ANNO XXVII

BOLLETTINO

‘DELLA REGIA DEPUTAZIONE

DI

STORIA PATRIA

PER L'UMBRIA

VoLUME XXVII

PERUGIA

TIPOGRAFIA ECONOMICA
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Anno XXVII —— Fasc. I-II (n. 72-73)

BOLLETTINO

DELLA REGIA DEPUTAZIONE

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STORIA PATRIA

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(CON 10 TAVOLE FUORI TESTO)

| PERUGIA
i TIPOGRAFIA ECONOMICA
VIA XIV SETTEMBRE
"TRE IMPORTANTI DOCUMENTI

DELL'ARCHIVIO E DELLA BIBLIOTECA VATICANA
PER LA STORIA UMBRA

I documenti che ora pubblico riguardano la storia di tre
monasteri benedettini; il primo é il monastero di S. Maria

Todi; il terzo è il celebre monastero di 5. Croce di Fonte
Avellana, alle falde del Catria. Questi tre documenti non
sono del tutto inediti: pure data la loro importanza per la
storia umbra ho stimato opportuno pubblicarli nel nostro
Bullettino, molto più che uno fu edito solo dietro una copia
in una storia resa abbastanza rara; e i due altri furono editi
unicamente in periodici stranieri.

1") Diploma di Ludovico il Pio al monastero di S. Maria
di Valfabbrica (diocesi di Assisi) Di questo diploma si aveva
notizia solo dagli inventari dell’archivio di Nonantola del
secolo XVII, ma il testo era sconosciuto. Fu primo il Kehr
che, trovatolo nell’ archivio Vaticano (1), lo pubblicò nel
Neues Archiv (2); dopo lui Filippo Lauer lo pubblicò nella
Bibliothèque de l'Ecole des Chartes (3); mentre prima, Mura-

(1) Archivio Vaticano, Nonantola, cass. 1.
(2) Vol. XXV, p. 801 ss., 1899.
(3) Vol. LXI p. 83 e ss., 1900,

di Valfabbrica: il secondo è il monastero di S. Leucio di
202 P. CENCI

tori (1) e poi Tiraboschi (2) ne avevano dato notizia dietro
la citazione degli inventari di Nonantola.

Il monastero di S. Maria di Valfabbrica è uno dei più
antichi cenobi benedettini dell Umbria; al periodo dei Ca-
rolingi era fiorentissimo e ricco di possedimenti cosicchè
lAbbate intese la necessità di ottenere da Ludovico il Pio,
un privilegio. Più tardi, nel secolo undecimo, la disciplina
monastica vi decadde, onde nel secolo successivo perdette la
sua indipendenza e fu unito all’abbazia di Nonantola; quando
ciò sia avvenuto non consta con precisione; sembra fra il
mille centocinquanta e il mille centosettanta (3). Di questo
diploma di Ludovico il Pio noi non abbiamo l'originale, ma
solo una copia sincrona; trovasi fra le buste di Nonantola,
ed è una pergamena fine, scritta in bella minuscola caro-
lina (4).

Oltre a questo diploma nello stesso archivio si conser-
vano due altri diplomi imperiali dati al monastero di No-
nantola, e riguardanti il monastero di Valfabbrica: essi si
riferiscono all'unione del monastero assisinate con quello di
Nonantola: ma entrambi questi diplomi sono due falsi. L’uno
è un:privilegio di Ludovico il Pio che ad istanza del mo-
naco Silvestro di Nonantola, proposto di S. Maria di Valfab-
brica, stabilisce che nella cella sumentovata il proposto venga
nominato fra i monaci di Nonantola (8 dicembre 820). Il di-
ploma è in una copia del secolo XII (5). Il secondo è un
altro diploma dell’imperatore Carlo (?), che dona al mona-
stero di Nonantola il convento di S. Maria di Valfabbrica

(1) Antiquitates Italicae, V, p. 669.
(2) Storia di s. Silvestro di Nonantola, Modena 1784, vol. I, p. 428 ss.
(3) Mentre ciò è incerto in una bolla di Alessandro III, la cosa è
sicura in un diploma di Federico I ed in una bolla di Callisto III; cfr.
KEHR l. c., e TIRABOSCHI l. c. 429.
(4) Vedi tavola I.
(5) Edit, da KEHR in Neues Archiv, vol. cit. p. 802,
TRE IMPORTANTI DOCUMENTI DELL' ARCHIVIO ECC. 203

« monasterium quod est in fundeada in Fabrega » (1); il docu-
mento non porta data. Che indubbiamente entrambi siano
due falsi lo dimostra il documento che io pubblico, poi-
chè Ludovico il Pio riconosce il monastero di Valfabbrica
come assolutamente indipendente, e gli altri documenti di
Nonantola serbati nell archivio vaticano (2) confermano tale
indipendenza sino alla metà del secolo XII.

2) Bolla di Leone IX data al monastero « Sci. Leuci » di
Todi. Il monastero di S. Francesco di Todi nel 1617 conser-
vava ancora i documenti di questo monastero. Garampi sulla
fine del secolo XVIII potè trascrivere la presente bolla (3);
attualmente essa assieme ad altri 29 documenti dello stesso
archivio trovasi nell’ archivio Vaticano. Come essi vi siano
potuti pervenire non consta. Da notizia orale di persona che
per lungo tempo è stata occupata in detto archivio ho ap-
preso che i citati documenti furono rubati e quindi inseriti
(dopo il recupero) negli atti di un processo, e che più tardi fu-
rono tolti da questo e dati in deposito all’ archivio Vaticano.

Nell’impossibilità di controllare tale notizia, mi limito
solo a riferirla. Gli altri documenti sono tutti posteriori e
vanno dal secolo XI al secolo XVI (4). Il monastero di
« S. Leucio » di Todi venne soppresso nel secolo XII da
Gregorio IX, e dato alle monache di Monte Santo; ma esse
pure dovettero abbandonarlo, perchè Gregorio XI vi volle
costruire la fortezza (5).

La bolla che qui pubblico fu edita da Kehr nelle Gót-

(1) Ibid., p. 804.

(2) Archivio Vaticano, Nonantola, cass. cit.

(3) Cfr. per migliori notizie Kum, Reg. ER. PP. IV 39. Vedi ta-
vola II.

(4) Dei documenti di questo monastero trovasi un inventario del
sec. XVII nella cancelleria vescovile di Todi, ed un secondo nell’archi-
vio comunale di detta città; nell'archivio Vatieano essi portano il titolo :
« Instrumenta. Tudertina »; i numeri sono 29 ma i documenti sono 35.
(5) Cfr. KEHR, l. c.

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204. P. CENCI

ting. Nachrichten (1). La bolla è originale, mancante però del
bollo plumbeo. i

3°) Placito della contessa Beatrice e di Matilde sua figlia
dato a Damiano, Priore dell’ eremo di S. Croce di Fonte Avellana.
Anche questo diploma fu conosciuto ed edito, ma dietro una
copia (2) La presente pubblicazione è fatta sull’ originale
che trovasi nella biblioteca Vaticana (3). Il monastero di
S. Croce di Fonte Avellana trovasi alle falde del monte Ca-
tria e fu fondato su i primi del secolo XI. Non si sa di certo
a chi precisamente si debba la sua origine. Probabilmente
eravi in quel luogo in origine un piccolo eremo, che dopo
la venuta di S. Pier Damiano si trasformò in un monastero.
In pochi decenni, sotto la sua guida, esso addivenne uno
dei più fiorenti cenobi che vantasse l’Italia. Il primo docu-
mento dell'archivio è dell’anno 1054, e da quell’anno gli
atti si susseguono senza interruzione. Il diploma che quì
pubblico è del 1072, e da esso risulta che in quell’anno i
suoi possedimenti erano già rilevanti ed illustre il suo nome,
poichè le virtù di Pier Damiano erano state così grandi da
rendere famoso il luogo che egli aveva abitato.

Della presenza di. Beatrice e di Matilde in Perugia nel
1072 si aveva notizia da un altro documento rogato due
giorni dopo del presente, e pubblicato nella storia di S. Ru-
fino vescovo di Assisi (4). Purtuttavia il nostro placito è inte-

(1) An. 1900 p. 142 n. 3; G. Czxcr Todi nel medioevo, I, Todi 1897;
KEHR Gott. Nachrichten 1898 p. 362, n. 1.

(2) A. GIBELLI, Monografia dell’ antico monastero di S. Croce di Fonte
Avellana, Faenza 1895, p. 325 s., dalle schede di M. Sarti, esistenti nella
Classense, KEHR, Italia Pontificia, 1v, 92 ss.

(3) Biblioteca Vaticana, Fondo Collegio Germanico, sezione Avellana,
pergamene. Vedi tavola III.

(4) G. DI Costanzo, Disamina degli scrittori e dei monumenti ri-
squardanti S.- Rufino Vescovo e Martire di Assisi, Assisi 1797 pag. 383,
dall’ originale; vi fu presente Agino vescovo di ‘Assisi; il diploma è del
9 luglio 1072; FickER, Lorschungen, IV, 97, :

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TRE IMPORTANTI DOCUMENTI DELL’ ARCHIVIO ECC. 205

ressante anche perchè manca nei regesti delP Overmann (1) ed
è prezioso per la storia di Perugia di quel tempo. Gli storici
dubitavano se Perugia facesse parte allora del ducato di Spo-
leto (2). Il diploma, che pubblico, lo conferma. La reggente
Agnese aveva dato a Goffredo di Lorena marito di Beatrice
nel 1057 il ducato di Spoleto; morto Goffredo, Beatrice ereditò
i suoi diritti e con lei Matilde: in questo diploma noi tro-
viamo « Beatrix comitissa atque ducatrix et Matilda similiter
« comitissa atque... ducatrix adesse in judicio ... in comitatu
Perusie » a prova della loro autorità su quella contea. Ciò
viene confermato dalla presenza del vescovo della stessa
città, il quale con ciò riconosceva l'autorità delle due du-
chesse su quel territorio.

Il priore Damiano era venuto per chieder alle legittime
Sovrane un diploma di conferma di quanto possedeva il suo
monastero che trovavasi nel ducato di Spoleto. Solo da poco
più di quattro mesi (23 febbraio) era morto suo zio Pier
Damiano, quindi in mancanza di lui egli cercò in un privi-
legio la difesa del suo monastero. Il diploma di Beatrice e
Matilde è il primo dei numerosi diplomi di Avellana. Esso fu
redatto alla presenza del vescovo di Perugia e del vescovo
« de Sese » (de Sise, Assisium) (3): gli altri personaggi forma-
vano il seguito di Beatrice. Fra le firme messe in fondo al
documento abbiamo quella dei quattro giudici, ma mancano

(1) A. OVERMANN, Graefin Matilde von Tuscien, Innsbruck, 1895.

(2) Cfr. L. Bonazzi, Storia di Perugia, Vol. I, p. 213, Perugia, 1875.
Overmann sostiene che Matilde si trovasse in Perugia perchè la contea
di Perugia era un feudo dell’ impero (OvERMANN, op. cit., p. 126). Però
in questo caso non si spiegherebbe perchè il priore di Avellana, che
non dipendeva da Perugia, andasse a chiedere una conferma da Beatrice
e Matilde.

(3) Ignoriamo chi fosse vescovo di Perugia. Nel 1072 era vescovo
Gothifredus; da allora si ha una lacuna sino al 1105, nel quale anno era
vescovo Giovanni II. Di Assisi era vescovo il menzionato Agino.

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P. CENCI

che erano riservate alle due Duchesse, ma le loro sottoscri-
zioni non furono messe come solevasi fare nei placiti. Il do-

cumento é sicuramente autentico.
Perugia, 1 gennaio 1926

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DOCUMENTI

(8 dicembre 820) (a)

T In nomine Domini Dei et Saluatoris Nostri Jhesu Xpisti
Hludouuieus diuina ordinante prouideneia imperator augustus.
Cum peticionibus seruorum Dei justis et racionabilibus diuini
eultus amore fauemus superni muneris donum nobis — 2 — a Do-
mino inpertiri credimus. Idcirco notum sit omnibus fidelibus
Sanete Dei Ecclesiae et nostris, tam presentibus quam et fu-
turis, quia uir uenerabilis Christianus abba ex monasterio quod
dieitur desuper Uado Fabrice quod est situm — 3 — in territorio
‘Sisinato, constructum in honore sanetae Dei genetricis semper-

quae uirginis Mariae, adiens serenitatem eulminis nostri, depre-.

catus est ut predictum monasterium, cum omnibus rebus uel
hominibus ad se iuste — 4 — et legaliter moderno tempore aspi-
cientibus uel pertinentibus, sub nostra eonstitueremus defensione
et immunitatis tuicione. Cuius peticioni libenter adsensum prae-
buimus, et hane nostram auctoritatem circa idem monasterium
— D — fieri decreuimus, per quam praecipimus atque jubemus ut
nullus judex publicus uel quislibet ex judiciaria potestate in eccle-
sias aut loca uel agros seu reliquas possessiones memorati mona-
.Sterii, quas moderno tempore in qui — 6 — buslibet pagis et terri-
toriis infra dicionem imperii nostri juste et legaliter possidet, uel
quae deinceps in jure ipsius monasterii uoluerit diuina pietas au-
geri, ad eausas audiendas uel freda exigenda aut mansiones uel pa-
ratas — 7 — faciendas aut fidejussores tollendos aut homines i
sius monasterii distringendos, nec ullas redibitiones aut inlicitas
occansiones requirendas nostris et futuris temporibus ingredi au-
deat uel ea quae supramemorata sunt — 8 — penitus exigere

praesumat sed liceat memorato abbati suisquae successoribus

res praedieti monasterii, cum omnibus ad se juste et legaliter

*
208 : P. CENCI

aspicientibus uel pertinentibus, sub immunitatis nostrae defen-
sione quieto ordine possidere, — 9 — et quando quidem diuina
uocacione supradietus abbas uel successores ejus de hac luce mi-
grauerint, quamdiu ipsi monachi inter se tales inuenerint qui
eos secundum regulam sci benedicti regere audeant per hane
nostram — 10 — auctoritatem et consensum, licenciam habeant
eligendi abbates quatenus melius delectet eis pro nobis et co-
niuge prolequae nostra uel pro stabilitate tocius imperii nostri
iugiter Domini misericordiam exorare. Et ut haec auctoritas
— 11 — nostris futurisque temporibus, Domino protegente, ua-
leat inconuulsa manere, manu propria subterfirmauimus et anuli
nostri impressione signare jussimus. — 12 — Signum Hludouici
serenissimi imperatoris.

t Durandus diaconus ad uicem Fridegisi (a) abbatis recognoui.

— 13 — T Data VI id. decembris, anno Xpo propicio VII
imperii domni Hludouuici serenissimi Augusti, indictione XIII
Lectum Aquisgrani palatio regio, in Dei nomine, feliciter. Amen.

(a) Prima Fridogisi, e"poi emendato.
Arch. Vat. Nonantola busta 10, mm. 704 X 327.

II.
(11 ottobre 1051)

1 LEO EPISCOPUS SERVVS SERVORVM DEI. AECCLESIAE SANCTI
— 2 — Leucii et per eam abbati IOHANNI tuis[que] s[ucce]ssori-
bus (a) imperpetuum perpetuam in domino salutem. Quotiens
illa a nobis tribui sperantur quae rationi ineunetanter conueniunt,
animo nos — 3 — d[ecet] libe[nti concede]re et pete[ntium]
desideriis congruum impertiri suffragium. Igit[ur] quia petisti
[a] nobis qu[od] confirmaremus et corroboraremus tibi locum
in honore sancti LEUCII — 4 — martiris Christi ad monasterium
de[dicatum in eiu] itate Tudertina [cum...] atque [co]rtina [in...
et] terris [uinei]s campis [prati]s pasc[ui]s s[i]l[ui]s [salieti]s aquis
— b — aquarumque decursibus culto uel i[neulto] omnibusque ad
tuum monasterium generaliter et in integro pertinentibus, omnia
in ipsa ciuitate Tudertina uel foris ubique locorum uocabulis
— 6 — quibus nun [c]upantur, omnia scilicet quantacumque ad
ipsum monasterium pertinent et quanta nunc habere uidetur, uel
quae inantea per fideles homines adquirere — 7 — poterit ut
quae per priuilegia antecessorum nostrorum iustorum regulariter

.
DOCUMENTI 209

uobis concessa sunt, in usum uestrum uestrorumque successorum
iure dominioque permansura imperpetuum. — 8 — Inclinatis ue-
stris precibus per huius nostre preceptionis seriem confirmamus,
atque corroboramus tibi tuisque successoribus ipsum monaste-
rium, ut nullus imperator, nullus rex — 9 — nullus dux, nullus
marchio, nullus comes, nullus uicecomes et preterea nullus pa-
triarcha, nullus archiepiscopus, nullus episcopus, nullus abbas,
nula magna paruaque — 10 — persona contra hane nostre
preceptionis confirmationis et corroborationis paginam ipsum
monaasterium inquietare uel, molestare [presu]mat, (b) sed in-
nocuum atque ab omni humana — 11 — lesione securum per-
maneat imperpetuum. Sed et hoc addimus, siquandoque abbas
[ex tuo] monasterio decesserit, liceat fratr[ibus ex] congregatione
meliorem fratrem — 12 — eligere, et ad Romanum pontificem
ducere, si in tempore fuerit, gratis et absque precio consecran-
dum. Si uero, quod absit, quisquam eiusdem monasterii malus
presumptor — 13 — seu uiolator contra huius nostre confirma-
tionis et corroborationis preceptum apparuerit, sciat se nostra
apostolica auctoritate et uirtute excommunicatum atque anathe-

matizatum — 14 — Qui uero hoc nostrum preceptum obseruare
studuerit illesum, ille sit benedictus pro eo quod oboediuit nobis.
R. BV

— 15 — Dat. v. ID. OOTB. per manus FREDERICI diaconi
sancte ROMANAE AECCLESIAE bibliothecarii et cancellarii uice
domni HERIMANNI archicancellarii et Coloniensis archiepiscopi
— 16 — anno DOMNI LEONIS VIII PAPAE II°, indictione V.t?

(a) earatteri svaniti per l' umidità: altrettanto nei punti seguenti.

(b) pergamena macchiata e corrosa: altrettanto nei punti seguenti.

Arch. Vat. Instrumenta Tudertina num. 1., Orig., bollo perduto,
mm, 588-452.

III

(7 luglio 1072)

— 1 — T Dum in dei nomine in uilla que uocatur colle de
uignolis, in comitatu perusie, in iudicio adessent domina beatrix,
comitissa atque ducatrix, et matilda eius filia similiter comitissa

atque — 2 — ducatrix, adessent cum eis ardericus iudex, et

ubertus, atque girardus, et uuidonem, ac segnoritus, et iohan-

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nes iudices, et paganus de corsena, atque episcopus perusino,
et episcopus de sese, seu sifredus comes, — 3 — et ildebran-
dus filius uuidonis, et item ildebrandi filius sifredi, atque ugoni
uicecomes de civitate pisa, et iohanni similiter uicecomes, et ra-
gineri (a) de uido atque teodosii filius uilielmi et aliorum plurium
(b — 4 —. Ibique in eorum presencia uenit damianus prior
eremi sce crucis sita in loco que uoeatur fons aualani simul
cum auocato suo iohannes de lito et retulit pars supradicte ec-
eclesie sancte crucis habet et detinet — 5 — proprietario iure ec-
clesiam saneti luce (c) que est edificata in ciuitate eugubina,
cum suis pertinenciis, et ecclesiam saneti cristophani cum suis
pertineneiis que est ediffieata in luciulo, et ecclesiam sancti
iohanni batisste cum suis perti — 6 — nenciis que est ediffieata
in uilla magna, et terciam partem ecclesie, saneti donini que
(d) est edificata in uallemtana eum proprietatem quas ibi abe-
mus, et eanonieam que est ante portam civitatis exine dedica-
tam in o — 7 — norem sancte crucis cum omnibus suis perti-
nenciis, et partem quam habemus in castro ripalthi cum pro-
prietatem quas ibi pertinet, et ecclesie saneti angeli que est
edifficata (e) in monte sito cum suis pertinenciis, et ecclesiam
— 8 — saneti martini (f) que est edifficata in uilla que dicitur
barici cum suis pertinenciis et terras quas habet in monte maiore,
et ecclesie saneti furtinati cum cuis pertinenciis que est edifficata
iusta monte florntoni et si quit — 9 — libelario nomine detinet
in supradictis loeis. Seu que detinet libelario [no mine (g) eccle-
sia saneti Andrei que est edifficata in loreto cum castro qui
uoeatur pogium (h) cum omnibus suis pertinenciis a medietatem
de plebe in(i)gual —10— do sanete marie cum decimacione et ob-
blacionibus fidelium et decimas quas detinet ab episscopio came-
rinensem et terciam partem plebis sancte marie de monte maiore
cum decimacionem et obblacionibus fidelium, et — 11 — terras
quas detinet in plebe saneti liuerii, et ecclesiam sanete agathe
(l) que est edifficata in civitate fanensi, et si quit proprietatem
in his uel (m) in aliis locis habet (n) proprietario — 12 — uel li-
berlario uel alio iure et si aliquis homo de supraseriptis rebus
agere nel causare voluissed, (0) paratum se esset dicit (p) ad ra-
eionem standum et legiptime finiendum cum ipsi iam dietis taliter
retulissent — 13 — et nemo se presentaset qui de predietis rebus
agere uel causare uoluissed. Tune domina beatrix et matilda
eius filia ducatrices cum taliter audissent miserunt bannum su-
per iamdietum priorem et auocatum — 14 — et super iamdi- DOCUMENTI i 211

etam ecclesiam et super ommes res ad eamdem ecclesiam quolibet
iure pertinentes (q) uel que in futuro pertinere deberent, ut
nullus eos uel predietam ecclesiam de iamdictis rebus disuestire

audead, uel mo — 15 — lestare contendere aut minuere, uel

predari aut quodlibet malum facere absque legali iudicio (r) et
qui hoc facere presumpserit, duo milia bisancios aureos composi-
turum esse agnoscat, medietatem camere — 16 — domni regis,
et medietate iam dicte eremi ecelesie sce crucis. Quidem et ego
ardencio notarius sacri palacii ex iussionem iam nominate duca-
tricis et iudicum amonicio — 17 — nis scripsi. Anno dominice
incarnacionis milleximo septuaieximo, secundo, septimo die men-
sis iulii indicione decima.

T (8).

n

1 Ego ardericus iudex interfui et scripsi.

T Vberetus iudex domni imperatoris interfui.

T Gerardus iudex saeri palatii interfui.

1 Ego Johannes iudex domini imperatoris scripsi.

a) « raginineri ». b) « pluriumi ». — c) il nome della chiesa
sottolineato da mano coeva. — d) item. — e) item. — f) item.
— g) « no » mancante. — sottolineato. — h) « o» ed «i» par-
rebbero annullati. (i) «in» snpre linea. — 1) sottolineata. — m)
«u» corretto. — n) « uel abitura est » annullato. — o) « b » in
luogo di «v» corretto. — p) « esset disit» poi corretto. — q)
« pertinestes ». — s) « absque legali indieio » emendamento in-
terlineare. — s) le firme delle due duchesse mancano trattandosi
di un placito.

A tergo sec. XIII, leggesi « Carta donacionum quarumdam
posesionum ». Ugualmente a tergo nel bordo superiore leggesi
< coxxxiIJ in Sacca (?).. ».

Bibl. Vat. Avellana, Orig., mm. 463-350.
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dato al monastero di S. Maria di Valfabbriea (Assisi)

TAvOLA I — Diploma di Lodovico il Pio
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TAVOLA II — Escatocollo della bolla di Leone IX

data a favore del monastero di San Leucio di Todi —- 11 ottobre 1050.
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— GILT SEONUTI
DEI FRUTTAIOLI ED ORTOLANI DI PERUGIA

(1400)

Il eavaliere Gio: Francesco de Rossi figlio di Gherardo
e di Clementina Ingami, nacque in Roma il 12 decembre
1796. Suo padre godè fama di buon letterato. Gio: Fran-
cesco ne seguì Pesempio; ma studiò anche pittura, di cui
gli fu maestro il Camuccini. Studiò con passione la botanica,
e collaborò alla formazione dei giardini del Pincio.

Amatore di oggetti d’arte, fece collezione di avorii scol-
piti; ma la sua principale passione fu per i libri (1).

Nel 1838 aveva sposato la principessa Luigia Carlotta
di Borbone, infante di Spagna, figlia di Luigi d) Etruria e
di Parma, e vedova di Massimiliano, duca di Sassonia. La
moglie per assecondare la passione del De Rossi per i libri,
contribuì con larghi mezzi finanziarii; onde egli potè mettere

assieme, nel suo palazzo in via del Quirinale N. 1 in Roma, .

una ricca collezione.

Nacque così quella « Biblioteca Rossiana » che com-
prende più di 1000 codici, circa 2500 incunabuli e 6000 altri
libri stampati.

Alla morte del De Rossi la duchessa vedova — perchè
la biblioteca non si disperdesse — con atto 6 Marzo 1855
ne fece dono ai Gesuiti, con l'obbligo di conservare la col-
lezione unita ed integra. A maggior garanzia, la duchessa
ricorse all'imperatore d’ Austria, suo parente, perchè, all’ oc-

(1) « L' Album » di Roma. Anno XXII. 17 luglio 1855, pag. 156 ss,
214. T. VALENTI

eorrenza, tutelasse i diritti di lei. Fu cosi che la biblioteca
— forse dopo essere stata celata in Roma dal 1870 in poi —
venne nel 1877 — probabilmente per sottrarla ad una even-
tuale demaniazione — trasportata a Vienna.

NelPatto di donazione fatta dalla vedova De Rossi ai
Gesuiti erano previste certe circostanze e condizioni speciali,
che non conosciamo: ma che indubbiamente si sono verifi-
cate alla fine dell’ ultima guerra europea, con lo sfacelo del-

l’impero Austro-Ungarico.

Ringraziamo la duchessa Carlotta della sua — per noi —
beneaugurante preveggenza!

Poichè fu in seguito a tale avvenimento che al prin-
cipio del 1922 la « Rossiana » ritornò in Italia, ospitata
degnamente nelle sale della Biblioteca Vaticana (1).

Tra i codici Rossiani è una collezione di statuti di città,
confraternite, compagnie ed arti contenuta in circa venti
volumi, dal sec. XIII in poi. « Un codice importantissimo
« è il IX-118 “ Statuta artis spiccicarellorum et hortulano-
« rum civitatis Perusii , dell’anno 1400. È ornato di mi-
« niature e contiene, oltre gli statuti di quest'arte, i nomi
« dei membri dal sec. XV al principio del XIX » (2).

La presenza di questo rarissimo documento umbro fu
segnalata anche dalle pagine di questo BoMettino, nel quale
si facevano voti perché questo codice potesse essere presto
« conosciuto anche per il fatto che il nostro Mariotti nel
« suo “ Spoglio delle matricole dei collegi delle arti di Perugia
« non ne dà che un fugacissimo ricordo » (3).



(1) Cfr. LA BIBLIOTECA ROSSIANA, in « La Civiltà Cattolica », Quad

1720, 18 febbraio 1922, pag. 320 ss.

(2) « La Civiltà Cattolica » cit., pag. 334.
(3) Bollettino della R. Dep. di St. p. per U Umbria, Vol, XXV,
fase, I-II-III, 1922, pag. 323,
GLI STATUTI DEI FRUTTAIOLI ED ORTOLANI DÍ PERUGIA 215

Ascoltando questo più che giusto desiderio, ed avendo
occasione di frequentare per altri miei studi la Biblioteca
Vaticana, trascrissi questo codice fino dall'ottobre 1922, in
attesa di poterlo pubblicare. E sono lieto e grato dell’ospi-
talità che ora mi si offre, e che accetto ben volentieri nel
nostro « Bollettino » per recare alla letteratura statutaria
delle « arti » in Italia, e nell’ Umbria in specie, un contri-
buto che, per la rarità del documento, ritengo prezioso.

*
*ock

Questo statuto, infatti, è di grande interesse primar di
tutto per l'epoca alla quale rimonta. Esso fu compilato alla
fine del 300; e rappresenta per ció un periodo di transi-
zione tra i primitivi schematici statuti del ’200 e quelli
sempre piü ampi e minuziosi dei secoli successivi.

Oltre a ciò è da notare che delle altre « arti », sia tra
le « maggiori », che tra le « minori », abbiamo nelle diverse
regioni d'Italia un rilevante numero di statuti. Cosi i lana-
ioli, i setaioli, i fabbri, i falegnami, i pescivendoli, i beccai,
i pescatori, i fornai e tanti altri ebbero in molti comuni e
città d'Italia i loro statuti. Non così i fruttaioli e gli orto-
ani, ehe solo in otto o dieci città — per quanto ora ne
sappiamo — ebbero statuti propri. Il più antico è lo statuto

dell’ « arte » dei « Naranzari », 0 venditori di arance, di Ve- ‘

nezia del 1312 (1). Vengono poi quelli degli ortolani di Ge-
nova del 1424 (2), quello simile di Viterbo del 1482, ecc. (3).

(1) G. GonetTA. Bibliografia statutaria delle corporazioni d’arti e
mestieri in Italia, Roma, Forzani, 1891, p. 77.
(2) Ivi, p. 37.
(3) Ivi, p. 77,

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216 AMETE T. VALENTI

Queste date provano che il nostro statuto è importante
anche per la sua antichità, in confronto di questi ricordati,
che — fino ad ora — erano i più antichi conosciuti. Reste-
rebbe da supporre che gli altri più recenti (Napoli 1510,
Savona 1537, Brescia 1570, ecc.) fossero riproduzioni o va-
riazioni di testi assai più remoti; ma non ho dati che con-
fermino questa mia ipotesi.

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Altra rilevante caratteristica storica di questo statuto

perugino é quella di essere stato promulgato in quellanno
1400 nel quale « i perugini infestati dalle armi del ponte-
« fice (che, morto Biordo Michelotti, aveva si bene fatto
« occupare le città date a lui in vicariato, ma non Perugia)
« si diedero alla protezione ed al governo di Gian Galeazzo
« Visconti » suscitandosi contro di loro le ire di Boni-
fazio IX (1).
' È noto che la signoria del Visconti a Perugia duró sol-
tanto tre anni. Onde lo statuto presente è uno dei non mol-
tissimi documenti pubblici, che restano a ricordo della breve
dominazione ducale, per la quale — con senso politico ecces-
sivamente opportunistico — il compilatore dello statuto De
ceva — come vedremo — voti di prosperità!

*
* *_-

Dei codici miniati che fanno parte della « Rossiana »
un catalogo descrittivo e riccamente illustrato, fu pubblicato

(1) O. ScALVANTI. Considerazioni sul primo Libro degli statuti peru-
gini, in Bollettino della Soc. Umbra di st. p.. Vol. I, fasc. II, 1895,
p. 706.

-

II
GLI STATUTI DEI FRUTTAIOLI ED ORTOLANI DI PERUGIA 217

da Hans Tietze nel 1911 (1) Questi così descrive il nostro
codice:

« Statuta artis spicgicarellorum et hortulanorum civitatis

Perusti; IX-118.

«

« M/m 200 x 275; 38 fogli (4 2 cartacei).

« Minuscolo e corsivo. Diverse mani (2).

« Latino; fatto in Perugia nel 1400.

« Miniature interessanti, ma, purtroppo, deperite.

« f. 2 (3). Intera pagina miniata, bordata di arancio;
divisa in due parti, tutte e due con fondo azzurro. Nella

metà Superiore (Fig. 1) nel mezzo la S. Vergine col Bam-

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bino, assisa su di un trono, decorato in verde e rosso
chiari. A sinistra un santo vescovo, con pianeta rossa,
pastorale e libro. A destra un santo martire giovane in

abiti diaconali, con libro e palma. Accanto a lui un altro

vecchio santo vescovo, con pianeta bianca.

« Nella parte inferiore: a sinistra un uomo sopra un
albero in atto di cogliere frutta e metterle in un pa-
niere, che è appeso ad un ramo. Disgraziatamente l’inte-
ressante miniatura é molto avariata.

« f. 3 (4) Miniature con bordo rosso, fondo azzurro.
Un santo in tunica scura, in atto di maneggiare una
Zappa ». i s

Il compilatore del Catalogo riproduce a questo punto

la sottoscrizione del notaio, ed annota che in fine del codice
sono alcune aggiunte, che vanno dall'anno 1416, fino al 1637.

(1) HANS TIETZE — Die illuminirten handschriften der Rossiana in

Wien-Lainz, Beschrieben von H. T. 12 tafeln; 187 Abbildungen im texte
gumeist nach originalaufnahmen des Verfassers, Leipzig, Hiersemann, 1911,
pag. 95, N. 161.

(2) Il testo ha: verschiedene Stánde; ma queste parole essendo intra-

ducibili, non resta che pensare ad un errore tipografico, che dovrebbe
correggersi in: verschiedene Hünde.

(3) È invece, il f. 1.t
(4) È invece, il f, 3,t

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Questa descrizione del codice è tutt altro che esatta e
completa. Prima di tutto il Tietze dimentica di dire che il
codice è membranaceo. Oltre a ciò, non fa cenno della lega-
tura di esso. E bisogna ricordare quì che il de Rossi ebbe
«la maniaî— comune, del resto, a tanti bibliofili — di
« dare, cioè, a tutti i codici e libri da lui ‘posseduti una
« legatura uniforme. « Così centinaia di legature antiche, e
« con esse nomi e segni di provenienza, furono distrutte e
« sacrificate ad un capriccio di bibliomania. Peggio ancora:
« i codici, qualche volta, furono dal legatore tagliati, senza
« riguardo alle miniature, le quali, in alcuni codici, per
questa barbarie sono irreparabilmente danneggiate » (1).
E tra le vittime di questa manìa va compreso anche il no-

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‘stro statuto, che, spogliato dell’antica, si presenta con una pre-

tenziosa rilegatura in marocchino rosso, con impressioni in oro,
ma di cattivo gusto. Anche quì il legatore ha tagliato i fogli:
ma, per fortuna, senza arrivare alle miniature, nè al testo.

Il Tietze, inoltre, non sa riconoscere nei santi che stanno
ai lati della Vergine nella (Fig. 1) i protettori di Perugia:
S. Costanzo, S. Lorenzo e S. Ercolano. Così non si è accorto
che nella parte destra della parte inferiore della miniatura
è rappresentato un uomo, vestito di tunica scura, ed intento
a riporre erbaggi in una cesta, che è in terra; miniatura
— per verità — assai deperita e la figura pressocchè scom-
parsa, ma riconoscibile. i

Finalmente il Tietze non dice che, dopo il testo dello :
statuto, segue la matricola degl’inseritti allarte degli spiz-,
zicarelli ed ortolani; e non ci fa sapere che i nomi di questi
sono distribuiti secondo le « porte » o rioni di Perugia, €
che al principio di ognuno di questi elenchi sono, in mar-

(1) « La Civiltà Cattolica » cit., pag. 323 s.

E
GLI STATUTI DEI FRUTTAIOLI ED ORTOLANI DI PERUGIA 19

gine, rappresentati in miniatura i relativi santi, dai quali
alcune delle « porte » prendono anche il nome: S. Pietro,
S. Antonio, (Porta Sole) S. Michele Arcangelo, (S. Angelo),
^S. Susanna, Eburnea (S. Giacomo).

| E da aggiungere che le iniziali ed i segni dei paragrafi
sono miniati in rosso e turchino, alternativamente.

Queste le caratteristiche del rarissimo codice, la lettura
del quale é assai facile, nonostante le molte abbreviature,
— che, però, sono normali —; ad eccezione della prima |]
| pagina che — per essere molto abrasa ed in qualche punto QU

logora — non è completamente leggibile.
Ho trascritto il codice rispettandone l’ortografia: ma |
sciogliendo i nessi. e le abbreviazioni. Ho aggiunto le maiu- Mili
» scole ed i segni d'interpunzione per rendere piü facile e |
comprensibile la lettura del testo.

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In un giorno non indicato dell’anno 1400 — ma dovette
. ‘essere certamente dei primissimi di Gennaio (1) — si adu-
navano tutti gli esercenti Parte di spizzicarelli e di ortolani
della città e sobborghi di Perugia nella cappella dei Vin-
cioli, presso la chiesa ed il convento di S. Francesco; ed ivi
.deliberarono di dare incarico al Camerlengo della società di
redigere o far redigere lo statuto per la loro corporazione. tti

Camerlengo era Nercolo (Ercole?) di Nicola Sinolfi, del | I
Rione di Porta Eburnea e della parrocchia di S. Giacomo. | KI
Il verbale dell adunanza ‘fu redatto dal notaio Ser Barto- (hi

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(1) Dico questo perchè ai 7 di quel mese il papa Bonifazio IX in- BI
dirizzava ai perugini una Bolla per rimproverarli di essersi dati a Gian il i dl
Galeazzo Visconti, del quale è. fatto il nomé nel proemio di questo Iii
statuto. (Cfr. O. SCALVANTI, op. cit., pag. 320). Un'altra Bolla dello i IN
stesso papa li assolveva dalla defezione. (ARCHIVIO SEGRETO PONTIFICIO : ti
Bonif. IX. Lib. I. Process., f. 270).

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220 T. VALENTI

lomeo di Mastro Filippo e pubblicato, per ordine del camer-
lengo, dall'altro notaio Giovanni di Ser Martino.
Era, dunque, un atto solenne e di grande importanza,

che si volle eorroborato dalla garanzia di tutte le più ampie '

forme di legalità e di pubblicità.

Il camerlengo adempieva l’incarico avuto, compilando
o facendo compilare le saggie norme statutarie, che dove-
vano essere tutela e forza della numerosa corporazione.

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Il proemio è un saggio interessante di modesto sfoggio
di erudizione letteraria, che — per il miscuglio ingenuo di
cristiano e di pagano — ci fa pensare all'imminente umane-

simo, che doveva essere la più spiccata caratteristica di quel

secolo XV, che allora incominciava.

L'autore vuol iniziare l'opera nel nome di Gesù Cristo;
poichè tutto deve principiare da Lui. E porta a testimonio
« Pillustrissimo poeta Virgilio », che scriveva:

In primis venerare Deos, ete;
e che suggeriva si facessero a Cerere offerte propiziatrici.

Cosi — prosegue l autore — noi invochiamo Iddio e la
Vergine e tutti isanti. E si rivolge a S. Pietro ed a S. Paolo,
ai santi Ercolano, Lorenzo e Costanzo 0, patroni e difensori di
Perugia. E poichè la sua città, è ora sotto il dominio del
milanese Visconti, non dimentica l’invocazione a 8. Ambrogio,
a cui però, mette vicino — quasi a scusa e compenso —
S. Bevignate da Perugia. Ed aggiunge che tutto si deve fare
ad onore e riverenza della S. Chiesa, del pontefice, dei car-
dinali e ad esaltazione del magnifico rettore della città,
Giovanni Galeazzo Visconti, duca di Milano; per l'onore,
la magnificenza, p esaltazione, la pace e la franduulità del
comune di Perugia e dei suoi alleati, nonchè dell’arte degli
spizzicarelli ed ortolani, che in Perugia e sobborghi vendono
frutta ed erbaggi,
GLI STATUTI DEI FRUTTAIOLI ED ORTOLANI DI PERUGIA 221

*
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Dopo questo sonoro proemio, seguono le Rubriche dello
statuto, che non hanno numerazione: ma che in tutte sono 42.
po Quanto alla forma letteraria nulla di notevole, trattandosi
del solito latino notarile; non trasandato, peró, né, come
Spesso accade, sgrammaticato. Il copista ha commesso quà i ill
e là qualche errore, ma più di ortografia che di sintassi. il |
Notevoli alcune parole dialettali latinizzate, a comin-
ciare dal nome di « spizzicarelli », di cui non so trovare
raffronti in altri dialetti d’Italia; mentre invece è rimasto
nella lingua parlata'il nome di « pizzicagnolo » o « pizzi- 1d
earolo »; ma con significato assai diverso, quanto al genere I | |
di commercio. Poichè gli « spizzicarelli » vendevano frutta | | IT
soltanto; ed il testo dello statuto lo dimostra: « vendentium | Il
poma .... et fructus arborum »; come gli ortolani vendevano |
) soltanto « òlera »: erbaggi. i |
Negli antichi statuti di ‘Perugia (1342) gli esercenti idu
quest'arte sono chiamati « piccicareglie «; ma vendevano |
anche uova, polli, cacio (1); mentre gli « spizzicarelli », di il
cui mi occupo, vendevano, soltanto frutta. Tanto vero che
nell'adunanza del 28 decembre 1416 la società deliberava m
che nessuno esercente l'arte del pollaiolo potesse essere il IN
iscritto tra i soci, senza il consenso degli artisti della sua
« porta ». (F. 35-36). . LOI
Ma in questo stesso statuto troviamo (Rub. XXXVIII) : nm |
usati promiscuamente i vocaboli » spiecicarellus » 0 « pic- Iu
Gicarellus », nonchè quello di « piccicarìa. E certo che i
) due vocaboli e i due mestieri di « spizzicarello « e di « piz-
zicarolo » coesistevano. Trovo — per esempio — nominato

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(1) Gli statuti di Perugia dell’anno 1342, pubblicati dal Dr. Griv- LI OUT
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222 : : T. VALENTI

quest’ ultimo in un registo di spese del vicario papale del
Patrimonio di S. Pietro în Tuscia, a Montefiascone, D. Bernar-
dino « de Cucuiaco », del 1312: « Solvit Coelio Pigicaròlo pro
tribus libris cere rubee et quinque cartis pergameni necessariis
in curia » ete. (1): Nello « Statuto della colletta del comune
d'Orvieto del 1334 è detto: « Quod nullus de arte procac-
« ciantium vel pizicaiolorum possit emere die Sabati », ete. (2).

E quei « pizicaioli « vendevano pollame, cacio, uova,
cacciagione; mentre secondo il documento di Montefiascone,
il « pigicarolo » di lì vendeva anche ceralacca e pergamena.

Data, dunque, la coesistenza dei due vocaboli e dei due
commerci, io credo poter affermare che degli « spizzicarelli »
sia scomparso il nome, certamente dialettale e sia stato so-
stituito da quello di « fruttaiólo » (fruttaròlo); mentre del-
l’antico « pizzicaiòlo » 0 « pizzicaròlo » restava .e resta il

.. nomen et omen, con relativa immeritata locupletazione!

Però è da notare il fatto che, per molto tempo e fino
ad epoca relativamente recente, cioè fino al sec. XVIII,
« pizzicaròli » ed ortolani erano accomunati nei Bandi dei
Governatori e Conservatori di Roma, che l’indirizzavano a
quegli esercenti cumulativamente (3).

Altre parole dialettali latinizzate che troviamo in questo
statuto, sono: « imbalcare », « intencare », « sconocchie », « co-
limbi », « lanestrum », delle quali studieró esporre il signi-
fieato in annotazioni al testo, poiché con questo sott'occhio,
più facile può esserne l’interpetrazione.

(1) ARCHIVIO SEGRETO PONTIFICIO: Reg. Aven., I, f. 217 t.

(2) G. PARDI. Gli statuti della colletta del comune di Orvieto, in
questo « Bollettino », Vol. XI, fasc. 1-III, 1905, pag. 272 e 273.

(3) Fegesti .di bandi, editti, notificazioni e provvedimenti diversi rela-
tivi alla città di Roma ed allo stato pontificio. Roma, Cuggiani, 1920,
Vol. I, Numm. 829, 897, 936, 949, 984.

Bandi dei conservatori di Roma, in ArcHIVIO SEGRETO PONTIFICIO,
Armadio IV, T. 71, f. 13, 14, 15, 16, 17, 82:e T. 69, f. 54 et alibi.
GLI STATUTI DEI FRUTTAIOLI ED ORTOLANI DI PERUGIA 223

Considerando aleune parole e frasi di questo docu-
mento viene spontaneo il dubbio se questo sia il primo sta-
tuto che la corporazione abbia avuto. Resta assodato, intanto,
che gli spizzicarelli e gli ortolani all’epoca della compila-
zione di esso, erano già costitutuiti in società. Infatti nella
introduzione è detto che il loro camerlengo era già dei priori
delle arti della società; che la società era « solita » adu-
narsi nella cappella dei Vincioli, a S. Francesco. Oltre a
ciò in tutte le Rubriche troviamo la parola « reformaverunt ».
Questa potrebbe essere soltanto una semplice formula, come
in altri atti simili; ma è da escludersi che alluda a « ri-
forme » di disposizioni già esistenti? Se non ebbe, prima di
questo, uno statuto suo proprio, bisogna ammettere che,
per il suo ben ordinato vivere, la società si attenesse alle
disposizioni che sulle corporazioni delle arti in genere, ed
in specie su ciascuna di esse, sono contenute negli statuti
del comune di Perugia.

La distribuzione della materia di questo statuto non è
fatta con rigoroso nesso logico; poichè — ad esempio —
prima si parla dell’assistenza ai soci malati (Rub: X) e della
sepoltura di quelli morti (Rub: XI); e molto più avanti
(Rub: XXX, XLI, XLII) si danno le norme per lammis-
sione dei soci nella corporazione.

Molte disposizioni sono Comuni a quelle di altri statuti
simili, come — ad esempio — quella che riguarda i rap-
porti dell arte col Comune, al quale gl’iscritti offrivano aiuto,
eonsiglio e favore (Rub: XI).

Le attribuzioni numerose e l'autorità grande del camer-
lengo vengono confermate da molte disposizioni, tantoché
sì può dire che in più della metà delle 42 Rubriche si fa
cenno di lui, dei suoi doveri.

In armonia con lo spirito sommamente religioso dei
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224. T. VALENTI

tempi, speciali norme sono. date per la parte che i soci do-
vevano prendere alle solennità e per il modo di rispettare
i giorni festivi. (Rub: XIV, XXV, XXVI).

Così i buoni rapporti tra i soci erano tutelati da norme
pratiche e conciliative. (Rub: XII, XIII, XVIII, XX, XXVI,
XOUXT, XXXIX). Tra queste merita specialissima menzione
quella contenuta nella Rub: XX, la quale dispone che
nelle questioni da discutersi dinanzi al camerlengo, « perchè

]le liti non vadano per le lunghe e per evitare i cavilli de-
gli avvocati e dei procuratori », nessuno dei contendenti
possa farsi accompagnare da un legale; pena 10 libre di
denari »!

Oh! saggezza dei tempi antichi!

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Ma non ho la pretesa di riassumere qui l’intero statuto.
Peró lo studioso troverà nella lettura del testo una nuova
fonte di notizie locali interessantissime; oltre a farsi una
chiara idea del modo col quale questa arte era organizzata.

Ma — pur tralasciando il resto — non posso a meno
di far notare aleune delle norme igieniche che dovevano
osservarsi da chi vendeva ortaggi e frutta. Alle donne che
erano a vendere le loro merci in Piazza Grande od in quella
del Sopramuro era proibito (Rub: XVI) portare con sè ròcca
(0 conocchia) da filare, pena 5 « soldi di denari ». Il camer-
lengo poteva contro le « delinquenti » procedere d'ufficio.

Il motivo di questa disposizione è chiaro. Visto che nel-
l'esercizio della filatura della lana o simili ha una parte im-
portante... il prodotto delle glandole salivali, lo statuto non
vuole che i consumatori abbiano a sentirsi disgustati dal
vedere — spettacolo non... appetitoso! — le dita umettate
delle filatrici a contatto degli erbaggi da esse venduti!

Era anche proibito alle donne « spizzicarelle » .ed alle
ortolane di tenere bambini, nei luoghi dove si esercitava

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GLI STATUTI DEI FRUTTAIOLI ED ORTOLANI DI PERUGIA 225

l’arte; neanche se adagiati nelle culle o dentro panieri o
cestelli. Pena 5 « soldi » a chi mancasse.

Inutile esporre le ragioni igieniche che devono avere
ispirato questa disposizione. Basti ricordare che — secondo
lantico proverbio — i bambini, come i polli, sporcano la
casa... |

Allo statuto fanno seguito altri atti e documenti relativi

allarte. Ma questi non si susseguono in ordine cronologico.

Ciò si spiega col fatto che, dopo il testo dello statuto, furono
lasciati alcuni fogli in bianco dal 17 in avanti che non
furono utilizzati ordinatamente.

Infatti ai fogli 17* e 18" troviamo copia di un documento
del 1543 al quale ne segue uno del 1522. Da questo (f. 18* e
19**) si va ad un decreto del camerlengo di S. Chiesa, del
1609, al quale segue (f. 207*) una copia di deliberazione del
1 y8

Vengono, poi, le matricole le quali furono incominciate
a scrivere qui molti anni dopo la redazione dello statuto.
La più antica inscrizione di soci è del 1472. I primi decessi
registrati rimontano al 1520. Non ho trascritto e non pub-
blico le matricole, per ragioni di praticità, ed anche perchè
tra i nomi degli spizzicarelli ed ortolani non mi sembra
trovarne di quelli che abbiano lasciato tracce notevoli nella
storia, per quanto molti di essi ricordino famiglie perugine,
di cui aleune ancora esistenti.

Noto che in. testa al f. 30" è iscritto a caratteri assai
più grandi di quelli degli altri nomi

GISMONDO DE MESSER ANDREA

*

e sopra ad « Andrea » è scritto: MINIATORE e sotto a « Gi-
smondo » é seritto: MORTUUS DE ANNO 1527.

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T. VALENTI

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Alle matricole seguono (f. 35-36): la copia di un verbale

di adunanza del 28 Decembre 1411, relativa alle norme per.

lammissione dei soci alla carica di camerlengo ed altre
disposizioni.

Un altro verbale del 10 Marzo 1420 è a f. 37 e tratta
di affari diversi della società.

Interessante è il verbale del 22 Gennaio 1430 (f. 38") dal
quale sappiamo che il numero degli iscritti alla società era
così grande, che, per la difficoltà di adunarne la metà —
quanti ne Occorreveno per avere il numero legale, come ri-
chiede lo statuto, per la validità delle deliberazioni — si
stabilisce esser sufficiente il numero di 30 presenti. Ma anche
questo numero viene nuovamente ridotto a 20 nell' adunanza
del 26 Luglio 1445 (f. 385.

Il codice finisce con due fogli cartacei (39-40) che con-
tengono i verbali di due adunanze del 7 Gennaio e del
7 Marzo 1737.

| Di tutti questi documenti, che formano come un’ap-
pendice agli statuti, dò al suo luogo un brevissimo riassunto.

Per la migliore intelligenza del testo e per facilitare le
ricerche agli studiosi ho redatto un Indice delle Rubriche,
alle quali ho dato quel numero progressivo che nell’ origi
nale non hanno.

*
*ock

E con ciò spero di aver esaurito, come meglio per me
si poteva, il compito prefissomi, col quale mi auguro aver
meritato la modesta soddisfazione di un contributo nuovo
alla storia dell Umbria nostra ed a quella della dotta e
bella Perugia in specie.

Trevi, agosto 1924.
TOMMASO VALENTI.
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ER.

227

STATUTA?

ARTIS SPICCICARELLORUM ET HORTULANORUM
CIVITATIS PERUSII

Quoniam in Jesu Christi nomine sunt omnia incohanda
principia, testante illo illustrissimo vate Virgilio in Geor-
gicorum princi(ci)pio (sic) alleganti qui prosiliens in sermone
sic ait: sie

In primis venerare deos atque annua mangne

Sacra refert (sic) (1) Cereri, letis operatus in erbis.

Extreme sub casu juvenis (sic/) (2) jam vere sereno :

Tune magna (sic!) (3) pinguis (4) et tunc mollissima

vino (5)
ete: Hane sententiam. insecuti submissaque voce devotoque
animo incohamus: Cunetarum rerum verissime specul[ator]
Deus altissimus omnia [et sin]gula prestans cunctisque ho-
minibus... (6) gratiarum tu... (7) quoque Virgo intemerata
Regina s[ametissimi filiji altissimi genitrix, omnium sancto-
rum. ades de[pre]eor.. (8)... libet meo principio incohando.

PET
de

m——

(Bibl. Vat. - Cod. Ross. IX, 118).
t cancellato da altra mano.
Juvenis, cancellato e sopra, d’ altra mano: hyemis.

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(5) vina.
228 T. VALENTI

..en (1) sine quo nullum rite fundatur exordium, Ad
[honorem] et reverentiam omnipotentis Dei et gloriose Vir-
ginis Ma [rie sanctissime?] matris eius, beatorum apostolo-
rum Petri et Pauli, glo[rio]sorum martirum sanctorum Her-
culani, Laurentij, et Constantij patro[norum] protectorum et
defensorum Comunis et populi civitatis Peru[sij] ac beati Am-
brosij mediolanensis in cuius confidentia speramus; ad ho-
norem et reverentiam saneti Bevegnatis de Perusio, fidelis-

simi servi Dey, nec non omnium sanctorum et sanctarum

totius celestis curie paradisi; ad honorem et reverentiam
sacrosancte romane Ecclesie summique ponltificis]... (2) pa-
truum cardina[lium] fratrum eius; a[d honorem] magnificen-
tiam et exaltationem magnifici... (3) [recto] ris principis Domini
Jovannis Galeacij, ducis Mediolanensis dignissimi ae domini
et gubernatoris rey publice perusines ad honorem, magni-
ficentiam et exaltationem, statum pacificum et tranquillum

comunis et populi civitatis Perusij Et omnium et singulo-

rum colligatorum, complicium et sequacium ipsius comunis
et populi perusini et artis et artifieum Ortolanorum et spic-
cicarellorum (4) civitatis, burgorum et suburgorum Perusij
et omnium et singulorum civium et comitatensium civitatis
predicte, quos altissimus omnium gratiarum largitor sua cle-
mentia et pia misericordia in presenti statu pacifico et tran-
quillo et sub gubernationis (sic) presidis nune presentialiter
domlin]antis : conservare dignetur, ad laudem et gloriam
omnipotentis Dei et benedictus (sic) in seeula seculorum.
Amen.

Infrascricta sunt ordinamencta, provisiones et statuta

artis spicgicarellorum et ortolanorum civitatis, burgorum et

(1)
(2)
(3)
(4) in margine, di carattere cinquecentesco : De hac arte fit mensio
in stat. Perus, lib. I, rub. X ... et est 24 in ordine ... lib. I, rub. 8

e suburgorum Perusij et vendentium poma, olera et fructus
arborum in civitate, burgis et suburgis Perusij, facta, com-
posita, edita et ordinata tempore viri providi et cireumspecti

Nereoli Nicolay Sinolfi, de Perusio, porte Heburnee et pa- :

roecia Sancti Jacobi, Camerarij diete artis nec non prioris
et de numero et collegio dominorum Priorum artium civi-
tatis Perusij pro dieta arte spiccicarellorum et ortolanorum
civitatis prefate; de commissione, auctoritate, potestate, ar-
bitrio et baylia sibi in hac parte concessis per adunantiam
generalem artificum diete artis, more solito congreghata et
cohadunata, mandato dieti Nercoli camerarij et prioris, in
capella Vinciolorum, sita in civitate Perusij in capella et
domibus ecclesie et loci fratruum minorum ordinis beati
Francisci, in (1) porta sancte Subsanne, de qua plene constat
et apparet manu Ser Bartholomey magistri Filippi, de Pe-
rusio, notarij et scriptum et publieatum per me Jovannem
Ser Martini, de Perusio, Imperiali auctoritate notarium, man-
dato dieti Nercoli eamerarij dicte artis, sub annis Domini
Millesimo quadringentesimo, indietione octava tempore Do-
mini Bonifatii pape noni, die... (2).

