze,

(1) Ibd., VI, 24-30.
(2) Supplemento al Graziani, in Arch. Stor. Ital., vol. cit., p. 284.



136 R. VALENTINI



per metterle in condizioni di difesa ed offesa ed accumu-
larvi i tesori di Perugia; si vigilava accuratamente per ti-
mori e sospetti delle genti del Papa, che ordinava alle pro-
prie terre di tenersi apparecchiate ad eventuali assedi (1). Si
sentiva nell’ Umbria che la guerra sarebbe tornata presto ad
ardere e devastare quelle regioni, a seconda degli eventi
Aquilani. Lassù puisava per il momento il cuore dell’ Italia
media, lassù se ne decidevano le sorti, lassù convergevano
gli occhi di tutti. E Braccio fu per un tempo l’uomo al
quale erano legate le sorti d’ Italia e del Pontefice.

Braccio non era davanti alla prima coalizione che gli
mettesse contro l’odio vigile di Martino V, sul quale si ri-
serbava di prendere le debite rivalse, non appena l’ esito
degli eventi lo avesse consentito. Per ora era pieno di fi-
ducia nel mirabile piano strategico, che veniva ideando con-
tro il grosso dell'esercito che gli marciava contro.

Il 25 aprile concentró a Civita di Bagno oltre 1500 uo-
mini che in tre giorni armó, e coi quali, distribuiti, in due
corpi d'operazione (2), venne il 28 contro l'Aquila. Volle poi
dare al Duca di Milano un segno tangibile della propria si-
curezza; ai |Fiorentini di accettazione della condotta per
la prossima guerra contro il Visconti. Fu così che il 1° di
maggio (3) dispose che Ardizzone con 400 uomini par-
tisse verso Ascoli — fatale errore! — contro le armate che
il duca inviava in Romagna. Credette riparare al sensibile

(1) Al Pontefice non mancò il mezzo per creare a Braccio difficili situa-
. zioni anche nelle terre che aveva dovuto concedergli in Vicariato. Il 3 maggio
si verificò in Città di Castello l’inizio di una sommossa che richiese l'in-
tervento dei Perugini: un manipolo di fanti e cavalieri Spoletini tentarono
altresì un colpo di mano su Cesi, che era allora di Braccio. Ibd., p. 285.
PeLumi, II, 272.

(2) Pare li collocasse nelle vigne di Peltuino ed a S. Elia. N. pa Bor-
BONA addita la vigna di S. Elia, la Cona (Icone) della via della Torre e di
Bazzano, le vigne di Peltuino. Op. cit., 872.

(3) CrmmeLLo, VII, 7.





BRACCIO DA MONTONE, ECC. i 131



indebolimento reclutando, per mezzo di Carlo di Bobio Bal-
deschi, tra le terre soggette, 300 balestrieri, che, adunati in
Perugia, cavalcarono l’ 11.maggio verso il campo di Brac-
cio, a colmare il vuoto lasciato da Ardizzone (1). Ma erano
codesti giovani nuovi alle armi, non addestrati alle durezze
della guerra: il 6 giugno tornarono a Perugia (2), ancora
terrorizzati della irreparabile rovina del loro condottiero.

La cattura di Pietro Navarrino, per un agguato tesogli
da Niccolò Piccinino, oltre la metà del maggio, parve di buon
auspicio alle future sorti della guerra. Il Navarrino fu in-
viato al Castello di Ocre, e gran parte della sua compagnia,
prigioniera, a Monte Reale (3).

Giacomo Caldora e Francesco Sforza -- non è certo se
sboccati da Capistrello in territorio Marsicano — erano per-
venuti a Rocca di Cambio ed avevano posto gli alloggia-
menti dietro il Monte di Bagno, in attesa di Luigi di S. Se-
verino e di Santo Parente (4): con fuochi sulla montagna
significarono agli Aquilani il loro arrivo (5). Braccio dispose
le squadre armate presso il monte di Bazzano.

al 25 maggio i due eserciti stettero alcuni giorni l’uno
di fronte all'altro, senza che i duci si decidessero ad ini.
ziare l'azione. Per il Caldora era estremamente pericoloso
avventurarsi al passaggio della catena dei monti; la via
poteva dare accesso a esigui drappelli, che, alla spicciolata,
sarebbero stati presi e battuti. Conosceva poi la perizia di
Braccio nel condurre la guerra e aveva sperato che questi,
davanti alle sue forze maggiori si sarebbe ritirato, tanto da
dargli agio di vettovagliare l'Aquila.

(1) Arch. Stor. Ital.; 1850, p. 285.

(2) Ibd., p. 288.

(3) N. pi Borsona, p. 872.

(4) OmuxEgLLO, VII, 26.

(5) Ho presente la lucida narrazione che fece di questa battaglia

W. BLock, op. cit., 39 e segg.



138 R. VALENTINI



Luigi S. Severino e Santo Parente arrivarono il primo
di giugno. Escusse le fonti, troppo spesso discordi, si può
con una relativa sicurezza ritenere che al Caldora ubbidis-
sero circa 5000 cavalleggeri e 3000 fanti, mentre Braccio
avrebbe disposto di 4000 cavalli e da 3000 fanti (1).

Non mancarono di giungere a Braccio da Perugia, e
forse anche d'altronde, consigli di guardarsi dai tanti ne-
mici che si coalizzavano contro di lui: gli fu altresi propo-
sto di abbandonare l' impresa (2); ma la confidenza nell’in-
giuriosa fortuna e il suo orgoglio di condottiero lo fecero
persistere.

Il Caldora, convintosi che senza l’impiego della forza

. ogni speranza di vettovagliare l’ Aquila veniva meno, il 1°
giugno tenne un consiglio di guerra, dove fu deciso di ten-
tare il passagio del monte di Bagno per scendere sulla
strada che conduce alla città. Il piano doveva effettuarsi il
2 giugno. Contemporaneamente si fissò l’ ordinamento del-
l’esercito, conforme al modo usato da Braccio. Si volevano

|.

formare 17 compagnie, di due o trecento cavalli ciascuna,
che dovevano precedere i fanti: seguirebbero le salmerie.

Fu dopo questo consiglio che comparve nel campo de- E E
gli alleati un araldo di Braccio, che doveva loro assicurare $4

===

indisturbata la discesa fino alla pianura (3).

Le fonti non sono concordi nella giustificazione di questo
atto di Braccio, che può sembrare inopportunamente spavaldo.
In realtà il Caldora esercitava una pressione su Braccio, che,
con un minore esercito, doveva vigilare due fronti. Al Pe-



rugino importava grandemente indurre l'avversario ad una
decisione, che del resto all'arrivo dell’araldo era stata già |
presa. Caldora aveva tutte le ragioni per fidare sulla supe-

(1) Brock, op. cit. 39.
(2) Arch. Stor. Ital., 1850, p. 286.
(8) CimumsELLo, VII, 46.

BRACCIO DA MONTONE, ECC. 139




riorità numerica del suo esercito. come sopra una opportuna
sortita degli Aquilani.

Braccio, conosciuta l’intenzione del nemico di scendere
il monte di Bagno, colà raccolse dal monte Luco e S. Lo-
renzo la sua fanteria (1), e imparti loro le più severe dispo-
sizioni di non attaccare, prima che l’esercito del Caldora fosse.
giunto completamente in pianura, e anche allora ad un con-
venuto segnale.

Contemporaneamente inviò N. Piccinino con 400 cavalli
e 200 fanti, scelti tra i più prodi, alle porte di Aquila, per
impedire un’uscita dei cittadini.

Ai primi albori del 2 giugno l’esercito degli alleati era
in marcia per discendere nella pianura: pericolosa e difficile
manovra, dove la cavalleria dovette appiedarsi e condurre
i cavalli a briglia. Frattanto il Perugino aveva passato l’A-
terno, conforme al piano ideato.

Quale era il piano di Braccio, che attese tanto tranquil.
lamente la discesa dei nemici?

Un vantaggio parziale, che il luogo gli avrebbe certa-
mente assicurato, non avrebbe deciso della battaglia, come il
E. condottiero e i Fiorentini desideravano. Occorreva distruggere
l’esercito del Caldora con un vero successo strategico. Egli
volle perciò che scendessero indisturbati, per avanzare e
respingerli verso i monti: le sue genti, provate e durate alle
armi, lo assicuravano del successo.

I Caldoriani, appena discesi nel piano, vi si schierarono
pronti ad un attacco, che ritenevano immediato. Il cozzo



avvenne nel mezzo della pianura, fra l’ Aterno ed i monti.

| Braccio disponeva di un numero maggiore di squadre che
oo »

per altro, erano meno numerose delle nemiche. Nel primo

(1) Il Cmixerro e’informa che le squadre di Braccio sommavano ad un-
4: dici. Ma al momento della mischia ne elenca 15. Canto VIZI, 40-44;
IX, 1-6. C'è chi opina (SmwowgrTA in Muratori, XXI, p. 192) che gli ordini

fossero 24, al comando di condottieri di cui è fatto il nome.

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140 R. VALENTINI



urto si combattè con le lance, poi furono impugnate le spade.
I Caldoriani si dettero a ferire furiosamente, tanto che i
Bracciani dovettero retrocedere. Ma fu fatto avanzare un
maggior numero di schiere e il nemico venne respinto.

Le fonti s'indugiano a descrivere il fluttuare della bat-
taglia, che sta a dimostrare la tattica del successivo impiego
delle forze in una azione strategica.

Dopo che Braccio aveva respinto il nemico, i Caldoriani
tornarono all'assalto, condotti da Francesco Sforza, e il Pe-
rugino perdette terreno, perchè i due eserciti si battevano
con pari accanimento e ferocia. La battaglia filuttuò incerta
e violenta, sempre alimentata da nuove forze che i coman-
danti gettavano nella mischia. Dopo qualche ora l'esito co-
minciò a delinearsi. Braccio, fatte avanzar nuove schiere,
respingeva gli alleati fino al monte donde erano discesi.
Quivi, vedutasi tagliata ogni via di scampo, quelli combat-
tevano col coraggio della disperazione. Se in così opportuno
momento la fanteria Bracciana fosse discesa dai monti, la
battaglia sarebbe stata vinta.

Il mancato intervento di essa incitò i Caldorani a nuovi
sforzi, per sottrarsi quanto prima al pericolo di essere attac-
cati anche alle spalle. Come meglio si potè, l’ordine fu rista-
bilito e la fanteria dal Caldora fu lanciata di nuovo contro
il nemico, con l'ordine di abbattere il maggior numero di
cavalli. Se Braccio avesse avuto a disposizione le proprie
fanterie, avrebbe potuto avvantaggiarsi dello stesso mezzo,
biasimato come tutt’ altro che cavalleresco.

Braccio, animando i suoi alla resistenza, opponeva agli
sforzi nemici tutta la gagliardia della sua forza, prodigandosi
e moltiplicandosi. Il Caldora nella lotta per le bandiere fu
due volte gettato giù d’arcione. Quando i nemici videro de- dd
cimata la cavalleria nemica, con 500 cavalieri scelti riusci-
rono ad aggirare i Bracceschi e li investirono di fianco, mentre
i fanti continuavano ad infuriare contro i cavalli. A questo









BRACCIO DA MONTONE, ECC. 141

doppio assalto Braccio, con i suoi cavalieri corazzati e la più
parte appiedati, non potè resistere a lungo.

Fu allora che apparve agli oppressi come una libera-
zione l’aiuto valido di Niccolò Piccinino. Rimasto estraneo
all’azione col compito di impedireuna sortita degli Aquilani,
sia che vedesse il pericolo dei compagni, sia che divisasse
decidere col suo intervento le sorti della giornata, abbandonò
il posto e si lanciò nella mischia.

La sua mossa decise irrevocabilmente la sorte dei Brac-
ceschi. L'aiuto del. Piccinino restitui momentaneamente la
prevalenza ai suoi: ma presto i Bracceschi videro con terrore
avanzare alle spalle gli Aquilani armati. L'abbandono del
posto avea segnato la fuga e la strage dei pochi che aveva
lasciati a guardia dei passi, ed ora gli assediati si riversavano
ebbri d’odio e di sangue, dalla collina sud-est della città
verso il campo di battaglia.

Si combatteva da otto ore anticipî marte et cruento: ma
i Bracceschi perdevano ogni baldanza: con un nemico davanti
fidente nella vittoria e gli Aquilani alle spalle, sostennero
valorosamente l'attacco in massa del nemico, che menò strage
in mezzo a loro. Braccio desiderò invano l'intervento della
sua fanteria; rauco, gridò invano i'suoi ordini, ma il polverone
della mischia orrenda proibì a quelli di osservare i segni del
comandante. Forse i fanti di loro iniziativa avrebbero dovuto
volare in soccorso dei propri compagni, ma prima li distolse
l'ordine categorico di Braccio e poi l'avanzata dei cittadini.

Braccio tentò di resistere fino all estremo al duplice
assalto, ma si avvide che l’ingiuriosa fortuna era più forte
del suo valore. C'é chi scrive che egli rimase ucciso in bat-
taglia, altri che fosse ferito gravemente: se nell'azione o
durante la fuga, le fonti discordano. Ad ogni modo soprav-
visse pochi giorni alla battaglia. Quello che mi pare si possa
credere è che l’odio fazioso dei perugini lo seguì tenace, e



142 R. VALENTINI

nel tracollo della sua possanza, non gli risparmiò un ol-
traggio codardo (1). i

Fu questa la piü cruenta battaglia del tempo, pari alla
enorme posta che si giuocava; accesi gli odi da ambe le
parti. Braccio e il Pontefice erano finalmente senza maschera
luno di fronte all'altro. Le armi avrebbero deciso chi dei
due sarebbe scomparso o si sarebbe sottomesso. La Chiesa
tendeva tutte le sue forze per distruggere un avversario
irreducibile, un principe temporale — non un capitano di
ventura — un continuatore dello stato laico, che mirava a
costituirsi fuori ed in opposizione ad essa un dominio au-
tonomo.

La fortuna arrise ai coalizzati ed al Papa. Braccio scom-
pariva travolto dal turbine che aveva suscitato, ed il Ponte-
fice prima dell’8 agosto ritornava al possesso di tutte le terre
governate dal detestato vicario (2). Mai capitano venturiero
aveva attinto glorie più fulgide, mai s'era spinto a più im-
moderate aspirazioni. Per questa lotta contro un pontefice,
lunga ed aspra, per le vicissitudini fortunate della sua vita,
che lo vollero fra i principali fattori della politica del suo
tempo, la sua figura si spoglia delle caratteristiche del ven-
turiero, per sollevarsi a quella di creatore di uno stato laico,
in opposizione al pontefice.

Non potevano mancare nell’ Umbria, dove parte delle
terre eran tornate al papa, parte eran rimaste in vicariato
a Braccio, notevoli ripercussioni della guerra aquilana. La

(1) Col Campano rifiuto la notizia del CmuneLro (0. XI, ott. 80) che lo
Sforza urtasse, con la mano inguantata, il ferro del chirurgo, per determinare
la morte istantanea di Braccio. Da altri l’atto criminoso è imputato al
Caldora. PeLLini, II, 277. Con la tragica fine di B. ha termine questa guerra
che fu argomento di tante esaltazioni patrie nella posteriore letteratura.
Ofr. P. Binawcm, La guerra di B. contro UAquila nella letteratura, abruzzese.
Aquila, 1901.

(2) Cronaca di P. pi MarmIoLo, ed. cit., p. 850.







BRACCIO DA MONTONE, ECO. 143



lacuna del supplemento quinto alla Cronaca del Graziani (1)
ci priva di notizie certamente interessanti, alle quali non
sempre si può supplire d’altronde.

Quando le fasi della guerra aquilana rivelarono le in-
tenzioni di Braccio di palese ribellione al pontefice, questi
non mancò di creargli ostilità, in quelle terre specialmente
che male si rassegnavano alla sua soggezione. Basti ricordare
che, toglien’o a pretesto 1’ eccessivo impoverimento, ‘il 12
luglio 1423 Todi e Città di Castello rifiutarono senz’ altro il
tributo del pallio in occasione dell’anniversario della battaglia
di S. Felice (2). E Iesi si rivolse direttamente al Pontefice
per tornare all’obbedienza della Chiesa (3).

Dopo la cacciata degli Aragonesi dal Napoletano le for-
tezze del contado perugino furono tutte messe in condizioni
di offesa e cominciò un vero stato di guerra (4). Nell’agosto
del 1423 i Bracceschi col favore del Castellano ebbero in
mano Spoleto e ne cacciarono quanti tenevano per i popolani
ed i nobili guelfi. Il Papa tentò con sollecita cura una ricom-
posizione dello stato (5).

Nel 1424 le guerriglie partigiane si inasprirono. Nel mag-
gio cominciano le prime ribellioni di Città di Castello (6);
antecedentemente era fallito, come esponemmo, un colpo di
mano su Gese, operato da alcuni fanti e cavalieri spoletini.
Dopo la morte di Braccio ritornò da Todi a Perugia (5 giu-
gno) Agamennone di Giacomo Arcipreti, che aveva menato
pochi di innanzi gente a cavallo ed a piedi in Todi per
romperla con la Chiesa (7).

(1) Arch. Stor. Ital., 1850, p. 284.

(2) ScALvantI, op. cit., p. 605. Pencini, II, 269.

(3) Il Barpassini (op. cit., 77) reca un breve diretto da Martino ai
Jesini in data 4 luglio 1423.

(4) Arch. Stor. Ital., 1850, p. 284.

(5) Sans, Storia di Spoleto, I, 307.

(6) Arch. Stor. Ital., vol. cit., p. 285.

(7) Ibd., p. 287.





144 R. VALENTINI

In Orvieto nel febbraio del 1424 un messo del Teso-
riere generale pontificio aveva suggerito di condurre scolte
e vedette « ad custodiendum itenera et passus per que et per
quos dicta Civitas et comitatus possit ledi » (1). Nel! aprile
un secondo avviso ammoniva «quod circha curam civitatis,
comitatus et locorum eiusdem debeant solitius solito vigi-
lare, et animalia queque ad fortellitia reduci facere non
exprimendo aliter causam suspitionis » (2).

La situazione andó aggravandosi fino al maggio.

L'otto di quel mese i Conservatori « considerantes su-
spitionem vigentem et precipue in comitatu civitatis predicte,
ne ex transcursu et rapina malorum inimicorum civitas pre-
fata detrimentum aliquod pateretur », distribuirono scolte per
i confini, specie al Corniolo (3).

E per tornare col nostro racconto, là donde prendemmo
le mosse, non sarà inopportuno terminare questa ricerca,
occupandoci brevemente del governo pontificio in Orvieto
in quest’ ultimo periodo.

A di vero i podestà pontifici, fatta ragione dei tempi
pacifici in cui gestirono la loro carica, non sembrano mi.
gliori dei precedenti; fu un abuso se di molti fu prorogata
per qualche mese la Podesteria (4), non senza le rimostranze.
dei cittadini, che tenevano all’osservanza degli statuti.

La pace cominciava a produrre i suoi buoni effetti ed

(1) Rif. CXXX. Quaderno aggiunto, c. 16t (28 febbraio 1424).

(2) Ibd., c. 191t (12 aprile 1424).

(3) Ibd., c. 140.

(4) Con breve 25 luglio 1423 fu prorogato per un bimestre l'uffieio di
Podestà ad Andrea Benedieti de Advccatis de Tibure, che aveva già ge-
stito tale ufficio per un semestre. Rif. CXXX, c. 10.

Per difendere le libertà statutarie e per ragioni di economia tornarono
a chiedere al Papa il ritorno e il rispetto dell’ordinamento sulla limitazione
del salario, degli emolumenti e degli ufficiali che i Podestà portavano seco,
e che questi non fossero confermati « ultra primume orum officium ». Rif.
CXXX, c. 82 (12 sett. 1423).







BRAOCIO DA MONTONE, ECO. 145

.j magistrati ebbero agio di occuparsi del riordinamento dei
servizi pubblici. Dal papa si ottenne la riduzione dello sti-
pendio del podestà a cento fiorini correnti con ritenuta di
colletta (1); come si pretese da tutti i morosi la totale esa-
zione dei diritti fiscali, insistentemente negati (2). Furono ri-
vendicati, spogliandone gli usurpatori, i beni dell’ Ospedale di
S. Maria della Stella (3) e fu condotto un altro medico a
causa della moria che nuovamente infieriva (4). Dai beni degli
Ospedali si passò a sanare le malversazioni che i possessi ec-
clesiastici pativano ad opera di indegni usurpatori. Furono
ricuperati i poderi di S. Antonio (5), e, più cospicui, quelli del-
l’antica Abbazia di S. Severo (6), alla quale nessuno più
corrispondeva affitti, e che, minacciante rovina, era stata
anche abbandonata.

(1) Breve in data 22 settembre 1423. Rif., vol. cit., c. 32t.

(2) Altro Breve da Roma, presso S. M: Maggiore, 22 sett. 1428. Rif.,
ibd., c. 32t.

(3) I conservatori elessero due cittadini ed un notaio « ad reformandum,
revidendum et ordinandum bona hospitalis sancte Marie de Stella et eius
fructus ordinandum pro utilitate ipsius hospitalis ». Aif., vol. cit., c. 39,
3 ottobre 1423.

(4) Supplica al Papa che conceda sia condotto per un anno a servizio
del Comune m.° Matteo « Iohannis » di O. « de quo Civitas ipsa maximam
patitur necessitatem, consideratis influentiis et peste vigentibus circumcircha
et undique iuxta prefatam civitatem ». Rif. CXXX, c. 95 (6 marzo 1424).

E più tardi, il 16 aprile, chiesero di stanziare in bilancio una somma
. maggiore della consueta per i medici « quia pestiferis influensiis cireumdamur
et videmur quasi exclusi consilio medicorum, cum unus minime valeat
omnibus hiis temporibus providere ». Rif., vol. cit., c. 127.

(5) I conservatori elessero due economi dei beni della Chiesa di S. An-
tonio « quod aliquando bona ecclesie b. Antonii aliqui consueverunt pexime
administrari » (15 gennaio 1424). Rif., vol. cit., c. 84.

(6) Si richiese al Papa l’autorizzazione a concedere la reggenza del
Monastero ai monaci di S. Maria del Monte Oliveto e frattanto « de fructibus
bonorum dieti monasterii reparetur et coperiatur ac reficiatur ecclesia et
locus dieti monasterii, ne penitus in totalem deveniat [in] ruynam «. Rif.,
vol. eit., c. 81 (12 sett. 1423). Lo stesso documento attesta che il

10





146 R. VALENTINI



Considerato che la moria aveva fatto larghi vuoti nella
popolazione e che il morbo aveva ripreso la sua virulenza,
si bandì l'immunità da ogni tassa a chi volesse prendere la
cittadinanza Orvietana, concedendo esenzioni fiscali, varia-
bili dai cinque ai dieci anni, conforme al numero dei com-
ponenti la famiglia (1). Si pensò alla continuazione dello stu-
dio, alla sistemazione delle pubbliche meretrici (2). Furono
promosse opere di pubblica utilità; mercè uno straordinario
contributo si arginò la corrente del Paglia, che vagava fuori
del proprio letto e minacciava la strada del ponte (3); e i
sovrastanti alla fabbrica del Duomo deliberarono di rico-
struire la scalata dinanzi alla facciata (4).
convento fu « magni beneficii et magne habundantie fructuum et red-
dituum, caritateque profieuum pauperibus et peregrinis nec non quibus-
cunque confluentibus ad ipsum monasterium ; abate monacisque quampluribus
in eodem monasterio continuo residentibus ad divina celebranda officia iam
est tempus ». Rif. OXXX, o. 81t (I2 sett. 1423).

(1) Rif. OXXX, c. 71 (16 dec. 1423).

(2) Furono confinate entro un determinato quartiere « a cantone palatii
Monaldentium a latere posteriori et usque ad cantonem palatii seu domorum
Mandutii Lighi, versus stratam per quam itur ad Ripam Ulmi, ita quod
nullatenus poxint stare ad staczonandum nec habitandum diete meretrices ...
in aliquo loco, et presertim in strata per quam itur ad Valle Piacta et re-
vertitur in Plateam iuxta piezicarolos ... ». Rif., vol. cit., c. 107.

(3) Eeco la motivazione della proposta nel consiglio generale del 21 set-
tembre 1423 (Rif. CXXX, foglio volante. c. 2, 3):

« .. eum pro reparamine fluminis Palee, ne pontis stratam recidat in

^

suo cursu, propter quod Comunitas ipsa dapnum maximum pateretur, per
opportuna consilia provisum fuerit ad obviandum cum necessariis et op-

^

portunis formis et sepis (que cepte, nondum producte fuerunt ad finem,

^

quamvis usque in presentem diem data fuerit utilis et opera magna) que

^

ne fluminis cursus aquarum inundatione factus impetuosus eruat ipsam,
unde quod utiliter est inceptum, fuisset laboratum in cassum, alia sepe
indigeant fortificari prout & magistris cotidie reportatur, unde ad expensas

^

^

^

necessario videtur eveniri ».
(4) I Conservatori, i Soprastanti ed il Camerlengo, » adtendentes ad

^

constructionem scalarum existentium ante faeciatam dicte maioris eccle-
sie fiendam, et que fierj noviter expedit, secundum deliberationem iam

^

^





BRACCIO DA MONTONE, ECO. 147



In quest’ opera di interna amministrazione, di restaura-
zione dell’autorità comunale, di risanamento economico e
demografico si segnalò per zelo il podestà d’allora Cecchino
Paparozzi dei conti di Campello, cittadino di Spoleto (1).
Nei rapporti esterni si curò di riallacciare la buona vi-
cinanza con Perugia. Chiusa la questione per i residui do-
vuti a Braccio, e liquidata la vertenza con Rinaldo da Ca-
stel Rubello (2), fu composta anche quella con Rainaldo di
Messer Santi, rimasta insoluta e ché era entrata in una fase
acuta (3). Non meno opportuno fu un abile intervento per
cui si riuscì nel luglio 1423 ad evitare i danni rilevanti —
data la stagione — che avrebbe prodotto il passaggio per
il nostro territorio delle genti di Pandolfo Malatesta (4). Pro-

« factam etc., et actendentes quod in dicta fabrica non possit habere de

^

lapidibus marmoris albj pro dictis scalis constr[u]endis,
deliberano « quod diete scale nouiter fiant et construantur ad gradus
rubey marmoris et dietus camerarius habeat auctoritatem, si vult et sibi

^

^

videtur, facere primum gradum cum purpuris albis in dicto primo gradu
et alijs de lapidibus rubeys et quod dietus camerarius » etc. possit

^

et valeat conducere magistros et operarios et mictere ad petrariam pro

^

« marmore rubeo ad Castellanam occasione premissorum » etc. Opera Rif.
1421-26 c. 182 (8 giugno 1424).

(1) Meritò pubbliche lodi (16 aprile 1424). Rif. CXXX, c. 126t. Aveva
assunto la sua carica il 2 dec. 1423. C. 60 t.

(2) Rif. CXXX, foglio volante (17 nov. 1423). Trattato di pace per
cui cessano le rappresaglie tra Orvieto e Perugia, stipulato fra Bindaccio
de’ Fibindacci dei Ricasoli « pro excelso et illustri domino Braccio de
Fortebracciis Capue principe, Perusii ete. comite Montonis, Regni Sicilie
magno Comestabulo et utriusque Aprutii gubernatore » e i conservatori e ‘
il procuratore di Orvieto.

(8) Il 21 nov. 1422 a sua petizione erano stati incarcerati a Perugia
alcuni cittadini e contadini Orvietani. Per sfuggire a questo sequestro per-
sonale altri aveva pagato 80 fiorini, altri 15 (Rif. CXXIX, c. 6t-7). Nel
12 giugno 1423 si compilarono i capitoli da trasmettere a Perugia per di-
rimere ogni controversia (c. 95-96 t). o

(4) Rif. CXXX, c. 17 (20 agosto 1423):

« .. Et hiis proxime diebus elapsis per ... generalem Camerarium ...

« necessario sint facte certe expense necessarie pro transitu Magnifici

|

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148 R. VALENTINI

veniva dal Reame, dove il Papa lo aveva inviato nel maggio
del 1422 quale capitano della Chiesa, in sostituzione del
Tartaglia (1).

Quando la morte di Braccio in Aquila fu pienamente
confermata, il consiglio generale del 10 giugno s'associó
al coro codardo dei deboli che si accanirono intorno all’ om-
bra del grande scomparso, ed approvò le spese « pro gau-
dio et festo ampliximi et peroptimi novi pro statu d. n. et
S. M. E. triumphantium de comflictu et morte Braccii » (2).

Roma, decembre 1921.
ROBERTO VALENTINI.

domini Pandulfi de Malatestis capitanei etc. tam in ambasciatoribus
« eidem domino parte Comunis destinatis, quam etiam in emxenio eidem
domino destinato, et pro kaballariis et aliis necessariis factis et con-

^

^

sumptis ista de causa, quam etiam pro evitando adventum ipsius gentium

^

in territorio dicte Civitatis ... ».
Il passaggio delle brigate del Malatesta preoccupava fin dal luglio [1423]
gli amministratori del Comune. Il libro delle spese segnala :
« Item quydam numptio misso ad campum magnifici domini Pandulfi »,
e. 4 t.
« Item Poccie grasse numptio misso Viterbium et Sutrum ad dominum

^

« Thesaurarium pro exquirendo per que teritoria pertransire debebant
« gentes armorum magnifici domini Pandulfi capitaney, ne dapnum civitas
« Urbevetana pateretur, libras duas sol. duodecim cum dimidio ... ». Rif.
CXXX, c. 8t (25 luglio 1423).

(1) ScaLvanti, Frammenti ete., 594.

(2) Rif. CKXX, Quaderno aggiunto, c. 153. L’eco di esultanza destò
una ripercussione in tutte le terre soggette al Pontefice. Cronaca di P. DI

MarrrioLo, p. 348.





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^







BRACCIO DA MONTONE, ECO. 149

APPENDICE

N. 1 — [1413] ind. VI, giugno 5. Rif. CXXII c. 16.

Lettera dei Conservatori a ser Glovanni « de Interamne »,

cancelliere di Braccio. « Per potere levare via ogne suspectione e

tedio potesse occurrire fra le genti del magnifico homo Braeeio
eapitaneo ete. e li massari de la Fracta Guida nuy abiamo man-
dato uno castellano al dieto castello, a lu nostro Commune fi-
delissimo, al quale l’ ommini del dieto loco l’ anno assenata
la poxessione de la torre e andolo receuto pro loro castellano
e governadore. E anche più li massari e hommini del dicto ca-
stello ando promisso a nuy et date ydonee recolte, per le mano

.del nostro eancellero, de dare recepto a omne gente de santa

chiesia, spetialemente a la gente de Braccio; en ne lu dieto ea-
stello no reducere gente nemica a santa Ecclesia nè a isso Brac-
eio eapitanio etc. Et de fare e observare tueti comandamenti
de lu nostro commune, con paeto li sse degano rendere li loro
prescioni co la preda e cose loro; altramente, no rendendolisse,
remangono ne la prima loro libertà ». Pregano, perchè le cose

promesse da ambo le parti abbian piena fede, gli piaccia fare « la
dieta relassatione » e renderli al Comune di Orvieto ecc.

« Datum in Urbeveteri » ecc.

N. 2 — [1414] ind. VII, giugno 7. Rif. OXXIII c. 52 t.

Re Ladislao a Tomaso Carafa.

« Nuper pro parte Magnificorum virorum Hugolini et Ka-
roli, comitum Corbarie, nostrorum devotorum ... maiestati nostre
fuit humiliter supplicatum, ut cum olim ipsi, ad nostrum. man-
datum et pro nostro statu, guerram fecerint contra comune Ur-
bevetanum, tune nondum sub nostra dictione sistens, et alios
nostros emulos, fuerintque propterea ipsi comites eorumque loca
et castra per potestatem, qui tune erat diete civitatis, condempnati
in certa pecunie quantitate, tamquam rebeles diete Civitatis,
sintque etiam certi homines castri Venani ipsorum comitum per









150 R. VALENTINI

dietum tune potestatem ... condempnati ad petitionem cuiusdam
Karoli Joeti de Perusio, exbanniti et nostri rebellis, in ere et
persona, nee non et eum comites predieti, pro statu nostro guer-
ram facientes, ut supra, equitaverint contra castrum Rocche Ri-
piseni et inde predam abegerint, Faustinus, dominus ipsius castri,
a Cardinale saneti Agneli optinuerit privilegium contra ipsos
comites et suos eomitatinos, quod, tempore pacis et quomodocun-
que, posset petere et rehabere a dietis comitibus et suis comi-
tatinis dampnum diete prede et eius extimationem, factam tem-
pore concessionis dieti privilegii, dignaremur dietas condempna-
« tiones eassari et laeerari, prefatumque privilegium in eorum
manibus consignari pro ipsorum supplieantium et suorum co-
« mitatinorum indempnitate benignius demandare »; ordina la
eassazione di tali condanne; che abbia in mano il privilegio da
rimettere ai predetti conti.

« Dat: in eastris nostris felicibus prope et contra Tudertum » ...

^

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N. 3 — Per quanto riguarda i precedenti storici dello Studio
Generale Orvietano, con le cattedre di Sacra Scrittura, Diritto
Canonico e Civile, Medicina ed altre facoltà, rimando al Cod.
Dip. del FUMI, p. 780 e segg., e, più specialmente, alla Bolla
di Papa Urbano VI (12 maggio 1378), p. 511.

Dispongo qui per ordine cronologico, senza alcuna illu-
strazione, una collana di documenti raccolti intorno ad un
maestro di Grammatica, Ser Mattia di Ludovico d'Orvieto,
ben sapendo quale importanza abbiano siffatte notizie alla
conoscenza della cultura italiana nel primo umanesimo.

1402 giugno 20. Rif. CXVI, e. CXLJ-CXLJ t.

. « Eodem anno indictione pontifieatu mense et die, ac pre-
sentibus supradictis testibus, supradietus magnificus vir, Gurellus
Carazzolus, locumtenens et commissarius supradictus, et meditans
attente ad commissionem et mandatum per supradietum dominum
Johannellum eidem Gurellum (sie) factam, ut in eapitulis pro-
duetis pro parte dieti comunis ipsi domino Johannello, et eius
propria manu signatis, plene patet, que capitula sie signata appa-
rent registrata supra, manu mei, Petri, cancellarij dicti comunis,
super conducendo et eligendo virum sufficientem et expertum
magistrum, gramatiee profexorem ad servitia dieti comunis et
salaria deputando, per quem juvenes dicte civitatis, et ad stu-

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BRACCIO DA MONTONE, ECC. 151

dendum in dicta civitate venire volentes, per eum floribus scientie
ae morum venustate, que sine peritorum doctrina facile adipisci
non possent, laudabiliter imbuantur, volensque utilitati et honori
dieti comunis ae juvenum studere volentium, hueque profici-
scentium salubriter providere ;

« Considerans de scientia, moribus et virtute magistri Ma-
thei Lodoviei, honorabilis civis vrbevetani, artis gramatice
profexoris, eumdem magistrum ad docendum, legendum et
instruendum gramatieam, autores et poetas in dieta civitate pro
tempore trium annorum, inecipiendorum die primo mensis ju-
lij proxime futuri et ut sequitur finiendorum, eum salario vi-
gintiquinque florenorum anno quolibet, ad rationem quatuor
librarum et decem soldorum per florenum, cum retentione col-
lecte, eidem per camerarium dieti comunis persolvendorum de
mense in mensem ut tagnit pro rata dieti salarij qualibet con-
tradietione cessante et alijs solitis emolumentis, in magistrum
gramatiee diete civitatis, vigore mandati et commissionis eidem
Gurello faete, ut in dietis eapitulis continetur, elegit, vocavit et
nominavit. Qui magister Matheus, sie electus, teneatur durante
tempore dietorum trium annorum continuam residentiam facere
in dieta civitate; et inde non diséedere sine espressa licentia
dominorum loeumtenentis, et conservatorum dicte civitatis, qui
pro tempore fuerint; de qua licentia patere debeat scriptura manu
eaneellarij diete civitatis. Rogans me Petrum, notarium et can-
cellarium infra seriptum, ut de predietis publieus conficerem
instrumentum. Actum ut supra ete. >».

1402 giugno 20. Rif. CXVI, c. CXXXVIII.

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« Copia eapitulorum produetorum eoram magnifico et excelso
domino, domino Johannello Thomacello, etc. pro parte comunis
Urbevetani et per eumdem signatorum, ut in fine cuiuslibet capi-
tuli apparet, quorum tenor sequitur infrascriptus :

« Item quod cum civitas vestra Urbevetana magistro grama-
tice pro docendo pueros huius-vestre civitatis grammaticam et
alios autores ac in moribus instruendo egeat ad presens, sitque
nuper a studio Bononiensi reversus magister Mathia, civis Urbe-
vetanus, nonnullis scientijs decoratus, actus et sufficiens ad do-
eendum dietos pueros, ae etiam legendum non solum in eivitate



152 R. VALENTINI

« ista set Parisij et Florentie, quod dignetur eadem Magnificentia
« eidem magistro Maethie, legere volenti, de aliquo competenti sa-
« lario providere.

« Mandamus locumtenenti quod provideat ».

: « Dat. Vrbeveteri in palatio nostre residentie ... ».

1404 novembre 7. Rif. CXVI, foglio volante.

Tabella degli esiti e delle spese della Camera orvietana, fatta
da Jacobello Gaetani, luogotenente pontificio in Perugia, Todi,
Orvieto, Assisi.

« Salarium magistri gramatiee mense quolibet florenos duos
« et bon: tres ... ».

1404 ind: XII, decembre 6. Rif. CXVI, e. 280.

Suppliea di maestro Mattia « Lodoviei », cittadino d'O. Es-
sendo stato egli nel 1402, a di 1 di luglio, eletto « in magistrum
« seolarium ad docendum gramaticalia, poetas et autores » per tre
anni, eol salario annuo di 25 fiorini; nè potendo egli con questo
salario « bene ut decet vivere »; e volendo il C. di Todi e di
Narni condurlo ad insegnare per cinquanta fiorini e più all'anno,
ei domanda di esser confermato per altri tre anni col salario di
almeno trentasei fiorini senza ritenuta di colletta.

« Fiat ut petitur. Jac. G. ».

1404 decembre 21. Rif. CXVI, e. 280t-281.

I Conservatori, in adempimento della commissione lor fatta dal
principe Jacobello Gaetani, luogotenente pontificio, come sopra
apparisce nella supplica, segnata di sua propria mano, eleggono
m° Mattia « Lodovici » ad insegnare « grammaticalia, autores,
« poetas, et rectoricalia » in O. per tre anni e col salario di tren-
tasei fiorini d’oro l’anno, senza ritenuta di colletta.

[1407] ... Rif. CXVII, c. LXXXXIIIJ t-LXXXXV.

Mattia « Lodovici » supplica, che, essendo egli stato eletto « ad
« docendum gramatiealia et poesim ae reetoricam » in O. eol sa-
lario di trentasei fiorini d'oro l'anno, questo gli si paghi dell'in-
troito della gabella del vino, la quale, per tale somma, intendasi
obligata'al supplicante.

« Videtur nobis eonsonum rationi, quod solvatur dieto magi-
« Stro, et merito, vel de predieta gabella vel de alia, et sie nobis
« placet et sie mandamus.









BRACCIO DA MONTONE, ECC. 153

« B. Episeopus Fe: Reetor Vrbisveteris.
« Tuderti XXIIIJ* aprilis ».

1408 giugno 3. Rif. CXVIII, c. CXX t- CXXI.

Il maestro di grammatica Mattia « ser Lodovici » d'O., pre-
senta ai Conservatori una sua supplica, nella quale espone di aver
servito il Comune circa sei anni « ad legendum scolaribus gra-
« matiealia, et ipsos instruendum in poesi »; che la sua condotta
non dura se non per tutto il prossimo giugno; chiede la conferma
nell’ ufficio per altri tre anni.

« Signata fuit dieta supplieatio per magnifieum et excelsum
« dominum Marcehum Corrario ... In Monteflaseone MCCCCVIIJ.
« Indietione prima et die XXVIIIJ mensis maij ... ». j

1409 maggio 28. Rif. CXIX, c. 73.

Mandato: per pagare tre fiorini d’oro « egregio Gramatice pro-
« fessori Magistro Maethie ser Lodoviei, honorabili civi Vrbevetano,
« provisionato et salariato dieti comunis ad docendum gramatieam
« scolaribus adiscere volentibus, pro eius salario presentis mensis
«Maij... *. .

1409 ind: II, novembre 30. Rif. OXX, c. 228 t.

Ordine di pagare tre fiorini d'oro à M? Mattia « Loddovici »,
salariato del Comune « ad docendum scolaribus gramaticam », per
lo stipendio del presente mese di novembre.

1410 aprile 30. Rif. OXX, c. 95 t.

Mandati di pagamento:

« Egregio gramatice profexori Magistro Maethie Loddovici, do-
« centi publice gramaticam et salariato dieti Comunis pro ipsius
« salario dieti mensis de pecunia gabelle vini cum retentione col-
« leete florenos tres auri ... ».

]1410] aprile 21. Rif. CXX, c. 98t.
B. Cardinalis Legatus ae Bononie ete Vicarius gene-
Saneti Eustachij ralis
Dileetissimis Conservatoribus nostris Vrbisveteris.
Dileetissimi nostri post salutem. Havemo recevuta vostra lec-
tera in la quale ce preghiati che a Mastro Mathia da Vrveto, mae-
stro de Scuola, per che è homo chel merita, sia acressuti el so









154 R. VALENTINI

salario. Alla quale vi rispondemo che per vostra contemplatione
et per la scientia sua, finita la ferma sua, incominzando la nuova
ferma in chalende de luio proximo che vene, el dieto Maestro Ma-
thia habia dal eamara vostra fiorini dui el mese, oltra el salario
primo ehe l'avea, per spatio de quatro anni.

Dat: in Campo felici Sanete Matris Ecclesie contra Forum
Pompilium die XXJ mensis Aprilis.

[1410]. Rif. CXX, c. 98 t-99.

Matteo « Lodovici », maestro « in gramaticalibus », espone di
aver servito il Comune circa otto anni nel leggere agli scolari
« grammaticalia, recthoricam, nec non auctores et poetas »; la
sua condotta termina « per totum mensem junii proxime futuri »;
il salario annuo è di 36 fiorini d’oro. Chiede un aumento fino a
60 fiorini d'oro l'anno senza ritenuta, per quattro anni futuri,
comineiando in ealende di luglio.

Reseritto del eardinal Legato: « Fiat de duobus florenis ultra
solitum singulo mense usque ad quatuor annos » ...

« Dat: in campo felici Sanete Matris Ecclesie, contra et prope

« Forumpopilij die XX Aprilis anni domini MCCCC decimo ,
« indietione . IIJ*. » ...

1410 maggio 31. Rif. CXX, c. 123 t.

Mandati di pagamento :

« Magistro Maethie Loddoviei docenti publice gramaticam et
« salariato dieti Comunis pro suo salario dieti mensis florenos
« tres auri » ...

1410 giugno 30. Rif. CXX, c. 130.

Ordini di pagamento :

« Magistro Maethie Loddoviei, publice Grammatieam docenti
« in dieta Civitate. et salariato dieti Comunis, florenos tres auri
« pro suo salario ... dieti mensis ».

1410 luglio 31. Rif. OXX, c. 160.

Mandati di pagamento :

« Magistro Macthie Loddoviei, Magistro scolarum publice do-
« centi gramatieam in dieta Civitate, eum retentione collecte flo
« renos quinque auri ».

1410 agosto 31. Rif. CXX, c. 172.
Ordine di pagare einque fiorini d'oro a maestro Mattia « Lod-






BRACCIO DA MONTONE, ECC. 155



« dovici, profexori egregio grammatice, et ipsam docenti publice
« in dieta Civitate ».

1410 settembre 5. Rif. CXX, c. 181 t-182.
Consiglio generale.

Dovendo m° Mattia « Loddovici », ricevere da più mesi il
salario, si propone si provveda di un certo introito, perch’ egli
sia soddisfatto del passato, del presente e futuro; e ciò perchè non
accetti la condotta del comune di Todi, dal quale è richiesto.

Si delibera che i Conservatori, esaminate le gabelle degl’ in-
troiti, di una delle prime facciano al suddetto cessione per il pas-
sato, presente e futuro.

1410 settembre 24. Rif. CXX, c. 183 t-184.

I Conservatori stabiliscono che la gabella « Cassecte merca-
tus » sia obbligata a maestro Mattia « Loddovici », maestro « in
gramatiealibus » per il proprio salario per il tempo passato, pre-
sente e futuro. ;

1410 settembre 30. Rif. CXX, c. 188 t.
Ordini di pagamento.
« Magistro Maethye Loddoviei, profexori gramatice, et ipsam
« in ipsa Civitate publiee docenti similiter salariato dieti Comu-
« nis cum retentione collecte fiorenos quinque auri » ...

1411 giugno 29. Rif. CXXI, c. 7t.
Spese :
« Egregio gramatiee et auctorum Magistro Maethie Lodovici
« pro suo salario presentis mensis Maj fior. V auri ».
« Grandis scientie et gramatice insignito Magistro Maethie
« Lodoviei pro suo salario presentis mensis junij flor. V auri ».

1414 marzo 27. Rif. CXXII, c. 126 t.

M? Mattia « Ser Lodovici » presenta al cancelliere una sup-
plica. Essendogli stata obligata la gabella « cassecte mercatus »
ed avendola poi il Legato stornata, per le necessità del C., ad
altre spese, chiede che per il pagamento del suo salario gli si
oblighi la gabella del vino « eadem forma, capitulis, promissio-
nibus et penis, quibus erat obligata dieta gabella mereatus »

« Placet quod sit sibi obligata gabella predieta, ut petitur, a
« Kalendis aprelis .





156 R. VALENTINI



« Dat: in Vrbeveteri die XXIV martij ...
« Symon de Prato prefati
« domini Legati secretarius
« subseripsit ».

1414 luglio 9. Rif. CXXXIII, c. 36 t.

M° Mattia presenta al podestà ed ai conservatori una lettera
del Re a loro diretta, confermante l’obligazione della gabella del
vino fatta « pro solutione salarii deputati Magistro Matthie ipsius
« civitatis civi, scolas et studium regenti in ipsa civitate ad do-
« cendum et erudiendum scolares in liberalibus artibus » ...

« Dat. in campis nostris felicibus prope pontem Pactoli ... die
« tertio mensis julij septime indietionis » ...

1417 giugno 28. Rif. CXXIV, oc. 164 t.

Cinello « Alfani », sapendo che i Conservatori per quattro
giorni avanti il termine del loro offieio non posson deliberare in
favore di speciale persona, concede loro licenza di eleggere il
maestro di grammatica. Ed essi eleggono per un anno da comin-
ciare in calende dell’entrante luglio e col salario di 64 fiorini cor-
renti, senza ritenuta di colletta, m° Mattia « Ser Lodovici >», cit-
tadino d' O. >

Il Luogotenente poi ordina che il gabelliere del pesce paghi
la somma sul provento dell’anno venturo.

[1418] giugno 13. Rif. CXXV, ec. VIIII.

Lettera di Braccio ai Conservatori ed al Podestà di Orvieto.
Concede che « mastro Mactheo sia refermo al suo exereitio de la
« scola per l’anno che è a venire » con lo stesso salario.

« In campo nostro contra Mugnanum » ecc. Il Comune deli-
bera, rifermando maestro Matteo « Ser Ludovici », c. 13-13 t. Al
Consiglio assiste Fioravante degli Oddi, podestà, e i Conservatori.

. [1419] maggio 21. Rif. CXXVI, c. 69t.
Braccio ai Conservatbri :

« Considerato che Maestro Macthia è valentissimo homo et. li
« pari sui non tanto siano utili, ma necessarii ... imperò perchè ad
« nuy pare faccia per testa comunità », ne vorrebbe rinnovata la
condotta con la provvisione goduta per il passato. Il che « ad nuy
<« caderà ad complacentia singulare, perchè Luy et lu fratello
<« sonno ad nuy carissimi. Spoleti » etc,



















BRAOOIO DA MONTONE, EOC. 157

1419 maggio 27. Rif. CXXVI, 69 t.

