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PER L'UMBRIA

VOLUME XXXIX

PERUGIA
PRESSO LA R. DEPUTAZIONE DI STORIA PATRIA
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PROPRIETÀ LETTERARIA -RISERVATA
S. A. Arti Grafiche Panetto & Petrelli — Spoleto, 9-946.
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LA VIA FLAMINIA PER ANCONA
E LA * NUCERIA,, DEGLI UMBRI
E DEI ROMANI O

Sommario : La Flaminia — La Via Flaminia per Ancona — Prolaqueum — Dubios
— La strada Clementina - Nuceria Camellaria — Il sepolcreto barbarico del
Portone — L’ex-Chiesa di San Felicissimo — La zona del Palazzo — La
zona delle Fornaci — Nocera nell’età feudale — La Diocesi di Nocera.

Fin dal terzo secolo avanti l'Era Volgare la regione degli Umbri
fu attraversata in tutta la sua maggiore ampiezza dalla Via consolare
Flaminia, la grande strada che allacciava l’Urbe al litorale adriatico
dei Galli Senoni, e che ripete la sua denominazione tuttora viva dopo

due millenni dal Censore Caio Flaminio che la costruì. Quello stesso

Caio Flaminio che eletto poi Console morì strenuamente combattendo
alla testa delle sue Legioni ‘nella infausta battaglia del Trasimeno
l’anno 217 a. C.

Iniziata circa l'anno 223, era già completata nel 219. La rapidità
somma con la quale venne aperta al traffico una grande arteria della
lunghezza di circa 330 chilometri, superando gravissime difficoltà

‘tecniche in diversi tratti, quali la gola del Nera e i Passi della Scheggia

e del Furlo, impressionò vivamente la immaginazione degli antichi,
tanto da originare la leggenda che la sua costruzione fosse stata com-
piuta in un anno appena. à

E da ritenere, in ogni modo, che la costruzione rapidissima sia
avvenuta, come si fa anche oggi, coordinando tratti di strade preesi-
stenti mediante sistemazioni speditive e raccordi, e limitando le opere
d'arte allo stretto indispensabile che bastasse a consentire il transito.
Successivamente, è a pensare, che venissero costruiti i manufatti mag-
giori, elevati archi di trionfo e disposti ai lati quei monumenti di cui
ancora oggi ammiriamo i poderosi ruderi.

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6 : ‘GIOVANNI DOMINICI

Mossa come tutte le grandi arterie dal « Miglio Aureo » del Foro
ed uscita dalla cinta dell'Urbe per la Porta Ratumena secondo alcuni
scrittori, o per la Porta Fontinalis secondo altri,la Flaminia iniziava
il suo percorso seguendo l'andamento dell'attuale Corso Umberto I,
traversava in direzione di levante l'antico Lazio, ed entrava nell' Um-
bria ad Otricoli, non molto lungi dalla confluenza del fiume Nera
col Tevere. Da li per Narni e Carsulae, passando sotto Todi, attra-

versava Mevania e Nuceria Camellaria, e poi traversando l'Appen-
nino ai Passi di Scheggia e del Furlo raggiungeva il mare Adriatico
a Fano per spingersi ancora fino a Pesaro e a Rimini, ove aveva ter-
mine (1).

Questo il tracciato UiBiudiis della Via Flaminia, quale risulta

dai documenti piü antichi, e che risulta ancora evidente dalla diretta
ispezione dei luoghi. :

La piü antica e precisa testimonianza sul tracciato della Via
Flaminia attraverso l'Umbria é di Strabone, l'insigne geografo greco
che visse dal 63 a. C. al 19 dell'Era Volgare, e PUE viaggiò lar gamente
per l'Italia.

Strabone, nella sua Geografia — libro V, cap. II, 10 — dice testual-
mente:

Città notevoli al di qua dell'Appennino sulla Via Flaminia sono
Ocricoli sul Tevere... e Narni presso il quale scorre il fiume Nera, che
dopo Ocricoli affluisce nel Tevere, navigabile a non grandi legni; e an-
cora Carsulae, Mevania, presso la quale scorre il Tinia, che anch'esso
trasporta nel. Tevere i prodotti agricoli con piccoli navigli. Vi sono poi
anche altri piccoli paesi, noti più in dipendenza della strada che per la
loro importanza, Foro Flaminio, Nuceria ove si fabbricano vasi di legno,

(1) Cfr. Le Vie Maestre d’Italia: Via Flaminia: Studio storico-topografico

di EpoARDO MARTINORI, edito a Roma nel 1929, per i tipi dello Stabilimento
Tipografico Regionale.

È una completa monografia. della famosa via consolare, ricca di numerose
illustrazioni, cartine topografiche e tavole fuori testo.

Veramente preziosa nella parte topografica in quanto è frutto di minute
e accuratissime osservazioni dirette, non è in tutto sicura nella parte storica,
perché il Martinori, oltre che dalla sua vasta erudizione classica, attinge anche,
senza discriminazione e senza controlli che, naturalmente, non avrebbe potuto
eseguire, da informazioni avute sul posto da eruditi locali, che insieme a dati
sicuri gli hanno riferito anche tradizioni incerte e leggende

Cfr. anche: Prof. GrusePPE CoRRADI, Le strade romane dell’ Italia occiden-
tale: Paravia, 1939. Interessante studio, che porta anche sicure notizie generali
sulle Vie Romane, sugli Itinerari e qualche cenno sulla Flaminia.
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LA VIA FLAMINIA PER ANCONA, ECC. 7

Foro Sempronio. Sulla destra, Bercorrendo la strada da Ocricoli verso
Rimini, sono Terni e Spoleto. sa

Anche l'Itinerario Gaditano (1), conservatoci, come é noto, dai
famosi vasi di Vicarello, e che, da alcuni conii rinvenuti nella stipe
che li conteneva, gli studiosi hanno ritenuto si possa con ogni proba-
bilità assegnare all'epoca di Traiano, e ritenere quindi non posteriore
al primo secolo dell'E. V., indica lo stesso percorso, segnando per
stationes della Flaminia Ocricoli, Narni, ad Martis (vicus), Mevania,
Nuceria. Ben presto, peró, a questo primitivo tracciato si aggiunse
l’altro più lungo ma più facile per Terni, Spoleto, Foligno, Foro Fla-
minio. Nocera; tracciato, questo, cui da alcuni scrittori si é dato il
nome di diverticulum. gie

Per vario tempo i due itinerari furono percorsi indifferentemente.
Ma poi, distrutta Carsulae, che secondo la testimonianza di Tacito
distava circa dieci miglia da Narni e di cui riniangono le rovine fra
S. Gemini e Acquasparta, e, maggiormente, a seguito della accre-

(1) Gli Itinerari romani che ci sono pervenuti, sono in ordine di tempo i

seguenti:

I. L'Itinerario Gaditano o di Vicarello, che i critici assegnano all'epoca
di Traiano, cioè non posteriore al primo secolo d. C.

II. L’Itinerario Antonino, Itinerarium Antonini. Imperatoris, attri-
buito all’epoca degli Antonini (138-180 d. C.). È il più completo.
III. L’Itinerario Gerosolomitano o Bordigalense, che ci descrive un
viaggio compiuto .da un pellegrino di Bordeaux negli anni 335-337 d. C.

IV. L’Itinerario Peutingeriano o Tabula Peutingeriana, dal nome dello

‘ studioso che lo scoprì, ritenuto non posteriore all'epoca di Carlomagno (800-

814 d. C.). A differenza dei precedenti, non è un giornale di viaggio, ma una
tabula picta, quasi una planimetria delle vle romane, con la indicazione delle
stazioni e quelle distanze fra l’una e l’altra. Ad esso i critici non attribuiscono
importanza storica. Interessante per la regione umbra, in quanto segna sopra
Agobio, (Gubbio) all’altezza di Scheggia, il luogo dell’antico tempio di Giove
Pennino. Di questo tempio rimane unico monumento un piccolo cippo votivo
(cm. 20 per 16.per 11,5) di marmo greco, conservato nel Museo Lapidario Maf-
feiano di Verona, descritto nel Corpus Inscriptionum Latinarum, Vol.. XI,
Pars Posterior, fasc. 1, pag. 856 al n. 5803. Del suo rinvenimento parla il
Colucci nel Tomo XI delle sue « Antichità Picene », pag. 222. Dice la iscri-
zione in caratteri lapidari:

IOVI — APENINO — T. VIVIUS.(car) — MOGENES.(et) — SULPICIA.eu(fro) — SYNE.
CONIU(X) V.S.D.D. È

Sugli Itinerari esiste una copiosissima bibliografia. Una edizione notevole
è quella fattane dal Wesseling nel 1735. Una edizione recente e accuratissima
degli Itinerari di Antonino e Burdigalense ha fatto Otto Cuntz, Lipsia, B. G.
Teubner, 1929; è quella che io ho seguito.
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8 GIOVANNI DOMINICI

sciuta importanza dei centri di Terni,$5poleto e Foligno, quest'ultimo
percorso ebbe il sopravvento e rimase l'unico.

. L’Itinerario di Antonino, infatti, ritenuto del secondo secolo
e che è il più completo degli Itinerari romani, segna contemporanea-
mente i due percorsi, per Bevagna e per Terni.

Il solo tracciato per Terni ricorda l'Itinerario Gerosolomitano

o Bordegalense del 1v secolo. E questo tracciato corrisponde sostan-:

zialmente al tracciato della Flaminia attuale.

Oltrepassata Mevania, lodierna Bevagna, la Via Flaminia
risaliva l'ampia. valle del fiume Topino in direzione di levante
con uno di quei lunghi rettifili cosi cari agli antichi romani, ta-
gliando a circa un chilometro dalla città di Foligno la strada che
anche allora collegava Foligno con Perugia, attraverso Spello ed
Assisi. |

Toccava poi il vico di Forum Flaminii edificato, si afferma, dallo
stesso costruttore della strada in funzione di statio militare, e quindi
sempre mantenendo la direzione di levante e conservandosi sempre

sulla destra del fiume continuava a risalire la Valle Topina fino alla :

successiva stazione di Nuceria Camellaria.
Un ponticello sicuramente coevo della strada, sul passaggio
obbligato del fosso di S. Martino e gli avanzi imponenti di grandiose

. costruzioni nella località Le Spogne documentano, come ho dimostrato

in altro mio lavoro (1), che la Flaminia, oltrepassata la zona dell'at-
tuale stazione ferroviaria di Nocera Umbra, continuava a risalire
sempre in direzione di levante conservandosi sulla destra del fiume
fino all'altezza dell'aspro colle sul quale sorge l'odierna città di No-
cera. A questo punto la via piegava decisamente a sinistra, in dire-
zione nord, seguendo il tracciato dell'attuale Strada della Valle. e
superato al vertice della Maestà di Picchio lo sbarramento dell'ultimo
contrafforte del Monte Castellano, si dirigeva verso Gaifanum, oggi
Gaifana, da dove con un altro bel rettifilo e poi per il Colle di Fossato
raggiungeva dopo XV miglia la successiva sfatio di Helvillus vicus
per affrontare piü avanti il Passo della Scheggia e scendere quindi
al Furlo, alla volta di Fano.

Unico fra tutti gli Itinerari, l'Antonino ci da notizia di una altra
grande strada che da Nocera portava ad Ancona attraverso la valle
del Potenza e l'alto Piceno: la Via Flaminia per Ancona.

(1) G. Dominici, La città di Nocera nell Umbria e la sua ubicazione an-
lichissima. Verona, Mondadori, 1931.

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LA VIA FLAMINIA PER ANCONA, ECC. 9

Ecco la testuale indicazione dell’Itinerario, secondo l’edizione
critica del Cuntz:

Flaminia — ab urbe per Picenum Anconam — et inde Brindisium:

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Narniaé (Narni) . . . . Y VA PARCHI XII
Ad Martis (vicum) Massa Martana) i ee eco) XVIII
Mevaniaè: (Bevagna): Vd ns» XVI
Nmncertae: (Nocera) 48 ui AVI
Dubios rie Ae ih VIII
Prolaque (Pioraco) . : Ae oA UE VIII
Septempeda (S. SEO Marche). Le VI
Trea (Treia) . SITE E ORRORI ES VIIII
Aurimum (Osimo) E HT LH O) XVIII
Anconac (Ancona) nei e XII

All’infuori di queste indicazioni che ne stabiliscono esattamente
il percorso, nessun’altra notizia ci è pervenuta dalla antichità su que-
sta strada consolare; e non sappiamo quindi né da chi né quando fu
costruita, anzi, dovremmo dir meglio, aperta al grande traffico. Perché
una via di comunicazione tra la valle del Topino e l’alta valle del
Potenza deve essere sempre esistita, almeno come pista continuatrice

«degli antichissimi actus (sentieri tracciati dal bestiame condotto al

pascolo) sino da quando il popolo antichissimo degli Umbri si stabili
in questa zona dell’Italia centrale. |

Infatti anche ai tempi storici la regione degli Umbri si estendeva
a levante verso il territorio che poi divenne il Piceno, e comprendeva
i territori di Camerte (Camerino), Prolaque (Pioraco) e Matilica (Ma-
telica). Indubbiamente quindi fra la valle del Topino e l'alta valle del
Potenza, abitate fin dai tempi piü antichi da popoli della stessa razza
e pertanto ‘legati intimamente da rapporti economici, religiosi, poli-
tici e militari, una via di comunicazione esisteva; e tanto pit in quanto
questa era resa facile dalla esistenza di valichi naturali attraverso
la catena delle montagne.

Allorquando le aquile di Roma dopo la conquista dell'Etruria
e dell'Umbria giunsero all'Adriatico conquistando Ancona e il Pi-
ceno, da cui nel 268 a. C. caeciarono i Galli Senoni, le piste vennero
trasformate in strade carreggiabili secondo il costume romano per
il quale alla conquista dei nuovi territori seguiva immediatamente
la costruzione delle strade, le quali avevano la funzione di allacciare

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10 i | GIOVANNI. DOMINICI

i nuovi territori all'Urbe, rendere possibili facili comunicazioni con
i presidii lasciati a guardia dei confini raggiunti ed aprire la via a con-
quiste ulteriori.

Alla stregua della sola testimonianza dell'Itinerario Antonino
dovremmo limitarci di dichiarare che la datazione attribuita a questo
dai critici moderni, e cioè il r1 secolo d. C., costituisce il ferminus
ante quem di apertura al grande traffico della Via Flaminia per Ancona.
Senonché un prezioso monumento epigrafico ci consente di retroda-
tare tale termine al primo secolo dell'Era Volgare e precisamente
all'epoca dell'Imperatore Tito, il quale successe al padre Nesgaziano
nell’anno 79 dell’Era Volgare.

Il monumento è una piccola e ben modesta colonna la cui forma

esteriore non richiama, secondo il giudizio del Mommsen, la fastosa

epoca imperiale cui invece esattamente si riferisce, tuttora conservata

a San Severino Marche, la romana Septempeda nel cui territorio ri-.

sulta rinvenuta.
La colonna reca una iscrizione che il Mommsen ha trascritto
come segue, inserendo in caratteri minuscoli le lettere mancanti (1):

imp. t. c A esar

di VI vESPAS . f

PONTIFIC. MAX. TR.

POT. XIIII. IMP. XV

COS. VIII. P; P. CENS
IO TIL

La indicazione dell'ottavo consolato di cui era investito l'Impe-
'atore Tito Vespasiano offre il modo di assegnare all'anno 80 d. C.
la datazione della epigrafe riportata sulla colonna, la quale é l'unica
pietra miliare rinvenuta in tutto il Piceno superiore che si riferisce
alla Via Flaminia per Ancona, e che appartiene esattamente al terri-

lorio di Septempeda. Segna, essa infatti, il miglio 142; una distanza

cioè di un miglio da Septempeda, la ‘cui stazione era situata a 143
miglia da Roma seguendo la Flaminia per Terni.

La Flaminia per Ancona era quindi funzionante nell’anno 80

dell’E.V.: e che fosse una strada di grande traffico, d'importanza in-
terregionale, lo dimostra il fatto che la numerazione dei suoi miliari
cominciava dall’ Urbe. È peraltro indubbiamente a ritenere per tutte
le considerazioni che abbiamo più sopra accennate che la costruzione

(1) Cfr. Corpus Inscriptionum Latinarum, Vol. IX, pag. 779, tit. 5936. LA VIA FLAMINIA PER ANCONA, ECC. 11

della Flaminia per Ancona non sia di molto posteriore alla costru-
zione della Flaminia primaria per Rimini. A formulare questo giudi-
zio concorrono anche altri elementi.

Ad Aurimum, penultima stazione a 12 miglia da quella ter-"

minale di Ancona, secondo la testimonianza di Velleio Patercol., i
Romani dedussero una colonia nell'anno-157 a. C. Hanno osservato
peraltro gli studiosi che gli Annales ricordano la costruzione di vari
edifici pubblici in quel foro circa l'anno 173, per modo che la data
del 157 deve essere arretrata di circa un ventennio. Nelle precedenti
stazioni di Treia, S. Severino e Pioraco sono tuttora visibili gli avanzi
imponenti di notevoli edifici della prima età imperiale e dei tempi
della Repubblica.

Può quindi essere affermato che ben presto dalla stazione di
Nuceria Camellaria, situata al 1149 miglio da Roma, si dipartirono
due strade diverse continuanti ciascuna per proprio conto la numera-
zione, fino a quel punto unica, che partiva dal Foro: l'una originaria,
attraverso il Passo di Scheggia e del Furlo, per Rimini, l'altra piü
recente, attraverso l'alta valle del Potenza e il Piceno per Ancona.

Il tracciato di quest'ultima, giusta le indicazioni dell'Itinerario
Antonino, aveva una lunghezza, da Nocera, di 70 miglia, pari a
Km. 104,230 calcolando che il miglio romano corrisponda a m. 1489
in'cifra tonda. Costituiva pertanto la più breve strada di raccordo
con Ancona anche in confronto delle comunicazioni modernissime, in
quanto la distanza attuale fra Nocera e Ancona è di Km. 110 per
ferrovia e di I&m. 139 per la nazionale Fossato-Fabriano.

Riproducendo più sopra la indicazione del suo percorso quale

ci È stato conservato dall'Itinerario Antonino, a conferma della cui:

esattezza generica sta il preciso cippo miliare che abbiamo riprodotto,
abbiamo detto quali erano le poste di questa strada, le località, cioé,
dove erano stabilite le fermate (mansiones) e il cambio dei cavalli
(stationes) da Nocera in poi: Dubios, toponimo scomparso, Prolaque,
Septempeda, Trea che dalla posizione topografica si chiamò poi
Monticulum, e alla quale il Pontefice Pio VI restitui nel 1790 il
glorioso nome romano di Treia: Auximum. L'Itinerario indica anche
le distanze fra l'una e l'altra stazione, ma tali indicazioni non hanno
un valore assoluto, in quanto é noto come a questo riguardo in tutti
gli itinerari che ci sono pervenuti si sono accertate delle inesattezze
imputabili ad errori dei copisti, per il facile scambio dei vari segni
numerici. Ma su questo ritorneremo.

. Ignota l'ubicazione di Dubios, ieu il tracciato del primo

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12 GIOVANNI DOMINICI

i EE tratto fra. questà località e Nocera; tratto che l'Itinerario indica in
| otto miglia e che, data la topografia della zona, doveva indubbia-
m mente svolgersi fra le montagne dell'Appennino che dividono la valle

" j del Topino dalla valle del fiume Potenza. Ad ogni modo é noto come
IH l'attraversamento della catena degli Appennini non poteva avvenire
i ; che attraverso uno degli unici due valichi naturali esistenti. nella |
| zona, e cioé: il passo di Carosina, lungitudinale da nord a sud, e il
E passo del Termine, trasversale da levante a ponente. i
4 I] mistero che sembrava ricoprire impenetrabile la ubicazione
di Dubios e il primo tratto della strada consolare ha suscitato in

€ «| . ogni tempo la curiosità più viva di tutti i glossatori dell'Itinerario
è DI Antonino, e ne sono derivate le ipotesi più strambe. Qualcuno, appar-
tenente alla schiera di quegli studiosi d’oltralpe che con eccessiva
Bal . leggerezza vogliono parlare delle cose nostre senza nemmeno volgere

uno sguardo alla geografia, è giunto persino ad identificare Dubios
con l’attuale paese di Colfiorito posto, come è noto anche per il ma-

- M gnifico altopiano omonimo lungo la strada nazionale Valchientina
ü nel tratto fra Camerino e Foligno, cioéin zona ben diversa e lontana (1).
M Ché peró la Flaminia per Ancona traversasse le montagne in |
E senso trasversale e cioé per il passo del Termine, deve ritenersi per |
E certo in quanto per accedere al valico di Carosina dalla Valle del Po-
ia || tenza non esiste che una molto disagevole mulattiera, percorribile
Mi | . solo in fila indiana, senza la minima traccia di una strada comunque
E carrabile. :
M Il Martinori che ci ha lasciato una completa e molto interessante
zd | monografia sulla Via Flaminia, nella quale ha raccolto dati topogra-
Y li fici veramente preziosi insieme a numerosissime notizie storiche,
d ripetendo, peraltro, senza vaglio anche parecchie notizie fornitegli
il da eruditi locali ispirate da tradizioni e leggende, accenna alla Fla-
| minia per Ancona senza dedicarle alcuna indagine. Egli si limita ad
i) | affermare che di questa strada si perdono le tracce sull’appennino (2).
i, li Le tracce, infatti, erano perdute da secoli. Né egli si é trovato
cn in condizioni di rinvenirle, perché ha voluto immaginare che là Fla-
| minia primaria, giunta alla località Le Fornaci del Comune di Nocera, . . |
3 | corrispondente all'attuale stazione ferroviaria di Nocera Umbra sulla 53
T linea Roma-Ancona, piegasse sulla sinistra in direzione Nord e risa-
y i (1) G. Dominici, Un episodio della seconda guerra punica nell' Umbria.
m Il fatto d'armi al Lago Plestino. Verona, S. E. Arena, 1940, pag. 41.
" | (2) MARTINORI, op. cit., pag. 171, nota 1.
m |
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n e Si fec SW y pi — Rea fondato:
A 3 nd em È Lara Eri. "a je sE VAR E i

LA VIA FLAMINIA PER ANCONA, ECC. 13

lisse l'angusta valle del torrente Caldognola per riprendere il tracciato
attuale solo poco prima del piccolo paese di Gaifana (Gai Fanum).
È certo, invece, come abbiamo accennato piü avanti, alla stregua di

autentici monumenti coevi, che la Flaminia continuava e risalire ‘

sempre in direzione di levante sulla destra del fiume Topino sino alla
base del colle roccioso sul quale sorge l’odierna città di Nocera, per
piegare soltanto a questo punto sulla sinistra in direzione Nord alla
volta di Gualdo e Fossato.

Se non fosse incorso in questo equivoco, certamente dovuto alla
rapidità del mezzo col quale egli attraversó la zona, e si fosse mante-
nuto sull'effettivo tracciato della Flaminia, avrebbe certamente ve-
duto, a circa due chilometri oltre l'odierno abitato di Nocera, profi-
larsi alla sua destra una valle risalente verso i. valichi della montagna
in direzione di levante, che al suo occhio di esperto avrebbe potuto
indicare chiaramente da quale parte dovevano ricercarsi le tracce
sperdute dell'antica Via consolare.

Se però di questa strada si erano perdute le tracce, il ricordo ne
era rimasto sempre vivo attraverso i secoli. Infatti nell'anno 1829 le
popolazioni di Pioraco, Fiuminata, Cingoli, Sanseverino e Nocera si
rivolsero al Governo Pontificio del tempo chiedendo la riattazione
dell'antica strada consolare romana, che a Nocera deviando dalla
Flaminia, passava per Dubios, Prolaqueo, Settempeda, ecc.

La notizia ci é data da un libretto rarissimo, del quale il
Bormanu dà la seguente citazione: (cir; GL ES vol: SL p. II; fasc: 1;
pag. 819) « Architectus FiLippini, Sulla riattazione dell'antica strada
consolare romana prolaquense. Roma, 1828, 8, 24 pp. ».

L'esemplare che io, dopo molte laboriose e vane ricerche, ho po-
tuto consultare presso la Biblioteca Comunale di San Severino Mar-
che, é un opuscolo di pagg. 24, in 89, che reca nel frontispizio interno
le seguenti indicazioni:

« Sulla riattazione — dell'antica strada consolare — Romana prola-

quense — Breve descrizione — Storico e prospettica - umiliata — alle.

Superiori Considerazioni e patrocinio — dalle ricorrenti popolazioni

interessate — Roma - Presso Vincenzo Poggioli — 1829 ». .
L'opuscolo, che non porta il nome del compilatore, é costituito

di una sommaria prefazione che accenna ai notevoli miglioramenti

che deriverebbero alle comunicazioni fra le Marche e Roma, attra-

verso l'Umbria, dalla riapertura della antica strada, e di una relazione
che vien detta « Prospetto Storico-fisico », costituita di due capitoli.
« Cenni storici » e descrizione prospettica della strada ».

ste ear o ——
‘ localizzare nella zona.

LA VIA FLAMINIA PER ANCONA, ECC. :

Nella breve « Conclusione » si accenna all'/ngegnere che ne fece

cla ricognizione il giorno 17 dicembre dello spirato anno 1828, e al rilievo

che ne fece l’Ingegnere stesso. Nella prefazione si afferma allegata una
pianta topografica, che doveva essere unita soltanto alla relazione
originale annessa alla domanda. |

Evidentemente, non v'ha dubbio che, a parte la rettifica della
data di pubblicazione dal 1828 al 1829, l'opuscolo da me esaminato é
quello veduto e citato dal Bormann. E ne é riprova il fatto che nel
riportare nella esatta lezione il testo della epigrafe romana di Pio-

raco, della quale diremo più avanti, il Bormann annota « Nerva pro

ilerum Filip. errore ». IRE ur
L'opuscolo redatto in buona forma letteraria, con numerose ci-
tazioni storiche, descrive. brillantemente l'orrido pittoresco della
gola di Pioraco e le particolari bellezze della-Piana di Fiuminata: Nel
primo capitolo dei « Cenni storici » esamina la questione della ubica-
zione di Pioraco romana per affermare che la cittadina moderna è
nel sito dell’antica, ed affronta anche la questione di Dubios per con-
chiudere che la sfatio intermedia fra Nuceria Camellaria e Prola-
queum sorgeva in fondo alla Valle del Frate, a monte della confluenza
dei due rivi che costituiscono il primo tratto del fiume Potenza. Non
affronta, peraltro, la risoluzione del grave problema sul tracciato

dell'ulteriore tratto della Via consolare nell'attraversamento della.

montagna, al di qua e al di là del Passo del Termine; si limita a pen-
sare che la Via romana risalisse attraverso i colli di Casaluna per
allacciarsi, evidentemente, alla moderna strada Nocera-Fabriano.
Ad eliminare la facile obbiezione che attraverso quella zona sconvolta
ed impervia non é possibile pensare abbia mai potuto scorrere una
strada, egli é costretto ad immaginare fantastici terremoti e movi-
menti tellurici, ricordati da antichi cronisti, e che egli si sforza di

Ad ogni 'modo il libretto è di notevole interesse, particolarmente
per le tradizioni lócali che ricorda e per i dati di fatto che il compila-
tore ha rilevato nel suo sopraluogo. Ne faremo richiamo più volte

‘nel corso di questo studio.

A ricercare le tracce dell'antica via si posero nei primissimi
anni di questo secolo i Tecnici incaricati dalle Amministrazioni delle

. finitime Provincie di Macerata e di Perugia di compilare il progetto

per la riapertura dell'antichissima Via. Ma anche lé loro indagini
vennero fuorviate dalle direttive ad essi impartite da taluni Ammini-
stratori del tempo, i quali per presunte ragioni di opportunità locale
LA VIA FLAMINIA PER ANCONA, ECC. 15

ordinarono che il progetto prevedesse un tracciato allacciante centri
rurali prestabiliti, invece di lasciare che avessero unicamente pre-
valso ragioni d'ordine tecnicc. Queste avrebbero coinciso certamente

con le ragioni storiche, trattandosi di un tronco di strada già tracciato”

da quegli insuperabili maestri della viabilità che furono i Praefecti
fabrum della antica Roma.

Così anche in quella molto favorevole circostanza l’occasione di
ritrovare le tracce sperdute dell’antichissima strada mancò. E, quel
che è peggio, definitivamente anche mancò la possibilità di ricosti-
tuire il tanto utile e necessario raccordo delle troncate comunicazioni
fra la valle del Topino e quella del Potenza, perché la somma all’uopo
accantonata dall’Amministrazione provinciale di Perugia dopo tanti
anni di trattative laboriosissime venne erogata per la costruzione di
un nuovo tronco di strada, la quale, se è riuscita utile. per migliorare
le comunicazioni fra il capoluogo di Nocera e la frazione di Casebasse,

non potrà mai rappresentare il primo tratto della nuova e auspica-

tissima Via Flaminia per Ancona, inopportunamente pensata attra-
verso Bagnara e le impervie.balze del Passo Cornello.

Il mistero di Dubios continuó ad affascinare le menti locali.
E le ricerche esperite nel campo della toponomastica, avvalorate
dalle felici risultanze d'indagini topografiche dirette hanno finalmente
portato alla identificazione del tratto Nuceria-Dubios dell'antichis-
sima Via.

Prima di addentrarci nell esame di queste indagini, è opportuno .

premettere uno sguardo panoramico alla topografia della zona.

Oltrepassata la città di Nocera in.direzione di Gualdo Tadino
e superato dopo pochi ettometri con l'aspra salita della Maestà di
Picchio lo sbarramento costituito dall'ultima propaggine del Monte
Castellano, la Via Flaminia si affaccia in una pianura abbastanza
vasta, sempre mantenendo l'orientamento a nord fino al Colle di
Fossato, e valicando con continue salite e discese le estreme increscpa-
ture dei colli discendenti dalle montagne, le quali si ergono sulla de-
stra della strada, verso levante, e costituiscono la catena degli Ap-
pennini. Al di là di queste. montagne è l'alta valle del Potenza e poi,
dietro altri monti, il Piceno.

La Valle del fiume Topino, comprendendo in questa dizione an-
che quella del suo principale affluente il Caldógnola, e l'alta valle
del fiume Potenza sono divise da una poderosa linea di sbarramento
costituita dai monti Burella (m. 1095 s. m.) e Merlano (m. 1129) in
senso pressoché parallelo alla Flaminia.

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ER, O nni

16 GIOVANNI DOMINICI

Ad una distanza, però, di poco superiore ai due chilometri da
Nocera, dal tratto nel quale i due monti si congiungono in un vasto
pianoro a oltre m. 860 di altitudine a formare un comodo doppio va-
lico. naturale, scendono ai margini estremi due valloni divergenti in
direzione di ponente i quali sboccano in fondo sulla Via Flaminia,
Tra i due valloni è incuneato il Monte del Poggio, il quale finisce sul
pianoro, lievemente sovrastaudolo. Il vallone di sinistra che scende
lungo il costone sud del Monte del Poggio è chiamato di Vallefeggio
(nei documenti medievali Valfredo, Valdifredo, Valdifeggio) e sbocca
sulla Flaminia alla Maestà di Campodarco, ove ha inizio l’attuale
strada Clementina, a Km. 2,200 dall’abitato della odierna Nocera.
L'altro di destra che scende lungo il costone nord del monte medesimo
è la Valle del Poggio o di Buriano che sbocca nella Flaminia circa tre
chilometri più avanti. Ambedue gli sbocchi sono a circa 495 metri s. m.

Tanto che per l’uno che per l’altro vallone si sale facilmente
al pianoro attraverso due distinti vàlichi i quali si aprono presso a
poco sulla stessa linea e alla stessa altitudine, distanti circa 200 metri
l'uno dall'altro. È questo il Passo del Termine, cosi indicato anche
nelle Carte, in quanto sulla linea di displuvio nel vàlico addossato
al monte Merlano esiste un cippo a forma di piccola colonna ivi collo-
cato da qualche secolo ad indicare il fermine, cioè il confine, di un
vasto tenimento di origine feudale denominato il Cottimo di Giug-
giano. Qui passa l'attuale strada Clementina, attraverso una pro-
fonda trincea; e questo sta a dimostrare come il vàlico. conosciuto
sotto il nome di Passo del Termine sia artificiale, mentre indiscuti-
bilmente naturale é l'altro vàlico addossato al monte Burella, per il
quale si scende per il vallone di Vallefeggio.

A] Passo del Termine anche il viaggiatore di transito che lo abbia

raggiunto per la strada Clementina, discretamente carrozzabile,

sente il bisogno di fermarsi per ammirare il magnifico paesaggio.
Per sentire appieno, però, tutta l'alpestre bellezza dei luoghi ed avere
completamente davanti agli occhi il grandioso panorama dei monti,
bisogna spostarsi sulla destra del pianòro, che gli abitanti della zona
chiamano la Piana di Saramonte verso l'altro valico che abbiamo
già indicato come il vero ed originario Passo naturale del Termine.

‘Il pianoro costituisce come un bastione di forma allungata, in
senso nord-sud, rivolto esattamente a levante. Di fronte si apre pau-
rosamente quasi sotto i piedi la profonda valle di S. Croce di Giug-
giano, come un enorme imbuto aperto sul lato verso la valle. del Po-
tenza; e più avanti la seconda catena che limita a levante l'ampio
: de - "ERE RT Te Bo Eo eb E TAMEN
È . :
LA VIA FLAMINIA PER ANCONA, ECC. 17

anfiteatro sorgivo del fiume Potenza dal monte Gemmo al monte

Igno. In mezzo a questi, tra le pareti rocciose del Primo e:del Tre -
Pizzi, si delinea la profonda e oscura gola di Pióraco di orrida su-

‘perba bellezza, cui con magnifico contrasto fa seguito, verso l'osser-

vatore, e cioé in direzione di ponente, la piana di Fiuminata perenne-
mente verde come smeraldo. A destra la snella cuspide : del monte

Burella i cui comodi fianchi erbosi si trasformano a maggio in vaghis-

simi giardini fioriti dai mille profumi; e più avanti e più in alto, so-
lenne con la sua doppia cuspide e con i larghi fianchi possenti rico-
perti di boschi e di prati, il monte Pennino, il gigante della zona, che
si eleva a m. 1570 s; m. E a sinistra, l'alto costone del monte Merlano
tutto verdeggiante di foltissimo bosco, le cui basi si. perdono nella
stretta di Valperaia coperta a levante dal Monte Carestro, entro la
quale si addentra in rapidissima discesa la strada Clementina che si
affretta a raggiungere nella piana di Molinaccio la interprovinciale
per Fabriano, da una parte, e per Castelraimondo dall'altra.

- Lungo la base dei colli che sorgono sul lato nord della piana di
Fiuminata, di colmata lacustre recente e della quale la definitiva

bonifica fu eseguita durante e immediatamente dopo la guerra 1915-
-1918 con l'opera dei prigionieri austriaci, si svolge una comoda car-

rozzabile, che é la interprovinciale già accennata, la quale segue
presso a poco l'andamento della antica strada romana per Ancona
dalla località conosciuta col nome di Ponte delle Pecore (m. 490 s.m.)
fino all'abitato di Pioraco. Il ponte delle Pecore é sulla confluenza dei
fiumicelli sorgivi che provengono dalle scaturigini di Laverino e di
Capodacqua.e che formano il fiume Potenza. A monte di questa loca-
lità, che coincide quasi esattamente col confine territoriale dei Comuni
di Nocera e di Fiuminata, e quindi delle Provincie di Macerata e di

Perugia, bisogna ritenere per fermo, data la topografia della zona, .

che sboccasse il primo tratto alpestre Nuceria-Dubios della Via Fla-

minia per Ancona. E del pari nelle immediate vicinanze deve essere

localizzata la scomparsa stazione di Dubios, che.l'Itinerario Antonino:
indica a metà strada fra Nuceria e Prolaqueum, precisandone la

distanza in otto miglia, pari a circa Km. 12, tanto da una parte che
dall'altra, La precisazione corrisponderebbe esattamente dalla parte
di Prolaqueum, perché anche oggi si misura una distanza di. Km. 12
da Pioraco al Ponte delle Pecore, e la strada moderna coincide quasi
esattamente con la Via antichissima, in quanto il suo percorso era
obbligato perché costretto nel breve spazio compreso fra le rive set-

tentrionali del lago e le pendici meridionali delle colline. Ma sul valore

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s

18 È GIOVANNI DOMINICI

da attribuire alla indicazione delle distanze contenute negli Itinerari
torneremo più avanti. Ad ogni modo Prolaqueum è un caposaldo dal
quale é necessario risalire per rintracciare lo. scomparso Dubios.

Che l’attuale paese di Pioraco, noto fin dal Medio Evo per le
sue importanti Cartiere, sia sul sito dell’antico Prolaqueum è certo. Su -
questo sono d'accordo tutti i postillatori dell' Itinerario Antonino, dai
piü antichi ai modernissimi, nonché tutti gli scrittori locali fino dai pri-
mi umanisti.-D' altra. parte Pioraco conserva ancora avanzi di edifici,
ponti e costruzioni che portanoi segni incancellabili della romanità (1).

Nell'interno dell'abitato esistono tuttora imponenti avanzi di
grandiosi edifici, All'entrata e all’uscita del paese due ponti sono ancora

integri, ed é tuttora visibile una poderosa sostruzione di grosse pie-

tre squadrate a sostegno dell'antica strada, ora mulattiera, che
scende verso la valle del Potenza. A questa strada i cittadini di. Pio-
raco hanno dato opportunamente la denominazione di Via Camel-
laria, per ricordare che essa portava a Nuceria Camellaria.

A monte del. paese, in prossimità del ponte che il Filippini

ricorda col nome di Marmoreo e sul quale la. Flaminia ivalicava il

‘Potenza all’uscita dallago, si osservano due tratti sovi rapposti della
antica via recanti sul piano roceioso i solchi profondi: delle ruote dei
carri, a comprovare il traffico intenso che vi fu esercitato per molti

. secoli nonché il successivo spostamento della strada stessa verso l'alto
‘onde renderla più sicura in confronto del fiume sottostante che ne

scalzava, evidentemente, la scarpata Sul ponte marmoreo, che si

| presenta caratteristico per un secondo arco costruito successivamente

a cavallo di quello originario al fine di raccordarlo con la strada por-
tata in un secondo tempo più in alto, i Piorachesi hanno collocato la
riproduzione di una epigrafe mutila che la tradizione ricordata dal
Filippini dice rinvenuta sotto il ponte medesimo, ed. alla quale il

— Bormann, che la lesse inserita nel muro della parete interna del nuovo

Teatro di Pioraco, assegna l’anno 32-31 dell’Era VOLSE: Dice l’epi-

Je (She | :
| j I'M/P, CAVE S A R 1
rs | | JAPAN ES Y:
V UC : 6:058; pum

pé PATRONO
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(1) Ctr. C ECL NOE NAI p. I; fasc. 1, pag. 819: « Ibi supersunt'a me quoque

visa praeter Uda conspicua edencidruhi fortasse aetatis HEDGE Augustae

pons quo via antiqua fluvium transivit et ex via vestigia, etc.

(2) Cfr. C.I.L., ibidem. | Lud
ü di ARE SME ANE, ae "i M i ADOS

LA VIA FLAMINIA PER ANCONA; ECC. 19

. L'antica romanità di Prolaqueum è così indubbiamente compro-
vata. Incerta è la etimologia del toponimo. Il Cluverio, già fin dai
primi anni del ‘600, raccolse la precedente tradizione della etimologia
latina, basata sul supposto che Prolaque o. Prolaqueum sia stata in
origine una stazione militare fondata dai Romani a guardia della
formidabile gola del ‘Potenza. Dice testualmente il Cluverio: (1):

Porro inter Camerinum et Matilicam sinistrorum lacus est in
Appennini valle, quem Potentia flumen exhaurit, cui oppidum hodie
apud confluentem adpositum est vulgari. vocabulo Pioraco. Id antiquis
fuisse dictum a situ ante. lacum Prolaqueum, ut in Aequis ad Anienis
ripam oppidum sub lacu erat Sublaqueum.

Il Wesseling (2) non conviene col Cluverio in questa etimologia

lacustre. Egli ritiene che il nome della mansio romana sia invece de-

rivato dal nome del monte quem dicunt Prolacem sul quale, secondo
una leggenda agiografica riportata negli «Acta Sanctorum», si ritirò
in romitaggio S. Severino Martire, dal cui nome oggi s'intitola la
romana Septempeda. Non pare che il topónimo di questo monte sia
conservato. Ma a parte che l'attribuzione dello stesso nome ad un
monte e ad un abitato sia frequente tanto che nella Zona medesima,
e precisamente in fondo alla piana di Fiuminata, esiste un monticello
Orve sulla cui vetta le cronache medievali dicono esistesse un castello
chiamato ugualmente. Orve, sui ruderi del quale è tuttora un fab-
bricato con lo stesso vocabolo, è un po’ arduo ritenere per esatta la
etimologia derivata dal lago tanto per Pioraco che per Subiaco, e
il dubbio che si tratti di ricostruzioni dotte è grande. Di tal natura e

certo eleganti erano le spiegazioni che ravvicinavano Orvieto a Vi-

terbo, interpetrandoli per Vetus-urbs e Urbs-vetus, rispettivamente,
e che la modernissima filologia ha dimostrato erronee, riportando alla

lingua etrusca i due topónimi. Per Pioraco é stato anche pensato ad

una derivazione da laqueum che in latino vuol dire laccio ma anche
stretta, riferibile, questa, alla caratteristica ed orrida gola scavata
nel corso dei millenni dalle acque del fiume Potenza, cercanti la via
del mare attraverso lo sbarramento delle montagne.

Ma contro tutto questo deve forse pensarsi che davanti alla gola

di Pioraco nella quale i Romani fissarono una mansio militare in ri- :
guardo, appunto, alla sua eccezionale importanza strategica, esi-

/

(1) PHILIPPUS CLuverIUSs, Italia Antiqua, Leyda, 1624, pag. 614.
(2) WEssELING, Vetera Romanorum Itineraria, pag. 312, alla voce « Pro-
laquem », citato dal MoMsENN in C.I.L. vol. XI, p. II, pag. 819.

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20 S : GIOVANNI DOMINICI

stesse un centro abitato più antico, e probabilmente per la stessa
ragione, provvisto naturalmente del suo topónimo originario. Quésto

nomei Romani tradussero in Prolaque o Prolaqueum, dalla pronuncia:

viva degli abitatori del’ luogo. Sarebbe altrimenti strano pensare
che, se il luogo fosse stato deserto e il paese fondato in occasione della
costruzione della Via Flaminia per Ancona, i Romani avessero fatto
ricorso alla topografia per denominarlo, invece di perpetuare il nome
del suo fondatore come fecero già per i paesi fondati nella circostanza
della costruzione della Flaminia primaria, quali Forum Flaminii,
‘Forum Sempronii, ecc.

Certo é che la toponomastica é tra la piü difficile delle scienze,
e quindi é pericoloso accingersi alla spiegazione di un topónimo senza
stabilire, o avere almeno ragionevoli presunzioni per stabilire, in quale
epoca e sotto quale idioma si é formato inizialmente; evitando, e

questo è importantissimo, di fermarsi. alla forma che il nome del

luogo può avere assunto per l’adattamento alla lingua del popolo che

in un successivo periodo sostituì nella zona i primitivi abitatori.

Queste induzioni ragionevoli sembrerebbe potessero formularsi
per la. precedente stazione di Dubios, sino a far rivivere il topónimo
alla distanza di «millenni.

‘ In relazione alla distanza che l'Itinerario le assegna da Prola-

queum, pure intesa in senso di approssimazione, e per le argomenta-
zioni topografiche e di altra natura alle quali accenneremo in seguito,
la mansio di Dubios deve essere localizzata non lontana dal Ponte

- delle Pecore, ove le valli del Frate e di S. Croce di-Giuggiano sboccano

O0
alla estremità sud dell'attuale piana di Fiuminata alle ultime pro-

pàggini settentrionali del monte Purella o Borella. Ora il nome di
questo monte è indubbiamente di origine celtica; della lingua, cioe,

di quel popolo dei Celti che nei tempi della preistoria attraversò -

lentamente l’Italia centrale e. settentrionale per quindi varcare le
Alpi e soffermarsi in quella parte della Gallia, valle del Rodano,
che appunto da essi Cesare chiamò Celtica.
. La loro lingua ha lasciato tracce non dubbie nel dialetto umbro,

già rilevate dal Pullè come. spie celtiche nell Umbro (1).

‘Al pari di Cima Borele e del Forte Por in Trentino, Purello tra
Sigillo e Fossato di Vico in provincia di Perugia, Val di Porro nell’alto
Veronese, Burella o Purella derivano. dalla radice Bor, Por che vale

,

(1) PuLLÈ; Italia, Genti é Favelle. Torino, Fratelli Bocca, 1927, vol. 2°,
p. :1,-cap:; DEV ; ;

—————
I "rat MI: RO N TA miu AO GRANI
LA VIA FLAMINIA PER ANCONA, ECC. 21

monte. Alla stessa radice il Pullè ricollega il latino Aborigeni, inten-
dendo i Montanari, gli antichi abitatori delle caverne delle monta-
gne quando ancora le pianure non erano emerse; vocabolo che sarebbe
ancora vivo. nel romanesco borrini o burini. Gi

Quindi come Mongibello, il nome popolare dell'Etna, sta a di-
mostrare la simbiosi etnica dei Siciliani con. gli Arabi, così Monte
‘Burella comproverebbe l’antica convivenza in quella zona dei Celti
con gli Umbri, offrendo riuniti i sinonimi delle due lingue a significare
Il Monte. i | Su

Ció posto non é certo azzardato pensare che anche il nome della
mansio situata, come dicevamo, ai piedi del Burella possa essere di
origine celtica. | !

In quella parte della Francia che Cesare chiamò Gallia Celtica
esiste un,fiume che i Francesi d'oggi chiamano Doubs (1), tributario
della Saóne affluente del Rodano. I Romani chiamavano questo fiu-
me Dubis; e su di esso passava la strada che da Milano, attraverso le
Alpi Graie, andava ad Argentorato oggi Strasburgo. Nell'antico
celtico la radice Dub vale acqua e va riferita a fiumi, Cosi (ad) Dubios
varrebbe ad aquas, ad flumina. . !

A questa induzione non é certamente da opporre che i due corsi
d'acqua che ora si congiungono nella località in esame per formare

. il fiume Potenza sono due piccoli rivi. Poiché è risaputo che tutti i

nostri corsi d'acqua anche, nell'epoca storica avevano una portata
ben maggiore. Tanto é vero, per citare un esempio regionale, che anche
Strabone, fra gli altri, ci racconta che il Tinia e quindi, successiva-
mente. il Topino e il Chiascio, oggi ben modesti fiumicelli della val-
lata umbra a regime torrentizio, costituivano una via fluviale per
trasportare i prodotti agricoli nel Tevere. E bisogna ricordare altresì
che nella prima parte del suo corso, appena raggiunta la pianura,
il Potenza sfociava in un ampio lago; e quindi, non potendo avere un
rapido deflusso, la portata delle sue acque doveva essere di un qual-
che rilievo. i

. Sarebbe chiarita così l'etimologia dell’oscuro topónimo, e sta-
bilito un elemento per fissare la ubicazione di Dubios. A questo altri
se ne aggiungono.

(1) Scrisse FiLIPPo: FERRARI nel Novum Lexicum' Geographicum, pubbli-
cato a Padova nel 1697: « Dubis, Alduasdubis Cesari et Alduabis (varie enim
legitur) le Doux, fluvius Galliae Belgicae, ex Tura monte per Sequanos, hoce est
per Comitat. Burgundiae in occasum in Ararium fluv. fluens ».

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-1 GIOVANNI DOMINICI

L'ingegnere Filippini, nel suo studio. che abbiamo richiamato
più volte sulla riattazione dell’antica strada consolare Prolaquense
(così egli chiama la Via Flaminia per Ancona) afferma che nella piccola

pianura sovrastante alla località ove si riuniscono i due rivi (Ponte

delle Pecore) si scorgono delle vestigia di antichi fabbricati, il più grande
dei quali, e da cui pochi anni or sono si è estratta dal suolo molta pietra
squadrata, veniva dai ‘vecchi del paese denominato « La Chiesaccia » 5
€ proseguendo per altri duecento metri sempre sopra vestigia d'infrante
abitazioni si arriva ad un sito chiamato « Il Frattone della Porta »:

,

e al di là del punto d'influenza dei due rivi predetti scavandosi il suolo,

tre anni or sono, per fare un vivaio di piante si-sono dissofterrati molti

cadaveri cioè delle ossa e teschi umani come se ivi anticamente fosse
stato un cemeterio. :

Gli agricoltori della zona fanno anche oggi analoghi rinveni-
menti; onde é comprovata in quel luogo l'antica esistenza di un centro
abitato. E permane anche il topónimo. -

Infatti, la vasta zona di boschi, pascoli e terreni a varia cultura
che dal Passo del Termine scende verso la valle del Potenza costituiva
sino a pochissimi anni or sono un tenimento denominato Cottimo
di Giuggiano, di proprietà di una molto nobile Famiglia che lo aveva
acquistato verso la fine del '700 dalla Camera Apostolica. Che questo
tenimento fosse di origine feudale é comprovato dalla esistenza su
di esso dei diritti civici di pascolo, semina e legnatico da parte. della
popolazione rurale circostante; diritti di uso civico che soltanto .da

pochi anni i frazionisti interessati hanno estinto per confusione,

avendo acquistato a piccoli lotti l'intero tenimento. !

Lo stesso nome di Giuggiano è conservato nel topónimo di un
piceolo gruppo di povere case situato alle pendici sud del Monte Ca-
restro, nella valle che da sotto il terrazzo del Passo del Termine scende
verso la confluenza dei due rivi, al Ponte delle Pecore: Santa Croce
di Giuggiano. E JP uode

I documenti medievali, secondo le ricerche del Feliciangeli (1),
continuate recentemente dal Massei (2) ci danno le forme succes.
sive per le quali il toponimo é pervenuto alla forma letteraria attuale.

La prima trasformazione fonetica di Dubios in Dugios, per la

(1) FELICIANGELI. BERNARDINO, Longobardi e Bizantini lungo la ‘Via
Flaminia nel: secolo VI. Camerino, Tonnarelli, 1908.

(2) MassE1 don RiNALDO, Rassegna degli Itinerari romani, in « Rassegna
Nazionale » Roma, anno LX, fascic. di novembre 1938.

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99
23

È LA VIA FLAMINIA PER ANCONA, ECC.

successione comunissima nella nostra lingua della palatale g) alla
labiale b), onde abbiamo aggio da Habeo, deggio da debeo, saggio da

sapiens, roggio da ruber, ecc., é comprovata da documenti che ricor-

danó una Ecclesia Sanctae Mariae de Plebe Dugii, e un Plebs Dugii.
| E noto che plebs vale Pieve, onde Plebanus corrisponde a Parroco.
L'attributo di plebs conferito alle Chiese é documento della loro anti-
chissima origine, in quanto nel primo affermarsi del Cristianesimo
le comunità religiose dei centri rurali più importanti e più accessibili
per i fedeli dei centri minori e delle case sparse vennero costituite
in Pievi, le quali più tardi divennero Parrocchie conservando sempre,
peraltro, il vecchio titolo a dimostrazione dell'antica origine.

In un secondo tempo, quando con l’applicazione del suffisso
aggettivale italico-anus al toponimo, la plebs dugii divenne il

Dugianus Vicus e poi semplicemente Dugianus, lo spostamento del- -

l'aecento tonico sulla seconda sillaba produsse nella lingua parlata
la geminatio della palatale g); e successivamente il passaggio della
dentale della prima sillaba nella palatale g). Si giunse in tal modo alla
forma letteraria di Giuggiano, cui corrisposero e corrispondono tut-
tora nella lingua viva le forme di Chiuggiano, Ghiugghiano, Jugghiano,
giusta la fonetica del dialetto umbro e di altre regioni dell'Italia

centrale che dà alla g) toscana un suono particolare come se fosse j)

ed anche gh), (cfr. giorno, jorno, ghiorno; Giacomo, Jacomo, Ghia-
como; gire, jire, ghire). E nei documenti del tardo Medioevo leggiamo
tradotte queste forme dialettali. nel latino grosso dei Notai e. degli
ecclesiastici così: Villa S. Crucis de Guliano, Ecclesia sanctae Crucis de
Cluggiano, Vallis Caugani, de Chiuggiani ecc. (1). . .

«Il passaggio della dentale nella palatale, reso anche più facile

(1) In un elenco delle Chiese «de civitate et totius. diocesis Nucerine »
che porta la data dell'anno 1333, pubblicato da BERNARDINO FELICIANGELI

in « Rivista Ecclesiastica per la Diocesi di NOOEPA Umbra », fasc. n. 2 del feb- -

braio 1912, si legge:

Ecclesia S. Crucis de Cluiano — A Plebano plebis Uggii — RITO, plebe 'Uggii —

Ecclesia S. Crucis de Culleano.
Eil Feliciangeli avverte in nota: «La trascrizione di molti dei nomi di

. luoghi italiani nei documenti della Curia Pontificia del secolo xiv è Spesso er-

rata, perché fatta da funzionari o amanuensi francesi ».

In un altro elenco di Chiese della Diocesi di Nocera del secolo xv, pubbli-
cato dal Can. Giuseppe Tega in Bollettino Ecclesiastico per la Diocesi di No-
cera e Gualdo, anno V (1942) pag. 46, sono ricordate la Ecclesia S.te. Crucis
Comitum de CEUggt anos ela Ecclesia S. ti FORI de CIHggruno inen S.te
Crucis.

VULZTS
: "s M acis ,

24 ; GIOVANNI: , DOMINICI £

nel nostro caso per il EA dell'assimilazione regressiva, é ab-

bastanza frequente. nella nostra lingua. Si ha, infatti, oggi da. hodie,

poggio da podium, ‘moggio da modium, Casteggio; da Clastidium; ecc.
E, per rimanere nella zona soggetto del nostro studio, si ha. Valle-
feggio da un originario Valfredo, già trasformato in Valfr egio all’epoca

- dello Jacobilli, il quale ricorda appunto un Monastero di S. Maria di

Valfregio e una Villa di Valfregio.

Nella visita pastorale compiuta da Mons. Mannelli nel- 45 73,
conservata nell'Archivio Vescovile di Nocera, si ricorda una Chiesa
dedicata a. S. Fortunato nel castello di Chiuggiano, costruita con le
rovine di detto castello, e ridotta in condizioni cosi déplorevoli da

essere indegna di tal-nome.

Ecco cosi stabilito un altro elemento notevole per fissare la ubi-

cazione dell’ antica Dubios nella località che nelle denominazioni

‘attuali di Cottimo di Giuggiano e.di.S. Croce di Giuggiano conserva
come un prezioso archivio l' originario toponimo a distanza di millenni,
e con esso il ricordo della popolazione antichissima che vi ebbe un
giorno dimora.

Identificato in tal modo il sito della stazione romana di Dubios,
ne risultano notevolmente facilitate le indagini per ricercare le tracce
dell'antica Via consolare nel suo primo tratto di raccordo con la Fla-
minia primaria, attraverso il Passo del Termine.

Il tracciamento della ‘strada ‘che dal terrazzo di Passo del Ter-
mine doveva scendere a: Dubios all'inizio della piana lacustre di Fiu-
minata non poteva seguire che due direttrici. O sulla destra lungo il
costone, cioè, che scende dal Monte -Burella, 0° sulla sinistra per. la

Valperaia seguendo quello, cioè, che molti secoli più tardi sarebbe di-

venuto il tracciato della strada Clementina per Fabriano, sia per
raggiungere il.fondo valle.a Molinaccio, sia per piegare dopo breve
tratto a destra in direzione di Casaluna.

Ma l'ipotesi della discesa sulla sinistra deve essere senz'altro

‘scartata. Raggiungere il fondo valle a Molinaccio per poi piegare

bruscamente a sud e sboccare nella piana di Fiuminataà attraverso

quello che oggi è il tracciato della interprovinciale Fabriano- Pioraco-
. Castelraimondo, avrebbe importato, peril solo tratto dal Passo del

Termine al bivio della strada per Fiuminata con quella per Poggio-

.Sorifa, un percorso di Km. 12,300. Un percorso, cioé, corrispondente

da solo alla intera distanza che intercedeva fra le due stazioni di. No-

cera e di Dubios secondo le indicazioni dell’ Itinerario Antonino. Sa-
rebbe riuscito quindi eccezionalmente lungo, e non venne seguito.

x
LA VIA FLAMINIA PER ANCONA EGO. 45

Ad abbreviare il percorso, la strada avrebbe stato essere portata,

dalla Valperaia, sul costone nord: del Monte Carestro, e fatta discen-

dere: poi da Casaluna per la Valle del Frate in direzione del Ponte
delle Pecore a Dubios.

Ma questa soluzione sarebbe riuscita oltremodo bonosi e dif-
ficile per la natura carsica del terreno da attraversare. A questo trac-
ciato per Casaluna pensò fermamente l'Architetto Filippini, ricor-
dato più sopra. Ma per dimostrare la possibilità della sua induzione,
egli si trovò costretto di far ricorso a favolosi sconvolgimenti tellurici
che nell'alto medio evo avrebbero reso del tutto impervia la zona già
facilmente attraversata dalla strada romana.

Ecco testualmente le fantastiche induzioni del Filippini: « Sof-
fermandosi in questo luogo, se si contempla la forma attuale del
suolo a sinistra in quella parte denominata i Borghi di Casaluna si
concepisce facilmente che ivi la natura ha sofferto un'alterazione,

.ravvisandosi delli profondi bacini in mezzo a poco elevati monti-

celli. E siccome il Sigonio (De regno Italiae ad 1879) riferisce che in

‘occasione del terremoto dell'ultimo giorno di aprile di detto anno di-

roccó un Castello, che fu sommerso: con tre monti e con due laghi,

e siccome il Lilli dice che questo castello apparteneva alla famiglia
dei Nobili Bulgarelli che, come sopra fu accennato, era la stessa che i
Ranieri conti d'Orbe, che possedevano appunto nel territorio noce-

rino altri luoghi, così viene a combinarsi che il caso dal Sigonio ricor-
dato deve essere là accaduto. Né deve apportare ostacolo che il Lilli
fissi la distanza di miglia dodici ‘dalla ‘città di Camerinlo al sito del
seguito ingoiamento, quandoché quello qui indicato resta alla distanza
di miglia 19, si perché può essere occorso nella scritturazione o stam-
pa della storia del Lilli un equivoco di espressione numerica dal 12
al 19; .si perché è in questo luogo che vengono dal Lilli medesimo fis-
sate le possidenze della famiglia dei Conti d' Orbe, si perché nessun 'al-

tra situazione esiste lungo tutta la vallata di Fiuminata che possa

aver contenuto i laghi e i monti sommersi, si perché infine la stessa
denominazione che conserva de' Borghi, corruzione di Gorghi, man-
tiene la memoria delle voragini seguite e degli ingojamenti » (1).

(1) Il terremoto catastrofico che si verificò nell'Italia centrale il 30 aprile
1279 cui si riferisce il: Filippini, e che secondo la testimonianza del Sigonio
avrebbe diroccato un Castello che fu sommerso con tre monti e con due laghi,
è registrato anche nella Cronaca di Fra Salimbene sotto la data del 1° maggio
1279. Senonché il Castello che fu sommerso con i monti e i Laghi e che il Fi-
lippini si sforza, nonostante la note vole maggiore distanza, di localizzare nell’al-

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26 : GIOVANNI DOMINICI

Evidentemente peró il Praefectus Fabrum, incaricato del trac-
ciamento della strada, di fronte alla eccessiva lunghezza del tracciató
per Molinaccio e alla impossibilità topografica di quello per Casaluna,
si risolse per la direttrice di destra, e decise la costruzione della strada
sul costone del Monte Burella, le cui pendici digradano ad arco fino
al limite 2 della Piana di Fiuminata in direzione di Dubios.

ta Valle del Potenza, sarebbe invece il Castello di Serravalle, posto al principio
della Valle del Chienti, al limite orientale dell'altopiano di Colfiorito, e situato
appunto a circa dodici miglia da Camerino.

Narra Fra SALIMBENE: (cfr. « Cronica Fratris Salimbene de Adam GE
Minorum, in Monumenta Germaniae Historica, Scriptorum Tomus XXXII»,
ed. Oswaldus Holder-Egger, Hannover et Lipsiae 1905-1913, pag. 500).

«In margine: 1279, Maii.1. Eodem in festo Apostolorum Philippi et Ja-
cobi, id est in Kalendis Maii, sub Papa Nicolao III factus est terremotus adeo
magnus in.Marchia Anconitana, quod duo partes Camerini submerse sunt, et
mulsi homines utrisque sexus perierunt. Fabrianum, Matelica, Callium, Sanc-
tum Severinum et Cingulum, omnia isto castra sunt dirupta. Similiter Nuceria
et Fulignum et Spellum. Et breviter omnia illa castra, que sunt in illis parti-

‘bus montanis, multa sunt damna perpessa. Item tres montes, inter quo duo

lacus.et castrum (*).erant artificiosa constructi, ad invicem sunt coniuncti
et pariter comminuti; et lacus et fluvius (**) ex cuius redundatione fiebant
lacus, omnino absorti sunt. Item unum castrum omnino absortum est. In
Romagnola et in montibus, qui sunt inter Florentiam et Bononiam, castra et
edificia multa sunt dirupta, et multi homines utriusque sexus soffocati sunt.
Tantus enim timor invasit omnes in illis partibus quod non audebant in do-

mibus commorari, nec etiam domnus legatus cardinalis Latinus. In Marchia

Anconitana multe sunt paces facte et alibi pre timore.et expectatione imminen-
tis timoris.

La Cronica Saneti Petri Érfordensis moderna, inserta al Tomo. XXX,
parte I, dei «monumenta Germaniae Istorica (Scriptores)», Hannover 1896, cfr.

pag. 381, fa di questo terremoto sostanzialmente lo stesso racconto, precisando

che maggiormente colpite furono le città di Nocera e di Camerino, nella quale:
ultima si ebbero più di mille morti; e che il castello sommerso con i suoi 500
abitanti si chiamava Serrovallis. (Serravalle. del Chienti). Per Nocera cosi
narra: «In civitate Nuchir corruit monasterium maiorise ecclesie cum edi-.
ficiis et omnis curiis canonicorum, plus quam media pars ipsius ci vitatis; et
mortue fuerunt persone infinite. Sed episcopus evasit ».

‘Il Vescovo di Nocera in quel tempo era il gd. Filippo Oderisio (125 )4-
1284).

La Cronaca di Maestro Bonaventura di Benvenuto (cfr. nota 34) registra

semplicemente: «MCCLXXIX. Fuerunt magni terremotus et. primus terre-

motus magna vi fuit die dominico post vesperas ultimo mensis aprilis ».

(*) Serravallis, ut tradit Cron. S. Petri Erford. add. I, I.
(**) Le due note sono dell'Holder.
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LA VIA FLAMINIA: PER ANCONA, ECC. Rey

E difatti guardando il costone predetto dal Passo del Termine
e, meglio ancora, dalla linea di displuvio del sovrastante Monte Mer-
lano, quando il sole ha di poco oltrepassato lo zenit, si vede ben distin-

tamente segnata da una radura del bosco ceduo la traccia di una strada

che dai margini del terrazzo del Passo del Termine scende al fondo
valle, superando dolcemente il dislivello che intercede fra l’altitu-
dine di m. 863 del Passo e quella di m. 490 del Ponte delle Pecore.
La traccia è tutta facilmente percorribile e porta ancora il nome di

strada. Strada Pontito la chiamano i valligiani; e costituisce tuttora

nel Catasto il confine territoriale fra i Comuni di Nocera e di Fiuminata
* LI . . . i .
e, nello stesso tempo, il confine tra le Provincie di Macerata e di Pe-

rugia.

Immedesimata con la mulattierà per "Poggio- sorifa da quello
che. più sopra abbiamo chiamato il passo naturale del Termine nel-
l'atraversamento della Piana di Saramonte, la strada Pontito se
ne diparte a circa duecento metri dal limite del terrazzo, per inter-
narsi, a sinistra, nel bosco attraverso il quale costituisce la striscia
di radura che in condizioni favorevoli di luce si vede dal costone dei

monti opposti. Evidentemente la radura si é mantenuta attraverso

i secoli in dipendenza del nucleus, di cui rimangono qua e là piccole
tracce, cosparso inizialmente dai Romani sulla carreggiata.

La strada, che non richiese la costruzione di alcuna opera d’arte,
si presenta con l'andamento caratteristico e speditivo secondo il
quale vennero generalmente costruite tutte le Viae publicae Populi
Romani ; seguendo cioè l'andamento naturale del terreno, con. la
tendenza ai rettifili ed evitando quelle risvolte che la tecnica stradale
moderna ha introdotte per eliminare l'aprezza delle forti pendenze,

a risparmio di tempo e di manufatti. Particolari, questi, che sono tut-

tora riscontrabili sul percorso della Flaminia primaria, ovunque il
tracciato moderno s'identifica con quello originario.

Raggiunto il fondo valle, nella breve piana della Valle del Frate
ove alla stregua degli elementi diversi cui sopra abbiamo accennato

deve essere localizzato l'antico Dubios, le tracce della strada tornano .
. evidentissime per sboccare sulla provinciale odierna per Poggio-Sorifa

a pochi metri dal Ponte delle Pecore, peril varco aperto tra le estreme
pendici sud del monticello d'Orve e la collinetta contigua ultima pro-

paggine del costone che scende dal Monte Burella.

E questo certamente il tracciato della Via romana dal Passo
del Termine a Dubios. Ma quale il tracciato della Flaminia puimana
al Passo del Termine ?
28 4 GIOVANNI: DOMINICI —

La questione si presenta grave. Parecchie sono le vie per scen-
dere nella valle del Topino, e cioè per raggiungere la Flaminia prima-
ria, dallo sbarramento delle montagne fra le quali si apre il comodo
valico del Passo del Termine. Anche attualmente esiste una rotabile
e ben quattro mulattiere, delle quali alcuna può essere considerata,
pur con qualche difficoltà, almeno in parte carrabile.

Sulla estrema destra, attraverso la Valle del Lupo e una sella
del Monte Faeto, una mulattiera sale da Capodacqua e scende per

Colsantangelo a Gaifana. Per questa via incomoda e malsicura, per-

ché da Capodacqua alla selletta del Faeto attraversa boschi profondi,
transitó.l'8 aprile 1494 col suo brillante corteo Isabella d'Este figlia
del Duca di Ferrara e moglie di Francesco Gonzaga marchese di Man-
tova, reduce da un pio pellegrinaggio a Loreto (1). Dalla parte
opposta, alla estrema sinistra, un'altra strada, dapprima mulat-
tiera e poi faticosamente carrabile, attraversa i prati del Bu-
rella e poi .per le Fontanelle e il costone del Monte di Picchio
sbocca sulla Flaminia alla Maestà di Picchio, a circa un Km. da

Nocera:

Ma né per l’una né per l’altra può dubitarsi scorresse il tracciato

‘della Via Consolare.

Dal centro del terrazzo del Passo del Termine, esattamente dal-
l'una e dall'altra estremità della Piana di Saramonte, si dipartono
due strade. quasi carrabili, delle quali l'una, a sinistra, scende per il
vallone di Vallefeggio e l'altra, a destra, per il vallone del Poggio a
fianco del Rio della-Selva, col quale in alcuni tratti la strada si con-
fonde. Vicino a questa ultima, e con-questa immedesimata nell'ultimo
ripido tratto superiore, scende una buona carrozzabile che pervenuta
all’altezza del minuscolo paese di Poggio Parrano, già nel Medio Evo

Castello fortificato, piega a sinistra sul costone del Monte del Poggio.

Quindi con un'ampia risvolta oltrepassa Casa Lozzi e raggiunge il
fondo del vallone di Vallefeggio ove, immedesimandosi con l'ultimo
tratto pianeggiante della mulattiera di sinistra prosegue sino alla

. Maestà di Campodarco, e qui sbocca nella Flaminia.

E questa la strada Clementina per Fabriano, la strata a Nu-
certa Camellaria ad Mare superum, costruita nel 1723 per la munifi-
cenza di Papa Clemente XII, come ricorda l'epigrafe apposta sul-

.(1). Cfr. Masser, l. c., il quale ha attinto la notizia da R. GUER-
RIERI, Storia civile ed ecclesiastica di din Tadino. Gubbio, Tipografia Ode-
risi, 1933.

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LA VÍA-FLAMINIA PER ANCONA, ECC. 29.

l'arco che la Comunità di Jesi innalzó nell” anno 1734; a ricordo del-
l'evento (1):

- CLEMENTI XII P.0.M.
| QUOD
- PORTORYS ANCONAE SUBLATIS
J.ANNONAE VECTIGALI REMISSO
CLEMENTINA VIA |
A NUCERIA CAMELLARIA AD MARE SUPERUM <
STRATA . |

AESINAE URBIS COMMODO ET UTILITATI PROSPEXERIT
S.P.Q. AE. P. C. A. D. MDCCXXXIV

Poiché risulta da alcuni documedd coevi che anche nel primo

tratto da Nocera al confine territoriale con Fabriano la costruzione

fu rapidissima ‘e che, più che altro, i lavori sarebbero consistiti nel
riattamento di una vecchia strada, é stato generalmente ritenuto
senz'altro che la Clementina avesse ricalcato le tracce dell'antica Via
consolare Flaminia per Ancona, almeno fino al Passo del Termine.
Ora questo non è vero.

Al principio del '700 le comunicazioni tra Nocera ed Ancona
erano interrotte. Inesistente la strada che, attraverso l'Appennino,
.allaccia ora Fossato a Fabriano; la Flaminia per Ancona ridotta a
difficile mulattiera nell'attraversamento della montagna, sia verso la
valle del Potenza che versola valle del Topino.

Onde la magnifica Comunità di Nocera, presi accordi con quella
di Fabriano, si rivolse con fervida istanza alla S. Congregazione del
Buon Governo chiedendo un sussidio di duemila scudi per aprire
una strada per Fabriano per dar modo di smerciare l’acqua portandola
in Ancona, per farne esito per la via del mare (2). La istanza si fon-

Sb) GE (ITROLAMO BALDISSINI, Memorie Istoriche dell’ anti Ghissima e Re-

gia Città di Jesi, il quale scrive: « Vedendosi i cittadini di Jesi sempre più

obbligati verso il Sommo Pontefice Clemente XII, che continuamente faceva
loro sperimentare i singolari effetti della Paterna Sua Beneficenza, stabilirono
in quest'anno (1734) di ergere.a proprie loro spese um Arco fuori della princi-
pale sua porta colle seguenti iscrizioni: D.O.M. — A Religione — Concordia et
Bonis Artibus — Praesidium — Decus et Incrementum ».

L'altra iscrizione é quella che abbiamo trascritto qui sopra.

(2) Le varie vicende della costruzione della strada Clementina risultano
singolarmente descritte nei seguenti atti del Consiglio generale e della Congre-
gazione-Conciliaria, conservati nell' Archivio comunale di Nocera Umbra, e nei

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4
30 GIOVANNI DOMINICI

dava sopra una motivazione di alto interesse pubblico; aprire uno
sbocco marittimo al commercio della famosa Acqua Sarita o Angelica
"che col nome di Acqua di Nocera é celebrata dall'illustre medico,
naturalista e poeta toscano Francesco Redi nel suo notissimo diti-
rambo « Bacco in Toscana », come suprema curatrice di tutti i mali;
ed è ricordata, particolarmente, come rimedio efficacissimo contro i
morsi di animali velenosi e di cani idrofobi da Andrea Bacci, il grande
medico di Papa Sisto V e professore alla Università di Roma, nella
sua grande opera De Thermis (1).

Per il commercio dell’ Acqua Santa esisteva un tempo a Nocera.

una fiorente attrezzatura industriale, con almeno una vetreria per
la fabbricazione dei fiaschi la quale cessò di funzionare nella prima
metà dell’800, evidentemente per l’esaurimento delle cave dei minerali
occorrenti alla fabbricazione del vetro. Il ricordo di questa industria

. è rimasto nella toponomastica. Una casa colonica fuori della Porta

Garibaldi, sopra il colle di S. Felicissimo, conserva il vocabolo di La
Vetriéra. E in alcune case di abitazione della città permangono in-
fissi alle pareti i ganci di ferro sui quali le artigiane appendevano le
impagliature dei fiaschi durante la fabbricazione.

La istanza della Comunità di Nocera, raccomandata al patroci-
nio di Monsignor Raffaello Bussi già Fabbretti per il tramite dell’av-

vocato Domenico Giannantoni, curiale in Roma, ed avvalorata da.

analoga istanza presentata dalla Comunità di Fabriano, fu accolta

Volumi « Concilia et Reformationes », rispettivamente indicati qui sotto ad
evitare il moltiplicarsi delle note:

a) Volume contenente gli Atti dal 1729 al 1735, carta 124, adunanza
della C. C. del 7 marzo 1733;

b) ibid. carta 133, adunanza della C. C. del 17 aprile 1733;

c) ibid. carta 152, adunanza della C. C. del 22 agosto 1734;

d) ibid. carta 199, adunanza del C. G. del 21 agosto 1735;

e) Volume degli atti dal 1744 al 1748, carta 133, adunanza del C. G.
dell'11 settembre 1746;

| f ibid. carta 155 v. adunanza della. c. C. del 15 settembre 1746;

g) Volume degli Atti dal 1748 al 1754, carta 91, adunanza del C. G. del
26 aprile 1750;

h) Volume degli Atti du 1754 al 1760, carta 155 v. adunanza della C. C.
del 18 dicembre 1757.
Cfr. ancora in Archivio storico del Comune di Fabriano, Riformanze
Volume 122, carta 62, adunanza del C. G. del 1° ottobre 1746.
(1) De Thermis Andreae Bacci, Venetiis 1588, apud Felicem Valgrisium,

Libr. VI, cap. Ys pag. 377: Frigida ad mor us venenatos noviter Room sub
Nucerio.

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LA VIA FLAMINIA. PER ANCONA, ECC. 3l

benignamente dal Sommo Pontefice Clemente XII, il quale concesse

alle due città l'invocato sussidio, dopo, peraltro, aver richiesto il.

progetto tecnico dell'opera e la perizia dei lavori, nonché la formale
assicurazione che le due Comunità avrebbero integrato con fondi
propri il finanziamento dell'opera che egli riteneva avrebbe importato

indubbiamente una spesa di molto superiore.

D'altra parte la S. Congregazione del Buon Governo, prima di far
luogo al pagamento del sussidio, volle che i lavori Tossero già iniziati.
Quindi la Congregazione del pubblico generale Consiglio di: Nocera,

che già in seduta del 7 marzo 1733 aveva preso atto della munifi-

cenza pontificia e deliberato in massima di provvedere all'apertura
della nuova strada, si trovò costretta’ di deliberare ad urgenza nella
successiva seduta del 17 aprile dello stesso anno l'appalto dei lavori,

senza aver nemmeno il tempo d'interpellare il. Consiglio Generale,

anche ad evitare il minacciato pericolo che il contributo predetto ve-
nisse devoluto, invece, al riattamento della strada da Fossato a Fa-
briano in accoglimento alle richieste vivissime che nel frattempo erano
state formulate. dalla Comunità della vicina Gualdo. È
Risulta dal verbale della citata adunanza, che porta in margine
l’oggetto Riattamento della strada che da questa città conduce a Fabriano
che dopo un eloquente discorso del Gonfaloniere Nobile Giovanni
Carlo Camilli, il quale esortò i colleghi, in nome del pubblico interesse
e del civico decoro, ad assumere collegialmente l'impegno della im-
mediata esecuzione dell’opera come esigeva la S. Congregazione del
B.G., l'assemblea dava atto del seguente formale impegno che veniva
sottoscritto da tutti gl’intervenuti, Segretario compreso:
«Al nome di Dio Amen. Addi 17 aprile 1733.

«Noi sottoscritti Cittadini della Città di Nocera ci obblighiamo.

prendere il Riattamento della Strada Vecchia che da questa Città
conduce a Fabriano, cioé Dal Rio del Poggio fino passato il Molinac-

cio e al confine di questa Città a quello di Fabbriano in conformità ‘

della pianta e descrittione fatta dal sig. Neri Architetto per la somma

- di scudi mille e cento moneta e con l'interessi e capitali e conventioni

cioè: \
«Primo che Mons. Ill.mo Fabretti debba far procurare la compera
dé terreni compresi nella descritione fatta dal d.o Architetto; la spesa
dè quali non s’intenda compresa nella medesima offerta.

. «Che Mons. Illimo sudd. debba tassare tutti gli operarii alla
ragione di un paolo per ciascuno operario, con obbligare tutti a pre-
stare l’opere bisognevoli, ecc. (seguono le firme)».

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GIOVANNI DOMINICI

Dopo appena quattro mesi I opera. sarebbe stata pressoché com-
piuta. Infatti il 30-agosto dello stesso anno 1733il Pubblico e Generale
Consiglio venne so ttoato e coadunato nell’Aula Magna del Palazzo
Apostolico per deliberare, fra l’altro, sulla seguente proposta:

«40 Essendosi quasi terminata la strada che da questa Città
conduce a quella di Fabbriano, come ad ogni uno delle SS. Loro Ill.me

x . 3 . . ° . ^w
è ben noto, riattata col denaro. somministratoci dalla somma cle-

menza di Nostro Signore regnante Clemente XII, onde si propone

alle SS. Loro acció risolvino.il modo che di qui in poi dovrà te-

nersi per i| mantenimento della medesima acció venghi sempre
mantenuta».

Il- Consiglio deliberò di domandare alla S. Compie avion del
Buon Governo la facoltà d’imporre una gabella sul vino o mosto im-
portato da altri Comuni di° due paoli per soma, onde destinarne il
provento alla manutenzione della strada Clementina. E

Con successivo atto della Congregazione Conciliaria in data 22
settembre 1734 l'appalto della manutenzione -della strada Clementina
che dal Rio del Poggio porta sino al confine di Fabriano, fu concesso al
sig. Filippo Sartorelli per anni nove.

secondo le precisazioni ripetute in questi documenti, dovrebbe
quindi ritenersi:

-q) che l'apertura della nuova strada per Fabriano fu rapida-
mente conseguita, nel primo tratto compreso fra la Flaminia e il
Passo del Termine, mediante il riattamento di una antica strada;

b) che questa antica. strada riattata aveva inizio dal Rio del
Poggio, che si svolgeva, cioé, nel fondo del Vallone del Poggio, il
quale é compreso, come abbiamo detto piü sopra, tra il monte del

. Poggio eil Monte Merlano, per risalire al Passo del Termine seguendo

il corso del Rio, della Selva.
Questa strada che ha inizio dalla Flaminia, nel punto in cui essa
è attraversata dal Rio del Poggio, esiste ancora. In alcuni tratti ha

.sede propria ed è carrabile; in altri scorre nel letto del Rio e quindi è

praticabile soltanto nei periodi di completa asciutta. o almeno di
magra; in altri, infine, é pericolosa mulattiera. Ma non é la strada
Clementina, e non può in alcun modo ritenersi che corrisponda al trac-
ciato della Via Flaminia per Ancona. Non è in realtà che un’antica
strada campestre, frequentata dal bestiame diretto ai pascoli della
montagna o alle lavorazioni agricole dei terreni sovrastanti, già di-
sboscati e ridotti a cultura, e praticata dai traini trasportanti materiali
da costruzione dere cave aperte sui Hand del Monte Merlano e i)

——— M —— p »

*

LA VIA FLAMINIA PER ANCONA, ECC. i 33

legname tagliato periodicamente dai boschi cedui che crescono rigo-
gliosi sui fianchi dei monti attraversati dal vallone.
La « Clementina » attuale ed antica é ben altra strada. Si distacca

dalla Flaminia circa tre chilometri più indietro, cioè a minore di- ^

stanza da Nocera, alla Maestà di Campodarco; percorre il tratto pia-
neggiante del vallone di Vallefeggio sino all'altezza della località
La Vena, ove piega bruscamente sulla sinistra per traversare il tor-
rente nel punto ove già fu la Villa di Valfredo. Qui comincia a risalire
il costone del Monte del Poggio per Cà Lozzo con un’ampia risvolta,
passa sopra il castello del Poggio ove attraversa un profondo fossato
con un alto ponte, ‘e quindi sempre sulla stessa direttrice raggiunge
il Passo del Termine per il valico aderente al Monte Merlano.

. Se si dovesse prestar fede ai documenti che più sopra abbiamo
riportato, dovrebbe ritenersi che l'attuale Clementina, nel tratto
compreso fra la Maestà di Campodarco e il Termine fosse una variante,
costruita successivamente alla primitiva strada ottenuta per riatta-
mento nel 1733 attraverso il vallone del Poggio. Ma questo non è.
Successivi documenti stanno ad escluderlo.

Negli Atti del pubblico Generale Consiglio e della Congregazione

Conciliaria a cominciare dall'anno 1746 si legge che « Mons. Ill.mo -

Preside » di Perugia, d'ordine della S. Congregazione del Buon Go-
verno faceva presenti le condizioni di assoluta impraticabilità della
Clementina, e ingiungeva che si adottassero senza ritardo tutti i

provvedimenti opportuni «onde togliere ai passeggeri l'occasione di

reclamare ».

In seduta del 15 settembre 1746, la Congregazione approvava
una perizia per il riattamento della Strada Clementina importante la
spesa di scudi 747,90, al cui finanziamento si sarebbe provveduto
mediante contribuzioni obbligatorie di tutte le famiglie, sia in con-
tante che in. natura. Non sembra che i lavori procedessero con la
voluta speditezza, perché anche in adunanza del 26 aprile 1750 il
Consiglio Generale continuava ad occuparsi del «riattamento » della
strada. Nel verbale di questa adunanza risultano alcuni elementi
chiaramente indicativi del tracciato della Clementina, e dello stato
d'incompleta transitabilità nel quale era ancora rimasta. |

Si legge nel verbale che un tal Alessandro Nobbili da Somareggia
«offerisce al riattamento della strada Clementina che conduce alla
città di Fabriano... con ridurre la medesima ben praticabile si da
permettere che calessi e carri... per scudi centocinquanta moneta
con farvi massicciate, ponti riversi e muraglioni.in tutti li luoghi e

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34 . GIOVANNI DOMINICI

passi ove sarà il bisogno, a riserva del Ponte di essa strada sopra il
Poggio, quale intende risarcire in tutto quello haverà bisogno, ma
non voler essere tenuto rifarlo in caso che il medesimo ponte diroc-
casse dà fondamenti », ecc.

E si legge ancora di tal Giuseppe Marsili il ale « offerisce al

"lavoro da farsi nella strada Clementina da Nocera sino alli confini

di Fabriano, con tagliare anche la macchia esistente alla metà della
montagna e farvi la strada con pagamento da farsi dalla Ill. ma Co-
munità di scudi centocinquantacinque », ecc.

Infine, nel verbale di adunanza della Congregazione Conciliaria

del 18 dicembre 1757 si legge una offerta di Paolo Pontani ed ‘altri
per il mantenimento della strada Clementina per nove anni, con l'ob-
bligo di rifarei parapetti del Ponte del Poggio; e si dà atto che si pro-
cedette all'asta mediante estinzione di candela all'affitto (sic) del
«mantenimento. della. strada Clementina che dalla Maestà di Valdi-
feggio conduce sino alli confini di Fabriano ».:
Ora la strada che ha inizio dalla Flaminia alla Maestà di Vale-
feggio e che attraverso il ponte sopra la frazione del Poggio conduce
per il Passo del Termine ai confini territoriali con Fabriano, é esatta-
mente la Clementina attuale.

Essa ha lo sviluppo complessivo di Km. 14,600, di cui Km. 5,800
intercedono dalla Maestà al Passo del Termine. La « Maestà di Val-
lefeggio » (maestà nell'uso comune umbro vale edicola, capitello re-
canti immagini sacre) esiste ancora al suo posto. Nell'uso locale mo-
derno ha assunto il nome di Maestà di « Campodarco », dal topònimo
del predio e della casa colonica sovrastante, malamente riportato
nelle carte topografiche col nome di « Capo d'arco ». La casa colonica
é moderna; ma nell'ingresso all'aia sono tuttora in vista grossi bloc-
chi di pietra squadrata d'impronta romana; e lungo la strada piü
avanti, presso la casa Pica, éinfisso sull'argine un tronco di colonna di
granito del diametro di cm. 35, di cui l'uguale é conservato nel Bac
dino dell'Episcopio di Nocera.

In un antico elenco riferibile al sec. xv, delle Chiese appartenenti
alla Diocesi di Nocera (1), è indicato un « Hospitale S.te Lucie de
Colle. Arce, che potrebbe essere localizzato in quella località, attra-
versata dalla Via Flaminia. Nel Medio Evo erano frequenti Chiese e
Conventi lungo le grandi strade di comunicazione, che offrivano ospi-
talità ai pellegrini e ai transitanti. Nello stesso territorio nocerino

(1) Vedi più sopra a pag. 23, nota T:

m——-—
: X i RE Fc ud N, i ee i VS
LA VIA FLAMINIA PER ANCONA, ECC. 35

si ricordano un Zlospitale. s.ti Jacobi de Conflente o ad pontem
conflentis nella località Fornaci, e un /lospitale S.te M. Magdalene
Collis Arci in località S. Maria Maddalena al confine territoriale col
Comune di Foligno. Di quest'ultimo numerosi blocchi di pietre ro-
mane conservate sul posto, ed in gran parte anche recentemente
trasportate altrove come ad es. nell'aia delle case Nati in Vocabolo

‘ Capannacce, chiariscono il topónimo Collis Arci. Ivi indubbiamente
esisteva una notevole opera militare a difesa della Flaminia; un ca- '

stello fortificato che sbarrava la strada in quel punto di valore stra-
tegico. Alcuni archi tuttora conservati al margine della collina, verso
il Topino, generalmente interpetrati come sostruzioni della Flaminia,
sono indubbiamente da ritenere come facenti parte dell’opera, del-
l'Arz, in quanto la strada antica che tagliava a metà il vertice della
collinetta non aveva bisogno di sostruzioni da quella parte e così
lontane da essa.

Quindi anche il de Colle Arce riferito all’Hospitale S.te Lucie
può spiegarsi riferito ad un’opera fortificata romana, posta sulla
Flaminia, nel tratto in cui aveva inizio la diramazione per An-
cona.

Nei pressi del luogo ove nella età romana sorgeva quest’ opera « di
guardia, e certamente utilizzandone i ruderi (in Colle Arcis e poi
in Campo Arcis, Campodarce, Campodarco) sorse più tardi la Chiesa

di S. Lucia con l'annesso Hospitale per i poveri viandanti. Il colle,

spianato dalle lavorazioni agricole, mostra tuttora disseminati qua
e là pezzi dei caratteristici tegoloni che costituivano le sepolture nel-
l'età romana e protocristiana. E l'antica edicola, la Maestà, e il
predio colonico ne conservano il topónimo antico.

