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DELLA REGIA DEPUTAZIONE

DI

STORIA PATRIA

PER L'UMBRIA

VOLUME XLII

PERUGIA
PRESSO LA. R. DEPUTAZIONE DI STORIA PATRIA
1945
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PROPRIETÀ LETTERARIA RISERVATA
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S. p. A. Arti Grafiche Panetto & Petrelli - Spoleto, 12-1952.
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IL GUSTO E L'ARTE DI PIETRO PERUGINO

A mio padre
Prof. Giuseppe V icarelli

INTRODUZIONE

Per poche ed indirette che siano le notizie sul carattere di Pier
della Pieve, bastano peró a individuarlo.

D'origine campagnola, tiene alla roba, è ombroso e bonario,
tanto lontano dalle sottilità conoscitive de' fiorentini quanto inna-
morato delle buone tradizioni gotiche e senesi.

Ma giacché c'erano quelle birberie, pensó di doverne profittare
anche lui; e imparó agevolmente quel pó di prospettiva e disegno e
anatomia e d'altre cose, che bastasse a non farlo sfigurare in gara
con gli artisti più stimati del tempo e a potere essere presto ritenuto
«famosissimus pictor in tota Italia (1489) ».

Ci teneva alla sua fama, e contro gli avversari usava il bastone.
«nocturno tempore » (1486) o metteva in moto quando poteva, la
Signoria della città (1494). Ci teneva un pò per ambizione, e certo
di più per quei benedetti quattrini coi quali si può vivere (come gli
fa dire il Vasari) «con agio e riposo ». I documenti confermano ampia-
mente queste righe dello storico aretino « guadagnò molte ricchezze
e in Firenze murò e comprò case, ed in Perugia ed a Castello della
Pieve, acquistò molti beni stabili ». Non gli s'ha però da credere dove
asserisce: « Per danari arrebbe fatto ogni male contratto ». Lo stesso
Vasari ha detto poco innanzi: « era di natura intero e da bene, e non
desiderava quel d’altri, se non mediante le sue fatiche ».

Circa poi la celebre accusa vasariana: « Fu Pietro persona di
assai poca religione e non se gli poté mai far credere l'immortalità
dell'anima », mi pare un'accusa che non coglie nel segno perché Pier
della Pieve non era uomo da lasciarsi pigliare, se non forse per giuoco,
in discussioni di tal genere anche se allora erano frequenti, e massi-
me a Firenze. Senz’aggiungere che la questione, se di questione si vuol
parlare, non interessa lo storico in quanto fa la storia dell’individua-
lità artistica nello specifico momento creativo.
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63:5 | MARIA AURELIA MOCHI ONORY VICARELLI

‘ Nel caso «« Perugino » dobbiamo riconoscere che il processo del-
l'arte ha inizio con questo e su questo punto d’appoggio: l’intima
predilezione dell’uomo verso determinati aspetti della realtà e cioè
la sua tendenza a vagheggiare quanto la realtà poteva presentargli
di grazioso.

Queste visioni che l’esperienza gli suggerisce, proprio in quanto
sono sottoposte. a limitazioni, a scelta, a trasformazioni, divengono
il contenuto della sua arte che si caratterizza e si estrinseca nella ri-
cerca della grazia. 3

La grazia è infatti la sua musa ed il suo tema: non, beninteso,

il concetto della grazia, bensì il suo sentimento; sentimento da attuare .

artisticamente. :

- Alla radice quindi della sua Uu ispirazione c'é questo senti-
mento di grazia che raramente si converte ed ascende, per virtù di
fantasia creatrice, in sentimento puro ed integrale di grazia come for-

ma (tale.é per esempio in Leonardo). Il pittore non si interessa in-

fatti esclusivamente alle linee, alle forme, ai colori, agli elementi cioè
che formavano il suo linguaggio pittorico: ma bensì il sentimento
della grazia resta il più delle volte anche come contenuto e quindi
facilmente degenerabile in sentimentalismo.

E questo contenuto è dato dal mondo fisico, dai paesaggi, dalle
.visioni della propria terra, dagli atteggiamenti di membra eleganti,

dai vezzi femminili, dai bambini, dalle giovani donne, dai fiori e dalle

chiome degli alberi, dalle acque e dalla leggiadria di belle persone,
sicché ritornano insistenti alla memoria quelle parole del Vasari:

« Tolse per moglie una bellissima giovane e n'ebbe figlioli, e si dilettó.
tanto che ella portasse leggiadre acconciature e fuori ed in casa, che

si dice che egli spesse volte l'acconciava di sua mano » e quelle altre
con cui Luigi Ciocca racconta di « alcune bellissime zovene sue vicine
che se reducono assai in casa sua ». Tanto si dilettò della loro vista e
delle loro pose gentili e delle loro acconciature che le portò nei dipinti
spesse volte, senza trasformarle con la fantasia, assai pago di conti-
nuare a vezzeggiarle.

Non la divinità non la santità, ma la leggiadria d’una bella per-

| sona era il suo sogno e diventava il contenuto della sua arte. E sicco-

me i più dei contratti gli imponevano argomenti di culto chiesastico,
suppliva alla mancanza di ispirazione devota con gli attributi mate-
riali della divinità e della santità.e con gli elementi del repertorio sa-

| ero tradizionale. Da qui una serie di compromessi che minacciano

la consistenza del suo gusto e della sua arte.

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IL GUSTO E L'ARTE DI PIETRO PERUGINO C m

Per buona sorte peró egli trovó nella tradizione elementi non
solo materiali ma anche artistici i quali lo aiutarono a trovare un certo
equilibrio. Limite dell'attuazione peruginesca della grazia fu la quasi
totale impossibilità di portarla più su del suo mondo pratico; ma co-
me era riuscito a trovare un punto di equilibrio fra il suo sogno e il
tema prefisso, così riuscì a formarsi un compromesso fra grazia formale
e grazia contenutistica, armonizzando ogni cosa. Abbassò infatti il
tono dei contenuti sacri o eroici sicché ridusse la rivista dei guerrieri
a una sfilata di garbati cortigiani, l'adorazione del Bambino ad un
vezzeggiamento di bimbo tra le pareti domestiche, la Deposizione a
un compianto famigliare. Dita variamente e leggiadramente arcuate,

testine inchinate con soavità, persone ingioiellate, visi sorridenti, un

bambino che s’atteggia a giuoco non per giocare, ma per darsi un at-
teggiamento grazioso; il volto del Cristo trasfigurato che, mentre è
detto da Matteo «luminoso come il sole » s'imbruna accarezzato di
morbido sfumato. Lungo sarebbe enumerare i modi e gli espedienti
più o meno felici per l'attuazione della sua grazia. Tanto sono talora
felici che per suggestione delle immagini peruginesche ci é dato di
ripensare a squisiti versi di grazia del Paradiso dantesco o del Petrarca
o del Poliziano; grazia analoga a quella del Vannucci, anche se i versi
appartengono a poeti che si sollevano spesso a una grazia più cosmica,
più formale, più pura di quella di Pietro. Come abbiamo visto la gra-
zia del Perugino cerca sempre un punto di appoggio. Per conseguenza

non poteva comprendere interamente la intrinseca bellezza di una:

linea voluttuosamente ondeggiante che trovi in sé la ragione del suo
essere, né il tormento di un corpo che si contragga e si dissolva per
generare un ritmo superiore di linee nervosamente sottili e spirituali.
A lui non era dato estasiarsi dinanzi a zone di colore incorporee e
piatte, aventi nel loro assolutismo e nella loro genuina semplicità al-
trettante possibilità che l'oro dei mosaici o dei fondi. Pretendere ciò
è chiedere troppo a lui o più propriamente è volere t quanto esorbita
dalla individualità del Maestro.

E come non riesce a svincolare la propria visione da una certa
corporeità, cosi chiede alla realtà della sua terra uno degli elementi
unificatori del suo compromesso: il ritmo di una determinata linea
curva con cui lega insieme figure e paesaggio. Spesso infatti le linee
delle sue figure sono in rapporto armonioso colle linee soavi del pae-
saggio umbro: linee curve, pendii lenti e dolci, mai o quasi mai pas-
saggi bruschi, discordanti colla musicalità dell'insieme con l'ariosità
infinita degli orizzonti. Tutto partecipa alla sinfonia silenziosa:.figure
8 MARIA AURELIA MOCHI ONORY VICARELLI

e paesaggio, linee di volti e linee di colline, tranquillità di spiriti e
placido svolgersi di prospettive paesistiche ed architettoniche.

‘Dolce è questo umano rapporto fra paesaggio e figure; dolce que-
sto ritrovare che la lenta curva del fianco arrotondato di una Madon-
na o della sua guancia morbida o. del suo braccio ben tornito è la stes-
sa che laggiù in lontananza crea la collina che si inazzurra nell’atmo-
sfera. Tale è il legame tra queste immagini e la loro terra, l'accordo
fra personaggi ed ambiente è così pieno, che sentiamo come l’uno al-
l’altro siano vicendevolmente necessari: tutto quell’ondeggiare di cur-
ve nei volti e nelle membra non avrebbe risonanza ideale, se l’artista
non la vivesse nel suo dolce paese e dentro se stesso. La conseguenza
sentimentale di ciò è l'accentuarsi sempre più di quella grazia uma-
na che è l’ideale del Maestro.

Abbiamo visto come un fondo psicologico sia quasi sempre pre-
sente nell’attuazione di grazia del maestro, anzi come la presenza di
questo elemento abbia generato il compromesso fra la grazia contenu-
tistica e la grazia formale che è una delle caratteristiche dell’arte pe-
ruginesca.

Esso è la diretta derivazione e la esplicita manifestazione di un
altro compromesso insito in quest'animo, sotto vari aspetti e in va-
rie estrinsecazioni se non addirittura contradittorio pure indeciso e
divergente: quello del suo particolare misticismo.

I dipinti del Perugino, checché ne sia stato scritto, sono religiosi
o meglio devoti soltanto per i soggetti rappresentati e niente affatto
per l’intima ispirazione. Mistico non era egli nel senso cristiano e nem-
meno (tranne forse in due o tre momenti supremi della sua attività
creatrice) nel senso in cui diciamo mistico o religioso il pittore che
unicamente e totalmente s'interessa alle linee, alle forme, ai colori.
Egli invece s'interessa all'associazione degli elementi dell'arte con la
realtà esterna quale l'esperienza gliela suggerisce e quale il suo senti-
mento la vagheggia e l'idoleggia.

Naturalmente a seconda del prevalere dell'uno o dell'altro ele-
mento di questo compromesso mistico, abbiamo realizzazioni di gra-
zia più contenutistiche ovvero più formali, risultati di devozione o
di illustrazione ovvero ‘assoluti d'arte.

Immesso nel mondo fiorentino il Vannucci di più artisti sentì
l’influsso: si fanno i nomi del Pesellino, di Melozzo da Forlì, dei Pol-
laiolo, di Botticelli, del Signorelli, del Ghirlandaio, di A. Del Casta-
gno e particolarmente di Piero della Francesca, del Verrocchio, di
IL GUSTO E L'ARTE DI PIETRO PERUGINO ' 9

Leonardo. (1) Apprese insomma da molti maestri, onde uniformarsi
al gusto generale e quindi piacere a molti committenti. Quanto egli
apprese é facilmente additabile, e con piü palese immediatezza fin
dalle prime opere, ma bensi va notato subito (dallo stesso San Seba-
stiano di Cerqueto) uno smorzamento ora maggiore ora minore, una
diversa interpretazione degli elementi fiorentini, insomma traspare
una personalità diversa. :

Che questa ritrosia, questa riserva, nell'accogliere l'impostazione
formale masaccesca appaia fin dal principio della sua attività, che
immediata vi sia differenziazione, é indice che l'incanalarsi del Van-
nucci nella civiltà fiorentina non fu per appagare un bisogno artistico,
ma bensi questa venne a lui come una voluta conquista verso cui lo
spinsero ambiente, ragioni pratiche, e la sua stessa natura, incline a
quietarsi in posizioni di transazione. :

Infatti ben lontano era il Perugino dal far sue le visioni di questi
artisti.

Piü accessibile al suo spirito, nella parte superficiale era Piero
della Francesca e questo in quanto egli in lui vedeva le primordiali
inclinazioni verso il colore in senso senese, inclinazione madre di
tutto lo sviluppo pierfrancescano, il quale peró esce dall'orbita della
comprensione di Pietro.

Della visione prospettico-cromatica del maestro egli gustó la
luminosità in cui i colori chiari e lucenti acquistano sempre maggior
valore, esi rese conto a quale grado di resistenza e di sopportazione
il maestro li aveva condotti a contatto di intenti plastici, ed infine il
senso di spaziosità e.di vuoto che egli aveva aperto nel paesaggio.
Non comprese piü il maestro di Borgo San Sepolcro nella rigida logi-
cità con cui, tramite la prospettiva subordinava al colore la statica
plasticità appresa dal Masaccio, né scorse la forza centripeta emanata

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(1) Recentemente Lionello Venturi (L'arte che torna nel settimanale « La
nuova Europa », 6 maggio 1945) ha giustamente fatto rilevare la geniale idea
manifestata da Achille Bertini Calosso, nel discorso inaugurale della Mostra
di quattro secoli di pittura in Umbria, circa i rapporti frail Perugino e Melozzo
da Forli.

Mi è qui gradito rivolgere una particolare espressione di gratitudine, oltre
che al mio maestro torinese Lionello Venturi, al prof. Achille Bertini Calosso,
il quale con spirito di viva amicizia e comprensione mi ha fatto decidere a
pubblicare questo mio ormai un po' anziano lavoro, lo ha pazientemente ri-
guardato, e con le sue osservazioni mi ha fatto riprendere questo argomento
al quale dedicai anni non piü vicini.
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10 ‘ MARIA AURELIA MOCHI ONORY VICARELLI

da tutto l’assieme organizzato per l'unico scopo di dare emergenza a
zone di colore, né si rese conto dell'immobilità in cui le figure - natu-
rale conseguenza del rigorismo trascendentale della prospettiva - sper-
sonalizzandosi si eroicizzavano. |

Così nei confronti di Antonio Pollaiolo ed Andrea Verrocchio:
egli non capì che proprio per il predominio della linea energetica e

. funzionale essi giungevano, tormentando e sconvolgendo i piani, ad

esprimere la passione e ad imprimere movimento d'assieme e vibra-
Zione di forma, cosi non si soffermó attratto dalla malia della linea
generatrice di ritmi per il trionfo della quale Botticelli subordinava
ogni altro elemento pittorico; né gustó l'opposizione delle masse asim-
metriche e trasverse del Signorelli, né si interessó al problema della
forma e movimento risolto dal cortonese attraverso una linea ener-
getica, sfociante in dinamica plasticità, corrispondente ad analoghi .
stati psichici, ma bensi in costoro e nel mondo fiorentino artistico in
genere egli si soffermó a osservare l'anatomia umana e il rilevare dei
corpi. «La pittura é é ombra, chi sfugge le ombre sfugge la gloria del-
l'arte », aveva detto Leonardo, né questo poteva intendere Pier della
Pieve per cui il colore era il suo precipuo interesse.

La duplice relazione di grazia e di sfumato, se ci fa a tutta prima
credere ad una particolare e piü intensa relazione fra il Vinci ed il
Vannucci serve a scoprire la personalità diametralmente opposta di
quest'ultimo. Infatti.alla grazia formale, cercata da Leonardo, si
contrappone la.grazia a sfondo quasi sempre psicologico, o fisiologico
perseguita in quasi tutta la sua produzione dal Perugino.

Inoltre, figlio della scuola fiorentina il Vinci basandosi su elemen-
ti formali (mezzi per rilevare stati d'animo) cou la geniale trasforma-
zione del chiaroscuro in sfumato formale e colla prevalenza dello scuro.
su chiaro consegue effetti pittorici e di movimento, universalizzando
e smaterializzando vieppiù la propria visione. Scopo dell'umbro in-
vece era di dare, a sé ed a noi, di quanto dipingeva, la certezza corpo-

ralmente salda, chiaramente delimitata; terrenamente realizzabile.

Nell'umana, ben determinata apparenza della realtà egli trovava
quiescenza e soddisfazione. Si comprende quindi come a lui fosse pres-
soché impossibile una ricerca di grazia puramente estetica. Al con-
trario poi di Leonardo, basandosi sull'elemento colore, egli tende,
mediante quello che è il suo mezzo pittorico caratteristico, lo sfumato
con colore, a raggiungere effetti formali e di stasi.

Lo spirito peruginesco adunque, non segue nei graduali sviluppi i
vari punti d'arrivo di questi artisti, dei quali indubitatamente senti
IL GUSTO E L'ARTE DI PIETRO PERUGINO j 11

l'influenza;di essi invece accolse elementi sparsi, mezzi tecnici, estrin-
secazioni che, a contatto del suo gusto, si modificarono e si contem-
perarono in qualche felice, o meno, compromesso, frutto di più o
meno naturali connubii.

Infatti, fin dalle sue prime opere, troviamo attutita la potenza
realizzata per contrapposto di colori, ereditata da Piero della Francesca,
ridotto il movimento che il Verrocchio faceva scaturire dalla sua linea
funzionale, addolcita la linea di contorno del Pollaiolo, non ricercati
affatto i ritmi in movimento di Sandro, addolcita ogni violenza pla-
stica cara al Signorelli, impostato, al contrario di Leonardo, su tonalità
chiare il proprio colore, non valorizzata la composizione in prospetti-
va. In contrasto alla civiltà della forma ecco accennarsi qua e là il
gusto delle scene a scomparti, dei trittici, della visione senza costru-
zione, della malia cromatica, dei particolari soppesati, degli ondula-
menti lineari puramente decorativi e di altre cose proprie della ci-
viltà del colore.

Questo ad un tempo congeniale attaccamento e ideale ritorno
all'arcaico, al gotico, al senese non distruggeva del tutto il fiorenti-
nismo da cui egli si era fatto volontariamente imbrigliare.

L'anatomia, la prospettiva e più ancora il disegno e il rilievo
resistevano. Si vede agevolmente che i suoi corpi più lineari e croma-
tici sono fatti da uno che conosce l'anatomia. Né il suo sfumato con
colore é quello dei senesi, ma sottintende il chiaroscuro.

Il suo gusto si era incontrato, lungo la tradizione senese, in for-
me d'arte rispondenti al suo ideale, anche se egli fosse ben discosto
dal sentirvi e dal ricercarvi «la preziosa luce della fede » di cui parlano
i testi medioevali. Quindi ammessa nella propria esperienza la visione
formale si trovó stretto fra due civiltà e due gusti. Si accresce e si
complica cosi la serie dei suoi compromessi, ma anche ne nasce la pos-
sibilità di un certo equilibrio; purché egli risenesizzasse taluni valori
fiorentini, sapesse sacrificare di volta in volta un pò degli elementi
dell'una e dell'altra civiltà e trovasse, nel compenetrare il tutto al
proprio gusto, il punto giusto della sintesi. Il che gli riusci, perché
aveva quel suo piccolo tesoro di raffrenata sensualità e di rasserenato
sentimento da esprimere in ritmi ed ondulamenti lineari, in brillare

e fumeggiare di colori, in rapporti ed euritmie.

Se pure l'insegnamento fiorentino, che egli non riusci mai ad oblia-
re e l'evoluzione della stessa arte gotica italiana avevano inalzato fra

lui e il colore qualitativo una insopprimibile barriera, tuttavia, appunto
perché p lui il colore non era un Hp EO come per i fiorentini, ma

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invece l’elemento di capitale interesse e di grande amore, appunto
perché in esso sapeva ancora vedere la funzione di sbalzo e di rilievo,
egli riuscì per amore di questo elemento ad abolire le ombre nere del
chiaroscuro ottenendo quel tanto di rilievo di cui più non sapeva fare
a meno, attraverso chiari e delicati passaggi di colore. Per farla
breve, il Perugino ponendo la sua base sul colore gotico accetta su di
esso il rilievo, sbocciando a un compromesso di iniziale colore gotico
e di forma. In questo ad un tempo compromesso ed accordo croma-
tico-formale, il colore cessa di essere gotico e il chiaroscuro perde
della sua consistenza formale, ma favorito dall’influsso di Leonardo
che gli agevola il culto particolare dello sfumato, egli realizza il più
caratteristico valore della sua anima oscillante, il connubio di sfuma-
to e di colore, teoricamente assurdo, ma invece nell’effettuale pro-
cesso artistico e nella concretezza di alcune sue opere, il miracolo del
suo genio, l’assoluto della sua arte.

Sfumato con colore, distinzione empirica, pseudo-concetto in-
somma spediente di orientamento onde precisare e definire differenze
di gusto.

La nativa tendenza verso il colore, unita allo sforzo che il mae-
stro doveva compiere per raggiungere mediante cotesto elemento ri-
sultati di stasi formale, gli affinarono sempre più il gusto coloristico,.
sicché lo vediamo indugiare nell’amata ricerca di passaggi melodiosi,
soffermarsi a rivelare morbidezze e delicatezze mediante velature e
passaggi di tono. \

Sfumato questo peruginesco che non obbliga l'artista ad abo-
lire i limiti delle singole forme, anche se la totalità di esse viene rias-

sorbita dal fondo e gli consente, a differenza di Leonardo, di mante-

nere la luce universale — luce della sua tradizione coloristica gotica e
della educazione formale fiorentina — che più che chiarore è n
uniforme limpidità d'aria.

Cosi nel suo migliore periodo gli fu resa possibile la creazione
di alcuni assoluti, quali la Consegna delle Chiavi della Sistina, la Cro-
cifissione di Leningrado, il San Sebastiano del Louvre, la Pietà di
Perugia, la Santa Maria Maddalena della Galleria Pitti, il Compianto.
degli Uffizi, l'assieme del Cambio, i ritratti dei due monaci vallom-
brosiani agli Uffizi ed altri ancora, ove egli basandosi su questo tri-
plice accordo, raggiunge una unità che non è d’azione ma di deco-
razione.

Sarebbe sorto detoratore sommo se avesse potuto rinunciare a
molte cose che si traeva dietro per debolezza morale. Nei brevi istan-

TULIT DREW

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IL GUSTO E L'ARTE DI PIETRO PERUGINO 13

ti infatti che su lui dominava il cuore del suo cuore ed era invasato
della sua grazia, messe in disparte le cose volute imparare, lo. vedia-
mo improvvisare secondo il suo genio, trasformare il rapporto pro-
spettico in rapporto cromatico, imprimere dappertutto il suo slancio
verso i colori, le linee ondulate i loro esaltamenti ed i loro rapporti, i
piani sovrapposti, la composizione a scomparti, l'assorbimento di tutti
i particolari di contenuto e di tecnica nella ritmica ed euritmica deco-
razione.

Da qui il miracolo gentile per cui sentiamo equilibrate, unite,
totalitarie aleune opere dove le figure, ignorandosi a vicenda, sono
tenute assieme da eguaglianza di ritmo, il quale nel ripetersi si esten-
de e si prolunga dove le pose, anziché variare, si eguagliano e si sim-
metrizzano (la tanto bestemmiata simmetria del Vannucci è invece
una sua necessità artistica !) dove l'idea mistica tenta slacciarsi da
ogni relazione colla terra per mutarsi in astratti motivi decorativi, dove,
infine, sembrano cullarsi i frammenti di gusti diversi, come i rottami
del naufragio sulle acque diventate tranquille e sorridenti.

Da qui il bisogno del pittore di soffermarsi sui particolari che egli,
sempre a trionfo della sua grazia,sceglie e raffina ognor più, ma non
curandoli onde raggiungere verità individuali ma bensì volendoli per
la poesia delle piccole cose, di quel nulla che trasfigurato dall’amore
— amore donato a lui da Siena — può divenire fonte di alta isp'raz'one.
E quest? particolari diventano la materia di tutta la sua produzione
anche negli anni che non crea e solo ripete se stesso.

Ciò spiega come pure nella decadenza senile abbia sprazzi di bel-
lezza.

La vecchia critica d’arte, quella che per unico diapason aveva il
disegno classico, rilevava il convenzionalismo della linea dei senesi

€ dei medievali in genere e quindi anche del Perugino, e non senza
scandalo per questo artista entrante nel 500. Per noi, invece, il valore

del Perugino s'afferma nel gusto degli ondulamenti lineari gotici,
nella festa dei colori e dello sfumato con colore perché questo enon
altro é il linguaggio della sua arte.
A questo punto la domanda tante volte affacciatasi in noi affio-
ra più impetuosamente.
' Ci si chiede: può essere veramente sana e vitale un'arte che nasce
da tanti compromessi ?
È chiaro che assai volte l'arte di Pietro è inferma, la parabola
dell'attività del maestro ne é la prova, ma allorché essa riesce a tro-
vare un suo equilibrio ed una sua armonia, allora proprio in quanto
14 Seat MARIA AURELIA MOCHI ONORY VICARELLI

si svolge quasi contro i suoi elementi, in quanto è circondata da molte:
insidie, acquista un fascino sottile, un qualchecosa di prezioso, di ec-
cezionale, di miracolato.

E questo senso di eccezionale, di prezioso, sorge in questi rari,
autentici momenti di creazione appunto da questo trovato equilibrio,
da questa giusta armonia fra cotesti che da compromessi divengono
accordi, compromessi e contraddizioni che in tal guisa cessano di ne-
gare ma bensì affermano ed esaltano la vita, equilibrio ed armonia
che sono l’apice del suo sviluppo, la caratteristica deles. sua persona-
lità, l'assoluto della sua arte.

Certo quest'arte sottilissima e difficile, facilmente degenera in

frammentarismo e precocemente precipita in decadente rovina pro-

prio perché questi tre compromessi non erano lungamente manteni-
bili in un sano, vario, equilibrato punt di coesistenza e di contempe-
ranza.

Ecco quindi come ino su una lama di rasoio, l’artista
dalla fantasia ristretta e localizzata, soggiaccia ad involuzione e la
sua potenza creatrice si spenga.

Ciò ci spiega ad un tempo la realizzazione, le molteplici oscilla-
zioni, il naufragio di questo gusto cosi precario — gusto che ad un tem-

po é il limite e la malia di questo artista — e anche l'incertezza dei

giudizi a cui l'artista da tutta la tradizione critica fu sottoposto, e per--

ché, suscitando i più fervidi entusiasmi ed i più totali disprezzi sia
dai più incompreso nella sua essenzialità.

È vero, presto scese la decadenza sull’arte di Pietro; ma la sua
maggiore sventura è che se si estinse il suo potere creativo non così
tacque il suo desiderio di guadagnare più a lungo. Né poteva essere

diversamente, giacché, come nella maggior parte delle decadenze

mentali, questo processo involutivo è inconscio. Lo prova la risposta
ingenua e pietosa ad un tempo messagli in bocca dal Vasari: « Io ho
messo in opera le figure altre volte lodate da voi, e che vi sono infini-
tamente piaciute: se ora vi dispiacciono e non le lodate che ne | posso
io 2»

L'artista senza jdvvedemsend é uscito dal tRireno dell'arte e senza
accorgersene ha compiuto verso i propri punti d'arrivo, verso sé stes-
so, un tradimento.

Ch'egli avesse una. natura limitata, incline a circoscrivere il pro-
prio mondo, a vivere in un ambito modesto, senza né voli, né compli-
cazioni intellettuali, s'appalesa fin dal suo esordio, anzi é questo suo
istallarsi a cavalcioni di due civiltà, è questa sua rinuncia a gran parte

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IL GUSTO E L'ARTE DI PIETRO PERUGINO , 15

degli elementi di apprendimento, che hanno determinata la sua pre-
sonalità. Ma di un'altra più intima, più recondita prerogativa la na-
tura gli aveva fatto dono: l'inclinazione al rinchiudersi, al crearsi
un bozzolo. Finché in esso fu un germe di vita, una fiamma alitante,
questo bozzolo fu il tempio in cui abitava un Dio. Ma disseccatasi e
spentasi quanto prima, proprio a causa della stessa sua natura, esso
divenne uu simulacro vuoto, uno dei tanti mezzi per campare la vita.

Quindi ad ogni determinato santo per lui venne a corrispondere
una determinata forma, anzi a ogni determinato sentimento determi-
nate linee, determinate forme, determinati colori.

Entra in scena così la turba dei suoi eleganti fantocci, che sorri-
dono col disegno delle. loro labbra coralline, che pregano con la pie-
gatura delle proprie ginocchia, e coll’incrociarsi delle loro mani, ma
in cui manca ogni corrispondente stato d’animo. Residui e risvegli,
qua e là sparsi, non riescono a mascherare la materialità che in questo
periodo fa di lui un artigiano più che un artista, artigiano che si ab-
bandona al virtuosismo della propria mano a cui non viene presenta-
to più alcun problema da risolvere, né richiesto alcuno sforzo da com:
iere. Il colore che appariva in tutta la sua pienezza ed il suo splen-
dore nel suo periodo aureo, smarrisce più che mai il vigore originario e
perde corpo diventando ad un tempo flaccido ed opaco.

Questo indebolirsi del sentimento del colore cerca di nascondersi :

dietro aumentate pretese di rilievo, ovvero tentate arditezze di una
linea omai applicata senza varianti secondo vecchie formule, la quale,
priva com'è di freschezza e di FISOKSS, arrischia cigganze e cade in va-
cue snervatezze e squilibri. ;

La tecnica poi dell’uso del colore muta radicalmente, da vela-
ture ed impasti, eccola giungere all'intreccio di pennellate lunghe e
filiformi sì da formare un reticolato di colori diversi. Se questo muta-

. mento è in parte dovuto a frettolosità di mano è tuttavia permesso

anche dal minor interesse al valore intrinseco del colore; interesse
che lo aveva portato verso lo sfumato con colore e che, indebolito,
tollera l’immissione in un determinato CORO di altri, fosse esso pure
il nero del chiaroscuro fiorentino.

Il ripetere poi, come egli fa, di figure e figure nega ogni esci
za, ogni lealtà alla vita sentimentale e quanto più egli si allontana,
facendo e rifacendo, tanto più si estranea dalla originaria ispirazione.
Il sentimento degenerato in sentimentalismo non ha di quello che la
veste esteriore: i tratti dolciastri, gli occhi Qn insü, i colli torti, le mani

giunte in allentato intreccio.
16 MARIA AURELIA MOCHI ONORY VICARELLI

Se contenuto psicologico fu sempre o quasi sempre alla base
della grazia peruginesca; nella sua fase di decadentismo domina so-
vrano completamente dissociato dagli elementi pittorici che non sono
ricercati dall'artista che in quanto servono all'enunciazione e rappre-
sentazione di quello. E cosi l'artista che avrebbe potuto, in pieno ciu-
quecento, mantenersi vivo e completo nella sua volontaria posizione
di arretrato senesismo, se avesse saputo tener accesa la sua piccola
fiamma e non avesse dipinto con la pratica acquisita in quasi totale
narcosi di spirito, giunge alla pià completa deformazione dell'amore
del proprio cuore e dello scopo della propria arte: la grazia.

Chiarito cosi (se non m'illudo) il punto centrale del gusto e del-
l'arte di Pietro Perugino, senese, peregrinato vogliosamente a Firenze
per apprendere la civiltà della forma e poi ritornato nei momenti di
ispirazione verso i valori della civiltà del colore, perdono d'importan-
za molte questioni dibattute, perché si vede quanto divergano dalla
effettiva personalità ed operosità dell'artista. Certamente saranno
sempre bene accolti i documenti nuovi e le nuove argomentazioni
sui primi suoi anni, sull'ipotetico influsso fiammingo, sulle miniature
e sulle vetrate, sui disegni o sui dipinti dubbi o di collaborazione con
Raffaello, sull'andata a Loreto, a Venezia, e su cento altre cose, ma
se non si distrugge la serie di opere che prendiamo in esame, o se non
si riesce a guardarle con occhi totalmente diversi, Pier della Pieve
continuerà ad essere l'alacre pittore dal temperamento schivo ad un
tempo di ogni complicazione figurativa-sentimentale, incline a non
portare in fondo con rigida logicità le proprie preferenze, colui che,
accaparratisi elementi del gusto corrente in varie città, apre botte-
ghe sue, accetta contemporaneamente più e più commissioni, compra
case e poderi, si difende e persevera nelle fatiche, e ad essere insieme
il vagheggiatore delle « bellissime zovene » e dei paesi dolci, in cui
trova rispondenza con l'intimo sentimento della sua grazia che gli fa
riprendere elementi invecchiati dell'arte e rinnovellarli di novelle fron-
de «non sine quodam elegiae umbraculo » (DANTE, De vulg., el. II,
12, 6). Che se la grazia può degenerare come contenuto fino a quella
che il Castiglione (« Il cortegiano », 1, 19) respingeva, seppe talvolta il
Perugino alzarla in modo che, pur senza toccare la grazia totalmente
formale, la rese l'anima palpitante dei suoi capolavori.

TRE
NOTAMENTI BIOGRAFICI

Vasari ci addita à luogo di nascita di Pietro Vannucci Perugia
«nella città di Perugia », egli dice « nacque ad una povera persona »
località questa che rimane immutata pure nella 22 edizione delle sue
Vite in cui leggermente più sottolineata è la figura del padre « povera
persona di Castello della Pieve detta Cristofano » (1).

E Perugia fu assegnata per molti anni per patria all’artista. Ora
invece lo si fa nativo di Castel della Pieve, piccolo centro ad una qua-
rantina di chilometri da Perugia, innalzato da Clemente VIII nel 1601
a dignità di città. :

Questa variante é stata determinata dal fatto che questa fami-
glia era oriunda ed abitante in questo paese e specialmente dalla qua-
lifica « de Castro Plebis » che l'artista dà di se stesso, firmando nume-
rose opere.

Ultimamente (2) se ne é rintracciata l'ascendenza risalendo fino
al XIII secolo, faticosa ricerca resa ingrata ed ostile dall'oscillare in-
certo dei patronimici, sopranomi, determinanti in genere, non ancora
consolidati in cognomi e dagli scarsi documenti riguardanti persone
di modesta importanza.

Questo tal Cristoforo ci balza infatti fuori da varii documenti
dell'arehivio comunale di Città della Pieve ora come « Cristoforus
Petri Vannuccioli de Castro Plebis » ora come « Cristoforus Vannutii »
ed altrove ancora come « Cristoforus Vannuccioli » (3).

Non conosciamo il mestiere esercitato da costui, ma tuttavia
una certa agiatezza doveva pur godere, possedendo in città della Pie-

(1) VASARI GIoRGIO, Le vite, ed. Milanesi, Firenze 1878, vol. III, pag. 566.
(2) Fra gl! altri vedasi CANUTI FionENZO, Il Perugino, Editrice d'Arte,

« La Diana », Siena, 1931, vol. I, pagg. 3 e segg., vol. II parte IT, Doc. 7-36. Il

Canuti pubblica nel vol. II un'ampia raccolta di documenti: per quante ri-
serve si possano formulare sul piano critico, tuttavia non si puó discono-

scere la grande utilità del lavoro di raccolta compiuto.

(3) CANUTI, Perugino, Doc. 1-36.

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18 MARIA AURELIA MOCHI ONORY VICARELLI

ve una casa sita nei pressi di strada principale «in Burgo Intrin-
seco » (1) ed alcune terre, e doveva altresi fruire di un qualche pó
d'emergenza, giacché lo vediamo eletto priore nel 1460.

Non possiamo precisare con assoluta certezza l'anno in cui nac-
que Pietro.

Facendo il conto a ritroso lungo i 78 anni che Vasari gli assegnò.
di vita, tenendo fermo come punto di partenza il 1524, anno della mor-
te, risaliamo al 1446.

I documenti ci faranno anticipare al 1523 la morte e quindi la
nascita viene anche essa anticipata al 1445.

Giovanni Santi (2) affermandolo «par d'etade » con Leonardo
ci vorrebbe far inclinare al 1452.

Nel 1460 nel « Livero del Datio capo d'uomo e di bestia » (3) fi-
gurano il padre e due suoi fratelli, mentre egli non é nominato, e

. nel «Liber recolectae vini» appare con la seguente dicitura « Pe-

trus Cristopheri Vannuccioli sol. 4 solvit» per la prima volta nel
1469 (4). :

Il nome del padre appare per l'ultima volta nel libro della « ri-

colta del vino: nel 1467 (5).
L'età di Pietro nel 1469 doveva oscillare da un massimo di 24
anni ad un minimo di 17 anni.

L'esclusione del suo nome dal libro del dazio e il suo tardo appa-

rire nella gabella del vino fanno avanzare varie ipotesi: o che non fos-
se in età da pagare, o facesse famiglia col padre e solo il capocasa do-
vesse venire iscritto, ovvero che il silenzio sul suo nome fosse causato
da sua assenza dal paese.

Il nostro interesse è in gioco unicamente per quest'ultimo inter-
rogativo.

Purtroppo queste fonti relative all'amministrazione finanziaria
del comune non sono tali da farci concludere per quest'ultima possi-
bilità. In questo torno di tempo dipingevano a Città della Pieve Nic-
coló di Bonifacio, senese, ed i di lui figli Egidio e Francesco. Vi é me-

moria anche di altri minori fra cui un pittore Gregorio Teutonico..

(1) CANUTI, Perugino, Doc. 37.

(2) SANTI GIOVANNI, Cronaca rimata, a cura dello Holtzinger, Stoccarda:
1893.

(3) CANUTI, Perugino, Doc. 8.

(4) CANUTI, Perugino, Doc. 81.

(5) CANUTI, Perugino, Doc. 8.

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IL GUSTO E L'ARTE DI PIETRO PERUGINO 19

Vannucci ebbe forse con costoro qualche primordiale addentellato ?
Il nome del maestro scompare riassorbito nel piü assoluto buio fin
quando il Libro dei debitori e creditori della compagnia di San Luca
di Firenze detto « Libro rosso » ci addita «Piero de Cristofano da
Perugia » nel giugno 1472; inserendolo fra quegli artisti tassati di sol-
di 6 a condono «di qualunque debito abbiano con l'arte per il pas-
sato» (1).

Doveva quindi essere entrato in detta compagnia anteriormente
al 1472, ed anteriormente a detta data, di necessità, risiedere a Fi-
renze. Questo è il più antico documento fiorentino in cui figuri il
nome del nostro artista ed è Signilicativo il modo in cui egli è de-
signato.

Questi primi periodi della vita del pittore 1469-1472, 1472-1478
(data della prima opera certa) sono pieni di incognite. Vasari negli
anni anteriori al 1472 lo pone come «fattorino a un dipintore di
Perugia, il quale non era molto valente in quel mestiero » (2).

La critica cercò di individuare questo pittore e Benedetto Bon-
figli, Niccolò Alunno, Fiorenzo di Lorenzo, Bartolomeo Caporali e
persino Anselmo di Giovanni e Pietro di Perugia, incarnarono questo
personaggio vasariano. Certo è che alcun documento, alcun ricordo
oltre il Vasari, ci dà luce su questo presunto tirocinio fatto a Perugia,
né d’altro canto possiamo minimamente essere certi che la sua andata
a Firenze dal natio Castel della Pieve fu un’andata diretta, diremo
così senza fermata intermedia.

Né convince a riprova di un viaggio senza soste il sopranome di
Perugino, sortogli, è ovvio, giunto a Firenze e già di dominio pubbli-
co nel 1482 (allocazione delle pitture nel Palazzo della Signoria «1o-
caverunt Pietro vocato Perugino ») e non certo nelle native terre
perugine o nelle regioni limitrofe ove non sarebbe stato esatto, né
avrebbe servito quale caratteristica distintiva.

Cosi da taluni studiosi, basandosi sulla frase che il Vasari nella
vita di Piero della Francesca, scrisse: « Fu suo discepolo ancora Piero
da Castel della Pieve che fece un arco sopra S. Agostino, ed alle mo-
nache di S. Caterina di Arezzo un S. Urbano, oggi ito per terra per
rifare la Chiesa (3) », fu fatto fermare ad Arezzo alla scuola di Piero
della Francesca. Anzi si vuole vedere traccia dell'opera sua nell As-

(1) CANUTI, Perugino, Doc. 101-102. E
(2) VASARI, Le Vite, cit., tomo III, pag. 566.
(3) VASARI, Le vite, cit., tomo II, pag. 500.

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20 MARIA AURELIA MOCHI ONORY VICARELLI

sunzione di Maria (Museo Civico di San Sepolcro) allocata a Piero
già dal 1454 ma la cui esecuzione su disegno del Borghigiano deve
. datare tra il 1465 e il 69 (1).
La frase del Vasari circa la prospettiva « della quale scienza
Pietro oltremodo si dilettó et studió continuamente perché ne faceva
| Pietro professione particolare » (2) ci induce a riallacciare un diretto
insegnamento, un. contatto immediato del Borghigiano coll'Umbro
piuttosto che una semplice influenza subita o in Umbria o in Toscana
negli anni giovanili da costui. | |
Inoltre conobbe egli l'amico suo Luca Signorelli durante ques-
sto suo probabile discepolato presso il maestro di Borgo San Sepol-
cro ? Bisogna far risalire fino a quest'epoca la prima influenza di que-
sto compagno di studi ? Andarono contemporaneamente a Firenze ?
Intravide fin dal principio della sua formazione artistica Pollaiolo ? :
ed Andrea del Castagno ? Come risuonó nel suo cuore la voce di Me-
lozzo da Forli e quella di Pesellino ? Quali furono i richiami che:mas-
simamente l'attrassero a Firenze ?
E giunto alla città dell'Arno chi cbbes a maestro ?
L'anonimo Gaddiano annotava negli anni fra il 1542 e il 1548
nelle sue « Notizie» « Pietro Perugino discepolo del Botticello » (3).
Vasari invece lo fa studiare unicamente sotto la disciplina del
Verrocchio (4).
Notizie entrambe verosimili, ma purtroppo non controllabili
alla luce di altre fonti. i
Precisiamo che Botticelli nel 1470 datava il suo quadro più an-
tico; e che nel 1472 avesse di già bottega ce lo fa credere l’annotazione
fatta dalla Compagnia di S. Luca nei confronti di Filippino Lippi
« dipintore con Sandro di Botticello » (5).
Fu egli a questa bottega ? conobbe mentre ne era allievo gli
altri artisti fiorentini fra cui Filippino e Biagio d’Antonio Tucci, il

(1) VENTURI ApoLro, Storia dell’ Arte, vol. VII, p. II, Milano, 1913,.
pag. 460. BIS

(2) VASARI, Le Vite, cit., tomo III, pag. 575.