In obbedienza alla lettera ‘di Braccio, i Conservatori decre-
« tano « quod Magister Macthia Lodovici in grammaticalibus et
« recthoricalibus precetor egregius, sit refirmus et refirmam ha-
« beat pro uno anno, ineipiendo die prima Junii venturi» col sa-
lario eonsueto, obligandogli la gabella del pesce.

1419 12 ottobre. Rif. CXXVI, e. 120.

È eletto a rettore delle scuole orvietane « egregium gramma-
ticalium et rettoricorum preceptorem virum magnum Matthiam
ser Lodovici urbevetanum civem ... sicut extitit in temporibus
retrohactis, eum salario, emolumentis et honoribus actenus con-
suetis.

[1420] novembre 5. Rif. CXXVIII, e. LXXXXVIIIJ.

Martino V con suo Breve al Governatore ed ai Conservatori
di O., concede sia confermato, o di nuovo eletto, il maestro « sco-
larum gramatice et auetorum »

In Roma, presso S. Pietro, anno 3°.

1420 novembre 26. Rif: CXXVIII, e. 99.

Si delibera che m° Mattia « Lodovici », egregio professore « in
triviali seientia », sia rifermato « ad retinendum scolas » in O.
per tre anni.

1423 novembre 2. Rif: CXXX, c. LJ.

Si presenta ai Conservatori un Breve di Martino V, col bene-
placito che Mattia « Ludoviei » d'O., maestro delle scuole, sia con-
dotto per un altro biennio.

In Roma, presso S. M* Maggiore, « die XXVJ octobris »,
anno 6°.

N. 4 — Amicis carissimis Vicario, hominibus et Comuni castri
Montisleonis (1).

Amice carissime. È venuto da noy Angelone dal Piegayo,
nostro verace amico, et dietoee de la vostra intentione: et perchè
io no me eonoseho bene de raxone, li faeti vostri l'Ó commessi a



(1) Le lettere che non portano 1’ indicazione del volume delle Rifor-
manze sono trascritte da originali esistenti nell'Arch. di Orvieto (Lettere

di Braecio).









158. R. VALENTINI



messer Rugeri. E perché al presente semo molto oecupati, non ve
dagemo altra resposta, se non che aetendate affare et dir bene,
però ch'io me reeordiró di voy, sì che ve poriate bene aconten-
tare. Angelone predecto à pregato et facto per vuy, come fa l’un
fratello per l’altro.
Dat. in Montemoreino [Perugia], a di XVIIJ iulii MCCCOXIIIJ.
Braeeius de Fortebraeeiis, Montoni Comes, capitaneus etc.

N. 5 — [1414] 7 ottobre. Rif. vol. CXXIII e. 112 r.

« In nomine Domini amen. Anno domini MCCCCXIIII die VII
mensis oetobris de sero, in ora avemaria. Io, Andrea, m' abaetei
eon Ciechino dà Bagnaeavallo et eraci uno Giuvanni Piecinino che
era ià stato eon me; et disse o Ciechino: — Eecho quisto che ne
donó la palglia. Et allora Ciechino me piglió per la mano et ren-
gratiommi et menommi parlando fino a Santo Giovanni. Et questo
fo in piazza Maiure. Quando mi prese per la mano e dissimi: — An-
drea, possimi fidare di te? Dammi la fede. Giovauni Piecinino m'à
deeto chi tu si. Io piglarò uno dì tutti quisti gentili homini mer-
eorini, per che io ho capitolato col cardinale e col Tartagla et con
Corrado e Lucha, si che quando voy udite el romore, traiete a casa,
se avete arme, e se non con bastone. E io gli disse: L'arme mia
farrò venire intro li bigonzi. Et esso disse: State francamente, che
io li invitaró uno dì a magnare e piglorolli tueti quanti. E io
gli disse: Allora el conte è mio parente. E ipso me rispuse: El
conte se fida multo di me. E allora omne uno se ne gì a casa. Io,
quando menne andava a casa, trovai ser Justo e Monaldo di Agne-
luzzo. Essi m'a domandaro: Eeci novella niuna, Andrea? Io lo’
disse: Ammi decto Ciechino da Bagnacavallo come vuole piglare
tueti questi mercorini. Et essi mi respusero e dissero: Questa è
una buona novella. Che modo terrà? E io disse che isso voleva
piglare tucti questi gentili huomini mercorini a uno magnare. Si
che ar romore omne homo traga: e Corrado e Lucha degano trare
a la porta con Tartaglia. — Testa è una buona novella e vuolsi fare.

Pure in questa sera, presso a casa mia, io dissi le simele pa-
role a Agnelo de Berardino, e esso me disse: Tu me daghi la
buona sera. Voi venire a bevere con me? E io gli resposi di no;
e andammene a casa.

La mactina vegnente io andagi fuore per tempo a vendegnare
et a sementare et tornay la sera tardo, tueto bagnato a ’ntentione
de dirlo al conte. Et io, venendo su, trovay Ser Nicolò de Lanu e
si gli disse: Ciechino m'a decto le più bructe parole ch’io udisse






BRACCIO DA MONTONE, ECO. 159

may. Et Ser Nicolò me respuse: Io el saceio che me l'a dieto; et
questo nante al Bancho de Monaldo de 1’ Abeduti. Io tornay a casa
che era tardo, per dare bevere all’omini ch’io aviva auti el dì. El
martedi a mattina per tempo io mi levai ad animo de dirlo al
Conte, et quando io voliva entrare in santo Andrea, et Cicchino
era li dal bancho di Francisco del Morello et menommi in casa
di Ser Nicolò de Lanu et femmi legare le mano di reto et disse:
Meglo è che tu sia mio prescione che d’altri. Puogi tornò su l’ora
del magnare. Et si mise scioglare le mano e si me disse, se io
laveva deeto eon persona, che me potesserono profferire qualche
fiorino. Et io gli disse che no. La sera tornó a cena e disse: Cie-
namo. Cenato e'avemmo, mi chiamò ne la cammera de Ser Nicolò
et sì me disse: Mechilecto vi vole desaminare; et sì mi pregò che
io volesse dire che io l’avesse decto con Monalduzzo de Neri et
con Pietro de Canapuccio. Et io così gli promisi e così confessay
che io l’aveva. decto: ma la verita è che a quisti doy io nol’ disse.

Item Ciechino ci disse che queste cose l’aviva decto con Misser
Francesco e che misser Francesco el sapiva.

Il cancelliere rilegge la deposizione ed essi confermano.

N. 5% — [1415] die XVIJ mensis Februarii. Rif. vol. CXXIII c.111 v.

In nomine domini amen. Anno domini MCCCCXIIIJ de mense
oetubri. Questo ene la veretà ch'io, Nicolò de Lanu, seppi del trac-
tato facto e menato in questa ciptà d’Orvieto per Cieehino da Ba-
gnacavallo, che, essendo io, Nicolò, uno dì del predecto mese in casa,
e Cicchino me chiamò e disse: — Nicolò, possomi io fidare di te?
Dammi la fede tua, ch'io ti promecto pigliare uno di tueti questi
mercorini, et voglio dare questa terra alla Chiesa. Dì a questi Muf-
fati che quando odono el remore, che tragano qui. Et io, Nicolò,
rispusi: Et con che mò’ntragono, che non ànno niente d’arme? Et
esso respuse: Tragano co’ bastoni. Et io respusi: El farò. Et de puo
questo rascionamento, io, Nicolò, trovai. Monaldo di Giuvanni di
misser Nicola in piazza Maiure, et esso mi domandò se c’era no-
vella niuna, et vinimmo su in questo rascionamento, che Ciechino
m’aviva decto; et contagli come Cicchino volia piglare uno di tueti
i capi di mercorini et currere questa terra. Et esso Monaldo ri-
spose: Biene sta. Questa è buona novella. E vorasse trare meglo
che si porrà. -

Item del dieto mese trovai Monalduzzo de’ Neri in Serancia,
lì nanti dove Tomasso de Lippo cogleva la gabella. Et esso mi
domandò se io sapeva novella niuna. Io gli disse, come Ciechino









A



160 : R. VALENTINI



m'avia deeto di volere piglare i eapi di mereorinj et currere que-
sta terra per la Chiesia. Allora Monalduzzo disse: Quando serra?
Io gli resposi subito: Non saccio quando. Et esso disse: Biene sta.

Item del deeto mese, innante alla porta di Santo Andrea, verso
la Mercantia, mi scontragi con Farolfo di Tomasso et esso mi do-
mandò se io sapeva novella niuna; et io gli dissi: Sì. Et esso disse:
Che novella e'e? Et io gli dissi: Cicchino da Bagnacavallo m’à decto
che piglarà uno di tueti quisti mercorini et currarà questa terra.
Et esso disse: Biene sta, et quando? Et io gli disse: Non volere
più sapere.

Item del dicto mese, in piazza Maiure, al Bancho che tiene
Giuvanni de Nallo, calzolaio.

Stemo lì ser Justo et io buon pezzo, et rascionammo di certo
concio che menava Nicolò de Torre tra Sforza et Corrado et Lu-
cha, et di puo questo rascionamento io gli disse : Et se questo non
viene ad effetto, eccene uno altro. Et esso disse: Che è? Et io
gli dissi: Cicchino da Bagnacavallo m’à decto che vuole piglare
uno dì tucti quisti capi di mercorinj et currire questa terra per
la Chiesia. Et esso disse: Questo serria meglo, dio el volesse! Et
in questo gionse presso de Canapuccio, che era tardo, et disse a
Ser Iusto: Vuotene revenire a casa? et esso disse si. Et non ne

‘ rascionammo più.

Et questa è propria la veretà. Vero è chel dì che Cieehino me
piglò, et prima che noi fossimo menati a palazzo, mi domandò con
chi l’avia decto. Et io gle ne disse, che esso se credeva avere
tucte le case loro. Esso me disse ch’io ce mectesse, quando io
fosse deseminato, Nicolò de Benedecto, chè voliva sua ponticha per
dare quel panno a sacchimandi. Io gli dissi che non era vero, e
che io nol farria may. Poy, per la fune e per lu martorio, el disse.

Item Cecchino ce disse che queste cose l'aviva deeto con messer
Francisco, si ci disse. El vero noi non sapemo et per questo non
s’è messo in nostro processo.

N. 6 — Magnifieis dd. et tamquam patrib[us] carissimis, Conser-
vatoribus populi civitatis Urbisveteris ete.

Magnifici tamquam patres carissimi. Ritornano ad voi Stefano
dalla Massara et ser Luccio, vostri anbasciadori; et intesa loro
inbasciata, ve respondo a tucte le parte, como per loro ve sarà
dichiarato. A’ quali ve prego ve piacia darli piena fede quanto la
mia propia persona, certificandove che per certi boni rispecti l’a-









BRAOCIO DA MONTONE, ECC. 161

emo ritenuti fino al presente dì; sì che de la restantia loro non
ne prendete admiratione. Parat: ete.
Dat. extra portam Castri Bon:, XIIIJ iunii.

Braccius de Fortebraeeiis ete.

N. 7 — Magnificis dominis et tamquam patribus carissimis Con-
‘servatoribus pacis et populi civitatis Urbisveteris presidentibus.

Magnifici dd., tamquam patres carissimi. Vene là (A)ngnelo
da Montaltro, appresentatore della presente, al quale ho comisso
| ve dica certe cose per mia parte. Pertanto ve prego ve piaccia
darli fede quanto la mia propia persona. Parato ete.

In eastro Bonon:, XXVIJ iulii.

Braccius de Fortebracciis ete.

N. 8 — Magnificis patribus caris ... Conservatoribus pacis, Ur-
bevetano populo presidentibus.

Magnifici patres carissimi. Vengono là mastro Cola de Ja-
couzo et ser (F)ilippo da (D)iruta, informati de mia intentione: a
li quali dagete fede como a la mia persona.

Dat. in castro Sancti Petri, die XVIIJ augusti.

Braccius de Fortebracciis, Montoni: Comes, Capitaneus ete.

N. 9 — Magnificis dd. tamquam patribus [h]onorabilibus. Conser-
vatoribus pacis ac Urbevetano populo presidentibus ete.

Magnifici dd. tamquam patres honorabiles. r, venuto a me
Pietro de Simonetto de Malabranehe, vostro citadino; et udito
quanto à ditto per parte vostra. Per la decta cagione, mando di
là ser Giovanni da Montone, mio Cancelliero; al quale è commesso
quello si degga fare per [m]antenimento et stato de tista cità; la
quale commissione è in forma. ...rite.

In castro Sancti Petri XIIJ ottubris.

Braccius de Fortebraccis etc.

N. 10 — Magnificis honorabilibus amicis carissimis Conservatori-
bus pacis Urbevetano populo presidentibus.

Magnifici et honorabiles amiei carissimi. Perchè ò sentito buona
fama di ser Pietro di Stefano, vostro caro ciptadino et ene a me
singolare amico per le sue virtude, et a’ virtudosy so dexidaroso
servire et exaltarli come meritano, vi prego vogliate rimanere
contenty fare la eleptione del decto ser Pietro de la podestaria del
vostro castello di Lugnano, del vostro contado, per sey mesi pro

11

162 R. VALENTINI



ximi che vengono, immediate fornito lo offitio del presente podestà,
che lì risiede, pero ch’io gliel è promesso et so contento ch’ esso
sia cosy deputato, com'io vi serivo, con quelli honori, utili, et emo-
lomenti et carichi che vostra consuetudine richiede, sperando in
dio e ne la sua virtù si portarà per forma, che voy et io n’ aremo
contento assay, et lui meritevelmente el deputaremo ad altri exer-
eitii oceurarà per l'avenire etc. Datum in castro Saneti Perii co-
mitatus Bononiensis die XVIJ decembris.

Braccius de Fortebracciis

Montoni Comes Capitaneus

N. 11 — Magnificis et honorabilibus tamquam patribus carissimis
Conservatoribus paeis Urbevetano populo presidentibus ete.

Magnifiei et honorabiles tamquam patres karissimi. Per pace
et quiete della vostra città d'Urvieto ò deliberato mandare al go-
verno di cotesta vostra città el Magnifico huomo messer Rugieri, I
Conte d'Antignalla ete, mio honorabile chome padre: perche spero, x
mediante le sue vertü et buone operatione, seghirà quel ch'io ó
| detto; e a voi serà consolatione et a me honore. Et pertanto vi
pregho, quanto so et posso, vogliate lui ricevere, ubidirlo et hono-
rallo quanto la mia propia persona; però che dovete sapere quanto
lui è servidore di Sancta Chiesa e a me honorabile, come detto 5;
e allui credere quello che ve dirà per mia parte, quanto alla mia
propia persona. Paratus ete.

Dat: in eastro Saneti Petri, die XXV* martii.

Braeeius de Forte Braeeiis, Montoni: Comes, Capitaneus ete.

N. 12 — [1417] gennaio 30. Rif. CXXIV c. 117 t.

Avendo gli uomini del castello di Massaia, contado di Or-
vieto, presentato una suppliea « Quod cum propter guerras et
eonditiones Civitatis Urbevetane fuerint adeo ita abstrieti pro
preterito, quod non valuerunt terras colere et serere, ymmo
quasi pro maiori parte relinquere proprium ineolatum, et etiam
propter transitum magnifiei capitanei et comitive eiusdem Tar-
talie de Lavello, quando adcessit ad campum magnifici domini
Bracci ete, adcesserunt, spoliaverunt eosdem homines et massarios
dieti loci animalibus eorumdem, et remanserunt denudati et ta-
liter, quod cohuntur, nisi aliter provideatur ne graventur ulte-
rius, propium deserere incolatum, quatenus Vestra Magnificentia
dignetur ne ipsi cohantur extra comitatum eorum mendicata
suffragia postulare: Actento etiam quod alia dampna a regimi-



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BRACCIO DA MONTONE, ECO. 163



nibus civitatis Perusine, ante quam prefatus magnificus dominus
Braccius capitaneus ete. dominium diete Civitatis Perusine ha-
beret, in animalibus et captivis receperunt, propter quod sunt
quodamodo ad inopiam deducti, dictam universitatem et homi-
nem (sic) dieti loci eximere et exemptos et immunes facere ab
omnibus et singulis gabellis, buecharum et assigne fructuum ac
etiam impositionibus et dativis, quomodocunque et qualitereunque
et quibuscunque de causis, ae etiam subsidiis impositis tam per
eomune Urbevetanum, quam per alios quibuscunque nominibus
censeantur usque in presentem diem et pro tempore preterito
et per ipsum tempus et pro futuro pro eo tempore, quo V. M.
videbitur et placebit ... Et similiter inteligatur gratia predicta
hominibus et personis vestri castri Melonte ... »,

si concede la grazia « usque in diem in qua venit magnificus
capitaneus Jacobus de Archipresbyteris in civitatem Urbeveta-
nam. Et a dicto die usque in presentem volumus supersedere
usque ad aventum nostrum in dictam civitatem, si in contrarium
non scriberemus. Et similiter volumus de castro Melonte.

« Ego Iohannes de Montone, cancellarius ete de mandato ma-
gnifici et potentis domini Bracci de Fortebraccis ... scrissi et
sigillavi ... MCCCCXVIJ et die penuitimo mensis Januarii in
Roccha Contrada ».

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N. 13 — Magnificis dominis tamquam patribus Conservatoribus
paeis populo eivitatis Urbisveteris presidentibus etc.

Magnifici domini et tamquam patres carissimi. Ho ricevuto
vostra lectera, enteso quanto in essa se contiene, respondove; fate
como me serivete. Et per che sono certo ve contentarite de omni
mia cosa prospera, ve adviso che a dì V del presente mese aves-
simo Civitella d'Arno, Ripa et San Gilio, et ieri, a di VI, avemo
avuto Ponte val de Ceppo, Peretola, Pontefileino, la villa de Piti-
gnano, la Colombella, Ponte de Pattoli et Pilonieo. Como le cose
seguiteranno, ve ne advizaró. Paratum ete. In nostro felici campo
iuxta Pontera saneti Joannis VII madii.

Braccius ete.

N. 14 — Magnificis dominis et tamquam patribus honorabilibus
Conservatoribus pacis et populi civitatis [Urbis]veteris presiden-
tibus ete.

Magnifiei domini et tamquam patres earissimi. Pietro de Si-
monetto, Antonio de Lippo et Placito di Pietro aveno l'anno passato

164 R. VALENTINI



la gabella del passaggio, della quale aveno poco utile, como dovete
esser informati: et per tanto ve prego per mio amore per questo
anno presente sia loro conceduto la gabella dello straordinario ; et
de ciò me ne farete assai appiagiere, per restoro di quelli. Paratum
ete. in eampo nostro iuxta Castrum Veti penultima Madii.
Braecius ete.

N. 15 — Dilecto Caneellario nostro Ser Joanni de Montone in Ur-
beveteri.

Dileete noster. A questi di, quando ti partesti de qui, io ti
commesi fossi con Messer Rugieri et ordenassi che Giovanni da
Deruta fosse e’ qui con li fanti suoi. El detto Giovanni è venuto
a me, e dicemi là non essere ordenato el pagamento suo, et per
questa cagione non podere menare li compagni. Per tanto anderai
a testi magnifici Conservatori e di lo’ per mia parte che questo
non è quello che me disse Amerigho e ’1 compagno, quando ven-
nero a Castello San Pietro, che promissero pagare cinquanta fanti.
Loro sanno bene de che luogho se degono trarre li denarii. Secondo
me dice, Giovanni non à avuti tanti denari da cotesto commune,
che ne pagasse quattro fanti. E fa presto et vientene a campo.
Datum in eampo nostro feliei iusta Mantignanum VIII* Junii. E

Braecius ete.





N. 16 — Magnifieis dominis et tamquam patribus carissimis Con- :
servatoribus pacis Urbevetano populo presidentibus etc. [Fuur, »
Cod. Dip., 668]. :

Magnifici domini et tamquam patres carissimi. .

Reeepi lieteras vestras pariter et instrumentum deliberationis ,
Civitatis Urbevetane, que vere peculiaris est Sanete M. E., pro qua
S. M. E. defensione prontus sum, prout et semper fui, subponere
omnem meam potentiam omneque effortium, perieulisque quibu-
seunque pro defensione eiusdem me submietere. Ideo electionem,
quam adunantia et universale consilium urbevetanum de me fecit,
leto corde speque sincera emulos Ecclesie propulsandi, accepto in i
nomine domini nostri Iesu Christi. Cives persuadeatis, ut illari animo
contra emulo (sie) resistant, quia omnem potentiam meam omneque
effortium habebunt. Quibuseumque paratus.

Datum in eampo nostro iuxta planum Montis de Cornu XIIII
Junii. Braccius etc.



N. 17 — Magnificis dominis tanquam patribus carissimis Conser-
vatoribus paeis Urbevetano populo presidentibus etc.









BRACCIO DA MONTONE, ECC. 165

Magnifici domini et tanquam patres carissimi. Per che al pre-
sente per buona casione ho streetissimo bizongno de Iohanni da
Pisa, mio conestabile, per tanto vi prego che sensa niuno fallo
provediate che lui possa recivere le arme suoi et de suoi compagni,
et acordare li debiti suoi per fino alla quantità de cento fiorini
d’oro et de questo ve piaccia non farmene scrivere più; che, las-
siamo stare tenga fede che soveniate di quello che ha servito e
decto, ma tengo speranza che per uno buono et vostro et nostro
stato me mandassate III cento fanti. Si che ve prego non manchi
per questi cento fiorini la venuta sua, che me seria troppo sconcio :
et per caso non li voleste pagare de vostro, fate ragione de pre-
starlimi et io ve rendarò. Iterum alla parte de messer Ruggieri,
ve dico esso subito tornarà da voy, et non fu mai mio pensiero
mandare lì Angelo da Montalero, nè fomme domandato; si che per
questo non bizongna aggiate niuno pensieri. Et oecorrendo caso
io avessi bizongno de luj, provederò de persona che sarite bene
contenti. Paratum ete.

In campo nostro iuxta planum Montis de Cornu XIV Junii.

Braccius ete.

N. 18 — Magnifieis dd., tamquam patribus carissimis, Conserva-
toribus pacis Urbevetanis ete.

Magnifiei dd. tamquam patres carissimi. Come più lettere
v’ò seripto, come io. concessi la gabella de lo extraordinario a
Pietro de Simonecto et ad Antonio de Lippo et a Placito de Pietro
per danno et interesso de la gabella del pasagio. Et pertanto vi
prego li voliate concedere et comandare al Camorlengo del Comuno
che lo’ faccia la rifidanza per questo anno. Et de ciò vi prego non
bisogni che scriva più. Paratus ete.

In campo nostro in Plano Bucarellorum, XXVIIJ iunii, VIIIJ
indietione. |

Braccio di Fortibracci, Conte di Montone, Capitano etc.

N. 19 — [1416] ind. IX, luglio 11. Rif. CKXIV, c. 35 t.

« Lietera ambassiatorum ad d. n. Braechium direetorum vi-
« delicet:

« Magnifieo domino et strenuo capitaneo Braccio de Forte-
« bracciis, comiti Montonis, in partibus Ytalie pro saneta Romana
« Ecclesia capitaneo generali, domino nostro et proteptori precipuo,

*















DIGA IRIS I re III

166 R. VALENTINI



« Magnifice domine et strenue Capitanee, domine et proteptor
noster precipue, debita recommendatione premissa. Quia tanta
sit alacritas animi, quanta fuerit consideratio rey super nonnullis
circha unionem solidatam et reintegrationem huius vestre Civi-
tatis, pariter et super reductione castri Montisleonis ad obbe-
dientiam huius vestri Comunis reintegrandi, vestre dominationi
insinuandis, duximus destinandos nobiles et sapientes viros do-
minum Romanum Leonardi et Nicolaum Bartholomey, concives
nostros diletos et oratores habunde informatos, supplicantes au-
tem quatenus Vestra Dominatio dignetur eorum explicationibus
ceu propriis et cum exauditione benigna fidem stabilem impar-
tiri. Eamdem Magnificentiam Vestram altissimus conservare di-
gnetur feliciter et logneve. Dat: in Civitate vestra Urbevetana
die XJ julii, indictione VITIJ.

« Eiusdem Dominationis Vestre servitores, Conservatores pacis
populo Urbevetano presidentes ».

« Capitula ambassiate:

« Imprimis eongaudere et letari de reintegratione et unione
civitatis et gratias agere et in forma regratiari super materia et
commendare dominum Rugerium.

« Item recommietere comunitatem in genere et in spetie prout
decet.

« Item intercedere quod de voluntate dominationis sue castrum
Montisleonis reducatur ad obbedientiam Comunis.

« Item recommictere comites de Titignano ».

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N. 20 — Magnifieis dd., tanquam patribus honorabilibus, Conser-
vatoribus pacis civitatis Urbisveteris ete. [FuMr, Op. cit., 669].

Magnifiei dd., ut patres honorabiles. Per volerve fare parte
de le vietorie havute per noy dal lato de qua, per lettra non ve
avisamo, ma per li nobili huomini messer Romano et Nicolò da
Torre, vostri honorabili citadini, ve exprimeranno a pieno el tueto,
come le cose sonno andate; perchè da principio al fine sonno stati
su lo facto. Li principali de li presi sonno: Carlo Malatesti, Ga-
leazzo, figluolo de Malatesta da Pesaro, Cicholino, Guidone, suo
nepote, Carlo de Pii, con molti altri huomini de auctorità con tuete
loro gente d'[arm]e a piey et a cavallo. Piacciave sopra ciò dare
fede a li predecti, quanto a me proprio. Paratus etc.

In campo nostro contra Perusium, XIIJ iulii, VIIIJ* indietione.

Braccius de Fortebracciis, Comes Montonis, Capitaneus ete.







BRACCIO DA MONTONE, ECO. 167



A la expositione de la vostra imbasciada de la pace è bene
inteso, chiamandomene contento, et cosi ve pregho siquitiate.

N. 21 — [1416] ind: IX, luglio 19. Rif. CXXIV, e. 40. [Fuur, Op.
cit., 669].

« Magnificis viris et fratribus carissimis, dominis Conservato-
ribus pacis civitatis Vrbisveteris.

« Magnifici Viri et fratres carissimi. Hodie adectus sum po-
xessionem dominii alme civitatis Perusii, translato in me do-
minio per universum populum perusinum, ipso populo letanter
exultante. Quod vobis ad gaudium numptio. Dat Perusii. die
XVIIIJ Julii, VIIIJ Indietione.

« Braccius de Forte Bracciis ! capitaneus ete. ».
« Comes Montonis Perusii dominus '

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N. 22 — Magnificis tamquam patribus karissimis Conservatoribus
pacis et populi civitatis Urbisveteris etc.

Magnifici tamquam patres karissimi. Perchè el Podestà de lì
s’è portato bene per lo passato, pertanto volemo li faciate fare la
ellectioni per gl’altri sey mesi proximi da venire in quella forma,
che è usanza.

In campo nostro contra et iuxta Sanetum Severinum, XIIIJ
augusti.

Braccius de Fortibracciis, Montoni Comes, Peruxii dominus,
Capitaneus ete. ;

N. 23 — [1416] agosto 22. Rif. CXXIV, c. 47 t.-48.

Sono eletti Corrado « de Monaldensibus », conte Ranuccio
« de Corbario », Pietro « Butii » e Monaldo « Stephani », amba-
sciatori a Braccio.

Lettera credenziale in persona dei suddetti Corrado « de Mo-
naldensibus », conte Ranuccio « de Corbario », Pietro « de Domi-
nicalibus » e Monaldo « de Magaloctis ». i

« Datum in vestra Civitate Wetana, die XXIJ mensis Agusti,

« indietione VIIIJ » ete.

« Copia eapitulorum que portarunt dieti ambassiatores, vide-
« licet:

« In nomine domini amen. Anno domini millesimo CCCOX VJ
« indietione VIIIJ die XXIJ Agusti. Capitula explieandorum ma-
« gnifico d. n. Braccio per oratores Urbevetanos, videlicet :

« Imprimis recommietere dominationi sue comunitatem et ci-
« ves, universaliter et in forma.

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168 R. VALENTINI



« Item exultare et congaudere de vietorii[s] et triumphis sue
dominationis prout decet.

« Item enarrare et exprimere pure, fideliter et cum dilectione
et unione easum occursum et errorem hiis diebus et postulare
super eo remissionem et induglentiam (sie).

« Item postulare quod sua dominatio dignetur tali ordine et
modo effeetivo providere et prout eius dominatio videbitur con-
venire, quod imposterum casus similes et errores nequeant modo
aliquo evenire.

« Item si eontingat dominationem suam repatriare et ad has
partes venire, supplieare et postulare quod eius dominatio velit
visitare et aecedere ad hane suam Civitatem, quoniam erit ma-
xima consolatio et gaudium totius comunitatis et eivium.

« Item rogitare et supplieare quod dignetur providere quod
d. Rugerius faciat continuam et assiduam residentiam in civitate
Wetana, quia communitas et cives egent et contentantur quod
« locumtenens sit ibi assiduus.

« Item recommietere sue dominationi comites de Titignano in
« forma et postulare gratiam pro eis, et offerre quod dispositi sunt
« prestare ydoneas cautiones, quod erunt fideles servitores et obe-
« dientes sue dominationis ».
« Cinaldus de Interanne
« eancellarius Wetanus

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subseripsit ».

N. 24 — [1417]. Rif. CXXIV, c. 110 t-111.

Suppliea di Pier di Giovanni « Angelutii », cittadino orvie-
tano. Espone che molti anni fa abitava in Cusioi della Pieve « et
« ante rebellationem presuntam per homines Castri Plebis, et tem-
pore quo dieti homines et terra Castri Plebis erant sub obbe-
dientia magnifici domini Braccii ete. ». Allora mandò in O. « ad
conducendum et perficiendum sex pannos lane ad Petrum An-
gelutii, Coneiatorem de Vrbeveteri »; e questi li tinse « in co-
loribus cupi et aggorini et celestrini. Et unum de ipsis sex
pannis, coloris bisi, conduxit ad finem. Et quod, superveniente
rebellione hominum Castri Plebis, ipsa rebellione presunta et
occaxione dicte rebellionis contra dietum dominum Braccium,
magnificus vir dominus Rugerius comes de Antignalla, tune lo-
cumtenens ... Braccii de forte Bracciis ..., ipsos pannos, qui erant
apud dictum Petrum Agnelutii, tolli, vendi et alienari fecit »,
chiede indennità.

Febbraio 10:

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BRACCIO DA MONTONE, ECC. 169

Cinello « Alfani » luogotenente « dietam supplieationem si-
gnari fecit, si predieta vera sunt, et non aliter » ...

N. 25 -- [1416] settembre 18. Rif. CXXIV, e. 59.

« Copia lietere responsive. A tergo:

« Magnificis patribus carissimis Conservatoribus pacis civitatis
Urbevetane ete.

« Magnifici patres carissimi. Ho receuta vostra lettera co la
interclusa copia che mandaveno a li priori de la Pieve; et pa-
reme avesseno facto bon penseri ad cercare ad redureli a obe-
dientia de lu nostro signore, et farvi como fanno li boni et per-
fecti amici et servetori de lu loro Signore. Ma per alcuna oca-
sione, la quale me taccio, non m’è paruto la decta leetera an-
dare. Paratus etc. In Paeiano XVIIJ septembris.

« Cherobinus de | de Perusio generalis commissarius et

« Armannis loeumtenens ete. ».

N. 26 — « Magnifieis dd. et tamquam pat[r]ibus earissimis, Con-

servatoribus paeis populi civitatis W. presidentibus ete. ».
« Magnifiei dd. et tamquam patres carissimi. Avemo ricevuto

'vostra lectera con eerte copie interchiuse, le quali rispondeno

Ulisse delli Ursini, Fucciole dalla Rocha et Johanne Lorenzo da
Montecalvello, de’ modi non buoni tenuti contra testa Comunità.
Et inteso tueto, rispondemo che pensamo venire ad certo acordio,
como poterite vedere per una copia de una lectera, la quale
mandamo ad misser Rugieri, che n'à mandato el magnifico Sig.
M. da Cesena. Et questo pensamo sia presto. Et spacciato che
averimo dal eanto di qua, verremo subito là da voi; et prove-

‘ darimo a tucto quello serà de bizongno. Et ad ciò che siate

advisati delle cose occurenti di qua, ve notificamo como, per la
Dio gratia, avemo reducto ad obbidientia de Sancta Ecclesia
omni cosa dapresso a Fano ad cimquanta (?) milia, perfino ad
Ascoli; e levato via tucti li hoffitiali de’ Malatesti et missocie i
nostri; salvo Yesi, del quale havemo avuto una gran parte delle
suoi eastelle. Et subito speramo avere i[l| resto. Similiter ve
advisamo, como semo conlegati con la May.tà de Re, et dovemo
tenere amici per amici et inimici per nimici. Et da essa May.tà
avemo una grande et bona provitione. Et pertanto se giente
niuna, da cavallo o da pe’, passasse o volesse passare de là, che
fusse nimica e gisse per esser alla prefata May.tà, farete per
modo niuno non sia lassata passare. Et adtendete a stare paci-







170 R. VALENTINI



< fitamente et uniti insieme, perchè non me porite fare magiore
< piaziere ».

« In campo nostro, apud Sanetam Mariam de Moleis de eo-
« mitatu Exii, XVIJ Septembris ».

« Braccius de Fortebraccis, Montoni

P : capitaneus ete. ».
« Comes, Peruxii dominus, P

N.27 — Magnificis viris, amicis nostris precarissimis, Conservatoribus
pacis, presentibus et futuris, Urbevetano populo presidentibus ete.

Magnifiei viri, amiei nostri precarissimi. Haviamo vedute certe
bullette facte per li vostri predecessori di certi denari, como in
esse se contiene, li quali ser Francescho de Thomaso da Orvieto,
nostro dilecto Cancielliero, de’ recevere: et pertanto piacciave farli
assignare, per pagamento de essi denari, la gabella dello extraor-
dinario de questa ciptà: et così ve piaccia fare fare, perchè così
è nostra intentione gli sia assengnata statim di po' finita 1’ assi-
gnatione facta d’essa gabella a Placito de Pietro da Orvieto et
suoi compagni, già gabellieri del passaggio. Et così ve piaccia
farli fare autentica scriptura della vostra Canciellaria, acciò che
la dieta assignatione habbia pieno effecto per fino ad integra sa-
tisfatione de essi denari, non obstante qualumqua cosa fusse in
eontrario, ordine o consuetudine.

Rocche Contrate, primo februarii M°CCCC°XVIJ°.

Braccius de Fortebracciis, Montonis Comes, Perusii dominus,
Capitaneus ete.

N. 28 — Magnificis viris precarissimis nostris, Conservatoribus pacis
populo Urbevetano presidentibus ete. [Edita dal Fuwr, Cod. Dipl.669].

Magnifici viri precarissimi nostri. Felieissimum remur bello-
rum eventum, si post elaram ex hostibus victoriam eontingat vie-
torem perfrui leta pace. Congratulari igitur et gaudere multipliei
ratione opportet, tum quia nulla in parte causam belli dedimus,
prorsus innoxii, nullis provoeavimus iniuriis ad bellorum primordia
Magnifieos et Excellentes dominos de Malatestis, qui nos, ut notum
est omnibus, inexorabili haetenus bello fuerunt tam pertinaciter
atque hostiliter usque in agros patrie persecuti; tum etiam quo-
niam Dominus exereituum, Dominus propugnator fortis iustitie,
qui doeuit manus nostras ad prelium, dedit nobis felieem ex ho-
stibus vietoriam reportare; tum presertim quia virili decertatione
tandem, Deo auxiliante seu reconciliante, promeruimus, bellorum
finem optimum, solidam pacem contraxisse cum hiis tam potentibus
hostibus, non minus honorifice quam felicem iam conelusam. Unde



BRACCIO DA MONTONE, ECC. TT



ratam spem concepimus animo confidenti, ut quidquid molestie seu
detrimenti bellum induxerit, id totum future pacis dulcedine ab-
stergetur. Quare letamini in Domino, qui posuit finibus vestris
pacem, nec minus intimi cordis gaudia exterius iocunditatis facibus,
juxta rerum exigentiam, ostendatis.

Roeehe Contrate XVIIIJ februarii 1417.

Braccius de Fortebraciis, Comes Montonis, Perusii dominus,
Capitaneus ete.

N. 29 — Magnificis prekarissimis nostris Conservatoribus p[aci]s
civitatis Urbevetane.

Magnifici prekarissimi nostri. Avemo veduto una lectera, che
Messer Xpofaro, costì Vicario, scrive a Luogotenente nostro, me-
ravigliandosi, lui e voi, che non avemo a voi notificata la pace,
come a li altri circustanti. Di che, veduta quella, non meno avemo
d’amiratione, che avessate dovuta aver voi, considerato che avamo
commessa la lectera della notificatione della pace a voi e alla vo-
stra Comunità, come a l'altre. Ma avemo trovato che lo difecto
fu che il messo, che portava piü che una delle dette notificationi,
li caschò, secondo che lui dice, quella, che a voi mandavamo. Il
perchè possete comprendere, ove il diffecto giace. E pertanto per
questa vi certifichemo che la pace è faeta e per facta la possete
fare bandire e notificare col nome e gratia di Dio.

Dat: Perusii, die XXVIIJ° februarii, X* indictione.

Braccius de Fortebracciis, Comes Montonis, Perusii Dominus,
Capitaneus ete.

N. 30 — « Egregiis viris prekarissimis nostris Conservatoribus
« paeis populo nostro eivitatis W. presidentibus ete. ».

« Egregii viri prekarissimi nostri. Sono venuti da noi Johanni
da Diruta et Antonio da Castello Durante, nostri Conostabili a
pie’, li quali ne dicono degono havere certa quantità de denari
da cotesto Comune, quando loro fuorono li per estanza: et onno
assai pegni et etiamdio de più denari onno data la loro fe’ a li
debitori. E pertanto volemo che operiate quello resto degono
havere, senza indugio di tempo et letigio niuno sieno plenarie
sadisfatti de la mità de le lor paghe, ciò è del tempo stettero
eosti. Ineomenzarono in kalende de dicembre et finierono all’u-
scita de jungno. Et questo è nostra intentione ».

« Dat: Perusii, die XJ° maii, X* indictione ».

« Braccius de Fortebracciis
« Comes Montonis, Perusie etc. ».

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172 R. VALENTINI




N. 31 — Magnificis viris precarissimis nostris Conservatoribus pa-
eis, Urbevetano populo presidentibus ete.

Magnifici viri, preearissimi nostri. Como voi savete, dello
tempo che servi li Jhoanni da Diruta et Antonio da Castello Du-
rante restaro advere certa quantità de denari. Et pertanto ve priego
che diate modo che loro aggiano li dieti denari. Et se al presente
non se può del tucto, almeno ne aggiano una parte. Valete feli-
eiter.
Datum in campo nostro prope Collemscipionem, die X X^ maii,
X* indictione.

Braeeius de Fortebracciis,
Comes Montonis,
Perusii ete.



N. 32 — Magnificis viris et precarissimis nobis Conservatoribus pa- T
cis nostre civitatis Urbisveterìs. (Edita dal FumI, Cod. Dipl. p. 670). E.

Magnifici viri et precarissimi nobis. Suadentibus diseordiis í
huius patrie et maxime istius alme Urbis, propter quod imminens
et evidens prelibate patrie et Urbis exterminium sequebatur, manu
dextra propitiante, Reverendus in Xpo pater et d. d. Legatus
una eum euntis Reetoribus alme Urbis me vocaverunt, ne tantum
exterminium ineureret ipsa Urbs: zelo enim patrie et diete civi-
tatis pacis caritate commotus vestre dileetione (sic) innoteschat,
qualiter die XVJ istius mensis, autore Domino, sine quo nil boni
perfieitur, almam Urbem intravi cum voluntate primeva totius
populi et Comunis prefati. Et optentis vexillis Sanete Matris Ec-
clesie et populi prefati per manus Conservatorum Camere, Capu-
rionum et aliorum multorum diete civitatis, ipsi. vice et nomine
antedieti populi et Comunis, obmissis sollenitatibus interventis, me
protectorem et defensorem prelibate Urbis summo eum immenso
gaudio receperunt; et in signum huius prememorata vexilla in
meis propriis manibus assignarunt. Quod quidem vestre dilectioni
duximus intimandum. Quam spero secundis prosperitatibus mee
(sic) successibus affettione letissima cumgaudere.

Dat: in Urbe, die XVJ iunii.

Braccius de Fortebracciis, Montonis Co[m]es, alme Urbis Pro-
teetor et defensor, Perusii ete.



N. 33 — Magnifieis dd. Conservatoribus pacis in eivitate Urbisve-
teris presidentibus, honorabilibus fratribus karissimis.
Magnifici dd., honorabiles fratres karissimi. Il nostro illustre









BRACCIO DA MONTONE, ECO. 173



Signor Braccio mi scrive per lo sospecto, che è, che quelle brigate
de’ Malatesti non passino di qua, che io richiegga testa vostra
magnifica Comunità di fanti cento. ‘E perchè io non vorrei che la
vostra Comunità avesse spesa non bisognando, prego la V. S. che
vi piaecia essi cento fanti meeterli in ordine e trovarli, si che,
acaggiendo il bisogno, mandando per quelli, prestamente li possa
avere. E io non vi manderò, se ’1 bisogno non sii. E sopr:
questo vi prego vi piaccia rispondermi, sì che io sia avisato con
quanti posso essere, se ’1 caso venisse, ricordandovi che per lo
stato del Signor nostro ciaschuno de’ essere pronto et favorevole.
Paratus ete.

Dat: Perusii XJ* agusti, X^ indietione.

Bindaccius de Fibindacciis de Rieasolis, Perusii ete. Locum-
tenens.

N. 34 — Egregiis viris precarissimis nostris, Conservatoribus pacis
populo Urbevetano presidentibus etc. (Edita dal Fuwr, Cod. Dipl.
p. 672)

Egregii viri prekarissimi nostri. Perché siate avisati de le cose
occurse in Roma, a vostra chiarezza vi notificamo come essendo
noy a Roma, et trovando infinite traetati contra lo stato nostro,
per li quali tractati aveamo ne li mani nostri molti cittadini, et
non volendo essere cagione de la diffatione di quella terra, nè ancho
mectar mano nel sangue romano, pigliammo a partito de lassare
quella terra in libertà de li cittadini, e liberamente, quelli aveamo
per li tractati, lassarli et perdonarli la vita; et cossì seguemmo per
effecto. Et essendo nello palazzo appostolico a la presentia nostra
più baroni et notevoli cittadini, a li quali notificammo liberamente
la intentione nostra, certificando che, volendo stare ad obidienza
del futuro pontefice, voleamo omni volta mectar l’avere et la per-.
sona ad defentione di quello popolo, et facendoli bene chiari de
tucti li tractati. Li quali con tucte le solempnità ne pregaro ne
piacesse volere restare anchora alcun dì, et che voleano unitamente
per lo stato nostro morire: e infra '] tempo el populazzo se mecteva
in ponto. Et per questa eagione seguimmo el nostro pensiero, che
ne venemmo a salvamento con tuete nostre brigate, non obstante
i deeti romani aveano fatto condure Sforza apresso a Roma, a einque
miglia, et sollieitando la venuta sua. Per la gratia di Dio le cose
sonno seguite in bona forma, et avemo deliberato a tueti li abisogni
de testa nostra terra, posposti tueti gli altri, atendare eon solli-
citudine et simelmente pregamo voi confortiate testi eiptadini stieno







174 R. VALENTINI

di buona voglia; certificandove come aven dicto che prima aban-
doniremo omne altra cosa che voi.

Datum in eampo nostro iuxta Narniam (?), die XXVIIIJ* au-
gusti, X* indictione.

Braccius de Fortebracciis, Comes Montonis, Perusii ete.

N. 35 — Nobilibus viris prekarissimis nostris ... Conservatoribus
pacis civitatis Urbisveteris.

Nobiles viri precarissimi nostri. Haviamo deliberato che a dì
XIJ del mese de luglio, nel quale è la gloriosa festa d[e]l beato
S. Felice, si faccia una divota e solenne festa ne la nostra città
di Perosgia: et inter alia haviamo deliberato che, a fare et vene-
rare la detta festa, venga certe de le Communità et luoghi a noi
sottoposti, ciaseuna con uno palio, secondo la sua facultà; et che
in questo anno se principii. Et fra 1’ altre Communità et luoghi
haviamo deliberato che la vostra mandi uno o doi di suoi homini,
in nome d'essa vostra Communità, a offerire uno palio de veluto
di fiorini cinquanta di valuta, lì ne la decta nostra città di Peros-
gia. Et pertanto vogliamo et comandiamvi che ordiniate il detto
palio a hora et tempo, che due dì innanzi la decta festa lo agiate
fatto, et ne la decta nostra città di Perosgia presentatolo dinanzi
a chi sarà ordinato lì per lo nostro Luogotenente, et a offerirlo ne
la forma et modo, che vi sarà imposto. Et fate che questo non sia
fallo, per quanto havete caro la gratia nostra: che lo havaressimo
troppo a male.

Dat: in Urbe, XXJ iunii, X* indictione.

Braeeius de Fortebraeeiis, Comes Montonis, Perusii dominus,
almeque Urbis proteetor.

N. 36 — [Specta]bili viro Locumtenenti nostro [Ur]bisveteris, Ci-
nello [Al]fani de Perusio etc.

Speetabilis vir Locumtenens noster. Noi serivemo li alli Com-
servadori per li facti del palio, lo quale avemo deliberato che lo
Comune de testa ciptà lo deggia mandare a Perogia, di valuta de
ducati cinquanta: et questo volemo facciano per nostra contenpla-
tione, et non per niuno altro rispecto. Et per tanto operatece, con
quello bello modo vi pare, doi de testi ciptadini ce lo portino, si
che si ritrovino a Perogia a di XIJ del presente mese, el dì della
vietuoriosa festa de S. Felice. Et ciò non falli.

Data Rome IJ iulii.

Braccius de Fortebraccis, Comes Montonis, alme Urbis defen-
sor, Perusii etc. i











BRACCIO DA MONTONE, ECO. 175



N. 37 — Nobilibus viris prekarissimis nostris, Conservatoribus
pacis Urbisveteris residentibus (sic).

Nobiles viri precarissimi nostri. Como per altra nostra lettera
ve scrivemo, che per honorare la festa del vietorioso dì del beato
S. Felice, la quale haviamo deliberato si faccia in la nostra città
de Perosgia a dì XIJ del presente mese, vi piacessi, per honorare
la decta festa, mandare la al nostro Luogotenente uno palio di ve-
luto di valuta de fiorini cinquanta: et benchè non crediamo sia
di bisogno, pur di nuovo a cautela vi scriviamo, pregandovi che
per nostro piacere faciate fare et mandiate el decto palio. De la
quale cosa ci farete grande apiacere; et non facendolo, lo hava-
remo troppo per male, et non poteressivo fare cosa, che più ci
dispiacesse.

Dat: Rome, IIJ iulii, X* indictione.

Braccius de Fortebraeeiis, Comes Montonis, Perusii dominus,
almeque Urbis protector.

N. 38 — Spectabili viro et Locumtenenti nostro Urbisveteris, Ci-
nello Alfani de Perusio.

Speetabilis vir, Locumtenens noster. Perché nostra intentione
è che si faccia la festa del vietorioso di del beato S. Felice ne la
nostra città di Perosgia, la quale è a dì XIJ del presente mese,
como per altra nostra lettera ve serivemmo, cosi per questa ve
confermiamo che fra l’altre Communità, che vogliamo che vengano
ad honorare la decta festa, haviamo deliberato che cotesta Com-
munità de Orvieto mandi là al nostro Luogotenente ad offerir uno
palio di veluto di valuta de fiorini cinqu[a]nta; como ancora,
quando serivemmo a voi, ne serivemmo ai nobili et precarissimi
nostri Conservatori di cotesta Communità. Et benchè erediamo
non bexogni, pur, à cautela, di nuovo a lor ne seriviamo che, per
piaceri ci possano fare, non voglino mancare di mandare el decto
palio. Et pertanto solicitate che ’1 deeto palio si faccia et mandi,
avisandoli che, si ciò non facessino, lo havaremmo troppo per male
et non poteriano fare cosa, che più ci dispiacesse.

