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PROPRIETÀ LETTERARIA RISERVATA

S. A. Arti Grafiche Panetto & Petrelli — Spoleto, 9-946. :
CARTE ORVIETANE
-DELL'ARCHIVIO FARNESE

Il (*)
Il «Libro della guerra» del Comune d'Orvieto
contro Corneto e Toscanella.

Il curioso registro che pubblichiamo — perché da benigna sorte
risparmiato nello scempio dell'Archivio di Napoli commesso dalla
barbarie tedesca (1) - può dirsi davvero unico, o quasi, nella suppellet-
tile archivistica dei nostri comuni. Esso é un fascio di provvisioni di

(*) Vedi la parte I in questo Bollettino, vol. XXXVII (1940), pp. 5 sgg.

(1) Fra il 1942 e i primi mesi del 1943, in varie riprese, tutta la parte sto-
rica e documentaria dell'Archivio di Stato in Napoli era stata trasportata nella
villa Montesano, nella campagna di Nola (S. Paolo Belsito), in un edificio cioè
che in quei tempi offriva la miglior sicurezza possibile contro le offese aeree,
essendo sperduto in aperta campagna. La precauzione fu inutile: nella batta-
glia fra i tedeschi in fuga e gli alleati che avanzavano verso Napoli, il 30 set-
tembre, il comando tedesco, malgrado conoscesse il valore e l’importanza mon-
diale di quel che si conteneva nella villa, ordinò la distruzione di tutto, facendo
alimentare il fuoco fino all'annientamento completo del materiale archivistico.
Delle 800 e piü casse in cui si conteneva, dopo tre giorni di fuoco, non restó
che un pugno di cenere. Anche.delle carte farnesiane — e specialmente delle
pergamene — si salvarono pochi fasci di atti, oltre a quel poco che casualmente
era rimasto in sede. Puranco gl’inventari andarono distrutti. Fu salvo per caso
il grosso fascio n. 686, Ie II, in cui si contengono le carte orvietane. E fu fortuna
anche questa per me: in quanto, nell’incendio della mia casa in Genova, che
distrusse tutti i miei manoscritti, i libri della mia biblioteca, ventidue scatole
di schede d’appunti e più di quattromila fotografie, andarono perdute tutte
le copie da me fatte, collazionate e annotate di cui si parla a pag. 7 sgg. Ormai,
date le circostanze e la mia già avanzata età, dispero di poter compiere l’edi-
zione di tutte le serie promesse nell’altro mio studio: altri più giovane e più
di me adatto potrà finire questo lavoro d’edizione che purtroppo debbo limi-
‘tare a due serie sole. Allego, a comodo di qualche continuatore e degli studiosi in
GMT T RET OEYNESCUERN ACNR Ca GEL ACC S dc es CÈ

6 ALDO CERLINI

un Consiglio minore del comune di Orvieto. deputato alla guerra o,
a dir meglio, alla condotta amministrativa e politica, più che mili-
tare, del conflitto; sono atti di una Giunta di governo delegata a pren-
dere misure eccezionali, con tutta la utile sollecitudine e la ineso-
rabile energia: caso non raro nella vita delle nostre città medioevali.

genere, l'elenco delle carte Farnesiane distrutte e di quelle, per fortunato caso,
: superstiti: ringraziando il conte Prof. Filangeri Sovrintendente dell' Archivio
| di Stato di Napoli e la sig.na dott. Jole Mazzoleni che mi fornirono queste no-
tizie e i preziosi dati archivistici che allego.

Carte Farnesiane non più esistenti.

Fasci 1-564.
» 687-1092.
» 1300-1330.
» 1402-1407.
» 1605-1738.
» 1743-1798.

Carte Farnesiane recuperate dopo l'incendio.

Fasci da 25 a 32 (Spagna, 1605-1618).
» 48 a 566 (Spagna, 1701-1733).
» 67 (Corrispondenza di Margherita d'Austria, 1545-1585).
» . 68 a 71 (Milano, 1564-1732).
» 72 (Corrispondenza Malaspina, 1585-1704).
» 159 (Vienna, 1727-1728).
» 172 (Praga, 1575-1654).
» 200 (Francia, 1676-1678).
» 205 a 208 (Francia, 1694-1701).
» .. 210 a 211 (Francia, 1703-1704).
» 213 a 215 (Francia, 1706-1712).
» 217 (Corrispondenza del conte Sanseverino, 1708 1714).
» 221 (Francia, 1713-1714).
» 223 a 225 (Francia, 1715-1722).
» 231 (Francia, 1724).
» 235 (Francia, 1730-1734).
» 242 (Londra, 1720-1725).
|t : » 246 (Londra, 1723).
ORAE : » 252 a 254 (Corrispondenze varie 1536-1695).
, » 258 a 263 (Corrispondenze varie, 1539-1733).
» 265 a 266 (Corrispondenze varie, 1520-1599).
» 268 (Corrispondenze varie, 1552-1568).
» 271 (Corrispondenze varie, 1559-1586).
CARTE ORVIETANE DELL'ARCHIVIO FARNESE 7i

Il caratteristico é peró nel fatto che queste provvisioni costituiscono
un libro a parte, una raccolta speciale: non sono confuse o frammi-
schiate alle riformagioni di altri consigli o del Consiglio maggiore;
e.non.soin quale altra città italiana — tanto più agl’inizi del tre-
cento — si trovi esempio consimile.

se ne legittima pertanto il sospetto che l'iniziativa della com-
pilazione del registro sia dovuta a richiesta esplicita del capo mili-
tare dell'impresa, Pietro di Ranuccio Farnese, il quale deve aver ot-
tenuto dai capoccia del comune la formazione di questa specie di co-
rona di delibere che accompagnava l'opera sua di soldato. È sempre
notevole in quello stadio della gente Farnesiana la tendenza a mettersi
in mostra, a cercare ogni mezzo perché non si dimentichi la parte da
essa avuta nelle gesta comunali o in aiuto dei comuni, non rifuggendo
da ogni mezzo o artificio per ascendere nell’opinione pubblica. La
casata era nel suo più alto divenire: stava già passando da dinastia
potente sì, ma di provincia, a potentato regionale; Pietro di Ranuccio
era uno dei più ambiziosi (1), e la guerra fra Orvieto, Corneto (2) e
Toscanella (3) dava a lui, per la prima volta, la dignità e l’impor-
tanza di grande capitano militare.

Infatti non è a credersi che il qualificativo «capitaneus » abbia
il significato di capitano della città o del comune. Tanto gli Annales

Fasci da 281 (Corrispondenze varie, 1544-1660).
» 283 (Corrispondenze varie, 1557-1608).
» 288 (Corrispondenza Roma, 1572-1676).
no 291 (Processo di Parma, 1580-1582).
» 299 (Corrispondenza Casa Farnese, 1561-1697).
» 565 a 686.
» 968 (Copialettere Napoli, 1563-1571).
» 1068 (Carte Borboniche S. Leonardo, 1791-1803).

» 1093 a 1299.
» 1331 a 1401.
» 1448 a 1604.
» 1739 a 1742.
» 1799.

(1) Vedi la nota 2 ai Documenti.
(2) Su questo comune, oltre a cronache mss. del Muzio e del PoLIDORI,
cf. BEnrTI G. L., Orazione sulla gloria della città di Corneto, Roma, 1745; DE Ros-

si G. B., in Bollett. d'Archeologia cristiana, VI, 93-148; WiILLE, E., Relazione

sulla escursione soc. a Corneto Tarquinia, Roma, 1904 (estratto); ecc.

(3) Sulla città, cf. Turiozzi F., Memorie storiche sulla città di Tuscania,
ora Toscanella, Roma, 1778; GrANNoTTI F. L., Le cronache della città di Tu-
scania, Roma, 1606. i
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8 ALDO CERLINI

Urbevetani (cronica antiqua) (1) che Ja Cronaca di Luca di Domenico
Manente (2) c'informano che nel 1320 erano capitani del popolo
Ottaviano di Brancha da Gubbio, che poi, morto il tre di agosto, ebbe
per successore messer Jaco Ranucci da Tarano; che infine ai primi
dell'anno successivo aveva la carica di capitano Poncello Orsi da
Roma, venuto in aiuto di Orvieto per mandato dei Perugini; ma che
se ne andó nel marzo lasciando come vicario Amelio da Amelia (3).

Che Pietro di Ranuccio i'‘arnese fosse capitano per la guerra
possiamo meglio capire, oltre che dal testo del libro della guerra,
anche dalle fonti narrative e dalle provvisioni del Comune, di cui fece
lo spoglio Luigi Fumi. : :

L'episodio é uno dei notevoli nelle guerre fra Guelfi e Ghibellini
che insanguinarono l'Umbria per più anni. I Ghibellini si annidavano
nel territorio intorno ad Assisi e a Spoleto; i Guelfi invece facevano
capo a Perugia, città alla quale erano alleati Orvieto e altri comuni
vicini. .

La causa occasionale della guerra fu un assalto contro Montorio,
del distretto di Orvieto. Dice il Manente: « Detto tempo (1320) Cor-
netani e Tuscanensi andaro alli danni de Montorio, che lo sacchigiaro
et abbrusciaro et occisero molti homini, che vi morirono duo figlioli
del Signor di Montorio et uno della casa de detto signor Bastardo » (4).
Allora gli Orvietani avevano gran da fare in servizio dei Perugini
contro i Ghibellini di Assisi. Ma accadde un secondo grave fatto: « Det-
to anno, de ottobre, il signor Benedetto Guaitano venendo de la po-
desteria de Viterbo ad Orvieto fu assaltato et preso dal capitano To-
rello de Viterbo gibbelino, et menato nel castello de Santo Savino, che
so instancia de li Signori Colonnesi fu preso » (5). Allora cominciano
le gesta militari degli Orvietani:« Detto tempo la cavalleria de Or-
vieto con li pedoni andaro alli danni de Corneto et Tuscanella, con la
occisione de’ dette genti gibbelini che erano alli favore de li signori
Colonnesi et del capitano Torello. Così vennero li signori de Farnesi

et altri baroni intorno con il signor Vanae de Galasso de Bisenzo .

a detti danni; dovi in detta guerra veniva il Figliolo de Nericoni de

(1) Cf. R.I.S., t. XV, parte V. vol. I, pag. 182 la ediz. è di L. Fuwr.

(2) Id. Cronica di L. di D. Manente, in R.I.S., l. c. pag. 368.

(3) Il Fuur, op. cit. nota che Poncello fu eletto dal febbraio 1321 fino
all'aprile, ma non gli si lasció finire l'ufficio; nel maggio era suo vicario il ca-

‘ valiere Maffeo.

(4) Cronica, cit., p. 368.
(5) Cronica, cit., p. 369. .

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CARTE ORVIETANE DELL'ARCHIVIO FARNESE 9

Clusio con assai genti in favore del signor Vanne de Bisenzo et del
signor Pietro Farnesi, dovi Tuscanensi et Cornetani, con la famiglia
del signor Guidetto de Bisenzo, occisero il figliuolo de Nericone et
altri suoi gente; dovi.detti gibbelini andaro alli danni de Orvieto in
la Tyberina che fero una preda a Mugnano, Lugnano et Alviano » (1).
Secondo questo cronista peró la conclusione della guerra contro i
due comuni non sembra doversi al Farnese: « Detto tempo ritornó de
Romagna messer Raniere de messer Zaccharia Guidoni ad Orvieto,
che haviva peril re Ruberto governato dui anni con grandi honore,
et cosi de.dicembre detto messer Raniere congregò cavalli et pedoni de
Orvieto, et vennero li cavalli de Peroscia in detta lega, etil conte Azzo
de Sartiano, che andaro alli danni de Corgneto insino alle mura, .
che tiravano li arancie dentro Corgneto et sassi, et cosi dettero il
guasto intorno, et da poi venni detto esercito intorno a Tuscanella,
che dettoro il medesimo guasto per essersi ribellata et discacciati li
guelfi fuora. Et cosi discacciaro fuora li gibbelini de Montorio et fu
consignato al signor Vanne de Bisenzo. Cosi si andó allo assedio de
sancto Savino che riacquistaro il signor Benedetto Guaitano dalli
Colonnesi et da Torello, dovi fu il signor Benedetto fatto podestà et
signor de Castro de Maremma dal detto comune de Orvieto » (10).
Ma, sul confronto delle Riformagioni orvietane, cosi Luigi Fumi
riassume i fatti di quel tempo, ai quali si riferisce il nostro Libro

della guerra :

« I Cornetani con Guittuccio di Bisenzo e altri complici avevano
fatto una cavalcata al castello di Montorio, distretto orvietano; lo
presero di notte, entrarono a mano armata, uccisero gran quantità
di persone e derubarono la terra in grave danno e vituperio del co-
mune e del popolo di Orvieto (Rif., 25 aprile 1320, 1. I. c. 93). Le terre
di Val del Lago chiesero aiuto contro Toscanella e contro Guittuccio
che continuamente cavalcandola, vi uccidevano e predavano. Vi si
mandarono 25 cavalieri, tra i quali, oltre ad alcuni' Monaldeschi,
Rinaldo de’ Medici, i figliuoli di Francesco della Greca, Nello di Pie-
tro Mazzocchi, e si mandarono altri 25 cavalieri, col cavaliere del
Capitano, con quattro cavalli (Rif. 29 agosto 1320, 1. II, c. 72 e 74).
A richiesta del comune di Orbetello si accordarono le rappresaglie
e la facoltà di ricettare tutti quelli che, guelfi e di parte guelfa, vo-
lessero offendere i Toscanellesi e Guittuccio i quali avevano cavalca-
ta la terra e a bandiere spiegate; si fece pace coi signori di Sticciano

(1) Cronica, cit., pp. '370-71.
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10 irs ALDO CERLINI

e si ribandirono; si mandarono ad Orbetello cavalieri per la guardia,
sergenti e castellani per il cassero (Rif., 13 settembre 1320, 1. II, c.
112). Da Civitella il 5 settembre si scriveva che Guittuccio coi suoi
figli naturali aveva spinto cento cavalieri di Corneto e di Toscanella
e circa cento fantaccini a fare una scorreria sulla strada di Civitella o
della Teverina, predando tutto il bestiame e prendendo e uccidendo
. persone. Si assoldarono cento stipendiarii per sei mesi, a cavallo e in
armi. Si avvisarono i baroni del contado di apparecchiarsi con armi e
cavalli per prendere parte all'esercito. Si mandarono ambasciatori
a Viterbo a sentire come mai queili che irruppero nella Teverina fos-
sero passati per il territorio di Viterbo indisturbati (Rif., 15 settembre
1320, 1. II, c. 116). Il vescovo Guido e il senatore di Roma eccitarono
gli Orvietani alla vendetta. Fu condotto Bernardo da Cunio con 60
ultramontani, con 60 buoni cavalli armigeri e 30 ronzini per sei mesi.
Fu cominciata la guerra il 5 novembre con 120 stipendiari, e a prov-
vedere le spese si ordinò una nuova lira (Rif., 19 e 29 settembre e 5
novembre, c. 126 t. e 148 £.). L'esercito approvvigionato col grano dei
beni dei ribelli si condusse sotto Toscanella e Corneto (Rif. 16 dicem-
bre 1320, c. 173). Quelli di Toscanella il 13 gennaio 1321 domanda-
rono la tregua. Gli ambasciatori si lagnarono della uccisione di oltre
100 dei loro, delle invasioni di Guittuccio de' Bisenzo, e dei teutonici
e stipendiari di Corneto contro cui avevano combattuto. Fu loro ri-
sposto di non poter dir nulla senza aver prima sentito il capitano del
Patrimonio » (1). Cosi entrarono nella questione anche il Capitano
del Patrimonio, e poi i comuni di Siena e di Viterbo.

ALDO CERLINI.

(1) R.I.S. Ephemerides Urbevetanae, cit., p. 369, nota 1.

NU
CARTE ORVIETANE DELL'ARCHIVIO FARNESE

Bellum indictum a commune Urbevetano contra Cornetanos aliosque
inimicos sub capitaneatu D.ni (Petri) Raynutii Farnesii.

De offensione facienda contra inimicos.

In nomine Domini amen, anno eiusdem a nativitate millesimo CCCoX Xo,
inditione tertia, tempore domini Iohannis pape XXII, die XVIIII ottubris.
Domini quinque de Septem ad defensionem comunis et populi Urbisveteris
deputati qui faciunt offitium ipsorum et Mei Dominici et magistri .Iohan-
nis magistri Francisci consotiorum suorum (1), et dominus Bonconte domini
Ugolini, Bonuccius domini Petri, Latinus domini Gilacchini, dominus Pe-
trus domini Andree, [Dinus R]ustichi, Nardus Petri, Meus domini Stephani,
Lemmoccius [Insegne, dominus] Puccius domini Petri et Ugolinus Nerii,
novem de numero XIII [bonorum virorum pro] offensionibus fieri faciendis
inimicis comunis Urbisveteris, conve[nientes in unum in] domo in qua domini
Septem morantur et soliti sunt mo[rari ad eorum offitium exercendum],
auctoritate eis per consilium consulum artium et LXXt2,

. Modo et iure quibus melius potuerunt, celebrato prius solempni scrup-
tineo super infrascriptis de bussolis ad palluctas et obtento per XVIII pal-
luctas repertas in bussola rubea de sic, nulla reperta in bussola nigra de non,
stantiaverunt et ordinaverunt, Dei nomine invocato sub cuius nomine et
protectione omnia peragantur et prosperentur, quod hostes et inimici Cor-
naetani et Tuscanellenses offendantur et offendi debeant per gentes comunis
Urbisveteris et quod dicte offense fiant et fieri inchoentur hinc ad diem mer-
curii venturi, ita quod usque ad dictam diem mercurii ipse offense sint
inchoate.

Quod nobilis vir Petrus Ranuccii de Farnese sit capitaneus stipendiariorum
comunis Urbisveteris.

Item stantiaverunt et ordinaverunt quod nobilis vir Petrus Ranuccii
de Farnese (2) sit et esse debeat capitaneus militum stipendiariorum civi-
tatis Urbisveteris ad offendendum et offendi faciendum inimicos comunis
Urbisveteris Cornetanos et Tuscanellenses et alios; et pro comuni et po-
pulo urbevetanis pro uno mense, incohando ea die qua milites stipendiarii
pervenerint in terra et.ad terram in qua erit ipse Petrus. Qui Petrus capita-
neus habeat et habere debeat a comune urbevetano de provisione et pro
salario dicte capitanie triginta florenos auri de pecunia comunis urbevetani,
et camera dicti comunis solvere eidem possit sine suo preiudicio et gravamine
de peccunia dicti comunis.

(12) Sono i sette consoli delle arti, allrove chiamati « ad officium comunis
et populi deputati ».

(13) Su cui vedi le Riformagioni precedenti: Orvieto se ne voleva servire
per le gesta di Ugolinuccio di Montemarano e della contessa di Soana, in-
sieme con Ponzo de Rocca: cfr. il gruppo di Provvisioni n. 1.
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Fi 12 ALDO CERLINI
Ser Petrus Ugolini notarius.

Item stantiaverunt et ordinaverunt quod ser Petrus Ugolini ambaxia-
tor comunis Urbisveteris et qui sit ambaxiator dicti comunis Urbisveteris
secrete vadat ad ipsum Petrum Ranuccii de Farnese et roget et precipiat
eidem quod receptare debeat milites in castro Plandiani et aliis terris suis
| et suorum consortum; et in ipsis terris parare faciat victualia et res alias
i Gs necessarias pro dictis militibus et gentibus, ut habeant unde vivant ipsi
di et equi. Et eidem dicat qualiter per comune urbevetanum factus est capi-

taneus stipendiariorum civitatis Urbisveteris pro guerra facienda inimicis
È comunis Urbisveteris predictis. i: !

TI RIE

Ser Petrus Ugolini.

| Item stantiaverunt et ordinaverunt quod dictus ser Petrus Ugolini am-
IR baxiator comunis Urbisveteris predictus solvatur per. cameram comunis
E Urbisveteris de pecunia comunis, et habeat pro suo salario XI solidos de È
denariis currentibus pro quolibet die pro se et equo. Et sic est obtentum de
- .' bussolis ad palluctas per XVII palluctas repertas in bussola rubea de sic,
non obstante una pallucta qui misit palluctam suam in bussola nigra de non.

De ambaxiatore mittendo ad dominum capitaneum Patrimonii, dominis de
Farnesi et conestabilibus et aliis stipendiariis quod faciant vivam guerram.

METTE ett im

In nomine Domini amen, anno.eiusdem à nativitate millesimo CCCoX Xo,
indictione tertia, tempore domini Iohannis pape XXII, die XXVIIIT octubris.

| È i . Domini Septem nunc ad defensionem comunis et populi Urbisveteris deputati

yg et dominus Bonconte, Latinus domini Gilacchini, Luccius Manciani, Dinus
| ^ Rustichi, Bonuccius domini Petri, Nardus Petri, Meus domini Stephani,
| Cecchus domini Cerfaglie, Lemmoccius Insegne et dominus Petrus domini 3
| | Andree de numero XIII super guerra per urbevetanum comune prepositi, i
Al intervenientes in unum in domo in qua morantur et soliti sunt mor[ari do-
le mini Se]ptem, auctoritate et potestate et baylia eis concessa, celebrato p[rius
1i solempni s]cruptineo inter ipsos de bussolis ad palluctas, et obt[ento per XVII
i | palluctas] repertas in bussola rubea de sic, nulla reperta in bussola nigra de LE
Li non, stantiaverunt et ordinaverunt quod unus bonus et legalis ambaxiator,
[| qui per dominos Septem eligatur, mittatur ad dominum episcopum Urbis-
veteris (1) et capitaneum Patrimonii et ad dominos de Farnese et ad
Hi i stipendiarios comunis Urbisveteris in partibus Marittime existentes, qui pro
Er parte comunis Urbiveteris roget ipsum dominum episcopum et capitaneum
| et precipiat dominis de Farnese et stipendiariis comunis Urbisveteris quod
| continue dampnificare debeant inimicos et cavalcatas facere continuas, et :
ad investigandum quando esset tempus quod cum maiori gente possent damp- |
I. nificari ipsi inimici; et quod pro ipso ambaxiatore solvendo uno vel pluri-

——=T_cs

I pra anch'egli un Farnese, Guittone; cfr. GAMs Series episcoporum,
| pag. 711. n
— Map rm etm

— HM XM

CARTE ORVIETANE DELL'ARCHIVIO FARNESE 13

bus possit accipi de peccunia gabelle et camera gabelle sine suo preiudicio
solvere teneatur et debeat usque in quantitatem decem librarum denariorum
currentium, i

Preceptum factum ‘stipendiariis.

In nomine Domini amen, anno eiusdem millesimo CCCoX Xo, indictio-
ne tertia, tempore domini Iohannis pape XXII, die III mensis novembris
(15). Domini Septem nunc ad defensionem comunis et populi Urbisveteris
deputati preceperunt et precipiunt Bernardo de Corna, Iohanni de Cardona
et Guidoni de Smergis conestabilibus quod debeant ire et starein Texennano
et aliis locis uhi Petrus Ranuccii de Farnese capitaneus armorum comunis
urbevetani ipsorum stipendiariorum dicet et volet. :

Item quod debeant obedire Petro Ranuccii de Farnesi in omnibus
mandatis suis in cavalcando contra [...] causa offensionis faciende ipsis
hostibus urbevetani comunis. | .

Item preceperunt quod non debeant disce(de)re de locis ubi positi sunt
ad faciendum guerram sine spetiali licentia dominorum Septem.

Item preceperunt quod continue debeant cavalcamentum facere et
inimicos urbevetani comunis offendere, et predicta preceperunt quod obser-

vare debeant ad penam in pactis factis inter ipsos stipendiarios et comune
Urbisveteris contentam. |

Domini Boncontis el Bonuccii domini Petri.

In nomine Domini amen, anno eiusdem a nativitate millesimo CCCoX Xo
indictione tertia, tempore domini Iohannis pape XXII, die V mensis novem- -
bris. Domini Septem nunc ad defensionem comunis et populi Urbisveteris

deputati, et dominus Bonconte, Bonuccius domini Petri, dominus Puccius

domini Petri, Nardus Petri, dominus Petrus domini Andree, Dinus Rustichi,
Cecchus domini Cerfaglie, Ugolinus Nerii Tertie et Meus domini Stephani,
de numero XII positorum super guerra, convenientes in unum in domo in
qua morantur domini Septem et soliti sunt morari ad eorum offitium exercen-
dum, celebrato pr[ius solempni] scruptineo inter ipsos et dominos Septem
et XII de bussolis ad palluctas, et obtento per XII palluctas repertas in bus-
sola rubea de sic quod dominus Bonconte et Bonuccius domini Petri sint
ambaxiatores comunis Urbisveteris qui pro factis secretis comunis vadant et
ire debeant ad castrum Griptarum (2) ad loquendum cum nobili viro Petro
de Farnesi, et habeant dicti ambaxiatores de pecunia comunis et gabella X
solidos pro quolibet equo quem ducent quibus camera solvere possit.

Ser Nuti Guidonis.

Item stantiaverunt et ordinaverunt dicti domini Septem et Decem de
XIII super guerra predicti, facto partito inter ipsos et obtento de bussolis ad
palluctas per XVII palluctas repertas in bussola rubea de sic, nulla reperta

(1) Cod. octubris.
(2) Griptarum: più sotto, Giptarum: forse Gyptarum.
Chu f PET

x 1 XU T nm ur = E° ni

14 ALDO CERLINI

in bussola nigra de non, quod ser Nutus Guidonis Boncontis notarius vadat
ad faciendum mostras stipendiariorum comunis Urbisveteris, et ibidem

stare debeat XV diebus cum Petro de Farnese ad ipsas mostras militum sti-

pendiariorum faciendas, qui Ser Nutus habeat pro salario sue persone et
uno equo et uno famulo XX solidos denariorum currentium pro quolibet
die de predicti XV diebus, et portet ambaxiatam Petro de Farnesi qualiter

ambaxiatores comunis Urbisveteris ituri sunt ad castrum Giptarum ad lo-.

quendum cum ipso. Et solvatur de peccunia gabelle.
Nobilis viri Petri Ranuccii. =

Item stantiaverunt et ordinaverunt, facto partito et obtento ut supra,

. quod nobilis vir Petrus Ranuccii de Farneto teneatur et debeat facere mo-

stras stipendiariorum comunis sepe sepius.

Petri Ranuccii et Napoleuccii domini Petri.

In nomine Domini amen, anno eiusdem a nativitate millesimo CCCoX Xo
indictione tertia, tempore domini Iohannis pape XXII, die XI novembris.
Domini Septem nunc ad defensionem comunis et populi Urbisveteris depu-
tati et dominus Bonconte, dominus Puccius domini Petri, Luccius Mancini,
Lemmus Insegne, Ugolinus Raynerii Tertie, Meus domini Stephani, Nardus
Petri, Dinus Rustichi, Latinus domini Gilacchini, dominus Petru; domini
Andree de numero XIII super guerra, convenientes in uno in domo in qua
morantur et soliti sunt morari ad eorum offitium exercendum, celebrato
prius solempni scruptineo inter ipsos et obtento de bussolis ad palluctas per
XVI palluctas repertas in bussola rubea de sic, nulla reperta in bussola ni-
gra de non, stantiaverunt et ordinaverunt quod nobilis vir Petrus Ranuccii
de Farneto et Napoleuccius domini Petri, vel alius ambaxiator cum eo va-
dant et ire debeant ut ambaxiatores comunis Urbisveteris ad nobilem virum
Poncellum de filiis Ursi ad rogandum ipsum quod gratia comunis Urbisve-
teris eidem placeat interponere posse suum cum comune Peruscii quod de
militibus stipendiariis comunis Peruscii habeantur et haberi possint CC

milites, ad hoc ut fulciri possit intentio comunis Urbisveteris contra hostes.

ipsius comunis. Et etiam similem ambaxiatam faciant comuni Peruscii si
est necesse et viderint expedire. Et quod solvatur predictis Petro et Nepoleuc-
cio de peccunia comunis et gabelle, et predicta stantiaverunt et ordinaverunt
auctoritate et potestate eis per ordinamenta populi atributa super guerra,

Domini Boncontis Manni et Lemmoccii ambaxiatorum.

Item stantiaverunt et ordinaverunt modo et forma predictis, facto
partito et obtento de bussolis ad palluctas, ut supra, quod dominus Bonconte
Mannus et Lemmoccius vadant et ire debeant et sint ambaxiatores comu-
nis Urbisveteris ad dominum capitaneum Patrimonii ad impediendum con-
cordiam quam intendit facere cum Cornetanis et aliis inimicis comunis Ur-
bisveteris, et eidem cum omni efficacia dicant intentionem comunis Urbi-
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CARTE ORVIETANE DELL'ARCHIVIO FARNESE 15

sveteris. Et quod eis solvatur per cameram comunis de peccunia gabelle cum
nulla alia sit peccunia in comune.

Petri Ranuccii de Farneto. 2»

Item stantiaverunt modo et forma predictis, facto partito de bussolis
ad palluctas et obtento, quod de peccunia comunis et gabelle et omnia alia
peccunia comunis detur Petro Ranuccii de Farneto quinquaginta libras
(denariorum) currentum pro spiis mittendis ad hoc sciantur conditiones ho-
stium,

Pro(ro)gatio termini VIII dierum ad solvendum qabellam. '

In nomine Domini amen, anno eiusdem a nativitate millesimo CCC. XX.
indictione tertia, tempore domini Iohannis pape XXII, die XIII novembris.
Domini Septem nunc ad defensionem comunis et populi Urbisveteris depu-
tati, et dominus Bonconte, Mannus domini Corradi, Bonuccius domini
Petri, Latinus domini Gilacchini, Nardus Petri, dominus Puccius domini
Petri, Ugolinus Nerii, Meus domini Stephani, otto de numero XIII super
guerra convenientes in unum in domo in qua morantur et soliti sunt morari
ad eorum officium exercendum domini Septem, celebrato prius solempni
scruptineo inter ipsos, et obtento de bussolis ad palluctas per XV palluctas
repertas in bussola rubea de sic, nulla reperta in bussola nigra de non, auc-
toritate, eis super guerra et arbitrio concessis, stantiaverunt et ordinaverunt
ad hoc ut peccunia citius deveniat in camera comunis et ne propter brevi-
tatem temporis et termini homines qui habent solvere gabellam ad solven-
dum essent inobedientes, qued terminus assignatus per reformationem
consilii consulum artium et LXX illis qui non solverunt gabellam sit et
esse debeat prorogatus hinc ad otto dies proxime venturos, et quod qui isto
medio tempore solverit, nullam penam patiatur; elapsis autem dictis otto
diebus dictum ordinamentum in sua maneat firmitate, statuto ordinamento
vel iure aliquo non obstante.

Latini domini Gilacchini, Nardi Petri.

In nomine Domini amen, anno et indictione predictis, die XV novem-
bris. Domini Septem et Dominus Bonconte, Lemmoccius Insegne, Latinus
domini Gilacchini, Nardus Petri, dominus Puccius domini Petri, Luccius
Mancini, Ugolinus Nerii, Meus domini Stephani et Dinus Rustichi, de nu-
mero XIII super guerra, absentibus sotiis tamen citatis, auctoritate eis
concessa, stantiaverunt et ordinaverunt, celebrato solempni scruptineo
inter ipsos, et obtento de bussolis ad palluctas per XVI palluctas repertas
in bussola rubea de sic, nulla reperta in bussola nigra de non, quo Latinus
domini Gilacchini et Nardus Petri sint ambaxiatores comunis Urbisveteris
ad eundum ad Montemflasconem pro secretis negotiis tractandis .super
factis guerre cum domino capitaneo Patrimonii. Et quod eis solvi debeant
de omni peccunia comunis et peccunia gabelle, et quod camera eis solvere
possit sine suo preiudicio et gravamine statuto vel ordinamento in contra-
rium loquentibus non obstantibus.
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16 ALDO CERLINI

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Ciani Boniohannis. |

Item stantiaverunt predictis modo et forma quod Cianus Boniohannis

| sit ambaxiator ad terras Vallis Lacus occasione foderi mittendi ad castrum

| : Thesennani, et quod ei solvatur de peccunia comunis et gabelle et camera

solvere possit sine suo preiudicio et gravamine, statuto vel ordinamento
non obstante.

di . De uno ambaziatore mittendo Texennanum.

| In nomine Domini amen, anno millesimo CCCXX, indictione tertia

Ec" tempore domini Iohannis pape XXII, die XVIII novembris. Domini Sep-
tem nunc ad defensionem comunis et populi Urbisveteris deputati, et do-
minus Bonconte domini Ugolini, Nardus Petri Leonardi, Latinus domiini

i: Gilacchini, Meus domini Stephani, Lemmoccius Insegne, Dinus Rustichi,
Luccius Mancini, dominus Puccius domini Petri, Bonuccius domini Petri et
Ugolinus Nerii, de numero tredecim super guerra, convenientes in domo
in qua domini Septem morantur et soliti sunt morari ad eorum offitium exer-
cendum, celebrato prius solempni scruptineo inter ipsos, et obtento per XVII
palluctas repertas in bussola rubea de sic, nulla reperta in bussola nigra de
non, auctoritate et baylia eis super guerra concessa, stantiaverunt et ordi-
naverunt quod unus ambaxiator mittatur Texennanum ad narrandum et
dicendum stipendiariis comunis Urbisveteris quod intentio comunis Urbis-
veteris est quod omnis tertia pars prede et priscionum detur romane Ec-
clesie et quod intentio comunis Urbisveteris est nolle turbare dominum capi-
taneum Patrimonii et thesaurarium romane Ecclesie. Et quod dictus am-
baxiator solvatur de peccunia comunis et ggbella, et quod camera comunis
solvere possit sine suo preiudicio et gravamine, statuto vel ordinamento non
obstante. ;

Quod Guibellini confinati vadant ad confines.

In nomine Domini amen, anno millesimo CCCXX, indictione tertia,
tempore domini Iohannis pape XXII, die XXV novembris. Domini Septem
et dominus Bonconte, Mannus domini Corradi, Latinus domini Gilacchini,
Bonuccius domini Petri, Nardus Petri, Lemmoccius Insegne, Meus domini
Stephani, Dinus Rustichi, dominus Puccius domini Petri et Ugolinus Nerii
Tertie de numero XIII super guerra, celebrato solempni scruptineo inter
ipsos, et obtento de bussolis ad palluctas per XV palluctas repertas in bus-
| sola rubea de sic, non obstantibus duobus qui miserunt in bussola nigra de
| non, stantiaverunt et ordinaverunt ad hoc ut guerra liberaliter et secure fiiri
p possit et ut civitas in securo permaneat quod omnes guibellini de prima, se-
| cunda et tertia cerna et omnes alii qui aliquo tempore ivissent ad confines
| Tea hodie per totam diem debeant exivisse (de) civitate urbevetana et ivisse ad
configes ultra tria milia et in eis stare debeant nec discedere ad penam XXV
librarum contrafacienti per dominum capitaneum auferendam. Qui guibel-
lini teneantur et debeant ad dictam penam mittere et misisse in... (1)

ETAT :

(1) Parola illeggibile nel cod.
ARTE ORVIETANE DELL'ARCHIVIO FARNESE 17

loci qualiter se representaverunt ad confines, salvo quod predicta non pre-

iudicent illi vel illis qui essent gravi infirmitate gravati, Item liceat Bartho- -

lomuccio Bernardi et * * * Rabeduti stare et morari in dicta civitate et ad
confines non accedere hinc ad diem dominicam proxime venturam per totam
diem a dicto die in antea teneantur i ire ad penam predictam et stare ut alii
confinati.

De custodia castri Civitelle et turris ipsius.

In nomine Domini amen, anno eiusdem a nativitate millesimo CCCXX,
indictione tertia, tempore domini Iohannis pape XXII, die XXVIIII no-
vembris. Domini Septem nunc ad defensionem comunis et populi Urbisve-
teris deputati, et dominus Bonconte, dominus Puccius domini Petri, Ugoli-
nus Nerii, Nardus Petri, Mannus domini Corradi, Bonuccius domini Petri,
Lemmoccius Insegne, Meus domini Stephani, Luccius Mancini et Dinus
Rustichi de numero XIII super guerra, convenientes in unum in domo in
qua domini Septem morantur et soliti sunt morari ad eorum offitium exercen-
dum, auctoritate eis super guerra concessa celebrato prius solempni scruptineo
inter ipsos et obtento de bussolis ad palluctas per XVII palluctas repertas
in bussola rubea de sic, nulla reperta in bussola nigra de non, stantiaverunt
et ordinaverunt et firmaverunt ne inimici et hostes comunis Urbisveteris
possint comune urbevetanum vel comitatum et districtum dampnificare.
Quod ad custodiam castri Civitelle et turris ipsius castri mittantur quatuor
boni custodes et homines guelfi qui custodiant ipsam turrim et de die et de
nocte stare debeant super ea et solvant ad presentem pro uno mense per

comune urbevetanum et eis possit et debeat deo mni peccunia comunis sati-
sfieri usque in quantitate XX librarum. Item quod turris muretur ad pedem
in introytu ipsius turris de bona arrena et calcina. :

De securitate exbannitis concessa occasione exercitus.

In nomine Domini amen, anno eiusdem a nativitate millesimo CCCXX,
indictione tertia, tempore domini Iohannis pape XXII, die VII decembris.
Domini Septem nunc ad defensionem comuniset populi Urbisveteris deputati,
et dominus Bonconte, Latinus domini Gilacchini, Lemmoccius Insegne,
Bonuccius domini Petri, Nardus Petri, Ugolinus Nerii, Dinus Rustichi, Meus
domini Stephani et dominus Puccius domini Petri de numero XIII super
guerra, converientes in unum in domo in qua domini Septem morantur et
soliti sunt morari ad eorum offitium exercendum, celebrato prius selempni
scruptineo inter ipsos de bussolis ad palluctas, et obtento per XVI palluctas
repertas in bussola rubea de sic, nulla reperta in bussola nigra de non, aucto-
ritate eorum offitii et ad hoc ut inimici offendantur urbevetani comunis
quod omnes exbanniti et condempnati comunis Urbisveteris qui essent in
comitiva comitis Sartiani et aliorum militum et stipendiariorum comunis
Peruscii habeant securitatem in avere vel persona non ostantibus bannis et
condempnationibus de eis factis, standi et morandi in civitate Urbisveteris,
comitatu et eius districtu quousque ipse comes de Sartiano et stipendiarii
comunis Peruscii steterint in servitium comunis Urbisveteris, et quod domini

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18 | ALDO CERLINI

potestas et capitaneus vel alius offitialis civitatis Urbisveteris vel alia per-
sona ipsos impedire capere vel detinere non possit, statuto, ordinamento vel

. jure non obstantibus.

Item stantiaverunt et ordinaverunt quod cum cavalcata fiet vel fieri
per comune vel gentes comunis Urbisveteris et ad eius servitium existentes
nullus exbannitus comunis Urbisveteris qui inventus fuerit in burgo Pe-
trorii super ipso eunte et stante in cavalcata contra inimicos comunis Urbis-

‘veteris possit detineri, capi velimpediri per potestatem vel capitaneum civi-

tatios Urbisveteris vel alios offitiales dicti comunis, vel aliquem alium, sed
securitatem habeant in personis vel rebus a burgo Petrorii super et tempore
cavalcate, non obstantibus condempnationibus vel bannis de eis factis, in
civitate intrare non debeant vel possint.

Domini Boncontis, Manni, Bonuccii.

In nomine Domini amen, anno eiusdem a nativitate millesimo CCCXX,
indictione tertia, tempore domini Iohannis pape XXII, die VII decembris.
Domini Septem nunc ad defensionem comunis et populi Urbisveteris depu-

'tati, et dominus Bonconte, Latinus domini Gilacchini, Lemmoccius Insegne,

Bonuccius domini Petri, Nardus Petri, Ugolinus Nerii, Dinus Rustichi,
Meus domini Stephani et dominus Puccius domini Petri; de numero duode-
cim, convenientes in domo in qua domini Septem morantur et soliti sunt
morari, facto solempni scruptineo et partito inter ipsos de bussolis ad pal-
luctas et obtento per XV palluctas repertas in bussola rubea de sic, nulla
reperta in bussola de non, auctoritate eorum offitii et baylie, stantiaverunt
et ordinaverunt quod dominus Bonconte, Mannus domini Corradi, et Bo-

nuccius domini Petri Vendant et vendere debeant incontinenti comuni urbe-

vetano XXIIII rasserios grani, silicet VIII rasserios pro quolibet ipsorum,
de quo fiat et fieri debeat panis pro mittendo in exercitum seu cavalcatam,
et quod habeant et habere debeant pro pretio dicti grani L solidos pro quo-
libet racserio de peccunia et avere comunis et peccunia gabelle, et quod ca-
mera gabelle eis solvere teneatur.

Quod terre Vallis Lacus mittant foderum in exercitu.

Item stantiaverunt quod infrascripta comunia et terre Vallis Lacus
portent in exercitu seu cavalcata infrascriptas T rasseriorum pa-
nis, ordei et vini:

comune Bulsene: XXV rasserios vini et XII rasserios panis
comune sancti Lorencii: otto rasserios panis et XVI salmas vini
comune Griptarum: XX rasserios ordei et XII salmas panis
comune Latere: XXV rasserios ordei et X rasserios panis

comune Griptarum: XII rasserios panis et V rasserios ordei.

Ser Mei Iacobi.

Item stantiaverunt quod ser Meus lacobi notarius sit ambaxiator co-
munis ad eundum ad dictas terras Vallis Lacus ad precipiendum et solli-
CARTE ORVIETANE DELL'ARCHIVIO FARNESE 19

citandum quod mittant fodus et victualia in exercitu cum salario XIII
solidorum et IIII denariorum pro se et uno equo pro quolibet die, et camera
comunis de peccunia comunis vel gabelle solvere teneatur.

Bonuccii Fredi, Cecchi magistri Rolandi.

Item stantiaverunt dicta die VII decembris, hiscripti domini Septem
et VIII de numero XII celebrato solempni scruptineo inter ipsos et obtento
ut supra quod Cecchus magistri Rolandi et Bonuccius Fredi sint grasserii
comunis ad faciendum fieri panem et ad mittendum ipsum in exercitum et

alia victualia et res opportunas, et si iverint extra civitatem, habeant illud -

stipendium pro uno equo quod habebunt alii milites qui ibunt in exercitu
pro quolibet die; dum steterint in civitate nullum salarium habeant.

Die dicta.
Quod milites, pedites, balistarii, magistri lignaminis, macinarii et alii solvatur.

Item stantiaverunt et ordinaverunt modo et forma predictis supra-
dicti domini Septem et VIII de numero XII, et Luccius Mancini, celebrato
scruptineo inter eos, et obtento per XVI palluctas repertas in bussola rubea
de sic, nulla reperta in bussola de non, quod cives Urbevetani qui ibunt
in cavalcata fienda per comune Urbisveteris contra hostes dicti comunis,
Cornetanos, Tuscanellenses et alios, habeant de peccunia et avere comunis
Urbisveteris et gabelle usque in quantitate trium solidorum et IIII dena-
riorum pro quolibet equo et quolibet die et usque in quantitate trium
equorum, et a tribus infra habeant XIII solidos et IIII denarios pro die. si
autem ducetur aliquis civis urbevetanus a tribus equis supra habeat pro
(e)quo quolibet et quolibet die X solidos currentes. Et quod eis fiat paga
pro quatuor diebus et si starent a dictis quatuor diebus supra satisfiat et
satisfieri et solvi debeat eis de peccunia comunis et gabelle ad dictam ra-
tionem pro quolibet die et equo ut dictum est. Item quod pedites et bali-
starii, magistri lignaminis et lapidum et macinarii solvantur de peccunia
comunis pro otto diebus ad rationem V solidorum pro quolibet et quolibet
die, et si ultra steterint ad eandem rationem solvatur. Et camera comunis
de peccunia comunis vel gabelle, militibus, peditibus, balistariis, maci-
nariis, magistris lignaminis et lapidum solvere debeat et teneatur ut supra
dictum est.

Petri Bonaventure, Luccii Mancini.

In nomine Domini amen, anno eiusdem a nativitate millesimo CCCXX,
indictione tertia, tempore domini Iohannis pape XXII, die VIII mensis de-

cembris. Domini Septem nunc ad-defensionem comunis et populi Urbisve-
teris deputati et dominus Bonconte, Bonuccius domini Petri, Latinus domini .

Gilacchini, Meus domini Stephani, Ugolinus Nerii, Dinus Rustichi et domi-
nus Puccius domini Petri de numero XIIIsuper guerra, convenientes in unum

in domo in qua morantur et soliti sunt morari ad eorum offitium exercen-
20 ALDO CERLINI

dum domini Septem, auctoritate et potestate eis concessa, celebrato prius

solempni scruptineo inter ipsos, et obtento de bussolis ad palluctas per XV

palluctas repertas in bussola rubea de sic, nulla reperta in bussola nigra de
non, quod Petrus Bonaventure sit capitaneus et confalonerius balistariorum
civitatis qui ituri sunt in exercitu et habeat duos equos et stipendium quod
habent alii milites pro quolibet equo et quolibet die, et Petrus nollet dictum
offitium et capitanei et confalonerii, sit Luccius Mancini ut supra dictum
est de persona Petri.

Mungniarii de Florentia.

Item stantiaverunt supradicti domini Septem et octo de duodecim,
facto partito de bussolis ad palluctas et obtento per XVI palluctas repertas
in bussola rubea de sic, nulla reperta in bussola nigra de non, quod Mugna-
rius de Florentia computata sua persona, cum XXVI sotiis sit et conduca-
tur ad stipendia comunis Urbisveteris pro uno mense. Et habeat quilibet
ipsorum peditum quinque libras curr. pro mense et solvatur de omni pec-
cunia et avere comunis et peccunia gabelle, et quod camera comunis Urbis-
veteris eidem Mugnario et sotiis solvere debeat cum effectu tamen remancat
in provisione domini Bonconti, Bonuccii et Latini et Petri Nosoldi de
providendo dicto MUSO pro sua persona ultra soldum et stipendium pre-
dictum.

Quod homines et bestie qui ibunt in exercitu habeant VI solidos el muli X
solidos.

Item stantiaverunt quod bestie que mittentur ad portandum panem et
alia fornimenta in exercitu habeat persona que ibit cum bestia pro se et
somario sex solidos denariorum currentium pro quolibet die de pecunia et
avere comunis, ita tamen quod cum quolibet somario sive bestia esse debeat
una persona. Et camera comunis solvere possit de peccunia ipsius comunis
et de peccunia gabelle et predicta intelligatur de bestiis asininis. Muli habeant
X solidos pro die et quolibet mulo secundum cartam populi.

Guercii Ferraguti. -

«In nomine Domini amen, anno eiusdem a nativitate millesimo CCCXX,

indictione tertia, tempore domini Iohannis pape XXII die X decembris..

Domini Septem nunc ad defensionem comunis et pupuli Urbisveteris de-

putati, et dominus Bonconte, Latinus domini Gilacchini, Bonuccius domini

Petri, dominus Puccius domini Petri, Meus domini Stephani, Lemmoccius
Insegne, Dinus Rustichi, Ugolinus Nerii et Nardus Petri de numero XIII
super guerra, convenientes in unum in domo in qua morantur et soliti sunt
morari ad eorum offitium exercendum domini Septem, celebrato prius so-
lempni scruptineo inter ipsos, et obtento de bussolis ad palluctas per XVI
palluctas repertas in bussola rubea de sic, nulla reperta in bussola nigra de
non, auctoritate eorum offitii, stantiaverunt et ordinaverunt quod cum guerra
commode fieri non possit Cornetanis si Guercius Ferragutus non est ad
CARTE ORVIETANE DELL'ARCHIVIO : FARNESE 21

conducendum stipendiarios comunis Urbisveteris tamquam homo qui
habet notitiam totius contrate et semitarum et viarum omnium: quod ipse
Guercius sit ad stipendia comunis et habeatur pro conducto et stipendio
comunis Urbisveteris pro uno mense, qui mensis incipiat hodie, et habeat et
habere debeat de peccunia comunis pro stipendio dicti mensis cum tribus
equis otto florenos auri. Et quod camera cabelle Meo domini Stephani pro
ipso recipienti dare et solvere teneatur de peccunia comunis et gabelle.

Arbitrium domini potestatis super exercitu et cavalcata fiendis contra hostes
comunis Urbisveteris.

In nomine Domini amen, anno eiusdem a nativitate millesimo CCCXX,
indictione tertia, tempore domini Iohannis pape XXII, die X decembris.
Domini Septem nunc ad defensionem comunis et populi Urbisveteris depu-
tati, et Bonuccius domini Petri qui habet vicem domini Boncontis, Latinus
domini Gilacchini, dominus Puccius domini Petri, Lemmus Mancini, Ugo-

linus Nerii Tertie, Dinus Rustichi, Lemmus Insegne, Nardus Petri et Meus.

domini Stephani de numero XIII bonorum virorum positorum super guer-
ra, convenientes in unum in domo in qua domini Septem morantur et soliti
sunt morari ad eorum offitium exercendum, auctoritate et potestate eis
super guerra civitatis Urbisveteris facienda per ordinem populi, celebrato
prius solempni scruptineo inter ipsos de bussolis ad palluctas et obtento per
XVII palluctas repertas in bussola rubea de sic, nulla reperta in bussola
nigra de non, deliberaverunt, providerunt, stantiaverunt et ordinaverunt
pro evidenti onore et statu comunis et populi Urbisveteris et ut dampnum
et periculum inferatur et inferri possit hostibus et inimicis comunis Urbis-
veteris, quod presens dominus potestas civitatis Urbisveteris eiusque offi-
tiales et curia in presenti exercitu seu cavalcata fiendi sive fiendo per co-
mune urbevetanum et populum contra Cornetanos, Tuscanellenses vel
alios rebelles et inimicos comunis et populi prelibati in quo et qua prefatus
dominus potestas adesse debet, habeat et habeant merum et mixtum im-
perium, plenum et plenissimum arbitrium et plenissimam potestatem in-
grediendi, procedendi et puniendi prout de sua et suorum offitialium pro-
cesserit voluntate in dicto exercitu sive cavalcata vel eius occasione contra
omnes et singulos homines sive personas qui sive que ire deberent in dictum
exercitum sive cavaleatam aut quibus preceptum foret sive fuerit quod
ire deberent in dictum exercitum sive cavalcatam et contra omnes et sin-
gulos homines cuiusque universitatis et contra omnes et singulas comuni-
tates, comunia sive pleberia cuiuscumque universitatis vel loci, vel quo-
scumque alios quocumque nomine nuncupentur qui vel que ire vel mittere
deberent in dictum exercitum vel cavalcatam, vel aliquid aliud facere occa-
sione dicti exercitus vel cavalcate et contra omnes et singulos supradictos
et contra omnes et singulas predictas universitates, pleberia sive loca qui et
que in predictis et circa predicta eidem domino potestati vel eius offitiali-
bus tam in eundum in dictum exercitum sive cavalcatam quam stando vel
redeundo aliquod mallefitium sive delictum seu contumaciam committerent,
. wel quomodolibet facerent in alium offendendo vel eidem domino potestati

. Vel suis offitialibus aut eius curie non obedirent, seu non obediendo vel

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22 ' ALDO CERLINI

contumaces quomodolibet existendo tam in eundo, stando vel redeundo ac
in mostris faciendis non representando vel in quocumque alio casu qui dici
vel excogitari possit non obediendo et de omnibus et singulis aliis non parendo
que spectarent aut quomodolibet spectare viderentur vel dicerentur contra
vel preter expedictionem dicti exercitus sive cavalcate, vel que possent
dictum exercitum sive cavalcatam in aliquo perturbare in illis penis multis
bannis sive exationibus que de sua vel suorum processerit voluntate usque
dum taxat in quantitate XXV librarum denariorum currentium pro quo-
libet contrafacienti qui ire debent in dictum exercitum vel cavalcatam aut
pro quolibet homine qui mitti deberet in dictum exercitum vel cavalcatam
in quibus vel ab inde infra prout voluerit ut dictum est possit eos et quem-
libet ipsorum dicti domini potestas vel eius offitiales et curia punire et con-
dempnare et de facto exigere et in comune facere evenire servatis et non

servatis omnibus et singulis substantialibus et substantialium necessariis

solempnitatibus et ordinamentis iuris qui in predictis requireretur aut exi-
geretur tam ex forma iuris, statutorum et ordinamentorum vel carte
populi, dicte civitatis et sine strepitu et figura iudiciorum; non obstantibus
aliquibus statutis comunis, capitulis carte populi, ordinamentis factis vel
faciendis in contrarium loquentibus, que omnia quantum essent predictis
contraria cassa sint et suspensa et pro cassis et suspensis penitus habeantur
et sint et hic pro lectis et scriptis et nominaliter positis et expecifficatis ha-
beantur. Et omnis processus et sententia que darentur et ferrentur super
predictis et. occasione predictorum per ipsum dominum potestatem vel eius
offitiales et curiam habeantur et sint rite et legittime datis, latis et factis et
contra ipsos vel ipsas nichil possit obici vel opponi.

Quod pene mallefitiorum sint duple.

Item stantiaverunt et ordinaverunt quod omnes pene mallefitiorum
que committentur.in dicta cavalcata itinere vel reditu sint'duple, et duppli-
cari debeant. Et locum habeat dicta aduplatio pene seu penarum usque ad
reditum domini potestatis. i

Quod injrascripti prestent equos suos.

In nomine Domini amen, anno eiusdem a nativitate millesimo CCCXX,
indictione tertia, tempore domini Iohannis pape XXII, die X decembris.
Domini Septem nunc ad defensionem comunis et populi Urbisveteris depu-
tati, Bonuccius domini Petri qui habet vocem suam et domini Bonconti
tam pro se quam domino Bonconte, Latinus domini Gilacchini, dominus
Puccius domini Petri, Luccius Mancini, Ugolinus Nerii, Dinus Rustichi,
Lemmus Insegne, Nardus Petri et Meus domini Stephani de numero XIIJ
bonorum virorum super guerra civitatis Urbisveteris convenientes in unum

in domo in qua morantur et soliti sunt morari ad eorum offitium exercen-

dum domini Septem, auctoritate eis concessa, celebrato prius solempni
scruptineo inter ipsos et obtento de bussolis ad palluctas per XVII palluctas
repertas in bussola rubea de sic, nulla reperta in bussola nigra de non, quod
Vannes domini Iohannis det equum'suum Ciolo domini Stephani, vel vadat
personaliter in exercitu.
CARTE ORVIETANE DELL'ARCHIVIO FARNESE 23

Item quod Domperus domini Leonardi det equum suum Chataluccio
Bonaventure, vel vadat personaliter in exercitu.

Item quod Ninus Guidonis det equum suum Lotto Petro Magalotti,
vel vadat personaliter.

Item quod filii Vannis Manentis det equum suum Petrucciolo marischal-
:co, vel personaliter vadat in exercitu.

Item Cione Albergator det equum suum Vannuccio Francischi, vel
vadat personaliter.

Quod domini Septem possint retinere. I equum sive ronginum pro quolibet
pro custodia civitatis.

Die X decembris. Item stantiaverunt et ordinaverunt ut supra per par-
titum factum de bussolis ad palluctas per XVI palluctas repertas in bussola
rubea de sic, nulla reperta in bussola nigra de non, quod quilibet de domi-
nis Septem nunc ad defensionem comunis et populi Urbisveteris deputati
possit quilibet ipsorum retinere sibi unum equum pro custodia civitatis
Urbisveteris sive roncinum et illi quorum essent equi sive roncini essent, non
possint per dominum potestatem gravari eo quod non ivissent in exercitum
sive cavalcatam.

Item Petrus de septem pro arte procacciantium dixit velle retinere
roncinum Loccii Barthi.

Item Petrus Misoldi retinuit roncinum domini Rustichi.

Item Theus Philipparius retinuit roncinum heredum Iacobi Rayanerii
Guillelmi.

Item Cecchus retinuit roncinum Loddi Andree.

Item Binus retinuit roncinum domini Franceschi domini Aree Dom-
peri d. Leonardi.

Item ser Nerius retinuit roncinum Iacobelli ser Raynerii AH up

Item Vannucius retinuit equum domini Franceschi domini Andree.

Chatalucci Bonaventure.

In nomine Domini amen, anno millesimo CCCXX, indictione tertia,
tempore domini Iohannis pape XXII, die XI decembris. Domini Septem nunc
ad defensionem comunis et populi Urbisveteris deputati, et dominus Bon-
conte, dominus Puccius domini Petri, Lemmoccius Insegne Bonuccius do-
mini Petri, Ugolinus Nerii, Meus domini Stephani, Nardus Petri, Latinus do-
mini Gilacchini et Luccius Mancini dé numero XIII sapientum super guerra,
convenientes in: domo in qua domini septem morantur et soliti sunt morari
ad eorum offitium exercendum auctoritate et baylia eis concessa super guerra,
celebrato prius solempni scruptineo inter ipsos, et óbtento per XVI palluc-
tas repertas in bussola rubea de sic, nulla reperta in bussola nigra de non,
stantiaverunt et ordinaverunt quod ad custodiam quadrellorum et aliarum
rerum comunis et pavensium in exercitu seu cavalcata sit et esse debeat
Chataluccius Bonaventure cum stipendiariis cum stipendio XV solidorum
pro die.
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24 $ ALDO CERLINI

Quod -poltraccii non vadant in exercitum.

Item stantiaverunt et ordinaverunt quod nullus polledrus a tribus annis
infra gravetur ire in exercitum vel cavalcatam, set domini cui essent amis-
sione liberi et absoluti et per dictum potestatem: gravari non possint.

De solvendo Bendonem balistariorum.

Item stantiaverunt modo vet forma predictis quod camera comunis de
peccunia comunis dare et solvere debeat pro pretio et Bendonis balistarió-
rum pro sindone et sutura et aliis in eo factis quinque libras et XII solidos.

Die XI decembris, Latini domini Gilacchini.

‘Item stantiaverunt supradicti domini Septem et novem de XIII, facto
partito et obtento per XVI palluctas repertas in bussola rubea de sic, nulla
reperta in bussola nigra de non, quod camera comunis Urbisveteris de pec-
cunia comunis Urbisveteris det et solvat, et dare et solvere debeat Latino
domini Gilacchini quos solverat de suo proprio nuntiis qui iverunt cum lit-
- teris comunis et diversis locis et partibus, quatuor libras et V solidos.

Die dicta. Quod pleberia mittant unum peditem pro mille in exercitu.

Item stantiaverunt supradicti domini Septem et VIIII de numero XIII
super guerra, facto partito et obtento ut dictum est quod pleberia et homines
pleberiorum comitatus Urbisveteris teneantur et debeant mittere in exer-
citum seu cavalcatam fiendam unum peditem pro quolibet miliare sui
alibratus ad penam domini potestatis arbitrio auferendam et ibidem stare
et morari debeant quamdiu licentiati fuerunt per dominum potestatem.

Quod infrascripta comunia mittant in GUARITA LIES ILE UO
peditum.

Item quod infrascripta comunia et terre mittant et mittere debeant in
exercitu seu cavalcata fienda per comune Urbisveteris contra hostes comu-
nis Urbisveteris et continuo tenere in ipsa cavalcata quousque licentiati
fuerint per dominum potestatem ad penam eisdem per dominum potestatem
auferendam.

Comune castri Scetone L X bedites cuni lateis et corettis

"Comune Sartiani + L pedites

Comune Clanciani X L pedites.

Montis Longi.

In nomine Domini amen, anno eiusdem a nativitate millesimo CCCXX,

indictione tertia, tempore domini Iohannis pape XXII, die XI decembris,
Domini Septem nunc ad defensionem comunis et populi Urbisveteris depu-
CARTE ORVIETANE DELL'ARCHIVIO FARNESE 25

tati et dominus Bonconte, dominus Ugolini, Meus domini Stephani Ugoli-
nus Nerii, Lemmoccius Insegne et Nardus Petri qui habet vocem Dini Ru-
stichi et Benuccii domini Petri pro se et predictis quorum voces habet, La-
tinus domini Gilacchini, dominus Puccius domini Petri et Cecchus domini
Cerfaglie de numero XIII sapientum supra guerra, convenientes in unum
in domo in qua morantur et soliti sunt morari domini Septem, auctoritate
et potestate eis concessa celebrato prius solempni scruptineo inter ipsos et
obtento de bussolis ad palluctas per XVIII palluctas repertas in bussola
rubea de sic, nulla reperta in bussola nigra de non, stantiaverunt, et or-
dinaverunt et firmaverunt quod comune Montis Longi pro XIII pedi[ti]bus
quos mittere debebant in erexcitum solvant comuni urbevetano V solidos
pro quolibet pedite de dictis XIII peditibus quos mittere debebant in exer-
citu seu cavalcata pro quolibet die pro otto diebus, et si exercitus seu ca-
valcata moraretur ultra dictum tempus, solvant ad eandem: rationem, et
facta solutione predicta, gravari vel comdemnari non possit per dominum
potestatem civitatis Urbisveteris occasione talis missionis peditum non facte
in exercitu.

Quod equi infrascriptorum civium non vadant in exercitum.

Item stantiaverunt quod roncini et equi infrascriptorum civium rema-
nere debeant in Urbeveteri pro- custodia facienda et aliis oportunis comuni
et non teneatur ipsos mittere in exercitum vel cavalcatam fiendam et si non
mitterent condempnari vel gravari per dominum potestatem non possit.
Nomina quorum hominum quorum sunt equi et roncini sunt hec: Nuccius,
Monalduccius domini Guillelmi, Dominicus Franceschi, Alberuccius Pepi.

Domini Boncontis, Manni, Bonucci.

In nomine Domini amen, anno eiusdem a nativitate millesimo CCCXX,
inditione tertia, tempore domini Iohannis pape XXII, die XII mensis decem-
bris. Domini Septem nunc ad defensionem comunis et populi Urbisveteris de-
putati et dominus Bonconte domini Ugolini, Latinus domini Gilacchini, Ugo-
linus Nerii, Lemmoccius Insegne, dominus Puccius domini Petri, Bonuccius
domini Petri, Meus domini Stephani et Nardus Petri de numero XIII sa-
pientum virorum deputatorum super guerra civitatis Urbisveteris, conve-
nientes in unum in domo in qua domini Septem morantur et soliti sunt morari
ad eorum offitium exercendum, celebrato prius. inter ipsos solempni Scrup-
tineo et obtento de bussolis ad palluctas per XV palluctas reperta in bus-
sola rubea de sic, nulla reperta in bussola nigra de non, quod dominus Bon-
conte, Mannus dominr Corradi et Bonuccius domini Petri vendant et ipsorum
quilibet vendere debeat urbevetano comuni quatuor rasserios grani pro
faciendi fieri panem causa mittendi in exercitum, qui habeant de peccunia
comunis pro pretio cuiuslibet raseri solidos denariorum currentium pro quo-
libet ipsorum et possint et debeant discontare in eorum gabella de eo quod
solvere debent, et ipsorum quilibet solvere debent et si cabellam non haberent
solvere quam integre solvissent, satisfiat eis de peccunia comunis et gabella.

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26 ALDO CERLINI

Ser Mei lacobi de subripa.

Item stantiaverunt modo et forma predictis quod' ser Meus lacobi de
sub ripa notarius sit ambaxator ad eundum in Vallem Lacus ad precipien-
dum ipsis terris Vallis Lacus quod continue mittere debeant foderum in
exercitum et predicta precipiat ad graves penas et habeat VII solidés de pec-
cunia comunis et detur sibi ad ducendum mulettum.

Die XVI. Quod equi infrascriptorum hominum remaneant ad custodiam civi-
latis. |

Domini Septem nunc ad defensionem comunis et populi Urbisveteris

deputati et dominus Bonconte, Bonuccius domini Petri, Cecchus domini

Cerfaglie, Mannus domini Corradi, dominus Puccius domini Petri, Nardus.
Petri, Latinus domini Gilacchini, Ugolinus Nerii et Lemmus Insegne de
numero XIII bonorum virorum super guerra convenientes in unum in domo
in qua domini Septem morantur et soliti sunt morari ad eorum offitium exer-
cendum, auctoritate et baylia offitii eis commissi super guerra, celebrato
prius solempni scruptineo inter ipsos et obtento de bussolis ad. palluctas
per XVII palluctas repertas in bussola rubea de sic, nulla reperta in bussola
nigra de non, stantiaverunt et ordinaverunt et firmaverunt quod equi infra-
scriptorum bonorum virorum stare et esse et permanere debeant ad custo-
diam civitatis Urbisveteris et ad servitium dominorum Septem et XII pro
"factis et negotiis comunis et quod de eo quod non ivissent in exercitum
seu cavaicatam nüper factam contra comune Corneti et ad alios hostes
comunis Urbisveteris nullam penam patiantur et domin! Septem contra
ipsos vel aliquem ipsorum procedere non possit vel ipsos punire de predictis,
statutis, ordinamentis vel iure aliquo non obstante. Nomina quorum sunt
hec: Dominus Bonconte domini Ugolini, dominus Angelus domini Ranuccii,
Cinus domini Monaldi, Marciallia domini Chatalani, Cecchus domini Cer-
faglie, Spinuccius domini Gilacchini, Ceccharellus Iacobi Magalotti; heredes

domini Petri Monaldi, dominus Ugolinus Lupicini, Loddus Andree, Ange-

luttius Iannis Roggerii.

Quod illi qui non habebant equos non gravetur.

Item stantiaverunt et ordinaverunt eo: modo et forma quibus supra
quod omnes,jlli homines et persone qui equos non habent et non habebant
non obstante quod eis esse et preceptum vel fuissent per dominum potesta-
tem vel eius offitiales quod ire deberet cum equo in exercitum, si legitime
probaverint quod equum non habebant vel quod equus ipsorum esset tunc
extra civitatem et dixtrictum, factis legittimis excusationibus per ipsos non
graventur vel gravari possint per dominum potestatem vel eius curiam set
a tali missione sint penitus absoluti. :

Heredes domini Rainerii et heredes Ugolini. ;

Item stantiaverunt et ordinaverunt quod heredes Ugolini domini Ray-
nerii et heredes domini Raynerii Monaldi non graventur vel gravari possint
vel debeant, vel condempnari per dictum dominum.

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— rar)
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CARTE ORVIETANE DELL’ARCHIVIO FARNESE 27
Domini Raynerii domini Caccherie.

In nomine Domini amen, anno eiusdem a nativitate millesimo CCCXX,
inditione tertia, tempore domini Iohannis pape XXII, die XX decembris.
Domini Septem nunc ad defensionem comunis et populi Urbisveteris depu-
tati et dominus Bonconte domini Ugolini, Ugolinus Nerii, Meus domini
Stephani, Luccius Mancini, Dinus Rustichi, Bonuccius domini Petri, Cec-
cus domini Cerfaglie et dominus Puccius domini Petri pro se et Luccio
Mancini cuius vices et vocem gerit ea commissione eidem facta et Lemmoc-
cius Insegne de numero XIII sapientum super guerra, convenientes in domo
in qua domini Septem morantur et soliti sunt morari ad eorum offitium
exercendum, auctoritate eis concessa super guerra et ad inveniendum pec-
cuniam pro solvendis stipendiariis et solvendis militibus in exercitu existen-
tibus et balistariis qui ibidem sunt et pro fodero et aliis oportunis, celebrato
prius solempni scruptineo inter ipsos et obtento de bussolis ad palluctas per
XVI palluctas repertas in bussola rubea de sic, nulla reperta in bussola nigra
de non, stantiaverunt et ordinaverunt et firmaverunt cum nulla sit alia via
que brevior vel utilior et minus dampnosa comuni urbevetano quod a nobili
milite domino Raynerio domini Gaccherie accipiantur mutuo pro comuni
urbevetano CCCL floreni aurei pro solvendis militibus et balistariis qui sunt
in exercitu et cavalcata factis contra Cornetanos et Tuscanellenses et alios
hostes comunis Urbisveteris et quod dictis CCCL floreni restituantur
eidem de peccunia comunis et peccunia introytuum gabelle et etiam de peccu-
nia dicte gabelle solvantur et dentur eidem in una manu L libras et in
alia XL libras pro cavallata et in alia manu ottolibras pro quadam ambaxiata,
et in alia manu XXXII florenos auri et dimidium quos habere debebat et
debet pro residuo suarum prestationum ut patet per apodixas et publicum
instrumentum; et quod pro predictis quantitatibus et qualibet ipsarum omnis
introytus et proventus gabelle sint eidem domino Raynerio obligate usque
ad integram satisfactione ipsarum quantitatum et cuiuslibet earum sati-
sfactis primo florenis mutuatis per dominum episcopum et etiam satisfacto
Manno domini Corradi de C libris. Et quod ipso domino episcopo et Manno

satisfactione facta satisfieri debeat eidem domino Raynerio subsequenter
et quod peccunia tota que colligetur et exigetur et introytus ipsius gabelle
sint eidem domino Raynerio obligate et eidem dari et solvi debeat cum effectu
usque ad integram satisfactionem quantitatum predictarum et potestatem

. Vel eius curiam eo quod non ivissent in exercitu personaliter secundum precep-

tum eis factum in persona, set eis sufficiat, misisse scambium, statuto,
ordinamento vel precepto aliquo non obstante.

Cecchi magistri Rolandi quod solvat victualia vecturalibus.

In nomine Domini amen, anno eiusdem a nativitate millesimo CCCX X,
inditione tertia, tempore domini Iohannis pape XXII, die XVIII mensis de-
cembris, Domini Septem nunc ad defensionem comunis et populi Urbisveteris
deputati, et dominus Bonconte domini Ugolini, dominus Puccius domini Pe-
tri, Cecchus domini Cerfaglie, Dinus Rustichi, Lemmoccius Insegne, Ugolinus
Nerii, Meus domini Stephani et Dinus tam pro sua Voce quam pro voce Luccii
PETE RETRO a

DE

28 : ALDO CERLINI.

Mancini de numero XIII sapientum super guerra, celebrato prius solempni
scruptineo inter ipsos et obtento de bussolis ad palluctas per XV palluctas
repertas in bussola rubea de sic, nulla reperta in bussola nigra de non, aucto-
ritate eorum offitii, stantiaverunt et ordinaverunt et firmaverunt quod
Cecchus Magistri Rolandi qui est grasserius comunis et ad cuius manus per-
venerunt XLII libras de pretio panis comunis venditi in exercitu, teneatur
et debeat solvere et dare vecturalibus qui portaverunt et portabunt victualia,
fodus et necessaria in exercitu seu cavalcata facta contra comune Corneti et
Tuscanelle, et quod camera comunis silicet Ninus vel filius cum duobus de di-
ctis Septem debeant esse presentes quando fiet solutio vecturalibus predictis.
quod peccunia gabelle et introytus ipsius gabelle integre dari et solvi debeant
eidem Domino Rayneris usque ad integram satisfatione quantitatum pre-
dictarum et cuiuslibet earum et quod in nullos alio$ usus vel causis vel
rebus dari debeant vel possint introytus gabelle pignorari vel obligari modo
aliquo sine causa quousque ipse dominus Raynerius non fuerit integre sa-
tisfactus. Et si qua datio vel obbligatio vel concessio vel ordo in contra-
rium fieret, non valeat ipso iure, et quod camera comunis Urbisveteris et
camera gabelle de peccunia ipsius gabelle nisi ipsi domino Raynerio et quou-
sque eidem domino Raynerio de predictis quantitatibus et qualibet earum
non fuerit satisfactus ad plenum et sine diminutione. Et domini Septem,
XIII de guerra et camera comunis et gabelle predicta observare et iurare
observare teneantur; ita tamen quod quando fiet solutio et restitutio di-
ctorum florenorum et peccunie per cameram comunis vel gabelle ab ipso do-
mino Raynerio quietantia pro comuni, et liberatio recipiatur et fiat.

Quod Bonuccius possil aquirere saccos pro pane.

In nomine Domini amen, anno eiusdem a nativitate millesimo CCCXX,
inditione tertia, tempore domini Iohannis pape XXII, die XX decembris.
Domini Septem nunc ad defensionem comunis et populi Urbisveteris deputati
et dominus Bonconte domini Ugolini, Dinus Rustychi, Ugolinus Nerii, Meus
domini Stephani, Bonuccius domini Petri, Lemmoccius Insegne, dominus
Puccius domini Petri, Cecchus domini Cerfaglie et Dinus pro voce sua et Luc-
cii Mancini de numero XIII bonorum virorum super guerra, convenientes
in unum in domo in qua domini Septem morantur et soliti sunt morari ad
eorum offitium exercendum, auctoritate et baylia eis concessa, celebrato prius
solempni scruptineo inter ipsos et obtento de bussolis ad palluctas per XVI
palluctas repertas in bussola rubea de sic, nulla reperta in bussola nigra de
non, stantiaverunt et ordinaverunt et firmaverunt quod liceat et licitum sit
Bonnuccio Fredi grascerio comunis acquirere saccos necessarios in quibus
portet et portari possit panis in exercitus Urbisveteris qui est contra Corneta-
nos et Tuscanellenses. Et quod si aliquid de dictis sacchis perderetur vel
devastaretur ementur et emenda fiat de peccunia comunis Urbisveteris. Et
solvatur etiam pensio dictorum sacchorum commoditatibus de peccunia
comunis; et quod dictus Bonuccius de peccunia comunis dictas expensas et
solutiones facere possit et de peccunia que percipietur de pretio panis co-
munis.

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CARTE ORVIETANE DELL'ARCHIVIO FARNESE 29

[4

Die XXVII decembris. Quod illi qui miserunt eos prestando aliis non graventur. |

Item stantiaverunt et ordinaverunt domini Septem nunc ad defensio-
nem comunis et populi Urbisveteris deputati et dominus Bonconte domini
Ugolini, Bonnuccius domini Petri, Nardus Petii, Latinus domini Gilac
chini, Lemmoccius Insegne, Meus domini Stephani, Mannus domini Corradi,
Ugolinus Nerii et dominus Puccius domini Petri de numero XIII sapien-
tum virorum super guerra convenientes in unum in domo in qua domini
Septem morantur et soliti sunt morari ad eorum offitium exercendum, cele-
brato prius solempni scruptineo inter ipsos et obtento per XVI palluctas
repertas in bussola rubea de sic, nulla reperta in bussola nigra de non, stan-
tiaverunt et firmaverunt et ordinaverunt quod omnes illi homines et per-
sone. quibus preceptum fuerit et fuit et esset quod ire deberent ‘et littere
equum suum in exercitu et cavalcata facta contra Cornetanos et Tusca-
nellenses, si apparebit vel appareretur legittime equum suum dedisse et
concessisse alteri persone que equum talis persona duxisset, habuisset et
tenuisset in dicto exercitu non obstante quod ipse non ivisset personaliter
in dicto exercitu vel cavalcata gravari, molestari vel condempnari non pos-
sit per dominum potestatem vel eius curiam, set potius a personali itinere
sit liber et absolutus et omnis processus et condempnatio que fierent contra
predictos sit nullius efficace vel valoris. Et quod in presenti ordine expeci-
ficari possint illi homines et persone que eum vel equos aliis comodasset ut
dictum est. |

Bonnucii Fredi.

Item stantiaverunt et ordinaverunt quod Bonuccius Fredi gravari,
condempnari vel molestari non possit eo quod equum suum non misisset
in exercitum cum steterit et remanserit pro factis et negotiis comunis et de
licentia dominorum pono et XII

Die XXVII decembris. Quod solutiones ambaxiatoris missi per dominos Sep-
lem et XII super guerra sint firme.

Domini Septem ad defensionem comunis et populi Urbisveteris deputati
et dominus Bonconte domini Ugolini, Nardus Petri Leonardi, Lemmoccius In-
segne, Meus domini Stephani, Mannus domini Corradi, Ugolinus Nerii, do-
minus Puccius domini Petri, Latinus domini Gilacchini et Luccius Mancini
de numero XIII super guerra convenientes in unum in domo in qua morantur
domini Septem et soliti sunt morari ad eorum offitium exercendum, auctori-
tate eis concessa et baylia super guerra, celebrato prius solempni scruptineo
inter ipsos et obtento de bussolis ad palluctas per XVII palluctas repertas
in bussola rubea de sic, nulla reperta in bussola nigra de non, stantiaverunt
et ordinaverunt et firmaverunt quod omnes et singule solutiones facte per
cameram comunis vel gabelle ambaxiatori vel ambaxiatoribus missis ad
Montem Flasconem, in Valle Lacus, Texennanum et ad terras illorum de
Farneto ad civitatem Peruscii, vel Poncellum, vel ad personas, comunia
vel loca alia occasione guerre, sint firme et legittime et pro legittime factis
et solutis habeantur et contra ipsas nichil possit obici vel opponi. Et quod
30 ALDO GERLINI

nomina illorum ambaxiatorum possint in presenti ordine expecifficari et
si ipsi ambaxiatores fuissent de numero XII de guerra vel extra ipsum nu-
merum.

Ugolini de Alviano.

In nomine Domini amen, anno eiusdem a nativitate millesimo CCCXX,
indictione tertia, tempore domini Iohannis pape, XX, die XXVII decem-
bris. Domini Septem nunc ad defensionem comunis et populi Urbisveteris
deputati et dominus Bonconte domini Ugolini, Bonuccius domini Petri,
Nardus Petri, Lemmoccius Insegne, Meus domini Stephani, Mannus domi-
ni Corradi, Ugolinus Nerii, dominus Puccius domini Petri, Latinus domini
Gilacchini et Luccius Mancini de numero XIII super guerra deputati per
comune Urbisveteris convenientes in unum in domo in qua morantur et
soliti sunt morari domini Septem ad eorum offitium exercendum, celebrato
prius solempni scruptineo inter ipSos de bussolis ad palluctas et obtento
per XVII palluctas repertas in bussola rubea de sic, nulla reperta in bussola
nigra de non, stantiaverunt et ordinaverunt et firmaverunt quod camera
comunis Urbisveteris de peccunia comunis vel gabelle teneatur et debeat
solvere Ugolinuccio de Alviano pro illis diebus quibus ivit et stetit in exerci-
tum seu cavalcatam factam contra comune Tuscanelle et Corneti pro otto
equis, silicet pro tribus equis ad rationem XL solidorum pro quolibet die
et pro V equis ad rationem X solidorum pro quolibet die, salvo quod pec-
cunia gabelle solvi non possit nisi primo satisfiat domino Raynerio domini
Caccarie; et quod si Vannes Franceschi habet peccunia comunis de ipsa
solvere libere possit et tenere eidem Ugolinuccio ut dictum est, statuto vel
ordine non obstante.

Ser Cellis ser Vannis notarii.

Item stantiaverunt et ordinaverunt supra dicti domini Septem et
VIIII de numero XIII super guerra, facto solempni partito et obtentó de bus-
solis ad palluctas per XVII palluctas repertas in bussola rubea.de sic, nulla

reperta in bussola rubea de sic (sic), excepto Manno qui se absentavit, quod :

ser Cellus, ser Vannis notarius qui pubblicare debet ordinem ambaxiatorum
et ambaxiataram et aliarum expensarum factarum et stantiamenta domi-
norum Septem que tangunt expensas factas per dominos Septem et XIII
super guerra habeat et habere debeat de omni peccunia. comunis et gabelle
unum florenum aurei, et camera comunis Urbisveteris eidem dictum flore-
num libere solvere possit, statuto vel ordine non obstante.

Domini Ranuccii potestatis civitatis Urbisveleris.

In nomine Domini amen, anno eiusdem a nativitate millesimo CCCXX,
indictione tertia, tempore domini Iohannis pape XXII, die ultimo decem-
bris. Domini Septem nunc ad defensionem comunis et populi Urbisveteris
deputati et dominus Bonconte, Mannus domini Corradi, Bonuccius domini
Petri, Latinus domini Gilacchini, dominus Puccius domini Petri, Nardus

— rm aen

CARTE ORVIETANE DELL'ARCHIVIO FARNESE 31

Petri, Lemmoccius Insegne, Luccius Mancini et Ugolinus Nerii de numero
XIII bonorum virorum per Urbevetanum comune ad guerram deputatorum,
convenientes in unum in domo in qua domini Septem morantur et soliti
sunt morari ad eorum offitium exercendum, auctoritate et potestate et bay-
lia eis concessa per consilium populi civitatis Urbisveteris, et omni modo
et iure quibus melius potuerunt, celebrato prius solempni scruptineo inter
ipsos de bussolis ad palluctas et obtento per XVI palluctas repertas in bus-
sola rubea de sic, nulla reperta in bussola nigra de non, stantiaverunt et
ordinaverunt et firmaverunt quod dominus Ranuccius de Senis presens
potestas civitatis Urbisveteris eo quod ivit in exercitum seu cavalcatas
factas per comune Urbisveteris contra Cornetanos et T'uscanellenses et
alios hostes et inimicos comunis Urbisveteris extra districtum civitatis
Urbisveteris cum militibus, peditibus et balistariis dicti comunis et in dicto
exereitu seu cavalcatis habuerit et habuit: XIII equos quod. ipse dominus

. Ranuccius potestas pro decem equis habeat et habere debeat de peccunia

et avere dicti comunis Urbisveteris quinque libras denariorum currentium
pro quolibet die quo stetit, tam in eundo, stando quam redeundo in dictum
exercitum seu cavalcatas et pro tribus equis quos habuit et tenuit ultra nu-
merum decem equorum, habeat et habere debeat pro quolibet die quo stetit
in dictum exercitum, et pro itinere et reditu XL solidos denariorum curren-
tium. Et quod camera comunis Urbisveteris teneatur et debeat de omni
peccunia et avere comunis dare et solvere eidem Ranuccio potestati dictam
quantitatem peccunie ad sui requisitioni, et voluntatem, non obstante ali-
quo statuto comunis, capitulo carte populi et spetialiter capitulo carte po-
puli quod loquitur quod dominus potestas et capitaneus debeat esse con-
tentus suo salario, et quolibet alio capitulo carte populi, ordine vel iure in
contrarium loquentibus, que omnia et singula quam essent predictis con-
traria cassa sint et suspensa et auctoritate presentis ordinis correcta.

Bonnuccii Fredi, Cecchi magistri Rolandi.

In nomine Domini amen, anno eiusdem a nativitate millesimo CCCXX,
indictione tertia, tempore domini Iohannis pape XXII, die ultimo decem-
bris. Domini Septem nunc ad defensionem comunis et populi Urbisveteris
deputati et dominus Bonconte domini Ugolini, Mannus domini Corradi,
Bonuccius domini Petri, Latinus domini Gilacchini, dominus Puccius do-
mini Petri, Nardus Petri, Lemmoccius Insegne, Luccius Mancini et Ugoli-
nus Nerii de numero XIII bonorum virorum per urbevetanum comune super
guerra deputatorum, convenientes in unum in domo in qua domini Septem
morantur et soliti sunt morari ad eorum offitium exercendum, auctoritate
et baylia eorum offitii, celebrato prius solempni scruptineo inter ipsos et ob-
tento de bussolis ad palluctas per XVI palluctas repertas in bussola rubea
de sic, nulla reperta in bussola nigra de non, stantiaverunt et ordinaverunt
quod Bonnuccius Fredi habeat et habere debeat pro X X diebus quibus ste-
tit et servivit ad offitium grascie mittende in exercitum factum contra Tu-
scanellenses et Cornetanos pro suo feudo et salario IIII solidos pro quoli-
bet die de peccunia at avere dicti comunis. Item Cecchus magistri Rolandi
habeat et habere debeat qui etiam fuit grascerius comunis pro VI diebus

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32 ALDO CERLINI

quibus servivit, IIII solidos denariorum currentium pro quolibet die; et
quod camere comunis predictis Bonuccio Fredi et Cecchi de pecunia comu-
nis solvere teneatur et debeat, statuto vel ordine non obstante.

Iohannis Bacharocci.

Item stantiaverunt et ordinaverunt predicti domini Septem et X de
numero XII, facto solempni partito inter ipsos de bussolis ad palluctas et
obtento per XII palluctas repertas in bussola rubea de sic, non obstantibus
quatuor qui miserunt eorum palluctas in bussola nigra de non, quod
Iohannes Bacharoggus qui est in carceribus comunis tamquam homo su-
spectus hostis et inimicus partis guelforum per dominum potestatem civi-
tatis Urbisveteris debeat in dictis carceribus teneri et custodiri nec ipsum
debeat relaxare quousque pax facta non esset inter comune Urbisveteris,

Cornetanos et Tuscanellenses aliqua ratione vel causa ad penam M libra-

rum quam ipse dominus potestas incurrat si contra faceret; verum si isto me-
dio tempore ipse Iohannes vellet curare «et curas fideiussiones bonas dare
de non offendendo et quod non offendet aliquem civem comitatus et distric-
tus Urbisveteris in avere vel persona ad penam IIM librarum denariorum
currentium debeat relaxari. Qui fideiussores per cameram comunis debeant
approbari et predicta dominus potestas debeat et teneatur observare et
executioni mandare ad penam M librarum denariorüm currentium.

Item quod equi et peccunia dicti Iohannis Bacharocci deponatur apud
illam personam que placebit ipsi Iohannis et ad eius petitionem et de eis
fiat sicut sibi placuerit dum modo satisfieri debeat primo domino Bonconti

Mar PASSO de expensis datis equis ipsius in cautione et aliis.

Mugnarii Doni de Florentia.

In nomine Domini amen, anno eiusdem a nativitate millesimo CCCXXI,

indictione quarta, tempore domini Iohanhis pape XXII; die V? mensis ia-

nuarii, domini Septem nunc ad defensionem comunis et populi Urbisveteris
deputati et Cola Berardini Nasi, Luccius Nicchole, Dominicus Sartiani,
Albertus Nini, Magister Angelus Barthi, Iacobellus ser Raynerii Tertie,
Alberuccius Pepi, ser Angelus Guidonis, Matheoccius Quintavailis et ser
Petrus domini Petri abbatis de numero XII super guerra, absentibus aliis
eorum sotiis tamen citatis, convenientes in unum in domo in qua domini
Septem morantur et soliti sunt morari ad eorum offitium exercendum, auc-
toritate et baylia eorum offitii, celebrato prius solempni scruptineo inter
ipsos et obtento de bussolis ad palluctas per XVII palluctas repertas in

- bussola rubea de sic, nulla reperta in bussola nigra de non, stantiaverunt et

ordinaverunt et firmaverunt quod Mugnarius:Doni de Florentia sit et esse
debeat ad stipendia comunis Urbisveteris cum XXVI sotiis computata eius
persona in dicto numero pro uno mense, qui mensis incipiat a fine temporis
conducti, alias ad unum mensem tunc proxime subsequentem, cum stipen-
dio centum solidorum pro quolibet de dictis peditibus pro dicto mense.
Et quod camera comunis eisdem stipendiariis Mugnario et sotiis solvere
CARTE ORVIETANE DELL'ARCHIVIO FARNESE 33

possit de omni peccunia et avere comunis et peccunia gabelle, et quod ad

presens satisfiat eis pro XV diebus et dictus Mugniarius habeat pro sua per-
‘sona pagam duplam. :

Guercit Ferraguti.