[RuB. I] Quod artifices dicte artis obediant et obbedire debeant-

mandatis camerarij dicte artis qui pro tempore fuerit.

In primis quidem statuerunt, ordinaverunt, et reforma-
verunt ad hoc ut dieta ars et artifices dicte artis salubri-
tius (sic/) et eommodius regi possint et gubernari, quod
omnes et singuli artifices diete artis, dictas artes exercentes

‘in mafricula dicte artis, tam scripti quam non scripti tenean-

(1) A piè di pagina, di carattere forse cinquecentesco: Mec matri-
cula venit confirmata cum omnibus aliis matriculis artium per Stat. Perusii,
lib. I, rub. 82.

(2) In margine, a sinistra: tempus ; a destra; 1400. Manca il mese
e il giorno,

STATUTA ARTIS SPICCICARELLORUM ET HORTULANORUM ECC. | 229

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230 ; T. VALENTI

tur et debeant vinculo juramenti et ad penam XX soldo-
rum denariorum pro qualibet vice qua sibi per dietum ea-
merarium fuerit traditum in mandatis, seu per nuptium dicte
artis ex parte dieti camerarij qui pro tempore fuerit, in
omnibus et singulis que sibi duxerit imponendis pena vi-
ginti soldorum denariorum; quam penam solvere teneatur
et debeat quilibet contra facióne massario diete artis, reci-
pienti pro dieta arte pro medietate et pro alia medietate
pro camerario supradicto, pro qualibet vice, qua per talem
artificem fuerit in aliquo contrafactum. Et nichillominus
possit et sibi liceat omnes et. singulos rebellos (sic) et ino-
bedientes predictos capi et carcerari facere ac etiam detineri,
ipsosque confinare et ad confinia relegare et mictere pro suo
libito volumptatis, dummodo ad confinia (1) aliquem mictere
vel relegare non possit sine deliberatione quinque bonorum
hominum artifieum dicte artis, quos secum ad predicta du-
xerit eligendos.

[RuB. II] Quod camerarius et artifices dicte artis teneantur
jre ad dominos potestatem. et capitaneum ae maiorem. sin-
dicum. et judicem iustitie et se et dictam artem offere
(sic) în prestando eis aurilium, consilium. et favorem.

Item statuerunt, ordinaverunt et reformaverunt pro
honore comodo et utilitate diete artis quod .quilibet came- -
rarius qui pro tempore fuerit teneatur et debeat vinculo
juramenti, jre ad dominos potestatem et capitaneum ae
maiorem syndicum, judicem iustitie et dampnorum datorum
communis civitatis Perusij infra XV dies a die principi]
eorum regiminis, cum illo numero artificum de quo ipso ca-
merario videbitur expedire; pena centum soldorum dena-
riorum cuilibet camerario contrafacienti, eidem arti appli-
canda vigore presentis legis, ad rogandum ipsos dominos

(1) In margine a destra: Vide infra cap. 18 in fine,

per
tt

STATUTA ARTIS SPICCICARELLORUM ET HORTULANORUM ECC. 231

potestatem, eapitaneum, majorem sindicum et iudicem iusti-
tie dieti comunis pro parte comunis et hominum dicte artis
de bono pacifico et tranquillo statu civitatis, comitatus et
distrieti Perusij et amicorum, complicium et sequacium dic-
ti comunis. Et quod ipsi et quilibet ipsorum studeant toto
posse punire omnia mallefitia que comicterentur seu comissa
essent, seu occurrent tempore eorum regiminis et tempore
antecessorum eorum, juxta et secundum formam statutorum
et ordinamentorum comunis Perusij; et notifieare eisdem

et eorum cuilibet quod pro executione ipsorum et cuiuslibet

eorum offitij et pro iustitia conservanda dabunt et se offe-
runt [et] effectualiter prestantur die noctuque ad omnem
ipsorum requisitionem et mandatum, auxilium, consilium et
favorem. Et quod eis placeat jnterponere parte suas quod
dampna dantes in ortis et bonis artificum dicte artis penam
debitam. consequantur, juxta statutorum et ordinamentorum
comunis Perusij formam et exigentiam; et quod homines et
artifices dicte artis et omnes facientes dictam artem tenean-
tur et debeant dare et prestare dominis potestati et capitaneo
ac maiori sindico et judici iustitie et dampnorum datorum
dicte civitatis ac dominis prioribus artium civitatis Perusij
auxilium, consilium et favorem ad hoc ut civitas perusina
in bono, pacifico et tranquillo statu perseveret et moretur;
et insuper dare et prestare hominibus dicte artis auxilium,
consilium et favorem ut quilibet in suis juribus et justitia
conservetur.

[RuB. III] De electione rectorum. dicte. artis facienda per ca-
merarium et rectores. antichos et veteres. :

(1) Cum sepe sepius et ut plurimum contingat quod ca-
merarij et rectores dum et quando sunt ad electiones recto-

(1) In margine: Hec ars debet habere 8 vectores, secundum statutum
Perusij, lib, I, rub. 85,

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4d 32 i T. VALENTI

rum et supperiorum (sic) faciendam, eligunt eorum amicos, |
non respicientes honorem et comodum diete artis et magis
jdoneos et legales. ac utiles pro. dieta arte, id circo statue-
SUM DTOVIdOrunt, et reformaverunt quod camerarius qui
pro tempore fuerit, una cum artificibus dicte artis pro eo
tempore et comodo quo fit electio camerarij dicte artis, et
‘sic in adunantia diete artis dicti rectores extrahantur et publi-
centur, qui sic publieandi et insacculandi, sint et esse intel-
ligantur rectores dicte artis et pro rectores dicte artis habean-
tur ae si per brevia electi fuissent et secundum omnem. sol-
lempnitatem que in talibus requireretur electi forent, aliquo
non obstante.

[Rus. IV] Quod nullus de dicta: arte seu dictam. artem. emer-
cens audeat vel presumat interogare nec imbalcare aliquam
nummatam dum aliquis alius de dicta arte ipsam inten-
caret. Rca: cap:

Item statuerunt, providerunt, ordinaveruut et reforma-

verunt quod nullus de dicta arte seu dictam artem faciens
vel exercens audeat vel presumat jnterogare, intencare (1)

(1) Assai frequenti sono negli statuti, sia dei municipi, sia delle

‘ arti, le parole dialettali, più o meno latinizzate. I redattori dei testi si

proponevano con ciò di rendere più intelligibili ai loro contemporanei
certe disposizioni, specialmente quando non era facile trovare il voca-
bolo latino corrispondente. Ma, per quanto riguarda noi posteri, l’ effetto
raggiunto è precisamente il contrario, in quanto che certe parole o frasi
dialettali, anche perchè talune scomparse dall’ uso, non sono più intel- |
ligibili, o lo sono soltanto approssimativamente e per deduzione. Cosi
le parole imbalgare, intengare che troviamo in questa Rubrica, sembrano
indicare l'azione di disturbare il commercio dei generi in vendita (num-
mata), facendo al venditore offerte migliori di quelle che a lui stava
facendo l’altro acquirente. Si voleva, a quanto pare, impedire l’ arti-
ficioso rialzo dei prezzi, per mezzo di offerte esagerate.

Della parola imbalgare non ho trovato alcuna spiegazione plausi-
bile, nè vocaboli equivalenti. Balea in qualche dialetto, significa 1° occa-
STATUTA ARTIS SPICCICARELLORUM ET HORTULANORUM ECC. 233

vel quovis alio modo querere aliquam nummatam occasione
imbalcandi alicui de dieta arte, dum fuerit aliquis de dicta
arte super interogatione ipsius nummate et emptione ipsius
nunimate facienda, nee cameram seu bancham alicuius exer-
centis dictam artem accedere ad imbalcandum, dum vendi-
tores dictam nummatam essent seu starent ad dictam ca-
meram seu bancham pro dietis nummatis vendendis. Qui
vero contrafecerit solvat nomine pene massario dicte artis
decem soldos denariorum pro qualibet vice. Et de predictis
stetur et credatur jurameneto illius contra quem predicta
fierent; cuius pene medietas sit dieti camerarij at alia me-
dietas sit dicte artis.

sione propizia di fare un acquisto a buone condizioni. Nient'altro saprei
addurre per dare un’ etimologia a quella parola.
Intengare trova invece raffronto nel dantesco

« E però di sustanza prende inienza
(Paradiso, XIV, 75)
come nell’ altro:
« Però intenza d’ argomento tiene ».
(ivi, 78)

Ma in ambidue questi passi intenza equivale a concetto o nome;
quindi non farebbe al caso nostro.

Soltanto lo Zingarelli registra nel suo Vocabolario il verbo inten-
zare nel senso di contrastare (a) ma non cita alcun esempio classico in
appoggio del suo asserto.

Che il significato vero di queste parole (imbalgare, intengare) sia
quello d’ intervenire tra venditore e compratore per offrire un prezzo
più alto e toglier a quest’ ultimo l'occasione di comprare, può dedursi
per analogia anche dal fatto, per esempio, che negli Statuti dei beccai
di Parma (1309) la Rub. XXVIII proibisce al venditore di attirare, in
pubblico od in privato, i clienti al suo banco, per toglierli ad altri con
grida come queste: « 0, o, quis veniret ad glaream! (?) (b) Disposizione
che troviamo ripetuta, sotto altra forma, nella Rub. V di questo nostro
Statuto. 3

(a) ZiNGARELLI NicoLA, Vocabolario della lingua italiana, Greco Mi-
lanese, Bietti e Reggiani, 1922, II ediz., pag. 778.

(b MicHELI G., Gli statuti delle corporazioni parmensi, Parma, 1913,
pag. 247.

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|
:
t 234 T. VALENTI

[RUB. V] Quod emptor teneatur dare parte (sic) supervenienti
in emptione et dicenti tempore emptionis tune dicenti (sic)
velle partem in emptione.

"

Item statuerunt, providerunt, ordinaverunt, et reforma-
verunt quod si aliquis de dicta arte fuerit super aliqua em-
ptione facienda et intenconanda et aliquis de dicta arte vel
aliquis alius bonus homo intervenerit illo tune et dicet se
velle tenere cum eo ad dietam emptionem faciendam de
aliquibus nummatis et mercantiis pertinentibus et spectan-
tibus ad dietam artem, et ipsam emptionem fecerit primus,
quod ipse primus emptor teneatur tali, sie intervenienti,
partem dare de re empta solvendo primo vel eo tempore
quando solverit primus emptor partem pretij seu denario-
rum que contigeret adsolvendum tali sic intervenienti de
dicta emptione; sub pena et ad penam quinque soldorum

| denariorum pro qualibet vice, si pretium diete rey esset a

centum soldis infra. Si vero esset centum soldorum, vel ab

inde supra, ad penam viginti soldorum denariorum pro quo-
libet contrafaciente. Et si ille qui petierit partem dicte rey
non solverit pecuniam et partem pretij sibi contingentem pro
dicta emptione incontinenti, vel tempore dicte emptionis,
quod primus emptor non teneatur ei dare partem rey empte.

Si vero dictus talis interveniens comparuerit incontinenti

coram camerario et deposuerit partem sibi contingentem ex

pretio diete vendictionis, quod camerarius dicte artis qui pro
tempore fuerit teneatur sibi dare facere partem rey empte si
querimoniam tales sic dessidentes inter eos habuerint.

[RuB. VI] Quod nullus audeat vocare vel mutum facere alicui
i qui staret ad cameram seu bancam alterius de dicta arte
ad emendum vel vendendum.

Item statuerunt, providerunt ordinaverunt et reforma-
yerunt quod nullus de supra dicta arte audeat vel presu-
STATUTA ARTIS SPICCICARELLORUM ET HORTULANORUM ECC. 235

mat vocare, querere vel nutum seu cennum facere alicui qui
stare ante diseum banchae seu camerae alicuius de dicta
arte, causa mercandi vel vendendi; qui vero contrafecerit
solvat nomine pene et bampni massario dicte artis pro dicta
arte recipienti et pro qualibet vice quinque soldos dena-
riorum; et quilibet possit esse accusator et denumptiator et

eredatur juramento accusatoris. Quorum V. soldorum me-

dietas accusatoris et alia medietas sit comunitatis diete artis.

[RuB. VII] Quod camerarij (sic) dicte artis teneatur reassignare
rationem vilicationis sui offitij suo prorimo successori et
reliqua restituere massario dicte artis; et novo camerario
juramentum, prestare quod observabit contenta in presenti
ordine.

(1) Item statuerunt; providerunt, ordinaverunt et refor-
maverunt quod camerarij diete artis tam presens, quam fu-
turi, qui pro tempore fuerint teneantur et debeant reddere
rationem vilicationis sue de omnibus et singulis gestis, datis
et receptis per eum et eius massarium tempore eorum officij
novo camerario successori suo, infra XV dies post depositum
suum officium in adunantia publica dicte artis vel alibi ubi
ipsi novo eamerario et quinque bonis hominibus per ipsum
novum eamerarium eligendis videbitur et placebit; et reli-
qua consignare et restituere novo massario infra dictum
tempus; et quod dietus novus camerarius dietam rationem
recipere debeat infra dietum tempus modo predicto, pena
XXV librarum denariorum cuilibet contrafacienti. Et quod
presens eamerarius et quilibet alius qui pro tempore fuerit
teneatur novum successorem jurari facere quod predicta
«omnia et singula observabit et observabunt in posterum
modo predieta sub dicta pena.

(1) In margine, carattere più recente: L. I. De officio VII. It de
tutel., de ratione distrahen ; et late Rolandus 49 in princ, X, 21, mot, I

MÀ MÀ à
AIT
pre
Milo cay. Ld

ze nU SA NN

236 T. VALENTI

[RuB. VIII] De locis assingnandis et ordinandis per came-
rarium.

Item statuerunt, provideruut, ordinaverunt et reforma-
runt quod camerarius dicte artis qui pro tempore fuerit
teneatur et debeat vinculo juramenti quolibet die Sabbati
ubicumque ars fieret ordinare homines dicte artis qualiter
sedere et stare debeant pro dicte artis ministerio exercendo.
Et inter ipsos vias facere ita et taliter quod homines et
persone volentes transire per dictum mercatum et forum,
possint incedere et transitum facere. Et quod camerarius
predictus teneatur vinculo iuramenti predicta facere obser-
vare per quemlibet artificem dicte artis. Inobbediens vero
quilibet solvat vice qualibet. qua contrafecerit, pene nomine
massario dicte artis decem soldos denariorum.

[RuB. IX] Quod homines et artifices digte artis teneantur dictam
artem facere bene ci legaliter.

Item statuerunt providerunt, ordinaverunt et reforma-
verunt quod omnes et singuli homines et persone facientes
et exercentes dictam artem teneantur et debeant ipsam
artem facere, operari, gerere et exercere bene et legaliter,
bona fide, sine fraude, omni dolo et machinatione remotis.

[Rus. X] Quod camerarius et rectores dicte artis teneantur
visitare homines dicte artis infirmos. et pawperes et eis in
eorum necessitatibus subvenire,

Item statuerunt, providerunt, ordinaverunt et reforma-
verunt quod si contingat aliquem de dicta arte infirmari
et fuerit ita pauper quod de suis facultatibus se non poterit
substéntare, quod tune et eo casu camerarius qui pro tem-
pore fuerit teneantur (sic) et abstrictus sit vinculo juramenti
tales infirmos et pauperes egrotantes visitare totiens (sic)
quotiens (sic) ei videbitur expedire, et cum invenit (sic) seu
STATUTA ARTIS SPICCICARELLORUM ET HORTULANORUM ECC. 227

cognoverit talem egrotantem elemosina indigere, facere im-
positam inter artifices dicte artis, in ea condecenti quantitate
que ei videbitur convenire et ipsam impositam sie facien-
dam colligi facere per massarium dicte artis, dummodo dicta
imposita quantitatem quinque soldorum denariorum pro
quolibet artifice excedere non possit; quam elemosinam sie
impositam et collectam per massarium diete artis, camera-
rius et rectores qui pro tempore fuerint teneantur et debeant
tali egrotanti et infirmo egenti dare et tradere integraliter;

et de hijs que.sibi erogaverint confici faciant publicam.

seripturam ad hoe ut in predictis fraus commicti non possit.
Et si dietus camerarius et rector fraudem comiserint in non
dando et solvendo quantitatem imposite facte dieto egrotanti,
quam colligi fecerint per eorum massarium et illam penes
se retinuerit et non restituerit camerario suo in offitio suc-
cessori, quod dietus camerarius et rectores in penam dupli

comunitati et arti predicte incurrant, si indilate ad introytum -

diete artis dictum residuum poni non fecerint. Addicientes
predietis quod si aliquis de dieta arte pro aliquo mallefitio
vel delieto incurreret penam personalem et unde personam
vel aliquem membrum perdere posset, quod dicta ars et
artifices dicte artis debeant eum juvare pro redemptione
sua, faeta prius vendictione omnium bonorum dieti artificis
delinquentis. Et si bona sua non sufficerent, tune et eo casu
artifices dicte artis et camerarius dicte artis, qui pro tem-
pore fuerit, teneantur et debeant ipsum juvare et pro eo sol-
vere pro redemptione ipsius persone usque in quantitatem

centum librarum denariorum ; pena camerarij negligenti ad

predicta X XV librarum denariorum dicte artis (sic) applicande.

[RUB. XI] Quod camerarius et. artifices dicte artis debeant acce-
dere ad sepelliendum cadavera artificum. defunctorum.

Item statuerunt, providerunt, ordinaverunt et reforma-
verunt quod quandocumque aliquis de dicta arte adscriptus

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238 T. VALENTI
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in matricula dicte artis, vel pater dicti artificis, vel filius,
vel frater carnalis, dicti artificis maior XV annis habitans

. ad unum panem et ad unum vinum et in eadem familia

cum dieto artifice moriretur vel mortus fuerit, quod came-
rarius et rectores dicte artis vinculo juramenti. teneantur et
debeant quando sepellietur jre ad sepolturam cum dupplerijs
dicte. artis et tortitia et duppleria dicte artis deferre. Et
quod omnes et singuli artifices dicte artis teneantur et ab-
Stricti sint ad requisitionem camerarij et rectorum predi-
ctorum, seu alterius cui dictus camerarius duxerit commi-
ctendum, jre et personaliter se conferre cum camerario et
rectoribus dicte artis ad sepolturam talis defuncti, pena
quinque soldorum denariorum cuilibet non accedente, cui
mandatum fuerit ex parte dicti camerarij vel rectorum;
que pena per camerarium dicte artis de facto auferatur a
contrafaciente, quolibet alio non obstante.

[RuB. XII] Quod camerarius dicte artis jus et iustitiam uni-
cuique petenti coram. eo faciat et ministret.

(1) Item statuerunt, providerunt, ordinaverunt ac refor-
maverunt quod camerarius dicte artis qui pro tempore fuerit
teneatur et debeat vinculo juramenti facere et administrare
jus et iustitiam unicuique petenti iustitiam coram eo.

[RuB. XIII] Infra quantum tempus pignora recolligantur.

(2) Item statuerunt, providerunt, ordinaverunt et refor-
maverunt quod camerarius dicte artis qui pro tempore fuerit,
dum fecerit aliqua pingnora seu aliquas tenutas acciperet
alicui pro occurrentibus eidem circha admnistrationem sui
offitij, precipiat et precipi faciat omnibus et singulis quibus pin-

(1) In margine: XII.
(2) In margine : XIII.
STATUTA ARTIS SPICCICARELLORUM ET HORTULANORUM ECC. . 239

gnora seu tenute aecepte seu accepta fuerint ex parte talis ca-

merarij quod ipsa pingnora teneat, recolligat et recolligere
debeat infra decem dies a die precepti sic fiendi ex parte
dieti camerarii, de quo precepto sie faciendo constare debeat
manu publici notarij et per publicam scripturam. Et si ille
cui faetum fuerit tale preceptum, non recolligerit dicta
pingnora seu tenutas infra dietum tempus, quod sit licitum
tali eamerario ipsa pingnora seu talem tenutam vendere et
pretium inde consequendum ex dieta vendictione mictere
in utilitatem et comodum et ad introitum diete artis ac si
pro ipsa arte essent accepta, usque ad summam et quantita-
tem debitam. dicte arti. Et si quantitas talis pretij et tenute
excederet summam et quantitatem debitam dicte arti, tune
et eo casu omne id et totum quo plus venderetur restitui
debeat per massarium dicte artis illi cui fuerunt accepta talia
pingnora et tenuta; si vero dicta pingnora, seu tenuta non

fuerint seu fuerit accepta pro arte sed ad petitionem ali-

euius spetialis persone, tune et eo casu massarius dicte artis
teneatur ipsa pingnora consignare et tradere illi ad cuius
petitionem accepta fuerunt.

[RuB. XIV] De festivitatibus celebrandis.

(1) Item statuerunt, providerunt, ordinaverunt et refor-

maverunt quod omnes et singuli homines et persone de

dieta arte et dictam artem facientes et exercentes teneantur
et abstricti sint vineulo juramenti celebrare et sollempniter
custodire infrascriptas festivitates, videlicet:

€ Festum Nativitatis dni nri Ihu Xpi.

C Festum pascatis resurrectionis dni nri Ihu Xpi.

€ Festum pascatis Epiphanie.

€ Festum assumptionis beate Marie virginis.

(1) In margine : C. fin, de feriis c. wnic. de Relig. XIIII d. venerat :
sanctor, in 6 statut Perus, lib. II, rub. 24.

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240 T. VALENTI

C Festum sancte Marie candelorum (sic).

C Festum corporis dni nri Ihu Xpi.

C Festum ascensionis dni nri Ihu Xpi.

C Festum sancte Marie de mense Martij.

C Festum pascatis Pentecosten.

C Festum sancte Marie de mense Septembris.

Ita et taliter quod in ipsis festivitatibus vel earum al-
tera homines et persone dicte artis seu dictas artes exercen-
tes non possint nec debeant, sed eis liceat per se vel alium
ponere discos seu banchos in platea comunis Perusij nec in
aliis locis ubi solitum est vendi olera, fructus, poma nec
aliquid aliud quod ad dictam artem spectaret; nec vendere
seu vendi facere per se vel alium in aliqua dictarum festi-
vitatem (sic) publice, vel secrete in aliquo loco. Et qui con-
trafecerit solvat pro qualibet vice qua ceontrafecerit mas-
sario dicte artis pro ipsa arte recipienti pene nomine viginti
soldos denariorum. Et de hijs credatur et stetur sacramento
accusatoris, vel relationi numptij diete artis, salvo quod si
contigerit Dominum Papam venire Perusium quod predicta
non vendicent sibi locum, et eo casu ad dictam penam. nul-
lus artifex teneatur durante tempore quo summus pontifex,
seu papa in Perusio moratur. Et si aliqua dictarum festivi-
tatum venerit in die Sabbati non vendicet sibi locum et
quod vendentes et ementes in dieta die Sabbati penam ali-
quam non incurrant.

[RuB. XV] Quod emens ortum vel poma. debeat venditorem in-
terrogare an alteri prius vendiderit vel locaverit. Rca.

(1) Item statuerunt, providerunt, ordinaverunt ‘et refor-

maverunt quod quicumque de dicta arte vel dictam artem
faciens vel exercens emens, vel emere volens aliquem ortum,

(1) In margine: XVI.
STATUTA ARTIS SPICCICARELLORUM ET HORTULANORUM ECC. 241

poma vel rem aliquam pertinentem seu spectàntem ad di-
etam artem, quod ipse primo teneatur interogare vendito-
rem si dietum ortum, vel poma vendiderit alteri de dicta
arte, vel promiserit. Et si ille venditor dixerit et respon-
diderit quod sie, quod ille qui voluerit dictum ortum, vel
dicta poma emere, non emat; sed statim a mereato, con-
venetione seu foro desistat. Et si emerit sciens alius emisse,
vel responsione predicta habita, seu dicta interrogatione non Ilii
faeta, solvat nomine pene et bampni massario dicte artis, |
o pro dieta arte recipienti pro qualibet vice qua contrafecerit Tip
| tertiam partem pretii diete emptionis. Et emptio ab eo faeta (EH
; deveniat et devenire debeat in primum emptorem; et cre- |

datur de hijs sacramento primi emptoris de tempore quo HM

emit. |

[RuB. XVI] De sconocchijs, rocchis vel colimbis sew lanestris Ital
non tenendis in aliquibus locis.

|o (1) Item statuerunt, providerunt, ordinaverunt et refor- MEE
maverunt quod nulla mulier, seu femina de dicta arte, seu nm
dietam artem faciens, vel exercens possit debeat, audeat in
| vel presumat retinere roccham seu sconocchiam vel lane- Ed
E . strum dum et quando fuerit seu steterit in platea mangna,
seu in platea de Supramurum cum mercantiis seu derratis
ad vendendum. Contrafaciens vero solvat nomine pene et
bampni massario dicte arts, pro dieta arte recipienti, quin- il
que soldos denariorum; et de predictis stetur sacramento t Hm
accusatoris, et habeat medietatem bampni. Et insuper ca-
| merarius dicte artis possit et teneatur vinculo juramenti ex
} offitio jnquirere contra delinquentes et repertus (sîc) culpa-
biles punire et condepnare juxta et secundum formam pre:
sentis ordinamenti.

(1) In margine: XVI. A destra é disegnata una mano che tiene
D - una sconocchia. | in

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atte ar.

242 T. VALENTI

[RuB. XVII] De pueris et cunis non retinendis in aliquibus locis
ei temporibus.

(1) Item statuerunt, providerunt, ordinaverunt et refor-
maverunt quod nulla femina faciens artem predictam audeat
vel presumat retinere aliquem puerum, vel aliquam puellam
in locis ubi dieta ars facit seu exercet, in cuna vel in ca-
nestro, vel in aliqua cestula. Contrafaciens vero solvat no-
mine pene et bampni massario dicte artis pro dicta arte
recipienti, quinque soldos denariorum. Et de predictis stetur
et credatur sacramento accusatoris et denumptiatoris. Et
predicta intelligantur in platea magna, sive in platea de
Supramurum. :

[RuB. XVIII] Quod camerarius pacificet artifices discordantes.

(2) Item. statuerunt providerunt, ordinaverunt et reforma-

- verunt quod si aliqua discordia esset inter aliquos artifices

dicte artis, quod camerarius dicte artis, qui pro tempore fuerit,
teneatur et debeat vinculo juramenti, eos pacificare. Et qui-
cumque non paruerit seu non obedierit camerario in predi-
ctis, solvat massario dicte artis, pro dicta arte recipienti, pene
nomine et bampni Centum soldos denariorum pro qualibet
vice. Et quilibet camerarius dicte artis qui pro tempore
fuerit possit talem, seu tales desidentes et discordantes et
non obbedientes plenarie mandatis dicti camerarij, confi-
nare (3) et ad confinia relegare ubicumque sibi placuerit.
Et eos punire et condepnare atque multare prout sibi vi-
debitur et placebit.

. (1) In margine è assai bene disegnato a penna un bambino a brac-
cia protese, in atteggiamento festoso.
(2) In margine: XVIII. Vide infra cap. 39.
(3) In margine: S.* cap. I, infra.
STATUTA ARTIS SPICCICARELLORUM ET HORTULANORUM ECC. 248

[RUB. XIX] De executione bampnorum.

(1) Item statuerunt, providerunt, ordinaverunt et reforma-
verunt quod camerarius dicte artis, qui pro tempore fuerit,
teneatur et debeat vinculo juramenti accipere penas et bam-
pna a personis dicte artis, qui eas incurrerint virtute statu-
torum et ordinamentorum diete artis seu condempnationum
fiendarum per eum contra delinquentes tempore sui offitij.
Et quod eamerarius dicte artis teneatur et debeat penas ipsas
.exigere pro dieta arte. Quarum penarum sic per ipsum exi-
gendarum medietas sit camerarij et reliquas (sic) medietas
dicte artis.

[Rus. XX] De decimum. (sic) per camerarium recipiendo.

(2) Item statuerunt, providerunt, ordinaverunt et refor-
maverunt quod camerarius dicte artis, qui pro tempore fuerit,
jurisdietionem, auctoritatem potestatem, arbitrium et bayliam
habeat omnes et singulas lites, causas, controversias et que-
stiones que essent inter artifices dicte artis et operantes
dietam artem, seu inter artifices et operantes dictam artem
et alios quoseumque non artifices, seu non adseriptos in
dieta matrieula de rebus, mercantiis et arnensibus pertinen-
tibus et spectantibus ad dictam artem vel non, cognoscere,
decidere, sententiare et terminare prout et quemadmodum
putaverit juxtum fore. Et quod quilibet camerarius, qui pro
tempore fuerit, coram quo lis aliqua seu questio moveretur
de rebus et mercantiis seu nummatis pertinentibus ad dictam
artem, non audiat aliquem in predictis, nisi primo solverit
decimum ipsi camerario ad rationem duodecim denariorum
pro qualibet libra in totum quod solvi debeat per actorem
totius quantitatis petite seu extimationis-ipsius; ubi vero

(1) In margine: XVIII.
(2) In margine: XX.

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944 T. VALENTI

quantitas certa non peteretur, solvatur secundum extima-
tionem fiendam per camerarium, qui pro tempore fuerit cum
duobus artificibus dicte artis, quos secum habere voluerit,
quod decimum solvi debeat primo et principaliter per acto-
rem. Et si reus confitebitur in principio litis coram dicto ca-
merario debitum vel rem petitum, restituat idem reus actori
medietatem dicti decimi tantum. Et si reus infra terminum
sibi per camerarium assingnandum non: solverit seu satis-
fecerit, vel si negaverit, seu infra terminum non solverit,

totum decimum actori reddere teneatur. Et ad hoe ut lites .

non prorogentur et advocatorum et procuratorum cavilla-
tionibus obvietur, statuerunt, providerunt, ordinaverunt et
reformaverunt quod coram'eamerario dicte artis non possit
in aliqua causa vertenti coram eo per aliquem duci aliquis
advocatus vel procurator, et qui contrafecerit punietur per
camerarium dicte artis in decem libris denariorum.

[RuB. XXI] Quod nullus de dicta arte possit jmbalcare ortum
vel cameram, alicui de dicta arte.

(1) Item statuerunt, providerunt ordinaverunt et refor-
maverunt quod nullus de dieta arte audeat vel presumat
per se vel alium jmbalcare alicui de dicta arte ortum sive
coptumum .alieuius tenimenti terre vineate et non vineate
seu alicuius petie terre laboratorie seu ortate seu cameram
vel locum. Contrafaciens quilibet solvat massario dicte artis
pro ipsa arte recipienti nomine pene pro qualibet vice qua
contrafecerit decem libras denariorum. Et nicchillominus or-
tum, cameram sive coptumum vel locum retinere, consequi
vel-habere non valeat dietus secundus conductor et imbal-
tiator per se vel alium, inde ad quinque annos ex tune pro-
xime secuturos, sub pena vigintiquinque librarum denariorum

(1 In margine: XXI.
*

STATUTA ARTIS SPIOCICARELLORUM ET HORTULANORUM ECC. 245

pro quolibet anno quo dietum coptumum, eameram seu lo-
cum retinuerit.

[RuB. XXII] Quod nullus possit conducere vel accipere ad cop-
tumum vel laboritiwm ortum vel rem nisi a domino rey.

(1) Item statuerunt, providerunt, ordinaverunt et refor-
maverunt quod nullus de dieta arte audeat vel presumat
tollere nee recipere ad coptumum aliquem ortum vel pos-
sessionem alieuius, nisi ab illo cuius principaliter esset pos-
sessio. Et qui contrafecerit solvat massario diete artis nomine
pene pro qualibet viee decem libras denariorum.

[RUB. XXIII] De parte bampnorum camerario dicte artis
debita.

(2) Item statueruut, providerunt, ordinaverunt et refor-
maverunt quod quilibet eamerarius dicte artis qui pro tem-
pore fuerit habeat et habere debeat a massario dicte artis,
quolibet semestri tempore, medietatem omnium et singulo-
rum bampnorum et penarum que et quas tempore sui offitii
venire fecerit in dicta arte.

[RuB. XXIV] Quod nullus emat in die Sabbati ante nonas.

(3) Item statuerunt, providerunt, ordinaverunt et refor-
maverunt pro bono, pacifico et tranquillo statu civitatis Pe-
rusij et ut maior habundantia fructuum et aliorum victualium
spectantium ad dietam artem sit et fiat in civitate Perusij,
quod nullus de dieta arte, seu dietam artem faciens, audeat
vel presumat emere, vel emi facere per se vel per alium, pu-

(1) In margine: XXIJ.
(2) In margine: XXIIJ.
(3) In margine: XXZIIJ.

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246 T. VALENTI

blice vel secrete, tacite, vel expresse aliquam quantitatem
fructuum, olerum vel aliorum victualium ad dictam artem spe-
ctantium et pertinentium in aliquo die Sabbati ante nonas.
Qui vero contrafecerit solvat nomine pene camerario dicte
artis, pro se et dicta arte recipienti, pro qualibet vice viginti
soldos denariorum, sibi de facto per camerarium dicte artis
accipienda, reperta veritate.

[RuB. XXV] De sale certo tempore non vendendo.

(1) Item statuerunt, providerunt, ordinaverunt et refor-
maverunt quod nullus de dicta arte audeat vel presumat
vendere, nec vendi facere, per se, vel per alium, publice,
vel secrete aliquam quantitatem salis, nisi illis temporibus
quibus lieite vendere possunt artifices salaioli. Et qui con-
trafecerit solvat nomine pene pro qualibet vice quinque sol-
dos denariorum massario dicte artis, recipienti pro dieta arte
et maiori et minori sibi arbitrio dicti camerarij auferenda.

[RuB. XXVI] De faculis portandis ad luminarias.

(2) Item statuerunt, providerunt, ordinaverunt et refor-
maverunt quod camerarius et artifices dicte artis teneantur
et debeant accendere ad luminarias et processiones ordina-
tas et ordinandas per comune Perusij pro quolibet eorum
unam faculam cere, ponderis ad minus duarum librarum. Et
quod dieti artifices dictas faeulas debeant restituere, et reas-
signare camerario seu massario dicte artis pro ipsa arte re-
cipienti sex denarios, pro quolibet die et qualibet vice qua
plus steterit in non restituendo dictas faculas, prout supe-
rius est expressum.

(1) In margine: XXV.
(2) In margine; XXVI,

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STATUTA ARTIS SPICCICARELLORUM ET HORTULANORUM ECC. 247

[RuB. XXVII] De hijs qui cogi possunt per camerarium dicte

artis et de jwrisdictione et cognitione dicti camerarij.

(1) Item statuerunt, providerunt, ordinaverunt et refor-
maverunt quod camerarius dicte artis, qui pro tempore fue-
rit, possit et sibi liceat cogere et cogi facere realiter et per-
sonaliter omnes et singulos homines et personas facientes
et operantes dictam artem, tam vendendo melangolas seu
melarancias, quam etiam alia poma, olera et oleum et alios
fruetus arborum et erbarum pro honorando omnes festivita-
tes ordinatas et ordinandas per comune Perusij pro habun-
dantia habenda in civitate Perusij victualium et fructuum
aliorum que ad hominis vitam pertinent et spectant ut veros
artifices juratos in dicta arte et scriptos in matricula dicte
artis, seeundum formam ordinamencti comunis Perusij et ar-
tis predicte pro quibuscumque causis et quacumque de causa
ad aliquid teneretur alicui cuicunque et de ipsis congno-
Scere, non obstante quod non essent artifices. Salvo quod
predicta se non extendant quo ad executionem instrumenti
confessionati; quo casu camerarius diete artis se intromictere
non debeat de hijs de quibus appareret publicum jnstrumen-
tum; salvo quod non esset sibi concessa facultas et potestas
virtute dieti jnstrumenti.

[Rus. XXVIII] Quod nullus possit vel debeat aliquid opponere
contra aliquem. de dicta arte qui fuerit extractus et publi-
catus in camerarium et pro camerario diete artis.

(2) Item statuerunt, providerunt, ordinaverunt et refor-
maverunt omni modo, via, jure, et forma quibus magis, me-
lius et utilius potuerit pro bono, pacifico et tranquillo statu

(1) In margine: Olio e melarancie XXVIJ. A destra è disegnato a
penna un albero di aranci.
(2) In margine; XXVIII,

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248 T. VALENTI

civitatis Perusij et pro honore augmenctatione, acconcimine
et eonservatione artis et artifieum dicte artis quod nullus
artifex dicte artis vel dietam artem operans vel exercens,
per se vel per alium audeat vel presumat, publice vel se-
crete, tacite vel expresse aliquid dicere, proponere, opponere,
allegare vel excipere contra aliquem qui extractus fuerit
in eamerarium diete artis, de saeculo camerarij existenti in
archivio comunis Perusij seu alium qui fuerit electus per
camerarium et rectores dicte artis, in casu quo de saeculo
existente in dicto archivio aliquis mortuus extractus extite-
rit et fuerit et per ipsos camerarium et rectores alius sub-
stitutus deputaretur et adsumeretur in camerarium diete ar-
tis; contra quos, vel aliquem ipsorum nil possit diei, obici
vel opponi; nec dieere vel allegare dictam electionem, as-
sumptionem et nominationem dicti camerarij vel substituti
non tenere, vel esse nullam et talem sie extrahendum de
Saeculo, seu subrogandum loco talis mortui non tenere, vel
talem sie assumendum in camerarium dicte artis esse ina-
bilem ad dictum offitium camerariatus diete artis exercen-
dum; immo si quis artifex dicte artis fuerit ad curiam voca-
tus per aliquem presidem seu offitialem volentem se oppo-
ne contra predicta suo motu vel ad petitionem camerari],
teneatur et debeat dicere coram dieto preside seu offitiali,
ipsum camerarium sic publicatum de sacculo, seu alium sub-
rogandum loco camerarij extracti qui decesserit, ipsum ca-
merarium legiptime fore assumptum et deputatum, modo
superius declarato. Et ipsum esse, posse et debere tale offi-
tium exercere. Qui vero contrafecerit sit et esse intelligatur
admonitus, remotus et privatus in perpetuum ab omni ho-
nore, comodo et offitio dicte artis. Et quod camerarius, qui
pro tempore fuerit, possit talem delinquentem et contra pre-
dieta facientem capere et capi facere cogi et detineri, tam
realiter quam personaliter, tam per numptium diete artis
quam per bayulum comunis Perusij seu familiares domino-
rum potestatis et capitanei et cuiuscumque alterius offitialis
STATUTA ARTIS SPICGICARELLORUM ET HORTULANORUM ECC. 249
dicti comunis et ipsum seu ipsos sie delinquentes ad confi-
nia ponere, mictere et relegare in illo loco vel locis prout
et quemadmodum dieti (sc) camerario qui pro tempore fue-
rit videbitur convenire totiens, quotiens ipsum (sic) camera-
rium (sic) placuerit et ipsum vel ipsos sic delinquentes et
contrafacientes infra terminum trium dierum cassari facere
«de matricula dicte artis sine alio consilio, suo proprio motu
et sub eadem pena si dietus camerarius negligens fuerit in
predietis vel aliquo predictorum. Et quilibet possit de pre-
dietis esse accusator et credatur suo juramento, cum proba-
tione unius testis fidedigni, et utrum sit talis testis fide din-
gnus stetur simplici dieto et assertioni camerarij qui pro
tempore fuerit, aliquo statuto, ordinamento seu reformatione
in contrarium ad predicta loquente non obstante, quibus quo
ad predieta sit per presens ordinamentum, statutum provi-
sionem et reformationem specialiter derogatum.

[RuB. XXIX] Quod camerarius, massarius et notarius dicte
arlis habeant. faculas in luminarijs.

(1) Item statuerunt, providerunt, ordinaverunt et refor-
maverunt quod camerarius et massarius dicte artis et etiam
notarius diete artis, qui pro tempore fuerint, habeant et ha-
bere debeant in qualibet festivitate qua itur per eamerarios
et artifices dicte artis ad luminariam et processionem secun-
dum formam statutorum et ordinamenctorum . comunis Pe-
rusij unam faculam ponderis trium librarum cere pro quo-
libet eorum. Et insuper quilibet camerarius dicte artis sin-
gulis sex mensibus habeat, consequatur a massario dicte artis
pro suo salario, de pecunia dicte artis sex libras denario-
rum, sibi solvendas per massarium diete artis qui pro tem-
pore fuerit, aliquo non obstante.

(1) In margine : XXVIIIJ.

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[RuB. XXX] Quod camerarius dicte artis non possit. aliquem
deserbii facere im matricula diete artis, nisi ex delibera-
lione totius adunantie.

(1) Item statuerunt, providerunt, ordinaverunt et refor-
maverunt quod presens camerarius vel aliquis alius, qui pro
tempore fuerit, pena Centum librarum denariorum contra-
faciente quolibet auferenda per suum proximum successorem,
tempore sue vilicationis sindieatus, applieanda dicte arti (2),
possit vel sibi liceat aliquem describere, seu scribi facere in
matricula dicte artis, nisi in adunantia publica dicte artis,
que adunantia totaliter sit in numero condecenti artificum
celebrata (3), et in qua inter artifices dicte artis ponatur ad
partitum per dictum camerarium inter artifices ipsius artis
utrum velint talem abseribi et poni in dicta matricula, an ne.
Et in qua adunantia per omnes in concordia sollempniter
facto, posito, misso et obtempto partito, nemine discordante (4)
quod talis deseribi debeat in matricula süpradieta. Et quod
quieumque describetur de cetero in matricula supradicta, ser-
vata tamen forma predieta, solvat (5) pro introitu massario
diete artis, pro dicta arte recipienti, Centum soldos dena-
riorum; et aliter recipi et describi non valeat ullo modo;
exceptis filiis artifieum dicte artis (6) qui tantum solvant qua-
draginta soldos denariorum. Et quicumque exire voluerit de
dieta arte solvat camerario dicte artis XL soldos denario-
rum, pena cuilibet proponenti vel contrafacienti vel scribi

(1) In margine: XXX.

(2) In margine: Nota quod presens Side imum. ad. presens libere
servatur.

(3) Quot artifices ista ars debeat, habere vide Stat. Perus, lib. I, rub. 85.

(4) Hoc autem est intelligendum et limitandum iuxta Statutum Perus.,
lib. I, rub. 85.
(5) Solutio in ingressu facienda a (sic) intrante.

(6) Nota quod filii artificum tenentur. solvere pro introitu matricule,
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STATUTA ARTIS SPICGICARELLORUM ET HORTULANORUM ECC. 251

facienti contra presens ordinamentum Centum librarum de-

" nariorum.

[RuB. XXXI] De fideiussoribus prestandis in causa, occasione
recomvenctionis.

Item statuerunt, providerunt, ordinaverunt et reforma-
verunt quod quandocumque aliquis de dicta arte conveni-
retur per aliquem non artificem dicte artis coram camerario
ipsius artis, quod talis non artifex teneatur satisdare et fide-
iussorem prestare, qui sit artifex dicte artis, in causa recon-
venetionis de juditio sisti et judicatum solvendo, et aliter
non audiatur.

[RuB. XXXII] Quod nullus possit esse camerarius misi primo
fuerit et steterit abscriptus in matricula dicte artis per de-
cem amnos ante publicationem. offitii talis camerarij.

(1) Item statuerunt, providerunt. ordinaverunt et refor-
maverunt ex arbitrio et auctoritate predictis, omni modo,
via, jure et forma quibus melius potuerunt, considerantes et
actendentes quod illis qui pro arte predieta labores et onera
non portarunt, non lieet ut gaudeant offitiis et honoribus
dicte artis, prius quam illi qui longo tempore in dicta arte

et eius matrieula steterunt. Qua propter voluerunt et man-

daverunt quod nullus de cetero in ipsa matricula seriben-
dus, vel in ipsa arte recipiendus, possit nec debeat in came-
rarium, seu pro camerario diete artis insacculari eligi vel
assumi, nisi primo steterit in dicta matricula descriptus per
tempus decem annorum, ante publicationem talis offitij ca-
merariatus. Et si secus fieret, talis insacculatio, electio vel
assumptio non valeat, nec teneat ullo modo, set (sic) de alio

(1) In margine: Prohibitio officialium per decem annos..

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- 252 T. VALENTI

statim debeat provideri. Et quilibet eum insacculans, eligens
vel assumens quinque librarum denariorum penam ineurrat,
applicandam corpori dicte artis. Quam penam primus suc-
cessor talis camerarii ipsam penam teneatur et debeat acci-
pere et exequi pro dicta arte, et de ipsa executionem facere,
vinculo juramenti et sub eadem pena, si negligens extiterit
in predictis; aliquo generali vel speciali in contrarium ad
predieta loquente non obstante.

[RuB. XXXIII] De rerum extimationibus. faciendis.

(1) Item quia sepe contigit quod orti, coptumi et ter-
rena que per artifices dicte artis possidentur, in quibus olera;
poma et alij fructus sunt et consistunt in alios dicte artis
artifices transferuntur, que olera poma et fructus expedit et
est conveniens extimari, ex quibus contentiones et scandala
multotiens oriuntur, id cireho statuerunt, providerunt, ordi-
naverunt et reformaverunt quod ad omnem jurgiorum et
scandalorum materiam evitandam, quod ad huiusmodi exti-
mationes faciendas eligantur extimatores predictarum rerum
artifices dicte artis per partes et per illos quos tangit nego-
tium, tamen presente camerario diete artis. Et si partes non
essent in concordia tunc eligantur per camerarium diete ar-
.tis, qui pro tempore fuerit; quos sie eligendos seu sic electos
dietus camerarius cogere debeat realiter et personaliter ad
acceptandum et ad ipsarum (sic) extimationes faciendas et
declarandas infra tempus et terminum per ipsum camerarium
assingnandum eisdem. Quorum extimationi et declarationi
sic ut premictitur faciende, partes teneantur et debeant stare
et parere, vinculo juramenti et ipsas inviolabiliter observare.
Que omnia scribi debeat (sic) per notarium dicte artis qui
pro tempore fuerit; et de hijs solvi decimum pro extima

(1) In margine; XXXIII.
STATUTA ARTIS SPICCICARELLORUM ET HORTULANORUM ECC. 253

tione sie facienda, ad rationem duodecim denariorum pro
qualibet libra, pena cuilibet facienti (sic) quinquaginta libra-
rum denariorum, applicande dicte arti; aliquo non obstante.

[RUB. XXXIV] De quibusdam prohibitis insacculari.

(1) Item statuerunt, providerunt, ordinaverunt et refor-
maverunt quod nullus camerarius qui pro tempore fuerit, cui
competat refectio sacculi camerariorum dicte artis, possit
vel debeat insacculare in sacculo camerariorum dicte artis
aliquem de sua familia, vel qui steterit, vel habitare con-
sueverit cum eo in eadem domo, tempore refectionis dicti
sacculi, vel ante sex menses precedentes a die dicte -refec-
tionis saeculi; pena cuilibet insacculanti eontra dictam for-
mam centum librarum denariorum. Et nichillominus talis
insacculatio non valeat et sit nulla ipso jure, et camerarius
dicte artis qui pro tempore fuerit, cum talis camerarius fue-
rit publieatus et fuerit electus, contra formam presentis or-
dinamenti, teneatur et debeat vinculo juramenti executio-
nem facere summariam de predictis sub dieta pena. Et in
adunantia diete artis illico de alio camerario idoneo provi-
videre, sub eadem pena.

[Ruz. XXXV] Quod quilibet camerarius, qui pro tempore fue-
rit, possit sibi et dicte arti eligere unum de dicta arte in
massarium dicte artis.

(2) Item quod quilibet camerarius, qui pro tempore fue-
rit possit, teneatur et debeat in principio sui offitij eligere, no-
minare, assumere unum de dieta arte, quem idoneum duxerit
) et crediderit eligendum in massarium et pro massario dicte

(1) In margine: AXXIIIJ. Vide supra c. 32.
(2) In margine: XXXV. Non viget.

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artis, pro tempore semestrali pro ut durat offitium talis ca-
merarij eligentis; ad cuius massarij manus veniat et perve-
nire debeat totus jntroitus dicte artis tempore offitij talis
camerarij eligentis. Et talis sic electus, ad penam decem li-
brarum denariorum de facto per camerarium diete artis au-
ferendam, teneatur ipsum offitium acceptare et ipsum jurare
quod faeiet et operabitur bona fide, bene, et legaliter, omni
dolo et machinatione remotis sub dieta pena eidem massario:
sic eligendo non acceptanti per camerarium diete artis a
tali massario recusanti predicta facere; et si acceptare ne-
glexerit. Cuius pene medietas sit et esse debeat dieti came-
rarii et reliqua medietas diete artis; cui pene executionem
dietus eamerarius qui pro tempore fuerit, vinculo juramencti
facere teneatur contra talem massarium sie electus et ipsius
massariatus offitium exercere recusantem. Quam executio-
nem si dietus camerarius facere neglexerit, de facto cogi
debeat per suum proximum successorem ad solvendum no-
mine pene viginti libras denariorum; euius pene medietas
sit diete artis et alia medietas sit dieti camerarij dictam
executionem facientis, aliquo non obstante.

[Rur. XXXVI] Quod «ullus de dicta arte, seu dictam. artem
exercens possit vendere diebus festivis, nisi certi quibus
fuerit permissum per camerarium.

(1) Item quod nullus artifex vel alia persona artem pre-
dietam exercens in dieta civitate, burgis vel suburgis Perusij
possit nec debeat in diebus dominicalibus et prohibitis per sta-
tutorum et ordinamenta (sic) dicte artis formam et exigentiam
in civitate, burgis vel suburgis Perusij vendere nec vendi
facere in dicta civitate Perusij publice vel secrete aliquid
pertinens seu spectans ad dictam artem, pena viginti soldo-

(1) In margine: XXXVI.
STATUTA ARTIS SPICCICARELLORUM £T HORTULANORUM ECC. 255

rum denariorum pro qualibet vice et quolibet die qua per
aliquis (sc) de dieta arte fuerit in predictis in aliquo con-
trafactum; que pena applicari debeat diete arti a tali con-
trafaciente de facto per camerarium dicte artis, qui pro tem-
pore fuerit, auferenda. Salvo quod tali die dominicali possint
stare ad vendendum supramurum duo mulieres sive artifices
diete artis et duo in burgo porte Sancti Petri et duo in
! porta Saneti Angeli et una in porta Sancte Subxanne et
! una in porta Solis et una in porta Heburnea, secundum de-
putationem et declarationem fiendam per camerarium dicte
artis, qui pro tempore fuerit, sine aliqua pena, aliquo non
obstante.

[RuB. XXXVII] Quod nullus spiccicarellus wel spiccicarella
possit vendere melarancias misi tantum în platea.

(1) Item statuerunt, providerunt, ordinaverunt et refor-
maverunt quod nullus picicarellus seu picicarella vel artem
picicarie faciens vel exercens in civitate Perusij possit nec
debeat vendere in dicta civitate Perusij nisi tantum in platea
civitatis Perusij alapunica (sic) seu melarancias, pena cuili-
bet contrafacienti viginti soldorum denariorum, eidem de
faeto per eamerarium, qui pro tempore fuerit, auferenda ali-
quo non obstante. |

[RuB. XXXVIII] Quod nullus camerarius debeat accedere cum
tortitijs ad cadavera mortuorum | habitantium extra civita-
tem videlicet in suburgis Perusij.

(2) Item addendo capitulo posito sub Rubrica: « Quod Ca-
) merarius et artifices debeant accedere ad sepelliendum cada-

(1) In margine: XXXVII.
(2) In margine: XXXVIII.

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256 T. VALENTI

vera artifieum mortuorum de dieta arte » providerunt, statue-
runt, ordinaverunt et reformaverunt quod quando contigerit
uxorem alicuius artificis dicte artis, decedere, quod tune ca-
merarius diete artis cum jllis artificibus quos secum ducere
et habere voluerit, teneatur et debeat jre et accedere ad
domum dieti talis artifieis eum torchijs seu tortitijs in astis
ad honorandum cadaver talis domine decedentis. Et ad hoc
abstrietum sit vinculo jurameneti et ad penam viginti sol-
dorum denariorum eidem de facto per suum subsequentem
camerarium auferendam. Et quod. deinceps nullus camera-
rius qui pro tempore fuerit possit nec debeat jre, nec ac-
cedere occasione predieta ad honorandum cadaver seu cada-
vera alieuius artificis, nec alterius persone qui habitaret extra
muros civitatis Perusij,in suburgis Perusij; aliquo non obstante.

[RuB. XXXIX] Quod camerarius dicte artis teneatur artifices
desidentes reducere ad pacem.

(1) Item quod si contigerit in futurum quod artifices dicte '
artis venirent ad rissam seu ad contemptionem, quod came-
rarius diete artis, qui pro tempore fuerit, teneatur vinculo
juramenti cogere et abstringere talis (sc) sie rissantes ad
pacificandum. Et si quis ex dietis rissantibus neglexerit in
obbediendo mandatis dieti camerarii, solvere teneatur no-
mine pene vice qualibet decem libras denariorum, eidem de
facto pro dieta arte auferenda per dietum camerarium; ali-
quo non obstante.

[RUuB. XL] Quod quilibet non scriptus in matricula dicte artis
ipsam artem exercens solvat de sex mensibus in sex menses
certam. quantitatem.

(2) Item statuerunt, providerunt, ordinaverunt et refor-
maverunt quod quilibet non scriptus in matricula dicte artis

(1) In margine : XXXVIIIJ.
(2) In margine: XL.
STATUTA ARTIS SPICQICARELLORUM ET HORTULANORUM ECC. 257

et dietam artem operans vel exercens teneatur et debeat sol-
vere quolibet semestri tempore camerario dicte artis pro
dieta arte recipienti deeem soldos denariorum.

[RuB. XLI] Quod nullus camerarius, artifex vel massarius dicte
artis seu notarius eiusdem possit aliqua addere in dicta ma-
tricula.

