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STORIA PATRIA.
8. A. Arti Grafiche Panetto & Petrelli - Spoleto, 12-1945.
L'ABATE LUIGI CUCCAGNI DA CITTÀ
DI CASTELLO POLEMISTA CATTOLICO
DEL SECOLO XVIII

Tra le piccole città italiane che dettero in tutti i secoli un largo

contributo al pensiero e alla cultura della nostra terra, Città di Ca-

stello — l'antica Tifernum Tiberinum dei romani — piccolo centro um-
bro sulle sponde dell'alto Tevere, occupa un posto indubbiamente ra g-
guardevole. Dalle epoche più remote a oggi, Città di Castello ha dato
figure che vivono ancora e che brillano di luce chiara in tutti i campi
degli studi e del sapere, in tutti i movimenti dell’intelletto e dello
spirito.

Eppure gli studiosi si sono limitati quasi sempre alle indagini
sui fatti e sulle figure dei primi quattro o cinque secoli, trascurando,
si può dire, 1 secoli più vicini a noi, specialmente il xvIri, che ricchis-
simo di eventi così nazionali che europei, non poteva non aver risuo-
nanze anche nei piccoli centri. E veramente assai presente fu Città
di Castello in quel fervido movimento che nel Settecento pervase gli
spiriti di fronte ai maggiori problemi della vita nazionale e agli inci-
tamenti che venivano di là dalle Alpi. Lunghe schiere di eruditi, di filo-
logi, di legisti, di ecclesiastici popolarono le accademie settecentesche,
tanto che il xvii è considerato il secolo d'oro delle lettere e delle
scienze tifernati e il dottissimo Benedetto XIV si compiaceva chia-
mare questa città il suo « gabinetto scientifico e letterario » o, come
dicono altri scrittori — alla cui versione si attiene anche Gaetano Ga-
speroni in un suo recente studio sulla cultura umbra — il «santuario
della scienza » (1). :

Fra tutti merita di essere ricordato Felice Mariottini. Nato il
18 maggio 1756 di famiglia ascesa al patriziato per le ricchezze del-

(1) GAETANO GASPERONI, Movimento culturale umbro nel secolo XVIII,
án questo medesimo « PORRO », anno 1940.

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6 NELLA FERRINI

l'ingegno e dell'industria, alla scuola di sapienti cittadini apprese
le più profonde discipline: indi, ancor giovanissimo, si recò a Roma
dove attese allo studio della filosofia. A Roma, in età di soli dicias-
sette anni, fu inscritto all’ Arcadia; ma non fu distolto da studi assai.
severi, quale l'archeologia. Ebbe la protezione del Cardinale Mario
Marefoschi e fu scelto come precettore del duca d'Orléans, per cui
nel 1783 si recò a Parigi, dove potè contrarre dimestichezza con i più
eletti ingegni di quel tempo. In letture fatte in Arcadia manifestò
idee innovatrici che lo fecero cadere in sospetto della Corte romana.
Nel pontificato di Pio VI non spirava buon vento per lui: così si al-
lontanò da Roma e si recò per breve tempo a Napoli indi a Londra,
dove tradusse il Paradiso Perduto di Giovanni Milton (1). I successi
napoleonici lo indussero a ritornare a Roma, dove scrisse I Congressi
«del Monte Sacro che dedicó appunto all'Imperatore, nei quali, fin-
gendo di evocare i grandi personaggi dell'antichità, li fece discutere
sulle varie forme di governo. Dopo la restaurazione del governo pon-
tificio, collaborò, come capo, alle « Effemeridi letterarie » e da solo
fondò e redasse due giornali: « Il mese letterario » e « Il zibaldone ».
Ma la sua penna vigorosa e pungente, non rispettava persone anche
della più alta società: per cui uscito fuori un divieto che colpiva le
sue pubblicazioni, si addolorò profondamente e cadde in misero stato.
Morì a Roma il 1° dicembre del 1827: ma di lui non si potè nè si potrà
dimenticare di aver volto la mente al rinnovamento civile e morale.
degli italiani (2).

Assai propizio, invece, il pontificato. di Pio VI fu ad un altro
tifernate, di gran lunga meno ricordato del Mariottini e di altri con-
terranei e contemporanei: voglio dire all’abate Luigi Cuccagni, figura
di considerevole rilievo nel mondo ecclesiastico romano del tempo..
Egli fu, pel lungo periodo di un quarto di secolo, direttore del Colle-
gio Ibernese, fu estensore del « Giornale ecclesiastico di Roma », col
quale fieramente sostenne i diritti del papato e la supremazia della
Chiesa di Roma nella battaglia antigiansenistica che infuriò nella
seconda metà del sec. xvini. Ma loblio ha cercato di sopraffarlo e
di nasconderlo. Non apparisce che in rare e rapide citazioni di eruditi,
di storici, di studiosi e in qualche vecchio repertorio biografico.

(1) Pietro TommasINI-MaATTIUCCI, Fatti e figure di storia letteraria di Città
di Castello. Perugia, Unione Tipografica Cooperativa, 1901.
(2) Su Felice Mariottini vedi: VirroRIo ConBuccr, Un letterato e politico:
umbro del secolo XVIII: Felice Mariottini. Firenze, Tipografia Editrice della.
« Gazzetta d’Italia », 1880, in-89, pag. 44. |
L'ABATE LUIGI CUCCAGNI, ECC. Po

Mi sono proposta di disegnare la personalità di quest'uomo nello
sfondo deltempo chefu suo, nella cornice delle correnti politico-religiose
di quel'secolo, piuttosto razionalista. Le fonti sono tutt'altro che nu-
merose, specie le archivistiche e quelle di carattere biografico; copiose

.invece sono le fonti a stampa relative agli scritti del Cuccagni (1).

La fama non è stata benigna con l'Ab. Luigi Cuccagni. Ha con-
giurato costantemente a tenerne nascoste le origini, talché é difficile
poter di lui esattamente fissare fin la data di nascita. La storia non può
servirsi che di mal sicuri dati e di notizie tradizionali che vagamente

(1) Indico qui appresso brevemente le principali fonti archivistiche.

Nelle carte della famiglia Fantini di Città di Castello che fu l'erede del
Cuccagni: a) alcuni brevi di Pio VI con privilegi per Luigi Cuccagni, Bartolo-
meo Cuccagni e Angelo Cuccagni tutti sacerdoti e teologi; d) un codicetto car-
taceo del sec. xvIrI, detto comunemente « vacchetta » in cui Luigi Cuccagni ha
segnato giorno per giorno le messe celebrate nella cappella del Collegio Ibernese
e certi appunti di carattere amministrativo e contabile, relativi ad affari che
egli disbrigava per altre persone.

Nell'Archivio comunale: a) la minuta di una lettera indirizzata in data
3 novembre 1776 a Luigi Cuccagni, nella quale si danno alcune notizie sulla
antica chiesa della Pieve de'Saddi consacrata al nome di S. Crescenziano, cor-
rotto poi in S. Crescentino; b) un « Liber Refirmationum » del sec. xvii e un
« Catedratico » del 1802 in cui appariscono nomi di sacerdoti o di componenti

]a famiglia Cuceagni. Nel « Catedratico » figura ancora don Luigi Cuccagni

come benificiario della cappella di S. Biagio del Tarragoni esistente nella chiesa
della Madonna di Trestina (frazione rurale del contado tifernate).

Nell'archivio Corbucci: a) una lettera di Camillo Camilletti, segretario
del vescovo di Città di Castello mons. Pietro Boscarini, diretta in Roma al
prelato Florido Pierleoni, che fu in seguito vescovo. di Acquapendente, nella
quale si irride il Cuccagni e si simpatizza per il suo avversario Pietro Tambu-
rini; b) due lettere di don Bartolomeo Cuccagni, relative DUE riscossione di una
pensione.

La Curia vescovile, ld biblioteca del Seminario di Città di Castello, l' Archi-
vio Capitolare non hanno o quasi documenti di sorta sul Cuccagni e la sua

. famiglia.

Negli archivi d'altre città d' Italia: a) tre lettere autografe, dirette a

mgr. Giovanni Maria Nani, vescovo di Brescia, conservate nell’ Archivio Vati-.

cano, Instr. Misc. 6661, rese note nel 1938 da mons. Pietro Savio nella sua

‘opera: Devozione di mgr. Adeodato Turchi alla Santa Sede. Testo e 677 documenti

sul Giansenismo Italiano ed Estero; b) carteggio del Cuccagni col padre scolo-
pio genovese Giambattista Molinelli, conservato nell Archivio Provinciale de-
gli Scolopi a Genova-Cornigliano. Questo carteggio, recentemente scoperto dal
prof. Ernesto Codignola, consta di 697 lettere, tutte autografe, tranne una
mezza dozzina che il Cuccagni fece scrivere volta a volta o da alunni dell’Iber-

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corrono ancora nel territorio tifernate. Quasi presago (che il tempo
non operasse a suo favore, il Cuccagni insisteva, col ritmo di un mar-
tellamento, a dichiararsi di Città di Castello e a qualificarsi direttore
del Collegio Ibernese in Roma, in ogni sua opera a stampa, grande o
piccola che fosse. Per stabilire almeno l’anno della sua venuta al
mondo, bisogna risalire all'anno della morte, che è inequivocabilmente
certo. Lo Jemolo, che non ebbe notizia dell’esistenza del carteggio
Cuccagni-Molinelli, dal quale avrebbe potuto conoscere l'epoca esatta
della morte, riuscì a rintracciare nei libri della parrocchia dei SS. Qui-

nese o da suo nepote. Dette lettere vanno dal 1777 al 1798. Non recano firma,
ad eccezione di due. Importantissimo per lo studio della Roma ecclesiastica
dell'ultimo ventennio del sec, xviii e del pontificato di Pio VI, questo volumi-
noso carteggio non aiuta che scarsamente nella raccolta di notizie biografiche
relative al Cuccagni e ai componenti la sua famiglia.

Le fonti a stampa. cui si può attingere con frutto sono le seguenti: a) le
opere del Cuccagni in numero di circa ventiquattro, alcune delle quali sono
studi originali dati alle stampe tra il 1777 e il 1797; altre sono polemiche gior-
nalistiche ripresentate successivamente in opuscolo dopo aver fatto la prima
apparizione in pubblicazioni periodiche; 5) la raccolta del « Giornale Ecclesiasti-
co di Roma », foglio settimanale che si pubblicò dal 1785 al 1798, che il Cuccagni
fondò, diresse e ne fu uno dei più attivi estensori. È stato raccolto in tredici
volumi, ciascuno dei quali ha una prefazione e, tranne il tredicesimo, un indice;
c) la raccolta del « Supplemento al Giornale Ecclesiastico di Roma », pubbli-
cazione bimestrale a quinterni, legata in dieci volumi del comune formato
in-169, dal 1789 al 1798, che ospitò studi e polemiche prevalentemente del
Cuccagni, sottoscritti da sigle o da pseudonimi. Ogni volume ha un indice delle
materie, tranne l’ultimo che rimase incompleto al quinterno del bimestre
settembre-ottobre 1798 per la morte del Cuccagni che avvenne il 7 novembre
1798; 4) la raccolta degli « Annali Ecclesiastici di Firenze » dal 1780 — anno di
fondazione — in poi, che furono fieramente avversi al Cuccagni e sostennero la
polemica in favore del Giansenismo e di mons. Scipione De’ Ricci; e) altre
raccolte di quei giornali del tempo, che non rimasero estranei alle contese poli-
tico-religiose (quale il « Monitore di Roma », ecc.); f) le opere in appoggio alla
corrente giansenistica e specialmente quelle di Pietro Tamburini e degli altri
professori giansenisti dell'Università di Pavia; g) le opere che contrastarono la

, corrente giansenistica e specialmente quelle dei Padri Gesuiti di prima e dopo

la.soppressione della Compagnia.

Quanto a notizie biografiche sull'abate Luigi Cuccagni, non esistono che
due scritti di piccolissima mole: a) M. O’ R. [MicneLE O’ RiorDAN], The Abate
Luigi Cuccagni (Rector of the Irish College, Rome, 1772-1798), in: « The Seven
Hills Magazine », Dublin, June 1908, Vol. III, N.1, tradotto dal prof. Giacomo
Gamba per la rivista bimestrale illustrata di Città di Castello « L'Alta Valle del
Tevere » e ripubblicato col titolo: «Un polemista cattolico del sec. xvitr: l'abate
Luigi Cuccagni di Città di Castello », nel n. 2 dell'anno V, 1937; b) ARTURO

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L'ABATE LUIGI CUCCAGNI, ECC. .- 9

rico e Giulitta di Roma (1), l'atto di morte, da cui risulta che Luigi
Cuccagni passó, come suol dirsi a miglior vita, il giorno 7 novembre
1798 all'età di anni 58. Ció che concorda perfettamente con le noti-
"zie date a Giambattista Molinelli dal nipote del defunto, Don Angelo
Cuccagni, nella lettera (2) con la quale gli comunica la dolorosa fine.
Ne consegue che l’anno di nascita fu il 1740.

È tradizione che Luigi Cuccagni sia nato nel villaggio di Selci,
poche miglia distante da Città di Castello, la cui parrocchia dipen-
deva dall'antica matrice di Colle (oggi Colle Plinio); ma i libri batte-
simali di tale matrice sono andati perduti: non sono più nell'archivio
della parrocchia e non sono nemmeno nell'archivio del comune di
Sangiustino Umbro da cui amministrativamente la frazione di Selci
oggi dipende (3). Né dai libri battesimali della Cattedrale di Città
di Castello risulta che il Cuccagni sia nato in città: il che conferma

CarLo JEMoLO, L'abate Luigi Cuccagni e due polemiche ecclesiastiche nel primo
decennio del Pontificato di Pio VI, in «Atti della Reale Accademia di Scienze e
Lettere di Torino », vol. 67, pagg. 27-52.

Di non trascurabile importanza per la conoscenza del carattere e dei
costumi del Cuccagni, è anche una lettera di un giovine abate irlandese,
Don Carlo O’ Conor, al Cardinale Gregorio Salviani intorno al Nostro: let-
tera senza indicazioni tipografiche e con la sola data di Napoli, 10 Luglio
1789; rarissima, in possesso della Biblioteca Comunale di Città di Castello.

Nessuno scrittore tifernate ne fa cenno: lo stesso Mons. GIrovANNI MUZI
nelle sue Memorie Ecclesiastiche e Civili di Città di Castello (ivi, Donati, 1842-
1846) nel vol.V al capitolo «Ecclesiastici secolari distinti per scienze e dignità»,
gli dedica non più di una ventina di righe, senza nessun dato biografico, tranne
quello della morte, limitandosi all'elenco di poche opere del Cuccagni. E PrETRO
TOMMASINI-MATTIUCCI, che nel 1901 dette alle stampe un volumetto dal titolo
Fatti e figure di storia letteraria di Città di Castello come saggio di una più vasta
opera che aveva concepito e per la quale aveva raccolto copioso materiale, non
lo cita nemmeno. Notizie sull’attività giornalistica e politica del Cuccagni dà
il prof. ERNESTO CopIiGNOLA nella introduzione all'opera di recente edizione
Carteggi di Giansenisti liguri; ma nessuna notizia di carattere strettamente
biografico.

(1) La Chiesa dei SS. Quirico e Giulitta, in Roma, era poco lungi dalla sede
del Collegio Ibernese, all' Arco dei Pantani, a s. Agata dei Goti.

(2) La lettera di don Angelo Cuccagni è del 9 novembre 1798 e chiude me-.
‘stamente il lungo carteggio Cuccagni-Molinelli. Essa precisa che la morte fu
«seguita mercoledì scorso vigilia dell'ottava di Tutti i Santi, mezz'ora in circa
dopo il mezzogiorno ».

(3) Nel novembre del 1817 questa grossa borgata dell'Alta Valle del Tevere
fu separata dal comune Tifernate e costituita, come semplice appodiato od
università, in ente autonomo, con editto del Cardinal Consalvi; fu poi eretta
cA Comune da Leone XII in data;21 dicembre 1827.
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10 NELLA FERRINI .

che sia nato nel territorio e che la tradizione affermi il vero, preci-
sando come luogo la borgata rurale di Selci.

Il Cuccagni non fa mai cenno del suo luogo di origine: dice sol-
tanto che Città di Castello è sua patria; e a proposito del terremoto
del 1789, che colpì violentemente la zona tifernate, dà diffuso cenno
dei danni subiti sia dalla sua casa di città che dalla sua casa di cam- '
pagna. Più tardi, nel maggio del 1798, riferendo i particolari dell’oc-
cupazione francese del territorio tifernate, fa cenno al saccheggio
delle sue case di città e alla somministrazione di trenta barili di vino
e altre vettovaglie che ha dovuto fare alla truppa francese la sua casa
di campagna. Il che può significare, che pur avendo avuto origini
campagnole, la sua famiglia si sia successivamente, e già adulto
Luigi, stabilita in città. :

La famiglia Cuccagni era senza Uddde profondamente religiosa,
e la più gran parte dei suoi membri fu portata al sacerdozio e alla
carriera ecclesiastica. In un «Libro per lesigenze del Catedratico »
dell'anno 1802 (1), che si conserva nell'archivio comunale di Città
di Castello, non soltanto Luigi Cuccagni vi figura ancora, dopo quat-
tro anni dalla morte, come godente il beneficio di una cappella in
S. Biagio di Tarragoni, ma vi figurano don Angelo Cuccagni, nipote
di Luigi, come agente del sig. Ludovico Panzileoni romano, pel bene--
ficio semplice di S. Agostino del Monte S. Maria, e don Gio: Maria
Cuccagni della città, come godente il beneficio della cappella di San

Carlo nella parrocchia di S. Angelo. Oltre a Bartolomeo, fratello

di Luigi, sacerdote anch'esso, si ha notizia di un Mattia Cuccagni,
che nella prima metà dell'800 reggeva la Chiesa parrocchiale di Selci.
Da un «Liber refirmationum » dell'archivio comunale di Città di
Castello, risulta un Domenico Cuccagni del fu. Giovanni Battista,
che in data 27 gennaio 1773, conclude col vescovo tifernate Mons.
Giovanni Battista Lattanzi lenfiteusi di una casa con orto, detta
Casa del Cantone, in parrocchia S. Lucia di città, a Porta S. Giacomo.

Ma da questa serie di nomi, sparsi qua e là in documenti di non
remota data, non si riesce a stabilire la linea di discendenza dell' Ab.
Luigi Cuccagni. Né il carteggio Cuccagni-Molinelli, nel quale qualche
volta pure affiorano brevissimi cenni sulla famiglia, aiuta e favorisce
le ricerche.

(1) « Libro per l'esigenze del Catedratico fatto l'anno 1802 all’occasione,
che prese possesso del Vescovado di Città di Castello Mons. Ill.mo, e R.mo
Paolo Bartoli traslato dalla Chiesa di Acquapendente, a questa vacante-per la.
morte di Mons. Boscarini seguita nel dì 9 settembre 1801 ».
L'ABATE LUIGI CUCCAGNI, ECC. 11

Dall’abbozzo di un albero genealogico in possesso della tifernate
famiglia Fantini, dove per altro non figura l'Ab. Luigi (forse perché
già morto) ma dove figurano don Bartolomeo e don Angelo, e quindi
non v'è dubbio che appartenga alla linea diretta dell Ab. Luigi, si

apprende che il padre fu Lorenzo Cuccagni. Questo Lorenzo ebbe

certamente quattro figli: Giannantonio che mori nel 1811, Florido
che mori nel 1784, cioè quattordici anni prima dell Ab. Luigi, Barto-
lomeo che mori nel 1828, e il nostro : ma,non siamo riuscitia stabilire
un ordine cronologico di nascita. Da Florido nacquero tre. figli:
Bernardo che mori nel 1845, Francesco che mori nel 1809 e.don An-
gelo, che forse in seguito alla morte del padre scese a Roma presso
lo zio, e allo zio sopravvisse 51 anni, essendo morto nel 1849. Del fra-
tello di don Angelo, Bernardo, non si hanno notizie che abbia costi-
tuito famiglia, mentre di Francesco si sa che ebbe due figli: un maschio
di nome Salvatore e una femmina di nome Veronica, che maritatasi al
tifernate Luigi Fantini, mori nel 1843. Con lei si estinse il ramo della
famiglia Cuccagni cui appartenne l'Ab. Luigi; e con altre donne che
sposarono in Città di Castello si estinsero gli altri rami, in modo che
oggi di tal famiglia non si ha piü nessun discendente. :

In una lettera posseduta dal bibliofilo altotiberino colonn. Vin-
cenzo Capacci di Lippiano, in data 10 luglio 1849 della poetessa um-
bra Assunta Pieralli, scritta dal Castello di Sorbello al cugino dott.
Vincenzo Capacci in Città di Castello, si parla di due amabili ragazze
Cuccagni di cui il dottore avrebbe goduta la compagnia. Il che vuol
dire che in quell'epoca un ramo della famiglia Cuccagni esisteva an-
cora. Allo stato presente delle ricerche di archivio, non è possibile
dare un ordine alla piuttosto numerosa lista di nomi, dei qud quasi
una mezza dozzina figurano in seno al sacerdozio.

Luigi Cuccagni non si dette al sacerdozio addirittura in giova-
nissima età; né fu ammesso al seminario vescovile di Città di Castello,
allora fiorente per le cure del vescovo della diocesi Mons. Giambat-
tista Lattanzi, come generalmente si crede. Egli ricevette la prima
tonsura il 31 dicembre 1762, cioé all'età di ventidue anni; e i quattro

ordini minori, Ostiariato, Lettorato, Esorcistato, Acolitato negli anni
1763 e 1764. Tra le pochissime carte trovate nell'archivio della Curia
vescovile di Città di Castello relative al Cuccagni, sono due dichia-
razioni in data 4 marzo 1763: l'una del priore della parrocchia dei
SS. Giacomo e Lucia, don Francesco Manescalchi, che attesta essere
il chierico Luigi Cuccagni dimorante nella sua parrocchia, ornato di

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12 NELLA FERRINI

buoni costumi, modesto, assiduo frequentatore dei sacramenti; vi si
dice ancora che ha portato aiuto nell’insegnamento della dottrina
cristiana ai bambini; l’altra, del sacerdote don Francesco Bargiac-
chi, attestante che il giovine ha atteso allo studio della filosofia sotto
il suo magistero, con buon profitto.

Queste dichiarazioni furono presentate per ottenere l'Ostiariato, :

il primo degli ordini minori; e si ripeterono, pressoché identiche, suc-
cessivamente per il conseguimento degli altri tre ordini. Il sacerdote
Francesco Bargiacchi, allorchè il Cuecagni doveva ricevere l'Acoli-
fato, dichiarò in data 23 marzo 1764 che il chierico attendeva alle
discipline filosofiche, era di non mediocre ingegno, assiduo e diligente
alle dispute e alle altre esercitazioni riguardanti la cognizione delle
cose naturali; aggiungendo che avrebbe ricevuto molto profitto con-
tinuando anche in seguito a dimostrare la diligenza e lo studio dicui
pel passato aveva dato prova. |

Le poche carte della curia vescovile tifernate, intanto, ci fanno
sapere che il Cuccagni viveva in città, lontano dalla famiglia, nella
parrocchia dei SS. Giacomo e Lucia, forse nella stessa casa che una
diecina d'anni più tardi Domenico Cuccagni prenderà in enfiteusi; che
studiava privatamente, che era figlio di Lorenzo. Non risolveranno
del tutto, e definitivamente, la questione del luogo di origine, perché
in talune vien detto di Selci, in altre di Lama: due borgate rurali
poco distanti l'una dall'altra, sulla piana altotiberina detta Pian
di sopra; ma stabiliranno che la nascita fu campagnola. È anche
certo che non compì in patria i propri studi, perchè andò a Roma
alunno del Collegio Fuccioli. Non si sa quando prese gli ordini sacri
superiori: Suddiaconato, Diaconato, Presbiteriato ; indubbiamente
a Ronia, nel Collegio stesso. Per essere ammessi al Collegio Fuccioli
gli alunni non dovevano trovarsi in età inferiore ai diciassette o di-
ciotto anni; dovevano essere abili allo. studio delle scuole superiori

di filosofia e teologia, dovevano aver ricevuto la prima tonsura (1):

(1) Ctr. MoronI GAETANO, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica da

S. Pietro fino ai nostri giorni. Venezia, 1840-1861, vol. XIV, pagg. 147 e segg.’

Questo collegio fu fondato da Mons. Gio: Antonio Fuccioli di Città di Castello,
nobile romano, che.fu protonotario e referendario di ambedue le segnature.
Famigliare del cardinale Michele Bonelli, detto 1’ Alessandrino, che era nipote
di Pio V, il Fuccioli fu successivamente segretario di Leone XI e di Paolo «MS
si distinse per non comuni cognizioni nelle scienze legali e per grande integrità
di vita, che conservò fino alla morte avvenuta I'8 settembre 1623, regnando
Urbano VIII. Era nato in Città di Castello hel 1541. Con suo testamento del
L'ABATE LUIGI CUCCAGNI, ECC. 13

Tra i requisiti richiesti non doveva mancare — come é norma generale
per certe istituzioni di beneficenza — anche quello di essere di famiglia
di condizioni economicamente modeste. Non pare, dunque, esatta
l'asserzione del O' Riordan (1) di aver saputo da un amico dell Abate
tifernate Giovanbattista Storti, che aveva conosciuto il Cuccagni,
essere la famiglia del Nostro ricchissima. Puó darsi al contrario che
la famiglia Cuccagni, senza esser nelle origini addirittura indigente,
sia pervenuta in seguito a quella prosperità e ricchezza che ha poi
goduto prevalentemente per le fortune di Luigi.

Nel Collegio Fuccioli Luigi Cuccagni provò la disciplina dei
Gesuiti: la quale è da pensare gli abbia mal disposto l’animo, se aper-
tamente prima, e intimamente poi egli nutri sempre una viva avver-
sione per la Compagnia di Gesù. Quel che egli abbia fatto in Roma
finiti gli studi al Collegio Fuccioli non è possibile stabilire. Non ven-
gono in aiuto nè le ricerche di archivio, nè il carteggio Cuccagni-Mo-
linelli. Il Codignola, sulla fede degli « Annali Ecclesiastici» (tomo VI,
n. 34 del 25 agosto 1786, pag. 136) dice che insegnò lettere nel Col-

1° settembre 1623, cioè di pochi giorni prima della morte, lasciò abbondanti
rendite per la fondazione in Roma di un collegio, sotto il nome dei SS.Giovanni
e Carlo. In seguito il collegio fu chiamato col nome del fondatore. Venne aperto
nel borgo di S. Agata ai Monti, nel 1646 sotto il pontificato di Innocenzo X e
precisamente il giorno dedicato alla festa di S. Carlo Borromeo, uno dei patroni
dell'istituto. Il Fuccioli affidò il collegio alla cura e alla protezione del P. Gene-
rale dei Gesuiti, il quale, a sua volta, deputava un religioso della Compagnia
alla direzione con ampie facoltà di fare costituzioni, regole, ordini per la pro-
sperità del collegio stesso.

Il Fuccioli lasciò rendite per dodici alunni, dei quali otto dovevano essere
di Città di Castello e quattro di città immediatamente soggette allo Stato della
Chiesa. Per volere del fondatore, gli alunni dovevano essere nominati da auto-
rità ecclesiastiche e da autorità civili, nonchè da capi di ordini religiosi e dai più
prossimi parenti del fondatore stesso. Cosi, per gli otto di Città di Castello — ve-
nuti intanto a mancare tutti i parenti del testatore — la nomina doveva essere
fatta dal vescovo della città, dal capitolo della Cattedrale, del Rettore del
Collegio dei Gesuiti, dal Rettore del Collegio di S. Antonio, dal Magistrato civico,
dai deputati dell’ Arciconfraternita della Carità, dal Padre Generale dei Gesuiti
.e dal Padre Generale dei Teatini. i

Il Cuccagni certo dimostrò buone attitudini agli studi, come aveva affer-
mato il suo maestro don Francesco Bargiacchi, se, forse nel 1764 fu da una
delle suddette autorità ecclesiastiche designato all'importante collegio ro-
mano. i

(1) Cfr. l'articolo The Abate Luigi Cuccagni nella rivista « The Seven Hills

Magazine » di Dublino, vol. III, n. 1, giugno 1908. :
14 ‘NELLA FERRINI

legio Bandinelli di Roma (1); ma i giovani di questo collegio erano
soltanto dodici e andavano alle scuole del seminario romano (2). Se
veramente il Cuccagni insegnò può averlo fatto in qualche pubblica
scuola del tempo, e, forse, appunto al Seminario Romano. Può an-
che essere probabile che egli abbia fatto le prime prove in quell’atti-
vità che in seguito doveva diventare una delle sue principalissime:
cioè nel giornalismo, scrivendo nei fogli del tempo. Ma non si hanno
di ciò altri cenni che quello della lettera del 26 gennaio 1779 al
Molinelli, in cui si dice collaboratore delle « Effemeridi letterarie di
Roma »: troppo tarda per altro per illuminarci sul periodo della
immediata uscita dal collegio. Certo a -Roma fu ordinato sacerdote
e per una diecina di anni deve aver vissuto nella capitale della Cri-
stianità una vita di intensa attività culturale per approfondirsi negli
studi sul cristianesimo antico (3) e per la preparazione della vita di
S. Pietro che dava alla luce nel 1777. E mano mano che le accuse e
le lotte si andavano addensando sulla Compagnia ‘di Gesù, è da rite-
nersi che egli abbia detto senza esitazione la sua opinione ostile, se
il Cardinale Mario Marefoschi, nel 1772 dovendo levare al governo

(1) EnNEsTO CopIGNnoLA, Carteggio di Giansenisti Liguri. Firenze, Le
Monnier, 1941, vol. II, pag. 339, nota 1.

(2) MoronI GAETANO, Op. cit., vol. XIV, pag. 149.

(3) La lettera in data 23 novembre 1776 diretta in Roma a don Luigi Cuc-

- cagni la cui minuta trovasi a c. 33, verso, del codice cartaceo 1558 dell'archivio

comunale di Città di Castello (fascicolo X XXVI) rivela a quali ricerche atten-
desse il Cuccagni negli anni che precedettero la uscita della Vita di S. Pietro
Principe degli Apostoli. Il Cuccagni aveva chiesto con lettera a persona di Città
di Castello, che é rimasta ignota, notizie sull'antichissima Chiesa di Saddi,
località montagnosa a sud-est di Città di Castello, alcune miglia distante dalla
città stessa. E lo scrivente informa che la chiesa fu eretta poco dopo la morte del
Martire S. Crescenziano, legionario romano, comprotettore di Città di Castello
e banditore della fede «in Testimonio della quale quivi lasció sotto una scure,
gloriosamente la vita ». Il titolo al santo rimonta.a antichissimi secoli; poi
appartenne al vescovato immediatamente. S. Florido spesse volte vi si ritirò,
dalla città e vi morì. Che tal chiesa appartenesse al vescovato immediatamente,
si può, secondo lo scrivente, congetturare con molto fondamento dal fatto che
tale chiesa « dovette essere una delle prime erette in quei tempi, ch'era na-
scente la Fede in Tiferno » e anche perchè « apparisce nella donazione fatta dal
vescovo Teobaldo d’alcune cose a questa: Canonica Castellana dove gli con-
ferma ancora nell’anno 1077 la Enphiteusi della Pieve di S. Crescentino di Saddi
qual confermazione, se si avverte, suppone altre volte essere stata data tal
Enfiteusi da altri vescovi suoi Predecessori... » Dopo altre conferme in enfi-
teusi, verso il principio del sec. xir un vescovo la concesse ed incorporó alla
propositura.
L'ABATE LUIGI CUCCAGNI, ECC. 15

dei gesuiti il Collegio Irlandese (o, come anche si diceva, Ibernese).
pensasse di metterlo sotto la cura di un rettorato e per rettore sce-
gliesse proprio l' Ab. Luigi Cuccagni (1). I gesuiti tenevano il Collegio
Irlandese fin dalla fondazione, la quale risaliva al pontificato di Ur-
bano VIII, nei primi del 1628. La scelta del Cardinale Marefoschi
(del quale poi il Cuccagni si vanterà di aver goduto la famigliarità,
anche quando per ragioni personali dovette nascondere la sua fobia
antigesuitica) può significare che il Cuccagni si fosse già distinto per
sapere, per cultura, per costumi retti e per probità morale.

Alla direzione del Collegio Ibernese Luigi Cuccagni rimase per
venticinque anni, cioè fin che visse. E l’incarico non dovette poi risultar
gravosissimo se egli trovò modo di occuparsi anche di mille altre
cose: non solo di studi e di giornali, ma di affari. Tra le poche e quasi
insignificanti carte che del Cuccagni restano alla famiglia Fantini di
Città di Castello, si trova una « Vaechetta» (2) che reca questa inte-
stazione: « Messe celebrate dal Sacerdote Luigi Cuccagni Rettore del
« Coll.? Ibernese, per la Sacrestia di S. Carlo a Cattinari nell’ Oratorio
'« del Sud.° Coll. In vigore delle facoltà Apostoliche concesse per Re-
«scritto Pontificio ottenuto sotto il giorno 29 Xbre 1772». Da questo
codicetto a forma bislunga, si apprende che la prima messa nell'ora-
torio del collegio il Cuccagni la celebrò il 19 gennaio 1773, che può
essere appunto il giorno d'inizio del suo rettorato. Se il codice non é
stato manomesso, come invece é probabile, la elencazione delle messe
celebrate si arresta al 3 dicembre dello stesso anno 1773; alla elenca-
zione fanno seguito alcune pagine bianche destinate ad appunti che
si debbono riferire al gennaio. 1781. Una lacuna di sette anni non si -
puó spiegare se non con una manomissione del documento. Gli ap-
punti di carattere amministrativo, tutti di pugno del Cuccagni, che
seguono le pagine bianche, hanno principio col 4 dicembre 1786 (3).

(1).Il Codignola afferma che il Cuccagni fu fatto nominare da Mons. Fog-
gini. L’affermazione ha un suo fondamento; Pier Francesco Foggini (1713- :
1783), di Firenze, archeologo valente si riveló al mondo degli studi con opere
di storia ecclesiastica e si conquistó notorietà e posti in accademie per la pub-
.blicazione di antichi manoscritti. E verosimile che egli abbia apprezzato il
giovine Cuccagni che si occupava di studi sul cristianesimo delle primissime
_età. È verissimo che il Cuccagni ebbe dimestichezza col Foggini, come attesta
la lettera del 22 agosto 1778 del carteggio Cuccagni-Molinelli.

(2) In termine ecclesiastico dicesi « Vecchetta » un piccolo registro dove il
sacerdote è obbligato a segnare le cose di minor conto relative al ministero
parrocchiale, ma specialmente l’applicazione della Messa giorno per giorno.
(3) Le scritture sono del seguente tenore: « Credito del Sig. don Giovanni
16 ; ‘NELLA FERRINI

Tali annotazioni cóntabili, rudimentali forme di quelle che oggi
si chiamerebbero le partite del dare e dell'avere, cessano col 20 marzo
1788, e tutte riguardano un tal Mattiucci che era compatriota del
Cuccagni, cioé di Città di Castello. Nelle varie scritture si fanno fre-

.quentemente nomi di persone di Città di Castello e di Perugia, il
che sta a dimostrare che il Cuccagni fu sempre in contatto con la sua .

città natale e con la sua terra di origine. Con gli ebrei il Cuccagni ebbe
sempre un po' a che fare: fino in una lettera al Molinelli del 20 ago-
sto 1798, egli fa cenno al fastidio della vendita dei mobili del collegio
«in mezzo a un esercito di ebrei ».

Il numero degli alunni del Collegio Ibernese era assai esiguo: fin
dalla fondazione era stato fissato a sette (1); sicchè il governo di un
tale istituto non doveva dargli né preoccupazioni né doveva costargli
eccessivo impiego di tempo. Cosi si puó spiegare l'attività veramente
eccezionale che egli dette ai giornali che fondó e diresse, alla pubbli-
cazione di libri e di opuscoli, ai carteggi che tenne con molte perso-
nalità del mondo ecclesiastico, all’assolvimento dei numerosi inca-

richi che via via gli furono affidati dalla Corte Pontificia e persino .

direttamente dal Pontefice (2). Il rettorato dell Ibernese gli toglieva,
certo, ogni preoccupazione della vita quotidiana: per cui difese con
ogni energia la sua posizione, nei vari tentativi che furono fatti per
sbalzarlo. Un espediente pericoloso per riuscire nell'intento era per
lui quello di proporre e di esigere un rettore di nazionalità irlandese:
ma la sua posizione era ormai forte se egli poté rimanere al suo posto

Mattiucci. A di 4 dicembre 1786 ho riscosso per di lui conto dall' Ebreo Baruf-

faele(?) una Cambiale di Scudi Millecinquecentodiciotto ».

« A di 30 marzo 1787 per conto del medes.? Sig. Mattiucci ho riscosso il pa-
gamento di tre Cambiali dal sud.° Ebreo per la somma in tutto di scudi sette-
centocinquanta ».

«A dì 15 giugno an. d.° ho riscosso per conto del sud.? altre tre Cambiali
dal medesimo Ebreo per la somma di scudi 1100 ».

E ancora piü sotto, sempre nel giro delle cambiali, una annotazione rivela

che anche il fratello Bartolomeo non era estraneo a tali conteggi. Nella partita :

dei pagamenti che fa riscontro a quella delle riscossioni, leggesi precisamente:
«a di 31 marzo An.? d.° [1787] d'ordine del Sig. don Giovanni ho pagato scudi
Cento a Bartolomeo mio fratello per pagarli a Monsig. Bufalini ».

(1) Ctr. MoronI GAETANO, Op. cit., vol. XIV (Voce « Collegi di Roma »,
pag. 175). :

(2) Nella lettera al Molinelli in data 31 maggio 1783, comunica che il Papa
lo ha destinato segretamente alla revisione della Bibbia di Mons. Martini, e

successivamente il 26 luglio dello stesso anno, dà notizia di altre importanti

commissioni alle quali è stato incaricato dallo stesso Pontefice.

ISTINTI T
L'ABATE LUIGI CUCCAGNI, ECC. 17

fino al giorno in cui le forze straniere, occupata Roma, soppressero
il Collegio. Il Cuccagni non si fece eccessive illusioni sulle intenzioni
degli invasori francesi e sulla sorte di quell’istituto a lui caro, che per
la sua nazionalità non poteva godere il rispetto e la simpatia degli
invasori stessi: e in data 20 marzo 1798 dà per lettera al Molinelli la
notizia che corre per Roma: « pare decisa la soppressione dell’ Iber-
nese come è successo per lo Scozzese e l’ Inglese ».

Si è fatto cenno della .mal disposizione di spirito che il Cuccagni
ebbe per la Compagnia di Gesü: mal disposizione che conservó finché
visse, pur dovendo per ragioni di posizione tener pubblicamente ce-
lato questo suo sentimento. Tutto il lungo carteggio col Molinelli è
pieno di espressioni irate contro gli ex membri della Compagnia e
contro i loro maneggi per risorgere. Egli anzi non mancó di suggerire
azioni contrarie e di partecipare segretamente ad esse. Ma un grande
disprezzo, che rasentó quasi l'odio, egli ebbe anche per l'Ordine dei
Domenicani, che accusó di smodato orgoglio e chiamó sempre, sarca-
sticamehte, i « gusmani ». Per opporsi alle loro mene non mancò di
sollecitare l'aiuto di quelli che poi saranno i suoi più combattuti ne-
mici, come avvenne,a proposito del tentativo da parte dei « Minervi-
tani» (altro appellativo che dava ai Domenicani, il cui convento
generalizio era quello della Minerva in Roma) di ottenere per il loro
generale un breve di perpetuità simile a quello dato al generale dei
Carmelitani. Per impedire tale concessione, propone vari mezzi;
- consiglia persino di chiamare in ballo il Padre Alpruni e il Padre. Pu-
jati, che in seguito dovranno essere oggetto dei suoi acutissimi e in-
fuocati strali. Scrive infatti in data 24 giugno 1780 al Molinelli: « Per
«la stessa ragione suggerisco a Lei di scrivere ad un altro soggetto,
«al quale potrei parlare ancor io. Il soggetto é il P. Alpuruni (sic)
«Barnabita di S. Carlo ai Cattinari e consultore de' Riti a Lei ben
«cognito. Egli é amicissimo del Conte di Firmian e mantiene con esso
«corrispondenza di lettere. Lo preghi di voler adoperarsi, che per
«lavversione massime ai Domenicani, lo farà sicuramente. Di piü
«per mezzo dello stesso Signor Del Mare (1) faccia scrivere al P. Pu-
«jati, il quale puó molto giovare in Venezia per la grazia che gode
« dal suddetto Tiepolo e dal Doge medesimo ».

(1) L’Ab. Marcello Del e Giansenista, amico del Molinelli e per lungo:
tempo anche del Cuccagni. Tra i giansenisti fu una figura di secondo piano; e il
Codignola, nella già citata sua opera sui giansenisti liguri, ne parla con evi-
dente disprezzo, qualificandolo la « mosca nocchiera » del giansenismo.

2

CALNERGIO XL X4. ^ z- / ; EE e EE Loo 59

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È
18 : : NELLA FERRINI

«Contro i Domenicani, giunge persino alla idea della soppressione
come è stato fatto per i Gesuiti e ha espressioni di estremo oltraggio:

«Non si può dire che la velenosa pelagiana semenza, non vada pro-

« pagandosi grandemente in fra i Gusmani, dei quali ogni giorno più
«cresce il numero degli infetti. Ella sa che anche diessi è stato predetto
«che finiranno, per essersi uniti con l’estinta società » (1). Ma questi
sentimenti se manifestava segretamente con gli intimi, doveva tener
nascosti con i personaggi della Corte di Roma, dove a poco a poco

" egli seppe entrare e farsi valere.

Cominciò con l'essere ammesso a casa del Cardinale De Bernis,
che nella Roma del tempo, per essere ambasciatore del Re di Francia,
godeva di una grande influenza. Di tale fatto, per lui importante, dà
notizia al Molinelli in data 12 ottobre 1782, circa nove anni dopo,
cioè, dalla sua ascesa al rettorato dell'Ibernese. In questi nove
anni bisogna ritenere che egli abbia non poco lavorato di prudenza
e di astuzia per attenuare e nascondere gli atteggiamenti degli anni
giovanili. Sta di fatto che nel luglio 1780 egli ha già il primo contatto
col Papa con una udienza «che durò venti minuti e fu graziosa » (2)
e sulla fine del 1782 egli è già sotto il benigno sguardo del pontefice
Pio VI: « Oggi ho ricevuto — scrive al Molinelli in data 21 dicembre
«1782 — biglietto di Dataria, col quale mi si partecipa la notizia che
«Nostro Sig.re per atto di sua generosa clemenza, mi ha conferito
«due Semplici Benefizi vacati nella Diocesi di Città di Castello per
«morte del Cardinal Bufalini. Essi fruttano insieme circa quaranta
«Scudi. Mons. Maggiordomo si degnò di anticiparmene la notizia jeri
«sera alle due ore di notte. E quest'attenzione di quel Signore, mi è
«stata doppiamente gradita, mostrando con ciò che ha molta bontà
« per me ».

— I benefici piovono, si puó dire, di anno in anno: ed ecco in data
20 dicembre 1783, altra comunicazione al Molinelli di un altro bi-
glietto di Dataria col quale il Datario gli partecipa la notizia di due
benefici semplici concessigli in Città della Pieve. Per suo riflesso, an-

che il fratello Don Bartolomeo viene degnato delle attenzioni del som-.

mo pontefice, come si apprende da una lettera del 24 dicembre 1785

.al Molinelli, nella quale il Cuccagni informa l’amico che il S. Padre

essendo rimasto contentissimo della sua ultima operetta (forse allude
al De Mutuis Ecclesiae et Imperii officiis, ecc. che è di quell’anno) non

(1) Carteggio Cuccagni-Molinelli: lettera del 18 aprile 1778.
(2) Carteggio Cuccagni-Molinelli: lettere del 22 e del 29 luglio 1780.

l——————————— et

pass

L’ABATE LUIGI CUCCAGNI, ECC. 19

:solo gli fece una accoglienza delle più obbliganti e gli parlò con molto
suo vantaggio, ma volle dimostrare la sua soddisfazione anche col
«dare una pensione di quaranta scudi a suo fratello Bartolomeo.

E ancora in data 22 dicembre 1787 dà comunicazione che il
Papa si è degnato conferirgli una pensione di scudi sessanta sulla Ba-
«dia di Chiaravalle di Jesi. In data 19 gennaio 1788, vale a dire appena
a un mese di distanza dal conferimento della precedente pensione, il
pontefice « gli ha fatto la grazia di ordinare che gli si rilascino 100
scudi delle spese della spedizione »; e via via, fino al 1795, anno in
‘cui egli fa sapere che il papa gli ha conferito una « pensioncina » di

«scudi 27,50 annui (1), sono assai frequenti le notizie di tali conferimenti.

Tutti questi benefici, concessi come doni natalizi sempre all’appres-

:sarsi della grande festa cristiana della nascita di Gesù, e che trovano
conferma nei brevi conservati dalla famiglia Fantini, suggerirono ai

fiorentini « Annali » lo spunto per una impertinenza pungentissima
contro il Cuccagni, dicendolo « più atto ad impetrarsi pensioni nella
Corte di Roma che a sedere a scranna co’ Maestri di coloro che san-
no » (2); ma dettero al Cuccagni e alla sua famiglia, quella prosperità
economica che forse in origine non avevano; fecero salire la famiglia”
Cuccagni al rango di famiglia ricca, che poteva tenere casa in città e
casa in campagna e poteva essere tassata per trenta barili di vino da

«dare alle truppe francesi di invasione nel territorio tifernate.

Dal carteggio Cuccagni-Molinelli non si ricavano notizie suffi-

cienti sulla: famiglia del Nostro per potersi fare un concetto chiaro
«sull'andamento, sulla formazione, sui vari rami, sul numero dei com-

ponenti di essa. Nella lettera in data 7 novembre 1789, descrivendo
3l gravissimo terremoto del 30 settembre precedente che ha devastato

il territorio tifernate, fa cenno del padre, più che ottantenne, rimasto

ferito; in data 19 maggio 1798, a proposito della insurrezione di Città

«di Castello (3), si mostra preoccupato e timoroso per la sua famiglia.

Di modo che soltanto due persone si mettono veramente in evidenza
accanto a lui e sono il fratello Bartolomeo e il Dipate angelo ambe-

«due ecclesiastici.

Il fratello Bartolomeo faceva il curiale ed aveva aderenze in

(1) Carteggio Cuccagni-Molinelli: lettera del 10 gennaio 1795.
(2) « Annali Ecclesiastici », tomo VI, n. 24 del 16 giugno 1786, pag. 93.
(3) Cfr. GrusEPPE AMICIZIA, Città di Castello sulla fine del secolo XVIII

«0 il « Viva Maria». Cronistoria delle rivoluzioni del 12 gennaio, 16 aprile e 5
maggio Sus Città di Castello, Lapi, 1899.
20 NELLA FERRINI

Dataria (1). Fin dal Settembre 1783 il Cuccagni scrivendo allo scolopio
genovese, fa cenno di arbitrari cambiamenti e inserzioni avvenute
in una sua operetta stampata in Bologna. Di tali cambiamenti e false
inserzioni che lo hanno afflitto, deve la scoperta a suo fratello, che
ha avuto l'abilità di consegnargli tutti idocumenti originali riguardanti.
quella faccenda. Ciò che lo induce a rammaricarsi di non averlo ado-

perato prima. Successivamente vengono chiesti al fratello pareri giu- .

ridici di grande importanza (2).

. Altre volte appare come patrocinatore legale di interessi di per-
sona presentatagli, attraverso il fratello, dallo ,scolopio genovese
Molinelli.

Bartolomeo Cuccagni non disdegnava nemmeno di accarezzare
le muse. Nella biblioteca comunale di Città di Castello sono conservate
due rare piccole pubblicazioni: una del 1814, senza nome di stampa-
tore, che é una «epistola in versi sciolti » diretta da Roma a Mons.
Francesco Antonio Mondelli, quando Pio VII lo mandó Vescovo a Città
di Castello, l'altra é un'ode saffica, stampata nel 1820 a Roma, da
Bernardino Olivieri e indirizzata al Gonfaloniere di Città di Castello,
Giuseppe Raffaele Machi, quando fece collocare «ad eccitamento
alla virtù » nel palazzo municipale, il ritratto del poeta tifernate Ca-
poleone Guelfucci, autore del poema sacro Jl Rosario (3). L'opuscolo
reca anche un sonetto diretto al pittore tifernate Vincenzo Chialli,

che dipinse il ritratto del Guelfucci. Bartolomeo si era domiciliato a

(1) Carteggio Cuccagni-Molinelli: lettera in data 19 gennaio 1793.

(2) « Frattanto essendo ritornato da Roma anche mio fratello ed avendo-
« gli comunicata la sua del 27 settembre, con la quale favorisce darmi lo stesso
«ragguaglio che aveva dato prima al P. Rettore, egli è d'opinione che il loro
« Capitolo sia validissimo e che sostener si debba juris ordine servato, qualora
«i dissidenti facciano opposizione, ond’è ch'ei desidera che gli si mandino per
«esteso gli atti capitolari in forma autentica per poterli considerare in tutte le
«loro parti e farne quell'uso che sarà necessario tanto per difesa che per oflesa.
« Io finora non avevo mai fatto uso di lui in cose gravi, perché prima di fare ció
« volevo assicurarmi avere egli acquistato tutto quel capitale sapere e di espe-
«rienza che necessario è per non fare sbagli. Ma dopo i piccoli negozi, avendo
«veduto come recentemente seppe raddrizzarne uno moito importante che era
«stato rovinato da persona che ha molto grido nella Curia, ho cominciato ad
« avergli fiducia e credo perciò che affidar Gli si possa anche l'affare presente DA

(3) « All.mo e R.mo Monsignore Francesco Antonio Mondelli per la sua
traslazione fatta da N. S. Papa Pio VII all’Episcopato di Città di Castello. Epi-
stola in versi sciolti di Bartolomeo Cuccagni della medesima città, domiciliato
in Roma, in pegno di antica amicizia, e stima. Roma, s. n., 1814 ».
« Al Nobil'Uomo il Signor Giuseppe Raffaele Machi Gonfaloniere di Città
pns

L'ABATE LUIGI CUCCAGNI, ECC. ' 21

Roma ed aveva cospicue aderenze e amicizie tra i capi delle gerarchie

ecclesiastiche. Circa gli studi oltre che in scienze giuridiche ed eccle-
Siastiche, mostrava buona conoscenza di letterature sì classiche che

italiana. 1
Se per semplice atto di did guio ad amicie a | persone ragguardevoli
si permetteva il lusso di dare alle stampe i frutti del suo estro poetico,

facile è pensare che Bartolomeo Cuccagni vivesse in buone condizioni
- «economiche; ma due lettere conservate nell'archivio dell'avv. Vittorio

Corbucci di Città di Castello, l'una del 24 l'altra del 27 maggio 1815

dirette a Mons. Florido Pierleoni Vescovo d'Acquapendente, porte-

rebbero a conclusioni opposte. Sia nella prima che nella seconda di
queste lettere, Don Bartolomeo pregava il vescovo di far presente

al Sommo Pontefice, in occasione del suo passaggio per Acquapen-

dente nel viaggio di ritorno a Roma, la «scandalosa condotta » di
Mons. Codronchi, Arcivescovo di Ravenna, nella questione del pa-

| gamento delle pensioni « trascorse in tempo dei Francesi »: pagamento

che il Codronchi stesso cercava di differire e in ultimo di noneffettuare.

Nella prima lettera il Cuccagni si dice « pressato dal bisogno » e si

mette tra i « bisognosi pensionati »; nella seconda, in seguito alla
offerta di una esigua parte del suo avere, si trova costretto a confes-

| sare di trovarsi «tra Scilla e Cariddi, giacchè ho bisogno grande per
«l'Iliade de' mali sofferti in tanti, e tanti anni. Se avessi denari, tutto

« farei fuori che esser soverchiato così dal Ravennate, che ha il corag-
« gio anche oggi di ricalcitrare agli ordini del S. Padre, sulla stabilita
«metà, di cui dovea essere contentissimo. Ma ripeto, che il bisogno,
«non so, se permetterà ch'io risista ». Ciò contrasterebbe con l'asserita
ricchezza originaria della famiglia Cuccagni.

Del nepote Angelo lo zio Luigi fa qualche cenno nelsuocarteggio .
«col Molinelli. Dice che gli è molto attaccato; e in data 25 maggio 1793

lo dà come sacerdote novello e come assai inclinato agli studi: « An-
«gelo scrive e parla inglese con la maggiore franchezza, sa anche il
«francese, lo spagnolo e il portoghese, e fra le lingue antiche anche
«l’ebraica. Quella traduzione [allude alla traduzione della pastorale
«dei tre vescovi di Inghilterra pubblicata nel « Supplemento al Gior-

«nale Ecclesiastico di Roma »| ha incontrato molto appunto per

«di Castello poichè ad eccitamento alla virtù quel saggio Magistrato fa collocare
nel Municipale Palazzo il ritratto del celebre poeta concittadino Capoleone
"Ghelfueci autore del Poema Sacro il Rosario, Bartolomeo Cuccagni invia da

Roma la seguente. Roma, Olivieri, 1820 ».

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22. NELLA FERRINI

«l’arte originale che ha saputo dargli (sic) senza punto. scostarsi dal
«vero originale » (1). Lo zio affida al nipote quegli incarichi che prima
affidava a qualche alunno dell Ibernese, come il rispondere alle lettere
dei corrispondenti durante la sua assenza e allorchè egli fosse impe-
dito per indisposizione o per eccessivo lavoro (2). E quando si tenga
presente con quanta gelosa secretezza Luigi Cuccagni teneva i suoi
carteggi con gli amici, fino a non firmare le lettere, si può veramente
credere che lo zio riponesse nel nipote tutta la fiducia e che il nipote
desse le maggiori garanzie di serietà. Lo Jemolo, che di Angelo Cuc-
cagni incontrò il nome sulle pagine del Supplemento si chiese chi egli
fosse (3); ma non ebbe conoscenza di documenti che potessero dargli
una risposta.

Don Angelo Cuccagni percorse assai felicemente la strada degli
studi ecclesiastici. Sotto Pio VI si addottorò, e il diploma di laurea gli
fu conferito dal cardinale Francesco Saverio De Zelada, bibliotecario
prefetto degli studi del Collegio Romano in data 5 settembre 1789.
Non sappiamo spiegarci come lo zio quattro anni dopo, chiami an-

cora il nipote «sacerdote novello » se non con la possibilità di rice-

vere il titolo dottorale prima ancora di ricevere l'ordine del Presbi-
teriato. Il documento originale firmato dallo stesso cardinale De Ze-
lada, è conservato dalla famiglia Fantini di Città di Castello. Come:

.testimoni al conferimento solenne di detta laurea appariscono il

Rev.mo Filippo Bonifazi e il marchese ‘Virgilio Bourbon del Monte,
conterraneo del neo dottore. E curioso può apparire che nel docu-
mento si fa cenno perfino della apposizione del berretto dottorale

e dell'anello, secondo le consuetudini del tempo. Lo zio agevolò al

nipote la conquista di una posizione culturale e la sua entrata nel
mondo ecclesiastico romano piü elevato. Si conosce un breve di Pio
VI, dato in Roma presso S. Maria Maggiore in data 4 luglio 1791,
decimosettimo del pontificato del Braschi (che rafforza le meraviglie.

(1) La pastorale fu ripubblicata anche in opuscolo con questo titolo:
« Lettera Pastorale da Carlo Vescovo di Rama Guglielmo Vescovo di Acanthos.
«e Giovanni Vescovo di Centuria Vicarj Apostolici diretta a tutti i Fedeli,.
« Clero, e Popolo dei Distretti Occidentale, Settentrionale, e di Londra ecc.
« Tradotta fedelmente dall' Inglese dall' Abate Angelo Cuccagni Dottore di Sacra
« Teologia. Roma, Zempel, 1793.

(2) Ctr. nel Carteggio Cuccagni-Molinelli le lettere del 6 settembre 1794,
del 23 dicembre 1797, del 21 e 28 luglio e del 14 ottobre 1798.

(3) Arturo CARLO JEMoLO, L'Abate Luigi Cuccagni e due polemiche eccle-
siastiche nel primo decennio del Pontificato di Pio VI. In « Atti della Reale:
Accad. delle Scienze di. Torino », vol. LXVII, 1932.

—————
L'ABATE LUIGI CUCCAGNI, ECC. 23

per la espressione dello zio di « sacerdote novello »), col quale il pon-
tefice conferi al sacerdote Angelo Cuccagni su designate modalità

e vari obblighi, il governo della chiesa di S. Antonio nel territorio

‘di Città della Pieve, vacante per la morte del parroco, colla rendita
di venti ducati aurei di camera all'anno ed altri proventi: conferi-
mento vita natural durante. Pio VII, in data 3 agosto 1827 gli concede
un « Indulto », ossia la dispensa dall'osservanza di certe leggi e norme
ecclesiastiche. Gregorio XVI lo nomina parroco della chiesa di Civi-
tella Todina dedicata a S. Gemignano, rimasta vacante per la morte
delsacerdote don Orazio Rinaldi. Tale nomina é in data 6 settembre
1832 da S. Maria Maggiore di Roma. Aderenze e influenze egli ebbe
certamente nella Curia Romana se poteva spuntare di ottenere pri-
vilegi per la cattedrale di Sansepolcro, retta da un vescovo del valore
di Mons. Roberto Costaguti (1).

Altri membri della famiglia Cuccagni, anche se sacerdoti, non
assumono, nei pochi documenti di archivio che si conoscono, alcuna
importanza nei confronti dell'Abate Luigi.

Le occupazioni numerose e le molteplici attività non consenti-
vano all'Abate Luigi Cuccagni frequenti gite al paese nativo. Tutta-
via qualche volta egli vi tornava e vi si tratteneva alcun tempo,
tanto da ricevere lì le lettere dei suoi corrispondenti (2). Non si hanno
‘ notizie di larghe amicizie che egli conservasse in città, ma si ha la
documentazione di aspre antipatie contro di lui nel campo ecclesia-
stico. E una grande stima egli non aveva de’ suoi correligionari tifer-

(1) In un libro parrocchiale della Arcipretura di Sangiustino Umbro si
legge questo curioso documento, che comprova la influenza di don Angelo Cuc-
cagni nei vari uffici della Santa Sede: « L’anno 1817, il Capitolo osian Canonici
di S. Sepolcro fecero istanza e chiesero alla S. Sede di potere avere il Privilegio
di poter portare, oltre il Rocchetto e mozzetta Paonazza, che già avevano,
anche il Collare paonazzo, Fiocco simile al Cappello, e calze parimenti paonazze
e fare uso della Bugia nella celebrazione di Messa Cantata, e fu commessa a me
Arcip. Biagioni di S. Giustino l'istanza per dirigerla in Roma al Sig. Abb. D.
Angelo Cuccagni uomo intraprendente e mio grande amico. Dopo il lasso di un
. anno e più, superate difficoltà che si fraposero, per le quali si ricusava di accor-
dare detta grazia, finalmente con lettera del 25 aprile 1818 fu a me diretto

l'avviso del sospirato Breve, spedito sotto il di 17 giugno d.? contenente il Pri- .

vilegio indicato di poter fare uso di collare paonazzo, fiocco simile al cappello
e calze paonazze e Bugia, quale fu consegnato da me istesso a Mons. Vesc. Co-
staguti, del quale godevo tutta la confidenza e fu risposto e registrato in quella
Cancelleria ». È :

(2) Carteggio Cuccagni-Molinelli: lettera del 18 settembre 1784.

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24 NELLA FERRINI

nati, se a proposito di una risposta che voleva dare non col suo nome
a un predicatore domenicano, certo Padre Ermenegildo Meazza,
poteva esprimersi in questi termini piuttosto sarcastici: « Intorno al
« P. Meazza non ho per anche ricevuto risposta, nè poteva riceverla
«prima di lunedì prossimo futuro, in cui la spero sicuramente. Per
«verità mi rincresce la circostanza del tempo [il P. Meazza predicava
« nella cattedrale di Città di Castello] perchè può ingenerare facilmente
«sospetto; ma mi regolerò dalle circostanze, e vedrò se mi riuscisse
«di trovare colà qualche muso duro, che non si curasse di prestare
«il suo nome scopertamente, per avere la gloria d’acquistare il nome
«d’Autore. Se non è perduta la razza, so che una volta solevan na-
«scere in quel paese degli uomini di coraggio, de’ quali ho speranza
«di trovarne. Tosto che ho saputo la verità della dimora, scriverò colà
.« a persona fidatissima, per vedere cosa posso fare; e poi la renderò in-
«tesa di tutto » (1). E in effetto il « muso duro » fu trovato, ma era
un prete di cosi crassa ignoranza, che si preferi l'anonimo: nessuno
avrebbe creduto al nome, il quale, al contrario non avrebbe che acuito
di più la curiosità della ricerca del vero autore.

Circa le aspre antipatie di cui era circondato in Città di Castello,

ne fa fede la seguente lettera di tal Camillo Camilletti, segretario del
vescovo della diocesi tifernate Mons. Pietro Boscarini, al proposto
Florido Pierleoni di Città di Castello, allora occupato al Collegio
Bandinelli di Roma, poi vescovo di Acquapendente: lettera interes-
santissima datata da Città di Castello, 4 maggio 1786, conservata
nell’archivio Corbucci, che val la pena d'essere riportata per intero:
«Mi pare che indarno si lagni, che io non rispondo, mentre pochi
«ordinarj passano che io tralasci o di fare una piccola aggiunta alle
«lettere del Vesc.9, ovvero ben a lungo scriva da per me; ed a questa
«ora dovrà aver ricevuto una mia scritta non molti giornisono. Della
« mia fedeltà poi non ne badi nemmeno a dubitare, e se ha Ella avuto
«nuove sinistre di tutti quasi gli altri Preti, Priori, Dignità e Cano-
«nici, di me certamente non ne avrà risaputo nulla, ed a riserva di
«una sua indifferentissima, che lessi al Pauselli, come subito scrissi,
«senza neppur ricordarmi quanto conteneva, le altre le ho abbruciate
«subito per timore di smarrirle, ed aleune volte giusto per questo

« motivo di non aver più la lettera non ho potuto rispondere a tuono.

« Sono già due o tre giorni che il Sig. Dottor Segapeli é ritornato
«in Città di Castello, e parla di lei con qualche riguardo, ed ha repli-

(1) Carteggio Cuccagni-Molinelli: lettera del 13 marzo 1779.
-

L'ABATE LUIGI CUCCAGNI, ECC. 25

«cate volte detto con me e con altri, che Vs. la raggira molto bene,
«ed ha messo l'affare del Teatro in tale aspetto, che il med.9 Sega-
« peli ne dubita molto male per gli accademici. Se poi dica davvero,
« o finga io non lo so, mentre fra i partitanti contrarj una volta faceva
«la prima figura, e voleva ancora dare un zecchino perché il muro
«si dipingesse di nero. Discorre ancora con tutti assai male del curia-
«letto (1) e di Don Chisciottino (2), ed io non so come possa mai ció
«succedere, e come mai si sia illuminato, mentre prima non aveva
.«in bocca tanto Lui che il Vecchio, altro che le opere Cuccagniane;
«eppure é vero a Roma ogniuno si disinganna ma nel soggetto di
«cui parliamo, quantunque non sistia in Roma, pure sembra che la
«verità si faccia giustizia da per se stessa. Il Sig. Luca mi ha fin da
«jeri portato il Libro delle terribili riflessioni del Piacentino (cioé
-«« del Tamburini) di cui mi prendo con questo Sig. Scarafoni tutto il
«piacere, e sebbene io nulla mi intenda delle materie Teologiche,
«pure mi riman molto chiara si fatta maniera di scrivere tanto pre-

«cisa sugosa, ed al tempo stesso piacevolissima.
| «Mi dispiace che anche in Pavia si sparga il nome di Città di
« Castello, e si conosca che vi nascono dei gran minchioni, ringrazia-
«mo però Iddio che non sono tutti di uno stesso tenore, ed anche in
«Roma ve ne dimorano alcuni della Città stessa, che risarciscono
-««il poco credito, che acquistano alla Patria il Letterato del Secolo,
«col fratello Bartolomeo. Avrei genio che mi ragguagliasse se il Teo-
«logo Piacentino abbia in tutte le sue riflessioni colto il punto, se
-«il Cuccagni mediti di rispondere e finalmente se potrà risponderci.
-« Già fingo anche col Vesc.? che il libro mi sia venuto di Firenze, ed
«anche col Dottore Scarafoni non mi sono aperto di averlo, se non
-««questa mattina, che è arrivato il mulatiere Micchio da Firenze.
-« Dopo averlo letto procurerò farne quel dispaccio che Ella desidera;
-« bensi lo rivoglio per tempo senza renderlo dopo a nessuno, nemmeno
«al proprio Padrone. Anche dopo che Lei sarà ritornato la prego a
««non palesare con alcuno essermi il libro venuto da Roma. Povero
« Proposto quando lo leggerà. Povero Pater patriae quando sentirà, che
-«isuoi allievi danno alla luce dissertazioni e libercoli tanto ridicoli !... ».
Il Dott. Giuseppe Segapeli di cui il Camilletti riferisce il malanimo

«contro il Cuccagni, era uomo di studi e un benefico cittadino, tanto .

(1) Lo scrivente allude certamente a Bartolomeo Cuccagni.
(2) Qui allude a Luigi Cuccagni; i due diminutivi possono rivelarci le pic-
«Cole proporzioni corporee dei due fratelli. i

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ail 26 NELLA FERRINI,

che morendo legò la sua fortuna patrimoniale a favore della gioventù

studiosa della sua città. Fu nel 1770 un fondatore dell’Accademia
dei Liberi (1) della quale Luigi Cuccagni entrò a far parte in data
12 maggio 1783.

Non si ha notizia di una speciale suv del Cuccagni in quella

patria accademia; non risulta nemmeno che vi abbia tenuto una let--
tura, come fu invece per l'Arcadia, Luigi Cuccagni fu chiamato Pa--

store Arcade in soprannumero col nome di Laminio, essendo custode
generale Nivildo Amarinzio (2). Interessante l'annuncio che ne dà a
Giambattista Molinelli in data 29 dicembre 1781: « Giovedi prossimo
« futuro reciteró nel Serbatoio d'Arcadia perla prima volta la orazione

«del primo giorno dellAnno. Ho preso per assunto il Mistero del

« Giorno, cioé la Circoncisione, figura del Battesimo; e quindi le due
«alleanze ecc. Credo che i Molinisti abbiano a dire che il Giansenismo
«ha penetrato fin nell'Arcadia e io avrò la gloria d'avervelo portato

«il primo. Spero che avró una scelta udienza; e già due Cardinali.

«fin ora mi hanno promesso di favorirmi; le sapró dire l'esito ».
Qualche giorno dopo, precisamente in data 5 gennaio 1782,

Luigi Cuccagni intrattiene lo stesso amico sull'esito della lettura :

« Giovedi prossimo passato recitai nell'Arcadia la prosa di cui le

« diedi cenno. Ebbi una scelta udienza di Cardinali, Prelature, e di.

«molti uomini dotti. Io non so dire quanto piacesse, ma só che un
« Prelato finita la funzione mi si accostó e mi disse che v'era troppo
«giansenismo. Io risposi che senza quel genere di Giansenismo non

«mi pareva che si potesse trattare l'argomento della Circoncisione,.

(1) Cfr. ULRICO Bronpi, L'Accademia Scientifica e Letteraria dei Liberi in

Città di Castello. Ivi, Lapi, 1900.

Il Cuccagni figura inscritto nel ruolo degli Accademici Residenti, e il di--
ploma reca la firma di Francesco Mancini « Princeps Perpetuus » e di Giuseppe
Segapeli quale segretario.

(2) Nivildo Amarinzio è il nome che tra gli Arcadi aveva assunto l’Ab..
Giovacchino Pizzi, nato a Roma nel 1716 e a Roma morto il 18 settembre 1790.
Si fece conoscere prestissimo per alcune poesie, notevoli per facilità e per cor-
rezione di stile. Ammesso nel 1751 nell'Accademia degli Arcadi, otto anni dopo:
veniva eletto custode o guardiano generale. Sotto la sua guida l'istituzione ri-
cevette nuovo impulso per l'accoglimento dei più rinomati scrittori d'Europa
e di parecchi principi. Ebbe gran parte nella clamorosa incoronazione in Cam-
pidoglio di Corilla Olimpica (la bella improvvisatrice Maddalena Morelli): cla-

morosa perché i fischi del popolo vendicarono il Petrarca e Torquato Tasso. -

(Ctr. GeRoLAMo BoccAnpo, Nuova Enciclopedia Italiana, Torino, 1879-1889,.
vol. XVII, pag. 791). i

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L'ABATE LUIGI CUCCAGNI, ECC. . 27

«considerandovi il mistero del Battesimo, i due Testamenti, le due
« Alleanze, i due Mediatori ecc. con la preminenza dell'uno sopra del-
«l’altro; imperciocchè dovessi necessariamente rilevare il prestigio
«inestimabile delle riparazioni e la forza della Grazia Onnipotente
«del Mediatore Cristo Gesù. Il Prelato si ammutolì ed io ancora mi
«tacqui. Per altro l'applauso pubblico fu universale, se pur non deb-
«basi dire una Cerimonia. Ma sia come si vuole, io nulla dissi che non
«mi sembri più che vero; se poi dispiace ai Molinisti, ipsi videant a
«me nulla importa, né sarà mai ch'io mi penta d'aver parlato in quel
« modo ». Piü tardi ancora il 12 gennaio 1782, il Cuccagni che non sa
astenersi dal raccogliere tutti i pettegolezzi politico-religiosi che inon-
davano Roma, versa sull'animo dell'amico genovese la propria ama-
rezza per quel che della sua lettura in Arcadia, ha detto un ex gesuita
siciliano, allo scopo di provare che egli avea spacciato leresia gian-
senista: ma il Cuccagni non si fa morire la parola in bocca; e dichiara
senza esitazione che tanto é convinto della giustezza delle sue argo-
mentazioni, che.se per caso quel che aveva detto era giansenismo,
si gloriava di averlo predicato e pregava Iddio che gli donasse la gra-
zia di predicarlo fino all'ultimo fiato.

Con tutto, il Cuccagni si prese poca pena di esplicare nel Serba-
toio grande attività, perché nel carteggio col Molinelli, dove pur
riferiva le più minute cose che gli accadevano, per lo spazio di altri
sedici anni non fa alcuna menzione di sue nuove letture in quell'ac-
cademia, né di nuovi suoi contatti con essa.

Egli non aveva nessuna sensibilità per l'arte; e in un'epoca come
. la seconda metà del sec. xvii in cui fecero in Roma clamorosa appa-
rizione artisti dell'altezza di Luigi David, di Angelica Kaufmann, della
Vigée-Lebrun, di Antonio Canova per non citare che i principali,
non solo nel giornale che dirigeva, ma nemmeno nel privato carteg-
gio ha mai una nota, un cenno, una idea sia pur fugace (1). Lo stesso
si può dire per la letteratura artistica: talehè Vincenzo Monti, Vit-
torio Alfieri, Volfango Goethe non colpiscono in Roma la sua atten-
zione. Spaziava principalmente o quasi esclusivamente nella lettera-
tura religiosa e politica. Per la politica mostrava speciale inclinazione
fino a discutere o gli atti di governo dei piccoli regni in cui era divisa
l'Italia o l'andamento delle guerre che si combattevano e a prospet-

(1) Cfr. per le manifestazioni artistiche della Roma del tempo : DrEao
ANGELI, Storia Romana di trent'anni (1770-1800). Milano, Treves, 1931.

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irritati

NELLA FERRINI

tar conseguenze future degli uni e delle altre. Il carteggio col Molinelli
è pieno di argomenti siffatti: e le vicende del Conte di Cagliostro, di
‘ Ugo Bassville, del generale Duphot tengono il posto di argomenti di
arte e di poesia.

Notevoli i suoi sentimenti di italianità, che spuntano, volta a
volta, nonostante il suo attaccamento al governo della Chiesa: « Seb-
« bene papalino — dirà in data 18 maggio 1793 in una lettera all'amico
«genovese — ho amore per tutta l’Italia e tutta considero come mia
« Patria e a tutti desidero una permanente felicità ». Ammirava il ge-
nio e il coraggio degli italiani e si doleva che fossero caduti nel lusso
e nella mollezza, senza perdere la speranza in un loro ravvedimento:
« Gli italiani sono immersi nel lusso e nelle mollezze, ma il genio ita-
«liano tanto superiore alle altre nazioni si sviluppa prestissimo e
«Tho veduto nei sudditi del Papa che sono i meno Belligeranti. Ep-
«pure l'anno scorso s'ella avesse veduto come si erano elettrizzati e
«quanto amavano di misurarsi coi francesi, ella sarebbe rimasta sor-
«presa. In comune giunsero sino al dispiacere che i francesi non aves-
«sero tentato lo sbarco nelle spiagge pontificie, appunto per aver
«l'occasione di battersi » (1).

Il pensiero che l’Italia nelle vicende belliche del tempo avesse
potuto soccombere, lo amareggiava: «... Per verità se la Francia
«estenderà i suoi domini stabilmente sino al Reno, non c’è più equi-
«librio in Europa, e i francesi potranno farne l'universale conquista,
«tutte le volte che vorranno e l'Italia, come la più debole, perchè
«tanto divisa, sarà la prima a soccombere, cosa che non vorrei af-
«fatto » (2). i

Del pari degni di nota sono i suoi ma religiosi. Egli dete-
stava la introduzione nel culto di forme superstiziose e idolatre e fu
risolutamente contro la devozione del Cuore di Gesù, tenacemente
sostenuta e reclamata dai gesuiti. Non infrequentemente ha nel car-
teggio col Molinelli cenni a questo culto, non approvato nemmeno
dal Pontefice (3); ma credeva molto, invece, ai miracoli e alle visioni.

(1) Carteggio Cuccagni-Molinelli: lettera del 9 agosto 1794.

(2) Carteggio Cuccagni-Molinelli: lettera del 5 settembre 1795.

(3) « ... dal medesimo signor Marsano si può far raccontare il dialogo ch'ebbe
«il signor Fenaia suo Superiore col Papa, intorno alla Devozione del Cuor di

. « Gesù. Poichè avrà ella il piacere di udire che S. S. prova dispiacere che si pro-

«paghi questa sciocca e pericolosa divozione: e che avendo letto Benedetto XIV
«e Giusto Fontanini ha conosciuto chiaramente che non conviene, né promuo-
« verla né proteggerla; che in Roma la lascia correre per non far maggior ru-
m

L'ABATE LUIGl CUCCAGNI, ECC. 29

| La guarigione dalla febbre perniciosa di cui fu affetto negli ultimi

mesi del 1794, egli l'attribui alla protezione di S. Pietro che nel
colmo del male gli apparve, lo consoló e lo rassicuró della guarigione (1).
su questa apparizione insiste con minuzia di particolari: « Resistetti a
« credere a tale apparizione e lottai per cosi dire tutta la notte sino a
«sudarvi sei camicie, ma infine dovetti credere all'evidenza del fatto
«colla seconda apparizione, nella quale il Santo mi lasció un segno
«così certo e sensibile che ora mi crederei un ateo se resistessi a cre-
«derle vere » (2).

Anche alcuni lustri prima aveva riferito al Molinelli la notizia
che correva per Roma dell'apparizione di Clemente XIV a Pio VI.
Il sommo pontefice, stando poco bene, aveva spesso, secondo il rac-
conto, qualche visione; e una era quella di Clemente XIV, che appar-
sogli avrebbe battuto alla sua spalla e lo avrebbe ammonito di badare
bene che non gli succedesse quello che era successo a lui: di badare
cioé che gli ex gesuiti non gli avessero dato il veleno (3).

Il Cuccagni non trascura di insistere sulle apparizioni di Clemen-
te XIVa un giovine collegiale di Roma, sul miracolo del Cristo che alza
e abbassa gli occhi in una chiesa di Roma stessa, sulla statuetta di
S. Veronica Giuliani, che in Mercatello recita le preci in compagnia di
una devota bambina. : dis

Questo misticismo non gli impedisce pertanto di essere come già
si é detto fieramente e costantemente avverso dei due ordini religiosi.

Attraverso un oscillare di sentimenti, di pensieri, di concezioni
non é cosa facile farsi una idea esatta dei tratti morali di Luigi Cucca-
gni. Ma non si puó negare a quest'uomo combattivo, il riconoscimento
che rimase fedele nella gratitudine verso il Cardinale Mario Marefo-
schi che lo pose allà direzione del Collegio Ibernese e, dunque, gli
spianó la strada per arrivare alla corte pontificia e ai contatti con i

prelati più ragguardevoli del tempo; e fedelissimo rimase nell'amiei- -

zia col Padre scolopio genovese Giambattista Molinelli, anche se. per
tirarlo dalla sua parte adoprò alle volte arti e montò maneggi che non
sempre possono essere: apprezzati e giudicati con favore.

Luigi Cuccagni non rivestì dignità ecclesiastiche elevate. Non fu.

è‘ «more ma che gli rincresce che sia da altri promossa e massime dalla Regina

« di Portogallo, che di piü fa dipingere il Cuore con tanta pompa al pittore Bat-

«toni ». (Carteggio Cuccagni-Molinelli, lettera del 2 dicembre 1788).

(1) Carteggio Cuccagni-Molinelli: lettera del 29 novembre 1794.
(2) Carteggio Cuccagni-Molinelli: lettera del 20 dicembre 1794.
(3) Carteggio Cuccagni-Molinelli: lettera del 4 luglio 1778.
30 NELLA FERRINI

mai Monsignore, come lo dice il Codignola; rimase soltanto « prete »
come asserisce Gaetano Moroni (1). Morì relativamente giovine e
visse in un periodo certamente grave per la Chiesa; di modo che gli
mancò la possibilità di trarre dai suoi atteggiamenti verso la Curia
benefici morali e materiali nella misura che poteva ripromettersi e
forse anche desiderare.

La salute non lo aiutò molto. Spesso subì malattie piuttosto
gravi. Così il suo tramonto fu rapido. Già, fin dalla fine del 1786 ha
dovuto, per ragioni di salute, lasciar di cenare la sera, mangiando un
po’ più di giorno; e di questo regime di vita sente giovamento (2). Le
notizie sulle sue malferme condizioni di salute sono frequentissime
in tutto il carteggio col Molinelli che dura un ventennio. Luigi Cucca-
gni scrive l’ultima lettera a Giambattista Molinelli il 30 settembre
1798: ha dovuto mettersi a letto e questa volta per non più rialzarsi..
Qualche giorno dopo, e precisamente .il 14 ottobre, il nipote Angelo
avverte il Molinelli che lo zio ha dovuto nuovamente «guardare il
letto » per esserglisi manifestato «anche nella ganaba diritta quel mo-
«lesto umore erpetico che gli tormentò già e seguita qualche poco a
«tormentargli ancora la gamba sinistra, tenendole ambedue gonfie ».

Successivamente le condizioni del Cuccagni si vanno facendo via
via più gravi fino a condurlo a morte. Si spense come già si è detto,
il 7 novembre 1798, tra sofferenze fisiche che il nipote descriverà poi
al Molinelli con minuzia di particolari.

Anno veramente fatale per lui: l'Ibernese era stato soppresso;
il « Giornale » aveva dovuto cessare le pubblicazioni; la polemica
antigiansenistica rimaneva soffocata dagli avvenimenti: si sarebbe
detto che. non avesse più nulla da fare.

Giova credere che la morte non solo ponesse fine ai tormenti
fisici, ma più ai tormenti morali che dilaniavano l'animo del povero
sacerdote; il quale, sopraffatto ormai, se pur non si curava più della
fine dei regni e della caduta delle monarchie, temeva pur sempre del- -
l'incerta e oscura sorte della religione (3) in difesa della quale aveva
battagliato tutta la vita.

Luigi Cuccagni ebbe la cattiva sorte di vivere in un periodo,
quale fu la seconda metà del settecento, in cui la molteplicità degli

(1) GAETANO MoRronI, Op. cit., appendice, vol. I.
(2) Carteggio Cuccagni-Molinelli: lettera del 21 gennaio 1786.
(3) Carteggio Cuccagni-Molinelli: lettera dell'8 agosto 1795.
L'ABATE LUIGI CUCCAGNI, ECC. 31

aspetti nelle varie forme dello spirito e della politica, dovevano angu-
:stiare un animo che per natura era estraneo ad ogni rinnovamento e
che doveva sentirsi in quel mondo come il famoso vaso di terracotta
manzoniano.

La filosofia dell'illuminismo col complesso delle idee nuove e ori-
ginali che propugnava, era giunta alla sua piena formazione e aveva
‘conquistato in Europa ogni ceto colto, il quale riponeva in essa tutte
le speranze di un agognato rinnovamento. Essa offriva all'uomo ogni
possibilità di conquista trasportandolo in una sfera piena di fascino
suggestivo, completamente estranea a quella in cui fino ad allora era
vissuto, rendendolo capace di creare grandi cose col solo aiuto della
ragione, senza alcun bisogno soprannaturale.

Che quest'ordine nuovo di idee, che portava un 00
dei valori spirituali, per la sua base puramente razionale, colpisse
profondamente la religione cristiana e la Chiesa, contraria ad ogni
‘evoluzione, è indubitabile; ma certamente il fatto sarebbe stato pas-
seggero e solo la crisi del momento portava l'uomo ad aggrapparsi
con ogni forza a qualunque concezione sembrasse offrire possibilità
di riuscita per la creazione di un mondo nuovo; nè ci poteva essere
.su questo sentiero del progresso alcun ostacolo sia pure divino. Certo -
.sì sarebbe presto tornati spiritualmente alla religione come devozione
a Dio, da cui l'umanità non può mai rimanere completamente stac-
‘cata, perchè essa è l'elemento propulsore di ogni impresa, e la Chiesa
nulla avrebbe perduto della sua potenza spirituale, anche se molto
«della sua forza politica. Ma Cuccagni, che tutto osservava con occhio
«cattolico, e la cui mente era troppo imbevuta di idee conservatrici,
non poteva giustamente vedere in queste tendenze nuove, in questa
aspirazione dell’uomo a sentirsi libero, i primi germi di un risveglio
«di coscienze, e tanto meno poteva capire che la filosofia dell'illumini-
‘smo, sia pure indirettamente, sarebbe stata in un lontano domani,
«dopo un’infinità di tristi esperienze, la fiaccola da cui avrebbe preso
luce quell’ideale di libertà che doveva portare i ciente.
«d’Italia,

Gli eccessi a cui unco le correnti che germogliarono sul ter-
reno filosofico dell'illuminismo, furono davvero spaventosi, e nella
. lotta che si sviluppò, i più terribili furono i colpi contro Roma, a
‘cui Cuccagni era tanto attaccato e fedele. « Gelosa dei suoi privilegi,
«estranea ad ogni evoluzione, ostinata nel voler conservare le anti-
«che concessioni mentre tutte le nazioni d'Europa rimutavano il
«loro diritto, mentre un popolo nuovo sorgeva ostinato a cercare in

M (NE * = An £ ' } ue “a! 1 € u^
32* NELLA FERRINI

«se stesso lorigine d'ogni legge politica » (1), Roma restava il vec-
chio tronco, da cui nessun alito di gioventù poteva far nascere nuovi
germogli. Luigi Cuccagni considerava l’illuminismo 'da un punto di
vista completamente religioso, lontano da ogni visione politica, come
affronto deleterio alla religione, elemento di presunzione e di superbia
per l’uomo che si crede capace di conquistare ogni felicità con le sole
sue forze, prescindendo da ogni rivelazione. Egli vedeva gli effetti,
veramente poco buoni, che l'illuminismo aveva prodotto sui principi
assoluti, « decisi a governare con la loro sovrana volontà, senza indulti
« pontifici, nè concordati, tutti gli affari ecclesiastici » (2) e chiara-
mente prevedeva tutti i pericoli a cui Roma e.tutto il mondo cristiano
andavano incontro con il regno chimerico della filosofia che tentava
abbattere ogni verità del Vangelo.

Negli articoli del « Giornale Ecclesiastico di Roma » egli non si
stanca di attaccare i filosofi del « preteso secolo illuminato » di mo-
strare con ragioni che ritiene le più convincenti, i « deliri e la malafede
a cui esso porta ». Così si esprime in proposito: «La pretesa filosofia |
«del secolo grida e bestemmia che si rinunzi alla religione e che si
«abbandonino le sante regole dei costumi e i misteri sublimi ch’essa
«ci insegna; perciocchè non vogliono riconoscere il bisogno che si ha
«del Vangelo; e gridano che per essere onest'uomo basta essere fedele
«alla Patria, ubbidiente alle leggi dello stato, purchè non abbiano
«esse altro fondamento che la loro filosofia » (3). In questi principî
il Cuccagni vede annullata l’opera del Redentore e quindi tolto l’unico
conforto che ci dà la speranza di una vita futura, che sola è. capace
di mitigare i mali della presente, rendendoci forti nelle sofferenze e
nelle avversità. E continuamente ribadisce questi concetti, con la
convinzione che le sue parole possano riuscire finalmente giovevoli,
e chiama eretici gli avversari che si «lusingano di essere illuminati
mentre sono affatto privi di luce » e li considera «razza prostituta e
«corrotta che fingono di voler accrescere i gradi della sovranità nei
« Monarchi e dell'autorità nei magistrati civili, col dare loro ad inten-
«dere che ban diritto di metter mano negli affari di Chiesa e tanto.

(1) A. ORIANI, Lotta politica in Italia. Bologna, Cappelli, 1928.

(2) A: C. JEMoLO, Luigi Cuccagni e due polemiche antigiansenistiche nel 1°
decennio del pontificato di Pio VI. « Atti della Reale Accademia delle Scienze di
Torino », estratto 67.