In nomine Domini amen, anno eiusdem a nativitate millesimo CCCX XI,
indictione quarta, tempore domini Iohannis pape XXII, die VII mensis
ianuarii. Domini Septem nunc ad defensionem comunis et populi Urbis-
veteris deputati et Cola Berardini Nasi, Matheoccius Quintavallis, Iaco-
bellus ser Raynerii, ser Petrus domini Petri, magister Angelus Barthonis
Medicus Luccius Nicchole, magister Angelus Guidonis Septespanne, Albe-
ruccius Pepi et Dominicus Sartiani de numero XII super guerra, absenti-
bus aliis tamen citatis, convenientes in unum in domo in qua. domini Sep-
tem morantur et soliti sunt morari ad eorum offitium exercendum, celebrato
prius solempni scruptineo inter ipsos et obtento de bussolis ad palluctas per
XVII palluctas repertas in bussola rubea de sic, nulla reperta pallucta in
bussola nigra de non, stantiaverunt et ordinaverunt et firmaverunt quod
Guercius Ferraguti et Carcarella eius filius sint ad stipendia comunis Urbis-
veteris pro uno mense et habeant pro eorum salario et stipendio cum duo-
bus equis sex florenos auri et solvatur sibi pro XV diebus ad presens.

Ser Nuti Guidonis.

Item stantiaverunt et ordinaverunt quod ser Nutus Guidonis notarius
sit ambaxiator comunis Urbisveteris ad eundum in Marittimam ad facien-
das mostras stipendiariorum comunis Urbisveteris tam equitum quam pe-
ditum, et ducat duos equos et solvatur sibi pro VI diebus, et questiones
omnes eius remaneant in eo statu in quo nunc sunt de quibus ipse est pro-
curator et super eis nulla novitas fiat usque ad suum reditum.

Quod camera faciat aliam clavem in Porta Sancte Marie.

Item stantiaverunt quod camera comunis teneatur et debeat pro acon-
cimine et serrature et clavis ianue facte porte Sancte Marie expendere XX
solidos. :

L . L] . . . . . . . . . . . . * . . . . . . . . . .
A

VIE TI

LA CASA PATERNA DI 5. CHIARA

E FALSIFICAZIONI STORICHE DEI SECOLI
XVI E XVII INTORNO ALLA MEDESIMA
SANTA E A S. FRANCESCO D’ASSISI.

Alla memoria di. Clara Lucilla: Loccatelli
purissimo fiore di Assisi

SoMManio. — I. La vera e le false Case paterne di S. Chiara di Assisi alla luce di documenti nuovi:
A) La Casa paterna di S. Chiara sorgeva in Piazza S. Rufino e precisamente nelle immediate
vicinanze del campanile della Cattedrale; B) La creduta identificazione della Casa paterna di
S. Chiara con la casa Taccoli di Via del Ceppo della Catena era basata sopra un documento
falso; C) Una falsa Casa paterna di S. Chiara venduta, nel 1625, da un membro della fami-
glia Bini ad una pia religiosa di Marsiglia; D) Come, verosimilmente, nacquero le false tradi-
zioni riguardo alle case di G. Battista Bini e di Umilia Bini, asserite Case natali di S. Fran-
cesco e di S. Chiara.

II. Le false e la vera Genealogia di S. Chiara d'Assisi e del Beato Rufino, Compagno di
S. Francesco. — Ubicazione della Casa paterna di questo Beato.

III. Falsa attestazione di una impossibile visita alla Tomba di S. Chiara nel secolo xvrr.

IV. Un sospetto, se non proprio falso, documento del 1238 riguardante S. Chiara e il
Monastero di S. Damiano di Assisi. - La Beata Benedetta d'Assisi e la sua Genealogia.

V. Una falsa lettera dell' Imperatore Federico II sull'espugnazione di Spoleto nel 1206,
conservata in un convento francescano di Assisi. i

VI. Un attestato apocrifo del Comune di Assisi sulla esistenza nel secolo xvi della pro-
genie di S. Francesco. — Fantasticherie intorno a visite ad una giammai esistita «terza chiesa »
nella Basilica di Assisi. — Un immaginario epitaffio sulla Tomba del Santo.

VII. Una lista apocrifa di nobili Assisani, del 1253, tra cui un non mai esistito fratello
di S. Chiara ed un immaginario capostipite dei Bini.

VIII. «Storie » secentesche di Assisi infarcite di favole. — Una falsa « Cella di S. Chiara »
nel Monastero di S. Apollinare. — La pretesa origine francese di Pica, Madre di S. Francesco,
è una mistificazione del secolo XVI.

IX. Un fantastico albero genealogico degli ascendenti di S. Francesco, compilato in
Umbria tra la fine del secolo xvi e il principio del xvIr.

. X. Tavole illustrative.

I. T

La vera e le false ease paterne di S. Chiara d'Assisi
alla luce di documenti nuovi.

Verso la metà dell'Ottocento lo storico assisano Vincenzo Locca-
teli, parlando della Casa paterna della sua gloriosa concittadina
S. Chiara, affermava, ben a ragione, che per essere stata il nido di una

progenie.di Santi tale casa meritava di essere con tutta venerazione
LA CASA PATERNA DI S. CHIARA 35

ricercata (1). Infatti egli la ricercó; e credette anzi di averla trovata.
Ma fidandosi di un documento che egli riteneva autentico ed in-
vece era apocrifo, il Loccatelli cadde in grave errore e, senza volerlo,
‘trascinò in questo tutti quegli altri biografi della Santa, che dipoi cie-
camente lo seguirono. |

La felice scoperta del Processo di Canonizzazione di S. Chiara,
dovuta al P. Zeffirino Lazzeri (2), fece tornare in campo il problema,

dato che in quello si trovarono elementi nuovi e autentici, i quali,
insieme ad altri conosciuti, avrebbero potuto condurre a risolverlo.

Il P. Lazzeri, dietro un'indicazione avuta da un suo confratello,
ricordò un documento del secolo xir, nel quale, incidentalmente, si
parla della casa del proavo della Santa, e, commentando la deposi-
zione di una teste che accennava alla casa di abitazione del padre di
S. Chiara, defini il detto accenno « notizia che potrà servire per l'ubi-
cazione della casa di S. Chiara » (3). Peraltro il Lazzeri lasció insoluto
il problema, che esulava allora dalle sue investigazioni.

Chi lo affrontó decisamente e gli dette felice soluzione fu Arnaldo
Fortini, notissimo storico e podestà di Assisi, il quale nel 1926 — in
seguito a nuovi studi da lui compiuti su S: Francesco e sulla città al
tempo del Santo (4) — fece risplendere di luce meridiana la verità,
identificando con tutta certezza la località (Piazza S. Rufino), dove
fu la Casa paterna di S. Chiara, cioé la magione benedetta in cui
Essa visse con la madre Beata Ortolana e con le sorelle S. Agnese e
Beata Beatrice — se non pure con le Beate Balvina, Amata e Agnese,
sue nipoti carnali — prima di lasciare il mondo e seguire nella via della
rinunzia e della perfezione evangelica l'immortale Patriarca Poverello.

A) La Casa paterna di S. Chiara sorgeva in Piazza S. Rufino preci-
samente nelle immediate vicinanze del campanile della Cattedrale.

Appoggiandosi a documenti inoppugnabili, il Fortini (Op. cit.,
pagg. 211-237), in occasione del recente centenario francescano, fece

(1) LoccATELLI VINCENZO, Vita di S. Chiara di Asisi. Asisi, 1854, Tipogr.
Sgariglia, pag. 38.

(2) LAZzERI P. ZEFFIRINO, O. F. M., Il Processo di Canonizzazione di
S. Chiara d' Assisi. Edito in « Archivum Franciscanum Historicum », anno XIII,
tomo XIII, 1920, pagg. 403-507. Noi, riferendoci a detto A. FH, e non all'estratto
che ne fu tirato o alle singole deposizioni dei testi, citeremo semplicemente
con l'abbreviazione: Proc. i

(3) Proc. cit., pag. 442.

(4) ForTINI AnNALDO, Nova Vita di San Francesco d'Assisi. Milano,
1926, Casa Editrice Alpes.
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36 P. GIUSEPPE ABATE

conoscere al mondo devoto che la Casa paterna di S. Chiara sorgeva,
senza dubbio alcuno, nella contrada di S. Rufino e precisamente sul

" fianco sinistro della Piazza della Cattedrale.

Nel Processo di Canonizzazione della Santa (1), scriveva allora
l'illustre A., si hanno a questo proposito molti dati che debbono essere
rilevati, e cioé:

« Pacifica di Guelfuccio (2) afferma che «tra la casa sua et quella
della virgine Chiara non ce era in mecco se non la piacca. Anche Pie-
tro di Damiano dice che egli con suo padre «era vicino a la casa de
sancta Chiara et del padre et de li altri de casa sua ».

«In un atto del 1148 (3) il nonno di S. Chiara, Offeduceio. si
obbliga con suo fratello Rinaldo in confronto con la chiesa di S. Ru-
fino come segue: Nos filii Bernardi Offredutius et Rainaldus non le-
vaverimus domum nostram que est juxta ecclesiam et juxta viam nisi
quantum modo est.

«La casa del nonno della Sau il quale era ancora vivente nel
1171, sorgeva quindi attigua alla chiesa di S. Rufino e presso la via.
Essa veniva a formare uno dei lati estremi della piazza che tutti i do-
cumenti di questo tempo ci ricordano come esistente appunto da-
vanti alla chiesa, la platea Sancti Ruphini.

«I confini di questa piazza furono più tardi descritti negli Statuti
del sec. xv; in essi la piazza stessa ci appare inclusa tra diverse case
e botteghe (L. III, rubr. 169). L’unica via in detti confini ricordata è
quella che passa davanti alla fontana presso alla colonna « ubi est de-

. signatus leo in capite fontis dicle platee (4).

(1) S. Chiara mori il 10 agosto del 1253; il Processo Apostolico per la sua
canonizzazione — avvenuta nel 1255 — fu iniziato nel settembre di quello stesso
anno. Esso, in una traduzione quattrocentesca, fu scoperto e pubblicato nel-
l'Archivum Franciscanum Historicum di Quaracchi (anno 1920, tomo XIII,
fasc. III-IV) dal P. Zeffirino Lazzeri, O. F. M. Sull'autenticità di detto Pro-
cesso non può ammettersi alcun dubbio.

(2) Costei fu la prima discepola della Santa, e, come essa stessa affermò,
«quando era nel seculo era sua vicina et alquanto parente ».

(3) Cfr. « Archivio della Cattedrale di Assisi », pergam. fasc. II, n. 98. Fu
pubblicato già nel 1797 dall'abate Di Costanzo nella sua nota Disamina dei
documenti riguardanti S. Rufino... (Assisi, Tipogr. Sgarigliaria, pagg. 394-95),
dal quale il Fortini lo riproduce a pag. 427 dell’Op. citata. Noi ne diamo ap-
presso la riproduzione fotografica.

(4) Vero è che nei detti confini di Piazza S. Rufino è ricordata un’unica
via; ciò però non significa che entro gli stesi confini non ce fossero altre: difatti,
almeno, c’era quella che dalla Piazza suddetta passa a fianco dell’attuale Cano-
LA CASA PATERNA DI S. CHIARA 37

| «La casa di Offreduccio di Bernardino sarebbe perciò sorta nello
spazio oggi occupato dal palazzo Sermattei [già Confidati]:

« Dalla deposizione di Pietro di Damiano e dal documento [n: 150
del fasc. II dell Archivio della Cattedrale] del 1194 — continua ancora
il ch. Fortini — si deduce che, anche dopo la morte di Offreduccio,
alcuni membri della famiglia avevano continuato a vivere riuniti,

com'era costume delle famiglie medievali specialmente nobili. E
quindi evidente che questa stessa casa era quella abitata dalla
Santa. Può anche osservarsi che nellatto del 1148 appare come
abitante della Piazza di S. Rufino Rodolfo di Guelfo; questo Guelfo

nica. Gli stessi Statuti nel descrivere i confini della Piazza Grande del Comune
ricordano le vie di S. Giacomo, di Portica e di S. Chiara, e al tempo stesso tac-
ciono della via di S. Rufino, nonché di quelle oggi dette della Fortezza e di Ti-
berio di Assisi, le quali c'erano anche allora. Se tra i confini di Piazza S. Rufino
é ricordata un'unica via (e questa era la Via di S. Rufino che parte dalla Piazza
del Comune e raggiunge la via che mena a Porta Perlice) l'é: pel fatto che si è
voluto circoscrivere il lato occidentale della Piazza fino a quella via (e fuori
di essa) e fino alla Fontana inclusa, la quale allora si trovavain Piazza S. Rufino
e al principio di essa, come risulta da numerosi documenti, oltre che dalle piante
più antiche della Città. La via ricordata dagli Statuti del 1469 non è perciò
quella che passa sotto la loggia del Palazzo Confidati-Sermattei, allora — come
diremo in seguito — non esistente.

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38 P. GIUSEPPE ABATE

potrebbe benissimo essere il nonno di Guelfuccio (1) la cui famiglia
abitava dall'altro lato della piazza in cui era pure posta la casa della
Santa » (2).

*ckocE

Non ostante che, con la esauriente dimostrazione del Fortini, ve-
nissero a cadere tradizioni popolari ed esplicite affermazioni di sto-
rici, che indicavano altrove la casa natale di Santa Chiara, nessuno
allora protestó in nome di dette tradizioni ed affermazioni, come pure
nessuno qualificó quei risultati scientifici un attentato alla pace cit-
tadina di Assisi, nonché un vero scandalo per tutti. |

Il popolo — molto più prudente e più saggio di quanto non lo giu-
dichino gli allarmisti interessati — accolse quei risultati con la serenità
della sua semplice ma profonda filosofia; e la critica di professione ed
onesta, con manifesta compiacenza e con unanime consenso, dichiaró
ben fondata e seria quella dimostrazione scientifica (3), di cui bisogna
essere grati al geniale Autore. j

sapeva bene il Fortini che esistevano quattro arbitrarie identifi-
cazioni della casa paterna e natale di S. Chiara. :

La prima era quella segnalata da una asserita tradizione popolare,

(1) Un Guelfucius Bernardi lo troviamo presente ad un atto di donazione
di beni in favore della Cattedrale di S. Rufino all'anno 1207 (« Archivio della
Cattedrale », fasc. III, pergam. n. 12).

(2) FonTINi, Op. cit., pag. 233.

(3) Tra i primi ad elogiare il Fortini e a divulgarne per le stampe l'inte-
ressante scoperta va segnalato il R. P. Leone Bracaloni, O.F. M. Questi infatti
ne trattò ampiamente nella rivista « Frate Francesco » del 1927, fasc. II, pagg. 126-
132, con un articolo apposito intitolato La Casa paterna di S. Chiara.

In esso, il B., dopo avere ricordato l'indicazione del Lazzeri e la com-
prova « venuta poi con l'ottima pubblicazione » del Fortini, tra l'altro, scrisse:
«.. Nè si cerchi più la casa di S. Chiara presso la Portella all'imboccatura del
Corso in. Assisi, dove l'insegnava il Loccatelli, bensi in Piazza S. Rufino, dove
ora è il palazzo Sermattei, secondochè dai documenti è dato ragionevolmente
dedurre ». Spiega poi perchè quella casa sia stata così dimenticata, e forse presto
«abbandonata dai. discendenti della Santa, e ricorda che fu già ricercata tale
casa dopo il primo smarrimento, quando nel Seicento si riandò con più zelo
alle memorie serafiche. Giustamente fa quindi osservare che l’averla cercata
qua e là, in diversi tempi, dimostra che non si era persuasi di averla trovata.
Infine conchiude così: « Ora invece per la casa paterna di S. Chiara presso
S. Rufino, si hanno seri documenti d’archivio, ai quali si accorda perfetta-
mente anche il Processo di Canonizzazione, nel quale Suor Pacifica di Guelfuccio
È LA CASA PATERNA DI S. CHIARA 39

non appoggiata a nessuna manifestazione di culto. L'aveva affermata
verso il 1575, fra Ludovico di Città di Castello (1). Si additava l'ex-
monastero civico di Panzo, ora sede del Seminario Vescovile di Assisi,
come casa paterna e natale di S. Chiara. Ma il Fortini, avendo fondata
la sua rivendicazione su documenti antichi ed autentici, ripudiò quel-
lasserita voce popolare di nessun peso.
Era pur noto al Fortini che — riguardo a una seconda casa natale
di S. Chiara — uno scrittore anonimo dei primi decenni del secolo xvII
concedeva, senza alcuna documentazione, quella qualifica «alla casa di
un certo Messer Camillo Birelli, dove poi passarono le Convertite » (cfr.
LoccATELLtI, Op. cit., pag. 38), e, giustamente, non ne tenne alcun conto.
. Il Fortini non degnò nemmeno di una citazione una ferza asserita
tradizione popolare, che identificava la casa paterna di S. Chiara con la
casa Bassi (sotto Fonte Marcella in Via XX Settembre, come appren-
diamo dal P. Bracaloni, nel suo studio citato, pag. 131), per la quale il
Loccatelli si riferiva ad «una certa tradizione popolare non so come in-
valsa » mettendola però tra le «false supposizioni » (LOCCATELLI, l. c.).
Inoltre, pur sapendo che si metteva in campo la testimonianza di
un protocollo notarile del 1403, il Fortini ripudió giustamente una
quaría casa natale di S. Chiara. Senza nemmeno discuterlo, respinse
l'«argomento su cui si voleva basare negli ultimi tempi l'opinione che
la porta della Casa di S. Chiara fosse quella che vedesi anche oggi in
fondo al Corso di Assisi [l'attuale Via del Ceppo della Catena], vicino
alla portella di Pietropaolo, e che é sormontata da uno stemma, che si
affermava appartenere alla famiglia Taccoli» (FoRrTINI, Op. cit.,

asseriva che «tra la casa sua et quella della vergine Chiara non ce era in mezzo
se non la piazza ». E fuori della Piazza di S. Rufino all'interno di Assisi non
v'era che la piazza del Vescovado, dove nessun indizio si ha della casa di S.
Chiara, e quella del Comune, del cui contorno nel 1228 si conoscono i proprie-
tari, fra i quali sono i discedenti di S. Francesco, non già di S. Chiara; alla
quale piazza non possono poi ridursi le sopra menzionate case dei Birelli,
dei Bassi e dei Taccoli, per identificarle con la casa menzionata da suor Paci-
fica » (l. c., pagg. 131-132).

(1) Cfr. « Bollettino della Regia Deputazione di Storia Patria per l'Um-
bria », an. XXVIII, 1927, fasc. I-III, pag. 74. Ecco il testo di Fra Ludovico:
«... uscito che serai fora del Sacro Convento, pigliarai la strada pubblica detta
de S. Francesco, la quale sale alquanto per arivare in piazza: ma avanti se
ritrova un portone [il cosidetto Arco del Seminario], dove che anticamente era
la porta della cità. A man dextra, atacato, gli era uno monastero detto de
'S. Angnelo de Panzo, ove che dimoravano monache di S. Francesco, qual ca-
samento era de S. Chiara, et lì fu il suo nascimento... ».

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Kx CI VA MARC X i OA N

40 P. GIUSEPPE ABATE

pag. 233). Ma la discussione che l'illustre Podestà di Assisi allora non
fece, più avanti la faremo noi. |
Infine, il sullodato Fortini — nella sicurezza di avere raggiunto la
verità, e sapendo bene che questa non puó essere che una sola — non
volle rilevare, se pur li conobbe, alcuni documenti autentici della
prima metà del secolo xi, i quali, almeno a prima vista, avrebbero
potuto mettere in dubbio la fortunata e veritiera scoperta da lui fatta.

>>

Questi documenti, infatti, ci parlano di una casa appartenente
ad un certo Favarone situata «in Parochia Sancte Marie », cioè in
quella parte bassa della città che comprende la chiesa di S. Maria del
Vescovado e che poi fu detta « Porta di S. Chiara ».

« Orbene, negli atti del nostro Archivio Comunale dal 1226 al
1232 abbiamo larga traccia di un ricco e potente cittadino, di nome
Favarone, il quale non può essere che il padre della Santa. È infatti
consuetudine di questo tempo, — scrive il FORTINI, op. cit., pag. 231 —
nei molti documenti da me esaminati per il Comune di Assisi di met-
tere solo il nome quando questo, per essere di sè stesso originale e
portato da un solo individuo, non può dar luogo ad omonimia: in
quest'ultimo caso si era soliti mettere anche il nome del padre (Offre-
duccio di Bernardino, Pietro di Bernardone, ecc.). Ora nel nostro caso
non esiste nei documenti che un solo Favarone ed é facile rilevare che
é sempre lo stesso... » (Vita Nova, op. cit., pag. 231). :

Or, prendendo alla lettera questo ragionamento del Fortini ed
apprendendo che un Favarone aveva la sua casa nella parte bassa
della città e nella Parrocchia di S. Maria del Vescovado, uno di quei
facili critici che non mancano mai potrebbe conchiudere cosi: Dunque
non é vera la dimostrazione che la Casa paterna di S. Chiara, cioé la
casa di Favarone; sorgeva presso la Cattedrale di S. une e nella
Parrocchia omonima.

Ma questa conclusione sarebbe del tutto errata.

Prima di tutto sarebbe errata, perchè — dato, e non concesso, che il
Favarone degli accennati documenti fosse stato il Favarone padre di
S. Chiara, come ritiene il Fortini — il p ossedere una casa in un
certo luogo non significa sempre che cisia biti. Quanti, per esem-
pio, — oggi, come nel secolo xir, e ci è facile dimostrarlo — posseggono
case e botteghe nella Piazza Grande di Assisi ed abitano invece al-
trove | Quindi il Favarone padre di S. Chiara avrebbe potuto possedere
——— e nu

LA CASA PATERNA DI S. CHIARA 41

dei fabbricati nella Parrocchia di S. Maria e al tempo stesso avrebbe
potuto abitare — come indubbiamente abitò, secondo i precisi docu-
menti del Fortini — nella Parrocchia di S. Rufino, anzi propriamente
« juxta Ecclesiam S. Rufini ». Anche Piccardo, nipote di S. Francesco,
abitava in Porta Moiano e Parrocchia di S. Maria (Archivio Comunale,
Strumenti Sacro Convento, tomo I, pergam. n. 27 del 1253, n. 42 del
1261; ivi, tomo: IL, pergam. n. 12 del 1281 e 1282) e al tempo stesso
possedeva una casa in Porta S. Giacomo e Parrocchia di S. Nicolò di
Piazza (Archivio Comunale, pergam. nn. 405 e 406 del 1280).

La predetta conclusione sarebbe inoltre errata per un secondo
motivo: perchè il « Favaronus » possessore di case nella Parrocchia di
S. Maria è un Favarone diverso dal padre di S. Chiara, questi essendo
di antica stirpe assisana e l’altro invece di Cannara (1), sebbene abi-
tante nella stessa città di S. Francesco.

Ecco ora i documenti:

: A. — An. 1236, 19 Settembre:

Rufino di Gilio vende a Masseo « Jachei » « quartam partem pro invidiso

, unius domus et casalini seu platee sitorum in civitate Asisii in parochia Sancte

Marie... Quibus a I via, II filii Mincii et Favaronus, III emptor et filius Pauli
Donati, IIII dictus Favaronus et filius Ioannis Ugonis... »
(Arch. Comunale di Assisi, Strumenti del Sacro Convento, tomo I, pergam. n. 13).
B. — An. 1254,-29 Luglio:
Bernardello di Guglielmino, unitamente alla moglie Immila di Paolo e a

‘Pero di Paolo [Donati] vende a Masseo « Jachei » «unam domum positam in

civitate Asisianata in parochia Sancte Marie cui à I dictus entor (!), a II Ioan-
nes Peponis, a III platea, et quartam partem porte murorum et platee sive
terreni sitorum ibidem quibus a I via, a II Ioannes Peponis, a III dicta domus

. vendita et dictus emptor et filii Favaroni, a IIII dominus Brancaleonus et

dictus emptor... »
Zo (L.'c., pergam. n. 29).
C. — An. 1258, 30 Marzo:

. «Dominus Petrus Favaronis » vende a Napoleone di Marinello « quan-

. dam domum cum solo et edifitio toto situm in parochia S. Marie et cum casa-

lino et platea ex parte anteriori et posteriori cuia I via, II Martinus Mathei
[Jachei], III dominus Brancaleonus, IIII Joannes Pepi...»
(L. c., pergam. n. 38).

' . (1) Sull’esistenza in Assisi, nella prima metà del secolo xirz, di questi due
Favaroni e di un altro ancora della balia di Montaldone porre in seguito
in questo stesso studio.
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42 P. GIUSEPPE ABATE

Come si vede da questi tre documenti, si ha in Assisi una casa
posseduta da un Favarone, che ha un figlio a nome Pietro: « Petrus
Favaronis ». Ma questo Pietro di Favarone secondo un rogito del 22
dicembre 1255 (1) è « de Cannaria »: dunque non è della famiglia di
S. Chiara, e perciò anche il padre suo è di Cannara. i

Difatti nella lista dei capifamiglia abitanti in Assisi nell’anno
1233 (Archivio Comunale, N. n. 1) noi troviamo rebistrato chiaro e
preciso così: « Favaronus de Cannario ».

Perciò la casa suddetta, appartenendo a un Favarone di Cannara,
non può affatto dirsi la Casa paterna di S. Chiara.

Resta cosi indiscutibile, anche dopo il ritrovamento dei surripor-
tati documenti, che la casa della famiglia della Santa sorgeva — se-
condo l'accettata dimostrazione del ch. Fortini - in Piazza S. Rufino
e non altrove.

Si potrà discutere, è vero, se in realtà essa Casa sorgeva nell’area
attualmente occupata dal Palazzo Sermattei, cioè all'angolo tra Via
di Porta Perlice e Via del Torrione, come nel 1926 opinò il Fortini, o
invece in altro sito della stessa Piazza di S. Rufino; ma la dimostra-
zione fatta allora dall’illustre storico nella sua sostanza resta sempre
salda e inattaccabile (2).

La Casa paterna di S. Chiara sorgeva in Piazza S. Rufino, e sul
fianco sinistro di chi guarda la facciata della Chiesa.

Fin qui ormai tutti d’accordo.

Ma fu essa Casa nello stesso luogo dove sorse più tardi il Palazzo
già Dragoni-Confidati ed ora Sermattei ?

(1) È un testamento di Bertoluccio di Grifolo, nel quale oltre a Fra Masseo
da Marignano compagno di S. Francesco, è menzionato il « Petrus Favaronus »
di cui sopra, come debitore del detto testatore per 115 libbre di denari (Strum.
S. Conv., tomo I, pergam. n. 32). :

(2) Qui ci sia permesso di esprimere un onestissimo voto. Se A. Fortini,
da quel valoroso storico che è, nel giudicare l'ampia, precisa ed autentica do-
cumentazione con la quale di recente abbiamo provato quale: sia la vera Casa
paterna di S. Francesco, vorrà usare gli stessi. metodi critici seri ed oggettivi
da lui adoperati per l’identificazione della vera Casa paterna di S. Chiara,
siamo certi che egli verrà alla stessa nostra conclusione, la sola che sette secoli
di storia assisana attestano e convalidano.
LA CASA PATERNA DI S. CHIARA 43

A. Fortini, come s'é accennato, espresse nel 1926, timidamente.
una tale possibilità.

Noi, rispettosamente, crediamo di doverne dubitare, esponendo
invece l'opinione che la Casa paterna di S. Chiara sia stata quella già
attigua al summenzionato Palazzo Sermattei, ma piü prossima alla
Cattedrale e quasi contigua al Campanile.

È necessario anzitutto premettere che la topografia di quel lato.

della Piazza di S. Rufino al tempo della Santa, e certamente anche
dopo, non era precisamente come si vede oggi.

Non c'era infatti la grande fontana rettangolare che é addossata
al Palazzo Sermattei, in angolo con Via di Porta Perlice: sino agli
ultimi decenni del sec. xv — come ampiamente documenteremo in
altra nostra pubblicazione sulla topografia di Assisi nel Medio Evo -
Piazza S. Rufino aveva solo una fontana, isolata e di forma orbicolare
sopra e ottagonale sotto, ed essa era situata al lato occidentale della
Piazza stessa. Detta fontana, verosimilmente alimentata dall’acque-
dotto costruito da Frate Elia, era in tutto simile a quella della Piazza
Grande del Comune (1).

(1) Frequenti sono le memorie di detta fontana, che deve almeno risalire
al 1279, come si rileva da uno degli specchi rimasti nel quale è scolpito un
«leone ». Essa era detta « Fons Platee Ecclesie S. Rufini », e vien sempre deno-
minata «columna ». Costituiva il limite occidentale del lato sinistro della
Piazza, mentre il limite orientale aveva inizio presso il campanile. Fu quasi
rifatta nel 1471-72 dallo scalpellino M° Polimante di M° Gentile, il quale, tra
l'altro si impegnava di fare una « parvam scarpam » « circa rotunditatem dicti
fontis », di rifare «tres tabulas », e « in medio dicti fontis facere unam columpnam
cum base inferius et cum catino superius et capitello supra catinum ad formam
'el similitudinem columpne et catini Platee Magne »: cfr. « Archivio Comunale »,
Bollett., n. 5, ff. 29 e 33; Riform., vol. 18, fol. 222. Ignoriamo quando fu ri-
mossa e sostituita con quella attuale addossata al palazzo Sermattei, la quale
ha la forma di un abbeveratoio rettangolare e appare molto piü antica di quanto
potrebbe lasciar credere un'iscrizione attigua con lo stemma di un Governatore
del 1532, che la fece restaurare quell'anno (cfr. Archivio cit., Riform., vol. 32,
ff. 293 e 296). Si può congetturare che, abolita o rifatta diversamente in quel
secolo xvi la Fontana con abbeveratoio che si trovava nella Piazza Superiore
della Basilica di S. Francesco, se ne sia dipoi trasportato in Piazza S. Rufino
l'antico materiale e lì ricomposto, togliendo dalla stessa Piazza l'antica « co-
lumna ». Certo é che nella Pianta Topografica di Assisi edita da Iacopo Lauro
in Roma nel 1599 (ma probabilmente riproducendo una pianta piü antica) si
scorge ancora in Piazza S. Rufino la vecchia fontana ottagonale. (Dobbiamo la
conoscenza della surricordata Pianta al Sig. Canonico Dott. D. Aldo Brunacci
di Assisi, che qui pubblicamente ringraziamo).
COE D OCURAQUU TL "FD

44 È P. GIUSEPPE ABATE

Non c'era il voltone o cavalcavia, che — attraverso una strada
creata in tempi posteriori — unisce il Palazzo Confidati-Sermattei, con
la Piazza di S. Rufino, essendo stato costruito questo tra il 1755 e il
1780 dal Vescovo Nicolò Sermattei.

Riportandoci dunque ad un tempo anteriore alla rimozione del
l'antica fontana esistente isolata nella Piazza ed alla costruzione di
quell'altra posta a ridosso dell'ultimo fabbricato del lato sinistro della
Piazza stessa, si debbono segnalare due costruzioni, oggi ancora esi-

al!

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Fic. 2.

Stenti, a partire dal campanile della Cattedrale e dirigendosi verso il
Palazzo Sermattei, cioè:

A) una prima, non antica, con una sola finestra ed una sola
porta, attigua alla base delcampanile ed alla porta piccola della chiesa 7

B) e una seconda, antica, più estesa, con tre finestre ancora
aperte ed altre murate e una porta, a tre piani, ed immediatamente
attigua all’altra costruzione già accennata.

Essa, che ha tutti i caratteri di una casa signorile medievale, ori-
ginariamente era di pianta rettangolare; oggi — a causa di una strada
apertavi nel lato posteriore — si presenta mutila e di pianta quasi
triangolare. Della sua costruzione primitiva non resta che il muro di
prospetto sulla Piazza, massiccio alla base e sino a tutto il primo
piano, in pietra concia e di rispettabile antichità,

Dall'esame strutturale del piccolo fabbricato (A) risulta che esso,
in epoca assai tardiva, fu eretto per sbarrare un passaggio o via, che,
LA CASA PATERNA DI S. CHIARA 45

fiancheggiando il campanile della cattedrale, saliva allo spiazzo e al-
l’antica strada corrente sul lato settentrionale di detta chiesa (1).
Dall'esame strutturale del maggiore fabbricato (B) risulta che —
assai verosimilmente per sostituire il passaggio sbarrato, del quale si
é detto — il fabbricato medesimo venne sventrato nella sua parte po-
steriore facendovi passare la via in salita creata per il raccordo tra la
Piazza della chiesa e la sovraccennata strada corrente sul lato setten-
trionale di S. Rufino (2).
La topografia di quellato della Piazza — per i secoli xir-xv1 — si
puó dunque (sebbene «grosso modo ») ricostruire cosi:
1° Campanile di S. Rufino;
29 Via tra il detto campanile e quella che fu poi Casa Priorale;
39 Casa appartenente, almeno dal sec. xiv, al Priore di
S. Rufino;
49 Fabbricati (3), che poi divennero « Palazzo Dragoni-Confi-
dati, ed ora Sermattei.

*

Ciò posto, consideriamo quanto ci vien detto dai documenti ri-
guardo alla Casa della Famiglia di S. Chiara, cioè di Offreduccio e
. Rinaldo di Bernardino.

Il documento dell'anno 1148 (cfr. la riproduzione fotozinco-
grafica annessa) afferma:

a) che detta casa era situata presso la chiesa di S. Rufino:
«juxta Ecclesiam »; :

(1) « Plateuncula supra Campanile S. Rufini» (Protoc. di Giovanni di
Giacomo, A, n. 1, ai 9 maggio 1374). Quel passaggio aveva dei gradini di pietra,
‘come risulta da un rogito di Giovanni di Cecco di Bevignate (Arch. Notar., B,
n, 17, 1406-7, fol. 154): « Actum Assisii in platea S. Rufini ante scalas lapideas
que sunt juxta Campanile dicte Ecclesie et hostium parvum ad intrandum in
. Ecclesiam predictam ». |

(2) Dato che i summenzionati due fabbricati hanno appartenuto da pe-
recchi secoli, come appartengono tuttora, alla Cattedrale di S. Rufino, è ovvio
pensare che le predette trasformazioni edilizie — cioè chiusura:di una via con
la costruzione di un piccolo stabile, e apertura di una strada, mutilando uno
stabile più grande — non poterono esser fatte se non ad iniziativa, operlo meno
col consenso, del Capitolo della Cattedrale stessa. i

(3) Nella citata Pianta Topografica di Assisi del 1599 al posto di quello che
oggi è il Palazzo Sermattei sono disegnate d ue costruzioni di abitazioni
civili. i
X "d a SIRO FSE NO v DRE age = I

46 P. GIUSEPPE ABATE

b) e che inoltre era fiancheggiata da una via : « et juxta viam ».
c) Ma, poiché dal Processo di Canonizzazione della Santa si sa
inoltre che era in « piacga », dobbiamo cercare qual'è quella casa pri-

vata di Piazza S. Rufino che propriamente sia vicina alla Chiesa (cioè

alla sua facciata), abbia un lato sulla via e si trovi veramente in piazza,
e nel lato settentrionale di questa (1).

Or, tale casa non può essere quella dei Dragoni-Confidati pon Ser- .

mattei, indicata nella nostra figura 1.

Essa, infatti, pur sorgendo in Piazza S. Rufino e presso una via,
non può certo dirsi che sia propriamente « juxía ecclesiam ». Oltre ad
essere parecchio lontana dal campanile e dalla facciata di S. Rufino, e

anche in una linea più arretrata e a un livello più alto che non la casa

che noi riteniamo essere stata la Casa paterna di S. Chiara, per la
quale soltanto e propriamente si verificano i tre dati
precisi fornitici dai documenti. Non può, in verità, dirsi « juxta eccle-
siam» un fabbricato che si ricollega ad essa mediante un altro
fabbricato.

Una eloquentissima conferma di tutto ciò, ossia della nostra

opinione, ei viene offerta anche dal predetto documento del 1148.

Infatti, questa carta autentica e originale attesta chiaramente due
solenni e ben distinti impegni assunti dai proprietari delle case pros-
sime alla chiesa di S. Rufino, impegni a totale ed esclusivo beneficio di
questa, la quale in quegli anni veniva rinnovata ed ampliata in forma
e proporzioni monumentali.

A) Il primo, d’indole più vasta e comune a tutti i suddetti pro-
prietari — tra i quali i figli di Offreduzzo, cioè i parenti di S. Chiara — è
una promessa giurata e munita di grave sanzione, per cui nessuna
proprietà esistente nelle vicinanze della cattedrale sarà alienata ad
estranei o in qualche modo trasformata nella sua struttura, potendo
ciò essere di pregiudizio alla cattedrale stessa.

.B) L’altro impegno, più specifico e assunto solamente dai figli
di Offreduzzo, è una solenne ed esplicita promessa che costoro non

‘alzeranno maii muri della loro casa — esistente « juxta ecclesiam »

— ma li lasceranno sempre a quell'altezza in cui allora si trovavano.

(1) Va escluso da questa ricerca il lato meridionale della Piazza, perchè
lì c'era la «domus Canonicorum », seguita poi dagli uffici parrocchiali, dal ci-
mitero, dall’orto (ricordato questo in un documento del 1226: Archivio della
Cattedrale, fasc. III, pergam. n. 25) e infine dalla sagrestia.
LA CASA PATERNA DI S. CHIARA 47

Orbene, se non c'inganniamo, questo impegno speciale ed asso-
luto, che dal Capitolo della Cattedrale di Assisi tanto solennemente
si richiede dai figli di Offreduzzo, documenta in modo chiaro che la
casa di essi era situata in luogo immediatamente vic in o alla chiesa,
e che perciò questo, e non altro, era il inoltyo dell'anzidetta speciale
ed assoluta garanzia desiderata.

Diciamo assoluta garanzia, perché, mentre per le case degli
altri proprietari si ammette esplicitamente la possibilità di concessioni
da parte del Capitolo dei Canonici, per la casa dei figli di Offreduzzo
di tale possibilità si tace del tutto: segno questo evidente che tale casa,
nei riguardi del gruppo monumentale di S. Rufino, si trovava in una
condizione tuttaffatto speciale. Ma non avrebbe potuto essere in tale
condizione, qualora fosse stata situata non immediatamente prossima
alla facciata e al campanile della chiesa, ma in luogo piü lontano e più
arretrato.

Ognun comprende che, se si fosse eretto un fabbricato più alto der
soliti e comuni tre piani e magari una casa-torre (1) ad una notevole
distanza dalla facciata e dal campanile di S. Rufino, si sarebbe creata
certamente una stonatura, ma essa in qualche modo sarebbe stata tol-
‘lerabile; mentre invece sarebbe stata cosa del tutto inammissibile e
riprovevole l'erezione di un alto fabbricato o di una torre alla distanza
di poco meno di tre metri dal detto Sanno campanile e dalla contigua
meravigliosa facciata.

Questo sconcio — se non piuttosto un rischioso insolentimento di
fabbriche in quei tempi di ferro e di contese — volle evitarsi col docu-
mento del 1148. -

La saggezza delle Autorità Capitolari Assisane — certamente av-
valorata dalle premure di Giovanni da Gubbio, architetto — e la
devota condiscendenza dei figli di Offreduzzo s'incontrarono e si com-

presero suggellando un patto solenne per la salvaguardia dell'austera

bellezza del magnifico duomo di Assisi. -

*ockoke

‘ Ghe ne fu nel secolo x, e più tardi ancora, della Casa paterna di

S. Chiara ?
Riteniamo cosa assai prossima al vero, che dopo il glorioso ed

(1) Il FortINI (opera citata, pag. 374) fa osservare, e ne dà le prove, che

a quei tempi molte case, specie le case dei nobili, erano sormontate da torri. .
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48 .- P. GIUSEPPE ABATE

eroico abbandono del mondo da parte di madonna Ortolana, madre
di S. Chiara (circa il 1226) e poi della Beata Beatrice (1229), la casa
di Piazza S. Rufino fu donata o venduta al Capitolo della attigua
Cattedrale, cui infatti ere: almeno da tempo anteriore al
1381 (1).

«.. In essa, a quella data e ancora prima, abitava il Canonico Priore
«Dominus Nicolaus Francie de Spoleto ».

Nel 1410 e nel 1430 quella casa, che noi riteniamo possa essere
stata veramente di S. Chiara, era detta — dall'appartenenza alla Cat-
tedrale ed al Canonico Priore — « palatium et domus > Rufini » e luogo
di abitazione « domini Prioris ». |

Tra la detta casa e il campanile della chiesa, sporgente verso la
| piazza, sorgeva nelsecolo xrv una Cappella dedicata alla Madonna, di
cui si hanno memorie anche nel 1528.

Un Ms. dell Archivio di S. Rufino riguardante chiese e cappelle di
Assisi ricorda la detta Cappella agli anni 1381, 1406, 1410, ecc. Il
notaro Ser Francesco di Ser Benvenuto di Stefano, alla data del 6 gen-
naio, 1110, menzionando la detta « Cappella Sancte Marie » la dice «sita
extra portam palatii domini Prioris ecclesie Sancti Rufini » e

(1) Nel già cit. Processo di Canonizz. di S. Chiara (pag. 483), Suor Cri-
stiana di Messer Bernardo di Suppo d'Assisi affermó della Santa che « del ven-
dere de la sua heredità... li parenti li volsero dare più precco che nessuno de li
altri, et epsa non volse vendere ad loro, ma vendette ad altri, ad ció che li
poveri non fussero defraudati. Et tucto quello che recevvé de la vendita de
epsa heredità, lo distribui alli poveri. Addomandata como questo sapesse, re-
spuse: perché lo vidde et udi». Secondo questa testimonianza, tutta l'eredità
della Santa fu venduta; perciò anche la Casa di Piazza S. Rufino. Ora è da rite-
nere per certo, quantunque non se ne abbia il documento, che la predetta Casa
(« palatium ») — per là quale il Capitolo di S. Rufino nel 1148 aveva dimostrato
un'attenzione ed un interesse del tutto speciale e giustificato — sia stata acqui-
stata dai Canonici della Cattedrale non appena essa fu posta in vendita dalle
eredi di Favarone, cioé da S. Chiara e sue sorelle; questo poi poté avvenire solo
quando l'usufruttuaria, vale a dire madonna Ortolana, madre della Santa, e la
B. Beatrice l'abbandonarono per consacrarsi a Dio. Venutine in possesso (e qui
ci piacerebbe supporre con la condizione esplicita della santa venditrice di eri-
gervi una « Maestà » alla Vergine, poiché ci ricordiamo che S. Chiara nel suo.
sigillo di abbadessa aveva fatto incidere la figura della Madonna), i Canonici
la destinarono ad abitazione del loro Priore « pro tempore », e tale, infatti, ri-
mase sino al secolo xvr, come si rileva da numerosi documenti ancora esistenti
Attualmente in quella Casa — che, come abbiamo accennato, é mutila nel suo
lato posteriore — abita il Sagrestano della Cattedrale, e nel vano attiguo al
campanile della chiesa é costituito un magazzino di sgombro.
LA CASA PATERNA DI S. CHIARA m 49

« dotata olim per dominum Nicolaum Francie de Spoleto (1) olim Priorem
eiusdem ecclesie » (Ms. citato fol. 36). Dinanzi ad essa, ai 28 luglio
del 1430, fu fatta la « presentatio et consecratio » di un nuovo cano-
nico: «... ante Capellam Sancte Marie situatam iuxta ecclesiam Sancti
Rufini, a parte Platee dicte ecclesie, iuxta hostium parvum per quod
intratur in dictam ecclesiam Sancti Rufini, quod est iuxta Cappellam
Vultus Sancti situatam in dicta ecclesia, et prope portam seu hostium
per quam vel per quod intratur in palatium et domum Sancti Rufini co-
ntiguum dicte Cappelle »: Arch. Notar., protoc. di Ser. Giovanni di
Bevignate, B. n. XII, 2.143031, fol. 120.

È alquanto singolare il fatto di una Cappella situata .in Piazza
S. Rufino, fuori della chiesa Cattedrale e attigua ad essa nonchè a
quel vetusto fabbricato risalente ai secoli x1-xII, che, secondo la so-
pra illustrata nostra opinione, fu la Casa paterna di S. Chiara.

sarebbe pure da vedere se, eventualmente, la detta Cappella
non si fosse anche estesa a parte di detta casa. In tal caso si

(1) Cfr. « Archivio Notarile d'Assisi », Protoc. di Francesco di Mastro Tom-
maso A. n. 3, ai 22 aprile e .12 agosto 1381, nonché il Protoc. C. n. 1, ff. 50 e
149 agli anni 1390 e 1392. Ai 6 ottobre 1390, D. Simone di Bertolino da Pe-
rugia, fatto Canonico di S. Rufino d'Assisi, si presentava per prendere possesso
del suo ufficio al detto Priore D. Nicoló di Francia da Spoleto, e precisamente
«ad hostium sue solite habitationis, cui a I Ecclesia predicta, a II Platea dicte
Ecclesie et III res dicte Ecclesie »; questa abitazione priotale poi, in altro rogito
del 1392 si dice confinata cosi: «a I Ecclesia S. Rufini, II Platea dicte Ecclesie
et a III via publica » (Arch. Notar. d'Assisi, protoc. di Gerardo di Giovanni
degli anni 1390-1392, ff. 50 e 167). Giova qui ricordare che la «via publica »
surricordata, e che correva tra la casa priorale e il campanile, era un corto pas-
saggio con alcuni gradini ed un voltone, sotto il quale era la nota Cappella:
« Actum... ante ecclesiam S. Rufini super altar.e sito inter dictam ecclesiam
et domos dicte ecclesie juxta Plateam sub quadam volta. juxta alia sua latera »

(Arch. citato, protoc. di G. Franc. Sammartini, T. n. 4, fol. 56 dell'anno 1518). :

La detta via poi fu chiusa nel 1528 al passaggio pubblico e, insieme alla volta,
trasformata in sagrestia per l'uso di una Confraternita, che aveva sede nella
Cattedrale, come apprendiamo dalla seguente notizia trovata nei protocolli
delnotaro Filippo Baciucci (l. c., N. n. 4, fol. 476, ai 2 febbraio): « Actum...
ante portam Ecclesie S. Rufini iuxta Plateam magnam et Sacristia m con-
struendam pro hornamento et usu hominum Recomandatorum Corporis Christi ».
È da pensare che chiuso quell'antichissimo vicolo per il quale dalla Piazza di
S. Rufino si raggiungeva la soprastante viuzza detta ora « Via del Torrione »,
venne aperta — in sua vece, e a ridosso della casa Priorale, che ne riusci gra-
vemente mutilata — l'altra via, che attualmente ha inizio presso la Fontana e
raggiunge l'antica attigua al campanile.

4
ex > EN l3

istituzioni religiose e. personalità ecclesiastiche

50 : P. GIUSEPPE ABATE

avrebbe forse un argomento per ritenere che anche la Casa paterna
di S. Chiara, fin da tempi remoti, fosse stata in qualche modo de-
stinata al culto. :

Ciò che però, dopo la nostra segnalazione, andrebbe fatto è —
crediamo — uno studio archeologico-topografico completo ed accurato
sulla detta venerabile Casa di Santi, onde poter aggiungere, al caso,
nuove prove documentarie a quanto si è trovato finora.

Certo è che per la Cattedrale di Assisi non sarebbe un piccolo vanto
avere avuto prima vicina — e poi in pieno dominio — la Casa dove la
gloriosa Vergine Chiara nacque e visse la sua pura e celestiale giovi-
nezza unitamente alle sue Sante sorelle Agnese e Beatrice e alla madre

Beata Ortolana.
*k GE

Non vogliamo porre termine a queste nostre brevi note sulla vera
« Casa paterna di S. Chiara » senza far parola di un antico sigillo, che,
se non c'inganniamo, presenta una significativa
relazione con la medesima, tanto da far pensare
che, assai verosimilmente, esso possa essere rite-
nuto come un documento di conferma alla opi-
nione da noi espressa ed illustrata sulla precisa
ubicazione di quella Casa veneranda.

Si tratta dirun tipario originale in bronzo, il
quale, insieme a ben altri 75 sigilli di Vescovadi,

e laiche dell'Umbria, noi abbiamo veduto ed
esaminato a Roma e precisamente nella nota Col-
lezione Corvisieri, una volta custodita nella Galleria Corsini ed
attualmente messa a disposizione degli studiosi a Palazzo Venezia.

Esso, che nell’ Inventario (1) viene descritto al n. 245, è di forma
ogivale e misura mm. 37 x 24. La sua leggenda (non in onciale, come,
è detto nella scheda del Petrella, ma in capitale con traccie di onciale
in alcune lettere) è circondata da una doppia coroncina globulare e
dice: «»& S. NICOLAI CANONICI S. RVFINI ». Nel campo poi del sigillo
si ha una bella testa di donna rivolta a destra e sormontata da una
stella ad otto raggi. Nella scheda ms. del Petrella iltipario, certamente
«grosso modo », è detto del secolo xv, e questo può ritenersi esatto

(1) Cfr. Inventario dei Sigilli Corvisieri, redatto sulle schede del dott. En-
rico Donato Petrella, e pubblicato in Roma nel 1911 presso la Tipografia del-
l'Unione Editrice.

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LA CASA PATERNA DI S. CHIARA 51

qualora per quel secolo si vogliano intendere i primissimi anni del
Quattrocento; ma si sarà molto più vicini al vero — come si vedrà in se-
guito — attribuendo quel tipario alla fine del secolo xiv o al principio
del secolo seguente. :

Che il sigillo sia d'origine assisana, risulta evidente per la conside-
razione che un « Canonicus S. Rufini » non potrebbe trovarsi che in
Assisi, dove. soltanto (per quanto a noi consta) esiste un Capitolo Ca-
nonicale, col relativo Priore, che officia una cattedrale dedicata a detto
Santo. |

Che poi il medesimo sigillo risalga ai tempi sopra accennati, si
deduce apertamente da vari documenti (in parte già da noi rife-
riti), che ci parlano di un Canonico a nome Nicolò (« Dominus Ni-
colaus Franciae de Spoleto »), vivente in. Assisi nel 1381 e assai più
tardi ancora, e abitante — come « Priore » della Cattedrale — in quel
vetusto « palatium S. Rufini » che, secondo la nostra illustrazione,
va identificato con la Casa paterna di S. Chiara (1). A. proposito di
questa Casa giova ricordare: che il suddetto Canonico, prima del 1406,
dotó con alcuni suoi beni quella Cappella con altare (2), che esisteva
da tempo tra il palazzo priorale da lui abitato e l'attiguo campanile
della: Cattedrale.

Or considerate le predette circostanze, puó ritenersi con vera fon-
datezza.che il Nicoló di Spoleto (qualora dai suoi predecessori non
fosse stato usato un tipario uguale), a testimonianza di sua devozione
per quella memorabile Casa, abbia voluto porre nel suo sigillo ufficiale
di Canonico di S. Rufino l'effige della gloriosa Santa Assisana, la Ver-
gine Chiara, la quale — oltre ad esservi nata — aveva vissuto fra quelle
vetuste mura la sua prima ed eroica giovinezza e le aveva rese vene-
rande col profumo del suo candore e delle sue virtü. :

In effetti, la più ovvia e dimostrabile interpretazione è che l'im-
: magine incisa nel sigillo di quel pio Canonico rappresenti non solo una

(1) Vero é che all'anno 1374 (ctr. « Bullarium S. Conv. Assien. », Quarac-
chi, 1920, pagg. 346 e 384) viveva un altro Canonico di S. Rufino dello stesso
home — il.« Dominus Nicolaus domini Johannis de Assisio » —; ma egli non ci
risulta Priore ed abitante di quel fabbricato che noi riteniamo come la Casa di
S. Chiara, sicchè non con lui ma con l'altro Nicolò possiamo più ragionevol-
mente mettere in relazione il sigillo di cui ci occupiamo. Nessuno certo rimarrà
sorpreso nel trovare come Canonico di S. Rufino di Assisi un sacerdote di Spo-
leto, poiché in quegli stessi secoli xiv e xv se ne trovano anche oriundi da Pe-
rugia, Foligno ed altre città umbre.

(2) Una simile Cappella vedesi ancor oggi nella Piazza Grande di Assisi.
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52 P. GIUSEPPE ABATE

Santa (1) in genere, ma in particolare SS. Chiara non già con le solite
caratteristiche di claustrale e di santa canonizzata (poiché alla figurina
manca il velo religioso e l'aureola), sibbene da giovane nubile e ancor
vivente nella casa paterna, mancandole il nimbo e vestendo un abito .
che richiama il peplo delle antiche matrone romane.

Né questa interpretazione è arbitraria per il fatto che alla figura
del sigillo manchi il nimbo, cioè la solita caratteristica che si rileva
nella iconografia dei Santi; perché se è vero che il nimbo adorna sem-
pre la testa dei Santi quando sono rappresentati in gloria, è anche vero
— e ognuno di noi l'ha potuto constatare a volte in una stessa parete o

‘tavola — che sovente sono privi di nimbo quando vengono effigiati in

qualche tratto od episodio della loro vita mortale, per esempio ‘in scene
precedenti la loro « conversione » o il loro martirio. Ciò poté essere ben
constatato, nella stessa Assisi e precisamente nei riguardi di S. Chiara,
dallo stesso Canonico Nicolò, ché nella Basilica della Santa — in una
grande tavola del sec. xir, esistente tuttora — si ha S. Chiara senza
nimbo nella scena della palma a Lei data dal Vescovo Guido, cioè
quando la Santa viveva ancora nel secolo e dimorava nella Casa pa-
terna, nonché nella scena della sua monacazione alla Porziuncola,
mentre invece è effigiata col nimbo in tutte le altre scene della sua vita
a S. Damiano. Similmente senza nimbo, nella stessa tavola, è rappre-
sentata S. Agnese, sorella di S. Chiara, nella scena della sua nota resi-
stenza ai parenti ed in quelle della sua vestizione.

Ma abbiamo detto che la figurina muliebre del'sigillo assisano va
interpretata, con la massima verosimiglianza, per S. Chiara. Ce n'é
buon argomento il simbolico astro raggiante disegnato sul suo capo, e
con esso le circostanze speciali che accompagnano il sigillo stesso, cioè
la provenienza di questo e l'essere stato fatto per un autorevole perso-
naggio ecclesiastico, che per molti anni dimorò in un antico fabbricato
signorile appartenuto alla famiglia di S. Chiara (2).

(1) A prescindere dalla interpretazione da noi data, e che è la più aderente
al vero, ripugna pensare che il devoto Canonico avesse prescelto ad emblema
del proprio sigillo priorale, destinato a contrassegnare tanti atti di religione, Ie
sembianze di una donna qualsiasi, e magari di una mondana, distaccandosi
dalla consuetudine rimasta inalterata presso le autorevoli persone ecclesiastiche.
Una tale eccezione, senza dubbio, avrebbe provocato — in quel secolo di fede —
reazione nel Capitolo dei Canonici di S. Rufino e scandalo tra i fedeli.

(2) Si sa che altri Santi sono stati rappresentati con il simbolo della stella
(per es. la B. Colomba da Rieti, S. Domenico di Guzman, il B. Giordano, San
Camillo de Lellis), ma il motivo è ben diverso da quello della stella di S. Chiara.

)
PF
LA. CASA PATERNA DI S. CHIARA 53

Invero, quella stella ad otto raggi è la traduzione approssimativa
in simbolo del no me della Santa: la «claritas » dell'astro indica e
contrassegna, nel caso nostro, S. Chiara (« Clara»), come l’agnello
(« agnus ») che si pone ai piedi o tra le braccia di una figura di giovane
Martire della fede indica e contrassegna la purissima Vero: romana
S. Agnese (« Agnes »).
Ma nei riguardi di S. Chiara c’è di più. Mentre per S. Agnese il
simbolo seguì e fu tratto dal nome, per la Santa di Assisi avvenne tutto
l'opposto, cioè il nome fu preceduto dal simbolo e da esso trasse la sua
‘derivazione. E questo è storia; perché il simbolo — la stella — per Santa
Chiara è espressione fortemente legata alla persona stessa della Santa
fin da quando viveva nel mistero del seno materno.

Leggiamo infatti nella Bolla di Canonizzazione della Santa, pub-

blicata dal Pontefice Alessandro IV nell'agosto del 1255, che nella

Primogenita figlia spirituale di S. Francesco si vide « adimpletum illud,
quod ipsa mater eius [la B. Ortolana], dum esset ex ea gravida, et oraret,
dicitur audivisse : videlicet quod paritura erat quoddam lumen,
quod orbem plurimum illustraret »: or questo lume che avrebbe diffuso
i suoi splendori sul mondo certamente non sarebbe stato che un sim-
bolico astro, cioé una grande e radiosissima stella.

Fra Tommaso da Celano (9»& c. 1260), primo biografo di S. Chiara -

dopo di avere anch'egli riferito della predetta voce profetica e sopran-
naturale, aggiunge che la madre della Santa, fatta consapevole da
quell’oracolo, volle che alla nata bambina si imponesse nel battesimo il
nome Chiara (1); e questa poi giovanetta nella casa paterna cominció
a risplendere della purissima luce della virtü: « Edita mox in lucem
parvula Clara, tempestivo in umbra saeculi coepit clarescere lumine, atque
intra teneros annos morum suorum splendescere probitate » (Legenda
S. Clarae, ediz. Pennacchi, Assisi, 1910, $$ 5-6).,

Or é proprio questo che ci viene detto — se abbiamo interpretato
bene il sigillo di Nicolò Canonico di S. Rufino — da quella dolce figu-
rina di vergine, che ha il capo sormontato da una radiosissima stella.

Se ció é vero — come amiamo ritenere — quell'antico sigillo costi-
tuisce una ulteriore ed autorevole conferma alla nostra credenza sulla
ubicazione précisa della veneranda magione dove nacque l'immortale
Santa di Assisi.

(1) «Quo edocta oraculo, natam infantulam sacro baptismate renascentem
CLARAM vocari iussit, sperans promissi luminis claritatem pro divinae beneplacito
voluntatis aliqualiter fore complendam ». 2

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54 P. GIUSEPPE ABATE

B) La creduta identificazione della Casa paterna di S. Chiara con la
casa Taccoli di Via del Ceppo della catena era basata sopra un
documento falso.

Il Loccatelli, sia per confutare l'asserita tradizione popolare re-
lativa alla casa Bassi, sia per togliere ogni valore documentario all’af-
fermazione dell'anonima « Guida » del 1618 relativa alla casa Birelli
(cioé di Umilia Bini) — entrambe, in verità, non suffragate dalle prove

dM

VIA DEL CEPPO DELLA CATENA

Fic. 3.

necessarie, e conseguentemente immeritevoli di qualche fede — pre-
sentò, a suo tempo, una testimonianza da lui qualificata « ineccezio-
nabile », tratta dal Protocollo del notaro assisano Ser Francesco del
q. Ser Benvenuto di Stefano. 4
Secondo tale testimonianza, una certa Faustina, ultimo rampollo dei
Conti di Sasso Rosso, entró nella famiglia Taccoli con la dote delle terre
del Monte Subasio e di una casa prossima alla Porta Vecchia, detta
anche Portella di Pietropaolo, dell’attuale Via del Ceppo della Catena.
Orbene, lo diciamo subito, la sopra accennata testimonianza è

un falso.
Trovasi essa, è vero, nel Protocollo del suddetto Notaro (1), ma

non fu scritta da questi. Ve la trascrisse, cercando di imitare una scrit-

(1) Archivio Notarile di Assisi, segnatura M. n. 2, fol. 67, e segnatura più
recente C. n. 24.
LA CASA PATERNA DI S. CHIARA 55

tura antica, uno dei tanti falsari della fine del secolo xvi o del principio
del xvi: allo scopo evidente di compiacere ad ambizioni genealogiche
di qualcuno. È perciò una « contaminatio » apportata in un volume di
documenti veri ed autentici. Essa é vergata nel margine inferiore del
fol. 67 del citato Protocollo e la sua grafia, oltre il suo contenuto, ne
rivelano anche a un profano di paleografia la più sfacciata falsità,

Quella falsificazione, come può controllarsi nella riproduzione
fotografica che alleghiamo, dice così:

« Iste (1) Ser Io: Franciscus duxit in uxorem Faustinam filiam Jocundi
Scipii (2) Comitis Saxirubei patritii Assisiensis de domo et progenie Sancte
Clare cum assignatione dotis terrarum Montis Subasii et domorum (3) prope
portam Veterem versus Plateam quando trahitur a Sancta Clara ad dictam
: plateam, que domina Faustina erat pupilla et sine ullo consanguineo prout
patet per instrumentum celebratum manu Ser Balionis (4) de turre Comitis
Sterpeti sub (5) die 4 sextilii M.CCCCo III (6) ».

Intanto va rilevato che il citato testo parla di un Giocondo « Sci-
| pii », cioè figlio di Scipione, il qual nome nelle antiche carte assisane
ha pure la forma di Cipio, Sipio e Ysipio (7).

Far dunque il detto Giocondo della mai esistita in Assisi famiglia
« Scefi » è un grosso abbaglio del Loccatelli e di molti altri ancora (8).

(1) E da notare che nel cit. fol 67 non si parla affatto di alcun « Ser Io:
Franciscus »; è invece a fol. 70, e sotto la data dell'8 maggio 1430, che si trova
un « Ioannes Ioannis Taccoli de Assisio et Porte Sancte Clare unus de dominis
de Saxorubeo, ut asseruit ». Per gli altri signori di Sassorosso si ha nello stesso
Protoc. alla data del 22 Aprile 1430, fol 60: «... Existens... nobilis domina do-
mina Polisena filiam olim Bartolatii de Spello et uxor olim Testini Andreutii
et mater Fratris Simeonis, cessionaria et habens iura cessa a dicto Fratre Si-
meone eius filio uno ex comitibus et dominis de Saxo Rubeo ... ».

(2) Testo dato dal LoccATELLI: Scefi.

(3) LoccATELLI, cit.: domum.

(4) LoccATELLI: per Ser Balionem.

(5) LoccATELLI, om.

(6) LoccATELLri: JV Septembris 1403.

i (7) Cfr. quanto diciamo a proposito di Fra Rufino « Cipii », consanguineo
di S. Chiara, più avanti in questo studio.

(8) Scefo (Scesius, Scefus, Scescius, Scephius) in Assisi, al tempo di
S. Francesco e di S. Chiara, era un nome, non già un cognome. Infatti al
1212 abbiamo Victorinus Scesci (Strum. S. Conv., tomo I, pergam. n. 2); al
1218 Scesius (Archivio di S. Rufino, fasc. III, n. 24); al 1221 Paulus Scefi
(ivi, n. 29); al 1232 Pegolus Scesci (Strum. cit., tomo cit., n. 6); al 1233 Pepo
Scefii, Massolus Scephi, Paulus. Scesi (Archivio Comunale, N. n. 1); al 1237
tra i Consiglieri del Comune c'é un Sesius Taddei; al 1283 ricorre infine un
Bernardinus Scephi (Strumenti cit., tomo V, n. 16 bis).
CE RS WR CRUS WE QUEANT

56 ©. P. GIUSEPPE ABATE

Qus asseriti Scefi o Scifi — come già ben disse il Fortini, e come
più ampiamente dimostriamo noi in questo stesso studio — nulla hanno
di comune con la progenie di S. Chiara; e perciò sarebbe proprio tem-
po che i biografi della Santa li mettessero finalmente da parte e non ne
parlassero più.

Ma torniamo al documento.

Il preteso Giocondo « Scipii », (Scefi, secondo il Loccatelli) è qua-
lificato, oltre che « de domo et progenie Sanctae Clarae », dei Conti di
Sasso Rosso.

‘ Questo è falso.

Nessun Giocondo, nessuno « Scipio » e nessun membro della Fa-
. miglia di S. Chiara ebbe mai quel titolo comitale. Ciò non solo è stato
accertato dal Fortini, ma anche da noi che vi abbiamo fatto lunghe e
speciali ricerche. Del resto, come dimostriamo in altra parte di questo
| studio, la stirpe della Santa fu sì nobilissima, ma non ebbe titoli co-
mitali di alcuna sorta. È ormai ben noto che la contea di Sasso Rosso
nel secolo di S. Chiara fu sotto il dominio feudale di Leonardo e Forte-
braccio di Gislerio d' Alberico; poi passò ad altri, i quali pure nulla di
comune ebbero con la pua della Santa.

Ancora.

Del tutto ignoto agli aichivi assisani é il nominato notaro Ser
Baglione del 1403. Non si ha di lui un solo protocollo, nemmeno se ne
conosce alcun rogito; anzi mai ricorre un notaro di tal nome. Ed invece
si hanno centinaia e centinaia di strumenti fatti in Assisi riguardanti
Sterpeto (cioé l'antica signoria dei Conti Fiumi, che i genealogisti dis-
sero della Famiglia di S. Chiara per linea materna), o fatti, talvolta,
in Sterpeto stesso. !

Personaggio inventato, al pari del suddetto Ser Baglione, é quel
Bosone che, dai genealogisti del Seicento al Loccatelli , si é asserito
antenato del Giocondo e della Faustina del citato documento apo-
crifo. Un Bosone fratello di S. Chiara non esistette mai; e, se un Bosone
vien menzionato in un documento del 1253, questo documento —come
vedremo appresso — è una invenzione di falsari del secolo xvi o XVII.

Esistette si un Bosone tra la fine del Trecento e il principio del
Quattrocento, ma il suo vero nome era Francesco e fu detto Bosone per
soprannome: lo apprendiamo da quello stesso Protocollo C. n. 24
di Francesco di Ser Benvenuto di Stefano, nel quale fu inserita dal
tardo falsario la notizia dell'ultima discendente « de domo et progenie
S. Clare ». Infatti nel cit. Protoc., a fol. 160, leggiamo di « Iacobus quon-
dam Francisci alias Bosonis » (25 novembre 1420).
LA CASA PATERNA DI S. CHIARA ; 57

La qualitios di « patritius » assisiate; che nella testimonianza qui
discussa vien data all'immaginario Giocondo di Sasso Rosso, tradisce
anch'essa l'opera del falsario. Tale qualifica, infatti, non si riscontra
mai nelle carte assisane dei secoli xiri-xv, e bisogna attendere la fine
del Cinquecento prima di trovarla in uso.

Il nome del mese, in cui sarebbe stato redatto lo strumento del
Ser Baglione, Sextilis (cioé agosto, e non settembre come altri tra-
dusse), è parola del tutto inusitata nei rogiti medievali, mentre invece
é molto in voga presso i falsari del Rinascimento. Si aggiunga poi che
un notaro della prima metà del secolo xv avrebbe indicato il giorno
quattro del mese in numeri romani e cosi « IIIJ» e non già con la
cifra arabica «4».

Dimostrata apocrifa e falsa ls testimonianza: del 1403, risulta
pure tale, come « Casa paterna di S. Chiara », la casa Taccoli di Via
del Ceppo della Catena; e così pure risulta in parte falsa la genealogia
della Santa - fondata dal Loccatelli su quel documento — ciecamente
seguita da tanti storici, che non si sono dati la pena di ricorrere diret-

tamente alla fonte e si sono senz'altro contentati di documenti di |

seconda mano.

Ecco dunque, un'altra mal fondata tradizione che cade nell'igno-
minia del falso e dell'impostura, come è definitivamente caduta (e il
Vescovo di Assisi Conte Ottavio Ringhieri ben se ne avvide fin dal
1746) quella pseudo-tradizione, che collocava la Casa natale e paterna
di S. Francesco in Piazza del Macello solo in base ad affermazioni
orali o scritte di questi tre ultimi secoli e di persone ad essa falsa casa
direttamente interessate.

C) Una falsa Casa paterna di S. Chiara venduta, nel 1625, da un
, membro della famiglia Bini ad una pia religiosa di Marsiglia.

Numerosa, ed ormai più o meno artificiosamente salita a grado
sociale elevato, era al principio del secolo xvirla famiglia Bini di Assisi.

Parecchi deisuoi membri (non tutti, perchè non era nostro disegno
tesserne compiuta genealogia) li ricordammo nel nostro già citato stu-
dio sulla Casa dove nacque S. Francesco.

Tra essi, in numerosi documenti d'archivio appare Umilia Bini, :

figlia di Baldassarre e sorella di Gianfrancesco. Un atto di procura,
fatto anche col consenso di quest’ultimo, ce la presenta ai 20 maggio

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58 P. GIUSEPPE ABATE

del 1620 come moglie proprio di quel Messer Camillo Birelli (1), che
fu proprietario della «seconda » tra le quattro case arbitrariamente
qualificate come Casa paterna e natale di S. Chiara (v. sopra alla
lett. A). |
Di costei era allora l'asserita Casa paterna di S. Chiara, di cui
imprendiamo a discorrere, meno però due stanze, che, ai 21 marzo
1621, erano state vendute con diritto di retrocessione a Santa Petro-'
nini vedova di Mariotto Falcinelli (1. c., fol. 83). :

Verso il 1625 una nobildonna francese, di Marsiglia, a nome Gio-
vanna de Seylans, deliberó di lasciare la vita del mondo e di votarsi
interamente a quella religiosa. |

‘ Attratta dal fascino francescano la pia signora si portò in Assisi
con l'intenzione di istituire nella Città Serafica una Congregazione di
Suore dal titolo di Schiave di Gesù e Maria sotto il patrocinio di S. Fran-
cesco e di Santa Chiara.

Avutane licenza dal Vescovo Mons. Marcello Crescenzi (2), diede
inizio alla sua istituzione comprando dalla sunnominata Umilia Bini
«unum appartamentum... scilicet quatuor mansiones » di una casa a
questa appartenente per dote (3).

Ai 30 maggio dello stesso anno 1625 la Umilia Bini, col consenso
del marito Camillo Birelli e unitamente a lui vende alla signora fran-
cese — già Suora e Fondatrice delle Schiave di Gesù e Maria — tutta la
sua casa dotale, compreso l'appartamento sopra ricordato, al prezzo
complessivo di scudi 650.

Detta casa — si dice nello strumento di vendita redatto dal No-

(1) « Archivio Notarile », Protoc. di Giuseppe Ciofi, KKKK, n. 1, fol. 38.

(2) Romano. Tenne la Cattedra di S. Rufino dal 26 novembre 1591 ai 25
luglio 1631. Su questo benemerito Vescovo cfr. l'opera dell'Abate Dr CosTANZO,
Disamina degli scrittori e dei monumenti riguardanti S. Rufino Vescovo e Martire
di Assisi... Assisi, Tipogr. Sgariglia, 1797, pagg. 337-340.

(3) Rogito del Notaro Francesco Angelici in data 15 febbraio 1625 (« Ar-
chivio Notarile », cit. NNN. n. 2, 13). Ma poichè questo appartamento era
quello già ceduto dalla Bini ad Antonia di Sante, esso ai 21 di febbraio dello
stesso anno fu retrocesso all'antica proprietaria e da questa passato alla signora
francesce (« Archivio », cit., Protoc. del Notaro Sebastiano Iacopino, NN. n. 2,
fol. 19).

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LA CASA PATERNA DI S. CHIARA ^ 59

taro Francesco Angelici (Protoc. NNN. n. 2, ff. 42-44; cfr. purejl 6,5
fi. 44-46) — è situata entro la città di Assisi presso la proprietà di Vitto-
rino di Antonio Busti, presso la proprietà dell'Abbazia di S. Pietro
allora tenuta dal marito della Bini, e con la facciata sulla via.

Con la casa la Umilia vendette pure una parte dell'orto attiguo
e 1 casalini circostanti (1).

Nei due strumenti di vendita sopra citati la casa alienata non é
detta «già Casa di S Chiara »; ma questa qualifica ad essa casa vien
data in parecchi successivi strumenti di pagamento, come, ad esempio,
in quello del 30 agosto, ove é detta «domus ubi dicitur natam
fuisse Sanctam Claram » (2); in quello del 3 settembre (3), ed in altri
ancora del 22 ottobre e 20 ottobre (4). In quest'ultimo rogito si giusti-
fica per il fabbricato l'onorifico titolo di «Casa dove nacque S. Chiara »
con il vago accenno: « juxta traditiones et memorias existentes ».

(1) « D.na Humilia... » vende « D.ne Joanne de Seiliantiis de Marsilia »
una sua casa «sitam intus Civit. Ass. in 3"° S. Francisci juxta bona Victorini
quondam Antonii Busti, alia bona dicti d.ni Camilli pro Abbatia S. Petri de
eodem, viam et alia latera... cum horto eidem domui contiguo cioè quella
parte d'horto verso Perugia che comincia dal Cantone del Pozzo tirando per
lo Stradone a diritto al Horto di Petronio Budellaro riservato peró peri vendi-
tori detto pergolato, et Arbori in esso esistenti: necnon vendiderunt ut supra
casalenos quos habent prope dictam domum et intus prefatos confines...
pro pretio et nomine scutorum sexcentum quinquaginta monete de juliis
decem pro singulo scuto... ». .

(2) « Cum sit quod Ill”! D. Jovanna de Seglienis de Civitate Marsilie deli-
beraverit mundum deserere et Deum inservire toto eius corde; et propterea
instituere congregationem Virginum in Civitate Assisii sub nomine Sclava-
rum D. N. I. Xpi et S.me Marie Virginis sub protectione Serafici Patris Fran-
cisci et S.'* Clare de dicta Civitate et ad hunc effectum emerit domun ubi di-
, citur natam fuisse dictam Sanctam Claram a domina Umilia quondam Balda-
seris Bini et D. Camillo Birelli eius marito, et in congregatione acceptaverit non
nullas virgines... (omnia tamen cum consensu et licentia Ill.miet Rev.mi D. Epi-
scopi Assisien.): hinc. est... », etc. (Archivio cit., Protoc. di Stefano Jacopino,
NN. n. 2).

(3) L. c., fol. 112. Quest'atto é compiuto «in domo supradicte Congrega-
tionis sita in 3? S. Francisci apud bona Ill.mi D. Horatii Vannole, viam et al.
lat. »: cfr. pure Protoc. KKKK. n. 1, fol. 38, dove si indicano gli stessi confini
con l'aggiunta dei beni di Vittorino Busti.

(4) Cfr. Protoc. cit. KKKK. n. 2, ff. 68, 76, 83 e 89. — Nello strumento di
fol. 89 è annotato che il Vescovo Crescenzi unì alla nuova Congregazione «illas
paucas sorores Tertii Ordinis commorantes in habitationibus S. Rufini Arcis in
planitiis Assisii... ». — Altri strumenti, e sempre con la solita dicitura, si hanno
nello stesso Protocollo ai ff. 228, 238, 250, 300; 310, 317; nel Protocollo KKKK.
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60 | P. GIUSEPPE ABATE

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Di questa asserita Casa paterna di S. Chiara fa menzione più
volte il P. Salvatore Vitali, religioso dell'Osservanza vissuto in quel
tempo, che la vide e visitò stando egli in Assisi.

Da questo noto fantasioso e scriteriato scrittore apprendiamo che
la dama francese vi aveva eretto un monastero di Terziarie dette « Gio-
vannesse » dal nome della stessa fondatrice; che nel terreno annesso
alla casa era stata trovata una sorgente d'acqua; e che, mentre egli
scriveva, in quel nuovo monastero abitava ancora la Seillans con .
alcune sue discepole. |

Per il Vitali quella casa era proprio la « domus in qua B. Clara
nata educataque fuit». Aggiunge inoltre, con una incredibile facilo-
neria, che il fabbricato venduto dalla Umilia non era che una parte
di tutta la Casa di S. Chiara esistente in Via del Ceppo della Catena,
di modo che tra fabbricati ed orto la proprietà urbana di Favarone
— padre della Santa — si sarebbe estesa dalla cosi detta Portella di Pie-
tropaolo alla Porta antica di Moiano! La casa di S. Chiara poiera vicina
e prossima a quella di S. Francesco, e tutte due... abbracciavano non
solo tutti i fabbricati che esistevano in « Via S. Clarae» dalla Piazza
del Comune alla Portella di Pietropaolo (« Palatium » abitato dai«De
Rosmis », cioè l'ex-casa Taccoli), ma anche quelli restrostanti ad essi
dalla Chiesa Nuova e S. Francesco Piccolino sino alla ex-casa di Umi-
lia Bini a Porta Moiano! In una parola per il Vitali una buona metà
della circoscrizione di « Porta S. Chiara » era stata di proprietà di
Pietro di Bernardone e di Favarone di Offreduzzo ! Affermazioni
queste addirittura pazzesche; eppure il Vitali ha il coraggio — o meglio
la faccia tosta — di presentarcele come verità storiche documentate,
scrivendo in margine ad esse: « Omnia exploravi et vidi; vigelque tra-
ditio Maiorum et est publica vox et fama in Urbe hac ».

Ecco qui l’esilarante pagina... storica del Vitali (1):

n. 4 ai ff. 25, 90 e 114 dell'anno 1628. In uno di essi (Protoc. del 1626, fol. 238)
la Seylans è detta «fundatrix, mater et abbatissa loci pii nuncupati Congre-
gatio Iesus et Marie noviter erecti in civitate Assisii ». — Detta Congregazione

‘dovette avere un'esistenza di pochi decenni, perché — secondo alcune nostre

ricerche — già alla metà del secolo xvir non se ne hanno più notizie. Le « Visite
Vescovili » sembrano ignorarla del tutto.

(1) Fr. SaLvaToR VirALI, O. M. Reg. Obs.: Paradisus Seraphicus. Me-
diolani, Tipogr. Cardi, 1645, pag. 261; cfr. pure pagg. 39 e 71.
>

LA CASA PATERNA DI S. CHIARA 61

, «.. quam proximas aedes habuerint [S. Francesco e S, Chiara] ipsamet
Civitas non ignorat.
Clarae nam domus illustris vicina et proxima fuit paternis B. Francisci
aedibus (amplis et spatiosis, ut situs ostendit) interstite viculo.
Stabulum {cioè l'Oratorio di.S. Francesco Piccolino] quod apud, in lu-
cem Redemptori similis, [S. Franciscus] terris affulsit, seorsum inerat; mercum

. autem officina eadem fuit quae hodie Doctoris Bernardini de Leonellis, in-

termedio unico domus residet (1).

Paterna insuper aedes B. Francisci extendebatur per totum illud spa- -

tium in VIA SANCTAE CLARE (2) a platea ad dominorum de Rosmis usque
Palatium (3).

Heroina ingenua Clara clarissimis orta natalibus, Castri de SAx0 RuBEO
Comitissa, quarto ab Urbe lapide, aulam longe lateque porrectam habuisse
testatur in codice mihi exibito, Maiorumque hactenus viget traditio prisca.

Palatium Clarae impraesentiarum illud ipsum est, ubi nunc
habitat R. D. Canonicus De Rosmis, intercluso circuitu domus, in qua illustris
mater Ioanna de Seylans Marsiliensis cum honestissimo unaque castissimo
virguncularum coetu, sub Ordinis III Regula, atque habitus specie militan-
tium Altissimo famulantur unanimes et conformes.

Emptus hic locus ab-ipsa domina anno 1625 ducatorum... »

Dove sorgeva la casa di Umilia Bini venduta alla Suora fran-
cese come la « domus » in cui nacque S. Chiara 2
Secondo il citato Vitali, che la vide, non era lontana da tutti quei

(1) In margine: « Codex assisianus atque traditio ».

(2) Il maiuscolo è del Vitali.

(3) La Via di S. Chiara qui menzionata è quella che oggi è detta Via del
Ceppo della Catena. La Casa paterna di S. Francesco dunque, secondo il Vitali,
abbracciava tutta quelle serie di fabbricati, che dalla attuale bottega dell’ Unica
va fin oltre il Palazzo Francalancia (questo, infatti, precedeva — ai tempi del
Vitali — quello abitato dal Canonico de Rosmi ed apparteneva al I ramo dei
Bini). È superfluo notare che si tratta di una... fantasticheria di quello scrittore
secentesco, la quale fa il paio con l’altra della casa di Pietro Bernardone alla
Chiesa Nuova e della casa della famiglia di Madonna Pica a S. Francesco
Piccolino, espressa dal Vitali nel suo « Floretum Alverninum » (Firenze, 1626,
pagg. 155-56):

«.. sciendum est parentes B. Francisci binas habuisse, unam in uno, al-
teram vero in altero vico, domos.

In vico superiori (ubi nunc sub eius nomine Ecclesiola cum coenobio,
Catholicae Maiestatis sumptibus, constructa est) domus erat Petri de Bernar-
done: ubi cum sua familia commorans, venales merces, expositas exercebat...

In illo autem vico inferiori (in quo nativitatis, Conventualium Patrum
sub custodia, extat Sacellum) domus erat parentum Picchae... Erat ibi tunc
temporis domina Picca, cum partus eam oppressit angustia... ».

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62 |P. GIUSEPPE ABATE

fabbricati che egli attribuisce alla Famiglia di S. Francesco, e, inoltre,
si estendevano dalla Via del Ceppo della Catena (lato orientale) —
«interstite viculo » — a tutta la zona saltostante occupata da un orto
e da altri stabili.

Più precise sono le indicazioni che nel 1618 ne dava una anoni-
ma « Guida », la quale la pone accanto alla Porta antica di Moiano e,
naturalmente, accanto a quella antica chiesa (ora ridotta a rimessa
per automobili) che fu detta di S. Crispino:

.. passata la porta nuova [di S. Chiara] e S. Chiara, caliamo a man si-

ista, giü per questo vicolo.

Siamo sü l'arco o portone [Porta antica di Moiano]; caminiamo due passi:
ecco a sinistra la

Casa di S. Chiara, la quale (come si ha per tradizione) è
quella che ora si possiede da Messer Camillo Birelli [cioè dalla moglie di co-
stui, Umilia Bini].

Voltiamo per questo vicolo, ecco

S.Francesco P iccolo, chefu la stalla, ove nacque il Serafico
Padre... :

Vedi ormai dirimpetto lo

Spirito Santo[attualmenteridotto a Biblioteca del Convento della
Chiesa Nuova]. Questo è un Oratorio molto divoto, e v'é fondata la Scuola
del Divino Amore...

Caminiamo diretto. Vedi sù questa chiesa nuova ? Sappi ch'è

S.Francesco Converso, esi fabbrica ora, come vedi. Questa
fu la casa paterna di S. Francesco... » (1).

Le predette indicazioni topografiche vengono confermate dal
fatto che — estinta (non si come e perché) la Congregazione fondata
dalla Seylans — quella falsa Casa di S. Chiara divenne Rifugio delle
Convertite (2), il quale, secondo un documento dell Archivio di S. Ru-
fino, esisteva presso il Convento di S. Antonio di Padova e venne de-
molito, nel 1874, per la costruzione della nuova strada, che dalla
Coníraternita di S. Crispino conduce a S. Chiara.

(1) « Guida de' pellegrini che bramano visitare i santi luoghi della città di
. Assisi... opera... divisa in tre giornate... da un Servo de Dio per maggior com-
modità de' pietosi cristiani. In Assisi per Iacomo Salvi 1618 », pag. 34. (Da un
Estratto di detta guida, fatto dal Canon. Tomm. Paolucci-Loccatelli e conser-
vato nell'Archivio della Cattedrale di S. Rufino, gentilmente mostratoci dal
R.mo Sig. Canonico Priore D. Mariano Dionigi, che vivamente ringraziamo).

(2) Ms. delle Costituzioni delle Convertite, fol. 3, nota di una mano del
secolo scorso. -

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LA CASA PATERNA DI S. CHIARA : 155098

L'annesso schema topografico (fig. 4) chiarisce l'anzidetta ubi-
cazione.

Qui ci fermiamo, ed osserviamo:

. 1) Questa pretesa casa paterna e natale di S. Chiara é nella
parte meridionale, cioè più bassa della città, e nel Terziere di S. Fran-
cesco; mentre invece la vera ed autentica Casa paterna della Santa

PIAZZA

NE! N°

CASA. BINI

ua

Fic. 4,

sorgeva nella parte settentrionale ed alta della città e nel Terziere di
S. Rufino.

2) La casa venduta da Umilia Bini fronteggiava una via, aveva
accanto due altre case e da un quarto lato un ampio giardino; Invece
la vera Casa di S. Chiara fronteggiava la Piazza di S. Rufino, aveva
accanto una via ed era «juxta Ecclesiam S, Rufini ».

3) La vera Casa di S. Chiara è documentata da una carta au-
tentica del 1148 e dagli atti del Processo di Canonizzazione del 1253.
Invece della pretesa « domus, in quad icitur natam fuisse S. Cla-
pent

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PIE 3 MENS X

È

64 \\ P. GIUSEPPE ABATE

ram » venduta nel 1625 dalla Bini, non solo non si ha alcuna carta
antica dei tempi della Santa, ma nessuno storico maie nessun notaro
prima del detto anno 1625 ne fece menzione e le diede quella onorevole
qualifica. E se c’è l'affermazione dell'anonimo compilatore della
« Guida » del 1618, essa non ha valore probatorio, perchè è desti-
tuita anche della benchè minima documentazione anteriore a quella
data.

Verosimilmente è alla asserzione della predetta « Guida » ed alla
voce popolare da essa nata e diffusa, che si volle alludere, allorchè
nello strumento di vendita quella casa si fece il timido richiamo alle
«traditiones et memorias existentes ».

Ma quella asserzione e quella voce — infondate e campate in aria
senza alcuna base di documento — non sono vere tradizioni e non
appaiono prove di alcun peso a nessun critico. Difatti gli storici assi-
sani non soltanto non le hanno mai accettate e ripetute, ma anzi le
hanno giustamente qualificate - per false supposizioni, come fece ad
esempio il Loccatelli (Op. cit., pag. 38).

Non resta perció che una vera Casa paterna di S. Chiara: quella
che i documenti antichi, sicuri ed autentici — nei risultati critici del
Fortini e nelle nostre documentate conferme —. attestano sorgesse
una volta sul fianco di Piazza S. Rufino, in angolo con de superba
facciata del Duomo di Assisi.

Anche per la Casa paterna e natale di S. Chiara il falso e la
«fraus » — alla fine — hanno ceduto il campo alla verità, che sola
trionfa oggi (1).