(1) Item statuerunt, providerunt, ordinaverunt et refor-
maverunt quod nullus camerarius seu massarius dicte artis,
qui pro tempore fuerint seu notarius dicte artis possint in
futurum aliqua addere, diminuere, admovere, demere vel
mutare in dieta matricula, seu de dieta matricula absque
expressa licentia et deliberatione facta in adunantia dicte
artis et per adunantiam generalem dicte artis pena xxv li-
brarum denariorum a contrafaciente quolibet auferenda; de
qua pena camerarius dicte artis proxime secuturus teneatur
executionem facere contra tales delinquentes vineulo jura-
mencti sub dicta pena. Et nichillominus secus faeta non va-
leant neque teneant ipso jure.

(2) Item statuerunt, ordinaverunt et reformaverunt quod
quieumque intraverit seu intrare voluerit in dicta arte, sol-
vat et solvere teneatur et debeat pro introyto dicte artis,
antequam describatur in presenti matricula libras tres dena-
riorum massario diete artis, pro ipsa arte recipienti (3). Si
quis vero voluerit de dicta arte exire et se cassari facere de
dieta arte, quod faeta prima protestatione camerario dicte
artis, solvat et solvere teneatur et debeat dieto massario,

(1) In margine: XLI.
(2) Senza titolo. Altra mano. In margine; Solutio recepti in arte.

I XLII.
(3) In margine: Vacat et vide in altera parte. Cancelleresco.

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258 T. VALENTI

pro ipsa arte libras quatuor denariorum. Et quod camerarius
teneatur vinculo juramenti et pena centum soldorum dena-
riorum eogi facere dietum talem facientem dictam protesta-
tionem et dicentem se velle cassari de dicta arte, ad solven-
dum dietam qnantitatem my librarum. Non obstante ordi-
namento in presenti matricola descripto sub Rubrica: « Quod
camerarius diete artis non possit aliquem describi facere in
matricola ete. » ordinamentum quo ad predicta derogave-
runt expresse.

(1) Item nota quod statutum comunis Perusij primo sta-
tutorum pns: situat: Cap. 69 canente quod potestas comunis,
officialis et maior sindicus comunis Perusij teneatur et de-
beat observare omnia statuta et ordinamenta ... (2).

Qui termina lo statuto originale. Seguono alcune con-
ferme e riforme del medesimo. ottenute e deliberate in più
volte, a cominciare dal 1416, come accennai nel Proemio.

Tali. documenti hanno un notevole valore sussidiario,
ma non rientrano nella sostanza dello statuto. Perciò li rias-
sumo brevemente qui appresso, rispettando l'ordine col quale
tali atti si trovano inseriti nel codice, del quale sono stati
utilizzati saltuariamente i fogli che erano bianchi, trascu-
rando del tutto il nesso cronologico.

8 Decembre 1543.

Copia di un'istanza presentata dal Camerlengo e dai
Giurati dell'arte spizzecharellorum et Hortolanorum indiriz-

(1) Altra mano.
(2) Abraso.
STATUTA ARTIS SPICQICARELLORUM ET HORTULANORUM ECC. 259

zato al Legato di Perugia Ascanio Parisani, Vescovo di Ri-
mini.

In questa si domanda la conferma del diritto e della fa-
coltà che aveva la Società di riscuotere la dogana degli eser-

centi quell’arte e che vendevano Olera et herbas comedibiles,

pepones, agrumina, mala arancea, castaneas, oleum et quecum-
que non legumina, panicum, milium, fabas et alia huiusmodi sic
poma et alios arborum fructus ad minutum vendi solita ; mec
ad minutum vendi solita et hortos facientibus ». La dogana,
si dice, era pagata ab immemorabili. Per qualche tempo ne
era stata trascurata la riscossione. Si chiede che per questo
non si dichiari perduto il diritto. Il legato conferma, ap-
prova e concede ciò che si domanda, secundum formam ma-
tricule et statutorum civitatis Perusie.

28 Febbraio 1522.

Altra supplica al Legato contro coloro che vendevano
in giorni festivi, contro le disposizioni dello Statuto, per
malignità o trascuranza dei passati camerlenghi. Si domanda
che il Legato si degni confermare, riformandole se occorre,
le disposizioni contenute nello Statuto su tale materia.

Il Legato conferma, concede e ordina ut petitur.

26 Giugno 1609.

Decreto del Card. Pietro Aldobrandini, Camerlengo di
S. Chiesa.

La Società aveva presentato alla C. A. per mezzo del
chierico di camera D. Girolamo Serlupi i suoi antichi Sta-
tuti per farli confermare. Della cosa si era anche interessato
il Commissario generale della C. A. Giulio Monterenzi, che
rimandò la decisione al giudice Serlupi qui expediat in forma
comuni. La Società aveva in ciò nominato suo procuratore
D. Fabrizio Cappella.

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260 T. VALENTI

I Serlupi, in seduta plenaria della C. A. propose la con-
ferma degli statuti.

In seguito a ciò il Card. Camerlengo approva il deli-
berato della C. A. ed ordina al Governatore di Perugia e
à chiunque altro spetti — pena 2000 duc. di eamera ed al-
tre pene ad arbitrio — di farli inviolabilmente osservare.

Firma per il visto: Girolamo Serlupi, chierico e giudice
della C. A. e Ciprio de Penna, notaro.

9 Dicembre 1717.

Copia autentica per mano del notaio perugino Gio. An-
tonio Rodolfini di una. deliberazione del Nobile Collegio
della Mercanzia. Si stabilisce che coloro che volessero en-
trare nel Collegio de’ Spizzicarelli paghino « 15 paoli per
ciascun giurato » e « altri paoli 15 al Camerlengo et altri
paoli 15 al Decano » óltre « al sollito pranzo da farsi a
tutti li giurati del nostro Collegio ». Approvata e registrata
a pag. 247 della « vacchetta ».
STATUTA ARTIS SPICGICARELLORUM ET HORTULANORUM ECC.

CONDE (12:10)

à (All'angolo superiore del margine sinistro : Miniatura. Fi-
gura di S. Pietro, sotto Varco di una porta. Fondo azzurro.
Contorno rosso. ‘Aureola. Tunica verde-oliva. Manto giallo-oro.
Chiavi nella destra, Libro chiuso nella sinistra).



Infrascripta sunt nomina et pronomina artificam homi-

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s!

num diete artis pigcecarellorum. i |
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In primis.

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DE PogrA SANCTI PETRI

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' (segue la matricola, certamente incompleta, con 24 nomi. Dal
f. 217 al 227 Il 22' è bianco. ALII

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Arcangelo che calpesta il dragone. Nel vano della porta. Fondo

262 T. VALENTI .

(f. 23)

(AU? angolo superiore del. margine sinistro: Miniatura. Fi-
gura di S. Antonio abate. Nel vano di una porta. Fondo az-
ewrro. Contorno rosso. Aureola. Libro chiuso mella destra. La
sinistra appoggiata al bastone. Tonaca grigia. Nell’angolo in-
feriore di sinistra della miniatura, lasciata in bianco dal mi-
niatore, è disegnato a penna un maiale).

DE PoRTA SoLIs

I

(segue la matricola con 37 nomi, che vanno dall'anno 1527
al 1761, dal foglio 23" al 24r. Il 244 à bianco).

(f. 25)

(All angolo. superiore di sinistra - Miniatura: S. Michele
STATUTA ARTIS SPICCICARELLORUM ET HORTULANORUM ECC. 263

azzurro. Aureola. Manto turchino con risvolti verdi. Tunica
bianca ornata di rosso. Ali rosse. Nella mano destra una sfera
d'oro. Nella sinistra una lancia col ferro rivolto in basso e con-
ficcato nella bocca spalancata del drago, che è verde con ali
rosse).

DE PORTA SANCTI ANGELI

die ;
rotazione

(segue la matricola, con 57 nomi. Dal f. 25" al 26° ).

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(f. 27)

(All angolo superiore di sinistra: Miniatura: nel vano di Ì
una porta, su fondo azzurro, S. Susanna. Tunica bianca. ll
Manto arancione. Awreola. Nella destra la palma del martirio.

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Nella sinistra un libro chiuso. Questa mimiatura è su di un x [Nika

tinte uti uus



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. Fondo azzurro. Tunica verde.

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T.

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DE PoRTA SANCTE SUBXANNE

29)-
(Al angolo. superiore di sinistra: Miniatura: S. Giacomo

(t.

Manto rosa, che dalla spalla sinistra scende a coprire il piede

(seguono i nomi degU immatricolati: 32 in tutti. Dal f. 27

S
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prire una prima prova male riuscita).

apostolo. Nel vano di wna porta
265

STATUTA ARTIS SPICGICARELLORUM ET HORTULANORUM ECC.

destro. Aureola. Nella mano destra un libro chiuso. La sinistra
appoggiata al bordone).

DE PoRTA EBURNEA

(segue la matricola con 62 nomi, dal f;:599mabsT 305 ).- In
testa al f. 30" a caratteri assai più grandi di quelli di tutti gli
altri nomi è scritto quello di GisMonDo DE MESSER ANDREA,
di cui già ho fatto cenno (1).

I fogli dal 81" al 34' sono occupati da altre matricole sup-
pletive di iscritti all arte: di Porta Sole, 25 nomi; di Porta
S. Angelo, 5 nomi; di Porta S. Susanna, 5 nomi; di Porta
Eburnea, 14 nomi; di Porta S. Angelo un solo nome.

; (1) V. sopra pag.

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28 Dicembre 1416

(1:35);

Verbale di adunanza. «Presenti Meo Martini di P. S.A.
camerlengo e cinque probi viri: Silvestro Martinelli di Porta
Sole, Giovanni Marini di Porta S. Angelo, Angelo Petri di
Porta S. Susanna, Angelino Stefani di Porta S. Pietro e Me-
nicuccio Lippi di Porta Eburnea nominati nel adunanza del-
PArte. Deliberano:

l. — Di rifare la matricola, riordinandola, perché
molti sono morti, altri sono iscritti pur non habentes libram,
contro gli statuti. Si riscrivano tutti, porta per porta.

2. — Che nessuno degli iscritti ardisca nelle adunanze
fare proposte contro ed oltre gli statuti.
3. — Che nessuno sia iscritto nella matricola, senza

il consenso degli altri artisti della Porta e che eserciti l'arte
del pollaiolo. E paghi, se cittadino 4 lib. di den. Se cam-
pagnuolo 5 lib. Pena ai contrafacienti 50 lib.

4. — Se un forense viene fatto cittadino, artifex et
juratus im dicta arte, si scriva nella matricola tra i cittadini
della sua Porta e paghi 20 lib.

5. — « Qualunche fusse publicato priore [del Comune]
sia obbligato pagare fio. 1 al camerlengo de la dicta arte ».
E paghi prima di assumere T offieio, pena 10 lib.

6. — Che non si deliberi di lasciare arbitri il camer-
lengo, né i cinque probi-viri. Altrimenti sia nulla la loro
elezione. Pena 25 lib. a chi proponesse altrimenti.

7. — È incompatibile la carica di camerlengo del-
l’arte con i seguenti uffici: Custode delle carceri del Co-
mune di Perugia; Portinaio, cuoco, guattero, servo di al-
cuno dei priori o dei conservatori o dei massari. Chi ha tali
incarichi non può essere énsaccolato. Pena 100 lib.

8. — Chi vuol uscire dall’arte, possa farlo quando
vuole, fatte le proteste prescritte dallo Statuto; e non si
cancelli, senza che debba pagar nulla.
STATUTA ARTIS SPICQGICARELLORUM ET HORTULANORUM ECC. 267

9. — La carica di camerlengo sia in avvenire incom-
patibile con quella di massaro.
Rog. del notaio Bartolomeo di M. Filippo.

10 Marzo 1420.

(f. 37).
Verbale di adunanza. Presenti Adamo di Giovanni di
Porta San Pietro camerlengo e Meo Martini di Porta S. An-
gelo, Filippo Nicoluzzi di Porta Sole, Angelino Stefani di
Porta S. Pietro, Paolo Sesta di Porta S. Susanna e Paolo
Belle di Porta Eburnea, probi-viri. Nella chiesa di S. Maria
del mercato.
1. — Nessuno sia obbligato dare la torcia ad alcun
comitatense, abitante nel contado di Perugia, quando si fa
la luminaria, nè ad alcun altro contadino non habentem acti-

tudinem civilem (!).

2. — Il eamerlengo possa durante la sua carica fare : Ab
spese straordinarie fino alla somma di 30 lib. den. |
3. — Il eamerlengo deve esigere le imposte durante

il suo offieio. Se non lo farà, paghi del proprio quando ren-
derà i conti.

4. — I 5 probi-viri non sieno tenuti al pagamento
delle imposte, finché sono in carica. (Se lo deliberavano da
loro stessi !).

5. — Gli statuti qui scritti abbiano pieno valore e ad | NE
essi si dia piena fede, e vengano osservati da tutti gl iscritti, | |
come se di nuovo fossero stati fatti dal camerlengo e dai | i 4 |
5 probiviri. Le iscrizioni nella matricola non si possono fare | Ini
che dal notaio. Pena 15 lib.

Rog. Bartolomeo di M. Filippo.

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22 Gennaio 1430.

(f. 38).

Verbale di adunanza generale dell’arte nella Cappella
dei Vincioli, detta el capitolo, nella chiesa di S. Francesco,
di Porta S. Susanna dove di solito si tiene adunanza del:
l'arte, d'ordine del Camer: Angelino Stefani di Porta San
Pietro, a voce di banditore il giorno avanti solennemente
annunziata. Presenti 60 artisti, cioè più della metà.

l. — Visto il grande numero degli iscritti, essendo
perció diffieile adunarne piü della metà, per avere il numero
legale, Giacomo Petri, detto Cae ru propone che siano ) Suf-
fieienti 30 intervenuti.

2. — Si approvano le spese per la luminaria delle
feste di S. Ereolano e di S. Costanzo.

Rog. del notaio Cristoforo Blaxij.

26 Luglio 1445 (407).

(£:835 5
Martino di Giovanni di Porta Eburnea camerlengo. Adu-

nanza generale. Si delibera che l'adunanza sia valida anche
con 20 presenti.

Rog. Cristoforo Blaaij.

1 Gennaio 1637.

(f. 39).
Adunanza generale. Si delibera:
l. — Che il Camerlengo debba esigere la dogana e

riscuotere frutti di censi, e renderne conto ai revisori da

eleggersi di 6 mesi in 6 mesi. Ritenga Der se 10 fio. papali
a 6 paoli e !/, per fior.
STATUTA ARTIS SPICCICARELLORUM ET HORTULANORUM ECC. 269

2. — Nessun eamerlengo possa rifiutare la carica a
meno che non sia malato o carcerato (!). In tal caso lo so-
stituisca il più anziano. Seguono tutte le firme.

7 Marzo 1637.

Nelle case e botteghe dei giurati dell'arte il notaio Giu-
=) ben)
seppe fu Benedetto Galuzzi autentica le firme.

Marzo, 1926.

TOMMASO VALENTI.

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SECESSIONE DA ORVIETO

DE CONTITI DI MONTE GIOVE
E LORO SOMMESSIONE A PERUGIA

(1380 - 1394)

In questo scorcio di secolo, querele e liti contro il co-
mune di Orvieto turbarono le mura tranquille di Castel
Monte Giove. Pacifici, invece, i rapporti tra Perugia e i
conti di Marsciano stanziati in quel distretto. Pe' due rami,
parranese e mongiovese, nell’ orvietano, ora erano obbedienze
rifiutate o condanne per delitti contestate, come si vide per
Bulgaro di Tiberuccio, ora esazioni frequenti e gravose di
gabelle, dative, collette con servizi e prestazioni, ora immu-
nità da alcune di queste, conseguite da vicari pontifici, ma
disconosciute o mal tollerate dal comune d’Orvieto. Contro
la cui pressione tributaria e per altre questioni su certe terre;
possedimenti e loro vassalli avendo i conti di Monte Giove
promosso lite, mentre questa pendeva davanti al rettore della
provincia del patrimonio, il comune volle farsi giustizia da

(1) Il castello Montis Iovis de montanea (m. 627) a sud-est del Mon-
terale e a quasi uguale distanza tra Perugia e Orvieto, fondato nel 1281
dal conte Nerio di Bulgaruccio e dominato per oltre un secolo dai suoi
discendenti — del ramo collaterale de’ conti di Parrano e di Marsciano —,
poi successivamente dai Corbara, dai Monaldeschi della Vipera, dai Leo-
nessa, dai Gattamelata, dal conte Antonio di Marsciano ed eredi, è ora
proprietà del march. Lorenzo Misciattelli. Vi ebbe i natali la b. Angelina,
istitutrice del monastero delle contesse in Foligno. Da una monografia del

| prof. C. Simoni pubblicata in soli cinquanta esemplari: « I7 castello di
Monte Giove de Montanea »: Roma, Grafia, 1925 leviamo questo capitolo
notevole per le attinenze con la storia di Perugia.

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272 C. SIMONI

sé. Al sopruso si ribellarono l’ abate. Nicolò coi nepoti Nicolò
e Mariano conti di Monte Giove, Bulgaro di Tiberuccio con
Federico di Baldino signori di Parrano, Ludovico di Bindo
signore di Brandeto in quel di Monte Leone e Bernardino
di Azzo, i quali rieorsero a Geraldo, rettore generale del Pa-
trimonio. Questi con lettera 28 giugno 1373 da Perugia ai
reggitori d’ Orvieto, dopo aver deplorato che nella litis pen-
dentia « voi vi adoperiate a fare moltissime novità contro i pre-
« detti nobili e i loro vassalli, mandando vicari nelle loro terre
« e portando via con la forza e la violenza e contro ogni di-
« ritto e ragione persino le chiavi del castello di Monte Giove »,
impone, con minaccia di pene, di non recare ulteriori danni
e novità e, per quelle già compiute, a rimettere in pristino
le cose (1). Non pertanto continuarono, sotto la pressione
degl’ interessi cittadini e degli odi di parte, le vessazioni e
ingerenze del Comune nelle contee di Monte Giove e di Par-
rano. Più specialmente le fomentavano i privilegi di esen-
zione strappati, si diceva, alla longanimità pontificia, sotto
titolo di benemerenza politica, a pregiudizio del Comune
oberato « propter guerrarum turbinem » (2). Questi ricorse al
Papa lamentando come tali immunità avessero così assotti-
gliate le proprie entrate da non bastare ai salari del vica-
rio, de’ castellani e degli altri ufficiali, e doversi ricorrere a
nuovi balzelli, non senza perturbamento dell’ordine pubblico
e danni e scandali, « cum ‘psae gravedines non supportentur
« ab omnibus prout debeat » (3). Per incarico del Pontefice

(1) Archivio Comun. d' Orvieto; vol. LXXXXII, carte 68.
(2) Per gli avvenimenti di Romagna (1357-58), contro le compagnie
di Cione di Sandro (1359) e di Anechino (1365-66) e contro i rivoltosi di
Todi (1367), di Perugia (1370), di Viterbo (1376). Vedi « Ephem Urbivet »
dal Cod. Urb. Vat. a cura di L. Fuwr, pp. 78-80, 87-88, 90-92, e FUMI,
Codice diplomatico della città di Orvieto, pp. 550, 556.

(3) La supplica del comune d’Orvieto a Urbano VI è riassunta nella
sent. 1 luglio 1379. Fumi, Codice diplomatico della città di Orvieto, pagine
522-551.
SECESSIONE DA ORVIETO DE' CONTI DI MONTE GIOVE 273

il Card. Giovanni di S. Sabina citò i nobili, le università e
le persone tutte beneficiate da quelle esenzioni a presentarne
i titoli. Nella discussione il parmense Giovanni di Aymerico

| rappresentò il comune d’ Orvieto, Giovanni di Faffuzio or-
E vietano i nostri conti e consorti: contumaci gli altri nobili.
Con sentenza 1 luglio 1379 pronunciata in Roma furono re-
vocate e annullate le concessioni e immunità « per tutti à
« mobili, massari, castelli, ville, terre, wniversità, persone della
« città, comitato e distretto d' Orvieto ..., ma all/ esenzione e im-
« munità dei nobili uomini Nicolò e Mariano di Giacomo, Lo-
« dovico di Bindo, Bindo del fu Bulgaro, Bernardino di Azzo,
« Baldino del fu Federico, Bandino di Nerio, Nardo e Giorgio
« del fu Bulgaruccio e de’ loro uomini e vassalli non ‘inten-

« diamo con questa nostra definitiva. sentenza di pregiudicare in
« modo alcuno » (1).
Questo riconoscimento d’immunità ne’ soli riguardi dei

nostri conti non disarmò il Comune e, inoltre, riaccese con- il
tro di essi le ostilità di emuli sì nell’ uno che nell’ altro campo
delle fazioni orvietane. Anche perchè il più preso di mira |
tra loro, Bulgaro di Tiberuccio, fin dal 1377 aveva iniziato [i
pratiche eol comune di Perugia per venire ad una confede- : b
razione de! signori de' castelli di Monte Giove, Parrano, Monte
Leone, Brandeto, Cortiolo e le badie di Monteorvietano e di
Aqualta col comune di Perugia (2. E ribollivano gli odi.

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: (1) Fuwr, « Cod. dipl. della città di Orv. », docum. preced. jur
I | (2) Archivio Com. di Perugia. Nel lib. della Cancell. ad ann. 1377 | Is
si legge: « Magnificus et potens miles dominus Bulgarus de: comitibus de i È i
Marciano postulat a Prioribus Perusiae ut dignarentur concedere aliquos

« auditores, cum quibus possit. conferre quae sunt ad utilitatem et magnifi-

« centiam Communis Perusiae, qui fuerunt concessi, et resolveruni ipsum

« dominum. Bulgarum velle venire ad confederationem, ligam et certa pacta

« cum Commune Perusiae et cum infrascriptis terris seu fortilitiis, videlicet ; bo
« cum Monte Iove, Parrano, Monte Leone, Brandito, Cortiolo, Abatia de | |
« Monte Orvietano, Abatia Aquae Altae, ommibus comitatus Urbisveteris ei ccn MH
i cum iuribus. iurisdictionibus quae habet in castro Miliani et Podii Aqui- I

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274 C. SIMONI

Pronti alla riscossa i fuorusciti Muffati; l' Orsini, rettore del
Patrimonio, defezionato da Urbano (1), trescante col loro capo
Berardo della Cervara, con Giovanna regina di Napoli, con
l’antipapa. Gli avvenimenti precipitavano. Trà queste lotte
e nel presentimento di piü furenti passioni e vendette, Ni-
colò e Mariano conti di Monte Giove si affrettarono a solle-
citare dalla città di Perugia protezione, promettendo sogge-
zione e ubbidienza. L'ebbero. La domenica 6 maggio 1380
il Podestà di Perugia Alberto de Gallutiis e i Priori convo-
carono il Consiglio generale degli uomini delle arti per de-
liberare sulla proposta di sottomissione dei castelli di Monte
Giove e Pornello al loro comune. Approvata all’ unanimità,
sì delegò tal Vanuzio di Massolo a recarsi ai detti castelli
per accettarli come raccomandati alla custodia, cura e prote-
zione di Perugia insieme coi loro uomini, le università, i si-
gnori, i rettori, ciascuno con le rispettive preminenze, titoli,
diritti, e per confederarli e redigere patti, capitoli, conven-
zioni, « prout earum partium processeril libera voluntas.» (2).

Indi a pochi giorni (20 maggio), Orvieto era teatro di
rovine e di sangue. Berardo e i suoi Muffati, che già cinque
mesi innanzi aveano messo a rumore la città, di nuovo e
più rabbiosamente la invasero con orde di Brettoni, i quali
gettatisi, come lupi, a rapine e saccheggi, a incendi e scar-
camenti di torri e case, a scempio di. cittadini anche (tan-

« lonis et cum Civitella comitatus Perusii ». C£. anche PELLINI, Historia
di Perugia, Venezia, Hertz 1664, p. I, p. 1192.

(1) Rinaldo Orsini nominato dà Urbano VI rettore del Patrimonio
con Bolla 13 settembre 1378 (Fuwr, Codice, p. 575) si voltó di poi all an-
tipapa Clemente VII, forse, opina il Savio, a istigazione di suo fratello
Giacomo, uno de' Cardinali che parteciparono allo scisma. Clemente VII
lo lasciò rettore del Patrimonio; della qual carica si trova investito dal
1383 in poi. Fu ucciso nell'aprile 1390 in Aquila (Savio, Rinaldo Orsini
di Tagliacozzo ecc. in Bollett. della R. Dep. di Storia patria per l’ Umbria,
vol. III, pp. 162, 172). f
(2) Arch. Com. di Perugia, Annali, ad an. 1380, c. 67,
SECESSIONE DA ORVIETO DE' CONTI DI MONTE GIOVE 275

t' era la loro ingordigia !) di parte non avversa, la resero un
ingombro di macerie e un deserto. Con la fuga scamparono
all’ eccidio i conti Ugolino e Francesco di Corbara e Nicolò
abate di S. Severo, quest’ ultimo annidatosi tra gli spaldi di
Monte Giove. Dietro lui le travi del ponte piü non si ab-
bassarono davanti a genti orvietane: scolta vigile nel mezzo
del cassero alta torre volgeasi anelante vers’ altra parte.
Di fatti, fumavano ancora sull’ erto masso le macerie di
Postierla e S. Pace, quando Nicolò e Mariano conti di Monte
Giove firmavano solennemente in Perugia la sommessione
de’ loro castelli. L'atto col titolo « Pacta et confederatio inter
« Commune Perusii et dominos de Monte Iovis.» è del 9 giu-
gno 1380.
Premessa l’invocazione sacra e l'augurio che l'atto torni
a onore, stabilità, aumento e magnificenza d’ambo le parti
contraenti, Giovanni di Fafuzio orvietano, rappresentante
procuratorio nomine dei fratelli Nicolò e Mariano e anche rap-
presentante procuratorio et sindacatorio nomine dei castelli,
università e uomini di Pornello e Monte Giove, come da
mandato a rogiti di Ser Lorenzo di Tonetto orvietano, alla
presenza de’ Signori delle arti, e in concordia col provvido
uomo Vanuzio di Massolo, sindaco e procuratore del comune
e popolo di Perugia, come da rispettivo mandato, « sotto-
« mise e sottomette, raccomandò e raccomanda î detti fratelli
nobili uomini Nicolo e Mariano, figli del fu Giacomo, signori,
« rettori e governatori dei castelli di Monte Giove e di Pornello
« co’ loro casseri e fortilizi, giurisdizioni, immumità, territori e
« distretti ai magnifici signori Priori e Camerari delle arti di
« Perugia accettanti e stipulanti per il popolo, università e uo-
« mini della città di Perugia, aà seguenti capitoli, patti e con-
« dizioni :
« I, che ora e mell' avvenire Nicolò e Magiano cot loro
« castelli, comitati, università e uomini mali e nascituri siano
« e si riconoscano veri figli e raccomandati del comune di Pe-

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Tugia e comitativi di questa città e comitato, e si faccia loro

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276 i C.. SIMONI

« diritto e giustizia nel civile e nel criminale, e che i cittadini
« di Perugia nati e nascituri si abbiano ugual trattamento dai
« medesimi Nicolò e Mariano e dai reggitori e governatori di
« Monte Giove e Pornello ne? loro castelli e territori, e si renda
« loro giustizia e diritto in civile e in criminale secondo le
« norme degli statuti e ordinamenti di detti castelli ;

« II, che i detti Comuni considereranno e tratteranno
« come amici e nemici quelli rispettivamente dell uno e dell al-
« tro, e non terranno nei loro territori 4 rispettivi emuli, ban-
« diti o ribelli ;

« III, che Nicolò e Mariano e le comunità di Monte
« Giove e Pornello riceveranno e ospiteranno nei borghi e ne’
« loro castelli, tranne che ne casseri, le genti del comune di
« Perugia, nel numero che a questi più piacerà ;

« IV, che ogni anno mella festa di S. Ercolano il sin-
« daco porterà a titolo di censo al comune di Perugia un pallio
« di seta del valore di dieci fiorini d’oro *
« V, che il comune di Perugia gioverà con ogni suo po-

« tere e difenderà le dette comunità contro tutti e le vorrà CON- |

« servate nell’ attuale loro stato, purchè esse e i loro signori non
« movano guerra ad alcuno senza il consenso e V espressa li-
« cenza de’ signori Priori.

« Le quali sommissioni, promesse e capitoli essi sindaci,
« SOLEMNIBUS STIPULATIONIBUS INTERVENIENTIBUS, promi-
« sero e pattuirono scambievolmente e giurarono sui Vangeli,
« 80n0 pena di cinque fiorini d' oro. da pagarsi im caso d’ ina-
« dempimento di ciascuno di questi capitoli con la rifusione
« de’ danni e spese, obbligando reciprocamente persone e beni ».

Rogò Patto nella cappella del palazzo de’ Priori delle
arti il notaio Nicolò di Franceschino. Furono testimoni Pie-
tro di maestro Paolo, Logoruzio di ser Angelo, Filippo di
Matteo e Bartolino di Vico (1).

(1) Arch. Com. di Perugia, Annali, ad an. 1380, c. 84.
SECESSIONE DA ORVIETO DE’ CONTI DI MONTE GIOVE 2/11

Della protezione perugina non tardarono i nostri conti
a goderne i vantaggi. L'anno seguente 1381 Francesco di
Nerio, signore di Asciano, avendo corso e predato di molto
bestiame il territorio « nobilium dominorum Nicolai et Ma-
« riani comitum de Monte Giovi », questi ne mossero querela
ai Priori, i quali vi mandarono Bartolino di Vico di Bartolo
di porta Borgne, perché prendesse i provvedimenti del caso (1).
Parimenti, sui primi del 1383, in una contesa di essi conti
con donna Francesca e Monaldo Monaldeschi della Cervara,
signore di S. Casciano, essendo, osserva il Pellini (2), l uno
e l’altro de luoghi raccomandato alla città, intervenuti i
Priori, nominarono ambasciatore Francesco di ser Theo dl
porta S. Sanne e lo mandarono « cum tribus equis » a diri-
merlo con autorità di magistrato (3).

Tornando alPammessione de’ conti mongiovesi in lega
e sotto la giurisdizione di Perugia, questa la comunicó al
comune d' Orvieto con la seguente lettera dell 8 ottobre 1831:

« Al magnifico e chiarissimo milite Rinaldo degli Orsini,
« principe di Roma e conte di Tagliacozzo, fratello e amico
« nostro carissimo. Magnifico signore, noi riteniamo che la vo-
« stra fraternità non ignori che Nicolò e Mariano di Giacomo
« si sono resi meritevoli d’ entrare in lega e confederazione con
« noi. Essi dunque e il castello di Monte Giove raccomandiamo
« a voi, per quanto possa tornare oziosa ogni nostra raccoman-
« dazione di amici e alleati nostri, sapendo che voi riguardate
con affetto così i nostri come i vostri e che avete tolto loro
ogni molestia. Da Perugia V 8 ottobre, Indie. 4. I Priori
delle arti della città di Perugia » (4).

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(1) Arch. Com. di Perugia, Annali, ad an. 1381, c. 44-45: Ordina-
mentum in favorem comitatus Nocerae et comitum de Monte Giovi.

(2) PELLINI, op. cit., p. I, pag. 1300.

(3) Arch. Com. di Perugia, Annali, ad an. 1383, die 4 martii, c. 58.

(4) Arch. Com d' Orvieto: Lettere originali de’ secc. XIV-XV della
Comunità.

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‘ sposò Angela di Beccarino, erano di parte muffata.

C. SIMONI

Ma « ogni molestia » non fu tolta. Al contrario, cotesta
secessione da Orvieto oltre ad accrescere gli odi de’ Muffati
contro i conti mongiovesi di parte melcorina, aveva ridestate
vecchie rivalità tra questi e quei del ramo Marsciano nel
perugino. Le due lotte si concatenano aspramente. Caval-
cate, aggressioni eransi succedute tra i fedeli di Pier Gio-
vanni (1) di Petruccio di Castel Miliano e di suo fratello
‘Ranuccio conti di Marsciano e i fedeli de? conti di Monte
Giove, Nicolò, Mariano e lo zio abate Nicolò. A troncare la
contesa, le parti il 25 giugno 1381 la compromisero all’ ar-
bitrato de’ Priori delle arti di Perugia (2), i quali nel di 28
nella cappella del palazzo, presenti Pier Giovanni e Nicolò,
pronunziarono il seguente lodo :

(Omissis) « Sentenziamo e imponiamo che fra le dette parti
« abbia ad esservi d’ora innanzi concordia, unione e pace vera
« e perpetua; che nè esse parti nè à loro fedeli servi sudditi se-
« guaci abbiano a turbarla mai in alcun modo ; possano invece
« andare e trattenersi liberamente sicuramente amichevolmente
« senza molestia senz’odi ne’ territori Vuna dell’ altra; pari-
« menti che î prigionieri d’esse parti arrestati ‘in qualunque
« modo e per qualunque motivo siano liberati da ogni pena e
« ridonati scambievolmente all’ antica libertà, senza gravame,
« molestia o peso alcuno. I prigionieri fatti da Nicolò e Ma-
« riano sono: Francesco di Vanuzio con suo figlio Giovanni di

(1) Suo padre, Petruecio di Nerio, avendo ereditato beni in territo-
rio perugino, non lo troviamo nel catasto d' Orvieto, ma in quel di Pe-
rugia, ove aveva case in parrocchia di-S. Antonino ed era allirato per
lire 3568 (PARDI, Il catasto d' Orvieto nel 1292, in Boll. della Soc. Umbra
di St. P., vol. II, p. 305-306). Pier Giovanni e Ranuccio li troviamo in-
clusi nel trattato di pace del 1370 tra la Chiesa e Perugia (BALAN, La
ribellione di Perugia del 1368 e la sua sottomissione mel 1 370, Roma; 1884,
pp. 23-30). i

(2) Arch. Com. di Perugia, Annali, ad an. 1381, c. 95. Pier Gio-
vanni ( circa il 1390), padre di Manno e il fratello suo Ranuccio, che
SECESSIONE DA ORVIETO DE' CONTI DI MONTE GIOVE 279

« Monte Giove, Nicchio di Vanuzio della badia di Monteorvie-
« tano, Paolo di Giacomo di Monte Leone. I prigionieri tenuti
« da Pier Giovanni e Ranuccio sono : Pietro di Nucio sopran-
« nominato Bottefango, Nuto di Buzio e Francesco di Cecco di
« Monte Giove. Che, inoltre, Nicolò e Mariano restituiscano a
« Flora moglie del ricordato Francesco di Vanuzio tutte le cose
« asportate dalla sua casa e, a loro volta, restituiscano Pier
« Giovanni e Ranuccio le bestie tolte ai ricordati Nucio e Fran-
« cesco. Che però nè Francesco di Vanuzio nè suo figlio pos-
« sano per cinque anni mettere piede nel castello e nel territo-
‘« rio di Monte Giove » (1).

Altrettanto e più accanivano i nuovi tiranni di Orvieto
contro i ribelli e fuorusciti mongiovesi. Bernardo della Sala,
in allora agli stipendi di Giovanna di Napoli, per invito de’
Muffati moveva con 200 lance sull’ orvietano a far guasti
nelle terre de’ Melcorini (2). I Priori di Perugia si affretta-
rono scriverne all’ Orsini il 14 gennaio 1372:

« Signore magnifico, abbiamo saputo che il signor Ber-
« nardo della Sala ha stabilito di recare molestie a quei di
« Monte Giove. Ora, poichè come vi à noto, quel Castello è già
« da tempo in lega col mostro Comune, vi piaccia disporre che
« nè dal detto Bernardo nè da altri si abbia a far molestia
« alcuna contro il detto castello, le persone, i beni; la qual cosa
« sarà a noi grata e accetta » (3).

Ancora, la sentenza pronunciata dal Card. di S. Sabina
« sulla immunità dalle gabelle lungi dal persuadere gli Or-
vietani ne riaccentuò le pretese. Di qui la seguente lettera
mandata all’ Orsini dagli stessi Priori 1° 8 febbraio 1382:

(1) Arch. Com. di Perugia, Annali, ad an. 1381, c. 98.

(2) Vedi nel Fumi (Codice diplomatico della città di Orvieto, p. 583)
la lettera 26 gennaio 1382 da Napoli della regina Giovanna ai Muffati
reggitori di Orvieto per avvertirli della spedizione di Della Sala in loro
aiuto.
(3) Arch. Com. di Orvieto, Lettere originali de'secc. XIV-XV della
Comunità.

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..« moi stabilire, per sentimento di carità fraterna, ch’ essi vi ab-

‘« figli non siano ulteriormente molestati, ma li favoriate e. ab-

tezza. Vi abbiamo rilevato che anche Bindo di Bulgaro di

tenne uguale sommissione (2). In Orvieto, poi, parve per un

280 C. SIMONI

« Magnifico signore, dopo ricevuta la vostra risposta intorno
« alle vertenze coi diletti nostri amici di Monte Giove, volendo

« biano a soddisfare ciò che vi devono, abbiamo esaminato il
processo dibattuto lungo tempo in forma pubblica fra mae-
« stro Giovanni di Aymerico di Parma, sindaco del comune e
« università di Orvieto e Giovanni di Vafuzio procuratore di
« Nicolò, Mariano, Ludovico di Bindo, Bindo di Bulgaro, Ber-
« nardino, Azzo di Nardo e Giorgio di Bulgaruccio, e loro uo-
« mini e vassalli davanti al Card. Giovanni di S. Sabina,
« commissario in detta causa della Sede Apostolica ... e la
« definitiva sentenza assolvente Giovanni di Vafuzio dalle pre-
« tese del Comune. Pertanto siccome il diritto li tutela, pre-
« ghiamo con affetto la vostra fraternità che, per riguardo e
« amore mostro e per il fatto che il comune di Orvieto nessun
« titolo ha per detta causa di movere loro danni e pretese, vi
« compiacciate d’ interporre le vostre parti, onde i detti nostri

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« biate cari non meno di moi. Il che di certo ascriveremo a
« grazia e compiacenza singolare. I priori delle arti della città
« di Perugia » (1).

Quanto tempo durò questa soggezione de’ conti mongio-
vesi a Perugia? Le ricerche diligenti fatte negli archivi di
Perugia e di Orvieto non consentono di stabilirlo con esat-

Tiberuccio conte di Parrano nel gennaio 1384 chiese ‘e ot-

(1) Arch. Com. di Orvieto, Lettere originali de’ secc. XIII-XIV della
Comunità.

(2) Arch. Com. di Perugia, Annali, ad an. 1384, c. 3: « Nobilis vir
« Bindus quondam, magnifici militis domini Bulgari de comitibus de Mar-
« sciano cum laborasset lotis viribus pro statu pacifico libero et tranquillo
« populi civitatis Perusii contra rebelles et esset dispositus idem facere in :
« futurum, petiit et impetravit a Commune Perusii se eiusque terras et fo-
cularia recipi sub defensione dicti Communis we. possit a dictis. rebelli-
SECESSIONE DA ORVIETO DE' CONTI DI MONTE GIOVE 281

momento si riconciliassero le fazioni: convenutasi una tre-
gua (13 giugno 1385), la firmarono, tra i capi muffati, Ber-
nDardino, Nardo, Bindo e Ranuccio de’ conti di Marsciano,
tra i capi melcorini, i conti Ugolino e Francesco della Cer-
vara, l'abate Nicolò e suo nipote Mariano di Monte Giove (1).
Durò brevissima e prevalsero di nuovo i Muffati. Continua-
vasi intanto, come riconoscimento di loro sommissione, P of-
ferta del pallio per parte di quei di Monte Giove a Perugia
il dì di S. Ercolano. Quella del 1387 dice così: « Item (Prio-
« res) fuerunt contenti et confessi habuisse et recepisse et ha-
« buerunt et receperunt im praesentia mei, Notarii infrascripti
« et testium infrascriptorum a syndico et procuratore Comitis
« de Monte Iovi unum bravium de sirico, et etiam praesentavit
« coram. dictis dominis Prioribus, de quo fecerunt eidem, nomine
-« quo supra, fidem ct receptationem » (2). L? ultima è del 1
marzo 1392: « Receptatio palii comitum Montis Iovis. Dicta
« die loco dicto veniens Ioannes Fafuti de Urbevetere procura-
« tor universitatis castri Montis Giovis et magnificorum ac no-
« bilium dominorum Nicolai et Iacobi de comitibus de Mar-
« sciano, dominorum dicti castri Montis Giovis, praesentavit pa-
« lium de sirico, super quandam hastam. distensum ct debitum
« annatim » (3).

Al principio di quello stesso anno 1392, essendo termi-
nata la guerra tra Gian Galeazzo di Milano, nel cui esercito
erano milizie perugine, e i Fiorentini, e dovendo il comune
di Perugia mandare agli arbitri della pace in Genova i nomi
de’ propri collegati, i Priori, redatto pubblico istrumento, « no-

« bus conculcari ». E sottomise « omnia sua bona obligando et homines et .
« personas et res et bona fortilitiorum Podii Aquilonis, palatii et abatiae ad
« Qualtam ».

(1) Fumi, « Cod. dipl. della città di Orvieto », pp. 583-585.

(2) Arch. Com. di Perugia, Annali, ad an. 1387. c. 25, retro.

(3) Ivi, ad an. 1392, c. 39. Non apparisce, però, che tutti gli anni
fosse offerto, anzi sono registrate solo le « receptationes » degli anni 1381,
1383, 1387, 1392.
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282 C. SIMONI

« taverunt declaraverunt et specificaverunt includentes et includi
« debere in pace praedicta pro adhaerentibus sequacibus subdi-
« tis velitoribus et recommendatis dicti Communis et civitatis
« Perusiae istas Communitates, terras et singulares personas ».
Segue l'elenco: le città e paesi sono: Assisi, Nocera, Rocca
contrada, Castel della Pieve, Gualdo di Nocera, Gualdo di
Gatanea, Spello, Trevi, Cannata, Col di Maneio, Torre di
Colle, Limigiana e Porcheria. Tra le persone, vengono primi
i « mobiles viri comites de Monte' Iovi », poii marchesi del
monte di S. Maria, Monaldo di S. Casciano, Monaldo della
Cervara, Bernardino, Nerio, Bindo e fratelli, e Manno di casa
Marsciana (1). Il quale documento dimostra in quanta con-

Siderazione fossero tenuti i conti di Monte Giove e come e

quanta parte prendessero agli avvenimenti civili e politici
del loro tempo.

Adunque la sommessione a Perugia dovette continuare
sino alle morti di Nicolò e di Mariano, le quali avvennero,
molto probabilmente, cirea il 1394 (2).

In questo tempo, fu murata sulla portá del castello di
Monte Giove un marmo rettangolare, artisticamente lavorato,
nelle dimenzioni di m. 1,10 per m. 0,40, diviso graficamente

in tre parti. Nella inferiore, uno scudo reca l'arma antice:

de’ Bulgarelli, quale la vedemmo ne’ sigilli delle loro lettere
nel 1256 col campo inferiore caricato in punta di tre gigli e li-
bero il superiore. Nella parte di mezzo è la data wCCCOLXXXVII,
in gotici. Nel rettangolo superiore campeggia sola l'aquila
coronata con lingua frecciata. Questo stemma i conti Nicolò
e Mariano alzarono, dopo un secolo dalla fondazione, sulla

(1) Ivi, ad an. 1392, ce. 25, 26. Cf. PELLINI, op. cit., p. II, p. 58.
(2) Si puó, anzi, ritenere che cessasse sulla fine del 1393, perché
l’anno seguente fattosi dai Priori espresso invito alle terre suddite di
mandare nel dì di S. Ercolano i palli n segno di ricognizione di dominio
e di ubbidienza », si trovano i nomi di alcune di esse terre, ma non di
Monte Giove,
SECESSIONE DA ORVIETO DE' CONTI DI MONTE GIOVE 283

porta del castello, e vi sovrasta tuttora. L'aquila si collega
con gli avvenimenti d’allora? Di fronte alle vessazioni e pre-
E tese del comune di Orvieto essa, segno e monito d'indipen-
| ‘ denza, rammentava quel feudo che i conti pronipoti de’ Bul-
gari e di Nerio ritenevano imperiale e i cui privilegi, gelo-
samente conservati ne’ cofani del castello, erano stati pur
di recente confermati con diploma di Ludovico il Bavaro
dato a Roma il 5 aprile 1328.

Marzo, 1926.

Prof. CESARE SIMONI.

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29 PIEVE CONFINE

Pieve Confine è un villaggetto sulla riva settentrionale
del Trasimeno, così chiamato, perchè poco lungi di lì scende
un torrente dalla montagna, e divide P Umbria dalla To-
scana (1). |

Oggi quel gruppo di case addossate alla chiesa medioe-
vale formano la fattoria dei signori Papi e le abitazioni
del personale addetto a quell’azienda. Un tempo, era Pieve
e quindi anche Parrocchia di tutte quelle case sparse qua
e là entro la vasta pianura che, a modo d’ anfiteatro, si
insena con largo semicerchio fra Monte Gualandro e il colle
di Passignano, dove il feroce Annibale diede la rotta alle
legioni Romane.

Oggi la vetusta chiesa non è nè Parrocchia, nè Pieve;
ma, fra tanti ruderi di castelli e di fortilizj che incoronano
Pazzurro specchio del Trasimeno, sta solitaria, raccontando
sommessamente a qualche raro visitatore i giorni della sua
gloria, quando in quegli operosi anni della prima era cri-
stiana, ella sorgeva maestosa, fra il lago e la valle, quasi
a proteggere quel suolo e quelle acque, contaminate an-
cora dal sangue umano, e benedicente alla novella aurora di
pace; mentre dalla pianura e dai colli le rispondeva il canto

(1) Fino al secolo passato, fu costantemente chiamata: Pieve de’
confini; e in latino: Plebs confinium. ,

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d'altre Pievi, di opulente Abbazie e di cento altre chiese, o E
nascoste dentro le forre dei monti, o ritte sui poggi a re- |
spirare la mitezza delParia profumata dei boschi, e a deli-
ziarsi alla vista delle incantevoli rive del Trasimeno.

Come mai il bel tempio fu abbandonato, e i possedi-
menti conferiti ad un Abate Commendatario? e che ne fu
della Pieve e della Parrocchia? La sontuosità della fabbrica,
la eripta corrispondente alle tre absidi della chiesa superiore,
Pornamentazione esterna di paraste, congiunte da archetti
pensili che incoronano P edificio sotto la gronda, e gli avanzi
delle pitture trecentesche, tutto ci dice che, fra le chiese di
quei dintorni, Pieve Confine era di tutte la più grande e più
bella. |

Se quelle pietre annerite dal tempo potessero parlare,
se le sculture satiriche del portale cei svelassero il loro se-
greto che, cirea otto secoli indietro, era sulle bocche di tutti
gli abitanti di quella regione, allora noi udiremmo storie di
terrore, quando il nome del fulvo imperatore Alemanno fece
tremare i popoli delP Italia i quali vilmente s?arrendevano E
a lui, quando sembrava ch’egli dovesse ridurre la nostra bella
penisola in un cumulo di macerie, se un manipolo di valo-
rosi, con a capo il Pontefice Alessandro III, non avesse spez-
zato l orgoglio di quel barbaro, assetato non. so se più di
dominio o di sangue. Se, dico, quegli avanzi gloriosi acqui-
stassero anima e favella, noi udiremmo la gioia succeduta al
terrore, dopo la disfatta del tiranno, e il tripudio delle buone
genti del lago le quali vollero forse commemorare la riconqui-
stata libertà, affidandone il compito all’ arte dei colori e dello
scalpello, allora che ogni grande avvenimento, o religioso, 0
civile, o politico che fosse, veniva tramandato per il magi- \
stero delle arti ai più tardi nipoti, nel luogo dove tutti i
fratelli si riunivano a pregare, e a trarre gli auspici d’ ogni
loro deliberazione solenne.

Ma è forse Paspétto delle azzurre acque del Trasimeno
e della natura festante, in un limpido mattino di maggio,
——

PIEVE CONFINE 287

ch'io contemplai con il fremito di giovane poeta, che mi

suggerisce questi pensieri e mi fa parlare lirieamente? È forse

la lingua, direbbe Dante, che parla per se stessa mossa,
quando Panima si esalta in un luogo cosi dolce, lungo il
quale sono acque limpide, rispecchianti il verde degli alberi
e il luminoso azzurro del cielo? (1).

No, non è tutto lirismo, non è tutta poesia. Ammetto
che con lanimo dato all’arte, con tante memorie storiche
nella mente, con tanti dolci ricordi pieni di fede cristiana
nel cuore, non è possibile rimanere spettatori indifferenti nè
freddi; e che un po’ di poesia s’ infiltra da sè, anche quando
le si vorrebbe chiuder la porta; ma ora lascio le contem-
plazioni azzurre del lago e vengo a giustificare il mio sfogo

. poetico, che a qualcheduno potrà anche sembrare una stuc-

chevole prosa: ma ... del resto non tutti i pulcini cono-
scono Pesca; ovvero, lo dirò più cavallerescamente con il
buon Virgilio: Non a tutti piacciono le fratte e il tamarisco
dei campi: non omnes arbusta juvant humilesque myricae !

Dicevo dunque: Come mai la bella Pieve oggi è abban-
donata e, solo due o tre volte all’anno, il Parroco di Tuoro
vi si reca per appagare la devozione di quegli abitanti ?

A questa prima domanda mi pare che risponda Mat-
teo dall Isola, umanista e poeta elegante che in versi di
sapore Virgiliano ha cantato gli amori della ninfa Agille
con Trasimeno. Racconta questo brav’ uomo, che gli abi-
tanti dell’ Isoletta, ora deserta, nei primi anni del secolo
decimoquinto, erano talmente scostumati e sanguinarj, che
il Comune di Perugia, li cacciò via, e ne fece scaricare le

case. Allora, seguita sempre Matteo, quegli uomini si rifu-

giarono nel territorio aretino, dov'oggi è il villaggio di
Tuoro, i cui abitanti, perchè discendenti di quegl’ isolani
sbanditi, sono anch’ essi sanguinarj, incostanti, perfidi, e fra

(1) DANTE, Vita Nuova, c. XIX.

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EDS. ERA. Pag 288 E. RICCI

di loro crudeli!! Ma di questa patente di Matteo non ce? è
| da farne conto; prima, perchè egli parla de’ suoi contempo-
sil ranei, cioè di quelli che vivevano negli anni domini 1530;
ill poi perchè il signor Matteo era d' Isola Maggiore, ed ognuno
| sa, che gli odj paesani sono tradizionali, specialmente fra le
popolazioni del Lago; e finalmente, perchè il signor Matteo
dà prova d’ essere un po’ linguacciuto, perché anche de’
Perugini, dice che i Magistrati e gli uffici sì mettono all in-
canto, e servono a premiare à tirannelli: che le leggi ed i ple-

bisciti si corrompono con largizioni di denaro. Ne volete di
più ® Eccone ancora: I Perugini sono inchinevoli alla super-
bia e allo sdegno, adirandosi più del necessario. La città guarda

dalla sua vetta turrita, quasi con disprezzo, le altre terre, come
a lei inferiori: e per fierezza di pensieri per crudeltà di
animo corre subito alle armi; così senza misurar troppo le
proprie forze, per la sua temerità fortunata, più che per l'arte
di combattere, è riuscita in molte nobili imprese. E poi conclude
riportando la sentenza di un sapientissimo uomo il quale af-
ferma, che i Perugini sono fatui, e che per acrimonia d’animo
È e per ferocia sono in tutto simili ai Francesi, senza dire di
tutti gli altri vizj loro proprj. E questa è un’ insolenza che
mi scotta più di tutte le altre !!
DEU] Ma, povero Matteo, chi sa quante n’aveva sofferte per
Til | eausa della consorteria, e in conclusione può essere che non
|| | avesse torto. Ma perché metterei di mezzo i Francesi ?
iN | Lasciamo gli sfoghi biliosi del poeta Isolano, e torniamo
ili | | alla nostra Pieve. Dunque pare, che col crescere della popo-
TM lazione del paese di Tuoro siasi costruita un'altra chiesa la
di o quale divenne Parrocchia perchè posta in luogo più cen-
bull! trale e più comodo. E sembra ragionevole così credere, per-
dii chè Pieve Confine era di pertinenza del Vescovo di Perugia, |
i come risulta dal diploma di Federico Barbarossa, del 1163. |
I A que’ tempi, la fede del popolo era così viva, che le
TERN Parrocchie si moltiplicavano senza limite; nè c'era bisogno
di lambiccarsi il cervello per trovare il necessario al sosten-
PIEVE CONFINE 289

tamento del Parroco, giacchè a questo pensavano i fedeli,
dando terreni o denari per costituire i beni parrocchiali. Le
famiglie, specialmente se facoltose, volevano dal sacerdote
deputato alla cura delle anime loro un’assistenza speciale,
non sempre possibile quando il territorio era un po’ vasto.
Ecco la ragione perchè dalle nostre parti le Parrocchie sono
a poca distanza l'una dall'altra, sebbene parecchie ne siano
state soppresse (1).

La nuova Parrocchia di Tuoro ebbe pertanto possedi-
menti proprj, senza toglier nulla a Pieve Confine i cui ter-
reni rimasero per la manutenzione ed ufficiatura della Chiesa,
che da principio fu Benefizio semplice, poi commenda, e, mu-
tato governo ed affrancato il Beneficio, divenne proprietà
privata. Allora la Chiesa fu dichiarata filiale della Parrocchia
di Tuoro.

Così abbiamo risposto anche alla seconda domanda, ac-
cennando sommariamente alle vicende dell’ antica Pieve. Ed
ora veniamo a ciò che più interessa, voglio dire alle sculture
della portale, le quali hanno un interesse grandissimo, sia per
il loro pregio artistico, avuto riguardo all’ anno in cui furono

eseguite, sia per la storia politica della nostra regione.

(1) Basti dire che la Parrocchia di S. Stefano, in S. Teresa degli
Scalzi, che conta meno d'un migliajo d’ anime, risulta dalla riunione di
cinque Chiese parrocchiali, cioè S. Stefano, S. Valentino, S. Maria de’
Francolini, S. Luca e S. Nicolò, delle quali, tre ancora rimangono, una
fu demolita circa il 1900, e l’altra prima adoperata per rimessa d’ agrumi

.dell' orto della confraternita di S. Francesco, fu poi trasformata in abi-

tazioni. Ho sentito raecontare da un vecchio sagrestano di S. Valentino,
che il Parroco di questa Chiesa e quello di S. Maria de’ Francolini re-
citavano insieme l’ Ufficio Divino, stando ciascuno affacciato alla finestra
della propria casa, essendo queste divise soltanto dallo spazio di un
vieolo che passa fra i due fabbricati.