(3) DE FaBRICZY C., « Arch. St. Ital. », Serie V, tomo XII, anno 1893,
pag. 93.

(4) VASARI, Le Vite, cit., tomo III, pag. 568-574 e tomo II (Vita Verroc-
chio), pag. 371.
i (5) Firenze, Arch. di Stato, scali del disegno, N. 2 Libro rosso, A, 2
Debitori, creditori e Ricordi 1472-1520; CANUTI, Perugino, Doc. 103.

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IL. GUSTO E. L'ARTE DI PIETRO PERUGINO 21

quale con lui avrebbe dovuto accettare di dipingere la parete della
sala maggiore del Palazzo della Signoria nel 1482 ? (1). n=

Fu egli spettatore e partecipe dell’influenza che su Sandro, al-
lievo di Filippo Lippi, in questi anni aveva il Pollaiolo e massima-
mente il Verrocchio ?

. Vasari insiste e precisa varie volte (2) il diretto discepolato del
Perugino sotto il Verrocchio, e questa stessa notizia viene -a noi tra-
mandata anche da un altro scrittore quasi contemporaneo (metà del
200) Raffaello Sozii (3) che poteva averla appresa dalla viva voce del
popolo. Gli anni infatti, in cui il Verrocchio si diede alla pittura
coincidono con quelli dell'apparire del nome del maestro nella Compa-
gnia di San Luca 1472 e vanno alla data della prima sua Opera di
sicura attribuzione 1478.

Quindi dalla stessa bottega Leonardo da Vinci, Luca Signorelli,
Filippino Lippi, Lorenzo di Credi, hanno col nostro artista o rapporti
di ordine pratico o legami nell’estrinsecazione artistica, sì da farceli
pensare compagni allo stesso discepolato e quindi nell’incertezza che
abbuia tutto questo periodo della vita dell'Umbro, farci prospettare
come molto verosimile e probabile la sua presenza alla bottega del
Verrocchio.

I documenti allo stato attuale non ci permettono di giungere a
nessuna più positiva conclusione; l’analisi delle opere ci autorizzerà
a tentare di risolvere questi interrogativi.

Certo l'abitare Firenze, l'essere circondato da questi artisti, l'a-
ver sott'occhio un'infinità di opere, l'indirizzo del gusto generale, le
pratiche considerazioni da ció derivanti, dovettero avere il loro note-
volissimo peso nella formazione artistica del pittore,

D'altra parte nell'ambiente artistico in cui s'era introdotto
Partista, s'era diffusa una educazione miniaturistica raffinandolo, ed
impreziosendolo, rendendolo capace di valorizzare tutto quell’assieme
di magnificenza, di eleganza, di signorilità che la corte medicea ed il

| popolo fiorentino e la moda toscana del 400 avevano messo assieme

e che il Pesellino aveva così sottilmente rispecchiato. Di questo pro-
cesso evolutivo Perugino ebbe maniera di osservarne gli adattamenti,

(1) CANUTI, Perugino, Doc. 126.

(2) VASARI, Le vile, cit., vedi nota 4 pag. 20.

(3) Sozii, R., Memofie cittadine e domestiche, manoscritto della biblio-
teca comunale di Perugia, anno 1580.

ES M E - Da nt AH ZEE VT ^ :
22 MARIA AURELIA MOCHI ONORY VICARELLI

le contemperanze, i risultati e in quanto tali, assorbirne gli elementi
più consoni al proprio animo.

Vasari (1) enumera quali prime opere del Maestro quella di San
Martino alle monache fuori Porta al Prato a Firenze. Nulla di esse ci
rimane a causa dell’assedio della città del 1529. Ignoriamo pure la
fine di San Girolamo affrescato in Camaldoli ascritto pure a questi
stessi anni dal biografo aretino « allora molto stimato da’ fiorentini e
con lode messo innanzi, per avere fatto quel santo vecchio magro ed
asciutto, con gli occhi fissi nel Crucifisso, e tanto consumato, che pare
una notomia ».

Altre opere a cui, sempre seguendo la trama vasariana, Peru-
gino deve aver accudito in questi suoi primi anni, devono essere
quelle eseguite per la Chiesa ed il Convento dei Frati Gesuati a Firenze.
Ma di questo complesso di opere i cinque affreschi elogiati sia per i ri-
tratti sia per la « vaghezza e pulitezza... e per il freschissimo co-
lorito » (2), andarono, sempre nel 1529, distrutti e non rimangono
che le tre tavole senza data né firma ora agli Uffizi, dopo essere state
portate alla Chiesa dei Frati di San Giovannino alla Calza: la Cro-
cifissione con Santi, l'Agonia nell'Orto e la Pietà.

Da queste tre tavole la prima « Crocifissione con Santi » presenta
caratteristiche tali da farcela ritenere anteriore alle altre due e che
la sua esecuzione sia precedente al 1482, anno dei lavori che farà alla
Sistina e approssimativamente fra il 1479 e 1480.

Infatti essa fu dipinta per l'Oratorio che sorse prima della Chiesa
alla quale furono invece destinate l'Agonia e la Pietà.

Questa crocifissione che ci pone apertamente di fronte al proble-
ma dei rapporti tra il Vannucci ed il Signorelli fu vista anche come
un'opera di possibile collaborazione dei due artisti ovvero addirittu-
ra come un'opera di uno scolaro del Perugino «che si abbronza alla
maniera del Signorelli » (3). i

Vasari a questo punto della sua narrazione (4) apre una lunga
digressione a proposito dell'attività dei frati nel costruire finestre di
vetro » con i fornegli ed altri comodi che a cotale esercizio erano ne-
cessari » ed informandoci che «mentre visse Pietro, egli fece loro

(1) VASARI, Le vite, cit., tomo, III, pag. 569.

(2) VASARI, Le vite, cit., tomo III, pag. 569.

(3) VENTURI A., Storia dell'arte, vol. VII, p. II, nota a p. 566; U. NIE
P. Perugino, Spoleto 1923, invece la data di poco anteriore al 1491.

(4) VASARI, Le vite, cit., tomo III, pag. 570.

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IL GUSTO E L'ARTE DI PIETRO PERUGINO 23

per molte opere i cartoni» non solo ci presenta quest'artista nella
veste di disegnatore (1) ma bensi instradó taluni a crederlo egli stesso
costruttore di vetrate talché gliene verranno attribuite negli anni se-
guenti (2). | j

Inoltre i frati oltre a stillare « acque odorifere e cose medicinali »
fabbricavano pure colori minerali. Ne fa fede la storiella dell'oltre-
marino, adoperato troppo abbondantemente apposta dal pittore che
voleva con tale trucco riportare il priore, chelo fabbricava, nella fidu-
cia degli uomini onesti.

Perugino così avrebbe avuto agio di acquistare maggior dime-
stichezza con questa tecnica che era ancora al suo sorgere « appunto
ne' tempi suoi si cominciò a colorire bene a olio » (3).

Un documento dell'archivio comunale di Perugia ci svela che il
maestro nel 1475 era impegnato a dipingere «certe figure in nostro
palatio in Sala Magna Superiori » (4).

Dell'opera sua, ora non vi é la benché minima vestigia, ma fa
supporre che esse furono da lui eseguite l'avere egli. giovane e non
noto pittore, designato dal notaio come c Mag. Petro... de Castro
Plebis» percepito i denari all'atto stesso dell'allocazione.

A quest'anno si suol ascrivere l'Adorazione dei Magi della Chiesa
di S. Maria dei Servi a Porta Eburnea a Perugia ora nella Pinacoteca
comunale di cotesta città, menzionata come opera giovanile dal Va-
sari (5) ma sulla cui attribuzione non è del tutto unanime la critica (6);
cosi come non lo é circa l'attribuzione di taluni quadretti rappresen-
tanti i miracoli di San Bernardino (guarigione del cieco sordo muto
e guarigione della figlia di GiovanAntonio da Rieti) del 1473 ora alla

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(1) FiscHEL OsKAR, Die Zeichnungen der Umbrer, Berlino, 1917.

(2) Come ad esempio U. GNorr, op. cit., che colloca fra il 1490 e il 1495
le seguenti vetrate: Discesa dello Spirito Santo e finestra dell'abside nella
‘Chiesa di Santo Spirito a Firenze; le Stigmate, il Padre Eterno e Sant' Antonio,
nella chiesa di San Francesco al Monte sempre a Firenze.

Venturi A. (op. cit.), attribuisce tutte queste vetrate alla bottega.

(3) VASARI, Le vite, cit., tomo III, pag. 574.

(4) CANUTI, Perugino, Doc. 105.

(5) Vasari, Le vite, cit., tomo III, pag. 581.

(6) Accenneremo senza fermarci a descriverle le opere attribuite al Peru-
gino che oltre a tentare di spiegarci l'impiego della sua attività giovanile, pos-
sono rappresentare momenti successivi della sua evoluzione e quindi come tali
sono preziosi elementi d'indagine. Per non infirmars invece il carattere di que-
sto excursus lasceremo in ombra ogni altra opera a lui attribuita che non pre-
senti queste precise caratteristiche.

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24 MARÍA. AURELIA MOCHI ONORY VICARELLI

Pinacoteca e di quel complesso di opere con cui ad Venturi intesse
l’attività giovanile dell'Umbro (1).

Dolorosa é questa perdita sia per le opere in sé, ma ancor piü
perché esse coi loro valori figurativi ci avrebbero parlato del discepo-
lato di questo pittore a cui furono attribuiti per maestri vari quattro-

centisti e mostrandoci la personalità incipiente ci avrebbe fornito

utilissimi elementi di raffronto circa la sua attività in questo periodo
cosi oscuro, di guisa che, in maniera piü graduale e piü logica, com-
prenderemmo l'evolversi della sua personalità artistica.
L'inventario delle pitture e ritratti del palazzo ducale di Pe-
saro (2) compilato nel 1500 elenca quali opere del nostro due ritratti
di Costanzo I Sforza e una testa del Salvatore.
Costanzo I tenne il potere dal 1473 al 1483 quindi sia questi ri-

(1) Esce totalmente dal nostro intento e dalla nostra possibilità il preci-
sare l’attività del maestro prima del S. Sebastiano di Cerqueto, l’accogliere o
il respingere le attribuzioni fatte al maestro in quest suoi anni di attività non

identificata con ogni sicurezza.

Rimandiamo quindi agli scritti dei nostri piü insigni critici che nello stu-
dio del 400 soffermandosi particolarmente su ogni artista, sia in sé, sia compara-
tivamente, ne hanno precisato la maniera e quindi, selezionate le opere ano-
nime, hanno avuto modo di attribuirle ai varii quattrocentisti.

Vedi: VENTURI A., Studi dell’ Arte umbra del 400, « L'arte », 1910; Luca
Signorelli e P. Perugino a Loreto, « L'arte », 1911; L' Arte giovanile del Perugino,
« L'arte », 1912; Storia dell’ Arte, vol. II, parte V, pagg. 460-491.

(Assunzione della Vergine di S. Sepolcro (1465-69); S. Giacomo e S. An-
sano, Oratorio dei Pellegrini ad Assisi (1469); S. Eustacchio, collezione Volpi,

. Firenze; Crocifissione e i Santi, Galleria Borghese, Roma; Ritratto di giovi-

netto, Museo di Dresda; I due sopracitati quadretti con il miracolo di S. Ber-

‘ nardino Galleria Perugia; predella del Museo del Louvre; Adorazione dei Magi,
. Galleria di Perugia (1475); San Giuliano, Collezione Brinsley Marlay, Pietà,

S. Giovanni e Maddalena, Galleria Perugia).

VENTURI A., I grandi artisti italiani, Bologna, 1925. i

VENTURI Li Pietro Perugino, Emporium, 1923; Il gusto dei primitivi,
Bologna, 1926; Pretesti di critica, Milano, 1929; Dipinti italiani in America,
Milano, 1931.

RAGGHIANTI C. L., La groninegeas e lo sviluppo artistico di D. Ghirlandaio,
« L'arte », 1935.

BERTINI CaLosso A., La He. umbra di Raffaello, Urbino, 1934:
Quattro secoli di pittura in Umbria; Mostre celebrative «del V centenario della
nascita di P. Perugino, Perugia, 1945. .

Purtroppo non è stato ancora dato alla stampa il discorso inaugurale

tenuto da A. Bertini Calosso all'apertura della Mostra da lui organizzata in
piena occupazione militare alleata.
(2) Pesaro, Biblioteca Olivierana, cod. 387.
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IL GUSTO E L'ARTE DI PIETRO PERUGINO 25

. tratti che andarono bruciati, sia la testa del Signore di cui ignoriamo
.la sorte, dovrebbero essere di questi anni. Distrutte pure furono le
pitture per l'ospedaletto di Lorenzo de’ Medici in Firenze ricordate
come eseguite da lui e da altri dal rapporto anonimo al Duca di Mi-
lano (1). i

Così perduto è pure il Cristo fra Santi affrescato sulla parete
‘centrale esterna di San Pier Maggiore a Firenze, dipinto in maniera -
che «sendo stato all'acqua ed al vento, s'é conservato con quella fre-
schezza come se pur ora dalla mano di Pietro fosse finito » (2).

| Eccoci infine, dopo tante incertezze e distruzioni, ad un’opera cer-
ta: il frammento di affresco della Chiesa Parrocchiale di Cerqueto.

Il pittore doveva aver raggiunto una discreta rinomanza se i
buoni cerquetani, abitanti di un paese alquanto discosto da Perugia,
nel 1478 affidarono a lui la manifestazione del loro grato animo verso:
i santi che avevano tenuta lontana dalla contrada la peste che infie-
riva nei dintorni. Bi

Di questo affresco che rappresentava San Sebastiano fra altri
due santi, rimane ora solo il San Sebastiano, causa l'ingrandimento.
della Chiesa.

Il giovane martire migrò col pezzo di muro che lo sosteneva dalla
Cappella di Santa Maria Maddalena all’altare alla sinistra di quello:
maggiore.

L'iscrizione originale, nella quale, in poveri versi dialettali, ve-
niva espressa la devozione riconoscente dei committenti è pure essa
scomparsa. Così pure, nel trasporto, è andata distrutta la data e la
firma originale, essendo quelle che si leggono attualmente tardi rifa-
cimenti (3).

Che lavori dovessero attenderlo copiosamente altrove, e che il suo
nome emergesse, lo dimostra la scelta — così vuole la tradizione (4) —

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(1) Rapporto anonimo al Duca di Milano vedi VENTURI L., La Critica
d’arte in Italia durante i secc. XIV e XV, « L'arte », 1917.

(2) VASARI, Le vite, cit., tomo III, pagg. 576-577.

L’annotatore del Vasari, G. Milanesi, dice trovarsi questo affresco stac-
cato in Palazzo Albizi a Borgo degli Albizi a Firenze. Nota a pag. 571.

(3) Ne rimane il ricordo in una trascrizione della fine del 600 fatta dal
cappellano Don Angelo Marchetti.

La firma e la data trascritte sono così redatte: Petrus Perusinus pinxit
MCCCCLXXVIII. ; È

(4) GrIMALDI G., nel Catalogus Sacrarum Reliquiarum... A. D. 1621

descrivendo l'opera la definisce « Opus Petri de Perusia egregi pictoris» e ce ne:
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26 MARIA AURELIA MOCHI ONORY VICARELLI

fatta da Sisto IV desideroso, oltre la maggiore Cappella per le funzioni
di parata, di costruire e decorare un'altra cappella, quale luogo di
propria sepoltura, dedicandola alla Vergine della Concezione.

L'8 dicembre 1479 questa cappella fu inaugurata. Con verosimi-
glianza dovevano essere quindi ultimate le pitture (Madonna col Bam-
bino in una mandorla di serafini, S. Pietro che presenta Sisto IV in-
ginocchiato, altri santi e angioli) poi cadute nella costruzione della
grande Basilica Vaticana fatta eseguire da Paolo V nel 1609 (1).

Una nuova lacuna scende ad ottenebrare l'attività del maestro,
sicché fino al 1481, anno dell'allocazione della Sistina, noi, con certezza,
non conosciamo né a quale altro lavoro fosse intento, né in quale am-
biente artistico vivesse. |

Non é corredata dalla minima documentazione l'ipotesi di una
collaborazione all’incirca verso il 1479 e più ampiamente tra il 1478

e il 1481 da parte del Perugino agli affreschi di Don Pietro d'Antonio

Dei (erroneamente chiamato, dal Vasari Bartolomeo della Gatta) e
Luca Signorelli nella Sacrestia della Cura a Loreto (2). Quello che è

Sicuro é che il Dei proveniva anche lui da Arezzo e quivi puó essersi

legato d'amicizia ai due maggiori, e che questo terzetto di artisti lo
ritroviamo assieme, subito nel 1481, alla Sistina. Certo che questi

- anni che dal 1479 s'inoltrano al 1481 dovettero, data l'età del pittore,

essere fecondi di vitali tentativi e di gloriose evoluzioni, se dall'oscu-
rità di documenti per lo più riguardanti indirettamente e limitata-
mente l'attività sua artistica, il suo nome viene a noi, ex abrupto, ri-
spettato ed altamente stimato assieme a quello del Ghirlandaio, di
Cosimo Rosselli, di Botticelli, in allocazione di primaria importanza
quale quella della Cappella Sistina.

Spiegazione di questo fatto non può essere fornita che coll'im-
mettere in questo periodo di ombra oltreché il sopraccennato affresco
della cappella della Concezione, pure altri lavori alla Sistina stessa,

dei quali una vaghissima allusione si intravede nel contratto del 27

(1) OrsINI B., Vita, elogio e memorie dell'egregio pittore P. Perugino, Pe-
rugia, 1804, dice di aver veduto due angeli staccati da tale affresco donati al
Cardinale Borghese di Montalto nella cappella Negroni a piazza Termini a
Roma.

(2) VENTURI A.,. Storia dell’ Arte Italiana, vol. VII, p. II, pag. 455.

Vengono attribuite dal Venturi al Perugino le figure di San Gregorio,
S. Marco e Sant'Ambrogio, mentre S. Matteo, S. Gerolamo e S. Luca sareb-
bero di Don Pietro Dei.

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IL GUSTO E L'ARTE DI PIETRO PERÜGINO 27 hi
ottobre 1481. Queste pitture anteriori al 1481 fregiavano l'abside N

della cappella costruita, come accennammo, per i pontificali e rap- qd
presentavano al centro l'Assunta e ai lati la Nascita di Gesü e il Ri-
trovamento di Mosé, affreschi distrutti per dar spazio al Giudizio
di Michelangelo, ma la cui eco di ammirazione risuona tuttavia ancora '
in Sigismondo de' Conti (1).

Eccoci quindi al 1481.

Il 27 ottobre Petro Christophori Castri Plebis Perusinae Dio-
cesis (2), a Cosimo Rosselli, a Sandro Botticelli, al Ghirlandaio fu-
rono commesse per la decorazione della Sistina dieci storie, da ulti-
mmarsi secondo l'allocazione, al 15 marzo 1482. Solo quattro però nel
gennaio del 1482 erano finite. I documenti non ci indicano quali sog-
getti fossero assegnati a ciascun artista, né quali fossero i loro aiuti, i
nomi dei quali sono menzionati dal Vasari (3) nelle varie biografie
in maniera molteplice e non univoca (Signorelli, Pinturicchio, Andrea
d'Assisi, Rocco Zoppo). ;

L'aretino nella biografia (4) propria al Vannucci assegna al mae-
stro cinque storie: l'Assunta, la Nascita di Gesù, il Ritrovamento di ni
Mosé, il Battesimo di Gesù, la Consegna delle Chiavi. Tace della Cir- hi:
coneisione, dalla critica posteriore, in genere, immessa nell’orbita
dell’attività peruginesca.

Cadute adunque le tre rappresentazioni della parete di fondo,
eseguite in un primo tempo, non sussistono che la Consegna delle
‘Chiavi, il Battesimo e la Circoncisione.

Per la Consegna si discute di un eventuale, limitatissimo, aiuto.
Si fanno i nomi di Don Pietro Dei e del Signorelli (due Apostoli dietro
il Cristo) e del Pinturicchio. Gli altri due scomparti sono attribuiti
‘concordemente dalla critica all’influenza immediata, non all’atti-
‘vità diretta del maestro (5).

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(1) SiGisuoNDo DE’ CONTI, Le storie dei suoi tempi, vol. I, pag. 205: « Ima-
go ipsius virginis Mariae in coelum assumptae tanta arte depicta erat ut sese
humo attollere ed in aethere tendere videretur ».

(2) CANUTI, Perugino, Doc. 114.

(3) VASARI, G., Le vite, cit., tomo III, passim.

(4) VASARI G., Le vite, cit., tomo III, pagg. 578-579.

(5) Crowe I. A. e CAVALCASELLE G. B., Storia della pittura in Italia, Le
Monnier Firenze, 1902, vol. IX, pagg. 182-190; vorrebbero di mano del mae-
:stro, nel Battesimo, il Cristo ed il Battista.



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28.5: MARIA AURELIA MOCHI ONORY VICARELLI

Ne disegnó egli i cartoni per il Pinturicchio e per Andrea d'Assisi -

detto l'Ingegno ? (1).
. .E costoro assieme a Rocco Zoppo ebbero qualche mansione
di sott'ordine da compiere nella Consegna ? (2).

Certo è che compiuta appieno la Consegna e forse steso per i suoi
« familiares » il disegno degli altri due scomparti, Perugino dovette as-

| sentarsi da Roma prima ancora dell'inaugurazione della Cappella stessa

(15 agosto 1483) (3), onde andare a raccogliere l'allocazione fatta a
lui « Pietro vocato Perugino » (4) e a Biagio d'Antonio Tucci il 5 ot-
tobre 1482 di una parete della sala dei settanta nel Palazzo della Si-
gnoria.a Firenze e quella dei Priori di Perugia (28 novembre 1483)
di una tavola per la cappella del Palazzo già principiata da Pietro
di Galeotto e da questi interrotta perché morto (prima allocazione di
detta tavola al maestro) (5).
Documentata è la scontentezza della Stu fiorentina che de-

Siderava veder cominciata subito l'opera e come «locationem autem
dicto Perugino factam revocaverunt » (6) (31 dicembre 1482) per

affidarla a. Filippino Lippi. Nella stessa maniera agiranno il notaio
ed i dieci priori perugini, i quali, dotati di una buona dose di vanità,
temettero che allo scadere dell'onorifico impiego non venisse serbato:
ricordo alcuno di loro.

Si comprende quindi, come l'ultimo giorno della loro mansione

(31 dicembre 1483) desiderosi di immortalare i propri sembianti pre-

sero la decisione di passare l'allocazione a Sante di Apollonio (7),

il quale per prima cosa si-mise attorno alle undici teste dei suoi com-

mittenti lasciandole alla sua morte (1485) ultimate.
La ragione di questa sua strana e poco pratica condotta forse si

trova nel vederlo ancora legato con i lavori della Sistina che, pur
inaugurata, non era completamente ultimata nella decorazione e

1) Infatti il disegno del Battesimo rimane uguale in composizioni po-
steriori eseguite anche dalla bottega, quasi fosse un modello creato dal mae-
stro a servizio suo e degli allievi. i

(2) Fu Vasari stesso a mettere per primo in circolazione questi nomi.

(3) MunaTORI L. A., R.I.S., vol. XXIII, pag. 188.

(4) CANUTI, Benno, Doc. 126.

(5) CANUTI, Perugino, Doc. 209. A Pietro di Galeotto era stata ordinata:

nel 1479.
(6) CaNvTI, Perugino, Doc. 127.
(7) CANvuTI, Perugino, Doc. 210.

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'IL GUSTO E L'ARTE DI PIETRO PERUGINO t 29

nelle pitture delle porte, per le quali erano assieme impiegati Peru-.
gino ed Antoniazzo Romano (1). -

- Morto nell’agosto 1484 Sisto IV, all'i incoronazione del successore
Innocenzo VIII vennero portati processionalmente vessilli, bandiere, :
insegne dipinte (più probabilmente sorvegliate nell'esecuzione e for- :
se anche disegnate) dal Perugino e da Antoniazzo Romano (2).

Il ritrovare ancora all'ombra della corte papale Perugino -ci fa lo-
gicamente ritenere che negli anni 1482-84 a lui fosse affidata una specie
di sorveglianza che l’obbligasse ad esercitare un diretto controllo.

Ciò spiega come egli, pur accettando di buon grado, non potesse
subito eseguire e quindi, accaparratosi i varii lavori con contratti
che egli sperava non così facilmente rescindibili, dovesse poi al con-
trario ritornare sul luogo ove era reclamata la sua presenza.

Il soggiorno a Roma, tranne brevi intermittenze, si aggira dal
1479 alla fine del.1484, epoca in cui fu eletto consigliere aggiunto al
Consiglio maggiore di Castel della Pieve, incarico mos che lo vin-
colava costi (3).

Quali altre opere compi in questo periodo romano ?

Lo si vuol vedere dipingere (4) nella Chiesa di San Marco e in
Torre Borgia, ma di tutto ció nulla rimane.

. Del giugno 1485 è un nuovo vano tentativo da parte dei magi-
strati di Perugia per la loro tavola nuovamente incompiuta per la
morte di Sante di Apollonio.

Certo nel 1485 doveva essere a Perugia, con una certa stabilità:
infatti l'assumere egli la cittadinanza per cui era obbligo di offrire al
tesoro del palazzo pubblico una tazza d'argento detta «tazza de la
civilità » scopre la sua tendenza a mettere quivi radici piü profonde.

Che la tazza non fosse mai data, ce lo dice non solo la mancata
registrazione degli Annali Decemvirali, ma bensi esplicitamente una
annotazione del 1486 ove si stabiliva di conteggiarla sul prezzo di
. quella tavola che i priori non riuscivano a fargli dipingere (5).

(1) CanuTI, Perugino, Doc. 119-122.

(2) I pagamenti sono fatti « Magistris Antonatio et Petro de Perusio
pictoribus ac sotiis... pro pictura plurium vexillorum et aliarum rerum »,
CANUTI, Perugino, Doc. 128-129. .

(3) CanuUTI, Perugino, Doc. 130.

(4) Vasari, accenna ad alcune storie di Cristo e a del fogliame a chiaro-
scuro in Torre Borgia, ed a una storia di Martiri in San Marco, op. cit., tomo
III, pag. 579.

(5) CANUTI, Perugino, Doc. 133.
30 . MARIA AURELIA MOCHI ONORY VICARELLI ‘©

Frattanto per i Perugini, ignari di questa non fatta offerta, era
diventato Civis perusinus, i notai in tal guisa lo definivano, e solo in
quanto tale gli era permesso nel 1486 di iscriversi alla corporazione
dei pittori perugini di Porta San Pietro (Magister Petrus Cristofori
de Castro Plebis) (1). Forse in questo lasso di tempo si recó ad
Assisi, ma quivi dovette rimanere brevemente a dipingere in San Fran-
cesco, giacché nel dicembre dello stesso anno (1486) con Aulista d'An-
gelo, pur esso pittore umbro e piü precisamente perugino, aggredi
in Firenze presso San Pier Maggiore e bastonò un tale, il cui nome ri-
mane in ombra.

Piü che rissa fu una vera imboscata tesa al malcapitato dai due
perugini «nocturno tempore » ed osiamo credere che l'istigatore ne
sia stato il nostro nei cui riguardi nella ricostruzione del fatto la balia
degli Otto cosi si espresse (luglio 1487) « qualiter dictus Pierus condu-
scit Aulistam praedictum, occasione et causa rei turpis» (2). Am-
menda dovette pagare l'artista; a fustigate ed a perpetuo bando dalla
città del Fiore fu condannato il compare, perché già omicida e ladro.
Di sapore piccante è la particolare cura che si prende la balia onde
«quando dimittatur (Aulista) satis dicat non offendere dictum Pie-
rum et alios quosdam de Perusio » (3).

Perugino doveva aver detto qualcosa di poco lusinghiero per il
collega... ed uno strascico era facile a venir fuori. Questi atten-
tati a mano armata con scopo preciso di ferire ovvero anche di ucci-
dere sono comuni fra gli artisti del 400, quindi non debbono stupirci;
tuttavia ci dimostrano come il nostro umbro non. fosse cosi dolce e
mansueto come la tradizione lo vorrebbe, ma bensi partecipasse pur
egli di una certa qual violenza ed impetuosità di carattere propria di
questi uomini d'azione del XV secolo che vicino all'utensile del loro
particolare mestiere avevano pure il pugnale o il bastone.

Soffermandoci sull'attività posteriore alla Consegna delle Chiavi,
ci troviamo di fronte ad un nuovo periodo di sei anni (1482- 1488-
1489) illuminato dalla luce di neanche un'opera che sia dotata di
tutti i crismi della certezza sia riguardo all'esecutore, sia all'epoca di
esecuzione. "siia

Firenze dovette essere per gli anni 1488-89 il punto fermo della sua
residenza: i documenti dell'archivio del monastero di Cestello sve-

(1) CANUTI, Perugino, Doc. 135.
(2) CanuUTI, Perugino, Doc. 136-137-138.
(3) CANUTI, Perugino, Doc. 137.

L'UR
EO
IL GUSTO E L'ARTE DI PIETRO PERUGINO | 31

lano che nel 1488 era eseguita per la Cappella Nasi di detto convento
«una bellissima pittura di mano del Perugino con l' Imagine del Santo
che fu finita l'anno seguente » (1).

Questa tavola né datata, né firmata (2), finita dunque nel 1489,
rappresenta l'Apparizione della Vergine a San Bernardo. Passata
questa Chiesa nel 1628 dai monaci cistercensi alle monache di Santa
Maria Maddalena de' Pazzi, questa tavola fu rimossa dall'altare e con
ogni probabilità, dalla famiglia Nasi stessa, posta in una cappella di
proprio patronato a Santo Spirito.

Quivi, in un secondo tempo, onde fare dono al Cardinale Carlo
de' Medici dell'originale, fu sostituita da copia fatta dal Ficherelli.
Migrata da famiglia in famiglia fu infine largita da Ludovico I di Ba-
viera alla Pinacoteca di Monaco ove tuttora trovasi.

Finita questa tavola, troviamo l'artista in vari luoghi durante
i primi anni che seguirono la condanna.

Che si recasse in Fano ad eseguire, firmandola e datandola per
gli Osservanti di Santa Maria a San Lazzaro, la tavola a tempera
(con predella) dell' Annunciazione (3) celo prova l'invio in codesta città
dell'Adriatico, di messi (maggio - giugno 1489) da parte degli Orvie-
tani che volevano avere da lui dipinta la cappella di San Brizio del
loro Duomo. Perugino aderi alla richiesta orvietana ma la sua presenza
in Orvieto non portó all'opera del duomo che arrabbiature e discussio-
ni sul prezzo e sulle modalità delle pitture da eseguirsi e sopratutto
spese sia per l'ospitalità, sia per il messo che doveva ricercarlo ora

LE

(1) DE FABnR1czv C., Memorie di S. Maria de Pazzi a Firenze, « L'arte pe
1906, pag. 257.

Cawurr, Perugino, Doc. 143-144-145-146.

(2) Vasari la nomina nella vita dell'umbro, op. cit., tomo III, pag. 584.

(3) La tavola sopraccennata, mutilata nella firma e nella data, è sempre a
Fano nella Chiesa di Santa Maria Nuova dal titolo parrocchiale di San Salva-
tore ivi trasportata nel 1518 circa allorché i Frati minori non più sicuri presso
il Ponte Metauro a causa delle continue guerre lasciarono il loro convento di
S. Maria Nuova a San Lazzaro e si spostarono al centro della città acquistando
dai Camaldolesi del monte Giove la piccola chiesa di San Salvatore che rico-
struirono totalmente ampliandola, e da cui mantennero il nome di S. Maria
Nuova a San Salvatore. i

Della firma cancellata e mutilata, scritta sullo sgabello della Vergine
l’unica parola che si comprende perfettamente è « Petrus » ,ma sia essa che la
data sono facilmente ricostruibili (quest’ultima nel 1489).

Pure assai incompleta è l'iscrizione dedicatoria e tutta la tempera è assai
ripulita, ritoccata, deturpata.

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in un posto ora nell'altro, e perfino per la cavalcatura che gli era in-

. viata onde.deciderlo a venire. Insomma colui che i sovrastanti all'o-

pera del duomo avevano definito (dicembre 1489) «famosissimus
pictor in tota Italia ut apparet experentia.in palatio. apostolico Ro-
me » (1) fu largo di promesse agli orvietani, ma invece brevi e sal-
tuarie furono le permanenze sul sito.

‘Nel marzo del 1490, eccolo a Perugia ove riscuote, sempre ancora
per le esecuzioni della Sistina, denari; eccolo, dopo brevissima paren-
tesi orvietana, nel marzo del 1490.a Roma donde coll'invio di un mes-

so i sovrastanti del Duomo di Orvieto riescono a rimuoverlo (settem-
. bre 1490) ma non a trattenerlo a lungo presso di loro. Di li a poco

un nuovo invio di un messo a Firenze celo denuncia in questa città. Ivi
infatti, ove era tra i giudici dei disegni per la facciata del Duomo (2)
dovevano venirgli recapitate le lettere di rimprovero e di sdegno del
vescovo e del comune orvietano. Ma il pittore non si lascia intimo-
rire e solo nell'aprile del 1491 si decide a ritornare ia coloro che or-
mai meditavano di togliergli l'allocazione. :

Questo timore gli fa promettere di cominciare in maggio l'opera
sua (Andrea d'Assisi suo aiuto soggiornava nella città fin dal 1490)
ma era destino che Orvieto non avesse la sua cappella nuova affre-
scata dal Perugino.

Ai primi di maggio è nuovamente a Roma e più precisamente ai
servizi del cardinale Giuliano della Rovere per il quale termina nel 1491
il trittico coll'Adorazione del Bambino e santi in basso, in alto ai lati
l'Annunciazione, nella lunetta centrale la Crocifissione. Questa tavola,
firmata e datata é conservata dai Torlonia nella villa già Albani (3).

Ma a quali altre opere allude il della Rovere nella sua lettera
con cui lo difende dalle insistenze degli orvietani ?

Il contesto della lettera del 2 giugno 1492 con cui il cardinale
risponde ai « viris Prioribus , Consilio et Communi Civitatis Urbeve-
tanae » esortandoli ad attendere e pregandoli onde venga al maestro
riservato «el luogo suo » (4) depone favorevolmente circa l'intenzio-
ne dell'artista di compiere quest’ opera, ma altresì dimostra come a
lui mancasse il tempo, per avere egli accettate contemporanea-

(1) Orvieto, Arch. Oper., del Duomo, Rif. 1484-1525, c. 184*.

(2) CanuTI, Perugino, Doc. 522.

(3) Quest'opera, leggerniente danneggiata da raschiature e da una fendi-
tura è per lo più indicata col nome di Trittico Albani. La firma è cosi redatta
Petrus-de Perusia-pinxit, 1491.

(4) CANUTI, Perugino, doc. 159.

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IL GUSTO E L'ARTE DI PIETRO PERUGINO 33

mente troppe allocazioni, la cui firma e data in mancanza di documenti,

ovvero la tecnica esecutiva ci dimostrano QUE a questo pe
‘riodo di attività.

Con ogni probabilità risale a questo periodo romano quanto coli
fece; secondo il Vasari «nel Palazzo di Sant'Apostolo per Sciarra ,

Colonna » e cioè una loggia ed altre stanze le quali, così seguita il
biografo « gli misero in mano grandissima quantità di denari » (1).
Ma di queste sue creazioni nulla sopravive.

Vengono per lo più immesse nel decennio 1482-92 che va tra i
due lavori fatti alla Corte Papale (Sistina e lavori per Alessandro VI

incoronato nel 1492) decennio che non avrebbe al suo attivo che il

gruppo di opere del 1488-89 ed il trittico Albani del 1491, alcune ta-

vole le. quali recano sì la firma del maestro, ma ugualmente se ne di-

scute sia la mano sia l'epoca di esecuzione.

Esse sono la Madonna col Bambino e San Giovannino della Gal-
leria Nazionale di Londra (2) e la miniatura di San Sebastiano
che faceva parte del Codice delle Ore Albane ed ora nella collezione
"Thompson a Londra (3). i

Inoltre viene ipotetizzata sempre in cotesto periodo l'esecuzione -

di molte opere attribuite 2 maestro unicamente sulla base di criteri —

stilistici,

Esse sono il Cenacolo affrescato per il moxentino Monssteto di
S. Onofrio delle Francescane di Foligno (4), la miniatura con la Cro-
‘ cifissione nel messale della Sistina conservata alla Biblioteca Vati-

(1) VasaRI, G., Le vite, cit., tomo III, pag. 579.

(2) Tempera firubia sull’orlo di una manica « Petrus Peruginus ».Il gal

‘posto della s fa dubitare dell'autenticità della firma.

: Attribuita al maestro anche da A. VENTURI (Storia dell’ Arte, vol. VII,

“parte II, pag. 522 (1483-92), è qualificata come una delle prime della serie

delle Madonne di questo tipo. Crowe e Cavalcaselle l’attribuiscono allo Spagna.
(3) Codice scritto da Alamanno Alamanni prende il nome dei suoi anti-

chi possessori. La firma Petrus Perusinus è creduta autentica da A. Venturi il

quale mette in relazione quest’opera col S. Sebastiano di Panicale del 1505 e

quello della Pinac. di Perugia del 1518. U. Gnoli invece vuole questa minia-
tura non di sua mano.
(4) Questo monastero trovasi in via Faenza a Firenze. Lo Schmarson,

il Berenson, il Bombe e A. Venturi attribuiscono questo affresco al Perugino, .

ma non-sono d'accordo sull'aiuto che ebbe (Andrea d'Assisi detto l'Ingegno)
. e quale sia stata la parte eseguita da costui (Apostolo a destra). Altri stu-
. diosi fra cui il Milanesi lo vogliono di Raffaello o di altri pittori minori quali
Eusebio da San Giorgio, Gerino da Pistoia, Giannicola Manni.

3
34 MARIA AURELIA MOCHI ONORY VICARELLI

cana i (1), l'Apollo e Marsia del Louvre (2), il ritratto d' init (3) e la
Madonna con putto (4), entrambi della Borghese, il trittico con la
Crocifissione e Santi già Galitzin ed ora al museo dell’ Eremitaggio
a Leningrado, fatto fare dal Vescovo di Cagli. Bartolomeo Bartoli e
da lui donato alla Chiesa di San Domenico a San Gemignano (5), il
tondo a tempera con la Vergine, il Bambino S. Rosa, S. Caterina e
due angioli del museo del Louvre (6) ed il San Sebastiano alla Colonna

dello stesso museo (7) ed altre opere di minor conto ovvero assai

discusse (8).

(1) Ai piedi della Croce vi sono la Vergine, San Giovanni, nel fondo la.
città turrita di Gerusalemme. Paesaggio molto dettagliato. A. Venturi asse-
gnando questa miniatura al Perugino si chiede se vi sia influsso di Hugo Van
der Goes.

(2) Questa tavola di piccole dimensioni che andò sotto il nome di Raf-
faello di Morris Moore é dal 1883 al Salon Carré del Louvre. Fu il Morelli a
proporre l'attribuzione al Perugino, seguito dal Berenson, dal Frizzoni, con-
fermato da A. Venturi, dal Gnoli, da L. Venturi, mentre invece il Passavant
laveva data a Timoteo Viti.

(3) Spogliata da un sapiente restauro dalla sovrastruttura al suo abito
quattrocentesco, questa tavola. già attribuita ad Holbein, a Raffaello, a Pin-

turicchio, fu riportata da A. Venturi nella attività del nostro maestro.

Da taluni studiosi fu creduto un suo autoritratto.

Il Gnoli la lega al ritratto di Francesco delle Opere datandola pur essa del
1494.

(4) Tavola ad olio, ritenuta anche ópera di scuola. (vedi A. Venturi,
Coll. Edelweiss, IV, pag. 193).

(5) Anche questa tavola andó un tempo sotto il nome di Raffaello.

VENTURI A. (Storia dell' Arte, vol. VII, parte II) restituendola al Peru-
gino l'assegna alla fresca maturità di Piero della Pieve, e cioé tra il 1482-92.
U. Gnolila data all'incirca del 1485. L'attribuzione peruginesca e quasi unani-
mamente accettata.

(6) Tempera che proviene al museo parigino dal palazzo Corsini. Crowe e:

Cavalcaselle ((Storia della Pittura italiana, vol. IX) la dicono del periodo ascen-
dente del maestro subito dopo quella di Cerqueto del 1478; W. Bombe (Peru-
gino, Stoccarda, 1914) la vuole anteriore al 1491, Venturi A, la raggruppa con
Ie Madonne di questo tipo fra il 1482 e il 1492 (Storia della Pittura, vol. VII
parte II). i

(7) Tavola ad olio di piccole dimensioni proveniente dalla Galleria Sciar ra,
Roma, in cui è scritto « Sagittae tuae infixae sunt mihi». Dal Venturi posta
nell'attività del decennio 1482-92 e quindi anteriore alla figura del S. Seba-
stiano della tavola fiesolana agli Uffizi; dal Gnoli e Canuti ritenuta a questa.
posteriore e quindi del 1493. Il S. Sebastiano della Gal. Borghese é una copia
tarda di questo e con probabilità non di mano del Vannucci.