(1) Mentre correggiamo le bozze di stampa del presente lavoro, veniamo a
conoscenza di un importante e grave documento pubblico riguardante la pre-
detta falsa Casa paterna di S. Chiara. Si tratta di una Lettera Patente del 21
agosto 1629, rilasciata alla Seilans (altre simili costei ne ebbe poi dal Legato
di Spagna Mons. Cesare Monti, Patriarca Antiocheno) dal Magistrato di Assisi,
allo scopo di ottenere dal Re di Spagna Filippo IV elemosine ed aiuti per la
sua nuova istituzione assisana. Tale Lettera — é opportuno qui ricordarlo, affin-
ché si sgannino quei tali, che, ad occhi chiusi e pertinacemente, insistono sul valora
storico di certi documenti ufficiali dimostrati inconsistenti é contrari al vero —
precedette di poco piü che un secolo un'altra simile Lettera Patente, del 1740,
rilasciata dallo stesso Comune di Assisi'ai RR. Padri Riformati, allorché fecero
ricorso al Re Cattolico Filippo V per impetrare elargizioni a favore della loro
Chiesa Nuova di Assisi, cio é della falsa Casa paterna di S. Francesco. In entram-
be le sopra accennate Lettere il Gonfaloniere ed i Priori di Assisi, certamente in
buona fede ma sempre con deplorevole faciloneria, attestarono solennemente
cosa contraria alla verità storica, commisero. cioè un grave falso pubblico, il

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pre LA CASA PATERNA DI S. CHIARA 65
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Ed ora ci si permetta di fare un parallelo.

Un Bini, G.Battista, vende nel 1615 ad un religioso straniero, il
P. Antonio da Trejo, un suo fabbricato presentandolo come l'antica
Casa paterna di S. Francesco, mentre invece non lo era.

Una Bini, Umilia, vende nel 1625, ad una religiosa straniera,
«Giovanna de Seylans, un suo fabbricato presentandolo come l'antica
Casa paterna di S. Chiara, mentre invece non lo era.

Negli strumenti compilati per la vendita e il pagamento dell'una

quale — in seguito alle nostre documentazioni — non meno solennemente, dalle
Autorità di Assisi ora andrebbe annullato.

Ecco ora il testo del documento come lo leggiamo in uno scritto sulla
Seilans pubblicato dal Canonico Andrea Tini in « S. Chiara d'Assisi nel Cin-
quantenario dell’ Invenzione del Corpo », periodico stampato in Assisi presso la
Tipografia Metastasio, 1899-1900, pag. 30:

CONFALONERIUS ET PRrIORES POPULI CIVITATIS ASISII

Cunctis praesentes nostras lecturis, et audituris certam fidem facimus
verboque veritatis compertum esse volumus admodum Reverendam Matrem
Ioannam de Seillians Marsigliensem de cuius nobilitate, prudentia-ac spectabili
religione multorum illustrissimorum Cardinalium, et Principum testimonio
‘ Illustrissimus Crescentius Antistes noster certior est factus, et nos re ipsa
comperimus, in hac nostra Asisiensi civitate pauperem puellarum Congrega-
tionem instituisse sub Regula prima Divae Clarae e Summis Pontificibus pro
claustralibus concessa, et approbata, eique nomen fecisse Mancipiorum Iesu
et Mariae, atque hac de causa aere proprio domum ipsam paternam dictae Divae
Clarae Asisinatis, ubi filiae cum tanta matre summa cum pietate et paupertate
Domino famulantur, cuisse, ut non modo nostratibus, verum etiam exteris
admirationi, et exemplo saris luculento esse possint.

Quoniam vero ad Coenobii aedificationem, ad eas alendas et clausuram
obtinendam, quod sine certo censu minime potest, multoru indigent ope, nos
.ut rem pro viribus promoveamus omnes in Domino rogamus atque obsecramns
ut praedictae matri Joannae vel filiabus de eius licentia in scriptis ad ellemo-
synas quaerentes accedentibus magna liberalitate praesto esse pro Christo ne
dedignentur. :

In quorum fidem has nostras scribi, ac per Cancellarium nostrum sub-
scribi, solitoque maiore signo, quo in talibus utimur muniri jussimus.

Datum Asisii, ex Palatio Apostolico XII Cal. Septembris, quo natus est
Redentor mundi c19.19. CXXIX.

Bartl. Carrarien. Canc.

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66 . P. GIUSEPPE ABATE

e dell'altra Casa si fa interessato ricorso ad una asserita « tradizione »;
e nondimeno una «vera » tradizione non c'era.
Infatti: : È
a) non un documento si addusse allora, nè poi, a conferma della
asserita tradizione per quella pretesa Casa paterna di S. Francesco;
b) non un documento del pari si allegó allora, né poi, a confer-
ma dell'asserita tradizione per la pretesa Casa paterna di S. Chiara.
Ed invece per la «vera » Casa paterna e natale dei due grandi
Santi Assisiati si è trovata, rispettivamente dal Fortini e da noi, una

imponente documentazione, la quale, oltre ad essere indubbiamente

autentica, é del tutto apodittica e definitiva.

Ma come, alcuno potrebbe chiederci, nel 1615 e nel 1625, si potè
parlare (sia pure in documenti d'indole privata) di preesistente tra-
dizione, se questa.in verità non c'era ? E se invece c'era, ma falsa,

donde mai questa nacque?

Oneste doinande, senza dubbio, son queste, cui cercheremo di
dare non meno oneste risposte. Se queste non saranno apodittiche —
perché il falso e l'impostura non sempre lasciano traccie chiare e vi-
sibili di sé, usando anzi disperderle con l'abilità e con l'astuzia — sa-
ranno senza dubbio verosimili e suadenti.

D) Come, verosimilmente, nacquero le false tradizioni riguardo alle
case di G. Battista Bini e di Umilia Bini asserite case natali di
S. Francesco e di S. Chiara.

La popolare tradizione, invalsa nel secolo scorso col Loccatelli,

la quale attribuiva l'onorifico titolo di « Casa di S. Chiara » all'ex-pa-

lazzo Taccoli di Via del Ceppo della Catena, aveva avuto origine da
un documento falso ritenuto autentico. L'abbiamo già dimostrato.
La questione perció, nei riguardi di S. Chiara, si restringe all'asse-
rita tradizione per l'ex-casa di Umilia Bini, come nei riguardi della
Casa di S. Francesco la questione tocca l'ex-fabbricato di G. Battista
di Piazza del Macello. |
Qualcuno intanto potrebbe affacciare l'ipotesi che i CU
delle anzidette false case di Santi possano essere stati in buona fede.
^ Sia pure.
Non é cosa questa che possa spiegare l'origine di quelle false tra-
dizioni, né che valga ad incrinare sia pure sottilmente le nostre inop-
pugnabili documentazioni. Il fatto, sicuro e indiscutibile, é che quelle
"YI

LA CASA PATERNA DI S. CHIARA 67

case furono vendute come già appartenute alle famiglie di Pietro di
Bernardone-e di Favarone di Offreduzzo, cioè come « vere » case pa-
terne di S. Francesco e di S. Chiara, mentre invece non erano affatto.
Se i predetti Bini venditori credessero o no alla verità delle proprie
affermazioni, è cosa che non ci riguarda punto, essendo aliena dai
nostri scopi e dalla presente questione.

Mentre non sapremmo trovare alcun fondamento immediato
per ammettere la buona fede in G. Battista Bini, forse se ne potrebbe
avere uno per Umilia Bini nella affermazione pubblica fatta nel 1618
— cioé sette anni prima che quella donna vendesse la sua casa — dalla
già citata « Guida de’ Pellegrini », opera di un anonimo (1), il quale non
cita alcun documento e si rivela facile accoglitore di ogni sorta di no-
tizie anche false.

Ma ammessa come probabile la buona fede dei Bini e — se si vuole

. — anche dell'ignoto compilatore della « Guida », è da ricercare come,

perché e quando fu preparato il tranello nel quale costoro, ed altri,

- furono inconsapevolmente presi. .

E noto a tutti come ovunque — Assisi compresa — tra la fine del
Cinquecento e il principio del Seicento si creassero cervellotiche ge-

.nealogie per famiglie che allora erano in auge ed anche per famiglie

(1) Dato che costui si qualifica come « servo di Dio », si puó ritenere che sia
stato un prete o un frate. Chi proprio sia stato non è facile indovinarlo; certo
è che scriveva in un tempo in cui le falsificazioni storiche e le fantasticherie più
sbardellate erano di moda in Assisi e fuori.

Della grande ingenuità storica di questo anonimo scrittore assisano, che
accettava come verità indubbia errori di fatto e tradizioni infondate e presen-
tava alla venerazione dei pellegrini come sicure ed autentiche certe reliquie fa-
volose o impossibili, sono prova evidente: l’affermazione ‘che S. Chiara si sia
rinchiusa in quel Monastero di Panzo che si trova presso l’Arco del Seminario
che nel 1212 era ancora inesistente; l’indicazione del « Fondaco » del padre di
S. Francesco in Via Portica, che fu (come abbiamo documentato altrove) una
«-apotheca » del sec. xv lasciata da un pio mercante alla Sagrestia della Basilica
assisana, per cui fu detta comunemente la « bottega di S. Francesco »; la reli-
quia della « Verga di Mosè » conservata al Sacro Convento; quella della « Ra-
ditura della testa di S. Giovanni Battista » e della « Pietra dove l'Angelo cantò
gloria in excelsis » al Duomo; del « Rogo incombusto dove Iddio apparve a Mosé »
e della « Rosa di Gerico che fiori nella notte di Natale di Nostro Signore » a San
Damiano, ed altre del medesimo genere.

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68 : P. GIUSEPPE ABATE.

estinte da cui si volevano usciti insigni personaggi storici e Santi,
come ad esempio fu fatto per S. Francesco e per S. Chiara: Lo stesso si
dica per le origini di antiche città per opera di scrittori fantasioste
campanilistici.

Ben sovente — anche a scopo di lucro — vennero falsificati docu-
menti per creare delle pezze di appoggio allo scopo dare una antichità
o una nobiltà, e talvolta l'una e l'altra, a chi non le possedeva ma
aveva lambizioso desiderio di procurarsele.

A, tale spregevole scopo si contaminavano antiche ed autentiche
carte e pergamene, si inventavano di sana pianta scrittori mai esistiti
e compilavano antiche cronache, diplomi e bolle giammai prima scritte
o immaginate, mescolando molto falso a un po’ di vero per rendere
credibile ed accettabile quanto si voleva fosse creduto ed accettato.

A pochi chilometri da Assisi — nella seconda metà del secolo xvi
— fabbricava, con stupefacente facilità ed abbondanza, tali mercanzie
uno dei più celebri falsari di documenti che siano mai esistiti al mondo:
quell’ Alfonso Ciccarelli (o Ceccarelli), che, alla fine, per le sue innume-
revoli malefatte in materia di falsificazioni, lasciò la testa su un'iufa-
me patibolo in Roma nel 1583 (1).

(1) Il Ciccarelli fu di Bevagna, in Umbria, e medico di professione. Di lui fu
scritto, fra l’altro, dal GINGUENÈ (Biografia Universale, Venezia, 1823, vol. XI,.
pag. 467) che «acquistò nel secolo xvi una vituperevole e trista celebrità per
le furberie più insigni e pel loro giusto castigo. Dopochè pubblicata ebbe una.

Storia d’Orvieto, piena d’invenzioni e d’imposture, stampò in Ascoli la Istoria

di Casa Monaldesca, nella quale ebbe l’audacia d’inserire memorie e titoli di
suo conio; ma cui pretese d’aver tratto dagli archivi pubblici e privati. Vi ci-.
tava, Guai autorità, autori che non avevano mai esistito. Ne aveva fatto al-
trettanto fino dal 1564, pubblicando a Padova un op@scolo intitolato: De Cli-
tumno flumine, con un trattato De tuberibus. Non v'ha dubbio che non fosse
dello stesso genere una Storia della Casa Conti... Non si limitava a falsificazioni

puramente storiche; fabbricava titoli ed. atti a profitto o a spese delle famiglie.

Lusingava l'orgoglio dei grandi con favolose genealogie. Tese una di tali in-
sidie al Marchese Alberico Cibo, e tolse a provargli con falsi titoli, che la ve-
tustà della sua famiglia contava da cinque a sei secoli di più. Alberico, ch'era
uomo di spirito, s'accorse dell'astuzia e fu il primo a smascherare le frodi del
Ciccarelli. Altre accuse insorsero contro di lui; alla fine venne arrestato per
ordine del Papa Gregorio XIII; gli fu fatto il processo, e, convinto di falso e di
supposizione di titoli con intenzioni le più ree, fu condannato ad essergli ta-
gliata una mano e ad essere poscia impiccato nella pubblica piazza... L'Allacci
ha posto alla fine delle sue Osservazioni sulle antichità etrusche d'Inghirami

[nella edizione del 1642] un trattatello, in cui occorrono molte particolarità

sulle imposture del Ciccarelli e sugli artifizj, che usava per accreditarle. Vi si

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LA CASA PATERNA DI S. CHIARA 69

Assai interessante sarebbe conoscere quanto e quale fu in Assisi
e su Assisi l'opera di falsificazione del Ceccarelli e dei suoi complici.

Dando una rapida scorsa al grosso manoscritto autografo del
Ceccarelli esistente nella Biblioteca Apostolica Vaticana (Cod. Vat.
8251, fol. 54) e che, da lui fabbricato, porta come autore Fanusio Cam-
pano, vi abbiamo trovato notizie strabilianti, e naturalmente false, su
tre famiglie nobili di Assisi: sui Nepis, che fa discendere dagli antichi
romani; sui Fiumi, ai quali dà origine sotto Ottone III Imperatore;
sui Dragoni, che pone esistenti sotto Ottone I, e dai quali fa poi di-

scendere i « Boncompagni sic dicti a quodam Boncompagno de Dra-
conibus » (1).

Evidentemente inquinati dalle falsificazioni del Ceccarelli sono
gli antichi Cataloghi dei Vescovi di Assisi, essendo in essi citati —
come rilevó già l'abate G. d. Costanzo (2): — Gabinio Leto, Fanusio

vede che. Fanusio Campano, Giovanni Selino ed altri scrittori, sovente citati
da questo falsario in appoggio delle sue asserzioni, sono pretesi autori, i quali
non ebbero vita che nella sua immaginazione, o che, almeno quanto al primo,
se pur ha esistito e se scrisse realmente, Ciccarelli ha falsificato ed alterato tutti
.gli atti che pretese aver tolto da lui. Tiraboschi raccolto aveva molti materiali
per una dissertazione sulle imposture-di tale uomo spregevole, sopra Fanusio
Campano, Selino, Corello ed altri pseudostorici dati alla luce e citati da lui con
le sue imitazioni con i suoi inganni... »

Del Ceccarelli e delle sue falsificazioni hanno scritto parecchi; noi qui
indichiamo gli studi recenti principali: A. RieGL: Alfonso Ceccarelli und seine
Fálschungen von Keiserkunde » nelle « Mitteilungen des Instituts für Osterrei-
chische Geschichtsforschung », 1894, fasc. II; Fumi L., L’opera di falsificazione di
Alfonso Ceccarelli nel «Bollettino di Storia Patria per l'Umbria », Perugia, 1902, è
pagg. 213 e segg.; MERCATI A., Per la Storia Letteraria dell Emilia in « Bollet-
|. tino Storia Patria per la Provincia di Modena », an. 1918, vol. XI, pagg. 37-103.
i (1) Per i suddetti Dragoni di Assisi furono fabbricati alcuni documenti
membranacei, ancora esistenti nell’ Archivio Segreto del Comune di Assisi, dei
quali faremo cenno in seguito.

(2) Cfr. Disamina cit., pagg. 230 e 248. — Noi non conosciamo il Catalogo
dei Vescovi di Assisi, nel quale sono citati i suddetti supposti autori; ma abbia-
mo veduto nell’Archivio di S. Rufino — per cortesia squisita del Rev.mo Sig.
Priore D. Mariano Dionigi, che qui pubblicamente ringraziamo per le molte
facilitazioni procurateci nelle nostre indagini — un Ms., senza nome d'autore,
dal titolo: « Series Episcoporum Civ. Assisien. ex antiquis codicibus aliisque
Ecclesiae monumentis deducta atque exarata », nel quale: a) si fa, al 1374, dei
Ciminelli e nobile assisiate un mai esistito francescano dal nome « Fr. Nicolaus
Petri », che il Gamurrini fa degli Sperelli-Ciminelli; Db) si dice Vescovo di Assisi,
nel 1429, un « Jacobus de Fluminibus, nob. Assis. », mentre si sa invece da do-
cumenti dell’ Archivio Vaticano che c’era un altro; si mette al 1515 e creato da
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70 P. GIUSEPPE ABATE

‘ Campano ed altri autori sbucati fuori dalla inesauribile fucina cec-
carelliana. |

Dal Ceccarelli, secondo il Golubovich, é stata falsificata la Cron-
aca di Frate Elemosina d' Assisi (1), esistente ancora, e di mano del
falsario, nella Biblioteca Vaticana sotto lo pseudo titolo di Chronica
Iohannis a Capistrano (Ms. Chig. I, VII, 262).

Financo nell'archivio. conventuale della Porziuncola entrò un
diploma imperiale inventato dal Ceccarelli per favorire parecchie
famiglie nobili di Spoleto, come vedremo appresso.

Gon ogni verosimiglianza, se nón al Ceccarelli, a complici o imi-
tatori di lui va attribuita la falsa Genealogia di S. Chiara, che un citta-
dino di Assisi inviò al Wadding mentre compilava i suoi Annali (2);

Leone X a Vescovo della città un « Fr. Nicolaus Olivi » di Bettona, mentre invece
governa la Diocesi di Assisi il vescovo Zaccaria Contugi (an. 1509-1526).

Anche la serie dei Vescovi: di Perugia fu inquinata dal Ceccarelli, e così
pure la storia di Orvieto, di Città di Castello, di Spoleto, di Terni, nonchè le
genealogie dei Montemarte di Todi, dei Marioni e dei Pamphili di Gubbio. A
proposito di questa città va ricordato che la famosa cronaca di Greffolino —
come ci assicura il ch.mo Prof. Pio Cenci, al quale siamo debitori di parecchie
delle suddette segnalazioni — è tutta una falsificazione del Ceccarelli ad evidente.
scopo... genealogico. i

(1) Parecchie notizie su questa Cronaca e sulla mistificazione compiuta
su di essa dal Ceccarelli si hanno in Bibl. Bio-Bibliogr. della T. S. e dell’ Oriente
Francescano, Quaraechi 1913, tomo II, pagg. 103-142, edita dal P. Girolamo
Golubovich, O. F. M. Fu del detto codice falsificato, da lui qualificato « vetu-
stissimus », che il Wadding si servi peri suoi Annali, sebbene — a quanto affermò
il citato P. Golubovich — vi abbia attinto solo roba genuina e storica. A questo
proposito riteniamo doveroso notare, che, secondo il dotto benedettino Dom.
H. Quentin, è ben vero che il Ceccarelli ebbe presso di sè quel codice e vi intro-
dusse alcune annotazioni di sua mano: queste però si riducono ad alcuni titoli
ed all’elenco delle fonti usate nella Cronaca, nonchè all’aggiunta di due piccoli
trattati sugli ordini. cavallereschi e sulla donazione di Costantino, compilati
in verità nel secolo xvi (Cfr. il periodico « Antonianum » Roma, t. VI, an. 1931,
pag. 382.

(2) Secondo un'ipotesi del Pennacchi (Legenda S. Clarae cit., pag. XXXI)
chi verosimilmente compiló la sopraccennata Genealogia di S. Chiara fu il
nobile assisano canonico Anton Francesco Egidi, autore di una Storia di Assisi
manoscritta assai nota, e nella quale — aggiungiamo noi — sono citati autori
inventati dal Ciccarelli come Caio Gabinio Leto, Gottifredo Beringo, Settimio
Florio. Noi siamo del parere che l'Egidi nulla ebbe che fare con quella Genea-
logia, avendo egli compilato la sua opera circa il 1670, cioè quasi un mezzo
secolo dopo che al Wadding furono ammanniti con quella: stessa Genealogia
altri documenti falsi.

Si potrebbe forse pensare invece a quel PIETRO SALVI; assisano, fiorito

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LA CASA PATERNA DI S. CHIARA 71

se pure non fu della stessa genia di falsari l' Albero della Genealogia
di S. Francesco diffuso sotto il nome d'un ignoto P. Pietro da Spoleto,
di cui tratteremo a parte in questo studio.

Opera di uno spudorato falsario della fine del secolo xvr, cioè del
tempo in cui il Ceccarelli inquinava i pubblici e i privati archivi di tutte
le città umbre, è la famigerata Lista dei 24 Nobili Assisani che, nel
1253, avrebbero assistito nella Basilica di S. Francesco alla canoniz-
zazione di S. Stanislao, vescovo e martire di Polonia (1), tra i quali si
menziona limmaginario capostipite dei Bini: « Pirrus Birtholides
Comerrae Binae ». !

È perciò da ritenersi del tutto verosimile che dal suddetto falsa-
rio, o da altri della medesima specie, sia stato dato ad intendere all'am-
biziosa ed allora assai estesa Famiglia Bini, la quale, in verità, posse-
deva la vera Casa dove nacque S. Francesco esistente tra la Via del
Ceppo della Catena e il Vicolo dello Spirito Santo, che essa fosse pure
proprietaria di un’a ltra casa (non lontana da quella) del « quondam
Pietro Bernardoni Patre di S. Francesco » (2), nonché della casa pa-
terna di S. Chiara.

Queste false attribuzioni inoltre si rendevano piü facili in quanto
che allora non sopravviveva piü nessuno dei veri discendenti delle
Famiglie dei due Santi assisiati, che potesse protestare e ristabilire. la

nella seconda metà del secolo xvi e nei primi decenni del secolo xvir, che secondo -
il citato Egidi (Biblioteca Comunale d'Assisi. Ms. B. 7, fol. 212) fu grammatico
ed umanista stimatissimo ed autore di un Viaggio dell'Asio (Foligno, 1611)
nonché di diverse altre opere in latino ed in volgare, tra cui (sempre secondo
l’Egidi) la tanto famosa quanto rarissima già citata « Guida de’ Pellegrini »,
edita in Assisi da Iacopo Salvi, fratello del suddetto Pietro. Questi, come com-
pilatore di una « Guida »quasi tutta francescana, si presentava ai tempi del
Wadding certo come personaggio assisano adatto a fornire notizie sui Santi
della Città Serafica.. Un rifacimento di essa Guida (compilato verso il 1667) si
hain un Ms. esistente nella Biblioteca di Aquila col titolo: «Guida del Pellegrino»,
che desidera visitare con frutto, e consolatione dell’ Anima sua le Chiese, e devotioni
della Serafica Città di Assisi con la Genealogia di S. Francesco e di Santa Chiara, et
una breve Cronologia del Crocifisso crocifisso da Christo Crocifisso». In questo scrit-
to, pieno di favole e zeppo di errori, si citano talvolta «antiche carte dei Bini».

(1) Anche di questo sfruttatissimo documento apocrifo, che ha inquinato .
fino ai nostri giorni tutta la storia genealogica del patriziato assisano, dimo-
streremo in. questo studio la piena e sfacciata falsità.

(2) Parole queste che si leggono nel noto strumento di vendita del 1615,
con eui il fabbricato di G. Battista Bini — esistente in Piazza del Macello e a
poche diecine di metri dalla vera Casa di S. Francesco — passava in possesso del
religioso spagnuolo Fra Antonio da Trejo.
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72 P. GIUSEPPE ABATE

verità, e in quanto che — per analoghe falsificazioni documentarie — i
Bini si vantavano della stirpe di S. Francesco (1): c'era dunque un
buon addentellato per dar loro ad intendere con altre apocrife atte-
stazioni che tra le varie case di loro proprietà (cioè del I e del II
ramo Bini) ce n’era anche un’altra di... Pietro di Bernardone.
.Attorno a un nucleo di vero si creava il falso e la leggenda, si
ampliava cioé arbitrariamente il perimetro della vera Casa di S. Fran-
cesco dal Vicolo dello Spirito Santo fino alla. Piazza del Macello, sal-
tanto a pié pari due antiche vie intermedie ! L'autenticità di una casa

(1) Cfr. il capitolo XXXVI della nostra pubblicazione su « La Casa dove
nacque S. Francesco », già citata.

Tra le carte del Frondini conservate nell'Archivio della Cattedrale di
Assisi si trova un quinternetto contenente lo « Stemma Genealogico della Fa-
miglia Bini di Assisi e dei vari rami di essa, cioè delle Famiglie di S. Fran-
cesco (l) Bini-Cima, Bini-Silvestri e Bindangoli-Bini intitolato Stemma
Genealogicum nobilis familiae de Binis sanctitate litteris et armis in Asisinatensi
et Forojulensi patria clarissimae, observante Advocato Iohanne de Sitonis de
Scotia Mediolanensi Chronista, etc. ». La detta Genealogia ebbe poi tante
aggiunte (fin oltre il 1863), che non puó dirsi fin dove arrivava quella primiera-
mente composta dall'asserito Cronista.

Chi poi sia stato costui nessuno lo sa, ed é vano cercarne il nome nei vari
Dizionari Biografici. Nessuno conosce un cronista « de Sifonis », come nessuno
ci sa dare notizie di una « Scotia » Milanese. Si ha, è vero, nel noto Dizionario del
LApvocaT (ediz. di Bassano, 1773, tomo VI, pag. 175) un Giambattista Sitoni

' da Milano — filosofo e medico... come il Ceccarelli — che si dice ‘vissuto nel « se-

colo XVII »; ma non si sa che abbia scritto delle cronache e compHato delle ge-
nealogie, e che inoltre sia stato « Advocatus ».
Secondo l'asserito cronista la Genealogia Bini-S, Francesco sarebbe stata
la seguente:
Bina de Binis

Raino, detto pure Rainerio
| iS
UNT | | |
Guido Rainerio i Bernardone Moricone
i |
| |:

Angelo S. Francesco

Da Guido sarebbero poi discesi: Gromero — Birtolide — Pirro — Giorgio, ecc.
(tutti personaggi immaginari !).
Da Moricone: Orlando — Lando — Giovanni — Tommaso, ecc. (personaggi

‘pure mai esistiti).

È da notare che nella predetta Genealogia manca un personaggio del tutto
certo: Pietro, padre di S. Francesco !

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LA CASA PATERNA DI S. CHIARA 73

(il luogo dove era nato S. Francesco) si fece giungere fino a un'altra casa
(per molto tempo appartenuta a banchieri giudei) e ciò solo perchè
tanto l'una che l'altra nel secolo xvi e xvi: era in possesso dei Bini !

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Se è facile indovinare in qual modo la casa dei giudei di Piazza del
Macello si fece passare al principio delsecolo xvi: per la casa paterna di
S. Francesco, o piü precisamente conte proprietà di Pietro di Bernar-
done, padre del Santo, non é parimenti facile spiegarsi l'altra impo-
stura che di una casa di Umilia Bini ne faceva la casa paterna e natale
di S. Chiara. |

Per quella c'era il falso supposto che i Bini fossero della stirpe
di S. Francesco; ma per la seconda non c'era proprio nulla, essendoché
mai i Bini vantarono collegamenti con la divulgata genealogia di
S. Chiara. j

Ma di che cosa non furono capaci i falsari tipo Ceccarelli alla fine
del Cinquecento e al principio del Seicento ?

Creare una remota affinità, inventare uno strumento di acquisto,
‘ fabbricare o contaminare una cronaca o una lapide o un testamento
per... varare agevolmente un falso (1) era allora per quei fantasiosi
venditori di gloria non già un innocente ludo letterario, ma arte raf-
finata e sottile d’impostura e d’inganno, oltre che — ben sovente —
fonte d’ignobile lucro.

Perciò si ammetta pure — se si vuole — della buona fede nei so-
praddetti Bini venditori nel secolo xvi: di false Case di veri Santi;

si ammetta pure — sebbene non sia affatto documentata — l'esi-
stenza in quel secolo di una qualunque tradizione a favore di dette
Case;

ma è giuocoforza riconoscere — ora che si è scoperta la verità —
che quella buona fede e quella tradizione sono state originate, con
tutta verosiglianza, da affermazioni infondate e da testimonianze
suppositizie ed apocrife messe in giro, presso a poco in quel tempo,
da impostori spregevoli e venali a sfruttamento della credulità e del-
l'ambizione e, al tempo stesso, a danno della giustizia e della verità.

(1) Tra i numerosi inventori di lapidi storiche sono noti il Moriggia, il
Vagliani, il Bescapè per la storia di Intra, Pallanza ed Angera. Altri falsari ceé-
lebri furono Antonio di Cambray, Annio da Viterbo; Roberto di Beaumont,
Francesco di Rosierès e il già citato Curzio Inghirami da Volterra.
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P. GIUSEPPE ABATE

Abbiamo finora indagato come quando e perché poterono sorgere
in Assisi le asserite tradizioni in favore della false case paterne di
S. Chiara e di S. Francesco.

Ci resta ora spiegare come e perchè dette pseudo-tradizioni pote-
rono durare sì lungo tempo senza contradizioni e proteste.

È cosa nota che le falsificazioni storiche dei secoli xvr e xvrI
furono tali e tante — e così bene architettate — che non era impresa
facile e da tutti scoprirle e tanto meno poi coraggiosamente denun-

. ziarle.

Il celebre Leone Allacci (tanto per riferirci al solo Ceccarelli) ne
scoprì e denunziò non poche; ma di critici così ben preparati ed acuti
come quello, il secolo xvir non ne ebbe molti, sicchè.tante falsificazioni
hanno potuto durare a lungo, indisturbate ed accettate, come tante
altre durano ancora in ogni campo della storia.

Invero, nei riguardi delle Case di S. Chiara e di S. Francesco nes-
suno prima del Fortini e di noi si era addossata la grave fatica di com-
piere vaste e minuziose ricerche negli archivi assisani per ristabilire,
con documentazione autentica e ineccepibile, la verità manomessa
con le pseudo-tradizioni. Ma per debito di lealtà verso i Lettori, dob-
biamo aggiungere che tanto il Fortini che noi — in un primo tempo —.
fummo condotti a studiare quei problemi quasi per caso e per con-
comitanza, dato che quegli si occupava di S. Chiara in quanto la vita
della Santa si intrecciava in parte con quella di S. Francesco e della
città di Assisi nei secoli xIte xir, che erano lo scopo diretto e principale
delle sue ricerche storiche; e noi fummo condotti ad occuparci della
Casa di S. Francesco, solo quando, nell'esaminare le pergamene di

- S. Rufino, del Sacro Convento e dellArchivio del Comune nonchè

circa un migliaio di Protocolli Notarili per un nostro studio sulla Ba-
silica di Assisi, ci imbattemmo nei numerosi noti documenti riguar-
danti la vera Casa del Santo. Fu dunque per caso — come dicevamo —
e non per speciale proposito che dal Fortini e da noi furono studiate
e smascherate le pseudo-tradizioni sulle case di S. Chiara e di S. Fran-
cesco. | :
Della Casa di S. Chiara poi nessuno mai fino al 1854, cioè sino
al Loccatelli, s'interessó in modo speciale; come nessuno dal 1854
fino alla scoperta del Fortini protestó contro la nata falsa tradizione
che diceva ‘Casa di S. Chiara ,, il fabbncato Taccoli di Via del Ceppo
mam—

LA CASA PATERNA DI S. CHIARA : 75

della Catena. La tradizione della ‘ vera,, Casa della Santa si era da
gran tempo perduta, e quella nata nel 1854 era fondata su un docu-
mento da tutti ritenuto autentico. In tale stato di cose, chi mai avreb-
be potuto e dovuto protestare contro la pseudo-tradizione ?

Diversamente, ma solo a prima vista, si presenta la questione a
riguardo della « Casa dove nacque S. Francesco », cioè di *S. Francesco -
Piccolino ,, , cioé « parvulus-bambino-infante-ceccarello ».

Per questa — quando spuntò la novità del 1615 con la nota lettera

del Da Trejo — c'era già una tradizione vecchia e ininterrotta di quasi
quattro secoli, confermata unanimamente dagli storici di ogni parte,

corroborata da vetusti monumenti scritti e pittorici, avvalorata dal

culto pubblico di moltissime generazioni. Almeno i custodi di questa

« Domus sive Ecclesia » dove nacque il Santo — potrebbe dirsi da al-
Quno- avrebbero dovuto protestare nel 1615, quando cioé sorse quella
‘ Chiesa Nuova ,, che secondo il suo fondatore — il Da Trejo citato —
veniva ad occupare l'area della casa na tale di S. Francesco.
Errore ! :
Nel 1615 i custodi di ** S. Francesco Piccolino ,, , cioè i Frati Mi-
nori Conventuali non potevano e non dovevano fare alcuna protesta.
L'affermazione del da Trejo non fu allora resa pubblica; ed essa,
del resto, accompagnava un atto privato redatto silenziosamente in
un convento fuori città e li silenziosamente custodito fino al 1932. Al
pubblico di Assisi nel 1615 si disse che si edificava nel posto di una casa
che si riteneva aver appartenuto a Pietro di Bernardone, padre di

S. Francesco, una chiesa in onore della « Conversione di S. Francesco

e in onore di tutti i Santi dell Ordine Minoritico ».
Null'altro.
Nessuno dei '' fabbricatori ’’ disse allora al pubblico che quella

eralacasanatale di S. Francesco. Perció nessuno poteva e doveva

protestare, come difatti — nemmeno dai Religiosi del S. Convento
— da nessuno si protestò.

Il sorgere di una chiesa in un luogo che avrebbe potuto essere già
proprietà della Famiglia di S. Francesco — casa pure paterna, se si
vuole — non minacciava allora nè intaccava in aleun modo la vera tra-
dizione e i plurisecolari diritti di « S. Francesco Piccolino ».

Non si poteva protestare quando nello stesso 1615 il P. Antonio
da Trejo ottenne il Breve di Paolo V, nel quale si affermava con un
prudente « asseritur » (riversante la responsabilità dell’asserzione sul
detto religioso presentatore della supplica relativa), che S. Francesco

era nato nell'ex-casa di G. Battista Bini, per la semplicissima ragione

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76 P. GIUSEPPE ABATE

che quel Breve allora non fu fatto di pubblica ragione. Bisognava
aspettare l’anno 1934 per conoscerlo (1). ;

Inoltre ogni diritto e possibilità di protesta veniva di fatto a
mancare, perché gli stessi Osservanti e Riformati possessori della
Chiesa Nuova, a voce e con le stampe, facevano sapere a tutti che se
l'ex-casa di Piazza del Macello era la Casa paterna di S. Francesco,
l'Oratorio invece di S. Francesco Piccolino era il luogo dove era nato -
veramente il Santo. Valgano per tutti le pubbliche affermazioni del
Wadding, del Vitali, del Lequile, del De Gubernatis e del Van den
Haute (2).

Date quindi le chiare, recise, inequivocabili attestazioni di detti
storici non sospetti — per le quali, non soltanto non veniva leso.alcun
diritto dell'oratorio di « S. Francesco Piccolino », ma veniva anzi rico-
nosciuta manifestamente e senza riserve la legittimità e il possesso di
quegli stessi diritti — ogni protesta contraria alla « Chiesa Nuova »
sarebbe stata, oltre che ingiusta ed assurda, addirittura pazzesca.

E difatti nessuna protesta ci fu.

Siamo ora al 1740. I PP. Riformati della Chiesa Nuova ottengono
. dai Magistrati di Assisi un Attestato in cui si afferma — e con giura-
mento ! — che detta chiesa era proprio il luogo dove nacque S. France-
sco. Quindi almeno allora. — potrebbe dirsi — aleuno avrebbe dovuto
protestare...

Giusta osservazione questa, qualora il detto Attestato — con-
tradicente agli Statuti della città compilati dai Magistrati di Assisi
tre secoli prima — fosse stato conosciuto dal pubblico; esso invece, de-
stinato ad.un Monarca di'Spagna, non fu conosciuto che più tardi
e... allora, come vedremo, la protesta venne. |

In risposta alla petizione dei Religiosi della Chiesa Nuova, e in
seguito al detto Attestato, nel 1741 il re di Spagna Filippo V emanó
un Diploma concedente alla detta Chiesa il Regio Patronato e riaffer-
mante, in base sempre alla petizione, la nascita di S. Francesco nell'ex-
casa di G. Battista Bini di Piazza del Macello. Esso Diploma fu tenuto

(1) Cfr. la continuaz. degli Annales Minorum, fatta dal P. Stanislao Mel-
chiorri, Quaracchi 1934, vol. XXV, pag. 534.

(2) Cfr. WappiNnG, Annales Min., tomo I stampato a Lione nel 1625,
Apparat. n. VIII; VirALi, Floretum Alverninum già citato, edito nel 1626,
pag. 00; In., Historia Serafica, Milano. 1645, pag. 7; LEQUILE, Hierarchia
Franciscana, Roma 1664, pag. 20; e « Franciscus ter Legislator », Roma 1667, -
pag. 495; DE GuBERNATIs: Orbis Seraphicus, Roma, 1682, tomo I, pag. 4; P-
VAN DEN HAUTE, Brevis Historia Ord. Min. Roma 1777, pag. 4..

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| LA CASA PATERNA DI S. CHIARA i 77

| nascosto nel suo integrale contenuto per tre anni; e nel 1744 fu fatto
DI registrare, all'insaputa delle Autorità Ecclesiastiche di Assisi, nella
«\ Cancelleria della Città. |

Appena però, l'anno seguente, esso fu integralmente conosciuto

dal Vescovo Mons. Ottavio Ringhieri, questi ne rilevò la falsità delle

\ affermazioni, ne diede notizia alla Procura Generale dei Frati Minori
Conventuali (per i quali, come è noto, non fu affatto tenero) e raccolse
tutta la documentazione dimostrante che quel Diploma — e natural-
mente l'Attestato, che gli aveva dato origine — era obrettizioe
"surrettizio,e come, e perché. Tale documentazione, compresa
in una dozzina di fogli, ci è segnalata dall’ Indice dell' Archivio Vesco-
vile di Assisi come esistente nel tomo Ao, n. 2, fol. 351 e segg., di quel-
l'Archivio stesso.

Oggi peró una gran parte di tale SRM UD USE — protesta
ufficiale e autorevole di un vescovo amante della verità e della giu-
stizia (1) — non esiste più, perché trafugata da una mano ignota ad essa
particolarmente interessata. :

Da quel tempo, cioé dal 1746, a1 1932, nessuno venne piü fuori
per negare la nascita di S. Francesco nel vetusto oratorio del Vicolo
dello Spirito Santo e per affermarla invece nell'ex-casa di G. Battista
Bini di Piazza del Macello. :

La protesta del Vescovo Ringhieri rimise quindi a posto le cose,
si che per quasi due secoli nessuno riaffermó per le stampe quella già

smascherata falsità storica.

Il resto é noto.

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Ed ora concludiamo:
1° Le false tradizioni sulle case paterne di S. Francesco e di
S. Chiara sorsero per opera di falsari — coscienti o incoscienti, non
importa — tra la fine del secolo xvi e il principio del xvi;

(1) Cfr. PERICLE PERALI, Ottavio Ringhieri Vescovo d’ Assisi e la Casa dove
nacque S. Francesco. Lungo ed interessantissimo studio edito in « Miscella-
nea Francescana » (Roma, vol. XLIII, 1943, pagg. 277-312, con otto tavole).
a Per conto nostro qui aggiungiamo, che il suddetto Mons. Ringhieri rinnovava
la protesta e la condanna di quella falsità storica, nell'anno 1754, con un spe-

ciale scritto inserito in una sua opera critica (De Indulgentia Portiunculae, 2
grossi volumi manoscritti), il cui originale si conserva presso l'Archivio Gene-
| ralizio dei Fratri Minori Conventuali in Roma.
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78 P. GIUSEPPE ABATE

2° Esse poterono durare a lungo senza impugnazioni e senza
proteste, perchè nessuno fece mai speciali indagini su di esse, e perchè
in concreto non venivano a ledere i diritti propri delle « vere » case
natali dei due grandi Assisiati: non della casa di S. Chiara in Piazza
S. Rufino, perchè essa era rimasta ignota fino alla dimostrazione del
Fortini; non dell'Oratorio di « S. Francesco Piccolino », perchè questo
era da tutti riconosciuto pubblicamente come la « ecclesia, in qua natus
fuit Beatus Franciscus » (Statuti di Assisi del 1469);

39 Le. proteste infine ci furono, ed autorevoli oltre che docu-
mentate (1), quando — dal mistero e dalla clandestinità di cui si vollero
prima circondate — le false affermazioni neganti la verità storica tra-
dizionale vennero tratte in pubblico e da questo conosciute;

4° Dopo gli studi e i risultati critici del Fortini e nostri, le so-
praddette pseudo-tradizioni, smascherate da una documentazione
autentica e inoppugnabile, non possono definirsi altrimenti che frutti
di deplorevole ignoranza e, al tempo stesso, nei riguardi di chi le in-
ventò e audacemente le SOSIEDUS, espressioni di sottile astuzia e di
empia malafede.

II.

Le false e la vera Genealogia di S. Chiara d'Assisi e del Beato Rufino,

Compagno di S. Francesco. - Ubicazione della Casa paterna di
questo Beato.

Il primo a darci nel 1586 una Genealogia, modesta invero e non
del tutto errata, di Santa Chiara fu il Minorita Conventuale Pietro
Rodolfo da Tossignano.

Seguirono poi il Wadding, il Vitali e parecchi altri ancora fino

(1) Oltre al Vescovo Ringhieri nel 1745-46, ebbe cognizione dell’orrettizio

e surrettizio Diploma di Filippo V. (nonché del parimenti falso Attestato . del
1740) il Can. Tommaso Loccatelli Paolucci, il quale l'impugnó — riaffermando
la nascita di S. Francesco nel vetusto tradizionale Oratorio del Vicolo dello
Spirito Santo — nella sua nota « Illustrazione della Casa di S. Francesco d' Assisi
detta volgarmente la Chiesa. Nuova », pubblicata nel 1865 nell'« Apologetico »
di Perugia, e poi ancora in « Miscellanea Francescana », an. 1911, tomo XIII,
pagg. 48-56. Più recentemente difese e documentò la nascita di S. Francesco
nell’Oratorio suddetto il Priore della Cattedrale di Assisi, CAN. ANDREA TINI
con l’opuscolo: Della Stalletta in cui nacque S. Francesco d’ Assisi, Assisi 1896.
La falsa casa di S. Chiara, cioè quella dei Bini-Birelli, fu impugnata già nel
1854 da Vincenzo Loccatelli, come abbiamo già rilevato prima.
+ SESIA

LA CASA PATERNA DI S. CHIARA 79

allo storico assisiate Vincenzo Loccatelli, che nel 1854 ne pubblicò
una molto più estesa delle precedenti, ed anche molto più errata.
Il TossrGNANO, attingendo a non sappiamo quale fonte, scrisse:

« Fuit B. Clarae proavus quidam bonae conditionis civis Assisias, cuius
filius Bernardus nomine tres filios suscepit, Paulum, Favorinum, Monaldum,
qui milites fuerunt sine vi, sine tumultu, studio et voluntate humani.

Favorinus ex domina Hortulana eius coniuge, suscepit duas filias Cla-
ram et Agnetem, illustres quidem Virgines.. » (Hist. Sd ap. Relig., Venetiis,
1586, fol. 1327).

Circa 40 anni dopo, e precisamente nel 1625, il WADDING pub-
blicó la seguente genealogia, a lui data da un erudito cittadino assi-
sano:

«.. Paulus ex nobilissima olim illius urbis familia, quae Sciforum (seu
de Fiumi... fortassis ex parte materna) dicebatur, proavus fuit S. Clarae;

hic genuit Bernardutium Scifi, sive ut habet Rodulphus, Bernardum.

Huic tres filii Favaronus, Paulus, Monaldus; qui praeclari fuere nues
et terrenarum rerum locupletes.

Favaronus ex Hortulana... suscepit filias Claram, Agnetem et Beati
cem... i

Paulus procreavit Bernardutium iuniorem et. Angelam, quae Clarae
consanguineae adhesit.

Bernardutius filium habuit unicum, beatum Ruffinum Scifi, Francisci
sectatorem.

Monaldus vero tres generavit liberos, Bosonem, Iolum et Finum.

Bosonis filius füit beatus Silvester sancti Francisci postea sectator... »

(Ad an. 1212, n. XV; tomo I, pag. 138 dell'ediz. cit.).

Il P. SALVATORE VITALI, nel 1645, con la pretesa sempre di offrire
notizie sicure e documentate, pubblicó la seguente Genealogia di
Di Chiara. i

« Paulus Sciphi, umbra de gente togata, proavus Clarae fuit. Sciphus
agnomen id suam originem duxit ab archigeronte Sciphorum: eo quod ipse
Iulii Caesaris pincerna esset (1l).

Genuit Paulus Bernardum Sciffi: nud genuit Favorinum, Paulum

i et Monaldum.

Favorinus miles illustris unaque illustrissimus Cont de Saxo Rubeo
genuit Claram, Agnetem et Beatricem ex legitima coniuge D. Hortolana de
Fiumis...

Paulus denique Bardutium et Angelam procreavit: Angela dein Clarae
institutum amplexa in eodem Monasterio sanctissime conser feliciter
obit diem.
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80 P. GIUSEPPE ABATE

Bardutius Sciffi genuit Rufinum Sciffi, qui B. Franciscum secutus in
Ordine mira sanctitate promicuit.

Monaldus tres filios habuit Bosonem. Iolum est Finum.

Bosonis filius fuit Frater Sylvester Sciffi, unus ex antesignanis B. Fran-
cisci SEI » (In margine: ex codice assisano, etc.).

.. Praeterea michi in quodam exibito Ms. vetustissimis characteribus

> Favoronem Lollium de Sciffi B. Clarae reperio genitorem...»(Paradisus
Seraphicus, Mediolani, 1645, pagg. 268-69).

Saltiamo a piè pari la ancor più fantastica Genealogia di S. Chiara,
che é contenuta — come ci assicura il P. Bracaloni (1) — in un ms.
leggendario di poca importanza conservato nel Protomonastero di
Assisi e dovuta ad un certo Capitano M. Aluigi, vissuto nel secolo
XVIII; e riassumiamo quella compilata dal Prof. Vincenzo Loccatelli

nel 1854.

Questo bravo ed onest'uomo comprese cnc la difficoltà dell'im-
presa, che defini lo scoglio maggiore in cui aveva inciampato nel tessere
la biografia della Santa; ma, ritenendo genuini i falsi documenti del
1253 e del 1403 aggiunse altri discendenti e fece diverse variazioni.

Infatti egli scrisse: :

«Fisso... per istipite della presente genealogia Paolo Scefi, conte del
castello di Sasso Rosso, dal quale venne Bernardo o Bernarduzzo...

Da Bernardo discese poi Favorino, altrimenti appellato Favarone...

Costui si disposó ad Ortolana... Frutto di questa unione furono quattro
femine per nome Penenda, Chiara, Agnese e Beatrice.

La prima simaritó inun tal Martino di Coccorano... da cui vennero al mon-
do Balbina, Amata, Agnese ed altra prole, non so di qual sesso, donde ebbesi
una seconda’ Chiara, la quale mori in Barcellona ai 28 Febbraio del 1287... »

Dopo aver accennato che l'archeologo Francesco Antonio Frondini
dava a Favorino e ad Ortolana una quinta figlia femmina, il Loccatelli
aggiunge che invece di questa bisogna mettere un maschio di nome Bosone
« da quale si prosegui la stirpe degli Scefi, mentre la linea discendentale dei
germani di Favorino sembra esser terminata in due cenobiti del Patriarca
dei poveri ».

Da questo fratello di S. Chiara, secondo l'opinione del citato A., derivò
poi Sollo padre di Fino o Rufino... Vien poscia un Rinaldo... E finalmente
apparisce un Giocondo... da cui nasce Faustina ultima discendente di S. Chiara.

Paolo, germano di Favorino, ebbe figli Giacomo e Bernarduccio juniore;
mentre l'altro fratello del suddetto Favorino, Monaldo ebbe tre figli, Bosone
cioè, Jolo e Fino... (Loccatelli, Op. cit., pagg. 32-35).

(1) Cfr. la cit. rivista « Frate Francesco » del 1927, pag. 128.
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82 : . °° P. GIUSEPPE ABATE

Ed ora, invece di perder tempo a rilevare l'infondatezza della
predette genealogie, alle quali hanno dato il loro contributo i pseudo-
documenti citati, preferiamo dare la Genealogia vera della Famiglie
di S. Chiara — e del B. Rufino, Compagno di S. Francesco e cugino di
detta Santa —, una genealogia cioè basata su documenti genuini e
coevi, rinvenuti dal Lazzeri, dal Fortini e da noi.

Ogni nome visarà autenticamente documentato, e se per qualcuno
ci sarà della incertezza, essa sarà debitamente rilevata.

Il noto albero genealogico nella nostra precisa e coscienziosa ri-
costruzione perderà alcune delle sue vecchie fronde, e, mentre si
arricchirà di nuove, guadagnerà certamente nella sua autenticità e
verità.

Il Cristofani, il Pennacchi, e sopra tutto i sullodati Lazzeri e
Fortini ci hanno in parte spianata la via; le nostre nuove fortunate
indagini hanno fatto il resto.

Questa nostra nuova Genealogia, solidamente fondata com'é su.

documenti certi e irrefragabili, non solo — ne siamo sicuri — sarà accolta
con favore dalla critica, ma d’ora innanzi costituirà un punto fisso
nella storia di S. Chiara e della sua Famiglia.

DOCUMENTAZIONE DELLA PREDETTA (XENEALOGIA.

1. — Primo personaggio storico certo della famiglia di S. Chiara è
Bernardino, detto talvolta anche Bernardo.

Ce .ne assicura Messer Ugolino di Pietro di Girardone di AS (1),
il quale, nel Processo di Canonizzazione della Santa — compilato,
come s'é detto, nel 1253, e cioé pochi mesi dopo la beata morte: di

: questa — attesta con giuramento che «santa Chiara fo de nobilissima

progenie de Assesi; peró che Messere Offredutio de Bernardino fo suo
avo, et de epso Offredutio fo figliolo Messere Favarone padre de sancta
Chiara » (Arch. Franc. Hist. cit., pag. 487).

La stessa affermazione giurata fece nel medesimo Processo Gio-
vanni di Ventura, il quale fu « fameglio » — cioè uomo d'arme, come
scrive il Fortini, Vita Nova cit., pag. 231 — della casa di S. Chiara. Il

(1) Il nome di Pietro di Girardone ricorre spesso nei documenti a$sisani
della fine del secolo xir. Citiamo, ad esempio, le pergamene dell’ Archivio della
Cattedrale degli anni 1177, 1181, 1193 e 1195 del fasc. III, nn. 130, Hen 149e
152 (cfr. pure FoRTINI, Op. cit., pagg. 397, 398, 400).
LA CASA PATERNA DI S. CHIARA 1 83

detto testimonio poi non soltanto disse che il padre della Santa «se
chiamò Mesere Favarone, et lo suo avo Mesere Offredutio de Bernar-
dino », ma aggiunse che anche la madre della detta Santa, cioè Madon-
na Ortolana, fu « del più nobile parentado de tucta la cità de Assesi »
(Proc. cit., pag. 492; cfr. pure pag. 432, ove si cita Fra Mariano da
Firenze che chiamò il bisavolo di S. Chiara Bernardo invece di Bernar-
dino, precisamente come si ha in una Pers nicna originale dell’anno
1148, che citeremo appresso).

Queste documentazioni autentiche dimostrano Chia menie la
falsità delle note vecchie genealogie di S. Chiara, le quali al posto di
. Bernardino collocavano un fantastico Paolo.

2. — Di Offreduccio di Bernardino, ricco signore e proprietario
di terre, ricorre spesso menzione come, per primo, fece rilevare il
Fortini nella sua cit. Vita di S. Francesco a pagg. 229-30 e altrove.

Difatti il suddetto nonno di S. Chiara é ricordato:

a) Nel 1148, quando insieme al fratello Rainaldo si impegna con
le Autorità Ecclesiastiche di Assisi a non alzare mai, in pregiudizio
della attigua facciata della Cattedrale, i muri della sua casa esistente
in Piazza S. Rufino: cfr. Archivio della. detta Cattedrale, fasc. II,
pergam. n. 98, dove i due fratelli son detti figli di « Bernardo ».

b) Nel 1165, allorché esso « Offreducius Bernardini », fa da teste
ad una donazione (« Archivio », cit., fasc. II, pergam., n. 116; FORTINI,
Op. cit., pag. 396).

c) Nel 1170 si ricorda un suo terreno situato in vocabolo « Val-
lechie in curia Sancti Anestasii » (1..c., fasc. II, pergam., n. 122; Fon-
TINI, pag. 429).

d) Nel 1177 si menzionano due suoi terreni in vocab. « Albano »,
cioé nella Balia di Castelnuovo dove tale vocabolo allora si trovava
(1. c., fasc. cit., pergam., n. 130; FoRTINI, pag. 397).

€) Nel 1194, si fa cenno ad un terreno « filiorum Ofreducii Ber
nardini » (l. c., fasc. cit. , pergam., n. 150; FORTINI, pag. 400). — Da
quest'ultimo documento, crediamo possa legittimamente dedursi che
TOffreduccio a quella data era morto lasciando più figli, e che co-
storo conservavano ancora indivisi i beni paterni. Ignoriamo se
I'« Ofreducius » nominato in un documento del 1223 riguardante terre
e selve del, Monte Subasio sia lui (cfr. « Archivio Comunale d' Assisi »,
M. 1, fol. 7; FORTINI, pag. 411); ma non riteniamo che sia lui I'« Ofre-
ducius », testimonio delle Stimmate di S. Francesco, nominato in un
documento del 1228 (cfr. aueh: Franc. Hist., XIX i. pag. 931-
936).

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84 P. GIUSEPPE ABATE

3. — Rainaldo di Bernardino, fratello di Offreduccio, è men-
zionato esplicitamente nel già citato documento del 1148, ed implici-
tamente nel pure cit. documento del 1194. |

Ignoriamo se ebbe o no dei figli; ma é certo che quel « T'omassinus

Rainaldi » che; insieme a un Favarone suo fratello, fu condannato nel.

1231 dal Podestà Graziano alla multa di 110 soldi (Archivio Comunale,
pergam., N. n. 1, fol. 42°; FORTINI, pagg. 231 e 415) non fu della fa-
miglia di Santa Chiara, ma di altra famiglia oreinarm di Perugia,
come dimostreremo in seguito.

4. — Di Monaldo, zio di S. Chiara, fece menzione Fra Tommaso

. da Celano nella Vita della Santa: «... dominus Monaldus, patruus.
. eius » (cfr. F. PENNACCHI, Legenda S. "Glar, ‘cit., pag. 36).

Nessuno ci tramandò mai il nome del padre di lui; perciò non è
assolutamente certo che egli sia stato figlio di Offreduzzo e fratello di
Favarone.

D'altra parte però, dato quello che sappiamo di lui da vari
altri documenti, è quasi impossibile metterlo in dubbio e ritenerlo zio
materno e non paterno di S. Chiara. La mancanza del patronimico —
come giustamente osserva il Fortini, che su questo personaggio ha
compiuto accurate indagini — può forse attribuirsi alla sua grande no-
torietà.

Infatti è questo Monaldo —e non già Scipione di Offreduzzo e nem-
meno Favarone — che «come il capo della famiglia, o per essere egli
il primogenito, 0 perché di carattere autoritario e violento, appare
al tempo [1211] della conversione di S. Chiara »; ed é anche lui che si
trova alla spedizione armata contro S. Agnese, sorella di S. Chiara,
in S. Angelo di Panzo (FORTINI, pag. 234).

Noi — a differenza del cit. illustre A. — riteniamo per certo che nel
1211 il padre della Santa era già morto, non trovando in quell'anno né
poi alcuna memoria di lui, mentre ne troviamo di a ltri Favaroni;
e quindi il Monaldo del 1211 è propriamente il capo della famiglia, e
perciò figlio di Offreduzzo al pari di Scipione.

A nostro parere corrisponde a verità l'affermazione dell editore
del Processo di Canonizzazione di Santa Chiara; secondo cui Favarone
nel 1210-11 doveva esser morto (AFH. cit., pag. 443). L'espressione
di Suor Pacifica di Guelfuccio su cui si fonda il sullodato editore —
dopo i documenti da noi ora ritrovati, e che illustreremo appresso,
secondo i quali tra il 1210. e il 1255 non si ebbe in Assisi il Favarone
padre di S. Chiara, ma si ebbero due altri Favaroni; ‘uno di' Montal-
done ed un altro di Cannara — non è suscettibile di diversa interpreta-
LA CASA PATERNA DI S. CHIARA & 85

zione (1). Suor Pacifica, vicina di casa e alquanto parente della vergine
Chiara, affermò che il padre della Santa « chiamosse mesere Favarone,
lo quale essa non vidde; ma la madre vidde, et chiamavese madonna
Ortulana ». Per comprendere tutto il valore di questa affermazione va
ricordato che la detta Suora fu coetanea di Santa Chiara, e sua prima
discepola.

Riguardo al suddetto Monaldo il Fortini ha potuto stabilire, e a
nostro. giudizio con sufficiente- certezza, che egli insieme al fratello
Favarone nel 1202-3 fu in esilio a Perugia e vi stette verosimilmente
un due anni, al pari di altri nobili assisani (cfr. FORTINI, Op. cit.,
pagg. 234-5).

Nei vari documenti relativi al detto esilio trovasi associato un
fratello di lui, del quale però non si dà il nome; tuttavia da vari in-
dizi, tratti anche dal Processo di Canonizzazione di S. Chiara, il cit. A.
acutamente deduce che tale fratello di Monaldo dovette essere Fava-
rone (l. c.).

9. — Che sia stato in verità Favarone di Offreduccio — e non già

l'immaginario Favorino di Paolo — il bene avventurato padre di
S. Chiara, lo abbiamo appreso da tre testi del citato Processo di Cano-
nizzazione: da Messer Ugolino di Pietro Girardone, da Giovanni di Ven-
tura e da Suor Pacifica di Guelfuccio, contemporanei e assisani (cfr.
Proc. cit., pagg. 443, 487 e 492):

Lo stesso risulta dalla deposizione della sorella carnale della
Santa, Santa pur essa, « Sora Beatrice de Messere Favarone de Assese »
(1. c., pag. 479).

Di lui si sa — secondo l’affermazione di Pietro di Damiano (2) —
che « fo nobile et magno et potente de la cità, lui et li altri de casa sua »
(1..c., pag. 491) e che ben sette erano i cavalieri tutti nobili e potenti
della sua famiglia (1. c.). .

Mai però ricorre il suo nome nella vita politica della città; anzi
mai é nominato nei documenti rimastici di quel tempo.

| Sono bensì nominati dal 1232 a tutta la metà del secolo xiu altri

(1) Che Favarone era già morto quando S. Chiara si consacró al Signore,
a nostro parere, risulta chiarissimo dal seguente passo della Leggenda attri-
buita a Fra Tommaso da Celano: «...Ac primum in suae conversionis
initio, paternam haereditatem, quae ad eam pervenerat, distrahi fecit,
sibique de pretio nihil teservans, totum pauperibus rogavit » (15.13).

(2) Troviamo menzionato questo teste tra i capifamiglia di Assisi all'anno
1233 (« Archivio Comunale », N. n. 1) e come presente ad un rogito nel 1250
(Strum. Sacro Convento, tomo I, pergam. n. 22).

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86 P. GIUSEPPE ABATE

Favaroni, cittadini di Assisi, ma nulla hanno di comune con la Fami-
glia di S. Chiara.
eS Infatti nella lista dei Focolari del contado di Assisi, compilata
Ifa Ji nel 1232 (Archivio Comunale, N. n. 1), appare un « Favarone», gravato
M al massimo dell’onere tributario (mille soldi) consentito dal Comune (1);
ME : ma egli é della Balia di Montaldone, non già abitante della città.
ia E E il « Favarone » di Ranaldo di Orlandina « de Perusio », ma citta-
B | dino di Assisi, che insieme al fratello Tomassino si trova nell'elenco
WE. degli « Exbanditi » del 1231 (Archivio cit., N. n. 1).
Wa ill Nello stesso elenco, ma all'anno 1228, si trovano tre servi di
quM E | Favarone — « Amicolus serviens Favaronis — Gilius serviens Favaronis —
BIER es Berarducius serviens Favaronis » — condannati in contumacia al pa-
EI 07 gamento di XV soldi, come il « Tomassinus Ranaldi» fratello del
TRU! il suddetto Favarone; il padre di S. Chiara, ci sembra evidente, qui
| | j| tti proprio non c’entra. _

LI Questo Favarone di Montaldone ebbe un figlio, che in vari docu-
RR menti del 1266 è registrato così: « Filipputius Favaronis — Filipputius
WE : Favaronis Ranaldi Orlandine » (Archivio Comunale, pergamene nn. 181,
ij E . 182, 183). Egli era perció cugino carnale di Guidarello, Benvenuto e
i | x . Gentiluccio figli di Tomassino « Ranaldi Orlandine de Perusio » (per-
WB gam. citate), ma cittadini di Assisi (l. c., pergam. n. 184). Questi ulti-
dH d. mi, insieme alle sorelle (2) vendettero quell'anno le loro case e i terreni
B del castello di Monteverde agli uomini di Montaldone, Torreranca e

|^ : « Moliarum » (docum. citati).

Da ció si rileva che la Famiglia di Santa Chiara non ebbe affatto
BUE la contea di Montaldone, e nemmeno quella di Sasso Rosso o quella di
I^ TM. Coccorano, come dimostremo meglio in seguito.
| IRE ‘Il secondo Faparone che si trova nei documenti assisani della
Bit. prima metà del secolo xim era sì abitante di Assisi, ma cittadino di
fi | ij E Cannara. Infatti lo troviamo nella lista dei capifamiglia della citt à

| Vi eee (1) In detta lista è registrato con una sola parola; « Favarone », mentre un
| nb altro, della medesima balia, e gravato dello stesso onere, é registrato come no-
du uu bile e cavaliere: « D.nus Mercede miles ». Ciò fa giustamente pensare che il
I suddetto Favarone, pure essendo persona distinta e ricchissima, non era ca-
valiere e nobile, e perció non della Famiglia di S. Chiara.

(2) Figlie di Tomassino di Ranaldo di Orlandina furono « Domina Matel-
da », che quell’anno era monaca clarissa nel Monastero di S. Maria Maddalena
di Narni col nome di « Soror Jacopa », e « Domina Agnina », allora parimenti
clarissa nel Monastero di Città di Castello col nome di « Soror Clarastella »
(« Archivio Comunale di Assisi », Pergam. n. 184 del 9 e 14 settembre 1266).
LA CASA PATERNA DI S. CHIARA 87

di Assisi (Archivio cit., N. n. 1) cosi registrato « Favaronus de Canna-
rio», ed é quello di cui abbiamo parlato già in questo stesso studio
trattando della casa paterna di S. Chiara. Ebbe questi un figlio a nome

- Pietro, e la sua abitazione in Assisi fu presso S. Maria del Vescovado.

Anche questo Favarone nulla ebbe di comune con la Famiglia di
S. Chiara.

Va perció corretto il Eon allorché dice che in quel tempo
appare in Assisi un solo Favarone (Op. cit., pagg. 230-231), e che
questi é segnato nel censimento degli uomini di Montaldone.

La nostra documentazione prova che i Favaroni in Assisi fu-
rono tre:

a) il padre di S. Chiara, certamente nobile e di Assisi, di cui si
parla nel Processo autentico della Santa e si tace nei documenti pub-
blici della città; . 3

b) quello di Montaldone, ricco proprietario del contado, ori-
ginario di Perugia;

c) quello originario di Cannara, possidente, ma non nobile e
cavaliere. |

6. — Nulla si sa dei genitori della Beata Ortolana, madre
carnale e figlia spirituale di S. Chiara; é peró certissimo che essi fu-
rono di stirpe nobile e ricca.

Il nome di essa e la sua civile condizione noti agli storici fin dal
secolo xir, ci sono stati confermati dal Processo autentico di Cano-
nizzazione già citato (pagg. 443, 461).

Anzi da questo insigne monumento storico abbiamo appreso
numerosi e interessanti particolari sulla vita di detta B. Ortolana sia
per il tempo che visse nel secolo, e sia per gli anni che passò nel Mo-
nastero di S. Damiano come suora e discepola della figlia S. Chiara, e
consorella delle altre sue figlie S. Agnese e B. Beatrice.

Si ignora quando entró in Monastero; é peró nostra opinione che
si facesse monaca quando in casa rimase sola, e cioè dopo il 1229,
anno in cui la terza sua figlia, Beatrice, raggiunse le sorelle Chiara ed
Agnese in S. Damiano. Non si conosce neppure l’anno di sua morte.

Fra Tommaso da Celano, che certamente la conobbe, fa di essa
grandi elogi nella sua Legenda S. Clarae (ediz. cit., nn. 1, 2, 33).

7. — Fratello di Monaldo e di Favarone, e perciò zio > carnale di
S. Chiara, fu Scipione di Offreduzzo.

Lo troviamo menzionato colnome di « Sipio Offredutii » nella nota
sentenza di arbitrato pronunziata, nella Cattedrale.di S. Rufino, ai
9 dicembre 1198, dal Console Buombarone, ove fece da teste (Archivio

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88 P. GIUSEPPE ABATE

della Cattedrale, fasc. II, pergam. n. 156; FORTINI, Op: cit., pagg. 207
e 433).

‘Con lo stesso nome e paternità si ritrova presente, ai 29 dicembre
del 1203, all'atto di sottomissione che gli uomini di Serpigliano fecero
al Comune di Assisi nella Cattedrale di S. Rufino (Archivio Comunale,
M. 1, fol. 1; FORTINI, pag. 436).

. Così pure egli stesso si nomina, nel febbraio del 1210, allorchè
vende al Comune di Assisi, per fare le fonti pubbliche, un suo casalino
situato in Porta di Moiano (Arch. cit., l. c. fol. 7; FORTINI, pag. 448).

Invece col solo nome di « Sipione » è menzionato in un rogito del
23 luglio 1212 (Archivio cit., Strum. del S. Conv. tomo I, pergam.
n. 2).

Fu padre del Beato Rufino, uno dei primi e più illustri Compagni
di S. Francesco. Ebbe, come si vedrà appresso, altri figli e numerosa
discendenza. Si ignora l’anno di sua morte; ma di certo non era più
tra i vivi all'anno 1233, non trovandosi il suo nome tra quelli dei ca-
pifamiglia di allora, mentre c’è invece il nome di suo figlio Paolo e di
suo nipote Bonaventura.

A. proposito di detto elenco giova osservare che non vi è menzio-
nato alcun membro della famiglia propria di S. Chiara, nè uomo nè
donna (1): non Favarone padre di questa, nè Ortolana sua madre;
e tanto meno, perchè già tutte Monache di S. Damiano, S. Chiara e le
sue sorelle. Segno questo evidente che Favarone nel 1233 era certa-
mente morto, che non c’era alcun figlio maschio di questi, e che Orto-
lana e Beatrice — come già nel 1211 Chiara ed Agnese — avevano abbrac-
ciato la vita religiosa. |

Qui crediamo debba farsi la questione se Offreduzzo di Bernardino,
nonno di S. Chiara, ebbe o no altri figli oltre quelli sopra nominati,
cioé oltre Monaldo, Favarone e Scipione.

Il dubbio si fonda sul fatto che nell'elenco dei condannati del 1225
alla multa di 25 libbre di denari si trovano « Ranaldus et Baruncius
Ofreducii de Montalduni quia percusserunt Bernardum. Ofreducii cum
cultello et spiodo...» (Archivio Comunale, N. n. 1, fol. 39; FORTINI,
pag. 470). Secondo il Fortini (pag. 232) questi tre personaggi — due dei
quali rinnovano nel nome il fratello del nonno e il bisnonno di S. Chiara
— vanno ritenuti del parentado di S. Chiara. Questa opinione l’illu-

L] s

(1) In detto elenco si trovano, come capifamiglia, parecchie donne. Citia-
mo: « Uxor Rainaldi Fortibrachie — Bernardina Linguanigra — domina Druda
uxor Olimpii — domina Bonadimana » (Archivio Comunale, N. n. 1).
LA CASA PATERNA DI S. CHIARA . 89

stre A. la fonda sul Favarone della Balia di Montaldone, che egli |

ritiene padre della Santa, e nel fatto che Offreduccio di Bernardino
appare come confinante di un terreno posto in « vocabulo Albano »,
il quale « Albano o Albaneto — dice il cit. A. — è appunto il nome
del colle di Coccorano », località appartenente alla balia di Mon-
taldone.

Un esame però più approfondito dei documenti assisani ci porta
invece a non ritenere esatta l'opinione del Fortini.

Infatti, Coccorano nella prima metà del secolo xim non appar-
tenne mai ad alcuna balia di Assisi, ma fu sempre sotto il dominio de-
gli Eugubini o dei Perugini, ed appartenne alla signoria del Conte
Ugolino di Monte Albertino: quindi la famiglia di S. Chiara nulla ebbe
di comune con quella contea.

Inoltre il vocabolo Albano, dov'era il terreno di Offreduzzo di
Bernardino, si trovava nella pianura di Assisi, e precisamente nella
Balia di Castelnuovo, come risulta dai Protocolli di Ser Benvenuto di
Stefano, Archivio Notarile di Assisi, C: n. 24, fol. 83 alla data del 19

novembre 1419 e fol. 192 all'anno 1421. Che poi il terreno di detto

Offreduzzo fosse proprio in « vocab. Castrinovi », risulta dalla pergam.
n. 396 dell Archivio Comunale, alla data del 24 dicembre 1236.
Infine il Favarone di Montaldone non apparteneva alla Famiglia

di S. Chiara, come abbiamo già illustrato prima, e perció cadono tutti

gli appoggi per ritenere che tra il Favarone di S. Chiara e il Rinaldo,
Baroncio e Bernardo di Offreduzzo della Balia di Montaldone corresse

alcuna parentela. È per questi motivi, che ci sembrano fondati, che:

noi escludiamo i detti tre personaggi (che, sia detto tra parentesi, ci
sembrano assai volgari, oltre che vili) dalla nobile e illustre Gongaloga
della gloriosa vergine Chiara (1).

8. — Figlio di Monaldo, zio di S. Chiara, fu Francesco, il cui nome
è menzionato nel testamento di Chiara di Paolo di Scipione di Offre-
duzzo con queste parole : « Ego domina Clara filia quondam domini

Ci

(1) Non è da dimenticare: che al tempo di S. Chiara i nomi di Offreduccio,
Ranaldo, Bernardo e Baroncio erano in Assisi e in. tutto il spo contado assai
frequenti. Noi conosciamo infatti, e tutti dei primi decenni del Duecento, un
Offreduccio di Poggio Bucaione, un Offreduccio di Ianni, un Offreduccio di
Morico, un Offreduccio di Sanguenio, un Offreduccio di Baloncio; e così un
Ranaldo di Orlandina, un Ranaldo di Burgia, un Ranaldo di Fortebraccio; un
Berardo di Offreduccio, un Bernardino di Offreduccio; e infine un Baroncio
della Balia di S. Bartolomeo, un Baroncio della Casa dei Muli, e un Baroncio
di Amardoli....

"ET
Li :
—————————— M

90 bam P. GIUSEPPE ABATE

Pauli Ysipii... iudico et relinquo filiis Francisci domini Munaldi XL
solidos denariorum... » (Strum. S. Conv., tomo II, pergam. n. 2).

I figli di questo Francesco, qui sopra accennati ma non nominati,
non li conosciamo.

Ignoriamo se il detto Monaldo, fratello di Favarone e di Sion.
abbia avuto altri figli. Il « dominus Munaldus » senz'alcuna qualifica
che ricorre tra il 1190 e il 1220 nei documenti assisani è con la massima
verosimiglianza il congiunto di S. Chiara; i vari altri Monaldi che tro-
viamo in quello stesso tempo hanno tutti un patronimico che li diffe-
renzia: Munaldus Armanni — Munaldus Leonardi — Munaldus Manentis
— Munaldus de Cannario — Munaldus Savarisi - Munaldus Boninsegne
— Munaldus Ugolini. (Cfr. Archivio della Cattedrale, fasc. III, pergam.
n. 14; ivi, n. 15; Archivio Comunale, M. 1, fol. 1; l. c., N. n. 1, lista

. del 1233; Strum. S. Conv., tomo I, pergam. n. 2).

Ora é figlio di questo Monaldo consanguineo di S. Chiara il Guidus
o Guidonus Munaldi, che nel1229 fa da teste alla donazione di un pezzo
di terreno per la nascente Basilica di S. Francesco, che é menzionato
tra i capifamiglia di Assisi nel 1233, che troviamo Consigliere del Co-

mune nel 1237 ? (Cfr. Strum. S. Conv., l. c.; Archivio Comunale. N.

n. 1, lista A; l. c., M. 1, fol. 9). Non crediamo; perché mentre nel cit.
testamento si menzionano i figli di Francesco di Monaldo, non é men-
zionato il suddetto Guidone né suo figlio Moricuccio (Archivio Comu-
nale, N. n. 1, fol. 33 della vecchia segnatura). Nella mancanza di un
dato sicuro, non ci permettiamo perció di inserire ilsopradetto Guidone
di Monaldo tra i consanguinei di S. Chiara. |

Alla testimonianza sopra riportata dal documento del 1278 ri-
guardante Francesco di Monaldo, aggiungiamo ora quella piü antica
che abbiamo rinvenuto nella pergamena C. del Monastero benedet-
tino di S. Apollinare di Assisi, datata ai 4 dicembre 1264, ove — in-
sieme ad altri congiunti di S. Chiara e del B. Rufino — é menzionato
il predetto « Franciscus domini Munaldi ».

. 9. — S. Chiara. Ignoriamo se sia stata la primogenita di Favarone
e della B. Ortolana e il giorno di sua nascita. Secondo le risultanze del
suo Processo di Canonizzazione Essa nacque nel 1193, e mori agli 11
di Agosto del 1253, cioé dopo oltre 42 anni di vita religiosa, essendosi
data al Signore ai 28 marzo del 1211, lunedi dopo le Palme.

10. — S. Agnese: sorella minore di S. Chiara, segui questa nella
nuova vita di perfezione sedici giorni dopo di essa, e fu perció tra le
primissime Suore Damianite. Mori nel 1253, e a quanto si ritiene ai
27 di agosto, cioé 16 giorni dopo S. Chiara («paucis interiectis diebus»,
— — ET UENIT :
Jis UTOR T n : n

|. Beatrice de Messere Favarone de Assesi », (Proc. cit., pag. 479).

LA CASA PATERNA DI S. CHIARA 91

secondo la Leggenda del Celanese, n. 48, e non già 97 giorni, come
scrisse il Wadding) nel Monastero di S. Damiano di Assisi. |

11. — B. Beatrice: altra sorella carnale di S. Chiara. Raggiunse le
sue sante sorelle nel predetto Monastero nell’anno 1229, e testimoniò,

- come si è già detto, nel citato Processo di Canonizzazione. Si ignora

l’anno di sua morte.

12. — Penenda o Peranda. — Secondo molti storici questa sa-
rebbe stata ancora un’altra sorella di S. Chiara. Da essa sarebbero
nate le le Beate Balvina, Amata e Agnese, monache anch’esse Da-
mianite. i a

Nessuna notizia si ha di detta Penenda nel noto Processo di Cano-
nizzazione, nè noi ne abbiamo trovato alcun cenno nei documenti

. assisani del secolo xii; però riteniamo che la voce della tradizione .

sia qui sincera ed autentica.

Di una Suor Agnese di Peranda, fondatrice del Monastero di
Clarisse di Barcellona ci parla un documento autentico dell'anno 1245
— inserito in una Bolla di Innocenzo IV.— che il Wadding riporta nei
suoi Annales Minorum, vol. III, Regest., n. XXII (pagg. 498-9 dell'edi-
zione del 1931).

Questa Suor Agnese, secondo tutti gli antichi storici, era di

Assisi, nipote di S. Chiara e sorella delle Beate Balvina ed Amata.

Ma queste due Suore nel cit. Processo di Canonizzazione si dicono
nipoti carnali di S. Chiara (tanto da tener questa «como ma-
tre »)e figlie di Messer Martino di Coccorano (Proc. cit. pagg. 459,
467-08). |

Ora l'espressione nipote carnale, nel suo senso ovvio e naturale,
indica un figlio o una figlia di fratello o di sorella. Perció le dette Bal-
vina, Amata e Agnese furono figlie di un fratello o di una sorella di
S. Chiara. Di ciò non è lecito dubitare.

13. — Un Martino di Coccorano fratello della Santa non s’incontra

mai né presso gli antichi storici né in antichi documenti; mentre in-

vece, come s'é detto ed é noto, gli antichi storici ci parlano di una Pe-
nenda sorella della Santa e madre delle soprannominate suore.
A Dunque, non essendoci alcun documento in contrario, è doveroso
stare per la tradizione storica suddetta.
D'altra parte — questo è un rilievo proprio lapalissiano — se il
Martino soprannominato fosse stato fratello di S. Chiara, nel cit.

. Processo sarebbe stato detto « Martino di Messer Favarone de Assesi »,

come nello stesso Processo Beatrice, sorella di S. Chiara, fu detta « Sora
-— : ; -— - <= se Ae agree

92 P. GIUSEPPE ABATE

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Il fatto é che il detto Martino non era di Assisi: l'attestano le
figlie dicendo che era di Coccorano.

Orbene il castello di Coccorano ai tempi di S. Chiara, ed anche
dopo, era feudo del territorio di Perugia e sotto la signoria dei Bigaz-

Zini. Trovandosi esso presso il.territorio di Gubbio, nel 1217 subi le
scorrerie degli Eugubini (nemici di Perugia) e per alcun tempo fu
sotto le minaccie di questi. Ma nel 1258, Ugolino II di Monte Alber-
tino (Bigazzini), Conte di Coccorano, insieme ai suòi fratelli Buon-
conte, Corrado e Ranaldo, lo sottomise al completo dominio di Pe-
rugia (1). i
Come si vede, nessuna relazione ebbe Assisi, e tanto meno la
Famiglia di Favarone, con Coccorano; e perciò se il Martino di Cocco- 3
rano, congiunto di S. Chiara, fu dei Conti di quel castello, non potè : j
essere che dei Bigazzini — cioè della Famiglia di Ugolino di Monte
Albertino — e cognato (non fratello) della Santa.

Ha quindi giusta conferma la tradizione storica che fa le Beate
Balvina, Amata e Agnese di Martino di Coccorano figlie di unà sorella
di S. Chiara, e perciò LIDoLI carnali della Santa nel senso stretto della
parola.

14. — Beato Rufino, compagno di S. Francesco. Lo scrittore ano-
nimo della Vita (posteriore al 1306) lo disse « Rufinus Cipii » e «de
nobilioribus Assisii, consangineus Sanctae Clarae»; e parimenti
« Rufinus Cipii » — cioè di Sipio-Scipione — fu detto nella Vita di Fra
Ginepro compilata anch'essa nei primi decenni. del secolo xrv (cfr.
Chronica XXIV Generalium in « Analecta Franciscana » Quaracchi
1897, tomo III, pagg. 8, 45, 60 e 252).

Essendo figlio di Scipione di Offreduzzo, zio paterno di S. Chiara,
risulta che fu primo cugino della Santa. E

Era vivo alla fine del 1278, e dimorante nel Sacro Convento di i
Assisi, come rileviamo dal testamento cit. di Chiara di Paolo di Sci-
pione sua nipote carnale, che gli lasciò l'elemosina di quattro libbre

di denari per una tonaca: « Ego domina Clara filia quondam domini :
Pauli Ysipii.. indico et relinquo fratri Rufino eiusdem Ordinis
[Minorum] consanguineo meo pro una thonica IIII libr. denariorum »
(Strum. S. Conv., tomo V, pergam. n. 2).

(1) Cfr. il Codice delle Sommissioni di Perugia, fol. 93, edito in « Bollett.
della Soc. di Storia Patria Umbra », vol. III, 1897, pag. 196; P. PELLINI, Storia
e^ di Perugia, Venezia 1663, Parte I, pag. 264; Ms. di Guinea Belforti, n. 1420,
: : fol. 89 della Biblioteca Comunale di Perugia.
LA CASA PATERNA DI S. CHIARA 155398

Il corpo del B. Rufino riposa nella Basilica di Assisi, c precisa-
mente presso la tomba sotterranea di S. Francesco.

15. — Paolo di Scipione di Offreduzzo, fu primo cugino di S. Chiara
ne fratello del B. Rufino, Si trova menzionato tra i capifamiglia della
città di Assisi, all'anno 1233, con la dicitura « Paulus Scipii », ed è
immediatamente seguito nella lista dal nome del figlio Bonaventura
con la dicitura: « Bonaventura Pauli» (« Archivio Comunale», n. 1,
fol. 34 della vecchia numerazione).

Oltre al detto Bonaventura, ebbe a figli Bartolo e Chiara, di cui
parleremo appresso, i quali ultimi erano viventi nel 1278 (Strum.
S. Conv., tomo V, pergam. n. 2) (1).

16. — Amata. Nel cit. Proc., come abbiamo veduto sopra al n. 12,
si presentó come « nepote carnale de epsa sancta » Chiara e figlia di

Messer Martino da Coccorano. Si fece monaca di S. Damiano verso il .
1228, e questo pure é certo. Gravemente ammalata di idropisia fu

miracolosamente guarita dalla Santa.

Secondo il Wadding (2), che si richiama ad antiche scritture assi-
sane certamente false, questa Beata e le sue due sorelle B. Balvina
e B. Agnese morirono nel 1254 o 1255 nel Monastero di S. Damiano.
Dal piü volte citato testamento di Madonna Chiara di Paolo di Sci-
pione sappiamo invece che erano ancora in vita nel 1278 e dimoravano
nel Monastero di S. Chiara (Strum. S. Conv., tomo V, pergam. n. 2).
. Va perció corretto tanto il Wadding Gi. tanto il P. Agostino da

Stroncone (3) e tutti quegli altri storici fino al P. Bracaloni (4) che
hanno ripetuto la medesima notizia.

(1) In uno strumento del 1° ottobre 1253, fatto in Assisi dopo quasi due mesi
dalla morte di S. Chiara e riguardante il Monastero di S. Damiano, si trova
menzionato come teste un « Jacobus Pauli Scisii ». Questi — nel caso che dal-
l'amanuense, per errore, si fosse trascritto « Scisii »invece di « Scipii — potrebbe
essere un altro congiunto di S. Chiara, e cioé un altro figlio di Paolo di Sci-
pione di Offreduzzo. Il citato strumento è inserito in una Bolla di Alessan-
. dro IV (Bull. Franc., t. II, pag. 24), il cui originale è conservato nell Archivio
del Proto-Monastero di S. Chiara, ma che-a noi non fu dato vedere non ostante
ne avessimo fatta richiesta.

(2) Annales Min., an. 1254, n. XXXIX: «Hoc ipso [1254] vel Sequenti

. anno, ut habent OS Assisii MSS., decedunt ex hac vita in Monasterio

sancti Damiani, post prudenter gubernata et reformata alia Monasteria, BB:

Amata et Balbina sorores, sanctae Clarae neptes, cum qua simul translatae sunt .

in Ecclesiam Sancti Georgii intra civitatem ».

(3) L'Umbria Serafica in « Miscell. Franc. », vol. II, an. 1887, pag. 135, ove
Amata si fa morire al 20 febbraio del 1254 e Balvinai2 marzo dello stesso anno.
(4) Storia di S. Damiano cit., pag. 64.

*

14

EE SOLITI" WP TIME s SA

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dò ) $3 - i :
94 - P. GIUSEPPE ABATE

Il corpo della B. Amata, nonché quello di S. Agnese sorella di
S. Chiara, fu al primo gennaio del 1602 trasferito dal Cimitero interno
del Monastero di S. Chiara nella Cappella di S. Michele della cui
esteriore dietro l’altare (1).

17. — Balvina, sorella della precedente, segui S. Chiara nel Mona-
stero di S. Damiano nell'anno 1217 (Proc. cit., pag. 467). Secondo vari
storici verso il 1220 fu per un anno ad informare il Monastero di
Arezzo (Bracal., l. c., pag. 99).

Era in vita, come s'é autenticamente documentato, nel settembre
del 1278 (2).

18. — Agnese: cfr. sopra al n. 12-13.

19. — Bonaventura di Paolo di Scipione, nipote carnale del B. Huc
fino, é stato ignoto fino ad oggi a tutti i genealogisti della Famiglia
di S. Chiara insieme con tutti quegli altri personaggi di cui pare reu
appresso.

Di lui. troviamo menzione oltre che all'anno 1233 (IN. m1, eit, )- -
nel quale tempo appare come capofamiglia distinto dal padre suo —
anche all'anno 1264, allorchè i suoi figli ed eredi Paoluccio e Tomas-
succio vendono alcune loro case ed un orto alle Monache Benedettine
di S. Apollinare (pergamena C. di questo monastero). I suoi figli sono
parimenti nominati nella sopra citata pergam. n. 2 del tomo V degli
Strumenti del Sacro Convento.

20. — Bartolo, detto anche Bartoluccio, figlio di Paolo di Scipione
di Offreduccio e fratello del precedente Bonavèntura, è menzionato
nella sopra citata pergamena del 1264 insieme ai nipoti Paoluccio e
Tomassuccio ed al cugino Francesco di Messer Monaldo, le cui case

(1) Cfr. Dr Costanzo, Disamina cit., pag. 338.

(2) Va perciò corretto il Wadding, il quale all’anno 1214, n. 34, scrisse
che la B. Balvina si fece monaca nel 1214, che l'anno seguente fu inviata da
S. Chiara a Spello per fondarvi un monastero, e che in questo mori prima del
1253. Queste tre notizie sono false. La detta Beata infatti, come si rileva dal
noto Processo di Canonizzazione di S. Chiara (pag. 467), n. 1; e pag. 469,
n. 11), entró fra le Clarisse nel 1217, non fondó alcun monastero a Spello, so-

| pravvisse (e di molti anni) a S. Chiara: « Sora Balvina di Messere Martino da
'Cocorano, monacha del monasterio de Sancto Damiano, giurando disse [Nov.