Dat. Rome, IIJ iulii, X* indicione.

Braccius de Fortebracciis, Comes Montonis, Perusii dominus
almeque Urbis protector.

N. 39 — Magnifico viro et Locumtenenti nostro Perusii, Bindacio
de Fibinda[c]iis de Ricasolis.
Magnifice vir Locumtenens noster. Perchè nostra intentione è





176 R. VALENTINI



che si faccia la festa del vietorioso di del beato S. Felice, ne la
forma che per altra lettera vi serivemo, benehé erediamo non sia
di bisogno, a cautela, di nuovo vi seriviamo, et mandiamvi lettere
continente la decta materia, che se dirizano a le Comunità, che
vi debbono mandare i palii per honorare la decta festa, solicitan-
doli di ciò. Et pertanto prestamente mandate le decte lettére, dove
vanno, solicitandogli ancora voi, che per modo alcuno non vogliono
mancare che nol mandino; che cie ne saperebbe troppo male et
non poterebbono fare cosa, che più ce rencrescesse.

Dat: Rome, IIJ die iulii, X* indictione. :

Braccius de Fortebracciis, Comes Montonis, Perusii dominus
almeque Urbis protector.

N. 40 — Magnifieis et honorabilibus fratribus karissimis, Conser-
vatoribus pacis, Urbevetano populo presidentibus.

Magnifici et honorabiles fratres karissimi. Adfuit hie circum-
speetus vir, concivis vester, ser Franciscus Pippi et pro parte ve-
stre Comunitatis, pro honorando festum victorie illustris et excelsi
d. n. Bracii, cuius solepnitas odie celebratur, michi recipienti pro
prefato d. n. Braccio, unum bravium presentavit. Quam ob rem
M. V. Comunitati regratior et de ipsa presentatione commendo,
quoniam fuit actus, quo amor prefati d. n. B. erga Comunitatem
vestram reintegrabitur. Paratus etc.

Dat: Perusii XIJ° iulii, X* indietione.

Bindaccius de Fibindacciis de Rieasolis, Perusii ete Loeum-
tenens. i:

N. 41 — Magnifico Locumtenenti nostro, Cinello Alfani de Peru-
sio in Urbeveteri.

Magnifice Locumtenens noster. Avemo recevuta vostra lettera
et udito quanto n'à detto Pavolo da Bulseno per vostra parte. Re-
spondemo ehe prestissimamente provederimo a la bisogni de testa
terra in bona forma et voi confortate testi citadini per nostra parte,
che stieno de bona vogla. Et darite fede al dieto Pavolo quanto a
noi proprio.

Datum in campo nostro prope Narniam XXVIII Agusti

Braeeius ete. ;

N. 42 — 1447 ... Rif. CXXIV c. 188 t.
« Copia supplieationis illorum de Monteiovio, mandato domini
« Loeumtenentis registrata ».







BRACCIO DA MONTONE, ECC. 177



Debitori al Comune di Orvieto per 59 fiorini d’oro circa, es-
sendo poverissimi, chiedono d’essere esentati da tal pagamento.

« Fiat ut petitur,, manda[n]tes cuicunque officiali, ad quem
« speetat, occaxione predieta predietos supplicantes nullatenus gra-
« vent, set potius ipsos eassent (sic), de dieto libro purgatorii (1).

« Dat: in eampo suptus Narneam XIJ t MCCCOXVIJ,

« X* indictione.
« Prefati domini mandato PE
i B | subseripsit ».
« Lodovieus cancellarius

N. 43 — 1447 settembre. 20. Rif. CXXIV c. 190 t-191.

« Copia lictere talie, videlieet:

« Braccius de Fortebraccis ... Universis et singulis Episcopis,
« Abbatibus, Prioribus, Prepositis, Archipresbiteris, Presbiteris,
« Plebanis, Clericis et aliis Ecclesiarum Rectoribus quibuscunque,
« nee non Comunitatibus, Prioribus, Antianis, Consulibus ae Re-
« giminibus infraseriptarum eivitatum, terrarum, castrorum et
« locorum salutem et huius mandati obbedientiam effeetivam ».

Braeeio, perehé le terre, sub fidelitate s. m. E. existentes,
possano fruire della pace e sian difese dai nemiei della Chiesa,
desidera, ut est de voluntate et consensu m. fratris nostri Tartalie
de Lavello, provincie Patrimonii ae terrarum specialis commissionis
rectoris etc, che si paghi il sussidio dovuto, passato e presente,
nella misura usata; ut nostre gentes armigere de dictis subsidiis
manuteneantur ete. Ordina, pena il doppio della taglia, il paga-
mento dell’anno passato entro un mese; concede i soliti termini
per i versamenti dell’anno corrente. Nomina ser Giovanni de’ Gre-
goriis de Interamne suo cancelliere, Tesoriere « in hac parte »,
consenziente il Tartaglia.

Datum Narnee in Roccha nostre civitatis predicte etc.

« Nomina Civitatum, Terrarum, Castrorum et locorum sunt
« hee, videlicet:

« Pro anno M:COOCXVJ- ;

« Civitas Urbisveteris duce: IJ"

« Civitas Tudertina due: IIJ"

« Civitas Fulginei due: VIJ*

« Civitas Narnee due: VIJ [*]

« Civitas Interamnis, habuit Tartalia.

« Terra santi Gemmini duc: IJ° L

(1) Vi erano registrati i morosi nel pagamento delle imposte.



178 R. VALENTINI

« Castrum Carbii due: CL

« Castrum Utrieuli due: CC

« Castrum Collis Seipionis due: CC (habuit Tartalia due:

LXXXX; restat solvere due: CXX)

« Castrum Cesarum et alie terre Arnulforum due: CC
Civitas Reatina pro residuo anni preteriti due: V*
Terra Nursie due: mille
Castrum Montisleonis due: CXX
Terra Trevii due: CCC
Castrum Ritaldi due: C
Castrum Gualdi Captanei due: C
Terra Bietone due CL
Civitas Asesii duc: IIIJ*

Civitas Castelli due: IJ"

Terra Cassie due: V*
Episcopus Urbisveteris due: CCL
Episcopus Narnie due: LXXX
Episcopus Interamnis dne: XLIJ
Episcopus Reatinus duc: CCCL
Episcopus Spoletanus duc: CCC
Episcopus Fulginensis duc: CXX
Episcopus Asisensis due: C
Episeopus Tudertinus ... (1).

N. 44 — Magnifieis viris precarissimis nostris, Conservatoribus
paeis Urbevetano populo praesidentibus ete.

Magnifiei viri precarissimi. Noi aviamo veduta la bolla della
Inmunitione del eastello de Fighino, quale ànno li magnifici huo-
mini Currado et Luca; et perchè noi capitulamo con loro obser-
varli omgni loro bolla, per tanto volemo che lo dieto castello
non sia gravato ad neguno pagamento

Valete feliciter. Datum Tuderti XVIJ° Januari

Braccius de Fortebraccis
Comes Montonis

Perusii ete.

(1) Segue la taglia per il 1417, con le variazioni seguenti: « Civitas
Interamnis duc: VJ° » ... « Castrum Collisscipionis duc: CO » ... « Ci-
vitas Reatina duc: VIJ° LXXXX ». Non elencato « Castrum Gualdi Capta-
nei ». E aggiunto nel medesimo anno 1417 « Civitas Spoletana due : IJ" ;
Castrum Stronchoni duc: CL ». Non specificata la taglia imposta al Ve-
scovo di Todi.

BRACCIO DA MONTONE, ECO. 179

. 45 — Magnifieis viris precarissimis nostris ... Conservatoribus
| pacis, Urbevetan[o] populo presidentibus ete.

Magnifici viri precarissimi nostri. Sonno stati da noi li vostri
ambasciatori et exposto bene et laudabilmente loro ambasciata.
Vengono pienamente informati di nostra intentione; a li quali ve
piaccia dare piena fede in quello ve diranno, quanto a la nostra
persona propria. Valete feliciter. i

Datum Montisflasconis, XIIJ° novembris, X* indictione.

Braccius de Fortebracciis,
Comes Montonis
Perusii ete.

N. 46 — Magnifieis viris preearissimis nostris Conservatoribus
pacis, Urbevetano populo presidentibus.
Magnifici viri, precarissimi nobis. Advisamove commo, per
. tranquilità et riposo de tueto el paese, havemo faeta la treva con
la Maestà di madama la Regina per tucto el mese de augusto, la
quale incomincia domenica prox: da venire. Et de po’ la treva
pensamo seguirà buona pace, la quale piacerà a voi et ad tucti li
nostri benivoli. E
Montisflaseonis, XVIJ novembris, MCCCCXV.
Braeeius de Fortibraeeiis, Comes Montoni, Perusii ete.

N. 47 — Magnificis viris, precarissimis nostris ... Conservatoribus
pacis et presidentibus nostre Civitatis Urbeveteris ete.

Magnifiei dileeti nostri. El nostro magnifico fratello e compare
Tartagla ne à pregato e mandato a dire, considerato che piü abi-
lemente et a migliore pregio ve possete fornire de le terre fuore
de sale, che de niuno altro luocho, voliamo dare modo che testa
cità et li altri nostre vicine al Patrimonio, vadano a togliere el
sale ne le terre fuore a Corneto: et esso lo farà dare per compe-
tente et ragionevili pregio. Et perchè en questo et ongne altra cosa
semo desposte a compiacere al prefato nostro magnifico compare
et fratello, et havendo respecto che questo deie essere comodo a
testa cità, et rendemove certe sereti ben tractate, pertanto ve pre-
gamo voliate mandare a prendere el decto sale a Corneto, haven-
dolo per giusto et ragioneveli pregio, come è decto, et possendolo
condure securo. Et de ciò compiacerete al nostro magnifico com-
pare et fratello: et compiacendone a lui, lo haveremo gratissimo,
nè porestevo fare cosa, che più ne compiacessevo. Et supre de ciò





180 R. VALENTINI

el dieto magnifico fratello ve scrive per questa lectera, la quale
ve mandamo aligata.
Interapne, die XXV mensis novembris, MCCCCXVIJ.
Bracius de Fortibraciis, Comes Montoni, Perusii ete.

N. 48 -- 1417 ottobre 18. Rif. CXXIV, c. 194 t.

« Remearunt prefati oratores portantes litteram infrascripti
« tenoris videlicet:

« Magnifieis viris » etc.

« Magnifiei viri precarissimi nostri. Sonno stati da noy li vo-
« stri ambassceiadori et annone exposto loro ambasseiata per vostra
« parte, li quali vengono pienamente informati di nostra inten-
« tione. Pertanto dateli piena fede quanto a la nostra persona
« propia: et de aleune cose ne anno dicto, a la nostra venuta l'a-
« eoneiaremo in buona forma. Valete. Tuderti XVIJ ottobris X*
« indietione.

« Braccius de Fortebracciis » etc.

N. 49 — Magnifieis viris et hon. tanquam patribus karissimis, Con-
servatoribus pacis, populo Urbevetano presidentibus etc.
Magnificis viri et hon: tanquam patres carissimi.
Sapete come qualunche persona serve, del servitio meriti aspetta.
Questo dicemo, perchè lo spectabile homo, Antonio da Montaguto,
nostro hon: Potestà de la ciptà d’Orvieto e nostro caro fratello et
compare, diligentemente ve serve nel decto offitio de la potestaria.
Et pertanto ve piaccia provedere, alluy sia satisfacto del suo sa-
lario di tempo in tempo, come si richiede: et per modo non abiamo
querela, como altra volta abiamo auta delli passati. Però che ad
voy, nè ad noy [non] resulta honore, del quale ne debiamo fare
grande stima. Et perchè si possa più habilmente pagarlo et sup-
prire ‘a’ bisogni vostri, come sapete, s'é levata la spesa del Luo-
cotenente. Per la qual co’ ve piaccia provedere, che non abiamo
materia ad scriverne più.
Datum Tuderti, die XVIJ decembris, X* indietione.:
Braeeius de Fortebraeciis, .
Montonis Comes, Perusii ete.

N. 50 — Magnificis viris precharissimis nostris, Conservatoribus
pacis Urbevetano populo presidentibus.

Magnifici viri precarissimi nostri. Mandiamo da voy Ser Lo-
dovicho, nostro diletto cancelliere et tesauriero, al quale aviamo



BRACCIO DA MONTONE, ECC.

inposto ve dica certe cose da nostra parte; et pertanto in quello
ve dice dateli piena fide quanto a la nostra persona propria et
pregamove, se mai dovete fare cosa che ne piaccia, che, giunto,
lo spaciate, per che per necessità non può dimorare. Et non falli.
Tuderti die XVIJ decembris
Braeeius ete.

N. 51 — Magnificis viris et honorandis tanquam patribus carissi-
mis ... Conservatoribus paeis Urbevetano populo presidentibus.
Magnifici viri et honorandi tanquam patres carissimi. Avemo
ricivuta vostra lettera et inteso Simone di Neri sopra el facto del
‘grano et bestie, tolte ad Nicolò da Castelpeccio. Et pertanto, per
contemplatione vostra, serivemo al Podestà nostro che volemo el
decto grano et bestie ristituescha al decto Nicolò, non obstante
alcuno ordinamento facto in contrario.
Datum Tuderti, die XVIJ*® decembris, X* indictione.
Braccius de Fortebraccis
Montonis Comes, Perusii etc.

N. 52 — Magnificis viris precarissimis nos[t]ris ... Conservatoribus
paeis Urbevetano populo presidentibus etc.

Magnifiei viri, precarissimi nostri. Mandamo da voi ser Lo-
dovico, nostro Thesauriero et Cancielliero, el quale ve dirà aleuna
cosa per nostra parte: et in quello ve dirà, ve piaccia dare piena
fede, quanto a la nostra persona propria. Pregamove che, veduta
la presente, lo facciate spacciare, remossa omgni cagione. Et non
falli per modo alcuno, perchè lo mandiamo per alcuna nostra
buona facenda, che non po’ demorare. Valete feliciter.

Datum Exii, ultimo decembris, X* indictione.

Braeeius de Fortebraeciis, Comes Montoni, Perusii ete.

N. 58 — Magnifieis viris precarissimis, Conservatoribus paeis Ur-
bevetano populo presidentibus ete.

Magnifici viri precarissimi nostri. Avemo recevuta vostra let-
tera, quantunque prima n’avesse decto, per vostra parte, Ser Lodo-
vico, nostro thesarero et camerario. Et inteso quanto mi scrivete,
rispondemo che noi aspectiamo d’ora in hora ambaxadori da no-
stro Signore lo Papa, homini d’autorità, li quali vengono a signi-

fiearme la sua ereatione. Ma non sono venuti, per che venero la
via da Esi, pensando trovarce là. Et come saranno venuti, allora
vi significaremo a voi et a l'altre terre l'alegrezza et la sollepnità



182 R. VALENTINI



condecenti et de la intitulatione et de l’altre cose habiate ad fare.

Valete. Datum Tuderti XIIIJ Januari.

Ceterum lo prenominato Ser Lodovico n’à riferito quanto ef-
ficacemente vi sete portati per la colta, imposta per noi; de la qual
cosa summamente ve ne commendiamo et così vi preghiamo fac-
ciate sollecitare el resto, si che de qui a doi dì, che noi e’ li man-
deremo per lo resto, senza dimora sia spacciato. Et pregamovi,
per quanto amore ne portate, che mandiate per li quattro ante-
posti del chiericato et sollecitateli, per nostra parte, del susidio loro,
si che a la venuta del dieto nostro Ser Lodovico là, senza dila-
tione sia spacciato. Et questo per bono rispecto si DESTORRO spen-
dere in cosa, che sarà nostro comuno bene.

Datum ut supra.

Braccius de Fortebraciis P 2.
: erusii etc.
Comes Montoni
N. 54 — [M]agnifieis viris, precarissimis [nostri]s, Conserv[atori]-
bus pacis, [Ur]bevetano popu[l]o presidentibus.

« Magnifici viri, precarissimi nostri. Viene là lo strenuo et
magnifico huomo, Xpofano da Lavello, al quale, se mai devete
fare cosa, che ne piaccia, ve pregamo li facciate dare cento
cinquanta ducati di denari della Comunità: et a la venuta, che
farà là, de qui a tre dì, ser Lodovico, nostro Thesauriero et Can-
celliero, farà lo saldo et farà lo queto generale de ciocchè sarà
da fare. Et in caso non fussero rescossi tucti, provedete accattarli
o ritorre d’altre intrate, sicchè lo prenominato Xpofano non sia te-
nuto in tempo per modo neguno. V[al]ete feliciter ».

« Datum Tuderti XVJ° ianuarii, XJ* indictione ».

« Braccius de Fortebracciis, 2A
o Perusii etc. >.
« Comes Montonis,
N. 55 — Magnifiecis viris precarissimis nostris, Conservatoribus
pacis Urbevetano populo presidentibus.

Magnifiei viri precarissimi nostri. È stato a noi lo spectabele
homo Antonio da Montaguto a querelarse del so sallario. Pertanto
fate che lui sia pagato et d’entrate del Comuno, salvo de la ga-
bell del macinato et del passaggio.

Tuderti XVIIII Januarii

Braccius de Fortebracciis

2 Perusii etc.
Comes Montoni



BRACCIO DA MONTONE, ECO. 183



N. 56 — Magnificis viris precarissimis nostris, Conservatoribus
pacis Urbevetano populo presidentibus etc.

Magnifici viri precarissimi nostri. È stato da noi Micho de
Noffo da Firenti, habitatore in Orvieto, per cagione de certi denari
dice dover havere dal comune. Pertanto vi pregamo vi piaccia
averlo per ricommandato.

Tuderti XVIIII Januarii.

Braeeius ete.

N. 57 — Magnifieis viris precarissimis nostris Conservatoribus
pacis Urbevetano populo presidentibus.

Magnifiei vlri precarissimi nostri. Quantunqua per una altra
nostra lettera ve serivemmo, la quale in fine era credentiale in
Ser Lodovico, nostro thesauriero et cancellario, de bel nuovo ve
scrivemo in quello ve dirà dareteli piena fede, quanto a la nostra
propria persona. Valete feliciter. Datum Perusii XXIIIJ* Januarii.

Braccius ete.

N. 58 — Magnificis viris precarissimis nostris, Conservatoribus
paeis populo Urbevetano presidentibus.

Magnifiei viri precarissimi nostri. Aviamo recevuto vostra let-
tera, contenente sopra li faeti de Batista de Parrano, de la stanza
fa per lo so venire da noi. Ve rispondemo che ad questo non vo-
lemo che sia seuza niuna. Et che, veduta la presente, sia qua da
noi; et non falli per modo alcuno.

Perusii, penultima Januarii.

Braccius ete.

N. 59 — Magnificis viris precarissimis nostris ... Conservatoribus
pacis Wetano populo presidentibus, etc.

Magnifici viri precarissimi nostri. Noi siamo tenuto al spec-
tabile et egregio huomo, misser Ruggeri da Perusia, ducati 372; et
nostra intentione è volerlo accordare, per modo che sia pagato.
Pertanto volemo che dell’entrate delle gabelle del passaggio et del
macinato de testa ciptà li sia facta assignatione. Volemo cominci
del mese d’aprile; et che possa rescuotere le dicte gabelle d’aprile
et simile per l’avenire, como fruetaranno, per fino arà avuto la dieta
quantità. E perché li avemo obligato le diete gabelle per la dieta
quantità, pertanto voi similgliante gli l'obligate solempnemente.

Perusii, prima Februarii, MCCCCXVIIJ, XJ indietione.

Braccius de Fortebraccis,

) n
Cone Moniga ; Perusii ete.












































184 ; R. VALENTINI



N. 60 — Magnifieis viris precarissimis nostris ... Conservatoribus
pacis, ae Consilio Duodecim civitatis nostre Wetane ete.

Magnifici viri precarissimi nostri. Per altra ve scrivemmo che
voi obligassevo al speetabile homo, miser Rogero da Perogia, la
gabella del passaggio ed del macinato per fiorini trecento septan-
tadoy, che li dovemo dare, avisandovi che noi li havemo obligate
le diete gabelle per la dieta quantità, cominciando a calende de
aprile e non prima: et cusì volemo facciate, dechiarandovi che li
dieti fiorini trecento septantadoy sono fiorini d’oro buoni: et vo-
lemo che le dicte gabelle se risponda et paghi miser Rogero, co-
minzando in calende de aprile, per fin che haverà hauti li dieti
trecento septantadoi fiorini buoni d’oro, come hè dicto.

Perusii, die IIIJ februarii, MCCCCXVIIJ.

Bracius de E.
; .. ! Comes Monton :, Perusii ete.
Fortibraeiis !
N. 61 — Magnificis viris precarissimis nostris, Conservatoribus

paeis Urbevetano populo presidentibus ete.

Magnifici viri precarissimi nostri. Noi aviamo recevuto vostra
lettera et simele ambasciata per Ser Lodovico, nostro thesauriero
e eaneellario. Et de altre parti n'à dieto, a la tornata sua che farà
là, verrà del tueto informato: et inteso quanto ne serivete, fate che
remossa omgni cagion, diate tali et si facti modi, che la nostra
provisione de CCC* fiorini, non remasta in dietro, l'abbiamo et fate
che la relatione aviamo avuta di voi a parole, riesca ad effecto.
Comandate al podestà che rescuota lo subsidio di preti.

Valete feliciter. Davum Perusii VIIIJ februarii.

Braeeius ete.

N. 62 — Magnifieis viris precarissimis nostris ... Conservatoribus
paeis populo Wetano presidentibus ete.

Magnifiei viri precarissimi nostri. Aviamo recevuto vostra
lettera: et quanto a le parti necessarie respondemo. Quanto a quello
scrivete de la strada è stata rocta, vedete modo con omgni dili-
gentia invistigare chi è stato; et ad questo fate con omgni solli-
citudine; et, avuta de ciò informatione, avisatene, che provede-
remo in forma, che remarrete beni contenti.

A la parte ne scrivete che mandiamo dieci lancie lì, per, ca-
gione che lo Podestà non può fare le executioni de le dative, noi
ne maravilgliamo de chi non lo vuole ubedire, et seriviamoli che
verilmente faccia l’otfitio contra chi essere se vuole; et se fusse



BRACCIO DA MONTONE, ECO. 185

neguno che lo impedisca et non lo volglia ubedire, avisicine; et
noi ce provederemo, secondo la exigentia della materia.

Ceterum provedete a la provisione nostra de dicembre et gen-
naro, che non aviamo avuta, avisandove che voliamo altro che
parole: uve che no, et provederemo noi. Valete feliciter.

Datum Perusii, XIJ° februarii, XJ* indictione.

Braccius de Fortebracciis, ; È
; Perusii ete.
Comes Montoni :
N. 63 — Magnificis viris precarissimis nostris, Conservatoribus
pacis Wetano populo presidentibus ete.

Magnifici viri precarissimi nostri. Lo fiostro Podestà de Or-
vieto n’à seripto, como non può avere uno denaro de suo salario;
la qual cosa non è bene ch’el povero gentiluomo sia cusi stratiato;
et pertanto ve pregamo summamente che ce date sì facta provi-
dentia, che lui agia el suo salario. Ceterum noie ve avemo tante
fiate seripto, che deveria oramai bastare; et oramai dirimo la
buona relatione, n'à facta de voie ser Lodovicho, nostro Tesau-
riero et Cancelliero, non sequissce a effecto, per li vostri IIJ° du-.
cati non fece da providentia niuna che l'abiamo. Conoscemo ce
bisognerà ce provediamo noie. Valete feliciter.

Dat: Perusii, XIIJ februarii,, XJ* indictione.

Braccius de Fortebracciis |
DD etc.
Comes Monton:, Perusii |

N. 64 — Magnificis viris precarissimis Conservatoribus Civitatis
Urbivetane.

Magnifiei viri preearissimi nostri. È venuto a me Ser Nicolò
da Perogia, presente portatore, el quale dice devere havere certa
quantità de danari da testa communità per lo offitio stecte eon
iero da Perogia (1), allora in testa cietà Podestà. Et per tanto ve
prego voliate provedere in quella forma e megliore el dieto Ser
Nicolò abbia suo dovere expeditamente.

Perusii XVIII Februarii.

Braeeius ete.

N. 65 — Magnifieis viris dileetis nostris Conservatoribus paeis Ur-
bisveteris.

(1) Octogerius Nicolay de Montemorcino (non Marano come scrisse
il Pardi), podestà dal 4 novembre 1415 al 6 maggio 1416. Rif. vol. CXXIII,
c. 249. 2



186 . R. VALENTINI

Egregi viri precarissimi nostri. Avemo intesa vostra lettera
sopra el fatto de la tratta del grano a la quale respondemo, volemo
lassiate passare quelli che vengono eollo grano del Patrimonio et
de fuore del destrecto vostro, per lo vostro contado.

Datum Perusii III Martii 1418 XI Indictione.

Braccius ete.

N. 66 — Magnificis viris precarissimis nostris ... Conservatoribus
pacis nostre civitatis W. populo presidentibus.

Magnifici viri precarissimi nostri. Perchè noi siamo al. pre-
sente, de qui a cinque o sey dì, per dare denare ay nostri huomini
d’arme, per tanto noy ve pregamo che lo resto de la provisione,
quale restamo ad avere per li mese de dicembre et genaio, ce
diate tale et sì facto ordene, che a la vonuta, che farà ser Lodo-
vico, nostro cancelliero, subito sia spacciato, certificandove che
noy lo mandamo cum commissione che li decti denare dia a certe
huomeni d’arme stanno nel Patrimonio. Sì che datece finale ex-
peditione; che non seria bene che li huomeni d’arme aspectassero
su li arberghe e in n’Orvieto. Et a ciò che le emtrate, quale si
à prese ser Lodovicho predecto, abbiamo materia retornare al de-
bito suo. Et a questo per quanta amore ne portate, non ce mettete
tempo. Valete feliciter.

Tuderti XV martii MCCCCXVIIJ. Ceterum fate che de le selve
de Lerona non ne faciate allocatione niuna.

Liscate ac E Comes Monton: Perusii et[c].
Fortebracciis
N. 67 — Magnificis viris precarissimis nostris, Conservatoribus
pacis populo Urbevetano presidentibus.

Magnifici viri precarissimi nostri. Per quanto amore ne por-
tate, veduta la presente, farete dare dey danare de la provisione
de trecento ducati, devete avere rescosse, a li infrascripti nostri
compagni li infraseripte denare. Et se ogne cosa mancasse, se
deveste avere, e y gabelliere ehe pagheno la provisione ordenaria
de cento cinquanta. Fate che e y decte nostre infrascripte compa-
gne sieno spacciati, et non falli per modo alcuno.

Datum Tuderti XVIIIJ Martii MCCCCXVIII.

Ruffino dal Borgo ducati L.
Torta da Milano ducati L.
Braecius de ,

e Comes Montoni, Perusii ete.
Fortebraeeiis |







BRACCIO DA MONTONE, ECC. 187



N. 68 — Magnificis precharissimis nostris, Conservatoribus pacis
Urbevetano populo presidentibus ete.

Magnifici precarissimi nostri, haviamo inteso che la Comunità
de Orvieto deve dare certi censi al Vescovato et etiamdio la fa-
brica de Sancta Maria: et per tanto ve pregamo che omgni censo
se li de’ dare se li dia, et così fate fare a quelli de Sancta Maria,
et ad noi ne farete gram piacere.

Perusii XVIIII Martii.
Braeeius ete.

N. 69 — Magnificis viris nostris precarissimis, Conservatoribus
pacis civitatis Urbisveteris ete.

Magnifici viri nostri precarissimi. Angelo de messer Francescho
da Peroseia, qual fo vostro podestà, presente portadore, piü fiade
n'à informato che del suo salario non è suto integralmente sati-
sfacto. E pertanto vedete mo’ di dare presto ordene effectivo e suto
sia contento et pagato da voi, si che de tal faccenda non bisogni
ve ne scriva più, però che omai è l'tempo. Valete. Tuderti die
secundo Aprilis. i

nane de í Montoni comes Perusii ete.
Fortebraeciis ' -
N. 70 — Magnificis viris precarissimis nostris, Conservatoribus
paeis populo Wetano presidentibus ete.

Magnifici viri precarissimi nostri. Considerato la laudabile
relatione n’à fatta de vuy ser Lodovico, nostro Cancielliero, che,
nelle cose a nui placiede, non omectite dì nè hora per esse adim-
pire, de ciò ve comendamo et regratiamo, rendendocie cierti cusì
fariti per l’avinire. Et pertanto con ogni distantia ve pregamo che,
quilli cinquanta ducati restaste a pagare del mese de marzo, subito
cielli mandiati a Todi per uno fidato, et che sieno missi al bancho
de Ysaccha. Et non falli per modo alcuno.

Peruxii IIIJ° aprilis XJ indict:. Ceterum fate che sia oro et
non bayocchi.

Braeeius de Fortebraeeiis | p:
: Peruxii ete.
Comes Montonis

N. 71 — Magnifieis dd. prekarissimis nostris, Conservatoribus pa-
cis cicitatis W.

Magnifiey dominy prekarissimi nry. Per questa vi notifichiamo
come avemo compiaciuto della podestaria della città d'Orvieto et



188 R. VALENTINI

d'esta avemo eleeto per podestà lo spectabile nostro prekarissimo
cittadino perugino Fioravante di Biordo degli Oddy, al quale, per
lo presente messo, vi piaccia mandarly la electione in debita forma,
sichè si possa mectere in ordine e venire, e stare, come si richiede.
E se bisognasse mandarla per altra persona, la mandate a tempo,
che possa venire alla fine di quello, che v'é al presente.
Perusii VIIJ aprelis XJ* indietione. :
Braccius de Fortebraccii
Comes Montonis, Perusii

N. 72 — Magnifieis viris precarissimis nostris, Conservatoribus
paeis populo Wetano presidentibus ete.

Magnifici viri precarissimi nostri. Emteso quanto scrivete per
vostra lettera. Respondemo che questa nostra electione mo’ di nuo’
facta de la podestaria de Orvieto, volemo, non obstante alcuna cosa
disponente in contrario, per bene et pace dello Stato nostro la decta
eleetione sia ferma. Et che el decto electo podestà sia recevuto da
voy benegnamente. Et così ve piaccia fare, che podete pensare
quello facemo per mantenemento de lo stato nostro, ritorna etiam-
dio em vostra pace et tranquillità. Valete.

Perusii XIJ aprelis X.J* indictione.

Hiraeoiua a Comes Montonis, Perusii ete.

Fortebraeeiis
N. 73 — Magnifieis viris precarissimis nostris, Conservatoribus
paeis populo Urbevetano presidentibus ete.

Magnifiei viri precarissimi nostri. Havemo veduto una lettera
contenente sopra li ducati cinquanta dovavate mandare a Tode,
della quale cosa ad voi era più habile pagarli là; et per fare a
voi quisto appiazere, volemo et siamo contento li dieti cinquanta
ducati facciate dare lì a Galazzino, nostro compagno. Et pregamove,
veduta la presente, lo facciate spacciare subito, per che avemo bi-
songno di lui. Della quale cosa spacciandolo, como ne siamo certi,
ce ne farete appiazere.

Perusii XIII Aprilis.

Braecius ete.

N. 74 — Magnifiecis viris preclarissimis nostris, Conservatoribus
paeis Wetano populo presidentibus.
Magnifici viri preerarissimi (sic) nosti (sie). Avemo commesse

‘ BRACCIO DA MONTONE, ECO. 189

| certe cose, le quali resguardano lu stato nostro ... (1) e lo stato
| de tista cità, al nobeli homo precarissimo nostro, Agnelo delli U-
baldi da Proscia, al quale crediate como alla nostra persona pro-
| pia. E comandandovi lui niente, dicemove lu debbiate obbidire,
como noi, en tuete quelle cose ve dirà e comanderà per parte
nostra.
Dat: in campo nostro prope Moglianum, die XXVIIJ aprilis,
XJ indiet:.

Braccius de Fortebracciis

Comes Montonis

Perusii etc.

N. 75 — Magnificis viris precarissimis nostris, Conservatoribus
pacis Urbevetano populo presidentibus.

Magnifici viri precarissimi nostri. Havemo recevuto vostra
lettera e inteso quanto ce scrivete. Respondemo per che Carobino
e Malatesta sonno di là, recorriate alloro per ogne vostra facenda
et bisogno; e loro provederanno con le genti d’arme che ce sonno
alle cose necessarie. Al parte me scrivete del castellano de So-
riano, respondeteli, e teneteli in tempo e diteli che noi avemo el
governo de li, e che ne seriva a noi o veramente, non volendo,
ne scriverete voi. Alla parte dicete avete preveduto de cavallari
et de vedette, havete facto bene ‘et fate attenderli a bona guarda.
In tuete cose occorrenti recorrerite al locotenente, a Carobino e
Malatesta.

Braccius ete.

in Castro Falleroni VJ Madii.

N. 76 — Magnificis viris precarissimis nostris, Conservatoribus
pacis civitatis Urbevatane.

Magnifici viri precarissimi nostri. Farete che de dì et de nocte
facciate attendere a bona guardia et con solecitudine, et de omne
che ve bisognasse recurrite a Carubino et a Malatesta et a loco-
tenente de Perogia, che deeti omne cosa faranno. Serite sovenuti,
ehé de là ho lassato cirea eavalli einquecento.

Datum Falleroni VIII Maij.

Braeeius ete.

N. 71 — Ser Lodovico de Civitate Penne, Canzellario nostro dilecto.
Dileete caneellarie noster. Volemo che faeei aeordare a Lu-

(1) Illegibile.



190 R. VALENTINI

dovico da Parma per lo so ronzino che lasò là fiorini cinque.
In campo nostro contra et prope Luccham VII* Julìi.
Braccius ete.

N. 78 — Magnifieis viris preearissimis nostris, Comservatoribus
pacis populo Weta[n]o presidentibus ete.

Magnifiei viri preearissimi nostri. Mandamo là ser Lodovieo
da Civita di Penne, nostro Cancilliere, per lo pagamento della
provitione delli cento cimquanta fiorini el mese dovete pagare. Et
pertanto del passato et dell’ avenire volemo respondiate a ser Lo-
dovico predecto ; salvo che voliamo Lodovico dell’Amoroso aggia
con quello à avuto, perfine alla quantità de fiorini cimqueciento,
sì como el decto ser Lodovico pienamente ve informerà : al quale
darete piena fede, quanto la nostra propia persona.

Exii, XXVIJ octobris.

Braccius de Fortebraccis, : i
E \ Perusii ete.
Comes Montonis,

N. 79 — Magnificis viris precarissimis nostris, Conservatoribus pa-
cis Urbevetano populo presidentibus nostre Urbevetane civitatis.

Magnifici viri et precarissimi nostri. Per che sentemo che
l’ nobile homo Fioravante delli Oddi da Perosia se è portato bene
in lo officio della podestaria della vostra città et è quasi in fine
del suo officio, et per sua virtù et gentilizia merita honore, me
contento per voi se faccia ad esso, quello honore che se usa fare
a chi se porta bene, et come faceste ad Antonio da Monteaguto
suo precessore; et faretene ad me piacere.

Datum Perusii die XXVIIII Martii.

Braccius etc.

N. 80 — Dileeto Cancellario nostro, Ser Lodovico de Civitate Pen-
narum ete. i
Dileete noster. Delli danari della colta de Orvieto et de omni

altro denaro che potessi avere, volemo ... modo Misser Attimanno
aggia fiorini ducentocimquanta, et dovendo avere monete fa[te] che
l'aggia a baioechi cinquantadue per fiorino; et questo volemo per
cagione della moneta ch’ è alzata. Et non falli sia spacciato pre-
stamente et tu sollecita quanto t’ è poss[ibile] ciò che ai da fare,
et spaccia presto et non falli. Perusii XXX Martii

Et da tutti che riceverai denari, farati pagare alla sopradetta ra-

BRACCIO DA MONTONE, ECC. 191

gione, si che non ne vengano (?) et che li homini d’arme aggiano
-]oro dovere.
Braecius etc.

N. 81 — Magnificis precarissimis nostris, Conservatoribus pacis po-
pulo Urbevetano presidentibus etc.

Magnifiei preearissimi nostri. Considerato che maestro Mattia
è valentissimo huomo, et li pari suoi non tanto siano utili ma
necessari, per che, non lassando el padre al figliuolo niente et
lassili la possessione della vertü, lo lassa riecho, cosi non lo las-
sando dotato della possessione della vertü, non li puó lassare
tanto, che non li sia poco, imperò che ad nuy pare faecia per te-
sta Communità, parendo a voi, ne eontentaremo fusse rifermo con
quella provisione et alloeatione à avuto per lo passato, sieche lui
avesse integramente la provisione et salario allui deputato. Et an-
noi cederà a eomplaeentia singulare, per che Luy et lo fradello
sono a noi carissimi. Spoleti XXIJ maij 1419.

Braccius ete.

N. 82 — Magnificis fratribus caris, Conservatoribus Urbisveteris
Magnifici fratres carissimi. Ho recevuta vostra lettera et per

li fatti d' Andrea de (1) ..?.. respondo che se luy fa capo ..?..?.. serà
punito et satisfara che de’ avere. El messo ve dirrà come le cose
sono prospere et bene. Datum in campo nostro iuxta Lacum die
IIII Junii

Braeeius ete.

N. 83 — Magnifieis viris preearissimis nostris Conservatoribus
pacis urbevetano populo presidentibus ete.

Precarissimi nostri. Advisamove come siamo venuti dal
canto di sopra di Viterbo ... alcuni di, et ad ció che tra l' tempo
non possate recevere alcuni danni, farete ... di fare le surtite,
et di mandare li cavallarii dove parrà ad voi sia necessario ed
de bisogno; dichiarandove questo ancora poci avucare, perchè
pensiamo fra el termino de quattro o cinque dì aver dapnificato
quanto bisogna da quella parte, et ritornare poi dal canto di qua;
per la quale cosa le dette guardie non vi bisognano. In campo
nostro prope et contra Viterbium XXIIIJ Junii

Braeeius ete.

(1) Illegibile.





192 R. VALENTINI

N. 84 — Magnificis viris precarissimis nostris, Conservatoribus
paeis populo Urbevetano presidentibus ete.

Magnifici viri preearissimi nostri. Ad gaudium ve significamo
como lì homini de Montefiascone tutti ... volere et di comune et
piena concordia n’ànno chiamato et electo loro Governatore ... et
difensore, et liberamente n’ànno dato el dominio de questa ciptà.
Di qua non sono altre novelle se non in Viterbo non si trova
bochone di pane, et potendose avere del grano, si compraria la
soma dodice ... et tucto el dì stiamo in sulle porte et niuno di
loro vuole uscire fuora. Pensiamo operare che omni nostro amico
averà gran contentamento, et como se seguirà, ne sarite advisati.

.. In eampo nostro apud Sanetum Iohannem XXVIJ Iunii.

Braccius ete.

N. 85 — Magnificis viris precarissimis nostris, Conservatoribus
paeis populo Urbevetano presidentibus etc.

Magnifiei viri precarissimi nostri. Ricevuto vostra lettera et,
inteso el tenore d'essa, vi rispondemo della venuta del potestà qua
da noi che per adesso non ne pare tempo ad ciò, ... soprasseda
questa venuta per alcuni di. Et essendo troppo necessità el mandi
... potete mandare voi delli vostri fidati.

Alla parte del pregiune da Lugnano, preso per li usciti, ve dico
senza che da voi avessimo ...tione, ne serivemmo alla Contessa
de Jovi. La quale risponde como vedarete ... sua lettera, la quale
vi mandamo in questa introchiusa. Et per caso potiamo sentire
che niuno difecto sia venuto da niuno habitante mo’ in Jovi, vi
ne farò res... interamente omni cosa.

Insuper prestissimamente ve manderemo Ambrosino, con quelli
cavalli ci ha chiesti el potestà, ad ciò che li possiate fare mettere
alle frontiere dove è necessario. In campo nostro [apud] turrem Pi-
ehij II Septemb.

Braeeius ete.

N. 86 — Magnifieis viris precarissimis nostris, Conservatoribus
pacis populo Urbevetano presidentibus etc.

Magnifiei viri precarissimi nostri. Havemo ricevuto vostra
lettera et di quanto ne significate ... Alla parte dite avete sintito
che in la tornata farà Sforza, pensate venga ad campegiare li per ...
dubitare delle vindemmie et del sementare, rispondove che per
modo niuno non è p[ossibile] esso venga ad campeggiare li, per
cagione quelli da Viterbo averanno bisogno de ... converrà esso





BRACCIO DA MONTONE, ECO. 193

"pestaga dal canto di là, per la guerra che quelli da Montefiscone
lì fanno tutto ... Et per caso venisse ad campo lì, ho ad niuno loco
del contado, che per ... niuno el posso credere per più rispecti,
subito, como da voi ne sarò avvisato, sarò lì, o dove bisognerà.
| Alla parte del vostro vendemiare ell’ è li mastro Matteo, con tutte
quelle altre genti che sono dal canto di la. Lì quali potete richie-
dere alla scolta di quello vi bisognerà, et loro faranno secondo da
voi saranno richiesti.

Assisii XVIII Septembis.

Braccius ete.

N. 87 — [1419] settembre 15. Rif. CXXVI, c. 113-113 t.

< Nobilis vir precarissime noster. L’altro di n'avisaste come
volevate provedere per la guardia de testa ciptà, fare cinquanta
fanti; et perché noy cavalcammo, non ve potemmo far resposta.
Ma ad nuy pare quello havete pensato sia molto bono, et per-
tanto, non havendoce proveduto, tenete modo provederce, sì che
la cosa sia messa ad exequitione et agia effecto. Insuper man-
diamo là Barthoccio da Fuligni, al quale havemo commesso
che conduca cinquanta fanti pure a la guardia de testa ciptà.
Et pertanto provedete subito esso aggia denari che subito venga
in lì con essi, li quali fanti, ciò è ’1 dieto Barthoccio, volemo
aggia florini dui et mezo per paga, et che siano pagati de la
nostra provisione. Piacciavi con omne sollicitudine et provedi-
mento che v’ è possibile actendere a la guardia de testa ciptà
et del contado. Asisii XV Septembris. Et fate ve portiate bene
con tucti quilli che sonno de la parte nostra, et in spetialità con
Monaldo et con Luy conferite omne cosa apartiene a lu nostro
stato.

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« Braccius de Fortebracciis
« Comes Montoni Perusii ete.
« A Tergo.
N. 88 — « Nobili viro precarissimo nostro Raynaldo domini San-
« tis de Perusio, Potestati nostre civitatis Vrbisveteris ».

Magnificis viris precarissimis nostris, Potestati et conservatori-
bus pacis nostre civitatis Urbevetane

Magnifici viri precarissimi nostri. Havemo recevuda vostra
lettera super lo facto de Nicolò Piccinino, et inteso quanto ce seri-
vede, havemo deliberado, per salvezza del nostro terreno et per
cautela de quilli lochi, che Nicolo cum la sua compagnia stia ad

13





194 R. VALENTINI

Montecchio e gli altri lochi di la giò. Certificandove non volimo .
lo dieto Nicolò nè sua compagnia durante la tregua degiano dap-
nificare ad neuno locho delli nemici, acciò non venesse ad impe-
dire la dicta tregua in modo alcuno, como ha in conmandamento
da noy. Assisij die XXX Septembris XIJ Indiet.

Braccius etc.

N. 89 — 1419 novembre 4. Rif. CXXVIII, c. XVIIIJ-XVIIIJ t.
Costantino, vescovo « Aptensis », Rettor Generale nel Patri-
monio ecc., al C. di Ficulle e suo piviere, cioè Sala e Mealla,
contado d’ 0. Avendo supplicato d° C. « quod cum vos nullis
moti dampnis neque perieulis, que vobis per hostes ipsius Ee-
clesie possint inferri, volueritis exusso rebellionis iugo, sub quo
violenter tenebamini, ad veram redire hobedientiam et castra
illa predieti Pleberii que terris oceupatis per hostes contigua
sunt, maxima tum murorum tum aliorum propugnaculorum indi-
geant reparatione, quod nisi presto provideretur posset propter
eontiguitatem predietam in ipsorum castrorum depopulationem
« et finale excidium dampnumque circumstantium partium redun-
« dare »; ed avendo d° C., poverissimo, chiesto aiuto per tale ri-
parazione, o la licenza di erogare fiorini 150 d’ oro sugl’ introiti
dovuti al C. d'O.; presa informazione e ad instanza di Sforza,
conte di Cotignola, gonfaloniere della Chiesa, « euius opera ad
veram ipsius Romane Eeclesie hobedientiam redivistis »; conside-
« rato anche ehe la eitta d' O. « in rebellione contra dominum
« nostrum et Romanam Ecclesiam persistit »; coneede i cento-
« cinquanta fiorini d’oro sugl'introiti predetti. « Datum Amelie » ...

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N. 90 — 1419 novembre 5. Rif. OXXVIII, e. XX.

Costantino Rettore come sopra, a Pietro Antonio di Boneonte
Monaldeschi d' O. « Grata fidelitatis obsequia, que Sanete Romane
Ecclesie haetenus inpendisti et impendere continuo non desistis,
Nos inducunt ut tibi reddamur ad gratias liberales ... Sane pro
parte tua nobis extitit supplicatum, quod, eum habeas in Vrbe-
vetano Comitatu fortellitum quoddam vocatum Podium Guideeti
et homines olim illic soliti habitare propter urgentes guerras
se absentaverint a loco predieto, optesque locum illum facere
habitari et ob id reperieris sex homines, qui in dieto loco cum
eorum familiis habitarent, set timore dativarum et gabellarum
« debitarum Comuni Vrbevetano recusant ibidem habitare »,
mosso da informazione e dalla istanza di Sforza « de Actendoli »,

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BRACCIO DA MONTONE, ECO. 195

concede che i sei uomini detti con lor famiglie siano esenti per
; einque anni da ogni tributo. « Datum Amelie » ...

N. 91 — 1419 febraio 8 « hora V » (1). Rif. CXXVII, e. VIJ.
In margine: « Tenor euiusdam eopie intereluse in supradieta
littera ». [Fuur, Op. cit., 674].

« Magnifice et Excelse domine noster signularissime Con sin-
golare allegreza et exultatione signifieamo alla S. V. come
questo di ad hora IIIJ, aiutando la gratia del omnipotente dio
et la benegnità del sanctissimo sommo pontefice et la interces-
sione unica et diligente de’ nostri magnifici Signori, s° è fermata
concordia fra sancto patre et la exellentia vostra, mediante el
reverendissimo Signore Cardinal de Pisa et il vostro egregio
Ambasciatore. Alla conclusione et pratica d’essa pur s’è con fede
adoperato et facto quanto c’è stato possibile, così in ciaschuna cosa
possibile la quale in aleuno nostro pensamento fosse in augmento
et stato della vostra Excellentia. Fedelmente serremo sempre
apparechiati como devoti et fedel servitori de quella, et colla
vostra Signoria de questi conclusioni, e.de vedervi nella gratia
della Sanetità de nostro Signor, eon tueti y cori ce realegriamo,
perchè conoscemo la fermeza et stabilità della vostra Magnifi-
centia et stato vostro esser sequita, il che tucti vostri devoti
servitori desideravano. I capituli et le conditioni fermati par-
ticularmente da’ vostri egregii Ambaxiatori senterite che alla
S. V. deverando esser grate, la quale destinò nostro signor Idio,
che in perpetuo se degni con felicità conservare et accrescere.
Raccomandandoci cordialmente alla Excellentia V. ay cui co-
mandamenti sempre siamo apparechiati. Scripta Florentie a dì
VIIJ febr: 1419 hora V. Conforziamovi del presto venire equà,
per ogni buona cagione serria utile.

« Excellentie Vestre Servitores

« Bartholomeus Valoris
« Nieolaus de Vzano
« Paulus Fortini ».

N. 92 — [1420] aprile 18. Rif. CXXVIII, e. LXXXVI-LXXX VI t.

« Martinus Episcopus se[r]|vus servorum dei, dilectis filiis No-
« bilibus viris Raynerio de Basehio, Leonorio Claravallis, et Ste-
« phano Bartholomei de Claravallensibus ae Angelo de Mezanello

(1) Stile fiorentino.