(8) Quali ad esempio l'Annunciazione della Collez. Ranieri di Perugia, la
testa del Salvatore alla Chiesa della Minerva a Roma, il Cristo sul sarcofago

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STI ETRE TEANO
IL GUSTO E L'ARTE DI PIETRO PERUGINO 35

Pérdurando il suo soggiorno a Roma, ove era legato assieme ad ! um
Antoniazzo Romano ed altri a lavori decorativi in occasione della : |
fastosa incoronazione di Alessandro VI (agosto 1492) (1) e non ac-
cennando ad una prossima esecuzione della loro cappella, i priori di i
Orvieto trascurando l’intercessione dell'amico cardinale, si fanno «È RE
restituire i dieci ducati sborsati (2) (marzo 1493). DN |

Finiti gli impegni romani, libero dall'assillo orvietano, termina
la tavola con ogni probabilità commessagli da Cornelia Martini, per
la Chiesa di San Domenico di Fiesole ora agli Uffizi colla Vergine in
trono, il Bambino, San Giovanni Battista e San Sebastiano (3) e ne ese-
guisce un'altra ordinatagli da Prete Giovanni di Cristoforo da Terreno
rappresentante la Madonna e quattro santi ora alla Galleria di Vien-
na (4): entrambe firmandole e datandole.

. Riteniamo quindi che da Roma egli sia ritornato a Firenze tanto
piü.che il 19 settembre 1493 sposa nella canonica di Fiesole Chiara
Fancelli che Vasari presenta a noi quale «bellissima giovane» (5)
forse conosciuta durante l'esecuzione della tavola fiesolana.

Che fosse la figlia di Luca Fancelli lo svela il contratto nuziale (6)
ed ancor più palesemente la lettera che cotesto «Lucha taglia-
pietre... ingeniere » (7) scrive al marchese Francesco Gonzaga, si-
gnore di Mantova, ai cui servizi egli si trovava all'epoca del matri-
monio della figlia. La lettera è assai interessante perché mostra come

della Collezione Holford a Londra, il piccolo S. Girolamo della Nazionale di
Vienna, e il Battesimo di Cristo del Museo dell'Accademia di Vienna.

(1) CanuUTI, Perugino, Doc. 165-166-1067.

(2) CanuTI, Perugino, Doc. 161.

(3) Non si conosce l'anno di allocazione. Un documento che fa parte della
Chronica S. Dominici de Fesulis a. 1488 (Arch. S. Domenico di Fiesole) accenna
. a un quadro fatto dipingere da « D.ma Cornelia a Pietro Perusino singulari
pictore in qua est figura Beatae Mariae cum filio in grembio et a dextris figura
Beati Johannis Battistae et a sinistris Beati Sebastiani ». La firma è così re-
datta: Petrus Perusinus pinxit A. D. MCCCCLXXXXIII.

CANUTI, Perugino, Doc. 192. (Inedito). In questa tavola eseguita ad
olio, si vedono tracce dell’imprimitura.

(4) Ecco l’iscrizione che porta la tavola: nella predella: Praesbiter Jo-
hannes. Cristofer de Terreno fieri fecit MCCCCLXXXXIII ed altrove: Pe-
trus Perusinus pinxit.

(5) VASARI, Le vite. cit., tomo III, pag. 590.

(6) CANUTI, Perugino, Doc. 168.

(7) BraGHIRoLLI W., Giorn. d'Et. Ant., vol. II, pag. 143 e CanUTI, Pe-
rugino, Doc. 172.

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36 MARIA AURELIA MOCHI ONORY VICARELLT

il suocero avesse dovuto «far con interesse grande per mantenere la
fede » e cioè come avesse dovuto prendere a prestito dalla nuora i 500
fiorini di cui aveva dotato la figliola. La notizia di questa dote attra-
verso le « paghe » del monte delle Graticole di Firenze, ove era depo-
sitata, ci segue per tutta la vita del pittore ed è utile per stabilire
ogni quadrimestre la presenza di costui a Firenze (1).

Pietro colla moglie dovette stabilirsi a Firenze subito, giacché

oltre alle tavole già accennate egli aveva proprio allo scadere di que-
st'anno (novembre 1493) (2) cominciato un affresco di ampio respiro
per il Capitolo di Cestello (ora Santa Maria Maddalena de’ Pazzi)

dovuto alla munificenza di Monna Giovanna e Dionisio Pucci. Ser-

vendosi delle tre lunette in cui è suddiviso il muro equilibra questa
opera di così grandi dimensioni, ponendo nello spazio centrale la Cro-
ce e la Maddalena, in quello a. destra la Vergine e San Bernardo,
in quello a sinistra San Giovanni e San Benedetto. Dovette richieder-
gli assai tempo e la fonte documentaria ce la darà finita solamente il

non ci permettono di controllare l'esattezza di questa asserzione.

Certo qualche screzio deve esserci stato fra il Perugino ed il luc-
chese, pur esso pittore, Antonio Corso, giacché il ricordo di esso af-
fiora assieme alla notizia della «buona opera » la quale doveva tor-
nare «in vostro honore et comodo et parimente in nostra et di tucto
questo populo grande satisfactione » (4) nella letterà che l’opera
del Duomo di Lucca nel mese di maggio 1494 inviò al Vannucci onde
rincuorarlo, partecipandogli di aver ammonito il pittore locale, e quin-
di per sollecitarne la venuta. .

Trattavasi con ogni probabilità di notato da parte di un
rivale deluso, ma é certo che quanto passó fra i due dovette agitare
lanimo dell'umbro a tal punto che nella Cattedrale di cotesta città

. UL c'è orma veruna di suo lavoro.

(1) Tutti i documenti che Vigüardunol la.dote di Chiara Fancelli vennero
raccolti cronologicamente fino all'anno 1530 dal CANUTI, UU Doc.
168-191.

(2) MEDICI U., Dell'antica chiesa dei Cisterciensi, pag. 33 e segg.

(3) Dalle memorie del monastero di Settimo di Ignazio Signorini « 1493
Quest'anno si cominció a dipingere il Capitolo di Cestello da Piero dellà Pieve
a Castello, pittore eccellente detto Perugino che dipinse tutta la facciata di
esso-che erano tre lunette... quale fecero fare Dionisio Pucci e Giovanna sua
moglie che spesero scudi 55 d'oro, la.quale fu finita il 20 aprile 1496 ».

Mrpnicr U., Dell'antica chiesa dei Cisterciensi, pag. 246.

(4) Hiboóm E., L'arte in Lucca, 1882, pag. 185 e Sem

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20 aprile:1496 (3). Purtroppo mancanza di data (e anche di firma).

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IL GUSTO E L'ARTE DI PIETRO PERUGINO i 194

Nel 1494, e precisamente nel luglio egli dava per motto al ritratto
di Francesco delle Opere, fratello di Giovanni delle Corniole, il biblico
versetto « Timete Deum » (1) tavola di. non grandi dimensioni ora
agli Uffizi la cui paternità é scritta nel retro della tavola stessa.
— — Pure del 1494 è la Madonna col Bambino e due santi della Chiesa
di Sant'Agostino a Cremona che oltre alla data porta pure la firma (2).
Nell'agosto 1494 si mosse verso l'Italia settentrionale. Venezia, ret-
ta dal doge Agostino Barbarigo, lo aveva chiamato a sé, e. lo lu-
singava di una ordinazione che se fosse stata eseguita lo avrebbe fatto

entrare nel tempio della pittura. veneta. A « Piero Peroscin depentor »

infatti era affidato il compito pattuito per 400 ducati d'oro di « depen-
zer ne la sala del Gran Conseio uno: campo tra una fenestra e l'altrà
in ver S. Zorzi » e doveva rappresentarvi «i tanti doxi quanti acha-
derà et quela historia quando il pan Roe da Roma et la bataia
seguita de soto (3) ».

Non sappiamo quale sarà stata la vera causa che gli impedirà, in

seguito, di compiere un si importante lavoro. Nell'urto delle ipotesi '
non ci arrischiamo a dar maggior peso e validità alla scontentezza

del maestro per la rimunerazione pattuita e a una sua, e non concessa,
maggior richiesta, piuttosto che alla ritrosia che egli poteva provare
per rappresentare raffigurazioni, come la fuga di Alessandro III e la

battaglia di Legnano che uscivano completamente dalla cerchia delle

ispirazioni sue abituali, ovvero ancora alla precisa volontà dei Prov-

. veditori del Sale, che oltre a voler vedere «in disegno l'opera et al

presente » ne pretendevano l'esecuzione continua. ed immediata. (4)

È certo peró che da questi accordi non si passerà a un vero con-
tratto fra Venezia ed il pittore.

La questione poi di voler individuare questo tale « Piero Peroscin

(1) Ritrovata nel guardaroba mediceo e trasportata agli Uffizi questa
tavoletta fu attribuita al Francia, Dor fu creduta un autoritratto del Vannucci
stesso.

A tergo — forse non di mano del m p. — vi è l'iscrizione grafita « 1494 .
di luglio Pietro Perugino pinse Franc? de lopre peynayo ». Di quest'ultima
parola non si comprende il significato.

(2) Petrus Perusinus pinxit MCCCCLXXXXIIII.
(3) Questo documento è ripubblicato, riveduto e corretto, dal CANUTI,

Perugino, Doc. 198 (Venezia, Arch. di Stato, Libro Notatorio del Sale, n. 4,
N. 1493-1503, ac. 25 e 26).

.(4) ibidem.

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38 MARIA AURELIA MOCHI ONORY VICARELLI

depentor (1)» in un pittore della scuola di Giovanni Bellini (2),
cade se si pensa alla lettera (giugno 1496) fra Ludovico il Moro e l'Ar-
civescovo di Milano Monsignor Arciboldi che trovavasi in questo

scorcio di tempo a Venezia; lettera (3) da cui si comprende come la no-

tizia che proprio l'Umbro fosse a Venezia si fosse diffusa in Italia.
Piü tardi l'allocazione di questa stessa opera a Tiziano ci porterà a

ricordare questa mancata opera veneta del maestro perugino.

Lasciata dunque la laguna, Perugino rientra nella sua ormai
abituale residenza di Firenze e ivi compra per sua abitazione una
casa in Borgo Pinti (4), possidenza che aumenterà nel 1496-98.
Solo al sorgere del 1495 si reca a Perugia. Negli ultimi mesi del 1494
accudiva alla Crocifissione per il capitolo di Cestello.

Nel 1495 le monache fiorentine di Santa Chiara vedono finito,
firmato e datato il loro Compianto sul [isto morto ora alla Galleria
Pitti (5).

Vasari ci narra a proposito di detta tavola che volendola un tale
Francesco del Pugliese ricomperare dalle monache, triplicandone il
prezzo e promettendo loro una identica copia di mano dello stesso
artista egli si sarebbe rifiutato di ricopiarla per « non poter quella
paragonare » (6).

A. Perugia esegui il gonfalone — ora perduto — per la confraternita
di San Bernardino a Porta Eburnea, opera il cui pagamento gli pro-
curò pene e guai, obbligandolo financo a ricorrere al tribunale del
Cambio onde averne il saldo.

Rivistolo dunque nel 1495 fra loro, i priori perugini rinverdiscono

(1) Così lo chiama il « marchado del 9 agosto 1494 ».

(2) GAvE G., Carteggio, Firenze 1839, vol. II, pagg. 69-70, CADORIN G.,
Dei miei studi, CROWE € CAVALCASELLE, Storia della pittura italiana, vol. IX,
pagg. 207-227 Atti Ateneo di Venezia, Venezia 1846.

Di questo pittore di scuola veneta per nome Pietro Perugino vi sarebbe
un unico quadro del 1512 della Galleria Rinuccini con S. Marco, S. Gerolamo,

.e S. Gerardo.

Crowe e Cavalcaselle ascrivono all'esecuzione dell'umbro e all'epoca di

. questa sua andata a Venezia il Miracolo della Croce per la Scuola di San Gio-

vanni Evangelista che il Cicogna ricorda e nello stesso tempo dà per distrutta
dal fuoco. Iscriz. venete, vol. 1824, pag. 47.
(3) CANUTI, Perugino, Doc. 511, 512.
(4) CANUTI, Perugino, Doc. 199-203. ®
(5) Petrus Perusinus pinxit A. D. MCCCCLXXXXV.
Nessun documento ci illumina sulle modalità di allocazione di detta opera.
(6) VASARI, Le vite, cit., tomo, III, pag. 570.

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IL GUSTO E L'ARTE DI PIETRO PERUGINO. 39

la speranza di, alfine, avere la loro tavola di mano del maestro, tanto
più che per questa disgraziata opera, dopo che la morte del 1485
aveva fermato per la seconda volta la mano dell’esecutore — che aveva
fatto solamente la parte dei ritratti, non si era concluso piü nulla (1).
Dobbiamo supporre che il Perugino, riallacciandosi alla prima al-
locazione del 1483, cioè alla morte di Pietro di Galeotto, ne avesse
fin dal 1485 alla morte di Sante di Apollonio, tacitamente riassunto
l'impegno.

Documenti: del 1485, infatti, trattano di tavole necessarie e di

pagamenti al Perugino, ma non abbiamo una vera e propria esplicita

riassunzione da parte del Vannucci.

Ma, quietata l'ambizioncella dei ritrattati, scaduti ormai di ca-
rica, i novelli maggiorenti, non si diedero piü a sollecitare l'esecu-
zione di questa opera che con sé avrebbe portato agli onori degli
altari i volti dei loro predecessori.

Sicché, nuovamente riattata, questa tavola trascinó ineseguita
durante il decennio 1485-95. Forse solo constatando la difficoltà di
dipingerla, Vannucci dovette farla iniziare da Bartolomeo Caporali
(nel 1494 é a lui fatto per conto dl Vannucci un page) messi da
parte i ritratti eseguiti da Sante di Apollonio.

Nel 1495 adunque, ansiosi ormai della sorte di questa ordinazio-
ne che risaliva al 1479, avendolo sottomano, i priori sentirono il bi-
sogno di legare nuovamente il maestro con una terza stesura dell'atto
di allocazione (6 marzo 1495) ove questa volta era prescritto » in ta-
bernaculo superiori in quo depicti sunt Priores videlicet Tiberutius

et sotii, ipsis abolitis et deletis, pingere et ornare figuram Pietatis

aut aliam figuram ibidem corrispondentem ad electionem praefati
Mag. Petri» (2).
Atto questo che nella descrizione dei desiderata dei magistrati
rispecchia il genere di allocazioni vincolatrici della fantasia, assai in
uso allora.
Assume gran valore per noi l'intestazione che ci offre questo
documento « Famosissimus in arte pictorum Mg. Petrus q. Vannutii

de terra Castri Plebis Civis Perusinus » (3).

(1) CanuTI, Perugino, Doc. 220 e precedenti a principiare dal 208,
vedi nota n. 5 pag. 28.

(2) CANUTI, Perugino, Doc. 220.
(3) MARIOTTI A., Lett. Pitt., Perugia 1788, peg. 152 e per l’ultima
parte del documento CANUTI, Perugino, Doc. 220.

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40 . MARIA AURELIA MOCHI ONORY VICARELLI

E definita appieno la situazione. giuridica di questo artista;

comprendiamo quindi la diffusione del cognome e dell'appellativo. .

Alfine, Pérugino eseguisce questa tavola, dipingendovi la Madon-

na col Bambino attorniata dai quattro protettori della città: Costanzo .

Ercolano, Lorenzo, Lodovico ma non mette accanto alla firma la
data (1).

Questa tavola, ora alla Galleria Vaticana, fu separata da una
minore, ora alla Galleria di Perugia, ove il maestro invece dei ritratti

dipinse Cristo appoggiato al sepolcro, cosi come aveva Bode

l'allocazione (2).
i Nel frattempo, anzi negli stessi giorni. Pietro s ‘impegna col mo-
. naci cassinesi di San Pietro di Perugia per una grandissima pala d'al-
tare che doveva mettergli in mano 500 ducati d'oro. I frati, resi ac-
corti dallo strascico della tavola dei priori, desiderosi di veder com-
piere il lavoro, stipularono la clausola che i versamenti degli acconti
cominciassero «a die, quo inceperit dictam picturam » (3).
Per questa nuova allocazione vicino al maestro. ci appaiono,
J. fin dal contratto, le figure di due suoi allievi Eusebio da San Giorgio
e Giovanni Francesco Ciambella detto il Fantasia.
Mediante accostamenti e paragoni si puó ritenere di tempo pros-
simissimo al 1495 (1492-1495 c.) la tavoletta ad olio che al dir del
Vasari mandó « unicamente firmata » a Bologna a San Giovanniin
‘ monte... con alcune figure ritte ed una Madonna in aria» (4)
ora alla Pinacoteca di questa città. pur in.
Inoltre sono ascritti a questo periodo 1492-1495 circa la Madonna
. ‘adorante il Bambino e due santi della Pinacoteca di Monaco di Ba-
^wiera (5), la Madonna col Bambino, S. Giov. Battista e Santa Cate-

m Hoc Petrus de Chastro Plebis pinxit -. Vasari nomina questo di-
. pinto — Le vite, op. cit., tomo III, pag. 580. Crowe e Cavalcaselle ritardano
quest opera fino al 1497.

(2) VENTURI A. (Storia dell’ Arte, vol., cit., ETUR 803- 808, Raffaello, Mi-
lano, 1935), per assegnare all'attività UN SIE di Raffaello questa tavoletta
colla Pietà, unicamente, credendola superiore alla possibilità dell'umbro, e
obbligato a datarla ad epoca posteriore all'andata dell'urbinate a Perugia
(1501).

(3) CAanuUTI, Perugino, Doc. 224.

(4) Vasari, Le vite, cit., tomo III, pag. 578.

Questa tavola manca di data ma porta la firma « Petrus Perusinüs pinxit »
nella ruota di Santa Caterina. i

(9) Tavola eseguita ad olio di cui manca ogni documentazione. ui

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IL GUSTO E L'ARTE DI PIETRO PERUGINO AT

rina del Louvre (1), tavola questa firmata, la Madonna col Bambino.
e due sante della galleria di Vienna pure essa firmata (2) e la Ver-
gine col Bimbo e due sante della galleria Pitti (3).

Ragioni di stile ci obbligano: pure a localizzare in questo periodo
1492-95 due delle tre tavole del convento di San Giusto alle mura.. :
Per-detto monastero, già lo accennammo sotto la scorta del Vasari (4),
il maestro aveva eseguito in varii tempi (una tavola, la. Crocifis-
sione è infatti anteriore ed è già stata ricordata) un vero complesso
di opere di cui sopravissero all'assedio soltanto quelle «portate alla
Porta a S. Pier Gattolin... nella Chiesa e convento di San Giovan--
nino» (5). Entrambe né firmate né datate sono ora agli Uffizi.
Rappresentano la Pietà (Cristo in grembo alla Vergine e quattro
santi) e l'Orazione nell'orto.

Vasari col dirci « mentre visse Pietro egli fece loro «ai frati gesua-
ti che tenevano oltreché manipolazione di colori preziosi, droghe, es--
senze, medicine, ‘pure un’attiva fabbricazione di vetrate, « per molte
‘opere i cartoni » e coll’assicurarsi che furono i lavori che fecero al suo
tempo tutti eccellenti (6) ci scopre un altro eventuale lato della
| personalità del nostro e cioè come disegnatore. Questa ipotesi non è.
corredata da documentazione di sorta (7).

Se la paga della dote di Chiara ci aveva indicato che in maggio
del 1495 Vannucci non era a Firenze, essa ci fa sapere che in settem-

(1) Petrus Perusinus pinxit. Tavola con mezza figura.

VENTURI A. See dell’ Arte, vol. VII, pag. 11 l'ascrive invece al periodo:
1483-92.

(2) Tavola in tutto simile alla precedente, tranne che al DOO di S. Giov.
Battista vi è una Santa. È firmata Petrus Perusinus pinxit. Mentre A. Venturi,
op. cit., pag. 522 l'ascrive fra il 1483-92, Canuti, op. cit., pag. 198 la rimanda
al periodo 1507-09.

(3) Opera in stretta relazione alle due precedenti é specie a quella della
Galleria di Vienna di cui secondo il Crowe e Cavalcaselle, op. cit., pag. 290, è
un'antica copia non certo di mano del maestro, mentre A. Ment la ritiene
fra il 1483-92 di mano del maestro (op. cit., pag. 522).

(4) VASARI G., Le vite, cit., tomo III, pag. 573, vedi nota 3 pag. 22.

(5) VaAsaARI G., Le vite, cit., tomo III, pag. 573.

(6) VasaRI G., Le vite, cit., tomo III, pag. 572.

(7) Si parla di esecuzioni su cartoni del Vannucci di vetrate. per dué fine-
stre della Chiesa di Santo Spirito in Firenze, vedi nota 2 pag. 23.

24 Per la ricostruzione del Perugino disegnatore vedi FIscHEL OSKAR, Die:
BER der Umbrer, Berlino 1917. :
42 MARIA AURELIA MOCHI ONORY VICARELLI

bre vi era tornato. Ivi lo attendeva l'opera cominciata per il Capi-
tolo di Cestello.

La data ed il contesto della lettera scambiata fra Ludovico il
‘Moro e l'Arcivescovo di Milano (1) ci fa supporre che nell'ottobre
ovvero nel novembre del 1495, il pittore fosse nuovamente nella città
lagunare. |

Fu questo un suo secondo viaggio? e quale ne fu il movente? (2)
Nessun documento ci viene in aiuto; sicché ci è lecito financo
pensare che Monsignor Arcimboldi non abbia indicato con esattezza
l'epoca a cui rimontava l'assenza del maestro da Venezia.

La denuncia fatta nel 1496 da Lorenzo Ghiberti dei suoi beni al
catasto ci fa sapere che in detto anno Perugino aveva già la bottega
aperta a Firenze e anzi la doveva avere anche per il passato (proba-
bilmente questa determinazione di metter su bottega in cotesta città
deve risalire all’epoca del suo matrimonio nel 1493) se egli denuncian-
do le stanze presso l'ospedale di Santa Maria Nuova con corte e por-
tico intorno dice di averle affittate al Perugino per 6 fiorini annui
(l'espressione riguarda tempi passati). Questa bottega rimarrà aperta
fino al 1507. Il primo acconto registrato dai frati di. San Pietro è
del 1496.

Conforme all'esplicita clausola inserita nel contratto, a tale data
egli doveva essere occupato a questa grande ancona.

Nella parte centrale era tenuto a dipingere l'Ascensione, nella
cimasa l'Eterno Padre con angeli e nella POE «ad voluntatem
domini abbatis pro tempore existentis » (3).

Questo soggiorno perugino è infatti confermato dall’ allocazione '
a lui fatta, il 26 gennaio, delle pitture del Cambio (4).

La fama del maestro era ormai grande, e nella città di Perugia,
monasteri, confraternite, chiese, facevano a gara per possedere qualche
sua opera, dopoché i Priori erano riusciti, aggrappandosi vigorosa-
mente ad ogni mezzo, ad avere la desiderata tavola. È dunque la vol-
ta del Cambio. Questa compagnia che aveva preso stanza nel pian-
terreno del Palazzo comunale, con diretta uscita sulla via, vedendo

(1) CanuUTI, Perugino, Doc. 511, 512.

(2) Fece in detta epoca il Salvatore nel Sepolcro in cui v'era scritto
« Sepulcrum Christi Petrus Perusinus pinxit » che emigrato da Venezia all'estero
andó disperso ?

(3) CanuTI, Perugino, Doc. 224.

(4) CANUTI, Perugino, Doc. 255.

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IL GUSTO E L'ARTE DI PIETRO PERUGINO 43

abbellirsi tutto attorno, delibera allocare all'artista la decorazione
della propria sede.

Sicuro ormai di avere per un tempo futuro una gran quantità
di lavoro, e probabilmente fidente che dai suoi conterranei non si sa-
rebbe agito come dagli orvietani, giacché troppo ardevano dal desi-
derio di avere lavori di sua mano, sospende i lavori perugini e rapida-
mente si trasporta a Firenze, ove termina, senza peró né datare né
firmare, la Crocifissione per il capitolo di Cestello (1). Ma indugiare
come un tempo non puó ormai piü da ogni parte accerchiato da la-
vori, e lavori di enorme mole, alcuni poi non affatto trasportabili.
Sicché concluso in questo torno di tempo il contratto con i monaci
della Certosa di Pavia per un'ancona (2), ritorna a Perugia, ove,

prevedendo che non avrebbe piü potuto recarsi a Firenze con tanta

frequenza, assillato, com'era dal lavoro della grande ancona, man
mano a lui rimunerata dai frati, nomina, da uomo pratico negli affari
e curoso dei suoi interessi, suo procuratore a Firenze l'allievo. Rocco
Zoppo.
Costui doveva ritirargli il denaro fruttato dalla dote della moglie,
denaro che forse impiegò per l'acquisto avvenuto in quest'anno di un
terreno « apte ad faciendum unam domum positam in populo sancti
Petri Majoris » (3). i
La constatazione di questo nuovo bene stabile a Firenze ci fa ra-
gionevolmente pensare che l’artista avesse intenzione di risiedere
sempre, in tempo normale, in questa città ove aveva passato la giovi-
- nezza e dove aveva, con la famiglia della moglie, vincoli di parentela.
Né questo era il solo denaro che avesse disponibile in questo
tempo, giacché i frati benedettini gli elargivano lauti acconti e altro
guadagno a lui derivava dall’allocazione della cassa (24 novembre
1496) (4), che i buoni frati avevano fatta rifare secondo un disegno
del maestro onde egli la decorasse «cum fregiis et aliis ornamentis
et certis figuris profetarum » (9).
Proprio in questi mesi, (aprile-novembre) nel mentre egli dipinge-

(1) CanUTI, Perugino, Doc. 195.

(2) Si suppone l’allocazione in detta epoca per la frase scritta il 1° mag-
gio 1499 a Taddeo Vimercato da Ludovico il Moro « pare hora che già siano
passati tre anni che habiamo facto la conventione e poco effecto si veda »,
Fumi L., Boll. Storia Patria Umbria, 1898, pag. 102.

(3) Doc. edito per la prima volta dal Canuti, n. 201.

(4) CANUTI, Perugino, Doc. 228, 229, 230, 231.

(5) CANUTI, Perugino, Doc. 228.

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44 | MARIA AURELIA MOCHI ONORY VICARELLI '

va ora.a San Pietro ora al Cambio, la misera Confraternita di Santa

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Maria Novella fu vinta dal desiderio di possedere di mano del Perugi-.

no il suo stendardo «quod vulgo dicitur El. gonfalone » (1).

Dopo una corsa a Firenze, ritorna a Perugia, richiamato. oltre--
ché dagli impegni di lavoro, anche dalle pratiche legaliiniziate contro
la Confraternita di San Bernardino per la quale aveva fatto il sonia,

lone, ma non ne era stato saldato (2).
Perugino ci teneva ad essere pagato regolarmente. e di questo

‘suo sentimento ne è indice la lettera scritta dal maestro di legname

Jacopo d’Antonio il 10 ottobre di quest'anno proprio ai frati della

Certosa pavese, imputando ai non avvenuti sborsi di denari la procra-

stinazione del lavoro (3).

Tutto il 1496 fu impiegato a tirare innanzi la grande ancona, sic-

ché lasciando Perugia alla fine dell'anno questa era assai avanti, men-

tre il gonfalone del povero sodalizio, non così largo di acconti, era ap--

pena cominciato.
Nel frattempo in Milano Eodoviro il Moro, non avendo deposto

ribile il pittore nei dintorni del suo paese natio, scrive nel-marzo del

il desiderio, già altra volta espresso, e ritenendo più facilmente repe-

1497 ai fratelli Baglioni, signori influenti della città di Perugia, af-
finché interponessero i loro uffici sì che Pietro si recasse da lui a Mi- j
lano « desideramo havere. qui la persona de Maestro Petro Perusino,.

perché essendo pictore excellente, vorriamo valersene dell'opera sua

di pochi mesi (novembre 1497) di una lettera di egual tenore ci fa
ritenere che la prima fosse rimasta senza risposta.

alla satisfactione del desiderio nostro » (4). Il rinnovellarsi a distanza.

Ma i Baglioni non avevano potuto influenzare nel senso desidera-

‘to il maestro, giacché il Vannucci aveva salutato l’inizio del 1497 a

Firenze ové assieme a Benozzo di Lese, Filippo di Fra Filippo, Co-

simo di Lorenzo Rosselli, aveva dovuto giudicare l’operato di Alessio.

Baldovinetti a Santa Trinita (5).

Così egli non conobbe, allora, le allettanti offerte del iet di

Milano «che habiamo epso Perugino o per stare di continuo al ser-

(1) Manca l'atto di allocazione mentre sopravvivono i documenti di
richiesta di denari alla Magie E cittadina. CANUIPE Perugino, Doc. 242-
243-244.

(2) CANUTI, Perugino, DAS 204-205.

(3) Fumi L., Bollettino Storia Patria Umbra, 1898, pag. 192.27

(4) CANuTI, Perugino, Doc. 513.

(5) CANUTI, Perugino, Doc. 526.

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IL GUSTO E L'ARTE DI PIETRO PERUGINO 45:

vizio nostro o per servirne a tempo limitato » (1) indici della fama
«di cui il nostro era circondato anche in regioni OE alle sue abitu-
‘tuali. Di

Assicuratosi il tempestivo ritiro degli interessi dotali, nominando
nuovamente suo procuratore Giovanni Maria di Bartolomeo detto
Rocco Zoppo, accettò dopo l’aprile 1497 di dipingere una tavola per
Santa Maria Nuova in Fano. |

Con ogni probabilità fra il maggio e l’ ottobre 1497 — mesi in cui
risulta non essere in nessuna altra città — avvenne l'esecuzione di
quest'opera che egli dató e firmó e che tuttora è conservata nella Chiesa.
: Essa rappresenta nella parte centrale la Madonna in trono col
Bambino e sei santi; Cristo sorretto dalla Madre e tre santi nella ci-
masa; e 5 storie della Vergine nella predella (2).

.Da Fano lo si vorrebbe far andare a Venezia perla terza volta
per dipingere una tela perita in un incendio, per la confraternita di
San Giovanni Evangelista, rappresentante lo scampato naufragio di
due navigli; ma nebulose e scarsissime sono le notizie a questo pro-
posito (3). Sicuro invece é che nell ottobre del 97 e nel febbraio
-.del 98 ritira da sé le famose « paghe », ma non possiamo con altrettan-
ta precisione indicare a quali lavori fosse occupato in questo periodo
fiorentino.

| La supplica. fatta dai confratelli di S. Maria Nuova per avere

«sussidi dai magistrati cittadini onde pagare e così ritirare il loro gon-
falone, ci dimostra come nel marzo del 1498 esso fosse ultimato e quin-
-di come ad esso si fosse rimesso il pittore appena tornato a Perugia.

Questo stendardo in tavola ora alla Pinacoteca di Perugia, né

(1) CANUTI, Perugino, Doc. 514. .
(2) Questa tavola a tempera di cui non si conosce l’atto di allocazione
‘porta la seguente iscrizione:
Durantes Phanensis ad intemeritate
Virginis laudem trecentum aureis atque
‘Huius templi bonorum centum superadditis
Hanc (tabulam) solerti cura fieri demandavit
Matteo de Martinotiis fidei commissario procurante MCCCC97 Petrus
Perusinus pinxit. i
| Viene ipotetizzato che la tavola centrale-(in parte o totalmente) e la pre-
della siano opere di Andrea d'Assisi detto l'Ingegno.

‘ (3) L’ipotesi di questa terza andata a Venezia è basata su quanto il
«Cicogna (Iscr. Venez. I, 1824, pag.-47) riferisce di aver desunto da un ‘opuscolo
anonimo, il quale cio anis quadro eseguito nel 1494 « de mano de un
perusino ».

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46 MARIA AURELIA MOCHI ONORY VICARELLI

datato né firmato, non fu consegnato ‘al sodalizio committente che
nel 1499 sempre a causa del mancato pagamento.

; Esso è detto pure di S. Maria Novella o della Consolazione, ov-
vero anche di S. Pietro Martire, data la fusione delle due confrater-
nite di S. Pietro Martire. e della Consolazione oppure dei Battuti,
giacché oltre ad esservi la Madonna col Bambino e angioli vi sono pure,.
in secondo piano, alcuni confratelli in cappa bianca.

Ed a Perugia anche gli affreschi del Cambio attendevano di es-
sere tirati innanzi. . i |

I] lavoro richiedeva molto tempo,. dovendo egli dipingere, «in
muro » (1) l’intera residenza della corporazione.

Nel maggio riprende l'esecuzione dell'ancona e della cassa dei
benedettini, ma con la fine di giugno, ammalatosi in Firenze, non
puó.presenziare la discussione per la riparazione della lanterna della
cupola del duomo colpita da un fulmine (2).

Assicuratosi il suo gruzzolo, con l'acquisto di una casa in.costru--
zione in Borgo Pinti (3) dovette tornare nei primi mesi del 1499.
ai suoi importanti lavori perugini: al Cambio e a San Pietro ed in
questa ripresa finisce l'ancona benedettina (4), tralasciando, come:
molto sovente gli accadde, di apporvi firma e data.

Egli vi dipinse « con molta diligenza... in tanto che ell'é la mi-
gliore di quelle che sono in Perugia di man di Pietro lavorata a
olio » (5), Cristo che sale: al cielo fra lo stupore degli apostoli, ora alla
Galleria. del Louvre; l'Adorazione dei magi, il Battesimo, l'Adorazione,
la Resurrezione nella base (ora alla pinacoteca di Rouen) il Padre
Eterno fra angioli nella cimasa (ora S. Gervais, Parigi).

Nei tondi poi Isaia e Geremia (Galleria di Nantes) nella predella
S. Placido, Santa Flavia, S. Benedetto (ora alla Pinacoteca Vaticana),
san Mauro, S. Pietro, S. Costanzo e S. Ercolano (ora nella sacrestia
di S. Pietro a Perugia) ed infine Santa Scolastica rubata con altri.
tre dalla Sacrestia, ma questa non piü ritrovata (6).

Per un privato Bernardino da Giovanni da Corneto, eseguisce

(1) Perugia, Arch. del Cambio, vol. 652. Debitori e Creditori (1) c. 36..

CANUTI, Perugino, Doc. 257.

(2) Firenze, Arch., Opera del Duomo L. D. VIII, c. 114t e 115.

(3) CANUTI, Perugino, Doc. 202.

(4) L’altare infatti fu consacrato nel gennaio 1500.

(5) VASARI, Le vite, cit., tomo III, pag. 588.

(6) Alcuni studiosi vogliono aiuti nella tavola centrale, i tondi li ascri-
vono poi a Raffaello, la predella a Eusebio da S. Giorgio o altri.

I LIE
TR

IL GUSTO E L'ARTE DI PIETRO PERUGINO : 47

una Resurrezione da mettersi nella chiesa perugina di San Francesco
al Prato allora detto del Convento, insieme con un padiglione con
San Hocco (per questo lavoro non doveva percepire mercede alcuna),
di cui più non è rimasta traccia, mentre il quadro, ricordato pure dal
Vasari, (1) é alla Pinacoteca Vaticana.

Stando al contratto che ne esigeva una immediata esecuzione
e una consegna a brevissima scadenza, questa tavola ad olio senza
data né firma, dovette essere fatta in questo torno di tempo, pur se-
guitando l'artista a lavorare nel Cambio.

Tutta questa sua operosità ridondava vieppiü in rinomanza del
suo nome, ed a Perugia le ordinazioni si intensificavano sempre piü.

Due confraternite ricorrono a lui: quella di San Francesco vuole
quale gonfalone, dipinto su seta rossa i| proprio santo attorniato da
confratelli (2) (il saldo è del 7. maggio 1499 e lo stendardo è ora
conservato nella Pinacoteca cittadina), e quella di San Giuseppe in-
vece gli commette una tavola collo Sposalizio di Maria per la. Cappel-
la del Santo Anello in Duomo.

Ma quest’ultima ordinazione è rimandata nell’esecuzione a tempi
più lontani.

Scontento di non averlo potuto avere al proprio servizio, Lodo-
vico il Moro scrive il 19 maggio 1499 (3) a Taddeo Vimercati, suo
agente in Firenze, affinché il Perugino e Filippino Lippi si decidessero

| a porre un onesto termine per l'esecuzione dell'ancona di Pavia, ov-

vero rendessero ai frati i denari inviati loro in seguito alla salace

lettera che Jacopo d'Antonio legnaiolo nel 1496 aveva scritto per |

conto degli artisti al Convento pavese. Ma all'epoca della redazione
della lettera del signore di Milano, Perugino era ancora a Perugia, e
non lasciò questa città che più tardi, forse all'epoca della sua iscri-
zione alla Matricola fiorentina dell'arte e più precisamente nella ma-
tricola dei medici e speziali (1 settembre 1499) (4).

Tornato nella città dell'Arno, deve aver finito il Trittico pavese
fregiandolo pure della sua firma (5). Esso rappresenta in centro

(1) VASARI, Le vile, cit., tomo III, pag. 580.

CANUTI, Perugino, Doc. 251.

(2) CanuTI, Perugino, Doc. 252.

(3) CANUTI, Perugino, Doc. .291 seguenti.

(4) CANUTI, Perugino, Doc. 254.

(5) CANUTI, Perugino, Doc. 527, in tale documento così viene indicato
« Magister Petrus Cristophori Vannucci pictor de Perusio ».

(6) Petrus Perusinus pinxit. Non c'é data.
48 "MARIA AURELIA MOCHI ONORY VICARELLI

l'Adorazione del Bàmbino, Tobia e l'Arcangelo Raffaele da un lato,
l'Arcangelo Michele dall'altro (questa parte dopo aver appartenuto

.alla famiglia Melzi emigró alla Nazionale di Londra). Nella cimasa al
centro l’Eterno circondato da angioli (tuttora alla Certosa) e l'An-

nunziata e l'Annunziante ai due lati (tavole queste Epor dopo es-
sere andate all'estero).
Con grande probabilità sono di questo periodo 1496-99: la :Ma-

.donna con S. Pietro e San Girolamo, tavola non firmata proveniente

dal San Girolamo di Lucca ora al museo Condé a Chantilly; il San

. Girolamo firmato (1) del museo di Caen; una «Pietà col morto

Cristo in collo e due figure » opera perduta fatta, secondo il Vasari,

per Santa Croce di Firenze, un San Girolamo in penitenza pur esso

perduto, menzionato dal biografo aretino come da lui veduto nella
Chiesa fiorentina di San Jacopo tra i Fossi (2) ed infine la tavola a

tempera non firmata dipinta per i Conventuali di Perugia (cioè per

San Francesco al Prato) con San Giovanni Battista e quattro santi ora

alla Pinacoteca perugina, (3) in pessimo stato di conservazione an-
«che questa elencata dal Vasari. Un documento lo indica il 21 ottobre

di quest'anno, quale uno dei priori del proprio paese natale, ma di

questa carica no 1 ci è tramandato altra conferma o ricordo (4).

La tavola con l'Assunzione della Vergine fra angeli, musicanti

e santi (ed in un piano sovrapposto il Padre Eterno benedicente)
eseguita per il monastero di Vallombrosa (5) porta oltre la firma
la data del 1500. Di quest'opera, ora agli Uffizi né l'atto di allocazione,

né notizie di verun genere ci aiutano sia a circoscrivere il tempo di
esecuzione, sia a stabilirne il nesso con i due ritratti, pure agli Uffizi,
di monaci Vallombrosiani Don Biagio Milanesi e Don Baldassarre Mo-

naco contemporanei alla tavola. Fácevano essi parte, date le misure

piccole ed uguali fra di loro, di un'eventuale base o predella ? (6).
In aprile era nuovamente in Umbria dove dovette trattenersi

molti mesi.

‘ (1) Petrus Perusinus pinxit. Non se ne conosce con sicurezza la prove-
nienza né se né può garantire la mano.

(2) VASARI, Le vite, cit., tomo III; pags. 576-577.

(3) Vasari, Le vite, cit., tomo III, pag. 581.

(4) Edito dal CANUTI, Pindg ito Doc. 535. Arch. Notar. Prot. Scr. Sallu-

tio Casella, dal 1499 al 1501, f. 23t.

(5) Petrus Perusinus pinxit A. D. MCCCCC.
(6) In essi vi è la scritta « Blasio Gen servo tuo succurre» e « Baltasar
Monaco S. tuo succurre ». i

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IL GUSTO E L'ARTE DI PIETRO: PERUGINO i 49

Si discute se la data A. SALUT. M. D. posta a metà di una pa-
rete del Cambio si riferisca al compimento di una parete o dell'intera
serie di affreschi, eseguiti, secondo uno schema ideologico di Fran-
cesco Maturanzio, lettore nello studio di asa e segretario gei
Decemviri.

J Alcune testimonianze scritte (1) ragioni pratiche, quale il.
lungo ingombro di una sala necessaria alla vita della corporazione,
le prolungate continue permanenze del maestro nella città negli anni:
anteriori al 1500, vorrebbero indurci a crederla ultimata nel 1500
invece del 1507, data dell’ultimo pagamento.

Coloro che ritengono valida ed ampia la collaborazione di Raf-
faello (Cristo trasfigurato ? Sibille ? Profeti ? Fortezza ?) necessaria-
mente sostengono la data del 1507 (2). :
Certamente Perugino si servi di aiuti, sia esso Giannicola di
. Paolo, ovvero Andrea d'Assisi detto l’ Ingegno ricordato dallo stesso
Vasari (3).