1253]: che epsa testimonia fo nel monasterio de Sancto Damiano trentasei anni et
più, sotto lo regimento de la sancta memoria de madonna Chiara » e in tutto il
predetto tempo essa fu lontana dal detto monastero solo « uno anno et cinque
mesi, nelli quali per comandamento do epsa madonna Chiara stette nel monastério
di Arecco ». i

|]
LA CASA PATERNA DI S. CHIARA 95

— esistenti in Porta: Moiano e nella Parrocchia di S. Maria del Ve-

»Sscovado — erano confinanti.

Il detto Bartolo era vivo nel 1278, come risulta dal testamento

della sorella, Chiara, che gli lascia 40 libbre di denari e lo costituisce >

suo erede principale (Strum. S. Convento, cit., pergam. cit.).

21. — Chiara, sorella del precedente. — Nel testamento da essa
fatto nel 1278 — e finora sconosciuto — essa ci dice che era figlia di
Paolo di Scipione.

Fu moglie di un Giovannolo, al quale lasciò 15 libbre di denari dei
suoi beni dotali. Non risulta che avesse avuto figli; per lo meno non ne
ricorda alcuno nel suo lunghissimo testamento, nel quale, oltre a
tanti lasciti per chiese, monasteri e poveri, volle dare un segno di sua
affezione a tutti i suoi consanguinei con qualche legato.

Menziona specificatamente come sue nipoti — e naturalmente
nipoti carnali — Vannola ed Agnese. Questo forse farebbe pensare che le
fossero nipoti dirette, cioè nate da un suo figlio o figlia, dato che pur men-

zionando i figli del fratello Bonaventura ed altri più lontani nipoti non

dà a questi tale qualifica. In tal caso bisogna dire che i genitori di dette
Agnese e Vannola erano entrambi già defunti all'anno 1278.

Fa l'elemosina di una tonaca alle Suore Agnese, Mansueta, Amata,
Andrea e Balvina, di cui almeno tre (come abbiamo veduto) erano del
suo parentado, perché figlie di una sorella di S. Chiara, sua zia.

Non dimentica la povertà del santo suo zio paterno, il Beato Ru-
fino, al quale fa pure l'elemosina di una tonaca. Istituisce erede, come
s'é visto, dei suoi beni dotali il proprio fratello Bartolo; ma nomina
suo fidecommissario il Sindaco e Procuratore della Basilica di S. Fran-
cesco, cioé Picardo di Angelo nipote di questo Santo.

Data l'importanza del detto testamento, che ci é stato di molta
utilità nella compilazione di questa vera e documentata Genealogia

di S. Chiara e del Beato Rufino, riteniamo opportuno darne qui un

breve estratto:

«** In Dei nomine. Amen. — Ego domina Clara filia quondam domini
Pauli Ysipii sana corpore et bone conscientie timens casilm mortis ne de
meis bonis post meum obitum discordia aliqua oriatur hoc testamentum seu
codicillos facere procuravi.

In primis quidem pro anima mea que est rebus omnibus preferenda
iudico et dari iubeo sicut iuris ordo postulat et Asinat. consuetudo requirit
de meis bonis XL solidos denariorum. ;

Item volo et mando quod fiat unum duplerum cere trium librarum quod
debeat portari ad ecclesiam tempore obitus mei...

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96 P. GIUSEPPE ABATE

Item indico et relinquo Paulutio Bonaventure XL solidos densi
minutorum.

Item indico et relinquo filiis Thomassutii Bonaventure XL sol. den. min...

Item... filiis Francisci domini Munaldi XL solidos denariorum.

Item... Johannolo viro meo de meis bonis XXV libras den. min.

. ltem... Vannole et Annese Hep ES meis XL solidos denariorum pro
qualibet ipsarum.

Item... de huiusmodi bonis Annese et Mansuete. Amate et Andree. et
Balvine que morantur in monasterio Sancte Clare et cuilibet earum IIII
libras denariorum minutorum pro una thonica.

Item... sorori Thomassine que moratur in monasterio sancte Catarene.
C solidos den. min. pro una thonica.

‘ Item... abbatisse sancti Donati videlicet sorori Andree IIII libr. den.
min. pro una thonica.

Item... sorori Iohanne que moratur in dicto monasterio IIII libras den.
min. pro una thonica.

Item... sorori Luciole que icis in dicto monasterio IIII libr. den.
min. pro una thonica....

Item... fratri Petro de Albe...

! Item... fratri Iacobo de Ordine Minorum...

Item... fratri Munaldo eiusdem Ordinis... |

Item iudico et relinquo fratri Rufino eiusdem Ordinis consangui-
neo meo pro una tonica IIII libras denariorum eiusdem monete...

Item... Bartholo fratri meo XL libras denariorum minutorum
in quibus ipsum mihi eredem instituo et iubeo fore institutum...

Item volo et iubeo SEPPE corpus meum apud ècclesiam sancti Fran-
cisci de Assisio...

Item facio no et elligo meum fideicommissarium... procuratorem
ecclesie sancti Francisci...

Actum Asisii in ecclesia superiori beati Francisci. presentibus Fratre...
. + + + Fratre Iohanne de Tuderto. Fratre Gratia . . . . . .. Fratre Paulo
de Monte falcho . .... . Fratre Iacobo de Burgo. de ordine minorum

et Iohannolo .. . testibus rogatis ab ipsa testatrice. die XXVII septem-

bris. Sub anno Domini mille[simo ducente]simo septuagesimo octavo. Indic- -
tione sexta. tempore domini Nicolai pape [quarti]. :

S. T. [Ego Egidius .........] auctoritate imperiali notarius hiis
omnibus interfui et mandatum dicte [testatricis explevi et] ab ea rogatus
scripsi et pubblicavi (1).

(1) La pergamena misura mm. 175 x 560, ed é guasta e lacera in vari
punti del suo lato sinistro. Essa fu scritta dal notaro « Egidius », perchè è della
stessa mano ed ha lo stesso segno iniziale di altri rogiti di questo notaro (cfr.
Strum. S. Conv., tomo II, pergam. n. 11 del 1259 e tomo I, pergam. n. 50).
:

3

38
5

*

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D^

E.

vos conferre... » (Bull. Franc., tomo III, pag. 586).

LA CASA PATERNA DI S. CHIARA 97

22. — Paoluccio e Tomassuccio di Bonaventura di Paolo di Sci-
pione di Offreduccio di Bernardino.
Di questi bisnipoti del Beato Rufino e di S. Chiara abbiamo già
offerto sopra la relativa documentazione autentica.
. È opportuno ora dare un transunto del documento del 4 dicembre
1264 per una risultanza di notevole interesse storico che ne balza fuori,

‘e cioè l'ubicàzione della Casa paterna del Beato Rufino.

Il citato documento dice:

v... Paulutius et Thomasutius filii et heredes quondam Bonaventure
Pauli» vendono allAbbadessa e alle Monache del Monastero di
S. Apollinare di Assisi « quasdam domos cum quadam platea [cioé uno
spiazzale] el quodamvorto sive terreno sitis in Porta Moiani in Parrochia
Sancte Marie Maioris...: latera domorum et platee: cui- a I via, II
Bartholutius Pauli et Franciscus domini Munaldi, III heredes Andree

Abbandonati: latera orti cui a I-II via, III Franciscus et Bartholutius

predicti, I11I predicte domus ». — Prezzo cento libbre di denari. — « Ac-
tum in comitatu Asisii ante ecclesiam sancti Apollenaris... », e cioè nel

monastero dei Benedettini di S. Apollinare di Sambro, in diocesi di

Assisi, fondato già nel secolo x (1).
. lisurriportato documento ci dà, innanzi tutto, l'anno di fondazio-
ne del Monastero femminile benedettino di S. Apollinare entro le

mura di Assisi (2). Difatti le case, il piazzale e l'orto comprato da quelle

monache erano destinati ad abitazione di esse: « ad agendam in eis

. penitentiam », dice lo strumento.
- Esso documento inoltre ci rivela una cosa che per noi francescani

e per la città di Assisi ha una speciale importanza, e cioé che quelle

- ease, quel piazzale e quell'orto facevano parte della casa di abitazione
di Paolo di Scipione d'Offreduzzo, cioé dell'unico fratello del B. Ru-

(A) Cfr. Di CosrANzo, Disamina, cit., pagg. 253, 392 e 397. Fino al 1209,
e forse anche dopo, fu abitato da monaci Benedetti e dipendeva dal Monastero
di Sassovivo; ignoriamo quando passó alle Monache del predetto Ordine.

(2) Da una Bolla'di Onorio IV, in data 20 dicembre 1286, rileviamo che il
trasferimento delle Benedettine di S. Apollinare dalla campagna in città aveva
incontrato degli ostacoli a causa di un privilegio di cui godevano le Monache di
S. Chiara. Quel Pontefice modificó quel privilegio e rimosse ogni ostacolo,
scrivendo, tra l'altro: «... attendentes quod locus, in quo ad praesens moramini,

propter guerrarum discrimina pro tempore in illis partibus ingruentium, et ex
aliis causis vobis accommodus non sit; ad quendam locum civitatis Asisinaten.,

ubi quasdam domos iusto emptionis titulo vos acquisisse asseritis, cupitis

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98 P. GIUSEPPE ABATE.

fino. Il che è lo stesso che dire della casa paterna di uno dei primi 3
e più illustri Compagni di S. Francesco. E
| Attigua a detta casa di Messer Scipione di Offreduzzo era inoltre E
: la casa di Messer Francesco di Messer Monaldo d'Offreduzzo, cioé 4
| labitazione dello zio di S. Chiara, Monaldo sopraddetto. 5

Una scoperta questa che ha certamente il suo valore storico, e che

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| ! PORTA MOLANO NUOVA E
I il qe I m E *ZONA SU CUI SORGEVA LA CASA PATERNA 1
TERI D msg : TAIN i DEL . B. RUFINO ù
| | Fic. 5 SA
| Ese. perciò meriterebbe di essere illustrata con più ampie e approfondite E
| MU | ricerche. E
| d: | A dare un'idea della ubicazione in Assisi di dette case dei parenti È

“AS; Chiara potrà essere di qualche utilità il seguente schema topo- "
] ji nde Ta nostra documentazione, toccante ben sei generazioni della 1
| IMs s. stirpe di S. Chiara, qui ha termine, perché non abbiamo creduto op- d
CS portuno spingere più oltre le nostre ricerche per dltri eventuali ascen- >

denti o discendenti (1).

(d) Di un tardo nipote di S. Chiara, del quale non si parla nella Genealogia
da noi data, fa menzione il noto scrittore partenopeo G10v. ANTONIO SUMMONTE
nella sua Historia della Città e Regno di Napoli (Napoli, appresso Gio..Iacomo
Carlino, MDCI, parte II, pag. 374. Trattando egli della devozione che il re

. Roberto d'Angió ebbe per la gloriosa Santa di Assisi, e del celebre monastero
da lui edificato in suo nome a Napoli, scrive che quel sovrano « anco ricevè per

"T
LIST


TUA
LA.CASA PATERNA DI S. CHIARA 99

Baccualindo ora da queste indagini le più chiare ed evidenti
conclusioni, diciamo:

I. - La Famiglia di S. Chiara non fu affatto, come s'à ripetuto fino
||. 411926, degli Scifi. Nessun documento autentico si è mai trovato ^
E che anche lontanamente avvalorasse una tale falsa appartenenza, ba- b
E sata sul falso documento del 1403 che trasse tutti in inganno e che BN
noi finalmente abbiamo potuto smascherare. Anzi, come s'é lumino- : LEES]
samente dimostrato, nella Famiglia della Santa non fu mai in uso qr
alcun cognome, denominandosi per oltre due secoli col semplice pa- : i |
tronimico variante ad ogni generazione. ij

Pa

II. — La Famiglia di S. Chiara fu si nobile e ricca, ma non ebbe cp |

alcun titolo comitale, come finora s'era ritenuto. | u

Non ebbe infatti la Contea di Sasso Rosso, perché questa — come

s'é già rilevato col Fortini — appartenne alla Famiglia di Leonardo di
Gislerio (1);

b) non quella di Montaldone, non solo perché essa non fu mai

titolo comitale, ma anche perché nulla ebbe mai di comune la Famiglia

della Santa con quel lontano castello;

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— A RUDI IDE SECO SEI as a re n m m en st DAE

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SES AEN CREO MIEI e li "> DSS cd ft ra, : [- De — i n

suo familiare (molt’anni dopo) Fino Lori d' Assisi consanguineo di lei dell'istes>

sa famiglia, come nell’ Archivio al regesto del 1337. 1338. 1329. fol. 129 a ter. ».

Il WapDING conobbe questa notizia, la riportò nei suoi Annales Ordinis Mino-

rum (an. 1338), nn. 24-25, t. VII dell’ediz. del 1932, pag. 262, dove però invece

di Fino — accorciativo di Rufino — si ha « Sinum Loli de civite (1) Assisii », e In-

dizione « VII» invece di « VI »,e vi aggiunse il testo del diploma regio, a lui

E inviato dall'antiquario e giureconsulto napoletano Bartolomeo Chioccarelli

| (1560-1646). Sebbene nelle carte assisane da noi esaminate il predetto Fino non

D si trovi mai menzionato, pure, data la fonte archivistica da cui la notizia

proviene, riteniamo che egli sia veramente esistitito e sia stato della progenie |i

di-S. Chiara. . Li:

(1) Ai documenti già fatti noti in proposito da altri, si potrebbero aggiun- i
gere alcune Bolle Papali date da Innocenzo IV nel 1244 e da Urbano IV nel

1263, dalle quali si apprende:

‘a) che il castello di Sasso Rosso era stato deniolito nel 1244 per ordine
bi della S. Sede, perchè quelli che lo possedevano e vi dimoravano erano «infide-
| — les et inimici Ecclesiae »;

E b) che costoro erano i membri della Famiglia di Leonardo di Gislerio; e ji |
cioè Paolo di Fortebraccio e Teodimo di Leonardo e Rinaldo nipoti dello stesso E I SRI
Fortebraccio;

c) e infine questi molestavano gli assisani per danni che, falsamente, asse-

. rivano di avere ricevuti. (Cfr. A. THEINER, Codex Diplomaticus Dominii Tem-

poralis S. Sedis, Roma, 1859, tomo I, pagg. 118 e 148).

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se”:
>» 7 x gere TAI LEVINE = SER

53 dr

100 P. GIUSEPPE ABATE

€) non di Coccorano, perché quella contea allora apparteneva
ad altri, e cioé alla famiglia di Ugolino di Monte Albertino, cittadino

di Perugia. Se poi Martino di Coccorano — quasi certamente cognato

di S. Chiara — fu Conte di quel castello, il che non risulta da alcun
documento, bisogna dire che egli non fu originario di Assisi, ma di
Perugia, e membro della suddetta famiglia di Ugolino.

III. — Favarone, padre di S. Chiara, era certamente morto nel 1211,
e perció si spiega la sua totale assenza dagli avvenimenti accaduti
nella monacazione della Santa e il silenzio che si ha di lui negli scarsi
documenti pubblici assisani del tempo. Ció spiega pure perché nel 1211
chi interviene nei fatti di S. Chiara e di S. Agnese sua sorella è lo zio
Monaldo e non già il padre Favarone. Tutti i documenti della prima
metà del secolo xir che parlano di personaggi a nome « Favarone »
riguardano un cittadino assisano oriundo di Perugia e un possidente
di Cannara abitante in Assisi.

IV. — Nessun documento si ha di una asserita appartenenza di
Ortolana, madre di S. Chiara, alla nobile Famiglia Fiumi, la quale del

‘resto appare in Assisi con tale cognome solo nella seconda metà del

secolo xiv.

V. — Il B. Rufino, compagno di S. Francesco, fu veramente della
stirpe di S.' Chiara, secondo le conferme documentarie da noi rinve-
nute. Inoltre egli non morì nel 1270, come s'é sempre e da tutti affer-
mato sinora, ma dopo il 27 settembre del 1278. . :

| — VI, — Si apprende ora perla prima volta che la Casa paterna del

‘ detto B. Rufino era situata presso le mura della città che si stendono
da Porta. Sementone a Porta Moiano, e precisamente nell'area attual- .
mente occupata dall'ex-Monastero benedettino di S. Apollinare, ora

abitato dalle Monache Benedettine dell'Istituto di 5. Giuseppe.

VII. — Le Beate Amata e Balvina, nipoti carnali di S. Chiara, non :

morirono nel 1254 o 1255 nel primitivo Monastero di S. Damiano, come
s'è detto e scritto finora, ma passarono di questa vita dopo ilsettembre
del 1278 nel Monastero di S. Chiara, e cioé pro l'ex-chiesa di
S. VENE
— e

LA CASA PATERNA DI S. CHIARA

III.

Falsa attestazione di una impossibile visita alla Tomba sotterranea
di S. MS ne) secolo XVII.

Come tra la fine del secolo xvi e il principio del xv si favoleggiò
in Assisi e fuori di una mirabolante visita del Pontefice Nicolò V alla
tomba sotterranea di S. Francesco e sì produssero vari documenti

falsi (1), così a quello stesso periodo si attribuì, con una attestazione

apocrifa, una impossibile visita del Vescovo di Assisi alla tomba sot-
terranea di S. Chiara.

Riferisce infatti il Loccatelli (Op. cit., pag. 351) che nella già ri-

cordata Vita ms. di S. Chiara, " compilata dall'assisano Marcantonio
Aluigi, all'ultima Nota dell Appendice (pag. 42 e segg.) si legge:

« Monsignor Marcello Crescenzi romano promosso al Vescovato di Assisi

- l'anno 1591 da Papa Gregorio XIV ebbe pensiero di vedere il corpo della

gloriosa Santa Chiara, ed avendo determinato un giorno di giovedi, la notte
sulle tre ore, che precedeva la festa di S. Giovanni ante portam latinam, se ne
andó con somma segretezza solo con pochi suoi famigliari e con un suo amico
chiamato Giulio Amatucci, nobile asisano, e non altri.

Giunti che furono alla Chiesa, ivi fatte estrarre alcune pietre del pavi-
mento preso all'Altar maggiore, sotto le quali fu trovate un andito con cinque

. gradini di marmo, per i quali calarono a basso, ove trovarono una cappella
. assai capace fatta di lavoro a mosaico, in mezzo alla quale vi era un'arca di

bronzo istoriata, con statue rappresentanti le virtü di S. Chiara, quale arca
veniva sostenuta dalle spalle di quattro leoni di bronzo, rappresentanti

l'arme della città.

Fu ammirato quell’insigne lavoro, e finalmente nel) tentare di aprir

- l’arca, fu sentita subito un'alta voce acuta; la quale disse: Non piü oltre |

E atterriti tutti dalla voce, quasi tramortiti caddero in terra, e dopo un
breve spazio di tempo ritornati in sè, si uscì fuori senz'altra ricerca, tutti du
gottiti e confusi ».

(1) Cfr., tra gli altri, uno scritto del P. Michele Bihl, O. F. M., in Archivum

Franc. Hist., tomo XXI, an. 1928, pagg. 601-2. Visi dànno parecchie indica- .

zioni bibliografiche, e si ricorda che la Relazione di quella visita — pubblicata
dal Tossignano, dal Wadding, dal Sedulio e molti altri sia Osservanti che
Conventuali — era stata già messa in circolazione da Fra Maroo Bm Lisbona
nel 1557.
[ha

.Scenzi si trovava in Assisi? .

1025 ^ P. GIUSEPPE ABATE

Questo: n preteso fatto:

« Il detto Signor Conte ‘Giulio Amatucci, il quale morì in età avvanzata

1 l’anno 1640, prima di morire volle lasciare questa memoria al suo padre spi-

rituale Fra Felice di Asisi, guardiano dei PP. Riformati del Convento delle
Carceri, ordinandogli, che dopo la sua morte, pubblicasse questo fatto...»

Il Vescovo Marcello Crescenzi, di cui qui si parla, non fu eletto
da Gregorio XIV — come si dice sopra — sibbene da Innocenzo IX (1),
e precisamente con Bolla del 13 novembre 1591. Mori in Roma ai 13
agosto del 1630. :

La pretesa visita della Tomba di S. Chiara, clie sarebbe stata da
lui fatta nella notte di un giovedi pfecedente il 6 maggio (festa di
S. Giovanni ante Port. Latin.) dovrà collocarsi in uno dei seguenti
anni: 1605, 1611 e 1616, potendosi verosimilmente escludere il 1622,
nel quale anno il 5 maggio « giovedi » era la Festa dell Ascensione.

Siamo dunque ai primi decenni del secolo xvII, e precisamente

quando in Assisi si producevano documenti su false case di Santi e
nello stesso Episcopio della Città Serafica si rinnovava, per ordine del .

Vescovo Crescenzi, una iscrizione in onore di S. Francesco contenente

«un madornale errore di attribuzione e di cronologia (2).

Infatti in quelladscrizione si afferma va che il giovane figlio di Pietro
Bernardone, aveva rinunziato ai beni paterni dinanzi al Vescovo I1-
luminato (che fu... figlio di S. Francesco e resse quella cattedra
episcopale dal 1274 al 1282), mentre invece quella rinunzia avvenne

realmente, nel 1206, dinanzi al Vescovo Guido II (1204-1228).

Ma negli anni 1605; 1611 e 1616, ai 5 maggio, il Marcello Cre-
. E probabile; ciò però non toglie che
la sua asserita visita alla Tomba di S. Chiara non sia una falsa inven-
zione del secolo XVII.

(y Cfr. Dr CosrANzo, Disamina cit., pagg. 337-340; Eu Hierarchia
Catthol. cit., III, pag. 134,; IV, pag. 97.

(2) Il GUN CA (Sacro Pellegrinaggio alli celebri e divoti Santuari di Loreto,
Assisi..., edizione del 1705 pag. 52) ne rilevò l'errore e la riportò cosi: « Fran-
ciscus Caelestis Patris bonorum cupidus Terreni Patris bona his in Aedibus co-
ram Illuminato. Presule resignat. Marcellus Crescentius Romanus Episcopus
Assisiensis memoriam renovavit ».

No:
| del 1981).

LA CASA PATERNA DI S. CHIARA

Difatti, allorché nel settembre del 1850 (1), dopo otto giorni
d'indefesso lavoro, si scopri sotto l'Altar maggiore della Basilica di
S. Chiara la Tomba venerata della Santa, si ebbe la prova evidente che
lasserita grande Cappella fatta di lavoro a mosaico, contenente la
pretesa arca di bronzo e i suoi quattro leoni e le varie statue rappre-
sentanti le virtù di S. Chiara, nonché i cinque gradini di marmo, ecc.
erano stati tutta una fantasticheria di falsari del secolo xvrr.

Fu trovata si l'urna della Santa, ma essa era di semplice traver-
tino cinto da due grosse fascie di ferro, e situata in fondo ad un vano
strettissimo, i cui muri laterali eran distanti gli uni dagli altri non p@ù
di sei palmi romani.

Parimenti fu trovato un cunicolo, ma con undici rozzi gradini
di pietra locale; ed esso, a giudizio, dei periti, dovette essere riempito

-. di calcestruzzo (al pari del resto dell'avello) al tempo stesso che vi fù

tumulato il venerando Corpo della Santa, cioé nell'anno 1260.

Il surriferito documento dell'Amatucci é quindi una delle tante
falsificazioni assisane del Seicento — del tempo della Chiesa Nuova —;
ed.esso ci ammonisce ad: esser cauti nell'accettare materiali storici

-. di quel periodo segnatamente per quanto riguarda S. Francesco e Santa
‘ Chiara.

IV.

Un sospetto, se non proprio falso, documento del 1938 riguardante
. f$. Chiara e il Monastero di S. Damiano d'Assisi. - La Beata
Benedetta d'Assisi e la sua Genealogia.

Nel 1625 Fra Luca Wadding pubblicò (2) un documento, datato
al 1238 e riguardante S. Chiara e il suo Monastero di S. Damiano, che
se non può dirsi addirittura una falsificazione, deve ritenersi — a no-

‘stro parere — almeno come un documento assai sospetto.

(1) Cfr. Sac. DoMENICO ZANELLI: Sulla venturosa invenzione del Corpo di

S. Chiara di Assisi nel settembre del 1850. Relazione Storica. Assisi, Tipografia
Sgariglia (1850 o 1851), pagg. 16-28.
(2) Annales Minorum, al 1238, nn. XIV-XV (tomo II, pagg. 14-15 dell’ediz. D e REI co eet die qe a tet iia a rn

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104 Ard P. GIUSEPPE ABATE

L'Annalista lo credette genuino ed autentico, ec con lui molti
altri che lo riprodussero, come ad esempio il P. Salvatore Vitali (1)
e il P. Leone Bracaloni (2). Il P. Giacinto Sbaraglia invece ne dubitò
(Cfr. Bull. Franc., t. I, pag. 771, nota).

Secondo il sullodato Wadding, l'originale del detto doc mento esi-
steva ancora al tempo suo, ed era conservato presso il Priore della
Cattedrale di Assisi D. Cilleni da Benignotoli. Munito ancora di sigillo
in cera bianca, pendente da sei grossi fili diseta gialla, aveva in questa

impressa l'immagine della Madonna col Bambino e intorno l’iscri-

zione: *»K S[igillum]. Abbatisse Sancti Damiani (3).
Quell' A. non disse di aver veduto il documento; faceva però notare
che esso era stato trascritto, forse non da lui, «ex originale authographo ».
* Con quel documento S. Chiara unitamente a tutte le Monache di
S. Damiano, agli 8 giugno del 1238, nominava Oportolo di Bernardo (4)
procuratore suo e del Monastero per la vendita di una proprietà ter-
riera, alla Cattedrale di S. Rufino, ad esso Monastero appartenente (5).
Ecco il testo: :

IN DEI NOMINE. AMEN.

Domina Clara [1] abbatissa Monasterii sancti Damiani Assisinatis, prae-
sentibus, volentibus, et consentientibus Dominabus, sive Sororibus infra-
scriptis, nomine suo, et dicti Monasterii fecit, constituit, et ordinavit Domi-
num Oportolum Bernardi, suum et ipsius Monasterii Procuratorem, sive
oeconomum ad vendendum, sive alienandum Ecclesiae sive Capitulo Sancti
Rufini Assisinatis quamdam clausuram positam in vico Campillionis, et
terram juxta ipsam: latera clausurae 1 Texium 2 et 3 viae: latera terrae pri-
ma, via a secundo, filii Maragonis a tertio, filii Balduini a quarto, ad promit-
tendum et obligandum se nomine jam dicti Monasterii ad defensionem dictae
clausurae et terrae, ad inducendum Ecclesiam, seu Capitulum dictum, vel
eius Nuncium in tenutam, seu possessionem clausurae et terrae praedictae,

(1) Istoria Serafica cit., pag. 395. Questo scrittore, che afferma di avere

avuto tra le mani quel documento, riporta (in volgare) solamente i nomi delle

Suore e in numero tondo di 50, perché omette la seconda Benvenuta.
- (2) Storia di S. Damiano in Assisi, 2* ediz., Todi, 1926, pag. 95.

(3) Il Wadding invece di Sigillum ha Sororis.

(4) Ii. Wadding, senza documentarlo; fa questo Oportolo « sancti Francisci
consanguineum ». Un personaggio di tal nome come parente di S. Francesco è
completamente ignorato dalle carte e dagli storici assisiati. .

(5) I1 Wadding, arbitrariamente, asserisce che si trattava di una porzione
di terra « Monasterio relictam ». i
LA CASA PATERNA DI S. CHIARA 105

et ad omnia facienda, et gerenda, quae occasione ipsius venditionis idem
procurator vel oeconomus viderit faciendum; quidquid autem de praemissis
fecerit ratum et firmum habere promisit.

Nonima Dominarum sive Sororum sunt haec: [2] Agnes, [3] Philippa,

[4] Iacoba, [5] Illuminata, [6] Caecilia, [7] Aegidia, [8] Agnes, [9] Anastasia,
[10] Agnes, [11] Christiana, [12] Iacobina, [13] Balvina, [14] Mansueta, [15]
Amata, [16] Benvenuta, [17] Bonaventura, [18] Benvenuta, [19] Benreceuta,
[20] Consolata, [21] Andrea, [22] Aurea, [23] Leonarda, [24] Agatha, [25]
Felicita, [26] Angelucia, [27], Felicita, [28] Massariola, [29] Maria, [30] Gre-
, goria, [31] Maria, [32], Ioanna, [33] Benedicta, [34] Ioanna, [35] Bennata,

- [36] Ioanna, [37] Lucia, [38] Helya, [39] Matthia, [40] Clara, [41] Stella, [42]
Lea, [43] Beatrix, [44] Bartholomaea, [45] Praxeda, [46] Herminia, [47] Da-
- niella, [48] Clarella, [49] Pacifica, [50] Vertera, [51] Pataritia.

Ut autem scriptura praesens faciat praesentibus et futuris, et posteris
plenam fidem, dicta Domina Clara, et eius Sorores fecerunt eam consignari
sigillo Capituli Monasterii memorati, sub anno Domini MCCXXXVIII,
Indictione 17, tempore Gregorii Papae IX et Friderici Imperatoris, die VIII
intrante mense Junii.

A. prima vista, e non ostante la mancanza di certi dati richiesti

in simili carte, questo documento sembra autentico, essendo simile
ad altri strumenti di procura fatti in quel secolo e riguardanti le Cla-
risse (1).

Il formulario é quello allora in uso, e molte delle persone in detto
. documento menzionate. risultano, da altre carte, come realmente
viventi in Assisi nell'anno 1238.

Ma tutto ciò, come ognuno comprende non é bastevole per rite-
nere quell'Atto genuino ed autentico, essendoché da contraffattori
intelligenti si son talvolta creati sul modello di documenti veri e in-
torno a personaggi autentici degli Atti assolutamente falsi. Non é solo
la forma e il nome degli attori che deve corrispondere a verità, ma
anche la sostanza e le circostanze dell'atto (9):

(1) Ctr. in « Bullarium Pontificium quod exstat in ‘A rehipio Sacri Conventus
‘| Assisiensis », edito da Leto Alessandri e Francesco Pennacchi a Quaracchi nel
1920, pagg. 331-322, due strumenti di procura, dell’anno 1262, redatti per le -

: Clarisse di Perugia e per quelle di Spoleto.
(2) Fa a proposito la seguente osservazione del BARONIO su di un falso
‘Diploma di Ottone. III: « Felices forent omnes impostores, si ex falso tantum

ni | supposito titulo, quod cuperent, probatum haberent, et non plura intercederent,

quibus luce perspicua convincerentur esse falsarii. Sunt quidem complura, quae
106 P. GIUSEPPE ABATE

Veri sono i seguenti nomi menzionati nell'atto che esaminiamo,

oltre quello — naturalmente — della Madre S. Chiara, abbadessa:
1° Suor. Pacifica di Guelfuccio, compagna della Santa fin dal
1211; 5 : i

Damiano pure quell’anno;
3° Suor Filippa di Messer Leonardo di Gislerio, Damianita
fin dal 1215;

49 Suor Amata di Messer Martino da Coccorano, discepola di.

S. Chiara, sua zia, fin dal 1228;

99 Suor Cecilia da Spello, monaca già dal 1214;

6° Suor Cristiana di Bernardo di Suppo, dal 1220;

79 Suor Agnese, sorella di S. Chiara, dal 1211;

8° Suor Balvina, sorella della predetta Suor Amata, dal1217;

99 Suor Beatrice, altra sorella di S. Chiara, dal 1229;

10° Suor Benvenuta di Diambra, dal 1224 (1);

11° Suor Benedetta (2), già da prima del 1227;

12° Suor Angeluccia da Spoleto, dal 1225;

13° Suor Agnese di Oportolo, dal 1220: — Tutte queste Suore
vivevano in S. Damiano anche nel 1253, come risulta dal Processo
di Canonizzazione di S. Chiara, ed è perciò da ritenere — salvo do-

cumenti in contrario = che CUUOFINANIO nel 1238 nel Monastero di

S. Damiano. i
Lo stesso può dirsi, verosimilmente, delle seguenti Damiani,
ricordate anch'esse nel cit. Processo, ma delle quali ignoriamo l'anno
di entrata in Monastero:
14° Suor Illuminata da Pisa, già defunta nel 1253;.
15° Suor Anastasia, non si sa se ancora viva in quell’anno;
16° Suor Andrea da Ferrara, morta già nel 1253;
17° Suor Lucia da Roma, vivente nel 1253.

in eodem diplomate scripta reperiuntur, quae veritati adversari noscuntur ; insu-
per alia desiderantur, quorum omissio posset redarguere falsitatem et esse commen-
ticium demonstrare » (Annales Ecclesiastici, Augustae Vindelicorum, ediz. 1740,
t. XII, col. 1000).

(1) Un fratello di questa, « Petrus domine Diambre », fu ucciso nella pro-
pria casa nel 1231 (Archivio Comunale N..n. 1, Elenco ex- Dna di quell’an-
no; FORTINI, Op. cit., pag. 415).

(2) Nobile assisana e figlia di Giorgio di Messere Ugone, prima abbadessa
— dopo S. Chiara — del Monastero di S. Damiano. Daremo BDDICSSO un impor-
tante documento inedito su questa Beata.

29 Suor Benvenuta da Perugia, che entrò nel Monastero di San
LA CASA PATERNA DI S. CHIARA 107

Dunque di diciassette, delle cinquanta Clarisse menzionate nel
documento che esaminiamo, si hanno notizie coeve; e questo, non lo
| neghiamo; è certamente a favore della autenticità di esso.

‘Anche lOportolo di Bernardo (1), nonché il figlio di Moren-
gone (2) e i figli di Baldino (3) son personaggi veri.

Eppure, dei motivi — reali e fondati — non mancano per ritenere
sospetto, se non proprio falso, quel documento del 1238.

Innanzi tutto va rilevato, che al detto documento mancano alcuni
requisiti essenziali alla sua autenticità e conseguente validità, e cioé:
a) l'indicazione espressa e precisa del luogo dove esso fu

fatto;
b) la registrazione della presenza deitestimoniei no mi
di.essi; j
c) la sottoscrizione del notaro dinanzi al quale quell'atto
di procura sarebbe stato fatto.
Qualcuno potrebbe opporre che tutte queste cose avrebbero po-

tuto trovarsi nell'originale membranaceo perduto (4), ma che furono.

omesse 0 dal copista secentesco o dal Wadding che primo pubblicò
quel documento (5).

(1) Oportolo di Bernardo, già padre di una Suor Agnese clarissa di S. Da-
miano fin dal 1220, si trova menzionato nel più volte cit. Processo di Canoniz-
zazione di S. Chiara. Fu nobile, e più volte Podestà di Assisi, cioè nel 1225 e
1235 (Archivio Comunale, M. 1, ff. 1, 7 e 10; FoRTINI, Op. cit., pagg. 413, 417,
469). Appartenne alla Balia di Castelnuovo (Archivio cit., N. n. 1).

(2) Morengone di Cristiano fu Console di Assisi negli anni 1203, 1209 e
1210; il figlio menzionato nel nostro documento, a nome Leto, lo troviamo in
documenti del 1228 (cfr. FORTINI, pagg. 410, 438, 448, 473-475).

j (3) I figli di Baldino ricorrono all'anno 1229 (Archivio cit., M. n. 1, ff. 9
e 10; FonrINI, pag. 413).

(4) Verso il 1625 era posseduto dal già menzionato patrizio assisiate Cil-
leni, decano della Cattedrale. Le speciali indagini fatte alcuni decenni fa dal
Priore A. Tini, ed ora da noi, sia nell'Archivio di S. Rufino che in tutti gli altri
della città, non hanno dato alcun risultato, si che puó ritenersi perduto.

(5) Negli atti di procura, del 1262, fatti dalle Clarisse di Perugia e di Spo-

leto, leggiamo in fine:
a) « Facta fuit hec ratificatio, acceptatio, approbatio in ecclesia S. Ma-
rie de Monte Lucido [Perugia], coram d. Bencevene Trovalveri, d. Marsiliocto

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108 Ri a P. GIUSEPPE ABATE

Può darsi; rimane però il fatto che i sopraddetti requisiti per la
durenticità noi non li abbiamo e che perciò ci è almeno lecito sospettare
che non ci siano stati, data l’assoluta mancanza d’indicazioni in con-
trario.

Inoltre lá data contiene un elemento certamente errato: vi si
indica la mai esistita Indizione « 172 », invece dell'« 112 ». Certamente
ció puo essere una svista dell'amanuense o del tipografo; ma tale
errore c'é e non é mai corretto, o segnalato, nelle tre edizioni che abbia-
mo del Wadding (1).

Ancora. Nello strumento non si fa menzione del prezzo a cui quei
terreni avrebbero dovuto essere alienati, come pure di tale alienazione
non si dà il motivo. Si dirà che queste sono omissioni di poca entità,
e forse anche spiegabili; ma ci sono.

Si potrebbe anche aggiungere che fu solo nel 1247 che le Clarisse
ed i Frati Minori ebbero la prima concessione di un procuratore o sin-

daco; quindi trovarne uno per le Clarisse già nel 1238 sarebbe cosa ec-

cezionale. Ma su ciò non si può insistere, perché la concessione ufficiale

del 1247 avrebbe potuto sopravvenire ad un uso già invalso.

d. lohannis Bocca Mafeo Peri, Nigro Bendofende, Hermanno Nicole, Gra-
tiano Petri et Mafutio Vivoli testibus rogatis.

(S.T.) Et ego Bonicellus, apostolica auctoritate iudex et notarius, prediete
ratificationi, acceptationi, aprobationi et promissioni interfui, et ut superius
legitur de voluntate dictarum dominarum rogatus scripsi et autenticavi:

b) « Hoc actum fuit apud dictum monasterium [S. Marie inter Angelos
de Spoleto] ante portam, coram Giperio Petri, Rainerio Venture de Monte-
franco, Laurentio Martini de Betone et Agura Rainuci de S. Antimo testibus
ad hec vocatis et rogatis. ^

(S. T.) Ego Iacobus Andree notarius hiis omnibus interfui et rogatu pre-
dictarum abbatisse et Monialium dicti Monasterii hec omnia scripsi et publi-
cavi et in publicam formam redegi » (Bull. S. Conv., cit. pag. 332).

(1) Alcuno potrebbe trovare forse strano che S. Chiara menzionasse nel

suo documento, tra i dati cronologici, l’imperatore Federico II allora scomuni- .
«cato da Gregorio IX. Si potrebbe pensare che una tale formola non venisse

usata in città soggette al dominio pontificio, e specialmente in un tempo in cui
quell’Imperatore infieriva contro il Papa, contro i Prelati della Chiesa e i
Francescani. In linea di massima ciò è vero; conosciamo numerosi documenti
di notari assisani di quegli anni, nei quali il nome di Federico II è taciuto (cfr.

per es. Archivio Comunale M. n. 1, ff. 1-10); ma se ne trovano pure altri dove
invece quell’imperatore è menzionato (cfr. Strum. S. Conv., tomo I, n. 13,

anno 1236; n. 16, anno 1241; Archivio cit. M. n. 1, ff. 9 e 10, al 1231). Aggiun-
giamo pure che una campana fatta fondere nel 1239 da Frate Elia per la Ba-'

silica di Assisi ebbe la scritta: « Pape Gregorii tempore noni Caesaris ac po-
tentissimi Frederici ».
LA CASA PATERNA DI S. CHIARA

Le Damianite nominate nel documento sono in numero di cin-
quanta, compresa S. Chiara (1). Questa cifra cosi elevata e tonda,
più che essere di ostacolo per l'autenticità del documento, potrebbe
costituirne una riprova, dato che sappiamo che quando in S. Damiano
venne una volta a mancare il pane per le suore, S. Chiara operó il
miracolo della moltiplicazione di esso, facendo tagliare il mezzo pane
esistente in cinquanta fette, cioè una per suora. Questo è indubbio,
perchè ci viene attestato dal Processo di Canonizzazione della Santa (2)
.da una Bolla di Alessandro IV (3), nonché.dall'autore della Leggenda
‘della Santa stessa (ediz. cit., n. 15).

Quindi si deve ritenere come certo che in un imprecisato periodo —
che potrebbe anche essere quello del 1238 — della vita di S. Chiara in
S. Damiano, in quel Monastero dimorassero cinquanta suore.

(1) In verità nel documento tutte le Suore sono in numero di 51; ma noi
riteniamo che quelle dei nn. 41 e 42 indicateci dalla trascrizione del Wadding
. col nome di Clara la prima e di Stella la seconda non siano, in realtà, che una
sola Monaca,e cioè Suor Clarastella. Trovasi infatti una suora di tal nome men-
zionata in un documento dell’8 giugno 1266 (Archivio Comunale, pergam.
‘n. 183): « Soror Aguina, que alias dicitur Clarastella » — come la sorella carnale
di questa, Suor Matelda, era detta «alias Iacopa ». In altri documenti, del 9 e
14 settembre 1266 (1. c., pergam. n. 184), si legge: « domina Matelda... que
nunc vocatur Soror Iacopa... » e «domina Aguina.. que nunc vocatur Soror
Clarastella ». Figlia di Tomassino di Ranaldo di Orlandina di Perugia, ma citta-
. dina di Assisi, dimorava nel 1266 nel Monastero delle Clarisse di Città di Ca-
stello, mentre la sorella era pure Clarissa e Badessa a Narni. Non è improba-
bile che la detta Clarastella nel 1238 si trovasse in S. Damiano con S. Chiara.

(2) In detto Processo, l. c., pag. 467 leggiamo che Suor Cecilia da Spello
«ancho disse che uno di, non avendo le Sore se non mecco pane, la mità del
quale innanti era stata mandata alli Frati, li quali stavano de fora; la predicta
madonna [S. Chiara] comandó ad epsa testimonia che de quello mecco pane
ne facesse cinquanta lesche et portassele alle Sore, che erano andate
. alla mensa. [Da questo particolare parrebbe che il fatto prodigioso fosse avve-
nuto nel tempo che S. Chiara stette quasi sempre inchiodata a letto ammalata,
e cioé tra il 1228 e il 1253]. Allora disse epsa testimonia alla predicta madonna
Chiara: Ad ció che de questo se ne facessero cinquanta lesche, saria neces-
sario quello miraculo del Signore, de’ cinque pani et doi pesci. Ma epsa ma-
donna li disse: Va? et fa^ come io te ho dicto. Et così el Signore multiplicò
quello pane per tal modo, che ne fece cinquanta lesche bone et grande, come
sancta Chiara li aveva comandato ».

| (3) Bull. Franc., tomo II, pag. 81.

T

Mea

ani rues" — aono e SUE 2
110 P. GIUSEPPE ABATE

Or qui condividiamo in parte la seguente osservazione del
R. P. Leone Bracaloni, il quale, pur ritenendo il documento come au-
tentico, affaccia il dubbio dell interpolazione (come si pos-
‘sano conciliare in uno stesso documento autenticità e interpolazione,
cioè falsità, noi veramente ‘non vediamo).

Scrive adunque il detto Padre:

« Vi è però una cosa in detto documento, già inavvertita, che non voglia-
mo passare sotto silenzio: i molti raddoppiamenti di nomi, che si succedono
in modo non naturale, ma con una certa artificiale cadenza, con l'intervallo
di uno, come: Agnese, Anastasia, Agnese; Benvenuta, Bonaventura, Benve-
nuta; Felicita, Angeluccia, Felicita; Maria, Gregoria, Maria; Giovanna,
Benedetta, Giovanna, Bennata e ancora Giovanna. Come spiegarlo ? Che sia

uninterpolazione , allo scopo di aggiungere nomi che non urtassero
come nuovi, e cosi arrivare al numero di cinquanta suore, indicato dal Ce-
lanese ? » (1).

Il rilievo è giusto, e non può non essere debitamente valutato.
Noi infatti, lo confessiamo, siamo fermamente persuasi che quel
l'artificiale cadenza non sia dovuta a S. Chiara, alla quale — e non
ad altri — si attribuisce il documento: « Ego domina Clara...» ecc.
Perció crediamo, in verità, alla temuta interpolazione, di
modo che esso documento, almeno nella forma, é giunto a noi con-
taminato, cioé falsato ed apocrifo in uno dei suoi più importanti
particolari. |

*Ckck

Passiamo ora ad esaminare i nomi delle Suore zione nel
documento. .

Il primo della lunga serie, dopo quello di S. Chiara, è il nome di
Agnese. Non è illogico- pensare che esso si riferisca a S. Agnese, sorella
della Santa. Essa S. Agnese però, nel 1238 forse non dimorava in Assisi,
e naturalmente nemmeno in S. Damiano. Si sa bene dagli storici che
essa nel 1219 era stata mandata da S. Francesco a reggere il nuovo
Monastero di Monticelli di Firenze, e che da lì passò a Mantova ed a
Venezia, dove fondò. altri chiostri e vi stabili la nuova disciplina. Vero

(1) Sua Op. cit., pag. 96.


res
E
LA CASA PATERNA DI S. CHIARA Viti Ta (a

è che nel 1253 trovavasi in S. Damiano; e vi morì; ma che vi fosse anche
nel 1238: non risulta da alcun documento (1).

Suor Chiara di Guelfuccio, teste nel cit. Processo, fu con S. Chiara -
dal 1211 al 1253 e non risulta che sisia mai allontanata da S. Damiano.
Eppure il suo nome manca nel documento del 1238.

Suor Francesca di Messer Capitanio di Col di Mezzo, altra teste
al Processo del 1253, alla data dell'8 giugno 1238 era monaca in San
- Damiano da sei anni. Anch'essa non é affatto menzionata nel predetto

documento.
Come spiegare tutto questo ?

RR.

Abbiamo rilevato finora come delle 50 Suore menzionate nel
. documento che esaminiamo, solo per 17 di esse — cioè per un terzo —
ce ne viene confermata realmente l'esistenza. Delle altre 33 non sap-
piamo nulla; o meglio sappiamo che nel 1262, secondo due pergamene
conservate in Assisi, vivevano nei Monasteri delle Clarisse di Perugia
e di Spoleto almeno un’altra ventina di suore dai nomi uguali a quelli
‘delle altre 33 suore del documento del 1238: — Giacomina, Mansueta,
Agata, Aurea, Felicita, Massaria, Maria, Gregoria, Elia, Chiarastella,
Bartolomea, Mattia, Benedetta, Prassede, Daniella, Pacifica, Chiara e
varie suore di nome Giovanna.

Che tutte queste Suore, o parte di esse, vadano identificate con
‘quelle menzionate nel documento assisano del 1238, nessuno, crediamo,
oserebbe affermarlo; come nessuno del pari, nel caso che si avesse
tale identificazione, oserebbe asserire che esse dimoravano tutte in
S. Damiano all'8 giugno del 1238.

*_* >

Ciò, però qhe più di ogni altro rilievo fa apparire apocrifo, o per lo.
meno assai sospetto, il documento in questione, è l'essenza stessa
- delsuo contenuto, vale a dire una « possessione » terriera e susseguente
« vendità » da parte di S. Chiara e delle sue suore (al 1238), la quale è
- jn aperto ed evidente contrasto con le numerose e sicurissime testi-

(1) Il P. Lazzeri (Proc. cit., pag: 487) opinò, ma senza alcun fondamento,
che invece di una della due Felicite, si d o ve va leggere nella carta del 1238
una Francisca. E che cosa vi:si avrebbe d o v uto leggere al posto degli altri
momi raddoppiati od anche triplicati e
112. i | P. GIUSEPPE ABATE

monianze neganti per S. Chiara e per S. Damiano (a quella data) il
fatto di un tale possesso. |

Quel documento, in una parola, se fosse autentico, verrebbe a
negare (e con una certa «solennità », dato che vi sarebbe stato apposto
il sigillo ufficiale di S. Damiano) il tesoro più grande che S. Chiara
custodi gelosissimamente durante tutta la sua vita religiosa, vogliamo
dire il noto « Privilegium Paupertatis » (1).

Infatti quel documento nella sua essenza attesta una cosa moral-
mente impossibile, e perciò non'credibile, cioó un possesso di
fatto, da parte di S. Chiara e delle sue consorelle del 1238, che esse a:
quella data moralmente non avrebbero potuto e dovuto avere. Risa-
liva a molto tempo prima il proposito della Santa e del suo Monastero
di non voler giammai possedere beni immobili di qualunque specie,
e piü precisamente terreni e fabbricati, e al tempo stesso di non poter
essere costretti giammai da alcuno ad accettarne; e risaliva a solo:
dieci anni prima la sanzione papale concessa a tale eroico proposito
dal riluttante Gregorio IX e dopo le molte insistenze della Santa (2).

Quello strumento parla chiaro: - Le monache di S. Damiano col-
legialmente, e con a capo la Santa, dichiarano di voler vendere
dei terreni: dunque ne godevano già di fatto la proprietà, per-
chè si può di fatto e legittimamente alienare Santo tico che di
fatto e legittimamente è proprio.

Ma S. Chiara e il suo Monastero di S. Din non ebbero, nel
1238, assolutamente nulla di proprio, nemmeno la chiesa di S. Damiano
e il fabbricato attiguo con l'orto, appartenendo questi al Vescovo di
Assisi ed al Capitolo di S. Rufino, cui difatti più tardi furono restituiti.

La dimostrazione è facile e sicura.

(1) Cfr. su questo Privilegio quanto scrissero i PP. LAZZERI e CALLEBAUT, .
O. F. M. in Arch. Franc. Hist., tomo XI, 1918, pagg. 271-76; tomo XX, 1927,.
pagg. 182-93; SABATIER PAuL, Le Privilége de la trés haute pauvreté, Paris
1924, ed in « Miscellanea Francescana », Foligno 1924, pagg 95.33. E. GILLIAT-
"| SurTH, Saint Clare of Assisi, 1914, London- Uopeime Parte II, capitoli IV; V
e XII.

(2) Scrisse il SABATIER: «... ^ Goloro;chie conoscono, sia pure superficial-
mente, la vita dell'ardente collaboratrice del « Poverello », sanno bene che essa
dovette lottare molto di piü per difendere il suo titolo di povertà, che non gli
altri per farsi colmare di ricchezze. Essa ebbe bisogno di tutta la sua energia
per rimanere fedele al suo primo voto, ed é questo sforzo indomabile che fa
l’unità e la beltà della sua vita, e l'associa al rinnovamento francescano a tal
grado, che gli storici e gli agiografi non l'hanno ancora completamente com-
preso » (Miscell. Franc. cit., pag. 4).
LA CASA PATERNA DI S. CHIARA 1. 113

S. Chiara, come si attesta nel cit. Processo di Canonizzazione e si.
ripete nella cit. Bolla di Alessandro IV, nel seguire la via eroica della
povertà francescana, si spoglió ditutta la sua eredità (1) e ne distribui
interamente ai poveri il ricavato. |

‘ Più tardi poi, nel 1224, quando si fece prescrivere da S. Francesco
. una Regola per sé e per le sue figlie, volle che vi fosse autorevolmente
del tutto bandito ogni possesso di beni temporali; e.ad essa Regola la
santa si attenne fedelmente sino alla morte (2).

Al fine di poter mantenere più sicura quellardua promessa di
«nullas habere possessiones » più tardi — come si è accennato — S. Chiara
ottenne, o meglio le fu confermato, il privilegio di non poter essere
costretta a riceverne:

«.. sicut igitur supplicastis, altissimae paupertatis propositum vestrum
favore apostolico roboramus, auctoritate vobis praesentium indulgentes ut re-
cipere possessiones a nullo compelli possitis » (3).

A. questo « Privilegio » la Santa, e, finché Essa fu in vita, il Mona-
stero di S. Damiano. furono costantemente fedeli.

Lo attestano, con giuramento, le sue discepole Suor Filippa di
Messer Leonardo di Gislerio, Suor Benvenuta, la sorella stessa di Santa
Chiara Beata Beatrice e la nipote Beata Balvina di Messer Martino

- di Coccorano, tutte monache di S. Damiano e li dimoranti nel 1238 (4).

- (1) S. Agnese, sorella della Santa, testimonió al Processo, con giuramento,
. che questa « vendecte tucta la sua heredità, et parte de la heredità de epsa
- testimonia, et dectela ai poveri » (Proc. cit., pag. 480).

(2) Come é noto, Innocenzo IV — in data 23 agosto 1247 — diede alle Cla-
risse un'altra Regola, che temperava i rigori della prima in fatto di povertà,
Alla domanda se S. Chiara accettò questa 2» Regola, il Ch. P. Livario Oliger,
con la sua ben nota competenza, risponde: « Certo certius S. Clara non accepit
2? Regulam. Cum enim haec maxima ex parte nihil esset nisi codificatio dispen-

- sattonum in singulis monasteriis obtentarum, in eaque possessiones concederen-
tur, S. Clara nullas dispensationes petierat, imo paupertatis obtinuerat privi-
legium, vi cuius ipsa a nullo constringi ad possessiones recipiendas potuit, huicque
. privilegio semper adhaeserat, nullo modo ad Regulam 2% accipiendam adstricta
erat » (De origine Regularum Ordinis S. Claraein AF A, tomo V, 1912, pag. 427).

| (3) Ctr. Bullar. Franc., tomo I, pag. 771. È in una breve nota a questa Bolla
che lo Sbaraglia mette in dubbio l'autenticità del documento assisano del 1238.

(4) Suor Filippa testimoniò che S. Chiara « mai non podde essere inducta
né dal Papa, né dal Vescovo Hostiensi che rice vesse possessione alcuna.
Et lo Privilegio de la povertà, lo quale li era stato concesso, lo honorava con

molto reverentia, et guardavalo bene et con diligentia, temendo, de non lo
perdere » (Proc., pag. 454). Aggiunse pure che «nella fine della vita sua, chia-

8.


; MS

P. GIUSEPPE ABATE

Lo conferma anche il Pontefice ‘Alessandro IV scrivendo, di
S. Chiara, fra l'altro:

. Amatrix vero praecipua et colona sedula paupertatis, sic illam suo
affixit animo, sic eam in suis desideriis alligavit, quod semper in ipsius dilec-
tione firmior et ardentior in amplexu, a districta et delectabili eius copula
pro.nulla unquam necessitate discessit. Nec aliquibus
prorsus potuit induci suasibus ad consentiendum, quod suum. monasterium
proprias possessiones haberet, quamquam fel. rec. Gregorius papa, praede-
cessor noster, de multa indulgentia ipsius monasterii pie cogitans, libenter
illi. voluerit, pro Sororum eius sustentatione, possessiones sufficientes et
congruas deputare » (1).

Abbiamo infine la testimonianza autorevole della stessa Chiara,
che prossima a morire disse nel suo testamento (2):

«Etsicutegosemper sollicita fui una cum sorori-
bus meis sanctam paupertatem quam Domino Deo et beato Francisco
promisimus custodire: sic teneantur Abbatissae, quaein officio mihi succedent
et omnes sorores usque in finem observare: videlicet in non recipiendo vel
habendo possessionem vel proprietatem per se neque per interpositam personam,
seu etiam aliquid quod proprietas dici possit, nisi quantum ferrae pro honestate
et remotione monasterii necessitas requirit; et in illa terra non laboreturnisi

“pro horto ad necessitatem ipsarum » (3).

mate tucte le Sore suoi, lo’ recomendó attentissimamente lo Privilegio de la
povertà » (l. c., pag. 459).

Suor Benvenuta, con giuramento, disse che «spetialmente epsa tanto amò
la povertà, nè papa Gregorio, nè lo vescovo Hostiense [poi Alessandro IV] pod-
dero mai fare che essa fusse contenta de recevere alcuna possessione; anzi
epsa beata Chiara fece vendere la sua heredità et darla ai poveri » (l. c., pag. 452).

Suor Balvina « de amore et privilegio de la povertà, disse quello medesimo

che la predetta sora Phylippa » (1. c., pag. 468).

La B. Beatrice «adomandata in que era la santità da epsa madonna Chiara »

rispose, fra l’altro, «et maximente nello amore del Privilegio della povertà »

(1. c.; pag. 481).
(1) Bull. Franc. cit., tomo II, pag. 83. 1
(2) Non ignoriamo che il detto Testamento non è da tutti riconosciuto —
ma a torto — come genuino per l'unica difficoltà che non se ne trovano mano-
scritti anteriori alla fine del secolo xv. Chi ne considera però il testo non può
dubitare della sua autenticità. Del resto il tratto che noi citiamo é pienamente
conforme a qunto affermano gli altri documenti autentici da noi se gnalati, per
cui la coincidenza di tali testimonianze, essendo indiretta e preterintenzionale,
ha una forza probativa che invano si cercherebbe da altri documenti che hanno
il fine manifesto — come giustamente osservava il Sabatier (Misc. Franc.,
l. c., pag. 18) — di appoggiarsi l'un l’altro.
(3) Seraphicae LOFRTCOIRE textus originales, ad Claras Aquas 1897, pag. 276.
LA CASA PATERNA DI S. CHIARA xe d balas

Il pensiero della Santa è chiaro: — vuole che le abbadesse, che le
sarebbero succedute nell'ufficio, unitamente a tutte le suore di quel
suo monastero di S. Damiano, seguanol'esempio dato fino
allora (cioé fino al 1253) da essa S. Chiara e dalle sue Suore di Assisi,
e cioé di non ricevere od avere possessioni o proprietà, né direttamente
né indirettamente, ed anzi di non ricevere od avere.cosa alcuna che
possa in aleuna maniera dirsi proprietà. In una parola, S. Chiara atte-
stava che né essa, né le Suore del suo monastero vollero ma i avere
0 ricevere alcuna proprietà, e segnatamente di terreni.

“Non meno esplicita è poi l'attestazione fatta dalla Santa nella
così detta ITI Regola, da essa fatta approvare da Papa Innocenzo IV
appena due giorni prima che la medesima Santa morisse, e cioè I'11
‘agosto del 1253 (1). |

In detta Regola S. Chiara ricorda — e fa ciò con le precise parole
scritte ad essa e alle sue suore da S. Francesco poco prima di morire —
che il Padre Serafico le aveva scongiurate e consigliate -a següire là
via della povertà di Gesù Cristo e della Madonna, senza mai allonta-
narsene « doctrina vel consilio alicuius ». E subito soggiunge che come
Essa, unitamente al suo monastero, fu sempre sollecita di
osservare la povertà promessa a Dio e a S. Francesco — cioè la povertà
assoluta, senza alcun possesso di terreni o d altro —; cosi vuole che si
faccia anche in avvenire.

«Et sicut ego semper sollicita fui una cum sororibus meis [quelle di
S. Damiano] (2) sanctam paupertatem quam Deo et beato Francisco promi-
simus custodire: sic teneantur Abbatissae, quae in officio mihi succedent et
omnes Sorores usque in finem inviolabiliter observare... » (3).

(1) L. c., pag. 63; Bull. Franc., tomo-I, pag. 671.

(2) Quanto attesta la Santa riguarda il Monastero di S. Damiano in modo
particolare, dove non fu accettata la seconda Regola che ammetteva dispense in
fatto di possessioni.

Giustamente perció scrive il cit. P. Livario Oliger: « Summum S. Clarae
paupertatis amorem, ex praetactis ultro patentem, cum reliquo Dominarum In-
stituto, praesertim in possessionum quaestione, comparando, nullum latebit
discrepantia non mediocris: Magna pars monasteriorum extrema inceperat pau-
pertate, quaedam etiam privilegium paupertatis impetraverant, mox vero ad pos-
sessiones transierunt. Sola S. Clara intrepida eum suis normae sibi a S. Fran-
cisco praeficae adhaesit, qua in-re, mutatis mutandis, primis S. Francisci
discipulis similis est, qui pertinaciter etiam primaevis Ordinis conditionibus con-
servandis. studuerunt » (Arch. Franc. Hist., tomo V, pag. 428).

(3) Bull. Franc., tomo cit., pag 675 (Capitolo VI della Regola cit.).

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116 : : | P. GIUSEPPE ABATE

Anche in punto di morte, adunque, S. Chiara attesta e conferma

che gia mmai Essa e le Suore del suo Monastero di S. Damiano eb- -

bero possessione. alcuna 0 cosa che abbia potuto dirsi tale.
Dinanzi a tali autentiche ed inoppugnabili testimonianze di
5. Chiara — in piena armonia con quelle, già riportate, delle sue Suore,
di Alessandro IV e di Fra Tommaso da Celano autore della Vita della
Santa — il noto documento del 1238, che verrebbe a smentirle (e pro-
prio in nome di S. Chiara e delle sue Suore) non puó non essere con-
siderato come un documento falso, o per lo meno falsificato e so-
spetto.
Potrebbe darsi che un documento vero del 1238 ci sia stato, ma
esso — al easo — non avrebbe certo parlato di « vendita » di terreni pos-

seduti, sibbene di «rinunzia » a favore della Chiesa di S. Rufino di.
terreni a S. Chiara e al suo Monastero o per lascito o per eredità pro-

venuti. In questa ipotesi, per nulla inverosimile, resterebbero vere le
testimonianze di S; Chiara e tutte le altre sopra riportate; ma il do-
cumento nel testo fornito al Wadding verso il 1625, in tal caso, sarebbe
sempre un documento apocrifo, redatto sulla falsariga di altro au-
tentico. | | |

Cioè una falsificazione. -

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Il R. P. Bracaloni, il quale — naturalmente — accetta in pieno le :
. attestazioni di S. Chiara unitamente alle altre venute fuori dal Pro-

cesso, ritiene che quel documento sia autentico e che a torto si é cre-
duto da alcuno S. Chiara e le Monache di S. Damiano essere proprie-

.tarie in base a quel documento stesso.

«Noi che crediamo — egli dice — veridico quell'atto, siamo del parere
che esso si debba ad una cognizione allora insufficiente dei doveri giuri-
dici, certamente mal definiti in un campo nuovo, come quello che riguar-
dava una condizione pure nuova. :

Avranno creduto le monache di S. Damiano o si sarà fatto loro credere,
non illecita l'accettazione di un lascito, fatta nell'intenzione di convertirlo in
semplice elemosina, per mezzo di una vendita; e questa pure poteva conside-

rarsi dalle monache come una formalità transeunte, una esigenza giuridica,

x

da non compromettere il voto » (1).

(1) Stor. di S. Dam., cit., pag. 94, nota 2.
LA CASA PATERNA DI S. CHIARA 117

Non sappiamo quanti potrebbero accettare questa spiegazione,
specialmente dopo tutto quello che noi abbiamo detto finora sulla
A base di documenti autentici e genuini.
E | Per conto nostro confessiamo di non comprendere esattamente
D quanto vuol dirci il detto A. quando accenna a doveri giuridici allora |
E ‘ non sufficientemente conosciuti e a campo.nuovo e a condizione nuova. RE si ho i| ^ |
‘ Il dovere giuridico e morale riguardante la nostra questione era IE
allora perfettamente conosciuto da S. Chiara e dalle Suore di S. Da- 1 |
miano: esso era quello di non ricevere ed avere affatto possessioni. NOIE
Perfettamente conosciuto fu questo dovere, perchè perfettamente In | Pi.
assunto dalla ‘espressa, chiara, inequivocabile ed insistente volontà i
E. " della Santa e delle sue degne figlie; come del pari fu perfettamente
M inteso dalla Suprema Autorità Ecclesiastica, cui tanto aveva prima
| ripugnato il sanzionarlo. Su questo non può esserci alcun dubbio; la
“documentazione autentica che se ne ha è di una evidenza solare.
C'era sì un « campo nuovo », ed anche questo era pienamente noto,
il campo cioè della povertà volontaria più assoluta, che vietando ogni
forma di possesso di beni immobili comprendeva anche la conseguente
impossibilità di disporne.
E ^— . Questa impossibilità poi veniva resa ancora più sicura ed asso-
[ luta dalla « condizione nuova » creata dal « privilegio della povertà »,
in quanto che, in forza di questo, nessuno poteva costringere la Santa
e le sue Suore ad accettare possessioni e violare cosi quella eroica po-
vertà. Or anche questo era pienamente noto, come era perfettamente
chiaro. : i
Nel voto di S. Chiara e nel privilegio ottenuto non si hanno ri-
- serve, non sono prospettate eccezioni nemmeno a favore dei poveri o
del culto; e perciò la Santa nel 1238 non avrebbe potuto sotto nessun
titolo e scopo accettare lasciti di terreni per convertirli in denaro so-
E. nante a beneficio del suo monastero senza intaccare — di fatto e pub-
P blicamente — il suo eroico e sublime ideale, senza violare il voto emesso
e senza disprezzare il privilegio ottenuto. -
Non può dirsi affatto che S. Chiara abbia avuto animo si ingenuo TE
E e credulo da ritenere che la formale accettazione di un lascito e la | ; È
fi. formale (sia pure immediata) alienazione di esso potessero essere for- : TORI
" - malità o esigenze tali da non compromettere il voto sia dinanzi a Dio
«|. ehe dinanzi agli uomini; perchè, in realtà, e in seguito a quelle forma-
||. lità transeunti ed esigenze giuridiche, essa, la volontariamente povera
" — ^. e nullatenente, si sarebbe fatta, dinanzi a Dio e dinanzi agli uomini,
la volontariamente ricca e proprietaria.

ERIS TRES
118 P. GIUSEPPE ABATE ©

Pensare che l’alta mente di S. Chiara non abbia compreso questo
nel 1238 è assurdo: ne sarebbe fortemente sminuita la sua alta figura
intellettuale e morale e verrebbe accomunata a quegli spiriti deboli
che amano gli eufemismi ed accolgono facilmente le interpretazioni
elastiche.

A, nostro parere, Sr eroica Santa, che non solo detestò e ri-
fuggì da ogni proprietà reale, ma mise in guardia le sue Suore anche da
ogni pruprietà apparente, nonredasse il noto atto del 1238, che,
senza riserve e senza spiegazioni, — in aperta opposizione a numerosi
ed inoppugnabili documenti veri — pretende attestare un fatto moral-
mente impossibile ad essere avvenuto, cioé un possesso e la vendita di
alcune terre, da parte di Colei che, con sublime eroismo, volle essere

.e fu sempre, senza titubanze 0: compromessi, supremamente povera
come il suo grande ed immortale maestro S. Francesco d' Assisi.

L'esempio di S. Chiara, secondo che questa stessa aveva deside-

mente le succedette nel governo del Monastero di S. Damiano. Lo di-
mostreremo con un documento finora sconosciuto, il quale ci dà pure
loecasione di dare delle notizie del tutto inedite e importanti sulla
Famiglia alla quale appartenne la sullodata prima Abbadéssa dopo
S. Chiara, cioé la Beata Benedetta.

Di questa santa ed illustre Damianita non si avevano AOI che
pochissime notizie, e talune anche incerte, dato che nessuno degli
antichi storici ce ne trasmise e in nessuno degli archivi assisani — com-
preso quello dello stesso Monastero di S. Chiara — ce ne sono state
conservate. .

Della B. Benedetta si sapeva. appena questo:

1) che nacque in Assisi;
2) che, verosimilmente, segui S. Chiara nel 1214 (1);

B il È ; . 4) che fece dipingere un grande Crocifisso per la Basilica di
NS S. Chiara;
| m 9) che fu di vita perfetta ed operó miracoli;

(1) È il Wadding che lo dice (al 12125 n. 34), ma senza alcuna documenta-
zione.

rato, fu fedelmente seguito da quella venerabile Suora che immediata-

3) che fu la prima abbadessa di S. Damiano dopo S. Chiara;

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LA CASA PATERNA DI S. CHIARA 119

:6) che, secondo la non documentata affermazione di qualcuno,

- mori verso il 1260; | i

| 7) che fu sepolta nel coro del Monastero di S. Chiara in un sar-

‘ cofago di pietra, e che ha goduto sempre di pubblica: venerazione.
Evidentemente la grandezza delle virtü e delle opere di S. Chiara

fece impallidire e quasi oscurare quella delle viriù e delle opere della

- B. Benedetta, la quale nell'amore per S. Chiara ed esaltazione di essa

sta come Frate Elia per S. Francesco.

Frate Elia, subito che passò di questa vita: il Santo, si adoperò
‘efficacemente per la di lui canonizzazione; cosi fece la B. Benedetta
per la sua santa Madre Chiara.

Non era ancora avvenuta la canonizzazione di S. Francesco e già
Frate Elia aveva disposto e provvedeva, con licenza, o meglio per man-

dato di Gre gorio IX, alla costruzione di una grande basilica in suo onore;.

e cosi pure non era stata ancora canonizzata S. Chiara, che già la Beata
Benedetta aveva pensato e provvedeva, con licenza e favore di Ales-
sandro IV (1) ad innalzare presso l'ex-chiesa di S. Giorgio la stupenda
Basilica intitolata alla stessa Santa (2).

(1) In una Lettera Apostolica indirizzata alla B. Benedetta questo grande
Pontefice, che già l'aveva conosciuta di persona mentre verosimilmente era
Vicaria di S. Chiara, l’assicura del suo favore e le riconferma il suo grande
affetto in grazia delle sue specchiate virtù: «.. Tibi autem, dilecta in Domino
filia [Benedicta] Abbatissa de Nobis in eo, qui dat affluenter et non improperat,
fiducia plena existat, quod paternis a Nobis praesidiis et auxiliis semper confoveris
. opportunis, quam ante commissum vigilantiae tuae tanti ovilis regiminis mini-
sterium zelo praecipuae affectionis dileximus pro praeagnitis in te vitae lauda-
biliter gressibus ef salutis... » (Bull. Franc., tomo II, pag. 253).

(2) Di questa bella chiesa, che ripete le forme della Basilica superiore di
S. Francesco, fu architetto Fra Filippo da Campello. Compiuta nella sua struttura
nel 1260; e ai 3 ottobre di quell’anno, vifutrasferito solennemente da Alessandro
IV il Corpo di S. Chiara dalla contigua chiesa di S. Giorgio. Fu consacrata
il 6 settembre dal predetto Papa, vivente ancora, come ritiene lo Sbaraglia,
la B. Benedetta. Numerosi documenti concernenti detta Chiesa e Monastero
si leggono nel Bull. Franc., tomo II, pagg. 22, 81, 252, 337, 338, 407, e tomo III,
pagg. 25, 107; si veda inoltre: P. Michele Bihl, O. F. M.: Documenta inedita Ar-
chivi Protomonasterii S. Clarae Assisii,in « Archivum Franciscanurg Historicum »,
vol. V, 1912, pagg. 261-276 e 482-493. Un buon articolo del Can. Tommaso
Loccatelli Paolucci su « Il Santuario di S. Chiara in Assisi »leggesi in « Miscell.
Franc. », vol. XI, 1909, pagg. 85-92. E ben noto, come le Clarisse di S. Damiano,
non senza gravissima difficoltà, ebbero la chiesa di S. Giorgio nel 1255, sotto il
Papa Alessandro IV e il Vescovo Fra Nicoló da Calvi. Eppure si afferma da
Wadding che Gregorio IX: « ... Ecclesiam S. Georgii, in qua:ad illud tempus
. [1226-1230] S. Francisci corpus requievit, donavit Virgini Clarae eiusque secta-

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120 s |. P. BIUSEPPE ABATE

Non furono poche le difficoltà di ogni genere che la B. Benedetta
dovette superare per condurre a termine quelle grandi imprese, come
pure non dovette essere poca la soddisfazione quando nell'abside della
nuova chiesa vide troneggiare il grande Crocifisso da essa fatto di-
pingere da un precursore di Cimabue, ai piedi del quale l’ignoto
artista volle fissare l’effigie dolce e serena della Beata e scrivere le parole
« Domina Benedicta post S. Claram Prima Abbatissa me fecil ».

Ed ora torniamo ai documenti inediti già accennati.

Il primo é una piccola pergamena, di mm. 175 per 190, logora in
piü parti sul suo lato sinistro, conservata nell Archivio della Catte-
drale (fasc. III, n. 97). E copia autentica fatta dal notaro pontificio:
Taddeo di Rainaldo, allora pure notaro del Rettore del Ducato di
Spoleto, e con lo stesso millesimo dell'originale. Verosimilmente l'ori- .
.ginale era stato inviato dalla B. Benedetta al rappresentante del Papa
per l'approvazione e per la conferma.

Il documento, che porta la data del 16 luglio 1259, é un atto di
concessione e di rinunzia di beni fatto, in favore della propria madre,
da « Benedicta, que alio nomine dicitur Gennevria » e da « Ymilgia », »,
‘entrambe figlie del fu Giorgio di Messer Ugone.

La Benedetta non è qualificata come « domina » — si noti bene ciò
— ma in verità lo era come la madre (« Domina Aldisia ») e come gli
altri. di sua famiglia (« Dominus Ugo »).

Essa, come la sorella Emilia (« Ymilgia ») è, evidentemente, una
Suora del Monastero di S. Chiara (1): è facile rilevarlo dal doppio nome
che essa ha (2), dal luogo dove lo strumento fu compilato e dalla na-
tura stessa di questo. ; |

tricibus: procuratorem suum Fratrem Simonem Vereduccium Minoritam Episco-
pum [vescovo mai esistito e confuso con Fra Simone di Offreduzzi di mezzo
secolo dopo] constituens, qui contiguum extruerel Monasterium et fabricae curam
ageret, ut religiosae Virgines tutius viverent intra civitatis moenia, et ab aedis
sancti Damiani nimis angusto liberarentur ergastulo » (all'anno 1230, n. 2, ediz.
1931, t. II, pag. 259).

(1) Intendiamo dire suora già « professa », perché soltanto a chi aveva già
emesso il voto di povertà era interdetto di possedere. Chi invece entrava nel-
l'Ordine doveva, secondo la Regola, innanzi la professione vendere i propri beni
(potendo) e distribuirli ai poveri (cap. V).
ay Le Clarisse Suor Illuminata e Suor Agata nel secolo « Gratia et Completa
vocabantur » (documento del 1239, Archivio della Cattedrale, fasc. III, pergam.
n. 60; FoRTINI, Op. cit., pag. 237); parimenti Suor Aguina « quae alias dicitur
Clarastella »; Suor Matelda «quae alias dicitur Iacopa » (Archivio Comunale,
pergam. n. 183).
LA CASA PATERNA DI.S. CHIARA bri 121

Assunto in religione il nome di Benedella, bisognava pure dire —

come era solito allora negli atti legali — quale era l'altro nome di stato
civile. Conosciamo già altri esempi del genere riguardanti Monache
Clarisse di quello stesso tempo (1).
L'atto fu rogato nel Monastero di -S. Chiara e proprio mentre la
B. Benedetta vi esercitava l'ufficio di Badessa, e alla sola presenza
dei familiari e del Procuratore ed Economo del Monastero stesso.
Circostanza notevole questa, perché, se non erriamo, rivela l'umile
riserbo e il velo del silenzio di cui l'attrice, insieme con la sorella,
volle circondare il nobilissimo gesto compiuto col documento stesso.
- Questo infatti attesta che le due sorelle cedono, rinunziano a fa-

vore della loro madre madonna Aldisia tutti esingolii beni

mobili ed immobili, nonché i diritti ed azioni ad esse spettanti, ve-
rosimilmente in seguito alla morte del padre.

Son due donne ancor giovani che compiono questa rinunzia to-
tale, assoluta e perpetua; e certamente vistosa é la ricchezza alla
quale rinunziano, come é facile dedurre da altro documento che ci-
.teremo appresso. i

Ora chi mai se non delle Monache Clarisse, nel Monastero di
S. Chiara, potevano compiere una tale rinunzia ? Erano solo le Clarisse
che potevano e dovevano farla, perché solo esse erano legate al voto

e al privilegio della povertà, che vietavano di avere e di ricevere pos-

- sessioni di qualsiasi sorta.
| Si tratta di rinunzia che ha dell'eroico, di un gesto che solo anime
votate alla più alta povertà possono compiere; ma è pure un gesto che
.€ compiuto, come fa chiaramente comprendere l'eccezionalissima (2)
‘ formola iniziale 'del documento: « In nomine Domini nostri Iesu
Cruci fixi ». |

| La B. Benedetta — perché non potè essere stata che lei, dato quanto
abbiamo detto, e rilevato che non si conosce altra suora di quel nome
dimorante, nel 1259, nel Monastero di S. Chiara — con quel gesto non
solo si manifesta, come veramente fu, imitatrice perfetta della Santa,

(1) Se poi — cosa assai inverosimile — era' Benedetta il nome di battesimo
e Ginevra quello di religione, i risultati non cambiano riguardo alle. considera-
zioni sulla natura dell'atto; come non cambiano, questo é chiaro, per quanto
riguarda la Genealogia di detta Ginevra-Benedetta. Solo che questa non è più
applicabile. alla prima abbadessa dopo S. Chiara. .

(2) Tra le tante migliaia di strumenti del secolo xir mai abbiamo tro-
vato una simile formola; ma ‘sempre abbiamo notato quella universalmente

usata di «In nomine Domini ».

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122 pP. GIUSEPPE ABATE

ma si rivela anche. interprete fedele del voto e del privilegio della
povertà.

Essa, come la aveva esortata S. Chiara (1), fü pure sollecita al
pari di questa a non avere e a non ricevere possessioni di sorta, nè per
sé, né per il Monastero; e dire che proprio allora aveva bisogno di grandi
mezzi per condurre a termine la.costruzione della BaGHica e del Mo-
nastero stesso |

— Essa, che conosceva appieno e chiaramente il pensiero e la vo-
lontà della Santa, rinunziando « pure et simpliciter et in perpetuum »
a quei beni sopravvenutile, ci dice che si sarebbe ritenuta proprie-
taria se invece li avesse endo per converunhi in elemosina per
il Monastero. .

Or quello che non | fece la B. Benedetta nel 1259, lo avrebbe fatto
S. Chiara nel 1238, secondo gli assertori del noto documento di quel-
l'anno.

Ma questo, secondo il nostro parere, é semplicemente assurdo,
e perció, anche per questo nuovo motivo, riteniamo per lo meno
assal sospetto, se non addirittura falso o''falsificato, il documento
del 1238 (2). | i

*

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Una falsa lettera dellImperatore Federico II sullespugnazione di
Spoleto nel 1206, conservata in un convento francescano di Assisi.

A. maggiore illustrazione di quanto abbiamo detto finora sulle
falsificazioni storiche compiute in Umbria nei secoli xvi e xvi — e
‘affinchè gli storici intenti ad illustrare i tempi di S. Francesco e di
S. Chiara rifuggano dallattingervi qualche spunto sull'ambiente e
sulle turbinose vicende di allora — crediamo opportuno far conoscere

(1) «.. sicut ego — dice S. Chiara nella sua Regola del 1253 — semper sollicita
fui... sic teneantur Abbatissae, quae mihi succedent... [paupertatem] observare:
videlicet in non recipiendo seu habendo possessionem vel PORRI » ren
Franc., tomo I, pag. 675).

(2) Abbiamo accennato che oltre al documento citato "del 1259, noi ne :
abbiamo trovato un altro che ci dà interessanti particolari sulla famiglia della
B. Benedetta. Si tratta della pergamena n. 396 dell' Archivio Comunale di Assisi,
la quale, alla data del 24 dicembre 1236, contiene la divisione dei beni tra i
fratelli Giorgio ed Egidio «Ugolini domini Ugonis », cioè tra il padre e lo zio della
B. Benedetta. Il documento, originale ed autentico, é lunghissimo e meriterebbe
LA CASA PATERNA DI S. CHIARA 123

una falsa lettera dell'Imperatore Federico II, fabbricata quasi certa-
mente dal famigerato Ceccarelli.

Il testo di tale lettera fu pubblicato nel 1645 da Fra Salvatore
Vitali (Cfr. pag. 224 del suo già cit. « Paradisus Seraphicus »), il
quale affermava di averla trovata nell'archivio del convento france-

una illustrazione a parte; i beni immobili in esso enumerati sono assai numerosi
e dimostrano che la famiglia della Beata, oltre che nobile, fu ricchissima. Trai
terreni da essa posseduti ce n'era uno in « vocabulo de Arcis,» ed altri «in loco
qui dicitur Rivus Tortus » e, in volgare «a Rivotorto ».

In base ai predetti documenti e delle pergamene n. 144, III, dell’ Archivio
deila Cattedrale, e n. 27, III degi Strumenti del Sacro Convento, un primo .
schema di albero genealogico della Famiglia della B. Benedetta potrebbe essere |
il seguente, il quale, con nuovi studi, potrebbe forse essere piü perfezionato

“e documentato.

GENEALOGIA DELLA B. BENEDETTA
Ugo

Ugolino

Giorgio
sposato a madonna Aldisia

WB. BENEDETTA Suor Emilia . Paolo | Agrestolo
ossia Ginevra |
Giorgio
Tommaso . Andriolo

Angeluccio

x. In nomine Domini Amen. hec copia cuiusdam instrumenti sic incipientis.
Innomine domini nostri Iesu Crucifixi Amen. eiusdem a nativitate millesimo due-
centismo quinquagesimo nono Indictione secunda tempore domini Alexandri

. pape IIII. die XVI intrante mense Julii. Benedicta que alio nomine dicitur Ge-
nevria et Ymilgia filie condam Georgii domini Ugonis (1) pure libere simpliciteret
in perpetuum sine vinculis dederunt cesserunt concesserunt atque donaverunt do-
mine Aldisie matri earum omnia et singula hereditaria bona ubicumque existentia

(1) Cioè «domini Ugolini domini Ugonis», come si ha in altro documento. È noto che Assisi si
. usava talvolta mettere negli atti pubblici il nome del nonno anziché quello del padre.
124 ^ : P. GIUSEPPE ABATE

scano della Porziuncola; circostanza questa, che prova ancora una
volta come l'opera nefasta di quel falsario abbia raggiunti ed inqui-
nati, oltre che gli archivi pubblici e civili, anche quelli privati e re-
ligiosi.

Diamo qui il testo edito dal Vitali, collazionato però con quello
(più corretto) che abbiamo rinvenuto tra i Mss. Ceccarelliani conservati
nella Biblioteca Vaticana (Cod: Ottob., 3053, fol. 226):

Federicus Dei gratia Romanorum Imperator Odoardo Saxonio uti fratri
salutem.

Non sine nostro et totius exercitus gravi dolore, Pariter el iactura, dun Spo-
leium, Umbriae urbem munitissimam, vita ac moribus martigenam, ob pra-
vam legitimi census erga nos solutionem, ad nostri decus [Cod. Vat. agg. non
solum] servandum, verum etiam longe lateque agendum, et de caetero formidan-
dum, toto exercitu ab ortu solis, meridiem usque ad ortum continuo et acri
bello [Vat. agg. undique] premeremur, Raynaldum dominum [Vat. Ducem],
fratrem nostrum communem bellatorem strenuum, primo belli impetu [Vat. agg.
huius ne Urbis propugnacula salientem et viriliter dimicantem non inultum,
unico tantum] ballistae ictu iugulatum amisimus, relictis post se non solum vir-
tulis et gloriae fulgore, verum etiam incredibilis et rarae fortitudinis exemplo.

Quapropter, licet actum, ut Principes decet, aequo animo patiamur, et

mobilia et immobilia iura et actiones ubicumque ipsis competentia, que bona
se constituerunt ipsius domine Aldisie nomine possidere donec corporalem,
possessionem intraverit quam intrandi et accipiendi sua auctoritate licentiam
eidem dederunt et promiserunt per se et suos heredes dicte domine Aldisie
recipienti pro se et suis heredibus predictam donationem liberaliter in. eam
: collatam firmam et ratam perpetuo habere atque tenere et contra ipsam non
facere vel venire aliqua occasione vel exceptione: nec eam modo aliquo vel
ingenio aut consuetudine revocare sub pena dupli et sumptus omnis litis re-
ficere et si dicta donatio excederet solitam (?) formam donationibus positam
aut formam donationis quecumque sunt species earum. pena vero soluta
vel non hec omnia firma sint et rata. — Actum Asisii apud Monasterium Sancte
Clare presentibus Petro priuris (?) .. de Senis. Mercato graciani
de pistoria. egidio familiaribus dicti Monasterii et Iohannolo . . .. . . ..
sancte Clare testibus rogatis. — Ego Thomas Riccardi apostolica auctoritate
notarius hiis interfui et rogatus scripsi et autenticavi.

Ego Tadeus Ranaldi de Spoleto auctoritate sacrosante romane ecclesie
notarius et nunc venerabilis patris domini Rolandi Rectoris Ducatus ut inveni
in autentico scripto manu predicti notarii ita fideliter exemplavi non addendo
vel minuendo que.substantiam mutarent ascultando una cum magistro Gual-
terio et Passarello notario. et mandato predicti domini Rectoris transcripsi *
sub anno Domini Millesimo. CC..L VIII. tempore Alexandri pape IIII. Indic-
tione II. * preter signum predicti notarii quod non apposui.

(« Archivio della Cattedrale di Assisi»; fasc. III, pergam. n. 97).
LA CASA PATERNA DI S. CHIARA 125

quam maxime cum urbem istam Spoleti sic temere agentem, centum viginti
. turribus et ultra munitam, tandem ingenio et vi adeptam, non sine eiusdem urbis
civium ingenti clade et sanguinis exparsione [Vat.: aspersione], ferro eí igni
funditus conterendam, et prostremo iam iam salis semine passim proiecto,
penitus aratro scindendam tradidimus, in. captivitatem penes nos redactis cla-
- rioribus et nobilioribus Urbis [Vat. omette queste tre ultime parole], videlicet
.Brunamonte; Petrutio de Clavano; Clodio Planciano; Emilio Delphino de Turri;
Tiberio de Arrono; Antonio. Campello; Pompeio Ancaiano; Theophilo
Luparino; Crispoldo Concha; Petro Transarico; Ruggero Percivallo; Martio
"Giliberto [Vat. Giberto]; Assaraco Fontano, Mario Sanctio; Alexandro Corvo;
Cinthio Caecilio; Aurelio Bursino; Pomponio Marturello; Troiano Liliberto;
Camillo Ascalonio; Perseo Campano; Gaspare Machabeo; Marcantonio Ma-
-scellario; Iovanni Leoncillo; Cherubino Nistallo; Pierluygio Gentili: Gregorio
Zacheo et Laurentio Admira.

Idcirco ea omnia vobis quam primum brevibus significare non destitimus:
et cum nos Dei gratia post huiusmodi sic gesta valeamus, pariter et vos valere
curabitis. . |

Datum in castris iuxta Clitumnum fluvium, sub Tani [Vat. J ani.] piscina,
orto nondum X X VII [Vat. XXVIII] mensis Junii sole, anno quidem a partu
Virginis MCC... [Vat.: 1206] » (1).

ok

Che la surriportata Lettera o Breve di Federico II sia un falso del
Ceccarelli — e molto verosimilmente un falso assoluto — è cosa
ormai più che certa, e perciò fece bene I. L. A. Huillard-Breolles
a non accoglierlo nella sua monumentale « Historia Diplomatica Fride-
rici Secundi » (Parisiis, 1852 e ss.), dove pure son citati o riportati
diplomi falsi o falsificati.