196 1 R. VALENTINI

nec non Angelo de Orzalo, domicellis T'udertinis salutem et a.
postolicam benedictionem ... Vestris igitur nec non dilectorum
filiorum omnium et singulorum exititiorum eivitatis nostre Tu-
dertine, in presentiarum existentium in Baschii, Tenaglie, Carnani,
Montieuli, Civitellemasse, Camerate, Mezanelle, Castri montis
Castris, nee non in Angeli ac Montisvulparii Turribus sive for-
tellitiis habitantium et incolarum, qui, ut asseritis, tam vos «(uam
ipsi habitatores et ineole pro nostro atque Romane Ecclesie
statu multa et intollerabilia pericula atque dampna aliqua gra-
via onera, tam in bonis quam personis, passi estis propter guer- -
ras in partibus illis vigentes ab inimieis Eeclesie prediete, atque
nostris ac etiam a gentibus pro nobis et ipsa Ecclesia militan-
tibus, quas in prefatis eastris, turribus sive fortellitiis recepistis
et confovistis, non medioeriter lesi et in bonis ipsis dampnificati
fuistis, in hae parte supplicationibus inclinati, vobisque et cuili-
bet vestrum super premissis pio ac paterno compatientes affectu,
omnes et singulas pecunie summas, quas usque in presentem
diem ratione datiorum, eolleetarum, talliarum ... a Tudertina
predieta vel quacunque alia Civitate aut Comunitate sive Re-
etoribus aut offieialibus ipsarum vobis ... impositas ... vobis ...
ae exititiis, habitatoribus et incolis predietis, in dampnorum et
perieulorum huiusmodi recompensam libere absolutionis remi-
etimus et donamus », esimendoli per quattro anni da tali con-
tribuzioni.
In Firenze « XIIIJ kalendas maii », anno 3*.

N. 93 — Magnifieis fratribus carissimis, Conservatoribus pacis Ci-
vitatis Urbisvetane ete.

Magnifici fratres carissimi. Avemo recevuta vostra lettera et
similmente sopra i faeti della differentia quale è tra voi e Ray-
naldo de Messer Sancti, et inteso de boccha quanto Jacomo de Ser
Munaldo m' ha ditto per vostra parte. Et Noi avemo seripto ad Pe-
rogia al nostro locutenente che dica ad Ranaldo de Messer Sancti
che mandi uno pieno mandato, ad determenare la differentia quale
è tra l’uno et l’altro. In questo mezo semo contento che in termene
de quaranta dì ongne uno de la città d’Orvieto et del contà possa
praticare liberamente con ogni sua robba per tucto el terreno de Pe-
rogia, et simelmente voy provedete che ciasechuno perugino possa
praticare colla sua robba per la città de Orvieto, similmente nel
contado, libero et securo, nel dieto termine de quaranta di. In

BRACCIO DA MONTONE, ECC.

questo mezzo le rascione dell’ uno et dell’ altro se praticarando ;
rendome certo che ciascuno farrà suo dovere.

Tuderti die XXI februarii XIIII* Indictione.

Braecius ete.

i N. 94 — Magnifieis fratibus Karissimis, Conservatoribus Urbeve-
tano populo presidentibus.

Magnifici domini fratres Karissimi. Per Ser Nicolò (1), porta-
tore della presente, ho ricevuto vostra lettera-e veduto el tenore:
di quella e udito esso Ser Nieoló Aoretenus: ho scripto in quelli
luoghi che versimilmente li cavalli e buovi furati si possino ri-
trovare, e che il decto Ser Nicolò ha possuto informarsi, come so-
pra di ciò e sopra quello distenato qui a pititione di Rinaldo di
Messer Santi, referirà alla V. m. Ser Cola predecto per mia parte.

Datum Perusii XXVII Martii XIIII Indict.

Braccius ete.

N. 95 — Magnifieis tamquam fratribus et amicis carissimis, Con-
servatoribus paeis Urbevetano populo presidentibus etc.
Magnifici tamquam fratres et amici karissimi. Io recevetti
una vostra leetera per uno Iohanni Cativello da Orvieto, el quale
s[enza] domandare risposta, se andó con dio. Et respondendo ad

essa, io ho avuto Ranaldo de Messer Saneti, el quale dice che una
volta fo ragionato che voi eleggieste uno, et lui avia eleeto Ser
Johanni da Montone, mio cancellario. Et quello che per essi doi
fosse chiarito, ne remarria patiente. Or mo’ ser Johanni non è qui,
ma de hora in horal' aspecto che de' venire. El quale, commo
sirà venuto, per che l' ó à mandare a Roma, faró che farà tista
via et recharà le ragioni del dieto Ranaldo et porrassene pigliare
effectuale deliberatione.

Valete Perusii IIJ Aprilis MCCCOXXII (sic!).

Braecius ete.

N. 96 — [1422] luglio 20. Rif. CXXVIII, e. CCLXXXIX t. e segg.
Lettera credenziale al papa per gli ambasciatori che il Co-
mune gli mandava.

(1) Pare si possa identificare con Niccolò dei Forteguerrì, tesoriere di
B., la cui morte cadrebbe nel 17 aprile 1422. Cf. ScaLvanti, Frammenti etc.
in Boll. S. P. per l'Umbria, 1905, 598,





198 R. VALENTINI

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Capitoli dell’ ambasciata: « Item narrare que dieta fuerunt
pro parte Braeeij per Ser Petrum Paulum, eius Cancellarium,
de tollendis represalijs, de subsidio, de denariis mercatorum
Perusinorum, de quibus fuerunt eohaeti ad solvendum mer-
eatores Urbevetani ex causa et pro satisfactione et emenda
certorum animalium civibus Urbevetanis furto subtractorum per
homines eomitatinos Perusij, et in territorio Perusino receptato-
rum, et cives Urbevetani, dampnifieati, proseeuti fuerunt dictos
subtraetores et -eisdem fuit justitia denegata, quod dignetur
Sanetitas Eadem providere, quis modus sit cirea predieta te-
nendus ».

Raccomandare al papa Rainaldo da Castel Rubello, « qui pro
statu Sanete Romane Ecelesie et prefati domini nostri captus
fuit et in carceribus mancipatus et tandem, quod suum fuit ac
etiam amicorum, pro sua redemptione solvit, restititque dare
Braccio tricentos, quos dictus Petrus Paulus solvendos petijt, su-
per quo dignetur Sanctitas sua providere, ne civitas Urbevetana
ob hane causam dampnum aliquod patiatur ».

« Item eum de voluntate Sanetitatis sue fuerit, quod captivi
eives Urbevetani, capti in discussione facta per gentes Braccij,
nee non animalia in dieta discussione ablata, redimerentur de
pecunia talliarum subsidij, compatiendo eorum dampnis, et hoe
evenerit, quod aliquibus civibus reddita sint eorum animalia
que reperta fuerunt, et quamplurimi non potuerunt rehabere
animalia eorum et nulla hactenus satisfatio de eorum dampnis
facta fuerit, quod dignetur Sanctitas Eadem providere, quod de
ipsis talliarum pecunijs satisfiat ».

N. 97 — 1422 luglio 31. Rif. CXXVIII, c. COLXXXXV t.

Tornano gli ambasciatori mandati al papa, recando un breve

datato da Tivoli « die XXV Julij », anno 5°.

«

Risposte ai capitoli :

< Ad secumdum capitulum procuretur cum Domino Braccio
quod factum represaliarum tractetur in curia et videatur per
dominum Thesaurarium domini nostri pape sive per alium, fiat-
que utrique parti iustitia. Et similiter procuretur super facto
robarie sive furti Urbevetanis de quinque bobus et una equa,
ductis per aliquos subiectos domini Braccii, pro quibus fuerunt







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BRACCIO DA MONTONE, ECO. 199



retente certe pecunie debite per illos de Urbeveteri certis Peru-
sinis, quod etiam fiat justitia utrique parti.

« Ad aliam partem eiusdem Capituli, videlicet de facto sub-
sidii, dominus Braccius debet habere pro primo anno integram
assignationem, videlicet florenos VIIJ°. Et siquid deficeret, debet
suppleri de summa illius partis quam recepit de secundo, et de-
bet poni ipsum dominum Braccium tantum minus recepisse de
secundo anno, quantum restasset solvi de primo, et dicatur Can-
cellario ipsius domini Braccii quomodo debet habere pro primo
anno florenos VIIJ°, et plus recepit. Jdeo Urbevetani debent ab
ipso esse liberati et, siquid habere pretenderet, debet habere re-
cursum ad prefatum dominum Thesaurarium domini nostri pape.

« Ad tertium capitulum de facto Raynaldi de Castro Rubello
rogetur dominus Braccius de aliqua dilatione ».

N. 98 — Egregio viro honorabili amico carissimo Ser Benedicto
de Guidaloctis ete. Regni Sicilie Magnus Cancellarius etc. Viterbii
XXII Decembris 1422.

Egregie vir honorabilis amice carissime. Ho recevuta vostra

lietera per la quale me serivete de lo faeto de le rappresalglie.
Come scrivete, io farò suspendere le diete represalglie et voy si-
melmente fate fare da l’altro canto. Et date spaccio de venire, che
se tolgano via, et serrà bom facto. A quello me scrivete che se
dice che Iacomo de Vico è a li mei servicii, ve aviso che a li mei
servicii non è, et se luy glie fosse, io ve ne avisaria. Se sentite
altra novella, pregove me si’ avisiate.

Datum Fraticelle die XX Decembris 1422.
Braccius ete.






IL LAUDARIO LIRICO

DELLA CONFRATERNITA DI SANTA MARIA DEI RACCOMANDATI
IN GUALDO TADINO

Con R. Decreto del 27 Decembre 1906, sedici antiche
Confraternite Gualdesi, furono concentrate amministrativa-
mente nella Congregazione di Carità di Gualdo Tadino. Tra
queste Confraternite, eravi anche quella di S. Maria dei Rac-
comandati, anche detta del Gonfalone, le origini della quale
possiamo, quasi con certezza, farle risalire al XIII secolo.
Questa Contraternita aveva sede nella Chiesa di S. Maria,
ancora esistente, e che le apparteneva con l’annessa casa di
abitazione, ove si riunivano i Confratelli e si conservavano
l'Archivio, nonché le altre varie cose spettanti al Sodalizio.

La stessa Fraternita, nel 1373, fondò anche un proprio
Ospedale sotto il titolo di San Giacomo, annesso ad una omo-
nima Chiesa, avendone la proprietà e tenendone l'ammini-
strazione sino alla metà del Settecento, nella quale epoca
l'Ospedale fu dal Vescovo di Nocera soppresso ed unito con
l’altro Ospizio gualdese detto di San Lazzaro (1).

: (1) Vedi in proposito :

Ruacero Guerrieri, Gli Antichi Istituti Ospedalieri in Gualdo Tadino.
Documenti e Memorie Storiche. Perugia, Tip. Donnini, 1909, pag. 27 e seg.
— Dello stesso Autore vedi anche : Storia di Gualdo Tadino. Foligno, Tip.
Campitelli, 1900, pag. 78.






































202 R. GUERRIERI

I membri di questa antichissima Confraternita, come la
celebre Compagnia medioevale dei Bianchi, nelle loro ceri.
monie indossavano camici bianchi, forniti di cappuccio e
stretti alla cintola da un cordone. Gli stessi si dedicavano
ad opere di pietà, di beneficenza e di religione, elargendo
cioè elemosine ai poveri, visitando i carcerati e gli infermi,
accompagnando i defunti all'ultima dimora, dandosi scambie-
vole assistenza, facendo celebrare divini uffizi in determinate
festività e anniversari, seguendo processioni per le vie della
città. A tutto ciò, come pure al mantenimento dell’Ospedale,
la Confraternita sopperiva con le rendite dei molti beni che
possedeva, consistenti in terreni, case, censi, nonchè elemo-
sine. La stessa era aggregata all’ Arciconfraternita del Gon-
falone di Roma, e possedeva per i suoi membri defunti uno
speciale sepolcro nella Chiesa di S. Francesco in Gualdo
Tadino.

Riunita, come sopra si è detto, con le sue consorelle,
alla Congregazione di. Carità di Gualdo, tutti quegli Ar-
chivi Coufraternitali furono trasportati in quello della Con-
gregazione stessa. Questi vecchi Archivi, giammai esplorati
a scopo di studio, m’invogliarono a ciò fare, e fu così che
mi capitò tra le mani un. Registro della Fraternita di S. Ma-
ria dei Raccomandati, il quale portava scritta sul suo dorso
l'indicazione: « Inventari e contratti 1528-1617 ». Sfogliando
questo Registro, nella sesta carta, con la data 15 Novembre
1528, trovai un « Inventario de le cose de la fraternita de
Sancta Maria, existente in la chiesia et casa sua, assignate ad
Lorenzo, Corrado et Marmillo de Jacomo, priori de questo
anno ». In tale inventario vengono a lungo e dettagliatamente
descritti, tutti gli oggetti appartenenti alla Confraternita ed
i mobili che li contenevano, e vi si legge, tra l'altro, anche
il paragrafo che qui sotto, in parte, trascrivo: « In la cassa
appresso la finestrella del ponte verso san Donato: Un saccone
in fondo — Una lista vechia de’ fratarnesi -- Quattro libri







IL LAUDARIO LIRICO, ECO. 203

d'andare ad ciocta — Un libraccio vechio — Un bastardello da
le laude — etc. ... ».

‘Un Bastardello delle Laude! Era dunque chiaro che la
Confraternita di S. Maria dei Raccomandati aveva in antico
posseGuto, per proprio uso, uno di quei Laudari lirici o dram-
matici, che tanto interesse oggi hanno per le indagini lin-
guistiche, per la storia della nostra letteratura e spesso an-
che per la storia civile, Laudari sui quali credo superfluo
quì soffermarmi per trattarne in generale, dopo quanto su
di essi è stato eruditamente ed esaurientemente scritto da
storici e da filologi. Solo dirò che mi balenò allora in mente
l’idea, che quel vetusto Codice potesse tuttavia esistere fra
le polverose e dimenticate carte delle soppresse Confraternite
Gualdesi, ammassate alla rinfusa e indistintamente, nell’ Ar-
chivio della Congregazione di Carità. Mi accinsi così alla
ricerca, ma senza alcuna speranza di successo, considerando

che ben quatfro secoli erano trascorsi dal giorno in cui fu.
redatto quell’inventario, e che in così lungo tempo, chi sa

mai a quante manomissioni, a quali peripezie, era stato sot-
toposto anche l'Archivio della Confraternita di Santa Maria.
Ma invece non fu la mia una vana fatica, poichè potei final-
mente ritrovare il Bastardello delle Laude, inventariato nel
1528. |

É questo un Codice cartaceo, ricoperto con piü antiche
pergamene scritte, e che si mantiene chiuso mediante una
cinghietta di cuoio munita di fibbia. Ha le dimensioni di
cm. 11x30, e consta di settantacinque fogli. I primi tredici,
contengono molti estratti d'istrumenti notarili (vendite, loca-
Zioni, quietanze, testamenti, inventari, ecc.) i quali, almeno
apparentemeate, non sembrano riferirsi alla Confraternita.
Tali Atti sono tutti disposti in ordine cronologico; la prima
data che vi si legge è il 15 Agosto 1343, l'estrema il 5 Giugno
1344. L'atto rogato con quest'ultima data, a c. 11, è notevole,
consistendo in un testamento, con il quale tal Lello del fu
Regis, nomina suo erede e suo esecutore testamentario un








































204 R. GUERRIERI

Bosone domini Bosonis de Eugubio, certamente figlio di quel
Bosone, cittadino eugubino, scrittore e fervente ghibellino,
che fu fedele ed intimo amico di Dante Alighieri. Seguono
poi, dal foglio 14 t al foglio 16, alcuni appunti ed annotazioni
a proposito di terre concesse in lavorazione a cottimo a vari
coloni, ma non si specifica chi sia il proprietario di tali beni,
quasi certamente però appartenenti alla stessa Confraternita
di S. Maria dei Raccomandati. Questi appunti sono datati
dal Marzo all’Aprile del 1421. Dopo ciò, il foglio 17 è occu-
pato da alcune proposte da sottoporsi al Consiglio della Con-
fraternita suddetta, ma la data, per quanto riguarda l’anno,
è scomparsa con una lacerazione della carta e vi si legge
solo: Addj XV de Aprile ... Appaiono in seguito nel Codice
nove carte albe, poi la ventisettesima si trova mancante, e
susseguentemente i fogli 28, 29 e 30 contengono alcuni ap-
punti di contabilità per certo riferentesi alla Fraternita, e
nei quali si leggono le date estreme 31 Dicembre 1422 e 7
Febbraio 1423. Finalmente, a c. 31, ha principio il testo delle
Laude, tredici in tutto (della prima però, come vedremo, si
ha un doppio esemplare, e la quarta è fornita della relativa
musica) le quali Laude, per i caratteri paleografici ed orto
grafici notevolmente differenti, possiamo ritenerle trascritte
da diverse mani e non nello stesso tempo, durante il Quat
trocento. Ma, senza alcun dubbio, la loro origine, la loro
compilazione, almeno di alcune di esse, è di gran lunga più
antica, come può facilmente rilevarsi dal loro contesto.
Altra cosa che subito si nota, si è che le stesse sono,
al solito, adespote e, probabilmente, quasi tutte, opera di
poeti popolari del luogo. Nella rozza lingua volgare in cui
appaiono composte, scopriamo infatti, ad ogni momento, pa-
role ed espressioni, che trovano fedele riscontro nel dialetto
parlato ancora oggi dalla popolazione gualdese, specialmente
rurale. È lecito obiettare a tale proposito, che le Laude pos-
sono contenere parole e forme ortografiche proprie del dia-
letto di Gualdo, pur essendo state composte in altre regioni,








IL LAUDARIO LIRICO, ECO. 205

pel fatto che il copista gualdese, nel trascriverle per la Con-
fraternita di Santa Maria dei Raccomandati, potrebbe avere
adottato le espressioni dialettali dell'ambiente in cui viveva,
espressioni per.lui abituali ed involontarie. Ma, d'altra parte,
bisogna tener presente, che, almeno per quanto a me risulta,
due soltanto di queste Laude, come tra poco vedremo, fanno
parte anche di altri Laudari; la massima parte sono scono-
sciute, e ciò non sarebbe probabilmente avvenuto, se fossero
state importate in Gualdo Tadino dalle vicine regioni.
L'origine popolare di questo Laudario, come del resto
di tutti i suoi congeneri, risulta altresì dalla sua, più o meno,
informe composizione. Qualche volta, infatti, in una | stesse
Lauda, troviamo stanze di diversa natura, e nella stessa
stanza versi di metro e di rima discordanti. Più spesso l'as
sonanza sta al posto della rima. I soggetti sono tutti sacri,
il concetto predominante, per non dire unico, è quello di
invocare da Dio il perdono per gli umani peccati, col tramite
della Vergine, intermediaria pietosa ed efficace. La prima
Lauda, assai prolissa, tratta della Passione di Gesù .Cristo.
La seconda consiste in una invocazione dei peccatori a Cristo
e poi alla Madonna, perchè interceda presso il figliuolo. La
terza reca una nuova invocazione alla Vergine per la sal-
vezza dell'anima. La quarta tratta il mistero dell’ Annuncia-
zione di Maria Vergine. La quinta quello della Resurrezione
di Cristo. La sesta tende a dimostrare la vanità della vita
in confronto della morte, per la quale tutti gli uomini sono
eguali. La settima esalta il sacrificio di Cristo per la reden-
zione del genere umano. L'ottava avverte che chi non è ca
ritatevole in vita, non deve sperare salvezza dopo la morte.
La nona narra il sogno o visione di un peccatore, che nel
regno dei trapassati, rimasto preda dei Diavoli, viene salvato
dalla pietà della Vergine. Nella decima quest’ultima schiude
il Paradiso ad un condannato a morte che la venerava. L'un-
decima narra un curioso miracolo fatto dalla Madonna ad
una meretrice di lei devota, dopo che era stata uccisa da























206 R. GUERRIERI

masnadieri. La dodicesima ripete il soggetto dell’ Annuncia-
zione. La tredicesima ed ultima consta di un saluto alla Ver-
gine Maria. Noterò inoltre che, nella pubblicazione di queste
Laude, sciolsi le solite abbreviazioni, divisi o riunii, secondo
il caso, le parole impropriamente riunite o divise, ed adottai
l’interpunzione moderna, mantenendo però rigorosamente fe-
dele ed integra in tutto il resto, la forma del testo originale,
anche se errata. Avverto infine che, presentemente, il Lau-
dario della Confraternita di S. Maria dei Raccomandati, tro-
vasi custodito nell’ Archivio Comunale di Gualdo Tadino
(Scaffale delle Pergamene).

IL TESTO DELLE LAUDE

I. LAUDA.

Sotto forma più o meno drammatica, ma quasi sempre assai pro-
lissa, e con maggiore sviluppo delle altre ordinarie Laude, l’argomento
di questa, cioè la Passione di Gesù Cristo, lo troviamo svolto, natu-
ralmente con diverse parole e con diverso metro, anche in altri antichi
Laudari, ad esempio nel Codice Membranaceo della Biblioteca Comu-
nale di Siena I. VI. 9 (La Passione di Gesù Cristo in ottava rima di
Nicolò di Mino Cicerchia. Sec. XIV), nel Codice Membranaceo N. 91
della Biblioteca Comunale di Cortona (Pianto della Vergine Sec. XIII-
XIV), nel Codice Membranaceo N. 180 della Biblioteca della Pia Fra-
ternita dei Laici di Arezzo (Sec. XIV), ecc. Per solito le Laude che
avevano per soggetto la Passione di Gesù Cristo venivano cantate in
coro, in occasione del Venerdi Santo, mentre si svolgevano le cerimonie
religiose che dovunque, si era soliti compiere in tal giorno, e, secondo
alcuni documenti che ho potuto consultare, parrebbe che questa in
esame, fosse appunto cantata durante la grande e pittoresca Proces-
sione, che da tempo immemorabile e con apparato direi quasi teatrale,
le Confraternite gualdesi eseguivano la sera del Venerdì Santo, su di
un lungo percorso nelle principali vie cittadine. Veramente questo no-
stro componimento poetico, più che alla categoria delle Laude, appar-
tiene al gruppo delle Canzoni Giullaresche di soggetto sacro, e, per la











IL LAUDARIO LIRICO, ECC. 207

sua composizione; ci appare anzi poco adatta ad essere cantata du-
rante la su ricordata Processione Gualdese del Venerdì Santo, una
volta celebre in tutta la regione, ma di cui oggi, come avviene per
tante antiche usanze medioevali, travolte nel turbine della vita moderna,
poco o nulla rimane. Non sarà quindi inutile, prima che cada del tutto
in disuso e che se ne perda completamente la memoria, nell' interesse
degli studiosi di Folk-lore, qui riassumere in breve le principali figure
di questa vetusta ed originale processione, con la quale, come sopra
ho detto, pare che abbia avuto qualche rapporto la Lauda di cui ci
accingiamo a trattare.

Questa processione del Venerdi Santo, come del resto tutte le altre
consimili, era composta in massima parte dai membri delle varie Con-
fraternite gualdesi, vestit! di sacco avente colore o distintivi diversi
per ciascuna Compagnia laicale. i

I Confratelli procedevano a due a due, con torce accese in mano,
lentamente e salmodiando ; erano seguiti dal Clero e poi dalla popola-
zione. Il corteo confraternitale veniva intramezzato da vari gruppi,
quasi quadri plastici, che si seguivano ad una certa distanza l'uno
dall’altro, e che rappresentavano al vivo i vari episodi della Passione
di Cristo. Questi gruppi erano costituiti da persone che indossavano
gli antichi costumi orientali, confezionati appositamente e custoditi
nella casa della Fraternita delia Trinità, promotrice della Processione.
Spesso, quando erano insufficieuti o laceri, venivano sostituiti e imitati
alla meglio con sciarpe, nastri multicolori e indumenti adattati sulla
persona. Sovente ne risultava perció il ridicolo contrasto di vedere ele-
menti di acconciature moderne a rappresentare le antiche foggie di
Palestina. ;

Il Cristo, che, quale protagonista dei vari episodi della Passione,
vedevasi riprodotto nella maggior parte dei gruppi, andava sempre
scalzo e indossava in ognuno di questi la veste a sacco, quando bianca,
quando rossa, lunga sino ai piedi, e che del resto, per la sua foggia,
era assai simile a quella che, secondo il Vangelo, indossava Gesù.

La serie di questi gruppi s'iniziava con la rappresentazione della
cattura di Cristo nell'orto di Getsemani. Non meno di dodici erano i
soldati che cireondavano il Nazareno, scalzo, coperto di una tonaca
rossa, avente delle pesanti catene ai piedi, bendato e legato con piü
funi, i di cui capi erano tenuti in mano dai suddetti soldati, che con
quelle funi lo trascinavano, traendolo violentemente or dall'uno or dal-
l'altro lato della via e malmenandolo. Di questi soldati, tre per parte
si trovavano ai suoi fianchi, quattro alle spalle e due davanti, volti
verso di lui e quindi costretti a camminare, durante la Processione,










































208 ‘R. GUERRIERI

sempre all’indietro ; tutti e dodici poi, avevano in «mano una lancia
alzata nella direzione del viso di Cristo. Altri soldati a fianco dei primi,
incedevano su cavalli. Tutt’intorno eranvi dei Giudei che recavano
lanterne accese, certo ad illustrare il terzo versetto del Capo XVIII del,
Vangelo di S. Giovanni, ove infatti è detto: « ... Iudas ergo, cum ac-
cepisset cohortem et a Pontificibus et Pharisaeis ministros, venit illuc
cum lanternis et facibus et armis ».

Il secondo gruppo rievocava la scena del processo: Vi erano i sommi
sacerdoti Anna e Caifa, ambedue vestiti coi paludamenti del loro uf-
ficio e con la mitria in capo; il primo più vecchio e fornito di lunga
barba bianca, con a fianco i suoi servi, il secondo circondato dal Si
nedrio, da Scribi e da accusatori, i quali tutti con cenni delle mani e
del capo, con l’espressione dei volti, insomma con una opportuna mi-
mica, si sforzavano di mostrare lo svolgimento del processo. Gesù tro-
vavasi legato in mezzo ad essi, ed aveva a sè dinnanzi un giudeo colla
mano sempre alzata, in atto di dargli uno schiaffo.

Veniva poi, in un altro gruppo, il Governatore Romano, Ponzio
Pilato, impropriamente camuffato con vesti di giudice medioevale e
circondato da valletti, dei quali chi portava un libro, chi un calamaio,
chi un gran foglio di carta per la sentenza, chi un bacino dove, di
tanto in tanto, faceva l’atto di lavarsi le mani.

L'altro gruppo susseguente era costituito da Erode, in abbiglia-
mento regale e con la corona in capo, circondato dalla sua corte avente
in mezzo Gesù vestito di bianco, trattato da pazzo e, quale re da burla,
dai circostanti deriso.

Si presentava poi la scena della Flagellazione, nella quale il Re-
dentore appariva portante una colonna di legno legata dietro le spalle,
tra due manigoldi che recavano una verga in mano facendo mostra di
scaricargli sul dorso ignudo una tempesta di battiture, e in altro gruppo
seguiva la scena della coronazione di spine. In questi due ultimi qua-
dri, di un verismo impressionante, il Nazareno, coperto di sangue, con
le risuonanti catene ai piedi, con la corona spinosa, che sul capo gli
veniva ad ogni istante compressa, con la canna in mano, sbalzato qua
: e là dai giudei che lo maltrattavano e lo sputacchiavano, ‘procedeva
quasi nudo, velato soltanto, dai fianchi ai ginocchi, con gli ultimi bran-
delli della purpurea veste, che per ironia, venne fatta indossare a Gesù.
E tutto ciò nonostante il freddo che spesso permane intenso nell’alpe-
stre regione gualdese tra il marzo e l’aprile, e nonostante il lungo per-
corso del corteo processionale.

Seguiva poi la figurazione dell'aseesa al Calvario : Gesù, con sulle
spalle una gran croce, vuota al di dentro perchè fosse meno pesante,



IL LAUDARIO LIRICO, ECO. 209

attorniato dai Giudei, da alcuni sospinto, da altri trascinato a forza,
barcollando sempre, fingeva ogni tanto di cadere a terra, sotto il pondo
della sua croce. Con lui incedevano, avvinti da catene, anche i due
ladroni che dovevano condividerne l’estremo supplizio.

Dietro, veniva un altro gruppo, quello di Simone il Cireneo, por-
tante una croce consimile e accompagnato da Cristo, sempre sospinto,
da ogni parte con accanimento da nuovi Giudei.

Compariva in seguito una scena assai caratteristica, quella cioè di
una squadra di soldati Romani a cavallo, che mostravano di scortare
e sorvegliare il corteo nella salita al Calvario.

Poi veniva rappresentato l’episodio, na'uralmente incompleto, della
Crocifissione : Gesù colle spalle ignude, era attorniato dai Giudei che
continuamente facevano vista di strappargli di dosso gli ultimi avanzi
della veste che lo ricopriva; dietro due soldati Romani, con vassoio e
dadi in atto di giuocare questa veste, e insieme altre persone recanti
in una carretta croci, scale, corde, martelli, chiodi, cioè gli oggetti ne-
cessari alle Crocifissioni. Nel gruppo non mancava neppure l’uomo con
la canna avente all’estremità la spugna imbevuta d’aceto e fiele, non-
chè Longino a cavallo, con elmo e corazza, armato di lunga lancia,
pronta a colpire il costato di Gesù.

Dopo ciò, in un solo quadro, veniva la comitiva delle pie donne
che seguirono Cristo, vestite di nero e piangenti, con in mezzo la Ver-
gine che si distingneva per le sette spade d’argento che mostrava in-
fisse sul petto. E tra esse, erano le Marie ricordate dal Vangelo, non-
chè la Veronica, avente in mano il Sudario, con sopra effigiato il
volto di Cristo. Dietro .a costoro incedeva San Giovanni, che però, per
uno strano errore, sempre avvertito, ma mai corretto, rappresentava il
Battista, anziche l'Evangelista. Andava infatti scalzo ed ignudo, co-
perto di una sola pelle di capra, con una crocetta e una banderuola
in mano, col braccio permanentemente sollevato, nella sua posa ri-
tuale.

L’ultimo quadro, consisteva in un gruppo di fanciulli, vestiti di
cotta, con in mano lunghe aste recanti in cima i simboli della Pas-
sione cioè : I tre chiodi, il martello, la tenaglia, la spugna, la lancia,
la scala, la mano, il gallo, la veste rossa, quella bianca, i flagelli, la
eroce, i tre dadi, la corona di spine e la colonna.

Dopo di che, salmodiando, veniva tutto il clero e poi il simulacro
di Cristo morto e giacente in un feretro, portato a mano, sotto un nero
baldacchino, dai membri della Confraternita della Trinità.

Quindi, su di un ricco trono, seguente il feretro, veniva portata

210 R. GUERRIERI

la statua della Vergine Madre Addolorata, e dietro a tutto ciò si affol-
lava finalmente nna moltitudine di fedeli,

Notevole il fatto, in rapporto al nostro Laudario, che nel lungo
corteo, eranvi sempre due gruppi di uomini, che cantavano la Lauda
della Passione, Lauda che attraverso i secoli, subì certo molteplici so-
stituzioni, ma che in origine, secondo alcuni documenti, come ho già
detto, pare fosse appunto quella di cui tratteremo tra poco. I coristi
modulavano il loro canto, ricordante i pietosi episodi della Passione,

su delle arie melanconiche e dolci.

Un primo gruppo di essi apriva il corteo, l’altro disponevasi verso
la metà dello stesso, per non disturbarsi scambievolmente e per non
coprire le voci del clero salmodiante che seguiva. Il simulacro di Cri-

sto, morto e giacente nel feretro, durante l’anno si custodiva nel Con-
vento di Santa Margherita. Nel giorno di Mercoledì Santo, veniva
«trasportato nella Chiesa del Convento di Santa Maria Maddalena, dove
restava tutto il seguente Giovedì. La mattina del Venerdì Santo si
portava poi nella Chiesa di San Francesco, nella quale restava in a-
dorazione, e da dove, verso sera, partiva la Processione, che, dopo un
lungo giro per le principali vie della città, ritornava alfine al Mona-
stero di Santa Margherita, al quale veniva riconsegnato il feretro, fi-
gurandosi con quest’ ultimo atto della cerimonia, la sepoltura di Cristo
Dopo di che il corteo, spogliato di tutti i gruppi pittoreschi, sopra
descritti, composto cioè dei soli membri delle Confraternite e del Clero,
cantando lo Stabat Mater, ritornava alla Chiesa di San Francesco,
dove riportava la statua della Madonna Addolorata e dove scioglievasi.
La. popolazione che lungo le vie faceva ala al corteo, al comparire
del feretro col Cristo morto, si accalcava intorno ad esso per baciarne
l'effigie. Oltre a cioè la Processione sostava di regola davanti alle abi-
tazioni delle famiglie nobili della città, ed il padrone di casa, accom-
pagnato dai domestici in livrea e con torcie accese, scendeva allora in
istrada, per baciare anch’esso il Nazareno.
Tra i cittadini, era una vera gara per prendere parte personal-
mente ai su descritti gruppi rappresentanti gli episodi della Passione.
Specialmente la figura di Cristo era più di tutte ambita, diveniva
anzi una privativa di alcune persone che si facevano vanto di rappre-
sentarlo. E questo diritto, passava per eredità, nelle famiglie, da
padre a figlio, venendo trasmesso dopo la morte come per testamento.
Eppure, già si è notato, non era piacevole cosa l’ andare per lunghe
ore scalzi, quasi ignudi, spesso sotto la pioggia, trascinando catene e
sopportando il peso della Croce, in una stagione ancora quasi inver-
nale. A meglio illustrare questo fanastismo, piacemi qui ricordare il

IL LAUDARIO LIRICO, ECO. 211

fatto, avvenuto meno di un secolo fa, di un tal Luigi Tega, il quale,
vecchio settantenne, colpito da grave polmonite si levò dal letto per
rappresentare nella Processione, il Cristo seminudo, coronato di spine.
Ed è fama che non per questo morisse. La gara, era viva anche nei
fanciulli, per accaparrarsi in tempo le su descritte aste recanti i sim-
boli della Passione, ed i giovanetti giungevano persino ad elargire
delle generose mancie ai Mazzieri delle Confraternite, già varii mesi
innanzi il Venerdì Santo, pur di venire esauditi.

Ma, come in principio si è notato, oggi poco o nulla resta di sì
grandiosa ed originale Processione, in antico probabilmente ancor più
complessa di quella che noi abbiamo potuto descrivere, e che per certo
è destinata in breve a sparire completamente, almeno nelle sue pitto-
resche manifestazioni.

Dovo questa non inutile divagazione, passiamo senz’ altro ad illu-
strare la vetusta Lirica che a tale parentesi diede motivo. Noteremo
subito che questa prima Lauda trovasi scritta due volte nel nostro Co-
dice. Anzitutto dal foglio 31 al foglio 36, secondariamente dal foglio
31 al foglio 40. Sul primo testo si vedono praticate, da mano coeva,
ma diversa, numerose correzioni e modifiche. Alcune quartine qua e
là sono del tutto soppresse con tratti di penna che non ne impediscono
però la lettura. Anzi, ad un certo punto e precisamente dopo la no-
vantaseiesima quartina, tutto quello che resta della Lauda, tutto cioè
il suo finale, é stato annullato e sostituito, in calce al foglio, con altre
e diverse quartine Il secondo testo che, come si è detto, si inizia col
foglio 37 appare essere invece, nè più nè meno, che la buona copia
del primo, fatta appunto dopo che a quest’ultimo erano state apportate
le modificazioni suddette. Assai interessante è il confronto dei due e-
semplari, perchè ne emerge tutto il lavorio di modificazione e di adat-
tamento, fatto dal Laudista sul primo testo, composto probabilmente
da altra persona, da un suo predecessore. Non è facile dimostrare ap-
pieno questo lavorio e occorrerebbe per ciò fare, una riproduzione fo
tografica dei fogli originali. Ad ogni modo, per darne un'idea, io qui
appresso pubblicherò, con caratteri rotondi il secondo dei due testi,
perchè più corretto, specie grammaticalmente, interpolandovi però, al
dovuto posto, ma con caratteri corsivi, le quartine, come si è detto,
omesse dal Laudista correttore e che figurano invece nel primo. Giunti
al punto in cui i due testi della Lauda si differenziano completamente,
li trascriverò ambedue l'uno di fianco all'altro, mantenendo pel primo
il carattere corsivo e per il secondo il carattere rotondo. Per quanto poi
si riferisce alle variazicni di una o più parole che si riscontrano nei
singoli versi se riconfrontiamo i due testi, io indicherò in nota volta

212 R. GUERRIERI

per volta, la dicitura del primo testo, ma non terrò conto delle discor-
danze ortografiche, per quanto importanti, essendo queste cosi nume-
rose che bisognerebbe, in tal caso, trascrivere per intiero ambedue gli
esemplari.

LAMENTO DE MARIA

Uno dolee pensiero, tuetora m'enveta,
Contare el eordoglio, lamento et la pieta,
Della vergene Maria, che venne exmarreta,
De sì ria novella che li fo revereta.

Pregove adonqua a voi, donne cortese,

A ciò che da Dio non siate represe;
Posateve um poco, et dirove en palese :
Questo mio, ninguno, novo sermone intese.

Stando Madonna, lo giovedì sancto,

Nanti alla sua cella, admantata del manto,
Spectava el suo figlio, che l’amava tanto,
De grande alegrezza tornato li è in pianto.

Venneli um Messo con sì ria novella,
Trovando Madonna nanti alla sua cella:
Que fai tu, disse, Maria talpinella,

Che ’1 tuo figlio è preso et forte se flagella?

Giuda, suo descepolo, sì l’ha ingannato,
De cui lo tuo figlio s’è tanto fidato;
Privatamente gi nanti ad Pilato,

Et per suo consiglio, fo preso et legato.

Verso 3: Como la vergene Maria .... — 13: Che le venne um Messo
de sy rea .... — 14: Trovò Madonna .... — 15: Disse, non sa tu questo

Maria tanpinella .... — 20: Et per suo mal comselglo ....

IL LAUDARIO LIRICO, ECC.

Basioli in bocca et disse: Or lo prendete,
Questo è el maior nimico che havete,
S'emmantenente vui non l’occidete,

Lo regnio et la gente vostra perderete.

Et la gloriosa, tucta intramortia,
Della novella trista che hodìa,

El core del corpo da lei se partia,
Cadde trangossiata, che non se sentia.

Denanti dal pecto se fendia li panni,
Bactiese el viso, et chiamava Giovanni,
Li soi discipoli, et li altri conpagni,

Che con seco era stato trenta et tre anni.

Adsai li chiamava, ma non li vedia,

Alto gridava quantunqua podia,

Dicendo: Figliolo, se io sapesse la via,

Non m’encuraria se non havesse compagnia.

A te men veria senza onne dimora,
Stareme con teco, figlol mio, a tutt'ora;

Stando divisa da voy, pare ch'io mora,
Per la ria novella che senpre pegiora.

Chy me donasse tanto aqua, per Dio,
Aglò ch’ ie mey chonpiangie el figlolo mio;
Che el suo desipolo fo falso et rio,

Per trenta denare a Pilato el vendio.

Lasciò me trista; mai non finaraggio,
Sempre la nocte e ’1 dì io piangeraggio;

21: Basavali in bocha, disse: .... — 26 : De la novella angososa che ....
— 28: Casscó trangusata che .... — 80: Ferivase el viso .... — 82: Che
con esso avia fernito trentanni — 34: Ad alto gridava .... — 35: Dicia
dolee filglo s! io .... — 86: Non faria forza d'altra compagnia. — 45:

Perció lasció trista, mai .... — 46; .... e lo dy piangeraggio.






















214 R. GUERRIERI

Com gram reverentia pregava el messaggio,
Dicendo: Or m'ensegnia, per Dio, el viaggio. 48

e. 34t
So exbagottita, non so dove me vada,
Io non so el luocho, nè quella eontrada,
Vestise el nero, et spogliose la biada,
Uscì scapigliata fore nella strada. 52

Dicendo: Oimè, Giuda, como mal t'ho veduto,

Se la tua voglia ria havesse saputo,

Che ’1 mio figliolo tu havisti traduto,

Più denare che havisti t’averia renduto. 56

In questo venne le soi sore Marie,

Alla gloriosa gettolise alli pede,

Disse: Bem venate vui sorelle meie,

Como male n’ha pagato li falzi Judeie. 60

El mio dolce figliolo, sorelle, m'han preso,

Ad Dio, né ad ragione, non l'hanno inteso,

Com grande ingiuria li hanno percosso el veso,

Parente non have che l'avesse defeso. 64

Questo l’ha facto Giuda traditore,

Ad cui el mio figliolo facia tanto honore,

Con esso alla mensa mangiava a tuet’ore;

Or me consigliate, che moro de dolore. 68

Le sore Marie piangeno fortemente,
Abraciavan la matre ch'era sì dolente,







48: -Diela; or... — 40: So sbagutita et non so ho me vada — 85:
Dicia, omè Giuda, coma t’ ho vegiuto — 56: I dinari che aveste più t’ a-
veria arenduto. — 57: Entanto venne .... — 58: A la gloriosa gitossili
ai pey — 60: Co mal n° ha Pagato 51.. — 617 0:7 flplo^.. 4/72 068 De
sputo glom tucto inbratato el .... — 64: .... che 1° aggia .... — 66 : A cui




el mio. filglo:5:,192068: «5. ‘che io moro ....




























IL LAUDARIO LIRICO, ECC. 215

Or ne conven vivare in tormente,



Et stare dolglose, nel core et la mente. 72

Poy che altra conpagnia aver non posemo,

Per Dio, Madonna, più non demoremo,

Ai pei de Pilato noy ne gietaremo,

Com gran cordolglo, noy el pregaremo, 76

Che ello guarda bene a la veretade,

Perchè è acusato con gran falsitade

Vegiendone matre cosy sconsolate,

Forsy, che Pilato, le veneria pietade. 80

Madonna resspuse: Sore mey bene dicete,

Di ciò che voy fate, gran ragione avete,

Che molto ve amava, voy lo sapete,

El vostro maestro, che perduto havete. 84

Maria Madalena fortemente: piangia,

Squartandose el viso, et tucta se fendia,

Dicendo : Madonna, mettanee per via,

Se più demoramo, facemo villania. 88

Non devemo più pensare in le nostre persune,

Po’ ch'è preso Christo, messo in pregiune;

Abraciava la matre et dicia: Leva sune,

Giamolo a vedere, et non dimorem piune. 92

Andando con quelle la matre de Cristo,

Scontrò Giovanni, che venia molto tristo;

Disse: Madonna, preso è el mio maestro,

En dura prigione, Pilato l'ha messo. 96

Et quando lo prese quella gente ria,
Li fece, Madonna, una gran villania;



86: Squartavase el ss — 87: Dicia .... — 95: Disse, o Madonna .... 216 R. GUERRIERI

Sputavali in boccha, et chi lo spengia,
Facendolo cadere, chè non se tenia.

Tucte le sue veste li fece spogliare,
Le mano, dereto, li fecero legare,
Ad alta boce comonzò ad gridare :
Ogni homo lo bacta, chè non po scampare.



Et tanto fortemente quelli lo bactio,

Che tucto el corpo de sangue coprio,

Adlora puse mente lo maestro mio,

Et disse: O Giuda, quanto fosti rio. 108

Che m’hai facto pilglare, senza alcuna ragione,

Con lance et con fruste, como fosse un latrone;

Steva nel tempio che fece Salamone,

Senpre predicava, et non me mise în pregione. 112

Madonna li disse: Perchè lo lassave,
El figliolo mio, perchè nol l'aiutave?
Tu sai che parente non havisti mai,
Che tanto bem te volesse, et tu lo sai. 116

Giovanni li disse: O vergene pura,

El fo si gram gente, senz'altra mesura;

Tucti ne fuggemo, per la gran paura

Che prisci non fossamo, che era nocte scura. 120

Giamai el mio maestro non podecti vedire,

Della gram doglia, me credo morire,

Con tiecho, Madonna, me voglio venire,

Et sempre con vui, voglio vivere et morire. 124

106 : .... sangue el coprio. — 107: Alora ebbe mente .... — 108: ....
quanto se stato rio — 114: El figlolo mio, Giovanne, perchè non aitave ?
— 116: Che più bem te volesse e tu bene lo say. — 118: Chè fo si ....
— 119: ... infugimmo .... — 128: .... me volglo mo venire — 124: Et

starme con teco, vivare e morire,

IL LAUDARIO LIRICO, ECC.

Giongendo ad loco, dove era menato,
Cusì dolorosa gi nanti ad Pilato.

Disse: O mesere, non ha facto peccato
Questo mio figlio. Chè l’hai sì flagellato ?

Per lo amore de Dio, te voglio pregare,
Ch'um pocho al mio figlio me lasse parlare,
Cusì duramente nol fare tormentare,

Ch'é tanto baetuto, che non pò più durare.

De questa sua matre, ch'é cosy sbaguteta,
Per Dio, Pilato, s& ve ne prenda pieta;

Al mio figlolo non tolglere la. veta,

Che a torto lo acusa, questa giente infeneta.

Pilato respuse: Que ne posso io fare,

Che ’1 suo discepolo ma l’ha facto pigliare?
Lo prezzo che n’ave, fo trenta denare,
Disse che era homo degnio de impiccare.

Vactene, femena, et non me stare più nante,
Che questo tuo figlio ha conmesso mal tante;
Convene che mora, in dolore et piante,
Per lui fuoro morti cento milia infante.

Et giva predicando novellamente,

Com sua leggie nova, convertia la gente;
Una femena li disse in pressente:

Como falso homo per la boccha ne mente;

Lo tenpio de Dio, tu vole desfare,

Et poy el terzo dine, dey resusitare.

Como lo dice ch'io lo deggia lassare,

Dingno è de ardarlo et da lapidare. 152

125: .... alloco hove. — 188: .... me lo fece pilglare — 148: Com-
vem ch' el mora in dolore et in piante — 144: .... fo morto cento milia

fante.



218 R. GUERRIERI




Et ciò che Pilato alora dicia,

Fo per conpiacere quella gente ria;
L'acusa era falsa, bem lo conesia,
Che nisuno pecato trovare no li podia.






La matre, trista, piangia molto forte,
Disse: O meser, tu non me conforte,
Solo um pocho, me fa aprire le porte,
Che io li favelli nante alla sua morte. 160






Pietà te prenda de questa talpinella,

Ché so si trista, dolorosa et fella,

Tu vidi che io moro, se non me favella

El mio figliolo, che sì se fragella. - 164






Adlora Pilato non se podeete durare,

Voltose in reto, et comenzó ad laeremare,

Mandó per quelli ehe l'avienno ad tormentare,

Et disseli: Lassateli um pocho parlare. 168






Quilli la menaro dove ello statia,

Ad una colonna legato lo avia,

Tanto era baetuto, la nocte et la dia,

La matre el chiamava et non li respondia, 172






Dicendo: Meschina, quanti sonno i guai mei,
Favellame, figliolo, che in tal dolor sei;

Poi se voltava, diciva alli Giudei:

Scioglieteli um pocho le mano et li pei. 176





Chè non fa mocto, sì forte è legato,
Et tanto lo havete male tormentato,




157: La matre sua trista .... — 168: Tu ve eH..io-moóro.si«el .-. —
164: Lo figlolo mio caro che ..



.. — 166: Voltosse, cominciò a .... —





168: Et disse .... — 178: Dicia, o me trista, quanto .... 174 : .... filglo::0::
— 178: Tanto lo havete cosy tormentato,


IL LAUDARIO LIRICO, ECC. 219

O dolce mio figlio, or sei consumato,
Te veggio morire, et non m'hai favellato. 180

Dicia a le Giudei: Prendeteme a mene,

Legateme strecta con queste catene,

Che i volglo patere de le soy grave pene,

Che el mio figlolo a torto sostene. 184

Dieendo: Figliolo, patre et marito,

Moro de dolore, tanto 6 el mio inuito,

Veggiote el sangue che tucto t’è uscito,

El tuo bel viso è tucto scolorito. 188

Favellame, figlio, dolee el mio amore,

Alla tua matre che more de dolore,

Solive essero frescho più che niun fiore,

Cagniata hai la vista, et perduto el colore. 192

Et Jesù disse: O matre mia carnale,

Perchè te consume, che niente te vale?