(3) « Giornale Ecclesiastico » anno 1791, Prefazione, vedi anche «Supple-
mento », anno 1789, quinterno V.

CESSA ISLES STR

ee
L'ABATE LUIGI CUCCAGNI, ECC. 33

«più assoderanno il loro trono, quanto più domineranno sulle cose
«della Religione e dell’ecclesiastica disciplina » (1).

Cuccagni con queste affermazioni vuol dimostrare insistente-

mente ai filosofi, che la loro costruzione è fondata sulla sabbia, che la
loro causa non potrà trionfare, perché falsi sono i principî; e nello
stesso tempo avverte i sovrani di non fidarsi delle illusorie concessioni
che ad essi si fanno, perché verrà il momento in cui questi ipocriti
paladini butteranno la maschera e rovesceranno i troni che tanto
hanno adulato.

Ma cosi scrive il Cuccagni polemista antigiansenista, sotto il cui
unico aspetto fin qui è apparso nei pochissimi cenni fatti su di lui
dagli storici contemporanei; e tale sarebbe rimasto il giudizio se le
diligenti ricerche del Prof. Codignola non avessero dissepolto di fra
la polvere accumulatasi in tanti anni, il carteggio col P. Molinelli
di Genova, che serve un po’ a lumeggiare questa figura, definita di

Codignola stesso quanto mai «sfuggente e proteiforme ».

i A, Roma, negli ultimi anni del pontificato di Clemente XIV e
quando i giansenisti combattevano accanitamente i gesuiti, egli,
come si è già detto, era riuscito ad avere, per la protezione del Car-
dinal Marefoschi, il posto preminente di Rettore del Collegio Ibernese,
tenuto dai gesuiti: e l'aver potuto ottenere tale incarico prova già di
quali idee fosse il Cuccagni, o quale almeno apparisse agli occhi dei
giansenisti: nemico giurato dei due ordini monastici che piü riempi-
vano della loro attività e della loro autorità la vita religiosa e poli-
tica del tempo: Gesuiti e Domenicani. Tale avversione profonda egli
infatti sfoga non solo in forma generica verso gli istituti, ma anche e
soprattutto in forma particolare verso gli « individui » più rappresen-
tativi dei due ordini. E invece amicissimo delle teste alte del partito
giansenista : Natali, Del Mare, Giorgi, Molinelli, Alpruni, non escluso
il Tamburini, che diverrà poi il suo più fiero nemico e contro il quale
rovescerà tutta la foga della sua polemica.

Il giansenismo era riapparso dopo molti anni al soffio di un’aria

più propizia e pieno di nuovo vigore era divenuto il movimento più:

importante della seconda metà del secolo xvm. Fin dalla loro prima
apparizione i giansenisti si erano mostrati « teologi molto versati nella
polemica; entrati in lizza sapevano con molta destrezza sfuggire agli
agguati della dialettica gesuitica » (2). Le loro idee erano sempre im-

(1) « Giornale Ecclesiastico », Prefazione citata.
(2) ErrorE Roma, Pietro Tamburini di Brescia Teologo piacentino e la

3

03 RT) II eie itr too VC RAR

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34 NELLA FERRINI

bevute del più puro misticismo, il Vangelo era la loro guida, la rigi-
dezza dei costumi, la preoccupazione del giudizio finale, la responsa-
bilità del peccato originale erano i punti principali delle loro medita-
zioni. Anche se ir questo scorcio di secolo i loro principî, per necessità
di cose, presero un’altra piega, teologicamente essi furono veri eroi
della fede che sempre considerarono missione; «nessuno dovrebbe
« disconoscere al giansenismo italiano il gran merito diessere stato una
«magnifica scuola di carattere e di eroismo morale » (1).

Rocca forte del partito in Italia divenne l'Università Pavese,
scuola in cui militarono i maggiori astri del movimento, intorno ai
quali si andrà a poco a poco formando la nuova generazione eccle-
siastica «fiera nell’opposizione alla Chiesa nel seno stesso del catto-
licismo » (2). Vorranno costoro riportare la Chiesa alla forma origina-
ria di governo istituito da G. Cristo, intenderanno cioé dare alla Chiesa
stessa una nuova costituzione con un pontefice che sia solo vescovo
di Roma, con un concilio universale per gli affari comuni, con vescovi
indipendenti, con un clero sotto la sorveglianza della potestà civile.
‘ Predicheranno magari l'universalità della Chiesa, mentre si spinge-
ranno a combattere l'assolutismo di Roma, le ricchezze, i costumi, i
privilegi del clero. In un primo tempo peró, non assunsero essi carat-
tere cosi combattivo contro Roma e le questioni teologiche sembra-
rono il principale scopo delle loro polemiche.

Giunti infatti ad altezze considerevoli sotto papa Lambertini,
durante il breve pontificato di Clemente XIV erano riusciti a far
sopprimere l'odiata Compagnia di Gesü e ad occupare posti di fiducia
nella corte romana. Le loro opere correvano liberamente in Italia e
all'estero, senza che a nessuno, venisse in mente di proibirle. Il fascino
della loro dottrina attirava una quantità di proseliti, che vedevano
in essi teologi di purissima fede e di sana morale. E questo fu il mas-
simo fulgore a cui giunse il giansenismo, perché già le nubi si adden-
savano sul loro cielo con l'avvento alsoglio pontificio di Pio VI, il quale
se non si dimostrò subito decisamente contrario al partito, dava però
chiaramente ad intendere che lo vedeva poco di buon occhio e che:
nutriva nascostamente nel cuore la speranza di far risorgere la Com-

controversia giansenista. a Piacenza. Estratto « Bollettino Soc. Pavese Storia
Patria », anno XII, fasc. III-IV, Pavia, 1913. 5

(1) E. CopiGNnOLA, Carteggio di giansenisti liguri. Firenze, Le Monnier,
1941, Prefazione, pag. 90-91.

(2) E. Rota, L'Austria in Lombardia. Roma, S. E. Dante Alighieri, 1911,
pag. 198.
L'ABATE LUIGI CUCCAGNI, ECC. 35

pagnia di Gesü. D'altronde i giansenisti conoscevano per esperienza
gli avversari sempre assai potenti e sentivano che il minimo favore che
-avesse loro concesso il papa, avrebbero ripreso il sopravvento.

La preoccupazione che produceva questa paura appare chiara
dalle lettere del Cuccagni, che sono un'alternativa di speranze e di
delusioni. Il 19 settembre 1778 egli scriveva all'amico di «aver per
certissimo l'allontanamento da Roma di tutti gli Ex » e il 9 ottobre
dello stesso anno, a proposito di aleuni disordini avvenuti in Roma «se
«i romani rifletteranno che tutti questi mali vengono loro addosso per
«l'attaccamento che mostra la loro Corte per gli Exg. si risolveranno
« finalmente a prenderli a sassate e a scacciarli dalla città; se ció non
«avviene almeno per comando del Papa, che finalmente dovrebbe
« risolversi ad allontanare da Roma quell'iniqua gente che tira dietro
«la sua rovina, bisogna dire essere quella cecità, in cui gli uomini
« per colmo di lor castigo sono sovente da Dio lasciati ». I timori cre-
Scono e aumenta l'odio del Cuccagni per gli Ex., che ritiene capaci di
fare a Pio VI quello che si credeva avessero fatto al suo predeces-
sore. Informando infatti il genovese della salute del papa, scrive che
oltre gli incomodi di cuore (cardiologia) è egli minacciato da altri gravi
preoccupazioni, perché «fa uso di alcune pilole (sic) venefiche, e tiene
«un gatto, al quale dà prima il cibo che si mangia ... a tutto aggiunga
«i malanni che gli sopraggiungono per il suo conosciuto trasporto

«Verso quell'odiosissima gente e poi si veda se c'é motivo di teme- -

re » (1). Sembra qui evidente il proposito di far cenno più a mali
morali che fisici, quali appunto il disgusto del Pontefice per la devo-
zione del Cuor di Gesù e il suo sospetto verso i gesuiti.

La corrispondenza col Molinelli ed altri noti giansenisti, le con-
tinue affermazioni di «essere della scuola agostiniana, in tutti i rami
« fondamentali della Teologia » (2), l'odio implacabile contro i nemici
del partito, della « buona causa » e della «sana dottrina », gli attacchi
contro Mamachi, che in segno di disprezzo chiamava il « greco », e
contro Zaccaria, anche se di questi più tardi dovrà fare quegli elogi
che in privato si affretta a far sapere essergli stati « comandati », il
| riempire le lettere dell'imposture degli Exg. ai giansenisti: ( «la teme-
«rità degli Exg. si fa sempre maggiore, può credere che diavolerio
«siavi al presente; si declama pubblicamente contro i giansenisti dei
« quali si dice sono la peste del genere umano, i distruttori della ra-

(1) Carteggio Cuccagni-Molinelli : lettera del 7 novembre 1778.
(2) Carteggio Cuccagni-Molinelli : lettera del 6 dicembre 1783.

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36 1 NELLA FERRINI

«gione, che mettono in disperazione la gente e negano la divina mise-
«ricordia. Si può dar calunnia più sfacciata di questa ? ») (1), quel
chiudere: sempre le lettere con un saluto per qualche giansenista fa-
moso, son tutti fatti che non possono lasciar dubbio dal considerarlo.
se non addirittura un giansenista, almeno un caldo e fervido simpa-
tizzante dei seguaci di Portoreale, nei primi anni ancora ‘del pontifi-
cato di Pio VI. .

Anche nel primo volume della Vita di S. Pietro, uscito nel 1777
dedicato alla santità di Pio VI, vi sono proposizioni abbastanza espli-
cite per confermare la sua adesione alle idee gianseniste, nei riguardi
della grazia e della predestinazione. In questo volume infatti, oltre es-
sere asserito il Primato di Roma e le prerogative del Papa, diretta-
mente concesse a lui da Cristo, nel passo della negazione di Pietro
faceva considerazioni di questo genere: « Cristo avvertì Pietro di essere
umile e pregare, poichè l'umana natura da se stessa dinulla è capace» (2);
e ancora : «colle sole forze del suo libero arbitrio e senza l'aggiunta
«dell’aiuto di Dio, aveva promesso di voler morire pelsuo Signore; ma
«cos'è l'uomo senza la grazia di Dio, se non quello che fu Pietro allor-
«ché negò G. Cristo ? L'uomo è un ammasso di debolezza quando da

«Dio viene lasciato a se stesso » (3).

Nè alterarono il Cuccagni i rumori che allora suscitarono queste

.sue definizioni, specie da parte dei superstiti gesuiti e di tutti i difen-

sori della teologia molinista, sebbene a distanza di qualche anno vor-
rà dimostrare con tanto interesse che questa è pura dottrina agosti-
niana, la quale non ha niente a vedere con Giansenio, e cercherà con
sottile furberia di ridurre la polemica alla sbagliata interpretazione
della parola sufficiente, adducendo come prova dell'inganno degli
avversari, di aver riferito solamente le parole dei S. Padri. Scuse invero.
che provano poco a sua difesa. +
Nel riferire questi contrasti all'amico, a volte sembra timoroso e
preoccupato che la questione possa prendere una piega poco bella,
ma presto si consola nella certezza di essersi attenuto pienamente alla
dottrina di S. Agostino e che dopo tanti sussurri si dovrà alla fine rico-
noscere la sua perfetta cattolicità. Nella lettera del 14 agosto 1779
racconta all'amico che in una conversazione l’abate Cancellieri, cosi
si era espresso sull’«autore della Vita »: «si meravigliava come si

‘(1) Carteggio Cuccagni-Molinelli : lettera del 27 luglio 1779.

(2) Lu1ia1 CuccaaNwi, Vita di S. Pietro Principe degli Apostoli. Roma,
Zempel, 1777, vol. I, pag. 169 e segg.
(3) Luia1 CuccaaNwi, Op. cit., pag. 218.
L’ABATE ‘LUIGI CUCCAGNI, ECC. 37

»

« potesse tollerare in Roma un Eresiarca simile, come gli si lasciasse
« celebrare la messa e come si lasciasse al Governo di un Collegio Eccl.
«Esagerava lempietà della tolleranza massime sotto gli occhi del
«Papa e metteva in vista l'eresia manifestissima che aveva pubblica-
«mente insegnato ». Per buona fortuna del Cuccagni non mancava
mai in simili conversazioni, qualche amico che prendesse le sue difese
‘e alla fine «tutti furono convinti che l'autore della Vita era un buon
«cattolico ». Non sembra che queste voci lo scandalizzino, anche se
non transige ne] volere apparire, al disopra di qualunque partito, buon
cattolico e assertore sincero della verità. Ma quello che sinceramente
lo preoccupa é che queste dicerie possano nuocere alla sua posizione,
non alle sue idee, e fargli perdere quel posto per sostituirvi un qualche
Ex. o Terziario e « purgare quel Collegio dal giansenismo di cui é in-
«fetto fino alle midolla il presente Rettore... In questi tempi mas-
« sime che il Cardinal Marefoschi sta in Macerata dove ha sofferto qual-
«che incomodo di salute, non sarà difficile che agli Ex. riesca un tal
«colpo. Vedremo » (1). E questa paura gli fa rintuzzare senza tregua
‘al gesuiti l'infondata accusa del suo giansenismo.

Coll'andare degli anni rari diventano gli accenni di vero, ‘leale
‘attaccamento al partito, anche se fiera continua la lotta ai nemici
di questo, anche se all'apparire degli Annali Eccl. di Firenze dice
di leggerli con molto piacere e dei quali fu in un primo tempo un am-
miratore; ma si dichiara sempre agostiniano non mai giansenista,
“appunto perchè questo nome comincia ad. essere compromettente.
Si trova coinvolto nel partito, non sa forse neppure egli perché, non
già per identità di aspirazione. Preferisce al molinismo l'agostinismo,
3ma di questo non tocca quasi mai le questioni della grazia e della
predestinazione, che sono l'essenza vera di tutta la dottrina; tuttavia
puó esser conveniente, per chi voglia farsi strada, arruolarsi in quelle
file di cui s'intravede il successo; tanto piü che in fondo, ivi si profes-
sano fede perfetta e sana morale. Infatti «egli è un uomo pratico,
«conciliante e accomodante come tutti gli uomini pratici, quando
«non sono in giuoco gli interessi delle istituzioni che essi hanno il
«compito di difendere, ma quelli soltanto della verità. Il suo agosti-
«nismo e portorealismo non é una passione profonda, un'intuizione
«globale della vita religiosa € morale radicata nel piü intimo della
«sua personalità come per Giorgi, Natali, Molinelli, ma una teologia,

(1) Carteggio Cuccagni-Molinelli : lettera del 27 novembre 1779.

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sa 38 NELLA FERRINI : |

È «poco più di un inerte contenuto dottrinale » (1). L'incalzare degli

‘ avvenimenti e il diverso aspetto che conseguentemente andavano È

prendendo le cose in quel turbinoso periodo, soprattutto l'opposi-

zione sempre più evidente del Papa al partito, spiegano l'atteggia-

1 mento di certi spiriti malfermi, e chiariscono le ragioni dell'allonta-
namento del Cuccagni dalle posizioni iniziali.

Quell'onda di spiritualismo cristiano che aveva richiamato le
coscienze religiose verso le prime sorgenti della fede, in traccia di una
religione pura, mite, semplice, foggiata sui principi evangelici di li-
bertà e di uguaglianza, era divenuta palesemente verso la fine del se-
colo una vera milizia rivoluzionaria contro Roma, elemento inconci-
liabile nella difesa dei propri privilegi, contro il Primato del Papa,
contro la costituzione della Chiesa. Il Vaticano si vede nelle condi-
zioni estreme di difendere non solo i propri diritti, contro i quali gri-
dano da ogni parte gli uomini del secolo, ma il suo patrimonio spi-
rituale che è esposto alle più dure prove. La Chiesa di Roma si erge
imperiosa dinanzi agli oppositori, decisa a non transigere, spronata
dal ricordo dei tempi di maggior gloria politica, o meglio ancora quan-
do nel lontano Medio-evo era «un'istituzione protettrice dei deboli,
«ispiratrice di mitezza e giustizia nel cuore dei potenti, creatrice del
«diritto, fautrice della cultura e del lavoro, sostegno universale di
«ogni forma di convivenza civile » (2).

Si proibiscono i libri che fino ad ora hanno inondato È Italia,
per paura che sotto le questioni teologiche si nascondano mire poli-
tiche anticlericali. I gesuiti che da tanto tempo nascostamente mac-
chinavano contro gli avversari, tornano alla ribalta ansiosi di ripren-
dere i posti a loro usurpati, piü accaniti nella lotta in cui vedono la
vendetta contro l'odiato partito, pronti più che mai nella difesa dei
diritti del Papa come Primate della Chiesa, di quel buon Pio VI che sié
mostrato ad essi cosi favorevole. Essi si scagliano ancora contro gli
avversari, combattono la morale cosi stridula alle loro orecchie, la
teologia cosi profondamente diversa dalla loro in punti di tanta im-
portanza. Questo improvviso risveglio dell’odiata Compagnia, pre-
sentito dai giansenisti, accanisce non abbatte gli spiriti più forti del

T partito mentre fa indietreggiare quelli che ripugnano alla lotta perché
contraria alla mitezza evangelica che professano. La lotta oltrepassa

(1) E. CopiGNoLA, Op. cit., Prefazione, pag. 41.
(2) C. BARBAGALLO, Storia Duc Torino U.T.E.T., 1940, vol. III,
pag. 133; vol. V, pag. 452.
L'ABATE LUIGI CUCCAGNI, ECC. 39

ogni limite, abbatte ogni ostacolo; é necessario colpire la Chiesa nel
suo Primato e nella sua costituzione, annullare la sua universalità e
piegare il suo dispotismo, annientare lo spirito loiolitico che tenta di
riprendere il sopravvento. Nella Università Pavese e in Toscana si
formano i fieri gruppi di opposizione dove si combatte colla violenza
della passione; ogni libro che viene fuori da queste fucine di rivolta
é una sfida per Roma «stridula negli attacchi la penna, impetuosa
«la parola; fra il lampo delle polemiche non passa mai la mitezza del
« Vangelo » (1). Tamburini diviene il Dio dei giansenisti, idolatrato e
venerato, per il fascino che danno le sue idee, feconde di speranze e
promesse. Egli è la persona più eminente dell’ Università dell' Impero,
a cui negli «anni di Giuseppe II, si volge con attesa fidente tutta l'at-
« tenzione dell’ Europa illuminata » (2). In Toscana Scipione de’ Ricci
vuol fare cose che si avvicinano a vere e proprie funzioni di Papa e le
sue riforme sono seguite con interesse da chi tende a laicizzare là
Chiesa; la spavalderia, che spesso rasenta l'insolenza, dei suoi clamo-
rosi gesti, si fonda interamente «sulla protezione del granduca, so-
«vrano zelante ma d'intelligenza mediocre, che vuole legiferare e
«provvedere sin nei primi dettagli spingendosi anche piü oltre del
«fratello Imperatore, di cui non mostra possedere né l'intelligenza,
«né la tenacia, né il fascino » (3).

Si fa amico di coloro che combattono Roma, difensore dei vescovi
febroniani di Giuseppe II, ma in realtà non é che il servo devoto al
padrone.

L'ambizione politica di Giuseppe II, desideroso di essere monarca
assoluto nei suoi stati, non trova occasione migliore che favorire e
appoggiare i giansenisti nel combattere l'universalità e l'autorità di
Roma, sebbene lo scopo sia dal loro diverso. Lo stato, secondo il suo
sogno cesareo, doveva avere il supremo diritto di revisione sulla Chiesa;
veniva negata l'infallibilità del Papa, si concedeva ogni libertà di
culto, venivano soppressi ordini religiosi e seminari, perché osti-
nati nell'obbedienza al Papa, se ne creavano di nuovi fedeli alla so-
vrana autorità e da Roma indipendenti. Le opere del Tamburini
non si discostano molto da questi principi, anzi sembrano riflettere
fedelmente le idee imperiali, anche se ha egli la convinzione di rima-
nere ció nonostante perfetto. cattolico.

(1) E. Rota, L'Austria in Lombardia, ecc., pag. 202.

(2) C. A. JEMoLO, Il giansenismo in Italia prima della Rivoluzione, Bari,
Laterza, 1928, pag. 350. .
(3) C. A. JEMOLO, Op. e loc. cit.

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NELLA FERRINI

Il Cuccagni vive titubante in mezzo a questi successi e insuccessi
del partito, ma ha il presentimento che prima o poi la causa dei gian-
senisti dovrà fallire, e facile è la via da scegliere per chi non ha avuto
attaccamento sincero al partito, per chi ha solo simpatizzato per i
giansenisti liguri, forse più vicini ai mistici di Porto Reale, per chi
molto presto si è staccato dagli esponenti pavesi e toscani « imbevuti
«di regalismo borbonico fino alle midolla, do s dei principi per
«proprio tornaconto » (1).

Quantunque cerchi, specie in privato, di mantenersi in equili-
brio da una parte e dall'altra per non inimicarsi nessuno, tuttavia
comincia ad acquistare un certo credito alla corte romana; e gongo-
lante di gioia riferisce all'amico la prima udienza col Papa, colorendola
di tutti quei particolari che dimostrano chiaramente di quanta im-
portanza egli considerasse il fatto. Mentre infatti poco prima aveva
dichiarato al Molinelli, come recisamente si era rifiutato di ritrattare
quelle proposizioni di dubbia interpretazione del primo volume della
Vita di S. Pietro, ora in tono remissivo e compunto gli dice che dovrà
farlo, perché cosi desidera il Pontefice; ma che non «avrebbe ceduto
«di un passo alla dottrina agostiniana » anzi si mostra scandalizzato
che Mamachi gli abbia proposto di nominare nella Prefazione al
Secondo Volume della. Vifa,la Bolla Unigenitus, cosa che «non avrebbe
«assolutamente fatto per non tirarsi addosso ancor più nemici ». Cosi
siesprime nei riguardi del « Greco »: « Dio liberi Roma da cotesto libero
«censore che io chiamerò il teologo dellunicità » (2). «E greco e
«tanto basta. Egli ha navigato sempre secondo il vento per i suoi am-
« biziosi finie ha fatto e farà sempre mille figure » (3).

Il carteggio, nonostante le incertezze del tifernate, mantiene
sempre un tono pacato, né mai si altera l'amicizia fra i due, specie da
parte del Cuecagni, sinceramente fedele all'amico che stima di una
elevatezza morale superiore, e tale rimane anche quando ambedue
avranno la consapevolezza di camminare per strade completamente
opposte. Se il Molinelli è giansenista più moderato del Tamburini,
non è però meno attaccato di costui alla fede dei suoi principî, per

conservare i quali ha accettato l'amicizia del tifernate, che in diversi :

momenti gli sarà preziosissima. Ma non cede mai alle gherminelle, a
cui spesse volte ricorre l’amico; le quali potrebbero compromettere

(1) Carteggio. Cuccagni-Molinelli: lettera del 27 novembre 1779.
(2) Carteggio Cuccagni-Molinelli : lettera del 4 marzo 1780.
(3) Carteggio Cuccagni-Molinelli : lettera del 27 maggio 1780.
UPON

L'ABATE LUIGI CUCCAGNI, ECC. 41

il suo onore; rimane fermo nelle sue idee, anzi si fa più fiero nel difen-
derle, quando le minacce si fanno più pericolose e compromettenti.

Di tutto questo si accorgerà il Cuccagni e piano e piano se lo sentirà

«sempre più estraneo e lontano, e a nulla varranno le lettere piene di
affetto per tirarlo dalla sua parte, nè infine avrà più la forza di con-
trastare la tenacità dei suoi propositi.

. Nei riguardi del gruppo ribelle, la posizione del Cuccagni è chiara
molto presto, e già nel 1781 accusa Tamburini di maneggi nascosti
per allontanare lui da Roma. Questo odio particolare contro il Tam-
burini, esponente del partito giansenista in Italia, potrebbe dar cre-

dito alla supposizione, che più che da diversità di pensiero e da con-

troversie teologiche fosse spinto da invidia personale. Infatti, seb-

‘ bene Tamburini occupasse in Roma un semplice posto di secondo

ordine nel Collegio Ibernese, cosa che molto spesso il Cuccagni gli
ricorda, tuttavia egli lo sentiva superiore a sè; e doveva anche avver-

tire il fastidio di questa vera o supposta superiorità se scrivendo all'a-

‘mico non nascondeva la preoccupazione che tutti i suoi passi e le sue
parole fossero controllati «tutta la sua attenzione è quella di guada-

- gnare l'animo dei giovani e sottomano sollevarmeli contro, e in ciò

non manca. di abilità » (1).

Ci sembra esagerato ritenere scopo principale di una polemica che
si protrae per quasi tre lustri, il solo risentimento personale fra i
contendenti, anche se esso fu molto probabilmente la molla che la
provocò.

Intanto gli « Annali Ecclesiastici» di Firenze prendono sempre
più spiccata posizione contro Roma, e fra le righe di qualche arti-
colo, non manca, anche se non palese, qualche frecciata contro il
«Curiale ». Due articoli anonimi (2) poi erano chiaramente contro di
lui; vi si confutava la Vita di S. Pietro cercando di dimostrare piut-
tosto acremente come l’autore nel secondo e terzo volume di essa,
si fosse ricreduto e ritrattato, per quelle pagine di buona dottrina che
aveva scritto nel primo; e per mostrare tutta la slealtà della condotta
del Cuccagni, vi si concludeva col dire che in tal modo dava l'autore
ad intendere di essersi pentito di quello che aveva scritto. Insomma
Tamburini che era l'autore dell'articolo anche se il luogo di stampa

(1) Carteggio Cuccagni-Molinelli : lettera del 25 febbraio 1781.
- .(2) « Annali Ecclesiastici di Firenze », n. 40 del 4 ottobre 1782 e n. 45 del
7 novembre 1783.

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42 : NELLA FERRINI

era Venezia (e questo il Cuccagni era riuscito a scoprire non senza
| difficoltà), tendeva a svergognare pubblicamente il Cuccagni per il
suo cambiamento di idee sempre più orientato verso il Papa. Ma egli
non si scompone per questo ed informando di tutto l’amico gli fa
palese il progetto di una risposta, che avrebbe dimostrato la sua inno-
cenza e la falsità degli annalisti, e nello stesso.tempo gli esprime l’idea
di fare uscire un toglio per controbattere gli eventuali errori degli
scrittori nemici di Roma. Evidentemente egli presentiva quello che
sarebbe avvenuto, se poteva concepire l’idea di un giornale, come il
solo mezzo per poter contrastare pubblicamente gli « Annali». In
una lettera del luglio 1783 esprime all'amico il suo giudizio sugli anna-
listi, che, mentre vorrebbe essere un giudizio disinteressato, dimostra
chiaramente tutta l’intenzione di screditarli. E parlando di Scipione
de’ Ricci dice apertamente, come il fogliettista si fa conoscere troppo
«venduto adulatore dell'Imperatore e degli altri principi », ai quali
concede un’autorità superiore a quella dovuta. Si accorge però di
essere stato forse troppo brusco nelle sue affermazioni (è quindi chiaro
che egli ha tutta la consapevolezza della sua condotta), e con tono
più pacato riferendo al genovese la notizia di alcune dimostrazioni
ostili fatte in Pistoia contro il vescovo Ricci dice : «dalche si conclude
‘ «che quel Vescovo per le sue imprudenze ha perduto la fiducia del
«suo gregge che non mai riacquisterà con la forza del braccio secolaro.
«Egli con troppa violenza ha cominciato la riforma. Se avesse tenuto
«un’altra via, più lenta e di persuasione, avrebbe fatto assai meglio.
« Mi dispiace assaissimo » (1).. Ma la sua posizione è sempre più ostile
nei riguardi del partito, e nelle lettere che si susseguono frequenti,
trapela sempre più chiaro questo duplice stato d'animo, di non la-
sciare inosservata alcuna sfida contro Roma e la cattolicità della Chiesa,
mentre non vuol rinunciare alla amicizia del genovese, al quale cerca
di strappare di mano qualche scritto da presentare al Papa, che dimo-
stri il suo ossequio alle Bolle e ai decreti pontifici; scopo in parte rag-
giunto perchè, dopo lunghi tentennamenti, il Molinelli, che ha tutto
l'interesse di non contraddire il Cuccagni, scrive l'opera del Primato
in confutazione di un opuscolo uscito in Toscana contro il Papa. Non
può però nascondere al Molinelli che gli avvenimenti stanno pren-
dendo una piega poco bella, che la causa dei giansenisti va peggio-
rando nei riguardi del Papa per le infamate opere del Tamburini e
del Pujati, e per gli articoli degli Annali di Firenze, che sono pieni

(1) Carteggio Cuccagni-Molinelli : lettera del 23 agosto 1783.

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L'ABATE LUIGI CUCCAGNI, ECC. 43.

di veleno contro Roma. E tanto per giustificare, che il suo completo
allontanamento dalle idee gianseniste è inevitabile, dice che il Papa
non fa più distinzione fra i diversi giansenisti, e li ritiene tutti ugual-
mente nemici di Roma. Non senza astuzia si mette poi a spiegare le
differenze fra l'agostinismo e il giansenismo, col solo scopo di convin-
cer l’amico, che egli ha' sempre devotamente seguito il primo, e rite-
nuto il secondo inesistente : « per verità io ne provo un grandissimo
« dolore e vedo che vi vuole la maggior destrezza possibile a fin di fare
«un poco di contrappeso al loro credito e impedire che il vero sistema
« Agostiniano, non sia preso per il fantoccio del Giansenismo ed il
« pelagianesimo con il nestorianesimo trionfino impunemente » (1).

| La finzione palese di queste sue affermazioni non gli fa diminuire
l'affetto verso l'amico, che tenta di portare a Roma, perché forse
capisce che la lontananza é fatale, e anzi non riuscendo a vincere le
titubanze di costui, gli procura la carica di Assistente Generale del
Capitolo, e « contro la regola che vietava agli assistenti di assentarsi

«da Roma piü di sei mesi per tutto il tempo del loro ufficio, gli ot-

«tiene personalmente dal Pontefice, il permesso di poter in via ecce-
«zionale esercitare il suo assistentato, senza mai allontanarsi da
« Genova » (2), facendo notare a sua Santità come «stando egli a Ge-
« nova si esibiva di servire la S. Sede non per interesse, come in genere
«si diceva degli scrittori romani ritenuti adulatori » (3).

Con luscita del primo numero del « Giornale Ecclesiastico di
Roma », del quale dando notizia all'amico gli raccomanda di infor-
marlo dei giudizi che si sarebbero fatti in Genova e soprattutto in
Lombardia, si inizia apertamente la vera polemica del Cuccagni. Lo
scopo principale del « Giornale » é quello di controbattere gli errori
degli annalisti; e le invettive contro i giansenisti ribelli di Pavia e di
Toscana dimostrano il Cuccagni, decisamente avverso ad ogni idea
del partito. Egli aveva già attaccato il Tamburini per i suoi scritti;
fin dal 1782 scrivendo all'amico dava il suo giudizio sull' Analisi delle
prescrizioni di Tertulliano, e.in mezzo a tutto l'applauso che l'opera
aveva riscosso, non esitava a definirla un «ammasso di cicalate e di
| chiacchiere » attraverso le quali l’autore cercava di apparire cattolico,
mentre non lo era affatto. A questo semplice giudizio seguirà solo dieci
anni più tardi, cioè nel 1792, la confutazione estesa di tutta l'opera.

(1) Carteggio Cuccagni-Molinelli: lettera del 1 febbraio 1783.
‘ (2) E. CopienoLA, Op. cit., Prefazione, pag. 51.
(3) Carteggio Cuccagni-Molinelli: lettera del 27 novembre 1784.

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44 ; : NELLA FERRINI

Nel 1785 al libro del Tamburini: De Tolerantia Ecclesiastica et
civili, pubblicato nel 1783 sotto il nome di un suo allievo del Germa-
nicum pavese, l'austriaco Taddeo di Trauttmansdorf, dedicato a
Giuseppe II, il Cuccagni si affretta a contrapporre la sua opera: De
mutuis ecclesiae et imperii officiis (1), in cui confuta ad uno ad uno i
principî del teologo piacentino; con affermazioni di perfetta ortodos-
sia. Egli spiega in che consiste la religione rivelata, le due maniere
necessarie per onorare Dio, di cui tanto l'interiore che l'esteriore furono
da Gesù Cristo direttamente concesse alla Chiesa, perchè le. ammini-
strasse indipendentemente da qualsiasi potestà terrena, contro l'idea
del Tamburini che sottopone la disciplina esteriore di essa alla esclu-
siva sorveglianza dei sovrani. La Chiesa non può rinunciare ai suoi
diritti originali, il principe non può immischiarsi nelle cose di Chiesa
e continua a ribadire tutti i principî su cui si svolge l’opera Tamburi-
niana, dimostrando come la Chiesa non può tollerare alcun errore,
anche se nel suo senò essa accoglie gli «erranti » per correggerli. Sem-
pre per ribadire questi concetti il Cuccagni scrive sotto il suo nome
arcadico altre tre lettere (2), nelle quali inoltre, dimostra la necessità
del suddito di rispettare le due potestà, dando la precedenza a quella
religiosa perchè di origine divina, affinchè derivi la perfetta alleanza
tanto necessaria al benessere di tutti.

Non così calma invero, procede la polemica fra i due contendenti,
che condiscono i loro ragionamenti con una buona dose di insulti
uno all’altro, che i due giornali, i quali attentamente seguono la con-
troversia, non tralasciano di riportare. |

Con una certa aria d'importanza il Cuccagni scriveva all'amico
di avere in mano molte lettere che, pubblicate avrebbero potuto sver-
gognare per l'eternità il Tamburini «che ha il catarro di voler com-
« parire il primo teologo d'Italia » e che non lo faceva solo per mo-
derazione.

Di questo « prezioso » possesso non siamo convinti, perchè data la
maniera di parlare senza riserve dei due contendenti, e le non lievi

accuse del Tamburini al Cuccagni, non avrebbe costui cercato di me-

glio, che metter fuori qualche grave accusa contro l'avversario,
anzichè ribattere sempre sulle stesse cose.
Così il Cuccagni continua ad attaccare i « novatori » sul loro falso

. (4) ALovsnu CuccAGNI TIFERNATIS, De mutuis ecclesiae et imperii officiis

erga religionem et publicam tranquillitatem tractatus. Roma, Zempel, 1785.

(2) Laminii Theologi Argivi ad 'Thaddeum S. R. Imperii Comitem de .
Trauttmasford contra de Tolerantia. Roma, Boulevard Gravier, 1785.
rr

L'ABATE LUIGI CUCCAGNI, ECC. 45

gallicanesimo, dichiarando come la Chiesa di Francia, alle libertà della
quale essi ricorrono ogni qualvolta vogliono negare l'autorità del Papa,
non permise a nessuna Chiesa particolare o vescovo, di negare l'ob-
bedienza ai Romani Pontefici; essi infatti riconobbero la Chiesa ro-
mana come sorgente dell'unità, come madre di tutte le Chiese. Con
minuta cognizione egli rifà la storia dell’ Assemblea di Francia del
1682, dimostrando come i vescovi francesi non vollero riconoscere
linfallibilità personale del Papa, ma dichiararono indefettibile la
Chiesa di Roma; per venire alla solita conclusione che i novatori, per
togliere al Papa ogni potere di giurisdizione (1), interpretarono a loro
modo le libertà gallicane, considerando dogma di fede ció che in realtà
non fu che un eccesso della politica di Luigi XIV, di cui egli stesso si
penti (2).

Intransigente, senza esitazioni né limitazioni di sorta, il Cuccagni
incalza sempre gli avversari, staccandoli da tutti i fili a cui cercano
appendersi per sostenere la propria causa.

Continuano le confutazioni alle opere del Tamburini, contrarie a
lui e ai principî ch’egli difende; e di tutto tiene minutamente infor-
mato l’amico di Genova al quale annuncia sempre i nuovi lavori a

«cui attende e che il più delle volte non vedono la luce.

Sempre sullo stesso concetto di autorità e giurisdizione, confuta
con un opuscolo (3), la questione del cesarismo contrapposto alla vera
idea cristiana. Riprendendo la storia della Chiesa dai primi secoli,
dimostra che nessuna ingerenza ebbero gli imperatori nella fondazione
delle Chiese e dei vescovadi, nella propagazione della fede, in tutti
insomma gli affari ecclesiastici. Se qualche privilegio essi godono
ora nella Chiesa, fu ad essi concesso dalla Chiesa stessa per mantenere
l'accordo fra i due poteri (4). Lo scopo di questo scritto del Cuccagni
é di combattere gli eccessi della politica giuseppina, che sotto il preteso
diritto dei principi in materie ecclesiastiche, voleva distruggere ogni
autorità. L'opera non riusci forse tanto gradita al Molinelli, specie

. per la minorata autorità dei vescovi, se il Cuccagni spiegando di essa

a lui il vero significato, ripeteva di «aver voluto in essa solo combat-

(1) « Giornale Ecclesiastico », anno 1787, Prefazione.

(2) « Giornale Ecclesiastico », anno 1787, Prefazione. Vedi anche: «La
Civiltà Cattolica », anno II, vol. VII, serie VII, Roma, 1869, pag. 687.

(3) LuIGI CUCGAGNI, Dell'autorità e giurisdizione della Chiesa e del Romano
Pontefice sull’erezione e distribuzione dei Vescovadi e Parrocchie, sull'elezione dei
vescovi, sulla disciplina della Chiesa. Roma, Zempel, 1788.

(4) Luigi CUCCAGNI, Op. cit.

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tere le nuove pretensioni messe fuori dal preteso diritto regio ». Nè
trascurava di colpire con la sua satira il responsabile di questa poli-
tica cesarea, mettendo in evidenza le sue bassezze morali e la fine po-
co gloriosa. « Ecco gli eroi che si alzano superbamente contro Dio
«con la loro filosofia, e che tanto confidano nelle proprie forze » (1), e
ancora: «avendo voluto dominare sulle coscienze degli uomini è
avvenuto a Giuseppe II quello che è sempre accaduto a tutti i prin-
«cipi che hanno voluto mettere mano all’incensiere » (2).

Tanto per non lasciare senza confutazione un solo errore dei mo-
derni teologi, il Cuccagni scrive un trattato sulmatrimonio cristiano (3),
altra questione su cui tanto s'accanisce la polemica del secolo illumi-
nato, specie nei cenacoli di Pavia e di Toscana. Gli Annali Ecclesia-
stici di Firenze, le opere del Tamburini, le pastorali di Mons. De’ Ricci (4)
rivendicano i diritti del sovrano sul matrimonio, come contratto
civile, e i diritti.a lui concessi da Dio e da Cristo conservati, di imporre
gli impedimenti dirimenti. Ma Cuccagni, sia nella dissertazione che
negli articoli del giornale, mostra quella che egli ritiene l’essenza vera
del matrimonio come sacramento, e i diritti che in questo senso spet-
tano alla Chiesa, lasciando ai sovrani di regolare del matrimonio gli
effetti civili. E sempre su questo tono instancabilmente continua il
Cuccagni, sempre gli stessi sono gli argomenti di tutti i suoi opuscoli.

Dopo un’esposizione abbastanza vasta dei principî che egli so-
stiene con tanto impegno, non può restare alcun dubbio, sulla sua
sincerità cattolica, anche se l’agostinismo che ha ostentato ad ogni
piè sospinto si è tanto diluito. La voce calda e accorata che cerca di
soffocare ogni grido contro l'autorità del Papa e contro la fede, mostra
anche che la sua polemica non fu solo spinta da risentimento perso-
nale contro Tamburini, e da obblighi verso il Papa, ma anche dagli
intimi suoi sentimenti. Ma a questo punto un’obbiezione si potrebbe
fare: sono esclusivamente del Cuccagni gli scritti polemici che portano
il suo nome e gli articoli del Giornale che egli sottoscrive con differenti

(1) Carteggio Cuccagni-Molinelli: lettera del 28 settembre 1787.

(2) Carteggio Cuccagni-Molinelli: lettera del 20 dicembre 1789.

(3) LurGi CuccaGNI, Del matrimonio cristiano e della divina immediata
potestà della Chiesa di imporre impedimenti dirimenti. Roma, Zempel, 1791.

(4) Lettera pastorale 18 maggio 1788 in occasione di un libello intitolato
« Annotazioni pacifiche », seconda ed., Pavia, 1788, pagg. 65 segg. In proposito
vedasi l'opera dell’ex-gesuita e poi allievo pavese canonico Luigi LITTA, Del
Diritto di stabilire impedimenti dirimenti al matrimonio e di dispensare. (Ed. II,
Pavia, 1783) dedicata a Scipione de’ Ricci e che questi presentò a Pietro Leo-
poldo in nome dell’autore.
L'ABATE.LUIGI CUCCAGNI, ECC. ; 47

‘sigle, o qualche persona influente a Corte, che voleva mantenere
l’incognito, si servi del suo nome per combattere le correnti del secolo ?
Escluderei senz'altro Mamachi e Zaccaria, anche se gli Annalisti Fio-
rentini accusano Cuccagni di «scrivere sotto dettatura di costoro»,
‘e lo chiamano « cornacchia di essi ». Prima di tutto perché egli colla-
boró strettamente con loro molto tardi, quando già la sua polemica
trionfava, poi perché essi erano troppo stimati da Pio VI e troppi
sono gli scritti sugli stessi argomenti che pubblicarono palesemente,
per aver bisogno di ricorrere ad un altro nome per nascondere le
proprie idee. Tuttavia il tempo e i costumi erano propizi ad ogni rag-
giro, e data la famigliarità che il Cuccagni godeva alla Corte non è
improbabile che avesse qualche conoscenza preziosa a cui concedere
un favore che in fondo poteva procurargli quella notorietà a cui invero
-aspirava. j

Ma nessun indizio, sia pur minimo, può chiarire questo dubbio.

Quel fermento di irrequietezza che aveva preceduto in Francia
la Rivoluzione, invadendo gli animi assetati di libertà, i qualiavevano
atteso con ansia febbrile lo scoccare dell'ora fatale per destarsi dallo
‘stato d’inerzia e divenire scintille ardenti di azione (1), aveva ben
presto oltrepassato le Alpi e l'atmosfera della penisola italiana in
«cui si andavano maturando i germi di una coscienza nazionale, si
era andata a poco a poco imbevendo dei principî astratti che l’enci-
clopedismo gettava ovunque a piene mani; tutti gli spiriti, anche
quelli meno proclivi alle questioni politiche, furono tesi verso la
nuova ideologia che stava conquistando I Europa. Il principio demo-
cratico del pensiero moderno che aveva sconvolto tutta la Francia
rivoluzionaria, il suo grido di libertà che si ripercuoteva in ogni am-
biente europeo, era la parola d’ordine della lotta contro gli abusi del
‘cattolicesimo, contro il fasto mondano e l’odiosa opulenza del clero.

I primi fatti di Francia produssero una certa impressione in que-
.gli animi in cui non era penetrato il soffio delle idee nuove, e più in
Roma papale, dove la Rivoluzione era vista solo come l'abbattimento
«di ogni religione e di ogni autorità.

Il Cuccagni, fin dai primi momenti si mostra antirivoluzionario,
ma segue con interesse i particolari dei fatti francesi e non tralascia,
riferendoli all'amico, di fargli notare tutto il suo disprezzo per essi.
‘Le lettere, per qualche tempo non trattano più questioni teologiche,

(1) E. Rota, L'Austria in Lombardia, ecc.

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ma sono piene degli avvenimenti politici del giorno: sul processo di
Cagliostro, sull'atteggiamento aggressivo del clero francese, sulla
tragica fine di Bassville.

La condotta ardita dei giansenisti, che fin dai primi momenti
avevano simpatizzato per la rivoluzione, faceva supporre a molti,
e specialmente al Papa, che essi fossero stati gli ispiratori se non pro-
prio i promotori «e ad essi tutta Roma Papale guardava sfiduciata
«come non ultimi responsabili di quanto: stava accadendo » (1)..

Questi sospetti del Papa rendono il Cuccagni sempre più ostile
al partito. Tutte le lettere contengono affermazioni che sono vero
e proprio odio contro i giansenisti: « oggi il partito giansenista perchè
«ne ha volute e ne vuole troppe è screditato. Ora finisce di scredi-
«tarsi per la difesa che assume dei decreti dell'Assemblea di Parigi
«sulle materie ecclesiastiche » (2). |

Ma fino a qual punto è vera l'adesione dei giansenisti alla Rivo--
luzione ? Essi si erano dichiarati proclamatori del rinnovamento della
Chiesa, e trovarono nella Rivoluzione Francese quegli elementi ideali
delle loro aspirazioni. «Il bersaglio comune, l’oligarchia politica e
«il dispotismo romano, non potevano non accomunarli nélla azione,
«donde la tentazione di confondere gli uni con gli altri da parte di :
«chi li osserva con occhio malevolo » (3). Ma «il giansenismo come
«pensiero teologico riflesso non ebbe nulla a che fare con le teorie rivo-.
«luzionarie » (4). Essi pur rimanendo sempre separati da « un’invin--
cibile ripugnanza e da una profonda divergenza di idee » si affratel-
larono ai rivoluzionari, perchè nei loro principî di libertà e di ugua-
glianza credettero vedere un’affinità col Vangelo, la: possibilità di
ritornare alla vera Chiesa di Cristo, contro «il cattolicesimo di Roma,.
«contro la monarchia universale del Pontefice » (5).

Qualche giansenista affermava perfino che Dio aveva scatenato
sugli uomini la Rivoluzione per punirli della loro deviazione dal
Vangelo (6), tanta era la convinzione della purezza della loro condotta.

(1) E. CopignoLA, Op. cit. Prefazione, pag. 77.

(2) Carteggio Cuccagni-Molinelli: lettera del 18 dicembre 1790.

(3) E. CODIGNOLA, Op. cit. Prefazione, pagg. 121 segg.

(4) L. SALVATORELLI, Il pensiero politico tantam dal 1700 al 1870. 'Torino,.
Einaudi, 1941, pag. 99.

(5) P. xc Devozione di Mons. Adeodato Turchi alla S. Sede, ecc. Roma,.
1938, pag. 121.

(6) E. RomA, G. Poggi e la formazione psicologica del patriota moderno..
Piacenza, 1923, pag. 90. :
| L'ABATE LUIGI CUCCAGNI, ECC., 49

Ma il Cuccagni fa parte di quel gruppo di reazionari, devotissimi
al Papa (dimostratosi inadeguato ai tempi), che vedono nella Rivo-
luzione e nei suoi eccessi la distruzione di ogni ordine religioso e so-
ciale e considerano tutti i partiti che combattono il centralismo papale,
collegati insieme ai giacobini francesi. Egli non può perdonare ai gian-
senisti la difesa di quell’ Assemblea che aveva decretato la costituzione
civile del clero, l'atto più indegno di una assemblea che voleva sottrarre
completamente il clero francese all’ingerenza della Chiesa di Roma.

Il « Giornale Ecclesiastico di Roma » e gli « Annali di Firenze »
commentano i fatti presenti, alternandoli alle questioni teologiche, e
. uno addossa al partito contrario la responsabilità della Rivoluzione.
Cuccagni scrive all'amico lettere piene di livore contro I’ Assemblea
di Francia, e in-esse non nasconde che il male presente proviene, dagli
appellanti o giansenisti, contro i quali cosi si esprime: «ecco dove é
«andato a finire il loro zelo per la sovranità dei Regnanti e per i diritti
«originali dei vescovi: in far che tutto dipenda dal capriccio di una
«assemblea composta di Ugonotti e d'increduli i quali si arrogano
«lautorità di giudicare delle cose di Chiesa e di detronizzare il Re.
« Or io concludo che quel partito in genere non merita piü che gli si
«abbia verun riguardo, e che si debba anzi smascherare per farlo cono-
«scere diverso dai veri agostiniani e veri Gallicani all'ombra dei quali
«vorrebbero nascondersi» (1).

Veramente, abbiamo visto che pochi riguardi aveva egli usato al
partito anche se ora il suo odio sorpassa ogni ritegno, contro « l’uomo
« [giansenista] che nulla crede fuori di quello che a lui soddisfa, e nulla
«soddisfa se non quello che sì accorda con le perverse massime del
«Partito, le quali conducono direttamente alla ribellione, allo spirito
«privato, all'incredulità... l’uomo più superbo, rivoltoso, più cor-
«rotto, più guasto che siavi, perchè garreggia con l’incredulo e col

«Pagano » (2). |

Il Cuecagni non combatte con tanta veemenza solo il giansenismo,
ma tutte quelle correnti di idee nuove affermatesi nel clima favorevole
della rivoluzione, perché tutte le considera unite nella lotta a Roma.
Più accanitamente egli siscaglia contro la massoneria, « il nemico più
terribile del Clero » (3), che considera la sintesi di tutte le correnti

(1) Carteggio Cuccagni-Molinelli: lettera del 18 dicembre 1790.

(2) « Giornale Ecclesiastico di Roma », anno 1790. Prefazione.
(3) C. A. JEMoLO, Il giansenismo in Italia, ecc., pag. 410.

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50 NELLA FERRINI

antireligiose del secolo. Il movimento infatti « nato dalla stanchezza
« delle lotte religiose e sopratutto dalle correnti illuministiche, deiste,
«filantropiche, giunto ultimo sulla scena fu quello che fece maggior
«fortuna, per il mistero entro cui si nascondeva, per il proposito di
«affratellare gli uomini fuori di tutte le Chiese » (1).

Il Cuccagni, che prevede tutto il male per la religione, combatte
la «setta perniciosa » e scrive un opuscolo (2), nel quale fa diretta-
mente derivare la massoneria dalla setta dei Manichei, perchè ambe-
“due tendono come scopo precipuo, all'abbattimento del trono e del-
l’altare. L'opuscolo che ha scarso valore letterario è interessante per
dimostrare il pensiero del Cuccagni sul movimento, del quale si studia
con diligenza di mettere in luce i perfidi propositi. Egli vede che il
filosofismo e l’incredulità che nasconde la setta nel suo impenetra-
bile mistero, tendono a distruggere la religione per sostituirvi la filo-
sofia, a rovesciare tutti i sovrani di Europa per creare un governo di-
spotico. Ormai egli non fa più distinzione fra partiti; l'uno più del-
l’altro è responsabile della Rivoluzione che sconvolge l'Europa. In-
fatti il 3 agosto del 1793 scrive con tono mordace al Molinelli, che do-
veva pensare molto diversamente da lui anche in politica: «intorno
«alla Rivoluzione mi permetta che io le dica non essere ella al corrente
«dei fatti nè delle molle che hanno agito per produrre in Francia la
«gran Rivoluzione preparata da molto. tempo. Io ho potuto vedere
«che bisogna voler essere cieco per far forza, onde negare l'autenticità
«e da essa apparire ad evidenza che i rivoluzionari son di 3 classi,
«che una è la motrice e principale e che le altre due sono state mosse
«da quella, perché si è giovata dei loro principî e delle loro disposi-
«zioni. La classe motrice sono i Frammasoni, fra i quali comprendo.
«gli illuminati e gli increduli filosofastri, la seconda gli Ugonotti,
«la terza i giansenisti conosciuti in Francia per quelli che sono nemici
«di ogni autorità ». |

In tutte le lettere di questo periodo, c'é lo diu palese di mo-
strare all'amico l'inutilità di difendere un partito «cosi sleale come il
francese » che ha raggiunto gli eccessi di ogni audacia. E:non nasconde
il desiderio sincero che possa ricostituirsi in Francia un governo mo-
narchico, sia esso assoluto o moderato poco importa, prete ritorni

(1) Maria RIGATTI, A. Pilati: Un illuminista trentino del sec. XVIII. Fi-
renze, Vallecchi, 1928, pag. 207.

(2) Lurci CuccAGNr, Breve dissertazione nella quale si prende a provare
che la Setta Regnante dei Liberi Muratori è una diramazione, una propaggine,
an ramo della Setta dei Manichei. Roma, Zempel, 1791;
L'ABATE LUIGI CUCCAGNI, ECC. 51

sul trono un re cristiano, con la religione cattolica dominante come
prima, e per questo prega devotamente Dio che « benedica gli sforzi
«delle potenze coalizzate » (1).

Le speranze che gli affari di Francia si vadano sistemando quanto
prima, e che torni là pace nell'Europa sconvolta da gente «scelle-
«rata e incredula », non gli fanno rallentare la polemica, che diviene
piü spietata e violenta contro i massoni e i giansenisti, responsabili
«di tutto. Il « Giornale di Roma » non risparmia attacchi violenti alle
correnti dominanti; il « Supplemento », ‘oltre le questioni teologiche,
che si aggirano sempre sugli stessi argomenti della giurisdizione pa-
pale e del primato*romano, sviluppa ampiamente i giudizi di scrittori
cattolici sui fatti presenti. Il quinterno primo del Supplemento del-
l’anno 1794 riporta l'opuscolo del Cuccagni: I] giansenismo senza
difesa e mal difeso dall’ Ab. Tamburini nelle sue lettereteologico-politiche,
dove il tifernate cerca insistentemente di far apparire il teologo pia-
centino infetto del più terribile giacobinismo, contro le di lui affer-
mazioni di devozione al trono e all’altare.

Furono i giansenisti che collegati insieme con i massoni e di essi
non meno perfidi, si affannarono a spogliare il clero dei suoi possessi,
la sovranità della sua autorità sotto l'ipocrisia di concedere a questa
i diritti esclusivi sulla disciplina ecclesiastica (2).

Acutamente ironizza che la purezza dei principî e il rigore della
morale ha portato i giansenisti a «salire in una bigoncia, fra gli Atei
«della combriccola o pigliare in mano un pastorale da beffa o mesco-
«larsi fra la sudicia e corrotta ciurmaglia cantando il Ca ira e bal-
« lando la carmagnola intorno. all'albero della licenza colle verginelle
«della Halle » (3).

Nellopuscolo si sente il desiderio del Cuccagni di abbattere
‘definitivamente il partito, e non può esserci mezzo migliore a tale
scopo che mostrarlo al mondo preoccupato per le vaste proporzioni
‘che stava prendendo la Rivoluzione, il responsabile di tanto sfacelo.
Ed è questa stessa ragione forse, che gli fa considerare il giacobini-
«smo evangelico dei giansenisti, IG nuo a quello ateo dei massoni
rivoluzionari.

Le lettere continuano sempre a riportare con interesse i fatti

(1) Carteggio Cuccagni-Molinelli: lettera del 23 novembre 1793.

(2) Lura1 CUCCAGNI, Il giansenismo senza difesa e mal difeso dall' Ab. Tam-
«burini nelle sue lettere teologico-politiche. Quint. I del «Supplemento al Gior-
- male », anno 1794.

(3) Lura1 CuccaAGNI, Il Giansenismo, ecc.

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francesi e la condotta sleale dei rivoluzionari, delle cui vittorie egli
non é pienamente convinto; e ancora nel dicembre del 1795 scrive
‘al Molinelli: «non mi difenda i francesi, perché in questo non posso
«essere d'accordo con lei ».

«Ma un brusco cambiamento sta per avvenire in Cuccagni. Le
truppe francesi stanno per entrare in Roma, e «scoccó anche per lei il
« periodo in cui la fedeltà di tanti devoti del vecchio mondo e pur di
«tanti prelati fu posta cosi a dura prova ove di rado rifulse » (1).

: Molti sono gli animi traballanti che al primo soffio di vento con-
trario si ritirano spaventati dalla scena per paura di compromettersi.

Anche il Cuccagni sempre accomodante per principio, capisce
perfettamente il pericolo di mostrarsi, dinanzi al nuovo governo,
imperterrito nella propria fede ai principi dell’assolutismo papale,
capisce tutta l'imprudenza di continuare nella devozione incondi-
zionata al Pontefice. Il povero abate, ricorre’ con la solita astuta
indifferenza alla necessità di adattare le proprie orecchie ai nomi di
moda, anche se fin qui li ha con tanto calore combattuti, pur di non
apparire ostile al nuovo governo. Tanto per dimostrare la sincerità
della sua adesione ai principî della Rivoluzione trionfante si affretta
a recensire nel primo semestre del « Giornale » del 1798, le pastorali
francofile dell'arcivescovo di Urbino, Mons. Berioli, gli opuscoli di
Scipione Bonifacio sulla democrazia. Egli, che tanto aveva esaltato:
la monarchia elogia la democrazia come «il governo più duraturo
«perchè appunto di origine divina » e giunge a dire che « mai la repub-
«blica francese è stata così consolidata come al presente ».

Ma sotto queste stesse affermazioni mostrerà, come vedremo
più oltre, il suo pensiero costantementé antidemocratico. Significativa

anche a questo proposito la lettera all'amico del 17 febbraio 1798, che
si inizia con l'ironica frase: «ci siamo. democratizzati fin da giovedi »
e si chiude con un avvertimento di prudenza: « mi scriva al Cittadino
ecc. », nella quale pur non tralascia di mostrarsi gravemente preoccu-
pato e amareggiato per quello che potranno fare i francesi in Roma.

Il « Giornale Ecclesiastico di Roma » che tanta parte ebbe nella
polemica antingiansenistica dell'ultimo quindicennio del sec. xVIII
e fu principalmente una non lieve fatica dell'Ab. Luigi Cuccagni,
usci per la prima volta il 2 luglio 1785. Qualche tempo innanzi era
stato diffuso un «foglio volante» nel quale si annunciava precisamente

(1) A. C. JEMoLo, Luigi Cuccagni e due polemiche antigianseniste, ecc.
L'ABATE LUIGI CUCCAGNI, ECC. 53

per il 1? di luglio 1785 l'inizio della distribuzione nonché la continua-
zione, ogni sabato, con foglio settimanale. Quel «foglio volante» come

si chiamerebbe in gergo giornalistico oggi, o «foglio preliminare » come

fu detto allora dall’estensore, uscito prima come-manifesto pubblici-
tario, fu in seguito ristampato nel medesimo formato del giornale,

perchè servisse di prefazione al primo tomo del giornale stesso.

Indubbiamente la pubblicazione fu ideata dal Cuccagni e dai suoi

amici, per controbattere l'azione degli « Annali Ecclesiastici » di Firen-
ze che sotto la vivace ispirazione dei più attivi seguaci di Mons. Sci-

ione De’ Ricci, già da cinque anni battagliavano alacremente per la
p

| diffusione delle idee innovatrici nel seno della Chiesa. Ma il foglio ro-

mano se non rappresentó una novità vera e propria dal lato tecnico,
in quanto si puó dire che nella forma esteriore altro non era che una

imitazione fedele degli « Annali » fiorentini; né dal lato giornalistico,
perchè oltre i detti « Annali » fiorentini, trionfalmente diffusi per l’Ita-

lia e per l'Europa, nella stessa Roma fin dal 1772 si pubblicava il pe-
riodico « Effemeridi letterarie di Roma » assai noto e ricercato, fu una
novità dal lato politico, avendo il « Giornale Ecclesiastico » preso su-

bito un carattere inequivocabile e fermo di opposizione a quelle idee

di rinnovamento di costumi e di ritireligiosi, che andavano prendendo
tanto piede in mezzo al cattolicismo. Fu, in una parola, il primo gior-
nale sorto con uno scopo ben determinato quale era quello di combat-
tere una nuova eresia che la Chiesa ufficiale chiamava « Giansenismo ».

Le « Effemeridi letterarie » ebbero invece un programma vasto e
trattarono materie disparate: dalla teologia alla matematica, alla sto-
ria, alla musica, alla drammatica, all'archeologia, alla numismatica;
e non furono sempre rigidamente diritte rispetto al culto, tanto che
anche or sono pochi anni un padre gesuita poteva dire: « Giornale senza
«carattere, che mutò più volte opinioni e partito, secondo le opportu-
«nità del momento e lo spirar del vento infido... » (1).

Il programma della pubblicazione romana, dovuto certamente
alla penna sottile dell' Ab. Cuccagni, è di quelli che non lasciano adito

.'a dubbi: preciso, chiaro in ogni sua parte. «Un Giornale Ecclesiastico

«che non abbia idea di Gazzetta é facile a desiderarsi, ma difficile a
«eseguirsi. Imperciocché vi si richiede una gravità non ordinaria, o si
«riguardi la materia che n'é lo scopo, o il metodo con cui viene tessuta.
« Noi dunque che far vogliamo un Giornale, e non già una Gazzetta

(1) Cfr. l'opera Non praevalebunt! edita a Padova dalla Libreria Editrice

. “Gregoriana, 1932, pagg. 118 e segg.

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54 NELLA FERRINI

«abbiamo scandagliato i mezzi per riuscire in un’impresa di talnatura,.
« e dall'idea generale che qui ne diamo, potrà chicchesia giudicare del
«merito e del valore di essi: e quindi anticipatamente potrà vedere se
«possiamo giustamente sperare di riuscirvi: così che sarà facile ad.
«ognuno altresì ravvisare, se utile sia per essere al pubblico il nostro
«foglio, e se veramente sarà per tenersi lontano dallo spirito e dall’idea
«di Gazzetta » (1).

Sul concetto di « Giornale » e « Gazzetta » il Cuccagni insiste qua
e làin più numeri della pubblicazione: «...Noi volentieri raccogliamo
«certi pezzi che interessano la Storia Ecclesiastica de’ nostri tempi,
«affinchè non si sperdano, senza far verun conto delle dicerie di taluni,.
«i quali non volendo far distinzione tra un foglio Ecclesiastico e una
«Gazzetta, pretenderebbero la notizia dei fatti accaduti poco meno che
«in quella settimana in cui si scrive » (2). ; i

Tenendo presente che il nome di Gazzetta certi fogli a stampa
l'ebbero appunto da una moneta veneziana di titolo inferiore a quello
delle altre monete (3) potrebbe sembrare sarcastica, o per lo meno»
assai strana, questa distinzione, se non si sapesse che quando comin-
ciarono a nascere i giornali letterari si cominciò altresì a distinguere la
«Gazzetta » dal « Giornale » e conseguentemente il «gazzettante »
compilatore di notizie cittadine e politiche, dal « giornalista » compi-
latore di notizie letterarie: cioè mestierante l'uno, letterato o dotto

l'altro (4).

Come punto fermo da cui non si vorrà per nessuna ragione. de-
campare, l'estensore del programma pone il mantener la pubblicazione
fuori dello spirito di partito a differenza di certi periodici (certo allu-
deva agli « Annali Ecclesiastici » di Firenze) di simil natura; essa do-
vrà unicamente servire alla verità e alla decenza e non avverrà mai
che diventi per fini nascosti e maligni uno strumento d'odio, di invidia,
di maldicenza e di satira. Uscendo in Roma, il proposito è di parlare
con quell'ossequioso rispetto che si deve a tutte le sovranità della terra,

(1) « Giornale Ecclesiastico di Roma », anno I (luglio 1785, giugno 1786),.
tomo I, Roma. Nella Stamperia di Giovanni Zempel, 1786. Prefazione.

. Avverto che non infrequentemente Luigi Cuccagni usa ne’ suoi scritti orto-
grafia e grafia oggi non più in uso; specialmente accenti e apostrofi pone dove
non vanno. Nelle citazioni che riporto tolgo queste lievi mende.

(2) « Giornale Modes di Roma », n. VI del 6 agosto 1785, pag. 241a
firna ^ G^ «TE

(3) RAMELLA Agostino, Giornali e giornalisti. Milano, Sonzogno, s. d. (1898)..

(4) FRANcESCO FATTORELLO e GiULIO NATALI, Enciclopedia Italiana di
Scienze, Lettere ed Arti, 1933, vol. XVII, voce Giornale e giornalismo.
L'ABATE LUIGI CUCCAGNI, ECC. 55
,

alsacerdozio e all'episcopato, nonché con quella stima che si deve pro-
fessare generalmente per ognuno. « Onde con tal metodo ci lusinghiamo
«di chiudere la bocca a quei nemici della Santa Sede, ea quei libertini
« del secolo, i quali confondendo la libertà con l'abuso di essa, spaccia-
«no che in Roma non vi é libertà di pensare e di scrivere, e che vi si
«tengono imprigionati colla lingua gli ingegni. Il filosofo moderato
«vede per lo contrario, che l'uomo in ogni ben regolato governo, a fin
«di assicurare la parte più preziosa della sua libertà, deve necessaria-
«mente sagrificarne un’altra; e che perciò appellar dobbiamo vera li-
«bertà quella unicamente, che si aggira dentro a certi confini, e che
«dietro lo scudo della Religione, e all'ombra delle leggi assicura un
«uso moderato de’ suoi privilegi, nell'atto stesso che le viene impe-
«dito saviamente l’abuso » (1).
Il proposito è di evitare tutte le occasioni di amarezza e di di-
sgusto e di tenere per quanto è possibile un linguaggio che sia comune
.a tuttii cattolici; come pure di star lontano da tutte quelle controver-
sie che si vedono agitare tra le diverse scuole ed anche tra intere na-
zioni. Con.tono vivacemente polemico, l'estensore del programma
afferma che la religione cristiana è sempre una e sempre la medesima,

perché sempre medesimi sono i suoi fondamenti; e chi tenta di scuo-

terne alcuno, non è vero cristiano. « Imperciocchè le Divine promesse
«sono immancabili, e la Scrittura e la Tradizione, che ne sono i due
« grandi istrumenti, e i fonti originali di tutto il Cristianesimo, passano
«sempre interi dall'una all'altra generazione. Che però chi dopo il
«nascimento della Chiesa Cristiana farà il confronto delle diverse età,
«che l'une all'altre succedute sisono, e similmente confronterà i tempi
«andati coi nostri, vedrà che la maniera con la quale propaga la Chiesa
«la sua dottrina, é in sostanza sempre la stessa, perché mantiene sem-
«pre gelosamente lo stesso spirito di verità, e conserva come innata
«l’avversione a tutti gli errori che sovente produce l'amor della no-
«vità e della vanagloria » (2).

Anche il metodo di combattere gli errori se potrà mie ad
alcuno esteriormente diverso da quello degli antichi Padri, intrinse-
camente è il medesimo, come sono sempre sostanzialmente identici
gli artifizi dei novatori nello spargere le loro novità. Quegli scritti dei
dotti, quei decreti dei concili e della Santa Sede — la prima Sede —
quelle leggi sinodali dei vescovi, quelle lettere pastorali che saranno

(1) « Giornale Ecclesiastico di Roma », anno I, tomo I, Prefazione, pag. v.
‘ (2) Prefazione citata, pag. v.

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ad 96 - : NELLA FERRINI

pubblicate per la stampa non soltanto in Roma, ma in tutto lorbe
cattolico, e che combatteranno i suddetti errori e le suddette novità,
costituiranno la materia della nuova pubblicazione. Seguendo il fine
che nello scrivere la storia protestarono di tenere gli antichi storici

della Chiesa, e cioè quello di tramandare ai posteri le notizie dei fatti.

che accadevano ai tempi loro nelle diverse chiese del mondo, di modo
che non solamente venivano sviluppate le dottrine della Chiesa stessa
e rese note le sue origini, ma era additata anche la maniera di propa-
- gare la religione e quella di combatter le eresie, cosi i compilatori della
nuova pubblicazione ecclesiastica si propongono di aver la stessa cura
di tramandare ai posteri la storia dei fatti accaduti nei loro tempi.

« Perciocché la Chiesa presente dovendo fare unità con quella di
« tutti i tempi passati e futuri, ed essendo in tutti i tempi la stessa, ne
«siegue che anche i fatti, 1i quali accadono sotto gli occhi nostri, non
«possono non avere unà stretta unione con quei che sono già molto

«prima accaduti, o\che accaderanno nei secoli posteriori. Laonde in.

«quella maniera che noi prendiamo lume dal passato, cosi i nostri
«posteri prendere lo dovranno da noi» (1).

Non basta: se i Padri, con la storia dei fatti hanno insegnato 2 a
ridurre i fatti stessi a principi di Chiesa e a cavarne fuori la dottrina
che ne risulta, cosi anche 1 compilatori del « Giornale Ecclesiastico di
Roma » faranno altrettanto per i fatti che registreranno (2). La perpe-

tua successione dei Vescovi, massime nelle sedi matrici, originali apo- ‘

stoliche; Roma come centro della religione e come: Chiesa a cui debbo-
no concorrere tutte le altre Chiese sparse per la terra; la comunione
che debbono avere tutti i cristiani tra loro, cioé la stretta unione di
tutti i membri che debbono formare il grande corpo ditutti i pastori,
col loro primo gerarca e capo di tutto il ceto. apostolico e di tutte le
altre chiese con la prima chiesa del mondo cattolico; la difesa dalle
novità che si spargono; la venerazione nel vescovo della Chiesa di
Roma, per obbligo di istituzione divina, dell'onore e della giurisdizione
del primato, per la cui autorità si conserva l'uniformità della dottrina;
l'invariabilità di questa dottrina anche se la forma estrinseca di cui si
veste la religione non è sempre la medesima, ma è soggetta a infinite
variazioni; il gran giudizio e la gran moderazione nel non cadere tanto
nell’eccesso di misurare con l'antica disciplina quella dei tempi mo-
derni, come con la bilancia di questa pretendere di misurare l’antica:

(1) Prefazione citata, pag. VI.
(2) Prefazione citata, pag. vr.

»

reg
L'ABATE LUIGI CUCCAGNI,:* ECC. i 57.

"tutti questi punti costituiscono un complesso di concetti da cui Luigi
»Cuccagni e i suoi collaboratori non si allontaneranno mai; o, se si vuole,
nella loro successione tali concetti formano un'asse intorno a cui i fieri
polemisti gireranno per lungo spazio di tempo (1). Oltre i dogmi Spe-
-culativi, anche le pratiche morali, cioè le regole dei costumi, sono nel
- loro pensiero sempre le stesse in tutte le età e in tutti i climi; perché
appartengono alla dottrina della Chiesa la cui unità consiste principal-
mente nel credere le medesime verità e nell'operare colle medesime re-
gole. Su questo punto i compilatori della nuova pubblicazione periodica
non possono essere né indulgenti né tolleranti. Tolleranti, se mai, nel
metodo dell'osservanza, non già in quel diritto intrinseco del quale la
Chiesa non può mai spogliarsi, perché non può mai tradire la verità (2).
Questa, per sommi capi, la materia della nuova pubblicazione; circa
il metodo col quale verrà trattato il giornale i compilatori manifestano
intenzioni le più miti e pacate: nessuno si aspetti improperi, persona-
lità, cinico linguaggio, sarcasmi. Poiché la verità é un deposito la-
sciato da Cristo e appartiene a tutti, sarà tenuto conto di ogni « critica
cristiana » che metta in evidenza i possibili falli nei quali gli estensori
' potrebbero incorrere; ma ‘nessuno si darà carico di rispondere a certi
arrabiati censori peri quali è grande delitto non pensare come loro (3).
A critici di tal genere sarà risposto con la noncuranza e col disprez-
zo (4). In effetto si può dire che se è stato scrupolosamente osservato il
proposito nei riguardi della materia, sì che nel periodico non vi si
tratta che di bolle o brevi di sommi pontefici, di pastorali di vescovi,
. di conferenze ecclesiastiche, di sinodi, di stato religioso del clero e dei
.seminari, di missioni in terre infedeli, di movimento cattolico e di
battaglie religiose nel mondo, non sempre tal programma fu osservato
nei riguardi del metodo, in quanto spesso la vivacità delle espressioni
si spinse fino all'insulto (5) e la violenza contro gli avversari fini con
lavere spesso il sopravvento.
Non sempre rimase nascosta la gioia di vedere colpito lo scismati-
‘=co, l'apostata, l'eretico; e contro i libertini, gli innovatori, gli « appel-
anti», i nemici della Chiesa e del papato, fu usato un linguaggio che

-andó oltre il sarcasmo, furono usate armi che non rimasero sempre |

-aderenti a quelle della conclamata ragione.

(1) Prefazione cit., pag. vi.
(2) Prefazione cit., pag. vi.
.(3) Prefazione cit., pag. vi.
(4) Prefazione cit., pag. VI.
(5) Arturo CarLo JEMOLO, Op. cit.
58 * NELLA FERRINI

Dal punto di vista esteriore, o, come sarebbe meglio dire, tecnico,.
il Giornale è piuttosto una modesta cosa: quattro paginette nelle quali.
il pensiero dello scrittore sta costretto e sacrificato come in un letto di.
Procuste. Spesso un articolo deve essere frantumato in quattro o cin-
que numeri. Raramente le pagine sono portate a sei e più raramente
ancora a otto: Ma non diverse sono, dopotutto, le analoghe pubblica-
zioni periodiche del tempo. Su quattro paginette non c’era dunque
da fare sfoggio nemmeno di quella perizia tipografica di cui dette prova
il sec. xvin, specialmente per le illustrazioni e i fregi decorativi.
Furono usati soltanto due corpi di carattere: il tondo pel testo e il:
corsivo per i titoli e le citazioni. Uno stampatello romano si usò per i
nomi delle città con i quali si contrassegnò ciascun articolo: del Gior-
nale. |

Secondo la terminologia giornalistica moderna, la pubblicazione
di Luigi Cuccagni e dei suoi collaboratori, che amarono costantemente
chiamarsi « giornalisti romani », non potrebbe altrimenti essere definita

che una rassegna bibliografica. Essi ritennero che il vantaggio e l'onore

della Ghiesa, nonchè la curiosità dei dotti, potessero in particolar modo
emergere dalla dottrina risultante dai molti e diversi libri venuti.
giorno per giorno alla pubblica luce (1); così si assunsero lo speciale
dovere di dare notizia di quelli che essi ritenevano i migliori libri di
religione con recensioni semplici, e, nella loro intenzione, fedeli. L'elo-
gio del libro non doveva consistere che nella relazione delle cose buone
in esso contenute. Per errori di poco conto, cioè di quelli che non attac-
cavano la religione, il proposito era di notarli appena; ma se tanto
avessero mirato ad offenderne in qualehe maniera lo splendore, la
confutazione doveva essere inesorabile (2).

Attravero le recensioni, infatti, viene condotta la piü aspra
guerra alle correnti religiose del secolo, allo spirito di riforma che si.
andava determinando, alla ribellione ai poteri costituiti che prima
brontoló minacciosa, indi scoppió violenta in terra di Francia; attra-
verso le recensioni fu combattuta ogni forma di scisma che avesse fatto.
capolino, ogni punta dieresia che fosse affiorata. Nel Giornale mancano
affatto le notizie, nello stretto senso della parola, degli avvenimenti:
italiani e internazionali; se qualche volta un piccolo articolo si stacca
dalla comune forma della recensione, e sarà contrassegnato col titolo
« Monumenti ecclesiastici », o anche da quello più semplice di « Noti-

(1) Prefazione già cit., pag. vir.
(2) Prefazione già cit, pag. VIII.
| L'ABATE LUIGI CUCCAGNI, ECC. 59

zia » sarà sempre per porre in evidenza un breve pontificio, un decreto
di qualche Sacra Congregazione, per comprovare un miracolo, per esal-
tare una beatificazione, o per riaffermare la dottrina e la disciplina
ecclesiastiche (1). Non mancano le proteste formali.contro qualche
pubblicazione avversaria, come avvenne per l’articolo « Cimiterio »
inserito in una nuova edizione dell’ Enciclopedia; talvolta c'è la denun-
cia delle misere condizioni economiche del clero di qualche paese, ta-
laltra la rivelazione di manifestazioni ostili del «popolaccio» contro i
" cattolici di qualche provincia o di qualche regno, la creazione di un
nuovo vescovato, la proibizione di qualche opera a stampa destinata
a moltiplicare il libertinaggio e la miscredenza (2). Se si scende a

notizie di vera cronaca, come il flagello della pestilenza nella città

di Algeri, o il grave incendio provocato a Parigi nel dicembre 1788 da
un povero vecchio, ciò é fatto per mettere in evidenza il contegno com-
mendevole di qualche ordine religioso o di qualche prelato (3). Del

pari, alcune notizie sono date per gettare il-discredito sugli avversari:

e per segnalarli al pubblico disprezzo. Ad esempio: la fucilazione dei
22 PP. Rocchettini a Bruxelles, dovuta alla delazione dell' Ab. Mayer,
professore dell’ Università di Lovanio, noto peri suoi rapporti di stretta
amicizia con gli avversari della Chiesa e del papato e con l'italiano
Pietro Tamburini. Secondo questa notizia avendoil Governo Francese
intimato ai detti padri di evacuare lá loro canonica, questi sollevarono
delle eccezioni e non ubbidirono nei termini di tempo prescritti.
. Il Mayer, che all'arrivo dei francesi si manifestò fanatico giaco-
bino, avrebbe accusato formalmente quei religiosi presso il coman-
dante francese, come rei di complotto e di segreta cospirazione
contro il governo. Di qui la spietata fucilazione sulla piazza della
città. La notizia aggiunge che, dopo la crudele esecuzione, il coman-
dante venne a scoprire che l'accusa era falsa e che ' ingiustamente
«si erano fatte morire quelle sante vittime del furor giansenistico »;
per cui, sdegnato contro il calunniatore, lo fece impiccare. Una
acuta punta sarcastica chiude la notizia: « Ora tocca al signor Zola (4)

(1) « Giornale Ecclesiastico di Roma »: cfr. qua e là gli articoletti contras-
segnati con i titoli « Monumenti ecclesiastici » e « Notizie ecclesiastiche ».
(2) « Giornale Ecclesiastico di Roma », n. XXXVII del 30 dicembre 1786.
(3) « Giornale Ecclesiastico di Roma », n. X XXII del 7 febbraio 1789.
(4) Giuseppe Zola, abate e teologo, nato a Concesio (Brescia) il 28 aprile
1739, morto a Pavia il 5 novembre 1806. Fu bibliotecario della Queriniana di
Brescia quando aveva appena venti anni. Insegnó teologia nel Seminario della
stessa città ma fu sospettato di giansenismo. Clemente XIV lo chiamó a Roma

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= 60 : NELLA FERRINI

di fargli l'orazione funebre e al P. Pujati (1) di celebrarne l'apo-
teosi» (2).

Gomica ed amara insieme è la notizia in data 13 gennaio 1797 che
a firma G. H. (la sigla, come si vedrà, di Luigi Cuccagni) viene riferita
da Monaco di Baviera. Riguarda l' Ab. Antonio Roger, parroco gian-
senista di Nivelle. Costui predicava apertamente al suo popolo, come
verità di fede, le cinque proposizioni giansenistiche condannate per
eretiche dalla Santa Sede; di più, insinuando tante insuperabili diffi-
‘ coltà per ben confessarsi e comunicarsi, riuscì ad alienare dai sacra-
menti molti suoi parrocchiani spingedoli all'indifferenza in materia
di pratiche religiose, indi all'ateismo. Dall'ateismo — secondo il gior-
nalista — breve fu il passo al delitto e da questo al patibolo. Anche il
Roger doveva essere arrestato e forse trattato nella stessa maniera; ma
furbescamente scappò a Parigi, dove godette, nientemeno, la confi-
. denza di Massimiliano Robespierre (cioé «il Nerone dei nostri tempi »,
nota lo scrittore) per lo sfogo delle sue passioni e della sua crudeltà
contro i preti e 1 vescovi cattolici. Allorché i francesi conquistarono i
Paesi Bassi, il parroco giansenista fece ritorno a Nivelle dove (lasciamo
la parola all’estensore): «...trovò innalzato l'arbore della libertà;
« onde si presentó davanti ad esso, piegò le sue ginocchia, lo strinse,
«lo baciò, e l'adoró; e quest'atto di idolatria gli conciliò tutta la stima
«e l'amore dei francesi, che mostrarono di averlo perciò nella massima
«considerazione. Ma ben presto la loro stima e il loro amore si conver-
«tirono in'odio, per cui ha dovuto poi terminare i suoi giorni ue
«camente, come meritava » (3).
L'« empio giansenista » fu mandato all’altro mondo con sei fuci-
late, nella piazza di Volvorden, dove aveva tentato di formare un
partito e di suscitare una controrivoluzione per non essere stato innal-
zato ad una delle principali cattedre vescovili, come ambiva. Una

a insegnare al Collegio Romano. Successivamente passò a insegnare storia ec-
clesiastica, diritto e diplomazia nel seminario di Pavia di cui fu anche rettore.
Per le idee che professava fu rimosso più volte e più volte reintegrato.

(1) Giuseppe Maria Pujati, nato a Polcenico nel Friuli, il 4 agosto 1733 e
morto a Venezia nel 1824. Fu prima nei Somaschi, dove — studiosissimo e di:
fervente spirito — imparò lettere e scienze sacre. Passò poi all'Ordine Benedet-
tino. Fu professore nello Studio di Padova, dopo aver insegnato nei Collegi del-
l'Ordine Somasco e in altre università. Fu intimo dei professori dell'università
di Pavia e del gruppo di Pistoia, per cui ebbe forti malumori con i curialeschi
romani. Scrisse e stampò molte opere, che furono assai discusse.

(2) « Giornale Ecclesiastico di Roma », n. I del 14 gennaio 1797.
(3) « Giornale Ecclesiastico di. Roma », n. V dell'11 febbraio 1797.
«vita carica di tutti i delitti » fini in faccia all'albero della libertà che
prima aveva idolatrato. Questo episodio dà allo scrittore lo spunto per
infierire contro i professori di Pavia e il Tamburini: «sappiamo che i
«professori della giansenistico-giacobinica università di Pavia, ulti-
«mamente han fatto l'apertura deiloro studj col ballare attorno all'al-
« bero della libertà. Non ci fa specie veruna del Tamburini, che essendo
«brevis pede, non puó non essere abile al ballo; ma vi é luogo di
«meravigliarsi piuttosto del P. Alpruni (1) che, dopo aver per tanti
«anni cantato e salmeggiato in coro, sia poi andato a ballare in una
«piazza attorno a un pezzo di legno. Ecco cos'é l'antimolinismo di
«questi pazzi» (2).

Sullo stesso argomento del ballo e per discreditare ancor piü i
professori di Pavia, lo stesso scrittore ritorna in seguito, prendendo
a spunto una notizia giuntagli con molto ritardo e data dal « Termo-
metro Milanese » («un foglio che non merita fede, ma solo abborri-

mento e disprezzo ») del 5 luglio 1796: La notizia era che il giorno 15 .

| messidoro in Pavia. era stato ripiantato l'albero della libertà nella gran
piazza davanti al Pretorio; e che dopo i discorsi, le celebrazioni in
Duomo da parte del vescovo, il canto del Te Deum da parte del popolo
e un banchetto di 76 coperti, fu ballata la carmagnola; al quale ballo

concorse « il celebre professore di teologia, il P. Alpruni, sessuagena-.

rio ». Non bastò il ballo all'aperto: «la sera la città fu illuminata a
« giorno, e nel teatro si diede una festa di ballo, dove concorsero colla
«massima soddisfazione tutte le cittadine. La resero ancor più brillante
«l'arrivo del d. P. Alpruni, e del famoso professor di matematica il P.
« Fontana (3), anch'esso sessuagenario, che fece generalmente gridare

(1) Francesco Antonio Alpruni, barnabita, nato il 4 dicembre 1732 a Borgo
Valsugana, morto il 30 novembre 1814. Insegnó teologia morale e poi diritto
costituzionale all'Università di Pavia. Propugnó idee liberali per cui fu aspra-

mente combattuto. Al tempo della reazione austro-russa pati il carcere. Na-

poleone lo chiamó all'insegnamento universitario con decreto 23 giugno 1800.
(Ctr. GrusEPPE Borriro, Scrittori barnabiti. Firenze, 1933, I, 24-25).
(2) « Giornale Ecclesiastico di Roma », n. V dell'11 febbraio 1797.

(3) Gregorio Fontana, nato nel Tirolo, a Villa Nogaredo (oggi Pomarolo)

' presso Rovereto, il 7 dicembre 1735. A diciasette anni, a Roma, entró nell Or-

dine delle Scuole Pie. Insegnó al collegio Nazareno e poco dopo fu mandato

pubblico professore a Senigallia. A Bologna nelle scuole del suo ordine insegnó

- filosofia e matematica fino a quando il Conte di Firmian lo destinava professore

di logica e metafisica all'università di Pavia, con l'aggiunta di Direttore della

biblioteca. Tanta fu la fama che godette nelle scienze matematiche, che fu dato.

successore al famoso Boscovich nella cattedra di matematiche sublimi: posto

.. che tenne per trent'anni. Mori il 24 agosto 1803.

-

L'ABATE LUIGI CUCCAGNI, ECC. 61-
62 NELLA FERRINI

« per più tempo Viva la Università, figlia della ragione, e madre della
«libertà, Viva l'eguaglianza » (1). Lo scrittore sfodera in quest'oc-
casione tutti i più sottili e penetranti aculei del suo sarcasmo (2).

Ho abbondato in citazioni per dare chiaramente l'idea del metodo
«seguito dall' Ab. Luigi Cuccagni nelle sue polemiche, della causticità
di cui le infiorettava e anche del suo profondo sapere in materia di
cose religiose, talehé poteva essere sempre pronto.e presente per le
confutazioni e per i richiami. Giornalisticamente, forse, é un merito
non piccolo disaper trarre da una notizia o da uno spunto, che ad altri
puó sembrare trascurabile, la sostanza per una risposta grave, pro-
fonda, persuasiva; di saper, sopra un nonnulla, architettare un con-
cetto e una teoria; di saper cogliere, sempre, di un avvenimento, il
lato più caratteristico o quello più adatto a commuovere e impressio-
nare l'animo dei lettori. Egli non mancava di sensibilità, di avvedu-
tezza, di intuito e di prontezza; e unendo ad esse ingegno e cultura
mlesce effettivamente un ottimo giornalista. |

Luigi Cuccagni e i suoi collaboratori si dichiararono fin da prin-
cipio nemici giurati dell'anonimo: «....riceveremo come una singolare

(1) Questo passo lo riporto da un « Avviso » a firma G. H. del « Giornale
Ecclesiastico di Roma »; n. XIII dell’8 aprile 1797 che lo aveva trascritto dal
n. 4 dal « Termometro Milanese » del 5 luglio 1796, ,pag. 32 recante un articolo
del titolo « Feste della Lombardia ».