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La Chiesa di Pieve Confine, oggi guasta da trasforma-
zioni ed aggiunte, merita d'essere almeno illustrata; dico
almeno, giacchè non è possibile sperare in un restauro che,
spogliandola della rivestitura barocca che l' avvolge, le renda
il grandioso aspetto delle tre navi terminate da altrettanti
absidi e con il presbiterio sollevato per dare accesso alla
cripta. Di questa parleremo più innanzi: per ora, ci occu-
peremo soltanto del portale, che non appartiene alla chiesa,
quale oggi si vede, edificata nel secolo decimoterzo; ma ad
un'altra assai piü antica.

E! tuttora viva fra gli abitanti del villaggio la tradi-
zione, che, un bel giorno, anzi una bella notte, il tetto della
vetusta Pieve precipitò, rimanendo intatto l’altare; e allora
nacque il desiderio negli animi di quei popolani di costruire
un tempio di dimensioni molto maggiori, con tutte quelle
decorazioni, che il primo rinascimento componeva con studio
amoroso intorno alla casa d'Iddio, ch'era anche considerata
come la casa comune di tutti i fedeli. L'antiea chiesa fu

adoperata ad' altri usi, e nessuno fece conto della bella porta

scolpita la quale rimase, ed è tuttora, l’ingresso- di un ma-
gazzino di legnami. Basta soltanto questo per farsi un’idea
dello stato miserevole in cui è ridotta la parte inferiore
degli stipiti, dei pilastri e delle colonnine sotto gli urti con-
tinui delle travi e delle ruote stesse dei carri.

Non avevo mai avuto notizia di questo insigne monu-
mento, né credo sia stato mai ricordato da alcuno, forse
perché si trova fuori di cammino, e, più che per altro, per-
ché nessuno aveva scoperto il millesimo, inciso a piccole
lettere sul listello inferiore dell'architrave. Il primo a par-
larmene fu il molto Rev.do Don Giocondo Marchesini, al-
lora parroco di Sant? Arcangelo del Lago; il quale, avendo
intuito l’importanza delle sculture, un po’ diverse da quelle
comunemente attribuite al secolo XIII, insistette perchè an-

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PIEVE CONFINE 291

dassi a vederle, dicendomi che dovevano avere un'impor-
tanza non comune. Nè il bravo Parroco s'era male ap-
posto. Tardai parecchio prima di recarmi a Pieve Confine,
aspettando il momento opportuno, il quale mi venne offerto
dalla gentilezza del Dottor Angelo Benini che mandò a
prendermi alla stazione ferroviaria di Tuoro con una vet-
tura che mi condusse al termine del mio pellegrinaggio ar-
tistico, veramente non molto lontano, ma assai disagiato, a
eagione della strada che, tagliata di recente, per essere prima
soltanto un viottolo, era tutta una gora di fango.

Quelle sculture non mi rimasero nuove, e vi ravvisai
subito la mano stessa che aveva lavorato il portale di Santa
Maria d'Isola Maggiore; non solo per il disegno generale,
che é identico; ma per il genere degl'intagli, e per il modo
onde sono condotti.

Tuttavia non era possibile fermarne la data; tanto piü
perchè qui da noi la scultura è molto ritardataria, trovan-
dosi dei capitelli e dei fogliami che si direbbero del decimo
o undecimo secolo, se non si sapesse con certezza, che ap-
partengono ai primi anni del decimoquarto: mentre in questo
lavoro gli ornati dei pilastri, e le figure d’animali scolpite
a basso rilievo ;sulle facce delle mensole, dimostrano una
tecnica molto più progredita.

Furono proprio le mensole che mi portarono alla fortu-
nata scoperta; giacchè, essendo una di queste quasi intie-
ramente chiusa da un nido di calabroni; salii sur una scala
a piccoli, e, mentre toglievo quel grumo d’argilla per vedere
il rilievo che v'era sotto, m'aecorsi che sul listello inferiore
dellarchitrave era incisa a caratteri romani, (meno la M.
ch'é prettamente medioevale) l'iscrizione:

ANNO M. C. LXV.

Chi sarà stato il bravo tagliatore di pietra che in quegli
anni, quando le arti non erano ancora uscite fuori dalla

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292 E. RICCI

notte del barbarismo, sapeva già maneggiare lo scalpello con
esattezza e con grazia? e da che parte sarà venuto a far
belli de suoi.lavori i portali delle chiese del Lago? Sarebbe
inutile indagarlo, e peró contentiamoci d'avere nella nostra
regione un monumento degno d'essere ricordato nella storia
del primissimo rinascimento, e che precede di un secolo le
meravigliose creazioni della scuola Pisana.

Sappiamo che nella vieina Cortona, fin da remotissimi
tempi, erano intiere famiglie di lapicidi che continuarono
per tradizione fino a tutto il secolo decimosettimo (1). Forse
di là venne l’ Artista che lavorò a Pieve Confine; ma nella
Storia, per via dei — forse — non si arriva mai a buon
porto; e peró non diremo altro.

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Il portale è di pietra serena, di forma rettangolare, for-
mato di due stipiti tutti d'un pezzo e da un architrave,
sorretto da due mensole. Sopra l’ architrave gira un arco a
pieno centro, formato di pietre piane senza modanature; e
nella lunetta che s'insena sette o otto centimetri, è un af-
fresco molto danneggiato, rappresentante la Vergine circon-
data da angeli, di stile trecentesco, condotto sopra un altro
dipinto assai più antico. A fianco degli stipiti s' innalzano due
colonnine tortili a forma di vite, terminanti all'altezza del-
larchitrave, con capitelli di foglie accartocciate, sorreggenti

un secondo arco piano che sporge dal primo, quanto è il

diametro delle colonne, ornato di mezze foglie triangolari la
cui punta, rivolta verso il ciglio vivo, giunge alla metà della
superficie del detto arco. Addossati alle colonnine, con una
sporgenza maggiore di quella della seconda ghiera, s'innal-

(1) Tre scalpellini cortonesi della famiglia Stati, venuti in Perugia
circa il 1627, vi rimasero per oltre quarant? anni, lavorando perla Chiesa
dei PP. Filippini.
PIEVE CONFINE 293

zano due pilastri i cui capitelli sono formati da cesti di foglie
appena sporgenti che fanno tutto un insieme con i capitelli
delle colonnine e con Parchitrave. Sopra i pilastri, s imposta
un terzo arco, largo quanto la metà del capitello, il cui
ciglio interno è concentrico agli altri due archivolti, mentre
quello esterno è formato da due segmenti di cerchio di
raggio maggiore di quello dell’imposta; e che termina in
sesto leggermente acuto. L'estradosso poi del detto arco è
‘riempito da un avancorpo che, posando sulla metà del capi-
tello, a piombo col pilastro, sale circa un metro sopra il
colmo delP ultimo arco.

Le basi dei pilastri e delle colonne sono talmente guaste,
un po’ per la qualità stessa della pietra facile a sfaldarsi
sotto l’azione del gelo, e un po’ per la ragione sopra accen-
nata cioè dell’uso a cui ora serve quella stamberga; che non
è possibile rilevarne la forma.

L'arehitrave ha la faccia ornata d'una greca a volute
con dentro gruppi ora di tre ora di cinque ed ora di sei
foglie, delle quali altre sono piatte, altre scavate in mezzo
a triangolo. Gli stipiti, oltre che nelle facce, sono intagliati
anche in grossezza con ornamenti simmetrici di steli intrec-
ciati, entro i cui spazi ovali del centro e negli altri trian-
golari dei lati sono palmette di cinque e di tre foglie. Il
lavoro è condotto. con molta esattezza e dimostra una te-
eniea per quei tempi assai progredita. E? un' arte che deriva
dalle rozze sculture longobarde dell'ottavo secolo di cui con-
serva ancora i motivi, ma ingentiliti, e trattati con singo-
lare scioltezza.

La parte più interessante di tutto il portale sono le due
mensole su cui posa l'architrave, e che servono quasi di
capitello agli stipiti della porta; perchè entro le loro facce
vi sono rappresentazioni evidentemente simboliche.

Ho già accennato sopra che, secondo me, si tratta di
sculture satiriche, allusive alla resistenza opposta alle pre-
tenzioni spavalde di Federico Barbarossa, il quale, avendo

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294 E. RICCI

un falso concetto del Sacro Romano Impero, s'era sognato
d'essere il successore degli antichi Augusti, e, com’essi, di
‘aver in mano ogni arbitrio, e di far valere la sua volontà
più che la legge medesima. Con queste idee per la testa, non
fa meraviglia, che il tedesco Imperatore reputasse un’usur-
pazione la sovranità del Pontefice, il recente trattato .di
Worms e la libertà che i Comuni andavano ogni giorno più
conquistando. A bene intendere il significato delle dette
rappresentazioni, è necessario rammentare alcune particola-
rità della storia del Barbarossa,

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Alla morte di Lotario II di Supplimburgo, avvenuta

nel 1137, la Germania rimase in mano delle due case, Guelfa
e Ghibellina degli Hohenstaufen. Federico I, detto Barba-
rossa, quindiei anni dopo, riunì in sé le ragioni delle due
case, per il padre, Federico il Losco che era ghibellino, e per
la madre, Giuditta figlia di Enrico I di Baviera di casa
Guelfa. Nel principio del suo regno (1152) non manifestò
subito le sue idee tiranniche, e peró fu incoronato a Roma
dal papa Adriano IV, ma ben presto si diede a conoscere,
quando nel 1159 sostenne l'antipapa "Vittore IV, contro
Alessandro III. Distrutta ingiustamente la città di Crema fu
scomunicato. Alessandro III, per sfuggire alle persecuzioni
dell’Imperatore dovette, nel 1161, fuggire in Francia; e
l’anno seguente accadde la distruzione di Milano. Intanto
il Barbarossa spediva diplomi d’investitura ai Vescovi, ai
Capitoli delle Cattedrali, ai Principi, per farsi degli amici.
Anche Perugia, duole il confessarlo, fece atto di sudditanza
all’ Imperatore che, nel 1163, spediva da Monza il diploma
al Vescovo e all’ Arciprete di S. Lorenzo. Ma gli animi degli
Italiani, davanti alle atrocità commesse dall’ Augusto a Mi-
lano, si ribellarono, e prime a dare la parola d'ordine fu-
rono quattro città della Marca Trevigiana, Verona, Padova,
PIEVE CONFINE 295

Treviso e Vicenza, che nel 1164, respinto il Tiranno, giura-
rono di non deporre le armi finché non ne avessero abbas-
sato lorgoglio. Il belPesempio dato dalla lega Veronese,
risollevò gli animi affranti, e dappertutto sorse la speranza
e insieme il bisogno di sollevarsi contro i pretesi diritti im-
periali, unendosi sempre piü strettamente alla Chiesa, alla
quale il Barbarossa aveva mosso la piü fiera persecuzione.

Circa questo tempo, cioè nel 1165, sembra che Perugia,
come le altre città datesi prima all’ Imperatore, avessero
ripresa la propria libertà a malgrado dell ubbidienza pre-
stata allo seomunieato sovrano; prevedendo, come di fatto
avvenne, che oramai vano sarebbe riuscito il disegno del
Sacro Romano Impero, quale se P era immaginato il Sovrano
tedesco. i I

Dopo queste brevi notizie, considerando la data incisa
sull’ architrave dell’ antica porta di Pieve Confine, e le scul-
ture che ornano le facce delle due mensole, mi par di
vedere una chiara allusione alle condizioni politiche di quel
tempo in cui la fortuna cominciava a ritirarsi dalle baldan-
zose schiere imperiali; e gli animi degl’ Italiani, altre volte
divisi da guerre intestine, s’ erano strettamente uniti nel
comune desiderio di ristringere ormai i pretesi diritti impe-
riali entro i giusti limiti, già ne? tempi indietro riconosciutigli.

Con questo non voglio dire che la mia spiegazione sia
la vera; ma i fatti storici rispondono con tanta esattezza ai
segni simbolici delle sculture, che mi lusingo di non aver
poi sbagliato di molto.

Nella mensola a destra di chi guarda il portale si vede
una bestia con la testa d'uomo cinta di corona, le zampe
posteriori di leone, la destra anteriore parimenti di leone e
la sinistra armata di artigli di aquila. Tiene la destra solle-
vata per colpire con la branca una lepre che gli sfugge
rapidamente, Chi potrà mai essere questa. belva incoronata

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che nasconde Paquila antipapale e ghibellina (1) sotto le
forme del guelfo leone, e tenta divorare un innocuo anima-
letto? Che sia un uomo, anzi un sovrano, non c'è da met-
terlo in dubbio: e che rappresenti l'imperator di Germania,
non pare indegno il crederlo, se si riflette che in quel anno
non e'erano altri fatti politici da tener. sospesi gli animi,
fuor che le minacce dell’ Aquila tedesca la quale, avendo
menato strage già due volte sulle pianure lombarde, la
terza volta era stata ricacciata dalla lega Veronese, nei campi
di Borgogna.

Qualcheduno potrà osservare che la lepre è una bestiola
troppo piccola e mite, per rivestire il simbolo delP Italia,
allora risorta con magnanimi sensi contro l’invasore. Vera-
mente la proporzione ci sarebbe; perchè l’Italia, o diciam
meglio la Lombardia, la Marca Trevigiana, le Romagne e
lo Stato Romano erano ben poca cosa in confronto del Sacro
Romano Impero: ma se vi piacesse meglio veder nella lepre
simboleggiata la città di Perugia, fate pure; e se no, dite
che in quella povera bestiola è raffigurata Pieve Confine,
dal Barbarossa assegnata in feudo al Vescovo di Perugia,
due anni prima. Ciò poco importa.

Vediamo adesso se questa figurazione ha un legame di pen-
siero con quella scolpita nell’ altra mensola. Non solo c'è un’e-
vidente relazione: ma è quasi il second’ atto del dramma.

Un grifone con gli artigli inarcati guarda senza scomo-
darsi una volpe che fugge, recando in bocca un giglio di tre
foglie, delle quali quella di mezzo è a punta di lancia, e le
altre due ai lati, ricurve e riunite in una stanghetta che
forma il gambo della centrale (2).

(1) L' Aquila fu da principio segno imperiale, poi indicò il partito
antipapale nella guerra delle Investiture, e fu pure l’ insegna dei Ghibel-
lini nelle lotte delle fazioni italiane.

(2) Gli Araldisti avvertono che il giglio o fiordaliso guelfo è pro-
prio così come si vede nella nostra scultura, e che era bianco in campo
PIEVE CONFINE ‘| 297

Qui, diciamolo francamente, c’è la solita spavalderia
paesana, rimproverata già da Maestro Matteo dall’ Isola ai
superbi abitanti della vetta turrita; perchè i Perugini non fe-
cero proprio nulla per allontanare il flagello; ma prudente-
mente, per non dir altro, prima s'inchinarono al Tiranno,
e poi lo misero in ridicolo, quando altri con eroico sforzo
lavevano respinto, togliendogli la primiera baldanza. Ma
via, non ci facciamo vedere a tirar sassi alla colombaia.

Quanto al grifo non c’è bisogno di spiegazioni, giacchè
tutti sanno ch’è emblema di Perugia; e quanto alla volpe

. con il giglio in bocca, basti ricordare che il giglio era in-

segna della casa Guelfa di Germania. S’' addice poi bene allo
scaltro Imperatore il simbolo della Volpe, essendosi prima
mostrato ligio al Pontefice, Adriano IV, per ottenere da lui
la doppia corona dell’impero e del regno; e poi tutto ad un
tratto aveva mostrato la sua avversione contro la Chiesa
e il papato.

Qualunque sia il simbolismo di quelle rappresentazioni
satiriche, il valore delle sculture è sempre il medesimo, e
costituiscono un vero cimelio di cui si deve fare gran conto,
nella storia artistica della nostra regione. Prima di tutto
perchè, avuto riguardo all’epoca in cui furono eseguite, di-
mostrano un progresso non comune dell’arte della pietra;
in secondo luogo perchè il portale di Pieve Confine ci
dà il modo di classificare altri monumenti intorno ai quali
si aggirano le ipotesi più disparate (1).

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rosso; diverso però da quello fiorentino che è bottonato e bocciolato, ed
è rosso in campo bianco.

(1) La porta della Chiesa di S. Maria d’ Isola Maggiore è, più in
piccolo, una copia fedele di questa. Ne parleremo nel prossimo numero.

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In fine faeciamo voti che il signor Conte Papi proprie-
tario delPedifieio, d'intesa con il ministero della Pubblica
Istruzione trovi il modo di salvare dall’ estrema rovina questo
prezioso monumento, rimovendolo, se fosse possibile, per
conservarlo in un museo, o per lo meno ricoprendolo dalle
intemperie con una larga tettoja.

ETTORE Ricci d. O.

N. B. — Alla pagina 295 nelle ultime righe é incorso un errore, essendo
sfuggita la correzione al tipografo nelle bozze di stampa: « La bestia
con capo umano non ha la corona, ma lunga barba ed irti capelli ».

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PIEVE DI CONFINE
PIEVE DI CONFINE - Abside della Chiesa del secolo XIIII.
LE MEMORIE AUTOGRAFE DEL PROCURATORE FISCALE
BENEDETTO VALENTI

DA TREVI

. Benvenuto Cellini narra nella sua « Vita » che, per
non aver voluto eondurre a termine e consegnare al papa
Clemente VII un calice d'oro che questi gli aveva com-
messo, si vide un bel giorno comparire in bottega due « fa-
voritissimi camerieri » del papa, i quali avevano Pordine
o di riprendere il calice, quantunque non finito, o di con-
durre Benvenuto in prigione.

E fu così che lo accompagnarono dal Governatore di
Roma, il quale era Gregorio Magalotti, e insieme a lui era
il procuratore fiscale, i quali lo attendevano.

E il Cellini narra ciò che il governatore gli disse per
indurlo a consegnare il calice, ancorchè non finito; finchè
‘Benvenuto domanda in grazia di poter dire ancora quattro
parole sopra le sue ragioni. E prosegue il Cellini dicendo
che « il fiscale, che era molto più discreto birro che non
‘era il governatore, si volse a questi e disse: purchè dia
l’opera, assai ci basta ».

, La cosa finì che il Cellini dovè restituire cinquecento
scudi che aveva avuti in acconto; ma il calice rimase in
sue mani. Ciò avveniva nel 1534.

Il Cellini non fa il nome del procuratore fiscale; e
quando più tardi nel 1538, essendo stato realmente chiuso
in prigione per ordine di Paolo III, perchè accusato di ri-
tenere gioie rubate a Clemente VII, venne condotto, in

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Castel S. Angelo, narra di essere stato ivi interrogato dal
Governatore di Roma, Benedetto Conversini, dal giudice
dei malefici Benedetto da Cagli e dal procuratore fiscale
« che il nome suo non mi ricordo », dice il Cellini.

Ma dai documenti del tempo è stato facile ai commen-
tatori rilevare che il procuratore fiscale di quell'epoca era
il dottore in legge Benedetto Valenti, da Trevi, il quale
esercitò l’altissimo e molto fruttifero ufficio dal 1528 al 1541.

Ora ho il piacere di comunicare che nell’ Archivio detto
« delle 3 ‘chiavi » del comune di Trevi, esiste un codice
contenente le memorie autografe di questo importante per-
sonaggio della curia pontificia, ai tempi di Clemente VII e
Paolo III.

Il codice porta il N. 263 dell’inventario redatto nel 1841.
I eompilatori di questo annotano che il codice è di assai
difficile lettura e mutilo in più luoghi.

Purtroppo devo aggiungere che il codice, non solo è
mutilo, ma è ridotto precisamente alla metà. Ma, a relativo
nostro conforto, credo di poter affermare che, benchè così
mutilo, questo manoscritto è di grande interesse, se non di
altrettanta importanza storica. Poichè a quanto io so, non
si hanno memorie scritte da ufficiali della corte pontificia,
tolti i voluminosi diarii dei cerimonieri. Certo in ogni modo
si è, che nessun altro procuratore fiscale ha lasciato scritti
simili a-questo, che è a ritenersi perciò l’unico del genere,
fino a prova contraria.

Inutile fantasticare su ciò che potevano contenere i fogli
scomparsi; certo dovevano avere in sè notizie preziose. In
quelli che restano è una specie di miscellanea di notizie,

che, o riguardano interessi domestici, come l'elenco dei be-

nefici ecclesiastici goduti da un figlio del procuratore fiscale,
Romolo che fu poi vescovo di Conversano; o come le anno-
tazioni delle nascite dei figli di Benedetto Valenti; oppure
sì riferiscono ad' avvenimenti pubblici, come viaggi di papi
e di personaggi illustri attraverso 1° Umbria, E Pinteresse

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LE MEMORIE AUTOGRATE DEL PROCURATORE FISCALE ECC. 301

maggiore di queste memorie sta appunto nel gran numero
di personaggi che in esse si vedono ricordati e con i quali
il Valenti fu in relazione.

Così egli ci parla di Clemente VII e di Paolo III, dai
quali fu molto ben voluto, tantochè vollero anche onorarlo
di una loro visita nel passare da Trevi; Clemente VII quando
si recava a Bologna ad incoronare Carlo V, e Paolo III
quando venne a Perugia nel 1540, per ridurla alla sogge-
zione antica. « Advertendum - scrive il procuratore fiscale -
« che dell’anno presente 1540 detta ciptà se è rebellata ad
« sua santità, ef [wit poenas ». E ricorda che nel 1538 questa

augusta città aveva al Valenti — che studiò a questa Uni-
versità — concessa la cittadinanza effettiva, per lui e suoi

discendenti,

Per ragioni del suo officio il Valenti dovè trattare uno
stragrande numero di affari, sulle più svariate materie, e
trovarsi in rapporto con uomini potentissimi, ma che di
quei tempi e dopo, ebbero fama di ribelli o di tristi, come
Ascanio Colonna contro il quale Paolo III mosse in guerra,
o come il cardinale di Ravenna — Pietro Accolti — che,
governatore di Ancona, si rese reo d'ogni sorta di delitti.
E il Valenti narra della parte secreta da lui avuta nel pro-
cesso contro questo cardinale, dandoci notizie interessanti
ed inedite; mentre di ciò che egli fece e disse nella proce-
dura pubblica, si è già avuto notizia nel magnifico libro
che sul Cardinale di Ravenna scrisse l'avvocato Enea Co-
stantini di Ancona.

Curioso e degno di nota è il fatto che il Valenti si
mostra eccessivamente preoccupato degli utili del suo officio.
Egli registra, infatti, in un paragrafo speciale, tutti i pro-
venti ai quali aveva diritto, cominciando dal non lauto sti-
pendio di 8 scudi al mese, impinguato, però, a dismisura
dalle percentuali che a lui provenivano dalle penalità pa-
gate per maleficii e dalle confische dei beni dei condannati;
fino all'elenco delle regalie ehe, in diverse circostanze e

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tn le d BIER Sueca eov uud

lui procuravano rieco emolumento. E in pari tempo esso ci

302 . ; T. VALENTI

festività del anno a lui, come a tutti gli altri curiali, spet-
tavano. E mentre, per esempio, nota che dai doganieri del
sale di Roma deve avere ogni anno un rubbio di sale nero
e quattro « seorzi » di sale bianco, ci fa sapere che il teso-
riere di Perugia mandava a tutti gli officiali della Camera
Apostolica « pesce de quello laeo », cioè « lucci grossi e
qualehe volta « anguilla ».

Dettagli, si dirà. Ed é infatti cosi; ma da questi appunto
ci è dato risalire a tutto Pordinamento amministrativo di
quel complicato congegno, politico, ecclesiastico e giudiziario
che era la Camera Apostolica della quale il procuratore
fiscale era spesso il braccio destro e sempre la /onga manus,
inesorabile e apportatriee per la Camera e per lui.

Ma, oltre a queste, ben altre e più importanti notizie ci
dà il nostro quando ricorda concistori pubblici e secreti ai.
quali ha assistito, quando accenna a processi celebri che a

dà preziose indicazioni sullandamento della corte di quei
tempi; e si addimostra conoscitore acuto di uomini e di cose.

Una volta ha una vertenza per un certo beneficio eccle-

siastieo con un vescovo di Zara, già governatore di Roma.
E il Valenti lo qualifica subito « homo travaglioso » cioè
cavilloso. E per levarselo di torno, fa sollecitare gli atti
giudiziari contro di lui, talehé I avversario, per paura delle
spese, recedè dalla lite, « che è un gran poltrone » dice il
Valenti.

La grande folla di personaggi che il Valenti nomina è,
come dissi, svariatissima. Oltre ai papi, che egli servì, ci dà
memoria di Carlo V, che l’ebbe in buona considerazione,
sì da serivergli una lettera assai onorifica, che si conserva.

I Baglioni di Perugia e gli Strozzi di Firenze, Virginio
Orsini e Pierluigi e Costanza Farnese, il cardinale Del Monte
che fu poi Giulio III, i Varano di Camerino, gli Estensi di i
Ferrara, i Vitelli di Città di Castello, Ascanio Ottoni signore
di Matelica con altri moltissimi ci passano rapidamente
LE MEMORIE AUTOGRAFE DEL PROCURATORE FISCALE ECC. 303

sotto gli occhi, in queste poche pagine colme di notizie, di
episodi, di particolari interessantissimi.

Una parte delle memorie del Valenti contiene un eleneo
di circa duecento tra città, terre e castelli coi nomi dei rela-
tivi feudatari o vicari, che alla chiesa dovevano un annuo
censo in denaro, in cera, in coppe d’ argento, 0, come spesso
di quei tempi, in cani da caccia o in faleoni ammaestrati.
Ed il nostro annota con diligenza gli anni nei quali taluno
dei censuari ha mancato al pagamento. E ciò perchè in tali
casi, la Chiesa rientrava al possesso dei feudi e li incamerava
o li cedeva ad altri; e nell'un caso, come nell’altro, al pro-
curatore fiscale spettava la sua percentuale.

Con questo rapido cenno spero aver dimostrato l'inte-
resse, che appare grande, di questo manoscritto, assoluta-
mente fin qui sconosciuto. Onde è che mi propongo di pub-
blicare quando che sia questo importante documento, ad
illustrazione del quale larghissima: messe di materiale mi
forniscono, specialmente, gli archivi Vaticani e quello di
Stato di Roma.

Con ciò sarà possibile recare qualche nuovo elemento
alla storia generale di quei tempi, e sarà messo in maggior
luce questo personaggio umbro, il quale ebbe anche il merito
di essere tra i primi in Italia a raccogliere in un museo, di
cui abbiamo notevoli avanzi, antichità ed oggetti d’arte,
che in quei tempi si venivano con tanta abbondanza sca-
vando in Roma.

Di queste « autichità » ebbe ad occuparsi un pronipote
di Dante: Francesco Alighieri, che fu più di una volta ospite
desideratissimo di Benedetto Valenti, in Trevi. E in ricambio
delPamichevole cortesia, PAlighieri scrisse in elegantissimo
latino una dissertazione dialogata sulle opere d'arte antica,
che ebbe occasione di ammirare in casa del ospite.

È noto agli studiosi — agli umbri in specie — il raris-
simo libro dal titolo Antiquitates Valentinae FRANCISCI ALI-

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NUNC. "Hd 304 T. VALENTI

GERI Dantis III fi ete.: pubblicato in Roma da Antonio
Blado nel 1337.

Assai più tardi venne in luce un altro scritto dello stesso
Francesco Alighieri, a cura dell’erudito Giovanni Cristoforo
Amaduzzi, che nel 1775 (1) pubblicava un secondo dialogo
dell’ Alighieri, da un codice ms. esistente allora presso uno
dei discendenti del procuratore fiscale.

Tutti e due i dialoghi furono poi ristampati in un solo

volume nel 1828 dal dott. Clemente Bartolini di Trevi (2).

Il quale — con gentile atto di benevolo concittadino — rie-
vocava la figura di Benedetto Valenti, che alle cure del suo
grave e spesso severissimo ufficio, seppe unire — in quei
tempi di rifiorente umanesimo — la nota gentile e confor-
tatrice della letteratura e dell’arte.

(1) FRANCISCI ALIGERI: Dantis III filii dialogus alter de antiquitati-
bus Valentinis ete. Roma, Francesi, 1773.
(2) Antichità Valentine ete. - Perugia, Garbinesi e Santucci, 1828.

Trevi, Settembre 1923.

TOMMASO VALENTI.
UN CELEBRE MUSICO DIMENTICATO

GIOVANNI DA CASCIA

Nello scorso anno accennai in un mio articolo sulla
patria di Guido Bonatti (Giornale d’ Italia di Roma, edizione
dell’ Umbria, settembre 1925) alle relazioni specialmente cul-
turali intercedute tra Cascia e Firenze durante il secolo de-
cimoquarto. In tale occasione ricordai anche il nome di
Giovanni da Cascia, celebre musico, del quale sono assai
scarse le notizie biografiche, trovandosene solo appena ac-
cennate in Filippo Villani (1) e basta. Lo stesso Carducci
dovette contentarsi di esse, scrivendo: « La imagine della
« vita di que’ maestri io per me credo sia abbreviata in ciò
« che Filippo Villani racconta di Giovanni da Cascia; il quale,
« dopo aver sonato l’ organo nel domo di Firenze e fattosi
« onore col dare nuova e popolare armonia al canto del Credo,
« passò per amor di guadagno alla corte di Martin della
« Scala tiranno, dove intonava mandriali e suoni a gara con
« un maestro bolognese peritissimo dell’arte, aizzandoli co’
« doni il tiranno » (2). Il maestro bolognese era Jacopo da
Bologna, cui a pag. 366 accenna lo stesso Carducci per aver
musicato un rispetto in concorrenza con « Giovanni da Cascia

(1) De origine civit. Florentiae et eiusdem famosis civibus. - MAZZONI,
1847, pag. 34.

(2) CARDUCCI G., Musica e poesia nel secolo XIV in Opere, VIII,
pagg. 308, 365, 366, 367.

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306 A. MORINI

« fiorentino, che, secondo udimmo dal Villani, gareggiò del
« pregio della musica ‘col bolognese nella corte scaligera ».
Come già il Bonatti, così Giovanni da Cascia il Villani a-
scrisse tra gli uomini illustri fiorentini, pur non essendo nati
in Firenze, ma colà a lungo vissuti e divenuti quindi citta-
dini di elezione: cosa normale del resto in que’ tempi, ne’
quali chi s'allontanava dalla patria d'origine, bene spesso
per ragion di partito, assumeva volentieri la cittadinanza
del luogo ove stabiliva là sua permanente dimora. Un altro
celebre musico casciano contemporaneo di Giovanni, ricor-
dato pure dal Carducci, venne chiamato ora Donatus pre-
sbiter de Chascia e magister Donatus de Cascia, ora magister
Donatus de Florentia (1).

Un rispetto musicato da Giovanni da Cascia sembra
adombrare una certa reminiscenza con lo stemma comunale
di Cascia e con le origini di esso secondo una partigiana
interpretazione, notissima fra le popolazioni finitime, astioso
residuo delle aspre contese medioevali. Scrisse il Carducci:
« E un quarto, infine, pur musicato da Giovanni da Cascia,
« ci presenta la donna biscia a difendere la sua parte contro
« le accuse dell’ amatore; ed è un'altro esempio del rispetto
« del trecento:

« Donna già fui gentile innamorata
« Facendo al servo mio dolze sembiante;
« Or son in biscia orribil tramutata
« Sol per uccidere questo falso amante.

« Non so come ’1 suo cor mai lo soferse
« Ch' a dirmi villania si discoperse.

« Come di tormentarlo saró sazia
« Torneró donna e renderogli grazia » (2).

(1) CARDUCCI G., Cantilene e ballate, strambotti e madrigali nei secoli
XIII e XIV, Sesto S. Giovanni, Madella, 1912, pagg. 263, 265. In questo
vol. il Carducci riporta tre composizioni poetiche di Franco Sacchetti
musicate da Donato da Cascia.

(3) CARDUCCI G., Musica e Poesia cit., pag. 367,

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UN CELEBRE MUSICO DIMENTICAFO 307

Sembra una parodia del vecchio distico :

Cassia, quae florem pro caris gestat amicis,
Anguineo morsu quos nocuere nocet. (1)

Non ho potuto trovare finora notizie sulla « nuova e
« popolare armonia al canto del Credo », cui accenna il
Villani, né l'ho trovate fra i tre codici musicali conosciuti
dal Carducci: il Palatino di Modena; (568 del Catalogo); il
regio, o imperiale, o nazionale di Parigi (Supplement, 535,
ital. 668); il laurenziano palatino di Firenze (87): il primo
scritto. tra la fine del XIV e la prima metà del XV secolo;
gli altri due dei primi anni del XV. Forse ciò può dipender
dal fatto che, sia nel codice laurenziano 87. sia nel pancia-
tichiano 56, come ben mi scrisse l' egregio Prof. Bonaventura
di Firenze, le composizioni di Giovanni da Cascia sono tutte
profane. « Ad ogni modo - eoncludevami lo stesso Prof. Bo-
naventura - a me non consta finora l’ esistenza in quei codici
che conosco, di un Credo di Giovanni da Cascia ». A simil
conclusione veniva il chiaro Prof. Enrico Rostagno, diret-
tore della Biblioteca Medicea Laurenziana, il quale pure
serivevami: « Del resto sarà del tutto attendibile la testi-
monianza Villaniana a cui si riferisce il Carducci? Aggiunga
che chi ha messo insieme la silloge del nostro codice può
aver inteso anche soltanto di fare una scelta di componi-
menti profani, da? quali restava così naturalmente escluso
il Credo » (2).

Alcune composizioni di Giovanni sono state pubblicate
da J. Wolf (3) e dal nominato Prof. Bonaventura. Quelle
contenute nel codice Laur. Pal. 87 di Firenze sono comprese
nei fogli 1. r - 6. v.

x

(1) Lo stemma di Cascia è rappresentato da una donna recante con
la destra un fiore e con la sinistra un serpente.

(2) Ai due chiarissimi Professori rendo vivissime grazie per le no-
tizie fornitemi.

(3) Geschichte der Mensuralnotation, Leipsig, 1904.

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308: A. MORINI

Ecco a titolo di saggio, l'indice delle poesie di questo
codice in ordine alfabetico:

Ff. 1. r - 6. v.: Magister Iohannes de Florentia (Cascia);

I. r - Agnel son bianco e vo belando be be.

D. v - Appress'un fiume chiaro Donn’e donzelle ballavan
d’intorno.

4. v - Donna già fu gentil’ e innamorata.

6. v - Fra mille corvi una cornacchia bianca Fa che ciascun
si tien un pappagallo.

1. v - La bella stella che sua fiamma tene.

3 Nascoso el viso stava fra lle fronde.

3. V - Nel mezo a ssei paon ne vidi un bianco.

4 O perlaro gentil che dispogliato se’ per l'inverno e'ogni

fiore ascondi.

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Li

5. V - O tu cara scienzia mia, musica o dolze melodia con
vaghi canti. Br

1. v - Più non mi curo della tua rampogna.

2. v - Sedendo all’ombra d'una bella mandorla sonno mi
venne subito.

3. V - Togliendo luna alPaltra fogli’ e fiori.

Infine Giovanni da Cascia è ricordato pur da Simone
Prodenzani nel « Sollazzo », allorchè a questo nella seconda
sera delle feste di Buongoverno, dopo i balli e la gazzarra, |
sì portò un'arpa, cui « doveva rapire magnifici suoni »; e |
« tra i musiei del repertorio fan corona fra Bartolino da
Padova celebrato come madrigalista... Jacopo da Bologna,
già chiamato a cantare illustri battesimi, Giovanni da Cascia,
organista nel duomo di Firenze, poi alla Corte di Martino
della Scala a gareggiare d’arte in presenza del tiranno con
un valentissimo maestro bolognese, che sarà appunto Ja-
copo... » (1). | :

(1) SANTORRE DEBENEDETTI, Il Sollazzo, Torino, Bocca, 1992, pag. 65.
UN CELEBRE MUSICO DIMENTICATO 309

Da tali cenni che fugacemente ho raccolti, mi par chiaro
quanto sia immeritato Poblio di questo celebre musico um-
bro (1), e come sarebbe onorevole impresa quella di ripor-
tare alla luce le sue composizioni musicali già di tanta rino-
manza, e composte in un secolo, nel quale, tra il fragor delle
armi, l'anima umbra sapeva trovar ancora e sempre la sua
elevazione dolce e melodiosa.

(1) E’ sconosciuto in Umbria; ma quel che è peggio è completa-
mente ignoto nel suo paese natìo, a Cascia, ove invero in quest’ ultimo
cinquantennio la più pesante ignoranza, seguìta dalla piena decadenza
morale, ha portato alla svalutazione più ingrata di qualsiasi valore in-
tellettuale cittadino.

Cascia, febbraio 1926.

DoTT. ADOLFO MORINI.

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Pall:
^ ARIE
LA CHIESA DI S. GIOVANNI IN ORVIETO
NEL SECOLO XV

Una recente memoria di Wenceslao Valentini (1), che
vuol essere un documento della sua illuminata solerzia nel-
l'ufficio di ispettore onorario per Pantichità e l'arte in Or-
vieto, mi offre occasione di comunicare alcuni documenti
che illustrano una delle più antiche chiese Orvietane, S. Gio-

vanni « de platea », in un momento veramente importante
delle sue vicende.

Il V. ce le ha narrate rintracciando negli storici locali
le più antiche notizie e, in mancanza di quelle, lasciando
la parola alle reliquie superstiti. Ma un punto, il più im-
portante, rimane oscuro, anzi, insoluto: quando fu ricostruita
l'antiea chiesa romanica? Il Fumi e il Perali, che con amore
e dottrina si sono occupati di arte Orvietana, o non toccano
la questione o ci lasciano dubbiosi e perplessi.

Nella mancanza di documenti, s'è pensato di ricorrere
ad argomenti estrinseci - stile, ornamentazioni, motivi archi-
tettonici - coi quali ogni cautela non è mai troppa, quando
anche ci si appaghi di soluzioni molto approssimative.

Il V. crede che alla fine del 1300 P ampliamento e il
restauro del S. Giovanni romanico fosse un fatto compiuta.
Le prove? Un atto di donazione stipulato nelPaprile del

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(1) W. VALENTINI, S. Giovanni vecchio e S. Giovanni nuovo. Orvieto,
Marsili 1925, pp. 1-23 con 9 illustrazioni.

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312 R. VALENTINI

1221 « supra voltas dictae ecclesiae » (p. 11). Dunque era
avvenuto lampliamento e il restauro? E allora perché pro-
trarne il termine alla fine del 1300? Ma donde si arguisce,
di grazia, che quelle volte di cui è fatta menzione nel docu-
mento fossero proprio del S. Giovanni nuovo? Francamente
io non mi sentirei autorizzato ad escludere che si tratti pro-
prio di quelle del S. Giovanni vecchio. Quel documento .
adunque in rapporto alla determinazione del tempo della
ricostruzione della chiesa non può avere alcun. valore pro-
bativo. In questa indeterminatezza e dubbiezza è indispen-
sabile ricorrere, giacchè lo. possiamo, a indicazioni che ci
vengono dall’ Archivio Comunale di quella città.

La collegiata di S. Giovanni « de platea » fin dalla: prima
metà del secolo decimoterzo ospita un capitolo di canonici
obbedienti a un priore e governati da un curatore 0 sin-
daco (1). Dalla detta chiesa e dall’ altra di S. Giovenale si
intitola il quartiere diviso nei rioni di S. Giovenale, S. Mat-
teo, S. Faustino, e S. Giovanni (2. Giuridicamente la reg-
genza della chiesa non differisce negli atti del 1407 e nei suc-
cessivi documenti (3). In questi, come negli altri del 1300,
la collegiata è sempre denominata senz'altro S. Johannis o
S. Johannis « de platea ». |

A chiarimento di quanto segue debbo richiamarmi ad uno
degli ordinamenti comunali del maggio 1350. Quelle riforme
tralaltro sancivano che per riverenza al Corpo di Cristo, alla
Vergine, ai Santi venisse, a spese del pubblico, offerto un
cero forse a tutte le chiese, vietando al latore di riceverne
ricompensa sotto qualsiasi forma o a qualsiasi titolo.

(1) Fumi, Ephem. urbev. I, 131, 15.

(2) Ibd I, 324, 90. I rioni diS. Matteo e S. Faustino erano detti de subripa.

(3) Archivio Municipale di Orvieto. Riformanze, Vol. CXVII c. 125,
3 giugno 1407... prior, capitulum et comventus Bcclesie sancti Johannis
de platea de Urbeveteri.

Vedi altresì, Rif. Vol. CXVIII c. 11 (1 gennaio 1408) e c. 279* (20
gennaio 1409).
^

LA CHIESA DI 8. GIOVANNI IN ORVIETO NEL SEC. XV 313

Di questa usanza, tradotta dalla pietà cittadina per lungo
ordine d’anni, rimasero testimonio, nei Libri delle spese Co-
munali, curiosi elenchi nei quali si avvicendano i titoli delle
chiese che volta a volta beneficiarono dell’offerta. E per essi

ci è dato conoscere quali e quante chiese fossero officiate nella,

città in un dato periodo. Anzi, siccome il V. propende a
credere che al tempio riedificato sul S. Giovanni vecchio
fossero date più capaci dimensioni per adattarlo al aumento
demografico della città (p. 11), mi venne vaghezza di anno-
verare quanti témpi esistessero in Orvieto al principio del
sec. XV. Eseguito uno spoglio delle offerte dei ceri si può
determinare che nel primo ventennio di quel secolo fossero
officiate le seguenti chiese, oltre il S. Giovanni e il S.
Francesco (1) mai ricordato:

1404 24 Nov. Rif. Vol. 116-c 278 Abbazia S. Severo « prope U.
Veterem.
1407 2 Febb. » » 117-c 26' S. Costanzo.
» 8 Febb. » » 117-c 33*. S. Maria de Stella.
». 92 Febb. » » 117-c45 S. Maria Maddalena (Convento).
» 16 Giugno » » 117-c 140' « pro parte abatisse monialium
et conventus Ecclesie S. Cecilie
de Urbeveteri.
» 1 Dec. » » 117-ce 260 S. Salvatore, S. Caterina. S. Il-
luminata.
LIT=c 295* S. Lucia.
118- e 98 S. Antonio, S. Agnese.

» 30 Dec. >
1408 29 Genn. )

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(1) Ma la Chiesa indubbiamente esisteva. Aggiungo anzi un parti-
colare che trovo nel Lib. donation. 2 c. 12-13' (1424, marzo 21). Per
quell'atto Elena, « filia quondam Francisci Petri de nobilibus de castro
« Loeterii et uxor olim nobilis viri Pontii Benedicti domini Ermanni de
« Monaldensibus de Urbeveteri » ratifica una donazione da lei fatta a
Tramo « quondam Egidii de Monaldensibus de Urbeveteri »...

Importante è la data che segue:

In O. « in primo claustro ecclesie Saneti Franeisei im quo claustro
« est quedam. Cisterna, presentibus venerabili et religioso viro Fratre
« Luca Antonii Francisci de Capranica, lectore conventus dicte Ecclesie
« saneti Francisci... ».

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1408

R. VALENTINI

25 Febb. Rif. Vol. 118-c 55 S. Biagio.

6 Marzo » .» 118-c 66° S Margherita.

25 Aprile » » 118-c 94 5S. Lazzaro, S. M. Vallls viridis (1)
S. Giorgio.

25 Aprile >» » 118-c 95. S. Marco.

21 Maggio » » 118-c 116 S. Jacopo e Filippo, S. Giovenale
S. Angelo, S. Pancrazio.

29 Giugno . » » 118-c 133' S. Onofrio, S. Spirito, S. Paolo,
S. Pietro (Monastero).

29 Agosto » » 118-c 172 S. Domenico, S Lorenzo, Santa
Chiara, S. Lodovico, S. Ber-
nardo, S. Bartolomeo, S. Ago-

: stino (Convento).
7 Ottobre. » » 118-c 190 S. Maria dei Servi, S. Matteo,
S. Egidio.

24 Ottobre. » » 118-c 196' S. Gregorio de Sualto.

2 Dec. » ^» 118-c 233 S. Leonardo, S. Martino, S. An-
i drea.
2 Dec. » » 192-f. v. S. Pace.

11 Febb. » » 123-c 111 S. Nicola.

28 Marzo . » » .194- c 121 S. Benedetto, S. M. del Carmine,

30 Luglio » » 196-ce 99' S. Cristoforo.

29 Agosto » » 128-e 52' S. Lorenzo « de monialibus »

21 Dic.

»

(diverso certo da S. L.«in A-
rari) designato S. Lorenzo.

-ell5 S. Stefano.

Fatta ragione delPambito delle ripe orvietane, vien
fatto di pensare che anche un secolo prima, cioè nell’ epoca
in eui, secondo il V., il veechio S. Giovanni avrebbe subito
anche un ampliamento, i fedeli dovettero mancare in Chiesa
e non le Chiese ai fedeli.
Ma torniamo alla ricerca che ciinteressa più da vicino.
Dunque in codesti elenchi, dove a intervalli si avvicendano

(1) Era un monastero « extra portam Urbisveteris » già in completa

rovina dal 1408. Per questo i Conservatori permisero di scoprirne il
tetto « et ponendi ipsas tabulas et canales super voltam dicte ecclesie
« conseryandas et conservandos pro acconcimine dicti tecti et ecclesie
« antedicte quando de novo fiet. Rif. Vol. CXVIII e. 264 (28 dicem-

« bre 1408) ».
LA CHIESA DI S. GIOVANNI IN ORVIETO NEL SEC. XV 315

i titoli esposti, fino all anno 1409 le denominazioni del S. Gio-
vanni sono quelle che abbiamo già riferite.
Quand’ecco nelle spese del Giugno 1410 un indizio inat-
teso: ecclesie nove Saneti Johannis (1). E si badi bene che quel-
.Paggettivo nove non è sporadico o isolato. A cinque anni
) di distanza, nelle spese del Giugno 1415, troviamo una se- D
conda conferma della preziosa determinazione. « Item pro
duobus cereis ponderis VII librarum quorum unus oblatus
fuit Eeclesie saneti Jovenalis et alius Ecclesie Sancti Johan-
nis novi libr. Vs. XII ». (2) Non essendo nella storia d’ Or-
vieto ricordo di un S. Giovanni Nuovo, il documento parla
I inequivocabilmente di una restaurazione o ricostruzione del
| vecchio S. Giovanni che dal 1410 s'intitoló, e continuò per
| qualche tempo a contrassegnarsi, S. Giovanni Nuovo a me-
| moria dell' avvenuta riedificazione. |
E veramente non fu questa la sola chiesa che ebbe ne- 1
cessità di restauri in quegli anni calamitosi. i
| Nel 1407 il claustro del monastero di S. Maria Madda-
lena minacciava rovina. (3) S. Maria di Valle Verde, rima- |
sta scoperta fin dal 1408, attendeva invano un completo
. restauro. Nel 1420 le monache di S. Pietro chiedono licenza
di vendere una vigna in contrada Sanserio, per far demolire
una torre vicino al monastero che minacciava di cadere (4).
La chiesa e il monastero dell’ antica Abbazia di S. Severo Hi
diruti e cadenti nel più incurioso abbandono. La stessa sca- |
lata dinanzi alla faeciata del Duomo ebbe bisogno d'esser
rifatta.
A indicare l’incuria in cui il clero, dimentico della pro-
pria missione e solo intento a divorare le rendite, lasciava le

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(1) Rif., Vol. CXX, c. 133 (29 giugno 1410).

(2) Ibd. Vol. CX XIII e. 162' (30 giugno 1415).

(3) Quod eum dietum monasterium (S. M. Maddalena) indigeat ad
presens pecunia pro reparando quandam voltam intra claustrum ipsius
monasterii ruinam minantem... Rif. Vol. CXVII c. 150. t

(4) Rif. Vol. CXXVIII c. 48' 49 (18 agosto 1420). Iun

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chiese tutte, basterà riportare la motivazione di una supplica
che i Conservatori diressero a Martino V il 9 marzo 1421.
Ne chiedevano il diretto intervento a tutelare il patrimonio
artistico e religioso (1) « cum nonnulle ecclesie existentes in
M civitate Urbevetana et eius comitatu fuerint et sint distructe
i et alique minentur ruinam propter defectum rectorum et )
Il clericorum dictarum ecclesiarum, qui tantummodo curant
fructus et redditus earundem sumere et degluctire et circa
reparationem et refetionem ipsarum ecclesiarum minime in-
tendunt » (2).

Nessuna meraviglia che le condizioni del S. Giovanni
romanico nel 1409 avessero richiesto un'opera di ricostru-
Zione ex novo.

Sempre presso la chiesa di S. Giovanni è memoria che
ill si depositassero tutti i libri degli atti, delle sentenze e delle

| scritture che il Podestà, otto giorni avanti alla fine della
| | propria gestione, era obbligato di consegnare sigillate in un

| sacco: così una riforma del 25 giugno 1306 (3) Tali atti
Hi | venivano depositati presso una casa situata a ridosso della
| chiesa di S. Giovanni. Sarà una delle piü basse costruzioni
Hl | ; che vediamo nel rame inciso dall’ Hohenberg? O, come mi *
Ill | suggerisce il prof. Perali, una delle costruzioni tra il pa-

I "E lazzo comunale e la cosi detta chiesa di S. Giovannino della
BI — Commenda di Malta?
Anche questa specie di magazzino o di Archivio ebbe
(ES bisogno nel 1418 di un restauro: ce n’ è rimasta memoria in
il | un ordine di pagamento al priore di S. Giovanni « de platea »
| di quattro fiorini d’oro « pro aconcimine et construttione

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(1) R. VALENTINI, Braccio da Montone e il comune di Orvieto in que-
sto Bollettino 1922 - 23. Dell’ Estratto pag. 239-41.
| (2) Rif. Vol. CXXVIII, c. 134. La supplica non provocò immediate
MT : misure e &olo nel 99 decembre 1422 furono deputati tre cittadini e un
notaro circa reparationem ecclesiarum eiusdem civitatis que minantur
ruynam RKif. Vol. CX XIX e. 23.
(3) Fuwi, Ephem. Urb. I, 175 n. 3.
LA CHIESA DI 8. GIOVANNI IN ORVIETO NEL SEC. XV 317

domus site in Ecclesia Saneti Johannis, ubi retinentu libri
et scripture Comunis » (1).

Queste notizie mi é parso di aggiungere a complemento
della memoria del V., non con l'animo di togliere nulla ai
suoi meriti, ma per risparmiare ad altri laboriose ricerche e
T definire una questione che, per la storia di quel tempio, mi

pareva notevole.
(1) Rif., Vol. CXXV, quad. agg. e. 18 (30 agosto 1418).
Roma, Pasqua 1926.

ROBERTO VALENTINI.

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REGESTUM. REFORMATIONUM
COMUNIS PERUSII

AB ANNO MCCLVI AD ANNUM MCCC

(Continuazione — Vedi Vol. XXV, pagg. 223 - 312)

83. — 1260, gennaio 9.

Coadunato Consilio civit. P., scilicet speciali et
maiori Consilio in palatio C. .., d. Thomaxius de Gor-
zano Pot. P. .. conscilium requisivit.

Pr. 1. — Cum castra de Fossato et de utroque Ca-
stiliono data sint ad cotumum et illi qui acceperunt ea
ad custodiendum nolint dare sergentes .. quales sibi
fuerunt dieti in Consilio per d. Cap. in quo acceperunt
dieta castra, quomodo volunt quod predicti qui acce-
perunt dicta castra compelli debeant et qualiter sit pro-
cedendum contra eos. . Et interdum qualiter volunt
dicta castra debere custodiri, cum custodes dictorum
castrorum dieant se nolle amplius ibi stare nec habere
suffieientem numerum ad custodiendum.

D. Andreas Raynerii Baronzii consuluit .. quod
Pot. et Cap. .. debeant ad suam voluntatem constrin-
gere illum vel illos qui acceperunt ad cotumum custo-
dire castrum Fossati ét utrumque Castilionem ut ea
eustodiant .. secundum quod d. Cap. dixit in Conscilio

tune, scilicet cum sergentibus, qui sint de civit. vel

burgis et qui habeant in bonis a centum usque ad
ducentum libras (1).

(1) Vedi la R. 4.

Cod. IV
c. 15

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1260, gennaio 9.

Saca ese sud

Cod ovs Pr. 2. — Cum per Statutum fieri debeat Consilium

super facto monete fieri faciende et iam pacta compo-
sita sint inter C. et eos qui monetam facere promisse-
runt, quid placet fieri debere.

R. 2. — Place. .. quod faetum monete secundum
paeta composita procedat secundum quod fuerit ordi-
natum per Consules mercatorum et campsorum cum
Pot. et. Cap.

Pr. 3. — Si volunt quod Cam. debeat satisdare de
avere C. eustodiendo et parere mandatis Pot. et Cap.
| vel non, cum ipse sit requisitus pluries quod. debeat
m satisdare et responderit quod nullo modo iurabit vel
satisdabit.

R. 3. — Plae. quod Cam. non teneatur iurare nec
satisdare.

Pr. 4. — Cum sit eonsuetum quod Pot. et Cap.
debeant habere .xx. sapientes consciliarios, si placet quod :
hi elligantur et qualiter.

Md ill | D. Andreas Raynerii Baronzii consuluit quod illi .xx.

Í | conscilliarii elligantur per Conscilium speciale cum a-
diuncta. pum

j R. 4. — Super vero omnibus aliis propositionibus (1) i
concordavit maior pars Consilii seeundum dictum d. An- |
dree Raynerii Baronzii.

dap

REZZA

Med. cupis

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IH 84. — gennaio 11.
M M Congregato Consilio speciali et maiori Consilio civit.
| P. in pallatio eiusdem .. d. Thomaxius de Gorzano Pot.
LU P. .. eonsilium requisivit

I Pr. 1. — Si placet. .. quod ducente libre minus
quatuor florinis que deposite fuerunt penes d. Francipa-
ie | © nem syndicum pro C. debeant dari et designari ca-
mere C. P. | i

(1) Sono le Pr. 1 e 4.
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REGESTUM* REFORMATIONUM COMUNIS PERUSII

1260, gennaio 11.

R. 1. — Concordavit Consilium quod ille ducente
libre minus .InI. florinis dentur .. camere C. absolven-
do .. Francipanem sindicum.

Pr. 2. — Si placet. quod Bonapars Corbilini civis
Castelli possit conducere .CLVIIT. porcos per forciam et
districtum C. P. usque Senam quos habet emptos in
Marchia, ut in litteris transmissis a Pot. Castelli et ab
ipso C. Pot. et C. P.

R. 2. — Plac. quod. .. Bonapars possit dictos por-
cos conducere per districtum P. usque Senas .., eo ad-
dito quod mittatur unus baylitor vel duo cum dieto
Bonaparte expensis eiusdem ad videndum quomodo in-
trabunt districtum P. et quomodo extrahentur, ne aliqui
porei de civit. et districtu P. misceantur cum predietis,
et ad videndum numerum predictorum.

85. — gennaio 12.