Anche il Riegl cit. (pag. 231) lo ritenne apocrifo e di fabbrica
Ceccarelliana. i

Il Vitali lo ritenne autentico, e con la data del 1221 (2); e così

(1) A questo asserito documento di Federico, il Vitali fa seguire quest’altre
notizie: « Extat marmor ad radices scopuli Busani, distantis per milliarium
ab urbe Spoleto his characteribus incriptum: LEE

' Hoc est Spoletum censu populoque repletum quod debellavit Federicus, et
igne cremavit. Si quaeris quando post partum Virginis anno . Oc
treis novies soles Iunius tunc mensis habebat » . Anche qui si tratta di un mo-
numento falso.

(2) Si sa con certezza che nel giugno del 1221 Federico II si trovava in Si-
— — cilia, e si ha un suo diploma datato da Catania ai 30 di quel mese.
126 S P. GIUSEPPE ABATE

pure altri. La data peró in esso segnata dal falsario é in verità quella
del 28 giugno 1206, cioé quasi del tempo (1205) in cui S. Francesco
si recó a Spoleto, per poi proseguire verso le Puglie ed arruolarsi sotto
lo stendardo di Gualtiero di Brienne. Tutti però sanno che Federico II
fu coronato re dei Romani ai 9 dicembre del 1212 e « Romanorum
Imperator» ai 22 novembre del 1220; quindi basterebbe questo solo per
. dimostrare falso quel diploma, se pur non ci fosse l'inesistenza stessa
del fatto ivi narrato, nonchè dei 28 nobili spoletini presi in ostaggio.

C'è inoltre la confessione stessa — generica sì, ma non meno elo-
quente — del Ceccarelli, che, nella imminenza del supplizio, dichiarò
di aver composto diversi documenti imperiali, e cioè oltre un centinaio
come ci assicura il Riegl.

Si sa pure che quel falsario, per i tempi più antichi e per le carte
più solenni — come forse è quella surriportata — ricorreva ad una in-
venzione assoluta, mentre invece per l'età più tarda usava interpolare
notizie false a documenti autentici. Quindi non si può dire che il
Ceccarelli inventasse sempre totalmente i suoi documenti; chè gli
bastava talvolta fare assistere ad un avvenimento vero dei testimoni
falsi — o mai esistiti — come è il caso della realmente avvenuta, in
Assisi e nel settembre del 1253, Canonizzazione di S. Stanislao alla
quale il falsario — sia stato il Ceccarelli od altri, non importa — fece
partecipare una schiera di nobili assisani mai non esistiti. |

L'interessante, é, che chi si accinge a fare coscienziosamente la
Storia dei secoli di mezzo, badi alle falsificazioni e non le accolga a
chius'occhi come oro di coppella, come fece il Vitali con il surriportato
pseudo-diploma di Federico II.

VI.

Un attestato apocrifo del Comune di Assisi sulla esistenza nel se-
colo XVI della progenie di S. Francesco. — Fantasticherie intorno
a visite ad una giammai esistita «terza chiesa» nella Basilica di
Assisi. - Un immaginario epitafio sulla ROMA del Santo.

i Anche il grande storico francescano Fra Duc Wadding, come
abbiamo veduto, cadde nella rete delle falsificazioni storiche dei secoli
XVI e XVII, accettando, come documenti genuini ed autentici, carte in
quel tempo inventate o contaminate intorno a S. Chiara e a San Fran-
cesco, quali sono la Genealogia di detta Santa, l’atto di vendita del
1238 riguardante il Monastero di S. Damiano.
* .
LA CASA PATERNA DI S. CHIARA 127

Vedremo ora come lo stesso onesto storico cadde in altri simili
- » tranelli, a lui tesi dall'astuzia e dalla malafede dei falsari, riguardoalla
IERI di S. Francesco ed alla Tomba'dello stesso Santo.

Il Wadding, dopo avere riportato al $ 3, n. IV dell'Apparato ai
suoi Annali una Genealogia di S. Francesco non molto esatta — da
lui ricevuta «a quodam nobili Assisiate antiquitatum suae urbis in-
dagatore » — e dopo avere riferito col Tossignano che la progenie di

S. Francesco si era estinta al tempo della famosa peste del secolo xiv,
aggiunge:
| «sed in plurimos annos ad nostra ferme tempora deductam, pro-
bant haéc testimonia authentica UB ex Archivio civitatis Assisii tr ans-
missa »;
e cioè che la stirpe di S. Francesco esistette ancora fin quasi ai
tempi suoi, come si ricavava da documenti autentici a lui, Wadding,
pervenuti dall’Archivio pubblico della Città.
Chi propriamente sia stato il nobile ‘e studioso assisiate accennato
. dall'Annalista non sappiamo (1); come pure ignoriamo se i summen-
zionati documenti pervennero all'Annalista stesso da un funzionario
« dell Archivio di Assisi e in via ufficiale o invece da altrie in via privata.
Certo è che quegli Attestati furono fatti pervenire al Wadding come
autentico materiale di «archivio », sebbene senza indicazione di re-
parto, di volume e di foglio, come sarebbe stato necessario.

Ecco ora il testo dei due documenti:

PnronEs PoPULI CIVITATIS ASSISII.

Omnibus et singulis has litteras inspecturis primo salutem dicimus;
‘deinde cum audiverimus esse multos, non solum ex privatis hominibus,
sed etiam nonnulli ex Regibus, et Principibus, qui scire cupiant, an ex Divi
| Francisci stirpe aliqui supersint: fidem facimus superesse filios duos cuius-
dam Joannis Francisci Ricardi jam defuncti; quos, quia pauperstate pre-
muntur, commendamus omnibus, qui Sanctum Franciscum, et eius stir-
pem diligunt. ;

(1) Qui ricardiamo, che proprio allora viveva in Assisi il nobile Giam-
battista Bini, al quale si deve una «Raccolta di antiche memorie sulla Città»,
come sappiamo dal Gamurrini.

*

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P. GIUSEPPE ABATE

PnionEs PopuLi CivrrATIS. ASSISI.

Omnibus et singulis praesentes nostras litteras inspecturis fidem fa-
cimus, et attestamur, qualiter Antonius, et Bernardonus, filii quondam :
Joannis Francisci Ricardi de Assisio, et eorum Pater, et ascendentes ab
annis X, XX, XXX, XL, et ultra, et tanto temporis spatio, cuius initii
non extat memoria in contrarium, fuisse publice, palam, ‘et. ab omnibus
indifferenter semper habitos, tentos, et reputatos pro hominibus, et perso-
nis de stirpe et vera cognatione Divi Francisci de Assisio, et pro talibus
hodie dictos Antonium et Bernardonum haberi, teneri et reputari: et ita
pro veritate attestamur. ;

In quorum fidem et testimonium has praesentes fieri, et notri sigilli
soliti jussimus et fecimus impressione muniri.

. Datum Assisi die III Febbraio MDXXXIV (1).

La prima cosa che si osserva in questi documenti è l'assoluta
mancanza di sottoscrizione da parte dei Magnifici Priori di Assisi, che
l'avrebbero dati, sottoscrizione che non manca in simili documenti,

come ad esempio in quello dato nel L0 a favore della « Chiesa Nuo-

va » (2).

Ma, se non dei Priori, come sarebbe stato opportuno se non ne-
cessario, almeno avrebbe dovuto esserci la: sottoscrizione del Can-
celliere del Comune, che in simili Attestati si trova sempre.

Inoltre, se veramente tali Attestati furono inviati al Wadding
dall' Archivio del Comune, essi dovrebbero ritrovarsi anche negli Atti
e Registri di quell'Archivio ancora ivi esistenti'e conservati. Invece,
per quante ricerche abbiamo fatte, non si trova di essi alcuna traccia
in nessun reparto di quell' Archivio, come pure nessuna menzione vi si
trova dei due asseriti ultimi discendenti della stirpe di S. Francesco.

. Ancora. |

| È del tutto inverosimile ché di Lettere Patenti così importanti
(si pensi che avrebbero dovuto far fede anche dinanzi a Re e Principi
«qui scire cupiebant, an ex Divi Francisci stirpe — allora — aliqui su-
peressent ») non sl sia discusso e deliberato nel Consiglio dei Priori; e,
parimenti, è inverosimile che, se una tale discussione e deliberazione
ci fosse stata, non se ne sia fatta la registrazione nei volumi dei Verbali

(1) Ic.
(2) Ctr. nostra Op. cit., pagg. 368-70, e Archivio Comunale di Assisi, T 18,
ff. 87-87, ove il detto Attestato del 1740 è sottoscritto da due Priori, dal Gon-
faloniere e dal Segretario del Comune.
129

LA CASA PATERNA DI S. CHIARA

o « Riformanze », quando si sa — e ognuno può da sé constatarlo — che in
quei volumi venivano registrate financo lé cose piü trascurabili e del piü
scarso interesse pubblico. Ma di quelle Lettere Patenti non fu discusso,
non fu deliberato, come prova il silenzio delle « Riformanze » del 1534. :
Eppoi, non crediamo alla autenticità di quegli Attestati anche per
È una considerazione politica e psicologica: col dichiarare al mondo |
E c («Universis et singulis has Litteras inspecturis ») la povertà di quegli ns
È asseriti ultimi rampolli della stirpe di S. Francesco e raccomandarli ne
alla carità pubblica, i Priori di Assisi avrebbero implicitamente con- »
fessato che la Città del Santo, le Autorità dello Stato e — diciamolo
ancora — le istituzioni francescane non erano in grado, o non si cura-
‘vano, di sovvenire con sussidi o con impieghi all'indigenza degli ul-
timi rappresentanti di Colui, per il quale Assisi era divenuta nuovo e
fulgido Oriente della Cristianità e meta sognata di milioni di pelle- i4 È
grini, e per il quale infinite schiere di poveri di ogni paese venivano Cal
in ogni angolo della terra aiutati ed assistiti. | xb
La pubblica confessione di tanta incapacità, sia politicamente che - | Hi
‘psicologicamente, è un assurdo. Essa avrebbe gettato il discredito sui |
governanti di Assisie sul popolo generoso che diede al mondo uno dei |
più grandi eroi della carità. L'indomabile orgoglio dei Priori del 1534,
giammai si sarebbe piegato a sollecitare un sussidio per alcuno dei
| cittadini assisiati e tanto meno per coloro che dai Priori stessi si ul
E attestavano — nello stesso documento — della stirpe di S. Francesco. E.
Ma contro l'autenticità dei predetti Attestati si hanno precise I.
testimonianze del secolo xiv, le quali in modo esplicito ed assoluto
affermano che la progenie di S. Francesco si estinse già um seconda
metà del Trecento.
Un Ms. di quel tempo (Biblioteca Comunale di Assisi, Archivio
8. Conv., Busta I, n. 42 dopo di aver menzionato gli ultimi pronipoti
E del Santo, aggiunse: « e£ ultra non processit genealogia Sancti Francisci
a deficiens in mortalitate » (1).
| 2m Noi stessi, che abbiamo compiuto speciali ricerche in proposito, |
dalla seconda metà del sec. xrv non abbiamo trovato in Assisi alcun Bur
discendente della Famiglia di S. Francesco, il che ha il suo Deo ed ha, BE
indirettamente, valore di conferma (2).

(1) Grandi mortalità furono in Italia e in Assisi nel 1348, 1361 e segg. E Qu i;
' da notare che il suddetto Codice 415 è menzionato in un Inventario della Bi- + EN DI

blioteca del Sacro Convento di Assisi compilato nel 1381 da un frate assisano.
(2) Cfr. nostra Op. cit., pagg. 179-184. . i
um
j

eee ne

1908 P. GIUSEPPE ABATE

Altra conferma si ha pure nel fatto, dimostrato da tanti docu-
menti, che la casa di abitazione della Famiglia di S. Francesco, dagli

: ultimi decenni di quello stesso secolo fino a noi, è stata in pones di

estranei alla progenie del Santo (1).

Tutto, adunque, converge ed induce a concludere che gli Attestati
del 1534 siano stati una falsificazione dei primi decenni del secolo
xVII, se non pure del secolo antecedente per opera di qualche falsario,
forse anche dipendente dal Comune stesso.

Difatti apprendiamo dalle « Riformanze » (vol. 34, fol. 101) che
nell'anno 1543 i Magistrati di Assisi deliberarono di abolire il vecchio
sigillo del Comune e di crearne uno nuovo, con disegno modificato,
perché certamente c'era stato chi aveva falsificato Lettere dei Ma-
gnifici Priori munendoli del vero loro sigillo: « ut in scribendis Litteris
et sigillandis suspicio et fraus possit cessare».

Abbiamo accennato a documenti apocrifi riguardanti visite al
sotterraneo della Tomba di S. Francesco..
Non abbiamo bisogno di spendere molte parole su tale argomento,
essendo stato esso trattato con particolare competenza, una ventina
d'anni fa dal P. M. Bonaventura Marinangeli, attuale Direttore della

Biblioteca Comunale di Assisi (2).

Secondo le dimostrazioni di questo A. era certamente possibile
visitare la detta S. Tomba fino: ai tempi di Sisto IV; ma, a partire da
allora, assolutamente no, perché l'antico cunicolo di accesso (per ordine

- di quel Pontefice) era stato completamente ostruito da forti masse di

calcestruzzo.

Quindi le visite che si asseriscono fatte durante quel ritmo pe-
riodo possono essere state-vere; ma vere.solo nella sostanza del fatto,
perchè, se si dovessero prendere in considerazione la varietà, l’invero-
simiglianza, e talvolta la contraddittorietà dei particolari che si leg-

L..

(1) Ivi; pag. 189 e poi la serie dei documenti dal n. 18 in poi.

(2) P. M. BoNAVENTURA MARINANGELI, O. F. M. Conv.: La Tomba di ‘©
S. Francesco attraverso i secoli. Studio storico- critico pubblicato a puntate nella
rivista « S. Francesco d'Assisi », Assisi, an. 1920-1924, capitoli XV e XVI.
LA CASA PATERNA DI S. CHIARA 131

gono nelle dive Relazioni scritte, si dovrebbero condannare tutte
come falsificazioni ed imposture.

Il Marinangeli opina che «l’unica spiegazione possibile sarebbe
quella di attribuire i fronzoli e le: varianti strampalate, non alle
persone clie manifestavano il loro segreto, ma a coloro che ne raccol-
sero la deposizione, e che, forse già conoscendo altre leggende ed altri
racconti meravigliosi che allora circolavano con tanta fortuna, si siano
permessi di vestire a loro talento il racconto semplice e puro con fron-
zoli ed aggiunte cervellotiche tali, da rendere la loro narrazione meravi-
‘ gliosa ed attraente » (1). |
. Nel periodo invece che corre tra il pontificato di Sisto IV e quello
. di Pio VI nessuna visita fu possibile alla Tomba di S. Francesco, e
perciò tutte le Relazioni divulgate nei secoli xvi e xvir su asserite
visite a quella S. Tomba debbono essere senz’altro considerate come
documenti falsi, sia riguardo alla sostanza, sia riguardo ai parti-
colari. |

Una prima di tali Relazioni fu quella che si asseriva compiuta
. nel 1509 da un certo Galeotto de’ Bistocchi. Fu pubblicata dal Wad-
ding ( Annales Min., 1230, n. V, tomo II, pag. 266 della recente edi-
zione) sulla fede di un documento a lui inviato dall’ Archivio del Con-
vento di S. Maria degli Angeli di Assisi.

Una seconda visita si disse fatta nel 1607, secondo una sfacciata
e bugiarda Relazione scritta quasi venti anni dopo da un certo P. Ago-
stino Tinacci, Min. Conv.; Relazione (purtroppo !) da tanti ritenuta
per vera e perfino custodita nell'Archivio dell'Ordine. Essa peró fu
bollata a dovere da altri confratelli dei Tinacci, come ad esempio il
P. Bartolomasi.

Una terza storiella scritta circolò nella seconda metà del Seicento,
secondo la quale due Cardinali di S. R. C. ed alcuni altri personaggi
erano penetrati nella S. Tomba il 3 ottobre del 1649. Tutte queste
persone avrebbero veduto S. Francesco ritto in piedi e glorificato,
secondo la leggenda allora in corso. La falsità di detta visita fu irrefu-
tabilmente provata dal P. Francesco Angeli, ariche con la formale e
sdegnosa smentita avuta da uno dei due Cardinali, il Facchinetti, che
nel 1680 era ancora Vescovo di Spoleto.

È superfluo riferire i particolari inventati: nelle suddette Rela-
. zioni sulla Tomba del Santo; basti solo accennare che si favoleggiò di
una terza chiesa sotterranea (alla quale credettero anche i religiosi

(1) Rivista cit., vol. III, pag. 252.

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132 P. GIUSEPPE ABATE

custodi della Basilica) tutta ornata di marmi, mosaici, bronzi e iscri-
zioni, col Corpo di S. Francesco stante e come vivo, e con tutt'intorno
le tombe dei primi Compagni del Serafico Padre. i

Gli scavi compiuti nel 1818 e il ritrovamento della Tomba del
Santo mostrarono la piena falsità di quelle, tante diffuse'e credute,
Relazioni... autentiche !

*ockock

Fra le tante panzane intorno al sepolcro di S. Francesco non va.

dimenticato quell'epitaffio, che fu per primo pubblicato dal Wadding
nel 1623, e che il.credulo autore disse — anche nei suoi Annali — di
avere ricevuto da un certo nobile assisiate (1).

Dall'Annalista lo trascrissero poi non pochi altri storici sia Os-

- servanti che Conventuali, alcuni per illustrarlo e commentarlo co altri

per impugnarlo e metterlo in sospetto.

‘Recentemente di esso Epitaffio scrisse una eruditissima nota il
P. Michele Bihl, O. F. M. (2), ed è perciò inutile ripetere qui cose già
dette. A noi basta, in questo studio, fare rilevare che quell’Epitaffio fa
parte di quella lunga serie di falsificazioni storiche che spiriti indevoti
e scapricciati — giuocando un tiro disonesto alla verità della storia ed
alla buona fede delle anime rette — operarono nei secoli xvi e xvi in-
torno a S. Francesco ed a S. Chiara.

Per il Wadding — storico onesto, ma facile ad essere ingannato
— quella iscrizione era autentica, come del pari autentica era la Re-

lazione sulla terza. chiesa sotterranea della Basilica di Assisi pubbli-

cata nel 1557 dall'Osservante Fra Marco da Lisbona (3).

Di quella iscrizione il sullodato Wadding lasció scritto : « Illam
exscripsit nobilis quidam Assisias, qui Ducem Mediolansem Sfortiam
comitatus est, quando hoc corpus |S. Francisci] invisit: ab hoc descendit
ad posteros, a quibus ego eam accepi » (4).

Ecco ancora in campo degli informatori assisiati, che ammanni-

scono agli storici documenti apocrifi!

. (1) Ctr. Wappina: B. P. Francisci Assisiatis Opuscula, Antuerpiae ex
Officina Plantiniana, 1623, pag. 587; Annales Min., al 1230, n. 6, tomo II e
pag. 267 dell'edizione del 1931.

(2) De epitaphio quodam apocrypho S. Francisci, in « Archiv. Franc. Hist. »,
tomo XXI, 1928, pagg. 601-604. "
(3) L. c., pag. 601.

(4) Opusc .S. Franc. cit., l. c
LA CASA PATERNA D. S. CHIARA

L'epitaffio dice:
E V. SP QUÀ.
P FRANCISCI ROMANI

E Y. : CELSA HUMILITATE CONSPICUI
B | CHRISTIANI ORBIS FULCIMENTI
E ECCLESIAE REPARATORIS
CORPORI NEC VIVENTI NEC MORTUO
CHRISTI CRUCIFIXI PLAGARUM
CLAVORUMQUE INSIGNIBUS ADMIRANDO
PAPA NOVAE FAETURAE COLLACRYMANS
LAETIFICANS ET EXULTANS
IUSSU, MANU, MUNIFICENTIA POSUIT
ANNO DOMINI MCCXXVIII
XVI KALENDAS AUGUSTI.
ANTE OBITUM MORTUUS POST OBITUM VIVUS.

——Á— aed ASI alii sie Mia aC

Ì E. Lo. Spader scrisse (1) che egli nelle prime quattro lettere di detto
epitafio subodorava il nome dell'impostore (che peró non espresse),
- —... di modo che V. sia il nome, S. il cognome, e C. A. siano Civis Assisiensis.

L'interpretazione è ingegnosa, ma non unica (2). E se ci fosse anche
quest'altra: Vos Subsannat Ciccarellus Alphonsus ?

VII.

Una lista apocrifa di nobili Assisani, del 1953, tra cui un non mai
esistito fratello di S. Chiara ed un immaginario capostipite dei Bini.

p

l. Abbiamo accennato nel corso di questo studio ad una lista di 24
È nobili Assisani, che nel 1253 avrebbero assistito, nella Basilica di
È S. Francesco, alla Canonizzazione di S. Stanislao Vescovo e Mart. di
È. Polonia, ed abbiamo detto che essa è una impudente falsificazione della
«fine del secolo xvi.

Riteniamo ora opportuno darne il testo, e dimostrare (cosa finora -

P. non mai fatta da alcuno) la sua inautenticità, affinchè chi si occupi
L della storia religiosa e civile di Assisi possa, una volta per sempre,

(1) Arch. Portiunc. cit., pag. 114.
(2) Il WapnpriNG, Annal. cit., l. c., interpretò quelle quattro lettere cosi:
Viro Seraphico Catholico Apostolico.

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Casentino 134 P. GIUSEPPE ABATE
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abbandonare quel documento apocrifo all’inglorioso destino delle
dannose e corrompitrici fantasticherie letterarie.

Molti infatti sinora han creduto che quella Lista sia un documento
. genuino e di notevole importanza storica, e perciò se ne son serviti
senza alcun sospetto. Tra questi malaccorti scrittori vanno enumerati
gli Osservanti P. Antonio da Orvieto (1) e il P. Ottavio Spader (2),
l'Egidi (3), il benedettino D. Eugenio Gamurrini nei suoi libri di Ge-
nealogie, il P. M. Domenico Venarucci (4), Vincenzo ‘Loccatelli (5),
Tommaso Loccatelli Paolucci (6), i quali vi han trovato menzione di.
personaggi, che, in un modo o in un altro, avrebbero avuto relazione
con la Famiglia di S. Chiara, con I Indulgenza della Porziuncola, con
la Famiglia Bini che si vantava della stirpe di S. Francesco. :

Invano si cercherebbe nei sopra citati scrittori l'uniformità com-
pleta del testo dello pseudo-documento, per cui riteniamo opportuno
riprodurlo qui direttamente dal creduto originale, esistente nell'Ar-
chivio Secreto del Comune di Assisi (pergamena n. 522).

«Die XV Septembris millesimo ducentesimo quinquagesimo tertio fuit
Asisii D.nus Papa Innocentius quartus et fecit in ecclesia. S. Francisci so-
lemmem canonizationem beati Stanislai Episcopi, prout in actis notarii
Apostolici, et huic canonizationi interfuerunt testes viginti quattuor magnates
de stirpi militari nobili Asisinate quorum nomina ad perpetuam rei memoriam
D.nus Pontifex [scribi ?] iussit in libris publicis Asisinatibus.

Nonima viginti QUATUOR nobilium qui interfuerunt canonizationi
predicte: :

(1) D.nus Offredutius de Podio

(2) D.nus Andreas de Montemelino ,

(3) D.nus Boso d.ni Favorini de Saxo Rubeo

(4) D.nus Neapoleutius d.ni Neapoleonis de Armenzano
(5) Nannes Sperellé Mascii Ciminelli

(6) D.nus Guido Averardi de Nepis, D. D.

(1) Sua Op. cit., pag. 18.

(2) Archivio Portinculae, cit. (scritto nel 1704), pagg. 186-188.

- (3) Storia di Assisi cit., Ms. della Biblioteca Comunale, fol. 168.

(4) Notizie istorico-critiche dell'antichissima Città di Assisi, Ms. dell'Ar-
. chivio di S. Rufino, pagg. 267-269.

(5) Vita di S. Chiara cit., pag. 336. Questo storico.riporta quello pseudo-:
documento da una Ops fatta dal Cancelliere del Comune di Assisi ai 30 aprile
1663.

(6) Suor Diomira Bini... Memorie raccolte e descritte dal detto A., Assisi
1887, pag. 75. T d
LA CASA PATERNA DI S. CHIARA

(7) Uguccio q. Oppii de Flumine...

(8) Ventura Raynaldi Mag.ci Rodulphi de Draconibus
(9) Petronius Amatutii Angeli D. D.

(10) Vagnutius Masii Cicchi Benze

(11) D.nus Moricus...

(12) Pirrhus Birtolidis Gomerre Bine

(13) Iacobinus Iacobi Berte d.ni Berti -

(14) Donatus Uguccionis d.ni Donati

(15) Iacobutius Bonacquisti d.ni Bonacquistis

(16) Simeon hieronymi Maghicti d.ni D. e)

(17) Lodulphus Farulphi Ansigne

(18) Putius d.ni Iacobi Cicchi Sbaragliati

(19) Petrus . Angeli, Calphani

(20) D.nus Antonius d.ni Mariani

(21) D.nus Iacobus Egidii Rainaldi
(22) Mazicus Christofori Mazichi
(23) Philipputius Antonii Philipputii :
(24) Gulielmus Cicchi d.ni Pini et quamplures alii cives.

Ego Raynaldus imperiali auctoritate de mandato d.ni pape scripsi » (1).

Esaminiamo ora il contenuto di questo falso documento e comin-
" ciamo dalla data. :

: La canonizzazione di S. Stanislao, vi si dice, fu fatta « die quinta-
decima septembris » del 1253.

Giò è sbagliato. —

La detta canonizzazione infattiavvenne l'8settembre di quell’anno,
festa della Natività della B. V. Maria, mentre invece la Bolla relativa
data da Innocenzo IV fu spedita «quintodecimo Kalendas Octobris », cioè
ai 17 settembre: cfr. SBARALEA, Bull. Franc., tomo II, pag. 112, ove
si citano Longino storico polacco, i Bollandisti e il Lino (2). Per

(1) La lettura del documento è molto difficile, perchè il falsario ^m Scopo
di creargli una grande. antichità, usó inchiostro assai sbiadito. Noi, per tale
lettura, ci siamo appoggiati alla trascrizione del Lóccatelli (Op. cit., pag. 336),

che la riportó da una copia fatta nel 1662. Alla medesima copia si appoggiò :

l'Egidi (Storia di Assisi, cit., fol. 168), il quale peró al posto di Boso mette dei
puntini.

(2) A questi possiamo diiungere il CHERUBINI LAERZIO, il quale nel suo
Magnum Bullarium Romanum, ediz. di Lione del 1673, vol. I, pag. 125, Ti-

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136. ì è: P. GIUSEPPE ABATE,

un documento che vuol essere «autentico » un errore nella « data » è
già troppo compromettente.

Inoltre, nello pseudo-documento si dice che-fu proprio il Ponte-
fice a volere che si registrasse, « ad perpetuam rei memoriam » (1) e nei
registri pubblici della città la lista degli asseriti 24 nobili cavalieri
assisani presenti a quella solennità. Ordine inusitato; anzi addirittura
inverosimile, perché senza uno scopo chiaro e ragionevole in chi lo
avrebbe dato.

Passiamo ora aisingoli nomie... cognomi dei ventiquattro Magnati.

In linea di massima si puó osservare che la maggior parte di essi
si ricollegano a Famiglie Assisane salite in nobiltà appena nel secolo
xvi, ed altri a Famiglie riconosciute nobili già nei secoli xirr-x1v. In
genere però il falsario trasse i suoi fantastici personaggi — storpiandone
i nomi, o rilevandone la paternità e il quasi cognome — da individui
menzionati in carte del secolo xIv 0 nella serie dei Consiglieri del Co-

mune del 1469 (Cfr. Statuti di Assisi, Libr. I, rubr. 29).

PIETRO ZALFANI, ad es., è menzionato in documenti divulgati
tra la fine del sec. xir e il principio del xrv, che riguardano la procla-
mazione dellIndulgenza della Porziuncola fatta da S. Francesco
(an. 1216), alla quale lo Zalfani avrebbe preso parte come teste (2).
Noi lo abbiamo trovato presente ad un rogito fatto in Assisi ai 16
ottobre 1240, nel quale apparisce tutore di Nicoluccio di Andrea (Ar-
chivio Comunale di Assisi, Strumenti del Sacro Convento, tomo III,
pergam. n. 25). Nessuno peró dei predetti documenti antichi lo dice
— come fa il falsario — figlio di Angelo, e nessuno del pari gli dà la
qualifica di nobile.

ANDREA DA MonTE Merito € NAPOLEONE D AZIO sono

porta la dotta Bolla con la data del « XV Kalendas Octobris ». In questa si
ordina la festa; ma non si dice il giorno della canonizzazione.

Negli Annales Minorum del WappING, al 1253, n. 3 del Supplemento del
Melissano, leggiamo che Innocenzo IV canonizzò S. Stanislao « XV Kalendas

Octobris... et festiva dies erat Natalis Beatissimae Virginis Mariae, ut refert

Miechov » ! L'errore è troppo grossolano per non saltare subito agli occhi di chi
legge; eppure é passato inosservato anche nella recentissima edizione (1931)
di Quaracchi.

(1) Questa frase è inusitata nelle carte assisane dei secoli xII-XIV.

(2) Cfr. il Tractatus de Indulgentia S. Mariae de Portiuncula di Fra Fran-
cesco di Bartolo d'Assisi edito dal SABATIER (Parigi, Libr. Fischbacher, 1900,
pagg. 25-26, cap. 10 e 11, e Introd. in più luoghi).
LA CASA PATERNA DI S, CHIARA : 137

menzionati pure dal Bartoli citato (cap. 10), che riferisce la storiella
del sette vescovi presenti alla proclamazione della famosa Indulgenza
seguendo il leggendario racconto di Michele ‘Bernardi (cfr. SABATIER,
Op. cit., pag. LKXXVI, xcv, cLv). Entrambi, a differenza dello Zalfani,
in queste antiche memorie son detti « Pi » e veramente lo fu-
rono (1). i i

Un BowacQuisTi è menzionato in un documento del 1229 (Ar-
chivio Comunale, M. 1, ff. 9e. 10), e poispesso nei secoli seguenti come
facoltosi signori di Porta S. Giacomo.

Ma degli altri 20 personaggi elencati nel falso documento che esa-
miniamo, nessuno è ricordato dalle carte assisane del secolo xir;
anzi non si ha alcuno che porti i cognomi dei Ciminelli, Nepis, Fiumi,
Benzi, Maghetti, Insegna, Mariani, Mazzichi, Filippucci ed altri. Il
falsario trasse questi cognomi dai sopra citati Statuti del 1469 e da
altre carte di quel secolo. |

Il « NANNES SPERELLAE MaAscI CIMINELLI » è un derivato dal
« Nannes Apollonii alias Ciminelli », mercante di ferramenta ed altri
generi, della prima metà del secolo xiv. Era questi di Porta S. France-
sco, ma aveva la sua bottega in Porta S. Chiara presso il Palazzo dei
Priori e la Piazza del Macello. Centinaia e centinaia sono gli strumenti
notarili che lo ricordano. Fu consigliere e Priore della città; prese in
appalto delle pubbliche gabelle; e — giova ricordarlo — fu proprietario
di quella casa che passata dipoi a G. Battista Bini, questi nel 1515
vendette agli Osservanti come Casa paterna di S. Francesco (2).

La nobiltà dei Ciminelli cominciò alla fine del secolo xv — e non
prima — con Sperello ed Ascanio, pronipoti del suddetto Nanni, che si
diedero alle arti liberali ed ascesero alle cariche pubbliche.

(1) Di Napoleone da Armenzano parlano le Pergamene del Comune di
‘Assisi nn. 8 del 1257 e 174-178 degli anni 1257 e 1258. Andrea di Montemelino
fu Podestà di Assisi nel 1341, come risulta dagli atti di un processo fatto sotto
di lui (cfr. Archivio della Cattedrale, Mss. senza segnatura intitolati Liti ed
altre carte). i
(2) Citiamo solo: Archivio Notarile Protoc. di Mariano di Napoleone, C.
n. 32, al 1446, fI. 12 e 13; Protoc. S. n. 24, ai 7 novembre del 1468, ove si ha il
suo testamento; Statuti, Lib. III, rubr. 167; Protoc. di Ser Felice di Giambatti-
sta, M. n. 5, fol. 69, ai 5 ottobre 1507; Archivio del Sacro Convento presso la
Biblioteca Comunale, Ms. 94, fol. 30. Parecchi altri documenti riguardanti il
Ciminelli sono citati, o riportati, nel nostro volume su La Casa dove nacque
S. Francesco, pagg. 343 e 346, ove si. ha che PDCRSUO fu un RODI di detto
Nanni.
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P. GIUSEPPE ABATE

I FIUMI.

Famiglia autenticamente nobile e antica questa, che tanta parte
ebbe nelle vicende storiche di Assisi e che fu feudataria della contea
di Sterpeto.

E solo in Fanusio Campano, cioé nella nota falsificazione del Cec-
carelli (Cod. Vatic. 8251, f. 54), che le si dà origine sotto il governo
di Ottone III (an. 983-1001); mentre invece si cercherebbe indarno
un personaggio di questa famiglia nelle carte assisane del secolo xim.
E solo dalla seconda metà del secolo xiv in poi che si trova usato il
cognome «de Fluminibus » (1).

I MAGHETTI.

Appaiono in Assisi nel secolo XIV, e continuano, fino almeno al .
secolo xviri, una tradizione di nobiltà congiunta alla professione delle
arti liberali (2).

I NEPIS.

Né nel secolo xii, né Wc XIV si incontra mai questo cognome,
sebbene la famiglia che poi lo ritenne esistesse certamente nel secolo
XIV in Assisi e fosse di nobile condizione. È noto che i Nepis furono
per più secoli i capi riconosciuti della « Parte di Sopra », come i Fiumi,
della «Parte di Sotto », le due fazioni cittadine tanto famose nella
storia di Assisi. |

Il primo che assegnó ai Nepis una nobiltà millenaria fu il Coca
relli, che li fece risalire Gel antichi romani (cfr. cit. Cod. Vat., l. c.) (3).

Gli AMATUCCI. :
Nel secolo xvii sono conti; ma nei secoli xiv e xv erano semplice-
mente una distinta e ricca famiglia borghese dedita al commercio.

(1) Cfr. Protoc. di Giovanni di Cecco di Bevignate, B. n. 7, ff. 1, 2 e 29;
B. n. 8, ai 4 dicembre 1418; B. n. 11, ai 26 aprile e 6 maggio 1427, 6 gennaio
1428. Lo storico assisano Antonio Cristofani afferma che della Famiglia Fiumi,
principalissima in Assisi, «non si trova menzione nelle scritture pubbliche in-
nanzi al 1384 ». L'appartenenza di Ortolana, madre di S. Chiara, alla detta no-
bile famiglia è affermata solo da tardi genealogisti.

(2) La casa dei Maghetti fu in Piazza del Macello, come si ha da numerosi
documenti da noi riportati nel volume su La Gasa dove nacque S. Francesco.

(3) Possiamo anche aggiungere che dai genealogisti si cita un « Gregorius
tit. S. Crucis Diaconus Cardinalis de Nepis de Assisio ab Adriano 49 creatus »
esistito solo nella fantasia di Jacopo Corelli, autore fabbricato per i suoi usi
genealogici dal falsario Alfonso. Ceccarelli.
LA CASA PATERNA DI S. CHIARA . 139

Il Petronio di Amatuccio di Angelo che il nostro falsario registra è un
personaggio da questi inventato. i
Vero e reale fu invece il.mercante « Alois Magistri Angeli »,
abitante in Porta S. Francesco e nei pressi di S. Nicolò di Piazza (pre-
cisamente dove ora è la Farmacia Cogolli); mentre la sua «camera »
o «apotheca » era «in capite Plateae » e presso il Palazzo dei Priori.
Il suo testamento, in data 9 marzo 1402, può leggersi tra gli atti di
- Ser Francesco di Benvenuto di Stefano, Protoc. C. n. 27. Lodovico di
Amatuccio, figlio, nel 1420 teneva bottega e fondaco pure in Piazza,
ma di fronte alla Minerva e «sub palatio novo Comunis » (Notaro cit.,
C. n. 24, fol. 92). Nella nostra opera cit. ricorrono Spesso gli Amatucci.

I MAZZICHI. |

Rimontano al secolo xtv e sono « lanarii » di origine. Nel secolo se-
guente alcuni membri di questa famiglia di ricchi mercanti diventano
canonici, avvocati, notari. La loro casa di abitazione era in Porta
S. Rufino e Piazza S. Chiara. Un Mazzichi, avendo sposato nella pri-
ma metà delsecolo xv una Contadini, venne a possedere un fabbricato
confinante con la Casa dove nacque S. Francesco (cfr. nostra Op. cit.,
pagg. 35, 81, 303, 304, 313, 316, 317, 318 ed altre ancora).

Gli SBARAGLIATI, detti poi SBARAGLINI.

Capostipite di questa famiglia fu «Sbaragliatus»di Mas-
siolo; da lui nacquero Testino ed Antonio, vissuti nella seconda metà
delsecolo xtv. Lo Sbaragliato ebbe il soprannome di Corazza, che passó
ai figli e al nepote Sbaraglino. (Cfr. Protoc. di Francesco di

Benvenuto di Stefano, C. n. 24, ff. 52, 144, 159; Protoc. di Giovanni di

Bevignate, B. n. XII, ff. 24, 44, 55; Archivio della Cattedrale, Ms.
Frondini « Famiglie di Assisi» alla voce «Sbaraglini»; FORTINI,
Assisi nel M. E., Roma, 1940, pag. 354, ove si citano le « Riformanze »
del 1381, e poi pagg. 406 e 444). La casa di quest nobile famiglia assi-
sana era in Porta S. Rufino.

Gli INsEGNA.

Insegna — e talvolta Ensegna o Ansigna — fu in Assisi nei secoli
XII-XV nome comune di persona, e divenne cognome solo al princi-
pio del secolo xvi.

La Famiglia Insegna ebbe origine popolana fornita qualche agia-
tezza. Parecchi membri di essa. nel Quattrocento furono banditori o
trombettieri del Comune; la moglie di Sante d'Insegna esercitó tal-
volta il baliatico. Fra Francesco, figlio di detto Sante, fu Minorita e

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‘140 ‘P. GIUSEPPE ABATE

poi Vescovo di Assisi dal 1483 a1 1495. Dei suoi nipoti uno fu Capitano,
un altro celebre giureconsulto.

Gli Insegna, che per un mezzo secolo passed la « Casa dove
nacque S. Francesco » (1), divennero pater assisiati solo nel so-
colo xvi.

I DRAGONI-CONFIDATI.
Non é affatto un azzardo ritenere, che il documento del 1253, da
- noi qui sottoposto ad esame, sia stato principalmente fabbricato dal
nostro falsario a vantaggio di questa nobile e rispettabile Famiglia.
Esso fa parte di tutta una serie di falsificazioni destinate a creare
ai sullodati Dragoni-Confidati una origine antichissima e patrizia.
Infatti le due pergamene segnate coi nn. 523 e 524 dell Archivio
Comunale di Assisi furono fabbricate dallo stesso falsario proprio per
i Dragoni-Confidati, come pure per la medesima Famiglia il falsario
riuscì a contaminare financo un Registro delle « Riformanze », della
Città cs
Le due pergamene contengono un testamento e un codicillo, in
data del 1276,-compilati a nome di « Ventura Raynaldi Mag. Rodulphi
de Draconibus » asserito teste alla Canonizzazione di S. Stanislao (2).
Il falso inserito nel vol. 14, fol. 222 delle « Riformanze » è una
« Reintegratio civilitatis domini Evangeliste Confidati de Draconibus »,
fatta in data 7 agosto 1457 e in nome dei Priori del tempo, nella quale si
raccontano le note favole genealogiche su quella Famiglia. La mano
che vergò tale falso è quella stessa delle citate pergamene e dello
pseudo-documento del 1228, come pure ne è lo stesso l'inchiostro.
A, conferma di tutto ciò aggiungiamo che il « Ventura... de Dra-
conibus » della nota Lista è un personaggio del tutto sconosciuto nella
storia assisana del secolo xirr. Similmente sconosciuto è quell'immagi-
nario figlio Nicolò, che — secondo l'Albero della Famiglia Dragoni-
Confidati edito dal Barone Alberto Schlifer pseudonimo di Eugenio
Gamurrini (Roma, Tipogr. del Varese, pag. 75), sarebbe stato vescovo

(1) Cfr. notra Op. cit., pagg. 31, 310- 313, 320, 329, 331.

(2) L’avo del personaggio qui menzionato, cioè Rodolfo « de Draconibus ».
fu una creazione tutta propria del Ceccarelli, mediante un falso Diploma da lui
fabbricato sotto il nome di Lotario III di Sassonia (1067-1137): Cfr. lo studio
del Riegl cit. Insieme al suddetto Rodolfo, il Ceccarelli inventó un Ildebrando
Vescovo di Assisi (e ciò mediante un altro falso documento) al quale da quello
sarebbe stato donato un terreno in favore della Cattedrale di S. Rufino. (Cfr.
Disamina cit., pag. 248). Il Venarucci tutti questi documenti li credette au-
tentici (Ms. cit., pagg. 100-101). i
LA CASA PATERNA DI S. CHIARA

141

di Assisi dal 1259 al 1277 (1). Questo Nicolò, figlio di Ventura Dragoni
e D. Giacoma Scifi (anche qui fa capolino il falso !) inoltre sarebbe
stato Minorita; ma anche questo particolare é falso. Risulta dai Re-
gesti Vaticani di Innocenzo IV, di Gregorio X e di«Martino IV che ve-
scovi di Assisi dal 1250 al 1282 furono i Minoriti Fra Nicolò da Calvi,

Fra Illuminato da Chieti e Fra Simone di Offreduccio da Assisi (2)..

Bosone E FavonrNo ScIFI, asseriti parenti di S. Chiara.
Di questi due personaggi, che le false genealogie del secolo xvi
mettono tra i parenti di S. Chiara, abbiamo fatto già cenno dicendo
che sono due individui immaginari. ' \
Il padre della Santa fu Favarone e non già Favorino; e l'asserito
Bosone non le fu fratello. Anzi S. Chiara non ebbe fratelli, e la sua fa-
miglia non ebbe mai il titolo comitale di Sasso. Rosso attribuito dal
falsario all’immaginario Bosone (3). Perciò, anche per questo riguardo,
il documento che esaminiamo è uno sfacciatissimo apocrifo.

I BINnI, asseriti parenti di S. Francesco.
. Nel documento suddetto é registrato, come abbiamo veduto, un
« Pirrhus Birtholidis Comerrae Binae », che i genealogisti faciloni e
compiacenti presentano ancora come un antenato di quei Bini di
Assisi, i quasi si dissero della Famiglia del Santo Poverello.

Il fatto è che un tale personaggio nel secolo xir — e nè prima, né
poi — non esistette affatto: invano se ne cercherebbe menzione negli
archivi assisani, i quali, tra l'altro, conservario gli elenchi completi
dei capifamiglia viventi in quella città all'anno 1232.

Il falsario nel crearlo giuocò di fantasia, traendone lo spunto
dal noto poema latino « Francisciados » del unbro Fra Francesco
Mauri (5.

(1) Cfr. l'opuscolo Serie quadruplice dei Vescovi della Città di Assisi, Assisi
1872, pag. 23, ove si ricorda che l'asserito Vescovo Dragoni é rigettato dal Ve-
narucci, dal Cappelletti e dal Di Costanzo, che si ridono del Gamurrini, il quale
invece lo presenta come un personaggio storico.

(2) EUBEL., Op. cit., ediz. del 1913, pagg. 112-113.

- (3) Un quatünque Bosone nelle carte assisane del secolo xiu non é mai
menzionato.

(4) FnANcIisC: MAURI, Hispellatae Minoridae Francisciados, Libri XII,
Nunc primum in lucem editi. Florentiae, MDLXXI.

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142 P. GIUSEPPE ABATE

Questi, descrivendo poeticamente i preparativi e le lotte di guerra i
degli Assisani con i Perugini (an. 1202), fa parlare nel Consiglio della
città un immaginario Birtolide:.

prior umus
Birtholides fandique vices Doscitqne receptum (1).

Questi poi, nella battaglia che si ebbe presso lo Spedalicchio, 1

non appare affatto e-tanto meno quale. Capitano, come alcuni hanno 3

favoleggiato; anzi, al dir del poeta, il Capitano fu un altro, e cioè il
prode Jonia di Comerra:*

cadit generosa Comerrae
"Gentis Jonias, qui tunc pulcherrimus unus
Quique Subasigenum fortissimus agminis idem
: | — - Dux erat... (2).

Dal nome e dalla stirpe di questi due antichi guerrieri assisani 2
il falsario trasse, com’è evidente, quasi tutti gli elementi per creare È
il glorioso, ma fantastico, antenato dei Bini registrato tra i venti- P
quattro Magnati del 1253. da 3

Poiché i due surricordati guerrieri del Mauri sono esseri del tutto E
immaginari, al pari dei loro compagni Macherio, Fanio, Onimo,
Nileo, Tessino e Sassite (3).

Il documento del 1253 é dunque, anche per quest'altro lato che
riguarda i Bini, una falsificazione e un'impostura.

- (1) Op. cit., fol. 16, libr. II, vv. 114-115. E

(2) Op. cit., fol. 19, vv. 259-262. :

È perciò un errore quello del già cit. ar che, in « Archivum Portiunc. »
(S. M. degli Angeli, 1916, pag. 16), scrisse: «... bellum exarsit Perusinos inter E.
et Assisiates. Horum pubes, duce ui animosiore Bertholdo filio Co- p
merrae de Binis ». |

Del pari errò il P. ANTONIO DA ORVIETO, che faceva combattere, nel 1202, E
S. Francesco sotto le insegne di « Birtolide di Comerre Bini Cavalier principale » p
(Cronologia della Prov. Riformata dell’ Umbria, Perugia 1717, pag. 13).

(3) Il prof. Loccatelli Vincenzo, ingannato dal falso documento del 1253,
nel suo volgarizzamento della Francisciade (Assisi, 1851, pag. 194) scrisse che
« Birtolide di Gomerre Bini, capitano dell'esercito assisiano... è nome veramente
Storico». Non badó questo scrittore: a) che il Mauri non dà a Birtolide né
il patronimico di Gomerre, né quello dei Bini; b) che il poeta fa Capitano È
Jonia, e non Birtolide; e che non questi, ma Jonia è detto della stirpe di p
Comerra.. d
LA CASA PATERNA DI S. CHIARA

Dimostrato che il falsario, per la creazione dell'antenato dei Bini,
attinse le sue informazioni dal fantastico poema del Mauri, é facile

concludere che egli fabbricò il suo famigerato documento dopo il.

1571, anno in cui fu stampata per la prima volta quell'opera.

Il fatto poi che, a quanto sembra, il primo a menzionare Favo-

rino (padre del Bosone del documento del 1253, e padre ancora asserito
di S. Chiara), nella Genealogia della predetta Santa, é stato Fra Pietro
Ridolfi da Tossignano, che pubblicó la sua opera nel 1586 (1) ci por-

: terebbe a ritenere che, verosimilmente, quel documento apocrifo fu

compilato prima di questa data.

Ma noi sappiamo che in quel tempo, e cioè nel 1571-1583, era vivo
in Umbria ed in piena attività falsaria quel fecondissimo creatore di
liste di nobiltà (2) e di infondatissime genealogie, che fu il trista-
mente celebre Ceccarelli.

Si deve a questi l'apocrifo documento del 1253 ?

Non abbiamo elementi per affermarlo; ma nemmeno possiamo
escluderlo.

Il Pennacchi, parlando di quel documento e qualificandolo
come una delle tante frodi, per cui si resero celebri molti trafficanti di
genealogie dei secoli xvi e xvit, affermò che «non sarebbe difficile
indovinarne l’autore e lo scopo a cui il falso tendeva » (3).

Quell'insigne storico per dir ció dovette possedere elementi,
che noi non abbiamo, ma che pure sarebbe.or vantaggioso cono-
scere.

(1) FR. Petrus RoDpuLPHIUS TossINIANENSIS, Conv. Franc: Historiarum

Seraphicae Religionis Libri tres. Venetiis, MDLXXXVI, fol. 132. Per debito

di lealtà va notato che il Tossignano menziona siil Favorino, ma non fa alcun
cenno di Bosone; mentre invece parla dell'uno e dell'altro il Wadding (al 1212,
n. XV), che, prima del 1625, ne aveva ricevuto ENUAE, da un cittadino assi-
siate.

(2) Tutto il Fanusio Campano, opera... autentica del Ceccarelli non è che
un continuo tessuto di liste di nobiltà. Appositamente fabbricata dallo stesso
falsario — come abbiamo veduto — è la lettera di Federico II a Odoardo di Sas-
sonia, in data 1206, nella quale si dà una lista di 28 nobili Spoletini più o meno
immaginari.

(3) Leg. S. Clarae cit., pag. xxiv dell’ Thiroduzione
+= raise === nere

-

144 P. GIUSEPPE ABATE

VIII.

«Storie» secentesche di Assisi infarcite di favole. - Una falsa « Cella
di S. Chiara» nel Monastero di S. Apollinare. - La pretesa ofi-
gine francese della Madre di S. Francesco é una mistificazione
del secolo XVI.

Nel corso di questo studio, abbiamo accennato di volo ad una
« Storia di Assisi » compilata nel Seicento da Anton Francesco Egidi,
nella quale si leggono notizie fantastiche e false. Oltre ad essa però,
in quello stesso tempo, ne furono scritte delle altre, e tutte della stessa
specie, delle quali è qui opportuno dir pure qualche cosa, non solo per-
chè trattano della patria di S. Francesco e di S. Chiara, ma anche perchè,

come è ovvio, in esse si hanno riferimenti falsi o leggendari intorno.

ai predetti due Santi.

In questa breve trattazione daremo la precedenza allopera del-
lEgidi, dato che se ne ha ancora un manoscritto; parleremo poi di
quelle, ora introvabili, di G. Battista Bini e del monaco Gamurrini; ed
infine di quanto farneticò il noto Vitali sulle origini e sulle vicende
della Città Serafica-in una sua rarissima stampa sulla storia della Por-
ziuncola.

La compilazione dell' Egidi è contenuta nel codice B. 7 del Fondo
Moderno della Biblioteca Comunale di Assisi, e proviene, come si ri-
leva da una nota, dall’archivio di S. Maria degli Angeli. Non è l’origi-
nale dell'autore, bensì una copia fatta nel 1768, cioè circa un secolo
dopo. - | !

Notiamo innanzi tutto, che I Egidi scrivendo di S. Francesco e di
S. Chiara, ripete notizie addirittura false o prive di fondamento sto-
rico; per lui, ad esempio, il primo è della stirpe dei Bini, l'altra della
prosapia dei Fiumi, Conti di Sterpeto. Parimenti apocrifi o sospette
sono molte altre notizie che quello storico dà, o meglio ripete, circa
avvenimenti storici della Città o sulle origini di varie famiglie del pa-
trizio assisano, prestando egli ampia fede alle tante falsificazioni per
*^LA CASA PATERNA DI S. CHIARA 3:145

uso genealogico, allora correnti come documenti veri ed autentici.
Scrittori d'indubbia autorità sono per lui Caio Gabinio Leto, Settimio
Floro e Gotofredo Beningino, i quali invece non sono altro che perso-
naggi inventati dalla malafede del falsario Ceccarelli.

L'Egidi inoltre (per disordinato spirito campanilistico), trattando
delle origini di Assisi, non si ritiene pago dell'affermazione altrui, che
dice questa città « ab Umbriis condita », e perciò scrive come più proba-
bile che la fondazione della patria di S. Francesco risalga, senza meno,
ai tempi immediatamente posteriori al Diluvio universale, e precisa-
mente al biblico patriarca Noè. Considerato poi che Noé (e a questo
proposito si cita il noto Giovanni Annio da Viterbo, altro divulgatore
d'imposture) è lo stesso che Giano, l'antica nota divinità romana, lo
storico Egidi, senza alcuna titubanza, ci fa sapere che Armenzano, Pe-
trignano, Porziano, Palanzano e Costano — terre e ville del contado
assisiate — non sono altro che Armento di Giano, Pietra o Mola di
Giano, Palazzo di Giano, Castello di Giano...

E qui, prima di lasciare l’Egidi e le sue fole da romanzo, vogliamo
ricordare una notizia peregrina, ma falsa, riguardante S. Chiara: « nel

Monastero di S. Apollinare, ove stanziano Monache Benedettine — egli

scrive a fol. 178 — si vede la cella assegnata alla Vergine S. Chiara,
dopo aver ricevuto l'abito dal P. S. Francesco in S. Maria degli Angeli ».
(La detta notizia fa il paio con quella data a fol. 179 riguardante « la
Casa già di detto Santo, oggi nomata la Chiesa Nuova >).

Ora é provato, che quel Monastero sorse alcuni decenni dopo la
morte della Santa e precisamente in un fabbricato e terreno di alcuni
nipoti indiretti della medesima S. Chiara, e perció la predetta « Cella »,
che visi vedeva nel sec. XVII (non sappiamo se vi si veda tuttora), non
poteva avere che un’attribuzione falsa.

Ma dato che, al tempo dell' Egidi e prima ancora, il Monastero di
5. Apollinare comprendeva nelle sue mura anche l'ex Monastero di
5. Paolo, si potrebbe pensare che l’asserita « Cella di S. Chiara » si ve-
desse in questo. |

Ebbene, anche in tale ipotesi, quella « Cella » non sarebbe stata

| abitata mai dalla Santa dopo la sua consacrazione alla Porziuncola

avvenuta nel 1211, perché il detto Monastero di S. Paolo fu fondato

nella seconda metà del secolo xiv, in sostituzione di un altro omonimo -

ed esistente nel contado presso-il ponte sul Chiagio, cioè non lungi

dalla terra di Bastia. Fu in questo rurale e più antico Monastero, detto |

delle Abbadesse, che S. Chiara visse i suoi primi giorni di vita clau-
strale prima di passare in quello di S. Angelo di Panzo sulla costa

10
f AER EF

Care nA rt

146 P. GIUSEPPE ABATE

del Monte Subasio (1); non già in quello urbano, e, come abbiamo

detto, allora inesistente e poi secoli dopo unito a S. Apollinare.
Quanto facilmente in Assisi, nei secoli xVI e xVII, l'ignoranza,

l'equivoco o il falso spostava le Case paterne e le Celle dei Santi |

* ko

Una « Raccolta della storia di Assisi » — a quanto apprendiamo dal
Gamurrini, scrittore contemporaneo e informatissimo degli archivi di
quella città — fu compilata nella prima metà del secolo xvi dal
nobile asssiate Giambattista Bini, personaggio ormai celebre entro e
fuori la Città Serafica più per aver venduto nel 1615 come vera una
falsa Casa paterna di S. Francesco, che per essere stato Gonfaloniere
o storico.

L’opera del Bini, a quanto pare, non fu mai data alle stampe;
anzi, non se ne ritrova più alcun manoscritto. Il sunnominato Gamur-
rini però l'ebbe fra le mani, se poté citarla due volte (pagg. 362 e 366
del I volume delle sue Genealogie) e riportarne dei brani. Ma questi
— guarda un po’, il caso ! — non contengono che notizie false ! Essi, in-
fatti, dicono:

« Nel 1133 essendo la Città di Assisi dominata da Clotario Secondo
Imperatore, ne investì per Signore, e padrone Ridolfo de’ Dragon discen-
dente dai Duchi di Sassonia, etc. »;

« Nel 1162, ai 27 di Giugno Federico Barbarossa tolse la città di As-
sisi a Rinaldo Dragoni, e ne investi un suo nipote chiamato Corrado ».

A parte il fatto, che tanto il Rinaldo quanto il Corrado suddetti
non sono mai esistiti, va notato che le due notizie provengono da do-
cumenti fabbricati dal Ceccarelli per le famiglie Boncompagni e Dra-
goni-Confidati, come potremmo ampiamente dimostrare (2).

(1) Ctr. CRISTOFANI ANTONIO, Delle Storie di Assisi, 3* ediz., Assisi, Tip.
Metastasio, 1902, pagg. 34, 91, 175, 192; PENNACCHI FRANC., nella sua Introdu-
zione alla citata Legenda S. Clarae, pagg. xxxvir-XLiv. Ciò inoltre, ci viene
autorevolmente confermato dal citato processo di Canonizzazione di S. Chiara,
ove si legge espressamente, nella testimonianza della Beata Beatrice, sorella
«della Santa, che la Vergine Fondatrice delle Damianite da S. Francesco, subito
dopo il taglio dei capelli alla Porziuncola, fu menata «alla chiesia de Sancto
Paulo de Abbatissis », e da qui poi «alla chiesia de Sancto Angelo de Pango »
(Proc. citato in AFH, XIII, pagg. 480, 490 e 493).

(2) La notizia del 1133 proviene da un falso Diploma (riportato dal Ga-
murrini come autentico a pag. 363, 1. c.), ove è detto: « Acta sunt haec anno
Dominicae Incarnationis millesimo centesimo trigesimo tertio indictione' sexta
LA CASA PATERNA DI S. GHIARA

*okok

Altro compilatore di una « Istoria di Assisi », nel secolo xvi, fu il
Gamurrini surricordato, come ce ne accerta egli stesso ripetutamente
(opera cit., vol. I, pagg. 398, 439 e 497), aggiungendo che dimorò in
quella città circa tre anni ed ordinò l'archivio pubblico.

. «Noi non siamo riusciti a trovare la detta storia del famoso « spu-
dorato tessitore di genealogie fantastiche » — come fu chiamato il Ga-
murrini dallo scrittore assisano Francesco Pennacchi —; ma non c’è da
dubitare un istante per ritenerla senz'altro infarcita di favole e di do-
cumenti apocrifi, dopo aver letto le molte sue pagine dedicate alle vi-
cende storiche delle nobili famiglie assisiati Dragoni, Confidati, Maz-
Zichi e Nepis, per le quali si trovano citati in dette pagine autori
suppositizi creati dal Ceccarelli, inventati di sana pianta Vescovi e
Cardinali, corrotte iscrizioni, fabbricati testamenti e pubbliche Rifor-
manze. A titolo di curiosità, nonché a prova che il nostro duro giudi-
Zio é pienamente giustificato, riportiamo qualche fantasiosa afferma-
zione del Gamurrini relativa a S. Francesco, a S. Chiara e all'Ordine
dei Minori:

e. S. Francesco è della stirpe dei Moriconi di Lucca, e discende da
un Ropaldo fiorito nell'anno 1020 (pag. 439); '
S. Chiara « usci » dai Conti Sciffi di Sassorosso (pagg. 367, 368, -

RR MLIRATI PUTTI MIAO s

í a m E i SS I" SERIES Pii i Tp. latin senti aia SEE

370);

Rd. dae ban: dioi alie ect La
» Pi * 7
2 gr.

il Beato Rufino, Compagno di S. Francesco, è della prosapia dei
Nepis ed ebbe per padre un certo Guidofredo (pag. 396);

Fra Nicolò da Calvi, Vescovo d’Assisi dal 1250 al 1274, viene
sostituito dal Gamurrini da un immaginario Fra Nicolò Dragoni, che si
dice eletto Vescovo nel 1259 e defunto nel 1277 (pag. 239);

i Nepis hanno un deposito e una Cappella nella Basilica di San
Francesco avendola « fabbricata in quel tempo che fu fabbricata la
Chiesa », e si cita come prova la seguente iscrizione del « Sacellum »:
« A. D. M. CC. XXX a familia De Nepis Assisinate erectum »; ed in-
vece: — a) la detta iscrizione, ancora esistente e visibile da tutti, porta

Picco C Lear in PA A ga

i

regnante domino Klotario Secundo Romanorum Imperatore glorioso anno regni

et'‘imperii sui octavo ». Come si vede, manca la data topografica e quella del

giorno e del mese; si ha Clotario invece di Lotario; è sbagliata l’indizione, per-

E ché avrebbe dovuto essere 1’11 e non la 68; e infine, tra l'altro, Lotario II ai

: «| 44 giugno di quell’anno non era ancora « Impératore », sì che il 1133 non avrebbe
|... potuto essere davvero l'anno ottavo del suo impero.
ee 7% gc.

148 P. GIUSEPPE ABATE

chiara e tonda la data di oltre due secoli dopo, cioè l'anno « M.CCCC.-
LIX »; — b) anche questa data del 1459 è falsa (ricordiamo che l’iscri-
zione fu messa in quella Cappella nel 1667), poichè risulta in modo
certo, che almeno sino al 1514 i Nepis vennero sepolti nella Cattedrale
di S. Rufino (1), e che la prima volta che si ha notizia di una Cappella
dei Nepis in S. Francesco è all'anno 1520 (2).

*Ckck

Infine, un quarto scrittore, che sfrontatamente, nelsecolo XVII, pro- -
pinó al pubblico come verità storiche documentate le piü stolte favole
sulla Città di S. Francesco, fu ilsardo Fra SALVATORE VITALI, scrittore
di nessunissima fede di cui parliamo piü volte in questo nostro studio.

Sarebbe un perder tempo insistere sulle fantasticherie del Vitali
a riguardo di Assisi profana e di Assisi sacra; ma per dimostrare la
dabbenaggine di questo scrittore, che pur si atteggiava a ricercatore
appassionato di documenti e a critico coscienzioso, riferiamo qui
quanto scrive. sulla fondazione di Assisi.

Questa Città, secondo lui, fu eretta da Asis o Asium, fratello di
Ecuba moglie di Priamo; tale origine é confermata dal fatto — egli
dice — che in Assisi é sepolto Dardano, figlio di Giove e di Elettra,
cioé il capostipite dei Troiani e dei Romani... L'esistenza poi di tale
sepolcro viene documentata dal Vitali con una lettera — a lui mostrata
in Assisi da un amico — nientemeno che di Cecco d'Ascoli e in data
14 novembre 1528! E qui, mitologia a parte, è interessante apprendere
dal Vitali che questo Cecco d’Ascoli, cioè il noto impostore arso vivo a
Firenze nel 1327 per magia ed eresia, scriveva lettere sulle antichità
di Assisi ben due secoli dopo di esser morto !

Ma per esser giusti col Vitali, è doveroso osservare che non tutte
le scempiaggini che si leggono su Assisi nel suo « Paradisus Seraphi-
cus » furono parto della sua sbardellata fantasia, perché — se dobbiamo
credere alle sue ripetutissime affermazioni — egli si servì di vecchi ma-

noscritti a lui mostrati in Assisi (3).

(1) Cfr. Arch. Notar. d’Assisi, Protoc. di Filippo Baciucci, N. n. 6, fol. 46,
ove si ha che Giacomo di Sigismondo Nepis vuole essere sepolto « in ecclesia
S. Rufini, ubi eius antecessores sunt sepulti ».

(2) Cfr. ‘Arch. citato, protoc. di Girolamo Bini, Q. n. 39, fol. 126.

(3) Ecco alcune delle affermazioni del Vitali: — «ex Assisiatum vetustissimis
monumentis libroque Statutorum, apud haeredes Excellentissimi Domini Joseph
Confidati [Dragoni] servato fidelicterquequam desumpta » e « Haec, et alia ibi,
LA CASA PATERNA DI S. CHIARA 149

Or chi degli Assisani, o per gli Assisani, vergó quegli asseriti codici
antichi, sentine immonde di piaggerie, di falsità, di spropositi?

Confessiamo di non saperlo finora.

Sappiamo bene peró — e questo nostro Studio ne dà le prove —
che nei secoli xvi e xVII, per capriecio di burloni o per interesse
di ambiziosi, la Città di S. Francesco fu vittima di numerose falsi-
ficazioni della sua storia. i

Ad una piaggeria fatta nel secolo xvi, a scopo genealogico, si deve
la tanto ripetuta origine francese, e precisamente dai Conti di Bourle-
mont, di madonna Pica, bene avventurata madre di S. Francesco. .

Ciò è noto, invero, da alcuni decenni; ma poiché ci sono ancor
oggi biografi del Santo che l'ignorano, riteniamo opportuno (l'argo-
mento che trattiamo ce ne porge il destro) dirne anche noi qui breve- .
mente sulla scorta del D'Alencon e del De Kerval (1).

Il primo, a quanto pare, che per le stampe abbia fatto cenno di
quellorigine é stato il P. Claudio Frassen, dei Minori Conventuali,
Dottore Sorbonico. Egli, in un suo commento alla Regola del Terzo
Ordine, scrisse testualmente cosi: « La France a la gloire de luy avoir

donné naissance, puisq'elle [Pica] est issue de l'illustre maison du les

vetustissimis characteribus exarata» (a proposito delle inverosimili origini di
Assisi); — « Septem Assisium habuisse Deorum simulacra praecipua lego in iis
qui mihi codices antiquissimi ministrantur »; — « ex mihi exibito codice » (a propo-
sito del mitico Dardano); — «a Viro magnifico Assisiate vetustissimis literis
exaratum » (a proposito del favoloso epitafio del sepolcro di S. Francesco); —
«magnum revera et pretiosum monumentum, quod nobis Assisii exibitum est,
quodque laetanter exscripsimus » (a proposito della fantastica origine romana
della Madre di S. Francesco); — «ex antiquis atque veridicis monumentis nobis
exibitis » (a proposito della mai prima asserita apparizione su Assisi di una
fulgida croce nella notte in cui nacque S. Francesco); — « in quodam ezibito
Ms. vetustissimis characteribus exarato » (a proposito di una cervellotica Genca:
logia di S. Chiara).

(1) P. UBALD D'ALENGON, O. M. Cap.: De l'origine frangaise de Saint
Francois d’ Assise, nella rivista « Études franciscaines », novembre 1903, pagine
449-454, Paris, Poussilgue éd.; LEoN DE KERVAL: L Évolution et le develloppe-
ment du merveilleux dans les Léjendes de S. Antoine de Padoue, studio pubblicato
in « Opuscules de critique historiques », Paris, Fischbacher, 1906, pagg. 271-272,
in nota, ove, oltre all'articolo del D'Alencon, si cita: Hist. littér. de la France,
t. XX XII, p. 264: La roue de fortune ou chronique de Grancey.
e PE

150 : P. GIUSEPPE ABATE

Bourlemont, ainsi qu'il paroist par un ancien manuscrit conservé dans

‘archives de cette trés noble famille » (1).

Or, quale può essere stato — si chiede il D'Alencon — il documento
sul quale il Frassen fondò la sua asserzione ?

Risponde il detto Padre, che il Ms. (fondo francese) della, Biblio-
teca Nazionale di Parigi segnato col numero 4945, e datato con l’anno
1556, puó metterci sulla retta via.

Esso, che porta il titolo di Chronique de Grancey, pretende infatti
enumerarci gli antenati dei Grancey e dei Bourlemont; in verità poi
non é altro, che una raccolta di genealogie fantastiche, create allo scopo
di illustrare, ad ogni costo, dei blasoni. Come altrettante sfide al buon
senso, sono ammucchiati in esso — scrive il De Kerval — i particolari
più favolosi ed assurdi. Vi si legge, fra l'altro, che i Bourlemont, nei
tempi antichi, furono imparentati con S. Patrizio, S. Gregorio Magno,
S. Alessio e... S. Francesco. i

Questo Santo — narra quel manoscritto — trasse la sua origine da
un ramo poverissimo di una certa Elisabetta, figlia del Duca di Laon
e della Contessa di Bourlemont.

Ma c’è di più ! Vi si dice pure, che un giorno S. Francesco pregò
Iddio di fargli conoscere la sua prosapia, e che il Santo ebbe in rispo-
sta, per mezzo di un angelo, che egli discendeva dalla moglie di un
Senatore Romano, cioè dalla sunnominata Elisabetta. Ma il Santo,
poco soddisfatto di tale risposta, chiese ancora al Signore di poter co-
noscere la completa genealogia dei Bourlemont. Iddio allora lo con-
tentò appieno, perché, mediante un altro angelo, gli fece avere in mano
uno scritto con l'albero genealogico desiderato, bello e completo, come
é riportato nella famigerata Cronaca (2).

(1) Règle du Tiers ordre, Paris, 1694, pag. 272; e così pure, come ci assicura
il D'Alencon, anche nella edizione del 1703. Non fu perciò esatto il P. Nicolò

‘Papini, quando nella sua nota Storia di S. Francesco (Foligno, 1825, vol. I,

pag. 12) accennando al Frassen e a quel manoscritto, parlò di « contratto spo-
sereccio » ancora esistente al 1703.

(2) « .. Saint Francois avoit toute maniere de gens et par devant choses il
aymoit les gentilz hommes. Il prioit Notre Seigneur devotement que il demontroit
dout ce linaige estoit venus: un ange luy respondant qu'ilestoit extrait de la femme
d'ung sénateur de Romme laquelle fut fille d'ung duc de Leon et comte de Bourle-
mont. Quant saint Francois scent qu'il estoit extroict des comtes de Bourlemont, il
pria Notre Seigneur humblement et devotement qu'il daigna demonstrer de quelle vye
estoi le comte de Bourlemont. Nostre Seigneur lug envoya par ung ange ung livret
euquel la vye des comtes des Bourlemont et le linaige estoit contenu mot a mot
comme il est dict dessu... » (fol. 42Y ; cfr. « Étud. Franc. », citat., pag., 451).
cale, mai rien, dans les documents dignes de foi, ne l'indique ».

LA CASA PATERNA DI S. CHIARA i 151

Con questi accenni, già ce n’è di troppo per bollare quella Cronaca
cinquecentesca di palese mistificazione, e per ritenere come, storica-
mente, crollata la pretesa origine dai Bourlemont della pia Madre di
S. Francesco (1).

Ma è proprio da escludere del tutto un’origine francese di S. Fran-
cesco ? )

Per noi si. I documenti storici finora conosciuti non offrono alcun
appiglio per sostenerla, e le ragioni di verisimiglianza, che sogliono
addursi (traffici di Pietro di Bernardone in Francia, influenza proven-
zale nella giovinezza di S. Francesco, conoscenza della lingua francese
nel Santo), possono avere benissimo altre spiegazioni senza pertanto
togliere al Patriarca di Assisi ed alla sua santa Genitrice la loro tradi-
zionale ed accertata origine italiana ed assisana.

IX.

Un fantastico albero geneaologico degli ascendenti di S. Francesco,

, compilato in Umbria tra la fine del secolo XVI e il principio del XVII.

Dopo i falsi riguardanti la genealogia e la Casa di S. Chiara, non è
fuori proposito presentarne uno, pure dello stesso tempo, riguardante
gli ascendenti di S. Francesco.

Si tratta di un Albero Genealogico del Santo, di cui un esemplare
è posseduto dal Gr. Uff. Domenico Achilli di Roma, appassionato
raccoglitore di memorie e documenti francescani.

La suddetta immaginaria. genealogia, almeno nella sua esistenza,

(1) L’abate LEoNE LE MONNIER, commentando nel 1889 nella sua apprez- .

zatissima Nuova storia di S. Francesco d'Assisi (3® ediz., Napoli, 1912, vol. I,

"pag. 31) la nota asserzione del Frassen, rileva, che Sura essa sia general-

mente accolta, pure dà luogo alle seguenti gravi obbiezioni: « I. Si appoggia ad
un documento che non è controllato. Il P. Frassen non dice nemmeno di averlo
letto. — II. I Signori di Bourlemont non esistevano ancora: essi derivano dal-
l'Anglure des Estoges. Ora, solamente nel 1463 Nicola d'Anglure figlio cadetto

di Simone d'Anglure, Signore d’Estoges, ha formato questa linea. — III. Le

case d'Anglure, e dei Bourlemont appartengono questa alla Lorraine, e quella

alla Champagne; né apparisce che alcun membro di essi siasi stabilito in Pro-
venza ». Aggiungiamo, che PaoLo SABATIER (Vie de S. Frangois d'Assise, :

ediz. definitiva del 1931, Parigi, Fischbacher, pag. 12) a proposito di madonna
Pica scrisse: « Il n'y. a rien d'impossible à ce qu'elle ait été d'origine proven-

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152 P. GIUSEPPE ABATE .

non è ignota agli storici di S. Francesco; forse però ne è sconosciuto
per le stampe il suo mirabolante e spassosissimo testo.

Ne fece infatti menzione il P. Domenico de Gubernatis, mino-
rita della più stretta Osservanza, nel tomo I, pag. 4, del suo noto « Or-
bis Seraphicus » edito in Milano nel 1682.

L'anzidetto storico però, alla semplice considerazione del conte-
nuto, si avvide che quella Genealogia era un miserabile parto di uno
scriteriato falsario, e bollandola di apocrifa, ritenne quindi opportuno
non riprodurre il testo. Nondimeno il De Gubernatis volle far sapere
ai lettori della sua opera che essa sitrovava nell Archivio Generale del
suo Ordine in Madrid, e precisamente tra i Regesti (1).

L'esemplare, che abbiamo sott'occhio, rimonta a circa un secolo
fa, e venne scritto e disegnato da un certo P. Agapito da Palestrina.
E un ampio foglio cartaceo di cm. 52 per 79, cui sovrasta il titolo:
« Albero della Genealogia del P. S. Francesco ».

Al centro, e per quasi tutta l'altezza del foglio stesso, é disegnata
una vigorosa palma con molti piccoli tondi a colori diversi nei quali
sono inscritti, in italiano, i nomi dei pretesi antenati del Santo.

Il primo di questi é un immaginario Sesto Anici Petronio Console;
l’ultimo, in linea diretta e maschile, è un inesistente Berardo, ossia
Bernardo, preteso padre di S. Francesco (è infatti indiscutibilmente

. documentato che il padre del Santo si chiamò Pietro, e questi fu figlio
di un Bernardo popolarmente detto Bernardone).

Come si vede, l'asserito Fra Pietro da Spoleto — anche questi,
assai verosimilmente, personaggio fittizio creato dal falsario per na-
scondere se stesso — dà un'origine nobile, romana e millenaria al santo
figlio del mercante Assisiate; e mentre fa mostra di essere bene infor-
mato su tutti i membri delle 23 generazioni della sua Genealogia, si

»

(1) «De S. FrancIsci PnosAPIA. Apócripha quaedam ultro dimitto
quae de S. Francisci antiquissima Genealogia scripsit Petrus Spoletanus (ut
inscribitur) Christianissimi Regis Chronologus, in qua per 23 generationes S. P.
Francisci Originem a Sexto Probo Anicio Consule deducens eum cum Iustino
[err.: Iustiniano] Imperatore, et cum S. Patriarca Benedicto ex eadem linea
facit consanguineum ». A margine: « In Archivio general. Matrit. Regest. Ord.
n 13.
LA CASA PATERRA DI S. CHIARA 153

rivela ignorantissimo del vero nome del padre di S. Francesco, nome
notissimo a tutti da ben sette secoli e piü.

Ancora.

Nella Genealogia dellimmégitaris frate spoletano ricorre il
nome di un Imperatore Flavio Olivieri mai esistito; si menziona, come

vissuto circa un secolo prima di-S. Benedetto da Norcia, un Impera- :

tore Giustiniano, che allora non fu; si inseriscono nell’albero della Fa-
miglia di S. Francesco — oltre i Santi Benedetto e Scolastica, della cui
discendenza dagli Anici si dubita assai — i Santi martiri Flavia, Eu-
tichio, Placido e Vittorino, sulla progenie dei quali non si sa nulla di
certo, e che tutti (meno S. Placido) vissero DIA del Santo Patriarca
dei monaci d’occidente (1).

Che si vuole di più per ritenere lantidorta Genealogia una volgare
mistificazione letteraria e un vero attentato alla buona fede di chi non
sa distoria e di cronologia e si affida all’onestà e veracità di chi ostenta
la professione di saperne ? M

Autore dell’ Albero è detto un « P. Pietro da Spoleto ». Un umbro.
Di piü é qualificato « Cronista del Re di Francia »; ma é risaputo da
tutti che un religioso di tal nome dagli annali letterari non si é mai
registrato come cronista di quel sovrano.

Inoltre, chi ha mai udito menzionare Arnaldo da Urbino, Aranjo

Celio Probo, Pannuino, Ugo Milanese, Palludio, Sallustio Francese,
Lepes, Camargo, Gian Basilio Santoro, Fra Giacomo Romano e Fra
Alfonso da S. Vittore tutti scrittori allegati a dimostrare la genuinità
e autenticità delfamigerato — e ancora circolante — Albero della Genea-

logia di S. Francesco ?

Per quanto a noi consta, nessuno.

Non è perciò infondato ed arbitrario giudizio ritenere un tal
Albero come un... autentico falso, inventato per prendersi giuoco del
pubblico o per altro meno confessabile scopo.

(1) Un altro genealogista secentesco fa discendere degli Anici, cioè dalla
stessa famiglia da cui lo spoletano fa provenire S.Francesco, oltre un centinaio
di Santi, (tra cui S. Cecilia, S. Ambrogio, S. Tommaso d'Aquino, S. Benedetto,
S. Gregorio Magno, S. Petronio); (ma ha.. omesso il Santo di Assisi !), ben più
che una dozzina di Papi, e inoltre Carlo Magno, gli Asburgo, i Lorena, i Borgo-
gna, i Pierleoni, i Frangipani, ecc. (Cfr. Ms. 587 della Biblioteca del Santo a
Padova).

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154 P. GIUSEPPE ABATE

Se poi in esso si cita un « D. Antonio Zappata », storico spagnuolo
di quel tempo, lo si fa « monaco di S. Bernardo » mentre invece non
lo fu.

Si cita pure un non meglio specificato autore di Spagna: Sandoballe.
Si vuol forse accennare a Fra Prudenzio di Sandoval, benedettino vis-
suto dal 1560 al 1621?

In tal caso l'autorità di costui ci appare più che Sepe perchè
il Sandoval fu storico facilone e senza critica, ingennuo raccoglitore

dei più favolosi racconti. Basta solo ricordare che egli compilò una

genealogia dell’ Imperatore Carlo V di Spagna, nella quale — superando
di gran lunga la fantasia dell'Osservante P. Salvatore Vitali — di padre
in figlio e senza lacune di sorta, pervenne sino al primo uomo, a Adamo.

Il Vitali, per lo meno, nel tessere la genealogia della propria fa-
miglia, giunto al secolo rx A. C., cioè a Pigmalione, si fermò e non
tentò neppure andar oltre; e quando poi trattò della Genealogia di
S. Francesco non spinse le sue... dotte ricerche ai secoli anteriori al-
l'Impero Romano (1).

x

(1) Per il Vitali del 1626 (cfr. il suo già cit. Floretum Alverninum, pag. 107)

'S. Francesco fu della Famiglia dei Bernardoni e «oriundus e Gallia », mentre

invece la Madre del Santo, una Moriconi, traeva origine dalla più illustre no-

biltà dell'antica Umbria. Per il Vitali poi del 1645 (suo Paradisus Seraphicus,

pagg. 76-77) entrambi i Genitori del Santo furono di origine romana; ecco le
sue... documentazioni:

S. Francesco fu «revera materna Rom anus origine »; era noto, forse,

anche a Gregorio IX « maternam Francisci genealogiam ex nobili atque Regali

© stirpe Romanorum profectam... Rem istam — ci dice ancora il Vitali - summam

exploravimus apud historicos: neque aliquid aliud, nisi quod subdi-
mus iustrumentum et organum veritatis [!!] invenimus. Magnum revera et
praetiosum est monumentum hoc, quod nobis Assisii exibitum est, quodque
laetanter exscripsimus e pagella: quod sic se habet: . 5

« Angela Pica nobilis foemina, mater S. Francisci, ex Picis Romanorum an-
«tiquissimis oriunda: sed ipsum genus Picorum a Deu. Latinorum princi-
«pium. habuit, qui Pici dicti sunt.

« Inde postea Picunnus per additamentum dictus est Deus, qui a Romanis
«sacris et ara colebatur, in memoriam Faunorum Latinorum, qui Latium te-
«nuerunt, et regnaverunt.

«Habuit domina Pica duo nomina Joanna et Angela, praevaluit Angela:
«unde voluit ut Joannes Angelus vocaretur Franciscus filius suus primogenitus,
«et sic vocatus est: postea utrumque nomen pater noluit, sed Franciscus prop-
«ter singularem affetionem quam habuit ad Francos, apud quos negotia fa-
«ciebat: et propter hoc docuit filios suos linguam gallicam propter commer-
«cium cum ipsis. NONIS OCTUBRIS M.CC.LXXX ».

Seguitando poi, il Vitali afferma che la stirpe dei Pichi da Roma si diffuse


LA CASA PATERNA DI S. CHIARA i 155

Vero é, come egli dice, che la sopra accennata Genealogia del Santo
egli la ebbe bella e compilata in Assisi; ma a lui — che si diceva discen-
dente, oltre che del Re di Tiro, di una antica Famiglia Paphos di Ro-
ma; che faceva nascere S. Ilario Papa in Maracalagonis, suo villaggio
nativo; che faceva apparire nel cielo di Cagliari ben tre soli quando
nacque Gesü Cristo; che diceva sardi Longino e il Cireneo, — a lui, ri-
petiamo, sarebbe dovuto riuscire oltremodo facile prolungare la ge-
nealogia di S. Francesco già registrata nello scritto assisano e condur-

la, per lo meno, fino ad uno degli eroi troiani, se non addirittura ai.

tempi di Mosé o di Abramo. 5:
Non aveva forse trovato il Vitali che una certa fonte del suo

paese detta. Gany si identificava, nientemeno, con la fonte Aganippe

della mitologia ? Certe famiglie sarde, del secolo xvir non erano state
convertite dallo scrittore Osservante i in antichissime famiglie romane ?

.. Di origine romana — come s'é veduto (1) — fu S. Francesco, se-
condo il falso documento assisano del 7 ottobre 1280 e secondo le
altre asserite indagini storiche del Vitali. Non sembra però che questo
scrittore abbia conosciuto l Albero Genealogico di cui ci occupiamo e
che è tutto pieno di romanità per S. Francesco, perchè altrimenti delle

in Sabina e in altre parti d’Italia, tra cui ]’ Umbria e l'Emilia. Della stessa pro-

sapia di S. Francesco fu Pico della Mirandola, legato di parentela all' Imperatore

. Costantino « per Picum pronepotem, a quo totius familiae est cognomentum... »

Infine, tra una infinità di pazzesche affermazioni, il Vitali scrive: « Et Petrus
etiam pA AM B. Francisci genitor, ex Romana prosapia originem traxit et
stemma...

(1) V. dota preced, — Sulla nessuna autorità storica del Vitali e sulla pro-
digiosa vana logorrea che questi rivela nei suoi scritti — oltre a quanto accennó
il P. UBALDO D'ALENCON, O. Min. Cap. in «Études Franciscaines », Parigi
199, tomo XXII, pag. 384 —si veda il lungo articolo di PAsquALE Tora in Di-
zionario degli uomini illustri di Sardegna, Torino 1837-38, pagg. 307-314 del
tomo III, dal quale abbiamo tolto alcune delle stranezze Vitaliane surriferite.
Questo autore scrive del Vitali che egli « non ebbe mai l'usanza di ben maturare
i suoi scritti, ma tali solea darli alla luce quali gli venivano fatti di primo getto,
quasi lo scrivere non differisse punto dagli atti spontanei della vita animale, che
senza molta fatica, e spesso involontariamente si esercitano... ». Cita il giudizio
dato da Giacomo Perizonio, filologo e critico tedesco morto nel 1715, secondo il
quale autore più inetto e più pazzo del Vitali non vide il sole, e conchiude dicendo

.che questi «fosse sventura o destino, scrisse male assai, e scrisse troppo per di-

sonorare se stesso, e per contaminare le lettere sarde ». Eppure il Vitali é tal-
volta citato da alcuni superficiali storici come una «autorità » e si seguono le
sue pazzesche aflermazioni sulle origini di certi santuari francescani e sulle
gesta di alcuni Santi !

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156 P. GIUSEPPE ABATE

peregrine notizie in esso Albero contenute il Vitali, si sarebbe servito
con immensa sua gioia per infiorettarne abbondantemente la sua nota
Vita di S. Francesco, apparsa a Milano nel 1645 coltitolo di Historia
Serafica, ecc. (1).

Perció, data la speciale tendenza del Vitali alla compilazione e
divulgazione delle: più strampalate genealogie e la mancanza degli
ascendenti ... romani Anicii nelle genealogie francescane che il Vitali
stesso ammanni, dobbiamo ritenere che il... prezioso e veridico (l)
Albero Genealogico dello pseudo suo confratello Fra Pietro da Spoleto
a lui fosse deltutto ignoto, e che forse fu scritto dopo il 1645, ma sempre
in quell'età in cui pullulavano le false genealogie, in: quel periodo me-
morando, in cui nella Città Serafica si affermavano e si vendevano a
pie persone forestiere false Case di Santi.

Inoltre ci sarebbe pure da chiedersi: Il detto Albero dell'asserito

(1) A titolo di: curiosità, e per far meglio conoscere quanto valga questo
autore secentescó che aveva l’improntitudine di dirsi bene informato e di ci-
tare come veri tanti e tanti documenti falsi, ricordiamo alcune delle fantasti-
cherie da lui inserite in detta Historia di S. Francesco:

a) Al battesimo di S. Francesco fece da Padrino un Angelo, e fu quest' An-
gelo che impose al bimbo il nome di Francesco (pag. 9);

b) Si puó piamente argomentare che S. Francesco «fusse nel ventre
della madre santificato » (pag. 13), nonché gli fosse concessa la grazia della
santificazione e confermazione in grazia (pag. 13);

c) S. Francesco, dopo la sua conversione allo stato perfetto, si confessò
generalmente dal Papa e questi gli diede un solo Pater noster per penitenza.
Ad avvalorare questa sua fantasticheria il Vitali cita un testo inesistente della
Hist. Trium. Sociorum (1l. c.);

d) Fra Masseo da Marignano (il Vitali Sandi dice da Melegnano) fu un
« Cortigiano famoso » (pag. 75);

e) Fra Rufino «Ciffi » fu anche lui «santificato nel materno ventre »
(pag. 76);

f) S. Chiara era degli « Sciffi » e suo padre si chiamò Favorino; questi
ebbe tre figlie, ma la Santa, essendo unica erede, restó signora del Castello
di Sasso Rosso (pag. 120);

g) Padre di Frate Silvestro, discepolo di -S.. Francesco, fu Bosone con-
sanguineo di S. Chiara, personaggio questo — come sappiamo — mai esistito
. altrove che in documenti falsi (pag. 120);

h) S. Francesco profetizzó la morte di Fratre Elia fuori dell'Ordine e
senz'abito (pag. 306); lo depose dal Vicariato dell'Ordine nel settembre del
1220, perché l'Elia, tra l'altro aveva fatto lo statuto di non mangiar carne
(pagg. 308-309) mentre invece si sa in modo certo che fino allora Frate Elia
non era stato affatto Vicario e aveva dimorato in Oriente;

‘ i) Assisi si chiama Città Serafica.. per particolare concessione
dei Papi (pag. 338)...
LA CASA PATERNA DI S. CHIARA * i 157

P. Pietro da Spoleto, conservato nell’ Archivio Generale dei Minoriti
Osservanti di Madrid come documento serio — tanto serio da far
parte dei Regesti dell'Ordine — fu conosciuto dal Wadding ?