(2) « Noi lasciamo qui tutte le riflessioni che far si potrebbero, e solamente
« ci si permetterà (se mai fosse vero ciò, che racconta un foglio che non merita
« fede; ma solo aborrimento e disprezzo) di fare a quei due Professori alcune
« interrogazioni analoghe alla Cattedra sostenuta da cadauno di loro in quella
«madre della libertà. E primieramente domandiamo al Padre Alpruni, come
« professore sessagenario di Teologia morale, se il ballo, il teatro, il brillar in esso
« colle cittadine abbia luogo nel cap. quinto de conscientia recta et erronea che sta
« alla pag. 54 del suo tomo primo: de officiis hominis christiani: ovvero al cap.
«ottavo: de conscientia laxa postan ella pagina 123 del medesimo?; al P. Fontana
«poi sebbene piü volte abbia mostrata smania di comparir teologo, e teologo
« giansenista, ció non ostante domandiamo solamente se il ballo, il teatro, e il
« brillar in esso colle cittadine possa ridursi piü comodamente al sistema Neuto-
« niano dell'attrazione, o al Boscovichiano delle Forze vive, o all' infinite progres-
« sioni dello stesso P. Fontana? Se poi trattandosi qui di festa di ballo, egli non
« volesse parlare che degli unisoni, delle vibrazioni, del pendulo, degli impulsi
« frequenti, leggieri, coincidenti ecc., noi in tal caso lo preghiamo di ricordarsi
« di.quel fenomeno della musica, che alzandosi con un corpo sonoro un suono
«intenso, un altro corpo sonoro vicino di tuono (sic) unisono, suonar dovrà la
.«sua unisona nota « Giornale Ecclesiastico di Roma », n. XIII dell’8 aprile
«1797, pag. 52, nell' « Avviso » a firma G. H.).
L'ABATE LUIGI CUCCAGNI, ECC. 63

« finezza le notizie occorrenti ovvero i libri spettanti a materie eccle- -

. «siastiche, che altri si compiacessero di favorirci, ma non le accette-
« remmo giammai da anonimi corrispondenti: nè riceveremo gli estratti
« dei libri senza vedere i libri medesimi » (1). Eppure il loro giornale
rimase tenacemente anonimo, nei riguardi degli scrittori, dal princi-

pio alla fine. Forse non ammettevano che un corrispondente rimanesse*

‘anonimo verso di loro, mentre essi e il corrispondente potevano re-
stare bellamente anonimi per il pubblico. Gli articoli non furono sotto-
‘scritti che con sigle, le quali non infrequentemente venivano cambiate
«dagli autori: « Finalmente a scanso di ogni equivoco, si fa notò ai no-
«stri leggitori, che le sigle, o sia lettere sottoposte agli articoli del gior-

«nale per un privato regolamento degli Estensori del medesimo, sic-
«come sono state più volte dai medesimi per giuste ragioni cambiate,
«così di bel nuovo si cambieranno a loro arbitrio » (2). Ciò veniva
«dichiarato nel dicembre 1796: di modo che dopo undici anni di at-
tività giornalistica il proposito di rimanere sconosciuti al pub-
blico, di rimanere cioè anonimi, non poteva pue chiaramente essere
ribadito.

Sulle pagine della prima annata, che andó dal2 luglio 1785 al 24
giugno 1786, fanno capolino una dozzina di sigle; la collaborazione di
ciascuno scrittore é intensa e pochissimi sono gli articoli che non re-
cano sigla. Nel secondo anno il numero delle sigle non é inferiore che
«di poco a quello del primo: qualche vecchia sigla sparisce e qualcuna
nuova spunta. Nelterzo anno le cose cambiano quasi radicalmente: non
restano che tre sigle, mentre la grande maggioranza degli articoli figura
non sottoscritta. Lo stesso direttore, con la sigla G. H. che ha assunto,
non figura che nell'ultimo numero dell'annata. Per un decennio ancora,
cioè finché il giornale visse, le sigle scomparvero e ricomparvero con
. una volubilità impressionante. Soltanto un gruppo di una mezza doz-
zina é rimasto tenacemente in breccia dal principio alla fine, mentre
un gruppo nuovo, affatto dissimile dai gruppi precedenti, si affaccia
nel 1796 e dopo. Viene messo in esecuzione il proposito riferito più
‘sopra del cambiamento a piacere.

Il tentativo di interpretazione di queste sigle o di alcune di esse
potrebbe presentare un certo interesse. Sotto le lettere L. M. potrebbe
forse nascondersi il conte Luigi Mozzi, canonico della cattedrale di
Bergamo, di appena sei anni più giovine del Cuccagni ? Egli che dopo

(1) Prefazione al tomo I, pagg. v e vi.
(2) « Giornale Ecclesiastico di Roma », n. XLIX del 10 dicembre 1796.

»

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64 : NELLA FERRINI

la soppressione della Compagnia di Gesü, a cui apparteneva, fece ri-
torno a Bergamo, ove divenne appunto canonico della cattedrale, si
segnaló nella controversia con i giansenisti e scrisse e stampó moltissi-
mo su questo argomento (1). Il Mozzi che, ristabilita la Compagnia
di Gesù vi rientrò e morì a Milano tre lustri dopo il Cuccagni, è segna-

“lato e raccomandato con attenzione nel « Giornale Ecclesiastico » e

deve aver goduto stima, amicizia e simpatia del Cuccagni e dei suoi
compagni (2). : ;

Sotto la sigla G. G. che comincia a comparire nel giugno del 1797
non puó nascondersi l'Ab. Gaetano Golt, di cui il « Giornale Ecclesia-
stico », nel pubblicare una dissertazione aveva fin dal maggio del 1787
fatta una lusinghiera presentazione, dicendolo notissimo nella repub-
blica letteraria per le sue lettere critiche sulla famosa versione di Lu-
crezio di Alessandro Marchetti ? O non piuttosto si potrà nascondere
il curato Giovanni Giovanardi Parroco di S. Illaro di Faenza di cui,
quasi con compiacenza cameratesca in uso nel professionismo giorna-

- listico, era stata annunciata fin dal dicembre 1795 una traduzione in

terza rima di elegie sacre dei padri gesuiti Guglielmo Becano e Sidro-
nio Oschio ? « La traduzione è in terza rima — aveva detto il « Giornale
«in un apposito avviso — e ben eseguita, in maniera che. sembra un
«originale. Si vede che le Muse favoriscono il Sig. Curato Giovanardi,
«ed egli impiega decentemente il poetico suo talento » (3).

Cosi nella sigla G. R. affacciantesi nel febbraio 1797 non si po-
trebbe non sospettare il Conte Giuseppe Recco, già lodato dal giornale
come eruditissimo, come padrone della materia che tratta; dotato di
raziocinio libero e forte, scevro d'ogni ombra di pedanteria, fornito di
dottrina e di letteraria cultura. Anche per lui il « Giornalé » ha una
particolare segnalazione bibliografica in cui é ribadito il concetto che
se ne ha tra i redattori del foglio romano: « In questa orazione si vede

(1) Meritano di essere ricordati vari volumi: a) Il falso discepolo di S. Ago-
stino e di S. Tommaso convinto d'errore (Venezia, 1770); b) Vera idea del Gian-.
senismo (Poschiavo, 1781); c) Storia delle rivoluzioni della Chiesa di Utrecht
(Venezia, 1787); d) Compendio storico cronologico de' più importanti giudizi
portati dalla S. Sede Apostolica Romana sopra il Bajanismo, Giansenismo e
Quesnellismo (Foligno, 1792), ecc.

(2) ALtINI F., Vita del P. Luigi Mozzi. Bergamo, 1884. Vedi anche:
Branca PAOLUCCI, voce Mozzi de’ Capitani Luigi, in « Enciclopedia Italiana di
Scienze, Lettere ed Arti », Roma, 1934. « Giornale Ecclesiastico », anno IV,
n. L, del 14 giugno 1788 e n. LX del 22 agosto 1789. 54
(3) « Giornale Ecclesiastico di Roma », n. LI del 26 dicembre 1795.
L'ABATE LUIGI CUCCAGNI ECC.

65

luomo teologo, l'uomo che pensa e ragiona, e l'uomo fornito di cogni-
- zioni » (1).

La sigla G. F. comparsa per la prima volta nel marzo 1797 po-
trebbe nascondere l'Ab. Francesco Gusta autore di numerose opere
tutte di intonazione conforme al pensiero, alle ideee dei giornalisti
romani. Egli figura assai frequentemente come « recensito » per molte
opere, né gli mancano lodi di dotto e di erudito, d'autore di opere
. applauditissime, ed esaltato infine come autore dell'opera più volte

| ristampata L'antico Progetto di Borgo Fontana dai moderni Giansenisti
continuato, e compito, nella quale si accusano i giansenisti di giacobi-
nismo, e si fa loro colpa di tutti i mali derivati dalla Rivoluzione Fran-
. eese. In una seconda edizione della sua opera Memorie della Rivolu-
zione Francese, mutata nel titolo con l'altro Dell’ Influenza dei Gianse-
nisti nella Rivoluzione di Francia, il Gusta riporta a modo di appendice
la lunga lettera da Bormio di un ecclesiastico francese emigrato al
giornalista G. H. (Luigi Cuccagni) del 1793 e già ristampata nel primo
quinterno del « Supplemento al Giornale Ecclesiastico di Roma » del
1794 (2). E questo non poteva essere che un omaggio al Cuccagni. Ciò
induce a pensare che meno probabilmente sotto quella sigla si possa
nascondere Francesco Guasco, patrizio alessandrino e canonico della
Basilica Liberiana autore di quegli Opuscoli Critici, tutti o quasi di-
retti contro ilfamoso ex vescovo di Pistoia e Prato, e di quel Dizionario
Ricciano e antiricciano di cui, nientemeno, fu detto che come il Don
. Chisciotte generò la civile cultura di una nazione, cosi questo Diziona-
rio poteva ripulire il cattolicismo (3). Siamo inclini a questa esclusione
anche perchè il Guasco, avanzato negli anni e quindi meno portato alle

lusinghe del giornalismo, era solito unire sempre nella firma il suo se- .

- eondo nome di Eugenio. Nel marzo del 1798, pochi mesi prima che il
« Giornale » morisse, comparve la sigla G. A. La tentazione ci portereb-

' bea vedere ivi nascosto l' Ab. Giulio Alvisini, rettore del Pontificio Col-

legio Greco di Roma, dottore in sacra teologia, traduttore e annotatore
della celebre Storia del Clero di Francia dellAb. Agostino Barruel.

(1) « Giornale Ecclesiastico di Roma », n. XIX del 14 maggio 1791 en. XX
— del 26 marzo 1796.

(2) « Giornale Ecclesiastico », n. XLIII del 21 aprile 1787, n. x. del 3 set-

— tembre 1787, n. LXXIV del 28 novembre 1789, n. XVII del 30 aprile 1791,
n. XLVI del 23 novembre 1793, n. XXI del 31 maggio 1794, n. XIII del 2
aprile 1796, n. XXXVI del 23 settembre 1797.

(3) « Giornale Ecclesiastico » n. XL dell'11 ottobre 1794, n. XXV del
27 giugno 1795.

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66. NELLA FERRINI

Con questa traduzione, eseguita appunto dall’ Alvisini e arricchita da
lui di appendici e documenti, tanto incontrò il favore dei giornalisti
romani che della pubblicazione dettero un apposito avviso nel loro
settimanale per segnalarla e raccomandarla al pubblico dei lettori.
La comunanza di idee, di attività, di studi, la residenza nella stessa
capitale della cristianità, i contatti nel campo delle pratiche religiose
e delle manifestazioni politiche, possono far pensare a continue rela-
zioni tra l'Alvisini e il Cuccagni e quindi all'appartenenza del prio
al gruppo dei giornalisti romani (1).

Anche ad altre collaborazioni si potrebbe pensare, come a
quella del Padre Benazzi della Scuole Pie, professore di eloquenza al
nobile Collegio Nazareno di Roma (2); del Padre Bruno Bruni, anche

.lui delle Scuole Pie, da non confondersi con l'omonimo del secolo pre-
cedente (1590-1640), molto recensito e lodato e di cui alla morte, avve-
nuta il 5 aprile 1796 all'età di 83 anni, il « Giornale » disse: « E uno di
«quegli illustri scrittori, che ha servito piü volte di ornamento al
« nostro giornale, e che merita perció la nostra grata riconoscenza, col
«ricordare le di lui virtü, e le di lui letterarie fatiche » (3); ma ogni
indagine viene turbata da quel « cambiamento ad arbitrio » delle sigle,
dicuifu dato particolare avviso (4). Si resta cosi nel buio. Se qualche
firma figura nel « Giornale » di quando ir quando, è di collaboratori
occasionali; e una sola volta, in una puntata polemica, si fanno i nomi
di due collaboratori, diró cosi, ordinari, che sono il Cuccagni e il Mar-
chetti.

(1) « Giornale Ecclesiastico di Roma », n. XIII del 4 aprile 1795.

L'Ab. Agostino Barruel (nato nel 1741 e morto nel 1820) appartenne al-
l'ordine dei gesuiti; e quando la Compagnia fu soppressa, era professore nel
Collegio di Tolosa; ritiratosi negli Stati d'Austria fu nominato professore nel
Collegio Teresiano. Al principio del regno di Luigi XVI potè rientrare in Francia
dove diede mano alla pubblicazione dell' Année littéraire colla quale pensó di
fare argine alla invadente corruzione del buon gusto e alle crescenti dottrine
dell'illuminismo. Con le Lettres provinciales prese di mira vivacemente gli inno-
vatori, tra cui il Buffon e il Robinet: in quest'opera mostró ingegno e dottrina
non comuni; mentre l’ Histoire du clergé de France pendant la révolution, gli pro-
curó discredito perché trasviato dall'amor di parte, alteró i fatti, mostró ma-
lafede, interpretó tutto ció che apparteneva ai suoi avversari politici e religiosi
in sinistra parte e spesso vedendo congiure e trame dove non erano, (Cfr. Nuova
Enciclopedia Popolare Italiana. Torino, Unione. Tipografico-Editrice, 1864,
vol. III, pagg. 238-239).

(2) « Giornale Ecclesiastico » n. XVII del 20 dicembre 1796.
(3) « Giornale Ecclesiastico », n. XLIX del 10 dicembre 1796.
(4) « Giornale Ecclesiastico », n. XLIX del 10 dicembre 1790.
L'ABATE LUIGI CUCCAGNI, ECC. 67

Il collaboratore più vivace, più colto, e anche più brioso fu quello
che si nascose sotto la sigla D. E. Lo Jemolo ritenne che quella sigla
non fosse del Cuccagni (1), il che significa che egli non seppe a chi
attribuirla. Ma la identificazione non è riuscita faticosa: nel quinterno
IV per i mesi di luglio e agosto 1792 del « Supplemento al Giornale
Ecclesiastico di Roma » è contenuto un lungo scritto dal titolo: « Ra-
gionamento Biblico per trarre dalle Sante Scritture la più potente
‘confutazione dei miscredenti »; e non solo nel titolo si dice che è del
giornalista D. E., ma anche in fondo allo scritto è ripetuta la sigla.
Poi nell'indice generale del tomo IV, annata 1792, di cui il quinterno
IV fa parte, si legge: Marchetti (dott. Giovanni): Suo ragionamento bi-
blico, p. 237 (sic) e segg. (2). E non basta: nel numero 50 del 19 dicem-
bre 1795 del « Giornale », è portata una lettera dello stesso Marchetti
- nella quale è un riferimento a un precedente articolo circa la sua ripro-
vazione a certi scrittori che avevano chiamato Santo Clemente Ales-
sandrino (3). Tale articolo è firmato con la sigla D. E.; il che non lascia
dubbi sull'esattezza della identificazione. Giovanni Marchetti fu un
distinto e valente scrittore ecclesiastico (4). La sua vita assai movi-
-mentata e contrariata da fatti politici, non gli impedì di scrivere molte

(1) C. A. JeMoLO, Op. cit., pag. 36 (nota).
(2) È detto pag. 237 ma veramente deve dire 257. Si avverte con facilità
- l'errore tipografico perchè a pag. 237 è trattata tutt'altra cosa.

(3) « Giornale Ecclesiastico », n. XLII del 21 ottobre 1795, pagg. 167-168
e n. L del 19 dicembre 1795, pag. 200.

(4) Nato a Empoli nel 1753 egli era di tredici anni più giovine del Cuccagni:
*€ visse 76 anni di vita attivissima. Voleva avviarsi per la carriera legale, ma
sceso a Roma vi prese gli ordini nel 1777, divenendo nello stesso tempo segreta-
rio del Duca Mattei. Le sue prime opere attirarono l'attenzione di Pio VI, che
gli assegnò con varie cattedre, con la Presidenza della Casa di Gesù e con un
alloggio nel Collegio Romano, anche una pensione. La turbolenta politica del
tempo lo sottopose a molte vicissitudini. Arrestato e bandito dopo proclamata
la repubblica a Roma nel 1798; chiuso in Castel S. Angelo, indi relegato all’Iso-
la d’Elba da Napoleone, sotto l’accusa, insieme col cardinale Mattei, di avere
spinto Pio VII a scomunicare l’ Imperatore. Dopo gli avvenimenti del 1814
ritornò a Roma, dove gli fu affidata l’educazione del principe Carlo Luigi di
Borbone, figlio del Re d’Etruria. Nel 1822 fu nominato vicario di Rimini e nel
1826 venne creato segretario della Congregazione dei vescovi, titolo che di so-
lito veniva conferito soltanto a cardinali. Ha al suo attivo una dozzina di opere
. assai pregiate nel mondo degli ecclesiastici, tanto che ebbero più edizioni e fu-
Tono tradotte in più lingue. Le principali sono il Saggio Critico sopra la Storia
“Ecclesiastica del Fleury (Roma, 1780), la Critica della Storia Ecclesiastica e dei
- Discorsi del Fleury (Bologna, 1782), che ebbero appunto traduzioni in francese,
tedesco e spagnolo; le Esercitazioni ciprianiche circa il battesimo degli eretici,

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68 .NELLA FERRINI

opere notevoli, sempre di carattere ecclesiastico. Nel « Giornale Eccle-
siastico » e nel « Supplemento » egli pubblicó una lunghissima serie di
articoli e di studi, che basterebbero da soli a dare notorietà a uno
scrittore. La sua sigla appare per la prima volta nel « Giornale » nel
n. XXVIII della prima annata (7 gennaio 1786), per l'ultima volta nel
n. VII dell'annata decimoterza (24 febbraio 1798). Anche il suo nome
compare di quando in quando prevalentemente in calee ad alcune
lettere ch'egli dirige ai Giornalisti Romani, come se non facesse parte
del gruppo. Lo stesso Cuccagni, una volta, unisce il suo nome a quello
del Marchetti, come i più colpiti dagli strali acuti degli avversari. Se
Luigi Cuccagni manifestó nella sua attività di giornalista e di polemi-
sta una cultura prevalentemente storico-ecclesiastica, il Marchetti
Si fece apprezzare per una cultura di schietta impronta letteraria.
Frequenti sono le citazioni da poeti e da prosatori: e poiché il sarca-
‘smo e l'invettiva erano le sue armi preferite, egli spigolò tra i poeti
berneschi con manifesta compiacenza e riversó sugli avversari stille
che erano di acqua bollente. Dettó anche la prefazione all'anno VI
del « Giornale Ecclesiastico »: bella, veemente, piena di passione, in
cui si scaglió contro l'illuminismo (1). Egli era sciolto e chiaro di stile:
la dottrina non recava danno al brio delle sue pagine (2).

Non è improbabile che tra i collaboratori del Cuccagni fosse an-
che suo fratello Don Bartolomeo, assai stimato da Luigi come cultore
di scienze giuridiche, e il nepote don Angelo dottore in teologia, che

che è opera del 1787; L'Autorità suprema del romano pontefice, che è una ri-
stampa del 1789 di un’opera apparsa nel 1785 col titolo Del Concilio di Sar-
dica;-e via via fino all’opera La vita razionale dell’uomo che è del 1828, cioè di
un anno prima che il Marchetti morisse, il che accadde il 15 novembre 1829:
(Cfr. Nuova Enciclopedia Popolare Italiana, Tot Società Unione Tipogra-
fico-Editrice, 1868, vol. XII, pag. 762).

(1) Cfr. Giornale Ecclesiastico », n. 10 del 12 marzo 1791, pag. 39.

(2) Per rendersi conto dello stile sarcastico e pungente del Marchetti cfr..
nel « Giornale Ecclesiastico », i segg. articoli: « Il Dormitanzio del P. Ubaldo
Brandi Min, Rifor. e Catechista di Chiusi, svegliato dal P. Stanislao Volpini
ecc. », n. X del 12 marzo 1791, pag. 39; «All Italia nelle tenebre l'A urora porta
la luce. Riflessioni filosofiche e morali, ecc. », n. XV del 22 aprile, n. XVI del 29
aprile, n. XVII del 6 maggio 1797; « Traduzione dal francese dell'Analisi e
Gonfutazione succinta della Bolla del S. Padre Papa Pio Sesto, spedita in Fran-
cia ai Vescovi e Clero di quella Nazione, riguardo alla nuova di lei Costituzione
civile del Clero », n. XXXI del 12 agosto e n. XXXII del 19 agosto 1797, nei
quali risalta appieno la spigliata violenza dell A. e il cui pensiero viene accom-
pagnato da citazioni poetiche bernesche di grande efficacia polemica.

— 3
L'ABATE LUIGI CUCCAGNI, ECC. 69

figura nel « Supplemento » come traduttore dall'inglese (1). Ma se
fratello e nipote aiutarono con molta probabilità e verisimiglianza il
parente nella fatica non lieve, non avevano personalità e stile tali da
poter anche in via di ipotesi, stabilire sotto quali sigle si nascondessero.

Il Cuccagni assunse, come si é detto già, la sigla G. H., e queste

Jettere non corrispondono nemmeno alsuo nome di Arcadia. Molto pro-

babilmente anche altre sigle sono sue, come per es. la sigla I. K.

A identificare la sigla G. H. provvide la pubblicazione in opuscolo
della prefazione all'anno IV del « Giornale Ecclesiastico ». L'opuscolo
aveva questo titolo: « Ragionamento dell'Ab. Luigi Cuccagni, Ret-
‘ «tore del Collegio Ibernese di Roma, in cui si dimostra che i Moderni

‘«Appellanti secondo le loro dottrine e condotta, non sono cattolici.
.^ Ha servito di prefazione al quarto Timo del « Giornale Ecclesiastico »
«di Roma »; e la prefazione recava appunto la sigla G. H. a mo' di
firma. Pià tardi, nelle recensioni della Difesa del Catechismo del Ven.
‘Card. Bellarmino contro alcune imputazioni, che leggonsi in un Catechi-
-smo stampato in Prato dell' Ab. Francesco Gusta, l'articolista anonimo,
che potrebbe essere lo stesso Cuccagni, cosi si esprime: «I Signori An-
«nalisti dunque corrano pure velocemente al sepolero di S. Medardo
.«a meditare le lor Convulsioni, ma sian certi che le ristampe, che ci
«minacciano della pretesa fedelissima versione di quel Catechismo,
«non otterranno mai da quel loro Santo il miracolo di smentire quel-
«l’Impostura, né spaventeranno giammai quel nostro Consocio na-
«scosto sotto la più volte svelata Cifra G. H. preso da loro special-
«mente di mira » (2). Finalmente, in una risposta al « Monitore di
Roma » viene dichiarato che «il Cittadino G. H.» diventa L. C. Poco
dopo con tanto di nome e cognome, Luigi Cuccagni annuncia la so-
‘spensione del « Giornale Ecclesiastico » e la prosecuzione del « Supple-
mento », che può stare a sé (3).

Nelle tredici annate del « Giornale », comprendenti ben 670 numeri,
dl Cuecagni ha scritto articoli a centinaia sotto la sigla G. H. A voler
‘essere sinceri, bisogna dire che la materia trattata è uniforme: gli er-
| rori da combattere sono sempre gli stessi; sempre gli stessi i principî e le
| verità da sostenere; sempre le stesse le idee da confutare; sempre le

(1) « Supplemento al Giornale Ecclesiastico » anno 1793, tomo V, quin-
terno I, pagg. 229 e segg.
— .. (2) « Giornale Ecclesiastico », n. LX XIV del 28 novembre 1789,
- (3) «Giornale Ecclesiastico » n. XXV del 30 giugno 1798.

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70 : NELLA FERRINI

stesse le persone da colpire e da confondere. Il Cuccagni picchia col
suo martello, tenacemente, sui medesimi chiodi. Ma brillante è il suo.
modo di esprimersi, fluida e frizzante la sua prosa, fresco il suo stile,
chiaro sempre il suo pensiero. Maneggia il sarcasmo e l'invettiva con
una naturalezza impressionante, adopera la sua profonda cultura in
materia ecclesiastica con grande facilità, mostra una ricchezza di
vocabolario e una abbondanza di singolarissime espressioni da susci-
tare meraviglia. Se qualche cosa gli si può imputare, è l'abbondanza
delle citazioni, che se non appesantiscono il suo scritto, gli tolgono
quella agilità che trarrebbe dall'impeto naturale. Egli affronta non
infrequentemente quei grandi nomi dell’epoca sua, che sono giunti an-
che fino a noi carichi di notorietà. Basti ricordare il Necker, finanziere
e uomo politico (1), che caduto in disgrazia si diede a scrivere e pub-
blicó un'opera di carattere filosofico-religioso: De l'importance des opi-
nions religieuses. Ed ecco come ne parla il Cuccagni, col suo stile vi-
vace: « Anche questo é uno dei paradossi del nostro secolo ! Un an-
«tico direttore delle Finanze d'una vasta monarchia qualsi é la Fran-
«cia, ridottosi a dover fare il Teologo per non marcire nell'ozio ! È lo-
«devole il pensiero di mettersi a studiare la religione, in lui special-
«mente che è stato educato fuori della Chiesa Cattolica. Ma avremmo
«voluto, che appunto per questo egli si fosse messo a studiarla con
«miglior metodo, perchè erasi da sperare, che un uomo fornito di ta-
«lenti com'è il sig. Necker, fosse giunto a conoscere da sè medesimo
«la verità d'una Chiesa che riguardo alla sostanza del dogma e del .
«suo governo tanto interno che esterno, doveasi mantenere sulla terra
«sempre la stessa; cioè con avere sempre la stessa Fede, la stessa
« Gerarchia, lo stesso Capo, e il medesimo centro della sua unità ...
« Imperciocchè tutti quei punti sono essenziali alla consistenza della
« Macchina, che architettò Gesù Cristo in maniera, che se in una parte
«sola potessero alterarsi o mancare, tutta la macchina verrebbe a
«sciogliersi, ed a perire. Queste vedute debbono esser comuni a chiun-
«que voglia esser cristiano; e perciò il sig. Necker nel mettersi a stu-
«diare la Religione dovea prenderle costantemente di mira: ma egli
«ha fatto tutto l'opposto. Si è messo a parlare della Religione, quando
«non bene ancora la conosceva, ed ha voluto farla da maestro quando
«era tempo di seguitare ad essere discepolo. Onde non è maraviglia,
«che egli abbia lungamente parlato di Religione, e de’ suoi effetti,

2 usb) ALBERTO MARIA GHISALBERTI, Voce « Necker Jacques», in «Enciclo-
pedia Italiana », Roma, 1934, vol. XXIV, pag. 486.
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L'ABATE LUIGI CUCCAGNI, ECC. zs 71

«facendo quasi come un uomo che laria percuote, o che all'oscuro
«cammina (1).

Con Rousseau, già morto da una ventina d'anni (1778), il Cuc-
cagni sembra usare un linguaggio meno violento e sarcastico, ma del
pari esplicito. Il Contratto sociale produrrà, a danno della Religione,

-un «velenoso contagio ». Il rimprovero mosso al filosofo ginevrino è

che con la lettura di quel suo libro e degli altri scritti «si apprende
l'indifferentismo religioso, o sia l'indifferenza per ogni religione, che
«conduce al Deismo, e all’Ateismo pratico giacchè la Religione rivelata
«non puó essere che una »; e al sistema del filosofo contrappone il
patto sacro fatto da ogni cristiano con Dio all'atto di ricevere il bat-

tesimo. Nel confutare le idee del Contratto Sociale e dell Emilio egli

par che si forzi di mantenersi pacato e calmo, pure accusando l'autore

‘di bestemmie, pur notando la.sua smania di calunniare il cristiane-

simo, pur denunciandolo « imperitissimo non solamente nelle antichità
cristiane ma eziandio nelle gentilesche ». Lo proclama digiuno della
lettura di Platone e di Aristotile e di tutti i filosofi e poeti dell’anti-
chità greca e romana. Passo per passo insiste sulla falsità delle asser-
zioni del filosofo ginevrino, il quale, secondo il Cuccagni, se avesse
avuto il dono inestimabile della fede, ed avesse perciò conosciuto la

piaga del peccato originale, si sarebbe spiegato come l’uomo nato

libero è dappertutto in catene, come qualcuno che si crede padrone
degli altri, è invece loro schiavo (2).

L'insieme dei numeri del « Giornale Ecclesiastico » è ricco di ar-
ticoli del tutto anonimi. Di chi possono essere ? Ad attenersi ai costumi
e alle norme del giornalismo odierno, si dovrebbero supporre compi-
lati in redazione, principalmente dal direttore, cioé da Luigi Cuccagni.
E a giudicare dallo stile, dalle allusioni che traspaiono qua e là, la
ipotesi si rafforza. Ma per quale ragione sarebbe stata omessa qua-

lunque sigla, se se.ne faceva tanto uso e.tanto sfoggio ? Forse per con-

tribuire di più a disviare gli avversari ? Anche questa potrebbe essere
una ragione non del tutto infondata.
Ora si presenta un altro problema: fu il Cuccagni veramente il

‘capo dei « Giornalisti Romani » e il direttore del Giornale Ecclesiasti-

co? (3). Una dichiarazione esplicita non é mai comparsa, ma, oltre che

(1) « Giornale Ecclesiastico », n. III del 19 luglio 1788.

(2) « Giornale Ecclesiastico », n. XXI del 3 giugno 1798 e n. XXII del 9
giugno stesso anno.

(3) GAETANO Monowr, nel suo Dizionario (vol. 42, pag. 97) dice che il
« Giornale Ecclesiastico » fu diretto dal domenicano P. Mamachi. È egli nel

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la comune credenza degli avversari, può attestarlo l'attività stessa
del Cuccagni. Non di rado il « Giornale » è pieno di soli suoi scritti; non
di rado gli avvisi pubblicitari sono da lui firmati. In privato egli forse
non negava di guidare quello che oggi si chiamerebbe il comitato
di redazione, come rilevasi da un foglio a stampa del 1791, recante una
Lettera scritta dal signor Abate Don Carlo 0’ Conor all' E.mo Sig. Cardi-
nale Gregorio Salviati Protettore del Collegio Irlandese di Roma intorno
a don Luigi Cuccagni Rettore dello stesso Collegio, e Capo, come egli si
dice, dei « Giornalisti di Roma » (1). A questa lettera, che fu chiamata
«carta stampata », fu risposto da un tal Giuseppe Bianchi da Gubbio,

. vero ? C'é da dubitarne. Tommaso Maria Mamachi era nato a Scio (Isola del
mare Egeo) il 3 dicembre 1713. Nel1779 divenne segretario della Congregazione
dell'Indice e nel 1791 da Pio VI fu nominato Maestro del Sacro Palazzo Apo-
stolico. Mori a Corneto nel giugno 1792. Le alte cariché non potevano dargli il
tempo di occuparsi del Giornale e d'altra parte il Cuccagni troppo lo disprezzava

per consentire poi di collaborare insieme. Puó darsi che come Segretario della’

- Congregazione dell'Indice, il Mamachi abbia assiduamente vigilato la pubbli-
cazione periodica, in considerazione della sua importanza e tenuto anche conto
che il Cuccagni, come agostiniano, poteva generar sospetti e diffidenze nel de:
menicano.

Nello stesso suo Dizionario (vol. 85, pag. 92) il Moroni afferma che il « Gior-
nale Ecclesiastico » oltre il Cuccagni e il Marchetti, ebbe per principali compi-
latori e scrittori l'Ab. Clemente Biagi, camaldolese, e il P. Tommaso. Maria
Soldati, domenicano. Nel carteggio col Molinelli, il Cuccagni non fa mai cenno
a relazioni e contatti con in due. ©

(1) Violentissimo attacco a Luigi Cuccagni. Il giovine abate irlandese
ne infirma il carattere e le qualità morali, giungendo ad accusarlo di furto.
Denuncia altresì le manovre escogitate dal Ciccazni per togliergli un incarico
‘culturale avuto da una accademia della propria patria. Il Cuccagni induce

VO’ Conor, ospite del Collegio Irlandese, a scrivere sotto sua dettatura una '

lettera per il trapasso dell’incarico, a cui- il Cuccagni molto teneva. E det-
tando la lettera, si proclama da sè doitissimo, celeberrimo, gran letterato, uno
. dei favoriti più intimi del Papa.

Raggiro pressocchè simile di una falsa lettera il Cuccagni Ado per
rubare al padre Giorgi un donativo di manoscritti mandatigli da Dublino.

Il giovine abate irlandese fu trattenuto nel Collegio.per un tempo mag-
giore del prescritto; e durante questo tempo dovette amareggiare lo spirito
nell’insegnamento della lingua inglese al nipote del Cuccagni, Don Angelo,
«un balordo che non poteva apprendere » e correggere mille volte la scipita
traduzione che costui cercava di fare degli Aneddoti Russi del Richardson.
Scriveva anche articoli pel « Giornale Ecclesiastico » ma perfin questi don
Luigi Cuccagni faceva attribuire al fratello suo don Bartolomeo.
La lettera, pertanto, non sorti alcun effetto pratico, in quanto il Cuc-
cagni rimase al suo posto di direttore del Collegio.

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L'ABATE LUIGI CUCCAGNI, ECC. 73

«cuoco del Collegio Ibernese di Roma; ma evidentemente il cuoco non
«dette che il nome. L'opuscolo in-49, di quaranta pagine, non può averlo
‘che scritto da sé Luigi Cuccagni: e la recensione, firmata con la sigla
I. K. non può essere che della stessa mano, tanto è pungente e sarca-
stica: «Non richiedevasi più di un cuoco per fare che si prendesse
«nausea d’un guazzabuglio cucinato in Napoli, riscaldato in Roma,
«rimescolato in Pavia, congelato in Asti, e apparecchiato in Firenze.
« Si direbbe in Toscana che costoro cercano il mal come i medici, ma
«questa volta la mula si è rivoltata contro di loro; e un cuoco è stato
| «capace a verificare su di essi l'altro proverbio Toscano, chi. non è
« nel forno, è nella pala » (1). Ma nè l'opuscolo nè la recensione conte-
stano la qualità di capo dei Giornalisti Romani del Cuccagni. In ge-
nere del Cuccagni si è sempre detto «uno dei Giornalisti di Roma »
ed egli stesso si è sempre qualificato «uno degli estensori » o « uno
‘ degli Associati » del « Giornale Ecclesiastico »; ma la sua parte pre-
ponderante.nella compilazione del settimanale, per la durata di tre-
dici anni, e in fine l'annuncio che, con la sua firma, fu dato della sop-

| pressione, tutto conferma che egli fu realmente il capo di quel nucleo , -

combattivo di uomini che sostenne con tanto vigore e tanto accani-
mento la polemica contro le eresie e contro la politica illuminista della
seconda metà del sec. xvi.

Singolari certamente, sia il capo che gli altri: questi uomini della
più accesa ortodossia cattolica, che chiusi nel loro giornale, come in
una torre, vigilano attentamente ogni movimento del campo reli-
.gioso fin nei punti più lontani; spengono, o tentano di spegnere, ogni
guizzo di pensiero che contrasti con i canoni della Chiesa ufficiale;
soffocano ogni fiammella che si accenda pur timida nei movimenti
spirituali del tempo; corrono da un lato all’altro della torre stessa per

respingere gli assalti o per muovere alla offensiva; spingono il loro .

‘acuto occhio nelle lontananze estreme e tendono gli orecchi alle voci
. più impercettibili: ma non vedono la Roma del loro cuore nel vero
.stato in cui si trova. Non' vedono la vita morale del gran mondo ro-
mano, l'aristocrazia in disfacimento, le grandi casate storiche in
aspra lotta tra loro, il nepotismo dei pontefici e dei cardinali, i cici-
sbei, gli abatini e la loro corruzione. Non vedono i costumi sociali cor-
rotti, le relazioni palesi, e quindi scandalose, dei cardinali con le da-

| (1) Risposta di Giuseppe Bianchi da Gubbio Cuoco del Collegio Ibernese di
—— "Roma alla carta stampata col seguente titolo: Lettera, ecc., Pavia, 1791. Vedi
- anche: «Giornale Ecclesiastico di Roma », n. XII del 26 marzo 1791.

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me; nè sentono il brusio offensivo che sale fino alle porpore e non ri-
sparmia nemmeno la tiara. Se il Cuccagni vide ballare i professori gian-
senisti di Pavia intorno all'albero della libertà, non poteva del pari

| vedere gli abati romani ballare graziosamente il minuetto e certo non
poteva ricordare l'affermazione di Benedetto XIV che « Roma é il
paradiso degli abati, il purgatorio dei prelati, il limbo dei papi », per-
ché il buon Lambertini sali al soglio pontificio nello stesso anno che il

Cuccagni nacque, e vi rimase per un periodo di tempo, che combaciò, ‘

si puó dire, con la vita del nostro (1740-1758). Non videro i Giornalisti
Romani e non udirono nemmeno il rumore intorno alla fortuna, ai

meriti e alle sventure di Pio VI — il Papa bello, di cui quando sali al.

soglio pontificio si disse che «il più bello degli uomini aveva sposato la
Chiesa »—; ma non bisogna dimenticare che essi intesero fare un « gior-
nale » non una « gazzetta » e potevano ritenere tutta la vita mondana
e politica di Roma, degna di un foglio di bassa lega (1).

Non si puó spiegare altrimenti che con la presenza delle armate
rivoluzionarie francesi a Roma, il fatto strano di un giornale che avendo
per tanti anni inveito contro la filosofia sovvertitrice del secolo,
contro i tentativi di abbattere i troni e gli altari, contro l’eversione

dell'ordine e il dispregio delle autorità costituite, acceda tanto facil--

mente e tanto ostentatamente ai principi nuovi recati dalla grande
Rivoluzione, perfino attraverso la terminologia. È fresco il ricordo
della difesa dell Utilità della Monarchia nello stato civile : orazione di-
retta contro i Novatori del secolo da Ant. Capece Minutolo de Principi
di Canosa, ecc. in cui si sostiene «essere nello stato degli uomini si or--
dinario che straordinario, assai più utile alla pubblica felicità la Mo-
narchia, che ogni altro governo ». E sulla scorta dei padri della Chiesa,
nonché dei filosofi, poeti e storici dell'antichità, son portati gli illustri
. «esempi di varie nazioni gentilesche, alle quali, allorché soggiacevano
«a- governo monarchico, essendo stata dai loro vincitori, od usurpa-
«tori offerta la libertà ed eguaglianza democratica, assolutamente la
«ricusarono, conoscendo a lunga esperienza, essere assai piü felice il
loro che il sistema Repubblicano » (2); sono freschi e palpitanti gli
attacchi al desiderio di libertà, al proposito di minare le gerarchie,
di abbattere i poteri costituiti, di non riconoscere l'autorità dei Prin-.

(1) Sui costumi romani del tempo di Luigi Cuccagni, vedasi il volume di
CARLO BANDINI, Roma e la nobiltà romana nel tramonto del secolo X V III, Città:
di Castello, Lapi, 1914. : i
(2) « Giornale Ecclesiastico di Roma », n. IV del 28 febbraio 1797.
L'ABATE LUIGI CUCCAGNI, ECC. : 75

cipi: eppure ecco insinuarsi parole nuove e nuovi concetti: eguaglianza,
sovranità del popolo, democrazia, diritti dell’uomo. Lo stesso Cucca-
gni fa ampie dichiarazioni di democrazia e afferma che «l'uomo uscì
dalle mani di Dio per essere naturalmente democraticò » (1). Così
il titolo di « Cittadino » è profuso a piene mani agli abati, ai prelati,
ai vescovi; e se ne fregiano gli stessi Giornalisti Ecclesiastici. Luigi Cuc-
cagni lo premette alla sua sigla e alsuo nome e nel chiudere le lettere
non dimentica di aggiungere una finale che pare d’obbligo: « salute e
fratellanza ».

L’Arcivescovo di Urbino Mons. Spiridione Berioli era di nobile

famiglia tifernate: concittadino dunque di Luigi Cuccagni. Il Cuccagni
indubbiamente lo conosceva di persona e ha cominciato a recensirlo
fin da quando era semplice proposto della cattedrale di Città di Ca-
stello e per cose di poco conto (2). Ne accolse anche una lunga lettera (3);
mise via via in evidenza le sue pastorali, le sue omelie, le allocuzioni
e un suo Sinodo (4): dette particolare annuncio delle sue pubblica-
zioni (5).

Luigi Cuccagni s'era già abbandonato a qualche manifestazione
di simpatia per la democrazia; aveva recensito benevolmente gli opu-
scoli dellAb. veneziano Scipione Bonifacio con i quali sì cercava « di
istruire e di illuminare non tanto circa i suoi diritti, quanto intorno
ai suoi doveri l’uomo cristiano posto nella democrazia ». Aveva richia-
mato l’attenzione del pubblico sopra un opuscolo sulla « vera demo-
crazia »; aveva indirizzato una cordiale risposta all’ «amato Citta-
dino » Urbano Lampredi, uno degli estensori del Monitore di Roma e
s'era chiamato «Cittadino G. H. » ora «L. C.» quasia voler nettamente
distinguere il passato dal presente. Non si mostrava piü un legitti-
mista ostinato, e ribadiva i suoi concetti di adesione al governi po-
polari.

Ma una istruzione pastorale del suo nobile concittadino Mons.
Spiridione Berioli e una sua omelia al popolo nel giorno di Pasqua del

(1) «Giornale Ecclesiastico di Roma », Prefazione al tomo TII; per
l'anno 1798.

(2) « Giornale Ecclesiastico », n. XXXIX del 24 marzo 1797; n. IX del 1°
settembre 1787; n. XLII del 19 aprile 1788.

(3) « Giornale Ecclesiastico » n. XXII del 1° dicembre e n. XXIII dell’8
dicembre 1787.

(4) « Giornale Ecclesiastico », n. XXVIII del 10 gennaio e n. LXI del 29
agosto 1789; n. XIV del 10 aprileen. X XXVI dell'11 settembre 1790; n. XLI
del 15 ottobre 1791; n. XVI del 28 aprile 1792.

(5) « Giornale Ecclesiastico », n. XI del 23*marzo 1793.

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aad 76 NELLA FERRINI

1798, accolte con evidente sollecitudine, avevano, come si suol dire,
finito di smantellare il castello turrito del « Giornale Ecclesiastico ».
L'omelia fu pubblicata dalla Municipalità di Urbino per essere tra-
smessa a tutti i parrochi rurali. « perché possano conoscere lo spirito
« vero della Democrazia e imitare il loro Capo in istruire i popoli ad
«essi affidati ». Alle premure della Municipalità si unirono quelle de-
gli ufficiali francesi della truppa di occupazione, i quali si presero cura
di tradurla in francese e di pubblicarla nelle due lingue, così come il
generale francese Desol fece poi tradurre la Pastorale. L/ Arcivescovo,
definito dal Cuccagni «dotto e illuminato » dopo aver detto «essere
«questo il tempo in cui con ragione può dirsi che siensi abbracciate
«con nodo indissolubile la giustizia e la pace » così si esprime rivolto
al popolo: «tutto vi è favorevole per godere di questa pace soave,
«regnando ovunque giustizia e religione. Per un improvviso cambia-
«mento di cose rovesciato a terra l'antico sistema di governo, e di
«legislazione, eccone un altro assai omogeneo all'indole umana, con-
«forme all’ordine di società. Non vi rechi meraviglia una si’ strepi-
«tosa innovazione. I regni non si conservano, che per quei principj
«medesimi, onde son nati, e la decadenza di essi nasce più da una ine-
«guale condotta di chi ne sostiene il difficile incarico, che dalla riva-
«lità e gelosia di potenze straniere » (1). L'omelia dopo precisato come
le virtù sorprendenti specialmente dei due santi pontefici Gregorio I
e Gregorio II che si resero benemeriti dell'umanità preparando senza
pensarvi la via alla sovranità temporale dei papi, aveva una pun-
tata antitemporalistica e antinepotistica, così riferita, senza esita-
zione (il che non sarebbe accaduto prima), dal Cuccagni: « Una
«serie di successori camminò fedelmente sulle traccie Evangeliche
«segnate da quelli, e lo stato in cui acquistarono la sovranità, si
«mantenne prospero e vigoroso, e i popoli si riconobbero felici. Ma
« coll'andar del tempo il veleno del Dispotismo, e l'attaccamento. alle
«cose terrene, e specialmente ai Nipoti, insinuatisi ancora nei Papi;
«giunsero a poco a poco a cancrenare tutto il corpo politico del loro
«Stato, e fu necessità che il loro temporale dominio andasse a poco
«a poco a languire, e finalmente ad estinguersi, come difatti si è
«estinto » (2). | ; |

E la voce dell' Arcivescovo continua: « Mirate con occhio di com-

(1) Questo tratto dell'omelia di Mons. Berioli lo riporto dal « Giornale
Ecclesiastico di Roma », n. XXIV del 23 giugno 1798.
(2) « Giornale Ecclesiasticb di Roma », n. XXIV del 23 giugno 1798.

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e
L'ABATE LUIGI CUCCAGNI, ECC. LA

« piacenza sorgere, e dilatarsi un sistema che vanta di aver per base

‘«l’onestà e la religione, la quale consacra e santifica qualunque go-

«verno, che posa sulla base delle divine sue leggi. Qui l’uomo riac- x

« quista i suoi diritti, qui la natura esercita con energia e con vigore . . N

«le sue facoltà, qui i talenti e l'industria che nello stato servile giac- N

«ciono languidi e disanimanti, posti dalla libertà in movimento

«s'impiegano a far circolare per ogni ordine la prosperità e l'abbon-

«danza. Ecco troncate le macchine insidiose degli esterni nemici,

«ecco riuniti tutti i cuori in una sola famiglia, ecco distrutte le insi-

«die e le divisioni, ecco rifiorire i lumi delle scienze, e il genio delle

«arti ». Più oltre ancora, rivoltosi a chi teme per la religione nell'in-

staurato sistema di sociale eguaglianza, 1’ Arcivescovo continua :

« Ascoltate..: Vi spaventano forse i nomi di Libertà di Equaglianza,

che scritti leggete ogni giorno in fronte di tutti i fogli ? La Libertà si

«vanta fra i diritti dell'uomo, ed in vigore di questa ognuno altro i

«non può fare che tuttoció che non si oppone né all'onestà, né alla j |

«legge. Dunque nessuno é libero per disubbidire alle Autorità Costi- Ti

«tuite, per suscitar sedizioni, per vivere nello scandalo, nel mal co-

«stume ecc. Eguaglianza vuol dire, che tutti voi siete eguali nei di- ;

«ritti dell’uomo, del cittadino, e della protezione del governo sotto il A

«favore d’una legge incorruttibile ed imparziale. Dunque non più

«le ricchezze o il favore, non la nobiltà, e i titoli, non la prepotenza o

«la cabala, ma i talenti, il merito, e la virtù senza distinzione di na-

«scita, o di fortuna decideranno in avvenire delle cariche, degli onori, |

«e dei premj. Ora vi sembra che questi principî si oppongono alle mas- : B

«sime sacrosante dell Evangelio ? » (1).
C'era, sicchè, quanto bastava per dimostrare che il.« Giornale Ec-

clesiastico »entrava in pieno, e a bandiera spiegata, nell'ordine nuovo.
Ma furono gli altri Giornalisti Romani in tutto consenzienti col il

loro capo ? A giudicare dall'esame degli ultimi numeri si dovrebbe

pensare di no. Già, dopo che il Cuccagni ha cambiato la sua sigla,

| sono sparite tutte quelle dei vecchi compagni di lavoro e ne sono 1

comparse poche altre nuove. Ai nuovi collaboratori é completamente n

affidata la compilazione del settimanale nel primo mese del 1798, a

cagione di una malattia che in quel tempo angustiava il Cuccagni.

Rimessosi in salute egli dettò la prefazione allannata, nella quale

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(1) Anche questo brano dell'omelia di Mons. Berioli lo riporto dalla recen- E
sione del Cuccagni inserita nel n. XXIV del 23 giugno 1798 del « Giornale Ec- n
clesiastico di Roma », che fu il penultimo delle serie. 1

\ "78 . NELLA FERRINI

ribadì i suoi concetti politici, secondo i quali « l'osservanza del Van-
gelo è la sola che formi l’uomo perfetto e la perfetta democrazia ».

Dopo quello che si potrebbe chiamare lo scambio di vedute col
giacobino Urbano Lampredi, anche i suoi collaboratori si diradano,
finché negli ultimi numeri il Cuccagni resta solo, o quasi. Forse é
stanco; forse la malattia non lo ha lasciato del tutto. Forse si trova a
disagio a Roma dove son cambiate cose, circostanze e uomini. Può
darsi che gli sia già nata l'idea di sopprimere il: « Giornale »; difatti
nel n. XXI del 3 giugno 1798 egli ammonisce i lettori: « Se gli Asso-
«ciati a questo Giornale non avranno soddisfatto circa ai venti di giu-
«gno per l'anticipazione di paoli sette e mezzo in moneta sonante pel
«semestre secondo di quest'anno, rimarrà sospesa la stampa del me-
«desimo Giornale ». E nel n. XXV del 30 giugno successivo: « Non
«avendo gli Associati a questo Giornale, per.la massima loro parte,
«anticipato il pagamento del secondo semestre di quest'anno, essi
« perció fanno sospenderne la stampa ». Non persuade una fine cosi
rapida, provocata dalla morosità dei lettori. E lecito pensare che la
pubblicazione non rispondesse piü alle mutate condizioni di Roma.
Aveva fatto il suo tempo; perdeva lettori e collaboratori come il/vec-
chio albero perde le sue foglie. Il tentativo di rinverdire il tronco con
ladesione alle idee correnti, non aveva avuto successo.

Fin dagli ultimi mesi del 1797, Luigi Cuccagni aveva avuto modo
di soffermarsi e meditare su concetti è argomenti che prima erano
stati presenti al suo pensiero solo per essere detestati. Attraverso le
opere di un ecclesiastico veneziano, l’Ab. Scipione Bonifacio, che aveva
preso ad odiare il governo oligarchico di Venezia e « l’infame politica
del Sarpi » dopo aver tentato di prescrivere regole di prudenza per non
essere indotti in errore dai giudizi del pubblico in cose riguardanti la
religione (e secondo il Bonifacio il volgo ardiva, nel suo secolo piü che —
nei passati, pronunciare giudizi incompetenti e falsissimi e abusare di
una sfrenata libertà nel parlare delle più sacre e importanti verità con
tanto danno della fede e del costume cristiano) (1), Luigi Cuccagni co-
mincia ad accordare, nella pubblicazione periodica di cui disponeva,
cioé nel « Giornale Ecclesiastico di Roma », diritto di cittadinanza a.
idee e a vocaboli portati sulle ali trionfatrici della filosofia razionalista.
e della rivoluzione di Francia: Libertà, eguaglianza, democrazia, so-

(1) La prima segnalazione del Bonifacio é fatta con una sigla che non è del.
Cuccagni nel « Giornale Ecclesiastico di Roma 5», n. XXXI del 12 agosto 1797
a proposite dell'opuscolo La prudenza necessaria per adottare, o rigettare le voci
della fama, e li giudizi del pubblico. Venezia, 1797.
E:
3

L'ABATE LUIGI CUCCAGNI, ECC. 79

«vranità del popolo. Il Bonifacio aveva dato alla luce in seconda edizio-
‘ne, per le stampe del Curti di Venezia, l'opuscolo: Libertà, Eguaglianza,

Religione e Creanza. Disinganno al popolo Sovrano che mal conosce la

-sua Sovranità; e il Cuccagni che non s'era (egli così vigile) curato della

prima edizione, volle darne nel suo settimanale una recensione che
può sembrare l’inizio d’uno svolto, sia pure non brusco, dalle idee te-
nacemente ortodosse sostenute fino allora. « Nel primo bollore della
«novità, da cui alcuni cervelli torbidi vengono esaltati, e altri che sono

««pusillanimi restano avviliti, il nostro Autore vien qui a rettificare
«le idee che potrebbero sinistramente ingerire (sic) i nomi fastosi di

« Libertà, di Eguaglianza, di Democrazia, di Sovranità del Popolo e si-
«mili. Il Libertino crede facilmente che la Libertà sciolga il freno al
«delitto, e ne garantisca l'impunità. L'uomo religioso per lo contrario

*« teme che colla libertà democratica si vada a perdere il costume e la
«religione; il facoltoso paventa d’essere spogliato delle sue sostanze e

«il debole d’essere scannato dal più forte » (1). Il Bonifacio, nella uni-

^

versale incertezza in cui si è venuto a trovare il popolo veneziano,

-s’incarica di istruire il popolo stesso su tutti i punti succitati, dei quali
«soltanto il religioso interessa il Cuccagni. Egli non vuole curarsi dei

sentimenti particolari dell’ Autore, anzi, qualcuno di quei sentimenti
egli non potrebbe condividere: « Osserviamo però che sebbene in
«alcune particolarità non potremmo convenire con lui, con tuttociò il

««punto della Religione, che forma il di lui scopo principale è sempre
«trattato, e maneggiato con esattezza e con dignità. Ciò supposto
«a noi poco importa che l’ Autore comparisca qui più amico della De-
««mocrazia che dell’ Aristocrazia, e specialmente se questa sia degene-
««rata in dispotismo ipocrita e oltraggioso verso la Religione, come
«aveva degenerato l'Aristocratico Governo veneto già sepolto, onde

«avvenne che all’apparir della Novità i timori dei buoni, e le speranze

«dei discoli furono portate all’eccesso » (2).

Non si può dire che il Cuccagni non proceda con cautela e pru-

«denza: ma la « Novità » appare per la prima volta non circonfusa dei
‘colori neri di cui era solito vestirla nel passato. Egli richiama con deli-

berato proposito l'attenzione dei lettori cristiani e cattolici sulle idee

«del Bonifacio che sono limpide e chiare, e cioè: che i libertini malamen-

te si lusingano di poter giungere nell'ordine nuovo ad atterrare la re-

Jigione, per il quale proposito sotto il passato ipocrita governo avevano

(1) « Giornale Ecclesiastico di Roma », n. XLII del 28 ottobre 1797.
(2) « Giornale Ecclesiastico di Roma », n. XLII del 28 ottobre 1797.

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80 ia NELLA FERRINI

trovato nel corso di molti anni una fredda indolenza a reprimerli, anzi:
un tacito consenso e talvolta una spietata protezione; che i timori dei
buoni sotto la nuova democrazia non debbono esser maggiori di quel
che furono sotto la passata aristocrazia; che la rovina degli oligarchici.
si deve all'aver essi professato, quanto scaltramente e occultamente,
altrettanto con fermezza e forza, la sottile e tirannica politica di Paolo
‘Sarpi, ilcreatore vero della oligarchia veneta; che per questa condotta
Dio, supremo Signore e padrone d’ogni dominio, ha tolto loro quel
governo di cui, come ne erano stati gli usurpatori in principio, così
in fine ne divennero tiranni, specialmente per l’ipocrisia con cui spo-
gliarono la religione di ogni sostanza e di ogni credenza fondamen-.
tale, lasciandole solo una larva di esteriorità. Al Cuccagni sembra che
il Bonifacio abbia « ben ragionato » sulla caduta del veneto governo
aristocratico e rincalza il pensiero del Bonifacio con un ammonimento
al nuovo governo: «Serva la caduta dell'Aristocrazia di specchio,.
e d'esempio spaventevole alla futura Democrazia. Ricordati o popolo, .
«che vi è un Dio dominatore universale, che a suo cenno cambia li
«governi, quando traviano dal retto sentiero della giustizia.... » (1).

Successivamente, sempre a proposito di un altro opuscolo del Bonifacio
«dal titolo: Li Diritti del Uomo, li doveri del Cittadino e li diritti, e li
Doveri del Cristiano, Venezia, 1797, ribadisce e sostiene le idee dell’aba--
te veneziano a proposito di un foglio istruttivo al popolo pubblicato
dalla municipalità di Venezia, col titolo: Dichiarazione dei diritti
dell’uomo, e del cittadino. Il Cuccagni, in accordo col suo autore affer--
ma che il parlare dei diritti dell’uomo senza parlare insieme dei suoi.
doveri, è lo stesso che armar l'uomo contro l'uomo. Da ciò sorge la
necessità di unire l'idea dell'uomo a quella delcittadino e del cristiano:
«imperciocché in quella maniera che separando l’idea dell'uomo da
«quella del Cittadino ci si presenta un misantropo, cosi dividendo
«l'idea del Cittadino da quella dell'uomo si trova subito un anarchico,
«cioé un uomo posto in società, ma senza legge; e senza principj, e che
« nelle sue operazioni non ha altra regola, che quella del suo capriccio
«e delle sue passioni; e che perció non conosce doveri di sort'alcuna.

«Se dunque non si vuole né un misantropo, né un anarchico, è neces--
«sario l'unire insieme l'idea dell'uomo a quella del Cittadino e l'idea
«di questo all'idea di quello » (2). Ma dove questa unione si trova in
grado perfetto ? Nella sola idea del cristiano, risponde il Cuccagni,.

(1) « Giornale Ecclesiastico di Roma », n. XLII del 28 ottobre 1797.
(2) « Giornale Ecclesiastico di Roma », n. XLVI del 25 novembre 1797..
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trovare gli opuscoli originali.

L'ABATE LUIGI CUCCAGNI, ECC. 81

jn maniera che non è possibile di trovare il cristiano, se non che nel-

l'uomo e nel cittadino, perché (e qui si serve delle parole del Bonifacio)
«la religione é inseparabile dalla retta ragione, e quindi non esiste se
non nell'uomo ».

E incalza con le stesse parole del suo autore: «la religione consi-
«ste. nel complesso delle piü perfette leggi sociali consacrate dal ca-
«rattere della Divinità: dunque non può sussistere se non nel Citta-
«dino. Questo triplice legame, é indissolubile: perció considerando
«l'uomo, e il Cittadino senza considerarlo Cristiano sotto li rapporti

«della religione, è un considerare l'uomo fornito delle sole forze di

«natura senza gli ajuti della grazia. Ma l'uomo in tale stato é anche
«abbandonato al predominio delle passioni guaste, e corrotte; dunque
« più inclinato al male che al bene; dunque più spinto ad estendere li
«suoi diritti oltre il confine del giusto, e a ristringere i suoi doveri di
« quà dal prescritto. Posto ció l'uomo non sarà mai buon cittadino se
«non sia buon Cristiano. La sola religione cristiana equilibra i diritti
« dell'uomo e li circoscrive nelli suoi giusti limiti: la sola religion Cri-
« stiana santificando i doveri del Cittadino li raddolcisce, li rende mi-
« gliori e li perfeziona » (1). Il Cuccagni chiama «giustissime » queste
considerazioni con le quali il Bonifacio analizza la Dichiarazione e in

forza delle quali ai Diritti dell'uomo aggiunge i Diritti della religione.
I diritti dell'uomo secondo il foglio propagandistico della municipalità -

veneta, sono la libertà, l'eguaglianza, la sicurezza e la proprietà; la
religione secondo il Bonifacio ha diritto di essere annoverata fra i di-

ritti dell'uomo, non solo perchè un tal diritto è fondato sopra quelli
che ha la stessa divinità sopra l'uomo e che precedono tutti gli altri »

diritti; ma anche perchè l’uomo in società ha diritto che i suoi simili
professino una religione: precisamente quella che solennemente è
stata acclamata e professata dai padri suoi. Luigi Cuccagni aderisce,
si può dire in pieno, a queste idee, colle quali l'abate veneziano « mette

‘in polvere tutti i sofismi degli atei, semi atei, increduli e libertini

d'ogni sorta »: anzi, secondo lui, col lume della religione vien dato quel

| giusto peso e valore anche alla libertà, alla eguaglianza, alla sicurezza

e alla proprietà, che la sola filosofia non può dare nè darà mai. Circa i
Doveri del Cittadino, il Cuccagni non si discosta dai «savii » avverti-
menti del Bonifacio: Se l’uomo vien considerato soltanto in rapporto

(1) Riporto il brano del Bonifacio dalla stessa citazione che ne fa il Cucca-
gni nel succitato numero del « Giornale Ecclesiastico », non essendo riuscita a

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82 NELLA FERRINI

alla legislazione naturale o alla legislazione civile, se si concentra cioè
solamente in esse, rinuncia alla qualità di cristiano: e rimanendo
privo affatto di religione, «non solamente non sarà migliore del gen-
«tile, e del turco, ma sarà anche di gran lunga peggiore di loro. Im-
« perciocché non potendo essere la legge di Natura se non che l'ordine
« stabilito da Dio per la conservazione di ció ch'egli ha creato, quindi
« è che nel sistema dei Naturalisti la Natura talmente vien da Dio se-
«parata, che o se ne forma una nuova Divinità, o si toglie anche la
«vera. E noi di fatti abbiam veduti e vediamo i moderni filosofastri
«rivoluzionarj del giorno cadere in amendue questi errori» (1). Se-
condo il Cuccagni dunque, in appoggio al pensiero dell'abate vene-
ziano, se si vuole che l'uomo sia veramente e francamente e religiosa-
mente dabbene, in primo luogo é necessario che sia buon cristiano,
e perciò il solo buon cristiano può essere e sarà veramente, e non di
sola apparenza, ottimo cittadino. Questo perchè l’idea di buon cri-
stiano esclude quella dell'ipocrita, esclude il raggiro, l'ingiustizia, la
prepotenza, la soverchieria e l'inganno; e al contrario include l'amore
verso i suoi simili che nel linguaggio della religione suona carità del
prossimo. La carità del prossimo è il sostegno della pace e della giusti-
zia, cioé una base fermissima su cui riposano non solamente la libertà,
l'equaglianza, la sicurezza, la proprietà e ogni altro diritto dell'uomo
e del cittadino, ma anche*tutti quei doveri che in generale debbono
essere osservati da ogni classe ed ordine di persone e in particolare da
ogni individuo che compone la società (2). :

Intanto dalle stampe del Negri, in Venezia vede la luce un terzo
opuscolo del Bonifacio (3), che dà al Cuccagni modo di ribadire e
anche un poco estendere i suoi concetti sulla democrazia. Il Bonifacio
ha posto per fondamento che «i diritti dell'uomo sono imprescrivibili,
li Doveri del Cittadino inevitabili e i diritti, e doveri della religione e del

- Cristiano sono sacrosanti » in qualunque luogo, in qualunque tempo e in

qualunque governo; e trattando il vasto tema della democrazia, forma
l'ipotesi di una società di tal natura e di tal perfezione, «in cui tutti
gli individui siano perfetti democratici, cioè che perfettamente ese-
guiscano i diritti e i doveri dell'uomo, del cittadino e del Cristiano ».

(1) « Giornale Ecclesiastico di Roma », n. XLVI del 25 novembre 1797.

(2) Ctr. la recensione del Cuccagni al secondo opuscolo del Bonifacio da-
tata da Venezia, nel già citato n. XLVI del 25 novembre 1797 del « Giornale
Ecclesiastico ». : ;

(3) L'Uomo cittadino democratico. L'uomo vassallo dell’ Aristocrazia, e della
Monarchia. L'uomo cristiano in ogni stato, ecc. ». Venezia, Negri, 1797.

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«Ciò dà modo al Cuccagni di affermare che in questa ipotesi, iri cui non
:si parla che d'uomo perfetto e perciò dell'uomo innocente quale ap-
punto usci dalle mani del Creatore e quale sarebbe stato perpetuamen-
‘te, se poi non avesse peccato e non avesse col peccato viziata e corrotta
la propria natura, «non si trova difficoltà a concedere che governo
« Democratico, cioé di comunità e uguaglianza sia il primo, il più con-
« veniente, e il più proprio dell'uomo » (1). Secondo il Cuccagni l'uomo
nello stato di innocenza e di perfezione, cioè in uno stato d'ordine
inalterabile, era per natura, fatto per autogovernarsi, senza il bisogno
-d'altra legge fuori di quella che portava scolpita nel cuore, né d’altro
reggitore o governatore fuori di Dio. Nello stato d'innocenza l'uomo
avrebbe vissuto sempre nell'uguaglianza, perché sarebbe stato sempre
nella virtü; né si sarebbe mai presentata la necessità di alcun governo
per conservare il buon ordine della società e per il pratico rispetto dei
diritti e dei doveri dell'uomo (2). Ma nella realtà non é cosi: nella real-
tà le cose cambiano di molto. « L'uomo corrotto cerca sempre di dila-
«tare i diritti e di restringere i doveri; e perciò è necessario un go-
« verno, per contenere gli uni e gli altri dentro i giusti limiti » (3).
Da questo il Cuccagni trae motivo per ribadire gli argomenti del Vene-
ziano, che cioé dai diritti e dai doveri dell'uomo nasce il governo e non
‘quelli da questo; che qualsivoglia governo non costituisce mai un ar-
gine bastante a contenere l'uomo dentro quei limiti che si richiedono,
tanto per difetto di chi governa che di chi è governato; per cui si pre-
ssenta il bisogno dei soprannaturali, possenti aiuti della religione rive-
lata. Ne nasce che i diritti e i doveri della religione sono della religione
e non dell'uomo, ma da essa possono essere trasfusi in lui: per cui é
luomo che deve adattarsi alla religione, non questa modellarsi ad
-arbitrio e capriccio dell'uomo; «un governo dunque sia Democratico,
«sia Aristocratico, sia Monarchico, che volesse arbitrare e riformare
«la. Religione dataci da Dio, sarebbe subito abusivo, violento e tiran-
« nico. Lostesso dicasi a proporzione rapporto allo stato civile e al ben es-
«sere dell'uomo; giacché, l'abuso, la violenza, la tirannia, sono in tutti
«1 rapporti politici e religiosi i tre nemici dichiarati della Libertà,
« Tranquillità, e Felicità dei popoli, e sono gli ostacoli esterni che si
«frappongono a tutti questi beni, diritti, e prerogative dell'uomo, ed
«anche alle leggi più sacrosante, che son dirette ad assicurarlo del pos-

(1) « Giornale Ecclesiastico di Roma », n. IX del 10 marzo 1798.

(2) Cfr. tutta la recensione datata da Venezia nel n. IX del 10 marzo 1798
«del « Giornale Ecclestiastico ».
(3) « Giornale Ecclesiastico », numero citato.

L'ABATE LUIGI CUCCAGNI, ECC. 83

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84 NELLA FERRINI

«sesso dei medesimi beni » (1). Da ciò la perfetta concordanza del

Cuccagni col Bonifacio che l’uomo in tutti gli stati si deve riconoscere
soggetto a una legge; che la gerarchia civile nasce naturalmente dalla

condizione delle cose umane, allo stesso modo che nel campo ecclesia-

stico e spirituale è istituita immediatamente da Dio: di modo che in
tutti gli stati la religione rivelata è sempre la migliore e la. più sicura
scorta che l'uomo possa avere 0 sperare, e a questa è duopo ch'egli

si attenga in tutti i rapporti se vuole essere felice, perchè in tutti gli
stati si deve avere per certissimo questo grande ed immutabile prin-

cipio: che la religione non offende la libertà nè la libertà offende la re-

ligione (2). Il pensiero del Cuccagni dunque, piega decisamente se pur

per gradi, verso i concetti trionfanti di libertà e di democrazia non
disgiunti dai concetti di religione.

Bisogna pur dire che questo insistere sulla necessità della religione
come base di appoggio a ogni costruzione sociale, sposta non poco la
questione, che senza equivoci poneva sul tappeto politico la nascente
democrazia. Il punto centrale dellordiné democratico stava in tre
domande e altrettante risposte rimaste storiche: « Che cosa è il terzo
stato ? — Tutto —; che cosa è stato finora nell'ordine politico ?- Nulla —;
che cosa chiede ? — Chiede di essere qualche cosa —» (3). Ora le idee del
Cuccagni, sostanzialmente non aiutavano e non favorivano questo

fatale corso degli eventi; per cui é lecito pensare cb'egli cercasse piut- -

tosto di menare il can per l'aia, di barcamenarsi alla giornata tra il

nuovo e l'antico senza compromettersi, con l'agitare è meglio col rin--

verdire sentimenti che sono sempre stati il patrimonio della Chiesa
fin dai tempi più remoti. Chi non presterebbe fede alla forza morale
della religione ? Ma la morale della religione non bastava a creare il
nuovo diritto pubblico; e questo ben sapeva una gran parte del clero,
specialme.nte la piü disagiata, che diventó apertamente giacobineg-
giante (4) Il Cuccagni si accosta solo in apparenza al movimento

(1) « Giornale “Ecclesiastico », n. IX del 10 marzo 1798.

(2) Cfr. tutta la recensione all'opuscolo terzo del Bonifacio, datata: da
Venezia e contenuta nel n. IX del 10 marzo 1798 del « Giornale Ecclesiastico ».

(3) Per queste famose interrogazioni e risposte dovute all'Ab. Emanuele
Giuseppe Siéóyés, pubblicista e deputato del terzo stato, cfr: MANLIO CIARDO,
Illuminismo e Rivoluzione Francese. (Bari, Laterza, 1942) e WALTER MATURI
nella voce relativa della « Enciclopedia Italiana », vol. XXXI, pag. .732.

(4) Cfr.: RorA Erronz, Giuseppe Poggi e la formazione psicologica del pa-
triotta moderno, Piacenza, 1923; e anche dello stesso autore: L/ Austria in Lom-

bardia e la preparazione del movimento democratico cisalpino. Milano, Albrighi
e Segati, 1911.

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L'ABATE LUIGI CUCCAGNI, ECC. 85

«democratico; nellintenzione resta un conservatore pertinace. La in-

certezza — se non vogliamo dire addirittura la paura — lo rende insin-
cero, la insincerità lo fa apparire illogico. Dire e ridire come faceva lui

«che nel vangelo di Cristo potevano ritrovarsi le aspirazioni alla ugua-

glianza, e alla libertà, non era altro che manifestare un modo di pen-

sare comunissimo a persone di cuore di tutte le classi; non era affermar

teorie. e principî atti a dare un nuovo assetto all'ordine sociale. Per
questo il suo concetto di democrazia evangelica non ebbe successo e
non assunse importanza storica.

Qualche tempo dopo le recensioni al Bonifacio il « Giornale Eccle-

ssiasto » dà un caratteristico annuncio dello spaccio che si fa d'un opu-
«scolo del tempo sulla « vera democrazia »; spaccio talmente largo che

è duopo moltiplicarne le copie. Per dare l'idea dell'opera e per affer-

marne l'importanza, il giornale riporta per esteso l' Avviso al Pubblico
‘diramato dallautore, nel quale si precisa come 'opuscolo stesso,

nelle sue cinque parti, esamini le cause del malcontento prodotto dalla

«democrazia nei buoni cittadini (cause dovute alla cattiva conoscenza
della democrazia stessa); spieghi il significato vero di democrazia, di
. libertà e di uguaglianza; dimostri essere la democrazia il governo più
confacente alla retta ragione; provi essere altresì il governo più analogo
€ conveniente alla religione; in fine affermi che per instaurare stabil-
mente un governo democratico, sia necessaria una religione domi-
nante (1).

La identificazione di questo opuscolo non è facile, nè facile è la
ricerca mancando delle principali necessarie indicazioni bibliografiche:

nome dell'autore e titolo. Forse è quello stesso opuscolo pubblicato nel

primo quinterno del « Supplemento » per l'anno 1798, sotto il nome

«di Pietro Paolo Giusti, datato da Genova, e che il « Giornale Ecclesia-

stico » segnalò come opera di «un buon cittadino di quella nuova Repub-

« blica [Genova], che ci è sembrato meritevole di essere riprodotto in-
« tieramente, perché si volge sopra un assunto adattissimo per questi
« tempi, e che in qualche maniera puó dirsi nuovo » (2). E la segnala-
| «zione prosegue: « L' Autore ha intrapreso a provare queste due propo-

«sizioni: 1. che non è possibile di consolidare una Democrazia senza

«stabilirvi una sola ed unica Religione: e 2. che questa sola Religione
«la più adatta a una Democrazia, si è la cattolica. Siccome special-

(1) « Giornale Ecclesiastico », n. XI del 24 marzo 1798.
(2) « Giornale Ecclesiastico », n. II del 30 gennaio 1798.
86 NELLA FERRINI

«mente il primo assunto ci è sembrato contenere de’ principj di molto:

«lume, noi abbiamo cercato di vieppiù svilupparli con delle note che
«abbiamo aggiunte in fine dell'Opuscolo stesso » (1).

Ma sotto le parole, si del testo che delle note, si rivela uno spirito

tenacemente antidemocratico: gira e rigira, la conclusione del pensiero,
specialmente di colui che ha dotato di note l'opuscolo, é che democrazia
é solo quella in cui il popolo regola direttamente la vita pubblica: ove
delega i suoi poteri a dei rappresentanti, di democrazia non resta che
il nome (2); che «una vera democrazia ripugna di sua natura con un
gran territorio, con molte città, con numerosa popolazione dispersa » (3)
per concludere con una esplicita dichiarazione antidemocratica :
«Io credo che il popolo di tutto il mondo sia fatto per obbedire e non.
per comandare » (4). L'opuscolo é di scarso valore politico e storico:
declamatorio e ridondante di retorica, non sembra che una predica
data alle stampe. Lo Jemolo propende a ritenere che l'opuscolo sia
dello stesso Cuccagni: senz'altro afferma che sue sono le note di cosi
viva intonazione antidemocratica (5). Ma lopuscolo, già pubblicato
in Genova nel 1797 per li Cittadini Padre, e F iglio Franchelli, sotto il
pseudonimo di Pietro Paolo Giusti, è dell'ex Padre Gesuita ligure
Giuseppe Gandolfi (6) che lo scrisse contro l'instaurato governo demo-
cratico di Genova: e le note sono di Giovanni Marchetti, che si nascose
sotto la consueta sigla D. E. Lo Jemolo non seppe mai che tal sigla era
,del Marchetti; e certo fu tratto in errore anche dalla qualifica di « edi-
tore » che l'annotatore si dà, prendendo per editore il Cuccagni, cui
si doveva la pubblicazione del « Supplemento ». Ma se il Cuccagni non
solo non scrisse l'opuscolo, ma nemmeno le note, è certo che consentì
alla ripubblicazione del sermone del Gandolfi e approvò, malcelando
il fondo costantemente antidemocratico del suo pensiero, le note del
Marchetti. Ci troviamo, dunque, di fronte ad un uomo che mentre.

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(1) « Giornale Ecclesiastico », n. II del 30 gennaio 1798. Nel «Supplemento »-
il titolo dell'opuscolo é « Ragionamento EL sul mezzo di conser-
vare la democrazia ».

(2) « Supplemento », quint. I per i mesi di Bonnad e febbraio del 1798,
pagg. 41 e segg.

(3) «Supplemento », quint. citato, pagg. 48 e segg.

(4) « Supplemento », quint. citato, pagg. 53 e segg.

(5) Cfr. ARTURO CARLO JEMOLO, Op. cit., pagg. 39 e 40.

(6) CopiGNOLA ERNESTO, Op. cit., vol. I, Introduzione, pagg. cxLIv e segg.;.
cfr. anche PrETRO SAVIO, Devozione di Mgr. Adeodato Turchi alla Santa Sede.
Roma, Libreria Editrice «L'Italia Francescana », 1938, pag. 822.
L'ABATE LUIGI CUCCAGNI, ECC. 87

tiene a far sapere come la pensa, cerca in pari tempo, di conformarsi,
almeno nelle apparenze, alle vicende politiche a cui assiste.

Documento di ció é il contegno di fronte a Urbano Lampredi, un
vivace e acceso democratico, nel suo incontro e nei suoi contatti in
Roma.

Urbano Lampredi era nato a Firenze nel 1761. Datosi allo studio
delle lettere e delle scienze con i padri delle Scuole Pie, a diciassette
anni entrava in quell'ordine e cambiava in Urbano il nome di Jacopo
Giuseppe, che aveva avuto col battesimo. Si fece una notorietà nel

campo delle lettere, specialmente per i generi che trattò: critica e sa-

tira. E fu proprio a Roma, dove aveva insegnato nel Collegio Nazare-
. no, prima di essere stato designato lettore di filosofia e di matematica
nel Collegio Tolomei di Siena, fu proprio a Roma dove si recó una se-
conda volta verso il 1790, che conobbe Vincenzo Monti col quale do-
veva poi avere tante aspre e mordaci polemiche, tante contese lette-
rarie e personali. | |

. Dopo loccupazione di Roma da parte delle armate francesi, al
comando del Generale Berthier, il Lampredi ritorna a Roma dove
fonda e dirige un giornaletto di vivace intonazione democratica e fran-
cofila: « Il Monitore di Roma », il quale vide la luce, per la prima volta
il 21 febbraio 1798. Il giornaletto, assai piccolo di formato e di sole
otto pagine, fu subito pieno di quella che era la caratteristica dello
Spirito del Lampredi: la satira. E famoso resta un articolo contro
Ennio Quirino Visconti dal titolo Le Litanie di Pasquino, sull'esempio
dei frequenti mordaci dialoghi tra Marforio e Pasquino (1).

La intonazione del giornale, per quel che concerneva la politica,
era data da un'introduzione dove si potevano leggere espressioni
estremamente vivaci nei riguardi degli ecclesiastici: « Roma esultante,
«ed ebra di patriottico entusiasmo annuncia all'Italia, ed alla Terra
«tutta che finalmente ha rivendicati i sacri ed inalienabili diritti, che
«da 18 secoli aveva infelicemente perduti. Era ormai tempo che i
« Francesi, questi Alcidi novelli, invitti domatori dei varii mostri che
«infettano, e desolano la faccia della terra, la purgassero in fine dal
« piü funesto, e dal piü gigantesco che tutti in sé li riuniva. Era tempo
«che nella medesima sua sede assalissero con vigore linteressato fa-

(1) «Nuova Enciclopedia Popolare Italiana », Torino, 1867, vol. II,
pagg. 247 e segg.; « Enciclopedia Italiana Treccani », Milano, 1933, nella voce
relativa di Guido Mazzoni, vol. XX, pag. 425; cfr. anche E. MicHEL nel « Di-
. Zionario del Risorgimento Nazionale », Milano, Vallardi, 1933: Le persone,
vol. III, pag. 335.

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«natismo, che fa servire le venerande istituzioni della Religione di
« Gesù Cristo alla vendetta, alla cupidigia ed alla esecrabil fame d’oro
«e di regno; che svolgesse con mano imperterrita il molteplice manto
«a varii colori onde si avvolgea la turpe ed insidiosa ipocrisia, davan-
«ti alla quale stoltamente prostravasi il popolo abbagliato e sedotto, e
«di cui ella fomentava barbaramente la ignoranza, e derideva mali-
«ziosamente la buona fede. Era tempo finalmente che questo spaven-
« toso vascello avvezzo ad insultar le procelle, ed a scagliar con orrendo
«tuono da ogni parte globi di fuoco distruttore tornasse ad esser
« l'umil barca di Pietro, ma quanto più umile tanto più Dopetbspile
«e copiosa di preda » (1).

E nello stesso numero, direttamente agli ecclesiastici:

« Ecclesiastici: Augusto e rispettabile é il ministero che la nazione
«vi confida. Voi specialmente siete le lucerne ardenti che debbono
«illuminare e dirigere il pietoso Fedele. Che dirà, che farà di voi la
«nazione se, invece di illuminarla con la pura Morale del. Vangelo,
«cercate di accecarla con la mostruosa superstizione della vostra faa-
« tasia, se invece di dirigerla per il retto sentiero, che puó condurla al
« tempio della verità, e della felicità tentate di traviarla, perché s'ina-
« bissi nell'ignoranza, e nell'errore ? Buona, vera, necessaria é la Re-
« ligione di cui siete i Ministri, ma taluni di voi la rendono inutile con -
«le sottigliezze, la depravano con le assurdità, la falsificano col fana-
«tismo. È parso finora ad alcuno, che le vostre brame, e i vostri sforzi
« fossero diretti non alla salute del popolo cristiano, ma a satollare la
« vostra ambizione, e cupidigia d'impero. È parso ad altri che abbiate
«dischiusi con troppa facilità, ed elargiti con troppa profusione i te-
«sori del Cielo per procurarvi quelli della terra, ecc. » (2).

Più oltre ancora il Lampredi che si firmava con le sue iniziali U. L..
incalza nei riguardi degli ecclesiastici: « Quando, o Cittadini Ecclesiastici,
«vi trovate in un crocchio di Patriotti, i quali vi inculcano la necessità
«di cooperare alla causa comune della Libertà con quei medesimi mez-
«zi, dei quali vi servivate per cooperare alla causa della comune schia-
«vitù, voi rispondete: Eh ! io lo vado dicendo agli altri preti, ai frati,
«al popolo: bisogna aver prudenza, giudizio, circospezione. Ma cre-
- «dete voi che siamo tanto balordi da non comprendere l'anfibologia,
«e il miserabile sotterfugio di queste SS pESSIONI ? Sì: bisogna aver

(1) « Monitore di Roma », n. 1 del 21 febbraio 1798; Introduzione.

(2) Come sopra: l’articolo è sottoscritto con la sigla U. L. (le iniziali di
Urbano Lampredi) e si rivolge particolarmente alle varie classi di cittadini,
dopo essersi rivolto con parole mnggnioquenn alla nazione francese.
« prudenza nel non dire certe verità troppo dure, e indigeribili dalla

.^« Debbo solo prevenirvi che io credo la cristiana religione la migliore

;blica Romana.

L'ABATE LUIGI CUCCAGNI, ECC. 89

«massa del popolo; bisogna aver giudizio nell'istruirlo con metodo,
«con chiarezza, con verità; bisogna aver circospezione perché non
«confonda la libertà con la licenza, la uguaglianza di diritti, con la

« uguaglianza di fortuna, la Religione con la superstizione; ma non

«già bisogna aver prudenza per dissimulare i propri sentimenti liber-

««ticidi, non bisogna aver circospezione per non essere notati ed accu-

«sati, non bisogna aver giudizio per non essere messi in Castello, e

-«fucilati ecc. » (1).

È logico supporre, dunque, che il Lampredi tenesse d'occhio il

« Giornale Ecclesiastico di Roma » il « Supplemento » e altre pubbli-

cazioni del genere che potessero ancora vivere nella. capitale della
Cristianità. Né farà meraviglia ch'egli un bel giorno si recasse a far
visita all Ab. Luigi Cuccagni e che dopo questa visita pubblicasse lo

-articolo che ha per titolo: « A] Cittadino G. H. uno degli Estensori del

Giornale Ecclesiastico di Roma » (2). Non è difficile intuire di che
cosa abbiano parlato nel loro incontro il Lampredi e il Cuccagni; e si
puó anche immaginare il tono della conversazione da parte del repub-
blicano, che aveva la bellezza di 21 anni meno dell'ortodosso catto-
lico, se il Cuccagni si affrettó a fargli dono degli articoli di recensione

‘degli opuscoli di Scipione Bonifacio e non gli dette affatto l'opuscolo
‘di Pietro Paolo Giusti, né il numero del « Supplemento » che lo conte-

neva. Dandogli le recensioni agli’ opuscoli del Bonifacio, e un'ottima
tazza di cioccolato, il Cuccagni volle certamente mettere in mostra

‘e far presente la sua adesione alla democrazia. Il Lampredi, nel suo

articolo, mostrò di non aver peli sulla lingua, come di consueto: e

«disse che « quella pericolosa confusione di politica e di religione », do-

vuta certamente allo scrittore non al recensore, da non altro derivava

. che dallo scrivere di malavoglia, anzi altrimenti da quel che si pen-

sasse. E come per il Cuccagni (egli non ha letto gli opuscoli del Boni-

facio) non doveva essere cosi, se la chiarezza forma ilcarattere distin-
«tivo delle sue idee e del suo stile? « Io vi scuso per altro perché nel-

lestinta teocrazia, impegnata sempre a confondere i diritti del trono
«con quelli del Santuario, non vi potevate meglio schermir che così.

(1) « Monitore di Roma », n. VII del 14 marzo 1798, anno I della Repub-

(2) « Monitore di Roma », n. IX del 21 marzo 1798.

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90 NELLA FERRINI

«di tutte, ma come dalla cattiva morale di molti suoi seguaci non si:

«può concludere che ottima non sia quella del Vangelo, cosi dalla
«falsità delle altre Religioni non credo che si possa concludere, che

«cattiva sia la morale di chi le professa » (1). E con acume che non.

si puó non riconoscere.profondo, passa a smantellare la costruzione

del Bonifacio sostenuta dal Cuccagni, basata sopra l'ipotesi che l'uomo -

‘sia perfetto, che gli individui siano perfetti democratici, in modo che
il Governo che ne uscirebbe sarebbe immaginario, assurdo, nullo.
Perché non sembri precipitata questa conseguenza, il Lampredi ri-

batte una ad una le asserzioni del Cuccagni in appoggio alle idee del.

Bonifacio, che si possono compendiare così: l’uomo non è perfetto,

quindi il governo democratico non è il primo, il più conveniente, il.

più proprio dell'uomo; nel governo democratico, il più conveniente
allo stato d’innocenza, l’uomo non è governato da uomini ma da Dio
solo; nel solo caso in cui il governo democratico è conveniente, cioè

nello stato d’innocenza, gli uomini non hanno bisogno di governo:.

cioè il governo democratico è immaginario e nullo; per l’uomo cor-
rotto è necessario un governo, dunque un tal governo non può essere

il democratico (chè questo si confà all'uomo allo stato d'innocenza)-
o almeno non sarà il più conveniente, e via di questo passo: « Io non -
«ho più nè forza, nè coraggio sufficiente per esaminare il restante del.