Tornate ad casa, et non gire più venale,

Che questa ria gente, non te fesse male. 196

El mio patre vole, che io mora con dolore,

Per recomparare el mio peccatore,

El fele et l’aceto, serà el mio sapore,

Chi non me conoscie serà in errore. 200

Adlora la prese quella ria gente,

De fora la spense adsai villanamente,

El figliolo piangiva et ponivali mente,

Dieia: O matre mia, conducta a niente. + 204






179: O dolce bel filglo .... — 180: Io te veggio .... — 185: Poy
disse, o filglo .... — 186: Io moro .... — 187: Che te veggio .... — 188:
Et el tuo .... — 191: .... che no se sia fiore, — 198: Lo figlo li disse ....

— 196: .... non te faccia male,



220 R. GUERRIERI




Da poi, fore de casa, lo ficero trare,
Tanto era baetuto, che non podia andare;
Pilato disse: Que ne volemo fare,
Volemolo occidere, o volemolo lassare?






Ad me me pare, che ello sia lapsato,
Poi che l’avemo cusì tormentato,
Io l’aggio assai bene examinato,
In lui non trovo nigiuno peccato.






Li Giuderi gridano tucti ad alta vuce:
Custui la nostra gente tueta subduce,

Or lo condanna, che sia posto in eruce,
Con la lenza ad li ochi, che perda la luce. 216








Vedendo Pilato la loro voglia ria,

Disse: Or lo prendete et menatolo via,

Io ve lo metto in vostra balia,

Li mereti, el peccato, tueto vostro sia. 220







Ad erucefiggere li Giuderi el menone,
Corona de spine, in eapo portone,
Quilli li missero per maiore passione;
Dereto ad lui, menaro dui latrone.





Do
n2
B



La croce in collo li fece portare,

Per più disspregio, chè se volia apicare,

La lenza agl'ochie li fece legare, 3
Che non vedesse lume nello andare. 228






Andava Christo com tanta passione,
La croce in spalla, com doglia portone,






211 : Io aggio lui tucto examinato — 218: Mo quelli gridavano tucty ....
— 214: Tucta la nostra gente se conduce — 215: N



ante el condanna ....
+ 216: Co lo lonzo a glochie .... — 990: Lo honore o il peccato
221: Et a crucifigiere ....




Sade AN



— 280: Con la croce ....





IL LAUDARIO LIRICO, ECC. Do

Con humele voee, la matre ehiamone,
Et aneo Giovanni, quale tanto amone: 232

Viene, matre mia, longo el mio lato,
Ché non posso andare, tanto so alentato,
Per la gram sete, me vene mancho el fiato,

t

e

Tucto so rocto, sì m'hanno tormentato.

Disse la matre: Figliolo, volontiere,

Tanto sei stanco, che no te poi sostenere,

Fecese innante per volerce gere,

Um Giudeio la spense et fecela cadere. 240

Et disse: Femina, io me meraviglio,

Che sei stata matre de sì rio figlio,

Quel che nui famo, facemo per lo meglio,

Perchè è stato homo de falzo conseglio. 244

Maria respuse, molto vergogniosa,

Disse: Figliolo, molto so dolorosa,

Non te posso adiutare, nè anco dare posa,

Trista me exventurata, quanto so angosiosa. 248

Dicendo: Talpina, come posso io fare,

Figlio, tu me chiame et non te posso aiutare,

Vegiote stancho, che non poi andare,

La croce te pesa et non la poi portare. 252

Dolce figlolo, quanto soporte briga,

Per tucto el corpo, lo sangue te riga,

Assay prego quiste che mon t'afatiga,

Nisum non è, che a mia pietà se piga. 256



9232: Et a sa Gioanni, suo frati, qual tanto amone — 23D: 7. I8
vem meno lo fiato. — 288: Tanto sey alentato che non po sostenere —
240: Et um la sponse e .... — 9247 : .... aiutare, figlo, né dar posa —
248: Trista la tua matre como vive angososa — 249: Dicia, o me tan-

pina .... — 251: vegiote sì stanco ....

p»2 R. GUERRIERI

La eorda in eanna, messo li havia,

Chi lo tirava, et quale lo spengia,
Facendolo cadere perchè non vedia,

La madre era trista, et del dolore moria.

o. 301
In monte Galvano, si llo menone,
Ensù in quel monte, la eroce fiecone,
El bono Jesune, in essa chiavellone,
Cum dui latruni sì l’acconpagnione.

La matre vedendo el figliolo afflicto,
Dicendo : Figliolo, che sei cusì sconficto,
Or te tenesse fra le mei braccia stricto,
Che io te toccasse, figliolo mio benedieto.

O figliolo mio, chi me t' ha robbato ?
Che io te veggio nudo, dispogliato ;
Caro mio figliolo, che sei sì sconsolato,
Com dui latrune tu sei adeonpagniato.

O figliolo earo, persona mia bella,
Manda consiglio ad questa talpinella ;
Serò io al mondo si mischinella ?
Hoimè trista, che non me favella.



Dolce figlolo, pochè voy morire,
Contenta tua matre de ciò che vol dire,
Non me fare vivare in tante martire



Che non so più do’ me gire nè venire. 280

Tu sai ch’ io rimango senza alcun riducto,



Veggiote morire, et non me fai mucto,
Io so la tua matre et tu sey el mio fructo, Ly
Si non me recomanna, io so morta in tucto. 284

258: Qual lo tirava, et qual .... — 263: Lo nostro Segnore su ce b: s
chiavelone — 266: Dicia, figlolo mio, co sey sconfieto — 271: .... figlolo ;

così sconsolato — 276 : .... che ello non ....



IL LAUDARIO LIRICO, ECO. 223



Pensa in la tua matre cosy sconsolata,

Che sopre one femena reman consumata,

Non vorria più vivare, or non fosse nata,

Triste la mia vita, quanto è adolorata ! 288

El bom Jesù, si li ponia mente,

Vedendo la matre stare sì dolente,

Laereme molte spargia fortemente,

Chiamò Giovanni, che era lì presente. 292

Disse: O Giovanni, lo mio gentile fratre,

Tu say che conven ch’ io hobedissca el mio patre,

Vole pure ch’ io mora per dare vita ad altre,

Io te recomando questa mia matre. : 296

Giamai, fratello, non l'abandonare,

Mo sempre con teco la deggie menare,

Che non ha reducto hove possa andare,

Et ella, te deggia servire et amare. 300

Poi se voltò et disse: O matre mia,

Esto Giovanni el tuo figliolo sia,

Com lui te sta la nocte et la dia,

Chè male non te faccia, questa gente ria. 304

Questo dicendo lo figliolo de Dio,

Venne un Giudeio cusì falzo et rio,

Com una lancia, nel costato el ferio,

Sangue et lacte de quella piaga uscio. 308

Poi che fo ferito cusi in sulla eroce,
s La matre et Giovanni, chiamò ad alta voce :
Io vorria bere, or chi me ne adoce ?

N El core del corpo, tueto m’ arde et coce. 312

290: Vegendo la matre che ia si dolente — 291: .... molte mectia
E fortemente — 292: Chiamó san Giovanni — 304 : Che non te faccia mala ....
: — 806: Venne et partisse un Giudero falso et rio. — 308 : Siché sangue ....
-





224 R. GUERRIERI



La matre disse: Trista, come faccio,
Che io non l’ ho, filglo, si non ne procaccio ?
Per Dio, Giovanni, ora ne vaccio,

Or me vem meno el gioco, el solazzo. 316

Adlora se mosse un Giudeio adirato,

Fele et aceto ello ebbe trovato,

In una spognia, sì lli ebbe dato,

Gustandolo disse: Or so’ consumato ! 320

Ad alta voce dicia: O patre mio,

Recomandote l’anima et lo spirito mio ;

Enchinando el capo, lo figliolo de Dio,

Lo spirito santo da lui se partio. 324

e. 40 ;
Quando Jesù in sulla eroee migrone,

El sole et la luna, ello se scurone ;

Dal eelo eadde stelle, et la terra tremone,

Et multi eorpi morti si resuscitone. 328

Madonna piangia assai fortemente,

Voltose indereto, fra quella ria gente,

Dicia: Non ce vegio amico nè parente,

Che dia conforto ad questa dolente. 932

Alzava le braccia, piangendo ad alta voce,

Dicendo : Or t’ enchina sanctissima croce ;

In te si pende quello ch’ era vera luce ;

Io non so dove vada, or chi me conduce ? 336

819: Et in una spongna, sì le avve dato — 320: Sputandolo disse ....
— 8325: E quando Cristo su .... — 326: El sole, et la luna, et la luce
mancone — 328: I monimente se aperse, i morti resusitone — 329:
.... piangia molto fortemente — 331: Dicia, io non .... — 9332: Che renda
conforto .... — 888: .... piangia ad alta boce — 334: Dicia .... — 385: ol

In te pende .... — 386 : Io non so o me vada .... [i

IL LAUDARIO LIRICO, ECO. 225



Cusì dolorosa adbracciava Giovanni,

Bactiase el viso, et squartavase i panni ;

Dieia: Oimé, figlio, quanti sonno li mei affanni,

Or fosse qua li toi saneti compagni. 340

Non me lassciare tra questi Giudey,

Che per farme vergongna, sonno molto rey,
Reguardaronme finché con meco sey,

O. trista me, quante som li guai mey. 844

Giovanni respuse, com grande sospire ;

Dicia: Dolce matre, per Dio, non lo dire;

Giamai da te me voglio partire, i

E starme con tiecho, vivere et morire. 348

Perchè ello me recorda, quel comandamento,

Che Cristo me fece con sì gran talento ;

Exendo in croce, in tanto tormento,

Damete per matre, et io ne fui contento. 352

Maria Jacoma, Solomeia et Madalena,

De grande dolore li tremava ogni vena,

Che vedienno morto Jhesù in tanta pena,

Adbraciava Maria, la matre regena. 356

Piangevan forte, molto teneramente,
De l’asspera morte de Dio honipotente,
Poy sy parlava cesscuna in presente :

Posateve um poco, o matre dolente. 360
P 338 : Ferivase el viso .... — 339: Dicia, dolce filglo .... — 347: ....
da te non me volglo ... — 363: .... filglo .... No

R. GUERRIERI

Nui vedemo venire, Madonna, per via,
Nicodemo et Josepo ad baramactia (sic),
Del tuo figliolo, amico ciascheuna dicia,
Odete, Madonna, la loro diciria.

Gionse Joseppo et anco el suo conpagnio,
Adbracciava Maria con cordoglio et lagnio,
O matre nostra, molto è el tuo dolor magnio,
Morto è el tuo figlio, senza alcun restagnio.

‘El qual, Maria, ha receuto gram torto,
El tuo figlolo, del mondo conforto ;

O Jhesù Christo, che stai in croce morto,
Tu n’ hai lassate dolente et a mal porto.

O matre santa, noy havemo licentia,

Da Pilato et li altri, con vera sententia,

Che el tuo figlolo, quale è morto în presentia,
Lo levamo de croce senza resistentia.

Poi Nicodemo, nella croce montone,

Le mano et li piedi, sì illi schaviglione,
Nelle braccia de Maria el figliolo pusone,
Quale era morto in tanta passione.

Da lei el tolsero, et poi portorlo via,
Piangendo forte quella conpagnia,

Nel monimento el bom Ihesü mectia,
Con una gram petra, de sopra el copria.

365: Gionse Joseppe el suo conpangno — 367 : O matre pura, molto ....

el to filglo, non è ancor el sangue stangno. — 377: Nico-

demo et Joseppe nella croce montone — 379: Nelle mey braccia el mio

figlolo possone — 380 : Che era morto .... — 381: Poy lo tolsero et por-
torlo via — 388: Nel movimento el mio figlolo lo metia.

IL LAUDARIO

elle Marie, tuete confortava
4 matre de Cristo, che con dolore stava,
poi da lei tuete si se adconbiatava
t com Giovanni sola la lapsava.

E 388
(Giovanni, stando colla Vergene pia,
"Matre, dicendo, senza dire bugia,

fl tuo figliolo, senza alcuna resia,

D

"Resuscitare deve depo la terza dia.

392

m cielo deve andare quel Segnior superno,
d possedere el sancto regnio moderno,
Ad lato el suo patre, quel Segnior eterno,

Et li deve stare in sempiterno.
396

Or te conforta, matre iuxta et degnia,
La sancta profetia che quisto desegnia,
Jhe el tuo figliolo, persona benegnia,
Resuscitare deve colla sancta insegnia.
400

empre si laudato, Jhesü nostro Segniore,
Che fusti crocefisso per nui peccatore,
Pregare te volemo, sommo redentore,
Che ce concedi del tuo santo amore.

.E tu Vergene pura et glorificata,
Che de tanta passione fusti adolorata,
De nui peccaturi siate advocata,
Che ce conduchi nella gloria beata.
408

Amen
Deo gratias amen : finis.

LIRICO, ECC. 227
Nicodemo et gli altre, tucty la abraciaro,
Con, lamento asay, che non avia riparo,
Piangendo forte, el suo figliolo caro,
Poy umilemente, sy la confortaro.
CCCLXXXVIII

Le soy sorelly dician: Per pietate,
Matre, per Dio, um poco ve posate,
Cosy ve pregamo con gran caritate,
Cesscuna de noy in pace ascoltate.
CCCXCII

Con reverentia a Maria dicia,
Che el suo figliolo, pien de cortesia,
Ch'à morto al mondo da la giente ria,
Dopo el terzo dì resusitaria.
CCCXCVI

Et poy insemo cesscuna diceno :
O matre santa, andare ne volemo
Per tucto el mondo, e tanto cercaremo,
Che el tuo caro filglo noy retrovaremo.
i CCCcC

Da ley dolente si s'acomiataro,
Cesscuna, in suo modo, sì la confortaro,
Con sam Giovanni sola la lassaro,
Fedele al suo filglo, a lei tanto caro.
CCCCIV

Et insieme a casa me andarno dolente,

Lassarno morto Christo onipotente :

AL suo. sepulcro, quella ria giente,

Si lo guardava molto strectamente.
CCCCVIII

Le soy sorelle, tanto al mondo cercaro,

Che el terzo dine, el suo filglolo trovaro,

Con alegrezza a ley retornaro,

Con bona novella a ley confortaro.
CCCCXII

Qualumqua ha inteso questo nobel sermone,
De Jhesù Christo la sua santa passione,





R. GUERRIERI

Quaranta anni l’è dato de perdone,
De l’aneme s0y per remissione. 1
CCCCXI

Sempre sia laudato Jhesù nostro Segno

Quale è suto morto per noy pecatore,

Pregamo lui, sommo redentore,

Che ce conceda del suo santo amore.
cccc

Pregamo Idio e la matre Maria,

Chè salve e guarde questa conpagnia,
Homeni et donne che con loro stia,
Da mal li defenda la nocte et la dia.

Pregamo Christo et sua santa figura,
Chè vita longha in sanità ce dura,
L'anime nostre, sia in celo in sua cura;
Andatevene a casa con la bona ventura.

CCCCXXVII
. Finis

II. LAUDA.

YHESUS.

Patre del eielo omnipotente Dio,
Misericordia noi t adimandamo,
Figliolo redenptore eterno et pio,
Gratia et misericordia a voi chiamamo,
Spiritu saneto, segnore senza rio,
Humilmente ne reconmandamo,

O sancta eternità, tre et uno,
Misericordia v'adimandano ciascheuno.

Misere indigne peecaturi che semo,
Superbi, iniqui, et pieni de gran fallanza,
Ad tua magna potentia reconremo,

Col capo inchino chedendo perdonanza,

IL LAUDARIO LIRICO, ECO.

Tanti peccati facti et dieti havemo,

Non lo podemo dire che semo pieni de ignoranza,
Deh non guardare a noi, miseri et tristi,

Patre et signore per noi morire volesti.

O quante surdi et muti liberasti,

Jona del ventre del pesce traisti,

Et Lazaro per piata resuscitasti,

Et Pietro lagrimando recevisti,

Longino che te ferì li perdonasti,

A ladrone della eroee li dieisti :

Oggie serai con mecho in paradiso.
Cosi el nostro pregare da voi sia intiso.

Pregamo te, per amore del Gabrielo,
Et per amore dell'angelo Charubino,
Et per amore dell'angelo Raphaello,
Et per amore dell'angelo Sarophino,
Et per amore dell'angelo Michaello,
Ch' a questa pestilentia pongan fino ;
Digni non siamo de pregarte, patre,
Mo reconremo alla tua dolce matre.

O saneta, in prima et poi che tu nascite,
Vergene electa dallo eterno patre,

Per spiritu saneto concepiste,

El salvatore te volse per sua matre,

Et vergene depo el parto remaniste,

Pura et necta di peccati ladre,

Pregamote matre, con devota fede,

Che prieghi Christo che ne habbia mercede.

O figlioli miei, de voi me vene gran pianto,
Ma per le vostre misere peccata,

Havete el mio figliolo offeso tanto,

Che me vergogno fare questa inbasciata.
Poie che da voie so chiamata tanto,

Io ce tornarò un’altra fiata,



R. GUERRIERI

Et cercharò per voi questa concordia,
Et voi chiamate a lui misericordia.

Benedecto si, figliolo, dallo’ eterno

Idio patre, che el mondo ordenasti ;
Benedecto si figliolo in sempiterno,
Benedecto sia el dì che incarnasti,

In el mio ventre, per serrare lo inferno,
A miseri peccaturi tu perdonasti,

Et la domanda mia feciste satia,

Et io, figliolo, per loro domando gratia.

C. 42 t.

Vogliamote pregare,

O gilglio encolorito,

Che ne facci salvare,

Ad quil che hay partorito.

El misso de Dio patre,
Sy venne alla sua ciella,
Ad chiamarte per matre,
Dalla Diana estella.
Madonna li favella,

A llue figliolu benegnio,
Che tucti nel sua regnio,
Cie voglia collocare.

Tu fussti salutata,

Per parte del Segniore,
Et fussti igravedata,

Del sua santo esprandore;
O matre de quil fiore,
Che hay reconparato
L’omo ch’era dannato,
Per lo sua gran malfare.

Alli pastury fo dicto:
Tosto sì n’andate

III. LAUDA.

Ad vedere quillo fructo benedicto,
Che voy devete avere;

Et facciove sapere,

Ch'el trovarete in paglia,

Et ly già se travaglia

Per volerlo adpopare.

Nove misy hai portato
E tua figliolu piacente,
Et poy si l'hay donato,
Alla umana giente,

O matre, rosa aulente,
O Vergiene piatosa,
Datecie requia et posa,
Et non voler tardare.

O matre, rosa aulemte,

Che hay portato el gilgliu,
Che, senza corectura,

Sete remasta como un giglio,
Or ne dà el tua consilglio,
Chè abiamo el paradiso,
Dov'è solaczo et riso,

Et onne fisstigiare.

IL LAUDARIO LIRICO, ECC.
IV. LAUDA.

Questo componimento poetico, con più o meno notevoli variazioni,
aggiunte o mutilazioni del testo, fa parte anche di altri Laudari, con-
tenuti nei seguenti Codici: Codice Membranaceo N. 91 della Biblioteca
Comunale di Cortona, nel fog. 182 e poi di nuovo nel fog. 127, (fine
del XIII o principio del XIV secolo); Codice Membr. N. 180 della Bi-
blioteca della Pia Fraternita dei Laici in Arezzo al fog. 75 v (secolo XIV);
Codice Membr. dell’Archivio dell’Ospedale di S. Bartolomeo in Borgo
S. Sepolcro al fog. 1 (Laude adespote XIV e XV secolo); Codice Car-
taceo e in parte Membr. A. D. IX. 2 della Biblioteca Braidense di Mi-
lano fog. 151-152 (Laudes quas composuit frater Jacobus de Tuderto
Sec. XV): Codice Membr. N. 307 Classe I. della Biblioteca Municipale
di Ferrara al fog. 4 v (Sec. XV); Codice Membr. 8521 della Biblioteca
dell'Arsenale di Parigi, fog. 3r (Laude adespote, XV secolo); Codice
Cartaceo L. VII. 266 della Biblioteca Chigi in Roma al fog. 71 r, Lauda
N. 142 (Fine del XV secolo); Codice Cartaceo II. I. 202 della Biblioteca
Magliabechiana, nella Nazionale Centrale di Firenze, a c. 98 r (Sec. XV)
e Codice cartaceo II. IX. 140 della stessa Biblioteca a c. 197 v (Sec. XV)
e finalmente Codice Membranaceo dell'Archivio Comunale di Fabriano,
senza segnatura d' Archivio citato dallo Zonghi ed illustrato dal Galli (1).

Nel nostro Codice, come anche nel su ricordato Codice della Biblio-
teca Comunale di Cortona, è interessante questa Lauda per la musica
arcaica che l’accompagna, musica però del tutto diversa in ognuno dei
due Codici. Noi qui sotto riprodurremo prima il testo musicale originale
esistente nel Laudario Gualdese, poi la versione dello stesso, ed infine
le note illustrative, gentilmente apportatevi dal Prof. Mons. Raffaele
Casimiri, illustre figlio di Gualdo Tadino, Maestro Direttore della Cap-
pella Lateranense in Roma.

(1) A. Zoncni: Documenti Storici Fabrianesi (Capitoli della Fraternita dei
Disciplinati di Fabriano). Fabriano, 1879, pag. 9 e seg. — G. Garur: Laude
inedite dei Disciplinati Umbri. Bergamo 1910, pag. XII e XLII.



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IL LAUDARIO LIRICO, ECC.

VERSIONE DEL Testo MUSICALE ORIGINALE.

Cantus.
Sa - lu - [tam de -| vo- ta - |men-

Altus.

Tenor.

Bassus.

Pal-.ta Ver-gi - | ne Ma- ri -

II. Versione. coll? alius Altus.

Cantus.

Sa - lu - |tam de - |vo- ta - | men-

[Alius Altus

Tenor.

Bassus.

Ver- gi - -| ne Ma- ri -





R. GUERRIERI

NOTE ILLUSTRATIVE AL TESTO MUSICALE ORIGINALE

La composizione musicale, come apparisce dalla grafia, può ascri-
versi alla seconda metà del secolo XV; esaminandone tuttavia il ca-
rattere interno, essa è certamente di epoca anteriore. La Lauda è
scritta a quattro voci: « Cantus-Altus-Tenor-Bassus » con l’ « Altus »
redatto in due forme differenti. Il brano reca le « chiavi » di « ut »
1a riga pel « Cantus », « ut » 3° riga per l’ « Altus », « ut » 8* riga
per l' « alius Altus », « ut » 3* riga pel « Tenor », « fa » 3* riga pel
« Bassus ». Nella voce del « Cantus », manca il « be-molle » dopo la
« chiave », mentre si trova nell'armatura di tutte le altre voci.

Devesi ritenere che la cantilena principale o primitiva sia quella
affidata al « Tenor », non solo perchó cosi portava la norma comune
ai contrappuntisti dell'epoca, ma anche perché apparisce essa, melodica -
mente,^piü ben condotta che non quella del « Cantus ». L'elaborazione
contrappuntistiea è certamente di forma arcaica, specie nella seconda
parte della composizione, dove si nota, quasi costantemente, l’armonia
detta di « quarta e sesta », cui sta sottoposto il « Bassus » che rad-
doppia, e non altro, la parte dell’ « Altus », presentando così quel
procedimento che rivela una delle forme del primitivo « falso-bordone ».
Per un altro lato, è da pensare che l’amanuense abbia ricopiate le parti
di canto da qualche diversa fonte no: corretta, o abbia trascritto a
memoria. Può aversi un indice di questo nel procedere della melodia
dell' « Altus » dalla terz'ultima misura alla fine, la quale melodia do-
veva camminare come il « Bassus » mentre le note « re-do-re » furono
nell « Altus », con errore evidente, raddoppiate di valore. E poi da
notare come la presenza di un altro « Altus » (« vel alius Altus » dicesi
nel Codice) non sembra doversi intendere come una «quinta voce »,
ma piuttosto come parte di cambio dell' « Altus » primitivo, e ció forse
per un creduto vantaggio della forma contrappuntistica, se non meglio
per sopperire alla casuale mancanza di una voce più acuta, come ri-
chiederebbe l’ « Altus » primitivo.

A queste osservazioni non sarà inopportuno aggiungerve altre di
carattere più particolarmente tecnico, le quali, per mezzo di numeri,

vengono richiamate al proprio luogo, nelle varie voci della composizione
musicale trascritta (I° versione).

1) È ammissibile il « diesis » alla nota « fa », come accordo di
« sensibile », senza pregiudizio del seguente salto di « quarta minore »
(fa diesis - si bemolle).

IL LAUDARIO LIRICO, ECCO. 235

2) La nota « sol », di scrittura assai più piccola delle altre note,
sembra nel Codice aggiunta posteriormente, certo per ragioni di equi-
librio ritmico. Bisogna però pensare che sia stata, per errore, posta in
cambio di una nota « re », molto più all'uopo che non la nota « sol ».

3) Il « be-molle » è necessario alla nota « mi», per ottenere il

,
cammino consonante di « quarta giusta», tra « Altus » e « Tenor ».

4) Si noti il cammino arcaico di ottave tra « Altus » e « Bassus »
e di quinte tra « Tenor» e « Bassus ».

5) Il « be-molle » alle note « mi», é necessario per ottenere la
« quinta giusta» tra « Tenor» e « Bassus ».

6) Dato il cammino per «ottava» tra « Altus» e « Bassus», ó
strano, salvo che non si tratti di errore dell' amanuense, il prolunga-
mento della nota «fa».

1) E a credere senz'altro trattarsi, come sopra si è accennato,
di errore dell'amanuense; le note « re-do re», debbono, quanto al va-
lore ritmico, essere identiche a quelle relative del « Bassus », e occorre
quindi anticipare, nella penultima misura, l'ultima nota « re » del « AI-
tus », la quale dovrà cosi avere il valore di una « semibreve » unita
ad una « longa ».

8) Alla nota « fa », evidentemente sensibile, dopo la formola ca-
denzale del ritardo della « quarta (sol) », 6 necessario il « diesis ».

Testo DELLA IV. LAUDA.

C. 44

Salutiamo devotamente
L'alta Vergine beata,

Et diciamo: Ave Maria,
Sempre sia da nui laudata.

Salutialla dolcemente

Et con grande sollennitade,
Et che sapemo veracemente
Ch'essa, per sua humilitade,
La divina maiestade

. Fo de lia innamorata.

L'Angelo mandó, per messaggio,
Alla Vergene polzella,
Ello andó de buon coraggio,
Entró dentro alla sua cella,
Accontoglie la novella
Che da Dio gli era mandata.

L’Angelo disse: Ave Maria,
Pina sete de virtute,

El Segnore con tieco sia,
Da cui viengono le salute,
Tucte gratie adempiute,

In voi Vergene salutata.

Sempre si tu benedicta,

Sopra omne altra muliera ;

Sete Vergene dericta,

Senza nullo rio pensiero ;

Dio me manda per corriero

Che per lui fuste adparecchiata. 28

La Vergene fo paurosa
Quando odi l'angelo parlare,
Era honesta et vergognosa,
Comenzó tucta ad tremare,
Vergognava con lui stare,
Compagnia non havia usata.



236

e. 44t

Fra se medesima ella pensava
Onde l'agnelo era intrato,
Molto se maravigliava,

Che vedia l'uscio serrato,

Lo suo viso era cagnato,
Tucta quanta era turbata.

Ella abbracciava la colonna
Per la paura che havia,

Lo piangere tanto l'abbonda
Che sostenere non se podia;
La dolcissima Maria
Pensava d’essere ingannata.

L’angnelo glie prese ad parlare,
Disse: Maria non temere,
Buono figliolo tu di portare,

Et nello tuo ventre concipire,
Giesù, nome de’ havere,

Sua matre serai chiamata.

La Vergene respuse allora:
Como porria mai intervenire?
Homo non cognove ancora,

Et non aggio en core d’avere;
Volontiere vorria sapere,

Da cui vene questa embasciada.

L'angelo, con dolce canto,
Glie respuse de presente:
In te, lo Spirito Sancto,
De' venire encontenente,
L'alto patre omnipotente
De vertude t'ha adornata.

Perchè ella fosse più credente,
Glie accontava Elisabetta,
Della donna era parente,
Sterile, longo tempo stette,

In vecchiezza concepette,

Che del tempio era cacciata.

c. 45

L'agnilo disse: Or t'asigura,

Et niente non dubitare,

Ad Dio nulla cosa è dura,

Ciò che se pone in core de fare,

R. GUERRIERI

Bene te poi asigurare;
Tale novella t'ho arrechata.

La polzella, con amore,
Umelmente respondia :
Ancilla so del Segnore,
Ció che piace allui si sia;
La doleissima Maria,

De Jesü fo engravedata.

Et l'angilo, dolcemente,
Dalla donna se partia,
Bene sapemo veracemente,
Che per l'uscio non escia,
La polzella puse mente,
Vedde la cella enserrata,

Ella andava ad oratione

De buono core chella orava,
Et con grande devotione,
Fortemente lacrimava,
L'alto Dio regratiava,

Ad cui ella era spusata.

Or la pregamo tucte quante,
Ch'ella per nui degga orare,
Le nostre peccata tante

Allo suo figliolo degga pregare,
Che ne faccia perdonanza,

Et lia chiamamo per advocata.

Che n’acatte guiderdone,
Che non siamo condennate,
Quando verrà la stagione,
Che da Dio serimo'chiamate,
Facciane stare consolate

In la gloria repusata,

Là ove c'è canto et gioco et riso.
Et vedere uno grande porto,

De quello chiarito viso

De Jesù nostro conforto,

Quello che per nui fo morto,

Ne perdune colpa.et peccata.

Amen

IL LAUDARIO LIRICO, ECC.
V. LAUDA.

Nel nostro Codice, certo per errore dell'amannense, le prime sette strofe di
questa Lauda, trovansi scritte nel foglio 48 e le tre restanti nel foglio 46. È poi
da notarsi, che la stessa Lauda, esiste anche nel Codice Italiano IX, 230, a
' ec. 38 t-39 t (cartaceo adespoto, sec. XIV) della Biblioteca Nazionale di San Marco in

- Madonpna, ad te vedere,
| Però più non temere,

si
bo
Ri
n

NS

| Venezia.

C. 48

Alegrate, Regina,

Del tuo figliol beato,
'Ch'è resuscitato
| Questa pasqua matina.

m so l'angelo de Dio,
El quale te annunptiaie

| El tuo figliolo piacente,

Che tanto pianto l'haie;
. Or saccie che verraie,

Ch'ello é resuscitato.

Alegrate, Regina, etc.

Or sacci certamente,

O Vergene Maria,

Che el tuo figliol piacente,
Della gram tenebria,
Mena la conpagnia,

Che tanto longo tempo,
Ha hauto tormento

Nel limbo reserrato.

Alegrate, Regina, etc.

Quando fo gionto alle porte,
Con la divinitade,

L’anime forono adcorte

Con grande humilitade,
Chiamaro la maiestade :
Soccurrece, Signore,

Ad qnesto gram dolore

Che havemo sopportato.

Alegrate, Regina, ctc.

c. 48t

Or non ve dubitate,

O figlioli mei piacenti,
Che tucti liberate
Serite certamente.

Al paradiso aulente,
Tutti ve menaraggio,
Loco stare ve faraggio,
Lo quale v'é diputato.

Alegrate, Regina, etc.

Poi, depo questo tempo,
Con l'anime beate,
Senza aleuno tormento,
Serite collocate;

Et nulla adversitade,
Non senterite maie,
Perchè loco si stae,
L'alto Dio honorato.

Alegrate, Regina, ete.

L'angelo eosi dicendo,
Apparve el Salvatore,

Et ello, Christo vedendo,
Gli fece grande honore;
La matre, con amore,
Im piede se levava,

Et lo figliolo abracciava
Che tanto l’ha bramato.

Alegrate, Regina, etc.

e. 46

Or dimme, dolce figlio,
Se tu sei liberato

Da quello gram periglio











238

Dove tu serì stato;

Et dimme se è sanato,
El tuo sancto corpo,

Da quello^gram tormento
Che tu hai sopportato.

. Alegrate, Regina, etc.

Matre mia piatosa,

Non fare più lamento,
Che la carne gloriosa,
Non po havere tormento,
Però te dà talento,

Che io non posso stare,

R. GUERRIERI

Che aggio ad vigitare
El popolo tribulato.

Alegrate, Regina, etc.

Peró, donpna piacente,
Volemote pregare,

Che a Dio onnipotente,
Ce digghe reconmandare ;
Et sempre ne fa fare,

Lo suo sancto piacere,
Si ehe possamo havere,
Christo per advocato.

Alegrate, Regina, etc.

VI. LAUDA.

C. 58

Pecchature vane, que pensate?

Credete sempre stare al mondo,

Et certe già no magenate

Che lla morte ne mena al tondo.
Rieche né puovere non reguarda,

«Che non gle tolgha el pigno o l’arra. 6

Devemo da priesso recordare,

Morte de papa et d’altre giente,

Che riccamente podia stare,

Con degnetade, et con sue giente,

Et sun uno ponto perde onne homo tutto;
Gridare non giova, nè fare motto. 12

Lassa el patre, figlio et figlie,

Che gle suonno tanto carnagle;

Partese da suo terre et vigne,

Da sua ricchezza et da denare;

Et puoy che è muorto, pare mille agne,
Che fore de casa tosto el mande. 18

Et invege de belgle vistimente,
Che portò el pechatore matto,
Alla morte, i suo pariente,
Mittogle una stamegna o saccho,
Et fine alla chiegia l’aconpagna,
Ma puoy de luy puocho se lagna.

Perciò tucte ce pensate,

Che questo mondo è como viento,

Et da puoy enmagenate,

Che ne mancha uoro et argiento,

May non vienghono meno quelle pine,
Che suonno nello infierno senza fine. 30

e. 58t

One altra cuosa si vene meno
Quando venete alla morte,

Lassate pariente et terreno,

Et nulla cosa non ne puorte,

Se non quello che fay per Christo,
Che sulla fronte el puorte scritto.

Seguete el decto del Segnore,
O pecchature, che bene farite,
Prendete tucte del suo amore
Per la gloria avere quando morrite ;
Ma chi Christo vole sequitare
Onne altra cuosa gle convene lassare.

Et Dio patre si mandone,

En questo mondo el suo figluolo,

La morte non gle perdonone,

Che em croce morio com sì grande duolo,,
Et tutto el sangue per nuy sparse,
Volse che ne reconparasse. 48

IL LAUDARIO

perciò pregamo devotamente,

‘a matre de gle pecchature,
he metta sempre onestamente
he siamo devote e servedure,
i ch’alla fine possiamo andare
"n cielo con essa ad avetare.

LIRICO, ECO. 239

Et perchè siamo essaudite tuctavia,
Tre fiate ciasscheuno si dicha,
Devotamente: Ave Maria,

Per fine alla finita,

Et tre paternuostre, per amore,

De Christo nuostro salvatore.

Deo Gratias Amen

VII. LAUDA.

. 59
ecchature tanto fallace,

Che non pensate en Giesochristo,
he soferse en tanta pace,
uando per nuy fo crocifisso,

Che per redurne ad salvatione,
olse morire fra duy ladrone.

er Dio, reguardate col lo core,
t ciasscheuno tengha l’uocchio fisso;
t reguardate quello segnore,
Lo quale per nuy fo crocefisso,
Ch'el sanghe esparse, et nuy salvanno
Granne piatade n'háve la matre et sancto
Giovanno. 12

Devemo estare enn'oratione,

Et reguardare la nocte et lo dine,
Per reverientia della passione,

De marzo, tuti i venardine,

- Ché non sapemo el quale fo Christo,
Di quigle di sante crocifisso.

Reconparò nuy pecchature,

Tucte misere et taipine,

Quando stette fra i ladrune,

Et lì per nuy volse morire;

Non volse gle denare pagarse,

Che per nuy tucto el sangue sparse.

Non dormete, pecchature,
Ch'el di, né l'ora, non sapete,
Quando verrà quello granne fuorore,
Della morte che vedete,
Che colla falee mette al tondo,
Et non reguarda homo al mondo. 30
e. 59t
Sapete ch'el nuostro segnore,
Ad sé no volse perdonare,
Et nante, con grande dolore,
Morio per nuy reconparare,
Et questo fo da Dio ordenato,
Per lo primo grande peechato.
36

Nulla euosa non portamo,
Da puoy che el mondo per nuy et cito,
Se non quello bene che faciamo,
Et quanto ad Dio aggiamo servito,
Perciò tucte ce pensamo,
Siché per Dio may non c'erriamo. 42
Per remissione de gle nuostre pechate.
Ciasscheuno con devotione,
Salutiamo la Vergene tre fiate,
Con tre pater nuostre per amore de Je-

sune,
Sichè cie scanpe da male en nostra vita,
Et diane paradiso alla finita. 48

Deo Gratias. Amen.





R. GUERRIERI

VIII. LAUDA.

p.

O gratioso homo et conosscente,

De nassione et de;denare,

Per amore de quello sengnore possente,
De me prendate pietade,

Ché so puovero pelegrino,

Et facto ho lontano camino.

R.

Va, poltrone, per gle tuo fatte,
Et pensa de guadagnare,

Et se none say fare altra arte,
Vanne subito a sappare;

Chè se io so riccho et copiuso,
L’ho per mia fattiga auto.

Pi

Per l’amore dell’alto Eddio,

Te domando caritade,

Certamente te dicho io

Che aggio grande sete et fame;

Se me soviene, per lo suo amore,

Da Dio averay buono guiderdone. 18

R.

Va, buono homo, per gle tuoie facte,
Chè con mieco non avete ad fare,

Non te do denaio per testa arcte;
Podery troppo predechare,

Chè la ricchezza et lo mio tesuoro,

La conservo per uno mio figluolo. 24

P:

O erudisscemo et crudele,

Quanto male guadagno hay facto:
Che may, per Dio, non faciste bene,
Nè carità en veruno acto;

Ma so te dire che sie dannato

Et all’onfierno condannato.

e. 60t
P:

Là, non te varrà ricchezza,

Nè podere de tuoy pariente,

No beltà, nè gentelezza,

Che non ne vade allo fuocho ardente,
Perchè avaro senpre iene suto,

Et non hay Christo conoscuto. 36

P.

Tu non portaray denaio veruno,
Né tanto che vagla uno bottone;
Tua ricchezza lassaray ad alcuno,
El quale ne farà molta entenzone;
El tuo figluolo dirà con frecta:
L’anema sua sia enmaledecta.

P.

Granne tesuoro hay guadagnato,

Et non hai pensato en Gieso Christo;
Gite, avaro esventurato,

Che bene devete essere trissto,

Et devery, con granne tremore,
Vivere em pena et en dolore.

Pi

Una altra cuosa t'ho recordare,

Che per cierto dy morire;

Lassaray gle tuo denare,

Le vesstementa et i tuo podire;

Et per eagno t'é reservato, :
Che da gle vierme seray manechato.

R.

O me, donqua me convene

Et deggho per cierto morire,
Et lassare onne mia spene,

Et gle denare et belgle podire,

.Gle quagle ho tanto bargangnate,

Et con granne pensiere adquistate.

s
i

IL LAUDARIO

61
0 buono homo, veragemente
jr Dino te ci ha facto venire,
Bu l'anema certamente,
Per mia riechezza et per avere,
a puoy che testo è tutto el mio,

"Desspenderó et daró per Dio. 66

LIRICO, ECC.

Ri

Et per lo suo amore veragie, io,
Chè perdune ad me taipiniello,
Voglote dare, buono pelegrino,
El capuccio et lo mio mantiello,
Et credo ciò: che io ho guadagnato,
Dare per lo suo amore beato.

Amen

72

IX. LAUDA.

"Bona gente che quy volete stare,
Per l'amore del Salvatore,

por ve piaccia d'asscholtare,

a granne pagura et lo gram tremore,
he have quello che li vedete:
Per Dio staite tutte quete.

b
| Fratiello, te pregho de buono core,
‘ Per l’amore de Giesochristo,

Che te piaccia per suo honore,
Et perchè fare possiamo adquisto,

Del suo amore di que vediste,
"Quando l'altriere entremortiste.

So tenuto et gollo dire,

" Ad puopolo et ad tucta gente,

Chomo quando el caso adve avenire,

"Che me parve certamente,

D'essere subito menato,
Denante ad uno re encoronato.

C. 61t

Et parveme alla visione,

'Che quello re fosse Giesochristo,
Oimé quanto avia tremore,

Perché avia facto el male adquisto,

- Ma ciasseuono di pur dicta avia

Una fiata: Ave Maria.

Era molto riecho stato,
Et visso ad visa de barone,
Et niente avia curato,

En dio chello me prestone,

Ma su en quello ponto m'acorgia,
Che niente me valia. 30
Et conosscieme certamente,

Ch'io non stava en questo mondo,
Quando me volsy et tignemente,
Demonia assay m'era dentorno,

Et asegnavano loro ragione,

Dicienno che era loro pregione.

Oimè, quando me vedia,

Essere condutto ad tale merchato,
Et la chagione che m'aponia,
Dicienno: Ello non s'é confessato;
Ma pur veruno non era ardito,
D’acennarme pur collo dito.

Ma quello re de tanta pace,
Chridia veramente fosse Christo;
Disse: Pecchatore tanto fallace,
Che senpre en grande pecchato iene visso,
Et me non hay conosschuto,
Perciò convene che si battuto.

48

C. 62.
Quanto dolse ad gle maleditte,
Ch’albitrio pino no gle fo dato,
Che col loro non me se menasse ipse,
Chomo avia fra loro pensato,
Et ciasscheuono per se dicia:
Champarà per dire « Ave Maria ».

16

54











R. GUERRIERI

Estando fra cotale gente,

Entra così facto merchato,
Eechote venire subitamente,
L’agnelo Gabriello adparecchiato,
Dicendo: Andate gente ria

Da parte della vergene Maria.

Ella ha el suo figlo pregato,
Con grandissimo forvore,
Et in genochiune stata,

Per canpare el peechatore ;
Et tanto termene ha chiamato,
Per fine che s$'é confessato.

Et ad me fe’ comandamiento,
Che allo mondo subito tornasse,
Et che allo prete puramente,

El mio pechato confessasse ;

Et como me fo comemdato,
Chonfessaime d'onne mio pechato.

X. LAUDA.

C. 62t

Prego ciasscheuno pecchatore,
Che entenda quy devotamente,
Et asschulte per amore,

De Jhesu Christo enepotente,
Miracolo nuovo et deciria,
D'uno devoto in sancta Maria.

Era uno greve pecchatore,

Et deleggiato en ciasscheuno atto,
Et veramente, e non è arrore,
Verso ad Dio, stolto era et matto,
Ma pur sempre questo avia,

En devotione saneta Maria.

Chomo se trova esseritto,
Adeadde che quello peechatore,
Fo da uno segnore destretto,
Per dargle assa pena e dolore,
D'aleuno forte suo peechato,
De que stato era adcagionato.

Trovanglese multe pecchaty,

Ch'altre fiate avia comesso,

Con multe altre fiaty

Che già state era con esso,

Et convenne che per suo pecchato,
Fosse ad morte condannato. 24

Cho’ prima ve contay,
Portava grande devotione
Alla vergene Maria,

Fecendo ad lia sempre oratione,
Ch'al tempo che morire devesse,
L'anema sua non se perdesse.

c. 68

Fino che quello pechatore vivia,
Degiunó devotamente,

El dy de sancta Maria,

Guardandose esso veramente,

De non comettere en quello dy beato,

Per veruno muodo, niuno peechato. 36

El peechatore fo condanato,
Et fo condutto ad morte,
Dove era deputato ;

Senpre geva gridando forte:
O dolee vergene Emmaria,
Recomandate l'anima mia.

Da puoy che morio certamente,
La Vergene non la adbandonone,
Ma subitamente,

Gl'agnogle suo si mandone,

Et volse che l'anima sua gesse,

En fra gl'agnegle che one home la ve-
desse. 48

Matre de one pecchatore,

Et avocata d’onne gente,

Pregante con devoto core,

Che preghe el tuo figluolo pigente,

Et che si nostra advocata,

Et non guarde ad nostre pecchata. 54

IL LAUDARIO

Misericordia ad alta boce,

Ve domandamo vergene beata,
Che denante ad quella luce,
Tu si nostra advocata,

Si che per nuostro fallire,
Alla fine non possiamo perire.

e. 63t

Pecchature et non finate,

Et de pregare devotamente,
Quella che ene nostra matre,

LIRICO, ECC. 243

Ch'el sapete certanamente,

Che ne guarde da pena et da dolore,

Et che ce conducha assalvatione. 66

Per amore della vergene Maria,

Et per remissione dello pechato nuostro,

Ciascheuno dicha: Ave Maria,

Colla salute dello paternuostro,

Ad ció che ce scampe da tribulatione,

Et che dell'onfierno non sentiamo a.
iS

Amen

XI. LAUDA.

Al lome sia della Vergene gloliosa,
La quale è matre de gli pecchature,
Et essa ne conducha ad vera puosa,
Non quarde ad gle nustre granne arure.

Se vuy asscoltate la mia diceria

Dirove uno miracholo de sancta Maria.

Ella era una donna pecchatrice



Et vivia sempre en gran pecchato,
Et per nome era chiamata Meretrice,
Ma sempre diginava el sabbato beato,
En tale dì de santa Maria,

Niuno pecchato comettia.

Uno sabbato ella prese ad caminare,
Et da Roma chella se partiia,
Per la selva de laglo prese ad andare,
Così soletta senza nulla conpagnia ;
En qutro malandrine ella se scuntrava, .
Ad lato ad una fonte che en quella selva stava.

Quigle malandrine l’avero robbata,
D'one cuosa che addusso aviia,
Et puoy la richiesero de pecchata,





R. GUERRIERI

Ma ella disse ch’era el sabato de saneta Maria,
Respuse essa: ennante voglo morire,
Che lo sabbato vogla may fallire.

Uno de quigle malandrine se fo adirato,
Trasse mano alla spada ch’ avia,
El capo dalle spalle ello gla taglato,
Et prestamente qugle se partia,
E nella strada morta l’uonno lassata,
. Dieienno: No diray ehi t' ha robbata.

e. 64t
Uno sancto ovesschovo con multe altre ne pasava,
En capo de gle qutro dì che morta era stata,
Quando ad quello cuorpo igle s’apresava,
Quella tessta gle se fo recomandata,
El santo ovesschovo quando la tennia,
Con tutte gl’ altre quagie esbagottia.

Et quello saneto ovesschovo si lo scugiurava,
Odendo quella testa si parlare,
Da parte della dolce vergene Maria lo pregava,
Et che per Dio la volesse confessare,
Dieenno: Non me eonfessaie en vita mia,
One digiunato senpre el sabato de saneta Maria.

L'ovesschovo se fe ennante e se lla confessava,
D' onne peechato ch'ella si avia,
Fortetemente, sì se ne meravilglava,
Odendo quella testa ciò ch’ ella dicia,

Como gl’ ave fatta la confessione,
L'anema sua ad pusa si n' andone.

Puoy presero quello euorpo, volialo sopellire,
Uno miracolo la vergene gle mustava,
Cuatro doppiere dal cielo fe ora venire,
Et a quello euorpo si alumenava.
Regratiata sempre si sia,

La dolee virgene Maria.

IL LAUDARIO LIRICO, ECC.

68.

"Dio patre a voy me manda,
The da lui tu sie anuntiata.

"Vergiene sopre onne dingna,

De honore pina et de honestade,

'Devotissima et beningna,

A la soma maestade,

Benedecta in castitade,

Foste in ventre de sant'Anna,
— Che dal celo, etternal manna,
- Te coperse al mondo nata.

Et cosy umile et pio,
El tuo vivare senpre honesto,
— Oratrice al sommo Dio,
| Col parlare firmo et modesto;
Et non è al mondo teresto,
Si perfecta creatura,
Onde Dio la sua figura
Vole in te che sia formata.