Dai libri di pagamenti (sono 350 i ducati d'oro pattuiti) scaturisce
fuori pure il nome di un terzo Ruberto Montevarchi e la tradizio-
ne (4) conferma quello di Andrea d'Assisi detto l'Ingegno.

La volta é divisa in sei spazi triangolari a tipo vele disposti at-
torno a un rettangolo centrale. In essi si snodano motivi decorativi
di arabeschi e grottesche e le rappresentazioni di vari pianeti (divi- |
nità sui loro carri).

Nella parete di fondo divisa in due arcate la Trasfigurazione e
l'Adorazione del Bambino, nella parete a destra di chi entra, in una
arcata sei Sibille e sei Profeti, sovrastati dal Padre Eterno benedicente
ed angeli, nell'altra arcata un bancone di legno, nel Bia di sepa-
razione fra le due arcate la data.

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(1) I versi anonimi culti nel libro Wbbreviationes (Perugia Arch. del
Cambio, vol. 63-149) sono i seguenti:

Pietro Perugino c'ogni altro vinse
ne la pittura, quivi disegnó
de propria mano e con ingegno pinse.
Essi, data la scrittura, debbono essere stati scritti nel 1500. L'asserzione
«del Bottonio (sec. xvi) nei suoi Annates, dice l'Udienza « dipinta tutta » alla
data del 1500.
(2) Sostenuta da VENTURI A., Storia dell'Arte. italiana, VII, parte Ti
pag. 762 e Raffaello, pag. 16.
(3) VASARI, Le vite, cit., tomo III, pagg. 595-597.
(4) MoRELLI G. F., Brevi notizie della pittura e scultura che adornano la
«città di Perugia, Eiruzia 1683, pag. 34.

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50 MARIA AURELIA MOCHI ONORY VICARELLI

Nel lato d'ingresso in una nicchia Catone (con sotto una dicitura
latina dettata da Maturanzio, (1) suggeritore di tutta l'evocazione

storica; nella parete sinistra nella prima arcata la Fortezza e la Tem-

peranza (contraddistinte dalle relative leggende) (2) e gh eroi ed i
sapienti; nella seconda la Prudenza e la Giustizia con i saggi gover-
nanti antichi (3).

(1) CATO Quisquis vel celebri facturus verba corona
surgis vel populo reddere jura paras,
privatos pone affectus: cui pectora versant
aut amor, aut odium, recta tenere nequies.

(2) Vicino alla Fortezza:

Cedere cuncta meis pulsa

et disiecta lacertis

magna satis fuerint

tres documenta viri

nil ego pro patria timeo,

charisque propinquiis:

quaeque alios terret

mors mihi grata venit
Vicino alla Temperanza:

Dic, Dea quae tibi vis mo-

res rego, pectoris aestus

tempero, et his alios

cum volo, reddo pares.

Me sequere: et qua te su-

peres rationes docebo,

quid tu quod valeas

vincere majus erit.

(3) La dicitura della Prudenza è la seguente:
Quid generi humano prae
stas, dea dic age, praesto
ne facias quae mox
facta dolere, queas
scrutari venum doceo
causasque latentes
et per me poterit
nil nisi rite geri.

Quella della Giustizia:
Si tribus his cunctos si
miles pia numina gignant
nil toto sceleris, nil
sit in orbe mali
me cuncta augentur
populi, belloque togaque
et sine ne fuerint quae E
modo magna ruunt.
IL GUSTO E L'ARTE DI PIETRO PERUGINO 51

Quasi appeso al pilastro che separa queste due ‘arcate vi è l'auto-
ritratto dell'artista e sotto
Petrus Perusinus egregius pictor
Perdita si fuerat pingendi hic retulit artem
Si nunquam inventa est hactenus ipse dedil (1)

sempre del 1500 é la tavola a lui ordinata da Bernardino di Ser
Angelo Tezi per Sant'Agostino. In essa l'artista rappresentó la Ver-
gine col Bambino e quattro santi, nella predella l'Ultima Cena, nello
sportello del Ciborio il Redentore.

Quest'opera che ricorda nella propria iscrizione il committente
e la data di esecuzione (2) subi la sorte di molte altre e cioè fu
smembrata. La parte centrale rimase a Perugia ed ora è nella Pina-
coteca, la predella è al Friedrich Museum di Berlino, mentre dello
sportello non se ne conosce la sorte.

Del 1500 è pure il pagamento finale per l'ancona di San Pietro,
prezzo sul quale egli donò ai frati ducati due «per amore di Dio » (3).

Ma quest’anno 1500 è assai interessante per la conoscenza
della fama di cui era circondato quest'uomo.

Infatti Agostino Chigi, richiesto dal padre suo Mariano di consi-
glio (nov. 1500) circa fà pitture della loro cappella in Siena, risponde
che il « Perugino è il meglio Maestro. d' Italia » (4). Questa autore-
volissima affermazione che s'inalza da Roma a consacrare la fama
. del maestro si accorda colla richiesta effettuata in questo stesso tem-
po (sett. 1500) dalla Marchesa di Mantova Isabella d’Este alla pre-
fetessa di Senigaglia Giovanna da Montefeltro, affinché inducesse
questo pittore « per essere suo domestico » a servirla (5).

Queste due voci che attraversano l'Italia contemporaneamente
. hanno valore non solo in quanto espressioni di mecenati potenti ma

(1) Questi versi trovansi pure nel manoscritto inedito del Maturanzio.
«In audientia artis Cambi » Codice 609 Bibl. Com. Perugia, MARCHESI Ri
Cambio di Perugia, Prato, 1854, pagg. 357-358.

(2) Nella predella vi è scritto « Hoc opus fecit fieri ser Bernardinus ser
Angeli anno salutis M. D. », mentre nel bordo del manto della Vergine il mil-
lesimo è segnato in questa altra maniera MCCCCC.

Anche Vasari nomina quest’opera ma invece di indicarla come posta nella
cappella Capra (già Tezi) nella Chiesa di Sant'Agostino la dice per la Cappella
lalera, op. cit., tomo III, pag. 584.

(3) CANUTI, Perugino, Doc. 232.

(4) CAaNUTI, Perugino, Doc. 384.

(5) CANUTI, Perugino, Doc. 305.
52 : MARIA AURELIA MOCHI ONORY VICARELLI

- sopratutto perché questi raccoglievano e rendevano propri i giudizi
artistici dell'ambiente da cui essi erano circondati e di cui erano il
centro. Prova é questa di una concorde e larga diffusione della sua fa-:
ma e come da ogni parte d'Italia si cercasse di strappare opere all'ar-
tista, già sovraccarico di commissioni. :

. Ma Isabella Gonzaga, da Mantova non sapeva quanto il tempo -
di costui fosse accaparrato e prezioso; bene doveva esserne invece a
conoscenza Giovanna da Montefeltro che subito si fa premura di par-
teciparle essere « quello homo difficile ad indurlo » (1).

Ed a indurlo non era certo facile per il cumulo di opere che aveva
fra mano, egli infatti, che fino adesso non risultava aver avuto in
Perugia una bottega vera e propria ne prende due in affitto (1500)
dall'Ospedale della Misericordia in Piazza del Sopramuro, onde ac-
gliere allievi ed aiüti necessari a tanta mole di lavoro.

E nel frattempo, proprio l'ultimo giorno dell'anno, non fu egli
anche estratto fra i priori della città ? (2)

Questa carica durava due mesi — gennaio e febbraio — ed egli
‘avrebbe avuto l'obbligo di partecipare regolarmente alle adunanze
del Consiglio, nonché di convivere con gli altri Priori nel Palazzo
Pubblico, ma ben sovente il cancelliere notó « absente dicto Magistro
Pietro » (3). Attribuite à questo periodo sono le seguenti opere: il
ritratto di uomo della collez. Michael Friedsam di New York; il San:
Sebastiano firmato della Nazionale di Londra (4) la mezza figura
di San Sebastiano pure essa firmata del museo dell’Eremitaggio di
Leningrado (5), la Santa Maria Maddalena di Palazzo Pitti (6),
la Vergine con S. Giovanni e S. Maria Maddalena della Collez. Mor-
gan di New York, Sant'Agostino e quattro confratelli del Castello
di Weimar ed infine la Crocifissione con l'Addolorata e San Girolamo
nella Sala capitolare del Convento di Cestello (ora S. Maria Maddale- .
na de’ Pazzi) Firenze, (7) ed il Cristo che porta la croce del Mona-

(1) CanuTI, Perugino, Doc. 306.

(2) GANUTI, Perugino, Doc. 268.

(3) CANUTI, Perugino, Doc. 270.

(4) Sulla freccia «Petrus Perusinus pinxit». È forse quello a cui fa
cenno Vasari come venduto al re di Francia da Bernardino De? Rossi ? op.
cit., tomo III, pag. 577.

(5) A lettere d’oro sulla freccia Petrus Harüsibus pinxit, proveniente

- dalla collezione Campanari.

(6) Non se ne conosce la provenienza. Nello scollo dell’ abito « S. Maria
Maddalena ».

(7) Proviene da S. Girolamo delle Eoserinej Ehrenaesd

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3) $E * E C í
IL GUSTO E L'ARTE DI PIETRO PERUGINO 53

stero delle Colombe in Perugia (1). Si puó dire che la residenza
abituale del pittore durante il 1501 fino all'ottobre del 1502 fosse
Perugia, giacché i suoi allontanamenti dalla città sono di breve durata.

Egli era veramente oberato da commissioni, se quanto vuolsi
ascrivere al suo pennello in quest? epoca fu veramente d ee in
questo torno di tempo 1501-1502. |

La confraternita di Sant'Andrea della Giustizia decide rinnovare
la propria sacra immagine «propter vetustatem... tota dirupta et
fedorata » (2) con una tempera su tela in cui Ab la Madonna e il
Bambino in gloria fra angioli e santi l'artista rese, come aveva fatto
per i precedeati, lo specifico carattere di stendardo di pio sodalizio, di-
pingendovi nel fondo un gruppo di affiliati. Questo gonfalone, detto
- della Giustizia — senza data né firma — ma eseguito all'incirca in que-
‘sto periodo 1501-1502, dopo rovinosi restauri è albergato oggi dalla
Galleria Vannucci di Perugia.

Vasari (3) inoltre parla di due éagpelle. affrescate nel chiostro
di San Francesco in Monte, con l'Adorazione dei Magi ed il Martirio
. di alcuni frati. Nulla ci rimane di queste due opere discusse sia circa
la mano, sia eirca il numero. (Alcuni storici ne vorrebbero una terza
decorata da quell'affresco coll’Adorazione dei Pastori che riportato su
tela è nella Pinacoteca cittadina). Furono pure esse eseguite tra il
1501 e la fine del 1502?
Nel frattempo, fin dall'anno precedente (1500) gli era piombato
addosso un lavoro per la chiesa perugina di Santa Maria degli Angioli.

La commissione, fioritagli dal testamento di Angelo di Tommaso
Conti richiedeva tempo per eseguirla, giacché non poteva trasgredire
la minuziosa descrizione che il testatore si era presa premura di ver-
gare «et in eadem tabula pingantur immagines S. Anne et filiarum
eius videlicet Gloriosissime Virginis Marie cum filio suo, Jeshu Cripsto,
S. Marie Cleofe, S. Marie Salome, cum filiis eius et S. Joseph et
S. Johachim » (4).

Nella firma di questa tavola,ora al Museo di Marsiglia, Vannucci

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. (1) Opera non finita.

(2) CANUTI, Perugino, Doc. 206. Questo è il documento con cui i Priori
del Comune decidono aiutare la misera Confraternita.

(3) VASARI, Le vite, cit., tomo III, pag. 580.

(4) CanuTI, Perugino, Doc. 280.

Questa tavola è detta per la moltitudine delle figure « dei congiunti di
Gesù ovvero della Sacra Famiglia » Nel piedistallo Petrus de Castro Plebis -
pinxit.
54 MARIA AURELIA MOCHI ONORY VICARELLI

si qualifica «de Castro Plebis». Essa é priva di data ma ne calcoliamo
l'esecuzione negli anni 1501-1502.

Da buon uomo pratico, inoltre anche questioni materiali occu-
pano il suo tempo, in questo 1501, quali la vendita di una casa in
Perugia, di un terreno al suo paese, ovvero é impegnato in atti di
divisione di beni ereditati assieme ai suoi nipoti (1). Fin dal mar-

. zo del 1501 cominciarono i suoi rapporti coi frati di Sant’ Agostino di
Perugia. Egli doveva stendere i disegni per gli stalli del coro che avreb-
be dovuto mettere in opera Baccio d'Agnolo, maestro in legname,
amico del Vannucci stesso, il quale nel 1500 in Firenze per i Servi
dell'Annunziata aveva costruito la tavola sulla quale Filippino Lippi
principió a dipingere la Discesa dalla Croce e che Perugino stesso a

causa della morte di costui, fini e dipinse totalmente dall'altro lato (2)..

Per Baccio d’Agnolo Perugino fin dal marzo 1501 s'era fatto
mallevadore, e nell'ottobre 1502 rinnovava la malleveria non solo,
ma bensi si obbligava a dargli i disegni per detto coro (3).

Questi rapporti coi frati di Sant'Agostino sbocciarono con ogni
probabilità nel 1502 stesso nell'allocazione della grande ancona a due
faccie con ben 30 specchi costruita nella sua parte lignea da Mattia
di Tommaso da Reggio tra il 1495 e il 1500 (4).

Del contratto col Perugino non ci rimane ricordo documentario,
ma lo si può supporre contemporaneo a quello del 1° ottobre 1502 che
riguardava Baccio D'Agnolo. Ad esso si richiamano i documenti po-
steriori e in maniera particolare la successiva stesura di contratto
del 1512 (5). Da questi non solo possiamo vedere la germinazione
di questa monumentale opera, ma bensì scoprire come i frati avessero
messo a premio di tale esecuzione 500 scudi d’oro, parte in denaro,
parte in beni « una casa et ?| podere di Ponte Pattoli voc. La Mili-
zia » (6). i

Prendendo un anno per l’esecuzione, il maestro si era nel frattem-
po impegnato (agosto 1502) per una Crocifissione e santi per la Cap-
pella Chigi a Siena (7) e per un’altra opera e per di più doppia (sett.
1502) (Vergine Addolorata e santi dallato ove era appoggiato un Cro-

(1) CANUTI, Perugino, Doc. 232-65-66.
(2) CANUTI, Perugino, Doc. 388-389.
(3) CANUTI, Perugino, Doc. 515-516.
(4) CanuUTI, Perugino, Doc. 462-463.
(5) CANUTI, Perugino, Doc. 465.

(6) CANUTI, Perugino, Doc. 464.

(7) CanuTI, Perugino, Doc. 384.

"eo :

REED NUI SX WERT OE Lia ORC Qu MOSQ. Lu Meno
IL GUSTO E L'ARTE DI PIETRO PERUGINO 55

cifisso in legno opera di Eusebio Bastoni; l'Incoronazione di Maria
dall'altro) per i Frati di S. Francesco al Monte a Perugia (1).

Anche per quest'ultima il tempo sarebbe stato assai limitato,
avendola promessa «ad festum Paschatis Resurrectionis prox. ven-
turae » (2).

Ma l'artista pensó poi da sé a crearsi un margine di tempo piü
lungo, sicché non la vedremo consegnare che nel 1505.

Solo verso la fine dell'ottobre 1502 Perugino lascia Perugia per
tornare a Firenze: lo sappiamo dal carteggio che Isabella d'Este ini-
zia con Francesco Malatesta, (3) desiderosa di avere un'opera del
maestro per il suo studiolo, da lei trasformato in tempio d'arte. Mala-
testa dopo averla avvertita che il maestro é a Siena, gli appalesa,
come aveva fatto fin dal 1500 Giovanna di Moaotefeltro, che «l’è ho-
mo longo, et per modo de parlare quasi mai non finisse opera ch'el
comenza, tanta é la longhezza sua » e coi suoi suggerimenti vorrebbe
indurla a scegliere « Philippo del fra Filippino » ovvero « Alessandro
Bottecchiella » (4).

Abboccatosi finalmente nell'ottobre col Malatesta rende noto alla
Signora che questi prima di impegnarsi voleva conoscere le dimen-
sioni e... la fantasia desiderata.

Attraverso a un suo «factore » nel novembre 1502 arriva non
solo «l'instructione » ma pure uno schizzo fatto da Alberto Cavallaro.
E la Marchesa si raccomanda venga ben detto a Pietro che « debbi
più presto darmi negativa che tenermi in vana speranza... perché

. hasevo havuto dali altri, come tu sciai tante longhe che hormai siamo

strache » (5), raccomandazioni che sottolinea di li a poco con una
caparra. :

Mentre le trattative si svolgevano lunghe ed involute, specie
per la lontananza della committente, Perugino viveva a Firenze, ma
non possiamo dire con precisa sicurezza a che opere fosse intento.

Giungiamo così alle soglie del 1503 e nei primi giorni di gennaio
in Firenze si stipula il contratto del Combattimento fra l'Amore e la
Castità sulla base di 100 ducati d'oro (6).

Allocazione legalmente stesa alla presenza di testimoni, che ri-

(1) CaANuTI, Perugino, Doc. 379.
(2) ibidem. ai

(3) CANUTI, Perugino, Doc. 308.
(4) CANUTI, Perugino, Doc. 309.
(5) CANUTI, Perugino, Doc. 312.
(6) CANUTI, Perugino, Doc. 316.
56 MARIA AURELIA MOCHI ONORY VICARELLI

specchia. fedelmente a quale grado di assoggettamento gli artisti do-.
vevano sottostare. La poetica invenzione, dovuta a Paride dei Ce-

resari è integralmente lumeggiata, i personaggi, il paesaggio, gli aned-
doti da inserire nel fondo sono precisati con minuzia, gli alberi, le ve-

sti, le freccie, tutto è regolamentato sì che al pittore veniva asserito .
che «sminuirli sia in libertà vostra ma non aggiugnerli cosa alcuna.

. altra » (1).

Da notare come l'ordinazione di un quadro fosse da questi me-
cenati considerato atto di tale importanza sì da rendere chiare nel

contratto la maniera di comportarsi di fronte ad una eventuale morte

dell’artista ad opera incompiuta.

Redatto l’istrumento il Perugino, quantunque sollecitato in ma-
niera molteplice non si affretta a stendere sulla tela la fantasia, anzi

‘ allorché Isabella si rivolge per informative, nell'assenza del Malatesta
ad. Angelo del Tovaglia, nulla era stato incominciato. Né ci risulta
in quali altre opere, in TUER periodo üt. prodigasse la pro-

. pria attività.

Nell'agosto 1503 invece in Siena mise mano alla tàvola per i
Chigi, ma neppure in questa città la sua attività fu di lunga durata.
Infatti a Perugia nel settembre gli veuivano pagati gli stemmi, dipinti,
per il Palazzo comunale e per le cinque porte, del novello Papa Pio III
e quindi questo ci fa pensare a una sua precedente dimora costi (2).

ragione di malattia poco credettero i due referendarii di Isabella.
Sicché il Malatesta vedendo che Pietro « piglia più che. non pò » (3)
addiviene ad una decisione un pó umiliante per l'artista e che e indi-
‘ zio dello sminuito prestigio che incominciava egli a godere nella città
e cioé dà «carigo ad uno di casa che ogni zorno... va a casa del Pe-
rusino per sollecitare tal opera » (4).
^. Nuovamente il dover cambiare gli stemmi di Pio I con quelli
di Giulio II, eletto il I Novembre, (5) occupó il pittore fuori Firenze,
in Perugia. Al suo ritorno afferma necessitare delle misure per poter
iniziare il Combattimento « schusa » questa per « menarla più in tem-

po» (6).

(1) CANUTI, Perugino, Doc. 316.
(2) CANuTI, Perugino, Doc. 281.
(3) CANUTI, Perugino, Doc. 321.
(4) CANUTI, Perugino, Doc. 324.
(5) CANUTI, Perugino, Doc. 283.
(6) CANUTI, Perugino, Doc. 326.

Finita questa incombenza se ne tornò a Firenze ma all’adottata ©
IL GUSTO E L'ARTE DI PIETRO PERUGINO 57

Eccoci così al 1504. L’attività quindi del 1503 rimane a contorni

molto indecisi ed oscuri. Anche dei primi due mesi di quest'altro
anno, passati a Firenze, nulla di precisabile.

Richieste nuovamente le misure alla Signora mantovana, Peru-

gino, dato il suo parere assieme ad altri artisti circa la collocazione -

della statua del David di Michelangelo (1) lascia la città, ed i docu-
menti verso la fine del febbraio ce lo annunciano a Perugia. Alla fine
del febbraio, sempre del 1504 una nuova ordinazione gli giunge da
parte della Confraternita di Santa Maria dei Bianchi (ovvero dei Di-
sciplinati) della sua terra natale. Da lui volevano affrescata una Ado-
razione dei Magi nel loro Oratorio.

Deve essere intercorso fra l'artista ed il sindaco di tale pia asso-
ciazione uno scambio di lettere, ma ci rimangono solo quelle del pit-
tore ove « chome paesano » (2) riduce da 200 fiorini a 75 il-prezzo del-
| l’opera in discussione ed ove ci appare come egli, che si trovava
in « Peroscia » attendesse « la mula et col pedon » per recarsi «a penc-
| torà » al suo paese.

Questo affresco di ampie dimensions datato (A. D. MDIIII) ma
non firmato, fatto a condizioni talmente inusate fece sorgere la leg-
genda del pagamento con una frittata, in quanto l'artista faceva
parte della Confraternita stessa (3).

A saldo invece del suo prezzo cosi ridotto, l'artista invece fini
di ricevere ura casa. Numerosissime figure piccole e grandi, animali
varii, sono albergati da questo affresco che portando la data del 1504
é peró privo di firma del maestro (4).

Nel frattempo la marchesa seguitava a tempestare di lettere a

Firenze Perugino stesso e i suoi referendari, inviava misure, solleci- .

tazioni, metteva il termine di consegna ad un mese, faceva minaccie

. (1) CANUTI, Perugino, Doc. 523.

(2) CANUTI, Perugino, Doc. 298 autografo conservato insieme al se-
guente, Doc. 299 nell'Arch. Confr. di S. M. dei Bianchi a città della Pieve e
riprodotti in fotografia.

(3) La leggenda riportata da MARIOTTI A., Lettere pittoriche ossia Rag-
. guaglio, Perugia, 1788, quasi fosse tradizione cittadina è smentita dal Ca-
nuti in quanto tale.

(4) Affresco non asportato dall'Oratazio; ove a causa dell’umidità subì
gran rovinio.

Vasari parla di un affresco lasciato incompiuto a Castel della Pieve. Con
ogni verosimiglianza trattasi di questo; ma il biografo equivoca con quelli di
Fontignano, allorché lo dice non finito, cit., tomo III, pag. 588.

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58 MARIA AURELIA MOCHI ONORY VICARELLI

finché «stanchezata » (1) nell'aprile dichiaró rivolere i suoi 20 du-
cati. | |

Una malattia serve ad adombrare i mesi impiegati invece
a cominciare l'affresco per i suoi compaesani, né piü veritiera era la

rinnovata promessa di lavoro. Di ciò ben se ne sarebbe accorta la

Marchesa se fosse stata a Firenze a constatare l'immediata partenza
del Vannucci per terminare l'Adorazione di Città della Pieve.

Anche a metà ottobre, epoca d^l suo ritorno nella città «la ma-
gior expectatione del mundo » (2) doveva essere frustata. Un altro
anno, il 1504, era finito senza alcun risultato.

La corrispondenza assai monotona fra la gentildonna e i suoi re-
ferendari nel dicembre del 1504 fiorisce di una divertentissima e vivace
epistola ass?i importante per la conoscenza dell'artista. Questa volta
dal « patriarca » perugino va un tale Luigi Ciocca il quale « trovatolo
ch'el metteva a sugare la tela » con « alcune parolle brave e minatorie

-de tanta sua pigritia et poca fede » lo rimproverava, talché riesce a

strappargli la promessa che per Pasqua l'opera sarà finita. « Cossì io
lo tenirò sollecitato ogni giorno, sì per gratifficare et obedire a V. Il-
Ill.ma Sig.ia, come fidele servitore che li sono, si etiam per andare a
vedere alchune bellissime zovene sue vicine che se reducono assai in
casa sua et perché el bono christianazo dice dubitare che V. Ex.tia
nol voglia pò tore e darli li 80 ducati » prezzo esagerato, secondo il
Ciocca perché aveva dipinto «faune femmine che hanno le gambe
molto male proportionate et brute; et non vole esser corecto come
sel fosse Jotto o altro supremo pictore; che se non havesse hauto re-
spetto a quelle belle fanciulle glie haveria dicto un charico de villa-
nie » (3).

Dall’abate Agostino Strozzi, che non s'interessava alle « belle
damiselle (4), la marchesa desidera invece un serio ed equilibrato

giudizio.

Da lui e dal Tovaglia è, infatti rassicurata con riferirle il parere
di un allievo di Leonardo, il Salaino, fatto andare « secretamente » (5).
Anzi sono costoro che suggeriscono alla signora un invio di denari,
giacché «el povero maestro non vive se non dele fatiche sue » (6).

(1) CANUTI, Perugino, Doc. 337.
(2) CANUTI, Perugino, Doc. 344.
(3) CaNUTI, Perugino, Doc. 348.
(4) CANUTI, Perugino, Doc. 350.
(5) CanuTI, Perugino, Doc. 353.
(6) CanUTI, Perugino, Doc. 352.
IL GUSTO E L'ARTE DI PIETRO PERUGINO 59

Bisogna rilevare come lo Strozzi avesse notato « veramente non
essere suo mestiere di far figure piccole in perfectione » e come su que-
sto suo giudizio insiste dicendo che questa sua opinione era diffusa
«appresso tutti li periti dell'arte » (1).

Ma le preoccupazioni alla commitente non finiscono qui ! Men-

tre essa si mette in allarme perché egli aveva denudata una Venere

che lo schizzo voleva vestita si che « alterando una figura se perverti-
ria il sentimento de la fabula » (2). Perugino in un intervallo del-
.lincessante controllo benché sia « vecchio et grasso et homo maturis-
simo » (3) abbandona Firenze senza che i suoi guardiani riescano a
‘sapere precisamente ove sia. i

«Ito» se n'era «a Perugia» (4) a lavorare alla tavola doppia
per San Francesco al Monte, la cui ordinazione rimontava al 1502 e

forse anche all'affresco con il Martirio di San Sebastiano per la Chiesa .

omonima di Panicale (5) del quale non conosciamo l'anno di allo-
‘cazione che, firmandolo, daterà del 1505.

Finalmente il 9 giugno 1505 Francesco Malatesta puó annunciare
ad Isabella d'Este che :1 suo quadro è fin'to e che « mand: a tor quan-
‘do gli p'ace » (6).

Di li a poco Perugino stesso, r'ngraziandola del saldo, avvisa la
sua committente che il quadro fu consegnato e le assicura che egli ha
« usate quelle diligentie » che ha « creduto bastino a soddisfacimento
di V. Excelsa Signoria e del mio onore, il quale sempre ho preposto
ad ogni utilità » (7). Le spiega inoltre di essersi attenuto alla tec-
nica della tempera « perché cosi ha fatto Messer Andrea Mantegna »
secondo quanto gli era stato riferito.

Il 30 giugno 1505 proprio nel giorno in cui con Lorenzo di Credi
€ Giovanni delle Corniole egli giudicava i mosaici della Cappella di
San Zenobio al Duomo, a Mantova, veniva redatto il giudizio sull’ope-
ra sua (8).

L'illustre dama dichiara infatti al Vannucci che il quadro suo « pia-

(1) CANUTI, Perugino, Doc. 353.

(2) CANUTI, Perugino, Doc. 356.

(3) Canu?TI, Perugino, Doc. 359.

(4) CANUTI, Perugino, Doc. 361.

(5) Di quest’opera non è giunto fino a noi alcun documento di alloca-
‘zione, non conosciamo quindi con assoluta precisione in quale anno la principiò.

(6) CANUTI, Perugino, Doc. 374.

(7) CANUTI, Perugino, Doc. 375.

(8) CAnUTI, Perugino, Doc. 524.

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60 : ; MARIA AURELIA MOCHI ONORY VICARELLI

ce per essere ben designato et ben colorito: ma quando fusse stato
finito cum magior diligentia, havendo a.stare appresso quelli del Man-
tinea che son summamente netti, seria stato magior honore vostro et.
piü nostra satisfactione » (1). Essa si rammarica inoltre che fosse
stato fatto a tempera: il buon nome de! Vannucci come pittore ad olio

. doveva essere giunto fino-a Mantova. Al che il maestro riconoscendo.

le ragioni della sua committente promette che «se Iddio... presterà

vita un giorno V. Ex. Sig. ria riceverà da me qualche altra cosa, la qua-

le mostrerà essere « miniata » (2). Con questa speranzosa promessa,
che ai posteri ha dato modo di vedere nel Vannucci ipotetiche qualità
di miniaturista si chiude questo periodo dell'attività del maestro.

L'allegoria a cui il pittore non appose né data né firma, ora alla Gal-
leria del Louvre, popolata di ninfe, di amorini, non dovette piacere
all'ambiente artistico che formava la corte di Mantova e che, per que-
st’ opera, sì era messo in grande attesa; anzi esso ne provò un'auten-
tica delusione vedendo come l’opera non fosse all’altezza della fama.

.e come il maestro vivesse della gloria del passato.

La tavola della SS. Annunziata sortirà lo stesso effetto per la
Toscana.

Infatti era morto nell’ aprile del 1504 Filippino Lippi lasciando:
incompiuta la Deposizione, tavola centrale della monumentale anco-
na a doppia faccia da porsi fra la chiesa ed il coro e la cui macchina -
lignea era stata eseguita da Baccio d'Agnolo.

Questa tavola aveva avuto varie vicende. In un primo tempo

‘era stata allocata a Filippino, poi passata a Leonardo, poi in assenza

di questo resa a Filippino. ——

Non si può ricostruire con precisa esattezza il numero delle parti
da dipingere (da 6 a 10). Passata infine l'ordinazione al Perugino il 5.
agosto 1505 (3), egli doveva cominciare là dove l'altro s'era interrotto.

Rimanendo fino ad ottobre a Firenze, pose mano a questo com-
plesso di opere che, con interruzioni e riprese, occuperà parte della
sua attività fino al 1507.

| Notiamo frattanto che dall'ottobre 1505 Perugino non è più no-
minato nella matricola dei pittori fiorentini.

In detta epoca egli ritornó in Umbria, richiamato non solo da affari

(varie procure) ma bensì dalle opere che aveva in lavorazione da tempo.

(1) CanuTI, Perugino, Doc. 376.
(2) CANUTI, Perugino, Doc. 378.
(3) CaNumI, Perugino, Doc. 400.
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IL GUSTO E L'ARTE DI PIETRO PERUGINO 61

Della tavola doppia per San.Francesco al Monte (ora alla Galle-
- ria di Perugia) non è precisabile, alla luce di documenti la data di ese-
cuzione. Questa peró deve aggirarsi intorno al 1505 all'incirca. Alcune

varianti al tema descritto nell'allocazione fecero sorgere dubbi circa -

la rispondenza fra quadro e atto. Nel lato del Crocifisso in legno, ope-

ra di Eusebio Bastoni, dipinse l'Addolorata. S. Maria Maddalena, due

santi, quattro angeli volanti, in quella opposta l'Incoronazione di Ma-

| ria Santissima e gli Apostoli, ma in nessuno dei due lati mise firma e
data. A questa tavola manca la predella, di cui isnoriamo la sorte.

Larga è la parte di collaborazione. |

Firmato e datato del 1505, è, come 'dicemmo, jl Martirio di San
Sebastiano a Panicale (1), per il cui saldo egli lotterà ancora nel 1507.
Né gli varrà imprestare alla Comunità 14 drappelloni da lui dipinti
per la processione del Corpus Domini: detta Confraternita addiverrà
alla quietanza totale unicamente per via legale.

In questo affresco oltre la solita-scena del santo legato ad una co-
lonna vi sono pure i saettatori in azione e sopra in alto in un ovale il
Padre Eterno benedicente. In quest'opera vi sono parti di collabora-
zione.

Il 1506 lo trova nuovamente menzionato nella III matricola dei
pittori perugini (2), ma essendo troppi i legami di dipendenza dalla
precedente immatricolazione, questa constatazione non costituisce
un elemento di capitale giudizio, come non lo è il suo mancato nome
in quella fiorentina. La prima parte dell'anno il pittore la passò a
Siena: la tavola Chigi lo reclamava: infatti egli ne fece la consegna
proprio nel giugno di questo anno. In questa tavola che non porta né
firma, né data, tuttora nella Chiesa di Sant'Agostino vi è Cristo in
Croce con ai piedi la Vergine, il Battista l'Evangelista, 5 santi e 2
angeli volanti. Della predella più alcuna notizia. Vasari nomina que-
sta tavola fra le prime opere eseguite dal maestro, ma egli non le
elenca cronologicamente

I pagamenti fatti dai frati della Santissima Annunziata sono in-
dizio che, tornato a Firenze, si era rimesso subito a questo lavoro, ma
neppure questa volta è una ripresa lunga. Vasari ci racconta nella
vita dei Sangallo un piccolo particolare proprio a proposito della DE
tura dell’ancona dei Serviti.

Il giovane Bastiano Sangallo «veduta in casa Medici la maniera

(1) Petrus de Castro Plebis pinxit MDV.
(2) CAnUTI, Perugino, Doc. 135.

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62 MARIA AURELIA MOCHI ONORY VICARELLI

di Michelangelo ne restò si ammirato che non volle più tornare a bot-
tega con Piero, parendogli che la maniera di colui a petto a quella del
Buonarroti fosse secca, minuta, e da non dovere in niun modo essere
imitata » (1). |

Inoltre all'incirca tra il 1506 e il 1507 e sempre a proposito di
detta esecuzione sarebbe avvenuto il diverbio fra il Vannucci e il Buo-
narroti, la cui maniera s'imponeva tanto che lo stesso Perugino — a
dir sempre del Vasari — aveva sentito il desiderio di conoscerne le opere.

Il « goffo in arte » che Michelangiolo avrebbe lanciato in pubblico
al maestro, urtato per apprezzamenti suoi poco benevoli, avrebbe de-
terminato da parte di quest’ultimo un ricorso al magistrato degli Otto.
Ricorso — Vasari conclude con una palese compiacenza — da cui Peru-
gino sarebbe uscito scornato.

Questo anedoto, forse anche dal brio della narrazione infioretta-
to, assieme ad altri elementi concomitanti, quali il fatto che tale qua-
dro è l’ultimo eseguito a Firenze, l'ironia con cui esso fu accolto dai
colleghi contemporanei, il capovolgimento delle due faccie della ta-
vola da parte dei Servi ed infine la chiusura della bottega fiorentina
effettuata nel 1507, ci appalesa come il buon nome del maestro tra-
montasse.

Tramonto limitato però alla Toscana e più particolarmente a Fi-
renze giacché il paese suo, glorioso di avergli dato i natali, desiderava
sempre più abbellirsi di opere sue. Dopo l'Oratorio dei Bianchi è la
volta (aprile 1507) (2) della Cattedrale i cui Canonici gli ordinarono
— tempo un anno — una tavola colla Vergine il Bambino e i loro Santi
Protettori, ma che non potranno ammirare che... nel 1514.

Rimanendo fino ad ottobre a Perugia, ove si seguitava a coltivare
la sua gloria ed a incensare la sua fama, gli piovve addosso un’altra
allocazione (giugno 1507) (3) da parte dei frati serviti di Porta
Eburnea per una Madonna di Loreto con due santi ora alla Nazionale
di Londra. Questo quadro, dovuto ad un benefico lascito, doveva es-
sere compiuto nello spazio di due mesi e con ogni probabilità fu com-
pletamente eseguito nel tempo prescritto. Ma come la data, così la

"|| (1) VASARI, Le vite, cit., tomo VI, pag. 433 (vita di Bastiano detto.
| i Aristotele da Sangallo).
i (2) CANUTI, Perugino, Doc. 431. Il notaio paesano è assai magnilo-
| : quente verso il concittadino «egregio et peritissimo in arte viro, Mag. Petro
| Cristoferi Vannuccioli etiam de Castro Plebis pictori singularissimo ».
(3) CanuTI, Perugino, Doc. 419.

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IL GUSTO E L'ARTE DI PIETRO PERUGINO 63-

mano è incerta e viene da alcuni critici creduta opera di bottega. Di
essa è perduta la predella.

Mentre il Cambio gli faceva il saldo per i suoi affreschi, nuove
preoccupazioni, nuove liti gli derivavano dai mancati pagamenti ol--
tre che per il San Sebastiano di Panicale (settembre 1507) (1) an-
che per uu gruppo di 14 drappelle e due quadri — tutto perduto — ordi-

. natigli da uri tale Angeluccio da Macinara (2).

Nel novembre 1507 il pittore passò la procura (3) per l’accor-
do coi frati serviti dell'Annunziata a Baccio d'Agnolo: indice questo
che la grande tavola era finita.

Questa ancona non rimase lungamente nel suo assieme architet-
tonico e decorativo cosi come non vide la luce nella maniera in cui il
pittore aveva stabilito. I buoni frati, infatti misero l'Assunzione
«tanto ordinaria » (4) verso il coro e non verso la chiesa.

Per ragioni di culto già fin dalla metà del 1500 fu smontata e le
sue parti, separandosi, ebbero differenti destini. Adunque nella tavola
centrale (lato chiesa) vi era la Deposizione di cui Filippino Lippi fece
la parte superiore ed il Perugino l'inferiore col gruppo delle sante
Donne, la Maddalena e gli Apostoli (ora agli Uffizi); mentre in quella

di uguali proporzioni, volta verso il coro, l'Assunzione al cielo di Maria.-

Questa tavola passò dall'Altare Maggiore ad una cappella late-
rale (Cappella Rabatta). Inoltre le tavole rettangolari con Santi, con
ogni probabilità laterali alle centrali, finirono due al Palazzo Ducale
di Meiningen e due nella raccolta Lindenau in Altemburgo.

Delle quattro tavole quadrate non se ne conosce né il soggetto:
né la sorte.

Questo assieme di opere manca della firma del maestro e della
data e varii sono i nomi di eventuali aiuti (Francesco di Niccolò, An-
drea d'Assisi...).

Allo scoprimento di quest'opera il Vasari (5) ci narra che «fu
da tutti i nuovi artefici assai biasimata, e particolarmente perché si
era Pietro servito di quelle figure che altre volte era usato mettere in
opera: dove tentandolo, gli amici suoi dicevano, che affaticato non

(1) CANUTI, Perugino, Doc. 383.

(2) CANUTI, Perugino, Doc. 425-426.

(3) CANUTI, Perugino, Doc. 405. In questo documento l'indicazione
del nome del maestro é al completo « Magister Petrus olim Cristofori de Castro
Plebis, districtus Perusii pictor, vulgariter nuncupato el Perugino dipintore »..

(4) VASARI, Le vite, cit., tomo III, pag. 586.

(5) VASARI, Le vite, cit., tomo III, pag. 586.
119,

qo MARIA AURELIA MOCHI ONORY VICARELLI

s'era, e che aveva tralasciato il buon modo dell'operare o per avari- -
zia o per non perder tempo ». Ai quali Pietro rispondeva: « Io ho messo
in opera le figure altre volte lodate da voi, e che sono infinitamente
piaciute: se ora vi dispiacciono e non le lodate, che ne posso io ? Ma

coloro aspramente con sonetti e pubbliche. villanie lo saettavano ».

Con il 1507 adunque, chiusa la sua bottega in Borgo Pinti, aper-
ta all’incirca nel 1493-94, Vannucci terminò la sua attività toscana.
Venezia non aveva ancora veduto neppur cominciato in ben 13 anni -
il famoso « teller » per il quale i Provveditori del Sale avevano pat-
tuito 400 ducati, rappresentante la fuga di Papa Alessandro IH
perseguitato dal Barbarossa, e i ritratti oa dogi e la battaglia di Le-
gnano.

Nella lagnanza che esprimono i detti provveditori non si intra-
vede per ora quale fosse la causa della non esecuzione (1).

Verso la metà del 1508 in Roma egli dipinse assieme i altri pit-
tori, quali Raffaello, il Sodoma, il Peruzzi; il Signorelli, il Pinturicchio,
ed altri minori alcune stanze dell’appartamento di Giulio II in Vati-
cano. Nel soffitto della stanza che poi prese il nome di Stanza dell’ In-
cendio di Borgo dipinse, in quattro tondi, figurazioni bibliche ed evan-
geliche di significato discusso.

Di questo nuovo periodo romano ci tramanda memoria: Vasari
che lo fa alloggiare col Sansovino presso Domenico della Rovere (Car-

. dinale di San Clemente).

Questo ricordo, nell'opera vasariana affiora non solo nella vita
del Vannueci ove loda sopratutto i fogliami di chiaroscuro, i quali
ebbero al suo tempo nome straordinario di essere eccellenti (2) «ma
bensi nella vita del Sansovino dal quale l'umbro si sarebbe fatto fare
molti modelli in cera e fra i quali un Cristo deposto dalla Croce tutto
tondo con molte scale e figure che fu cosa bellissima » (3). Anche nella
vita del Sodoma (4) nomina nuovamente questo lavoro dell'umbro
e narra del rispetto portatogli da Raffaello.

Bartolomeo Caporali (5) lo fa commensale col. Signorelli e col
Pinturicchio ad una cena in casa di Bramante.