«vostro estratto, perchè, in vece di scemare, cresce la confusione e
«l'oscurità, l'assurdità dei principj, e la falsità delle conseguenze. Se
«da molti altri dei vostri articoli non rilevassi la quadratura della
«vostra mente, e la profondità del vostro sapere, se nella vostra situa-
«zione non fosse stato forza di scrivere come avete voi scritto, io vi
« direi: Possibile, citt. Estensore, che la vostra penna non si sia arre-
«stata nel tenebroso caos di tante proposizioni gratuite sconnesse e

«ridicole ? Non ravvisate voi nella virulenza panspernia di questi.
« scritti sediziosi gli sforzi fanatici di una mascherata ipocrisia, che con- .

«fonde maliziosamente la Religione con la politica per ellaqueare (sic.)

«le coscienze, per abusare dei pubblici pregiudizj, per allarmare il:

« popolo e riempirlo di funesti sospetti ? Mi avete detto che di questi
«opuscoli si é permessa la stampa in Venezia democratica: ed io vi
«rispondo, che si permette ancora la stampa del vostro Giornale
«in Roma Democratica » (2).

Il Lampredi vede in tutto questo una punta di persistente pen--

(1) « Monitore di Roma », n. IX del 21 marzo 1798, pag. 71.
(2) « Monitore di Roma », n. IX del 21 marzo 1798, pag. 73.

up
L'ABATE LUIGI CUCCAGNI, ECC. 91.

siero gesuitico, e suppone il Bonifacio un ex gesuita. Tutto lo scritto
del Lampredi fa supporre che il Cuccagni, nel colloquio, abbia giusti-
ficato il suo comportamento con la tristezza del regime teocratico.
Non pertanto il Lampredi dietro il rispetto al sapere, alla dottrina, al
criterio, alla chiarezza di pensiero del Cuccagni, non ha usato eufe-
mismi pietosi e ha detto apertamente e quasi brutalmente quel che
voleva dire. :

Nel numero XIV del 14 aprile 1798 del«Giornale Ecclesiastico »il
Cuccagni rispose al Lampredi con una pubblica lettera così intestata:

.« A] Cittadino U. L. uno degli Estensori del Monitore di Roma, il Citta-

dino G. H., ora L. C., uno degli. Estensori del Giornale Ecclesiastico di
Roma ». Il Cuccagni chiama il Lampredi «amato Cittadino », ne loda
il patriottismo, godendo del riconoscimento che il suo non sia minore.
E dispiacendosi che il competitore, pur trovandosi d'accordo nella
sostanza dell'oggetto, non lo sia anche nell'applicazione delle dottrine
e dei principi democratici, scagiona il Bonifacio dalla qualifica di ex
gesuita, lo chiama celebre letterato e lo proclama uno di quei buoni,
onesti, e dotti preti che onorano la società e la chiesa: « Veramente
«anco tra i Gesuiti ho conosciuto degli uomini molto illuminati, e
«virtuosi, ma lasciamo le persone, e venghiamo ai principj dottrinali
«espressi da me in quell'articolo, e che formano l'oggetto dei vostri
«timori e della vostra critica; quando all'opposto doveano formare
«l'oggetto dei vostri applausi; perciocché son quelli i.veri, i giusti ed
«anzi gli unici principj, coi quali si vede chiaramente l'accordo, o
«per usar la vostra frase, il connubio della Religione Cristiano-cat-
«tolica con la vera e giusta democrazia ed eccovi a dimostrarvelo
«colla massima evidenza » (1).

Congratulandosi col Lampredi per aver attestato che la « Cri-
stiana religione é la migliore di tutte », egli aggiunge che é anche l'unica
che resiste vittoriosamente a tutte le obbiezioni che si possono fare
contro di essa, la sola che possa far mostra d'infiniti argomenti e di
prove vittoriose, onde mostrare la verità dei suoi dogmi e la santità
della sua morale: ció che la rende l'unica vera. Dogmi e morale non
hanno degenerato. dall'eccellenza ed illibatezza colla quale uscirono
dalle mani del suo divino autore, nonostante che sia cresciuto a dismi-
sura il numero dei falsi cristiani, cioé di quelli che portandone il nome,
lo disonorano con i loro perversi costumi: ma se questi pregiudicano a
se stessi, non pregiudicano alla santità del Vangelo, l'osservanza del

(1) « Giornale Ecclesiastico » n. XIV del 14 aprile 1798.

^. A. on, E:
ES, PIC ides Sume a SII RE T

M 92 NELLA FERRINI

quale forma l'uomo perfetto e la perfetta democrazia (1). Insiste sulla
possibilità che osservando la morale del Vangelo, l’uomo potrebbe
arrivare alla perfezione democratica, ritenuta assurda dal Lampredi;
la quale perfezione esclude i difetti sostanziali ma non quei piccoli
‘difetti che sono inevitabili all'uomo peccatore. Verità questa cono-
| sciuta anche dai gentili, i quali chiamarono ottimo non l’uomo privo
di ogni difetto, ma quello che ne avesse dei minori; « Da questa verità
«è nato quel proverbio che l'ottimo è nemico del buono; perchè è
«pazzia il pretendere di avere un governo senza difetti, avendone molti
«l'uomo che governa, o che è governato. Ed ecco che in questo stato
«di cose, sarebbe ideale ed immaginaria qualunque forma di governo
«si volesse avere scevra d’ogni difetto, e dotata di tutta la perfezione;
«perchè imperfetto sarà sempre ogni governo sia monarchico, sia
«aristocratico, sia democratico, sia misto dovendo tutti avere i loro
«difetti, per causa della natura viziata e difettosa dell'uomo » (2):
Non sarebbe stato cosi nello stato di natura innocente rimanendo
in esso l'uomo privo di tutte le passioni ed appetiti disordinati. Nello
stato nel quale uscì dalle mani di Dio e secondo il fine per cui fu creato,
luomo era fatto per essere naturalmente democratico; e la democra-
zia fu perciò lo stato primario e originale dell'uomo: tutti gli altri stati
0 governi sono conseguenza del peccato e della corruzione dell’uomo:
la democrazia ha il vantaggio della preferenza e dell'origine divina
sopra ogni altra forma di governo. Nello stato presente l'uomo ha bit
sogno di leggi e di reggitori; la democrazia non è incompatibile con
lo stato presente dell’uomo, e nessun fanatico potrebbe asserir ciò,
perchè la ragione e l'esperienza fan vedere il contrario. Il peccato ha
offuscato nell'uomo l’intelletto e l'umana ragione, ma non gli ha tolto
tutto il lume, nè tutte le congnizioni; gli ha indebolito le forze dello
spirito e della libertà dell'arbitrio, ma non glie le ha estinte comple-
tamente e molto meno lo ha reso inabile a procurarsi uno stato di
governo, che per quanto lo permettano le circostanze della degradata
sua condizione, lo avvicini allo stato suo primitivo, alla sua sorgente,
alla sua origine. « Non é forse questo il fine di tutta la morale filoso-
«fia ? Anzi non è questo l'unico scopo dell Evangelo, la cui sola mo-
«rale può rendere l'uomo perfetto ? E perché dunque la filosofia con
« tutti i nobili suoi precetti, e tutte le sue belle regole di ben vivere
« non é mai giunta, né mai giungerà a purgar l'uomo da tutti i difetti,

(1) « Giornale Ecclesiastico », n. XIV del 14 aprile 1798.
(2) « Giornale Ecclesiastico » n. XIV del 14 aprile 1798.

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E.

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L'ABATE LUIGI CUCCAGNI, ECC. 93

«si dirà che tutta la morale Filosofia é immaginaria, assurda, e nulla,
«come voi conchiudete rapporto alla Democrazia ? » (1). .

Se nello stato presente la democrazia non può essere perfetta, ciò
non si deve a un vizio intrinseco che la deturpi, ma aldifetto dell'uomo,
il quale nello stato presente é incapace di perfezione. « Notate peró
«che se a fronte della sua origine, la Democrazia non puó essere per-
«fetta, quanto meno lo potranno essere l'altre forme di governo, che
«lungi dall'avere un'origine Divina, lungi di avvicinarsi allo stato
«primigenio, se n’allontanano grandemente perchè tutte figlie del
«peccato e della corruzione?» (2). La filosofia, colle sue regole di ben
vivere, potrà più facilmente correggere la forma democratica che l'al-
tre forme di governo; e dove non ha potuto mai arrivare, né mai arri-
| verà la filosofia, giungerà la morale dell'Evangelio,la quale vi è giunta
difatti in tanti eroi di santità che vanta il Cristianesimo. Anche tra i
popoli non cristiani si possono avere uomini onesti che obbediscono
alle leggi e amano di giovare ai loro simili: e che anche fra loro come
fra noi si può istituire un governo democratico. Ma l'esperienza di
migliaia d’anni dice il contrario, essendo essi stati — come i turchi e
i cinesi ai quali fece cenno il Lampredi — sempre governati da despoti:
per cui le loro virtù non possono essere che molto imperfette non po-
tendo avere che un fine umano, laddove le virtù del vero cristiano
hanno sempre un fine soprannaturale che è quello di piacere a Dio,
che infonde nell'uomo l'umiltà e la carità fonte perenne di tutte le
virtù. « Da-ció nasce che sebbene un governo democratico non esiga
«una Religione rivelata, ciononostante per mezzo di essa potrà acqui-
« stare e acquisterà certamente quei gradi di perfezione, che non potrà
«acquistare coll'ajuto d'una religione inventata dagli uomini » (3).
Quei fanatici, ignoranti, timidi ministri della religione che senza cono-
scerne il vero spirito e la giusta economia, si danno a credere che
in un governo democratico la religione possa rimanere pregiudicata e
perduta e quindi spargono la diffidenza contro.di esso, quando dovreb-
bero invece insinuare tutta la fiducia, sono da trascurarsi. « Se mal
«non mi oppongo sembrami di aver soddisfatto alle vostre difficoltà: e
« mi lusingo altresi che l'abbondanza delle vostre cognizioni, la quadra-
«tura della vostra mente, e la penetrazione del vostro ingegno cono-
«sceranno che il sistema esposto in quell'articolo del Giornale Ecclesia-

(1) « Giornale Ecclesiastico », n. XIV del 14 aprile 1798.
(2) « Giornale Ecclesiastico », n. XIV del 14 aprile 1798.
(3) « Giornale Ecclesiastico », n. XIV del 14 aprile 1798.

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ima: 2.
94 È NELLA FERRINI

« stico intorno alla democrazia, è il più giusto e il più esatto di quanti -
«possiamo pensarne. Esso era stato esposto in una maniera forse
«troppo compendiosa e ristretta, e volendo essere breve, era io forse
«caduto nell'altro estremo di essere alquanto oscuro, e questa oscu-
«rità è quella che vi ha dato occasione a farmi quelle difficoltà che
« mi avete fatto, temendo il vostro zelo per la democrazia, che questa
«ne rimanesse in qualche maniera pregiudicata. Ora voi vedete per
«lo contrario quanto di forza, dienergia, e dieccellenza venga ad acqui-
«stare sopra ogni altra forma di governo, in vigore appunto di quei
« principj di religione che più diffusamente vi ho qui sviluppati, ed
«esposti con quella medesima libertà e candore, col quale avete voi
«esposte quelle difficoltà. Voi dunque, amico Cittadino seguitate
«pure colla stessa energia, e con gli stessi immutabili principj della
«catt. Religione a promuovere il vero, giusto Governo democratico,
«e siate certo che in me troverete un amico e un fratello che vi darà
«tutta la mano in un'impresa cosi utile e salutare » (1).

Lo Jemolo ha osservato che questa risposta è molto dimessa (2).

Io direi che è molto corretta, ma che non rappresenta nessun ulteriore
«arretramento nè alcuna concessione nuova da parte del Cuccagni.
Il Cuccagni in quel torno di tempo subì una lunga malattia: e la mi-
nore vivacità della lettera al Lampredi in confronto di altri suoi arti-
coli, può essere dovuta al suo stato fisico; può anche darsi che il
Cuccagni abbia veduto nel Lampredi un uomo non comune, degno
del massimo rispetto e non un Rabagas dei tanti, come lo giudica lo
Jemolo. Dopo la malattia e dopo la lettera al Lampredi, il Cuccagni
ritornò su i suoi concetti per meglio ribadirli ed illustrarli dettando
uno scritto che fu posto come prefazione al tomo decimoterzo del
«Giornale Ecclesiastico ». Come ho detto, i concetti sgno gli stessi: che
l'osservanza del Vangelo è la sola che formi l'uomo perfetto e la per-
fetta democrazia; che l’uomo è uscito dalle mani di Dio per essere
naturalmente democratico; che Gesù Cristo per mezzo della grazia
dell'Evangelo, ha inteso di rimettere l'uomo nello stato di libertà
e di uguaglianza in cui fu creato. Attraverso la morale del Vangelo che
comanda che tutti si studino di essere perfetti, come è perfetto il
padre celeste; che tutti siano miti, misericordiosi, non attaccati alle

ricchezze del mondo; che tutti si astengano dalla frode; che tutti ci si

(1) « Giornale Ecclesiastico », n. XIV del 14 aprile 1798.
(2) C. A. JEMOLO, Op. cit., pag. 38.
*

.
E

L'ABATE LUIGI CUCCAGNI, ECC. 95

«consideri fratelli e ci si ami; che si abbia pace con tutti e ci si perdo-

nino scambievolmente le offese e i difetti; che in tutte le nostre ope-
razioni trionfi la verità e la giustizia; che dalla bocca del cristiano
non esca mai la menzogna, la finzione, l'inganno, la doppiezza, ma
tutto sia sincerità e amore; attraverso questa sublime morale e queste

«divine massime il Cuccagni conclude volere Iddio che niuno sia mem- .

bro inutile sopra la terra, che tutti stieno sempre in azione e pronti

sempre a rendergli conto delle loro azioni. « Ed ecco esclusi, o almeno

« resi inutili e inefficaci i gradi di nascita, i privilegj, e le distinzioni,
«dietro le quali suol correre avidamente l'orgoglio umano. Impercioc-
«ché Iddio non riguarda che le azioni dell'uomo, e da esse prende
«motivo di dargli il premio o la pena che merita; protestando sotto

«la figura dell'albore che non rende buoni frutti, che l'uomo ozioso,

«infingardo, o che opera male sarà da lui reciso e gettato al fuoco » (1).
Da ció, secondo il Cuccagni appare «che il vero cristiano dev'essere
« necessariamente il miglior Democratico che dar si possa; ed essere
«perció un errore perniciosissimo alla società quello di chi crede, e

.« va dicendo che per essere buon democratico si debba rinunziare alla

« Cattolica Religione, o disprezzare i suoi dogmi, i quali sono il più
«forte sostegno che aver possa la vera Democrazia » (2), ché a chi
volesse osservare che tanto il Vangelo quanto gli altri libri del Vecchio

e Nuovo Testamento ammettono la potestà regia, il Cuccagni osserva

che Gesü Cristo per le cose civili non ha precisato alcuna forma di
governo ed ha lasciato ció all'arbitrio degli stessi uomini, col pre-

cetto a tutti di ubbidire alle potestà costituite in qualsivoglia forma
«di governo, cosi esigendo l'ordine delle cose e la quiete della mede-
.sima società; mentre ai re e ai loro ministri ha comandato di conside-

rarsi come se fossero i minimi del popolo che governano e ha dato il
peso dell'amministrazione della giustizia per premiare chi opera bene

‘e punire i malfattori (3). Questo ordine, bene osservato, non altera

mai né la libertà, né l'uguaglianza, né i diritti dell'uomo. Iddio ha

anche distinto il Re dal tiranno, supponendo il primo.un retto ammini-

stratore della giustizia, il secondo un oppressore dell'umano genere.

' Per non essere un tiranno, il re ha soltanto da operare secondo le leggi

(1) Prefazione del Cuccagni al tomo XIII, 1798 del « Giornale Ecclesia-
:stico » pag. 2. ;

(2) Prefazione del Cuccagni al tomo XIII, 1798 del « Giornale Ecclesia-
‘stico », pag. 2.

(3) Cfr. tutta la Prefazione al tomo decimoterzo (1798) del « Giornale
Ecclesiastico ».

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96 : NELLA FERRINI

fondamentali del regno e non arbitrariamente e a capriccio: ragion
per cui tanto nellantico popolo di Dio: quanto nel popolo cristiano,
si é sempre costumato di ungere i re per mano dei profeti e dei sacer-
doti, onde dimostrare che debbono essi portare scolpita sempre sul
cuore, e nella mente, l'immagine di Gesü Cristo Re dei Re, di cuisono
la figura e per cui furono detti gli « unti del Signore ». A chi fosse ten-
tato di osservare che avere un re di quella perfezione che richiede il
Vangelo é cosa rara, il Cuccagni oppone che questo puó concederlo,
perché un buon re é un raro e prezioso dono di Dio dal quale si deve
impetrare con l'orazione dei popoli: «e tutto ció prova che il loro go-
«verno non è più analogo alla natura primigenia dell'uomo, né alla
«indole primigenia della società, e più lo provano le cautele che prende
« Dio riguardo ai Re. Ma se un Re non è come il Vangelo richiede ‘è
«sempre un difetto della persona che regna e non mai di quel Codice
« Divino che minaccia i più severi castighi ai cattivi regnanti. Tuttavia
«conviene concedere che in tutti i regni cristiani vi sono stati non di >
«rado dei Re giusti e santi, i quali colla giustizia del loro governo
«hanno fatto la felicità dei popoli che han governato » (1).

La religione cristiano-cattolica riconosce dunque ed ammette il
governo dei re e le monarchie come ammette colla stessa indifferenza
ogni altra forma di governo, perchè essa a tutte si adatta e in.cia-
scuna di esse lungi dal pregiudicare alla libertà, all'uguaglianza e ai
diritti dell’uomo grandemente li favorisce e li assoda. Anche sotto il
governo di un re giusto, padre dei suoi popoli, l'uguaglianza, la libertà
e i diritti dell'uomo sono in salvo del pari che nella democrazia. Colla
" testimonianza di S. Agostino, il Cuccagni è dell'opinione «che la base
«fondamentale di una Repubblica deve essere la giustizia, e dove
« questa non regna non puó aversi né libertà né vera Repubblica. Dal
«che ne deriva che dovunque regnerà la giustizia, ivi si godrà la vera
«libertà alla quale ripugnano la licenza, e il libertinaggio. Dunque il
« più saldo fondamento alla libertà in ogni forma di regolato governo,
«cè la giustizia: e massime in un governo democratico sostenuto più
«dalla opinione che dalla forza, il quale, mancando la giustizia soc-
« comber dee quanto prima sotto l'oltraggioso dispotismo d'un crudele
«tiranno, che non conosce altra giustizia e altre leggi che il suo ca-
«priccio e la sua forza » (2). i

Anche se questo chiaro scritto del Cuccagni è un’appendice alla

(1) Prefazione citata.
(2) Prefazione citata, pag. 1v.
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L'ABATE LUIGI CUCCAGNI, ECC. 97

polemica col Lampredi, bisogna convenire che la polemica fu quanto
mai breve: consistette in una lettera e in una risposta.Poi i due scrittori
e i due giornali, il Lampredi col « Monitore di Roma »e il Cuccagni col
« Giornale Ecclesiastico » seguirono ognuno la propria strada e non
si staccarono dai propri propositi e dalle proprie idee. Il « Monitore
di Roma » dirà: «il nome di G. G. Rousseau era odioso ed infernale ai
Preti e ai Frati, ed ai tiranni. Sapete perché ? Perché é il primo tra i
codici sacrosanti della Ragione e della Filantropia » (1). E ne consi-
glierà la lettura e la meditazione; ne solleciterà lacquisto.

Il « Giornale Ecclesiastico », per la penna del Cuccagni, tratterà
di falso, di bestemmiatore, di calunniatore, di ignorante, il filosofo
ginevrino (2). E con gli epiteti cosicari allo scrittore ortodosso, ne

svierà sì la ricerca che la lettura: contesterà quel che ha detto il gior-

nale avverso che l'opera del ginevrino abbia risvegliato l'uomo da un
sonno di tanti secoli.

Nel n. 40 del 5 ottobre 1781, gli «Annali Ecclesiastici» di Firenze
pubblicavano integralmente un « manifesto » del romano Giulio Bar-
luzzi « mercante di Libri a Pasquino all'insegna di Pallade » col quale
si dava annuncio della uscita di altri due volumi della vita di S. Pietro
Principe degli Apostoli di Luigi Cuccagni, da aggiungersi al primo vo-
lume che aveva veduto la luce fin dal 1777. Non una parola di suo met-
teva la pubblicazione fiorentina; ma l'inserzione del « manifesto »
costituiva indubbiamente un trattamento di favore nei riguardi del
Cuccagni. Egli si Dd di più, ma fu contento: era considerato
un amico.

© Aun anno preciso di distanza, gli « Annali» tornarono a occuparsi
della Vita di S. Pietro (3), ma questa volta in una maniera alquanto
diversa dalla prima: in un anno molta acqua era passata sotto i ponti,
e tra gli scrittori fiorentini e il Cuccagni erano sorte nubi piuttosto nere.
Era già spuntata quella rivalità che tanto inchiostro doveva far cor-
rere da ambo le parti.

Aveva offerto l'occasione, la ristampa in. seconda edizione da
parte del veneziano Simone Occhi dell'opera del Cuccagni. E gli an-
nalisti, in una maniera che sembrava dolce, ma che era sottilmente

-sarcastica, trovarono modo di dire cose che molto dispiacquero al

(1) « Monitore di Roma », n. XII-del 31 marzo 1798, pag. 102.

(2) « Giornale Ecclesiastico » n. XXI del 3 giugno 1798, e n. XXII del
9 giugno 1798.
(3) « Annali Ecclesiastici », n. 40 del 4 ottobre 1782.

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Ie ean inni certi hi. 98 NELLA FERRINI

Cuccagni: trovarono modo di dirgli che i due fini che il biografo si
riprometteva, e cioè quello di risvegliare la ben giusta divozione di
S. Pietro in un secolo tanto indivoto, e quello di rivendicare contro gli
scismatici e gli eretici, specialmente luterani e calvinisti, il primato
di onore e di giurisdizione a.S. Pietro e ai suoi successori conferito da
Gesù Cristo, non erano stati raggiunti e in ogni modo non s'erano com-
binati bene: perchè pel primo sarebbe stata necessaria una penna che
non avesse scritto se non con semplicità e lume, pel secondo una
penna in possesso di principî certi, di severa critica, di sodi raziocini.
« Ora la precisione, la discussione, la forza, «che convengono appunto
«allo stile dommatico e polemico, son cose, per quanto a noi pare, che
«poco si adattano alla morbidezza di uno stile andante e luminoso,
«il quale dee destar divozione, con fare ammirare ed amare gli esem-
« pi e le qualità di un grandissimo modello di perfezione » (1).

In una parola il rimprovero palese sta in questo, che avendo il

Cuccagni quasi in ogni pagina ribadito la questione del primato, cer-
cando di esagerarne le prerogative, egli abbia perseguito il solo scopo,
non già di confutare gli eterodossi nemici del primato stesso, ma di
somministrare ai Romani uno zelo atto -a tirare dalle loro opinioni
conseguenze contro le quattro proposizioni del clero di Francia.
Tra cose non gradite e cose addirittura spiacevoli gli annalisti,
tuttavia, hanno trovato anche delle cose buone, che documentano
l'attaccamento del Cuccagni alla «sana dottrina » e la sua disposi-
zione a rendere omaggio a molte verità, Ma non nascondono che man-
ca, nell'autore, la desiderata costanza delle opinioni e dei propositi,
perchè alla prima burrasca che i nemici di quelle tali verità suscita-
rono contro il primo volume della Vita per farlo proibire, egli impallidì
e sì smarrì d’animo, giungendo alla debolezza di dichiararsi pubbli-
camente, con un biglietto al P. Maestro del Sacro Palazzo, prontissimo
a qualunque: ritrattazione che gli fosse imposta.

. Puó darsi che queste asserzioni siano non altro che un espediente
polemico diabilie raffinati contradditori: perchè il Carteggio Cuccagni-
Molinelli rivela la resistenza del Cuccagni a ogni pressione, a ogni lu-
singa, a ogni tentativo di ritrattazione (2). Ma fino a qual punto il
Cuccagni è sincero ? E fino a qual punto son mendaci gli avversari ?

È vero che contro la Vita si alzavano nemici da tutte le parti !

(1) « Annali Ecclesiastici », n. 40 del 4 ottobre 1782, pagg. 157 e segg. -
(2) Carteggio Cuccagni-Molinelli, lettere del 14 febbraio e 18 marzo 1778;
lettera del 3 novembre 1781, ecc.
L'ABATE LUIGI CUCCAGNI, ECC. 99

Specialmente i domenicani gridavano come ossessi per quell'accenno

alla impossibilità morale in cui si trova sovente l'umana natura a re-
sistere alle tentazioni, se non sia sovvenuta dalla grazia medicinale
del Salvatore. Gli « Annali», tuttavia, avevano passato il segno.
Il Cuccagni molto si amareggiò di questo attacco; ne sospettó
autore Pietro Tamburini, e in data 9 novembre 1782 versò la sua ama-
rezza sull'animo dell'amico genovese, annunciandogli che risponderà
nelle « Effemeridi letterarie » di Roma. Procurerà che la risposta «sia
«per suma capita, aliena dalle minuzie e molto più da quell’acre che
«spira il detto articolo, il quale mi vorrebbe far comparire un vigliacco,
«che impallidi al primo soffio contrario. Se ciò fosse vero avrei spero,

«tanta virtù da confessarlo, ma perchè è falso totalmente non voglio

«soffrire quella taccia maledica. Essa è una personalità, che non ha
«che fare con l'opera: ma appunto per questo vi voleva un nemico

.« personale per inserirla, quando pur fosse vera. Ed essendo falsissima

« vi voleva un nemico e di più un impostore ».

| Sta di fatto che questo crisma degli annalisti fiorentini all'opera
del Nostro, ha avuto, sul giudizio dell'opera stessa, il suo peso e il suo
valore: non opera di studio e di scienza, ma semplice opera di polemi-

.ca e di battaglia. La critica storica ha successivamente confermata

la scarsa importanza, talché il Cuccagni non solo non é mai citato tra
quanti ripresero il tema della vita del principe degli apostoli, ma di lui

e delle sue opinioni sull'argomento non vien tenuto nemmen conto da

quei compilatori delle didascalie relative al santo, nei repertori, nei
lessici e nelle enciclopedie ecclesiastiche, dove pure frequentemente
son citati critici e autori italiani e stranieri. Come storico del cristiane-
simo antico, dunque, il Cuccagni non ha avuto successo: é uno storico

| mancato. La sua Vita di S. Pietro, prima in tre volumi, poi in quattro
. — nel 1783 alla seconda edizione di Venezia lo stampatore Simone Occhi

fece seguire un altro volume — non ha segnato un progresso sulle ri-
cerche relative all'argomento; qualche pregio é trovato soltanto nel

- primo volume, che gli avversari sanno e denunciano come scritto per

suggerimento e sotto la guida del Tamburini: gli altri sono giudicati,
presso a poco, dei « pamphlets ». E non diversa essendo la considera-

zione sulle molte sue altre pubblicazioni grandi e piccole venute alla
luce, si può dire che tutti gli scritti del Cuccagni furono di azione, non

:di letteratura. Egli non puó ambire, anche dai posteri, ad altra quali-
fica che di giornalista. Puó valere per lui la distinzione che Eugenio
Maron nella sua Histoire litteraire de la Révolution fece tra « pubblici-
sti » e «letterati ». Luigi Cuccagni fu un pubblicista per disposizione

A m è ^
atus Sa SALO ARI RIP RSA 1 REGISTI nz
100 NELLA FERRINI

di spirito, per temperamento, per attitudini. Egli potrebbe essere ri-
specchiato in questa pagina dello stesso Maron: « Il giornalista non ha
«bisogno d'essere consacrato dalla musa; non v'ha in cielo astro che
«lo crei tale nascendo. Il giornalismo è una carriera più difficile e piü
«avventurosa che molte altre: non é un'arte. Esige attitudini generiche
«e puó fare a meno di attitudini speciali. Sufficiente disinteresse per
«avere il gusto degli affari pubblici, sufficiente facilità di spirito per
«apprezzarli sulla loro quotidiana fluttuazione, sufficiente energia e
«mobilità nelle impressioni per essere al livello delle passioni della
«folla: ecco di che si fà un giornalista. È vero che sono qualità che tutti
«non hanno; tuttavia nelle epoche di sovreccitazione religiosa o poli-
«tica, molti le hanno e i più di coloro che le hanno vogliono metterle
«in opera. Non si mancó di teologi al tempo di Lutero, né di contro-
« Versisti: i teologi si trasformano in giornalisti » (1)

Il Cuccagni possedeva tutto per riuscire eccellente in questa atti-
vità destinata ad avere il clamore e la durata di un temporale. Del
ventennio delle sue polemiche nulla é restato: e puó fare impressione
come nemmeno gli studiosi di parte cattolica abbiano mai trovato
il modo di rinverdire e mantenere la memoria di quest'uomo. Gaetano
Moroni che nei 103 volumi delsuo Dizionario, pur lo cita una diecina
di volte, e altrettante volte cita il « Giornale Ecclesiastico di Roma »
e il «Supplemento», non gli ha dedicato una «voce» nemmen di
poche righe.

. Perla esatta conoscenza della personalità del Cuccagni, giova far
, cenno agli aspetti contradditori del suo spirito e della sua azione. Si
potrebbe dire diluiche visse quasi sempre sotto una duplice maschera.
Notevole e alle volte stridente é il distacco tra le opinioni coltivate
in privato e quelle espresse in pubblico. Quel che colpisce subito l'at-
tenzione é il doppio giudizio su qualche personaggio del tempo, va-
lutato male in pubblico, ammirato e anche esaltato in privato, o vi-
ceversa. Questo metodo, che infirma non poco il carattere e la serietà
del Cuccagni, non risparmia nemmeno gli alti valori del mondo or-
todosso. Basterà, come documentazione il contegno tenuto con un
Principe della chiesa dei più eminenti: col Cardinale Gerdil (2). A. pro-

(1) Cfr. PAoro OnaNo, Saggi di storia del giornalismo. Perugia, anno XVIII
(1940), da-cui è tratta la pagina del Maron.

(2) Il Cardinale Giacinto Sigismondo Gerdil era barnabita. Nacque a Sa-
moens in Savoia nel 1718. Mori a Roma nel 1802. Entrato nell'Ordine, compì
gli studi di teologia a Bologna, dove divenne caro al Cardinale Lambertini,
E.

L'ABATE LUIGI CUCCAGNI, ECC. 101

posito della proibizione di un catechismo stampato in Genova, egli é
estremamente irriverente contro il Gerdil che accusa di ignoranza e di
| essersi « vilmente venduto »ai domenicani (1). Ma quanto poiil« Gior-

nale Ecclesiastico » non incenserà il vilipeso cardinale | Sarà «autore

già celeberrino nella Repubblica delle lettere» (2); la fama avrà alza-

to « alto il grido della di lui dottrina in ogni genere di letteratura » (3);

sarà «tanto illustre scrittore del nostro secolo » degno di godere una sti-

ma che per quanto grande, rimarrà «sempre inferiore a quella che

giustamente gli é dovuta » (4).

Un aspetto contradditorio gravissimo é anche quello che si rife-
risce all'offerta della penna al migliore offerente: egli non usa riguardi
verso gli scrittori avversari del tempo che ritiene adulatori per inte-

resse: e caratteristica, in questo senso, é la lettera del 31 agosto 1782
del carteggio col Molinelli, a proposito di una pubblicazione che ha

per titolo Riflessioni sopra l'autorità dei Vescovi e de’ Principi della
Chiesa. Egli non ha letto l'opera; e sarebbe curiosissimo di leggerla;
ma incomincia a dispiacergli il titolo, perché ritiene che i principi né
abbiano né possano avere alcuna autorità nella Chiesa, almeno par-
lando rigorosamente. « A dir vero mi sembra che si cominci ad essere
«adulatori dei Principi. E purtroppo conosco che da moltissimi si
«corre dietro all'interesse e non alla verità. Per addietro i scrittori
« hanno soverchiamente adulato i Papi, perché erano padroni di dar
«larghissime ricompense; e ora che la miniera dei Papi si è ristretta
«e all'incontro si è dilatata molto quella dei Principi, corrono all'adu-

' «lazione di loro. A forza di tante stiracchiature ormai si giunge a

«concedere ai Principi forse più di quello che Dio ha dato al Papa e
«ai Vescovi; o per lo meno si tenta di conceder loro un’eguale potestà
«sullo spirituale... ».

Queste parole che sembrano la rivelazione di un animo fieramente
rigido in fatto di indipendenza, e assai lontano da ogni venale corru-

poi Papa Benedetto XIV. Fu professore in varie città d’Italia, e precettore di
Carlo Emanuele IV di Savoia allorchè era Principe di Piemonte. Pio VI lo

| «creò cardinale nel 1787. Ebbe fama come pedagogista. Alla morte di Pio VI,

sembrò preconizzato al soglio pontificio; ma gli nocque la sua origine di sa-
'voiardo, avendolo il Sacro Collegio ritenuto un francese. (Cfr. nell’«Enciclopedia
Italiana Treccani », vol. XVI, pag. 657, la voce compilata da Guido Calogero;
e GAETANO MoronI, Dizionario, vol. XXIX, pagg. 83 e Segg.).
(1) Carteggio Cuccagni-Molinelli: lettera del 1° marzo 1783.
(2) « Giornale Ecclesiastico », anno I, n. 6 del 6 agosto 1785.
(3) « Giornale Ecclesiastico », anno II, n. 12 del 16 settembre 1786.
.(4) « Giornale Ecclesiastico », anno IV, n. 43 del 26 aprile 1788.

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102 | NELLA FERRINI

zione, si dileguano presto sotto l’effetto dei beneficii che il Cuccagni
riceve dal pontefice. Basteranno sei anni soltanto, perchè in una lettera
allo stesso amico, cui aveva espresso quel fiero giudizio contro gli scrit-
tori per interesse, egli a proposito di nuovi beneficii che si andavano
aggiungendo agli altri già avuti, candidamente e ingenuamente con-
fessi cose che nessuno si aspetterebbe dalla sua più volte manifestata
avvedutezza e furberia: « ... cosa che tanto più mi obbliga a essergli
«grato [al Papa] e di impegna tutte le forze e pochi talenti che ho,
«in difesa della Santa Sede. Osservi quanto tempo è che non si aveva
«un Papa così pronto a beneficare e a premiare chi fatica, come fa
«Pio VI. Si assicuri che prescindendo dalle provviste date a Cardinali,
«a Prelati e a persone che sono in Corte Pontificia, tutte l'altre, in
« questo anno sono state date a persone di lettere. Onde poi ne avviene -
«che molti si impegnano in difesa dalla Chiesa che ora si vorrebbe in-
«durre in schiavitü » (1).
Non soltanto, dunque, per gli scrittori regalisti, la verità sta dietro
la borsa dei Principi, ma anche per quelli ecclesiastici sta dietro la
larghezza del Papa.

Discorde, naturalmente, doveva apparire il giudizio dei contem- .
poranei sull'opera e sulle manifestazioni del Cuccagni. Gli avversari
furono implacabili nel negargli ogni capacità culturale e nel ricono-
scergli la più piccola originalità di pensiero. Insistevano nell’affer-
mazione che quanto usciva per le stampe col suo nome, non era fa-
rina del suo sacco ma tutto si doveva al Padre Mamachi (2); era, in
una parola, ritenuto un prestanome qualunque per ambizione e per
lucro. S :

Vincenzo Palmieri (3) l'attivissimo oratoriano genovese, che tanta
parte ebbe nel 1786 nel sinodo di Pistoia, lo bollerà spesso di « vile » di

(1) Carteggio Cuccagni-Molinelli: lettera del 19 gennaio 1788.

(2) « Annali Ecclesiastici », n. 23 del 4 giugno 1784, pag. 92. Anno IV.

(3) Vincenzo Palmieri nato a Genova nel 1753 ed ivi morto nel 1820, fu
spinto da vivo spirito religioso alla vita monastica. Entró ventenne nella Con-
gregazione dei PP. dell'Oratorio della sua città, e studió fervidamente le di-
scipline sacre e filosofiche tanto da acquistarsi ben presto fama di teologo e di
acuto dialettico. Leopoldo I di Toscana lo chiamó professore di storia eccle-
siastica all' Università di Pisa, dalla quale poi passó a quella di Pavia a insegnare
teologia dogmatica. Fu aperto e tenace partigiano delle riforme in seno alla
chiesa e fautore del giansenismo. Parte attivissima ebbe al sinodo di Pistoia
di cui pubblicó gli atti in undici volumi (Cfr. Dizionario del Risorgimento Na-
zionale, Milano, Vallardi, 1933, vol. III, Le Persone, pag. 772, voce di F. Poggi).
L'ABATE LUIGI CUCCAGNI, ECC. 103

« fanatico » di « iracondo » (1); gli annalisti di Firenze lo dileggieranno

‘di continuo come uomo destinato per la sua ignoranza e la sua pre-
sunzione, a far ridere le brigate (2); ne denuncieranno le mortificazioni
che riceve, le umiliazioni a cui sempre si assoggetta, i rabbuffi che
incassa (3). Molto sarà stato, bisogna pur dirlo, eccesso polemico; ma
le antinomie dello spirito del Cuccagni, si prestavano a diverse in-
terpretazioni e a diverse riprensioni (4).

Persino nel campo dei difensori della S. Sede i giudizi erano di-
scordi: da taluni veniva tenuto in gran conto; se ne citavano le opere
e se ne diffondevano e difendevano le idee come ricche di senno e di
verità. Il bellunese fra Mauro Cappellari, che divenne poi Gregorio
XVI, allorchè nel 1799 pubblicò in sostegno dell’infallibilità del papa
e in difesa del potere temporale la sua opera II trionfo della Santa Sede,

| spiega con le parole di Luigi Cuccagni, che qualifica per « dottissimo »,
quel che si debba intendere per « Sede » nel senso ecclesiastico (5). Ciò
avveniva a pochissimi mesi dalla morte del Cuccagni. Fra Mauro,
che si conquistò presto buona fama come studioso di teologia e di
filosofia, seguì certo il Cuccagni nella sua battaglia pel Primato: e tenne
conto delle sue idee nella preparazione dell’opera, avvenuta certo
quando il Cuccagni era in vita. Altri non gli davano tregua, con opi-

nioni diametralmente opposte. E valga per tutti l'aspro giudizio del-
l'Abate Cancellieri, di cui si è già fatto cenno, espresso in una adunan-
za di persone colte in casa di Monsignor Riminaldi: giudizio cui tentò
di opporsi, con l'intervento personale, Monsignor Costantini avvocato
dei poveri, presente alla conversazione. Per l Abate Cancellieri il
Cuccagni era eretico ed empio: e non gli si doveva permetter neppure
di celebrar messa (6).

(1) ERNESTO CODIGNOLA, Op. cit., vol. II, pag. 339.

(2) « Annali Ecclesiastici », n. 28 del 14 luglio 1786, pag. 111, anno VI.

(3) « Annali Ecclesiastici », n. 34 del 25 agosto 1786, pag. 136, anno VI.

(4) « Annali Ecclesiastici », in quasi tutti gli articoli che parlano del Cuc-
cagni e delle sue opere.

(5) MoRronNI GAETANO, Op. cit., vol. LXIII, pag. 152.

(6) Il Cuccagni ostenta contro l'Ab. Cancellieri un certo disprezzo chia-
mandolo « un abate Cancellieri ». Si tratta di Francesco Girolamo Cancellieri,
archeologo di vasta fama, nato a Roma il 10 ottobre 1751 e morto il 29 dicembre
. 1826. Compiuti gli studi e vestito l'abito ecclesiastico, fu prima segretario del

Senatore di Roma Abondio Rezzonico, poi del Cardinale Bernardino Giraud,
mobile romano, e finalmente del Cardinale Leone Antonelli col quale si recó
a Parigi, dove assistette all'incoronazione di Napoleone. Di spirito pronto e
vivace, di memoria portentosa e di infaticabile tenacità nel lavoro, fu sopran-

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104 NELLA FERRINI

Il Cuccagni non misconosceva questi contrasti: e tra il pro e il
contro si rafforzava nella lotta. Era conscio di avere una posizione
preminente negli ambienti culturali ed ecclesiastici di Roma: e il
suo orgoglio se ne alimentava. Non fu, certo, né modesto né riservato.
E più di una volta parlò de’ suoi contatti con la massima autorità della
Chiesa, come se il Papa avesse con lui la più intima famigliarità (1).
Per altro tale ostentata dimestichezza, negata dagli avversari, non
ebbe riscontro in particolari attenzioni del papa stesso nei suoi riguar-
di, se si fa astrazione dalla concessione di beneficii pecuniari. Sulla
scala delle gerarchie ecclesiastiche egli non salì un solo gradino.

i Vide a modo suo, ma non sempre male ed erroneamente, gli uo-
mini e gli avvenimenti del tempo. Quando il parlamento della Corsica
riformò il piano ecclesiastico dell’isola, egli dubitò che si potesse fare
qualche cosa di proficuo: se la prese con Pasquale Paoli, bella figura di
italiano e di patriota; dall’isola non si aspetta nulla di buono «sintanto
che negli affari-di Corsica avrà influenza quell'empio del De Paoli » (2).

Il Conte di Cagliostro destò la sua curiosità, come del resto aveva
destato quella del mondo ecclesiastico e mondano di Roma. Egli lo
irride sottilmente: « Abbiamo qui il famoso Cagliostro, il quale, an-
« corché dice d'aver assistito alle nozze di Cana di Galilea insieme con
« Gesü Cristo, tuttavia non só che fino a ora abbia messo in vendita
« Veruno specifico da toglier gli anni da dosso » (3). Ma vide acuto nei
propositi dell'avventuriero; e qualche mese più tardi quando viene
arrestato e chiuso in Castel S. Angelo, egli torna a parlarne per sca-
gionare, questa volta, i gesuiti da un sospetto sollevato dai giansenisti.
I giansenisti ritenevano che Cagliostro fosse in misteriosi legami con
la Società; non così il Cuccagni che pur giurava essere stato egli in
passato un emissario della Compagnia, che pur non osava negare
essere molti di quella Società membri della massoneria: i gesuiti non
avevano interesse di mischiarsi nelle faccende per cui il Cagliostro

nominato il Nuovo Varrone per la quantità e l'eccellenza delle opere che scrisse.
Tanta era la reputazione che godeva, che eccezionalmente alla morte fu sep-
pellito nella Basilica patriarcale di S. Giovanni in Laterano (Cfr. GEROLAMO
Boccanpo, Nuova Enciclopedia Italiana, vol. IV, pagg. 881-882; e « Enciclo-
pedia Italiana Treccani » vol. VIII, pag. 689, voce relativa dovuta a Giulio
Natali).

(1) Cfr. oltre il carteggio Cuccagni-Molinelli, in PrErRO Savio, Op. cil.,
le tre lettere del Cuccagni dirette a Monsignor Nani Vescovo di Brescia, pagi-
ne 276, 277, e 278.
(2) Carteggio Cuccagni-Molinelli: lettera del 23 maggio 1795.
(3) Carteggio Cuccagni-Molinelli: lettera del 30 maggio 1789.
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fu arrestato. Ed erano faccende serie: meditava di uccidere il papa

L'ABATE LUIGI CUCCAGNI, ECC.

con tutto il Sacro Collegio, di bandire il cristianesimo e di rimettere
in piedi l'antico governo repubblicano di Roma pagana.

Segue con un. intuito che si rivela spiccatamente politico, le mosse
di tutti gli stati italiani ed europei. Alle volte parla come se fosse un
incaricato di affari esteri: « Le nuove che qui abbiamo sono che Na-
« poli finalmente sia alquanto scossa e assicura la nostra Corte che se
«i francesi tenteranno il passaggio per Roma faranno tutti gli sforzi
«per impedirlo, onde prega che qua si faccia lo stesso se mai tentas-
«sero di aprirsi il passo per Napoli. Ora dunque i nostri timori sono
«per la parte di Toscana perché il Granduca ha detto al Nunzio che
«non ha forza di impedire tal passaggio e che chiedendolo vede che
«dovrà darglielo. Quel povero ragazzo è attorniato da gente tutta della
«Setta Muratoria, e nonostante la guerra al fratello, ecc. ecc. parla
«cosi Noi ciononostante non perdiamo coraggio e sinceramente fa-
«remo pentire il Granduca perché gli invaderemo la Toscana dalla
« parte di Perugia, di Città di Castello e della Romagna come fu fatto
«al tempo di Urbano VIII e cosi lo ridurremo a pensare meglio al
«conto suo. L'Inghilterra ha risposto al Papa una bellissima lettera
«e promette di garantire e difendere gli stati pontifici...» (1). Poi,
lo spavento della Francia lo vince: « Io vedo nei francesi un flagello
«in man di Dio, col quale castiga tutti gli altri popoli nell'atto che piü

«di tutti castiga loro stessi » (2). E sdoppiando l'uomo religioso dal-

l'uomo politico, egli pensa a mezzi energici per placare appunto que-
st'ira manifestatasi attraverso il flagello dei francesi. Preghiere ? Non
pare. « La massima parte si ferma nelle divozioni materiali e popolari,
«le quali son belle e buone ma non dànno alla radice e perció non ri-
«mediano al male ». (3). |

Quando da Firenze e da Venezia giunge notizia della pace tra
Francia e Spagna, il Cuccagni vorrebbe ch'essa spianasse la strada a
una pace generale « ma non con discapito dell Italia, che non vorrebbe

« mai vedere fatta schiava di una masnada di scellerati francesi, sulla
«cui fede e religione ella (il Molinelli) può dir quanto vuole, ma io

«terró sempre che nulla di buono sperar. possiamo, perché é sempre
«l’empietà quella che ha dominato e seguita a dominare in quell'in-
«felico regno » (4).

(1) Carteggio Cuccagni-Molinelli: lettera del 23 febbraio 1793.
(2) Carteggio Cuccagni-Molinelli: lettera del 26 luglio 1794.
(3) Carteggio Cuccagni-Molinelli: lettera del 9 agosto 1794.
(4) Carteggio Cuccagni-Molinelli: lettera dell'8 agosto 1795.

105

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NELLA FERRINI

Questi sentimenti non usciranno piü dal cuore del Cuccagni: sa—
ranno anzi la principale molla dei suoi odi e dei suoi amori.
I timori sono ormai per la religione non per le forme di governo,
accettate o meno in rapporto alla loro possibilità di ridare il dominio
. alla fede cattolica: « À me poco importa alla fine, che torni o non torni.
ad essere monarchica [la Francia]; ma desidero che torni a dominare
«la religione cattolica; e quando l'unico mezzo esser ne dovesse il ri-
«stabilimento della monarchia, vorrei che anch'essa fosse ristabilita.
« Questi sono i miei voti, il rimanente nol curo punto » (1).

‘ Alcune espressioni delle lettere del carteggio col Molinelli, ci au-
torizzano a pensare che il Cuccagni si rendesse perfettamente conto
della stridente diversità tra il suo modo di pensare e quello di agire.
Tenta anche di giustificarsi con scuse che sembrano puerili. Non può
credersi che egli si allontani dal Partito, che non apprezzi più la « buo-
na causa » e la «sana dottrina » sol per la disapprovazione della tat-
tica seguita dai più alti esponenti del partito stesso: « Io son persuaso
«che se quei scrittori avessero tenuto una maniera più dolce, non si.

«fossero mostrati così nemici di Roma ed avessero (senza tirar con-
«seguenze) parlato sempre in modo da non mostrare amarezza e da
«preparare gli stomachi deboli a ricevere alcune verità; son persuaso,.
« dissi, che avrebbero fatto maggiore profitto, e la Dottrina di S. Ago-
«stino fra non molto tempo sarebbe stata bene intesa da tutti, e non
«avrebbe corso mai più il pericolo di essere posta dai nemici di essa in
«un aspetto odioso e d’essere confusa con un Fantasma, realizzato
«da loro per opprimere anche quelli che non hanno altro reato che
«quello di non essere molinisti... » (2). .

Su questo concetto della tattica sbagliata e deleteria ritornerà:
quindici giorni più tardi allorchè informerà l’amico essere verissima
la Pasquinata mandatagli a Genova da altre persone: egli è dell’opi-
nione che mai più, come in quel tempo, Roma sia stata in condizioni:
tali da farsi ridere, burlare e disprezzare: ma è anche sicurissimo
che se dal di fuori — voleva dire dal partito — fosse stata tenuta una
via di maggior dolcezza, avrebbe potuto giovare moltissimo per

illuminarla (3). |
. Questi pensieri verranno nello spazio di non bene tre lustri ma--

(1) Carteggio Cuccagni-Molinelli: lettera dell'8 agosto 1795.

(2) Carteggio Cuccagni-Molinelli: lettere del 1° febbraio e del 15 febbraio
1783.

(3) Carteggio Cuccagni-Molinelli: lettere del 1° febbraio e del 15 febbraio
1783.

7,
L'ABATE LUIGI CUCCAGNI, ECC. 107

turandosi, fino all'aperta confessione del distacco definitivo. Daranno
l'occasione alcune insurrezioni in diverse città d'Italia, capitanate da
sacerdoti e da ecclesiastici. Di tal partecipazione del clero a movimenti
sediziosi si duole assai, perché disonora, secondo lui, il carattere di
dignità degli ecclesiastici. Egli ha modo di osservare che tanto in
Francia, quanto in Germania e in Italia quei che adulavano la potestà
laica e la incitavano a usurpare i diritti della potestà ecclesiastica,

.sono stati — mutate le circostanze — i più fieri nemici tanto dell'una

che dell'altra, per non volerne nessuna e vivere a loro capriccio. Se
Dio ha permesso ció, certo lo é stato per far conoscere il veleno di
questi pochi zelatori dei diritti sovrani, onde vedano i principi quali
traditori abbiano tenuto presso di loro, e finalmente conoscano cbe
chi ripugna di ubbidire alla podestà ecclesiastica, tanto piü ricusa di
ubbidire alla laicale, ed é pronto a rivoltarsi contro di essa, appena ne
abbia l'opportunità. « Ho perció ringraziato sempre e ringrazio Dio
«per avermi fatto conoscere per tempo la malignità di costoro dai
« quali per breve spazio anch'io mi era lasciato alquanto sedurre, ma
«non mai sino a fidarmene. perfettamente » (1).

Aveva fatto con l’amico, che doveva costituire con la sua fer-
mezza e integrità morale, un tacito rimprovero per lui, la grande con-
fessione del distacco. Ma la tranquillità non era rientrata per questo
nel suo animo. Le preoccupazioni lo attanagliavano sempre, e questa
volta più che mai perché cominciava a entrargli addosso la sfiducia
nel governo: « Dio ci aiuti, ma io temo sempre del sonno ovvero letar-
« go in cui vedo il nostro governo » (2). Il suo attaccamento a Pio VI
non gli impediva di essere asprissimo contro il nipote del pontefice,
il Duca Luigi Braschi Onesti, « nato per la rovina di Roma » (3) e che
con la sua « pessima condotta » tanto aveva « pregiudicato all'estima-
zione dello Zio » (4).

‘Tutto contribuisce ad amareggiarlo, tutto congiura ad aumentar-
gli le sofferenze fisiche e più le sofferenze morali che l'hanno sempre
angustiato; nemmeno le notizie dal paese nativo, dove si sono insce-
nate alcune dimostrazioni contro l'instauratosi governo popolare e
dove si atterra l'albero della libertà, servono a rialzarlo dianimo. Forse
ha l'intuito che il suo mondo, sia pure tra vicende di alterna fortuna,
volga ormai al tramonto. Non varrà piü, per lui, nemmeno quell'adat-

(1) Carteggio Cuccagni-Molinelli: lettera del 3 giugno 1797.
(2) Carteggio Cuccagni-Molinelli: lettera dell'8 luglio 1797.
(3) Carteggio Guccagni-Molinelli: lettera del 9 maggio 1798.
(4) Carteggio Cuccagni-Molinelli: lettera del 9 giugno 1798.

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AU ART O SIONI - GIOIE

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m
108 NELLA FERRINI

tamento che aveva saputo tanto bene applicare alle mutevoli cir-
costanze.

Fu un uomo che caratterizzó un'epoca. Forse ptt essere piü
proprio dire che fu il prodotto della sua epoca: non abbastanza debole
per farsi sommergere dal tempestoso mare in cui navigó, non abba-
stanza forte per ergersi al di sopra dell'imperversare delle procelle.
Mancò di eroismo: fu tempra di lottatore non tempra di confessore e-
di martire: per questo, pochi anni dopo la morte era completamente
dimenticato. Il suo nome non si trova nemmeno in quei lessici di ca-
cattere ecclesiastico, dove pure figurano, con diffuse notizie biografiche,
moltisuoi avversarie molti suoi amici. Egli non esce da quella modesta
opera di Giuseppe Cernitori che elenca gli scrittori che nell'ultimo
trentennio del sec. xvi hanno difeso o impugnato i dogmi della
Chiesa Cattolica Romana (1), e da cui Ugo Hurter trarrà poi brevi
‘ cenni pel suo Nomenclator litterarius. Persino Michele O-Riordan, dal
rinato Collegio Ibernese, potè conoscerlo soltanto per aver trovato la
Vita di S. Pietro non in una biblioteca, ma sulla bancarella di un li-
braio. | i

Anche oggi, se qualche storico ne parla, lo fa in relazione ad altri
suoi contemporanei che impressero e lasciarono maggiore orma.

E tuttavia lecito pensare che se verranno alla luce, o prima o poi,
altri carteggi che egli tenne coi capi delle correnti religiose e politiche
del tempo, come é venuto alla luce quello col Molinelli, molti dubbi
che allo stato presente degli studi si levano sfavorevolmente a lui,
si dilegueranno e la sua figura potrà essere meglio delineata per rac-
comandarsi alla.storia con maggiore simpatia.

NELLA FERRINI

(1) GIUSEPPE CERNITORI, Biblioteca Polemica degli scrittori che dal 1770 si-
no al 1793 hanno o difesi o impugnati i Dogmi della Cattolica Romana Chiesa.
Homa, Salomoni, 1793.
APPENDICE

LETTERE INEDITE DEL CARTEGGIO CuccAGNI-MOLINELLI

19 luglio 1783.

Vengo al di Lei pensiero intorno ai fogli di Firenze. Io dunque con-
vengo perfettamente con Lei nelle massime generali che v’è bisogno cioè d'un
foglio Ecclesiastico per tutte le ragioni ch'Ella saviamente rileva; ed essere
espediente che un tal foglio non sia in mano dei Molinisti. Accordo di piü
che Mamachi ha perduto il diritto a quei civili riguardi che gli uomini usar
sogliono e debbono fra di loro; e accordo finalmente che in Roma si è fatto
3malis.o a proibire quei fogli; ed io non ho lasciato di parlare su ció, come
parmi d'averle detto altra volta. Ma tutto ció secondo quello cheio ne penso,
e che pensano qui tutti gli uomini più ben intenzionati per la verità, non basta
per difendere i medes.i fogli, ed ecco il perché. Non può negarsi che per otte-
nere gli ottimi fini che ella avverte benis.o doversiavere in mira da un foglio
Ecclesiastico, conviene adoperare le. vie della Carità e della: dolcezza: le
quali partendo da un cuore che scrive con sangue freddo, con semplicità, e con
amore della verità, sono attissime a penetrare i cuori altrui, e ad imprimere
in essi le verità che si predicano. Sono gli insegnamenti del Vangelo, egregia-
mente da S. Agostino applicati al caso in cui possiamo trovarci di combattere
gli Errori, come Ella puó insegnarmi. Da ció nasce che le invettive, gli in-
sulti, le punture, ecc. irritano maggiormente l'orgoglio del cuore umano; il
quale per non voler comparire cosi ceco (sic), e cosi vile da meritare tanti
obbrobrii e disprezzi, s'impegna maggiormente nell'errore. Oltre di ché quando
un uomo scrive di quel tenore mordace, e insultante, ancor che dica la
verità, ognun vede che non lo fa parlare l'amore di essa, ma la passione; e che
perció quello scrittore non tratta la causa di Dio e della Chiesa, ma la pro-
pria. Nè vale il dire che il fogliettista Toscano è stato irritato con la ridicola
proibizione, ecc., perciò chè detta Proibizione è posteriore di più anni a una
infinità di maldicenze e di insulti vomitati non contro il solo Mamachi, o
contro simile soggetto, ma contro tutti gli abitanti di Roma, che il foglietti-
‘sta mette tutti in un fascio, e considera come tante ranocchie vilissime, le
quali giacendo miseramente in un profondo pantano, abbisognano dei gran
Lumi di Lui per poterne uscir fuori. Dunque l’Aggressore insultante è il
fogliettista che fin dalle prime cominciò a battere una strada contraria a
quella d’un uomo savio, animato da vero zelo e non da Cinica Rabbia. Tut-
l'altri si doveano mettere alla testa di quell'impresa, fuori che un uomo, di
cui mi è noto che Luciano è il suo favorito Scrittore, dal quale prende la
- norma di scrivere. Ma v'é anche di più. Il fogliettista si fa conoscere troppo

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110 NELLA FERRINI

venduto adulatore dell'Imperatore, e degli altri Principi che ora, come Ella
stessa ne conviene, nelle cose che fanno, oltrepassano i limiti della potestà
lor confidata da Dio. Per il fogliettista tutto ciò che fa l'Imperatore è fatto
egregiamente, ed è fatto con irreformabile giudizio. Se un qualche Vescovo
gli si oppone è uno sciocco un ignorante e un ridicolo: è uno che attenta so-
pra l'autorità de’ Principi. Ma se un Vescovo favorisce le di lui intraprese,
subito diventa l'Oracolo della Chiesa e si magnifica in modo l’autorità de’ Ve-
scovi, che sembra in ciascuno di essi concentrata tutta l'autorità che conviene
alla Chiesa tutta. Peggio ancora se un Paroco (sic) ed anche un Prete sem-
plice prende le parti dell' Imperatore in confronto d'un Vescovo opponente, si
esalta l'autofità dei pastori del 2do Ordine in modo che sembra messa al di
sopra o in eguaglianza con quei del pmo. Dal ché apparisce chiaro che il
Fogliettista ha sposato il partito, e il numero solo gli vale per conto di
suffragj, e che tutto sacrifica alla sua passione. Come dunque può egli pre-
tendere che i suoi fogli facciano quel profitto che sarebbe da desiderarsi ?
Gli idioti, i deboli e tutta la massa della gente, avvezza a venerare gli ora-
coli dei Papi e che vede negli altari alcuni di essi, che insegnato hanno quelle
e quell'altre massime: come vuole che s'illuminino e credano al fogliettista
che ne prende a parlare col piü alto disprezzo, che ne insulta la da lor vene-
rata memoria; e giugne sino all'impertinenza di far nascere dopo sette e più
secoli come una Setta perniciosissima da uno di essi Papi? Il fogliettista
quando dice Roma Ildebrandica gl’ Ildebrandisti di Roma, la Moderna Roma
seguace di Ildebrando e cose simili, non insulta il solo Mamacchi, Zaccheria, ecc.
ma insulta una Città dove sono migliaia di uomini, che possono fargli scuola,
e quel che è peggio, la memoria d’un Papa, che sebbene pregiudicato da le
massime del tempo, tuttavia, come avverte lo stesso Fleury, non può ne-
garsi che non fosse ben intenzionato e che non fosse un uomo di santa vita.

Dunque il fogliettista Fiorentino se vuole corrispondere ai voti delle persone
che amano più di lui il.ben della Chiesa, bisogna che non sposi tutti gli autori
che sono del suo partito, e che non gli lodi anche quando dicono delle bestia-
bilità come suol fare comunemente; bisogna che tenga una via più dolce, più
insinuamente (sic) e meno riflessiva. Esponga i fatti con sincerità, e con can-
dore e lasci che altri vi rifletta da sé. Scusi l'intenzione, specialmente dei tra-
passati, facendo vedere come le cattive circostanze dei tempi portato hanno
a pensare in quel modo anche gli uomini bonis.i; doni qualche cosa alla diffi-
coltà ch'ogni uomo trova in privarsi di ció che possiede; specialmente se tal
possesso sia stato per lui ereditario, se non ha jure, almeno per via di fatto;
e faccia quindi vedere come può tuttavia riformarsi il mondo ecc. E final-
mente bisogna ch'esso deponga quel sopraciglio col quale chiama sovente e
arditamente al suo privato tribunale tutto il genere umano e con temerità
inaudita nell'atto che mette se stesso al confronto di Papi, di Vescovi, di
Santi, ecc., ecc., che fiorito hanno nei secoli decorsi senza neppure assegnarne
la minima ragione, condanna tutti costoro, e pronunzia a favore di se stesso,
L'ABATE LUIGI CUCCAGNI, ECC. 111

‘9 di qualche scrittorello stato finora incognito al mondo. Forse le parerà che
‘io carichi troppo contro il fogliettista; ma so che leggendo i di lui fogli ho
mille volte letto cose che provano ad evidenza quanto ho detto finora. E
‘siccome il livore nuoce sempre, cosi io lo consiglierei a nominare Mamac-
-chi, solamente quando veramente lo merita; ma non già a mendicare tutte le
occasioncelle di pungerlo. Imperciocché in tal caso comperisce malignità
-e maldicenza e non zelo. Può essere che-io m'inganni, ma l'esperienza mi fa
vedere che il fogliettista è più ingannato di me; perciocché ho riscontri da
diverse parti d'Italia che.i di lui fogli non fanno verun profitto, or per l'una,
ora per l'altra delle ragioni assegnate.
Questo dunque è il mio sentimento intorno a quei fogli; se sbaglio mi
-corregga perciocché amo d'imparare e specialmente da Lei.

A al . x
gia id e ipee p 2 to ca S qe od vl —ÁÀ v

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. LI . . . . . LE . . . . . 4 . . . . . . . . . .

6 Xbre 1783.

I suoi consigli sono savissimi, e riconosco in essi sempre più preziosa
la di lei amicizia. Iddio però aveami messi nel cuore somigliantissimi senti-
menti e con essi accinto mi sono alla Risposta, che ho appunto compita
«questa mattina. Ella vedrà che non può essere ne più modesta, nè più umile,
nè più pacifica. Io non sono nè P.a Latera, nè M. di Mileto. Non v'è peri-
colo che usi la minima mordacità, nè personale, nè dottrinale. Son lontanis-
“simo da tutte le personalità, ma se gli Estensori talvolta (e ben spesso) fanno
la più miserabile figura, son le cose, dalle quali nascono indispensabilmente
«quelle tali combinazioni, che rendono una specie di frizzo, ma frizzo di cosa, e
di sostanza, e non mai di parole e di persona. Dico primieramente che l’ Amor
della pace mi avea fatto stare in silenzio, rapporto a quel pmo Articolo, nè
l'avrei mai rotto, se non fossero venuti di nuovo a pungermi non pur nei
‘scritti, ma anche nella persona, sulla quale non hanno diritto. Onde rispondo
per mio decoro, ecc. Dico che io ho scritto e scrivo sempre per interna persua-
"sione ma non ho tanto amore per le mie opinioni da pretendere che altri non
mi debba contradire. E aggiungo queste precise parole che a Lei anticipata-
mente trascrivo: « Io faccio stima di tutti voi miei Signori, e di tutte ancora
«le diverse Scuole Cattoliche; e mi piace di lasciar che ognuno pensi a suo
« modo, in ció che non offende la religione. Mi piacerebbe altresi che in un se-
« colo di tanta civiltà e dolcezza e nel mentre che d'altronde siete della tolle-
«ranza i predicatori, né pur voi foste per questa parte sola cosi intolleranti
«massime in cose che concedete esser di lieve interesse. Ond’è che io non op-
«porrò mai maledicta maledictis ma solamente ragioni a ragioni, finattanto
-«che i miei contradditori non ne oppongano a me di quelle che chiamansi
««convincenti ». E poco appresso dico: « Per mia parte dunque disputerò con
«voi con tutta la libertà, ma nel modo però più pacifico e più civile che far
«si possa. In maniera che appunto per ciò provo del rincrescimento in dover

| ««rispondere ad alcune personalità, che mi intaccano assai da vicino l'onore ».
TDCI . NELLA FERRINI

In genere nulla dico contro dei fogli, nè mostro il minimo disprezzo..

Investo l' Articolo ma con ragioni e rispondo alla personalità in una maniera

da non farne gran stima, e piuttosto lepida; capace però a far fare trista fi--

gura agli aggressori, e buona a chi si difende; ma niente più di quanto basta.

Entro poi nell'argomento e dimostro il mio assunto con ragioni che non am--

mettono replica, per quanto mi pare, e faccio anche vedere che i miei principj
son comuniai più gran distensori delle Libertà Gallicane; onde non han ragione
i moderni aggressori di cavarne quelle conseguenze che pretendono da essi

discendere. Parlo sempre con stima e rispetto della Dottrina del Clero Fran--

cese, benchè possa traspirarsi che io mi contento solo di non impugnarla. Parlo
similmente con stima e rispetto dell'avversario Francese, e lo chiamo sem-
.pre un Amichevole Contradditore. Prego gli Avversarj ad illuminarmi ma
con ragioni sode e non articoli di parole come sono i precedenti ecc.
Per poi disingannare gli Amici che han temuto di mia costanza, faccio
cadere opportunamente, che io confermo e, mille volte tornerei a scrivere
tutto ciò che ho scritto nell’Opera della Vita, ecc.; che io a ragion veduto

sono e sarò costantemente della Scuola Agostiniana, in tutti i Rami fonda-.

mentali della Teologia, in modo però da far sempre stima dell’Altre scuole
Cattoliche, e da non dar fastidio a veruna per amor della pace, ecc. Insomma
in quanto a me non lascio cosa che possa confluire alla pace; ma cosa si ha da
fare con quel fanatico di Pujati, che solo è capace di mettere a fuoco anche
il mare ? Chi mai gli ha dato di barba ? Non sono stato io che feci qui stampare
qualche suo libretto contro quel Mozzi, e che ne feci l’estratto per le Efe-
meridi e che lo feci riferire ? Non sono io che feci e inserii l'Estratto ancora
contro del Mozzi ? E poi mi paga di questa moneta ? Egli lo sa e sa che ho
fatto anche l’Estratto dell’ultimo libro del P. Caleppio ed ho fatto inserire
nei medes.i fogli. Sa che in tal caso mi sono posto a non lieve cimento. E
pure, ecc.... Non sono io che ho messo nell’animo del Papa tanto lume (dopo
Dio) da credere le sentenze Gallicane non tanto perniciose alla Chiesa e ai
diritti della Sede Apostolica, come gli aveano dato ad intendere? Non sono io
quell'unico, che gli ha fatto prender le risoluzioni di ordinare a qualunque
scrive sopra tali materie, di mai attaccare la Dottrina del Clero di Francia ?
Si,io posso gloriarmi in Dio, di aver fatto tutto ciò, e più ancora, che le
direi in voce (tenga tutto per se). Con qualragione dunque mi possono at-
taccare in quella maniera si infamante ? Quali argomenti hanno contro di
me? Dov'é la Carità ? E piü ancora, dov'é la Giustizia Cristiana ? Che
razza di Giansenisti sono costoro, che altro non sanno fare che infamare i
loro prossimi ?

Chiunque confronterà la mia lettera con l' Articolo degli annali, ancorchè.

non inforniato come Ella é delle cose mie, spero che conoscerà la modera-

zione colla quale mi son contenuto benché assalito e provocato due volte..

Passiamo ad altro.

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .-

ETUNS S HAS VIOENE DAE TS
L'ABATE LUIGI CUCCAGNI, ECC.

7 febo 1784.

Mi dispiace che il Tamburini abbia scoperto l'autore della lett.a ecc.
ma credo che abbia veduto benis.o giacché anche un altro amico qui mi ha
avvertito della stessa cosa con l'avermi aggiunto che Tamburini buffa e mi-
naccia risposta all'uscita delle altre due. Sarà ben difficile (ed Ella converrà
meco) ch'ei possa darmi una concludente risposta, quando saranno uscite

Je altre due. Anzi senza timore di esaggerazione dico a Lei e lo vedrà in
effetto, che in piü di un capo sostanziale, gli sarà impossibile di replicar
parola senza dichiararsi contro tutto il Cattolicismo. La prego peró di non
parlare affatto sinattanto ché non siano uscite le due lett.e e non sieno state
da Lei vedute. Il Papa stesso mi ha scoperto, perché lo ha detto a varj Car-
dinali e Prelati per farmi degli elogj. L'unico motivo per cui mi dispiace si è
per quell'Interpolazioni ecc. e anche perché nel dipingerlo, benché nulla ho
detto di falso, con tutto ció non avrei detto tutto quel vero se avessi pre-
veduto di dover essere scoperto. In quest'altre due la persona non sarà toc-
cata per nulla: e io voglio lusingarmi ch'esso avrà tanto giudizio da passar
sopra a certe cose, a fin di non mettermi scopertamente al punto di giustifi-

‘ care certe accuse, ed obbligarmi così a mettergli fuori certi pezzi originali che

ho in mano, i quali gli farebbero poco onore in faccia dell' Europa. Mentre in
vista di essi conoscerebbe ognuno che dovendo parlar di lui sono assai mo-
derato; laddove in veder la pittura senza gli originali,il mondo potrà temer

di esaggerazione. Basta io son risoluto rapporto alla dottrina di sostener

quello che ho detto contro di lui, spezzatamente nella prima, e pienamente
in quell'altre, perchéla Causa per parte mia sembrami bonis.a e spero che
dopo la lettura di quest'altre ne abbia da convenire anch’Ella; rapporto
poi alle personalità io sfuggiró l'incontro quanto potró ma non vorrei che
egli fosse così imprudente da cimentarmi un poco troppo. Starò dunque

a vedere.

Martedi p.p. fui all'udienza del Nostro Sig. e in tale occasione gli portai

la sua lett.a contro gli Annalisti Fiorentini, che gli piacque. Gli scopersi

l'autore, ed egli apri la sua prevenzione. Io non istó quello replicai, che ho
diffusamente detto al P. Rett.e e al P. Vicerett.e e all'E"? De Bernis in sua
difesa, ma le basti sapere che il Papa rimase disingannato e persuasissimo
ch'Ella non sia un nemico della S. Sede, ma bensi un amico, e un difensore

dei diritti di essa. In seguito dunque fu passata la sua lett.a in mano del P.

M.ro del Sacro Palazzo e dopo averla letta, lodata, e approvata gli scopersi

l'autore. Anch'egli aprì la sua prevenzione ma anch'egli rimase disingannato

da me. Ma siccome col Papa avea io parlato di un libercolo uscito pochi giorni
| sono in Firenze contro la S. Sede, che ha per titolo — Il Papa, o sia Ricerche
sul Primato di questo Sacerdote —, così rimasi d'accordo che io mi caricavo
di scriverle e di fare in modo ch'Ella ne avrebbe presa la confutazione. Ella
vede che tutto va coerente al suo lavoro incominciato che da essi non si

8

F4 2 7
PESARE I SI Nai — ue iue pump to cae ei
114 "NELLA FERRINI

‘sa; e similmente vede che ora il merito suo non sarà mendicato ma obbligato.
IDEM E perció (noti bene) Ella deve rispondermi una lett.a in questi termini.
Deve ringraziarmi cioè d'aver presentato alla Santità di.nostro Sign.r la
sua lett.a fatta in mia difesa; ma mostri una specie di dispiacere che io le
abbia fatto questo dolce tradimento per essere un piccolo scritto fatto
all'infretta in difesa d'un amico che stima e nulla piü, al quale ne pur sognava
che io potessi far quell'onore. In seguito dica che volentieri si carica della Con-
futazione del Prefato Libercolaccio; e ringrazia Dio di esser fatto degno di as-
sumere la difesa dei diritti della S. Sede e Successor di S. Pietro. Dica che era
del tempo che andava ideando qualche Opera su tale argomento per metter
freno a tanti Libertini che insultano il Capo della Chiesa coi loro libracci e
che ringrazia me di averlene data si bella occasione, col caricarla della confu-
. tazione di tal libro. Dica che farà ogni sfórzo perchè l'opera venga breve e
convincente tanto piü (deve dire a me) ch' Ella mi suppone che debba esserne
inlesa la Santità di Nostro Signore ; e che ora non sarà un secondo Tradi-
mento. Insomma Ella faccia una lett.a in cui nulla traspiri d'affettazione,
mi dia quei titoli che mi darebbe come amico e non confidente; e rifletta
ch'essa anderà originalmente nelle mani del Papa. Il P. Mamacchi la rive-
risce; onde nomini un pochetto anche lui e per ringraziarlo dei suoi saluti, e,
molto piü perché l'incarico della Confutazione a Lei vien dato colla intelli-
genza e con l'accordo anche di lui. Non dica peró mai scopertamente che io
le dó tale incarico con l'intelligenza e ordine diretto del Papa stesso. Ma si
ristringa solo a supporre che anche S. Santità debba esserne intesa. In tutto
questo maneggio, Ella rifletta in Domino, che vi.sono dei mezzi da poter
cavare del bene da tutti gli uomini, se non si ha l'impazienza di precipitare
gli affari, come sogliono fare i Pujati, i Tamburini, e altri simili. Suaviter
dice l'Emo De Bernis, alias tutto si precipita. Non bisogria pretendere che
qui si rinunzi a certe massime, ma basta che (dice il Med.o Card.) che si con-
servino come le antiche armature sugli Arsenali, per oriore cioé del passato,
senza l'idea di usarne per l'avvenire, ma insieme anche senza mostrar di
supporre che non siano di verun uso. Ella tenga tutto in segreto eil T. Rett.e
scrive al Provincial di Toscana perché le mandi da Firenze subito quel libro,
con questo mezzo, Ella puó prendere un poco piü di comodo nello scrivere:
e puó dare alla sua opera anche il titolo che meditava, con l'aggiugnerci uni-
\ camente contro il Libro in Firenze uscito che ha per titolo, ecc.

La sua lett.a poi in mia difesa non posso più inserirla nell'Effemeridi
perché il Papa mostró piacere che si stampasse a parte. Vedró se Zempel
volesse farla a suo conto per unirla alla mia, come spero che farà. Ella peró
mi dica se avesse piacere di far presso il Papa la figura che io in nome suo
ne facessi legare un esemplare e in nome di lei lo presentassi a lui. Rifletta
che ora S.S. lo sa. Ed Ella puó darmi tal ordine nella stessa lett.a ostensi-
bile.

. . . . . . . . . . . . . . . . . . .
L'ABATE LUIGI CUCCAGNI, ECC.

| e 15 ottobre 1784.

Ho ricevuto assai tardi la di lei stimatis.a dei 25 settembre scaduto che
‘vedo aver giaciuto alla Posta, almeno per una settimana di più. Quindi ch'io
prima di ricevere la d.a lettera avea già saputa la nuova dell’Onorevole ele-

zione della sua persona. Quello dunque che unicamente giunse nuovo non.

. tanto a me, quanto a tutti gli Amici che sono in queste parti e che mi scri-
| vono da Roma si è la risoluzione di lei di rimanere presentemente costi,
senza valutare, non dico le premure degli Amici e i vantaggi del suo ordine ma
la parola data al Papa di ritornare per li primi di Dicembre. Ella mi permetta

di dirle qui chiaramente ciò che ho inteso una voce da tutti, e fin da persone.

‘che non hanno veruna cognizione di lei, se non di nome. Primieramente non
v'é.chi si persuada ch’Ella prima di partir da Roma non fosse intesa del ma-
neggio che facevasi costì, per procurarle dal Senato quella Elezione, e quan-
tunque io.che so qual sia la di lei integrità mi sia ingegnato di persuader ta-
Juno del contrario, con tutto ciò a nulla ha servito. Quindi nasce che tutti
la condannano di aver data parola positiva ad un Papa, nell'atto stesso che
avea Ella in animo di canzonarlo. La prova dimostrativa di ciò, come essi
dicono, la deducono principalmente dal fatto. Imperciocchè dicono che quella
| tal Elezione, quand'anche si accetti, non obbliga nunc pro nunc, ma nunc pro
4unc. Dunque qual bisogno v'era ch’Ella cosi subito risolvesse di non ritor-
nare a Roma ? Potevasi accettar l'Elezione, e intanto mantener la parola.
‘Di più aggiungono. Quando si è data la parola, massime ad un Sovrano, com'è
il Papa, non si è più padron di se stesso; Ella dunque che dovea manifestarla
‘così al Governo dovea inquanto a se mostrare di voler religiosamente adem-
pirla e lasciar che il Senato la disimpegnasse col Papa; richiedendo la di lei
‘persona. A Lei, dicono tutti, non apparteneva ‘di cercare di sciogliersi dalla
| promessa e se ha cercato di farlo, è segno evidente che ne ha proccurato lo
'specioso pretesto. Caro amico, se io non ho perduto la ragion, non vedo cosa
‘possa Ella rispondere a cotesto argomento, a fin di mettere in salvo la sua
‘onoratezza, che in questo fatto perde moltissimo, presso la gente più spassio-
nata, perchè tutti la condannano di raggiro e di impulitezza. Ma qui ne pur
si fermano. Si osserva che un Religioso in vigor della sua professione è tenuto
‘ad avere in mira più i vantaggi del suo Ordine che li proprj; nè può per un
‘suo privato comodo trascurarli. Nel caso suo poi, unendosi insieme li vantaggi
‘dell’Ordine coi personali, qualragione aver può di scordarsi di tutto, per sod-
«disfare unicamente a se stesso ? Chi non vede che l'Ordine delle Scuole Pie
ha molto più da sperare da un Papa che dalla sua Repubblica ? Ella stessa
‘concede che quel teologato è tutto ciò che può essa dare. Ma dunque può dare
molto poco. Né giova a lei di rispondere che non avendo ambizione non desi-
dera di più; imperciocchè si loda la sua moderazione, ma non già nel caso
presente, in cui non può pensare unicamente a se stesso, ma deve pensare più
ai vantaggi dell'Ordine. Si tratta ‘qui ch'Ella era in mano d'un Papa (di

e: ne z ini ET m sr
PRU zona ile Sri ia e P. f e.
. 116

NELLA FERRINI

di lei comodi personali, e niuno può forse sapere tal cosa meglio di me. Qual

ragione dunque di mancargli di parola ? Niuna certamente. Ella dunque fac-

cia grazia di non porre su tal negozio per primo articolo — Io voglio rimanere
jn Genova — Ma consideri a sangue freddo e come in persona terza; quello
che altri mirano in lei, e allora sarà in grado di conoscere spassionatamente,

se onestamente le convenga, e se anche possa farlo in coscienza. Io non vo-

glio farla qui da Moralista, ma unicamente da vero amico, qual mi protesto

d'esserle; e perciò mi ristringo a dirle soltanto, ch'Ella sicuramente, persi--

stendo nella presa risoluzione, perde moltissimo del suo onore, e della stima
che ha qui meritamente goduto, presso la gente onesta e.dabbene. É facile
il vedere che la faccenda non si ferma in Roma solamente, ma specialmente
da quei del suo ordine, sarà scritta anche in lontane parti. Ed ecco ingeriti

e disseminati da pertutto sentimenti a lei poco favorevoli. Or vada a pur-

garsi se può. La prego infine di perdonarmi la semplicità e la chiarezza con cui
le ho riferito i comuni sentimenti delle persone. Io non dovea adularla. La

vecchia e buon’amicizia volea ch'io le parlassi in cotal guisa. Ella seguiti ad.
‘amarli e mi creda costantemente suo, ecc.

i que 4 febbraio 1786.

Il giudizio ch'Ella ha favorito dare tanto del trattato, che delle lettere,
è per me consolantissimo perchè di quanto peso egli sia. Io non dubito punto
che in vedere le adulterazioni dei testi de” Padri da me scoperte nello scritto

Pavese, molti anche fuori di qua si prenderanno il pensiero diriscontrarli ori--
.ginalmente, come so aver fatto alcuni anche qui; e sono certo che in vedere

originalmente le corruzioni di quello Scrittore, se han buona fede, e amor per
la Verità, si meraviglieranno che io lo abbia trattato con tanta dolcezza. Qui
hanno fatto quelle Lett.e tal colpo, che il credito del Sign.e Tamb. per
quanto so è affatto per terra; giacchè se taluno vorrebbe pur sostenerlo, non
sì risica di parlare; e al più dice di non poter giudicare, per non aver letto la
di lui Opera. Noti però che uno di-quei che ora parla così so di certo che ha
in proprietà l'Opera del Tamb.; e so di più che tempo fa ne parlava come di

| libro da se letto. Del resto poi i di lei Quesiti, sono importantissimi, ma io

sarei uscito fuori di strada se mi fossi fermato sopra di essi ex professo. Per
quello però che riguarda il Molinismo, io ho piantato tali principj nell’altra
mia operetta contro il medes.o Tamburini, che bastano per risolvere la que-
stione. Ella si degni di vedere la lett.a Terza nell’Introduzione pag. 106-107
e troverà, credo, quanto può bastare per la risoluzione del suo quesito; giac-
chè la Chiesa costrinse subito quell’errore a vestirsi in modo da mettere
in sicuro la Fede della moltitudine degli Idioti; cosicchè non rimase errore,

. se non perla gente dotta e capace di raziocinio. Quello che fece allora la Chie-

sa è quello che sovente basta per salvare la sua integrità, non essendo sempre

&

4

cui acquistava la fiducia) ch’erasi spiegato d’aver stima di lei e di pensare ai

—— m
L'ABATE LUIGI CUCCAGNI, ECC. 117

mecessario ch'Ella venga all'atto della condanna. Anzi oltre d'aver la Chiesa

costretto l'errore a mascherarsi alla Cattolica per sicurezza degli idioti, fece

ed ha continuato a fare anche un passo di piü, con raccomandare positiva-
mente la verità della Dottrina contraria; e laddove il Molinismo :non ha
‘avuto maiin suo favore se non dei Negativi, la dottrina della Chiesa ha sempre
vantato e vanta una serie di positivi che la mettono in sicuro presso tutti
‘quei dotti che non sono guasti di cuore; e ciò tanto in Francia che in Roma
durante le maggiori dispute della Bolla Unigenitus. Ella veda le spiegazioni

. date dal Giornale di Roma, in otto fogli continuati, l’ultimo dei quali è quello
‘appunto di oggi, e troverà colla difesa della Bolla, unita la difesa della dot-
trina delle due Scuole Agostiniane e Tomistica sulla Gratuità ed efficacia della
“Grazia, contro la scuola di Molina; vedrà che Roma non ha mai favorito
quest’ultima, ma in tutti gli atti pubblici è stata forte costantemente per le
prime; e ch'anche ha approvato le medes.e spiegazioni date alla Bolla dalla
celebre Assemblea del Clero di Francia del 1714 e 1720 ancor che quelle spie-
gazioni dispiacessero ai Gesuiti. Ella procuri di leggere quegli otto articoli

| seguiti e troverà molte verità che le piaceranno. Per rapporto agli Impedi-
menti matrimoniali la questione adottata avrebbe ancora maggior lunghezza
dell'altra. Tuttavia in tre operette mie si troveranno dei principj, che riuniti
e sistemati si puó da essi ricavarne tanto da rispondere al quesito; e sono le
«due contro Tambur. e le lettere contro Besozzi. Il Sovrano è il Dispensatore
dei gradi e degli Onori Civili e nulla più. E chi vuol godere dei meds.i gradi
‘ed onori fa d'uopo che si uniformi alle Leggi Civili del Principato; come fa
la medes.a Chiesa, che sagrifica una gran porzione della sua Libertà, dove non
‘sì offenda l'integrità della sua religione a fin di godere molti vantaggi per
. altro verso, ma non per questo intende mai la Chiesa di rinunziare a quei di-

- ritti che le provengono da Dio. Il Principe dunque può mettere degli impe-

dimenti nel Contratto Civile e ció per principio inerente alla Sovranità; ma
la Chiesa non ne dà più per intesa subito che dal Contratto si viene a pas-
‘sare al Sacramento; e se questo si conclude anche in vista delle Leggi che
"tendono all'annulazione del Contratto; il Sacramento è é sempre validissimo

perchè tali leggi non possono portar seco che la privazione degli onori e dei

«gradi Civili, ai quali dovrà rinunziare chiunque a dispetto delle leggi del Prin-
| eipe volesse prender moglie; né la Chiesa può aver da se stessa l'autorità di
redintegrarlo in tali onori; perciocché essa n'é la dispensatrice dei medes.i.
Eccole in bozzo quello che io ne penso; ma troppo breve è il tempo per po-
- ter rispondere e sviluppare un articolo cosi importante. Finisco dunque per-

E. «chè l'ora è tarda, e perchè facilmente dovrò trattar ex professo questo

argomento a suo tempo sono suo, ecc.

dita

4

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mina a rire iii
118 "^ NELLA FERRINI

B

. Roma, 7 aprile 1787.

. . . . . D . . . . LI . . . . . . . . . . . . . . . LI . . LI e

Intorno agli affari di Toscana ho intesa ancor io la risoluzione presa del
Sinodo Nazionale. Io lodo moltissimo il pensiero, perchè so bene quanto siano

utili i Sinodi. Desidero però che tutto si faccia canonicamente; e perciò

vorrei che trattandosi dei Vescovi, i quali dipendono da quello di Roma, non
tanto come dal Capo della Chiesa tutta, ma come dal loro Primate, dal loro
Patriarca e anche dal loro Metropolita; giacchè le Metropoli di Toscana son
erette dai Papi ad onore e con riserbarsi i diritti; vorrei dico che si operasse
a norma dell'antica disciplina, e che quei Vescovi tutto facessero, e si convo-
cassero col renderne inteso chi è loro Capo e Superiore per tanti titoli. Alias
sarà sempre un’adunanza acefala, la quale non avrà forza perchè viziosa nel
principio, e perchè correrà pericolo d’essere cancellata; e quindi esser causa
di maggiori mali se quei Vescovi sono persuasi di trattar la causa di Dio e
della Chiesa e se sono animati da quel fine superiore da cui debbono essere,
e che io voglio supporre, mi pare che non debbano avere nessuna difficoltà.
Lo stesso dico di quel Sovrano. Ella sa che uno degli errori dominanti in que-
- Sti critici tempi è quello di soggettare alla Potestà dei Principi la Chiesa ela
Religione in tutto ciò che ha di esteriore. L’esperienza ci ha fatto sempre
conoscere che i falsi dottori e gli Adulatori dei Principi vi sono sempre stati
e sempre vi saranno finattantochè durano i figliuoli dell’uomo viziato. Onde
io le confesso che temo dell’esito felice di quel Sinodo e prego Dio che tutto
riesca in edificazione della sua Chiesa.