Io so l'angielo Gabriello,

Dal superno Dio mandato,

Et al tuo cosspecto bello,
Divotissimo et ornato ;

Quel segnore che t'ha creato,
Nel to ventre vol giacere,
Divinità concepire,

Matre al suo figlolo t'ha data.

Et la vergiene Maria,
Quale steva in la sua cella,
Tucta quanta impauria,

La figura virginella,
Tremava como ulivella,

Et excanbió el timido viso,
Et mirando l'angielo fiso,
Quasi steva inpaurata.

XII. LAUDA.

e. 68t

L'angiolo disse in parlare santo :
Non timere vergiene pura,
Sposa de lo spirito santo

Tu serai, or t'asigura,

El convem che tu sie cura,

Del figlolo de l'alto Dio,

Del re eterno umile et pio,

Sua matre serai chiamata.

Et la vergiene Maria,

'Tueta se asigurone,

E a l'angiolo resspondia,
Umilemente in suo sermone:

O messo de Dio, io non sone
Che questo possa essere nè sia,
Non ho in core nisuna via

Ch'io sia al mondo dessposata.
Nom conossco l'omo al mondo,

_ Non conosciare non volglo,

Solo Dio patre gicondo,

Vo che sia el mio cordolglo,
D'onne vanità me spolglo,

Et de orare è ’1 mio desio,
Fame certo, angielo de Dio, .
Che vero sia questa anbassada.

L'angiolo disse enmantinente:

Maria vergiene pura,

'alto patre honipotente,
Vole to verginità in cura;
Lui me manda im sua figura
Crede, o vergine benedecta,
Hecho la Elisabecta,

Dio vole che sia tua cognata.

Maria Vergiene de Dio ellecta,
Se inchinò con le man gionte;
A la maestà perfecta,

Alzò gl’ochie de la fronte,
Dicia com parole pronte:
Segnore Dio patre verace,

Fa de me quel che te piace,
Senpre al tuo volere so data.







246 R.

C69.

Dal celo venne umile tanto,
El figlolo de l'alto Dio,
Tucto de spirito santo,

In Maria, se concepio,

Nel suo ventre umile et pio,
De la vergiene benedecta,
L'alta maestà perfecta
Tucta l'avve eomsaerata.

L'angiolo si benedicia

Maria Vergiene pretiosa,

Col parlare devin dicia:

Sie benedecta o de Dio sposa,
Into canmora renchiusa,

La devina maestade

Per la tua vergienitade,

Et vergiene se' inmaculata

C. 10

Ave, vergene benedecta,

Nello ventre de sancta Anna,
Da Dio patre fuste electa,

Per te se canta in celo osanna.

Ave, vergene adnunptiata,
Da quello Angelo Gabriello,
Et dolcemente salutata,

Nel tuo solecto obstello.

Ave, vergene concepta,
Dallo expirito santo,

Fuste immaculata et necta,
Et gloriosa sopra ogni santo.

Ave, vergene che portaste

El bom Jhesù figliol de Dio,
Nel tuo ventre si el plasmaste,
Senza peccato et nullo rio.

Ave, vergene che partoriste,
El salvatore de tucto el mondo,

GUERRIERI

Poy se party l'angiolo de Dio,
Et nel celo n'andó pressente,
Et Maria con gran desio,
Orava Christo onipotente.

Or pregamo, bona giente,

La Vergiene pretiosa,

De Dio, matre gloriosa,

Che per noy la sia avocata.

O Maria, che del celo rengno,
Tu se’ somma inperadrice,

Et del tuo figlolo beningno,
Tu sey matre et oratrice,
Maria vergiene gienetrice,
Prega el tuo figlolo eterno,
Che del suo gaudio superno,
Dona a noi, matre beata.

Finis

LAUDA.

Del tuo lacte si ’1 notriste,
Perchè fosse più giocondo.

Ave, vergene che offeriste;

El tuo figliolo ad Simone,

Nel sancto tempio el poniste,
Com umeltà et devotione.

Ave, vergene che nutricaste,

El tuo figliolo trenta et tre anni,
Et tucto el mondo adluminaste,
Per li soi devini affanni.

Ave, vergene, che tradito

Tu vedisti el tuo figliolo,

Dalli giuderi schirnito,

Et tormentato com gram duolo.

Ave, vergene lacrimosa,
Vedendo Cristo nella croce,
Mestaddente et dolorosa,
Gridando, figlio, ad alta voce.

IL LAUDARIO LIRICO, ECC. 247



Ave, vergene gloriosa,



IL Ave, vergene trangossiata, Quando vedisti el tuo figliolo
Jhesü vedendo su nel legnio, Andare in celo senza fare posa,
LEt l'alma era trapassata, Collo suo angelico stuolo. 48 -
- Nella gloria como era degnio. 40
È Or te degnia, regina superna,
Ave, Vergene, per quella boria Devoto stando in genochione,
Che del tuo figliolo havisti, Darce alla fine vita eterna,









Quando, com tanta gloria, Per la tua sancta adnunptiatione. 52
| Resustitare tu el vedisti. 44



Amen.

Dott. RuGGERO GUERRIERI.



ila RM I ei REL




























249

La Casa dov'era la Scuola

DI

PIETRO PERUGINO

In altri tempi non occorreva infarcire i libri di cita-
zioni e di documenti, per esser creduti; né molto meno la
curiosità del pubblico esigeva tanti particolari del tutto inu-
tili, e spesso anche dannosi. -La critica del secolo XIX,
dopo aver rifiutato tutte le tradizioni e le leggende, di
cui, in antico, s'era formata la storia, è tornata poi a fru-
gare in mezzo a quelle macerie, per ricostruire gli edifici
ch'essa stessa aveva prima demoliti.

Gli uomini dei secoli passati erano piü creduli di quelli
di oggi, e prestavano fede ai libri stampati o manoscritti,
senza muovere dubbj, é senza tante esigenze. Però gli studi
d’archivio hanno recato grandissimi vantaggi alla storia; ma
non si può negare che, oggi, i critici, specialmente quelli di
second’ordine, fanno consistere l’arte loro in mettere in dubbio
anche le cose più certe; e pensano di recare un prezioso
contributo agli studi, quando, a mo’ d'esempio, abbiano tro-
vato il nome d’una sgualdrinella qualunque a cui un poeta,
uno scienziato, o un’ artista abbia scritto due righe, sia pure
insignificanti; ma che si prestano a tessere nuove leggende,.
meno interessanti e meno poetiche di quelle ch'essi mede-
simi hanno riprovate.











250 7 E. RICCI

Con questo preludio voglio dire che, per circa tre secoli,
si è prestato fede, anche da insigni scrittori, ad OTTAVIO
LANCELLOTTI, il quale, nella sua Scorta Sacra, raccolse tutte
le notizie storiche della città nostra, dividendole per par-
roechie, e raggruppandole intorno alle feste del calendario

Perugino.

. Non é fuor di luogo rammentare che il detto scrittore,
morto ai nove di febbraio del 1671 (1), di 78 anni, fu un
lavoratore indefesso e coscienzioso, tanto che, universalmente
stimato, fu di grande autorità presso i letterati e dotti del suo
tempo (2). Nè la fama di lui venne meno con gli anni, giac-
chè tutti gli storici Perugini fecero gran conto delle sue
opere, citandole come fonte di notizie interessantissime per la
«storia letteraria ed ecclesiastica Perugina (3).

Il nostro storico adunque, ai due di Settembre, parlando
della Chiesa di S. Antonino in Porta S. Susanna, aggiunge
«che in questa Parrocchia, la casa contigua alla Chiesa, ha il
vanto, invidiatole dai più sontuosi palagi, di essere stata Scuola
«del famosissimo Pietro Perugino; e dice di aver ciò saputo
con ogni sicurezza dal pittore Girolamo Brunelli, morto
l’anno 1651.

A que’ tempi, per la stima goduta dallo scrittore, poteva
bastare l’affermazione d’avere appresa tale notizia con ogni
sicurezza; oggi no! Il Brunelli doveva essere sottoposto ad
un interrogatorio minuzioso, ed altrettante domande si sareb-
bero dovute rivolgere al Lancellotti, il quale accetta la testi-

(1) Libro dei Ricordi della Congregazione dell’ Oratorio, p. 107.

(2) Bacioni Carro, Notizie della Congregazione dell’ Oratorio di Perugia,
p. 247. L’anno 1658, abbandonata la cattedra di letteratura latina e greca,
si ritirò nella Congregazione di S. Filippo Neri, consacrando gli ultimi anni
:di vita alla preghiera e allo studio. Il citato P. Carlo Baglioni ci assicura
che lasciò sermoni latini a migliaia; e riferisce le parole di Mr. Borpowr:
« Quantae sit Lancellottus auctoritatis apud eruditos, lector, ut cognoscas, vel
«opera ab eo edita contemplare, vel certe famam consule ».

(3) VermiaLIoLI, Biografie, Tom. II, P. I, p. 51, XVI-XVII.









LA CASA DOV'ERA LA SCUOLA DI PIETRO 251

monianza del Brunelli, senza confermare con altri documenti
l’asserzione da lui fatta con ogni sicurezza.

Noi crediamo al Lancellotti, perchè quelle due sole pa-
role ci dicono chiaramente ch’egli ebbe modo di accertarsi
della verità della tradizione; e, studioso e diligente com'era,
avrà avuto più d’una prova, che però credette di tralasciare,
essendo la cosa nota anche ad altri, e però fuori di dubbio:

Dunque dal nostro storico sappiamo che nella casa con-

tigua alla Chiesa di S. Antonino, abitata allora dal sacerdote -

Carlo Berardi, un tempo, vi era stata la scuola di Pietro Pe-
rugino.

Per il momento, non mi fermo a mettere in luce le altre
ragioni che rendono credibilissima la notizia del Lancellotti,
perchè di queste discorrerò più innanzi. La questione che
ora si presenta da risolvere è questa: Qual’è la casa che
Don Carlo Berardi abitava circa l’anno 1650? Non ci vuol
molto a rispondere: « Quella contigua alla Chiesa di S. An-
tonino; non la casa vicino, nè molto meno quella di réncontro
alla detta Chiesa, come l'Orsini vorrebbe far dire all'autore
della Scorta Sacra (1). Non occorre avvertire che contiguo si
dice ciò che sta a contatto (2). Le case contigue alla Chiesa
sono quella che fu già abitazione del parroco, a sinistra di chi
dalla strada guarda la facciata di S. Antonino; e l’altra a
destra, unita con il fabbricato che un tempo servì parte sa-
crestia, e parte a cimitero della parrocchia.

Che poi questa casa a destra della Chiesa sia appunto
quella dove nel 1650 abitava il sacerdote Don Carlo Berardi,
lo sappiamo con tutta sicurezza dall’istromento, rogato dal
notaro Costanzo Carletti, quando l'anno 1693, la detta casa
fu venduta a Carlo Carlucci, dal P. Pirro Bontempi, Preposto

(1) Vedi Orsini, Risposta alle Lettere Pittoriehe etc., p. 107 — Id., Vita
di Pietro Perugino, p. 186.

(2) Contiguo, in latino contiguus deriva da contingere, parola composta

dalla preposizione cum e dal verbo tangere.









252 E. RICCI

della Congregazione dell'Oratorio, che l'aveva avuta in ere-
dità da Don Carlo Berardi, morto il 5 Febbraio 1687. Nella
descrizione dei confini si dice che da due lati del fabbricato
è la pubblica via, dal terzo lato la casa del canonico Gio:
Angelo Guidarelli, e dal quarto la Chiesa di S. Antonino:
juxta Ecclesiam. parochialem.

ANNIBALE MARIOTTI non esitò punto nell’accettare la tra-
dizione raccolta dall'autore della Scorta Sacra, e ci dà queste
preziose notizie: Buona parte di questa casa, prima che fosse
compartita com'è al presente, era occupata da una grande stanza
a tetto, la quale aveva un fregiò dipinto, in cui tra varj festoni
si vede espresso il Grifo, arme di Perugia ; e questo fu forse lo
Studio di Pietro. Sull' Architrave della porta esteriore di questa
casa, sopra una porta interna, e sopra un camino della mede-
sima si vede scolpito in travertino uno stemma, consistente in
una banda caricata da sei mazze in pila, legate nell'impugna-
tura da un nastro continuato. Nel blasone perugino quest'arme
non è riportata.

Per buona fortuna gli stemmi tanto sullo stipite della
porta esterna quanto in un’altra del pianterreno vi sono an-
cora, e corrispondono perfettamente alla descrizione fattane
dal Mariotti (1).

Le Lettere Pittoriche, da cui ho tratte queste notizie, fu-
rono pubblicate nel 1788; e, tre anni dopo, Baldassare Or-
sini nella sua risposta alle Lettere Pittoriche, come se nep-
pure avesse letto quanto il Mariotti aveva stampato al suo
indirizzo, esce fuori con questa improvvisata: Sapete che corre
voce in Perugia ch'egli (Pietro) avesse la sua casa di rincontro

(1) Anche oggi, è facile rilevare che la casa era composta di grandi

vuoti, che poi furono divisi da fondelli per farne delle camere ad uso dome-
stico. Così, ad esempio, il piccolo quartiere del pianterreno è formato da
un solo androne a volta. Il medesimo si rileva dall’inventario degli oggetti
che furono trovati in detta casa, alla morte di don Carlo Berardi. Non ho
avuto modo di verificare se vi sia tuttora il camino con sopra lo stemma,

indicato dal Mariotti.











LA CASA DOV'ERA LA SCUULA DI PIETRO 253

alla Chiesa Parrocchiale di S. Antonino... e me l'accennaste nella
vostra Lettera VI ecc. ecc. !!! Come allo storico e critico ve
nisse questa scesa di testa, io non lo so comprendere, e credo
che tutti avranno riso, leggendo quest'alzata d’ingegno, tanto
ridicola, che nessuno si prese l' incomodo di contradirlo, per-
suasi com’erano, che le sue parole avrebbero lasciato inva-
riata la tradizione (1). s

Piü speciosa poi é la ragione addotta dallo stesso Orsini,
per giustificare la sua trovata. « Qwivi (nella casa dirim-
petto alla Chiesa) sotto il piccolo loggiato che ora è chiuso, ho
ravvisato... un S. Cristoforo... di mano del celebrato Artefice....
Si puo credere ch' ei dipingesse quivi S. Cristoforo in memoria
di suo padre; e non saprei indurmi a credere per qual altro
motivo dipingesse cotesto Santo, che non lo vedo altrove da lui
effigiato ». (2). L'argomento poi crescit eundo, perchè, dopo
tredici anni dalla peregrina scoperta, mutando le carte sul
tavolo, il signor Baldassarre, in tono alquanto ringhioso
scriveva: « I documenti... la pongono (la casa) vicino alla

(1) Chi avrebbe allora pensato che, settant’anni dopo, queste panzane
sarebbero state raccolte, come autentica tradizione, ed avrebbero avuto
l’onore dl due epigrafi? Tanto è vero che certi sfarfalloni, se non sono su-
bito smentiti, trovano poi sempre chi li accetti ad occhi chiusi. Per citarne
un'altra, di tante che n’ha spacciate l’Orsini, ricorderò come il quadro
d’Ognissanti di Giannicola ch’era nella Chiesa di S. Domenico, ed oggi nella
Pinacoteca, aveva un’epigrafe scritta dal Guidarelli in cui si affermava,
come s’era creduto sempre da tutti, che l’autore di quella tavola era 7oan.
Nicolaus Perusinus. Bastò che l’Orsini, prendendo un granchio, spacciasse
che Giannicola era nativo di Città della Pieve, perchè tutti, per molti anni,
ripetessero a pappagallo l'errore, fino a che Mr. Fiorenzo Canuti non rimise
le cose a posto con incontestabili documenti (vedi Io. AnGELI GumARELLI
Inscriptiones pubblicate dal VincroLi, Perugia, presso Ciani e Francesco Desi-
deri, MDCCXXI, p. 21).

(2) Il perchè del S. Cristoforo dipinto nel loggiato della casa Pompilj,
poi Costantini, poi Troni, vedilo a pag. 68, nota 3. Quanto il Critico s’in-
gannasse nel giudicare quella pittura un capolavoro del Perugino, è detto

nel Documento XII pag. 267 e nella nota 3.

inn e







254 «E. RICCI

Chiesa parrochiale di S. Antonino. Sarebbe questo un dato assai

equivoco, se un segno inalterabile non ne decidesse per l'appunto
del luogo senz'ombra di dubbio »; e ripetuta la storiella del
S. Cristoforo, conclude: E° manifesta cosa non poter esser
quella casa contigua di S. Antonino. Io mi sono abbastanza spie-
gato nelle risposte alle lettere pittoriche perugine, pag. 107 ».

Balthassar loquutus est, causa finita est !!

Ma val la pena di ritirar fuori queste novellette? No
certamente; nè io mi sarei preso questo fastidio, se, anche
oggi, non vi fosse chi si fa forte delle gratuite asserzioni
del signor Baldassarre!

Antonio Mezzanotte, nel 1836, quando l’Orsini era già
morto da ventisei anni, riprese l'esame dei documenti, e dimo-
strò essere del tutto arbitraria ed irragionevole la supposizione,
che la Scuola del Vannucci fosse di contro alla Chiesa di S. An-
tonino; mentre tutti gli. storici, prima di lui, avevano unani-
memente affermato essere contigua alla detta Chiesa.

Dopo tutto questo, come non si deve dire che i fratelli
Paris e Muzio Troni, divenuti proprietarî della casa (che per
brevità chiamerò del S. Cristoforo) non avessero sorpreso la
buona fede del pubblico, facendo dipingere nel loggiato della
loro casa un'epigrafe nella quale si asserisce fuori d'ogni
discussione, che ivi un tempo abitó Pietro Perugino, e che
vi aveva lavorato l'affresco della loggia? E come s'ha da
credere all’ingenuità del prof. Adamo Rossi, archivista e
storico comunale, quando, quattro anni dopo, per incarico
del Municipio dettò un’ epigrafe in cui è detto solenne-
mente che per costante tradizione si riteneva quella essere
stata la casa del Maestro di Raffaello ?

Ed oggi l’erede dei fratelli Troni (1), si sbizzarrisce con-
tro il prete, e protesta contro di me, perchè ho fatto notare
al Comitato dei festeggiamenti, che riflettessero bene, se

(1) Il sig. Tommaso Towwasr, Cavaliere del Sacro Ordine di S. Gregorio,

e Presidente della Gioventù Cattolica Umbra.

LA CASA DOV'ERA LA SCUOLA DI PIETRO 255

fosse il caso, o no, di riparare ad un errore imperdonabile,
che riesce quarto mai vergognoso ad una città che si stima
colta, come Perugia.

Del resto, per parte mia, io avrei lasciato correre, nè
mi sarei curato di rendere di pubblica ragione queste noti-
zie, se non mi avesse indotto a scrivere questa memoria con
gentile sollecitazione il prof. comm. Francesco Guardabassi,
Presidente della Deputazione di Storia Patria e del Comitato
per le Onoranze a Pietro Perugino. Anzi, dirò più esplicita-
mente, che per consiglio del medesimo e degli altri Signori del
Comitato , mi decisi a darne un annuncio nel giornale /'As-
salto, affinchè quelli che vengono a consultare le nostre cro-
nache, e desiderano di controllare quanto sta scritto nelle
guide della città, sapessero che almeno quei pochi Perugini
ch’hanno un po’ di buon senso per intendere un libro stam-
pato protestarono contro i garbugli dei fratelli Troni, e con
tro l'errore commesso dal Rossi.

Don Carlo Berardi e la sua casa.

Non mi sembra fuor di proposito riferire qualche notizia
su Carlo Berardi, raccolta qua e là nelle varie carte spettanti
alla detta eredità, e che si conservano nell'archivio parroc-
chiale di S. Giovanni Rotondo.

Da un ramo dell’ albero genealogico della nobile famiglia
Berardi, composto (non saprei dire con quale intento) dopo
la morte di D. Carlo (1), si rileva che la detta famiglia di
provata nobiltà perugina, ebbe quasi costantemente dimora
in Castiglione del Lago, o nel Vagliano dove avevano pos-

(1) In questo Albero Genealogico si parla di un tale Pietro Paolo di
Enea che fu Confaloniere di Castiglion del Lago, nel 1690. Non è impro-
babile che questi documenti siano stati raccolti quando un tal Francesco
Migliosi, nel 1696, pretese contestare ai PP. dell’Oratorio l’eredità di
D. Carlo Berardi, in base ad un fideicommisso di Gio; Batta Migliosi del 1619.





ci ETERO an -

256 E. RICCI

sedimenti e case, o nelle montagne di Siena, per ragioni di
uffici militari, avuti da quella Repubblica (1).

Don Carlo, figlio di Francesco Berardi e di Lucrezia
Berneschi, sebbene avesse in Perugia il suo domicilio, ot-

(1) Giovanni di Nicoló di Neri abitante in Castiglion del Lago, nel 1380

‘è tenuto a levare una delle maggiori somme di sale, come dal libro del
Partito etc.

Pietro Paolo, Evangelista e Cosimo, figli del d.° Giovanni di Nicolò
di Neri, autenticano alla loro famiglia la nobiltà della loro prosapia ; mentre
il d.» Pietro Paolo ed Evangelista possedevano indiviso, con i Ricasoli di
Firenze, l’anno 1451, la metà de’ beni, jurisdictione, ponti e bandite nel
Castello di Vagliana, come per rogito di Meo di Piero da Cortona ai 5 di
Maggio 1451.

Cosimo l’anno 1425 si trova con Pietro Paolo ed Evangelista, suoi fra-
telli e figli di Gio: Nicolò di Neri, in un quieto che a loro fu fatto dai
Frati Minori di S. Francesco di Castiglione, d’essere soddisfatti di un le-
gato etc. fatto per rogito di Ser Lorenzo di Ser Serafino di Castiglione,
l’anno 1418; ed il quieto è per rogito di Pietro Corari di Castiglione, ai
10 Febb. 1425.

Jacopo di Vangelista (nobilis vir Iacobus Evangeliste Ioannis de Berardis
de Castiglione), è istituito erede da sua moglie Donna Maddalena figlia di
Battista de’ Rosselli di Arezzo, per rogito di Ser Cassiano d’Angiolo da
Castiglione, il 22 Febb. 1485.

Francesco di Vangelista, il dì 14 Febb. 1486, nel libro de’ Partiti de
Pupilli di Firenze a c. 208, riceve insieme con Lorenzo suo fratello, da
Ottoviano Contucci ciò che devono avere per le possessioni nelle case (?)
di Vagliana.

Pietro Paolo di Lorenzo di Vangelista, come per rogito di Ser Cassiano
d’Angelo da Castiglione, ai 81 Maggio 1492, sposa Donna Cesarina Nar-
ducci Biscardi, di Arezzo, e nel 1528, sostenne il carico di Sindaco delle
Prime Appellazioni d’officio in Castiglione del Lago.

Giulio di Pietro Paolo di Lorenzo, l’anno 1540, fabbrica un sontuoso
palazzo sopra il Convento de’ PP. di S. Cristoforo di Castiglione, detto de’
Zoccolanti, per mantenere la memoria del Convento di d.' Padri, fabbricato
dai suoi antenati.

Il Capitano Francesco, figlio di Giulio, fu Governatore delle Armi delle
Montagne di Siena.

Pietro Paolo di Mess. Enea, nel 1623, fu Confaloniere in Castiglione.

Enea di Pietro Paolo, anch’esso è Confaloniere di Castiglione, nel 1645,
e nel 1690, è Confaloniere del detto Castello Pietro Paolo di Enea.

LA CASA DOV’ERA LA SCUOLA DI PIETRO 257

tenne il beneficio ecclesiastico di S. Angelo al Porto, nella
diocesi di Città della Pieve. Un suo zio paterno, Tommaso,
nel 1643, era parroco di Panicarola, altro villaggio della stessa
diocesi; e Diomede della Corgna, Marchese di Castiglione del
Lago, l’anno 1633, conferi a D. Carlo la Cappella del Colle
del Cardinale, dedicata all’Apparizione di S. Michele Arcan-
gelo, fondata nel 1581, dal Cardinale Fulvio Della Corgna (1).

Un'altra circostanza deve essere notata, cioè che il sacer-
dote Berardi, morto il 5 febb. del 1687, abitava in quella
casa, insieme con i fratelli Cintio e Girolamo, da oltre cin-
quant’ anni, (2) quindi, considerando: 1.° che «Ja detta fami-
glia ebbe molte relazioni, possedimenti ed interessi nella
Diocesi di Castel della Pieve; 2.° che la compera della casa
contigua alla Chiesa di S. Antonino dovette accadere ne’
primi anni del seicento; 3.° che i disegni di cui parla il pit-
tore Girolamo Brunelli dovevano essere di proprietà della d.?
famiglia Berardi, se circa l'anno 1640, furono da quella casa
tolti per ragione della vendita fattane al Capitano Scipione

della Staffa, come dirò poi; considerando tutto questo, dico,

vien fatto pensare che i Berardi avessero acquistata la detta
casa dai discendenti di Pietro, i quali fino a quel tempo,
avevano lasciata quasi in abbandono, come cosa di nessun
interesse, e di poco valore, una cassa piena di disegni di
quella divina mano (3).

(1) Quasi tutti gl’interessi di casa Berardi, sono stipulati in Castiglione
del Lago. Rammento soltanto che Donna Lucrezia, madre di Carlo, nel 1629
acquistò una casa nella Parrocchia di S. Maria della Valle, da Nicoluccio
e fratelli Marsiliani di Piegaro, per 180 scudi; la qual casa posta in Via
della Cupa, oggi proprietà della famiglia Della Torre, appartenne ai Berardi,
e precisamente al Comm.” Tiberio Berardi e suoi eredi, fino al 1900 circa.

(2) Ciò risulta da un bastardetto e da altri fogli contenuti mel fascio
delle carte spettanti all’eredità Berardi, nell'Archivio Parr. di S. Giovanni
Rotondo.

(3) Non mi dissimulo che, a prima vista, si direbbe incredibile la no-
tizia, che i disegni dell’insigne Maestro siano rimasti negletti nel luogo

dov'egli aveva lo studio, per più di un secolo; mentre sappiamo con cer-

17













===

E i

= == ===

_— == ===





Ur ae e iii ini ira e sore da acre T

258 F. RICCI

La cassa dei Disegni.



Il pittore Girolamo Brunelli, circa il 1650; attestò al
P. Ottavio Lancellotti, il quale lo eredette con ogni sicurezza,
che nella casa (1) stata già scuola del famosissimo pittore Pietro»
Perugino, egli stesso aveva ‘veduto una cassa piena di disegni dè
quella divina mano, comperati per consiglio di lui dal Cap. Sci-
pione della Staffa, gentiluomo di qualità non ordinarie.

Il ResTA nel suo Parnaso dei Pittori, edito in Perugia
l'anno 1707, parla, non di una eassa, ma d'una cartella vec-
chia con varj disegni, conservata nella casa che fu di Pietro
Perugino, e pervenuta, sul fine del passato secolo, nella Congre-
gazione dell'Oratorio (2). Forse, del 1707, già era cominciato
l'esodo dei disegni, se da una cassa piena ch'erano prima,
sessantasette anni dopo, una sola cartella bastava a conte-
nerli tutti.

Il SiePI, il cui massimo vanto, attribuitogli universal
mente dagli storici contemporanei e posteriori, è quello di
non aver registrato notizia di cui non avesse letto prima il
documento, o che non avesse co’ propri occhi veduta, ci fa
sapere, che in casa del conte Francesco della Staffa, nel 1822,
era una pregevolissima collezione di disegni dell’ immortale
Pietro Perugino, acquistati con altri molti (che allora non
erano più in detta casa), circa l’anno 1640, da uno dei più
illustri suoi avi materni, il capitano Scipione della Staffa.

tezza, che grande era la fama che godette, mentre era in vita. Ma il dubbio
si dissipa, riflettendo, che la storia dei disegni acquistati dal Capitano Sci-
pione della Staffa, come è detto più innanzi, è vera ed indubitabile.

(1) Noi possiamo dire con certezza: Nella casa Berardi.

(2) È un errore, che i disegni, venduti 47 anni prima, fossero stati ere-
ditati dai PP. dell'Oratorio, alla morte di D. Carlo Berardi, avvenuta il
5 Febb. 1687: ma a noi basta sapere che i disegni vi erano; e che sia pure
una cartella con varj disegni, invece ehe una casse, erano di mano del Pe-

rugino,










LA CASA DOV'ERA LA SCUOLA DI PIETRO 259

Dalle quali parole risulta: 1° ch’egli aveva saputo (forse dallo d M
stesso conte Francesco) l’anno preciso in cui quei disegni
erano stati acquistati: 2° che di quelli acquistati (sembra (HI
non tutti fossero del Perugino), al tempo in cui il Siepi scri- qM
veva non erano piü in casa Conestabile (1). LE]

Che poi la notizia, data dal BRUNELLI per primo, e suc- |
cessivamente dal Resta, dall’ORSINI, dal MARIOTTI e dal SIEPI t
E sia vera nella sostanza, pure ammettendo qualche inesattezza
E nel numero, ché potrebbe anche essere difetto dello scrittore
i il quale non seppe esprimersi con la dovuta chiarezza, ci vien
dimostrato dal fatto, che alcuni di questi disegni erano in





casa del conte Giuseppe, fino a pochi anni or sono, e che
nella famiglia dei conti Conestabile della Staffa è tuttora viva
la memoria dell'acquisto fatto dal cap. Scipione, come pure
delle vendite che, di tempo in tempo, disertarono dei lavori
piü belli il museo di quel principesco palagio.

È Mi sembra superfluo aggiungere altre parole, per far
rilevare, come la storia dei disegni accresca indirettamente
i credito alla notizia del Lancellotti, il quale asseriva con ogni
È sicurezza, che nella Parrocchia di Sant'Antonino in P. S. Su-



sanna, e precisamente nella casa contigua alla Chiesa, era /a
scuola del famosissimo pittore Pietro Perugino.





(1) Sir, Descrizione della città di Perugia, p. 397. Se si riflette che i T TIU

disegni di mano del Perugino, conservati nei varj musei del mondo sono | | |
ben pochi, anzi pochissimi, e non tutti autentici, dobbiamo credere con i | PF
il Resra che si trattava di varj disegni, che potevano pure empire una | | | d
cassa, senza esser molti; e possiamo accettare come sicura la notizia del i 1
Srepi il quale accenna a molti altri disegni, oltre a quelli del Perugino. |









DOCUMENTI

DISPOSTI PER ORDINE CRONOLOGICO

I. — 1650. — Circa questo tempo, il P. OTTAVIO LANCELLOTTI
della Cong. dell’ Oratorio scrisse la sua Scorta Sacra, dove
al Tom. II, Fogl. 371, ai 2 di Settembre, così scrive:

« La casa contigua a questa Chiesa di S. Antonino, o S. Do-
nino, habitata hoggi da D. Carlo Berardi, ch’alla gentilezza del-
l'aspetto e de' eostumi ha singolarmente aceompagnato il talento
. di un dolcissimo canto, porta la gloria da invidiarsele dalle piü
sontuose habitationi di Perugia, d'essere stata già scuola del famo-
sissimo pittore Pietro Perugino. Cosi eon ogni sieurezza mi vien
detto dal Pittore Girolamo Brunelli (1), ehe in eonfermatione mi
soggiunse di havervi veduto una cassa piena di disegni di quella
divina mano, comprati per suo consiglio dal Cap.. Scipione della
Staffa Gentiluomo di qualità non ordinarie ».

II. — 1687 — Vol. II. Dei ricordi della Congregazione di S. Fi-

lippo Neri di Perugia, Fog. 139.

« A di 6 Febbraro, fu aperto il Testamento di d., Carlo Be-
rardi (2), quale per rogito di Bartolomeo Cini lasciò erede la
Cong.ne di tutto il suo avere, con l’obbligo di sei Messe la setti-
mana, in perpetuo. Consiste la di lui eredità in una casa posta vi-
cino alla Chiesa parrocchiale di S. Antonino, in un poderetto posto
alla Villa (Petignana) ete. ».

(1) Girolamo Brunelli, pittore collegiato, mori l'anno 1651. Vedi Ma-
miorm, Lettere Pittoriche, p. 174. Da queste parole si rileva che, quando
scriveva il Lancellotti, il Brunelli era ancora vivo.

(2) D. Carlo Berardi morì il 5 Febbraio 1687.









LA CASA DQV'ERA LA SCUOLA DI PIETRO 261

III. — 1695. — Id. pag. 156.

<« A di 17 Agosto, per rogito di Costanzo Carletti, a car. 248,
la Congregazione vende una casa di d. Carlo Berardi, posta vicino
alla cura di S. Antonino, a Carlo Carlueci per scudi 220 ete. ».

IV. — 1695. — Archivio Notarile — Rogiti di Costanzo Carletti

e. 248 t. /

« Il P. Pirro Bontempi, Preposito delle Cong. e gli altri
Padri della medesima Congregazione dell' Oratorio di S. Filippo
Neri, previo permesso della S. Congregazione degli Em. Cardi-
nali negotiis et consultationibus Episcoporum et Regularium prae-
positis, e eon reseritto del Vescovo Lucalberto Patrizi... vendunt
Carolo q. Francisci Carlucci campanario Perusino, unam domum
eiusdem. Congregationis, sitam Perusiae P. S. S. Paroecia S. Anto-
nini, iurta bona D. Canonici Io. Angeli de Guidarellis, Ecclesiam
Parochialem S. Antonini, stratam et aliam stratam ete. (1).

V. — 1707. — Parnaso dei Pittori stampato a Perugia 1707, e
ristampato dal Baduel 1788 (Vedi Documento VII).

VI. — 1771. — Diario Perugino Ecclesiastico e Civile per l’anno
Bisestile 1772 ete.
In Perugia 1771, dalle Stampe di Mario Reginaldi et:
Secondo Semestre p. 38. ai 2 di Settembre.
« É questa Chiesa (di S. Antonino in P. $8. S.) Parrocchia,
ed è assai antica ... e la casa contigua alla Chiesa porta la gloria
d’essere stata già scuola del famosissimo Pittore Pietro Perugino ».

VIL. -— 1788. — ANNIBALE ManioTTL Lettere Pittoriche. Let-
tera VI, p. 174-175: 1
« Delle ease da lui murate e eomprate in Firenze io non ho
alcuna notizia. Della sua casa in Perugia, il Lancellotti ci dice
ch’essa fu quella contigua alla Chiesa di S. Antonino in Porta

(1) La detta casa fu venduta per scudi 220, col permesso della S. Con-

gregazione dei Vescovi e Regolari, per pagare la calce e i mattoni, per la

Chiesa dell'Oratorio, che si stava costruendo (Libro dei Ricordi, p. 156).







262 E. RICCI

Santa Susanna, ove, a tempi del suddetto Lancellotti, abitava D. Carlo
Berardi » (1).

E dopo aver riferite le parole del Lancellotti, aggiunge che
i disegni veduti dal pittore Girolamo Brunelli eran forse quelli
che si conservavano in casa della Famiglia Della Staffa, dichiarati
bellissimi dall’Orsini. Poi segue: « Il P. Resta nel suo indice del
Parnaso de’ Pittori (Pag. 9, 10, 11) pubblicato già in Perugia nel
1707, ed in questi ultimi giorni ristampato dal nostro BADUEL, fa
menzione di una cartella vecchia con varj disegni, conservata nella
casa che fu di Pietro Perugino, e pervenuta, sul fin del passato
secolo, nella Congregazione dell’ Oratorio di Perugia ».

Nota. — « E veramente ... questa casa è quella stessa, per
quanto io posso capire, ove abita presentemente il R. Sacerdote
Sig. Don Antonio Iacomini. Prima che fosse compartita com’ è
presentemente, si comprende che una buona parte di questa casa
era occupata da una grande stanza a tetto, la quale aveva un
fregio dipinto in cui tra varj festoni si vede espresso il Grifo,
Arme di Perugia: e questo fu forse lo studio di Pietro. Sull'ar-
chitrave della porta esteriore di questa casa, sopra una porta in-
terna, e sopra un camino della medesima, si vede scolpito in tra-
vertino uno stemma, consistente in una banda caricata da sei
mazze in pila, legate nella impugnatura da un nastro continuato.
Nel Blasone Perugino quest’Arme non è riportata ».

VIII. — Risposta alle Lettere Pittoriche del Sig. Annibale Mariotti
ete. di BALDASSARRE ORSINI. Perugia, Carlo Baduel 1791:
Lettera X, p. 107-108.

« Giacchè nuovamente m’è occorso a dirvi di Pietro Perugino,

vi esporrò una mia considerazione, la quale terrete per quanto
vale. Sapete che corre voce in Perugia, ch'egli avesse la sua casa
di rincontro alla Chiesa Parrocchiale di S. Antonino, in Porta

(1) Mentre nei documenti anteriori a questo si parla della Scuola di
Pietro; ossia del fabbricato dove aveva lo Studio, come si direbbe oggi,
qui, per la prima volta, si parla di abitazione. Evidentemente l'illustre sto-
rico, sempre accuratissimo fino allo serupolo, è incorso in errore, perché il

Lancellotti non parla di casa di abitazione, ma di Scuola.













LA CASA DOV’ERA LA SCUOLA DI PIETRO 263

i

S. Susanna, e me l' aecennaste nella vostra Lettera. VI (1): ma
questa sarebbe ove abita il Sig. Don Domenieo Pompilj, Dottore
Teologo Collegiale (Nella sala di questa abitazione si vede scolpito
in pietra serena un camino, i eui stipiti hanno bellissimi arabeschi,
forse lavorati col disegno di Pietro). Quivi sotto il pieeolo log-
giato, che ora è chiuso, ho ravvisato dipinto in fresco, contro
l'areo di mezzo, S. Cristofano, grande tre palmi e più del natu-
rale, di mano del celebrato Artifice (2), il quale, se non fosse stato
intonacato dalle mezze gambe in sotto, sarebbe una figura da ga-
reggiare con le altre bellissime della Sala del Cambio. La sicu-
rezza dei dintorni troppo innalza Pietro, e lo fa egualmente bravo
in piccoli lavori, che giganteggiando.

Si può credere ch’ei dipingesse quivi S. Cristoforo in memoria
di suo padre: e non saprei indurmi a credere per qual altro motivo
dipingesse eotesto Santo, che non lo vedo altrove da lui effi-
giato (3).

(1) L’Orsini dice: Corre voce ecc.: ma nessuno, prima di lui, affermò
che la detta casa di Pietro fosse di rincontro alla Chiesa di S. Antonino.
Sembra poi che voglia far dire al Mariotti quello che non aveva detto, cioè
che la casa era di rincontro, ecc. Se non vi fossero le Lettere Pittoriche,
dalle parole dell’Orsini, si avrebbe ragione di credere che anche il Mariotti
fosse della sua opinione. Anche qui si parla di casa/

(2) Vedi più sotto, Documento XII, ciò che riferisce il MezzanortE, a
proposito della pretesa autenticità di questo dipinto.

(3) Dunque tutta la considerazione dell’Orsini, con la quale contradice
«alla tradizione costante ed indiscussa, che la casa di Pietro fosse contigua
alla Chiesa di S. Antonino, per porla di rincontro alla detta Chiesa, è fon-
data sull’unico argomento, che sotto il loggiato di questa casa di rincontro,
vi era dipinto un S. Cristofano: dalla qual circostanza va a pensare che
Pietro ve lo avesse dipinto per memoria di suo padre che si chiamava Cri-
stofano. Troppo speciosa questa ragione! La figura di S. Cristoforo sap-
piamo che si dipingeva fuori delle porte della città e delle abitazioni, perchè
era credenza del popolo, che chi, la mattina, appena uscito di casa, aves-
se fermato l’occhio sull’immagine di S. Cristoforo, per quella giornata,
sarebbe rimasto esente da qualsiasi infortunio.

Christophorum aspicias, postea tutus eas:

«così dice un antico adagio che spesso si trova scritto sotto le immagini del







264 E. RICCI

IX. — 1804. — Vita di Pietro Perugino di Baldassarre Orsini.

Perugia, Baduel, 1804. Pag. 186-187.

« I documenti che se ne hanno (della casa) la pongono in P.
S. Susanna, e vicino alla chiesa parrocchiale di S. Antonino. Sa-
rebbe questo un dato assai equivoco, se un segno inalterabile non
ne decidesse per l'appunto del luogo, senza ombra di dubbio ete ».
E, dopo aver deseritto il S. Cristoforo, eonelude con questa nota
(pag. 187): È manifesta cosa non poter essere quella casa contigua
alla chiesa di Sant’ Antonino. Io mi sono abbastanza spiegato nelle
risposte alle Lettere pittoriche perugine, pag. 107 (1).

X. — 1817. — Libro dell’Inventario ece. della Parrocchia di S. An-
tonino e S. Croce in P. S. S. fatto l'anno M D CCC XVII
essendo Parroco Don Giuseppe Goffredo Santi, Sacerdote Pe-
rugino.

Pag. 1. — « Dalle Opere inedite di Messer Vincenzio Adriani,
che tesse le memorie Pittoriche di questa città e sue Parrocchie,
e che col sentimento e testimonianza di celebri autori ed istorici
conferma le sue osservazioni, si rileva l’antichità ed il pregio di

questa insigne Parrocchiale, ora sotto il Titolare di S. Antonino

Martire ».

Pag. 5. — « Riguardo poi alle altre prerogative di essa Par-
rocchia, si rileva dai Ricordi di Messer Lodovieo Adriani, e dal
Diario sopra citato di Perugia del 1772 (del Reginaldi) (2) sotto il

detto Santo. Per questa ragione l’anno 1297 (an. fol. 22 r) il Comune di Pe-
rugia ordinava: Quodexp ensis communis figura sci Christophori pingatur ad
portam sce Iuliane.

(1) Che per lui fosse cosa manifesta e senz’ombra di dubbio, possiamo
erederlo: ma sembra che non così la pensassero gli altri: e dal tono stiz-
zoso di queste ultime parole (l’Orsini era un attaccabrighe di prim'ordine,
così dice il VeRMIGLIOLI) si può argomentare che la sua considerazione, espressa
nelle risposte alle Lettere Pittoriche, avesse garbato poco al Manrorri ed agli
altri studiosi. Ma nessuno amava di rompersi la testa con lui, e peró non
vi furono battibecchi.

(2) In questo medesimo libro, il Santi, alla p. 1, dice che il Diario
del 1772 è stato scritto dal celebre signor Mario Reginaldi, i! quale ne fu anche

editore.

LA CASA DOV’ERA LA SCUOLA DI PIETRO 265.

dì 2 Settembre, che la casa contigua a questa Chiesa (quale sarà
sicuramente la Parrocchiale, come più contigua, essendo le altre
due confinanti, ma disgiunte dalla Chiesa) (1) porti il vanto di
essere stata la scuola di Pietro Perugino, famosissimo Pittore ».

XI. — 1822. — SERAFINO SIEPI, Annotazioni alla Descrizione di
Perugia. Alla Voce S. Antonino. Mans. nella Biblioteca Do-
minicini.

« La casa ... di contro a questa Chiesa si vuole porti la glo-

ria d’essere stata abitazione del famoso Pietro Perugino, e che ivi

tenesse scuola (2). Sin da’ suoi tempi, l’ assicura il Lancellotti

il quale asserisce essersi dal Pittore Girolamo Brunelli (che morì

nel 1651, e perciò suo contemporaneo) veduta in questa abita-
zione una cassa piena di disegni di Pietro, per consiglio del Bru-
nelli medesimo comperati dal capitano Scipione della Staffa. A’
tempi del Lancellotti, era la medesima casa abitata da D. Carlo
Berardi ... Dopo la morte di lui, seguita il 5 Febbr. 1687, per
lascita di questo, passò in dominio de’ PP. dell’ Oratorio che la
vendettero, otto anni dopo, a Carlo Carlucci. Passò successiva-

vero che la casa a destra della Chiesa di S. Antonino è distac-
cata dalla Chiesa da un piccolo stillicidio; ma era attaccata con la sacrestia
della medesima Chiesa, come tuttora si può vedere nel cortile che fu già
cimitero parrocchiale, col qual cortile confina l’altra casa di cui fa parola
il Santi, e che oggi appartiene a vari proprietari ed ha l’ingresso in Via
del Silenzio al N. 2. Del resto il dubbio del Santi non ha alcun fonda-
mento, quando si rifletta che nella casa a sinistra, ch'egli direbbe più al
tigua, fino al 1802, epoca in cui la parrocchia di S. Antonino fu riunita con
quella di S. Croce, abitò sempre il Parroco.

(2) Il Srerr riassume quanto aveva scritto sull’ argomento Annibale
Mariotti, da lui citato; ma, non avendo forse bene esaminata la questione,
non s’avvide che la casa di cui parlava il Mariotti era quella contigua,
e non quella di rimpetto alla Chiesa di S. Antonino; quindi, ora parla del-
l'una, ora dell'altra casa, come se fossero una sola, dicendo perfino, che
in quella di rimpetto, sopra la porta esteriore e sopra un’ altra porta interna
e’ è uno stemma etc. L’ equivoco è cosi chiaro, che non occorre aggiun-

gere altre parole per dimostrarlo.



266 E; RIGGE

mente a diversi padroni, e, nel 1793, n'era possessore e vi morì,
il 14 Sett., D. Girolamo: Pompili, dottore teologo collegiato, di eui
abbiamo alle stampe un’ orazione panegirica di S. Francesco di
Paola ... (1). Ora questa casa è posseduta dal Sig.r Gioacchino
Lorenzini. Prima che fosse compartita com’ è presentemente, si
comprende che una buona parte di essa era occupata da una
grande stanza a tetto la quale aveva un fregio dipinto, in cui tra
varj festoni si vede espresso il Grifo, Arme di Perugia, e questo

fu forse lo studio di Pietro. Sull’ architrave della porta esteriore,

sopra una porta interna e sopra un camino evvi scolpito uno
‘stemma (2) ch’è ignoto nel blasone perugino (MarIOTTI, Lett. Pitt.,
p. 175).

XII. — 1836. — Della Vita e delle Opere di Pietro Vannucci da
Castel della Pieve etc. di AnToNIO MEZZANOTTE. Perugia, Bar-
telli, 1836.

Pag. 172-177. Nota. « È questo il luogo opportuno di parlare
della casa abitata (3) da Pietro in Perugia, onde stabilire quale
sia veramente, ed aggiungere qualche notizia relativa alla mede-
sima.

(1) La casa Pompilj, poi Lorenzini, poi Troni, è quella di rimpetto alla
Chiesa di S. Antonino. Ciò apparisce chiaramente dal ms. del Parroco
D. Giuseppe Goffredo Santi, il quale, descrivendo esattamente i confini
della Parrocchia di S. Antonino, parla di questa casa (ch’ egli chiama Lo-
renzini già Pompilj) la quale a levante ha l'ingresso in via Deliziosa, e,
a ponente è limitata dalla via Benincasa.

(2) Sulla porta di casa Troni non c'é stato mai alcuno stemma. Con
le parole con cui il Mariotti identifica la casa contigua alla Chiesa di
S. Antonino, il Siepi descrive quella di rimpetto alla detta Chiesa: e, tra-
scrivendo quasi alla lettera il passo citato delle Lett. Pitt. del MariomTI,
non s'è accorto dell’ equivoco.

(3) È inutile ripetere ció che abbiamo detto sopra. Al MxzzaAworTE, dopo
che gli altri avevano scambiato sbadatamente l'abitazione del Perugino con
la Scuola, neppure venne in mente di considerare con attenzione ciò che il
Lancellotti, il Reginaldi e gli altri da lui citati avevano scritto. Tanto è vero,
che fa dire al Lancollotti, che : « la casa di Pietro fu quella contigua ete. ».
Pag. 174, nota.