(1) LoRENZI G. B., Monumenti per servire alla storia del Palazzo Ducale

di Venezia, 1896, CANUTI, Perugino, Doc. 296.

(2) Vasanr, Le vite, cit., tomo III, pag. 579.

(3) Vasanr, Le vite, op. cit., tomo VII, pag. 490 (vita Sansovino).

(4) VASARI, Le vite, op. cit., tomo VI, pag. 385 (vita Sodoma).

(5) CAPoRALI BARTOLOMEO, Commento a Vitruvio, Perugia, 1536. pag.

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IL GUSTO E L'ARTE DI PIETRO PERUGINO . 65.

Questi tondi sarebbero le pitture che, secondo Vasari (1) sa-
rebbero state risparmiate da Raffaello, quando il pontefice Giulio II
avrebbe licenziati tutti gli altri artisti, affidando tutta la decorazione
al Sanzio ed ordinandogli di sopprimere il già eseguito. -

Probabilmente di questo periodo oscillante dal 1506 al 1510 (pur |

rimanendo in parte opere di collaborazione) sono San Giacomo della
Marca, della pinacoteca di Perugia, San Antonio da Padova di Santa
Croce di Firenze, San Girolamo penitente della pinacoteca di Peru-
gia, la tavola Vieri di Siena che Vasari (2) dice « bellissima » ma di cui
nou si conosce né data di allocazione, né contenuto, essendo perita in
un incendio, ma per cui nel 1510 era stato fatto un arbitrato (3);
la Madonna con Bambino, S. Giovanni e due angioli alla pinacoteca
di Nancy (firmata), ed infine la tavola cou l'Ascensione di Gesü in
cielo per la Badia di San Sepolcro ordinatagli dall'abate Simone Gra-
ziani, tuttora alla Cattedrale di San Sepolcro. A. questa tavola Va-
sari (4) accenna con questa frase « fece in Firenze, che fu portata poi
in S. Gilio del Borgo sulle spalle dei facchini con spesa grandissima».
È la vieta composizione a piani del maestro e cioè Cristo ascen-
dente in una mandorla fra angioli musicanti e volanti ed in basso gli
Apostoli, la Vergine ed infine S. Paolo rappresentato a mó di spetta-
tore.
. Tutte queste opere non portano né data né firma. La collabora-
zione della bottega è notevole. |
Ed infine si possono ascrivere a questo scorcio di anni pure l'As-

.sunzione di Maria, opera pur essa né firmata né datata, in pessime

condizioni per malintesi restauri, ordinatagli dal Cardinale Caraffa
ora alla pinacoteca di Napoli (5) e la Vergine con Gesü benedicente
Santa Rosa e Santa Cedo. con firma (6) ma senza data della
Galleria di Vienna.

‘Perugino trascorre gli anni 1509-1513 quasi sempre assente da

Firenze, né sempre è facile stabilire la sua residenza, ovvero documen-

(1) VASARI, Le vite, op. cit., tomo IV, pag. 361.

(2) VASARI, Le vite, op. cit., tomo III, pag. 576.

(3) CANUTI, Perugino, Doc. 427.

(4) VASARI, Le vite, cit., tomo III, pag. 578.

(5) F. Baldinucci parlando di Vincenzo Corso lo dice allievo di P. Peru-

‘gino, giacché egli andò a trovare Pietro Perugino venendo a Napoli il detto :
a fare l’Assunta. Notizie dei professori del disegno da Cimabue in quà, DRE ;

1681, vol. IV, pag. 297.
(6) Petrus: Potusintis "insit: EE

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66 MARIA. AURELIA MOCHI ONORY VICARELLI

tare la sua attività. Rapide furono le apparizioni nella città dell'Arno
anche se veritiero é il ricordo del Vasari (1) essere egli stato estima-
tore di una Annunziata di Mariotto Albertinelli nel 1510.

Le « butteghe » del Sopramuro di Perugia reclamavano ormai la
sua presenza continua, sia per la quantità di allievi, sia per la copio-
sità delle commissioni.

Nel giugno 1513 i frati di Sant'Agostino di Perugia rientrarono
in trattative dirette col pittore, riallacciandosi al vecchio contratto
del 1502. S'intuiscono che ragioni di contrasto devono aver indotto
alla stesura di un nuovo atto.

I monaci speravano vedere finita, secondo il contratto (2), nel-
l'aprile 1513 la grande ancona, per la quale non avevano certo guar-
dato a spese. Né immaginavano che proprio a loro toccasse vedere
interrotto, dalla morte del pittore, il monumentale lavoro.

Che alcunché avesse fatto nel decennio 1502-1512 lo dice chiaro
il, gruzzolo di già percepito. Quindi quest'opera che male si ricostrui-
sce e di cui dubbiosamente si sa il numero delle tavole diviene l'espo-
nente dello sviluppo della maniera peruginesca durante un ventennio,
riallacciando il periodo centrale a quello suo ultimo.

Un'altra incombenza i frati gli danno: il disegno per la cassa
che doveva costruire il legnaiolo Giovanni Battista alias Bastone di
Cecco: (3).

Tutto questo lavoro gli procuró una buona scorta di risparmi,
sicché verso la fine del 1512, Vannucci pensó assicurare i denari depo-
sitati presso il banco Salviucci acquistando due poderi nei pressi di
Castel del Piano (4).

Interessante è qui ricordare, dato che si parla delle finanze del
pittore, l'anedoto che Vasari ci tramanda e che non fa-che lumeggiare
la sua figura di uomo.

Pare che l’artista sia stato una volta, nella sua vecchiaia, assal-
tato da ladri. « Soleva Pietro, sì come quello che di nessuno si fidava,
nell’andare e nel tornare dal detto Castello a Perugia portare quanti
danari aveva, sempre addosso; perché alcuni, aspettandolo a un passo,
ma raccomandandosi egli molto, gli lasciarono la vita per Dio, e dopo,

: (1). VASARI, Le vite, cit., tomo IV, pag. 224.
(2) CANUTI, Perugino, Doc. 465.
(3) CANUTI, Perugino,. Doc. 466.
(4) CANUTI, Perugino, Doc. 437-48. I fratelli Salviucci si conservarono.
peró il diritto per tre anni di riacquistare detti poderi allo stesso prezzo.

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IL GUSTO E L'ARTE DI PIETRO PERUGINO 67

adoperando mezzi ed amici, che pur n'aveva assai, riebbe anco gran
parte de’ detti danari che gli erano stati tolti; ma nondimeno fu per
dolore vicino a morirsi (1) ». La freschezza del racconto ci fa pen-
sare che esso sia stato raccolto dalla viva voce del popolo e che assai
diffusa fosse tra i contemporanei l'opinione dell'attaccamento al de-
naro del maestro. È

La tela con Sant'Antonio per la chiesa omonima dei francescani
di Bettona ed ora nella raccolta cittadina ordinatagli quale voto da
un tale Bartolomeo di Pietro Maraglia, capitano dei Baglioni,
ché liberato da prigionia, dovette essere eseguita nel 1512;

Lo arguiamo dalla seritta dedicatoria che porta pure il nome degli
esecutori (2).

Un nuovo lavoro attendeva il maestro nel dicembre 1519.

Corciano, borgata non lontana da Perugia, voleva per la sua
chiesa maggiore una tavola dipinta «cum auro et coloribus finibus
et bonis, prout tabula Mag. ae Alexandrae Simonis de Oddis...»
e cioé gli prescriveva di copiare una tavola di Raffaello! E poi la
voleva in fretta e furia non concedendo piü di sei mesi di tempo.
Sicché questa Assunta in cielo con gli Apostoli con «frigiis et festiis
aureis (3) puó pensarsi eseguita in questo 19 semestre dell'anno 1513.
Essa è ancora posta nella stessa chiesa, mentre la predella (non vi
è firma né data né nella tavola né in questi pannelli) assai rovinata
è ritirata in sacrestia. Dai più è ritenuta in gran parte opera di bot-
tega. i

I priori del Cambio, frattanto vollero da lui un disegno per una
navicella d’argento con ornamento di figure, cavalli, fogliame, da farsi
eseguire dall’orafo Mariotto di Marco (4).

Nulla ci rimane del disegno ma è da supporre che dovette pia-
cere giacché in capo a due mesi la richiesta fu rinnovata e questa se-
conda volta l'esecutore doveva essere l'orafo Federico detto il Ro-
scetto (5). Assorbito dall'ancona agostiniana Perugino aveva fatto

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(1) VASARI, Le vite, cit., tomo III, pag. 589.
(2) Boto de Maraglia Da
Peroga, quando fo’ pregio
ne de franciosi
e fo a di XI febbraio MDXII
Petrus pinxit de Castro Plebis.
(3) CANUTI, Perugino, Doc. 430.
(4) CANUTI, Perugino, Doc. 518.
(5) CanuTI, Perugino, Doc. 519.

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68 MARIA AURELIA MOCHI ONORY VICARELLI

trascorrere in Umbria gli ultimi mesi del: 1513, ma allo scadere di que-
sto anno si direbbe che egli pensasse andarsi nuovamente a stabilire a

-. Firenze, residenza della sua famiglia; giacché lo vediamo rendere al-.

l'Ospedale della Misericordia le chiavi delle botteghe che affittava
da tanti anni (1 genn. 1501-17 dic. 1513) (1).

Ma, anche se questa fosse stata la sua intenzione, gli impegni lo
legavano alla regione umbra.

L'affresco con la Vergine, il Bambino e sei siti per San Martino in
Campo (2), paesetto vicinissimo a Perugia, un altro con Sant'Antonio
e due santi ordinatogli dalla. Confraternita di San Salvatore del suo
paese, per la Chiesa omonima (3), dovettero essere compiuti nel 1514.

Entrambi questi affreschi furono portati su tela, ma il primo
qualche anno fa scomparve, il secondo è tuttora nella chiesa stessa.

‘Non. sono firmati né datati.

Inoltre dall'« egregio et peritissimo in arte viro Mag. Petro Cristo-
fori Vannuccioli etiam de Castro Plebis pictoris singularissimo » (questa
è la designazione usata nell'allocazione del 1507) viene finita la tem-
pera colla Vergine, Bambino e quattro Santi Protettori per la Catte-
| drale di Città della Pieve, tavola in cui sì compiacque scrivere per ex-
tenso il nome e la data (4) benché sia opera di collaborazione. Essa
è tuttora nel Duomo (già S. Gervasio) per cui fu dipinta, mentre si
ignora la sorte del timpano (Padre Eterno con angeli) e della predella.

Questi anni che vanno dal 1514 alla fine del 1519 si possono dire

trascorsi quasi di continuo in Umbria ora a Città della Pieve, ora a -

Perugia.

Rare e brevissime sono le corse a Firenze, di cui degna di nota é
quella del luglio del 1515, giacché durante tale sua permanenza fa ac-
quisto di una sepoltura per sé e per i suoi (5). |

Purtroppo dopo il 1506, come già vedemmo in parte, pur sapendo

che il maestro è oberato dal lavoro, poche sono quelle opere che senza

discussione siamo certi siano sue, in quasi tutte c'é il dubbio che parte-
cipino della mano di aiuti o siano addirittura esecuzioni di bottega.
Inoltre pochissimi sono i riferimenti sicuri che noi possiamo stabilire

(1) CANUTI, Perugino, Doc. 548.

(2) CANUTI, Perugino, Doc. 436.

(3) CANUTI, Perugino, Doc. 449.

. (4) Petrus Christoferi de. Castro Plebis pinxit MDXIIIL

(5) CANUTI, Perugino, Doc. 450-55. Tale tomba, la cui lastra énbsla

andò perduta in un rifacimento del pavimento, era vicina alla Cappella. Fal:

conieri nella chiesa della SS. Annunziata.

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IL GUSTO E L'ARTE DI PIETRO PERUGINO . 69.

nella sua attività, a noi resi cogniti dalle date stesse apposte ai suoi
quadri e da documenti. Sicché nell'operosità di questi ultimi anni del
maestro divisa in periodi più o meno ampi e delimitati ‘vengono a
formarsi dei riempitivi con quella schiera di opere che ragioni stilisti- LO
che fanno oscillare in questo scorcio di anni.

Perugino in tutti questi anni che vanno dal 1494 al 1513 non
aveva mai eseguita la famosa fuga di Alessandro ITI e la battaglia di
Legnano per la sala del gran Consiglio di Venezia. E della mancata ese-
cuzione se ne valse Tiziano per fare richiesta nel 1515 al ODD dei
Dieci onde venisse a lui allocata quest'opera.

Dopo alterne vicende a causa dell'invidia degli altri pittori e re-
lativa denuncia di disonestà di costoro sporta dal Tiziano, nel gennaio
1516 il Vecellio, scrisse al Serenissimo Principe «habia per mio paga-
mento la metà de quelo altre volte fu promesso al Peroscin che do-
veva depenser el detto tenner, che sonno ducati 400 che lui non volse
farlo con ducati octocento » (1) e a seguito di tale profferta a lui fu
dato quanto chiedeva.

Questa notizia verrebbe: a confermarci una volta di più la debo-
lezza del Vannucci per le ricchezze.

Non sappiamo se Tiziano abbia avuto contezza di questo retro-
scena ‘veneziano da qualche documento del tempo a noi non perve-
nuto; ma è certo che egli può averlo despite dalla voce del popolo
ancora freschissima.

Al gruppo degli anni 1514-19 possiamo ascrivere la Trasfigura-
zione per la Chiesa dei Servi a Porta Eburnea, per la quale opera tro-
viamo dei lasciti e pagamenti da parte di una tale Adriana Signorelli
vedova Graziani e di un tale Latino di Cristoforo nel 1517-18, ma

non si sa se tali elargizioni furono fatte ad opera cominciata ovvero
compiuta.
..Demolita:la. Chiesa, questa tempera, neppure firmata migró a
Santa Maria Nuova (Cappella Graziani) ed ora trovasi in pietose
condizioni assieme alla sua predella (Annunciazione — Natività —
Battesimo) nella pinacoteca della città (2). Molti studiosi vedono un
largo concorso degli allievi. —
La data del 1517 che sussiste nei mutilati affreschi che decora-

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: (1) LoRENZzI, G. B., Monumenti -per servire alla storia:del Pal. Ducale
di: Venezia, 1896, pag. 165, CANUTI, Perugino, Doc. 354.

(2) CaNvmI, Perugino, Doc. 456-457.

Vasari la nomina niente di meno che con l'Adorazione dei Magi del 1475,
la prima opera che si vuole del Maestro.

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70 MARIA AURELIA MOCHI ONORY VICARELLI

vano l'intiera cappella di Santa Maria della Stella della Chiesa dei

Servi a Città della Pieve ce li fa ascrivere a questo gruppo di anni (1).

Essi rappresentavano la Discesa dalla Croce, il Cristo sorretto in

grembo dalla Vergine ed Apostoli, il Seppellimento, l'Annuncia-
i: zione. Solo della prima scena rimangono talune parti.

Ragioni d'ordine pubblico legavano inoltre Perugino alla. sua
terra umbra. Lo troviamo dapprima (e ne fa fede un'assenza e rela-
tiva multa) (2) facente parte del Consiglio maggiore del suo paese;
nel giugno Perugia lo nomina per il secondo semestre camerlengo
della comunità dei pittori (3).

Un processo con un perugino era poi inoltre in corso. Non se ne :
conosce il movente (4).

Del 1518 é il martirio di San Sebastiano eseguito per S. France-
sco dei Conventuali di Perugia, opera a tempera oltremodo danneggia-
ta e ridipinta nel 1800 (ora Galleria di Perugia) che porta la data di
esecuzione tacendo però l'esecutore (5). Ma non c'é dubbio che essa
si debba in buona parte all'opera degli aiuti !

Stando alla quietanza (6) pare che pure in quest'anno il vec-
chio pittore sia venuto finendo un altro quadro di cui si ignora il sog-
getto per San Francesco al Monte. !

Inoltre i priori vollero da lui il disegno per un portale in pietra
di una sala del loro palazzo (7).

Da molti anni ormai Perugino si trascinava dietro la tavola di
Sant'Agostino: questa allocazione era nata disgraziata | All'ardore
del 1513, quando ancora fresco era il rinnovellamento del contratto,
segui un periodo di tale trascuranza per quest'ancona che i frati ir-
ritati nel 1520 gli tolsero l'incombenza della cassa (8) per affidarla
a maestro Eusebio da S. Giorgio e furono titubanti di togliergli pure
l'ancona stessa.

La ragione di questa sua lentezza é la solita: le troppe commissio-
ni accettate non solo contemporaneamente, ma anche. in luoghi lon-

(1) C'é un frammento di epigrafe che dice: esta opera fero dE la
compania della Stella cossi ditta in li anni Domini MDXVII Petr.

(2) CANUTI, Perugino, Doc.. 538.

(3) CAaNUTI, Perugino, Doc. 533.

(4) CANUTI, Perugino, Doc. 447.

(5) La data è A. D. MDXVIII - Vasari non la nomina.

(6) CanuTI, Perugino, Doc. 459.

(7) CANUTI, Perugino, Doc. 520.

(8) CANUTI, Perugino, Doc. 470-71.

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IL GUSTO E L'ARTE DI PIETRO PERUGINO 71

tani. Infatti ai primi di marzo 1521 eccolo a Spello con le sue « cose
da pengere » (1) ove «promisit facere et finire infra duos menses
proximos venturos incipiendo dicta die», due affreschi in Santa
Maria Maggiore, uno colla Madonna Bambino e santi, l'altro con la
Pietà e santi (di buona conservazione).

Per essi oltre a 25 ducati d'oro, i Canonici dovevano « dare stan-
tiam, lectum, pannos, panem et vinum et oleum et lignia pro sua
oportunitate » A tale lavoro l'artista si mise subito e deve averlo
compiuto nel tempo prescritto, come le iscrizioni con la data e firma
tuttora ce lo mostrano (2).

Era a Spello in quel tempo anche Rocco da Vicenza per il quale
e per il Perugino il Camerlengo «arinvitandolo » fece ammanire il
«capretto » come ricorda il suo libro conservato nell'archivio della
‘Chiesa di S. Maria (3).

Finito questo lavoro, riprese la via di Perugia ove nel maggio
| del 1521 finiva gli affreschi incominciati da Raffaello nel 1505 a San
Severo. Da un'iscrizione (4) di un contemporaneo sappiamo la data
e la parte fatta dal Perugino e cioé i sei Santi (Scolastica, Girolamo,
Giovanni Evangelista, Gregorio, Bonifazio, Marta) ai lati della nic-
chia; figure in assai cattivo stato.

Ad un suo nuovo allontanarsi dalla città, il malumore dei frati
di Sant'Agostino esplode. A Trevi ove nel settembre era andato ad
affrescare in Santa: Maria delle Lacrime lo raggiungono le loro rimo-
stranze e la notifica di aver scelto un perito onde valuti la parte ese-
guita (5). Nuove promesse, nuovo prolungo, nuovo atto (6).

A Natale avrebbe dovuto finalmente essere finita l'ancona. Ma

(1) CANUTI, Perugino, Doc. 483-84."

(2) Nella tempera colla Vergine in trono e santi c’è scritto: « Expensis
Johannis Bernardelli A. D. MDXXI Die XXV aprilis ». Nella Pietà sul pie-
destallo « Michelangelus Andine » e nei cartelli « Petrus de Castro Plebis pinxit
A. D. MDXXI» .

(3) CanuUTI, Perugino, Doc. 485.

(4) L'iscrizione che riguarda il Vannucci è la seguente:

Petrus de Castro Plebis

Perusinus, tempore Domini

Silvestri Stefani Volaterrani,

A destris et sinistris div. Cristi-

pherae, sanctos Sanctasque pinxit

A. D. 1521.
5) CANUTI, Perugino, Doc. 486-87-88-473.
(6) CANUTI, Perugino, Doc. 475.
72 : MARIA AURELIA MOCHI ONORY VICARELLI

invece cali vede tramontare il 1521 sempre a Trevi, intento nell'Ado-

razione dei Magi, affresco tuttora nella chiesa, che è è oggetto dei pit

svariati giudizi. .

Il pittore lo degnó della sua-firma (D ma non vi pose la data.

Né durante quel poco che ormai visse affiorano documenti o ri-
cordi che egli riprendesse a lavorare alla monumentale opera agostinia-
na. Solo dopo la sua morte nel 1524 fra i figli ed il convento si addiven-
ne ad una transazione in cui oltre ad.un pagamento in denaro, per le
parti compiute i frati dovevano portare la ‘salma del Vannucci dal
luogo della morte a Perugia e seppe nella loro chiesa, (2) clau-
sola che non fu poi eseguita (3).

Quindici dovevano essere per ogni faccia fra grandi e piccole le
tavole di questa ancona. Verso la Chiesa la tavola centrale col Bat-
tesimo di Gesù, ai suoi lati due santi, tavole tutte racchiuse in tre
arcate. Sopra questi archi due tondi con Evangelisti e un quadrato
con l'Eterno Padre. -

La disposizione della faccia verso il coro era analoga: la tavola
centrale colla Natività di Cristo, ai lati PARE nei tondi -Evangelisti,
nel quadrato Pietà.

La predella, simile nelle due fronti era istoriata con scene e santi.
Così pure la cassa.

Smontata nel xvn secolo la macchinosa cornice i quadri si spar-
pagliarono. ;

Della faccia. verso la Chiesa: il Battesimo, l’Eterno Padre, i due
tondi e 7 tavolette:-della predella sono alla pinacoteca di Perugia, men-
tre le due tavole con santi sono una al museo di Lione e l’altra alla
galleria di Tolosa.

Della faccia verso il Coro: la Natività, una tavola laterale con
Santo, due tondi, 5 tavole della predella, sono alla pinacoteca di Peru-
gia, l’altra laterale è al museo di Grenoble, la tavola quadrata colla:
Pietà a San Pietro di Perugia, una tavola della predella è al Louvre
e della cassa l’Angiolo annunziante è alla pinacoteca cittadina, men-
tre l'Annunziata, già a Strasburgo, andò distrutta. |

La mole cosi imponente di quest'opera richiese gran numero di

(1) Petrus de Castro Plebis pinxit
Scrisse pure i seguenti versi; ——
Tu sola in terris genitrix et Virgo fuisti
Regina in coelis tu quoque sola manes.
(2) CANUTI, Perugino, Doc. 477.
(3) CANUTI, Perugino, Doc. 478.
IL GUSTO E L'ARTE DI PIETRO PERUGINO 73

aiuti e sicuri possiamo ricordare Bartolomeo di Giovanni, Eusebio
da San Giorgio. Sicché in quest'opera, oltre ad assistere all'evoluzione
penosa della sua maniera nello scorrere di 20 anni, dobbiamo larga-
mente ammettere aiuto e collaborazione.

Sono dovute alla sua mano, con qualche parte da di col-
laborazione, le due tavole principali con il Battesimo e la Natività e

le due quadrate con la Pietà e l'Eterno Padre. Queste tavole infatti, |

nello strascico di anni in cui si protrasse questa esecuzione furono cer-
tamente le prime eseguite e con ogni probabilità non deve averci la-
vorato dopo il 1513.

Si ascrivono agli anni 1514-1520 altre opere che né documenti né
date né firme illuminano e che per lo più passano per opere di colla-
borazione. Le nominiamo perché esse fanno parte ed integrano questa

fase della parabola della attività del maestro; il Battesimo e Pa-
dre Eterno della Nunziatella di Foligno, affresco dipinto su una
superficie concava, in cui vi è traccia di una iscrizione (1); il Pre-
sepio eseguito e tuttora conservato in San Francesco a Montefalco
in collaborazione con Francesco Melanzio, con ai lati l'Annunziata
e l’Annunziante ed in alto il Padre Eterno fra gli angioli. Anche i
lavori di Fratta (Umbertide), ricordati dal Vasari sarebbero di tale
epoca e dei quali non rimane traccia. Non esiste più neppure — sempre
di questi anni —l'affresco con la Vergine, il Bambino, San Giovanni,
le Marie, San Lorenzo e San Jacopo fatto per la cappella del Crocifis-
so del Duomo di Perugia, ricordato pure dal biografo aretino (2).

Altra opera in Perugia che gli è attribuita, è la tavola conservata
nel Monastero di Sant'Agnese. Essa rappresenta la Madonna delle
Grazie con due santi, Sant'Antonio da Padova e S. Antonio Abbate,
nella quale, oltre alle iscrizioni tuttora visibili il Mezzanotte dice avreb-
be letto 1522 (3).

" Siamo ora alle ultime sue estrinsecazioni.

Fu in Fontignano, paese non distante da Perugia, che egli chiuse |

la sua operosità.

(1) Vi sono frammenti di iscrizione che dicono «opera Petri... Deo
. et Johanni Baptistae sacrum pietate Johannis Baptistae Morganti ».

(2) VASARI, Le vite, cit., tomo III, pag. 581.

(3) MEZZANOTTE A., Della Vita e delle opere. di P. Vannucci, E usla;
1836, pag. 163. i

Sotto la parte principale Vi è è scritto Suor Eufrasia e suora Teodora fece
| fare. Sotto la parte laterale « Suora Eufrasia fece fare » e « Suora Eustochia
fece fare » e la data MDXXII letta dal Mezzanotte ed ora scomparsa.

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Nella chiesa parrocchiale eseguì varii affreschi, e cioè nelle pareti

della chiesa due Madonne con Bambino delle quali quella di sinistra

trasportata su tela alla fine del xix secolo andò dispersa. Rimane nel
suo luogo d’origine quella del lato destro, un tempo coperta di bianco,
ora scoperta ma in rovinose condizioni. In quest'opera oltre al nome

del committente vi é la data 1522 (1).

Nello spessore dell'arco, S. Rocco e S. Sebastiano anch'essi prima
imbiancati poi staccati furono, in un secondo tempo, venduti e di-
spersi.

Nell'arco in: fondo un Presepio — trasportato su tela è ora alla
Nazionale di Londra — mostra alcune parti incompiute.

Da Fontignano Pietro Perugino non tornò più a Perugia, BieiGeHé
le peste, che si era diffusa in questi anni, lo colse sulle impalcature

del Presepio tra il febbraio ed il marzo 1523.

Quanto scrisse il Vasari (2) «Finalmente venuto Pietro in
vecchiezza d'anni 78 fini il corso della vita sua nel Castel della Pieve,

dove fu onoratamente sepolto l'anno 1524 » fece sorgere dubbi del
luogo ove si spense: dubbi che si dileguarono quando venne ritrova-

to (3) l'atto di transazione tra i figli ed i frati di Sant’ Agostino «etiam
facere portare ad civitatem Perusiae cadaver dicti Magistri Petri,
sumptibus dicti monasterii, videlicet. quoad vetturam tantum, ex
Castro Hospitalis Fontignani: et dictum corpus et cadaver sepelire
in Ecclesia S. Augustini » (4).

Ma se ormai è sicuro il luogo ove mori, non altrettanto è quello.

ove fu sepolto. Consta infatti che i frati agostiniani non adempiro-

ronola clausula del trasporto, e che i figli, i quali nel 1525 rilasciarono

ad essi la quietanza finale, non la pretesero (5).

Il racconto fattoci dal Padre Giappesi che attraverso il ricordo
di due ottuagenari del luogo, si riporta all'epoca della morte del Van-
nucci, ci narrà che « passó ivi all'altra vita senza sacramenti e perció

fu seppellito in luogo profano distante dalla Chiesa e vicino alla stra-

da ov'é una quercia e di presente si vedono alcuni sassi adunati. Ma

(1) Angniolus Toni Angeli fecit fieri MDXXII.

(2) VasaRI, Le Vite, cit., tomo III, pag. 589^

(3) L'atto fu ritrovato seguendo un'indicazione del GrAPPEsr, Libro dei
ricordi o Diversorum, manoscritto redatto fra il 1689 e il 1710 che trovasi
presso la chiesa di Sant'Agostino in Perugia, e pubblicato per primo dal Ma-
riotti Annibale nel 1788 nelle Lettere Pittoriche, pag. 182.

(4) CANUTI, Perugino, Doc. 477.

(5) CANUTI, Perugino, Doc. 478.
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IL GUSTO E L'ARTE DI PIETRO PERUGINO 5 75

li confratelli della Compagnia aggregata a quella Chiesa, a spese e ad
istanza dei quali Pietro haveva dipinto, dopo qualche tempo lo disu-
marono e lo seppellirono vicino alla muraglia della Chiesa che sup-
pongo sia luogo di cimitero poiché in quel tempo non era introdotto
così frequentemente l'uso della sepoltura dentro la chiesa, massime '
non regolari. E dalle memorie antiche si raccoglie che allora corre-
vano tempi calamitosi per le guerre e contagio onde da questi puote
essere che fosse frastornata la traslazione, già convenuta con li Padri
di S. Agostino di Perugia, e si concertassero di locarlo in luogo sacro,
più comodo, e. vicino dove era morto ».. . (1).

Pare poi — queste sono notizie dubbie — che un parroco ingranden-
do-la chiesa abbia trovato delle ossa fuori del muro e raccoltele le ab-
bia sepolte, cosi narra la tradizione viva nel paese « in una fossa sca-
vata nello scoglio lungo il muro del nuovo tratto di Chiesa allun-
gato» (2). Nel 1911 in tale sito furono ritrovate ossa che vennero sep-
pellite nella Chiesa e nel 1929, pur non potendo garantirne l'autenti-
cità, ad ogni buon conto, fu messa una lapide.

I figli di Pietro superstiti alla sua morte, Giovan Battista, Fran-
cesco, Michelangelo, Paola e Giulia dovevano essere rimasti a Firenze
colla madre, anche dopo la morte dell'artista se un atto riguardante
l'eredità paterna é rogato nove mesi dopo in tale città (3).

Nati e cresciuti a Firenze non avevano alcun legame che li atti-
rasse al paese d'origine, infatti alla fine dello stesso anno 1523 vendettero
terreni, campi e perfino la casa « eorum olim solitae abitationis » (4).

Chiara Fancelli, la bella moglie, ebbe qualche intenzione di pas-
sare a seconde nozze ? Un documento celo fa intravedere parlandoci di
«seconda vota » (5). Di lei abbiamo uno scambio di lettere colla mar-
chesa Gonzaga per offrirle nel 1524 « vulcano che copre con la rete ve-
nere e Marte» (6), opera del maestro che la gentildonna non comperò.

Essa mori nel 1541 e fu sepolta nella tomba già acquistata dal

Vannucci nella Chiesa dell'Annunziata di Firenze (7).

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(1) GrAPPESI G., Liber diversorum, Capit. XIII.

(2) Tradizioni riportate da Bellucci A. « Umbria », anno V, fasc. IX-X
pag. 69.

(3) CANUTI, Perugino, 494.

(4) CANUTI, Perugino, Doc. 48.

(5) CanUTI, Perugino, Doc. 494.

(6) CANUTI, Perugino, Doc. 189-190. Non si sa dove quest'opera sia
andata a finire.

(7) CANUTI, Perugino, Doc. 504.

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76 "^ MARIA AURELIA MOCHI ONORY VICARELLI

Assai interessante per la vivezza con cui è raccontata, è la noti-
ziola che il pittore romano Gaspare Celio ha apposto su un esemplare
2 dell'opera Vasariana (I edizione). «Quando Pietro stava per morire
gli fu detto che era necessario che si confessasse. Pietro rispose io vo-
glio vedere come starà di là un anima che non si sia confessata, né si
volle fare altro; per lo che si fu sepolto fuori in un campo dove li paren--
ti poi fecero dipingere una Maestà » (1). E dice di averlo saputo da
un altro pittore Nicolò Circignani detto Pomarancio che aveva la
moglie « parente di quella di Pietro ». — :
Costui aveva sposato nel 1569 una donna (Teodora Catalucci) di
Città della Pieve e ivi egli stesso mori nel 1598. Piü che imparentata
con Chiara Fancelli fiorentina, una relazione fra cotesta Teodora con
la famiglia pievese del Vannueci puó essere intercorsa. Fra il Poma-
rancio e il €elio ci poterono essere rapporti di conoscenza, e di questo
particolare, cognito al primo o da ricordi di pafentela o da racconti
di popolo, puó darsi benissimo abbiano discorso fra di loro. Ma nulla
é precisabile.
Quanto é certo é che a. tempo di peste si seppelliva assai di pre-
mura, e dato il numero dei morti occorrevano campi supplementari
a quello prestabilito. Ma questo non spiega minimamente, perché
pochi anni dopo la sua morte Vasari poteva raccogliere e traman-
darci la notiziola della incredulità dell'artista il quale dotato di « cer--
vello di porfido » avrebbe ricusato «ogni buona via» (2).

Né si può imputare, con una qualche documentazione storica, al
rogo del Savonarola questa posizione spirituale dell’artista di fronte
ai problemi religiosi. In nessun modo la sua vita offre particolari da
poter vedere scosso l'animo suo di fronte a questo avvenimento. Va--
sari insiste assai sull’attaccamento al denaro che avrebbe, durante
tutta la sua vita, dimostrato il pittore, il quale non si sarebbe mai
«curato «di freddo, di fame, di disagio, d'incomodità, di fatica, né di
| vergogna, per poter vivere un giorno in agio e riposo » e che «aveva ‘
ogni sua spéranza ne’ beni della fortuna » (3).

Questo. giudizio attraverso l'accumularsi delle ordinazioni, l'ac-
cavallarsi delle opere, tirate via alla brava pur di averne ultimata
l'esecuzione e l'acquisto dei varii immobili ha una base ben più soste-
nibile.

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(1) Vedi VERMIGLIOLI, Bibliografia, Perugia 1820, pag. 113.
(2) VASARI, Le vite, cit., tomo III, pag. 589. -
(3) VASARI, ibidem.

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IL. GUSTO. E L'ARTE DI PIETRO PERUGINO 77

Sono questi tutti particolari che, lumeggiando, danno il tocco
umano alla figura del Vannucci come uomo e in quanto tali possono
‘servire a rendere più concreta la sua individualità, così come l’apprez-
zamento della «bellissima giovane » tolta in moglie «spesse volte

« acconciata » di sua mano (1) ‘ci. apre. uno spiraglio nell’ intimità
della sua casa e nella tenerezza del suo cuore.

(1) VASARI, Le vite, cit., tomo III, pag. 590.

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IL GUSTO E PARTE DI PIETRO PERUGINO

Sorprendendoci a ripensare, resi guardinghi per l'assenza o la
nebulosità delle notizie e titubanti dalle discordi asserzioni della tra-
dizione. critica, come storicamente sorse l’individualità artistica di
Pietro Vannucci, non ci soffermeremo a ipotetizzare, con accorto gioco
di dialettica, quel primo ricordo del bambinesco suo ingresso, bor-
ghesemente normale, nel mondo delle misture e dei pennelli, bensì
invece, fattoci un quadro delle possibili relazioni che da giovane può
egli aver fruito sia a Perugia, sia a Borgo San Sepolcro, sia infine a
Firenze, chiederemo, su questo dibattuto problema della sua forma-
zione, alla serena contemplazione delle sue opere, quel tanto di luce
necessaria a penetrare, sempre piü intimamente, la sua personalità
pittorica e ad individuare sempre meglio il portato personale del suo.
gusto e della sua arte. -

Di sfuggita, marginalmente, a cuor leggero, accenneremo quindi
a suo tempo ad aiuti, a scolari, non ci scervelleremo a ferignamente
sezionare le parti di eventuali collaborazioni, giacché non sarebbe:
sanamente utile, né redditizio al nostro scopo; così come lasceremo,.
senza rimpianti, impallidire ogni trita questione di diretta derivazio-
ne; ma bensì proprio in quanto riteniamo Perugino essere davvero.
della «categoria dei creatori » (1) sbozzato, ambientato, vitalizzato,.
su uno sfondo artistico quattrocentesco, cercheremo di ripercorrere
il processo evolutivo elaborato dall’artista e spiegare, criticamente: E.
godendoli, quegli alcuni assoluti che egli ha creato.

Di proposito non ho fatto rotare l'operosità di Pietro attorno a
quelli che sono i suoi problemi d'arte, ma bensi l'ho trattata cronolo-
gicamente soffermandomi sulle varie opere, con quella monotonia:
propria di una elencazione — tipo galleria — per desiderio di chiarezza,
per maggior comprensibilità dello sviluppo dell'arte del maestro, ed.
infine, sopratutto, per non dare una parvenza di complessità all'animo:
elementare di Pietro.

(1) VENTURI L., vedi nota 1 pag. 24 (Notamenti biografici).
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IL GUSTO E L'ARTE DI PIETRO PERUGINO 79

Per renderci conto e criticamente.comprendere la malia ed a un
tempo il limite dell’artista, ho analizzato le opere più fresche, più sin-
cere e più significative, quei prodotti insomma che mostrano tenden-
ze, apprendimenti, addentellati, lavorii, sviluppi, posizioni raggiunte,
ovvero involuzioni, mantenendo a margine del nostro interesse quella
parte della sua produzione che; rispecchiando più o meno supinamen-
te quanto»l’artista ha in tempi precedenti raggiunto, forma di questa
attività la parte di zavorra.

i Come linea di massima le analisi si basano sulle opere firmate e su
quelle la cui autenticità è documentabile.

Si è fatta eccezione per alcune opere: Crocifissione della compa-
gnia della Calza (ant. al 1482 ipotesi di collaborazione), Crocifissione
dell'Eremitaggio di Leningrado (1482-92). Fondo con S. Rosa, S. Cate-
rina (Louvre 1482-92), il S; Sebastiano del Louvre (1492. circa) e la

Santa M. Maddalena, Pitti (1501 circa), che sono con quasi totale con-
senso attribuite alla mano del maestro. Si sono ugualmente analiz-
zate, perché, essendo sotto ogni aspetto realizzazioni assolutamente
consoni. all'ideale del pittore, divengono valido e significativo aiuto
nella determinazione del gusto del maestro. |

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Cerqueto, 1478.

Poiché le opere del Perugino avanti il 1478 o andarono distrutte

o sono smarrite, o la loro attribuzione riveste il carattere di ipotesi,
“ovvero ancora sono discusse circa eventuali collaborazioni; la prima
sua opera davvero certa, giunta a noi, fu compiuta quand'egli era
fuori del discepolato. Aveva infatti circa 32-33 anni. Si trova in Cer-
queto (1) e, quasi sparite le figure laterali, ci presenta (recentemente
ripulito e ben consolidato) un San Sebastiano in martirio. Chi guardi
. questo affresco dopo essersi immerso nella contemplazione di pitture
quattrocentesche fiorentine, ha subito l'impressione d'entrare in un
mondo diverso. Dato pure che la positura del corpo, specialmente
del torso, delle braccia e delle gambe, somigli a quella del S. Seba-
stiano del polittico della Misericordia di Piero della Francesca (2), in

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(1) La data e la firma furono trascritte posteriormente» « Petrus Perusi-
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(2) Piero della Francesca, Polittico della Misericordia (Galleria di San
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questa generica somiglianza, .spiccano le differenze. La prospettiva,
nonostante l'aggiunta della colonna, é assai ridotta, la rigorosa strut-
tura anatomicamente geometrica di Piero si rilassa in copiosi ondu-

. amenti, il chiaroscuro che Piero stende con potenza monumentale,

è sostituito, nel nudo, da un diffuso sfumato cromatico; la testa che
Piero fa alzare in risolutezza è reclinata quasi in riposo sui morbidi
capelli. Che se possiamo scoprirvi somiglianze con altri fiorentini, e
additare un certo realismo pollaiolesco nel disegno energetico della
aletta delle freccie totalmente fitte in profonde e sanguinanti piaghe
e dell'asticciola che attraversa crudelmente la gamba; e riconoscere
che il contrasto fra lo scuro della colonna ed il chiaro della gamba, -
alla congiunzione della quale si forma un acuto angolo tagliente, ri-

corda i passaggi e la violenta oscurità delle ombre di Luca Signorelli;

. e vedere un segno della bottega del Verrocchio nella fascia che si

sviluppa ampia come un panneggio, creando volume; e ammirare. il
gusto leonardesco nella luce obliqua che piove sul santo; quando peró
consideriamo l'assieme della figura, questi elementi particolari si at-
tenuano e mutano natura. I pochi accenni realistici quasi svanisco-
no, e la oscurità delle ombre si tramuta in rapporto cromatico per il
rossiccio della colonna e per l’intensità di tutti i colori caldi sotto la
leggera brunitura e il volume della fascia s'accorda all'ondulamento
dei capelli e delle corde e delle membra; e la luce obliqua non genera
lo sfumato della forma come in Leonardo, ma lo sfumato con colore
che è proprio del Perugino.
Siamo dunque lontani dal mondo della realtà e della conoscenza,
gloria dei fiorentini, e siamo piuttosto in un mondo del sentimento.
. Chi però ritorni su questo San Sebastiano dopo avere percorse
tutte le opere del Perugino, lo. sente alquanto staccato dal maggior
numero di esse, e lo alloga con pochi altri in un gruppo che non rag-
giunge il 1490. Vi sente cioè più anatomia e più movimento del solito,
specie guardando al torace prominente all’attacco del collo, agli orli
e alle cavità delle quattro ferite, al torcersi delle braccia angolose,
nella stretta delle corde. E conclude che vi si trovano elementi diversi
tra loro per natura. Se essi formassero una sintesi avremmo un capola-
voro. Ma stride un certo contrasto tra la durezza di alcune parti e la
mollezza di altre, dovuto all'accozzo di.due gusti differenti: quello
fiorentino che Pietro ha voluto appropriarsi e quello che progressiva-
mente diventerà il gusto suo, e che (desunto in parte dagli umbri e

dai senesi) si presterà all'espressione della sua. grazia tra seusuale e

sentimentale.
IL GUSTO E L'ARTE DI PIETRO PERUGINO : S1.