°°

Roma, 8 dicembre 1787.

Nella settimana passata non potéi scriverle, ma neppur v'erano cose
d’importanza da dirle. Ora poi le dico che lo stampatore è stato questa mat-
tina da me e siamo rimasti d’accordo che farà tutte le spese delle legature e
darà a lei le copie che le abbisognano. Onde questo è negozio finito riguardo
a ciò.

La Prefazione poi è piaciuta anche al P.Rmo, e sono sicuro che piacerà
anche al Papa quando la leggerà.

.Qui siamo senza nuove di rimarco. Le differenze col Granduca di To-
scana per la scelta del nuovo Ves.o di Pontremoli mi si suppone che si vadano
accomodando pacificamente, e sempre con la esclusione di quel Sign.r
Bernardini Vicario Gle di Chiusi, nativo di Città di Castello, che il Papa non
ha voluto né vuole per verun Vescovado; egli si è troppo scopertamente ma-
nifestato del partito di Pistoia, e come suddito del Papa ha fatto doppiamente
male. Ormai non è più la causa della dottrina di S. Agostino contro Molina
L'ABATE LUIGI CUCCAGNI, ECC. : 119

in cui siamo tutti d'accordo, ma sono i diritti Originali della Chiesa Univer-
sale e del di lei Capo, che son attaccati e conculcati da costoro. Sicché ogni
buon cattolico e ogni vero agostiniano rimane d'accordo con loro nel punto
della dottrina di S. Agostino, e gli abbandona nel resto, perché da loro in
tutto il resto é abbandonata la Chiesa per mettersi ad adulare i principi del
secolo. Il Sign.r Bernardini a cui ho voluto bene e lo voglio ancora per la
persona, non si è portato come dovea, secondo che mi dicono; e massime nel-
l'Assemblea di Firenze dove a tutto suo potere appoggiò la stravaganza del
suo Vescovo il quale si era intestato di voler soddisfazione dal Papa per due

| Brevi scrittigli che l'Assemblea giudicò moderatissimi. Se il. Sign.r Bernar-
dini si fosse disimpegnato con grazia, come suddito del Papa, dall’interloquire
su talmateria, come dicono che interloquisse, forse non avrebbe rovinato i suoi
affari. Con tutto ciò.io credo che per l’impegno del Granduca avrà qualche
COST

19 settembre 1787.

. Mi dispiace ch'Ella non abbia ricevuto la mia di oggi quindici giorni
sono nella quale le dicevo quello che il Suo Gle avea in segreto confidato al
P. Mro del S. Palazzo ch'egli cioè avea interno piacere del Rescritto da lei
ottenuto, ma che non poteva dirlo pro bono pacis, come pro bono pacis avea
dovuto mostrarsi sempre contrario. La di lui condotta ben analizzata dopo,
mi fa credere sincera una tal confidenza, tanto più che dopo ha detto lo stesso
anche al Papa, con qualche cosa di più che non occorre dire, ma che con-
ferma quello che io le deducea da tutto ciò: che il Padre Pui cioè si era e si è
venduto alli Piemontesi. Tutto concorre a far credere una tal cosa, anche
certi legami che ha qui contratti e ch'egli coltiva. A me almeno par cosa
chiara: vorrei ingannarmi ma non credo; perchè trovo all'opposto sempre
maggior materia che mi conferma in quel sentimento.

L’altra dosa ch’io le dicea era questa. Le rendea ragione perchè in quel
mio ragionamento avessi nominato Utrecht per rispondere senza entrare in
dettaglio, al libro uscito a Milano ultimamente — Cattolicismo della Chiesa
di Utrecht — che mi era stato comandato di confutare nel Giornale. Liber-
colo impertinentissimo, perchè attacca sfacciatamente la persona del Re-
.. gnante Papa in una maniera quanto villana, altrettanto ingiusta, perchè

-niun de’ suoi Predecessori ha fatto agli Ultrajettini progetti più moderati
di lui, onde ammeterli alla Comunione. Non posso ripetere questa sera le
cose dette, perchè l’ora è tarda e debbo spicciar molte lettere. Mio fratello
scrive da se sullo affare noto. Per nuovo Ves.o di Pontremoli credo che sia
‘stato eletto il Proposto di Pisa che era nominato in secondo. Il pmo era il
Vicario Generale di Chiusi Sign.r Bernardini mio patriotta. Sono suo ecc.
NELLA FERRINI

9 febbraio 1788.

Il P. Rmo del Sacro Palazzo è già tornato di fresco dalla sua residenza edio
non ho mancato di riverirlo subito in di lei nome, cosa che ha gradito mol-
tis.o e per cui mi ha imposto di salutarla distintamente. Gli ho anche parlato
intorno alla stampa consaputa, pregandolo a mettere a dovere lo Stampa-
tore Zempel e mi ha detto che lo farà. Io poi lo metteró a dovere per altro
verso, col togliergli la stampa del Giornale e di tre almeno opere delle quali
è imminente il compimento; due mie e una d'Amico Consocio, senza parlare
di quello che poi verrà in appresso. Ed ecco il bel guadagno ch'egli farà
collo strapazzare gli antichi avventori della stamperia e servire i venturieri.
Non aveo cognizione veruna dell’Opuscolo, che mi avvisa essere uscito in
Toscana sulla Prammatica che dicesi di S. Luigi ed io.la ringrazio mol-
tissimo di tal notizia, perchè mi giugne molto opportuna: giacchè sto lavo-
rando sopra, o per dir meglio contro un altro Opuscolo fatto uscire in Pavia,
molto analogo a quello ch’esce in Toscana benchè abbia un titolo diverso.
Il fine è certamente lo stesso tanto dell’uno che dell’altro; onde questa sera
medesima ho fatto scrivere per averlo subito. Ella sa meglio di me che moltis.i
Francesi negano essere quella Prammatica di S. Luigi; ma quand’anche la
fosse, quanto sono diverse le circostanze del tempo, e del luogo da quello che
erano allora in Francia ? Tanto la Toscana che il Regno di Napoli per più di
dieci secoli non han riavuto altro metropolitano che il Papa, e se in seguito
ne cominciarono ad aver qualcuno non fu che per generosità degli stessi Papi,
che gli eressero, e che si spogliarono in qualche modo, d'una parte dei lori
diritti cedendoli ai nuovi metropolitani. Per altro i Papi in quelle tali ere-
zioni hanno sempre adoperato la frase (senza pregiudizio dei propri diritti):
che è coerente anche al Concilio di Calcedonia, il quale nel Canone 12 o 17
se non erro ordina che l'erezione delle nuove metropoli e gli onori che si
possano accordare ai nuovi Metropolitani non debbono pregiudicare agli
Antichi. Conchiudo che la forza può vincere non però la Ragione, che assiste
il Papa per ogni verso. Si vede peró qual sia l'animo (non forse dei Sovrani)
ma del Ministero di Toscana e di Napoli. Costoro son guasti di massima e
perció se avessero del seguito son disposti a tutto e anche a uno scisma. Il
Libercolaccio uscito parimenti in Toscana — Rendete a Cesare ciò che è di
Cesare — tradito dalla sua stessa malizia lo dice chiaro in questi termini —
Finiamola una volta, e separiamoci totalmente dal Papa — ecco dove sono giunti.

In Roma; Bologna e Cesena si vende pubblicamente la Risposta alla
Pastorale Apologettica del Vescovo di Pistoia. A me par concludente in
modo che non ammette replica; e generalmente questo è il giudizio che se n'é
fatto sin dagli Amici di quel Ves.o, giacché ho saputo che l'Amaduzzi ne
conviene, e si dà per vinto. Vorrei che si dassero per vinti quei che reggono
il Ves.o. Voglia Dio ma ne temo moltissimo. Qui non abbiamo altre novità.
Mi onori dei suoi comandi e mi creda suo ecc.

— —mÁ——— MÀ

APRES TENNIS
L'ABATE LUIGI CUCCAGNI, ECC.

13 dicembre 1788.

Nella settimana prospta:non ebbi tempo di scriverle e di ringraziarla
della sincerità con la quale mi ha parlato circa quella mia terza lettera, sulla
quale ha ella qualche difficoltà. Io forse non avró spiegato bene le mie idee,
ma la prego di combinarle insieme e vedrà che la difficoltà svanisce. Che l'au-
torità vescovile sia da Dio io non ne dubito, e mi pare di averlo detto bastan-
temente nelle due prime lettere, dove ho detto similmente che non il solo San
Pietro e 1 di lui primi Successori, ma anche gli altri Apostoli, e i Successori dei
medesimi hanno fondato Chiese, eretti Vescovadi, consacrato Vescovi, ecc.
. ecc. Ho bensì nella 3 fatta distinzione tra l'Oriente e l'Occidente, ecc. ma ciò
non importa tanto quanto importa osservare lo scopo mio principale, che
è quello di combattere le nuove pretensioni messe fuori del preteso diritto
Regio di fondar Vescovadi, Chiese, ecc. di fissar limiti alle Diocesi, ampliarle

.e restringerle, ecc. senza dipendere affatto dal Papa, e con prevalersi dei
Vescovi dei loro stati, a lor piacere: cosicchè se la Corte dia loro l'ordine di
consacrare un Vescovo per il luogo A o B essi debbono ubbidire, e tutto deb-
basi riconoscere per ben fatto. Io dunque perfar vedere la falsità del sistema ho
mostrato prima l’incompetenza del preteso diritto ripugnante alla natura
dell'Episcopato e della stessa civil potestà; 2) il diritto privatamente dato da
Gesü Cristo alla Chiesa sua e il vigore con cui essa se n'é mantenuta in pos-
sesso a fronte di tutti gli sforzi e di tutte le minacce dei persecutori, ecc. ecc.
3) la dipendenza che gli altri Vescovi tutti per obbligo di coscienza aver deb-
bono dal Papa, dal quale fa d'uopo che in qualche modo prendano la loro
Missione, a fin di essere riconosciuti Vescovi della Chiesa Cattolica. Questo è
tutto il mio argomento, né mi curo d'entrare affatto nella questione della
derivazione della autorità dei Vescovi. A me basta, che a dispetto del Papa e
della Prima Chiesa non possano fare una cosa di tanta importanza, qual'é
«quella di fondar nuove Chiese con consacrarvi nuovi Vescovi: e dico che Chiese
fondate a questo modo non sarebber Chiese di G. C. ma Sinagoghe di Satana,
perchè Chiese che verrebbero dalla corte e non dalla Prima Sorgente dell’U-
nità e del Sacerdozio Cristiano. Ed ecco in breve tutta l’idea dell’Opera, ecc.
nella quale perciò non mi pare d’aver ecceduto i limiti competenti. Può sem-
brarlo però, se se ne prende qualche parte staccata dall altre, e non si consi-
deri il tutto insieme, come l'ho preso io.

23 febbraio 1788.

Ho già ricevuto il libercolo sopra la pretesa pramma-
tica di S. Luigi. Non ha più di 43 pagine in 8 piccolo, nè può darsi scem-
piagine più insipida e di più sfacciata malafede di questo parto tenebroso di
"Toscana. È però senza data affatto, benché gli Annalisti lo han riportato con

rin auus ani es tiem recai rane MESS aco
122 . NELLA FERRINI

quella di Napoli, data capricciosa, e che compie l'opera della malafede, cor
cui si scrive presentemente in quel paese. In breve ne daremo conto anche noi
e faremo vedere a lume di mezzogiorno sopra qual base poggi l’A. il suo piano

di Riforma totalmente scismatico. Buon per l’Italia, buon per noi, e buon per”

la Chiesa tutta che costoro non han seguaci tali da poter fare uno Scisma, al-
trimenti si vede troppo bene qual sarebbe la loro prava intenzione. Tutti i
libri che or si stampano in Toscana, in Lombardia e in Germania Austriaca
non altro spirano che separazione da Roma: con questa unica differenza che
chi lo dice più, e chi lo dice meno chiaro, e chi lo dice anche chiarissimo,
come fa quello — Rendete a Cesare ciò che è di Cesare — ma in sostanza tutti
collimano allo stesso punto di separazione. Voglio credere che il Granduca
non abbia questa rea intenzione, ma sembrami difficile poterlo scusare per la
protezione che accorda a tante stampe così scellerate, e tanta maldicenza che
si sparge nei fogli toscani. Ai tempi del gran scisma di Lutero, non si è fatto
di più di quello che si fa ora contro la Chiesa Romana sotto pretesto di ri-
forma. E nell’Italia, anzi nel centro della medes.a ora si dà in 18 secoli, il
primo esempio di una Empietà così esecranda. Anche questo è uno dei tanti
servizi che all'Italia hanno reso i Tedeschi che ne sono stati sempre il Flagello.
Iddio sa quello che fa e perciò è da sperare che saprà ancora cavarne del
bene... :

10 gennaio 1791.

Il mio Raffreddore ha ceduto moltissimo, ma ne rimane tuttavia un po-
chetto. Vi vuol pazienza | È già un Tributo: che pago quasi ogni anno. Mi è
solamente dispiaciuto che m'abbia rapite due settimane nelle quali avrei
ultimata la mia Risposta che però è molto avanzata. A uno scritto cosi infame
non ho voluto rispondere col mio-nome ma fo che risponda il Cuoco di questo
Collegio, e col nome vero del Cuoco sarà stampata e pubblicata la Risposta.
Alle ragioni ch'Ella mi adduce per dover rimanersene occulto non ho che repli-
care. Io mirava le cose per un aspetto solo, ed Ella che è in causa propria, le
vede sotto tantidipiü e perció non dico altrosu ció. L' Assemblea di Parigi non

ha solamente consultato quei Teologi che si conoscono colà come Gianseni--
stima si sa di certo, che nell'Organizzazione del Clero, si è perfettamente re--

golata sul piano che ha ricevuto da loro. Non creda che sia voce Gesuitica,
perchè lo so dall'Emo De Bernis, lo so per la parte del Nunzio, lo so dal
Corrispondente che abbiamo a Parigi, il quale è Tomista perfetto, e niente
Molinizzante; lo so per la parte del Cavall. Azzara e lo so anche per la parte

di Torino, e di Liegi. Mi pare con tante notizie, e tanti mezzi che tutti coinci--

dono nel medes.o di non poterne dubitare; tanto più che vedo le Novelle
Ecclesiastiche di Francia sono impiegate in fare perpetuamente l’Apologia dei
Decreti dell' Assemblea, ne vileggo mai una parola sola in contrario. Che segno:
è questo ? :

Io poi la ringrazio degli Avvertimenti che mi dà riguardo al Giornale,
L'ABATE LUIGI CUCCAGNI, ECC.

e concedo ancor io che di quando in quando v'é stato qualche articolo un
poco eccedente. Io ho procurato di mitigare l'ardore di qualche Socio, ma
non in tutto si puó arbitrare anzi a dirla con lei io ho creduto appunto per
“questo che fosse bene il far vedere che si prende per Sinonimo presentemente
in nome di Appellante e quello di Giansenista; perché sotto quest'aspetto non
| si può dire che si consideri da noi come Giansenista il seguace della scuola

Agostiniano-Tomistica, per la Grazia Efficace, Predestinazione Gratuita, ecc.
Sentenze che noi stessi abbiamo spesse volte lodate, ecc., senza che mai si
provi come si trova in molti libri di ex che diasi da noi la taccia di Gian-
senista, o che. si biasimi punto chiunque difende quelle sentenze. Gli Ex
eccedono su ciò, perchè non vedono che Giansenismo, ed eccedono egualmente
gli Appellanti col chiamar molinista chiunque difende i diritti della Chiesa e del
Papa, e l'Autorità delle Bolle; e per quanto agostinianamente, vogliono chia-
mar Molinista chiunque non le impugna. Si veda il Primo Tomo del Giornale,
e si troverà quanto agostinianamente sono state spiegate le proposizioni
della Bolla Unigenitus. E pure non ha servito a nulla. Tutti i nemici di
Roma ci chiamano Molinisti e chiamano me specialmente così, non per altro
se non perchè non penso, ne ho pensato mai come loro in fatto d’autorità,
. ma mi glorio d’essere Agostiniano al par di chiunque. Mi dispiace che l'ora
è tarda e debbo scrivere altre lettere. Le auguro mille felicità pel nuovo anno
e per molti in appresso e sono di cuore suo, ecc.

Roma, 26 marzo 1791.

Fin dalla settimana precedente mandai al P. Rettore del Nazzareno la
mia Risposta allo Scritto calunnioso uscito contro di me, affinchè mi fa-
cesse il piacere di mandarne a lei una Copia, come suppongo aver fatto. Qui
ha incontrato. Ho parlato colla maggior moderazione, ma i fatti parlano da
se stessi a mio favore, come parla in di lei favore il meschino raggiro fatto
dai suoi nemici nell’introduzione costà del Libro che hanno sparso contro di
lei. Non so se possa idearsi gente più fanatica di cotesta. Non saprei dire se
sia meglio tacere o rispondere. Forse il ridicolo farebbe tutto l’effetto. In
qualunque modo però, s' Ella ribatte la taccia di Giansenismo, faccia a mio
modo, non si fermi nel solo Breve di Innocenzo XII, ma dica anche di più
e aggiunga, che se lo pretendono Giansenista in quel senso più esteso, nel
quale son presi volgarmente tutti gli Appellanti, e quei che non obbedi-
scono alle Bolle emanate contro Baio, Giansenio e Quesnello, dice che nep-
pure in questo senso le conviene calunnia: imperciocchè Ella ha sempre
professato e professa tutta la venerazione a quelle Bolle; ma non è obbligata
a spiegarle nel senso che vorrebbero i Molinisti. Quando Ella si attiene alla
spiegazione dei Vescovi di Francia del 1720, a quella di tanti dotti Tomisti,
come il Graveson che stampava 1n Roma, ecc. e tanti dotti agostiniani, come
Bellelli, Berti, ecc. e a quella che sotto gli occhi del Papa Regnante ne ha

123

CARNI: ONT NETT o

irrita argini ÓÀM———Ó áÓáÜ 124 NELLA FERRINI

Con questi monumenti Ella chiuderà la bocca ai suoi Avversari, ma col solo
Breve Innocenziano mi creda che non la chiuderà mai nello stato in cui sono
le cose, perché qui cominciando dal Papa e scendendo a tutti gli altri, tutti
e poi tutti chiamano-Giansenisti anche quelli che, Benedetto XIV chiamó
semplicemente Refrattarj. Io stesso-ho inteso il Papa più volte cosi chia-
marli; e la ragione sembra esser questa. Siccome Quesnello è stato condannato
come rinnovante gli Errori di Giansenio, condannati nelle 5 famose proposi-
zioni, cosi quei che sostengono gli errori di Quesnello, si hanno per difensori
anche delle Proposizioni di Giansenio, e quindi per Giansenisti. A tempo di
Innocenzo XII le cose erano in altro stato. Quesnello non era stato condan-
nato: e perció il Breve d'Innocenzo potea restringersi alle sole 5 proposizioni
che sono come il sugo della Dottrina di Giansenio. Or siccome i più sfac-
ciati Appellanti e Refrattarj non fanno altra difesa per evitare la taccia di
- Giansenisti che quella del Breve Innocenziano, così stando Ella solamente
su quella, accrescerà sempre più i sospetti nei suoi avversari e darà loro mag-
giori armi in mano. In quanto a me quando mi occorre parlare di tali cose
uso piuttosto il termine Appellanti che quello di Giansenisti ma in loro stessi
vedo della grande incoerenza. Imperciocchè ora si offendono di tal nome, ora
se ne gloriano, a segno che in Pavia quando Tamburini fu eletto Rettore Ma-
gnifico, la scolaresca sua partitante gridava — Viva il Giansenismo —.

Speravo di veder quanto prima la Prima Parte del noto lavoro che mi
disse che avrebbe mandato, ma vedendola tardare, mi sono figurato che lo
manderà tutto insieme. Io ora sto stampando una Dissertazione, che le
manderò a suo tempo in cui prendo a mostrare che i Liberi Muratori so-
no una diramazione dei Manichei. Spero di mostrarlo più che abastanza,
perchè fo vedere più di venti caratteri comuni agli uni e agli altri, e trovo
anche il punto d'appoggio. Come cioè siano diramati, ecc. Spero che darò
del lume a tutti i Governi d’Europa e gioverò agli ecclesiastici ancora; giac-
chè tutte le nostre persecuzioni nascono da costoro. Sono in fretta con tutto
l'ossequio suo, ecc.

10 settembre 1791.

Eccole intanto un foglio con l'Articolo relativo all'Esposizione di Tesi
.consapute. Uno dei Revisori Molinista di genio, ma ignorante senza fine,
s'impuntó nella colonna 2 della pagina 143, e precisamente dopo quella ci-
tazione di Voltaire ora, ecc. sino alla fine del paragrafo. L'altro Revisore piü
dotto assai e di sistema nostro, l'approvó come era steso, ma per conten-
tare in parte anche l'altro, fu d'uopo moderare alcune espressioni e spiegarsi
nel modo ch'Ella vedrà: che in sostanza mi pare che sia quello stesso
ch'Ella vuol dire, o che almeno non gli pregiudichi. La maniera di condursi
costi tenga pur quella che mi segna nella Stimatissima sua, che va benissimo.
Per i di lei Avversarj non può darsi mortificazione maggiore; perciocché fra

fatto il Giornale Romano nel primo Tomo; cosa possono pretendere di più?
L'ABATE LUIGI CUCCAGNI, ECC. 125

loro stessi faranno il confronto delle loro Tesi con le sue; e vedranno che con
tutte le finte dediche al Papa, con tutte le sorprese tentate presso i Giornali-
sti, con tutto lo Stratagemma dei libretti mandati ai Cardinali e con tanti
altri mezzi tenuti, non han potuto mai ottenere d’essere ne pur nominati nel
Giornale di Roma. Questo solo dovrebbe bastare per far l'Apologia dei Gior-
nalisti, e anche di Roma intorno al Molinismo, che i nemici pretendono di
affibbiarci con tutta la malafede: in specie a me che in veruna delle mie
Opere ho detto parola che favorisca il Molinismo e ho detto molto che lo
distrugge. Ma perchè quello che ho detto in tanti luoghi distruttivo del Moli-
nismo distrugge insieme i sistemi Anticattolici dei nostri moderni Nemici di
Roma, del Papa, e di tutta la Podestà Ecclesiastica, perciò anch'io debbo per
forza passare per Molinista.

Ella vedrà in questo ultimo Trattato del Matrimonio Cristiano, ecc.

quanto miglior Agostiniano son’io che Tamburini, e tanti altri che si vantano
tali, e che non lo sono affatto come ho fatto vedere specialmente nelle mie
Lettere Pacifiche e più ampiamente nelle mie prefazioni al Giornale. Gli
amici qui avrebbero piacere ch'Ella siccome ha trattato tante volte le Materie
della Grazia, e relative alla meds.a si ponesse a illustrare altri punti relativi
al Dogma, alla Storia Ecclesiastica, alle materie Liturgiche, ecc. anche senza
entrare in certi punti gelosi delle presenti Controversie. Finalmente il P.
Mro del S. Palazzo mi domandò come fosseinnanzila Confutazione del Curalt.
Io gli risposi che precisamente nol sapevo, ma che dalle notizie avute la
credevo a buon porto.
| Mi onori de' suoi comandi e mi creda Suo, ecc.
Anche qui si è fatto applauso all’ Elezzione (sic) del Sign.r Cambiagi in
Doge di cotesta Repubblica.

Roma, 5 maggio 1792.
. Mio fratello mi comunicó una di lei gentilis.a in cui Ella parlava della

scoperta fatta costi d'una Blampd contro di Lei, che supponeva proveniente :

dalla Città di Assisi. Ella non si è ingannata del tutto: perciocchè fatte da me
le più esatte ricerche, ho trovato che lo scritto è venuto da Genova, e che si è
stampato non in Assisi, ma in Foligno dal Tomassini Stampatore. Colà però
non ne fu rilasciata veruna Copia, ma tutte furono spedite alla volta di Li-
vorno e di Genova; e per questo motivo io non ho potuto avere il Libro. Non
dovrei ingannarmi credendo che cotesto Ex Brignole non potendo stampare
costi abbia mandato il ms. a questo Sign.r Ab. Zaccaria e che da lui sia stato
fatto stampare in Foligno per evitare il Tribunale del Mro del S. Palazzo, il
quale procura d'impedire, per quanto puó la pubblicazione di certi scritti
atti ad accendere la discordia. Questo è quanto sinora ho potuto scoprire. Se
di più scoprirò Ella sarà intesa.

Qui ha fatto gran chiasso un libro dell' Ab. Spedalieri dei Diritti dell’ uo-
mo in cui si mettea difendere ilpatto Sociale, e da essorichiama la sovranità.

lat = SE UE zi 2,
M. Arn te -
aai — uo im dii imo to 7 QS uio est Li

A
126 RE NELLA FERRINI

Io indirettamente l'ho combattuto nel Libretto del Supplemento al Giornale
del mese corrente, ma che feci uscire nella settimana di Pasqua. Non nominai
nè Autore, nè Libro, per un certo riguardo al Papa, da cui avea egli carpito
l'Imprimatur, ma portai cosi bene le di lui parole e così direttamente battei
il punto, che tutti han veduto subito chi fosse preso di mira. Ora poi è uscita
la Confutazione del Padre Tamagna conventuale, la quale in alcuni punti
è trionfante. Sono di cuore, ecc.

Y 19 dicembre 1792.

Il P. Fasce mi favorì puntualmente le nuove scrittele da lei, e la
copia del Manifesto. della Repubblica riguardante la'neutralità ; di che io
me lo professo molto tenuto, come delle altre della corrente settimana.
L'incaricato che viene a Roma è un certo Benville, che era in Parigi Agente
del Sign.r Cambiagj attual Doge di cotesta Repubblica.

Costui era costi in Genova e forse ancor vi sarà, se pure non è partito
per Civitavecchia, dove dovea venire con due Fregate. -Il Passaporto per
lui fu richiesto da un certo Sign.r Ab. Zannotti Agente.delio stesso Cam-
biagj, da cui gli viene raccomandato. Voglia Dio che questo serva per addol-
cire quella canaglia, la quale s1 è messa in testa di voler distruggere-tutte le
sovranità dell'Europa e la Religione Cristiana, per sostituire alla prima il
Governo popolare e alla seconda il filosofismo. La fede c'insegna che la Reli-
gione potrà essere perseguitata, afflitta, ecc., ma che dovrà sempre sussistere
insieme con ]a Chiesa. All'opposto le Monarchie andando di questo passo,
temo pur troppo che anderanno tutte a perire. I Sovrani specialmente Catto-
lici, non han voluto e non vogliono ancora bene intenderla. Anzi hanno i lor
gabinetti pieni di gente legata a fil doppio coi Giacobini di Francia: perché
tutti Frammasoni. E il Re di Sardegna e quello di Prussia lo han veduto o per
dir meglio lo hanno sperimentato; l'uno nel tradimento di Nizza, fatto non
dal governatore promosso a Cuneo, che allora non v'era, ma da un certo
Conte Pinto, che faceva le veci; e che perciò è in carcere e sotto processo in-
sieme con altri 7 o 8 traditori insieme di Nizza e della Savoia. Il Re stesso
scrisse al Papa dicendogli di essere stato tradito, ecc. La presa di Mons e
Tonnai è pur troppo vera; quella di Bruselles se non lo è lo sarà in brevé.

Tutte queste son conseguenze del tradimento di Brunswich, che secondo gli |

stessi Francesi, si è lasciato corrompere con 8 milioni di lire. A lui sono state
date le più belle gioie della Regina, e del Tesoro Reale, che si finse di deru-
bare, ecc. E il Re di Prussia in faccia del luogo si è lasciato aggirare vergo-
gnosamente. Che generazione di romani che abbiamo ! Ora si che la vita del
Re di Francia io la vedo quasi perduta affatto. Perchè i Francesi essendo vit-
toriosi al di fuori, non temono più la vendetta per la parte degli altri Sovrani.
Iddio sia quello che ci assista, perchè umanamente parlando le cose hanno
un aspetto da far paura.

Qui sebbene venga quell'Incaricato si seguita con calore l'armamento.
L'ABATE LUIGI CUCCAGNI, ECC. 127

Il Padre Fasce.mi suppose smarrita la copia di quel mio ultimo Opuscolo
«ch'egli le spedì per l'organo del Sign.r Lavaggi. Sicchè ne ho data un’altra
«copia. Desidero che non succeda lo stesso. Mi onori dei suoi comandi, e sono di
cuore suo, ecc.

è: 5 29 agosto 1795.

Le usce di Napoli provengono piü dal mal costume, dall'incre-
dulità sfacciatissima e da un numero infinito di logge Massoniche che sono in
| Napoli che in tutto il Regno. Le basti sapere che dentro la sola Capitale ve
E ne sono n. 23; e che in esse si fa pubblica professione e si giura di far tutto
E il possibile per estirpare e distruggere i tiranni. Non creda che sia una mia
ilusione, perché dove gli infiniti documenti autentici che ho sopra tal ar-
gomento, le racconteró un fatto recentis.o accaduto a questo Duca Altemps,
giovane che andó a Napoli con la sua sposa dama Napoletana, che si ammaló
i gravemente dopo pochi mesi di maritaggio, e dal marito ricondotta colà
P0 per farla curare da quei Medici. La malattia fu lunga e la Sign.ra infine mori

i — . fisica, come aveano predetto i Medici Romani. Il Duca perció si trattenne
L colà più mesi tanto più che volevano ingaggiarlo a fargli sposare la sorella
della defonta, previa la dispensa Pontificia, ma non era ciò di piacere del Duca,
benchè non ardisse di scoprire questo suo antigenio. È da sapersi esser Lui
un minchione di scoprire questo suo antigenio. Altri dunque cui premeva,
trovarono il modo di liberarlo da quella schiavitù, e farlo ritornare a Roma.
E Tornato qua raccontó scioccamente ad alcuni amici, che in Napoli si era la-
T. sciato condurre (sebbene con ripugnanza) alle Logge dei Frammasoni, che

tempi, finalmente vollero che facesse quello di fare tutto il possibile di di-
struggere tutti i Re, Principi, e Sovrani, come tanti Tiranni, oppressori degli
EX uomini loro uguali, ecc. ecc. ;
Gli amici del Duca o almeno taluno di essi, udito ció lo consigliarono a
presentarsi al Santo Officio, e fare la solita spontanea. Uno di quei che cosi
-lo consigliarono fu l’Emo Cardinal Borgia; e il Duca ubbidi, ma a quell'ora
È il fatto era notissimo. Se poi ne vuole Ella un fatto di questa settimana ec-
E: colo. Il corpo dei Paglietti (Curiali) che è in Napoli il più empio ceto che vi
—— sia, e quello appunto che riempie le Logge sud.e più di tutti gli altri Ceti,
- ha dato una Rappresentanza al Re, con'la quale chiedono che sia pubblicato
il Processo del De Medici, perchè sia veduto e considerato dal Popolo, che ha
diritto di vederlo, e di essere informato dei meriti o demeriti d'un suo Con-
cittadino; e che un tal diritto a più ragione compete al corpo dei Paglietti,
come al Corpo Legale del Regno. Che dice di tal linguaggio ? La rappresen-
tanza insomma è tutta del gusto Francese e. Giacobinico.
Ella poi non creda mai che i Francesi abbiano a chiedere l'espulsione
“di Acton, Capo dei Frammasoni di Napoli, e il Neker di quel Regno e che
“tutto fa per far nascere colà una Rivoluzione. Il popolo basso, e il Nobile,

. > E 4 — x "m
^. 7 "wopt ia fa nc »
iu — us. ante i ipeo te cni BL apto Fog abes TT e -

dopo varie ciurmerie e diversi giuramenti che l'obbligarono a fare in diversi .

axi
128 NELLA FERRINI

o Cittadino meno corrotto, e lontano dal Massonismo son quelli che l’odiano»
appunto perchè ne conoscono l'empietà, ma non così gli altri, ne così i Fran--

cesi dai quali ha dovuto mostrare di distaccarsi per timore degli Inglesi, e

della stessa grande Regina, che non può sentire il nome Francese, benché:

‘ poi sott'altro aspetto circonvenuta venga a favorire anch’essa più le mire dei
Francesi che quelle degli Inglesi. Acton è figlio di Padre Inglese; ma stabilito

in Toscana dovefaceva il Barbiere e dove gli nacque questo figlio che tanto si è-

ingrandito col favore appunto dei Frammasoni, ai quali si unì di buon ora in
Livorno, dove si trova la più antica Loggia di Italia e Loggia Madre che vuol

dire di quelle che sono al Gran Segreto. Seguitano dunque in Napoli le car--
cerazioni e il fermento cresce invece di diminuire. Quindi si crede che per

li 15 dell'entrante vi sarà il Concistoro, ma non puó essere che molto sterile.
I biglietti per i Vescovadi non sono usciti, eccetto quello per Città della

Pieve, che non era vacante, ma il Vesc.o lo ha rinunziato al giovine Monsi--

gnor Gazzoli per ritirarsi in qualche solitudine; è già vecchio di 76 anni su gli
77. Altro non abbiamo di nuovo. Voglia il cielo che si abbia la pace, e che
non si accenda la guerra in altre parti. Sono suo, ecc.

22 aprile 1797.

Se toccava a me a comandare, facevo subito prendere l’Ab. Riverola,.
e dalla Cattedra di Verità lo facevo trasportare alla Carcere, donec avesse
‘riparato pubblicamente allo scandalo. La S. Sede col suo decreto «ha spiegato
benissimo che intende il Cuor Simbolico. Pio Sesto anche più chiaramente lo
spiegò a Mons. Ricci ed io sono testimonio che così una volta lo disse a
me stesso, perciocchè parlandomi accidentalmente della divozione del Cuor
di Gesù mi disse — Già questa Sede non intende che del Cuore Simbolico —
così è, risposi anch’io. Le ho perciò detto più volte che io condanno l’eccesso
di quelli che vogliono erroneamente il Cuor Carneo, non meno che l’eccesso
degli altri che per opporsi a costoro, si appigliano alla condanna anche del
culto del Cuor Simbolico; e così la danno vinta ai primi, per non volersi con-
formare alla via di mezzo. Questo stesso sbaglio si commette rapporto al
Giansenismo. Nel mentre che gli stessi Capi del Partito si gloriano d’esser
tali, altri gridano non v'é Giansenismo, e dànno ansa poi ai veri Molinisti
di accusare di Giansenismo anche i buoni teologi Agostiniani. Dunque è sem-
pre vero che in medio tutissimus ibis. Io non ho inteso mai d'accusarla
d'aver adottato quel sentimento, che la confutazione della Bolla Auctorem:
Fidei sia veramente trionfante, ma ho inteso solamente di ribattere in genere
quel sentimento, il quale spiegato nel modo ch’Ella mi favorisce con l’ultima
sua, potrebbe dirsi al più trionfalmente spiegata la Bolla a favor del Sinodo,
ma non trionfalmente confutata. Io però tengo, per dogma, che la Chiesa
ha diritto di conoscere infallibilmente la propria dottrina appartenente al
Deposito, dovunque Ella sia o nei libri o nella voce e predicazion dei Pastori

1
. Son entrati ancor nella Marca e occupano tutti i nostri posti. Il General Colli

L'ABATE LUIGI CUCCAGNI, ecc. 129

e similmente che ha il diritto di conóscere infallibilmente l'errore che a tal
dottrina si oppone, dovunque egli sia.

Nel caso nostro i sensi delle proposizioni sono spiegati; ond’è che chiun-
que intende quelle proposizioni, diversamente dalla condanna, non caderà
sotto di essa, ma sarà sempre vero che nel Libro puó essa rendere quel senso
cattivo e che il libro merita condanna.

Ecco i miei sentimenti che sosterrei usque ad sanguinis S "elus LUReHE
con la grazia di Dio, già s'intende. Il noto Cammeriere del Papa è convinto

‘ d'aver copiato dal tavolino del Papa e mandato a Bonaparte un Biglietto del

Cardinal Albani, e similmente & convinto d'esser complice (almeno sciente)

. della congiura; ond'é stato condannato a carcere perpetua; fissato uno sti-

pendio alla moglie e figli per vivere. Sono stati carcerati alcuni altri.

Ieri sera ho inteso che sia qua giunto il Cavall. Azzara. Il Papa si crede :

che non vada piü alle Paludi. Queste sono le poche nuove che qui abbiamo.
Di guerra non parlo, perché già le ho detto che non m'interessa piü il par-

larne. Le dico solamente che 500 Francesi sopra diversi legni anche Spa-

gnoli, sono improvvisamente sbarcati a Sinigallia senz'armi: e dicono esser
fuggiti da Trieste ripreso dagli Ungari. Sono al solito suo, ecc.

18 febbraio 1797.

È verissimo che il Papa ha spedito quattro Deputati al General Bona-
parte: cioè il Card. Mattei, Monsignor Caleppi, il Duca Braschi, e il Marchese
Massimi; ma sinora nonsi sa dove possano trovarlo, essendo partito improvvi-
samente da Ancona alla nuova dell’arrivo dell’ Arciduca Carlo. Prego Dio che
si faccia il Trattato, e la pace: e purchè non ne soffra la Religione, io non
mi affliggerò punto della perdita del Temporale, al quale non sono attaccato.
Quello che si può salvare, non biasimo che proccurino di salvarlo, ma quando
non si possa far altrimenti, senzà maggiori rovine, il mio voto è che si sacri-
fichi tutto il Temporale per salvare il Decoro della Chiesa, e l’integrità della
Religione: su di cui non si può venir a composizione. Questo è stato il mio
voto; e su questo sentimento io mi conserverò. Intorno alla famosa spedizione

di Brest per l' Irlanda si hanno anche qui a un di presso le stesse notizie sola-.

mente le posso aggiugnere, e se fosse succeduto lo sbarco, siccome il Partito
Francese è minore di quello che i partitanti han dato ad intendere in Fran-
cia così le truppe sarebbero state presto distrutte. Il partito Cattolico che
forma la massima parte del Regno ascende a 3 millioni, è tutto per il Re e

‘ per il Governo: e già un numero grandissimo di Cattolici era sull'Armi e
‘uniti alle truppe del Re. Quindi è che il partito dei Presbiteriani uniti ai

Francesi non è paragonabile a quello dei Cattolici uniti al Governo. Onde in
questo stato di cose io credo che la Tempesta abbia giovato più ai Francesi
che agli Inglesi. Le cose nostre sono in rovina, come diceva: giacchè i Francesi

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ha fatto in tempo a fortificar le montagne per le quali si viene dall'Umbria,
onde fermare i progressi dei Francesi. La truppa nostra è piena di coraggio,
“ma gli Uffiziali per la maggior parte son cattivi, perché il Papa non volle
ammettere che Nobili: nei quali si sono scoperte, oltre la mollezza, e vigliac-
cheria, anche della perfidia, ecc. ecc., molti tradimenti, ecc. Dunque il Ge-
neral Colli avendone avuta la plenipotenza, ne ha rimandato alle case loro
una buona ventina, ed ha sostituito dei bravi soldati. In tutte le città i No-
bili, i Curiali (preti e frati non pochi) abbracciano i Francesi assai volentieri
e ingrossano il lor partito; e gli ebrei fanno lo stesso. Per lo contrario il po-
polo è tutto per il Papa; ed è cosa mirabile, perchè il più maltrattato da lui.
Ma la Religione più pura nel popolo, lo tien fedele al Sovrano. Si sa che il
Re di Napoli non può vedere l’avvicinamento dei Francesi ai suoi confini,
contro gli articoli segreti della pace, e che ne ha fatto istanze al Gle Bo-
naparte, ma questi rispose in Ancona al Principe di Belmonte — Il Re di
Napoli non ha meno da temere del Papa —. Le truppe napoletane son tornate
all'antiche posizioni; ma non so se altro accadrà. Molte cose si dicono ma io
mi ferno sulle cose certe, che sono le indicate.

Intorno a Mantova, la quale si è detto tanto costì (come vedo dalla sua)
che più essersi arrese il dì 2 corrente, ora pochi credono tal caduta, perchè si
sa di certo che neppur a tutto il 4 era caduta anzi persona m’assicura esservi
qui un Mantovano che ha lettere dei 7 dalla Moglie che è dentro Mantova;
e a quell’epoca era tuttavia in mano degli Austriaci. Questa seconda l’ho
letta sulla fede altrui, ma sino alli 4 anch’io ho lettere di Verona, Ferrara, e
Treviso, le quali parlano delle sortite del Wumser da Mantova, di 120 bovi
presi ai Francesi, e condotti da un Mercante Ferrarese a danno del quale han
poi mandata la perdita, e di altri fatti i quali tutti provano che in Mantova
vi erano sin alli 4 gli Austriaci. Dunque è certo che la sera del 2 non si è arresa;
e perciò è lecito sospenderne la credenza. Comunque sia io mi son messo in
mano della Provvidenza, umiliato sotto la mano onnipotente che ci percuote
per nostro bene: Ella mi raccomandi a Dio e mi creda suo, ecc.

10 febbraio 1798.

La lettera del P. Bottazzi a quest'ora l'avrà ricevuta, ed egli me la man-
dó in regalo. Dunque Ella non pensi a pagamenti che già sarebbe ridicolo.
Ella già saprà la perdita che abbiamo fatta sollecitamente dell'ottimo P.
Fasce, ucciso dai Medici sanguinarj. Non può credere quanto mi sia dispia-
ciuta, e quanto sia dispiaciuta a tutti quelli che lo conoscevano per le otti-
me di lui qualità. Iddio lo ha chiamato a se per non fargli piü oltre vedere
le nostre miserie. I Francesi sono accampati a Monte Mario e dila da Ponte-
molle e questa sera sull'ora 23 circa, 500 di loro sono entrati nel Castel San-
t'Angelo, che è stato lor consegnato. Cosa sarà nol so. Il Papa hafatto pubbli-
care un editto col quale assicura tutta la città che i Francesi non commette-
L'ABATE LUIGI CUCCAGNI, ECC. 131

ranno veruna ostilità. Questo ha calmato gli animi, come gli ha un poco cal-

mati un manifesto che il Generale Berthier ha fatto stampare nella Stam-
peria Cammerale e fatto affiggere per tutta Roma, col quale dichiara apocrifi
i due Manifesti usciti prima sotto il di lui nome colla data di Ancona, i
quali erano fieri, e di più minaccia la fucilatura a chiunque ne fingesse (sic)
degli altri. Alcuni pretendono che il rimanente dell’Armata non entrerà in
Roma, ma io nol so. Dicono però che loro saranno consegnate tutte le porte,
e in tal caso saremo affamati, perchè nulla verrà dal di fuori. Intanto la
truppa Pontificia di Linea si dice tutta dimessa e rimane la sola Civica per
custodia dell'interno della cara Città e ciò par che provi chela Truppa Fran-
cese non debba entrare nell’interno di essa. Io mi sono abbandonato nelle
mani di Dio e faccia pure di me ciò che gli piace. Fiat voluntas tua. Preten-
desi che in vigore d'un articolo segreto di Campo Formido, alias di Udine,
il Governo di Roma non debba esser più Monarchico ma misto, e a un di
presso simile a quel d'Inghilterra. Se finisse qui potremmo ringraziarne Dio:
giacchè finirebbe il Nipotismo dei Papi, flagello terribile di questo stato. Due
fumate ne ho in alcune mie lettere di Germania e un’altra in una lettera di
Firenze. Onde staremo a vedere; questo è per ora il nostro stato. Mi racco-
mandi a Dio e mi creda suo, ecc.

P. 5. Io non ho avuta più febbre ma non. ho ripreso tutto il vigore stante

LI

la Stagione che non è ancora favorevole.

.17 febbraio 1798.

Noi siamo Democratizzati fin da giovedi 15 corrente, giorno anni-
versario dell'esaltazione di Pio VI. Molto popolo (non moltissis.o) si radunò

. in Campo vaccino, e assistito dall'Armata Francese proclamò la repristina-
‘zione dell'antica Rep. Romana. Di là sali al Campidoglio e piantò l'Albore

della Libertà, Nel tempo stesso il General Cerboni andó dal Papa per inti-
margli la sua decadenza dal dominio temporale che prese con una stretta di
spalle. Ieri notte poi gli fu fatta con truppa, Officiali, ecc. una visita, ossia
perquisizione domiciliare, biffate carte e tutto. Indi fu biffato l'Archivio Va-
ticano, Libreria, Museo, ecc., e il Papa ristretto in due camere. Alcuni poi
del popolo strascinavano per il Corso le di lui armi. Secondo un proclama, e
un discorso di Bertier nel Campidoglio, la Nuova Rep. avrà quei confini di
Stati che avea in seguito della pace di Campo Formido. Ora noi abbiamo Con-

soli, Pretori, Edili, ecc. ecc., non Municipalità. Le Truppe Francesi occupano

il Castello, e tutte le alture della città con cannoni, ecc. Seguitano peró a
tenere anche il Monte Mario; e dilà Bertierintimó moltiarticolia Roma, uno

dei quali porta altri sei millioni di scudi di contribuzione in tante rate, ma.
dugentomila in 24 ore per quietare la truppa alla quale aveva promesso il
‘sacco della Città, che poi fu risparmiato perchè gli fu consegnata senza la
minima resistenza. In seguito degli altri articoli, prevedo che saremo spogliati

PL RITI m put E.
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ETERO Ion

FRS, PIAN AIN RI
132 NELLA FERRINI

| del più bello che ci era rimasto, Molti Ostaggi si erano presi prima di far ciò,.
cioè 4 Cardinali, 4 Prelati, 4 Principi e 4 Banchieri e Mercanti dei più ricchi
chiusi in Monte Cavallo nel Palazzo, Molti Proclami sono stati emanati, coi
quali si eseguisce in sostanza tutto ciò; che si è veduto eseguire altrove. I
Francesi, poi hanno intimato al Re di Napoli, che paghi al popolo Romano la
Chinea, e in pena di non averla pagata per molti anni, mandi 400 mila tomoli
di grano che sono 200 mila rubbie; ch'essi poi prenderanno in conto dei 6:
millioni impostici. Per mantenimento poi della. loro Armata vogliono altro
grano, 6 mila bovi, e 8 millioni di Ducati. Chiedono che Acton sia dimesso che
la Regina non entri in consiglio, e che sia mandato via il Ministro inglese,
tempo quindici giorni per la risposta, e una sola condizione mancasse s'in-
tenda dichiarata la guerra. Ecco il nostro stato. Anche da Venezia mi scri--
vono la nuova di Corfü e dell'altre Isole. che vogliono l'Imper. e non i Fran-
cesi. Sono in fretta suo, ecc. Mi scriva — al Cittadino, ecc. —.

23 giugno 1798.

Ecco svelato, almeno in parte, l'arcano della grande spedizion Francese
del Mediterraneo. Malta già è stata presa dal Gle Bonaparte senza sparare
un fucile: i castelli sono in suo potere, come in suo potere è il gran tesoro di
S. Giovanni Battista e tutta l'isola. Il fatto si scrive in due maniere diverse.
Una dice che comparsa la Flotta con tutto il numeroso convoglio in faccia a
Malta, il Gle Bonaparte mandó a intimarne la resa in 6 ore di tempo: che il
Gran Mro adunó il Consiglio, e che in esso prevalse come piü numeroso il.
partito dei Spagnuoli, che opinarono per la resa; e cosi fu fatto. L'altra le-
zione porta che il Bonaparte chiese dei rinfreschi, e gli fu permesso di fare
entrare in porto due soli bastimenti secondo le leggi di guerra; ma essi di
notte col favore dell'intelligenze di dentro, e massima di Cavalieri Spagnuoli,
sbarcarono della gente e inchiodarono nel Lido diversi cannoni. Nel tempo:
stesso si accostò il Convoglio e sbarcò altra truppa la quale allorchè fu in nu-.
mero da farsi temere alzò bandiera tricolore, sparò il cannone, e proclamò.
la libertà, ecc. Qual delle due lezioni sia la più vera, lo sapremo in seguito..
Dicono poi che il Bonaparte vi lasciò 10 mila uomini, e che abbia proseguito
la sua rotta contro Palermo (dice una lettera) o contro l'Egitto come dice
un’altra. I Commissarj Francesi non han dato fuori che la notizia della sola
conquista; nel rimanente le notizie son di lettere particolari. Poche ore dopo
che giunta era in Napoli la Speronata Maltese con quella notizia, arrivò in
quella rada la flotta inglese, forte di 13 navi di linea, diverse Fregate e altri
legni minori. Il solo Ammiraglio smontò a terra e si portò direttamente dal
Re per consegnargli un plico che avea ordine di dargli in persona, e dopo una
. non molto-lunga conferenza, tornò a bordo del suo Vascello e fece vela non si
sa per dove, ma si crede al Levante in traccia della Flotta Francese che ha
lo stesso numero di navi ma che sarà facilmente rinforzata della Marina Mal-
L'ABATE LUIGI CUCCAGNI, ECC. 133

| "tese, di cui il Bonaparte si sarà reso padrone. Queste sono le nuove che qui
-abbiamo. Le cose nostre son tutte quiete, e mi consolo che le differenze nate

fra cotesta Rep. e il Re Sardo, vadano ad accomodarsi amichevolmente. In.

"Civitavecchia si seguitano i preparativi pel nuovo imbarco. Mi ami e mi creda
suo, ecc. ; :
Verso sera è stata affissa la lettera del Generale Bertier scritta da Malta
al Presidente del Consolato. Dice che presentatasi la flotta e Convoglio Fran-
cese dinanzi a Malta chiese di entrare per bisogno d’acqua; il Gran Mro ri-
spose che avrebbe ammesso due navi per volta. Fu preso ciò per un atto di
ostilità e nel momento fu dichiarata la guerra e cominciati gli attacchi in
varj punti dell'Isola. Si combattè per alcune ore, e la Division di Civitavec-
chia fu la prima a porre piede nell’Isola. Quindi anche l’altre; e in breve i
Fr. furono padroni di tutto. Dice dunque d'avervi trovati. 1500 pezzi d'ar-
‘tiglieria, un milione di polvere, 15 mila fucili, 2 Vascelli nuovi,e alcun altri
legni minori, ma tutti disarmati, e 500 schiavi turchi, che han subito libe-
rato. Pochi giorni sono stati accordati al Gran Mro e ai gran Croci per par-
tire, ecc. Pare che tutta l'armata, flotta, ecc. rimanga per ora colà.

FOSSILE? MIO INI RIE,
Vas

NOTA BIBLIOGRAFICA

— OPERE DI LUIGI CUCCAGNI

I. — Vita di S. Pietro! Principe degli Apostoli.cavata dalla Sacra Scrittura, e

,llustrata colle Considerazioni de’ S. Padri. Dedicata alla Santità di No-

stro Signore Papa Pio VI. Parte prima. Roma, Zempel, 1777.
Parte seconda, in cui si premette un'Osservazione, sopra
un’Antica Medaglia di S. Pietro, e lo scioglimento d’alcuni dubbj Contro
la Prima Parte. Roma, Zempel, 1781.
Parte terza, in fine della quale è un’Appendice, in cui si esa-
mina qual sia l'anno preciso della morte di S. Pietro, e.se insieme con
lui sia stato martirizzato ancora S. Paolo. Roma, Zempel, 1781.

IL — Dell'Apostolato e de’ suoi diversi gradi. Due opuscoli ad'alcuni Teologi

della Sorbona. In risposta alle obbiezioni fattegli nella Vita di S. Pietro
con un Opuscolo Francese dei Medesimi. Roma, Zempel, 1782.

III. — Lettera ai Signori estensori del foglio periodico di Firenze, che ha per

IV.

V.

titolo « Continuazione degli Annali Ecclesiastici », Roma, Zempel, 1783.
— Lettere cinque amichevoli d'un Teologo al Sig. AD. Vincenzo Besozzi Mi-
. lanese, Autore dell' Anonimo Libro stampato in. Firenze colla.data di Am-
sterdam 1783. Il quale ha per titolo Diritti dei Sovrani e dei Vescovi Catto-
lici, per opporsi alle Massime Giurisdizionali della Corte di Roma: E nella
Prima Edizione di Pavia 1782: Riflessioni sopra l'autorità de’ Vescovi e de
Principi nella Chiesa di-V. B. Pesaro, s. n., 1783.

Vita di S. Pietro Principe degli Apostoli, ecc. Venezia, Occhi, 1783.
Vol. 3. Tomo quarto, che contiene due Opuscoli diretti ad alcuni Teologi
della Sorbona, sopra l’Apostolato e i suoi diversi gradi, in risposta alle
obiezioni fattegli nella Vita di S. Pietro, «con un Opuscolo Francese dei
suddetti Teologi. Venezia, Occhi, 1783.

VI. — De Mutuis Ecclesiae et Imperii Officiis erga Religionem et publicam tran-

quillitatem. Tractatus. Ubi expenduntur, et refutantur principia, quibus ni-,

titur Opus de Tolerantia Ecclesiastica et Civili Ticini editum anno 1783.
Roma, Zempel, s. a. [1785].

VIL — Laminii Theologi Argivi [Luigi Cuccagni] ad Thaddaeum S. R. Imperii

Comitem de Trautmansdorf. Contra librum De Tolerantia Ecclesiastica:

et Civili. Epistolae tres. Perusiae, s. n. et s. d. [1785].

: VIII. — Lettere Pacifiche al Sig. Ab. D. Pietro Tamburini Lettor di Morale

nella R. I. Università di Pavia, nelle quali si risponde alle riflessioni sopra
il trattato De Mutuis Ecclesiae et Imperii Officiis, ecc. E si rischiarono
alcuni punti che riguardono l' Ecclesiastica Giurisdizione. Roma, Zempel,.
1786.
L'ABATE LUIGI CUCCAGNI, ECC. 135

IX. — Ragionamento sulla Potestà del Rom. Pontefice, e sulla ubbidienza che gli
debbono tutti i Cristiani secondo i principj della Chiesa Gallicana. Che ha
servito di prefazione al Tomo terzo del « Giornale Ecclesiastico di Roma ».
Roma, Zempel, 1787.

^X. - Dell'Autorità e Giurisdizione della Chiesa e del Romano Pontefice sull’ere-
zione e distribuzione dei Vescovadi e delle Parrocchie, sull'elezione e con-
sacrazione dei Vescovi; e sulla disciplina della Chiesa. Roma, Neri eVescovi,
1788.

XI. — Ragionamento in cui si dimostra che i Moderni Appellanti secondo le
loro dottrine e loro condotta non sono cattolici. Ha servito di Prefazione
al quarto Tomo del « Giornale Ecclesiastico di Roma » Roma, Zempel,
1788.

XII. — Del Matrimonio Cristiano, e della Divina immediata Potestà della
Chiesa d'apporre ad esso gli impedimenti che diconsi dirimenti. Breve trat-
tato. Roma, Zempel, 1791.

XIII. — Breve Dissertazione, nella quale si prende a provare che la Setta re-
gnante dei Liberi Muratori é una diramazione, una propaggine, un ramo
della Setta dei Manichei. Roma, Zempel, 1791.

XIV. — Dei Vizi e Deliri del Secolo corrente del quale si dimostra essere insieme
il gastigo e la punizione. Ragionamento che ha servito di Prefazione al
VI Tomo del « Giornale Ecclesiastico » per l'an. 1791. Roma, Zempel, 1791.

XV. — Sentimento Teologico, sull Analisi delle Prescrizioni di Tertugliano del-

l’Abate Pietro Tamburini. Già nel 1784 pubblicato in Bologna senza nome -

" d'Autore col titolo Risposta di un Teologo ad un amico ecc. ove si dà la ve-

. ra Analisi di quel Libro di Tertugliano, si confronta colle dottrine degli altri
Padri e si confutano gli errori di quel preteso Analizzatore. Edizione Seconda
accresciuta di un copioso Indice delle Materie e delle Cose Notabili. Roma,
Zempel, 1792.

XVI. — Esame del Libro Pintogiao uscito l’anno santo in Lisbona col titolo:
Analisi della Professione di Fede di Pio IV per Antonio Pereira. Roma,
Zempel, 1792.

XVII. — Della Libertà delle Chiese particolari, de’ Vescovi de’ primi otto secoli
dell’ Era Cristiana, e del loro rispetto ed ubbidienza alla Chiesa Romana,
loro Madre e Maestra. Breve trattato in risposta agli Apologisti dell’ As-
semblea Nazionale di Francia. Roma, Zempel, 1792.

XVIII. — Dello Studio della Religione e sua necessità e dei vantaggi ch’esso
ha e ci fa godere sopra lo studio di tutte le Scienze Naturali. Ragionamento
che ha servito di Prefazione al VII Tomo del « Giornale Ecclesiastico »
per l’anno 1792. Roma, Zempel, 1792.

XIX.- Della Lettura dei Libri. Ragionamento che ha servito di piéfaztone al
Tomo VIII del « Giornale Ecclesiastico » per l'anno 1793. Roma, Zempel,
1793.

XX. — Il Giansenismo senza difesa: e mal difeso dall' Abate D. Pietro Tamburini
nelle sue Lettere Teologico-Politiche sulla situazione delle cose ecclesia-
stiche. Roma, Zempel, 1794.

XXI. — La Repubblica degli Atei. Progetto empio ed impossibile. Ragiona-

: mento che ha servito di Prefazione al Tomo X del « Giornale Ecclesia-

stico di Roma » per l'anno:1795. Roma, Zempel, 1795.

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a
136 NELLA FERRINI

XXII. — Elogio storico dell’ Abate Francescantonio Zaccaria. Giàindividuo della
|. soppressa Compagnia di Gesù. Roma, Zempel, 1796.

XXIII. — Dei Pregiudizi Legittimi contro i nemici della Chiesa Romana. Ragio-

namento che ha servito di Prefazione al Tomo XII del « Giornale Eccle-

siastico » per l'anno 1797. Roma, Zempel, s. d. [1797].

2. - OPERE ATTINENTI AL CUCCAGNI

I. — CERNITORI GIUSEPPE, Biblioteca polemica degli Scrittori che dal 1770 sino
al 1793 hanno o difesi, o impugnati i Dogmi della Cattolica Romana Chiesa.
Roma, Salomoni, 1793.

II. — M. O’ R. (MicHeLE O' RrionpAN), The Abate Luigi Cuccagni (Rector of
the Irish College, Rome, 1772-1798). Sta in: The Seven Hills Magazine,
Dublin, June 1908, vol. III, n. I.

III. — JEMoLo ARTURO CARLO, L'Abate Luigi Cuccagni e due polemiche eccle-
siastiche nel primo decennio del Pontificato di Pio VI. Estratto da « Atti
della Reale Accademia delle Scienze di Torino ». Torino, Bocca, 1932.

IV. — GAMBA Giacomo, Un polemista cattolico del sec. X VIII: L'Abate Luigi
Cuccagni di Città di Castello. Stain: « L' Alta Valle del Tevere », Rassegna
bimestrale illustrata, anno V, 1937, n. 2. È la traduzione dell'articolo già
citato di Michele O' Riordan.

V. -- Savio PiETRO, Devozione di Mgr. Adeodato Turchi alla Santa Sede. Testo
e 677 documenti sul Giansenismo italiano ed estero. Roma, Libreria Edi-
trice «L'Italia Francescana », 1938.

VI. — CopiGNoLA ERNESTO, Carteggi di Giansenisti Liguri. Firenze, Le Mon-
nier, 1941, voll. 3.

IET. c [O* ar CARLO], Lettera scritta dal signor Abate Don Carlo O'
Conor all'EEminentissimo Signor Cardinale Gregorio Salviati Protettore
del Collegio Irlandese di Roma. Intorno a Don Luigi Cuccagni Rettore
dello stesso Collegio, e Capo, come egli si dice, de’ Giornalisti di Foa —
s.l.n. a [1789]. In-4 di pp. 16.

3. - OPERE DI STORIA TIFERNATE

I. — [Muzr. GrovANNI], Memorie Ecclesiastiche e Civili di Città di Castello.
Raccolte da M. G. M. A. V. di C. di C. Con Dissertazione Preliminare sul-
l'Antichità ed antiche denominazioni di detta città. Città di Castello, presso
Francesco Donati, 1842-1844, voll. 7.

II. — CorBuccI VITTORIO, Un letterato e politico umbro del sec. XVIII: Felice
Mariottini. Firenze, Tipografia Editrice della « Gazzetta d'Italia », 1880.

III. — Amicizia GrivsEPPE, Città di Castello sulla fine del secolo XVIII o il
« Viva Maria ». Cronistoria delle rivoluzioni, ecc. Città di Castello, Lapi,
1899.

IV. — BronpI Urnrco, L'Accademia Scientifica e Letteraria dei Liberi in Città di

Castello. Con notizie statistiche del pror Domenico Mancini. Città di Ca-

stello, Dant 1900.
1
4
3
5.
B.
i
E
H

59 DI : "i n "Fara
L'ABATE LUIGI CUCCAGNI, ECC. 137

V, — TomMmasini-MatTIUCCI PreTRO, Fatti e figure di storia letteraria di Città di
Castello. Perugia, Unione Tipografica Cooperativa, 1901.

VI. — GASPERONI GAETANO, Movimento culturale umbro nel secolo X V III. Pe-
rugia, Donnini, 1940.

4. - OPERE DI CARATTERE GENERALE

I. — Tosini (Abate), Storia e sentimento sopra il giansenismo. Venezia, Radici,
1767, voll. 3.

II. — PorrER A. G., Vita di Scipione de’ Ricci, Firenze, Mortini e C. Editori,
1865, voll. 3.

III. — Rota ETTORE, Il Giansenismo in Lombardia e i prodromi del Risorgi-
mento italiano. Raccolta di studi storici in onore di Giacinto Romano.
Pavia, Fusi, 1905.

IV. — Rota ETTORE, L'Austria in Lombardia e il movimento democratico ci- :

salpino. Milano, Albrighi e Segati, 1911.

V. — Rora ErronE, Pietro Tamburini di Brescia Teologo piacentino e la con-
troversia giansenista a Piacenza. Estratto dal bollettino della Società Pa-
vese di Storia Patria. Anno XII, fasc. III-IV, Pavia, 1912.

VI. — RopoLico Niccorò, Stato e Chiesa in Toscana al tempo di Scipione De
Ricci. Firenze, Le Monnier, 1914. !

VII. — FaBBRI ENNIO, / giansenisti nella conversione della famiglia Manzoni.
Faenza, Libreria Salesiana, 1914.

VIII. — BANDINI CARLO, Romae la nobiltà romana nel tramonto del secolo XVIII.

Aspetti e figure. Città di Castello, Lapi, 1914.
IX. — NATALI GiULIO, Idee, costumi, uomini del Settecento. Torino, S.T.E.N.,

un: 1:076: SS

X. — Sorica ReNATO, 4l settecento massonizzante. Estratto dal « Bollet-
tinodella Società Pavese di Storia Patria », anno XIX, fasc. IV. Pavia,
1919.

XI. — Roporico Niccorò, Gli amici e i tempi di Scipione De’ Ricci. Firenze,
Le Monnier, 1920.

XII. — RorA ErtoRE, Giuseppe Poggi e la formazione psicologica del patriota
moderno. Piacenza, 1923.

XIII. - Rota ErronE, Alessandro Manzoni e il Giansenismo. Estratto dalla

«Nuova Rivista Storica », anno X, fasc. II-VI. Anno XI, fasc. I-IV, Mi-

lano, Albrighi e Segati, 1927.
XIV. — JEMoLo AnTURO CARLO, Il giansenismo prima della Rivoluzione. Bari,
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XV. — RiGATTI MARIA, A. Pilati: un illuminista trentino del sec. XVIII. Fi-

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XVI. — AncELI DirGo, Storia Romana di trent'anni (1770-1800). Milano,
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XVII. — CassrnER E., La filosofia dell'illuminismo. Versione italiana. dd
La Nuova Tania: 1932.
© XVIII. — TAccHI VENTURI PIETRO, Storia delle Religioni. Torino, U.T.E.T.,
1939, voll. 2 finora usciti.

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XIX. — OnANo PaoLo, Saggi di storia del giornalismo. Perugia, Donnini, anno
— XVIII (1940). i

XX. — BARBAGALLO CorrAaDo, Storia universale. Evo moderno. Torino,
UTECT:; 1941:

XXI. — SALVATORELLI Lurar, Il pensiero politico italiano dal 1700 al 1870, To-

"rino, Einaudi, 1941. (Seconda edizione).

XXII. — CrAaRDO MANLIO, Illuminismo e rivoluzione francese. Bari, Laterza,
1942.

XXIII. — NATALI GrULIO, Il settecento. Milano, Vallardi, s. d., (voll. 2).

XXIV. — Rota ETTORE, Le origini del risorgimento. Milano, Vallardi, 1938,
voll. 2. i :

o. — ENCICLOPEDIE E REPERTORI

I. - MoronI GAETANO, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica da S. Pietro
fino ai nostri giorni. Venezia, Tipografia Emiliana, 1840-1861, voll. 103
più 6 degli indici.

II. — [PrANTON PIETRO], Enciclopedia ecclesiastica, compilata da una società
di ecclesiastici sulle opere dei principali teologi, canonisti, storici, ecc. e
diretta dall’Illustriss. e Reverendiss. Monsignore Fr. Pietro Dott. Pianton
Abate di S. Maria della Misericordia, ecc. Venezia, Tasso, 1854-64.

III. — [Boccanpo GEROLAMO], Nuova Enciclopedia italiana, ovvero Diziona-
rio Generale di Scienze, Lettere, Industrie, ecc. accuratamente riveduta

‘in ogni sua parte secondo i più moderni perfezionamenti pel professore Ge-
rolamo Boccardo. Torino, Unione Tipografico-Editrice Torinese, 1877-
1888.

IV. — Lessico ecclesiastico illustrato. Opera redatta da professori, Dottori e
Sacerdoti (Direttore can. Ernesto Pantalini). Milano, Vallardi, s. d. (1900-
1901).

V. - HunrER Uco, Nomenclator literarius recentioris Theologiae catholicae.
Ocniponte, Libraria Academica Wagneriana, 1913, vol. V, n. 255, pagine
526 e segg. i

VI. — Enciclopedia Italiana di Scienze Lettere ed Arti. Roma, Istituto Giovanni
Treccani, 1929-1938. 1

VII. — Dizionario del Risorgimento Nazionale. Dalle origini a Roma Capitale.
Fatti e persone. Milano, Francesco Vallardi, 1931-37.

6. - PUBBLICAZIONI PERIODICHE

I. — Annali Ecclesiastici. Firenze. Si dispensa da Anton-Giuseppe Pagani
Gazzettiere in Firenze. 1780-1793. Tomi XIII. (I trentun numeri del 1780
e i cinquantadue del 1781 costituiscono un tomo unico, con unico fronte-
spizio che reca la data MDCCLXXXI).

II. — Giornale Ecclesiastico di Roma. Anno primo, 1785. Anno decimoterzo 1798.
Roma, Stamperia di Giovanni Zempel,.1786-1796. Stamperia di Vincenzo

Poggioli, 1797-1798. Tomi 13.
L'ABATE LUIGI CUCCAGNI, ECC. 139

III. — Supplemento al Giornale Ecclesiastico di Roma. Anno I (1789) — anno X

(1798). Roma, Zempel, 1789-98. (L'ultima annata è rimasta al quinterno
V del settembre-ottobre 1798).

IV. — Monitore di Roma. Roma, presso il Cittadino Vincenzo Poggioli, a

S. Lucia della Tinta.

Volume primo : dal n. I (21 febbraio 1798) al n. LXII (19 set-
tembre 1798). Pagg. 578.

Volume secondo: dal n. I (24 settembre 1798) al n. LIV (29
ventoso, anno VII Repubblicano e II della Rep. Romana), pag. 460.

Volume terzo:daln. I (3 germinale, anno VII Repubblicano
e II della Rep. Romana) al n. XXVI (30 fruttifero, anno VII).

Col n. XII del 9 brumale, il titolo di questo periodico si trasforma nel
seguente: Il Monitore di Roma Foglio Nazionale.

L'esemplare di cui abbiamo potuto disporre, non va oltre il quarto
trimestre dell'anno VII Repubblicano.

.V. — The Seven Hills Magazine, Edited By 'The Oliver Plunket Society. Rome.

Dublin, James Duffy et C., Limited. June, 1908, vol. III, n. I.

"VI. — L’Alta Valle del Tevere. Rassegna bimestrale illustrata. Città di Castello-

Sansepolcro. Anno I (1933) — anno VII (1940).

mA TRS) RISO PROPRI RAPIRE OO
NOTE E DOCUMENTI

GLI STATUTI DEL COMUNE DI FOLIGNO

A) STATUTI COMUNALI

. Prima redazione. — Secondo il Jacobilli la prima redazione risa-
lirebbe al 1311 (0 1314) e comprenderebbe il I libro. Nel 1328 sarebbe
stato compilato un II libro, al quale sarebbe seguito un III libro nel
1444. Lo stesso storico, in un altro luogo delle sue opere, dice che nel
1349 fu fatta la seconda parte degli Statuti. .

L'Archivio Comunale, di questa prima redazione, conserva un
grosso codice pergamenaceo rilegato con assicelle rivestite di cuoio e
ornate di borchie di metallo e fermaglio. Molte carte sono cadute e
sono state sostituite da fogli cartacei bianchi. È frammentario, ma le
parti mancanti possono essere integrate con la copia che di esso fece il
Jacobilli e che si conserva nella Biblioteca del Seminario.

Seconda redazione. — È quella che il Jacobilli dice seconda parte
degli Statuti, e fu fatta nel 1349. Si conserva integra in un codice del-
l'Archivio Comunale, cartaceo, rilegato in pergamena di carte nume-
rate 240. È in sette libri. La prima data in esso contenuta è del 1350:
«Hoc statutum compilatum fuit per me Angelum notarium ante

(1) Il compianto Autore ha fatto pervenire alla Deputazione, con sua
lettera in data 25 Aprile 1939, questo « appunto schematico » relativo agli
statuti da lui ritrovati nell'Archivio Comunale di Foligno. Sembra opportuno
pubblicarlo nella sua rapida stesura, dopo chè il valoroso studioso e caro no-
stro collaboratore ha trovato le morte nel bombardamento aereo del 22 no-
vembre 1943. Egli si proponeva di preparare per la Deputazione, la quale
aveva in animo di iniziare una serie di « Statuti della Regione Umbra », due
volumi, dedicati rispettivamente agli Sfatuti del Comune di Foligno e agli Sta-
tuti delle Arti di Foligno. Non è venuta meno la speranza di ritrovare fra le
carte recuperate le redazioni abbastanza mature di queste due opere, e neppure
é venuta meno la speranza che la Deputazione, superata la crisi attuale, possa
iniziare la progettata serie degli Statuti.

Per Don Angelo Messini vedi in questo medesimo volume del Bollettino,
pp. 234-238. dd
ERA e NI

ESUVNZSVITONN UA GrPNIGGUU AIT

NOTE E DOCUMENTI 141

dictum sub anno Domini a nativitate eiusdem Domini 1350 indictione

: III, tempore domini Clementis papae VI die VI mensis augusti ».
- L'ultima data è del 1443: « Explicite et finite fuerunt constitutiones
prefate per me ie Bartolomeum. . . defulgineo sub anno Domini 1443 etc».

Terza redazione. — È del secolo xvi (circa 1550). Sono du. libri,

di cui il primo fu stampato tra il 1563 e il 1568. Di essa si hanno pa-

recchie copie manoscritte integre nell'Archivio Comunale.

STATUTO DEL DANNO DATO

Prima redazione. — Il Jacobilli asserisce che fu Comintiath nel
1419 e fiuita nel 1443. Si conserva nell'Archivio Comunale in un codice

| pergamenaceo di carte 21. Sono 50 rubriche.

Seconda redazione. — E, del 1647, in volgare. Si conserva nell'Ar-

.chivio Comunale in un codice cartaceo. Comprende 124 rubriche, e

molte « reformationes ». Se ne hanno anche altre copie piü recenti.

B) STATUTI DELLE ARTI

1. — Dei Tavernieri ed Albergatori del 1353, rinnovati nel 1426.
Inedito (Archivio Comunale, n. 14. Codice pergamenaceo rilegato in
pergamena, di carte 101; 1-75 membranaceo, da 76 a 101 cartaceo;
da c. 1 a 26 contiene lo Statuto che è in volgare e reca la data del
1426, da c. 27 a 101 contiene le matricole di detta corporazione dal
1426 al 1673. Misura cm. 33 x 24).

2. — Dei Salenari (Pizzicagnoli) del 1384. Inedito (Archivio Co-

. munale, n. 15. Codice pergamenaceo di carte 59. Lo Statuto è in vol-

gare e va da c. lac. 17, da c. 18 a 40 seguono le matricole; da c. 41
a 47 c'è una seconda redazione dello stesso Statuto fatta nel 1534.
Seguono le matricole sino al.1675. Misura cm. 30 x 21. Ri in
pergamena).

3. — Dei Falegnami del 1404, Inedito (Archivio Comunale, n. 17.
Codice pergamenaceo di carte 47, rilegato in pergamena. Lo Statuto
è in volgare e va da c. 1 a 14. Seguono sino alla fine le matricole, che
vanno sino al 1739. Misura cm. 29 x 21).

Y n
m E° = FARLO? ARMENI RR? RAI

= r$ EE — B MF
STA C E HENCE u.s = ig

3, deseas
142 NOTE E DOCUMENTI

4. — Dei Funari del 1385. Inedito (Archivio Comunale, n. 11.
Codice pergamenaceo di c. 110, rilegato con assicelle di legno rivestite I!
di cuoio. Lo Statuto è in volgare e va da c. 1 a 24. Seguono le matri- ;
cole ed altri capitoli aggiunti sino al 1683. Misura cm. 26 x 19); i

5. — Dei Giudici e Notari del 1346. Inedito (Archivio Comunale,
n. 13. Pergamenaceo di c. 120. Lo Statuto è in latino e va sino a c. 27.
Seguono le matricole, che vanno sino al 1621. Misura cm. 36 x 25.
Rilegato in pergamena).

6. — Dei Mercanti del 1459. Inedito (Archivio Comunale, n. 12.
Codice pergamenaceo di c. 50. Lo statuto è in volgare e va sino .a
c. 12. Seguono le matricole. Misura cm 29. x 22. Rilegato con assicelle
ricoperte di cuoio).

7. — Degli Speziali del 1504. Edito da monsignor FaLoci Pu-
LIGNANI, Gli statuti degli speziali di Foligno (Sgariglia, 1886).

D. ANGELO MESSINI
UN'INEDITA LETTERA-PREFAZIONE
AL TRATTATO DEL METODO
DI BENEDETTO VARCHI

Nella relazione resa, nel 1896, dal prof. Alessandro .Bellucci al
Sindaco di Perugia a compimento del mandato affidatogli di effettua-
re la verifica dei manoscritti della Biblioteca Comunale e redigerne il
catalogo, pubblicato poi nella grande raccolta dei Manoscritti delle
Biblioteche d’Italia, fondata da Giuseppe Mazzatinti, veniva fatto
presente che un gruppo di sei codici era disgraziatamente mancante,
oltre quello famoso del Cicerone De Officiis, misteriosamente e dolo-
rosamente scomparso vari anni prima. Fra tali manoscritti smarriti
era indicato anche quello segnato H 68 contenente il trattato Del me-
lodo di Benedetto Varchi. Nel corrente anno nell'eseguire lo spoglio
analitico dei manoscritti della Biblioteca a integrazione dell'indice
lasciato dal Bellucci, troppo. scarno, é avvenuto di ritrovare casual-
mente il manoscritto annunciato come smarrito. Il codice é di formato
cm. 22 x 16,5, cartaceo, di ventisei carte, di cui tre bianche, rilegato
in pergamena; il testo é di bella scrittura calligrafica cancelleresca
del pieno Cinquecento. Le pagine, escluse quelle contenenti due sonetti
messi a mó di preambolo, recano una numerazione non originaria, ma
di poco posteriore. Lo stato di conservazione del manoscritto é assai
buono.

Il trattato Del Metodo, se non erro, é stato pubblicato due volte
in Italia: la prima in Firenze in un volume di-scritti in prosa che reca
il titolo Lezioni sul Dante e prose varie di Benedetto Varchi, la maggior
parte inedita tratte ora in luce dagli originali dalla Biblioteca Rinucci-
niana per cura ed opera di Giuseppe Albizzi e di Lelio Arbib, Soc. edi-
trice delle opere del Nardi e del Varchi, 1841, per i tipi di Luigi Pez-
zati, 2 voll., in-89; la seconda nel secondo volume delle Opere di Bene-
detto Varchi per la prima volta raccolte con un discorso di A. Racheli in-
torno alla filologia del sec. X VI, alla vita e agli scritti dell'autore, Aggiun-
tevi le lettere di Giovanni Battista Busini sopra l'assedio di Firenze.

rad

ne SETE se Oa E OCA AR AMA ST i da
" ^ pri
quiuis Wa SAN ai — de See ipei 5 to cn Q6 ir] IST SS — CIO.
diale amicizia e di consuetudine letteraria, come é dimostrato dalle

]ere apparare la gramatica latina sola, la quale assai agevolmente si puó in poco

144 NOTÉ E DOCUMENTI

Trieste, Sezione letterario-artistica del Lloyd Austriaco, 1858, 2 voll.,
in-89.

E conveniente esimersi da qualsiasi apprezzamento sul Trattato,
il cui contenuto é alla conoscenza di tutti, per quanto le edizioni che
lo contengono non siano, specialmente la prima, facilmente accessibili.
Il contributo che il codice della Biblioteca Augusta reca al trattato
stesso é rappresentato da una lettera che, a mó di prefazione, il Var-
chi ha premesso alla sua operetta indirizzandola ad un suo giovane
amico, il perugino Lucio Oradini, col quale egli era in rapporti di cor-

numerose poesie che l'un l'altro, il Varchi e l'Oradini, si Sono scam-
biate.

Di Lucio Oradini poco si puó dire: mancano quasi completamen-
te esatte notizie biografiche, persino la data di nascita e di morte.

Appartenente a nobile famiglia perugina, di belle tradizioni in-
tellettuali e culturali, egli visse a lungo in Firenze, tanto che.fece
parte di quell' Accademia Fiorentina a cui portó il contributo di qual-
che lezione accademica, due delle quali stampate a Firenze nel 1559
presso Lorenzo Torrentino.

Di lui parla brevemente nella sua Biografia degli Scrittori Peru-
gini (Perugia, Baduel, 1828) G. B. Vermiglioli, il quale in una nota a
pié di pagina accenna genericamente, ma con sufficiente precisione
al codicetto perugino: dell'Oradini fanno anche cenno il Crescimbeni
e il Quadrio. :

La lettera con la quale il Varchi ha accompagnato, l'esemplare
del trattato inviato in dono all'Oradini è breve e mette conto rife-
rirla integralmente:

Benedetto Varchi al suo molto carissimo M. Lucio Oradini.

Voi potete bene, insieme con molti altri, dolervi assai, Ms. Lucio Oradini
mio! carissimo, ma non già per quanto a me ne paia, maravigliarvi punto del-
haver voi tanti anni con tanto studio, et fatica speso tanto inutilmente nel vo-

più di sei mesi e ogni mezzano ingegno, non che al vostro, il quale è eccellentis-
simo, perfettamente insegnare. Ma egli è comune vizio di questo secolo, e som-
ma sventura nostra, che hoggidi non solo nellé lettere humane, ma in quasi
tutte l'altre cosi arti, come scienze, coloro soli per lo più ne fanno pubblica
professione, i quali, o non sanno, o, non possono, o, non vogliono insegnarle,
perché come niuno corrà mai nel bersaglio, il quale non sappia ne dove, ne come
si debba la mira porre, et coloro a guisa di ciechi s'ággirano, i quali si partono
per andare, et non sanno dove, così è .del tutto impossibile, che alcuno o, inse-
gni mai veramente o, appari dottrina veruna se non sa prima il metodo, et
84x

NOTE E DOCUMENTI . 145

l'ordine d'insegnarla, il che la maggior parte di coloro che insegnano, prezzo-
lati. non solo non sanno, ma non curano di sapere; la qual cosa avendovi io
detta hieri nel ragionare, et voi con gran meraviglia rispostomi, che mai più non
havevate ne sentito non che altro, ne metodo, ne ordine di dottrina ricordare,
mi pregaste strettissimamente, che mi dovesse piacere di volervi oltra il dichia-
rare a bocca, porre in iscrittura amendue queste cose: alla quale domanda non
meno ragionevole, che utile non volendo io disdirvi, né devendo non compia-
cervi, mi misi subito, partito, che fuste da me a scrivere cosi a mente il presente

trattato, che io vi mando, breve certamente per le cagioni, che in esso potreste.

leggere, ma tale peró, che per hora vi potrà (se io non m'inganno) bastare; il
quale se vi paresse o troppo alto, o, troppo scuro, sappiate, che questa materia
delle vie, et ordini delle dottrine é stata non solo da i Loici, di cui ella é propia,
et da Flosofi, ma da' Medici ancora cosi Greci, come Latini tanto variamente,
et confusamente trattata, che questo modo toscano meritarà d'essere verso
quegli se non altro, almeno scusato. State sano il mio M. Lucio, et seguitate d'a-
. mare i buon costumi, et le buone lettere sopra ogni cosa, ricordandovi di man-
tenermi nella buona grazia cosi dell'honoratissimo Ms. Vecchia vostro zio, come
del cortesissimo S.re Sforza vostro Cugino.

Di Firenze il giorno di S. Lorenzo M. D. L. X..

L'elemento inoppugnabilmente piü preciso fornito dalla lettera
è la data di compilazione del trattato Del Metodo : 1560, 10 agosto;
ma per di piü essa spiega evidentemente la genesi del trattato e la
giustifica, per cosi dire, nel complesso della rilevante e varia mole
delle opere del Varchi. Esso é il frutto di una trattazione orale, di
una discussione, svoltasi fra il Varchi e l'Oradini, alla presenza forse
anche d'altri letterati ed accademici, circa l'apprendimento delle di-
scipline in genere e del latino in ispecie, e circa le possibilità di ordi-
nare metodicamente tale apprendimento: di notevole interesse quindi,
.se non dal punto di vista teoretico, da quello almeno didattico. Su
richiesta dell'Oradini il Varchi aveva accondisceso a mettere insieme
gli argomenti della sua trattazione e con gentile atto amichevole aveva
inviato in dono al postulante una limpida copia dello scritto. Il
Varchi del resto si era occupato piü volte della questione dello studio
e dell'apprendimento del latino e particolarmente in una Lettera di
M. Benedetto Varchi tratta da un Ms. esistente nella libreria del Sig.
. Marchese Cav. Giuseppe Pucci, in cui si parla del « modo, la via, e
. l'ordine col quale si debba insegnare la Grammatica Latina » e che
si trova publicata in Opuscoli inediti di celebri autori toscani, l'opere

dei quali sono citate dal Vocabolario della Crusca, Firenze, Stamp. di

Borgo Ognissanti, 1807, vol. 1, pag. 82 e segg.
Il codice perugino, oltre a fornire questi diretti e precisi elementi
circostanziali nei riguardi della genesi del trattato Del Metodo di

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146 NOTE E DOCUMENTI

Benedetto Varchi, ne offre alcuni altri non meno chiari e certo assai
utili a definire la mentalità di un notevole personaggio della storia
della cultura perugina, cioé di Prospero Podiani, il quale lo ha incor-
porato nel cospicuo fondo librario, legato con atto pubblico del 1582,
riconfermato nel 1615, ai Decemviri con la destinazione dell'uso pub-
blico di esso. Non sapendo resistere ad una tentazione ambiziosa,
egli ha pensato di surrogarsi all'Oradini nella destinazione dell'ope-
retta e con fanciullesca ingenuità ha cancellato sulle pagine il nome
di Lucio Oradini, tutte le volte che vi ricorreva, sostituendovi il pro-
prio, senza badare alle incongruenze che si generavano dall'atto in-
sano della forzata, assurda e anacronistica sostituzione di persona.
Considerazioni d'indole morale a parte, il gesto, colto nel suo pieno
effetto, non solo definisce infallibilmente la mentalità di un biblio-
mane letteratoide ma, con l'esemplificazione di un caso, sarei per
dire, patologico, qualifica la smodata ambizione di fama letteraria
cosi diffusa in quel tempo.

GIOVANNI CECCHINI
L'AUTORE DEGLI «STABILIMENTI PER
LA PROVVISORIA RIFORMA REPUBBLICANA
DEL 1799“ NELLA UNIVERSITÀ DI PERUGIA

In Perugia per Carlo Baduel nell’anno 1799 (VII dell'Era Repub-
blicana) fu pubblicato un opuscolo dal titolo suddetto contenente:
1) Una prefazione «Al lettore» non firmata, ma di quasi certa
compilazione del dott. Annibale Mariotti, Prefetto Consolare del Di-
partimento del Trasimeno e insieme Prefetto della Uuiversità.

2) Una lettera illustrativa dall'indirizzo « Il Ministro dell'In-
terno all’Amministrazione Dipartimentale del Trasimeno » a firma
« Franceschi », colla data del 3 germile anno 7 dell'Era Repubblicana
(23 Marzo 1799);

3) Una « Nota delle Pubbliche Scuole stabilite in Perugia nella
provvisoria Riforma della sua Università »; ossia l'elenco delle di-
scipline da insegnarsi nelle varie Facoltà a norma della sancita Ri-
forma.