Congregato Consilio speciali et maiori Consilio civit.
P. in pallatio C. .., d. Thomaxius de Gorzano Perusi-
norum Pot. .. consilium requisivit

Pr. 1. — Cum in Statuto contineatur quod Pot. in
primo mense sui regiminis faciat eligi quinque consules
militum, scilicet-unus per portam, quomodo .. debeant
eligi.

R. 1. — Plac. .. et interpretata fuerunt Statuta que
loquuntur de quinque consulibus militum faciendis de
mense Januarii, quod factum sit et adinpletum.

Pr. 2. — Qualiter volunt elligi syndicum qui de-
fendat C. in causis que moverentur contra eum et quid
volunt ipsum habere debere pro salario ipsius officii.

R. 2. — Plac. quod. syndicus qui debet defendere
C. elligatur ad brevia et habeat pro suo salario centum
solidos.

Pr. 3. — Qualiter volunt procedere .. super hiis
que continentur in Statuto quod loquitur de mensuris
faciendis de ramo. |

Cod. IV,
oc, 15! — 16"
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322 V. ANSIDEI
1260, gennaio 12.

Aa R. 3. — Plac. quod custodes et officiales super
mensuris elligantur secundum Statutum et ipse men-
sure de ramo fiant et permaneant apud Cam. ita tamen
quod offitiales ellecti eas apud se habere possint et fa-
cere copiam volentibus aiustare suas mensuras.
| Pr. 4. — Si volunt quod d. Jacobus Pegolocti possit
exercere offieium a decem libris infra loco d. Oddonis

Raynerii iudicis ellecti ad ipsum officium exercendum
quousque d. Oddo venerit.
R. 4. — Plac. .. quod. d. Jacobus Pegolocti possit
exercere loco d. Oddonis Raynerii.
Pr. 5. — Qualiter interpretari volunt. .. Statuta
super debitis confessis que videntur contraria ipsis Sta-
tutis lectis et publicatis.
R. 5. — Plac. quod Statutum de debitis confessis
intelligatur, quod ille qui sponte fuerit confessus .. de-
bitum, nihil pro ipso C. solvere teneatur; in aliis vero
intelligatur aliud Statutum quod loquitur de solvendo
certam quantitatem pro decimo.

| Pr. 6. — Qualiter et per quos volunt elligi cap. et
sergentes qui debent custodire castrum Fossati, cum
Jacopellus Blanci qui se obtulit ad custodiam dicti castri
faciendam non caveat de ipso custodiendo .. et alii cu-
stodes qui sunt ibi non. teneantur et nolint amplius hie
esse.

R. 6. — Plac. quod diffiniatur negotium Jacopelli
Blanci ut cap. et custodes ydoneos dare possit inter
hodie et cras. Quod si non fecerit, elligantur cap. et
custodes per Conscilium speciale .. et habeat cap. pro
suo salario quolibet mense tres libr et custos quilibet

quadraginta sol.

Pr. 7 — Quid placet .. de penis appositis in instru-
mentis locationum custodie castrorum Castilionis Cluxini
et Castilionis Aldrovandi et Fossati, scilicet de centum
sol. pro quolibet sergente qualibet vice qua non inveni-
retur ad custodiam castri, et de vigintiquinque libr. pro
REGESTUM REFORMATIONUM COMUNIS PERUSII 323

1260, gennaio 12.

quolibet castelano; et quod credatur simpliciter inqui-
sitor missus per Pot. et Cap. sine alia probatione, et
quod de hiis penis syndici non possint se intromittere
nee cognoscere.

R. 7. — Plac. quod pene apposite in contractibus
eustodie castrorum .. plenum vigorem habeant et quod
credatur sinpliciter ei qui missus fuerit pro ipsa custodia
inquirenda.

- Tt. — Andreas Negozoli et Paradissius trumba-
tores C.

86. — gennaio 14.

Congregatis quibusdam sapientibus mercatorum et
campsorum in pallatio Pot. C. P. super facto monete,
videlicet infrascripti :

Blancus Bonismeri, Francipane Vitallis Consules
mercatorum, Bernardus Benencasse, Symonetus cam-
psor, d. Franciscus Jacobi, Petrus de Saco, Oddus de
Bonensegna, Nicola Deotayti, Petrus Guillelmine, d.
Paxetus Jacobi, d. Mafeus Centurarie, d. Bulgarellus,
Recabene Beni, Raynus Angelli, Johannes Adelaxie,
Bonaventura de Montepulzano, Bartolameus Bonacolti,
Beltramutius Petri Bonice, Benvenutus Servitoris.

Pr. 1. — D. Thomaxius de Gorzano Perusinorum
Pot. inter eos propossuit super facto monete et .. legi
fecit per me not. pacta composita inter Bernardum Be-
nencasse syndicum C. nomine et vice .. C. ex una
parte et Bonum Guidonem et Baroculum de Luca ex
altera, et .. consilium requisivit.

R. 1. — Concordarunt predicti unanimiter quod
pacta composita super facto monete procedant, salvo
quod fiat moneta grossa de argento ad modum ponderis
et ligam C. Florentie et minuta ad modum ponderis et
ligam C. Sene.

Cod. IV,
cc. 16 — 177

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Cod. IV,
c. 208t

ec. 17r — 18

324 V. ANSIDEI
1260, gennaio 14.

Tt. — Mafeus Pascarelli et Symoncellus Johannis
et alii (1).

87. — gennaio 15.

Congregato Consilio speciali et maiori civit. P. in
pallatio eiusdem .., d. Thomaxius de Gorzano Perusi-
norum Pot. .. consilium requisivit

Pr. 1. — Cum debeant elligi duo boni homines di-
vites et legales cum uno notario pro qualibet parochia,
qui debeant recipere assignationes bonorum hominum
P. pro libra facienda, si volunt quod habeant sala-
rium .. et quantum pro ipso officio exercendo.

Pr. 2. — Cum debeant elligi quatuor boni homines
divites et legales cum, duobus notariis in qualibet porta

qui debent ire per comitatum pro eodem facto, si placet:

eis quod debeant habere salarium et quantum.

- Joanellus Simplicie eonsulluit quod illi qui fuerunt
ellecti ad faciendam libram per civit. habeant quilibet
laycus pro suo salario quadraginta sol. et notarius qui-
libet pro suo salario sexaginta sol, dummodo dividan-

tur inter eos officiales pro quantitate parochiarum et.

laboris ipsius, et quod illi qui debent ire per comitatum
seu per districtum habeat quilibet pro suo salario de-
cem libr. .. et in hoc esse debeant contenti tam illi de
civit. quam illi qui iverunt per comitatum et nihil ultra
habere debeant.

R. 1-2. — Plac. in omnibus .. secundum dictum ..
Joanelii Sinplicie.

Pr. 3. — Cum debeant elligi quinque officiales, quo-
rum unus debeat esse iudex et alius notarius, qui de-
beant cognoscere inter C. P. et filios Jacobi Andree de
iure cuiuslibet, si volunt quod habeant salarium et
quantum.

(1) V. Somm., CL. — I patti qui ricordati furono conclusi
il 17 maggio 1259,
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REGESTUM REFORMATIONUM COMUNIS PERUSII
1260, gennaio 15.

R. 3. — Plac. quod illi qui debent elligi ad cogno-
scendum de iure quod habent filii Jacobi Andree contra
O. P. .. habeat unusquisque pro suo salario viginti sol:
den. a C. P. n

Pr. 4. — Cum per Consilium debeat terminari u-
trum imponi debeant inj? equi vel V* ., que quantitas
de predictis placet eis ut imponatur.

R. 4. — Plac. quod factum equorum modo diffe-

ratur quousque provisum fuerit .. per consules militum

cum quibusdam aliis sapientibus.

Pr. 5. — Cum .. sit dietum quod debeat custodiri
castrum Fossati cum viginti sergentibus et uno castel-
lano et dieatur quod sit consuetum custodiri tantum
pro C. certa pars illius castri, quantum placet eis de-
bere assignari castellano et sergentibus.

| R. 5. — Plac. .. quod cap. et sergentes qui debent
ire .. ad eustodiam Fossati debeant custodire illam par-
tem quam consueti sunt custodire custodes qui pro C.
attenus eustodierunt, habendo in preceptum à Pot. et
Cap. ut habeant bonam fidem ad custodiendum totum

Fossatum.
Tt. — Andreas Negozoli et Paradixius trumbato-
res C.

88. — gennaio 19.

Congregato Consilio speciali et maiori Consilio civit.
P. in pallatio civit. eiusdem .., d. Thomaxius de Gor-
zano Pot. P. .. consilium petiit

Pr. 1. — Cum contineatur in Statuto quod per Con-
silium debeat determinari utrum imponi debeant rre vel
v° equi, que quantitas de predictis placet eis ut impo-
natur (1).

Pr. 2. — Cum in principio Statuti quod loquitur de
mensuris adiustandis contineatur quod mensure debeant

(1). Manca la R. 1.

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326 V. ANSIDEI

adiustari ad modum mensurarum que nune sunt et in
fine dieti Statuti contineatur quod debent adiustari ad
modum et eapacitatem mensurarum que fuerunt tem-
pore .. Aldrovandi de Riva condam Perusinorum Pot.,
ad quas mensuras .. placet .. quod mensure que nunc
fieri debeant .. adiustentur.

Rh. 2. — Plae quod mensure adiustentur .. ad illas |
mensuras cum quibus nunc mensuratur. |
Pr. 3. — Qualiter volunt custodiri bladum et grassia |

ne extrahantur de comittatu vel districtu P. Li

Pr. 4. Vissis et auditis litteris missis a C. Mevanie
super blado quod ipsum C. promisserat vendere Peru-
sinis, quid. placet eis super ipso negotio fieri.

D. Bonconte consuluit quod mittatur Mevanium
quod bladum promissum C. P. debeant portare P. et quod
quilibet qui deportaverit debeat eum vendere in civit. |
et specialiter in platea C. P. et eum vendere possint |
ad plus quam poterint, ita quod Cam. €. P. nullum - |
paciatur' dampnum nee habeat aliquod luerum. |

Item quod Pot. et Cap..faciant venire homines ca- |
strorum seu villarum confinium districtus P. seu comi- |
tatus et eis .. ydoneam recoltam accipere quod ipsi |

‘extra .. distrietum P. non permittent aliquem ire vel

extrahere bladum nee grassiam sub pena et banno, ca-
strum centum libr. et villa quinquaginta libr.

R. 3-4. — Super facto bladi promissi C. P. a C.
Mevanie et super faeto bladi et grassie ne de districtu È
extrahantur, concordavit Consilium ad dictum d. Bon-
contis. .

Pr. 5. — Cum contineatur in offieio syndicorum quod
Cam. debeat iurare de calunpnia coram eis et dietus |
Cam. sit frater religiosus, si placet eis quod procedatur
sine dicto iuramento.

R. 5. — Concordavit Consilium quod. Cam. non
debeat .. aliquod. saeramentum facere coram sindicis C.
REGESTUM REFORMATIONUM COMUNIS. PERUSII

1260, gennaio 19.

R. 6. — (1) Item quod omner panicóculli possint
facere panem.
Tt. Johannes Manegoldus et Andreas Negozuli et alii.

80. — gennaio 20.

Congregato Conscilio speciali cum adiuncta .x. bo-
norum virorum per portam in pallatio C. .., d. Tho-
maxius de Gorzano Perusinorum Pot. .. consilium peciit

Pr. 1. — Super litteris trasmissis a d. Papa in
eodem Consilio lectis, in quo (sic) continebatur quod
d. Papa .. mandabat C. P. quod ducente. libre den.
parvulorum deberent solvi .. Johanni de saneto Lau-
rentio eius familiari, quas C. P. solvere tenebatur in
camera d. Pape.

D. Synibaldus iudex consuluit quod illas ducentas
libras (sic) .. mittantur d. Pape si in camera C. .. sunt
den., et si den. non reperirentur, quod ei respondeatur
quod .. quam cito fuerint ei destinabuntur.

R. 1. Coneordavit totum Consilium ad dietum d.
Sinibaldi.

90. — gennaio 21. .

Faetum fuit Consilium in pallatio C. P. .., in quo
fuerunt omnes de speciali Consilio et generali et de
Consilio Cap. et centum ellectorum per portam et alii
qui ad dietum Consilium .. venire debent.

In quo .. Consilio d. Thomaxius de Gorzano Peru-
sinorum Pot. consilium requisivit

Pr. 1. — Cum teneatur invenire duos trumbatores
de mense Januarii, quid placet .. super hoc fieri debere.

D. Mafeus Peregrini consuluit quod Pot. faciat pre-
conizari quod quis vult esse trumbator C. P. veniat

(1) Manca la Pr. 6,

Cod. IV
cc. 18% —.19t

cc. 208: — 209r

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Cod. IV,
20r — 21*

328 V. ANSIDEI

1260, gennaio 21.

coram not. Pot. et se scribi faciat et si convenientes
fuerint .., recipiantur, si placuerit Consilio.

R. 1. — Plac. super facto trumbatorum secundum
dictum d. Mafey.

“Pr. 2. — Quid placet eis fieri de lapidibus cavan-
dis audito Statuto et lecto coram eis.

R. 2. — Concordavit Consilium quod. Pot. faciat
precipere omnibus qui cavant lapidicinas seu lapides
ut observent omnia ea que in Statuto illo continentur
et sub pena in Statuto conprehensa. i

Pr. 3. — Quid placet .. fieri de familiis positis in

eastellario de Colle.

R. 3. — Coneordavit Consilium quod Statutum quod
loquitur de familiis positis in castellario de Colle pro-

rogetur hinc ad mensem Martii proximi venientis.

Pr. 4. — Quid placet .. fieri debere super meliora-
tione pallatii C.
R. 4. — Concordavit Consilium quod in pallatio C.

.. Pot, possit facere reaptare fenestras et purgare ne-
cessaria et cooperire pallatium et alia facere que fuerint
opportuna.

Pr. 5. — Cum iam concordaverit Consilium quod
d. Bartolomeus ellectus sindieus C. in curia d. Pape
habere deberet pro sua remuneratione in anno presenti
idem quod habuit .. in anno proxime preterito, quid
placet eis quod debeat habere a C. .., cum non repe-
riatur salarium fuisse ei concessum in anno .. preterito
nec etiam percepisse.

R. 5. — Concordavit Consilium quod sindicus C. el-
lectus .. pro C. in Curia romana habere debeat .. pro
remuneratione sui officii decem libr. a C. et non plus.

Pr. 6. — Cum sepe opporteat interdicere litiganti-
bus ne attendant ad rem de qua lis vertitur inter eos
ut non procedant ad arma et rixam; opporteat etiam

sepius occasione maleficiorum precipere quod aliqui stare

debeant in pallatio et quasi frequenter .. rumores fiant
REGESTUM REFORMATIONUM COMUNIS PERUSII

.1260, gennaio 21.

ab uno adversariorum contra alium, nedum eoram Pot.
et eius offitialibus sed etiam coram aliis offitialibus C. P.,
et opporteat in summa quasi totam iurisdictionem Pot.
et offieialium per precepta defendi et exerceri, Pot.
consilium requisivit quid placet eis super hiis.

R. 6. — Plac. quasi toti Consilio quod. Pot. et Cap.
et eius curia possint precipere pro suo officio exercen-
do .. et pro pacifieandis .. malieiis hominum et rumo-

ribus et imponere bannum pro quolibet et pro qualibet

vice usque in quantitatem quadraginta sol, et alii
etiam offitiales C. secundum .. modum sui officii ..,
salvis .. maioribus. penis et bannis appositis in Statuto
C. et populi. |

Tt. — Paradaffius trumbator et Johannes Mane-
goldus.

91. — gennaio 22.

Coadunato Consilio speciali et maiori Consilio civit.
P. in pallatio C. eiusdem .., d. Thomaxius de Gorzano
Pot. P. propossuit

Pr. 1. — Cum d. Thomaxius de Compresseto de-
nunciaverit Pot. quod in nocte proxima preterita Pot.
et C. de Gualdo ceperunt castrum et combuxerunt usque
ad Rocam Compresseti et homines ceperunt .., quid eis
placet super ipso negotio fieri.

R. 1. — Coneordavit Consilium quod Pot. possit
mittere de sua famillia vel not. vel illum quem ei pla-
euerit .. ad inquirendum de dampno dato d. Thomaxio
de Compreseto et in illa terra.

Pr. 2. — Quid placet eis, vissis et auditis licteris
missis a Cap. et custodibus Fossati in quibus continen-
tur cirea ipsum loeum nuper danpnum et predam fuisse
commissa.

Rh. 2. — Concordavit Consilium quod mittantur duo
homines ad Fossatum cum uno not., qui .. examinent

9

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Cod. IV,
20: — 21r
21r — 22*

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330 V. ANSIDEI

1260, gennaio 22.

Cod. IV, : E
ce. 21: — 22" dampnum quod .. datum est, redducendo illud quod ibi

invenerint per scripturam publicam et postea remictant
ad Consilium.

Pr. 3. — Quid placet .., vissis et auditis lieteris

. missis ab ambaxatoribus qui iverunt ad Ducem. j

R. 3. — De facto d. Ducis concordavit Consilium
quod remaneat in speciali Consilio et per dietum Con-
silium terminetur dietum negocium.

Pr. 4. — Cum dicatur quod inter milites et pedites
de Saneto Gemino sit orta discordia, quid placet eis
super dicto negocio fieri debere.

D. Blaneus eonsuluit quod. Pot. et Cap. requirant
parentes et amicos Pot. de sancto Gemino et scire ab
eis qualiter et quomodo est dietum negotium, et si tune
videbitur Pot. et Cap. de mittendis ambaxatoribus, re- | i
maneat in Pot. et Cap. |

R. 4. — Concordavit Consilium de facto sancti Ge-

[

mini secundum dietum d. Blanci. )
Tt. — Paulus Barixanus not. et Andreas Negozoli

trumbator et bannitor C.
92 gennaio 23.

ce. 29! — 1936 Coadunato Consilio speciali et maiori Consilio civit.
P. in pallatio C. eiusdem .., d. Thomaxius de Gorzano
Pot. P. propossuit.
Pr. 1. — Cum per Consilium debeat terminari utrum
debeat imponi quatuor centum vel quingenti equi, que
quantitas de predictis placet eis ut imponatur.

R. 1. — Plae. quod imponantur quingenti equi ad !
formam .. in Statuto conprehensam. | !
Pr. 2. — Cum syndicus C. qui erat confirmatus pro |

Jl

|

C. in Curia romana repudiaverit, quid placet .. super

hoc fieri debere. |
R. 2. — Plac. quod sindieus C. qui debet esse in !

Curia d. Pape habeat a C. pro sua remuneratione .. vi-

ginti libr. prout maior pars Consillij concordavit.
REGESTUM REFORMATIONUM COMUNIS PERUSII

1260, gennaio 23.

Pr. 3. — Si placet .. quod concedatur licentia d. ce. 2» — 2»
Guidoni marchioni de Monte sancte Marie eundi ad
Rezum ut in licteris suis continetur.

R. 3. — Plac. quod detur licentia d. Guidoni mar-
) chioni de Monte sancte Marie ad eundum ad Arezium.

In eodem Consilio lecta fuerunt banna infrascripta
data per Pot.

Imprimis quod quicumque venerit ad Consilium
postquam Pot. surexerit ad aregandum super proposi-
tionibus solvat quilibet et nro qualibet vice unum flo-
renum grossum ;

Item quod quicumque arengaverit contra id quod
propositum fuerit per Pot. in aliquo Consilio vel con-
sulerit vel eius familliares, solvat pro banno pro qua-
| libet vice quinque sol. den, ;

Item quod quicumque .. discesserit a Consilio ante

1d refformationem sine licentia Pot. solvat pro qualibet
) vice tres florinos grossos. Et si ultra refformationem id
| antequam legatur aliquis surrexerit, solvat pro qualibet |
| vice unum fiorinum grossum et plus arbitrio Pot. in
i quolibet supradietorum capitulorum.

In eodem Consilio d. Pare iudex de Cortona, d.
Beneivene, d. Jacobus recepti fuerunt in cives et co- inm
mitatenses per Pot. et Cap. de auctoritate totius Con-
silii; qui iuraverunt et se .. supposuerunt omnibus ho-
neribus et serviciis et exercitibus et aliis ut alii cives
P.; qui Pot. et Cap. de voluntate .. Consillii receperunt
eos in cives, salvo eis beneficio Statuti C. P. .. et ipsos
pro C. P. admisserunt ad omnia beneficia C. .. ut alli
cives civit. P.

Ag
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"Tt. — Johannes Manegoldus not. et Paradixius
bannitor C.

dXNOCONRO C MEO TRE: di ENTIS ul.

93. — gennaio 23.

E UT i c. 209 . AUN
Coadunato Consilio speciali cum adiuncta .x. bono-

rum virorum per portam in pallatio 0. .., d. Thoma- «Hen

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332 V. ANSIDEI

Susa eio aul

1260, gennaio 23.
| Cod. d ius de Gorzano Perusinorum Pot. .. consilium requi-
E sivit.
| Pr. 1l. — Quid placet eis fieri super litteris tran-
smissis ab ambaxatoribus C. P. qui iverunt ad d. Du-
cem, eis lectis et auditis in dieto Consilio. )

R. 1. — Plac. .. quod d. Duca ex parte C. P. de-
beat eonvitari per quinque anbaxatores ut veniat ad
Ih civit. P.
| Pr. 2. — Quid placet eis super litteris transmissis
a C. de Rezo C. et Pot. P. lectis in eodem Consilio, in
quibus continebatur quosdam stacabundos de castro
Castilionis Cluxini depredasse incolas Arezii (1).

Tt. — Andreas Negozuli et Maynetus trumbato-
res C.

iL Ambaxatores ellecti per Consillium speciale ad eun-
l dum ad d. Ducem.

| D. Bartolus Zaonis iudex in Sancto Petro (2).

D. Jacominus Menazati in porta S. Suxane.

D. Conzulus Girardini in porta Sollis.

dd Raynerius d. Ariverii in porta S. Angelli. |
EA — 2 Capitonus di Maurini in porta Eburnea. È

Ist sunt illi qui debent ire ad Sanctum Geminum
ellecti per eundem Consilium ut in refformatione gene-

TUR IMLCAIAÓSI ELS iii,

rallis Consilij continetur.

r D. Thomaxius de santo Valentino.

IL . Arloetus d. Burgi.

n Isti debent ire Fossatum ad inquirendum de ma-
| leffieio et arsura ibi facta.

| Galganellus d. Bonioannis.
TUE Bertramutius Petri Bonizi.

Vanuzulus Maffey pro not.

Iti , (1) Manca la R. 2.

| NARO] H . .

Ul t: (2) « D. Bartolus Zaonis » risulta eletto « loco d, Pauli

Acerbi », il cui nome è cancellato,
?
REGESTUM REFORMATIONUM COMUNIS PERUSII
94. — 1260, gennaio 26.

Coadunato Consilio speciali et maiori Consilio civit.
P... in pallatio C. .., d. Thomaxius de Gorzano Peru-
sinorum Pot. propossuit.

. Pr. 1. — Si placet eis quod Ubianucius de Monte
Ubiano, qui est in carceribus pro quodam homicidio ab
eodem commisso, extrahatur de carceribus, cum ipse
satisfecerit C. secundum forman Statuti de dicta con-
denpnatione.

R. 1. — Plac. quod Ubianutius de Monte Ubiano ..
extrahatur de carceribus cum satisfecerit C.

Pr. 2. — Cum petatur pedagium a nuncio d. Pape
et contineatur in Statuto quod non debet accipi peda-

gium Romanis, si intellicunt d. Papam esse romanum.

R. 2. — Interpretatum fuit per Consilium .. d. Pa-
pam esse romanum (1).
Pr. 3. — Super hiis que proposita .. fuerunt per

anbaxatores C. Eugubij .., Scilicet quod placere deberet
C. P. quod quidam sui cives habentes terras et posses-
siones in districtu et terra Fossati et alibi in districtu
P. possint eas laborare .. et fructus ex eis percipere ;
et quod quidam de Gualdo àbstulerint unum par bo-
vum cuidam suo civi seu comitatensi et petebant a

‘C. P. debere eis placere dare .. quendam latronem qui

est ad Assisium captus dicto C. ad hoc ut per eum
possent inquirere et invenire sequaces ipsius de furtis
et rapinis quas fecerunt in districtu Rugubii,

Item quod per C. P. reddatur ius Eugubinis de his
que habent aliquid petere a civibus et distrietualibus P.

D. Blaneus consuluit quod respondeatur anbaxato-
ribus de Egubio: per Pot. et Cap. super facto illorum
de Gualdo quod multum displicet C. P. si iniuriam in-
tulerunt .. Eugubio et quod inquiretur per Pot. et Cap.
de facto predicto et robaria.

(1) V. nello Statuto perugino del 1279 la rubrica « Qua-

« liter perusini habentes castrum in alieno districtu non au-
« ferant pedagium perusinis neque romanis ».

Cod. IV,
cc. 23! — 24r

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Cod, IV,
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334 V. ANSIDEI
1260, gennaio 26.

Item quod latro qui captus est ad Assisium non
debeat dari Eugubio si pervenerit ad C. P., sed in hae
civit. tormentetur et inquiratur per eundem qui fuerint
sequaces ipsius de terra Eugubii in furtis et rapinis
commissis in dieta terra.

Item quod reddatur ius hominibus de Gubio su-
marie, dummodo €. Eugubii simile ius reddat .. nostris
civibus et comittatensibus.

Item super facto illorum de Gubio qui habent
possessiones in terra Fossati et in districtu P., quod
Pot. et Cap. habere debeant .. sapientes .., cum quo-
rum consilio debeant eis respondere, habito primitus
laudo facto et celebrato inter C. P. et €. Egobii (1).

R. 3. — Qoneordavit Consilium quasi totum in
omnibus et per omnia .. secundum dictum d. Blanci.
Tt. — Johannes Manegoldus not. Pot., Andreas

Negozuli bannitor C.
95. — gennaio 21.

Coadunato Consillio speciali et maiori Consillio civit.
P. .. in palatio civit. eiusdem, d. Thomaxius de Gor-
zano Perusinorum Pot. .. consilium petiit

Pr. 1l. — Cum credatur quod quicumque vellet te-
nere equum voluntarie veniret coram: Pot. et faceret
se scribi infra certum terminum et nullus venit, quali-
ter placet eis et per quos volunt fieri impositionem equo-
rum quingentorum cum ipsa imposita fieri debeat per
totum mensem Januarii.

R. 1. — Plae. quasi toti Consilio quod impositio
equorum .. fieri debeat per Consilium speciale.

Pr. 2. — Cum in Statuto contineatur quod de mense

(1) Il lodo qui richiamato fu quello pronunciato il 14 Lu-
glio 1259 in Città di Castello, nella chiesa di S. Florido. —

v, Somm., XLIII.
REGESTUM REFORMATIONUM COMUNIS PERUSII 335

1260, gennaio 27.

Januarii Pot. et Cap. debeant facere Consilium ad
inveniendum magistrum pro opere Montis Paciani., et
si in ipso opere sive circa ipsum: capitulum quod loqui-
tur de ipso laborerio aliquid impossibile vel difficile
videatur, terminari debeat per Pot. et Cap. et per
maius Consilium civit., quid placet eis super toto ipso
negotio consulere.

R. 2. — Place. quod per Pot. et Cap. conpellantur
omnes illi qui aeceperunt ad cotumum de opere Montis
Paciani ad complendum illam partem dieti operis quam
ipsi ad cotumum acceperunt, et usque quod comple-
verint dietum Statutum differatur.

Pr. 3. — Cum debeat fieri Consilium de mense Ja-
nuarii et proponi qualiter possit haberi in civit. P. maior
habundancia aquarum et reinveniri .. et meliorari fon-
tes veteres et puteos et novos fieri circa civit., quid
placet eis cirea predicta fieri.

R. 3. — Plac. quod Statutum seu capitulum Con-
stituti quod loquitur de maiori habundancia aquarum
mandetur ad effectum ut in ipso capitulo continetur.

Pr. 4. — Cum de predicto mense Januarii Pot. et
Cap. precisse teneantur ponere ad maius Consilium de
provissione facienda d. Ugutioni de Casali in domibus
et possessionibus non obstante capitulo quod loquitur
de avere C. non dando, quid placet eis .. fieri.

R. 4. — Plae. quod Statutum quod loquitur de
provissione facienda d. Ugutioni de Casali in domibus
et possessionibus ad presens differatur donee per Pot.
et Cap. super ipso capitulo Constituti provissum fuerit.

Pr. b. — Cum dictum fuerit et refformatum per
Consilium in anno preterito quod custodie carcerum
fierent secundum quod consuetum est et de consuetu-
dine non sit manifestum qui fuerint vel quantum de-
beant habere custodes pro eorum remuneratione, quid
placet... et qualiter super illo negotio sit procedendum.

R. 5. — Plac. quod. quilibet ex custodibus carce-

Cod. IV
ec. 24 — 255

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Cod. IV,
cc. 24 — 25r

cc. 25t — 20:

336 V. ANSIDEI

1260, gennaio 27.

rum... habeant .. decem et octo den. pro quolibet die
et nocte quo custodiverunt aliquem vel aliquos in car-
ceribus C.

Tt. — Andreas Negozuli et Paulus Barixanus not.

96. — gennaio 29.

Congregato Consilio speciali et maiori Consillio civit.
P. in pallatio C. P., .. d. Thomaxius de Gorzano Pot.
P. .. eonsilium requisivit

Pr. 1. — Quid placet eis fieri de melioratione muri
porte et pusterle civit et burgorum et fosse et car-
bonarie (1).

Pr. 29. — Si placet.. quod anbaxatores mittantur
ad euriam d. Pape cum per Statutum dicatur ambaxa-
tores esse mittendos ad impetrandum litteras quod cle-
rici de civit. et comitatu et districtu eius in tempora-
libus sub curia P. debeant respondere.

R. 2. — Plae. quod differatur modo mittere an-
baxatores ad curiam d. Pape.
Pr. 3. — Cum in Statuto contineatur quod domini

eastrorum ubi colligitur pedagium debeant assignare
certas personas que colligant pedagium, qualiter volunt
in ipso esse procedendum.

R. 3. — Plac. .. quod ea que fieri debent per ali-
qua statuta de mense Januarli prorogentur et fiant hine
ad Pasca Resurrectionis.

Pr. 4. — Cum quedam statuta exigant aliquid de-
bere fieri per Pot. et Cap. de mense Januarii, que nun-
dum facta sunt nec commode fieri possunt, inter que
est transana que debet fieri iuxta sanetum Severium,
et laboreria de plano Montagnane de Cayna et de pilla
Pontis Rie .., si placet .. quod tempus prorogetur ad
ipsa opera facienda.

(1) Manca la R. 1.
TES

REGESTUM REFORMATIONUM COMUNIS PERUSII

1260, gennaio 29,

R. 4. — Plac. quod laboreria que fieri debent de
presenti mense .. fieri possint in futurum et habeant
dilationem temporis competentis.

Pr. 5. — Cum de mense Januarii Pot. et Cap. pre-
cisse teneantur ponere ad maius Consilium de promis-
sione facienda d. Ugutioni de Casali in domibus et pos-
sessionibus non obstante capitulo quod loquitur de a-
vere C. non dando, quid placet eis super ipso capitulo
et negotio fieri.

R. b. — Place. quod factum d. Ugutionis de Casali
prorogetur et eius provisio differatur quousque libra faeta
fuerit per homines P. .. et districtus.

Pr. 6. — Cum requiratur C. P. per Pot. et anbaxa-
tores de Gualdo .. quod dare debeat eis Pot. sive re-
ctorem pro anno futuro, quid placet eis Super hoe de-
bere fieri.

R. 6. — Plac. .. quod detur Pot. per C. P. homi-
nibus de Gualdo et elligatur ad sortem.

Pr. 7. — Quid placet .. super anbaxata .. recitata
in eodem Consillio per anbaxatores Betonie qui petunt
quod possint [ducere] per districtum oleum et mandulas
quod conducerent de alieno districtu.

R. 7. — Piac. quod homines de Betona possint du-
cere de alieno districtu oleum et mandolas per distri-
ctum P. ad terram suam sive ad partes alias, dum-
modo Pot. et Cap. singullis vicibus concedant licentiam.

Pr. 8: — Quid placet .. et qualiter volunt remu-
nerari spavaldi qui nuper suspenderunt duos latrones.

R. 8. — Plac. quod spavaldi qui nuper suspende-
runt duos latrones iudicatos per Pot. possint et debeant
habere .xx. sol. pro quolibet quia sic ad minus similes
et similia facientes consueverint habere.

R. 9. (1) — Si qua sunt statuta que loquuntur de

aliquibus faciendis et ipsa facta sint que in ipsis con-

(1) Manca. 1a Pr. 9.

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ENDE Rao. > "22. Cod, IV,
ce. 25: — 98t

338 V. ANSIDEI

1260, gennaio 29.

tinentur .., ipsa statuta et effectus eorum pro factis et
completis habeantur et ab ipsis Pot. et Cap. sint pe-
nitus absoluti.

In eodem Consillio lecta fuerunt per me not. tria
statuta Constituti, unum quorum quod loquitur qualiter
puniantur promittentes Pot. et officialibus C., et aliud
quod loquitur de avere C. non dando nisi certo modo AE
et aliud capitulum quod loquitur quando Cam. possit
expendere den. vel pignora que recepit, que tria capi-
tula Pot. tenetur legi facere quolibet mense.

In eodem Consilio iuraverunt esse cives vel comit-
tatenses secundum tenorem Statuti... infrascripti tres ho-
mines (1) et Pot. et Cap. eum voluntate Consilii et ..
Consilium eum eis receperunt eos modo predicto et
concesserunt sibi privilegium usque ad .x. annos secun-
dum tenorem capitulli supradicti.

Tt. — Andreas Negozuli bannitor et Paulus Barixa-
nus not.

(1) I tre nuovi cittadini furono « Raynerius Petri Guarne-
rie de Spelli » e « Angellus Cazati, Seagnus Andree, qui fue-
runt de Pozo Munaldeschi de comitatu Nucere ».

(Continua)
UNA SCUOLA DI CANTO A PERUGIA

NELLA PRIMA METÀ DEL SEC. XIV

NOTE DI STORIA PERUGINA

Non torni discaro al lettore vedere che ci occupiamo
— mentre più intensa si fa la ricerca dei documenti, pubblicati
man mano in questa Rivista, con il cortese assenso della
Presidenza della nostra Deputazione, interessanti lo Studio
perugino — anche di un argomento di secondario interesse,
in quanto non riguarda direttamente la storia di quei in-
segnamenti per i quali salì a grande fama e per cui furono
sempre scelti i Dottori più celebrati. Oggi l Università nostra

‘ha ottenuto l’ auspicata regificazione ed è salita al posto

al quale si sentiva di aver diritto per la valentia dei propri
Maestri, per il numero ognora in aumento degli allievi,
per la ricchezza dei propri mezzi didattici, per le sue vetuste
tradizioni, mai interrotte attraverso ben più di sei secoli e
durante le vicende più fortunose, mercè l’opera illuminata
dell'Uomo meravigliosamente grande che governa la N azione,
con la cooperazione sapiente ed affettuosa per noi di Colui,
al quale sono affidate le sorti della P. L, P Uno e 1° Altro
uniti nella stessa fede a quei generosi in cui l’amore per il
dolce loco natio e per la regione è fiamma che tutti li

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agita. È doveroso pertanto, nel momento lieto che volge, di
porre in sempre più bella luce tutti i fasti dell’ Ateneo, il quale
da quest'ora storica, veramente importante, potrà ben chia-

.marsi Università dell’ Umbria, ed essere non più soltanto honor

et decus civitatis Perusii, ma anche honor et decus Umbriae;
nome meglio corrispondente alla vita della nuova Italia,
mirante eon meditato proposito a valorizzare tutte le ener-
gie nostre, prima quelle intellettuali di cui siamo riechi, per
condurle eon impulsi gagliardi verso méte, sempre più lu-
minose; senza per altro trascurare di illustrare quelle glorie
in apparenza piccole, ma che pure dovettero, per quanto
poterono, renderlo celebrato nei tempi antichi.

La notizia che pubblichiamo è modesta, dataci dalla
ricerca quotidiana di archivio, ma che unita alle già cono-
sciute contorna con precisione di dettaglio 1 amorevole inte-
ressamento, ognora più fattivo, dei nostri maggiori verso lo
Studio ed è testimonio tangibile della gentilezza delle anime
loro nel mentre si facevano più aspre le lotte cittadine, poichè
essi vollero che non soltanto i giovani venuti per frequen-
tarlo, onde apprendere le severe discipline della Legge, della
Medicina e delle Arti minori, ma tutti indistintamente po-
tessero nobilitare i propri spiriti con Parte dolcissima della
musica, sorgente in pari tempo di soavi diletti.

Avemmo il documento dalla cortesia del dott. Bri-
ganti, dotto e zelante bibliotecario della Comunale e del
dott. Scaramucci, studioso diligente delle nostre carte anti-
che, compagni assidui nelle ore di lavoro, i quali si com-
piacquero di comunicarcelo, sapendo come da tempo — con

quali risultati gli studiosi soltanto diranno, — attendiamo

alle ricerche per la storia dell’ Università di Perugia. Ad essi
la parola della gratitudine la più sentita.

Nel Liber Canavariorum (1), dove sono registrate le spese
fatte per il nostro Comune per gli anni 1334-36, in data 10

(1) PERGAMENE DEL FONDO GARDONE, Archivio Comunale di Perugia.
UNA SCUOLA DI CANTO ECC. 341

febbraio 1335 trovasi la seguente ricevuta: Magister Petrus
; Andreutij olim de Assisio doctor Comunis Perusij în arte cantus
fuit confessus habwisse .. .. XXV libras denariorum | quas
habere debet a comuni Perusij pro salario pro ammo presente.
| . Ed ai 19 Marzo, sempre dello stesso anno: Magister Petrus
) Andreutij doctor in arte cantus . . . riceve le altre 25 libbre
| di denari, residuo prezzo del suo salario di libbre 50.
Eccoci dunque dinanzi ad un nuovo maestro, finora del
tutto ignorato, come era sconosciuto che il canto venisse fra
noi in quel momento insegnato con uno Stipendio fisso; e
| di cui purtroppo non sappiamo altro che quello che si è rife-
T rito, cioè nome, patria, professione, salario; il quale maestro
| tiene molto a farci sapere che è dottore nell’arte sua; che
| proviene d" Assisi; dove una volta fu cittadino ; poi cittadino
in Perugia, appartenendo con ogni probabilità al gruppo
assai numeroso dei Lettori addivenuti Cives Perusini, perchè,

| insieme agli Scolari, godevano le immunitates Civium. et pro
Civibus habeantur dum ibidem (cioè in Perugia) ad studium
l^ morabantur. Così il Magistrato aveva stabilito nel Giugno
| 1506, riaffermando un uso assai piü antico ed ordinando che
la relativa Riformanza, insieme ad altre, tutte di massima
importanza, venisse trascritta nello Statuto, compilato in que-
j St'anno e che forma la Grande Carta dello Studio perugino, mo-
numento di altissima sapienza cittadina, redatto prima che
Clemente V lo dichiarasse Studium generale e per il quale
certamente si ottenne, una buona volta, che i voti arden-
tissimi della Città fossero soddisfatti (1).

Ma a meglio conoscere chi fosse Pietro d'Andreuccio
bisogna rifarsi assai indietro, cioè all'epoca in cui egli visse.

È noto come nel Medio evo esistesse una differenza assai
netta fra musica teorica e musica pratica. La prima, chia-
mata soltanto musica per eccellenza, comprendeva la scienza

(D TARULLI BRUNAMONTI, Documenti per la Storia della medicina
in Perugia ecc. pubblicati in questo Bollettino, vol, XXIV,

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342 : L. TARULLI

che studiava i suoni nelle relazioni fra loro e le varietà dei
medesimi, e ne fissava le leggi, secondo regole speciali. Questa
ricerca formava una indagine si può dire tutta speculativa,
tutta filosofiea e traeva le piü lontane origini da quanto
Platone ed Aristotele avevano lasciato seritto nelle loro o-
pere; coinvolta poi, come tutto il resto, nelle spire della
scolastica, che la rendeva ancor piü astrusa. E tale rimase,
fino a quando Guido d'Arezzo, postala su nuova strada, la
rese più facile, facendola più popolare, da essere meglio col-
tivata insieme alla poesia, che le addivenne sorella insepa-
rabile. E Mwsico era chiamato, anche dopo Guido, tanto chi
in questa scienza soltanto era colto, come chi la insegnava.
La seconda — la musica pratica — abbracciava l'esercizio
del eanto, unito sempre a quello del suono ed alla compo-
sizione della cantilena o tono, che era la stessa cosa, la quale
veniva applieata alla poesia, per solito composta dallo stesso
soggetto che la cantava e per questo detto Cantore. Se il
musico poteva esser tenuto in grande considerazione per la
sua sapienza, specialmente presso i dotti, il cantore, verseg-
giatore ad un tempo, era dai più ricercato e tanto in più
alta fama quanto maggiore la grazia, la dolcezza, l’abilità,
in una parola quanto più perfetta l’arte che possedeva.
Pietro giunto in mezzo a noi dovette subito trovarsi a
tutto suo agio e reputarsi contento di aver lasciato la pro-
pria patria. Perugia in quei tempi era sempre nel massimo
splendore. La sua amicizia e la sua alleanza ambite dalle
città più in vista dell’ Italia centrale; e Roma, Firenze, Bo-
logna, per non dire delle minori, addimostravano particolar-
mente di voler vivere non solo in buona armonia con essa,
ma di cercarne i favori. Molti Papi ne avevano fatta la loro
sede preferita: entro le sue mura, ospiti signorilmente, Re,
Magnati, Ambasciatori, per trattàre con la Curia Romana, ed
anche soltanto con il Magistrato supremo della Città, affari
del più alto interesse, riguardanti P Italia e la Cristianità:
ed il rosso vessillo, eredità dei Romani, dei quali i Perugini

MÀ nen
EMEN QUAE

è di Grosseto .... (Mss. Manro'rI, Archivio Comunale).

UNA SCUOLA DI CANTO ECC. 343

erano stati potente colonia, dove fiero campeggiava il Grifo
d’argento, con corona d’oro in capo, rostro ed artigli d’oro,
che pareva ammonisse esser sempre sulle mosse per andare
più in là, sempre in avanti, in attesa di agguantare nuovi
domini, temuto, più che amato, sventolava sulla torre del
libero Comune (1).

Ma non era soltanto la forza che la turrita Città
mostrava di tenere in gran pregio, anzi di esserne fiera.
Amava l'arte, il sapere, la gentilezza, nascosta in quei rudi
e gagliardi getti e si sentiva orgogliosa di governarsi con
norme legislative sapienti, che potevano ben essere imitate
da altri paesi. Aveva costruite opere belle, quali il palazzo
del popolo, residenza della suprema Autorità cittadina: la
fontana maggiore: alcune chiese, ornate anche di pitture e
di marmi: sistemate le sue strade: provveduto alle norme
più importanti di polizia cittadina: eretti nuovi ponti, onde
il commercio se ne avvantaggiasse: innalzati castelli, punti
avanzati di difesa e di offesa ad un tempo, ma anche centri
di maggiore espansione e di più estesa produzione agricola:
ed il nostro bel S. Lorenzo, — situato în capite platee magne
civitatis, sotto la cui tutela si voleva venissero trattati gli
interessi più importanti del Comune, e dove in Sede cam-

(1) Così il Mariotti intorno allo Stemma di Perugia: Al tempo di
Numa Pompilio, per divino miracolo cadde in Roma dal Cielo uno scudo
vermiglio, per la qual cosa et augurio in Roma ne presono quell’ insegna
et arme e poi vi aggiunsero S. P. Q. R. in lettere d'oro: et così del-
l'origine della loro insegna diedono a tutte le città edificate da loro cioè
vermiglia. Così a Perugia, e a Firenze, e a Pisa. Ma i Fiorentini per lo
nome di Fiorino e della Città vi aggiunsono per intrasegna il Giglio bianco;
e' Perugini talora il Grifone bianco e Viterbo il campo rosso, et li Or-
vietani l' Aquila bianca.... (GIOVANNI VILLANI, Istorie Fiorentine, lib. I
cap. 40).

9

Quindi lo stesso Mariotti continua: Vi fu un tempo — credo nel
XIV secolo — in cui l'arme di Perugia fu una Croce. Nel Duomo di
(=)

Siena sul pavimento tra gli stemmi a mosaico di varie città confederate

con Siena vi è ancora quello di Perugia: ed è una croce: e il Grifo

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L. TARULLI

344

panilis Sancti Lawrentii .... in arrengo sew concione dicti co-
munis .. im atrio ante Sanctum Herculanum .. in Ecclesia bea-
Hit dorum Laurentii et. Herculani, frasi queste con le quali
I il era designato lo stesso luogo pieno sempre di care me-
hi i morie, si ‘svolgevano le cerimonie più solenni — oggetto
d’interessamento particolarissimo da parte di tutti. Aveva
LT fiorente lo Studio presso il quale i migliori leggevano, scelti
ill | ora dagli Seolari, ora dai Savi, che ogni cura ponevano perché
uni i la fama a cui era salito mai scemasse; di guisa che Bologna,
L| SE ‘la grande madre degli studi, era lieta di ricevere i nostri
come maestri e noi di ospitare i suoi, certo in maggior
numero, senza troppo curarci se fossero Guelfi o Ghibellini
| perchè alla loro dottrina si badava sopra ogni cosa; esem-
pio non imitato da altre città e dalla stessa Bologna, nel
momento in cui l’odio di parte divideva tutti e rendeva feroci
i componenti di una stessa famiglia di fazione diversa. |
E la Città viveva soddisfatta e prosperosa per le forze |

vive del suo artigianato, nelle cui mani stava il governo,
ed in pari tempo tranquilla per i propri destini, fiduciosa
WE nella valentia dei Capitani e nelPamore dei cittadini verso
Tib A. '. . . 4l Comune. Era vivo il ricordo — per il nostro Andreuccio
Me di speciale interesse — del ritorno, mercè il fermo volere
M Ce di Giovanni XXII, della sua Assisi all’obbedienza di Pe-
| | rugia, prediletta da questo Pontefice, che la chiamava dalla
I pi. Ive lontana sua sede con i nomi più lusinghieri e Parriechiva
dei doni più ambiti, perchè devota a Parte ‘guelfa, il che
voleva dire alla Chiesa — senza per altro aver mai compro-
ill x messa la propria libertà, di cui costantemente era fiera —
WII scomunieati i signori di Foligno, Ugolino e Corrado Trinci,
| resisi padroni di quella città e del suo territorio, con il con- |
| senso degli Assisani per l’antica e cordiale antipatia che ci
| portavano, nel rinverdire delle speranze ghibelline, avve-
nuta la discesa in Italia del Bavaro (1). Trionfo politico di

O SI A

— ore

(1) CuisrorANI, Della Storia di Asisi, Asisi 1860, p. 138.
UNA SQUOLA DI CANTO ECC. 345

grande importanza, che consolidava la potenza della Città
nostra nellItalia centrale, assai maggiore di quello che si
sarebbe potuto ottenere dopo una grande battaglia vinta colle
armi, dovuto alla saggiezza di quei pochi, dai Priori scelti con
massima accortezza ed inviati e fatti trattenere a lungo presso
la Curia papale per difendere, consolidare i propri diritti.
Ma anche di ben altro era lieta Perugia. Essa, che non
solo non aveva mai avuto tepido il sentimento religioso —
saggiamente e constantemente separato da quello politico —
ma che mercè i suoi ordinamenti interni aveva dato prove
ben manifeste di tenerlo in grande onore e di difenderlo,
respirava ancora e largamente il delicato profumo della pri-
mavera francescana, ora più umana, addivenuta anzi elemento
importante della vita cittadina, avente alla stessa maniera la
forza di mantenere operose le idealità spirituali, a cui aveva
dato origine il rinnovarsi di tante coscienze in quell’ ora
meravigliosa, in cui il Santo addivenne tutto Serafico di ar-
dore. La laude disadorna nella forma, ma riboccante di amore
Si ripeteva, unita al canto, nella Città, nelle campagne, nelle
chiese, nelle piazze, all'apparire del giorno, nel pieno me-
riggio, sull’imbrunire, colla stessa fede colla quale Egli un
giorno, oppresso da grandi dolori, per trovarne sollievo, ac-
canto alla sua figliuola Chiara e ad alcuni, i più fidi, aveva
inneggiato a Dio ed al creato. E fisso lo sguardo alla fertile
costa la melodia saliva verso Oriente, lieve e gentile come
lo stormir delle frondi, soffusa di fragranza paradisiaca, e
. giungeva a. Lui ora racchiuso, quasi prigioniero, entro la
mole massiccia sorretta da archi poderosi, che il genio e
l’amore di un suo figlio prediletto aveva costruito, ma che
BE non era il Tempio, che le creature di Dio, da lui teneramente
amate e chiamate coll’ appellativo gentile di sorelle, gli avreb-
bero eretto per riconoscenza, se lo avessero potuto.
Non era peró la potenza di Perugia, la quale, ora in
pace, ora in guerra, ma il più delle volte nemica, aveva
fatto sentire così spesso il grave gioco sopra la patria sua;

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346 L. TARULLI

non le sue glorie; non le sue bellezze erano riuscite ad atti-
rare in mezzo a noi Pietro d’ Andreuccio; nè i canti dei
trovatori di Cristo, nè quelli del popolo nostro, ripetuti in
mezzo a tanto sorriso di terra e di cielo. Li aveva ben sen-
titi questi canti, insieme agli altri, che i devoti, venuti di
lontano, pellegrinando, ripetevano, in cerca del Padre :

In su quell’ alto monte
Ve’, la fontana che trabocch'ella; ,

D'oro vi son le sponde,
Ed è d'argento la sua cannella;
o

Anima sitiente,

Se tu vuo' bere, vattene ad ella, (1)
e

Ed essi nei chiostri, nella pianura sottostante, si diffon-
devano come il suono delle campane delle sue chiese, e da
Santa Maria degli Angeli, da San Damiano, dai romitori
del monte e del piano, rafforzati, quasi ingigantiti — P Um-
bria ne era ripiena — tornavano lassù, al Luogo sacro, per
mescolarsi, in un unieo inno di riconoscenza, con quelli li-
turgici, che i Frati ripetevano nella esultanza della loro fede,
jubilium fratrum psallentium harmonias cantantium, accom-
pagnati dalle dolci melodie degli organi, sonitum organorum.

Ben altro in questo momento aveva avvinto il nostro
Pietro, anima squisita. d’ artista e di cui si sentiva pervasi
la mente ed il cuore, palpitante nelle comitive festose, dove
ai lieti conversari si univano il canto ed il suono. - L/ amore.

per lo qual si travaglia il mondo tutto

e la gioia egli cercava, finalmente rinvenuti, poichè in Pe-
rugia nelle lotte delle fazioni che si contrastavano il gover-
no ed il dominio del Comune, la Nobile e la Popolare, fra le
vendette, gli esilii, a cui dava origine il parteggiare furioso
si succedevano le giostre, i balli in pubblico ed in privato,

(1) Novam, Da Freschi e Minii del Dugento. Nuova edizione Milano.
AUN SCUOLA DI CANTO ECC. 347

i giochi, i fieri ludi, i clamorosi sollazzi a cui prendevano
parte lo stesso Potestà ed il Capitano del popolo, che spesso
ne erano gli ordinatori, con i loro Giudici ed i loro Notari,
poeti essi pure, secondo il costume, gli Scolari dello Studio,
cittadini e forestieri — i goliardi — sempre esuberanti di vita,
ricchi di galanteria, ma poveri di denaro, paladini di ogni
idea generosa, sprezzanti di ogni pericolo, eterni sognatori,
eterni poeti, eterni cantori, insieme a qualche arcigno Lettore
più amico delle Muse che del Digesto e di Esculapio.

In mezzo a questo mondo, che la nostra Città tornava
ad offrirgli, Pietro desiderava nuovamente gettarsi, non solo
per meglio contemplarlo, ma per meglio sentirlo e più d'av-
vicino, e per tutto goderlo. Quivi il suo sogno, quivi l' ispi-
razione per il canto, per la poesia. Sentiva di dover star bene
in mezzo a questo vario agitarsi: vicino a coloro che il bi-
sogno di espandersi sospingeva ogni giorno: bisogno corri-
spondente ai sentimenti nuovi ed alle tendenze del tempo,
poichè quell’ epoca così esuberante di fede era anche un? e-
poca di giocondo amor della vita. Non tutti più si discipli-
navano, non tutti più vestivano il sacco e cingevano il cilizio
e scalzi peregrinando di città in città gridavano penitentiam
agite. E se lo spirito religioso alcuni aveva trascinati « all’ an-
nichilimento dei sensi e del volere, all'umiltà spinta fino
all' amore della contumelia, alla perfetta letizia nell’ aberra-
zione, nell infermità, nella morte »; se altri, più tranquilli dei
primi, aveva condotti a servire Iddio « nella giocondità dello
spirito, nella contemplazione e nell’ aspetto comprensivo delle
cose belle naturali, » pur umiliando se stessi, rinunziando alle
proprie riechezze, macerando il corpo per nobilitare lo spirito,
fatti apostoli di un ideale di pace e di giustizia, che vole-
vano ricondurre nel mondo, non pochi, anzi eran molti, ed
ogni giorno più aumentavano, quelli che, passati i primi fervori,
senza aver fatto in niun modo gettito della propria fede,
cercavano la vita, che tutti li attraeva in varia maniera, riu-
niti tra loro, ma in liete brigate, ove le feste si succede-

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348 L. TARULLI

vano, nella speranza che i loro animi si ingentilissero. Eran
momenti di sosta nella lotta quasi quotidiana, dei quali bi-
sognava approfittare senza ritardi, perché le nubi, or ora
fugate da un limpido e caldo raggio di sole, dopo tante tem-
peste, potevano tornare, ancora più del passato nere e mi-
nacciose, apportatrici di maggiori sventure.