A questa sono dovuti gli atteggiamenti e gli snaturamenti del-
lanatomia, del chiaroscuro e del volume, l'arrotondarsi di taluni
contorni, il dimezzamento del numero delle freccie con cui Piero
della Francesca trafiggeva la sua figura, il riposo della leggiadra te-
stina, dai riccioli a fiammelle e dalla boccuccia a cuore, dove è visi- i
bile l'influsso senese, non come una voluta conquista, ma come un ri-

torno congeniale, un ritorno che favorirà in seguito la creazione di.
capolavori.

CROCIFISSIONE DELLA COMPAGNIA DELLA CALZA
Uffizi, Firenze; anteriore al 1482.

La Crocifissione, tavola ad olio eseguita, come afferma il Vasari,
dal Perugino per l'Oratorio dei Frati Gesuati — ora conservata agli
Uffizi — appartiene al gruppo delle opere assai discusse.

;, Incerta di essa è l'epoca di esecuzione che varia a secondo del
giudizio dei critici fra il 1475 e il 1490, ed anche è diffusa opinione
trattarsi di opera di collaborazione. Si è parlato infatti di una effet-
tiva collaborazione di Luca Signorelli (1).

La escludo, perché se la tavola distingue ancora vigorosamente
i piani dei diversi personaggi non ha la rigorosa unità di Luca, la qua-
le avrebbe imposto di fare vertice della piramide in profondità il Cro-
cifisso, che invece é riportato in avanti, smorzandosi cosi lo slancio
della forma geometrica in calmo riposo di curve. Inoltre, la mano di
Pietro si rivela nel fatto ch'egli non innalza la croce, come i fiorentini,
sulla cima di un monte che àd essi serviva per zoccolo, ma la tiene
sopra un terreno quasi del tutto pianeggiante.

Pietro, in questa sua opera, non si dimostra ancora del tutto di-
mentico delle rupi e degli alberi che aveva visto stesi per paesaggio,
nei suoi quadri da Piero della Francesca, motivi che su tutti gli allievi

‘del Borghigiano lasciarono-almeno per un certo tempo — una traccia
caratteristica e distintiva. Fin d'ora peró agisce nel suo subconscio
l'umbra, tradizionale tendenza di nuovamente spianare in superficie

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(1) La collaborazione col Signorelli nei riguardi di quest'opera è affer-
mata da molti studiosi, mentre VENTURI A. (Storia dell’ Arte, vol. VII, parte II,
pag. 566), ascrive quest'opera alla mano di uno scolaro del Perugino che s'ab-
bronza alla maniera del Signorelli « pur mantenendo le forme principalmente
peruginesche ».

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82 MARIA AURELIA MOCHI ONORY VICARELLI

la sua composizione: tendenza che lo avvierà ad allineare le figure
parallele, estranee e slegate, non sentendo egli il bisogno di creare alla
sua scena un centro di coordinazione e di collegamento.

Quanto però il Perugino si fosse appropriato del fare dei fioren-
tini ce lo mostra il colore così poco consono a quella che sarà la gam-
ma peruginesca ed ancora compiaciuto ad ostentarsi con ombre bron-
zee nei contrasti violenti, nei crudi riflessi influenzati dal Signorelli.

Inoltre fiorentinamente è da lui studiata, con grande insistenza,
l'anatomia .del San Giovanni: scava le orbite degli occhi, fa sporgere
gli zigomi, scopre i tendini del collo, accentua le clavicole e il profondo.
avvallamento del torace, segna nel braccio che indica il Cristo le vene
che s’inerociano. Altrettanta struttura anatomica nel San Girolamo:
le gambe sono nerborute, i muscoli del collo, nello sforzo di alzare il
capo, affiorano con realismo, la mano che tiene il bastone è ampiamen-
te sviluppata. E altrettanto nelle braccia, nelle spalle, nelle gambe
del Cristo: quivi Pietro rende lo spostamento dei muscoli delle spalle,
prodotto dalle braccia, che il peso del corpo fa cordonare di muscoli;
e chiude le falangi delle mani, contratte per la ferita delle palme. Il
chiaroscuro nelle gambe del Cristo e di San Girolamo ha funzione pla-
stica, talché ne risultano due zone violentemente contrapposte. E zo-
ne ancor più violentemente contrapposte si vedono nella parte superiore
della tavola; ma in tale parte dobbiamo rilevare un intervento più
notevole di elementi non fiorentini.

Con questi si è abbastanza affermato nei quattro santi e nella
montagna a scogli e negli alberi fronzuti. Non può però accontentar-
sene perché il suo nativo temperamento lo porta a ricerca di grazia.

Di qui la figura della Maddalena inginocchiata e intenta alle
piaghe dei piedi del Cristo; ma neppure in essa l’intenzione dell’arti-
sta giunge al suo effetto, perché la minuziosa anatomia della mano
sinistra, le forti ombreggiature del viso, la liscia e nera massa de’ ca-
pelli e l'ampio panneggio rendono più che mai fiorentina questa Mad-
dalena che della grazia ha solo il contenuto psicologico.

- Continuando tuttavia la sua ricerca, il maestro riesce ad attuare
un momento della sua grazia nel rapporto cromativo tra il petto del
Cristo e il chiaro cielo aperto sopra l’abbassato ed attenuato paesag-
gio della parte centrale, giacché nella tavola Perugino intravede il
trittico.

D'insopportabile violenza sarebbe quest'intrusione di gusto go-
tico-senese in mezzo ad elementi di gusto fiorentino se il maestro non
temperasse il contrasto per mezzo di spedienti, come il diafano velo
IL GUSTO E L'ARTE DI PIETRO PERUGINO 83

gettato sulle spalle della Maddalena e il trattamento dei due: santi
piü vicini al Cristo.

Nell'addome e nél petto del Cristo, quasi scomparsa l'anatomia,
si rispondono mollemente due archi sfumati. Il fianco sinistro accen-
na ondulamenti che la fascia accoglie e svolge verso l'altro fianco,
dove sono continuati dalle goccioline di sangue della piaga alquanto
spostata verso destra e dalle lunghe ciocche di capelli scendenti.

Se potessimo isolare questa parte del quadro, l'additeremmo come
il primo assoluto che il Perugino abbia creato.

Con questa tavola che dimostra un buon impasto ed una notevo-
le conoscenza della tecnica ad olio (non per nulla era per i Gesuati !)
.cl troviamo di fronte ad una situazione analoga a quella dell'affresco
di Cerqueto, ed ad una analoga risoluzione.

In entrambe le opere affiora il dualismo fra gli elementi spontanei
della tradizione e quelli acquisiti dell'educazione, coesistenti, ma di-
stinti e ‘contrastanti.

Sillabata su un’opera di sicura attribuzione come il San Seba-
stiano del paesello umbro, questa coesistenza, che è la caratteristica
principale della prima attività del maestro, essa diviene nel caso di
questa Crocifissione un valido argomento per scartare ad un tempo
l'ipotesi di collaborazione e per trattenere quest'opera in un tempo
assai prossimo al 1478 e non permetterle in ogni modo di oltrepassare
il 1482 (data della Consegna delle Chiavi) e quindi approssimativa-
mente degli anni 1479-1480. RE

CONSEGNA DELLE CHIAVI
Cappella Sistina, 1482.

Per Pietro di Castel della Pieve, Piero del Borgo rimase una vi-
sione di misteriosa grandezza, di miracolata impenetrabilità. A lui non
fu dato conoscere la parola fatata, onde dischiudere a sé stesso il mondo
del collega, giacché il metro con cui era solito misurare i voli della
propria e dell’altrui fantasia era troppo diverso ed umano. Non in-
travedeva quindi, foss'anco in sogno di prima mattina, tutta la logi-
cissima intelaiatura dell’opera del compagno, ben lontano come era
dall’intuire che, da anime predestinate, non solo si viveva la ricerca
‘scientifica, ma bensì liricizzata essa diveniva arte.

A lui non era quindi concesso che di raccogliere, bonariamente
quanto disordinatamente, taluni dei vari mezzi che ne formavano

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la materiale realizzazione, di imparare inutili frasi e staccate rispo-
ste dell’altrui catechismo, elementi tutti che fagocitati, a fortunata
salvezza dell'individualità di Pietro, furono fisiologicamente tra-
sformati, elementarizzati, resi armonici insomma alla particolare sua
categoria.

L'affresco della. Consegna delle Chiavi della Cappella Sistina (al-
locaz. 27 ott. 1481 - collaudo 17 gennaio 1482) suggerisce e testimo-
nia con maggior evidenza di qualsiasi altra opera i rapporti intercorsi
fra questi due artisti e quale ne fu la risultante per l'arte dell' Umbro.

Infatti, i1 probabile discepolo di Piero della Francesca crea, é
vero, uno sfondo prospettico ampio ed impeccabile (ricorda quello
del maestro al palazzo ducale di Urbino), diminuisce le proporzioni
degli edifizi in lontananza, lastrica l'immensità della piazza di un pavi-
mento marmoreo sapientemente tirato di scorcio, insomma dimostra

.la sua conoscenza prospettica, ma, d'altra parte egli ha già trasfor-

mato questi elementi e li ha resi più consoni al proprio ideale.
La prospettiva per lui non è l'elemento essenziale, costruttore
e dominatore di tutta la rappresentazione. Egli lo dimostra subito

col respingere in piani successivi e lontani lo scenario col tempio

bramantesco e gli archi trionfali, sconnettendolo cosi ed estraniandolo

dai personaggi in scena.

Questo, a differenza di Piero (ad esempio il corteggio della re-
gina di Saba in analoga posizione), che proprio attraverso l'imperso-
nalità del tipo, la perfetta stasi, la geometrizzazione rigorosa, com-
penetra e lega tra di loro in reciproca inderogabilità, in assoluta inter-
dipendenza, in serena equivalenza, figure umane, edifici, fondi archi-
tettonici.

Cotesta dissociazione peruginesca fra costruzioni e personaggi è
resa ancor più evidente dall'aver egli notevolmente rialzato il punto
di visione talché le figure non solo non s'addossano alle basi degli edi-
fizi, ma bensi permettono s'interponga un grande distacco che viva-
cemente risalta e sovrasta.

A questa impostazione vigorosamente contribuisce la sua ten-

denza a concepire i varii elementi delle sue composizioni in superfi-

cie, che gli fa disporre le sue costruzioni parallele o addirittura alli-
neate quasi fossero spianate su un unico piano, non coordinate ad un
centro di concezione, ma bensì invece simmetriche. Forzosa simme-
trizzazione questa che imprime alla parte architettonica un senso di
calcolata, apatica irrealtà e la trasforma in elemento decorativo.

Questo suo vedere la prospettiva staccata e a sé, gli fa quindi
IL GUSTO E L'ARTE DI PIETRO PERUGINO 85

stendere frontalmente, e avulse dal resto del quadro, le due schiere
dei personaggi principali. |

Se costruisce in prospettiva singoli particolari, ció fa per affer-
mare questa sua capacità, e tenersi al livello dei compagni fiorentini
del lavoro della Cappella Sistina, ma é sempre la sua intima ed originale
ispirazione che lo induce a mantenersi, anche per le figure, in visioni
| su piani e quindi a trasformare il rapporto prospettico tra i diversi og- -
getti in rapporto decorativo e più precisamente di colore.

Questo era quanto voleva l’individualità Perugino, questa tra-
sformazione gli imponeva il genere di visione che la tradizione della
sua terra gli aveva dato in retaggio. |

Perció egli sovrappone cinque zone alternativamente una chiara
e una scura, formate successivamente dalle due folte schiere di per-
sonaggi principali (1) poi dalla vasta piazza, poi dalla fila degli
edifici e delle colline e delle piante, finalmente dal cielo chiaro in basso
e scuro in alto. |

Se abbiamo il coraggio di accettare questa metamorfosi della pro-
spettiva. in decorativismo, l’affresco diventa coerente, né più vi sto-
nano i piccoli e grandi ondulamenti presentati dai capelli, dalle bar-
be, dalle membra e dai manti di tutte le persone, dalle figurinette in
secondo piano, dai festoni in cima agli edifizi classici e dalle nuvole
corrusche, né più ci offende la limitatissima proiezione di ombre da
parte di persone e di cose, che pure in sé stesse sono chiaroscurate
alla guisa del Signorelli (di cui egli ricorda la larghezza dei panneggi
e la monumentalità delle masse umane) ed hanno rilievo di pos
pollaiolesco.

Come i fiorentini, Egli cerca la varietà nei gesti delle persone e
nelle differenti qualità dei fruttici e degli alberi; ma per gusto non di
‘conoscenza si di ritmo. Come i fiorentini studia i volti, introducendo

. (1) VENTURI A., (Storia dell' Arte, vol. VII, parte VI, pag. 562) ritiene
che i due apostoli che seguono Gesü siano da ascriversi all'attivo del signorel-
liano Don Pietro di Antonio Dei basandosi su. quanto afferma Vasari circa
. questo lavoro compiuto in compagnia di Don Bartolomeo della Gatta, Abate
- di San Clemente di Arezzo. Altri invece invocano il pennello dello stesso Si-
.gnorelli. Sono fatti i nomi pure di Andrea d'Assisi detto l'Ingegno e del Pin-
turicchio. ©

A questi A. Venturi attribuisce pure l'esecuzione (su cartoni del mae-
stro) della Circoncisione e del Battesimo (VENTURI A., op. cit., pag. 502).
Anche il nome di Rocco Zoppo, fra gli esordienti, viene affacciato per l'ese-
cuzione delle due sopradette figure.

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ritratti dal vero (mise pure il proprio) ma solo per seguire un uso pia-
cevole, e ne é temperato il realismo dalla sua inclinazione verso gli
aspetti giovanili e dalla morbidezza del suo modellato. Pertanto an-
che questo lavoro preannunzia, non offre, il dominio d'una persona-
lità vittoriosa e d'un gusto equilibrato.

L'occhio spazia per la vasta superficie, appagato dapertutto;
non é peró attratto da un centro ideale della figurazione, perché que-
sto manca. Qual'é in effetto il tema della Consegna delle Chiavi?
Forse l'episodio evangelico ? Forse la magnificazione del papato ?
L'artista non s'interessa di tali cose. Suoi temi sono le grandi lonta-
nanze, i ricchi edifizi, i panneggi magnifici, le dolcezze umane, i gesti
eleganti, gli effetti decorativi, le armonie di sentimento e cento altre
cose; le quali, subito che saranno assorbite dal processo fantastico
della decorazione lineare e cromatica, diventata principio di sintesi,
si equilibreranno nel capolavoro.

Per ora basta a Pier della Pieve che il suo affresco ad ampia e

fresca pennellata (ora un pó offuscata dal tempo) piaccia a tutti; ai

fiorentini che non possono non ammirare tanti elementi del loro gusto,
trattati in modo esatto; alla gente semplice, che vuole l'evidenza
pittorica e che ama sopratutto il colore.

APPARIZIONE DELLA VERGINE A SAN BERNARDO
Pinacoteca di Monaco di Baviera, 1488-89
La tavola, assai alterata dalle ripuliture, con l'Apparizione della

Vergine a San Bernardo (1488-1489) (1) ora nella Pinacoteca di Mo-
naco ci permette di distinguere le relazioni e le divergenze fra il Peru-

gino e Leonardo e cioè tra lo sfumato con colore e lo sfumato formale.

Pietro era andato a Firenze attratto dalle magnifiche soluzioni
plastiche; e troppo alte erano per lui, in un primo tempo, le ricerche e
i problemi leonardeschi: solo dopo essersi reso padrone di tutti i mezzi

espressivi, egli poteva avvicinarsi al Vinci ed impostare un suo qua-

dro sugli schemi di lui. In questo quadro, come nella Vergine delle
Rocce, la luce serale rimane nel fondo, le figure sono illuminate
frontalmente e parzialmente da luce che si raccoglie nell’ombra del

(1) VENTURI A., op. cit., pag. 518, non tiene calcolo dell’affermazione pro-
veniente dall’ Archivio del Monastero di Cestello ed accoppia quest'opera al
trittico Albani e quindi dopo il 1491.
IL GUSTO E L'ARTE DI PIETRO PERUGINO 87

portico, pesante ed oscuro, sostituzione della caverna, e che lumeggia
radente e discreta senza costruire e che accarezza morbidamentele
carni delicate e vellutate, battendo lievi accenni timidi e pudichi su
volti trasognati. L'atmosfera di intimo raccoglimento della composi-
zione senza ardimenti, quale può essere quella di una conversazione
famigliare in un portico aperto e rischiarato da luce blanda, e la sospen-
sione dell'azione, rivelata dalle braccia sollevate ancora nell'aria, si
accordano coi pretesti di morbidezza, di diafanità e di grazia, ricer-
cati negli intrecci di veli e nelle aureole di atomi d'oro e nell'evane-
scenza dei lineamenti che si confondono nella massa ombrosa dei ca-
pelli, e nella « gaucherie » di bimba della Vergine.

Pensiamo instantaneamente al poetico ideale rivelatoci dal Vin-
‘ci nella frase: « grandissima grazia d'ombre e di lumi s'aggiunge ai
visi di quelli che seggono sulle porte di quelle abitazioni che sono oscu-
re e gli occhi del riguardatore vedono la parte ombrosa di tali visi es-
sere oscurata dalle ombre della predetta abitazione, e vedono alla par-
te illuminata del medesimo viso aggiunta la chiarezza che le dà lo
splefidore dell'aria: per la quale aumentazione di ombre e di lumi il
‘viso ha gran rilievo, e nella parte illuminata le ombre quasi insensi-
bili; e nella parte ombrosa i lumi quasi insensibili; e di questa tale rap-
presentazione e aumentazione d'ombre e di lumi il viso acquista assai
bellezza » (1). | :

Il leonardesco poetico ideale « della grazia » era sotto taluni aspet-
ti pure quello del Vannucci.

Questa relazione fra i due puó doversi forse alla comunanza del-
la scuola e a una certa amicizia di spiriti intuita pure da Giovanni
santi (2).

Ma i due artisti vivono in mondi diversi: palesissime ed imme-
diate sono le distinzioni e le divergenze dovute alla grandissima fan-
tasia creatrice ed all'alta tendenza conoscitiva di Leonardo, ricerca-
tricé della grazia formale, ed invece alla minor fantasia creatrice ed
alla tendenza piuttosto pratica del Perugino, che sovente lo incanala
verso la grazia in senso psicologico e lo fa tentennare nello sforzo,
| spesso però premiato, di raggiungere un compromesso (una delle
sue caratteristiche) fra cotesta grazia psicologica e quella puramente
estetica.

(1) LEoNARDO DA VINCI, Trattato, B. 90.
(2) SANTI GiovANNI, La cronica Rimata (A cura dello Holtzingen),
Stoccarda, 1893. .

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‘88 MARIA AURELIA MOCHI ONORY VICARELLI

Altro punto di contatto e di differenziamento ‘è lo sfumato. Per

‘influsso di Leonardo, Perugino aveva fatto suo questo elemento pit-
torico. Ma mentre lo sfumato di Leonardo — fiorentino e perciò allievo
di Giotto e di Masaccio — era uno sfumato formale, per Perugino sene-
se, pellegrinato vogliosamente a Firenze per apprendervi tutta quella
. civiltà della forma, senza saper cacciare dal suo cuore lo smagliante co-
lore gotico, è sfumato accompagnato da colore, sfumato che già si intra-

vede in questa tavola ove l’influenza di Leonardo è ancora palpitante.

Né dobbiamo confondere ciò che è frutto di assimilazione con ciò che
è realizzazione delle proprie preferenze. L'assimilazione, infatti, si
vede sopratutto nei due angioli, il cui bell'ovale del volto parla il lin-
guaggio del Vinci, e più precisamente del Vinci giovane che dipinse
l'angelo nel Battesimo del Verrocchio. o

Per cogliere il Perugino in ciò che è lui, cioè per determinare la.
personalità, dobbiamo esaminare gli elementi contrastanti con Leo-

nardo, ma coerenti con l’intimo peruginesco. Le posizioni spirituali

di questi due artisti nell’interpretazione della realtà sono interamente.
distinte e diverse e perfino contrapposte. c

Al semplice, bonario figlio di contadini, incapace di travaglio
intellettuale, sta di fronte, l'evoluto figlio di notaro che, cresciuto nel-
l'argutamente speculativa Firenze aveva alimentato, fin da giovanet-
to, il proprio ingegno, precocissimo, delle sottigliezze piü arrischiate
e più complesse, dello scientifismo più maliardo, godendo ad indagare,
con prezioso acume, l'animo umano. >

Teorico intransigente e severo della propria preferenza artistica,
logicamente Leonardo asseriva che «la pittura è ‘ombra » giacché

« dalla visione cromatica della natura era condotto a una visione mo-

nocroma. dell'arte » (1). :
Quindi il bel colore per lui era null'altro che materia. Ma que-

sta esclusione oltre essere il portato di una preferenza era il risul- .

tato di una necessità in quanto che l'artista attraverso una visione
formale tendeva a risolvere moti psichici, stati d'animo, vibrazioni
cosmiche. : |
Il colore, col proprio accento di stasi e di riposo, avrebbe rotto la
continuità di questa vibrazione, avrebbe arrestato il passaggio di mo-.
vimento dall'uno all'altro corpo. Abolendolo, Leonardo si volgeva
liberamente verso il chiaroscuro, e più precisamente verso lo sfumato,

(1) VENTURI L., La critica e l’arte di Leonardo da Vinci, Bologna, 1919,
pag. 55. t DE : È
IL GUSTO E L'ARTE DI PIETRO PERUGINO rod O9

perché non era legato da alcun desiderio di forma plastica in sé e per

- sé. La prevalenza dello scuro sul chiaro, d'altronde, opponendosi alla

visione plastica, lo riconduceva verso effetti pittorici con il vantaggio

che smaterializzava la sua visione, e cioè alleggerita la forma, perché

spogliata dalle sue prerogative di concretezza, di peso e di occupazio-
ne di spazio, imprimeva proprio quella vibrazione atmosferica, quel

moto più suggerito che concretizzato dal gioco della luce e dell’ombra,

a cui l'artista mirava.

Inoltre a cagione di questo suo ideale, egli doveva di necessità
abolire ogni particolare che con la sua determinazione potesse portare
il senso di una pausa. Ma il Perugino aveva entusiasmo per tutto ciò

che il suo grande contemporaneo disprezzava. Il suo animo, per l’in-.

nata tendenza e per l’intima predilezione verso il grazioso, attratto

dal piacere di determinare particolari e di sottolineare una forma,

non sapeva innalzarsi da essi ad una visione universale e spirituale
della realtà, bensi in questa apparenza di realtà trovava soddisfa-
zione. «ue

Vedete infatti come cura la forma elegante delle mani, dalle di-
ta arcuate, il chinar lento di una testa o il sollevarsi di un piede.

La sua personalità non gli permetteva di rinunciare a ció che

- fino allora era stato da lui considerato essenziale, né sapeva, per ra-

gioni superiori, abbandonare ció che egli fino allora aveva p
to come bellezza !

Cosi in un ambiente pieno di penombra — una leggera velatura
bruna vela le carni rosee — le figure ci appaiono corporalmente salde

.e determinate, gli angioli occupano il loro posto ben delineato, pog-

giano saldi sui loro piedi, il manto della Vergine si modella in pieghe

‘che rientrano ed avanzano gradualmente e che appalesano con evi-
denza l'insegnamento fiorentino nell'interpretazione delle forme e del

rilievo. Non masse fumose, non corpi che s'immergano nell'aria si
da fondersi in un tutto atmosferico, come la Vergine delle Rocce, ma
invece l'una dinanzi all'altra individualmente si rileva. Inoltreil Peru-
gino aveva negli occhi il riflesso dei colori intensi e limpidi delle tavole
della sua patria. 2

Che egli non si potesse negare la gioia di smaltare di un bel colore
la sua opera, ne é prova la tonaca chiara del frate, seduto in primo pia-
no, la quale impetuosamente emergendo sullo scuro del portico e

dei santi scuramente vestiti, contrasta col degradare lieve e morbi-
- do delle ombre, che si schiariscono sul paesaggio perlaceo. Il Perugino

non sentiva la coerenza di affiochire i chiari rivelandoli unicamente

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San Salvatore, trasportatavi nel 1518 circa allorché i Frati Minori che stavano

:90 MARIA AURELIA MOCHI ONORY VICARELLI

con sprazzi di luce più intensa, perché egli non voleva attuare una
visione di lontananza e di morbidezza atmosferica, né voleva che le sue
figure fossero evanescenti apparizioni, bensi voleva inculcarcene la
certezza con particolari ben nitidi, con discreto rilievo, con colori vi-
vaci. Suo scopo era non di sorprenderci col senso del misterioso e del
profondo, ma di attrarci verso ció che era il suo ideale, verso ciò che
può realizzarsi nei nostri sogni terreni .

Egli non poteva far suo il moto molecolare leonardesco, che nella
sua vibrazione di spirito sconvolgeva ogni elemento figurativo; né po-
teva derogare dall’abitudine di dipingere la sua immagine in calma
contemplativa, Anche in questo caso l’azione episodica circoscritta
s'è già cristallizzata, cioè in una posa che la tradizione della sua terra
avvalorava e rinsaldava.

Lumeggiati così i pochi punti di contatto fra questi due artisti,
e le enormi divergenze, notiamo che la compenetrazione e la fusione
dei vari elementi formativi della personalità di Pietro Perugino sta
‘ormai compiendosi.

Osserviamo infatti la convivenza quasi acquietata, in un parti-
colare connubio, del rilievo fiorentino ed il colore gotico senese, com-
prendiamo, fin d’ora, come i colori chiari oltre ad essere un frutto di
preferenza per il bel colore in sé, venivano per lui ad essere il mezzo
per entrare nell’ambito dello sfumato con colore, la propria personale
conquista.

Attraverso questa conquista al Perugino sarà dato d’ora innanzi,
qualche volta, di fondere la grazia contenutistica e la grazia formale
in un tutto unico e vitale.

ANNUNCIAZIONE DI S. MARIA NUOVA
Fano, 1489

Nella tempera, ora assai deturpata da restauri che volevano ri-

sanare la fenditura centrale ed il colore caduto in vari punti, rappre-

sentante l'Annunciazione della Vergine per la Chiesa di Santa Maria
Nuova in Fano (1) del 1489, gli elementi desunti da Leonardo e da-

(1) Della firma la parola Petrus è la sola pienamente leggibile. La data è
ricostruibile. Incompleta è pure la iscrizione dedicatoria. Quest’opera non figu-
ra fra quelle elencate dal Vasari.

L'opera é nella Chiesa di Santa Maria Nuova dal titolo parrocchiale di
IL GUSTO E L'ARTE DI PIETRO PERUGINO 91

ili altri fiorentini hanno ormai subito ulteriori importanti modifica-
zioni. . |

Il porticato rimane, ma è ormai solamente una fuga di ampie
arcate, sorrette da pilastri (architettura che si stabilisce con ampia
frequenza negli sfondi del maestro) inalzati in modo che l'ombra
densa e scura si raccolga in alto senza riflettersi sui visi e senza av-
volgere i corpi, oscurandone i contorni. L'aria penetra abbondante,
circola ed immerge le figure in un effetto di plein air, la luce del fondo
intensa e dorata del tramonto non è distinta e separata, da zone d'om-
bre interposte, da quella del primo piano che rischiara i volti e i colori
intensi e luminosi delle vesti, ma entrambe si fondono assieme crean-
«do un ambiente uniformemente limpido e rosato.

L'amore del Perugino verso il bel colore gotico irrompente in
intensi rossi, verdi, gialli al primo accenno di afflosciamento e quindi
di liberazione dalle scientificità fiorentine, la sua interpretazione super-
ficiale dalla luce a cui egli non sa affidare alcun compito di rivelazione
di problemi figurativi e tanto meno spirituali; anzi il considerarla,
come egli fa, quasi un elemento aggiunto e per sé stante, senza tener
‘conto alcuno della sua relatività, mobilità, immaterialità, furono le

ragioni principali che lo instradarono verso la trasformazione della.

luce in luce cromatica.
S'egli avesse seguita questa innovazione, si sarebbe avviato alla
magnifica soluzione del tono piü tardi risolta dal Tiziano. Il Peru-

| gino però mancava dell'arditezza propria dell’innovatore; egli, come

già nei riguardi dei problemi fiorentini, non sa, in maniera logica ed
integrale, contemperare, mutare, sacrificare l'assieme dei suoi elemen-
ti in vista del trionfo di uno di essi, appunto perché non rinuncia a
ció che, come eredità sacra, la tradizione gotica gli aveva consegnato.
Non cambiando quindi la luce universale in luce particolare, egli non
poté mai coerentemente raggiungere il tono. Cosi incoerentemente,
in questa Annunciazione di Fano. Nella luce universale che rischia-
ra limpida e senza violenza l’intera opera, la testa, della Vergine ci
appare come se su essa sbattesse intensa una luce derivante da una
fonte limitata e localmente definibile che la sbianca, l'appiattisce e ne

- indebolisce i delicati lineamenti.

‘presso il fiume Metauro a causa dei pericoli bellici lasciarono il loro convento di
S. Maria Nuova a San Lazzaro e si spostarono nel centro della città, trasfor-

. mando la chiesetta ivi comperata di San Salvatore in loro chiesa e mantenen-

-dole il nome di Santa Maria Nuova.

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La sobrietà delle ombreggiature rende più intensa ed uniforme
questa macchia di colore chiaro nella luce. :

Ma che sia una realizzazione involontaria di cui il pittore stesso
non comprende né il valore né l'entità, lo dimostra il restante del qua-
dro, ove nell’alone del Padre Eterno, con le testine alate d’angioletti
(l'uno e le altre ripetuti poi sovente) nella posa dell'annunciante, nella
colombella, appare sempre piü l'importanza e la forza della tradizione,
ed anche lo dimostra tutta la sua attività in cui raramente si sente
l'eco di questo accento. i a

Fortunatamente in questa che si può dire il prototipo delle An--
nunziate peruginesche (1) opera che aderisce appieno alla sensibilità
e al gusto popolare per la spontaneità suasiva dovuta alla semplifica--
zione delle forme e degli schemi; il tondo disco col Padre Eterno ed
angioletti (retaggio dell'iconografia tradizionale) è mantenuto nella

“zona donata all'ombra e non scende ad ingombrare il cielo curvo che

viene a noi attraverso le arcate di fondo. Il paese non si è ancora com-
pletamente appianato al centro, come sarà in seguito per dare mag-
gior campo al cielo: un minimo residuo delle tradizionali colline a

quinte di pierfrancescana memoria permane ed ingombra parzialmen--

te il fornice centrale.

MADONNA, BAMBINO E SAN GIOVANNINO
A Nazionale di Londra, 1482-92.

Nella Madonna con il Bambino e San Giovannino (2) della
Galleria Nazionale di Londra (del decennio 1482-92) il maestro con-
tinua a rinsaldarsi in ció che formerà la normalità della sua arte.

Fiorentino è l'equilibrio di masse chiare controbilanciantisi, for--
mate da San Giovannino e dal Bambino. Quest'ultimo è visto sotto
un aspetto che più non riapparirà nella lunga attività del Perugino;

(1) VENTURI A., (op. cit., vol. VII, parte II, pag. 526) che data invece

quest'opera del 1498 la vuole di Andrea d'Assisi, l'interpreta come una arcaica,
appesantita derivazione di quella Ranieri, da lui attribuita al Vannucci e di

questi suoi anni giovanili ed esclude ogni influenza di questa sua composi-
zione sull’ Annunciazione di Raffaello (predella dell’Incoronazione Vaticana).

cit.

(2) Questa tempera porta la firma Petrus Peruginus sulla filigranatura
di una manica.

Cfr. anche Lo stesso, L'arte giovanile del Perugino, Y'« Arte », 1911 e « Raffaello »,. :

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Eee IL GUSTO-E L'ARTE DI PIETRO PERUGINO 93

E E clie se il gioco del bimbo che stringe uel pugno una ciocca di capelli
E della madre, sotto il pennello del maestro abbia già subito, in questo
quadro, una revisione. Non c'é più quella vivacità dell'azione partico-
lare, che pure il Verrocchio infonde in una scena analoga ove il bimbo
tiene il velo della madre (1); essa si è già staticizzata, prima che la vi-
- vacità del movimento intervenisse a turbare l'armonia lineare, sicché

un effetto di grazia. Ma il Perugino teme ugualmente che il dare ad
una scena come movente una contingenza danneggi la calma contem-
plativa e che il fascino derivante da un’azione particolare non lasci ef-
fondere la grazia che le figure hanno in sé e più non si lascierà attrarre
da simili rappresentazioni. La luce dopo il capriccioso sprazzo della
Annunciazione di Fano, ritorna calma e si diffonde uniformemente,
dando più che chiarore una grande limpidità all’aria, a cui il paesaggio
abbassandosi, lascia ampio cielo ove espandersi.

Anche in questa Madonna, fra le prime di tali composizioni, pos-
siamo vedere verso quale equilibrio di elementi fiorentini e tradizio-
nali umbri l’artista si volga nelle opere sue migliori.

Facendosi sempre più pronunciate le tendenze individuali, che
‘a Firenze, da Pietro erano state compresse o sacrificate per seguire
gli artisti locali in una visione più ampia o in intenti scientifici non
propri, esse affiorano nuovamente ed insistentemente all’animo del-
l’artista in questo scorcio di anni, allorché egli non subisce più diret-

È tamente questo influsso, e lo obbligano ad una revisione e a una scelta.
| Che il Perugino peró non dimostri la forza e la coerenza neces-
saria per giungere a vere e complete esclusioni degli elementi con-
trari, risulta infatti anche da questa « breve » composizione, ove nou
riesce per il trionfo del colore qualitativo, a sopprimere, intieramente
il rilievo. Si riduce invece a limitare il chiaroscuro a tenui passaggi,

il voltare delle superfici con chiare e delicate velature, non piü con
ombre. All'ingenuità di una stesura di rosso, di azzurro, di violetto,
di giallo, uniforme ed-omogenea, superfici contornate e giustapposte
in ritmo lineare, reclamate dalla tendenza gotica che egli aveva nel-
lanimo, contrasta la scienza del chiaroscuro appresa a Firenze, che
gli fa ritenere facile impresa il costruire un drappo con un colore solo
| ugualmente intenso e superficialmente uniforme e quindi più meri-

(1) Madonna e Bambino al Museo di Francoforte.

il bimbo più che realmente giocare, s'atteggia a gioco, traendo da esso.

L abolisce ogni violenza di nero, attua il graduale passaggio dei piani ed -

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torio e più sapiente portare in esso variazioni di chiaroscuro sì da
far trasparire i corpi.

Né il paesaggio si é già messo all’ unisono con gli attori di questa
fresca composizione basata su ritmi lineari. Questi si manifestano
attraverso le ciocche dei capelli che scendono attraverso i veli che
fluttuano, il manto che, ondato, raccoglie la bella persona di questa
Madonna dall'atteggiamento di donzelletta quieta e lontana da ogni
tormento intellettuale, attraverso i linéamenti aggraziati, la leggiadria
dei colori robusti e smaglianti, le lumeggiature d’oro che fioriscono
nelle vesti, nei capelli, nelle aureole.

Il paesaggio è ancora sordo alla linea nuova che dal capo della
Vergine s'arrotonda nelle spalle per poi snodarsi nei corpiccioli nudi
dei bimbi. Esso ha ritirato, é vero, dal centro del quadro le sue
montagne, smorzandone l'asprezza, attenuandone i colori scuri, dis-
seminandole di.radi alberi a poca fronda, ha reso è vero, il cielo.
man mano meno azzurro, specchio delle acqu? argentee d'un lago,
ma non ha ancora lasciato riadagiare nella forma delle sue colline
questa linea, per creare cosi quel bilancio ritmico fra figure e pae-
saggio che dà alle curve delle prime un valore unitario di cadenza ed
eleva il secondo dal ruolo di scenario a quello di attore nella realiz-

" zazione finale della grazia.

CROCIFISSIONE E SANTI PER S. GEMIGNANO
Museo Eremitaggio, Leningrado, 1482-92

Una generosa pienezza di consensi fa ritenere del Perugino e de-
gli anni che dal 1482 si prolungano al 1492 l’opera donata dal Vescovo
di Cagli Bartolomeo Bartoli (morto nel 1497) alla Chiesa di San Ge-
mignano, ora al museo dell'Eremitaggio a Leningrado con la Croci-
fissione e Santi.

Evidente si delinea il gusto delle scene a scomparti. anche se il
maestro, mantenendo di grandi proporzioni, la parte rettangolare del
centro, ne ostacoli l'aspetto di trittico. La valle, che rievoca i pae-
saggi tradizionali, parlando ancora il linguaggio della sua operosità
primitiva, formata da massi sfaldati ed angolosi, degrada dalle alte
scogliere dei pannelli laterali verso il centro per dare sfogo alla Croce
che alta apre ampie braccia dominando, determinata, tutto il cielo
indefinito nelle sue tinte opalescenti ed azzurrognole. Nel corpo del
Cristo non c’è alcun sforzo plastico, né alcun esibizionismo anatomico,
IL GUSTO E L'ARTE DI PIETRO PERUGINO 95

esso non pesa sulla croce, né spira sensi di umano martirio, la sua
sofferenza è tutta spirituale, rivelata dalla sobrietà del rilievo, dalle
ondulazioni del velo bianco, dal ritmo elegante della linea esile det
torace e delle gambe leggermente arcuate e sopratutto dalle braccia
aperte formanti un arco, che approfondito e allargato, si ripete nella
disposizione pur essa arcuata delle figure a pié della Croce, inconchi-
gliate dal paesaggio che, col racchiuderle, si lega ad esse in strettis-
simo rapporto. Contrariamente alla Madonna col Bambino di Lon-
dra, in questo trittico si scorgono i legami fra figure e spazio; e questo:
creato rapporto tra la linea del paesaggio ela linea decorativa diverrà

nell'attività del maestro sempre più chiaramente uno degli elementi

essenziali, realizzatori della sua particolare ricerca della grazia.

Confrontando questa Crocifissione con quella della Compagnia
della Calza, si vede la strada percorsa dall'artista nel graduale allon-
tanamento dai criteri fiorentini.

Se nel particolareggiato paese, popolato di castelli, di ponti e
di alti sottili e variamente frondosi alberelli, se nel primo piano deco-
rato con minuziosa cura di erbe e di fiori si sente ancora viva l'educa-
Zione fiorentina (quante oscillazioni in questo ritorno verso la tradi-
zione !) nelle figure invece trattate più sinteticamente lo svincolamen-
to è più palese: al chiaroscuro cupo e plastico è succeduto un model-
lato morbido che permette al colore locale di sussistere anche nelle
ombre; alle luci intense e sconvolgitrici, una uniforme limpidità; al
dinamismo violento, un armonioso equilibrio che nell’avvenuta sem-
plificazione della scena sgorga in un silenzioso senso di misura.

Lo sfumato delle carni, delicatamente soffuse d’incarnato è ve-
latura di colore, e quasi raggiunge quel grado di tenuità che rimar-
rà una caratteristica sua. La ricerca di espressione in ogni volto è
seria ed i mezzi a cui ricorre sono lontani dall’essere già schemi; an-
che se incontriamo quelli che saranno gli atteggiamenti preferiti e ri-.
petuti infinite volte dal maestro: l’equilibratura del corpo che posa
su una gamba, mentre l’altra gamba è in riposo, l’allontanarsi delle
mani nell’intreccio, il riversarsi leggero ed obliquo del capo o il suo
chinar di lato. Ma essi scaturiscono ancora dalla sorgente, siamo al-
l’origine di essi e quindi vivi e sentiti. :

Il ripetere delle figure, da cui Firenze aborriva, perché il variare

. atteggiamenti le procurava la maniera di far sorgere contrasti di rilievo

ed esternare la propria scienza; ci denota come Pietro, se fu fiorentino
in alcuni elementi, non lo fu mai di spirito. Le sue figure nel loro ri-
petersi due a due, in simmetria con atteggiamenti uguali, annullano

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96 D. MARIA AURELIA MOCHI ONORY VICARELLI

ogni contatto reale con la vita, e quindi proiettano la scena fuori di
ogni tempo, Esse sono pause, e ci riconducorio dal dramma alla con-
T nein | templazione, dalla espressione di una passione a quella di uno stato
o) d'animo. Nessun apparente legame d'ordine psicologico avvince que-
ste immagini, che s'ignorano vicendevolmente, tenute peró insieme
dall'uguaglianza di sentimento che è uguaglianza di ritmo, il quale nel
ripetersi si estende e lento si prolunga. L’idea mistica si esprime nella
loro forma, che tenta di slacciarsi da ogni relazione con la terra per.
mutarsi in astratti motivi decorativi. Le figure contribuiscono, assieme
col paesaggio, a far cadere l’ictus sulla Croce. che domina e grandeggia |
spiritualmente, concentrando tutti.i valori in sé. Nelle pieghe, similia ^ |
(ii cannelli, delle tuniche delle due sante a sinistra si delinea la soluzione i
| di addolcita coesistenza di colore e di rilievo, anteriormente accennata.

Urgendo sempre piü l'amore per il colore qualitativo, il Perugino
trasforma i passaggi di colore, che esisterebbero solo in quanto dif-
Im E ferenziamenti della tinta locale sotto l'effetto di chiaroscuro in zone
i di colore considerate in sé e giustapposte tra loro con un ritmo lineare,
contenute cioè da limiti ben segnati aventi ragion d’essere non come
limiti di chiaroscuro, bensì come elementi decorativi. Dei due mezzi
quindi, con cui i fiorentini rendevano le pieghe dei panni, chiaroscuro
e disegno, scomparso il primo in teoria ed affievolitosi in pratica, resta
il disegno che è sempre curato in una specie di compromesso tra il
fiorentino ed il gotico. :

Tutta la composizione é mantenuta su toni caldi, brillanti, si
che i primi piani si presentano con un insieme di tinte succose e gem-
mate che risaltano sui verdi e gialli del terreno e sulle tinte aeree
della lontananza.

| TONDO CON LA VERGINE, S. ROSA E S. CATERINA
| Louvre, Parigi, 1482-92.