LA CASA DOV'ERA LA SCUOLA DI PIETRO 267

L’ Orsini nella Vita del nostro Pittore, e nella Risposta alle
Lettere pittoriche del Mariotti, porta opinione, che la casa di
lui fosse quella dirimpetto alla sovra indicata Chiesa di S. Anto-
nino, e dice essere un segnale che decide del luogo di essa, sen-
z'ombra di dubbio, la figura di un S. Cristoforo, di statura
gigantesca, ivi dipinto in fresco sotto una loggia; e lo riconosce
di mano di Pietro, e vuole che nella propria casa lo dipingesse
in memoria di Cristoforo suo padre: questa opinione, avvalorata
dall’ autorità dell’ Orsini, venne da alcuni ricevuta. Ma la figura
di quel Santo, per la sola causale coincidenza del nome, non è
certo una prova di tanta evidenza, da togliere ogni ombra di dub-
bio: imperocchè, mancando all’ Orsini prove innegabili che docu-
mentino essere veramente quella la casa dai Vannucci abitata,
ciò ch’ egli ne scrive rapporto alla dipinta figura si riduce ad
una mera supposizione. D'altronde con buone ragioni oggi può
asserirsi, che il S. Cristoforo non è di mano del nostro pittore.

Piacque, pochi anni or sono, ad intelligente persona in Pe-
rngia di provare un certo metodo onde staccare i dipinti dal
muro, e portarli in tela, e scelse a-farne esperimento la sunno-
minata figura, sulla certezza dell’ errore preso dall’ Orsini : espe-
rimento che, senza ciò, fatto non avrebbe sovra un oggetto di
tanta importanza (1).

Prima di eseguire la suddetta operazione, ebbe cura di net-
tare quella figura dal bianco che le ricopriva: ed avendola atten-
tamente considerata, ed invitoti gl’ intelligenti dell’arte a meglio
esaminarla, dovè convincersi che quella pittura non aveva alcun
carattere che la dimostrasse lavoro del pennello di Pietro. E que-
sto giudizio fu confermato in Roma da valenti artisti che la esa-
minarono, già felicemente trasportata dal muro in tela, i quali
tutti convennero nello stabilire essere quel S. Cristoforo opera di
mediocre autore, che prese ad imitare la maniera del Perugino,
molto lungi però da quella delicatezza e perfezione che caratte-

(1) Come si deduce dall’iscrizione dipinta nel loggiato della Casa Troni,
il distacco del S. Cristoforo fu eseguito l’anno 1826: ma il Rossr Scorti

(Guida di Perugia, p. 90) dice che ciò avvenne l’anno 1828.







































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I
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i

268 E. RICCI



rizzano questo insigne pittore (1). Ed escluso così il Vannucci dal
lavoro di tale figura, non ha più alcun sostegno la opinione del-
I Orsini ».

Riferite poi le parole del Mariotti, così continua :

« Ora aggiungerò posteriori notizie desunte dai libri parroe-
chiali, e favoritemi dall’ottimo e colto sacerdote Giuseppe Moretti,
attuale parroco della chiesa di S. Antonino. Nel 1785, questa casa
abitata allora dal notajo Giuseppe Bolsi, fu comprata da D. An-
tonio Iacomini e da d. Luigi Ciucci; e vi dimorò il Iacomini fino
all’anno 1790. Nel 1791 divenne proprietà di Domenico Marca-
relli ed Anna Cagiati consorte, che vi dimorarono fino all’ anno
1795. Nel 1796, passò in proprietà di Carlo Cagiati, ed estinta
questa famiglia, fu nel 1815, ereditata da d. Domenico Ronzi di
Civita di Penna, e dal 1817, sino all’anno corrente (1836) è
stata abitata dai seguenti inquilini. Nel 1817 sino al 1823 da Gio-
vanni Battista Pecci: nel 1824, sino al 1825, da Giuseppe Miche-
langeli : nel 1826 sino al 1834, da Giovanni Oddi: nel 1835,
passò ad abitarla Antonio Marchetti. È nel rione di p. s. Susanna,
contigua alla Chiesa di S. Antonino, al N. civico 17.

Lo stesso Parroco mi somministrò altre notizie, ch’ egli rin-
venne registrate nelle Memorie della chiesa, e dalle quali mira-
bilmente si conferma che la suddetta casa, e non altra, fu la vera
abitazione del Vannucci. Riportasi in esse Memorie ciò che nel suo
Diario perugino serisse Mario Reginaldi, che cioè: la casa conti-
qua a quell’antica parrocchiale chiesa ha la gloria di essere stata
abitata da Pietro (2). Ed in altra pagina si nota rilevarsi dai Ri-
eordi di Mess. Lodovico Adriani, che questa medesima casa porta

(1) Ad un pittore che per giunta si professa anche critico d’arte, non
fa onore prendere un abbaglio di questo genere. Del resto non deve far
meraviglia, perché nella sua Guida di Perugia ve ne sono parecchi simili
a questo. È dunque vero ciò che scriveva Gio: Barra VermiGLIOLI, che i
giudizi dell'Orsini non sono nè giusti, nè retti. (Biografia degli Srittori
Perug. Tom. II, p. 160).

(2) Vedi documento VI.


















LA CASA DOV’ERA LA SCUOLA DI PIETRO 269

il vanto di, essere stato il luogo della Scuola di Pietro perugino,

famosissimo pittore.

XIII. — 1861. — In quest’ anno i fratelli Paris e Muzio Troni, fe-
cero dipingere sotto il loggiato della loro casa la seguente
iscrizione, dettata dal chiarissimo Conte Giov. BATTISTA ROSSI
Scorm (1):

QUESTA FU LA CASA DI PIETRO VANNUCCI
DETTO iL, FERUGINO
E QUI VEDEVASI PINTO UN S. CRISTOFORO
CH' EI CONDUSSE DI SUA MANO
PER AMOROSA RIVERENZIA AL NOME DEL PADRE
PERCHÉ CON L'OPERA DA VII LUSTRI TRASFERITA A ROMA

NON PERDASI LA MEMORIA DEL MODESTO ALBERGO



OVE EBBE SEDE
IL FONDATORE DELLA SCUOLA UMBRA

IL MAESTRO DEL SANZI DELLO SPAGNA DEL MANNI
I PROPRIETARJ PARIS E Muzio TRONI

A . DOPO LA MORTE DEL SOVRANO ARTEFICE

BRM

COCXXXXII

Dopo la cervellotica supposizione dell’ Orsini, nessuno mai

aveva riferito questa notizia in tono così asseverativo. |
Il valentissimo archeologo, richiesto dai proprietarj della casa
di dettare l’ epigrafe, ebbe dai medesimi i dati necessarj; nè si

curò troppo di appurarne l’autenticità.

XIV. — 1865. — Non fa quindi meraviglia, se il prof. ApAMO
Rossi, pochi anni dopo, fatto ardito dall’ autorità del Rossi

(1) Vedi più sotto all’anno 1878.

270 E. RICCI



Scotti, dettasse per incarico del Municipio 1’ iscrizione da in-
cidersi nel marmo (1):
IN QUESTA CASA
DOVE È COSTANTE TRADIZIONE
CHE AVESSE ABITATO

PIETRO VANNUCCI
! PERUGINO
| DI DOMICILIO DI AFFETTO DI NOME

941 ANNO DOPO LA MORTE DEL GRANDE PITTORE
| NEL NOVEMBRE 1865 FU A CURA DEL COMUNE

POSTA UNA LAPIDA

PERCHÈ ANCOR ESSA TESTIMONIASSE ALLE GENTI

| LA VENERAZIONE DI PERUGIA



AL FONDATORE DELLA SUA SCUOLA
AL MAESTRO DI RAFFAELLO.

——

| | XV. — 1878. — Inaugurata la lapida, a malgrado delle disap-
| provazioni di qualche studioso, nessuno si diede cura di ri-
mediare all’errore, e così il Rossi ScorTI, 12 anni dopo, seri-
vendo la sua Guida illustrata di Perugia, non ebbe il minimo

dubbio di scrivere alla pagina 90:

« In via Deliziosa al n. 18 vi è la casa di Pietro Vannucei,
detto il Perugino, ove in una parete interna vedevasi un giorno
(sino al 1828 in circa, in che, distaccato, fu trasportato a Roma)
i un S. Cristoforo, affresco da quel pittore ivi eseguito a memoria
di suo padre che aveva tal nome. A ricordo di ciò su questa pa-
rete nel 1861, trecentotrentasette anni dalla’ morte del Perugino,
| fu apposta dai proprietarj della casa un’ iscrizione, che a loro ;

\ cortese richiesta io dettar ».
Î



i ETTORE RICCI.



i i (1) Che l’autore dell’iscrizione sia il Rossi, l’ho avuto per certo dal

Can. Don Axasrasio RoreLLI, peritissimo delle memorie Perugine; ma non

mi consta per altri documenti. Del resto, chiunque ne fosse l’autore, non
ii diede bella prova di essere storico preciso, affermando: In questa casa —

il dove è costante tradizione — che avesse abitato ete., perchè ciò non è falso.



-— — ——







TT



N

A proposito del “ Rescrito Costantiniano ispellate,

(Nota CRITICA-STORICA)

Nel sec. XVIII, e precisamente nel 1717, nei pressi
della città di Spello, fu accidentalmente rinvenuto un im-
portantissimo testo epigrafico (1) nel quale l’imperatore Co-
stantino concede agli Umbri di potersi riunire e celebrare
in Spello gli annuali ludi religiosi, che avevano il loro pre-
cipuo fine nel culto dell’imperatore. E mancando d’altra parte
la nuova metropoli religiosa dell'Umbria, di un tempio adatto
alla celebrazione di queste feste, ordinava Costantino in tale
suo rescritto, che in quest’ultima ne venisse innalzato uno,.
di costruzione magnifica « Templum Flaviae gentis opere
magnifico » e da dedicarsi alla sua famiglia, alla gens Fla-
via. Sarebbe ora superfluo illustrare questo notissimo docu-
mento ampiamente trattato da storici insigni (2): basterà

(1) Il Cadevoni (ricerche critiche intorno alle medaglie di Costantino
Magno e dei suoi figliuoli, Modena 1858 p. 7) crede che questo rescritto
<« non possa essere anteriore al 333, nel quale Costante, che vi si nomina
insieme coi due suoi fratelli maggiori, fu dichiarato Cesare ».

(2) Cfr. Jullian, p. 80-174. Le transformations pol. de 1° Italie sous les
Empereurs; Mommseu Berichte der sichsischen Gesellschaft, 1850, p. 210

n. 2. Cantarelli, La Diocesi Italiciana da Diocleziano alla fine dell’ Impero.
occidentale 1901, 104.,— Marquardt. Le culte chez les Romains, I, p. 139.





















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272 M. de DOMINICIS

solo che io ricordi come tale concessione di Costantino fosse
stata fatta in seguito a viva istanza del popolo umbro, il
quale era in antecedenza legato in confederazione religiosa
«con la Tuscia, e ogni anno quindi costretto con grave suo
disagio a recarsi a Volsinii, (Bolsena), per la celebrazione
delle feste annuali di rito. Senza soffermarmi a considerare
la importanza giuridica di tale rescritto, mi limiterò. solo a
quella parte di esso che da parecchi critici é stata inter-
pretata come aperta condanna del Paganesimo, e conseguen-
temente come prima allusione alla religione Cristiana nel-
l'Umbria. Nell’ interessante lapide ispellate, nel concedere
l’imperatore la costruzione del tempio da dedicarsi alla sua
famiglia, aggiunge la clausola :

« Ea observatione perscripta ne aedis nostro
micio . . e. :
nomini dedicata cuiusquam contagiosae
superstitionis fraudibus polluatur (1) ».

x

L'interpretazione comune è che qui si alluda esplicita-
mente alla proibizione di riti pagani (2). Scostandosi però da
questa interpretazione, abbastanza recentemente, l’ erudito
Martroye (3) ha concluso in merito alla nostra questione non
doversi qui intendere un qualsiasi accenno alla religione
pagana, facendo sottilmente notare come il termine super-
stitio, considerato per se stesso, non abbia nessun significato
proprio. A controbattere. però la nuova versione del Mar-
troye sorse con un sagace articolo Faloci-Pulignani (4). In-
«comincia questi con il considerare come la parola superstitio,

(1) C. I. L. XI, 5265. Cf. Mommsen - Analekten — Orelli — Henzen
5580.
(2) Beurlier — Culte imperial. — De-Rossi, Bulletin d'arc. chrét, 1867,
p. 69. 3
(3) Bulletin de la Societè Nationale des Antiquaires, Paris, 1916, p. 280.
S (4) Archivio per la Storia ecclesiastica dell’ Umbria, vol. III, Il Re-

scritto costantiniano, Ispellate.





+



A PROPOSITO DEL RESCRITTO, ;ECC. 273



quando ad essa non sia aggiunto alcun aggettivo che la de-
termini e la specifichi, voglia senz'altro significare religione.
A conferma di ciò cita due esempi classici, in cui superstitio,
secondo il Faloci, ha questo significato. Partendo poi da tale
presupposto, conclude essere la religione condannata da Co-
stantino, la Pagana. La opinione dell’illustre storico folignate
Faloci-Pulignani, sostenuta da insigni maestri e tra gli altri
anche dal Battifol (1) a me non sembra tale da accettarsi.
Il Battifol poi concorda pienamente col Faloci nel ritenere
che Superstitio voglia significare religione. Egli dice: « Con-
stantin emploie le mot Superstitio pour designer le Paga-
nisme » e per avvalorare tale sua interpretazione ri-
manda a un rescritto di Costantino (2) che dice tra l’altro
< si quis ad ritum alienae superstitionis cogendos esse cre-
diderit eos qui sanctissimae legi serviunt ». Nel rescritto in
parola però, come in quello di Spello, con il termine super-
stitio, non ha voluto Costantino riferirsi alla religione pa-
gana, ma sibbene a tutte' quelle forme di false superstizioni
e stregonerie che si erano infiltrate nel Paganesimo, e'in
ispecial modo, dacchè i costumi romani subirono l’influenza
orientale. Importanti circostanze storiche dimostrano la ve-
rità della mia asserzione. L'arte della magia non fu mai ri-
solutamente proibita dai reggitori di Roma. E presso il po-
polo superstizioso trovarono gran favore coloro che con scon-
giuri, formule, pietre, erbe magiche, amuleti, incanti, assi-
curavano dagli Dei poter ottenere per i loro clienti ricca
mésse di favori, quali la forza, la salute, l'invulnerabitità, e
persino una nuova giovinezza a quegli illusi che erano per
discendere l'arco della vita. E dagli antichi Romani, come
Orazio ci attesta, i Sabini erano considerati nella magia tra

(1) Battisol. La paix Constantinienne et le Catholicisme, Paris 1914,
p. 360.
(2) Cod. Theod. XVI, Tit. 2-5.





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Ì
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|
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DES







274 M. de DOMINICIS

i più esperti (1). Nessun serio provvedimento, dicevo, fu
preso contro questi falsi vaticinatori; ma allorchè dall'Oriente
affluirono in Italia un numero straordinario di codesti indo-
vini e truffatori, la divinazione locale degli auguri fif addi-
rittura superata dal diffondersi di credenze straniere, spinte
al più alto grado di fanatismo e superstizione, e conseguen-
temente non solo la religione ufficiale, ma bensì lo svolgersi
normale della vita, fu da queste false arti divinatorie si
gravemente minacciata, da obbligare lo Stato a prendere
seri ed energici provvedimenti. Augusto non soltanto vietò
agli astrologi di dare responsi, ma addirittura ordinò che i
loro strumenti di lavoro venissero, coram populo, bruciati.
Tiberio, come ci riporta Svetonio (2), e ciò ha somma im-
portanza per la nostra questione, fu ancora piu risoluto di
Augusto contro i propalatori di stregonerie e di false magie
da Svetonio stesso indicati con « qui superstitione ea tene-
bantur ». Come è chiaro, Svetonio,
l'era nostra, non dà al termine superstitio significato di re-

storico del II sec. del-

ligione, bensì quello suo proprio, e che in tutta la latinità

ha sempre avuto, di superstizione, paura vana. Per non ci-
tare infine altri esempi, ricordo che nel Digesto (2) c'é una
legge di M. Aurelio che dice: « Si quis aliquid fecerit, quo
leves hominum animi superstitione numinis terrentur, divus
Marcus huiusmodi homines in insulam relegari rescripsit ».
Qui anche più chiaramente viene specificato l'increscioso
inconveniente cui andava soggetto il facile volgo, per opera

(I) Hor. Sabella Carmina.

(2) Suet. Tit. 36 « externas caerimonias. Aegiptios Judaicosque ritus
compescuit, coactis qui superstitione ea tenebantur religiosas vestes cum
instrumento omni comburere » p. 63 «Haruspices secreto ac sine testibus
consuli vetuit ».

(9) Digesto 48, 19, 30.



È
t
È













A PROPOSITO DEL RESCRITTO, ECC. 275



di scaltri fattucchieri che con varie forme di superstizione
sfruttavano gli ignoranti e i creduli (1).

Il Faloci Pulignani cita due passi di.Tacito e di S. Paolo,
in cui « superstitio » sta ad indicare, a suo avviso, reli-
gione. Esaminiamo i passi citati. Nel libro XV degli Annali,
Tacito (44) defini sì il Cristianesimo « contagiosa superstitio »,
ma non era suo lontano intendimento innalzare la nuova
setta a dignità di religione, quando questa, per ragioni mol-
teplici, a tutti note, era considerata come un insieme di brut-
ture e di delitti rituali. /

Sarebbe qui veramente superfluo ricordare le atroci
accuse, dalla maggioranza pagana sinceramente credute,
lanciate contro i seguaci del nuovo culto. Gli apologisti ne
trattano con ricchezza di particolari; nè mi soffermo a ricor-
dare le follie superstiziose dei primi cristiani: (2) le quali, non
credo, abbiano influito nel mettere in cattiva luce presso i
pagani la nuova religione. Certo è che Tacito, nella citazione
di cui sopra, non ha voluto alludere al cristianesimo come
nuova religione, bensì come insieme di false credenze con-
tagiose, facili cioè a propagarsi nel popolo.

Anche Svetonio (3) nomina il cristianesimo con «< super-
stitio nova ac malefica. Plinio (4), in una lettera diretta a
Traiano circa la nuova setta cristiana, si esprime con « su-
pertitio prava et immodica ». Ma non hanno tutti questi

(1) Nell'anno 821 (Cod. Theod. 9-16-3) si minacciavano di severe pene
gli stregoni ‘o incantatori e coloro che comunque invocando gli spiriti in-
fernali venivano a turbare la mente degli uomini. :

(2) S. Cipriano (Epp. 7 e 62) ci dice che nei primi tempi giovani uo-
mini e donne Cristiane a scopo di reciproco miglioramento o perfezione
spirituale, si accoppiavano insieme vivendo soli in una stessa casa, e la-
sciando a noi facilmente supporre come non tutti siano riusciti a vincer
la terribile prova — altri cristiani invece si davano completamente ai go-
dimenti della carne, con il miraggio di purificare l’anima dalla parte bruta.

(3) In Vita Neronis XVI.

(4) Plinio Ep. X, 97.









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276 M. de DOMINICIS

scrittori assolutamente voluto dare alla parola « superstitio »
il significato di religione. L'altro autore citato dal Faloci
Pulignani è S. Paolo (1) il quale trovandosi in Atene e ac-
corgendosi in che grande onore fosse ancora tenuto il culto
pagano, definì gli ateniesi « per omnia quasi superstitiosio-
res ». Ma l’opinione in cui S. Paolo aveva il paganesimo
era migliore o peggiore, di quella in cui Tacito aveva il
cristianesimo ? Poteva egli chiamare religione il culto ido-
latrico pagano che permetteva, anzi, considerava atto no-
bilissimo, per non citare che un solo esempio, che candide
giovanette, per ingraziarsi la Dea Mylitta e la Dea A-
schera (2), in mezzo a molli boschi, ove propriamente tali
divinità venivano adorate, sacrificassero la loro verginità, e
si abbandonassero accese da un sacro furore ai piü sfrenati
atti di libidine? E che dire delle baccanti che nelle loro
orgie sacre si inebriavano del sensualismo piü spinto? E
tutto ció in osservanza del culto?

Io non esito ad affermare che S. Paolo, lungi dal cre-
dere il paganesimo una religione, adoperando la parola « su-
perstitiosus, abbia voluto soltanto intendere, proclive, a com-
piere insani atti idolatrici di superstizione. Alla supposi-
zione del Faloci contraddice di poi l'uso del pronome « cu-
iusquam », che dà al sostantivo « superstitionis », un senso
lato, generale, e non specifico, come avrebbe dovuto esigere
un chiaro riferimento al culto pagano. Che se poi, per dan-
nata ipotesi, i sostenitori della tesi contraria non ritenessero
alcuna delle mie argomentazioni sufficiente, e valida, per
altra via giungo alla medesima conclusione, seguendo cioé
un criterio puramente storico.

Non m'indugeró troppo intorno alla grave questione, e
che, a mio avviso, difficilmente potrà essere risoluta, dalla
sincerità dei sentimenti di Costantino verso il cristianesimo,

(1) Actus Apostolorum XVII, 22.
(2) Erodoto p. 1-199.





















A PROPOSITO DEL RESCRITTO, ECC. 2171

Fatti e circostanze diverse m'inducono peró a credere che
egli sia stato uno scaltro uomo politico, che abbia accettato
la nuova corrente religiosa come necessità di cose, rima-
nendo peró sempre moralmente pagano (1) Opporsi allora
al cristianesimo, quando questo ogni giorno più fatalmente
si espandeva, e dominava, arrivando financo nel palazzo
dei Cesari, non soltanto sarebbe stata follia, ma avrebbe se-
riamente minacciato la sicurezza e la compagine dell’ im-
pero. i è
Non poteva d'altra parte Costantino dimenticare troppo
facilmente che nel suo esercito trovavasi un forte nucleo
di Cristiani, della cui fedeltà ebbe continue, ed evidenti

prove, specie nella battaglia combattuta contro Licinio, in:

seguito alla quale poté riunire sotto di se il vasto impero
Romano. Qual danno poteva poi il Cristianesimo arrecare
allo Stato? Nessuno. La Chiesa accettava allora pienamente,
senza pensare a sottrarvisi, il principio del potere civile,
quando questo non offendeva ed infirmava i suoi dogmi. Il

tentare di soffocare il nuovo possente movimento, signifi- :

cava invece disperdere, paralizzare, preziose, vitali energie,
e con inutili stragi macchiare di sangue innocente l'impero,
come erroneamente aveva fatto Diocleziano. Costantino non
si oppose al sorgere e al diffondersi della nuova religione,
anzi la favorì, e si lasciò egli stesso trasportare da que-
st'onda nuova, che potentemente agitava il mondo, altret-
tanto impossibile ad arginarsi come per un barcaiolo il ri-

(1) Cfr. Burckhardt. — Die Zeit Konstantius des grossen, Leipzig 1889.
Ii Duruy (Histoire des Romains vol. VII, p. 63-64) nel passo controverso

del rescritto Ispellate trova una prova della dubbia politica di Costantino. -

Egli dice che questo imperatore « avait deux sortes de seeretaires, parlant,
à chacune des deux religions qui se partageaient, empire son prope lan-
gage, de méme qu' il avait des seéretaires différents pour la langue grecque
pour la langue latine et méme pour la langue arabe » conclude peró a
mio credere a torto « Ce qui etait contagieux pour ces ombriens c'etait la

foi chrétienne et non le paganisme qui se mourait ».







278 M. de DOMINICIS




salire le scaturigini di un torrente precipitoso. In altre pa-
role, suppongo, accettó il nuovo culto come conseguenza
dell'evoluzione dei tempi, come un travolgente fenomeno
storico, non perché spintovi dall'animo suo (1). Gli storici, della
Chiesa quali Teodoreto, Sozomeno, ecc., vorrebbero tenden-
zionalmente rappresentarci Costantino piissimo cristiano ; ma,
come possiamo concepire un vero cristianesimo spinto in
Costantino, che non esitò a compiere i più barbari delitti,
fino al punto di far uccidere il proprio figlio Crispo (2), e
questo dopo la sua presunta sincera conversione, e di affo-
gare nel bagno o, secondo altri, soffocare col fumo, la mo-
glie Fausta, figlia di Massimiano, miseramente finito (3) a
colpi di pugnale per suo ordine? Nessuna circostanza può
scusare la portata di questi gravi atti che bene ci rappre-
sentano l’animo suo crudele vanamente giustificato e falsato
dai panegiristi della Chiesa. Ma intorno a ciò credo che
qualsiasi supposizione rimarrà sempre tale, a meno che non
sia possibile rinvenire nuovo materiale storico che possa de-
cisamente influire a favore dell'una o dell’altra tesi. Se Co-
stantino però abbia reputato necessario atto politico fare
buon viso alla nuova corrente religiosa, per la propria causa
dapprima, e per la tranquilla conservazione dell’ impero in



seguito, oppure per un vero e sincero bisogno dell’ animo :
suo, a noi poco interessa. Non potendo negarsi aver egli È
favorito con pubblici decreti il Cristianesimo, a noi preme *
invece vedere in qual misura abbia fatto ciò, e d'altra parte È

come siasi contenuto nei riguardi del Paganesino, se cioè
quest’ultimo abbia pubblicamente considerato una qualsiasi
superstitio, ovvero se, pur avendolo in tale intima convin-
zione, lo abbia rispettato come religione dello Stato. Uno



(1) Zosimo II, 29-88. Sidonio Apollinare 1-5.

(2) Beugnot. — Histoire de la destruction du paganisme en occident.

Paris 1885, I, p. 54. Burckardt op: cit. p. 347 sg.
(8) Eutropio 10-3. :













A PROPOSITO DEL RESCRITTO, ECC. 279



degli Editti che per la nostra questione ha notevole impor-
tanza è rappresentato da quello di Milano del 313, promul-
gato da Costantino e da Licinio, sul cui valore e significato
non tutti i critici trovansi d’ accordo. È però evidente che
in esso la posizione del paganesimo come religione di Stato
non viene menomamente scossa. Il fine dell’editto è di con-
cedere a tutti ampia libertà di religione e di culto « ... po-
testatem similiter apertam et liberam ut... in colendo quod
quisque delegerit habeat liberam facultatem ». È pure vero
che si fanno concessioni ai Cristiani, ma queste non tendono
a creare ad essi una posizione privilegiata, bensì a metterli
alla pari degli altri che seguivano differenti culti. Si con-
cede loro la restituzione dei. beni già statigli sottratti, ma
ciò costituiva un semplice atto di giustizia. Si accordano
esenzioni da contributi ai chierici cristiani, ma tali agevo-
lazioni erano già state concesse a Pagani e Giudei. Nel 5321
ordinò Costantino chela Domenica venisse considerata come
giorno festivo per i Cristiani: soppresse i sanguinosi com-
battimenti gladiatori ... Cruenta spectacula in otio civili et
domestica quiete non placent (1) ed altri provvedimenti
prese ancora a favore del nuovo culto.

Pur tuttavia il Paganasimo, che aveva guidato i Ro-
‘ mani ai più superbi tiionfi, che aveva saputo in essi tra
sfondere il coraggio, e la fiducia nei momenti più incerti e
dolorosi della grande patria, rimase ancora religione uffi-
ciale, nè pur volendolo, Costantino avrebbe potuto non con-
siderarlo tale; perché colpire questo, avrebbe significato col-
pirc il cuore del potere civile, tanto l'antico culto er. ]le-
gato alle varie branche ammimistrative dell’impero. E di ciò
ne abbiamo una chiara riprova.in parecchi atti -dell’ impe-
ratore stesso Costantino.

Nel 321 ordinava egli ad es. che dovessero venir con-

(1) Cod: Theod. XV, Tit. 12-1.











280 M. de DOMINICIS

sultati gli aruspici (1) ... « retento more veteris observan-
tiac ... »; nel 330 ci dice Zosimo (2) eresse altari pagani a
Costantinopoli, a Castore e Polluce, permise che quivi gli
venisse dedicata una statua in forma del Dio Sole. Nessuno
potrà poi non ammettere che egli fu per tutta la vita il
Summus Pontifex dei Pagani. Ed è veramente ben difficile
conciliare la più alta dignità dei Gentili con quella Cristiana
— di Episcopus Externus! — Tale ridicolo e ibrido accop-
piamento di cariche, viene però facilmente spiegato se noi
vediamo in Costantino il grande uomo politico, il freddo cal-
colatore, che con la sua mente possente apprezza nel Cri-
stianesimo il novello impulso che finirà per dominare nel
mondo, che sopraffarrà col volgere degli anni l’antica reli-
gione dei Gentili, e queste nuove potenti forze egli voglia
stringere nel suo pugno, guidarle, farne una sicura base del
suo trono, e soddisfare alla grande brama di potere, che,
a detta di molti storici (3), non gli faceva discernere a volte
i mezzi leciti da quelli illeciti. E con ciò si spiegano anche
i suoi tenaci sforzi che fanno capo ai concili da lui convo-
cati e culminano nel rinnegamento dell Editto di Milano,
perché la nuova corrente religiosa non subisse scosse, con
inopportune scissioni. E tutto questo per il timore che, ar-
restandosi il Cristianesimo, sia pur per breve tempo, nella
sua marcia fatale, i Pagani che a malincuore avevano vi-
sto il riconoscimento da parte dell’imperatore della « Su-
perstitio prava et immodica » come libera religione, non gli
fomentassero contro una rivolta. Costantino comprese anche
bene essere il Paganesimo ancora molto potente e che gli
sarebbe riuscito fatale il tentare di soffocarlo; e per questo

(1) Cod. Thod. XVI, t. X-1.
(2) Zosimo, II, 31.
(3) Giuliano Orat. VII. Aur. Victore in Epitome. — Eutropio im Bre-

viar.



A PROPOSITO DEL RESCRITTO, ECC. 281



lo rispettò come religione di Stato. Infatti nel 335 (1) e nel

377 (2), l’anno stesso della sua morte, confermava ai flami-

nes dell’Africa i loro notevoli privilegi. Per potere infine

giungere più facilmente alla mia conclusione, mi varró dello.

stesso rescritto Ispellate, come prova che il culto pagano
era ancora culto di Stato, e tenuto in onore dall Impera-
tore. Il Battifol, nell’ opera citata, sostiene che Costantino,
nel permettere agli Ispellati la costruzione di un tempio
nella loro città, gli proibisse di esercitarvi alcuna pratica
pagana. Il Faloci Pulignani (3), per non menzionare altri
autori, dice in merito alle già citate parole del rescritto di
Costantino (4): «< Seguendo la interpetrazione di maestri in-
signi di archeologia, ritenni che il senso di quelle parole
fosse un divieto assoluto di qualunque rito pagano ». A co-
storo io oppongo una sola domanda. Era o non era rito pa-
gano il culto dell’imperatore? — Non mi si potrà rispon-
dere se non affermativamente. E il tempio di Spello fu in-
nalzato per venerare ed adorare la famiglia di Costantino,
lo Gens Flavia, per fare cioè compiere ai suoi abitanti e a
tutti gli Umbri che quivi annualmente convenivano, quegli
insani sacrifici ed atti idolatrici che avevano tolto la vita a
' tanti martiri Cristiani durante le precedenti persecuzioni. Ed
appositi Sacerdoti pagani ebbero la custodia del tempio in
parola; ciò facilmente lo deduciamo dalla seguente iscri-
zione rinvenuta nel territorio di Spello :

(1) Cod. Theod. XII, t. 1-21. Cf. Monceaux. De communi Asiae pro-
vinciae 1885 Parisiis.

(2) Cod. Theod XII, t. V-2.

(3) Op. cit.

(4)-« Ea observatione perscripta ne aedis nostro nomini dedicata frau-

dibus cuiusque contagiosae suprstitionis polluatur ».







282 M. de DOMINICIS

C MATRINIO AURELIO
C. F. LEM. ANTONINO V. P.
CORONATO TUSC ET UMB
PONT. GENTIS FLAVIAE
ABUNDANTISSIMI. MUNERIS. SED. ET
PRAECIPUAE . LAETITIAE. THEATRALIS C
AEDILI. QUAESTORI DUUMVIRO
ITERUM QQ id HUIUS SPLENDIDISSIMAE
COLONIAE CURATORI R. P. EIUSDEM
COLON. ET PRIMO PRINCIPALI OB MERITUM
BENEVOLENTIAE. EIUS. ERGA. SE
PLEBS OMNIS URBANA FLAVIAE
CONSTANTIS PATRONO
DIGNISSIMO :1)



Con chiara evidenza risulta da quest’ultima che Caio

Aurelio Matrinio della tribù Lemonia, già stato a Volsinii,

nelle feste religiose annuali, coronatus (2), vale a dire sommo

Sacerdote per gli Umbri, era: per tutta la provincia prepo-

sto in qualità di Pontifex al culto dell’ imperatore, ed aveva

quindi sotto la sua giurisdizione quei Sodales Flaviales (3),

che vennero la prima volta appositamente istituiti da Ve-

spasiano per il culto della Gens Flavia. E non solo a Spello, _

| ma ancora in altri luoghi, ordinò Costantino che venissero



innalzati templi alla sua famiglia con propri sacerdozi (4).

È (1) Bormann, C. I. L. XI, 2, 5283.
(2).Il Coneilium provinciae era presieduto dua due sacerdoti, uno eletto
dai Tusci, l'altro dagli Umbri. Tali sacerdoti erano detti Coronati. Of. l'o-
pera citata dell’ illustre prof. Luigi Cantarelli. La diocesi Italiciana e Gui-
raud les assembleés provinciales p. 30.
(8) Cf. Borghesi, op. III p: 402. Orelli 364, A° proposito degli » Or-

namenta Augustalitatis. Cf. Genes. Neap. 464, L'Apocalissi incolpa in spe- È
cial modo i Flamines Augustales delle persecuzioni contro i Cristiani che ^.

ricusavano di riconoscere ed adorare la divinità dell’ imperatore.
(4) Aurel. Vietor, Cass. 40, 28 « tum per Afrieam sacerdotium decretum
e Flaviae genti ». Molto tempo dopo la morte dell’ imperatore Costantino e
| verosimilmente verso l'anno 368 nell' Africa. il Culto imperiale prese nuovo

| vigore (C. I, L. VI, 1786).









A PROPOSITO DEL RESCRITTO, ECC. 283

Tutto c’ induce quindi a credere che le concessioni fatte
da Costantino nel notissimo rescritto al popolo ed al Se-
nato Ispellate, lungi dal significare che « al tempo di quello
imperatore vi erano nell’Umbria città Cristiane nella loro mag-
gioranza (1), come il Faloci ha affermato, ci dimostrano che
Jostantino apprezzò i sentimenti di devozione e di fedeltà
della fiorente Colonia di Spello, concedendo importanti fa-
vori, fra cui l'erezione di un magnifico tempio, che servisse
per alimentare la fiamma dell’antica fede pagana, fonte dei
giorni più gloriosi di Roma, e che allora nel culto idola-
trico degli imperatori trovava la sua più forte espressione.
E ordinò espressamente d’altra parte che il tempio alla sua
famiglia dedicato, non fosse profanato « .. fraudibus conta-
eiosae superstitionis » dagli inganni di segrete cerimonie
e che espressamente avevano lo scopo di speculare sul fa-
cile e credulo volgo. i

Terminando perció la nostra argomentazione, possiamo
concludere che non divieto di rito pagano, ma solo proibi-
Zione di esercitare qualsiasi atto superstizioso debbono ri-
tenersi le poche parole che hanno dato modo a diversi cri-
tiei di formulare strane e assurde congetture.

Roma, 15 settembre 1922.

MARIO de DOMINICIS.

(1) Op. cit. Cf. Archivio. per la Storia ecclesiastica dell’ Umbria, vol. I,











o
oo
ex



ANALECTA UMBRA |



Lj Il Bollettino inizia la stampa di questa sua . parte con una no-
E tizia di non lieve importanza ed assai confortante. Nella nostra
Regione, sull’esempio di altre, sia nelle città grandi come in quelle
più piccole, si viene delineando un forte risveglio di cultura
generale, che si afferma ogni giorno più ed in maniera sempre più
manifesta, caratterizzato dalla istituzione di Circoli nuovi di istru- |
zione, che assumono nomi beneauguranti di personaggi illustri |
nelle seienze e nelle lettere; da letture; da conferenze, tenute
presso Associazioni, Istituti scolastici, pubblici e privati, in ore B
differenti da quelle delle lezioni ed in altre sedi decorose. Cosi in |
Foligno p. es. ne è sorto uno intitolato, con affettuoso pensiero,
ad una delle glorie più fulgide dell’ Umbria e dell’ Italia, ad ALINDA
BonAccI BRUNAMONTI.

Gli argomenti sono scelti con giusti criteri, in relazione cioè
all'ambiente dove debbono essere svolti; trattati da individui a-
venti una indiscussa competenza nella materia; da insegnanti
provetti e fra i migliori, alcuni, vere illustrazioni scientifiche, ve-
nuti anche dal di fuori, stimolati solamente dal desiderio di coa-
diuvare le generose iniziative locali, sorte per lo zelo instan-
cabile di pochi volonterosi; i quali in nulla si risparmiano per-
che quest'opera nobilissima di bene e di educazione mentale pro-
duca i risultati più soddisfacienti.







^. E l’affuenza degli uditori è stata ed è continuamente e do-
vunque grande. Prova questa non dubbia che il pubblico si mo-
stra lieto di questo nuovo indirizzo — il quale, a dire il vero, non
è altro che una riesumazione di altri abbandonati, perchè creduti
poco pratici per lo scopo finale — e lo approva, facendo vedere, in





286 ANALECTA UMBRA

modo tangibile, che esso vuole aumentato il proprio patrimonio
intellettuale. ;

A tutti il plauso nostro più vivo, coll’augurio più ardente che
nessuno si arresti nella via tracciata.

Fra le molte conferenze ne ricordiamo una soltanto — dero-
gando dal proposito impostoci di non rammentare nè i titoli, nè
gli autori delle medesime, per la difficoltà di indicarle tutte con
precisione di notizie, tanto sono numerose — perchè essa ha as-
sunto un’ importanza tutta speciale, sia per il tema, come per
il momento in cui è stata tenuta, sia per l’ autorità dell’ oratore
prescelto. AMudiamo a quella ché in Perugia ebbe luogo nel Mag-
gio scorso, per iniziativa del nobile Collegio del Cambio e per la
ricorrenza del IV centenario dalla morte di PretTRo VANNUCCI —
degna preparazione alle onoranze che Perugia si accinge a rendergli
— e tenuta dal conte dott. UMBERTO GwxoLI, Sopraintendente alle
Gallerie ed ai Monumenti dell’ Umbria, il quale parlò di Pietro
Perugino ed il Cambio nella Sala stessa ove il più grande pittore
umbro dipinse il celebre ciclo di affreschi.

Rievocato rapidamente l’ambiente pittorico umbro sugli al-
bori del secolo XVI e tracciata con brevi linee la storia della
costruzione della Sala, ove il Vannucci lasciò il più bel monumento
del suo genio immortale, 1° O. entrò subito nel vivo dell’ argo-
mento. :

Domenico del Tasso fiorentino aveva nel 1490 già rivestito
eon un mirabile lavoro d'intagli e di tarsia la parte inferiore
delle pareti della Sala, eompiendo il tribunale, i seggi e le spal-
liere. Si doveva procedere alla decorazione della parte superiore.
Essa fu decisa nel 1496 e l' incarico venne affidato al pittore più
rinomato e più ricercato di quel tempo, a Pietro Perugino, la cui
fama volava da per tutto, chiamato da AGosTINO CHIGI è più gran
Mastro d’ Italia, non senza invidie però nè rivalità, come lo Gnoli
dimostrò con documentazioni importantissime. Ed intorno all’oper:
compiuta l’ O. parlò a lungo, ascoltatissimo sempre, con vivacità
di colorito, con critica fine e serena e con forma sobria ed elet-
ta, commentando nel loro insieme gli affreschi e ricordando l'a-
iuto prestato al Maestro dai propri scolari, fra i quali il giovane
Raffaello Sanzio ; venendo quindi alla illustrazione dettagliata delle
singole parti e rivendicando al Vannucci, tanto per la ideazione

.y—













ANALECTA UMBRA 287



come per la esecuzione, i lavori della parete destra della Sala
stessa, cioè le Sibille ed i Profeti, che alcuni critici moderni
hanno ereduto doversi attribuire a Raffaello.

Sopra l'influenza che il poeta ed umanista Francesco Matu-
ranzio ebbe ad esercitare sul Vannucci lo Gnoli si soffermò al-
quanto, indicando come ed in qual modo gli elementi umanistici
avessero ispirato il Perugino, il quale nella Sala del Cambio rea-
lizzò in arte l’ Ideale del Rinascimento, la fusione cioè dell’ ele-
mento eristiano con quello pagano. Questo stesso concetto se-
gui certamente l'Urbinate, affreseando la Sala della Segnatura
in Vaticano, forse avendo presente nel cuore e nella mente quanto
il suo illustre Maestro aveva compiuto in mezzo a noi. E con
questi ricordi il conferenziere pose termine alla sua dotta illus-
trazione vivamente applaudito.



Mario SALMI ha pubblicato testè nel Boll. del Ministero della
P. I. (n. IX, X An. II) una sua memoria sopra « Girolamo da
Cremona, miniatore e pittore », ricca di splendide incisioni, scritta
con garbo ed alto senso artistico, colla quale egli ha cercato di
illustrare tutta l’opera del Maestro cremonese nelle sue varie ma-
nifestazioni. Di essa ci limitiamo a ricordare due particolari sol-
tanto di speciale interesse per noi.

Mercè uno studio accurato di raffronti VA. è riuscito felice-
mente ad attribuire a Girolamo una Madonna della nostra galle-
ria di Perugia, la Madonna col bambino (sala X, n. 236 ora 231),
ivi assegnata a Fiorenzo di Lorenzo e che per il tempo in cui fu
eseguita egli pone fra l' Annunciazione della Galleria di Siena, già
compiuta nel 1468, e la Natività della raccolta Serristori di poco ad
essa posteriore. È

Parimenti il Salmi ha potuto in modo assai persuasivo porre
in rilievo l’influenza del Cremonese — i cui lavori furono molto
apprezzati in Siena, dove si raffinò, nella dimora che vi fece — la
distanza fra Siena e Perugia è poi tanto breve — sopra Fiorenzo
di Lorenzo, il quale ebbe agio di studiare detto quadro e che,
come è noto, appartenne alla nostra chiesa .di S. Agostino. Nulla
ci impedisce di ritenere che esso sia stato sempre in Perugia e
che Fiorenzo — di cui poi ebbe il nome — lo vedesse e lo stu-
diasse, al punto da portare dal vero autore il disegno netto e lo
stridulo colore nella sua Natività (sala X n. 178), tanto che la sua









288 3 | ANALECTA UMBRA

Madonna è così vicina alla maniera di Girolamo, che, al solo ve-
derla, non possiamo fare a meno di non porne in rilievo l’analogia.

Ma dove costui esercitò un'azione ancora più prevalente, pos-
siam dire culminante, su Fiorenzo fu proprio nel S. Sebastiano, ado-
rato da un devoto della famiglia Narducci (segnato al n. 291 di
detta sala X). Di questa tavola non si sapeva spiegare lo schietto
carattere mantegnesco e non si comprendevano i numerosi contatti
con Liberale da Verona e che il Venturi per. il primo aveva posto
in rilievo. Oggi per le indagini del Salmi tutto è reso facile e ben
comprensibile, e « 1° opera di Girolamo da Cremona, ci spiega
facilmente queste fatiche di Fiorenzo di Lorenzo, le quali rappre-
sentano un momento significativo — se non il più interessante —
nello. stile del pittore, anche se questi orientandosi poi, con la
sua amabile e dolce superficialità, verso il Perugino ed il Pinturic-
chio, assume aspetti più aggraziati e seducenti ».

Dell’ influsso che il Cremonese potè espletare sulla miniatura
umbra il Salmi, che lo definisce « il miniatore forse più amabile
che abbia avuto l’ Italia nel sec. XV », non si occupa, perchè ar-
gomento assai complesso, da non poter restare racchiuso entro i
limiti di articoli di un periodico. Noi però formuliamo l'augurio
ed è che egli trovi modo di occuparsi anche di questa parte, che
egli predilige e che potrà svolgere esaurientemente e bene, data
la sua indiscussa competenza sopra il tema stesso.

*
**

E così dello stesso A. dobbiamo segnalare un altro pre-
gievole studio, dal titolo « Gli affreschi ricordati dal Vasari in
S. Domenico di Perugia », pubblicato nello stesso Bollettino d'Arte
(marzo 1922), condotto con uguale diligenza e con il medesimo
fervido amore dell’altro, dove sono illustrati i dipinti esistenti
nella cappella di S. Caterina nella detta Chiesa, rimessi alla luce
per i lavori ivi eseguiti dalla Sopraintendenza dei monumenti del-
l Umbria e diretti, mercè cure ‘affettuose, dallo stesso Salmi,
quando egli faceva parte di detto Ufficio.

=>

Nella Rivista mensile Arte e Storia (Firenze, maggio-giugno
1922, n. 3) il prof. AnGELO LUPATELLI — l’uomo venerando che
Perugia onora ed ama per lo zelo costante posto nel ricordare e





ANALECTA UMBRA 289



rivendicare i tesori d’arte che 1’ Umbria possiede — ha, con la BI
parola calda della amicizia, rammentata « Una famiglia d'artisti |
fiorita in Perugia nella seconda metà del sec. XIX »: FRANCESCO |
e Trro MORETTI e Lupovico CASELLI; con i quali il Lupattelli ebbe | 1
comuni le stesse aspirazioni, le stesse finalità, lo stesso amore Il |
per l’ arte, respirata a grandi polmoni sotto il medesimo cielo,

nelle scuole accademiche di Perugia, che furono, e lo saranno

sempre, il santuario vivente dove l'anima dei nostri giovani potr?

plasmare le proprie tendenze verso il Bello ed il Bene. ill
E L'A. per i tre fissa il posto a cui ciascuno ha diritto nelle |"
singole produzioni; soffermandosi naturalmente a parlare piü a |
lungo di Francesco, che egli definisce « lo stipite di una eletta |
schiera di artisti di una medesima famiglia ». E di lui ricorda | | n

le disposizioni per l’arte, sviluppatasi attraverso le pratiche re-_ È
È ligiose, compiute a fianco della madre, modesta si ma intelligente B
|



tanto da innamorare delle celesti cose l’anima del figliuoletto nel-
l’attenta e calma osservazione quasi giornaliera dei superbi qua- B
dri, sparsi in quei tempi nelle nostre Chiese monumentali, loro |

sedi naturali; la frequenza assidua presso le scuole, tenute da i

T valenti maestri; le prime prove nei saggi scolastici, coronate da A
| risultati meravigliosi; l'amore verso la pittura del vetro, di cui i
È cercò, con ansia e con esito fortunato, studiare i segreti; la fama

è : ; B d
rapidamente raggiunta nell'opera di restauro delle veechie vetrate
a colori, ed in quelle di sua completa creazione, facenti ora bella A
. NL: , . a Ld
mostra in molte Chiese d' Italia, perché il nome dell'wmbro. Maestro E
i

del fuoco — fu così felicemente chiamato — aveva ben presto var-
‘ato i confini della sua regione e le sue opere formato il monu- M
mento durevole della propria privilegiata potenza d'artista.
E dal fratello maggiore il Lupattelli passa all'altro, Tito, gar- |
zone e discepolo ad un tempo nello stesso studio, foggiato sullo |
stampo delle gloriose fucine antiehe. E di questo secondo egli pone |
in rilievo la diversità dell’ ingegno, assai più modesto, da non po- ES
tersi paragonare con l’altro, che toccò le cime più elevate nelle
composizioni, nella vigorosità del colorito, nella dignità dell’ e-

spressione; ma tuttavia sempre forte, in particolar modo nell’arte I
di Oderisi da Gubbio e di Franco Bolognese, da meritare di i
i essergli compagno, per un periodo però non lungo di tempo, nel Î re
magistero dell'arte e cooperatore -nella produzione della bel- Il
lezza. |
Del nepote di entrambi — Ludovieo Caselli — morto in fre-
sea età, il Lupattelli non rammenta che l'amore con cui fu edu- B
19 d







1
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|
1

290 ANALECTA UMBRA

cato nella scuola domestica. Ma è doveroso dire ed aggiungere
qualche cosa di più, perchè egli pure fu artista valente e riuscì
a cogliere nei campi dell’arte fiori gentili e ripieni di soavi pro-
fumi. Orfano di padre Francesco lo predilesse. e lo erebbe e lo
educò in mezzo ai pennelli, accanto alle storte; e lo volle, giovi-
netto, intento alla macinazione dei colori e compagno nelle lunghe
ed ansiose vigilie presso i fornelli, dai quali uscivano i cristalli
aventi le trasparenze, le sfumature, le tinte volute; aiuto prezioso,
cresciuto in età, nelle prove faticose per riunire i cento e cento
pezzi di vetro, che, a lavoro compiuto, riproducevano il disegno e
la figura in modo perfetto, come sopra una tela. In mezzo a que-
sta vita febbrile, che forse ne minò ben presto l’esistenza, il giovi-
netto non fu volgare imitatore dello Zio, ma si accostò a lui negli
ardimenti del concepire, nella robustezza delle linee, nella perfe-
zione delle forme, ispiratosi sempre « ai purissimi ideali dell'asce-
tica e contemplativa Umbria nostra », da meritare l' onore insigne
di vedere associato il proprio nome a quello del Maestro, special-
mente negli ultimi anni della vita di costui, in tutte le produzioni
che uscivano dalla :comune bottega, in una perfetta fusione di
sentimenti, di ispirazioni e di esecuzione.