L’opuscolo è stato riprodotto, illustrato nel contenuto e dotta-
mente inquadrato nel tempo cui si riferisce, dal dott. Raffaele Bel-
forti nella « Rassegna Storica del Risorgimento » (anno XXVII, fa-
scicoli XI-XII, novembre-dicembre 1940; pagg. 959-976) in una in-
teressante memoria dal titolo « Riforma Repubblicana della Univer-
sità degli Studi di Perugia nel 1799 ».

La parte più notevole dell’opuscolo è indubbiamente la lettera
— illustrativa che, come ben dice il Belforti, è «uno scritto rivelante una
paternità tutta individuale » e non un semplice e qualunque «docu-
mento compilato d'ufficio ». E si domanda se l'Autore ne sia il Ministro
Franceschi che l’ha sottoscritto, o se altri; avendogli il Franceschi dato
solo il nome per la carica che rivestiva. Ora io propendo a credere
che l’espressione della realtà sia proprio in questa seconda ipotesi.

Comincio dall’osservare che il Franceschi firmato nel documento

non è, come ha creduto il Belforti, il Franceschi Nicolò che in quell’e- s

RI uS (a RITA do eT E ik Ir Sr DATI SE,
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sit dn deep 2x to al S icut Ud va e B. DUC PS A 148 NOTE E DOCUMENTI

poca tenne la cattedra di Medicina pratica all'Università di Roma (1),
ma il Franceschi Antonio medico condotto di Narni (Terni). Il Bel-
forti ha potuto essere facilmente indotto in equivoco prima di tutto
dal fatto che nei documenti se ne legge solo il cognome: poi dal titolo
di « Professore di medicina » attribuitogli nella notazione — da. lui
citata — della Cronaca perugina cosidetta dell’AnonImo (2) alla data
dell'8 gennaio 1799: « perla Posta si ebbe notizia che il dott. Franceschi
«di Narni, professore di Medicina, era entrato al posto di Ministro
.« dell'interno, occupato dal cittadino Pace ». Trattandosi di un Pro-
fessore di medicina era spontaneo pensarlo in attività presso l'Ateneo
Romano. Ora se è vero che il Franceschi (dimorante, ma non di Narni)
per la stima di cui era circondato anche nei documenti della municipa-
lità (vedi appresso) veniva indicato col titolo di Professore, è indiscuti-
UR bile anche che egli era semplicemente ed esclusivamente il medico con-
MEM dotto primario di quella cittadina. Scrive il Marchese Giovanni Eroli,
| ‘illustre storico narnese: « Nell'anno di grazia 1795, addì 26 settembre,
« venne nel pubblico Consiglio della nostra Città eletto a medico prima-
«rio condotto Antonio Franceschi di Brisighella, il quale procacciossi
« subito la stima e l'amore del popolo pel suo squisito ingegno, per gli
«onesti costumi, per la profonda cognizione della medica scienza,
« per la carità e gli amabili modi con cui trattava gli ammalati e gli
«altri. Per cotali ottime qualità sue, non meno che per l'amore vivo -
«grandissimo che nutriva verso la propria nazione procurandone
« per ogni verso la libertà e unità, ei godeasi in Italia e fuori speciale
«reputazione e alta fama. Il perché quando per il trionfo delle armi
«francesi proclamossi tra noi nel 1798 la repubblica romana, che fu
« breve sogno e amaro disinganno per la maggiore parte, egli ottenne
«il portafoglio del Ministero dell'interno; quasi che un bravo medico |
«abbia buoni rimedi per mantenere sano, o guarire se infermo, tanto
«un corpo umano, quanto un corpo politico » (3).

Il Franceschi è noto anche per essere stato il padre di Caterina

Ca Bl (1) Cfr. NicorA Spano, L'Università di Roma. Roma, Mediterranea, 1935,

dn! XVIII, pag. 342.

RETE (2) Cfr. Cronaca della Repubblica Francese in Perugia di autore sconosciuto,

H pubblicata da D. Errore Ricci nel « Bollettino della Regia Deputazione di

IRE Storia Patria per l'Umbria », Voll. XXXI e XXXIII.

ROOM (3) Cfr. Alcune notizie sopra Caterina Franceschi Ferrucci da Narni, in
jS «Alcune Prose e Versi del Marchese GiovANNI ErOLI da Narni ». Vol. II, Assisi

Tip. Metastasio, 1887, pag. 226.
NOTE E DOCUMENTI i i 149

Franceschi in Ferrucci (1803-1887) (1); donna di alti sensi; di svariata,
ampia, soda cultura; autrice di opere egregie diletteratura e pedagogia;
della educazione della gioventù altamente benemerita; nel suo fervente
patriottismo nobile amica dei più nobili uomini italiani. E Antonio
Franceschi va ricordato non solo per la fortuna concessagli dalla Prov-
videnza di essere stato il padre di tanta figlia; ma anche per il merito in-
discutibile di essersi reso conto chiaro del tesoro posseduto e averne
sapientemente curata l’educazione. Finchè fu a Narni (dotto com’era
in un epoca in cui i medici erano tutti più o meno umanisti) prese egli
stesso a coltivarla; trasferitosi ad Osimo e poi a Macerata l’affidò ai
migliori maestri di belle lettere. di cui quelle cittadine marchigiane,
rinemate per i loro istituti di istruzione, allora abbondavano. Così ad
Osimo la giovinetta ebbe per precettore D. Francesco Fuina, professore
di eloquenza nel Collegio Campana; ed a Macerata, tra gli altri, il Ca-
nonico Carlo Hercolani, noto traduttore della Cristiade del Vida, che
la famigliarizzò coi classici latini e greci.

A Narni il Franceschi incontrò subitoil favore del pubblico e
l’anno appresso (1796) alla sua elezione il Consiglio Municipale ai
4 di agosto decretò che fossero aggiunti 50 scudi ai 250 che egli già
aveva di stipendio. La proposta era accompagnata da questo breve
ma onorevole elogio: « Professore abile, degno, gradito ed accetto ad

(1) CATERINA FRANCESCHI in FERRUCCI, oltre le poesie — classiche nella
forma, cristiane nel sentimento: vedere Prose e Versi, Firenze, Le Monnier,
1873 — pubblicò, fra l'altro, opere di polso di storia letteraria (7 primi quattro
secoli della letteratura italiana, Firenze, Barbera, 1856) e di profonda pedago-
gia (Della Educazione morale della donna italiana. Torino, Pomba, 1847; — Della
educazione intellettuale, libri quattro indirizzati alle madri italiane, Torino, Pom-

ba, 1849; — Degli studi delle donne italiane, Torino, Pomba, 1854; — Ai giova-

ni italiani ; ammaestramenti, Firenze, Le Monnier, 1873) opere che ebbero una
grande diffusione, raggiungendo alcune, vivente l'autrice, fino la quinta edi-
zione. i |

Caterina Franceschi fu sposa per 54 anni a MicHELE FERRUCCI (1801-
1881) di Lugo insigne latinista professore prima all'Aecademia di Ginevra in
Svizzera, poi dal 1859 all'Università di Pisa. Chi lo raccomandò per la nomina
a professore di eloquenza latina agli amici ginevrini fu Camillo Cavour, come
risulta dal suo epistolario edito dal Chialla (Volume V), dove parla con somma
lode del Ferrucci e particolarmente della moglie: « Je vous dirai... qu’ il (cioè
«il Ferrucci) a une femme aussi savante que lui, e qui de plus est dóuée d'une
«imagination brillante et du génie des arts et de la littérature ». E questo giu-

dizio non poteva non esser lusinghiero per la donna matura che giovanetta era

stata oggetto delle lodi di Giacomo Leopardi.
DE cU um 0 Pr: ES Wo "Eug REESE —— X70 DAC

- 150 NOTE E DOCUMENTI

ogni ceto di persone » (1). Da ricerche compiute ad Osimo è risultato
(libro del Camerlengato) che nel 1808 già visiera trasferito come me-
dico primario, e tale rimase fino al 1822; salvo una interruzione du-
rante la quale, sospese le condotte mediche per legge del tempo, fu
dal Consiglio Comunale nominato medico dei poveri di città e campa-
gna. Nel maggio del 1822 si trasferi a Macerata, sempre in qualità di
medico primario, e li rimase fino alla morte avvenuta nel 1830. Scrive
con amore figliale la Caterina: « Il dott. Antonio Franceschi, medico
« pieno di dottrina e carità, amó quanto in terra é degno di amore; mori
«nel 1830 pochi giorni dopo la sua figlia Rosa, lasciando di sé incoso-
«labile desiderio nella sua famiglia ed in quanti lo conobbero (2) ».

Della sua attività come Ministro dell'Interno della Repubblica
Romana del 1799 non mi é riuscito di trovare che sporadiche notizie.
La nomina fu dovuta certamente al fatto che giovane ardente roma-
gnolo, come fa capire l'Eroli, non era sconosciuto nei cenacoli degli
amanti di riforme dei non certo perfetti e ad ogni modo non molto
progrediti ordinamenti politici e amministrativi del tempo. Comun-
que peró deve essersi trattato di una vampata di assai breve durata;
al massimo di un paio di mesi e precisamente dal 18 gennaio al 15
marzo 1799; date sotto cui il ricordato anonimo cronista perugino
nota come giunte a Perugia le notizie rispettivamente della sua assun-
zione al posto di Ministro in luogo del cittadino Pace e della sua sosti-
tuzione col «Signor De Rossi » (3). Certamente egli non era ancora pa-
dre, ma forse neanche ammogliato colla gentile e saggia Maria Spada
(di Cesi presso Narni) che solo quattro anni dopo (nei 1803) inizió colla

(1) Cfr. il vol. delle Riformanze Municipali del Comune di Narni, anno
1796, citato dall’EroLI, op. sudd., pag. 277.

(2) Vedere le note al canto « La sera » nel volume « Caterina Franceschi
Ferrucci - Prose e Versi- Firenze, succ. Le Monnier 1873 ».

(3) Sulla esattezza della seconda data potrebbe sorgere qualche dubbio;
ed ecco perché. Secondo l’ Anonimo il 16 marzo il Franceschi non sarebbe stato
più Ministro; viceversa la lettera degli « Stabilimenti per la provvisoria riforma
dell'Università di Perugia » di cui cerchiamo l'Autore porta la data del. 3 ger-
mile (23 marzo) e la firma del Franceschi. Come conciliare ? Probabilmente la
non perfetta pratica del calendario repubblicano era fonte di errori nella ri-
cerca e precisazione delle date corrispondenti nell’ordinario calendario grego-
riano e viceversa.

Sempre secondo l'ANoNIMO, il sig. De Rossi non avrebbe durato molto
più del Franceschi nella carica da Ministro; infatti sotto la data del 13 maggio
successivo si legge « Si è risaputa da Roma la dimissione spontanea del Sig.
De Rossi dalla sua carica di Ministro degli Interni ». Una cinematografia.

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NOTE E DOCUMENTI 151

Caterina la serie dei sette figli che allietarono la famiglia Franceschi.
La quale Caterina non mi risulta che nei suoi scritti abbia mai accen-
nato a questo periodo della vita del suo amato papà. Il Marchese
Giovanni Eroli (1813-1904) che era di Narni, che conobbe personal-
mente e fu amico, oltreché della Caterina, anche dei di lei fratelli
Giovanni e Camillo successivamente per un certo tempo medici con-
dotti a Narni, e che per lo meno nella sua fanciullezza deve aver ser-
tito parlare del dott. Antonio dai concittadini pii anziani, di seguito
ai periodi già sopra riportati scrive: «Ma il Franceschi, quantunque
«eletto a caso, diportossi egregiamente e condusse gli affari. come
«addicesi a persona saggia, sapiente, e dabbene ».

Ma questo non vuol dire che anch'egli non abbia pagato il suo
tributo, se non alla tendenze antireligiosa, per lo meno a quella antiec-
clesiastica della rivoluzione. Se ne trovano traccie nelle ricordate cro-
nache perugine dell’Anonimo (1). Con tutto ciò non sembra che,
avvenuta la Restaurazione Pontificia, il Franceschi abbia avuto noie;
come capitò a Perugia al dott. Annibale Mariotti, eminente personalità
della scienza medica e della cultura classica e storica del tempo e che
aveva esercitato, con beneficio non piccolo della Città e dei cittadini
| (cui risparmió danni non pochi), la carica di Prefetto consolare del

(1) Eccone un sunto. Il 23 gennaio si vede affisso per Perugia un procla-
ma del Franceschi permettente «ai soli Vescovi e Parroci l’esercizio della pre-
dicazione ». Il 19 febbraio « dall’ Amministrazione dipartimentale venne tra-
smessa una lettera del Ministero dell’Interno a tutti i Parroci della città, ri-
manendo in essa avvisati di invigilare sulla condotta dei Preti e Claustrali
del rispettivo distretto e se andassero spargendo delle massime contrarie al
presente governo ».

Il martedì 20 febbraio « La mattina di buon ora si osservò affisso il procla-
ma del suddetto Ministro dell’Interno Franceschi, dove proibiva ai regolari
di mandar lettere scambievoli per l’elezione dei Provinciali e Generali; ed ai

dalla sola voce del Parroco ».

Il lunedì 28 febbraio si apprende che il Ministro degli Interni ha voluto gli
originali di due Brevi di Pio VI « esposti alla vista di chi voleva leggere nella
Sagristia del Vaticano, sicché nella Sagristia ora ci sono le sole copie ». I Brevi
riguardavano la prestazione del giuramento repubblicano da parte dei Profes-
sori del Collegio Romano che il Vice-Gerente Mons. Ottavio Boni aveva auto-
rizzato e che il Pontefice riprovava. In calce ai due Brevi c’era la « Ritratta-
zione di Mons. Boniin data 23 febbraio ». Il sabato 9 marzo si nota infine che
« alle 10 del mattino venne affisso un proclama del Ministro degli Interni dove
si proibiva ai Ministri del Culto di non costringere cogli atti di Religione e in
conseguenza ai Parroci di dare il solito Bollettino in tempo di Pasqua ».

m TRIO AI MSI RUSSE

Vescovi di far affiggere editti se non che nell’interno delle chiese o promulgati 152 . ‘NOTE E DOCUMENTI

Dipartimento del Trasimeno, avendone in ricompensa maltrattamenti
e prigionia. Il quale Annibale Mariotti in un punto della autodifesa (1),
preparata per il processo che si aspettava, intuisce il segreto della
immunità lasciata al Franceschi. « Ma perché — scrive egli — a fronte
« di tutte queste ragioni uno stizzoso dott. Nostrale (non so cui allu-
« da) non lascia di latrar contro chiunque non seguita le traccie dell'e-
«semplarissimo dott. Franceschi col ritrattare quell'esecrabile :giu-
«ramento »; ritrattazione, sottindendi, che potrebbe aver procurato
l'immunità a me come la ha procurata al Franceschi. Della quale ri-
trattazione troviamo traccia sempre nella cronaca perugina dell’Ano-
NIMO, che, sotto il giorno 20 dicembre 1799, nota: «con la posta vennero
trasmesse due copie di ritrattazioni; l’una del medico Franceschi di
Narni e l’altra del sig. Sinibaldi di Spoleto ». |

Ora tornando a noi, chi é stato il redattore di quella ben ragio-
nata lettera nella quale sono esposti i fondamenti del sistema che
avrebbe dovuto da indi iri poi regolare le pubbliche scuole dell'Uni-
versità di Perugia ? Una anche rapida lettura di questo non breve docu-
mento ci mostra come le direttive che si danno (non tutte approvabili
dal punto di vista politico e religioso, ma tutte organicamente collegate
fra loro e con i presupposti repubblicani del momento e molte anche
ammirevoli per obbiettiva solidità scientifica), riguardano le dottrine
proprie della Facoltà di Lettere, di Legge e di Filosofia, ma sorvolano
o quasi sulle riferentisi alle scienze sanitarie o matematiche e fisiche
pure; scienze tuttavia comprese nella terza parte del sopra citato
opuscolo in quanto, come le prime, avrebbero dovuto essere oggetto
dell'insegnamento universitario.

La ragione ne è evidente. Sulla formazione dell' Homo: novus e
nella realizzazione del novus ordo repubblicani potevano avere in-
fluenza gli insegnamenti prevalentemente generici e astvatti (letterari,
legali, filosofici) e su questi occorreva quindi insistere perché corri-
spondessero ai presupposti della Repubblica. I medici e gli scientifici
puri dovevano tecnicamente uniformarsi, senza alcuna preoccupazione
di ordine politico, ai principi e norme della Scienza in quanto Scienza.
E da questo punto di vista non era il caso di indicazioni e consigli da
parte del Ministero degli Interni; tanto più che non ne abbisognavano,
essendo state finora «le scienze fisiche e matematiche (è detto nella
lettera) piuttosto favorite che degradate dai despoti »; cui invece

(1) «Parlata intorno ad alcune imputazioni che si credono date ad Annibale
Mariotti per supporlo reo di: giacobinismo ». Senza luogo né data, pag. 54.
NOTE E DOCUMENTI 153

premeva influire su quelle che potevan tenere «ferma la ignoranza
dei popoli circa il carattere e la qualità degli umani diritti ». Il docu-
mento accusa una unità di concezione e di redazione evidente: una éla
mente che ha concepito ed una la penna che ha vergato. E la mente
che ha concepito è una intelligenza educata allo studio dei principi
generali della cultura umanistica, filosofica e giuridica; e non mostra
alcuna pratica speciale di scienze matematiche, fisiche e sanitarie.

Ora poteva essere questa mente quella del Ministro Franceschi
che se una cultura accentuata possedeva era proprio quella medica ?
E nessun documento possediamo che si fosse specializzato Dee scien-
ze giuridiche e filosofiche.

Ma un altro personaggio era vicino a lui nella posizione eminente
di Segretario generale del Ministero degli Interni, specializzato appun-
to nei campi della filosofia e della giurisprudenza oltrechè ottimo cul-
ture delle lettere; un personaggio che indubbiamente ebbe ad occuparsi
della questione e che anzi fu tramite delle comunicazioni in proposito
fra il Ministero e i dirigenti il Dipartimento e l’Università perugina:
Ludovico Valeriani. Ne troviamo le traccie nella stessa così interessan-
te memoria del Belforti da cui abbiamo prese le mosse. Da essa ap-
prendiamo che Annibale Mariotti il 12 Germile VII scriveva ad. Anto-
nio Brizi (altro eminente perugino che a Roma occupava l'alto ufficio
di Console): « Abbiamo qui avuto nel passato venerdì il Sig. Valeriani
«checomunicò a questa amministrazione dipartimentale il nuovo piano
«delle nostre Scuole. Esso è bellissimo in ogni parte ed ha incontrato
«l'universale gradimento. » E nella prefazione « Al lettore » del ricor-
dato opuscolo troviamo scritto « quindi è che per mezzo dell’egregio
«cittadino Ludovico Valeriani Segretario Generale del Suo Ministero
«si degnò (il Ministro Franceschi) di far presentare nei passati giorni
«a questa amministrazione dipartimentale il piano stabilito per la ria-
« pertura del Liceo e insieme con esso una umanissima e ben ragionata
«lettera nella quale espone i fondamenti del sistema che dovrà da qui
«innanzi provvisoriamente regolare le nostre pubbliche scuole ».

«Ora chi era ? che cosa fu Ludovico Valeriani ? (1).

- Nacque a Narni. (Terni) nell'anno 1767 e rimasto in tenera età
orfano di ambo i genitori di cui era unico figlio fu raccolto a Frascati

. (1) Le notizie che seguono sono state attinte dallo « Vita di L. Valeriani »
pubblicata la prima volta dal Marchese Gr0vANNI Enorr nella sua « Miscellanea
storica Narnese », Narni, tip. del Gattamelata, 1858; poi riprodotta ampliata e
corretta nel sopra citato volume « Alcune prose e versi», pagg. 159-186.

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154 NOTE E DOCUMENTI

e fatto educare in quel Seminario dallo zio paterno che, sacerdote,
colà viveva con ufficio di Vicario del Cardinale di York. Compiuti
in Seminario gli studi letterari e filosofici lo ziolo mandó a Roma a stu-
diare Legge. Le vicende politiche lo trassero poi a Parigi.a perfezio-
narsi in siffatti studi. Nei quali si approfondi talmente che a 29 anni,
nel 1796 pubblicó un'opera dedicata a Pio VI « Leggi delle dodici Ta-
vole esaminate secondo i principi e le regole della politica »: opera della
quale alla prima edizione di Lucca del 1796 ne seguirono almeno altre
due: una a Firenze presso il Pasqui nel 1839 ed una terza che l’Eroli
vide presso la Biblioteca di Brera a Milano. L'opera procuró al Vale-
riani una solida fama in Italia e all' Estero, e senza dire dei riconosci-
menti, doni e premi di istituti scientifici e di regnanti (l'Imperatore
d'Austria fece coniare apposta una medaglia d'oro e Pio VI nel mo-
mento della presentazione si levó di tasca e donogli la sua preziosa
ripetizione d'oro cou catena e ciondoli) gli aprila via ail'insegnamento
universitario. Prima a chiamarlo fu Pavia dove rimase fino al 1801,
per passare poi con largo stipendio al Ginnasio di Brera dove tenevan
la cattedra i migliori ingegni d'Italia. Per sei anni insegnò Istituzioni
politiche che nel 1807 cambiò con l'Economia Politica. Simultanea-
mente iniziò la pubblicazione di trattati politici e morali pur troppo,
malgrado la loro eccellenza, dimenticati; facendoli precedere dalle
notizie sulla vita e studi dello scrittore, sulle antiche stampe dell’o-
pera, e rendendo conto minuto di quest’ultima considerata sia in sè
stessa sia in rapporto con le dottrine degli antichi e moderni scrittori.
Ne uscirono tre numeri; nel 1804 « Il ciltadin di repubblica » di AwTo-
NIO CEBA; nel 1805 le « Mutazioni dei Regni » di OTTAVIO SAMMARCO;
nel 1806 il « Volgarizzamento del saggio sopra i costumi» dello STEL-
LINI, del quale ultimo furono fatte almeno quattro edizioni, l'ul-
tima nel 1829. L’iniziativa fu poi continuata dal Gamba, dal Silvestri,
dal Carrer etc. A Milano nel 1807 si sposò con Maria Raffelli, figlia di
Giacomo celebre operatore di mosaici, che lo rese padre di sei figli.
Quando Napoleone fu a Milano volle conoscerlo e non solo Lodovico
era della schiera eletta che seralmente gli faceva corona; ma il grande,
oltrechè Capitano, Legislatore sembra che lo consultasse più volte
personalmente intorno alla redazione del Codice che prese poi il nome
di Napoleonico. E il Valeriani vantó anche altre alte amicizie; fra le
quali vanno ricordate quelle del principe Eugenio viceré d'Italia,
dell'Imperatore d'Austria, dei Pontefici Pio VI, Pio VII e Gregorio
XVI, del gianduca di Toscana non che del suo dottissimo Ministro
Fossombroni, del Card. Consalvi, ecc. E tra i grandi della sapienza
NOTE E DOCUMENTI 155

fu in relazione, per ricordarne qualcuno, col Cesarotti, col Verri, col
Mastrofini, con Vincenzo Monti istruttore dei suoi figli, col matema-
tico Ferroni, col poeta Casti cui non risparmió la sua critica; col fi-
losofo La Mennais, cui, pur provvedendolo di lettere e raccomanda-
zioni, sconsiglió, prevedendone l’esito funesto, il viaggio di Roma.
Nel 1812 o in quel torno, per alcune ingiurie e disgusti ricevuti, la-
sciò Milano e si trasferì a Firenze dove coprì l’ufficio di Direttore del-
l'Archivio diplomatico; ma con questo stipendio e con la pensione
ottenuta a Milano mal provvedeva ai bisogni suoi e della famiglia.
Egli in verità aveva ereditato dai genitori e dallo zio di Frascati un
ricco censo; ma, trascuratissimo negli affari, ne lasciò godere ai suoi
non troppo onesti amministratori. E malgrado, anzi forse per merito
di questa povertà (che suole istigare al lavoro più delle ricchezze), a
Firenze ideò e diede alla luce un’opera che ne perpetuerà indubbia-
mente la memoria. Intendo alludere alla bella traduzione di Tacito,
che può ben tenere il confronto con quella notissima del Davanzati;
alla quale, se è inferiore nella purità della lingua, critici di valore hanno
trovato che è indubbiamente superiore nella chiarezza di interpreta-
Zione; senza dire della importanza delle sostanziose prefazioni e delle
interessantissime note. L’opera ebbe il vanto di sei edizioni; quattro
(a Pavia, Firenze, Padova, Siena) lui vivente, e due (a Venezia e Fi-
renze) dopo la sua morte. Un’altra pubblicazione fiorentina del Vale-
riani fu una raccolta di poesie inedite di Fra Guittone d’Arezzo corre-
data di note e preceduta dalla vita del poeta; raccolta lodata assai
specialmente dal Padre Cesari nel Proemio al Dialogo delle Grazie.
A Firenze provvide, da nobile signore che dà senza far pesare, alle
strettezze del Valeriani il suo amico e mecenate il principe Corsini,
al quale egli dedicò, dichiarandosi apertamente a lui debitore di molte
grazie, la ricordata edizione del 1839 delle Leggi delle dodici Tavole.
Quando egli morì agli undici di giugno 1842 « povero in vita, pove-
rissimo in morte, mancava persino di pochi soldi che gli comprassero
il sepolero; ma non bastò il cuore a quell’umanissimo principe Corsini
di vedere tanto vituperevole abbandono degli uomini e coi suoi da-
nari procacció al Valeriani l'onor del tumolo, a sè eterna fama di be-
nefattore » (1). E fu sepolto nei chiostri di Santa Croce dove una sem-
plice lapide ne ricorda senza più nome e cognome.
Queste le notizie desunte dalla vita del Valeriani stesa dal suo

(1) Altra breve biografia, citata dall'Eroli, del Valeriani scrisse il Crcco-
NETTI nell’ Album (rivista illustrata che usciva a Roma), Tomo X, distribuzione
13, pag. 92. Da essa è tolta questa citazione. ;

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156 NOTE E DOCUMENTI

concittadino narnese, il Marchese Giovanni Eroli. È essa completa ?
Il più possibile; ché l’Eroli stesso non tace come in alcuni punti non
gli riuscì avere notizie precise. Uno di questi è evidentemente quello
che riguarda la giovinezza del Valeriani fino a circa 29 anni; e cioè
fino a circa il 1800. L’Eroli se la spiccia dicendo che lo zio prete lo
mandò a Roma a studiare legge « ma poi le vicende politiche lo tras-
sero a Parigi per quivi perfezionarsi ». La politica quindi lo prese nelle
sue spire; e dalle due citazioni sopra riportate del Mariotti noi sappia-
mo quel che evidentemente non fu noto all’Eroli; e cioè che nel 1799
egli era Segretario generale del Ministero degli Interni della Repub-
blica Romana; e si occupò indubbiamente in questa qualità della
« provvisoria riforma repubblicana » dello Studio perugino. Ora questo
suo interessamento si limitò all'Ufficio di corridore trasportando da
Roma a Perugia gli originali dei documenti riprodotti nell'opuscolo
cui abbiamo da principio accennato ? Per tutto questo sarebbe stata
più che sufticiente la Posta che funzionava anche allora abbastanza
bene. O non piuttosto il Ministro Franceschi credè opportuno inviare
chi fosse al caso di parlare con cognizione di causa e con prestigio di
scienziato davanti ad un consesso universitario dove, se non manca-
vano i cosidetti retrogradi, c'era un uomo del valore del Mariotti,
eminente per la superiorità dell’ingegno e per la solidità e vastitàdella
cultura ? E chi dei funzionari del suo Ministero più adatto del Vale-
riani non solo perchè già noto ed apprezzato nel mondo scientifico per
il suo volume sulle XII Tavole; ma perchè era quello cui egli aveva
commesso l'incarico di concepire e stendere i documenti che poi egli
aveva firmato ? Sono questi interrogativi ai quali a me pare che non
si possa dare se non una risposta positiva. Che poi in seguito il Valeriani
non abbia ricordato nelle sue opere, e forse neanche coi suoi (dai quali
l’Eroli ebbe la maggior parte delle notizie) questa sua giovanile re-
pubblicana attività, va connesso al fatto che col matu1arsi della vita
erano cambiati non solo e tanto i tempi quanto le sue convinzioni.
L’Eroli infatti ci informa che in politica fu decisamente monarchico
e in religione fervoroso praticante. E giacchè siamo a parlare delle
sue qualità personali riferiremo a conclusione che fu di una illibatezza
di costumi senza pari, nemico di ogni formula di giuramento (solendo
dire che nemmeno un impero poteva valere il nome di Dio): miseri-
cordioso in sommo grado moralmente. cogli erranti, generosamente
(anche quando le sue condizioni finanziarie non erano più splendide)
coi poveri.
D. PrETRO PizzoNI
LE CELEBRAZIONI DEI GRANDI UMBRI

Le celebrazioni dei grandi umbri, che si sono svolte nelle prin-
cipali città dell'Umbria nel settembre del 1942, meritano un parti-
colare ricordo, oltre che per il loro svolgimento cronologico e conte-
nutistico, anche per lo spirito che le ha animate., L'indugio non lieve
col quale questo volume del Bollettino vede la luce, consente la possi-
bilità di una serena presentazione dei fatti, sfrondati di inutile o con-
troproducente retorica, nonché una interpretazione di essi priva di
preconcetti faziosi, non obiettivi, quindi, e antistorici. Si parla di
«possibilità », coscienti come si deve essere del fatto che obiettività
e serenità assolute son qualità che rientrano nell'ordine della per-
fezione, e questo è quanto dire che all'uomo non è dato arrivare ad
esse. Ma lo sforzo per tendervi dovrà essere considerato reale ed ef-
fettivo. Ció é.quanto era necessario dire allo scopo di allontanare dub-
bi cirea intenzioni polemiche che non si ha per nulla in animo di as-
sumere, salvo un compito di pura discriminazione. Ciò che qui si scri-
ve é tratto in grande misura da giornali dell'epoca e, in parte, da ri-
cordi personali, i quali ultimi, sé possono avere una tinta soggettiva
sono peró liberi da ogni preoccupazione, comunque interessata.

Già negli anni precedenti, tra il 1933 e il 1939, erano stati com-
memorati i grandi di altre regioni: della Romagna, delle Marche, del
Piemonte, della Campania, della Sardegna, della Liguria, della Libia,
e furono affidati alla stampa i discorsi ufficiali che, raccolti in volu-
mi, fecero testimonianza delle manifestazioni attraverso le quali si
era esaltata la gloria e la fama di quegli illustri.

Dopo due anni d'interruzione è venuta la volta dell'Umbria. .

Partirono gli ordini dallé alte sfere del Governo e del Partito Fasci-
sta (e piü precisamente dalla Confederazione Nazionale Professioni-
sti e Artisti, agli ordini della quale svolse efficace attività organizza-
tiva la dipendente Federazione della Provincia di Perugia), si indis-
sero riunioni, fu steso un programma, indi si svolsero le manifesta-
zioni. Purtroppo peró, a differenza delle altre regioni, l'Umbria non

ebbe pubblicati gli scritti e i discorsi fatti per l'occasione; non rimase.

nulla se non gli articoli, a dir vero numerosi, anche se non sempre

e

ioni cente i ri vt

SES

> - 158 NOTE E DOCUMENTI

fedeli, comparsi sui giornali del tempo (1): le vicende incalzanti della
guerra stornarono le intenzioni verso urgenze più preoccupanti: le
celebrazioni si svolsero con molta imponenza, ricche di autorità e di
pubblico il quale ultimo non mancò di dare il proprio intero consen-
so, affascinato, al di là degli orpelli e della forma, dai valori so-
stanziali che non potevano non essere abbondanti e profondi, densa
com'è la storia umbra di figure grandi e grandissime (2).

Simili manifestazioni possono conformarsi e rivolgersi ad una
aristocrazia intellettuale, o assumere un tono più strettamente popo-
lare, secondo quali siano gli intenti. Nel nostro caso si può parlare di
un ben proporzionato fondersi dei due diversi motivi, comunque di-
versi e non opposti. Alla nobiltà e solennità di certe riunioni e con-
ferenze su argomenti levati ad un più alto livello intellettuale, fecero
riscontro anche manifestazioni accessibili alla massa degli uomini
comuni, e di uguale importànza. Pur essendo aristocratica l’idea ge-
rarchica della società fascista, non impedì, né poteva — per altri di-
versi motivi, e programmatici e del momento — che si mirasse ad evi-
tare criteri di discriminazione aristocratica.

Altre riunioni, più popolari forse, ma non meno auliche, e di una
aulicità più spontanea, si unirono alle prime e mostrarono l’onesto
desiderio di contribuire a far conoscere agli uomini i decori delle loro
città e le conquiste della civiltà umbra. Quegli organizzatori, indivi-
dui o enti, di manifestazioni in margine a quelle ufficiali, lungi dal
dover essere considerati degli zelanti in politica, furono piuttosto dei
volonterosi, i quali credettero, e lo crediamo anche noi, di poter rien-
trare per una via più vera nell’ambito della cultura e della tradi-
zione. Si costituirono perfino comitati locali destinati a raccogliere
fondi per le celebrazioni e ci resta memoria di uno di questi a Spoleto,
di un altro a Narni, di altri ancora a Todi, a Orvieto, a Gualdo Tadi-
no, a Sigillo.

Ma tutto il nostro plauso è anche per gli oratori ufficiali intero e
uguale come allora lo fu, ché, certamente, essi non poterono non sen-
tire in tutta evidenza l'enorme distanza che sarebbe intercorsa tra

(1) A tal proposito è necessario ringraziare da queste pagine il dott. Fran-
cesco Duranti, che ebbe la compiacenza di fornirci una cospicua raccolta di
articoli sull'argomento e che ci fu largo di consigli e di aiuti, fornendoci noti-
zie ed appunti densi di preziosissime considerazioni.

(2) Queste celebrazioni in Umbria sono state le ultime della serie. Si
era progettato di celebrare i grandi della. Calabria nel 1943, ma l’aggravarsi
della situazione non ha consentito di realizzare questo proposito.

*
NOTE E DOCUMENTI 159

l'esaltazione di valori intesi con criteri solo atti a dividere (e ció sa-
rebbe stata una inesorabile svalutazione di essi) e l'esaltazione di
quelli come solo atti ad unire gli spiriti. Troppo spesso i rappresentan-
ti della cultura lo sono per vocazione, la quale si sorregge principal-
mente sul disinteresse e l'entusiasmo, perché possano essere discussi
i loro meriti. Sul piano fascista, le celebrazioni, quelle umbre come le
altre, furono indette evidentemente anche allo scopo di rafforzare
quello spirito nazionalistico e razzistico, presupposti originali od acqui-
siti di tutta la prassi di quel partito, a mezzo di una coscienza storica
intesa come continuità ideale da Roma all’era fascista.

Ma tutte le possibili sforzature che si ebbe modo di mandare ad
effetto non impedirono di condurre la mente a ripensare quei valori
esaltati, nel loro più giusto senso, quello più vero e vivificatore, per-
ché, massimamente nel campo dello spirito, le mescolanze di elementi
così eterogenei, come le ideologie politiche e i valori puri, non resistono
a lungo, e quegli elementi tornano presto a separarsi, se pur ci si preoc-
cupi di agitarli e confonderli insieme. I valori esteriori, quand’anche
sia giusto chiamarli valori, restano tali e transeunti, diversissimi da
quelli interiori, soprattutto perché privi di possibilità veramente co-
struttive. Ideale e non ideologico è il valore della cultura, e come tale
vivente di una vita meravigliosamente autonoma. Una linfa sostanzia-
le corse sotterranea e quasi inconsaputa per tutto il ciclo delle mani-
festazioni, svincolando gli spiriti da ogni compressione e, nell’esalta-
zione di ogni grande, ciascuno esaltò se stesso, tornato uomo libero, in
un mondo in cui non esiste altra realtà che il vero, il buono, il bello.
Possiamo dire che questo fu il compimento di quelle celebrazioni, e fu
l’unico, ché in esso si sintetizza ogni altro: la liberazione interiore.

Commemorare i grandi di una regione, della propria regione,
significa ricercare quella corrente ideale fra noi e i nostri maggiori,
quel legame che convoglia e unisce gli spiriti degli uomini e, soprattut-
to, « perché » li convoglia e li unisce. Per un richiamo imperioso che ci
sommuove, volgiamo i nostri occhi a esempi illustri, a magnanime
azioni, alla gloria di coloro che, per il lievitare stesso e il sovrabbondare
della « virtus », costruirono per il presente e per l’avvenire, benefican-
doci di quella luce e richiamandoci al dovere di farcene degni. Ecco
perché si fanno le commemorazioni. O anche quando quel legame re-
sta inavvertito, quando le anime ondeggiano fra le incertezze e le crisi,
quando, per una forza interna, tutto il nostro essere, nel declinare delle
virtù civili, è spinto a cercare sostegni e guide, quando soprattutto,
colti dal dubbio sulla giustezza del nostro operare, tentiamo l’estremo
160 NOTE E DOCUMENTI

salvamento col ricondurci ai nostri maggiori, e quando, coll'illusione
di una grandezza malamente intesa, ci affanniamo a giustificare le no-
stre storture, perfino col richiamarci anche alle inevitabili pecche dei
grandi, ecco come può darsi che avvengano le commemorazioni.

Ma la forza stessa dei valori umani finisce per ridurre i piü diversi
motivi verso l'unico scopo: la spiritualità dell'ideale, comunione inin-
terrotta tra tutti gli uomini di buona volontà, passati, presenti, futuri.
Comunione che abbatte ogni confine, elimina le frontiere, che intende
solo alla fraternità, alla pace, al progresso, nel libero scambio dei va-
lori della civiltà. E lingue, storia, tradizioni le più diverse, rientrano
tutte in un armonico comporsi di verità sofferte e conquistate, che
non debbono e non possono diventare strumento di lotta o di oppres-
sione. Questo fu solo in parte avvertito allora, almeno nell'ambito
nazionale e regionale. Si ebbe cura infatti di evitare ogni insorgenza
di campanilismo, col predisporre nel programma ufficiale che le figure
dei grandi fossero commemorate, generalmente, in altre città che non
quella d'origine. Ma non si avverti che, comunque, il nazionalismo por-
tava agli stessi rischi, e che al di fuori delle ideologie di un partito essi
non sarebbero sussistiti, e questo forse perché si senti, certo piü o
meno vagamente, che un tal MANNA si sarebbe corso piuttosto in cli-
ma. politico.

E noi non possiamo non lamentare il fatto che le glorie umbre
non ebbero echi fuori d'Italia, e che la nostra storia e la nostra civiltà
non poté essere celebrata con risonanza internazionale, ché quelli
eran giorni, purtroppo, in cui il mondo intero risuonava invece del fra-
gore delle armi.

. Nella speranza viva che coloro ai quali fu affidata la celebrazione
degli Umbri illustri maggiori e minori (del programma ufficiale e. an-
che fuori di questo)-vogliano affidare alle stampe le loro nobili fatiche
di ricercatori pazienti e acuti, sì da ovviare quanto più possibile alle
deficienze ineluttabili del momento che non permisero una piü larga
diffusione. dei loro studi, si passerà ora, sulla base dei pochi documenti
rimasti, alla esposizione cronachistica delle manifestazioni, non di-
sgiunta tuttavia, cosi come si é fatto già per questa introduzione, da
qualche tentativo di critica, pretesa questa di cui, secondo quanto si è
già detto in altre parole, si chiede venia per non sapervi rinunciare
totalmente.

Il 12 settembre —.un mese che solitamente in Umbria è luminoso

.e caldo come una primavera — Perugia si pavesó di bandiere, il centro
cittadino, lungo il corso Vannucci, splendeva dei colori di numerosi
NOTE E DOCUMENTI 161

stendardi: una vera atmosfera di festa. Il mattino fu riempito di ceri-
monie politiche con gli inevitabili cortei in divisa, e solo nel pomerig-
gio si ebbe l'inaugurazione ufficiale delle commemorazioni, fatta dal
ministro dell'Educazione Nazionale Giuseppe Bottai, con un discorso
d'apertura sul seguente argomento: « L'ideale romano e cristiano di
S. Benedetto ». Il pubblico fu numerosissimo e gremi letteralmente
l'ampio teatro Morlacchi dove il discorso fu pronunciato. I singoli
punti di esso si svolsero da una esposizione accurata e fedele del-
l'ambiente romano del vr sec., in cui sorse la figura di Benedetto da
Norcia, all'attuazione degli ideali cristiani del Santo che pose il lavoro
a comune base con la preghiera, per l'elevazione dell'uomo, e seppe
‘preservare ai posteri i valori più grandi del mondo antico.

Sostenne una sua tesi intorno.ai principi pedagogici del Santo,
ila quale mostrava punti di contatto con i motivi idealistici del Gentile:
reciprocazione di docente e discepolo, nel vigile scrupolo del primo
«se non debbano attribuirsi a colpa del pastore le mancanze delle sue
« pecorelle » ; il noto motivo secondo il quale il maestro, educando gli

'altri, educa se medesimo. Nella seconda parte del suo discorso il Bot- .

. tai prese in esame gli immensi contributi che diede alla civiltà occi-
dentale l'opera benedettina,la quale, a differenza del monachesimo
d'oriente, seppe far scaturire valori incalcolabili dal principio del la-
voro inteso come attività laudatrice dei grandi doni di Dio, addirit-

tura come un «opus Dei » che non rinnega i valori del mondo, ma li

trasforma in mezzi di edificazione dell'umana personalità. Sorta di
umanesimo ante literam che sa perfettamente fondere gli ideali di
Roma e del Cristianesimo.

Questa del Bottai fu una celebrazione forse un n pò personale, ma

‘indubbiamente onesta e coscienziosa, nei suoi punti più salienti, e non
mancò di riscuotere applausi e consensi, pur nella diffusa ma conte- .

.nuta diffidenza di molti.

La permanenza di alcuni giorni a Perugia del ministro, gli diede '
occasione di inaugurare altre manifestazioni di cultura, fra le quali la

« Mostra storica dell’Università di Perugia », apprestata nei locali del
Museo Etrusco presso l'antica e nobile sede dell’Università, e la « Mo-
stra della Ceramica umbra » nel magnifico settecentesco Palazzo Gal-
lenga, sede dell’Università per Stranieri. Le due mostre furono aperte
il giorno successivo, 13 settembre, e in special modo la prima meritò
risonanza e lode per la serietà con cui fu allestita. Tale compito era

stato affidato, per la massima parte, all’illustre dott. Raffaele Bel-

forti, noto erudito e profondissimo conoscitore di cose perugine, e che,

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m IZZO ARI ipe im p to cn Si) Ed 162 NOTE E DOCUMENTI

ih nei lunghi anni trascorsi come Bibliotecario presso la nostra Facoltà
vp di Agraria, ha saputo raccogliere un cospicuo e interessantissimo ma-
teriale storico intorno a Perugia e all'Umbria. Egli fu coadiuvato
dal Direttore Amministrativo dell'Università, dott. Alfredo Masdea.
La storia gloriosa dell'Ateneo perugino era rappresentata alla Mostra
da un vastissimo materiale documentario, bibliografico, iconografico
a partire dal 1260, epoca della sua fondazione, fino ai nostri giorni.
Tale Mostra, seppure, per la ristrettezza del tempo concesso per
la sua preparazione, dovette essere allestita con una certa fretta che
? non permise una più ampia raccolta di documenti probativi degli in-
B signi titoli di merito dello Studio, incontró tuttavia l'interesse e l'ap-
provazione incondizionata di tutti, poiché fu sufficiente a mostrare
Il | lo sviluppo storico dell'Istituto. Si espresse il desiderio che quella
| Mostra potesse divenire permanente, potesse cioé trasformarsi in un
vero e proprio Museo Storico dell'Università (1).
Fu aperta la Mostra con un discorso inaugurale pronunciato dal
Rettore Magnifico Paolo Orano che, con la sua elegantissima parola,
illustró, in rapida sintesi, la secolare superba tradizione dello « Stu-
dium Generale Augustae Perusiae ». Furono ricordati i maggiori in-
gegni che si formarono o che insegnarono in esso, fra i quali i nomi di
Alberto Gentili, Baldo degli Ubaldi rifulsero ancora alle parole del
Rettore, accanto al nome altrettanto, se pur diversamente, famoso
: di Cesare Borgia. E la Mostra indicó, attraverso preziosi incunabuli,
codici miniati, edizioni rare e famose, altri nomi illustri, quali i Neri,
gli Alfani, i della Corgna, i Benincasa, Bartolo da Sassoferrato, Ludo-
vico Cenci, Girolamo Accoramboni, Francesco della Rovere — che,
col nome di Sisto IV, divenne Pontefice e non fu il solo — il Mariotti,
il Vermiglioli, il Fabretti, il Conestabile e moltissimi altri che sarebbe
. troppo lungo elencare in queste pagine. Indicó in modo convincente
la complessa storia e il complesso organismo dell'Istituto, i rapporti
di esso con le organizzazioni dei « chierici » (le « Sapienze » e « l'Uni-
versitas Scholarium »), le organizzazioni dei Dottori. Di grande inte-
resse riuscirono anche i documenti attestanti la presenza di nuclei di
studenti stranieri, a prova della universalità della fama dello Stu-
dio Perugino, che fu uno dei pochi ad ottenere investiture dalle
due massime, talvolta antagonistiche, autorità medievali, il Papato
e l'Impero.

(1) Vedi, in questo medesimo vol. del Bollettino, a pp. 193-199, la diffusa
relazione che alla Mostra Storica dell'Università, dedica lo stesso Belforti.
NOTE E DOCUMENTI 163

Altra cerimonia nella giornata del 12 settembre all'Università

degli Studi, fu lo scoprimento di una lapide commemorativa della vi- .

sita di Galileo Galilei a Giuseppe Neri, maestro di quello Studio, per
consultarsi con lui in materia di scienze fisiche e matematiche. Ecco
il testo dell'epigrafe, posta nel corridoio di pianterreno del palazzo:
« Galileo Galilei fu a Perugia nell'aprile MDCXVIII — a consultarsi
con Giuseppe Neri — maestro di questo Studio — Nel terzo centenario
della morte del sommo - la R. Università degli Studi di Perugia — da
lui proclamata « celebre e famosa » — vuole qui consacrato il documen-
to glorioso — (In occasione della Celebrazione dei Grandi Umbri, addi
12 settembre 1942, a. XX) ».

La Mostra della Ceramica umbra fu ordinata dai Proff. Aldo Pa-
scucci e Giovanni Angelini con sapiente buon gusto e, se non offrì un
panorama vastissimo di questa nostra caratteristica arte (si espone-
vano solo cinquecento pezzi circa, provenienti, per la ceramica antica,
dal Museo Preistorico dell’Italia Centrale, dai Musei Civici di Gubbio,
Deruta e Arezzo, dalla Collezione Magnini e dalla Collezione degli Azzi-
Vitelleschi), essa tuttavia riusci di grande interesse perartisti, amatori e
curiosi, poiché fu in grado di mostrare gli sviluppi caratteristici avu-
tisi via via nel corso dei secoli. Da terrecotte lavorate a mano esrisa-
lenti all'età del bronzo, si passava ai pezzi piü rari e magnifici della

grande arte di Mastro Giorgio Andreoli da Gubbio che, come disse.
D'Annunzio, «ha fatto rosseggiare l'alta sua rinomanza in tutto il

mondo » per i suoi meravigliosi riverberi di color rubino: tra i pezzi
più pregevoli era il famoso piatto del 1528 raffigurante Ercole e Deia-
nira, dal miracoloso brillio. Figuravano altresi nella Mostra pezzi
rari del cinque, del sei e del settecento e ceramiche moderne prove-
nienti da Gualdo Tadino, da Gubbio, da Deruta e da Perugia; tra esse
meritavano un posto di rilievo i lavori. del ceramista gualdese Al-
berto Santarelli, e quelli del Pascucci e del Belletti dell'Istituto d'Arte
di Perugia.

Anche la Mostra dei Disegni di Guglielmo Calderini, allestita nei
locali dell’Accademia di Belle Arti, fu inaugurata dal Bottai il giorno
13. Fu opinione di molti che essa non rispecchiasse integralmente la
complessa personalità artistica dell’illustre architetto, specie in raf-
fronto con la Mostra precedente, tenutasi in Perugia nel 1923. Si rico-
nobbe però che ancora una volta la ristrettezza del tempo era stata
l’unica causa delle manchevolezze. Figuravano nella Mostra moltis-
simi. disegni (anche se non tutti di primaria importanza) che dettero
modo ai visitatori di comprendere quanto fosse versatile l’ingegno

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164 NOTE E DOCUMENTI

del Calderini, e di accorgersi come egli fosse, oltre tutto, un disegna-

‘tore dai potenti mezzi espressivi.

Fedeli al nostro compito di cronisti, ricordiamo anche che nello
stesso giorno venne aperta, negli ambulacri della Rocca Paolina, la
IX Mostra Sindacale d’Arte Moderna che ebbe per organizzatori i
Proff. Benedetto d'Amore e Carlo Castellani, scultori, i Proff. Gerardo
Dottori, Aldo Pascucci, Vittorio Meschini e Ugo Castellani, pittori.
La Mostra, ricca di centonovantasei opere, presentate da settanta au-
tori, benché testimoniasse impegni seri, non offrì tuttavia cose note-
voli o rivelazioni, per quanto si potessero notare lavori di qualche in-
teresse, come i chiari disegni e le xilografie di Salvatore D'Amore, una
terracotta (Elvirina) di Antonio Ranocchia, un tormentato autori-
tratto in marmo di Augusto Cecchini, ed altre opere di Zena Fettuc-
ciari Checchi, Tommaso Peccini, Benedetto D’Amore. Caratterizza-
vano la mostra diverse tendenze, fra le quali, a diminuirne il merito,
era certo manierismo futuristico, più formula che sentimento, e certa
ingenuità di mezzi espressivi e tecnici, indici di immaturità artistica,
talvolta unita però a presentimenti di possibilità avvenire.

Ultima in quest'ordine, ma non certo in valore, fu, delle manifesta-
zioni del giorno 13 a Perugia, la conferenza del Prof. Fausto Torrefran-
ca, docente di Storia della musica nell'Università di Firenze. L'argo-

.mento verteva su Francesco Morlacchi e i maggiori musicisti umbri.

Nella prima parte della sua orazione il Torrefranca, dopo aver accen-

nato allo scarso fervore di ricerche musicali in Italia, trattò sinteti-

camente della storia musicale italiana, dimostrando che le varie sto-
rie regionali presentano spesso, di fronte alla linearità di sviluppo del-
la musica italiana, discordanze, deviazioni, saltuarietà. La storia mu-
sicale umbra indica invece pronta e costante adesione ad ogni moto
di rinnovamento, sorto in seno alla scuola romana, sempre fedele rap-
presentante — secondo il Torrefranca — della musica italiana: segno
questo dei perspicui caratteri italiani dell'Umbria. Seguì poi una rie-
vocazione dei principali musicisti umbri, quali solo accennati, quali
illustrati più estesamente: S. Francesco, Matteo da Perugia, l'Ange-
lini Bontempi, Loreto Vittori, Baldassarre Ferri, Asprilio Pacelli,
Luigi Mancinelli. |

La figura particolare della seconda parte dell'orazione fu quella
di Francesco Morlacchi, trascurato e incompreso in Italia, onorato
all'estero, se pur molto spesso anche là avversato e addirittura odiato,
e che comunque i perugini troppo poco conoscono ed amano. Carat-
tere della sua musica, dai pregi indiscussi e che attende oggi di essere

|
NOTE E DOCUMENTI 165

nati fu il susseguirsi, nei suoi i delle parti senza.

interruzione, senza quelle chiuse cadenzate predilette dagli amanti
del bel canto, dei motivi orecchiabili, e dei virtuosismi. La musica del
| Morlacchi venne ritenuta troppo difficile, priva delle «arie » e delle
«cantate » così comuni nella musica italiana d’allora, troppo « tede-
sca » (ed egli contribui anche a far conoscere la musica tedesca) e per
questo lo si volle far passare piü tardi, con troppa faciloneria, per un
precursore di Wagner. Il Torrefranca spiegó come il Morlacchi susci-
tasse molto interesse presso la critica moderna, ed egli, col suo eloquio
immaginoso e fervido, seppe suscitarlo anche nel pubblico numeroso.

Mentre a Perugia si svolgevano le manifestazioni sin qui breve- -
mente ricordate, Alfredo De Marsico celebrava nel Politeama di Terni.
la figura di Tacito, e il Ministro Bottai inaugurava a Foligno la Mo-

stra dell'Arte della Stampa.

L'orazione del De Marsico fu un'attenta disamina della complessa
personalità del grande storico attraverso la sua opera, considerata
dai punti contenutistico e formale, e mise bene in risalto la concezio-
ne di Tacito intorno alla storia e a Roma, concezione che gli permise

di rappresentare, con la potenza espressiva della sua sinteticità, gli

avvenimenti nel loro lato meno caduco, ponendoli su un piano di va-
lore universale. Altre osservazioni del De Marsico più personali e con-
tingenti intorno all'opera di Tacito noi non ci cureremo di riportare.

La Mostra dell'Arte della Stampa, allestita nel. bel Palazzo

Trinci, fu aperta, dopo i soliti discorsi politici, dalla Soprintendente.

Bibliografica per il Lazio e l'Umbria, Dott. Nella Vichi Santovito, la

quale mise in rilievo la grande importanza della raccolta; con le sue

ammirevoli rarità tipografiche, ricordando la storia del libro essere
storia della cultura. Ebbe altresì parole di lode per i suoi allestitori, i
Proff. Don Angelo Messini, Bibliotecario della Comunale di Foligno, e
Giovanni Cecchini, Direttore della Comunale di Perugia.

Quella di Foligno, che ebbe il notevole vantaggio sulle altre Mo-
stre, di essere munita di un chiaro e dotto catalogo, opera del Prof.
Cecchini, fu una mostra interessantissima in modo particolare per gli
studiosi e i bibliofili (l'Umbria e soprattutto Foligno, fu tra le prime
regioni a praticare la nuova arte), perché fu una documentazione di
primo piano della vasta attività tipografica dell'Umbria, e raccolse i
piü preziosi pezzi stampati nella regione dal 1470 ai giorni no-
stri. Rilevanti, fra i numerosissimi esemplari, furono ad ésempio i
primi testi stampati in tutto il mondo del « Digesto » di Giustiniano,
edito a Perugia, e della « Divina Commedia » » edita a Foligno.

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166 NOTE E DOCUMENTI

Foligno, come sede di questa Mostra, fu scelta molto saggia, poi-
ché nessun'altra città dell'Umbria avrebbe potuto vantare una piü
antica e insieme ricca e continua tradizione tipografica, risalente ai
tempi di Rinaldo Rothmanu, Giovanni Lucarini e Giovanni Numei-
ster, fino ai fratelli Cantagalli, all’Alterij, al Colombara, al Campitelli,
al Campana, al Tommasini, allo Sgariglia.

Figuravano, disposti in sapiente ordine, libri stampati a Trevi —
le cui edizioni sono anteriori a quelle di Foligno: « La storia del perdo-
no di Assisi » di F. Bartolo (1470), la « Lectura super prima parte In-
fortiati » di Bartolo da Sassoferrato (1471), — opere edite a Perugia che,
per esser centro famoso di studi, fu ben presto in testa a tutte le altre
città per quantità e varietà di volumi stampati — basterebbe citare la
sola famiglia Cartolari —; vi figuravano le belle edizioni stampate a
Spoleto, dalla « Tipografia Umbra » fondata dal Pompilj e. dal Ra-
stelli nel 1866, quelle di Città di Castello, che nel secolo XIX doveva
diventare un centro attivissimo della tipografia, per opera di Scipione
Lapi. Sarebbe troppo lungo citare e illustrare in queste pagine tutto
ciò che allora rifulse nelle nobili sale del Palazzo Trinci, e che delizió
gli occhi degli amatori (1).

La giornata di Gubbio puó ben considerarsi forse la piü note-
vole in tutto il ciclo delle manifestazioni. E fu una solennità tutta in-
teriore, in una esaltazione dello spirito profonda e serena insieme, in
un'atmosfera nuova e pura, in cui i cuori e le intelligenze si nutrirono
in abbondanza. L’antichissima e nobile città ospitò un gran numero
di personalità della cultura, pervenute da tutta Italia come ad un ap-
puntamento di pace in quell’angolo di tranquillità, lontano dal mareg-
giare tristo delle vicende di un mondosconvolto. Il magnifico sole di quel
dolce settembre sembrò rendere l'aria anche più pura nella mitezza .
dei pensieri. Ricordiamo quel giorno quasi con un senso di nostalgia
e vorremmo considerarlo come una prova della bontà dell’uomo, co-
me un attestato di fede contro tante dolorose esperienze. Ogni con-
trasto, ogni diffidenza non poteva non essere soffocata e svanire in
quel fervore e in quell’entusiasmo sinceri. Di fronte alle bellezze della
natura, di fronte ai maestosi palazzi testimoni di glorie e virtù citta-
dine, di tradizioni antiche e nobilissime, di fronte alla gioiosa incante-
vole rivelazione di affreschi quattrocenteschi, alla rievocazione dei
suggestivi rituali del Collegio Sacerdotale dell'umbra Iguvium, nelle

(1) Del magnifico Catalogo della Mostra, curato da Giovanni Cecchini,
vedi, in questo volume del Bollettino, a pp. 202-204, la recensione fatta dal
Belforti.
a

NOTE E DOCUMENTI 167

parole arcane di quella lingua lontanissima..., ogni cuore vibró di
commozione, ogni animo dimenticó le contese, i rancori, i sospetti, ogni
anima che forse una diversa concezione politica separava, si accostó
alle altre nel rivelarsi di una comune umanità anelante al bello e al
vero.

Il mattino del 14 settembre, come gradita aggiunta al tanto pre-

gio delle manifestazioni ufficiali, si procedette allo scoprimento del-

l'importantissimo ciclo di affreschi di Ottavio Nelli, o di un pittore
alui molto vicino, nell'abside sinistra della bella chiesa gotica di San
Francesco. Fu una gioia incomparabile per tutti i presenti il rivelarsi
ai loro occhi degli stupendi dipinti che per secoli erano stati celati al-
l'ammirazione degli uomini da uno schermo di intonaco: Lo scopri-

. mento di quegli affreschi (ispirati per la maggior parte alla vita della

Vergine) fu il coronamento di un lungo e paziente lavoro e costituì un
evento di notevole importanza per la storia dell'arte.

Il Prof. Bertini Calosso — questo appassionato amatore dell'Um-
bria e delle sue bellezze, al quale si deve l'iniziativa dello scoprimento
e del restauro del bellissimo ciclo — intrattenne i convenuti illustrando
quanto si presentava ai loro occhi ammirati. Con tutta la prudenza
e con tutte le riserve che in siffatte congetture sono doverose egli, com-
piuta la sua illustrazione, ha mostrato all'uditorio i probabili volti del
pittore (il Nelli ?), e di un architetto, forse Matteo di Giovannello Gat-
taponi, quest'altro grande eugubino che lasció le.sue opere imponenti
in tanta parte dell'Umbria, e anche fuori della Regione, e al quale noi
perugini dobbiamo con ogni probabilità il magnifico chiostro di S. Giu-
liana. Il restauro di questi interessantissimi affreschi é stato eseguito
con notevole valentia dal Prof. Alessandro Bruschetti, coadiuvato
dal pittore eugubino Ilio Cricchi.

Quindi il Prof. Bertini Calosso tenne, la stessa mattina, la cele-
brazione ufficiale del Gattaponi nella sala maggiore del Palazzo
dei Consoli. L’oratore tratteggió la figura dell’architetto fiorito nel

. XIV secolo, gloria umbra per tanti secoli rimasta sconosciuta o quasi,

analizzando le opere superstiti e giungendo a conclusioni originali, che
meritarono l’assenso dello sceltissimo pubblico presente. La fama del
Gattaponi era rimasta legata soltanto al ricordo di un’opera ora scom-
parsa: la fortezza di Porta Sole a Perugia, iniziata nel 1371, distrut-
ta per furor di popolo cinque anni più tardi. Solo nel secolo xviri Se-
bastiano Ranghiasci eugubino rinvenne alcune carte relative al Gatta-
poni, e la fama di lui cominciò a correre il mondo. Ma oggi la sua ri-
nomanza è affidata a numerosi lavori che egli compì in cfrca cinquan-

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168 NOTE E DOCUMENTI

ta anni d'attività, dal Palazzo dei Consoli di Gubbio, che la tradizio-
ne; e più inequivocabilmente i caratteri architettonici, assegnano a

lui per massima parte, alla Rocca di Spoleto la cui costruzione gli fu

commessa dal Cardinale Albornoz, e forse là stesso quella del Ponte
delle Torri e del Palazzo. della Signoria, al Collegio di Spagna in Bo-

‘logna, alla Loggia dei Priori di Narni. Forse si ispirò per le. sue opere

ai monumenti dell'Umbria e di Gubbio, ai resti del suo teatro romano
e seppe genialmente fondere le ispirazioni, rendendole in caratteri

. precipuamente italiani ed umbri, facendosi vero « avvisatore » del Ri-

nascimento.

Nel pomeriggio, sotto la presidenza del Sen. Paolo Orano, il Con-
vegno Archeologico-Umanistico ebbe luogo nel Palazzo dei Consoli,
a iniziativa della Sezione di Perugia dell'Istituto Italiano del Rina- .
scimento. Dopo una breve esposizione del programma da parte del

‘ Prof. Bertini Calosso, ciascuno dei cinque oratori espose la propria

relazione. Il Prof. Giacomo Devoto parlò del preziosissimo cimelio
eugubino, le tavole di bronzo del 1m sec. a. C., in cui, nella remota

. lingua umbra, è contenuto il più antico rituale completo che si cono-

sca, e che è un documento: di inestimabile valore linguistico. Il Devo-
to illustrò ampiamente l’importanza che aveva rivestito per il mondo
e per la storia della cultura il rinvenimento di quelle sette lastre di
bronzo, e quanto interesse e fatiche di ricerche esse avessero suscitato
presso gli studiosi, e come dalla.loro traduzione quante preziose noti-
zie linguistiche ed etnologiche si fossero potute raccogliere su Gubbio
e sull'Umbria nei loro rapporti con gli altri popoli italici.
Prosecuzione di questa prima relazione, dal punto di vista etru-
scologico, fu quella del Prof. Massimo Pallotino. Egli trattò delle ta-
vole eugubine in riferimento ai testi religiosi etruschi, notando, con
eccezionali capacità ricostruttive, i rapporti fra la civiltà umbra e
quella etrusca, gli scambievoli influssi, le diversità e le assimilazioni.
Le due relazioni furono condotte con perfetta sicurezza e profonda
conoscenza del patrimonio archeologico e storico, e, se pur correnti
su una linea rigidamente scientifica, seppero tuttavia affascinare l'u-
ditorio che ascoltava compreso dell'importanza di ‘quegli studi e di
quelle difficilissime ricerche, mentre forse ‘ciascuno evocava nella
mente i fantasmi di un lontanissimo passato, sentendo stringere più
tenaci nel fondo dell’animo i nodi ancestrali.
. . Nelle loro brevi comunicazioni si avvicendarono poi il Prof.
Edoardo Galli con un’esposizione del programma dei lavori intorno
al teatro romano di Gubbio, e l’abate Prof. Giuseppe Ricciotti ‘che
NOTE E DOCUMENTI © ; 169

parlò di uri piccolo centro di cultura umanistica in Gubbio e dell'u-
manista Agostino Steuco, fino allora pressocché dimenticato. Infine
il Prof. Giovanni Cecchini illustró una inedita: lettera-prefazione «al
trattatello del « Metodo » di Benedetto Varchi (1).

La luminosa giornata di Gubbio, di certo indimenticabile per
coloro che vi convennero, si chiuse lasciando nell'animo un’ impres-

sione profonda che seppe cancellare tante diffidenze per le commemo- :

razioni in genere, diffidenze derivate dagli aspetti deteriori dell'op-
.portunità politica. :

Il giorno 15 settembre a Perugia, nella sala ? Magg iore affrescata.

dal Brugnoli al Palazzo Cesaroni (sede dell’Accademia dei Filedoni)

ebbe luogo la commemorazione: dell’architetto perugino Galeazzo :

Alessi, celebrata dall’architetto Mario Labò. Dopo brevi parole in-
troduttive'del Prof. Bertini Calosso, l'oratore — studioso insigne del-
l'opera dell'Alessi — delineava acutamente, con precisi riferimenti sto-
rici e citazioni di documenti spesso. inediti, la vita dell'artista e lo
sviluppo della sua arte. Espose con: dotte valutazioni critiche, e con
l'ausilio di proiezioni, le opere dell'Alessi, da quelle in Umbria a quelle

di Genova e della Liguria, dimostrando come fu egli appunto a dare |

um notevolissimo apporto al sorgere e allo sviluppo del barocco nel-
l'Italia del nord, mediante le sue personalissime intuizioni e le sue
arditezze costruttive. L'intellisente espositore forni notizie interes-
santissime riferendosi alle stesse fonti documentarie cui egli attinse
e ai famosi disegni del Rubens, pubblicati ad Anversa nel 1630,-e ri-
producenti le opere architettoniche dell'Alessi, delle quali il grandis-
simo pittore fu entusiasta diffusore nei paesi dell'Europa Settentrio-
nale. Il pubblico dimostró di apprezzare la parola del Labó e i coscien-
ziosi amorevoli studi dedicati a un cosi famoso perugino.

Al Teatro Nuovo di Spoleto, nella stessa giornata, veniva com-
memorato il poeta Properzio, dal Prof. Giulio Quirino Giglioli. Fu
una conferenza piena di interesse, che mise in una luce obiettiva la
‘figura di. questo poeta latino, che, pur non essendo nella schiera dei
massimi autori dell’età aurea, è ad essi. vicinissimo, e degno di
particolare studio per.tanti aspetti della sua poesia così moderni e pie-

ni di quel fascino psicologico che Properzio seppe mirabilmente inse-

rire nei suoi versi amorosi. Appunto per essi Properzio ha un posto
degnissimo fra i poeti d’amore, ed è uno dei più suggestivi e ardenti

(1) La comunicazione del Cecchini è pubblicata in questo medesimo VO-
lume del Bollettino, alle pp. 143-146.

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170 NOTE E DOCUMENTI

che abbiano fissato in forma sincera e indimenticabile certi moti del-
l'animo. Da un punto interiore, quale è questo, della poesia proper-
ziana, l’oratore passò all'esame di tutta l'opera di lui, indicandone
con sicurezza encomiabile, i caratteri, le pregevoli innovazioni, i di-
fetti.

Della commemorazione di Nicolò Piccinino, che si tenne a Città
di Castello il 16 settembre, non crediamo opportuno parlare, sia per
il nessun contributo apportato alla conoscenza di quel Capitano di
Ventura perugino, sia perchè in quell’occasione i fini politici furon
così manifesti e invadenti da togliere, secondo noi, qualsiasi valore
alla manifestazione.

Diremo invece delle rievocazioni di Ippolito Scalza e di Federico
Frezzi, avutesi il giorno 17, per opera dell’architetto Renato Bonelli
ad Orvieto, e del dott. Arnaldo Frateili a Foligno.

Nella grande sala del palazzo Soliano a Orvieto, dinanzi ad un
uditorio ‘folto di autorità civili e religiose, il Bonelli dette dapprima
precisi cenni intorno alla vita dell’architetto e scultore orvietano, e
quindi, analizzando alcune sue opere di scultura in Orvieto (il gruppo
della Pietà e la statua di S. Tommaso), ne rilevò le caratteristiche
dello stile, e osservò che lo Scalza seppe rimanere quasi immune da-
gli influssi del manierismo e del convenzionalismo d’accademia, crean-
dosi una propria personalità nell’ambito del tradizionalismo clas-
sico. La sua arte fatta di armonie di linee e di volumi poté esprimersi
quindi in modo autonomo. Dopo aver descritto l'attività architet-
tonica dello Scalza, e illustrate alcune sue opere più importanti, l'o-
ratore espresse in merito ad esse alcuni giudizi critici, affermando come
egli non possa essere annoverato nel gruppo cui appartennero l'Am-
mannati, il Vignola, il Della Porta, pur essendo ad essi contempora-
neo. Lo Scalza tendeva decisamente nelle sue creazioni maggiori, se-
condo l'oratore, ad una architettura pittoresca, di movimento d'in-
sieme come é proprio dello spirito del barocco, di cui puó conside-
rarsi, sotto un certo aspetto, uno degli iniziatori. Peró al disopra di
qualsiasi considerazione esteriore di priorità stilistica, resta netta
e sicura la sua indipendenza, frutto di un temperamento che coglieva
la bellezza, ogni volta conquistandola con rinnovato sentire: dote, que-
sta, che lo fece uno dei più grandi architetti della seconda metà del
Cinquecento. Inoltre il Bonelli aggiunse alcune interessanti notizie
dello Scalza uomo e cittadino, e fra queste la sua opposizione a che
le cappelle del Duomo venissero decorate con stucchi anziché con
marmi. Rammaricandosi che pochi fino ad ora abbiano riconosciuto
NOTE E DOCUMENTI 171

i meriti dell'opera dello Scalza, e augurandosi che la sua vita e la sua
arte possano essere fonte di nuove piü diffuse indagini, il Bonelli
chiuse il suo discorso fra gli unanimi consensi degli ascoltatori.

La commemorazione del Frezzi fu tenuta nella Sala dei Concerti
del Palazzo Trinci a Foligno. Arnaldo Frateili, dopo aver accennato
alla vita del Frezzi e parlato delle scarse notizie intorno a lüi, pose co-
me dato iniziale una discriminazione tra il contenuto etico e quello
poetico del « Quadriregio », l'opera solitaria del vescovo folignate. Se-
condo l'opinione dell'oratore il contenuto etico del poema può ridursi
«in una gran predica », ma un'ispirazione poetica si rivela in quegli
episodi d'incontri coi trapassati nell'aldilà, di cui il « Quadriregio » è
disseminato a imitazione della « Divina Commedia ». Il Frezzi infatti
fu un imitatore di Dante, ma, diversamente da tutti gli altri imita-
tori, egli seppe mettere nel suo lavoro un contenuto e un gusto spesso
originali, ció che contribui ad una certa diffusione della sua opera pres-
so 1 contemporanei. Ma se l'aver preso Dante a modello fu segno di
aver compreso la grandezza di lui, l'imitazione fu anche il limite di
ogni suo valore. La sua fama si spense, certo ingiustamente, coi se-
coli, ma quel culto amorevole che egli ebbe per la poesia, lo fa ben
degno di ricordo e di onori.

Il giorno 18, mentre ad Amelia veniva commemorato il Capi-
tano di Ventura Bartolomeo d'Alviano, dal Consigliere Nazionale
Felice Felicioni, a Orvieto, nella Sala Rossa del Palazzo Comunale,
il Prof. Giorgio Pasquali tenne la celebrazione di Plauto.

Dopo aver tracciato una breve biografia del commediografo di
Sarsina, l'oratore espose le ragioni per le quali Plauto oggi non è po-
polare in Italia, pensando di ravvisarle, per un lato nello stesso canone
classicistico prevalso nella scuola italiana, per l'altro nei giudizi d'O-
razio, ai quali è attribuito un valore assoluto che essi non possono
avere. Ha nociuto alla fama di Plauto anche l’accettazione supina dei
risultati, in sé giusti, di certa filologia straniera, secondo cui Plauto
è traduttore e riduttore del teatro greco, quasi che la traduzione non
potesse essere arte originale. Il conferenziere rivendicò alla letteratura
latina il vanto dell’invenzione della traduzione artistica e mostrò come
lo stile di Plauto fosse del tutto originale, rispetto a quello dei suoi
modelli. Si cercherebbero inutilmente in lui dei grecismi, poichè egli
seguì una tradizione indigena. A dimostrazione di ciò l’oratore pose
a confronto Menandro e Plauto, e asserì che quest’ultimo usò espres-
sioni diversissime dal primo, compiacendosi di giochi di parole e di
frizzi che Menandro non ebbe mai. Vi sono in Plauto intere scene co-

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172 NOTE E DOCUMENTI

stituite da una serie ininterrotta di scherzi, senza parlare poi delle
sue macchiette riuscitissime piene di « vis comica » e di un sano umor
popolaresco, ché è arte, ed arte vera, pur fra i molti difetti. E la ra-
gione per cui questi ultimi sono più in risalto, contro tanti pregi in
ombra, è che le odierne generazioni hanno perso di vista Plauto. Egli
potrà tornare popolare se la scuola avvierà i discepoli a intenderlo e
ad amarlo. Al termine della conferenza l'oratore riscosse applausi
e felicitazioni dal pubblico foltissimo e colto, il quale lamento soltanto
che alle celebrazioni di Plauto mancasse la rappresentazione di una
sua commedia, che tutti avevano inutilmente sperato, e che avrebbe
ancora di più avvicinato all'anima del grande Sarsinate.

Il 19 settembre nella sua conferenza tenuta a Norcia a commemo-
razione di S. Benedetto, Emilio Bodrero dissertó intorno alla figura
del grande Nursino, con un'accurata quanto intelligente valutazione
della sua Regola, questo libretto che l'oratore giustamente chiamò
monumentale e orgoglio della cristianità. La Regola fu suggerita
infatti a S. Benedetto da un senso tutto romano della praticità, da
una sicura quanto benevola conoscenza della natura umana che die-
dero: possibilità straordinarie di sviluppo alla concezione della vita
monastica. Quel sapiente e minuto disciplinare ogni mansione, si giu-
stifica in quanto è volto a mostrare che la funzione va intesa nello
spirito e non nella lettera, perché nel gran numero delle norme, poche
di esse son considerate assolute, ma, temperate dal senso pratico del-
la tolleranza, in tutte circola uno spirito indulgente. La regola, con
la sua organizzazione accurata del monastero, fa si che essa possa es-
sere riguardata, «mutatis mutandis » come documento di valore e
insegnamento politico oltre che religioso. Ma non c'é una parola sola
in cui si ravvisi una portata politica, non una che alluda a dispute
teologiche, ed anche in ció si palesa il grande senso pratico del Santo
che voleva creare questo suo modello di società religiosa proprio co-
me réazione autonoma al mondo circostante. Fuori degli eccessi in-
tellettualistici delle dispute teologiche, fuori della violenza barbarica
e imperiale, al di là delle distinzioni di classe e di nazione, Bene-
detto aveva costituita una società cristiana esemplare, a mostrare ciò
«che ancora di buono poteva la natura umana, in tempi in cui era perso
ogni principio di rispetto per tutti i valori. Concetto armonico della
società che non palesa «stricto sensu » un valore giuridico, ma lo in-
clude nello spirito e lo sorpassa nella parola, verso uno scopo. supe-
riore di elevazione della persona umana. Principio questo che rientra
nel significato più vero della società romana. j ;

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NOTE E DOCUMENTI 173

Ció é in breve sintesi e al di sopra di termini che, nel clima poli-
tico di allora, potevano essere talvolta equivocabili, quanto il Bo-
drero espose nella sua conferenza, invero seria e onesta nei mezzi e ne-
gli intenti, e che dimostró nell'oratore una cultura vastissima e una
alta coscienza. |

In Foligno frattanto, con una bella orazione del prof. Guido Man-
cini, si rievocava a Palazzo Trinci la luminosa figura della Beata An-
giola. La grandezza morale di quella donna tornò a commuovere i
cuori dei folignati e li condusse a meditare sull'immensa forza che il
misticismo umbro, dietro l'esempio di Francesco d'Assisi, esercitó in
tutto il medioevo sulla Chiesa, sulla cristianità e come tale forza tut-
tora si eserciti sulle anime dei contemporanei. Grande fu infatti la
risonanza della fama della Beata Angiola, si che moltissimi studiosi,
anche stranieri, si interessarono di lei, delle sue profondissime intui-
zioni in materia di teologia e di morale, di lei che fu chiamata « ma-
gistra perfectionum », « magistra theologorum ». Accorrevano invero
ad ascoltare i suoi insegnamenti perfino i dottori della Chiesa che tal-
volta, in tutta la loro scienza, non riuscivano a comprendere le inef-
fabili intuizioni di lei. | i

Questo primo incontro che i cittadini di Foligno fecero con
la grande figura, accese in loro tale entusiasmo di fede che, nel gior-
no seguente, enorme fu l'affluenza di popolo nella. Chiesa di S. Fran-
cesco, dove fu celebrato, dal vescovo di Todi S. E. Mons. De Sanctis
un solenne Pontificale e pronunciata un'ispirata omelia in esaltazione
della Beata. Per iniziativa del Parroco di S. Francesco, Padre Luigi
Fratini, si costituì nei giorni seguenti anche un comitato per l’erezione
di un monumento alla Beata Angiola, mentre tutta la cittadinanza
veniva investita del mandato di concorrere sia spiritualmente che ma-
terialmente all’attuazione del progetto. Ancora una volta, però, per
i tristi giorni che sopravvennero, non fu possibile realizzare tanto e
veramente pio desiderio.

All'imponente manifestazione religiosa in Foligno fece riscontro
a Cascia la Messa Solenne in onore di S. Rita, celebrata dal Superiore
Generale degli Agostiniani, Padre Carlo Pasquini. Nello stesso giorno,
a Spoleto, Tullio Cianetti pronunciava un discorso a commemorazione
della Santa. Di esso, un punto che riteniamo degno di nota, fu .il cen-
no al Quattrocento italiano, che pur nel fulgore degli ori, degli studi
umanistici e della vita gaia, contenne tuttavia, contro l'opinione di
tanti, semi fecondissimi di religiosità, coi quali il misticismo del fran-
cescanesimo, varcate le soglie del secolo xv, continuava a vivere e

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174 NOTE E DO CUMENTI

a prosperare, con quelrinnovato spirito di umiltà, di cui. Rita Mancini
fu ‘alto esempio.
Anche a Norcia il Cardinale Enrico Gasparri, assistito dal Ve-
scovo di Norcia, celebrava un solenne Pontificale in onore di S. Bene-
detto, e pronunciava una omelia in suo onore. In verità i. nursini di-
mostrarono, in occasione delle commemorazioni, un lodevole spirito
di iniziativa, poiché questa celebrazione non ufficiale si aggiungeva
alla precedente del 12, nel qual giorno — mentre inviavano a Perugia,
dové il Ministro Bottai commemorava S. Benedetto, una rappresen-
tanza composta dal Podestà, dal Segretario del Comune e dal Sac.
Don Giovanni Argentini nelle veci del Vescovo — organizzavano in Nor-
cia una manifestazione a carattere principalmente religioso, durante

Ja quale tutta la popolazione ricopriva di fiori i gradini del monumen-

to al Santo, e, nella Chiesa, ne spargeva la cripta. Alla commovente
cerimonia si aggiungeva il discorso del Vescovo prima, e quello di
Mons. Marco Gradassi poi, nel Teatro cittadino gremitissimo di pub-
blico (1). Ci fu in quei giorni nella città tanto fervido zelo, e una così
sincera espressione di attaccamento e devozione al grande Santo, da
restarne presi, non già per qualcosa del torbido fanatismo di certe
manifestazioni religiose, ma per la serenità degli animi, per la compo-
stezza dei discorsi nella soavità diffusa intorno dalla limpidezza del
sole, dall’aria cristallina che alitava in giro la frescura dei monti. Fu
una giornata piena di semplicità e purezza, ma nello stesso tempo
toccante e solenne come è tutto ciò che viene dal cuore. Norcia sentì
quanto fosse grande il vanto di aver dato i natali al «romano » Anicio,
a colui che avrebbe tracciato la via della civiltà futura, costruito i
primi baluardi contro il mareggiare della barbarie per sé e per i suoi
monaci, pionieri dell'avvenire. Il popolo di Norcia, consapevole del
decoro maggiore che ne sarebbe venuto alla sua città, chiese in quel
giorno che i Benedettini tornassero lassù, come in antico, ad avere
una loro sede.

i Il ciclo delle commemorazioni, nel volgere alla sua conclusione,
si infittisce di nomi e di cerimonie, tra le quali un certo numero a ca-
rattere religioso. Alle anzidette si aggiunse infatti il giorno 21 ad As-
sisi, una solenne funzione in onore di S. Chiara, nella. basilica a lei
dedicata. Era la prima delle giornate celebrative assisane. Al mattino
la Campana delle Laudi, che i comuni italiani avevan donato ad Assisi

(1) Non si mancó di commemorare nei giorni 15, 16 e 17 settembre gli
altri grandi nursini, S. Scolastica, G.B. Lalli, Quinto Sertorio e Uferte.
‘NOTE E DOCUMENTI

nel VII centenario fraricescano, quando S. Francesco fu chiamato pa-
trono d'Italia, suonó a distesa ad annunciare al popolo l'inizio della
commemorazione. Tutta Assisi si ricoprì di bandiere; dalle finestre
del vecchio Palazzo dei Priori pendevano gli arazzi rossi e azzurri col
leone rampante e la croce. Nella Basilica di S. Chiara, entro la cripta
rutilante. di luci, fasci di fiori si andavano ammassando intorno all'ur-
‘na della Santa, fra il canto dolcissimo delle Povere Dame. .

Alle 18, ai nuovi squilli della Campana delle Laudi, la sala detta
della « Conciliazione », nella: sede potestarile, si gremi di pubblico di
ogni ceto. Si levarono ad un tratto dal fondo della sala le note solenni

della città in guerra, aveva purtroppo un senso di dolorosa attualità.
-Distolsero gli animi dalla commozione in cui quasi volentieri essi si
indugiavano, le parole del Podestà Arnaldo Fortini, con cui egli pré-
sentava l’oratrice Jolanda De Blasi. La scrittrice rievocò con precisio-
ne di notizie e con toccanti parole, la Santa della povertà. Ricordiamo

| per l'originalità delle ricerche fatte dalla colta scrittrice. Preso in
esame il panegirico di S. Chiara, composto da Tommaso da. Celano,
ella notò come i concetti e le locuzioni ivi contenuti, siano somiglianti
alle parole con cui Dante tessé le lodi di S. Domenico nel XII canto
del Paradiso. La De Blasi ritenne essere possibile che Dante si sia valso

degli Scifi per serbare a sé e alle sue Dame il privilegio della povertà.
Infatti la Santa, per oltre venticinque anni dopo la morte del Poverel-
lo Francesco, difese questo ideale fin sul letto di morte con straordi-
naria forza virile. | TE
Spenta l'ultima eco dei battimani che coronarono il bel discorso,
i frati della « Schola Cantorum » intonarono il « Cantico delle Crea-
ture » musicato dal Maestro Domenico Alaleona.
La commemorazione si conchiudeva nella Basilica di S. Chiara,

del comune, e dove si svolse la funzione solenne, in un trionfo di
lumi e di canti liturgici, accompagnati dal suono dell'organo.

marini. Le commemorazioni del grande architetto si iniziarono al mat-
tino con una grande funzione religiosa nella Cattedrale di S. Feliciano,

175:

e suggestive della « Canzone del Coprifuoco », d'ignoto autore assisano ‘
del Quattrocento, eseguita dalla « Schola Cantorum » dei Frati Minori.
Quell’accorata invocazione ai Santi protettori d'Assisi, per la difesa:

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del suo discorso una parte che ci sembra di notevole interesse, almeno | -

di quel panegirico e mostró per questo punti di somiglianza tra le bat- .
taglie di Domenico di Guzman per la Fede di Cristo e quelle di Chiara .

dove i cittadini si recarono in lunghissimo corteo, dietro il gonfalone

| Il giorno 22 a Foligno l'ing. Paolo Mezzanotte celebrava il Pier-
176 NOTE E DOCUMENTI

officiata dal. Vescovo di Foligno. Alla presenza delle autorità veniva
indi scoperta una lapide nella sacrestia, a ricordo delle opere compiute
dal grande folignate nella basilica. Il testo di essa é il seguente: « Jose-
pho Piermarini Fulginati — Architectonicae Artis Magistro praeclaro —
Quod — Ad hanc Basilicam Cathedralem — Cultiore structurae genere
renovandam — Ingenium ac Operam — Ab an. MDCCLXXII ad an.
MDCCCVIII — Impenderit — Capitulum H.M.P. — Kal Octb. A. D.
MCMXLII ». Il Priore della Cattedrale, mons. Giuseppe Botti Veglia,
dopo aver pronunciato il discorso inaugurale del ricordo piermari-
niano, accompagnava i presenti nella visita al tempio.

Alle ore 18 il Prof. Achille Bertini Calosso illustrava brevemente
al pubblico la mostra dei disegni del Piermarini ordinata in una sala
del Palazzo Trinci, dopo di che presentava nel Salone dei Concerti
l'oratore. Questi tratteggiava limpidamente attraverso le fasi della
vita, la figura del Piermarini, mostrando i caratteri della sua arte e la
formazione del suo genio, sulle ispirazioni del mondo classico avute
nel periodo di studi ch'egli fece in Roma. Indi parló dei primi lavori
sotto la guida del grande Vanvitelli, che doveva fornirgli a Milano
l'occasione per rivelare le sue straordinarie possibilità, e aprirgli la via
del successo e della fama, attraverso un'attività indefessa in tutta la
Lombardia e in particolare in Milano, che gli deve, tra l'altro, il suo
Teatro alla Scala. Aggiunse che al Piermarini va riconosciuto il me-
rito di aver promosso e diffuso, se non introdotto, il gusto neoclassico,
che riplasmó sotto la sua impronta geniale. La sua. personalità arti-
stica si costituiva di tre fattori principali: l'abito scientifico, il culto
dell'antico, lo studio del barocco, e questi tre diversi elementi egli
seppe costantemente equilibrare, rendendoli in forme d'arte supe-
riore e imperitura.