E come il sentimento religioso aveva creato la sua for-
ma letteraria, la laude, così il vivere mondano la propria:
i madrigali, le ballate, i sonetti, i rispetti e via dicendo.
Questa poesia, al pari dell'altra, fu pure nostra, cresciuta nel-
P Umbria quà e là, ma specialmente in Perugia, dove tutti
Wd gli elementi concorrevano a renderla più bella, primo fra
i tutti certo lo Studio. « Fu erotica e moralizzante, politica
ed umoristica », offertaci da non pochi e valenti che gli
| studiosi hanno collocato nél così detto gruppo dei Poeti pe-
l4 i rugini, seguaci della scuola del dolce stil nuovo: qualcuno
|: chiaramente e ripetutamente imitatore di Dante (Niero Mo- |
MI | scoli), qualche altro (Ser Marino Ceccoli) in corrispondenza
WII - di amore eon l'amoroso Messer Cino, Lettore nello Studio di
11H - Perugia (1) Non era peraltro questa la sola produzione lette-
fi raria in voga fra noi — e sia bello il ricordare, a grande
| titolo nostro di onore, come essa testimoni, in modo non
dubbio, che alcuni canti della Commedia ci fossero noti e
studiati, vivente P Alighieri — ma un’altra ne possedevamo,
senza fallo meno ricca dellaltra, che non*era veramente no-
stra, ma di quelli che, nomadi, passavano di Studio in Studio,
(il seco loro portando costumi, abitudini, — la gogliardica —
| mordace, voluttuosa, satirica, ripetuta entro e fuori le mura
della ‘scuola, sempre con uguale entusiasmo, gradita da tutti,
Li | perchè ricercati ed amati ne erano gli autori, e perchè essa
I Hd | pure melodiosa e quindi ben musicabile.

E : (1) PrgrRo Tomassini Marriuccr, Nerio Moscoli da Città di Castello
WE j antico rimatore sconosciuto. Bollettino della R. Deputazione di Storia Pa-
tria per l' Umbria vol. III, n. 6.
UNA SCUOLA DI CANTO ECÓ. 349

Ora é il momento di tentare, solo tentativo per altro,
se sia possibile orizzontarei un po’ meglio intorno a quello
che Pietro di Andreuccio faceva. Per noi è certo che egli
insegnava. E? vero che intorno ai titoli di doctor e di magi-
ster tornerebbe assai opportuno compiere una più minuta
indagine e che le due designazioni non dicono sempre che
ehi ne era fregiato abbia atteso o no di fatto a tenere una
scuola: ma i piü, e con ragione, ritengono che la parola
doctor — doctor proprie is sit qui docet aut docwit, così
pure dal lato etimologico — significhi conventatus, ossia lau-
reato; e poichè la Conventatio dava diritto ad insegnare, alla
Licentia docendi, anzi questa veramente si conseguiva nella
prima prova — la Licentia — che precedeva la seconda —
la Conventatio — così il nostro fu senz’ altro lettore. Ma dove
si era fornito di questo titolo accademico -ed in quale ma-
teria, per usare in tutto e per tutto il linguaggio dei tempi
nostri ?

Capita abbastanza di frequente leg ggere, nelle carte e
nei libri contenenti notizie della seconda metà del sec. XIII
e più innanzi, nomi di persone con il titolo di doctor in gra-
matica et im artibus, lector gramatice facultatis, magister gra-
malice, magister în artibus e simili; perché si sa che questo
insegnamento era diffuso largamente, dando origine a quei
centri d’istruzione — da non confondersi con le scuole mo-
nacali e clericali, e perciò distinti con il titolo di laicali —
alcuni di grande valore, sia per la importanza della città ove
fiorivano, sia per l’amore dei cittadini che ne curavano le
sorti con grande interessamento. Uno sviluppo poi tutto spe-
ciale assumeva l'insegnamento della Grammatica, unito ad
altri sotto il nome di insegnamento delle Arti, dove sorge-
vano gli Studi, di cui entrava a far parte integrale, come
accadeva a Bologna, presso la quale, accanto alle scuole ri-
nomatissime di Giurisprudenza e di Notaria, sempre nella
seconda metà del sec. XIII e nei primi decenni del succes-
sivo, erano tenuti in speciale considerazione gli studi Gram-
350 . L. TARULLI

maticali e di Arte retorica, tanto che i maestri e gli scolari
vi accorrevano dai più lontani paesi e molti ne partivano
per trarre guadagno dalla accumulata cultura nella città ove
erano condotti ad insegnare.

Tanti Sene neri su


a

i Perugia ebbe prima, cioè nei periodi più remoti, anche
ii M s essa un centro culturale comunale, continuamente in au-
| mento e tenuto in massimo onore per le premure costanti
di tutti e ben conosciuto anche al di fuori della cerchia delle
| mura paesane e per questo frequentato dai cittadini e dai
il IRE forestieri. E così nellesordire del suo Studio possedette un
{Ki | : insegnamento speciale per la Gràmmatica e per le altre Arti,
| accanto a quelli, in maggiore considerazione, della Legge e

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Mice > Re >

TU ii della Medicina. E? lo stesso messo — questo sappiamo ben
B " mer chiaramente da quel pochissimo che ci è rimasto del periodo
ii il storico preuniversitario — il quale incaricato a portare gli

IU avvisi per la scuola di Legge doveva portare anche quelli
| : i per la Grammatica: insegnamento questo che parrebbe anzi
avesse, ma non era così, un’ importanza maggiore della |
Medicina, se ci dovessimo irrigidire sul documento soltanto:
e ciò in seguito ad, una domanda di un quidam magister, il
quale voleva: studere in civitate perusii in Grammatica, loica
et aliis artibus. I Consigli speciali e generali della Città,
insieme riuniti rispondevano in senso affermativo, che cioè ille
nuncius qui portare debet literas pro maistro legum. prout per
generale Consilium reformatum fuit portet. et portare debeat
literas ipsius magister gramatice expensis comunis... (1). Non è

questo il momento per porre in rilievo tutta l'importanza
del fatto: ci basti dire che in questo ignoto noi dobbiamo
vedere un insegnante superiore di lettere, come si direbbe
oggi, da non confondersi affatto con quelli che erudivano i
fanciulli nel Salterio e talvolta.anche nel Donato, i cosi detti
Magistri puerorum, né con altri i quali, pur insegnando qual-
che eosa di piü, rimanevano sempre entro i confini di una

(1) TARULLI BRUNAMONTI, l. c.
UNA SCUOLA DI CANTO ECC. 351

scuola assai limitata, come accadeva avanti che lo Studio
avesse vita.

Quali fossero le altre Arti di cui fa ricordo il documento
non sapremo dirlo con precisione: ma tutto fa credere che
in esse si comprendessero alcune delle discipline insegnate
nel Trivio e Quatrivio. Se oggi non conosciamo il nome di
questo Maestro, incolpiamone lo seriba che fu negligente; ma
anche l’uso di allora, che voleva registrati soltanto i fatti e
non sempre i nomi dei personaggi che vi prendevano parte,
all'infuori di casi speciali. Di fronte ad un modesto maestruc-
colo il Magistrato non sarebbe intervenuto in forma abba-
stanza solenne, come fece, convocando i due Consigli, com-
posti di un numero notevolissimo di cittadini, pur trattando
altri affari, e quel che più interessa rendendosi garante della
sua valentia, pagando cioè con i denari del Comune il messo
spedito ad invitare omnes scholares venire volentes dalle terre
circumstantes perusio. Quindi per questo documento, veramente
prezioso, il quale ci autorizza a supporre che negli anni suc-
cessivi le stesse cose sieno avvenute; per leggere nelle
carte più antiche parecchi nomi di grammatici, alcuni col
titolo di doctor, altri con quello di magister, sebbene non sieno
moltissimi, tenuto conto che il tempo ha lasciato così scarse
memorie; per trovare un numero veramente cospicuo di Pe-
rugini, chiamati ad occupare posti eminenti nelle varie città.
d’Italia, ricercati non solo per il loro valore nelle armi, ma
per la loro dottrina, appresa alle scuole dello Studio è lecito
fissare senza esitanza che l'insegnamento della Grammatica
e delle altre Arti con cui era unita — per rimanere nel lin-
guaggio del tempo — fu coltivato anche da noi con amore
e con onore, non come a Bologna, che per questi studi er:
un centro che altrove uguale non si vide mai, ma neppure
troppo lontano da esso.

Tutto questo poi appare in modo ancora più evidente
a mano a mano che ci avviciniamo e ci inoltriamo nel
sec. XIV, sia attraverso le deliberazioni del Comune, come

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352 L. TARULLI

attraverso le bolle di Clemente V e Giovanni XXTI (1). Vor-
remmo scendere all’ esame dei particolari in sostegno di ciò,
e lo avremmo fatto con grande simpatia, potendo in tal
guisa addurre prove ancora più dimostrative intorno ‘alle
premure della Città nostra per le sue scuole. Ma non è le-
cito ora farlo senza andare troppo al di là di quello che
ora ci interessa. Promettiamo per altro di tornarci sopra ed
assai presto. Diremo solo :

Come nella Costituzione del 1306, di cui si è fatto ce nno
sono registrati per le Arti ‘minori due insegnanti: unus
magister in logicalibus et unus in grammaticalibus, ambedue
addottorati, come per il Ius civile e canonico e la Medicina.
Si rammenti poi che l'insegnamento della Grammatica rien-
trava in quella della Notaria pur esso ricordato nello Statuto:

Che colla Bolla di Clemente V (1307) viene concesso lo
Studium generale.. in qualibet facultate. L' aggettivo generale; in
documenti di altre Università sostituito. con la parola «wni-
versale, significava che a tutti indistintamente, quale fosse,
la loro provenienza era data licenza di frequentarlo, go-
dendo speciali privilegi. Quindi l’ammissione di tutti gli
studenti importava con se la presenza di tutti i corsi: una
limitazione di insegnamento, oltre ad essere in contradizione
con la frase in qualibet facultate, conduceva ad una limita-
zione nell affluenza degli scolari, che invece si voleva fosse
massima ed era proprio per raggiungere anche questo ob-
biettivo che la Città si era tanto agitata:

Che infine nella bolla di Giovanni XXII (1321) è regi-
strato il diritto di concedere anche nella. Medicina e nelle
Arti liberali il diploma di magistero, titulo magisterii decorari :
premio per la bella prova fatta, e per lunghi anni, nell’in-
segnare anche queste discipline. Era il completamento dello
Studio ardentemente desiderato e da cui tutti s' attendevano

(1) Rossi, Documenti per la Storia dell’ Università di Per ugia, fasc. I,
Perugia 1895,
UNA SCUOLA DI CANTO ECC. 353

una rinomanza ancora piü grande per i tempi avvenire,
futuribus temporibus, in rapporto ad una eresciuta ed ognora
più alacre attività scientifica, ed in pari tempo maggiori
vantaggi pecuniari, per il numero sempre più grande di Let-
tori e di allievi. In tal guisa i sacrifici sostenuti rimanevano
ad usura compensati. Tutti potevano venire a Perugia, con-
| seguirvi il diritto della licentiam docendi ut alios liberius eru-
dire valeant, e la Città solennemente dichiarata, per mol-
teplici ragioni, sede ben degna dello Studio .. quod eadem
Civitas propter eius comoditates et conditiones quamplurimas
est non modicum apta studentibus. Queste pure furono le ra-
gioni per cui Federico II volle prescelta Napoli, quando si
decise a creare la sua Università di Stato. E da ora in
avanti non vi è più un momento di sosta nellinteressa-
mento per lo Studio, mantenuto immutato nel succedersi
degli avvenimenti, anche più tristi, della vita del Comune,
in relazione allo sviluppo ognora crescente della vita intel-
lettuale della Città e della Regione,
Pietro d’ Andreuccio quindi non senti affatto il bisogno
di allontanarsi troppo da Assisi per terminare i suoi studi,
certamente iniziati nella propria Città. E poiché per la co-
scienza dei propri sentimenti e perchè provvisto di mezzi
vocali adatti si sentiva attratto verso la musica si iscrisse
nella matricola delle: Arti, presso cui era coltivata in-
sieme all’aritmetica, alla geometria; all’ astronomia. Comple-
tata la propria istruzione tecnica, approfonditosi in quelle
dottrine con le quali la musica stessa aveva rapporti, assunse
il titolo e le insegne di dottore, che gli davano diritto a far
scuola da per tutto, come esplicitamente aveva confermato
Giovanni XXII nella sua Bolla .. ex nune absque examina-
tione vel approbatione alia regendi et docendi ubique plenam
et liberam habeant .. facultatem nec a quoquam valeant prohiberi.
Il ricordo degli studi compiuti a Perugia, certo con pro-
fonda sua soddisfazione, fu altro stimolo a persuaderlo a tor-
narvi per impartirvi un insegnamento, di cui i Priori riconob-

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CASE - CERRO di.

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EDO E. Dean
354. L. TARULLI

bero subito tutta la importanza, facendolo proprio, ossia po-
nendolo alle dipendenze del Comune, eon un minimo di sa-
lario, che garantiva al docente un tanto per vivere ; al resto
provvedendo direttamente gli. Scolari.

Si è già fatto cenno come la vita festosa di quei tempi
favorisse in modo speciale la musica. Aggiungeremo di più,
dicendo come in nessun periodo storico questa si sia trovata
in tanto onore come nell'età di mezzo, quando tutto il popolo
era cavaliere e quindi altresì poeta e cantore. E tanto era 1’ en-
tusiasmo che appena un poeta aveva composto una ballata,
un madrigale, su lo stile del giorno veniva subito messo in
musica e in breve tempo faceva il giro di tutta Italia, e si
sentiva cantare dovunque nelle case e nelle vie nella città
e nelle campagne, di guisa che maestro Jacopo da Bologna,

musico rinomato ai suoi dì « ma povero rimatore » ebbe a

lagnarsene

ec. 00 tutt fan. da maestri,

fan madrigali, ballate, e motetti.

sì è piena la terra dei magistroli,

che loco più non trovano i discepoli (1).

I momento pertanto scelto da Pietro di Andreuccio .

fu veramente indovinato e giustificate le simpatie per lui
dei Perugini: in quanto, in essi l’amore per l’arte dei
suoni era si può dire nel sangue, discendenti degli E-
truschi, i quali apud Italos omnium primi musicam colue-
runt. Sine musica nulla disciplina potest esse perfecta, veniva
ripetuto negli ambienti culturali di. allora. Boezio, tra i
grandi maestri i cui precetti erano leggi, scriveva essere la
musica una di quelle scienze, senza .il,.cui aiuto, è impossi-
bile venire alla verità: e « con quella. immaginazione avida
di sogni e del meraviglioso di cui. erano forniti gli uomini
del medio evo si davano ardentemente ad uno studio (a

(1) TRUCCHI, Poesie italiane inedite di duegento autori, vol. II, Prato,
Guasti 1846, . È

————

————— —— ——— M— esta n

lE ci

UNA SCUOLA DI CANTO ECC. 355

quello della musiea) che loro apriva i vasti orizzonti del
mistieismo... ». E popolo mistieo per eccellenza era il nostro,

quindi naturale il ritenere l'insegnamento nuovo frequentato

da molti cittadini e da molti forestieri; dai dotti, che aspira-
vano al massimo della propria cultura, desiderando possedere
la musica come scienza, dagli altri, e furono i più, che, di
questa curandosi assai poco, piuttosto si contentavano di
apprendere il solo necessario per imparare l’arte.

E con costoro si trovò più da vicino e meglio il Nostro,

che li tenne cari, li educò con amore, accostandosi all’ indi-

rizzo impartito da Marchetto da Padova, allora in grande
rinomanza, che fu più pratico che teorico, venendo anzi per
questo dichiarato imperfetto ed insufficiente musico. Forse a
Pietro fu elevato uguale rimprovero, ma egli tenne fermo
col Padovano ed insegnò la parte della musica « che dall’ e-
sercitio solamente dipende ... nominata pratica ... la quale
solamente è per operare », convinto di essere sulla buona
strada.

La sua scuola quindi fu in prevalenza scuola di canto;
il che in altre parole significava scuola dell’ arte del cantare
e cultura della voce. Nè poteva essere diversamente per lui

. perchè il canto era stato sempre in onore fra noi, sia nella

sua forma religiosa, come in quella civile e perchè allora,
rudimentale la parte istrumentale, dalla voce si cercava di
ottenere il massimo dell’ esaltamento dei sentimenti umani,
che è proprio l'obbietto dell arte dei suoni. Del resto.e quale
musica più spontanea, più genuina, amata sempre da tutti, che
quella del canto? Quali gli istrumenti maggiormente predi-
letti dal popolo che quelli i quali col loro suono si accostano
di più alla voce umana? Liuti, chitarre, ribeche erano introdotti
nella Città - lute, quitarre, ribeche che venissero.. (1) - forse non
essendo troppo perfetti quelli fabbricati dagli artisti paesani.

(1) FABBRETTI, Vendita della Gabella delle Some grosse e pedagio fatta
dal Comune di Perugia. Doc. di storia perugina, vol. II, Perugia,

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356 L. TARULLI

È istintivo vederci sospinti verso il canto, quando ci sentiamo
compresi da una somma di affetti che tutti ci agita e quanto
questa è maggiore tanto più esso è nobile ed espressivo.
Da quì il desiderio ardente di coltivarlo e di seguire, per
ben apprenderlo, quelli che ne facevano oggetto speciale di
studio e di insegnamento, impartendo un cumulo di precetti
e di regole, poste anche in relazione con i temperamenti in-
dividuali ben differenti, e che si riassumevano ed assomma-
vano in due sole parole: ars cantus. Chi trascurava queste
norme era ben dichiarato bestia:

Bestia non cantor qui non canit arte sed usu
Et non vox cantorem fecit sed artis documento (1)

pensiero che veniva piü tardi cosi espresso:

Per gridar forte non si canta bene,
Ma con soave e dolce melodia
Si fa bel canto e ciò val maestria (2).

Non dunque la gran voce ma la bella voce, modulata
con garbo, costituiva la forma estetica musicale gradita e
ricercata a preferenza, perchè appunto il canto rimaneva
sempre l’espressione più significativa dell’ affetto verso log-
getto amato: |

agli amorosi versi par che sia
musiea di servir solo tegnuta (3).

Naturale quindi che ogni sforzo, che potesse offuscare
soltanto sia la gentilezza del pensiero, come la sua manifes-
tazione, fosse disapprovato. E gentilezza esprimevano fino i

(1) ZAMPIERI, Franchino Gaffurio, in nota. Fiamma, Anno [7507
7, 8. Milano 1926.

(2) CARDUCCI, Musica e poesia nel mondo elegante italiano del sec. XIV.
Studi letterari, Bologna 1893.
(3) CARDUCCI, l. c.
UNA SCUOLA DI CANTO ECC. 357

titoli delle composizioni in lingua volgare, ora cantate con
accompagnamento di viola, ora invece, .e più di frequente,
intonate a canto solo: il sono, il sonetto, la canzone, la bal-
lata, la balatella e via dicendo; fra le quali in maggior Voga
la canzone a ballo, melodica sopra le altre, graziosa, civet-
tuola, snella nel verso, diffusa anche in mezzo a noi e di cui
qualche esemplare ci è rimasto, essendone autore e cantore
Ercolano da Perugia (1); modellata sulla canzone a ballo to-
scana, nata a Firenze fra le feste di quel popolo, nei suoi
calendimaggio, di cui rispecchiava tanto fedelmente i senti-
menti.

E del gruppo degli amatori del bel canto e della scuola
per raggiungere la vera arte maestro sapiente fu Pietro di
Andreuccio. Egli stesso ce ne fornisce la prova, perchè ogni
volta che pone la sua firma ripete il proprio titolo dottorale,
quasi questo lo dovesse tenere lontano dalla categoria dei
dilettanti, dei mestieranti, i così detti magistroli, da Jacopo
da Bologna ben conosciuti, quindi bene apprezzati e che
certo ebbe anche Perugia (2). Se la qualifica di cui era rive-
stito — e si noti bene come il titolo magistrale non fosse allora
un titolo da strapazzo, ma tenuto in grande valore — avesse
dovuto servire ad altro, p. e. alla identificazione della pro-
pria persona bastava scriverla una sol volta. Per non avere
agito così vuol dire che egli alla ripetizione della medesima
dava una importanza ben diversa e tutta particolare, e quella
indicata ci sembra la più verosimile.

(1) IL Novati nell’ Epistolario di Coluccio Salutati pubblica una let-
tera diretta da questi ad un tal Ercolano da Perugia. Egli crede che
costui possa essere l’ Autore della graziosa ballata di cui abbiamo fatto
ricordo. (Vol. 1. Roma 1892).

(2) IL CARDUCCI, commentando la parola magistroli dice: inten-
derei che copiano con rifioriture le musiche di Marcello da Padova e
di Filippetto da Caserta e cantando credono migliorare la musica con
fioretti. In nota in l. c.

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L. TARULLI

Vediamo ora quali punti di contatto il nostro ebbe con

‘i Canterini, istituzione che fioriva in Perugia ai tempi di

Pietro, sebbene i doeumenti che possediamo siano alquanto
a lui posteriori.

Il Prof. D' Ancona (1) ne fece già oggetto di studio dili-
gente, servendosi dei documenti pubblicati dal Prof. Rossi (2)
nel suo Giornale di Erudizione artistica. Noi riprenderemo
in esame i due lavori — altri non ne abbiamo sullo stesso ar-
gomento — e lo faremo tanto più volentieri quanto essi sono
ben poco conosciuti, sebbene luno e l’altro di grande in-
teresse per la storia ‘cittadina.

I Canterini o Cantarini, così il D' Ancona, erano « uomini
dotati di una quanto meno generale tanto più pregiata at-
titudine al suono degli istromenti, al canto melodico ed alla
improvvisazione e recitazione poetica; e che di queste virtù
loro servivansi a ricreare i grandi e sollazzare il popolo.
Posti in grado di mezzo fra i poeti degni di laurea ed i vol-

gari versificatori, che non avevano con studi musicali e let-
terarj confortata la natural vena del dire in rima, forma-

vano essi una famiglia, che forse non è senza ragguaglio coi
meistersangern tedeschi, salvo che non sembra facessero in-
sieme casta o corporazione. In un secolo, sotto molti aspetti
rozzo e soro, fra mezzo ad una cittadinanza nella quale pre-
valevano le umili classi degli artieri, che pure istintivamente
sentivano l’eccellenza delle nobili discipline e la virtù del-
l'ingegno, questi dicitori in rima riscuotevano generale am-
mirazione ed unanime applauso e non poco conferivano a in-
gagliardire gli animi e ad ingentilire i costumi ».

(1) D' AncONA, I Canterini dell’ antico Comune di Perugia. Varietà
Storiche e letterarie. Milano 1883. :
(2) Rossi, Giornale di Erudizione artistica. .Vol. III, Perugia 1894.

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UNA SCUOLA DÍ CANTO ECC. 359

Le prime notizie sono del 1385, ma il documento por-
tante questa data non parla affatto di una istituzione creata
allora, allora, ez novo, ma ci fa vedere una prosecuzione di
cose già preesistenti e da parecchio. E’ la nomina a vita di
un sonatore di organi un tal hereulanus gilij de Perusio ..
chiamato vir fidelis et amator libertatis pacifici comunis et populi,
il quale aveva wutiliter et honorifice disimpegnato il proprio
ufficio in pulsando instrumenta musice et alia facendo, mentre
1 Priori erano a mensa e mentre si davano conviti, imban-
diti per rendere ‘omaggio ai nobili ed ai forestieri, qui sepe
sepius concorrunt ed agli ambasciatori diversorum dominorum
et comunitatum: nomina che significava premio per un la-
voro prestato da anni. Personaggio modesto, anche cantore
e poeta, da non confondersi con l’altro Ercolano da Pe-
rugia, verseggiatore elegante ed autore di una assai vaga
ballata e di cui si è fatto parola.

Le ultime portano la data del 1554, dopo il quale anno
il musico di palazzo si confonde col piffero, e di questi pif-
feri, cum augusta Perusine civitas semper ex antiqua et invete-
rata consuetudine ad illius decus et honorem solita fuerit reti-
nere musicos sive bifaros ad servitia palatij, se ne nominano
parecchi, ai quali si aggiungono sonatori di altri istromenti
ogni tanto, sì da pensare alla esistenza di una vera e pro-
pria orchestrina ai servizi del Magistrato e della Città.
Questi Canterini erano agli stipendi del Comune; pagati dai
Conservatori della moneta ad decus magnificentiam et honorem
palati, et M. D. P. artium civitatis Perusij; eletti dopo lunghe
discussioni, allo stesso modo di altri personaggi, le mille mi-
glia più autorevoli, Aabitis pluribus inter se colloquiis et misso
et posito diligenti partito, il che addimostra che a quest' ufficio
si attribuiva notevole importanza; accolti nella dimora mede-
sima dei Priori ai cui servizi rimanevano insieme agli altri
famigliari, quando uscivano di Palazzo per recarsi in gran

‘pompa ad ecclesias, luminaria, et.alia loca in pubblica forma;

vestiti delle assise del Comune ed aventi diritto al vitto

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360 L. TARULLI

modo et forma quo habent tubicine et piferii et alii deputati ad
servitium .dicti palati. Il loro compito è riassunto in questo:
ad refocillandum | aliquanto mentes magnificorum dominorum
Priorum artium .. nimium ex laboribus causa rei publice peru-
gine quos substinuerunt fatigatos .. durante le mense, due volte
al giorno, de mane e de sera: compito assolto pulsando in-
strumenta et alia, faciendo, ossia cantando in modo che suas
(del Canterino chiamato anche Chitarrista) defluant cantilenas
e conversando con essi in modo dilettevole. Cosichè in altre
parole era fatto loro obbligo di sollevare lo spirito dei Capi
della città, stanchi dalle cure del governo, cum verbis, sonis
et cantis: svago questo della musica e del canto, che assu-
meva una forma più solenne e quindi con risultati artistici
migliori del consueto, per mantenere in onore la loro repu-
tazione, quando alla mensa dei Magnifici Priori si trova-
vano, ospiti graditi, personaggi autorevoli il che avveniva spes-
sissimo. Svago offerto poi anche al popolo — cantare in platea
Comuni Perusij coram populo — in un primo tempo in giorni
ed ore limitate, ad eius, cioè del canterino, beneplacitum post
comestionem dictorum Priorum, cioè dopo avere adempiuto
al loro principale dovere; più tardi, essendo stati i primi ri-
sultati di generale soddisfazione, soddisfazione espressa con
queste parole éwvenes tam nobiles quam et alii docti et experti
efficientur, per un periodo ancora piü lungo, tanto che i Cante-
rini furono costretti a cantare nei mesi di maggio, giugno e
e luglio, sempre, in genere, in diebus festivis, perché maggiore
il concorso degli ascoltatori. E così da Canterini di palazzo
addivennero anche Canterini di piazza.

Ebbene in queste ed altre condizioni registrate nelle
loro eondotte, neppure un lontanissimo cenno, e ció anche
nei contratti conclusi con i più rinomati, dell’ obbligo loro
imposto di tenere scuola di canto e di insegnare, beninteso in
forma pubblica, un pò di quella musica, in cui pure erano
tanto valenti e per la quale riscuotevano tante simpatie. È
giusto pertanto il ritenere come fra costoro — che rap-
UNA SCUOLA DI CANTO ECC. 361

presentavano una istituzione privilegiata, quasi aristocratica,
ed ai quali era affidata una scuola di buon costume e di
amena cultura — ed i veri Doctores o Magistri in arte
cantus esistesse una differenza, quale era proprio quella che
passava fra maestri ed allievi, in quei tempi grandissima.

Uno spoglio aecurato dei documenti del Rossi eseguito
dal D' Ancona porta a questo che i Canterini al servizio del
Comune di Perugia dal solo 1385 al 1554 — e si tenga ben
presente che in questo periodo si hanno forti lacune negli
Annali, tanto avanti il 1385, come nell'intervallo fra questa
epoca e l’altra del 1554 — furono 16; così ripartiti per la
loro provenienza: 6 di Perugia, 5 di Firenze, 1 di Città di
Castello, 1 di Cesena, 1 di Arezzo, 1 di Lucca, 1 di Siena,
tutti decorati di quel nome di Maestro che eransi meri-
tato, studiando la scienza del suono, del canto e delle rime
e che li separa dagli infimi professanti la stessa arte loro.
Non è poi del tutto accidentale il vedere come in Firenze
e in Perugia se ne trovassero in buon numero, provando
anzi invece che in tutte e due le città, quelli che si senti-
vano in grado e volevano, potevano ben seguire un corso
più o meno regolare di lezioni da trarne in seguito un van-
taggio cospicuo, perchè così veniva loro concesso, a tempo
opportuno, esercitare una professione ben retribuita o nel
paese nativo, o altrove, mantenuta da una usanza gentile, che
finì col cadere delle libertà comunali, mentre era nel mas-
simo sviluppo nel più bel fiorire di queste.

Firenze ne ebbe certamente un numero più cospicuo e di
maggior fama. Ce lo attesta una lettera di un fiorentino ad un
amico perugino — lo seriba anche quì non ci dice chi sia e si
limita a registrare littere cuiusdam, dicte civitatis — nella quale
così si risponde alla domanda fatta per sapere se ve ne fossero :
.. in civitate florentina .. sunt multi et idoney homines et ad dictum
ecercitiwm intelligentes. Un’ altra volta, essendo il bisogno forse
assai urgente, da non permettere trattative per lettere, si inviò
un corriere pro inveniendo et. conducendo unum Canterinum

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362 L. TARULLI

ydoneum et doctum pro honore et utile nostri palatij et totius
Rey publice perusine. Non sappiamo affatto se Perugia e Fi-
renze si scambiassero i propri Canterini e se i nostri si re-
cassero anche in altre città. Manca qualsiasi indagine in
proposito; ma è lecito ammetterlo, tenuto conto dell’ uso assai
generalizzato da parte di costoro di peregrinare da un paese
all’altro in cerca di fortuna, sempre ben accolti, anzi ricevuti
con generali simpatia dal popolo.

Il D’ Ancona rilevato come in gentilezza di costumi e
pregio della poesia e desiderio di gioconde ricreazioni Fi-
renze non poteva allora dirsi seconda a nessun altra città,
così continua: « Arrogi .. essere assai facile che Francesco
Landini, detto più comunemente degli Organi, musico insieme
e poeta, coll’ autorità del nome e l'ampiezza della dottrina
riconosciuta e acclamata comunemente da contemporanei
avesse intorno a se educata una vera scuola di questi Can-
terini, abili al suono ed al canto, la quale seguitasse a fiorire
anche dopo la morte di lui, avvenuta nel 1397 »... Orbene
perchè non dire le stesse cose parlando di Pietro d' An-
dreuccio — il quale anzi precedette nell’ insegnamento il musi-
cista fiorentino, perchè alquanto più giovane — certo entro
proporzioni più ristrette, almeno fino a che non se ne sappia
qualche cosa di più e di meglio intorno a lui? Anche la nostra
gente al pari di quella fiorentina, per virtù delle libertà sol-
lecitamente acquisite e gelosamente poi custodite, da plebe
ascese alla dignità di popolo. I saggi ordinamenti la resero
forte, ma anche amabile ed i tempi nuovi la spinsero ai
sollazzi ed ai godimenti e lo spirito ingenuo e fresco
del popolo nostro fantasticava e si rallegrava delle antiche
leggende e delle recenti, che correva ad ascoltare dai suoi
poeti — ve ne sono da ‘per tutto, ove sia un popolo —
i quali con il canto significavano quello che il cuore andava
dettando. Ed i loro versi furono manifestazione di cortesia,
abbellimento della vita cittadina, scuola di civili virtù. Di
costoro Pietro d’ Andreuccio, musico) cantore, poeta — non
UNA SCUOLA DI CANTO ECC. 363

mirabil cosa, come esclamava, spinto dal più fervido entu-
| slasmo, Giovanni da Prato, scrivendo del Landini, ma pregevol
cosa, diremo noi con frase più modesta — fu principale mae-
stro ed educatore. E la scuola da lui creata, essendosene su-
bito compresa tutta la importanza dai Priori, troppo previg-
genti per lasciarla cadere in abbandono, contiuuò a fiorire

alla stessa maniera di prima dopo la di lui morte, per la:

sapienza di altri che ne occuparono il posto, maestri ad
allievi, aventi attitudini al canto ed alla poesia, i quali fu-
rono numerosi. Il tempo disgraziatamente ha portato il più
grande oblio sopra la memoria di Pietro d? Andreuccio. Chi sa
però che nuove ricerche non rendano a lui onori maggiori ed
a noi ragione di averlo posto accanto al Landini, che fu
tra i più grandi maestri del secolo XIV! Auguriamocelo al-
meno nell’interesse della storia di Perugia in particolare
modo.



Un'altra. cosa intanto — volendo fermarci ancora, perchè
è utile farlo, sopra questi nostri musici, poeti, cantori. —
ci piace porre in giusto rilievo: che cioè Perugia nulla tra-
scurò mai per chiamare dal di fuori i migliori, quando non
ne ebbe, o di scarso valore, fra i suoi. Non è per questo da
credere che ci riuscisse ogni volta, perchè è ovvio che, es-
sendo essi in gran numero, ve ne fossero anche dei modesti,
da non riporli certamente nella categoria dei poeti laureati
o laureandi: personaggi tuttavia, specialmente se ci fosse
possibile raccogliere notizie sulla loro vita e sulle loro opere,
« importanti per la storia della poesia popolare ». Ma alcuni ne
ebbe e di grande nome, da invaghire i propri cittadini a col-
tivare per proprio conto con amore quell’ arte, che li avrebbe
poi condotti a divenire» maestri di valore, e ricercati in città
e fuori con guadagni notevoli. A questo nobile compito anche
miravano i favori di cui era generoso il Magistrato, il quale

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364 L. TARULLI

concedeva, a coloro che se ne mostravano ben meritevoli, anche
il privilegio della cittadinanza. Senza occuparci nè di Mae-

stro Jacopo da Siena rimatore, canterino copiosissimo (ossia

con un repertorio artistico assai ricco), in arte musica peritis-

"simus, stimato pure per le sue qualità morali e riconfermato

sempre al suo ufficio con grandi elogi; nè di Rinaldo da
‘Cesena magister în arte musice perfectissimus e di altri an-
cora, fermiamoci un poco sopra Niccolò d? Arezzo e Francesco
di Errico da Firenze, alquanto diversi luno dall’ altro,
ambedue degni di essere separatamente studiati.

Era stato eletto (1431) in Canterino e Chitarrista Maestro
Matteo di Maestro Angelo di Castello: ma resosi inabile per
infermità e trovandosi già a Perugia Niccolò d Arezzo, qui
est nobilissimus canterinus et. expertissimus in arte et quasi
mirabilis homo in exercitio predicto, pronto a porsi ai servizi
dei Priori, tenuto conto del favore popolare subito procac-
ciatosi contentando omnes cives marime notabiles perusini, i

Priori stessi in un primo tempo cancellarono la nomina in

antecedenza fatta del Canterino castellano, ed in un secondo
— sempre nella stessa giornata, perchè la cosa era urgente e
e non si doveva perdere un’occasione tanto propizia — lo
nominarono ad servitia comunis perusij per un anno, con il
salario di 40 fiorini sine ercumputatione alicuius gabelle. La
condotta di questo Maestro avviene in modo alquanto di-
verso dalle altre. Prima di tutto è il favore della città, e più
specialmente della parte piü colta, che lo designa ad un posto
che si vuole sempre dato ai migliori, perché da costoro i
cittadini, nobili e popolari, si attendevano dei vantaggi co-
spicui: secondariamente luffieio al quale è destinato viene
indieato in forma piü garbata del consueto, e. ciò evidente-
mente per rispetto alla persona che lo doveva ricoprire,
poichè non troviamo le solite frasi ad servitia. palatij, ad ser-
vitia M. D. P. e simili; ma invece adeservitia Comunis perusij,
frasario simile a quello usato per personaggi ancora piü au-
torevoli di lui, come p. es. i giudici, i lettori, i medici eco.;
UNA SCUOLA DI: CANTO ECC. 365

per ultimo lo stipendio è assai superiore a quello che si era
soliti dare, nè si trova alcun obbligo a lui fatto di accom-
pagnare i Priori, insieme agli altri inservienti di palazzo.

Ma vi ha di più, in quanto nelle deliberazioni che lo inte-
ressano è un crescendo veramente impressionante di lodi a suo
riguardo: così di lui si dice p. es. homo quasi singularis in
arte sua .. repletus omnibus virtutibus de cuius verborum effectu
multissimi cives perusini morigerati effici poterunt et maxrimas
utilitates ex eo cives poterunt assumere et diebus festivis propter
cantum, eius otiosi non efficientur, quod de eo multum. delecta-
buntur. Scaduto il tempo della sua condotta, Niccolò, che
viene chiamato in questa occasione non più de Aretio ma de
Florentia, è riconfermato con uguali trattamenti di favore,
coll’ aggiunta che si provvedesse al fabbisogno di una per-
sona che lo doveva accompagnare — qui ducat et reducat
ad palatium M. D. P. et alio quocumque voluerit accedere —
essendo egli orbus et oculorum lumine captus. Pensiero questo
quanto mai gentile; nuovo attestato di gradimento; altro
favore concesso da parte dei Nostri per trattenerlo.

Il documento poi precisa ancora meglio le sue qualità,
venendo chiamato citarista, rimator et rimarum inventor
atque eorum cantor. Il servizio da lui prestato in pubblico
e in privato è dichiarato compiuto sempre con diletto
di tutti e con il massimo impegno per suo conto, e gli
viene data lode di Cantore rimarum et multiplicium ysto-
riarum que per ipsum .. cantantur, concinuntur et referuntur,
« ove si allude non solo ai Rispetti, agli Strambotti, alle
Ballate e ad altre forme della lirica, ma anche alle poesie
narrative, che anche al dì d’oggi il volgo designa col vo-
cabolo di Storie .. », alle quali dobbiamo aggiungere anche
una categoria di gnomiche o didattiche, come è lecito desu-
merlo « dall’ aggiunto di morali che portano nei codici molte
rime del nostro Niccolò, contenenti norme ed insegnamenti
per la vita domestica e civile, e notevoli, se non altro per
gravità di sentenze e di dottrine ». Tutto questo non è certo

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piecola COSA, , pur tenuto conto che siamo in un epoca in cui
lo stile curialesco è sempre magniloquente.

Un'occasione favorevole mise in bella luce non sapremmo
dire se più il suo valore letterario, o le simpatie sempre più
vive a suo riguardo da parte della Città, la quale, piü che ai
suoi stipendi, ospite gradito e desiderato lo considerava. Sigi-
smondo Rex semper augustus et Hungherie, Boemie, Dalmatie
Croacie etc. Rex, era riuscito a farsi incoronare Imperatore
da Papa Eugenio IV in Roma (31 Maggio 1433). I Perugini,
richiesti dal Pontefice dovevano inviare ben cinquanta giovani
cittadini atti alle armi per fargli guardia d'onore in quella
occasione. Ma o perché la domanda non giungesse in tempo,
o perché non fosse gradita, non essendo troppo in buona la
Città con quel Pontefice, il fatto sta ed è che i giovani non
andarono, ma soltanto fu invitata un ambasceria dei più in
vista fra i Nobili, nei quali era allora riposto il governo,
per assistere all’incoronazione, di cui ci giunse notizia a
mezzo di messaggio imperiale scritto da Roma il 17 giugno
in questi termini: în hac urbe Romana in Romanorum 4mpe-
ratorum Solempwiter coronati sumus pro Dei Ommipotentis gratia
et sperata, salute subiecti Nobis populi Xpiani et hee vobis per
Gregorium. de Comparis de Mutina familiarem nostrum pre-
sentium exibitorem pro singulari leticia nuntiamus | wt sicut
vos precipuis benevolas etiam gaudiorum. nostrum sitis partici-
pes offerentes nos ad queque vobis comoda atque grada (1) E di-
fatti privilegi e grazie furono sollecitate, mentre erano in
Roma i rappresentanti della Città, ma promesse solamente
alla venuta del? Imperatore. Perugia, meglio il partito che la
dominava, decise pertanto di accoglierlo onorevolmente. Vi
erano di mezzo interessi troppo grandi e perciò bisognava far
bene; e fra le cose stabilite vi fu che due uomini dotti por-
tassero il saluto e dessero il benvenuto alla sacra imperiale

(1) BONAINI, Tre lettere di Sigismondo Imperatore ai Perugini ecc
Archivio storico italiano, App. VII.
UNA SCUOLA DI CANTO ECC. 367

Maestà; il che avvenne pur troppo con parole di volgare
adulazione e di servile omaggio. Oh dove erano ‘andati i
bei tempi, in cui la fierezza comunale faceva dire ai messi
inviati dallo stesso Pontefice, verso cui pur sincera e pro-
fonda era la reverenza e la devozione, come successore di
Pietro, che la Città di Perugia li riceveva soltanto perchè
erano suoi amici ed amatori dello stato pacifico perugino e
non per altre ragioni! Alla quale protesta, elevata in modo
garbato, come conveniva, ma senza sottintesi si rispondeva
con pari gentilezza e senza infingimenti che gli inviati en-
travano appunto come amici e che come tali soltanto si sa-
rebbero comportati. Dei due eletti uno adoperò la prosa
latina; che se è autentica, come è da credersi, la Concio Po-
puli perusini in salutatione et adventu Sigismundi Imperatoris
de Lucemburgo, (1) ci sembra scritta da uno di quei lectores
gramaticam et rectoricam et autores, di cui abbondava lo Stu-
dio perugino; l'altro, il nostro Niccolò, si servi del volgare
e non abbandonò il verso, con cui aveva dimestichezza, so-
Stituendo soltanto allottava, solita ad adoperarsi nei can-
tari, la terza rima, perchè forma poetica più signorile;
senza per altro collocarvi nessuno entusiasmo, come del
resto doveva accadere per quella cerimonia, alla quale il
popolo rimase soltanto spettatore, ponendovi la curiosità che
era solito collocare nelle parate d’ occasione, per la venuta di
personaggi a lui indifferenti. E, sì che colla sua bella voce,
con le sue immagini fantasiose in altri momenti quanti fer-
vori, quanti rapimenti aveva saputo destare nelle anime
degli stessi ascoltatori! Tuttavia Niccolò cercò di farsi onore,
anche perchè tutto di un tratto si era visto elevato all'ono-
rifico incarico di Poeta della Città, che pur non iscarseg-

(1) VERMIGLIOLI, Memorie di Iacopo Antiquari. Perugia 1813. In
nota nell’ appendice dei doc. VIII.

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368 L. TARULLI

giava di uomini dotti e sapienti. Chiese aiuti al Cielo, al

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Veniti, intelligenti spirte saggie,
a confortar al mio debile ingengno,
che ’1 peso de’ ngoranga non l’otraggie.

Si diffuse a prodigare massimi elogi all’ Imperatore ed ai suoi
‘antenati, ricordando la generosità del suo Avo (Carlo IV)
verso lo Studio, ed in questo si trovò concorde' con l’altro
oratore, il che prova che l' Ateneo di Perugia era costante-
mente al di sopra di ogni pensiero; per venire poi ad una
sfilza di raccomandazioni, tanto da pensare che di questo fosse
stato soltanto e tassativamente incaricato da parte di Nobili,
i quali per altro non cercarono che favori per loro conto;
terminando coll’inneggiare a Dio: Gloria in excelsis Deo e
in terra pace (1). Fra le cose che si senti in dovere di ram-
mentare alla benevolenza di Sigismondo troviamo: Perusia
et sua magnifica famelglia, detta con bugiarda adulazione
l'antica filglia di lui; El degno Studio detto perusino onore
e gli egregi doctori e la illustra e famosa Sapienza ed in
questo era nel giusto; d'arte comuno ufitio e macistrato, cioè
le corporazioni artigiane ed i loro capi: "| felice presente reg-
giemento dello ecclesiastico e tranquillo Stato, poichè Perugia
era tornata sotto il governo del Pontefice, per opera dei Ma-
gnati, e specialmente di Malatesta Baglioni (1424). Si noti
come le parole riguardanti l'Università potrebbero consi-
derarsi come una traduzione parziale della frase che tro-
viamo trascritta nelle carte dell'epoca la quale frase si leg-
geva anche molto prima, espressa nei termini ben noti:
honor et decus civitatis mostre.

Non sappiamo se Niccolò, per ricompenso di questo
lavoro poetico, ottenesse qualche titolo onorifico, come s! ebbe

(1) BONAINI, 1l. c,

TEENS
UNA. SCUOLA DI CANTO ECC. 369

Candido Bontempi, dotto nelle lettere italiane e latine, che
fu fatto Cavaliere del Dragone debellato — onorificenza ca-
valleresea di grande importanza — dallo stesso Sigismondo,
gran fautore e protettore di letterati, mentre era di pas-
saggio per Foligno, dove trovavasi esiliato il Nobile peru-
gino, sulle mosse per recarsi a Perugia. Questo atto simpa-
tico fa tuttàvia dubitare che fosse sincero. Sono troppe note
le blandizie di ogni genere degli Imperatori di oltremonte,
adoperate con tutti, sia dello stesso, come ‘del partito loro
avverso, per raggranellare un numero sempre maggiore di
fedeli. Il Bontempi apparteneva ai fuorusciti, essendo dei
Popolari: ed era assai probabile il loro ritorno al potere,
perchè la Città nostra amava meglio reggersi sotto il governo
di costoro che sotto quello dei Nobili. Quando ciò fosse av-
venuto poteva riuscire vantaggioso all Imperatore avere fra
i nuovi capi un amico beneficato in tempi non lieti;

È difficile per altro che Sigismondo si comportasse
alla stessa maniera con Niccolò; la nobiltà dell'ingegno e
| delle buone azioni, anche allora, non essendo stata mai
i collocata allo stesso livello della nobiltà dei natali, anzi co-

stantemente al disotto. Con un pò di denaro è più verosi-
mile che si chiudesse la partita fra sovrano e poeta; ma
rimaneva sempre aperta P altra fra costui ed i Perugini, i
quali, pur essendo rimasti del tutto indifferenti ai festeggia-
menti che ebbero luogo, dovettero godere che il loro Poeta
si fosse fatto onore. Veniva in tal guisa sempre più rinsal-
data l’ affettuosità dei cittadini verso di lui, sorta fin dal primo
momento del giungere di Niccolò a Perugia, il quale era
Stato preferito ad un Antonium de Cecilia oratorem et poetam
laureatum et compositorem carminum qui prefatos dominos
priores visitavit (1432) et-coram eis et pluribus aliis notabili-
bus civibus Perusinis quomdam pulcherimum sermonem ad com-
mendationem civitatis et studii Perusini explicavit ac etiam
aliqua carmina thema per Dominos Magnificos Priores data

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‘composuît (1). La prova fatta dal siculo improvvisatore non
dovette soddisfare tutti, sebbene fosse oratore e poeta lau-
reato. Anche quì, per mezzo del Massaro del Comune, i Priori
si mostrarono cortesi e generosi ed il verseggiatore girovago
andò a cercare fortuna in altri lidi. Così Niccolò rimase senza
competitori.

Nè si può mettere in dubbio che del componimento
poetico ad onore dell’ Imperatore non ne sia proprio egli
l’autore. È vero che è stato confuso con un Francesco Cieco
da Firenze, con un Francesco da Fiume e vi è stato chi,
per aver in qualche codice trovato nell’intestazione del la-
voro la sigla Fl, ne abbia cavato fuori un nuovo poeta no-
stro, un tal Flamminio da Perugia. La controversia rimane
risolta sol che si esamini il catalogo dei manoscritti della
Riccardiana del Lami, ove in uno di essi composto in Pe-
rugia nel 1443 (leggi 1433) in onore della sacra Maestà del-
Imperatore (Sigismondo), quando tornando da Roma « à
coronarsi si ritirò nella Magna passando pel terreno di Pe-
rugia » è scritto: fatto da Niccolò Ceco da Firenze. Ora,
come si è visto, Niccolò Ceco da Firenze e Niccolo Ceco
d'Arezzo sono una stessa persona; quindi intorno al nome
dell’autore di quella orazione poetica è ozioso discutere di più.

Niccolò però non-rimase a lungo a Perugia. Firenze —
dove era stato altre volte e da dove anzi proveniva quando
venne fra noi — lo attraeva in modo speciale. Ed egli vi
tornò, circondato da maggior fama per la bella prova fatta,
finita la sua condotta, cioè al termine del 1434, poichè nel
1435 è ospite in quella Città di Michele del Giogante, al quale
« egli volle rivelare il segreto della sua memoria tenacis-
sima, gli artifici, con i quali il suo pensiero s'ingegnava di
supplire all’ aiuto dei poveri occhi * spenti. Oh il fremito di
pietà che doveva tremare in quella voce sonora — eos il

(1) ANNAL. DECEM., 1432 fol. 1871. Riportato dal Vermiglioli 1, e,
UNA SCUOLA DI CANTO ECC. 371

Levi (1) da eui abbiamo attinto questa notizia — quand' essa
rievocava le grandi immagini pittoresche dei paladini e degli
eroi, le quali avevano. per tutti, ma non per il loro ereatore
luce, linea e colori! » Bene a ragione quindi il grande
Umanista Pontano, fiero nemico di questi poeti, che lo senti
in Firenze nella piazza di S. Martino cantare in banea, no-
tando, Sorpreso, gli entusiasmi e gli assensi di un popolo
intero che la gremiva, fra cui tutti i dotti qui Florentie tunc
erant, chinava la fronte davanti al prodigioso Cieco d'Arezzo,
che fu ospite nostro, bene amato ed altamente onorato.

Di un altro Canterino dobbiamo occuparci parimenti
con particolare interesse. Ebbe nome Francesco di Errico:
fu di Firenze e da noi eletto ad offitium bajulatus il 19
Aprile 1456. E poichè si doveva in quest'epoca sostituirne

uno, la cui condotta fu annullata, senza conoscerne noi il.

perchè, si convenne che prudentem virum Franciscum Erigii de
florentia canterinum cum viola more cantarini et. more canta-
rini, cantare debeat palatio mane et sero ad beneplacitum M. D. P.
et ipsos associare dum palatium exeunt et extra vadunt prout
alii domicelli et familiares et tabulacini. Questa è la prima
nomina; alla quale fa seguito, dopo tre anni, una conferma
per altri cinque; nella cui motivazione il nuovo scelto è
chiamato persona multum intelligens. et experta; dichiarandosi
che i. Priori, i Camerlenghi e tutti i cittadini multa bona
exmpla ab eo capiunt e che il Comune di Perugia, de eius
persona et exercitio .. magnificatur et honoratur.

In seguito avviene la sua elezione a cittadino perugino;
poi l'acquisto per conto del Magistrato di scanni per coloro
che volevano ascoltarlo diebus festivis in estate in plateola San-
ete Marie de Mercato et in jeme in palatio potestatis. È un con-
tratto questo vero e proprio che si stipula fra i Capi della
Città ed il Cantore. Questi ricusa ogni eventuale compenso

(1) Levi, 7 Canterini Lidia del popolo italiano mei sec. XIV e
XV, Torino 1914.

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372 L. TARULLI

offertogli dagli ascoltatori — non trovandosi troppo decoroso
che posto ai servizi dei Priori stendesse la mano come .un
cantastorie qualsiasi per accrescere il proprio stipendio — ;
quelli s$'impegnano a provvedere di tutte le comodità pos-
sibili Puditorio, che andava a sentire da lui magnificate
le gesta per antiquos Romanos et alias pulcherremas istorias
et fabulas, acquistando delle panche, le quali dovevano es-
sere collocate in detta piazza. Panche o scanni comperati,
lo si ripete, ad solatia Civiwm accedere volentium .... que
scanna reponi debeant in palatio M. D. P. et servire debeant
etiam în dicto palatio (cioè quando per la stagione non pro-
pizia il pubblico si raccoglieva nell’atrio del Podestà ad
ascoltarlo) et ipsius palatii intelligantur esse et sunt cum idem
magister Franciscus. seu alius desistet în canendo ...

Intanto Perugia era colpita dalla peste e subito le
cose andarono di male in peggio, de malu in peius, tanto
che pro timore quasi omnes fugiunt, rimanendo per altro
i capi della città ed i medici fermi al loro posto, esempio
non troppo comune in quei momenti; i primi emanando
ordini opportuni per cercare di porre rimedio a tanta sven-
tura, i secondi compiendo anche con sacrifici personali il
proprio dovere. Così Francesco, senza scappare detto e fatto,
sull’ esempio dei più che fuggivano, fece la sua regolare do-
manda per assentarsi. Forse il timore dei gravi provvedi-
menti in antecedenza presi contro coloro, che mancavano ai
patti contrattuali, fra cui quello che continue dovevano pre-
stare il servizio, al punto che venivano ipso facto sine aliqua
cassatione et- solennitate licenziati, quando si mostravano col-
pevoli e più di tutto se si assentavano, lo persuase a se-
guire la via maestra, assentandosi cioè cum licentia domi-
norum Priorum.

E gli fu concesso il permesso .. a civitate Perusij disce-
dere ut possit tutius et salubrius evadere ab ipsa crudele tabe
et cautius vivere, potendo ritornare in città totiens et quotiens
avesse voluto. Questo trattamento costituisce un’altra prova
" UNA SCUOLA DI CANTO ECC. 373

dell’ affetto di cui era circondato. Seemato il pericolo il Can-
terino tornò alla sua patria di adozione, per compiere sempre
con uguale zelo il proprio dovere; di cantare cioè in inverno
ed in estate nei giorni festivi, senza compensi da parte del
pubblico, coll’aggiunta anzi in questa stagione di cantare in
platea saltem per horam in qualibet die, venendogli accordato
un aumento di salario di dieci fiorini annui, quia virtus ipsius
est commendabilis. Scaduto il termine della condotta è ricon-
fermato per un altro anno, cum sit (la rielezione) gloria, laus
honor, et magnificentia, reipubblice; e perchè de hoc requisive-
runt M. D. P. et Camerarios multi Nobiles Cives perusini.
Così Maestro Francesco Chitarrista e Canterino lo ritroviamo
a cantare seu canere cum dicia quitarra istorias antiquas et
modernas in platea Civitatis perusij vel alibi ubi erit Civibus
magna habilitas .. colla pena di venti soldi di denari ogni
volta ehe non Pavesse fatto. Finito il detto tempo é nuova-
mente per altri tre anni condotto ad servitia M. D. P. cum
sonu cantu docens optima exempla antiquorum romanorum
et aliorum. multorum ex quibus exemplis iuvenes tam. nobiles
quam et alji docti et experti efficentur et ad honestan et mori-
geratam vitam deducuntur. E si giunge al 1476 in cui av-
viene un'ultima nomina per altrettanto tempo, trovandosi
espressamente detto nell'atto che .. expediens videatur ipsum
Magistrum. Franciscum. ad huiusmodi lectiones et cantus more
solito et consueto rifermare .. marxime quod ex ejus cantu pre-
diclo ac elegantissimis lectionibus Civibus solatium et pro vir-
tutibus adiscendis utile civitati honor et fama resultare digno-
scatur. Nel giugno del 1477 Francesco è morto, poiché si
provvide in questo momento alla sua successione.