Resta a chiarire un punto importante: perché nei documenti uffi-
ciali del 1733 e 1734 si dice che la strada Clementina aveva inizio
dal Rio del Poggio, e perché in alcuni di essi si parli di apertura di
una nuova strada e in altri di riattamento di una strada vecchia.
L'esame approfondito di tutti.i documenti relativi induce : a facile
spiegazione.

Allorquando in sul principio dell’ anno 1733 la Comunità di No-
cera avanzò domanda alla Congregazione del Buon Governo per la
concessione di un sussidio di duemila scudi « per aprire una strada
per Fabriano », una strada carrozzabile non esisteva. Esattamente
quindi la Comunità iniziò burocraticamente la pratica con la.S. Con-
gregazione, chiedendo il contributo governativo per l'apertura di
una nuova strada. E difatti le lettere di Mons. Fabretti e dell'Avvo-

Donc at
— — me

i MN | AE ccs ; D OPRDRE E |
B 36 GIOVANNI DOMINICI | |
t B n |

il SEN cato Giannantoni parlano dell'apertura di una nuova strada per |
À, hi Fabriano. |

ka | i La tenuità della spesa, indicata in duemila scudi, in confronto

Mi alla importanza e alle difficoltà dell’opera che doveva svolgersi at-

í || M traverso l'alta montagna ingenerarono dei dubbi. E anche il Papa,
E A f nel suo alto acume, li ebbe.

Racconta infatti l'avv. Giannantoni, nella lettera che in data

4 marzo 1733 scrisse da Roma ai Sigg. Priori Colendissimi, che S.S. pes

MAU mostrossi difficile nel principio del discorso fattoli a somministrare

| j detta somma, giudicando che questa non sarebbe stata sufficiente per

| M l'opera che si voleva fare. Espresse quindi il dubbio che gli sarebbe

| | stata richiesta una successiva somministrazione di: .danaro e che

i l'opera sarebbe rimasta imperfetta. Ma Mons. Fabretti sommessa-

È: | | il mente gli rispose che anch’egli credeva insufficiente la somma di due-

« a È ill mila scudi; e ciò disse, commenta il Giannantoni, con il prudente

| | ill © riflesso che asserendosi la sufficenza il Papa avrebbe accordato minor

liec somma, per non voler Egli concorrere con tutta la spesa. Onde gli sog-

giunse che a quello che fosse potuto mancare avrebbero supplito

ambedue le Comunità. E con questa risposta quietó il Papa, il quale

peraltro aggiunse che per tale effetto voleva che la S. Congregazione

del Buon Governo avesse concesso alle Comunità medesime la facoltà,

x ME i di poter esse stesse supplire a quel di più che fosse bisognato sopra

o ai duemila scudi richiesti. |

i i |: L'autorizzazione preventiva in tal senso venne assicurata dal-

Y Ii i l’Eminentissimo Imperiali, dopo che però lo stesso Mons. Fabretti |
ni I il spinto evidentemente dalla necessità, gli ebbe rivelato il mistero che |
Y li non ce ne sarebbe stato bisogno, atteso che li detti duemila scudi sareb- |
H il bero stati sufficienti. E:
| il i Questo mistero é anche per noi chiarissimo: la Comunità nei rap- |
| i porti ufficiali col Governo affermava il suo proposito idi costruire
| Soli una nuova strada unicamente e soltanto. per ottenere senza soverchie |
" | i difficoltà il sussidio nell'importo domandato di duemila scudi; ma essa Di
Mi | in realtà si proponeva di raggiungere ugualmente lo scopo e con mi- |
Bi nore dispendio mediante il riattamento speditivo della vecchia strada |
" \ ‘campestre che dal Rio del Poggio e attraverso il vallone omonimo Ì

I | conduceva al valico del Termine. E questo riattamento esegui, tanto

i che nella seduta consiliare del 30, agosto 1733 poteva darsi la notizia

i ra che era quasi terminata la strada Nocera-Fabriano, a poco più di
| quattro mesi di distanza dalla memorabile seduta del 17 aprile dello
| stesso anno, nella quale la Congregazione Conciliaria, dando prova
|
*LA VIA FLAMINIA PER ANCONA, ECC. 37

di alto civismo, aveva assunto l’appalto dei lavori relativi con la
obbligazione personale di tutti i suoi componenti per il prezzo a
stralcio. di scudi mille e cento.

Senonché i lavori compiuti non avevano valso a trasformare in
carrozzabile la difficilissima strada campestre. Onde, anche in se-
guito ai ripetuti reclami dei transitanti, rivolti anche al Preside della
Provincia, la Comunità si vide ben presto costretta ad aprire, seria-
mente, la nuova strada per Fabriano scegliendo un nuovo tracciato
che è esattamente quello della Clementina attuale.

Si capisce così, come, continuando ancora il bisticcio, gli atti
del 1746 parlino ancora di «riattamento » della strada Clementina,
mentre evidentemente si trattava di lavori ex novo sul nuovo trac-

ciato per Casa Lozzi. E che questi lavori fossero di costruzione e non .

di riatto si evince anche dal cospicuo ammontare, per quei tempi,
della relativa perizia che ascendeva, come abbiamo detto, a scudi
747,90. Nel 1750 il ponte sopra al Poggio era già costruito, ma un
tratto della strada era ancora da fare, in quanto nel verbale Consi-
liare del 26 aprile è detto chiaramente che rimaneva ancora da ta-
gliare la macchia, cioè il bosco ceduo, ancora esistente alla metà della
montagna e « da farvi la strada ». È quindi da escludere che si trat-
tasse di lavori di riatto, e che questi venissero eseguiti utilizzando una
antica sede stradale.

I lavori di costruzione risultano finalmente ultimati nel 1757,
in cui la manutenzione di tutta la strada venne conferita in appalto
per un novennio sulla base di scudi dodici all'anno, con l'obbligo al-
l'assuntore di curare oltre l'ordinaria. manutenzione anche alcuni
rifacimenti, quali la ricostruzione dei parapetti del ponte del Poggio

e dei ponti rovesci, cioè delle cunette trasversali che per ragioni di .

economia sostituivano i moderni chiavicotti sotto strada. In tal modo
la vecchia strada campestre che dal Rio del Poggio sale al Passo del
Termine cessava dalla onorifica e da essa non eseguibile funzione di
costituire il primo tratto della strada Clementina a Nuceria Camel-
laria ad Mare Superum.

D'altra parte, nessun titolo di antica nobiltà poteva conferirle
il diritto di assumere una tale funzione; la vecchia strada campestre
mai era stata calcata dalle quadrate Legioni di Roma; mai essa costi-
tuì la Via Flaminia per Ancona.

Dicevamo più sopra che questa strada, ancora esistente, in al-

cuni tratti ha sede propria ed è comodamente carrabile, in altri si

confonde col letto ghiaioso del Rio della Selva, a regime torrentizio,
sr —_——-smsr--=--- epe e

38 GIOVANNI DOMINICI .

in altri, infine, é pericolosa mulattiera per le larghe frane che scen-
dono dal ripido costone del Monte Merlano. Se i Romani l'avessero
scelta a sede della Via per Ancona non avrebbero potuto trascurare di
costituirle una sede propria nei tratti nei quali é immedesimata col
letto del Rio, di provvederla delle loro magnifiche sostruzioni nei
tratti in cui scorre sulla destra e sulla sinistra del Rio medesimo, di
proteggerla con opere, che avrebbero dovuto essere ingenti, nei tratti
in cui é frequentemente soggetta a rimanere seppellita dalle frane.
E almeno una qualche traccia di queste opere che i Romani usavano
costruire poderose, per durare molti secoli, sarebbe certamente ri-
masta. Nulla invece rimane, non una pietra non un indizio, almeno,
di una qualsiasi opera a sostegno o a difesa della strada. Le più accu-

rate indagini eseguite sopra luogo ed estese anche al letto del Hio e

_em@@@°rreps- E

- PA E

alle pareti delle alte trincee scavate dalle acque torrentizie hanno
dato risultati completamente negativi. Queste trincee rivelano la na-
turale stratificazione del terreno, senza il più lontano indizio di una
qualunque opera dell'uomo.

Tutto invece sta ad indicare che per la scalata al terrazzo del
Passo del Termine la Via Flaminia per Ancona abbia seguito il val-
lone di Valléfeggio, che si apre sulla Flaminia primaria alla. Maestà
di Campodarco da dove si presenta come strada naturale, in perfetto
rettifilo, per valicare lo sbarramento della montagna, e la prima per
le provenienze da Nocera. : i

La strada di Vallefeggio si diparte dalla Flaminia con una car-
reggiata molto ampia, e supera con lieve contropendenza la colli-
netta di Campodarco. Giunta all'altezza del piccolo abitato di Pet-
tinara, scorre pianeggiante sulla sinistra del Hio omonimo che da
questo punto non convoglia che acque meteoriche, e poi lo attraversa
a livello all'altezza della località La Vena, che trae i] toponimo dalla
esistenza di una copiosa sorgente di ottima acqua che alimenta in
parte la città di Nocera. In questo stesso punto la Clementina abban-
dona il tracciato unico con la strada di Vallefeggio e piega a sinistra
per traversare il Rio sopra un piccolo ponte, denominato «il ponte di
Lozzi » e sale per il costone del monte del Poggio per poi piegare sulla
destra con ampia risvolta, oltrepassata la Cà Lozzo delle carte, in
direzione di levante sul costone nord dello stesso monte. Giunta al-
l'altezza della sottostante frazione del Poggio, varca un profondo fos-
sato sopra un ponte notevole e quindi continua la sua ascesa sino al
Passo del Termine. i :

Che la Clementina non abbia ricalcato le tracce dell'antica via

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LA VIA FLAMINIA PER ANCONA, ECC. 39

romana lo abbiamo già affermato, rilevando come risulti chiaramente
dai documenti settecenteschi riportati piü avanti che si trattó di
nuova costruzione e non di riattamento, tanto che nel 1746 restava

ancora di tagliare la macchia esistente alla metà della montagna. per

farvi la strada. Una riprova, se ancora ve ne fosse bisogno, risulta
dall'esame della struttura dei due ponti; quello di Lozzi e quello del
Poggio.
Ambedue sono indiscutibilmente di fattura moderna, recente-
mente ricostruiti, e né l'uno né l'altro hanno una pietra che rechi la
inconfondibile impronta dell'epoca romana. Non occupiamoci del
primo, opera ben modesta, in quanto potrebbe anche pensarsi che
esso non fosse stato ritenuto indispensabile allora e che ad assicurare
il passaggio del piccolo fosso Doi essere stato sufficiente un largo
ponte rovescio. Il secondo, però, è un ‘opera, se non grande, certo note-
vole, perché la strada, giunta all’altezza del castello del Poggio, deve
necessariamente e in passo obbligato varcare un fosso profond», il
cui letto è in forte pendenza.

Ivii Romani, anche in rapporto alla fortissima spinta che eser-
citano contro le: spalle del ponte le acque meteoriche precipitanti
dalla stretta gola del ripido costone soprastante, avrebbero dovuto
costruire un'opera molto robusta, secondo il loro noto costume. E di
quest'opera almeno qualche modesto avanzo sarebbe ancora in sito

a sfidare il logorio delle acque e dei secoli. Nulla invece rimane, come -

nulla fu trovato da coloro tuttora viventi che pochi anni or sono ne
eseguirono la ricostruzione, quando il Comune di Nocera procedette,
molto lodevolmente, al generale riattamento della strada Clementina
per assicurare il transito dei veicoli.

Evidentemente la Via Flaminia per Ancona, abbaridonata dalla

Clementina al ponte di Lozzi, proseguiva diritta in direzione di le-

vante nel fondo di Vallefeggio, passando sulla destra del fosso ( omonimo
all'altezza del Vocabolo «La Vena».
Qui, sul ripiano di una collinetta che si eleva alla destra della

Strada e ove. sorge una modésta casa colonica, é da identificare il

luogo nel quale verso la metà del '200 esisteva un Monastero di Cla-
risse, fabbricato, come dice lo Jacobilli; al tempo di S. Chiara loro
istitutrice in una collina vicina alla piaggia (il significato della parola
dantesca si adatta perfettamente al terreno antistante) della Villa di
Valfredo, circa due miglia fuori di Nocera. Anche la indicazione della
distanza corrisponde. E più avanti lo stesso Jacobilli ricorda che adi
15 maggio 1257 il santo Vescovo Filippo dei Conti di Postignano donò
X o io ce clin crei

40 ì GIOVANNI DOMINICI

la Chiesa di S. Felicissimo con la terra contigua, fuori di Nocera,
all'Abbadessa e alle Monache di S. Maria di Valfredo, circa due mi-
glia fuori della città ; e del 1267 le donò una vigna. Furono poi le Mona-
che di quel Monastero trasferite entro Nocera nella Chiesa di S Maria,
detta hoggi di S. Chiara (1).

Le affermazioni dello Jacobilli debbono ritenersi esatte. Anche
oggi la forma rotondeggiante del muro perimetrale della casa colo-
nica della « Vena » suscita l’immagine del vecchio Monastero, le
cui mura esterne dovevano certamente essere state costruite con la
saldezza di un fortilizio dato il luogo isolato, che il denso bosco cir-
condava da ogni parte. prima che la piaggia venisse sottoposta a
coltura. La casa e i terreni circostanti sono oggi di proprietà di una
Istituzione pubblica di Beneficenza, l’Istituto Scolastico di Nocera,
cui pervennero insieme alla Chiesa e al Monastero di S. Chiara, col pa-
trimonio relativo, quando il Monastero venne soppresso nel 1866.

In basso, nel fondo valle, da una parte e dall’altra dell’attuale
Ponte di Lozzi, è ugualmente da identificare la Villa di Valfregio 0
Valfredo, ricordata dallo Jacobilli fra le molte Ville del Comune di
Nocera, e della quale le lavorazioni agricole mettono ancora in luce
gli avanzi delle fondazioni dell'abitato. Il piccolo centro medievale
era certamente succeduto a stazioni antichissime. Infatti, poco più
in basso, allorquando nel 1939 il Comune di Nocera fece eseguire le

opere di captazione della sorgente che alimenta il piccolo acquedotto

di Ponte Parrano, nel terreno compreso fra la strada Clementina e
il Rio, a valle della strada che conduce alle case di Pettinara, si rin-
vennero le traccie di un sepolcreto antichissimo. Numerosi resti di
ossa umane in completo disfacimento, frammischiati ai ciottoli di
cui nel periodo neolitico si circondavano le tombe a inumazione; e
frammenti di argilla colorati di quell’ossido caratteristico che docu-
menta la dissoluzione dei piccoli manufatti di rame che ne costitui-
vano la scarsa suppellettile funebre. Probabilmente le tombe erano
in origine disposte sopra la strada, e da lì per il naturale slittamento
del terreno, provocatò dalle acque defluenti sopra la roccia calcarea,
scesero sconvolte nella sottostante. bassura, intimamente permeata
dalle acque sorgive e periodicamente sommerse dalle morbide del

(1) Di Nocera nell’Umbria e sua Diocesi e Cronologia de’ Vescovi di essa
Città, Lupovico JacoBiILLI, Foligno, Alterii 1653.

Il Libro è stato lodevolmente ristampato con assoluta fedeltà dal, Tipor
grafo nocerino Amone Amoni nel 1930.
S ag ALE TU uu POSEE e lov Ne
LA VIA FLAMINIA PER ANCONA, ECC. 41

Rio. In quel punto, e per largo tratto, il fenomeno dello slittamento
del terreno è tuttora in azione, tanto da rendere necessario ricorrenti

opere di assestamento della trada moderna. È quindi da escludere |
la utilità di ricerche di quelle tombe antichissime, delle quali io -

stesso occasionalmente accertai durante la esecuzione dei lavori indi-
cati le piccole tracce sconvolte.

-Oltrepassata la zona ove fu la Villa di Valfredo, la Flaminia per
Ancona risaliva l’erto fondo dello stretto vallone di. Valfredo per
sboccare al Passo naturale del Termine. La strada anche adesso ha
‘una carreggiata mai minore dei metri tre, che corrisponde alla. am-
piezza media comune a tutte le antiche strade romane e che era in rela-
zione al modesto scartamento dei loro rotabili. Ad intervalli variabili
largure laterali rendevano possibili gli scambi fra i veicoli o fra le
colonne di pedoni provenienti da direzioni opposte, per assicurare
il regolare svolgimento del transito.

Seorrente sempre sulla destra del fossato e sopra terreno solido
costituito di roccia calcarea, non aveva richiesto la costruzione di
alcuna opera d'arte. E la riduzione dell'antichissimo actus a strada
rotabile era stata facilmente ottenuta mediante il leggero taglio a
strapiombo del costone del monte del Poggio; costone che per essere
folto di rigoglioso bosco ceduo eliminava in modo sicuro ogni pericolo
di franamenti o caduta di pietre. La stessa natura del terreno, roccioso
e boscoso, dalla parte del fossato escludeva ogni dubbio di cedimenti,
di erosioni e, comunque, di pericoli per la viabilità. La ghiaia che gli
agenti atmosferici producevano naturalmente attraverso la corrosione
.della roccia calcarea costituente la piccola parete del rilevato, era
sufficiente a mantenere l’agibilità della carreggiata. Ne era risultata
una strada da classificare tra le Viae glarea stratae, secondo la nota
classificazione in tre tipi che delle Vie Romane fa Ulpiano nel Dige-
sto: Viae terrenae, consistenti in una semplice pista di terra battuta,
Viae glarea stratae, con la superfice ricoperta di ghiaia, Viae silice
| stratae, lastricate, cioè, con pietre (1).

La sua esposizione piena al sole, ne assicurava il transito anche
nei mesi invernali. La sua pendenza era forte, e in qualche tratto
anche eccessiva per noi moderni, ma non più grande però di quella
che presso a poco si riscontra anche oggi in alcuni tratti della moderna
Flaminia laddove essa coincide col tracciato dell'antica Via romana,

quali, ad esempio, la salita della Somma fra Terni e Spoleto, e la |

‘(1) Cfr. GriusEPPE Connapnr, l. c., pag. 10, nota 2.

BER. MM E ad z

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— M ÁÓÀ EREMZI S

|i Ji 42 GIOVANNI DOMINICI

i salita di Picchio presso Nocera, per non citarne altre. Abbiamo ripe-
Be tuto più volte come i Romani nella costruzione delle loro grandi strade
| avevano l'abitudine di tirare diritto, con tendenza ai rettifili e di se-
guire l'andamento naturale del terreno per raggiungere la sommità
dei colli, senza preoccuparsi se ne risultavano salite e discese spesso
. assai ardue e rifuggendo dalle risvolte largamente praticate dai mo-
| derni, le quali se rendono piü facile il percorso, .allungano notevol-
Mises mente le distanze e implicano la costruzione di argini e di ripari,
| | anche in confronto della necessità di conseguire ogni maggiore spe-
i ditezza nell'apertura delle comunicazioni quale era richiesta dalle
Ni contingenti necessità militari, 1
i Quindi ardua strada di montagna, ma strada breve e sicura.
li Superato il facile valico che la ispezione locale fa ritenere come il
| | Passo naturale del Termine in confronto dell’altro varcato dalla Cle-
iii) mentina che per essere scavato in trincea manifesta evidente l’opera

IAS dell'uomo, la strada traversava la Piana di Saramonte e quindi comin-
E ciava la discesa verso la valle del Potenza sul tracciato dell’attuale
Strada. Pontito, mantenendo la direttrice rettilinea in direzione
di levante, per piegare poi lievemente ‘sulla sinistra verso il fondo.
valle in direzione della sfatio di Dubios.

.. Durante la prima epoca imperiale è a ritenere che la strada ve-
nisse regolarmente mantenuta, poiché sono note le cure che tutti
gli Imperatori piü illustri dedicavano alla conservazione delle grandi
TU Ec vie di comunicazione costituite fra l'Urbe e le diverse provincie. Que-
i ijs ste cure vennero poi progressivamente a rallentarsi e a cessare per

|

: tutte le Viae pubblicae Populi Romani, col decadimento dell'impero,
e e anche la Flaminia per Ancona seguì la sorte delle altre. Anzi per

| essa si aggiunsero altre circostanze per le quali la nostra strada per-
IM dette tutta la sua importanza nazionale, di costituire, cioé, l'allac-
d | : ciamento diretto fra Roma e Ancona, per assumere la funzione piü
il modesta di collegamento fra le varie città del Piceno che essa attra-
versava. Il grande traffico fra Ancona e Roma si avviò completa-
MIR Es mente per la Via Salaria, attraverso Hieti e la Sabina, e quindi la Via
Flaminia per Ancona perdette la sua funzione di collegare diretta-
mente il grande porto dell'Adriatico con la metropoli, per assumere
quella piü modesta di collegare le varie città del Piceno che essa attra-
WIN : ‘versava con il loro capoluogo.D'altra parte le città di antica origine
il umbra poste al di là dell'Appennino rallentarono e poi troncarono
nil . ogni diretto rapporto con le loro consorelle situate al di quà delle
IL ‘ montagne ed acquistarono in pieno la cittadinanza picena, orientan-


ez

: E s dae a mo uu EU LAT uu Di NT MS
NI

LA VIA FLAMINIA PER ANCONA, ECC. 43

do completamente i loro traffici verso questa regione. Venne cosi
.a mancare ogni necessità che si provvedesse a curare il mantenimento

della strada. Risulta che evidentemente per la sua brevità, era ancora

percorsa nell'epoca medievale per le. provenienze dirette da Ancona

verso l'Umbria. Un miracolo operato da S. Francesco secondo il rac-
conto di S. Bonaventura ce ne fornisce la prova. È noto come Gio-
vanni di Brienne, imperatore di Costantinopoli, mandasse numerosi
doni per la Chiesa di S. Francesco d'Assisi allora in costruzione. Fra
questi doni era una magnifica tavola di marmo da Altare, di dimen-
sioni notevoli. Narra S. Bonaventura che presso Sanctum Severinum
in Marchia de Ancona (il che vuol dire che il carro che la trasportava
aveva preso la Via Flaminia) lapis pergrandis de Costantinopoli
adportatus ad basilicam Beati Francisci rapido lapsu est super quen-
dam trahentium devolutus. Ma rimossa la pietra, l’uomo fu trovato
salvo e incolume da ogni danno, per un nuovo miracolo del Santo (1).

La decadenza della Via romana nell’alta valle del Potenza au-
mentò; ed era naturale che ciò avvenisse. Nella torbida età di mezzo
le strade di grande traffico aperte dai Romani per assicurare facili
rapporti tra l'Urbe e i lontani presidii militari dislocati nelle Provin-
cie, e per rendere possibili gli scambi dei prodotti agricoli e del com-
mercio, piü che un comodo mezzo di comunicazione da mantenere in
efficenza con particolare cura, costituivano un pericolo per i centri
urbani e, segnatamente, per i centri rurali che esse*attraversavano,
in quanto rendevano facili e spedite le invasioni e le scorrerie. Come
nell'alto medioevo facilitarono le invasioni dci barbari, e ne é prova
la distruzione completa dei paesi aperti che si trovavano lungo di
esse, cosi nei secoli successivi, quando ogni Signoria e quasi ogni Co-
mune erano l'uno contro l'altro armati, e reciproche erano le incur-

sioni e i feroci saccheggi, le strade comode rappresentavano un peri-

colo grave e imminente. I confini tra Ducato e Ducato, tra Signoria e
Signoria e spesso anche fra Comune e Comune erano veri e propri con-
fini di Stati nemici l'uno dell'altro.

E quindi le strade di grande comunicazione, ovunque esiste-
vano, vennero non solo trascurate ma anche deliberatamente abban-
donate e interrotte per evidenti misure di sicurezza e naturali necessi-
tà di difesa. In luogo delle strade non più mantenute o volutamente
interrotte rimasero soltanto le mulattiere per lé quali non era natural-

(1).S. BoNAvENTURA, Vifa S. Francisci, cap. XVI, paragr. 3; cfr. A.
ForTINI, Assisi nel Medio Evo, Roma, 1940, pag. 111.
44 GIOVANNI DOMINICI

mente possitile il rapido defluire di notevoli forze, e che, consentendo
le imboscate e la difesa anche da parte di piccoli nuclei, offrivano
il mezzo, se non d'impedire, di rendere difficile o comunque di ritar-
dare notevolmente la marcia dell'invasore.

In linea particolare, poi, deve, tenersi presente che l'alta valle
del Potenza costitui durante tutta l'età di mezzo un punto strategico
d'importanza notevole, in quanto ivi, nei pressi di Molinaccio, con-
fluivano i confini delle tre Provincie, di Ancona, di Perugia e di Ma-
cerata. Da qui passó nel 1209 anche l'esercito di Ottone IV impera-
tore, diretto alla espugnazione di Camerino, il quale peraltro non
riusci a forzare la stretta di Pioraco e dové rinunciare alla impresa.
Il topònimo tuttora vivo di Campattone rimarrebbe a ricordare il
suo non felice passaggio. 4

Piü tardi, nel 1288, secondo racconta il Lilli nella sua storia
di Camerino, furono i Folignati che intrapreséro la costruzione di
un Castello poco a monte di Pioraco per sbarrare il passo alle milizie
nemiche che dal Piceno avessero tentato di scendere nella valle del
Topino. Ma poiché i Camerinesi ne mossero viva doglianza ai Peru-
gini loro collegati, i Folignati desistettero dall'impresa per evitare
le immancabili rappresaglie della forte e bellicosa Perugia, della
quale conoscevano il vivo e particolare ‘interesse a tener d’occhio i
passi dell'appennino attraverso i quali avrebbero potuto celermente
e nascostamente' scendere ai loro danni le forze delle città ghibelline
del Piceno. | RU

La ragione che spiega l'accanimento di Perugia di tenere Nocera
con Gualdo sotto il grave giogo di dantesca memoria, del quale il
Fortini (1) ha saputo lucidamente chiarire il significato vero, che
è tutto e soltanto politico, contro le assurde fantasticherie di molti,
è appunto la sua preoccupazione di garantirsi contro le provenienze
dall’alta valle del Potenza. Tanto vero che quando avvenne in Assisi
nel 1319 la rivolta ghibellina capeggiata da Muzio, come racconta il

Pellini (2), Perugia chiamò alle armi gli uomini di tutti i paesi e

(1) AnNALDO FoRrtINI, Il « Grave giogo ». Commento al verso 48. dell'XI
Canto del Paradiso in relazione alla preponderanza guelfa di Perugia nei primi
del Trecento. Lezione tenuta alla Regia Università di Perugia per Stranieri,
e riportata nel Bollettino di quella Università, n. 6-7 del10-20 settembre 1941,
pagina 127. |

La magnifica lezione contiene anche numerosi accenni alla storia medie-
vale di Nocera. .

(2) PieTRO :PELLINI, Historia di Perugia, Venezia 1664.
;

X E >» duae a ru vu die T. o __| e MI
LA VIA FLAMINIA PER ANCONA, ECC. 45

castelli soggetti, ma esentó dal reclutamento Nocera e Gualdo alla
condizione che «guardassero i passi loro » affinché i Ghibellini del
Piceno non accorressero in aiuto dei rivoltosi Assisani; e vi mandò

uomini di sua fiducia ad assumere il comando delle operazioni di

vigilanza.
È quindi naturalmente conseguenziale che la politica della domi-

natrice Perugia tendesse non solo ad impedire che fosse curata la
manutenzione della Flaminia per Ancona, ma fosse invece rivolta a

provocarne là interruzione per ben comprensibili ragioni di sicurezza.
E si spiega cosi come l'antica strada restasse interrotta, tanto da
perderne anche le tracce sulla montagna.

Ora peró la gloriosa Via consolare dovrebbe essere riaperta per
intero, per il suo notevole interesse commerciale, turistico ed anche
strategico. E farebbero cosa opportunissima i Comuni piü diretta-
mente interessati dell'Umbria e del Piceno a rinnovare allo Stato
la petizione che nell'ormai lontano 1829 rivolsero al Governo Pon-
tificio le « Comuni » di Pioraco, Fiuminata, Cingoli, Sanseverino e
Nocera, della quale ci è rimasto il vivo ricordo nella monografia del
Filippini, alle cui argomentazioni sempre di attuale importanza molte
altre debbono essere aggiunte. E la petizione sarebbe certamente
accolta non appena le mutate condizioni dei tempi potranno consen-

tirlo.

La grande arteria che la mirabile genialità degli ingegneri mi-
litari romani aveva costruito come secondo tratto della direttissima
Roma-Nocera-Ancona, rappresenta il naturale e necessario raccordo
fra il centro dell'Umbria e il Piceno per il tracciato più facile e più
breve; fra due vaste e pingui zone che non possono e non debbono
restare più oltre divise da un insuperabile sbarramento di montagne,
a tutto danno della economia locale e nazionale.

Infatti con essa la distanza tra Ancona e Foligno (prendiamo a
base Foligno per la sua caratteristica di nodo stradale e ferroviario
di primaria importanza) era di appena 122 chilometri, mentre è di
129 Km. per la ferrovia attuale, e di Km. 137 il percorso per via or-
dinaria lungo la Flaminia sino a Fossato e quindi la statale n. 76;

e di Km. 144, infine, per la Valchieutina e l'Adriatica.
La stessa direttrice, se non lo stesso tracciato, della Flaminia
per Ancona avrebbe dovuto logicamente seguire la linea ferroviaria

Foligno-Ancona. E difatti dicono che l'illustre folignate ing. Rutili
ne avesse compilato il progetto in tal senso. Gl'interessi, però, dei
grossi centri di Fabriano e di Jesi indussero la Società delle Ferrovie
5— M Preto. —

46 È GIOVANNI DOMINICI

Romane a costruire la linea sul percorso attuale; percorso piü lungo
e notevolmente difficile, sul quale solo la recente elettrificazione ha
eliminato l'originaria ed eccessiva lentezza di movimento.

Ma oltre che in rapporto al più facile e breve collegamento con
la città e con il porto di Ancona, l’importanza della riapertura del-

l’antica strada va considerata in riguardo al vasto territorio della.

Marca di Macerata, nella quale è grande l'industria dei campi e del
bestiame, e che comprende i pingui terreni di San Severino, Treia,
Cingoli, Osimo, ecc. Questa zona non ha che due strade perimetrali
estreme in collegameuto con l'Umbria, le quali, come il vertice di
un ampio triangolo, che ha per base il litorale adriatico, si ricongiun-
gono a Foligno: la nazionale Valchientina Foligno-Loreto e la sta-
tale n. 76 per Ancona. |

Una sola linea ferroviaria di secondo ordine, tarda ed incomoda,
la collega alla litoranea adriatica, da una parte,.e dall'altra a Ebo
alla linea Roma-Ancona: la ferrovia Albacina-Porto Civitanova. Evi-
dente, quindi, come gli scambi commerciali con l'Umbria, pur con-
finante, siano tutt'altro che facili, e impossibili i traffici con altre
Regioni all'Umbria finitime, quali la Toscana. i

Certamente una situazione consimile, che ha peggiorato in modo
così grave le possibilità degli scambi tra due vaste e importanti re-
gioni quali esistevano venti secoli or sono, non può essere ulterior-
mente mantenuta, ove anche si consideri che il problema è di facile
e non dispendiosa esecuzione. La riapertura della gloriosa Via Conso-
lare sarà quindi certamente fatta a tempi opportuni; e l’opera suo-
nerà anche come doveroso omaggio alle imperiture memorie di Roma
madre.

A completare il nostro studio sul primo tratto della Via Flami-
nia per Ancona, rimane un punto da esaminare; la non: rispondenza

della distanza intercedente fra Nocera e Dubios con quella indicata .

dall' Itinerario . Antonino.

È noto che gli antichi romani misuravano esattamente le loro

stradein miglia, partendo dall' Urbe. Ad ogni miglio, unità di lunghezza
formata di mille passi, donde .il nome, e corrispondente secondo gli
studiosi moderni a metri 1490, essi ponevano una pietra, general-
mente di qualità pregiata, a forma di stele o di colonna, il lapis mi-
liarius o, semplicemente, miliarius. In questo incidevano, sul lato
maggiore prospettante la strada, il nome dell'Imperatore regnante,
spesso con la enumerazione delle alte cariche e dignità inerenti, e
sotto il numero progressivo della distanza dall'Urbe, in miglia. Gli

——
———

a — me

LA VIA FLAMINIA PER ANCONA, ECC. 47

Itinerari riportano queste distanze per ognuna delle fermate presta-
bilite, a luogo fisso, in alcuna delle quali si faceva il semplice cambio
dei cavalli, ed erano pertanto dette mutationes, in altre, invece, si
facevano soste di riposo, ed erano quindi dette stationes o mansiones.
.In queste erano luoghi di ristoro e di ricovero per gli uomini e per i
quadrupedi in edifici appositamente costruiti, precursori delle suc-
cessive poste.

Essendo l’unità di misura il miglio intero, cioé senza frazioni,

. e corrispondendo il miglio a circa un chilometro e mezzo, è intuitivo

che quando le antiche guide stradali, cioè gli Itinerari, dicono che il
tal paese è alla distanza di miglia x dalla fermata precedente, non
debba intendersi che tale distanza corrisponda sempre e con esat-
tezza assoluta a quella effettiva. Questa rispondenza assoluta può
verificarsi soltanto nel caso che la mutatio o la mausio siano state

[
fondate espressamente in servizio della strada e in precisa coincidenza

con una pietra miliare. Ma in confronto di fermate stabilite in abitati
preesistenti, tale coincidenza può solo verificarsi per caso.

Quindi è che misurando la distanza che intercede fra due centri
vicini ugualmente indicati come stazioni romane negli Itinerari, ed
anche se è possibile identificare con certezza assoluta il tracciato ori-
ginario della Via antichissima, non si ottiene mai una distanza che non
dia uno scarto di vari ettometri con quella risultante dagli Itinerari
stessi. SE
Oltre a questo é da tener presente che le discordanze fra i di-
versi itinerari sono molto frequenti; anzi una stessa fonte arriva a

darci distanze discordi, evidentemente in seguito a successive rileva-

zioni eseguite in circostanze differenti. Un esempio tipico di questo
ci viene dall'Itinerario Antonino, che leggiamo nella correttissima
edizione critica che ne ha fatto il Cuntz nel 1929.

L'Antonino, infatti, nel riportare le stazioni della Flaminia —
ab Urbe per Picenum Anconam — (tracciato per Bevagna) dice che la
distanza da Roma a Narni é di miglia 56. In altra parte della guida
nel riportare le stazioni della Flaminia per Rimini (tracciato per Terni,
dice che la stessa distanza Roma-Narni é di miglia 57, La discordanza
che si sarebbe tentati di imputare ad errore é in questo caso spiega-

bilissima; così: il rilevatore della Flaminia per Ancona ha letto e.

notato il numero scolpito sulla pietra miliare che precedeva immedia-
tamente la fermata di Narni; il rilevatore, invece, della Flaminia per
Rimini ha letto e. segnato il numero della. colonna immediatamente
successiva alla fermata stessa.

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48 GIOVANNI DOMINICI

Talvolta.le discordanze sono molto notevoli, ed allora si tratta
di errori da rettificare alla stregua di molto caute e diligenti rileva-
zioni topografiche. Uno di questi errori é nel Peutingériano laddove
indica in XVI miglia la distanza da Bevagna a Foro Flaminio, di-
stanza che non può essere stabilita che nella misura massima di VI
miglia. E quindi da rettificare senz'altro. Cosi un evidente errore deve
accertarsi a carico dell' Itinerario Antonino, nella indicazione della di-
stanza fra Pioraco e Septempeda (la moderna S. Severino Marche) che

in esso é segnata in miglia XVI, corrispondenti a circa 24 chilometri.

Infatti la distanza che attualmente intercede fra S. Severino e
Pioraco attraverso le strade moderne é di Km. 19. Avuto anche ri-
guardo alla particolare topografia di questa zona della Valle del
Potenza, é assolutamente da escludere che la strada moderna abbia
allungato di circa cinque chilometri il percorso dell'antica strada
romana, posto che i.due centri si trovano ambedue sul sito antico.
se mai dovrebbe pensarsi legittimamente l'inverso; che cioé la strada
moderna per addolcire qualche pendenza abbia allungato di qualche
cosa l'antico percorso, come è avvenuto generalmente anche altrove.

Di conseguenza la distanza fra le due stazioni deve da XVI
miglia essere ridotta certamente a XIII, dovendo giudicarsi erronea
la indicazione dell'Antonino. Un altro errore deve ritenersi per fermo
nella indicazione delle VIII miglia portata dallo stesso Itinerario per
la distanza fra Nocera e Dubios, in quanto la misura di-otto miglia,
pari à circa I&m. 12, dalsito sul quale bisogna indubbiamente ritenere
che fosse un tempo l'abitato di Dubios, non ci porta piü oltre, all'in-
circa, della Maestà di Campodarco..

Per determinare, peró, la entità della rettifica sarebbe necessario
poter conoscere dove era la stazione di Nocera Camellaria.

Ma l'aecertamento é ben arduo, perché nulla é rimasto, né un
monumento e nemmeno il piü piccolo indizio a indicare che la Nocera
d'oggi sia nel sito della Nuceria romana e piü antica. Ad ogni modo
ritengo non superfluo accingerci alla laboriosa ricerca, prendendo in
esame tutti gli elementi dei quali possiamo disporre. Voglio peraltro
avvertire subito che non sarà possibile arrivare a conclusioni posi-
tive, perché se il fatto di trovarsi in prossimità di un nodo stradale
di primaria importanza può aver dato rigoglio e sviluppo alla nostra
Nocera nel periodo della pax romana, lo stesso fatto le provocó piü
tardi disgrazia e rovina. Per quelle strade, infatti, dilagarono più
tardi le valanghe dei barbari, che tutto distrussero sino a far scom-
parire ogni vestigia dell'età romana e. piü antica.

l— —

LA VIA FLAMINIA PER ANCONA, ECC. 49

L'odierna città di Nocera sorge sopra un colle che raggiunge alla
sommità l’altezza di m. 548 s.l,m. Il colle, completamente isolato da
tre lati, scende in dolce pendio dalla parte, in direzione di nord-ovest,
ove si apre la porta principale, ora denominata la Porta Vecchia, e
un tempo di S. Francesco, sulla Piazza del Mercato che è attraversata

dalla strada statale Flaminia: al margine estremo.

Ma anche da questa parte l'isolamento del colle un tempo esisteva
La piana, infatti, che costituisce oggi l'ampia Piazzà del Mercato
risulta formata artificialmente mediante terrapieno, il quale è soste-
nuto a ponente da un poderoso muro, al di sotto del quale scorre la
strada detta ora della Valle e che fu un tempo la primitiva Via Fla-
minia. I documenti forniscono la riprova di quanto risulta evidente
dalla ispezione del luogo.

Gli Statuti nocerini (1) che portano la data del 2 maggio 1371
e che costituiscono l'unico antico documento della nostra storia me-
dievale che sia rimasto per merito dell’umanista Agostino Colaldi
da Cittaducale che provvidamente ne curó la stampa nell'anno 1567
presso il tipografo Vincenzo Cantagalli di Foligno, ci parlano appunto
di un ponte esistente avanti la Porta di San Francesco. Che questa
corrisponda alla attuale Porta Vecchia non v'ha dubbio. Gli stessi
Statuti, in piü luoghi, ci parlano della Porta: Sancti Francisci, alla

(1) Degli Statuti Nocerini non esiste l'originale. Ne é peraltro conservato
nella sede municipale un CSI MEE a STARIDS, in pergamena. Sono costituiti
di cinque partes o libri:

Libro I — De Officiis, di capitoli 66:

Libro II — De Iudiciis, di capitoli 39;
Libro III — De Maleficiis, di capitoli 123;
Libro IV — De damnis datis, di capitoli 55;
Libro V — De extraordinariis, di capitoli 64.

Sono sottoscritti dai quattro Priori, due della Città e due del Comitato:
nonché dai 16 Statutarii, otto della Città e otto del Comitato. È utile riportare
l’ultimo capitolo del lib. V, che indica la posizione del Palazzo Priorale, e le
date di compilazione e della successiva stampa.

« Completa, i pie et aperta ac firmata fuerunt omnia et singula
praedicta statuta... in palatio residentie consuete dominorum Priorum civi-
Latis Nuc. posito in Quarterio Turris Veteris, iuxta stratam dictae civitatis,
plateam maiorem ipsius civitatis, res canonicae Nucerine, locum fratrum mi-
norum de Nucerio et alia sua latera... sub anno Domini 1371 inditione nona
tempore Sanctissimi in Cristo patris et Dni Gregorii pape XII die secundo
mensis Mai, praesentibus, etc.

Impressum Fulginei per Augustinum Colaldum de Civitate Ducali, apud
Vincentium Cantagallum, anno Dni 1567, pridie Calendas Martii.
50. - GIOVANNI DOMINICI

quale confluivano le due strade principali della città che dalla Piazza
maggiore — la Platea maior o Communis — situata nella parte alta
scendevano l'una attraverso il Quartiere del Borgo, l'altra attra-
verso il Quartiere della Torre Vecchia. E la denominazione si spiega
chiaramente ricordando che fino al 1248, fino a quando, cioé, non
venne incendiata e distrutta dalle soldatesche di Federico II Impe-
ratore, al di là della odierna Piazza del Mercato, sulla collina a le-
vante che oggi é coperta alla vista dalla fila di case che costituiscono
M lato orientale della piazza stessa, esisteva la Chiesa di San France-
sco con l'annesso Convento, che poi nella prima metà del secolo xiv
vennero ricostruiti intus muros, sulla Piazza Maggiore.

La testimonianza degli Statuti é una prescrizione di Polizia
Urbana contenuta nel Capitolo 105 del Libro III De Maleficiis con
la quale si ordina che coloro i quali. conducono il bestiame minuto ad
vendendum ad civitatem Nucerie debeant ipsos tenere extra pontem

| porte sancti. Francisci et non intra pontem sive intra Portam sancti

Francisci, pena, ecc.
L'isolamento completo del colle sul quale é posta Nocera esi-
steva ancora nei primi tempi della età moderna. Infatti un disegno
che riproduce la veduta generale di Nocera dalla parte di ponente, e
che l'autore chiama ritratto lasciatoci dal Piccolpasso, il famoso archi-
tetto militare del secolo xvi (1) ci mostra evidentissimo come nel
600 l'ampia Piazza attuale del Mercato non era stata costituita; e
come intorno al robusto bastione che proteggeva la Porta di S. Fran-
cesco esisteva un ampio fossato che veniva attraversato mediante
un ponte levatoio. Caratteristico il particolare che l'uscita dal ba-

(1) Di CiPRIANO PiccoLPasso, nato a Castel Durante, oggi Urbania, nel
1524 ed ivi morto il 21 novembre 1579, non si hanno molte notizie. Fu archi-
tetto militare di buona rinomanza, e lavoró alla costruzione delle fortezze di
Ancona, Fano, Rimini, Spoleto, e Perugia. Qui fu per parecchi anni Provvedi-
tore della Rocca Paolina, ricordata dal Carducci nel «Canto dell’ Amore », co-
struita dal Papa Paolo III «ad coercendam Perusinorum audaciam ». Si occupó
anche ‘a Castel Durante col fratello Fabio della costruzione delle maioliche,
e ci ha lasciato nel trattato « Li tre libri dell'arte del vasaio », più volte èdito,
la descrizione del procedimento adottato comunemente ai suoi tempi per la
fabbricazione delle maioliche. i

Di lui è anche di particolare interesse l’opera rimasta inedita « Il primo li-
bro delle piante e ritratti delle città e terre dell’ Umbria sottoposte al Governo
di Perugia ». Ne rimangono tre esemplari; uno completo alla Biblioteca Au-

gusta del Comune di Perugia; un altro parimenti completo alla Biblioteca .
Vittorio Emanuele di Roma, e un terzo incompleto alla Biblioteca Vaticana.
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LA VIA FLAMINIA PER ANCONA, ECC. 51

stione era di fianco, sulla sinistra, in senso perpendicolare alla Via
del Borgo ; e che il ponte immetteva in una breve strada di raccordo
che scendeva a sboccare nella sottostante Via Flaminia.

Sulla vetta del colle sorge la bella Cattedrale di cui la ricostru-
zione fu iniziata nel 1448 ubi fuit antiquitus e iuxta arcem; e, unico
resto dell'antica Rocca possente, si eleva tuttora alto e massiccio il
maschio, ora ridotto alla pacifica funzione di torre campanaria muni-
cipale, e che il disegno del Piecolpasso ci rappresenta coronato di

‘ merlatura guelfa. E al di là della vecchia torre, di fronte alla parete

nord del Monte Busseto, sempre verdeggiante per il bosco di buxus
sempervirens che gli ha dato il nome, il colle precipita in balze rocciose
inaccessibili sul fondo dell'angusta valle nella quale scorre il fiume
Topino, dalle limpide acque. i

+. Racchiusa da una robusta cerchia di mura, sulla quale a 60
intervalli si riconoscono le basi di numerose torri mozzate, testimoni

di mille episodi guerrieri, la cittadina si presenta come costruzione

prettamente medievale, nonostante le rabberciature di pessimo gusto
eseguite in epoca più o meno recente alle facciate di quasi tutti gli
edifici, specialmente lungo le vie principali. E laddove la trascurata
manutenzione lascia qua e là cadere tratti d'intonaco, s’intravve-
dono eleganti pareti in pletra squadrata a cortina, portali gotici,
stipiti di finestre e di porte archiacute, snelle monófore, e finestre

con l'arco sporgente in laterizio di pretto stile dugentesco.

Ma né sulle mura urbane, né sui muri esterni delle Chiese piü

antiche come in quelli degli edifici privati, nemmeno spingendo l'in-

dagine ai muri di fondazione delle cantine che sono posati visibil-

Ad ogni città o terra sono dedicate due tavole, oltre a più o meno ampie dida-
scalie, delle quali una riporta il «ritratto »o veduta generale, e l'altra la piante,
su scala, delle mura civiche. La didascalia per Nocera, contenuta nell'esem-
plare perugino, reca brevi notizie sulla popolazione, i prodotti del suolo, il
patrimonio zootecnico, ed afferma; « Si trovano in questo territorio di molte
cose antiche. Al tempo mio fu scoperta una stufa antica, nella quale erano anco
tutti i vasi di rame... di bellissima fattura, in buona parte consumati dal
tempo, che furono poi venduti a Perugia per vil prezzo ».

Il «ritratto »e la pianta del Piccolpasso danno di Nocera una visione esatta
e realistica, anche nei particolari, che riesce notevolmente difforme dal «si-
mulacrum » inserto nel « Theatrum Urbium Italicarum » pubblicato dal Ber-
telli nel 1599, di cui abbiamo dato. notizia a pag. 92.

.Evidentemente la ràgione è nel fatto che questi «simulacra » sono inci-
sioni eseguite a Venezia nella officina dei Bertelli, su appunti sommari presi
sul posto, e poi completati idealmente a memoria.

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52

e

GIOVANNI DOMINICI

mente sulla roccia viva, é possibile scorgere una pietra che possa

anche lontanamente ingenerare il sospetto della appartenenza alla

età romana più antica. Né la indagine può essere estesa in profondità,
perché ovunque la roccia affiora. Tutto questo è ben strano.

Fra i molti popoli umbri — razza antichissima, al dire di Dioni-
gi D’Alicarnasso — Plinio Secondo enumera i Nucerini cognomine
Favonienses et Camellani. Il geografo greco Strabone, che visitò
l’Italia centrale intorno all’Era Volgare, cita fra i paesi situati sulla
Via Flaminia Nuceria ove si fabbricavano vasi di legno. E gli storici
sono concordi nel ricordare che Nocera fu tra le prime città degli
Umbri conquistate dai Romani é ad essere elevata alla dignità di
Municipio.

L'Itinerario Bee o Gerosolomitano, della prima metà
del rv. secolo, ricorda la Civitas Noceria tra Foro Flamini e Ptanias
(Tagina) e la Tabula Peutingeriana, compilazione dell'ottavo secolo
ma certamente desunta dall'Orbis pictus di Agrippa (63-12 a. C.), cita,
ugualmente dopo Foroflaminio Nuceria Camellaria.

Se il pago umbro, poi civitas romana di Nocera fosse stato esat-

«tamente nel sito della città moderna, le attuali mura civiche conser-

verebbero, almeno nelle fondazioni dell'acropoli, qualche pietra
delle fortificazioni romane e preromane, come Perugia, Spoleto, Todi,
Spello, ecc. perché il luogo già forte per natura avrebbe assunto fin

dalle più lontane origini la funzione di rocca dominatrice e di sbarra-

mento in quel punto strategico della valle del Topino. E Str abone
avrebbe certamente potuto ricordare che Nuceria era bene munita,
come lo ha ricordato per Todi. Ad ogni modo delle fortificazioni

antichissime qualche traccia sarebbe rimasta, anche minima.

Dov'era quindi l'antica città ? Il fatto, ripeto, è ben strano,
perché. generalmente ovunque, per il fenomeno provatissimo in
mille luoghi dell'attaccamento al suolo, gli uomini hanno mantenuto
attraverso i millenni la loro dimora ininterrotta in quei luoghi ove
fissarono per la prima volta le loro sedi, all'epoca delle civiltà pri-
mitive. Cosi nel sottosuolo delle città moderne affiorano i resti im-
ponenti dell'epoca romana, e piü in basso il piccone rinviene le tracce
delle civiltà precedenti, sino a ritrovare gli avanzi.e i manufatti rudi-
mentali di quel lontanissimo periodo in cui gli uomini primitivi sce-
sero dai naturali rifugi offerti dalle caverne delle montagne, e impian-
tarono le loro prime capanne sulle terre appena emerse dalle acque,
o sopra le palafitte piantate nei laghi pliocenici.

Ma per Nocera l'assenza di un qualunque avanzo databile più

«
na 7 m vcre dA C apt eus (oO S i ORNNENE AT o

LA VIA FLAMINIA PER ANCONA, ECC. 53

indietro della età medievale dimostra indubbiamente una deroga,
| del resto non rara, al principio generale che abbiamo accennato.
| Il rilievo, peraltro, non é nuovo. Già gli Umanisti del Primo Rina-
L^ scimento, e l'eco ne é rimasta negli scritti del nostro J acobilli, ebbero
| l'impressione che il centro della Nocera antica fosse altrove, pensan-
| dolo localizzato in zone lontane ove la tradizione ricordava qualche
rinvenimento archeologico. Il Lancellotti, come ricorda l'Abate
Colucci nel suo libro « Delle Antichità Picene » pubblicato nel 1791,
scriveva testualmente: « In Nocera ultimamente io fui, e non trovai il
| menomo indizio onde ivi credere antica colonia ». E il Martinori,
che vide Nocera col suo occhio esercitato nel profondo studio delle
Viae pubblicae Populi Romani e della Via Flaminia in particolare,
ha scritto che la moderna città è costruita sopra un colle isolato,
recinta da mura medievali; «l'antica Nuceria traversata dalla Flami-
nia si trovava più in basso ».
È necessario quindi ricercare altrove il sito sul quale esisteva
intorno all’Era Volgare la Nocera romana, costruita indubbiamente
sull'area ove erano state piantate le primitive capanne della Nuceria
RE degli Umbri, nota per la industria dei vasi di legno che le valse l'at-
pe tributo di Camellaria.
A proposito di attributi, non sarà superfluo accennare come molti.
scrittori di ogni età abbiano erroneamente attribuito alla nostra
Nocera appellativi diversi, quali Alfaterna, Costantia, Costantiana,
Alphatenia. La ragione degli errori é nel fatto che altre città esiste-
vano ed esistono in Italia con lo stesso nome; nome che probabil-
mente é parola della lingua tosco-umbra, e corrisponderebbe nel si-
gnificato al greco DE e al latino Nova Civitas, potendosi spie-
gare composto da « nou », radice di novus e da « cher », radice.di cresce-
re, acervus, e valere quindi la nuova fabbricata, la nuova città. Questa
contaminatio ha prodotto che alcuni scrittori hanno attribuito alla
Nocera dell'Umbria citazioni che si riferiscono ad un'altra Nocera,
. generalmente la più importante, la Nocera dei Campani. Ed anche é
avvenuto, come per esempio nel campo religioso, che qualche stu-
| dioso moderno sia incorso nell'errore opposto di voler attribuire,
con sicurezza che non esiste, alla Nocera dei Campani qualche Ve-
scovo del primo millennio che la tradizione scritta ricorda sempli-
| cemente come Episcopus Nucerianus o Nucerinus, e che invece deve
essere riferito alla Nocera dell'Umbria.

Così A/faterna è attributo proprio della Nocera dei Campani,
giusta la testimonianza di Teodoro (XIX. 65) ed é anch'essa proba-
54 i GIOVANNI DOMINICI

bilmente parola tosco-umbra, da una radice alf, alb, e varrebbe la
bianca; Ugualmente Costantia o Costantiana è attributo della Nocera
dei Campani, in quanto l'Itinerario di Antonino reca: A Neapoli
Nuceria Costantia mp; XXXI (cfr. Cuntz, 123, 3).

Alphatenia, invece, è una corruzione di Alfaterna, forzata. alla

interpretazione grossolanamente errata di alpha-tenia, alpha-tinia.

per significare la città situata alle scaturigini del fiume Tinia o Ti-
mia, che poi sarebbe l’attuale Topino. Nuovo errore geografico e
topografico, perché né Nocera è posta alle scaturigini del Topino,
né questo fiume è il Tinia o Timia. Molti autori, anche dei primi
secoli dell'Era moderna quali il grande geografo olandese Paolo
Van Merle del ’600 notissimo sotto il nome da lui stesso latiniz-
zato conforme l'uso dei tempi di Paulus Merula (1) hanno confuso il

Timia col Topino. L'origine dell’errore risale a Strabone, il quale

nel descrivere la regione degli Umbri ha scritto che presso Mevania

scorre il Tinia, il quale anch'esso con piccoli legni trasporta nel Tevere.

Ora che Bevagna sia bagnata dal Timia è esatto. Ma il Timia è
unicamente il\ tratto inferiore del fiume Teverone, già Clitunno, di

9 . . . j .
carducciana memoria, e si getta nel Topino a Cannara, poco sotto

Bevagna (2). Il fiume Topino non ha motivo di dolersi per questi
disconoscimenti del suo nome, perché può gloriarsi di essere stato
ricordato da Dante: « Infra Tupino e l’acqua che discende » ecc., cfr.
Paradiso, XI, 43. i

Unico attributo proprio, quindi, della Nocera degli Umbri è
Camellaria attestato come già abbiamo detto dall’itinerario Peutin-
geriano e dal geografo ravennate Guidone, e che ha riferimento col
secondo dei cognomina coi quali era conosciuto il Populus Nucerinus,
al dire di Plinio: Nucerini Favonienses et Camellarti.

L'attestazione di Plinio ha fatto generalmente ritenere che esi-
stessero dei Nucerini due popoli e due città distinte, la Favoniense e la
Camellaria. Mentre però è pacifico che di questa è erede legittima l’at-
tuale Nocera Umbra, dell’altra non si ha alcuna notizia, da alcuna

fonte. E certamente il passo dello scrittore latino va inteso in senso .

ben diverso dalla affrettata interpretazione tradizionale.
Infatti Plinio, descrivendo la regione umbra, la regio sexta d'Ita-

(1) PAuLus G.F.P.N. MeruLA (P. Van Merle) Cosmografia e Geografia.
Amsterdam 1621. Parte II, libro IV, cap. XXIV.

(2) ANGELO MEssINI, Il fiume Topino e la bonifica idraulica \del piano
folignate attraverso i secoli. Foligno; Sbrozzi, 1942.
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LA VIA FLAMINIA PER ANCONA, ECC. 55

lia secondo la ripartizione augustéa, enumera i vari popoli umbri e
ricorda i Nucerini cognomine Favonienses et Camellarii. E continuando

ricorda tra gli altri i Pifulani cognomine Pisuertes et alii Mergen- :

lini, i Tifernates cognomine Tiberini et alii Metaurenses et alii Horten-
ses. La diversità della dizione — «et» e «et alii » — era stata rilevata
fin dal '600. Il grande geografo umanista Filippo Cluvier, notissimo
agli studiosi sotto il nome da lui stesso latinizzato di Filippo Cluverio,
secondo l’uso dei tempi, nella sua grande opera Italia Antiqua si
domandava se oltre la Nuceria Camellaria ricordata dagli Itinerari
fosse esistita un’altra Nuceria cognomine Favoniensis. Ed affermava
recisamente di no, alla stregua di un attento esame del contesto di
Plinio. Ecco le sue parole:

« Plinius dicto loco: Nucerini, inquit, cognomine Favonienses
et Camellarii. An igitur alia adhuc fuit Nuceria cognomine Favonia ?
an haec ipsa geminum abuit cognomentum ? Hoc puto; solet quidpe
Plinius alias dicere et alii: Pitulani cognomine Pisuertes et alii
Mergentini, Tifernates cognomine Tiberini et alii Metaurenses et
alii Hortenses » (1).

Conchiude affermando che Plinio ha ricordato per la Nocera degli
Umbri i due cognomi — «nescio a quibus rebus » — per discriminarla
dalle altre Nocere esistenti in Italia. E certamente é nel giusto, in
quanto non v'ha dubbio che la diversa lezione usata da Plinio deve
essere intesa in senso diverso: nel senso, cioè, che (trascuriamo i
Pitulani che. non hanno lasciato eredi sicuramente identificabili)
mentre peri Tifernati egli ha voluto ricordare che ben tre città esi-
stevano, come é storicamente comprovato, dello stesso popolo, e
‘cioè Tifernum Tiberinum, Tifernum Metaurense e Tifernum Hor-
tense, la Nocera era una sola con due cognomi, probabilmente genti-
lizi, ad indicare la riunione di due gruppi della stessa razza in un
centro unico. Fatto nella antichità non- raro. i

Nonostante questo, poiché Favonius chiamavano i Romani il

tépido vento di ponente che a metà febbraio annuncia la primavera —-

lo zéffiro — si è voluto pensare che i Favoniensi avessero la loro sede
a ponente dei Camellari; fossero i Nocerini di ponente. E si è quindi
seriamente affermato che la ubicazione della Nuceria Favoniensis
fosse sulla zona alla sinistra del Topino, di fronte alla attuale frazione

di Ponte Centesimo, ove una-Pieve isolata di istituzione antichis-

(1) FiLippo CLUVIER, Italia Antiqua, Leyda ex Officina Elzeviriana,
1624, pagg. 630-631. :

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56 GIOVANNI DOMINICI

sima ne conserverebbe la memoria nel titolo: Pieve Fanonica. L'o-
dierna stazione ferroviaria sulla Foligno-Ancona ne conserverebbe
il topònimo. x

La sede sarebbe stata sulla collina boscosa e solcata da slavine,
tuttora in movimento, che sorge dietro la stazione ferroviaria di
Pieve Fanonica, e sulla quale é visibilissimo, in una valletta che in-
tercede fra due groppe della collina, up piccolo ponte quasi comple-
tamente interrato, forse tratto terminale di fognatura, costituito
di grossi blocchi di pietra calcarea, tagliati a cuneo nella volta ad
arco pieno, senza traccia di calce, e che al pari del ponte Marmoreo
di Nocera é databile al terzo secolo avanti l'E. V. E la Chiesa, con
l'atributo di Plebs che, documenta l'antichità romana delle prime
collettività cristiane, unico edificio isolato nell'aperta campagna sot-
tostante, sopravviverebbe a documentare l'antica esistenza del cen-
tro abitato scomparso, conservando di questo qualche concio alla
base del muro di prospetto.

Tra i numerosi altri il compianto Mons. Michele Faloci Puli-
gnani (1) l’eruditissimo folignate tanto benemerito della nostra
storia medievale, nella sua pubblicazione « Le memorie dei SS. Apo-
stoli Pietroe Paolo » ha scritto che l’attuale Chiesa di Pieve Fano-
nica dovrebbe chiamarsi Pieve Favonica, perché ivi abitò il popolo
dei Nocerini Favonienses. Ma nemmeno l’argomento toponomastico
è tranquillante. Padre Lugano (2) nel suo studio sulle Chiese della
Città e Diocesi di Foligno nel secolo xt, cita una bolla di Papa In-
nocenzo II del 1138 nella quale, tra le Pievi confermate al Vescovo di
Foligno, é ricordata la Plebs S. Mariae de Fellonica ; e scrive che tra
le LV Chiese elencate nel Sexterium Episcopatus Ful. è compresa la
Ecclesia sanctae Mariae plebis Fenonice.

La indicazione del documento pontificio citato dal P. Lugano ci
autorizza senz'altro a troncare ogni discussione sulla forma del topò-
nimo, che deve essere rettificata in quella vera e corretta di Fullonica.

I Romani chiamavano Fullo -onis il lavandaio, tintore, purgatore
di panni e di stoffe. La relativa specialità artigiana chiamavano F'ul-
lonia e Fullonica Vopificio artigiano, il luogo, ove i panni e le stoffe
venivano lavati, tinti e purgati; opifici cui corrisponde la nostra

(1) FALoci PuLiGNaANI Mgr. MICHELE, [Le memorie dei SS. Apostoli
Pietro e Padlo, Foligno 1894.

(2) Padre Lucano, Delle Chiese della Città e Diocesi di Foligno, in « Bol-
lettino della R. Deputazione di Storia Patria per l'Umbria», volume XII,
anno 1906.

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LA VIA FLAMINIA PER ANCONA, ECC. 57

gualchiera. La nostra lingua ne ha derivato il verbo follare e il so-
stantivo follatura. L'antico italiano aveva anche fullone, con signi-
ficato di tintore e lavatore.

Le fulloniche erano frequenti in moltissime località, in vici-
. nanza, naturalmente, di corsi d’acqua. Qualche fullonica romana è
tornata anche alla luce in occasione di scavi, come ad es. a Verona,
ove sotto l’abside della Chiesa di S. Fermo Maggiore, in prossimità
del fiume Adige al Ponte delle Navi il Da Lisca riconobbe a m. 4,50
dal livello attuale i resti di una fullonica romana, documentata sia
dai ruderi dell’opificio munito di vaschette e canaletti, che da una
lapide in cui figura la scritta STORE lenuarius, ossia tintore di panni
leggeri (1).

Questi antichi opifici, che erano nel tempo stesso tintorie e gual-
chiere, hanno originato i topònimi di parecchi centri abitati d’Italia.
Abbiamo infatti, ad es., il Comune di Follonica in provincia di Gros-
seto, e quello di Felonica in provincia di Mantova che conta anche
una Frazione omonima. Hanno evidentemente la stessa etimologia
il fiume Follone in Provincia di Cosenza, Follon frazione del Comune
di Cogollo del Cengiò in provincia di Vicenza, Follo comune in pro-
vincia di Spezia con frazione omonima, ed ugualmente Follo frazione
del Comune di Mel in provincia di Belluno.

Così deve intendersi che l’attributo della nostra Pieve sia deri-
vato dalla antica esistenza di una fullonica romana ai margini del
Rio di Capodacqua che scorre in quei pressi.

Risulta pertanto dimostrato come la supposta esistenza di una
Nuceria favoniensis, originata dalla affrettata lettura del riferito
passo di Plinio, e localizzata presso l’attuale Pieve Fanonica in
omaggio ad una erronea etimologia che può, invece molto facilmente e
ragionevolmente ricostruirsi, sia puro frutto di fantasia; come d'al-
tra parte deve intendersi dimostrato dalla mancanza assoluta di
qualsiasi menzione letteraria o ricordo. E deve di conseguenza con-
chiudersi che bisogna ritenere per fermo che la Nocera degli Umbri,
situata lungo la Via Flaminia secondo la precisa testimonianza di
Strabone e degli Itinerari, aveva il doppio cognomen di Favoniense
e. di Camellaria col quale ultimo, soltanto, è passata pacificamente
alla storia.

ER, AC a

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M

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(1) Pirro MancoNr, Verona Romana, Istituto Italiano d'Arti Grafiche,
Bergamo, 1937, pagina 54; e lo studio ivi richiamato dell Ing Alessandro Da /
Lisca, S. Fermo Maggiore.
GIOVANNI DOMINICI

La interpretazione dei due cognomi. potrebbe anche essere fatta.
Camellaria dalla fiorente industria dei vasi di legno, ricordata da
Strabone: camella da cam(ar)ella, diminutivo di camera, piccolo vaso;
Favoniense, non. perché esposta allo zéffiro di primavera, ché questo
non è il vento dominante della zona, ma più propriamente dal culto
della dea Favonia o Faunia, la mitologica figlia o sposa del favoloso
re antichissimo Faunus che primo insegnò l’arte di coltivare i campi
ai rudi guerrieri di Roma, poi venerato come il re dell'agricoltura.

Cosi popolo di agricoltori e di artigiani sarebbero stati gli anti-
chissimi abitatori di Nocera.

*okok

Nei dintorni della Nocera moderna tracce di civiltà romana e

‘ preromana non mancano. Non esistono, purtroppo, antichi docu-

menti di archivio né monumenti, perché tutto é andato perduto e
distrutto. E di questo, per quanto si riferisce all'alto medio evo, ab-
biamo testimonianze generiche in moltissime fonti. Tutte le inva-
sioni barbariche portarono nell'Umbria, che era sulla via di Roma,

‘ gli orrori della guerra, le distruzioni, i saccheggi e le stragi. Alarico, re

dei Goti, dopo la conquista di Roma del 410, invase e saccheggiò tutta
l'Italia centrale e meridionale per giungere fino a Cosenza, ove mori.
Il suo successore Ataulfo fece a ritroso la marcia per raggiungere
l'Italia settentrionale, da dove passò nelle. Gallie e in Ispagna. La
guerra gotica, che durò ben 18 anni, dal 535 al 553, si svolse in mas-
sima parte nell'Italia centrale, nella Toscana, sotto il quale nome —
Touskia — lo storico Procopio di Cesarèa (1) comprende tutta la
regione umbra. E fu nelle immediate vicinanze di Nocera, a Tagina,
presso l'odierna Gualdo Tadino, che il loro re Totila, il quale aveva
saccheggiato e distrutto tutti i centri maggiori e minori dell'Umbria,
fu definitivamente battuto dal greco Narsete, andando a morire nel
piccolo castello di Capras, oggi Caprara. Successivamente furono i
Longobardi, calati in Italia col re Alboino nel 568, che dopo occupata
la valle Padana e l'Emilia, si spinsero anche nell'Umbria ove fonda-

(1) Procopio di Cesarea, Guerra Gotica, Libro III, testo critico e tra-
duzione italiana di Domenico CoMPARETTI, Roma, Istituto dei Lincei, 1898,
cap. 28.e segg.

Cfr. ancora circa la località della battaglia che mise fine al Regno dei Goti
in Italia, Plinio PraTESI, Sul vero luogo della battaglia di Gubbio o di Tagina,
anno 552, Torino, Paravia, 1897. |
———

LA VIA FLAMINIA PER ANCONA, ECC. 59

rono il ducato di Spoleto, per giungere anche nell'Italia meridionale
a fondare il Ducato di Benevento. |

E di una lunga permanenza di un popolo barbarico nelle imme-
diate vicinanze di Nocera é rimasto preciso documento nel vasto se-
polcreto del Portone, del quale diremo più avanti.

È vero che la dominazione longobarda, dato che il sepolereto
debba attribuirsi a. questo popolo come sembra propendere il Pari-
beni, non fu delle peggiori. Ma questo va in ogni caso riferito al pe-

. riodo successivo di alcuni decenni al loro primo stabilirsi nelle nostre

terre, dopo, cioè, che essi furono convertiti al Cristianesimo ad opera
principalmente del grande Pontefice S. Gregorio Magno (590-604),
perché quando essi scesero in Italia erano in condizioni di assoluta
barbarie, avidi di saccheggio e di stragi.

Le devastazioni, i saccheggi e gl’incendi operati dai diversi
popoli barbarici, che non risparmiarono le città maggiori fortificate,
si verificarono evidentemente con maggiore intensità a danno dei
centri minori, e specie su quelli che erano posti lungo le grandi strade
di comunicazione per le quali la valanga dei barbari dilagava. Lo
stesso avvenne poi per le incursioni dei Saraceni, che dal litorale di
Roma, ove ormeggiavano le loro navi corsare, si spingevano in rapide
scorrerie fino al cuore della penisola.

Ma più tardi, fecerunt... barbarini quod non fecerunt barbari
e si rinnovarono per la nostra Nocera le distruzioni e gli incendi.

Una prima' gravissima devastazione fu operata nel 1248 ad opera
delle soldatesche di Federico II Imperatore, cui si erano uniti i Ghi-
bellini di Foligno. In questa circostanza andò distrutta la Chiesa di
San Francesco extra muros (1) e anche l’antica Cattedrale romanica
con tutto il prezioso Archivio Capitolare (2).

(1) Circa questa antica Chiesa, cfr.: Giovanni Dominici, La Chiesa di
S. Francesco a Nocera. Verona, S. E. Arena, 1942.

(2) Arnaldo Fortini, nellopera Assisi nel Medio Evo. Roma; 1940,
pag. 204, nota 28, riporta in proposito questo passo della Cronica assisana di
Fra Giovanni Elemosina, dal codice 314 della Biblioteca comunale di Assisi,
Tol; 121:

« Circa illud tempus (1248) Fulginates cum Theutonicis Nuceriam inva-
serunt perditionem faceientes. Qui in arce suprema manebant et dep redantes
et spoliantes civitatem, expulsis civibus eam destruxerunt, sola arce reservata
muris ac turribus circumdata et fortificata. Tunc Nucerina canonicha Eccleia
effecta fuit cubile fornicatorum et stabulum inimicorum, quia Theutonici in
ea stipendiarii in ea comedebant et cum suis concubinis et uxoribus recuba-
bant; et non solum in illa ecclesia, sed eciam plures alie tali irriverentia trac-

37

—_ LA AXE a Midas aci s CIS MBA ed
60 GIOVANNI DOMINICI

Alle rovine prodotte da questo assalto, si aggiunsero quelle cau-
sate dal catastrofico terremoto del 30 aprile-19 maggio 1279 che portò
grandi sconvolgimenti tellurici e la distruzione di molti edifici in
numerose città dell'Umbria e della Marca d'Ancona ricordato nella
Cronaca di Frà Salimbene, cui già abbiamo fatto richiamo nella nota
16 a proposito del cataclisma tellurico attestato dal Lilii e che il
Filippini ha voluto addurre a giustificare la scomparsa completa di
ogni traccia della Via Flaminia per.Ancona nel tratto di discesa dal
pianoro del Passo del Termine.

Altre due successive devastazioni di Nocera ricorda il Sigismon-
di (1). La prima avvenutain sul principio del secolo xv è attestata dal
Notaio di Stravignano di Nocera Pier Antonio Petrelli, il quale in
un atto rogato a Fabriano il 16 novembre 1409 scriveva testualmente:
cum' civitas nucerina fuerit desolata et devastata ac posita in ruina,
propter cuius desolationem et ruinam quasi omnis contractus et instru-
menta perdita et omisse fuerint, ideo etc. . .; l'altra nel 1501 ad opera dei
fuorusciti di Perugia, come è attestato fra l’altro dalle memorie del
cittadino di Nocera Eliseo Albrici, conservate in un codice dell'àr-
.chivio del Seminario di Foligno.

Annota il Sigismondi che si spiega cosi perché gli Archivi di

tabantur. Plurimi vero Nucerini captivi Fulgineum deducti diu incarcerati
squalore carceris taluerunt. Omnia haec ab illis audivimus, qui passi sunt el
interfuerunt ».

Cfr. sullo stesso fatto BoLLAND, Acta Sanctorum, sub IX februarii, pag. 373
del Tomo II, capp. 7 e 8; ed ancora JACOBILLI, l. c. pagg. 15 della ristampa
Amoni. i 7

La Cronaca di Maestro Bonaventura di Benvenuto, in « Fragmenta Fulgi-
natis Historiae», a cura di Mgr. M. FALOCI PULIGNANI,inserta nel tomo XXVI,

p.11 di «Rerum Italicarum Scriptores, nuova edizione Zanichelli Bologna, .

porta « Fuit devastatum Nucerium ». E il FALOCI, avvertendo in nota 1 alla pa-
gina 12 che fonte sono le Cronache di Foligno dello Jacobilli, ms. conservato
nell'Archivio di quel Seminario, afferma che la devastazione di Nocera, fu poi
circondata di leggende e di esagerazioni. Evidentemente, però, di fronte alle
esplicite dichiarazioni di Frà Giovanni e di tutte le altre fonti, è lecito pensare
che il Faloci abbia voluto per carità di patria scagionare della grave responsa-
bilità per la nefanda impresa i Folignati, che istigarono e accompagnarono gli
Imperiali nell’attacco di Nocera. Su questo cfr. ancora CASTELLUCCI ANTONIO,
La Cattedrale di Nocera Umbra, in Archivio per la storia ecclesiastica dell’ Um-
bria, Vol. III, Foligno, 1916, pagg. 116-118.

(1) SicisMmonpI Gino, Priore del Capitolo della Cattedrale di Nocera,
Le Diocesi di Nocera U. nel primo millennio : opera in corso di pubblicazione che
ci auguriamo venga presto alla luce.

pre LA VIA FLAMINIA PER ANCONA, ECC. 61

Nocera non conservano documenti anteriori al secolo xv, eccettuate
alcune pergamene che furono nei tempi successivi adoperate a ser-

vire da copertina ai protocolli notarili, e agli atti del Consiglio Co-
munale.

La comprovata mancanza di antiche memorie rende così ben

laboriosa l'indagine per rintracciare il sito dell'antica Nocera. Ma
d'altra parte per l’orientamento delle ricerche ci resta un dato im-
‘portante: circa l'Era Volgare, la Nuceria Camellaria era- situata sulla
via Flaminia. La precisazione è del geografo Strabone, cui più volte
abbiamo già fatto riferimento. Strabone, nel capo II, libro V della
sua Geografia, descrive sommariamente l'Umbria, quale egli la vide
risalendo la Flaminia originaria.

Egli dice testualmente: Vi sonò città mÓ^ew, al di qua dei monti
Appennini degne di nota sülla stessa Via Flaminia: xac'avthv uév ziv
Diapiviay odòv (xoc& usato con l'accusativo sta per indicare il luogo
sul quale o per il quale o nel quale si muove, si trova checchesia, di- A
cono i lessici; e il Müller traduce « In Flaminia Via») quali Ocricoli
presso il Tevere...Narni... Carsoli e Bevagna e altri paesi xacoria
(il Miiller traduce « Soria ») conosciuti più in dipendenza della
strada che per la loro importanz a: Foro Flaminio, e Nocera... e Foro
Sempronio.

Sulla destra della ‘strada, muovendo da Ocricoli verso Rimini, è
Terni e Spoleto... dall'altra parte è Amelia e Todi città bene munita,
e Gubbio.

La ubicazione dei diversi centri ricordati è, come si vede, a fatta S E
con tanta precisa esattezza da non consentire alcun dubbio che No- ; iJ
cera non fosse situata sulla Via Flaminia al pari delle consorelle
nominate nel primo gruppo, e per le quali puó tuttora identificarsi
il tracciato della Flaminia nell'interno dell'abitato. È quindi unica-
mente e soltanto lungo il percorso antico della Via Flaminia, perfet- .
tamente identificabile, che possono effettuarsi le indagini per rin-
tracciare il sito della Nuceria Camellaria, seguendo naturalmente le
vestigia della civiltà romana o preromana affiorate in tempi diversi.

Le località vicine alla odierna Nocera nelle quali queste vestigia
sono venute alla luce sono diverse; ma di tutte la più importante è
quella del Portone, prossima alla Via Flaminia, unica in tutto il
territorio nocerino che sia stata sottoposta ad esplorazione sistema-
tica, e dalla quale negli anni 1897 e 1898 vennero alla luce reperti
archeologici di notevolissima importanza.

La località è posta sulla spianata del contrafforte più prossimo

x
——À PERE. La

62 GIOVANNI DOMINICI

al monte Castellano, il quale fronteggia l'odierna città di Nocera in
direzione nord-ovest, a poco meno di un chilometro dalla Porta Nuova
di Nocera verso Gualdo Tadino,:e quasi allo stesso livello della parte
più alta della città. | !

E limitata a nord e a sud da due vie campestri carrabili, dette
rispettivamente dele Moglie e di Largnano. Sù questa spianata nel-
l'anno 1897, eseguendosi delle fosse per mettere il terreno a coltura’
viticola, vennero casualmente scoperte delle tombe barbariche.

I proprietari del tempo, signori Blasi, denunciarono la importante
scoperta al Ministero della P.I., il quale, dopo alcuni saggi che ven-
nero eseguiti nel settembre dello stesso anno, dispose opportuna-
mente per la esecuzione di ricerche sistematiche, le quali vennero
compiute nel successivo anno 1898 sotto l'appassionata e competen-
tissima direzione del compianto Angelo Pasqui, l'archeologo insigne
immaturamente rapito alla scienza italiana nel 1915, il quale con rigo-
roso criterio scientifico estese l'indagine a tutta la località.

. Le risultanze delle ricerche vennero pubblicate soltanto postume,
nel 1918, in un grosso fascicolo riccamente illustrato nel volume X XV?
dei Monumenti Antichi della Accademia dei Lincei, con la presen-
tazione e un riepilogo di quell'alto Maestro della scienza archeologica
italiana che é Roberto Paribeni. Non é ozioso notare, per incidente,
che tutto il molto cospicuo e prezioso materiale rinvenuto venne depo-
sitato nel Museo Nazionale Romano. Nulla del materiale é rimasto a
Nocera; non una fotografia, non il dono di almeno una copia del reso-
conto del Pasqui; e nemmeno la memoria !

E opportuno quindi che ne parliamo diffusamente.

Gli scavi portarono al rinvenimento di un grande sepolcreto bar-
‘barico costituito di ben 165 tombe con ricchissima suppellettile ma-
schile e muliebre. Oggetti d'uso e ornamentali di ferro, di bronzo,
d'argento e d'oro, di alto valore intrinseco e artistico; armi, come pu-
.gnali e spade, con la impugnatura ricoperta di lamine d'oro; collane,
monili preziosi, vasi in terracotta e anche in argento; e, interessan-
tissima, una Pisside in avorio, frammentaria, che reca scolpita,
insieme alle note rappresentazioni bibliche della condanna di Da-
niele nella fossa dei leoni e del sacrificio di Abramo, la Mensa Euca-
ristica con a lato il Diacono e due assistenti. Si tratta, scrive il Pa-
squi, di una scatoletta cilindrica evidente opera bizantina, le cui pa-
reti furono fatte con un solo pezzo d'avorio, vuotato col tornio. Il
fondo era stato unito alle pareti con grappe di argento inchiodate.
Il prezioso cofanetto, destinato a conservare il Pane Eucaristico può
LA VIA FLAMINIA PER ANCONA, ECC. 63

pensarsi anche di provenienza furtiva. Ma a testimoniare le fede

cristiana professata da quei barbari stanno più che una trentina di.

croci equilatere, generalmente d’oro, rinvenute in molte tombe ma-
schili e femminili presso la spalla destra dei cadaveri. -

Ritagliate, in massima parte, in una làmina di oro liscia, e qual-
cuna anche sbalzata, hànno queste croci una larghezza che va da
mm. 38 a mm. 61, e portano tutte dei fori agli angoli, a comprovare
che esse erano cucite sul mantello, come era costume. I proprietari
delle croci erano dunque Cristiani, apertamente professanti la loro fede.

Le tombe avevano indistintamente una forma rettangolare, e
in esse 1 cadaveri erano stati invariabilmente deposti supini, con i
piedi rivolti ad oriente, e per lo piü con le mani posate sul ventre.

L'inumazione risultava essere avvenuta entro casse di legno, di
cui le tracce apparvero in tutti i rinvenimenti insieme alle staffe. di
ferro e ai lunghi chiodi che servirono per rinforzare le testate della
cassa. Degno di nota che non si rinvenne il minimo indizio di calza-
ture e di copricapi.

Il numero notevole delle tombe scoperte comprova una perma-
nenza abbastanza lunga in quelia località del popolo barbarico cui
appartengono i cadaveri. Popolo che fosse quello dei Goti, il cui re-
gno va dal 493 al 552, pensa il Pasqui, ricordando che i Goti, sotto
il regno di Teodorico avevano occupato e colonizzato l'Italia, e che
é noto come essi si fermarono in tutti i punti fortificati del Piceno e
dell'Umbria. Una delle loro prime occupazioni al di qua dell appen-
nino umbro dice il Pasqui, deve essere stata quella del territorio noce-
rino e della medesima Nocera, avuto riguardo alla sua importanza
strategica. Da qui era facile assicurarsi la via alle fertili contrade della
bassa Umbria fino all'alia Rocca di Spoleto.

Ma il Paribeni, riassumendo in limpidissima sintesi la cioe
del Pasqui, pensa che «nessun argomento definitivo, ma molti ar-
gomenti di convenienza » farebbero ritenere che il sepolereto di Nocera
debba piuttosto attribuirsi ‘ai primi tempi dei Longobardi, i quali,
come è noto, scesero in Italia nell'anno 568 e dilagarono subito nel-
l'Emilia e nella Toscana, spingensosi ad occupare l'Umbria e il Be-
'neventano, e vi mantennero il loro dominio fino all'anno 774, nel
quale Carlomagno, chiamato in Italia dal Papa Adriano, pose fine al
loro regno.

Il pensiero del Paribeni. é condiviso da altri studiosi, dui i quali il
Salmi che sulla necropoli barbarica di Nocera Umbra ha pubblicato un
notevole articolo in « Rassegna d'Arte», nel 1921; ed ha naturalmente

TUGEUAL CO OUE le

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£ mne arc ES um pompe

^64 GIOVANNI DOMINICI

il peso di tutta la sua indiscussa autorità in materia; e quindi non
sì può che sottoscriverlo.

Sarebbe, peraltro, da osservare che é un po' arduo attribuire il
sepolcreto, cosi ricco di emblemi attestanti la fede cristiana aper-
tamente professata, ai Longobardi dei primi tempi, (oltre le croci
d'oro furono rinvenute anche croci di bronzo ad attestare che la con-
versione non si era limitata ai soli notabili), quando é noto che i
Longobardi scesero in Italia selvaggi e che solo piü tardi furono con-
vertiti al Cristianesimo da S. Gregorio Magno, che fu Papa dal 590
al 604. :

Ma se il sepolcreto barbarico costituì la sonno più OT e

più cospicua, diceil Pasqui, non fu però il solo indizio di vita umana in
questa zona. Apparvero invece, con la completa esplorazione del luogo,
tombe e resti di una abitazione rustica di età romana, un piccolo gruppo
di tombe della prima età del ferro e indizi numerosi di vita: intensa
nell'età litica.
. La notizia di questi rinvenimenti ba indotto taluni ad affer-
mare che nella località del Portone fosse il sito dell'antica Nocera.
L'affermazione peraltro risulta in assoluto contrasto con quanto il
Pasqui precisa nella sua relazione, la quale evidentemente é stata
letta in modo troppo disattento e superficiale.

Riferisce dunque il Pasqui che dai numerosi avanzi dell'età più
antica rinvenuti nella parte più alta della zona, si trae /a prova irre-
futabile che ivi era la sede di un popolo che risale all'ultimo periodo li-

tico e che pel carattere dei suoi manufatti non può confondersi con sede-

di popolo posteriore... Il piccolo villaggio del periodo neolitico era di-
feso, e costituito di misere capanne posate sopra la terra, in quanto nel
sottostrato corrispondente al terreno vergine egli non trovò tracce di
buchi o di focolai. Nessuna traccia di abitazioni, egli aggiunge, venne
rinvenuta del periodo italico, del quale periodo si trovarono alcune
tombe nella parte più alta della zona. « Il centro abitato », egli con-
tinua. «doveva pertanto trovarsi altrove ». &

Dalla povera suppellettile di alcune tombe e dagli avanzi dis-
seminati in tutta la, zona riferibili all'età romana, il Pasqui trae la
conchiusione che evidentemente su quella spianata nei tempi dell' Im-
pero esisteva una abitazione rustica sede di villici che tenevano a coltura
quelle terre; abitazione che andó distrutta con tutte le masserizie e
con abbondantissimi strami in un incendio, precedentemente allo
stabilirsi del cimitero barbarico, in quanto i materiali di essa furono
adoperati per la colmatura delle fosse. ;

l— —

Ax "% T 7, . - a (

LA VIA FLAMINIA PER ANCONA, ECC. 65

Contro le leggere affermazioni ricordate piü sopra deve pertanto
escludersi nel modo piü assoluto che su quella zona sia mai esistita
la Nocera romana. La esplorazione totalitaria del Pasqui, condotta
con rigoroso metodo’ scientifico, ne avrebbe certamente rinvenuti i
cospicui avanzi. E questo esattamente collima con la testimonianza
di Strabone, il quale, come abbiamo veduto, afferma che Nocera si
trovava lungo la stessa Via Flaminia, come Narni, Bevagna, Foro
Flaminio e Fossombrone. La località esplorata dal Pasqui si trova

sulla sinistra della Via Flaminia, in posizione sopraelevata e a circa

trecento metri di distanza da essa.

Diamo quindi tranquillamente atto che la località del Portone
fu già sede antichissima di un villaggio neolitico; poi terreno colti-
vato da pacifici agricoltori che vi ebbero una abitazione rustica del-
l'età imperiale; e successivamente necrópoli di un popolo barbarico
che dimoró lungamente accampato sul contiguo Monte Castellano,
come afferma il Paribeni, a far buona guardia in quell'importantis-

"simo punto strategico. Null'altro.

‘La sede dell'antichissima Nocera Camellaria va quindi ricercata
altrove, lungo la Via Flaminia, ma sempre fuori della sede attuale
che pure per trovarsi a breve distanza dalla dimora accertata di un
piccolo popolo ,neolitico, non-offrirebbe gravi difficoltà alla ipotesi

«di un successivo spostamento in epoca posteriore, o comunque di

riunione ad un altro nucleo contiguo di popolo della stessa razza.
Del resto l'affermazione che io vado ripetendo, che cioè l'antica
Nocera non fosse localizzata sulla collina della Nocera moderna,
non è cosa nuovissima. Anche i nostri antichi ne ebbero il dubbio.
Già ho accennato come facendosi eco, evidentemente, di vecchie
e confuse tradizioni locali, gli Umanisti umbri hanno ripetutamente
espresso l’idea che, pur avendo a centro l’aspro colle sul quale è la
moderna Nocera, la Nocera romana si estendesse per larghissimo
raggio sulle collinette e nelle piccole valli sottostanti, in direzione
di levante e di ponente, come una metròpoli immensa, per compren-
dere nella cerchia delle sue mura tutti i luoghi nei quali si dicevano
rinvenuti od erano anche allora visibili avanzi della romanità.
Ludovico Jacobilli, il grande erudito folignate già più volte ci-
tato, che ci ha lasciato notevoli pubblicazioni di carattere storico e

agiografico nonché la trascrizione fedelissima di una infinità di au- .
tentici documenti preziosi, pur accogliendo senza alcun vaglio cri-.

tico le tradizioni più malsicure e i racconti più favolosi che circola-
vano al suo tempo, onde, forse non troppo a torto, gli venne dai
66 à GIOVANNI DOMINICI

Bollandisti attribuito l'epiteto di fumosa fax, ripete le asserzioni di
precedenti scrittori (che egli peraltro, a sgravio di responsabilità,
cita nelle note marginali della sua storia) i quali attribuendo passi di
autori latini riguardanti la Nocera dei Campani alla Nuceria Co-
mellaria, assegnarono. a questa una importanza molto notevole, ed .
affermarono che la nostra Nocera /si estendesse largamente nella
campagna a levante della odierna città, tra il'Colle di S. Felicissimo
e la contrada del Palazzo. :

In questa sarebbe stato il Palazzo municipale, di cui l'eco sa-
rebbe conservato nel topónimo; su quello il tempio di Giano, il cui
nome lo Jacobilli vede perpetuato nella desinenza aggettivale ita-
lica di moltissimi topónimi locali; quali: Pulcano, Campagnano, Mo-
sciano, Stravignano, Postignano, Largnano, ecc. ecc. E a riprova.
egli riferisce che di Iano si trova un frammento di antichissima iscri-
zione in pietra, inserto nel muro d'angolo della Chiesa, ora diruta,
di San Felicissimo, fuori di Nocera, che dice IANI. I. VAE. N. HADR.
le quali lettere, egli afferma, vanno così distese: IANI IUNIORIS. FILIUS.
VAELIAE. NEPOS. HADRIANUS. Nei pressi della Chiesetta, oggi ri-
dotta a poveri ruderi, si sarebbero rinvenute alcune statue di bronzo
dorate ed altri vestigi di antichità.