Il giorno 22 ebbe inizio il ciclo dei concerti diretti dal Maestro
Franco Capuana. La prima esecuzione fu a Terni al Teatro Verdi e
nei giorni successivi a Orvieto, nel Duomo (tolti dal programma al-
cuni soggetti profani); a Spoleto, nel Teatro Nuovo; a Foligno, a Pa-
lazzo Trinci; ad Assisi, nel Teatro Metastasio, e infine nella sala Mag-
giore della Pinacoteca, in Perugia. Ecco il Programma dei Concerti:

Francesco Morlacchi: a) «Francesca da Rimini », sinfonia; b)
« Tebaldo e Isolina », aria per soprano.

Laudi Francescane dei sec. xir e xiv, trascritte per soprano
coro e orchestra:

1) Lauda della Trinità — Coro e Orchestra;
2) Lauda di S. Francesco — Soprano, Coro e Orchestra;
NOTE E DOCUMENTI. 177

3) Lauda di Maria « Altissima Luce — Soprano, Coro e Orchestra;

4) Pianto di Maria « Voi che amate lo Criatore » -Soprano e Or-
chestra;

5) Lauda dell'Annunciazione — Soprano Coro e Orchestra.

Stanislao Falchi: « Giulio Cesare », Sinfonia.

Luigi Mancinelli: « Frate Sole »: Corteo Imperiale; Processione
delle Vergini — Coro e Orchestra. « Isaia »: preludio della seconda parte
dell'Oratorio. « Ero a Leandro»: Aria della Conchiglia — Soprano e
Orchestra. « Cleopatra »: Sinfonia.

La fama del Maestro Capuana è troppo celebrata perché sia ne-
cessario confermare che le esecuzioni furono quanto di migliore si po-
tesse desiderare a che gli illustri musicisti, e la stessa anima musicale
umbra, fosse degnamente celebrata. Gli applausi furono tributati
ogni dove ad esprimere la più completa soddisfazione. E a rendere
più difficile il compito era il fatto che non si trattava di portare al
successo musica che avesse il terreno già preparato: ma il Capuana,
secondato pienamente dai suoi collaboratori, raggiunse in pieno il suo
scopo. Secondo la stampa, la parte più notevole fu l’esecuzione delle
Laudi, nelle quali si celebra meravigliosamente l’anima stessa del po-
polo che le espresse e che, nello spirito francescano che rinnovellava
il concetto evangelico della paternità divina, aveva sentito l’armonia
delle cose create e la fratellanza universale.

Unanimi, infatti, furono le lodi per le esecuzioni ed esse suscita-
rono per tutta l'Umbria il desiderio di organizzare altri concerti, a
completare e rendere più interessanti i programmi locali delle comme-
morazioni. Anche qui l'iniziativa delle cittadinanze ebbe campo di
esprimersi in encomiabile modo. Alle riesumazioni intelligentemente
scelte dei più notevoli brani di Falchi, di Mancinelli e di Morlacchi
(del quale ultimo ricordiamo una magnifica — non vorremmo esage-
rare, ma cosi ci sembrò — sinfonia tratta dalle « Danaidi » e che fu
eseguita in quei giorni a Perugia nel Palazzo dei Priori) fecero eco piü
di un concerto a Terni, (1) (dove si organizzó anche un'orchestra sta-
bile, col nome di « Orchestrale Stanislao Falchi »), altri a Todi, ad
Assisi, a Norcia, a Perugia. In quest'ultima città si vide inoltre il bel
Teatro Morlacchi gremirsi fino all'inverosimile di pubblico apparte-
nente ad ogni classe, quando vi si rappresentarono dal 25 al 28 set-
tembre, in due repliche, il « Barbiere di Siviglia » del Rossini e il

(1) Furono eseguite musiche dei musicisti ternani Falchi, Cerquetelli, Brec-
cialdi e del grande orvietano Mancinelli.

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178 : NOTE E DOCUNENTI

« Lohengrin » di Wagner, con un complesso di artisti veramente ecce-
zionale. I. nomi, infatti, di Margherita Carosio, Ferruccio Tagliavini,
Gino Bechi, del Neroni (nel « Barbiere ») e quelli di Pia Tassinari, Ebe -
Stignani, Giovanni Voyer, Giuseppe Flamini (nel « Lohengrin ») non
hanno bisogno di venir commentati, poiché tutti sanno la fama di
cui questi cantanti sono circondati. |
Il Teatro scintillava di tutte la sue luci, si che sembrava che esso
fosse tornato ai fasti del tempo d'oro dei melodrammi e, di fronte alla
valentia dei cantanti e dell'orchestra, (di cui era direttore il maestro
perugino Gabriele Santini) di fronte alla ricchezza della messa in
scena e al favore incondizionato del pubblico, si speró che fosse ter-
minato il periodo di triste abbandono e che una nuova vita ricomin-
ciasse per esso, considerato anche il suo passaggio in proprietà del
Comune. Quella stagione lirica dimostró in modo inequivocabile — se
pur ció avesse avuto bisogno di essere dimostrato — che quando si ha
lintelligenza di allestire spettacoli come quelli furono, non si ha ra-
gione.di dubitare della adesione e del sostegno anche materiale del
pubblico perugino che non ha mai smentito la sua passione per la li-
rica, specie con le sue proteste di fronte ai pessimi spettacoli con cui
tante volte si é attentato alla dignità del suo massimo Teatro.

Anche Foligno cercó di essere all'altezza del momento. Erano
già da qualche tempo iniziati i lavori di restauro del Teatro Piermari-
ni, e si sperava in una stagione lirica degna delle circostanze, non appe-
na il Teatro fosse a punto con gli allestimenti necessari. Se anche il
risultato non si é potuto raggiungere, é degna di ricordo la volontà di
allinearsi con le altre città umbre nella nobile gara di rendere sempre
maggior lustro alle indimenticabili giornate delle Commemorazioni.
A Todi, frattanto, in occorrenza alla rievocazione di Jacopone tenu-
tasi il 24 e di cui fra breve parleremo, si ebbe un grande concerto nella
Cattedrale, al quale furono presenti numerose autorità civili e reli-
giose, tra le quali il cardinale Canali. Il Programma era vario e inte-
ressante: furono eseguite dalla « Schola Cantorum » dei Frati Minori
di S. Damiano di Assisi e dal P. Alessandro Santini musiche di Bach,
di Haendel, di C. M. Widor, del Palestrina, di G. B. Martini, di Cou-
perin, di A. Guilmant, di Rillé.

Nei giorni 21 e 22 si teneva in Perugia, nella sala del Minor Con-
siglio, a Palazzo dei Priori, il VI Congresso Nazionale dei Musicisti,
nel quale, tra l’altro, si auspicava la ripresa della Sagra Musicale
Umbra e si esprimeva vivo compiacimento: perché il nostro Liceo Mu-
sicale « Francesco Morlacchi » era stato finalmente pareggiato.’ Il

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NOTE E DOCUMENTI . 179

giorno 23, poi, i congressisti si radunavano in Assisi, a ultimare i loro
lavori (1).

. I1 23 settembre, mentre i Consigliere Nazionale Fernando Mez-
zasoma pronunciava a Terni un discorso celebrativo di Braccio For-
tebraccio da Montone; il Prof. Roberto Papini parlava a Spello del
Pinturicchio. Della sua orazione è degna di essere riportata, almeno in
succinto, la valutazione critica che egli fece di quel pittore. Presentato
il problema di come impostare la critica d’arte, il Prof. Papini notò
la divergenza dei criteri adottati oltr'alpe, da quelli generalmente
adottati in Italia e maggiormente rispondenti al nostro modo latino
di.intendere i valori estetici. Secondo il Papini, la critica straniera
avrebbe arbitrariamente scisso il contenuto dell'opera d'arte figurati-
va dalla sua forma, per convergere la sua attenzione unicamente su
quest'ultima, con i suoi valori puramente pittorici o plastici. Ritro-
vati i fondamenti storici di questo atteggiamento, néllo spirito della
Riforma, avverso allo spirito latino e classico al quale tutto il nostro
Rinascimento attinse, l'oratore notò come il gusto artistico proprio
del genio latino e mediterraneo si manifestasse appunto attraverso
l’inscindibilità fra contenuto e forma e come questo. si traducesse in
costante bisogno di narrar figurando. Questo realismo tipico del Rina-
scimento, al quale il Pinturicchio appartenne, è diverso dal realismo
. figurativo nordico, dal carattere profondamente sensitivo e non con-
‘ cettuale. Manca in esso la visione dell'insieme, verso il quale tende
invece, movendo dall’ episodico, la pittura italiana. Di qui il suo preci-
puo valore narrativo. Bernardino Pinturicchio fu. giustappunto un
esponente di questo gusto, e lo fu in modo particolare.egli che, umbro,
riportava nelle sue opere quello spirito da cui nacque e prese vigore
la ‘sacra rappresentazione, «col suo misto di sacro e di popolaresco, di
‘drammatico, magari tragico, e di grottesco, di aulico e di volgare ».
E questo ingenuo rappresentare, cosi umano e poetico, è proprio del
favoleggiare pittorico del Pinturicchio, con la sua inimitabile grazia
e semplicità. Ecco dunque che l’«aneddoto è il lievito della narrazione »,
che si apre in ritmo compositivo e architettonico, in cui il reale, non
mai accettato come tale, viene ripensato e trasfigurato in favole armo-

(1) Oltre quello dei musicisti si ebbero vari altri raduni sindacali. Fra.i
più importanti ricordiamo quello degli Architetti a Orvieto (17-18. settem-
bre) in occasione della commemorazione di Ippolito Scalza; degli Avvocati
e Procuratori a Perugia (25 settembre) per la commemorazione di Baldo degli
Ubaldi; degli Insegnanti a Perugia (28 settembre); degli Autori e Scrittori ad
Orvieto (2 ottobre); Belle Arti a Perugia e ad Assisi (3-4 ottobre). i

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180 : NOTE E DOCUMENTI

niose. Al termine della sua esposizione il Papini fu vivamente festeg-
giato dal pubblico, folto di personalità della cultura, venute d'ogni
parte ad ascoltarlo nella nobile Chiesa di S. Maria Maggiore. L'aerea
cittadina visse una delle sue piü belle giornate, orgogliosa della scelta
a sede della commemorazione del grande pittore che ivi dipinse, nel-
la Cappella Baglioni, uno dei suoi cicli più significativi. Per l'occa-
sione il Priore della Chiesa di S. Maria Maggiore, Don Luigi Pomponi,
pubblicò, con zelo encomiabile, un suo volumetto illustrativo degli
afireschi della Cappella, a maggior esaltazione del genio artistico
del Pinturicchio.

Il settembre in declino portava ancora con sé giornate tiepide e
colme di sole. E Todi anche si apprestò a celebrare la. memoria del
suo grande Frate Jacopone. Quel giorno, aurea nel sole; la città si pa-
vesò di ricchi drappi e stendardi multicolori, le sue vie, le sue piazze
furono colme, fin dalle prime ore del mattino, di cittadini e di forestie-
ri. Ai rintocchi solenni della campana della torre civica, il popolo si
radunò nel tempio di S. Fortunato, dove il prof. Natalino Sapegno,
della Università di Roma, avrebbe commemorato Jacopone. Eran
presenti numerose personalità della cultura e del mondo ecclesiastico,
sì che per essi, per la presenza silenziosa e commossa di tanto popolo,
e per le dottissime parole del Sapegno, la cerimonia assunse un tono di
alta nobiltà. L'illustre professore, da un preliminare esame sulla insta-
bile e contrastata fortuna della poesia jacoponica e sulle incertezze
che ancor oggi sussistono intorno alle sue qualità di lingua e di stile,
rivalutó la sincera e intima sostanza lirica dell'ispirazione di Jacopo-
ne, che per nulla vede diminuita la sua grandezza dal fondo didattico
della sua poesia. Con profondo acume, e confortato dai suoi lunghi
e amorevoli studi intorno al grande Tuderte, il Sapegno precisó che il
solo limite della poesia jacoponica é da vedersi in una sua attitudine
all'effusione immediata e violenta, autobiografica, del sentimento.
Ma l'oratore precisó altresi che le sue potenti immagini, il fortissimo
temperamento lirico, le eccezionali esperienze ascetiche fanno di lui
un alto poeta e della sua opera un documento psicologico fra i piü
interessanti. Se la sua lingua é torbida e la grammatica apparente-
mente ribelle, la stessa intensità drammatica, colta nell'esperienza
mistica, lo avvia spesso peró verso compiute espressioni poetiche.
Jacopone ha sofferto il gran torto di veder confusa la sua opera con
quelle dei laudesi che considerate, spesso a ragione, produzioni
popolari ed inferiori della letteratura, coinvolsero in tal giudizio
l'opera del grande frate, opera che non fu mai veramente penetrata
^ NOTE E DOCUMENTI 181

nel profondo con cuore amoroso ed animo attento. Le parole dell'ora-
tore, cosi spesso vibranti di commosso entusiasmo, suscitarono, al

termine del discorso, un'onda incontenuta di applausi che il pubblico

tributó a lungo all'illustre studioso. Si levò quindi il cardinale Ca-
nali, presente alla commemorazione, a ringraziare l'oratore per la
sua bellissima rievocazione. |

Si svolgeva quindi, nella Biblioteca Comunale, l'inaugurazione
del « Centro di Studi Jacoponici », fondato allo scopo di portar sem-
pre nuova luce alla figura del poeta, col porre a disposizione degli
studiosi codici d'altissimo pregio. Ne fu affidata la presidenza, in con-
siderazione degli studi e della grande competenza in proposito, allo
stesso prof. Sapegno. duds

Dopo il largo giro nella Regione, le cerimonie tornarono a svolger-
si anche a Perugia: il 25 settembre, il Prof. Enrico Besta, l’illustre

docente di storia del diritto nell'Università di Milano, tenne la cele-.

brazione di Baldo degli Ubaldi, nell'Aula Magna dell'Università. La
| storia del nostro Ateneo è ricchissima di nomi famosi nelle scienze
giuridiche, ma fra i tanti venne scelto quello di Baldo, sia perché na-
tivo di Perugia, sia perché di tutti egli fu di gran lunga il più illustre,
tanto da assurgere a personalità dominante di un'epoca. Il nome di
Baldo, la fama della sua grande dottrina e dell'eccezionale senso pra-
tico delle sue tesi e soluzioni giuridiche, varcó i confini d'Italia, sparse
in tutta Europa la luce del diritto, rendendo celebre lo Studio peru-
gino e meritando il nome di «lucerna juris ». La rievocazione di lui ve-
sti un carattere della massima importanza e di un altissimo signifi-
cato, oltre che per un tauto nome, anche per la nota personalità del
‘ celebrante, il quale illustró del nostro giurista gli aspetti più salienti
della vita, inquadrandola, con estrema sicurezza critica e storica, nei
tempi turbinosi del secolo xiv, valutandone i caratteri da molteplici
punti di vista, fra i quali, di prima importanza, il giuridico e il poli-
tico. Anche di politica dovette infatti occuparsi Baldo, dimostrando
anche in questo campo di possedere quella « prudenza » che fu l'espres-
sione più ricca della persona umana, secondo l'ideale classico, al quale
Baldo sempre si ispirò.

Il discorso del Prof. Besta fu applauditissimo: la'sua indagine perspi-
cace suscitó una larga eco di interesse e di commenti con i quali si rico-
nobbe il notevole apporto di luce intorno alla grande figura del giurista.

Il fervido ritmo con cui le celebrazioni si succedettero, non per-
mise sovente alla stampa di riportare gli avvenimenti con quell'am-
piezza che sarebbe stata desiderabile, si che talvolta, in alcuni dei

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182 | NOTE E DOCUMENTI

punti di maggiore interesse, non possiamo, come vorremmo, fare
delle: esposizioni particolareggiate. A diminuire. il rincrescimento

concorre peró il fatto della programmatica brevità di queste note,

le quali hanno l'unico scopo di evitare che possa perdersi del tutto
memoria di quelle manifestazioni.

Cosi purtroppo ben poco riusciamo a sapere della conferenza
dell’illustre Ettore Bignone, tenuta in Assisi a commemorazione di
Plauto. Si ricorda peraltro qualche acuta e originalissima osservazio-
ne, in ordine al teatro plautino e sulle fonti di ispirazione anteriori
alla conquista romana: fonti etrusche, osche, ‘greco-italiche, greco-
sicule. Torna qui pertanto ad esprimersi la nostra speranza che, ad
ovviare a tutte le deficienze di questo scritto, concorra l’individuale
iniziativa degli stessi celebratori.

Un altro maestro insigne, Gustavo Giovannoni, ha partecipato
alle celebrazioni parlando di Guglielmo Calderini, architetto perugino,
del quale era stato discepolo e poi successore sulla cattedra universi-
taria. Ed ha parlato a Perugia, nella sala maggiore di quel Palazzo
Cesaroni, ora delle Assicurazioni, che del Calderini é una delle opere
più significative. Il Giovannoni, per la tenace sua opera di protezione
del patrimonio monumentale e paesistico d’Italia, era ben noto in
Umbria e a Perugia. Opportunamente perciò il prof. Bertini Calosso,
chiamato a dire due parole introduttive, osservò che conveniva pre-
sentare il pubblico all’oratore e non l’oratore al pubblico. Il Giovan-
noni, con accento convinto e avvincente, seppe mettere in vista i ca-
ratteri che, nelle sue opere maggiori eseguite a Perugia e a Roma (so-
prattutto nel Palazzo di Giustizia), riannodano il Calderini alla più
vera tradizione nostra del Seicento e del Settecento.

Un'altra delle solenni cerimonie religiose si celebrava intanto
a Spoleto, il 27, con un concorso eccezionale di popolo. Si esaltava,
nella Basilica Metropolitana, la gloria di S. Benedetto con un pontifi-
cale celebrato dal Patriarca di Venezia, cardinale Adeodato Piazza,.
il quale pronunciava anche una bellissima omelia in onore del Santo,
riassumendo con eleganza e vasta cultura storica e letteraria la vita,
il pensiero, le opere di lui. I cittadini di Norcia sperarono invano che
la cerimonia si svolgesse nella loro città e tali speranze furono reite-
ratamente espresse nelle pagine locali dei quotidiani, senza che venis-
sero raccolte e considerate, Invero il desiderio era legittimo, ma i nur-

sini: seppero fare onore ugualmente al grande Santo, anche se venne

loro a mancare il maggior decoro che la presenza di un porporato
avrebbe costituito ai loro occhi. |
NOTE E DOCUMENTI 183

. A Terni e a Perugia, frattanto, il Padre Agostino Gemelli e Ci-

priano Efisio Oppo celebravano, PUDE S. Francesco e Pie- .
tro Perugino. por
| La commemorazione di Padre Gemelli veniva a coincidere con d ab
l'inizio delle cerimonie in Assisi in onore di S. Francesco che si sareb- i
bero poi chiuse, con tutte le altre cerimonie ufficiali, il 4 ottobre, fe- y:
sta del Santo. Nel Teatro Verdi, alla presenza di porporati e di auto- Ps ;
rità civili, il coltissimo oratore dette una bella e originale interpreta-
zione di Francesco d'Assisi. Invero la figura di lui tanto profondamen-
te studiata da illustri ricercatori, poteva essere presentata sulla base
di molti studi precedenti, ma l'oratore, per espressa intenzioue, vol-
le trovare qualche aspetto nuovo del grande che non fosse stato fino
allora esaurientemente considerato. Fu appunto il lato umano che
Padre Gemelli tratteggió acutamente, mostrando come la sua povertà
e semplicità estreme, avessero dato vita.ad una concezione nuova che
avrebbe fatto sentire la sua influenza su tutta la civiltà italiana e
‘ del mondo. Semplicità e ignoranza che non avrebbero potuto costruire
nuove complicatezze filosofiche: ma. nella possibilità che egli aveva
di trasfigurare gli aspetti della vita, nello scorgere le relazioni miste-
riose — ma evidenti se guardate con un cuore amoroso e limpido come
il suo — tra le cose tutte e gli uomini e Dio, egli poté costruire una
sublime filosofia. Fattosi poverissimo egli ebbe in sé la sua ricchezza;
un miracoloso assurdo per il quale non fece che dare, non esortò che 2
dare, sempre. Umiltà, ardore, timidezza, audacia, caratterizzarono
la sua anima di luminoso poeta. La sua intelligenza intuitiva si dimo-
. strò anche nel predicare, costantemente, il ritorno al Vangelo, in cui
egli aveva riscoperto la profonda umanità di Cristo. Una creatura
solare il Poverello d'Assisi, la cui vita e la cui opera ispirarono l’arte
e la letteratura, la cui santità fece comprendere come essa fosse anche
e principalmente bellezza.

Cipriano Efisio Oppo tenne la sua celebrazione nella sala del Minor
Consiglio del Palazzo dei Priori. Dopo la presentazione da. parte del
Soprintendente ai Monumenti, prof. Bertini Calosso, il geniale pit-
tore e scrittore imprese a parlare del Perugino, soffermandosi dapprin-
cipio a smentire, con argomentazioni erudite, la fama di ateo ed ere-
tico attribuitagli dal Vasari. Indi illustró lo sviluppo artistico del mae-
stro, attraverso i momenti più significativi della sua vita e delle opere
migliori e più famose. Contro l'opinione di coloro che hanno visto nel
Perugino un'arte stereotipata e talvolta anche stucchevole; l'oratore
rivalutò l’opera di lui esaltando la semplicità e la solennità dello stile,

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NOTE E DOCUMENTI

184

la grande maestria del disegno, il genio compositivo, che, in traspa-
rente chiarezza di inquadrature, supera magicamente la realtà, sen-
za che in questo superamento sia nulla di forzato o di artificioso, giac-
ché il suo stile non rivela mai la freddezza del calcolo e della scienza
della composizione. Elemento originale nella pittura del Perugino è il
paesaggio non in funzione di scenario al racconto o di decorazione,
ma espressione di uno stato d'animo sognante e idilliaco, il quale crea
spazi e silenzi appena interrotti dal fremito di fronde leggerissime o dal
murmure di ruscelli, entro lo splendore del cielo che confonde il suo
azzurro con l'azzurro delle lontananze. Con la sua elegante parola l'o-
ratore conquistò interamente il pubblico e con ricchezza d'esempi e
sicurezza d'interpretazione seppe fare accostare ogni anima all'anima
del grande pittore e seppe farla comprendere in ogni piü delicata espres-
sione, in ogni moto piü lieve della sua squisita sensibilità. Fu vera-
mente una degna celebrazione questa, ché non solo rappresentó un
godimento spirituale, il quale può essere talvolta estetizzante ed egoi-
stico, ma suscitò altresì in ogni cuore, vinto da amoroso rispetto, una
commozione intensa e purissima, dinanzi alle visioni dell'artista cosi
magistralmente evocate.

Nel di seguente Maria Alinda Bonacci Brunamonti fu celebrata
a Orvieto da Amedeo Fani. Di questa nostra poetessa — che merita
di essere maggiormente conosciuta, per tanti pregi cosi notevoli della
sua poesia, che illustri contemporanei, dallo Zanella al Tommaseo, le
riconobbero — l’oratore narrò la vita e diede lettura delle sue migliori
poesie, commentandole e analizzandone i valori artistici. Il folto udi-
torio che riempiva la Sala Rossa del Palazzo Comunale, ascoltó con
attenzione e commozione i bei versi dell’illustre donna, anima deli-
cata e gentile, pur così ricca e vigorosa in tante sue visioni poetiche,
e di esse sentì tutto il fascino e la rara potenza che invero riempiono
sempre il cuore di suggestioni le più diverse.

Il 20, il prof. Vincenzo Ussani celebrava a Perugia Gioviano Pon-
tano. Di questo grandissimo poeta ed umanista si sarebbe tenuta più
tardi — il 3 ottobre — un’altra commemorazione a Terni, così come
Jacopone da Todi, San Francesco e Tacito sarebbero stati ancora rie-
vocati dal 30 settembre al primo ottobre a Terni e a Perugia dal dott.
Goffredo Bellonci, dal prof. Carlo Curcio e dal prof. Concetto Marchesi.
E ancora il 28 di ottobre a Spoleto, per iniziativa locale, Luigi Pom-
pilj, Presidente dell’Accademia Spoletina, che si vuole fondata dallo
stesso Pontano, ne avrebbe fatta una terza celebrazione in una sala
del Teatro Nuovo.
NOTE E DOCUMENTI 185

Quella del Prof. Ussani fu una rievocazione sorprendente per la
brillante facondia dell'oratore e la straordinaria vivacità con cui
egli presentó al pubblico attentissimo la figura del Pontano. In luogo
di severi raffronti e fredde citazioni, fu tutta una calda esposizione
degli aspetti piü distintivi e simpatici della vita e dell'indole dell'uma-
nista che sembró balzare vivo e sorridente attraverso la sua smaglian-
te poesia. Di essa l'oratore affermó come i caratteri preludessero alla
poesia napoletana, con i suoi Di Giacomo, Russo e Bovio, dei quali
il Pontano va quindi considerato quasi il capostipite. Che se anche
egli scrisse in latino, tuttavia, senza tener conto delle caratteristiche
proprie della lingua pontaniana, dalle sue opere più tipiche, quali la
«Lepidina », è facile accorgersi come, sotto il molle velo bucolico,
sia evidente il veristico ambiente napoletano, che fa da sfondo a tutte
le vicende più o meno libertine dei protagonisti, fra i quali egli stesso
prende posto fino al momento in cui, fatto vecchio, assume l’aspetto
di un nuovo Anacreonte, sereno celebratore inoblioso dei piaceri del-
la gioventù.

Di Jacopone parlava di nuovo a Terni, come abbiamo detto, Gof-
fredo Bellonci. Ne fu narrata la vita e furono esposti i caratteri del-
l’uomo e dello scrittore. Di lui illustrati gli studi in Bologna, le cui
notizie furono tratte dai vari biografi, l'oratore mostrò le influenze
che la lingua e lo stile di Jacopone subirono dai poeti dell’Italia set-
tentrionale, da quelli francesi e provenzali, nonchè dal latino, su cui
egli riplasmò il linguaggio tuderte. Da una acuta esegesi, poi, di al-
cune laudi, il Bellonci raffrontò il loro verismo con quello della pittura
di Vitale da Bologna. Un verismo pessimistico con cui si esprime, nei
due, odio del mondo e di sé stesso, odio di chi vuol essere odiato per-
chè si sente indegno di Dio. Non c’è più in Jacopone quella serena fi-
ducia che attraverso l’amore di Dio, Francesco d’Assisi nutre per le
creature. Non c’è più quella gioiosa ed umile esaltazione della propria
umanità nell'umanità di Cristo, ma un’ansia tormentosa di pervenire
«per santa nichilità e carità a stati ignoti ed indicibili »:

« Sopra onne lengua
bontà senza figura
lume for de mesura .
risplende nel meo core ».

Questo perpetuo stato d’animo lo rese intollerante del AEN e

dei vizi, per cui egli partecipó alle lotte del suo tempo, fin contro Bo-

nifacio VIII che lo scomunicò. La vita turbinosa di Jacopone fu spec-

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Aa e FRAZ rp SW aper ER eT QS oc 9553 d A
186 | NOTE E DOCUMENTI

chio del suo temperamento per cui la poesia (e Jacopone va senz’al-
tro riconosciuto come grande poeta) passa attraverso tutte le fasi del
dramma e della tragedia, fino a placarsi e a spegnersi solo in Dio e
nella: morte. | 19

Il 1° ottobre il dott. Bruno Molajoli, Soprintendente alle
Gallerie della Campania, celebrava a Foligno il pittore Niccoló
Alunno. Dopo un rapido esordio in cui furono riassunte le noti-
zie biografiche concernenti il pittore e la sua famiglia, l'oratore parló
del Quattrocento Folignate, contenente in sé, negli aspetti della sua
cultura e della vita civile, quei caratteri propri della pittura forte ed
incisiva dell'Alunno, al cui sorgere l'Umbria non aveva ancora gene-
rato spiccate personalità di pittori, nonostante gli influssi della To-
scana. In Niccolò Alunno è, infatti, da vedere, secondo il Molajoli,
l’annunciatore della rinascenza umbra che più innanzi, col Perugino
e il Pinturicchio, si sarebbe inserita nel quadro della pittura nazionale.
Con un esame critico delle opere dell’Alunno, il Molajoli notò come at-
traverso di esse, dalle giovanili a quelle della maturità, il temperamen-
to vigoroso di lui si andasse manifestando in uno stile scabro, di una
particolare emotività, la quale si sarebbe poi fatta più audace ed esa-
sperata nell’ultimo periodo, espressa sempre con maggior violenza
nella incisa anatomia delle figure umane. I suoi inquieti personaggi
si mostrano in gesti concitati, come percossi da una angoscia profon-
da che ne solca i volti e che la stessa luminosità del colore e nettez-
za del disegno mette in piü acuto risalto. Dopo alcune belle. osser-
vazioni intorno alla personalità del pittore e alla sua intensa umanità
rivelata cosi ricca dalla sua opera, la conferenza si concluse in mezzo
alla generale soddisfazione.

Dopo la rievocazione di Orazio Antinori e del Gattamelata, ce-
lebrate l'una a Perugia, l'altra a Narni, il 2 ottobre, le. commemo-
razioni ufficiali si chiudevano in Assisi il giorno 4.

Quelle luminose giornate assisane, ad essere ricordate presenta-
no aspetti diversi, ché, se da un lato si invocava in Francesco il San-
to della serenità e della fratellanza, dall'altro lo si chiamava a pro-
teggere i destini guerreschi della Patria. Se per l'un canto si
tendeva a far coincidere i riti assisani con annunci di carità e desideri
.di pace, per converso non si nascondeva la tendenza di servirsi anche
di questi riti, per dare il piü possibile al popolo la coscienza dei suoi
doveri politici e patriottici, la coscienza della guerra incalzante, e di
‘essa cercare, forse, ai suoi occhi la giustificazione, coll'agitare pericoli
anticristiani e antiromani. Ciascuna delle due diverse autorità, quella
NOTE E DOCUMENTI 187

religiosa e quella civile o politica, assunse generalmente, e salvo spora-
dici e timidi sconfinamenti, un suo particolare atteggiamento che solo
l'opportunità delle circostanze in parte mitigava e adattava all'altro.
Era di certo ben evidente ad ogni coscienza religiosa, che la Patria in
guerra significava qualcosa di cosi grave ed importante che non po-
teva non sollecitare ad impetrare dal Santo Patrono d'Italia le grazie
e la protezione per essa, in tanto pericolo, ma restava tuttavia in fon-
do al:cuore dei più quel senso doloroso che si manifesta sempre di fron-
te all'incerteza dei tempi. Un desiderio di chiarezza talvolta difficil-
mente difensibile in mezzo alla confusione dei valori e degli ideali, pre-
parava forse crisi che il tempo e le vicende avrebbero irrevocabilmente
aperto e diffuso. Quando si erano affidati alla protezione di San Fran-
cesco i:destini d'Italia, lo si era fatto con ben altro intendimento da
quello denunciato: dal Ministro della Cultura Popolare. Alessandro
Pavolini, secondo il quale si erano volute promuovere le onoranze ai
grandi umbri, non già nonostante la guerra, ma a causa della guerra.
Non è chi non veda le discordanze così come ‘allora furono vedute pur
‘nella impossibilità di apertamente dichiararle, ché nel caso specifico
del Grande di Assisi, ben diversi erano stati i mezzi da lui scelti a de-
bellare il male. Poichè commemorare un grande significa richiamarsi
ai valori da lui instaurati, ispirarsi alla sua vita e alle sue opere per
trarne insegnamenti, ci sembra di poter obiettivamente dichiarare
che in quell’occasione la commemorazione di San Francesco ebbe un
aspetto precipuamente formale. I valori sostanziali furono in parte
notevole soffocati entro le maglie delle amplificazioni retoriche,
e quanto più si facevano imponenti e fastose le cerimonie, tanto più
si scorgeva come si allontanassero dal vero spirito francescano. Non
si può negare che ogni rito può assumere un significato che oltrepassa
la contingenza degli atti esteriori, ma si può anche dire che in ciascuno
di essi si nascondono i pericoli della suggestione e di una facile com-
mozione, talvolta puramente psichica. Sarebbe fuori luogo sconfinare
in considerazioni troppo sottili ed inopportune, ma non era fuori luo-
go mostrare la fatale commistione dei punti di vista, dei quali ci sem-
bra che piü rispondente al vero fosse «naturaliter » quello religioso.

Gli insegnamenti di un grande possono peraltro essere conside-
rati da vari punti di vista, ma non fino al segno di torcerli a conclu-
sioni del tutto antitetiche. Non vogliamo certamente indagare intor-
no alla misura di questi cambiamenti, ché non lo potremmo neanche,
ma ci basta averli indicati. D'altro canto la generosità del popolo um-
bro é tale che avrebbe trascurato di constatare l'evidenza delle con-

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ail
188 NOTE E DOCUMENTI

traddizioni, preoccupato come esso fu di rendere dal cuore quegli
onori tradotti ufficialmente in un complesso cerimoniale, tuttavia puri-
ficato dal leale intendimento di molti. Possiamo infatti constatare
quanto fosse sincero e intenso il sentimento della cittadinanza assi-
sana nel celebrare il suo altissimo Santo, e come a tale scopo, scopo
interiore, la sapiente liturgia cattolica dovesse sortire il suo effetto.

Le cerimonie religiose avevano avuto il loro inizio sin dal 26 set-
tembre con una novena di particolare solennità, accompagnata ogni
volta dai canti del rituale francescano rievocanti il transito di S. Fran-
cesco. La sera del 3 il cardinale Nicola Canali aveva celebrato i Ve-
spri e il Transito, e atteso all'inaugurazione della lapide con meda-
glione del cardinale Raffaele Merry del Val (1); il Podestà di Genova,
davanti alle rappresentanze di tutti i Comuni d'Italia, aveva. presie-
duto alla cerimonia dell'offerta dell'olio della Liguria per la lampada
di San Francesco e dalla loggetta sovrastante il trono papale aveva
pronunciato la formula con cui si chiedeva al Santo la benedizione
per l'Italia e il suo popolo. Il cardinale accettava l'offerta, invocando
la celeste protezione. Nella Basilica di S. Maria degli Angeli si svolgeva
trattanto,'con uguale solennità di quella di Assisi, la cerimonia del
Transito. Il 4 ottobre la città si destó in un fantasmagorico sventolio
di bandiere e di stendardi, sotto il maestoso rintocco delle campane.
Ogni via era folta di popolo che si dirigeva alla Basilica di San Fran-
cesco dove, alle ore 9, il Podestà di Assisi con le rappresentanze del
Comune, deponeva sulla tomba del Poverello fasci di ulivo e di alloro
quali omaggi della città di Assisi. Indi, presente il Duca di Genova
giunto nelle veci del Re, e numerosissime altre personalità, il Cardi-
nale Elia Dalla Costa, nella Basilica inferiore, pontificava nella Cap-
pella Papale.

Nel pomeriggio un grande corteo si muoveva dal Palazzo Comu-

(1) La lapide fu apposta per interessamento dell’Ordine Equestre del San-
to Sepolcro di Gerusalemme che inviò alle celebrazioni assisane una sua rap-
presentanza di Cavalieri e di Dame. Eccone il testo: « Cardinale Raffaele Merry
del Val — Segretario di Stato di Pio X — Protettore dell’Ordine dei Frati Mi-
nori Conventuali — Cittadino Onorario di Assisi — Inviato di Benedetto XV
al I Centenario dell’invenzione del Corpo dello stigmatizzato Patriarca — Le-
gato a latere di Pio XI al Centenario del Transito di San Francesco il
IV ottobre MCMXXVI — Prima festa nazionale del Santo da Pio XII nell'anno
I di Pontificato dato Patrono all’ Italia — l'anno del Signore MCMXLII ». Pro-
nunciò il discorso inaugurale il Vescovo di Todi mons. Alfonso De Sanctis, e
seguivano le parole del card. Canali a rievocazione del cardinale Merry del
Val.
NOTE E DOCUMENTI 189

nale alla Basilica Superiore dove, con lo stesso fasto liturgico del mat-
tino, tra il corruscare dei ceri, dei paramenti e delle divise, al fiammeg-
giare purpureo delle croci sui bianchi mantelli dei cavalieri del S. Se-
polcro, al canto suggestivo degli inni della Chiesa, il vescovo di Assisi
pontificava solennemente il secondo Vespro, assistito dal cardinale
Dalla Costa. Sul piazzale della Chiesa venivano poi schierandosi re-
parti dell'Esercito, della Marina e dell'Aeronautica e delle forze poli-
tiche, davanti ai quali si tenevano ulteriori cerimonie e discorsi. La
definitiva chiusura delle cerimonie si aveva ancora nell'interno della
Basilica, dove il grandissimo attore Ruggero Ruggeri dava lettura,
con voce toccante, e magistrale interpretazione, del Canto XI del Pa-
radiso di Dante, della poesia « Paolo Uccello » del Pascoli e del « Can-
tico delle Creature » di San Francesco. A testimonianza di quei gior-
ni le autorità ecclesiastiche vollero apporre una iscrizione all' ingresso
della Basilica Superiore. Sulla pietra furono incise queste parole: «Quae

— te Francisce favente — haec auspicia cepit — inter Apostolicam Sedem :

Italorumque Regnum concordia fauste composita — e tergemina
sacra aede tua — aemulo utriusque studio exculta relucescit — Italiae
patronus coelestis sospitalis — inclitam huius gentem — ingenii tui par-
ticipem — et ad sepulcrum tuum votivi lychni praesentia advigilan-
tem tuere — itemque fac patria tellus — igne praelucente tuo — religio-
nis gloria civilique prosperitate per cuncta floreat aeva — pacis tuae
tuique boni alumna et altrix - Anno Domini MDCCCCXXXXII ».

Avevano cosi termine le celebrazioni ufficiali per dar luogo a
quelle di iniziativa locale, per interessamento di personalità che si det-
tero nobile cura affinché altri uomini degni di ricordo potessero esser
conosciuti e convenientemente onorati. Nel loro numero furono com-
presi nomi che il tempo e l'indifferenza dei più avevano sepolto nel-
l'oblio, ma che sono altresi degni di ricordo perché legati ad imprese
onorevoli. In quasi ogni città umbra si ricercarono questi nomi illu-
stri e si studiarono le loro azioni a trovarne una patente di virtü. Ri-
scoperti e rievocati, furono esaltati con commovente amore e per ogni
dove si ebbero conferenze, riunioni, riti religiosi, mostre, discussioni,
proposte diffuse a mezzo di giornali e di opuscoli. Furono pubblicati
volumi illustrativi dei grandi, con biografie e ritratti (1) e si promise

(1) Ricordiamo « Medaglioni » di G. Pavoni, pubblicato a Spoleto dalla
Tipografia dell'Umbria fin dal 1940, ma riportato in luce con le Celebrazioni,
e « Ternani del passato » di A. Pozzi, Tip. Alterocca, Terni.

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190 | NOTE E DOCUMENTI

un « Dizionario Biografico Umbro » che non fu. più compilato a causa
della guerra e che tuttora vorremmo vedere giungere alla luce (1)..

— Le celebrazioni degli Umbri Minori trovarono anche l'approva-
zione delle autorità ed ecco che a Narni si parlò di Galeotto Marzio
e fu scoperta una lapide in suo ricordo, offerta dalla Società Nazio-
nale Ungherese « Mattia Corvino », con l'intervento del Ministro d'Un-
gheria Zoltan de Mariassy. Poi si parlò anche di Gerolamo Mautini,
della Beata Lucia Broccadelli, di Luciano Scosta Capitone; ad Orvieto
tornarono alla memoria Luigi Fumi, Ascanio Vittozzi (ad opera di
Anna Maria Brizio), Caterina Franceschi Ferrucci, Eugenio Faina,
Filippo Antonio Gualterio; a Terni Federico Fratini, Ludovico Ami-
nale; a Todi Enrico Marconi, Giuseppe Cocchi; a Spoleto Caio Me-
. lisso, Tommaso Martani; a Spello Vitale Rosi; ad Assisi Frate Elia,
Dono Doni; a Foligno S. Feliciano; a Perugia Fra Bevignate, Cesare
Agostini; e si parlò ancora di Matteo d’Acquasparta, di Francesco
da Montefalco, del Beato Simone da Cascia, del Beato Marzio da
Pieve Compresseto e di molti altri ancora di cui non soccorre il ricor-
do. Fu preparato un programma e, per quanto sappiamo, almeno
‘in parte realizzato e conchiuso nel gennaio 1943. A Perugia si de-
cisero le seguenti celebrazioni: « Giovanni Battista, Giulio, Ignazio
e Vincenzo Danti »; « Fra Bevignate »; « I Pittori del 400, del 500, del
600 € dell’800 »; « Gli archeologi perugini dell'800 »; « I Poeti minori
perugini »; « Storiografi perugini »; « I Baglioni»; « Perugini del Ri-
sorgimento ». A Todi dal 15 ottobre al 15 dicembre furono ce-
. Jebrati: Bartolomeo d'Alviano dall’avv. Luigi Volpetti; San Mar-
tino I Papa da mons. Enrico Vezzulli; il pittore Andrea Polinori dal
prof. Achille Bertini Calosso; il poeta Giuseppe Cocchi, dalla signora
Margherita Caporali Chiaramonti, poetessa tuderte. A Spello si stese
un programma comprendente i poeti Francesco Mauri del sec. XVI
e Giuseppe Paolucci del xvi, il pittore Carlo Luparelli, il musicista
.Nicoló Stamigna, gli storici Olorini, Donnola, Passerini e Fratini, non-
ché l’umanista filosofo Vitale Rosi. A Montefalco Arnaldo Fortini
rievocò la figura di S. Chiara della Croce, e il prof. Guido Boccolini
quella di Melanzio. A Sigillo il dott. Geremia Luconi teneva una con-
ferenza su Ippolito Borghesi, pittore della scuola napolitana del

(1) Vedi nel presente volume del Bollettino, a p. 216, il ricordo dell’aiuto
che la Deputazione di Storia Patria si era ripromessa di offrire, affinché si
realizzasse questa iniziativa, DIOE dalla Confederazione Nazionale Fasci-
sta Professionisti e Artisti.
NOTE E DOCUMENTI 191

1600 (1). Il prot: Bertini Calosso:: a Spoleto il 26 ottobre tenne una -
conferenza su Giovanni Spagna, il pittore che, per la profusione delle -

sue opere nella nostra regione, puó considerarsi umbro, anche se

d'origine spagnola; e un'altra ne En su Matteo da Gualdo il 29 no- -

vembre a Gualdo Tadino.

Si tornarono a celebrare i Santi dell Umbria, da Beifedetto a
Francesco, ancora a Norcia, a Spoleto, a Foligno, e al Sacro Speco
di Narni, con l’intervento di dignitari della Chiesa.

A Città di Castello si propose una Mostra d’arte tipografica ti-
fernate, che raccogliesse le più belle e pregiate pubblicazioni uscite
dalle antiche tipografie di quella città ad opera di tanti stampatori
che fin dal secolo xvi la resero celebre nell’arte della stampa.

A Terni fu allestita a Palazzo Carrara una Mostra collettiva di
artisti ternani la quale sollevò interesse e discussioni nell’ ambiente
‘culturale cittadino. Non mancarono valutazioni di carattere politico,
certamente estranee alla critica d’arte, ma da quelle valutazioni al-

lora poche manifestazioni furono libere. Parteciparono alla Mostra.

molti autori che avevono figurato alla IX Mostra d'Arte in Perugia, e

in fatto di considérazioni generali nulla c’è da aggiungere a quanto è.

stato già detto per questa.

Invero l'Umbria intera in quei giorni fu percorsa da un'onda di
grande entusiasmo. La nobile esaltazione degli animi, alimentata dalla

| meditazione sulle grandezze degli illustri corregionali di ogni tempo,
condusse a cercare sempre nuove espressioni di amore e ammi-
razione per essi. Ogni città si fece centro di quel fervore, e sorsero

ancora progetti intesi a portare nuovi contributi di onore a co-.

loro che avevano meritato tanto in rispetto e amor filiale dai po-
steri. Nella ridente cittadina di Todi, sempre animata da generosi
‘e fattivi impulsi, si propose di raccogliere entro dignitose tombe,
nella bellissima Chiesa di S. Fortunato, dove giacciono le ceneri
di Jacopone, anche i resti dei todini illustri. L'idea partiva da
Perugia, dove ‘in quei giorni sorsero animatissime discussioni. (ahi-
mé talvolta troppo animate, sì da degenerare in polemiche incostrut-
tive) intorno ad una proposta che tutti i giornali divulgarono e com-
mentarono, la quale mirava ad una sistemazione dei resti dei grandi
perugini in una di quelle tante Chiese della nostra città, che, per bel-
lezza e spaziosità, potesse rispondere allo scopo. Fu indicato il tem-

(1) Per l’occasione fu anche allestita una Mostra di pittori sigillani ed
inaugurata una lapide con medaglione a ricordo del Borghesi.

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192 i NOTE E DOCUMENTI

pio di S. Domenico come il più adatto, per l'immensità della sua mole
che avrebbe permesso di sistemare arche, cenotafi, lapidi e medaglio-
ni, sia per la sua posizione centrale, sia per il fatto che già altri resti
di illustri uomini erano stati colà posti (1); ma vi furono alcuni che
volsero la loro attenzione alla Chiesa di S. Francesco al Prato, che fu
già fino al secolo xvi, fino al momento cioè in cui cominciò a rovi-
nare per l’instabilità del terreno, il tempio ove si raccoglievano le spo-
glie dei cittadini più illustri (2). . |

Si concludono qui le rapide note con le quali abbiamo voluto
rievocare le Celebrazioni Umbre. Se talvolta possiamo essere incorsi
in qualche inesattezza, ció potrà essere scusato in considerazione dei
pochi documenti rimasti al riguardo, malgradoil continuo vigile scru-
polo nello studiarli e confrontarli. Peraltro ci sentiremmo ripagati
a mille doppi di questa breve fatica, solo che fossimo riusciti a rendere
una piccola parte di quella luce spirituale che sembrò risplendere
nell’anima di tanti, in quelle radiose giornate, almeno per questo
solo, non indegne di ricordo, e a suscitare interesse e amore pei grandi
del nostro passato. :

Manio MELELLI

(1) Benedetto XI, Guglielmo Pontano, l'abate Guidalotti, Vincenzo Danti,
Malatesta e Orazio Baglioni.

(2) Braccio Fortebraccio, Bartolo da Sassoferrato, Angelo di Serpetri,
Baldo degli Ubaldi. I loro resti andarono purtroppo dispersi; resta solo la tom-
ba di Baldo nella Cappella del Gonfalone. *
LA MOSTRA STORICA
DELL'UNIVERSITÀ DI PERUGIA

I] numero dei grandi umbri ufficialmente ricordati ha dovuto
esser necessariamente limitato; e delle personalità illustri native della
Regione che dalle aule dell'Università perugina hanno diffuso quella
luce di sapere che li ha innalzati a valori nazionali, venne prescelto
il grande giurista Baldo degli Ubaldi, il quale fu commemorato nel-
l'aula magna dell'Ateneo dal Prof. Enrico Besta, con una dottissima
rievocazione dell'uomo e dell'opera nell'età sua, e nell'apporto recato
al progresso della disciplina del Diritto.

Ma alla fama plurisecolare del maggiore istituto di cultura del-
l'Umbria, se hanno concorso in ogni tempo Docenti d’ogni parte di
Italia, han contribuito in special modo non pochi della Regione stessa,
. 1 quali sarebbero stati meritevoli di personale ricordo. D'intesa per-
tanto con la Unione Professionisti e Artisti della Provincia di Perugia,
organizzatrice delle celebrazioni, l'Università ideó di presentare vna
propria Mostra Storica, che con materiale archivistico, iconografico,
bibliografico, offrisse una immagine del suo sviluppo dal secolo xiu
al xix, costituendo insieme una solennità commemorativa di tutti gli
uomini insigni per ingegno e per dottrina oriundi dell'Umbria, che ne
hanno illustrato le cattedre, degnamente, accanto a qualztani apporto
di uomini le sia venuto dal di fuori.
| D'altra parte rievocare nel suo complesso la storia dell’Ateneo
perugino significava la celebrazione d’uno dei maggiori valori cultu-
rali propri della Regione. Certo l’Università non si nutre di soli ele-
menti locali, di sole energie regionali; è una sua ambizione, meglio
esigenza, attrarre a sé le intelligenze e le competenze da ogni dove, con-
durre alie sue cattedre gli esponenti migliori da dovunque. Ma rimane
pur sempre prodotto ed espressione d’una capacità culturale d’ambien-
. te, di gente e di luogo. Non è sorto e non ha prosperato uno Studio
se non ha risposto ad un bisogno locale di scienza e di sapere; se non

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194 . NOTE E DOCUMENTI

ha trovato nella popolazione il consenso, il favore e l'orgoglio per la:
funzione, la missione sua.

La brevità del tempo concesso alla préparazione, la difficoltà di
avere il materiale da esporre, poiché gran parte già riposto per misure
di protezione antiaerea, se non consentivano di dare alla Mostra tutta
l'ampiezza che avrebbe potuto avere in tempi normali, han permesso
tuttavia di raccogliere e ordinare una serie dimostrativa di documenti
tale da poter farla giudicare da competenti come una delle più com-
plete e interessanti mostre del genere che finora siano state fatte dalle
Università Italiane.

. Nello stesso palazzo universitario, in una lunga galleria e altre
sale annesse, la Mostra ha avuto una sede dignitosa e degna dell’i-
stituzione, della quale ha inteso ed è riuscita a dare una rappresenta-
zione: di vita con documentazione tutta originale tratta dagli Archivi
e dalle Biblioteche, sia pubblici che privati della città ed anche di
fuori.

Per l'Università perugina esiste un materiale documentario ori-
ginale, fin dalle sue prime origini, quale poche altre possono. vantare.
Presso l'antico Archivio del Comune, per cui iniziativa lo Studio sorse
e sotto il cui governo rimase per i primi secoli, si conservano i suoi
atti di nascita e i successivi della sua esistenza che si innesta e si in-
treccia a quella dello Stato cittadino. La messe piü preziosa per una
visione storica dell'istituzione era quindi già pronta. Veniva poi l'Ar-
chivio dell'Università stessa, con documentazione un po' piü tarda.
Occorre ricordare come l'Università quale ente a sé stante, con una
amministrazione propria, non si costituisce che. all'epoca napoleoni-
Ga; prima concorrevano alla sua esistenza.e funzionamento diversi
.altri enti, collegi, autorità, e ciascuno riteneva presso di sé gli atti
e le carte relative allo Studio: il Comune anzi tutti, che le ha conser-
vate sempre nella sua cancelleria. L'Archivio universitario.si formó
nei primi dell'Ottocento riunendo gli Archivi dei tre Collegi dei Dot-
tori i quali ritenevano presso di loro, tra l'altro i Rotuli dei. Lettori
e gli Atti di laurea. E quest'archivio poteva essere messo interamente
a profitto della Mostra. Non cosi altri, pure importantissimi.

.La Curia Arcivescovile, dopo che nei primi del Seicento venne
sottoposto lo Studio interamente all'autorità del Vescovo, deve con-
servare presso di sé principalissimi atti universitari; come altri pure
doveva tenerne l'Autorità politico-amministrativa della città e terri-
torio, il Governatore Pontificio o Delegato Apostolico, rappresentante
del potere centrale, poi che Perugia passò definitivamente a far parte
| NOTE E DOCUMENTI 195

dello Stato. Ecclesiastico. Né il primo, né quello dell'antica Delega-

Zione Apostolica ammassato e non inventariato, sempre in attesa di
una sistemazione nell'istituenda sezione di Archivio di Stato per l' Um-
bria, si potevano utilizzare, specialmente data la rapidità con cui
la manifestazione doveva approntarsi. E neanche altri archivi pure
preziosi per la storia universitaria: quelli dei passati collegi-convitti
per scolari forestieri, le cosi dette « Sapienze ». Agli Archivi della
Sapienza Vecchia e di quella Bartolina, che posson dare le piü detta-

gliate notizie sulla vita studentesca dei secoli scorsi, esistenti presso

il Comune, in ammasso senz'ordine, e a quello della Sapienza. nuova
esistente presso l'Università in altrettanto disordine, non si poteva

chiedere alcun contributo. Presso altre Biblioteche ed Archivi citta- .

dini esistono pure documenti e materiali interessanti l'Università,
e più o meno di questi ci si poteva valere. ;

- Ma l'antico Archivio del Comune, quello universitario, e in piü
la Biblioteca Comunale « Xugusta » dove sono venuti via via. a rac-
cogliersi carte originali, codici, manoscritti, comunque attinenti all’ U-
niversità, rimasti vaganti in mano di privati ed avuti per doni ed ac-

quisti, già bastavano a fornire un materiale più che sufficiente agli

scopi della mostra.

Una distribuzione razionale e organica, per soggetto e per epoca
del materiale esposto, é stato il criterio di guida dell'ordinamento.
Cosi una prima sezione ha voluto offrire nella loro successione crono-
logica gli atti costitutivi dell'Università dai suoi primordi nel Due-
cento, alla sua regificazione nel Novecento. Originata nel secolo xii
come Studio comunale, i più antichi atti conservatici dal tempo, e

sono Riformanze del Comune a cominciare dal 1266, precedevano i .

documenti fondamentali con cui lo Studio venne dichiarato Generale,
e autorizzato a concedere le lauree, la Bolla cioé di Clemente V del
1308 ele Bolle di Giovanni XXII del 1318 e del 1321. E accanto
alle concessioni papali, il riconoscimento imperiale coi diplomi di
Carlo IV del 1355.

Le disposizioni statutarie: del Comune con cui si regola via. via

l'andamento dello Studio, gli ordinamenti di Braccio Fortebraccio
signore della Città nel primo Quattrocento, le Bolle e i Brevi pontifici
che pur concedendo privilegi, dotazioni allo Studio, gli vengono mano
mano togliendo l'autonomia cittadina, riducendolo sotto l'autorità

papale, politica ed ecclesiastica, che diviene piena ed assoluta col

Breve di Urbano VIII del 15 ottobre 1625; i Regolamenti Napoleo-

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‘nici e poi quelli della Restaurazione, la dichiarazione di Università ‘
196 NOTE E DOCUMENTI

libera fatta coll'annessione dell'Umbria al nuovo Regno nel 1860;
il suo ordinamento come ente autonomo, e infine la regificazione nel
1926, offrivano il panorama dell'Ateneo lungo ben sette secoli di esi-
stenza, nel suo organamento didattico e amministrativo, nelle sue fun-
zioni scientifiche. Serie d'atti dispositivi quanto mai istruttiva e si-
gnificativa, poiché riflette i criteri e i principî dominanti nelle diverse
epoche, le direttive e gli intenti dei vari poteri da cui sono
emanati.

Agli atti esposti nelle vetrine soprastava sulle pareti la iconogra-
fia dei personaggi promulgatori degli atti stessi, insieme ad antiche
vedute del Palazzo ove ebbe sede lo Studio fino al suo trasferimento
nell'attuale sede avvenuto sotto il regime Napoleonico.

Essendo l'organismo universitario la risultante del concorso di
diversi fattori: il potere cittadino e statale, i docenti, la scolaresca;
documentata l'azione del primo nella sezione iniziale della Mostra,
veniva quindi.a dimostrarsi in un'altra sezione l'opera dei secondi,
riuniti in quei Collegi dei dottori che nell'antica struttura dell'Univer-
sità corrispondevano a quelle che le Facoltà sono oggi. In Perugia
erano tre: dei Giuristi, dei Teologi, ed un terzo che riuniva Medici,
Filosofi ed Artisti, i docenti cioè di scienze e lettere. I Collegi, oltre i
Lettori, comprendevano ‘anche altri Dottori esercenti la professione
e ricoprenti uffici, cosicché l'esame di laurea dato dinanzi all'intero
Collegio, veniva ad essere come un vero esame di stato. Dei Collegi,
la Mostra ha esposto i più antichi Statuti che ci réstino (i primitivi
sono perduti), e che sono del secolo xv, in bei codici pergamenacei;
e poi i successivi a stampa fino all'Ottocento, quando cessano coll'or-
dinamento universitario Napoleonico, il quale, per imprimere all’i-
stituzione un più deciso carattere unitario, sopprime questi corpi col-
legiali che godevano di particolare autonomia. Per dare un saggio
dell’attività interna dei Collegi sono stati messi in mostra Verbali
delle loro Aduranze (Gesta Collegiorum) e provvedimenti di loro spet-
tanza anche fuori dell'ambito universitario quali ad esempio, pel
Collegio dei Medici, la elencazione dei medicinali di cui dovevano es-
ser fornite le Farmacie, vere e proprie Farmacopee. Poi Privilegi ad
essi concessi, ed altre documentazioni loro riferentisi; ma soprattutto
venivano a richiamare l’attenzione del visitatore pure estraneo a que-
sti studi, le Matricole degli appartenenti al Collegio, codici riccamente
miniati cogli stemmi degli iscritti.

Però la vita concreta ed effettiva dello Studio è data dall’insegna-
mento impartitovi; e i suoi Docenti ne formano l'organismo stabile
NOTE E DOCUMENTI 197

ed insieme rinnovantesi, che n'attua la funzione nel tempo. La storia
dell'Università viene quindi a concentrarsi su quella dei suoi profes-
sori; e la documentazione relativa ad essi singolarmente presi, non
poteva non avere larghissima parte. Quindi le Riformanze del Co-
mune da cui risultano le Condotte di celebri Lettori: Cino da Pistoia,
Bartolo, Baldo nella Giurisprudenza, Gentile da Foligno nella Medi-
cina, Luca Paciolo nelle Matematiche, Angelo Decembrio nelle Let-
tere, Francesco della Rovere (poi Sisto IV) nella Teologia... E, quin-
dii Rotuli Lectorum. Dei Lettori stessi succedutisi nel lungo corso del
tempo, una copiosa iconografia ne rievocava anche nelle sembianze
il ricordo, mentre la loro attività scientifica era rappresentata da ma-
noscritti, alcuni dei quali pure alluminati ad oro e colori, e volumi a
stampa, taluni in superbe edizioni di monumentali in folio. Parecchi
autografi, come del famoso trattato De Censibus, del Cenci, fra i pri-
mi; tra i secondi incunaboli di Baldo, di Bartolo e d'altri insigni della
scuola di Diritto perugina; edizioni nei più vari formati di opcre di
Gentile da Foligno, di Ugolino da Montecatini, di Luca Paciolo, di
Alessandro Pascoli ed altri che furono insegnanti nell’Ateneo; poi quei
trattati dei nostri docenti che sono stati nel tempo le prime esposizio-
ni sistematiche di date materie; come le Istituzioni canoniche di Giam-
paolo Lancellotti, l’ Archeologia di Giovambattista Vermiglioli, la
Materia Medica di Domenico Bruschi. Non si è spinta per ovvie ra-
gioni questa documentazione oltre la metà dell'Ottocento, terminando
cogli scritti di Chimica di Sebastiano Purgotti e la traduzione di Pin-
daro di Antonio Mezzanotte. Il carattere retrospettivo della Mostra
doveva fermarla necessariamente quando per l'Università comincia
la vera e propria vita moderna e si chiude un ciclo di storia.

Uno sp2ciale rilievo è stato dato all'arte della stampa in servigio
dello Studio. Introdotta a Perugia nel 1475 appunto per dare in luce
opere dei suoi Lettori e procurare i testi agli Scolari, ha il merito di
avere impresso l'edizione principe della compilazione giustiniana, il
Digestum Vetus uscito nel 1476 e che figurava col magnifico esemplare
completo della Mediceo-Laurenziana di Firenze cortesemente conces-
so, accanto agli originali protocolli notarili riferentisi alla società for-
matasi per la sua pubblicazione, insieme ad altri antichi contratti
per edizioni e vendita di opere di Lettori, tratti dal locale Archivio
notarile. aeos |

Accanto agli insegnanti, l'altro elemento essenziale nella costi-
tuzione dell'antice Università era la studentesca, organizzata nelle
proprie Corporazioni, le Universitates Scholarium. Tutti gli studi me-

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198 NOTE E DOCUMENTI

dievali erano formati di analoghi elementi: potevan esser diversi di
numero i Collegi dei Dottori, le Universitates Scholarium ; ma da per
tutto si ritrovano. A Perugia una Universitas comprende gli studenti
forestieri, che sono i più, mentre un’altra associazione, il cosidetto Col-
legio della Matricota, raccoglie gli studenti locali. Sono vere organiz-
zazioni corporative che vincolano ed insieme proteggono gli apparte-
nenti, come le corporazioni d’arte e mestiere. La Universitas elegge
nel proprio seno il Rettore il quale presiede all'andamento dello Stu-
dio in specie nei riguardi delle esigenze degli scolari, e i docenti pre-
stano a lui giuramento di osservarne gli ordinamenti. La Universitas
ha propri statuti, tiene assemblee, emette ordini, tiene l’albo degli
iscritti; e di tutto questo nella Mostra, è stata data documentazione
con preziosi ricordi, tra cui, da segnalarsi, le Matricote degli studenti
dove questi appaioro per più secoli firmati di proprio pugno. Studen-
tesca numerosa accorrente all’ Università di Perugia da ogni parte
d’Italia e d’oltre alpe: Francia, Germania, Spagna, Inghilterra, Sve-
zia. Gli scolari stranieri erano associati anche in loro particolari so-
dalizi, una Societas Gallorum et Germanorum, riuniva Francesi e Te-
deschi; la Nazione Germanica aveva inoltre una sua speciale organiz-
zazione di cui ci rimangono molti atti e documenti, esibiti tutti nella
Mostra.

Anche a Perugia come in genere presso tutte le Urra esi-
stevano, già si é detto, Collegi-convitti, ospitanti i frequentatori dello
Studio, le Sapienze, la Vecchia, la Nuova e la Bartolina; istituzioni
interessanti pure queste per il loro ordinamento interno, per i privi-
legi di cui godevano, per il contributo che portavano al complesso
della vita universitaria. Quei documenti relativi ad esse che ci sono
pervenuti, conservati in altri archivi, erano pure opportunamente
esposti; e:ce :n: sono dei fondamentali, come le Costituzioni.

L'atto poi conclusivo della carriera studentesca, la laurea, re-
stava documentato dagli Acta Doctoratuum, ricca raccolta che risale
fino al secolo xv.

Infine Regolamenti, disposizioni didattiche, Annuari. di varie
epoche, dimostravano lo svolgersi della funzione dell’insegnamerto,
completando nell’insieme e nei particolari il quadro integrale di vita
trascorsa dall'Ateneo perugino nei secoli andati presentata in modo da
destare l’interesse scientifico dello studioso e la curiosità del profano,
entrambi necessari per l’efficacia e il successo di tali rievocazioni della
individualità e delle vicende d’un istituto di così antiche tradizioni.
Questa Mostra della nostra Università ha rivelato una sua vetu-
NOTE E DOCUMENTI 199

stà e fecondità continuativa di esistenza che molti forse non immagi- '

navano, ed è venuta d'altro canto ad aprire e segnare la via per una
più approfondita ed ampliata conoscenza della sua storia che é stata,
almeno in qualche momento e in qualche campo, quella d'uno dei
più efficaci centri. di elaborazione della cultura nazionale.

Senza dubbio da tale Mostra ha preso le mosse un rinnovato
proposito di rivolgervi lo studio e l’indagins; e la Deputazione Umbra
di Storia Patria che nel suo Botlettino ha sempre accolto scritti, e pre-
gevolissimi, concernenti l'Ateneo di Perugia, vi dedicherà una sua ap-
posita parte. ss :

RAFFAELE BELFORTI

: Ordinatori della Mostra dell’Università sono stati il Bibliotecario Dott.
Raffaele Belforti e il Direttore Amministrativo Dott. Alfredo Masdea.

ars) zu eni a EIA TAI NEAR ET a
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rien APPRENDRE T. HUE E hl ISTITUZIONE DELL'ARCHIVIO DI STATO
A PERUGIA :

Con Decreto del 20 marzo 1941 pubblicato nella G.U. n. 105 del
3 maggio successivo, veniva istituita la Sezione di Archivio di Stato
in Perugia. La costituzione di questo Archivio aveva luogo in appli-
cazione della Legge 22 dicembre 1939, n. 2006, con la quale si prov-
vedeva al riordinamento totale degli Archivi di Stato nel territorio
nazionale e veniva anche disciplinata, con precise norme, la sorve-
glianza sugli archivi degli Enti Pubblici e dei privati.

‘ Perugia fu tra le prime città che beneficiarono delle disposizioni
della sopraricordata legge che riguardavano la costituzione, in ogni
capoluogo di provincia che ne fosse privo, di una Sezione di Archivio
di Stato. Il capoluogo umbro vedeva finalmente realizzato l'ambito
sogno, per l'attuazione del quale per oltre quarant'anni Enti Locali,
personalità politiche ed eminenti studiosi si erano tenacemente bat-
tuti, ma senza riuscire a vincere le difficoltà presentate dalla legisla-
‘zione precedentemente vigente in materia e, sopratutto, quelle invin-
cibili opposte dalla interpretazione formalisticamente ortodossa data
dagli organi burocratici a quella legislazione |

.Col sollecito concorso degli Enti Locali e specialmente del Co-
mune e della Provincia si rese possibile la rapida istituzione dell'Ar-
chivio, sopratutto mediante l'immediata disponibilità di una sede che
l’ospitasse. Il Comune infatti mise a disposizione della Provincia,
cui la legge del '39 faceva obbligo dell'apprestamento della sede,
l'ex convento delle Cappuccinelle in Porta S. Susanna, che sino a
poco prima era stato occupato dalla Valigeria Italiana, trasferitasi in
un nuovo stabile appositamente costruito.

La sede non è felicissima, sia per la sua ubicazione un pò ec--
centrica, sia per lo stato di abbandono in cui si trova. Purtuttavia
dispone di locali abbastanza ampi, bene esposti ed arieggiati, di piü
che sufficiente capacità per un primo impianto di notevole portata.
L'Amministrazione della Provincia si è accinta con buona volontà
NOTE E DOCUMENTI 201

e con sufficiente dotazione di mezzi alle opere murarie di restauro di
un primo nucleo di ambienti destinati ad uffici e a depositi.

L'Archivio nella sua prima costituzione comprende rilevanti ed
importanti fondi di materiale e precisamente: dei tribunali dalla metà
del sec. xv, della Delegazione Apostolica, del Genio Civile, di varie
famiglie perugine. Quanto prima ospiterà anche l'Antico Archivio
del Comune di Perugia.

Nel formulare i migliori voti per la prosperità avvenire dell'im-
portante istituto é opportuno rammentare che la Deputazione di
Storia Patria dell'Umbria nella sua adunanza interna del 18 luglio
1939 aveva espresso il voto « che il Ministero dell'Interno voglia, non
appena ne avrà facoltà a tenore di legge, provvedere alla costituzione
dell'Archivio Provinciale di Perugia, al fine di arrestare per sempre
il processo di depauperamento cui é soggetto il materiale archivistico
di questa provincia, specie nei centri minori, e di mettere in valore e
perfezionare i tentativi di raccolta lodevolmente già fatti dall Ammini-
strazione Comunale di Perugia ». j

Intorno ai ripetuti tentativi fatti da autorità, da enti e da stu-
diosi di Perugia e dell'Umbria nel corso dei primi quarant'anni del
secolo per ottenere la istituzione nel capoluogo dell'Archivio di Stato
il sottoscritto ha ampiamente riferito in una relazione resa nel Con-
vegno Storico tenuto in Orvieto nel dicembre del 1939, e pubblicato
tra gli « Atti » del Convegno stesso nel volume XXXVI (anno 1939)
di questo Bollettino.

GIOVANNI CECCHINI

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RÉCENSIONI

EucENIO MANNUCCI, Riflessioni storiche sul nome di Paterna o Paterno, Pisa,
1926.

La ricerca del Mannucci,. tohdente a mostrare che é a Paterna di Città di
Castello che nel 1002 avvenne la morte di Ottone III, ci sembra abbastanza
persuasiva. Ma forse piü interessante la precisa descrizione dei luoghi che cir-
condano questo castello dell'alta Umbria: precisione che vien fuori da un pro-
fondo affetto. Una breve pubblicazione che ci permette di riflettere ancora .
una volta sull'apporto che gli studiosi locali possano dare allo studio della sto-
ria. d'Italia, che è per tanta pate storia locale. i

IGNAZIO BALDELLI

CELEBRAZIONE DEI GRANDI UMBRI — Mostra dell’ Arte della Stampa — Palazzo
Trinci. Foligno, 12 settembre-4 ottobre 1942. Catalogo a cura di Gio-
VANNI CECCHINI (Perugia, Tip. Donnini, 1943).

Anche una. Mostra storica dell’arte della stampa regionale in occasione
di una celebrazione dei Grandi Umbri, costituiva una documentazione del
clima culturale, della capacità tecnica a servizio delle manifestazioni intellet-
tuali, di cui la Regione ha saputo dar prova; e quindi poteva bene rientrare
fra le forme commemorative dei valori che l'Umbria ha prodotto.

A Foligno che vanta uscita dai suci torchi locali la edizione principe del
Poema dantesco, doveva toccare l'onore di ospitare questa Mostra promossa
dalla Soprintendenza .Bibiiografica per le Provincie del Lazio e dell'Umbria
e dal Sindacato Interprovinciale Umbro degli Autori e Scrittori e il suo ordina-
tore il prof. Giovanni Cecchini Direttore della Biblioteca « Augusta » di Peru-
gia, ne ha curato anche il Catalogo a stampa che, descrivendo tutti gli 800
pezzi esposti e riproducendone in 31 tavole alcuni dei più tipici, rimane a dare
adeguata .cognizione di quel che è stata la Mostra stessa.

La prefazione dell’autore spiega i criteri seguiti dell’ordinamento, ai quali
corrisponde la scelta degli esemplari esposti. Egli ba voluto che la Mostra fosse
essenzialmente una documentazione storica dell’arte tipografica dal suo pre-
sentarsi al successivo affermarsi entro i confini dell'Umbria, nella sua fonda-
mentale espressione: il libro, quale è stato impresso, composto nelle varie 10-
calità regionali, dagli inizi e via via nel corso degli anni fino ad oggi. Panorama
di spazio e di tempo che porterebbe spontaneamente ad illazioni sul diverso
RECENSIONI È 203

grado intellettuale raggiunto dai diversi ambienti in cui la novella arte s’in-
troduce e si viene sviluppando e progredendo, dando un quadro della cultura
diffusa nei singoli luoghi; ma l’autore avverte subito di non insistere su questo
aspetto della mostra, la quale allora avrebbe dovuto idearsi su altro piano.

È per un puro caso fortuito che una piccola cittadina dell’ Umbria, Trevi,
sia venuta a trovarsi all'avanguardia nell'accogliere il nuovo ritrovato che cam-
bierà tutte le misure di potenzialità e di effettualità nella diffusione del sapere ?
O se ne dovrebbe concludere che Trevi fosse il massimo centro intellettuale
della regione ? Questione che non era il momento di porre e tanto meno di risol-
vere, agli specifici intenti della mostra. A Trevi sta in ogni caso il merito di
essere la prima stamperia dell’Umbria, e la quarta d’Italia. Posto abbastanza
d'onore per la regione Umbra. Ma tipograficamente a questa rimangono ben
due primati: quello della prima stampa dellà Divina Commedia (Foligno 1472)
e quella della prima del Digesto (Perugia 1476). L'edizione di quest'ultimo, si
potrebbe pure mettersi in relazione con la particolare cultura del luogo, la glo-
riosa Scuola di Diritto dello Studio perugino. A grandi tratti un valore culturale
«indicativo » come il Cecchini si esprime, la Mostra senza richiederglielo lo ha
ad ogni modo pur dato; ed é da aggiungersi ai suoi piü diretti ed istruttivi ri-
sultati. Ciò naturalmente finché lo stampatore è anche l'editore; finché il libro
lanciato da le officine di un dato luogo deve servire anzitutto ai bisogni del -
luogo stesso, dove trova i primi ed immediati, per dir così, consumatori. Quan-
do poi le due figure sempre più si scindono e le stamperi» lavorano per lontani
imprenditori, allora la tipografia si riduce strettamente ad arte nei suoi aspetti
tecnici ed estetici. Ne resta però sempre una sicura importanza. Che in una data
località si sian formati ed operino maestranze e dirigenti che riescano a dare
al libro la forma migliore per praticità, per bellezza, per quel suo volto comples-
sivo che dovrebbe essere la costante cura dei suoi artefici manuali, ritorna sem-
pre un vanto. Sotto questo riguardo l'Umbria, con le officine tipografiche di
varie sue . città, non è oggi da meno di qualsiasi altra regione d’Italia.

La Mostra che ha avuto la sua sede nel Palazzo Monumentale dei Trinci
in Foligno, divisa per sezioni corrispondenti alle singole località umbre dove
l’arte della stampa si è attestata con proprie officine, e in ogni sezione per stam-
patori in ordine cronologico dei quali il Catalogo riporta le notizie più essenziali
della vita e della attività, ha presentato, e il volume del Catalogo seguiterà a .
presentare per il bibliografo una visione riassuntiva del risultato di tutte le
ricerche finora fatte sulle origini e sulle vicende di quest’arte nell’Umbria. Le
ricerche se anche per qualche città condotte con passione e diligenza da stu-
diosi valenti, possono tutte dirsi tuttavia più o meno insufficienti; e all’ordina-
tore si sono aucto ripetutamente questioni da risolvere, che naturalmente
non potevano essere approfondite in occasione di una manifestazione la quale
doveva venire in. breve tempo allestita. Però anche durante il lavoro il prof.
Cecchini ha potuto scoprire stampatori e stampe fin qui ignorate; il che di-
mostra quanto da fare rimanga allo specialista di queste indagini.

Tommaso Valenti per Trevi, Michele Faloci-Pulignani per Foligno, Do-
menico Tordi per Orvieto e per Todi, Falchi e Marinelli per Città di Castello,
ed altri studiosi ancora per questi e per alcuni altri centri minori, hanno
fatto ricerche sugli stampatori; per Perugia gli scritti relativi di Giambattista
Vermiglioli con le correzioni ed aggiunte a penna che vi si trovano fatte in
204 RECENSIONI

alcuni esemplari da Giacomo Manzoni e Filippo Senesi, la preziosa pubbli-
cazione di Adamo Rossi rimasta purtroppo interrotta (chi sa che fra le carte
lasciate da lui e andate a finire in tante mani non ci fosse stata la
continuazione dell'opera), infine gli Annali tipografici a stampa e mano
scritti di Antonio Brizi, han portato molto ed importante contributo alla storia
tipografica della città; ma sono lavori già di vecchia data ed una esauriente
storia dell'arte della stampa in Perugia e nell'Umbria rimane ancora da scri-
vere. ‘Accanto agli impressori lavoravano silografi ed incisori certamente 10-
cali, per inquadrature e illustrazioni del libro che spesso sono notevoli per ef-
ficacia ed anche eleganza di tratto, e pure di costoro andrebbero cercate noti-
zie per meglio conoscere tutti i concorrenti alla produzione libraria nella forma
totale con cui é uscita dai nostri torchi. Avrebbe, crediamo, potuto il Catalogo
fra le tavole opportunamente aggiungere anche qualche esempio di quelle
pubblicazioni settecentesche del momento arcadico, le quali con le loro riqua-
drature di pagine, fregi, capilettere di fine fattura e sentito gusto dell'epoca,
offrono un saggio della continuata capacità dei nostri tipografi di seguire i
tempi.

Volendo dare ora uno'sguardo complessivo allo svolgimento della stampa
nell’Umbria, non vi si riscontra a dir vero qualcheduno di quei fatti salienti
che segnano punti decisivi nell'evoluzione e perfezionamento dell’arte. Non
vi si è realizzata alcuna di quelle esperienze da cui escon fuori nuove impronte
nella fisionomia del libro, nei suoi elementi, nella sua struttura; e nessuno dei
nostri tipografi può annoverarsi nella famiglia dei grandi impressori. Nell’in-
sieme tuttavia anche l'Umbria si è affermata con una sua abbondanza e bra-
vura di artefici e di imprese tipografiche, ed ha accumulato pure in questo
campo un suo patrimonio storico che ha arricchito anch'esso i mezzi della cul-
tura nazionale e comune a tutta la civiltà.

Tornando infine al significato culturale che può avere avuto la. Mostra,
non è da negarsi come i titoli di molte, in specie tra le più antiche, pubblica-
zioni sollecitino l'attenzione, perché richiamano fatti, persone, e costumi.
Cosicché il Catalogo costituisce un notiziario che non soltanto interessa il
Bibliofilo ma qualsiasi studioso, di quelli che ricercano indici e documentazioni
di tutte le correnti del pensiero e della vita. Alla storia dell'Umbria giova
perché la maggior parte dei libri che sono stati esposti e che rimangono descrit-
ti, si riferiscono a scrittori ad avvenimenti ad istituzioni umbre. Siano Statuti
cittadini, siano raccolte accademiche, siano opere meditate, siano pubblica-
zioni d'occasione, dovute ad autori nostri, emanate da enti regionali, raccon-
tano vicende nostre, ci riportano a personalità e a cose nostre.

L'edizione sobria, elegante correttissima sotto tutti i riguardi, del Catalogo,
assicura il durevole ricordo della Mostra, mentre forma e resta un utilissimo
strumento bibliografico che l'ordinatore ha compilato e curato con amore pari

alla sua competenza.
RAFFAELE BELFORTI
ATTI E NOTIZIE

T

PRESIDENZA DELLA DEPUTAZIONE

.Con Decreto Reale 20 dicembre 1937 sono accettate le dimissioni del prof.
Federico Chabod dalla carica di Presidente, ed è nominato in sua sostituzione
il conte dott. Romeo Gallenga Stuart.

Con lo stesso Decreto é nominato Vice-Presidente il prof. Achille Ber-
tini Calosso. :

Con Decreti Reali 17 maggio 1938 è nominato Presidente il prof. Achille
Bertini Calosso, ed è nominato Vice-Presidente l'avv. Arnaldo Fortini.

Il.

ADUNANZE DELLA DEPUTAZIONE

ADUNANZA INTERNA IN DATA 27 NOVEMBRE 1937. — Presenti: Chabod
(Presidente), Ansidei di Montemarte, Belforti, Calzoni, Cecchini, Cristofani,
Padre Ricci. Segretaria, Ortolana Fiumi.

Il Presidente commemora i Colleghi defunti Guardabassi, Trabalza, Pensi.

Il Presidente comunica una lettera con la quale Rossi Passavanti rasse-
gna le dimissioni: sono accettate dalla carica di Presidente della Sezione di
Terni, ma non da Deputato.

- Il Presidente illustra l'ordinamento interno della Deputazione, in armo-
nia con le nuove disposizioni emanate dalle Autorità Centrali. Inoltre fa pre-
sente l’opportunità di proporre la nomina a Deputati del dott. Francesco Bri-
ganti e del dott. Morini e ricorda l’importanza di avere una sede. Accenna in-
fine al problema finanziario della Deputazione.

Su proposta Belforti si approva che la quota annua per i Deputati sia
fissata a lire 30, .con diritto a tutte le pubblicazioni, e per i corrispondenti a
lire 25, con diritto al solo Bollettino.

A richiesta di Belforti il Presidente precisa che nel Bollettino possono acco-
gliersi anche articoli di Storia dell’ Arte e di Storia letteraria, purché di no-
tevole interesse. Aggiunge che, per quanto riguarda il periodo più vicino, è
necessario procedere d’intesa con la Società per la Storia del Risorgimento.

In seguito a discussione — alla quale partecipano Belfort, Cecchini e An-
sidei — si approva la proposta del Presidente che la direzione del Bollettino ri-

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206 ATTI E NOTIZIE

manga affidata al Presidente stesso, il quale chiamerà a collaborare studiosi
che abbiano la necessaria preparazione. Qualora l’attività divenisse maggiore, si
potrebbe formare un’apposita Commissione. Le mansioni di gerente respon-
sabile continueranno a restare affidate al prof. Luigi Tarulli Brunamonti. Il
Presidente formula il voto che tutti i Comuni dell’Umbria possano avere la
soddisfazione di trovare nel Bollettino scritti che si riferiscano alla loro storia.
Resta convenuto che il prezzo di vendita del Bollettino al pubblico sarà di
lire 40, e che si cercherà di promuovere abbonamenti sostenitori a lire 100.

ADUNANZA INTERNA IN DATA 23 GIUGNO 1938. — Presenti: Bertini. Ca-
losso (Presidente), Belforti, Calzoni, Cecchini, mons. Fausti, Fortini, Loreti,
Padre Ricci, Tarulli Brunamonti. Assenti giustificati: Ansidei di Montemarte,
mons. Canuti, Chabod, Cristofani, Guerrieri, Rossi Passavanti, Valenti. Se-
gretaria Ortolana Fiumi.

I] Presidente invia un devoto saluto al prof. Federico Chabod, che con la
sua autorità e 1a sua opera ha saputo salvare la Deputazione dalla rovina che
ha travolto altre istituzioni analoghe. Purtroppo le numerose e gravi occupa-
zioni non hanno permesso all’insigne studioso di conservare la presidenza
della nostra Deputazione. Gli è succeduto il sen. Romeo Gallenga Stuart, va-
lente cultore degli Studi Storici e sincero innamorato dell'Umbria, il quale pur-
troppo è mancato immaturamente ai vivi, senza neppure poter prendere pos-
sesso della presidenza. Chiamato alla successione di questi due insigni uomini, il
Presidente spera di trovare nei colleghi un efficace aiuto. Ricorda poi gli altri
colleghi della Deputazione che sono deceduti di recente, assicurando che di
tutti verranno ‘pubblicati nel Bollettino diffusi cenni biografici.

Comunica quindi le nomine di Fortini a vice-Presidente e di Belforti a
Consigliere, nonché di Padre Ricci a Revisore dei conti, in sostituzione di
Mons. Faloci Pulignani, che, per la sua tarda età, non è più in grado di recarsi
a Perugia. :

Rende anche noto che non è stato possibile costituire una Sezione a Ter-
ni, ma si augura che la Deputazione vorrà ugualmente collaborare al risveglio
culturale in questa. provincia, ricca di memorie storiche.

Alle comunicazioni del Presidente si associa, con piena adesione, Fortini.

Il Presidente espone i propositi di lavoro per l’anno in corso, e prospetta
le gravi ristrettezze finanziarie che ostacolano l’attività della Deputazione,
esortando i colleghi a sollecitare aiuti presso enti e privati,.e segnalando l’at-
to ‘lodevole della Società Terni, che ha generosamente inviato la somma di
| lite 3.000. Mons. Fausti consiglia: di rivolgere una richiesta alla Reale Acca-
demia d’Italia.

Accenna quindi all’opportunità di riprendere la tradizione dei Convegni
Storici Umbri; organizzandone per il prossimo autunno uno da tenersi a Foli-
gno in coincidenza con le onoranze che verranno tributate a .mons. Faloci Pu-
lignani, e cominciando sin d’ora a pensare ad un secondo da tenersi a Orvieto
nell’autunno 1939.!

Belforti fa presente la necessità che nel Bollettino abbiano il necessario
sviluppo gli "Analecta e le Recensioni.

Il presidente crede opportuno che, per condurre avanti senza eccessivi
ritardi la pubblicazione del Regestum Reformationum Comunis Perusii, all' An-
ATTI E NOTIZIE . © ^ 207

sidei venga dato un aiuto, che potrebbe scegliersi nella persona del prof. Cle-
mente Pizzi, valoroso latinista. Propone anche che si metta mano al completa-
mento del vol. XIX del Bollettino rimasto incompleto, e che doveva essere in-
teramente dedicato a ricerche riguardanti la città di Todi.

Vengono all’unanimità proposti per la nomina a Deputati:dott. Francesco
Briganti, mons. Umberto Fracassini, prof. Gaetano Gasperoni, avv. Astorre
.Lupattelli, avv. Luigi Pietrangeli. Vengono all’unanimità proposti per la no-
mina a Corrispondenti: avv. Giorgio Andreoli, capit. Gustavo Brioli, arch.
prof. Arnolfo Bizzarri, don Michael Bocksruth o.s.B. , padre Leone Bracaloni
dei Minori, prof. Giovanni Crocioni, dott. Giovanni Dominici, prof. Vincenzo
Fumi, prof. Alberto Iraci, dott. Francesco Mancini, padre Bonaventura Ma-
rinangeli dei. Minori Conventuali, prof. Antonio Minto, mons. Luigi Piastrelli,
padre Raimondo Polticchia dei Minori, ing. Fabrizio D ae padre Ame-
deo Teetaert dei Minori Cappuccini (1).

Si stabilisce, su proposta del Presidente, che la. prossima badündnza in-
terna abbia luogo a Foligno, in occasione del Primo Convegno Storico Umbro.

Il Presidente ringrazia gli intervenuti e addita alla loro ammirazione il
. collega prof. Calzoni, che ha portato ormai a termine, in modo perfetto, l'or-

dinamento del Museo Preistorico. d«llItalia Centrale nel Palazzo Donnini. a
Perugia (2). :

ADUNANZA INTERNA IN DATA 18 LUGLIO 1939. — Presenti: Bertini Calosso
(Presidente), Ansidei di Montemarte, Belforti, Briganti, Gasperoni, Lupat-
telli, Tarulli Brunamonti. Assenti giustificati: Calzoni, Chabod, Fortini, Pe-
trangeli, Valenti. Segretaria Ortolana Fiumi.

Il Presidente porge un cordiale saluto ai nuovi Deputati Diter éd
esprime la certezza che avrà da loro volenterosa ed efficace collaborazione.
Si propone di inviare un telegramma d'augurio al prof. Cristofani, assente per
malattia.

Il Presidente informa quindi sui propositi circa le pubblicazioni e sulla
raccolta del materiale per il Bollettino, annunciando che il vol. XXXV, cor-
rispondente all’anno 1938, sarà distribuito entro il mese di agosto. Si rimane

d’accordo che a cominciare da questo volume cesserà la numerazione dei tre
fascicoli che in passato costituivano ciascun volume.

Poiché nel prossimo anno 1940 dovrà aver luogo a Napoli, in occasione del-
la Mostra Triennale delle Terre Italiane di Oltremare, il I Convegno delle RR.