Attribuito con assai largo consenso all' ideazione e alla mano à
del Vannucci viene conglobato alle opere eseguite tra il 1482 e il E
.1492, il tondo a tempera ora al Museo del Louvre colla Vergine, il
| Bambino, Santa Rosa, Santa Caterina e due angioli.
IB me Ci soffermiamo ad esaminarlo giacché esso è segnato col cri-
sma della quasi assoluta certezza, e attraverso quest'opera ci inol-
iriamo, in maniera piü profonda e piü vitale nell'animo del pittore,
proprio in un felice ed autentico momento creativo.
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IL GUSTO E L'ARTE DI PIETRO PERUGINO Ba p

Il tondo, opera silenziosa nella sua unità fiabesca, ci rivela come
il Perugino ondeggi fra richiami di Siena e di Firenze, tentando di

coordinare le forme che sono l’alfabeto pittorico delle sue opere mi-

gliori e percorra abbastanza velocemente la strada a ritroso da Fi-

renze verso Siena e cioè dalla conquista conoscitiva all’espressione

sentimentale, dallo spazio prospettico al piano cromatico.

La sensibilità gotica si palesa nell'armonia decorativa della com-

posizione, nei due angeli dalle ali aperte e variopinte, nelle due sante

che con mani affusolate reggono, la prima una penna slanciata, l’altra
un esile ramo fiorito, il quale nel gambo ondulato ripete il movimento
del fianco sinistro della Santa. Pure di sapore indiscutibilmente gotico

e più particolarmente senese è l'ondulamento, che non significa moto

ma solo una speciale grazia decorativa, delle testine inclinate, delle
dita arcuate che non serrano gli oggetti, per non offendere collo sforzo

della contrazione muscolare l'eleganza delle loro forme, ed anchel'anno-

darsi attorno alle spalle dei veli leggeri non piü unicamente pretesti
di sfumato, come nell'Apparizione a San Bernardo, bensi con consi-
stenza e colore proprio, allietati da disegni, e da frangie d'oro: lu-
meggiature, allucciolamenti, squisitezze che l'attività miniaturistica
aveva contribuito a tenere vive e fragranti nel suo cuore anche attra-
verso l'educazione fiorentina.

-Nell'assieme tutto è statico: ma questa rigorosa regolarità anti-
fiorentina, questa simmetria dell'atteggiarsi elegante dei corpi equi-
distanti, delle teste volte alla Vergine o chine;questa immobilità
scientemente voluta, dà modo alle forme di fiorire in piecoli vezzi di
colore e di accarezzare lievi ritmi di linea, e su di essi BASATE, con
schietta evidenza, la propria composizione.

Questo pure era il senso fondamentale dell’arte senese.

Il ritorno del contemporaneo del Signorelli. e di Leonardo agli
schemi di Simone e dei Lorenzetti, che gli avrebbero donato ciò che
il suo cuore amava — il colore qualitativo — gli era limitato da ciò che
a Firenze aveva appreso e che non gli riusciva di obliare e dalle modi-
ficazioni della stessa arte gotica a contatto della tendenza plastica
italiana.

In queste figure così riccamente vestite ed ingioiellate, i puntini
delle borchie e delle collane ed il chiaro rettangolo della coppetta di
cristallo m'inducono a domandare: quale rapporto può intercorrere

fra Hugo Van der Goes ed il Perugino ? Infatti, già dal 0° era

giunto a Firenze il famoso trittico Portinari.
Hugo Van der Goes, di fronte al Perugino e agli altri italiani

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LE 98 MARIA AURELIA MOCHI ONORY VICARELLI

dell'epoca, era inferiore nella costruzione anatomica della figura
umana, nella scienza prospettica e sopratutto gli mancava il principio
sintetico di unità di visione che informa tutto il Rinascimento italiano.
Se il Perugino a differenza dei fiorentini, non aveva bisogno di appren-
dere.da lui alcuna esperienza di colore, giacché egli lo derivava dall'ar-
te gotico-senese; pure a lui mancava, come ad ogni quattrocentista,
la capacità di rendere la rifrazione della luce propria di ciascuna cosa.

A una rigorosa individuazione i fiamminghi giungono per la
umiltà con cui l’artista dimentica il suo orgoglio di fronte alla cosa
che crea e che lo interessa e lo commuove allo stesso grado sia essa un
filo d’erba, un fregio, una pietra, o un volto.

Questa sublime lezione non poteva essere compresa né seguita
da coloro che, elevando l'uomo a rappresentante di Dio, trasforma-
vano Dio nell’individuo più perfetto, e quindi serravano attorno alla
predominante figura umana, in unità di visione, ogni altro elemento
d’importanza secondaria e accidentale, di cui non si curavano di sco-
prire l’anima recondita. Il variare di struttura di una pietra o il biz-
zarro intrecciarsi di un albero non poteva suscitare entusiasmo in un
italiano; egli non si sarebbe permesso di turbare la serena fronte di
una sua Vergine per seguire il corso tortuoso di una ruga. L’arte fiam-
minga, invece, mutando i quadri religiosi in scene di genere chiudeva
il suo ristretto cerchio di idealità borghesi e famigliari, fondandosi su
particolari contingenti. Essa non aveva aspirazione ‘alcuna verso
forme di bellezza ideale, a cui tendeva l’arte italiana, la quale, pur

- rimanendo nel piano di umanità, come è il caso ‘del Perugino, sceglie-

va tra le varie forme quelle che meglio assecondavano i suoi ideali e le
sue aspirazioni, e dominandole le richiamava dalle loro infinite va-
rietà ad espressioni più astratte e quindi meno reali e contingenti.
Hugo Van der Goes s’interessa unicamente di dare l’illusione
di esistenza mortale e perciò, mentre all’italiano in genere necessitava
un'unità di luce per battere l'accento nel punto culminante facendo
tacere tutto il resto, il fiammingo dà ad ogni cosa la sua voce, la sua
vita, la sua luce. Nessuna luce unificatrice che immerga in un eguale
chiarore la visione, bensì nello scuro, caricato ad arte per graduare le
varie intensità, una miriade di luci fredde brillano e reclamano parte
dell'interesse. Dobbiamo così scartare l'ipotesi che sul Perugino vi
sia stato influsso fiammingo nell’interpretazione della realtà. Esso

avrebbe condotto a un tale mutamento di posizione, che si sarebbe

rivelato in ben altri elementi che non in due o tre particolari, sopra-
tutto sarebbe emerso nel trattamento dei panni. Al contrario, avvian-
ON REM

IL GUSTO E L'ARTE DI PIETRO PERUGINO è : 99

dosi questi sempre piü palesemente verso un ideale di decorativismo
(partito di pieghe sul piede sinistro della Vergine e cannelli delle tu-
niche) deve di necessità chiudere il chiaroscuro in contorni fermi
che ostacolano ogni suo graduale svolgersi e che di conseguenza abo-
liscono ogni variare di intensità di luci. L'ideale fiammingo di indi-
viduare la materia é lettera morta per il maestro umbro, che, nelle
zone di colore rischiarate dalla luce universale, trovava modo di al-
lietare i suoi quadri | i

I puntini quindi delle borchie e delle collane ed il chiaro rettan-
golo della coppetta di cristallo hanno il valore di gemma incastonata
nel vetro e nelle pietre variopinte: accenti a cui la luce cromatica ha
donato il suo colore, e che ridono del riso gaio di Siena. D'influenza
fiamminga é se mai non l'apprendimento della tecnica ad olio, ma
bensi il miglioramento di essa che diviene piü sciolta; progresso peró
palese non solo nell'umbro ma anche nei pittori in genere che ope-
rano dopo l'arrivo del trittico Portinari a Firenze, dovuto anche al

fatto che la tecnica ad olio di lino e di noce (avesse o no una prepara-

zione di gesso sottostante) diventava più comune e di più ampia ri-
chiesta e quindi la tempera e l’affresco venivano ormai messi da
parte per le opere di piccole dimensioni.

Vasari (1) infatti nell’attenuare la colpa dell’artista per le cre-
pature avvenute in alcune sue tavole ci fa sapere che la causa di tale
rovinio « Pietro non potette conoscere perché appunto ai tempi suoi
si cominciò a colorire bene a olio » e che « certamente i colori furono
dalla intelligenza di Pietro conosciuti e così il fresco come l’olio ».
Perugino dipingeva adunque ad olio anteriormente al 1482. Né va
dimenticata la vissuta dimestichezza di lunghi anni dell'artista cov i
frati Gesuati, i quali oltre a fare « finestre di vetro » e «a stillare acque
odorifere e cose medicinali maneggiavano pure mestiche e colori ».

Inoltre col porre nella possibile attività dell'artista 1’ Adorazione
dei Magi della Pinacoteca di Perugia, con ogni probabilità del 1475

-- (o per lo meno non anteriore) ritenuta prima opera ad olio in Um-

bria, egli viene innalzato al grado di iniziatore di questa tecnica in
detta regione. i

Esaminando infatti la tecnica del maestro troviamo che egli,
in pastoso modellato, sovrappone strati di colore, libero da ogni
perplessità derivante da inabilità di mano e riesce a farlo amalga-
mare senza ispessirlo, anzi mantenendo limpidità e vivacità tale ai

(1) VASARI, Le vite, cit., tomo III, pagg. 574, 577, 572.

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. 100 MARIA AURELIA MOCHI ONORY VICARELLI

colori che gli strati si sovrappongono sempre piü leggeri in. modo
che il secondo strato non cancelli ogni traccia del primo di cui tra-
spare la tinta, l'ultimo strato è quello della luce. Viene cosi raggiunto
l'effetto della tavola di alabastro, levigata e translucida, illuminata
dall'esterno verso l'interno, e più precisamente quello di figure dalle
carni di porcellana, la cui epidermide ha la diafana consistenza di un
liquido vetroso solidificato. Luce calma è la sua, ‘uniformemente

rasserenante che non sconvolge il colore, non forza i piani, ma bensì

permette, in addolcita coesistenza e compiacente connubio, al disegno
di sussistere nella sua raffinata sensibilità, e al colore, a cui dona vi-
vezza,di brillare nelle sue tinte piü armoniose e smaglianti.

Ed il colore é proprio quello del periodo forte del maestro: sono

le tonalità sue più calde: violetti, rossi lacca, gialli paglierini, turchi-

ni, grigi, smalti, tinte vellutate e splendenti.
. Tutto è festa e gentilezza... e l'artista s'attarda ad arricchire
le sue figure dall'ampia fronte di minuti ricami, a colmare la loro

sete di gemme, a spruzzare con fugaci tocchi qua e là il paesaggio idi:

faville di sole !

SAN SEBASTIANO

Louvre, Parigi, 1492 circa.

All'incirca del 1492 é il San Sebastiano del Louvre, proveniente
dalla Galleria Sciarra di Roma, fratello minore di età di quello di
Cerqueto. Di questo San Sebastiano conosceremo in seguito varie
repliche, sia in.composizione con altri santi, sia solo.

In questa tavoletta ad olio il maestro contrappone un nudo ad
un aperto paesaggio e fa scaturire la poesia dall'accordo infinitamente
armonioso di tinte ocrate con tenui colori aerei. Sono due sinfonie
che si fondono: il cielo di cobalto si attenua nella serena lontananza,
in graduali tinte di madreperla, mentre la gamma ambrata, delicatis-
sima del corpo si arrossa in incarnato nelle ombre ascellari e si smor-

Za poi in tonalità d'oro pallido. Sentiamo come il gusto del maestro,
lontano ormai dai bronzei impasti del Signorelli, si affini sempre più

nei riguardi del colore, e come egli ami soffermarsi edonisticamente
nella cura di tutti questi passaggi. dus
Abbiamo visto che il maestro profonde infatti, nel periodo della

. massima sue coloritura, la più forbita varietà ed il più Beiuen splen-

dore della sua tavolozza.
Sottinteso ad arte il portico nell'arco e nella colonna spezzata
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IL GUSTO E L'ARTE DI PIETRO PERUGINO 101

(altra oscillazione verso lo spianamento della composizione in super-
fice !) onde non proiettare, in niuna maniera, luci decise e plumbee,
innonda la tavola di luminosità e si serve dell'arco per dare l'impres-
sione di finestra spalancata sull'infinito di un paesaggio, valorizzando
in tal maniera maggiormente il rapporto fra l'attore ed il prope

^ scenario aereo, messi all'unisono fra di loro.

In tal guisa la luce intensa ma tranquilla, non affatto 'corrusca
come:la veneziana calda di giallori propri, emanata uniformemente
da un- cielo senza nubi non permette alcuna ombra opaca né sulla.
fisura umana, né sul pavimento marmoreo, bensì illumina e dona il
proprio colore ad ogni cosa. Infatti il nudo sia nelle parti in luce che
in quelle in ombra, pare avvolto in riflessi d’oro e di ambra, e i ca-
pelli sono così illuminati da irradiare nell’aria che li accarezza una
vaporosità di oro verde. Il passo per giungere al tono veneziano
può sembrare. veramente piccolo.

Il disegno sottile che traspare attraverso i colori, non è inferiore
a quello dei fiorentini, ma docilmente uniformato alle esigenze di un
gusto che evita ogni durezza, ogni ostentazione e che accarezza so-

| pratutto le grazie di un giovine corpo nei ritmi ondulati. Il San Se-

bastiano di Cerqueto aveva una larga fascia svolazzante e corde strin-
genti e fiere freccie con quattro piaghe copiosamente sanguinanti.
Soppresse le corde, ridotte a due sole le freccie, questo S. Sebastiano
(che col primogenito fratello di Cerqueto ha indubbiamente un sub-
strato comune) riversa la testa per dare a tutto il bel corpo un senso
di ondato e incrocia dietro la schiena con atteggiamento gentile e

lento le braccia, piega la gamba sinistra nella curva prediletta, e viep-

piü s'illeggiadrisce con la sottil benda che adorna i fianchi, con due
sole goccie di sangue preziose e con quelle dita aperte in pienezza di
aria e di luce come i capelli.

L'estasi quindi che intravediamo nel volto nasce : dal lirico slancio
verso un ideale di grazia, che non ha nulla da vedere con espressioni
pietistiche, ma che, proprio perché tale e perché voluto tale, canta il
suo umano poema di eterna giovinezza. Affacciato all'ampiezza del-
l'arco, il paesaggio obbedisce al desiderio di finezze e delicatezze: le

montagne si arrotondano, gli alberi sottili punteggiano con le loro

foglie rade, che nessun soffio di vento muove, nebbie azzurrine avvol-
gono le colline nelle estreme lontananze. Paesaggio quale il Ruskin
vuole, affinché sia sacro.

Il quadretto offre un organismo coerente di grazia e di sfumato
cromatico. 102 MARIA AURELIA MOCHI ONORY VICARELLI

L'artista segna cosi una meta raggiunta. Ma proprio in questo
stesso sublime momento in cui egli fissa questo assoluto, per la manie-
ra con cui lo raggiunge, sentiamo, di questa sua arte tutta costruita
e pervasa di compromessi, la facilità di oscillazione; oscillazione che
che di essa forma ad un tempo il limite e la malia giacché il processo
d'arte del Perugino, partito da visioni vagheggiate di taluni aspetti
della realtà — paesaggi, oggetti, persone, atteggiamenti, scene reli-
giose tradizionali — traspare e si realizza nel sentimento della grazia
che o s'innalza ad espressioni adeguate e pure ovvero degenera in
sentimentalismo. |

Il suo frutto. maturo non ha il potere di conservare a lungo la
{orbita interezza della propria maturità, ma raggiuntala, incapace di
ulteriori sviluppi, presto si disfa, si dissolve; s'inquina.

Di guisa ché la fragilità degli autentici punti d'arrivo donano
à noi una gioia tanto piü raffinata quanto piü rara e caduca.

TRITTICO ALBANI
Villa Albani, Roma, 1491.

Nel 1491 il Perugino era al sérvizio del Cardinale Giuliano della
Rovere e per lui dipinse il trittico con l'Adorazione del Bambino, la
Crocifissione, l'Annunciazione e santi, che va sotto il nome di trittico
Albani della raccolta romana nella quale é conservato.

In questa tempera, un pó rovinata da raschiature e restauri (1),
la scena diviene per i riquadri che la ripartiscono, piü piccola e
quindi meglio dominabile. L'oro di queste incorniciature brilla e si
accorda molto bene colla luminosità del cielo azzurro, coi colori
chiari e vivi dei manti, colle lumeggiature metalliche delle armi.

Idealmente tornato alle sue terre, abbandonati gli scopi austeri '
e precisi dei fiorentini, lo attrae la piccola scena intima, spirante lievi
sentimenti e raccolta in brevi riquadri.

E la grazia di un'azione famigliare, della commossa ammirazione
intorno al bimbo che cresce. Qui la grazia degli atteggiamenti di-
viene quasi ritmo decorativo, e tende a ripetere nei diversi personaggi
le stesse attitudini, le stesse espressioni. Questo è il pericolo in cui

(1) Quest' opera, della quale Vasari non fa alcun cenno, porta la firma
Petrus de Perüsia pinxit, 1491. |
-

IL GUSTO E L'ARTE DI PIETRO PERUGINO 103

ben presto il Perugino cadrà; ma in questo quadro il ripetersi dei
visi dal medesimo ovale, dalla fronte un pò convessa, dalla bocca
ben delineata e dagli occhi bassi, il torcersi che fanno tutti i colli, le
mani che si congiungono per ben sei volte alla stessa maniera, rispec-
chiano a tal punto il sentimento di grazia umana voluta dal maestro

che non ci disturba anche se un pó leziosa. Ci sentiamo inclinati ad

interpretarla come il leitmotif di un canto di chiesa, ripetuto ad inter-
valli simmetrici, per mantenere sempre nel nostro cuore vivo il senti-
mento che il cantore vuole svegliare e che è il fulero della composi-
zione. Quasi cori dal: medesimo canto, Gabriele e Michele nella loro
lucente armatura contrastante con la femminilità del loro volto, in-
corniciato da capelli luminosi ed ariosi, ed i due santi in piedi, com-
presi di timidezza pudica, si legano sobrii e discreti alla scena centra-
le, di cui sono il preludio, ed in cui ci introducono, raccogliendo nelle
due linee oblique delle loro positure, la nostra attenzione. È un ac-

‘cenno di composizione piramidale in profondità (reminiscenza leonar-

desca) che si addolcisce in una curva ripetuta più lontano dalla conca,
che, abbassandosi, disegna il paesaggio.

Fuori dell’architettura Perugino ha chiamato la scena e l’ha rac-
colta in un piano anteriore e aperto onde liberare completamente le
figure da ogni, anche ridottissimo, gioco di ombre. Come nella Con-
segna delle Chiavi, qui si passa gradatamente dal solido all’aereo
(il termine di congiunzione è il gioco di vuoti e di pieni del portico, le
cui masse si controbilanciano in perfetto equilibrio), ma l'abbassarsi
dell'orizzonte divide il quadro in due zone: l'inferiore in cui i colori
vivi, il chiaroscuro, la determinazione dei particolari ci danno il sen-
so della solidità, mentre l’indete»vminatezza, la tenuità delle tinte
della zona superiore e la scelta degli elementi di paesaggio rialzano
il valore positivo dell'atmosfera. La vaporosità azzurrina in cui le
tinte degradano a poco a poco, e che avvolge i colli lontani, dà alla
architettura spaziale quella vastità di sfondi che Pietro aveva cono-
ciuto in Piero della Francesca.

Il coordinamento dei vuoti, il collegamento ritmico non solo
degli atteggiamenti e delle espressioni dei personaggi fra loro, ma

bensì con lo spazio ambiente, producono una impressione.di orga-

nico, di misurato, talché tutti gli elementi vibrano nella loro spon-
taneità.

Ci disturba quindi, per una equilibrata visione d'assieme, nella
zona superiore del quadro, non sufficientemente isolata dai sottili li-
Stelli dorati, il ritorno delle tinte scure e terrose (Crocifissione) e della

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lunga fuga di basse arcate (Annunciazione), tavolette invece armo-
niosissime nella loro separata individualità. d

Il paesaggio ardisce ormai solo qualche cima accuminata, si
calma in forme più tonde e più riposanti, in valli che s'aprono su pia-
nure, su laghetti dalle acque irridescenti. Si preannuncia sempre più
decisamente il paesaggio che eseguirà d'ora in. avanti (e che sarà
parte di prim'ordine della sua poetica) in cui si elimineranno i parti-
colari, qui studiati ancora con minuzia. Particolarismo di paesaggio
troviamo pure nell'Annunciazione e specialmente nella Crocifissione
la.quale nei proprii Cristo, Vergine e San Giovanni ricordano assai
la Crocifissione del Museo russo dell'Eremitaggio: i tronchi sottili con
fogliuzze a cuore, cespugli tondetti che rispecchiano le loro ombre
nell'acequa, campanili che si delineano appena nell’azzurro in lonta-
nanza. Anche se questi paesaggi hanno aspetti d’oltralpe, la minuzia
non è dovuta a influsso di fedeltà fiamminga ai particolari, curati
per giungere a verità individuali, ma bensì alla poesia delle piccole
cose, di quel nulla che, trasfigurato dall’amore, può diventare fonte
di alte ispirazioni. Questo amore, donato a Siena dal gotico puro d’ol-
tralpe era stato liricizzato dalla letizia dei suoi pittori, come am-
miriamo. nella conchiglia dei fiori della Maestà di Simone Martini,
nella Santa Dorotea di Ambrogio Lorenzetti con quei fiorelli, con
quella bordura del manto dalla linea quasi perpendicolare, e con quel
passamano a due colori in testa; nell’anfora e nei panni delle due
fanciulle di Pietro Lorenzetti (1).

Anche il Perugino interpreta questi particolari qual mezzo di
spruzzare d'oro qua e là le fronde degli alberi per formare alle figure
umane un coro festoso di colori intensi e vivaci, amati e voluti per la.
gioia che stagliano nel cuore. : ire

Comprendiamo quindi perché la parte superiore di questo trit-
tico agisca su di noi con impressioni miniaturistiche e ci richiami i
libri di Ore (2). | i;

In quest'opera (3) la cura dei particolari e la scarsa visione
d'assieme ritardano quel senso di religiosità ch'e espresso dal pae-
saggio. | | sou

(1) Palazzo dell'opera del Duomo di Siena.

(2) Si comprende anche come siano attribuite due miniature a Pietro
Vannucci nel periodo di attività che va dal 1483 al 92.

(3) Con quest’opera Adolfo Venturi chiude il periodo di originalità del
«maestro (op. cit., vol. VII, parte II, pag. 515). TET AS
IL GUSTO E L'ARTE DI PIETRO PERUGINO : 105.

Nella silenziosa prospettiva pierfrancescana dell’Annunciazione,

che si traduce in intimità raccolta e verginale, trasparisce la musicale

eleganza messa da Simone nel fantastico svolazzare del manto del-
l Angelo nell'Annunciazione di Firenze (1) benché ridotta a un bre-
ve serpeggiare di stoffa. Non più la Feletto storia di fate: il

ECTUBIDO non fu, come Simone.

in paradiso .
onde questa gentil donna si parte (2)

tuttavia nel rinchiudersi in se stesso, avea ritrovato nel suo cuore un
ineffabile alito di grazia.

MADONNA E DUE SANTI PER S. DOMENICO DI FIESOLE

Uffizi, Firenze, 1493.

Firmata e datata del 1493 (3) è la Madonna in trono tra San

Sebastiano e il Battista, eseguita ad olio, per ordine di Cornelia Mar-
tini per S. Domenico di Fiesole ed ora agli Uffizi.

In questa tavola vedonsi traccie d'imprimitura o lasciate dal
pittore, nella sua esecuzione ad olio, ovvero dovute a posteriori ra-
schiature.' |

La semplice composizione frontale raccolta avanti ad un basso
portico risalta sul fondo chiaro, senza peró ricevere da esso la luce.
Il paesaggio che in opere precedenti arrivava a mezzo torso delle figu-
re, qui è assai al di sotto del piano del suo tronco, sicché lo scuro

figurativo s'impone sul cielo che si stende ampio e sonoro confonden-

dosi con le colline che si sbiancano. Esso ci presenta quattro perso-
naggi che s’ignorano vicendevolmente: assenza di azione, reci-

proco isolamento delle figure, e spianamento della composizione in -

superficie, elementi questi provenienti al maestro dal suo. ritorno
verso le scene a scomparti. Questa constatazione (che non sarà con-

| traddetta neppure da una scena di combattimento l) ci dimostra,

come egli fosse attratto dalle sue creature in quanto belle in se stesse

(1) Galleria degli Uffizi.

(2) PETRARCA, Canzoniere, Sonetto a Simone Martini.

(3) Petrus Perusinus pinxit A. D. MCCCCLXXXXIII. Vasari nomina
quest’opera (Le vite, op. cit., tomo III, pag. 1984),

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ES 106 MARIA AURELIA MOCHI ONORY VICARELLI

e capaci di contenere l'espressione del suo sentimento. Sentimento
che l'azione lo avrebbe sommerso.

Grazia egli soffonde sulle freccie di S. Sebastiano (simile a quello
del Louvre), sulla sciarpa che colle sue infinite variopinte striature
ne accarezza i fianchi, sulle carni piene e molli del Bimbo, sui capelli
che arrotola alla nuca della Vergine per lumeggiare solo le ciocche che
ne incorniciano l’ovale del volto.

Non possiamo omettere di ricordare che nell'anno stesso del
compimento «di questa tavola, Pietro «tolse per moglie una bellissi-
ma giovane... e si dilettò tanto che ella portasse leggiadre acconcia-
ture e fuori e in casa, che si dice che egli spesse volte l’acconciava di
sua mano » (1).

Il pittore è ormai in una posizione di maggior sincerità con se
stesso, facilitata dal graduale allontanamento del periodo di discepo-
lato. Egli non chiede al proprio pennello di mostrarlo diverso da ciò

che: è.

Inconsciamente ritornato umile di fronte alla propria abilità,
‘sostiene, sì, le sue composizioni con disegno vigoroso e sicuro, ma non
chiede alla sua conoscenza anatomica pezzi di bravura, lascia che il
rilievo si smorzi a quel grado di tenuità necessario al compromesso
col colore a cui tende il suo gusto, ben lontano dal brunire con chia-
roscuro di gusto fiorentino, le carni e le vesti.

Erompe così il colore impetuoso e sonoro che si contrappone
nella pienezza della propria qualità, non più contrariato da tinte ne-
rastre, ma invece valorizzato nel graduale avanzare ed indietreggiare

dei piani, dallo sfumato del colore locale.

La linea decorativa é curata con ricercatezza finora non mai rag-
giunta; il manto disegna sul petto della Vergine pieghe a forma di V,
ripetute una prima volta dalla positura delle braccia sostenenti il
Bambino, una seconda volta dalle gambe, una terza dalla scura pelle

sul chiaro torso del Battista, una quarta, piü soffusa, dalle pieghe

dell'addome di Sebastiano e una quinta, piü astratta, dal disegno
della predella.

Leggeri ricami d'oro attorno alla scollatura e ai bordi offrono mo-
tivi nuovi di palmette; Perugino si compiace ad attardare il proprio
pennello lungo le scollature e gli orli delle vesti, per risolvere in supe-
riore dolcezza la ricerca di ornati, a cui la scuola umbra si era mostra-

(1) VASARI, Le vite,.cit., tomo III, pag. 590.
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IL GUSTO E L'ARTE DI PIETRO PERUGINO 107

ta intenta con grande cura e varietà (greche, intrecci, sigle, cifre ro-
mane, numeri, nomi, date).

Il corpo efebico di San Sebastiano non più incluso entro for-
me geometriche come quello di Cerqueto (1478) risponde, come già
quello del Louvre, ad un altissimo valore di anfora; S. Giovanni Bat-
tista tiene fra due dita, che non serrano, una altissima sottilissima
croce. La medesima grazia inspira lo sfumato di tutti i nudi e il sottil
disegno decorativo della predella.

VERGINE IN TRONO COL BAMBINO E APOSTOLI
Gemáldegalerie, Vienna, 1493.

Per il prete Cristoforo da Terreno, Perugino raccolse nel 1493,
attorno al trono della Vergine con il Bambino, quattro figure di
Apostoli, opera che ora trovasi alla Gemáldegalerie di Vienna.

Questa tavola, datata e firmata, (1) chiamata del Belvedere
dalla famosa raccolta viennese, in cui é stata ospitata a lungo, é ri-
coperta di una sola mano di tinta ed è manomessa da restauri che
ne alterano il colore.

La composizione, strettamente coordinata, ha nella posizione
obliquata dei Santi, un vago ricordo prospettico, subito contradetto
dal riavanzare in primo piano della Vergine. Ogni figura si equilibra,
equidistante e, nella rigorosa simmetria, ognuna di esse ha la sua ra-
gione di esistenza.

Il trono della Vergine s'inalza a mó di pala centrale; la foggia
della tradizionale pala umbra e senese con la parte centrale cuspidata
agisce nel subconscio dell'artista.

Nessun paesaggio distrae il riguardante dalla massa umana, il
muro di cinta tutto a ridosso delle figure non é voluto con intenti
prospettici. ;

Ci troviamo di fronte a una visione in superficie (anche se attua-
ta parzialmente) e quindi ad una trasformazione del rapporto pro-
spettico in rapporto cromatico. Analoga posizione a quella della
Consegna delle Chiavi.

Infatti le figure umane formano col muro un tutto compatto e
scuro che si contrappone al chiaro superiore: sono le due zone, vario-

(1) Praesbiter Johannes Cristofer de Terreno fieri fecit MCCCCLXXXXIII
Petrus Perusinus pinait. 108 MARIA AURELIA MOCHI ONORY VICARELLI

pinta l'una e monocroma l'altra, le vere. protagoniste del quadro.
Da questa violenta contrapposiziorie di colori qualitativi scaturisce un.
senso di sbalzo, di rilievo, di concretezza, che ci mostra come il Peru-
gino servendosi precipuamente di elementi figurativi proprii della
civiltà del colore giunga a risultati decisamente plastici e ad un senso
di stasi contemplativa. dn

Il sentimento del coloré é il nesso logico di tutta l'opera: esso fa
stagliare i colori dei paludamenti sul forte scuro della parete in ma-
niera che dall’urto di colori ugualmente intensi si generi un senso di
prezioso e di gemmeo. (Purtroppo questo contrasto è ora offuscato
da un non felice restauro che rese le tinte olivastre e sorde). E sempre
per questo amore del bel colore, l'artista taglia lé pieghe delle tuni-
che dure ed affilate simili a cannelli decorativi. Abbiamo cosi l'alter-
narsi di cilindri di colore più chiaro e più scuro, contrapposti in ritmo
decorativo. Alle linee ondate ai due lati del trono, formate dai manti
che si raccolgono, alle analoghe positure dei fianchi esterni e dei piedi
sollevati dei santi, alle movenze e agli atteggiamenti ripetuti, alla
conca molto sfiancata in cui si sono trasformate le gambe della Ver-
gine, quasi supporto lineare della piazza chiara del Bimbo, é affidata
la missione di realizzare pittoricamente l’ideale di grazia di. questo
quadro, il cui contenuto psicologico è tenuissimo. |

Paragonando peró questa tavola con quella fiesolana degli Uffizi
dobbiamo riconoscervi una minore accuratezza, un pò di svogliatezza
nella ricerca di ornati, quasi una frettolosità di mano.

FRANCESCO DELLE OPERE
Uffizi, Firenze, 1494.

Nel 1494 fece il ritratto a Francesco delle Opere (tavola in buona
conservazione, appena un pò velato il colore) firmata e datata, ora
agli Uffizi (1), rivelandovi potenza creativa e vigoria da avvicinarlo
ai grandi ritrattisti fiorentini. Comprende infatti intimamente quale
immenso valore di dominio e di violenta immediatezza si possa otte-
nere contrapponendo una macchia scura, recisa di contorni, all'in-
determinato e quasi uniforme chiaro del cielo e del paesaggio, e quin-
di fa scendere le colline laterali per lasciare emergere sulla linea oriz-

(1) 1494 di luglio Pietro Perugino pinse Franc.9 de lopre peynago.
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Be.
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Bi

IL GUSTO E L'ARTE DI PIETRO PERUGINO 109

zontale di un lago azzurrino la testa possente dell'uomo, che, nel

‘severo raccoglimento del busto, s'impone con la monumentalità di
corpo saldo e di mente volitiva. :

In Umbria non era invalso l'uso di eternare persone, anno qual-

«che segaligno e rattrappito donatore. Della figura ritratta il Perugino
conserva le caratteristiche fisionomiche, gli occhi piccoli, il naso leg-
germente a sella, la bocca dal taglio serpentino ed affilato; ma le adat-
‘ta ai suoi canoni: semplifica ed allunga i piani carnosi, affloscia le car-
‘ni nel collo (i quali tratti ritroviamo nel suo stesso viso affrescato al

Cambio, sicché per alcun tempo si pensò che anche questo di Firenze
fosse un autoritratto) attornia la piazza chiara del viso d’una ariosa
massa di capelli scuri, a cui il tocco non impedisce di spargersi mor-
bidi e serpentini nel chiaro cielo. Il colore caldo e festoso proprio del-

l’età matura di Pietro s’irrobustisce per la luce rossa che illumina le .

carni; si stende smaltato e intenso — nero nel tocco e rosso nella veste —
quasi uniforme, abolendo il più possibile ogni piega e sembra forzato
entro le due linee simmetriche delle spalle, modellate con reciso sin-
tetismo.

Conseguentemente, da questa massa salda e compatta si spri-
giona un seuso di monumentale religiosità, della quale l'ingenuo car-

tello dal biblico « Timete Deum » (quale valore di gioiello assume il

colore ‘chiaro del rotulo cilindrico e quanta preziosità nel bordino e

nel triangolo bianco della camicia !) vorrebbe invano essere il susci-

tatore !

| MADONNA,.S. GIACOMO E S. AGOSTINO
Chiesa S. Agostino, Cremona, 1494.

Oltre il ritratto di Francesco delle Opere porta la data del 1494
anche la tavola ad olio in ottimo stato di conservazione della Ma-
donna fra S. Giacomo e S. Agostino nella Chiesa di Sant'Agostino a
Cremona (1).

La volta con pilastri, il cielo, la predella, le quattro figure e la
loro disposizione, quasi tutto ricorda la tavola per San Domenico di
Fiesole del 1493. Che se in luogo di duesanti giovani, qui netroviamo
due vecchi, identica é la positura dei quattro piedi corrispondenti, e
quasi identico dai fianchi in giù il S. Giacomo di questa tavola col

(1) Petrus Perusinus pinxit MCCCCLXXXXIIII.

% $4:7*
SA
110 MARIA AURELIA MOCHI ONORY VICARELLI

Battista di quella. Eppure non é il caso di parlare né di ripetizione
né di adattamento. La tavola cremonese,bella di forme e succosa di
colore, ha un suo valore assoluto, e lo raggiunge e lo attua prima di
tutto rinunziando in gran parte ai vezzi che nella tavola degli Uffizi
s'accordano ai nudi giovani (per esempio il paesaggio e la decorazione
della predella) e poi raccogliendo i chiari, che là si diffondono e si al-
largano sui nudi, precisamente nelle bianche mani, nelle barbe copiose
e dipartite, nelle bianche faccie incorniciate da venerande canizie,.
nelle due teste, di cui luminosamente calva l'una e luminosamente
mitrata l'altra. Dallo scuro dell'architettura e dei panneggi emergono:
queste parti chiare dei santi e s'accordano al chiaro del Bambino
nudo, del viso della Vergine e del profondo cielo, creando armonia che
è grazia. i

L'artista, digeriti, elaborati, mutati o messi da parte gli elementi
fiorentini appresi, ha ormai raggiunto l'equilibrio dei propri mezzi
espressivi e quindi conquistato la propria validità artistica che fiori-
sce negli assoluti della propria arte.

Arte dal fascino sottile é questa di Pier della Pieve, in cui anche
nei momenti più alti sentiamo un qualcosa di eccezionale, di facilmen-
te di fatalmente caduco, proprio perché essa si attua attraverso oscil-
lanti compromessi che sono, di essa, il limite e la malia.

COMPIANTO SUL CRISTO MORTO
Galleria Pitti, Firenze, 1495.

Punto assoluto nell'arte del maestro é il Compianto sul Cristo
morto, tavola ad olio per le monache di Santa Chiara, ora alla galleria
Pitti, firmata e datata del 1495 (1), la cui conservazione non è alterata
se non leggermente in alcuni toni di colore. Il pittore stesso avrebbe
compreso l’altezza del vertice raggiunto e quindi l’unicità del momen-
to creativo. « Dicesi che Francesco del Pugliese volle dare tre volte
tanti denari quante elle (monache) avevano pagato a Pietro a farne
far loro una simile a quella di mano propria del maestro e che èlle non

vollero acconsentire, perché Pietro disse che non credeva poter quella
paragonare » (2).

(1) Petrus Perusinus pinxit A. D. MCCCGLXXXXV.
(2) VASARI, Le vite, cit., tomo, pag. 570.
ie RUNE RENE RET TNI TERT TERRENO TT

IL BUSTO E L'ARTE DI PIETRO PERUGINO 111

La tranquillità del suo temperamento, negato alla profondità
di forti passioni, fece si che egli non si impressionasse a dover rivivere
la Deposizione di Cristo. La concepi colla serenità sua abituale, senza
suscitare nel suo animo e quindi nel nostro alcun sentimento violento
e sconvolgente. Il sentimento emotivo della tragedia si è intiepidito
nella grazia commossa e femminile, che accompagna un atto umana-
mente inevitabile. |

Quindi, come é naturale che egli non senta la necessità di cambia-
re lo scenario paesistico (la pianura a cui fan da quinta le colline, il la-
ghetto, col castello al fondo) cosi traduce la scena in un accordo di
rosa, di verdi, di celesti, di violacei. La composizione che s'estende
su piani sovrapposti, é impaginata in un quadrato ed é imperniata
sul Cristo in primo piano, frontale, lungo nella bianchezza delle sue
membra e del lenzuolo. Questo disporre in un ampio spazio quello
che poteva essere raccolto in breve, diluisce l'intensità d'azione e di
effetto, che figure accavallantisi ristrettamente potevano produrre:
la tragedia della Croce s'attenua in un compianto famigliare, come
nel Trittico Albani la nascita del Redentore s'attenua in un idillio
casalingo. Ogni figura s'atteggia nel proprio dolore che non la deforma
e non la scuote. Un velo di tristezza e di pianto già pianto addolcisce
la natura ed i volti. Lo sfumato sul viso del Cristo scioglie il rigore
della morte; la luce di qualche lacrima, che imperla il ciglio della « Ma-
ter dolorosa » illumina il suo strazio, che il velo ed il soggolo delicata-
mente incorniciano, il dolore invece delle quattro pie donne è illeggia-
drito da veli, da acconciature ondeggianti e da ricerche di ornamenta-
zioni in eui il maestro, compiaciuto, attarda il suo pennello risolven-

| dole in superiori dolcezze di ritmi. La rassegnazione è ne’ bei gesti

che mostrano mani sottili e diafane, ne' volti piegati si da rivelare la
curva giovane e fresca di una gota o la linea soavemente disegnata
di una bocca corallina, nel ritmo ondulato di teste che si piegano, di
busti che s'inarcano, di occhi che s'abbassano pudichi, tutto con soave
armonia di colore, meravigliosamente vario e smagliante (è il colore

del periodo migliore del maestro).

Ma tra il fondo e la rappresentazione figurativa, oltre a questa
serenità che tutto permea, v'é un altro legame piü sottile, creato
dal pittore, il quale, spostato lateralmente il centro d'interesse, at-
torno ad esso costruisce il suo paesaggio, dirige i corsi suoi d'acqua,
alza e converge le sue colline e.le popola di alberi e di case.

Le linee del paese divengono sonore per quelle delle figure, qua-
Si di queste fossero complemento: ambiente e personaggi sono in
Li d x ai

> «SE

112 MARIA AURELIA MOCHI ONORY VICARELLI

tal guisa orchestrati su un medesimo tono e ad un medesimo in-
tento.
La tinta azzurrina dhe riveste di tenue nebbia.i particolari pae-
sistici — curati con grande amore — crea grande vastità di sfondi
che rievocano, anche se meno trascendenti, la fonte pier. france-
scana.

| Potrebbe sembrare che parecchie figure troppo poco partecipino
alla scena centrale; bensì tutte le figure obbediscono agli stessi ritmi, e
tutte sono raccolte fra il chiaro del lenzuolo e del cadavere e il chiaro
del cielo. Questi due chiari sone in rapporto tra loro; e altri rapporti
vediamo tra gli scuri dei panneggi e della terra vicina e tra i diversi
sfumati dei volti e del paesaggio in lontananza. Questi tre rapporti
da un lato contribuiscono al fascino del capolavoro e dall’altro alla
sintesi della composizione, la quale così largamente disposta, non di-
sperde ma attua il suo tema.

MADONNA CON. I QUATTRO SANTI
PROTETTORI DI PERUGIA

Pinacoteca Vaticana, Roma, 1495 circa.