Alla stregua di queste affermazioni, e per la esistenza di al-
cune grosse pietre, evidentemente romane, alla base del muro esterno
fiancheggiante la sottoposta stradicciuola campestre, si è voluto af-
fermare che la Chiesina sia stata costruita sulle fondazioni di un pree-
sistente tempietto pagano, e trarne quindi la naturale illazione che
nella zona circostante fosse il sito della Nocera romana.

Ma il presupposto è infondato. Dalla ispezione alle mura ca-

denti della ex Chiesina, che le memorie scritte e la tradizione locale

sempre viva dicono dedicata a San Felicissimo sul luogo stesso nel
quale Egli si era ritirato in romitaggio ed ove fu sepolto, non risulta
che si tratti di costruzione elevata sulle fondazioni di un edificio pree-
sistente. Questo è chiaramente da escludere per il muro frontale,
per quello laterale di sinistra, a monte, e soprattutto per l’abside.
Si tratta di un piccolo edificio di forma rettangolare, di metri 7 di
fronte e di metri 18,50 di lato, misurati all’esterno. Le mura perime-
trali hanno uno spessore di poco superiore ad un metro, e sono intie-
ramente costruite nella pietra rossa locale, proveniente dalle vicine
cavé del monte indicato nelle carte col nome di Costa di Picchio.
Solo nel muro laterale di destra, che fiancheggia la sottostante stra-
dicciuola campestre, si nota largo impiego di vecchie pietre di ricu-
ni di AI FI RL | CADE @
LA VIA FLAMINIA PER ANCONA, ECC. 67

pero, di non dubbia impronta romana, e questo maggiormente sul-.

l’angolo di destra del muro frontale.
.. Altri massi della stessa natura risultano sovrapposti a secco per
sorreggere il terreno scosceso e costituire il piazzaletto di accesso alla

Chiesa; altri ancora sono naturalmente interrati nella sede stradale

sottostante.
L’interno è ad una sola navata che misura nove metri di lunghezza;

due pilastri in muratura, a sezione quadrata di un metro di lato, se-

parano l’aula dall’abside che ha una lunghezza di circa sei metri e
contiene l’unico altare isolato. La costruzione appare -ispirata. alla
prima arte romanica, e difatti lo Jacobilli afferma che essa sorse
l'anno 1160 ad opera del Vescovo Anselmo degli Atti, lo stesso (ans) EL-
MUS FULGINENSIS NUCER ECCLESIE EPS che nel 1201 fece costruire il
braccio della Cattedrale di Foligno verso la piazza grande, come ri-

corda l'epigrafe tuttora esistente sopra la porta minore della Basilica
.di S. Feliciano.

Ma la data deve essere posticipata, in quanto pare certo che

‘Anselmo assunse anche la Diocesi nocerina nel 1170, e la tenne

Ugo fino al 1190, in cui cedette il Vescovado di Nocera al suo
parente dei Trinci (1). Ad ogni modo la Basilica Sancti Felicis-

simi aveva già nel 1174 il suo Rettore, in quanto in un istrumento

del Tabulario di Sassovivo rogato da un Notarius Ofredutius il 17
giugno 1174 risulta. consenziente il Presbiter Benencasa Ecclesiae

Sancli Felicissimi insieme al Priore Raniero della Cattedrale di'

Nocera. 2"
L'istrumento, già ricordato dallo Jacobilli, é riportato da Mons.

‘ Pio Cenci, in appendice al suo molto interessante studio su « San Fe-

licissimo di Nocera Umbra » (2) nel quale é pubblicata la legenda
del Santo, che gli Statuti del 1371 ricordano come Protettore di No-
cera insieme al Santo Vescovo Rinaldo, e sono contenute molte noti-
zie relative al suo culto e alla sua Chiesa. Donata nel 1257 alle Mo-
nache di S. Maria di Valfredo, come abbiamo detto piü avanti, fu
restaurata e adornata nell’interno quando il 15 luglio 1618, essendo
Vescovo Filippo Florenzi (1605-1644), si credette di aver rinvenuto

(1) Cfr. Il ponderoso studio dello stesso Prof. SiGIsMoNDI Cronotassi dei

. Vescovi della Diocesi di Nocera nel numero unico pubblicato il 22 febbraio 1940
. per lingresso solenne del Vescovo Mons. Domenico Ettorre.

(2) Su San Felicissimo e la sua Chiesa cfr. Sac. Pio CENCI, San Felicissimo
di Nocera Umbra. Leggenda e memorie del suo culto. Roma, Desclèe Lefebvre e

.C., 1906.

nia

del

Ta

|

pO


68 GIOVANNI DOMINICI E

il Corpo del Santo, e il suo culto rifiori grandemente. Ma poi, non
avendo le Autorità ecclesiastiche sanzionato il riconoscimento delle
ossa, che per essere state rinvenute entro una cassa di tegoloni con
la copertura alla cappuccina dovevano invece riferirsi alla età romana
o protocristiana, il culto decrebbe e la Chiesina inizió la decadenza
che doveva condurre al suo completo disfacimento.

Già verso la fine del secolo xvin era in istato di abbandono.
Il verbale di visita 3 maggio 1772 (1) del Vescovo Massaioli afferma
che l'umidità aveva corroso l'affresco raffigurante il Santo e rese ver-
dognole le pareti.del tempio, il tetto pericolante, coperti di erbe e di
vepri i muri esterni. Dopo la soppressione del Monastero di S. Chiara,
avvenuto nel 1866, l'abbandono fu completo e la Chiesetta andó in
rovina. .

Anche il Cenci é d'avviso che la piecola Chiesa non sia sorta sulle
rovine di un preesistente tempio pagano. Infatti dopo aver riferito -
del frammento di lapide in essa rinvenuto, pur letto secondo la errata
interpretazione dello Jacobilli, egli aggiunge:

« Peró l'invenzione di questa iscrizione non puó servire a provare
che realmente il tempio di Giano sorgesse sulla stessa area dove
fu poi costruito il tempietto cristiano. È noto come nell'alto Medio
Evo per materiale costruttivo si adoperassero lapidi e sculture
togliendole da vecchie costruzioni pagane andate in disuso. Quindi
potremo dir solo che il tempio di Giano doveva trovarsi in quei
dintorni ».

Evidentemente le pietre romane impiegate nella costruzione P.
provengono da un edificio o monumento che un tempo esisteva lungo
la. Via Flaminia la quale scorre, come in antico, poco piü in alto, a
circa cento metri a monte dal luogo ove molti secoli più tardi venne
edificata la Chiesetta. |

A questa induzione si giunge cinereus dall'esame del
frammento epigrafico riferito dallo Jacobilli.

‘Ha scritto il Bormann, nella didascalia al tit. 5661 del C.LL., (2)
che si tratta di un frammento di tavola di buona pietra calcarea, E
alto m. 0,365, largo 0,25, dello spessore di 0,125 a sinistra e 0,112 a ;
destra. Lo Schmidt lo vide inserto di traverso, in alto, nell'angolo di
destra, entrando, della ex Chiesa; e il Bormann afferma di aver ve-
duto il vuoto rimasto nel muro in seguito alla esportazione della

(1) Archivio Vescovile di Nocera. « Atti delle sacre visite diocesane ».
(2) «Corpus Inscriptionum Latinarum», Vol. XI, p. p., fasc. I, pag. 822.
LA VIA FLAMINIA PER ANCONA, ECC. 69

pietra; vuoto che rimane tuttora. Eccone il testo da lui ricostruito,
nel quale sono riportate in carattere minuscolo le lettere mancanti:

imp. caes. divi.
tra I^ NI. par
thici. FIL. divi
nerVAE.N. traia
no. HADRI ano
aug.

Quanto riferisce il Bormann sulla fede dello Schmidt risulta piena-
mente esatto dal confronto col frammento, perché il troncone di epi-
grafe, già ritenuto disperso, è invece conservato nel Museo di Nocera.

. Si tratterebbe così, secondo il Bormann che riporta in dativo il

nome dell'Imperatore Adriano, di una epigrafe dedicatoria. Senonché

il confronto di questa iscrizione frammentaria con un'altra iscrizione
pervenutaci integra e riportata al n. 6619 dello stesso C.I.L. (1) ci
permette di stabilire con esattezza, che io non esito a qualificare as-
soluta, la natura del frammento.

Il titolo 6619 è descritto come una base calcarea larga m. 0,74,
alta 1,48, dello spessore, dissero i nativi al Bormann, di circa 0,60.
Inserta sulla destra della Porta Nuova di Massa Martana presso Todi,
l'antico Vicus Martis, sarebbe stata rinvenuta in contrada S. Gia-
como a circa due chilometri dal paese, alla base di un muricciuolo
costituente la rinnovata costruzione della Via Flaminia.

Essa ricorda che l'Imperatore” Adriano, nell’anno 124 d. C.
(Tribun. potest. VIII) rinnovò la pavimentazione della Via Flaminia.

Ecco il testo della epigrafe:

IMP: CAGES ARR
D EVI. TREASI
NL. PAGUTHIGE::SE.
DIWI.: NERVARE,Y:N.
TRAIANUS.';HADSR.
\ AGN:U S'è AGU GE WPIONN UE.
MASX.STRIB. POTSjWLLI
GO S; LLLI. PARIOSQOSS SVG
AM. PROLAPSAM.
N'O:Vi Ai... SUB S T.RHUSG..
REST:

p dy-G D. Io. c, pag. 997.
gn PN E um Me Em

70 7 ; DOMINICI GIOVANNI

Le prime cinque righe ripetono esattamente le righe corrispondenti
del nostro frammento. Unica variante che il Bormann nello scrivere
le lettere mancanti ha ritenuto usare il dativo invece del nominativo,
e scrivere Traiano e Hadriano in luogo di Traianus e di Hadrianus,
supponendola una epigrafe dedicatoria.

È notissimo che l’imperatore Adriano (117- 138 d. C.) curò som-
mamente le opere pubbliche del suo vastissimo Impero, tanto: che
dal 119 al 132 fu sempre in viaggio per conoscere de visu e provvedere
personalmente ai bisogni delle varie Provincie. Restaurò la Via Cas-

sia spingendola da Chiusi a Firenze, e restauró le altre Viae publicae
Populi Romani, tra le quali anche la Flaminia come ci documenta

l'epigrafe di Massa Martana; e certamente non soltanto in quel tratto.

Ora poiché la Flaminia, proseguendo da Nocera verso: Gualdo,
passava come passa tuttora, un centinaio di metri sopra il luogo ove
poi venne costruita la piccola Chiesa di San Felicissimo, non è azzar-
dato pensare che anche in quel tratto della Flaminia, alla base della
molto ripida salita di Picchio e perciò soggetta a periodiche devasta-
zioni per il rapido defluire delle acque meteoriche, siano stati ese-
guiti importanti lavori di restauro ordinati dall'Imperatore Adriano,
e che a ricordo sia stato ivi eretto un monumento celebrante il suo
nome, come fu fatto. a Massa Martana, e certo anche altrove.

Dalle rovine di questo monumento, di cui i Cristiani dei succes-
sivi secoli affrettarono certamente la caduta, memori delle terribili
persecuzioni ordinate da Adriano contro i loro padri, vennero più
tardi recuperati i marmi per la costruzione della Chiesetta, di cui i
ruderi mostrano evidentissima una frammentarietà di costruzione
ad attestare l’uso di elementi di ricupero.

La completa demolizione del rudero, che sarebbe necessaria per
la sicurezza del transito nella sottostante stradicciuola campestre,
potrà certamente convalidare quanto io vado affermando. Ad ogni
modo anche il solo troncone di epigrafe ivi rinvenuto basta ad esclu-
dere l’idea di Giano e del suo tempio, di cui peraltro la ex Chiesetta
absidata non ripoduce ‘affatto la pianta. Comunque la zona è così
frastagliata di fossi e collinette, da escludere che ivi potesse essere
il sito di un centro di qualche importanza come la Civitas Noceria

ricordata dall’ Itinerario Burdigalense.

Ugualmente, elementi negativi stanno in Content. della località
Il Palazzo, che è situata oltre un chilometro più a levante da quello
che bisogna necessariamente ritenere il tracciato originario della
Via Flaminia. Questa, oltrepassata . la località Le Spogne; ove esi-
LA VIA FLAMINIA PER ANCONA, ECC. aou T

stono tuttora potenti tratti di un ciclopico muro di sostegno, e per-
venuta, oltrepassando le località Cartiera e Le Case, all'altezza del
colle sul quale é posta l'odierna città di Nocera, proseguiva quasi a
rettifilo in direzione nord per seguire quella che é ora la strada della
Valle, e continuare quindi attraverso l'attuale Porta Garibaldi e la
| Maestà di Picchio alla volta di Gualdo Tadino.

Sulla destra, infatti, dell’attuale strada della Valle in iti
dell’abitato di Nocera, esisteva una vecchia Chiesa trasformata sol-
tanto pochi anni a questa parte in casa di civile abitazione; ma pur
conservate nel muro perimetrale posteriore la forma absidale origi-
naria, che nei documenti medievali è chiamata Sancta Maria in Via
Flaminia. E anche lo Jacobilli nél 1653 scriveva: Fuori di Nocera,
nella strada Flaminia è la Chiesa di S. Maria della Valle, fondata in
un campo del Monastero di S. Chiara di Nocera; anche questo esat-
tissimo, perché il terreno circostante è di proprietà della Opera Pia
Istituto Scolastico, fondata col patrimonio dell’ex Monastero di San-
ta Chiara, soppresso con le leggi del 1866.

D'altra parte, la ispezione della zona dimostra come non fosse
tecnicamente possibile che la Flaminia avesse un tracciato diverso.

Nella zona del Palazzo, ed esattamente sul vertice di una colli-
netta ove sorgono presentemente le abitazioni rurali dei coltivatori
dei fondi omonimi di proprietà Smacchi e Robertson, si scorgono
affioranti muri di fondazione di fabbricati, non riferibili anterior-
mente all’età medievale. Nel terreno sottostante, si rinvennero un
tronco di piccola colonna, ora nel giardino Robertson di Nocera, un
grande capitello e una base di colonna che sono tuttora sul posto,
presso le abitazioni predette. La tradizione viva afferma che ivi esi-
. stesse il palazzo del Municipio romano, donde il topònimo. Ma il ca-
pitello, che è il reperto più considerevole, è indiscutibilmente roma-
mico. Esso è di rozza fattura, tanto che dovrebbe attribuirsi alla prima
età romanica, e cioè al principio del secondo millennio dell’Era nostra,
ove non dovesse la sua evidente arcaicità piuttosto attribuirsi all’arte
primitiva del lapicida provinciale, e quindi essere di epoca più tarda.
Nella parte superiore, misura m. 0,75 per 0,65; ed ha l’altezza di 0,50.
La base di colonna, evidentemente ionica, ha un’altezza di m. 0,22
e il disco maggiore del diametro di m. 0,62; ma anch'esso non presenta
carattere di romanità. Da dove provengono, anzi, a che cosa si rife-
riscono questi avanzi? Sul loro rinvenimento in loco non pare possa
essere dubbio, in quanto il proprietario del fondo afferma di averli
personalmente scavati con l'aratro nella circostanza di lavori agri-
| ficio religioso — Chiesa o Monastero o Ospedale — sorgente nella loca-

E che il capitello in questione abbia effettivamente appartenuto ad

‘Avanzo forse di una demolita costruzione monumentale della città

72 i GIOVANNI DOMINICI

coli nel campo sottostante. Che possano aver appartenuto ad un edi-

lità è da escluedre, perché nessun documento comprova e nessuna
tradizione afferma che lì o nella zona sia mai esistito un edificio del
genere. 3 i

D'altra parte il topònimo di Palazzo, vivo da secoli, avvalora ‘
la tradizione che ivi sorgesse un Palazzo, almeno nell’epoca medievale.

un edificio, e che cioè non provenga dall’officina di un lapicida, risulta
molto chiaramente dal foro centrale e dalle profonde scanalature
della testata, destinate a contenere il ferro e il piombo che un tempo
lo collegarono alle soprastanti pietre dell’architrave.

Per riferire l'appartenenza del capitello al Palatium della tra-
dizione, come taluno ha pensato, bisognerebbe poter immaginare
che esso facesse parte della decorazione esterna di un edificio signo-
rile, imitante il prospetto del Palazzo di Re Teodorico a Ravenna,
di cui la linea esterna ci è conservata dal noto mosaico nella Chiesa di
S. Apollinare, portante sul frontone la scritta Palatium, e il fronte
sorretto da quattro colonne, tra le quali si aprivano le porte di accesso
alla Reggia. Ma il nostro capitello é di vari secoli posteriore all'epoca
longobarda; e quindi pur ammettendo, in omaggio al topónimo, la
esistenza in quel luogo di un palazzo in una qualche epoca del medio
evo, bisogna ritenere che il capitello sia stato portato in quei pressi a
qualche uso o scopo ornamentale da una qualche località contigua. 1

di Nocera. È

Comunque, la mancanza di ogni altro elemento di giudizio non
autorizza a formulare altre ipotesi, e il mistero rimane. |

Ma qualunque dovesse esserne la soluzione vera, resta intanto da
escludere in modo assoluto che si tratti di un frammento dell'epoca
romana e che quindi possa formularsi il dubbio che ivi fosse il sito
dell’antica Nocera, il che, d'altra parte, è già confermato dal fatto
che la località si trova ben lontana dalla Via Flaminia.

Ovunque, altrove, nel vasto territorio nocerino le lavorazioni
agricole approfondite dagli attrezzi moderni hanno portato e portano
alla luce avanzi della romanità: i caratteristici tegoloni di laterizio
di cui erano costituite le tombe pagane e protocristiane fino al terzo
secolo dell'Era nostra: povere suppellettili funebri, generalmente
rappresentate da semplici lucerne fittili; da qualche. moneta e. da
modesti anelli anulari in bronzo. Tutto questo vale a testimoniare
u . n e s A TC A "Me a ( URRA { jx iu SER È a di Ri

LA VIA FLAMINIA PER ANCONA, ECC. 73

che nell'epoca di Roma le campagne. di Nocera erano largamente
abitate da famiglie rurali addette alla lavorazione dei campi. Ed in-
fatti i rinvenimenti si riferiscono generalmente a tombe isolate o
disposte a piccoli gruppi; mai un sepolcreto notevole, a documentare
che nelle vicinanze abbia potuto esistere un contro abitato di qual-
che importanza.

D'altra parte, però, né le memorie letterarie né la tradizione lo-
cale ricordano rinvenimenti d'iscrizioni o di reperti riferibili ad edi-
fici pubblici. Le iscrizioni riportate dalla Jacobilli nella sua storia
come esistenti in Nocera o ad essa pertinenti sono giudicate dal Bor-
mann falsae vel alienae, in quanto derivanti da vere e proprie falsifi-
cazioni eseguite nei primi secoli dell'Era moderna, o riferentesi alla
Nocera della Campania, e ad altri paesi, erroneamente lette e talvolta
addirittura confraffatte a presunta documentazione di idee bizzarre
germinate nella mente di qualche erudito e contrastanti con la co- |
mune tradizione. È

Un esempio tipico di questo si può leggere in una lettera del-
l'Abate Gianfrancesco Lancellotti. a Mons. Pompeo Compagnoni,
Vescovo di Osimo e di Cingoli, riportata dal Colucci: nel tomo XI .
della sua nota opera delle antichità picene. In questa lettera il Lan-
cellotti afferma di aver rinvenuto una epigrafe la quale proverebbe,
nientemeno, che la Nuceria Camellaria era a sette miglia da Pitulo,
oggi Piticchio, presso Roccacontrada di Arcevia, in provincia di
Ancona. L'epigrafe, certamente da lui contraffatta, è militare; ri-
corda l'Imperatore M. Aurelio e la Corte VIIII (1).

Autentiche, invece, sono due stele semplici rinvenute lungo la
Via Flaminia, a circa due chilometri a valle della Stazione ferroviaria
di Nocera presso le attuali Case Nati, e che il Bormann riporta cosi:

lr

sha: C al»,

e DI

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E CINE

i4
sula ie oem

5662 L. CASERIUS
SPURIUS
0663 IN FRONT.EP.XV
INCA GR; PX

Della prima egli riferisce di aver avuto esatta notizia dallo stu-
dioso nocerino canonico Carnevali, il quale l’aveva esaminata infissa
nel letto del fiume sottostante, presso la riva, da dove poi era stata
asportata da ignoti. La seconda egli vide infissa al suolo avanti le Case

(1) GivsePPE CoLucci, Delle Antichità Picene. Fermo, dai Torchi del-
lAutore 1791. Volume XI, pagg. 115-144.

VA i à
74 GIOVANNI DOMINICI

‘Nati; ed ivi esiste tuttora inserita nel muretto che recinge l'aia e con
la scritta visibile, nei bei caratteri della buona età imperiale. La stele,
in buona pietra dura locale, é arrotondata alla sommità, ed ha la
larghezza di cm. 38 e lo spessore di cm. 20. L'altezza è, presumibil-
mente, di circa 70 cm.

Le due stele si riferiscono ad un sepolcro familiare già esistente ‘
in quel luogo lungo la Via Flaminia, secondo l’uso romano di costruire
sepolture lungo le grandi vie di comunicazione. La prima indica il
nome di colui che lo costruì; la seconda le dimensioni dell’area, che
era di forma rettangolare avente il lato maggiore sulla strada (in
fronte) di passi 15e la profondità verso il campo (in agro) di passi 12;
e cioè una superficie di ‘circa mq. 396 (m. 22,20 per 17,79) (1).

Evidentemente il buon Lucio Caserio doveva essere un facoltoso
E me della località, avendo destinato un'area di una certa entità

a sepolcreto della sua famiglia; e certamente aveva provveduto se-
condo le abitudini dei romani ad ornarla di un'ara votiva e a recin-
gerla di transenna.

Di un'altra stele funeraria che sarebbe ‘i rinvenuta nel sa-
grato della scomparsa Chiesa di S. Spirito, situata sull’erto sperone
roccioso a sud-est della Rocca, ci dà notizia lo Jacobilli in un suo ma-
noscritto, riportandone, evidentemente a memoria, la trascrizione
non intelligibile. Niente altro. et

Notevoli rinvenimenti occasionali, mai purtroppo seguiti da
accertamenti od esplorazioni, sono stati fatti in epoche diverse nella
località Le Fornaci che corrisponde alla zona della attuale Stazione
ferroviaria, ed è tutta .a monte della confluenza del torrente Caldò-
gnole col fiume Topino, ed attraversata ‘in tutta la sua lunghezza
dalla Via Consolare Flaminia, la quale in questo tratto si identifica
esattamente salve le successive livellazioni altimetriche, con la strada
statale moderna. |

La località che conserva anche in Catasto il topònimo di For-
naci, dalle fiorenti fornaci di laterizi che vi ebbe nel '700 la nobile
Famiglia Morselli, come risulta da un dlcumento inserto negli atti
del pubblico Consiglio Generale di Nocera dell’epoca, è compresa tra
i corsi d’acqua del Topino e del Caldògnola, ed è limitata a valle dal
ponte sul Caldógnola e a monte da un chiavicotto che nell'uso comune

‘e nel Catasto conserva il nome sonante di Ponte Marmoreo. L'uno e

l'altro sono ricordati negli Statuti nocerini del 1371; il primo col nome

(1) Cfr. SERAFINO RICCI, Epigrafia romana. Milano Hoepli, 1898, pag. 87.
LA VIA FLAMINIA PER ANCONA, ECC. i 75

di Pons Sancti Jacobi ad conflentem ed anche Pons Conflentis quo itur
Fulgineum, e col nome romano di Pons marmoris il secondo (1).
L'uno e l'altro, al viandante frettoloso, appaiono da sopra la
strada di costruzione modernissima. Osservati invece da sotto la
strada, quello sul Caldógnola si rivela costituito di due ponti affian-
cati, di una sola arcata, della larghezza di tre metri ciascuno. L'arcata
.a monte è ricostruzione evidentissima di un ponte antico, e le sue
spalle mostrano, alla base, numerosi conci calcarei i quali indubbia-
mente appartengono all’originario ponte romano, caduto ‘sotto la
spinta delle piene imponenti cui anche oggi è periodicamente soggetto

il torrente Caldógnola. L'arcata a valle, completamente in mattoni,.

é costruzione moderna evidentemente eseguita al duplice scopo di
aumentare la larghezza, in verità troppo esigua, del ponte originario,
‘e di garantire la stabilità di questo troppo sottile in rapporto al suo
'grande raggio, mediante un solido appoggio a valle. Sopra la prima
arcata ricostruita passava un tempo la Via Flaminia, che scorreva
pertanto alquanto piü.a sinistra della strada moderna. Tanto vero
che subito dopo l'uscita dal ponte, ai margini dell'arginello che separa
la strada dal campo sottostante, verso il torrente, è tuttora visibile
una spessa e robusta soletta cementizia, da identificare senza dubbio
col nucleus il quale, come é noto costituiva il terzo dei cinque strati con

cui i Romani formavano il solidissimo pavimento delle loro grandi.

strade nei tratti di terreno molle, come ai margini di un corso d'acqua.
Il Ponte Marmoreo, nome comune ad altri ponti romani delle
Vie Consolari, come quelli sul fiume Potenza a Pioraco e al Passo di

Treia sulla Flaminia per Ancona, forse in dipendenza della struttura |

e decorazione originaria dei parapetti, appare come autentico ponte
dell'epoca repubblicana, indubbiamente coevo alla costruzione della
strada. Completamente incassato nel punto in cui il fosso che scende
dal Vocabolo San Martino taglia in senso normale la Flaminia per
Scaricarsi nel sottostante fiume Topino, é costruito in grossi blocchi
di pietra calcarea, sovrapposti a secco nelle spalle e tagliati a cuneo
nella volta, con assenza completa di malte e di laterizi. L'arco a tutto
sesto ha m. 2,30 di luce e 3 m. di altezza sino alla chiave. Incassato,
com'é, fra le ripe perpendicolari del fosso, si presenta tuttora quale

(1) Negli Statuti nocerini del 1371: lib. V, cap. 9... ponte Conflentis
quo itur Fulgineum; lib. V, cap. 6... item quod homines quarterii Burgi de-
beant aptare stratam qua itur Fulgineum a porta S. Martini usque adpontem
S. Jacobi; lib. I, cap. 30... et deinde ad ecclesiam S. Andree de Africa (ora
Madonna dell'Africa) et a dicta ecclesia ad pontem marmori. !

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1 p

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16 GIOVANNI DOMINICI

venne costruito oltre duemila anni or sono, né mostra alcun cedimento
o restauro posteriore, poggiato sopra una breve platéa di grosse pietre

. calcaree, le quali hanno fedelmente eseguito la loro funzione di assi-

curare il libero deflusso delle acque e impedito che ne venissero scal-
zate le fondazioni. Solo recentemente, nella occasione di restauri ai
comuni parapetti in laterizio che da secoli hanno sostituito quelli
originari.di marmo, i venerandi massi che costituiscono il prospetto
del ponticello verso la collina hanno ricevuto un principio di stucca-
tura in malta di cemento, a. scopo puramente protettivo.

Tra i due ponti che segnano lungo la Flaminia i confini della
località Fornaci, intercede la distanza di circa ottocento metri. Quasi
a metà di questa distanza, la zona è tagliata in senso normale, da
nord-est e sud-ovest, dal grande terrapieno sul quale è costruito il
piazzale della stazione ferroviaria di Nocera, sulla linea. Foligno-Fal-
conara. E le neeessità degli impianti ferroviari per gli scambi delle
linee, hanno prodotto l’apertura del passaggio a livello della via fer-
rata alcuni metri a destra della strada antica, cioè più verso il fiume
Topino, spostando quindi in quel tratto, sempre sulla destra, il trac-
ciato della Via Flaminia. Ne è riprova il fatto che sotto il piano della
strada attuale, di fronte ai fabbricati Cesaroni, esiste tuttora il for-
nello di una vecchia fornace di laterizi, i cui impianti esterni.avreb-
bero altrimenti occupato l’intera carreggiata stradale.

Nel tratto superiore e circa alla metà della distanza che intercede

. tra il bivio dell'attuale strada comunale per la Stazione e il Ponte

Marmoreo, esisteva sin verso la fine del secolo scorso un avvallamento
il quale venne colmato allorquando circa il 1890 la Amministrazione
della Provincia di Perugia procedette alla rettifica della strada fino
a Nocera e alla costruzione della variante dalla voltata delle Cartiere
alla Piazza del Mercato per eliminare la difficile salita dei Cappuc-
cini, mediante la costruzione di un chiavicotto sopra il quale fu ele-
vato un alto terrapieno. Ma il tracciato originario della Flaminia è
tuttora perfettamente riconoscibile in tutto il suo naturale andamento
altimetrico, il quale seguiva in tutto l'andamento del terreno, senza

e, . 3. . . . . . . .
| preoccuparsi di conseguire le livellazioni uniformi che caratterizzano le

strade moderne mediante la colmatura degli avvallamenti, come è noto
facessero i Romani nella costruzione speditiva delle loro Vie militari.

Il terreno coltivato, compreso fra la comunale per la stazione
e il terrapieno della via ferrata, è notevolmente più basso del piano
stradale, perché da esso e per un lungo periodo fu estratta l’argilla
che alimentava la fiorente industria dei laterizi ivi esercitata dalle

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A I re 7 SEN Y Nus ( Now " ^y et 3 oM

-——— —

LA VIA FLAMINIA PER ANCONA, ECC. 77

SE fornaci Morselli; fornaci delle quali pochi anni or sono vennero rin-
venuti i sicuri avanzi nello scavare le fondazioni dei fabbricati, recen-

. temente costruiti ai margini della collina che si eleva.sulla destra della
strada per la stazione.

Io insisto su questi particolari descrittivi per stabilire come la
zona in esame sia stata largamente manomessa, e quindi come sia
impossibile sperare che ricerche sistematiche possano oggi condurre
a rinvenimenti archeologici cospicui. Ma nondimentno, anche dopo
tante vicende, non difettano elementi anche notevoli a dimostrare
che nella zona delle Fornaci esisteva un qum un centro abitato di
qualche importanza.

. Infatti, sulla destra della strada, a pochi metri dal ponte sul
Caldógnola, la estirpazione di un folto rovaio ha messo in luce nel-
l'anno 1930 il resto massiccio di una robusta costruzione che rivela a
prima vista la inconfondibile impronta della romanità. Si tratta di
un residuo di piattaforma, della superficie di oltre sessanta metri
quadrati, di figura rettangolare, fortemente smussata negli angoli
per le lavorazioni agricole del campo circostante. La superfice è costi-
tuita di una soletta di cemento, saldissima, di venti centimetri di
spessore, ora in avanzato disgregamento per essere rimasta esposta
da oltre un decennio alla azione dissolvitrice degli agenti atmosferici,
e, principalmente, del ghiaccio invernale.

La soletta poggia sopra un: muro alto sessanta centimetri, for-
mato di piccole pietre e di ciottoli, legati saldamente da un impasto
biauchiccio di calce, che resiste tenacemente al piccone e allo scalpello;

eil muro a sua volta riposa sopra un banco di roccia calcarea.

La tradizione viva da secoli ricordata dai cronisti del '600, af-
ferma che sopra quella poderosa platea sorgesse una torre — la torre
«di Nerone — nella quale sarebbero stati rinchiusi i Santi nocerini Fe-
lice e Costanza prima di essere sottoposti al martirio. Lo Jacobelli,
nell'opera più volte citata, scriveva:

« Nella medesima strada Flaminia e appresso il fiume Topino, in
un luogo scosceso, circa due miglia fuori di Nocera, è l’antica Chiesa
di S. Maria Maddalena, fondata nel primo secolo di Cristo appresso
la Torre detta di Nerone, dove riposarono lungo tempo i sacri corpi
di detti Santi Felice e Costanza, Martiri nocerini ».
| Ma l’affermazione è più volte inesatta. Le reliquie dei Santi
Martiri sono conservate nella Cattedrale di Nocera, ove se ne celebra
tuttora la festa il 19 settembre. Il loro culto, peraltro, come scrisse il
Mons. Prof. Castellucci nella monografia su « La Cattedrale di Noce-

|

PIET OO 0 AMET NT 7 — 4
78 GIOVANNI DOMINICI”

ra» (1) cominciò nella nostra città nel 1565, dopo che l'11 maggio di
quell’anno nello scavare un acquedotto nel luogo dell’antica Chiesa
di San Francesco extra muros si trovò una cassettina coperta di cuoio
con le reliquie dei due Santi. Però Essi sono dal Martirologio asse-
gnati alla Campania, e quindi appartengono alla Nocera dei Campani.

D'altra parte se è vero che nelle immediate adiacenze del ru-
dero esisteva un anlica Chiesa con la sua torre campanaria, come io
stessc ho udito ripetere dai nostri vecchi del luogo, la Chiesa era de-
dicata a San Giacomo, e il Catasto ne conserva tuttora il toponimo
al terreno, il quale, a riprova, apparteneva fino al 1913 al beneficio

di i del Priorato della Cattedrale. Il titolo di Santa Maria Maddalena è

conservato, invece, da una Chiesetta esistente presso il confine del
territorio di Nocera con quello di Valtopina di Foligno sulla stessa Via

Le Flaminia, e nel punto in cui la strada statale moderna, rettificando

in peggio un tratto di breve ripida salita, s'insinua entro una perico-
losa risvolta incassata profondamente al margine di una collinetta

ii . . —soprastante il fiume Topino. Ivi, secondo l'antico elenco quattrocen--

tesco delle Chiese soggette al Vescovado di Nocera, esisteva un Hospi-
lale S. Maria Magdalene Collis Arci de Fulginio, sul luogo di una
i i eg RODera fortificata romana a guardia della Flaminia, della quale sono
o rimasti poderosi massi di pietra calcarea, parte dei quali vennero già
iS trasportati a costituire il muro di recinzione dell'aia della Casa
Nati, già ricordata a proposito delle stele funerarie di Lucio Caserio,
e altrove; e rimangono poderosi avanzi delle. opere di sostruzione
. della strada, ai piedi della collina verso il fiume Topino.

La Chiesa di S. Giacomo é ricordata nel predetto elenco quattro-

dd | de centesco sotto il nome di Hospitale S.ti Jacobi de Conflente e, come

abbiamo già detto, gli Statuti nocerini del 1371 citano un Pons Sancti
Jacobi ad conflentem e un Pons Conflentis quo itur Fulgineum, da 1den-
tificare col nostro Ponte sul Caldógnola, alla confluenza di questo

i : Di ‘col Fopino. La identificazione non potrebbe essere più manifesta (2).

MN

(1) CAsTELLUCCI, 0. c., alla nota 36.

i (2) L'elenco del sec. xv delle Chiese della Diocesi di Nocera già citato

alla nota (15) ricorda,un Hospitale S. ti Jacobi de Conflente.
E il verbale di visita del Vescovo Pierbenedetti (1592-1593) in atti delle
Sacre visite diocesane nell'Archivio Vescovile di Nocera, sotto la data del 2
settembre 1592, a c. 26 v. cita una Ecclesia S. Jacobi de Ponte S. Jacobi che,
nell'itinerario, è compresa fra la Chiesa di S. Sebastiano di Vittiano e quella di

BAR . S. Savino di Balciano cui segue quella di S. Maria Maddalena. Nessun dubbio

quindi che si tratti della Chiesa di San Giacomo alle Fornaci.
LA VIA FLAMINIA PER ANCONA, ECC. 79

La Chiesa di S. CoA al Ponte di Conflente, con annesso Ospe-
dale per i poveri viandanti come si usava per le Chiese sorgenti lungo
le grandi vie di comunicazione, sorgeva in contiguità del rudero, in
direzione di levante, ed aveva come dipendenza il tratto di terreno
nudo di fronte; dall'altra parte della strada, il quale. conserva anche
esso in Catasto lo stesso vocabolo di San Giacomo, ed apparteneva
ugualmente al Priorato di Nocera. Le mura di fondazione della Chiesa
vennero scalzate negli ultimi decenni del secolo scorso, e i solidi conci
vennero ricuperati per essere utilizzati. nella costruzione di un
vasto edificio di civile abitazione, nelle vicinanze. Coloro che effettua-
rono questo ricupero, e che erano gli affittuari del terreno, mi riferi-
rono che negli scavi effettuati a monte dell'antica platea furono rin-
venuti numerosi conci antichi, rottami di coccio, monete romane di
bronzo e un emblema. Questo, che é in mie mani, é una bell'aquila
in piombo, dalle linee classiche, alta cm. 5, in posizione eretta con
le ali raccolte che stringe fra gli unghioni un fascio littorio in posi-

‘zione orizzontale. L'ala destra è tronca; il che fa pensare che il fine
modellatore l'avesse fatta cosi, onde si prestasse alla necessaria sovrap-
posizione di un altro elemento col quale costituiva forse il fermaglio
di una cintura militare.

La maggiore delle monete conservate é un grande bronzo di
Traiano (98-117 d. C.), avente il diametro di cm. 32. Nel recto reca
la testa laureata dell'Imperatore, e tutt'intorno la scritta:

. IMP. CAES. NERVAE TRAIANO AUG. GER. DAC. P.M. TR. P. COS. V. P.P.
._ Nel dorso porta la figura eretta di Traiano, a destra; dietro di
lui, in piedi, il Prefetto dei Pretoriani; più in basso quattro uomini
ritti tendono le mani verso l'Imperatore; sul davanti una figura mu-
liebre accasciata a terra, presso una ruota; e a sinistra i tre obelischi
del Circo. Ai margini, a sinistra S.P.Q.R. e a destra OPTIMO PRINCIPI

S. €. Coniato, quindi, dopo il 116 p. C.

Questo fa ritenere che al fabbricato della Chiesa di S. Giacomo

x

abbia preesistito, sullo stesso luogo, una costruzione più antica della -

età romana, di cui la platea costituisce l’unico avanzo affiorante. La
tradizione, ricordata anche dallo Jacobilli, dice che sopra questa pla-
tea sorgesse una torre — la torre di Nerone — costrutta a guardia del
ponte contiguo. Ma la costatazione che la platea poggia sopra un
muro di sessanta cm. di altezza e questo sopra un banco di roccia
compatta, non rende questa versione accettabile. La: torre sarebbe
‘stata costruita direttamente sopra la roccia, e non sarebbe certamente
occorsa la necessità della soletta di calcestruzzo. Può quindi fondata-
S0 GIOVANNI DOMINICI

mente pensarsi che la robusta soletta rappresenti piuttosto il fondo
di una grande vasca come la piscina di una fherma, sulle rovine della
quale fu poi costruita o adattata la Chiesa di S. Giacomo di Conflente
e l'annesso xenodochio.

Le tracce sicure di romanità continuano nel terreno di fronte,
all’altro lato della strada, nel vasto campo ai cui margini occidentali
scorre il torrente Caldógnola. In questo canipo, scavandosi oltre cin-
quanta anni fa numerose fosse per l'impianto di viti alberate, fu rin-
venuto un vasto sepolereto con moltissime tombe simmetricamente di-
sposte, ad inumazione, nelle quali il cadavere era deposto supino,
con la faccia rivolta a levante, nelle consuete casse di tegoloni, con
la copertura alla cappuccina. !

secondo quanto mi é stato riferito dai mezzadri che occasio-
nalmente le scoprirono, il corredo delle tombe era povero: lampade

fittili, anelli e monete di bronzo e qualche coccio, con tracce evidenti

di precedenti manomissioni. Tutta la suppellettile funebre venne tra-
fugata chi sa per dove ad opera dei soliti ignobili trafficanti di cose
antiche, senza che siano rimaste altre notizie, oltre quelle, invero
troppo sommarie, che io ho riferite, e che, ove corrispondessero a ve-
rità, come i pezzi di tegoloni ancora affioranti per il campo farebbero
ritenere, indurrebbero : a pensare che si trattasse di tombe dei primis-
simi secoli dell'Era nostra.

Recentemente, peró, nello stesso campo, e a monte della zona
dove fu già rinvenuto il sepolcreto, le modernissime lavorazioni agri-
cole più profonde di quelle di un tempo hanno rintracciato grossi muri
di fondazione e fra questi due paralleli di considerevole lunghezza e
dello spessore di circa 70 cm., tanto da dare l'i impressione di un edi-
ficio considerevole e grandioso! Nei pressi sono venuti alla luce nu-

‘ merosi mattoncini di laterizio, delle dimensioni di cm. 10 per 6,5 però

del tipo di quelli con i quali i Romani usavano costruire gli eleganti
pavimenti a spina e a disegno negli atrii.

Più avanti, appena oltrepassato il passaggio a livello della strada
ferrata, sull'area ove circa l'anno 1908 venne costruito un piccolo
fabbricato civile, ora addetto a Scuola elementare e a sede del Dopo-
lavoro, si trovarono diverse tombe a inumazione, costituite dalla

solita cassa di tegoloni con copertura alla cappuccina.

Della suppellettile funebre salvata dalla distruzione o rapacità
degli scavatori vennero soltanto recuperati un anello anulare di
bronzo, una rozza lampada fittile senza alcuna impronta e alcune
monete di bronzo. Ricercando tra i materiali di scarico provenienti
LA VIA FLAMINIA PER ANCONA, ECC. 81

dallo scavo delle fondazioni, io stesso, avvertito successivamente
della scoperta delle tombe, potei rintracciare i pezzi quasi completi,
di una graziosa epigrafe funeraria.

L'epigrafe è su tavoletta di marmo bianco, quadrata, di cm. 18 di
lato e di 2 cm. di spessore; e reca, in carattere lapidario da attribuire
al primo secolo dell’impero, la seguente iscrizione:

D M.
GC UPAU BAL LG I0)
QU P. MAXI MIO.
Q CPUUSH LG V EAS
ET. PUBLICA 'PRIMY
VA FILIO

La tavoletta ricomposta é ora conservata nella sede municipale

di Nocera, sulla parete del primo ripiano dello scalone di accesso.
Il nome di primitiva ricorre in un'altra epigrafe conservata nel Museo
Civico di Foligno, e riprodotta dal Bormann nel C.LL. al n. 5251.

E piü avanti ancora, nel campo sottostrada contiguo al Ponte
Marmoreo l'aratro incontra la resistenza di robusti muri di fondazione
e fa affiorare rottami di laterizio. i

Nel campo, invece, compreso tra la Flaminia, la strada comunale
per la Stazione e il terrapieno del piazzale ferroviario, non si ha no-
tizia di rinvenimenti. Ma non v'ha dubbio che anche in questi antichi
avanzi di costruzione siano un tempo esistiti, in quanto é da pensare
che proprio da questa parte, coperta dalla sovrastante collina dai
‘ freddi venti di tramontana durante l’inverno, ‘e che la maggior di-
stanza dai due corsi d’acqua rendeva immune da allagamenti in
occasione delle morbide, esistesse il nucleo maggiore, il centro del
considerevole abitato di cui si rintracciano incontestabilmente nei
campi circostanti le vestigia e il sepolcreto. Attraverso parecchi se-
coli il terreno fu scavato profondamente per estrarre l’argilla che do-
veva alimentare le fornaci di laterizi delle quali, come ho già detto,
sono rimasti fino ad oggi gli avanzi. Ed è da pensare che i primi occa-
sionali rinvenimenti abbiano indotto i ritrovatori ad intensificare
le ricerche per tutta la zona, onde tutto quello che di antico poteva
esservi sepolto fu estratto e disperso. Esaurito il giacimento di ar-

gilla, il terreno fu abbandonato e vi stagnarono le acque meteoriche, .

onde gli derivò il vocabolo di « Pantani » tuttora conservato nel Ca-
tasto; e solo dopo l’impianto della Stazione ferroviaria fu bonificato
e ridotto a coltura.
GIOVANNI DOMINICI

La località che ho descritta, anche per la sua ubicazione al diso-

pra della confluenza di due corsi d'acqua, presenta tutte le condizioni
ambientali caratteristiche che contraddistinguono le sedi antichis-
sime dei popoli delle prime civiltà. E a me stesso adolescente il de-
funto capo della famiglia di mezzadri che per circa mezzo secolo ha
colonizzato il Predio vocabolo «Le Fornaci», raccontava più volte
di aver rinvenuto nel terreno sopra strada presso il ponte Marmoreo

piccole cüspidi triangolari di pietra verdognola (evidentemente selci) |

che egli chiamava saette è riteneva nella sua ingenuità punte di ful-
mini cadute dal cielo durante i temporali, riguardandole con religioso
terrore, e che pertanto aveva gettato nei gorghi più profondi del fiume.
D'altra parte, al margine ovest del colle sul quale è la casa colo-
nica del predio, sino agli ultimi decenni del secolo scorso ornata di
una piccola torre, sulla sinistra della stradicciuola che dalla Flaminia
conduce al Topino, sono state rinvenute tracce di vita antichissima,
da riferire al periodo neolitico. :
Allorquando, infatti, nel 1928 il Comune di Nocera fece iniziare
in quel luogo degli scavi per costruire un pozzo nel punto indicato

‘ da un rabdomante, si mise allo scoperto un leggero strato di terriccio

nero a circa tre metri sotto il banco calcareo, e sotto ancora un osso
animale di notevoli dimensioni, terra bruciata e ceneri evidentemente
residui di antichissimi focolai. Lo scavo venne malauguratamente
sospeso e il pozzo improvvisamente riempito, perché si era raggiunta
la profondità indicata dal rabdomante senza trovare traccia di'acqua.
Ma gli indizi scoperti bastano a far ritenere per cosa certa che sicure
tracce di vita del periodo neolitico si sarebbero indubbiamente ac-
certate ove lo scavo fosse stato proseguito e gli strati scoperti sotto-
posti. ad esame.

Certo non v'ha dubbio che anche le civiltà primitive siano fio-

rite in questa zona de « Le Fornaci », comprese tra il Ponte Marmoreo e

il Ponte di S. Giacomo, ove gli occasionali rinvenimenti che abbiamo
sopra illustrati documentano la esistenza nell’ epoca romana di un

‘centro abitato cospicuo. La sua ubicazione aperta lungo una via di

grande comunicazione quale la Flaminia, che convogliava. da Roma

e per Roma tutto il traffico di una parte notevolissima dell'Italia .

centrale e settentrionale, chiarisce il perché della sua totale distru-
zione, completata nei ruderi fin dopo l'età moderna dalle, coltiva-
zioni intensive cui vennero sottoposti i terreni circostanti. Non diversa
fu la sorte della sede, situata piü avanti in aperta pianura e lungo la
stessa via Flaminia, dei fratelli Tadinates, ugualmente ricordati da

*
LA VIA FLAMINIA PER ANCONA, ECC. 83
Plinio tra. i molti Popoli umbri; e citati come nemici nelle famose
Tavole Eugubine (1).

Ma i grandiosi avanzi dei maggiori edifici rimasero fino al secolo
xvi, pur interpretati dai viaggiatori della Flaminia soltanto come i
resti delle opere costruite dai Romani a difesa della strada. Scriveva,
infatti, lo Jacobilli nel 1653 che « Nelle ripe di detto fiume Topino
appariscono le rovine di edifici grandi, fabbricati dai Romani per
fortezza di questa Via, Flaminia » (2), ripetendo la citazione già
fatta dai dotti Umanisti del ‘500 che egli cita nelle glossé marginali
della -.sua storia. Le sue parole sono la traduzione pressoché let-
terale di quanto si afferma nella leggenda che illustra il panorama
della città di Nocerra (sic) in Appennino monte, inserita nel Theatrum
Urbium Italicarum pubblicato a Venezia nel 1599 apud Petrum Ber-
tellium bibliopolam patavinum, il quale a sua volta ha desunto dal
Leandro le notizie per le sue glosse.

Il Bertelli raccolse in un bel volume, dedicato al suo mecenate

Girolamo, Vescovo Conte e Senatore di Polonia, i simulacri di 58.

‘città d’Italia — pulcherrimarum totius Italiae Civitatum — ivi compresa
Malta, riproducendo le incisioni eseguite dai notissimi Maestri vene-
ziani della famiglia Bertelli, di cui i più noti sono Cristoforo, Fran-
cesco, Donato e Luca; quest'ultimo il più celebrato. E.nella glossa
relativa a Nocera, dopo aver parlato delle varie Nuceriae e degli
attributi relativi a ciascuna, cosi conchiude:

Propter montis, in quo Nuceria, radices Topinus ammnis, Tin-
nam Plinius vocat, infimam vallem percurrit, cui inde Topiniae nomen.
usque Fulgineum. In. Tinnae ripis ingentes passim apparent edificio-
rum ruinae, fundamentaque maximorum operum, quae a Romanis ad
. tutelam . Viae Flaminiae facta quondam ; Ista hactenus Leander.
: E facile intendere che le fondazioni delle grandissime opere che.
videro gli Umanisti del '500 sono le poderose sostruzioni costruite
dai Romani a difesa della Flaminia nei tratti soggetti a .scoscendi-
menti del terreno, delle quali rimane un lungo tratto in località « Le
Spogne », a metà strada tra la Nocera attuale e la Stazione ferroviaria.
Era.una costruzione grandiosa, per oltre 150 metri di lunghezza, Co-
stituita di enormi blocchi di travertino tagliati a forma di parallelo-

(1) Una magnifica pubblicazione sulle Tavole Eugubine è quella del
prof. GiAcoMo DEvoro, Tabulae Iguvinae. Roma, Officine Poligrafiche dello
Stato, 1937, facente parte della collezione degli « Scriptores graeci et latini »,
edita dalla R. Accademia dei Lincei.

(2) Cfr. JACOBILLI, l. c., pag. 5

til
$$

84 , GIOVANNI DOMINICI

pipedi regolari, che raggiungono anche il volume di un metro cubo,
sovrapposti a secco, con avancorpi di rafforzamento. In alcuni tratti,
ancora ben sconservati, il muraglione raggiunge l'altezza di 8-9 metri.
Esso si prolunga per un buon tratto sotto l'odierna strada comunale
della Cartiera a comprovare indiscutibilmente, come già dicemmo,
il tracciato originario della Via Flaminia, sempre risalente la destra
del fiume Topino fino all'altezza del colle sul quale é oggi Nocera.

Le ingentes edificiorum ruinae debbono, invece, essere riferite
agli avanzi del grosso centro esistente all'epoca romana nella località
de «Le Fornaci », dei quali unico resto, almeno per ora, é conservato
nella poderosa platea al Ponte di Conflente.

Questo grosso centro abitato nell'epoca romana era la Nuceria
Camellaria ? !

Molti argomenti di convenienza indurrebbero alla risposta affer-
mativa; il sepolcreto, gli avanzi affioranti di fabbricati, la traccia di
un edificio d'uso pubblico costituito dalla platea al ponte di Con-
flente, la ubicazione esattamente sulla Via Flaminia, la mancanza
di qualsiasi notizia circa la esistenza di un centro abitato tra il Foro
Flaminio e la Nuceria Camellaria. A tutto questo si aggiungerebbero
le indicazioni degli Itinerari.

Ho già detto più avanti che le misure itinerarie antiche non
offrono dati accettabili con piena sicurezza, in quanto gli Itinerari
presentano frequenti oscillazioni e discordanze, data anche la lun-
ghezza notevole dell'unità di misura che é il miglio romano, pari
a circa Km. 1,500, sempre considerato intero o, senza frazioni. Ma,
prescindendo dagli evidenti errori comuni a tutti i codici, anche le
distanze indicate dagli Itinerari possono costituire elementi positivi,
se non altro di grande approssimazione, specie quando lo stesso dato
risulti ripetuto in più Itinerari, e di epoca diversa.

Gli Itinerari che ci sono pervenuti danno la distanza di Nocera
dalle Stazioni precedenti di Foro Flaminio e di Bevagna, e dalle
Stazioni successive di Ptanias e di Helvillo. Di questi quattro centri
il solo che, perpetuando anche esattamente il toponimo, mantenga
indiscutibilmente la ubicazione antichissima è Bevagna. Di Foro
Flaminio, cui è successo l’odierno San Giovanni Profiamma, frazione
del Comune di Foligno, è incerto se il sito fosse in località Case Basse
o in altro gruppo di case della Frazione stessa. Così non ancora accer-
tata, fuori che in linea largamente approssimativa, la ubicazione del-
l'antica Ptanias (Tadinum) di cui conserva il nome l’odierna Gualdo
Tadino, e di Helvillus. Vicus, erroneamente confuso dal Cluverius

[erre 9 cosrosesstoe — ; pe i
N è
LA VIA FLAMINIA PER ANCONA, ECC. 85

col non lontano Suillum (l'odierno Sigillo) come chiari il Bormann (1)
di cui é erede l'attuale Fossato di Vico; centri ricostruiti, ambe-
due, nell'epoca feudale sulle colline contigue, a debita distanza da
quella Via Flaminia che, se aveva favorito il loro sviluppo durante il
periodo della Pax Romana, aveva poi nell'epoca barbarica provocato
la loro completa rovina.

A Bevagna soltanto puó quindi stabilirsi il caposaldo per le
misurazioni di controllo delle distanze indicate negli Itinerari.

Il Gaditano, o di Vicarello, dà la distanza da Bevagna a: Nocera
in miglia XIX nella stipe n. 1 e in miglia XVIII nella stipe n. 2.
L'Antonino, del secondo secolo, in miglia XVIII. Il Gerosolomitano o
Burdigalense del quarto secolo, riporta il solo tracciato della Fla-
minia per Terni, e porta: Foligno-Foro Flaminio miglia III, Foro
Flaminio-Nocera miglia XII. Infine il tardo Peutingeriano dà Beva-
gna-Foro Flaminio miglia XVI, Foro-Flaminio-Nocera miglia XII.

Evidentemente errate le indicazioni del Peutingeriano, inesatte
quelle del Gerosolomitano. Il primo, infatti, darebbe fra Bevagna e
Nocera una distanza eccessivamente inverosimile di 28 miglia pari
a circa 42 chilometri, portando cosi il sito di Nocera oltre il lontano

Colle di Fossato. Il secondo una distanza da Foligno a Nocera di 15
.miglia attraverso San Giovanni Profiamma, pari a Km. 22.500.

Questa misura, pur diminuita di un chilometro, quale era e quale
è la distanza tra Foligno e il. punto in cui la Flaminia proveniente
da Bevagna taglia l'odierna strada Foligno-Perugia al bivio di Ma-
donna di Fiammenga per continuare il rettifilo alla volta di Foro-
Flaminio, darebbe una distanza di Km. 21,500 pressoché corispondente
a quella che intercorre oggi (Km. 21,800) tra Foligno e Nocera lungo
la statale moderna che ne ha, allungato notevolmente il percorso
sia per il più lungo tracciato sulla sinistra del Topino fino al Ponte
Nuovo sia con diverse varianti, di cui la maggiore è quella costruita

(1) Corpus Inscrip. Lat., l c., pag. 853, sub Helvillum (Fossato di
Vico). Il Bormann afferma che sccondo le misure degli Itinerari e dal rinveni-
mento di due iscrizioni frammentarie deve ritenersi che il vico di Helvillo, sta-
zione della Via Flaminia, sia esistito nella valle del fiume Chiascio, fra gli
attuali centri di Fossato di Vico e di Costacciaro. Ed aggiunge che erronea-
mente ritenne il Cluverio che l’attuale Sigillo continui il romano Helvillum, già

nella età più antica chiamato Suillum, i cui abitanti, i Suillates sono ricordati

da Plinio nella nota enumerazione dei popoli umbri.

D'altra parte,a dimostrare l'errore del Cluverio sta anche la toponoma-
stica, in quanto 'Sigillo continua foneticamente l'umbro Suillum; ma non ha
né può avere alcuna relazione col romano Helvillus.

— n [4 è

la. VA

e.

j
|
|
86 .' GIOVANNI DOMINICI

dall'Amministrazione provinciale di Perugia circa il 1890, dalla
curva all'altezza della Cartiera fino alla Piazza del Mercato di Nocera.
In tal modo anche il Gerosolomitano indicherebbe il sito dell'antica
Nocera circa due chilometri piü à nord della città moderna.

Stando invece alla indicazione dell'Antonino, confermata: dalla
seconda stipe di Vicarello, Itinerari che sono, tra l’altro, di compila-
zione ‘più antica, la distanza fra Nocera e Bevagna sarebbe stata di
circa 27 chilometri, pari alle miglia XVIII. E una distanza di circa
27 chilometri da Bevagna, misurata lungo l'antico tracciato della
Flaminia per S. Giovanni Profiamma, conduce esattamente alle For-
naci di Nocera, ove é un tempo esistito il notevole centro abitato di
cui sono rimaste le tombe e le vestigia.

Se questo fosse la Nuceria Camellaria potrà essere stabilito con
argomenti positivi allorquando i campi della zona potranno eventual-
mente restituire frammenti architettonici di edifici d'uso pubblico
o epigrafi dalle quali poter dedurre indicazioni circa gli ordinamenti
municipali.

Intanto tutto quello che in proposito abbiamo detto finora può
indubbiamente costituire.un complesso di argomenti di convenienza
circa la possibilità che ivi fosse realmente la Nuceria Camellaria il
Municipium romano succeduto all'antichissimo pago umbro, succes-
sivamente trasferitasi a costituire la Civitas. dei primi tempi della
età barbarica sul colle attuale.

Questa che, in assenza, finora, di argomenti positivi assoluti,
possiamo chiamare ipotesi, troverebbe conferma indiretta, anzi piü
propriamente a contrariis, in una circostanza incontrovertibile, la

quale, va detto sinceramente, varrebbe anche in confronto di qual-

siasi altra località in cui volesse fondatamente supporsi il sito del-
l'antica Nocera al di fuori della sede attuale. La circostanza incontro-
vertibile è questa: che l'abitato di. Nocera, le mura civiche; il maschio
possente della rocca sono costruzioni che non risalgono oltre l’epoca -
medievale, anche spingendo l'indagine alle loro fondazioni piü pro-
fonde. Non una pietra, non una tomba, non un qualsiasi resto dell'età
romana o tanto meno più antica. È fuori dubbio, e mi piace ripeterlo,
che se l'antica Nocera, prima umbra e: poi romana fosse stata nel sito
della città moderna. le mura almeno della zona dell'alta rocca avreb-
bero conservato qualche masso di fondazione che porterebbe ancora
la traccia inconfondibile della antichissima origine romana e prero-
mana. i

Poiché se è vero, come è stato ricordato. da qualcuno, essere
LA VIA FLAMINIA PER ANCONA, ECC. 87

peculiare dei centri umbri, dove le condizioni naturali ne offrono la
possibilità, la tendenza a localizzarsi sui colli e a passare attraverso i
vari stadi di vita senza notevoli spostamenti, e che questo fenomeno
ha una logica-origine di necessità strategico-difensive; bisogna d'altra
parte incontrovertibilmente ammettere che ove gli antichissimi Nu-
cerini'si fossero ab origine localizzati sull'aspro colle sul quale oggi
sorge Nocera a scopo strategico-difensivo ne avrebbero indubbia-
mente occupato il vertice e sarebbero rimaste evidenti attraverso i
millenni le, tracce di quelle fortificazioni che i loro fratelli hanno la-
sciato ovunque nell'Umbria, a Todi, a Spello, a Spoleto, ecc.

La scoperta del sepolcreto barbarico del Portone e le tracce
accertate di un accampamento barbarico fortificato sul contiguo
Monte Castellano, hanno indotto taluni a formulare il pensiero che
l'antica Nocera fosse presso a poco nel sito attuale. Si é affermato
che il sepolcreto e l'accampamento stiano a testimoniare la vicinanza
del centro romano, sia che i barbari coabitassero col Popolo assog-
gettato, sia che, come é piü probabile giusta il pensiero del Paribeni,
volessero, pur tenendosi separati, vigilare da vicino il centro di note-
vole importanza strategica. :

Ora che all'epoca della costituzione del sepolereto barbarico da
attribuire piuttosto al popolo longobardo che a quello dei Goti come
sembra propendere il Paribeni, e cioé verso la fine del sesto secolo,
come dicevo piü sopra in riguardo al notevole rinvenimento di
‘emblemi cristiani, esistesse alla base: delle propaggini del Monte
Castellano o, in altre parole, sul sito della Nocera attuale il centro
abitato di Nocera può anche ammettersi. Ma era questa l'antica Nu-
ceria romana, o non piuttosto la nuova Nocera ricostituitasi lassù,
appoggiata alla formidabile posizione difensiva, dopo la distruzione

della primitiva sede antichissima ? È evidente che la domanda non

può avere una risposta assoluta.

D'altra parte la necessità di vigilare e di tenere in rispetto un

sottostante centro abitato addotta come una delle ragioni atte a chia-
rire l'ubicazione dell'accampamento barbarico sul monte Castellano,
merita di essere sottoposta a riesame. :

Il monte Castellano, come dice anche lo stesso Paribeni nella
brillante conchiusione del suo riassunto alla relazione del Pasqui
sugli scavi del Portone, é come una vedetta avanzata a cavaliere delle
valli del Topino e di Gualdo. Da quella altura, in posizione più aperta
e più dominante che non dal colle di Nocera, possono vigilarsi le pro-

"venienze sia da Foligno (sud) che da Gualdo (nord), tanto lungo la
88 GIOVANNI DOMINICI

Flaminia quanto attraverso i sentieri campestri e l'andamento natu-
rale del terreno, con un campo esplorativo notevolmente più largo.

Dal colle di Nocera, infatti, le provenienze da Gualdo non sono av-
vertibili che quando abbiano superato la sella della Maestà di Pic-
chio, a pochi ettometri dall’abitato; e le provenienze da Foligno pos-
sono, abbandonando la Flaminia antica all’altezza della località Le
Spogne, giungere a ‘cento metri dalla Piazza del Mercato risalendo il
terreno coperto dal Colle dei Cappuccini, e da quello già detto « Ara
delle Monache », ora del Cimitero: Per questo terreno coperto giunsero
comodamente nel 1744, dice una relazione inserta negli Atti Consi-
liarij con le loro pesanti artiglierie, le truppe Spagnole muoventi-
all'assalto degli Austriaci asserragliati entro Nocera, durante la guerra
di successione d’Austria (1).

Così la localizzazione dell’accampamento barbarico sul Monte
Castellano è sufficientemente chiarita da ragioni strategiche, specie
nella ipotesi di una temuta minaccia dalla parte di Gualdo. E il
chiarimento diverrebbe anche più convincente ove potesse ritenersi
che i guerrieri accampati lassù, anziché longobardi, fossero goti, e
precisamente avanguardie dell'esercito di Totila, scaglionate di
fronte ai passi dell'Appennino a fronteggiare il temuto discendere
dell’esercito imperiale guidato da Narsete. Quello stesso Narsete che
sarebbe poi stato il trionfatore della grande e decisiva battaglia di
Tagina nel 552.

Spiegata in tal modo la localizzazione dell'accampamento bar-
barico sul Castellano, verrebbe meno ogni opportunità di pensare ad
ogni ragione di vigilanza sul sottostante centro abitato. E questa
vigilanza si dimostrerebbe d’altra parte affatto superflua, formando il
facile pensiero che il centro stesso sarebbe stato indubbiamente e
totalmente sommerso dai barbari al loro primo apparire, e quindi
ridotto in condizioni da non ingenerare più alcun Io di possibili
offese.

Siffatte induzioni troverebbero una conferma nel fatto, ricor-
dato anche dal Pasqui, che alla fortezza di Nocera, la quale « anche
nei bassi tempi ebbe grandissima considerazione e fu temuta domina-
trice di vasto territorio » si appoggiarono «tutte le forze dei Goti
nella memorabile battaglia del 552, nella quale Totila dette di cozzo
e s'infranse contro l’esercito dei Greci ». Forse più approfonditi studi

(1) Cfr. Concilia et VOD CE. 1744-1748, fogl. 10-17 in®Archivio Co-
pec di Nocera. :
LA VIA FLAMINIA PER ANCONA, ECC. 89

di competenti potranno stabilire la precisa datazione del sepolcreto,
e quindi determinare se esso appartenga al popolo gotico o al longo-
bardo. Per noi resta intanto ben fermo che né esso né l’accampa-
mento sul Castellano stanno a testimoniare la vicinanza del centro
romano antico, come ‘taluno ha voluto leggermente affermare.

Ad ogni modo, salvo sempre lo stabilire se gli accampati sul monte
Castellano e i morti del sepolcreto del Portone siano i Goti di Totila
. 0i Longobarid di Alboino, risulta impossibile lo stabilire, tanto nel-
l'una che nell'altra ipotesi, se il vecchio centro della Nocera romana
fosse ancora in piedi sul sito della città moderna oppure se fosse
già avvenuta, sul sito medesimo, la trasmigrazione dell’antichissima
civitas dal luogo più aperto lungo la Flaminia.

Bisogna ricordare, infatti, che la terribile irruzione delle turbe
barbariche che dilagarono per l'Umbria dirette su Roma, tutto sac-
cheggiando e distruggendo nella loro furia selvaggia, era già avvenuta.
La eco paurosa di queste rovine è in tutti i cronisti del tempo. E la
«Jordandis historia de Getorum sive gothorum origine et rebus gestis »
precisa che le torme barbariche di Alarico, battuto l’esercito di Sti-
licone, invasero nuovamente la Liguria furibundo animo... Aemiliam
pari tenore devastant, Flaminiaeque aggerem inter Picenum et Thu-
sciam, usque ad urbem Romam, discurrentes, quidquid inter utrumque
latus fuerit in praedam diripiunt (1). |

Inevitabilmente quindi la valanga si abbatté anche su Nocera,
al pari che su tutti gli altri centri situati lungo la grande Via seguita
dai Barbari;'ed il fatto si rinnovó con le altre due successive discese
dei barbari, per ripetersi ancora con le irruzioni dei Saraceni.

Possiamo soltanto stabilire con certezza che nell'epoca feudale
la città di Nocera si presentava addossata alla Collina sulla quale
sorge ora la città moderna, al di sotto del suo vertice occupato
soltanto dalla formidabile Rocca, nella quale, protetto da piü ordini
di mura e da torri, aveva sede il Conte, feudatario del Duca di Spoleto.

La collina di Nocera ha la figura, presso a poco, di un triangolo
isoscele, il cui vertice, sul quale sorge ora la Cattedrale cinquecentesca
sotto il maschio della Rocca feudale, raggiunge i m. 548 di altitudine,
in confronto dei 498 segnati dalla Piazza del Mercato, e si affaccia
sulle balze rocciose che precipitano sino al fondo della piccola valle
del Topino di fronte al costone nord del monte Busseto. La sommità
del colle scende lievemente in direzione di tramontana verso un

(1) MurartoRI, Rerum Italicarum Scriptores, Vol. IX, cap. XXX.
‘senso aristocratico in quanto decretava nei suoi Statuti quod nulla

90 GIOVANNI DOMINICI

tratto pianeggiante rappresentato dalla attuale Piazza Caprera, già
Platea maior o Platea Communis, e dall'inizio della Via Tullio Pon-
tani, già strata turris veteris fino alla Piazzetta della Torre. Il sito di
questa costituisce il vertice piü basso del colle, quasi un bastione avan-
zato, sotto il quale il terreno precipita verso la base. Sopra questo
bastione esisteva un tempo la Turris vetus, ricordata negli Statuti
del 1371, dalla quale s'intitoló il Quarterio omonimo.

Nella zona della vecchia torre e sotto di essa, tutt’all’ intorno,
si stendeva il centro abitato di Nocera medievale. E dietro di essa,
verso la Piazza maggiore, era il Palazzo dei Priori, le res Canonicae
nucerine, e sorse nei primi anni del 1300 il locus Fratrum Minor um,
in surrogazione di quello sorto. ancora vivo S. Francesco, extra muros
e distrutto dalle soldatesche di Federico II imperatore nel 1248. La
sommità del colle non venne inclusa nella città che più tardi. Per la
mancanza assoluta di ogni vestigio di costruzioni dell'epoca. romana e
preromana, é da ritenere che negli antichi tempi la vetta sia rimasta
allo stato naturale, fin quando nell'alto Medio Evo assunse la funzione
di fortezza, trasformata poi nell'epoca feudale in Rocca fortissima,
difesa da torri e da più ordini di mura. Entro l'ultimo recinto, al ver-
tice supremo del colle e immediatamente sotto il maschio possente
tuttora in piedi era: il Palazzo del Conte.

Presso questo Palazzo, e in sul principio del secolo xr come te-
stimoniano gli scarsi avanzi di architettura romanica, sorse la nuova
Cattedrale che nell'anno 1248 doveva essere profanata e distrutta dalle
soldatesche imperiali, istigate dai Ghibellini di Foligno. Per vari
secoli la Rocca costitui una zona nettamente separata dalla città
sottostante. E fu solo verso la metà del xv secolo, quando Nocera dopo
tante dolorose vicende fu ritornata alle dirette dipendenze del Ro-
mano Pontefice, che il Palazzo Comitale divenne residenza dei Priori;
la Rocca fu demolita, risparmiandosi soltanto il maschio poderoso pur
mozzato del suo coronamento, e sorsero poi nella zona il nuovo Epi- —— [.
Scopio e, successivamente, il Seminario diocesano, le Chiese delle due
Confraternite del SS.mo Sacramento e della Morte; e infine, molto
più tardi, il Palazzo Civico.

Degli edifici che ebbe Nocera all'epoca dei Comi e che furono
indubbiamente monumentali in una città che bisogna pensare di vivo

persona recipiatur in civitate nisi possideat, (1) nulla è rimasto, se

(1) Statuti Nocerini del 1371, libro 'V; cap. 2.
si eccettui qualche traccia che riappare da sotto gl’intonaci cadenti
delle ricostruzioni e rabberciature posteriori. Del Palazzo comitale,
che ospitò, tra l'altro, anche il. grande Pontefice Paolo III essendo
Vescovo il Colocci da Jesi (1537-1546), il quale volle testimoniare la
sua gratitudine alla Municipalità ‘disponendo che Nocera inveee di
contribuire-come tutte le altre città dello Stato alla erezione della
Rocca di Perugia, che poi fu detta Paolina, erogasse la sua quota
per pavimentare in laterizio la strada del Duomo (1), non rimangono
che due stanze, ora Sacristia della Cattedrale cui furono cedute dal
Comune in corrispettivo delle Messe pro-populo.

Della netta separazione della Rocca dalla Città testimonia anche il

Lilii nella sua «Historia di Camerino» (2) narrando sotto l’anno 1421.

il truce episodio della proditoria uccisione dei fratelli Nicolò e Barto-
lomeo Trinci da parte del castellano Ser Pasquale da Rasiglia, per
motivi di onore. Il fratello degli uccisi, Corrado Trinci, potente Si-
gnore di Foligno, mandó ad assalire la Rocca di Nocera il grande con-
dottiero Braccio Fortebracci, il quale riusci a catturare lo sciagurato
Castellano che, allorquando si vide perduto, prima di arrendersi,
precipitò dall'alto del Maschio la moglie infedele sulle alabarde degli
assalitori. i

La vicenda è raccontata con ampi dettagli dal cronista coevo
Parruccio Zampolini di Spoleto, il quale narra come Corrado Trinci
sfogasse la sua ira feroce anche sopra ben trecento cittadini di Nocera,

| (1) Nell'anno 1942, in occasione dei lavori edilizi in un locale terre-
no dell'Episcopio di Nocera, fu rinvenuta una pietra arenaria di m. 0,50,
—. X 0,40 per x 0,04 recante la seguente epigrafe:

^ STRATA HEC — LATERATA, FUIT — ANO. D. MDXLIIII
SEDENTE PAULO III — PONT. MAX.

Evidentemente è il ricordo della lastricatura in mattoni della strada del
Duomo. Anche lo Jacobilli, ricordando la concessione di Papa Paolo III, scri-
ve «applicando il denaro assegnato a detta causa per laterare la strada da
detto palazzo fino alla Piazza grande di Nocera, come si eseguì poi pontualmen-
te ». Cfr. l. c. pag. 114 della ristampa Amoni, ove si parla del Vescovo Angelo
Colosio da Jesi.

Il «laterata » dell'epigrafe deve intendersi «pavimentata in mattoni, in
laterizio » (later).

(2) Cfr. CAMILLO LiLii, Dell' Historia di Camerino. Macerata, 1652, parte
II, libro V, pag. 163.

Per altre fonti, vedi M. FaLOCI-PULIGNANI, in « Arcgivio storico per le
Be. e l'Umbria » anno 1888, pag. 249.

LA VIA FLAMINIA PER ANCONA, ECC. 91
yi coronel —7177 3

92 GIOVANNI DOMINICI

| da lui ritenuti amici dello sciagurato Castellano, quantunque nessun
Ii nocerino avesse preso, in quel triste frangente, parte per lui. .
Er Bs ' Risulta pertanto accertato che la. città di Nocera medievale e
T moderna si é gradualmente sviluppata dal basso verso l'alto, e che
i solo molto tardi si è estesa alla sommità della collina. Sarebbe certa-
| E mente avvenuto il contrario, ove la Nocera antichissima fosse stata
| li nel sito attuale. La prima zona ad essere occupata sarebbe stata indub-
biamente la sommità del colle, per la tendenza caratteristica e con-
cordemente riconosciuta ai popoli umbri di localizzarsi, dove fosse
Jh stato possibile, sulle colline per ragioni strategico-difensive. E gli
B. avanzi sarebbero in ogni caso rimasti, almeno nelle fondamenta delle
UE I fortificazioni posteriori. In Nocera, invece non puó riconoscersi che
| PUE .un centro costituitosi nel Medio Evo, all'ombra della for midabile
| rocca feudale; e il nome di « Borgo » tuttora attribuito al nucleo prin-
cipale dell'abitato a continuare il Quarterium Burgi ricordato negli
|o i antichi Statuti, ne è la conferma. Un altro fatto saliente del quale
MI ns bisogna tener conto é il perpetuarsi del nome antichissimo al nuovo
| centro, senza alcuna discontinuità attraverso i secoli, diversamente
da quanto é avvenuto per Gualdo Tadino e per Fossato di Vico.
Questi due centri sono concordemente riconosciuti come legittimi
| eredi di Tadinum e di Helvillum rispettivamente, che avevano le loro
Lu antichissime sedi lungo la Via Flaminia, nella pianura sottostante, e
ias | . che vennero totalmente distrutte nelle ripetute incursionibarbariche.
Gli abitanti di queste, però, si dispersero e soltanto parecchi secoli
più tardi si ritrovarono insieme per ricostituire la loro patria, della
i quale, peraltro, non rinnovarono il nome. I dispersi Tadinates chia- i
Mi - marono Gualdo (dal longobardico Waldum, significante bosco, selva) È
i il loro nuovo paese, che poi si chiamò Gualdo di Nocera, fino a quando
non assunse il nome attuale di Gualdo Tadino per effetto del rescritto
pontificio 2 settembre 1833 (1). Il nuovo paese degli Helvillates si
chiamò Fossato di Vico, dal nome del feudatario che, secondo i Cro-
ill nisti, ne fu il fondatore. >
| MM 7. Il fatto che Nocera abbia conservato il nome antichissimo, pur
| nella fondata ipotesi del suo trasferimento dalla sede primitiva situata
altrove, indurrebbe a ritenere che la costituzione della nuova sede
sia avvenuta pressoché immediatamente, non appena i barbari che
avevano distrutta l'antica erano passati piü oltre. E potrebbe anche
; pensarsi che i Nocerini, dal doppio CAI di Favoniensi e di Ca-

(1) RuccERO GUERRIERI, Storia di Gualdo Tadino, pag. 277.
LA VIA FLAMINIA PER ANCONA, ECC. 93

"mellari, cosa abbastanza comune nell’antichità ed anche attualmente,

oltre il centro principale, altri nuclei abitati distinti e separati da
quello, pur sempre riuniti sotto lo stesso nome e lo stesso ordinamento
amministrativo. La devastazione del centro principale situato in
posizione aperta lungo la Flaminia avrebbe indotto i superstiti a
rifugiardi presso i fratelli, abitanti un piccolo nucleo localizzato pro-
babilmente a ridosso, in ogni caso verso levante, della collina sulla
quale doveva poi sorgere la Rocca formidabile e, sotto di questa, rico-
stituirsi più tardi la Nocera medievale. |

Verrebbe cosi a spiegarsi la ininterrotta continuità del topònimo
in un sito che non documenta né potrà mai documentare in alcun
modo nemmeno la più lontana vestige di una antichissima origine.

Lo spostamento del centro abitato potrebbe senza gravi diffi coltà
ritenersi ammissibile, ricordando che la Nuceria Camellaria era, in-
torno all'Era Volgare, un centro modesto secondo la esplicita testi-
monianza di Strabone — xaroxia: oppidulum, traducono gli Uma-
nisti -; un paese più importante per il fatto di trovarsi sulla Via Fla-
minia che per la sua entità demografica.

Ma anche su questo ‘elemento che ci viene da Strabone taluno
ha voluto esagerare ai danni di Nocera, sventurata città di cui le
attestate antichissime origini non hanno né possono avere una storia
- scritta. E si è voluto aggiungere che la modesta importanza di Nocera
sarebbe continuata per tutto il primo millennio, in quanto la sua Dio-
.cesi non risalirebbe oltre il decimo secolo, e sarebbe sorta soltanto in
in surrogazione delle Diocesi già esistenti nelle distrutte città viciniori.

L'asserzione, formulata unicamente sulla autorità del Lanzoni,
merita di essere esaminata. |

Monsignor Lanzoni, nel suo studio sulla origine delle antiche

Diocesi d'Italia, afferma che Nocera in antico non fu sede episcopale,
ne 1n secondo luogo, che la Diocesi di Nocera successe a quelle estinte
di Plestea e di Tadino. Le sue conchiusioni si fondano esclusivamente
su di un passo, anzi deve dirsi meglio, sulla interpretazione che egli
vuol dare ad un passo di una vita di 5. Rinaldo Vescovo di Nocera,
menzionata nella Biblioteca Hagiographica Latina Antiquae et Me-
diae Aetatis (1) col seguente titolo: Libellum olim latine scriptum,
postea in linguam italicam versum, denuo latino sermoni restituit
- Henschenius et edidit, inserto in-parte negli «Acta Sanctorum» sotto il

(1) Edidit Soc. Bolland. 3 voll. Bruxelles 1898-1911, sub: Ràinaldus epi-
Scopus Nucerinus.: !

e
91 GIOVANNI DOMINICI

giorno 9 febbraio. Si tratta evidentemente della Vita S. Ranaldi
Epis. ms. ant. Nuceriae che lo Jacobilli cita nelle glosse marginali
della sua storia, e che l' Henschen ritradusse in latino da una versione
anonima in lingua italiana, non essendo riuscito a rintracciare il testo
originale. È de

Sulle fonti di questa Vita S. Ranaldi il glorioso e veneratissimo
Patrono della Città e Diocesi di Nocera, che fu Vescovo dal 1218 al
1222, esiste una copiosa bibliografia, antica e moderna, elencata dal
compianto Mons. Castellucci in due articoli da lui pubblicati nel
numero unico compilato in occasione del VII centenario di S. Rinaldo,
edito dalla Tipografia Gentile di Fabriano nel 1925. E l'argomento
viene ora ripreso con alta dottrina e profondo studio di Codici dal
prof. d. Sigismondi in una sua pubblicazione in corso sulla Diocesi
di Nocera U. nel primo millennio. Sarebbe quindi ozioso per noi sof-

fermarci a questo riguardo. D'altra parte, basta la semplice enuncia-

zione che abbiamo già. fatta della fonte cui il. Lanzoni attribuisce
assoluto valore probatorio, per avere una idea suffi centemente chiara
dell'autorità che può essere riconosciuta al passo da lui citato, e che
egli stesso qualifica come scorretto.

Dice testualmente il Lanzoni (1):

«Una vita di S. Rainaldo, Vescovo di Nocera Umbra (f 1225 o
1226) (é stata invece accertata come data piü probabile quella rife-
rita dallo Jacobilli, dal Dorio e dall'Ughelli all'anno 1222) ci dà pre-
ziose notizie sulla fine di Tadinum e di Plestia. L'anonimo scrittore,
narra che desolata l'Umbria dopo le terribili devastazioni dei Goti,
dei Longobardi e di altri popoli, finalmente sotto Ottone I (951-983)
alcune città del paese furono restaurate, altre ridotte a castelli:
oppida facta sunt. Tra queste ultimel'autore enumera Tadinum e
Plestea, cioè le due antiche Diocesi surricordate; e aggiunge che i
Tadinati, ridotti alla miseria e alla desolazione, abbandonarono le
ruine della loro città e si rifugiarono in Nocera, rafforzandosi sulla
Rocca ed edificandovi una Chiesa in onore della Beata Vergine. Il
Papa (non si dice il suo nome) eresse in Episcopato la Chiesa di Nocera;
et episcopatus, é necessario riprodurre il testo latino, Rosellae et Thaini
in Nuceria adunavit et ecclesia(s) Usentis (o Bentis) et Plestiae illi
coniunxit. Da'questo:passo, per quanto scorretto, da prima risulta
chiaro che Nocera Umbra in antico non fu sede episcopale. In se-

(1) Mons. LANZONI, Origine delle Diocesi antiche d'Italia. Roma, Tip.
Poliglotta Vaticana, 1923, pag. 289.
LA VIA FLAMINIA PER ANCONA, DCC. : 95

condo luogo si HA che la Diocesi di Nocera Umbra successe a quelle
estinte di Plestia e di Thaini o Tadinum, come si legge chiaramente
in un altro passo dello stesso autore: ef Nuceria Thadinati. success il
in episcopatu secundum historiam assumptam de libris nobilium».
Ora il testo originario latino della vita, che l' Henschen non avendo
potuto averlo sottomano volle ricostruire da una versione italiana,
esiste. Esso fu pubblicato dal Poncelet in Catalogus Codicum Il agio-

graphicorum Lat. Bibliothecae Vaticanae (1) dalle copie conservate ‘

nel Cod. 3921 della Vaticana e Cod. 91 della Alessandrina.

Gli studiosi hanno accertato che la Vita, compilata nel secolo xiv
e completata nel xv, è opera di tre compilatori di tre tempi succes-
sivi; e che, per dippiù, il secondo di essi è manifestamente plagiario
per avere attribuito al Santo Vescovo Rinaldo i miracoli di S. Martino

di Tours togliendoli di peso da Sulpizio Severo.
È necessario rileggere questo testo originario, nella parte che Si
riferisce alle: presunte origini dell'Episcopato Nocerino, per vedere
senza sforzo quale valore debba attribuirsi alle incongruenti affer-
mazioni in essa contenute, e che trovano rispondenza nei Codici
Gualdensi coevi da cui furono tratte quali il Lezionario di S. Facon-
dino, il Chronicon Gualdense e il Lezionario di S. Francesco.

Dice dunque la Legenda che circa l'anno 950, ai tempi di Ottone I
Imperatore, Spoleto ed altre terre del Ducato furono restaurate, al-
tre divennero castelli — Oppida facta sunt — come Tadino, Rosella e
Plestea. Nocera ‘successe nellEpiscopato tadinate. E continua nar-
rando che alcuni uomini poveri di Tadino — aliqui pauperculi Thadi-
nali — essendo distrutta e desolata la loro patria, stabilirono di rico-
struire la Rocca nocerina, e.di fatto la restaurarono e la fortificarono
per loro rifugio. E cosi restaurarono Nocera e lasciarono nelle sue
rovine la città dei Tadinati, né mai ad essa ritornarono. In Nocera fu
costruita una Chiesa in onore della gloriosa Vergine Maria, e il culto
divino ivi fu riformato. Dopo queste cose il Romano Pontefice costi-
tui l'Episcopato di Nocera, e vi riunì gli Episcopati di Rosella e di
. Taino, aggregandovi le Chiese di Usenti e Plestea, ef populos eorum

et communitatem in Nuceria annuatim preponi instituit .ad conser-
genda iura pubblica communia et spiritualia ».

D

. Dire che il passo dell'anonimo scrittore è semplicemente scor-.

x

ceto; è usare un troppo cortese eufemismo.

(1) PoncELET, Catalogus Codicum Hagiographicorum Latinorum Biblio-

thecae Vaticanae. Bruxelles, 1916, pag. 494.
GIOVANNI DOMINICI

Anzitutto non è vero che circa il 950 alcune città dell'Umbria
vennero restaurate e altre si trasfomarono in castelli. È ignoto in quale
anno fu distrutta la città dei Tadinati; si sa, peraltro, certamente,
che dopo la distruzione di Tadino, i suoi cittadini restarono per lungo
tempo dispersi tanto che allorquando dopo aver costruito e successi-
vamente abbandonato un loro primo centro di raccolta; fondarono
nel secolo xII quello che è ora Gualdo, avevano perduto anche la me-
moria della loro patria di un tempo. Così Plestea, l’antica città um-
bra sull'altopiano di Colfiorito, esisteva ancora nell'anno 996, per-
ché appunto nel giugno di quell’anno l'Imperatore Ottone III ema-
nava da Pistia due diplomi, come io stesso ho ricordato nel mio stu-
dio sulla battaglia del Lago Plestino (1) e soltanto oltre due secoli
più tardi sorsero vari Castelli portanti nomi diversi, che dell’antica
Plestea utilizzarono soltanto le pietre.

Rosella, che pare debba ritenersi il nome più antico della odierna
Sassoferrato (2) successa all'antichissima Sentinum che il Bormann,
sulla testimonianza dei numerosi monumenti rinvenuti, ritiene aver
fiorito fino oltre il rir. secolo d. C., non era sede vescovile, e non è
compresa nell'elenco delle Diocesi antiche tanto secondo il Lan-

(1) G. DOMINICI, Un episodio della TI guerra punica nell’ U mbria, op. cit.
alla nota 5.

(2) Ctr. Corpus L. Hr. ;, Vol XI, p. p. fasc. I, pag. 837.