La Deputazione di Storia patria, che già rese omaggio ai suoi
soci aggregati FRANCESCO e Trro MORETTI è lieta di questo nuovo
tributo di affetto reso alla loro memoria ed a quella del loro Con-
giunto, i quali onorarono degnamente Perugia e l' Umbria e se ne
compiace vivamente con l'Autore.

Dello stesso prof. LuPATTELLI è un volumetto « I salotti
Perugini del sec. XIX'e l’Accademia dei Filedoni nel primo secolo
di sua vita - 1816-1916 » (Empoli, tip. Lambrusehini. 1921), di-
viso in due parti. Nella prima è descritto l’ambiente di alcune
nobili famiglie di Perugia, che accoglievano nelle proprie sale i
Perugini più colti ed i personaggi più autorevoli, aventi maggior
fama nelle scienze, lettere ed in politica, venuti dal di fuori ed
ospiti della città nostra. Nella seconda, più importante dell’altra,
sebbene più breve, perchè d’interesse assai più generale, è fatta
la storia di un nuovo Istituto culturale cittadino, sorto nel 1816,
sopra i ruderi delle vecchie Accademie, per iniziativa di alcuni
fra i più distinti della città, appartenenti alle varie classi sociali ;
e che sulle prime portò il nome di Società delle Stanze o Camere:













ANALECTA UMBRA 291

di Conversazione, con residenza decorosa in Piazza degli Aratri
(ora Piazza Cavallotti) e poco dopo l’altro di Accademia dei File-
doni, con sede nel Corso e dove anche attualmente risiede.

Il Circolo compì ben presto una trasformazione importante,
perchè, pure essendogli rimasto il compito di offrire all’ uomo di
studio e di ogni civile condizione un gradito sollievo alle gior-
naliere cure del proprio stato con il teatro, con la musica e con
la danza — sono le parole degli antichi Regolamenti — si volle
che in esso la cultura della mente avesse il posto preponderante.
Difatti tre anni dopo nel proprio suo seno si costituì un gruppo
di soci fra i più dotti che contasse Perugia, a capo dei quali fu
il grande VERMIGLIOLI, coll’intento speciale « che la letteratura pe-
rugina non mancasse dei grandi soccorsi dati ai propri studi con
la eonoseenza di tutte le opere periodiche, di effemeridi letterarie,
di sunti e di estratti, che, con la minor fatica, informassero dei pro-
gressi dello spirito umano in ogni scienza, arte e manifattura, e
segnatamente da conoscere tutte le cose d’Italia e quanto all’uopo
si andasse a pubblicare anche oltremonte >».

In tal guisa accanto alla giovane Accademia sorse un Gabinetto
di giornali e di opere periodiche, destinato alla istruzione dei soci.
E furono indirizzati a tutti i compilatori dei periodici fogli, di atti
accademici, di collezioni, di opuscoli ed ai tipografi, avvisi ed op-
portune lettere per sapere le condizioni di acquisto dei medesimi,
onde, conosciutane la forma, lo spirito, i caratteri, l’ indole e lo
scopo principale, poterli acquistare.

Col progredire del tempo le norme con cui l’ Accademia sorse
subirono delle modificazioni, ma il compito principale e più im-
portante rimase, che fu sempre quello di mantenere alta la cul-
tura cittadina, insieme ad un opportuno sollievo dello spirito.

L’Etruscologia appassiona non pochi. E fra coloro che con
amore si occupano dell’argomento, estremamente difficile, dedican -
dovi lunghe ore di studio e fatiche non lievi, è da ricordare il
prof. Lurcr MARTELLI di Perugia, il quale oltre ad altre pubbli-
cazioni ha messo alla luce un volumetto dal titolo « La lingua Etru-
sca; Grammatica; Testi con traduzione a fronte; Glossario. 1920 ».
Perugia V. Bartelli. Benevoli giudizi ne hanno dato il prof. SERGI
di Roma nella sua Rivista di Antropologia (Vol. XXV, 1922; il
prof. IMBELLONI nel La Prensa di Buenos Aires (1922); EMILIO:








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292 ANALECTA UMBRA
VETTER, le cui parole furono riportate dal giornale L'Unione Li-
berale di Perugia (3 nov. 1922), ed altri competenti.

*
* *

Visso — la città fedele di Roma, per la quale sostenne glorio-
samente, nei tempi antichi, numerose vicende belliche, che sorge
in una fertile conca, fresca per ombre e ricca di acqua, donde
sgorga il Nera, oltre un breve tratto dal confine orientale umbro,
in un lembo marchigiano, fortezza valida del Ducato Longobardo
di Spoleto e che fu sempre sotto l' Umbria fino al 1860, unita
poi alle Marche per uno di quegli errori inspiegabili commessi
nella ripartizione delle provincie nella nuova formazione del Re-
gno italico — vuol tornare ad essere nostra.

Di questa agitazione, ogni giorno più viva, capitanata da uo-
mini insigni del Vissano, noi non ci saremmo occupati, se essa
non fosse sostenuta anche da argomenti etnografici, storici e geo-
grafici di estremo valore probativo e che noi vorremmo — e siamo
proprio nel nostro diritto a chiederlo — fossero con serena ob-
biettività studiati ed apprezzati dalle autorità competenti.

*
* *

Il socio collaboratore prof. GrusEPPE PaRDI si 6 reso ancora
una volta benemerito della città di Orvieto. Assistiamo ad una rifio-
ritura di ricerche: storiche intorno a questa vetusta città, la quale,
sebbene illustrata dalle opere poderose e magistrali dell’illustre e
venerando comm. Fumi — onore e gloria della Deputazione umbra —
pure offre sempre materiali di indagini, solo che si sfoglino le pa-
gine della sua vita cittadina antica e moderna e se ne ricerchi
più profondamente il contenuto. E ieri furono le ricerche compiute
dal nostro prof. Perali intorno alle Majoliche orvietane, soggetto di
eonferenze a Firenze ed in Perugia; oggi quelle del Pardi sopra
il Comune e Signoria a Orvieto; domani saranno altre intorno ai
suoi Lavori femminili, industria ripresa con forte ardore da coloro
eui interessa l'avvenire economico della città stessa.

Nel volumetto del Pardi (edito dalla casa Atanor di Todi)
sono riassunte brevemente, senza peraltro che vi manchino osser-
vazioni e dettagli importanti, le vicende della città, durante il suo
periodo più florido, cioè dalla fine del sec. XIII alla morte di Er-
manno Monaldeschi (1337), nel momento in cui si verificò il pas-






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ANALECTA UMBRA : 293

saggio dal libero Comune alla Signoria. La sua figura, per opera
del Pardi, ei viene dinnanzi come quella di uomo aeeorto, tenace
nei suoi propositi, ardito nelle sue concezioni, risoluto nell’azione,
conoscitore profondo di uomini e di’cose. Esso e uno di quelli, e
forse non degli ultimi, che si osservano assai spesso in quel pe-
riodo storico caratteristico in cui i Comuni, rinunciata alla propria
libertà, per cui avevano tanto e sì strenuamente combattuto, lega-
rono i propri destini a quelli di alcune famiglie prepotenti ed
ambiziose.

Il Pardi ha inoltre aggiunto, nella seconda parte della sua
memoria, una ricca mèsse di notizie intorno a dati e fatti di in-
dole economica di quel tempo, poco noti, di guisa che anche sotto
Questo punto di vista, il suo lavoro riesce interessante.

In Roma osserviamo un risveglio meraviglioso di energie da
parte dei numerosi cittadini, che dalle varie regioni d'Italia vi
affluiscono per i propri interessi, infondendo maggiore vita ai so-
dalizi ivi da tempo esistenti ed:in mancanza di questi, o perchè
poco adatti allo scopo, fondandone dei nuovi, da rimanerne sorpresi.
Si potrebbe dire che le vecchie e gloriose Corporazioni artigiane, ri-
sorgano specialmente nelle città maggiori — è l’antico che sempre
ritorna — plasmate secondo le esigenze della vita odierna. E gli
Umbri, che vi si trovano e che si sentono uniti alla Capitale piü
degli altri per vetuste tradizioni e per la minore distanza che li
separa, hanno compreso l’importanza dell’ora presente e si agitano
fuori e dentro la loro antica e nobile Associazione per l’attuazione
di un programma ampio e ben studiato fin nei suoi più precisi
particolari, avente lo scopo, non già di servire da sgabello ad am-
bizioni personali, come più di una volta avvenne per il passato,
ma per valorizzare, nel modo più efficace, tutte le energie spiri-
tuali e materiali, di cui è ricchissima la regione nostra.

L'Avvenire dell'Umbria, periodico quindicinale, che si stampa
in Roma da una eletta e valorosa schiera di pubblicisti, ben pre-
parato e meglio attuato, si è assunto questa alta missione. Ad esso
il saluto affettuoso e gli auguri più fervidi di lunga ed operosa vita.

*
xx

Il libro del prof. GrovANNI CEcCHINI, intitolato « Saggio sulla
cultura artistica e letteraria in Perugia nel sec. XIX ». (Foligno,



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294 ANALECTA UMBRA

F. Campitelli, 1922), ha incontrato la simpatia dei lettori, special-
mente nella nostra città. Di esso troviamo una recensione obbiet-
tiva e lusinghiera nel Giornale storico della letteratura italiana
(fasc. 243).

Il Bollettino tornerà sopra questo lavoro, che fa onore al gio-
vane Autore, avendo deciso di parlarne diffusamente in un pros-
simo fascicolo.

La CASA EDITRICE F. CamPITELLI di Foligno, di cui è. Redat-
tore capo lo stesso prof. G. F. CECCHINI, è stata premiata all’Espo-
sizione internazionale libraria, chiusasi testè a Rio de Janeiro, con
la medaglia d’argento, per la bontà e la varietà dei suoi intendi-
menti tecnici ed artistici, per la eleganza e la sobria signorilità
delle sue pubblicazioni di cultura, di letteratura, di politica ecc.

Noi, uniti con tutti i membri della famiglia del libro, dal capo
all’ultimo gregario, dalle stesse alte finalità e dalla stessa opero-
sità, ce ne rallegriamo di cuore, ed inviamo auguri sinceri per
altri trionfi, che sono del resto vittorie di sempre più aspre bat-
taglie, combattute con coraggio e con fede.

Prova tangibile della crescente attività editoriale dell’antica
Ditta è la nuova Rivista che ora pubblica, il Concilio.

2 du

Il nostro socio cav. colonnello BENEDETTO LEONETTI-LUPARINI
ha pubblicato, negli « Atti dell’Accademia Spoletina 1920-1922 >
prima ed in estratto poi, la descrizione delle case di antiche fami-
glie di Spoleto, secondo l’attuale distribuzione e denominazione
delle vie e delle piazze dellà città. S

A questo lavoro l'egregio Autore è stato indotto dal proposito
lodevolissimo di fermare la tradizione orale, cui soltanto è, il più
delle volte, affidato ‘il ricordo dei passaggi delle case cittadine da
chi primo le fece costruire agli attuali possessori; ma non solo per
questo titolo l’opuscolo del cav. Leonetti-Luparini interessa i cul-
tori ed amatori delle memorie patrie; essi vi trovano segnalati
con bel garbo i pregi artistici, che pongono i palazzi spoletini fra
i piü' eleganti e i più splendidi della nostra Umbria, e riassunte
notizie di molto interesse sulle famiglie, che quegli edifici ebbero
ed hanno in proprietà.





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ANALEOTA UMBRA 295

Molto opportunamente | A. addita alla pubblica lode quei
‘proprietari che hanno curato di restituire all'antiea bellezza le loro
case e sprona gli altri a seguirne l'esempio; e dieiamo — molto
opportunamente —, poiché se nell'Umbria si sentisse piü forte e
fosse più comune il desiderio di riportare alle loro forme originali
le nostre abitazioni (il ehe molto spesso sarebbe facile, anche con
lieve spesa) la nostra Regione aggiungerebbe una nuova attrattiva
alle molte, di eui le sono state prodighe la natura e l'arte.

Il Leonetti-Luparini ha messo innanzi ai cenni da lui raccolti
l’elenco delle dimore delle principali famiglie spoletine nel 1562
divise per « vaite », traendolo da un fascicolo ms. esistente nel-
l'Archivio antico di quel Comune, fascicolo che fu noto all’illustre
storico di Spoleto Achille Sansi.

Noi speriamo che in tutte le città umbre vi siano studiosi di-
sposti a seguire l'esempio del cav. Leonetti-Luparini, la cui opera
utilissima richiama alla nostra mente quella già compiuta per Pe-
rugia dal compianto erudito e bibliografo dott. ANTONIO BrIZI, del
quale si conserva nella Comunale perugina un copioso elenco di
case con le indicazioni degli antichi e degli attuali possessori. È da
augurarsi altresì che, come dei-passaggi di proprietà delle case,
si tenga esatto ricordo anche dei nomi delle vie che si cambiano
‘con troppa frequenza e leggerezza; al qual proposito non sapremmo
mai lodare abbastanza i provvedimenti testè decretati da S. E. il
ministro GENTILE. ;

Voglia il cav. Leonetti-Luparini accingersi a quel « lavoro
completo ed esauriente », del quale, con troppa modestia, dichiar:
di aver voluto dare con le memorie da lui pubblicate soltanto una
traccia, ed acquisterà un nuovo titolo alla, gratitudine degli stu-
diosi e dei suoi concittadini.

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x

In una nota pubblicata nell’ « Assalto » di Perugia del 28 giugno
u. s. e riprodotta poi in opuscolo il nostro benemerito Segretario
prof. LuIGI TARULLI BRUNAMONTI rende conto della conferenza che il
prof. Pietro FEDELE dell’Università di Roma ha tenuto testè in
quella Capitale, nell'Aula magna del palazzo della Cancelleria, in-
torno alla vittoria romana del 915 riportata sopra:i Saraceni al
Garigliano, presso le rovine del Minturno.







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ANALECTA UMBRA



296

| Di questa vittoria spetta il merito precipuo al Pontefice Gio-
vanni X, il quale, più che non i Conti di Capua, organizzò la
lega, a ragione detta dal Fedele « la prima delle grandi crociate »
e, vincendo le incertezze della fiacca politica di Berengario, in-
dusse questo Principe ad unire alle forze dei collegati quelle di
Alberico marchese di Camerino e duca di Spoleto.

Il prode condottiero, combattendo da leone contro i Saraceni
insieme allo stesso Pontefice, e così attenuando, se non cancellando
interamente il triste ricordo del delitto commesso con la ucci-
sione di Guido [V duca di Spoleto e con la usurpazione del Ducato,
portò alla vittoria, dopo un’aspra lotta di tre mesi, le sue milizie,
nelle quali con ogni probabilità, secondo le congetture fondatis-
sime del Tarulli, furono cogli Spoletini e i Marchigiani anche i
Perugini.

Il Fedele ha chiamato Alberico « gloria umbra », e noi fac-
ciamo nostro il desiderio espresso dal prof. Tarulli alla fine della
sua erudita recensione, che cioè l’illustre Maestro della Università
romana torni a parlarci di questa nostra gloria in taluna delle
dotte lezioni che egli terrà nel prossimo settembre a Perugia, ai
Corsi estivi di cultura superiore.

Na A

Il P. FantozzI O. F. M. ha posto termine nell’ Archivium
Franciscanum Historicum (fasc. III-IV, an. 1922) alla sua memoria
« Documenti perugini sopra S. Bernardino da Siena » e della quale
avemmo occasione di parlare nel precedente fascicolo. Ci ralle-
griamo ancora una volta a lavoro compiuto col frate minore
dotto e modesto, sempre intento a nuovi studi, a nuove ricerche,
paseolo dell'anima sua, ogni giorno piit innamorata dell'Ordine x
cui egli appartiene e di cui è decoro.

*
* *

L’avv. UMBERTO: CALZONI prosegue, senza mai arrestarsi, nella
via tracciata delle sue ricerche, coll’intento finale di una ricostru-
zione preistorica di tutta l'Umbria. Accennammo già ad alcune
pubblicazioni da lui fatte; oggi ne registriamo altre « Sulle sta-
zioni meolitiche a Monte Vergnano, a Perugia vecchia e a Monte
Belveduto » (Perugia, 1923). Queste nuove stazioni visitate dettero un













materiale sempre importante, da permettere all’instancabile esplo-
ratore — degno prosecutore del nostro, non mai abbastanza com-
pianto, prof. Bellucci — di concludere che le suddette località
furono dall'uomo primitivo prescelte per fissarvi la sua dimora e
che i prodotti rintracciati sono la prova di una tipica fase cultu-
rale appartenente ad una età tarda della pietra e più pem
all’epoca eneolitica.

In tal guisa, mercè i suoi studi pazienti sulla nostra Regione,.

le ricerche preistoriche vanno assumendo ogni giorno più una
maggiore severità di metodo ed un più ampio e sistematico lavoro
di coordinazione, da condurre a delle vere scoperte, le quali non
sono possibili che in altre poche regioni d’Italia, anche perchè
rari sono i cultori di tale scienza.

Ed è anche merito dello stesso Calzoni se il Museo Preistorico
Umbro assicurato, come dicemmo altra volta, alla città di Peru-
gia, mediante il generoso concorso di vari Enti, avrà in breve una
sede degna, fissata definitivamente nel palazzo Gallenga, in locali
aceonci a contenere l'abbondante suppellettile, della quale il Calzoni
stesso, in un articolo riassuntivo (« Tribuna », 23 giugno 1923),
fissava il valore veramente straordinario.

Così la Città nostra alle pregevoli collezioni che possiede ne
unirà ora un’altra di non minore importanza; attrattiva non ul-
tima per gli studiosi italiani e stranieri, i quali visitando quelle

sale potranno formarsi un'idea ampia ed esatta — cosa non facile.

per altre raccolte consimili. per la scarsità del materiale posse-
duto — del meraviglioso processo di trasformazione che ha con-
dotto 1’ umanità attraverso i differenti stadi del suo progredire,
dai rozzi scheggiatori di selci, ai fonditori del bronzo ed ai fog-
giatori delle grandi spade della prima epoca del ferro

*
* *

Nel fasc. 3-4 delle Memorie storiche Forogiuliesi (1921, an. 17)

si trova una recensione accurata di un lavoro di ANGELO PASQUI

. « Necropoli barbarica di Nocera Umbra » pubblicato nei Monumenti
antichi, editi a cura della R. Accademia dei Lincei, vol. XXV, 1918.

L'A. ebbe la fortuna di scoprire, per pura combinazione, nel 1897

un sepolereto barbarieo sul Monte Castellano, ove sorgeva la for-

tezza di Nocera Umbra, che fu tra le più salde difese della Via

Flaminia, al punto che Totila vi appoggiò tutte le sue forze nella

battaglia del 552, con cui infranse la resitenza dei Greci. Il Pasqui



ANALECTA UMBRA 297





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298 ANALECTA UMRRA




eseguì uno studio diligentissimo — la cui relazione per la morte
che lo colpì fu poi con amore curata per le stampe dal Paribeni
— esplorando e studiando con massima diligenza la località, da po-
ter stabilire che questa fu una vedetta avanzata della massima
arteria stradale d'Italia, ove ebbe stanza una popolazione nor-
dica, la quale per i molti segni rinvenuti si poteva stabilire fosse lon=
gobarda. Essa visse appartata dagli altri popoli, con costumi e
con suppelletili proprie e dai segni cristiani specialmente ivi ri-
scontrati è lecito dedurre che appartenne non ai primi arrivati in
Italia, ma alla seconda e terza generazione di Longobardi, i quali,
sdegnando chiudersi nella città con i vinti, s'accamparono a cava-
liere delle valli del Tupino e di Gualdo, per custodire il cuore
dell'Umbria.

Le tombe furon trovate orientate da ponente a levante, carat-
tere questo comune ai sepolereti barbarici; i cadaveri racchiusi
entro casse di legno in posizione supina; gli ornamenti al loro
posto abituale, piü riechi nei sepoleri delle donne; la suppelle-
tile identica a quelle delle altre necropoli barbariche sinora esplo-
rate altrove.

Le ricerche di questi sepolereti fino a poco tempo fa erano
state condotte, almeno nel maggior numero di casi, senza un cri-
terio razionale; eseguite a casaccio ed abbandonate alla cupidigia
di coloro che per pura combinazione ne erano stati gli scopritori.
Oggi — e questo è un vero progresso — non è più cosi. La
scienza ha fissato le norme da seguirsi anche in questa branca di
indagini. E la necropoli rintraceiata in quel di Nocera umbra è
fra le fortunate, perchè studiata con amore e con cura da chi ne
aveva tutta la competenza.

*

La storia ha fissato con linee e contorni incancellabili il po-
sto a cui ha diritto Martin Lutero: e gli entusiasmi ed i fervori,
che ogni tanto si ridestano verso di lui per poi rapidamente scom-
parire, come miseramente son sorti, non riescono ad introdurre
modificazioni sostanziali tanto nella figura morale, come nella pro-
duzione scientifica del Professore di Teologia dell’ Università del
Wittenberg. A questo pensavamo leggendo nel Bilychnis — la ri-
vista mensile di studi religiosi che si pubblica in Roma, maggio
1923, vol. XXI, fase. 5 — i titoli dei nuovi studi sopra Lutero e le
recensioni che dei medesimi ci offrono M. Rossi ed A. V. Miiller

nello stesso fascicolo.













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ANALECTA UMBRA 299

Con spirito diverso il nostro socio dott. ADOLFO MORINI, che
delle memorie della sua Cascia è sempre un dotto ed accurato
illustratore, ha stampato nell’ Avvenire dell’ Umbria, con impar-
ziale obbiettività, come è sua abitudine, alcune sue osservazioni
sopra una pubblicazione dello stesso A. V. Miiller dal titolo « Una
fonte ignota del sistema di Lutero: il Beato Fidati da Cascia e la
sua teologia », edita nella suddetta Rivista nel fasc. 2 del 1921.

Il Morini, premesse poche notizie intorno alle teorie teologi-
che di Fra Simone, che furono un ritorno completo alle fonti
evangeliche ed ai Padri della Chiesa, ed esposte rapidamente le
ragioni delle numerose edizioni dell’ opera grandiosa « De Gestis
Salvatoris » del Fidati, accurata ed elevata esegesi degli Evangeli
e della dottrina patristica, entra nel vivo della questione posta
dal Müller, il quale aveva asserito che « grandissima 6 stata l'in-
fluenza di Simone Fidati da Caseia, agostiniano italiano, sulla for-
mazione teologica di Lutero ... anzi decisiva e primaria ».

Il nostro chiama audace simile asserzione e si domanda se lo
scritto del Miiller sia stato dettato dalla sincerità di una dimo-
strazione apoditica delle sue affermazioni, ovvero dal desiderio
di voler porre in rilevo 1’ ineoerenza della Chiesa nel condannare in

Lutero quel che Fra Simone — cui Roma aveva riconosciuto nel
1833 il titolo di Beato — avrebbe prima affermato. È probabile

che il Miiller sia stato spinto a scrivere più dal secondo che dal
primo motivo, anche per il suo stato speciale di anima e di spi-
rito verso la Chiesa, nel momento in cui egli pubblicava il suo
lavoro. 1

Non si può per altro negare che Lutero, Agostiniano come
Fra Simone, non uvesse conosciuto l’opera poderosa di costui —
chiamata dal dottissimo Bellarmino opus insigne —, diffusissima
in Germania; che forse anche ne avesse curata l'edizione del
1517; che se ne fosse servito per le sue lezioni, modellando sopra
di essa il suo indirizzo teologico, nei primi anni delle sue lotte,
quando cioè ancora, fiduciario del proprio superiore, venne inca-
ricato di difendere l'Ordine a cui apparteneva, contro gli attacchi
dei Domenicani ; che avversario egli pure della scolastica addive-
nisse entusiasta dell’ opera demolitrice, dell’ oratoria vigorosa,
rude, caustica dal suo compagno di fede e ne avesse seguito
l’ esempio nel riprendere e condannare i costumi ed i vizi del
Clero di quei tempi; e queste assonanze di pensiero e di vedute
fino a tutto il 1517, quando Luterò ancora era sottomesso ai dommi
e ai precetti della Chiesa cattolica ed al suo Capo spirituale. Ma

|.
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|

300 ANALECTA UMBRA

più in là di tutto questo non è lecito andare, perchè in tutto il re-
sto un abisso separa il dottissimo e santo frate umbro dal frate

‘alemanno, ribelle ed apostata.

« Ho detto (così termina il suo pregievole articolo il nostro
collega) Fra Simone Fonte e Guida di Lutero, ma fino al Lutero
dell’ottobre 1517 e non più oltre. Onore già abbastanza grande
per Simone l’ avere avuto seguace e discepolo delle sue teorie
quegli che.fu detto, ma che non è dunque, il Riformatore. Onore
sempre grande per Fra Simone, la cui profonda dottrina teolo-
gica giunse ad avvincere il celebre Eresiarca, da essere per lui
elevata e preferita materia di studio, indice innegabile della su-
periorità del genio latino sulla pesantezza del calcolo teutonico ;
quello fornì la scintilla e fu l'idea; questo nonostante la Monte e
la Guida, non seppe mantenere la giusta misura e cadde in una
serie di errori e di esagerazioni ».

La Deputazione delle Opere Pie Donini di Perugia, nell’adu-
nanza dell'11 agosto 1923, richiamandosi a deliberazioni precedenti,
ordinava che, troncato ogni ulteriore indugio, l’ Altare o Ciborium,
appartenente alla Chiesa di S. Prospero fuori delle mura di Perugia,
di cui è proprietaria, venisse tolto dall' Aula Magna dell'Università
dove era stato posto, e rieollocato nella sua propria sede. Stabi-
liva inoltre ehe la stessa Chiesa, già libera completamente da ogni
materiale ingombrante, si riaprisse al culto ponendo al suo antico
posto anche la Statua di S. Prospero; compiendovi tutti i restauri
necessari e nominando per ora in via provvisoria — e non poteva
farsi diversamente per l’importanza del monumento — un modesto
custode, che rendesse facile agli italiani e stranieri lo studiarlo.

A questo risultato, ardentemente e da lungo tempo desiderato,
si è potuto giungere mercè il consenso e gli aiuti del Soprainten-
dente dei nostri monumenti, il conte GNOLI, e te premure dei
nostri socî conte V. AnsipEI e Prof. TARULLI e del comifi. ASTORRE
LUuPATTELLI, Presidente dei Corsi estivi di cultura superiore, il quale
fece ben comprendere quanto fosse mai opportuno che questa opera
insigne d'arte si ritrovasse al suo posto nell’ occasione dei Corsi
stessi di quest'anno, dovendo essere illustrata in una delle sue le-
zioni « Sulle origini della Pittura nell" Umbria » dal prof. HERMANIN.

A coloro, che per riuscire nell'intento van ponendo ogni cura,
il plauso sincero della nostra Deputazione.









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ANALECTA UMBRA 301

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tutt'altro ehe inopportuno ei sembra il rammentare per
questa circostanza una memoria pregevolissima, sebbene stampata
sull'argomento da qualehe tempo, dal titolo « La Chiesa di S. Pro-
spero fuori delle mura di Perugia » da uno dei più operosi nostri
soci, il ch. prof. D. ErroRE Ricci d. o., rieca d’incisioni e sotto
veste editoriale elegante (Tip. Perugina già Santucci. 1910), rias-
sumendone brevemente il contenuto, anche perchè, essendo stata
edita in un numero limitato di copie, non è facile ora averla
fra mano.

L'A. — che dedica il suo scritto per senso di gratitudine a
Mons. MARZOLINI, ora defunto, alla cui generosità si deve se i pre-
ziosi dipinti da lui scoperti furono potuti studiare, sofferman-
dosi alquanto sull’antichità del primitivo edificio, di cui forse una
piccolissima parte rimase, e che potè essere una necropoli etrusco -
romana — nella prima parte del suo lavoro fissa circa l'ottavo secolo
il momento in eui quell'edifieio pagano fu trasformato in chiesa
cristiana; piü tardi addivenuta parroechia — della parroechia di
S. Prospero il documento più antico rintracciato è del 1285 —;
poi ritornata semplice chiesa; passata attraverso vari proprietari —
nella memoria tutti brevemente ricordati —, fino a che nel 1810 ne
andò al possesso la Famiglia Donini, che la conservò al culto per
poco tempo, e da questa, per ultimo, alla pia casa delle Cronache,
mercè il testamento della contessa Laura, la quale ne fu la bene-
merita fondatrice.

Il Ricci viene quindi ad illustrare la costruzione in antico
della Chiesina, fissando il luogo dove il Ciborium era collocato, e
stabilendo, con opportuni rilievi, la probabile presenza di un
abside, che doveva rendere libero l’Altare in tutte le sue parti.

La descrizione delle pitture — la loro data, 7225, è indicata
in una iscrizione, ove alla fine si legge: Ego Bonamicus P. F.; la
cui prima iniziale può dire o Pictor o Perusinus od anche, e forse
meglio, Pingere, e la seconda sicuramente Fecî — costituisce la
parte più pregevole della monografia, perchè offre all’ A. l’oppor-
tunità di compiere, con quella critica : sagace di cui è maestro
e con interessanti raffronti, delle considerazioni sulla pittura di quel-
l’epoca, riuscendo a dimostrare con argomenti di fatto, quanto da
alcuni era stato intuito (MARIOTTI) e da altri negato (PAscorr) che
cioè « Perugia non era da meno delle altre città e che lo zelo della
religione alimentava quello dell’arte come ne fanno testimonianza







|



ANALECTA UMBRA

questi ‘dipinti, i quali nella loro primitiva rozzezza sono un segnale
del rinnovamento ehe un secolo più tardi, iniziato prima da Ci-
mabue e da Duccio, sarebbe stato compiuto da Giotto ».

La fine della memoria è tutta dedicata all’ Altare (chiamato pure
Ciborium, Tugurium), di cui viene fissata la grande importanza,
tanto maggiore quanto più rari sono a trovarsi quelli aventi questa

forma, quale era in uso fin dai primi tempi del Cristianesimo.

Oggi — come già si è accennato — l’Altare di S. Prospero è
per tornare alla sua Chiesa; e noi siamo certi — e ce ne da affi-

damento sicuro l’amore vivissimo che tutti i componenti della
Deputazione delle Opere Pie Donini hanno per il gioiello di cui
sono i fortunati possessori — che con il tempo si compiranno quei
lavori di restauro e di ripristino che saranno necessari, tenuto
presente che tale compito non dovrà riuscire poi molto difficile,
essendo già stato eseguito un progetto in proposito dall'Ufficio re-
gionale competente ed approvato e che basterà solo riesumarlo da-
gli Archivi per dargli vita. S

« Allora — sono queste le parole con eui il Rieci-pone termine
al suo lavoro e che facciamo nostre — le pitture della Cappella
acquisterebbero maggiore importanza; l’altare di marmo bianco
risplenderebbe fra le pareti di pietra oscura e tutta la China ad-
diverrebbe un vero museo dei primi tempi cristiani ».

Giunti a questo punto ci sia permesso aggiungere altre noti-
zie raccolte dalla viva voce del prof. A. LUPATTELLI, à cui man-
diamo i più affettuosi ringraziamenti, e da quella di coloro che
per la lunga permanenza sul posto (circa un centinaio di anni)
ne conoscono bene la storia degli ultimi tempi.

Oltre l’ Altare fu trasportata all'Università la Statua di S. Pro-
spero, che era nella sua piccola nicchia scavata nella facciata
posteriore del piccolo tempio, e collocata in via provvisoria sopra
la mensa dell’altare stesso. Costituitosi il nuovo Museo d’arte cri-
stiana nel palazzo dell’Università, ivi fu trasportata come luogo
più conveniente. Da di là questo cimelio in pietra, forse del sec. IX,
passò nella R. Galleria, dove ora trovasi, sempre in deposito, es-
sendo esso pure di assoluta proprietà dell'Opera Pia Donini.

Nella facciata della Chiesa a destra, circa verso la metà, tro-
vasi incassato un coperchio di un’urna etrusca con iscrizione, lo-
gora alquanto dal tempo e poco lontano dalla Chiesa stessa un
altro parimenti di urna etrusca, dove con chiarezza si scorgono le
tracce di una figura in posizione distesa.

Altri residui in pietra, di epoca forse romana, sono sparsi quà




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ANALECTA UMBRA 303

e la, nè sarebbe troppo faticoso il liberarli dal materiale ingom-
brante, che ne rende ora difficile un esame diligente.

Ma quello che più interessa si è la scoperta fatta — da ben
pochi conosciuta e della quale si può anche con approssimazione
fissare l’epoca, circa il 1875 — di avanzi di una necropoli etrusco-
romana, che parve fosse stata già esplorata e di cui attualmente
sono rimasti pochi avanzi, mentre altri, con grave iattura, furono

o ceduti direttamente dai proprietari o, con maggiore probabilità,

arbitrariamente asportati.

Questi nuovi dati, ai quali speriamo in breve di aggiungerne
altri, mercè ricerche meno affrettate delle presenti, confermano l’im-
portanza del luogo e-del monumento che vi si trova e la necessità
che quel poco che di esso rimane sia custodito con la massima cura.

Anche noi ci uniamo ex toto corde ai voti espressi, per mezzo
della stampa, da coloro a cui stanno estremamente a cuore i vari
tesori nostri, che cioè nel riordinamento che il Governo ha in
animo di compiere sulle Sovraintendenze agli Scavi ed ai Musei,
Perugia possa avere la propria, ‘aggregata a quella della Galleria
e dei Monumenti. ;

L’ Umbria è sempre ricca di materiale archeologico tuttora

nascosto e di cui ogni tanto qualche campione viene alla luce, il

più delle volte per circostanze veramente fortuite. Perugia ha un
Museo ricco ed importante, sapientemente ordinato e provvisto
di conveniente dotazione. Le Città minori posseggono tutte rac-
colte pregevoli e si può dire che non vi sia piccolo Comune
— senza parlare di privati cittadini che ne hanno molte e non
di scarso valore — dove non si osservi un numero cospicuo di
iscrizioni, di avanzi di opere antiche, di oggetti i più vari,
che qualche volonteroso ha sottratto alla rapina di speculatori. E
questo: materiale aumenterebbe, si può dire senza fatica, se sul
posto vi fosse chi impartisse ordini opportuni, stimolasse gl’inerti
a compiere i propri doveri; in una parola chi sotto la responsa-
bilità di un Ufficio bene organizzato raccogliesse nelle proprie
mani le fila di un lavoro proficuo e non abbandonato al puro
caso, 0 quasi.

Intanto un primo passo ci sembra si sia fatto. Resosi vacante
il posto di Direttore del Museo Etrusco Romano, per rinuncia del-
l’attuale investito, chiamato a più alto posto, il Comune ha ini-








304 ANALECTA UMBRA

ziato le pratiche relative per la sua regificazione. Questo potrebbe
‘essere il momento per ampliarle ed ottenere la necessaria Sovrain-
tendenza.

La R. Deputazione non aveva mancato di occuparsene assai
prima di ora, più e più volte e con vivo interessamento (V. An.
XIV, fasc. I, p. XXX). .

*
*-

Il quinto volume dell' Archivio per la storia ecclesiastica. del-
U Umbria (Perugia, Unione Tip. Coop., 1921), compilato e pubblicato
per cura della SOCIETÀ PER LA STORIA ECCLESIASTICA DELL'UMBRIA,
«è uscito grande di mole e ricco di lavori importanti, i cui titoli
per comodità dei nostri lettori ricordiamo:

Fausti can. D. LUIGI, Documenti agiografici della Curia Arci-
vescovile di Spoleto.

Casimiri mons. D. ‘RAFFAELE, Un codice liturgico gualdese del
sec. XIII (con incisione).

FaustI cart. D. LuIci, Di un episodio religioso politico della
fine del XIV secolo a Spoleto.

FaLOcI PULIGNANI mons. D. MicHELE, I santi martiri Eraclio,
‘Giusto e Mauro di Foligno.

RiccergeRI D. AscENsO, Indice degli Annali Ecclesiastici peru-
gini tratto da A. Fabbretti dalla Cancelleria Decemvirale.

Il volume è preceduto da un breve riassunto degli Atti della
Società per l’anno 1922 —- nei quali troviamo registrato con pa-
role cortesi, e ci è gradito rilevarlo, il saluto amichevole inviato
dal nostro beneamato Presidente nel momento in cui essa inaugu-
rava le sue sedute —; e si chiude con la recensione di alcune
memorie inviate in omaggio.

*
* *

Soddisfacenti quanto mai sono stati i risultati del secondo
«anno dei Corsi estivi di Cultura superiore, svoltosi nel Settembre
1922, presso la nostra Università, essendosi raggiunto un numero
notevole di iscritti (270), convenuti da ogni parte d’ Italia ed an-
ehe dall'estero; e la massima diligenza nella frequenza dei mede-
simi.

Il Corso fu anche integrato da una serie di Lezioni di Lingua
italiana e Letteratura italiana e latina, mercè il concorso di inse-
gnanti provetti, per gli studenti stranieri, finanziate dal Ministero
degli Esteri.



ANALECTA UMBRA 305 Ti



L’ inaugurazione ebbe luogo nella Sala dei Notari, alla pre-
senza di S. E. il Sottosegretario di Stato on. CINGOLANI, interve- . |--
nuto per conto del Governo, e dei rappresentanti i MINISTRI |

DELLA P.I. e pEGLI EsTERI, con la presenza di S. E. il PREFETTO |
e. DELL'UMBRIA, del R. CowuirssARrO, in luogo del Sindaco, del RET-

3 TORE DELL'UNIVERSITÀ e di tutte le autorità civili e militari. l|

: Il discorso fu letto dal sen. prof. comm. Corrapo RIccI so-

pra Umbria nella storia della civiltà italiana. M

Seguirono i corsi speciali, divisi in due decadi di 10 lezioni
ciascuno, tenuti dai: Ea

Prof. ErrorE Pars, ord. di stor. ant. nella R: Univ. di Roma |
(11-20 sett.): Origini e sviluppo del dominio di Roma sull’ Etruria,
sull’Umbria e su tutta Italia.

Prof. Pietro FEFELE, ord. di stor. mod. nella R. Univ. di m
Roma (11-20 sett.): Il tramonto del Papato medioevale in Perugia |
— Dalla elezione di Celestino V alla elezione di Clemente V. |

Prof. Vicenzo De BARTOLOMEIS, ord. di stor. comp. delle let-
terature neolatine nella R. Univ. di Bologna (21-30 sett.): L'Um- |
bria e le origini del teatro italiano. |

Prof. ANToNIo MüNwoz, Sopraint. ai Monum. di Roma, doe. di
storia dell'arte nella R. Univ. di Roma (21-80 sett.): L'architet- x
tura medioevale nell’Umbria. ll

Le lezioni si svolsero nel salone della Biblioteca universitaria, a
ma gli studenti furono anche condotti in quelle località che, per |*
la loro importanza storico artistica, i vari professori eredettero op- di
portuno di illustrare sul posto. Fecero seguito ai corsi stessi al- u
cune gite presso città importanti Gubbio, Todi, Orvieto, le cui
bellezze furono rese note oltre che dagli stessi insegnanti, anche
da persone eompetenti del luogo. 1 |

Il Comitato ordinatore può esser quindi giustamente lieto del-
l’opera da lui con tanta. sapienza espletata in un periodo così |
breve di tempo. E noi, e con noi tutti coloro che amano di fer- © 5
vido amore l’ Umbria nostra, inviamo ad esso la parola affettuosa
della riconoscenza, anche per ìl plauso vivissimo rivolto a Perugia
B — nell'adunanza del Comitato Generale dell'Istituto Interuniversita-
rio Italiano per i Corsi superiori di. cultura, dove intervennero le !
personalità più spiccate della scienza, che si tenne nel marzo |
scorso presso il Consiglio superiore della P. I. — da S. E. il Mr- |^
NISTRO Pnor. GENTILE per essere stata la città nostra « la prima |
nel prendere una iniziativa così felice, da rendersi ancora una
volta benemerita dell’alta cultura della Nazione ».







20



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306 ANALECTA UMBRA

A queste parole gentili rispose il comm. ASTORRE LUPATTELLI,
nostro attivo delegato, ringraziando della lode tributata ed espressa
da un Personaggio così illustre, a nome di un Consesso così au-
torevole; « lode che costituirà — così egli si esprimeva — il
premio più bello ed ambito dell’ opera svolta dal Comitato umbro
ordinatore dei corsi, assicurando che mercè l’appoggio dell’ Isti-
tuto Interuniversitario l' Università di Perugia si sforzerà di con-
tinuare le sue secolari traduzioni, nel mantenere viva e fulgente
la fiamma della scienza e dell’arte e della letteratura nazionale,
per l’onore ed il prestigio d’ Italia, di fronte a tutte le altre na-
zioni ».

La FONDAZIONE PER L’IstTRUZIONE AGRARIA in Perugia ha pub-
blicato la « Relazione morale finanziaria » dell’ opera svolta nel
venticinquennio 1896-1920 nell’ amministrazione del patrimonio
dell'ex Abbazia di S. Pietro, costituito in ente morale a scopo
di insegnamento superiore agrario. j

La lucida relazione estesa dal segretario capo rag. TITO SONNI
riassume con ampiezza di notizie e di dati la gestione tenuta sotto
la ininterrotta presidenza del senatore conte EuGeNIO FAINA con
rigidi ed oculati criteri amministrativi e il cui resultato tangibile
è stata la creazione del R. Istituto Superiore Agrario Sperimentale.

Siccome alla Fondazione è passata in proprietà anche tutta
la parte monumentale ed artistica dell'ex Abbazia così un capitolo
della Relazione riporta quanto dalla Fondazione è stato fatto e
speso per la manutenzione del monumento, la cui custodia (tem-
pio, quadri, arredi, archivio storico, ecc.) è rimasta sempre afti-
data ai Monaci Benedettini, officianti la loro chiesa e della me-
desima costantemente ed altamente benemeriti.

Per la conservazione di questo Monumento, che è senza dubbio
uno dei più insigni e ricchi tesori d’arte che abbia V Umbria,
non sono mai abbastanza le cure che la Fondazione può dedicarvi.
E questa dovrebbe pure provvedere con uguale interessamento
alla manutenzione di altri edifici di valore storico, esistenti nel
suo patrimonio: per esempio la chiesetta della Madonna dei Bagni,
sulla strada di Casalina, che, per la dovizia degli ex-voto in ma-
ioliche Derutesi, forma un monumento veramente caratteristico,
ma che pur troppo versa in pessime condizioni statiche e minae-
cia da un momento all’altro rovina,

Lib B.











TAVOLA DE’ NOMI DI PERSONE E DI LUOGHI



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309

TAVOLA DE’ NOMI, DI PERSONE E DI LUOGHI

Braccio DA MONTONE, (ll Comune
di Orvieto e), 1.

BRUNAMONTI ALINDA BONACCI, (Cir-
colo di cultura femminile dedi-

cato in Foligno a), 285).

Canzoni U., Sulle stazioni neoliti-
che a Monte Vergnano, a Pe-
rugia vecchia e a Monte Belve-
duto, 296.

CaseLLI Lopovico, (Franeesco e
Tito Moretti. Una famiglia d’ar:
tisti fiorita in Perugia nella se-
conda metà del sec. XIX), 289,

CrccHINI G., Saggio sulla cultura
artistica e letteraria in Perugia
nel sec. XIX, 293.

COSTANTINIANO, (A proposito del
Rescritto Costantiniano ispel-
late), 271.

CREMONA, (Girolamo da), 287.

De Dominicis, A proposito del
veseritto Costantiniano ispel-

late, 271.

FANTOZZI A., 296.

FEDELE P., 295.

FoLiano (Circolo di cultura fem-
minile dedicato a Brunamonti

Bonacci Alinda a), 285.

GxnoLi U., Pietro Perugino ed il
Cambio, 286.

GuaLpo Tapino, (Il Laudario li-
rico della Confraternita di Santa
Maria dei Raccomandati in), 201.

GueRRIERI R., Idem. 201.

LeoNETTI LUPARINI B., 294.

LuPATTELLI A., Una famiglia d’ar-
tisti fiorita in Perugia nella se-
conda metà del sec. XIX: Fran-
cesco e Tito Moretti e Ludovico
Caselli, 289.

— I salotti Perugini del secolo
XIX e l’ Accademia dei File-
doni nel primo secolo di sua
vita 1816-1916, 290.

ManTELLI L., La lingua Etrusea ;
Grammatica; Testi con tradu-
zione a fronte; Glossario, 291.

MoNTONE, (Il Comune di Orvieto
e Braecio da), 1,

Moretti Francesco E TITO, (e
Ludovico Caselli. Una famiglia
di artisti fiorita in Perugia nella
seconda metà del sec. XIX), 289.

MoRINI A., 299.

MürrnER A. V., Una fonte ignota
del sistema di Lutero: il Beato
Fidati da Cascia e la sua teo-

logia, 299.

310 TAVOLA DE’ NOMI, DI

NoceRA UMBRA, (Necropoli barba-
rica di), 297.

Orvieto, (Braccio da Montone e
il Comune di), 1.

— (Comune e Signoria a), 292.

— (Majoliche di), 292.

— (Lavori femminili di), 292.

Parpi G., Il Comune e Signoria a
Orvieto, 292.

Pasqui A., Necropoli barbarica di
Nocera Umbra, 297.

PrraLI P., Maioliche orvietane,
292.

PERUGIA (Corsi estivi all'Univer-
sità di), 304.

— (Fondazione per la Istruzione
Agraria in), 306.

— (Saggio sulla cultura artistica e
letteraria nel sec. XIX in), 293.

— (Sovraintendenza degli Scavi
a), 303.

Pirtro PeruGINO (La casa dov'era
la Scuola di), 249.

PERSONE E DÍ LUOGHI

Ricci E., La casa dov'era la Scuola
di Pietro Perugino, 249.
— La Chiesa di S. Prospero fuori

delle mura di Perugia, 301.

SaLmi M., Girolamo da Cremona
miniatore e pittore, 287.

— Gli affreschi ricordati dal Va-
sari in S. Domenico in Perugia,
288.

San Prospero (Chiesa di), 300.

SPOLETO, 294.

TanRULLI BRuNAMONT! L , 295.
UMBRIA (L’avvenire dell’), 293.

VALENTINI R., Braccio da Montone
e il Comune di Orvieto, i;
Vannucci Pietro (Onoranze a),

286.

Vasari (Gli affreschi in S. Dome-
nico di Perugia ricordati dal),
288.

Visso, 292.



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INDICE DEL XXVI VOLUME

Memorie e Documenti.

Atti della R. Deputazione ; : . .

Braccio da Montone e il Comune di Orvieto (R. VA-
LENTINI) (Contin. e fine). : - à 1

Il Laudario Lirieo della Confraternita di S. Maria dei
Raccomandati in Gualdo Tadino (R. GUERRIERI)

La Casa dov'era la Scuola di Pietro Perugino (E. Ricci)

A proposito del « Rescritto Costantiniano ispellate »
(Nota critica-storica) (M. de DOMINICIS) .

Analecta Umbra.
Analecta Umbra

Tavola de’ nomi, di persone e di luoghi

e ——— M —

Pag.

v

20

24

27

1
9

1