Parrebbe di no, altrimenti ne avrebbe fatto menzione, sia pure
come di un monumento storico apocrifo, come fece più tardi il suo
‘avveduto confratello De Gubernatis.

Se poi il Wadding lo conobbe e non ‘ne fece, difatti, alcun conto,
è segno che lo giudicò veramente per quel che è, vale a dire un falso.

Ed ora, ecco l’ Albero famigerato insieme a quanto è scritto ai
quattro angoli di quel foglio, ove pomposamente troneggia.
Seguendo l’ Albero dalle radici alla chioma abbiamo:

Sesto Anici Petroni Probo Console generò Sesto atto Ormegiano Olivieri

Console, e Sesto Anicio Probo Console. In tre tondi a sinistra si ha poi: Sesto
Anici; Ormeggiano Olivieri Console fu Padre del Imperatore Flavio Oliveri;
Sesto Anicio Probo Console.

Sesto Anici Probo Console ebbe per figlio Sesto Anici Petronio Probo
Console

Sesto Anici Petronio Console ebbe per figli Vitaliano Anici, Giustiniano
Anici Console molto illustre.

Anici Giustiniano s'accasó con la figlia d'Anastasio Imperatore. — Figli:
Anici Eutropio fu Console di Norcia; Flavio Anici Probo. Tertullo, Anici
Germano.

Anici RAD s'accasó con Nieta dell Imperatore Teodorico d Italia.
Germano Anici; Giustiniano Imperatore.

Anici Germano sposó Teodora Imperatrice. (Qui ci dovrebbe essere il se-
guente Eupropio, ma... non c'é; Ce invece un « Anici Germano fu Padre di
Giustiniano »).

Anici Eupropio prese in moglie AbBOndabzs; i suoi figli S. Benedetto
Abate, S. Scolastica Vergine.

Anici Flavio s'accasó con una dell'Ottaviani; i suoi figli furono S. Fla-
via Martire, S. Vittorino Martire, Celio Eutichio.

Celio Eutichio fu padre di Anicio Celio.

Anici Celio s'accasó con Augusta: figli Bernardo Anicio, Redilio,

Bernardo Anicio s'accasó con Eupropria di Toscana: figli Flavio Anicio,
Anicia.

| Flavio Anicio s'accasó con Maria figlia di Ridolfo: Berardo Annio Anicio,
Macerino Anicio.

Berardo Anicio s'accasó con c Eonziana: figli Anicio Probo, Ponziana,
Annicia.

Anicio Probo ebbe per figli Berardo, Giulia, Anicia.

Berardo s'accasó con Eliana francese: figli Giulio Berardo, Berardo
Anicio.
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158 P. GIUSEPPE ABATE

Giulio Berardo ebbe per figli Berardo, Escolana.

Berardo s'accasó con Eupropria: suoi figli Stefano, Berardo, 2
Romualda.

Stefano ebbe per figli Berardo, Eutrando.

Berardo s'accasó con Giulia di Spoleto: Berardo, Eutranda, Candida.

Berardo ebbe per figli Berardo ossia Bernardo, Stefano, Eugenia.

Berardo ossia Bernardo s'accasó con Pica moglie assai ricca entro la
città di Assisi: il suo figlio Giovanni ossia Francesco.

Giovanni chiamato poi FRANcEsco fu vera effigge di Gesù Cristo Patri-
arca di una Religione molto estesa, illustre per tanti Santi e Sante e un nu-
mero grandissimo di Beati e Beate.

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Non pochi dei personaggi in esso nominati sono realmente esi-
stiti; nella maggior parte invece sono stati creati dalla feconda inven-
tiva.dell'entusiasta falsario, il quale, come ogni astuto e disonesto.
genealogista suol fare, mescolò il falso col vero, il fantastico col reale.

Invero, personaggio storico è stato Sesto Anicio Probo, console
romano del secolo rv d. C.; discendente degli Anici, cui apparteneva
quel Lucio Gallo Anicio che distrusse, nel 168 a. C., il regno d'Illiria.

Alla stirpe Anicia si fanno appartenere i SS. Martiri Canzio,
Canziano e Canzianilla insieme ai Pontefici S. Felice III e S. Gregorio
Magno. Della stessa celebre famiglia romana fu il santo filosofo e mar-
tire Anicio Manlio Severino Boezio, nonchè — secondo un’antica tra-
dizione (1) — S. Benedetto Patriarca dei Monaci d'Occidente, nato è a
Norcia territorio di Spoleto. |

Genealogisti dei secoli xvi e xvir agli Anici ricollegano le nobili
Famiglie romane dei Pierleoni, dei Frangipani, e, sopratutto dei Conti.
A proposito di questi ultimi va ricordato come il Ceccarelli ne tessè la
genealogia, infarcendola di numerosissimi falsi e dicendo quella fami-
glia della progenie Anicia; mentre invece il dotto e discreto Felice Con-
telori, Archivista della S. Sede nel 1626, che conobbe assai bene l'opera
del falsario umbro, ritenne che l'origine dei Conti proviene da Trasi-:

.mondo padre di Innocenzo III, conte di Segni.

(1) Secondo lo Scuwrrz, dell'origine di S. Benedetto non si può dire altro
di sicuro che quanto scrisse S. Gregorio Magno, e cioé che fu di « liberiori genere »
Che il Santo discendesse dagli Anici, il cit. critico non fa nemmeno cenno (cfr.
Dictionn. d'Hist. et de Géograph. P Paris, Libr. Letouze)o 1935,
col. 227).
LA CASA PATERNA DI S. CHIARA 5 IND

Nessuno però — come invece si dovrebbe dedurre dall’ Albero del
nostro Pietro spoletino — associó S. Francesco d'Assisi ai Conti, ai
Pierleoni, ai Frangipani, a S. Gregorio Magno, a Boezio, ecc. nella
comune origine romana dagli Anici.

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Veniamo alle note ed alle « autentiche » che accompagnano l'Al-
bero. |

In alto, a sinistra:

« Fatto dal P. Pietro da Spoleto Cronista del Re di Francia ricavato dai
seguenti Autori — Arnaldo d'Urbino Storia di Montecassino nell'Albero di
S. Benedetto = Pannuino Storia di Subiaco = S. Gregorio Magno Historia di
S. Benedetto = Aranjo Celio Probo Nobiltà degli Anici cap. 8 $ II = Cassio-
doro lib. 10 Ep* 12 = Plinio lib. 33 cap. 10 = S. Girolamo Ep? 8 = Paolino
nella vita di S. Ambrogio = S. Secondino Tom. 6 di S. Agostino = Baronio.
Tom. 4 anno 395 — S. Giovanni Crisostomo Ep? 168 — S. Prospero Ep. 48

. — Pannuino lib. 3/Fastorum = Tritemio lib. 1. c. 1 = Arnoldo lib. 1. c. 1.
= S. Gregorio lib. 2. cap. 1. = Pietro Diacono. = Anastasio Bibliotecario
.= Adrebaldo Miracoli di S. Bendetto lib. 1. cap. 1. = Svetonio in Vespasiano
— Ugo Milanese vita di S. Francesco — Sallustio Francese Genealogia dei
Berardi ed Anici cap. 5, foglio 203 ».

In alto, a destra:

«Autori Spagnoli, quali P. Antonio Zappata Arragonese cita per l'Ap-
provazione di questa Genealogia, la quale egli tradusse dal Francese in Spa-
gnolo. Lepes con gli altri Autori riferisce tom. 1. centuria 18, foglio 14, 15,
16, 17, cap. 11— Sandoballe nel libro intitolato S. Benedetto in Castiglia 12.
l. foglio 12. cap. 1 = Camargo l'anno del Sig? 1180 = Giovan Basilio San-
toro nella vita di S. Francesco — Fra Girolamo Romano nella Fondazione
dell Ordine Serafico, tomo 1— Fr. Alfonso da s. Vittore nel Sole d'Occidente.
Tomo 1— Palludio cap. 1 n. 5. ed altri molti Autori, quali nel luogo citato

. riferisce Fr. Pietro della Vega nel Flos Sanctorum ».

In basso, a sinistra:

« Pietro da Spoleto Cronologo del Ré di Francia scrisse la Genealogia dei
Patriarchi delle Religioni Principali. Questo libro lo mostró a D. Antonio
Zappata Monaco di S. Bernardo. Da questo med. libro fü cavata la presente
Genealogia, ed in questo foglio riportata nel Convento di S. Francesco della

| Città di Burgos nel giorno 26 Aprile 1652.
Fra Giuseppe Pardo Lettor Teologo in detto Convento ».

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160 P. GIUSEPPE ABATE

In basso, a destra:

«Ego infrascriptus S. Theologiae Lector Jubilatus pro Conv. Immacu-
latae Conceptionis, Catholicae Majestatis Theologus, Supremae Inquisi-
tionis Hispaniarum Censor, Provinciae Castellae Custos, atque in hoc
Matritensi Ordinis Seraphici Archivista Generalis, fidem facio, et attestor
supradelineatam Arborem Genealogiae S. P. N. Francisci esse copiam alte-
rius existendis in memorato Archivio, collatamque respondere punctualiter
suo Originali, quod in Scrinio, cum Decretis, -Decisionibus Ministri Gene-
ralis in scripto depositum, et servatum manet.

In cuius fidem subscripsi.

Matriti die 8 Julii Anni Domini 1699 Fr. Lucas Alvarech a Toledo Ar-

chivista Generalis ».

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Questo nostro studio, al quale abbiamo per maggior chiarezza
dato la forma di brevi monografie, è inteso a portare una nuova luce
intorno agli inquinamenti della coltura storica verificatisi nell'am-
biente Assisiate tra la fine del secolo xvi e del xvIr.
ia - Tale precisazione, doverosa per chiunque intenda concorrere
alla reintegrazione della verità oggettiva nella complessa e talora con-
fusa storiografia francescana, costituiva per noi uno speciale impera-
tivo categorico. Essa porta un contributo effettivo alla illustrazione.
della tesi da noi ampiamente svolta nel nostro studio intorno a «La
Casa dove nacque S. Francesco ».

Essa illumina l'ambiente secentesco della Città Serafica, nel quale
G. Battista Bini, potè offrire al munifico denaro e alla ingenua pietà
di un venerabile religioso straniero una fittizia Casa di S. Francesco,
senza nessun’altra garanzia all'infuori della interessata affermazione
del venditore; mentre il popolo di Assisi, fedele a una devozione sette

‘volte secolare, rinnovava d'anno in anno il meritato culto amorevole
al luogo dove la storia e la tfadizione hanno celebrato la nascita e i primi
vagiti di S. Francesco Pargoletto. |
P. GIusEPPE ABATE
O. F. M. Conv.
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AN. 1148, LUGLIO. — Obbligazione di Offreduccio di Bernardo, nonno di S. Chiara,

e di suo fratello, in favore della Chiesa di S. Rufino.

(Archivio della Cattedrale, fasc. II, n. 98).

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AN. 1198, 9 DICEMBRE. — Sentenza di Buon Barone, Console di Assisi, data in S. Rufino, alla

quale fu testimonio Scipione di Offreduzzo, zio di S. Chiara e padre del Beato Rufino
Compagno di S. Francesco.

(Arch. della Cattedrale, fasc, II, pergam. n. 156).
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AN. 1259, 16 LUGLIO. — Atto di rinunzia alla eredità paterna fatto dalla Beata Benedetta

d'Assisi, prima abbadessa di S Damiano dopo S. Chiara.

(Archiv. della Cattedrale, fasc. II, pergam. n. 97),

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AN. 1278, 27 sErTEMBRE. — Testamento di Chiara di Paolo
di Scipione di O/freduccio, nipote di S. Chiara e del B. Rufino.
(Bibliot. Comunale di Assisi, Strumenti
S. Convento, tomo V, pergam. n, 2),
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Seraphica Religio. |

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GALLI è IU Zio einer Donee Stenma dedere suo. i

spite FRANCISCI antiquo efl bona reddita proles,
— Namque bonos fruAus fert bona planta suos, I
Sed tantum haec proles quartum genus attipit ipsum,

Nam nulli parcens atra lues,

Albero Genealogico di S, Francesco. secondo Fr. Pietro da Tossignano.
(Hisl. Seraph. Religionis, Venezia, 1586, fol. 3).
«

CONTRIBUTI ALLA STORIA
DELLO STUDIO PERUGINO

PREMESSA

. La storia dello Studio Perugino, non ostante l’antichità dell Isti-
tuto e la riconosciuta importanza dell’apporto da esso dato al progresso
scientifico e civile dell’umanità particolarmente nel campo del Diritto, è
ancora tutt'altro che nota nelle sue vicende e nei suoi documenti.

È per questo che la ‘Commissione di recente costituita, al fine ap-
punto di promuovere gli studi storici sull’ Università di Perugia, men-
tre va sollecitando la stampa di un’ampia storia dell' Ateneo che vedrà
quanto prima la luce per cura del professore Giuseppe Ermini, e dopo

. aver affidato al dottor Danilo Segoloni il lavoro per l'edizione del « Char-

tularium » contenente la documentazione della vita plurisecolare dello
Studio, inizia in questo « Bollettino » la pubblicazione di una serie di

«« Contributi », volti ad illustrare punti e momenti particolari della storia
universitaria.

Perugia, -20 dicembre 1944.

LA COMMISSIONE
PER LA STORIA DELL'UNIVERSITÀ DI PERUGIA

FAUSTO ANDREANI
RAFFAELE BELFORTI
AcHiLLE BERTINI CALOSSO
IrALO CiAURRO
GiUSEPPE ERMINI



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L'UNIVERSITÀ DI PERUGIA
E I SUOI STORIOGRAFI

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Di nessuna delle nostre Università potrebbe ancora scriversi
una compiuta storia: per tutte vengon fuori nuovi documenti e
notizie che aggiungono, chiariscono, correggono. Inoltre la loro
vicenda si va prospettando su di un piano ognora piü vasto; non
solo istituto di istruzione, quindi in rapporto con lo sviluppo della
cultura; ma istituzione storica di maggiore contenuto e riflesso,
in contatto con tutta la vita politica, sociale e civile.

Il lavoro di ricerca in questo campo è attivissimo; per l'U ni-
versità di Perugia è rimasto più addietro di quanto essa lo richieda e
lo meriti. | Vai

Interessante ed importante espressione di vita,intellettuale
è stata quella dello Studio nostro nel numero delle U niversità ita-
liane; ed anche nello svolgersi della cultura nazionale, di cui si ricol-
lega allo spontaneo rinascere. Non sorge difatti tutto d’un tratto,
per esplicita volontà di autorità determinata, quando il compito della
istituzione è pienamente penetrato nelle coscienze e soddisfa ad un
chiaro, consapevole bisogno. Ma spontaneamente, gradatamente, nel
laborioso periodo dei primi secoli dopo i Mille, allorché il risveglio
intellettuale da molteplici scuole private e pubbliche, però slegate e
frammentarie, sbocca nella créazione di una scuola che insegna uni-
versa universis, e il potere civile ne assume in pieno la cura, tra i fini
che spettano alla propria missione (1). | È

(1) Così si conclude dai dati e dagli elementi posseduti sui primordi del
nostro Studio. Quello di una più precisa determinazione, di tempo e di modo,
della sua origine, è problema che rimane aperto; e tale forse resterà. Nuovi

— documenti nell’ Archivio antico cittadino, dopo i rintracciati ed editi da ApAMo
Rossi, è molto improbabile che se ne ritrovino, essendo ormai bastantemente
. esplorato. Può sperarsi in qualche nucleo documentario relativo a Perugia che
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.L'UNIVERSITÀ DI PERUGIA E I'SUOI STORIOGRAFI

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A qualunque specie di scuola locale possa riallacciarsi nelle,

sue origini lo Studio perugino, scuola di cattedrale o cenobiale,
scuola stessa del Comune, inferiore o speciale (notarile), scuola li-
bera di maestri, é indubitato che, se non avanti la metà del Due-
cento, non molto dopo però esisteva.

Esisteva come Studio; cioé come forma di insegnamento, sia
pure non ancor fatto capace di tutti i suoi effetti specifici, quale

la licentia docendi, peró separato e distinto per sua natura e forma.

da tutti gli altri insegnamenti preesistenti e coesistenti nella città.
Insegnamento che con parola nostra diremmo Superiore, perla qua-
lità dei docenti, il grado della materia insegnata, e per i discenti:
non gli scolari del luogo, ma giovani ed uomini qui accorrenti da

si scoprisse conservato altrove; o in una di quelle notizie incidentali che vengon
fuori inattese da fonti le piü remote. | ;

Il suo sorgere per spontanea, graduale formazione non esclude peró pro-
positi ed atti del Comune, o di qualsiasi altro potere costituito, per gettarne
le basi e dargli vita. L'origine per assoluta iniziativa particolare, all'infuori
d'ogni azione di poteri e di autorità tradizionali, era tesi che tanto attraeva
in tempi di una mentalità che il bene scorgeva derivar solo dall’individuo e
il male dallo Stato o chi per lui; e tutta ispira al nostro maggior poeta dell'ul-
timo Ottocento quello splendido discorso per la celebrazione secolare dell 'U-
niversità di Bologna, che nel contenuto storico potrebbe anch'essere riveduto
e corretto: «La scuola universitaria italiana surse e crebbe privata ». (GIOSUÈ
CARDUCCI, Lo Studio Bolognese.: Discorso per l'ottavo centenario. Bologna,
1888, Nicola Zanichelli, pag. 21).

Ma comunque sia sorto, lo Studio entra al più presto iù diretto rapporto
coll’autorità politica e civile.

Anzitutto il Comune. Lo Studio s’innesta e si ingrana nella vita comunale;
diviene un elemento costitutivo della città-stato, entrando a far parte del com-

‘ plesso delle varie energie che lo compongono e l’attivano. Con esso il Comune
supera l’angustia del particolarismo cittadino e si lancia ad un’avventura

di cosmopolitismo, assumendo una funzione di universalità nella sfera intel-.

lettuale, insieme e al disopra di quella che cerca procurarsi sul terreno economico
con l'esercizio della mercatura e del credito.

Laddove si forma una Signoria, lo Studio, se c’è, riesce fattore integrante
e complemento validissimo della potenza e dello splendore del principato.
Infine nella formazione accentrativa e assolutistica dell'aggregato politico
moderno, lo Studio diventa organo e funzione di Stato; strumento dei suoi
compiti, espressione della sua autorità diretti va. :

Questo adatfarsi di rapporto dello Studio col variare del potere dominante,
naturalmente si riffette nei suoi caratteri strutturali, nella sua capacità di mo-
' vimento, nei modi e la portata della sua azione culturale.

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164 RAFFAELE BELFORTI

, vicine e remote contrade, se pur non costituiti di già nella propria
tipica organizzazione corporativa. ;

I] piü antico documento finora conosciuto che parli espressa-
mente di Studio é del 1266: documento del Magistrato cittadino,
che fa indurre dal suo tenore come l'istituzione fosse già in essere da
tempo; mentre le condizioni storiche e ambientali della città in quel
secolo xir che sviluppa tutti i germi della civiltà Italica che risorge,
si dimostrano le più DIORIZIE perché vi potesse e dovesse prosperare
uno Studio.

Basti accennare: potenza politica di Perugia che, con l’arti del-
la pace e della guerra, è giunta ad estendere supremazia ed influenza
per amplissimo raggio sulle città e paesi circostanti; ordinamenti
di libero Comune con complessa legislazione statutaria che richiedeva
opera e consiglio di valorosi giurisperiti, pur necessari al fianco delle
magistrature; vita cittadina ricca di eventi, fervida di movimento.
Quattro Conclavi, nel Duecento, si sono svolti in Perugia; i Pontefici
vi fanno ripetuto passaggio e dimora con la loro corte. Nella piazza
maggiore, il 17 giugno del 1304, Benedetto XI pronuncia quelle
parole di esecrazione per l’attentato di Anagni perpetrato contro il
suo predecessore che hanno così singolare concordanza d’espressione
con i versi di Dante, nel XX del Purgatorio, da fare affermare che
il Poeta sia stato presente ad udirle (1).

(1) Specialmente tale presenza dei Papi con l’intera Curia doveva far sen-
tire alla città l'esigenza di mantenersi ambiente di elevatezza intellettuale,
e diventar quindi centro di studi e di cultura superiore. Seguiva la Curia nel
suo vario trasferirsi, uno Studium suo proprio o Schola palatina,non compren-
dente però tutti gli insegnamenti, né a tutti aperta: carattere questo, invece
essenziale dello Studio laico e cittadino (cfr. NicoLa Spano, L'Università di
Roma. Roma 1935, « Mediterranea », pag. 5). Ma uomini di particolare dottrina
tale Studium Curiae doveva portarli con sé. Perugia desiderava e sperava che
i Pontefici l'eleggessero a loro abituale dimora: ve l'invita e sollecita. I Magi-
strati, con deliberazione del 21 luglio 1392, convengono di dare a Bonifacio IX
il dominio della città con tutti i suoi castelli Spenden purché il Papa vi po-
nesse la sua stabile residenza.

Per che Dante nelle sue peregrinazioni sia | voluto salire anche a Perugia (non
ce n’è notizia storica) potrebbe, fra le ragioni di visitarla, esservi stata anche
quella del nome di città colta che doveva essersi acquistata nell'Itaiia centrale.

Nel suo saggio su l'attentato di Anagni (« Boll. dell'Ist. Stor. It.», n. 41,
del 1921) Pietro FEDELE ha richiamato l'attenzione sulla corrispondenza tra
le espressioni di Benedetto XI, tramandateci dal continuafore dei Flores hi-
storiarum di Westminster, e i versi di Dante; già notata dal WENCK (nell'« Hi-
storische Zeitschrift » del 1905), ma sfuggita ai Dantisti. Benedetto XI stava
L'UNIVERSITÀ DI PERUGIA E I SUOI STORIOGRAFI 165

Nei primi del Trecento, mentre si tiene quel lungo Conclave, da

cui esce eletto Clemente V, le pressioni, i maneggi, l'aspettativa dei
potentati cristiani per la scelta del nuovo Papa, che assorge ad un'im-
portanza eccezionale, convergono qui l'attenzione generale, e fanno
sì che per un momento Perugia diventi quasi il centro politico di
Europa (1). |

L'attività civile frattanto si svolge con intenso ritmo: le Cor-
porazioni delle Arti si costituiscono operose e numerose. Accanto
allo sviluppo politico, economico, quello dell’intelletto e del sen-
timento non possono mancare. Segno espressivo di elevazione spi-
rituale, si innalzano entro la cerchia cittadina e nel dintorno, stu-
pende costruzioni architettoniche e mirabili monumenti a cui la-
vorano artefici locali e forestieri; il magistero plastico e pittorico
tutto riempie ed informa di sé, gli edifici e le cose, sia destinati al
culto sia alle funzioni civili (2).

conducendo sforzi da Perugia per riporre pace in Firenze. Che Dante fosse ve-
nuto qua per secondarli ? FRANcESco GuARDABASSI resiste alla lusinga di
pensare ad una presenza di Dante in quel momento e per tale intento, non lo
ritenendo probabile perché l’ Alighieri, già diviso da tempo dai compagni mal-

vagi e scempi, è solo nel suo disdegno (v. Dante e Perugia, cap. IV. Perugia,

1934, Tip. G. Donnini). Il FEDELE, in una lezione tenuta alla R. Università
per Stranieri sul tema Il Conclave di Perugia nella lettera di Dante ai Cardinali
Italiani ha tratto da questa altro argomento per riaffermare la presenza del
Poeta. (Cfr. « Boll. della R. Univ. p. Str. di Perugia », 1935, pag. 301).

(1) V. sul Conclave Roworo CaGGESE Roberto d'Angió e i suoi tempi,
Vol. I, pag. 27 e segg. (Firenze 1922, R. Bemporad e F.), e le opere ivi cit.

(2) Tra gli storici passati illustra più ampiamente questo periodo FRAN-
cesco BARTOLI nella sua Storia della città di Perugia sopra memorie raccolte
e compilate da Luigi Belforti (Perugia, 1843, Vincenzo Bartelli); tra i recenti
WILLIAM Hgvwoop: A History of: Perugia (London, 19107? Methuen, and C.»),
e l'ultimo storico della città, FRANCESCO GuaARDABASSI: Storia di Perugia,
Vol. I (Perugia, 1933, Tip. G. Donnini). Sul movimento artigiano ha fatto uno
studio ANTONIO BRIGANTI: Le corporazioni delle arti nel Comune di Perugia.
‘Sec. xir e xiv (Perugia, 1910, Guerriero Guerra). Per i monumenti cittadini e
l'operosità artistica dell'epoca son da vedersi WALTER BOMBE: Perugia (Be-
rühmte Kunststádten, Band 64, Leipzig, 1914, E. A. Seeman) e D. ETTORE
Ricci: La Chiesa di S. Prospero e i pittori Perugini del ’200 (Perugia, 1929,
V. Bartelli e C.).

‘ Alla conoscenza delle fonti documentarie dell'epoca viene a recare impor-
tantissimo contributo il Regestum Reformationum Comunis Perusii ab anno
MCCLVI ad annum MCCC, preso a pubblicare da VINCENZO ANSIDEI nelle
«Fonti per la storia dell'Umbria» edite dalla R. Deputazione Umbra di Storia
Patria, e rimasto al primo volume, 1256-1260 (Perugia, 1935 presso la R.
Deput.) per la morte del compianto illustre autore.

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166 RAFFAELE BELFORTI

Un Comune in questo rigoglio doveva aver l'ambizione d'ac-
cogliere all'interno della sua cinta anche uno Studio. Tutte le città
vi ambivano. Il profitto materiale che portava l'istituzione vi aveva

la sua parte: ma anche il vantaggio morale era ben sentito dalla

nascente civiltà comunale. Uf civitas perusina sapientia valeat elu-
cere et in ea studium habeatur, si legge in un frammento di Statuto
del 1285; e cento anni appresso, quando nello Studio hanno già
insegnato e Cino da Pistoia e Bartolo e Baldo, e Tommaso Del Gar-
bo e Gentile da Foligno, il Comune può ripetere: Cum studium
Perusii sit precipua corona et decor unicus QUE Perusii (Annali
X-virali 1385, 24 aprile).

Gli atti della Magistratura cittadina, che a Perugia per buona
sorte in grandissima parte rimangono, esprimono eloquentemente
quel che per la città rappresentasse lo Studio. Se mai nella sciatta
prosa del notaio che verbalizza le decisioni dei Magistrati, risuoni la
passione che li anima pei civici interessi, é nel parlare di questa crea-
tura dalla città prediletta.

Ognuna che l'avesse, voleva diventasse il piü famoso fra quanti
mai. Non era il medesimo per la cattedrale, per il civico palagiò ?
Dovevano essere i piü belli fra quanti ce ne fossero, ne potessero sor-
gere. Ingenuo, ma commovente comando alla sapienza come alla
bellezza, di fissare la loro ultima, suprema sede entro la cerchia delle
proprie mura. Ogni città par che nutra il sogno ambizioso, generoso,
invidioso, di poter esser lei la gemma piü fulgida del diadema di cui
l'Italia in quell'età torna nuovamente a recingersi. Sogno che fa
grondare sangue tra genti della stessa stirpe; ma crea anche opere
e valori di cui si pasceranno le generazioni a venire.

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La città non bada a spese per assicurarsi lo Studio. Con 250

«$i» contro 22 «no», i Camerlenghi delle Arti in un'adunanza del

25 novembre 1317, deliberano di entrare in trattative con un tale
che si ofire di procurare dal Papa dei privilegi perlo Studio, dietro un
compenso di mille fiorini d'oro. Doveva essere un millantatore, perché
nelle Riformanze costui non riapparisce; ma il Comune era disposto
a spenderli, come tanti altri ne aveva già spesi, e ne spenderà (1).

(1) La profferta di quel tale, che resta sconosciuto, puó condurre a qualche
malinconica considerazione sul modo come riuscissero ad ottenersi privilegi dai
piü alti poteri. Appare negli atti del Magistrato, del 1318, un nobilis Miles
L'UNIVERSITÀ DI PERUGIA E I SUOI STORIOGRAFI 167

Gli scolari oriundi della città, in una petizione ai Priori delle Arti
(7 febbraio 1319) per essere esonerati da ogni contributo in col-
lectis et datis quibuscumque imponendis inter scolares tam pro
doctoribus, quam etiam bidellis, et pro bancis sive alijs quibuscumque,
richiamano la infinitam pecuniam che la Città ha già speso negli anni
trascorsi pro studio querendo et privilegiis ipsius. 5)
Gli sforzi finanziari sostenuti dal Comune debbono idr
tanto più ingenti, quando si sappia che Perugia non è stata mai
città molto ricca. La ricchezza non sale le alture: circola nei piani
dove corrono e s'incrociano le vie dei traffici. La floridezza dei Co-
muni era in relazione ai commerci (1). A Perugia le fortune indivi-

symon de Giacanis, che ha portato e procurato la concessione del Dottorato,
e chiede, oltre un rimborso di 28 fiorini: d'oro per le spese vive sostenute, un
compenso per quanto in procuratione dictorum privilegiorum laboraverit.

(1) La esistenza del Comune è legata al suo commercio; il capitale si forma Cg È

È attraverso l’attività mercantile, ed è nelle mani dei mercanti: e il capitale

| commerciale sta al centro della nuova organizzazione della società economica,

domina l'industria, la finanzia, l'organizza: scrive FrLipPo CARLI (Il mercato
nell'età del Comune. Padova, 1936, Cedam).

A Perugia pure, é vero, come generalmente, la corporazione dei iunt antt

è quella che precede le altre (cfr. ANTONIO BRIGANTI, Le Corp. ecc., cit. pag. 17)

ed é in opera un'attiva relazione con gli altri centri mercantili; tante volte il

nome di Perugia ricorre nei registri e libri conosciuti di antichi commercianti

di altre città; prodotti ed articoli di fattura locale, trovano smercio fuori;

panni perugini si vendono lontano. La posizione dominante tenuta nella città

dall'Arte della Mercanzia insieme all'altra del Cambio, è indiscutibile. Però

come nessuna produzione del luogo, o di materie prime, o di manufatti, assume

il valore che puó derivare da specialissime qualità o da condizioni di fatto mo-

: nopolistiche, così non spicca in Perugia nessuna di quelle figure di mercanti,

È di banchieri, di ditte commerciali, che assorgono al rango e alla funzione di po-

È tenze CROATO Tra le ragioni sta certamente la prima di quelle assegnate

da ALFREDO DonEN (Storia economica dell’ Italia nel Medio Evo. Padova, 1936,

Cedam, pag. 372): la posizione dell’ Umbria fuori delle grandi strade di comuni-

4 cazione che attraversano l'Italia. L’ altra, cioè l’agitazione politica da cui erano

dilaniate le città dell'Umbria, non può essere stata di impedimento qui, più di

d anch'esse straziate dalle lotte intestine. Assai discutibile é infine anche quella
(| di un cercato distacco dagli interessi del mondo, conseguenza della predica-
Zione Francescana. Il movimento Francescano non assorbi gran fatto la po- )
polazione in ascetismo: altra fula sua influenza sociale.

Potrà piuttosto avere per natura qui fatto difetto la vera e propria razza
del mercator, di questo caratteristico venturiero e condottiero dell'economia,
mel Due, Tre, Quattrocento, come non vi mancó invece quella dell'uomo d'àrme
e del venturiero militare. Ma la mercatura vi fu praticata, e onorata anche, co-

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quanto non lo sia stata in altre città di maggiore sviluppo commerciale, e pure W |

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RAFFAELE BELFORTI

duali, il movimento della ricchezza privata e sociale, da cui si ali-
menta la pubblica finanza, non sono mai assorti alla entità che in
altri luoghi, di situazione più propizia per la produzione e gli scambi.

La impossibilità intuita, di poter gareggiare con altri nelle

me altrove: pure dalla Nobiltà, senza pregiudizio per la classe. I discendenti di
Bartolo, famiglia divenuta nobilissima pei privilegi concessi al grande luminare
del Diritto dall'imperatore Carlo IV, tra cui, per stemma gentilizio, il leone rosso
dalla doppia coda, in campo d'oro, insegna dei Re di Boemia, esercitava la

la mercatura (cfr. GIANCARLO CONESTABILE, Memorie di Alfano Alfani. Pe-

rugia, 1848, Vincenzo Bartelli).

Baldo che, nella sua vasta opera, ha toccato diverse questioni riguardanti
il commercio, vi fu condotto dall'essere egli stato avvocato del Collegio della
Mercanzia della propria città natale. Quia advocatus sum artis mercantiae,
ideo ponam hic quandam sumulam quae respicit facta mercatorum; cosi si

esprime in una sua Lettura sul Codice.

Come la città col suo reggimento autonomo, presentava alla riflessione
dei Lettori del proprio Studio prob'emi politico-giuridici, di che si ha larga
traccia in Bartolo, cosi la città stessa con le sue corporazioni d'arte, col suo
commercio offriva altra materia economico-giuridica alla elaborazione concet-
tuale. Baldo ci dà insieme, in questo caso, esempio dell'influenza che puó
avere avuto la pratica professionale sulla teoria svolta dalla cattedra, e prova
di quanto l'insegnamento dottrinale sentisse vicina la realtà della vita civile.

Un discendente di Ba!do, Pietro II Baldeschi, vissuto nel Quattrocento,
nel suo Tractatus de duobus fratribus fa l'elogio della Mercanzia: Sunt autem
variae hominum artes, ex quibus magna civitati commoditas et utilitas compa-
ratur. Sed nullam puto mercatura commodiorem ; et ad vitae usum et ad conser-
vationem societatis humanae (Ad cives et primates Perusinos Praefatio).

Peró nella struttura economica comunale costituita, come scrive ancora
il CARLI, da due economie complementari urbano-manifatturiera da un lato
ed agraria dall’altro, qui a Perugia tiene sempre una parte preponderante la
agricola. E il Comune considera questa quale prima e maggiore sorgente della
sua prosperità.

In quel mirabile monumento che è la Fontana di piazza, dove Niccolò
e Giovanni Pisani sullo scorcio del Duecento scolpirono, quasi in una Sum-
ma, figure allusive a tutta l’attività spirituale e materiale dell’uomo; religione
e scienza, storia e vita quotidiana, concludendo’ con la glorificazione della
città nel momento attuale, fino a riprodurvi le effigie reali del podestà e del
capitano del popolo allora in carica, nessuna figura aliude a manifatture o
traffici quali espressioni dell’operosità della popolazione. Vi sono invece le fa-
tiche dei campi, della caccia, della pesca, simboleggiate coi mesi e coi segni
zodiacali: Perugia vi è rappresentata stringente il corno ricolmo di grano,
d'uva, di frutta, e Augusta Perusia est fertilis de omnibus his dice l'iscrizione.
Ad un suo lato è scolpita una figura di donna con mazzo di spighe: Domina
Clusii ferens granum Perusie: la regione di Chiusi, la fertilissima contrada

soggetta a Perugia, fra la Chiana e il Trasimeno. E all’altro lato, a quest’ultimo

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L'UNIVERSITÀ DI PERUGIA E I SUOI STORIOGRAFI - 169

capacità produttive, determinò certamente il Comune a concentrare
le massime cure sullo Studio; essendo anche questo strumento di
supremazia e fattore d’influenza attrattiva ed espansiva della città.

II:

Al pari del Comune perugino che, se non dei primissimi a for-
marsi, non fu però degli ultimi, così il suo Studio.
. E certo intanto che la Bolla di Clemente V che nel 1308 lo

dichiara Studio generale (1), riconosce un istituto funzionante da

allude appunto altra figura di donna che reca pesci: Domina laci ferens pisces
Perusie. Costituiva difatti il pesce del vicino lago un cospicuo cespite di entrata
per il Comune (cfr. Statuta et Ordinamenta Artis Piscium Civitatis Perusi pub-
biicato da ANTONIO ScraLoIA nel Vol. XVI del « Boll. della R. Dep. di Storia
Patria per l'Umbria »). Pesce che puó procurare ai Perugini la beffa di Buffal-
macco, quando intorno al capo del loro Santo protettore dipinge un'aureola di
lasche ; ma serve anche al Comune di carta diplomatica da giocare, quando i
Papi lo richiedono per le cene di magro dei Cardinali.

Tutti prodotti della natura quindi: non dell'arte o dell'industria. La fe-
racità della propria terra, accanto alla forza delle sue armi, forma il titolo
d'orgogiio del Comune. Fertilis ac fortis sum, dice in propria persona Perugia
nel poemetto l'Eulistea, che nel Duecento il Magistrato dette incarico a Boni-

facio da Verona di scrivere per celebrarne l'origine e i fasti. (E pubblicato in

parte nel Vol. XVI dell'« Arch. Storico Italiano »).

Anche nei colori dello scudo degli emblemi dei Rioni in cui era ripartita
la città, si allude ai prodotti del contado entranti per le rispettive porte. Giallo
è di porta S. Pietro, perché di là veniva il grano della rigogliosa pianura per-
corsa dal Tevere; rosso di Porta S. Angelo donde entrava la legna da ardere;
verde di Porta Eburnea, che dava ingresso agli ortaggi; azzurro di Porta S.
Susanna, a cui faceva capo la via verso il pescoso Trasimeno. Di colore bianco
infine è quello di Porta Sole, alludendo alla farina, giacché da quels parte erano
in maggior numefo i molini.

Ora l'economia prevalentemente agricola, se anche poteva addurre alla

città agiatezza e benessere, non poteva procurarle quell'esuberante ricchezza
che danno solo i più intensi ed estesi sviluppi di manifatture e commerci.

(1) La Bolla è datata vj Id. Septembris Pontificatus nostri anno tertio;
quindi I'8 di settembre del 1308. Tutti gli storici del nostro Ateneo l'hanno ri-
portata invece al 1307. Lo stesso Bollario Romano (Edizione Torinese, tomo

IV. 1859, pag. 192) le assegna quest'anno. Il DENIFLE (Die Universitàten des

Mittelalters bis 1400, Vol. I, pag. 538, Berlin, 1885, Weidmannsche Buchhand-
lung) rileva però come Clemente V contasse gli anni del Pontificato dal giorno
della coronazione, avvenuta il 14 novembre del 1305; la data quindi della
Bolla va a cadere nel 1308. E questa data conferma il Regestum Clementis

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170 RAFFAELE BELFORTI

lunga data e con tutti gli elementi dell'insegnamento universitario,
nella Legge Civile e Canonica, in gramatica, loica et aliis artibus — di-
ce una Riformanza comunale del 1276 — in firica (Medicina) — un'al-
. tra del 77. La disposizione del Comune precedente la Bolla, lo Statuto
del 1306, primo atto legislativo che disciplini in modo stabile il re-
gime dello Studio, non fa che concretare in norma giuridica precisa
un ordinamento maturato nei fatti, dichiarando il numero dei do-
centi e la qualità delle materie: iiij doctores in iure civili duo doc-
tores in iure canonico unus magister in medicinalibus unus magister
in logicalibus et unus magister in gramaticalibus, oltre sicuramente,
l'insegnamento tradizionale dell'Arte notarile (1).

Papae V ex Vaticanis archetypis SS. D. N. Leonis XIII P. M. iussu editum,
etc. (Romae ex Typographia Vaticana, 1886); diguisaché la erezione del no-
stro a Studio generale deve senz'altro fissarsi nel 1508.

Nel 1377 Gregorio XI (che pure, giovinetto, era stato allo Studio perugino
e per esso, Pontefice, aveva addimostrato premura) per punire la Città della
. ribellione al rappresentante papale, insieme alle scomuniche le ritolse il pri-
vilegio dello Studio generale in quacumque scientia vel facultate. Due anni dopo
Perugia e la Chiesa si riappacificarono. (Cfr. EUGENIO DuPRÈ THESEIDER, La
rivolta di Perugia del 1375 contro l' Abate di Mommaggiore, estr. dal Vol. XXXV
del « Boll.:della R. Deputazione di Storia Patria per l'Umbria », Perugia 1938,
pag. 89).

(1) L'Università nostra può facilmente farsi rientrare quanto le altre,
in qualcheduna delle categorie in cui hanno creduto di poterle classificare
i sistematici di queste indagini storiche.

L'esistenza dello Studio deriva a Perugia da ambedue le fonti di diritto
su cui la basa BARTOLO: ex consuetudine e ex privilegio.

Prima che questo giungesse sotto la forma della Bolla di Clemente V,
lo Studio, si è visto, esisteva di fatto già da un pezzo. Ma giacché il documento,
c’è, tanto per assegnarla ad una categoria, tra le due specie di Università che
distingue il DENIFLE, quelle mancanti e quelle provviste di lettera di fondazione,
si può con lui comprenderla fra quest’ultime. (Die Univ. des Mitt. Vol. I: Die
Entstehung der Universitáten, solo pubblicato).

La nostra Università appartiene naturalmente alla specie propria dell’ U-
niversità italiana, di cui il prototipo è quella di Bologna; a quelle quindi in
cui la scolaresca prevale sui maestri, secondo la distinzione dei due tipi, ita-
liano e francese, posta dal SAVIGNY, nella sua classica P UOrI del Diritto Ro-
mano nel Medio Evo.

I documenti che SAONA per i primi secoli del nostro Studio met-
tono in evidenza questa parte dominante che Bann gli scolari nel suo funzio-
namento. . È

E così la nostra appartiene alla categoria di quelle che il KAUFMANN
chiama Università cittadine per l’autorità che le governa in confronto alle
altre che regge il Vescovo Cancelliere, o il potere statale (GEORG KAUFMANN:
L'UNIVERSITÀ DI PERUGIA E I SUOI STORIOGRAFI 171

Costituito su indiscutibili basi di diritto per atti solenni delle
autorità massime, dalle Bolle, la ricordata di Clemente V, e quelle
di Giovanni XXII del 1318 e '21 che autorizzano al conferimento
del Dottorato in Giure canonico e civile, la prima, in Medicina e nelle
Arti liberali l'altra (1); fino ai Diplomi imperiali, del 1355, che gli
confermano ed accrescono facoltà e privilegi; illustrato da nomi di

Die Geschichte der deutschen Universitàten, Vol. I, Stuttgart. 1888, J. G. Cott-

schen Buchhandlung. Cfr. Cap. III. In questa Vorgeschichte è prospettato
l'istituto universitario nella generalità della sua formazione storica). Non bi-
sogna dimenticare però che nel periodo comunale la Città è anche lo Stato.
Il Vescovo poi è Cancelliere dello Studio sin dai primi secoli; ma senza poteri
direttivi del medesimo. È soltanto Urbano VIII che col suo Breve di riforma
del nostro Studio, del 1625, stabilisce Episcopus pro tempore sit Praeses Studij
sicut est Cancellarius; mettendo da parte l'autorità dei Magistrati comunali.

(1) C'emente V aveva concesso alla Città lo Studio generale. Ne risulte-
rebbe evidente come la dichiarazione di Studio generale, mentre dava alli-
stituto il carattere di universalità dell'autorità che a tale grado l'innalzava,
e portasse necessariamente il riconoscimento d'un legittimo accesso di tutti
alla scuola, e del suo potere di validamente insegnare a tutti, non desse insieme
la capacità di creare nuovi Doctores o Magistri. È necessario difatti altro atto
della stessa suprema autorità, perché lo Studio perugino acquisti simile potere:
e glielo conferiscono le nuove Bolle di Giovanni XXII. Il KAUFMANN di fronte
a queste successive concessioni pontificie fatte al nostro Studio, si è posta la
domanda: che avesse valso la prima di Clemente; non persuaso ch'essa potesse
aver largito alla Città uh privilegio così incompleto (Die Geschichte, ecc., Vo-
lume I, pag. 221 e segg.). Sta però che nella concessione di Clemente V non era
compresa la facoltà di addottorare. Il Comune non si sarebbe tanto affaticato,
come fece, per ottenere gli ulteriori privilegi papali; e il Pontefice, se si fosse
trattato solo d’un richiesto chiarimento, l’avrebbe dato con un atto unico e
non con due, che specificano così disgiuntamente le facoltà accordate, una dopo

l’altra. Ma riguardo al valore di generale ERMINI coglie e pone bene in luce

il vero e proprio intimo significato politico-giuridico (che per riflesso non po-
teva non avere una portata pure scientifico-didattica) di tale qualifica ad
uno Studio, distintamente dai « caratteri esterni » potuti possedersi di fatto
anche senza quel riconoscimento, e che saranno poi peculiari degli Studi ge-
nerali (GrusePPE ERMINI, Concetto di « Studium generale ». Modena, Soc. Tip.
Mod., 1942).

i Può anche pensarsi che, come lo Studio era.già aperto e funzionante con
larga affluenza di scolari pure da fuori, quando gli è chiesta e ottenuta la de-
finizione di Studio generale, così un grado dottorale già lo desse avanti le Bolle
di Giovanni, le quali non dovevano che legalizzare la cosa. Lo stato di fatto
precede per lo più quello di diritto, nella complicata e spesso contraddittoria

. Vita giuridica di quei secoli, in cui si assumono autorità senza attenderne il

conferimento, che molte volte nemmeno si vede chiaro chi abbia diritto di lar-
girlo. Certe solenni concessioni non sono che conferme, sanatorie di poteri già

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172 RAFFAELE BELFORTI

celebrità universale, lo Studio perugino sale nel secolo xiv all'altezza
d'una delle principali sedi della dottrina e dell'insegnamento in
Italia.

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Quello della Giurisprudenza ne viene ad essere il principale vanto.

I singoli Studi, quale piü quale meno, ma tutti in certo grado,
vanno assumendo una personalità propria, che li distingue dagli
altri: pel prevalervi di principii, d'indirizzi, pel produrvisi d'una par-
ticolare forma mentis. Il Perugino se la acquista e la mantiene durante
lungo corso di tempo, con la sua scuola di Diritto (1).

presi ed esercitati, talora usurpati, talora posseduti con tacito, se non formale
assenso di chi avrebbe dovuto accordarli.. i

Ci mancano elementi per risolvere la questione rispetto al nostro Studio,
e dobbiamo ammettergli la licentia docendi solo dopo le Bolle di Giovanni.
Bisogna ad ogni modo convenire come la piena efficacia della laurea non
potesse discendere che da un esplicito atto papale o imperiale perché fosse
da tutti e da per tutto riconosciuta. « È anche ovvio-che il titolo dottorale non
« poteva darsi se noninnome e sotto gli auspici di un’alta e potente istituzione
«di carattere universale per avere il credito e il valore che desideravasi ». Così
ALBANO SoRBELLI: Introduzione a « Il Liber secretus Iuris Caesarei » dell Un.
- di Bologna. Vol. 29 degi Univ. Bon. Monumenta, Bologna 1938; pag. xir.
La potestas doctorandi rappresentava una cosi aita dignità che non si poteva
possedere sine dignitate imperiali vel apostolica, nota Baldo (Comm. ad. proem.
Dig. Vet. ad Haec autem tria).

Concedendo lo Studio generale in qualibet facultate, Clemente non aveva
compreso tra queste la Facoltà teologica. La Teologia s'insegnava allora nei
Chiostri; e anche a Perugia nei Conventi dei Domenicani e dei Francescani.
La concessione di uno Studio generale in Teologia vien fatta da Gregorio XI
nel 1371. Nessuna indicazione ce n'era nelle memorie cittadine; solo il DE-
NIFLE l’ha tratta dalle fonti Vaticane. (Die Universitáten; ecc., pag. 548).

(1) La strana affermazione che a Perugia non s’insegnasse il Diritto Romano
a cui qualcheduno ha prestato fede, è sorta da uno scambio tipografico di
Perusie. per Parisiis. Cfr. GrusePPE ERMINI, Un errore di stampa della « Novella
in sextum » di Giovanni d' Andrea e l'insegnamento del Diritto Romano a Perugia
(« Riv. di Storia del Dir. Italiano », Vol. VII, 1934).

Alla Summa Perusina conservata nell'Archivio Capitolare della nostra
Cattedrale, deve attribuirsi un'origine in territorio soggetto. all'Impero Greco,
da discutere tra Roma e Ravenna. (Cfr. FEDERICO PATETTA, Adnotationes Co-
dicum Domini Justiniani — Summa Perusina in « Boll. dell'Ist. di Dir. Rom »
anno XII, 1900). Il codice fu segnalato dal Niebuhr sui primi dell'Ottocento;
ma si trova in quell' Archivio insieme ad altri antichissimi mss. « ab immemora-
bili »» Composta che.sia stata la Summa con ogni probabilità a Roma (PreR
SiLvERIO LEICHT, Corporazioni Romane e arti medievali, Torino, 1937, G.
L'UNIVERSITÀ DI PERUGIA E I SUOI STORIOGRAFI 173

Il cammino della scienza giuridica, risorta col nuovo millennio sul
fondamento diretto della legge Romana tornata al giorno nel suo testo,
se da Bologna ha preso le mosse, elà compiuta la prima luminosa affer-
mazione, in Perugia segna la seconda sosta. La fase detta dei Com-

Einaudi, pag. 74), il Codice, che appare una copia, puó essere non molto dopo
la sua trascrizione venuto a Perugia, la città più notevole, sulla via libera tra
Roma e Ravenna; e che erasi tanto accresciuta d’importanza nel periodo bi-
zantino, tenendo in comunicazione le due capitali, dopo chiusa la strada di
Spoleto con quel Ducato longobardo (cfr. SeRGIo Mocur ONonv, Ricerche sui
poteri civili dei Vescovi nelle città Umbre durante l'Alto Medioevo. Roma, Riv.
di St. del Dir. It. 1930, pag. 14). La Summa esisteva nel secolo viri (I. C. NA-
BER, De Lectione legum et compilatione Ravellana in «Riv. di St. del D. I.»,
Genn.-Apr., 1937, pag. 10); in quel secolo Perugia, con la fine dell'Esarcato,
passa sotto il Pontefice (S. MocHI ONonY, pag. 67). Non è stata compilata la
Summa, afferma il BESTA, con intenti scientifici, ma per utilità forense (EN-
RICO BESTA, Il contenuto giuridico della S. P., in « Atti della R. Acc. di Sc.
Lett. e B. Arti » di Palermo, 3 Serie, Vol. VIII, 1908). Questo non toglie tuttavia
che possa poi aver servito anche per scopi scolastici; e se ne avrebbe un argo-
mento per sostenere la esistenza in Perugia d’una antica scuola di Diritto;
già prima dello Studio, e preparatrice del medesimo.

Ne verrebbe un contributo anche alla soluzione dell'altro problema: se
nelle scuole Vescovili s’insegnasse il Diritto; questione che, chiaramente rias-
sunta, risolve con argomenti in senso affermativo, GiUsEPPE MANACORDA nella
sua Storia della Scuola in Italia (Vol. I, Parte II, pag. 131 e segg., Palermo,
1914, Sandron). |

Materie giuridiche s'insegnavano anche nella Scuola di Notariato, la quale
certamente in Perugia vi fu, avanti dell’affermarsi dello Studio. Di troppi
notai c'era bisogno nella città per le pubbiiche funzioni e gli affari privati,
perché tutti dovessero andar fuori ad apprenderne l'arte. Potrebbe vedersi
uscire da questa scuola il teorico dell'arte notarile, il famoso Raniero Perugino,
e giungere a Bologna, dove pubblicamente insegna e ne diflonde i dettami.
Purtroppo però, come la sua vita conosciuta è tutta bolognese, così la sua Ars
Notariae non ha mai allusioni nei riferimenti dottrinali e di pratica giudiziaria,
a Perugia (cfr. Lubwra WAHRMUND, Die Ars Notariae des Rainerius Perusinus
^in «Quellen zur Geschichte des Rómisch-Kanonischen Processes im Mittel-
alter», Vol. III, Fasc. II, Innsbruck, 1917). Per salvare la Scuola, giudichiamo

Raniero un immemore... O sarà stata piuttosto una sua misura di prudenza,
| cancellare ogni legame, anche di ricordi, con la terra di origine; non potendo in
Bologna i forestieri insegnare l'arte notarile. E Raniero si era assicurata la cit-
. tadinanza bolognese.

Nello Studio perugino accanto alle giuridiche, vi fiorivano bensi fin dai
primi tempi anche le discipline mediche. Illustri Medici sono accanto a illustri
Giuristi. Mentre leggeva Cino da Pistoia, insegnava da noi Medicina, Gentile
da Foligno. Tra Cino e Gentile doveva correre quel rapporto di reciproca stima
che induce il cultore di una disciplina a chiedere al cultore dell'altra il lume

della sua scienza, quando può chiarire problemi della propria. Verteva una

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174: RAFFAELE BELFORTI

mentatori trova il più fecondò sviluppo nello Studio nostro (1). Bar- E
tolo e Baldo, i due massimi rappresentanti di questo periodo, pur E
avendo insegnato in altre delle grandi Università italiane, tengono E

piùintimamente congiunto il loro nome a quello dello Studio perugino.

contestazione sulla legittimità d'un figlio partorito nel settimo mese di matri-
monio. Cino non appagandosi,della dottrina giuridica consacrata in riguardo,

| domanda al collega il parere ultimo della scienza medica sulla possibile vitalità
d'un nato nel settimo mese. Dobbiamo al KANTOROwWICZ la pubblicazione inte-
grale ed esatta della risposta, che costituisce un Tractatus di Gentile sulla ma-
teria, poco e male conosciuto prima (HERMANN U. KANTOROWICZ, Cino da
Pistoia e il primo trattato di Medicina Legale, nell’« Arch. Stor. Italiano »,
Quinta Serie, tomo XXXVII, 1906). Giova alla ricerca storica sull’ Ateneo met-
tere in evidenza la collaborazione dei due illustri docenti, per chiarire un pro-
blema nella teoria e nella pratica di tanto interesse. Se non ci appoggiano in
riguardo anche altri documenti, si può però credere che fosse attiva tale colla-
borazione fra i Lettori dello Studio, che ci dà modo di scorgere anche in un nuo-
vo aspetto la funzione da esso adempiuta nella scienza e nella vita. Restò ri-
cordo tradizionale di quella questione de legitimo partu sollevata e discussa
nello Studio nostro. Ea quaestio a Doctoribus Perusinis primum relata post
restitutam Romanam iurisprudentiam et doctori Gentili proposita ante annos
trecentos, induxit in cogitationem, me, ut de laudibus illius academiae dicerem. . .;
è Alberigo Gentili, l'autore del De Jure Belli, che pronuncia l’elogio dell'U-
niversità Perugina dove erasi addottorato, in quella celeberrima di Oxford, dove
insegnava (Laudes Academiae Perusinae et Oxoniensis, Hanoviae, 1605, apud
Guilielmum Antonium).

L'Ateneo di Perugia onoró solennemente, il 2 luglio 1911, Gentile da Fo-
ligno scoprendogli un busto nell'Aula magna. Il discorso pronunciato in quel-
l'occasione dal prof. L. Tarulli-Brunamonti: Gentile da Foligno e lo Studio

3 perugino del sec. XIV, è tuttora inedito. Negli « Annali della Facoltà di Medi-
Jus cina » (Serie IV, Vol. II, 1912) sono pubblicate le parole dette dal prof. E. De
Paoli nella seduta scientifica tenuta lo stesso giorno all'Accademia Medico-

chirurgica.

Riguardo alla nostra antica Scuola medica, é da segnalarsi una disposizio-
ne dello Statato Comunale del 1366 perché per gli studi anatomici fossero con-
cessi i corpi dei forestieri giustiziati, a prova di come l'osservazione diretta del'
cadavere fosse uno dei meriti dello Studio cittadino. Ogni Università cerca un
proprio titolo d'onore nell'avervi precorse le altre. Fa buona figura la nostra

con quel provvedimento.

(1) Oggidi tuttavia tra Glossatori e Commentatori si scorge minor di-
stacco di quanto ne segnasse la partizione storica tradizionale (cfr. BIAGIO
Bnvar, La Giurisprudenza, cap. 1-5, in L’Europa nel secolo XIX, pubbl. dall’I-
stituto Sup. di perfezionamento di Brescia; Vol. III, Parte I, Le Scienze teo-
riche, Padova, 1932, Cedam).

Lo Studio perugino si vien formando ad ogni modo in quel trapasso una.
sua Scuola. Cino potrebbe dirsi rappresentare il legame tra Perugia e Bologna:
jurisconsultus celeberrimus bononiensis tam perusinus, lo chiamerà uno scrittore
L'UNIVERSITÀ DI PERUGIA E I SUOI STORIOGRAFI diea EPIS

Bartolo da Sassoferrato non si mosse piü di qua dopo che ebbe
solennemente ricevuta la cittadinanza perugina, di cui egli sempre
sì glorió; e qui leggendo optimus factus est, dice il suo maggior disce-

polo, Baldo degli Ubaldi, di nobile casata cittadina, pei tanti insigni:

giuristi che conta, definita dal Pancirolo Jurium alumna.

Per mezzo di Bartolo, Perugia ottiene al proprio Studio dal-
l'imperatore Carlo IV le prerogative di cui godono gli Studi per conces-
sione imperiale. Cosi l'Università che poggiava già sulle basi di diritto
costituitele dal Papato, viene a rafforzarsi su quest'altre che le porge
l'Impero. Da ambedue le supreme autorità puó dunque vantarsi di

(CRISTIANO HauBoLp, Inst. Jur. Rom., Lipsia, 1809). A Perugia verrà quindi
a realizzarsi nella Giurisprudenza, una delle più eminenti fra le tipiche- « fiori-
ture scientifiche regionali » e dimostrarsi in qual modo «i Dottori di uno Stu-

. dio potessero essere quasi come un sol corpo contrapposti a quelli d'un altro ».
Parole con cui a questo fatto storico accenna ENRICO BESTA, in quelsuo scritto -

su Baldo e la storia letteraria del diritto (nel volume L'opera di Baldo, Perugia,
1901, pag. 95) che ci porta a congetturare qual potesse essere stato il contenuto
del suo trattato De commemoratione [amosissimorum doctorum; opera disgra-
ziatamente perduta, e che assegnerebbe al Giurista perugino Sl stre: il merito

.d'avere per primo composto una Storia dei maestri e delle scuole di Diritto.

Da una corsa sagace per gli scritti di lui, trae il BEsTA fuori i nomi dei - giuristi
che Baldo vi menziona: non potevan questi mancare nel Trattato smarritosi.
Ma con gli apprezzamenti con cui li accompagna nelle opere ? Se il Trattato

‘era poco più d’un elenco e d’un notiziario, a parte il rammarico per le notizie

perdute, ci riesce più interessante, per farci un’idea di come Baldo vedesse con

.l’occhio suo lo svolgimento della propria scienza, attraverso il contributo da-

tole dai suoi cultori, un'indagine come quella del Besta. Trovati nell’ opera

‘ dello scrittore al momento stesso che l'argomento ve li conduce, ne riceviamo

la sensazione diretta del contatto avuto col pensiero di lui, e dell’ influenza
recatane alla formazione.

Ricerche tali, s'intende per personalità quali Baldo, cui bisogno e dovere
spingevano ad allargare la propria cultura nei maggiori possibili limiti, rive-
lano come si rifletta e venga utilizzato a un dato momento il patrimonio di
dottrina accumulatosi negli anni. Ci rivelano le correnti culturali, quali son
venute a formarsi, nel corso del tempo e in direzione di luoghi; correnti di cui le
Università sono state la sorgente e il ricetto: localizzazioni del sapere, col loro
vantaggio e col loro danno. Un’utilità l'hanno avuta: ogni scuola, chiudendosi
in se stessa, dà tutto quel che può dare; l’incontro tra idee, tra indirizzi diversi,
tanto un giorno avverrà; potrebbe anche esser male venisse prima ch’ogni sin-
gola scuola abbia spiegato sino all’ultimo la propria funzione.

I Dottori, perugini son forse. coloro. di quei complessi omogenei d’inse-
gnanti che si costituiscono nei vari Studi, che più vanno fuori a leggere anche
in altre Università; è bensì maggiore l’influenza da loro esercitata altrove, di
quanta da altrove ne abbian riportata al patrio Studio. Sarà questa una delle
ragioni, dopo il periodo migliore, della sopraggiungente sua decadenza.

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176 : RAFFAELE BELFORTI

ripetere la validità della propria esistenza. S'intitola quindi Papale e
Imperiale; il Vescovo si qualifica Cancellarius Apostolicus atque Cae-
sareus; la laurea dà facoltà di compiere tutti gli atti dottorali hic
Perusiae et alibi ubique locorum et terrarum thiarae et diademati ro-
manis, id erit in spiritualibus et temporalibus subiectorum (1). |
All'ascendente personale che riuscì Bartolo ad acquistarsi su
Carlo nel suo incontro con lui in Pisa, conducendovi l'ambasceria
perugina, si deve principalmente il favore di buon grado accordato
dall'Imperatore allo Studio. Forse Carlo IV sarà stato informato
sull'idee del famoso giurista che gli si presentava: Bartolo è ancora ,

^

l'assertore della potestà dell'Impero (2). L'Università gli é perció
debitrice di quest'altro sovrano riconoscimento.

(1) Morici MepARDO, Un diploma di laurea in Medicina dell’ Università
di Perugia, 21 ottobre 1482. (Per nozze Fabiani-Pascucci. Firenze, 1809, Tip. i
M. Ricci). La laurea è conferita a Ugo di maestro Gherardo de Cirurgicis di
Sassoferrato, e il documento si conserva nell’ Archivio di Stato Fiorentino.
Per l'interesse che ha nella sua parte formale cfr. Fr. NovatI nella « Biblioteca
delle Scuole Italiane », anno IX, serie 23, n. 4.

(2) Riferendosi ai concetti del nostro Giurista sull'autorità imperiale, e al
loro riflesso sulla politica del Comune, si comprende come Perugia abbia vo-
luto appoggiare il proprio Studio anche su di quella. Bartolo, pel KAUFMANN,
avrebbbe anzi attribuito al documento imperiale una portata giuridica maggiore
di quanta, in sostanza, vi si annettesse dall'imperatore stesso (cfr. G. KAUF-
MANN, Die Universitátenprivilegien der Kaiser in « Deutsche Zeitschrift für
Geschichtswissenschaft » Vol. I, 1889, pag. 125).

Ci verrebbe ora fatta una domanda: il concetto dell’Impero, concetto
dominante nel Diritto pubblico di Bartolo, è in fondo, in lui null’altro che,
a dir così, un sedimento mentale accumulato dalla sua formazione giuridica
romanistica, e da cui non può quasi per inerzia più liberarsi; o crede egli in-
vece ad una funzione sempre attuale dell’istituto, mentre scorge che nell’età
sua medesima si vuota di contenuto effettivo; e lui stesso sta studiando la fi-
gura giuridica per definire i distacchi avvenuti dalla sua autorità ?

Nel rapido profilo intellettuale e insieme morale del Giurista, tracciato
da Luigi Rossi in un discorso per inaugurazione d'anno accademico nell'Ate-
‘neo Bolognese (Bartolo da Sassoferrato nel Diritto pubblico del suo tempo, « Nuo-
va Antologia » del 16 maggio 1917) ci è mostrato Bartolo di fronte allo spettacolo
dell Italia divisa, in preda all'anarchia sociale e politica su cui si istallavano le
varie tirannidi: hodie Italia est tota plena tyrannis | È la dolente chiusa che pone
al suo trattato De Regimine civitatis; parole che appaiono palese eco dei versi
del Purgatorio : :

Che le città d'Italia tutte piene
Son di tiranni...

e ci fan ricordare come Bartolo avesse conosciuto l'opera del Poeta. (Cfr. CA-
ROLUS WirTE, De Bartolo a Saxoferrato, Dantis Alligherii studioso, commen-
L'UNIVERSITÀ. DI PERUGIA E I SUOI STORIOGRAFI

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Ma gli è soprattutto debitrice della fama-che su di lei riversa la

sapienza universalmente celebrata del Giurista.

tatiuncula. Omaggio a Ludovico Pernice nell’ottavo lustro della sua laurea.
Halis Saxonum, IV ant. Id. Februar. 1861, Typ. Heynemanni. V. anche

FnaNcEsco Buonamici, Nel giorno: della festa di Dante, lettera al Prof. Fer-

dinando Ranalli, Pisa, 1865, Nistri).

Le vorremmo dir anzi più italiane di quelle dantesche, poiché il male
è visto non nella città singole, ma nell’interezza dell’Italia, unità geografica
ed etnica: non sapremmo se Bartolo potesse pensare ad un’Italia, unità poli-
tica. :

Dalla visione del misero stato dell'Italia è che Bartolo si volge all' Impero,
quale sola forza viva da lui creduta ancora capace di restaurare la libertà nel-
l'ordine: «per non vedere la perdita dell'Ktalia, Bartolo con Dante invoca
l'Imperatore, come Machiavelli invocherà piü tardi il Principe ». Ma, aggiun-

giamo, Bartolo sentiva con sofferenza di pensiero, tutto il guaio che l'Impero dà -

Romano fosse diventato Germanico: Imperium romanum . postquam fuit ab
Italicis separatum semper decrevit in oculis nostris (De Regim. civit, 25);
che all'Italia fosse tornato, quale sua vera e naturale sede, questo voleva e
augurava a l'Impero, sperando in tal guisa che riacquistasse il vigore della sua
missione.

Anche il suo discepolo Baldo dà tutto il proprio ossequio all'Impero;
ma è la romanità dell'origine che ne scorge a fondamento; se l'Imperatore è

tedesco, il battesimo della sua autorità deve riceverlo in Roma: nota quod .

Imperator Alemannus debet ire Romam ad suscipiendam coronam nec posset

et milli alibi, scilicet in Alemanniam per Papam; et hoc debet fieri in veteri .

Roma, non in Constantinopoli. Item Imperator debet ire, non mittere (cfr. Super
feudis, Cap. De allodiis, n. 19).

‘A torto adunque si sarebbe voluto trovare quasi un manchevole spirito
d'italianità, in questo sentimento dei nostri Giuristi verso l'Impero, di cui
hanno anche sostenuto le ragioni; ed é evidente come l'essenza latina dell'i-
stituzione a loro s'imponesse col suo storico prestigio. Le autorevoli voci in
favore di esso partite cosi dall'Università Italiana, non possono, nello svolgi-
mento della nostra civiltà nazionale, essere giudicate a contrasto col suo pro-
cesso d’affermazione.

Il sentimento della nazionalità, ch'é, come dice il FEDELE, una delle cor-
renti perenni della nostra storia (cfr. La coscienza della naz. in Italia nel. Medio
. Evo, in «Nuova Antologia » del 15 Ott. 1915, a pag. 462), è primieramente
. sentimento di latinità: il senso istintivo e riflesso d'una diversità congenita
.e d'un contrapposto all'altro mondo che si afferma in Europa, il mondo ger-
manico. Perché sul più ampio scacchiere delle genti fatte latine e sul comune
patrimonio dell'eredità romana, s'individui l'italianità, come fatto e come sua
consapevolezza, é necessario che d'essa si vengan sempre piü producendo i
‘beni » propri, e se ne formino gli aspetti suoi: nel.pensiero, nell'arte, nella
letteratura, negli ordinamenti sociali, nei modi del viver civile. Non puó esservi

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178 RAFFAELE BELFORTI

«Il mos italicus nacque a Perugia dal pensiero e dalla voce di
Bartolo, e da Perugia conquistó il mondo » (1).

Bartolo è figura centrale, rappresentativa .d'un momento sto-
rico nello svolgersi delle discipline giuridiche; nell'opera di lui si com-
pie un potente sforzo riassuntivo della Giurisprudenza dell'età me-
- dievale, e le s'apre la via ai nuovi necessari sviluppi (2). Egli ein
terprete più comprensivo ed agile insieme, d’un ‘gigantesco sistema di

che un’attestazione progressiva di nazionalità, in ragione dell’accrescersi di
quelli. Col ritmo che mirabilmente s’accelera qualche secolo dopo il Mille, sor-
gono e s'accumulano i prodotti storici dell’ italianità ;. intanto che se ne va de-
limitando e stabilendo il tipo umano.

‘ Il divenire della nazione Italiana è fatto tanto più spontaneo ed intrin-
seco, in quanto gii è mancata l’azione coercitiva e persuasiva d'un potere po-
litico coordinatore. Anzi il fattore politico gi è stato: decisamente contrario,
con le divisioni statali, i governi diversi e contrastanti; senza dire delle domina-
zioni straniere. Tra i fattori che vi hanno agito, a partire dalla così definita
individualità territoriale, è la somma di valori che ‘nei più diversi campi la
stirpe ha creato per capacità dei suoi.

. Quando si ricerca nei grandi Italiani, visi annoveri Bartolo, quanto ab-
bian sentito ed espresso d'italianità, bisogna prima e piuttosto; ricercare quanto
essi abbiano contribuito con l'opera loro a formarla. -

Nella schiera degli individui artefici in tal guisa della italianità, i Giu-
risti vanno apprezzati ben più di quanto lo siano generalmente. Quel ritardo
. con cui la cultura nazionale Italiana apparisce sulla scena della civiltà europea,
rispetto ad altre nazioni, resta di molto abbreviato, se si dà la valutazione
- dovuta, anche al Diritto, e come norma e come scienza, quale manifestazione
di civiltà che rivive da noi con la dottrina e la pratica della Legge.

Reviv:scenza, che se ha tutta ja portata di una prima, vigorosa presa
di posizione cuiturale della nuova nazione Italica, e nazionalità é in massima
parte cultura, 2 questa dà subito uno dei caratteri che la distingue: capacità
d'universalizzarsi. Il Diritto risorge come forza che immediatamente s'espande.

Gloria della scuola di Bologna è questa resurrezione; ma anche Perugia,
in un secondo tempo, producendo Maestri che diffondono in Europa insegna-
menti, metodo e dottrina, ha compiuto una funzione produttiva ed espansiva
della civiltà nostra. Se Perugia.non ha concorso con gran nomi e creazioni
nella letteratura, nella speculazione filosofica, vi ha però dal suo Studio, con
opera di Giuristi che han dcminato per qualche secolo, e fatto valere il nome
d'Italia fra le genti civili.

(1) FRANcEsco ERcOLE, Bartolo da Sassoferrato, in «Celebrazioni "Mar-
chigiane ». Parte I, 16-31, Agosto 1934, pag. 566 (Urbino, R. Ist. per la decor.
e ill. del libro). i

:(2) Come dice il BESTA, « coni felice orientazione teorica organizzó spesso
delle materie informi in trattati che a lungo son rimasti classici » (Fonti del
Dir. It. dalla caduta dell Imp. Rom. fino ai tempi nostri, DN foam 1938,
pag. 181).
L'UNIVERSITÀ DI PERUGIA E I SUOI STORIOGRAFI 179

dottrina e di pratica, il Diritto Romano: non quale certamente lo
scorgiamo noi, dopo tanto lavoro di critica e di ricostruzione; quale
poteva apparire a lui, e nel suo témpo: manchevole per inadeguata
conoscenza delle fonti, e carico di tante sovrapposizioni aggiunteglisi
nell'epoca feudale e comunale; ma il diritto ereditato da Roma, nella
struttura e nello spirito. Edificio che per lui è incrollabile, e dentro il
quale l'umanità dovrà per sempre muoversi e respirare. Come i cinque
pani del racconto Evangelico bastarono a sfamare la immensa turba,
cosiil Digesto, nelle sue tre partizioni medievali, insieme al Codice
e al Volume, valgono a saziare di giustizia il mondo. Ex istis enim
quinque panibus et duobus piscibus (che sarebbero i duo sensus legales :
literalis e argumentalis) totus mundus saturatur (v. Sermo Do. Bart.
in Doct. D. Io. a Saxofer).

Possiede peró soprattutto questo valore continuativo ed uni-
versale, per l'abilità geniale, l'esperta accortezza, con cui egli, il Giu-
rista, sa dargli possibilità estensive ai casi nuovi che presenta la
realtà giuridica, allà quale mantiene aderente, attivo contatto (1).

(1) Ne risulta Bartolo quale un conditor juris.

Lo studioso olandese J. L. J. VAN DE KAMP nella sua dotta monografla
Bartolo da Sassoferrato, vede questa azione di Bartolo, condotta «con arte
«sopraffina che diede un capolavoro artistico. Il diritto da lui creato era tale
«che concordava interamente coll’antico diritto romano. A questo edificio
«non più sufficiente a contenere bisogni della vita, egli costruì nuove ali dello
«stesso stile, cosicché l’unità dell’insieme rimase perfettamente mantenuta ».
(V. a pag. 154 della traduzione pubblicata negli «Studi Urbinati » 1931, n. 1-4).
Notevole in questo studio il capitolo sull'influenza di Bartolo sulle varie na-.
zioni d’Europa. i i

L'attenzione, peraltro, che su Bartolo è tornata ai tempi nostri negli
studi storieo-giuridici, si è volta particolarmente a esaminarne le teorie di
Diritto pubblico e le vedute nel campo politico; dal vecchio scritto di LUIGI
CHIAPPELLI (Le idee politiche del Bartolo, in « Archivio Giuridico », Vol. XXVII,
1888) ai più recenti saggi di FRANCESCO ERCOLE (Da Bartolo all’ Altusio,
Firenze, 1932, Vallecchi Editore). Scrittori stranieri hanno compreso e riven-
dicato i meriti del nostro giurista. Già JoHN NEviILLE FiGGis lo aveva voluto
riporre nel pieno corso delle teorie politiche svoltesi in Europa, magari anche
troppo valutandolo (in « Trans. of the Royal Hist. Soc. », Vol. XIX, 1905;
e Bartolus and the development of European Political Ideas, nel volume The
Divine Right of Kings. Cambridge; 1914). Ma il più pregevole loro contributo
. a questa rivalutazione resta quello di CECIL. N. SIDNEY Woorr, Bartolus of
Sassoferrato, his position in the History of Medieval political Thought (Cambridge,
1913 at the University Press), che 1’ A. sviluppando un suo precedente saggio,
pubblicò alla vigilia della sesta ricorrenza centenaria dalla nascita del grande
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180 RAFFAELE BELFORTI

Con tale convinzione di Maestri; con tale loro capacità d'appli-
carlo e adattarlo, s'insegna nello Studio nostro il Diritto Romano:
nel secolo nativo della stampa, da una tipografia perugina uscirà e si
diffonderà pel mondo civile la prima edizione del Digesto (1).

Doveva appunto nel 1914, per iniziativa dell'Università nostra e d'altre
a cui egli aveva piü legato l'attività di docente, veder la luce una raccolta di
scritti illustrativi dell'uomo e dell'opera. Gli eventi di quegli anni impedirono
la collaborazione di quanti avrebbero potuto portarvela: apparve indipendente-
mente lo scritto di FRANcEsco Buonamici: Bartolo da Sassoferrato in Pisa,
in « Annali delle Università Toscane », tomo XXXIII, apposta dettato dall'in-
signe maestro e dedicato dalla Università di Pisa a quella di Bologna, la cui
antica fama è riaffermata in renovanda gloria Bartoli a Saxoferrato. L' Università
di Cracovia rese omaggio alla di lui memoria e grandezza di dottrina, con la
bella pubblicazione di JoANNES FIJALEK: Dominus Bartolus de Saxoferrato
eiusque permagna in Polonos auctoritas (Cracoviae, 1914, G. Gebethner et
SOC).

Mentre un istituto straniero cosi la celebrava, in Perugia purtroppo la
ricorrenza passó sotto completo silenzio. Spetta all'Università di riprendere
in altra occasione l'iniziativa ed assolvere il debito d'onore verso colui che si
grande lustro le ha dato, come nel 1900 lo assolse verso Baldo degli Ubaldi.
Delle onoranze a questi rimane testimone il volume: L'opera di Baldo (Voll. X
e XI, 1900-1901, degli « Annali dalla Fac. di Giur. dell'Univ. di Perugia »);
pari tributo attende il tanto Maestro di tanto Discepolo.

(1) Del Digestum vetus. Qualunque sia la ragione storica della divisione
dell'opera Giustinianea nelle tradizionali tre parti: successione di tre momenti
nel suo ritrovamento, o anche arbitraria divisione di copista, le tre parti for-
marono nei tempi di mezzo ciascuna un'unità distinta, e passarono la prima
volta ai torchi in date diverse: Prima il Digesto Vecchio, e fu stampa perugina;
ne esiste un'edizione veneta di Jenson, senz'anno, ma deve riportarsi al 1477,
posteriore alla nostra, che uscì alla luce il 29 aprile del 1476: Justinianus Im-
perator Digestum vetus cum glossa. « Henricus clayn ulmae vetusta et nobi-
lissima germanie civitate ortus. In augusta urbe Perusia hunc librum Igne
ter impressit. Anno domini co. MCCCCL XXVI ».

Soci del Clayn per questa edizione, si rileva dai documenti pubblicati dal
Rossi essere stati Giovanni Wydenast bidello dello Studio perugino, e Iacopo
Langenbeke scolare del Collegio universitario detto la Sapienza Vecchia. Lo
stampatore Widenast fece poi altra società con il Rettore della Sapienza stessa.
È evidente come costoro si accingessero all’impresa per corrispondere alla
richiesta di libri da parte degli studenti (cfr. ApAMo Rossi, L'Arte tipografica
in Perugia durante il secolo XV e la prima metà del XVI. Perugia, 1868, G.
Boncompagni e C. Editori).

La stampa difatti ricevè grande impulso dalla presenza dello Studio; che
fu anzi la ragione principale della sua accoglienza nella città. Nei primi libri
usciti nel 1471, dai torchi perugini e che sono una Lettura di Baldo, una. di
Baitolo e una di Filippo de’ Franchi. si ricorda il signore mecenate, Braccio II
Baglioni, che in Perugia volle introdotta la nuova arte, stimandola Studio
.

L'UNIVERSITÀ DI PERUGIA E I SUOI STORIOGRAFI

III.

Per mantenersi sulle posizioni raggiunte, lo Studio deve stare
sempre con le armi al piede. È una continua vigile contesa tra i vari
Studi onde accaparrarsi i più eccellenti Lettori, richiamare a sè il più
gran numero di scolari.

La Bolognese è l’Università dominante: ad essa son rivolti gli
sguardi delle altre, che sulle sue istituzioni e sul suo funzionamento si
modellano. Contendere con essa era un ardire.

I documenti del nostro Archivio comunale raccontano dettaglia-
tamente quel contrasto che ci fu tra Perugia e Bologna peril famoso
Iacopo da Belviso. Perugia chiede al Comune di Bologna che lo lasci
al nostro Studio; Bologna lo rivuole, minacciando di bandirlo con di-
struzione e confisca dei beni, quale traditore e turbatore dello Stu-
dio proprio. Il Belviso si destreggia e accontenta ambedue i Comuni

contendenti. In tale circostanza il contegno di Perugia appare os-

Sequioso verso Bologna; la quale, altera dell'importanza mondiale
del suo Studio, si dimostra invece intransigente. Peró la fama a cui in

perusino pernecessariam. Nelle stamperie cittadine videro la luce moltissime
opere dei Dottori insegnanti all'Università. Cognizione di gran parte d'esse
ci dà pertanto la storia dell'arte tipografica in Perugia. Dalla dedica di una
rarissima edizione perugina del '400: LANCIARINUS ULYxEs, Canones de astro-
labio delecti ex op. Roberti Anglici (s. n. t., ma circa il 1480; cfr. A. Rossr, op.
cit., pag. 32), il VERMIGLIOLI stesso rilevó per primo come Ulisse da Fano in-
segnasse Astronomia nello ‘Studio (Bibliografia Stor. Perugina, pag. 170).

La preziosa e diligentissima pubblicazione del Rossi rimase purtroppo
interrotta. Aveva Gro. BATTISTA VERMIGLIOLI pubblicato Principi della
Stampa in Perugia e suoi progressi per tutto il secolo XV (Perugia, 1820, Ba-
duel) che come tutti i primi saggi in materia richiedente minuziosissime e mai
bastanti ricerche, riuscì, molto manchevole. Notizie sull’arte tipografica in
Perugia nel Cinquecento, dette poi in luce il VERMIGLIOLI stesso in un altro
suo lavoro: Della Tipografia de’ Cartolari in Perugia nelià prima metà dei se-
colo XVI e di altre officine tipografiche che vi furono in quell’epoca, inserito
nelle sue Biografie degli Scrittori Perugini (vol. I, parte II). In una copia del suo
volume il VERMIGLIOLI con aggiunte manoscritte ha dato la serie delle edizioni
perugine fino al 1550. Gracomo MANZONI ha fatto aggiunte e correzioni all'o-
pera del Vermiglioli, inedite. Anche FrLiPpo SENESI compose note critiche e
integrative agli scritti del Vermiglioli sulla stampa in Perugia, inedite pure
queste. ANTONIO Bnizi ha compilato gli Annali tipografici Perugini dall'ori-
gine della stampa all’epoca presente (fine del sec. XIX; mss. n. 1558-59 della
Biblioteca Comuanale « Augusta »). ;

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182 RAFFAELE BELFORTI

quello stesso secolo venne assorgendo il nostro, per il merito altissimo
dei propri Lettori, dovette pure suscitare qualche preoccupazione a
Bologna. Di rivalità non puó proprio parlarsi; le migliaia di studenti
che, anche per ragioni geografiche, convergevano là, non potevano af-
fluire à Perugia. Pensó questo; sì, in qualche momento di poterla
emulare (1).

(1) Il DENIFLE scrive che lo Studio Perugino subito dopo la sua fonda-

zione entrò in gara col Bolognese. Per fondazione, ad ogni modo, DISOENE in- .

tendere la sua dichiarazione di Studio generale.

Il secolo xiv, per diverse vicende di quella città, non fu favorevole all’ U- |

niversità di Bologna; e certamente Perugia, come altri Studi, ne approfittò.

Ma la posizione eccezionalmente favorevole di quella per il concorso dei fore-

stieri, da ogni parte, non poteva esser sostituita. Senza con ciò poter nulla
togliere alla ragione intrinseca per cui primeggiò l'Università bolognese, che
rappresenta non solo un grande centro scolastico, ma la fervente officina della
rinascita del Diritto, e della sua rielaborazione a dottrina, è indubitato che an-
che la felice situazione della città, all’incrocio di vie maestre, le fu efficacissima.
Non può non rilevarlo chi guarda al primato di quello Studio. Cfr. CHARLES
HomER HAsKins nel capitolo The beginnings of Universities del suo volume
The Renaissance of the twelfth century (Cambridge, 1927, Harvard University
Press, a pag. 388).

Perugia in luogo più appartato, come poco propizio per accentrarvi traf-
fici, lo era anche per accentrarvi scolaresca. Il suo Studio onde riuscire ad im-
porsi, doveva principalmente fare assegnamento sul.nome dei propri docenti;
e, da Napoli a Bologna, è esso che per qualche tempo potè vantarne dei più
insigni. A tutte ragioni di merito dovette quindi la sua ascesa. Non ebbe manco
di quei subitanei aggrandimenti, per lo sboccarvi d’un tratto dell’emigrazione
di scolaresca in massa da altro Studio. Esodi che, come hanno creato qualche
nuova Università, così hanno rialzato in un dato momento le fortune di tal
altra. Con accortezza e prontezza di provvedimenti Siena attrasse a sè la
. secessione da Bologna del 1321, prevenendo Firenze. (Cfr. LuciANO BANCHI,
Alcuni docce. che concernono la venuta in Siena nell'anno 1321 dei lettori e degli
scolari dello St. Bol., in « Giorn. stor. degli Arch. Tosc. », 1861). Quest’afflusso
bolognese le produsse un immediato. ampliamento.
. . Se per lo.scolare la via di Perugia poteva anche non essere alquanto co-
moda, venuto qua vi si trovava a ben agio. Giovanni XXII nella sua Bolla
di concessione del Dottorato allo Studio perugino, del 1321, dice: «Conside-
rantes igitur quod eadem Civitas, propter eius comoditates et conditiones quam
plurimas est non modicum apta studentibus. Non occorre ricordare come il
Comune prendesse ogni disposizione per agevolarne il soggiorno. Le città uni-
versitarie-facevano a chi meglio riuscisse a favorirlo. Lo Studio perugino
eclissò e non rese possibile l’ ulteriore svilupparsi di altri Studi che erano sorti
in città più vicine a Perugia; come a Todi, a Orvieto.

Tornando alle relazioni con Bologna, un qualche apporto a quella ha dato
anche la cultura perugina. LurG1 TARULLI (Documenti per la storia della Medi-
L'UNIVERSITÀ DI PERUGIA E I SUOI STORIOGRAFI 183

Rivalità piuttosto vi poté essere col Senese; che veniva a dar fa-
stidio, come concorrente, a Perugia, perché si proiettava in quel rag-
gio, pel quale. questa voleva estendere anche una supremazia poli-

tica (1). Famosi Lettori oriundi di Siena, quali Federigo Petrucci, Gio- '
‘vanni Pagliaresi; altri come Cino da Pistoia e Paolo Liazzari da Bolo-

gna,dopo aver dato lustro allo Studio senese, vengono a Perugia; e an-
che gli uditori usavano seguire i Maestri. Gli studenti perugini quando
minacciano di abbandonare la città, vanno per dirigersi allo . Studio
senese. :
Nell'Italia centrale, con Firenze, "del TiSCERÍO, i tre Comuni
per antonomasia, erano Perugia e Siena. Rapporti d' amicizia e d’i-
nimicizia, in politica e in armi, s'alternano nei secoli lontani tra le due;

alleanza e guerra; intese e contese: quella pel possesso del Sacro:

Anello che la tradizione venera peril nuziale della Vergine, come questa

; per io Studio (2). Può pure oggi ricordarsi tale contrasto: tanta cor-

cina in Perugia) segnala un Perugino il quale visse e mori nel 1246 in Bologna,
dove potè ritenérsi che, come il famoso Raniero autore dell’ Ars Notariae, fosse

-stato Lettore: Magister Petrus Perusinus medicus vulnerum. E possiam cre-

dere questi Nostri recatisi colà per quell'attrazione che Bologna esercitó sul

paese geograficamente a lei sottostante. L'ha rilevato il GAUDENZI, notando

quanto la Toscana abbia contribuito alla formazione dello Studio bolognese,
che si affermó come Studio dello Stato Matildico; citando tra i Maéstri venutigli
da giù Raniero da Perugia e Bencivenne da: Norcia (Lo Studio di Bologna nei
primi due secoli della sua esistenza, Bologna, 1901, Succ. Monti, pagg. 83, 161).
Il contributo dell'Umbria all'Università Bolognese non ha mancato nel corso
dei secoli. I Rotuli dei Lettori di quello Studio dati in luce dal DALLARI ci mo-
strano quanti nostri conterranei vi abbiano asceso la cattedra (UMBERTO

DALLARI, I Rotuli dei Lettori Legisti e Artisti dello Studio Bolognese dal 1384 al

1799, Bologna, 1888-1924). Per alcuni di questi nomi, che non sono di Lettori
i più noti, andrebbero ricercate notizie. L'interesse per noi, della pubb'icazione
del DALLARI, era già stato segnalato: cfr. G. MAZZATINTI, Professori Umbri
nell'Ateneo di Bologna, in « Boll. della R. Dep. di Storia Patria per l'Umbria »,
Vol. XXII, 1916.