Il nome dell'antica città di Sentino è ricordato da taluni Vescovi di No-
cera nel loro titolo. Dice a questo proposito il Prof. ALFIERI in Frammenti
storici, Perugia, Unione Tip. Coop., 1909, a pag. 28, nota 1: « Non è raro chela
titolo di Vescovo di Nocera si trovi aggiunta qualche altra città. Cosi sul se-
polero del Corocci (1538-1545) scrissero: Nucerino et Sentinati Episcopo. Il
Vescovo Battaglini (1690-1716) firmava le sue opere: Vescovo di Nocera e
Sentino ».

Si tratta evidentemente di una rivocazione dotta, fatta da Vescovi uma-
nisti, perché come dicemmo non risulta che Sentino sia stata mai sede vescovile.

Dagli scavi di Sentino il Vescovo G. B. Chiappè (1724-1768) portò a Nocera,
destinandola a conservare l’acqua per la lavanda delle mani nella Sacristia
della Cattedrale, una piccola urna funeraria che nella parte posteriore ora ad-

dossata al muro, reca questa epigrafe:

D. M.

EMILIAE CLEOPATRAE '
FILIAE DULCISSIMAE

CYNEGETICUS PATER.

Cfr. Prof. L. AmonI, Il Beato Tommaso Unzio. Assisi, Tip. Sensi, 1877,
pag. 289; C.I.L., vol. XI, p. p. fasc. I, pag. 848. |
LA VIA FLAMINIA PER ANCONA, ECC. 597

zoni, quanto secondo il Duchesne, nemmeno sotto l’antico nome di
Sentino (1). i

.Della esistenza di una città chiamata Rosella nel territorio di
Sassoferrato testimonia, peraltro, l'antico elenco di Chiese della Dio-

cesi di-Nocera nel secolo xv più volte citato, il quale sotto la rubrica -
De territorio Saxiferrati cita un Hospitale S.te Lucie de Civitate Ro- *

selle.

Ad ogni modo, laddove l'anonimo cronista afferma che furono
adunate in Nocera le Diocesi di Tadino e Rosella, il Lanzoni chiarisce
che si tratta delle Diocesi di Tadino e di Plestea. Ma forse la rettifica
peggiora il bisticcio perché, anche prescindendo dalle date, non è
vero. che la Diocesi di Plestea fu riunita a ‘quella di Nocera; ma il suo
territorio fu diviso fra i Vescovadi di Nocera e.di Foligno, come rife-
risce esattamente lo Jacobilli. E la ripartizione è tutt'ora chiara-
mente identificabile.

Infine troppo puerile e inverosimile perché possa prendersi
sul serio è il racconto del fantasioso scrittore laddove egli dice delle
grandi gesta che avrebbero compiuto quei Tadinati che cercarono
rifugio in Nocera. Un esiguo gruppo di miserabili Tadinati — aliqui
pauperculi Thadinates — avrebbe accupato la Rocca, ricostruite le
torri e le fortificazioni a suo esclusivo rifugio, restaurata la Città di-
strutta, riformato il Culto divino, costruita una nuova Chiesa in onore
della Vergine. Sarebbero stati, in una parola, i nuovi fondatori di
‘ Nocera, mentre avrebbero per sempre abbandonata alle sue rovine
la loro patria!

‘Ora che alcuni Tadinati abbiano potuto chiedere ed ottenere di.
essere accolti in Nocera, profughi dalla loro patria distrutta, può

anche ammettersi. Ma è di assoluta evidenza come a questa congerie
spropositata di affermazioni incongruenti ed inverosimili non possa
attribuirsi alcun valore; e che debbano interpretarsi come lo sforzo
non felice di uno scrittorello che ha voluto intenzionalmente falsare
la storia, rivendicando ai suoi concittadini il merito dell'incremento
edilizio, politico ed ecclesiastico di Nocera.

| Sappiamo, d'altra parte, che fino dall'anno 850 Nocera era stata
ceduta in vicariato col titolo di Contea a Monaldo, ültimo della stirpe
dei Duchi longobardi di Spoleto, dall' Imperatore Lotario; e che i discen-

(1) Cfr. gli elenchi delle antiche Diocesi d’Italia secondo il Lanzoni e
secondo il Duchesne nell’atlante del Pullè, nell’opera Italia, Genti e Favelle, già
citata alla nota 10.

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98 ; : GIOVANNI DOMINICI

denti di Monaldo ne ebbero confermata l'investitura dagli Impera-
. . teri Germanici (1). Nell'anno 950 la Rocca era quindi in saldo pos-
sesso del Conte, né di conseguenza gli aliqui pauperculi Thadinates
| avrebbero potuto farne il loro comodo e sicuro rifugio.
bU rm I Ma prescindendo da tutto questo, la precedente esistenza di una
Rn "sede vescovile a Nocera dell'Umbria nel corso del primo millennio
é comprovata dal fatto che almeno tre Vescovi nocerini risultano
storicamente attestati; e cioè Aprile(502), Luitardo (826) e Raci-
perto (853-861) dalle rispettive sottoscrizioni agli atti dei Concilii.
DE È peraltro a ritenere che a Nocera esistesse un Vescovo fino dal
| a n secolo rr data la grandissima rapidità con cui si diffuse in Italia il
JI SOR ANI: ‘Cristianesimo dovunque, e particolarmente nella nostra Umbria per
ME (ER | l'apostolato di S. Feliciano Vescovo di Foligno (2) in tutti i centri
| (EE situati lungo le grandi strade di comunicazione.
Ju Nocera Camellaria, municipio e poi Civitas, era appunto situata
Bd lungo la Via Flaminia; anzi era importantissimo nodo stradale,
NE perché, come già*vedemmo, da Nocera la Flaminia primaria si bifor-
I cava in due grandi strade: la Flaminia per Rimini e la Flaminia per
i Ancona. E questo evidentemente contribuì in modo notevole a favo-
| i, rirne l'incremento e l'importanza, e favorì il rapido diffondersi della
ii luce dell’Evangelo.. |
| il Un antichissima sequenza della Messa di S. Feliciano, pubblicata
come riferisce il Mengozzi (3) dal sacerdote folignate Biagio Anto-
nelli nel 1519 in Perugia, ricorda infatti che l'Apostolo Feliciano
Mna praedicans hic Perusinis, Plesteis et Nucerinis, Montanis quoque cum
ie i Nursinis, dotat lucis radio.
i . . La predicazione del Santo Vescovo Feliciano, passato alla immor-
Hm talità nell'anno 251 d. C., fu fertilissima di risultati, tanto che tutti
i Municipii romani posti lungo la Via Flaminia, sia nel più antico
percorso per Bevagna che nel più recente per Terni, e quelli contigui si -
TUR convertirono al Cristianesimo. E le singole comunità cristiane ebbero
mS naturalmente a loro Capo un Vescovo (Episcopus) e divennero quindi

(1) CASTELLUCCI, op. cit. in calce alla nota 36.

(2) M. Farocr PuLiGNANr, Le origini del Cristianesimo nell’ Umbria.
Foligno, Tip. San Carlo, 1913.

(3) MENGOozzi ab. GIOvANNI, De’ Plestini umbri, del loro lago della e bat-
Ws taglia appresso di questo seguita fra i Romani e i Cartaginesi. Foligno, Campi-
i telli, 1791. i
Gilli (si | La dissertazione del Mengozzi è altresì inserta per intero nel volume XI
MERITI delle Antichità Picene di Giuseppe Colucci, op. cit.
LA VIA FLAMINIA PER ANCONA, ECC. i 99

Diocesi, la cui circoscrizione fu assolutamente identica alla circoscri-
zione municipale egli ultimi tempi imperiali. Scrive il Pullè (1) che

le antiche Diocesi corrispondono ai 4/5 dei Municipi nell'Italia penin- -

sulare, ad 1/5 nell'Italia Cisalpina; e che secondo il Duchesne deve

ritenersi che siasi seguita la regola di assegnare ad ogni città (la pa-

rola Civitas é equivalente a municipium) il suo Vescovo.

Un Itinerario della Flaminia, il Burdigalense o Gerosolomitano
compilato come è noto da un Cittadino di Bordeaux che negli anni
339-337 compì il viaggio da quella città a Gerusalemme e da Eraclea
a Milano passando per Roma, ci documenta quali erano le stazioni
della grande Via nell'Umbria che avevano l’attributo di Civitas,
sinonimo, abbiamo detto, di Municipium. Queste sono: Ucriculo,
Narniae, Interamna, Spolitio, Trevis, Fulginis, Foro Flamini, No-
‘ ceria, Ptanias (Tadinum), Foro Semproni, Fano Fortune, Pisaurum.
‘In tutte queste Città il Duchesne ammette una antica sede Episcopale,
e così ugualmente il Lanzoni, negandola soltanto per Nocera in ri-
guardo alle incongruenti e false affermazioni contenute nella Leggenda
S. Raynaldi che più sopra abbiamo riferito.

D'altra parte il nostro compianto Mons. Michele Faloci Pulignani,
. l’uomo illustre che l'indiscussa autorità del Bormann (2) qualificava
studiorum alacritate ed industria excellens, qui monumenta Umbriae
omnis aetatis sedulo curat, afferma nel suo studio su « Le origini del
Cristianesimo nell'Umbria » che fuffe'le diocesi dell'Umbria sono
anteriori al v secolo. Non quindi una fantasiosa e spropositata le-
genda può costituire un sicuro documento probante che Nocera sarebbe
divenuta sede episcopale soltanto alla fine del primo millennio, quando
tutte le città consorelle, anche ravvicinatissime fra di loro, furono Dio-
cesi ai primi lumi del Cristianesimo, nessuna esclusa. Valga l'esempio
di Foro Flaminio, Spello, Bevagna, Assisi, Trevi, pur cosi contigue
al centro più importante di Foligno.

Certo é da pensare che in molti luoghi si siano verificate interru-
zioni nella continuità delle Diocesi, in conseguenza delle vicende su-
bite dalle rispettive città nella circostanza delle ripetute incursioni
barbariche. Ed é storicamente comprovato che i Longobardi distrus-
sero molte organizzazioni diocesane (3). Ma per quanto riguarda
Nocera non é.certamente là raffazzonata legenda che può valere, dopo

(1) PuLLÈ, op. cil.
(2). Cfr.-Corpus I. L., vol. XI, p. p. fasc. I, pag. 754.
(3) PULLÈ, op. cit.

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100 : ‘+ GIOVANNI DOMINICI

tutto questo, a mettere in dubbio e tanto meno ad escludere l'antichità
della sua Diocesi. E non puó non rilevarsi come un illustre studioso
quale Mons. Lanzoni abbia voluto troppo affrettatamente ritenerla,
senza nemmeno indugiarsi a ricercarne il testo originale, come un
documento d'indiscutibile e assoluto valore.

Possiamo in conseguenza tranquillamente conchiudere che al
principio del secondo millennio la diocesi di Nocera assorbi per intero
la diocesi della distrutta Tadino e parte di quella di Pistia; e ritenere
per fermo che questo avvenne sotto l'Episcopato di Adalberto della
famiglia dei Conti di Nocera, nell'anno 1006 come riferisce lo Jaco-
billi (70). E si spiega facilmente perché questo notevole ampliamento
della diocesi nocerina dovesse avvenire.

La Contea di Nocera, dipendente dal Ducato di Spoleto, com-
prendeva i territori che furono già di Tadino e di altre località contigue.
Fu facile quindi al Vescovo Adalberto per l’autorità che gli derivava
dall'appartenenza alla stessa Famiglia Comitale, di far corrispondere
la giurisdizione ecclesiastica all'ampia giurisdizione civile e politica
della Contea.

E la cosa fu resa maggiormente facile dal fatto che dopo la di-
struzione delle città di Tadino e di Pistia non esisteva nella zona al-
cun altro «centro di una qualche importanza che avesse potuto pre-
tendere il riconoscimento a sede episcopale.

Con la granitica immutabilità di tutti. gli ordinamenti della
Chiesa Romana, la grande circoscrizione territoriale della Diocesi
nocerina rimane a testimoniare tuttora, alla distanza di un millen-
nio, documento unico, l'importanza notevolissima che Nocera Camel-
laria ebbe nell'epoca feudale..

Di questo periodo, approfondite indagini archivistiche da espe-
rire fuori di Nocera, perché, come sopra si é detto, gli Archivi noce-
rini non vanno piü indietro dellà fine del secolo xv, potranno for-
nire elementi per ricostruirne la storia frammentaria. Ma per quanto
si riferisce al periodo dell'alto medio evo e alle. precedenti epoche
romana e umbra, le tenebre profonde non potranno essere diradate
se non attraverso quello che in futuro potrà essere riportato alla luce
da fortunati e augurabili rinvenimenti archeologici.

Certamente il sottosuolo inesplorato dovrà pure un .giorno resti-
tuire quello che ancora tenacemente nasconde. Una città storica-

(4) J^AconBriLLI, Storia di Nocera, ecc., pag. 71 della ristampa Amoni,
op. cit.
LA VIA FLAMINIA PER ANCONA; ECC. 101

mente attestata nella sua antichissima civiltà umbfa e romana, che
anche di fronte alle ripetute distruzioni barbariche ha mantenuta
inalterata nei secoli la sua personalità originaria conservando ugual-
mente inalterato il topònimo, non può non aver lasciato almeno sot-
terra qualche traccia sicura dei vari stadi attraverso i quali è passata
la sua vita più volte millenaria.

Il campo di queste future indagini è certamente al di.fuori del
sito sul quale sorge ora la città moderna, le cui origini, vogliamo ripe-
terlo, non possono essere riportate più indietro dell’epoca medievale.

Onde bisogna pensare che la genesi di Nocera si sia svolta come

abbiamo accennato più avanti. I Nucerini cognomine Favonienses et
Camellari ebbero un tempo oltre il centro principale anche un altro o
più centri minori con i quali costituiva un Municipium unico. Di-
strutto dalle prime incursioni barbariche il centro principale, attra-
versato dalla Flaminia come lo vide Strabone, gli abitanti superstiti
si raccolsero, incrementandoli, intorno agli altri nuclei staccati della
stessa entità municipale.

Da lì, allorquando i Goti giunti nell'Umbria occuparono indub-
biamente senza ritardo la sommità della collina di Nocera che domina,
come dice esattamente il Paribeni, in uno dei punti più importanti e
difficili un’arteria stradale di essenziale valore come la Flaminia, e,
secondo le direttive che concordemente gli storici riconoscono al Re
Teodorico, iniziarono la loro politica di pacificazione e di fusione con
gli elementi locali, i Nocerini si raccolsero alle basi della collina, al-
l’ombra della rocca formidabile che avrebbe potuto difenderli da future
incursioni.

— Si costituì in tal modo il nuovo centro che andò successivamente
sviluppandosi dal basso all’alto, e che a testimoniare la formazione
raggiunta nell'epoca longobarda assunse, in confronto della Rocca,

e conservò nel suo nucleo principale il nome di Borgo; nome che è

tuttora vivo nell’uso locale.

Successivi augurabili rinvenimenti potranno stabilire se qua
induzioni siano esatte; oggi non possiamo che rimanere nel campo delle
ipotesi che la nostra presunzione può farci sembrare ragionevoli.

Ad ogni modo una cosa è certa: l'antica Nuceria era altrove.

GIOVANNI DOMINICI
SCIENZIATI UMBRI

Modesto studioso di scienze fisiche e naturali, spinto anche dal-
l’amore del natio loco, mi sono spesso interessato delle vicende delle
scienze stesse nella nostra regione. Pensando che le notizie raccolte
potrebbero — oltre al resto — giovare a chi meglio e più di me vorrà
in seguito occuparsi di questo argomento, ho creduto meritasse la

- pena di completarle e ordinarle in una breve panoramica visione dei

cultori di scienze (escluse le mediche, uscenti dall'ambito degli studi
da me coltivati) che nel corso dello sviluppo della civiltà italiana han-
no anche in questi campi dimostrato la fecondità della gente umbra.

Una tale visione riguarda evidentemente tre branche fondamen-
tali del sapere: le scienze cosidette esatte (le matematiche pure ed ap-
plicate come astronomia, cosmografia, fisica, meccanica); le scienze
chimiche pure ed applicate; le scienze naturali nelle loro molteplici
suddivisioni. :

E noto che più si risale nel corso della storia e più il sapere ha

in ogni individuo il carattere enciclopedico; piü si scende verso i tem-

pi moderni e piü cresce la specializzazione. Ció é in evidente relazione
colla estensione delle cognizioni in ognuna delle branche suddette. Nei
primordi della cultura scientifica, che tra noi si inizia dopo il mille,
uno stesso cultore di studi se matematico era anche astronomo, idrau-
lico, architetto, meccanico; se medico pure fisico, chimico, naturali-
sta; e ciò in quanto tutte queste attitudini da una parte si integra-

. vano scambievolmente richiedendo l'una spesso il sussidio dell’altra;

e dall’altra, dato il fino allora non molto esteso dominio di ciascuna,

x

e

AVVERTENZA. — Il manoscritto di questo lavoro era pronto sin dal 1942
per essere inserito nel « Bollettino ». Ma poiché il volume corrispondente a tale
anno ha dovuto, a causa degli eventi bellici, ritardare di sei anni la pubblica-
zione, l’Autore ha creduto utile approfittarne per portare al suo studio modi-
ficazioni e aggiunte suggerite da pubblicazioni e da fatti posteriori. È
SCIENZIATI UMBRI 103

potevano tutte complessivamente essere abbracciate da una sola
intelligenza. Il tutto poi, oltreché concomitante con una cultura lette-
raria e spesso giuridica, aveva sempre alla base una più o meno appro-
fondita conoscenza della filosofia, anzi della metafisica; sull'esempio
«del Sommo Stagirita che aveva coordinato razionalmente in un corpo
mirabilmente armonico di dottrina le cognizioni scientifiche dei pre-
decessori, arricchite dai risultati delle proprie ricerche, sorprendenti
ancora oggi per la profondità ed il metodo con cui furono condotte. E
la specializzazione dei tempi moderni, se è stata conseguenza inevi-
tabile della moltiplicazione e differenziazione sempre crescente degli
studi e delle ricerche, non ha costituito certamente un vantaggio per
la intuizione sintetica dello scibile cui l'inteiletto umano natural
mente tende.

. Ciò posto, nessuna meraviglia se nella rapida corsa che ci ripro-
mettiamo di compiere non ci sarà sempre possibile rispettare esatta-
"mente l’inquadramento propostoci. E mentre per gli scienziati dei
. primi tempi dovremo ricordare attività non comprese nella ramifi-
cazione in cui li collochiamo, per quelli più recenti ci occorrerà invece
suddividerne la trattazione in branche diverse.

Credo opportuno poi avvertire che per ovvie intuitive ragioni
non parleremo degli scienziati viventi, dei quali fortunatamente se-
guita ad essere sempre rigogliosamente ferace la terra umbra.

I CULTORI DI SCIENZE ESATTE

In PERUGIA la prima fioritura di matematici è connessa colla isti-
tuzione (avvenuta sulla fine del trecento (1389) e attuata agli inizi
del ’400) della cattedra per l'insegnamento della «geometria, aritme-
tica e algebra » (1) in seno alla Facoltà denominata di medicina filo-

(1) Cfr. Vincenzo BinI, Memorie istoriche della Perugina Università degli
studi e dei suoi professori nei secoli XIII, XIV, XV. Perugia, Tip. Santucci,
_ 1816. Vedere a pag. 512. Il Bini, nato ad Assisi, monaco benedettino del Mo-
nastero di S. Pietro in Perugia, presen di filosofia all'Università, visse
dal 1775 al 1843.

Non sarà forse superfluo per la migliore comprensione di quanto ci accin-
giamo a dire, un cenno sulla organizzazione fondamentale degli Insegnamenti
nella Un osi di Perugia.

Dalle origini trecentesche fino a tutto il settecento lo studio rimase ordi-
nato su tre Facoltà: diritto; medicina, filosofia ed arti; oltre l'ultima ad ap-
parire, benché sempre trecentesca (1371), la teologia. La seconda — la Facol-

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104 : PIETRO PIZZONI

sofia e arti dello studio cittadino: «Il primo di cui si faccia menzione
« degli addetti alla istruzione di questo genere di sapere matematico
«(1412) è Antonio di Giovanni di CrrrÀ di CastELLO del quale no-
«teró che fu pure quegli al quale si trova assegnato il piü rieco sti-

tà che a noi specialmenté interessa —, risultava dalla confluenza di tre
correnti corrispondenti al suo triplice appellativo: la medicina e filosofia
strettamente allora collegate da un identico metodo di indagine, e le arti
che come la grammatica la rettorica, l'aritmetica e, pur troppo, l'astro-
logia avevano accompagnate, anche prima della fondazione dell'Univer-
sità, quegli studi. Non farà quindi meraviglia la facilità con cui vedre-
mo i docenti cominciare dall'insegnamento della filosofia per passare poi a
quello della medicina e della matematica alla prima così intimamente le-
gate nei processi logici. Col procedere dei tempi e della cultura, itre fondamen-
tali orientamenti della Facoltà vennero sempre più determinandosi, distinguen-
dosi e arricchendosi. Così nel seicento la medicina si avviò a divenire scienza
sperimentale accogliendo al suo fianco le prime cattedre di scienze naturali e
fisiche (come quella di botanica nel secolo xvI e di fisica sperimentale nel 1730)
mentre la filosofia non disdegna più intimi contatti con le matematiche che la
grammatica e la retorica le abbandonano volentieri per elevarsi a studio delle
umane lettere. E le matematiche si arricchiscono via via di nuovi insegna-
menti a cominciare da quello di astronomia (o come allora si diceva di sfera)
che nel corso del secolo xvi sostituisce l'astrologia di cui le matematiche stesse
cercano purificarsi. :

Coll'ottocento, e precisamente colla invasione francese, prima repubblicana
(5-2-1798 — 3-8-1799) e poi napoleonica (13-6-1809 — 24-4-1814) si iniziò
un'era nuova.

La tradizionale facoltà di medicina, filosofia, arti, finisce per dividersi in
tre facoltà: medicina; scienze fisiche-matematiche; belle lettere, e la divisione
persiste sotto il restaurato governo pontificio, fino al 1823. Nel 1824, col rego-
lamento di Leone XII, resta autonoma la medicina, e le due facoltà di scienze
e lettere si rifondono in una di filosofia cui nel 1847 si aggiunge una cattedra di
agraria. 5 :

Nel 1863 (dopo la annessione al Regno d'Italia avvenuta nel 1860) la
teologia é soppressa, la facoltà dilettere viene ridotta ad un Corso archeologico-
filologico (risplendente di viva luce fino al 1877 in cui cessò); mentre si rico-
stituisce (accanto alla giurisprudenza e medicina) abbastanza riccamente la
facoltà di scienze matematiche, fisiche e naturali che andò poi via via impo-
verendosi, fino ad esaurirsi ed esser soppressa nel 1885. E l'Università seguitò
nella sua plurisecolare missione colle ben sistemate facoltà di giurisprudenza
e medieina completate dalle appendici di notariato per la prima; ostetricia,
farmacia, veterinaria (divenute poi le due ultime facoltà distinte) per la se-
conda; e cui poi si aggiunse nel 1936 la ricca facoltà di Agraria, già funzio-
nante dal 1896 come Istituto autonomo. (Cfr. ERMINI, Storia della Università
di Perugia. Bologna, Zanichelli, 1947).

Vedere anche in ERMINI, op. cit., quanto riguarda l'istituzione della cat-
tedra di matematica, pag. 32-39 e pag. 516-517. x
SCIENZIATI UMBRI 105

«pendio in confronto dei suoi successori; giacché nel 1412 in cui venne

«dichiarato maestro di aritmetica e di abbaco dai Savi dello studio si

«trova a lui fissato l’onorario di centosettanta fiorini » (1).

I primi successori di Antonio di Giovanni — tranne un nativo di
Norcia, Evangelista Cipriani — vennero dalla vicina Toscana: ciò che
‘non può meravigliare se si riflette che quest'ultima fin dal secolo xit
era con Leonardo Fibonacci alla testa degli studi matematici. Se ne
ignora ad ogni modo il valore di scienziati ed il contenuto dell’inse-
gnamento, tranne che per il più illustre di essi: Luca Pacioli (2) frate
dell'Ordine dei Minori, nativo di Borgo S. SePoLcRo: quegli che
nella sua « Summa de aritmetica e geometria » fece fare passi da gi-
gante alla matematica insegnando il modo di risolvere le equazioni
di secondo grado: quelle derivanti dal secondo e le equazioni esponen-

i (1) VincENZO BINI, op. cit., pag. 519. Col nome di abbaco s'intendeva ve-
risimilmente l’insegnamento della geometria non che dell’algebra. Liber abbaci
è il titolo dell’opera pubblicata nel 1202 da Leonardo Fibonacci; specie di
enciclopedia matematica colla quale il mercante e insieme profondo scienziato
pisano, coordinando e fondendo in un organico corpo di dottrine quanto aveva
appreso nei suoi viaggi attraverso l’Oriente, mise — oltre al resto — le basi di
una scienza tutta nuova per l'Europa: l'algebra.

Cfr. per Evangelisti Cipriano, di cui appresso, G. ERMINI, Storia dali Uni-
versità di Perugia. Bologna, 1947, pag. 517.

(2) G. CALDERONI, Intorno ai progressi della geometria, « Annuario della
Libera Università di Perugia » anno 1881-82, pag. 15.

Luca Pacioli (14450-1517) ha una fama contrastata come uomo e come
scienziato. Come uomo, anche dal cipiglio, con cui il pennello di Jacopo dei
Barbari suo contemporaneo lo ha tramandato ai posteri nell’espressivo ri-
tratto della Pinacoteca di Napoli, può dedursi che fu di carattere fiero e indi-
pendente e forse autoritario. Fatto sta che egli si trovò più di una volta in
disaccordo cogli ambienti attraverso ai quali passò, compreso quello dei suoi
confratelli in religione, e che il disaccordo fosse da parte sua manifestazione di

. animo soltanto momentaneamente irascibile starebbe a dimostrarlo il fatto della

stima affettuosa trasparente da lettere (in quest’ultimi tempi scoperte e pub-
blicate) a lui dirette e provenienti proprio dagli ambienti sopra indicati; non
che dal conferimento da parte dei suoi superiori ecclesiastici (non ignari delle
accuse) di cariche non esenti da responsabilità di comando. E il vagare, come
lettore, fra gli Studi di Perugia, Roma, Napoli, Zara, Milano, e poi di nuovo

Perugia e Roma, sarebbe dovuto non alla mutabilità del suo carattere ma alla
fania della sua competenza non che della singolare laboriosità. Coneludendo,
come sempre avviene, tanto più quando la potenza dell’ingegno desta invidie
e conseguenti ostilità, nelle accuse di intrattabilità cui frate Luca fu fatto se-
gno non deve aver fatto difetto l’esagerazione.

Come scienziato, delle varie opere pubblicate ricorderemo le due viincibali

‘e rispetto alle quali si sono accaniti con accuse di plagio i suoi avversari. 106 ‘. PIETRO PIZZONI

. ziali: applicando l'algebra alla geometria; e nel trattato di aritmetica

commerciale esponendo la prima volta il metodo della tenuta dei libri

in partita doppia.

Tiene il primo posto la Summa Aritmeticae et Geometriae uscita nel 1494 a
Venezia, comprendente l'aritmetica, l'algebra ela geometria, e che specialmente
per quanto riguarda l’algebra (confrontare quanto abbiamo accennato nel
testo), rappresenta un innegabile considerevole progresso in confronto delle
ancora insuperate ma limitate nozioni di Fibonacci. Viene in secondo luogo il
trattato De divina proportione con disegni di Leonardo da Vinci, di cui fra-
Luca fu amicissimo e consigliere. ì

La prima accusa di plagio — dovuta inizialmente a Giorgio Vasari — ri-
guarda il Particolaris tractatus circa corpora regularia (i cinque poliedri re-
golari: cubo, tetraedro, ottaedro, icositetraedro, dodecaedro) et ordinaria svolti
compendiosamente nella parte geometrica della Summa e più estesamente nel
Divina proportione e che non sarebbe che un compendio del trattato De quinque
corporibus del suo grande conterraneo Piero della Francesca. Se non che — a
parte il resto — la critica ha messo in luce la diversità del procedimento seguito
nei due trattati; quello del Pittore riducendosi ad esercitazioni matematiche;
mentre la trattazione del Matematico tende alla interpretazione delle teorie
sul meccanismo dell'Universo di Pitagora, Filolao, Euclide, Platone. Del resto
frate Luca avverte esplicitamente di riferirsi all’opera di Pietro; il cui ricordo
appare espresso con molto affetto anche in altre sue pubblicazioni; del che si
sarebbe ben guardato .un plagiario !

La seconda accusa di plagio riguarda il Tractatus de Computis et Scripturis
contenuto nella parte aritmetica della Summa e in cui è esposto il metodo della
tenuta dei libri de’ conti in partita doppia. Ora si obbietta che un tal metodo
era corrente fra i contabili dei mercanti di Venezia ed egli deve averlo appreso
quando, da giovane in servizio presso il commerciante Rampiasi di Venezia,
viaggiava ed aveva contatto coi vari ambienti commerciali del tempo. Il che può
essere anche vero: ma da una parte nessuna meraviglia che il Pacioli abbia pub-
blicata la teoria della partita doppia nella sua Summa destinata a raccogliere la
sapienza matematica del tempo; e dall’altra non si comprende come si possa
incolpare di plagio chi non ha fatto altro che inserire, secondo anche l’uso del
tempo, ciò che era alla portata ditutti e di cui nessun singolo poteva arrogarsi la
proprietà intellettuale; ponendo su salde basi scientifiche un movimento che
ancora una volta originato in Italia, permerito del suo inquadramento si pr opagò
in tutto il mondo civile. E questa, oltre che di Luca Pacioli, è gloria italiana !

Le notizie sulle vicende private di Luca Pacioli non abbondano. Dal
natio «Borgo » ancor giovane emigrò a Venezia dove fu allievo del grande mate-
matico Domenico Bragadino, e dove, come abbiamo già accennato, passò al
servizio del mercante Antonio Rampiasi. Nel 1470 era a Roma, dove si strinse
in calda amicizia con Leon Battista Alberti, e dove conobbe e ammirò Melozzo
da Forli. Fra il 1475 e il 1480 vestì l’abito francescano, e nel 1477 già insegnava
matematica nello Studio Perugino, mentre contemporaneamente studiava
teologia; nella quale disciplina conseguì il grado di Maestro o (come lui si fir-
mava spesso) di « Theologiae professor ». Da allora in poi fu un gran vagare
SCIENZIATI UMBRI 107

Non sembra che l'insegnamento del Pacioli fosse continuato:
stando al Vermiglioli (1) egli salì la cattedra a Perugia negli anni 1478-
1486-1500-1510. In questo frattempo — e precisamente nel 1507 — tro-
| viamo docente di matematica presso lo studio perugino il domenicano
| Sebastiano De Angelis (1441-1521) nativo di Perugia, uomo di molta
dottrina e autorità spirituale che fu amico di Gian Paolo Baglioni il
quale, scrisse il Vermiglioli, (2) dopo una chiamata a Roma da parte
di Leone X « prevenendo, come avvenne, l'estrema sua rovina, depo-
«se nelle mani di frate Sebastiano gli interessi tutti di sua illaquenta
« coscienza »; e fu anche il direttore spirituale della beata Colomba da
Rieti, ospite di Perugia. Mansione questa che gli procurò non poche

sue particolari. Da ricordare in modo particolare il suo soggiorno dal 1496 al
1499 a Milano in stretta amicizia con Leonardo il quale ebbe da lui aiuto e
consiglio per progredire nelle non molto estese sue conoscenze matematiche e
per i calcoli per il monumento equestre a Francesco Sforza: calcoli dei quali
ci ha conservato, insieme a notizie, memoria lo stesso Pacioli. In più di un
periodo tornò al Borgo. natio dove fu anche Superiore nel convento del suo
Ordine religioso.
Come scrittore fra Luca, abbastanza corretto latinista, non costituisce
- certo testo di lingua quando sì esprime in italiano; mescolando e per giunta
corrompendo le parole italiane e latine. Nessuna meraviglia quindi che Anni-
bal Caro, grande estimatore del suo ingegno e della sua cultura, ne indicasse
gli scritti colla qualifica, dal punto di vista del valore letterario non eccessi-
vamente lusinghiera, di «ceneraccio »; perché come nelle ceneri degli orefici
si nascondono le minuzzaglie dell'oro, cosi nel « ceneraccio » di fra Luca c'e
contenuto l'oro che ha servito di base a tutti i matematici del secolo xvr.
Oltre le due acennate, altre opere notevoli di Luca Pacioli sono il trattato
De Architectura rivelante lo stretto legame da lui intravisto tra arti belle e
‘matematica; e la traduzione italiana degli Elementi di Euclide, una dotta
prelezione al V libro del quale egli lesse a Venezia, alla presenza di un folto
pubblico, nell’agosto del 1508. (Cfr. Ivano Ricci, Fra Luca Pacioli : l'uomo e lo
scienziato, con documenti inediti, Tip. Boncompagni, Sansepolcro, 1940).
(1) Gro. BATTISTA VERMIGLIOLI, Biografie degli scrittori perugini e no-
tizie delle opere loro. Perugia, Tip. Bartelli, 1828-29. Le biografie sono per ordine
i alfabetico. Vedere la biografia di G. BrGAzziwr. — Sozii, Elogio storico del Conte
] Gerolamo Bisgazzini celebre matematico perugino del secolo X VI, per la prima
«volta pubblicato in Perugia, 1831.
d (2) VERMIGLIOLI, op. cit. Biografia di De Angelis Sebastiano. Cfr. anche
PADRE Pro MAssETTI, Cenni biografici del P. Sebastiano di Angelo Bontempi,
in «Giornale Scientifico-Letterario di Perugia » anno 1861, Dispensa, 525,
pag. 440-458. Secondo il Padre Massetti il vero cognome di P. Sebastiano era
Bontempi (nobile famiglia perugina estintasi durante il secolo xvi) e a lui
piaceva denominarsi e sottoscriversi de Angelis dal nome del padre.

perl’Italia: nelle accennate città universitarie per insegnare; in altre per ragioni
108 PIETRO PIZZONI

noie; «imperciocché — seguita il Vermiglioli — i prodigi della Beata,
« anziché attribuirli alla santità sua, dalla malvagità e invidia si attri-
«buirono piuttosto alla Astrologia giudiziaria di cui dicevasi che frate
«Sebastiano faceva professione e che allora nella mente e nella opi-
« nione delle persone assai valeva: perché questi e simiglianti pregiu-
«dizi erano troppo forte radicati ». E accusato a Roma riuscì a fa-
tica a trionfare dei suoi accusatori. « Non sum magus — scriveva egli
nella sua difesa — sed bonarum artium exercitiis semper intentus et sum
quinquagenarius ». Per quanto riguarda là sua attività come docente
di matematica ecco.cosa ne scrive il già citato Bini (1) «La nostra

«Università lo ebbe veramente applaudito maestro nelle naturali dot-

«trine nel volgere degli anni del secolo sedicesimo. Rileviamo questo
«da un autentico documento il quale ci riporta l'atto con che i savi
« dello studio nel 1507 in grazia del lungo servizio da lui prestato nella
«lettura di oltre trenta anni di Teologia gli accordarono il privilegio
«della epurazione dalle incombenze della cattedra, assegnandogli la
«lezione nei giorni feriali di filosofia morale e di matematiche, facen-
«dogli godere lo stipendio medesimo che era giunto iu quell’ ‘epoca a
« conseguire ».

sembra che lasciasse piü scritti, illain dei quali di astrologia giu-
diciaria; ma a noi non ci é giunta che la Vita della Beata Colomba
scritta prima in latino e poi in italiano.

Secondo lo Scalvanti (2), docente nello studio perugino sarebbe
stato Gerolamo Bigazzini (1480-1564) nativo-di Perugia; detto il Vec-
chietto per distinguerlo dall'omonimo pronipote giureconsulto. Se
non che il Bini, più volte citato, se ne vanta maestro Luca Pacioli
non lo ricorda affatto fra i professori dell'Ateneo; né il Vermiglioli (3)

che pure ne dà un’ampia biografia accenna menomamente a questa at-
«tività. Comunque, docente o no, scienziato di valore s singolare non |

sembra dubbio sia stato, se il Sozi, cronista del tempo, lo chiama « prin-
cipe dei matematici e lume di tutta Italia nelle speculative scienze

(1) VINCENZO Bi Memorie istoriche dell’ Univérsità di Perugia; Parte III:
Storia dei secoli XVI e XVII. Manoscritto n. 1325 della Biblioteca Augusta
di Perugia. Al foglio (numerato a lapis) 115 parla diffusamente di Sebastiano
De Angelis. Questo manoscritto è il seguito dell’ opera citata a pag. 108, nota 1;
seguito rimasto pur troppo inedito.

(2) OscAR ScALVANTI, Cenni storici dell Università di Perugia, Perugia,
Tip. Santucci, 1910, pag. 10.

(3) VERMIGLIOLI, op. cit., BINI, op. cit., pag. 528. Biografia di Gerolamo
Bigazzini.
SCIENZIATI UMBRI 109

matematiche »; e se Luca Pacioli, di cui fu alunno, ad un certo mo-

mento sì ingelosì dei suoi progressi per timore di rimanere da lui oscu-
| rato in quegli studi nei quali egli erasi procurato in Italia il primato
e gran fama. Peritissimo in latino e greco studiò Euclide nel testo ori-
ginale. Agli studi di matematica — secondo pur troppo l’uso del tempo
| — eongiunse quelli di astrologia e fu in relazione coi primi astrologici
dei suoi giorni, ccme il Cardano e il Gaurico. Fu versato anche nella
astronomia; esercitó l'architettura e conobbe a perfezione la musica.
Copri cariche pubbliche e dai suoi concittadini fu mandato ambascia-
tore a Paolo III che lo prese in molta stima e «con brevi e lettere lo
richiese a molte imprese difficili e di grande importanza ». Però delle
molte opere, che ci è stato tramandato scrivesse, a noi non è perve-
nuta che una di carattere astrologico: « Prognosticon anno salutis
1523 e 1524», scritto in collaborazione con un Dominus Vincentius
Orlandini. i

Discepolo di G. Bigazzini fu Vincenzo Menni (1517-1570) anche
egli perugino. Il Bini (1) lo loda come uomo di molta cultura e dice
che «prima ancora del 1563 (prima quindi della morte del maestro)
«copriva fra noi la pubblica cattedra della Sfera ». Si applicò pure alle
lettere e pubblicò, fra l’altro, versioni poetiche da Virgilio e Ovidio.
Mori nel 1570 e fu sepolto in Cattedrale.

Il Bini predetto ricorda che nel 1511 era professore di ruolo della
Facoltà di filosofia e matematica Nicolò di ‘Assisi. « Continuò questo
«professore, scrive egli, del quale nulla più sappiamo di là del suo no-
«me, a leggere ancora nel 1515, in cui dall’autentico studio conser-
«vato nella Biblioteca Mariotti rilevasi che era ordinario di lingua la
«mattina e straordinario di fisica la sera » (2).

E sempre nel ruolo della stessa Facoltà il Bini trova notato nel
1581 Scipione Crispolti di Perugia e aggiunge che una cronaca ma-
noscritta di Giambattista Crispolti lo dice lettore di Sfera (3).

Tra ilettori di matematica nei secoli xvi e xvia vengono ricordati
anche i perugini Lauri Gio. Battista (1579-1629) e Roberto di Gerolamo
(secolo xvi). (4) Il Lauri coltissimo sacerdote, ché passò la sua

vita tra la città nativa, Todi e Roma, coprendo ovunque altis-

(1) BINI, ms., citato 1325, foglio 120, Biografia di V. Menni.

(2) Bini, ms., 1325, foglio 131. Cenni su Nicolò di Assisi.

(3) BiINI, ms., 1325, foglio 135. Cenni su S. Crispolti.

(4) BinI, ms., 1325, foglio 123. VERMIGLIOLI, op. cit. Biografia di Ro-
berto di Gerolamo e di Lauri G. B. 110 PIETRO PIZZONI

sime cariche, fu più letterato e filosofo che matematico. Egli infatti
dal 1605 al 1611 fu invero titolare di una cattedra nel patrio ateneo che
occupò «ora nelle filosofiche ora nelle matematiche discipline » (Ver-
miglioli); ma se si deve giudicare dalle almeno ventisei pubblicazioni
lasciate (nessuna delle quali, a meno che non si voglia collocare un
poemetto « Titanopoeia sive de fabricatione calcis », di carattere scien-
tifico) egli fu principalmente un poeta ed uno storico di valore non
comune.

Roberto di Gerolamo minorita e dotto teologo può esser ricor-
dato qui in quanto, oltre insegnare quest’ultima disciplina, tenne
cattedra su «le meteore di Aristotile » (Vermiglioli), e forse anche perché
si disse esperto nella astrologia. i i

Le tre pubblicazioni lasciate sono del resto tutte di carattere teo-
logico.

Giglioli Giovanni di Girolamo (1576-1636) perugino, laureato in
Teologia, filosofia e giurisprudenza insegnò nella patria Università
metafisica e, dice il Mariotti: « Tractatum de Sphera et mathematicas
disciplinas explicavit »;. nelle quali ultime discipline — precisa il Ver-
miglioli — fu « peritissimo »; come del resto «in ogni ragione di filoso-
fiche discipline ». E la sua fama salì tanto alta che avendo nel 1632
ottenuta la giubilazione dalla Università di Perugia fu dal Senato Ve-
neto chiamato a Padova a coprire la cattedra definita dal Vermiglioli
di filosofia e storia naturale collo stipendio, precisa il Bini, non accor-
dato ad alcun eltro prima di lui, e cioè di 1200 fiorini annui, più 150)
fiorini per le spese di viaggio.

Fu in grande stima di Urbano VIII che sottoponeva al di lui
giudizio prima della pubblicazione le ‘sue poesie. E corse voce, pure
ben fondata, che Paolo V lo avrebbe onorato della porpora cardinali-
zia se, all’ultimo momento, non lo avesse saputo ammogliato con Gi-
nevra Montesperelli (1).

Ma figura perugina di cattedratico veramente eminente fu Giu-
seppe Neri (1586-1623).

Ingegno versatilissimo e acuto, esimio cultore e compositore di
musica; conoscitore profondo delle lettere italiane, latine e greche;

| versatissimo nelle dottrine giuridiche in cui si laureò nel 1614 e che egli

illustrò coprendo per un certo tempo a Perugia la cattedra delle Pan-

(1) VERMIGLIOLI, op. cit., Bini, ms. 1325, foglio 136. ANNIBALE MA-.
RIOTTI, Commentari di Perugini illustri. ms. 1775 della Biblioteca Augusta di
Perugia, pag. 38. Biografia di Giglioli Giovanni di Gerolamo.
SCIENZIATI UMBRI. 111

dette, so prattutto si distinse nelle scienze matematiche che fu chiamato
ad insegnare nello studio di Macerata e poi in quello patrio. (1). La
rinomanza diffusasi in Italia e fuori della sua perizia in questo campo

gli procurò non solo la intima continuata amicizia di Federico Cesi che ‘‘

lo volle accademico dei suoi Lincei ma anche l'altissima stima di Gali-
leo Galilei il quale secondo il Lancellotti (Scorta Sacra 3 mag.) de-
sideró che il matematico perugino esprimesse il parere sopra alcuni
suoi lavori. E per ringraziarlo delle osservazioni fattegli si recò in Pe-
rugia nel 1618 e fu suo ospite come si rileva da una lettera del Neri
a Galjleo conservata nella Biblioteca Nazionale di Firenze. Il Neri fu
nella stima di molti cardinali, alcuni dei quali lo vollero seco a Roma.
E se una prima volta — due anni dopo laureato — chiamato dal Card.
Alessandro Peretti poco si trattenne, costretto per ragioni di salute a
tornare in patria, più tardi vi fu di nuovo al seguito del perugino Card.
Cesare Gherardi. Ed alla morte (8 luglio 1623) di Gregorio X entró
con lui in conclave, per uscirne peró poco dopo a causa di una indi-
sposizione che poi aggravatasi lo tolse di vita il 6 agosto 1623 a soli
37 anni di età. Fu sepolto nella chiesa poi demolita di S. Biagio a Mon-

‘tecitorio. Un altro cardinale che lo ebbe in grande considerazione fu :

Maffeo Barberini (più tardi Urbano VIII) il quale, dice il Bini, « non
soleva produrre al pubblico alcuna sua poesia senza averla prima sotto-
posta al maturo giudizio di lui ». Pubblicò due volumi di « Analecta».
Tip. Meitcarini, Perugia, 1619, in cui trattò. questioni di diritto, non
che di storia sacra e profana: e lasciò inediti manoscritti conservati
nella Biblioteca Vaticana ed in quella del Ccmune di Perugia.
Insegnante di fama, parimenti dello studio perugino, fu Lemme
Rossi (1601-1673) notaio, filosofo, matematico. I suoi rogiti notarili
rimangono ancora: come filosofo tenne nella patria università una
cattedra di logica che abbandonó nel 1633 per ascendere quella di

(1) Biografia di Neri Giuseppe in VERMIGLIOLI, op. cit. Bini ms. ci-
tato 1325. Il Bini afferma che fu nominato a Macerata, non mette in dubbio
che accettasse e si allontanasse cosi da Perugia. Secondo lo stesso negli atti
dell’Accademia dei Lincei è conservata la sua firma colla seguente dici-
tura: Joseph Nerius perusinus, Lyncaeus, Jacobi filius anno natus XXXVI, sa-
lutis MDCXXII.

La lettera, di cui appresso, del Neri a Galileo é pubblicata in un volume
— dal titolo « Per le nozze Nuti-Scalvanti — Unione Tip. Cooperativa Perugia,
1892, contenente (pag. 29-34) un breve scritto di Giuseppe Bellucci dal titolo:
«Galileo visita G. Neri a Perugia ». ERMINI in Storia dell’ Università di Perugia,
Bologna, 1947, a pag. 512-513 ne ha riprodotto l'autografo. T2 m PIETRO PIZZONI

matematica. Pubblicó un trattato sulle « Comete » che il Vermiglioli
definisce «libro non comune »; ed un « Sistema di musica speculativa »,
Perugia 1666 (1). |

Francesco Neri (1655-1733) assicura il Bini (2) appartenne alla
stessa famiglia del già citato e lodato Giuseppe Neri. Nel 1679 si ad-
dottorò in Diritto: recatosi poi a Roma si applicò agli studi matematici
sotto la valida disciplina di Vitale Giordani docente all'Accademia
irancese. Restituitosi in patria apri una scuola privata di geometria
e nel 1688 fu chiamato a coprire all'Università la « Cattedra primaria
di matematica » che tenne fino alla morte. Lasció manoscritte « Tra-
duzioni dalle opere di Archimede, arricchite di alcune sue osservazioni »
ed una « Versione dal francese del trattato delle sezioni coniche del
Marchese dell'Ospitale ».

L'anno stesso 1733, in cui la cattedre illustrata da Neri Francesco
restó libera per la morte di quest'ultimo, l'ascese tenendola fino alla
morte Felice Neri (1706-1751). Di esso cosi trovo scritto in un mano-
scritto della Comunale di Perugia (3): « Felice Neri fu uomo versa-
«tissimo nelle scienze matematiche la cattedra delle quali tenne con
«somma lode ed esercitò in questa Università ». Fu anche questi della
famiglia dei precedenti Neri ? Nessun argomento abbiamo trovato a
sostegno di questa ipotesi; la quale tuttavia non ci sembra improbabile.

Fra gli ultimi perugini che nell'Ateneo patrio illustrarono le
scienze matematiche, (la cui importanza nell'ottocento per la molte-
plicità e varietà delle cattedre ad esse destinate descrisse una parabola
che culminando intorno alla metà del secolo andò via via poi scen-
dendo per estinguersi nel 1885, anno della loro totale soppressione),

(1) Biografia di Rossi Lemme in VERMIGLIOLI, op. cit. Bini, ms. ci-
tato 1325; Mariotti, ms. citato 1775. |

(2) Biografia di Francesco Neri in VERMIGLIOLI, op. cit. Bini, ms.
1325, foglio 122. G. B. VincioLI, Vita di Francesco Neri matematico perugino,
in « Giornale Veneto », pagg. 1733, pag. 379.

(3) Cfr. il ms. 1490 della Biblioteca Augusta di Perugia, fascicolo III,
foglio 139, G. BeLFORTI, Notizie di Perugini illustri estratte dai libri mortuari.

Ecco il testo completo: « Fu (Felice Neri) uomo versatissimo nelle scienze
matematiche la cattedra delle quali tenne con somma lode ed esercitò in questa
Università, ma quantunque fosse dotato di molto sapere e avesse un possesso
fondato in detta scienza, pure mancando di comunicativa non sembrava a
prima vista dotto, ma con la frequenza del'trattarlo e specialmente alla dome-
nica e molto più a tavolino si faceva scorgere da chiunque per quello che real-
mente era ». Cfr. anche ERMINI, op. cit., pag. 522.
SCIENZIATI UMBRI 113

vanno ricordati Giamboni Arrigo, Lorenzo Massini, Enrico Gaspardi,
e più di tutti, anzi sopra tutti, Sebastiano Purgotti. -

Arrigo Giamboni (1771-1832) nato a Perugia e morto a Vienna
‘apparteneva alla Congregazione dei Barnabiti. Viaggiò negli Stati
Uniti, per la Svizzera, per la Germania, per l’Italia, ovunque visi-
tando scuole e accademie e fu a Parigi ove frequentò le lezioni dei più
celebri maestri del tempo. Tornato in Italia, insegnò filosofia e mate-
matica nei collegi della sua Congregazione di Macerata, Foligno e Spo-
leto e nel 1810 ascese la cattedra di matematiche elementari nello stu-
dio della città nativa, che tenne con onore e plauso fino -al 1825, anno

in cui andò a riposo. Pubblicò in Roma due volumi di « Elementi di |

matematica » che ebbero l’onore di almeno tre edizioni (1), lodi di
periodici italiani ed esteri, adozione di molte Università, Seminari,
Licei.

Lorenzo Massini (1801-1858), perugino anch'esso (2), fu esempio
mirabile di una ferrea volontà. Del deschetto di un laboratorio di cal-
zoleria, presso cui il padre povero operaio rimasto vedovo l'aveva no-
venne collocato, furtivamente scappava, colla complicità benevola
del capo-officina, per correre a sedersi sulla panche del pubblico ginna-
sio alle scuole di aritmetica e calligrafia. E per più anni, continuando
sempre nell'esercizio del-cuoio e della lesina, il tenace fanciullo, per-
severò a frequentare le scuole del ginnasio: «e il meschino guadagno
— scrive Sebastiano Purgotti — che dalla vendita ritraeva degli ossei
«nuclei delle ciliege e delle albicocche che con ben solcate incisioni

«la industriosa sua mano trasformava in aggrazziati minuti oggetti di
«ornamento, alla compra serviva e dei pochi libri che gli occorrevano
‘«e più dell’olio che, quando l’amico chiaror della luna taceva, gli era

‘(1) Ctr. Biografia di A. Giamboni in VERMIGLIOLI,. 0p. cit. « Oniologia »
(Giornale di Scienze, lettere e arti), n. 1, gennaio 1933, necrologia a firma C.M.
Il Giamboni pubblicò anche una Grammatica ragionata che «se non fu con-
forme per intero alla opinione degli eruditi (dice C.M.) pure ebbe in breve
tempo l’onore di quattro edizioni ».

(2) Le notizie sul Massini nonché le zioni riportate sono state tolte
dall'« Elogio funebre letto nella Chiesa dell'Università il 18 ottobre 1858 dal
Prof. Sebastiano Purgotti» e contenuto nel « Giornale Scientifico-letterario-
agrario » di Perugia, nuova serie, dispensa III e IV.del 1858, pag. 283 e seg.
A proposito della punizione inflitta al Massini per aver aderito ai moti del 1849
c'è da osservare che non sembra perfettamente esatto quanto afferma l'Ermini
nella Storia dell’ Università di Perugia, pag. 573 e cioè che il ritorno del Go-
verno Pontificio «fu preceduto dall’indulto per quanti avevano aderito alla
.repubbliea ». Evidentemente qualche eccezione ci fu. 114 PIETRO PIZZONI

«indispensabile per poter procurarsi un poco di luce, mercé la quale
«furtivamente impiegare allo studio le sole ore notturne tolte al sonno
« ed al riposo ». Furtivamente, e ciò anche perché, « poc? era l'annuen-
«za del suo genitore, il quale inutili stimava per la sua posizione quelle
«cognizioni che il figlio veniva a meraviglia acquistando ».

A diciassette anni la sua perseveranza raggiunse la prima meta;
perché dato l’addio ad ogni arte per dedicarsi unicamente allo studio
indefesso delle predilette scienze esatte, poté varcare la soglia della
patria Università; da dove quattro anni dopo (nel 1821) uscì addotto-
rato con somma lode nelle discipline filosofiche e matematiche.

E tanta era la stima e le speranze che.di lui i suoi maestri avevano
concepito che non molto tempo ‘dopo, essendo indisposto l’illustre
prof. Pieri, lo chiamarono a sostituirlo temporaneamente nella catte-
dra di Introduzione al calcolo e di calcolo sublime; l’anno seguente,
trasferito il Pieri stesso all’Università di Roma, ve lo confermarono
prima come supplente e poi come professore ordinario. E due anni

appresso gli aggiunsero la Cattedra di meccanica e idraulica. Coinvolto

nelle agitazioni politiche del 1848, alla caduta della Repubblica Ro-
mana, fu dimesso dall’insegnamento e per circa otto anni stentò
la vita col coraggio dell'uomo a cui le dure difficoltà dell'infanzia ave-
vano imparato a non spaventarsi delle necessità della età adulta; alle
quali, dopo le prime durezze, poté, se anche parcamente, provvedere
per sé e per la famiglia che si era formata col provento di un impiego
da lui con somma diligenza disimpegnato presso una casa bancaria.
E ciò fino a che nel 1857 la clemenza sovrana, non ignara della retti--
tudine dei suoi sentimenti e ammirata della dignità della sua con-
dotta, lo reintregó nell'insegnamento, conferendogli la nuova catte-
dra allora istituita presso l'Ateneo perugino di ottica e astronomia.

E la vita tornava a sorridergli piena di speranze, quando una ma-

: lattia, che con lenta azione distruggitrice già da tempo lo consumava,

di un tratto ingigantitasi lo portò fresco di anni al sepolero. A carat-
terizzare la sua valentia valgano le parole di un giudice competente,
Sebastiano Purgotti: « E poiché l'ottica e l’astronomia dettò pure in
«questo ultimo anno di sua mortale carriera, possiamo senza la mi-
«nima esagerazione asserire che le vastissime diramazioni tutte delle
«matematiche e pure e miste... tutte dalla Cattedra Egli espose e
«con quella precisa chiarezza e con quella spontaneità ordinata e con
«quel pieno possesso che il profondo conoscitore caratterizza ».
Coetaneo del Massini fu Enrico Gaspardi (1801-1880), perugino
anch'esso, che dal 1831 alla vigilia della morte insegnò nel patrio Ate-
SCIENZIATI UMBRI 115

neo con chiarezza singolare di esposizione algebra complementare e

| rendeva capace di eseguire mentalmente calcoli complicati e risolu-
zioni di problemi analitici anche non semplici (1)..
Dovremo largamente riparlare, trattando della chimica, di Se-
bastiano Purgotti (1799-1879) che però anche nel campo delle matema-
tiche elementari (di cui occupò nell'Università di Perugia la cattedra

e versatile. Notissimi sono i principi delle teorie della uguaglianza e
simiglianza dei triangoli: il Purgotti trovò il filo che le collegava, mo-
strandone la mutua dipendenza. E precisamente per il primo dimostrò
che «due triangoli senza essere uguali possono avere due lati uguali
«e tre angoli uguali ciascuno a ciascuno ». Portò poi nuove e interes-
santi vedute sulla teoria delle proporzioni, specialmente fra gli in-
commensurabili; nel quale campo dópo prolungata discussione col
matematico Cauchy ebbe alla fine la soddisfazione di veder convenire
nelle sue idee anche l’illustre contradittore. Didatta appassionato si
preoccupò della necessità di una riforma nell’insegnamento delle ma-
tematiche e contribuì alla formazione di un «corpo matematico » da
tempo auspicato da tutti i matematici italiani e stranieri. Vivaci e
lunghe le polemiche che costituirono però il germe della riforma. In

divisione in piana e solida non corrispondeva più allo stato della scien-
za. E fin dal 1835 nei suoi « Elen:enti di geometria» e nel suo lavoro
«Euclide elalogica naturale » divide lo studio della geometria in tre se-
zioni secondo le linee, la superficie e i volumi; donde possono agevol-
mente farsi discendere le tre geometrie della stella, del piano e dello
spazio. Infatti, se alle proprietà delle linee giacenti in un piano si ag-
‘ giungono quelle delle linee che nello spazio escono da un punto, si ha
la geometria della stella; mentre la geometria del piano e quella dello
spazio sono ben raffigurate nelle rispettive sezioni delle superficie e
dei volumi (2).
L'insegnamento della fisica sperimentale, con cattedra apposita,
in seno alla Facoltà di medicina, filosofia e arti, fu istituito nella Uni-

(1) Cfr. G. CALDERONI, Enrico Gaspardi in. « Annuario della Libera Uni-
versità di Perugia », anno 1881-82, pag. 47.

(2) Per le questioni geometriche cfr. G. BELLUCCI e G. CALDERONI,
Necrologio di S. Purgotti, in « Annuario della Libera Università di Perugia »,
1879-80, pag. 49, e G. CALDERONI, Intorno ai progressi della geometria », in

geometria analitica e si distinse per una memoria tenacissima che lo:

dal 1834 al 1861) lasciò orma non peritura del suo ingegno profondo

particolare nel campo della geometria il Purgotti intuì che l’antica.

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116 PIETRO PIZZONI

versità di Perugia nel 1730: e a iniziarlo fu chiamato un medico, buon
matematico (1) Virgilio Cocchi (1692-1736) nativo del Piegaro nel
perugino, trasferitovi dalla cattedra di.logica che già occupava. Ma
chi a questo insegnamento cominciò a dare il carattere veramente
sperimentale (provvedendo: a darsi prima una adeguata formazione
pratica, oltreché teorica), fu il sacerdote Luca Antonio Pellicciari
perugino, salito sulla cattedra già occupata dal Cocchi che era pas-
sato presto a quelle di medicina pratica e di notomia. Il Pellicciari
si era addottorato nel 1573 in filosofia nella patria Università dove fu
subito chiamato a insegnare questa disciplina. Mostrata vocazione
per la fisica sperimentale al cui insegnamento si era dedicato, fu in-
viato a perfezionarsi a Roma nel 1759 ed alla scuola del minorita fra
Francesco Jacquinto professore nella romana Università si erudì nella
geometria, nell'algebra e in quelle parti della filosofia — scrive il Ma-
riotti da cui togliamo queste notizie (2) — «quae Phisicis doctrinam
praeficiunt ». D’accordo fra il Pontefice Clemente XIII e il Vescovo
di Perugia il Pellicciari fu incaricato di mettersi in relazione col Reve-
rendo Vincenzo Petruzio (lucchese ma degente finché visse a Roma)

«Annuario della Libera Università di Perugia », anno 1881-82, pag. 40. Per
il « Corpo Matematico » e relative polemiche, cfr. Gino .TESTI, Biografia di
S. Purgotti, « Atti del 3° Congresso di Chimica », Firenze, maggio 1829.

Il Purgotti tenne l’insegnamento delle matematiche elementari nell’Uni-
versità dal 1831 al 1861: anno nel quale passò ad impartirlo nel Liceo comunale
di nuova istituzione, dove secondo i nuovi ordinamenti fu trasportato. E lo
cessò nel 1865.

(1) Per l’istituzione della cattedra di fisica sperimentale vedere ERMINI,
Storia dell’ Università di Perugia, pag. 509. Per il Cocchi cfr. Biografia in VER-
MIGLIOLI, OD. cit., nonché in MarIoTTI, ms. 1775, già citato, pag. 84 Fra il
Cocchi e il Pellicciari o vi fu un intervallo o la Cattedra dovette essere occu-
pata da qualchedun'altro. Il Cocchi infatti la lasciò prima del 1736 (anno della
morte) ed il Pellicciari non può averla assunta prima del 1753 (anno in cui si

laureò). Mi è venuto il sospetto che il Francesco Andreani cui accenna l'Er-
mini a pag. 509 abbia preceduto e non susseguito il Pellicciari: ma non ho po-
tuto appurarlo (vedere anche nota 3 a pag. 143).

(2) Notizie e citazioni sono tutte dalla biografia del Pellicciari contenuta
nel già più volte citato ms. 1775 del Mariotti.

Per quanto riguarda la creazione del Gabinetto di fisica cfr. ERMINI,
op. cit., pag. 209 e ScALvANTI, Inventario—Regesto dell' U. a Perugia, P.I.D.V.,
pag. 100 e SCALVANTI, Cenni di Storia dell’ Università di Perugia, pag. 75. Per il
conferimento della laurea al Petrucci si veda ERMINI, id. pag. 433 e Arch. Un,
di Perugia, B. XI, f. 99 presso SCALVANTI, Inventario- Hegesto: "Perugia, 1898,
pag. 58.
SCIENZIATI UMBRI 117

«machinalis scientifici peritissimo » il quale in base a regolare con-
tratto si impegnò a fabbricare — come fabbricò — entro un sessennio
le macchine necessarie per l’insegnamento della fisica; che, insieme

a quelle che aveva già pronte, portate a Perugia furono collocate '

in luogo «in ipso gymnasio instructus, Theatri formam. referens,
« Phisicis lectionibus tum etiam anatomicis accomodatus ». Fu que-
sta la prima origine del gabinetto di fisica (che lo studio perugino
fu tra i primi in Italia a procurarsi) dell'attuale Istituto di fisica del-
l’Università. Esiste ancora nell’archivio universitario l'elenco delle
macchine allora entrate: tra queste la macchina elettrica; strumenti
di ottica, acustica e idrostatica; microscopio; un lungo cannocchiale:
in tutto sessanta apparecchi di grandi dimensioni ed altri molto piü
piccoli. A] Petruzio in segno di compiacimento fu conferita la laurea
«honoris causa ». Il primo ad usarne — scrive il Mariotti — per illu-
strare con opportuni esperimenti le sue «doctissimas Acroases de
Rebus Phisicis » fu il Pellicciari, alla cui custodia furono natural-
mente affidate le macchine stesse. Ma tanta era la gelosia con cui si
- guardava a questo prezioso ed allora rarissimo materiale di studio
che furono designati due professori (uno della Facoltà di legge e
l’altro di quella delle arti) perché « singulis annis eas (machinas) vi-
sitarent et dilingenter earum, custodiae providerent...». E il Ma-
riotti continua che nessun personaggio di qualche entità passava per
Perugia che non manifestasse il desiderio di visitare la raccolta delle
macchine. E tra l’altro ricorda il sommo ,matematico francese La-
lande che espresse l'ammirazione in lui destata dalla visita nel « Voyage
d'un Francois en Italie fait dans le années 1765-66», tome I°, chap. 16,
pag. 326; non che il Bernoulli (1) il quele in una lettera in data X
maggio 1735 manifestó al Pellicciari la sua soddisfazione per la visita
fatta. :

Il Mariotti termina la biografia del Pellicciari ricordando che fu
anche poeta e come tale « etrusca carmina protulit et nonnulla italica
epigrammata ». E come sacerdote non mancò di efficacia oratoria
nell'esercizio del suo alto ministero. Quando il Mariotti mori (1801)
egli ancora viveva.

(1) Il Mariotti nomina Giovanni Bernoulli il quale visse dal 1667 al
1748 e che perció nel 1774 era morto. Forse deve trattarsi del figlio Daniele
(1700-1782) anche lui grande fisico e matematico. Il Mariotti aggiunge al
nome del Bernoulli un «ab Helvetiis »: il che, se riferito alla nascita, è vero
per Giovanni, ma non per Daniele nato a Groninga (Olanda). Ma forse l'appo-
sizione vuol indicare la provenienza del viaggiatore dalla Svizzera.

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118 PIETRO PIZZONI

Ma non tutti i matematici eminenti che vanta Perugia ebbero il
modo di mostrare il loro valore dalla cattedra dello studio patrio; seb-
bene tutti ne risentissero verisimilmente il benefico influsso. Primeg-
gia fra tutti la famiglia dei Danti; una famiglia che in quel periodo
di così rigoglioso rinnovamento della cultura lasciò orme non facil-
mente cancellabili nelle arti; ma soprattutto nelle scienze esatte (1).
Ne inizia la serie eletta Pier Vincenzo nato nel 1480, poeta, matemati-
co, architetto il cui cognome di Rinaldi venne scambiato con quello
di Danti « per la destrezza dell’ingegno suo, quasi che all’acutezza del
«grande poeta Dante si avvicinasse » scrive il suo nepote Egnazio.

Ed il nuovo cognome rimase poi definitivamente a tutta la discen-
. denza. Fu celebrato costruttore di istrumenti astronomici, tra i quali
il nominato nepote Egnazio ricorda un astrolabio visibile ai suoi tempi
(1754) ancora in casa Alfani «bello tanto giusto e diligentemente la-
«vorato che io ardisco di affermare che non se ne sia più fatto altro
«simile ». Morì nel 1513 e di tutta la sua attività è rimasta una sola
opera. « La sfera di messer Giovanni Sacrobosco tradotta in italiano
emendata e distinta in capitoli con molte utili annotazioni», stampata,
dopo la sua morte nel 1571 a Firenze pei tipi del Giunti. Lasciò due
figli, Giulio e Teodora; tutte e due matematici e Teodora anche pit-
ni i = trice distinta, allieva del Perugino. Giulio Danti, oltreché orafo di-
] stinto e fonditore, matematico ed architetto diresse i lavori di Santa
Maria degli Angeli ad Assisi; partecipó a quelli della Rocca Paolina;
: fece la pianta del Palazzo dei Priori in Foligno; fu anche egli come il
padre costruttore di istrumenti astronomici e lasció manoscritto un
trattatello « De alluvione Tyberis » ad alcune note « Sugli ordinamenti
di agricoltura ». Mori nel 1575, lasciando tre figli: Vincenzo grande ar-
tista, autore tra l'altro della statua a Giulio III troneggiante oggi
sulla scalinata del Duomo di Perugia; Gerolamo architetto militare,
pittore e artista distinto che aiutò il fratello Egnazio nella Galleria
In delle carte geografiche in Vaticano; Carlo Pellegrino (1536-1586) che
jm . nel vestire l'abito domenicano (1555) mutò il nome di battesimo in
ien quello di Egnazio e che costituisce per tutti i tempi una figura
di primo piano. Fu grande geografo; ed in questa qualità per incarico |
del Granduca di Toscana disegnó cinquantatre tavole negli sportelli |

ij (1) Pei Danti ho attinto al VERMIGLIOLI, op. cit., alla Enciclopedia Ita-
TM liana, e sopratutto alla bella monografia di V. PALMERI, Ignazio Danti, « Bol-
fM cR" lettino della R. Deputazione di Storia Patria dell'Umbria » anno V, fasci-
i | colo 19, 1899.
SCIENZIATI UMBRI 119

degli armadi del Nuovo Guardaroba di Palazzo Pitti; per mandato di
Gregorio XIII delineò le Mappe delle Loggie Vaticane nella Galleria

delle carte geografiche e attese a rilievi topografici nei territori bolo-
gnese, romagnolo e umbro; e per invito del Governatore di.Perugia

«Feci — scrive egli ad un suo confratello — nel Palazzo un quadro

«su la calcina disegnato con la punta del pennello e con li monti

«ombrati, et colorito poi di acquarelli, grande quindici piedi, ove feci

«poi le strade principali di colore bianco, e la divisione de li quartieri

«di linee rosse ». Pur troppo il quadro non esiste più, barbaramente

imbiancato nel 1798, ma sappiamo che da esso deriva la carta sta m-

pata a Roma nel 1580. Tutte queste opere sono di un alto valore scien-

tifico. Delle pitture fatte nel Nuovo Guardaroba furono ammiratori
i più grandi astronomi del tempo, prima di tutti il La Condamine ed

il Marmocchi che scrive: « Il Mercatore, Ortelio e Danti devono con-

« siderarsi i fondatori della moderna geografia: ché gli sportelli del

«Palazzo Pitti sono... un monumento veramente prezioso per la sto-

«ria della erudizione geografica e dell’arte difficile della geografia ».
Fu grande matematico, e della sua perizia diede prova nelle le-

zioni private ai figli del duca Cosimo e di altri gentiluomini fiorentini

ed in quelle pubbliche tenute agli studi di Firenze prima, di Bologna
poi; non che nelle numerose sue opere fra le quali vanno ricordate le
«Sette tavole del trattato della sfera (1567) »; «Il trattato dell'uso e
«della fabbrica dell'Astrolabio (1569) », «Il trattato dell'uso della
«sfera (1569) »; la traduzione della «Sfera» di Proclo (1573) e quella
della « Prospettiva » di Euclide nella quale, oltre l'aggiunta di molte
proposizioni di geometria, é notevole la proposta di un perfeziona-
mento della camera oscura; « Le scienze matematiche ridotte in ta-
vole »; (1577) « L'Anemografia ». (1578) Fu buon architetto. Su invi-
to di Pio V fece il disegno del grande convento da erigersi in Bosco
(presso Alessandria) patria di quel Pontefice; disegno poi modificato
(e non in meglio) da chi lo sostituì nella direzione dei lavori. A Bologna
costruì la cappella delle reliquie di S. Domenico. A Roma si crede sia
stato l'architetto della: Galleria delle carte geografiche. Partecipò
anche a varie opere di ingegneria; come ai lavori di restauro del porto
di Claudio a Fiumicino e coadiuvó il Fontana nell'innalzamento del-
l’obelisco di Piazza S. Pietro. :

E se la morte non avesse rapito anzi tempo Cosimo I, questi gli
avrebbe affidato il progetto di riunire il Tirreno e l'Adriatico mediante
un canale perforante l'Appennino. Nel 1583 uscirono « Le due regole
della prospettiva pratica del Vignola con i commentari di Egnazio

- 2

va

Lt div E RARO ZZZ 120 PIETRO PIZZONI

Danti», in cui l'A. si distinse in modo mirabile per la esposizione rigoro-
samente scientifica dei principi geometrici del disegno. Lasciò poi ma-
noscritto un « Trattato sopra le fortezze e loro situazioni », che pubbli-
cato nel 1888 dal Baccini ha servito a rivelare nel Danti, oltreché il
valente matematico e il cosmografo, anche l’architetto non oscuro
conoscitore di cose militari.

Fu astronomo sommo e mostrò il suo valore singolare special-
in | mente come membro della Commissione per la riforma del calendario
RUE vee nominata da Gregorio XIII. Scrive il Libri nella « Histoire des Sciences.
i «Mathematiques en Italie» che il Danti fu «le plussavant parmi les mem-
iE ONE | bres ». Quando ancora l'idea della riforma era in gestazione, per darne
Ro una dimostrazione popolare, costruì il grande gnomone nella chiesa
APR di S. Petronio (sostituito posteriormente dalla famosa meridiana del
PNEU Cassini) dal quale risultava con evidenza lo spostamento degli equi-
| nozi e solstizi in confronto delle date segnate anche allora negli alma-
nacchi. Ed a questo e ad altri istrumenti del generé allude Clement?
XI quando nella lettera alle primarie Università di Europa scrive:
« Grandia enim instrumenta quae solo observando paravit ipse Gre-
ME «gorius, ope mathematicorum aetatis suae, dc precipue rev. patris
MP « Egnatii Dantis... obstendunt ita aequinotia contingere uti ordina-
E «tio gregoriana expectandum esse censuérat ». E a memoria appunto
QU : del contributo prevalente portato dal Danti in questa correzione, l'im-
| | -. magine del grande Domenicano trovasi scolpita nel bassorilievo del
monumento sepolcrale di Gregorio XIII in San Pietro a Roma.

Abilissimo, come abbiamo accennato, costruttore di istrumenti
astronomici e geodetici di precisione ne lasció in copia a Roma, a Bo-
logna, a Firenze; e in quest'ultima città alcuni se ne ammirano ancora
nel Museo degli strumenti antichi. Sono sua opera le notazioni dei sol-
stizi, equinozi e venti ancora ben visibili alla base dell'obelisco di
Piazza S. Pietro a Roma.

A Egnazio Danti, uomo di ingegno superiore, di volontà decisa,
di cultura eminente, non mancarono nemici ai quali non spetta il me-
NU rito se le loro mene non riuscirono a fargli tutto il male desiderato,
sd come bene illustrà V. Palmesi in uno studio pubblicato nel « Bollettino
ahi della R. Deputazione di Storia Patria dell'Umbria» (anno V, fasci-
colo 19) da cui abbiamo tolte molte delle notizie qui riportate. Frate
domenicano, fu di ottimò spirito religioso; e come Vescovo, la cui alta
dignità ricoprì negli ultimi tre anni della sua laboriosa vita, è ricor-
dato ancora ad Alatri per le coraggiose e provvide iniziative ei fini
del miglioramento spirituale e morale del clero e del popolo; per il
SCIENZIATI UMBRI 121

decoro del culto colla ristorazione e abbellimento artistico della chiesa
cattedrale; per le istituzioni cui provvide con la trasformazione «d

anche l'innalzamento di nuovi edifici, infine per le importanti opere

di beneficenza lasciate.

Non ultima lode sarà il notare che le sue opere, adottate come
testi dalla Crusca, sono scritte tutte in buona lingua.

Un altro Danti, Giovan Battista (1478-1517) fratello di Pier Vin-
cenzo fece parlar di sé in quel torno di tempo. È considerato come
un pioniere della aeronautica, per quanto non tutti siano concordi
sul carattere e sul valore dei suoi tentativi. In sostanza egli, ingegnere
militare, costruì una macchina per volare costituita da due grandi
ali mosse da uno speciale congegno: e dopo numerose prove — dicesi
felicemente riuscite — di atterraggio nel lago Trasimeno, fece il suo
primo esperimento in pubblico a Perugia nel 1503, lanciandosi dal
campanile di S. Lorenzo. Il volo non riuscì perfettamente in quanto
ad un certo punto un qualche improvviso guasto nell’apparecchio
determinò ‘un non aspettato anticipato atterraggio con lieve. offesa
del pilota (1): ma l'ammirazione del pubblico non sembra che per
. questo mancasse. Lo spettacolo era dato in occasione delle nozze della
sorella di Gian Paolo Baglioni il quale poi segnaló a Leonardo daVin-
ci il coraggioso pilota come colui « qui ingenii acumine hominem quo-
« que volare posse docuisset ».

La famiglia Danti ci richiama alla.memoria un altro perugino:
Alfano Alfani (1465-1550). Ricopri elevate cariche nella città natale e
fu scelto più di una volta come capo di ambascerie importanti: fra le
quali particolarmente da ricordare quella del 1503, dopo la congiura
dei Baglioni, quando, allontanatisi questi ultimi dalla città, «fu sp?-
«dito ambasciatore al duca Valentino, terrore d’Italia, che in quei di
«trattenevasi a Sassoferrato, perché alle cose di Perugia in quei cala-
«mitosissimi tempi si volesse mostrar favorevole e non devastatore e
«tiranno » (2). Il Bini lo loda come dottissimo nelle dottrine filosofi-
che e matematiche e della sua valentia in quest'ultimo campo ue fa
fede il già lodato Pier Vincenzo Danti il quale dichiarandosi suo sco-
lare in queste discipline gli dedicó, nel 1498, con una lettera piena di
lodi, la versione già ricordata della Sfera del Sacrobosco. E il famoso
perfettissimo Astrolabio di cui abbiamo già parlato nella biografia di
Pier Vincenzo fu a questi commesso da Alfano; e Pier Vincenzo nel

(1) CesARE CrIspoLTI, Perusia augusta. Perugia, 1648, pag. 360.
(2) Biografia di Alfano Alfani in VERMIGLIOLI, op. cit.



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. pratica », anno VII, n. 9, pag. 12.

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122 PIETRO PIZZONI

. costruirlo dové probabilmente far tesoro delle indicazioni del suo Mae-

stro; come parrebbe logico dedurre dalla dicitura impressa sul dorso
dell’istrumento « Alphanus Severus' genio et commoditati suae fe-
cit » (1).

Scienziato ed in particolare matematico di grande valore fu il.
benedettino Girolamo Ruscelli che, nato a Perugia nel 1536, fu dal 1590

| al 1595 abate di Montecassino e che morto in patria nel 1602 in odore

di santità venne sepolto nel Monastero di S. Pietro. Spirito aperto e
versatile, alla conoscenza profonda delle matematiche unì quella delle
dottrine astronomiche, cosmografiche, architettoniche, idrauliche;
fu abilissimo meccanico; coltivò la musica e non ignorò la medicina.
Matematico-meccanico inventò istrumenti lodatissimi dai dotti del
tempo.

Fece sfere, astrolabi, trisesti e compassi di nuova costruzione;
fabbricò orologi solari verticali e orizzontali; ideò dispositivi per se-
gare marmi e legna col solo aiuto della forza idraulica; inventò istru-
menti a sussidio dell’arte di disegnare giudicati da Egnazio Danti
superiori a quelli dovuti ad Alberto Diirer; insegnò a fondere campane
di suono gratissimo, ccme pure a suonare queste ultime benché di
getto grandissimo con sforzo minimo. Musico e contrappuntista di
valore fabbricò un cembalo tutto speciale. Idraulico si occupò delle
alluvioni e del modo di evitarne i danni. Architetto innalzò a Monte-
cassino più fabbriche.

Sembra abbia insegnato in Università: ma non si sa quale. Di
lui non ci rimane alcuna opera: ma a Montecassino egli si formò allievi
di valore (2).

Da ricordare è il servita Pier Dionigi Veglia (1584-1636) il quale
però pare che fosse più apprezzato fuori che in patria, perché — dice il
Vermiglioli — «ingenii acumen habuit agreste». Studió matematiche a
Perugia e a Bologna dove insegnò latino ed ebraico; della quale ultima
lingua lasciò manoscritta una grammatica. A trentatre anni, reduce ‘
da un viaggio lunghissimo in Germania, Francia e Spagna, copri in

(1) Bini, Memorie storiche dell’Università di Perugia già citate, Tip.
Santucci, 1828-29, pag. 502. GIANCARLO CONESTABILE, Memorie storiche di
Alfano Alfani, Perugia, Bartelli, 1848, pag. 13 e 14. Il cognome originario della
famiglia Alfani era « Severi » e la sostituzione in quello di « Alfani » venne ap-
punto dopo Alfano.

(2) Biografia di G. Ruscelli in VERMIGLIOLI, op. cit. D. BERNARDO PAO-
LONI, Il contributo dei Benedettini Cassinesi alle Scienze fisiche. « La Meteorologia
SCIENZIATI UMBRI 123

patria le cattedre di matematica nel Monastero dei Serviti e greco ir
quello dei Monaci Benedettini a S. Pietro. Ma invano aspirò alla cat-
tedra della Università. Ebbe più fortuna nel campo della botanica e ne
riparleremo a suo luogo. Lasciò un « Trattato di geometria pratico » ed
un altro sul «Computo ecclesiastico » ambedue stempati in Perugia nel
1676; ed un terzo «Sulle dimensione delle linee rette eseguita con
lo squadro agrimensorio », Perugia, 1632 (1).

Marco Antonio Cristaldi (1594-1686) professore di medicina
pratica nella patria Università pubblicò — oltre ‘a lavori di carattere
medico — una interessante operetta: «Cometologia contra portentosam
cometarum apparitionem », Perusiae, 1608. E la fece seguire da quat-
tordici « Problemi cometologici». La pubblicazione fu suggerita dalla
apparizione, verificatasi nel 1608, di una cometa crinita; nell'intento di

combattere la strana volgare opinione delle comete annunziatrici di

sinistri accidenti (2).

Placido Titi (T 1668) benedettino olivetano tramandò più di
‘un’opera documentante la sua perizia nelle scienze astronomiche. Se
non che la sua astronomia appare ancora impregnata di molta astrolo-
gia: cosa che sulle soglie del settecento — di un’epoca cioè ormai lon-
tana dal medio evo — fa alquanta meraviglia (3).

Cesare Massari (4) termina l’elogio di Alessandro Pascoli (1663-
1757) letto all'accademia Anatomico-chirurgica di Perugia il 14 giu-
«gno 1839 con le seguenti parole: « Ci restano i suoi numerosi volumi:
depositari rimarchevoli del vasto sapere nelle fisiche e mediche fa-
coltà ». Il Pascoli dunque oltre che gran medico fu un fisico; e per que-
sto ce ne occupiamo. qui.

Nacque egli a Perugia (da famiglia oriunda di Ravenna) nel gen-
naio 1663; studiò coi gesuiti; ottenne le « magistrali insegne » in medi-

(1) Biografia di P. L. Veglia in VERMIGLIOLI, op. cit.

(2) Biografia di M. A. Cristaldi in VERMIGLIOLI, op. cit.

(3) Biografia di Titi Placido in VERMIGLIOLI, Op. cit.

(4) CESARE Massanr, Elogio di Alessandro Pascolo' letto all’ Accademia
Anatomico-Medico di Perugia a dì 14 giugno 1939, Perugia, Bartelli. Da que-
sto elogio sono state tolte le citazioni che seguono: Il Massari (1774-1857) nato
a Perugia insegnò con plauso anatomia e fisiologia nel patrio Ateneo; e fu
. (1823), dopo il Belisari, il secondo direttore del civico manicomio che si era
aperto nel 1819 e a cui procurò rinomanza col suo sapere e colla sua operosità.
. Vedere anche Biografia di Al. Pascoli in VERMIGLIOLI, op cit., non che l'Enci-
clopedia Italiana dove alla voce « Spagirica » (Volume XXXII) il Pascoli è

ricordato fra i iatrochimici.

—Ó

T

onda v uU NECS STO 124 - PIETRO PIZZONI

cina a 21 anni; si perfezionò a Firenze e alla scuola di Francesco Redi
e sempre sotto di esso, nell’esercizio delle dissezioni di anatomia presso
il pubblico spedale. Rimpatriato attese a completare la sua cultura nel
latino e greco col Canonico Guidarelli ; nelle matematiche con Frann-
cesco Neri e con Ludovico Viti nella medicina pratica; si dedicò per
dieci anni (1691-1701) all’ insegnamento della filosofia e delle scienze
fisiche e mediche nella patria Università e nelle private accademie.
Salito in fama fu richiesto a gara dalle Università di Padova
e Roma. Per le sollecitazioni di Clemente XV si decise per Roma, sa-
lendo nel 1707 nell'archiginnasio romano la cattedra di anatomia per
passare dopo nove anni a quella di Istituzioni mediche teoriche e pra-
tiche che tenne fino alla sua giubilazione nel 1751. Fu insieme medico
di fama indiscussa, chiamato tra l’altro al letto di quattro papi non
che di tutte le più alte personalità (tra cui le Regine di Polonia e
d’Inghilterra) sorprese da malattia nella Città eterna. Fu ricolmo di
onori e cariche; e tra l’altro fece parte principale del Supremo Tribu-
nale Sanitario e della Congregazione dei Sacri riti. Morì a Roma nel
febbraio 1757, a 89 anni, dopo 18 di cecità completa sopportata con
religiosità e fortezza d’animo singolari. In medicina il-Pascoli fu un

‘latrochimico; seguace cioè, ma molto moderato, di quella scuola che

intese, generalizzando forse un po’ troppo, verso la metà del secolo
XVIII, la vita come un insieme di processi. chimici. Pubblicò, fra
l’altro, due trattati anatomo-medici: uno in latino (« De homine, sive
de corpore umano habente ratione tam prosperae tam afflictae vale-
tudinis. Libri tres» l'altro in italiano («Il corpo umano o breve istoria
dove con nuovo metodo si descrivono in compendio tutti gli organi
suoi e i loro principali uffici») molto lodato appunto perché in ita-
liano (1): e la molteplicità delle edizioni di Perugia, Roma, Venezia dal

(1) Il RENAZZI nella Storia della Università di Roma, Roma, 1803-1804,
vol. 4, pag. 97, cosi scrive: «Il suo (del Pascoli) trattato anatomico intitolato
del corpo umano fu più volte ristampato. Sia questo ehe altri suoi libri com-
pose il Pascoli in volgare idioma con saggio avvedimento, che dovrebbe in
certe materie e in alcuni casi più spesso che fra noi non si costumi usarsi quasi
in ogni disciplina per renderne la cognizione più facile e più universale ».

A proposito dello studio dell’Anatomia, l’Università di Perugia può van-
tare un primato in fatto di dissezioni sul cadavere. Esiste nello Statuto Comu-
nale del 1366 (rub. 276) una disposizione concernente i corpi dei forestieri giu-
stiziati da cedersi allo studio universitario perché servissero alle dissezioni ana-
tomiche e l’insegnamento della anatomia non si riducesse alla sola teoria. Pur-
troppo però quest’ultimo timore andò facendosi realtà e per quanto nel 1610
SCIENZIATI UMBRI 125

1701 al 1751 sta ad attestare che «reputati per il più prezioso e completo
deposito della medica scienza » (scrive il suo panegirista Massari) costi-
tuiscono itesti usati da ogni medica scuola italiana ». «La fabbrica del
«corpo umano dal nostro encomiato descritta non presenta, è vero,
«peregrine cose: ma l’ordine, la chiarezza e la concisione rendettero il
«lavoro suo utile al pubblico insegnamento per il quale oggetto egli
«stesso si protestò di averlo composto ». Lo stesso Massari riferisce
come annunziò sulle prime un «Trattato riguardante i cangiamenti
«che provengono agli organi corporei per cagione delle passioni:
«pensiero veramente sublime, sul quale però le speranze di ognuno
«restarono deluse. Ai tempi del nostro Autore l’anatomia non aveva
«ancora stretto con altre naturali scienze quell’utile nesso... né rag-

alla cattedra di anatomia creata (ERMINI, Op. cit., pag: 207 e 508) nel 1580,

se ne aggiungesse in modo stabile un’altra di incisioni anatomiche, verso la.
>)

fine del seicento (Cfr. Regesto Scalvanti dell'Archivio universitario: Ruolo di
carte 736 dal 1646 al 1710; carta 326 verso pag. 97)la decadenza doveva essere
giunta a tal punto da richiedere una deliberazione per l'incremento della
Scuola di Anatomia che «da qualche anno andava languendo ob defectum cor-
porum humanorum ». Condizione del resto nel '600 non esclusiva dello Studio
Perugino se doveva deprecarsi anche in Università maggiori, come quella di
Padova. (Cfr. Cenni storici della Università di Padova, « Monografie delle
Università e Istituti Superiori ». Ministero della Pubbl. Istruzione, vol. I, Tip.
. Romana Cooperativa, 1911).