Deputazioni di Storia Patria, il Presidente raccomanda ai presenti d'intensi-

ficare ciascuno per la propria parte la collaborazione, affinché si possa giungere
all'importante raduno recando possibilmente un più notevole contributo della
nostra Deputazione agli Studi Storici. Dopo lunga discussione — alla quale. par-
tecipani Belforti, Briganti, Tarulli Brunamonti, Lupattelli, Gasperoni — si
stabilisce che si farà ogni sforzo per spingere avanti il Regestum Reformationum,
ma che contemporaneamente si cercherà di metter mano, sollecitando contri-
buti dei rispettivi Comuni, alla pubblicazione degli antichi.Statuti del Comune

(1) Tutte queste proposte di nomine hanno avuto successivamens n prescritte Approvazioni
da parte delle Autorità Centrali.
(2) Vedi in proposito nel Bollettino, vol. XXXVI (anno 1939), pagg. 177-179,

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208 ATTI E NOTIZIE

di Perugia (a cura di Francesco Briganti) e del Comune di Foligno (a cura di
D. Angelo Messini). i

A proposito del Convegno di Napoli, Belforti ricorda come sia stata la
nostra Deputazione a promuovere per la prima volta una consimile riunione
con carattere nazionale, che si tenne a Perugia nel 1923.

Tarulli Brunamonti chiede per quale motivo no. siasi tenuto a Foligno
il progettato Convegno: ‘il Presidente risponde che ciò è dipeso dal ritardo ine-
splicabile col quale l’ Autorità Centrale ha dato la necessaria autorizzazione.
Annunzia che pertanto, superata ormai ogni difficoltà, il Primo Convegno Sto-
rico Umbro avrà luogo il prossimo dicembre in Orvieto: si inizierà con la com-
memorazione di Luigi Fumi, e verrà dedicato prevalentemente allo studio di
problemi archivistici. Si rimane d’accordo che in tale circostanza avrà luogo
la prossima Adunanza interna.

Il Presidente richiama la particolare attenzione dei Colleghi sopra il di-
segno di legge in via d’approvazione, relativo alla costituzione di un Archivio
Provinciale di Stato in tutte quelle provincie che ne siano ancora sprovviste,
e, poiché la Deputazione è l’ente che meglio si trova in grado di poter apprez-
zare tutta l’importanza dell’argomento, presenta in proposito un Ordine del
Giorno, che è approvato all’unanimità, e che viene trasmesso al Ministero del-
l’Interno per tramite della Prefettura. Si resta anche d’intesa che al progettato
Convegno di Orvieto verrà presentata una diffusa relazione in proposito (1).

ADUNANZA DEL CONSIGLIO IN DATA 18 LUGLIO 1939. — Presenti: Bertini
Calosso (Presidente) e i Deputati Ansidei di Montemarte e Belforti.

Letti e approvati i Bilanci in corso, vengono confermati a Revisori dei
Conti Cecchini, Cristofani e padre Ricci.

Ansidei di Montemarte comunica che, per le sue condizioni di salute, non
è più in grado di proseguire la compilazione del Regestum Reformationum. Gli
viene proposto di intendersi col prof. Clemente Pizzi, il quale sarebbe in gra-
do di dare una efficace aiuto, e, naturalmente, dovrebbe ricevere un compenso
dalla Deputazione.

Si stabilisce di riordinare la Biblioteca della Deputazione sotto la vigi-
lanza della contessina Ortolana Fiumi, che dovrà ricevere un compenso, e
di riordinare in questa circostanza anche le raccolte del Bollettino.

ADUNANZA INTERNA IN DATA 17 DICEMBRE 1939 (in Orvieto, presso .la
Biblioteca Comunale Luigi Fumi, non appena terminato il Primo Convegno
Storico Umbro). — Presenti: Bertini Calosso (Presidente), Belforti, Briganti,
Cecchini, Cristofanil Perali, Petrangeli. Assente giustificato: Degli Azzi Vitelle-
schi. Segretaria Ortolana Fiumi.

Vengono all’unanimità proposti per la nomina a Deputati: padre Nicola
Cavanna dei Minori, prof. Alberto Maria Ghisalberti, prof. Sergio Mochi Onory,
prof. Roberto Valentini. Vengono all'unanimità proposti per la nomina a

(1) Al Primo Convegno Storico Umbro, tenutosi a Orvieto nel 1939,il Deputato prof. Cecchini
ha presentato la particolareggiata relazione che si riporta nel Bollettino, vol XXXVI (anno 1939),
pagg. 108-126. Ivi, a\pag. 125, è riportato integralmente l'Ordine del Giorno approvato dall’ Adu-
nanza interna del 18 luglio 1939. 3
ATTI E NOTIZIE

209

Corrispondenti: padre Giuseppe Abate dei Minori Conventuali, Angelo Broc-
chi della Massea, dott. Geralberto Buccolini, Arfnando Comez, prof. Pietro
D'Achiardi, prof. Primo Dorello, prof. Eugenio Dupré Theseider, prof. Ce-
sare Manaresi, dott. don Angelo Messini, prof. Amedeo Morelli, Franco Pa-
squali, mons. dott. Martino Petrucci, prof. Clemente Pizzi (1).

Il Presidente comunica che il Secondo Convegno Storico Umbro si terrà
a Spoleto nei giorni 8-9 giugno 1940, e che, in tale circostanza, avrà luogo la
prossima Adunanza interna (2). Rende anche noto il proposito che, a co-
minciare dal volume XXXVII, corrispondente all'anno 1940, il Bollettino
comprende annualmente quindici fogli di stampa (pari a pagine 240).

Accogliendo le raccomandazioni che gli sono pervenute da più.parti, il
Presidente assicura che, non appena i tempi lo permetteranno, prenderà l’ini-
ziativa perché dalla Deputazione possa venir bandito annualmente il con-
corso per una Borsa di Studio, allo scopo di consentire che un giovane della
Regione Umbra venga inviato, con le modalità che si riterrà opportuno sta-
bilire, a perfezionarsi negli Studi Storici.

III.

PROGRAMMA PER IL I CONVEGNO DELLE RR. DEPUTAZIONI
DI STORIA PATRIA

La Giunta Centrale per gli Studi Storici, con sua Circolare riservata n. 297
a firma del Vice-Presidente Dott. Francesco Ercole (priva di data, ma diffusa
sulla metà del mese di gennaio del 1940), rendeva noto ai Presidenti il pro-
posito di tenere a Napoli nei giorni 8-10 settembre 1940, in occasione della
Mostra Triennale delle Terre Italiane d’Oltremare, il I Congresso delle RR.
Deputazioni di Storia Patria.

La Giunta Centrale si proponeva inoltre di pubblicare, in tale circostanza,
un proprio Annuario con dati storici e statistici, e all'uopo richiedeva che per
il giorno 28 febbraio ciascuna Deputazione inviasse i dati seguenti: a) cenno
storico della Deputazione, con elenco dei Presidenti dalle origini; bibliografia;
notizie su società di carattere storico eventualmente vissute nell’ambito della
Deputazione; b) cenno di tutte le pubblicazioni edite dalla Deputazione; c) bre-
ve notizia sulla Biblioteca e l'Archivio della Deputazione, sulle eventuali sue
raccolte e su altre sue iniziative.

Con successiva Circolare in data 2 febbraio 1940, sempre a firma Ercole,
la Giunta specificava che temi dei lavori del Congresso sarebbero stati i due
seguenti: I) I documenti della Storia d’Italia esistenti negli Archivi stranieri.
Piano per un’indagine sistematica; II) Proposte ed accordi per una più attiva
collaborazione tra le RR. Deputazioni di Storia Patria.

(1) Tutte queste proposte di nomine hanno avuto successivamente le prescritte approvazioni
da parte delle Autorità Centrali. :

(2) Per questo Convegno si era invitato il senatore prof. Pier Silverio Leicht a pronunciare il
discorso inaugurale. L'insigne studioso, aderendo di buon grado, aveva prospettato l'opportunità di
invitare a Spoleto, con l'occasione del Convegno, i rappresentanti dei principali centri di Cultura
Longobarda in Italia, e di organizzare una mostra d'Arte Barbarica. La Deputazione si apprestava
a studiare la realizzazione di questo bel programma, quando l'imminenza dell'entrata in guerra del-

l'Italia ha costretto a rinunciare al Convegno e alle altre iniziative che a questo si dovevano con-
nettere.

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210 ATTI E NOTIZIE

Per ciascuno dei temi la Giunta avrebbe scelto un relatore principale.
Ciascuna Deputazione avrebbe dovuto designare un suo Deputato per riferire
su ambedue gli argomenti: cosi questo Deputato come il Presidente, per cia-
scuna Deputazione, avrebbero fruito di una diaria al fine di partecipare ai la-
vori del Convegno.

In seguito alla partecipazione dell'Italia al conflitto mondiale non si e
più aperta la Mostra Triennale, e non ha avuto luogo il Convegno, nè si è pubbli-
cato l'Annuario (1).

IV.

CONVEGNO DEI RAPPRESENTANTI DELLE RR. DEPUTAZIONI E
DEI MEMBRI DELLA GIUNTA CENTRALE PER GLI STUDI STORICI

.Il Presidente della Giunta Centrale, con sua nota n. 98 in data 21 febbraio
1942, indiceva per i giorni 11 e 12 marzo 1942 in Roma — presso la sede del R.
Archivio di Stato, nel Palazzo della Sapienza — un Convegno dei rappresen-
tanti delle Deputazioni e dei membri della Giunta Centrale, al fine di « stabi-
lire rapporti sempre più diretti e proficui ».

Il Convegno, di un carattere ben diverso da quello che avrebbe dovuto
avere il Convegno non tenutosi a Napoli nel 1940, si è regolarmente svolto ,
nella.data prestabilita. Qui appresso si riportano il Discorso del Ministro dell’E-
ducazione Nazionale on. Giuseppe Bottai, le parole pronunciate in risposta dal
Presidente della Giunta Centrale per gli Studi Storici on. Cesare Maria De
Vecchi di Val Cismon, la Relazione che è stata richiesta al Presidente della
Deputazione.

Discorso DEL MINISTRO DELL'EDUCAZIONE NAZIONALE

Sono molto lieto, camerati, di aver aderito all’invito rivoltomi dal mio
vecchio amico, camerata e commilitone, l'Eccellenza De Vecchi, di partecipa-
re alla vostra riunione.

Questo convegno è opportuno e tempestivo. Di recente il Duce ha rivolto
di nuovo le sue cure. all'organizzazione degli studi storici in Italia; e di questo.
suo interessamento ha dato tangibile prova con la risoluzione integrale del
finanziamento degli studi storici stessi.

Ma, a parte questo aspetto puramente finanziario delia questione, per pro-
cedere ad una intensificazione, ad una ripresa più organica dei vostri studi,
penso che questa convocazione si abbia a ripetere annualmente. La Giunta,
almeno una volta all’anno, può radunarsi insieme con i Presidenti delle Depu-
tazioni per fare il punto del proprio lavoro, per imprimergli un sempre più
proficuo coordinamento.

La Giunta Centrale degli Studi Storici ha dimostrato, durante il periodo
della sua prima attività, di sapere assolvere pienamente il suo compito. È ve-

(1) Vedi questo vol. del Bollettino, pag. 208, per il ricordo di una consimile riunione con
carattere nazionale tenutasi a Perugia nel 1923, ad. iniziativa della nostra Deputazione.
ATTI E NOTIZIE : 211

ramente quel centro comune degli studi storici, la necessità del quale si era sen-
tita sin da quando fu fondato con R. Decreto del 24 novembre 1883 l’Istituto
Storico Italiano. In realtà, dati i tempi e le circostanze, questo non poté del

tutto assolvere la sua funzione. E poiché all'unità degli studi storici non corri-.

spondeva allora una vera e propria unità politica, e l'unità scientifica é sempre
subordinata alla unità politica, si puó dire che l'Istituto Storico, al quale era
stata assegnata questa funzione, precorse i tempi. I vari Istituti che attende-
. vano agli studi storici, lavoravano ognuno per proprio conto: mancava un vero
e proprio collegamento nazionale. ,

E solo quando, con il potenziamento del nostro Regime e dell'unità poli-
tica, si forma l’unità delle coscienze in Italia, è solo dopo il 1936 che l’Italia può
affrontare il problema della creazione di un centro unico di studi storici. È sta-
to S. E. Ercole che ha proceduto al primo coordinamento degli Istituti Storici,
con l’aiuto del camerata De Vecchi, il quale, poi, come Ministro, doveva dare
all’opera l’ultimo. perfezionamento. Compito della Giunta è il coordinamento
e l’unificazione dei metodi di lavoro di tutti gli Istituti che presiedono nel no-

stro Paese alle scienze e alle discipline storiche.

Durante questi anni; tale compito è stato assolto dalla Giunta in modo

esemplare, sotto l'impulso che l'Ecc. De Vecchi ha impresso alla vita dei vari
Istituti e ai loro rapporti. Per quanto altre funzioni lo abbiano chiamato al-
trove, egli, anche di lontano, ha seguitato a occuparsi della vita della Giunta
e degli Istituti dipendenti con una passione e con un interesse che non si sono
mai smentiti. Ma, essendo ormai tornato interamente alla vita degli studi, po-
trà dare alla Giunta una più assidua cura. Sono certo che da parte di tutti voi
avrà la massima collaborazione.

S'intende che il coordinamento non significa soppressione della necessaria
autonomia scientifica. Ogni istituto conserverà la propria particolare fisiono-
mia e ogni studioso la propria personalità scientifica. Compito della Giunta
è di coordinare i vari indirizzi, per dare all'Italia unificata un'unificata storia
nazionale. A tal fine, io credo che bisognerà seguire anche un metodo parti-
colare nelle nomine dei membri delle Deputazioni.

Con mia sorpresa ho visto che si procede a tali nomine senza avere sentito

la Giunta Centrale degli Studi Storici. Ció non va. In attesa di modificazione :

della legge, avverto che seguirò in pratica questa procedura.

A questo proposito affermo, perché questa convinzione si diffonda, che la
nomina a Deputato per gli Studi Storici non é una decorazione. Se ci sono dei
Deputati, i quali dormono e non producono scientificamente, allontanateli e
fate si che al titolo corrisponda una effettiva funzione. Prego il camerata De

Vecchi di attenersi a questo metodo, cercando di eliminare chi dimostra di non:

avere aleun interesse al progresso degli studi storici.

Ora che il problema del finanziamento, della vita materiale, é risolto, occor-
rerà che il rendimento da parte degli Istituti e delle Deputazioni sia continuo.
Per l'uso dei nuovi mezzi finanziari, che vi sono stati dati, voi vi accorderete
con la Giunta Centrale.

Faccio i voti piü fervidi per il vostro lavoro, sotto la presidenza del vostro
Presidente. Questo Convegno, nell'intimità di questa sala cosi densa di ricordi,
segnerà una netta ripresa degli studi storici nazionali, seguiti sempre dal Duce
. Con grande passione.

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212 ATTI E NOTIZIE

PAROLE DEL PRESIDENTE DELLA GIUNTA CENTRALE PER GLI STUDI STORICI
IN RISPOSTA AL MINISTRO DELL'EDUCAZIONE NAZIONALE.

Rivolgo un ringraziamento vivissimo al nostro Ministro per quanto egli
ha voluto dirci. Il mio ringraziamento va, oltre che per le espressioni di bene-
volenza verso di noi e verso la mia persona, per le direttive che egli oggi ci ha
voluto dare.

Le direttive, come avete udito, sono chiare. Dobbiamo provvedere affinché
gli studi storici, nell’interno delle nostre istituzioni, siano guidate da un con-
cetto direttivo unico. Concetto direttivo unico che deve svolgersi parallela-
mente, come il Ministro ha detto, ad una sempre più perfetta coscienza dell’u-
nità della nostra Patria. Nessuno ha intenzione, è evidente, di annullare il
particolare carattere degli individui che scrivono di storia. Questa era dalle
origini una delle nostre direttive, oggi diventa una norma precisa perché ci è
data dal Ministro.

Dobbiamo porre attenzione a che l’attività, che da gni singolo possiamo
attendere, sia concreta e che gli studiosi di storia i quali sono accolti nelle file
dei Deputati, diano un effettivo contributo di operosità alla Deputazione, e
non si adagino nella raggiunta dignità di membri di quella.

Come è per gli individui, così è, evidentemente, per le istituzioni: le Depu-
tazioni e le Sezioni devono dare un rendimento effettivo. Se Deputazioni e Se-
zioni non dessero più un rendimento effettivo e concreto, segno sarebbe che
avrebbero cessato di assolvere alla loro funzione. Così, con dolore profondo,
dovrei proporne al Ministro la soppressione.

Il Ministro Bottai ha detto che oggi abbiamo ormai i mezzi sufficienti a
percorrere la nostra via. Forniti di questi mezzi dal Governo Fascista, non dob-
biamo più lottare contro difficoltà che per tanto tempo hanno ostacolato la
nostra opera.

Tra le diciassette Deputazioni di storia patria che esistono in Italia e le
Sezioni che sono almeno il doppio delle Deputazioni, noi non ricevevamo che
un contributo globale di lire quarantamila da dividersi tra cinquanta Enti.

Una simile situazione ha preoccupato il nostro Ministro il quale ha, al
momento opportuno, chiesto a me una relazione sulla vita delle Deputazioni,
allarmato della situazione di inanizione delle istituzioni storiche, sia delle De-
putazioni e loro Sezioni, sia dei vari Istituti storici nazionali.

La relazione che ho redatto in rapporto alle varie notizie che ho ricevuto
a mia volta dalle Deputazioni, ha dato al Ministro l’immagine chiara dell’at-
tività delle varie Deputazioni e Sezioni. Tale attività invero, guardata attra-
verso gli anni dacché la Giunta è stata fondata dal ministro Ercole durante il
suo periodo di governo degli studi in Italia, è stata miracolosa. La produzione
intensa e di tono altissimo anche in questi tempi ne dà la prova.

Ma il miracolo del far molto senza alcun mezzo non poteva durare inde-
finitamente poiché se un bel giorno le istituzioni si fossero abituate a vivere
senza aiuto di sorta, avrebbero finito per morire.

Il Ministro ha fatto sue le preoccupazioni mie ed ha portato il problema
davanti all’autorità del Duce. Esso è stato risolto: la Giunta dispone di somme
sufficienti per poter far fronte alle esigenze dell’attività scientifica delle varie
Deputazioni. Queste somme sono state assegnate alla Giunta Centrale che ne

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ATTI E NOTIZIE 213

dedicherà parte alle Deputazioni e Sezioni, in rapporto all'effettiva attività
che esse potranno svolgere. In corrispondenza ai piani precisi di lavoro ed al
materiale scientifico pronto per la stampa, verrà l'assegnazione dei fondi alle
varie Deputazioni o Sezioni da parte della Giunta.

In questo modo la Giunta potrà controllare più intensamente (perché il
controllo finanziario è per sempre di alta efficacia) l'attività scientifica delle
varie istituzioni storiche; ma nello stesso tempo, la Giunta assumerà nuovi do-
veri e nuovi oneri; di carattere scientifico da un lato e, dall'altro la grave re-
sponsabilità della gestione diretta di questa somma che lo Stato ha stabilito
di dare e che il Ministro ci ha promesso in seguito di adeguare a nuove eventua-
li esigenze.

Tale adeguamento sarà da studiare al momento opportuno. Per ora le
somme che ci sono state date sono sufficienti e sarebbe inutile pretendere altro.
E bastante a far fronte alla situazione odierna: il poi verrà a.suo tempo.

Dagli studiosi della storia italiana, rappresentati dal nostro consesso, da
noi vada al Governo Fascista, al Duce e al nostro Ministro una espressione viva
di profonda gratitudine sia per il provvedimento che è stato preso per venire
incontro ai nostri studi, sia per il momento in cui è stato preso. Se-avesse tar-
dato a venire in momenti cosi difficili, noi avremmo perso irrimediabilmente
terreno. Invece siamo ora in condizioni di poter compiere con largbezza suffi-
ficiente il nostro lavoro scientifico. Dalla istituzione della Giunta fino a questo
generoso, tempestivo interessamento non vi fu istante nel quale gli studi sto-
rici rallentassero di intensità.

RELAZIONE DEL PRESIDENTE DELLA DEPUTAZIONE DI STORIA PATRIA
PER L'UMBRIA
Negli ultimi anni l'attività della Regia Deputazione di Storia Patria per
l'Umbria si è esplicata attraverso il Bollettino, la stampa del Regesto delle Ri-
formanze del Comune di Perugia, la ripresa dei Convegni Storici Umbri.
Il Bollettino si trova ora in leggiero arretrato; ma senza dubbio potrà ri-
mettersi in corrente dentro l’anno 1942. Il Regesto è stato curato sapientemen-

te da un illustre studioso umbro, il conte Vincenzo Ansidei, mancato ai vivi

dopo che era uscito il I volume. Egli ha lasciato una gran parte del materiale
di trascrizione per i successivi volumi, insieme con numerosissime schede: sarà
agevole ottenerne dalla famiglia la cessione, per modo che — con una saggia
organizzazione di lavoro — sia possibile dare alla luce in una breve serie di anni,
a partire dal 1943, i volumi successivi. Il primo Convegno Storico Umbro, dopo
un’interruzione di venticinque anni, si è tenuto nel 1939 a Orvieto, dedicato
+ per onorare la memoria di Luigi Fumi — a problemi archivistici. Il voto del
Convegno che Perugia fosse senza indugio dotata di una Sezione d’Archivio
di Stato ha avuto benevolo accoglimento, ed è in tutti certezza che da tale
istituzione deriverà vantaggio agli Studi Storici nella Regione. Il II Convegno
si sarebbe dovuto tenere nel 1940 a Spoleto, dedicato al Ducato Longobardo,
ma è stato necessario rimandarlo, date le contingenze del momento.
Quanto all’attività nel più prossimo avvenire, si indicano qui appresso i
propositi della Deputazione:
a) Bollettino. Dovrà avere sempre più un carattere assolutamente scien-
tifico, e la buona messe di manoscritti già assicurati offre garanzia che nno si

a Le SAAIZIO. RESINE QS e cant Ub
214 S ATTI E NOTIZIE,

verrà meno a questa imprescindibile esigenza. Sarà insieme necessario che
venga ripresa e aggiornata, attraverso una collaborazione retribuita, la rubrica
degli Analecía Umbra, che appare necessaria in una regione dove ancora non
esistono grandi biblioteche.

b) Regesto delle Riformanze. Sarà necessario un fondo, prima ancora che
per la stampa, per l'aggiornamento, il completamento, la revisione del'materiale.

c) Statuti della Regione Umbra. Caduta la pregiudiziale, che si era cre-
duto necessaria, di affidarne l’edizione al Corpus Statutorum, si metterà solle-
citamente mano alla stampa di due volumi. Il primo volume (Perugia) potrà
essere pronto nel 1943, a cura del dott. Francesco Briganti; il secondo (Fo-
ligno) potrà vedere la luce nel 1944, a cura del canon. dott. Angelo Messini.
Si indicherà prossimamente in modo esatto il fabbisogno finanziario.

d) Inventari delle Raccolte Minori d’ Antichità e d'Arte. Sull’esempio di
quanto si è fatto in altre regioni d’Italia, e soprattutto assai bene in Piemonte,
anche la nostra Deputazione vuole dedicare una parte della sua attività a
ricerche che interessino i documenti che alla storia sono offerti dalle opere d’an-
tichità e d'arte. Si metterà così mano ad una Serie di Inventari delle raccolte
minori d' Antichità e d' Arte. Entro la fine de] 1943, se verranno concessi i fondi
necessari, potranno veder la luce tre fascicoli, dedicati il I alla Pinacoteca Co-
munale di Gualdo Tadino (per cura del Deputato dott. Guerrieri), il II alla
Pinacoteca di Nocera Umbra (per cura del Presidente), il III alla Collezione
Archeologica di Assisi (per cura del dott. Mario Bizzarri). :

e) Convegni Storici Umbri. Si riprenderanno non appena terminata
la guerra.

f) Aiuti alla stampa periodica minore che s'interessa di problemi storici.
La disponibilità di un piccolo fondo, non superiore alle 1000-1500 lire annue,
potrà permettere di sussidiare una piccola, ma buona, rivista di Città di Castel-
lo, e, allorché riprenderanno le pubblicazioni, le rassegne dei Comuni di Perugia
e di Terni. Nei fascicoli di questi periodici si riversano quegli studi e quegli
articoli che non possono aspirare a veder la luce nel Bollettino della Deputazio-
ne, ma che è conveniente non rimangano inediti.

La Deputazione per l'Umbria non ha sezioni, nè si crede necessario ‘isti-
tuirne per lungo tempo ancora. Il proprio materiale bibliografico è tutto sche-
dato, e a disposizione degli studiosi. Manca tutt'ora una vera e propria sede
(libri e periodici sono ospitati accanto alla Biblioteca Comunale). ma il buon
volere dell'Amministrazione Civica saprà sicuramente venire incontro a questa
necessità, non appena saranno cessate le attuali condizioni eccezionali. :

Il senso di solidarietà e lo spirito di concordia da cui sono animati gli stu-
diosi della Regione Umbra riusciranno sicuramente a vincere ogni difficoltà,
e ad assicurare l'attuazione del programma sopra enunciato, se la Giunta Cen-
trale per gli Studi Storici — come vivamente si confida — vorrà concedere
quegli aiuti d'ordine finanziario che di volta in volta Rppanranno stret-
tamente indispensabili.

Roma, 12 marzo 1942. ;
; Il Presidente
ACHILLE BERTINI CALOSSO

x
ATTI.E NOTIZIE 215

Il Presidente della Giunta Centrale con sua nota n. 570 in data 22 gennaio
1943, raccogliendo il voto formulato dal Convegno di Roma per una riunione
annuale dei Presidenti delle RR. Deputazioni e dei Membri della Giunta,
fissava per l'autunno del 1943 a Roma il nuovo Convegno. I noti eventi
politici non banno consentito che questo divisamento venisse realizzato.

DONE

ATTIVITÀ DELLA DEPUTAZIONE PER LA DIFESA DEL PATRIMONIO

ARCHIVISTICO

Nel volume XXXVI di questo Bollettino è un'ampia documentazione del
. Primo Convegno. Storico Umbro, che si è tenuto a Orvieto nei giorni 16 e 17
. dicembre 1939, e che si è dedicato allo studio dei problemi inerenti agli Ar-
chivi e alla loro tutela, volendo cosi onorare il ricordo di Luigi Fumi, orvietano,
che agli Archivi Italiani ha dedicato la sua esemplare attività.

Nel maggio 1940 il can. Luigi Fausti, Ispettore Bibliografico onorario, av- -

vertiva il Presidente della Deputazione di Storia Patria che l'archivio gentilizio
. della famiglia Benedetti conti di Montevecchio e duchi di Ferentillo, esistente
nel palazzo posseduto da essa a Spoleto, subiva una deprecabile dispersione
a seguito della vendita dell'immobile che l'ospitava.

Il Presidente, assunte ulteriori informazioni, dava incarico al prof. Gio-
vanni Cecchini di recarsi a Foligno per effettuarvi un sopraluogo presso una
ditta che aveva acquistato quasi tutto l’archivio Benedetti di Montevecchio
‘per avviarlo al macero.

Il prof. Cecchini giunse appena in tempo per impedire che un ultimo non
rilevante, ma buon nucleo di carte amministrative di quell’archivio finisse in
qualche cartiera., :

Tutto il materiale.archivistico ivi rinvenuto per cura della stessa Depu-
tazione di Storia Patria fu messo a disposizione della città di Spoleto per il suo
versamento in quell’ archivio Storico Comunale. Ì

SNell'autulo del 1940, dopo lunghe e laboriose trattative con la Libre-
ria Antiquaria Hoepli di Milano, che ne era in possesso, il Comune di Perugia
acquistava il notevole carteggio di Alfano Alfani, che comprende 356 carte,
‘contenenti lettere dirette nella massima parte da Alfano, che ricoprì l'alta
carica di Vicetesoriere e poi Tesoriere dell’ Umbria.

Questo notevolissimo complesso di documenti, che spaziano tra il 1438 e il
. 1549, uscì, presumibilmente nella seconda metà del secolo scorso, dall'ar-
chivio privato dei conti Conestabile di Perugia. Questi documenti costituisco-
no un'utile integrazione di quelli già pubblicati dal conte Giancarlo Conesta-
bile in appendice al suo saggio: Memorie di Alfano Alfani illustre perugino vis-
suto tra il XV e il XVI secolo, con illustrazioni e documenti inediti spettanti alla
storia di Perugia e d'Italia (Perugia, V. Bartelli, 1848).

È da ricordare che nel corso del Convegno Storico tenuto in Orvieto nel
1939 su iniziativa del prof. Alberto Iraci la Deputazone di Storia Patria per

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l'Umbria aveva espresso il voto che detto carteggio tornasse a Perugia in un
pubblico istituto di conservazione.

Nel presente volume del Bollettino il prof. Giovanni Cecchini fornisce pre-
cise informazioni sull'apertura dell'Archivio di Stato di Perugia, e ricorda l'o-
pera svolta dalla Deputazione per preparare questo evento cosi a lungo atteso
dai cultori di studi storici dell'Umbria.

MIS
COLLABORAZIONE AD ALTRE INIZIATIVE DI CULTURA

L'iniziativa del Convegno Archeologico-Umanistico di Gubbio (tenutosi
in quella città, nel Palazzo dei Consoli, il 14 settembre 1942) è stata presa
. dalla Deputazione, che ne ha formulato il programma, e ha curato la realizza-
zione di questo sino a tanto che alle Autorità Centrali non é sembrato piü op-
portuno passare l'incarico alla Sezione Umbra dell'Istituto Nazionale di Studi
sul Rinascimento (1).

Con la sua relazione in data 28 ottobre 1942 al Presidente della Giunta
Centrale per gli Studi Storici, il Presidente della Deputazione manifestava il
proposito che questa collaborasse attivamente alla redazione del Dizionario
Biografico Umbro (del quale aveva preso l'iniziativa la Confederazione Nazio-
nale Fascista Professionisti e Artisti), indirizzando e disciplinando gli sforzi
isolati di vari studiosi della Regione.

Contemporaneamente rendeva noto il proposito di accordare di buon gra-
do il patrocinio della Deputazione all'edizione italiana del lavoro sulle Tavole
Eugubine, della quale Giacomo Devoto annunciava la prossima pubblicazione.

Questi propositi dovevano rimanere inattuati per il rapido precipitare della
situazione del Paese.

(1) Vedi per il Convegno d Gubbio questo vol. del Bollettino, pagg. 168-169.
NECROLOGI

P. NICOLA CAVANNA

Il 7 luglio 1942 moriva nel Convento di S. Maria degli Angeli il
Rev.do Padre Nicola Cavanna O.F.M., Lettore Generale di Storia
Francescana e Socio di questa R. Deputazione di Storia Patria per
l'Umbria.

Nato il 10 aprile 1876 a S. Vitale di Assisi senti potente, fin dalla
giovinezza, la vocazione all'Ordine Francescano, alla quale rispose
prontamente e generosamente, entrando nel 1890 nel Collegio Sera-
fico di Monteripido in Perugia. Qui conobbe l'ideale francescano, che
amó ancor meglio in Amelia, dove compi l'anno di Noviziato.

La sua ferma volontà, la sua tempra fisica robustissima, la sua in-
telligenza spiccata, gli fecero superare tutte le difficoltà negli anni di
studi filosofici e teologici, e cosi nel novembre del 1899 veniva ordinato
Sacerdote.

Il Sacerdozio segnò la conclusione felice del suo lavoro giovanile e
fu anche l'inizio della sua attività scientifica. Egli infatti non aveva la
vocazione del predicatore e dell'insegnante, ma quella dello studioso
e dello scrittore. ;

Da tutti era amato e stimato per la sua rettitudine, per la since-
rità di carattere, per la santa letizia, per l'elevato spirito aperto al
vero e al bello, che gli dettero la spinta verso gli studi storici. In questo
campo egli, pur senza speciale preparazione agl'inizi, giunse a tale per-
fezione da destare meraviglia negli eruditi e da creare opere di perma-

nente valore. Il suo ingegno illuminato da chiara intelligenza, la sua ,

indomita volontà gliene tracciarono la via.

Alla sua mente, piena dell’incanto che emana dal Francescanesi-
mo e dall'Umbria, dove il Francescanesimo nacque e più potentemen-
te operò, si presentò subito un ottimo soggetto da illustrare: L' Umbria
Francescana. Manifestò il suo proposito ai Superiori dell'Ordine, dai
quali otteneva il permesso con i mezzi necessari, ponendosi al lavoro
con fervore appassionato. Percorse l'Umbria in ogni parte, raccolse
tradizioni, prese bellissime fotografie dei luoghi, improvvisandosi e ri-
velandosi fotografo di valore. Appena ebbe raccolto tutto il materiale,

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218 NECROLOGI

stese il libro, con quel suo stile semplice e chiaro e riusci a pubblicarlo,
come aveva promesso, nella fausta ricorrenza del 7° Centenario della
fondazione dell'Ordine Francescano (Perugia, T ipografia Cooperativa,
1910). :
Il lavoro gli era costato sudori e sacrifici, ma gli fruttò lodi e me-
riti. Tutte le riviste di storia francescana, sia italiane che straniere, con
recensioni fatte da competenti in materia, approvarono unanimemente
]a bella opera. :

Il P. Cavanna, incitato dalla felice riuscita di questo suo lavoro,
continuó con maggiore vigore, nella sua opera di studioso e di scrit-
tore. Intanto, per far rivivere le gioie spirituali ed artistiche da lui gü-
state nell'escursione per l'Umbria, dietro insistenti inviti, trasformò
le fotografie in nitide diapositive, e passó applaudito in diverse città
italiane, entusiasmando gli uditori con piacevoli conferenze. Esaurito
il libro in poco tempo, Padre Nicola aderendo alle numerose richieste,
che gli venivano dall'estero, fu costretto a permettere la traduzione di
"esso in lingua francese. Il lavoro fu fatto da T. de Wizewa, accademi-
- co di Francia, e l'illustre Masseron vi volle fare la bella presentazione.
Per tali meriti, nel 1911 fu nominato Socio di questa R. Deputa-
| zione di Storia Patria per l'Umbria nell'Assemblea Generale dei Soci,
tenuta a Terni il 24 settembre, sotto la presidenza di Angelo Lupat-
telli; pochi anni dopo, veniva eletto Membro della Accademia Pro-
perziana di Assisi. Ebbe anche delicati incarichi da parte dei Superiori
dell'Ordine, perché oltre ad essere, durante la prima guerra mondiale,
Custode del Convento di S. Maria degli Angeli, fu nominato, nel 1921
rappresentante dell'Ordine nel Secondo Congresso internazionale del
Terz' Ordine Francescano, celebrato a Roma, di cui curò la redazione e
la stampa dei documenti relativi in un volume. (Il secondo Congresso
Internazionale del III Ordine Francescano — Atti Ufficiali, Santa
Maria degli Angeli, 1927). In tale occasione ebbe l'incarico di compi-
lare una Guida di Assisi e dintorni (Assisi, 1923; 29 ediz. 1938), che
compi in poco tempo e che, stampata in italiano e in francese, ebbe
un vero successo. |

Mentre era alla direzione dell Orienté Serafico, organo del Terzo
Ordine Francescano, si decise di curare l'edizione critica di un'opera
di gran mole: Lo Specchio dell' Ordine Minore o Franceschina. Questa
opera, scritta in dialetto umbro, raccoglie tutto ciò che su S. France-
sco e i Francescani la storia, la leggenda, l’arte, la tradizione avevano
tramandato fino alla metà del sec. xv. Il lavoro di critica era ben ar-
duo e faticoso, specialmente per la collazione dei quattro codici, da
NECROLOGI -:219

lui fotografati, per le copiosissime annotazioni sia linguistiche che
storiche, richieste per una buona edizione, Ie quali avevano fatto de-
sistere dall'impresa.tentata uomini di alto valore, come Adamo Ros-
si e Mons. Michele Faloci Pulignani. Ma il P. Cavanna, fidando nella
sua tenacia, nel suo amore allo studio ordinato e attento, spinto dal
grande affetto per San Francesco e il suo Ordine, ci riusci brillante-
mente. Nel 1931 l'opera era fuu e vedeva la luce a Firenze, pres-
so l'editore Olschki.

In questa edizione degni di data rilievo sono: 1) la dotta

ed esauriente prefazione, in cui, tra l'altro, egli rivendica la paternità

dell’opera a Fra Giacomo: Oddi e non a Fra Egidio da Perugia, e la
sua dimostrazione non ammette più discussioni in materia; 2) l’ottimo
glossario con il copiosissimo indice; 3) le centocinquantadue incisioni
xilografiche e le venticinque eliotipiche fuori testo, riproducenti le
belle miniature del codice della Porziuncola, che ornano i due magni-
fici volumi. Con questa seconda opera il Cavanne raccolse le lodi e il
plauso di tutti i francescanofili e dei cultori dei testi di lingua italiana.
Dopo ciò prese decisamente la penna per difendere la quotidianità
dell’ indulgenza della Porziuncola, contro gli opuscoli di Mons. Faloci
Pulignani a cui indirizzò la Risposta a Mons. Faloci in difesa dei
Fioretti e del breve « Constat apprime » di Benedetto XV (Santa Maria
degli Angeli, 1932) e una Ultima parola (in « Studi Francescani », XXX,
1933) : ivi mostrò la debolezza della tesi dello storico francescano.
P. Cavanna era instancabile. E subito mise mano ad un altro im-
portante lavoro, per illustrare non solo i luoghi abitati da S. Francesco,
ma tutti quelli che ebbero qualche rapporto coni Francescani: Le dimo-
re francescane dell' Umbria. Cominciò di nuovo a percorrere la nostra
regione, visitandola palmo per palmo, avendo a fianco, per la parte
artistica, il suo amico e collaboratore prof. Federico Mason Perkins,
critico d’arte di fama mondiale. In queste gite ai luoghi francescari, che
si aggirano sui quattrocento, ha raccolto gran parte del materiale bi-
| bliografico e fotografico. Nell'escursione visitava qualunque luogo
degno di essere veduto, quantunque quasi inaccessibile e trascurato da
| tutti; ercipò egli e il prof. Perkins hanno reso un servizio grandissimo
all'arte, con lo scoprire pitture o monumenti ignorati o trascurati.
| Citerò tra l'altro la scoperta fatta presso Montefalco di un Crocifisso
‘ del se lo xrcom, che egli segnalò subito alle competenti autorità. Dopo
aver raccolto più di due terzi del materiale, per causa della guerra fu
costretto a desistere dai viaggi. Il compianto P. Cavanna, poco
avanti la sua morte, volle benevolmente affidare al sottoscritto il

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220 NECROLOGI

compimento dell'opera, che vedrà la luce non appena i tempi lo con-
sentiranno. Negli ultimi tre anni, elaborò il materiale raccolto e pose
mano ad altri lavori. Oltre l’esauriente difesa dell’autenticità del San-
tuario della Foresta presso Rieti, (La Foresta rivendicata in « Studi
Francescani », XXXVII, 1940), prestò il valido aiuto nella continua-
zione degli Annales minorum del Wadding. Intorno a questo monu-
mento di storia francescana egli aveva lavorato dieci anni prima,
come membro della Commissione per la ristampa del medesimo.
Stava anche lavorando ad altri soggetti storici, quendo la morte
recise inesorabilmente la sua vita operosa.

L'unanime compianto dei confratelli ed amici, manifestato sia
privatamente che nella stampa, mostra quanto fosse grave e sentita
la perdita che con la sua scomparsa ebbero a patire la religione, la
storia e l’arte.

P. FRANCESCO PASCOLINI
Monsicnore Cav. VINCENZO FUMI

In Orvieto, dove era nato il 16 settembre 1869, ha chiuso la sua
esistenza terrena il 12 agosto 1942 mons. Vincenzo Fumi, nostro
Corrispondente. |

Della sua bellissima città é stato figlio affettuoso e devoto. Lon-
tano congiunto dell'indimenticabile Luigi Fumi, fu da lui benvoluto,
e da lui ricevette i primi e piü efficaci ammaestramenti che lo condus-
sero a divenire conoscitore profondo della storia e della topografia
orvietana; accanto a lui riveló per la prima volta le sue attitudini
nel 1896, in occasione del Congresso Eucaristico tenutosi in Orvieto,
soprattutto quale membro esemplarmente operoso della speciale Com-
missione per la Esposizione di Arte Sacra Antica, che è stata una delle
prime grandi rassegne dell’attività artistica del passato che si siano
avute in Italia. Da ogni regione si erano raccolti oggetti artistici an-
tichi di uso sacro, attinenti al culto dell'Eucaristia: oreficerie soprat-
tutto, e insieme tessuti, merletti, ricami, libri, rilegature, piccole scul-
ture, costituendosi nell’insieme una documentazione imponente, di
altissima importanza religiosa e storico-artistica. Qui, a contatto con-
tinuo non solo con Luigi Fumi ma anche con l’ing. Paolo Zampi,
che dell’Esposizione — tenutasi in una sede di austera magnificenza
quale il Palazzo dei Papi — era tra i massimi organizzatori e che cono-
sceva come pochi i monumenti orvietani, poté compiere il suo più effi-
cace tirocinio. i

Fattosi ben presto un buon nome tra gli studiosi, il suo consi-
glio veniva richiesto ed apprezzato, sì che fu scelto a far parte del
Comitato ordinatore delle Mostre Retrospettive tenutesi il 1911 a Ca-
stel S. Angelo, per celebrare il cinquantenario della: proclamazione
del Regno d’Italia. La partecipazione di Orvieto riuscì, per merito suo,
veramente cospicua. i

Vice parroco dapprima, e poi ben presto priore — e vi restò sino
alla morte — della collegiata di Sant'Andrea, a questo insigne monu-

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mento dedicò a lungo ogni sua migliore attività, promovendone il re-
stauro e concorrendo anche con mezzi propri all'esecuzione delle opere
che vi si eseguirono. Si deve in parte notevole alle sue ricerche e al
suo profondo spirito analitico se nei lavori si incluse, e ciò ne è venuto.
a costituire senza dubbio l'aspetto più importante, anche l'esplora-
zione del sottosuolo, col risultato di rinvenire notevoli avanzi di mosaici
pavimentali dell’alto medioevo e di riconoscere tutto un complesso
| di resti di alto interesse per lo studio di Orvieto nelle età più remote.

.Promosse più tardi anche il restauro .dell'Oratorio di S. Giovanni
Decollato, detto comunemente della Misericordia, elegantissimo mo-
numento cinquecentesco. L’anno 1892 aveva ricevuto la consacra-
. zione sacerdotale entro il Duomo di Orvieto, e precisamente nella
Cappella della. Madonna di San Brizio, universalmente nota per gli
affreschi del Beato Angelico e di Luca Signorelli: dal luogo augustis-
simo egli ha certamente derivato l’auspicio alla perfezione nel sacro
ministero e al culto per le memorie artistiche. Merita di essere ricor-
: data anche la sua: profonda e larga cultura musicale, che. gli con-
sentiva, come del resto nei confronti di ogni forma d’attività dello
spirito, di giudicare senza pregiudizi e senza un soverchio attacca-
mento a opere o a forme del passato. Fu anche un efficace oratore.

Nel Seminario Vescovile di Orvieto, ed anche in altre scuole, ha
insegnato a lungo e con passione materie letterarie, storia, storia del-
l’arte, storia ecclesiastica. Insignito della nomina.a canonico ono-
rario della Cattedrale, ha tenuto, dopo. il Concordato, anche l'ufficio
di Direttore dell'Ufficio Amministrativo Diocesano. Ispettore ono-
.rario dei Monumenti tra i più zelanti e capaci e Deputato dellOpera
del Duomo, alla sua memoria è stata assegnata la medaglia d'argento
. ai Benemeriti delle Arti. Non gli fece difetto capacità di governo né varie
‘volte gli mancarono occasioni per poter salire più iu alto nella
gerarchia ecclesiastica. Ma non volle, per quella naturale ritrosia che
é privilegio delle nature veramente schiette, e cosi anche, nonostante
la sua preparazione, rari rimangono i suoi scritti, avendo egli preferito
essere generoso con gli altri di consigli e di informazioni. Brillante
e.battagliera fu invece la:sua attività giornalistica, svoltasi per parec-
chi anni sulle colonne del Comune, un settimanale orvietano,

.Le sue attitudini pratiche, che volenteroso ha posto ai servigi
dell'amministrazione ecclesiastica, gli hanno consentito di reggere
a lungo l'ufficio di Economo del Seminario; la coscienza dell'utilità
morale e materiale di una più profonda concordia e solidarietà nel
ceto sacerdotale lo ha portato a. prediligere iniziative volte a tale
ex NECROLOGI NAP 223

scopo, e a farsi fondatore e ad essere consigliere ascoltatissimo della
Cassa Mutua regionale tra il Clero umbro ; l'ideale in lui sempre vivo
di una migliore giustizia sociale lo ha spinto ad essere tra i fondatori
di una fiorentissima Cassa Rurale a Orvieto, della quale fu Presidente,
e ad occuparsi dell'elevazione delle classi meno abbienti. Cosi fu
anche socio operoso e benefico dell'Opera Nazionale per il Mezzo-
giorno d'Italia.

Nemico di ogni ipocrisia, di ogni viltà e di ogni sopraffazione
fu l'iniziatore del movimento cristiano sociale di Orvieto, e riusci a
mantenerne vivi gl'ideali anche in mezzo a difficoltà e ad ostacoli.
Uomo di raro equilibrio e di larga comprensione della natura umana,
generoso sempre e indulgente con tutti, pronto, gioviale, sincero, le
qualità rare dell'intelligenzà e del cuore, la sua sapienza e la sua virtü
egli ha voluto sempre volgere all'altrui vantaggio. Gli riusci in tal
modo di essere impareggiabile amico, ottimo italiano, esemplare
sacerdote.

ACHILLE BERTINI CALOSSO

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vi fittizie Gini i è FRANCO PASQUALI
(24 marzo 1902 - 13 agosto 1942)

Franco Pasquali non é stato un vero e proprio cultore di studi

.storici; non ve lo portava certo il corso di studi che aveva compiuto,

il quale non poteva fornirgli la preparazione indispensabile di natura
storica, filologica, letteraria, in una parola a base umanistica. Egli
è giunto a coltivare la storia locale con buoni risultati, e soprattutto
con contributi che dovano assai promettenti affidamenti per l'avvenire,

. attraverso l'assiduo esercizio della pratica professionale di giornalista

e per effetto della spinta interiore che gli proveniva da un profondo,

trepido, direi delicato e signorile sentimento di amore per la sua terra.
| Questa disposizione di attaccamento alla propria regione, di amo-
re per la propria città, fatto di ammirazione per le loro bellezze, di
reverenziale rispetto pér i loro monumenti, per le loro memorie indu-
ce spesso nei temperamenti più sensibili e meglio disposti alla ricerca
delle cause, dei motivi, delle circostanze di realizzazione di quegli
aspetti, allo sforzo di interpretazione e di dichiarazione degli sviluppi
storici, artistici e culturali in genere che in quel centro o in quella re-
gione si sono prodotti. Ma quante volte, ahimè, questa nobile dispo- -
sizione spirituale o traligna in geloso, sterile, fastidioso amore celebra-
tore di grandezze e di fasti mal capiti o devia in aberranti fantastiche-

rie interpretative a rovescio degli argomenti presi - a trattare.

Franco Pasquali nei limitati contributi positivi forniti ha invece
mostrato di possedere una somma di disposizioni che, se opportuna-
mente alimentate da un’adeguata preparazione specifica ‘e ordinate
dalla disciplina di un rigoroso metodo critico, avrebbero dato frutti
di sicura efficacia: intelligenza viva ed agile, felice intuito nella scelta
degli argomenti, senso di misura nel taglio e nello sviluppo della trat-
tazione, onesta consapevolezza dei propri mezzi e dei limiti ‘di essi,

fervore interpretativo, ensia di chiara impostazione dei temi prescel-

ti, buona utilizzazione delle fonti assunte per lo più come dati certi

senza rigore d’investigazione critica, apprezzabili doti di facilità espo-

sitiva, senza ambizioni di preziosità verbali e stilistiche, ma con ue
ficiente ordine e trasparenza di uc
NECROLOGI : 225

La guida dedicata a Perugia, visione panoramica per il visitatore
moderno (Perugia, Grafica, 1933), é stato il primo buon saggio fornito
dal Pasquali come cultore di storia e di arte locale. Come Spiega il
sottotitolo essa si prefigge lo scopo di indicare rapidamente, ma non
senza il suggerimento di tratti caratteristici, di peculiari suggestività,
i monumenti, le vedute, gli angoli più meritevoli, più espressivi della
città. Il criterio che ha guidato il compilatore è prevalentemente
selettivo, essenzialmente informativo e leggermente indicativo delle
emozioni che il turista, essendone capace, proverà quando si troverà

inserito nei luoghi. Il Pasquali non è di quei compilatori di guide che

«prestano »i propri sentimenti, le proprie emozioni al visitatore: pur-
tuttavia mostra in questo lavoro la virtü di farsi sentire presente dal
turista che spiritualmente accompagna per la città, dissimulando ap-
pena, ma con molto garbo, quei motivi di interpretazione e quelle
notazioni di commento che soltanto alla vibrazione della viva voce
possono essere affidate. L'informazione é sicura entro limiti di stret-

ta necessità sotto il rispetto storico; l'edizione accurata, l'illustrazio- -

ne abbondante e in gran parte di prima mano. Sa
In collaborazione con Virgilio Coletti il Pasquali ha anche com-
pilato un'ottima guida: Perugia e la sua provincia inserita nella «Col-
lana nazionale Guide d'Italia » e pubblicata sotto gli auspici dell'Ente
Provinciale per il Turismo. : | ina | |
Ma il lavoro di maggior mole e di carattere più propriamente sto-
rico, sia pure sotto l'aspetto divulgativo, éla vita di Braccio da Montone
pubblicata nella paraviana collezione « I Condottieri » (Torino, Para-
via, 1940). La collana assolve compiti eminentemente “divulgativi,
soprattutto per quel che si riferisce all’esposizione e al tono della pub-
blicazione; si tratta in sostanza di quel genere di vite romanzate che
sono venute di moda da una ventina di anni circa e che tuttora sono
tentate, spesso non senza fortuna, anche da valenti scrittori. Che que-
Ste vite siano esposte in forma facile, varia, attraente non esclude
che debbano essere trascurati il maneggio delle fonti e la preliminare
cernita del materiale di informazione. Il Pasquali ha avuto la fortuna
di giovarsi degli abbondantissimi ed eruditissimi studi compiuti

sul soggetto da Roberto Valentini, ma indubbiamente ha saputo far- .

ne buon uso, rivelando molte attitudini ai lavori di compilazione e
ricostruzione storica e fornendo un valido contributo all'oggettiva
illustrazione di un personaggio non pienamente conosciuto soprattutto
nell’unità della sua personalità e dell'azione militare e politica di forte.
rilievo nel tempo suo. da

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226 NECROLOGI

Franco Pasquali, Corrispondente della nostra Deputazione, ha
coperto per circa otto anni l'ufficio di vice bibliotecario nella Comu-
nale di Perugia ed ha fondato e diretto per molti anni Perusia, rasse-
gna mensile dell'attività comunale.

GIOVANNI CECCHINI
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Mons. Cav. LUIGI FAUSTI

Alla Deputazione ha recato lustro e decoro per lunghi anni, con
la sua assidua e preziosa collaborazione, uno studioso la cui scomparsa
è veramente un lutto per la Regione Umbra: Mons. Luigi Fausti di
Spoleto. Parlare di Lui in questo Bollettino è un dovere nel cui assol-
vimento si intende del pari compiere un atto di doverosa riconoscenza.

Mons. Fausti nacque a Campello sul Clitunno il 18 marzo 1883
e fu ordinato sacerdote in Spoleto nel 1906. Fu per breve tempo Par-
roco di Poreta mentre contemporaneamente gli veniva affidata la
cattedra di Lettere e successivamente la cattedra di Storia Ecclesia-
stica e di Archeologia Cristiana del Corso Teologico nel Seminario
Arcivescovile di Spoleto.

L'Arcivescovo Serafini, ammirando la sua profonda pietà, la
sua luminosa intelligenza e la sua vasta cultura, lo nominò prima
suo segretario particolare e poi nel 1910 Cancelliere Arcivescovile, ca-
rica che Mons. Fausti tenne fino alla morte con piena soddisfazione
dei suoi superiori, dei confratelli nel sacerdozio, delle autorità e dei
cittadini tutti che ebbero rapporti con la Curia. |

Fu nominato Canonico nel 1912 e dal 1935 fu Arcidiacono della
Cattedrale, Segretario e poi Camerlengo del Capitolo, mentre veniva
contemporaneamente ascritto tra i Camerieri Segreti Soprannumerari
di Sua Santità.

Fu poi Giudice Sinodale, Esaminatore del Clero, Censore Eccle-
siastico per la stampa, membro del Consiglio diocesano di amministra-
| zione; in qualità di Presidente della Commissione diocesana di Arte
Sacra curò con attività instancabile e feconda i restauri delle chiese

di S. Domenico, di S. Pietro e dei SS. Giovanni e Paolo in Spoleto; ed -

il ripristino delle chiese di S. Felice di Narco e di Ponte di Cerreto, e.
diede opera con passione e competenza particolari all'inizio dei lavori
di ripristino della basilica di S. Eufemia, monumento di insigne valore
artistico il cui restauro é purtroppo ancora oggi incompleto.

Amico intimo di Mons. Pietro Bonilli, fondatore della Congrega-

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228 NECROLOGI

zione delle Suore della Sagra Famiglia, Mons. Fausti fu Direttore della

Pia Associazione dei Missionari della Sacra Famiglia edin tale qualità

profuse i tesori della sua oratoria suadente, elegante, raffinata, non
solo nella città di Spoleto, ma in tutta la regione.
Fin dal 1918 fu Assistente Diocesano dell’Unione Donne Catto-

. liche e della Gioventù Femminile di Azione Cattolica, incrementandone

con particolare zelo l’attività in Spoleto e nella vasta Archidiocesi. Fu
anche Assistente e Cappellano nel locale Convitto Orfane Impiegati

‘Civili dello Stato. Fondò a Spoleto la prima Conferenza di S. Vincenzo

de’ Paoli e: fu poi Assistente della Associazione Dame e Damine cui

‘ dedicò assidue cure.

Ad una così meravigliosa e feconda attività nel campo del suo
ministero sacerdotale, devono aggiungersi le sue attività di insegnante

di Religione nelle Scuole Medie Superiori di Spoleto e di Storia del-
‘l’Arte nel Liceo Classico Governativo, di Socio fondatore della bene-

- merita « Brigata Amici dell’arte e del paesaggio », di Ispettore gover-

nativo degli Archivi, e soprattutto le sue attività predilette di Diret-
tore della Biblioteca e Conservatore dell’Archivio Storico Comunale
di Spoleto e di Segretario dell’Accademia Spoletina, incarico questo
che tenne dal 1918 e nel quale rifulsero le sue eminenti qualità di stu-
dioso, di critico d'arte, di storico, di conferenziere.

La sua vita, cosi intensa, venne stroncata improvvisamente il 15

agosto 1943 durante la celebrazione. della S. Messa nella chiesina di |

S. Aló: Mons. Fausti con mente lucida e con animo sereno ebbe chiara
la visione della prossima fine alla quale si preparó con piena rassegna-
zione alla volontà di Dio. Spiró serenamente alle ore 2 del 22 agosto.
Funerali imponenti, nonostante la tragedia che si addensava sulla
Patria, testimoniarono VUE uu l'affetto di cui la cittadinanza

: tutta lo circondava.

In riconoscimento dei suoi meriti era stato nominato Cavaliere
della Corona d'Italia, mentre da moltissimi anni la Deputazione di
Storia Patria per l'Umbria lo annoverava tra i suoi componenti piü

autorevoli ed attivi.

Dire ora compiutamente di Mons. Fausti è opera impossibile in
così ristretto spazio, anche in considerazione: della opportunità di for-
nire agli studiosi la sua Bibliografia. La narrazione stessa della sua
vita vale però a dare una sufficiente idea di quella che è stata la sua
attività prodigiosa. Si sposarono felicemente in Lui la fervida pietà
di una vita sacerdotale esemplare, la ricchezza inesauribile dell’animo
sempre pronto all’affetto, alla comprensione, alla fraterna carità, la
NECROLOGI 229

re profondo verso la Patria, i suoi monumenti e le sue istituzioni.

Per quanto si attiene alla sua attività di studioso che in questa
sede più interessa lumeggiare, può dirsi che fu egli veramente vanto
degli studi storici umbri cui prodigò il contributo spesso fondamenta-
le, sempre importante, delle sue indagini acute, ‘attente e minuziose.
Nelle sue ricerche d’archivio rivelò una non comune capacità d’orien-
‘tamento, una sicura padronanza della paleografia e rifuggì quindi
sempre dalla faciloneria e dalla improvvisazione, palesando invece
un severo costume critico nel vaglio sereno ed obiettivo delle fonti e

guardi possono ritenersi definitivi. i

. Purtroppo la sua bibliografia non puó oggi arricchirsi dell'opera
cui Egli lavoró per tanti anni e che doveva essere il coronamento
della sua vita di studioso: opera per la quale aveva raccolto ormai
tutto il materiale e che doveva riguardare la storia di Spoleto e nello
‘stesso tempo illustrare i monumenti della città, dotandola quindi di
una vasta guida critica: il primo: volume di quest'opera (Le Scuole e
la Coltura a Spoleto, pubblicato pochi giorni dopo la sua morte) di-
mostra luminosamente la ampiezza del disegno e la serietà della rea-
lizzazione. È augurabile che l'Accademia Spoletina ascriva a suo dovere
di riconoscenza verso l'illustre Segretario scomparso Ja pubblicazione
di quest'opera che, approfondendo la conoscenza della storia e dei mo-
numenti, recherà vanto e decoro alla città di Spoleto. 3

Alla sua Chiesa ed alla sua Città, infatti, Mons. Fausti ha legato

l’opera e la vita, onorando entrambe con la sua pietà e con la sua dot-
trina, con la sua carità e con il profondo amor patrio: la sua scomparsa
€ veramente un lutto cittadino e la sua memoria resta viva in quanti
lo conobbero e lo ammirarono, incitamento a bene oprare a gloria di
Dio ed a servizio della scienza. |

GIOVANNI ANTONELLI

BIBLIOGRAFIA

a) OPUSCOLI E PUBBLICAZIONI DI CARATTERE STORICO ED ARTISTICO:

Frate Filippo da Campello o frate Giovanni da Penna ? A proposito .dell'Ar-
chitetto della Basilica Superiore di S. Francesco in Assisi. Spoleto, Tip.
dell'Umbria, 1909. js

Clitunno Pagano e Clitunno Cristiano, Spoleto, Stab. Tip.. Panetto & Petrelli,
1910. :

vasta e sicura dottrina nelle discipline storiche ed archeologiche, l’amo-

della storiografia, dal quale fu condotto a risultati che sotto molti ri-

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230 NECROLOGI

‘ Dei Sepolcro di S. Giovanni Arcivescovo di Spoleto, Martire. Con uno studio
critico intorno a una distruzione saracena di Spoleto secondo un documento
del x secolo e con una introduzione sopra la letteratura agiografica locale
relativa alle origini e allo sviluppo primitivo della Chiesa spoletina. Ca-
stelpiano, Premiata Tip. Editrice L. Romagnoli, 1911.

L'ultima opera dello Spagna e.1a data precisa della sua morte. Spoleto, Tip. del-
l| Umbria, 1913.

Le Chiese della Diocesi di Spoleto nel XIV secolo secondo un codice del X V I se-
colo, in « Arch. per la Storia Eccl. dell’Umbria », vol. I, 1913.

Ricordo del quinto centenario del Santuario del Fosco nella parrocchia di Casta-
gnola dell'Archidiocesi di Spoleto. (Memorie storiche). Spoleto, Unione
Tipografica Nazzarena, 1913.

Notizie artistiche del Duomo di Spoleto. Foligno, Reale Stabilimento Feliciano
Campitelli, 1914.

Le pitture di Fra Filippo Lippi nel Duomo di Spoleto, in « Arch. per la Storia
Eccl. dell'Umbria », vol. II, p. I, 1915.

Controversie per un catalogo dei Vescovi di Spoleto, in « Arch. per la Storia Eccl.
dell'Umbria », vol. II, p. 690, 1915.

La Gappella musicale del Duomo di Spoleto, in « Arch. per u S Eccl. del-

. .l'Umbria», vol. III, p. 1, 1916.

Devozioni popolari al Sepolcro di S. Eutizio presso Norcia (con tavola), i
« Arch, per la Storia Eccl. dell'Umbria », vol. III, p. 399, 1916.

Camillo Orsini e la pacificazione.di Spoleto del 1516, in « Bollettino della R. De-
putazione ai Storia Patria per l'Umbria », vol. XXII, fasc. II-III, n. 57- 58,
1917.

L'arte della ceramica a Spoleto nel secolo X VI; in « Bollettino.della R. Deputa-
zione di Storia Patria per | Umbria», vol. XXIII, fasc. I-III, n. 59-61,
pag. 329 e segg., 1918.

Le pergamene dell' Archivio del Duomo di Spoleto, in «Arch. per la Storia Eccl.
dell'Umbria », vol. IV, p. 275, 1918.

Per la incoronazione deila Madonna SS. della Bruna venerata presso Castelri-
taldi nella Archidiocesi di Spoleto. (Memorie storiche). Spoleto, Tip. del-
l| Umbria, 1919.

Dei Sepolcro di Bernardino Lauri nel Duomo, in «Atti della Accademia Spoleti-
na (1917-1919) », 1920.

Di un episodio religioso politico della fine del XIV secolo a Spoleto, in « Arch.
per la Storia Ecclesiastica dell'Umbria », vol. V, fasc. 1, 1921.

Documenti agiografici della curia Arcivescovile di Spoleto, in « Arch. per la Storia

,. Ecclesiastica dell "Umbria », vol. V, fasc. 1, 1921.

Di alcuni frammenti della Commedia di Dante tratti da un codice ms. inedito del

XV secolo, in « Atti della Accademia Spoletina (1920-1922) ». Spoleto,

1922.

Üna autobiografia poetica di Loreto Vittori, in «Atti della Accademia Spoletina

(1920-1922) x. Spoleto, 1922.
S

NECROLOGI 231

Degli antichi ospedali di Spoleto, in « Atti della Accademia Spoletina (1920-
1922)». Spoleto, 1922.

La Chiesa priorale di San Felice di Narco. Spoleto, Tip. dell'Umbria, 1922.

Il Duomo di Spoleto. Spoleto, Unione Tipografica Nazzarena, 1925. 3

La Patria e la Famiglia del Pontano — L' Accademia Spoletina e il Pontano — Il
Pontano negli scritti di autori spoletini, in Supplemento agli « Atti della
Accademia Spoletina », in onore di Gioviano Pontano. Spoleto, 1926.

Memorie storiche dell Accademia Spoletina, in « Atti della Accademia Spoletina
(1923-1926) ». Spoleto, 1926.

La Pieve di S. Angelo e le Chiese minori di Giano dell' Umbria. Spoleto, Unione
Tipografica Nazzarena, 1926.

Memorie storiche della Chiesa della Madonna della Bianca in Campello. Spoleto,
Unione Tipografica Nazzarena, 1926. ;

Il Seminario Arcivescovile e gli antichi seminari minori della Diocesi di Spoleto
(cenni storici). Spoleto, Unione Tipografica Nazzarena, 1930.

I Santuari Mariani dell’ Archidiocesi di Spoleto (a ricordo del XV centenario
del Concilio di Efeso). Spoleto, Unione Tipografica Nazzarena, 1931.

Il Duomo di Spoleto, Notizie storiche, in « Bollettino Mensile in preparazione
al VII Centenario della canonizzazione di S. Antonio di Padova », dal
giugno 1924 al febbraio 1931. Spoleto, Unione Tipografica Nazzarena.

Le reliquie della Passione venerate a Spoleto. Spoleto, Unione Tipografica Naz-
zarena, 1933.

Di alcune reliquie della Passione del Redentore venerate nell' Umbria. Spoleto,
Unione Tipografica Nazzarena, 1933.

La cultura e la scuola nell'antico ducato di Spoleto. Spoleto, Tipografia dell’Um-
bria, 1934.

Lc scuole e la cultura a Spoleto nell'alto medioevo, nel periodo comunale e nell'età
moderna. Spoleto, Edizioni dell'Accademia Spoletina, 1943.

b) ARTICOLI DI GIORNALI E DI PERIODICI:

La serie dei Vescovi di Spoleto, nel « Risveglio » di Spoleto, n. 6, 1913.

Di una nuova opera di Fabio Angelucci di Mevale, nel « Risveglio », n. 31,
1914.

Una lettera autografa di Pier Francesco Giustolo di Spoleto, nel « Risveglio »,
n. 38, 1914.

Di una antica opera d'arte oggi perduta nel Duomo di Spoleto. nel « Risveglio », —

n. 49, 1915.

Intorno alla paternità di alcuni affreschi esistenti nella chiesa di Patrico oggi
nella civica Pinacoteca di Spoleto, nel « Risveglio », n. 54, 1915.

Scoperte di affreschi e innovazioni artistiche nel Duomo di Spoleto, nel « Ri-
sveglio », n. 67, 1915.

L'ultima parola intorno alie origini del Nobile Teatro di Spoleto, ne «L'Alta Spo-
leto», n. 139, 1927.

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232 NECROLOGI

Un pranzo storico (1811), ne « L'Alta Spoleto », n: 128, 1927.

Episodi d’altri tempi, ne «L’Alta Spoleto », n. 137, 1927.

Il contributo di Spoleto agli studi agrari e auo sviluppo delia agricoltura, ne
«L’Alta Spoleto », n. 23, 1928.

Per la festa di mezzo agosto a -Spoleto, ne « L'Alta Spoleto », n. 32, 1929.

A. proposito della chiesa di S. Eufemia, ne «L'Alta Spoleto », n. 41,1929.

La Torre dell'Olio, la Porta Fuga e le mura ciclopiche di Spoleto, dall' « Annua-
rio del R. Istituto Tecnico Giovanni Spagna, 1929-1930, 1930-1931 »,
p. 48. Spoleto, Tip. dell'Umbria, 1932.

La biblioteca comunale «Giosué Carducci » di Spoleto, in « Accademie e Bi-
blioteche d’Italia » enno VII, n. 3, Roma, 1933.

Di un rarissimo libro stampato a Spoleto, ne « L'Alta Spoleto », n. 50, 1936.

Verso l'antico Comune, ne «L'Alta Spoleto », n. 108, 1937.

Motti e delti sentenziosi in volgare e in latino sulle porte e sulle finestre di anti-
che case spoletinc, ne « L'Alta Spoleto », n. 10, 15 e 45, 1941.

Il miracolo di S. Gennaro in sermoni apologetici deì quattrocento, ne « PE: Avve-
‘ nire d'Italia », 19 sett. 1941. : :

I priori del Duomo di Spolcto — S. Gregorio prete e martire Sapolzinto — Il

| consolidamento del Duomo — Una insigne reliquia di S. Antonio di Padova

a Spoleto — I nunzi di Padova a Spoleto per la. canonizzazione di S. An-
tonio — La SS. Icone — Le reliquie di S. Gregorio di Spoleto Di una antica
e prodigiosa immagine del Redentore a Spoleto — Le reliquie e il culto di
S. Sabino Vescovo e martire, nel Bollettino « Il Duomo di Spoleto »,
giugno 1924 - febbraio 1931. i

E? DIscoRSI, COMMEMORAZIONI, BIOGRAFIE:

A memoria del S. Tenente Filippo Gradassi, elogio fürebre pronunziato IS
10 luglio 1917. :

In memoria del Sac. Don Giuseppe Agostini, discorso letto nella chiesa di
S. Emiliano nel trigesimo della morte, 1918. :

Discorso pronunziato in occasione dell inaugurazione ‘della lapide commemora-
tiva a ricordo del conte Paolo Campello, 1919.

Charitas, opuscolo edito dall’Istituto della Sacra Famiglia. Spoleto, Unione AA

Tipografica Nazzarena, 1923.
In memoria di Don Loreto Rosini, Città di Castello, Scuola tip. orf. S. Cuore,

1924.
In memoria del conte Campello, ne « L'Alta Spoleto » n. 134, 1927.

-. Ricordando la persona e r opera di Mons. Bonilli, ne «L' ae Spoleto », N. 2,
1935. ;
Don Pietro Bonilli. Spoleto, Fasano e Neri, 1936.

Mons. Dott. Comm. Michele Faloci Pulignani, in « Bollettino della R. Depu-
tazione di Storia Patria per l'Umbria », vol. XXXVIII, 1941.
NECROLOGI

d) NOTE D'ARTE, NOTE BIBLIOGRAFICHE, RECENSIONI:

Restauri di dipinti nel Duomo — Restaurt di quadri nella Pinacoteca comunale
— Lavori nella Chiesa di SS. Giovanni e Paolo — Il ripristino di S. .Fe-
lice di Narco — Riapertura della cripta di S. Ponziano — Nuovi lavori nella

Basilica di S. Salvatore, in « Atti della. Accademia Spoletina (1920-1922) »,

Spoleto, 1922.

Note bibliografiche, in « Atti della Accademia Spoletina (1920-1922) », Spoleto,
1922. ;

Il consolidamento del Duomo — Restauro della Chiesa dei SS. Giovanni e Paolo
— La Casa dei Maestri Comacini — La Rocca dell’ Albornoz — Lavori nella

Chiesa di S. Gregorio Maggiore, in « Atti della Accademia Spoletina (1923- -

1926) ». Spoleto, 1926.

Note bibliografiche, in « Atti della Accademia Spoletina (1923-1926) », Spoleto‘

1926.

Spoletium. Pubblicazione della Pro-Spoleto (opuscolo tradotto in varie lin-
gue), Spoleto, 1926.

‘ Catalogo della mostra delle opere di Giovanni di Pietro detto « Lo Spagna »

nel 4° centenario della morte. Spoleto, Arti Grafiche Panetto & Petrelli,
1928. i

Il monte dei denari e il monte del grano di Spoleto, del Prof. SALZANO, (re-
censione), ne « L’Alta Spoleto», n. 20, 1941.

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DoTT. Don ANGELO MESSINI

Il sacerdote Angelo Messini, custode della Biblioteca Jacobilli
del Seminario di Foligno e Direttore di quella Comunale, morto sotto
le macerie di un bombardamento feroce il 22 novembre 1943, era
nato a Belfiore di Foligno, da Francesco e da Anna Serbini, il 3 mag-
gio 1898. Rimasto orfano di entrambi i genitori ancora fanciullo, ma
assistito da un tutore che gli amministrava i beni, egli compiè gli
studi ginnasiali nel Seminario di Foligno e quelli liceali nel Seminario
Regionale di Assisi, dopo di che si inscrisse alla Facoltà Teologica del
Seminario Maggiore di Roma, interrompendone la frequenza nel 1917
per il servizio militare che disimpegnò tra Padova, Modena, e Roma,
e conseguì la laurea nel 1923, già sacerdote da un anno e da due man-
sionario della Cattedrale di Foligno. Per 10 anni, cioè dal 1923 al 1933,
fu Parroco di Corvia, esercitando nel frattempo anche la carica di Eco-
nomo spirituale di Borroni, finché dal 1° novembre del 1933 fu no-
minato Canonico della Cattedrale Folignate.

Nel 1928, coronando un suo antico sogno, conseguì presso la
Università degli Studi di Roma, con pieni voti e lode, la laurea in let-
tere che gli aprì la via all’esercizio dell’insegnamento anche nelle
scuole pubbliche, e precisamente nell'Istituto Tecnico comunale di
Foligno e nell’Istituto Magistrale Beata Angela alla cui fondazione
| egli aveva cooperato, per incarico del Comune, insieme con due altri
insegnanti. Nell’ottobre del 1932 ebbe la carica di Cappellano della
Ven. Confraternita della B. V. del Pianto e di Rettore di quel Santua-
rio, tra le cui macerie doveva, undici anni dopo, trovare miseranda
fine; nel 1938 quella di custode della Biblioteca Jacobilli del Semina-
rio e nel 1940, alla morte cioè del compianto Mons. Michele Faloci-
Pulignani, quella di direttore della Biblioteca Comunale, cariche a cui
lo avevano avviato e preparato gli studi speciali di paleografia e bi-
blioteconomia seguiti presso l’Università di Bologna e coronati nel
1936 col diploma relativo, e le indagini bibliografiche e storiche e le
pubblicazioni analoghe che veniva via via preparando ed attuando.

Nel 1940 e 1941 rispettivamente egli fu nominato Ispettore Bi-
bliografico Onorario per il Comune di Foligno e Conservatore Ono-
NECROLOGI 235

rario per il Comune di Foligno e Conservatore Onorario del Palazzo
Trinci, e dell'una e dell'altra carica esercitó le mansioni con lodevole
zelo e serenità. E EE
Il Messini fu un ottimo sacerdote, un egregio studioso, un eccel-
lente bibliotecario: l'animo suo mite e cortese, la mente sua chiara,
aperta, e pronta, la sua cultura varia e seria ch'egli desiderava sem-
pre di accrescere e di adoperare a servizio degli studiosi, traendo. dal-
le raccolte affidate alle sue cure i maggiori e i più ampi elementi per
soddisfare le esigenze dei lettori, gli cattivarono sempre la simpatia,
la stima, l’aiuto dei competenti. Amava profondamente la sua città
e ne indagava e illustrava le tradizioni culturali per ridestarne e ali-
mentarne la fiamma, ma senza urtare suscettibilità o crearsi inimicizie.
. Con l'aiuto e l'incoraggiamento della Soprintendenza Bibliogra-
fica per le Provincie del Lazio e dell'Umbria, il Messini intraprese
con ardore il riordinamento, la sistemazione e la schedatura della
Biblioteca del Seminario, interrotti e frustrati poi da quel bombar-
damento che travolse e seppellì nelle macerie tutto il materiale meno
prezioso lasciato sul posto e soltanto recentemente risistemato in de-
gna sede con nuovi scaffali, in attesa di una nuova ricognizione e ri-
messa in efficienza. Nella Biblioteca Comunale il Messini iniziò la sche-
datura a soggetti e provocò dal Ministero della Pubblica Istruzione
l'elargizione di mezzi per la creazione di una nuova Sala di lettura —
rivelatasi anch'essa presto insufficiente — che venne inaugurata dal
Direttore Generale d'allora con.una certa solennità. Allo scoppio del-
la guerra il Messini eseguì con prontezza e accuratezza gli ordini im-
partiti dal Ministero della Pubblica Istruzione e provvide a riporre
nel rifugio che più di ogni altro pareva — e non fu - sicuro, cioè nella
Cripta sotto l’Altar Maggiore della Cattedrale, devastata poi durante
uno dei tremendi bombardamenti di F oligno, il materiale di maggior
pregio e rarità. |
Nell'estate del 1942, nonostante i nuovi compiti impostigli dalla
nomina pontificia a Canonico-teologo della Cattedrale di Foligno, il
Messini dette vn valido aiuto al collega Giovanni Cecchini, diretto-
re della Biblioteca Comunale di Perugia, per l'allestimento con molta
abilità di indagine e di identificazione, in quattro sale del Palazzo
Trinci, di una bella e significativa mostra dell'arte tipografica umbra,
distribuita per città e dentro ogni città per tipografi.
Il Messini ebbe e riconobbe come maestro il grande Michele Faloci
Pulignani, di cui continuo la tradizione, senza peraltro averne eredi-
tato il carattere acre e tempestoso, l'amore alla polemica, il disdegno

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236 SERRA i NECROLOGI

per gli studiosi che non doro di grande levatura, e con animo grato
. e devoto ne sentì la superiorità e ne onorò la memoria.
Il ministero di sacerdote, svolto con encomiabile spirito di co-

scienziosità, l'insegnamento delle lettere nelle scuole, le mansioni di

‘bibliotecario e tutti gli altri. compiti che in un ambiente ristretto
vengono a caricare le spalle dei pochi esperti, e sopratutto la morte
prematura gli impedirono di produrre opere di grande respiro, ma

- tutta la sua produzione, in gran parte di articoli di riviste, è prova.

. della passione indagatrice e della eccellenza del metodo. Il giorno del
bombardamento che mise fine alla sua vita e alla sua opera, egli era
andato a Foligno dalla casa di campagna dov'era sfollato con la sorel-
la, sua fedele compagna ed assistente, e, per raggiungere appunto
lei che lo aspettava a casa, egli si mosse dalla Biblioteca, affrettandosi
verso quel Santuario della Vergine del Pianto che doveva essere la
sua tomba: il suo cadavere e quello della sorella furono trovati vicini,
in atto di apprestarsi alla mensa.
A prova di un'altra insigne virtù del suo spirito, Ti modestia,

basti citare le parole che egli usó per rispondere al Direttore del
« Corriere padano » che gli chiedeva un articolo sulla sua opera di

studioso: « Vi ringrazio della Vostra cortese profferta di dir bene di

me; ma quel che io ho fatto fino ad ora nel campo degli studi é troppo
poca cosa per rendere plausibile un profilo giornalistico. Attendiamo,
se il Signore vorrà, che io sappia fare qualche altra cosa di maggiore
importanza, ed allora, anche per l'onore del Clero, si potrà fare iri
che piccola concessione alla vanità umana ».

E, a dimostrare il compianto suscitato dalla sua morte e la sti-
ma ch'egli godeva, sia sufficiente questo brano di una lettera di Gu-
glielmo De Angelis d'Ossat alla Biblioteca Comunale di Foligno:
« La sua dottrina, la passione che nutriva per gli studi ed i monumenti
fulginati, e, soprattutto, la gentilezza dell'animo sereno e buono gli
conciliavano simpatia e stima da parte di quanti lo avvicinavano ».

NELLA SANTOVITO VICHI

ELENCO DELLE PUBBLICAZIONI

1) D. Angelo Savelli di Foligno e la sua attività letteraria (1720-1779). In: «Bol-
lettino della R. Deputazione di storia patria per l'Umbria », vol. XXIX,
fasc. IIL pp. 109-131. Perugia, 1930.

2) L'accademia « Fulginia » e le altre associazioni culturali sorte in "Foligno nella
seconda metà del secolo XVIII. dede Stab. Tip. G. Campi, 1932. 89,
pp. 95 figg.
NECROLOGI 237

3) Poema sconosciuto in onore di S. Feliciano (Secolo xv). Nel numero unico
« A S. Feliciano protettore di Foligno. Omaggio dei concittadini nell'ot-
tavo centenario della Cattedrale. 1133-1933, Foligno, Poligr. Salvati, 1933,
pp. 43-46. :
4): Pale attraverso i secoli. In « Echi di vita e di concenti a Pale ». Foligno,
Poligr. Salvati, 1933. TUM
5) Una commedia e una tragedia inedite di Petronio Barbati. Estr. dal Bollet-
tino « Foligno » 15 novembre 1938. Foligno, Arti Graf. T. Sbrozzi e F.,
1938, 89, pp. 11.
6) Profetismo e profezie ritmiche italiane d'ispirazione gioachimito-francescana
néi secoli XIII, XIV e XV. Saggio. Miscellanea Francescana, Roma,
1939, 89, pp. 58 figg. na
7) Gli affreschi di Giuseppe Nicola Nasini, pittore senese, nella chiesa della Ma-
donna del Pianto di Foligno. Estr. dal Bollettino « Foligno » 15 gennaio
1939. Foligno, Arti Graf. T. Sbrozzi, e F., 1939, pp. 10 figg.
. 8) I canapé — Ricreazioni storico-sportive. Foligno, Arti Graf. T. Sbrozzi e F.,
1939, 16°, pp. 61. . ;
9) Tre orazioni nuziali di Guarino Veronese e una « Laus medicinae » di Matteo-
lo da Perugia secondo la lezione inedita di un codice di Foligno. Per nozze -
M. Messini-M. S. Ercole, Roma, Istit. Graf. Tiberino, 1939, 89, pp 43.
10) L'Archivio delle Opere Pie di Foligno ( comunicazione al Primo Convegno
Storico Umbro, Orvieto, 1939). In « Bollettino della R. Deputazione di
Storia Patria per l'Umbria », vol. XXXVI, pp. 161-165. Perugia, 1939.
11) La facciata del Palazzo Comunale di Foligno. Estr. dal Bollettino « Foligno
15 gennaio 1940. Foligno, Arti Graf. T. Sbrozzi e F., 1940, 165, pp. 18. .
12) Il Cantalicio Maestro di Scuola a Foligno (1477-1483). Estr. dal « Giornale
storico della letteratura italiana ». Vol. CXV. Torino, 1940, pp. 15-39.
13) L'Eremo di S. Maria Giacobbe presso Pale di Foligno. Foligno, Poligr. Sal-
vati, 1940, 16°,pp. 31. :
14) Le origini e i primordi del Monte di Pietà di Foligno (1463-1487). Foligno,
Arti Graf. T. Sbrozzi e F., 1940, 86, pp. 24.
15) Per la Storia della Tipografia di Emiliano Orfini di Foligno. Un documento
inedito. Estr. dalla « Bibliofilia » Anno XLII, disp. 6, Firenze, 1940.
16) Elogio funebre di Mons. Michele Faloci-Pulignani. Foligno, Arti Graf.
T. Sbrozzi e F., 1940,89, pp. 14.
17) Barbanera di Foligno e i suoi antenati. Ricerca storico-bibliografica. Foligno,
Poligr. Salvati, 1941, 16°, pp. 46, figg. 16. DR
18) Lo scienziato ed astronomo folignate Ab. Feliciano Scarpellini. Nel 1° cente-
nario della morte (29 novembre 1840). Foligno, Arti Graf. T. Sbrozzi, 1941,
16°, pp. 19. ES
19) Spoliazioni francesi di opere d'arte a Foligno (1797-1814) Foligno, Arti Graf.
T. Sbrozzi, 1941, 16°, pp. 42. s
20) In morte del Maestro Raniero Gismondi (Parole pronunciate alle esequie del-
dell'Estinto). Foligno, Arti Graf. T. Sbrozzi, 1941.
21) La vita e gli scritti di Mons.- Michele Faloci-Pulignani (1856-1940). Roma,
« Miscellanea Francescana », 1941, 89, pp. 76.
22) La facciata del Palazzo Trinci. Foligno, Arti Graf. T. Sbrozzi, 1942, 169,
pp. 18.

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238 NECROLOGI

23) Il Prof. Enrico Filippini, Cenni biografici e bibliografici. Foligno, Arti Graf.
T. Sbrozzi, 1942, 8°, pp. 8.

24) Il fiume Topino e la bonifica idraulica del piano folignate attraverso i secoli.
Foligno, Arti Graf. T. Sbrozzi, 1942, 8°, pp. 104 figg.

25) In traccia del Beato Angelico a Foligno. In « Rivista d’arte ». Firenze, anno
XXIV, n. 1-2 (gennaio-giugno 1942), 8°,pp. 70-73.

26) Documenti per la storia del Palazzo Trinci. Gli epigrammi latini nella Sala
degli Imperatori. In « Rivista d’Arte ». Firenze, anno XXIV, n. 1-2 (gen-
naio-giugno 1942), 8°, pp. 74-98.

27) L’architetto Antonio da Sangallo il giovane a Foligno. Foligno, Arti Graf. T.
Sbrozzi, 1943, 8°, pp. 12 figg.

28) I giornali di Foligno. Roma, S.A.E.G., 1943 (Quaderni della Rassegna
« Il Giornalismo »), 89, pp. 22 figg.

29) Per il XVII Centenario del Martirio di S. Feliciano. La statua d’argento del
Patrono di Foligno. Notizie storiche. Foligno, Poligr. Salviati, 1943, 16°,
pp. 20.

+ 30) Gli Statuti del Comune di Foligno. In « Bollettino della R. Deputazione

‘di Storia Patria per l'Umbria», vol. XL, pp. 140-142, Perugia, 1943.

Inoltre restano di lui anche quattro opere non ultimate, per la morte im-
provvisa:
1) La cultura letteraria folignate nei secc. XV e XVI.
2) Foligno nel Risorgimento Nazionale.
3) Gli Statuti del Comune di Foligno.
4) Gli Statuti delle Arti di Foligno.

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INDICE DEL VOLUME...

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N. FERRINI, L'abate Dist CUM di Città di Castello polemista i i
cattolico delssecolD VIII 054,500 e e sexi em Dag. 9 j
Note e Documenti À
A. MESSINI, Gli Statuti del Comune di Foligno. . . . 4... 0 140-
| G. CeccHINI, Ur inedita lettera prefazione. al Trattato del Metodo
di. Benedetto: Varchi. o. e tds 143
P. PizzonI, L'autore degli « Stabilimenti per la provvisoria Riforma
Repubblicana del 1799 » nella Università di Perugia . . . . . » 147
M. MeLELLI, Le Celebrazioni dei Grandi Umbri . . ;:...... » 157
R. BELFORTI, La Mostra Storica dell'Università di Perugia . . . .» 193

G. CECCHINI, Istituzione dell’ Archivio di Stato a Perugia WADE e MUS R00

Recensioni

E. MANNUCCI, . Rifte ssioni storiche sul nome di Paterna o Paterno

(I. BALDELLI) . OX CIAR » 202
Mostra dell' Arte della Stampa (Foligno, 1942). QU a cura di
GOGEGOHINU (ER. IBEDRORII) Lt 8 e VOU SEIT » 202.
}
Atti e Notizie D.
I.
Presidenza::della” Deputazione; 2. US AS RSS i s a. MOS AD i
Adunanze della Deputazione siti ne a DRS 2.59139 200

Programma per il I Convegno delle RR. Deputazioni di Storia Patria 1:209.
Convegno dei Rappresentanti delle RR. Deputazioni e dei Membri della

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Attività della Deputazione per la difesa del Patrimonio Archivistico |» 215 3
Collaborazione ad altre iniziative di cultura. . . . . . ... . . . » 216

Necrologi
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