(1) Cfr. Lupovico ZDEKAUER, Lo studio di Siena nel Rinascimento
(Milano, 1894, U. Hopeli) pag. 18: «Lo Studio Senese per tutto il Trecento

«dovette sostenere non solo la rivalità di Firenze, ma più ancora quella di
«uno Studio in quel momento valorosissimo: intendo dire quello di Perugia »...
«è cosa da tutti riconosciuta che il grido di risveglio negli studi giuridici nel
« Trecento uscì dalla scuola per ugina, con Iacopo di Belvisio e Bartolo da Sas-
« soferrato ».

. (2) Sulla vertenza per la sacra reliquia cfr. ErroRE RICCI, La leggenda
di Santa Mustiola e il furto del Sant’ Anello, in « Boll. della R.: Dep. di Storia
patria per l'Umbria » Vol. XXIV, 1920.

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184 / | RAFFAELE BELFORTI

rispondenza di valori, nella vicenda magnifica dell’ultimo Medioevo
e della prima Rinascenza, riaccosta idealmente le due città, e l'affi-
da vicirre, col loro retaggio di cultura e di bellezza, alla storia d’Italia.

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Nel Trecento dunque lo Studio nostro ha posto le solide e durevoli
basi della sua rinomanza, ed ha indissolubilmente congiunta la pro-
pria vita a quella della città. Per la utilità materiale con cui le giova
(... consideratis commodis et utilitatibus percipiendis per quemlibet
artificem dicte civitatis a doctoribus et scolaribus in dicto" studio venien-
libus... cosi si legge in una Riformanza del 16 agosto 1379); per la
dignità morale di cui la nobilita, pel prestigio intellettuale di che l'ar-.
ricchisce (1).

Ne irradiano e ne mantengono fuori la reputazione molto anche i
Lettori cittadini, che qui formatisi, qui Decenato vengono chiamati
a cattedre in altri Studi.

Un tale Consalvo Ferrandez de Reyda, della famiglia dei Vi-
ceré di Napoli frequenta in Pisa le lezioni del nostro giurista Alberto
Belli. Il Belli non ha però ancora la lettura ordinaria, e il Ferrandez
scrive a Lorenzo dei Medici perché vi sia promosso; ció che « anche serà
«gran satisfactione a questi altri doctori perusini li quali sonno stati
«e sonno principale fondamento, e sostegno di questo Studio e per
«la fama de quelli quello Studio a reputatione ». I Lettori perugini
son poco soddisfatti di molte cose; il Belli riesce a farli tacere; pure
per ciò v'è interesse a farlo trattenere in Pisa. Ferrara però gli offre nel
frattempo la lettura ordinaria e il Belli va là; lasciando, con gran

(1) L'Università. ha particolari riflessi pure sulla attività pubblica del
Comune. « Quando studi più accurati intorno alla storia dell'Università di Pe-
«rugia, avranno anche essi dimostrato che per troppo lungo tempo non. si

‘ «volle o non si seppe riconoscere l’importanza della città nostra nella vita

«del Medio Evo italiano, si dovrà certamente avvertire l'influenza che lo Stu-
«dio Perugino esercitò sulla politica del Comune nel secolo xiv... ».

«A buon diritto il Comune di Perugia poteva menar vanto di veder spesso
«chiamati i suoi concittadini a prestar contributo della loro esperienza nel ma-
«neggio della vita pubblica ai Rettori degli altri Stati. E la rinomanza che per
«tal rispetto si era acquistata il Comune, traeva origine, come si è accennato,
« dalla fama dello Studio di Perugia, il quale indubbiamente esercitava grande

«influenza sugli uomini di legge, addetti ai vari offici dello Stato... ». FRAN-

cesco GuarDABASSI, Storia di Perugia, Vol. I, pagg. 176 e 185.
L'UNIVERSITÀ DI PERUGIA E I SUOI STORIOGRAFI 185.

dolore dei discepoli, ci dice il Fabroni, Pisa, dove rimase un solo
anno (1).

I perugini che contemporaneamente a lui, nel 1476, leggevano
in Pisa sono Pier Filippo Corneo (Della Corgna) e Baldo Bartolini,
giuristi tra i più insigni del sec. xv; qualificato l’ultimo un Baldo se-
condo o novello.

Nelle loro vite il Vermiglioli ci dà ampio dettaglio dei contrasti
che ebbero là, ricavandolo da molte fonti, tra cui gli storici di quell’ A-
teneo; e furon ben aspre le contese con Bartolomeo Socino. Vivaci
pagine, se si vuole non tutte edificanti, di vita interna universitaria;
ma sempre istruttivo documento umano. Non solo i Lettori vi son
parte; anche i Principi, ormai arbitri, invero però gelosi e solleciti
della fama dei propri Atenei: Lorenzo dei Medici per il Pisano, Borso
d’Este per quello di Ferrara, dove pd che a Pisa insegnó il Corneo.
I Pontefici ostili.a quei Signori s'oppongono a che i nostri giuristi
stieno in quegli Studi: Paolo II fa divieto al Corneo di partire da Pe-
rugia per Ferrara; ma i nostri Magistrati per non disgustarsi Borso
lo lasciano andare. Sisto IV rinnova l’opposizione; e avverso ai Medici
com'é, quando il Corneo col Bartolini si trovano in Pisa, gli impone di
tornare allo Studio perugino. C'é dietro anche il eonun che i Lettori
già celebri ormai, li rivuole per sé.

Oltre gli antagonismi che hanno fra loro, i Lettori devon subire
i contrasti che s'agitano in alto. E son uomini;ilorointeressi materiali
sono in giuoco; il Bartolini prendeva in Pisa 1050 fiorini. Scatta il
loro orgoglio ferito: « Essendo io venuto ad onorare questo vostro
Studio » scrive alteramente al Magnifico; ma il loro spirito ésempre
tutto intento verso la scuola: « Deum omnipotentem testor che non stu-
diai mai tanto la mia lettura quanto costà in Pisa... ».

Pedine di questa battaglia che si svolge tra chi comanda, per
difendere l'istituto che gli sta a cuore, i Lettori dovevan tuttavia
sentirsi lusingati nel sentir proclamare che dalla loro presenza dipen-
.deva in un dato momento l'esistenza d'uno Studio.

Una lettera di Borso d'Este ai Priori perugini é tutta una sup-
plica perché lascino a Ferrara Filippo Franchi «per non volere
la totale rovina de questo nostro studio » con la sua: partenza.

Paolo II alla Repubblica di Siena che vuole per la sua Università
un nepote del grande Baldo, mentre intanto un altro Lettore perugino

(1) Cfr. BATrrIsTINI MARIO, Alberto Belli Perugino, lettore nello Studio di
Pisa, nel « Boll. della .R. Deput. di Storia Patria per l Umbria », Vol. XXI, 1915.
gr m uus gt c—— ftem

-

186 : RAFFAELE BELFORTI

richiedeva Ferrara, scrive « Hi perusini sunt ambo ac doctrina prestan-
les, et si lecturam perusinam deserunt male se res habet in studio penus
sino » (1).

Ma nel contendersi un Lettore, chiedendolo o negandolo, oltre le
ragioni oggettive d'interesse dello Studio, v'entrano Spesso quelle sog-

getlive di animosità fra potenti.

L'Università cosi non é piü teatro di contrasti per il sapere, o
limitato almeno a coloro che ne sono: ministri. Vi penetrano lotte di
principi e di governi; la sua vicenda s'amplia e si innesta, da quella
culturale in quella politica; ed ecco su quànt'altre fronti si proietta e
deve andarsi a cercare.

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/

Nel Quattrocento lo Studio cittadino mantiene vittoriosamente
in confronto agli altri il posto conquistato; frattanto che proseguono,
travagliate ma ancora abbastanza prospere (il momento culminante
della potenza del Comune era stato nel secolo innanzi) le fortune di,

| Perugia. Mentre in difetto di una esistenza politica unitaria la storia

italiana si frange, ma insieme si avvalora nei molteplici centri di vita
diversa, comune sempre peró in certi aspetti essenziali, Perugia, sia
bene in tratti minori rispetto ai grandi focolai della tradizione nazio-
nale, riproduce nelle proprie vicende, dal Medio Evo all’avanzata
Rinascenza, tanti di quei fatti salienti, fondamentali che ne impri-
mono lo sviluppo.

Dal reggimento comunale che ha potenziato tutte le forze della
borghesia nella conquista della ricchezza e nell'esperienza di governo,

(1) Nell'Archivio di Stato di Siena é la lettera del Pontefice, pubblicata
dallo SCALVANTI (nel volume L’opera di Baldo, pag. 311). C'é di mezzo l'onor
nostro dice il Papa, nella conservazione dello Studio perugino (e veramente
questo, a Paolo II assai deve); perció ad esso Siena non solo non deve togliere
il valente Lettore, ma piuttosto darne qualcheduno del proprio. Si direbbe il
Papa un po' ingenuo a supporre che potesse giungere a tanto la carità fraterna
tra i nostri antichi Atenei. Potevano tutt'al piü sentire fra loro l'opportunità
di una distribuzione dei Lettori a seconda della particolare diversità degli in-
segnamenti in essi propria e tradizionale. Quando un celebrato dottore in Me-
dicina del Quattrocento, il perugino Mattiolo Mattioli, legge in Padova e il
Comune patrio lo ripretende, il senatore veneto Hc Barbaro, affinché
sia lasciato là, si rivolge al Governatore Pontificio onde i Perugini quia in armis
eloquentia et Juris cognitione tantum excellant, facile patientur ut Padua , primaria
civitas in Philosophia et Medicina, more Maiorum suorum, celebretur. (VER-
MIGLIOLI, Biografie ecc.). :
L'UNIVERSITÀ DI PERUGIA E I SUOI STORIOGRAFI 187

va Perugia anch'essa a fare il tentativo di principato con Braccio da
Montone. condottiero e uomo di stato, liberale e tiranno, non soltanto
capitano di ventura, ma vero tipo dei signori del Rinascimento (1).
Si lacera nelle sue lotte di parte; ha il suo popolo laborioso, fiero e
intransigente; ha la nobiltà superba dei propri campioni nell’ armi e
nel sapere, che aspira violenta all'egemonia, e tra cui una casata più
potente, i Baglioni, riesce a tenere il dominio di fatto sulla città; ha i
suoi momenti di fasto paganeggiante e quelli di pentimento e di re-
viviscenza religiosa; dà alle milizie italiane e straniere capitani e
soldati; dignitari alla Chiesa; uomini alle Corti; dottori ai più celebrati
Studi; dà alla mirabile varietà dell’arte italiana l’espressione personale,
. di sembianza e d'anima, d'una propria scuola pittorica.

(1) Conosciamo Braccio quale uomo d'armi, restauratore della milizia
italica, creatore di una scuola di guerra nazionale, mentre nel paese scorraz-
" zavano soldatesche e capitani stranieri; lo conosciamo come uomo politico nelle
sue mire ad una signoria dell’Italia centrale o magari più vasta; e abbiamo qual-
che elemento per ritenerlo pure promotore di studi e di sviluppo intellettuale;
cosa che del resto rientrava anche nella tattica di governante. Ottavio Lan-
cellotti in una sua Auspicalis prolusio in laudem Perusinae Sapientiae, ricorda
con altri perugini Brachius Fortebrachius, cui togata non magis in amoribus
Pallas fuit quam armata. (Ctr. Triumphus italicus, auspicalis. prolusio, ete.,
Perusiae, 1652, apud Sebastianum Zecchinum, pag. 17).

Allorché vinte in battaglia le forze dei popolari, entrò nel 1416 coi nobili
[uorusciti in Perugia, assumendone la signoria, così suona un suo primo de-
creto: Semper conservabimus studium in civitate Perusii etiam si opportunum
fuerit expendere satis ultra quantitatem deputatam pro conservalione studii se-
. cundum formam dictorum statutorum. Ed è anche nello stesso decreto una di-
sposizione che doctoribus et magistris seu conductis ad legendum in studio peru-

sino debentibus aliquid recipere a dicto Comuni fiat debita satisfactio et allocatio -

opportuna. (V. ARIODANTE FABRETTI, Biografie dei Capitani Venturieri del-
l'Umbria. Note e Documenti, pag. 114. Montepulciano, 1842-44, coi tipi di
Angiolo Fumi).

In una città.che dal Podestà, Capitano del Popolo agii altri ufficiali del
Comune esigeva giuramento di mantenere lo Studio (v. Statuto dello Studio
del 1306); che il Defensor civitatis et Comitatus perusij voleva fosse tenuto
cuiuslibet facultatis studium in dicta civitatem vigens augere proposse ; che quando
da sé stessa si pone in dominio altrui, come sotto quello di Giangaleazzo Vi-
. sconti, ne fa condizione il serbare lo Studio; non era possibile che chiunque vi
‘sì assidesse signore, non scorgesse necessità del suo primo atto d'impero il vol-
gersi ail’istituto cittadino così gelosamente sempre difeso.

Si sa che Braccio chiamò a leggere Maestro Ugolino da Montecatini l’au-
tore di quel Trattato sui bagni termali d'Italia, pel quale oggi è riconosciuto
come il fondatore dell’Idrologia Medica, (Cfr. D. BarpuUZzzI, Ugolino da Monte-
catini, Firenze 1915).

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188 RAFFAELE» BELFORTI

Dalle linee di questa immagine di Perugia l’Università rimane
inseparabile. Non può aversi una visione storica della città, senza scor-
gere tra il tumultare degli armati per le vie, il fervore degli oranti nei

templi, l’affaccendarsi degli artieri nelle officine, dei mercanti nei fon-

daci, anche l’inceder grave dei Dottori dello Studio con tutta la solen-
nità dei loro manti guerniti di vaio; senza udire irromper nel mezzo
la turba degli scolari, d'ogni nazione, d’ogni età, d'ogni ceto, avventu-
rieri e studiosi, rissosi e giocondi, squillante ondata che il nome della
città rimanda di terra in terra, oltr'alpe, oltre mare (1).

(1) Nella città non-grande per estensione edilizia e per quantità di abi-
tanti; la studentesca forestiera, sebbene non numerosa come poteva essere
in altri Studi (una sola corporazione, Universitas, difatti li riunisce tutti),
dà un suo speciale contributo di movimento alla quotidiana esistenza civile.
Quello che essa fa, é seguito con interesse, con curiosità dalla cittadinanza.
Più volte dalle cronache si ricorda la elezione del Rettore come un avveni-
mento d'importanza civica: « A di 2 giugno (1437) se fece una giostra in piazza:
«la spesa la fece il Rectore nuovamente fatto de lo Studio chiamato meser Gia-
«peco da Spoleto, e quello che aveva l’onor della giostra guadagnava braccia
«otto di velluto azurro figurato, e braccia diece de rosato ». (Cronacù del GrA-
ZIANI, nell’« Archivio Storico Italiano », tomo XVI, Parte I, 1850, pag. 419).
Altra volta è un elmo il premio del torneo: competono in questi i maggiori
gentiluomini della città, ed il nome ne è tramandato ai posteri, lasciati all’o-
scuro di tante altre cose più importanti. Risulta che il Rettore desse a sue spese
non solo la giostra ma anche una colazione a cui intervenivano le autorità
cittadine. Ed eran « cose bellissime » hanno lasciato scritto i Cronisti; che cer-
tamente vi erano invitati.

Perugia raccoglie tutto questo elemento studentesco che le viene da fuori,
e ve ne sono oltreché ciframontani d'ogni regione d'Italia, ultramontani di
Francia, Spagna, Inghilterra, Germania, Polonia, Boemia, Svezia.., nel-
l'osequio al suo Santo patrono, il Vescovo Ercolano, il tradizionale anima-
tore della difesa cittadina nell’assedio postole dai Goti condotti da Totila, e
prima vittima immolata dall’invasore, alla resa della città per fame. S. Ercolano
è protettore dell’Universitas scholarium, e il sigillo ne porta l’effige. (Cfr.
RAFFAELE BELFORTI, Il sigillo dell Università degli Scolari. néll’antico Studio
Perugino, in « Perusia », anno V, 1933, n. 2).

A svariatissimi Golan dovrebbe attingersi per conoscere quanti stu-
denti forestieri abbiano frequentato il nostro Studio: Matricole, Atti degli
Scolari, Acta Doctoratuum, Archivi delle Sapienze, ecc. Il numero di studenti
germanici è stato ad ogni modo superiore a quello che computò il LUSCHIN,
giacché egli non ha potuto vedere tutte le fonti che possono darne indicazione.
(AnNorp LuscHIN von EBENGREUTH, Vorláufige Mittheilungen über die Ge-
schichte Deutscher Rechtshórer in Italien, in « Sitzungsberichte der. Kaiserl.
Akad. der Wissenschaften in Wien », Philosoph. Hist, Classe, Vol. CX XVII,
1892). Interessante lavoro sulla scolaresca germanica nel nostro antico Studio,
indagata' nella sua particolare organizzazione, è ‘quello di Fnrrz WEIGLE:
L'UNIVERSITÀ DI PERUGIA E I SUOI STORIOGRAFI

IV.

Inquadrato lo Studio Perugino nel movimento generale del ri-
sorgere della cultura nei primi secoli del nuovo millesimo dell’Era
nostra, e del suo raccogliersi in appositi istituti di elaborazione e dif-
fusione, lo storico ritrova poi in quella di Perugia, propri o imitati

Deutsche Studenten in Italien, Teil I: Die Deutsche Nation in Perugia (« Quellen
u. Forschungen aus Italienischen Archiven und Bibliotheken », X XXII, 1942).

Tra città e studenti si stringe .un legame che dura anche dopo ripartiti
da qua: se ne hanno tante testimonianze. Potevan talvolta lasciare anche un
ricordo non gradito: gli scolari erano attaccabrighe, avevano il privilegio di
portar le armi, e l'adoperavano; tra loro, ma anche verso i terzi.

Dei suoi allievi lo Studio non perdeva memoria ancor poi che addottorati.
E tanto significativo trovare in quella Matricola degli studenti germanici che
esiste in Biblioteca Comunale (ms. n. 1188) annotati fatti deila vita di laureati,
qui, già da anni e anni tornati alla loro patria. Forse i nuovi venuti arrecavano
e segnavano queste notizie dei loro predecessori. Le Matricole conservateci,
che portano scritti di loro mano i nomi degli scolari, son di que' documenti dove
sembra palpitare ancora la vita del vecchio Studio. Le rispettive città e nazioni
d'origine indicatevi insieme, evocano lontananze di luoghi moltiplicate da
lontananza di tempo; e tutte ie vie allora faticose del lungo viaggio che condu-

cevan questi pellegrini del sapere; e i vincoli ideali che univano la vetusta

città nostra circondata dalla sua fama di sapienza, a tanti paesi, diversi di
linguaggio, di costumi, di storia.

La scrittura poi di questi nomi oflrirebbe interessante materia al gra-
fologo; ma pure a chi non è addentro agli arcani di questa scienza, oflrono
rivelazioni di psicologia individuale: firme in carattere minuto e modesto;
firme presuntuose che fanno immaginare altezzosi scolari, tra cui qualcheduno
aggiunge anche al proprio nome nipote di questo o di quel Cardinale. Quanto a
personalità di scolari che han frequentato il nostro Studio, potrà ricordarsi
che vi sono stati studenti nove Pontefici, e spigolando l'elenco, pur cosi, dif-
ficile a ricostruirsi completo, ci si imbatte, per fare dei nomi, in Cesare Borgia,
in S. Giovanni di Capistrano, in Traiano Boccalini... Non diciamo poi i tanti
Perugini andati Lettori in altre Università, e che si erano addottorati in quella

| patria. Gli studenti stranieri trovavano qui dei propri connazionali dimorantivi |

per ragione di commercio, di lavoro o d'altro, riuniti in loro sodalizi, ai quali
s'associavano anch'essi. Ci rimangono gii Atti di una Societas di Francesi e Tede-
schi, che aveva la sua cappella nella Chiesa di S. Maria Nuova, dove la pietra
tombale reca scolpiti gii uni vicini all'altra, i gig i di Francia e la bicipite aquila
imperiale. (Cfr. SCALVANTI, Statuto della « Societas Germanorum et Gallorum »
in Perugia nel secolo X V, in « Boll. della R. Dep. di Storia Patria per l'Umbria »,
Vol. V, 1899; ANGELO LuPATTELLI, I primi Servi di Maria in Perusia. Em-
poli, 1919, F.lli Lambruschini) La Societas rimase poi soltanto di studenti.
V. lo scritto cit. di F. WEIGLE.

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190 RAFFAELE BELFORTI

(tutte venivano a uniformarsi ad un modello comune), i caratteri
costitutivi che rendono l'Università istituzione peculiare dell'età di
mezzo volgente al Rinascimento, tipica accanto al Comune e alle Cor- -
porazioni delle arti, i tre istituti che rispettivamente nel campo poli- 1
tico, economico e intellettuale improntano quell'epoca storica, e che È:
pure qui in Perugia, possono bene osservarsi’ nelle loro figure e fasi di
struttura, di sviluppo e declino.

Nei tempi di maggiore splendore dello Studio nostro, il Tre,
il Quattro ed in parte anche il Cinquecento, per lo studioso vi ha |
molteplice oggetto di indagine: nelle personalità che l'hanno illustrato, |
come nei suoi ordinamenti; nelle dottrine insegnatevi, come nei suoi È
rapporti con tutte le altre istituzioni e tutti gli interessi spirituali e
materiali a cui s'intreccia. |

Col volger del.secolo decimosesto ne comincia insieme con quella
della città, la discesa (1).

(1) Alti e bassi però lo Studio ne ha anche nel periodo che è più in auge.
Nei documenti comunali si nota con quanta sincerità i Magistrati lamentino
sovente l’abbassamento in cui è scaduto, e ne cerchino le cause e i rimedi,
pure nel tempo che al di fuori, la sua continuità d’importanza non apparrebbe
interrotta. La mutevole fortuna dello Studio non può meravigliare quando
si pensi alle frequenti alternative di prosperità e di ristrettezze che seguivan 1
nelle nostre Repubbiiche, non solo per le vicende politiche, ma per guai come |
epidemie, carestie, che s'abbattevan su di esse; e le fiaccavano insieme a tutti 3
i loro istituti. Nel Trecento la pestilenza, lo mette in rilievo anche il DENIFLE,
porta per qualche momento quasi la fine dello Studio nostro. Il Magistrato
escogita, al ripetersi del flagello, provvedimenti onde impedire l'esodo degli
studenti; nel 1429 i Priori pe1 allettare gli scolari forestieri a rimanere ottengono
dal Vescovo che la provvisione spettante per la laurea a lui, a notari e ministri
suoi, non fosse più di sette fiorini d'oro... (CAvALLUCCI, Storia dello Studio).
Son però i Maestri che abbandonano lo Studio; in certe epistole di Guido Van-
nucci da Isola Maggiore insegnante Gramaticam et Auctores, e che qui ebbe di-
scepolo Giovanni Pontano, si parla di questa fuga degli insegnanti. (Cfr. BrNr,
Memorie Storiche dell’ Università di Perugia, pag. 568).

Il Comune cerca d’opporvisi. Nel 1449 risolutamente «ancorché molta
«forza avesse la pestilenza valse nondimeno che i Dottori per conservatione
«dello Studio leggessero » (PELLINI, Dell'Historia di Perugia, Parte II, pa-
gina 573): ma se i Lettori rimangono, gli scolari scappano via ugualmente-
«1466 a dì 10 ottobre incominciò la peste in Porta Sole, e morsero molte ‘per:
« sone, e si partirono molti studenti che erano venuti a studiare; et era un me- :
«raviglioso studio. ». L'accoramento della città per il colpo che la cala- \ i
mità DUIUBICA portar sia maggiore istituzione sua, è espresso tutto, nelle co-
sì semplici parole del cronista! (Cronaca di Antonio di Andrea di Ser Angiolo
dei Veghi, in « Archivio Storico Italiano », tomo XVI, parte I, pag. 640).
Il Legato Pontificio emanando nel 1514 provvedimenti a favore dell'Uni-
L'UNIVERSITÀ DI PERUGIA E I SUOI STORIOGRAFI 191

Più presto o più tardi per le molte città d’Italia avviene la crisi.
Le città in Italia erano troppe (1). Col formarsi dei complessi politici
più vasti della città-stato, pochissime son quelle che possono rimanere
al rango di capoluoghi. E tanta parte delle città Si era intonata, at-
trezzata per funzioni dominanti: sia pure d’un minuscolo Stato, re-
pubblica, o signoria. Una tradizione di capitale veniva a trovarsi in
duro contrasto con il fatto, ormai insuperabile, d’una perduta centra-
lità politica, economica, culturale.

Era stata una ricchezza invidiabile della nostra nazione questa
fioritura di tanti punti vicini e varii, accoglienti ognuno una somma pie-
na e tutta sua, di valori di civiltà; ma l’Italia la veniva scontando nel

versità ne constata e lamenta il collasso prodottosi propter Civium insolen-
tiam atque asperitatem, vel Sapientium incuriam, et in faciendis emolumento-
rum distributionibus iniquitatem, seu Doctorum et Scholarium Ro
vel propter antiquarum et laudabilium Institutionum, praetermissionem. .

Di responsabilità e di colpa, come si vede, ce n'é per tutti.

Nel secolo XVI ne comincia la discesa; ma il Cinquecento é peraltro
sempre un buon secolo per l’Università. Ha valenti Lettori, e gli se ne chie-
dono anche da altre. Giovanni III di Portogallo riordinando gli studi nel
suo Regno, trasporta l'Università da Lisbona a Coimbra, invitandovi Letto-
ri da tutta Europa; e da Perugia vi va e v'insegna ASCANIO Scotti, tra il ed
eil: $555.

Sisto V restaura l'Università di Fermo: e vi nomina nel 1586 primo pro-
fessore di Diritto il perugino Marcantonio Severi, che chiamato anche a Bo-
logna, le preferi lo Studio marchigiano. Paolo V per risollevare quella di Avi-
gnone vi manda tra gii altri docenti, da Perugia il giurista Francesco Bal-
deschi.

Il Collegio dei Legisti che comprendeva principalmente gh insegnanti
delia Facoità è domandato del suo parere da alt'ssimi personaggi e per gravi
questioni. Nel 1579 su richiesta del Cardinale Farnese emette un Consiglio
in merito alla successione al trono di Portogallo, conteso tra Filippo II di Spa-
gna, la Duchessa di Braganza e Ranuccio Farnese. (Ctr. SCALVANTI, I Con-

silia della Facoltà Giuridica di Perugia nei secoli XVI e XVII,in « Annali della .

Fac. di.Giur. dell'Univ. di Perugia », 1912).

i (1) Nel periodo dei Comuni «che mediante il sistema dell'autonomia
«consente alle energie nazionali l'impulso piü vigoroso e l'espansione più li-
«bera e piü feconda » nell Italia settentrionale e media, con organizzazione
comunale, non meno di duecento città, oltre i borghi piü popolosi costituiti
a sé, computa ARRIGO SoLMI (v. a pag. Lxv dell' Introduzione ai Discorsi
sulla Storia d'Italia, Firenze, «La nuova Ttalia » editrice, 1935). E ancora il
Sorwr: «L'Italia nei secoli XII, XIII, XIV e xv è tutta un cantiere; e i centri di
« questo cantiere sono nelle città, che non sono già cento, come insegna la fa-
« cile ed erronea frase usuale, ma almeno bensi tre volte quel numero » (Ibidem,
pag. xix). i

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192 RAFFAELE BELFORTI

piü difficile formarsi dell'unità politica, e nel disagio tra la posizione 3
tenuta in addietro, e la nuova a cui pur bisognava adattarsi, di che È
venivano a soffrire tutte queste località, sulle quali incombeva uno
splendore di passato non più possibile a continuare o riprendere.

Perugia segue anch’essa questa sorte: nella vita d’insieme e delle
singole istituzioni.

Costituito nei suoi confini territoriali lo Stato Pontificio, le Uni-
versità di Bologna e di Roma vi tengono la preminenza; quella per
una tradizione che superava ogni altra, questa perché nella capitale
dello Stato (1).

. ‘I. nuovi ordinamenti che nel 1625 promulgò Urbano VIII pro:
felici et' prospera Universitatis Studij Generalis Civitatis Perusinae
directione et gubernio avrebbero dovuto essere un provvedimento per.
rialzarlo all'antica floridezza; ma perché essa non ne segui, sono stati
considerati anche quale causa della sua ulteriore decadenza (2).

(1) Rimane però incontestabile per molti secoli la cura avuta dai Papi
onde assicurare prosperità allo Studio perugino; non esitando, come Sisto V
nel 1587, a tassare anche Monasteri per aumentare la sua dotazione. (Cfr. ScAL-
VANTI, Cenni storici dell’ Università di Perugia, ivi, 1910, Tip. Perugina, pag. 42).
‘Due statue, a Paolo II e Sisto V, l'una all'esterno della Cattedrale, l'altra sopra
l'ingresso dell'antica sede Universitaria, erette dalla riconoscenza cittadina per
l'opera lóro a vantaggio dell'Ateneo, e distrutte negli avvenimenti della fine
del secolo xvii, stavano a ricordarlo. Nel Settecento però l'attenzione del Go-
verno Pontificio viene a concentrarsi tutta su Roma e Bologna, Perugia passa
in un piano più basso; a carico dell'Università si pone perfino un contributo
annuo a favore del Seminario (Cfr. ScALVANTI, Cenni storici, ecc., pag. 84);
ed é infine con Leone XII dichiarata Università di second'ordine dello Stato.

(2) E lo storiografo cittadino LuIGI Bonazzi che così giudica la viforma
di Urbano. VIII, perché il Pontefice venne nel governo dello Studio a togliere
ogni ingerenza ai Magistrati civici, concentrandone i poteri direttivi nel Ve-
‘| scovo, più immediato dipendente dall'autorità dello Stato, che è Stato confes-
sionale. Naturale procedimento nella. formazione politico-statale moderna,
necessariamente accentrativa di comando, e assorbente tutte le istituzioni;
ma ché certi storici d'una volta non riuscivano ad intendere, andando a ri-
cercare e recriminare su distrutte autonomie e strappate libertà.

Il Bonazzi, nella sua Storia di Perugia (Perugia, 1875-79, Tip.Vincenzo
Bartelli e Boncompagni e C.) più volte si ferma sulle vicende dello Studio.
Egli possiede un suo stile personale che lo fa vivo e attraente; per quanto il
tono un po’ stizzoso, che affiora ogni tanto, come di chi sia costretto a scri-
vere di non troppa sua voglia, alla fine stanchi. E, peccato che l’efficacia della
narrazione non vada sempre congiunta alla completa veridicità storica, al
giudizio non preconcetto, non partigiano. Senza dir poi della mancanza di
ogni giusta misura nel parlare di-uomini e di fatti a lui più vicini; così da ra-
L'UNIVERSITÀ DI PERUGIA E I SUOI STORIOGRAFI

193

Nella tanto piü ristretta e uniforme vita cittadina, lo Studio se-
guitá ad essere tuttavia l'istituzione culminante, che l'empie ognora
di sé: storica mole ideale che sempre la domina con la sua linea augusta.

E perduto non v'é l'interesse d'uno sguardo per questi secoli suc-
cessivi ancora. Attenuata, pure vi continua una dignitosa operosità
scientifica e didattica: non parte piü da qui qualche nuova scintilla
di dottrina, ma ad una funzione conservatrice, puó dirsi cosi, adempie
l'Ateneo. Funzione che dà anch'essa un suo rendimento, e vale a man-
tenere all'istituto sempre una ragione d'esistere.

Anche il perdurare di vecchi sistemi dottrinali può lava

ragione nel corrispondere a esigenze particolari. Quando lo studio
della Giurisprudenza accoglie l'influsso della risorta conoscenza clas-
sica, e la cognizione del Diritto Romano si rinnova di altro spirito e
adotta altro metodo, nelle cattedre dell Università perugina, fedeli
ad un indirizzo per esse tradizionale, prosegue un insegnamento la-
sciato indietro dalle più nuove e fresche correnti della cultura. Ma per
i bisogni della pratica giudiziaria, questo insegnamento seguita ad
essere d'una maggiore utilità immediata; preferito quindi ancora da-
gli allievi che si avviano all'esercizio forense. Lo prova il noto episodio
avvenuto alle lezioni del Ridolfini, quello dei giuristi della scuola Pe-
rugina che puó essere meglio ammesso nel numero dei culti. Mentr'e-

sentare quasi, nel secondo volume dell'opera, in molti punti il libello. Per far
la storia dello Studio bisogna pur bene addentrarsi in quella delle città. Il
Bonazzi ha tenuto fino a ieri, il posto di storico di Perugia. Se singolari qualità
di scrittore gli sono innegabili, a lui difettava preparazione e abitudine di ri-
cerca sulle fonti documentarie. A quell'espert'ssimo conoscitore del materiale

storico cittadino negli archivi e nei monumenti, che fu Adamo Rossi, si rivol- :

geva per indicazioni e notizie. « Al molto soccorrevole amico » è scritto di suo
pugno, in un esemplare mandatogli della prima stesura «pubblicata dell'opera.

FRANCESCO GUARDABASSI aveva intrapreso a scrivere una nuova Storia
di Perugia. Il suo lavoro si giova d’ogni ricerca e d’ogni studio più recente sul-
l'argomento: è pensato con criterio proprio, cauto ed equilibrato. Il piano n'é
però meno ampio di quello del Bonazzi: si restringe agli eventi e agli istituti
politici. Purtroppo per la morte dell’A. la pubblicazione n’è rimasta interrotta
al secondo, volume, che giunge ai primi del Cinquecento. Il volume I va dalle
origini alla morte di Braccio (Perugia, 1933, G. Donnini), il II, dalla morte di
Braccio alla morte di Malatesta Baglioni (Ibidem, 1935).

Ma il difetto fondamentale delle Storie di Perugia è quello di non aver tenuto
conto degli archivi Vaticani. Perla storia di una città le cui vicende si sostan-
ziano principalmente nei rapporti con Roma e il Papato, non bastano le fonti
cittadine: la conoscenza di quelle Vaticane è essenziale. Cosicché può dirsi,
senza esagerare, che la storia di Perugia va tutta rifatta.

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gli eruditamente disquisisce sulle magistrature Romane, gli scolari
distratti e seccati rumoreggiano; ritornano subito attenti alla cita-
zione di un passo di Bartolo (1).

A chi studia il fenomeno sociale della cultura e delle istituzioni
culturali, interessa del resto osservare come operi un istituto rimasto
un po’ appartato dal più recente movimento intellettuale, fermo su
posizioni formategli da precedenti storici e tradizioni acquisite.

D'altra parte poi, gli studi di storia della scienza, che oggi si ven-
gono sempre piü coltivando e apprezzando, rivelano troppo sovente
in figure giudicate secondarie o rimaste del tutto in ombra, delle in-
tuizioni di verità e dei preannunci di teorie che otterranno poi il loro
pieno sviluppo; perché, come a persone così anche ad istituti scientifici,
si possa in qualche tratto del tempo negare senz'altro qualunque azio-
ne sullo svolgimento e le conquiste del sapere.

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Nè mancano ad ogni modo in nessun’epoca notevoli figure at-
‘ traverso cui l'Università perugina mantiene contatto con lè rappre-
sentanze maggiori della scienza e della cultura.

Verrà Galileo a visitare qui in Perugia nel 1618 Giuseppe Neri,
il quale nello Studio, dopo avervene ricoperta una di Diritto, teneva
la cattedra di Matematiche, chiamato ad insegnare'anche a Macerata;
e il grande scienziato gli attesta la propria stima e gli chiede il parere

. (1) Lo racconta Alberigo Gentili nel VI dei suoi Dialoghi De iuris inter-.

pretibus. Il Gentili erasi formato nel nostro Studio: egli ha sempre dinanzi alla
mente la nostra Scuola giuridica. Isuoi tanto discussi e già vituperati Dialoghi
hanno perciò, riguardo a questa, uno speciale interesse. Dopo la riabilitazione
che come documento di storia della Giurisprudenza ne fece il Bnuar (cfr. BrA-
cio Bnuar, I dialoghi di A. G. intorno agli interpreti delle leggi, nei Saggi per la
storia della Giurispr. e delle Univ. Ital., Torino, 1915, Utet) ne son venute anche
altre. rivalutazioni. ' Ì ,

Ne ha fatto uno studio illustrativo Guipo AsTuTI (Mos /talicus e mos
gallicus nei dialoghi « De int. iuris di A. G. », in « Riv. di Storia del Dir. Ital. »
Vol. X, Fasc. I, 1937), curandone pure una nuova edizione su quella originaria
di Londra del 1582 (IV dei Testi inediti o rari pubbl. dall’Ist. Giur. della R.
Univ. di Torino, 1937).

Anche nel De modo studendi in YN Jure di Gro. BATTISTI COSE
‘ che aveva avuto precettori i nostri insigni giuristi Giovanni di Petruccio Mon-
tesperelli e Angelo Perigli, risuona l’eco dei metodi d’insegnamento dei maestri
di Diritto perugini: (Può vedersi questo Trattato in appendice al Vocabularium
‘ utriusque Juris Antonio Nebrissensi auctore, Venetiis, 1581, apud Fabium et
August. diu
L'UNIVERSITÀ DI PERUGIA E I SUOI STORIOGRAFI 544195

su alcuni suoi lavori. Il Lalande nel viaggio in Italia ricorda il do-
cente di Fisica Luca Antonio Pellicciari, e il suo cospicuo insieme di
macchine dimostrative; ed anche. Giovanni Bernoulli (1).

Verrà Giorgio Cuvier nel 1810 a trovare Luigi Canali, giudicando
la raccolta di fossili e di minerali messa assieme da lui, una delle piü
ricche che avesse vedute; e incontrando materia, su alcuni resti di
vertebrati, per sue particolari osservazioni (2).

Più ancora ne avrebbe potuto contare lo Studio di queste
personalità, se Perugia avesse sempre saputo approfittare dell’opera
dei cittadini di maggior merito e dottrina. Il matematico e cosmo-
grafo P. Ignazio Danti vi avrebbe ben potuto dare il lustro del suo
nome come lo dette all’Università di Bologna (3). Pier Dionigi Ve-
glia non riuscì ad avere in patria una cattedra, e se n’andò nel 1634,
a insegnare Botanica all'Ateneo pisano. Un busto erettogli in quell’Or-

to, onorò lo scienziato che la città natale aveva respinto. Non potè

l’Università trattenere Alessandro Pascoli, che in quella Romana
spiegò tutto il.suo valore di anatomico e di medico (4).

(1) GruseppE BELLUCCI, Galileo Galilei in Perugia visita Giuseppe Neri
(Pubblicazione per le nozze Nuti-Scalvanti, Perugia, 1912, Un. Tip. Coop).

A proposito di questa visita lo SCALVANTI nei suoi Cenni storici dell Univ.
di Perugia s'indugia per distruggere la notizia che il Galilei trovasse critiche
nei Professori dello Studio perugino alla sua scoperta dei pianeti Medicei. Sul
Pellicciari v. i Commentari del MARIOTTI (ms. n. 1773 della Bibl. Com. AUBUStA):

(2) Cfr. Cuvier, Recherches sur les ossements fossiles (Paris, 1821). E ri-
cordata questa visita anche in «La Ricerca scientifica » del Consiglio Nazionale
delle Ricerche (fasc. del luglio 1932, pag. 40). Lura1 CANALI istituisce nell U-
niversità l'Osservatorio meteorologico ed il Museo di Mineralogia; dà suggeri-
menti in fatto di nomenclatura chimica che vengono accolti nella scienza;
riordina, dirige, arricchisce la Bibiioteca civica. Scienziato, letterato, è una
di quelle menti versatili e comprensive, quali altre ancora (già v'era stato il
MARIOTTI) ne furono in quel tempo all'Università; come GIUSEPPE COLIZZI,
chimico, fisico, giurista, autore di un Saggio analitico di Giurisprudenza natu-
rale e sociale ch'ebbe dal Carmignani il giudizio di opera profondissima. (Cfr.
GiusEPPE BrANcoNr, Del Prof. Luigi Canali e de’ suoi funerali, nel « Giorn.
scient. agr. lett. art. » di Perugia, 1863. V. la biografia del Colizzi nello stesso
Giornale, anno 1846, pag. 171).

(3) Ctr. Guibpo ZAccAGNINI, Storia dello. Studio di Bologna durante il.

Rinascimento, (Genève 1930, Leo S. Olschki S. A. Editeur) pag. 253. Del Danti
v. la biografia scrittane da ViNCENZO PALMESI nel « Boll. della R. Dep. di St.
P. per PUmbria », Vol. V, 1899 e- Supplemento al mio I. D. in «L'Umbria »,
Riv. d'arte e lett., 1903.

(4) Del Veglia v. l'art. nelle Biografie del VERMIGLIOLI, e la vita scrittane
da ViNCENZO CAvALLUCCI (ms. n. 56 nella Biblioteca Dominicini). Oltre il

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Ma nella guisa che non vi ha mancato del tutto mai valore di
uomini, non può nello Studio perugino avere interamente mancato
valore di insegnamento e di scuola. i

Come ordinamento complessivo però l’Università rimane ada-
giata durante lunghissimi anni in un assetto che non subisce varia-
zioni sostanziali, nella struttura, nei criteri direttivi, nei metodi di-

dattici (1).

Mutamenti improvvisi di costituzione, d’indirizzo, di funzio-
ne, vi portano i rivolgimenti politici della fine del secolo xvi.

Non si sforzano i fatti a voler drammatizzare gli avvenimenti
dell’ Ateneo in quei giorni. Quasi una posizione fortificata il moto ri-
voluzionario l’assalta, se ne impadronisce, e n'é poi ricacciato. Tx
niversità é come un punto strategico del cui possesso si sente l'im-
portanza, o per far resistere principii tradizionali, o per fare irrompere
i nuovi negli ordinamenti politici, sociali, civili che stanno subendo

FABRONI, il TARGIONI, il CALVI cit. dal Vermiglioli, di lui fa parola anche
GAETANO Savi nelle sue Notizie per servire alla storia del Giardino e Museo
della I. R. Un. di Pisa (ivi, Nistri, 1828, pagg. 22-23).

Del Pascoli CEsARE MASSARI ha scritto Elogio di A. P. Filosofo e Medico
Perugino del secolo XVII (Perugia, 1839, Tip. Bartelli). E il MassAnr autore
di un Saggio storico-medico sulle pestilenze di Perugia e sul Governo sanitario .
di esse dal secolo XIV fino ai giorni nostri (Perugia 1838, Tip. Baduel) che in-
teressa anche la storia dello Studio, poiché le epidemie mettono a prova la
scienza dei Medici Lettori, e diversi loro scritti sono venuti fuori per questi
frangenti calamitosi.

(1) Sullo scorcio del secolo decimosesto, i PP. Gesuiti fecero attivissime
pratiche per entrare alla direzione dell’Università e trasformarla in una isti-
tuzione alle dipendenze dell’Ordine; trovando però ferma e decisiva opposizione
nel Vescovo Lucalberto Patrizi. Tra i motivi che quelli mettevano innanzi era
il decadimento dell'istituto. (Cfr. SCALVANTI, Cenni storici del Univ. di Perugia ;
e Inv. Regesto dell’ Archivio Universitario, pagg. 22 e 60. Documenti in riguardo
trovansi pure nel ms. n. 82 della Bibl. Com.). Che non corresse ormai più una
opinione favorevole sul nostro Ateneo, si desume da molte circostanze. Un’am-
basceria mandata dall’ Università a patrocinare dei suoi interessi presso il
Cardinale Prospero Lambertini, e composta dell’ Arcidiacono della Cattedrale
Paolo Danzetta pel Collegio dei Legisti e del Dottore Filippo Belforti per quello
dei Medici e Filosofi si sentì rispondere dal futuro Benedetto XIV che «1’U-
niversità di Perugia non serviva ad altro che à mantenere dei gentiluomini
affamati ». (V. nel ms. n. 1490 della Bibl. Com.: Notizie dei Perugini estratte.
dai libri mortuali).

Fuori d’Italia però, per effetto d’una fama da lungo acquistatasi, lo Studio
perugino proseguiva sempre a goder di prestigio; cosicché studenti stranieri vi
seguitano a venir anche nei secoli XVII e XVIII.
L'UNIVERSITÀ DI PERUGIA E I SUOI STORIOGRAFI 197

inattesi cambiamenti. L'alternarsi di dominio sull'Università ne
investe e modifica le linee costitutive; le impone a vicenda vario spi-
rito e contenuto d'insegnamento; e frattanto i suoi docenti di versi
per convinzioni, per temperamenti, restano disorientati, divisi, e
subiscono anche le conseguenze personali della loro adesione agli uni
o agli altri principii. j

| Il Governo Napoleonico verrà infine a dare all'istituto un'im-
. pronta organizzativa e funzionale da dirsi formalmente definitiva:
anche la Restaurazione la manterrà e svilupperà (1).

V.

Il fatto caratteristico della civiltà mediterranea, che in Italia
ha culminato e attraverso l'età perdurato, cioé l'affermazione della
Città come nucleo vitale, come organismo a sé stante, ricco di tutte
le forme dell'attività umana (2), si riflette sull'esistenza della mag-
gior parte delle nostre Università; di quella perugina, sicuramente,

L'Università si presenta quale istituzione ‘eminentemente cit-
tadina: sia pur sorta gruppo vagante che S'accampa in un luogo,
pronto ogni istante a levarne le tende; la Città con ogni sforzo se
ne impadronisce e la fissa, la fa sua. Non vale a toglierle questa im-
pronta cittadina, se il formale suggello dovesse essergli impresso da

(1) La sistemazione datagli dal Governo Napoleonico ha un interesse che
trascende l'Ateneo stesso. Cosi il GEMELLI-VISMARA: « Introdotti nel 1808
« gli ordinamenti napoleonici Perugia porta a ventotto le cattedre delle cinque
« Facoltà del suo Studio; e la cosa ha la sua importanza, anche perché da’ suoi
« quadri si intuiscono quelli di Roma, pei quali i documenti sono imprecisi,
«epperció non permettono di avere tutti quei ragguagli che si desiderano ».
(AcosrINO GEMELLI e SILVIO VISMARA; La riforma degli studi universitari
negli Stati Pontifici (1816-1824) a pag. 53; Pubblicaz. dell’ Univ. Catt. del Sacro
Cuore, Milano, 1933, Soc. Ed. «Vita e Pensiero » ).

(2) CARLO CATTANEO n'ebbe chiara intuizione; v. La città considerata
come principio ideale delle storie italiane, ripubblicato a cura di G. Belloni
(Firenze, 1931, Vallecchi. Editore). ARRIGO SOLMI, avvisato questo fenomeno
storico qual fattore determinante ed esplicativo delle forme di civiltà Comu-
nale e della Rinascenza, sempre più approfondendovi e allargandovi la riflessio-
ne e l’indagine, ne ha pienamente dimostrata l’efficienza in tutto lo sviluppo
della storia Italiana (v. nei suoi Discorsi sulla storia d’Italia quello su L’unità

fondamentale della storia Italiana). Notevole contributo allo studio della Città
| vista sotto questo aspetto ha recato pure CARLO MeNGOZzZI: La città italiana
| nell’alto medio evo (Roma, 1914; 2% edizione riveduta per cura di A. Solmi, Fi-
renze, 1931, N. I. Editrice)..

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198. RAFFAELE BELFORTI

un’autorità esteriore e superiore, a cui pur si chiedesse concessione e.

conferma di diritti e prerogative. Ed anche dopo che le Città da unità
politiche quali erano col, Comune, son diventate parti di uno Stato
più vasto, e il governo dell' Ateneo ne è passato al potere centrale, que-
sto ha dovuto assecondare le sollecitudini che la Città metteva in

opera per mantenere il suo Studio, rimasto sempre un supremo in- .

teresse quanto un geloso vanto locale.
Resiste con sua ragione di vita quell'individualità che lo Stüdio

é venuto prendendo in ogni singolo luogo per un insieme di fattori
che gli han conferito una fisonomia tradizionale: sia il merito conti-
nuativo d'una propria scuola in qualche branca del sapere: sia la com-
| parsa a quando a quando d'insegnanti che ne han fatto centro d'una

personale visione di pensiero, d'una personale pratica di metodo:
bagliori che durano illuminando il corso degli anni; sian magari par-
ticolari correnti di scolaresca che v'han confluito. Tutti elementi lo-

calizzati, che restan congiunti da rapporti riposti, sottili ma tenaci,

inseparabili, ad un complesso di condizioni ambientali: dalla posizione
geografica ad aspetti culturali, a vicende politiche, a circostanze eco-

.nomiche. L'Università è un tronco che affonda le sue radici nel luogo

dove è sorta, e dal PEODHO passato trae alimento per rinriovati svi-
luppi.

*OGKk ok

.La storia dello Studio trova di conseguenza i dati e gli elementi
nella storia stessa della Città: delle sue istituzioni ed eventi politici,
come della sua piü varia ed intima attività sociale; intellettuale, eco-
nomica. Perció tutte le fonti documentarie della storia cittadina —in-
tesa questa e quelle nel senso piü largo; cosi non i soli documenti ed
atti provenienti dalle pubbliche autorità, sibbene anche quelli di ca-
rattere personale e privato, quali biografie, diarii, epistolari, ecc. -sono
pure fonti principali o sussidiarie della storia dell'Università; consi-
derata essa pure non ristrettamente al suo organismo e compito
d'istituto scolastico, ma nel piü vasto ministero esercitato a racco-
gliere, elaborare, riflettere il sapere. ;

*okok |

Un'esplorazione di queste fonti per trarne un racconto, ha co-
minciato pel nostro al pari degli altri, quando già secoli di esistenza si
accumulavano sull' Ateneo. Notizia d'esso non poteva tuttavia mancare,
L'UNIVERSITÀ DI PERUGIA E I SUOI STORIOGRAFI 199

data la fama che lo circondava, in qualunque autore, e in qualunque
epoca, avesse accennato agli istituti da cui s'era diffuso lume di pensie-
ro. Son sempre parole celebrative: é lo Studio che rende nota. Perugia
nelle descrizioni dell'orbis terrarum. Vene

Fra gli scrittori che piü di proposito si sono occupati della materia,
il TrraBoscHr ripetutamente parla dell'Università perugina, non
dietro ricerche sue proprie, sibbene suinformazioni fornitegli dal nostro
Maniorrr. Il SAvIGNY nella sua notissima opera attinge per l'Uni-
versità nostra ai lavori del Bini e del VERMIGLIOLI; il CopPr e gli al-
tri storici dell'Università in generale, non ci han dato di essa nessuna
nuova notizia; tranne il P. ENRICO DENIFLE nel suo lavoro poderoso;
che segna un punto miliare in queste ricerche. Notizie sconosciute, in

specie sulla Facoltà Teologica, egli potè trovare nell'Archivio Vati-:

cano fin allora chiuso agli studiosi; facendoci palese inoltre quant’al-
tra messe si, potrebbe là raccogliere (1).

Se non contributi originali, per nuovi documenti scoperti, ba-
sandosi tuttavia specialmente su quelli dati in luce dal nostro Rossi,
il KAUFMANN delinea efficacemente la fisonomia dell’Università pe-
rugina, tra le altre italiane. Osservazioni sue sulla costituzione e il
funzionamento di essa fa pure il RasHpDaLL. Delle pagine che dedicano
all'Ateneo nostro questi storici dell’istituto universitario, va tenuto
il debito conto (2).

L’esame degli ordinamenti e delle fortune del patrio Ateneo

spettava però agli storici del luogo d'intraprenderlo. Una vera e pro-
pria storia della vostra Università sarebbe stata difatti composta nel
secolo xvit da ALESSANDRO BALESTRINI di Perugia, in un suo scritto
inedito trattante della Storia dello Studio, dei Collegi e delle Accademie
perugine. Afferma d’avere avuto in mano questo lavoro AGOSTINO
OLpDOINI nel suo Athenaeum Augustum (Perusiae, 1678) dove dà no-
tizie dei letterati perugini di cui molti lessero all’Università. Gli sto-
rici posteriori di questa, il CAVALLUCCI e il Bini, dicono d'aver fatto

(1) Per la storia degli Atenei dello Stato Pontificio la consultazione del-
l’Archivio Vaticano apparisce indispensabile. I documenti che esistono là, e ai
quali non si trova riferimento negli archivi cittadini, almeno qui a Perugia,
chiariscono in modo nuovo fatti e ordinamenti. Per le vicende dell’Istituto nei
primi decenni dell'Ottocento si veda, ad esempio, La Riforma degli studi uni-
versitari negli Stati Pontifici di A. GEMELLI e S. VISMARA cit.

(2) Cfr. le opere citate del DENIFLE e del KAUFMANN, e Hastings RAsH-
DALL, The Universities of Europe in the Middle Ages, Oxford at the Clarendon
Press, 1895.

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200 RAFFAELE BELFORTI

invano ricerche dell'opera del BALESTRINI, la quale anche in ulteriori
indagini condotte nelle nostre Biblioteche mai é stata ritrovata; e
può considerarsi perduta. | i

S’accinse poi a scrivere le vicende dello Studio VincENZO Ca-
VALLUCCI, letterato perugino del secolo xvi, il cui nome, per la lunga
dimora in Venezia e le relazioni personali con illustri italiani dell’epo-
ca, corse al suo tempo al di là della città natale (1).

. L’opera sua è inedita: trovasi l’originale nella busta n. 1491 dei
mss. della Biblioteca Comunale « Augusta ». Ne esiste copia nell’ar-
chivio del Monastero di S. Pietro (C. M., n. 336). Un frammento
ne éin un volume miscellaneo delle carte Cavallucci conservate nella
Biblioteca Dominicini (n. 70).

Il CavALLUCCI dice di aver messo mano a questo lavoro mentre
era lontano dalla città, su notizie raccolte prima della sua partenza;
. e la storia doveva constare di due parti, descrivendo nella prima le
origini e i progressi dello Studio, nella seconda la vita dei più chiari
Lettori. Nel ms. che ci rimane è svolta solo la- prima, la quale l’A. ri-
suddivide in due, essendo lo Studio, secondo egli si esprime, composto
come ogni altra comunità di due parti una materiale, intendendo per
essa le scuole ove i Lettori insegnáno le scienze e le arti liberali, le
tre Sapienze : Vecchia, Nuova e Bartolina ; ed una formale, intendendo
per questa i soprastanti e i magistrati che vegliano alla cura dello
Studio, i dottori gli scolari e i ministri. Svolti questi due argomenti
entra a parlare dei progressi dello Studio, ma la trattazione appare
nel ms. interrotta (2).

————— MB

(1) Del CAvaLLUCCI (1700-1787) dati. biografici e bibliografici son raccolti
dal VERMIGLIOLI nelle Biografie degli Scr. Per. V. anche G. LELwi nel volume di
Studi storici e letterari in memoria di A. Mariotti (Perugia, 1901,. Tip. G. Guer-
ra). CLEMENTE Pizzi ha pubbiicato Lettere inedite di V. Cavallucci a G. B. Mor-
gagni (Perugia, 1936, Tip. Guerra), tratte dal Fondo Cavallucci alla biblioteca
. Dominicini. Di quest’A. vedi anche Il carteggio italiano tra Vincenzo Cavallucci
e G. B. Morgagni nel «Boll. della R. D. di S. P. per l'U.», Vol. XXXVI, 1939.
(2) Il CAvaLLUCCI pel suo lavoro cercava anche il consiglio altrui. Cfr.
GAETANO GasPERONI, Movimento culturale Umbro nel secolo XVIII nel sudd.
« Bollettino », Vol. XXXVII, Perugia, 1940 (pag. 39 dell’estr.). Quanto alla se-
conda parte, Vite dei Lettori, il VERMIGLIOLI menziona sue Vite di alcuni
illustri letterati perugini mss. in numero di XIX negli esemplari dal V. stesso
esaminati.
© Si accenna ad un'opera del CavALLUccI.sugli scrittori Perugini nelle Ad-
dizioni e Correzioni di AncELO TEopono ViLLA alla Biblioteca dei "Volgarizza-
tori dell AnGELATI (Tomo V, pag. 485, Milano, 1767, Federico Agnelli). Parlando '
L'UNIVERSITÀ DI PERUGIA E I SUOI STORIOGRAFI 540201

Il VERMIGLIOLI tra gli scritti del CAvALLUccI che elenca all'ar-
ticolo di lui nelle Biografie degli scrittori perugini, registra un Ragio-
namento accademico sull’origine del pubblico Studio di Perugia, ma con
questa annotazione: « Avea il Cavallucci riuniti copiosissimi mate-
«riali per compierne la storia, ma chein vari volumi e quaderni lasciò
«semplicemente abbozzata, ed il lodato estensore di. quell’ articolo
« nelle Novelle di Firenze, fu malamente informato, quando scrisse che
«il Cavallucci aveva condotto a compimento buona parte di quel la-
«borioso lavoro, che molto indigesto trovammo ».

*ockoxk

Tale Ragionamento non doveva essere la medesima cosa della
Storia dello Studio sopra indicata, poiché essa come si é accennato,
tratta molto più che delle origini; e malgrado il giudizio del VERwr-
GLIOLI, é lavoro assai utile per gli storiografi del nostro Ateneo, del
quale forma il primo saggio espositivo che ci rimanga (Dy

della traduzione fatta da Ignazio Danti della Prospettiva di Euclide, si dice che
«notizia di questa fu all’ Argelati comunicata dal Signor D. Vincenzo Cavallucci
« Segretario dell’Accademia Augusta di Perugia il quale ne’ suoi Scrittori Pe-
«rugini dà abbondanti notizie del volgarizzatore Dante e de’ suoi scritti ».
Non può però identificarsi tale lavoro tra i mss. che del C. ci sono rimasti.

(1) Il CAVALLUCCI riappare in scena a proposito dell’ Università, in una

polemica che mette conto di ricordare, poiché tocca i metodi didattici tenuti

dai nostri Lettori. :

FRANCESCO MENICONI, civilista e canonista che nel Settecento insegnò nello
Studio cittadino, pubblicava nel 1759 (Romae, excudebant Benedictus Franzesi
et Caietanus Paperi) le sue Institutiones Juris Canonici. Dalla pubbiicazione
prese motivo un dibattito che dette occasione al MENICONI di scrivere, per so-
stenere le proprie vedute, una Breve dissertazione in cui si dimostra essere assai
più profittevole che i Professori delle Belle arti e Scienze alla gioventù spieghino
libri impressi che trattati manoscritti. Lo scritto fu stampato anonimo in Firenze
nel 1765, e parimenti anonimo usci nel 1767 in Perugia un Parere di N. N. in
forma di lettera a richiesta di un amico sopra la Dissertazioae in cui si dimostra,
ecc. Autore ne era precisamente il nostro CAvALLUGCI che sostiene diversa
opinione. E il MENICONI torna a replicare con altra Lettera in difesa della Dis-
sertazione, ecc. stampata in Roma dallo Zempel. Favorevoli alla tesi del Mz-
NICONI eran diversi scrittori, tra cui il Facciolati (cfr. A. Manrorrr: Delle lodi
del Signor Canonico Francesco Meniconi, Perugia 1787, presso Carlo Baduel).

Quei trattati manoscritti eran costituiti dalle lezioni composte e dettate
dagli insegnanti agli scolari, le quali così diventavano alla loro volta un testo,
accanto alle opere dei grandi ‘autori ormai tutte divulgate per le stampe. Con-
tro l'usanza di dettare le proprie dottrine si era per l'Ateneo Padovano pro-

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202 RAFFAELE BELFORTI

Ma chi sullo scorcio del Settecento può chiamarsi storiografo
dell'Ateneo, anche senza averci lasciato fra i tanti suoi scritti che vi
sì riferiscono un lavoro sistematico, possedendo però, a questo, pre-

parazione generale di dottrina e particolare di ricerche, è ANNIBALE.

MARIOTTI. Professore, e valente, di Medicina all’Università, versatis-
simo nelle discipline storiche, sagace ricercatore d’archivio, letterato
di facile penna, il MARIOTTI è, per ingegno e genialità una delle più
spiccate figure della intellettualità perugina sul finire del secolo xvII.

Manca di quest'uomo dottissimo (1738-1801) un compiuto stu-
dio sulla vita e sull’opera : ne parla però ampiamente chiunque si

è occupato delle condizioni intellettuali di Perugia in quell'epoca;

onde è agevole formarsene. un adeguato concetto (1).

nunciata l’autorità della Repubblica Veneta; per la nostra Università la S.
Congregatio reformationis Studii perusini nominata da Urbano VIII nel 1626,
disponeva affinché il Vescovo ‘preside dello Studio provideat ut omnino tollatur
abusus ab aliquibus doctoribus introductus dictandi, ita ut lectiones scribantur a
scholaribus ; et invigilet, ut iidem lectores quam horam tenentur in Scholis morari
eam integre insumant legendo, et cum scholaribus disserendo de rebus ad lectio-
nem spectantibus. (Queste disposizioni si trovano stampate col Breve di Ur-
bano VIII pro directione et gubernio Studii Perusini).

Spiegare e disquisire coi propri allievi; in ció doveva consistere la lezione;
non avevan questi solo dà ricevere e registrare meccanicamente le parole del
maestro: ma con esso stare in vivo contatto di idee, che portava naturalmente
anche alla discussione: quel dibattito che era considerato quale il fattore piü
attivo dell'insegnamento (si veda, ad es. il CAccrALuPr: De modo studendi in
utroque jure, al Documentum octavum principale); tanto che fra gli stessi do-
centi veniva prescritto. In Decreti fatti per lo Studio nel secolo xvi, leggesi
tra l’altre questa disposizione: «Li lettori condotti siano obbligati fino alle
«feste del Natale fra di loro disputare, e cioè quelli che leggano nella medesima
«ora fenita la lezione, ogni giorno che leggeranno modestamente e senza ru-

'« more, e quelli che non circoleranno siano apontati come se non avessino letto ».

Discussione. giornaliera continuata, pare; altra cosa eran le dispute vere
e proprie su questioni determinate, il cui numero e modalità sono stabilite da-

gli Statuti universitari (cfr. quello della nostra Università del 1457, alla rubr. .
14 del Libro II). Senza sopravalutare l'efficacia di queste discussioni e dispute

che venivano pure a ridursi ad un formalismo di domande e risposte, pur tut-
tavia eran esse una ginnastica dell'ingegno; per cui lo Statuto appropriatamente
adopera la espressione palestrare. |

(1) Una diffusa biografia ne ha scritto ORESTE FERRINI: Annibale Ma-
riotti nell'opera sua, nel già cit. volume commemorativo pubblicato nel 1901
(Perugia, Tip. G. Guerra). Ma la sua opera di storico va meglio prospettata.
Si estese essa al campo letterario, artistico, scientifico. In questo non puó non
ricordarsi una sua raccolta di antiche iscrizioni che parlano di medici e di me-
dicina. È inedita; v. i mss. n. 1459 e 1503 della Bibl. Com. Il VERMIGLIOLI
: Heer e e dove il più largo posto è riserbato allo Studio.

.L'UNIVERSITÀ DI PERUGIA E I SUOI STORIOGRAFI . 203

Le Memorie per la storia. sommaria delle Università d' Italia,
e singolarmente di quella di Perugia, inedite, sono lo scritto del Ma-
RIOTTI che tratta più di proposito dell'Università, lasciatoci da lui tra
il vastissimo materiale che in proposito aveva messo assieme, e di cui
buona parte ha utilizzato nelle copiose notizie su di essa sparse in
quasi tutte le sue opere. Abbozzo succinto, niente di piü; giova per le
notizie prese da fonti dirette, e interessa per i raffronti che fa delle

vicende del nostro Studio con quelle di altri, risalendo alle origini

dell'istituzione, coll’intento d'inquadrare la storia dell'Ateneo pe-
rugino in quella generale dell'istituto universitario (1).
Scegliendo tra le diverse carte del nostro erudito potrebbe forse
ricomporsi tutto un lavoro sull'Università. Gli ordinatori dei mss.
della civica Biblioteca Augusta hanno voluto conservare le carte del
MARIOTTI, come quelle del VERMIGLIOLI, nello stato di distribuzione

il quale negli scritti del M. che enumera (Biogr. degli Scritt. Per.) la chiama
Marmora medica, ne dette conto nel «Repertorio medico-chirurgico » di Perugia,
1824, I, pag. 369. ;

Detto periodico, che si pubblicó sotto la direzione di Domenico Bruschi,
docente di Botanica e di Farmacologia all'Università, va rammentato, perché
ebbe credito in Italia, e testimonia come fossero seguiti gli studi medici, nel-
l'ambiente universitario locale. Gli fece seguito, nel.1833, un'altra pubblicazione
periodica intitolata dapprima « Oniologia scientifico-letteraria » e poi « Gior-
nale scient. lett. art. agrario », che puó essere anch'essa considerata documento
della nostra cultura universitaria del tempo; per la collaborazione datavi dai
professori dell'Ateneo, di molti dei quali riporta notizie biografiche.

(1) Tale ms. trovasi nella Miscellanea del Fondo Mariottiano della Comu-
nale segnata n. 1491; ve n'é una copia nell'Archivio del Monastero di S. Pie-
tro (C. M. n. 384). Il ms. n. 1463 contiene del MAnrorrr un Estratto degli opuscoli

di Stefano M. Fabbrucci sulla Un. Pisana per ciò che concerne massimamente .

la storia letteraria perugina ; in altro suo ms., egli ha riunito notizie sui Perugini
che hanno insegnato a Pisa e Padova; di quelli che hanno letto in Ferrara ha
dato un elenco in una nota ad una sua Orazione-(Prose, Perugia, 1823, Garbi-
nesi e Santucci, pag. 131). Gli studi storici e i documenti pubbiicati sulle altre

Università, érano scarsi ai suoi tempi: scorgeva egli però chiaramente la rela- .

zione tra le vicende dei diversi Atenei, e come tutte conducano a quella com-
prensiva del movimento intellettuale. Contiene poi altri suoi preziosi appunti
sullo svolgimento degli studi in Perugia il ms. n. 1457; é un frammento poiché
comincia con Cap. II: — Giurisprudenza. Debbono essere certamente capitoli
preparati per un'opera completa sulla storia dell'Università collegata a quella
più ampia della cultura in Perugia, intorno a cui va indicata anche una sua
Storia della letteratura perugina (come la chiama il VERMIGLIOLI), ed è il ms.
n. 1507; non proprio storia, ma insieme di notizie desunte da svariate fonti

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204 ©» i RAFFAELE BELFORTI

in cui si trovavano al momento che son passate alla medesima. Però
i due valenti studiosi non potevano averle lasciate così: tanti e tanti
l'hanno dopo frugate e rimescolate; il loro troppo palese disordine di
materia lo prova. Quanto si riferisce ad un dato argomento, poniamo
l'Università, resta quindi disgraziatamente spezzato e sparso senza
alcun criterio tra diverse buste ed incarti, complicando ed affaticando
le ricerche (1).

Tra gli altri scritti inediti del MARIOTTI riescono di valido sussi-
. dio per la biografia dei docenti, in specie degli ultimi tempi, i Com-
mentarii excellentissimorum DD. Augusti Collegii Philosophiae et Me-
dicinae Doctorum ; tra quelli a stampa soprattutto le memorie sto-
riche De’ Perugini Auditori della Sacra Rota Romana (Perugia, 1787,
Carlo Baduel). Perugia dette parecchi uditori alla Rota Romana, per
effetto indubbiamente dell’alta rinomanza a cui era salito l’insegna-
mento del Diritto nel suo Ateneo; e di essi qualcheduno tenne in questo
pure la cattedra. Il Mariotti trova occasione di arricchire il lavoro di
tante e tante notizie sullo Studio e i suoi Lettori, così da portare un
contributo di primo ordine alla conoscenza di. personalità ed eventi
del nostro Ateneo. Esiste una a copia di quest'opera con agginnte auto-
grafe dell’autore.

ANNIBALE MariotTI per l'insegnamento nello Studio, per l'o-
. pera di storico di esso, per la parte attivissima presane all'andamento,
illustra singolarmente l’Università di Perugia; e se egli avesse accettato
le cattedre che altrove gli furon ripetutamente offerte, avrebbe pro-
curato anche maggior fama al patrio Istituto, il quale deve segnare il
suo nome tra coloro che più n'han meritato, in un periodo in cui le
sorti non solo pel Perugino, ma in generale anche per gli altri in Italia,
non volgevan troppo liete.

*ockock

L'opportunità di stendere un'ampia e documentata storia del-
l'Università di Perugia apparve sui primi dell'Ottocento ad un dotto
Benedettino, lettore di Filosofia nella stessa Università: l'Abbate Don
Vincenzo Bini, che compose le Memorie istoriche della perugina Uni-

(1) È difficile anche identificare i mss. del MARIOTTI dal nome che gli
è stato attribuito da coloro che l'han consultati e li citano. Il Rossi nei suoi
Documenti sull’ Università richiama un Indice degli spogli degli Annali De-
cemvirali del MARIOTTI. Qual’è ?
L'UNIVERSITÀ DI PERUGIA E I SUOI STORIOGRAFI 205

versità degli Studi e dei suoi professori di cui pubblicó il primo volume
nel 1816, mentre il secondo rimase inedito (1).

Scritto di vasta mole, corredato dalla riproduzioneintegrale di do-

cumenti,.che vorrebbe presentare l'organizzazione e lo svolgimento.

dello Studio in tutti i suoi aspetti, questo del Bini; e se fosse stato
pubblicato per intiero avrebbe. consentito all'Ateneo perugino il
vanto d'avere dopo la Historia Academiae Pisanae del FABRONI,
uscita per le stampe sulla fine del Sette, e la Storia dell’Università
di Roma del RenAZzZI, sul principio dell'Ottocento, le due prime opere
organiche in questo campo, raccolto le fila del suo passato, esponendole

in un lavoro di largo disegno e trattazione, nell'intento, completa del
tema. :

È curioso come un senso di soddisfazione par che provino gli
scrittori più recenti sull'Ateneo, nel trovare che il BrNI molte cose non
ha veduto e diverse altre frainteso. Mancó a lui, come a tutti gli altri
storici iniziali dell'istituzione universitaria, la nozione essenzialissima
della distinzione fra Studium e Universitas : l’istituto cioè nella strut-
tura e capacità scientifica e didattica, e il corpo organizzato della sco-
laresca in cui la sua funzione si esplica e si realizza (2). Peró riusci
il suo pensato e studiato lavoro, che rivela nell'autore estesa e variata
cultura, a dare la prima sistemazione ad una complessa materia, sulla
base delle notizie e dei documenti allora conosciuti; e resta principale.

(1) D. Vincenzo Bini (1775-1843) nativo di Assisi, fu in Perugia Abbate
del Monastero di S. Pietro; ricoprì anche altre alte cariche nell'Ordine. Valoroso
docente pubbiicó un Corso elementare di Lezioni logico-metafisico-morali (2%
Ediz.: Perugia, 1818,. Ferdinando Calindri, Vincenzo Santucci e Comp.).
. V. la Necrologia scrittane da FRANCESCO BARTOLI nel « Giornale Scientifico-
letterario » di Perugia, anno 1843, pag. 277.

Il I volume dell'opera (edito in Perugia, presso Ferdinando Calindri, Vin-
cenzo Santucci e Giulio Garbinesi) abbraccia la storia dell'Ateneo per i secoli
XIH, XIV, XV; il secondo volume, che la conduce fino al sec. XVIII, è rimasto
inedito. Si veda il n. 1325 dei mss. della Comunale. Altro fascio di schede ed
appunti per l’opera è nell’Archivio del Monastero di S. Pietro. i

(2) La distinzione appare chiara ripetutamente, nei nostri documenti.
In una petizione del 1314, pubblicata dal Rosst, gii scolari chiedono sia prov-
veduto a date letture cum ipsi doctores sint multum necessarij et utiles ipsi
studio ac etiam universitati. :

Nel graduale passaggio all’equivalenza dei due termini l'intermediario di
preparazione, universitas studii, il RASHDALL, l'avvisa usato la prima volta
distintamente in un documento nostro del 1316 (The Univ. of Europa, Vol. I,

pag. 19). Sarebbe il Doc. n. 25 del 27 maggio 1316, di quelli pubblicati dal
Rossr.

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206 . RAFFAELE BELFORTI

Ben concepito ne éil piano; ogni secolo dello Studio nei singoli rami
delle discipline insegnatevi e nelle persone dei Lettori é rappresentato
sullo sfondo piü generale del relativo stato delle scienze e delle lettere
nella città. L'ordinamento dell'Istituto é ricercato nelle sue leggi, nei
suoi organi, nella sua economia; moltissimi sono i documenti riprodut-
tivi; e quel che lA. espone, è sempre in base ad essi. Potrà la loro in-
sufficienza averlo portato ad affermazioni da respingersi, ad equivoci
da spiegare; ma ogni cosa la produce su di un fondamento. .

La pubblicazione del Bini, in Perugia venne accolta con gran
plauso; furon dati in luce dediche e versi per celebrarla; vi si sentiva
tutto il valore d'una rievocazione delle glorie cittadine:

Ritogli, o Bini, all'invidioso oblìo
L’ombre onorate e le riponi in Trono,

comincia un sonetto composto da Don Filippo Antonini, valente
insegnante di quei giorni; e questa Storia apparve, né allora si aveva
torto, un monumento di sapienza:

tal'Opra non vedrà mai sera.

cosi chiude un altro sonetto.

È un fatto che l'antica fama del-nostro Ateneo, del quale un
giudizio avrebbe potuto formarsi solo basandosi sullo stato di deca-
dimento in cui si trovava a quel tempo, venne ad essere dimostrata
con quest'opera, che ebbe diffusione, e fino agli ultimi decenni del-
l'Ottocento, rimase l'unico lavoro valevole a dare una idea di quel che
fu l'Università di Perugia nei secoli cui si riferisce le parte pubblicata.

Nuovi documenti rinvenuti dimostrarono subito come la storia
dello Studio doveva però essere ancora completata; nell'anno stes-
so che il volume fu stampato, la scoperta di documenti nell’Archivio
Comunale, tra cui quelli relativi alle condotte di Cino da Pistoia, venne
ad aumentare i ruoli dei Lettori datici dal BinI (1).

>>

Chi aveva fatto questa scoperta era GIAN BATTISTA VERMIGLIOLI.
Contemporaneo al Bini s'occupava delle sorti. trascorse del-
l'Ateneo quest’altro eruditissimo perugino, professore di Archeologia

(1) VERMIGLIOLI, Bibliografia storico-perugina, pag. 36; tra le carte ine-
dite del VERMIGLIOLI Si trovano sue aggiunte alla Storia del Bini.
L'UNIVERSITÀ DI PERUGIA E I SUOI STORIOGRAFI 207

nell'Università medesima. Gli studi del VrRwiGrIOr: sullo svilup-.

po delle lettere e delle scienze in Perugia sono esposti in numerosi
scritti che tutti più o meno direttamente recan contributo alla sto-
| ria dell'istituto universitario (1). L'attività e la produzione del

(1) Per notizie del VERMIGLIOLI (1769-1848) si veda: Elogio del Cav.

Giov. Battista Vermiglioli; Prof. di Archeologia e Presidente del Collegio Filosofico
nell’ Università di Perugia, letto dal Prot. FnANcEsco BARTOLI nella Chiesa
dell’ Università di Perugia li 19 dicembre 1850 (Perugia, 1851, Tip. Vagnini);
e il volume di GIANCARLO CONESTABILE, Della vita, degli studi, e delle opere
di Giambattista Vermiglioli (Perugia, 1855, Tip. Bartelli).

Vi si illustrano ampiamente l’attività e le pubblicazioni di lui; come sto-
rico cittadino e soprattutto come archeologo, il primo a ricoprir la cattedra
della materia istituita nella nostra Università sull’inizio del secolo scorso.

Contribuì il Vermiglioli allo sviluppo delle civiche raccolte d’antichità,
per cui redasse un’IndicaZione sommaria per il Gabinetto Archeologico di pro-
prietà dell' Ill.mo Magistrato di Perugia e situato nel pubblico Studio della me-
desima città (Perugia, 1830, Tip. Francesco Baduel). L'origine del Museo
devesi ad un donativo fatto da Francesco Friggeri, che fu pure inscgnante di
Diritto Canonico nello Studio sullo scorcio del sec. xvirt. Pubblicò il Vermiglioli
le sue Lezioni elementari di Archeologia esposte nella Pontificia Università. di
Perugia, in due volumi (Perugia, 1822-23, presso Francesco Baduele ristampate
l'anno appresso a Milano presso Giuseppe Pogliani), che formano il primo saggio
di ordinamento sistematico in un trattato di tutte le dottrine riguardanti la
scienza dell'antichità; e quale archeologo godé fama in Italia e in Europa.
Proseguirono dopo di lui Ariodante Fabretti e il Conestabile a mantenere re-
putata la scuola di Archeologia nell' Università perugina, che cessó colla sop-
pressione in essa delle cattedre letterarie. (Cfr. BARTOLOMEO NoGcana, Gli Etru-
schi e la loro civiltà, Milano, 1938, U. Hoepli). Perugia, come territorio archeo-
logico, che durante il secolo XIX si è andato frugando con apprezzabili risultati,
appariva luogo opportuno per l’insegnamento dell’antichità. (Cfr. FRANCESCO
GUARDABASSI, Della istituzione di una cattedra di Archeologia italica nella libera
Università di Perugia, Perugia, 1885, Tip. Umbra).

Sul CONESTABILE, che ha onorato così degnamente l’Ateneo perugino
finché vi tenne l’insegnamento, v. ARIODANTE FABRETTI, Elogio funebre del
Conte Giancarlo Conestabile (Perugia, Tip. G. Boncompagni e C., 1878); ScLOPIS
FEDERICO, Notizie degli studi del Conte’ Giancarlo Conestabile della Staffa (To-
tino, 1877 « Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino » Vol. XIID; G.
.B. Rossi-ScottI, Della vita e degli scritti del Conte Giancarlo Conestabile (Pe-
rugia, 1878, V. Santucci).

Del FABRETTI V. il necrologio fatto da L. TrBERI nel « Boll. della Soc.
U. di St. Patria », Vol. I, 1895, pag. 189; la commemorazione di C. RinAuDo
nella « Riv. Stor. It. », Vol. XI, 1894; la biografia pubblicatane da ERMANNO
FERRERO nell'« Annuario della R. Un. di Torino » 1894-95. Dal Fabretti sono
state edite molte antiche Cronache di Perugia, che portano contributo di notizie
anche sullo Studio. .

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208 RAFFAELE BELFORTI

VERMIGLIOLI posson ben paragonarsi a quelle del MARIOTTI; e
per quanto l'opera di questi eruditi cittadini, il Bini, il VERMIGLIOLI
e gli altri minori — non però del MARIOTTI — sia stata dai posteri accu-
sata d’incompiutezza di esame e di mancanza di critica, resta tuttavia
monumento di paziente appassionata ricerca; feconda quanto mai d’u-
tili risultati a vantaggio degli storici che verran poi. Non bisogna di-
menticare come la gran massa di documenti e di notizie su cui essi
trovavansi primi a.porre le mani, e che s'affrettavano a raccogliere,
togliesse loro di poterne approfondire l'analisi e curarne tutta la ne-
cessaria coordinazione. s 2

È imbarazzante nominare, ai. fini delle presenti indicazioni,
l'una piuttosto che l'altra delle opere del VERMIGLIOLI. Va ad ogni
modo innanzi a tutte la Biografia degli scrittori Perugini e notizie
delle opere loro. (Volumi due, Perugia, 1826-29, Tipografia di Francesco
Baduel). : :

j Malgrado qualunque inesattezza e lacuna, inevitabili in opera

di cosi ampia einsieme minuziosa erudizione, resta lavoro fondamenta-
le per conoscere lo sviluppo degli studi e della cultura in Perugia at-
‘traverso le vite di coloro che l’illustrarono, dai maggiori ai minori.

Tutri i perugini che salirono la cattedra del patrio Ateneo vi sono
descritti nelle vicende: della loro carriera e della loro produzione let-

teraria o scientifica; così che è superfluo insistere sulla capitale im-
portanza di quest'opera per gli storiografi dell'Università; di cui a
rintracciar le passate fortune il VERMIGLIOLI hà dedicato sempre as-
sidue indagini; onde oltre gli scritti pubblicati, sono di lui da consul-
tarsi anche tutti i manoscritti e le carte.che si conservano nella Co-
munale (1).

VI.

La storia dello Studio si sostanzia in gran parte in quella dei suoi
"Lettori. Fonte importante n'é în particolare, la vita di coloro che vi
hanno anche appreso; giacché della sua scuola rappresentano l'in-

(1) Vanno indicate le aggiunte e correzioni alla sopradetta Biografia
(ms. n. 1535); nel « Giornale Scientifico-agrario, letterario-artistico » di Perugia,
dell'anno 1864, son pubblicate le lettere del dotto bibliofilo FrLiPPo SENESI
al VERMIGLIOLI stesso, con cui gli comunica elementi perintegrare ed emendare
molti articoli della Biografia. GIANCARLO CONESTABILE Con dati e notizie for-
nitegli dal SENESI, ed altre raccolte da lui, pensava alla compilazione di un vo-
lume di complemento all'opera del VERMIGLIOLI. Esiste un esemplare di questa

con aggiunte a penna, del SENESI. ‘ 4
L'UNIVERSITÀ DI PERUGIA E I SUOI STORIOGRAFI : 209

| dirizzo e lo spirito, ricevuti come discepoli e diffusi come maestri.
È superfluo rammentare le note fonti biografiche, siano il PANcIROLO,
siano lo SCHULTE; sono da segnalarsi invece le raccolte di vite composte
.da scrittori locali, poiché questi hanno avuto elementi più copiosi e
diretti per conoscere la biografia dei docenti nostri nello Studio nostro,
e porrein evidenza quanto della vita e dell’opera loro abbia più stretta
relazione con esso (1).

In molte casate cittadine la dottrina nel più alto senso intesa e

posseduta, e soprattutto la cultura delle discipline giuridiche, è stata -

una secolare tradizione; e parecchi discendenti di esse han salito la
cattedra qui e altrove. Eccelle su tutte la famiglia di Baldo, gli Ubaldi
o Baldeschi, che si potrà dirla un alveare literatorum (2). Anche quella
di Bartolo, gli Alfani, già Severi, ha oltre il suo grande capo, dato altri
docenti; poi i Bartolini, i Benincasa, i Crispolti e molte altre ancora.

Tale contributo continuato che tante, e tra le maggiori, fami-

glie cittadine hanno apportato d’intelletto e d’opera, allo Studio,

dimostra quanto la cittadinanza sentisse quale una sua missione il
consacrarvi le migliori energie. Recava il pericolo del venirsi a formare
di quella specie di casta che, riservando a sé le cattedre, chiudesse
l'Ateneo a elementi rigeneratori, dal di fuori: però un valore indiscu-
tibile per più secoli, si è venuto rinnovando negli appartenenti a que-
ste parentele; l’esser chiamati a leggere anche in altri Studi ne fa
prova.

Cosi Alberigo Gentili, esaltando in Oxford lo Studio nostro:
Mirum hoc est, sed tamen verum, valde et singulariter gloriosum ut

(1) Si potrebbe, dei Biografi non perugini, far speciale menzione del
DiPLovATACIO che nel 1489 e ’90 fu qui a studiare, e vi tenne ripetizioni e
dispute (cfr. la vita scrittane da HERMANN KaNTronowicz in Thomas Di-
plovatacius : « De claris jurisconsultis » herausgegeben von H. Kantorowicz und F.
Schulz, Vol. I, Berlin und Leipzig, 1919). Potè egli quindi essere bene informato
intorno ai Dottori perugini; la sua biografia di Bartolo fu pubblicata da] Fa-
. BRICIUS nella Biblioteca graeca; e vide pure la luce in testa ad edizione veneta
del Giunta, delle Opere di lui; ma l'insieme dell'opera rimase inedito.

Il nostro CAVALLUCCI ne conobbe quella copia frammentaria che è oggi
nella Biblioteca Oliveriana di Pesaro, e ne trasse notizie per la sua Storia
dello Studio non condotta a termine. Il Bini poi dichiara di essersi somma-
mente servito delle memorie dei Lettori da lui raccolte (Mem. stor. dell Univ.
di Perugia, pag. 351).

(2) CARLO CARTARI nell'Advocatorum S. Concistorj Syllabus (Romae, -
1656, apud Zenobium Mascottum, pag. xvin) dove dà notizie su Perugini
che sono stati Lettori nello Studio. V. sui Baldeschi anche A. MarIOTTI in
De' Perugini Auditori della Sacra Rota Romana, a pag. 139.

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210 RAFFAELE BELFORTI

Perusium una plures celebres iurisconsultos dicere possit cives suos,
quam alia ulla academia ex civitatibus omnibus. doctores fecerit, qui
itidem celebres habeantur. (Pedes Acad. Perusinae et Oxoniensis,
pag. 16).

Perugia semper fere eateris interpraetibus caruit, quia "propriis
civibus iurisconsultis praestantissimis in omni tempore abundavit
maxime post Bart. Bald. et eius fratres. (HoRATIUS LutIUSs, De. pri-
vilegiis scholarium, Patavii, 1564, pag. 125).