Tuttavia non sembra che nei tempi in cui il Pascoli era studente lo studio
della anatomia sul cadavere dovesse essere a Perugia migliorato: ció che spiega
anche la sua andata a Firenze a perfezionarsi in materia. Peró, a dir vero, verso
la fine del '700 qualche sforzo di risollevamento ci dovette essere: il Mariotti
infatti (come abbiamo detto nella biografia del Pellicciari) scrive che nell’ul-
timo quarto del secolo xviri fu preparato un «locus qui Theatri formam re-
ferens, Phisicis Lectionibus tum etiam Anatomicis esset accomodatus ». Ora
la forma amfiteatrale dell'aula farebbe pensare all'attuazione di dissezioni: ma
' se anche qualche cosa si tentò, non: sembra potesse trattarsi di lezioni vera-
mente pratiche e dimostrative, alternate come erano, nello stesso locale, con
quelle.di Fisica. La ripresa decisiva in questo campo avvenne nel 1802, quando
per disposizione del Card. Agostino Rivarola, pro-visitatore apostolico dello
Spedale di Santa Maria della Misericordia, fu in questo istituto eretta l'Acca-
demia Medico-Chirurgica fornita di un teatro anatomico destinato unicamente
al compimento di dissezioni non che di operazioni chirurgiche alla presenza
degli studenti disposti sui gradini dell’amfiteatro. A primo dissettore e dimo-
stratore anatomico il Rivarola chiamò il perugino Goffredo Belisari (1766-
1836) che laureatosi in medicina nel 1783 nel patrio ateneo si era quasi subito
trasferito a Roma per perfezionarsi nello studio della anatomia umana. Cosa
che fece esercitandosi indefessamente nella incisioee dei cadaveri prima allo

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126 PIETRO PIZZONI

«giunta l’eccellenza di cui oggi (il Massari scriveva settanta anni
«dopo) si onora ».
Il Pascoli fu un dichiarato e convinto cartesiano e come il suo
grande ispiratore volle essere filosofo, matematico e fisico. In filoso-
fia dissertò sull'immortalità e Jibertà dell'anima umana e sul da lui
asserito automatismo dei bruti; giungendo in quest'ultimo argomento
(nel «Sofilo Molosso Pastore Arcade Perugino e custode degli ar-
menti automatici in Arcadia » Roma, 1708) a conclusioni eterodosse
sulla « vita automatica delle bestie » che menarono gran rumore e gli
procurarono qualche anno dopo una condanna della Suprema Inqui-
sizione: condanna cui il Pascoli religiosissimo disciplinatamente si inchi-
n6, ritrattandosi con l'opera: «Sofilo senza maschera» Roma, 1711. Sem-
precon spirito cartesiano pubblicó saggi di filosofia fondamentale; e pre-

Spedale della Consolazione e poi a quello Lateranense di S. Salvatore nel quale
ultimo, per tre anni ricopri luminosamente la carica di dissettore e di-
mostratore anatomico. « Il Belisari fissò (scrive ( CEsARE MASSARI nel Gior-
nale Scientifico letterario di Perugia ,, numero di aprile-maggio-giugno del
1841 da cui tolgo queste notizie) la prima epoca dello studio pratico della ana-
tomia umana in Perugia; studio del tutto ignoto fra noi in quella età nella
quale di pratico incisore e dimostratore de] corpo umano alcuno il bel nome non
meritossi » Ed in seguito quando lo stesso Card. Rivarola nel 1819 decretó
la edificazione del Manicomio di Santa IET ENTO ne affidó la prima organiz-
zazione a Goffredo Belisari.

L'Accademia anatomico-chirurgica ebbe i suoi Statuti (Costituzioni del-
l'Accademia anatomico-chirurgica eretta nell’anno MDCCCII nel Ven. Spedale
di Santa Maria della Misericordia a Perugia, Perugia, Stamperia camerale di
Costantino Costantini, 1802) che furono riformati nel 1818 (Costituzioni e
leggi dell’Accademia chirurgico-anatomica di Perugia, Perugia, tip. Buduel,
1819, Redattore Luigi Pacifico Pascucci; professore nella Università di me-
dicina).

L'Accademia fu sospesa nel 1839 per risorgere col nome di « Accademia
Medico-Anatomico-Chirurgica», nel 1847. Fino al 1864 un Direttoretenne lezione
di anatomia pratica e speciali « officiali » tessevano la storia di speciali casi mor-
bosi. Dopo il 1864 (a quest’epoca le lezioni pratiche continuarono ma costitui-
rono un incarico del titolare di anatomia) l'Accademia prese a svolgere argo-
menti di pratica medica e di scienza pubblicando anche degli « Annali ». Ebbe . :
un periodo di grande attività nel 1906 per opera del prof. Umberto Rossi; ed È
oggi, col nome di « Accademia Medico-Fisica di Perugia » assunto nel 1911, se- |
guita a prosperare, annoverata fra le Accademie mediche italiane e come
queste. governate. (Cfr. RAFFAELLO SiLvEsTRINI, Accademia medica, nella
monografia Regia Università degli Studi di Perugia, 1937, Roma, Mediterra-
nea, pag. 43).
SCIENZIATI UMBRI 127

cisamente il « Nuovo metodo per introdursi ad imitazione dei geometri
con ordine, chiarezza e brevità nelle più sottili questioni di filosofia,
logica, morale e fisica », Venezia, 1702: cui fece seguito parecchi anni

dopo con il saggio: « Della natura dei nostri pensieri e della natura:

con cui si esprimono », Roma, 1724.

Nel campo matematico scrisse il « Saggio di logistica ed algebra »
nel quale (riferisce il Massari da cui trovo ricordata quest'opera) « pren-
«dendo a trattare le quattro operazioni fondamentali, non in cifre
« numeriche ma in algebriche, intitoló il suo volume col nome di « Alge-
bra nova o speciosa »: ed applicando le stesse operazioni alla dottrina
«dei polinomi ed alle equazioni, dette coMIpUBento alle sue fatiche
«sulla indole dei nostri pensieri ».

Nel campo fisico fece oggetto dei suoi studi il moto, in quanto
fondamento nel quale tutti i fenomeni fisici si risolvono. E pubblicò:
« Del moto che nei corpi si diffonde per impulso esteriore. Trattato fisi-
co-matematico ad insegnare la possanza degli elementi », Roma, 1723.
« Parló — scrive il Massari — della natura, condizioni, proprietà e leggi
«del moto per impulso esteriore ed in virtù di elastica forza: quindi si
«lanciò col pensiero in alcuni moti possibili rispetto al vortice massimo

«del sole. Con tale chiarezza di principi, con tal» ordine di idee ne -

«seppe parlare che meritò l'approvazione sincera di tutti i dotti: ed il
«grande matematico e fisico cremonese, Francesco Bianchini, glie ne
«dette la più solenne e pubblica testimonianza. Mi si dia materiale
«moto — diceva Cartesio — ed io imprendo tosto a creare il mondo ».
Il Pascoli con maggiore umiltà cosi diceva: « Materia e moto sono i due
«principali strumenti, donde in sua possanza si sale a Dio, di momen-
«to in momento a produrre in natura, senza miracolo, continui mi-
«racoli, e miracoli di stupore infinito ».

Il nostro volle entrare anche nel campo della astronomia; e qui
non fu davvero felice dichiarandosi oppositore fermissimo di Copernico
e Galileo e sostenitore aperto del sistema tolemaico. .

Il Massari a questo proposito scrive: « Né Alessandro era il solo
«che dalla credenza di Copernico lungi ne stasse: imperrocché fra i
«molti che ridire potrebbonsi, quel grande onore d'Italia, quell'astro-
^ «nomo profondissimo della dotta Bologna, Eustacchio Manfredi,
«basta per valente compagno del nostro Alessandro rammemorare ».
C'é da osservare che gli spropositi anche fatti in compagnia dei grandi
non mutano natura: una tal compagnia dimostra solo che della loro
possibilità non può giudicarsene colla mentalità dei tempi in cui l'er-
rore é universalmente superato: ció tenderebbe sia pur inconsciamente

de.

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pi. v EVO RE SI
128 PIETRO PIZZONI ‘

ed in ambiente ben diversi, dato luogo.

Prospero Mariotti (1703-1767), padre di Annibale che nel campo
medico e letterario lasciò larga fama di sé, si occupò, oltreché (come
vedremo avanti) di botanica, anche di fisica e lasciò manoscritta una

. « Dissertazione accademica sulla teoria dei colori » e stampò a Perugia

nel 1748 una « Lettera sopra i fenomeni della macchina elettrica » (1).

- L'abate Bartolomeo Borghi (1750-1821) fu, dice il Vermiglioli,
uno dei migliori matematici-geografi di Europa. Nato a Monte del
Lago sul Trasimeno studiò nel seminario di Arezzo e a. Perugia prese
con splendido esame la matricola di geometra-perito. Fu parroco di
Magione e arciprete di Sorbello. Per sentimenti dimostrati. durante
l'occupazione franeese venne rinchiuso per qualche mese nella Rocca
Paolina: liberatone per l'intercessione del Granduca di Toscana:emigrò
a Firenze. Mori poverissimo a Trespiano dove fu sepolto. Scrisse me-
morie lodatissime di carattere geografico e storico-geografico: fra
queste una « Descrizione geografica fisica e naturale del Lago Trasime-
no », Spoleto, 1823, ed una « Dissertazione sopra l'antica geografia del-
l'Etruria Umbria Piceno con annessa carta geografica dell'Italia anti-
ca » Roma, 1784. Ma sopratutto venne in fama per le molte carte geo-
grafiche che con rara esattezza matematica costrui. Egli non solo deli-
neó la maggior parte dell'Atlante pubblicato in Siena dal Pozzini:ma vi
riordinò le carte della Toscana sia quella generale che le particolari
delle singole provincie e disegnó con somma diligenza e perizia quelle
dei territori cortonese e perugino. La carta della Toscana fu anche
stempata nel 1783 dallo Zatta a Venezia. L'opera sua massima fu
l'Ce Atlante generale corredato di prospetti istorici, politici, civili natu-
rali di ciascuno Stato », Firenze, 1819, magnifica pubblicazione com-
prendente 156 carte, condotta a termine dopo molto studio, e che ha
il pregio di essere uno degli atlanti più vasti e ad ogni modo il primo
atlante d’Italia (2).

Chiuderemo questa rassegna di cultori perugini delle scienze
esatte ricordando Mons. Angelo Ballerini, vissuto nel secolo scorso, di
cui dura ancora memoria come peritissimo docente di matematica e
fisica nel patrio seminario, dove fece e lasciò discepoli valenti.:

(1) Biografia di Prospero Mariotti in VERMIGLIOLI, Op. cit,
(2) Biografia di B. Borghi in VERMIGLIOLI, op. cit. e nella Enciclopedia
Boccardo, UTET, Torino, 1872, edizione sesta. DS

a negligere le attenuanti che a quelle possibilità hanno, in contingenze :

—— ——

eunt SCIENZIATI UMBRI . 129 .

FoLiGNo vanta nomi interessanti fra i cultori di scienze esatte.
Primo in ordine di tempo è da ricordare Giulio Gori (1) matematico
e medico che morì nel 1572. Lasciò alcune opere manoscritte di medi-
cina e astrologia ora perdute.

Francesco Jacobilli (2) junior (pronipote del senior di cui ci occu-
peremo fra gli idraulici geologi) oltreché dottore in legge fu matema-
tico di chiara fama. Discepolo del celebre astronomo Antonio Magini
scrisse alcuni trattati astronomici e matematici stampati a Viterbo

.nel 1619 e a Terni nel 1620. Parecchi suoi manoscritti di contenuto
giuridico e scientifico si conservano nella Biblioteca del Seminario di
Foligno. Petroni Giuliano ( 1623) anche lui, oltreché giureconsulto,
matematico, lasciò alcuni studi di matematica manoscritti, oggi per-
duti (3).

Bernardini Antonio Parroco Priore di Santa Maria infra Portas

morto in ancor giovane età nel 1821 insegnò con grande onore mate-
matiche nel civico liceo (4). Ma sovrattutti vanno ricordati Feliciano
Scarpellini e la sua nepote Caterina.
+. L'abate Feliciano Scarpellini (1762-1840) è. una bella figura di
scienziato folignate del quale D. Angelo Messini ha pubblicato nel
1941 una dotta monografia da cui attingiamo le notizie che qui dia-
mo (5).
| Fece i primi studi nel patrio seminario: poi passó a Roma al Col-
legio Umbro. Ordinato sacerdote nel 1787 andò precettore in casa
Frangipane dove coi figli del Marchese radunó intorno a sé giovani
amanti di studi fisici e matematici; alcuni dei quali (il Poggioli per
esempio) saliti poi in fama. Più tardi fu nominato «sostituto eser-
cente » della cattedra di fisica e matematica della Università Grego-
riana del Collegio Rcmano, e. nel 1824 Rettore del Collegio Umbro.
E fu in questa mansione che il giovane abate folignate cominciò ad
affermarsi come appassionato educatcre e geniale didatta. Si fermò
intorno una piccola società di cultori delle scienze esatte che faceva
assistere ad esperimenti attuati con apparecchi da lui stesso genial-

(1) Cenno su G. Gori in L. JACcOBILLI, Biblioteca Umbriae : sive de Scrip-
toribus Provinciae Umbriae, ordine alphabetico digesto, Foligno, 1658, pag. 173.

(2) Cenno su Jacobilli Francesco in JACOBILLI, op. cit., pag. 128.

(3) Cenno su Petroni Giuliano.in JACOBILLI, op. cit., pag. 173.

(4) Notizie fornite dal Bibliotecario di Foligno prof. D. Angelo Messini.

(5) D. ANGELO MESSINI, Lo scienziato ed astronomo folignate Ab. Feli-
‘ ciano Scarpellini nel 1° Centenario della morte (29 novembre 1940), Arti Gra-
fiche, Foligno, 1941.

——.

dc MESE,

— Mt AK ED eU rr er

130 : PIETRO PIZZONI

mente ideati e perfettamente costruiti. Per interessamento dello scien-
jm ziato francese Monge che aveva avuto campo di anteriormente con-
RIE statarne la serietà (fra l’altro lo Scarpellini lo aveva fatto assistere
oe alla esperienza nuova allora per Roma della elettrolisi dell’acqua)
e (ARRE la piccola Società Scientifica fu riconosciuta dal Governo Repubblica-
Bigi: no francese sostituitosi nel frattempo al Pontificio. E dal Governo
ME Repubblicano, come dal Napoleonico succeduto più tardi dopo un
E intermezzo di restaurazione Pontificia, Feliciano Scarpellini per la sua
B M. dottrina ed i suoi meriti scientifici ebbe onori ed incarichi. Deputato
IT | a Parigi per Roma presso il Corpo legislativo frequentò i più celebri
luminari delle scienze di quel tempo come il Laplace, il Lagrange, il
| Biot, oltre al Monge e Bertholet già conosciuti a Roma. Napoleone
stesso lo onorò di cortesi omaggi. Restauratosi definitivamente il Go-
verno Pontificio e superato un periodo di naturale diffidenza per il suo
CR comportamento durante l'occupazione francese, fu preso a benvolere
mU dal mite Pio VII che oltre l'autorizzazione a far risorgere l'Accademia
B | dei Lincei (di cui diremo a parte) creó proprio per lui nel 1816 all’Uni-
versità Romana della Sapienza una cattedra di fisica sacra mosaica,
da lui coperta per 24 anni fino alla morte. Le sue lezioni, di cui pur
e| troppo peró non rimangono traccie, ebbero per oggetto l'astronomia,
Hi la fisica e le scienze naturali. Gli ultimi anni della vita furono dallo
| Scarpellini dedicati, oltreché alla cattedra ed all'Accademia dei Lincei,
TON alla specola astronomica del Campidoglio che per sua iniziativa ed
io efficace insistenza ed assistenza fu inaugurata nel 1829.
Nn : Oltre quelli riferentesi all'attività didattica non vanno taciuti
altri contributi dati dallo Scarpellini in altri campi, come i suoi pro-
getti per l'illuminazione notturna di Rcma; per la costruzione di un
canale navigabile da Roma a Civitavecchia e per il prosciugamento |
delle Paludi di Ostia e di Porto. Pochi sono gli scritti dallo Scarpellini [
‘dati alle stampe; ne rimangono peró molti conservati nell' Archivio dei |
Lincei a Roma. Come abbiamo già ricordato, egli si distinse come ge-
niale fabbricatore di macchine; ricorderemo a questo ‘proposito un
«idrobolo » o pompa. da incendi che ideata dallo zio Piermarini e per-
TIRO fezionata da lui fu data nel 1809 in dotazione al Corpo dei Vigili al-
qu n : lora istituito a Roma; ed una «bilancia idrostatica » per gli studi sulla
EE applicazione del sistema metrico decimale premiata da Napoleone
NS con medaglia d’oro recante l’effigie dell’Imperatore e nel verso la
2 n seguente iscrizione: Napoleon Francorum | Imperator | Italiae Rex |
Feliciano Scarpellini | Labori et Industriae Proemium et Honor |
Romae. Idibus Augusti. MDCCCX. A Roma in tempo recente gli fu
SCIENZIATI UMBRI 131

dedicata una via, eretta un’erma al Pincio; a Foligno è stato intitolato
al suo nome il R. Istituto Tecnico.

Caterina Scarpellini (1808-1873) fu nepote e discepola di Felicia-
no. Lo zio, appena giovinetta, la volle presso di sé a Roma e la iniziò ^
allo studio delle scienze e specialmente della astronomia e della mete-
reologia in cui si segnalò colla pubblicazione di parecchie memorie.
Fu addetta assieme allo zio, fin dalla fondazione nel 1829, all’osserva-

| torio del Campidoglio a Roma dove istituì e diresse la stazione ozono-
metrica; scoprì la cometa dell’11 agosto 1854; osservò l'eclissi solare
del luglio 1860 non che la pioggia delle meteoriti del 1866 e fece studi
«| Ae sui terremoti. Ottima Sposa e massaia fra conferenze, dissertazioni,
1 relazioni scientifiche e letterarie non dimenticó le cure domestiche.

Vincenzo Mancini (1853-1942) fra le scienze fisiche coltivò par-
ticolarmente la metereologia e tra le naturali la botanica. Insegnò per di.
lunghi anni negli istituti superiori d'enologia di Conegliano ed Avellino
e pubblicò moltissimi contributi scientifici, specialmente in materia es
enologica, in varie riviste. i
E Ettore Bellini (morto in Francia ai primi del 1943) alliyd e colla-
boratore di Guglielmo Marconi, segui il grande scienziato in Inghil-
terra ed in Francia. A lui si deve l’invenzione ed il perfezionamento
del radiogoniometro, che permette alle navi ed agli aerei sperduti nella
nebbia o nell'oscurità della notte di determinare la loro posizione (1).

È caro chiudere questa rassegna folignate di scienziati con un no-
me altissimo: quello di Giuseppe Piermarini (1736-1808) che sommo in
architettura, fu anche, specialmente negli ultimi anni della vita (come scu
ha messo in luce Mons. Faloci Pulignani), anche meccanico. Ed oltre ra
l'idrobolo, di cui abbiamo accennato parlando del nepote Feliciano à : il à
Scarpellini, ci resta notizia di un tornio costruito da lui per l'esecuzione |
di viti mierometriche (2).

SPOLETO vanta fisici e meccanici illustri. Famoso medico, filosofo,
astrologo fu Pierleone Leoni (T 1510) che insegnò a Padova e Pisa ; bes
nella seconda metà del quattrocento e fu medico di Alfonso Duca di |
Calabria, di Innocenzo VIII e di Lorenzo il Magnifico. La quale ul-

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XL e SER IR Dn DIDI HO 7. UT n IRE vet c&

— (1) Notizie fornite pei tre ultimi scienziati da D. Angelo Messini. Ve-
dere per la Scarpellini anche: GEMMA GAGLIARDINI nel giornale quotidiano i ig
«Il Messaggero » del 28 agosto 1943. : Cn

(2) MrcHELE FALoci PULIGNANI, Piermarini meccanico in appendice al
Discorso intorno alla vita ed alle opere di Giuseppe Piermarini di Erasmo Fabri :
Scarpellini, Foligno, 1908, pag. 33-39. e pan

PW
e ——— — 132 PIETRO PIZZONI

I tima mansione gli fu fatale: egli fu infatti trovato morto in fondo ad
Ii E un pozzo della Villa di Careggi presso Firenze la mattina dopo la morte
tici di Lorenzo. Il suicidio, o, ccme pare più certo, il delitto fu certo una È
|^ . conseguenza del non esser riuscito a salvare il suo Signore. Il San- E

| Dd nazzaro in una elegia per la morte di lui cantó che cercó ogni via ed
ogni pendice del sapere, ma la filosofia lo fece infelice come un altro
Ulisse.

Pubblicó commentari di medicina e matematica oggi perduti. A
Spoleto aveva ordinata «una singolare libraria » nel convento degli
i agostiniani, nella cui chiesa di S. PICoIo, trasportato da Careggi,
RT. [2g fu sepolto (1).

TER cn EE Domenico Martinelli vissuto nel Seicento dovette essere specializ-

. zato nelle scienze meccaniche se stampò un libro a Venezia nel 1669
dal titolo « Horologi Elementari ».

TOROS Ma celebratissimi furono i fratelli Campana, vissuti anch'essi nel

li LR. seicento. Matteo Campana fu sacerdote e parroco a Roma: inventó

Ar cS un orologio con tre pesi; un metodo per tagliare e ripulire le lenti dei

| cannocchiali; e pubblicò nel 1678 «Horologium solo naturae motu » e

/ done « Circinus sphaericus pro lentibus telescopiorum» (2). Pietromaso Cam-

MEE i, pana fu celebratissimo costruttore di orologi e nel 1694 ne fabbricò
zn uno speciale per il Granduca di Toscana. (3) Il più famoso di tutti
DEED Giuseppe Campana ebbe solenne consacrazione di abilissimo costrut-

j tore di telescopi (più perfetti di quelli allora fabbricati dall' Huggens)

an . . da Gian Domenico Cassini che con un cannocchiale fornitogli da lui pre-
i cisó la rotazione di Giove e di Marte e poté scoprire altri quattro

| . satelliti di Saturno. Il Campana inventò poi l’oculare terrestre costrui-

-

(1) JAconiLLI, Biblioteca Umbria, op. cit. Ne parlano anche il Sansi ed il
Sordini storici spoletini. E il cronista di Trevi Francesco Magnoni, suo conter-
raneo, (nella Cronaca stampata da D. PrEeTRO PIRRI nel « Bollettino della R.
Deputazione di Storia Patria dell’Umbria ») racconta di essersi recato a ren-
dere omaggio alla salma al suo' passaggio per il Borgo di Trevi: vedere
anche: GuERRA-COPPIOLI in Boll. St. Patria, Anno 1915, pag. 387, « M? Pier-
leone da Spoleto ».

(2) Secondo l'« Enciclopedia Boccardo », U. T. E.T., Torino, Matteo scopri
i due satelliti più prossimi a Saturno e suo fratello Giuseppe le «macchie di
Giove». L' «Enciclopedia Italiana » invecealla voce « Giove» (redattore GroRGIO
Nur ABETTI) non attribuisce ai Campana alcuno dei dieci satelliti attualmente co-
dro : nosciuti e per le macchie di Giove afferma solo che Cassini se ne servi per

TRIO dedurre dal loro spostamento la velocità ed il senso della rotazione di Giove.
(3) SansI cit., Storia del Comune di Spoleto, Parte II, pag. 292.
VETERA

SCIENZIATI UMBRI 133

to con lenti ottimamente lavorate e disposte in modo da raddrizzare

le immagini pur evitandone la colorazione (1).

Spoletino fu pure il gesuita Lauri Loreto (1610-1658) che, precor-
rendo di un secolo i fratelli Montgolfier, fece studi ed esperienze sul
sollevamento dei globi nell'aria. Fisico e meccanico illustre, fece anche
altri studi, specialmente nel campo dell'acustica, disegnando strumenti.
Fu professore a Recanati, a Firenze ed a Roma dove mori (2).

Né da dimenticare-è l'altro spoletino, gesuita anch'esso, Gio.

Battista dei conti Pianciani, vissuto a cavallo fra il settecento e l'otto-
cento, che professore di fisica al Collegio Romano in Roma pubblicò
interessanti memorie di carattere osservativo e sperimentale su. argo-
menti di fisica ed in particolare di magnetismo; non che tre volumi di
« Istituzioni fisico-chimiche », Roma, 1834-35; le quali rappresentarono
in Italia il primo, piü che tentativo, prova riuscita per pienezza ed
estensione della possibilità di un insegnamento della.fisica e chimica
basato sul « Sistema delle ondulazioni » di un unico etere universale;

cui debbono riferirsi i fenomeni da altri attribuiti a quattro fluidi im-

ponderabili a spiegazione del calore, luce, elettricità, magnetismo, non
che delle affinità chimiche. La trattazione del Pianciani si poneva
quesiti molteplici, le spiegazioni di molti dei quali egli dié per sciolte
in base ai fatti fino allora conosciuti; e altre, che egli lasció come pro-
-babili, sono state via via confermate dalle scoperte ulteriori. E queste
scoperte egli prevedeva scrivendo « che conviene aspettar nuovi fatti
i quali nuova luce spargeranno senza dubbio sui quesiti proposti e su

altri ancora ». Il Pianciani ebbe il merito di esser maestro al Padre
Angelo Secchi che ne tessé l'elogio celebrandolo come illustre mate- -

matico e fisico (3). i :

Cascia dette i natali a Nicola Zabaglia «litterarum plane rudis»
— dice la sua iscrizione sepolcrale nella chiesa della Traspontina a
Roma - «sed ingenii acumen adeo praestans — ut omnes artis archi-
«tectonicae peritos — machinationum inventione et facilitate — ma-

(1) Enciclopedia Italiana alla voce: «Campana Giuseppe », redattore
EMILIO BIANCHI, Direttore dell'Osservatorio di Brera-Merate. HuaGENs, Orolo-
gium oscillatorium. G. Liri, Histoire des sciences mathematiques en Italie.

(2) VENTURINI, Da Icaro a Montgolfier, Isola del Liri, 1929. SAVORGNAN
n1 Brazzà, Da Leonardo a Marconi, Hoepli, Milano, 1939. « L'Alta Spoleto »,
periodico settimanale del 22 aprile 1939.

(3) Notizie fornite da Mons. Luigi Fausti, Bibliotecario di Spoleto, il
quale assicura che l’elogio del Secchi è stampato. Perle opere del Pianciani, cfr.
« Giornale Scientifico-letterario di Perugia », Fascicoli, marzo 1834, pag. 274;
gennaio, 1835, pag. 21; ottobre, 1835, pag. 180.

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134 i | PIETRO PIZZONI

Bibi E «gna urbis cum admiratione superaverit » Invero questo contadino,
BU - pue sceso (come ci dice Adolfo Morini in una monografia da cui attingiamo
BIB o coe queste notizie) (1) dalle montagne di Cascia coi legnaiuoli e norcini
. Soliti anche oggi ad emigrare durante l'inverno a Roma per l'esercizio
3 della loro professione, trovò modo di farsi assumere fra i manovali
Hi 5 È che co! nome di sampietrini attendono al decoro ed alla attrezzatura
AE del maggior tempio della cristianità. « Senza saper leggere e senza
«maestri talmente si avanzò nella statica e nella meccanica e nell’arte
«di muover pesi che ha forse nella macchinale professione superato
| « ogni altro fino ai nostri tempi vissuto. E perció poté non solo servirsi
i «delle macchine già esistenti e far ponti senza pregiudizio delle mura-
m «glie e degli ornati e quasi per aria, ma di più inventarne delle nuove
«ed a metterle francamente in pratiea con sicurezza, con bellissimo

«ordine e con meravigliosa prontezza di ripieghi nei casi inaspettati

«e straordinari; talmente che ció che ad altri sarebbe stato difficile e

« pericoloso, ad esso é riuscito e riesce facile e sicurissimo ». Cosi Mons. |

| Giovanni Bottari nella prefazione ai « Castelli e Ponti di Maestro Nico-
| la Zabaglia », Roma, 1743, opera illustrata da cinquantaquattro tavole
‘ incise in rame, e della quale, per ordine di Leone XII, fu fatta nel 1824

| una seconda edizione con l'aggiunta di nuove macchine. Nel Museo
P Petriano in Roma sono poi conservati in originale alcuni modelli in
FU legno dello Zabaglia. E furono queste stampe e questi modelli — allora

| forse visibili in numero anche maggiore — che colpirono lo scienziato

| francese Montucla, il quale scrive nella « Histoire des mathematiques »,
Paris, 1799-1802, Vol. 39, pag. 821, tra l'altro, quanto appresso: « Si
«è visto a Roma un genio più raro che singolare che si è molto distinto
« nelle arti meecaniche: esso é Nicola Zabaglia, autore di molte mac-
«chine... Zabaglia non era che un grossolano legnaiuolo, incapace di
«Scrivere: ma fu stampata nel 1743 la raccolta delle sue macchine
«nelle quali sono idee tanto semplici e ingegnose che non sono usate
«in Francia... Le sue invenzioni trattano soprattutto di architet-
«tura, e la sua raccolta è in qualche modo indispensabile»a qualunque
«architetto incaricato di grandi opere pubbliche ». L'iscrizione sepol-
crale sopra riportata seguita dicendo che lo Zabaglia — Vir fuit cum
antiqui moris — Tum a pecuniae aviditate ac luxu alienus: — e merita
conto riportare a questo proposito un episodio singolare con le parole :
dello storico casciano D. Marco Franceschini: «Il detto Zabaglia... È

i | : i (1) Aporro MoRrINI, Nicola Zabaglia e il suo paese di nascita; rivista
itin RR «Latina Gens »,. fascicolo gennaio-febbraio, 1941.
SCIENZIATI UMBRI 135

«come un Borrino (cioè uno zotico) con una berretta in testa ed una
«sariga (specie di cappa di panno bianco casareccio usata ancora
«nell'Umbria dai raccoglitori di olive) si presentó al Re di Fran-
«cia. (Luigi XIV), il quale a vedere questa ridicola figura cre-
« dette che Benedetto XIV (mandandoglielo) gli avesse fatto una bur-
«la; ma poi in sentire che lui era pronto in un giorno far quell'opera
«(voltare una statua colossale) che tanti bravi ingegneri avevano ri-
«chiesto il tempo di un mese, col solo pagamento di dodici bottiglie
«di vino, al quale liquore teneva egli moltissimo; dopo aver disposto
«nella sua stanza con bacchettine le macchine che doveva adoperare
«in .tale occasione, in un sol giorno con stupore di tutta Parigi fece
« quel tanto che il Monarca desiderava ». Non devesi tuttavia conclu-
.dere da questo episodio che egli eccedesse nel bere. Fu anzi di una
frugalità esemplare ea questo ea «l'innocenza dei suoi costumi » il Re-
- nazzi nella prefazione alla seconda edizione dell'opera sopraricordata
attribuisce la costante conservazione «in florida salute »; tanto che
dotato di temperamento robustissimo non si sa che mai nel corso lun-
ghissimo di sua vita soggiacesse ad alcuna grave malattia.

A Nicola Zabaglia il comune di Roma ha intitolato una via ed
una «Scuola serale Artieri ».

La meteorologia italiana ebbe, si può dire, la culla nei monasteri
dei monaci benedettini i quali hanno sempre continuato ad occupar-
sene con amore. Uno di questi fu il P. Bernardo Paoloni (1882-1944)
nativo anch'egli, come lo Zabaglia, di Cascia (1). Fu prima Direttore
dell'Osservatorio geofisico di Montecassino e poi, dal 1920 alla morte,

di quello del R. Istituto Superiore Agrario, collocato nel Monastero di

S. Pietro in Perugia. L'opera sua di studioso, iniziatasi nel 1908, si
concentrò nelle principali seguenti attività:
10 Il servizio radioatmosferico italiano iniziato nel 1928 e che

nel 1938 contava 24 stazioni affidate parte all'esercito, parte all’aero-

nautica, oltre la centrale cordinatrice a S. Pietro di Perugia, diretta
dal Paoloni.

Dell'efficacia e dell'importanza di questa istituzione sono docu-
mento eloquente le seguenti parole indirizzate da Guglielmo Marconi

il 6 agosto 1930 al Paoloni: «Quanto al servizio radioatmosferico

(1) ARTURO MaREscALCHI, Venticinque anni di attività meteorologica delP:
Paoloni, «La Meteorologia pratica » anno XV, n. 1. Consultare parimenti le
annate della «Meteorologia Pratica » dal 1920 (anno di fondazione) al1944 "anno
della morte del Paoloni).

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i hoe ca «italiano debbo dire che esso svolge un’azione preziosa per le radio-
(gite «comunicazioni e che tutti i collaboratori di esso possono a ragione
«essere orgogliosi del lavoro che compiono ».
2° Il servizio meteorico sanitario italiano, fondato dal Paoloni
P NE - nel 1930 e giunto a contare oltre una cinquantina di stazioni che
Lig affidate a Direttori di ospedali e Sanitari eran tutte collegate colla
centrale di S. Pietro in Perugia. Oggetto: lo studio dell'andamento |
della morbilità e mortalità in rapporto alle stagioni ed ai diversi fe- |
nomeni atmosferici: studio approvato e incoraggiato dai più illustri
igienisti e sanitari d’Italia non che dalla Sezione di igiene della So- È
cietà delle Nazioni e dalla Duszione Generale di Sanità del Ministero
dell'Interno italiano.
3° La rivista «La Metereologia pratica » fondata a Perugia.
| JM nel 1920 (in continuazione del Bollettino mensile dell'Osservatorio di È
Io gon Montecassino 1909-1919), che accolse articoli dei piü noti cultori di i
Tob metereologia e condensó e rispecchiò la molteplice attività di scrit-
tore e osservatore scientifico di P. Paoloni.
49 La «Società Meteorologica italiana » che per merito di P.
. Paoloni, nominatone nel 1931 Segretario generale, risalì alla fervida
attività ed allo splendore in cui l’aveva lasciata il suo illustre fonda-
tore, il Barnabita P. Denza. i
BL. Al Padre Paoloni è dovuto anche un apparecchio, abbastanza È
IM E diffuso negli osservatori e aereoporti d'Italia, per il rilievo, al momen-
«to stesso della osservazione, della direzione e velocità del vento. E
cioè il « Fotoanemometro Paoloni » cui la nota ditta dell'ing. Salmoi- E
raghi di Milano «La Filotecnica », ha dato, colla forma estetica, il mec-
| canismo di precisione (1).
Di non molti cultori di scienze esatte si ha notizia per le altre
- città dell'Umbria. È:
A Nocera fiori nel duecento Nicolò Olivieri del quale lo Jaco- 1
billi dice che «fu grande matematico e compose tre libri «De Geni-
turis » (2).
- Di GusBIo sono Giacomo di Manno Armanni; Giacomo Arman-
in e Pietro Marianelli.
: Giacomo di Manno Armanni vissuto a cavallo fra i secoli xiv e

(1) Il Fotoanemometro Paoloni, rivista «La Filotecnica » Milano, n. 4.
HE . luglio-agosto, 1937.
RE (2) JAcoBILLI, Biblioteca Umbriae già citata, alla voce « Olivieri Ni-
ES colò ». . i
SCIENZIATI UMBRI 137

xv è ricordato come valente astronomo, medico, matematico, teologo.
Scrisse un’opera « De Astris » impregnata di astrologia secondo il co-
stume di quei tempi (1).

Giacomo Armanni (secoli xvI-xvII) giureconsulto e matematico »

venne annoverato dal Mazzuchelli fra gli scienziati più distinti di
quell’epoca (2).

L'Abate Pietro Marianelli (secolo xvii) fu in corrispondenza
coi migliori ingegni del tempo e scrisse vari trattati scientifici sulla
sfera, sull'algebra e sulla cronologia. Gubbio ha dedicato una via al
suo nome e Cagli — che lo ebbe apprezzato insegnante per parecchi
anni — lo ricordò con una lapide nella sala maggiore del Municipio (3).

. Nativo di Orvieto fu Adolfo Cozza (1848-1910). Ingegno vasto e
poliedrico egli dedicò buona parte della sua molteplice e svariata
attività alle applicazioni della meccanica e della idraulica. Consegui
trentacinque brevetti; tra i quali ricorderemo i relativi al freno idrau-

lico per le ferrovie; al freno a dischi per eliche marine; ad un tipo di

bilancia; ad un elevatore idraulico; ad un locomotore aereo ad ali
battenti, ecc. (4).

Di SPELLO un cronista del tempo, l'Abate Ferdinando Passerini,
in un manoscritto ricorda nel secolo xvir Antonio Conti bravo mate-
matico ed astrologo; e Luigi Incoronati illustre matematico ed ar-
chitetto del secolo xrx cui è dovuto il disegno del rinnovato Semina-
rio Felice, oggi Collegio Rosi (5).

Nacque a NARNnI Galeotto Marzio (1427-1497) di fervido ingegno,
di memoria prodigiosa; di corpo vigoroso e forte mostrò fin da ragazzo
la irrequietezza, che doveva accompagnarlo per tutta la vita, vagando

(1) Giacomo di Manno Armanni, creato Gonfaloniere nel 1402, corse pe-
ricolo di vita per aver osato predire la morte del Conte Antonio di Monte-
feltro. Il « Diario di Simon Paolo » eugubino, conosciuto col nome di.« Diario
di Marcello Cervino » che fu poi Papa Marcello II, così riporta l'avvenimento:

« Nel 1402 Mes. Giacomo, esimio e sapiente, essendo Gonfaloniere, perché

disse che il Conte Antorio doveva morire in breve, fu casso d’ufficio: ma
ci fu rimesso di comandamento di detto Conte al quale donò un libro « De
Astris » essendo dottore in Astrologia (Diario di Simon Paolo, pubblicato a
cura di Lurar BONFATTI, tip. Magni, Gubbio, 1848).

(2) Notizie fornite dal dott. Lamberto Marchetti di Gubbio.

(3) Notizie fornité come sopra.

(4) Discorsi e cenni commemorativi in onore di Adolfo Cozza, pubblicati .

a cura del Comune di Orvieto, Orvieto, 1911.
(5) Il manoscritto è posseduto dal Rev. D. Luigi Pomponi, parroco di
Santa Maria Maggiore a Spello.
= san me

138 PIETRO PIZZONI

per varie città del Lazio in cerca dei migliori maestri per gli studi del
trivio (grammatica, dialettica, rettorica) e del quadrivio (aritmetica,
musica, gecmetria, astrologia) preparanti ai superiori di filosofia.
I quali ultimi egli nel 1445, a 18 anni, iniziò a Ferrara, dove, con
grande concorso di giovani da tutte le part di Europa, insegnava il
celebre grammatico Guarino di cui divenne l’alunno prediletto. E a
Ferrara il nostro Galeotto strinse l’amicizia più calda di tutta la sua
vita con l'ungherese Giano Pannonio divenuto poi vescovo di Cinque-
chiese (l’attuale Pecs); dal quale apprese il greco, mentre egli fu a
lui maestro di latino. Nel 1450, terminati gli studi sotto il Guarino,
fu chiamato ad insegnar lettere presso l'Università di Padova. Alle
sue lezioni affluirono numerosi gli allievi; e corsero ad ascoltarlo an-
che letterati di grido; come l’umanista grammatico Giorgio Merula
di Montagnana (Padova) divenuto poi uno dei suoi più acerrimi ne-
mici. A Padova Galeotto fu maestro e insieme discepolo; in quanto
mentre insegnava dalla cattedra lettere, studiò e si addottorò sui
banchi della scuola di medicina. Nel 1459, lasciato l'insegnamento, si
diè a viaggiare per la Francia, la Spagna e l'Inghilterra; da dove
tornò nel 1462 ricolmo di gloria e di ricchezze, procacciatesi soprattutto
coll’arte della medicina nell’esercizio della quale i medici italiani,
preceduti dalla fama delle scuole da cui uscivano, mietevano allora
in tutta Europa allori e denari. Nel 1464 lo troviamo lettore di let-
teratura latina nell'Università di Bologna, e qui ebbe la prima bega
letteraria col celebre umanista Francesco Filelfo contro il quale tra
il 1463-64 pubblicò a Bologna la sua prima « Invectiva ». Nel 1465
lo troviamo in Ungheria dove il grande Re umanista Mattia Corvino
difendeva la civiltà cristiana contro i Turchi prementi ai confini del
suo regno. Aveva aderito all’invito del suo amico Giano Pannonio il
quale in una lettera latina gli ricordava i propositi già fatti da stu-
dente universitario a Ferrara di mostrare la prodezza delle sue mani
contro gli infedeli. Paolo Giovio afferma che il nostro personaggio in
Ungheria — oltre valorosamente combattere — fu maestro a Re Mat-
tia; l'affermazione non va forse presa in senso stretto, in quanto Re
Mattia già regnante ed adulto non era verosimile si sottoponesse alla
disciplina di un curriculum pedagogicamente graduato di studi; ma
risponde verosimilmente alla realtà se vuol dire che Galeotto avrà
ispirato coi suoi consigli il Re suo protettore; ammiratore del suo inge-
gno e della sua cultura, probabilmente seguace di più di una delle sue
dottrine. Fatto sta che‘il Marzio era commensale del Re il quale, tra
le altre cose, gli affidò la direzione della R. Biblioteca di Buda-Pest.
SCIENZIATI UMBRI 139

Era quindi della corte; circondata, sull'esempio di quelle italiane,
da un’accolta di uomini insigni nelle scienze nelle lettere nelle arti;
tra i quali Galeotto, colla sua cultura enciclopedica, poteva bene rap-
presentare una figura di primo piano. In Ungheria il Marzio, tra le
occupazioni molteplici e più disparate, come quelle della corte, della
guerra e dell'insegnamento, non tralasció di dedicarsi alle scienze
filosofiche; e frutto di questi studi furono due opere; cagione piü tardi,
come vedremo, di grandi dispiaceri per il loro autore. E cioé il
«De incognitis vulgo » e il «De homine » (1465-1472). Venne via
dall'Ungheria nel 1473 e non molto dopo lo troviamo in Francia
alla corte di Luigi XI, il Re che, trionfatore di tutti i grandi feudatari,
é considerato dagli storici il fondatore della unità nazionale francese.
Della parte, non di secondo ordine, quivi rappresentata dall'umanista
narnese, ci si può fare una adeguata idea leggendo il romanzo storico
di Walter Scott intitolato « Quintino Duvard ». Il grande romanziere
inglese, riproduttore celebrato, per storica aderenza alla realtà, di
luoghi, circostanze e tempi, descrive minutamente l'appartamento
abitato dal nostro umanista nel Castello di Plessis, dove facevano

bella mostra di sé arazzi, armi, tappeti ed altri oggetti, bottino di guerra .

della battaglia di Jayeza da Galeotto combattuta a fianco di Mattia
Corvino. Lo Scott ritrae l'umanista italiano nella sua ricchissima bi-
blioteca, mentre sta correggendo le bozze di stampa di una sua opera
e Re Luigi sopraggiunge a visitarlo. Nel corso del romanzo si parla
più volte di lui e vi si racconta un episodio, eloquente indice dell'astu-

zia del cultore di-astrologia. Ad un certo momento il Marzio cade

dalla stima di Re Luigi, il quale é deciso di punire colla morte il suo
già favorito che dotto «nel giuoco delle magiche frodi » non lo aveva
preavvisato del tranello tesogli dal Duca di Borgogna, riuscito
a farlo prigioniero. L'astrologo, avvertito dell'ira e dei propositi
del Re, quando questo ironicamente gli chiese se conosceva la data
della propria morte: «Si — rispose — Maestà: avverrà un giorno
prima della vostra ». E il Re, grande nella diplomazia ma non infe-
riore nella superstizione, tornò ad ammetterlo fra i suoi favoriti.
Nel 1476 é di nuovo in Italia; nuovamente, insegnante all'Uni-
versità di Bologna: e in quest'anno stampò la sua seconda « Inve-
.etiva»; questa volta «in Georgium Merulam ». :
L'anno dopo lasció definitivamente l'insegnamento e si ritiró
colla famiglia a Montagnana presso Padova. E quivi gli accadde l'epi-
sodio piü doloroso di tutta la vita. Come scrive il Sanudo nelle « Vite
dei Dogi di Venezia » fu iuvitato a comparire dinanzi all'Inquisitore
140 PIETRO PIZZONI

di Venezia per discolparsi dall’accusa di eresia di cui si pretendeva
trovar le traccie nel libro « De Incognitis vulgo ». Imprigionato «il con-
«dannarono ad esser messo sopra un solaio in piazza con una corona
«di diavoli in testa, dove fusse letta la sentenza, e abbruciato il libro,
«ed egli si chiamasse in colpa di quello che aveva detto e scritto, che
«fosse contro la Chiesa. Poi fu condannato per penitenza dell’errore
«commesso a stare sei mesi in prigione a pane ed acqua ». Se non che
il Marzio, preoccupato che la faccenda non dovesse finire con così
relativa mitezza, inviò il suo figlio Giovanni a Firenze, latore di una
lettera per Lorenzo il Magnifico il quale interpose subito i suoi ca-
lorosi uffici presso il papa Sisto IV che, avocata a sé la causa, chia-
mò l’accusato a Roma. E alla assoluzione che segui completa deve
aver indubbiamente contribuito, oltre la poca o nulla consistenza degli
addebiti (sulla produzione dei quali pare avessero contribuito invidie
e vendette personali nei riguardi di un lottatore da parte sua tutt'altro.
che scarso di virulenze), la simpatia del Pontefice per il Maestro di
cui era stato discepolo. Terminate le peripezie del processo, Galeotto
fu ancora per due volte in Ungheria: dal 1478 al 1480 e dal 1482
al 1485, accoltovi sempre col solito onore e simpatia da Re Mattia,
il quale la seconda volta accondiscese anche benevolmente alla sua
richiesta di sussidi per la dotazione delle figliuole.

E per gratitudine al suo protettore e benefattore Marzio, tornato
in Italia, compose il « De Egregie, Sapienter, Iocose dictis et factis
Matthiae Corvini» opera ripetutamente, sebbene molto più tardi,
stampata (Vienna 1563, Francoforte 1600, Lipsia 1746). Su invito o
| consiglio di Lorenzo il Magnifico, al quale era, come abbiamo visto,
debitore di valida ed efficace protezione, scrisse poi due altre opere il
«De promiscua doctrina » e il « Galeotti Martii narniensis chiroman-
tia perfecta » che esiste manoseritta nel convento di Sant'Antonio a
Padova. Secondo Giulio de Miskolezy (« Enciclopedia Italiana »
alla voce « Marzio Galeotto ») Marzio fu in ultimo, nel 1492, alla corte di
Carlo VIII al cui servizio, compose l'ultima sua opera « De Excellen-
tibus » (della quale però il Miskolczy stesso dà la data del 1490). Sulla
data della morte di Galeotto Marzio esistono discrepanze. Il Sanudo
(nelle « Vite dei Dogi di Venezia») lo dà morto (per una caduta da ca-
vallo mentre viaggiava in Boemia) dopo il 490: un «dopo » che se-
condo il citato Miskolezy arriverebbe al 1497.

Quale era il valore delle opere del Marzio ?

Le Invectivae, mostrano una virulenza singolare; risonanza forse
della forza fisica straordinaria (in una lotta corpo a corpo con un certo
SCIENZIATI UMBRI 141

Alesso soldato di Re Mattia ridusse quest'ultimo quasi in fin di vita)
«di che era dotato. La prima ebbe origine da una critica, contenuta
inizialmente nella massima cortesia ed urbanità, del Marzio al poema
« Sforzeide » di Filelfo e da questi male accolta. L'altra, da volgari de-
trazioni con cui il suo già amico Merula salutò l’apparire del « De ho-
mine »; detrazioni riferentesi non al contenuto scientifico del libro,
ma solo inspirate da quella malcelata animosità che non fece rispar-
miare all’umanista di Montagnana neanche le opere del Poliziano e
di molte alte personalità del suo tempo.

Nel campo della storia il Torda (che ne curò la prima edizione

| per stampa a Vienna nel 1663) loda molto per l'eleganza della forma e .

l'interesse storico della materia il « De Egregie Sapienter Iocose dictis
et factis Matthiae Corvini » dal Marzio composto rel 1484, sebbene non
tralasci di rilevare la sproporzione fra le diverse parti di cui risulta.

Delle opere scientifiche e astrologiche se ne puó ben fare un'unica
categoria; in quanto, come abbiamo avuto occasione di ripetutamente
osservare, astrologia e magia, elevate a dignità di discipline scienti-
fiche, fin dall'ormai lontano medio-evo, non solo costituivano materia
di insegnamento nelle Università, ma facevano parte integrante cosi
della medicina, come della astronomia, come di qualunque altra mani-
festazione scientifica. E ciò malgrado che all'aprirsi del Rinascimento
non fossero mancati spiriti elevati come il Savonarola ed il Pico della
Mirandola a richiamare alla dovuta serietà la cultura del tempo.
Il « De homine » ha carattere enciclopedico; racchiudendo quanto, nel
. tempo in cui fu scritto, poteva riguardare il corpo umano; dalla ana-
tomia alla patologia e terapeutica; il tutto condito colla esposizione
delle presunte relazioni colla astrologia e colla magia. Anche il « De
promiscua doctrina » é una specie di enciclopedia dove si parla di medi-
cina, astrologia, magia, anatomia, filosofia, etc. E dello stesso carattere

pare sia la ricordata « Galeotti Martii narniensis Chiromantia perfec-

ta » conservata manoscritta in un codice cartaceo del secolo xvi in
foglio di pagg. 102 nella libreria del convento di Sant'Antonio a Pa-
dova; nel cui margine vedonsi delineate di tratto in tratto mani re-
canti nelle palme note musicali, asterischi, caratteri, figure geome-
triche; segni tutti di carattere divinatorio. Il « De homine » e più il « De
promiscua doctrina » devono aver prodotto non piccola impressione
nel ceto intellettuale del tempo: la seconda opera specialmente, della
quale furono fatte almeno tre edizioni latine (Firenze 1548, Lione
1552, Francoforte 1601) e un secolo dopo si trovò chi (Francesco
Serdonati) la tradusse in bell’italiano (Firenze, Giusti, 1615).

UIRE:

T

xov RIP DIR SIOE 142 PIETRO PIZZONI

Ma un altro merito scientifico — e questo veramente sostanziale
e quindi superiore a tutti gli altri — sembra aver avuto Galeotto
Marzio; frutto dell'indirizzo averroistico per opera di Pietro di Abano
fin dal secolo xiv in fiore nella sua prima palestra di insegnamento,
l'Università di Padova (al contrario di quanto avveniva nelle altre
Università in genere sviluppantesi tutte in una direzione nettamente
greco-latina). E precisamente, per influenza della antica letteratura
astronomica e della filosofia araba-averroistica il Marzio sarebbe
stato propagatore di nuove ardite dottrine filosofiche e astronomiche;
fra cui un'antica dottrina eliodinamica con carattere di transizione a
quella copernicana.

Galeotto fu anche poeta. D ono manoscritte nella Biblioteca
estense di Modena un poemetto latino in bella forma dedicato a
Stella dell'Aspassino; e uelle biblioteche di Monaco e di Vienna un
altro poemetto « De Desolatione urbis ». Ed è del nostro umanista T epi-
taffio in eleganti distici latini scolpito sulla tomba eretta nel 1458
nella Chiesa di Sant'Antonio da Padova (di fronte a quella del padre;
il celebre capitano Erasmo Gattemelata da Narni) a Giannantonio
Gattamelata morto a Montagnana nel 1455.

Fu vera gloria, quella conquistata nei suoi tempi da Galeotto
Marzio ? Un umanista contemporaneo G. M. Toscano lo cantó

Et Marti Galeottus et Camoenis
acceptus Porter. m

e senza dubbio questa fu la fama che gli procurarono ai suoi tempi
il racconto delle prodezze compiute al seguito di Re Mattia ed il
contenuto delle sue opere. E se alle prime nulla abbiamo a detrarre,
non potremmo facilmente associarci al giudizio incondizionato sulle
seconde in. quanto, per esempio, parlano sul serio di influssi dei pianeti
nelle. vicende umane. Ma quella era la convinzione di allora.

E noi che abbiamo ricordato gli altri astrologi, non potevamo
passarci di questo, forse per ingegno e cultura, superiore a tutti. E
come italiani gli dobbiamo anche la gratitudine di aver tenuto, in
tempo di decadenza politica, alto in terra straniera il nome d'Italia (1).

SUD) GS EROLI, Miscellanea storica narnese, Narni, 1858; CoLLOSI E DIOFEBI,
Galeotto Marzio, Narni, 1939; G. ForATTI, Cenni storici e descrittivi di Mon-
lagnana, Venezia, 1863; ABORTO E o BANDINI, Vita.di Giorgio Merula, Ales-
sandria, 1893.
SCIENZIATI UMBRI

I CHIMICI

GUBBI1O ricorda con onore l'Eremitano Agostiniano Evangelista

Quadramio che dedicatosi allo studio della Chimica pubblicó varie
opere; fra le quali nel 1587 un.trattato contro gli Alchimisti (1).

SPoLEeTO invece ebbe nel secolo xvii un chimico alchimista —
Adone Campello — il quale stette in relazione scientifica con Giovanni
Echio e quindi coi primi Lincei coi quali disputò sulla questione della
vetrificazione dei metalli (2).

Ma fu a PeRrUGIA che gli studi chimici si affermarono durante il
secolo xix in modo veramente eminente, determinando un reale pro-
gresso in quel ramo delle scienze. I nomi di Luigi Canali e di Seba-
stiano Purgotti hanno lasciato orme non facilmente cancellabili.

( Luigi Canali (1759-1841) inizió la sua carriera didattica nel
patrio Ateneo: dove nel 1778 si era addottorato in filosofia e dove
nello stesso anno sali la cattedra di logica e metafisica (3). Studioso

(1) La biografia del Quadramio fu pubblicata nel 1866 dal Ranghiasci.
Notizia fornita dal dott. Lamberto Marchetti.

(2) GABRIELI G., Umbria Cesiana e Lincea, in « Latina Gens », Roma, 1940.

(3) Le notizie e le citazioni sono quasi tutte attinte dall'opuscolo Per
la morte del prof. Luigi Canali, Perugia, Bartelli, 1841. Nell'opuscolo sono
contenuti: 1°) Bini Vincenzo (il noto autore più volte citato della Sforia del-
l'Università), Elogio funebre; 2°) Purgotti Sebastiano, Elogio funebre; 39)
Anonimo, (da identificare col Bini predetto. Cfr. G. Bianconi, del prof. Luigi
Canali in « Giornale Scientifico-letterario di Perugia », anno 1863, dispensa 2,
pag. 141), Biografia del Canali.

Secondo il Bini (pag. 6) il Purgotti (pag. 22) e la anonima Biografia (pa-
gina 40) il Canali si addottorò e ascese la cattedra di logica appena dicianno-
venne; e precisamente, come dice la Biografia «non ancora quadrilustre nel
1778 ». L'Ermini (op. cit., pag. 519) dà per l'ascesa alla cattedra di Filosofia
Ja data del 1791, dichiarando in nota di averla desunta dalla biografia del

Canali nel Vermiglioli, opera citata. In verità il Vermiglioli indica il 1781 (si
‘tratta evidentemente da parte dell'Ermini di un errore di trascrizione o di
stampa) come data non dell’ascesa alla cattedra; ma dell'addottoramento e
della aggregazione al Collegio Medico - filosofico. Penso che la concorde affer-
mazione dei tre autori del sullodato opuscolo della data del 1778 per il dotto-
- rato e l’ascesa alla Cattedra di filosofia sia garanzia più che sufficiente di esat-

tezza, e che il 1781 del Vermiglioli si riferisca solo alla aggregazione al Collegio
Medico-filosofico. Alla quale ultima 1’ Ermini (che ne descrive, pag. 268-69, am-
piamente le modalità) assegna una data solo leggermente diversa: il 1782.

La Biografia poi sopra citata, il Bianconi (op. cit., pag. 138) e l'Ermini

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E
144 ‘- PIETRO PIZZONI

di Bacone e famigliarizzato colle ideologie allora in voga del Loke,
Malebranche e Condillac portò un soffio di novità nell’insegnamento
tradizionale della filosofia; tanto - che un suo panegirista (Dcme-

. nico Scinà, prof. di fisica all’Università di Palermo; riferito dal Pur-

gotti) scrisse che egli sostituì « alla oscurità la chiarezza; alla autorità
l'esame; ad Aristotele la ragione ». Fu poi chiamato a sedere sulla
Cattedra di fisica sperimentale da lui qui frequentata come alunno del
Pellicciari. Il quale aveva già cercato di spostare l’insegnamento di
questa disciplina dai campi della discussione astratta a quelli della
osservazione e della esperienza; ed era stato, come abbiamo visto,
il fondatore del Gabinetto di fisica della Università; dovendosi prin-
cipalmente alla sua industria il ricco complesso di apparecchi dimo-
strativi e sperimentali che avevano méritata l’ ammirazione del
Lalande e di Bernoulli e dei quali il Canali lo trovó fornito. Ma il Ca-
nali fece fare all'insegnamento un passo anche piü decisivo e, potrebbe
dirsi, rivoluzionario; preferendo in modo assoluto (come si esprime il
suo già citato panegirista) «al sillogismo, le esperienze; alle questioni
ipotetiche, le osservazioni». E studioso di Cartesio non che ammira-
tore di Galileo, da una parte specie nella meccanica associò co-
stantemente il calcolo alla teoria; dall'altra si mise decisamente sulla
via della osservazione e della esperienza, preferendo — come dice il
Purgotti — «gli oggetti concreti agli astratti». E consultando giornali;
studiando sulle opere moderne mano a mano che vedevano la luce;
entrando in amichevoli relazioni coi vari scienziati d’Italia e di Eu-
ropa divenne conoscitore sicuro di tutte le scoperte fiorite in quel pe-
riodo rigcglioso per gli studi scientifici. Frutto della cultura e della
perizia acquistata in questo campo furono varie memorie relative a
fenomeni elettrici inserite in latino negli atti delle accademie scien-
tifiche di Copenaghen; in italiano in quelle di Torino, di Milano, nel

(op. cit., pag. 687) concordano nell’asserire che il Canali successe direttamente
al già da nor illustrato Luca Antonio Pellicciari nella Cattedra di Fisica. Se
non che l’Ermini in un altro punto (op. cit., pag. 509) interpone fra l'uno e l'al-
tro un « Francesco Andreani » del quale non dà che il nome. Penso che delle”
due indicazioni dell'Ermini sia la prima a corrispondere alla realtà; mi pare
indubbio che l'Andreani non sia il successore del Pellicciari; forse (vedere
nota 1 a pag. 116) potrebbe esserne stato il predecessore. ad ogni modo non ho
trovato notata da alcuno la data precisa del passaggio del Canali dalla catte-
dra di filosofia a quella di fisica.

- Per quanto riguarda la cultura astronomica del Canali vedere la Biografia
sopra citata.
SCIENZIATI UMBRI 145

. Giornale Arcadico di Roma, e nel giornale Scientifico :di Perugia;
come pure l'impianto (la prima volta effettuato a Perugia) dei para-
fulmini nella Cattedrale e nei principali edifici della città; non che i
consigli dati (in due belle memorie che lo dimostrarono anche valente
idraulico) per il miglioramento della conduttura delle acque alimen-
‘tari della città natale.

Si occupò anche di astronomia; nel qual campo lasciò manoscritti
un compendio di Astronomia; una erudita nota sul da noi già ricordato
opuscolo intorno alle Comete dell’astronomo perugino Marco Antonio
Cristaldi, nonché una memoria compilata sulle Comete di corto periodo.

Calcolò poi il mezzodì di ogni giorno dell’anno e le fasi lunari
adattate alla latitudine di Perugia e scrisse sulle disuguaglianze dei
giorni e sulle correzioni da apportarsi all'orologio astronomico.

Luigi Canali fu anche meteorologo. Spetta al Monastero di San
Pietro il vanto di potersi chiamare la culla della metereologia in Pe-
rugia; perché fu nel silenzio di questi chiostri che il benedettino
D. Benedetto Castelli inventò nel 1639 il pluviometro, ed un altro
benedettino D. Andrea Bina (cui oggi è intitolato l’osservatorio
della Facoltà di Agraria) nel 1751 il sismografo (1). Non è da esclu-

dersi che la tradizione benedettina possa avere influito sulla vocazione

di Luigi Canali; fatto sta che egli non solo si occupò di fenomeni me-
| tereologici, ma ne iniziò una sistematica registrazione il 1° gennaio
1802 e, come risulta dai registri scritti di sua calligrafia ancora ben

conservati, li continuò ininterrottamente di sua mano fino all’ottobre

1835, allorché fu colpito da apoplessia. E continuò anche dopo (ser-
vendosi di un sostituto scrivano) fino al 20 ottobre 1841 (quasi alia
vigilia della morte, accaduta l'8 decembre successivo) in cui un più
forte attacco lo rese completamente inabile. Le osservazioni riguar-
dano la pressione barometrica, la temperatura, la quantità della piog-

gia, lo stato del cielo. È da notare che solo dal 1° aprile 1811 le osser-

vazioni (che in opportune illustrazioni egli offriva al pubblico e che
il Paoloni ha poi in parte pubblicate nella « Meteorologia pratica»)
risultano fatte e notate con regolarità e precisione su tre colonne:
mattino, giorno, sera. Gli è che da principio l’osservatorio fu quasi
certamente in casa Canali: e solo nel 1811 si trovò in locali più adatti

(1) Cfr. B. PAoLONI, Il contributo dei Benedettini cassinesi alle Scienze,
- pagg. 12 e 14, in « Meteorologia pratica » anno VII, n. 6, 1926.

B. PAoLONI, I Benedettini e la Metereologia in Italia, pag. 101 e pagg.
196-97, in « Metereologia pratica » anno XIV, n. 4, luglio-agosto, 1933. -

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Lo PEPE TIR —áÁ— n —
146. PIETRO PIZZONI

per osservazioni esatte, perché trasportato nel grandioso edificio (già
Monastero degli Olivetani) allora concesso ed anche oggi occupato
dall'Università. . |

Turrim speculatoriam hisce in aedibus fundavit, si trova scolpito
nella iscrizione sotto il busto del Canali collocato nella Università
stessa. ASA

Più tardi nel 1865, l’osservatorio fu trasportato all’ultimo piano
del palazzo Cesarei a Porta Sole; il punto più.alto di Perugia e più
adatto perciò per la registrazione degli elementi indicativi del vero
clima della città.

Fu curato prima dal prof. di fisica pro tempore, e dal 1880 per
parecchi anni da Giuseppe Bellucci: fino a che annesso alla cattedra
di ecologia del R. Istituto Superiore Agrario (poi facoltà di agraria

‘della R. Università) ebbe sede definitiva nel Monastero di S. Pietro.

Ed affidato, come abbiamo già detto, alle cure del Padre Paoloni

“rappresentò la continuazione ed jl perfezionamento della iniziativa
del Canali, estesa a servizi di carattere nazionale.

Coll’insegnamento della fisica era fino allora connesso nello studio
perugino anche quello della chimica; in quanto le due discipline for-
mavano un’unica cattedra. Nel 1810 il Canali ne ottenne la separazione,
riservando per sé quella di chimica. Prima di lui aveva dominato
incontrastato nello studio perugino (come del resto da per tutto) il
sistema di Sthal che di tutti i fenomeni chimici rendeva ragione colla
teoria del flogisto: egli stesso era stato educato a questa scuola. Ma il
Canali così aggiornato negli studi filosofici e fisici non poteva esserlo
meno in quelli chimici cui di sua elezione si dedicava. Ed era infatti
non solo un ammiratore ma un profondo conoscitore delle teorie del
Lavoisier; applicando le quali insegnò prima di ogni altra cosa la na-
tura composta dell’aria e dell’acqua, facendo — come dice il Purgotti —
per «il primo brillare di nuova luce l’orizzonte delle fisico-chimiche
cognizioni » nell’ateneo perugino dove fino allora era principio indi-
scusso la natura semplice di quelle due sostanze insieme al fuoco. ed
alla terra credute i quattro elementi ‘costitutivi dell'universo.

E, mente aperta, tenne dietro a tutte le scoperte e successive
dottrine; come quelle del Davy, del Berzelius e del Bertholet discu-
tendole e coordinandole; modificandole e completandole ove fosse del
caso. Ed é pregio dell'opera ricordare qualche esempio.-Appena avuta
notizia delle fz mose esperienze compiute nel 1807 dal Davy dimostran-
ti col sussidio della pila di Volta essere le terre e gli alcali non al-
iro che ossidi metallici, egli si affrettó subito ad eliminare nel suo
SCIENZIATI UMBRI 147

insegnamento queste sostanze dalla classe delle sostanze semplici
incombustibili in cui erano state fino allora inquadrate. Come pure
si associò alle idee del Davy quando pochi anni dopo fu da questi
dimostrata la semplicità. del cloro e dello jodio. E dalle esperienze
del Bertholet sull’idrogeno solforato si lasciò subito convincere che
azzardata era la teoria del Lavoisier della indispensabilità dell’ossi-
geno per la realizzazione dei fenomeni di acidificazione e combustione;
in quanto gli uni e gli altri possono ottenersi indipendentemente dalla
sua presenza. Anzi questa critica alle dottrine del Lavoisier lo con-
dusse a proporre una nuova nomenclatura degli acidi binari che, ac-
cettata dal Thenard e dal Dumas nei loro trattati allora i più celebri
e diffusi, è passata nel patrimonio pacifico della Scienza e adoperata
‘pertanto anche oggi da noi. E precisamente il Canali sostenne che
non si dovesse dire — come si diceva allora — acido idroclorico, idrojo-
dico, ma «acido cloridrico, jodidrico »; e ció perché il principio acidi-
ficante era per lui non l'idrogeno ma il cloro e lo jodio. E la teoria
del Lavoisier Ja quale riconosceva il principio acidificante nel solo
ossigeno secondo lui era non errata ma incompleta in quanto la pro-
prietà acidificante «la quale si è lungamente creduto che solamente
«fosse indotta dall’ossigeno nei corpi combustibili non ha fatto altro
«ai giorni nostri che estendersi ad altri corpi, quali il cloro, lo jodio
«ed il fosforo ». Così egli proponeva in due lettere aperte inserite nel
Giornale -Arcadico di Roma, tomo XII, parte II e dirette al Morichini,
il celebre chimico che allora copriva la ‘cattedra di questa disciplina
nella Università di Roma (1); nelle quali lettere sono esposte belle

(1) LurGi CANALI, Sopra una più retta classificazione e nomenclatura di
alcune sostanze semplici e loro composti, « Giornale Arcadico di Roma », tomo
XII, parte II, 1821. Le citazioni virgolate nel testo sono prese a pag. 21 e 25
dell’« Estratto » stampato a Roma presso il Salviucci, 1821. Tvtta la questione
relativa agli acidi binari è profondamente discussa e brillantemente risoluta
dalla pag. 3 alla pag. 25. Il Canali nel proporre la riforma si ispira ai fonda-
menti posti per la nomenclatura chimica nel 1782 da Guyton de Morveau,
e poi meglio concordati col savoiardo Bertholet, col Fourcroy e infine col
Lavoisier e pubblicati in forma definitiva nel 1787. Secondo il Morveau (e lo
rileva citandolo a pag. 25 il Canali) la terminologia deve essere il più possibile

l'espressione dei fatti e perciò nella nomenclatura dei composti dovrà sempre .

precedere il nome dell’elemento più importante dal quale il composto stesso
riceve il suo carattere; nel caso degli acidi binari, il cloro e lo jodio conferenti
la proprietà acidificante. Benché in seguito, come è noto, la funzione dell’idro-
geno nella struttura degli acidi sia stata meglio precisata in relazione alla sua
‘capacità di sostituzione coi metalli per generare sali, pure la nomenclatura
148 i .. PIETRO PIZZONI

ed esatte (come le definiva il Purgotti) teorie sulla combustione che
lodate ed accettate dai fisici del tempo (tra cui il Gerbi dell'Ateneo
Pisano nelle sue classiche istituzioni, tengono ancora il campo della
Scienza. Ben presto il Canali si avvide che dato il continuo allargarsi
e suddividersi del campo della chimica occorreva decidersi per una
delle specializzazioni. E sulla scorta e l'esempio del suo intimo amico,
il monaco fabrianese Domenico Marcellini, si dedicò tutto alla minera-
logia, associandola colla paleontologia e geologia. E raccolse minerali
lui, e messosi in relazione coi più eminenti mineralogisti e raccoglitori

del tempo d’Italia e d'Europa, attraverso cambi ed acquisti, mise in-

sieme nel giro di pochi anni una splendidissima collezione di minerali,
roccie e fossili (circa diecimila pezzi aecompagnati da schede illu-
strative e accolti in 24 grossi armadi) cosi nostrani che esotici; col-
lezione che morendo legó alla patria Università e che anche oggi,
oggetto di studio, si conserva nell'istituto geo-mineralogico della
facoltà di Agraria in S. Pietro. Fra coloro con cui istitui cambi ci fu il
Cuvier il quale quando (1813) si recó in Italia venne anche a Perugia,
proprio per visitare la collezione. Canali, restandone ammiratissimo
e traendone materia per sue particolari osservazioni su alcuni resti di
vertebrati (1).

Il Canali poi non fu un semplice, sia pur diligente, raccoglitore
di cui non é raro trovar anche oggi esempi; ma anche uno illustratore
degli esemplari collezionati che studió dal punto di vista sia geo-pa-

proposta dal Canali non é stata modificata, né tanto meno ricondotta all'an-
tica. E a ragione, io penso: perché le due teorie della proprietà acidificante
(come la chiamava il Canali) del metalloide e quella della sostituibilità dell'idro-
geno (detto perció basico) non si escludono ma si integrano, potendo quindi
coesistere: e ció in quanto all'idrogeno la sostituibilitàla conferisce l'unione col
metalloide, tanto vero che non l'ha quando come negli idrati, é legato ad un
metallo.

Per le teorie sulla combustione cfr. 1’ Elogio del Purgotti, pag. 26.

(1) Cfr. CuvrEn, Recherches sur les ossements fossiles, 1821. Vedere anche
«La Ricerca Scientifica » del Consiglio Nazionale delle Ricerche: fascicolo del
luglio 1932, pag. 40.

Confrortare anche l'articolo contenuto nel « Giornale scientifico-letterario »
di Perugia (fascicolo aprile-maggio-giugno 1838), dal titolo « Breve ragguaglio

.del Gabinetto di Mineralogia della Università di Perugia donato dal dott. Luigi

Canali ecc. ». Il Canali, nel 1838 già parzialmente inabilitato da un primo at-
tacco di apoplessia, evidentemente si limitó alla ispirazione ed efficace dire-
zione della mano amica che estese l'anonimo articolo. Il quale, oltre lo schema

della classificazione contiene una dettagliata illustrazione dei criteri su cui è
basata. i i ivi
SCIENZIATI UMBRI ocu, 149

leontologico che chimico. Ne sono documento eloquente le memorie
sugli avori e sulle piante fossili; un opuscolo sulle gessaie sinigalliesi
e sopratutto la classificazione secondo la quale ordinó la collezione.

A quel tempo due erano le classificazioni che tenevano il campo -

della mineralogia: quella dell'Hauy desunta dalle forme cristalline,
contro la quale egli trovó contrastanti le allora recenti esperienze di
Mitscherlich sull’isomorfismo delle diverse e sul polimorfismo delle
stesse sostanze; e”l’altra del Berzelius fondata sulla natura (positiva
o negativa) e sul grado o intensità della polarità elettrica dei corpi;
carattere da cui il Canali credé si dovesse fare astrazione perché va-
riabile (nella stessa specie mineralogica) di intensità non solo, ma col
variare di circostanze fisiche concomitanti (come il calore) anche di
natura. E ammettendo da una parte col Brocchi che «la differenza
di composizione è il carattere più sicuro per classificare la specie»; e
dall'altra col Bendant che «in mineralogia la specie è la collezione
«dei corpi formati dagli stessi principî nelle stesse proporzioni riu-
«niti » ne elaborò un'altra tutta sua; appoggiata all’analisi qualitativa
e quantitativa dei minerali e al diverso grado di affinità che hanno i
diversi corpi coll’elemento considerato protagonista nelle scene della
natura, l’ossigeno. La classificazione del Canali si può quindi conside-
rare precorritrice delle moderne classificazioni chimiche dei minerali
dalle quali differisce quasi solo per concetti che la teoria atomica, ai
tempi del chimico perugino ancora bambina, è venuta via via meglio
precisando. Il che vuol dire che con lievi variazioni potrebbe facil-
mente con queste coincidere.

I) Canali fu anche poeta didascalico con un poemetto intitolato
«Amor chimico »; avente per oggetto l’unione dell'idrogeno e dell'ossi-
geno a formare l’acqua: ma francamente la sua importanza come
letterato (che ad ogni modo poteva vantare una bella cultura classi-
ca) non è pari a quella di scienziato. |

Sebastiano Purgotti (1799-1879), scelto dal Canali stesso a suo

successore su indicazione del Morichini che lo aveva avuto alunno -

prediletto nacque a Cagli, ma tutta la sua gloriosa carriera scienti-
fica percorse a Perugia che volle annoverarlo fra i suoi Patrizi e
nella quale si perpetuó con due generazioni di valenti chimici. Figura
di primo piano fu uno dei piü grandi teorici, didatti, sperimentatori
che la chimica abbia allora e poi contato.

Teorico, oltre al resto, fu autore di uno dei piü celebri trattati
di chimica in tre grossi e densi volumi che ebbe l'onore, oltre la prima
dol 1841, di tre altre edizioni fino all'ultima del 1863 e che si diffuse

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150 PIETRO PIZZONI

Dor RN non solo in Italia ma «cosa rara per quei tempi come pei nostri » (dice
Hu u- . Gino Testi nella biografia del Purgotti da cui attingiamo molte
M on | notizie) anche per tutta l'Europa. E questo benché in Italia fossero
Li | «sul mercato il trattato del Piria (1841) e i precédenti del Brugna-
unm" «telli e del Gazzeri; oltre quello tradotto dal francese del Lavoisier ».
DD ESEERN i Il Purgotti fu in questo trattato il primo logico coordinatore da una
11 parte di nozioni e fatti fino allora sparsi e slegati e dall'altra delle
molteplici teorie fisico-chimiche seguite alla rigogliosa fioritura delle
indagini sperimentali. E colle teorie degli altri espose le proprie;
delle quali alcune tengono ancora e terranno forse per sempre il cam-
po della scienza. Basti ricordare la teoria dinamica del calore di cui -
il Purgotti, insieme al Paoli, al Bizio e, benché in parte dissenziente,
al Padre Secchi, fu il vero iniziatore; e di cui poi se ne attribuirono la
a | gloria scienziati stranieri che come Tyndall e Meyer riprodussero in
"DS I- tutto o in parte le sue vedute e teorie. Egli infatti contro la teoria del
in termossigeno del Brugnateli e contro le.opinioni del Lavoisier,
Crawford, Ampére, Berzelius sostenne che «la causa principale del
ip «calorico che sviluppasi nei chimici mutamenti sia di analisi che di
|: - : «sintesi é dovuta alla agitazione atomica che pone l'etere interposto
Dan «nei corpi in maggiore o minore vibrazione ». E applicando queste
IDRO i vedute al fenomeno della combustione afferma di «non aver trovato
« una plausibile spiegazione dello sviluppo del fuoco da esse prodotto
« che nel sistema delle vibrazioni riconoscendone per causa principale
i) «quella agitazione in che si pongono gli atomi in ogni chimico mu-
m - «tamento, la quale in ragione delle minori o maggiori energie e rapi-
| « dità della azione, eccita nell'etere tra essi interposto minori o mag-
nt - «giori vibrazioni e quindi svolgimento o di solo calorico oscuro (ed
ES «ecco le elevazioni di temperatura senza luce) o di calorico luminoso È
Bud «(ed ecco le combustioni)». E conclude osservando che « allorquando E
in Il «nella mente dei chimici era radicata l’idea di un principio essenziale
in il «alla combustione (sia che questo fosse il flogisto che sviluppavasi
| Vi «o l’ossigeno che combinavasi coi corpi) era ben giusto che nel prin-
Hin « cipio creduto essenziale alla produzione del fenomeno si riconoscesse
Wu «l'attività e si chiamasse il sostegno della combustione o principio.
PE : «comburente; serbando agli altri il nome di combustibili, nome indi-
uu « cante passività. Ma la distinzione dei comburenti e dei combusti-
IERI) «bili non è più nello stato della scienza ammissibile » in quanto ab-
NÉ de biamo dovuto convincerci che «lo sviluppo del fuoco nelle azioni
RES «chimiche non dipende dalla speciale natura di qualclie corpo parti-
RANA «colare (sostegno della combustione) come condizione sine qua non »
SCIENZIATI UMBRI 151

e che quindi « non è privativa del solo ossigeno, come Lavoisier sup-
«pose, e dei soli ossigeno cloro e iodio, come poco dopo immagina-
-«rono Thompson e Moion... Le cause della combustione sono le
«agitazioni atomiche che possono aver luogo nelle reazioni di corpi di
«qualsiasi natura. E quindi tanto in quelli ritenuti combustibili che
«nei chiamati comburenti ». Oggi, come è noto, noi non riteniamo
diversamente da quel che insegnò il Purgotti un secolo fa. Il trattato
di chimica del Purgotti, oltre una esposizione di vedute spesso origi-
nali, costituisce anche una completa storia della chimica, in quanto
ad ogni capitolo è premesso un lucido critico cenno storico sull'ar-
gomento o sulla teoria che vi sarà svolta o illustrata. S

Didatta, riusci sempre di una chiarezza singolare nella esposi-
zione dalla cattedra delle dottrine anche le più astruse. Fu il primo —
insieme all'Avogadro dell'Ateneo Torinese, autore della celebre legge
che porta il suo nome — ad introdurre in Italia nell'insegnamento la
teoria atomica secondo il concetto di Dalton in armonia con quello
dei multipli e delle proporzioni definite; ed insieme il linguaggio ed
il calcolo stechiometrico: calcolo per la cui applicazione sostenne
una lotta vivace contro tutte le scuole italiane del tempo che finirono
' jn ultimo per accettarlo. |

Sperimentatore, vanta una sorprendente attività di laboratorio.
Come.tutti i laboratori italiani di quell'epoca, anche il suo non sovrab-
bondava di apparecchi e presidi scientifici cosicché non. era possibile
applicarsi a ricerche di chimica pura.

Ed egli si dedicó agli studi farmaceutici e di idrologia minerale.
Nel campo farmaceutico diede agli studi ed alle ricerche un carattere
puramente chimico e perciò scientifico. E quest'opera, oltreché nel-
l'insegnamento per gli studenti di farmacia e medicina, la esplicó in
molte pubblicazioni. che costituirono poi il germe della farmacopea
| italiana. Ma il campo principale della sua attività sperimentale fu
l’idrologia; un ramo della chimica appena agli inizi condotto da lui
alla massima perfezione. Le ricerche sperimentali durate dal 1837
al 1869 precisarono con una serie di analisi perfette la composizione
delle più importanti acque minerali dell’Umbria e delle provincie
finitime; talché egli deve ritenersi il vero fondatore della «idrologia
minerale umbra ». In tutti i suoi lavori egli trasse profitto dal calcolo

e dalla dottrina degli equivalenti e i risultati furono di una precisione.

così matematica da venir sempre pienamente confermati dalle nuove
analisi cui quelle acque furono posteriormente sottoposte, profittando
dei nuovi e più esatti procedimenti di cui la tecnica si era arricchita,



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152 i - i PIETRO PIZZONI

Lavoratore indefesso, per cinquanta anni attese dalle dodici
alle quattordici ore di ogni giorno alle occupazioni di studio: ciò può
dare una spiegazione della grande mole dei risultati raggiunti nei tre.
campi della chimica, delle matematiche, dell’insegnamento; il quale
ultimo egli lasciò nel 1871, seguitando però a lavorare con ardore gio-
vanile nel suo gabinetto fino alla morte. « Esso — scrivono Giuseppe Bel-
lucci e Giacomo Calderoni in un commosso necrologio negli annali
della Università di Perugia del 1879-80 — «fu circondato dalla più
«grande stima e dalla maggior venerazione dei suoi numerosi allievi
«e colleghi: molti dotti italiani e stranieri si tennero onorati della sua
«amicizia e corrispondenza. E la grande stima ed il profondo rispetto
«in cui fu tenuto conseguì ancora dalla somma probità del suo ca-
«rattere. Il Purgotti era di fatti dotato di un carattere fermo e di una
«integrità esemplare; modestissimo, cortese, affabile con tutti, ma

«specialmente coi giovani, amò molto la sua famiglia; fu religioso e

«cattolico per intima convinzione; tollerantissimo verso le altrui opi-
«nioni; amante della verità ed inflessibile davanti alla idea di tran-
«sigere col proprio dovere».

Socio dei Lincei vi fu commemorato da Quintino Sella all'indomani
della morte. Perugia, oltre al resto, gli ha dedicato un istituto scola-
stico: la Scuola Tecnica ora di Avviamento Professionale (1).

(1) Oltre le opere già citate a pag. 115, nota 2, cfr. A. STRATTERI, Intorno
alla vita ed alle opere di Sebastiano Purgotti, Roma, 1884.

Il Purgotti fu anche filosofo, e precisamente filosofo neo-scolastico: uno
scolastico cioè che da una parte rinunziava, senza mezzi termini, a teorie ge-
niali e ammirevoli per lo stadio della cultura dei tempi in cui furono concepite,
ma ormai superate dal progresso delle scienze sperimentali (come, per esempio,
quella sulla essenza delle sostanze in quanto risultante di materia e forma; la
quale ultima per gli scienziati dell’ottocento era una incognita inindividuabile
mentre per quelli del novecento potrebbe forse identificarsi nelle modalità
della energia che secondo le concezioni attuali sulla unità della materia deter-
minano la diversità fra una sostanza e l’altra); e dall'altra si erigeva a strenuo
difensore di tutte le verità tradizionali che nessuna contradizione implicavano
coi dati delle scienze sperimentali e che si volevano sostituire con pretese nuove
verità non sperimentalmente dimostrate. Il Purgotti ebbe avversari tanto per
le rinunzie (per le quali gli scolastici tradizionali lo attaccarono nel periodico
«La Scienza italiana», dandogli però il modo di difendersi, come si difese, per-
ché ancora vivo: Cfr. S. PureoTTI, Difesa delle mie opinioni criticate nel « Pe-
riodico La Scienza Italiana »; Cenno di S. Purgotti intorno alla conformità delle
sue opinioni con la lettera scritta al Rettore della Università di Lilla per ordine di
Pio IX. Perugia, Bartelli, 1877); quanto per le ammissioni, mal sopportate
dal prof. Enrico Dal Pozzo di Mombello insegnante di fisica che nella Università
SCIENZIATI. UMBRI 153

Lasciano un nome chiarissimo nel campo della Chimica i discen-
denti di Sebastiano Purgotti. Il figlio Enrico Purgotti (1835-1882)
allievo del padre occupó nell'Ateneo patrio la cattedra di chimica

farmaceutica ed analitica e si dedicò principalmente alla idrologia,

perugina era allora il rappresentante più in vista della corrente materialista,
(Cfr. Enrico DAL Pozzo, Parole pronunciate nella scuola di Fisica della Uni-
versità di Perugia addi 3 aprile 1879, Firenze, 1879; EnRICO Dar Pozzo,
Sebastiano Purgotti, Polemica, Firenze, Le Monnier, 1879) e che — tra l’altro —
definì il già suo collega scienziato illuso « da un sistema inconseguente, aber-
rato da una metafisica speculativa e dogmatica ». A difendere il Maestro, morto
da pochi giorni, sorsero quattro suoi colleghi d’insegnamento nell’Ateneo pe-
rugino (di cui tre già suoi discepoli) i quali pubblicarono una dichiarazione in
cui, tra l’altro, cra espresso il dolore, « di vedere che appena sceso nel sepolcro
il nostro illustre e venerato maestro, fu preso a screditare dalla cattedra nelle
sue convinzioni scientifiche e filosofiche e fatto apparire avverso al metodo in-
duttivo e sperimentale, del quale non avrà accettato le conclusioni filosofiche più
controverse, ma ne seguì sempre e fedelmente i principii nel campo degli studi
pratici, contribuendo senza dubbio in quasi nove lustri di insegnamento, al
progresso della scienza, al decoro del nostro Ateneo ».

| Dei quattro firmatari della dichiarazione — pubblicata, tra l’altro, dal set-
timanale esponente del partito cosidetto radicale del tempo «La Provincia »,
n. 34 del 26 aprile 1879 — due erano matematici, i proff. Giovanri Boschi e
Giacomo Calderoni; e due cultori illustri (dei quali si parlerà in seguito) di
scienze sperimentali: un fisiologo Luigi Severini, ed un chimico Giuseppe Bel-
lucci: quest’ultimo militante nel campo materialista come il Dal Pozzo, e d’al-
tra parte, neanche allievo del Purgotti: circostanze queste che depongono a
lode della sua lealtà e imparzialità nella questione.

La polemica continuò con due note del DAL Pozzo (S. Purgotti, Polemica se-
conda, Firenze, Le Monnier, 1880; S. Purgotti, Appendice alla polemica se-
conda, Firenze, Le Monnier, 1881) che rispondevano non ad attacchi espli-
citi ma ad indirette allusioni contenute in due necrologi del Purgotti (uno di
G. CALDERONI e G. BeLLUCCI vedi nota 2 a pag. 115, e l'altro di L. SEVERINI
inserito nel periodico « Idrologia Medica », marzo 1879, Bassano) e in uno
studio critico del SEvERINI dal titolo Della logica induttiva nei suoi rapporti con
la fisiologia, Perugia, Bartelli, 1881.