La figura di questo Canterino ci è sembrata degna di
Speciale rilievo. A parte tutto il bene che di lui si dice
nelle Riformanze che lo interessano — su per giù sono
le stesse cose riportate per i piü valenti — sia per i
pregi artistici di cui è provvisto, sia per l'azione morale
da lui esercitata sopra i suoi ascoltatori, con Francesco il
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anche perchè comodamente seduta, e per di più non seccata

cantare in piazza, che era addivenuto uno « degli atti più
belli della vita pubblica della città e più necessaria al
ritmo sano e misurato di essa », sale ad una forma più
decorosa. Non sarà più il Canterino di palazzo costretto a
gironzolare da un posto ad un. altro della città con la chi-
tarra o la viola e scegliere come palestra della propria
valentia o le scalee delle chiese, o i portici di qualche
casa, o la piazza grande, od un rimbocco, in mezzo ad una
folla non sempre tranquilla, fatta di uomini, donne, ra-
gazzi, affaristi, giuocatori, fra i quali potevano anche non
mancare persone di male vita. Ma da ora innanzi egli potrà
avere, volendo, un luogo riserbato proprio per lui, scelto
con giusti criteri, dove, o salito in una specie di cattedra, o pic-
colo pulpito, o più modestamente sopra un piano di legno,
canterà e suonerà indisturbato avanti a gente più attenta,

dalle petulanti richieste del cantore, che voleva compensi
per le fatiche sostenute; gente venuta all'unico intento di
ascoltare quello che per essa rimaneva sempre una delle fonti
di godimento più ricercato, che era anche, ed è bene tenerlo
presente, occasione per mantenere ognora più desto ed in
onore il culto delle memorie cittadine.

Firenze aveva in questo belle ed antiche tradizioni;
e nella piazzetta del suo San Martino « di tra le torri e
i palazzi di pietra per due secoli dal Trecento al Cinque-
cento, ogni sera risonarono sulla viola dei cantastorie i can-
tari leggendari »; addivenuta così il centro della giulleria
fiorentina, tanto che ad indicare la professione di dicitore è
frequente nei documenti la frase « che canta in S. Martino »
o « cantatore in S. Martino ». Parimenti negli stessi codici
è facile osservare figure di persone sedute, le quali sembrano
avvinte dal fascino esercitato su di esse dalla poesia e dalla
musica di quei Canterini. Francesco, addivenuto perugino,
tentò, riuscendovi soltanto per un breve periodo di tempo
UNA SCUOLA DI CANTO ECC, 375

forse, di introdurre queste usanze in mezzo a noi, per sentir
meno la nostalgia del natio loco, e d'intesa con i Priori
sì accordò in un punto della Città, che parve loro bene
servisse allo scopo, perchè alquanto lontano dalla piazza
. grande, ove la vita cittadina pulsava nella massima attività,
cioè la plateola Sancte Marie de Mercato, la quale addivenne
così il centro della giulleria perugina. E così si davano
saggi veri e propri di pubblica recitazione, giustamente chia-
mati dal D' Ancona accademie plateali, le quali preludevano
a quelle che più tardi salirono a grande fama anche in Pe-
rugia, sia perchè svoltesi in modo più signorile, sia perchè
vi presero parte personaggi più colti. In tal guisa i canti si
alternarono con le lezioni — cantus et lectiones — e queste
per di più dette elegantissime: motivo speciale, actento maxime,
delle riconferme, che non corsero mai alcun pericolo.

Anche in Perugia si era verificato quanto era accaduto
altrove, che cioè, cessato lo spavento per la scomparsa della
terribile peste, nei superstiti il vivere gioioso era tornato
più ardente di prima, e la musica, il canto, la danza, insie-
me al fasto ed allo splendore formarono le manifestazioni
più salienti della vita pubblica e privata. « E chi sa che fra
i versi recitati — così sempre il D' Ancona parlando proprio
del nostro Francesco — non ci fossero pur quelli della Di-
vina Commedia, che altrove sponevansi dai pergami delle
Chiese e dalle Cattedre Universitarie » !

Che ciò sia più che verosimile ci piace provarlo con
alcuni dati di fatto, utili ad essere ricordati.

« Ancora ne eran calde le ceneri (di Dante) e le edi-
zioni, le esposizioni, i compendi del poema moltiplicavano
come d’opra antica... Fra i primi divulgatori dell’ Alighieri...
figliuoli, amici, avversari; guelfi e ghibellini; magistrati ci-
vili e religiosi; frati, preti, canonici, dottori di legge, di teo-
logia e di arti, notari e popolani, da Ravenna, da Bologna,
da Pisa, da Firenze, da Brescia, da Verona ». Così il
376 L. TARULLI

IE .Cardueci (1) scrivendo intorno alla fortuna di Dante, dopo
M che l’anima eletta fu raccolta in seno a Beatrice. Perugia
non fu al disotto delle altre città — nè poteva essere di-
versamente, perchè uno dei centri di vita intellettuale più
rigogliosi del tempo — nel sentirsi avvinta d’amorosi sensi
verso il Grande che « a pena morto, lo dice Pietro suo figlio,

Egli era già nel mondo diventato
A guisa a quel che non si spegne mai ».

Non certo per opera di quelli: — non si sa se amici
veramente di lui o, meglio, soltanto fortunati — ai quali il
buon destino aveva fatto capitare in mano parte della Com-

| media, a molti per altro per alcuni canti già nota, vivente
1| | Dante; addivenuti subito di lui entusiasti, però poveri imi-
tatori; ma per virtù dell’ amoroso messer Cino, suo dolce con-
fortatore nella morte della Donna amata:

MAT - : Mirate nel piacer dove dimora
114 : . la vostra donna ch'é "n ciel coronata;

che lo aveva chiamato:

dI] Ti i - Diletto fratel mio di-pene involto ;

| che la Commedia definiva « in una età in cui fu fatta più

| : ragione al valore filosofico e teologico di Dante che non al
i poetieo »:

il libello
ii SE i ché mostra Dante signor d’ ogni rima ;

WII e che imprecava a Firenze, avvenuta la sua morte:

1 Cosi volesse Dio che per vendetta
fosse deserta l'iniqua tua setta.

(1) CARDUCCI, Della varia fortuna di Dante. Studi letterari. Bo-
logna 1893.
UNA SCUOLA DI CANTO ECC. 377

In tal guisa e con espressioni ancora maggiori di calda
amicizia e di profondo affetto Cino per Dante. Dante ricon-
tracambiava Cino di uguali sentimenti. Lo aveva chiamato
alla stessa maniera frater carissime; ricordato ripetutamente
nel De. vulgari Eloquentia, anteponendolo a se stesso, Cinus
Pistoriensis et amicus eius; posto come autorità nel dolce stil
nuovo al disopra degli altri poeti ducenteschi. Ma non era
stato l’amico, il poeta, il letterato che Dante nel rammentarlo
esaltava con lodi grandissime, quasi volesse compiacersi di
render ben palese questa loro unione spirituale; era anche
l’uomo: politico, ìl Bianco, fervido fautore di Arrigo VII, il
compagno nelle lotte politiche; ambedue uniti da uguali
speranze, dalle stesse sventure, dagli stessi dolori. Quanta
intimità e saldezza di legami fra il più Grande degli Italiani,
in un secolo di fortissimi ingegni, ed il grande Pistoiese!

Cino fu nostro nelle sue continue peregrinazioni, se non
per un lungo, certo per vario tempo. Forse nel 1321 quando
insieme ad Andrea Zaffi di Pisa, Lettore all’ Ateneo perugino,
sottoscriveva un breve Consiglio: certo nel 1326, 27, 28, 29, 30,
32; sia come legale per conto del Comune, insieme ad altri legi-
Sti di grande fama, ma a lui inferiori, sia come docente (1). Eve-
nendo in Perugia trovò corrispondenza di sentimenti, special-
mente nel gruppo dei Rimatori perugini, la cui produzione
poetica (sec. XIII e XIV), uscita dai confini di una produzione
ristretta ed addiveuuta ricca e varia all'ombra dell’ Univer-
sità, si ricollegava, nella elaborazione artistica del tempo, colla
toscana. Fra costoro egli meglio e bene s? intese con Ser Marino |
Ceccoli di Perugia, e perchè ambedue dotati di uguale tem-
peramento immaginoso ed affettivo, e perché informati alla
stessa dottrina, quella del giure, in essa valentissimi. Cino
fu il primo ad inviargli un sonetto di proposta in una que-
stione d'amore « Io son si vago della bella luce »: C. do-
minus de Pistorio ad Ser Marinum | Narrans vagaciones amoris

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(1) Rossr, 7, c. e MONTI, \Cino da Pistoia ecc, 1924,

le 378 L. TARULLI

et pro | pietatis illorum qui filo amoris legati sunt, ponens hoc
in se ipso. A cui il Ceccoli rispose con altro che incomincia
« Come per giaccio fore andando struee »: Responsio Ser
Marini ad. predicta | pones potentias amoris et ludum | ipsius.

Grande onore per Ser Marino non vi ha dubbio, ma ben
meritato, perché esperto e celebrato rimatore nelP età giova-
i) nile, avendo scritto versi sopra argomenti amorosi, filosofici,
| storici; valente oratore, seguace delle vere tradizioni nel
dettare, così ebbe a giudicarlo il Salutati, dottissimo e stu-
dioso della Commedia, con cui fu in ‘corrispondenza episto-
lare; giureconsulto valente e stimato; abile nei pubblici affari,
da assolvere, e felicemente, difficili e delicati incarichi avuti
dal Magistrato cittadino.

Cino fu amico e giusto apprezzatore del principe dei
Hi medici dell’ età sua, di Gentile da Foligno, compagno nel-
il | ; l'insegnamento nel nostro Studio, il quale, dietro sua richiesta
li [I8 en dettò un Consilium intorno ad una questione medico giuri-
MEC diea di sommo interesse, che ci apparisce come un vero trat-
b tato, forse il primo, di medicina legale. E non fu questa la
| unica volta che si riferì ai dettati della scienza medica del
D tempo, come alla stessa maniera, in questioni grammaticali
M : per un commento del testo, egli ricorse ai più insigni maestri
n di Grammatica. Così ebbe dimestichezza con tutti i mi-
WIE - gliori nostri ed il suo nome ricordato e le sue opere giu-

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ridiche desiderate al punto che si facevano premure — era
Alberto Guidalotti (1388), altro valente: Lettore che mostrava
| i : necessità grande di possederle — perchè un copista di codici
ill i È i antequam scribat aliquam lecturam Baldi scribat lecturam Cini
| quam. velocius poterit.

Pest Dopo ciò ‘chi vorrà soltanto dubitare che il nome del
z grande Fiorentino non sfolgorasse di luce ognora piü fulgida
anche fra noi, da esserne tutti attirati, per virtü di Messer
Cino, l'uomo dalle forti iniziative, dal cuore generoso, che
riuniva in se tutta la cultura letteraria e la dottrina giuri-
diea dei suoi tempi; la eui parola era autorità non discussa
UNA SCUOLA DI CANTO ECC. 379


fra Grammatici e Legisti, dei quali lo Studio perugino era
pur ricco; l’uomo più vicino al cuore ed alla mente del
Poeta, ed in pari tempo il suo più fedele amico?

E non fu il solo. Un altro luminare delle scienze del
Diritto lo ricordavà dalla cattedra, Bartolo, che ebbe l’ intel-
ligenza ed il sentimento plasmati da Cino. In alcune que-
stioni, dove le opinioni più varie erano emesse, Bartolo citava
quella di Dante e dichiarava apertamente di volerla seguire:
tenemus. illam opinionem quam tenuit Dantes; pur ricordando,
lo serupolo del Maestro lo sospingeva a tanto, ai propri sco-
lari che per avere sostenuta la indipendenza dell’ Impero era
stato condannato, di eresia (1). Il parere legale ed il pensiero

| politico, portati nella scuola, dovevano. necessariamente con-
durre alla conoscenza più particolareggiata del Personaggio
che li aveva emessi; e ciò sempre per opera dello stesso
insegnante, a cui certamente erano ben noti gli splendori
del Poema, il quale non incuteva certo nellanimo suo,
troppo ossequiente ai giudicati del Cardinale del Poggetto,
i timori che aveva forse destato il libro della Monarchia, la
cui condanna era stata, nella opinione dei timorati, una
macchia su quel nome, cioè sul nome di Dante.
Maestro Giovanni di Ser Buccio di Spoleto da Perugia
dove insegnava Grammatica e Retorica si portava a Siena
(1396) per leggere nelle stesse Facoltà, coll’ aggiunta inter-
pretare diebus festivis publice volentibus audire librum Dantis (2).
Era stata la fama del suo valore didattico, della sua cultura
nelle lettere, a cui era salito mentre insegnava nello Studio
perugino, che avevano stimolato l'amor proprio della vicina
città per averlo, la cui Università tentava di rivaleggiare colla
nostra, in nulla risparmiandosi mai per possedere un buon
numero di lettori e. di studenti. Grandi promesse, lo stipen-
dio fissatogli, che superava di molto quello assegnato agli

(1) CARDUCCI, /. c.
(2) Rossi, La « Lectura Dantis » nello Stndio senese, 1898,
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on

380 L. TARULLI

altri Grammatici, furono lo stimolo potente a deciderlo ad
allontanarsi da Perugia, dove pure era stato aecolto con segni
di deferente stima, ricordati da lui nell’ accomiatarsi. La Città
nostra per altro non credè decoroso mercanteggiare col par-
tente, sicura che la rinomanza delle sue scuole di Gramma-
tica, per la sua dipartita, non avrebbe subito alcuna jattura e
che altri sarebbero venuti a sostituirlo, non essendovi più pe-
nuria di tali Maestri; i più valenti anzi desiderosi sempre di
venire fra noi.

Cosi Domenico di Andrea da Perugia (1), antico scolare a
Bologna (1323) di Ser Graziolo Bambaglioli, il quale « faceva
versi e si piaceva nella lettura dell’ Alighieri e lo commen-
tava », testimone oculare dei rancori e dei sospetti « che
stimolavano il Cardinale (del Poggetto) a cercare le ossa del
poeta per il rogo e il frate Vernani a gravarne di contumelie
scolastiche la memoria » ed ammiratore dell’ Alighieri, come
il suo maestro, con cui stava nella stessa casa trovandosi
alla stessa mensa; anche per la fiera reazione che aveva
destato in tutti gli onesti la guerra violenta di alcuni uomini
di Chiesa contro 7 umile italiano, appena morto addivenuto
gigante. i

Così Maestro Biagio pur da Perugia, nominato a Bolo-
gna (1395) ad lecturam Rethorice per Universitatem .. non
obstante quod non sit dotocratus, il quale era obbligato legere
librum Dantis in diebus festivis. « Vera singolarità — cosi il

Livi (2) che ha pubblicato l'importante notizia, specialmente
per noi — questa di chi prima di aver preso il cappello sale in
cattedra come un ordinario professore e per giunta lettore del
divino poema. Il caso è tale da lasciar supporre che questo pe-

(1) FILIPPINI, L'esodo degli studenti ecc. Bologna. In nota l'A. ci
dà notizia come Domenico di Andrea di Perugia fosse scolaro in domo
Gratioli de Bombaglioli nel 1323.

(2) Livi, Dante e Bologna nuovi studi e documenti. Bologna, Zani-
chelli,
UNA SCUOLA DI CANTO ECC. 381

rugino già se ne fosse mostrato molto entusiasta fra la scola-
resca .. >». Entusiasmo diremo noi che portò seco con ogni pro-
babilità quando da Perugia si recò a Bologna a completare i
suoi studi e che riportò poi nella sua patria, dove lo tro-
viamo Medico e Lettore pochi anni dopo, accresciuto le mille,
miglia durante la sua dimora in Bologna, la città che nel-
l'ammirazione del Poema e nella devozione al Poeta fu la
prima d’Italia dopo la sua morte (1).

Così frate Muzio, ancor esso da Perugia, (1400-1401)
autore di uua profezia in uno dei numerosi codici che la
contengono dichiarata pulcherrima, mentre certamente non
lo è — il quale lamentando la grande avarizia dei ministri
della Chiesa si appoggiava, per essere al sicuro da possibili ed
incresciose sorprese, all'autorità di Dante: dice Danti. Il che
prova come questa fosse presso di noi assai grande e che molti
in Perugia la intendessero come il divino Poeta. Nè questo
è il solo ricordo del pensiero dantesco presso il frate poeta.
Altri se ne trovano, quali l’amore fervido per l’Italia da
ben pochi in quell’ora sentito: la salvezza della Nazione
solo possibile per opera di un imperatore tedesco, cristiano,
superiore a tutte le basse passioni di questa terra, amante.
del giusto e della pace, monarca universale ., «idea gbibel-
lina del Veltro, che incominciata con Dante .. costituisce il
carattere distintivo e fondamentale di tutte le profezie me-
dioevali ». Ed altri ancora, da potersi giustamente affermare
come nel componimento di questo frate perugino « lo spirito
di Dante aleggi dal principio, alla fine .. come la grande
anima di S. Francesco di Assisi » (2).

(1) TARULLI BRUNAMONTI, La Divina Commedia studiata a Per ugia
nel sec. XIV. Maestro Biagio da Perugia lettore di Dante a Bologna nel
1393. Maestro Biagio da Perugia lettore di medicina a Bologna mel 1396
e 1397 ed a Perugia nel 1399. Comunicazione fatta alla Società di Storia
Patria in Perugia nel settembre 1922.

(2) FILIPPINI, Una profezia medioevale in versi di origine probabil-
mente Umbra. Pubblicata in questo Bollettino, ‘vol. IX

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382 i L. TARULLI

È vero purtroppo che, almeno fino ad oggi, non pos-
siamo produrre un documento che provi la leetwra Dantis
esser stata fatta in Perugia da qualche nostro Maestro di
Grammatica, od anche semplicemente da qualche Seolaro, il
quale, secondo gli usi di allora, era autorizzato a fare le-
Zione, come un libero docente dei tempi nostri. Ma anche
senza di ciò possiamo con sicurezza affermare che il Poema
venisse letto e studiato ugualmente, beninteso senza che fosse
materia di uno dei tanti corsi di cui abondava lo Studio. Ce
lo assicura il trovare fra i libri, che venivano introdotti in
Città soggetti al dazio, nella tariffa della Gabella delle Some

grosse e del Pedagio (1379) data in appalto dal Comune, il

livero de Dante, che era niente altro che la Commedia (1). Nè
il non vederlo più nelle tariffe delle Gabelle degli anni suc-
cessivi significa che non venisse in seguito alla stessa maniera
ricercato. Questo silenzio — quando non vogliamo incolparne
la negligenza dello scriba — è ben spiegabile ammettendo
che il pubblico, che pur doveva pagar qualche cosa per averlo,
sebbene fosse modesta la cifra, si servisse per l'avvenire del:
l'opera degli Scolari e dei Lettori dello Studio, i quali non
pagavano nulla per i loro libri, onde procurarselo. Difatti an-
che nelle tariffe delle Gabelle più antiche, — e questo pri-
vilegio risale fin dai primi tempi dell’ Università — si legge
che sono exceptuati tucti e libri de doctori forestieri che venis-

sero a leggiere e de scolari che venissero a studiare, in la città

de Peroscia de quali non si paghi la gabella .. Operando così
i desiderosi di leggere Dante commettevano, è Vero, Verso
lerario una frode, arrecando lievi danni economici alla Città,
mai vantaggi che la lettura di quel libro procurava eran tali
che ben potevano chiudere gli occhi per questa infrazione
alla legge quelli incaricati a tenerli molto aperti in una fac-
cenda di sommo interesse per il Comune,

(1) FABBRETTI, l. c,
UNA SCUOLA DI CANTO ECC. 383

Del resto specialmente la Commedia — e lo stesso di-
casi per le Opere minori, compreso il trattato de Monarchia,
cresciuto subito in fama, dopo la guerra del Cardinale del
Poggetto, mentre fino allora era a pena saputo, come dice il
Boccaccio — per gli entusiasmi degli Umanisti in quella ri-
nascita di cultura letteraria, e per il senso di ammirazione
e di adorazione verso il Poeta, destatosi, sull’ esempio del
Boccaccio stesso, nella grande maggioranza degli Italiani,
anche in quelli non dotti, era addivenuta parte integrale del
bagaglio scolastico degli insegnanti di lettere, i quali o la
illustravano nelle proprie lezioni, o ben volentieri la conce-
devano in privata lettura a coloro che avessero mostrato sol-
tanto volontà di possederla. « E leggie Virgilio Lucano et tucti
alteri vectera et anche lo Dante, a chi volesse udirlo ». Così
riferiva ai capi della sua città un messo pistoiese, inviato
per la Toscana a ricercare valenti maestri di Grammatica,
nell’indicare il nome del prescelto. E questo avveniva un
po’ da per tutto.

Ma non della fortuna di Dante in Perugia dovevamo
. Ora occuparci; sibbene ricordare, e ci sembra di esserci riu-
sciti, come il suo nome avesse a se attratto, mercè il ma-
gistero di alcuni, la meraviglia e l'affetto dei Perugini. Ed
essi ne onorarono la grandezza, nel momento della sua mag-
gior gloria popolare, sia leggendo per proprio conto, e non
furono certo molti, la Commedia; sia ascoltandone la lettura
pubblica, e furono i più, fatta non dai pesanti Maestri dello
Studio, ma dai poeti del popolo, — che costantemente ave-
vano per pubblico artigiani, borghesi, cavalieri, perfino gli uo-
mini gravi di scienza e di dottrina — alcuni dei quali, erano
bene in grado di gustare tutta la bellezza del Poema divino,
quanto se non anche più degli insegnanti ufficiali, riuscendo
in pari tempo a farne apprezzare le meraviglie agli attenti
ascoltatori, non solo perchè forti i loro intelletti, ma perchè
le loro anime. buone e generose erano scevre da superbia e

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384 L. TARULLI

da invidia, patrimonio, assai di frequente, dei dotti di profes-
sione in tutti i tempi.

E di questi rappresentati della poesia popolare, che fu-
rono nostri, Francesco di Errico forse fu uno dei più auto-
revoli, venendo proprio da Firenze, la città dove, per opera
dei propri ordinamenti, con i quali si governava, la poesia
era manifestazione genuina della vita nuova del popolo ivi
vissuta.

Noi possediamo un Codice del sec. XV contenente varie
scritture in versi fra cui alcuni Rispetti, che il D'Ancona, il
quale ebbe modo di studiarli accuratamente, chiama Rispetti
Perugini (1). Si direbbe una raccolta di componimenti alcuni
di indole assolutamente letteraria, altri presi dalla viva voce
di un cantore, che li proferiva accompagnati con la viola
sotto la fenestra dell’innamorata, altri scritti da penna dotta,
altri riproducenti immagini, frasi ed anche versi delle odierne
canzoni campagnole; raccolta assai vicina alla forma pret-
tamente popolare, nella quale alcuni rispetti stimiamo pro-
prio del popolo — è sempre il D' Ancona che scrive così —
mescolati ad altri apocrifi e curiali. Orbene perchè non rite-
nere che una parte almeno di questa produzione fosse pro-
prio quella, o originale, o plasmata sull’ autentica, che i nostri
maggiori ebbero così cara, perchè piena di affetto e di senti-
mento, ripetuta loro dai Canterini, tanto benveduti e graditi,
trasmessaci da qualche copista, che il Rossi (2) ritiene possa
essere proprio toscano? La quale forma letteraria è l'antitesi
perfetta delPaltra, la produzione classica, tornata in onore
mercè un nucleo di persone, che non erano per altro il po-
polo autentico, imitatrici del grande modello, il Petrarca;
offertaci dalle poesie di Sinibaldo da Perugia, ci Hurtalanico

(1) D' ANCONA, Poesia italiana popolare, Livorno 1906.
(2) Rossi, Rispetti, Serenate etc. esistenti nel Cod. Com. di Perugia
al N. 242 vecchia segnatura. Perugia.
UNA SCUOLA DI CANTO ECC. 385

della Pieve, di Lorenzo Spirito e di altri ancora, aleuni
saliti in grande fama ed insegnanti nel nostro Studio.

Il nostro Francesco di Errico non deve esser confuso
— cosa frequente fra personaggi, che hanno fra loro vari
punti di contatto, in epoche così lontane — con un altro
poeta fiorentino a lui coetaneo, cieco però, portante lo
stesso nome, detto Francesco da Firenze cieco, il quale
insieme a Giovanni da Firenze, cieco esso pure, trovavasi
ai servizi del Duca Ercole di Ferrara circa il 1477 (1). Gio-
vanni e Francesco sono in un Diario del tempo ms. detti
« ciechi doctissimi, i quali cantavano a vicenda sulla lira le
lodi dei forestieri ». Il primo ci apparisce un buon improv-
visatore che già nel 1468 rallegrava col suo canto la corte
Estense e ne riceveva in compenso doni: il secondo, scam-
biato anche con Francesco da Ferrara, poeta alla corte di
Gianfrancesco Gonzaga, fu pure improvvisatore e dettò la-
vori poetici giunti fino a noi, vivendo nomade presso varie
corti fiorenti nel periodo del Rinascimento, rimanendo più
a lungo ai servizi di Messer Giovanni Bentivoglio bolo-
gnese (1483).

Questi dati, ai quali molti altri se ne potrebbero ag-

giungere, confermano lesattezza di quanto troviamo in una
deliberazione del Magistrato perugino il 10 giugno 1401, che
cioè l’uso di avere i Canterini, poeti improvvisatori, letterati
di fama più o meno grande, verso i quali, come già si è detto,
persino gli Umanisti, sdegnosi di quell'arte rozza e sponta-
nea, si lasciavano talvolta sfuggire degli accenti di infrenata
ammirazione di fronte a quegli uomini così diversi da loro,
era molto diffuso, specialmente nei centri di maggior cul-
tura, luoghi opportuni per essere giustamente apprezzati.
Sicut in aliis magnis civitatibus fieri consuevit: così nella de-
liberazione suddetta.

(1) Rua, Postille sw tre poeti ciechi: Francesco da Ferrara, Giovanni
e Francesco da Firenze. Giornale storico della lett. ital. vol. XI.

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Certo che per tutto il Quattrocento Firenze fu la « cava
dei canterini »: ma è provato che anche altre città ne pro-
dussero, e Perugia non fu certamente fra le ultime, sibbene
manchino dati per ritenere che i nostri si recassero altrove.
Forse uno di costoro potrebbe essere stato Niccolò da Mon-
tefaleo del Magnifico Braccio di Baglioni de Peroscia Trom-
bectino ed autore di un canzoniere o Libro chiamato file-
nico, vissuto alla .corte di questo Signore, il quale, per la
sua splendida magnificenza, per la protezione data alle let-
tere ed ai letterati, fu paragonato a Lorenzo il Magnifico (1).
L'aver trovato fra i famigliari di Federico di Montefeltro,
egli pure mecenate delle arti belle, un Niccolò canterino e il
non aver riscontrato fra i poeti feltreschi nessuno con tal
nome, fece pensare a qualche studioso che questo Canterino
potesse essere appunto il detto Niccolò da Montefalco, man-

. dato là temporaneamente dal Baglioni in occasione di qual-

che festa, come usavano fare i Signori di quei tempi. L'ipo-
tesi forse ardita puó ricevere qualehe valore in vista dei
buoni rapporti che correvano fra i Baglioni e i Montefeltro,
come si rileva anche dalle poesie del Montefalchese (2). Co-
munque sieno andate le cose, certo é troppa poca cosa un solo
Canterino, se si pensi che Perugia ne ebbe molti, né si pre-
occupó gran che nel ringraziare i. negligenti, sicura di po-
tervi subito provvedere, preferendo l'elemento cittadino al
forestiere, quando questo però avesse offerto le ‘migliori ga-
ranzie e ne fosse risultato ben degno. E ciò non già per amor
di campanile, ma per amore di giustizia. La Città nostra in
tutti i tempi fu cavallerescamente gentile con i forenses, che
poneva innanzi ai propri cives, anche quando fra costoro con-
tava degli ottimi elementi. Ci sembra ragionevole pertanto
lammettere che di questi Cantori anche in Perugia ve ne

(1) Bowazzi, Storia di Perugia, vol. II, cap. XII. Perugia 1895.

(2) FANTOZZI, Un canzoniere inedito del sec. XV. La Favilla. Vol,
XXI. Perugia 1900,
UNA SCUOLA DI CANTO ECC. 387

fossero in gran numero e che i nostri pure andassero giro-
vaghi eome i Fiorentini, portando nelle città vicine e lon-
tane i dolci ricordi ed il bel nome della loro Patria, fa-
cendo onore ad essa anche in questo nobile ufficio.

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Ed ora un’ ultima cosa da aggiungere prima di finire. Se
da un lato i nostri maggiori nulla trascurarono per mante-
nere in onore la costumanza gentile di fare liete accoglienze
all’arte del canto e della musica e del dir versi, dall’ altro
essi vollero che gli entusiasmi per queste forme di godimento
.venissero ben disciplinati. E così mentre stabilivano che il
popolo si raccogliesse ad ascoltare i suoi cantari più special-
mente nella piazza maggiore, che era assai vasta — Platea
magna incipiat ab Ecclesia S. Herregi sive S. Isidori in pede
platee existente et ducat usque ad palatium. novum. inceptum
post ecclesiam. Sancti Laurenti — e nella piazzetta di S. Maria
del Mercato, che poteva considerarsi come un appendice del-
l'altra, assai più raccolta, proibivano, sotto pena di una multa
in denaro, ai Canterini il soffermarsi nelle chiese e nelle loro
adiacenze, cioè in quegli spazi per solito abbastanza grandi,
che le leggi canoniche consideravano sempre come luoghi
sacri, godenti anche speciali privilegi, a meno che il canto
stesso non dovesse servire a rendere più decorose le ceri-
monie che si svolgevano entro i loro templi.

«+ + +. s. + Quod mulla persona — così un ordinanza del
Luogotenente del Duca di Milano presa d’accordo coi Priori
nel Giugno 1402 — .. audeat vel presumat ullo tempore in
aliqua. Ecclesia .. nec in claustris vel domibus. sue abitationi-
bus adiacentibus .. ballare .. danzare seu aliquod instrumentum
mundanum sonare vel pulsare mec sonare vel pulsare facere
causa ballandi sue danzandi et cantilenas et ballatas munda-
nas cantare, salvo quod non intelligatur quod fieri ad laudam Dej

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È 388 L. TARULLI

et divina offitii celebranda .. Non era già che la Chiesa inco-
minciasse ad impensierirsi di questo fervore e « gettasse sguar-
di obliqui e corrucciati sopra quella feconda ebbrezza della li-
bera fantasia e del sentimento » (1) No. La cosa era, almeno
per noi, assai più semplice ed in perfetto accordo con le
tendenze che aveva la Città; tendenze alla lor volta consa-
erate da lunghe abitudini e sanzionate da un cumulo di
saggie leggi, le quali se volevano la laicità assoluta del po-
tere civile, con la esclusione degli ecclesiastici nel disimpegno
di pubbliche funzioni, pure imponevano — questa è la parola
da adoperarsi e su ciò i nostri avi furono sempre assoluta-
mente intransigenti — che il culto religioso non solo non
trovasse mai inciampi in tutte le sue forme esteriori, ma,
neppure per qualsiasi ragione venisse disturbato.

Ecco perchè inibito il cantare, il danzare, il suonare
nei luoghi sacri e nelle loro pertinenze, proibizioni di cui ab-
biamo notizia anche in epoche anteriori al detto anno 1402,
le quali manifestazioni mondane recavano noia alla pietà
religiosa dei Perugini, che nei templi si adunavano per trat-
tare oggetti di alto interesse cittadino, onde ottenere che Dio
fosse ad essi più vicino nelle deliberazioni che stavano per
prendere. E vi si conducevano assai di frequente per pre-
garlo anche per la prosperità delle proprie famiglie e per
quella della Repubblica, ad implorandum divine bomitatis cle-
mentiam erga, conservationem status pacifici et tranquilli po-
puli perugini: pensiero “questo costantemente ripetuto ogni
volta che il Magistrato compiva opere di generosità, che
erano assai più frequenti di quanto oggi non si creda.

Il documento, sopra riportato soltanto in minima parte
ma che verrà per intero trascritto alla fine della presente
nota, ci dice con molta chiarezza che i cantori ed i suona-
tori, per i quali i Capi della Città ed il Popolo si rallegravano

(1) Levi, l. e.

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UNA SCUOLA DI CANTO ECC. ^ 389

e ne erano entusiasti, quando l'occasione si mostrava loro
propizia se ne andavano nelle chiese, dove erano richiesti, a
: prestare i propri servigi e generosamente pagati. Perché la
musica sacra avevo già subito una trasformazione, iniziatasi
da tempo; in quanto che al canto gregoriano misticamente
e solennemente echeggiante nei templi, si veniva ogni giorno
più sostituendo un’altra forma, la musica polifonica, mirante
anzi a prenderne definitavamente il posto.

E nelle chiese stesse si svolgevano. le sacre Rappre-
sentazioni, dove gli organi non accompagnavano solamente
le melodie dei chierici e dei monaci, ma la musica eseguita
dai cantori, non più tutti chierici, come una volta.

Fra costoro è da collocare Pietro d' Andreuccio, lasciato
da noi in abbandono e che qualcuno avrà pensato fosse stato
senz’ altro definitivamente sepolto; tenuto presente, e lo si
rammenti bene, per non essere accusati di volgare anacro-
nismo, che le modificazioni nella musica ecclesiastica erano
avvenute già al tempo in cui Pietro viveva, avendo fin dal
sec. XIII la musica polifonica « fatto trionfale ingresso in
Italia e prima che in Roma, coi Papi reduci da Avignone,
spiccò sulla tomba del Santo in Assisi il suo primo volo »? (1)

. Il Carducci (2) non esita affermare con sicurezza che
grande fosse nel Medio Evo l’intimità fra i musicisti di
chiesa e i musicisti profani, al punto da ritener che lo
stesso individuo dopo aver adempiuto ai suoi doveri in coro,
se ne andasse a rallegrare col suono e col canto le liete
comitive. « La musica, ecco le sue parole, come tutte le arti,
usciva di chiesa per farsi profana; s'inebriava un cotal poco
dell’aria aperta, tastava le belle villane e diceva fioretti
alle gentildonne, ballonzolava per le piazze, per le sale

(1) PENNACCHI, Relazione intorno alle opere musicali esistenti nella
Biblioteca Comunale di Assisi. Bollettino dell’ Associazione di Musicologi
italiana. Parma 1921.

(2) CARDUCCI, Musica e poesia, l.-c.
390 L. TARULLI

per le corti, ma ‘studiavasi poi ad essere a tempo per ri-
tornare la sera devotamente in chiesa a dir compieta ».
Ma realmente ci sentiamo autorizzati, ammesse pure
queste reciproche intese, a dire che il nostro Pietro venisse
ricercato dai chierici e disimpegnasse presso di loro l'ufficio
di Maestro cantore, escludendo senz'altro, e questo per il
suo valore, che fosse del gruppo dei modesti musicisti?
Ben poco ci è noto che ci diea qualche cosa di preciso in-
torno al canto che.senza dubbio fu coltivato presso le chiese
piü importanti di Perugia, avanti il sec. XV, quali il nostro
S. Lorenzo, detta anche Chiesa maggiore, ed altri, dove i reli-
giosi si trovavano in gran numero. Questo .capitolo di storia
perugina ecclesiastica si può ben dire che sia tutta da fare.
Comunque sieno le cose nei loro. particolari, tenuto conto
di quanto le leggi canoniche prescrivevano, e queste norme
erano uguali da per tutto almeno nelle linee più generali,
è certo che era fatto stretto obbligo a tutto il Clero d'is-
truirsi nel canto e vicino al Maestro di Donato per i piccoli
chierici, ed a quello di Grammatica per quelli grandi tro-
vasi il Maestro ‘cantore, il quale, coll’avanzare dei tempi,
ebbe attribuzioni: sempre più larghe. E così possiam dire,
sempre con espressione assai generica, che al Maestro can-
tore, in qualche Chiesa cattedrale chiamato Canonico cantore
perché appartenente al Capitolo della medesima, veniva affi-
dato tutto quanto riguardava la musica della propria chiesa.
E l’officium cantorie era sempre in grande considerazione,
perchè appunto offitium divinum sine cantoribus honorifice
celebrari non potest..; pensiero questo che si trova, si può dare,
in tutte le Costituzioni, colle quali si governavano le chiese
più importanti, espresso anche, su per giù con le stesse parole.
Ed il numero dei Cantori variava a seconda dell impor-
tanza delle feste religiose: pochi, nei giorni feriali ed in
quelli. festivi di scarso interesse, eseguendosi la melodia
gregoriana: molti, quando il rito si svolgeva con ecce-
zionale solennità, durante il quale si faceva della musica
UNA SCUOLA DI CANTÓ ECC. 391

in contrappunto. Ma non dobbiamo scendere ai dettagli: il
farlo sarebbe un fuor di luogo. Ci basti il ricordare che
prima che si incominciasse a parlare di cappelle musicali,
avanti il proprio capo, o moderatore, chiamato Maestro di cap-
pella, il Maestro del canto apparteneva quasi sempre al Clero, o
come semplice chierico, o come sacerdote. Ebbene noi pos-
siamo dire che Pietro di Andreuccio non fü nè luno nè
l’altro: se lo fosse stato ce lo avrebbe egli stesso detto
nelle sue ricevute di pagamento. Il compenso poi datogli
direttamente dal Comune di Perugia, per i servizi prestati,
ce lo fa escludere in modo assoluto. Le chiese avevano ren-
dite proprie per questi servizi; accresciute da contributi che,
in casi tutti speciali, i comuni davano quando avevano
un’ingerenza diretta su di esse, come accadeva in Bologna,
dove quella Signoria padrona, mantenitrice e soprainten-
dente della Basilica di S. Petronio, mostravasi costante-
mente generosa in sussidi, allo scopo precipuo di curarvi la
grandiosità e: magnificenza della musica, tanto che dalla
Cappella di S. Petronio derivò il grande credito della
Scuola musicale bolognese (1).

Ma anche in questi casi di interventi particolari da
parte del Comune, i quali a dire il vero assumono una im-
portanza notevole in epoche, sebbene di poco, posteriori
al nostro Pietro, mentre ai suoi tempi rimanevano entro
limiti più ristretti, il Comune stesso non se ne occupava di-
rettamente. Era la chiesa, o chi per essa, che pagava con
scopi dichiarati espressamente nei propri libri amministrativi.

Per queste. considerazioni il pagamento fatto a Pietro
di Andreuccio ebbe il. significato di uno stipendio dato a
chi teneva una scuola del tutto laicale: stipendio è vero
non lauto, ma che poteva essere, e ciò avvenne di certo,

(1) GASPARRI, Fagguagli sulla Cappella musicale della Basilica di
S. Petronio in Bologna. Atti e Memorie della R. Deputazione di Storia
Patria per la provincia di Romagna. Bologna 1866.

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alla stessa maniera di aleuni insegnamenti di maggiore
importanza, arrotondato per il contributo elargito dagli sco-
lari. Ed anche per questo ci sembra che la scuola di Pietro
debba riavvicinarsi alle altre dello Studio.

Si può quindi ben dire che Pietro di Andreuccio, nato
in Assisi, ma addivenuto cittadino di Perugia, non solo per
la lunga dimora fattavi, ma per avervi insegnato, appartenne
al gruppo di coloro — e con tutta probabilità fu di essi primo
maestro, gettando la buona semente che fruttificò abbondan-
temente e con generale soddisfazione — i quali coltivarono la
musica civile, eseguita in luoghi profani, allo scopo di -ri-
creare gli animi, di ingentilirli, confortarli di esempi e di
cui altamente ci onoriamo.

Così si dà termine a questa nota, riportando le parole
scritte dal Carducci sul finir del suo studio intorno alla mu-
Sica ed ai musicisti del sec. XIV e che fanno a meraviglia
anche per noi, che cioè di Pietro di Andreuccio «' ab-
biamo detto assai, forse troppo, per rilevare in fine che se
ne sa poco ». E se è vero ciò, come è già stato dichiarato,
pur tuttavia il di più aggiunto ad illustrare la figura di
questo musicista potrà riuscire utile alla storia di Perugia,
anche perchè sui fatti e sulle cose ricordate l'attenzione
degli studiosi locali non si era finora gran che fermata,
come forse si doveva.

Perugia, giugno 1926.

L. TARULLI BRUNAMONTI.
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APPENDICE

Ordinamentum contra ballantes, tripudiantes sonantes in Ec-
clestis. - Annale decemvirale 1402 - 25 Giugno fol. 72.

Quia abhominandum est et detestabile valde quod Ecclesie
et alia loca saera, in quibus ad Dey cultum et reverentiam di-
vinam debent offitia celebrari ex inhonestis et prohibitis acti-
bus et conversationibus deformentur et turpiter profanentur et
depraventur; quodque domus divine orationi deputate ad mun-
danas lascivas et illecebras et obprobriosos abusus inverecunde
trahantur est contra Dey et sanctorum suorum reverentiam ad
submuovendas occaxiones ne huiusmodi enorma et inhonesta in
futurum valeant perpetrari. Igitur D.ns Rolandus de Summo
legum doctor egregius et famosus viceducalis locumtenens, et
d. ni priores artium... reformaverunt quod nulla persona, mas-
chulus vel femina, cuiuscumque status, gradus, dignitatis, con-

.dietionis seu.... existat, audeat vel presumat ullo tempore in

aliqua Ecclesia Civitatis, Burgorum et Suburgorum Perusii,
nee in claustris, loggis vel domibus seu habitationibus adia-
centibus et pertinentibus ipsis ecclesiis, que inter clausuras
dictarum eeclesiarum comprendantur et concludantur, ballare,
danzare seu aliquod istrumentum mundanum sonare vel pul-
sare, nec sonari vel pulsari facere causa ballandi seu dan-
zandi et cantilenas et ballatas mundanas cantare, salvo quod
non intelligatur quando fiere ad laudem Dey et divina offitia
celebranda. Et quecumque persona contrafecerit solvat et sol-
vere teneatur et debeat Comuni Perusii uomine pene XXV
libras denariorum, euius pene medietas sit offitiali forensi,
qui tales delinquentes invenerit. Et illa. persona que offitiali
negaverit dicere suum nomen, cum ab eo interrogata fuerit, vel
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quibus consuetudinibus in preteritum in contrarium observatis,

394 APPENDICE:

nomen traschagnaverit et suum proprium nomen non dixerit,
supradictam penam solvere teneatur in duplum. Et nichilomi-
nus quilibet possit delinquentes in predictis vel aliquo predi-
ctorum actuum:prohibitorum accusare, et habeat dietus accu-
sator quartam partem diete pene, et aliam quartam partem
babeat offitialis cognoscens de predictis, et medietas dicte pene
camere massariorum ditti comunis debeat applicari; et quod
dictus offitialis teneatur et debeat de et pro predictis delin-
quentibus investigare, et dictas penas a predictis exigere et
poni facere iu comuni sine aliqua sententia vel processu; et
de predictis stetur .dicto et relationi talis offitialis seu familie
qui invenerint delinquentes in predictis, et etiam dicto accu-
satoris si supervenerit accusator cum duobus testibus fide.
dignis de visu et de proprio auditu, pena dicto offitiali, si in
predictis fuerit negligens vel remissus, quingentorum librarum
denariorum sibi auferenda de facto per suos sindicatores sui
temporis sindicatus; et quod Massarii Comunis Perusii tene-
antur et debeant, visa solutione talis pene, partes dicte pene
dare et solvere cui de iure debentur, secundum formam pre-
sentis ordinamenti. Et quod maritus talis mulieris delinquen-
tis teneatur. solvere et de faeto cogatur ad solvendum pena
pro sua muliere delinquente, et etiam illi de domo mulieris
delinquentis si mulier inventa nuptui tradita non esset. Et ipsam
penam quam solverit maritus retinere debeat et excomputare
talis mulieris que pecaverit in predictis tempore restitutionis
diete dotis. Ita tamen quod liceat et licitum sib. hominibus
omnia supradicta facere in dictis Ecclesiis in quibus tamen non
sint monasteria monialium, in quibus nullo modo liceat et aliis
locis quibuscumque in festivitatibus Beatissimi et S.ci Martiris
Herculanis et in diebus antea: et post festum dicti Sancti de |
mense Martii, in quibus sunt ferie in civilibus causis secundum
formam statutorum et ordinamentorum et ordinamentorum dieti
Comunis propter reverentiam dicti Saneti, non obstantibus ali-

nec aliquibus aliis contra predicta loquentibus seu disponentibus | ;
quoquo modo,
INDIGE
DEGLI STATUTI DEI FRUTTAIOLI ED ORTOLANI DI PERUGIA

(V. pag. 213 e segg.)

\

[Proemio] f. 1T a 4r
Rub. I Quod artifices dicte artis obbediant
et obedire debeant mandatis came-
rarii dicte artis qui pro tempore fuerit » ^ 4r
S:Sc*DE Quod camerarius et artifices dicte ar-
tis teneantur jre ad dominos pote-
statem et capitaneum ac maiorem
sindicum et judicem iustitie, et se et
dictam artem offere (sic) in prestando
eis auxilium consilium et favorem » 4

» RT De electione rectorum diete artis fa-

cienda per camerarium et rectores an-

tichos et veteres » DI
5 Quod nullus de dicta arte seu dictam

artem exercens audeat vel presumat

interogare nee imbalcare aliquam num-

matam dum aliquis alicui de dieta

arte ipsam intencaret : ir Di
UM. Quod emptor teneatur dare parte (sic)

supervenienti in emptione et dicenti

tempore emptionis tune dicenti velle :

partem in emptione prat DU
DVI Quod nullus audeat vocare nec nutum

facere alicui qui staret ad cameram

seu baneam alterius de dicta arte ad

emendum vel vendendum » 6
» VII Quod camerarij (sic) dicte artis tenea-

tur reassignare rationem vilicationis

sui offitij suo. proximo successori et

reliqua restituere massario dicte artis ;

et novo eamerario: juramentum pre-

stare quod observabit contenta in pre-

senti ordine . »..0

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T. VALENTI

De locis assingnandis et ordinandis
per camerarium

Quod homines et artifices dicte artis
teneantur dictam artem facere bene
et legaliter ,
Quod camerarius et rectores dicte ar-
tis teneantur visitare homines dicte
artis infirmos et pauperes et eis in eo-
rum necessitatibus .subvenire

Quod camerarius et artifices dicte artis
debeant accedere ad sepeliendum ca-
davera artifieum defunctorum

Quod camerarius dicte artis jus et
iustitiam unicuique petenti coram eo
faciat et ministret

Infra quantum tempus pignora recol-
ligantur

De festivitatibus celebrandis

. Quod emens ortum vel poma debeat

venditorem interrogare an alteri prius
vendiderit vel locaverit

De sconocchijs, rocchis, vel colimbis,
seu lanestris non tenendis in aliquibus
locis

De pueris et cunis non retinendis in
aliquibus locis et temporibus

Quod camerarius pacificet artifices di-
scordantes

De executione bamphorum

De decimum (s?c) per camerarium re-
cipiendo

Quod nullus de dicta arte possit im-
baleare ortum vel cameram alicui de

.dieta arte

Quod nullus possit conducere vel ac-
cipere ad coptumum vel laboritium
ortum vel rem, nisi a domino rey
De parte dampuorum camerario diete
artis debita»

Quod nullus emat in die sabbati ante
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XXV
XXVI
XXVII

XXVIII

XXIX

XXX

NONE

XXXII

XXXIII
XXXIV
XXXV

XXXVI

XXXVII

XXXVIII

jocos igi S Nei parco

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INDICE

De sale certo tempore non vendendo
De faculis portandis ad luminarias
De hijs qui cogi possunt per came-
rarium dicte artis et de jurisdictione
et cognitione dieti camerari]

Quod nullus possit vel debeat aliquid

opponere contra aliquem de dicta arte
qui fuerit extractus et publicatus in

.camerarium et pro camerario dicte

artis

Quod camerarius, massarius et nota-
rius diete artis habeant faculas in lu-
minarijs

Quod camerarius dicte artis non pos-
sit aliquem describi facere in matri-
cula diete artis, nisi, ex deliberatione
totias adunantie

De fide iussoribus prestandis in causa,
occasione reconvenctionis

Quod nullus possit esse camerarius
nisi primo fuerit et steterit abscriptus
in matricula dicte artis per decem
annos ante publicationem offitii talis
camerarij ;
De rerum extimationibus faciendis
De quibusdam prohibitis insacculari
Quod quilibet camerarius, qui pro tem-
pore fuerit, possit sibi et diete arti
eligere unum de dicta arte in massa-
rium diete artis
Quod nullus de dicta arte, seu dictam
artem exercens possit vendere diebus
festivis, nisi certis quibus fuerit per-
missum per camerarium

Quod nullus spiccicarellus, vel spicci-
carella possit vendere melarancias nisi
tantum in platea

Quod nullus eamerarius debeat acce-
dere eum tortitijs ad cadavera mor-
tuorum habitantium extra civitatem
vel in suburgis Perusij

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T. VALENTI

Quod camerarius diete artis teneatur
artifices desidentes reducere ad pacem
Quod quilibet non seriptus in matri-
cula diete artis, ipsam artem exercens,
solvat de sex mensibus in sex menses
certam quantitatem

Quod nullus eamerarius, artifex vel
massarius dicte artis seu notarius eiu-
sdem possit aliqua addere in dicta
matricula

Senza titolo: in margine scritto : So-
lutio recepti in arte

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399

RECENSIONI

CoRRADO RICCI - Umbria Santa - Milano, Treves, 1926.

Atto di fede e di amore può dirsi veramente quest’ Umbria
Santa di CorRRADO RICCI, che dell’ Umbria serive con perfetta
comprensione pagine devotamente commosse. Della sua vasta
cultura artistica e storica il RIccI in questo libro si serve con
semplicità, con una leggerezza di tocco in perfetta armonia col
suo sentimento di ammirazione profonda per tutto ciò che è
umbro : schietta e sincera, e, soprattutto piena di trepido rispetto.
Umbria Santa egli intitola il suo lavoro, ed è nella parola stessa
tutto il «tono» del libro. Santità di anime, di paesaggio, di arte,
strettamente connessi fra di loro, formanti un tutto da cui potè
sorgere, fiore di pura, splendente umanità, il Santo di Assisi, e
prima ancora, da Norcia, un altro Santo spirito eletto, « custode
e propugnatore di civiltà nei giorni per essa più pericolosi » che
custodisce coi suoi seguaci le reliquie dell’ antica sapienza !

Bontà e soavità, caratteri della terra umbra, sono riflesse
nell'arte, nella letteratura e nella storia che, pure, come nota il
RICCI «ha pagine spaventose di lotte fraterne e di guerre fu-
riose ». Il sentimento religioso, la mestizia dolcissima, trionfa
nell’ arte umbra proprio quando l' arte del resto d’Italia è tutta
giocondamente pagana; e, anzi, attraverso l'opera degli umbri
riesce a portare agli artisti lontani, di quasi tutte le regioni, la
sua nota di dolcezza raccolta e pacatamente soave. i

Le più belle pagine del libro del Rrccr sono indubbiamente
quelle dedicate a due santi umbri, anime semplici, piene di amore
la cui soave umanità il RIiccI lumeggia in pagine di rara effica-
cia. Sono essi S. Francesco e S. Rita da Cascia. Del Poverello
400 BIBLIOGRAFIA

di Assisi il RIccI, in pagine nelle quali è una nitida e sincera
semplicità di stile, racconta, a grandissime linee, con vivo senso
di poesia, la vita, che segue nelle tappe per la terra umbra a
cui l'anima del Santo è strettamente congiunta.

Questa così indissolubile corrispondenza tra lo spirito del
Santo e le linee essenziali del paesaggio in cui la sua vita e la
sua attività si svolsero, è sentita ed espressa dall’ A. con rara
profondità, senza abbandoni o esaltazioni liriche; ma con un tono
umile, quasi, e trepido, che è uno dei pregi più attraenti del
libro. Il paesaggio francescano, il solitario, argenteo Trasimeno,
sacro alla meditazione del Santo, la Verna, S. Damiano di As-
sisi sono rievocati con evidenza, in grandi quadri sereni, dalle
parole del Ricci, il cui sentimento aderente allo spirito france-
scano si rammarica di quanto gli uomini mutarono, profanando,
dei luoghi santi. La figura del Santo balza viva e serena dalle
frasi del RICCI, che ne rievoca episodi e scene di vita più pro-
fondamente significative di poesia umana, raccontate con le piane
parole dei Fioretti. Accanto a queste semplici rievocazioni l’ arte
di Dante e di Giotto, e tra l’arte giottesca, la poesia di Dante
e la vita del Santo è una assoluta rispondenza.

Intima relazione fu certo tra l’arte del Poeta e le figura-

zioni giottesche, sebbene la critica moderna la neghi; tanto sono .

vicine alle parole dantesche, sin nei minimi particolari, le grandi
allegorie affrescate da Giotto nella basilica di Assisi, e, special-
mente quella che raffigura le nozze di S. Francesco con la Po-
vertà, quando

«innanzi alla sua spirital corte
«et coram, patre le si fece unito ».

Accanto al Santo di Assisi, S. Domenico, vera figura di sol-
dato per cui fede è combattimento senza posa. Dietro e intorno
a S. Domenico, la popolosa e fosca Valencia e Corti tormentate
dalle passioni, e Roma, e Tolosa.... Dietro a S. Francesco un
paesaggio tranquillo, deserto, luminoso: l' Umbria Santa.

Ed ecco un altro paesaggio umbro: rupi e boschi, luogo ro-
mito e aspro: Roccaporena, ove S. Rita, umile figura di donna
del popolo, santa nel cuore pieno di misericordia e di amore
vibrante, fino al più grande sacrificio, d'amore di Dio e degli
uomini. Una storia semplice: piccola contadina, sposa ad un bru-
tale che tenta e quasi riesce a redimere dalla violenza, colla sua
bontà d’ ogni giorno. Non basta, ucciso il marito in un agguato,

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BIBLIOGRAFIA 401

la tragedia della donna diviene quella.della madre che rivive nei
figli e pei figli i tormenti della sua vita di sposa, sino a che il
Crocifisso le concede la grazia di farli morire innocenti. Ed ecco
Rita, sola con Dio e col dolore degli uomini, condotta da tre
Santi al convento di Cascia, dove la sua vita fu consacrata a
tutti i miseri, i malati, i lebbrosi; sempre serena, pacata, umile
come le monache del suo convento che di Lei rammentano la
vita miracolosa d’ amore e di fede.