Ma ogni sorgente si esaurisce; e pure quella di uomini insigni dalle
generazioni cittadine. Dopo il Cinquecento, di quei giuristi perugini
che son ricercati da Studio a Studio, non ce ne son più. Era anche
ormai di troppo e dovunque mutato l'insegnamento della Giurispru-
denza, da quello cui i Dottori nostri eran legati per una secolare con-
tinuazione di scuola. Poteva questa, al massimo, preparare dei buoni
causidici; ma all’Università si domanda ben oltre.

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Se il restringersi via via del corpo insegnante entro la cerchia dei

cittadini, fatto che più o meno si è verificato'in ogni Università, potè
| per provvida sorte, più tardi che altrove aver qui le sue conseguenze,
le fortune iniziali dello Studio, non bisogna dimenticarlo, erano andate
congiunte alla decisa politica del Comune di voler nelle cattedre solo
Lettori forestieri. Lo Statuto del 1306 dispone espressamente che i
Lettori stipendiati non dovevano essere della città, cum melius per
forenses doctores quam per cives studium et lectura. conservetur et con-
tinuetur. ;
L'essere di fuori assicurava, in quell'età di cronica lotta civile,
un'indipendenza dalle parti, come una libertà dagli uffici e dagli in-
teressi locali, che non potevan non conferire maggior dignità e sere-
nità all'insegnamento. Eloquente esempio di saggezza nei criteri
direttivi di quei civici governi, che ha riscontro in uguali norme di
scelta per altre magistrature. Alla legge risultano, é vero, fatte fin da
principio deroghe; PETUPIE però con speciale e ponderato provvedi-
mento.

A distanza di secoli, sulla fine del Settecento, quando il regime
repubblicano, pure in Perugia proclamato, affronta il problema d’una
riforma dell’Università, si denuncerà tra le cause del suo decadimento
«l’uso introdotto da un arrogante amor proprio di non ammettere
«tra i suoi professori se. non i Perugini ». Veramente l'amor pro-
prio c'entrava fino a un certo punto; c'era stata una ragione molto:

più positiva, come dice il PERTILE: «lo scopo del risparmio » (1).
‘I cittadini costavan meno dei forestieri; e l'essersi ridotte le Facoltà
a soli elementi locali, se una causa, era anche una conseguenza della
parabola di discesa che lo Studio aveva percorso. Il declinare della sua
fama, ‘oltre il diminuire delle sue risorse economiche, non poteva più
attrarre elementi da fuori. Si può anzi ascrivere a fortuna che la città
abbia comunque. pur. sempre dato uomini che han tenuto in vita, in
quei periodi che la decadenza universitaria in Italia. era generale,
con decoro, se non con grido, l'istituto.

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Resta intanto che nella secolare esistenza dello Studio i Let-
tori d'origine cittadina sono il grandissimo numero. Quindi quelle

compilazioni di Vite di cittadini illustri, che qui come in tant’altri

luoghi sono state fatte di ogni tempo da concittadini, divengono va-
lidi elementi informativi della sua storia. L’opera del VERMIGLIOLI
riassume tutte le precedenti, come tutte immensamente distanzia, e
le supera (2).

(1) ANTONIO PERTILE, Storia del Diritto Italiano, 2% Ediz., Vol. II, P.
II, pag. 44, n. 9 (Torino, 1898, U.T.E.T.). 5
(2) Di simili compilazioni che se anche danno cenni sommari, non sono

inutili, ne esistono parecchie inedite nelle biblioteche locali, e risaltano subito.

all'occhio del ricercatore consultandone i cataloghi. Da menzionarsi tra. le
altre quella dell’ALBERTI (ms..n. 1020 della Biblioteca: Augusta); quella di
MARCO ANTONIO GRISALDI (ms. n. 716 della stessa), il quale GRISALDI insegnò
nel sec. xvir Medicina nello Studio, e fu invitato ad insegnare anche a Padova.
In sue Epistolae atque Consultationes medicae (ms. n. 991) si menzionano parec-
chi medici dell'epoca. i

Zibaldone inedito (nella Bibl. Com. Augusta mss. n. 1429-50) ricchissimo
di notizie è quello di SiNIBALDO Tassi: De claritate Perusinorum. I ventidue
volumi in-folio di questa raccolta di dati biografici e storici i piü diversi, di
trascrizioni di documenti, dei quali tanti perduti, sono una miniera a cui mol-

tissimi hanno attinto, senza mai onestamente ricordare il raccoglitore, che nel .

sec. xvrr fu Cancelliere del nostro Comune. Tale sua compilazione riesce pro-
ficua sotto più e più riguardi allo storico dell'Università.

Una volta tanto il TAssr ha avuto la fortuna d'esser portato all'onore della
stampa: da FRANCESCO GuARDABASSI in un suo Saggio di uno studio sul car-
teggio degli agenti della, Città di Perugia presso la S. Sede (nella pubblicazione
Per le Nozze Nuti-Scalvanti, Perugia, 1912, Un. Tip. Coop.), da dove si trae
qualche interessante notizia relativa a Pietro III Baldeschi, nel Cinquecento

L'UNIVERSITÀ DI PERUGIA E I SUOI STORIOGRAFI 211

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212 RAFFAELE BELFORTI

Ogni scritto di lui, s'é detto, puó giovare ad uno storiografo del-
l'Università: tanto per nominarne un altro, la Bibliografia storico-
perugina, dove nelle ampie note che accompagnano i singoli articoli
non tralascia mai di segnalare quanto tocca lo Studio (1). Ancora:
le Memorie di Jacopo Antiquari e degli studi di amena letteratura
esercitati in Perugia nel secolo decimoquinto (Perugia, 1813, Francesco
Baduel).

funzionario della Cancelleria Decémvirale e Lettore di ragione civile all’ Uni-
versità; uno di quei dotti che dando l’opera loro agli affari del Comune e all’in-
segnamento tenevano attivamente legati Studio e Comunità. Giacché il Co-
mune all’importante e ‘delicato ufficio del Cancellierato, che hanno ricoperto
uomini .di fama (Filippo Villani, a dirne uno) voleva unita la lettura nello Stu-
dio; e ad esso oltre coloro che l’hanno ottenuto, si trovano aver sempre concorso
uomini notissimi quali Coluccio Salutati, 1’ Aurispa, il Filelfo, tanto per far dei
nomi. È Cancelliere e Lettore di Eloquenza Tommaso Pontano zio di Giovanni:
questi pure è eletto all’uno e all’altro ufficio del Comune; ma Pio II vi si oppone
e Giovanni non viene.

Da rammentare è il Baldeschi nella storia dell’ Università, perché il suo
intervento, insieme a quello di Rinaldo Ridolfini valse a sedare una sommossa
della scolaresca a motivo d'una laurea, e ricondurre a Perugia 250 studenti che
ne eran partiti diretti a Siena (cfr. VERMIGLIOLI, Biografie, ecc.).

Gli altri due della famiglia Baldeschi di nome Pietro sono il fratello di
Baldo (cognomento Doctor veritatis, era scritto sulla sua tomba) e Pietro II,
giurista esso pure, che nel ‘400 tenne cattedra nel nostro Studio, e tra i suoi
uditori ebbe il Diplovatacio che ne fa ricordo. ^

Di profili biografici pubblicati sono da segnalarsi gii Elogia Civium Pane
sinorum qui Patriam Rerum Pace ac Bello gestarum gloria illustrarunt, di CESARE
ALESSI (Centuria prima : Fulginiae, 1635 apud Agustinum Alterium; Centuria
secunda: Romae, 1652, apud Franciscum Caballum). Però non tutti gli elogi
composti dall’ Aressi sono stampati: si vedano i mss. n. 1201, 1205, 1212, e
1213 della Comunale. L'ArEssi insegnò anche Diritto Civile SA nostra Uni-
versità.

OLDOINI AcGosTINO, Afhenaeum Augustum in quo. Dini scripta
publice exponuntur, (Perusiae, 1678, Typis et expensis Laurentii Ciani et
Francisci Desiderii).

BEgLrFoRTI MicHELE ANGELO, Lyceum Augustum sive Literatorum Peru-
sinorum Memoriale. (Neapoli 1731, ex Typ. Felicis Mosca).

(1) Bibliografia storico-perugina, ossia Catalogo degli scrittori che hanno
illustrato la storia della città, del contado, delle persone, dei monumenti della let-
teratura, ecc. (Perugia, 1823, Tip. di Francesco Baduel). Esiste anche di questa
un esemplare con copiosissime aggiunte mss. di FrLIPPO SENESI.

. Una Bibliografia storico-perugina ripresa. sopra quella del Vermiglioli e
condotta ai tempi presenti, è stata redatta da ANTONIO BRIZI, e trovasi inedita
nella Comunale (n. 1560-64 dell’inv. dei mss.). |
L'UNIVERSITÀ DI PERUGIA E I SUOI STORSOGRAFI i 213

L'Antiquari, segretario dello Sforza in Milano, poco stette in
Perugia; si mantenne tuttavia con la città natale in relazione sia di-
retta, sia attraverso altri letterati nostri o che furon qui: letterato
lui stesso di valore e notorietà, per quanto la sua produzione sia stata
ben scarsa. Attorno alla sua figura il VERMIGLIOLI raccoglie innume-
revoli notizie di uomini e fatti sulla cultura cittadina di quell'epoca,
e dove lo Studio ricorre continuamente. È uno di quei lavori che apro-
no una visuale storica; il pregio glielo porta soprattutto la quantità
di documenti inediti che riproduce, tanto di archivio, che scritti, versi
epistole, ecc. di letterati di allora, da cui l’ambiente intellettuale nostro
risulta descritto per mano di coloro stessi che l’hanno formato, l’hanno
vissuto.

Dalle opere degli antichi giuristi, escono fuori moltissime notizie.

sull'insegnamento della Giurisprudenza quale era professato nelle
Università; dagli scritti dei letterati del Quattro e del Cinquecento
altrettanto su quello della Letteratura. Chi avesse la pazienza di scor-
rere tanti Carmina, tante Epistolae, tante Orationes, che edite o ine-
dite riposano obliate nelle biblioteche, vi troverebbe, tra sforzo di
fredda eleganza e povertà sostanziale d'idee e di sentimenti, indica-
zioni però e dati preziosi. In mancanza di Rotuli lectorum o d'altri
documenti equivalenti di quell'epoca (e come pel nostro Studio é lo
Stesso per altri) da lisi apprende l'esistenza di cattedre, la presenza di
Lettori, la portata d'insegnamenti. Dobbiamo esser grati al Vermi-
| glioli d'aver frugato nel campo inesplorato, e d’averne tratti fuori
parecchi di tali elementi. :

|

MARIOTTI, BrNr VERMIGLIOLI: storici e insieme insegnanti nel-
l'Ateneo. L’opera loro intesa ad illustrarne le già in gran parte dimen-
ticate vicende, è essa stessa quindi, una manifestazione dell’operosità
intellettuale colà mantenutasi.

Ma allorché per l'impulso Muratoriano si venne propagando,
a Perugia, come altrove, l'interessamento alla rievocazione documen-
tata delle antiche memorie, contemporanei ad ANNIBALE MARIOTTI,
principe in queste ricerche, altri cittadini si appassionarono all’inda-
gini sui passati avvenimenti della città e sue istituzioni, tra cui lo
Studio teneva uno dei primi posti: quali, per ricordare i più laboriosi,
GrusEPPE BELFORTI, FRANCESCO MARIA GALASSI; e dopo del MARIOT-

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214 RAFFAELE BELFORTI

. TI, ma pur da lui ripetendo l'indirizzo e la spinta, ARRIGO AGOSTINI,

FRANCESCO CACCIAVILLANI; oscuri nomi ma ben più degni di ricordo
che tanti vani fabbricatori di prose e di versi. I notiziari, in specie

biografici, genealogici, araldici, le trascrizioni di documenti, gli ap-

punti messi assieme da costoro, e che si ritrovano nelle Bibliotche lo-
cali, in qualche modo profittano sempre all’ attuale storico dell'Ate-
neo.

Avrebbe potuto assegnarsi un posto speciale nella storiografia
universitaria locale a GrusgPPE BELFORTI per le sue Memorie della
Sapienza Vecchia. Il più importante era questo dei Collegi qui fondati
per studenti forestieri, e che fiancheggiavano, integravano lo Stu-
dio (1). Pel suo ordinamento, con insegnamenti interni, particolare
organizzazione della scolaresca; peri personaggi ragguardevoli che ne
furono convittori, ebbe fama propria, quasi quanto lo Studio stesso.

.Ma dette Memorie, rimaste inedite, l'aveva il Vermiglioli nella sua

biblioteca; e sono andate smarrite con la dispersione che questa
subi (2).

(1) Il Collegio Gregoriano istituito nel sec. xiv dal Cardinale Niccolò
Capocci, venne detto la Sapienza Vecchia, poi che nel sec. xv fu fondato il
Collegio Geroliminiano da Monsignor Benedetto Guidalotti, giurista e Lettore,
e che si disse la Sapienza Nuova. Nel sec. xvi, il giurista Marco Antonio Bar-
tolini, pure insegnante nello Studio, ne fondò un altro che si chiamò Sapienza
Bartolina. Gli studenti delle Sapienze formavano un corpo a loro, di fronte
agii studenti organizzati nell' Universitas, la vera e propria corporazione degli
scolari e con questi si trovano talora in competizione. Le Sapienze offrivano
tutte le comodità di vita ai loro ospiti; ed erano anche fornite di propri mezzi di
studio, scuole, biblioteche. Su quelle dei fondatori delle .S. Vecchia e Nuova,
v. RAFFAELE BELFORTI, Le librerie di due Dottori in Legge del sec. X V, in « Boll.
della R. D. di St. Patria per l'Umbria », Vol. XVII.

(2) Cfr. GrustINIANO DEGLI Azzi, Giuseppe Belforti erudito PI del
sec. XVIII (nel « Boll. della R. Dep. di Storia Patria per l'Umbria », Vol. XV,

1909). Del B. sono da ricordarsi: Memorie degli uomini letterati perugini estratte
dalla parte III della Storia di Perugia di Pompeo Pellini, inedite (n. 1330 del-
l'inv. dei mss. della Comunale; ne esiste copia nell'Archivio del Monastero di
S. Pietro). Molti sono stati insegnanti nello Studio. La Historia di Perugia
del PELLINI (Venezia, 1664, appresso Giacomo Hertz) opera fondamentale per
la storia della città, di cui narra gli avvenimenti nei più minuti dettagli, tratti
tutti da documenti originali e da fonti sicure, è ricchissima di notizie sulle
vicende dell'Università. Tra le altre vecchie Storie di Perugia, nella Perugia
Augusta di CEsARE CRisPoLTI (Perugia, 1648, appresso g'i Eredi di Pietro
Tomassi et Sebastiano Zecchini) si parla dello Studio Universale, della Sapienza
Vecchia, Nuova, Bartolina, di quella cominciata dal Cardinale. Armellini, e
L'UNIVERSITÀ DI PERUGIA E I SUOI STORIOGRAFI 215

Giacché dopo il tempo di quei nostri MES segui un periodo di
minore interesse per gli studi sul passato. Se anch'essi non furono
interrotti, vi mancò quella passione che aveva animato i- ricercatori
della fine del secolo precedente. Più immediati problemi di vita nazio-
nale occuparono le menti delle successive generazioni. Non solo difet-
tarono nuovi importanti contributi di indagini, ma il materiale sto-
rico fu altresi trascurato; cosi che pure quel lavoro di riordinamento

dei patri archivi, pubblici e privati, che era stato quasi tutto, merito-

.ria quanto improba fatica di G. Belforti, andò in gran parte, per incu-
ria e manomissioni, frustrato.

del Collegio dei Convittori detto di S. Bernardo. Nel terzo libro, composto da
CESARE CRISPOLTI juniore, si danno cenni biografici dei Cittadini insigni, di
cui molti lessero nell' Università.

Di G. B. da rammentare ancora: Notizie dei Perugini illustri estratte dai
libri mortuali (inedite nella Busta n. 1490 dei mss. della Comunale). Se ne pos-
sono trarre elementi biografici per qualcheduno che ha insegnato nello Studio.
I.libri mortuari, come tutti gi antichi registri parrocchiali, offrono preziosi

e sicuri dati biografici. Il Comune ne ha concentrati di. questi, nell'Ufficio di

Stato Civile per cavarne gli atti relativi. Sono nel detto manoscritto del B.
riportati pure gli stemmi dei singoli individui di cui si parla. Per ricerche genea-

logico-biografiche anche l’Araldica ha il suo compito. La più ampia raccolta -

di stemmi di famiglie Perugine è stata fatta da FRANCESCO CACCIAVILLANI

col suo Blasone Perugino che esiste nell'Archivio del Monastero di S. Pietro.

(C. M. n. 267), dove sono pure altre compilazioni araldiche dell' AGosTINI
(C. M. n. 264 e 265). Di quella del Cacciavillani la minuta é in Biblioteca Co-
munale, che ha anche raccolte di stemmi di famiglie locali nei nn. 1215 e 1218
dei mss. Altri Blasoni possiedono l'Archivio Universitario, la Dominicini, la
Biblioteca dell'Accademia di Belle Ar ti; altri ancora LIGNADSI presso raccolte
private.

“Di ARRIGO AGOSTINI, modesto sacerdote, che fece in gioventù da scrit-
turale al Mariotti, è da segnalarsi il DIN HUND perugino storico, che contiene la
storia de° Vescovi, de’ Santi, e generalmente di tutti i perugini illustri in tutte le
Arti e Scienze, compilato nei primi del sec. xrx, e conservato, inedito, nell’ Ar-
chivio del Monastero di S. Pietro (C. M. n. 219- -225). Inesattezze, e magari
qualche sbaglio, non .diminuiscono il pregio dell'opera dell’AGostINI, che ci-
tando per lo piü le fonti a cui attinge, serve di guida per ulteriori indagini. Egli,
oltre il Dizionario biografico, ha riunito in molti altri volumi esistenti nello
stesso Archivio del Monastero di S. Pietro (C. M. n. 201-218), alberi e notizie
genealogiche delle famiglie Perugine; lavoro che completa il primo e riesce van-
taggioso ancora per ricerche biografiche. È

Questa sua compilazione è la più ampia delle consimili che si trovano nelle
civiche biblioteche. Molte, anche di singole famiglie, ne possiede la Comunale;
la piùimportante dopo quella dell’ AcostInI è la ela genealogica del Bu
Zi (mss. n. 1548- -57)..

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216 ju RAFFAELE BELFORTI

VII.

Anche per l'Università bisogna quindi giungere agli ultimi decenni
dell'Ottocento, perché si abbia un nuovo apporto di ricerche e di scritti
sulla sua storia; e veramente ragguardevole fu quello recato da Guipo
PADELLETTI mentre-si trovava insegnante nell'Università nostra (1).

Col suo Contributo alla storia dello Studio di Perugia nei secoli
XIV e XV, viene ad esporne il primitivo organamento, mettendo in
evidenza importantissimi elementi fino allora mai presi nel dovuto
esame, intorno alla costituzione e al funzionamento dell’antico Studio
perugino (2). I nuovi documenti messi in luce sono anzitutto una Ma-
tricola dei Dottori e Scolari, dell'anno 1339, estratta da un volume di .
Atti del Consiglio Maggiore della Città; la quale é stata poi ripubbli-
cata dal Rossi, che osserva anche egli com'essa non possa però darci
l'elenco completo degli studenti allora inscritti allo Studio. E tuttavia
di grande valore documentario; e fu LuciANo BANCHI che recensendo
nell'« Archivio Storico Italiano » (Tomo XXI, Serie 32, 1875) il lavoro
del PADELLETTI, rilevò come lo scolaro in medicina Thomas Magistrt
Dyni de Florentia uon fosse altri che il famoso Tommaso Del Garbo,
il quale poi insegnó pure in Perugia.

Vengono quindi dal PADELLETTI pubblicate alcune rubriche dello
Statuto volgare del Comune dell’anno 1342, relative allo Studio, pari-
menti ripubblicate dal Rossi (l’intero Statuto è stato poi edito da G.
DeGLI Azzi nel Corpus Stat. Ital. diretto da Pietro Sella; Roma,
Loescher, 1913-16, voll. 2) e gli Statuti dell’ Università degli Scolari,
dell’anno 1457, contenuti nel Cod. n. 962 della Bibl. Comunale, dei
quali la data si desume da un passo della primà Rubrica del Libro I.

Il PADELLETTI istituisce un raffronto di essi con gli Statuti
bolognesi dell’Università dei Giuristi del 1432, concludendo che quelli
perugini conservatici non sono che una riforma di altri precedenti,
della seconda metà del sec. xrv, i quali alla lor volta avevano avuto
per modello la redazione bolognese del Trecento, che allora si consi- .

(1) Dell’insigne e ben conosciuto Giurista, n. 1843 m. 1878, non c'è bi- .
sogno di riportare qui note biografiche. : à

(2) PApELLETTI GuriDo, Documenti inediti per servire alla storia delle
Università Italiane. Contributo alla storia dello Studio di Perugia nei secoli XIV
e XV. (Bologna, 1872, Tip. Fava e Garagnani).

Queste ricerche del PADELLETTI apparvero dapprima nell'« Archivio
Giuridico » (Voll. V, VI, VIII) dove bai non fu pubblicato il testo dello Statuto
dell’Università degli Scolari.
derava perduta: donde una loro particolarissima importanza. Il
ritrovamento che ebbe la ventura di fare il DENIFLE nell'Archivio
. della Cattedrale di Presburgo, degli Statuti dell'Università di Bologna
. del 1317, con le successive modificazioni fino al: 1347, venne a dimo-
strar sostanzialmente giuste le conclusioni del PADELLETTI sulla re-
lazione tra la compilazione bolognese e la nostra (1).

Per quell'epoca in.cui, oltre l'esame fatto dal Savigny degli
Statuti dello Studio bolognese, ancorà non erano state compiute tante
analisi e raffronti di tale legislazione, il saggio del PApELLETTI fu
pure contributo notevole all'esame comparato della costituzione dei
nostri antichi Atenei, donde può ricostruirsi quello che si definirebbe
il Diritto universitario, speciale diritto di speciale istituzione, con pro-

‘| prietà sue, come tutte le altre singolari strutture giuridiche per deter-
minati organi e funzioni, che frazionano e complicano in teoria e in
pratica l'ordinamento giuridico dell’età medioevale.

Venne altresì a richiamar l’attenzione su quella che fu la corpo-

razione studentesca, l’ Universitas ; di cui i precedenti storici locali,
ma non solo i nostri, non avevan compresa la peculiare natura ed au-
tonoma esistenza, non che il rapporto con gli altri elementi componenti
l'antica organizzazione universitaria, della quale essa formava il
centro di gravità (2). |

(1) Ctr. H. DENIFLE, Die Statuten der Juristen-Universitát Bologna vom
J. 1317-1347, und deren Verháltniss zu jenen Paduas, Perugias, Florenz, in
«Archiv für Literatur und Kirchengeschichte des Mittelalters », Vol. III, 1887.

A malincuore sembra che il DENIFLE sia costretto a riconoscergli questo
merito. Rimprovera al PADELLETTI di non aver tatto un'edizione Critica del
testo Perugino, che. qualche volta nemmeno ha compreso (pag. 220, n. 1); ed
a proposito di affermata riproduzione letterale ‘nei Perugini di Rubriche dei
Bolognesi, che avrebbe dovuto fare il confronto proposizione per proposizione,
e non in blocco (pag. 224, n. 1). A sua volta la comparazione che fa lui, il Dg-
NIFLE, suscita la critica del KAUFMANN (Geschichte, ecc. cit., pag. 410). il quale
nella sua ricerca della formazione storica dell'Università prende posizione pel
SAVIGNY contro gli attacchi violenti che gli fa il DENIFLE.

. (2) Il Bini se anche conobbe quegli Statuti degli Scolari, non si era reso
conto della presenza nel primitivo ordinamento dello Studio, di una associa-
zione studentesca da questo distinta; il VERMIGLIOLI li elenca, dicendo ch’eran
divenuti di sua proprietà, nella Bibliografia Storico- Perugina, col nome di
Constitutiones almi Studj Perusirii ; prima di lui li aveva posseduti il MARIOTTI
(vera fortuna che siano andati a finire da costoro, e così salvati) il quale in un
suo appunto li menziona chiamandoli Costituzioni del Rettorato. Nessuno di
questi eruditi, è chiaro, aveva compreso quello che fosse nella sua personalità
e nelle sue attribuzioni la Università degli Scolari.

L'UNIVERSITÀ DI PERUGIA E I SUOI STORIOGRAFI 217

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‘pag. LVI).

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218 RAFFAELE BELFORTI

VIII.

Giacché è da aversi ben presente come lo Studio medievale non
sia un istituto unitario, organicamente costrutto: è piuttosto la risul-
tante di fatto dell'incontro, del concorso di diversi fattori costitutivi
indipendenti, aventi essi un’individualità, e che insieme contribui-

: scono alla sua esistenza e funzionamento.

La molteplicità di istituti e di poteri, che, concordi e discordi,
convergono verso un dato scopo, con il conseguente frazionamento
d'autorità, proprio dell'età di mezzo, si verifica anche in quello che
si chiama lo Studio ; e riferendoci al nostro, simile del resto agli altri,
possono additarsi in questi: il Comune; la Corporazione degli Scolari;
e Collegi dei Dottori. Sono loro che compongono mantengono e rap-

| presentano tutt'insieme lo Studio ; parola che denota più una funzione

che un ente (1).
Da tale distinzione di fattori costitutivi uo la diversità di

origine della legislazione che lo governa. Il complesso delle, norme

che regolano lo Studio risale a quelle tre fonti. Quindi: atti statutari
del Comune; atti statutari della Scolaresca organizzata nella sua cor-
porazione; atti statutari degli Insegnanti riuniti insieme ai più co-

(1) Questa dissociazione degli elementi costituenti lo Studio serve però a
ingranarne maggiormente la vita con quella cittadina. Le autorità Comunali
direttamente preposte al suo andamento variano secondo i tempi, deputandone
al governo cittadini di diverse e ‘delle più elevate categorie. Dai Savi dello
Studio l'ufficio direttivo ne passa in un certo momento ai « Conservatori della
Moneta », actento quod offitium conservatorum monete semper fieri consuevit et
fit de melioribus civibus perusinis (cfr. ViNCENzO AnsIDEI, Un documento del 27
gennaio 1400 relativo ai Savi dello. Studio. EeIuEI 1900, Unione Tip. Coope-
rati va).

«Concordi e discordi » s'è detto nel testo. Gli enti concorrenti alla vita
dello Studio non vanno difatti bene spesso d’accordo; intenti a invadersi nelle
rispettive attribuzioni. Contrasti vi sono fra Comune e Universitas; fra questa
e i Collegi.

Ma, scrive lI EHRLE: «Del resto questi contrasti, se non erano spinti agli
cestremi, senza riguardo per il bene comune dello Studio, potevano avere
«anche il loro lato buono e servire a tenere le energie delle diverse corpora-
«zioni in un equilibrio benefico, non snervante, ma teso e rinvigorente per le
«sue tensioni; uno stato che troviamo tante volte negli organismi sociali del
«medioevo ». (FRANcEsco EHRLE S. J, I più antichi Statuti della Facoltà Teo-
logica del Un. di Bologna. « Univ. Bon. Monumenta ». Vol. I, Bologna 1932,
L'UNIVERSITÀ DI PERUGIA E I SUOI STORIOGRAFI 219

spicui Dottori cittadini nei vari Collegi. Copiosa e antica abbiamo la

prima fonte, Statuti e Riformanze; degli Scolari, non ci rimangono che
le costituzioni edite dal PADELLETTI; un po' tarde, mentre si ha no-
tizia d'altre più antiche in un atto del 1354 pubblicato dal Rossi.
Di Statuti e Riformanze dei Collegi dei Dottori, ce ne rimane, se non

la parte più antica, tanto da contentarsene, date la dispersione e di- -

struzione avvenute in genere di tali documenti (1).

(1) I Collegi dei Dottori sono qui da noi altra cosa delle Corporazioni
d'insegnanti, le universitates magistrorum, che si trovano all'origine e formano
il primo elemento costitutivo dello Studio, tipo Parisiensis. Hanno carattere
più largamente civico, adempiendo anche.a funzioni indipendenti dallo Studio
stesso. I tre nostri Collegi, dei Legisti, dei Teologi, e dei Medici, Filosofi ed
Artisti comprendono oltre i Lettori, cittadini esercenti la professione, rico-
prenti cariche e uffici, e Doctores per altre ragioni ammessivi, i quali col loro
intervento all'atto conclusivo dell'insegnamento universitario, il conferimento
del titolo dottorale, formano un tramite mediante cui la cittadinanza, nella
sua parte piü eletta, partecipa al funzionamento dell' Ateneo; e ad un controllo
altresi. E buonissima un'osservazione in proposito del GLORIA: « I loro Aggre-
gati negli esami degli scolari erano giudici direttamente della scienza degli sco-
lari, indirettamente di quella dei Professori ». (ANDREA GLORIA, Monumenti
della Università di Padova. Tomo I, pag. 65, Padova, 1888, Tip: del Seminario).

Ci riferiamo naturalmente ai nostri Collegi quali appaiono esistenti e fun-
zionanti dai documenti sopravvissuti: cioè dal sec. xv in poi. Quando allo Stu-
dio perugino Giovanni XXII concede con le già ricordate Bolle del 1318 e
1321 la facoltà di addottorare, dispone che il Vescovo convochi almeno quattro
Maestri della Facoltà in cui si deve dare il grado; una volta il testo pontificio
dice presentes in studio, un’altra in civitate : frase quest’ultima che lascia cre-
dere come i detti esaminatori si potessero scegliere anche fra Dottori non aventi
rapporto coll’ Università. Non si accenna ad appartenenza a Collegi. Ma gli
Statuti di questi che possediamo, e che sono dei primi del Quattrocento, le gi-
ferano ampiamente sulle modalità degli esami, dimostrando già in loro mani
questa funzione. Era naturale che formando delle associazioni ben definite,
i cui componenti prestavano tutte le garanzie della dovuta competenza, ai
loro membri, pur sempre sotto l’autorità del Vescovo, fosse passato il compito
di esaminatori. Sugli «esaminatori » nell'Università medievale ha dottamente
ricercato e scritto ALBANO SonBELLI nel cit. studio introduttivo dell'ediz.
da lui curata del Liber secretus J. C. dell' U. di Bologna. Per raffronti con VU.
di Perugia v. la nostra recensione nel « Boll. della R. D. di St. P. per l'Um-
bria» Vol. XXXV.

Dalle Riformanze dei Collegi che ci restano, si vede come s'interessino
dell'ordinamento e dell'andamento degli studi;:col Breve di Urbano VIII le
loro attribuzioni si vengono ad estendere alla nomina dei Lettori entrando cosi
anche nel governo dell'Università. Per riconoscenza i Dottori deliberano la
erezione di una statua al Pontefice (cfr. SCALVANTI, Inv. Reg. dell Arch. Univ.,
« Annali della Fac. di Giurispr. dell'U. di P. », N. Serie, Vol. VIII, 1918, pag. 37),

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220 RAFFAELE BELFORTI

(m .. Sopra tutta la legislazione che deriva dalle dette autorità stanno
i gli atti emanati dal potere Pontificio, ed anche Imperiale. Nell’età
medievale son le autorità a cui tutto è subordinato e tutto posson.
regolare; insieme a che, il valore giuridico definitivo di ogni istitu-'
zione proviene da loro. Onde l'insistenza, per gli Studi, d'averne la
sanzione dei privilegi; e sembra che mai basti; se ne vorrebbe sempre
una nuova. : :
Poi.per il sopravvento politico della Santa Sede sulla Città,
viene essa a sostituirsi al potere Comunale nel governo diretto e con-
i: tinuativo dello Studio; e ne diventa il definitivo legislatore (1).
; |o Come intanto lo Studio stesso, con il venir meno di quell'autonomia
: che avevano gli istituti concorrenti al suo funzionamento, va assu-
mendo la struttura di ente unitario.

Quando l’ingerenza del Comune ne è già stata eliminata, la.
Corporazione degli scolari più non esiste, spentàsi per esaurimento,
il Governo Napoleonico sopprimendo il Collegio dei Dottori ed am-
mensando all'Università altre istituzioni che facevan capo ad essa,
quali le Sapienze, cioé i Collegi-convitti studenteschi, le dà l'assoluta
\ organizzazione unitaria che le rimarrà nella restaurazione pontificia,
pur col transitorio ristabilimento di qualcheduna di quelle distinte

istituzioni, quali i Collegi dei Dottori. |
Unità interna d'organismo in ciascheduno degli istituti di istru-

che peró non fu eseguita. Se non lo sono, né possono dirsi in principio, i Collegi
procedono tuttavia, mano a mano, a diventare quelle che saranno poi le Fa-
coltà. Tenuto presente che comprendono anzituttoi docenti, la qualifica di essi
come Facoltà può esser giusta, se ci si avvicina a tempi più prossimi, e almeno
in qualche Studio: come il nostro.

C'é anche da rilevare l’influenza che devono avere avuto i Collegi, quali
corpi consultivi di competenti, sulle città prossime a Perugia. I Dottori della
vicina Foligno, che compilarono gli Statuti del sec. xvI, crearono un Collegio
excellentissimorum Doctorum, osservando che ciò non era avvenuto temporibus
elapsis ut creditur ob Studii perusini vicinitalem. (Cfr. MicHELE FAroci-Purr-
GNANI, I Medici di Foligno e l'Università di- Perugia, nel « Boll. della R. Dep.
di St. P. per l'Umbria » Vol.. XXI, 1915). L'importanza ai Collegi, qui come
nelle altre città universitarie, la dava appunto il loro rapporto con lo Studio,
di cui apparivano parte integrante. j

(1) Numerosissime sono le disposizioni emanate sia: direttamente dai
Papi, sia dei Governatori Pontifici, sul nostro Studio. Il suo congegno scientifico,
amministrativo, disciplinare, il suo funzionamento nei rapporti interni ed
esterni, emergono da questa serie di documenti tramandatici ,dall'antica Can-

‘ celleria del Comune. Ne dà un ampio elenco lo ScaLvanTI in Appendice alsuo
Inventario Regesto dell' Archivio Universitario.
L'UNIVERSITÀ DI PERUGIA E I SUOI STORIOGRAFI 221

zione superiore dello Stato, cui fa riscontro la voluta e raggiunta
uniformità esteriore di tutti gli istituti stessi, con l’unicità di legisla-
zione per tutte le Università dello Stato. Con la Bolla Quod Divina
Sapientia del 28 agosto 1824, di Leone XII, fu ottenuto questo.

XI.

Mentre resta al PADELLETTI il merito d'aver segnalato il fonda-
mentale valore storico degli Statuti universitari da lui dati in luce,
quando si addentra a ricostruire il regime dello Studio nostro nel Tre
e Quattrocento, se avesse conosciuto tutti gli atti dell'epoca, per esem-
pio la Costituzione del 1306, avrebbe modificato qualche sua afferma-
zione. Lo riconosce nell'altro suo articolo inserito nel Vol. XVIII del-
l'« Archivio giuridico », in cui parlando della pubblicazione dei Docu-
menti per la storia dell’ Università di Perugia fatta dal Rossi, con altre
interessanti osservazioni ritorna sul tema.

Qualche anno dopo, difatti, l'uscita del suo saggio, il: migliore
ed anche più fortunato esploratore degli archivi cittadini, Apamo
Rossi, bibliotecario della Comunale, veniva a portare nu»vo materiale
prezioso alla conoscenza dei primi secoli dell'Università, con la pub-
blicazione di documenti fondamentali quasi tutti da lui rintracciati,
che gli assegnava di subito un posto in prima linea tra i rievocatori
dellé memorie dell'Ateneo (1). Non del perugino solo, ma proprio

(1) Rossi Apamo, Documenti per la storia dell’ Università di Perugia. in
«Giornale di Erudizione Artistica. », pubblicato a cura della R. Commissione
conservatrice di Belle Arti nella Provincia dell'Umbria, Vol. IV, 1875; Vol. V,
1876; Vol. VI, 1877; e Nuova Serie, Vol. I, 1886.

In due estratti intitolati Docc. per la storia dell Univ. di Perugia con l'albo
dei .Professori ad ogni quarto di secolo : fasc. I, Dalle origini al 1325 (Perugia,
1876, Tip. di G. Boncompagni e C.); fasc. II, Dal 1326 al 1375 (ivi, 1878) ne è
pubblicata una parte; nel periodico sopraindicato i documenti dati in luce
giungono fino al 1389. Anche avanti di pubb'icarii, come riusciva a rintracciarli
ne dava comunicazione agii studiosi. (Cir. SEVERINO SEVERINI, Contributo alla
Storia della Medicina in Italia nel sec. XIV secondo docc. raccolti dal Prof. Rossi
per la storia dell’Università di Perugia. Estr. dallo « Sperimentale », Anno
1879, Firenze, Tip. Cenniniana). Tra ie carte da lui lasciate ve ne erano delle
. relative alla storia del nostro Ateneo che da questo furono acquistate. (Cfr.
SCALVANTI, Inventario-Regesto dell’ Archiv. Univ., pagg. 93 e 145). Mentre i
risultati rimasti inediti delle ricerche del Rossi sulla storia artistica locale fu-
rono acquisiti da WALTER BomBE che su di essi condusse la sua Geschichte

der Peruginer Malerei auf Grund des Nachlasses Adamo Rossis, Beriin, 1912); =
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222 i RAFFAELE BELFORTI

dell'istituzione in genere: la scienza gli è obbligata, scrive il KAUF-
MANN per questa pubblicazione do ne mette in evidenza come nes-
sun’altra le fasi di sviluppo (1).

— . Dal primo ricordo storico does finora trovato del nostro ‘Studio, »
la sua vita iniziale e successiva, giù giù fino a tuttoil Trecento, appare
nel pieno suo svolgersi dai documenti del Rossi. Complesso e serie di
notizie che giustifica quanto dice il DENtrrLE: che non v'é altra Uni-
versità sui cui principii se ne abbiano di così interessanti.

Non può dunque esilarsi a definirla ia più importante pubbli-
cazione fatta sullo Studio perugino. Il DenIFLE abitualmente acre
verso tutti gli storici dell’istituzione universitaria, apprezza bene il
valore di questa raccolta documentaria del Rossi; gli fa appunto però
di non avere nell’indicazione riassuntiva premessa a ogni documento,
compresane l’essenza e il valore. Ma il compito del Rossi è stato quello
di offrire materiale agli studiosi; egli non è di proposito uno storio-
grafo dell'Ateneo; l'importanza di ogni singolo atto può risaltar sclo
a chi lo metta in rapporto con lo sviluppo dell'istituto universitario
nelle manifestazioni che ha avuto in ogni luogo : veduta sintetica che
piü o meno ha difettato sempre agli storici dell'Università nostra.

Ulteriori studi su' particolari punti e momenti dell’istituzione,
sulla biografia dei singoli Lettori, sulla loro produzione scientifica, fatti
da valenti cultori di queste discipline, son poi giunti da allora via via
arrecando.in complesso nuova luce sulla vita dell'Ateneo, riandandone
il cammino battuto nel tempo. |

Degno fra tutti di speciale menzione Torquato CuruRI che fu
pure docente e rettore dell’Università nostra, e n’espose con piena
competenza i caratteri e lo sviluppo della Scuola giuridica (2). Da

: ed altre carte furono acquistate dalla Biblioteca Comunale, si puó dubitare che

qualcosa dei suoi spogli di archivio relativi all Università esistesse ancora e sia
andata dispersa.

Il Rossi (n. 1821, m. 1891) attende ancora il’biografo e il critico che ne
espongano il vasto e sempre pregevole sussidio recato alla storia perugina con
tante ricerche e pubblicazioni, di cui manca perfino un elenco esatto e com-
pleto.

Appena un cenno bio-bibliografico ce n'é in «La Favilla », Rivista lett.
dell'Umbria e delle Marche, Anno XV, 1891, pag. 29.

(1) Die Geschichte, ecc., pag. 218, n. 3: la definisce mirabile serie che in
tante espressioni genuine del testo del documento illumina su fatti.

(2) Ecco gli scritti del Curun: (n. 1854, m. 1919) che ci interessano:

Le tradizioni della Scuola di Diritto Civile nell’ Università di Perugia. Ruolo
dei Professori della Facoltà di Giurisprudenza dell' Università di Perugia fino al
L'UNIVERSITÀ DI PERUGIA E I SUOI STORIOGRAFI- 223

aggiungere é come anche ricerche storiche generali su Perugia abbiano
poi portato comunque sussidi a quelle particolari sullo Studio. Ma per
quanti pregevoli contributi all'argomento abbiano dato tutti questi
diversi studiosi, la qualifica di storico dell’Università non può più essere
attribuita che ad Oscar SCALVANTI, insegnante in essa fino al 1915.

Dall’ordinamento dell’antico suo archivio, a tutte le numerose -

pubblicazioni illustranti lo Studio durante i secoli, nella costituzione,
nell'attività dottrinale, nell'insegnamento, l'opera dello SCALVANTI si
profila vasta, varia e spesso geniale. Per la conoscenza del tema, sem-
pre più allargata, come perla consultazione diretta delle fonti, sempre
più ricercate, nessuno meglio di lui avrebbe alla fine potuto darci quella
storia dell'Ateneo che si desidera. La morteimmaturamente interruppe
la sua fecondissima operosità (1).
Ha fatto da ultimo oggetto di accurato esame il periodo delle
origini dell’Università, e la .Scuola medica dei primi secoli il prof.
Luigi TARULLI-BRUNAMONTI (2), già direttore dell’antico Archivio

secolo XIX (nel volume « Per una festa scientifica dell’Università di Perugia »,
ivi, 1891, Vincenzo Santucci). — Baldo degli Ubaldi in Firenze (nel volume «L'o-
pera di Baldo » e già nel « Boll. della R. Dep. di Storia Patria » per l'Umbria,
Vol. VI, 1900). — Angelo degli Ubaldi in Firenze (nel « Bollettino » predetto,
Vol. VII, 1901). — Dei manoscritti ‘di Angelo degli Ubaldi in Firenze e dell'ul-
timo Consiglio di lui (in « Archivio Storico Italiano » Serie V, Tomo XXIX,
1902). : :

(1) Alla memoria di O. ScALVANTI (n. 1852, m. 1915) é dedicato il Volume
XXX (1915-1918), Serie III, Vol. 139 degli « Annali della Facoltà di Giuri-

sprudenza dell'Università di Perugia » che egli diresse dal 1896 al 1914, e dove‘.

son pubblicati molti dei suoi lavori. Altri dei suoi scritti hanno veduto la luce
nel « Bollettino della R. Deputazione di Storia Patria per l'Umbria » della
quale fu solertissimo segretario. Della nostra Università egli fu anche Rettore.
Nel ricordato volume degli « Annali » vi sono parole commemorative di
lui, dette dai Professori FRANCESCO INNAMORATI e CARLO CASSOLA; ed una nota
biografica con l’elenco dei suoi scritti, composta dal Dott. FRANCEsCO BRI-
GANTI. Si vedano in essa i tanti che riflettono l'Università.
Lo ScALVANTI nella sua succinta pubblicazione di Cenni storici dell’ Uni-
versità di Perugia dà una Bibliografia sull’Ateneo. Con questa, e con gii altri.
‘ lavori che si è avuto occasione di citare, resta indicato quanto, almeno di mag-
giore importanza, è stato scritto su di esso.
(2) Luigi TARULLI BRUNAMONTI, Documenti per la storia della Medicina
in Perugia (nel « Boll. della R. Dep. di S. P. per l'Umbria », Vol. XXIV, 1920
" e Vol. XXV, 1922; il lavoro deve essere proseguito); Una Scuola di canto a Pe-
rugia nella prima metà del sec. X I V (nel « Boll. », Vol. XXVII, 1924) e Una pagina
di storia dello Studiò perugino (in « Il Verzaro », pubblicazione a ricordo del VI
Convegno Fucino dell'Italia Centrale, Perugia, 1928, V. Bartelli e C.).
224 RAFFAELE BELFORTI

universitario. Rintracciando documenti e notizie originali e riela-
borando quelle già date da altri, egli ha fornito e prepara elementi
della maggiore 1mportanza per quell'opera conclusiva di sintesi, quan-
do verrà. Il TARULLI ha bene inteso ciò che avanti tutto occorre racco-
gliere: documenti e documenti, Pei primi secoli dello Studio, poco al-
tro puó sperarsi venga fuori dagli archivi; ma pei secoli posteriori c'é
gran materiale da esaminare aacora: messo da parte il pregiudizio che
solo quanto é piü antico merita di essere ricercato e studiato (1).

X.

Se la figura dei docenti é quella che dà piü concreta realtà all'isti-
tuto, sono l'opere loro l'altro documento fondamentale da consultarsi.

Superando la diffidenza che per il disprezzo scagliatogli contro
per primo dall'Umanesimo, si era accumulata intorno ai volumi degli
antichi Giuristi, da diversi anni ormai sulle opere di Bartolo, di Baldo
é tornato un diligente amoroso esame; scoprendo tra la produzione
loro, dal lato piü strettamente giuridico, nascita di concetti che poi
son divenuti norme nella legislazione; nel più largo campo pubblici-
: stico, impostazione di principii e di idee che li ripongono trai fattori
della storia del pensiero politico giungente fino a noi.

Ai grandi Giuristi italiani vissuti nel passaggio tra il Medioevo
e l'età moderna, si è venuta rivendicando in questo campo l'impor-
tanza che i nostri storici del Diritto, tra tutti un insigne maestro come
lo ScuuPrEn' (2), sentivano sarebbe ad essi tornata.

Una copiosa letteratura italiana e straniera c’è di già sui due
più celebrati Dottori dello Studio perugino, e che possiamo conside-
rare quale un apporto alla storia del medesimo. Ma coloro altresì che
qui li seguirono andrebbero studiati, emergendo essi sul generale li»
vello di mediocrità da cui non troppo si elevano gli scolastici (3).

(1) In Appendice al suo Inventario dell’ Arch. Universitario O. SCALVANTI
indica altri Archivi cittadini, e segnala il materiale interessante 1’ Università
che in essi si trova. Ma, oltre questi, ve ne sono nella città ancora più di Archivi,
da utilmente frugare.

. (2) Francesco ScHuPFER, Manuale di Storia del Diritto, 4* Ediz., Città
di Castello, 1908, S. Lapi, pag. 637. .

(3) Ctr. EnRIco BESTA, ÎStoria. del Diritto Italiano, pubblicata sotto la
direzione di PAsqUALE DeL GiuDpicE, Vol. I, Parte II, Milano, 1925,: Hoepli,
pagg. 863 e segg.

T —— ra:
L'UNIVERSITÀ DI PERUGIA E I SUOI STORIOGRAFI

*ockok

Per la storia dell'istituzione universitaria pero, più che il pensa-

tore, il letterato, lo scienziato in sé, è il Lettore nel proprio senso della ©

parola che va riudito e rivisto; é la personalità didattica più ancora
di quella scientifica, che va ricercata. Una Università potrebbe conce-
pirsi anche senza allievi: é la sede della ricerca, dell'esperimento, che
li trova ambiente, mezzi e possibilità che non c'é modo di riunire al-
trove. Ma é sopratwuito scuole, insegnamento. Son quindi le Lezioni;
la viva parola del Maestro, per quanto^é possibile sia stata raccolta
e conservata, che va fatta oggetto di esame storico, ricostruttivo; più
dell’opera meditata ed elaborata nel silenzio della propria stanza di
lavoro. A

Attraverso la Lezione si rientra e si rivive nell’aula: (1).

- Irresistibile curiosità potere rientrare nelle aule del nostro an-
tico Studio. Se ne potrebbé uscire inorriditi, come qualche uma-
nisla, sentendovi risuonare il rozzo latino di Bartolo, e fuggire da Pe-
rugia fanquam manifesta e barbarie (2); oppure restarvi avvinti dalla

(1) Tra i mss. delle nostre Biblioteche conservansi Lezioni dettate da in-
signi docenti dello Studio, e riunite dai discepoli. Se per loro parlano, per loro
spesso anche scrivono i Maestri. Suis carissimis discipulis egregis clarisque Juve-
nibus perusinis, etc. frater Lucas de Burgo: è la dedica che fa Luca Paciolo
d'una sua opera matematica composta mentre insegnava qua. (Ce n'é un ms.

nella Vaticana. Cfr. H. STEIGMULLER, Lucas Paciuolo. Eine biographische .

Skizze. « Zeitschrift für Math. und Physik ». XXXIV, 1889, pag. 88).

Ai fini della scuola qualche nostro docente ha composto e pubblicato delle
opere che sono state la prima esposizione sistematica di certe materie che sia
data alle stampe. Nel secolo xvril canonista perugino Gio. Paolo Lancellotti,
compiló le sue Istituzioni Canoniche che formano il primo trattato: di questa
branca del Diritto, checché se ne voglia dare, pure dallo ScHuLTE (Die Geschichte
der Quellen und Literatur des Canonischen Rechts, Stüttgart, 1875-80, Vol. III,.
P. L, pag. 450) la priorità e il merito al Cucchi; e a Paolo IV il quale doveva
dare l'assenso alla pubblicazione, vanno premure da parte degli studenti della
nostra Università perché l'opera potesse vedere la luce.

Per gratitudine verso i suoi discepoli che lo proseguono di devozione, di
attenzione assidua, quella veneranda figura di scienziato che fu Domenico
: Bruschi, cieco e infermo, pubblicó le sue Istituzioni di Materia Medica, uscite
prima in Perugia nel 1828-30, formando il trattato più organico e completo
di essa fino allora apparso; ristampate poi in Milano nel 1884 coi tipi di Vincenzo
Ferrario. i i net

(2) Escandescenza da perdonarsi al Campano. Insegnò questi nel nostro
Studio: ben diverso giudizio ne dà altra volta; al suo volubile carattere è da

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parola del Maestro come alle lezioni del Ridolfini vedeva Alberigo
Gentile la folla degli studenti forestieri: Germanosque et Gallos et Hi-
spanos et ultramarinos, quos ego attonitos vidi toties ad Rainaldi Magni
praelectiones ; rimanendo lui stesso estatico ad ascoltarlo: Affirus
cathedrae tuae, defixus auribus oculisque et toto pectore in te, Rainalde
Rodulphe, non habui aliam vocem, aliis, sive hominibus, sive saeculis
invidere (Laudes, etc., pag. 25).

Il flutto delle idee, o calmo o tumultuoso, batte alle soglie dell'au-
la universitaria; che o puó chiudere ermeticamente ogni spiraglio a
tendenze innovatrici, o puó esser spazzata di colpo dal vento rivoluzio-
nario. Dove la Legge Romana era stata proclamata e insegnata per
secoli quale regola perenne dei rapporti civili, vorrà il Ministro dell’In-
terno della Repubblica Romana, il cittadino Franceschi, proscritta
«una cattedra qualunque fosse del rugginoso Diritto Giustinianeo »
come «espressamente superflua ai bisogni della Repubblica »; e in-
trodottavi invece l'analisi del poema dantesco perché «se gli Eroi di
Alfieri sono ferocemente liberi, essi formaronsi certamente nelle fu-
mose bolge di Dante » (1).

imputarsi tale varietà d'apprezzamenti (cfr. GrusEPPE LESCA, G. A. Campano
detto l'Episcopus Aprutinus, Pontedera, 1892, Tip. Ristori). Che Perugia però
non sia stata mai luogo il più fiorente di cultura umanistica, non lo si potrebbe
contestare. Lo ScALVANTI in un capitolo intitolato: La Scuola dei Culti nell’ U-
. niversità di Perugia, nel suo lavoro I Consilia della Facoltà di Giurisprudenza,
ricerca come il nuovo indirizzo nello studio della Giurisprudenza, se pure in
ritardo, si facesse sentire anche nella Scuola perugina. Se gli studi letterari non
furono qui fiorentissimi, qualcuno dei nostri giuristi del Cinquecento, fu tutta-
via letterato non dispregevole. Per citarne uno, il Massini, che polemizzó iu
difesa del Petrarca, e fu amico del Tasso. Cfr. A. MassrNr, Filippo Massi
giureconsulto e poeta: 1559-1618 (Perugia, 1939, G. Guerra).

(1) Cfr. gli Stabilimenti per la provvisoria riforma della Università di
| Perugia emanati il 3 Germile, Anno 7 dell'Era Repubblicana. Nicolò France-
‘ schi fu insegnante di Medicina pratica all’ Ateneo Romano nel 1787-90. Nota il

Bnvar (La Giurisprudenza cit. Cap. II, 8) come «se molti approvavano tuttora
«il diritto Romano e la dottrina degli interpreti, altri verso la fine del Sette-
^«cento mostravano apertamente il loro dispregio per il diritto Porno: e
ingiuriavano Giustiniano stesso ».

Nell'atmosfera repubblicana di quel momento, dell'antica storia di Roma,
erano i Bruti, i Gracchi che accendevano la fantasia. Gli imperatori erano stati:
dei tiranni: e Giustiniano era un imperatore.

Il nostro Mariotti che all’idee democratiche. aveva fatto adesione,:e,
oratore ufficiale. del nuovo regime, si lasciava trascinare da una verbosità fo-

. cosa, in contrasto col suo temperamento mite e riflessivo di uomo di studio,
se la prende con Cesare, con Augusto, denunciando i danni... letterari di
"mico Insensato. In Perugia, per Vincenzo Colombara, MDCVIII.

227

L'UNIVERSITÀ DI PERUGIA E I SUOI STORIOGRAFI

Lo Studio o riassume e rappresenta il piü e il meglio di quel che

di dottrina e di sapere qui si raccoglie e si elabora; o si restringe in

sé stesso, sordo e arcigno, e attorno a lui si moltiplicano altre istitu-
zioni, le Accademie, a soddisfare quei bisogni di cultura a cui esso'da
solo piü non risponde e non basta. Nel periodo piü prolifico della Ac-
cademie, la seconda metà del Cinquecento, tante ne sorgon qui in Pe-
rugia per arti belle, letteratura, musica: del Disegno, degli Atomi,
degli Insensati, degli Unisoni, degli Scossi... che assume, quest'ulti-
ma, a sua divisa il buratto da farina col motto excussa nitescit ; e pare
che la Crusca prendesse il suo emblema appunto dalla nostra (1).
Si sente e lo si dice, che alla formazione piena dell'uomo colto
non serve la sola scuola: nello stesso Collegio universitario della Sa-
pienza Vecchia si istituiscono due Accademie: degli Insipidi e degli
Eccentrici.

XI.

Lo storico cittadino CEsARE CRISPOLTI dichiara questa necessità
per lo studente di arricchire la propria mente addestrandola nelle

‘Accademie, in una sua operetta intesa a ritrarre la figura dello Scolaro;
nella quale, sfoggiando una erudizione attinta ai più svariati autori, .

ne delinea l'immagine, avendo, si comprende, fisso l'occhio allo Stu-

- dio nostro (2). Per questo non può farsi a meno di riportarne qualche

brano, onde rivedere sulla sua scorta il volto del nostro scolaro d'un dí.
«Lo Scolare è quegli che per lo più conversa et habita nelle Scole »;
e «cerchi lo Scolare di non esser mai venuto indarno alle scole: ma

quando «dal Repubblicano Governo passó Roma a servire un Monarca ». Si

legga il discorso da lui recitato la sera del 4 Pratile Anno VII Repubblicano,
nel teatro della Sapienza Vecchia, soppressa, impiantatavi la sede della Peru-
gina Accademia Nazionale di. Belle Lettere ed Arti. (Pubbl. a Perugia, Anno
VII, nella Stamperia dell’ Acc. Naz. pr. Carlo Baduel). Ed anche l'altro pro-
nunciato il 7 Fiorile in occasione del solenne riaprimento dell'Università se-
condo la riforma del Franceschi (pubbl. pure questo In Per., A. VII, pr. C.
Baduel e FF. Stampatori Nazionali). Cfr. RAFFAELE BELFORTI, La riforma re-
pubblicana della U. degli Studi di P. nel 1799, in « a stor. del Risor-
gimento » 1940, fasc. XI-XII.

(1) Cfr. Bonazzi EmiLIA, Le Accademie letterarie a Perugia. CEQHERO,
1915, F. Campitelli).

(2) Idea dello Scolare che versa negli studi a fine di ‘prendere il pu det
Dottorato, del Signor CesARE CnisPorTI Perugino, Canonico, et Dottore, Accade-

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« sempre procuri di riportar da loro qualche utile documento; si come
«niuno camina per lo Sole che non si colori, e si come quegli che è
«stato in qualche Profumeria, se ne porta seco sempre in parte l’odore

«del luogo ». «Lo studente si dipinge giovane perché al giovane si

«conviene la fatica;... pallido... macilento nel sembiante... », Ed
é cosi che, preoccupato della salute dello studente, prosegue com'esso
non Si debba esaurire tutto in un unico studio, riconoscendo il benefi-
cio d'una varietà d'occupazioni intellettuali: « Si è detto nella defini-
«zione che lo scolare principalmente esercitar si deve nelle scolastiche
«discipline. Dunque non si niega, che ‘anco non debba esercitarsi in
«altre scienze. le quali massimamente si apprendono nelle Acade-
«mie, che fioriscono in molte città di studio; et in particolare in que-
«sto mio felice colle Augusto, sono molto celebri l’Insensata, l'Uni-
«sona e l'Eccentrica... ». Ma ci sono alcuni che vorrebbero dissuaderne
lo studente perché «le Academie che si esercitano (come questa no-
«stra) ne gli studj più mansueti, e piacevoli, sono come sirene che,
«mentre lo scolare solca a piene vele il mare delle scienze. co’ i loro
«dolci canti, cagionano, ch’egli rompa la nave sua a gli scogli del pia-
«cere, o che miseramente sia ratenuto nelle sirti et arene di cose inu-

«tili etinfruttuose. Ma deboli sono i fondamenti di questi tali. E per

« conseguenza sia ruinoso l'edifitio loro. Sono le scienze a guisa di anelli
«di catena. così tra loro uniti, che uno non si può tirare senza tutti...
«Non suole ad un animo, il quale è stato per buona pezza intento ai
«gravi studiy essere di disviamento cagione il diportarsi alquanto in.
«qualche bello e delitioso giardino ». Lo scolaro deve avere certe doti
intellettuali, sopratutto una buona memoria: e qui viene in soccorso
anche la Medicina «la quale molte cose ha ritrovato per l’aiuto dell’in-
«gegno e della detta memoria. Tra l’altre l’uso moderato del finocchio.
« perché assottiglia lo spirito e lo solleva...», Ben preparato e guidato
da tanti ammaestramenti e consigli che il nostro Academico Insensato
gli dà, lo studente «alla perfetta scienza arriva » e si merita il grado
dottorale. E quindi ei parla dell’insegne di questo. La prima insegna
del dottorato è «il sedere in catedra ». Il sedere significa «l’haver l’a-
l'animo composto et quieto »; vuol dire fermezza e stabilità; dimostra
eminenza e autorità; né qui finiscono i suoi riposti sensi, « La catedra
«poi ha quatro faccie. Il che significa perfettione... Nella parte an-
«teriore di detta ‘catedra si dipingeranno due persone che saranno
«l'amore e la fatica. Nella parte di dietro siano due donzelle. che
«rappresentano la cura e la vigilanza, Da uno de’ lati sarà un giovane
«in habito succinto, che porti seco 9 poche cose: perché a chi vuole ata
. «tendere alle scienze, le soverchie comodità gli sono d'impedimento...

L'UNIVERSITÀ DI PERUGIA E I SUOI STORIOGRAFI 229

« Nell’altro lato poi sarà dipinto un giovane in atto di fuggire dalla
«patria sua: perché colui che vuole darsi agli studi dee un volontario
«esilio eleggersi. Felice e desiderabile esilio. donde poi ritorna, ornato
« di scienza, et carico di gloria ». Si dirà che il nostro bravo e buon con-

‘cittadino volesse far propaganda per l’affluenza di studenti forestieri

al patrio Studio; era invece opinione comune che nel proprio luogo
non si potesse studiar con profitto (1).

(1) V. il CAacciaLUPI, De modo studendi, etc. al Documentum decimum.

Non possono storicamente identificarsi scolares e vagantes in una sola
categoria, per quanto moltissimi della prima rientrassero nella seconda. È
un fatto tuttavia che alla figura dello studente è rimasta quasi connaturata la
caratteristica originaria dell’errare di luogo in luogo (v. OLGA DoBIACHE-
RoJpEsvENsKY, Les poésies des goliards, Paris, Rieder, 1931, pag. 173). Sul
nome di Goliardi cfr. FrLirpo ERMINI, Il Golia dei Goliardi, nel volume Medio
Evo latino (Modena 1938 Soc. Tip. Mod.).

Con lo stabilizzarsi degli Studi, l’assegnarsi di appositi edifici e iocali perle
lezioni, il formarsi dei Collegi-convitti riducenti una parte almeno della scola-
resca sotto una fissa disciplina di convivenza e di lavoro, mentre nei primordi
tutto è instabile, fluttuante, provvisorio: aula, maestri, uditori, lo studente è
andato perdendo a mano a mano il carattere dell’errante. Però, doveva almeno
provenire da fuori. L'Universitas infatti si componeva solo di elementi fore-
stieri; gli studenti del luogo (riuniti qui in Perugia in un loro Collegio detto
della Matricola) potevano considerarsi come in un sottordine rispetto agli sco-
lari dell’ Universitas.

Sta bene che la particolare ragione della propria difesa in terra straniera,
determinasse gli studenti forestieri ad associarsi in corpo a sè, mentre quelli del
luogo erano sufficientemente protetti dalle patrie leggi; ma la risultante fu
che questi ultimi, coll'imporsi di quelli, che erano in ben più gran quantità,
non avessero pari ingerenza nell'andamento dello Studio; e chi ne aveva modo,
andava fuori ad apprendere. Si veda quanti studenti perugini, mentre lo Stu-
dio cittadino era sempre rinomatissimo, appaiono laureati in Bologna, nel ricor-
dato Liber secretus pubblicato dal SorBELLI. Quest'esodo avveniva da per tutto.

Dovrebbe supporsi che a Perugia, città abbastanza fuori mano, e non così
densa e variata di vita da offrire i maggiori desiderabili svaghi, di questi esuli
volontari, come li definisce il CRISPOLTI, venissero di preferenza coloro con la
seria intenzione di studiare; non gli scapestrati in cerca di avventure e di emo-
zioni, compresa quella dello studio, quale ci si rappresenta il goliardo medie-
vale. Categoria tipica di quell’età, su cui ormai c’è tutta una letteratura; e
che comincia anche a stabilizzarsi in una fisonomia alquanto convenzionale.

L'antico studente è individualmente figura poco spiccata, e deve general-
mente esser visto nella sua massa; e questa massa diversifica nel tempo e nello
spazio. Cosi l'HaskiNs (The rise of Universities, New York, 1923, Henry Hold
and C^., pag. 79). Certamente gli studenti di Parigi o di Bologna, nel loro va-

. Stissimo numero, e la massa plasma il singolo, assumevano un aspetto d'insie-

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li A chi prende il grado del dottorato si danno poi altre insegne: .
| | il libro serrato « prima per mostrare che l'ignoranza precede la dot-

trina; però si presenta prima il libro serrato poi aperto ». Ed inoltre

per mostrare l’oscurità che molte volte c’è nei libri e ‘tante altre belle

cose; mentre tante altre ancora più peregrine viene a significare il 3
libro aperto. Da piü d'uno sono state dichiarate, ma non cosi bene co- P
me nel libretto del CrIisPoLTI. « Il terzo atto, è di dar l'anello ilquale |
«perché è geroglifico di maritaggio, onde si chiama ancor pronubo,
«dimostra, che colui che si adottora, et che ne orna di essa il dito, si è
«in un certo modo congiunto, et sposato con quella scienza, nella quale
«si adottora ». E l’anello è d’oro puro. « Il che significa che ’1 dottore
«dee havere il cuore puro, et lucido a guisa d’oro... »; e tralasciamo

me, diverso da quello che potevano prendere in Studi più piccoli, come Perugia,
Siena, Ferrara. Anche della diversità di tempo deve tenersi tutto il conto. Alla
circostanza «tempo » non si ha in genere troppo riguardo nella rievocazione
dell’Università del passato. Si tende a considerarla peril suo corso, che abbraccia
più secoli, quale un’entità in complesso, con press’a poco gli stessi caratteri
durante tutto il lunghissimo volger degli anni, creando, dice bene )VEHRLE « dei
« quadri immaginari, perché composti da elementi di diverse epoche i quali, di
«fatto mai avevano formato un insieme » (op. cit., pag. xr1i). Lo studente del
Seicento non poteva aver più i lineamenti di quello del Trecento.

Una distinzione che però potrebbe aver valore in ogni epoca, è quella
fra scolari di buona, e scolari di cattiva (presa la parola in senso relativo allo
studio) volontà. Qui da noi dovevano tutti consumarsi per il troppo studiare,
a dar retta al nostro CRIsPoLTI che ci presenta appunto lo scolaro emaciato in
volto. Si trova in verità ricordo di circostanze che deporrebbero un po' diversa-
mente: come di tratti di corda fatti dare dal Vicelegato pontificio a studenti
troppo irrequieti, e per cui insorgono in blocco e vogliono abbandonare lo Stu-
dio; come dell'occultazione che fanno degli Statuti dell'Università, affinché
non si trovasse modo di tenere la lezione straordinaria che a tenore dei medesimi
era affidata a uno di loro nei giorni festivi. E anche nelle Sapienze avvenivano
episodi non dimostranti i convittori tutti assorti nell'esercizio dell'intelletto e
nell'attività dello spirito. (Sulla vita della scolaresca a Perugia, cfr. GIUSEPPE
PARDI, Atti degli scolari dello Studio di Perugia dall'anno 1497 al 1515,in « Boll.
della R. Dep. di St. Patria per l'Umbria », Vol. IV, 1898; e ANNIBALE Ga-
BRIELLI, Elezioni universitarie nel Cinquecento ; da documenti sullo Studio Pe-
rugino, in «Nuova Antologia », Luglio 1903).

Ma bisogna riflettere che sono i « fattacci » cui tocca per lo più la Sorte di
esser tramandati ai posteri; così anche l’HAsKins non trova troppi elementi
per raddrizzare la bilancia in favore della classe, dopo rappresentato lo studen-
te della maniera la più volentieri raffigurata, se non in quantità la più realmente
esistita; e già l'aveva osservato il RAsHDALL che la vita dello studente virtuoso
non ha i suoi annali. La prima è ricca, smagliante di tinte, la seconda pallida
di colore, come la sembianza dello scolaro descritto dal nostro concittadino .
Dottore ed Academico.
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L'UNIVERSITÀ DI PERUGIA E I SUOI STORIOGRAFI 231

tanti altri simboli racchiusi nel cerchio dell’anello; l’ultimo però va
riportato: « Rammenterà dunque l’anello l’obbligo, che l’huomo dee
«havere al suo dottore, et a coloro che gli hanno dato un tanto grado;
«et terrà nella mente sua scolpito benefitio cosi segnalato... ». Ven-
gono in evidenza quella suprema dignità, quell'altissimo pregio che in
altri tempi si scorgevan congiunti al titolo accademico.
Proseguendo: « Ancorché nel nostro studio di Perugia non sia
«in uso di dare a colui, che prende il grado del dottorato la. cintura
«d’oro; tuttavia perché in alcuno altro studio è solito darsi » ne viene
‘a parlare; e pure essa nasconde il suo simbolo: Giustizia, Fede, Mo-
destia... Poi c’è il «bacio della pace nella fronte » e che si dà «per
esser simbolo d’amor honesto et pudico » ma anche perché il dottore
deve prendere il patrocinio dei suoi clienti. E poi si dà la Berretta
che è «a guisa di corona colla quale si adornan le teste dei Regi... ».

*

«Stringe la berretta ed abbassa i capelli della testa che dinotano la

«superbia, la vanità et lascivia... Ha la berretta quattro angoli.
«Il che dimostra che ’1 dottore dee procurare, che la fama della sua
«dottrina spanda i vanni per le quattro parti del Mondo ». Da ultimo
gli si dà la Beneditione che « primieramente si prende per la lode quasi
«che ’1 dottore quando se li dà benedittione, si lodi, per essersi ren-
« duto degno di quell'honorato grado... Ultimamente, diciamo, che la
«benedittione significa la quiete dell'eterna gloria ». Con che al neo
dottore non resterebbe altro da desiderare. Ma un particolare simpa-
ticissimo ci riferisce in fine il CRISPOLTI: « È costume lodevole di que-
«sto nostro studio di Perugia, che se nell’atto del dottorato, si trova
« presente il padre di colui, che si adottora, esso dia la beneditione ».

XII.

Ritornando alle Accademie e alla loro funzione affiancatrice
degli studi universitari, un’altra copiosa fioritura ne vede il Sette-
cento: i Filopatri, i Fisiocritici, i Filogrammatici, l'Accademia Au-
gusta, e manco a dirlo, l’Arcadia. Si disperdono "col secolo.

Ma di veramente serie se ne fondano nell'Ottocento. Tale l'Ac-
cademia Anatomico Chirurgicaistituita nel 1802 nello Spedale di Santa
Maria della Misericordia dal Cardinale. Agostino Rivarola pro-visita-
tore Apostolico di quell’istituto. Se poteva essere stato un vanto del
nostro Studio l'avere tra i primi praticato l'esame diretto del cadave-
re, col tempo l’insegnamento era andato assumendo un carattere es-
senzialmente teorico, venendo a mancare quello dimostrativo: deca-

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denza degli studi anatomici che era da deprecarsi anche in Università
maggiori. A tale deficienza volle rimediare l'Accademia, aprendo un

. teatro anatomico in cui dovevano compiersi sezioni, operazioni chi-

rurgiche, osservazioni ed siperuend, per istruzione particolare dei
giovani studenti (1).

. Altrettanto seria fu la Società Economica-Agraria costituitasi
nel 1838 per la speciale protezione del Cardinal Lambruschini Prefetto
della S. Congregazione degli Studi. Per sua iniziativa e col concorso
di altri Enti locali, fu istituita nell’Università una Cattedra di Agro-
nomia, che coordinata ad altri insegnamenti scientifici in relazione
alla materia, venne a formarvi quasi una Facoltà di Agraria (2).
Erano quasi tutti docenti dell'Università, coloro che. davano origine
a queste istituzioni, le quali ritornavano poi a profitto e sostegno del-
l’Università stessa. Sforzi per riattivarne la funzione in rapporto ad
esigenze pratiche della vita civile, ai cui bisogni si sentiva come un
istituto scientifico dovesse sempre più corrispondere. per giustificare
la propria ragion di essere. |

Dall'Università in definitiva parte, e a lei rifà capo, ogni movi-
mento intellettuale cittadino. La storia sua é la storia medesima della
cultura locale, ora più che mai (3).

(1) V. Costituzioni dell’Accademia Anatomico-Chirurgica eretta nell'anno
MDCCCII nel Venerabile Spedale di Santa Maria della Misericordia in Perugia,
(ivi nella Stamperia Camerale di Cost. Costantini). Nel 1818 furono riformati
i suoi Statuti; si veda l'opuscolo: Costituzioni e leggi organiche dell' Accademia
Chirurgico-Anatomica di Perugia (ivi, 1819, dalla Tipografia Baduel), redatto
da LuiG1 PacrEICO Pascucci che fu professore nella Facoltà Medica dell’ Ate-
neo. Può consultarsi, di CesAre MASSARI, nel «Giornale scientifico-letterario di
Perugia » (Fascicolo di aprile-giugno 1844): Elogio di Goffredo Bellisari Chirur-

| gico Perugino, il quale ebbe l'ufficio di Settore nella nuova Accademia, e ridestò

qui da noi lo studio pratico dell’anatomia, dando inizio anche al Gabinetto
anatomo-patologico; seguito da valenti discepoli, impresse quindi tutto un
novello impulso a questi studi.

Nel Settecento l'Università aveva avuto un dottissimo Professore in Ales-
sandro Pascoli, il quale fu pure anatomico; materia che passò poi ad inse-
gnare nell’ Ateneo Romano. V. il suo articolo nelle Biografie del Vermiglioli,
e il suo Elogio già cit. di CESARE MASSARI. i

(2). Vedi RAFFAELE BELFORTI, Riccardo Cobden a Perugia nel 1847 (in
« Perusia », 1933, fasc. 6). AAT

(3) Per una conoscenza dell’ ambiente intellettuale cittadino tra il Sette-
cento e l’Ottocento, si vedano il citato lavoro del GASPERONI (Movimento
culturale Umbro nel sec. XVIII, e la nostra recensione del med. in « Rassegna
storica del Risorgimento », Fasc. I, 1941); e GIovANNI CECCHINI Saggio sulla
cultura artistica letteraria in Perugia nel secolo XIX, Foligno 1921, F, Campitell.i
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Diploma di Carlo IV che concede, allo Studio Perugino tutti i privilegi degli Studi imperiali.

19 maggio 1355.

(Archivio antico Comunal, Perugia).

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È n ezome feamtur naaones ua uec )fi co no quo eligioeto recto: vx aliqua.
i naaonus Otanax ifeune acfeptarit nullis feolazs zeptus fiit m (ipto. |
pufino ne dlanaaone acqua elegi ba 1ecox. uel icpru fiut! 6 no acceptaug
nto proncus 19 offa tecretue tic eligimus nue ale de alia naonc atcamon -
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L'UNIVERSITÀ DI PERUGIA E I SUOI STORIOGRAFI - 233

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Questa parola, locale, dà l'immagine, la misura, e la valutazione
di quel che sia in quel tempo l'Ateneo. Lo si giudica bene nelle sfere .
governative, com’esso adempia ormai ad un compito limitato, in un
‘ambito che di poco varca le mura cittadine. La classifica di Università
di secondo grado che le ha dato la Constitutio di Leone XII è la dichia- :
razione ufficiale di tale stato di cose. Deve essa accontentarsi di questo
secondario posto di ruolo, se non vuole addirittura esser soppressa.

Sia colpa della città che non sa produrli o attrarne da altrove, è
che non vi si riesce a formare, almeno in un ramo dell’insegnamento,
un complesso di uomini, che valga a convergere su l'istituto l'atten-
zione esteriore e dargli un diffuso prestigio. Non che un'attività in
tutti i campi, dove può dirigersi ed esplicarsi l'intelletto, qui da noi
difettasse; tutt'altro (1).

Ma ci si presenta appunto Perugia, col suo Studio, qual uno di
quegli ambienti culturali a chiusa fisonomia locale, che cercano ma-
gari qualche contatto col movimento piü vasto degli studi, gli enti e le
persone che lo incarnano; ma per rientrare poi subito nel proprio cer-
chio. Gli stessi individui piü valenti, e ce ne sono, che potrebbero farsi
largo fuori e ritornare poi arricchiti di sapere e di iniziative, sono restii

(1) Merita d'esser riportato quale un indice significativo, l'elenco delle
rubriche della rassegna scientifica, nel: periodico locale già ricordato, apparso
nel 1833 col nome di «Oniologia » (Raccolta dell'utile, dalle greche voci onemi,
juvari, e logia da legin, nel significato di colligere; cosi la spiega il programma
di pubblicazione): Agricoltura, Anatomia; Anatomia fisiologica, Anatomia
patologica, Botanica, Botanica applicata, Chimica, Chimica vegetabile, Eco-
nomia industriale, Farmacia, Farmacologia, ECL CU Geologia, Igiene, Ma-
teria medica, Patologia, Storia raturale.

Deile più spiccate figure di insegn: nti avuti dall'Università nell’ Ottocen to,
prima del '69, si è avuta occasione di ricordare Giancario Conestabile di Ar-
cheologia, Domenico Bruschi di Materia medica; son da aggiungersi Sebastia-
no Purgotti, scienziato veramente insigre, chimico, matematico, e filosofo an-
che (cfr. Anprea STIATTESI, Intorno alla vita ed aile opere di S. P., Roma,
1884, Tip. delle sc. mat. e fis.); Antonio Mezzanotte docente di letteratura,
traduttore di Pindaro, superiore al lodatissimo Borghi (Cfr. G.. CEC.ffiNr,
Saggio sulla cultura art. e lett. in Perugia nel Sec. XIX, cit.).

Il valore di alcuni docenti di Medicina si dimostrò nell'ordinare e dirigere '
lospedale per gli alienati, detto il Manicomio di S. Margherita, fondato nel
1825, al quale presiedettero. Professori dell'Università che lo portarono in
breve, come luogo di osservazione scientifica e di cura, ad alta reputazione in
Italia e fuori. Primeggia fra di essi il docente di Fisiologia, Francesco Bonucci.
2294: RAFFAELE BELFORTI

ad allontanarsene. Fatto che si riscontra. d'altronde nella maggior
parte della città italiane, e che sembra ancor piü dividere, e quasi rim-
picciolire il volto della nazione, mentre invece si sta maturando lo
sforzo per la sua unificazione. All’attivo e proficuo scambio delle idee,
alla corrispondenza nel lavoro scientifico, come alla coordinazione dei
suoi risultati, si oppongono anche gli interni confini politici, fra gli
Stati in cui l’Italia è scissa. Un esempio delle difficoltà che si frappo-
pevano alla intesa ed alla collaborazione fra i dotti dei diversi centri
della penisola, ce lo dà la storia di quelle riunioni degli scienziati ita-
liani iniziatesi in Pisa nel 1839, riassunta egregiamente da ATTILIO
Hortis negli Atti della’ Società Italiana per il progresso delle scienze
(Undicesima riunione, Trieste, 1921). |
Dopo la costituzione dell'unità nazionale si annuncia una nuova
fase di esistenza per la nostra Università. Annessa l'Umbria al
Regno d'Italia nel 1860, il Commissario Straordinario mandato dal
| Governo prese vari provvedimenti per rielevarne le sorti; e con Decreto
del 16 dicembre 1860 la dichiarò Università Libera, dando potere di
ordinarne gli insegnamenti al Municipio e ai Rettori, restando al Mu-
nicipio stesso affidata la direzione amministrativa dell’istituto (1).
Anche l’ordinamento di studi, l’assetto didattico che essa allora
si dette, formano una pagina da non trascurare, della storia dell’ Uni-
versità. Con questo sforzo di attrezzarsi, di riportarsi al livello della
cultura e dell’insegnamento superiore della nazione, si compie tutto
un periodo delle sue vicende, che nel loro complesso secolare for-.
mano una storia di cui può bene gloriarsi.

RAFFAELE BELFORTI

(1) Ia sistemazione degli studi deliberata dal Consiglio Municipale è
esposta nell’opuscolo: Del nuovo ordinamento della pubblica istruzione nel Mu-
nicipio di Perugia (Perugia, 1861, Tip. di V. Santucci; pubblicato anche nel
« Giornale Scientifico Agr. Lett. Art. » di Perugia); i vari provvedimenti presi
.. dal Commissario governativo si trovano nella raccolta degli Atti ufficiali pubbli-
cati. dal March. G. N. Nepoli R. Commissario Generale straordinario per la
Provincia dell' Umbria. (Firenze, 1861, Stamperia Reale). Si veda l’ordina-
mento che venne dato allora all'Ateneo nello Statuto della Università libera
di Perugia, (Perugia, 1863, Tip. Martini e Boncompagni); ed anche un Cenno
storico della Libera U. di Perugia pubblicato nel 1873 coi tipi di V. Santucci.

Nel 1885 il Comune rinunziava all'amministrazione dell'Università, che
veniva costituita in ente autonomo con un nuovo Statuto, che è riprodotto nel,
volume: L’ Università di Perugia e i suoi Istituti biologici (Perugia, 1895 Tip.
Umbra), dove è ampiamente illustrato l’organamento scientifico e didattico
dell’ Ateneo in quell'epoca.
Note e Documenti '

RIVENDICAZIONE DI ALCUNE OPERE
DI ANTONIO CRISTOFANI

Leto Alessandri nel « Commentario della vita e degli scritti di An-
tonio Cristofani » (Foligno, Campitelli 1885) dopo aver dato a pagg.
361-364 un elenco delle opere edite e manoscritte dello Storico di As-
sisi, conchiude:

« Generalmente quando il biografo ha annoverato di uno scrittore
le opere edite e le inedite, ha compiuto il suo.ufficio, Ma quanto al Cri-
stofani la cosa è diversa, e dovrei aggiungere una terza categoria per 3]
le opere di cui tulit alter honores, non poche, né poco pregevoli, tra
le quali una versione in prosa, che é un vero gioiello di lingua. Certi.
riguardi però, facili ad imaginarsi, m'impediscono di far conoscere al
lettore questa terza categoria ».
‘I riguardi che impedirono al biografo di rivendicare al legittimo
autore opere sue pubblicate sotto altro nome, se erano opportuni, per
non dire necessari, a soli due anni dopo la morte del Cristofani (13
maggio 1883) e mentre ancora vivevano quelli che si erano fatti belli
delle sue fatiche, non hanno più ragione di sussistere dopo più di mezzo

. secolo (1). È un doveroso atto di giustizia restituire allo ‘scrittore as-
sisano quanto gli spetta: chi vorrà un giorno occuparsi a fondo della
cultura umbra nell'Ottocento, ha il diritto di sapere di chi realmente
sia la paternità di alcuni libri tra i più importanti della produzione
‘ storica regionale sulla fine del secolo scorso.

Formano serie i quattro volumi contenenti le più antiche biugiae
fie di S, Francesco nel testo originale latino con la traduzione in vol-
gare a fronte:

(1) Peró lo stesso Alessandri nel catalogo citato (pag. 363) riporta tra gli
^^ scritti editi: Leggenda della B. Angelica da Marsciano di F. Nicolò da Prato
pubblicata a cura del P. Maestro Antonio Cavigli — Foligno, 5gariglia, 1882
(N'é autore il Cristofani). : 236 GIUSTINO CRISTOFANI

:19 Vita Primi Sidi S Francesco d'Assisi — del B9. Tommaso
Celano — per la prima volta volgarizzata — dal Canonico Leopoldo Amoni,
(Roma, Tipografia della Pace, 1880 — in 89 di pagg. 237).

29 La Vita Seconda — ovvero — appendice alla Vita Prima — di —.

S. Francesco d'Assisi — del B9. Tommaso da Celano — volgarizzata per
la prima volta — dal Canonico Leopoldi Amoni, (Roma, T 'Bograna della
Pace, 1880 — in 8°-di pagg. 335).
3° Vita S. Francesci — a divo — Bonaventura — composita — “Vita E
di — S. Francesco di Assisi — - polgarizzata — da Fr. Domenico Cavalca —
- edita e corretta — per cura — del Canonico Leopoldo Amoni, Cona, Fra-
telli Monaldi, 1880 — in 89 di pagg. 290).
49 Legenda — S. Francisci Assisien. - a BB. Leone Rufino An-
gelo — eius sociis scripta — quae dicitur — Legenda Trium Sociorum — ex

cod. membr. Biblioth. Vatic. Num. 7339 — Leggenda — di — S. France-

sco di Assisi — scritta dalli suoi Compagni — che tuttora conversavano con
Lui — edita e corretta — per cura — del Canonico Leopoldo- Amoni, (Ro-
ma, Fratelli Monaldi, 1880 — in 89 di pagg. 183).

. Il testo latino di questo importante gruppo è stato superato dalle

edizioni critiche dei: Padri Francescani di Quaracchi, i quali citano -

| però queste pubblicazioni tra le più pregevoli che abbiano preceduto
le loro. Rimane ancora integro il pregio delle versioni delle Leggende
Prima e Seconda del Celano e di quella dei Tre Compagni, certamente
dovute al Cristofani, il quale, per la profonda conoscenza degli scrit-
tori del '300 sapeva, quando voleva, dare un sapore così schiettamente
trecentesco a certe sue prose che esperti conoscitori della letteratura
di quel secolo, come Pietro Fanfani e Cesare Guasti, le credettero tra-
| scritte da antichi codici. Non sono in grado di esprimere analogo pa-
rere sulla Leggenda di S. Bonaventura, attribuita al Cavalca, se si tratti
cioé di una prosa del celebre trecentista domenicano, o di una finzione
adoperata dal Cristofani stesso in altre sue opere in prosa o in versi,
che egli asserisce di aver semplicemente tratte da vecchi manoscritti,
mentre in realtà erano interamente dovute alla sua penna. Altrettanto
aveva fatto, come a tutti è noto, Giacomo Leopardi, per alcune delle
sue prose minori.

Rimane per uftimo da restituire allo storico di Assisi la Storia —
della — Basilica e del Convento — di — S. Francesco in Assisi — del — P.
Giuseppe Fratini M. C., (Prato, Guasti, 1882 — in 8° di pagg. 420). Se
questa monografia è quasi del tutto sorpassata per quanto si riferisce
alla storia dell’arte, rimane ancora fondamentale per la parte riguar-
dante le vicende del S° Convento, come lo dimostrano le opere poste-

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NOTE E DOCUMENTI t 237



riori del Venturi. del supino e del Kleinschmidt, dove essa é continua-

mente citata. |

E A chi chiedesse la ragione per cui il Cristofani cedette ad altri È Si

E paternità di lavori di non piccola mole e di cosi notevole importanza, t
ix risponderemo con piena conoscenza di causa che il duro bisogno fu
| quello che lo decise: Né per lui puó risultare a vergogna tale atto che
i certamente non onora chi per soddisfare la propria vanità tentò di

usurpare il merito altrui. :

Si confrontino le altre opere edite dell'Amoni e del Fratini con
quelle da noi rivendicate al vero autore e si vedrà quanto siano infe-
riori a queste.

I due scrittori appartengono interamente a quella categoria di
agiografi cosi bene caratterizzata da Giovanni Papini nella prefazione
della sua « Storia di Cristo ». Antonio Cristofani, pur nella varietà della
sua produzione letteraria, dalla storia alla polemica, dalla lirica pa-
triottica a quella religiosa, per la ricchezza e purità della lingua, per.
vivacità ed efficacia di stile, va considerato come scrittore persona-
lissimo, certo tra i migliori, se non il migliore, tra quanti ne può: van-
tare la nostra regione nella seconda metà dell’ Ottocento.

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— edi te: © VEST RENO UMEN, SUP CCS

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GIUSTINO CRISTOFANI

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A. CERLINI, Carte Orvietane dell' Archivio Farnese (II). . . . . . . pag. 5

G. ABATE, La casa paterna di S. Chiara e falsificazioni storiche dei
secoli XVI e XVII intorno alla medesima pup e a S. Fran-
caro dene (con 8:tavole) i. se 94

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| Contributi alla Storia dello Studio Perugino

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I - R. BeLFORTI, L'Università di Perugia e i suoi StOrTOGTOTI (con
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Note e Documenti

G. CRISTOFANI, Rivendicazione di alcune opere di Antonio Cristofani

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