Gli era che da una parte il Dal Pozzo polemizzava con un morto e dail'al-
tra i vivi che al posto di quest'ultimo interloquivano, data la loro mentalità
osservativa e sperimentale, non si muovevano a loro agio entro le concezioni
sia scolastiche del Purgotti che positivistiche del Dal Pozzo: le une e le altre
costituenti per loro astruserie speculative cui non riuscivano ad attribuire una

reale importanza. Il quale stato di animo trasparisce evidente dal seguente pe- -

riodo tolto dal necrologio dovuto al Severini e riportato come allusivo ed of-

fensivo per lui dal Da! Pozzo (in Polemica seconda, pag. 22). «Il Purgotti, scrive.

il Severini, non fu di coloro che si vanno continuamente preoclamando seguaci
della filosofia sperimentale, ma di fatto non si interessano che di speculazioni
M —— seme

154 ! PIETRO PIZZONI

coadiuvando il padre e confermando poi con maggiore ricchezza di
CR mezzi la rigorosa esattezza delle di lui analisi.

onc - A. Luigi (1859-1922) e ad Attilio (1863-1929) Purgotti, allievi del
a. padre Enrico, é dovuta la scoperta del carburante «eterol» non che
B ll quella, in modo speciale interessante, dei fiammiferi igienici ba-
MAGICI HS sati sulla sostituzione dell'idrogeno fosforato solido al fosforo: per-
| nm fezionando e sviluppando, per quanto riguarda questa ultima, le in-
Bm tuizioni e le esperienze paterne. Luigi, laureato anche in medicina,
diresse per trenta anni l'ufficio di igiene di Perugia e si occupó di indu-
strie chimiche; Attilio vinse per concorso e occupò la cattedra di chi-
mica generale all’Istituto Superiore Agrario di Portici: si occupò di
pi |». problemi di chimica analitica e fece numerose ricerche sui solfuri, su-
gli eteri solfonici, ammonitrili e sull'azione dell'idrato di idrazina (1).

metafisiche credendo di contribuire con esse ed essi soli ai progressi della
Scienza, sdegnando con occhio sprezzante le pazienti ricerche; o per tentare
di scemarne l'importanza chiamandole fatti empirici e manualità di labora-
torio». Del resto la mentalità eminentemente speculativa del Dal Pozzo,
professore di fisica nel Liceo allora pareggiato e nella Università risulta evi-
| dente dalle parecchie sue pubblicazioni, nessuna delle quali, che io mi sappia,
kr i ; ha carattere sperimentale; al contrario del Purgotti che grande sperimentatore
ve i esevero matematico solo per eccezione entró nelle controversie di filosofia na-
Hi turale e solo quando gli si vollero imporre come verità dimostrate proposizioni
D astratte che potevano al massimo reclamare cittadinanza nel campo dec
\ . ipotesi.
^o MN i (1) Cfr. TEsTI Gino, Biografia di S. Purgotti, già citata. Circa le espe-
rienze di Enrico Purgotti relative ai fiammiferi ecco quanto scrive G. Bel-
Dt lucci nel necrologio pubblicato nell’« Annuario della Libera Università di
inm Perugia » del 1882-83, a pag. 35:
E ‘ «Enrico Purgotti nel 1871 pubblicò un D intorno ad una nuova
sii ss pasta fulminante per fabbricare fiammiferi senza fosforo. Penetrato dal
HE. danno grandissimo che i fiammiferi con fosforo ordinario arrecano all'umanità,
DNE - dal punto di vista non solo igienico e tossologico, ma anche da quello dei pe-
Bed | ricoli continui di incendio, cercó con indagini ripetute, con esperienze molte-
MEN -- i plici, di preparare una pasta per fiammiferi senza fosforo. Era venuto con
LEE tali ricerche ad ottenere una perfezione notevole nella preparazione della
I pasta stessa, realizzando nel medesimo tempo una economia rilevante di
ii VI prezzo di essa, rendendolo pari a quello dei fiammiferi più ordinari e imper-
FER do fetti. Per assicurare la riuscita cella nuova pasta, e fare in guisa che questa
BE sostituisse l'altra con fosforo, non era sufficiente, come giustamente osser-
^ n NN | vava l’autore, di evitare con essa gli inconvenienti, non che i pericoli che
jit t est dall'altra derivavano: faceva mestieri ancora che il prezzo fosse inferiore o
per lo meno pari a quello della pasta fosforica; perché le industrie hanno di S
mira principalmente il tornaconto e tengon chiuse le orecchie dinanzi ai È 3
. danni e pericoli che da una sostanza possan provenire. Gli studi, le prove con- ;

-
SCIENZIATI UMBRI 155

Merita un ricordo il perugino Annibale Vecchi (1818-1880) che,
come dice il suo biografo Enrico Purgotti (1) se non lasciò traccie,
almeno profonde e durevoli, nel cammino della scienza (distratto
come fu dalla fede operosa nei suoi ideali politici) fu oggetto di ammi-
razione e stima indiscussa per la sua abilità di sperimentatore, ricca
di geniali inesauribili risorse contro gli ostacoli che impensatamente
si impongono. anche al più dotto ed esperto operatore. Il Vecchi,
laureatosi in farmacia a Roma, esercitò dapprima la professione a Na-
poli e a Perugia; dove, annesso alla sua farmacia (oggi farmacia Tar-
pani) istituì un molto, almeno per quei tempi, ben fornito labora-
torio chimico da cui per lunga serie di anni uscirono non solo pro-
dotti di immediato interesse farmaceutico, ma anche composti chi-
mici allora poco noti e più specialmente applicabili alle arti ed alle
industrie. Mazziniano fervente, anzi spinto, fu costretto dai moti
politici del 1849 a riparare a Torino dove una Monarchia liberale of-
friva rifugio a tutti i patriotti di qualunque fede politica che con
essa aspettassero e preparassero i tempi propizî per la realizzazione

della unità della Patria. E non solo li accoglieva: ma secondo i loro.

meriti e capacità cercava di trovar loro da occuparli convenientemente.

E il Vecchi, fattosi presto conoscere come abile sperimentatore, fu,

assunto quale assistente nel laboratorio di chimica dell’Università
Torinese, allora diretto da uno dei più celebri scienziati che vantasse
l’Italia: Raffaele Piria. Nel 1860 tornò in patria, e Sebastiano Purgotti

in segno di speciale stima e benevolenza gli cedette la cattedra di chi- -

mica farmaceutica tossicologica che egli tenne fino alla morte. Espletò
più di un incarico scientifico e tra l’altro, appunto perché reputato
ottimo chimico, abilissimo nella tecnica, fu chiamato a far parte della
commissione per la formazione della farmacopea del Regno d’Italia.

A succedere nella cattedra resa illustre in tutto il mondo scienti-

fico da Sebastiano Purgotti, quando nel 1871 questi si ritirò, fu chie-

mato Giuseppe Bellucci (1844-1921) per la chimica generale e man-

tinue sopra i fiammiferi senza fosforo occupavano grandemente il nostro
Purgotti negli ultimi giorni di lavoro a cui potè attendere; e la malattia e poi
la morte hanno troncato la speranza di conoscere quei risultati che da tante
‘ ricerche dovevano derivare a vantaggio della: scienza e della umanità ». Il
lavoro del Purgotti cui accenna il Bellucci è il seguente: ENRICO PURGOTTI,

Cenno sopra i fiammiferi in generale e sopra un nuovo sistema di fiammiferi

senza fosforo, Forlì, Industriale Italiano, aprile 1871.

(1) PurGoTTI ENRICO, Cenno bibliografico di Annibale Vecchi, « Annuario

della Libera Università di Perugia » anno 1881-82, pag. 49.

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156 PIETRO PIZZONI

Win cato nel 1882 Enrico, il figlio di Sebastiano, anche per la farma-
Had ceutica ed analitica. Il successore continuò l'insegnamento conelo
nop stesso spirito del precedessore nel quadro della teoria atomica-mole- 1
colare della quale come era stato, studente nell'Università di Torino, |
(HI RSEERA uno dei primi proseliti così ne fu, maestro nel patrio ateneo, tra gii
E ES | apostoli più convinti e i propagandisti più zelanti. Ancora insegnante
Eo CER IER | nell'Istituto Tecnico di Terni aveva pubblicato una lodevolissima

| trattazione sull'ozono; professore a Perugia la fece seguire da nume-
rose originali memorie sull'argomento (notevole quella sulle virtü
ozogeniche degli olii essenziali) che gli procurarono fama tra i com-
petenti, insieme al riconoscimento della sua specifica competenza in.
T materia; tanto che a lui fu affidata la trattazione della voce « Ozono »
| per la grande « Enciclopedia chimica italiana» edita a Torino dal 1875
al 1882. Svariati altri argomenti egli trattó di carattere chimico: dalle
qn analisi di acque minerali a quelle di molti prodotti dell'industria; ad
Bl rri indagini o ricerche di carattere chimico-biologico; fra cui interessanti
8 | M : ed apprezzate le relative alla formazione dell'amido nei granuli di
AGES UERI clorofilla. I1 Bellucci fu poi un geniale volgarizzatore della Scienza e
certe sue brillanti conferenze sulla « Cascata delle Marmore », sula « Chi-
uir mica e la fisica nella astronomia», «Sui monti», «Nelle profondità del
NH uv ... cielo», «Al Monte Vettore», ecc. si leggono anche oggi con diletto e pro-
dA ‘ fitto. Ma il Bellucci, ingegno quanto mai altri genialmente poliedrico si
< ME il i occupó di molte altre cose nel campo delle scienze naturali, della meteo-
aa n i rologia, della preistoria, nella quale*ultima si elevò sovranamente e
RUM, dovremo riparlarne a. parte. Chiuderemo queste note relative alla
i E chimica osservando che anche egli, come il Purgotti, educò e lasciò fra
i suoi figli una bella discendenza di chimici che hanno asceso cattedre
i universitarie (a Messina e poi a Siena, Italo, come ordinario: a Pe-
RE rugia, Livio, come incaricato); ma dei quali esce dai limiti fissatici
iS l'occuparcene, perché, grazie a Dio, tutti rigogliosamente viventi (1).
CUM ; Gino Testi, lo storico della Chimica, in una monografia ci presenta
i come chimico, il generale del Genio Antonio Verri (1839-1925) di
IRIS CrrTÀ DELLA PIEVE di cui riparleremo tra i geologi. E ciò perché ad
il B esso é dovuta una delle piü belle iniziative — 1a fabbricazione autarchica
il i | della dinamite — che abbiano giovato all'arte militare ed alla industria

(1) Le notizie (comprese quelle che daró in seguito) relative al Bellucci in
parte mi erano note per antica conoscenza diretta; in parte le ho attinte dalle 3
sue pubblicazioni messe a mia disposizione dalla colta figliuola del Bellucci, È:
la signora Ada Bellucci in Ragnotti che qui mi è grato di ringraziare. 3
° SCIENZIATI UMBRI P j 157

italiana; iniziativa di cui peró altri, profittando evidentemente della
posizione gerarchica superiore e fidando nello spirito di disciplina
dell'ufficiale, si appropriò con una c mmirevole disinvoltura. Come è
noto, Ascanio Sobrero scopri nel 1847 a Torino la nitroglicerina e 16

anni dopo il norvegese Nobel ne ottenne la stabilizzazione unendola al-

la farina fossile o Kieselguhr. La scoperta fu però tenuta segreta e
l'Italia — come le altre nazioni — riceveva l'esplosivo chiamato dina-
mite dalla Germania avvolto in misteriose nebulosità. Nebulosità
che si cercó invano (tanto in Italia che in Francia) di dissipare, ten-
tando il mescolamento della nitroglicerina con altri corpi i quali peró
per le proprietà di struttura erano lontano dal presentare i vantaggi
del Kieselguhr dell'Annover, della Boemia e della Sassonia. All'intuito
geologico del Verri, cui (tanto piü per la vicinanza alla terra natale)
non poteva esser sconosciuta lo farina fossile, miscuglio di gusci sili-

cei di diatonec, del Monte Amiata, venne nel 1872 l'idea di impastare

quest'ultima, in luogo del Kieselguhr, colla nitroglicerina: e istitui
esperienze in questo senso nel laboratorio militare di Casale che egli
allora dirigeva come capitano del Genio. « Riconosciuto — (scrive egli
nella memoria « Alcune linee della Val di Chiana 1876»)... che il
« Kieselguhr potevasi perfettamente sostituire colla farina fossile e
«riuscitemi felicemente le esperienze con tutta sollecitudine ne feci
«proposte » per via gerarchica, incoraggiato del suo colonnello. E
nella proposta «tra le altre cose annunziava che allora poteva acqui-
« starsi quella sostanza (la farina fossile) a prezzo bassissimo ed offriva
«la sua debole cooperazione per continuare gli studi e le esperienze » —
«Non stiamo ad indagare, scrive Gino Testi, come la particolareg-
«giata proposta fatta, per via gerarchice, dall'allora Capitano. Verri
«seguì la sua strada; sta di fatto che dopo qualche tempo, seguendo
«quanto il Verri proponeva, la fabbricazione della dinamite fu attivata
«anche in Italia con grande beneficio della industria e della economia
«nazionale » (1).

La morale di tutta questa non cristallina procedura la trasse l’ani-
mo nobile di Antonio Verri quando in una conferenza diceva nel 1876

‘ ai suoi concittadini di Città della Pieve: « Conservo con cura la rispo-

«sta avutane (all’invio della proposta) e gli altri documenti per inse-
«gnare ai figli, se ne avrò, o ai nepoti che neanche nel fare il bene è
«permesso essere troppo ingenui, perché si corre il rischio che altri

(1) Gino TESTI, Il generale Antonio Verri, « Bollettino dell'Istituto sto-
rico e di cultura dell'Arma del Genio » numero del 7 dicembre 1937.

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id s RUP SE IRE 158 PIETRO PIZZONI

«macini colla vostra acqua; e che qualunque torto riceva, nessuno è

«autorizzato ad essere né meno onesto uomo né meno buon cittadino ».

Il Verri, come chimico, si occupò anche della fabbricazione delle
mine e nel 1874 pubblicò la sua « Meccanica delle mine », «opera (dice
«il Borgatti nella « Storia dell'Arma del Genio ») di molto valore lette-
«rario e tecnico e che insieme a due altre pubblicazioni sull'argomento,
«tutte di interesse pratico molto grande, sostituirono nell’Esercito
«italiano i manuali stranieri ».

I BOTANICI

Giuliano da ForiGNo sembra essere stato il primo titolare di Bo-

'tanica di cui si abbia notizia nelle Università italiane. Risulterebbe

infatti che egli ne ricoprisse nel 1514 presso la Sapienza di Roma la
cattedra indicata allora col nome di « Cattedra dei semplici » (1).
ACQUASPARTA va con ragione superba di Federico Cesi (1585-1630)..
Del fondatore dei Lincei diremo in seguito: qui ricorderemo il natura-
lista. Il Cesi lasciò incompleto il « Theatrum totius naturae » che
avrebbe dovuto essere una enciclopedia naturale; una specie di
Cosmos quale due secoli dopo lo ideò e compì Humbold. Ne fanno par-
te le « Tabulae Phitosophicae », opera di botanica generale che testi-
monia nel Cesi una cultura profonda da ferne un autentico precur-
sore di Linneo. Due botanici di valore, il Poggioli nel 1817 ed il Pi-
rotta nel 1904 l’hanno sottoposta ad uno studio accurato ed hanno
rilevato che il Cesi usò il nome di famiglia prima del Magnol; ebbe
il concetto di sistema naturale e dei caratteri necessari per stabilirlo :

sl servì del microscopio per studiare l'anatomia delle piante; scopri le

spore delle crittogame: conobbe il sesso delle piante e il loro ufficio:
e non ignoró casi di diocismo quali quelli della mercuriale e della
canapa; usò infine una nomenclatura individuante gli stessi organi
indicati più tardi con i termini di stilo, stimma, cotiledoni, stipole,
ilo, spadice, amento etc. In sostanza ci si trovano i fondamenti della

(1) Cfr. MARIANO MEssINI, Giuliano da Foligno e Giulio Gori, « Rivista
critica di Storia delle Scienze mediche e naturali », anno XIX, n. 11-12, III
Serie, novembre-dicembre, 1928, Siena; Cfr. anche: M. FALOCI PULIGNANI, /
medici di Foligno e l' Università di Perugia, Perugia, 1914, un opuscolo. di pag.
41. Il Faloci ricorda che l’insegnamento della Botanica si iniziò a Roma, con
Giuliano, nel 1514; a Bologna nel 1527 e a Padova nel 1533. (Cfr. Rivista pre-
detta, Anno V, novembre-dicembre, 1914, pag. 370).
SCIENZIATI UMBRI : ; 159

morfologia, fisiologia, sistematica, patologia e nomenclatura delle
piante, quali un secolo dopo saranno fissati dalla Philosophia Bota-
nica di Linneo. Se le Tabulae Phytosophicae lo consacrano botanico,

un'altra parte del Theatrum naturae, l'« Apiarium » lo rivela zoologo. .

Si occupò anche di fossili nei « Metallophitis » ossia del legno fossile
da lui scoperto nei pressi di Acquasparta. Ma in questo campo non fu
altrettanto felice. Egli, comé lo Stelluti fabrianese (suo amico e con-

fondatore dei Lincei) supposero di avere in mano un'argilla a poco a .

poco per virtü delle acque sulfuree e del calore sotterraneo cangiatasi
in legno. Ma a parte ció, merito singolare di questo ardito scienziato
del Rinascimento fu di aver indagato le relazioni intercedenti fra il
regno animale, e vegetale da un lato col minerale dall'altro (1).

Castore Durante (1530-1590) appartenne ad una illustre famiglie
.di GuaLpo TapIno che per tre generazioni fu fiorente di membri
distintisi nelle leggi, nelle lettere, nelle scienze. Il più illustre fu senza
dubbio Castore medico, naturalista, filosofo, letterato, poeta fra i
più noti del secolo xvi. Studiò e si laureò a Perugia che più tardi (1571)
gli conferì la cittadinanza. Iniziò la sua carriera come medico prima a
Gualdo poi a Viterbo che lo annoverò fra i suoi cittadini. Nel 1581
lo troviamo nell’Ateneo Romano lettore di Botanica; ufficio che tenne
fino alla morte. Divenne poi anche medico ordinario di Sisto V e fu
insignito della cittadinanza romana. Negli ultimi anni si ritirò a Vi-
terbo dove aveva beni; dove morì e dove fu sepolto.

Castore Durante letterato pubblicò un poema « Del ‘parto della
Vergine » e traduzioni in ottava rima da Virgilio; medico scrisse trat-
tati di igiene alimentare che ebbero fino a trenta edizioni (l'ultima nel
1830); naturalista compose un'opera botanica ed una zoologica. Le
ultime sono forse quelle che gli hanno procurato maggior fama.

L'Opera botanica è l'« Herbario Nuovo » di Castore Durante con
«figure che rappresentano le vive piante che nascono in tutta Euro-
«pa et nelle Indie Orientali ed Occidentali » stampato in Roma nel
1585 e di cui furono fatte almeno, in Italia e Germania, altre dodici
edizioni (l'ultima a Venezia nel 1718) é due traduzioni di cui una in

(1) Sulla vastità delle ‘cognizioni botaniche di Federico Cesi del dott.
MICHELANGELO Pocarort, professore di Botanica nell’ Archiginnasio Romano;
Opuscoli scientifici. Bologna, Tip Nobili, 1817; BATTELLI ANDREA, Delle
Scienze naturali nell’ Umbria, « Annuario della Università di Perugia », 1888-89,

pag. 9; Enciclopedia Italiana alla voce «Federico Cesi » dovuta a FABRIZIO

CORTESI.

dali e ETERO A

— 160 PIETRO PIZZONI

tedesco e l’altra in spagnolo. Il migliaio circa di xilografie sono lavoro
di Leonardo Parasoli da Norcia, celebre intagliatore in legno. Ogni
xilografia è seguita da una breve poesia latina riferentesi alla pianta
rappresentata e poi da una dettagliata descrizione di quest’ultima,
con le sue molteplici applicazioni alla medicina. La diffusione che
quest'opera ebbe per oltre un secolo non è proporzionata al suo valore
scientifico. In un tempo posteriore di parecchi lustri a quello in cui
Federico Cesi aveva potuto porre i fondamenti della morfologia e fi-
siologia vegetale, e di due anni a quello in cui Cesalpino stabilì una
classificazione (il classico-De Plantis di quest’ultimo è del 1583) Du-
rante non sente affatto la necessità dello studio morfologico e siste-
matico e dispone le 879 specie prescelte in ordine alfabetico. Comunque,
risonanza l’opera l'ebbe, soprattutto per il vantaggio che ne traeva
l'esercizio della medecina; ed il Plumier per onorare la memoria del
naturalista umbro assegnò il nome di « Castoreo » ad un genere di
arbusti americani: nome che venne poi da Linneo cambiato in « Dv-
ranta ». i

L’opera zoologica (ed in parte anche mineralogica) è intitolata
«Teatro delle piante, de gli animali quadrupedi, de gli uccelli, dei
pesci e delle Pietre pretiose ». Sembra ne siano state fatte almeno tre
edizioni, a Roma nel 1587, a Venezia nel 1636 e 1656; ma il diligente
ricercatore Ruggero Guerrieri (autore della bella «Storia del Comune
di Gualdo Tadino », Gubbio 1933, da cui abbiamo tratte molte di que-
ste notizie) non è riuscito a ritrovarne un solo esemplare. Ragione
per cui non ci è possibile darne più diffuse notizie (1).

Un'altra grande figura di naturalista di cui va orgogliosa Assrst1
è quella di Giuseppe degli Aromatari (1587-1660). Studiò a Perugia e
a Padova dove si laureò in medicina a diciotto anni. Letterato, ebbe
ancora giovanissimo una memorabile polemica col Tassoni intorno
alle « Considerazioni sulle rime del Petrarca» pubblicate dal poeta
modenese. Non sembra però che la ragione fosse dalla parte sua, ma
che egli piuttosto subisse l’influenza dello studio di Padova avverso
al Tassoni. Scienziato proclamò che «il vero filosofare non consiste
«nel leggere molti libri, ma nell'osservare le opere della natura, degli
« animali, piante ed erbe, che sono i libri che non errano ». E coerente-
mente colle sue osservazioni fu uu vero esperimentatore. Cosi per pro-
vare se le virtü attribuite a certe piante esotiche si mantenessero an-

(1) Ruecero GUERRIERI, Storia del Comune di Gualdo Tadino, Gubbio,
1933, pag. 704-711.
SCIENZIATI UMBRI 161

che nei nostri climi si fece portare colle piante i semi per coltivarle
ed esperimentar così sopra individui da considerarsi indigeni. Così
«non volendo egli prestar fede (scrive un suo quasi contemporaneo
«biografo il De Fabris) a ciò che il Botallo aveva scoperto in quei
«tempi riguardo alla circolazione, volle, prima di attestare per vere
« quelle scoperte farne molte esperienze, togliendo li cuori di moltis-
«simi animali per ritrovare quei piccolissimi forami o vie con le punte
«di aghi ». Ma l'opera sua principale è un'epistola di poche pagine:
l’« Epistola de generatione plantarum » Venezia 1625, scritta in stile
semplice e disadorno ma monumento di scienza e verità. Le sue con-

clusioni botaniche si riducono principalmente alle seguenti tre:

1) Plantarum vocata semina non esse semina; 2) Et non habere vim,
actu, ut dicunt, vel potentia generandi plantem; 3) A vocatis igitur
seminibus debito loco satis nascitur planta, non gignitur ». In queste
tre proposizioni si ravvisa uno sforzo per dimostrare che la sessualità
delle piante e il processo fecondativo non devono ricercarsi nel seme,
nel quale non ci sono i-fattori della riproduzione; ma una piantina già
definita (planta vere confirmata, ut dicunt, actu). Ed egli distingue
nel seme due parti la « plantula effigiata e confirmata » ed il resto che

. fornisce alla plantula il nutrimento: il che evidentemente equivale

a ciò che noi oggi chiamiamo embrione e perisperma. Questa descri-
zione della costituzione e funzione del seme segna uno spiccato pru-
gresso in chiarezza e precisione su quella fornita dal grande Cesalpino
nella sua celebre opera « De Plantis » comparsa nel 1583. L'Aromatari
esercitò per cinquanta anni a Venezia la professione di medico: ri-
fiutando gli inviti di Giacomo I di Inghilterra, del Duca di Mantova, e
di Papa Urbano VIII che lo volevano loro medico particolare (1).
Bevagna ricorda un botanico in Liberato Sabatini, presidente

.dell'Orto Botanico di Roma autore delle opere « Synopsis plantarum

quae in solo romano luxuriantur », Ferrara, 1745 et « Hortus Roma-
nus iuxta systema Tournefortianum » (2).
Nello Studio Perugino la prima cattedra di Botanica fu coperta da

(1) Cfr. Vita dell'Eccellentissimo Sig. Giuseppe degli Aromatari, dottore,
medico, fisico. Scritta dal Rev. Sig. Pre. Gro. BATTIsTA DE FABRIS, Dottore in
S. Teologia, in Venezia, per il Miloco, MDCLXI.

L. LronELLI, Memorie di G. Aromatari, Assisi, 1887; ANDREA BATTELLI,
op. cit., pag. 10; Enciclopedia Italiana alla voce « G. Aromatari », redattore
GiusEPPE MONTALENTI.

(2) La Patria, Vol. III, Parte III, Talia Centrale: Umbria COUPE dal
prof. Lura1 Bonsanr, pag. 271 alla voce «Bevagna », Torino) U.T.E.T:
162 : PIETRO PIZZONI

Francesco Colombi (o Colombo) (1513-1553) nato alla Fratta (oggi
Umbertide) in quel di PeRUGIA. Egli fu uno dei più celebri medici e
filosofi dei suoi giorni. Versatissimo nella filosofia platonica fu (dice
il Vermiglioli) « cognominato Platone; cognome che poscia recarono
i suoi discendenti ». Fu in istretta famigliarità col card. Cervini, poi
Marcello II e amico del Varchi che gli dedicó un sonetto. « Fu, scrive
il Bini, il primo ad insegnare fra noi la scienza delle erbe e delle piante
«della quale si istituì allora una cattedra che ha poi sempre conti-
«nuato nel nostro studio. Il Pontefice Paolo III volle assegnargli
«altri trenta ducati di oro a carico della Camera Apostolica, oltre lo
«stipendio che percepiva dalla Cassa della Università; e ciò a distin-
«zione della stima nella quale teneva esso i suoi meriti ed il suo ricer-

«cato sapere » (1).

Dopo il Colombi non troviamo sempre indicati quali titolari «del-
la cattedra delle erbe e delle piante » professori di medicina che pur

vengono lodati come cultori di botanica; ma poiché da una parte la
‘cattedra di botanica seguitò a sussistere e dall'altra di nessun altro

titolare si fa il nome, tutto fa credere che l'insegnassero.
Così più tardi troviamo un cittadino di NocERA UMBRA, Annibale
Camilli ( 1631) del quale il Mariotti elo Iacobilli ci dicono che «fu

(1) Vedere sul Colombi: VERMIGLIOLI, op. cit., alla voce je Colombi Fran-

- cesco »; BinI, ms. citato, 1325, foglio 198: MARIOTTI, ms. citato, 1775, pag. 15,

il quale scrive « Hic primus in Gymnasio Augusto Simplicium historiam expo-
suit ». s i
Lo ScALvANTI, op. cit., pag. 50, scrive: « Andrea Cibo che fu medico di
Clemente VII ed il primo ad insegnare nell'Università perugina il Trattato
delle erbe e delle piante ». A stare a quanto abbiamo riportato dal Bini e da!
Mariotti, lo Scalvanti deve avere equivocato; tanto più che ambedue ricor-
dano con ampie lodi il Cibo come professore di medicina ma non fanno affatto
cenno di una qualunque sua cultura o attività botanica.

Andrea Cibo nato alla Fratta (Umbertide) compare come professore di
ruolo di medicina nella Università di Perugia nel 1519, 20,21; poi éa Roma come
medico successivamente di Clemente VII e Paolo III. Accompagnò a Nizza il
Pontefice che nel 1538 si interpose fra Francesco I e Carlo V per la conclusione
della tregua che appunto da quella città prese il nome: il qual Pontefice erra
il Bini indicandolo in Clemente VIII (forse voleva dire VII) e bene si appone
il Mariotti individuandolo in Paolo III. Il Cibo nel 1557si trovava a Perugia;
cinque anni dopo era di nuovo a Roma come protomedico. Fondó alla Fratta
sua patria una casa-ospizio pei passeggeri ivi transitanti in direzione sia di
Perugia che di Firenze. Mori a Perugia nel 1563 e fu sepolto in cattedrale dove
lo ricorda una lapide semplicissima da lui stesso dettata (Cfr. BrNr, ms. 1325,
foglio 198 e MARIOTTI, ms. 1775, pag. 17).
SCIENZIATI UMBRI 163

lettore pubblico della Teoria dei semplici nella Sapienza di Perugia
dal 1600 e medico celebre ». Ora se anche col nome di Sapienza non
si dovesse intendere proprio l'Università, si tratta sempre di una isti-

tuzione a quella legata: in quanto è noto che le « Sapienze » eran -

collegi accoglienti gli scolari dello Studio. Del quale ad ogni modo il
Camilli faceva parte, perché il Bini e il Mariotti ci dicono che nel
1604 era professore di medicina ed appartenne anche al ruolo dei
professori che legggevano filosofia e matematica. E a Perugia fu no-
minato protomedico nel 1624. Il Camilli pubblicò due trattati in
latino: uno nel 1601 sopra i « Bagni di Nocera » sua patria; e l'altro nel
1608: « De pestilenti febre praecavenda » (1).

Parimenti cultore di botanica si appalesó Vincenzo Mannucci
(1586-1649) di Perugia. A sedici anni consegui la laurea in medicina
e presto diventò lettore di questa disciplina nel patrio Ateneo. Se
non che nel 1623 fu destinato ad insegnare le matematiche in cui era
valente. Ma non dimenticó la medicina e governando Perugia in qua-
lità di legato il card. Boncompagni promulgò per le stampe gli ordina-
menti sopra il modo di medicare e, nel 1649, ottenuta la giubilazione,
si trasferì a Roma dove, esercitando la libera professione, lo sorprese
la morte. Fu sepolto nella Chiesa delle Stimmate. Ha una pubblica-
zione di natura medica: « Consultationes medicales Angeli Victori
«medici celebris, notis et obserbvationibus V. Mannucci. Romae
«1640 ». Ma ne ha anche una di carattere botanico: « Trattato del
fiore e del frutto nel quale si trattano molte curiose materie ». Perugia
1605. E «curioso trattato » lo definisce il Bini (2). ;

Carattere originalissimo fu Filippo Belforti (1672-1745) di Perugia.
Si laureó in medicina nella patria Università nel 1693 e dopo un breve

libero esercizio alla Fratta (Umbertide) si recó a Roma a perfezionarsi |

‘alla scuola di Gaspare Reali, celebrato professore di medicina teorica
in quell'Università e medico pontificio di Clemente XI. Tornato in
patria nel 1708 ottenne la cattedra di medicina teorica che abbandonò
temporaneamente nel 1717 per ritornare precipitoso nella Città Eterna
dove era scoppiata «una quasi contagiosa influenza ». Carattere co-
me abbiamo detto originale, assunse il nome di Abate Belforti (era
del resto ancora celibe) « ma fattosi da alcuni conoscere per intendente

(1) Cfr. ANNIBALE CAMILLI in JACOBILLI, op. cit., Bini, ms. citato 1325,
foglio 138; MARIOTTI, ms. citato 1775, pag. 44-45.

(2) Cfr. VINGENZO MANNUCCI in VERMIGLIOLI, Op. cil., Bini, ms. 1325,
foglio 202. ca Uem ue: go

164 PIETRO PIZZONI

«di medicina incontró una fortuna tale nalle sue cure che si meritó
«il commune applauso ed approvazione ». I poveri li curava tutti,
senza eccezione, gratuitamente; dai ricchi accettava solo qualche dono,
ma non in danaro. E non solo non guadagnò ma ci rimise del suo.
Restituitosi nel 1724 a Perugia, fu quasi subito rimandato indietro, ac-
compagnato da un collega, ambedue come ambasciatori dell’ Università
al Pontefice per ottenere la conferma di alcuni privilegi. I messi furono
ricevuti da mons. Prospero Lambertini (poi Benedetto XIV) che mal
prevenuto dai nemici dello studio perugino « con qualche sussiego non
«solito al suo dolcissimo naturale avanzò la proposizione che l’ Uni-
« versità di Perugia ad altro non serviva che per il mantenimento dei
« gentiluomini affamati «. Non fu possibile al Belforti trattenere il suo
j naturale collerico e risoluto e per quanto rispettosamente rispose per
SUELE le rime e in modo tale che «il suddetto Prelato mutato pensiero e co- .
ili B «nosciute le ragioni che assistevano i postulanti accordó in nome di
| «Nostro Signore ancor piü di quello che domandavano ». Tornato
dopo questo a Perugia e «ripreso l'esercizio di medicina teorica e quel-
«lo ancora di botanica seguitó in esse per il corso di anni trenta;
« dopo dei quali giubiló cori il salario di s. (scudi) 160 annui. Ebbe tre
mogli e solo dalla terza un figlio: Giuseppe «laborioso scrittore —
iu dice il Vermiglioli — di patrie memorie ». Fu litigiosissimo ed in liti
B i consumò buona parte del suo patrimonio. E fu causa di screzi e dis-
| vu sapori all'Università fra i collegi dei Legisti da una parte e dei Medici
i dall’altra. Colpito di apoplessia morì il 26 maggio 1745 e fu tumulato
al nel sepolero di famiglia alla Chiesa Nuova. Lasciò sei opere mano-
i scritte (oggi presso la Biblioteca Comunale di Perugia) una delle quali
porta il titolo di « Prolusiones Botanicae » (1).

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VIA GR (1) Cfr. Filippo BELFORTI in VERMIGLIOLI, op. cit., BINI, ms. citato 1325,
QUEM foglio 139; ms. 1490 della Biblioteca Augusta di Perugia: « Notizie di Peru-
ds (4s gini illustri estratte dai libri mortuari da G. BeLFORTI», fascicolo III, foglio 135.
dE La più gran parte delle notizie e citazioni sono tratte dalla biografia contenuta
in questo manoscritto e estesa pertanto dal figlio di Filippo (vedere VERMI-
d hi iti GLIOLI alla voce « Belforti Giuseppe ») la cui imparzialità risulta anche dal

FR ‘ fatto che se abbonda nella enumerazione delle belle qualità del padre non ne
HN tace i difetti. Secondo il Bini, il Belforti Filippo ircominció a insegnare filosofia
ti! Ud e poi passò alla cattedra di medicina: secondo il ms. 1490 prima (nel 1780) ot-

ARD tenne la cattedra di medicina e poi fu aggregato al collegio dei filosofi e medici.
Anche il Mariotti, nel manoscritto piü volte citato 1775 si occupa del Belforti
Filippo e tra l'altro dice che « simulque Bothanicam in Studio Perusino magno
cum plauso professus est ».
È
L

SCIENZIATI UMBRI 165

Ludovico Viti (1662-1732) docente all'Università di medicina
mostró anch'egli un singolare amore alla botanica. Nacque a Castel
S. Vito in quel di OrviETO: si laureò in medicina a Perugia; andò a
perfezionarsi a Roma; fu per breve tempo nel 1690 professore di filo-
sofia all'Università di Perugia: poi medico a Perugia, Orvieto e Ba-
gnorea; e in ultimo, dal 1704 fino alla morte (che lo colse a S. Venanzo
nell'Orvietano) copri la cattedra di «notomia » in quella stessa Uni-

versità che già lo aveva avuto studente e professore. Coltivò le lettere -

e fu in corrispondenza e in grande stima, fra gli altri, di Apostolo Zeno;
riprese, già adulto, mentre faceva il medico libero a Perugia, gli studi
di matematica confondendosi (dice lo storico dell'Università V.
Bini da cui prendiamo queste notizie) (1)» colla turba dei discepoli
che in folla accorrevano alle lezioni di Francesco Neri» già da noi
ricordato; amò la botanica. Il Bifii predetto afferma che, quando era a
Roma a perfezionarsi, «la botanica e la notomia » furono la sua gior-
naliera occupazione. E l'amore a queste due scienze ci spiega l’ammi-
razione e la dimestichezza che egli ebbe con Marcello Malpighi il
grande botanico e anatomico che egli andó a trovare a Bologna non
che a Roma (quando il Malpighi vi si trasferi come archiatro pontificio)
e con cui fu in continua corrispondenza. E la qualità di botanico ebbe
forse un riflesso nella sua singolarmente semplice pratica medica, rac-
comandata soprattutto all'uso delle erbe: tanto da esser detto «il
medico della mentuccia » (2). Ma fu a questa scuola di semplicità
che si educó e in seguito sostanzialmente sempre si conformó un grande
medico: Alessandro Pascoli, suo frequentatore negli inizi della sua
poi così luminosa carriera. Il Viti stampò a Perugia per il Costantini
nel 1713 alcuni dialoghi sopra la cura dei vaioli occorsi a Perugia
l'anno 1712 sotto il titolo di « Chi cerca trova »; e vi annesse un « Di-
scorso sull'influenza catarrale » che dominó in quello stesso anno (3).

| (1) Gfr. Lupovico Viri in BinI, ms., citato 1325, foglio 129 e seg. Felice
Santi, professore nell'Università di Perugia, nelle note che fanno seguito al-
l'opuscolo sul Mariotti che sarà citato più oltre (vedi nota (3) pag. 166) dà
notizie un po’ diverse da quelle del Bini, scrivendo a pag. 33: « Nel 1707 gli si
conferila cattedra di filosofia da cui poi passó a quella di Notomia ».

(2) Il Bini sopraddetto scrive precisamente cosi:

«Spiegó eg!i (il Viti) nell'apprestare l'opera medica una singolare sem-
plicità di cura raccomandata all'uso delle erbe: a poche e ripetute sanguigne;

all'uso di una dieta moderata per cui gli uni lo dissero fin d'allora il medico
^ o
dell'acqua ; altri il medico della mentuccia ».

(3) Cfr. opuscolo del SANTI sopra citato, pag. 93.

ni

DL

lani fugis Gee ‘166 PIETRO PIZZONI

Dal Mariotti e dal Bini si ricava che coprirono la cattedra. di
medicina e botanica i seguenti perugini tutti laureati in medicina e
filosofia: Pio Alberti (1 1680), Gian Francesco De Ubaldis ( 1692),
Giov. Battista Salvatori ( 1714) e Francesco Bolsio il quale si dice
laureato nel 1697 (1). Del Salvatori, dal Bini si fanno ampie lodi come
medico e si aggiunge che il Padre Belforti nel suo « Liceo Augusto »
parla di alcune sue lezioni di botanica « eruditis pregiatas ». Dal Ma-
riotti è ricordato anche Bernardino Spinello che laureato in medicina ..
nel 1620 occupò la Cattedra del Semplici nel 1621 e morì un anno dopo
per «febri-letissima » (2).

Più ampie notizie abbiamo invece di Prospero Mariotti (1703- 1767).
Nacque alla Fratta (Umbertide): studiò matematiche sotto Francesco
Neri e medicina alla scuola di Ludovico Viti. Tenne con riputazione
di peritissimo medico le condotte di Assisi e Todi e fu proto-medico a
Perugia. Consegui nel patrio ateneo la cattedra di medicina nel 1732.
« Si suole ad esso attribuire il vanto di essere stato in questa città il
«rinnovatore della medicina avendo con il suo assiduo studio e coi
«suoi insegnamenti ridotta questa facoltà a quei veri principî dai quali
«si era non poco allontanata. Non meno singolare si rese nella lettura
«di botanica la di cui cattedra (ottenuta nel 1740) sostenne per il
«corso di molti anni con molta lode ». Ebbe una particolare amicizia

«col Card. Alberoni. Abbiamo già ricordate le sue pubblicazioni nel

campo della fisica: in quello della botanica lascia un manoscritto di
«Lectiones botaricae » o» conservato nella Biblioteca Augusta di
Perugia.

Gli successe Annibale suo figlio la cui fama come medico, filosofo,
storico, letterato ancora permanente esigerebbe una trattazione molto
più estesa e profonda del breve cenno al quale per la natura del nostro
scritto dobbiamo limitarci. Annibale Mariotti (1738-1801) (4) lau-

(1) Cfr. per questi nomi Bini ms. 1325, fogli 212-213; MARIOTTI ms.
1775, pag. 67, 73, 76, 80.

(2) MARIOTTI, ivi, pag. 55.

(3) Cfr. Prospero Mariotti in VERMIGLIOLI, op. cit. ; Muoni ms. 1775,

. pag. 87; G. BELFORTI ms. citato 1490; fascicolo III, foglio 106, da cui è stata

tolta la citazione riportata.

(4) Delle lodi del Dott. Annibale Mariotti pubblico professore di Medicina
teorica e di Botanica nella Università di Perugia, Orazione di FELICE SANTI
professore nella Università di Perugia. Perugia, presso Baduel, 1801. Seguono
note molto interessanti ed un elenco delle opere pubblicate e manoscritte le
quali ultime (conservate nella Biblioteca Augusta di Perugia), costituiscono
SCIENZIATI UMBRI‘ 167

reatosi a 21 anni in filosofia e medicina ben presto passò da studente a
docente della patria Università che non abbandonò più, malgrado le
lusinghiere chiamate alle cattedre di medicina di Pavia (1) e di Pa-
dova, non che alla corte di Dresda in Sassonia in qualità di medico
(2). Le cattedre che a Perugia egli coprì fino alla morte furono quelle
di medicina teorica e di botanica. A questa ultima venne innalzato il
5 luglio 1768, dopo aver funzionato per cinque anni da sostituto di
suo padre Prospero. E la tenne per quasi cinque lustri, trattando la
materia — scrive il suo biografo e collega di Università Felice Santi —
«con eleganza, erudizione e dottrina »; mentre V. Cherubini, già suo
segretario particolare (3) dice che « Egli soleva descrivere meravi-
« gliosamente le piante e narrarne ogni loro virtù, trattenendosi nel
«piccolo orto botanico della antica università situata pensile sopra
«le mura della città, fra le due porte: una detta Porta Sole e l’altra
« della Pesa ».

Ad Annibale Mariotti la città di D sua patria ha dedicati

— oltre la via in cui si trovava la sue casa e la piazzetta attigua — il
R. Liceo Ginnasio.

Ma chi sopra ogni altro illustró la cattedra di botanica dell'Ateneo
perugino, trasformando in un insegnamento di sostanza veramente
scientifica quello che finora si era limitato ad una storia naturale delle

una fonte perenne cui frequentemente attingono gli studiosi di cose perugine.
Vedere anche l’autobiografia del Mariotti in ms. già citato 1775, pag. 80-81-82,
non che: OnEsTE FERRINI, Annibale. Mariotti nell'opera sua, nel volume com-
memorativo per cura di professori e studenti del R. Liceo-Ginnasio di Pe-
rugia, Perugia, Tip. Guerra, 1901.

(1) Mosconi Apamo, Elogio di Annibale Mariotti celebrato per le esequie
solenni tenute a S. Silvestro del Piegaro il 14 novembre 1801, > pag 23 (Senza
data e luogo di impressione).

(2) Ctr. SANTI, opuscolo citato, pag. 11.

(3) V. CaeRUBINI, Note al Ritratto di Annibale Mariotti, foglio in possesso
del prof. Raffaele Belforti bibliotecario della Facoltà di Agraria dell'Università.
Il foglio é senza data, ma certo posteriore alla morte del Mariotti. Infatti egli
dice che «l'orto non è più in possesso dell'Università ma del sig. Giovanni
Cerrini » e di più lo definisce l'orto botanico della « Antica Università », il che
vuol dire che egli scriveva dopo il 1811 data del passaggio dello Studio ai
nuovi locali (il Monastero degli Olivetani) tuttora occupati. Un orto botanico
(e probabilmente quello stesso) esisteva anche sotto suo padre Prospero. In-
fatti nel Regesto Scalvanti dell'Archivio Universitario alla data del 9 luglio
1756 «si trova stanziata una somma molto tenue per provvedere l'orto di
erbe e semplici ». 168 PIETRO PIZZONI

sole piante medicinali, fu Domenico Bruschi (1787-1863). Dopo aver stu-
diato in patria si laureò nel 1805 in medicina e attese per due anni a
perfezionarsi in botanica a Firenze alla scuola del Targioni-Tozzetti.
Iniziò la carriera come medico condotto in un paesello dell’Umbrie.
Fu chiamato poi a Benevento come professore di botanica e agraria
in quel liceo e vi rimase per un anno fino al 1811, fino a che cioè il
Direttore Generale della Pubblica Istruzione del Regno Italico non
lo invitò à coprire una cattedra di botanica in uno dei Licei del Regno;
invito però cui egli rinunziò per accettare invece l’insegnamento
offertogli della stessa disciplina nello Studio patrio. In quel torno di
tempo l'Università fu trasportata nell'ampio convento degli Olive-
tani dove attualmente ancora si trova; ed il Bruschi ne approfittò
per fondare il nuovo Orto Botanico che dal 1811 al 1826 raccolse le sue
cure migliori e costituì una delle sue più geniali occupazioni. Da quel
tempo il povero cieco (che tale egli divenne in quell’anno) trovò nel-
l'orto una delle sue principali consolazioni; e aggirandosi fra le a lui
ben note aiuole si aiutava col tatto per riconoscere le piante da lui
stesso interrate, coltivate ed educate quando ancora la luc? degli occhi
gli brillava in fronte. Ed un suo discepolo (il prof. Giuseppe Marroni
nell'« Enciclopedia popolare», Torino, 1870-71) dichiara storico il fatto di
aver il Bruschi classificato a semplice base di tatto una pianta rimasta
oscura a vari naturalisti chiaroveggenti. Tanto era il suo sapere e la
fermezza con cui seppe concentrarsi in una intensa interiore vita
intellettuale, rievocante le molteplici e variate esperienze del già illu-
minato veggente. E Michele Lessona lo popolarizzò appunto per questo
nel suo « Volere e potere » fra gli eroi della volontà. La sua attività
scientifica fu intensissima. Prima della cecità, come appassionato
cultore di materia medica, istituì il periodico « Il repertorio medico »
che incontrò molto favore e durò quanto la vista del suo fondator^;
come botanico esplorò l’agro perugino avendo a compagni il patriotta
perugino ing. Luigi Menicucci appassionato raccoglitore di piante e
minerali, e Luigi Masi di Petrignano di Assisi, il futuro popolare
generale del Risorgimento. Ed ebbe così inizio quell’Erbario di
circa 4000 specie ancora conservato nell’Istituto botanico della Uni-
versità e ‘rappresentante il primo inizio dello studio della Flora
Umbra. Sopravvenuta la cecità, cui per forza di religione profonda-
mente sentita e di volontà energicamente attuata si adattò senza
lamento, Domenico Bruschi seguitò a lavorare dalla cattedra, aggiun-
gendo all’insegnamento della botanica quello della materia medica;
e colla penna dando all’Italia il primo trattato completo in quattro
è

SCIENZIATI UMBRI 169

volumi di Materia Medica che incontrò moltissimo in tutte le scuole
d’Italia, talché ne furono fatte due edizioni, una a Perugia nel 1828-
32 e l’altra a Milano nel 1834. E nel 1844 pubblicò a Milano « I fonda-
menti della terapeutica e farmacologia generale », lavoro che fu la sin-
tesi dei suoi studi e delle sue lunghe fatiche. Oltre ad altre pubblica-
zioni minori lasciò manoscritte un corso di Istituzioni botaniche.
Affranto dall’età e dagli incomodi si ritirò dalla cattedra nel 1857.
Negli ultimi anni aveva avuto a coadiutore. il nepote Alessandro Bru-
schi (1819-1884) che poi lo sostituì definitivamente nell’insegna-
mento della botanica. Amico di tutti gli scienziati dell’epoca il nome
di Domenico Bruschi resta nella storia della Botanica per gentile pen-
siero del sommo Bertoloni che a lui intitoló la « Bruschia maerocarpa »,
una pianta del Mozambico (1).

Istituitosi nel 1896-97 l'Istitutio Superiore Agrario (oggi Facoltà
di Agraria della Università) vi fu trasferita la cattedra di botanica
finora compresa nella Facoltà di medicina, e vi fu annessa — fino al
1926-27 — anche quella di patologia vegetale. E cultore di patologia
vegetale fu il perugino dott. Giuseppe Severini (1878-1918) rapito pur-
troppo in ancor giovane età agli studi ed alla famiglia e del quale mi
é caro rievocare la affettuosa dimestichezza che a lui mi strinse negli
anni in cui entrambi sotto la guida saggia dell'illustre Prof. Osvaldo
Kruch, titolare delle due cattedre, esercitavamo l’assistentato. Dei
lavori — pochi ma interessanti — compiuti dal Severini: alcuni sono di
patologia vegetale (nuova malattia della lupinella; bacteriosi della

. «Ixia maculata » e del « Gladiolus Colvilli »; flora micologica della pro-

vincia di Perugia): altri di carattere batteriologico (attivivà enzimati-
ca di alcuni bacteri; tubercoli radicali della Sulla): altri di Morini e e
anatomia (sulle radici e sui tubercoli radicali della Sulla) ed uno, i

(1) Cfr. Domenico Bruschi in VERMIGLIOLI,- Op. cit. BATTELLI, Op. cil.,
pag. 17. Supplemento perenne alla « Nuova Enciclopedia popolare italiana »,
1870-71, U. T. E. T.; Bonucci Francesco, Discorso in morte di Domenico Bruschi,
L. M., Necrologio in « Giornale Scientifico-Leterario di Perugia », anno 1863,
pag. 239. Per quanto riguarda il tono dell'insegnamento della Botanica ante-
cedentemente al Bruschi ci puó illuminare il « catalogo » dei membri della fa-
coltà di medicina ed arti, compilato nel 1790, nel quale é fissato il munus di
ognuno. Perla farmacia e botanica è scritto; « Il lettore della teorica dei semplici
parlerà nell’orto botanico delle piante pertinenti alla medicina, mentre il
pratico avrà cura di preparare le piante da illustrare a lezione ». (Vedi ERMINI,

Storia dell’ Università di Perugia, Bologna, presso Zanichelli, 1947, pag. 209-

210).

T. Lou

Lily E ZEND
170 PIETRO PIZZONI

fine, in collaborazione al prof. E. Pantanelli sulla nutrizione ammo-
niacale delle. piante verdi (1).

Fra i non accademici in Perugia dobbiamo ricordare Pier Dionigi
Veglia (1584-1636) di cui abbiamo già discorso tra i matematici.

‘Quella cattedra che non poté ottenere in patria gli fu concessa nella

Università di Pisa dove fu chiamato da Ferdinando II di Toscana a
dirigere l’Orto e tenere lezioni di botanica. Al Principe Toscano lo

commendo Gerolamo della Somaglia come dotato «non solo di squisita

«notizia di semplici e piante ma di filosofie e matematiche, perizie
« di lingue e di molte altre virtù onde pare che se ne possa sperare otti-
«mo servizio ». Né si ingannò: che anzi i Pisani per gratitudine dell’uf-
ficio con loro alta soddisfazione ricoperto collocarono, lui morto, il
suo ritratto nel vestibolo del giardino. Scrive il Subbioni, citato dal
Vermiglioli, che il Veglia « multa paraverat ad supplendos Mathioli
libros de plantarum natura, sed in vulgus edere minime ille licuit »;
ci resta di lui pubblicato un «Catalogus plantarum quae colebantur
in horto pisano. Pisis 1635» (2).

Andrea Battelli succeduto ai Bruschi nella Università di Perugia
in un interessante discorso inaugurale per l’anno scolastico 1888-89
« Delle scienze naturali nell Umbria » ricorda l'allora vivente D. Giulio
Ciccioni (1844-1923) « buon osservatore che ama il sapere con la vigoria
di un entusiasmo giovanile » (3). Ed era proprio cosi! D. Giulio Cic-
cionij nato a Cerqueto in quel di Marsciano, alunno per tutto il
corso dei suoi studi del Seminario di Perugia, fu un autodidatta. Per
iniziativa istintiva si mise a raccogliere e catalogare piante ed insetti;
minerali e fossili, meritandosi il titolo di originale dai compagni e
non essendo preso molto più sul serio dai superiori. Ordinato sacerdote,
andò parroco in campagna, al Prugneto presso l’oggi Colle Umberto I,
e seguitò a collezionare e studiare finché un giorno si presentò al suo
vescovo, l’allora cardinal Pacci, poi Leone XIII, proponendogli di

(1) Cfr. GrvsEPPE SEVERINI in CARLO FuscHINI, La Facoltà di Agraria,
nel volume « Regia Università degli Studi di Perugia », Casa editrice Mediter-
ranea, Roma, 1937, pag. 58. È
(2) Cfr. Pier Dionigi Veglia in VERMIGLIOLI, op. cit., BATTELLI, op. cil.,
pag. 12. i

(3) Cfr. BATTELLI, op. cit., pag. 31. Per la Messa d’oro di Mons. Giulio
Ciccioni suoi ex alunni. Perugia, Tip. Perugina, 1917; Cfr. NAZARENO RANIERI,
Elogio funebre di Mons. Giulio Ciccioni, Tip. Squartini, Perugia, 1923; BoNACA
AURELIO, Il Museo di Scienze Naturali del: Ven. Seminario di Perugia, Perugia,
Tip. Donnini, 1926.
SCIENZIATI UMBRI 171

iniziare una scuola, fino allora mai esistita, di scienze naturali in Se-

minario. Gioacchino Pecci, mente di larghe vedute, lo contentò e la

scuola fiorì presto di alunni nei quali si trasfondeva l’entusiasmo del i

Maestro: e sono anch'io debitore a Lui, che ricordo con venerazione * - i m

ed affetto, della mia modesta vocazione per le scienze naturali. E a

lato alla scuola fece sorgere, come per incanto, un magnifico Museo

scientificamente catalogato ed ordinatamente disposto in ampie e ben

ideate vetrine. La parte botanica è costituita' da in erbario compren-

dente circa ventimila specie; molte delle quali raccolte da lui stesso

che esplorò l'Umbria fino 21 Monte Vettore ed il resto proveniente da

cambi con principali Istituti d’Italia e dell'Estero. Le collezioni zoo-

logiche, mineralogiche e geo-paleontologiche hanno avuto origine,

oltre che da raccolte proprie, da doni di Suore e Missionari da lui rin- |

tracciati in tutte le parti del mondo: e da una gran parte del materiale ii

comparso alla Esposizione Vaticana (1887) per il Giubileo sacerdotale |

di Leone XIII e da questo alui donato. Si tratta di un complesso straor- En

dinariamente vario e interessante di minerali spesso assai rari: di i

pelli di mammiferi e di uccelli i più rari ed i più singolari, di tutte le

dimensioni e provenienti da tutte le latitudini che il Ciccioni fece poi

imbalsamare da un abile preparatore di Firenze; di rettili giganteschi; Hn

di farfalle orientali dai colori smaglianti; di molluschi e cheloni ma-

rini maestosi; di denti di elefante etc etc. D. Giulio Ciccioni ha parecchie

pubblicazioni relative alla Flora Umbra. Ricorderemo la « Flora del

Trasimeno. Osservazioni generali. Perugia 1893 », uno studio molto

interessante sui caratteri generali della vegetazione intorno al lago di

Perugia e che nell'intenzione dell'Autore doveva esser seguita dalla Eni

Flora propriamente detta rimasta pur troppo manoscritta. Caratte- An l X

ristico anche uno studio storico-botanico su « Le Rose di S. Francesco | DM

a Santa Maria degli Angeli » pubblicato nella Miscellanea Francescana Hg

di mons. Faloci-Pulignani, vol. XVIII, fasc. I, nel quale la delicatezza PPAR

del sacerdote va di pari passo colla sincerità dello scienziato per mo- T |
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la

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strare che non c'é ragione sufficiente per vedere nel fatto qualche cosa | | d
oltre il naturale. D. Giulio Ciecioni cresciuto alla scuola di un insigne , ;.
maestro di matematica nel seminario perugino, mons. Angelo Bal- . y
lerini, fu anche valente in questa disciplina. E pubblicò un volume {i

«La divisibilità dei numeri e la teoria delle decimali periodiche », RT s
Perugia 1908, che contiene vedute e procedimenti spesso originali. N'
Un alunno caro al Ciccioni, spentosi troppo presto, fu D. Cestio Mon- i i:
taldini (1874-1921) che, appassionato raccoglitore, si fece anche lui CULT
notare per parecchie contribuzioni alla Flora Umbra. id |

!
172 : i PIETRO PIZZONI

In appendice ai botanici faremo qualche cenno sugli agrari più
illustri.

SPOLETO ricorda Francesco Giustolo che scrisse di agricoltura nei
primi del cinquecento (1) e Pietro Fontana (1775-1854) che letterato
e uomo politico ma in special modo amante di agricoltura ne promosse
lo studio in seno alla Accademia spoletina e stampò alcuni volumi di
lezioni di agraria (2). E parlando di Spoleto non dimenticheremo,
benché poeta e non scienziato, Giovanni Pontano (1422-1503) che cantò
la georgica del cielo, dell’aria e della terra; ad un classico poema astro-
nomico dal titolo « Urania » facendone seguire altri due: uno sulle « Me-
teore » e l'altro sulla « Coltivazione degli agrumi ».

Di FoLiGno fu Domenico De Rossi (secolo xvi1) botanico e agrario
fondatore nel 1784 della Accademia degli Ergogeofili con annesso
orto sperimentale e autore di una « Dissertazione sulla Agricoltura »
dove fra l'altro propone nuovi metodi di innesto (3).

Nacque ad Orvieto il Conte Eugenio Faina (T 1926), Senatore del
Regno, illuminato pioniere del progresso agrario. Fondatore nel 1896
e poi per parecchi anni Direttore del R. Istituto Superiore Agrario

(dal 1936 Facoltà di Agraria della R. Università) di Perugia; Presi-

dente dalla fondazione (1906) per alcuni anni dell'Istituto Interna-
Zionale di Agricolturà voluto a Roma dal Re Vittorio Emanuele III;
Presidente dal 1909 al 1911 della Giunta Parlamentare per l’inchiesta
sui contadini nell’Italia meridionale ed insulare, egli diede prova di
grande sagacia come uomo di governo e di elevata cultura e pratica
agraria nelle copiose realizzazioni. Grande e intelligente proprietario
attese personalmente — attraverso un lavoro intenso e costante di
oltre mezzo secolo — alla bonifica di un suo vasto tenimento umbro
(S. Venanzo e Spante) di montagna: riducendo a cultura razionale,
specialmente di ricchi oliveti e promettenti vegetazioni boschive,
terreni oggetto fino allora di uno sfruttamento silvo-pastorale affatto
primitivo. Sollecito della elevazione professionale e morale dei con-
tadini fondò un tipo di scuole rurali complementari (Scuole Faine )
che dall' Umbria si sono poi diffuse in altre regioni d’Italia, con giova-

(1) Cfr. Francesco Giustolo in BATTELLI, op. cit., pag. 8.
(2) Le notizie su Pietro Fontana sono state forrite da Mons. Luigi Fausti

bibliotecario comunale di Spoleto.

(3) Cfr. D. AxcELo MessinI, L'Accademia Fulginea e le altre associa-
zioni culturali sorte in Foligno neila seconda metà del secolo X VIII, Foligno,
Tip. Campitelli, 1932, pag. 83-92.
SCIENZIATI UMBRI 1728

mento del progresso della agricoltura. Il Conte Eugenio Faina fu
uomo di alto patriottismo. Oramai in età più che matura ma con ardore
più che giovanile, volontario nella sua vita per la seconda volta, corse
nella guerra 1914-18, col grado di semplice tenente, sulle Alpi per il
completamento di quella indipendenza della Patria per la quale aveva
già combattuto ventenne sui campi di Lombardia (1).

PERUGIA abbonda nei tempi moderni di nobilissimi agrari: prima
di passare a loro vogliamo ricordarne uno che sembra nascesse nel
secolo xiv e fiorisse nel xv: Corneo Corniolo. Fu seguace della fazione
di Braccio da Montone; e nel 1410, allontanato quest'ultimo da Pe-
rugia, gli furono tolti i beni. Viveva nel 1433; ma era già morto nel
1452. Dell'opera seguente esistono tre manoscritti in foglio di 400
pagine ciascuno; uno (codice 368) presso la Biblioteca di Classe di
Ravenna (portatovi dal Monastero di S. Pietro in Perugia dall'abate
Canneti); un secondo a Siena; ed un terzo (secondo il Vermiglioli) a
Palermo presso il Principe di Grammonte. Eccone il titolo preciso:

«Incomincia el libro della divina villa composto et ordenato
« dall’honorabile e famoso huomo Corgnuolo de Francescho de Mesere
« Berardo: dei nobili da Cornie de Peroscia ».

Un indice precede ai IX libri (il primo é tutto in lode della agricol-
tura) in cui l'opera é divisa. Segue al IX libro un « Trattato breve de
«tutte le chose si utele e delettevole al padre de la famiglia, andando
«in villa o mandando alcuno de sua fameglia perché non perda tem-
« po gle ensegneró con brevità queglie aggia affare in ciascun mese etc. ».

Esiste pure presso la pubblica Senatoria Biblioteca di.Palermo un
trattato «de Re rustica» attribuito a Vignuolo de Urneolis che il Ver-
miglioli crede debba leggersi « Corniolo de Corneis ». Malgrado il
titolo latino, è scritto (ciò che era molto in uso nei secoli xIV, xv, XVI)
in italiano. Ed anche, pare, buon italiano: tanto che quel bibliotecario
fino dal 1784 aveva in animo di pubblicarlo come testo di lingua (2).

Eugenio Faina in un telegramma di condoglianza per la morte
chiamò, «con ammirazione e gratitudine ‘di antico scolare, Nestore
«degli Agricoltori Umbri » il Marchese Raffaele Antinori (1818-1906)

(1) Cfr. « Annuario del R. Istituto Superiore Agrario di Perugia », anno

1925-26: contiene un Necrologio di Eugenio Faina a firma A. V. (Alessandro i

Vivenza) Perugia, Tip. Perugina. Vedere anche: EuGENIO FAINA, La Istru-

zione Superiore Agraria in Italia e la Scuola di Perugia, Roma, 1896, Forzani e.

C. Tipografi del Senato; EuGENIO FAINA, Inaugurazione del R. Istituto Supe-
riore Agrario di Perugia, 25 novembre 1896, Perugia, Unione Tip. Cooperativa.
(2) Cfr. Corneo Corniolo in VERMIGLIOLI, op. cit.

Ber e ssi € DE GERNE

als Me = do E NI ef era

— 174 PIETRO PIZZONI

cui è dovuto quasi integralmente il rinnovamento agrario scientifico
operatosi nel perugino nella seconda metà del secolo scorso. attra-
verso la educazione di più generazioni di allievi (taluno ancora vivente)
divenuti alla sua scuola, che fu un sacerdozio, i predicatori fidenti
della sua fede; gli apostoli delle sue idee; i divulgatori di un insegna-
mento pratico che egli dettava, più che dalla cattedra, dai campi e
dalle escursioni. Nato a Perugia da nobile casata, ferace di uomini il-
lustri (Orazio, l’africanista di cui parleremo più oltre fu suo fratello)
quando ancora l’agiatezza fioriva tra le mura avite, non appena con-
seguita, per condiscendenza alla autorità paterna, nel 1841 la laurea
in legge, si dedicò subito agli studi per vocazione preferiti. E sempre
presso l'Università patria segui i corsi di fisica e chimica, non che
privatamente sotto il magistero di Domenico Bruschi quello di bo-
tanica. Fondata nel 1847 (1) la cattedra di agricoltura presso l'Uni-

(1) Cfr. «L'Umbria Agricola » numero del 20 ottobre 1906, Perugia,
Tra gli alunni viventi dell'Antinori vi è l'ing. Luigi Scarsellati (padre di Giu
seppe, di cui appresso) dal quale ho attinto molte notizie.

E a proposito di Agronomia non é forse fuor di posto ricordare che Peru ui
nel secolo xix si interessó molto al progresso della Agricoltura. Prova e docu-
mento ne sono le associazioni e le pubblicazioni periodiche del tempo di ca-
rattere agrario. Nel 1838, per la speciale protezione del Cardinale Lambruschini
Prefetto della Sacra Congregazione degli Studi, sorse la « Società Economico
Agraria » perugina, sull'esempio di quello che nella seconda metà del secolo
decimottavo era avvenuto a Firenze coll'Accademia dei Georgofili e a Torino
con quella di Agricoltara, e nell'Ottocento stesso in altri centri della Penisola
(Vedere Costituzioni della Soc. Ec. Agraria di Perugia, Perugia, Tip. Bartelli,
1839). Dopo il 1860 riformò le proprie istituzioni (Vedere: Statuto della Società
Economico Agraria di Perugia, Perugia, Tip. Bartelli, 1864) e durò fin verso il
"70, trasformandosi poi nel « Comizio Agrario » (Vedere: Statuto e Regolamento
del Comizio agrario di Perugia, Perugia, Tip. Santucci, 1869) di cui fu tra i
fondatori e per qualche tempo anche il Presidente, l’ Antinori. La Società Ec.
Ag. nella sua sia pur non eccessivamente lunga vita, esercitò nel campo agrario
ed economico una azione sotto ogni aspetto Drovvida ed efficace. Tutte
le più importanti iniziative della nostra regione prevalentemente agricola
fecero capo ad essa; e fra le più notevoli attuazioni dovutele giova ricordare
(oltre le Esposizioni regionali: prime rassegne della operosità e capacità pro-
' duttiva dell'Umbria: Cfr. Rapporto della Esposizione provinciale in Perugia,
Perugia, Tip. Vagumi, 1856) quella dell’insegnamento della Agronomia con
.una cattedra appositamente istituita col concorso delle Amministrazioni Pro-
vinciale e Comunale, voluta di grado universitario, coordinata cogli altri
insegnamenti della Facoltà di Scienze fisiche e naturali di cui faceva parte e

dotata di un orto agrario e di un campo: sperimentale: cattedra che già auspi-
“È

SCIENZIATI UMBRI 175

+

versità di Perugia, l'Antinori, fra i primi iscritti, frequentó l'intero
corso con i più lusinghieri risultati. E tanta era la passione che a trenta
anni si recò a Pisa presso quel celebre e allora quasi unico in Italia
Istituto Superiore di Agraria; il cui illustre direttore Pietro Cuppari

fu in ultimo ben lieto di autorevolmente certificare la competenza

dell’Antinori all'insegnamento dell’agraria di cui il nostro Raffaele
aveva seguito, come uditore, tutti i corsi. Nel 1848 vinse a pieni voti
il concorso per la cattedra provinciale di agricoltura di Fermo; più
tardi fu richiamato a Perugia dal cav. Bianchi che gli affidò la dire-

cata insisme a quella di Statistica da Gabriele Calindri di cui parleremo oltre
(Cfr. Saggio Geografico sullo Stato Pontificio, Perugia, Santucci, 1829, pag. 582)
costituiva il brodromo della fondazione del R. Istituto Superiore Agrario rea-
lizzatasi nel 1896, anche per le premure e cure di Eugenio Faina, nei locali
e coi beni del soppresso Monastero di S. Pietro in Perugia.

Oltre ai Soci locali, la Società Ec. Ag. ne contò di illustri italiani e stra-

nieri. /Tra i primi è pregio dell’opera ricordare Alessandro Manzoni: di cui la
descrizione della vigna e dell’orto di Renzo se per tutti è documento sommo
di arte, è per molti tecnici indice di una speciale conoscenza agricola. E tra
gli stranieri il grande economista inglese Riccardo Cobden; colui che a Massimo
d'Azeglio additando il Sole disse: Ecco la vostra macchina a vapore; così l'aves-
simo noi ! Ricordatevi che ogni popolo deve produrre ciò che ottiene con mi-
nore spesa: Agricoltura, per l'Italia ! Agricoltura ! (Cfr. RAFFAELE BELFORTI,
nel periodico « Perusia », novembre-dicembre 1933, Riccardo Cobden a Perugia
nel 1847 ove sono anche pubblicati gli autografi delle cordiali risposte del
Cobden e del Manzoni). i

Organo della Società Ec. Ag. fu la Rivista sorta nel 1833 col nome greco
di « Oniologia » (= raccolta o discorso dell’utile): poi mutato in quello di « Gior-
nale Scientifico Letterario Agrario » cui collaborarono gli ingegni più colti che
in quei tempo illustrarono Perugia e la sua Università. La Rivista cessò nel
1867 e le succedette nel 1869 il « Bollettino del Consorzio circondariale e So-
cietà Economico-Agraria di Perugia » trasformatosi poi nel « Bollettino dei
Comizi Agrari di Perugia e Spoleto », prosegrito fino al 1876. Dal 1877 al
1882 uscì «l’Agricoltore Umbro », giornale agrario-industriale dei Comizi di
Perugia, Spoleto, e Terni. Nel 1883 si iniziò l'« Umbria Agricola ».

Altra istituzione che sta a dimostrare come l’atmosfera umbra fosse sa-
tura di spirito di rinnovamento agrario fu quella cui si accenna appresso del-
l’Istituto agrario di Casaglia per opera del Cav. Gio. Battista Bianchi: istituto
che destinato alla formazione di una speciale classe campestre di ministri e
fattori, ebbe anche il suo periodo di floridezza e che poi cessò quando il Bian-
chi, circa il 1864, vendè la tenuta degli Ornari, cui era annesso, alla famiglia
dei Conti Baldeschi (cfr. nel « Giornale Scientifico Agrario » di Perugia, 1855-56,
vol. I, pag. 280-88, Nuovo Istituto Agrario di Perugia e vol. II pag. 270-276,
Apertura dell'Istituto Agrario del sig. Gro. BATTISTA BIANCHI, avvenuta il
9 giugno 1856; a firma: Il prof. di Agricoltura: Raffaele Antinori).

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176 PIETRO PIZZONI

zione dell’istituto agrario per poveri giovanetti compagnoli da lui
eretto a Casaglia presso la tenuta degli Ornari in Ponte Valleceppi
(Perugia). Ma prima il Bianchi lo mandò a visitare l'Esposizione Uni-
versale allora apertasi a Parigi, non che a rendersi conto delle condi-
zioni agrarie del Belgio e delle Fiandre: dal qual viaggio tornò con
un ricco corredo di utili cognizioni. Non molto dopo fu chiamato ad in-
segnare agraria nell’ Università di Macerata da dove nel 1866 ritornò
a Perugia a coprire la stessa cattedra nella patria Università. E
soppressa quest’ultima (nel 1888) insieme alla Facoltà di Scienze ma-
tematiche, fisiche e naturali di cui faceva parte, Raffaele Antinori
passò alla sezione di Agronomia del R. Istituto Tecnico di Perugia;
del quale fu per un certo tempo anche Preside; carica che egli sponta-
neamente rinunziò perché di ostacolo alla espletazione di quella mis-
sione di insegnante cui si era votato ‘con fede di apostolo, con coscienza
di studioso. ds >

Non lasciò scritti: ma attraverso un lavoro assiduo indefesso, che
(secondo la tradizione di quei nostri antenati, patriotti molto a fatti
e poco a parole) non commisurava l'orario allo stipendio, trattò e influi
sapientemente sulla soluzione di tutte le questioni economiche e scien-
tifiche della agricoltura umbra. Né malgrado la raggiunta grave età
M di novanta anni si trovò mai sorpassato nell'arringo scientifico: .per
| VR Eye. > quanto lo studio dell’agronomia si andasse proprio in quegli anni rivo-
eo luzionando ab imis fundamentis. Ma egli fu così alacre studioso: fu
NIGRO mente così agile e progressivo da far suo ogni nuovo insegnamento:
senza pregiudizio di scuola; senza nessuna di quelle pigre deformazioni
che non di rado ad una certa età cristallizzano nella inerzia il pen-
siero. i
Mo Mai brigó per ambiziosi compensi e le cariche che occupò fuori della
neni scuola furono tutte in connessione colla sua missione di agricoltore.

D Cosi fu per molto tempo il Presidente effettivo e, quando per l'inoltrata

età dové rinunziarvi, onorario del Comizio agrario Cooperativo di
cui era stato fra i primi fondatori. Cosi fu anche il Presidente tempo-
raneo della Fondazione agraria costituitasi per l'amministrazione
dei beni del soppresso monastero di S. Pietro in Perugia: e a lui si deve
l'inizio ed il primo sviluppo di quel corso pratico di Casalina che ha
poi formato e forma la specialità del R. Istituto Superiore Agrario
uscito piü tardi, per merito precipuo di Eugenio Faina, dalla Fonda-
zione stessa.

Nato a GuBBIo, ma educato a Perugia (dove la sua famiglia si
trasferi appena due anni dopo la sua nascita) Giuseppe Scassellati-
SCIENZIATI UMBRI 177

Sforzolini (1887-1929) fu araldo (1) insigne di quella alta civiltà che
caratterizzò nelle terre africane la colonizzazione italiana e della quale,
anche se passata non giustamente ad altri, nessuno potrà toglierci
per lo meno il vanto e jl conforto del ricordo. Già perito agrimen-
sore, nel 1908 si iscrisse al Corso di Agraria presso il R. Istituto Supe-
riore Agrario di Perugia, e ancora studente di 3° anno, insieme al
suo compagno di scuola Nello Mazzocchi Alemanni, si recò nel
settembre 1911 in Somalia e nei contigui possedimenti Inglesi e Te-
deschi dell’ Africa Orientale, per tornarne nel giugno 1912 con un ba-
gaglio abbondante e prezioso: materiale, di quarantacinque grandi
casse di raccolte scientifiche destinate ai musei dell’Istituto Agrario
di Perugia e dell’Istituto Coloniale di Firenze; culturale, di note e
osservazioni per la redazione della sua tesi di laurea. Il cui esame egli
-sostenne il 22 decembre 1912, conseguendo i pieni voti assoluti e la
lode. E per desiderio del Governatore della Somalia Italiana, il Sena-
tore Giacomo De Martino, la tesi di laurea, che meritó uno speciale
elogio della Commissione esaminatrice, fu pubblicata col titolo: « L'im-
presa zootecnica nella Somalia Italiana meridionale, con prefazione
del Conte Eugenio Faina, Senatore del Regno. Con 62 illustrazioni é
una carta. Tip. della Camera dei Deputati, Roma 1913 ». E un grosso
volume di 242 pagine. Fra le tante recensioni, tutte elogiative, ci
piace ricordare quella di un competente in agricoltura, il Sénatore
Tito Poggi che nel « Coltivatore » del 10 gennaio 1914, fra l'altro, scri-
| veva: « Magnifico lavoro ! C'é da stupirsi che sia opera di un giovane
appena laureato: anzi fu scritto prima della laurea. La questione zoo-
tecnica della nostra Colonia Somala, anche nelle sue DIURpeMve áv-
venire, é mirabilmente e seriamente trattata ».
In un giro di brillanti ma sostanziose conferenze per le principali
città d'Italia si guadagnó ben presto la fama di ardente colonialista;

(1) Ctr. « Annuario del R. Istituto Superiore Agrario di Perugia », 1828-29;
pag. 136 e seg. Necrologia a firma A. V. (Alessandro Vivenza) — Governo della
Somalia italiana. - « Bollettino di informazioni », 1929, febbraio: G. TARANTINO,
G. Scassellati. - G.' ScassELLATI, L'Agricoltura nella Somalia Italiana, Roma,
Istituto Poligrafico dello Stato, 1930.

Molte notizie le ho avute dalla cortesia dell'ing. Luigi Scassellati padre di,

Giuseppe che gentilmente ha messo a mia disposizione tutta la corrispondenza
(da cui ho tolto le citazioni qui appresso). i documenti, le pubblicazioni che egli
con amore paterno conserva in ordine perfetto; e che nell'interesse della Sto-
ria della colonizzazione italiana c'è da augurarsi sia sempre conservata. Mi
è grato qui ringraziarlo.
178 PIETRO PIZZONI

e nel 1915 fu chiamato ad insegnare nell’Istituto Agricolo Coloniale
di Firenze. Sono di questo periodo quattro pubblicazioni tutte di
carattere coloniale e precisamente: « Le condizioni agrarie del Bena-
dir» (1914), «La coltivazione del Cotone nella Somalia meridionale »
(1915), « Le Conifere della Somalia meridionale » (1915) e I'« Eufor-.
bia Trincalli (1916) ».

La grande guerra lo ebbe pronto soldato. I suoi superiori intui-
rono subito il frutto che poteva cavarsi dalla cultura agraria del
sottotenente Scassellati, e lo spedirono in Albania. Tutta l'opera
dell'agricoltore albanese si riduceva a solcare con un piccolo vomere
di legno un po’ della sua terra per seminarvi il granturco per la sua
famiglia: del frumento, dell'orzo, dell'avena non se ne parlava, an-
che per la difficoltà di procurarsi il seme. Le rare viti, attaccate da
crittogame, andavano in malora. I giganteschi olivi piantati dai vene-
ziani erano completamente abbandonati. Sotto la gestione del sotto-
tenente Scassellati per la prima volta gli Albanesi estatici assistettero
alla trebbiatura del grano; videro trascinare polivomeri da trattori;
sgranare granoturco colle sgranatrici; falciare il fieno da macchinari e
sottoporlo a tutti i processi moderni, fino all'imballaggio con le presse
a mano o a vapore. Questo per dare una pallida idea del lavoro im-
menso del sottotenente, promosso presto tenente e poi, per meriti
speciali, capitano. Tra l’altro creò una «tenuta modello » la « Babizza
piccola » di circa 200 ettari che formò l'ammirazione degli Albanesi i
quali chiamavano lo Scassellati il « Medico della Terra ». E quando,
secondo il solito, dopo aver tanto bonificato e beneficato, l’Italia si
| ritirò dall'Albania, il Governo Albanese succeduto alla occupazione
italiana non pare che, almeno quella volta, presentase i conti per il
risarcimento dei benefici ricevuti (come pur troppo è accaduto dopo
la seconda guerra mondiale) ma anzi espresse il desiderio di avere con
sé lo Scassellati, e lo invitó ad assumere l'Ufficio di Direttore generale
della Agricoltura. Ciò che egli, per dignità d'italiano, non accettò.
AI periodo della sua attività albanese, oltre alcuni suoi lavori inediti, va
riferita la monografia pubblicata ne] maggio 1919 « Immigrazione dei
coloni italiani in Albania »; non che la « Relazione sulla attività del-
l'Ufficio agrario in Albania » pubblicata nel « Bollettino Agricolo Co-
Joniale Italiano » per ordine del Generale Ferrero comandante il

corpo di spedizione.

. . Nel 1919 ebbe inizio il periodo più difficile e tipico della sua vita,
ehiusosi in modo tanto precoce e repentino jl 21 febbraio 1929. In
data 19 agosto 1919 S. A.R. il Duca degli Abruzzi lo invitava a parte-
SCIENZIATI UMBRI 179

cipare ad una spedizione per lo studio agrario di una colonizzazione
presso l'Uebi Scebeli. Giuseppe Scassellati aderì con entusiasmo e per
incarico dell'Augusto Principe compilò il grandioso progetto che fu
poi attuato per la trasformazione della colonia. Bulad fu il centro,
per circa due mesi, di studi pratici per la elaborazione sul posto del
vasto programma di impianto e funzionamento delle Aziende Agri-

cole Zootecniche; e Mahaddei quello per gli accordi vincolanti i Capi -

Somali a fornire la mano d’opera necessaria per la bonifica di oltre
- 2b mila ettari. Nel febbraio 1921, dopo due anni di studi preparatori,
la carovana si mette in moto e si acce mpa nella località scelta come
stazione centrale, presso un sicomero, nelle cui immediate vicinanze
sorgerà il villaggio «Duca degli Abruzzi »: Giuseppe Scassellati —
consigliere, attore — è al fianco del Grande Pioniere: il Duca. Sono
otto anni di lavoro titanico, durante i quali i giorni delle grandi soddi-
sfazioni non mancano di alternarsi con quelli poco lieti, come quando
nel settembre 1926 una piena dello Scebeli, durata quasi tutto quel-
l’anno, determina in diversi tratti notevoli dannosissimi straripamenti.
Ma Giuseppe Scassellati — il tecnico moralmente responsabile dell'im-

presa — non si avvilisce. Da mattina a sera corre per le varie aziende,

impartendo ordini, facendo esperimenti; e quando a sera inoltrata
dovrebbe riposarsi, si siede a un tavolino e studia e redige relazioni.
E il lavoro non termina mai; dopo messe a cultura di cotone stermi-
nate piane, studia le cause nemiche dello sviluppo della pianta: sta-
bilisce il tempo migliore per il raccolto, l'avvieendamento agricolo;
la lotta contro i parassiti dei quali chiarisce scientificamente la bio-

logia. E mentre provvede alle grandiose piantagioni di cotone si oc-
. cupa della cultura della canna da zucchero per il cui sfruttamento sorge
un immenso zuccherificio: non che del sesamo e degli altri semi oleosi
pei quali viene costruito l’oleificio. E con pieno successo e su vasta
scala aggioga gli Zebù (nome volgare dei gibbosi bovini della Somalia)
addestrandoli ai più svariati lavori agricoli di livellamento, di ara-
tura, di assolcature del terreno. E impianta a Gigliale una stazione
zootecnica allo scopo di introdurre animali miglioratori esotici capaci
di fornire buoi e muletti per il lavoro delle aziende. E il colonizzatore

non dimentica che i coloni non possono in un clima caldo malarico

lavorare con rendimento se manca il conforto necessario alla vita. E
| sorgono palazzine per i capi-aziehda e per gli operai e tucul per gli
indigeni: si tratta di una popolazione di oltre seimila abitanti gravi-
tanti intorno a ben quindici villaggi, oltre il centrale « Duca degli
- Abruzzi ».

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a ——— er regi 180 ' PIETRO PIZZONI

Giuseppe Scassellati ha effuso i dubbi e le certezze, le contrarietà

: , ele soddisfazioni, i dolori e le gioie del titanico lavoro in una continuata

corrispondenza col padre suo, Ing. Luigi, alla cui esperienza di consu-
mato agricoltore non fa inutilmente appello. Ed il vecchio padre, che
ha il vanto della educazione di un cosi degno figlio, conserva le
affettuose espansive lettere con amore religioso. Ci sia consentito
qualche spigolatura a saggio.

Agli inizi — 31 gennaio 1921. « Sorge il villaggio che io ho battez-
«zato col nome del nostro Grande Capo. — Oggi si è alzata al Cielc,
«al vento, a Dio l'antenna con la nostra bandiera ! ».

A metà circa del cammino 2 agosto 1924. «Turbine di lavoro,
«procede tutto con ritmo meraviglioso. Benigna la Divina Provvi-
«denza di avermi concesso l'onore, lorgoglio, il vanto di compiere
«un'opera cosi bella e grandiosa. E sono al mio posto di comando,
« calmo, sereno, sicuro della rotta per il porto sicuro ! » (1).

E dopo quattro anni. « Lavoro da titani se si pensa non tanto alla
«difficoltà intrinseca di tali lavori che del resto in un ambiente come
«questo é stata tutt'altro che lieve, ma specialmente alla immensità
« del territorio sistemato in poco piü di quattro anni (oltre quattro mila
«ettari); alla natura delle terre boscose da bonificare; al grado di per-
«fezione che si é voluto raggiungere; alla difficile organizzazione nel
«tempo e nello spazio dei vari servizi, dei mezzi di opera e delle
« maestranze ».

E presso alla fine. — 2 febbraio 1929. «Il mio lavoro é sovrumano:
«non so neppure io come posso resistere a tanto sforzo ».

E pur troppo, pochi giorni dopo, la notte fra il 20 ed il 21 febbraio
1929 improvvisamente soccombette, lasciando nel dolore, oltre il
vecchio padre, la moglie desolata e tre bambini di cui una nascitura.

E Luigi di Savoia che davanti alla salma ancor calda, comme-
morando con commosse parole le virtù del suo fedele interprete escla-
mava: « La Società Agricola Italo-Somala ha perduto il suo Direttore;
io l'Amico »; appena un anno dopo (19 giugno 1930) inaugurava, nel
centro del Villaggio al Suo nome intitolato, un monumento eseguito
dallo scultore Biscarra, dove una bella epigrafe nel classico latino di
Ettore Stampini dell Università di Torino ricorda ed esalta le qualità
di Giuseppe Scassellati. Alla cui salma, trasportata a Perugia furono
rese solenni onoranze dalla cittadinanza tutta.

| (1) Cfr. GrvusEPPE ScaAssELLATI, La Società Agricola Italo-Somala in
Somalia, Firenze, Istituto Coloniale Italiano, 1926, pag. 34.
SCIENZIATI UMBRI 181

I ZOOLOGI

lito Salviani (1514-1572) da CrrrÀ n1 CasrELLo. Letterato, scrisse una
commedia — «La Ruffiana » — che satireggiante sferzatrice dei corrotti
costumi del tempo ebbe grande popolarità e diffusione nel ’500; medi-
co, professò medicina pratica all’Università Romana; pubblicò opere
relative a questa disciplina; venne dichiarato protomedico del Col-
legio Romano, medico del Conclave ed in ultimo di Giulio III; natu-
ralista studiò gli animali acquatici. L’opera pubblicata su questo argo-
mento, lodata dall’Aldovrandi e dal Redi, è quella che gli procurò.
maggior fama. È intitolata « Aquatilium animalium historia. Cum
eorumdem formis aere escussis ». Ne furono fatte quattro edizioni:
a Roma nel. 1554 e nel 1593; a Venezia nel 1600 e nel 1602; vi sono
descritte 92 specie; di cui tre di molluschi ed il resto di pesci. Il Sal-
‘viani mostra una grande erudizione, citando i passi di tutta gli anti-
chi autori, a cominciare da Aristotele, riferentesi alle specie descritte.
Ma il valore scientifico dell’opera è limitato; le specie non sono illu-
strate con un qualunque ordine metodico: ma ravvicinate secondo i
caratteri esteriori, colla minuta e precisa indicazione per ciascuna di
esse delle sinonimie, abitudini particolari, maniere di pescarli e pre-
pararli; proprietà medicinali ed igieniche etc. etc. E un ‘opera pertanto
che malgrado pregi indiscutibili di descrizione non ha saputo elevarsi
sopra i difetti del suo tempo: quali si riscontrano negli scritti di suoi
contemporanei per esempio il Belon e il Rondolet i due altri grandi
ittiologi del '500. Rimangono sempre interessantissime le 99 meravi-
gliose tavole incise in rame di cui il Gesner e l'Aldovrandi approfitta-
rono per riprodurle in legno nelle loro raccolte (1).
" Ricercatore di gran valore nel campo della anatomia comparata
fu. Ercole Giacomini (1864-1944) di Foricwo (2).
Compì gli studi classici a Spoleto; il corso di medicina a Perugia,

‘Biografia Universale antica e moderna, Venezia, 1829; Enciclopedia Italiana,
alla voce « Salviani Ippolito » redatta da ALBERTO RAZZAUTI; Enciclopedia
Boccardo, U.T.E.T., Torino, idem.

Commemorazione del Socio Ercole Giacomini. « Atti della Accademia Nazionale
dei Lincei », anno CCCXLIII, 1946, Serie ottava, Classe Scienze Fisiche, ma-
tematiche, e naturali, vol. I, fascicolo 7-8, Roma, 1946.