Tali i grandi Santi della terra umbra, con speciali fisonomie

e caratteri, non mai separati dalla loro regione, di cui sono una
emanazione luminosa. Speciali linee distinguono tra gli artisti
contemporanei, gli umbri e il maggiore interprete dell’ Umbria
e dei suoi santi: il Perugino. Un largo viso calmo e severo, con
una grande dolcezza negli occhi e una ferma profonda decisione
nello sguardo diritto; ecco il Perugino quale ci appare nell’ auto-
ritratto del Cambio a Perugia. La sua vita è completamente de-
dicata all’ arte, è nutrita di arte, e la sua anima resta umbra,
: anche accanto alle ispirazioni dei maestri fiorentini contempora-
nei, anche di fronte alle opere dei grandi morti: Giotto, Masac-
cio, l’ Angelico, il Perugino non si allontana dalla dolcezza assorta
dall’ espansione devota, fiore del solo terreno umbro che, come
nota il RICCI, matura in frutto proprio col Perugino che del-
l’arte umbra fissa ed eterna i caratteri. Al Perugino si rimpro-
verano la troppa semplicità e la mancanza di fantasia; critiche
a cui s’ oppone il RICCI, con sicura comprensione dell’ anima e
dello speciale temperamento dell’ artista. nelle pagine sul Peru-
gino, che sono della sua arte uno studio completo ed esauriente,
efficacissimo nel rilevare i caratteri peculiari dell’ artista, in rela-
zione alle linee. stesse del paesaggio da lui contemplato con amore
durante tutta la vita. « Dalla natura, dalla scuola, dagli esempi,
il Perugino non toglie ed assimila se non quanto può condurlo
a creare il suo nuovo ideale, » scrive il RICCI e, altrove, dei pae-
saggi che hanno « quella misteriosa espressione che li rende come
partecipi del sentimento della scena rappresentata » e.... « nes-
‘+ suna terra più dell’ Umbria poteva metterlo sulla via di tanta
M scoperta, e nulla più del Trasimeno da cui nasce il paesaggio

peruginesco ».
. Altra personalità, per vero, assai minore ma attraente è quella

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402 BIBLIOGRAFIA

del Pinturicchio «il secondo pittore nmbro dopo il Perugino, non
si eleva sui pittori contemporanei, il Bonfigli, Fiorenzo di Lo-
renzo, Ottaviano Nelli, artisti non grandissimi ma nelle opere
dei quali risuonano le stesse note comuni di dolcezza e di gra-
zia. Nel Pinturicchio è un amore al.lusso, agli ornamenti, al fasto
di stoffe ornate d'oro, di gemme; di questo amore per lo sfarzo
il RIccI trova acutantente il motivo non solo nella sua speciale
natura, ma nello splendore stesso del paesaggio, nella fastosità
del suo tempo, nel lusso di Perugia che i signori amavano e
adornavano facendo crescere il vanto di bellissima città che vi-
veva di una vita larga ed elegante, in cui artisti e il popolo
gareggiavano nel desiderio di fornirsi a vicenda gli elementi
della bellezza e della grazia.

A contrasto della soave religiosità del Perugino, della grazia
elegante e un po’ frivola del Pinturicchio, l' Umbria nutri un
ingegno a questi del tutto opposto: Luca Signorelli, fiero e pos-
sente, artista superiore, rivolto al vero con ardente, instancabile
tenacia, sino ad impadronirsene sicuramente e a servirsene nella
grandiosa opera di Orvieto.

Due brevi capitoli su opere d’ arte chiudono il libro del RICCI:
dedicati l'uno alle varie rappresentazioni del cosidetto miracolo
dell'impiecato, in dipinti di varie scuole e di varie attribu-
zioni; l'altro alla Madonna del popolo di Montefalco. Delle ripro
duzioni della immagine della Madonna, che si dice dipinta da
S. Luca, il RIccI ricerca quelle appartenenti alla scuola umbra,
soffermandosi particolarmente su quella di Montefalco, cui dedica
un esame accuratissimo, che la riconnette alle forme melozzesche
pur non facendo esplicitamente il nome del maestro.

Il libro, come ho già detto, è di un’ importanza notevole, e
offre al lettore tutte le nozioni di storia, di arte, che un appas-
sionato ammiratore dell’ Umbria può desiderare, scritto con faci-
lità e sensibilità, è interessante e piacevole dalla prima pagina
all’ ultima, come una guida spirituale ed amica che i molti am-
miratori e visitatori dell’ Umbria non devono e non possono
ignorare.

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GIOVANNI MAGHERINI GRAZIANI

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GIOVANNI MAGHERINI GRAZIANI .

Corrono già trenta mesi dal giorno in cui Giovanni
Magherini Graziani, scrittore toscano di altissimo pregio,
cedette ai formidabili assalti di un male purtroppo inguari-
bile. E la sua dipartita deprecata e pianta largamente nei
giorni infausti sembra ancora di ieri.

Nel campo degli studi e delle lettere il Vuoto che Egli
lasciò non è minimamente colmato; in chi lo conobbe e
l'amó il rimpianto è tuttora profondo, la memoria sempre
più viva.

Giovanni Magherini Graziani conchiuse mestamente, sul
finire del Gennaio 1924, la sua lunga giornata operosa, Era
poco più che settantenne: ma le dure alternative della ma-
lattia avevano, negli ultimi tempi, fiaecato assai quelle e-
nergie che tanto, fin poco prima, s’ erano mostrate resistenti
al lungo lavoro e alle incessanti tenaci fatiche dello studio.

La sua preparazione e la rapida ascesa alle luminose
vette dell’ alta cultura, non ebber d’ uopo di viventi guide
di grido. Chè, fin dalle età giovanili, egli predilesse di ri-

concentrarsi tutto solo negli antichi più eminenti maestri

del pensiero e dell’arte: e ad essi, in silenzio, ma con rigida
disciplina spontanea e assiduità, chiese l’inestimabile tesoro
del suo vasto e non superficiale sapere.

Dai classici fioriti nelle età dell’oro sulla sua dolce terra
di Toscana, trasse quel fine gusto e quella signorile padro-
nanza della lingua che espresse, poi, mirabilmente, in vivide
404 i - G. BÌOLI

pagine. E sui grandi. artefici del pennello, dello scalpello, .

della plastica, del disegno; sui grandi rappresentanti del-
l’arte figurativa, insomma, che resero degna d’immortale
fama tutta la grande patria italiana, ma particolarmente le
regioni ch'egli predilesse: Toscana ed Umbria, su quei grandi
plasmò il proprio spirito aperto a ogni forma di bellezza e
di estetica.

Per l’intera sua vita mai pensò di chiedere alla inde-
fessa attività il men che minimo guadagno materiale. La-
vorò non col miraggio di ricompense reali o illusorie, pros-
sime o lontane: pareva che tutto facesse per soddisfare sol-
tanto sè stesso, che ogni manifestazione, per quanto nobile
e distinta, desse sollievo a lui solo. Non avendo mete pre-
stabilite da raggiungere e vedute particolari da seguire; non
avendo motivi di interesse determinato e tirannici legami
di scuole che circoscrivessero la sua esuberante azione, che
tarpassero le ali al libero volo della sua mente, tutto trattò
col più squisito senso del bello: la letteratura narrativa, la
storia, la critica d’arte, perfino il teatro. Per le basi di gra-
nitica robustezza che possedeva, per i mezzi che la fortuna
gli aveva messi a disposizione, per la gioia stessa che pro-
vava nell’ applicarsi alle dure discipline del lavoro mentale,
poteva prescegliere argomenti di vasta mole; quegli argo-
menti famosi di carattere universale che richiamando Y at-
tenzione del vastissimo pubblico, danno, di solito, imperituro
credito ad uno scrittore.

Eppure questo, di proposito, certo, non volle.

Predilesse di illustrare, con acume e con pazienza in-
sieme, le vicende storiche di terre mal note o dimenticate;
di illuminare con raggi di chiara luce, le eccelse creazioni
d’arte disseminate dal genio umano per valli e per contadi
poco frequentati, per luoghi sperduti o inaccessi. Volle che
rivivesse, per suo interessamento, quanto essendo fuor dagli
occhi degli studiosi di fama, era dannato, immeritatamente,
alla oscurità e alla misconoscenza perpetue,

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GIOVANNI MAGHERINI GRAZIANI 405

Non affrontó per i suoi dotti profili i grandi nomi con-
sacrati alla immortalità, nè antichi nè nuovi; dire cose già
dette e ridette o cose che non fossero di schietta originalità,
non era nel suo temperamento. Preferì indugiarsi sopra fi-
gure in ombra, degne però di rimarco. Soltanto dopo aver
frugato lunghi anni fra le polverose carte degli archivi ita-
liani e stranieri, per uno solo fece eccezione: per Raffaello
Sanzio. E ne abbozzò la vita della prima giovinezza con
speciali riferimenti agli imprecisi anni trascorsi fra le mura
della vecchia Tiferno: la bella gloriosa cittadina dell’ Alta
Valle del Tevere dove l'ancora adolescente Urbinate acca-
rezzò i primi sogni e mosse i primi passi verso la. gloria,
dando, per la gioia dei contemporanei e dei posteri, cinque

quadri fra cui lo « Sposalizio della Vergine; » la ridente e

operosa cittadina Umbra che Giovanni Magherini Graziani
molto amò, la quale, poi, come per doveroso ricambio, offrì
all’ affezionato scrittore ricco materiale per una particolare
storia dell’arte, ormai famosa (L’ Arte a Città di Castello,
Lapi 1897) e per una storia politica rimasta all’ età di mezzo
(« Storia ‘di Città di Castello », Lapi 1890-1910). La fatica
su Raffaello giovinetto Egli non recò a termine; ma prose-
guita e completata da un valente prescelto collaboratore,
essa contribuirà grondemente a diradare le tenebre sui primi
tempi e sui primi impeti del prodigioso fanciullo.

Rimase, osserverà qualcuno, alla storia del campanile.
E’ vero: ma questo fece con sì fine intuito, con sì alto in-
telletto, che le sue ricerche di storia, i suoi studi di critica,
le sue divagazioni di letteratura risultarono ottimamente
inquadrate nelle grandi linee generali della storia politica,
artistica, letteraria della patria nostra.

Tutto animò della sua calda passione, tutto vivificò della
sua prestante genialità. : |

Perfino ai ruderi degli smantellati castelli medioevali
che dai monti del Casentino guardano il fluire degli eventi
giù per le valli di due fiumi famosi: Arno e Tevere egli
406 G. BÌOLI

ridette le belle leggende di amore e di morte, di gentilezza
e di ferocia, di valore e di viltà; ne ricantò la potenza e
lo splendore, ne diseppelli, dal mucchio dei: secoli ove s' erano
nascosti, gli epici ricordi, i trascorsi di dominio.

Uso a vivere per ragioni di casata in mezzo alla più
distinta società, non espresse nei suoi racconti il tedio e la
insoddisfazione odierna della borghesia, dell’ aristocrazia, della
classe dirigente; frugó invece nell anima popolare e conta-
dinesca del suo natio Valdarno, si avvicinò agli umili, ne
osservò i costumi, ne mise in risalto le belle e le tristi pas-
sioni, le schiette virtù, i fallaci pregiudizi i sani e gli insani
desideri. E fra questa sua gente operosa e semplice, fiera e
mistica, accorta e superstiziosa, buona e vivace, seppe sce-
gliere modelli di figure e aspetti d'intimi sentimenti degni
di altissima considerazione. i

Un Toscano molto esigente in fatto di Arte, di lettere,
di lingua; un maestro austero che non è consueto alla lode
quando non sia davvero meritata: Ferdinando Martini, volle
esprimere un giorno a Giovanni Magherini Graziani il pro-
prio vivo compiacimento pel suo ultimo volume.

« Le diranno forse — scrisse — che Porditura è sem-
« plice, ch’ella narra fatti di cronaca. Che importa? Chi
« sappia, sia pure con brevi tocchi, tracciare i lineamenti di
« una figura umana o con sincerità descrivere il momento
« d'un anima, quegli fa già opera d’arte... ». Alludeva a
« In Valdarno » (Città di Castello, Soc. Tip. Coop. 1910)
fratello più giovane di « Il Diavolo » (Città di Castello,
Lapi 1886): due belle raccolte di racconti toscani, di schietto
sapore campagnolo, di fresca serena ispirazione. E l'autorità
del Martini é da sola sufficente ad attestare e garantire la
onestà e l'eminenza di un uomo e di un’ opera.

Con tutto Giovanni Magherini Graziani non fu di quelli
intorno a cui la letteratura giornalistica del suo tempo bru-
ciò abbondanti incensi o provocò le dense fumate della ri-
conoscenza. Non fu di coloro che portarono addosso cartelli

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ENIRO m o v
GIOVANNI MAGHERINI GRAZIANI . 407

di richiamo, la eui gloriuola tanto é piü effimera quanto piü
è artifieiosamente abbagliante. No. 2

Pieno di quella modestia che accompagna sempre il
valore vero, la goduta notorietà Egli raggiunse per sola forza
di merito intrinseco. Cariche pubbliche e posti onorifici al-
tissimi ricoprì in Firenze e in Perugia; larga stima godette
si da noi che oltre i confini della Nazione.

Nobile, di severa impronta morale, di animo sensibile
alla gentilezza più squisita e alla pietà più profonda, egli
seppe farsi amare da quanti vi ebbero brevi o lunghi con-
tatti di cultura, di beneficenza, di amicizia, di lavoro.

Dette costante esempio. di rettitudine, di saggezza, di
operosità.

Molto amò e non odiò mai. La dovizia non lo rese su-
perbo, non lo fece tiranno. Fu giusto.

Nel tempo vivrà non solo per le opere della sua mente,
ma anche per quelle del cuore,
G. Biorr.

I. — Cariche ricoperte dall’ Estinto.

1. — Socio corrispondente della Regia Accademia del Poggio.

2. — Direttore Banca Agricola Nazionale.

3. — Cassiere Opera Pia Calugi.

4. — Socio Ordinario della Soc. Italiana di Antropologia ed Etmologia
di Firenze.

5. — Socio corrispondente della R. Associazione dei benemeriti italiani
di Palermo. .

6. — Socio benemerito della Soc. Filopedica di Città di Castello.

7. — Socio ordinario della R. Accademia Valdarnese.

8. — Socio corrispondente dell’ Accademia dei Liberi di Città di Castello,

9. — Delegato scolastico pel mandamento di Figline.

10. — Sindaco di Loro Ciuffenna. |

11. — Presidente Soc. Filarmonica Castelfranco.

12. — Presidente Filarmonica Persignano.

13. — Ispettore Scavi e Monumenti pel Circondario di Città di Castello.

14. — Socio corrispondente dell’ Accademia Nuova Fenice di Orvieto,

Presidente Onorario Filarmonica Castelfranco,

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16. — Socio Ordinario R. Dep. Storia Patria per la Toscana.
17. — Socio Ordinario R. Dep. Storia Patria per 1’ Umbria.

18. — Socio Corrispondente R. Accademia: Raffaello di Urbino.

19. — Professore Onorario R. Accademia di Belle Arti di Firenze.

20. — Socio Corrispondente Società Colombaria Firenze.

21. — Cittadino onorario di Città di Castello.

22. — Cittadino onorario di S. Giovanni Valdarno.

23. — Presidente R. Deputazione di Storia Patria per 1’ Umbria.

24. — Socio Azionista della Cassa di Risparmio di Città di Castello.
N. B. (Carica riservata solo ad una cinquantina di persone

per meriti e censo).
25. — Membro del Comitato. del 50° della liberazione di Spoleto.

43. — Presidente Opera Laica Segapeli di Città di Castello.
44. — Socio Amici dell’ Arte di Città di Castello.

45.

408

S. Giovanni.

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»

G. BÌOLI

26. — Collaboratore della Rassegna d' Arte Umbra.

27. — Consigliere comunale di Figline.

28. — Assessora | » »

29. — Consigliere » Incisa.

30. — » » Terranova.

31. — Assessore » »

32. — Sindaco »

33. — Consigliere » Loro Ciuffenna.

34. — Assessore » »

35. — Consigliere » Città di Castello.

36. — Assessore » »

37. — Facente funzione di Sindaco di Città di Castello.
38. — Consigliere Provinciale di Firenze.

39. — Presidente Pubblica Assistenza Figline.

40. — Pres. onor. ^» » »

4]. — > » » Città di Castello.
42. — Presidente Comitato per i restauri della Chiesa di S. Lorenzo à

Firenze.

46. — Capo Guardia Misericordia di Figline.
47. — Capitano Misericordia di Figline.

48. — Provveditore

49. — Presidente società corale di Figline.
II. — Ordini cavallereschi.
1. — Cavaliere Corona. d' Italia.
2. — Cavaliere Ufficiale Corona d’Italia.
3. — Cavaliere SS. Maurizio e Lazzaro.
4. — Ufficiale dell’ Istruzione Pubblica di Francia.

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5. — Commendatore della Corona d'Italia.

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16.

2b.

Nu oo re ay cur

GIOVANNI MAGHERINI GRAZIANI

IH. — Pubblicazioni.

Ernestino, Racconti Educativi - Firenze, Barbéra 1875.

Lucrezia Mazzanti, Dramma - Firenze, Vedetta, 1874.
» » Romanzo - » » »

Michelangelo Buonarroti - Firenze Barbèra, 1875.

Nozze Pierleoni Vincenti - Lapi, Città di Castello, 1878.

Il telefono, il microfono, il fonografo - Firenze, Cellini, 1879.

Il cuore di wn fanciullo - Firenze, Cellini, 1879.

Prefazione alle opere di Stanislao Morelli - Firenze, Tip. Gazzetta
d'Italia, 1881.

Chi stuzzica il can che giace . . . - Proverbio in un’ atto - Firenze,
Barbera, 1882. i

La festa dei ceri a Gubbio - Treves, Milano, 1883.

Dell’ Arduino d' Ivrea - Ricci, Firenze, 1884.

Il Bastimento - Roma, Perino, 1884.

Casentino - Città di Castello, Lapi, 1884.

Città di Castello - Numero unico - Sonzogno, Milano, 1892.

Il Diavolo - Lapi, Città di Castello 1886.

Le diable - (Edizione Francese trad. Cochin) - Parigi, Plon, 1886.

Cuore di soldato - Firenze, Stianti, 1887.

Guerra de’ Castellani con la Chiesa - Città di Castello, Lapi, 1889.

Nozze Palazzeschi-Bruni - Lapi, Città di Castello, 1888.

Ninetta Corsi - Lapi, Città di Castello, 1889.

Corrado Tucci - Scene storiche del XV Secolo - Lapi,- Città di
Castello, 1889.

Notizie di alcune opere d’arte fatte nel XV secolo per la Badia di
Anghiari - Anghiari, Tip. Tiberina, 1889.

Da Arezzo a Fossato - Guida Artistica Commerciale - Città di
Castello, Lapi, 1890.

Nozze Buffetti Antonini Berardi - Lapi, Città di Castello, 1891. -

Memorie dello Spedale - Lapi, Città di Castello, 1892.

Monna Tancia - (Strenna dell’ Appennino) - Arezzo, Tip. Sociale
1893. ;

Cecco Grullo (Dal Diavolo).

Amba Alagi - Firenze, Landi, 1896.

Concessione del Mercato di Figline - Tip. Fiorentina, Firenze, 1896.
Aneddoti e memorie sul passaggio di G. Garibaldi per U Alta Valle
del Tevere nel Luglio 1849 - Lapi, Città di Castello 1896.

Nozze Tommasini Guarini, Città di Castello, Lapi 1897.

Bianco Bianchi - Lapi, Città di Castello, 1897.

Investitura di Montone a favore del Fortebraccio - U. T. Coop.,
Perugia, 1897.

Il Pio lascito Caluzi e l’ istituzione di un ricovero di mendicità per
i vecchi in Figline Valdarno - Firenze, Bencini, 1898.

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35. — Lo Spedale di Ser Ristoro (1399-1899) - Città di Castello, Lapi 1899.

36. — In memoria di Pasquale Pollenzani - Città di Castello, Grifani
Donati, 1900.

37. — Iscrizioni per i solenni funerali celebrati nella Chiesa di S. Fran-
cesco di Figline il 13 agosto 1900 per l' anima di Re Umberto I,
Firenze, Franceschini, 1901.

38. — Relazione della Commissione incaricata di esaminare i progetti per
la nuova sede della Cassa di Risparmio di Città di Castello.
Città di Castello, Lapi, 1901.

39. — Un documento di Aldo Manuzio il Giovane - Firenze, Olsehki, 1902.

40. — Commemorazione del Conte Serristori - Città di Castello 1902.

41. — Notizie su Domenico Cecchi detto il Cortona - Città di Castello, 1896.

42. — Il Rinascimento in Città di Castello - Spoleto, Tip. Ragnoli, 1902.

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( 43. — Masaccio - Ricordo delle onoranze rese à Masaccio in S. Giovanni
^ Valdarno nel di 25 Ottobre 1903 - Firenze, Bencini 1903.

44. — Oreste Rossi - Firenze, Franceschini, 1904.

45. — Giosuè Carducci - Discorso pronunciato all’ Assemblea della R. De-

putazione di Storia Patria per U' Umbria in Perugia il 29 Ot-
tobre 1907 - Estratto Bollettino Storia Patria.
46. — Giuseppe Frittelli - Note Biografiche - Città di Castello, Lapi, 1905.
47. — Relazione di Mons. Anton Maria Graziani Vescovo di Amelia sullo
stato dellu sua Diocesi 1595 - Perugia, U. Tip. Coop., 1907.
48. — In morte del Prof. G. Mazzatinti - Perugia, U. Tip. Coop. 1908.
49. — Documenti inediti relativi al « San Nicola da Tolentino » e allo
.« Sposalizio di Raffaello » - Perugia - U. Tip. Coop. 1908.
50. — Frammenti storici di Città di Castello - Perugia - U. Tip. Coop. 1909.
51. — Il Comune di Loro Ciuffenna — Città di Castello, Soc. Coop. 1908.
52. — In Valdarno, Racconti Toscani - Città di Castello, Soc. Coop. 1910.

. 53. — Girolamo Magi - Anghiari, Tip. Tiberina, 1889.
54. — Monna Tancia, (Traduit de V Italien par Msl. T. Cochin), Parigi,
Plou, 1910.
55. — Inaugurazione della nuova Pinacoteca di Città di Castello - Città

di Castello, Tip. Leonardo da Vinci, 1913.
56. — Lettera inedita di G. Batta Vermiglioli - Perugia, U. Tip, Coop.
57. — Onoranze a Suor Angelica Superiora delle Obliate dell’ Ospedale Ser-
ristori - Città di Castello, Lapi, 1910.
58. — L' Ufiziolo della famiglia Serristori - Città di Castello, Tip. Leo-
nardo da Vinci, 1913.
59. — Roberti Ursi, De Obsidione Tiphernatum liber A. MCCCCLXXIV -
Bologna, Zanichelli, 1923.

60. — Il palazzo vecchio Bufalini e la storia del Circolo Tifernate - Città
. di Castello, Tip. L. de Vinci, 1923.
61. — L’ours (dans le correspondants) - Parigi, Desaye, 1923.

62. — L' Arte a Città di Castello - Città di Castello, Lapi, 1897.
63, — La Storia di Città di Castello - Città di Castello, Lapi, 1890.
GIOVANNI MAGHERINI GRAZIANI. 411

64. — In morte del Can. Serafino Donàti - Figline, Sarti Magi.

65. — Ricordo dell’ inaugurazione delle nuove scuole per le Suore Stimatine
in Figline Valdarno. - Anghiari, Tip. Tiberina, 1903.
66. — Il Castello della Foresta (Traduzione della Viscontessa G. de la
Barre de Manteuil) - Parigi, Plou, 1926.
67. — Commemorazione di Re Umberto fatta in Persignano il 10 nov. 901.
- Anghiari, Tip. Tiberina, 1901
\ 68. — Relazione del Consiglio di Amm.ne della Soc. Tip. Edit. Coop. di

Città di Castello - Città di Castello, Soc. Edit. Coop., 1910.

IV. — $Scritti inediti.

1. — Citerna, Prologo in versi martelliani.
2. — Consegna della bandiera ai Nazionalisti di Città di Castello.
3. — Discorso in occasione della premiazione dei militi della Pubblica

Assistenza di Figline fatta da S. E. Calissano.
4. — Commemorazione del Prof. Lanzi fatta alla R. Dep. di Storia Patria.
5. — Parole dette in occasione della consegna della medaglia ai benemeriti
della salute pubblica a Suor Angelica Tempestini Superiora delle
Oblate di Figline.

6. — Presentazione del Prof. Conte Lando Passerini fatta al Teatro di

Città di Castello ove parlò di Dante.
N 7. — Discorso per l' inaugurazione della bandiera della P. Assistenza di

Città di Castello. —

8. — Discorso detto a Loro Ciuffenna in occasione dell’ inaugurazione del
carro lettiga.

9. — Rapporto sulla distruzione dell’ affresco di Luca Signorelli (Orazione
sull’ Orto).

10. — Commemorazione di Vincenzo Ricci.

1l. — Conferenza su Giuseppe Garibaldi.

12. — Commemorazione fatta a Persignano per lo scoprimento della lapide
ai caduti in guerra. :

13. — Commemorazione per quelli di Montemarciano.

14. — » » » Montalto.

15. — » » » Piantavigne. i

16. — Discorso letto in Loro Ciuffenna per la commemorazione. dei morti
nell’ ultima grande guerra.

17. — Parole dette per lU inaugurazione della bandiera della Misericordia

di Pigline.
18. — Iscrizione per la medaglia data al Prof. Lodovico Martelli.

19: — » » » al Petrarca.

20. — » » » data dal Comune di Città di Castello a
Volpi.

21. — Epigrafe per i morti in-guerra di Montalto.

29; — » » » » Montemarciano.

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23. — Epigrafe per i morti in guerra di Loro.

24.
25.
26.
27.
28.
29.
30.
31.
32.

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» » » ..» della Fattoria di Poggitarzi.
» » » » di Piantravigne.
» » » » Persignano.
» per Suor Angelica Tempestini.
» » Bianchi.
» » Alfonso Sacchi.
» » Pasquale Noferi.
» » Nedda Toti.
» » Luca Signorelli.
» » Umberto I a Persignano.
» » Serristoro Serristori.
» » B.ssa Alice Franchetti.
» _» Teresa Graziani.
» » XXX Teresa Graziani.
» » Can. Antonio Guidotti.
» » Luisa Fabbrini.
La Casa Grande, opuscolo scritto durante la malattia e che doveva

esser pubblicato in occasione della visita di S. A. R. il Principe
Umberto di Savoja in Figline.

Discorso per la consegna della medaglia al Prof. Volpi.

Cenni storici su Teverina.

Il palazzo Vitelli alla Cannoniera.

Storia di Figline Valdarno incominciata con tutto il materiale rela
tivo per compilarla.

V. — Scoperte artistiche.

Documenti Raffaelleschi.

Disegni degli stendardi di Raffaello.

Dipinto di Masaccio a Montemarciano.

Affresco di Pier della Francesca mel Cimitero di Mogisida

Quadro del Beato Angelico a Montecarlo.

Affreschi in un monastero di Città di Castello di cui verrà ora data
conoscenza con una pubblicazione lasciata preparata.
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413

IL CONTE GIO: BATTISTA ROSSI - SCOTTI

Una delle figure più belle che abbiano onorato Perugia
con la bontà e col sapere, fu senza dubbio il Conte Gio: BAT-
TISTA ROSSI-SCOTTI, spirato con la serenità luminosa di chi

attende con sicurezza una vita migliore, il di dieci gennaio

1926, compiuto appena l'ottantanovesimo anno.
Era nato in Perugia, nel dieembre del 1836, dal Conte
Gaspare Rossi-Scotti e dalla Contessa Eleonora Baldeschi,
ambedue della piü eletta nobiltà perugina; alle virtü dei
quali, se non altri, resero ampia testimonianza i tre figli,
Luigi, Gio: Battista e Lemmo, che con la rettitudine e col
sapere procacciarono tanta lode alla loro terra nativa: il
primo, come letterato e scrittore elegantissimo, l'ultimo con
i suoi dipinti ch’ ebbero l'onore d'essere accolti nelle pub-

. bliche Gallerie italiane e straniere.

Leggendo l'elogio funebre del Conte Gaspare, pittore per
i suoi tempi fra i primi, mecenate delle arti, promotore delle
industrie, e benefattore insigne dei bisognosi, ci tornano in
mente quelle parole dei libri Santi: « 7 figli sono il diadema
dei genitori », giacchè l'elogio del padre si può ripetere senza
restrizione per il figlio, il quale ricopiò fedelmente in sé tutte
le virtù paterne aggiungendo gli splendori della scienza a
quelli della onestà e dell'arte.

Non é qui il luogo da far risaltare la bellezza dell'anima
del Conte Rossi ScoTTI: che alla scuola della fede e della

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414 E. RICCI

pietà seppe congiungere in un solo ideale i supremi affetti
della famiglia, della patria e dell’arte i quali spesso fanno
perdere di vista all uomo l’unico fine, spingendolo alla va-
nità, all'interesse e all'odio di parte. Tuttavia non si deve
tacere che, rimasto fedele a' suoi principj, quando il rinun-
ciarvi gli avrebbe fruttato le maggiori onorificenze, non per-
dette per questo la stima ed il rispetto degli stessi avversarij;
nè lasciò mai di procurare alla patria quei vantaggi che dal
ricco censo avito, dalla dottrina acquistata con lungo studio
e dalla sua instancabile operosità gli erano del continuo sug-
geriti. Perugia va debitrice a lui, se i più insigni monumenti,
come l’arco etrusco e la facciata di San Bernardino, non
furono deturpati, ma ebbero un sapiente restauro; se il Museo
Archeologico del quale fu per molto tempo direttore, si ar-
ricchi di preziosissimi oggetti donati da lui; se molti lavori
di prim' ordine non andarono dispersi; e finalmente se alcuni
illustri suoi figli, per incuria dei tempi caduti in dimenti-
canza, ebbero dagli scritti di lui quella gloria che al loro
merito si doveva.

Mentre studiava lettere e legge all’ Università di Roma,
non ancora ventenne, pareva avesse genio alla poesia, men-
tre Luigi, suo fratello maggiore, si dilettava d’ illustrare gli
antichi monumenti romani; ma poi Luigi abbandonò questo
genere di studj per dedicarsi tutto alla poesia nella quale
emerse con lode non comune fra i suoi contemporanei, e
Gio: Battista, incoraggiato dalle prime prove ottimamente
riuscite, si applicò con profondo studio e con raro intelletto
d'amore alla scienza archeologica nella quale s’acquistò tanta
stima, da essere annoverato nell’ albo delle prime Accademie
d'Italia e d'Europa: ebbe l’ ufficio governativo d’ Ispettore
dei Monumenti dell' Umbria, e la nostra R. Deputazione di
Storia Patria si onorò di averlo per molti anni socio colla-
boratore. i

Sebbene manchi ne’ suoi versi giovanili quella visione
fantastica in cui consiste -tutta la poesia, pure vi si scorge
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IL CONTE GIO: BATTISTA ROSSI-SCOTTI 415

sempre il pensiero limpido e ben delineato, proprietà non
comune, e che preludiava a quella intuizione sicura e ge-
niale, che dimostrò in tutti i suoi scritti scientifici ne’ quali
brilla, come dote principalissima, la rispondenza perfetta della
forma letteraria con il pensiero; prerogativa questa rara
negli scrittori d'ogni genere, rarissima in quelli che trattano
.argomenti scientifici ed artistici; ne’ quali la nebulosità delle
frasi sembra voglia ricoprire la deficenza e la incertezza del-
l'idea. Egli fu in somma, non soltanto un archeologo ed un
critico d'arte; ma anche un letterato, come lo attestano le
molte iscrizioni di stile robusto e di fraseggiare elettissimo,
nel qual genere di componimenti non teme il confronto con
i maggiori epigrafisti.

Del suo amore per la consorte Baronessa Angiolina De
Séverac di Tolosa, donna di alti sensi, valentissima nel di-
pingere e nel modellare, con la quale si uni nel settembre del
1864, pochi mesi dopo l'immatura morte del padre, e che nel
settembre 1914, pianse, come a vent'anni si piange il primo
amore perduto; della sua tenerezza per l'unica figlia Maria
Carmina nei Marchesi Vitelleschi Degli Azzi, rimasta a con-
solarlo ne' lunghi anni della cecità, qual altra Maria al fianco
del divino Galilei sulle colline d'Arcetri, io non diró, per
timore che le mie parole non siano pari al soggetto, e perché
non sembri indiscreto voler io ragionare di affetti che volen-
tieri si chiudono nel secreto dell'anima, schivi d' ogni sguardo
profano. Questo peró posso affermare con tutta libertà e sicu-
rezza, che, s' egli fu sempre di pensieri e di sentimenti elet-
tissimi, come apparisce dai suoi scritti più intimi, perduta la
luce degli occhi (sventura la più grave che possa toccare

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.ad uno studioso abituato fin dall'infanzia a cercar sollievo
nei libri) pare acquistasse maggior lume nella mente, e più
delicati affetti nel cuore. Nel conversare con i pochi amici
ai quali era concesso godere de’ suoi colloquj; non di rado,
accalorandosi nel discorso, usciva in certe parole che, come
sprazzi di luce, illuminavano gli aditi più riposti dell' anima

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sua, per quanto egli rifuggisse dal manifestare ad altri i do-
lori e le gioie della sua lunga esistenza.

Della sua dottrina; de’ suoi consigli e per fino dei frutti
delle sue ricerche storiche ed archeologiche fu generoso con
tutti, tanto più con i giovani che mostrassero attitudine e vo-
lontà a simili studj, accompagnando sempre gli avvertimenti

e gli ajuti, sia materiali che scientifici, con parole d'incorag-

giamento, raccomandando loro che non desistessero dall’ opera
incominciata a cagione delle difficoltà, o piuttosto delle contra-
dizioni e del disprezzo di chi deliberatamente fa ostacolo alle
opere della virtù e dell’ ingegno; ma che tirassero innanzi
con fiducia, sperando in altro tempo e da un’altra generazione
la ricompensa che ad ogni merito, o prima o poi, è riservata.
« S' io avessi dato retta, mi diceva un giorno, alla guerra che
gli stessi amici hanno fatto ai miei primi lavori; avrei dovuto
abbandonare i libri, e lasciar la penna in riposo, per vivere
in pace; ma io non ho cercato gli applausi, e mi sono appagato
di quel poco di bene che con l’opera mia ho potuto fare ai
morti ed ai vivi». Queste parole dimostrano che nell’animo del
Conte Gio: BATTA Rossr-SCOTTI, non vi fu né ambizione né
invidia, due malattie l'una più pericolosa dell'altra, e delle
quali raramente rimangono illesi anche gli uomini grandi.

E qual’altro encomio più bello di questo si può scrivere
sulla tomba di chi visse fino al novantesimo anno, onorando
la patria con l'integrità della vita, con la dottrina, con gli
scritti, e beneficando sempre tutti con quella modestia e con
quel tacer pudico, che il Vangelo prescrive in tutte le opere
della carità? A chi così visse sempre con la sapienza del
giusto, imperturbabile a qualsiasi tribolazione materiale o
morale, bene s'addicono le parole del Salmo’ « Ad auditione
mala non timebit » giacchè tutti, come una voce sola, hanno
reso questa testimonianza di venerazione e di affetto all’ il-
lustre Defunto.
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IL CONTE GIO: BATTISTA ROSSI-SCOTTI 417
| BIBLIOGRAFIA"
j DEL CoNTE GIOVANNI BATTISTA ROSSI-SCOTTI
k
| 1855. — « La Concezione di Maria ». Sonetto - Trieste, LLoyd Austriaco -
i Tomo IV, pag. 172.
ji 1855. — « In morte di Tiberio Rossi - Scotti » - Perugia - Vagnini e Ricci.
Hs 1856. — « Parole dello Schiavo Cimbro al Senato ». Versi - Trieste, LLoyd
E Austriaco - Tomo V, pag. 275.
+ 1857. — « Il Tempio di Venere a Roma ». Illustrazione - Trieste, LLoyd
Austriaco - Tomo VI, pag. 188.
1857. — « Antonio Mezzanotte ». Necrologio - Trieste, LLoyd Austriaco -
Tomo VI, pag. 261.
1857. — « La colonna di Foca mel Foro Romano ». Trieste, LLoyd Au-
striaco - Tomo VI, pag. 114.
1857. — « La porta di S. Pietro, opera del sec. XV compiuta per il fausto
ingresso del PP. Pio IX - Con disegno - Album Giornale Lette-
i rario di Belle Arti - Roma, Tip. delle Belle Arti - pag. 129.

1858. — « La Zia alla nipote - Ode - Album ecc. — ,

I858. — « Gli studenti di Archeologia dell’ Archiginnasio di Roma a Pio
| IX. P. M. » Roma.
| 1858. — « Francesco Morlacchi ». Cenno storico - Trieste, LLoyd Au-
: striaco - Tomo VII, pag. 90.

1858. .— « Epistola in versi ad Ambrogio Boschetti di Rovereto ». Giornale

‘ Scientifico Letterario - Perugia, Bartelli - pag. 270.

1858. — « Iscrizioni Etrusche »... Edite dal Conte Giancarlo Conestabile
| di Perugia - Giornale Scientifico Letterario - Perugia, Bartelli -
| pag. 497.

1859. — « Ecuba ». Polimetro con incisione - Trieste, LLoyd Austriaco -
Tomo VIII, pag. 252.

1859. — « Elogio Epigrafico del M. Francesco Morlacchi per le nozze del
| march. Ignazio Vitelleschi Degli- Azzi con la contessa Vittoria Rossi-
| Scotti ». Perugia, Bartelli.

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(1) Non so se questo catalogo sia completo, perchè non ho potuto avere indicazione al-
cuna, né, ch'io sappia, è stata fatta da altri la nota degli scritti di lui. Quindi ho raccolto que:
sta bibliografia con molta fatica, ricercando nella collezione degli Opuscoli Perugini e nei Giornali
di scienze, d’arte e d’erudizione, stampati in Perugia dal 1855 in poi. Se, un giorno, altri do-
vesse scrivere con maggior competenza e più diffusamente dell’ illustre scienziato, sarò ben lieto
d'avergli preparato l’ elenco completo delle opere di lui; e a questo fine prego gli studiosi a vo-
Jermi indicare le pubblicazioni che mancano in questo catalogo.
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1862.

1863.

1863.

1863.

1865.

1867.

1870.

E. RICCI

« Epigrafe per la tomba di Francesco Morlacchi nel Camposanto
di Perugia ». Perugia, Bartelli.

« Epigrafe per U Albergo del Sole in Innsbruk ». Perugia, Bartelli.
« Cenno storico del M. Francesco Morlacchi ». Giornale Scientifico
Letterario - Perugia, Bartelli - pag. 169.

« Di una ghianda Missile inedita che riferiscesi al famoso assedio
di Perugia dato da Ottaviano ». Giornale Scientifico Letterario -
Perugia, Bartelli - pag. 65.

« Perugia. Cenni Storico-Artistici ». Giornale Scientifico Lette-
rario - Perugia, Bartelli - pag. 449.

« Alla cara memoria di Braccio Bracceschi Meniconi » - Perugia,
Bartelli.

« Guida di Perugia » - Perugia, Bartelli.

« La Tomba di Torquato Tasso ». Sonetto - Trieste, LLoyd Au-
striaco - Tomo VIII, pag. 32.

« Il Tempio di Minerva in Roma nel Foro Palladio ». Trieste,
LLyod Austriaco - Tomo VIII, pag. 174.

« Della Vita e delle Opere del cav. Francesco Morlacchi di Peru-
gia ». Perugia, Bartelli.

« Protesta contro la destinazione del monastero di S. Giuliana di
Perugia ad uso di Ospedale Militare « - Assisi, Sensi.

« Iscrizioni Perugine - sepolerali, onorarie ed artistiche - in
Roma ». Giornale Scientifico Letterario - Perugia, Bartelli, pag. 51.
« Rimembranze d’ un Trovatore » - Ode - Per le nozze Vecchia-
relli Mercurelli - Perugia, Santucci e Ricci.

« Monumento sepolcrale del conte Lodovico Baldeschi, eretto mella
chiesa di S. Francesco al prato di Perugia, opera dello scultore
Giuseppe Luchetti » - Giornale Scientifico Letterario - Perugia,
Bartelli, pag. 36.

« Notizie biografiche di Carlo Clavari ». Prof. di Rettorica nel
Ginnasio di Perugia - Giornale Scientifico Letterario - Perugia,
Bartelli.

« Statuto sulla società privata per la riattivazione degli antichi
bagni di S. Galgano in Perugia » - Perugia, Santucci.

« Delle acque di S. Galgano ». Memorie storiche - Giornale Scien-
tifico Letterario - Perugia, Bartelli - pag. 427.

« Sull’ iscrizione di una statuetta etrusca » - Giornale scientifico
ecc. - Perugia, Bartelli - pag. 61.

« Monumenti posti avanti l' entratura della Basilica Inferiore di
S. Francesco in Assisi ». Giornale Scientifico Letterario - Peru-
gia, Bartelli - pag. 280.

« Guida di Perugia » - Seconda edizione, ampliata ed illustrata
con litografie - Perugia, V. Santucci.

« Lettera sopra alcune Ghiande Missili Perugine » - Periodico di
Numismatica e Sfragistica - Anno III Fas. 3 - Firenze Ricci,

7 —-
i IL CONTE GIO: BATTISTA ROSSI-SCOTTI 419

1870. — « Di una Ghianda Missile Perugina » - Periodico di Numisma-
tica e Sfragistica - Anno III Fas. I - Firenze Tip. Ricci.

1871. — « Il comm. Tommaso Minardi e V Accademia di Belle Arti di Pe-
rugia ». Perugia, Bartelli.

1872. — « Del Maestro Morlacchi ». Ricordo storico. Due lettere inedite

| di C. M. Weber a Francesco Morlacchi. Una lettera. inedita di ,
} Rossini all’ autore - Perugia, V. Santucci.
t 1872. — « D'un’ iscrizione nel muro etrusco presso la Porta Urbica (Piazza
Grimana). Giornale di Erudizione Artistica - Vol. I, pag. 90 -
Perugia, Boncompagni.

1872. — « Sopra un sigillo di Malatesta IV, Baglioni ». Giornale d' E.
A. ecc. - Vol. I, pag. 92 - Perugia, Boncompagni.

1872. — « Manico del sigillo di Pietro Bembo e Testamento inedito di Mae-
stro Lautizio da Perugia ». Giornale d' E. A. ecc. - Vol. I, pa-
gina 358.

1873- — « Epigrafe per U' Accademia Musicale in Arezzo per U erezione del -
Monumento a Guido Monaco » - Perugia, Tip. Boncompagni.

1873. — « Per le mozze della Contessa Francesca Ansidei col Conte Luigi
Manzoni ». Ricordi epigrafici della famiglia Ansidei. Perugia,
G. Boncompagni.

1874. — « Dibattimento del Giornalismo Italiano intorno alla rimozione del

Í Coro di M. Domenico da S. Severino dalla Basilica di S. Fran-

i cesco in Assisi ». Perugia, G. Boncompagni.

1 1874. — « Rinuncia all’ Officio di Consultore della R. Commissione Artistica
Provinciale » - Perugia, Tip. Santucci.

1877. -- « Alla memoria del Conte Giancarlo Conestabile della Staffa ». Pe-
rugia, G. Boncompagni e C.

1878. — « Prospetto cronologico delle composizioni del M. Cav. Francesco
Morlacchi ». Perugia, G. Boncompagni e C.

1878. — « Della vita e degli scritti del conte G. C. Conestabile » - Perugia,
Tip. Santucci.

1878. — « Guida di Perugia - Terza edizione ampliata e riveduta con 12
vignette e la pianta » Perugia, Boncompagni.

1878. — « Lettera alla Gazzetta Musicale di Milano, sulla prima opera tea-
trale del Morlacchi > - Perugia, Il Progresso, Giornale di Peru-
gia, N. 225 - 23 dicembre - Bartelli.

i 1879. — « Di G. A. Angelini Bontempi di Perugia. ». Ricordo Storico -
| Perugia, Bartelli.
Î 1880. — Omaggio all’ amicizia del cav. Mariano Guardabassi » - Perugia,
1 Bartelli,

1880. — « Epigrafi per il giorno dell’ offizio funebre celebratosi nella Chiesa

di S. Maria del Carmine in suffragio del Conte Francesco Donini-
Alfani - Perugia, G. Boncompagni e C.
1881. — « Doni recenti ai musei di Antichità ed alla Biblioteca Archeologica
di Perugia ». Perugia, Bartelli.

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1915.

1915.
1915.

1916.

1916.

1917.
1918.

1919.
1921.
1921.
1923.
1924.

1925.
1925.

E. RICCI

« Colombo e Morlacchi » Piccolo monitore di Perugia - Anno II .

N. 15, 6 febbraio,

« Lettera al Sindaco di Perugia ». Perugia, Bartelli.

« Lettere inedite del Morlacchi e del Pacini » per le nozze Ca-
merini Ajò - Perugia, Boncompagni.

« Epigrafe a Genova sull’ esecuzione del Colombo del Morlacchi « -
Perugia, Santucci.

« Epigrafe al Concerto Musicale di Perngia vincitore mella gara
nazionale a Genova » - Perugia, Santucci.

« Epigrafe alla Società Orchestrale Perugina » - Perugia, Santucci.
« Pompilio Eusebi da Perugia e Sisto Papa Quinto ». Ricordo
Storico - Perugia, V. Santucci.

« Di una medaglia del 1789 con « ROMA INTANGIBILE » -
Perugia, Santucci.

« Alcuni illustri musicisti Perugini discepoli di S. Filippo Neri »
- Ricordo del 3 Centenario di S. Filippo Neri - Perugia, San-
tucci. pag. 35,

« Iscrizioni per la cerimonia del 3 novembre. 1915 mella Chiesa
della Confratermita della Misericordia di Perugia per ài mostri sol-
dati defunti ». Perugia, Squartini.

« Epigrafe contro Guglielmo II di Germania e Francesco Giuseppe
d' Austria ». Perugia, Squartini.

« Epigrafe ai Ministri Sonnino e Salandra ». Perugia, Squartini.
« Epigrafe contro Guglielmo II di Germania nell’ occasione dell’an-
niversario dell’ inizio della Guerra Europea ». Perugia, Squartini.
« Epigrafe per la cerimonia riparatrice nella chiesa di S. Dome-
nico di Perugia ». Perugia, Squartini.

« Epigrafe per la consegna della Bandiera al 216° Regg, Fanteria » .
Perugia, Squartini.

« Epigrafe contro l’ Imperatore di Germania ». Perugia, Squartini.
« Epigrafe d’ invocazione a Maria in tempo di contagio ». Perugia,
Squartini.

« Epigrafe alla SS. Vergine per la Vittoria e per la Pace ». Pe-
rugia, Squartini.

« Epigrafe al popolo d' Italia per le elezioni politiche ». Perugia,
Squartini.

« Epigrafe in memoria del Milite Ignoto ». Perugia, Squartini.

« Epigrafe al Dittatore Benito Mussolini ». Perugia, Squartini.
« Epigrafe a Francesco Morlacchi e Riccardo Wagner ». Perugia,
Squartini.

« Epigrafe a S. S. Papa Pio XI ». Perugia, Squartini.

« Augurj ». Perugia, Squartini.

ETTORE RICCI.

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TAVOLA DE' NOMI DI PERSONE E DI LUOGHI

ALUNNO A., Bosone Novello de’
Raffaelli poeta eugubino del se-
colo XIV, fasc. I, 3.

ANSIDEI V., Regestum reformatio-
num Comunis Perusii ab anno
MCCLVI ad annum MCCC, fasc.
II-III, 319.

Assisi (Pietro di Andreuccio di)
fasc. II-III, 339.

BEATRICE (Placito della contessa)
e di Matilde sua figlia dato a
Damiano, Priore di Fonte Avel-
lana, fasc. II-III, 204.

Biorr, Necrologio di Niccolò Ma-
gherini Graziani, fasc. II-III,
403.

Bosone, Novello de’ Raffaelli poeta
eugubino del sec. XIV, fasc. I, 3.

Cascia (Giovanni da) Un celebre

musico dimenticato, fasc. II-III,
305.
CAMPANO A., (De Gestis et vita
Braccii di) fasc. I, 153.
CATALANO M. I] Romanzo di Pe-
rugia e Corciano, fasc. I, 41.
Cenci D. Pio, Tre importanti do-
cumenti dell’ Archivio e della

. Biblioteca Vaticana per la sto-

ria Umbra, fasc. II-III, 201.
Conti DI MoNTE GIovE (Secessione
da Orvieto de’) e loro sommes-
sione a Perugia, fasc. II-III, 271.
Corciano (Il Romanzo di Perugia e)
fasc. I, 41.

DAMIANO (Placito della contessa
Beatrice e di Matilde al Priore)
dell’ Eremo di Fonte Avellana,
fasc. II-III, 204.

FONTE AVELLANA (Placito della con-
tessa Beatrice e di Matilde sua
figlia a Damiano, Priore dell’E-
remo di S. Croce di) fasc. II-
III, 204.

FruTTAIOLI (Gli Statuti dei) ed Or-
tolani di Perugia, fasc. II-III,
213.

: GIOVANNI DA Cascia, Un celebre

musico dimenticato, fasc. II-
III, 305.

GRAZIANI (Giovanni Magherini) Ne-
crologio, fasc. II-III, 403.

LEONE IX (Bolla di) data al mo-
nastero di S. Lucio di Todi,
fasc. II-III, 203.

Lupovico IL Pio (Diploma di) al
Monastero di S. Maria di Val-
fabbrica, fasc. II-III, 201.

MAGHERINI GRAZIANI GIOVANNI,
Necrologio, fasc. II-III, 403.
MamILDE (Placito della contessa
Beatrice e di) a Damiano priore
di Fonte Avellana, fasc. II-III,
204.

MoNTE GIovE(Secessione da Orvieto
de’ Conti di) e loro sommessio-
ne a Perugia, fasc. II-III, 271.

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422 TAVOLA DE’ NOMI DI PERSONE E DI LUOGHI

MorINI A., Un celebre musico di-
"menticato, Giovanni da Cascia,
fasc. II-III, 305.

— Un altro importante documento
sulla moneta Casciana, fasc. I,
197.

ORTOLANI (gli Statuti dei Fruttaioli
ed) di Perugia, fasc. II-III,213.

Orvieto (Secessione da) de’ Conti
da Monte Giove e loro sommes-
sione a Perugia, fasc. II-III, 271.

— (La chiesa di S. Giovanni in)
nel sec. XV, fasc. II-III, 311.

PERUGIA (Gli Statuti dei Fruttaioli
ed Ortolani di), fasc. II-III, 213.

— (Secessione da Orvieto de' Conti
di Monte Giove e loro sommes-
sione a) fasc. II-III; 271.

— (Regestum Reformationum Co-
munis Perusii) ab an. MCCLVI
ad an. MCCC., fasc. II-III, 319.

— (Una scuola di canto a) nella -

prima metá del sec. XIV, fasc.
II-III, 339.

— (Il romanzo di) e Corciano ,
fasc. I, 41.

PIEVE CONFINE, fasc. II-III, 285.

Riccr p. E., Pieve Confine, fasc.
II-III, 285.

— Necrologio del Conte Gio: Bat-
tista Rossi-Scotti, fasc. II-III,
413.

Ricci C., Umbria Santa, Recensione
di G. C., fasc. II-III, 399.
Rossr-ScoTTI, Necrologio, fasc. II-

III, 413.

SAN GIOVANNI DA Orvieto (La
chiesa di) nel sec. XV, fasc. II-
III, 311.

SAN Leucio (Bolla di Leone IX
data al monastero di) da Todi,
fasc. II-III, 203.

SIMONI C., Secessione da Orvieto
de’ Conti di Monte Giove e loro
sommessione a Perugia, fasc. II-
III, 271.

TARULLI BmRuNAMONTI L., Una
scuola di canto a Perugia nel
sec. XIV, fasc. II-III, 339.

Topi (Bolla di Leone IX data al
Monastero di S. Leucio di) fasc.
II-III, 203.

TREVI (Le memorie autografe del
procuratore fiscale Benedetto
Valenti da), fasc. II-III, 299.

VALFABBRICA (Diploma di Ludo-
vico il Pio. al Monastero di
S. Maria di), fasc..II-III, 201.

VALENTI (Le memorie autografe
del procuratore fiscale Bene-

299.

VALENTI T., Le memorie autografe
del procuratore fiscale Bene-
detto Valenti, fasc. II-IIT, 299.

— (Gli Statuti dei Fruttaioli ed Or-:
tolani di Perugia, fasc. II-III,
213.

VALENTINI R., La chiesa di S. Gio-
vanni in Orvieto nel sec. XV,
fase. II-III, 311.

— De gestis et vita Braccii di A.
Campano, fasc. I, 153.

detto) da Trevi, fasc. II-III,

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Memorie e Documenti.

Bosone Novello de’ Raffaelli poeta eugubino del secolo XIV
(A. ALUNNO) 5 :
Il Romanzo di Perugia e Corciano (M. CEA ENG) i
« De gestis et vita Braccii » di A. Campano. A proposito di
storia della Storiografia (R. VALENTINI). :
Un altro importante documento sulla moneta casciana (A. Mo-
RINI) E CR MAD UEM ig LM :
Tre importanti documenti dell Archivio e della Biblioteca Va.
ticana per la storia umbra (D. P. CENCI) . SAR
Gli Statuti dei Fruttaioli ed Ortolani di Perugia - 1400 (T.
VALENTI) DN SU Ur SERIE)
Secessione da Orvieto de’ conti di Monte Giove. e loro som-
messione a Perugia - 1380-1394 (D. C. SIMONI) .
Pieve Confine (D. E. RIccI) : S
Le memorie autografe del procuratore fiscal Borcdetio Va-
lenti da Trevi (T. VALENTI). SL e ur
Un celebre musico dimenticato: Giovanni da Cascia (A. Mo-
| RINI) st RR MD A
La Chiesa di S. Giovanni in Orvieto iol secolo xv (R. VA-
LENTINI) . SE RD er Equi
Regestum Reformationum comunis Parisi ab anno MCCLVI
ad annum MCCC (V. ANSIDEI). SIN UN due
Una seuola di canto a Perugia nella prima metà del sec. XIV
(L. TARULLI BRUNAMONTI) RR E
Indice degli Statuta artis Spiecicarellorum et Hortulanorum
GvilatisiPerusii (T. VALENTE)R |. 50. SV QUO DX

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INDICE DEL VENTISETTESIMO VOLUME

Pag.

»

319

339

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72 O im o I 424 TAVOLA DE' NOMI DI PERSONE E DI LUOGHI

Recensione.
CoRRADOo Ricci - Umbria Santa (G. C.) . . . . . . . . Pag, 395
Necrologi.

Giovanni Magherini Graziani (E. BioLI) . . . i Pag. 399
Il Conte Gio: Battista Rossi-Scotti (G. Ricci). . . . . . » 409

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Tavola dei nomi, di persone e dei luoghi . . . . . . . » -421

Indice*del:volume- 6 2. CES D. cx uA C eM 499

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