L/'Umbria ne conta pochi ma buoni. Primo da ricordare è Ippo- '
pp

(1) Ctr. C. MARINI, Degli Archiatri Pontifici, Roma, 1784; G. CuviER in

(2) ANTONIO PENNA (professore di anatomia nell'Università di Parma), .
182 : PIETRO PIZZONI

Firenze, Siena, dove nel 1890 si laureò. La migrazione fra diversi cen-
tri di studio era solo apparentemente un vagabondaggio: in realtà
rappresentava la manifestazione della passione per gli studi zoologici
sorta nella sua mente di studente precoce e desiderosa pertanto di
saggiare diverse guide secondo i diversi indirizzi vigenti allora nei
campi della morfologia, fisiologia, embriologia animale nei quali si
esplicó poi così altamente la sua attività di studioso maturo. E così
fu allievo di Andrea Battelli a Perugia; di Alessandro Tafani a Fi-
renze; di Giulio Chiarugi e Stanislao Bianchi a Siena. Conseguita la
libera docenza in anatomia comparata a Pisa nel 1896 ottenne l’in-
carico della zoologia, anatomia e fisiologia comparata prima a Siena
poi-a Perugia (dove chi scrive lo ebbe maestro amato durante la fre-
quenza del suo laboratorio): poi nel 1903, in seguito ad un vittorioso
concorso, sali la cattedra di.anatomia comparata presso l'Università
di Bologna; e la occupò con grande lustro per l'Ateneo Bolognese fino
al suo collocamento a riposo per raggiunti limiti di età nel 1935. E la
morte lo colpi nella amata capitale dell' Emilia, si può dire ancora sulla
breccia; in quanto, costretto ad interrompere la sua attività di inse-
gnante, aveva continuato sempre quella di ricercatore scientifico.
i La quale attività si iniziò nel 1888 (prima quindi ancora della
laurea) con ricerche anatomico-embriologiche sulle glandole salivari
degli uccelli. AUN :
Segui un fondamentale lavoro sulla anatomia mieroscopica del-
l'ovidutto dei Sauropsidi. Documento del suo ben utilizzato soggiorno
nel 1896' presso la Stazione Zoologica di Napoli é una pubblicazione
sulla «istologia dell'ovario dei selaci ». È uno studio molto profondo
anche della ovogenesi, della ovolisi e della formazione dei corpi lutei,
. e che si riconnette ad un altro (pure del 1896) sui corpi lutei veri degli
anfibi e degli uccelli. E queste ricerche permisero al Giacomini con-
clusioni di carattere generale valevoli per tutte le classi dei verte-
brati circa l'espulsione dell'uovo dal follicolo e le simultanee e succes-
sive vicende della cosidetta granulosa. In una complessa serie di la-
vori (perfezionati in due tempi: dal 1891 al 1896 e dal 1905 al 1906)
con grande precisione e ricchezza di particolari il Giacomini espone
le condizioni della gestazione di alcuni rettili e la genesi e morfologia
degli annessi embrionali anche nei confronti degli uccelli e dei mam- -
miferi. E mostra come alcune specie (Anguis, Vipera, Coronella)
sono ben dette ovovipare in quanto si forma un guscio fibroso e non
si stabiliscono connessioni fra uovo e matrice: altre specie invece
(Gongylus, Cyclodus) sono veramente vivipare, formandosi, mediante
erica

-—

SCIENZIATI UMBRI 183

connessioni fra uovo e matrice, un organo placentare, di struttura e
complicazione diversa nelle diverse specié e che nella « Seps chalcides »
giungono alla formazione di una vera e propria placenta allantoidea,
oltre la placenta vitellina.:

Altre ricerche istologiche (dal 1896 al 1900) riguardano la struttura
del tubo digerente dei rettili, del pancreas, delle cosidette glandole

salivart e delle branchie dei petromizonti, non che quelle (del 1898)

sulla innervazione del sistema muscolare dei teleostei, degli anfibi e dei
sauropsidi, e sulle terminazioni nervose nei tendini e fibre muscolari
degli arti degli anfibi. E di particolare valore ed interesse è la memoria

| sull’organo di Jacobson.

Ma il campo nel quale sopratutto primeggia l’attività del Giaco-
mini è quello della endocrinologia comparata, studiata sotto il punto
di vista così morfologico che funzionale. Si tratta di ricerche compiute

sulle « capsule surrenali » prima (1897). degli anfibi; più tardi (1902)
dei ciclostomi, ganoidi e teleostei; ricerche che ne definiscono con

chiarezza le varie parti e ne rilevarono, oltre al resto, la natura glan-
dolare endocrina.

E dal 1902 (proseguite fin oltre il 1912) datano le ricerche sul siste-
ma interrenale e cromaffine dei teleostei e ganoidi con risultati spesso
di assoluto primato su tutti gli altri ricercatori. L'argomento fu da

' Jui ripreso e approfondito dal 1928 al 1934; e l’ultimo suo lavoro (che

porta la data del: 1939) tratta ancora del sistema cromaffine dei
rettili.

Nel campo della endocrinologia morfologica spetta al Giacomini
la scoperta dei corpi postbranchiali dei teleostei dei quali descrisse la
forma e lo sviluppo.

In quello della endocrinologia fisiologica magistrali sono 1 suoi
studi sulla funzione endocrina della tiroide; i cui risultati, di fonda-
mentale importanza sotto l’aspetto biologico, hanno trovato anche
applicazione pratica per gli allevatori; fornendo, tra l’altro, norme e
nozioni preziosissime sulla muta e sul piumaggio dei polli.

Ercole Giacomini fu uomo di onestà esemplare, di modestia sin-

golare. Nell'austera serenità del suo laboratorio raccolse una feconda

messe di risultati sui quali noi non abbiamo potuto fare che una rapida
e non certo completa corsa. Creò una scuola ed agli scolari profuse
tesori di sapere, di esempi, di pratici avvertimenti. Pago delle gioie

famigliari e di quelle della scuola e del suo lavoro, non chiese e non.

ebbe onori speciali e tanto meno cariche lucrose. Unanime però fu in
Italia e fuori il riconoscimento dei suoi alti meriti scientifici. Fu mem-

RE 621 — ccv E HEUS GÉREEDNTU

ul

- -

va 184 PIETRO PIZZONI

bro di parecchie accademie fra le quali vanno ricordate quella dei
Lincei cui appartenne fin dal 1914 e l'Accademia delle Scienze di Bolo-
gna che ebbe l’onore di pubblicare la maggior parte della sua produ-
zione scientifica. La Società italiana delle Scienze dei XL gli assegnò
la medaglia d’oro; uno dei più alti riconoscimenti di benemrenze saien-
tifiche; e la Fondazione Sacchetti di Bologna gli conferì il premio per
il biennio 1930-31, a riconoscimento della sua fama di scienziato ed
insegnante.

Nativo di PERUGIA fu Giulio Trinci (1877-1927). Studiò all’ Univer-
sità di Napoli dove fu allievo del Monticelli e frequentatore assiduo
della Stazione Zoologica, focolaio di studi ed esperienze, alla quale
tornò spesso anche negli anni maturi. Laureatosi, passò assistente
prima a Perugia, poi a Bologna col Giacomini ed alla scuola di questo

‘illustre biologo si educò alla osservazione microscopica paziente e

tenace. Vinta per concorso la cattedra di zoologia della sua Perugia
continuò nella quiete del modesto laboratorio di S. Pietro le ricerche
scientifiche e si dedicò insieme con passione di maestro all’ insegna-
mento: la quale ultima missione rimase sola a soddisfare la sua alta
aspirazione alla scienza, quando i gravi disturbi visivi gli impedirono
l'osservazione microscopica e fino a che le condizioni generali, pur
troppo malgrado l’apparenza progessivamente aggravantesi, non lo
condussero in ancor fresca età alla tomba. Zoologo ed anatomico di
valore, nei molteplici argomenti trattati, dalla biologia dei celenterati
alla fisiologia, morfologia comparata del sistema cromaffine dei Ver-
tebrati o all’analisi dello sviluppo e della maturazione delle cellule
germinative, il Trinci mostrò di saper affrontare con serietà e prepa-
razione adeguate.i problemi più vivi e profondi della biologia generale,
giungendo a risultati costituenti dati sicuramente acquisiti alla
scienza.

E se i lavori riferentesi agli argomenti accennati lo do
abilissimo manipolatore ed osservatore al tavolo del laboratorio, uno
studio su «La derivazione storica, le conquiste e gli orizzonti della
moderna biologia» stampato a Perugia nel 1911 testimonia colla

‘estensione e la profondità della sua cultura generale. le qualità singo-

lari di chiarezza espositiva che lo rendevano maestro ammirato

dalla cattedra (1). i
Enrico Marconi (1861- -1926) nacque a TODI, andi) medicina a Pe-

(1) Titoli didattici e PUNCTI del dott. Giulio Trinci, Perugia, TID:
Perugina, 1911.
SCIENZIATI UMBRI 185

rugia e passò la maggior parte della sua vita a Terni dedito al libero .

esercizio della medicina ed allo studio delle scienze biologiche. Nel
campo délla medicina fondò una vivace rivista scientifica, l’« Umbria
Medica » tutt'ora perdurante; in quello delle scienze, pubblicò, oltre al
resto, due opere che testimoniano una intelligenza originalmente sin-
tetica nutrita di una cultura seria e profonda. E precisamente ]'« Hi-
stoire de l'Involution naturelle » Paris, Maloine, 1915 ed «Il Monismo
dal punto di vista della Involuzione», Terni, 1919. Cercheremo di
riassumerne brevemente l'idea informatrice. Come é noto, due sono le
teorie che si contendono il campo nella spiegazione dello sviluppo della
vita; la creazionista che si basa sul concetto della fissità della specie
e che non potrebbe esser meglio espressa che colle parole del grande
Linneo: « Tot numeramus species quot ab initio creavit Infinitus Ens »;
e la trasformista che ammette la possibilità della trasformazione della
specie e ritiene che le attualmente esistenti non siano quelle che com-
parvero (qualunque ne sia stata l'origine) ab initio, ma quelle che sono
risultate dalle trasformazioni avvenute nel corso del,tempo e nella
estensione dello spazio. La teoria della trasformazione ammette alla
sua volta due ipotesi: quella della evoluzione per cui dal semplice
avrebbe proceduto il complesso e dal meno sarebbe derivato il piit;
e quella della involuzione (meglio direbbesi semplificazione) per cui
dal complesso sarebbe originato il semplice e pertanto dal più il
meno. In sostanza: secondo l'evoluzione, dalla trasformazione pro-
gressiva degli organismi più semplici (come i protozoi e le tallofite
unicellulari) sarebbero provenuti i più complessi (come 1 mammiferi
e le angiosperme); secondo invece l’involuzione, dalla semplificazione
dei primi sarebbero originati i secondi. Il trasformismo è stato finora
evoluzionista, ed i suoi seguaci se diminuiti non sono scomparsi; se
anche la fede ne è rimasta scossa dalla molteplicità e diversità delle
ipotesi (lamarkismo, darvinismo; mutazioni; ologenesi; polifilogenesi)
succedutesi per spiegare il meccanismo delle trasformazioni. Del tra-
sformismo involuzionista qualche vago accenno rimonta a Buffon
(on pourra dire également que le singe est de la famille de l'homme,
ou que c'est un homme degeneré); e più recentemente se ne trovano
traccie nelle opere di Federico Delpino e di Odoardo Beccari per quanto
riguarda i vegetali. Ma chi lo sviluppò con larga concezione ed ampiezza
di illustrazioni fu Enrico Marconi nell’« Histoire de l’Involution natu-
relle». Non ci è possibile entrare nella disamina di quest’opera poderosa
e degli argomenti portati dal Marconi a sostegno della sua tesi; diremo
sommariamente come per lui negli organismi la filogenia procede rt — 80 TON Rand

186 PIETRO PIZZONI

f

dal complesso al semplice e. non. viceversa; e che se sono oggetto di
ipotesi le trasformazioni progressive, costituiscono invece inoppugna-
bili constatazioni (specie nell'ambiente parassitario) molti regressi,
semplificazioni, riduzioni, sparizioni di organi e di funzioni. L'opera
del Marconi, é stata oggetto di discussioni ed ha avuto ed ha ammira-
tori e seguaci: tra questi il prof. Mattei della Università di Messina che
la ha applicata genialmente anche al Regno Vegetale. Degli oppositori
ci limiteremo a riportare il giudizio del forse più autorevole fra essi,
l’Haekel, il pontefice massimo dell'evoluzionismo che, come è noto, .
si illudeva di aver ritrovato e fissato gli alberi genealogici progressivi
di tutti i gruppi e sottogruppi del Regno animale. Ebbene, letta l’opu-
ra del Marconi ne rimase fortemente scosso e la dichiarò « dottissima
e degna della più alta considerazione ». E al Marconi inviò il suo ri-
tratto con la seguente dedica scritta in italiano: « All'Autore dottis-
simo dell’« Histoire de l’involution naturelle» Ernesto Haeckel in se-
gno di grande rispetto. Iena, 4 aprile 1915 » (1).

In appendice ai Zoologi crediamo doveroso ricordare una isti-
tuzione dovuta ad un vivente ma di carattere permanente: e cioè
la Stazione idrobiologica fondata nel 1921 sulle rive del Trasimeno
dalla R. Università di Perugia per opera di un suo illustre docente il
prof. Osvaldo Polimanti di OrRIcoLI. La stazione è provveduta dei
principali istrumenti per l’esame fisico-chimico e biologico dei laghi;
di un piccolo osservatorio metereologico, non che di tutta l’attrezza-
tura indispensabile per le esplorazioni e la pesca alle varie profondità.
La Stazione è frequentata da zoologi italiani e stranieri alcuni dei
quali vi hanno soggiornato anche a lungo a scopo di studio: e molto
materiale, specialmente planetonico, è stato spedito e si spedisce ai
ricercatori di ogni nazione. Il Direttore poi e i suoi collaboratori hanno
pubblicato interessanti lavori sopra argomenti limnologici. Lo studio
del plancton e dei pesci popolanti il lago in rapporto alla distribuzione
al regime alimentare, ai periodi riproduttivi ha uno scopo non solo
scientifico ma anche pratico nei riguardi del commercio. L’avvenire
non potrà mancare ad una così utile istituzione (2).

(1) Cfr. «L'Umbria Medica », Rivista di Medicina e Scienze per Enrico
Marconi, n. 68, giugno-luglio 1926, Terni, Tip. Visconti; MATTEI G. E., Nuova
Teoria Bioiogica (L'involuzione) contenuto nell’« Umbria Medica», n. 3 e
seg. dell'anno 1935. — Il Marconi studió medicina a Perugia come risulta dagli
« Annuari dell'Università del 1881-82,1882-83; 1883-84 dove è notato l'esito
brillantissimo dei suoi esami.

(2) Cfr. PAsQUALE PaAsQouiNr, La stazione idrobiologica del Trasimeno in
SCIENZIATI UMBRI . 187

E sempre in appendice ai zoologi ci .sia permesso ricordare due
eminenti fisiologi — Francesco Bonucci e Luigi Severini — che pur.
nella diversità degli indirizzi seguiti — psicologico l'uno: sperimentale

l'altro — hanno lasciato traccie non facilmente dimenticabili nel cam- ,'

po delle scienze fisiologiche, così intime mente legate alle zoologiche.
Sommo psicologo, distinto psichiatra, dotto fisiologo fu Fran-
cesco Bonucci (1826-1869) di PERUGIA. Laureatosi in medicina mandò
di pari passo lo studio delle scienze: mediche da una parte, psico-
logiche e razionali dall’altra. Del resto la condizione del tempo in cui
studiò, lo stato. della medicina italiana in quell'epoca e una grave
malattia degli occhi che per lungo tempo gli rese impossibile l'osser-
vazjone e l'esperimento spingevano fatalmente il suo intelletto poten-
temente sintetico a dare agli studi fisiologici un indirizzo psicologico;
sulla base delle conoscenze aristoteliche e platoniche, ma soprattutto
delle dottrine del sommo Rosmini della cui antropologia specialmente
fu studiosissimo. Prima ancora di succedere a Cesare Massari nella
direzione del Manicomio provinciale di Perugia, egli, dedicatosi alla
psichiatria, fu addetto in quell'istituto alla cura degli alienati. E
la sua prima pubblicazione in argomento — a 26 anni — « Fisiologia e
patologia dell'anima umana» Firenze. Tip. Cecchi, volumi due, è del
1852. Premessa una descrizione dell'anima umana quale egli la con-
cepiva in armonia alle dottrine sopra accennate — esistenza nell'uomo
di un principio formale o anima dotata di facoltà distinte in facoltà
di costruzione (intuito, percezione, ragione) e facoltà di espansione
(sentimento, volontà, libero arbitrio, memoria) — passa a trattare
delle alienazioni mentali le quali gli apparvero un difetto della libertà
implicante o no la perdita della ragione; e da distinguersi in qualita-
tive e quantitative. Qualitative sono i deliri, risolventesi in un per-
vertimento di ogni azione morale. Le quantitative consistono in un
difetto delle facoltà fondamentali sopraddette, che se acquisito é
stupidità o demenza: se trasmesso e ereditato, imbecillità, idiotismo,
| cretinismo. Cori vivi e precisi colori egli dipinge le varie forme di alia-
nazione: il portamento affaecendato e ridicolo del folle; l'agitazione
impetuosa e furibonda del maniaco; il contrasto ostinato del monoma-
niaco fra gli istinti, la ragione e l'arbitrio; la perplessità, la svoglia-
tezza e il triste concentramento del lipemaniaco. I due volumi ebbero

Monte del Lago (Umbria), in « Rivista di Biologia di Perugia », (Tip del Senato,
Roma,), vol. VI, fasc. IV e V del 1924. — Mentre correggiamo le bozze di
queste note apprendiamo la dolorosa notizia della morte del prof. Polimanti.
———— coi E EM a — =rTeoetie

188 PIETRO PIZZONI

Ber a quei tempi molta diffusione; e per comune consentimento nessun
dip altro in Italia, fino allora, (tranne forse il Chiarugi) aveva saputo ri-
uc trarre più fedelmente dalle ingenue dimostrazioni della DAPUTS i vari
sconvolgimenti dell'animo. I
Nominato nel 1856 Direttore del Manicomio consacró tutto sé i
stesso alle cure ed allo studio dei dementi e li assisté e seguì con una
carità immensa così da concedere agli alienati la maggior possibile
libertà. E colle statistiche alla mano (contenute nelle « Relazioni
triennali del Manicomio di Santa Margherita», volume 3, Perugia 1861-
1864-1867) dimostrò quanto l’assistenza indefessa, gli amorevoli
trattamenti, le divagazioni, il lavoro adeguato siano efficaci a ricon-
durre quegli sventurati alla ragione, o almeno a mantenerli nell’or-
dine e nella tranquillità. |
Nel 1860 fu dal Marchese Pepoli, R. Commissario per l'Umbria
allora unita.all'Italia, chiamato a coprire la cattedra di fisiologia
nella patria Università. Egli aveva fin dal 1859 pubblicato il « Som-
mario di fisiologia dell' Uomo » in un volume del quale fece nel 1868
una seconda edizione. Per le ragioni già addotte sarebbe inutile cer-
care in quest'opera scoperte o esperienze di fenomeni biologici 1 quali
del resto non sono trascurati; in quanto una larga messe il Bonucci
ne raccoglie e coordina colle sue concezioni vitalistiche — riunenti
in un'unica sintesi la vita morale e corporea — dalle opere degli allora
più reputati sperimentatori quali il Louget, lo Schiff., il Moleschott,
il Vierodott, ete. La coordinazione, del resto, è fatta in modo vera-
mente sapiente: da una parte nessuna opinione è emessa e sostenuta
che non sia tirata dai fatti o in accordo con essi: dall’altra, appunto
per questo ha facile vittoria su quei colleghi che, spinti invece dalla
tendenza opposta a sorpassare i limiti della fisiologia sperimentale,
riguardano i fatti psichici come pure forme esteriori di processi ma-
teriali; avventurandosi a combattere in un campo (la psicologia), ;
che non é il loro, e del quale pertanto non conoscono le armi, ben di-
verse da quelle a loro famigliari della osservazione e dello esperi-
mento. In sostanza il Bonucci dall'armonia intercedente fra la varietà,
e la singolarità delle azioni ne deduce la esistenza di una più alta e
universale unità; e questa che fu la sostanza della sua vita scientifica
volle riaffermare in un'altra operetta pubblicata negli ultimi anni
della sua pur troppo breve vita: « Principi di Antropologia e fisiologia
morale dell'Uomo », Perugia, 1866.
, La quale operetta si collega con un'altra sua precedente pubbli-
cazione: « Medicina legale delle alienazioni mentali » Perugia, 1863,
SCIENZIATI UMBRI . 189

che è uno studio per riconoscere e definire le qualità del turbamento
morale e ricercare i modi e i limiti della offesa alla libertà umana. In
queste due opere il Bonucci — scrive Arturo Castiglioni nella sua « Storia
della Medicina» (Milano, Mondadori, 1936, pag. 626) — «sostenne
« coraggiosamente la tesi della irresponsabilità dei maniaci, dei melan-
«conici, degli idioti, e affermò per ‘il primo che anche altre malattie
«psichiche, come l’isterismo, l’ipocondria, l’epilessia diminuiscono
«notevolmente la responsabilità penale ».

Universali furono le lodi che specialmente la seconda pubblica-
zione raccolse in Italia e all'estero: fra gli altri il celebre alienista frari-
cese Brierre de Boismonut ne fece una lusinghiera recensione,
augurandone la versione in francese. E del resto tutte le sue pubbli-
cazioni furono recensite con molta lode da periodici italiani e stranieri.

Questo lo scienziato. Come uomo, bontà e carità vera; modestia
nella sapienza; saldezza nelle amicizie; affettuosità nella propria
famiglia; amore di patria disinteressato lo fecero caro in vita, com-
pianto e desiderato quando la morte lo colse pur troppo immatura-
mente a 43 anni (1).

Degno successore di Francesco Bonucci fu Luigi Severini (1836-
1884) nativo anch'egli e affezionato in sommo grado alla. sua Perugia.
Seguì in patria gli studi secondari e i primi quattro anni di medicine;
si recò poi nel 1858 a Roma per ultimare il corso e laurearsi. Tornato
a Perugia, coprì per tre anni il posto di assistente all'Ospedale; men-
tre nel medesimo tempo attese da una parte, espertissimo nelle lingue
straniere, a mettersi in contatto col movimento scientifico estero spe-
cialmente germanico e dall’altra a illustrare con pregiate memorie al-
cuni fatti morbosi (cancro encefaloide del polmone; tubercolosi del
cervelletto; malattia di Addison) occorsegli nell’esercizio della profes-
sione. Negli anni 1865 e 1866 fu a perfezionarsi a Firenze alla scuola

di Giorgio Pellizzari per l’Anatomia patologica e di Maurizio Schiff.

per la fisiologia sperimentale. Tornato a Perugia fu nel patrio Ateneo

(1) Cfr. SEvERINI-prof. LuIGi, Elogio funebre del prof. Cav. Francesco
Bonucci, Perugia, Tip. Boncompagni, 1864.

Il Brierre de Boismont, qui sopra ricordato, concepì del Bonucci altissima
stima fin dal primo lavoro, da noi ricordato, di quest’ultimo: La Fisiologia e la
patologia dell'anima umana, pubblicazione di cui il Brierre fece una lusin ghiera
estesa presentazione all’Accademia medico-psicologica di Francia che, in questa
occasione, proclamò il Bonucci alla unanimità « Socio straniero della Società ».
Cfr. « Annales Medico-psycologiques », Juillet 1863 e « Giornale Scientifico-let-
terario di Perugia », 1863, Dispensa 43, pag. 306-312.

- -

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cur ot ety EDD ARD Vea:



Pi
190. PIETRO PIZZONI

incaricato di anatomia patologica e poi nel 1868 di fisiologia, prima
come supplente del titolare Bonucci infermatosi e in seguito, alla
morte del maestro, come straordinario nel 1869 e ordinario nel 1875.
Come ne fa testimonianza una lapide muratavi dopo la sua morte, il
Severini fu il fondatore del laboratorio di fisiologia nella Università
perugina. Oltre ottanta furono gli apparecchi da lui procurati, in
parte con fondi ottenuti dall'amministrazione universitaria, nel resto
coi denari suoi. E morendo — si trattava del valore allora cospicuo
di parecchie migliaia di lire — tutto legò al laboratorio. E gli apparec-

' chi risultarono utili non solo per l'insegnamento, ma anche pei magi-

strali lavori dei quali, esperimentando attraverso essi, arricchì la
scienza. La sua attività principale di fisiologo si esercitò sulla funzione
che i gas respiratori (ossigeno e anidride carbonica) esplicano su quella
parte del sistema nervoso che ramificandosi nei vasi circolatori ne .
determina e regola la dilatazione e contrazione. La prima sua memo-
ria in proposito: «Dell'azione dell’ossigeno atomico nella vita dei
nervi» è del 1873 e gli procurò il premio Aldini (mille e duecento lire,
grossa somma in quei tempi evidentemente più fortunati degli odierni)
conferitagli dall’ Accademia delle Scienze di Bologna; segui nel 1878
la breve nota « Sulla sede, sulle leggi delle combustioni animali e sulla
influenza regolatrice esercitatavi dal sistema nervoso »; e nello stesso
anno il lavoro più poderoso dal titolo « Ricerche sulla innervazione
dei vasi sanguigni». Tutte poi queste pubblicazioni furono riassunte
nel 1881 nel volume: « La contrattilità dei capillari in relazione ai due
gas dello scambio materiale ». In sostanza la teoria sostenuta e di-
mostrata dal Severini si riduce ad affermare ché « mentre l'ossigeno
«ha la proprietà di restringere il lume dei vasi capillari, all'opposto
«la CO, ne ingrandisce il lume. Per lo che secondo il concetto ultimo
«risultante da tali ricerche, la CO:, prodotto delle combustioni conti-

«nuamente operantesi in seno agli elementi cellulari, sarebbe il me-

« dium per il quale le cellule regolerebbero da loro medesime la pro-
«pria quantità di sangue, per un mirabile processo di meccanica teleo-
«logica ». La teoria del Severini fu presa in considerazione dal mondo
scientifico e obbiezioni sorsero specialmente dai fisiologi inglesi Roy
e Brown i quali in un lavoro sulla pressione del sangue del 1880, men-
tre erano ben disposti ad accettare la sua teoria sull'azione dei gas
respiratori e sulle variazioni dei capillari, confessavano peró di non
esser riusciti a riprodurre le osservazioni microscopiche descritte dal
Severini. Infatti questi aveva proceduto in pieno parallelismo fra
osservazioni microscopiche e esperienze fisiologiche. Egli allora si
SCIENZIATI UMBRI 191

fece a ripeterle, circondandole a scanso di ogni errore di nuove e mag-
giori cautele, e riuscì a convincere il mondo degli scienziati che «il
«restringimento del lume dei capillari per l’azione dell'O ed il loro
«ampliamento per quello della CO; non eran semplici apparenze,
«cambiamenti puramente ottici, capaci di trarre in errore: ma veri
«stati attivi della parete contrattile dei capillari atti ad influenzare
«la corrente sanguigna, rilevati da analoghe differenze nelle resi-
«stenze da essi opposte al sangue circolante ». In realtà per quanto
riguardava le osservazioni microsco piche la riproduzione ne era difficile
per le condizioni e cautele da osservare. Ma quando gli esperimenta-
tori si conformarono ai suggerimenti del Severini ci riuscirono e le
confermarono. Lo Schiff poi (già ricordato suo Maestro) tenne un
metodo differente e ottenne così per via diversa la conferma della sco-
perta del fisiologo perugino: «avendo egli nelle rane riscontrato per
l’acido carbonico la contrazione e per l'ossigeno la espansione delle
masse protoplasmatiche ».

E la teoria del Severini sul meccanismo di dilatazione dei vasi i fu
accolta con favore non solo in generale dai fisiologi ma anche dai clinici.

suntivo delle sue classiche esperienze, il Severini non cessò di studiare
sotto punti di vista sempre nuovi e diversi il problema della influenza
dei gas respiratori sul sistema circolatorio. Pur troppo questi lavori
furono interrotti dal lento morbo vertebrale che troncó a 48. anni
quella nobile esistenza.
E il suo ammirato biografo R. Adriani (1) suo successore nella
. direzione dell'Ospedale psichiatrico (da cui abbiamo tolte molte di
queste notizie, non che le sopra riportate citazioni), afferma che «egli
era per proporre una diversa teoria della innervazione del cuore »;
e che avrebbe trattato sotto un punto di vista nuovo «la questione
della periodicità funzionale del respiro ».
Nel 1882 aveva vinto il concorso per professore ordinario nella
R. Università di Siena: gradino sicuro per una ascesa alle primarie
Università del Regno. Ma affezionato alla sua patria non volle la-
sciare la cattedra modesta da lui così altamente illustrata nella allora
Libera Università di Perugia, dove una lapide lo ricorda anche

oggi.

(1) Cfr. R. ADRIANI, Biografia di Luigi Severini, « Annuario della Libera
Università di Perugia », 1884-85, pag. 43. Luigi Severini era lo zio del dott.
Giuseppe Severini ricordato fra i botanici.

Anche dopo la pubblicazione nel 1881 del ricordato volume rias- -

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PIETRO PIZZONI

‘GLI IDRAULICI. ED I GEOLOGI

FoLiGno vanta grandi idraulici. Francesco Iacobilli (1510-1575),
zio dello storico Ludovico, è passato alla storia come il primo bonifi-
catore di una notevolissima porzione della palude allora circon-
dante Foligno. Si ignora quali studi compisse: ma dalla natura della
sua attività si rivela un idraulico. Investito di importanti uffici pub-
blici ebbe incarichi di fiducia dal Comune della sua città natale e dal
Governo Pontificio nell’Umbria e fuori: uomo di iniziativa attese a
grandi affari, e tra l’altro condusse per molti anni dalla Camera Apo-
stolica l’appalto delle Cave di allume alla Tolfa presso Civitavecchia.
Ciò spiega le considerevoli ricchezze accumulate; in grazia delle quali
egli si potè azzardare alla corraggiosa impresa (1563-1566) della boni-
fica della zona orientale delle paludi folignate. Cominciò infatti dal-

l’acquistare i paduli che aveva in animo di bonificare e che il nepote
Ludovico ci dice abbracciassero « 14 mila stara di terre nel territorio
di Foligno e un'altra tanta terra nei territori di Trevi e Montefalco ».
E sempre il nepote Ludovico ci fa sapere che «fattevi grossissime
« spese in far forme e fossi e ridurre l'acque vive in esse forme e più ponti
« e fabbriche » (in fine del 1653), ridusse a disecatione-li detti paduli...
«causando buon aria in questi tre paesi che per avanti era molto cat-
«tiva per l’acque morte e viellami (sic) che erano in essi paduli an-
«dandovi colle barche ». D. Angelo Messini (dalla cui interessante
monografia sulla Bonifica idraulica del piano folignate stampata in
Foligno nel 1942 togliamo queste notizie) osserva come «non sia pos-
«sibile individuare topograficamente le opere eseguite in questa boni-
«fica e ricostruire i criteri tecnici ed il metodo del lavoro, non essen-
«doci pervenuto nemmeno in minima parte il materiale documenta-
«rio grafico necessario ». Ma la documentazione é piü che sufficiente
per affermare con tutta certezza che la zona orientale del piano di
«Foligno fu tolta all'acquitrino e alla malaria e definitivamente re-
« denta tra il 1563 e il 1566 » per merito ed opera ,del Iacobilli coadiu-
vato dal Comune e dal Governo Pontificio coi quali fu in relazione di
dipendenza nel corso di questi lavori (1). |
Altro idraulico folignate fu il sacerdote Pietro Petroni inizialmente

(1) Cfr. D. ANcELO MEssINI, Il fiume Topino e la bonifica idraulica del
piano folignate attraverso i secoli, Tip. Sbrozzi, Foligno, pag. 39 e seg.
SCIENZIATI UMBRI. . 193

arciprete di Cannara che il Iacobilli ricorda come Architetto insigne
della Republica di Venezia dove morì nel 1648 e dove pubblicò molte
opere sopra la Architettura e misura delle acque (1).

‘Più precise notizie la monografia sopra ricordata di D. Angelo
Messini ci fornisce di Antonio Rutili Gentili (1799-1850) il sistematore
del corso del Topino. Nato a Giano DELL'UMBRIA fu portato a Fo-
ligno ancora fanciullo dove frequentando le scuole pubbliche si distinse
specialmente nelle scienze matematiche e fisiche sotto la guida del-
l'Abate Antonio Bernardini reputatissimo maestro di queste disci-
pline. Passò a perfezionarsi a Roma ove fu carissimo al grande concit-
tadino Feliciano Scarpellini e dove nel 1832 fu iscritto all’albo degli
Ingegneri dello Stato Pontificio. L’aver preso parte nel 1832 (come
membro del Comitato provvisorio formatosi a Foligno) ad un moto
insurrezionale (durato del resto poco più di un mese) per l’indipendenza
di Italia non gli procurò serie noie; ed il Governo Pontificio che meri-
tatamente lo apprezzava lo chiamò ad elevati uffici, prima a Roma
come membro della Commissione per la revisione del nuovo estimo
censuario; poi a Foligno come ingegnere della Prefettura delle Acque.
E in questa qualità egli cominciò ad occuparsi del Topino ed ebbe
l’incarico di redigere il progetto di sistemazione dell’alveo. Concessa
| la costituzione da Pio IX, rappresentò alla Camera Foligno: non fece
però parte della Costituente succeduta; ma, ritiratosi a vita privata,
si spense in Roma nel 1850. Foligno, oltre dedicargli una via, volle
riportarne in patria la salma riesumata dal Verano.di Roma, de-
corando la nuova tomba di un monumento. L’opera del Rutili nella
sistemazione del Topino fu veramente grandiosa per la importanza
dei lavori eseguiti e per la larghezza della loro concezione sotto l'aspetto
tecnico ed economico. Il progetto, conservato ancora nell'Archivio
del Consorzio idraulico del Topino (costituitosi appositamente nel
1842), risulta di 275 pagine manoscritte; oltre i disegni. L'attuazione
(1844-1857) richiese tredici anni; chi gli successe nella direzione dei
lavori nel 1850 non fece che applicare le direttive già da lui fissate. Il
Rutili fu anche appassionato geologo: disertó sui terremoti della sua
Foligno; scrisse sui sollevamenti dell'Appennino: studió la costitu-
zione geologica dell'Umbria e tentò farne una carta. (2).

Di GuBBIO è da ricordare Felice Accoramboni vissuto nel secolo
XVI, Zio della poetessa Vittoria; del quale rimane un'opera « Sul flusso

(1) Cfr. Pietro Petroni in JACOBILLI, op. cit., pag. 175.
(2) Cfr. MessinI, Il fiume Topino, ecc. opera citata pag. 92.
194 ‘PIETRO PIZZONI

e riflusso del mare » (1); non che G. B. Passeri il quale scrisse « Della
storia dei fossili dell'agro pesarese », Bologna, 1775. In quest'opera,
molto lodata dal Brocchi, il Passeri riferisce anche delle sue esplorazioni
sui monti di Cesi e di Spoleto da lui visitati quando era a Terni insieme
a suo padre, protomedico in quest’ultima città (2).

‘Nativi di TERNI furono: Onofrio Castelli (1570-1613) discepolo di
Galileo a Padova che studioso di idraulica compose una memoria
(conservata manoscritta nella Biblioteca Vaticana) sulla «Caduta
delle Marmore » e un volume sulla « Distribuzione universale della
Architettura dei fiumi e delle altre acque » (3); e nella prima metà del
secolo xix Giuseppe Riccardi che pubblicò « Ricerche istoriche e fisiche
sulla caduta delle Marmore e osservazioni sulle adiacenze di Terni »,
Spoleto, 1818. Di quest'opera furono fatte almeno sei edizioni: l'ul-

tima nel 1837 a Terni per tipi Possenti (4).

PeRUGIA vanta un uomo di grande valore nell'Ing. Serafino Ca-
lindri (1733-1811) che ebbe trentacinque figliuoli; due mogli, onori e
disinganni, e fattosi sacerdote morì modesto parroco nella Badia di
S. Cristoforo in diocesi di Città della Pieve. Giovane fu a Roma
allievo del Vanvitelli e del Padre Boscovich. Fu in corrispondenza
con il Lalande cui dedicò una « Raccolta di cose osservabili in varie

‘città d’Italia con disegni e piante » stampata a Parigi. Negli studi mate-

matici-architettonici predilesse le applicazioni idrostatiche, idrauliche,
idrometriche; sulle quali fece osservazioni nello Stato Pontificio e a
Cheboury in Francia, alla direzione del cui porto lo aveva nominato
Luigi XV dietro presentazione del P. Boscovich. Il Granduca di To-
scana lo utilizzò e premiò per operazioni nella Maremma di Grosseto.

Si occupò anche di Diplomazia e dagli archivi di Firenze, Lucca, Pisa,

Nonantola e Bologna trasse copie di più centinaia di carte diplomati-
che e pergamene destinate ad integrare e correggere le opere del Mu-
ratori e del Tiraboschi. Fra le numerose opere di carattere geologico
o affine ricorderemo: « Parere per aprire un sicuro corso alle acque con-
tenziose del Reno », Venezia; « Sul porto di Rimini », 1768; « Lettere

varie su scoperte di fossili, vulcani, testacei e loro nalura », Venezia,

(1) Cfr. Accoramboni in BATTELLI, Op. cit., pag. 8.

(2) Cfr. Passeri in R. MELI, Appunti sopra alcuni lembi di Lias rosso
ammonitico nei dintorni di Narni, Roma, Tip. Cuggiani, 1917, pag. 58 (Estratto
dal « Bollettino della Società Geologica Italiana », vol. XXXVI, 1912).

(3) Cfr. OnoFRIO CASTEL in Biblioteca Vaia Fondo Barberini,
cod. XLVIII, 145.

(4) Cir. G. Riccardi in R. MELI, op. cit., pag. 59.
SCIENZIATI UMBRI 195

1775; «Dizionario coreografico delle Montagne e colline del territorio
Bolognese »; « Trattato delle Montagne e loro struttura »; « Memorie
per ridurre il padule di Pescara a laguna e di acqua da pesca alla ma-

niera di Comacchio »; Lasciò poi manoscritto in diciassette volumi’ N-
un « Dizionario corografico, storico dello Stato Pontificio e di tutte le i |
Città, terre, Castelli, e luoghi di rimarco ». Quest'opera di un interesse - ie M

singolare si credeva perduta ed é invece conservata manoscritta nella
Biblioteca dell'Archigiunasio di Bologna (1). |. . i «v.
E sembra se ne giovasse il figlio di Serafino, Gabriele Calindri il Wu
quale, perito agrimensore ed ingegnere pubblicò un voluminoso : lj
« Saggio Statistico Geografico Storico dello Stato Pontificio », Perugia, |
Santucci, 1824-1832. Gabriele ebbe fama e fu realmente dotto ed
esperto -e se la maldicenze volle che traesse dal Padre non solo l'idea
ma anche parte del contenuto del suo « Saggio » e sia riuscito talvolta
scorretto è certo però che non mancò di fare studi seri e compiere con-
statazioni accurate per conto proprio. Seguiva in ciò l’incitamento
del -Padre che non senza forse cognizione di causa in una lettera
rimasta inedita, fra l’altro, gli scriveva: «vorrei che senza interamente
fidarvi delle cose stampate vi gettaste in breccio alla natura» (2).
Un terzo Calindri, Ugo (1804-1871) figlio di Gabriele (da cui nacque
occasionalmente a Sassoferrato), non va dimenticato. Laureatosi in
Scienze fisiche e matematiche a Perugia attese all’insegnamento
agrario a Pesaro e a lavori catastali nello Stato Pontificio, pei quelli :
Pio IX lo decorò con medaglia d’oro di prima ‘grandezza. Coinvolto
nei moti politici del 1849 (fu Prefetto di Pesaro) dové emigrare a
Torino, asilo di tutti gli esuli:patriotti italiani che poveri ma integri 3
vi trovavano da vivere del loro lavoro all'ombra della liberale Mo- MI
narchia Sabauda. Fattosi ben presto apprezzare per il suo valore ED
professionale, il Conte.di Cavour e Massimo d'Azeglio lo indicarono
al Governo del Principato di Vallachia per l'esecuzione di grandiosi
lavori di bonifica Agraria. E il Calindri vi si recó (1851); ma pur |
troppo la sopravvenuta Guerra d'Oriente troncó, con grave suo : d | n
danno, tutto il lavoro fatto; ed egli se ne tornó in Piemonte, fissan- |
dosi a Genova (1854). Dove per incarico del Signor de Lesseps attese nd î
a propangandare in Italia l'impresa del taglio dell'Istmo di Suez; diri- *
gendo dal 1856 fino alla sua cessazione nel 1860 il « Bollettino de- i 3
l'Istmo di Suez », e traducendo in italiano l'opera del Lesseps « Aper- N^

"

T

e e-^ nct y DU REUS SEI

(1) Cfr. S. Calindri in VERMIGLIOLI, Op, cit. |. ur i d
(2) Cfr. Gabriele Calindri in BATTELLI, op. cit., pag. 15.
orient

196 PIETRO PIZZONI

tura e canalizzazione dell'Istmo di Suez » Torino, U.T.E.T., 1856. Si -

tratta di un grosso volume di 508 pagine con annesse tavole e grafici
destinato alla volgarizzazione di un’opera grandiosa ancora in progetto
nel quale articoli e note illustrative del traduttore mettono, tra l’altro,

in evidenza l'apporto italiano. E così vi sono ricordati (pagg. 337-339) -

il ministro dei Lavori pubblici dello Stato Sardo Ing. Paleocapa ed il

.direttore dei lavori pubblici pel Lombardo-Veneto Ing. De Negrelli

che in rappresentanza degli interessi il primo di Genova, il secondo
dei porti dell'Adriatico furono chiamati a far parte per l'Italia della
«Commissione Scientifica internazionale per il taglio e canale marit-
timo dell’istmo di Suez ». E del Negrelli il Calindri fa risaltare che si

"era occupato, indipendentemente dal Lesseps, della questione fin dal

1846, con un progetto di canalizzazione da Suez al Nilo presso il
Cairo e di qui al porto di Alessandria.

Tornato a Perugia nel 1860 vi coprì importanti incarichi, tra l'al-
tro, come Direttore del Censo e del Catasto nell'Umbria. E l'Uni-
versità lo volle professore aggregato alla Facoltà di Scienze fisiche
e matematiche (1).

- Raffaele Gambini, anch'esso di Perugia scrisse tre dissertazioni
(Perugia, Santucci, 1826) sul Trasimeno di cui misurò il perimetro

e le profondità e.studió il regime e i caratteri geologici. Dalla età
pliocenica dei fossili rinvenuti a Pozzuolo e Castiglione deduce che lo -

sprofondamento - del lago è posteriore alla formazione dei monti
circostanti e attribuisce ai sedimenti terrosi del periodo diluviale la
separazione dei bacini del Chiana e del Trasimeno (2).

Di questioni idrauliche, ferroviarie, statistiche si occupò, nell’ ul-
timo periodo dell’agitata sua vita Francesco Francesconi (3) di
TREVI (1823-1892). Compiuti i primi studi nel locale Collegio Lucarini,
venne a Perugia dove a 23 anni si laureò in utroque, in filosofia, in
matematica ed in teologia. Insegnò poi filosofia al Collegio della Sa.
pienza in Perugia, al Seminario di Spoleto, al Collegio Rosi di Spello-
Fu amieissimo del Rosmini di cui fece stampare a Perugia dal Bar-
telli « Le cinque piaghe della Chiesa » aggiungendovi (pare all’insaputa

(1) Le notizie relative ad Ugo Calindri le devo alla cortesia delle nepoti
Signorine Giannina e Caterina Calindri che mi hanno permesso di consultare i

. loro ricordi di famiglia e che mi è grato di qui ringraziare.

(2) Cfr. Raffaele Gambini in BATTELLI, 0p, cit., pag. 14.

(3) G. AaosTIN1, Memorie del cav. prof. Francesco Francesconi, Politico,

Filosofo e Cittadino benemerito, Foligno, Tip. Artigianelli, 1892.

Wo SCIENZIATI UMBRI 197

del Rosmini) le due lettere sulle elezioni vescovili; e trovò il modo, an-

‘dato a Roma, di metterle per la prima volta sotto gli occhi di Pio IX.
‘Nel '48 a Roma, assieme a Rosmini, specialmente come scrittore di
giornali politici, si adoperò per la riuscita della allora in progetto ,

«Confederazione italiana » fra Roma, Firenze, Torino. Fu allora in
relazione col P. Gavazzi e col. P. Ventura; e da Roma era l’informatore
di Tommaseo in quel torno di tempo a Venezia. Lavorò poi più tardi
con Massimo d'Azeglio e ne fu il suo propagandista nell'Umbria. No-
minato nel 1860 Rettore del Collegio della Sapienza in Perugia, vi
dimorò fino al.1870, epoca in cui si ritirò definitivamente nella nativa

- Trevi.

A Perugia portò il contributo del suo versatile ingegno nelle più
importanti delle questioni che in quell'inizio di fusione dell'Umbria
col nuovo Regno interessavano la regione ed il suo capoluogo.

Prima di tutto la questione ferroviaria. Per una convenzione fir-
mata il 23 febbraio 1861 tra il Governo di Torino e Ja Società delle
Strade ferrate livornesi, quest’ultima doveva condurre a termine la
ferrovia da Firenze per Arezzo ad Ancona nei « pressi » di Perugia:
frase quest'ultima che la Società interpretava in modo cosi largo da
lasciare appartatissimo il Capoluogo della Provincia. Per incarico del
Municipio di Perugia il Francesconi fece lunghi studi e accurate ricer-
che, condensate nelle seguenti memorie: -

19) « Sulla ferrovia di Perugia» (Giornale scientifico letterario di
Perugia, 1861);

29) « Sulla prosecuzione della ferrovia aretina nei pressi di Peru-
gia fino all'incontro della Roma-Ancona », 1861);

39) « Sulla prosecuzione della ferrovia aretina nei pressi di Pe-
rugia (Sunti e documenti)», 1862.

Il risultato della dibattuta questione (del quale il Municipio gli si
mostrò con pubbliche attestazioni gratissimo) fu che la ferrovia toccò
quasi Perugia, mettendola in comunicazione diretta con Roma e
Firenze.

- Del Trasimeno si occupò circa il 1862, quando cominciò ad agi-
tarsi la questione del prosciugamento del Lago; cosa non vista di
buon occhio dai nostri antenati del tempo, timorosi che per tentare
ricchezze per lo meno incerte non si alterassero o peggio distruggessero
le certe esistenti e che ad ogni modo interessi morali ed igienici non
risultassero danneggiati o peggio soffocati dai materiali sperati. Dagli
enti morali del tempo con a capo il Municipio di Perugia venne no-
minata una commissione di cui fu magna pars il Francesconi il quale 198 PIETRO PIZZONI

nel 1864 stampò un voluminoso libro dal titolo « Il Prosciugamento del -
Trasimeno »; non che in seguito altre memorie (« Sul prosciugamento
del Trasimeno », 1865; « Talune pubblicazioni a favore del prosciuga-
mento del Lago Trasimeno », 1867), sul medesimo argomento; pubbli-
cazioni tutte risultato di molteplici investigazioni agrarie, mediche ed
economiche. L’opera spiegata dal Francesconi riuscì di sommo gradi-
mento alle Autorità che ne lo avevano incaricato e raggiunsero lo sco-
po di allontanare quella che allora fu ritenuta una minaccia per Il
pubblico bene. 2E

Il Francesconi ebbe occasione di occuparsi anche di statistica
agraria per incarico del Ministero della agricoltura industria e com-
mercio che per le seguenti pubblicazioni gli conferì menzioni onore- .
voli ed una medaglia d’argento, accompagnate le une e l’altra con
lettere molto laudatorie:

1) Alcuni elementi di statistica della provincia dell' Umbria (due
grossi volumi) 1872.

2) Volume IX (riguardante l'Umbria) dell'inchiesta agraria per
tutta l’Italia (grosso volume) 1884.

Fra i cultori insigni delle applicazioni delle scienze geologiche-geo-
grafiche alle costruzioni ferroviarie ed alle bonifiche lagunari merita
di esser ricordato Coriolano Monti di PERUGIA (1815-1880) il quale
lasciò di sé traccie non facilmente cancellabili anche come architetto,
urbanista e agronomo (1).

Nacque nel lusso; ma passò la giovinezza, studente ai patri Ginna-
sio, Università, Accademia di Belle Arti, torturandosi in lavori quasi
manuali; stretto, come era, dalla necessità di provvedere ai suoi
cari, decaduti durante la sua fanciullezza dalla anteriore condizione di
agiatezza. Ottenuta la laurea in matematica nella Università di Peru-
gia, superò brillantemente da privatista gli esami per il doppio di-
ploma. di Ingegnere e Architetto presso la Scuola di ingegneria di
Roma. Caduta la Repubblica Romana egli, che all'Assemblea Costi-
tuente era stato il rappresentante della sua Perugia, dovè emigrare

dalla città natale a Firenze ove, colla famiglia che intanto si era fatta,

ben Accolto visse modestamente lavorando.

. (1) Cfr. Alla memoria del Commendatore Coriolano Monti, Ingegnere, Ar-
chitetto, Perugia, Boncompagni, 1880. È un insieme di memorie e discorsi in
occasione della sua morte. La-prima memoria è intitolata: Sul Comm. Coriolano
Monti. Cenni biografici ; porta in fondo la firma di Tiberio i che um Sin-
daco di Perugia e deputato al Parlamento. à
SCIENZIATI UMBRI i 199

Tornò in patria nel 1860; ma*presto ne riemigrò chiamato a Bo
logna all’ufficio, occupato poi per cinque anni, di Ingegnere-Capo
di quel Municipio. Eletto deputato nel 1865 rappresentò i suoi con-
cittadini di Perugia al Parlamento per quattro legislature successive,
fino alla caduta della Destra — di cui egli fu uno degli esponenti più
eminenti — nel 1876. Fu consigliere comunale; prima nel 1848 e fino

alla morte dopo il 1860. E la morte lo colse quando da molti anni era:

Consigliere Provinciale.

E discorriamo della sua attività scientifica; cominciando dalla fer-
roviaria. Data dal 1848 la sua pubblicazione « Dell’andamento più con-
veniente sotto l'aspetto tecnico, statistico, economico della strada fer-
rata vertebrale dell Umbria e delle Marche »: grosso volume stampato a
Perugia dal Bartelli dove fra le molte cose, poi da altri attuate, previde
la scelta del passo di Fossato presso Fabriano, e dei Balduini neile
vicinanze di Spoleto. Altre pubblicazioni, frutto di studi e osservazioni
condotte sui posti, riguardanti la rete ferroviaria dell'Umbria, ri-
spetto anche alla congiunzione colla Toscana ed alle communicazioni
ai due mari d’Italia, uscirono a Firenze nel 1856 per la Poligrafica e
cioè « Dell’andamento della strada ferrata da Roma ad Ancona »; e nel
1867 in Milano per la Rivista degli Ingegneri e «Le Strade ferrate nel-
| Umbria, Riassunto critico ». Studiò nel 1857 l'andamento della
Cuneo-Nizza per il colle di Tenda e fece i primi assaggi della Parma-
Spezia. Di altre reti ferroviarie sì occupò per inearico di enti pubblici;
Così per mandato delle provincie di Arezzo. e dell' Umbria, del tronco
Cortina-Turrita: per incarico della provincia del Molise, della fer-
rovia Termoli-Campobasso: per parte dei comuni di Terni e Rieti del
non facile tronco fra queste due città; non che, per commissione di Rieti,
. del miglior percorso della Rieti-Avezzano per la valle del Salto. Fu

relatore in Parlamento — oltreché di progetti di Legge di indole tec-

nico-finanziaria e delle Giunte per il Bilancio delle sue quattro legi-
slature — di una delle più rilevanti leggi ferroviarie: quella sulla con-
venzione colla Società dell'Alta Italia sull'Omnibus ferroviario del
1870: relazione che gli costò una assidua fatica di ottanta giorni e
gli procurò lodi altissime e consensi universali. Non farà quindi mera-
viglia se per la sua dimostrata competenza in questioni ferroviarie
fu chiamato a far parte della commissione per il completamento delle
strade ferrate italiane, presieduta dal senatore Jacini; e soprattutto
. se fu da Quintino Sella nominato membro governativo del Consiglio
di Amministrazione delle ferrovie romane; e se caduta la Destra ne)
1876, fu confermato fino alla morte (che lo incolse a Firenze dove il

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BRECUUERUUG MEC Ue € ——1—À7À—70—-

n

200 PIETRO PIZZONI

d E Consiglio risiedeva) in questo importante ufficio da ministri della Sini-
CRANIO x stra, come Zanardelli ed in particolare, il competentissimo in materia,
(III | Baecarini; e se appena quattro giorni dopo la presa di Roma il Mini-
(LUNI stro dei lavori pubblici del tempo lo incaricò di fare lo studio di mas-
i sima di una nuova linea da Roma all'Adriatico. La linea la quale tra-
JUD versa due volte gli asprissimi gioghi dell'Appennino Marsicano e Sul-
"DI. montino é tutta di sua invenzione o, puó meglio dirsi, creazione. A
til prescindere dai numerosi articoli di giornali, le sue pubblicazioni di
Mito polso in materia ferroviaria ascendono a quindici.
|| Della sua valentia architettonica i documenti più notevoli sono
a Bologna. Primeggiano fra questi le facciate del palazzo Guidotti
e i nuovi tronchi aggiunti al Cemetero monumentale della Certosa,
conosciuti sotto il nome di «Galleria a tre navate »; opera eseguita di
il pianta, senza le pastoie di adattamenti ad edifici già esistenti. A Ce-
| sena costruì il palazzo della Cassa di Risparmio. Una serie di studi « Sul-
la facciata del Duomo di Firenze » (il primo uscito a Firenze nel 1858)
‘ gli procurarono l'onore di sedere (a lato di Massimo d'Azeglio e di
Pietro Selvatico) membro delle due Commissioni internazionali, no-
minate nel 1865 e 1867 per il giudizio di quella stupenda opera d'arte.

Come urbanista pubblicó una memoria a Firenze nel 1854 « Sul
proseguimento del Lungarno »; un'altra (in Nuova Antologia, nc-
vembre 1873) sul « Rinnovamento edilizio di Roma ». E ció senza dire
dell'opera sua a Bologna. - | i

Come idraulico fece parte della Commissione per il prosciugamento
delle Maremme Toscane. Egli già nel 1866 era intervenuto nella
questione che allora preoccupava i suoi concittadini (1): « Sul bonifi-
camento del Lago Trasimeno ed il profitto delle sue acque, a riscontro
del partito di volerlo prosciugare » (Milano, Politecnico, anno XIX).
Nel 1872 (Politecnico, Milano, anno XX) scrisse su « L'acquedotto
partenopeo »; e nel 1879 (Politecnico, anno XXVII) su « La questione
del Tevere a Roma ».

E in ultimo — ma non é questo l'ultimo suo merito — Coriolano
Monti va ricordato come valente cultore di Agronomia ed Estimo.
Di singolare valore é l'opera uscita in. Perugia dal 1846 al 1852 pei
tipi del Santucci in tre volumi « Delle norme di compilare ] > stime cam-
pestri nella Provincia di Perugia ». Sotto l'apparenza di un'opera di in-
teresse locale costituisce un vero trattato della stima dei fondi rustici.

: (1) A proposito della questione relativa al prosciugamento del Trasi-
meno vedere la biografia precedente del Francesconi.
SCIENZIATI UMBRI 201

Il suo metodo (malgrado non lievi opposizioni, dovute soprattutto
all’inerzia tradizionale) veramente razionale sostituì ben presto in
Umbria i sistemi irrazionali in uso. Giustizia vuole che si ricordi come
il Monti ebbe un ispiratore ed un consigliere efficace nell’Ing. Ugo Ca-
lindri (già da noi ricordato). Il sistema del Monti fu molto lodato dal-
dall'Accademia dei Georgofili di Firenze, in una adunanza della quale
(Atti, Tomo XXX) il socio Ing. Francolini si augurava che «anco la
«Toscana abbia un’opera di merito e utilità equivalente a quella di che
«il sig. Monti fece il dono a Perugia ».

Sempre nel campo dell'Agronomia compose anche un’opera in dieci
libri rimasta inedita ma di cui diede lo schema in una prolusione
letta nel 1856 alla ricordata Accademia dei Georgofili che lo incorag-
gió a pubblicarla.

Eccone il titolo: « Saggi di statistica agraria elementare ». Raccolta
metodica di documenti di agrologia e agronomia, agricoltura ed orti-
coltura, silvonomia e pastorizia, economia rurale e forestale, archi-
tettura e ingegneria campestre, amministrazione e bonificazione di
fondi, secondo le condizioni delle diverse parti d'Italia. Una sintesi
delle sue idee sugli argomenti accennati fu una memoria pubblicata
in 26 pagine sul Politecnico di Milano, nel 1873 e presentata al Mini-
stro di agricoltura, industria, e commercio dal titolo « Insegnamento
della agrotimetria » (stima del valore delle terre, ossia possessi rurali).
La sua profonda competenza in materia agronomica deve indubbia-
mente aver contribuito alla nomina a membro della Commissione per
la perequazione dell'imposta fondiaria presieduta da Menabrea.

I già ricordati Rutili, Passeri, Riccardi e Gambini avevano toc-
cato argomenti di geo-paleontologia umbra; ma anche complessiva-
mente si trattava di poca cosa. L'importanza orografica della nostra
regione e la quasi fino allora sconosciuta costituzione geologica oflri-
vano un campo. si può dir vergine per rilievi, osservazioni e studi
molto piü ampi. E a mietere la messe copiosa vennero: da Roma il
Ponzi che si ripromise rintracciare l'antico alveo del Tevere; da Pisa
il Meneghini che illustró la paleontologia della nostra regione, e dalla
Germania lo Zittel che paleontologo e stratigrafico di primo ordine
determinó gli orizzonti mesozoici dell'appennino umbro - marchi-
giano. Sulle direttive di queste tre scuole, la Romana, la Pisana, la
Tedesca, si incalzarono gli studi sia di valenti discepoli sia di autodi-

datti. Tre di questi ultimi furono umbri, di valore diverso ma tutti de--

gni di ricordo: Antonio Verri, Giuseppe Terrenzi, Francesco Toni.
Antonio Verri (1839-1925) da CrrrÀ DELLA PIEVE, di cui abbiamo

)

Rn 40° AS vu NUR SI

— ‘tinuatore del Ponzi, studiò fra l'iltro la idrografia umbra e venne a

202 PIETRO PIZZONI

già parlato tra i chimici, sopra gli altri come aquila vola. Compì i primi
studi presso i padri Calasanziani in patria; gli universitari a Perugia
dove fu allievo di Sebastiano Purgotti e dove si addottorò nel 1859
in matematica per laurearsi poi più tardi in Ingegneria a Roma.
Nell'anno stesso del dottorato in matematica, sensibile alla voce
della Patria, corse volontario sui' campi di Lombardia e l'anno dopo
si arruolò regolarmente col grado di caporale nel secondo Reggimento
zappatori. E all'Arma del Genio dedicò l’opera sua per oltre mezzo
secolo, attraverso una carriera brillante culminata nel 1915 colla
nomina a Tenente Generale. Fra i lavori di singolare importanza affi-
datigli vanno ricordati: le grandiose costruzioni della Fabbrica d'Armi

‘di-Terni: i nuovi grandi quartieri di Viterbo e di Rieti: il restauro e

l'ampliamento dei quartieri di Perugia, i lavori terrestri, marini, idrau-

. lici di costruzione della Piazzaforte di Taranto e di provvista dell'acqua

per l'Arsenale. Nel 1890 studiò la navigabilità del Tevere e nel 1900 il
regime della Vasca del Canale del Sarno. La natura stessa di alcuni di
questi incarichi militari Jo fece incontrare con la geologia e l'amore

‘con cui intrecciò armonicamente gli studi volontari con le attribu-

zioni obbligate del suo ufficio ne fecero (benché di iniziale cultura na-

. turalistica assai limitata) un geologo di primo ordine. Pubblicò inin-

terrottamente dal 1874 fino alla fine della sua operosissima vita e le
più importanti delle sue centodieci fra note e memorie fanno parte,
in seguito a lusinghiere relazioni, dei volumi della Reale Accademia
dei Lincei. Fra i risultati scientifici principali dell’opera sua Gioacchino
De Angelis D'Ossat ricorda: la prima illustrazione geologica di
molte regioni umbre e laziali; la scoperta del vulcanetto di Copaeli
presso Rieti; il. rinvenimento di ciottoli. esotici nell’ Umbria; il
riconoscimento di formazioni ‘miocemiche nell’ Umbria; il rileva-
mento della formazione salmastra con. Melania Verri nella conca
ternana ; la determinazione della serie stratigrafica della Campagna
Romana e il rilievo della carta geologica di Roma. Antonio Verri può
definirsi il geologo del Lazio e dell'Umbria; di quest'ultima regione
specialmente cui son dedicate 56 delle ricordate 110 pubblicazioni.
Un gran numero di suoi lavori riguardano la stratigrafia: seguono
poi quelli di geologia pratica. Non fu paleontologo; ma si servì egregia-
nente dei dati acquisiti. alla scienza in questo campo per utilizzarli
cogli stratigrafici da lui personalmente rilevati nella ricostruzione
della storia geologica. Ne è un bell'esempio la monografia sulle Conche
di Terni e di Rieti stampatagli nel 1883 dai Lincei. Nella quale, con-
SCIENZIATI UMBRI 203

conclusioni genialmente originali circa la sua distribuzione nel pe-
riodo pliocenico. E precisamente la deltazione rilevata presso Città
della Pieve lo indusse ad ammettere che il Tevere, dal corso assai più

«corto dell'attuale, sfociasse allora nella Valdichiana. E da fatti ana- :

loghi dedusse che allora il Nera avesse la foce nella gola di Configni
fra i monti Narnesi e Reatini; e che il Velino, il Turano ed il Salto
formassero un sistema di correnti convergenti verso la Valle di Farfa,
e vicino a Poggio Mirteto costruissero un delta comune con la vicina
Nera. L’allungamento dei corsi fluviali e la distribuzione attuale sa-
rebbe avvenuta nel quaternario in seguito ad un lento ed uniforme
innalzamento del suolo. Antonio Verri, soldato di fede purissima;
scienziato scaldato dal culto esclusivo della verità, fu uomo privato
e cittadino esemplare. Il fondo del suo carattere di galantuomo e gen-
-tiluomo traluce bene da una sua esclamazione al Congresso geologico
di Terni: «Io devo alla Geologia la salvezza morale contro lo. scetti-
Gismo ». E in quella stessa occasione, immaginandosi solitario sui
monti della verde Umbria scriveva: «in quell’aria pura, che pare dia il
dono della seconda vita, guardo con ccchio sereno la commedia del
mondo ». La città natale l'onoró con una lapide nel Palazzo Comunale
e colla dedica di una via (1).

Giuseppe Terrenzi (1855-1896) di NARNI fece i primi studi nel

patrio seminario (2) e diplomatosi nel 1879 in Farmacia presso la

Università di Perugia e poi in chimica-farmacia presso quella di Roma
passò tutta la breve ma intensa vita nella città nativa, congiungendo
all'esercizio della :professione lo studio appassionato della natura.
Si occupò anche di storia locale in due pubblicazioni riguardanti vi-
cende medioevali del Comune di Narni; (3) ma soprattutto fu un
innamorato delle scienze naturali, nel cui campo — pur mantenendosi
nella sfera delle osservazioni paesane — giunse a risultati di interesse
generale. Nel 1890 pubblicò una « Contribuzione allo studio della Flora

(1) Gino. TEsTI, Il Generale Antonio Verri, op. cit.; GroAccHINo DE.

ANGELIS D'OssAT, Antonio Verri, «Bollettino della Società Geologica Ita-
liana », vol. XLIV, fascicolo 2, 1925; Mons. FronENzO CANUTI, Nella glia
del Perugino, Città di Castello, 1926, pag. 330.

(2) Cfr. GrovANNI EroLI, GiusEPPE TERRENZI, a pag. 209 dell'o Soa
Alcune prose e versi, vol. 2, Assisi, Tip. Metastasio, 1887.

(3) G. TERRENZI, Un periodo di Storia Narnese all’epoca dei Comuni,
Narni, Tip. Petrignani, 1894; G. TERRENZI, Il Comune di Narni durante il
secolo XIII, Terni, Tip. Alterocca, 1895.

uh 9 SE A SR ‘ d’acqua dolce i primi; marini i secondi, mescolati in un sol punto:

guenza della penetrazione del «Mare pliocenico nell’interno della

204 | PIETRO PIZZONI

Narnese » (1), lavoro molto accurato.Si occupò di zoologia con una me-
moria sui pesci del fiume Nera; ed un’altra su l’«Argas marginatus »
il quale produce gravi disturbi colle sue punture. Nel campo della
geopaleontologia in un volumetto a carattere divulgativo mise in,
evidenza l'importanza che hanno gli invertebrati a dermascheletro cal-
careo e siliceo nella formazione della crosta terreste (2). Ma soprat- EC
tutto si fece notare per le memorie geo-paleontologiche sulla distri-
buzione dei terreni liassici e pliocenici nei dintorni di Narni (3).
E i risultati delle sue osservazioni, accettati da geologi di primo or-
dine, come il Parona (che a lui intitoló una nuova specie di fossile
rinvenuta nel narnese: la « Cidaris Terrentii ») il Verri ed il Meli (4)
sono entrate nel patrimonio della scienza. Col Verri ebbe una diver-
genza di vedute circa la presenza del mare durante il periodo plioce-
nico nella conca ternana. Il Verri aveva rilevato che marne, ghiaie e
ciottoli si trovano così all'interno che all'esterno della chiostra dei
monti chiudenti la conca con fossili tutti pliocenici; ma terrestri e

nella gole fra il Monte Arnata e il Monte Santa Croce nella località
detta La Quercia. Egli ne dedusse che i depositi interni fossero val-
livi dovuti all'interramento dei fiumi; e che quindi il more (conforme-
mente all’opinione già emessa dal Ponzi) non fosse penetrato nel
periodo pliocenico nella conca, ma si fosse fermato nella stretta della
gola. ricordata. Il Terrenzi profittando delle profonde trivellazioni
(fino a m. 103) praticate da imprese industriali nell'interno della con-
ca, studiò le roccie trattene fuori, e trovò — tra l’altro — marne a lu-
machella che alla profondità di m. 77-78 contenevano foraminiferi.
«La presenza di questi foraminiferi — scrive egli — bastano per stabi-
«lire come la formazione di quelle marne sia essenzialmente pliocenica
«e marina: contemporanea certo a quelle che esternamente ritrovia-
«mo alle radici dei monti narnesi ». Donde ne scendeva la conse-

,

(1) G. TERRENZI, Contribuzione allo studio della Flora Narnese, Tip.
dell'Umbro-Sabino, Terni, 1890.

(2) G. TERRENZI, I Molluschi, gli Echimodermi, i Coralli, i Protisti con-
siderati quali fattori geologici del nostro pianeta. Rieti, Tip. Trinchi, 1885.

(3) Le pubblicazioni del Terrerzi comparvero quasi tutte nella « Rivista
Scientifica Industriale » che usciva allora a Firenze; talune negli « Atti della
Accademia dei Lincei » e nel « Bollettino della Società Geologica Italiana ».
- (4) Cfr. R. MELI, op. cit., alla nota 111.
SCIENZIATI UMBRI 205

Conca di Terni » come intitolò egli una memoria pubblicata sull’ar-
gomento nella « Rivista Scientifico-Industriale di Firenze» nel 1889. E
l’interramento vallivo, benché sempre pliocenico, sarebbe posterio-
re (1). Le condizioni delicate della sua salute (conseguenza fatale di
una respirazione di aloro sviluppatosi da un esperimento tentato mentre
era ancora studente e causa poi della immatura sua scomparsa) impe-
dirono a Giuseppe Terrenzi di produrre molto di piü nel campo della
geologia che fu la sua più forte passione; geologia che, come diceva
lo Stoppani, richiedendo per tre quarti la cooperazione delle gambe,
esige una forte costituzione fisica. :

Il Conte Francesco Toni, di SPOLETO, nato nel 1824 e morto negli ul-
timi lustri del secolo scorso, è un esempio, come il Verri, di quanto possa
una intelligenza pronta confortate da una ferrea volontà. A quaran-
tetré anni, nel 1867, venuto a cognizione degli studi che il Ponzi e
lo Zittel compivano uella bassa Umbria per la formazione della carta
geologica d'Italia, si invoglió di contribuirvi e lasciate le occupazioni
agronomiche e amministrative si diede tutto agli studi geologici. Fu
inizialmente sua guida Francesco Masi professore di Scienze Naturali
nel Liceo di Perugia e lo confortò di consigli il Ponzi che da Roma
capitava spesso a Spoleto per i suoi studi. E il Toni divenne ben presto
non solo esperto escursionista ma abile ed accorto raccoglitore di roc-
cie e fossili; iniziando cosi con un materiale proprio locale una ordi-
nata collezione. E ne raccolse tanti esemplari anche di importanza e
rarità singolari, che fu ben presto in condizione di corrispondere
con i cultori della geologia di tutta Europa per cambi numerosi e
interessanti. La collezione si arricchi grandemente e ordinata, su i
consigli del Masi e del Ponzi, in apposite vetrine rell'ampio salone di

casa Toni ed in due ambienti adiacenti, ha servito come campo di

osservazioni preziosissime e di studio ai cultori delle geo-paleonto-
logia umbra. Fra questi vanno ricordati il Meneghini di Pisa ed il
suo allora aiuto Canevari che determinarono molti dei fossili della
collezione: alcuni costituenti specie fino allora sconosciute delle
quali una ne intitolarono al naturalista spoletino col nome di
«Spiriferina Toni ». La collezione, oltreché riccamente geo-paleonto-
logica, anche paleontologica e mineralogica, é oggi proprietà della
Bonifica Umbra che l'ha collocata nel suo splendido palazzo di Spo-

leto (già palazzo Sansi). L'Autore nel 1888 la illustró con una mono-

(1) G. TERRENZI, Jl mare pliocenico nell'interno della conca di Terni
« Rivista Scientifico Industriale », Firenze, 1889.

vov END GEHEN I = cosi —— 3-2

LI

206 PIETRO. PIZZONI

grafia edita dalla Accademia Spoletina nella quale alla descrizione
sistematica degli esemplari sono intercalate osservazioni geo-paleon-
tologiche relative al territorio spoletino di cui j competenti non hanno
mancato di tenere il dovuto conto (1).

GLI ETNOLOGI

La etnologia, scienza moderna scrta nell*ottocento, nell' Umbria
ebbe cultori di valere. Si occuparono di paleostnologia il Marchese
Giovanni Eroli (1813-1904) di NARNI; Giuseppe Sordini (1853-1914)
di Spoleto; il Conte Gio: Battista Rossi Scotti (1836-1926) di Perugia,
ai quali sono dovute interessanti pubblicazioni sulle dimore e sui
costumi dell’uomo preistorico in base alle traccie rinvenutene nei
territori delle rispettive città natali o ad essi finitimi.

Ma sopre tutti gli altri si eleva in questo campo Giuseppe Bellucci
(1844-1921) di PeRrUGIA del quale abbiamo già parlato fra i chimici
e che fu etnologo di vedute cosmopolite. Ed assurse ad altezze non
comuni non solo e tanto come grande collezionista ma anche come
geniale interprete dei reperti raccolti e sintetico organizzatore delle
deduzioni cui giunse. -La passione del collezionista, sorta in lui ancora
studente liceale, si affermò ed orientò con indirizzo scientifico nel
1870 con tre lodate memorie sugli « Avanzi dell’Epoca preistorica
dell'Uomo nell'Umbria » (2) e trovò modo di svolgersi ampiamente
durante un cinquantennio sia nel campo vastissimo delle paleoetno-
logia che in quello della etnologia comparata. Le ricchissime colle-
zioni accumulate, frutto di pazienti ricerche e di gravi sacrifici di
tempo e di denaro — oggi pel concorso dello Stato, della Provincia e
del Comune assicurate alla Città di Perugia — si compongono di tre
sezioni fondamentali: a) la geo-paleontologica; b) la paleoetnologica;
c) la paleoetnografica e la etnografica: complessivamente parecchie
decine di migliaia di esemplari perfettamente catalogati e numerati
ed in non piccola parte illustrati. La prime sezione, comprendente
roccie e fossili dei giacimenti in cui furono trovati avanzi di industria
umana preistorica, é locale. La seconda, molto piü ricca, che va dal-

.— (1) AccADEMIA SPOLETINA, 1888, Studi Geologici di F. Toni, Foligno,
Tip. Sgarigiia, 1888.
(2) G. BeLLucci, Avanzi dell'epoca preistorica nel Territorio di Terni,
Nota 12; Ip., Id., nell Umbria, Nota 29; Ip., Id., nel Umbria, Nota 3; «Atti
della Società Italiana di Scienze Naturali »,. Milano, Bernardini, 1871.
SCIENZIATI UMBRI 207

l'età della pietra a quella del ferro, risulta di un nucleo centrale di
reperti raccolti personalmente dal Bellucci nell’Italia centrale e per
il resto da cambi con collezionisti italiani e cosmopoliti. La terza
sezione comprende una meravigliosa collezione di amuleti: gli ita-
liani, preistorici e moderni; gli stranieri, provenienti da molte regioni
dei vari continenti, solo. moderni (1). Queste collezioni — per la parte
riguardante gli amuleti uniche più che rare al mondo — furono visitate
e ammirate da scienziati dei paesi più lonteni, chiamati a Perugia d:1
nome fattosi dall'autore coi saggi illustrativi ed interpretativi, non
che dalle parti inviatene alle varie Esposizioni nazionali ed internazio-
nali dove furono sempre oggetto di premi del piü alto grado.

Le memorie illustrative ed interpretative della collezione raggiun-
gono la cinquantina; e parecchi i lavori sintetici; fra cui la serie degli
eleganti volumetti illustrati costituenti la « Biblioteca delle tradizioni
popolari italiane » e stampate a Perugia dall'Unione Tip. Coopera-
tiva dal 1903 al 1919, aleuni dei quali anche in seconda edizione.
Le idee del Bellucci— come tutte le cose serie — sono state spesso oggetto
di discussioni. E oggi per esempio non troverebbe molti sostenitori

la sua affermazione dell’uomo terziario fatta in base al ritrovamento

di oggetti litici a scheggiemento interpretato per intenzionale in de-
positi classificati come pliocenici; perché se appare dubbia l'inter-
pretazione suddetta non sembra più certa la classificazione dei ter-
reni dalla maggioranza dei geologi oggi assegnati al quaternario (2).
E così non tutti possono convenire in certe interpretazioni di ‘psicologia

popolare religiosa la quale ha le sue radici nelle profondità di senti- .

menti che.la superstizione può in parte deformare: ma di cui rimane
sempre evidente il fondo logico e razionale. Ma a prescindere da queste
e da altre minori interpretazioni per le quali si trovò in cortese pole-
mica con paleoetnologi suoi contemporanei (per esempio con il Mar-
chese Giovanni Eroli di Narni) (3) le ricostruzioni escogitate dal Bel-

(1) G. BELLUCCI, Collezione Paletnologica ed etnologica Bellucci in Pe-
rugia, « Archivio per l’ Antropologia e l’Etnologia », edito dalla Società italiana
per l'Antropologia, vol. XXXI, Firenze, 1901.

(2) G. BeLLucci, L'uomo terziario in Portogallo, memoria .con una ta-
vola, Archivio suddetto, 1882.

(3) G. BeLLucci, Sulla Fonderia di Bologna, Archivio suddetto, anno
VII, fasc. II, 1877; G. EroLI, Osservazioni al Bellucci, Lettera in data giugno
1878, riportata nel vol. I di Alcune prove e versi del Marchese G. Eroli, Roma,
Tip. Letteraria, 1885; G. EroLI, Recensione dell’opera ZANONI ANTONIO, La
Fonderia di Bologna, « Bollettino di puietnologis italiana» anno XV, n. 7e8,
.1889. i
colti erano circoscritti (1).

- contatto con le leggende, le credenze superstiziose, i costumi delle

‘ stesso scopo quasi tutte le regioni europee dalla Norvegia ella Penisola

208 PIETRO PIZZONI

lucci sulla base dei reperti raccolti sono nella grande maggioranza di
una verosimiglianza e di una genialità che si impongono: special-
mente nel campo della paleoetnologia per quanto riguarda l'arte, le
istituzioni, i monumenti degli antichi abitetori della nostra terra,
non che le ubicazioni delle loro tribü. Per esempio dalle armi ed istru-
menti in ossidiana non che dai nuclei non ancora lavorati di questa
roccia raccolti nel bacino del Trasimeno dedusse logicamente che
tribü preistoriche, cui quei resti avevano appartenuto, erano state cer-
tamente in relazioni commerciali con quelle delle regioni insulari
d'Italia; delle quali questo prodotto vulcanico, come é noto, é origina-
rio. E le esplorazioni intorno a Perugia lo portarono ad ammettere
che tribü preistoriche si stanziarono in due aree distinte a S WeNE
della città, separate dal Tevere, irrigate da corsi di acqua di questo
tributari come la Caina ed il Nestore, rispettivamente di settantadue
e dieci km* di superficie, nelle quali i reperti abbondantemente rac-

Giuseppe Bellucci fu etnologo che pagó di persona. Divoratore .
con quelle sue lunghe gambe di strade, compi da solo o in comitiva (fu
per lunghi anni l'animatore della sezione perugina del Club Alpino ita-
liano) numerose escursioni specialmente nell'Italia centrale; durante
le quali esploró in gran numero di grotte e caverne e si mise in diretto

popolazioni campestri e montanare. Dove non era il caso di effidarsi
alle sole gambe, ricorse ai viaggi e visitó collo stesso animo ed allo

Iberica; spingendosi anche in Tunisia. L'ultimo suo lavoro — molto è
lodato dai competenti — fu il « Folklore di guerra »; frutto di inchieste
personali fra lo straordinario variato contingente umano che la mobili-
tazione generale della grande guerra 1915-18 gli offrì de tutte le regioni
d’Italia (2).

Il Bellucci fu, oltre che scienziato, didatta Eondente che con lim-
pidezza cristallina e con genialità di esposizione tutta propria profuse i
tesori di sapere e di pratiche esperienze alle numerose generazioni di |
allievi (fra i quali fu e lo ricorda con animo grato anche chi scrive) |
che si succedettero davanti alla sua cattedra nella Università di Pe-
rugia per le lezioni dei Corsi obbligatori di chimica e per quello libero
di ercheologia preistorica.

(1) Cfr. G. BeLLUCCI, Collezione paletnologica, opera già cit., pag. 426.,
(2) G. BeLLuccI, Folklore di guerra, Unione Tip. Cooperativa, Perugia 1920.
SCIENZIATI UMBRI i 209

I VIAGGIATORI

Grande rinomanza giustamente conseguì fra Giovanni da Pian
del Carpine (MAGIONE) (1) nato in umili condizioni nell’ ultimo ven-
tennio del secolo xir e morto Arcivescovo di Antivari (Dalmazia) il
1° agosto 1252; in tanta fama di santità che il martirologio france-
scano gli dà il titolo di Beato. Uomo di fede e di obbedienza fu
mandato dal Patriarca Assisano, del cui ordine vestì giovanissimo
l’abito, in molti paesi di Europa (Boemia, Ungheria, Danimarca, Nor-
vegia, Sassonia, Alsazia, Austria, Lorena, Spagna) a diffondere e
governare l’Ordine nascente e da papa Innocenzo IV, come legato del-
la Santa Sede, prima al Gran Kan dei Tartari, poi presso S. Luigi re
di Francia.

E la missione per cui è particolarmente ricordato nella storia è
appunto quella espletata presso i Tartari. Erano questi popoli di stirpe
mongoloide, appartenenti alla grande famiglia turanica, divisa in due
rami: uno occidentale (i Turchi), l’altro orientale (i Tatari o, come per
corruzione si dissero quasi usciti dall'Inferno, Tartari). All’inizio
del secolo xir sconfinarono dalla Siberia meridionale (sotto la guida
del loro gran capo « Temugin » conosciuto in occidente col titolo di

rimasero per quasi due secoli) e poi, guidati dai successori di Gengis-
khan, della Polonia e dell' Ungheria (da cui cirea la metà del secolo
stesso si ritirarono). Si trattò di una invasione di popoli mongoli o gialli
che per impeto, proporzioni e ferocia superò tutte le precedenti degli

Unni, Avari e Magiari.
Era il momento in cui in occidente aa più intensa la.lotta fra
le forze dell'Impero con-Federico II da una parte e quelle del Papato

^

(1) Secondo altri (Pullé, etc.) fra Giovanni sarebbe nato a Pian Casta-
gnaio presso il Monte Amiata in Toscana. Vedere le valideragioni che militano
per Magione in ErronE Ricci, Fra Giovanni da Pian delle Carpine, in « Mi-
scellanea Francescana » vol. XXXX (1940), fasc. IL.

Le citazioni appresso riportate sono tolte dalla bella versione di Mons.
FnANcEsCO LIVERANI, Il primo viaggiatore italiano in Tartaria e Mongolia,
Seconda edizione, Siena, 1878. Vedere anche: Giorgio PuLLè, Viaggio nei
Tartari di Frate Giovanni da Pian del Carpine, Alpes, Milano, 1929; GruLio
VERNE, Storia dei grandi viaggiatori, Milano, 1874; ScoTTI PIETRO, Il VII Cen-
tenario del primo viaggio fra i Tartari, in « Nuova Antologia », ottobre 1946.

« Gengiskhan ») in gran parte dei territori della Russia attuale (dove .

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0 *
—— Á—

CRT oe n tenuta il 5 marzo 1245 (tre mesi prima dell’apertura del Concilio di

210^ - PIETRO: PIZZONI.

e dei Comuni italiani dall'altra. E il Papato, malgrado fosse in Occi-
dente impegnato a fondo in questa contesa tremenda, non dimenticò .
l’Oriente così terribilmente vessato. Ed in una riunione concistorialè

Lione convocato — oltre ché per le questioni con Federico II — « per
assicurare la cristianità contro i Tartari») fu decisa la legazione al
Gran Khan nel cuore della Cina. Il Pontefice Innocenzo IV — uno dei
papi più grandi che vanti la Chiesa — inviava fra Giovanni da Pian
del Carpine con altri compagni (dei quali solo uno, fra Benedetto di
Polonia, non lo abbandonò mai, essendo stati gli altri trattenuti e poi
ritrovati alla corte di Batu-Khan) munito di commendatizie ufficiali
e di una lettera al Gran Khan, successore di Gengis Khan, Okfui (o
come altri scrive Okkoday) e che furono invece consegnate, essendo
quest’ultimo frattanto morto, al figlio e successore Cuyné (o come altri
scrive Kuyuk). :

La data in cui la comitiva si mise in via viene diversamente fissata
secondo i diversi risultati dei calcoli sulla durata del viaggio: e mentre
per alcuni (Verne, Pullé, Scotti) cade nell'aprile 1225, per altri (Live-
rani, che noi seguiamo) non é anteriore all'autunno 1246. Fra Giovanni
e i suoi compagni si indirizzareno prima di tutto in Boemia, poi in
Polonia, ed appresso a Kiew in Russia. Lasciarono Kiew «il secondo
giorno dopo la candelaia » (4 febbraio 1247); giunsero al « primo vil-
laggio di Tartaria Kaniew » (dove rimase malato fra Stefano di Boe-
mia) ed il 23 febbraio si incontrarono con la prima « custodia » tar-
tara; e blanditi i capi con doni, i messi pontifici poterono proseguire di
«custodia » in « custodia » e arrivare il mercoledì santo alla corte di
Batu-Khan capo del Regno dell'Orda d'Oro nel Volga (uno dei prin-
cipati dipendenti dal Gran Khan). E prima di presentarsi al Principe,
i nostri ambasciatori dovettero subire il rito tartaro della purificazione
passando tra due fuochi. Furono dati loro interpreti che tradussero
la missiva pontificia in russo, persiano e mongolo. Batu lesse con at-
tenzione; e passato qualche giorno diede il permesso di proseguire,
dopo peró aver imposto che una parte dell' ambasceria si trattenesse
presso di lui.

«Il giorno di Pasqua — scrive fra Giovanni — avendo reciteto il
«nostro ufficio e mangiato sino ad un certo punto, ci mettemmo in
«viaggio con i due tartari datici per iscorta. Questa separazione dai
«nostri non avvenne senza molte lagrime scambievoli, ignorando a
«qual buona o ria ventura sarebbe per parare il viaggio che stavamo
«per intraprendere e se non andavamo incontro alla vita o alla morte.
SCIENZIATI UMBRI 211

« Peraltro eravamo così affievoliti da poterci appena tenere in arcione,
«non avendo per tutta quella quaresima ricevuto altro alimento che
«di. miglio con acqua e sale; né altra bevanda, per tanti giorni di di-
«giuno, che di neve sciolta.nel fuoco ».

E cavalcando sempre velocemente attraverso paesi di clima e con-
figurazione diversissima; piani stepposi o desertici oppure montuosi
freddi inospitali, sopportando e superando coraggiosamente privazioni
non lievi, i due messi giunsero alla capitale dell'mpero Karakorum
e furono ammessi «il giorno della beata Maddalena » (22 luglio 1247)
al cospetto di Cuyné eletto ma non ancora coronato imperatore. E
frate Giovanni ci dà una descrizione suggestiva della cerimonia della
incoronazione a cui, invitato, assisté (1).

Espletata la loro missione i due frati furono congedati «il giorno
della festa di S. Brizio » (13 novembre 1247) con lettere dell'imperatore
suggellate col suo sigillo. « Di ritorno (scrive fra Giovanni), viaggiam-
«mo tutto l'inverno, riposando nei deserti sovente. sulla neve, che
«noi scalzavamo coi piedi per far posto e covacciolo nella terra, non
«trovandosi là altro che campagna rasa senza alcun albero. E spesso
« all'indomani ci trovammo coperti di nevischio spulezzato dal vento.
«Il nostro viaggio fu tutto a questo modo sino alle festa dell'Ascen-
«sione (maggio-giugno 1248) quando giungemmo alla corte di Batu-
«Khan. Quivi a lui chiedemmo quale era la risposta che voleva dare
«al Papa, ed egli aggiunse che non aveva. a replicare su quanto il
«loro imperatore aveva scritto nelle sue lettere. E avendoci fornito
«commendatizie e passaporti noi partimmo di là e il sabato dopo l’ot-
«tava di Pentecoste (giugno 1248) noi arrivammo al campo di Monty,

L2

« dove erano i nostri compagni e domestici, ivi tenuti in ostaggio e aven-

«doli rieuperati, noi ci avviammo.

«Quindi le scorte destinate a noi ci guidarono di là in sei giorni
sino a Kiew, dove siamo arrivati quindici giorni prima della festa di
S. Giovanni (giugno 1248). Gli abitanti di*Kiew ci vennero incontro e ci
accolsero con grande gioia come gente risuscitata da morte a vita ».

Come può rilevarsi dallo schema che del viaggio (durato almeno
due anni e mezzo) abbiamo dato spigolando dalla relazione di fra Gio-
vanni, il Francescano umbro, avvivato dallo spirito di carità e di abne-
gazione del suo Maestro, disimpegnò la missione affidatagli con balda
serenità; tetragono ai disagi e pericoli, impavido di fronte alle ostilità.

(1) La capitale, oggi distrutta, dell'impero Mongolo era presso a poco
situata all’incrocio del 50° di latitudine nord col 100° di longitudine est.

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212 PIETRO PIZZONI

E la sua relazione — nota sotto il nome di « Historia Mongolorum »
scritta in latino e di cui sono state fatte parecchie traduzioni — é un
vero trattato geografico del paese e della gente dei Tartari, ed è il più
antico documento compilato da un europeo sulla geografia dell'Asia
centrale. L’opera non manca di errori e lacune; ma l'insieme delle no-
tizie rivela complessivamente esattezza sufficiente; osservazione acuta,
fondatezza di giudizi e distinzione esatta fra ciò che gli consta diretta-
mente e quel che gli viene riferito. Importanti sono specialmente le
notizie geografiche sulla Mongolia; la descrizione dell'abito fisico | e mo-
rale degli abitanti; le informazioni di carattere militare.

Quasi tutta l'opera infatti è dedicata a rivelare i costumi dei Tar-
tari e solo per un terzo circa riservata alle brevi notizie del viaggio;
intramezzate anche queste da abbondanti descrizioni degli usi e co-
stumi della corte di Cuyné. E contrariamente a quanto si verifica nelle
relazioni del genere, infarcite di imaginifici mirabolanti racconti, il
suo stile, scevro di ornamenti letterari, é serio e serrato. Ed il valore
storico e geografico ne é rilevato anche da Humbold. Né sembra deb-
ba riuscire di minore attualità oggi la conoscenza dello stato barbaro
da cui sono appena uscite (se pure lo sono) le numerose e diverse popo-
lazioni della odierna Unione Sovietica e la cui organizzazione sociale
dovrebbe, secondo alcuni, servire di modello a chi ha conosciuto e
grazie a Dio riflette ancora — a prescindere da altro — la democrazia
dei Comuni e la genialità del Rinascimento.

La missione di frate Giovanni non ebbe un gran risultato dal pun-
to di vista diplomatico, ma molto da quello apostolico e civile. La via
era aperta e non molto dopo la percorreranno altri missionari per
guadagnare alla fede di Cristo le popolazioni asiatiche e mercanti per
allacciare commerci. Noti sono sopra tutti i viaggi di Nicolò e Matteo
Polo e di Marco figlio di Nicolò nel venterinio 1271-1295 attraverso la
Persia, il Turkestan e la Mongolia fino alla Cina. E papa Gregorio X
(1274) inviava insieme ai Polo due domenicani che rimanevano a
lungo, trattati con deferenza, presso il gran Khan Kublai. E poco tem-
po dopo il francescano Giovanni da Monte Corbiito (d 1330) arrivò a
Pekino ove battezzò circa sei mila barbari (1).

Il Jacobilli (2) ricorda Alessandro Gerardini Ici 1524) di AMELIA
che fu dapprima vescovo di Volterra € poi «primus Antistes insulae
S. Dominici apud Indos orientales ». Uomo eruditissimo- scrisse poesie

.

°° (1) Cfr. C. CastiIGLIONI, Evo Medio, pag. 319, S.E.L, Torino, 1929.
(2) Cfr. GERARDINI ALEsSANDRO in Jacobilli op. cit.
SCIENZIATI UMBRI 1 213

sacre in latino e siriaco; ma soprattutto è benemerito per l'« Itinera- SS:
rium Indiae Orientalis » stampato a Roma dopo la sua morte nel 1631. Podi

Il marchese Orazio Antinori (1811-1882) di PeRruGIA (1) fu
plasmato naturalista prima che viaggiatore dalla consuetudine cal
benedettino Barnaba La Via del Monastero di S. Pietro, collettore
appassionato di coleotteri e minerali e che coll’amore delle cose natu-
rali gli insegnò gli elementi della tassodermia, nella quale arte l'An-
tinori doveva poi divenir valentissimo. La passione per la caccia lo
fece prima collezionista di uccelli imbalsamati: poi viaggiatore e col-
lezionista insieme di fama grandissima. La prima raccolta di uccelli
fu da lui messa insieme in Perugia fra il 1832 e il 1837; il Canali,
allora Rettore, la fece acquistare per l'Università dove ancora si-
trova. Portatosi.a Roma, coadiuvò il Principe Bonaparte, con cui
si era legato in amicizia, nella redazione della « Fauna italica » e del
« Conspectus generum avium »; due lavori di importanza fondamenta-
le. Dal 1847 al 1849 fu soldato valoroso della Indipendenza Italiana: a
Cornuda fu ferito; combatté poi a Roma e dopo la caduta della Repub-
blica dovette iniziare la vita dell’esule. E la condusse duramente a
Smirne per dieci anni durante i quali il cacciatore per le terre dell'Asia
Minore e delle isole dell'Egeo seguitó ad associarsi all'ornitologo im-
balsamatore commerciante coi Musei di Storia Naturale dell'Europa;
senza però riuscire a procurarsi adeguatamente i mezzi della quoti-
diana sussistenza e costretto perciò a impegnare spesso l’avvenire per
superare il presente.

Nel 1858 ricevuta la modestissima parte — 13000 lire — dell’asse
paterno, appianate le passività, iniziò a 47 anni la vita dell’esplora- EU ^d
tore africano che, congiunta, sempre con quella del cacciatore ornito- S 3s
logo, cessò soltanto con la morte. Dei suoi viaggi possono farsene due |
gruppi: quelli dal 1858 al 1862 compiuti per iniziativa e a spese pro-
prie: e quelli dal 1863 al 1882 espletati per mandato del Governo Ita-
liano e della Società Geografica Italiana. Quasi tutti (da escludere una 4
escursione in Sardegna ed un’altra in Tunisia fra il 1863-64) ebbero Mi
per campo e per meta le regioni dell’Alto Egitto, dell'Etiopia e dell'A- | |
frica Equatoriale; alcune vergini ancora di piede europeo. Difficoltà
di ogni sorta — fino alla miseria più tormentosa in quelli del primo
gruppo — non fiaccarono quest'anima veramente forte. La fiducia in
Dio — testimoniata dalle lettere al fratello Raffaele — e la virilità del

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(1) Cfr. G. BELLucci, Orazio Antinori, Roma, .presso la Società Geogra-
fica italiana, 1883.

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214 | . PIETRO PIZZONI

suo carattere lo salvarono. La morte lo colse a settantun anno, sulla
breccia, nello Scioa; avanguardia gloriosa dei martiri che: consacra-
rono all’Italia le terre africane. :

Spirò, pietosamente confortato dalla somministrazione dei -Sa-
cramenti e dalle preci del sacerdote indigeno Abba Joannes, disce-
polo di Mons. Massaia (il Cappuccino italiano apostolo -dell’Abissi-
nia) alla mezzanotte del 26 agosto 1862 in una capanna della Stazione
della Società Geografica italiana di Let-Marafià da lui fondata qualche
anno prima su consiglio e indicazione di mons. Massaia. Fu sepolto,
per suo espresso desiderio, ai piedi e all'ombra di un vicino sicomero,
ove più tardi il Conte Pietro Antonelli, ministro d’Italia presso il
Negus, fece sorgere un recinto e collocare una lapide che lo ricordasse,
E poiché le tombe sono sacre anche presso i barbari, pure nei momenti
più scabrosi e dolorosi delle nostre relazioni con Menelik, quella tomba
rimase inviolata e per essa la contigua stazione rispettata (1).

Orazio Antinori rimpatriò sempre povero, anzi poverissimo di
denari (tanto da esser costretto una volta a vendersi l’orologio e la
catena d’oro), ma ricco di tesori preziosi per la scienza, costituiti da
sempre nuove collezioni di uccelli; mammiferi, insetti, molluschi ed
oggetti etnografici. La collezione riportata nel 1860 — ricca tra l’altro
di oltre 600 specie di uccelli; alcune delle quali rarissime — fu comprata
dal Governo Italiano per ventimila lire e donata al Museo di Storia Na-
turale di Torino. Quelle invece ricondotte nel 1870 andarono per la

maggior parte ad arricchire il Museo civico di Genova.
i È pregio dell’opera riportare il giudizio di un competente sul loro
valore scientifico e precisamente quello del Conte prof. Tommaso Sal-
vadori, condirettore con Michele Lessona del ricordato Museo di
Torino, il quale cosi scriveva a Giuseppe Bellucci dalla cui bella com-
memorazione tenuta a Roma presso la Società Geografia Italiana ab-
biamo tolte la maggior parte delle notizie che qui diamo (2): «Tutte
«(le collezioni Antinori) furono ammirate per la bellezza. delle prepa-
«razioni e per la diligenza delle notizie relative alle località, al tempo,
‘«al sesso, al colore delle parti nude. Tutte furono importanti perché
»accrebbero le nostre cognizioni intorno al grande problema della
« distribuzione geografica della specie. L’ultima, quella inviata in pa-
«recchie volte dallo Scioa, che consta di più di mille esemplari, è spe-
«cialmente notevole per talune belle specie di rapaci che serviranno

(1) Cfr. G. ANTINORI, Orazio Antinori e la spedizione nell’Africa Equa-
toriale, Perugia, Santucci, 1892; L. TRAVERSI, Let-Marafià, Milano, Alpes,
1931, pag. 226.

(2) G. BELLvccr, Orazio Minimo. già citato, pag. 21.
et

SCIENZIATI UMBRI 2 3:215

«a chiarire la storia di alcune specie non perfettamente conosciute ».
Aggiungeremo che l'Antinori pubblicò cataloghi descrittivi dove per
ciascuna specie raccolta trovansi notati i caratteri particolari del-
l’animale ucciso: i costumi più singolari da esso presentati ed infine
notizie sulla maniera di caccia presso gli indigeni e sulla utilizzazione
della specie se alimentare. Numerose sono poi le relazioni — leggibili
nei Bollettini e nelle memorie della. Società Geografica Italiana —
fatte dall'Antinori e dai suoi compagni di viaggio sulla orografia, idro-
grafia, geologia, etnografia e linguistica delle regioni esplorate. Un
contributo pertanto reale al progresso delle scienze naturali e geo-
grafiche.

I FONDATORI DEI LINCEI

E gloria umbra l'istituzione delle Accademie dei Lincei prima
e seconda. TN |

La prima fu quella fondata da Federico Cesi, Duca di ACQUASPARTA
(1585-1630) che durò dal 1603 al 1630. Essa rappresenta una istitu-
zione italiana per quanto consentisse l'aggregazione anche di stra-
nieri. Il Cesi, diciottenne al momento della istituzione (17 agosto 1603),
iscrisse da prima il nobile fabrianese Francesco Stellati matematico
e letterato e il Conte Anastasio de Filiis di TERNI studioso di mecca-
nica, entrambi ventiseenni amici e praticanti di casa Cesi; più tardi
l'olandese Giovanni Echio laureatosi nel 1600 a Perugia e assunto a
servizio di Casa Cesi. « Scopo — scrive il Gabrielli, lo storico illustre
«dei Lincei — (1) era di imparare, insegnandosi l’un l’altro quanto
«ciascuno sapeva ed incoraggiandosi allo studio della natura, il gran
«libro scritto da Dio e messo sotto gli occhi degli uomini affinché vi
«leggessero le sue leggi infallibili ed i suoi eterni richiami ». Si chia-
mavano a voce e per iscritto «fratelli »: avevano a protettore S. Gio-
vanni Evangelista; come motto « Sapientiae cupidi »; come fine « La
Sapienza con il Divino Amore ». Il Gabrielli vede « nel pensiero cesiano
«un riflesso ed un influsso del movimento “umanistico cattolico che in
«Roma prendeva in quel tempo forma e nome da Filippo Neri e dal
«suo oratorio » con cui i Cesi ebbero frequenti rapporti, sia vivente il
Santo, sia dopo la sua morte (1595).

Ai tre primi iscritti se ne.aggiunsero via via degli altri, se sceltis-
simi di qualità pochi però di numero: tra questi nel 1621 il matema-
tico di PERUGIA già da noi ricordato Giuseppe Neri. Ma il più celebre

(1) Cfr. GrusEPPE GABRIELLI, ' Federico Cesi Linceo, in « Nuova An-
tologia », del 1° agosto 1930. Ì

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216 PIETRO PIZZONI.

e glorioso acquisto dell’Accademia fu nel 1611 Galileo Galilei venuto
in quell’anno a Roma: il Linceo per eccellenza che diede per primo più
vivo lustro alla compagnia lincea, assicurandone il nome fra i dotti.

Morto il Cesi il 1° agosto 1630, il giorno dopo l’amicissimo suo
Stelluti così ne scriveva a Galileo: « Signor Galileo mio, con mano
«tremante e con occhi pieni di lagrime vengo a dare questa infelice
«nuova a V. S. della perdita fatta del nostro Signor Principe, Duca di
«Acquasparta, per una febbre acuta sopraggiuntagli che ce lo tolse
«con danno inestimabile della repubblica letteraria (si trattava di un
«grave cancro alla vescica). Se l'Eminentissimo Cardinal Barbe-
«rino non abbraccia questa impresa, vedo la nostra Accademia andare
«in rovina ». E così fu; perché il Cardinale non credè opportuno accet-
tare la Presidenza che da tutti gli veniva proposta.

Documenti testimonianti anche oggi della attività accademica lin-
cea sono costituiti dalla stampa, fatta a spese del Cesi, delle opere, ol- .
treché sue (già ricordate parlando dei Botanici) dei singoli accademici
tra cui Galileo; non che l'edizione illustrata del « Tesoro messicano o
libro delle piante indiane », opera grandiosa contenente ampie notizie
sopra prodotti naturali messicani dei tre Regni raccolti dallo spagnolo
Hermander e riassunti dall’italiano Recchi. L'edizione, incompiuta
alla morte del Cesi, fu continuata dallo Stelluti ma terminata solo
dopo 21 anni; e cioè nel 1657 per l’interessamento del gentiluomo
spagnolo De Las Torres.

Nelle intenzioni del Cesi l'Accademia era destinata non solo a
continuarsi nel tempo ma a dilatarsi nello spazio. Da un «Liceo »
centrale e romano avente funzione direttiva ed esemplativa dovevano
diramarsi e sorgere « Licei » provinciali o regionali: tutti fra loro con-
federati, in Italia e all’estero; tutti viventi di vita autonoma con
proprie rendite, sede, biblioteca, museo, giardino botanico. Di questi
Licei ne furono fondati solo due: uno a Napoli dal Della Porta che
cessò presto di funzionare e l’altro a Firenze, formato dai pochi allievi
di Galileo; i quali alla morte del Grande ne continuarono le tradizioni
con la fondazione della più fortunata « Accademia del Cimento ».

Il seme fecondo gettato da Federico Cesi venne raccolto, seminato
e fatto germogliare da un altro umbro: l’abate Feliciano Scarpellini
di Forino (1762-1849) il fondatore della perdurante fino ai nostri
| giorni « Accademia dei Lincei » che così volle denominarla, in me-
moria appunto ed in continuazione dell’opera coraggiosa del Cesi (1). .

(1) Cfr. D. ANGELO MESSINI, Lo Scienziato Feliciano Scarpellini,
op. cit. :
SCIENZIATI UMBRI 217

Ne. costituì il nucleo originario la piccola «Società scientifica »
| che, parlando fra i cultori delle scienze esatte dello Scarpellini, ab-
biamo detto essersi formata intorno a lui allo scopo di coltivare le
scienze sperimentali: la quale Società, che aveva avuto il riconosci-
mento legale del Governo repubblicano francese, ad un certo momento
(e precisamente nel 1799 al ricostituirsi del Governo Pontificio) mancò
di casa, per la soppressione del Collegio Umbro Fuccioli di cui lo Scar-
pellini era rettore e che fino allora la aveva ospitata. Un mecenate —
il Duca Gaetani — salvò la situazione; accogliendo nel suo palazzo il
prete folignate come precettore dei suoi figli e ospitando colle mac-
chine e gli strumenti scientifici i cultori di scienze sperimentali dell'ex
collegio. E con questi lo Scarpellini divisó di fondare una nuova ac-
cademia che, ottenuta — per il tramite del Gaetani — dal mite Pio VII
la necessaria autorizzazione, effettivamente si costitui, denominandosi
«Accademia dei Lincei », il 16 aprile 1801 in una adunanza nella quale
i quattordici soci della già Società Scientifica se ne dichiararono mem-
bri, eleggendo a Presidente Gioacchino Pensuti e a Segretario Feliciano
Scarpellini. E l’istituzione si sollevò ben presto a grande rinomanza,
accogliendo nel suo seno i più bei nomi onoranti in quel torno di tempo
le scienze. Fra i suoi iniziali più efficaci ed illustri protettori, oltre il
Gaetani, vanno ricordati il Cardinal Pacca ed Antonio Canova. che

l’aiutò anche finanziariamente. L'Accademia si impersonò poi fino.

alla morte nello Scarpellini proclamato « Lyneaeorum Restitutor ».
Pio IX nel 1847 la restaurò a nuova vita, assegnandole vaste attri-
buzioni e dotazioni scientifiche e denominandola « Pontificia Acca-
mia dei Nuovi Lincei ». Compiutasi nel 1870 l’unità d’Italia, il Governo
italiano, auspice Quintino Sella, preso possesso di tutto il ricchissimo
patrimonio scientifico e bibliografico, alla denominazione precedente
| sostituì quella di « Reale Accademia dei Lincei », stabilendone il pro-
gramma di attività in analogia dei nuovi avvenimenti. Dopo una breve
fusione — negli ultimi anni del periodo fascista — colla allora istituita
«Reale Accademia d’Italia », soppressa quest’ultima, la « Reale Ac-
cademia dei Lincei » fu nel 1944 ripristinata nella antecedente deno-
minazione e funzione; riprendendo così in piena autonomia il suo non
inglorioso cammino.
D'altra parte la Santa Sede, per conto suo e non ostante la i improv-
visa mancanza delle proprietà, fece continuare sotto la sua protezione
la istituzione col vecchio nome di « Pontificia Accademia dei Nuovi
Lincei »; sostituita poi, sotto Pio XI, al dimani dei Patti Lateranensi,
dalla « Pontificia Accademia delle Scienze ». Accoramboni Felice, pag. 193.
Alfani Alfano, pag. 121.
Acquasparta, pag. 158, 215.
Alberti Pio, pag. 166.

Andreani Francesco, pag. 116.
Amelia, pag. 212.

Angelis (de) Sebastiano, pag. 107.
Antinori Orazio, pag. 213.
Antinori Raffaele pag. 173. —
Antonio di Giovanni,.pag. 104.
Armanni Giacomo, pag. 137.

Armanni Giacomo di Manno, pag. 136.

Aromatari Giuseppe, pag. 160.
Assisi, pag. 105, 160.

Ballerini Angelo, pag. 128.
Belisari Giuseppe, pag. 125.
Belforti Filippo. pag. 163.
Belforti Giuseppe, pag. 164.
Bellucci Giuseppe, pag. 155, 206.
Bellini Ettore, pag. 131.
Bernardini Antonio, pag. 129.
Bevagna, pag. 161. .
Bigazzini Gerolamo, pag. 108.
Bolzio Francesco, pag. 166.
Bonucci Francesco, pag. 187.
Borghi Bartolomeo, pag. 128.
Bruschi Alessandro, pag. 169.
A Bruschi Domenico, pag. 168.

Calindri Gabriele, pag. 195.
Calindri Serafino, pag. 194.
Calindri Ugo, pag. 195.

Camilli Annibale, pag. 162.

Campana Pietromaso e f.lli, pag. 132.

Campello Adone, pag. 143.
Canali Luigi, pag. 143.
Cascia, pag. 133.

Castelli Benedetto, pag. 211. -
Castelli Onofrio, pag. 194.

INDIGE-—-DET NONMI

Cesi Federico, pag. 158, 215.
Cibo Andrea, pag. 162.
Cicioni Giulio, pag. 170.
Cipriani Evangelista, pag. 1065.
Città di Castello, pag. 104, 181.
Città della Pieve, pag. 156, 201.
Cocchi Virgilio, pag. 116.
Colombo Francesco, pag. 162.
Conti Antonio, pag. 137.
Corniolo Corneo, pag. 173.

Coza Adolfo, pag. 137.

Crispolti Scipione, pag. 109.
Cristalli Marco Antonio, pag. 123.

Dal Pozzo Enrico, pag. 152.
Danti Ignazio, pag. 118. .
Danti Gerolamo, pag. 118.
Danti Giulio, pag. 118.
Danti Gio. Battista, pag. 121.
Danti Pier Vincenzo, pag. 118.
Danti Vincenzo, pag. 118.
Durante Castore, pag. 159.

Eroli Giovanni, pag. 266.

Faina Eugenio, pag. 172.

Filis (de) Abnastasio, pag. 215.

Foligno, pag. 129, 158, 172, 181,
192, 216. ER

Fontana Pietro, pag. 172.

Francesconi Francesco, pag. 196.

Gambini Raffaele, pag. 196.
Gaspardi Enrico, pag. 114.
Gerardini Alessandro, pag. 212.
Giacomini Ercole, pag. 181.
Giamboni Arrigo, pag. 113.

Giano dell’Umbria, pag. 193.
Giglioli Giovanni Tommaso, pag. 110.
Giovanni da Pian del Carpine, pag. 209
‘Giuliano da Foligno, pag. 158.
PIETRO PIZZONI

Giustolo Francesco, pag. 172.
Gori Giulio, pag. 129.
Gualdo Tadino, pag. 159.
Gubbio, pag. 136, 143, 176.

Jacobilli Francesco junior, pag. 129.
Jacobilli Francesco senior, pag. 192.

Incoronati Luigi, pag. 137.

Lauri Gio. Battista, pag. 109.
Lauri Loreto, pag. 133.
Leoni Pierleone, pag. 131.

Magione, pag. 209.

Mancini Vincenzo, pag. 131. .
Mannucci Vincenzo, pag. 163.
Marsciano, pag. 170.

Marconi Enrico, pag. 184.
Marianelli Pietro, pag. 137.
Mariotti Annibale, pag. 166.

. Mariotti Prospero. pag. 128, 160.
Martinelli Domenico, pag. 132.
Marzio Galeotto, pag. 137.
Massimi Lorenzo, pag. 113.
Menni Vincenzo, pag. 109.
Montaldini Cestio, pag. 171.
Monti Coriolano, pag. 198.

Narni, pag. 137, 203.

Neri Felice, pag. 112.

Neri Francesco, pag. 112.
Neri Giuseppe, pag. 110, 216.
Niccolò di Assisi, pag. 105.
Nocera Umbra, pag. 136, 162.
Norcia, pag. 105.

Oliveri Niccolò, pag. 136.
Orvieto, pag. 137, 122.
Otricoli, pag. 186. .

Pacioli Luca, pag. 105.

Paoloni Bernardo, pag. 135.

Pascoli Alessandro, pag. 123.

Passeri Gio. Battista, pag. 194.

Pellicciari Luca Antonio, pag. 116.

Petroni Giuliano, pag. 129.

Petroni Pietro, pag. 192.

Perugia, pag. 103, 118, 143, 162,
173, 184, 187, 194, 206.

| Pianciani Gio. Battista, pag. 133.

219

Piermarini Giuseppe, pag. 131.
Polimanti Osvaldo, pag. 186.
Pontano Giovanni, pag. 176.
Purgotti Attilio, pag. 154.

Purgotti Enrico, pag. 153.

Purgotti Luigi, pag. 154.

Purgotti Sebastiano, pag. 115, 149.

Quadramio Evangelista, pag. 143.

Riccardi Giuseppe, pag. 194.
Roberto di Gerolamo, pag. 109.
Rossi (de) Domenico, pag. 172.
Rossi Scotti Gio. Battista, pag. 206.
Rossi Lemme, pag. 111.

Ruscelli Gerolamo, pag. 122. ta
Rutili Gentili Antonio, pag. 193.

Sabatini Liberato, pag. 161.
Salvatori Gio. Battista, pag. 166.
Selviani Ippolito, pag. 181.
Scassellati Giuseppe, pag. 176.
Scarpellini Caterina, pag. 131.
Scarpellini Feliciano, pag. 129, 216.
Severini Giuseppe, pag. 169.
Severini Luigi, pag. 189.

Sordini Giuseppe, pag. 206.
Spello, pag. 137.

Spinello Bernardino, pag. 166. ^d
Spoleto, pag. 131, 143, 172, 205. ug

Terni, pag. 184, 194, 215.
Terenzi Giuseppe, pag. 203.
Titi Placido, pag. 123.
Toni Francesco, pag. 205.
Todi, pag. 184. 0]
Trevi, pag. 196. i:
Trinci Giulio, pag. 184.
Ubaldis (de) Gian Francesco, pag. 166.
Vecchi Annibale, pag. 155.

Verri Antonio, pag. 156, 201 : : ^.
Veglia Luigi, pag. 122, 170. î
Viti Ludovico, pag. 165. | ij

Zabaglia Nicola, pag. 133. . -ín RE LE RA etti C E cei E ei

NOTE E DOCUMENTI

CRONACA DI GIAMBATTISTA MARINI

(a cura di ErronE Ricci)

(Continuazione vedi vol. XXXIV, pag. 75 e segg.)

1806

GENNAIO:

A dì 3. Si seppe passato per Foligno, venuto da Pesaro, un Corpo di Arma-
ta Francese di tre mila d’Infanteria e 160 di Cavalleria diretto a Rieti.

A dì 7. Si seppe, che in conseguenza della pace segnata a Presburgo nel
27 dicembre dell’anno scorso, tra l'Imperatore d'Austria e di Francia, alcuni
stati appartenenti all’ Austria sarebbero passati sotto il dominio degli Elettori
di Baviera, e Baden e Vittembergh alleati dell’ Imperatore Bonaparte. Questo
accordò le pensioni alle vedove degli Uffiziali e Comuni estinti nella Borgna
d'Austerlitz.

A di 8. Essendo stato avvisato il Governatore del prossimo arrivo nella
Città di un Corpo d'Armata francese, 2 al Generale di Spoleto per chiede-
re l'esenzione della Cavalleria.

A di 12. Da Foligno venne una porzione di divisione che fu distribuita in
varj Conventi di Religiosi.

A di 13. Giunsero varj squadroni francesi.

A di 14. Dai Deputati eletti da Monsig.r Vescovo si fecero per le Case Re-
ligiose le requisizioni di coperte per l'Armata francese diretta verso il Regno
di Napoli.

A. di 18. Incominció il solito divertimento delle Maschere con i dovuti ri-
guardi. i
A dì 20. Partirono porzioni di. Militari per unirsi ai regimenti del Gene-
rale Massena.

A dì 25. Si seppe transitati in pochi giorni per Foligno 7 divisioni di arma-
ta, composta ognuna di 12 Battaglioni.

A dì 28.-Fu pubblicata una Notificazione del Vescovo, in cui si eccitava
il popolo della Città e Diocesi a coadiuvare, per quanto fosse possibile, ad effet-
tuare al più presto la solenne Traslazione delle Ossa di S. Costanzo V. M. e Pro-
tettore, proposta da Monsig.r Odoardi.

FEBBRAIO:

A di 1. Per la pace fatta dall’ Imperatore Napoleone e 1’ Imperatore d'Au-
"stria, e per aver ottenuto varj possedimenti dell' Imperator d'Austria, il sud-
detto eresse in Regni i tre Ducati di Baviera, Vittembergh e Sassonia; di poi se
ne tornó a Parigi e dichiaró la guerra al Re di Napoli. Per questo passavano
le truppe per andare nel Napoletano.
NOTE E DOCUMENTI 221
Il Re di Napoli all'arrivo sollecito dei Francesi si ritirò in Sicilia e Giusep-
pe Bonaparte che era alla testa della spedizione fu dichiarato Re di Napoli.
A dì 2. Morì di 85 anni Teresa Crispolti e nel dì 3 fu fatto il funere nella
Chiesa de’ Cappuccini.

A dì 4. Si seppe che nel dì 16 dello scorso mese l’Imperatore d’Austria col
seguito della sua Armata era rientrato a Vienna, e il dì 20 seguì il cerimoniale
della cessione dello Stato Veneto al Re d’Italia, fattosi in Venezia.

A dì 13. Giovedì grasso, o del Carnevale, Monsig.r Arcivescovo Campanel-
li, con tutti gli Alunni del Seminario, si trasferì con i P.P. dell'Oratorio alla Vi-
sita delle 7 Chiese, e dopo compartì la benedizione col Venerabile. -

A dì 17. Furono poste in Fortezza arrestate alcune persone sospette di
avere in una delle passate sere, al Teatro del Verzaro, gittata in aria in tempo
dell’opera certa polvere chiamata Eufobia.

A dì 18. Fu pubblicata la Pastorale del Vescovo sulla dispensa de' cibi vie-
tata nell'entrante Quaresima.

A. di 21. Si seppe che fin dal 29 gennaio scorso parti Ferdinando IV, da
Napoli con tutta la real Famiglia e Convoglio, per Palermo, e che nel di 15 del
corrente era rimasta quella Dominante in potere dell'Armata Francese, alla
cui testa era il Principe Giuseppe Bonaparte, fratello di Napoleone.

A di 22. Venne affissa una Pastorale di Monsig.r Campanelli Vescovo, ri-
guardante l'apertura della Sagra Visita e tutto ció che si sarebbe praticato in
tale congiuntura in tutte le Chiese della Città e Diocesi.

A di 23. Domenica il suddetto Vescovo alle 22 con tutto il seguito del
Capitolo, Seminario, fece il solenne ingresso in S. Lorenzo, dove erano schie-
rati in cotta e abito talare il clero secolare, e premessa una breve allocuzione,
aprì la Sagra Visita con le dovute formalità, unito alli convisitatori.

A dì 25. Si seppe la morte di Pitt, seguita in Londra sul principio di questo
mese; gran soggetto di merito in Inghilterra.

MARZO:

A dì 5. Il Dr. Pressi per occupare il posto di Vicario Generale, ad istanza xr
di Monsig.r Campanelli, il quale fu poi Canonico eletto in. Cattedrale.
A di 15. Affisse due notificazioni del suddetto Vescovo: una riguardava
l’invito per i (sic) Spirituali Esercizi; l'altro l'Indulto Pontificio di far uso ne’
giorni vietati de’ strutti e lardi per condimento de’ cibi colle debite riserve
per motivo della scarsezza degli Olj.

A dì 18. Si seppe giunti in Firenze varj regimenti di Armata Spagnuola
per guernir quella Piazza,

A dì 22. Incominciarono gli Esercizj Spirituali nelle
Porte.

A dì 27. Monsig.r Arcivescovo Campanelli, essendo stato incommodato

5 Chiese di cinque

A dì 28. Si seppe che nel Regno di Napoli si andavano aumentando le
commissioni militari, ed arresti, e che i Francesi avevano assediato Gaeta, e
lesito di una pugna seguita coi Napoletani.

A di 29. Fu affisso editto Pontificio per l'aumento per metà della Dativa

a - - -
È

A dì 16. Domenica: l'elemosina per il Purgatorio giunse .a scudi 175. | i

da convulsioni, che gli occupavano la testa, per consulto de’ medici andò per DM ^
qualche tempo alla Magione, per rimettersi in salute. Gc]

RU E e SEE MS? SIE 222 - NOTE E DOCUMENTI

reale per lo spazio di 18 mesi, per compenso delle spese occorse per l’epide-
mia della febbre gialla, derivata dalla Spagna, e pervenuta fino a Livorno nel-
l’ottobre del 1805; e per compenso de’ notabili danni delle ultime inondazioni
e del passo delle Armate, incominciato nello Stato Romano fino dal principio
del corrente anno. i .

A di 31. Monsig.r Becchetti, Vescovo. di Città della Pieve, colle facoltà,
dell'Ordinario assente, nella Chiesa dei P.P. Minimi di S. Francesco di Paola,
fece la solenne benedizione di tre Campane, ripristinate dai devoti, nel Cam-
panile di detta Chiesa.

APRILE :

A di 2. Cadde molta neve, come nel colmo dell'inverno. A di 2 tornò dal-
la Magione Monsig.r Campanelli. i
. A dì 3. Ad istanza di Monsig.r Campanelli il Vescovo di Città della Pieve :
Monsig.r Becchetti eseguì la solenne funzione del Giovedì S.
A dì 6. Pasqua: Monsig.r Campanelli compartì in Duomo la Benedizione
Papale. :
A di 7. Fu fatta la Processione della Visita delle 7 Chiese.
A dì 8. Si seppe che l'Imperatore Napoleone si occupava in nuovi gran-
diosi piani da eseguirsi.
A dì 14. Si seppe che segui un furto in Roma di otto mila tra argenti e
monete d'oro nell’appartamento pontificio del Quirinale.
A di 15. Venne trasmesso un foglio preliminare al Codice di Napoleone.

MAGGIO:

A dì 4. Morì in età di 51 anni il Conte Luigi Ansidei e nel dì 6 si celebrò
il funerale in S. Agostino.

A dì 10. Fu pubblicata la tie Pastorale per il rito da osservar-
si nelle Processioni delle Rogazioni. i

A dì 19. Monsig.r Campanelli si pose in viaggio per la visita per P. S. Si
seppe che Giuseppe Bonaparte, dopo fatto il giro delle Calabrie fu ricevuto
in Napoli col titolo di Re.

A dì 31. Venne affisso ordine d’incominciare la Processione del Corpus
D.ni due ore prima del consueto.

GIUGNO:

A di 10. Mori di 60 anni il conte Riginaldo Ansidei e nel di 11 fu fatto il
funerale in S. Agostino.

A di 17. Fu saputo in quest'ordinario il dan giramento di Governo seguito
in Olanda da Repubblica in Regno, di cui fu investito Luigi Bonaparte, fra-
tello di Napoleore.

Fece ritorno dalla Sagra Visita Monsignor Arcivescovo Campanelli col
suono delle Campane, e in Duomo fu cantato il Te Deum.

A. di 20. Si ebbe notizia che il Cardinal Casoni entró ad occupar il posto
di Segretario di Stato dimesso dal Cardinal Consalvi.

Si seppe che il Vesuvio andava facendo danni notabili nelle adiacenze di
Napoli; che nella città di Sala un gran turbine avea smantellate le. case.
NOTE E DOCUMENTI 223

A dì 28. Essendo solito farsi la Processione andando a S. Pietro, la mat-
tina del 29, Festa dei SS. Apostoli Pietro e Paolo, Monsignore Campanelli con
decreto ordinò che si facesse la sera della vigilia, per maggiore comodità ed
edificazione.

A dì 29. Monsignore Arcivescovo Campanelli assistè in Piviale alla Messa
cantata in Duomo, e dopo il Vangelo andò in pulpito e recitò l'Omilia.

LUGLIO:

In quest’ordinario si seppe che da Napoleone fu richiesta all’ Imperatore
d’Austria una indennizzazione per il Re di Baviera, suo alleato, per il soggior-
no dell’Armata Francese ne’ suoi stati, cagionata dalla inesecuzione del Trat-
tato di Strasburgo.

A dì 7. Fu ordinata la Colletta ad petendam serenitatem, e l’altra ad. re-
pellendas tempestates.

A dì 12. Fu fatta nella sera la illuminazione per la Festa del S. Anello, e
nel Circo del Rastello illuminato, furono sonate varie sinfonie.

A dì 14. Nel giorno, nell'Oratorio di S. Filippo Neri si unirono gli Eccle-
siastici Secolari e Regolari per l'affare della Dottrina Cristiana, e is fatto Pre-
fetto il Canonico Mancini.

A di 19. Si rese la piazza di Gaeta nel regno di Napoli alle armi Francesi,
dopo 5 mesi di assedio. i

A dì 28. Si seppe che a Civitella del Tronto, che era in potere dei France-
. Si, erano caduti tre fulmini nella Polveriera, con danno notabile dell'abitato
e delle persone.

A di 29. Si seppe che i deputati del Sinodo Ébraico si ‘occupavano in se-
greto a prepararsi a rispondere a 12 proposizioni presentate loro a nome del-
l'Imperatore Bonapar te.

AGOSTO :

A dì 5. T Vescovi della Francia aveano già trasmesse le loro Pastorali per.

la Festa dell'Assunta, e di S. Napoleone, o Neapole, di cui il Beda, l'Usuardo,
il Baronio e Bollandisti. offrono delle nozioni pel 2° giorno di Maggio.

1 A dì 6. Fu emanato in Vienna un Proclama riguardante le rinunzia del-
.FImperator di Germania alla Corona di questo nome e si elesse Imperatore
de’ Stati Austriaci. dopo che Papa Leone disciolse il Corpo Germanico, sta-
bilendo una nuova Confederazione detta del Reno, di cui si fece protettore. Si
fece la consegna di Cattaro, fattasi dai Rassi e Ragasei, alle armi francesi.

. A di 7. Monsignor Campanelli Vescovo, andò al Convento di S. Francesco,
per far ricerca del Corpo del B.-Corrado da Offida, esistente nell’Urna dell'Al-
tare di S. Gio. Batta, e ne ottenne una porzione notabile in dono.

A dì 14. Tornarono ad aprirsi le botteghe contigue al Monastero di Mon-
te Luce rimaste chiuse per lo spazio di 7 anni, ad istanza di Monsignor Odoar-
di Vescovo.

A dì 16. Venne ordine di aggiungere alla messa la Colletta per la serenità.

A dì 19. Si seppe che dopo la pace generale d’Europa, sarebbe divisa in
124 Federazioni, dandosi per sede ai rispettivi Imperatori, Parigi, Londra,
Pietroburgo, Costantinopoli. :

A di 23. Si pubblicó l'editto pontificio riguardante l'aumento per metà 224 NOTE E DOCUMENTI

del Dazio del Macinato: il nuovo DEG: del macinato delle Angle la Gabel-
la al Tabacco, etc.

Otto mesi dopo la pace di Presburgo, segnata il dì 26 agosto 1805, non
erano adempiute dai Francesi le condizioni. Fu firmato in Parigi un atto in
cui si annichilò un grand'Impero e fu domandato all’ Imperator d'Austria di
rinunziare alla Corona di Germania, che fece come dicemmo.

A dì 26. Terremoto a Velletri, Frascati e altrove con gravi danni.

A dì 28. Quasi tutte le monache di S. Caterina alle ore 12, per pontificio
rescritto ottenuto, si trasferirono in portantine è carrozze, coi Deputati e Con-
fessore alla Chiesa di S. Angelo P. S. A. a onorare S. Benero; e dopo un refo-
cillamento si portarono processionalmente all’antico Monastero di S. Cateri-
na, dove fatte l’essequie alle religiose defunte, andarono al Casino del Conte
Baldelli a refocillarsi, essendovi il Vescovo e Vicario; e nella sera rientrarono
in Clausura.

SETTEMBRE:

A dì 4. Si seppero le rovine a cui erano soggetti gli abitanti delle (città)
attese le ostilità degl'Insorgenti contro i Francesi. Che il nuovo Sovrano di
Napoli si occupava nella riforma del Governo civile, militare e campestre di
tutto lo stato diviso in 4 provincie.

A di 6. Ordine di riattare la strada Consolare della Collina per parte di Paschi

A dì 10. Monsignor Arcivescovo Campanelli si pose per la Sagra Visita
per P S:-B.

A di 12. Mori di anni 76 il Conte Ludovico Odd e nel di 13 si célebró il
funerale in S. Agostino.

A di 16. Ritornò dalla Sagra Visita ! Monsignor Campanelli.

A di 17. Si risolvé dai Condomini del nuovo Circo di cedere il suolo per la
costruzione de' Palchi.

A. di 23. Vennero stampati i quesiti fatti in Parigi al Sinodo della nazione
Ebraica congiunti alle risposte fatte dal medesimo.

OTTOBRE :

A di 1. Si principió il lavoro de' Palchi nel Circo da porsi in DIETE. nell’e-
state del 1808.

A di 4. Parti per Matelica sua Patria Monsignor Campanelli Vescovo per
passarvi l'autunnale stagione.

A di 8. Nella chiesa de’ PP. Barnabiti fu insignito della Croce di S. Ste-
fano Giambattista Baldelli. È

‘ A di 18. Si seppe che il P. Maestro Pio Bartoccini, Domenicano, Perugino,

era stato per Breve Pontificio, eletto Procurator Generale dell’Ordine.

A dì 21. Si seppe che l’Imperator de’ Francesi trovavasi fin dal 1° otto-
bre alla testa della sua armata al passaggio del Reno. vi

A di 27. Si cominció il riattamento della strada di P. S. P. da S. Croce al-
la Parrocchia di S. Maria in Colle, con la pietra della Cava di Monterone.

Successe una nuova rottura fra la Russia e la Francia, e questa fece tor-
nare Napoleone nella Germania. Successe la gran battaglia di Iena nella Tu-
NOTE E DOCUMENTI 225

ringia, per la quale il Re di Prussia perdè una gran parte de’ suoi stati, ed i
Francesi entrarono a Berlino nel dì 20 col loro Imperatore Napoleone Bona-
parte.

NOVEMBRE:

A dì 18. Si seppe il ragguaglio dell’ingresso in Berlino dell’ Imperatore
Bonaparte, da dove il Sovrano erasi da qualche giorno partito.

DICEMBRE:

A dì 8. Si seppe che in Napoli nel mese di novembre erasi emanato un De-
creto per un nuovo sistema da praticarsi ne’ Seminarj e Collegj, e nella pro-
mozione de’ Chierici agli ordini Sagri. Che si abolì lo stile di far eunuchii bam-
bini per renderli abili al canto femminile. Che il capo degl’ Insorgenti in Cala-
bria, detto Fra Diavolo, era stato preso e fucilato.

A dì 11. Si tenne Consiglio Generale per il pagamento da farsi ai possiden-
ti che nel 1796 aveano somministrato i grani per l’armata Pontificia.

A dì 17. Morì Monsignor Dionisio Connestabili in Viterbo, Vescovo di
quella città.

A di 23. Venne la relazione della sanguinosa pugna di Lubecca nella bas-
sa Sassonia, tra i Prussiani e Francesi e che si era firmato armistizio il dì 16
di novembre a Charlottemburgo. Napoleone nel partire dagli Stati Prussiani,
avea risoluto d’intimare a tutte le Potenze o di essere nemiche della Francia
o di unirsi ad essa contro il Governo Britannico.

Nel dì 20 corrente, fu proclamato Re l’Elettore di Sassonia. Bonaparte
creava Re, stabiliva Regni ed Imperi a suo modo; toglieva ad uno per dare
ad un altro: ed era giunto a tanto di disporre le cose d'Europa a suo capriccio,
sotto specie di dar pace all’Europa; ed intanto satollare la propria ambizione
e farsi un nome d’intraprendente in tutto il mondo.

1807
"GENNAIO:

A di 1. Fu emanato un avviso pastorale per la revoca dell'Indulto ema-
nato il dì 13 marzo 1806 per uso de’ lardi, strutti, essendo ridotto l'olio ad un
prezzo discreto, non essendovene piü penuria. 4

A di 4. Monsignor Arcivescovo Campanelli andó a due parrocchie in oc-
casione della Dottrina Cristiana.

A di 9. Per la brevità del Carnevale venne licenza anticipatamente per
far maschere; con le debite cautele e col divieto de' Veglioni senza permesso.

A di 12. Incominciarono le maschere.

A di 14. Passó il Generale Massena (alloggiando alla Corona) delle Trup-
pe Francesi nel Regno di Napoli di passaggio per l'Etruria.

A di 27. Si fece sentire il terremoto.

A di 29. Gran freddo.

FEBBRAIO :

A di 11. Ceneri. Venne indulto pontificio per le carni ed ova e latticini con
eccettuarj etc.

QUARE e T ie p GENS ETSI DUREE



T 226 NOTE E DOCUMENTI

A dì 26. Editto del Governatore col divieto di qualunque giuoco di sorte
nei ridotti e di resto nelle case private sotto rigide pene. .

) A di 28. Notificazione riguardante alcuni avvertimenti sulla estrazione

dell'olio.

MARZO:

A di 1. Fu fatto l'accatto allo spedale per il Purgatorio nella somma di
scudi 172. .
A dì 5. Pioggia dirotta continua, per cui. seguì l'inondazione del Tevere,
Caina, Genna e Nestore.
A dì 8. L’accatto pel Purgatorio in Duomo fu nella somma di scudi 102.
All’apertura della nuova Campagna Napoleone prese Danzica per Capi-
tolazione. L'Imperatore Alessandro di Russia avendo preso parte perla Prus-
sia, entrò anch’esso in Campagna e seguirono nel mese scorso nella Polonia
Russa dei fatti d’arme.
A dì 13. Fatto tragico seguito di notte tempo vicino alla Sapienza Barto-
lina, dove fu trovato semivivo Ubaldo Batocchi per colpi di bastone, che tra-
| sportato in S. Giovanni di Dio, senza poter parlare se ne mori, ed ivi sepolto.
A dì 16. Partì Monsignor Campanelli per Colle, per motivi di salute.
A di 19. Visita. della sette chiese trasferita.
A dì 21. Marciarono i soldati di linea e della Truppa Urbana per Foligno.
A dì 25. Tornò da Colle Monsignor Campanelli.

APRILE :

A dì 9. Morì il P. Maestro Varsi Conventuale, e fu fatto il funere in S.
Francesco. >

A dì 11. Partì il Canonico Pacetti per Vicario Generale di Spoleto.

A dì 13. Morì di anni 8 Alessandro Rossi di S. Fiorenzo.

A dì 19. Aprile, neve ai monti. -

A dì 20. Freddo sensibile. Partì per Roma Monsignor Campanelli.

A dì 30. Seguì furto di notte in S. Agnese di varie biancherie da curarsi.

MAGGIO :

A. di 17. Processione della Madonna dell'Umiltà, scopertasi con prodigi nel-
l'afco della Mandola in P. B. il dì 10 luglio 1797, che dall’Oratorio nell’ Annun-
ziata, tra un numeroso concorso di popolo, venne rimessa nel Tempio di S. Angelo.

A di 18. Furono incominciate le preghiere alli SS. Confaloni per avere
la pioggia. : :

A di 21. Furono esposti i SS. Confaloni.

A di 24. Furono incominciate le Processioni e seguitate negli altri due se-
guenti di dei SS. Confaloni per ottenere la pioggia che non era più caduta fin
dal 9 marzo.

A di 25. Fu pubblicato Editto Pontificio che conteneva il divieto di por-
tare ad arbitrio le coccarde al Cappello, delle Potenze Estere nello Stato Romano.

A dì 28. Venne una guazzata di acqua, e nel di 30 e 31 venne dell'acqua.

GIUGNO:

A di 2. Segui un furto di gioie e biancheria in casa del medico Orsini.
NOTE E DOCUMENTI

A dì 4. Incominciò un triduo per ringraziamento dell’acqua caduta.

A dì 6. Editto Pontificio sul dazio imposto il 29 marzo 1806.

A dì 11. Ritornò da Roma Monsignor Campanelli Vescovo, assente fin dal
20 aprile. :

A di 14. Seguitando le Armate de' Russi e Francesi ad agire in fatti d'ar-
me, il dì 14 seguì la famosa battaglia di Friedland, dopo la quale gli Impera-
tori Russo e Francesi vennero a colloquio, e ne segui la pace di Tilsit, ai 7 lu-
glio, come si dirà.

A dì 23. Mori Don Francesco Asso spagnuolo, di morte HUDrOSVISa, e nel

.di 25 fu fatto il funere in S. Luca.
A di 27. Editto pastorale sul rispetto alle Chiese e pene per i profanatori.
A dì 29. Monsignor Campanelli, dopo il Vangelo, recitò l'Omilia in pulpito.

LUGLIO:

A dì 5. Si seppe la resa di Danzica e Conisburg alle armi francesi.

A dì 6. Morì di 70 anni il Canonico Giambattista Salvatori e nel dì 7 fu
fatto il funerale nel Duomo.

A dì 7. Seguì la pace di Tilsit tra la Prussia e la Francia, in cui fu nota-
bilmente tarpata le Monarchia Prussiana. In sequela di questa pace fu pro-
messa la consegna delle bocche di Cattaro ai Francesi, facendone l'Impera-
tore d’Austria il sacrifizio.

A dì 12. Domenica Monsignor Campanelli Tes avvisare in Duomo, dal
Sagrestano, alcuni giovani che ciarlavano, o di desistere o di partire.

ES A. di 13. Caldo assai grande e nel di 16 a gradi 26. Segui un terremoto in
Bologna nei giorni scorsi.
A. di 17. Si seppe la morte del Cardinal Duca di Jorck in Frascati, in età
di anni 87.
A di 26. Domenica Monsignor Canipaneli ordinò che in ciascuna festa all’ul-
' tima Messa si facesse il discorso sul Vangelo in Duomo dal dottor Luigi Mattioli.

AGOSTO:

A dì 10. Fu fatta convenzione tra l'Imperatore d'Austria e de’ Francesi
per salvare parte del Friuli. Dopo Napoleone Imperatore proibì la relazione
con l'Inghilterra. In quest'anno la Spagna e il Portogallo furono occupati dai
Francesi, e la Corte di Lisbona si rifugiò nel Brasile. La Toscana venne anch'es-
sa incorporata all'Impero Francese.

A dì 13. Riattandosi il Campanile di S. Domenico, cadde un-manuale dal
detto Campanile e rimase morto.

Fu ripristinata l'Arcadia al Frontone.

A di 23. Fu rimesso alla Croce un Villano della. Compagnia del Crocifisso,
di S. Maria Nuova, per privilegio. i

-SETTEMBRE:

A dì 3. Fu pubblicata Notificazione del Priore dei Chiostri e quattro Con-
soli della Mercanzia per il metodo da praticarsi nel nascente Collegio Pio, det-
to prima Sapienza Nuova, da aprirsi nel primo di novembre dell’anno corren-
.te, per i fanciulli Nobili, dalli 10 agli anni 20.

A di 21. Parti Monsignor Campanelli per Matelica. sua patria.

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a 228 NOTE E DOCUMENTI

OTT OBRE :

A dì 14. Morì di a anni ottanta Giuseppe Belforti üntiquaiio e nel di 15 fu
fatto il mortorio in S. Giovanni Rotondo.

A di 27. Si ebbe notizia della situazione infelice della Danimarca belli-
gerante coll’ Inghilterra.

A dì 30. Dopo il trattato di Tislit seguito tra la Pica e l'Imperatore dei
Francesi Napoleone, questi rivolse gli occhi all’ occidente e stabilì la rovina
del Portogallo, che invase, come si disse, e della Spagna per farli felici, come
fece con quelli d’Italia, d'Olanda, della Svizzera e Confederazione del Reno.
Entró dunque Napoleone in Ispagna e ne conquistó una porzione; e per im-
possessarsi di tutta la Spagna si propose fomentar discordia, come gli riusci,
. nella famiglia reale, per mezzo di un suo ministro che lo servi nella maniera la
piü fedele, ma la piü vituperevole. Per far ció procuró sedurre il principe di
Asturias, figlio di Carlo IV Re di Spagna, ed ora legittimo Re, Ferdinando VII;
e progettó il matrimonio con una Principessa parente dell'Imperatore Napo-
leone. Condiscese il Principe, ma con condizione che non dispiacesse ai suoi
genitori, ai quali scrisse egli stesso una lettera e dopo fu arrestato nel real Mo-
nastero di S. Lorenzo. Ció fatto si fece sottoscrivere al Re Carlo IV un decre-
to scandaloso nel di 30 ottobre, in cui il Re Padre, denunzió al real Consiglio
di Castiglia, il figlio come traditore e ordinó il processo contro di lui. La pri-
gionia del principe produsse un effetto contrario e credé di retrocedere, ed in-
ventó Napoleone certe carte che fece sottoscrivere al Principe nella sua pri-
gionia, per essere cosi mediatore tra padre e figlio e le carte passarono nelle mani
dei genitori, e cosi ottenne la libertà, ma apparente.

Si mandó al Re a sottoscrivere un trattato fatto nel 27 ottobre a Fontai-
neblau, fra Napoleone ed il ministro Spagnuolo: L'oggetto segreto fu di im-
padronirsi del Portogallo e frattanto prendersi la Toscana.

NOVEMBRE:

A di 1°: Fu intimato al General francese in Macerata a nome del Genera-
le Lamauroy, ivi abitante, l'arresto al Magistrato di Macerata, e la sua tradu-
zione in Ancona. Monsignor Rivarola, presidente generale della Marca, fece
scrivere allo stesso Generale da quello di Macerata per la revoca di tale ordine
violento, per causa di essersi opposto il Magistrato a dare i generi richiesti per
l'Armata Francese.

Fu arrestato anche il Prelato e COHHOLEO a Pesaro, ed il Luogo Tenente.
protestó a nome del Sovrano, cioé il Pontefice, contro quest'atto.

A di 3. Fu aperto il nuovo Colleggio Pio, (prima Sapienza Nuova).

A. di 8. Mori in età di anni 68 Luigi Pacini, Curiale di grido, e nel 10 fu
fatto il funerale in S. Teresa e fece l'Orazione funebre il Dottor Felice Santi.

A. di 13. Si seppe che erano entrati varj Corpi di Armata JS nella
Marca per guarnire quei rispettivi posti e Porti.

Fece Napoleone partire le truppe per la Spagna, sotto pretesto di proteg-
gere il Principe delle Asturie. Il Re Carlo IV, timoroso, non fece resistenza
all'ingresso delle Truppe in Ispagna, e l'Imperatore comandò ai Generali d’im-
padronirsi di alcune fortezze. Di poi l'Imperatore scrisse al Re Carlo riconve-
nendolo (?) con tuono aspro di non aver rinnovato mai ia domanda di una
Prineipessa Imperiale per isposa al figlio suo, Principe delle Asturie. Il Re ri-
NOTE E DOCUMENTI i * 229

spose a lui che era pronto alla ratifica del Matrimonio. Il Re poi con la Regina
concepirono di trasferirsi al Messico per fuggire ogni inquitezza e godere la loro
pace.

A di 17. Monsignor Campanelli ritornó da Matelica.

A dì 22. Si seppe che era partita da Lisbona la Corte di Portogallo pel Bra-
sile, essendo entrata la Truppa francese in quel Regno per impadronirsene..

A dì 24. Si riseppe che si tramava una congiura contro il Monarca della
Spagna. i

DICEMBRE:

A dì 1. Giunse notizia dell’arrivo dell’Imperatore Napoleone a Venezia,
e della partenza della Regina d’Etruria.

1808
GENNAIO:

A dì 1. Fu ordinato dal Governatore alli possidenti di vendere il vino a
minuto per evitare il disordine.

A dì 12. Venne indulto per le Maschere colle debite riserve.

A dì 22. Editto del Governatore ai possidenti di somministrare l'occor-
rente per l'Armata Francese prossima a venire.

A dì 24. Giunsero due Battaglioni di Armata Francese con General di
Brigata, in S. Francesco.

A dì 25. Il locale delle scuole pubbliche fu convertito provvisoriamente
in magazzino di paglia e fleno per l’armata. Giunse l'avanguardia della Caval-
leria in S. Agostino.

A dì 26. Giunse il General Miollis. Sapendo Cattivera, Comandante della
‘. Fortezza, che un picchetto, di Cavalleria era entrato in fortezza, essendo esso
al Caffè, andò dal Generale per sostenere i diritti del proprio Sovrano, e Miollis
accettò le sue ragioni.

A dì 27. Fu sospesa per ordine del Vescovo la Congregazione de’ casi mo-
rali in Vescovato.

A dì 28. Partì tutta l'Armata per Foligno.

A dì 29. Monsignor Campanelli fece l'Omilia in Duomo nel Trono, dopo
il Vangelo.

FEBBRAIO:

A dì 2. Arrivo di alcuni soldati francesi dalla Toscana.

A dì detto il Cardinal Casoni rispose a nome del Pontefice al Governo fran-
cese, che non poteva aderire alle domande fattegli dal suddetto Governo. senza
violare i suoi sacri doveri, ed il dettame della coscienza, e che rimetteva la causa
nelle mani di Dio, prevedendo di dover soccombere alle conseguenze disastro-
sé, a cui era fatta intimazione di dover soccombere in caso che non si aderisse
cioè alla occupazione di Roma. Le domande fatte dalla Francia sono riportate
nel Libro: « Documenti intorno a Pio VII », che è in Libreria.

In questo giorno fu occupata Roma dai Francesi, e Pio VII si rinchiuse
nel Quirinale. Vi entrò il General Miollis.

A dì 8. Il S. Padre spedì lettera privata ai Cardinali avvisandogli delle 230 NOTE E DOCUMENTI

pretese ingiuste fattegli dal Governo Francese, e la risposta che aveva dato,
animandoli a soffrir tutto quello che era per accadere con grandezza d’animo.
Sette furono le domande, come nel suddetto Libro: Documenti autentici.

A dì 13. Era già seguita l’invasione di Roma fatta dalla Truppa Francese,
e venne la copia della protesta fatta dal S. Padre dopo l’arrivo della suddetta.
Gadde della neve anche nel 14. 3

A dì 22. Fu fatto il funere in S. Francesco per Spiridione Montesperelli,
giovanotto morto per essersi data da sè la morte per aver preso moit'opio, «per
cui, addormentato, non si svegliò più.

A dì 23. Nevicò.

A dì 24: Venne in S. ASA un religioso dello stesso ordine Lucchese,
che era condotto colla forza armata per essere trasportato a Firenze.

A di 25. Freddo grande.

MARZO:

A di 1. Freddissimo e contrasto di venti.

A di 7. Funere in S. Teresa dell'ex Gesuita Francesco Saverio Rezza, mor-
to nel di 5, e il Dr. Felice Santi ne fece l'Orazione funebre. Era uomo di gran
dottrina, ma di gran modestia. A di detto, il S. Padre per mezzo del Cardinale
Doria Panfilj reclamó e fece conoscere al comando militare francese alquante
violenze usate alle persone e luoghi, con sommo disprezzo della sua Persona.

A di 13. Essendosi dal Governo francese incorporata l'Armata Pontificia
a quella francese colla medesima coccarda gialla e rossa, il S. P. per mezzo del
Cardinale Doria fece lagnanze al Generale Mióllis per tal violenza fatta alla
Truppa Pontificia in dispregio di sua Persona.

A di 15. Mori di anni 72 Caterina Giovio, e nel 26 fu fatto il funere in
Duomo.

A di 16. Il S. P: fece allocuzione Concistoriale,in cui dimostrò le sua con-
dotta tenuta nelle vessazioni avute dal Governo francese e si difese da alcune:
cose da esso lui operate. Avendo risoluto il Re e la Regina di Spagna di abban-:
donare la Capitale e trasferirsi al Messico, per goder la lor pace, si seppe dagli
Spagnuoli, e si risenti tutta la Nazione. Il Re fece intendere che ció non sarebbe
accaduto. Ma gli spagnuoli stavano in guardia, ed all'erta. acció non succedes-
se l'esecuzione di tal determinazione, e nei giorni 17 e 19 marzo segui. un movi-
mento ne' Spagnuoli d'Aranjenz. In tale stato i Reali Genitori al loro figlio e
erede, Principe d'Asturie, rinunziarono nel di 19 marzo la Corona di Spagna.
Nulla sapendo l'Imperator dei Francesi di tal rinunzia, dette. ordine di far
marciare le Truppe verso Madrid. Ferdinando VII già fatto Re, pensó di pren-
dere misure di riconciliazione e dette parte all' Imperatore del suo innalzamento
al Trono. Gli Agenti Francesi accertarono il Re Ferdinando, che S. M. I. era
per giungere a Madrid. Ferdinando scrisse nuovamente all'Imperatore che
gradiva la sua venuta per poterlo conoscere. Entró la Truppa a Madrid, ed
il General della Truppa fece sapere, che, finché l'Imperatore non approvava.
tal rinunzia della corona, non lo riconosceva, e che trattar volea solo col Re
Padre. Si procurò di metter discordia tra il Padre e il Figlio, e frattanto venne
il nuovo Re a far l'ingresso in Madrid in mezzo alle acclamazioni. Da quest'e-
poca fino al Maggio successe che frattanto il General Duca di Berg, raggiratore
a favore dell'Imperatore procuró allontanar Ferdinando VII da Madrid, e fece
NOTE E DOCUMENTI 231

perciò sapere che l'Imperatore era partito da Parigi e che presto giungerebbe
a Madrid. Procurò il Duca che partisse D. Carlo Infante, fratello di Ferdinando
e Murat, altro Generale, procurò lo stesso per Ferdinando. Intanto gli Agenti
francesi si adopravano con i Reali Genitori per istrappar loro una formal pro-
testa con le solennità necessarie contro la rinunzia del Regno fatta a favore
del Figlio. Veniva continuamente pressato Ferdinando ad uscir da Madrid.
Venne un inviato a complimentar il Re Ferdinando a nome di Napoleone, as-
sicurandolo che esso lo avrebbe riconosciuto, e che era: già vicino a giungere.
Il Re cedé e lasciò in Madrid stabilita una giunta per il governo in tempo di
sua assenza. Fu indotto ad andare a Bajona, dove venne l’ Imperatore, e tro-
vatisi insieme si abbracciarono a vicenda. Stettero insieme a pranzo. Dopo
pranzo, tornato il Re all'alloggio, venne-un General Francese e gl'intimó che
S. M. I. volea che non più regnasse in Spagna la Dinastia di Borbone, e che
volea che succedesse la sua; per ciò volea che il Re rinunziasse perse e per tutta
la sua Famiglia la Corona di Spagna e delle Indie in favor della Dinastia di
Bonaparte. Un ministro del Re rispose parlando al Ministro di Bonaparte, che
il Re non potea rinunziare alla Corona per non pregiudicare alla sua Famiglia.

Insistette il Ministro francese che si venisse alla rinunzia richiesta, perchè
quella fatta da Carlo IV alli 19 marzo non era stata volontaria E si ripugnò
con maraviglia, accertandosi che si volesse quella di Ferdinando, non essendo
stata libera quella di suo Padre; e che l'Imperatore non dovea ingerirsi negli
affari di Spagna: Fu fatta vedere che non fu violenta la rinunzia di Carlo IV a
favore del Figlio nelli 17, 18, 19 marzo. E che la rinunzia non era stata pro-
dotta che dal desiderio del Padre di menare una vita tranquilla altrove.

A di 17. Si viddero nuove coccarde Pontificie di color bianco e giallo.

A.di 20. Accatto del Purgatorio fatto allo spedale fu nella somma di scudi 25.

A. di 22. Furono benedette due campane per Mantignano nella. chiesa del

. Monastero di S. Lucia. i

A dì 23. Il S. P. per mezzo del Cardinal Doria fece passar lagnanze. al
General Miollis per la violenza fatta di mandar esuli da Roma 15 Cardinali
e staccarli dal suo seno.

A dì 25. Temendo il S. P. che il Governo Francese volesse pretendere le
rendini del Governo Pontificio, fece passare ai Funzionarj il suo ordine, che in
caso tale ricusassero.

Napoleone decretó che i Cardinali, Prelati e Uffiziali impiegati nella Corte
di Roma, e nativi del Regno d’Italia, dovessero, dopo il 25 Maggio prossimo,
rientrare sotto pena di confiscazione de’ beni, e dovea essere posto il sequestro
ai beni di tutti quelli i quali dentro il giorno 5 di giugno non avessero ubbidito.

Tal nota fu mandata alli 30 marzo corrente;la risposta fu fatta il di 3 aprile,
come nel detto libro si riferisce.

A di 27. Fufattoin Duomo l’accatto peril Purgatorio, ed ascese alla somma
di scudi 123.60. i

A. di 28. Si seppe essere passati per Foligno dei Cardinali esteri, scortati
dalla forza armata, da loro stessi richiesta per andar via.
A di 30. Fu fatto consiglio generale riguardo al tempo e al luogo di licen-
ziare i Coloni dai rispettivi Predj.

A di 31. Fu tenuta congregazione dagli Unisoni all' Oratorio di IS: Filippo
Neri per il ripristinamento dell'unione di S. Cecilia. 232 NOTE E DOCUMENTI

A dì detto morì in età di 72 anni Eugenia Mariottini, e nel 19 aprile fu
fatto il funere in S. Francesco.

APRILE :

A dì 1. Il S. P. per mezzo del Cacdinal Gabrielli fece passar lagnanze al
General Miollis di aver usata violenza anche sui Cardinali del Regno Italico
oltre quelli del Regno di Napoli.

A di 3. Furono incominciati gli Esercizi spirituali in Duomo, e nella mat-
tina a buon ora in S. Ercoiano, S. Fortunato, S. Spirito, S. Antonio Abate e
S. Donato.

A di detto ii Ministro Francese Champagni diede nota al Cardinal Caprara
per S. Santità, che l' Imperatore non poteva conoscere il principio che i Prelati
non fossero punto sudditi del Sovrano sotto cui erano nati. 2°) che tutta l'Ita-
lia, Roma Napoli e Milano, facessero una lega offensiva e difensiva per allon-
tanar la guerra. Se il S. P. ricusasse era segno che l'Imperatore dichiarava la
guerra.

A dì 5. Il S. P. diede ordine al esoriére di somministrare 1/m scudi a
ciascuno de’ due Cardinale Saluzzo e Pignattelli intimati ad andare a Modena
o Reggio, essendosi loro confiscati tutti i beni del Regno di Napoli.

A dì 7. Per mezzo del Cardinal Gabrielli il S. P. reclamò alla legazione
francese per l’attentato usato dalla Truppa Francese contro la guardia svizzera
alla Porta del palazzo di S. Santità, intimando ad essa NELLO che in avvenire
dovesse dipendere dal Governo francese.

A dì 10. Pio VII dichiarò venerabile la Principessa M.? Clotilde Saveria
di Francia, Regina di Sardegna, sorella di Luigi XVI e XVIII. Questa passò
per Perugia dopo il principio del secolo.

i A dì 11. Il S. P. reclamò perchè la Guardia Svizzera era stata obbligata
a far uso della Coccarda francese, ed essere incorporata alla milizia jrancese.

A dì detto giunse il Segretario del Comandante di Foligno con 6 Dra-
goni, che andò dal Magistrato e chiese 12 polledri da tiro.

A di 14. Due ordini affissi: l'uno della corte di Milano, in cui si vietava di
portare e dispensare coccarde di potenze nemiche: l'altro di Roma dal quartier
generale, che proibiva la delazione delle armi offensive.

A di 17. Monsignor Campenelli fece omilia nel Faldistoro inter missarum
solemnia. :

A di 19. Il S. P. fece intendere al Governo francese che non potea prender
parte nella lega offensiva e difensiva contro i Sovrani Europei, e nelle altre
operazioni fatte da' Francesi contro la sovranità sua.

A di 20. Mori di anni 55 P. D. Costanzo degli Oddi Cassinese, e nel di 21
fu fatto il funere in S. Pietro. Fu fatto sapere al S. P. che il Governatore
di Roma dovea esser deportato alle Fenestrelle per aver ricusato di ammini-
strar la giustizia secondo le leggi e le regole dello Stato. Il S. P. ne fece il re-
clamo al Generale Miollis per mezzo del Cardinale Gabrielli.

A di 22. Scrisse il Governatore di Roma, che era Monsignor Cavalchini,
che partiva con somma consolazione per esser deportato, per essere fedele al
suo Sovrano.

A dì 22. Fu sospesa la Cancelleria Criminale vescovile dal Governo fran-

>

cese.
NOTE E DOCUMENTI 233

A dì 22. Sentendo il S. P. arrestati 3 Offiziali della truppa Pontificia in-
corporata alla francese, ricusando servire, e dover essere deportati a Mantova,

ne fe’ reclamo per mezzo del Cardinale Gabrielli.

Dopo scrisse il S. P. a Napoleone, lagnandosi del suo contegno tenuto in
tante violenze fatte, tanti danni arrecati, e della occupazione della sua Capi-
tale, dopo tanti servigi da se prestatigli.

A di 24. Venne ordine al quartier Generale di Roma, che i soldati e uffi-
ciali di linea rimuovessero dal Cappello la coccarda gialla e rossa.

A dì 26. Nuova Coccarda al Cappello de’ soldati ed uffiziali di linea color
bianco, verde e rosso.

A dì 30. Sagra funzione del Mese Mariano nella Chiesa della Compagnia
della Morte.

MAGGIO:

Dopo varie vie tentate dal Ministro Francese e dallo stesso Bonaparte

per poter giungere al fine di ottenere il Regno di Spagna colla rinunzia da far-.

si da Ferdinando VII, l'Imperator Bonaparte risolvè di far venire i Genitori
di Ferdinando in Bajona. Questi intrapresero il viaggio stabilito. E perchè
era necessario per venire alla effettuazione del suo disegno di scancellar dal
cuore del Padre l'amore per il Figlio e di sostituire la più fredda tenerezza per
i figli, e per ciò questi operatori del raggiro si servirono di questo stromento
per l'avvilimento ed esilio de’ Figli. Il Re Padre in Bajona desse al Figlio che
non volea regnare né tornare in Spagna, ma volle che il Figlio rinunziasse in
suo favore la corona per farne un regalo all'Imperatore. Come mai dimenti-
carsi questo Re Padre di tutti i riflessi e doveri senza esser stato violentato,
essendo egli tanto pio.e penetrato da principj di Religione ?

Il Re Ferdinando VII mosso dal rispetto verso i Genitori, stando in arre-
sto e forzato dalle circostanze troppo a lui contrarie, fece il di 1 maggio anno
1808 una rinunzia condizionata.della sua corona a favore dello stesso Padre
Carlo IV. B

A-dì 2. Si pubblicò un Editto del Preside, riguardo un prestito da farsi
dai Mercauti per supplire alle spese pel passaggio delle Truppe francesi.

A dì 5. L'Imperatore Bonaparte andò a visitare i Reali Genitori di Fer-
dinando e fu chiamato esso ancora alla presenza della Regina e dell’istesso
Imperatore Napoleone, che udì una delle più nere ed infami invettive. Tutti
stavano a sedere e Ferdinando in piedi, a cui diede ordine il Padre di fare una
rinunzia assoluta sotto pena di essere trattato con la sua Comitiva come usur-
patore della Corona e di aver congiurato contro la vita de’ Genitori. Ferdinando
per non recar danno agli altri, fece una seconda rinuncia, che portò il carat-
tere di violenza, e che non valse a mascherare l’usurpazione progettata dall’ Im-
peratore. Si seppe che antecedentemente l'Imperatore disse a Ferdinando in
una conferenza: « Principe, è indispensabile l’una delle due, o la cessione o la
morte ».

Carlo IV rinunziò la Corona all'Imperatore allo stesso tempo che fu for- .

zato, chi era tenuto per Principe d’Asturie, e forzati furono ancora il Fratello
D. Carlo e lo zio D. Antonio, facendo tutti la rinunzia de’ loro diritti. Il Re
con la famiglia rimase sotto la custodia e volere di Napoleone.

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Dr, 234 NOTE E DOCUMENTI

L’Imperatore andò a Madrid, obbligò i grandi ad accettare la Costituzione.
Soppresse il Tribunale della Inquisizione e ne demaniò i beni e due terzi de’
Conventi che esistevano. Dichiarando la guerra alla Spagna contro il senti-
mento di Talleirand, suo consigliere, esso gli fece conoscere i gravissimi danni
di questa impresa. Gli Spagnuoli intanto impedirono che non si impadronisse
di tutta la Spagna, ma si sostenevano in molte piazze. In Cadice vi era una
Coortes alla testa dell’antico governo spagnuolo, amministrato a nome di Fer-
dinando VII, figlio di Carlo IV. Fu portata in Francia l’antica famiglia reale
de’ Borboni. I Spagnuoli, trovandosi oltraggiati nella persona de’ principi,
vollero far prove di valore e presero le armi in difesa della Patria, con un fuù-
rore indicibile.

A dì 9. Partirono i soldati ed uffiziali PAD per. Foligno di notte.

A di 10. Fu pubblicato un Editto francese in cui si vietavano le illumi-
nazioni e gli spari di artiglieria senza la previa licenza.

A di 14. Fu trasportato in Roma il Comandante del Papa Cattivera, per
non volere aderire all'invito francese.

A. di 15. Bonfigli, Comandante di una parte della Truppa Pontificia ri-
cusò di aderire agli ordini di Miollis contro la fedeltà dovuta al proprio so-
vrano.

A di 16. Per mezzo del Cardinal Gabrielli il S. P. si lagnó con Bonaparte
che esso dicesse di professare la Religione Cattolica e che col fatto smentiva
la verità, e che vi voleano fatti e non parole

Le ragioni che addusse l'Imperator Napoleone riguardo alla riunione delli
Stati del Pontefice al regno d'Italia e di Napoli, erano: 19) Per avere il Sovra-
no temporale di Roma ricusato di far guerra agli Inglesi; 29) Perché l'interesse
de' due regni d'Italia e di Napoli esigeva che la loro comunicazione non venisse
interrotta da una Potenza nemica; 3°) Che la donazione di Carlo Magno delle
Provincie componenti lo stato romano fu fatta a profitto della Cristianità,
ma non ad utile dei nemici della nostra S. Religione.

A di 16. Tornó Monsignor Campanelli dalla S. Visita.

A dì 17. Il medesimo andó a far visita al Comandante francese della for-
tezza.

A dì'18. Giunse un distaccamento di Cavalleria annoverese col Coman-
dante. Fu trasportata la Statua in Bronzo rappresentante Giulio III, di notte
in Casa Monaldi.

A dì 19. Venne altro distaccamento di Cavalleria in S. Domenico.

A dì detto per mezzo del Cardinale Gabrielli reclamò il S. P. la usurpa-
zione de’ suoi dominj e della privazione di Dl eleggere Ministri, essendo
capo della Chiesa di tutte le Nazioni.

A dì detto il S. P. fece spedire ai Ministri esteri di condoglianza per un
Decreto del 2 aprile per le violenze usategli dalla Corte di Francia.

A dì 20. Fu aggiunta alla Messa la Colletta per la pioggia, essendo sic-
cità.
A dì 23 e 29. Il S. P. spedì due istruzioni ai Vescovi per la loro condotta
da tenersi col governo francese in caso che si richiedesse da guo il giuramento
dando esso. la formola del giuramento da darsi.

A di 27. Sorti dalla stampa un opuscolo di D. Filippo Antonini, Perugino
sopra la Sagramentale Confessione.
NOTE E DOCUMENTI

GIUGNO:

Napoleone Bonaparte, Imperatore di Francia, credendosi padrone della
Corona di Spagna per la violenta rinunzia fattagli da Carlo IV nella maniera
la più irregolare da Napoleone ottenuta, ne trasferì il dominio a Giuseppe Bo-
naparte suo Fratello, richiamandolo dal Regno di Napoli, ove mandò Gioac-
chino, suo cognato. Gli spagnuoli si posero in armi per garantire Ferdinan-
do VII contro l'iniquo usurpatore e l’ Inghilterra diede loro ajuto ed assistenza,
mandando gente, ed un bravissimo Generale e celebre, chiamato Veligton,
sotto cui fecero prodigi di valore. I massacri furono ostinati e senza profitto
per i Francesi, benché vincessero in diverse volte sette battaglie. Proclama-
rono i spagnuoli di nuovo il Re Ferdinando. Misero in rotta ventimila uomini
di fiorita armata francese nelle pianure di Bajadoz; ed all'ultimo furono respin-
ti i francesi e Bonaparte, che fulminava rabbia. D. Pietro Cerallos ne fece di
tutto il racconto stampato in un libercolo in Libreria. 3

A dì 1. fu fatto il funere in S. Domenico per Federico Auditor Pucci Buon-
cambj, morto nel dì 31 scaduto, di anni 81.

A dì 6. Passarono varj cariaggi venuti da Roma diretti in Toscana spet-
tanti a Luciano fratello di Napoleone Bonaparte.

A dì 8. Morì Ernesto Baldelli di anni 60, per aver bevuto per sbaglio lo
spirito di vetriolo in vece del vino, e fu fatto il funere nel di 9 ai Cappuccini
del Luogo Nuovo. Volea Baldelli servirsi del suddetto spirito per far seccare
alcuni olmi che rimanevano nel greppo in faccia alla sua Casa, vicina alli Cap-
puccini, quali Olmi non vollero vendersi dalle Monache di Monteluce.

A di detto il S. P. reclamó al Generale Miollis contro tre proclami delli
13, 20, 28 maggio per l'organizzazione in Terni e Narni della Truppa civica

"con coccarda di Francia.

A di 16. Fu biffatto lo Scrittorio del Segretario di Stato, e nel di 17 il S. P.
reclamó contro questa violenza al Miollis; altro reclamo fu fatto nel di 25 per
alcuni arresti e violenze ed altro. Nel 28 luglio al medesimo Miollis per altre
violenze usate in persona del Governator di Viterbo.

A di 26. Furono di notte trasportati in Fortezza i fucili e bajonette della
Truppa Urbana.

LUGLIO:

A dì 1. Venne una tempesta in aria e cadde della grandine che fece danno. .

A dì 6. Editto sul testatico, da eseguirsi da 3 classi di persone; da quelli
di prima classe doveano pagarsi bajocchi 20; da quelli della seconda bajocchr
10; da quelli della terza bajocchi 6 per ciascuno, esclusi i poveri.

In altro Editto s’ingiungeva la custodia de’ cani e l’uccisione di quelli chè
si trovassero per le strade senza segno, e si proibivano i'maiali per la città.

A dì 11. Allocuzione Concistoriale fatta dal S. P. in cui fece lagnanza dei
mali che andavano crescendo nella Chiesa e rispose a varie obiezioni per ri-
guardo al suo dominio temporale in lui condannato dal governo francese.

A dì 19. Giunse un distaccamento di armata francese per guarnire que-
sta fortezza. Fra questi fucilieri ve ne furono alcuni bravi per far bottoni, e
ne istruirono molte donne. |
A di 20. Parti la guarnigione che vi era con tutti i soldati papalini. 236 : NOTE E: DOCUMENTI

A di 21. Fu dato ordine dal Comandante francese di organizzare la trup-
pa civica.

A di 22. Funere in S. M. Nuova per il Dr. Bernardi Medico, morto di 72
anni nel giorno’ antecedente.

A di detto fu tenuto consiglio in fortezza dal Comandante francese per
motivo della nuova milizia urbana; molti rinunziarono alla carica offerta.

A di 30. Fu mandata nota da Bordeax a Meternich, Ministro dell' Impe-
ratore d'Austria, a Parigi, che si dichiarava la guerra, se l'Imperatore d'Au-
stria non desistesse da alcune misure prese con tutta ragione per sua difesa.
L'Inghilterra trasse a se l'Austria, pérché non potea vedere ingrandita la
Francia. Napoleone formó un'armata d'alemanni nella confederazione del
Reno.

A di 31. Si ebbe notizia del dono prezioso di un ostensorio fatto dalla Re-
gina Giulietta di Spagna alla S. Casa di Loreto.

AGOSTO:

A di 1. Fu dimessa la Processione solita a farsi in congiuntura del Perdono i
d’Assisi alla Madonna degli Angioli. i E

A. di 8. Il S. P. scrisse lettera all'Arcivescovo di Urbino per una Pastorale
del 5 agosto, mostrando il suo cordoglio e correggendo per la penitenza.
A di detto giunse il caldo al grado 26.

. A di 9. Venne un ordine da darsi altro dazio da soddisfare subito. Si seppe
che era eletto Sovrano delle due Sicilie Gioacchino Murat. :

A di 13. Fu pubblicato Editto del Preside in cui si vietavano i ridotti
alla fiera di Monteluce.

A di 15. Fu posta guardia francese da capo allo stillicidio di Monteluce e vi
stavano fino alle ore 23. A di detto il S. P. fece far noto a tutti i Ministri esteri
per parteciparlo alle rispettive Corti, che tanti reclami suoi non aveano po-
tuto giovare per far desistere il governo francese dalle violenze contro la sua
persona e suo dominio, usate fino dal dì 2 febbraio dell'anno corrente, e che
alli 4 del corrente volle il governo suddetto francese impossessarsi con forza
di tutti i processi de' rei delle provincie dello stato papale, e fino nel Palazzo
Quirinale avea fattu violenza, ed era penetrato -con armi e baionette. Fece
tali cose note, acció i Principi vedessero come s’insultava la Sagra sua Persona
ed il suo dominio, acciò ne prendessero parte.

A dì 19. Un Perugino chiamato Bertoccini, col titolo di ajutante si diede
tutto il carico di organizzare la Truppa civica contro l'Ordine Pontificio.

A dì 24. Il S. P. avvisò caritativamente i suoi sudditi che avevano fatto
male ad arrolarsi nella Truppa Civica sotto il comando straniero, e che offen-
devano la Religione ed il proprio principe. |

A di 27. Fu pubblicata notificazione del Pontefice che nel tratto succes-
sivo sarebbero giudicati scomunicati tutti quelli, e ribelli tutti quelli che si
fossero ascritti alla Truppa civica sotto il presente governo francese, e tale
notificazione fu fatta rimuovere, ove era fissata, per ordine del Comandante
francese. :

A di 30. Fu dal S. P. data una breve istruzione ai Vescovi, come doveano E
portarsi in caso che fossero richiesti del loro giuramento dal governo francese.
-

NOTE E DOCUMENTI 237

A dì 31. Giunse un distaccamento d’Infanteria francese per guarnire la
fortezza.

SETTEM BRE: :

A di 2. Cadde un pavimento nella Goneregazione dei PP. Filippini senza
danno di alcuno.

A dì 3. Editto francese, in cui si ordinava ai Locandieri di dar parte del-
l’arrivo de’ forestieri e della loro partenza dopo 3 giorni; di chiudersi le bet-
tole dopo le ore due; si ‘vietava lo sparo de’ mortaretti, e di andare a caccia
con archibugio, senza permesso.

A dì 6. Fu intimato in Roma dal Governo Francese al Cardinal Pacca,
Pro Segretario di Stato, di partir per Benevento. Il S. P. reclamò contro que-
sta violenza, scrivendone ai Ministri esteri.

A dì 7. Fu scritta lettera per ordine del S. P. ai Ministri Esteri per infor-
marli che il Cardinale Antonelli fu intimato partire da Roma, ed andare alla
sua Diocesi, e Monsignor Arezzo fu richiesto in Castel S. Angelo.

A dì detto furono mandati al monte molti somari per caricare piombo,
e trasportato in Fortezza.

A dì 10. Furono poste le Sentinelle alle Porte principali della Città e chiuse
rimasero le altre. :

A dì 11. Fu fatta la requisizione di 30 letti per l’armata francese.

A dì 12. Vennero i governatori di Città di Castello, Fratta, Montone, scor-
tati dalla forza armata fino alla fortezza.

A dì 16. Dal consiglio de’ 40 si stabilì il dazio dei 4 piedi per il caser-
maggio.

A dì 17. Per ordine del comandante tutti i canali di piombo per l'acque
della fonte, che erano in Tesoreria, furono trasportati in fortezza.

A di 20. Dal Magistrato fu inviato in Roma il Cavalier Scipione Monte-
sperelli per l’affare de’ canali di piombo.

A dì 23. Giunse un distaccamento di armata francese in S. Francesco.

A dì 27. Si seppe che a Erfurt, nella Turingia, vi fu un congresso tra gl’ Im-
peratori di Russia e Francia.

A dì 28. Alli Ministri Esteri reclamó il S. P. notificando essere stato fucilato
un suddito di S. Santità, ed al servizio del Re Ferdinando IV come colonnello.

OTTOBRE:

In un giorno in Roma furono dispensate sei mila immagini del Pontefice
Pio VII, in atto di orare.

A dì 4. Tornò da Roma il Cavalier Montesperelli col rescritto del General
Miollis, che si rimettessero in Tesoreria tutti i canali trasportati in fortezza
nel 17 dello scorso mese.

A dì 15. Fu scritta lettera per ordine del S. P. al General Miollis in la-
gnanza perle violenze usate e sparlamenti contro la sua persona fatti da alcuni.

A dì 17. Furono trasportati nei magazzini della Tesoreria i canali di piom-
bo dalla fortezza, a tenore del rescritto.

A dì 22. Fu fatto dono di una statuetta di argento rappresentante la Im-
macolata Concezione, alla Chiesa Cattedrale, da Monsignor Vescovo Cesarini,
Perugino.

€—

uiv ov PUES GENII 238 NOTE E DOCUMENTI

A dì detto, morì in età di 77 anni D. Tommaso Briganti, Dottor Colle-
giato e Parroco di S. M*. de’ Colli, e nel dì 23, ivi ne fu fatto il funerale.

A dì 25. Morì in Corciano Innocenzo Massimi di anni 48.

A dì 29. Si riseppe un furto sacrilego seguito in Monte Melino nella Par-
rocchia e fu portata via la Pisside e lasciate le particole sparse sopra l’ Altare.

NOVEMBRE:

- A dì 11. Seguì in fortezza la degradazione di Francesco. Bartoccini, Pe-
rugino, ajutante nella Truppa Civica.

A dì 14. Fu sentita una scossa di Terremoto alle 5 e 3*/,.

A dì 18. A] Cavaliere Montesperelli alle ore 2 e 14, nell'uscire dalla Chiesina
della Madonna di Donnini si sentì arrivar vicino una palla infuocata dopo lo
scoppio dell’ Archibugio.

A dì 19. Fu carcerato Girolamo Montesperelli per sospetto sul colpo ti-

rato al- Cavalier Montesperelli.

A di 22. Nella chiesina della Madonna Suddettà il Cavalier Montesperelli
incominció un triduo per ringraziamento di essere rimasto illeso al colpo ti-
ratogli.

A di 24. Fu fatto un furto al Parroco di S. Biagio. 3

A di 30. Notizie date dal S. P. ai Ministri esteri per altre violenze e di-
sprezzi con una Gazzetta Romana alla sua Persona ed insultante la Religione.

DICEMBRE:

A di 1. Fu tenuto Consiglio Generale sul ripristinamento degli Acque-
dotti per l'Acque delle fonti.

A di 2. Parti quasi tutto il presidio francese.

A di 9. Si ebbe notizia di varj fatti d'arme seguiti in Spagna tra Spagnoli
e Francesi, ajutati dagl'Inglesi, avendo per Generale il celebre Velington.

A di 14. Mori in età di 68 anni in Bagnara Giuseppe Pensi e nel di 15
fu fatto il funerale nella Parrocchia.

A di 17, 19, 20. Neve.

A di 18. Avendo il Governo francese pubblicato nella Gazzetta Romana

.la licenza di far festini e maschere, nel prossimo Carnevale, il S. P. con no-'
tificazione disapprovò tal licenza e proibì tali pubblici divertimenti.

A dì 22. Neve di notte.

A dì 27. Morì*di anni 75 D. Felici Calindri, Lettore Giubilato, Parroco di
S. Croce in P. S. P. e nel di 28 fu fatto ivi il funerale.

Avendo il General Miollis fatto sapere al Segretario di Stato, che con lo
stato maggiore desiderava andare a far visita al S. P. come capo della Chiesa
e come Sovrano di Roma, il S. P. nel 31 dicembre fece sapere al suddetto che
era grato a questo desiderio; ma che nella sua prigionia ricusava ricevergli come
esecutori di un piano cosi obbrobrioso.

A di 31. Con una circolare ai Governatori il S. P. comandó di non far ma-
schere per lo Stato Pontificio, ma le pure.rappresentanze comiche col ripor-
tarne prima il permesso della Segreteria di Stato.

A. di detto, nella Sagrestia del Duomo fu rubato un Ferrajolo in tempo
della funzione finale dell'anno.

(Continua)

N23
INDICE: DEL: VOLUME

G. Dominici, La Via Flaminia per Ancona e la « Nuceria» degli
g

Umbri e dei Romani

P. Pizzoni, Scienziati Umbri

Note e Documenti

Cronaca di Giambattista Marini, a cura di E. Ricci
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