Eseguita ad olio nel 1495 circa per i priori di Perugia è la tavola,
ora alla Galleria Vaticana, colla Vergine e i quattro Santi Protettori
di Perugia, famosa anche per le fatiche sostenute dai magistrati peru-
gini per carpirla all'attività oberata di Pietro, che in tale opera per
la prima volta si sottoscrive Petrus de Chastro Plebis pinxit. Non c'è
data. La cimasa colla Pietà fu separata dalla tavola principale. Il
maestro si sforza evidentemente di costruire una scena armoniosa ed
equilibrata in questa santa conversazione.

I quattro Santi, ai quali mantiene atteggiamenti elegantemente
studiati, gli servono a dare più imponenza alla Vergine che sembra
raccolta in una nicchia. L'architettura ambiente è quella che dalla
tavola di Fano è ormai abituale, con leggere varianti, ai suoi fondi,

‘per questo tipo di rappresentazioni. Il grande trono non ha le posate

linee architettoniche di quelli fiorentini, ma la leggerezza di linee cur-
ve rincorrentesi in una semicupola, ripetente il ritmo del volto piegato
e delle allungate mani della Vergine e di tutto il corpicciuolo del
Bimbo in piedi. Non risponde però a questi ritmi centrali il resto del
quadro che si sbanda, così nelle linee, come nei colori, perché sul mae-
IL GUSTO E L'ARTE DI PIETRO PERUGINO 113

stro pesano elementi già usati e qui non saputi né armonizzare, né
soffocare. Tutti belli. frammentariamente, ma discordi nell'insieme.
Che se la discordanza è velata. da alcuni accordi cromatici, vigorosi e
magistrali, essi sono impotenti a dominare ed à modificare. Pur es-

sendo negli anni gloriosi del maestro non possiamo non sentire come -

la composizioue impostata unicamente su ritmi lineari, schierata in

superficie sappia un pò di artificioso e come le sarà facile scivolare e

mutarsi in fredda schematizzazione. :
Nell'attività posteriore ritroveremo queste figure, molte volte

ripetute dal Vannucci, specie la Vergine col Bambino. :

PIETÀ
Pinacoteca di Perugia, 1495 circa.

La Pietà della Galleria di Perugia era il coronamento della ta-

vola dei Santi Protettori della città, eseguita all’incirca nel 1495 (1).

Unica prospettiva aerea per impostare nello spazio il Cristo sono
due larghe linee orizzontali, verdognole sopra un fondo nero, lucido,
omogeneamente compatto. Tale sfondo valorizza l’ondeggiare. mor-
bido dei piani di colore della figura. La esclusione di un fondo d'oro o
di cobalto è fatta ad arte, giacché questi colori, con la loro possibilità
di recezione di luce, non avrebbero lasciato dominare il poema sin-

‘ fonico di questo corpo, al quale l'artista ha dato tutto il suo amore,

‘e su cui si è attardato con tutta la sua raffinatezza, curando innume-
revoli variazioni, che emergono dall’uniforme sfondo nero. Il corpo
è una melodia di ocra, che dai più chiari del medio ventre passa ai
sempre più scuri dell’addome e della fascia in basso e della barba e
della corona e dei capelli in alto.

Le stesse variazioni si rinnovellano continuamente riprese sulla.

stessa cadenza di sentimento. Nessun accento di colore grida la pro-
pria passione, rompendo la nenia del colore unico. La fascia cupamen-

(1) In questa tavoletta traspaiono traccie di imprimitura dovuta forse
‘a raschiature. Opera questa che fu recentemente attribuita a Raffaello che,
giovanissimo era entrato nella scuola dell’Umbro. A. Venturi per rendersi
possibile lo storno di un’opera così importante, basato unicamente nel cre-
dere Perugino incapace di tale altezza, deve di necessità datarla posterior-
mente al 1501, data dell'andata di Raffaello alla scuola dell'Umbro (op. cit.,

‘ pag. 805-808). : i

^ SÉ jd

BIO RA TIM
114 | MARIA AURELIA MOCHI ONORY VICARELLI

te violacea e filettata da sottili scriature d'oro rientra nell'ombra del
fondo. Il pittore non deviato da intenti plastici, si delizia rilevando
morbidezze e delicatezze mediante passaggi di tono. Lo sfumato che
vela le parti laterali della figura, sembra riverbero del fondo nero; ma
non é un riverbero che neghi, come in Leonardo, il colore dominan-
te della figura, ma bensi é un riverbero che trasforma il colore nel
suo sfumato. E questo sfumato con colore é la caratteristica del Pe-
rugino di fronte a Leonardo e gli permette di non abolire, volatilizzan-
doli, i limiti delle singole forme, anche se la tonalità del corpo viene
pittoricamente riassorbita nel fondo. Il corpo martoriato non aveva
alcun contenuto di tenuità e di grazia su cui il Perugino cantasse il
suo inno. Anzi era facile cadere nella degenerazione del sentimento,
nel dolciastro, nel lezioso. Ma l'artista elimina gli elementi contra-
stanti al suo sogno, li modifica in maniera che assecondino il suo
canto. Sull'orlo della tomba, della quale le due linee verdognole ci
danno la visione senza costruirla (reviviscenza senese) le due mani
si posano mollemente, colle dita aperte e staccate, ma non tese. Esse
presentano le piaghe ispirando grazia con gli archi de’ due mignoli,
con le falangi affusolate, con le palme sottili. I segni dei chiodi e la
piaga del costato rispondono al ritmo decorativo dominante; e perció
la piaga é alquanto spostata verso destra. Le braccia oblique segnano
due V rovesciati e simmetrici che racchiudono il corpo in due trian-
goli, permettendoci di seguire le curve ondate uscenti l'una dall'altra
e addolcite dallo sfumato.

La corona di spine non è più strumento di martirio, ma aggra-
ziata come un diadema, trattiene i capelli, e senza scalfirla, disegna
il suo ritmo ondulato sulla bianca fronte del Cristo. Anche le sottili
gocce di sangue, uscenti dalla piaga del costato concorrono ad equili-
brare lo sfumato delle due parti della figura che è tutta armonia.

MADONNA E QUATTRO SANTI
Galleria di Bologna, 1492-95 circa

Analoga impotenza a dominare e ad unificare riscontrata nella
tavola Vaticana della Madonna e 4 Santi Protettori di Perugia trovo
nella tavola ad olio, splendidamente conservata con la Madonna e
quattro santi eseguita per San Giovanni al Monte {di Bologna (ora
alla Pinacoteca della città) e menzionata particolareggiatamente dal
Vasari. Ma in questo caso il risultato finale è assai migliore.
VERE IS SEPAN RE RIA ON risa
; :

OSEE I TTE

IL GUSTO E L'ARTE DI PIETRO PERUGINO

Quest'opera firmata (1) è all’incirca degli anni 1492-95.

La frontalità del gruppo sollevato in aria, le proporzioni,l'inten-
sità dei colori, sono dovuti alla concezione su cui il pittore ha imposta-
to le sue figure. Idealmente egli ha concepito le due schiere come sepa-
rate da listelli, e quindi come se ognuna avesse un riquadro per base
su cui poggiare e da cui rimbalzare uniformemente in primo piano.
Sebbene egli non esegui affatto queste divisioni, tuttavia raggiunse

un certo equilibrio tra gli elementi contrastanti. I colori sono ar-

moniosamente varii e vivaci, ma non troppo intensi (siamo negli an-
ni della massima colorazione) e l'alone gaio di testine alate s'im-
merge in parte nelle nuvole, soffici e non affatto angolose. Le opale-
scenze perlacee delle parti nude temperano la durezza delle pieghe
(lembo del manto della Vergine) ammorbidiscono il ritmo lineare
delle vesti e dei nastri ondeggianti degli angioli riassunto nelle bor-
chie variopinte delle testine di bimbi dalle quattro alette, ove a
un relativo rilievo nel volto si contrappone un ritmo di linea e di
colori vivi.

La terza dimensione, a cui i santi accennano, é realizzata dalla
composizione spaziale del paesaggio: radura brulla, silenziosa, ove,
lieve e sfuggente, qualche particolare si delinea e si scioglie. Un unico
colore terroso, cosparso di puntini verdognoli sempre piü impercetti-
bili e sbiaditi in lontananza si da confondersi colla tinta aerea (dal
primo piano l'artista sapientemente passa alla lontananza attraverso
una proporzionale degradazione di tinte) e una linea di colline e di de-
clivii molle e monotona senza individualità, realizzata con pochi trat-
ti, formano questo ambiente e producono l’effetto di sconfinato oriz-
zonte.

In esso respirano due delle piü artisticamente belle figure di
Pietro: il giovane Michele armato e la giovane Caterina con la ruota
del suo martirio. Da questa ruota allo scudo, dalle pieghe dei panneggi
femminili alle decorazioni della corazza e dell'elmo,dalle linee delle
membra, delle mani e del viso dell'una a quelle dell'altro corrono e
ricorrono rispondenze lineari e cromatiche che uniscono figurati-
vamente le due persone psicologicamente divergenti, costituendo.
un piccolo poema di grazia. Una certa rispondenza e divergenza simile
a questa si nota tra il Bimbo e la Madre — il cui raggruppamento è
veramente pieno di grazia — ed altre si scorgono qua e là, ma non sono
sufficienti ad animare del tutto la grande tavola, giacché anche in

(1) Petrus Perusinus pinxit, manca di data. 116 : .MARIA AURELIA MOCHI ONORY VICARELLI

essa — sebbene in minor grado che in quella Vaticana — siamo nel.
frammentario.

Non possiamo disconoscere che taluni accordi cromatici sono
squisitamente sentiti e che singolarmente considerate ogni rappresen- .
tazione è bella e coerente (anzi molte parti saranno riprese felicemen-
te: quali ad esempio il volto della Vergine; S. Michele, il paesaggio a
puntini quasi fossero promesse di un'opera giovanile) ma se in una
di esse è limitato ed attenuato chiaroscuro e rilievo onde valorizzare i -
suoi elementi tradizionali, in un’altra questo predominio del tradizio-
nale è meno sentito. Ciò che manca è la sintesi unitaria che mette allo
stesso diapason tutti i mezzi figurativi, attraverso l’identicità di un
‘elemento unificatore che permei e tenga assieme. tutte le varie voci,
: formando. un concento organico ed armonioso. Frutto questo dell'in-
.sidioso compromesso che l'artista aveva messo a base della propria
arte e che, anche nei suoi anni migliori, qualche volta leggermente si
sfianca e. traspare.

MADONNA COL BAMBINO, S. CATERINA E IL BATTISTA
Louvre, Parigi, 1492-95 circa .

Nella tavola firmata (1) del Louvre eseguita tra il 1492-95 colla
Madonna il Bambino il Battista e S. Caterina il maestro sente il fa-
scino del piano ondulato che dall'arco della pura fronte delle due don-
.ne si stende, appena interrotto, sui piani facciali alquanto allargati |
si da formare un ovale perfetto. Questa tendenza ad arrotondare, slar-
gare le superfici dei volti s'intravede pure in altre tavole come nel
Compianto Pitti, nella Madonna dei Protettori di Perugia, nella ta-
vola di Bologna, ma in stadio iniziale, mentre riecheggierà in piena
evoluzione nell'attività posteriore.

Il corpo pieno e morbido del Bimbo, le mani e i volti di tutte le
figure paiono sbocciare vellutati ed accarezzati da tutto lo scuro de-
gli abiti e del fondo che rialza tutte queste morbidezze e l'intensità
dei loro colori.

Poche altre volte il Perugino ha saputo mettere a tacere la sua
innata tendenza verso il grazioso, vagheggiato in alcuni aspetti della.
realtà, quale la leggiadria di una bella persona; poche altre volte è’

(1) Petrus Perusinus pinxit, Vasari non fa cenno di duos Opera che manca
di data.
SLI

. IL GUSTO E L’ARTE DI PIETRO PERUGINO

giunto a un tale grado di realizzazione della grazia umana per mezzo IN -:
unicamente di elementi figurativi, poiché qui la stessa ovalità dei iù
E visi, i nasi dalla forma carnosa, gli occhi appesantiti dalle palpebre
È > gonfie e spesse negano ad un tempo qualsiasi contenuto fisiologico
e qualsiasi spiritualità quali invece la delicatezza di tratti più affi-
nati, più preziosi, pole rivelare.

& d 1

PIETÀ PER I GESUATI
Uffizi, Firenze, 1492-95.

La Pietà con S. Giovanni Evangelista, la Maddalena, Nicodemo
e Giuseppe d'Arimatea fu eseguita ad olio tra il 1492 e il 1495 per la
Chiesa di S. Giusto dei Gesuati.

Nel 1529 passó a San Giovannino della Calza ed ora, assai ro-
vinata da raschiature e ridipinta in vari punti, trovasi agli Uf-
fizi (1). !
La discordanza delle figure ud frontalmente con ii e che
ha notevoli ed arditi intenti prospettici (quanto basso ha egli fissato
il punto di vista !) é resa ancor piü sensibile dalla rigida linea oriz-
zontale del corpo del Cristo.

I colori vivi, crudi dei paludamenti che l'artista vede e gusta in
sé e quindi contrappone sgargiantemente (verdi, rossi, gialli, celesti)
riportano violentemente questi personaggi in primo piano. Tanto è 4;
il suo intento cromatico e il suo desiderio di variare le tinte, che, ol- |
tre al rendere rigide ed affilate le pieghe per non essere obbligato a
formare ombre scure e profonde, suddivide in düe colori gli abiti
(maniche del santo a destra). Questo genere di visione contrasta con
quella in cui é concepito il Cristo. Il desiderio di far apparire un corpo
morto ha condotto il pittore a trasformare la gamma calda del Cri-
sto del Compianto, che considerammo un punto d'arrivo, in tonalità - | i1
grigiastre. Questo colore gli imponeva di ombreggiare in tinte neutre | Lfd
e dense le parti in ombra, di rendere le luci ben delicate, di non racchiu-
E dere tutto il nudo in un'atmosfera di luce vivificante. L'intento di
- ^ miprodurre i tratti che la morte ha irrigidito ed affilati lo conduce
È alla consistenza e alla saldezza del rilievo. Le delicatezze quindi, che

: * ha
rie

RISO PURI III Tet

(1) Vasari lungamente parla di questa tavola trattando dell’attività del | 3 i
Perugino per i Gesuati. Tavola questa e la seguente prive di firma e data. Le
- vite, cit., tomo III, pag. 573.
118 " MARIA AURELIA MOCHI ONORY VICARELLI

nel petto accennano ad un ritmo ondato di piani, si spengono nel mar-
moreo suscitando quella freddezza accademica propria del pezzo di
bravura. Forse l'artista pensó di ottenere un rapporto di compattezza
tra il cadavere ed il portico; ma la sua intenzione fiorentineggiante (il
ricordo del Signorelli e dei Pollaiuoli e forse anche di A. del Casta-
gno non sono certo estranee alla posizione assunta dall'artista di
fronte = quest'opera) non potè uscire vittoriosa neanche qui; e d'altra
parte s'impose abbastanza per distruggere l’unità dell’opera, in cui
naufragano le grazie delle altre parti; figure, atteggiamenti, delicatez-
ze, offerti in una ripetizione incoerente.

Lo stato di questa tavola è, nei riguardi dei toni, tale da non
permettere di giudicare e di goderne l’originale rapporto fra di loro.

Specie la tinta delle carni ha subìto variazioni dovute forse al-
l’uso fatto dell’oltremarino, incorporato nei vari colori onde avere
maggiore trasparenza.

La tecnica propria del maestro per dipingere le carni era quella
di un tono bruno preparatorio e di strati successivi sempre più leggeri
di tinta, onde non si cancellassero a vicenda, ma bensì trasparisse l’in-
feriore dal superiore. Ultimo lo strato della luce che in tal guisa illu-
minava le superfici senza attraversarle, avvivando e dando lucentez-
za al colore. Dall’interno all’esterno si verificava l’effetto di traspa-
renza, dall’esterno all’interno quello di illuminazione. Con il gra-
duare, con lo sfumare del colore nell’ambito delle proprie gamme
veniva reso il rilievo, il tondeggiare dei corpi (sfumato con colore).

I panneggiamenti erano pur essi eseguiti con questo sistema di
strati sovrapposti e poi inverniciati, ma a seconda di come doveva
essere il colore esterno freddo o caldo, gli strati interni primi erano
dell’opposto tono caldo ovvero freddo. Ultimo veniva lo strato della
luce e dall'ombra preceduta immediatamente, ovvero immediata-
mente seguita, da questa vernice, impastata con bitume, che pur-
troppo con il tempo ha portato ai deprecati oscuramenti.

ORAZIONE NELL’ORTO
Uffizi, Firenze, 1492-95 circa.

. Abbiamo veduto come già in questo aureo periodo il maestro
abbia oscillazioni preannuncianti la sua decadenza, che si rivelano
in quadri più o meno mancati. Se la composizione che vorrebbe pira-
IL GUSTO E L'ARTE DI PIETRO PERUGINO 119

midarsi in primo piano nel Cristo dell'Orazione nell'Orto (1) (tavola
ad olio priva come la precedente di firma e data, eseguita tra il 1492-
95 sempre per i frati Gesuati ed ora agli Uffizi) ottiene buoni effetti
di ritmi ondulati, ha qualcosa d'incoerente nell'allineamento degli
Apostoli addormentati e nella frontalità dell'angelo librato a volo e
delle schiere armigere.

Queste minuscole figure sono inquieti damerini che brillano
nelle alabarde, negli scudi, negli elmi. Il movimento inconsulto delle
membra troppo distanziate nella corsa, determinata da scopi illustra-
tivi, distrugge loro la necessaria saldezza derivante dal rispetto del-
l'equilibrio.

Dei paggi raffinati, delle figurinette agghindate dalla festosa
moda quattrocentesca che Perugino aveva avuto agio di conoscere a
Firenze sia nella vita, quale espressione dell'eleganza del popolo e

«dello splendore della corte medicea, sia nell'arte sopratutto in quella

del Pesellino (la cui grazia l'umbro fece tanto sua come notasi nelle
due tavolette dei Miracoli di San Bernardino, (2) a lui quasi concor-
demente attribuite e che denunciamo palesemente questa interferen-
za), qui non rimane che l'eccessiva e nervosa snellezza delle gambe,
e la leziosità degli ornamenti (elmi dalle ampie volute, daghe alla

‘turcassa, corazze arabescate) producenti in noi un senso di irrita-

zione. La cura che il Perugino dà a questi personaggi, la compiacenza
che mostra nello studiare e variare i particolari non c'impedisce di
vedere in essi giustificata la frase del Salaino, allievo di Leonardo,
(trascritta da Agostino Strozzi ad Isabella d'Este il 22 gennaio 1505)
«non essere suo mestiere far figure piccole in perfectione » (3).

In quanto poi all'angelo, vi stride il contrasto tra la monumen-
talità fiorentina e la vaga ondulazione senese. Non neghiamo che i
movimenti dei veli e delle vesti, che accompagnano musicalmente
la gamba sollevata siano deliziosamente sentiti, ma questo spunto
di alto decorativismo é in parte soffocato dall'orgoglio del maestro
che non rinuncia alla scienza appresa a Firenze e dà all'angelo un
solido torso.

Lo stesso colore guazza irrequieto fra presunzioni formali (santi
in primo piano) ed intenti pittorici (Cristo e figurinette).

(1) Anche questa tavola è fra quelle che il Vasari nomina come le pre-
cedenti per il convento di Fuori la porta a Pinti: Le vite, cit., tomo III, pag. 573.
(2) Galleria di Perugia.

(3) CANUTI, Perugino, Doc. 353.
MARIA AURELIA MPCHI ONORY VICARELLI

CROCIFISSIONE PER IL MONASTERO DI CESTELLO
S. Maria Madd. de’ Pazzi, Firenze, inc. 1493 finita 1496.

Il 20 aprile 1496 è compiuto l’affresco che, nel 1493 Pietro di
Dionisio Pucci e sua moglie Giovanna avevano allocato-al maestro
‘ per il Capitolo di Cestello (ora S. Maria Maddalena de’ Pazzi, ed in-
fatti l'affresco si chiama ora Crocifissione de’ Pazzi) e da lui incomin-
ciato nello stesso anno.

Insieme con la Consegna delle Chiavi, e coi lavori del Cambio è
l’affresco più grandiosamente concepito dal maestro. Approfittando
della ripartizione dello spazio diviso in tre archi in muratura, l’artista
crea un eguale e solenne susseguirsi di tre vani quasi tre fornici di un
porticato di là dal quale si stende il paesaggio e si svolge la scena.
Giunge così alla risoluzione decorativa del portico leonardesco. Infatti.
esso non proietta più ombre, ha bensì solo valore ritmico, pur facendo
parte della composizione, resta elemento a sé: facciata e cornice ad un
tempo. A scopo di frontalità, il maestro accentua la curva degli archi.
e li distende longitudinalmente su tutto il piano, e da essi fa limi-
tare l'assieme figurativo che mantiene di qua dallo sfondo paesistico.
Il Crocifisso si proietta in un’immensa stesura di cielo diafano, su un
volume d’aria che è molto aumentato dall’abbassarsi del paesaggio
e di alcune figure. Risulta quindi una contrapposizione tra il piano
del portico (piano del finito) ed il piano del cielo (piano dell’infinito).
AI primo s'avvicinano le figure umane, nell’altro si esalta la divinità.
Le figure umane respirano anch'esse l'ampia atmosfera e perciò ingi-
gantiscono il loro potere e sublimano il loro valore morale. Nella mo-
numentale loro squadratura, rare come sono per entro tanto spazio,
producono un diffuso ondulamento in cui si addolcisce il loro dolore.
Esse vi sono in serena calma, non turbate da sentimenti violenti e
umanamente appassionati, ma bensì tutte raccolte in silente, spiri-
tualmente consapevole, compostezza. Parallele, simmetriche, spia-
nate in superficie, queste figure dimostrano coma il Vannucci potesse
trovare, proprio attraverso a questa che è la semplificazione richiesta
dal proprio gusto, unità di concezione, potesse in questo periodo della
sua attività stringere fra loro in superiori legami di ritmo, atteggia-
menti ed espressioni; dal punto di vista fisiologico non coordinati ov- -
vero addirittura slegati ed estranei, potesse equilibrare gli spazi pieni
con quelli vuoti, creare insomma con un metro obbligato un poema
di ampio respiro.
IL GUSTO E L'ARTE DI PIETRO PERUGINO . 121

E cosi noi, non tentati da alcun interesse narrativo e distratti
da sollecitazioni psicologiche, sentiamo quanto potente sia il legame
che tiene uniti questi grandi pannelli vicendevolmente necessari;sen-
tiamo che; coprendo idealmente le due parti laterali, nascerebbe un
senso di squilibrio fra la croce che porta in alto sull’orizzonte il corpo
del Cristo ed il paesaggio: il rapporto in profondità verrebbe ad essere
esasperato. Mx vaa

La lunga linea delle braccia tese del Cristo si riadagia invece e
riecheggia nell'ampia disposizione pressoché ad essa conforme dei
santi, e nel paesaggio in cui per la sobrietà dei particolari, per il pro-
gressivo degradare delle tinte aeree, creatrici di ampi sfondi, per le
linee sinuose, quasi generiche delle colline si ha la sensazione di vivere
in un mondo ove tutto è fermo, predisposto, essenziale e come tale
purificato, sacro, eterno.

Le figure in cui l’amabile vivacità dei colori dei manti, dalle
larghe pieghe solenni (la striscia chiara del vestito di Santa Madda-
lena ci fa pensare ad un intarsio di colore) ravviva la scena, impostata
su tonalità basse e tristi, sono gli accordi di base, i gradini necessari
perché si diffonda sull’immensità dell'orizzonte, in tutta la sua am-
piezza, il canto della Croce.

MADONNA IN TRONO CON BAMBINO E SANTI
S. Maria Nova, Fano, 1497.

. Datata del 1497, pomposamente firmata è la tavola per la chiesa
di Santa Maria Nova di Fano (1). Questa tavola ad olio, i cui
colori col tempo si sono assai oscurati ed alterati di tono, é dell'epoca
in cui il Vannucci era assorbito dalla grande ancora perugina di San
Pietro (1495-99). Possiamo quindi imputare a questo impegno così
oneroso se-egli, in anni di ancor sana e vigorosa attività, cominciò ad
indulgere con se stesso, sia permettendosi la copiatura di figure create

(1) La predella del trono porta questa: iscrizione « Durantes Phanensis

ad intemeritate :
Virginis, laudem tucentum aureis atque
Huius templi bonorum centum. superadditis
Hanc (tabulam) solerti cura fieri demandavit
Matteo de Martinotiis fidei commissario procurante MCCCC97
Petrus Perusinus pinxit ».
Vasari non nómina quest'opera.

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Pr ct mos

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122 MARIA AURELIA MOCHI ONORY VICARELLI

in opere precedenti, sia lasciandovi partecipare Andrea d'Assisi detto 1
l'Ingegno. Ecco profilarsi la grave incrinatura della personalità del È
maestro. Egli non rifugge dal tradire la propria potenza creativa co- A
piando se stesso per contingenze e fini d'ordine pratico.

L'unico elemento notevole riguarda l'architettura del porticato:

esasperato é il rapporto tra i personaggi ed il portico di cui assotti-
gliati, rischiarati sono i pilastri, ristretto l'arco della volta, ormai re-
spinto al margine del quadro, onde non proietti ombra.
. La prospettiva di questo portico che si estende lungamente al di
là della zona dei personaggi non é peró l'elemento, nell'ambito del
quale s'imperniano e si sincronizzano tutti gli altri, ma bensi posto
sul piano degli altri e realizzato con un valore secondario, esso di-
viene, per questa sua interpretazione, l'elemento di dissociazione, di
sparpagliamento dei varii ritmi e nella mancata rivelazione del suo
tema ne svela il peccato d'origine: la provenienza da elementi estra-
artistici.

Né questa funzione di fulero è assunta dalla Vergine, centro fit-
tizio del quadro, talché non é coordinata né valorizzata l'identicità
della posa, l'uguaglianza dei sentimenti, e la ripetizione dei ritmi:
tutto. diviene artificioso, troppo evidentemente schematizzato.

Le stesse volute delle anfore ai piedi del trono; le stesse grazie
dei bastoni, dei libri, della pisside sono null'altro che ingombranti
pretesti.

Non possiamo quindi, in questo caso, parlare di metamorfosi della
prospettiva in decorazione, a causa di questo quid di artificioso che
permea tutta l’opera. |

Nessuna vibrazione nel chiarore fermo dell'aria; i colori stessi
biaccosi si oppongono senza sostenersi vicendevolmente e (ora sono
inoltre assai alterati) non ci parlano il linguaggio di questo periodo del
Maestro, contrassegnato da intensa colorazione, che dai rossi piü ac-
cesi scende ai gialli paglierini, dai turchini ai verdi splendenti.

Tutte queste constatazioni fanno precisare che l'Ingegno abbia
avuto larga parte in quest'opera, anche se non la totale esecuzione
come vorrebbe A. Venturi, che a lui ascrive anche la predella.

Interessante in ogni modo é il constatare come la maniera del
maestro in un tempo ancora reattivo e vigoroso potesse o per opera
di un allievo, o per opera del maestro stesso in particolari circostanze
negative, immediatamente scadere dalle posizioni raggiunte. Nella
predella e specie nella lunetta (Cristo seduto sul sepolero con attorno
4 santi) l'artista sa mostrarsi in pieno possesso delle proprie possibilità.
m—— —— m

IL GUSTO E L'ARTE DI PIETRO PERUGINO 123

Fresche ed immediate sono le cinque scene della vita della Ver-
gine che formano la predella (Natività, Presentazione, Sposalizio,
Annunciazione, Assunzione) e proprio fra una di queste, l'Annuncia-
zione, ed una analoga di Raffaello (per la predella dell' Incoronazione
Vaticana), c'é evidente legame.

In esse si rimpicciolisce, mantenendo peró la sua struttura, lo
scenario peruginesco, con fughe d'archi ora chiusi ora sfondati su cieli
degradanti di tinte, popolato di figure raccolte nelle abituali posi-
zioni un pó rigide. Ma la ristrettezza dello spazio permette all'ar-
tista di raggiungere, nella immediatezza della realizzazione, un senso
di grande giovinezza, di ingenuità, qualche volta leggermente bu-
rattinesca.

Nella lunetta siede il Cristo leggermente obliquo onde creare pro-
spettiva spaziale, inconchigliato dalle quattro figure che si dispongono
ordinatamente e si compiegano secondo la linea della cornice. Le sue
due lunghe braccia chiare, abbandonate al limite della tomba, uni-
scono i personaggi scuri del primo piano con quelli pure scuri del
secondo. Il Cristo, nel suo corpo nudo, s'apre ad un delicatissimo
gioco di sfumato e richiama la nostra attenzione come unica piazza
«di colore chiaro e come tale s'impone.

Le figure in primo piano in aggraziato atteggiamento di sereno
dolore, stemperano euritmicamente per tutta l'ampiezza della lunet-
ta le note più serrate del Cristo, sorretto dai due uomini.

E proprio per l’innato suo gusto verso il colore, Pietro sente in
questa lunetta la necessità di rialzare la linea scura dell’orizzonte e
di attorniare il corpo del Cristo con colori vivi onde non proiettarne
‘e disperderne la sinfonia ocrata contro quella azzurrina del cielo.

MADONNA DEI BATTUTI

Pinacoteca di Perugia, anter. 1498.

La tavola ad olio con la Madonna dei Battuti (1) in buono stato
«di conservazione, priva di data e di firma, eseguita anteriormente al
marzo del 1498 e proveniente alla pinacoteca cittadina dalla Contra-

-ternita di San Pietro Martire in Perugia, declina dal periodo migliore

verso la decadenza che purtroppo ha le sue lontane propagini anche

‘ (1) Non è fra le opere elencate dal Vasari.

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roo mn 124 - MARIA AURELIA MOCHI ONORY VICARELLI

nell'età migliore dell'artista e che é causata dalla gran quantità di la-
voro e dalla incapacità di quest'uomo a tormenti e ad evoluzioni in-
tellettuali. i

In una borghese pacatezza d’arte la maestà macchinosa della
Vergine, che rispecchia nei tratti e nella positura altre precedenti,
s'appesantisce nel manto che l'ingoffa come una coltre e nel Bimbo
grasso e tardo. I piani di carne sono sfasciati. Né questo avviene per
superiore necessità di linee decorative, né per bisogno di campi più am-
pi al distendersi del colore.

Sussistendo peró questi elementi pittorici (pieghe dai limiti ri-
gidi del manto, in cui si nota chiaramente la tipicizzazione degli ad-
dentramenti a forma di occhiello), senza aver piü la forza di unifor-
mare tutta la composizione, essi di necessità cozzano con il rilievo ed.
il chiaroscuro che per uno di quegli oscillamenti proprii di quest” arte
gotico-senese fiorentinizzata riacquista vigoria.

Il sentimento della grazia non è affatto rivelato dagli elementi
figurativi, ma bensì invece è attuata unicamente nel suo contenuto
psicologico, attraverso pose artificiose, atteggiamenti illustrativi,
tratti fisionomici che vanno man mano stereotipandosi. Infatti, la te-
sta della Vergine, pur mantenendosi aggraziata diviene piccina in
confronto al corpo matronale; la bocca a cuore e gli occhi disposti
obliquamente sanno qui di lezioso. |

Siamo sulla china della deformazione del sentimento della grazia
in sentimentalismo. Gli angioli che riproducono sommariamente l'an-
g'olo dell'Orazione dell'orto del 1495 e quelli della tavola di Bologna
del periodo tra il 1492 e 1495 (in seguito li troveremo molte volte),
hanno movenze imposte da superiori ritmi decorativi. Ritmi, ondu-
lamenti questi che si impietriscono nella rilevante concretezza e ma-
terialità dei loro corpi, sicché le danze di esseri celestiali si mutano in
macchinose pose di fantocci coreografici. Inoltre l’artista, scarso di
fantasia, poco concepisce farli librare nell’aria per forza propria; ma

‘invece sente la necessità di dare ai loro volteggi, un materializzato
punto di appoggio e dipinge .in mezzo a cieli tersi ed azzurri, nuvo-
lette bianche a mo’ di piedistalli. |

Anche l'attrattiva degli antichi paesaggi del maestro, chiari sotto
l'azzurro del cielo, è scomparsa per l’ addensarsi di ombre spesse e bi-
tuminose.

I sei confratelli, oranti in bianca cappa e cappuccio in capo, avreb-
bero potuto risolversi in un interessante gruppo di ritratti e dare una
nota di vivacità all’assieme; invece l’artista non superò, neppure per

EEUU UT SR Po. ps Ea. Re
125

IL. GUSTO E L'ARTE DI PIETRO PERUGINO

essi, lo stato d'inerzia da cui si era lasciato cogliere e fece delle simbo-
liche figurine che vedremo ripetute nei gonfaloni di San Francesco
‘e della Giustizia, rigide, non animate, piene di noia e di sonno, che
rientrano nella tradizione illustrativa umbra.

ANCONA DI S. PIETRO
-1495:99- —

Purtroppo l'ancona eseguita per i frati di San Pietro di Perugia
(1495-99) non è più apprezzabile nel suo originale complesso, perché
smembrata e disseminata in musei di varie parti d'Europa.

Quest'opera di cosi gran mole è espressamente ricordata dal Vasa-
ri nella biografia del Vannucci, come una delle migliori opere ad olio
. del maestro che fossero a Perugia. Essa manca PURXODDE sia di data,
sio di firma.

La tavola. centrale, ora trasportata su tela, ma deteriorata da
vaschiature e da restauri fuori tono, rappresenta l'Ascensione di No-
stro. Signore (ora al museo di Lione). :

Anche in questo caso in cui il tema gli offriva particolari spunti a
rappresentazioni strettamente organiche attorno a un fulcro centrale
d'equilibrio e di irradiazione, quale il Cristo ascendente, Perugino,
come già per la Consegna delle Chiavi, le Adorazioni, le Madonne in
gloria, le Pietà, il Compianto, non tenta innovazioni bensì segue il
proprio gusto che indifferente alla drammaticità del tema, lo porta a
‘trasformarlo in un motivo più riposante, più calmo, meno contingente:
cioè a distendere la « sua ascensione » nella abituale soluzione deco-
rativa.

Infatti, col mantenersi aderente ai proprii valori psicologici e figu-
rativi, le figure vengono rivestite di statica concretezza ed immerse
in calma contemplativa, e col sciorinare i personaggi, pretesti di co-
lore, in schiere simmetriche e frontali, vicendevolmente ignorantesi,
malgrado i mezzi con cui vorrebbero interferire, il maestro trasforma
il rapporto prospettico, in rapporto cromatico.

In questa tavola, come già si era cominciato a notare nella Ma-

donna in gloria di Bologna e in poche altre precedenti (l’attività futu-

. ra lo confermerà in pieno) si comprende proprio perché siamo nel perio-

‘do migliore e la possibilità creativa dell'artista non è inaridita, quan-
to l'arte del maestro poggi su un compromesso estremamente delicato
‘e’ difficilmente mantenibile.

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126 . MARIA AURELIA MOCHI ONORY VICARELLI

Infatti la coesistenza di elementi pittorici gotico-senesi e plastici
fiorentini, se da un lato gli impedisce di tessere la propria scena su
una intelaiatura prospettica, non lo ostacola nello sfondare il paesag-
gio con tinte aeree degradanti, ma gli impone subito dopo la necessità
di variarlo con una muraglia di corpi in primo piano; e gli permette
di riempire 1 cieli con figure dagli intenti pittorici in quanto pretesti
di contrapposizioni di colore, impiantate bensi con rilievo e consisten-
za tali da insuperbire con presunzioni plastiche.

Equilibrio dunque su due civiltà che puó essere mantenuto quan-
do ogni volta si vive il proprio momento creativo, ovvero di esso non.
si é né lontani né dimentichi, curosi unicamente della pratica esecuzione
dell'opera, precipuamente interessati a riprodurre ció che la mano
già conosce per avere altre volte eseguito.

Il Cristo staglia impetuoso di fronte alla sinfonia azzurrina del
cielo con salde zone di colori gemmati ed intensi, campiti in zone al-
largate, permesse queste dal diradarsi in limiti decorativi delle pieghe
dei drappi; gli angioli si prolungano in ali variopinte, il chiaro alone
si stella di testine di bimbi dai piumati ventagli iridescenti. Tutte zo-
ne di colore che, svelando l’intento cromatico di variare le tinte, hanno
valore in quanto s'inseriscono e si contrappongono, teoricamente
colle caratteristiche proprie delle tessere musive, e non in quanto si
smorzano e si fondono.

Vivissima è la ricerca di colore nel drappo ondato del Cristo che
scende dal lato destro in una decorativa cascata di pieghe e che fiori-
sce nel lato sinistro in uno svolazzo, uniformemente brillante, intarsio
di colore smaltato sul chiarore dell’alone.

Questo intento decorativo si mantiene anche nella stoffa leggera
con cui riveste i suoi angioli musicanti, che non sconvolge con infinite
piegoline reclamanti ombre fumeggiate, ma bensì ingrevisce ed indura
onde permettere al colore di sussistere nella sua qualità di bel colore.

Quel fondo di psicologismo, quell’innegabile contenuto sentimen-
tale di grazia, da cvi parte l’artista, affiora negli angioli che non strin-
gono gli oggetti nelle loro belle mani affusolate, che sfiorano appena
i loro strumenti, che piegano le loro teste dal medesimo ovale; ma
d’altro lato, proprio per il superamento di essa in grazia formale, ar-
cuano le loro gambe per la gioia di una linea curva, annodano i loro
veli per il ritmo del serpeggiare di un lembo.

"Cristo poi è un esempio di monumentalità fatta di grazia, uni-
camente derivante da elementi figurativi (sfumato con colore nel
nudo edonisticamente rivelato da soavi ombreggiature e da sottili
IL GUSTO E L'ARTE DI PIETRO PERUGINO 127

passaggi di tono e colore qualitativamente raccolto in ritmi decora-
tivi); i meravigliosi nastri hanno la superba funzione di controbilan-
ciare, nella linea che li costruisce e li muove, quella obliqua del braccio
alzato dell'angiolo che li regge.

Questi celesti candelabri hanno valore in quanto obbediscono,
nei loro corpi arrovesciati, nelle loro vesti mosse, alla lunga linea che

| dall’alluce piegato raggiunge l'indice della mano, motivo principe che

li uniforma e fa di essi degli assoluti... purtroppo frammentari.

Parallela a questa schiera aerea ve n'é un'altra « terragna »: i
personaggi di entrambe sono di grandezza al naturale. Ne nasce di
conseguenza soffocamento di spazio, assiepamento di figure, ed una
mancata unità d'impostazione.

A differenza della parte superiore in cui l'artista ha profuso l'arte
sua con grande finezza di esecuzione, giungendo ad assoluti; in quella
inferiore ha lasciato scorrere la sua mano dotta ed abile, sicché nel
riavvicinare troppo le zone cromatiche, sfiora la testa della Vergine,
impicciolisce le teste e le bocche a causa di un più urgente interesse
contenutistico, e cade in vane espressioni pietistiche.

Il colore stesso subisce un indebolimento: non sono piü i gemmei
smalti della parte superiore, né quelli che ritroveremo nella predella.
Le varie figure hanno i loro modelli in opere anteriori.

Unico elemento positivo sarebbe il paesaggio che s'inazzurra
nella lontananza, pieno di aria e di spaziosità, ma nell'insieme questo
cauto si perde, questa voce non ha rispondenza ed emerge come un
prezioso rottame.

Viene istintivo pensare che in quest'opera non sia estranea la
mano di qualche aiuto, fosse esso Eusebio da San Giorgio o l'Ingegno.
Nella lunetta col Padre Eterno (St Gervais, Parigi) vengono rias-
sunti i motivi degli angioli candelabri e delle testine dalle ali sgargian-
ti con sincerità d'intenti, sicché essa si mantiene in sede puramente

decorativa.

Superbamente organizzati, nell'ambito dei loro tondi, i due Pro-
feti del museo di Nantes distribuiscono e controbilanciano con i loro
corpi e coi loro rotuli j pieni ed i vuoti dello spazio.

Né l’arte anteriore del maestro ignorava figure di similare gran-

dezza. Ricordiamo ad esempio, i personaggi della Consegna delle
Chiavi ed in special modo quello ammantato che volge le spalle.

Nell'animo del maestro non è spento del tutto il ricordo della
monumentalità dello squadro pierfrancescano, né l’eco del tempo in
cui aveva guardato alla costruzione scultorea del Signorelli.

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Questi personaggi biblici nello svolgersi delle loro leggende, rit-
mate di colore, nel compiegarsi ondato sms proprii corpi: obbediscono
a pura ricerca decorativa.

Non mi sembra quindi necessario si lanolicagiari coll’attività di
Raffaello attribuendogli come fa A. Venturi queste opere, tanto più
e per fare ciò bisogna pensare l’opera non finita nel 1499 e trascinarla
fino al 1504, ovvero pensare i due tondi completamente estranei al-
l’ancona di San Pietro (1).

Ricordi di questi assoluti troveremo in seguito nei personaggi
delle pareti e nelle figure: mitologiche della volta del Cambio.

Fermiamoci ora sui santi della predella, di cui alcuni sono a Pe-
rugia al loro posto d’origine (S. EIeHo in Perugia) altri invece alla.
galleria Vaticana. ;

In essi é abolito il paesaggio cd è sostituito con una parete grigia
€ neutra, che pur permettendo al colore delle vesti di brillare limpido,
non dà più ad esso quel senso di prezioso e di gemmeo che solo l’urto
di due colori ugualmente intensi per qualità, poteva generare.

Nonostante questo indebolirsi del sentimento del colore, che
ricomparirà in questi anni saltuariamente prima di trasformarsi in
habitus nel periodo della vecchiaia, non si può negare che i quadro
siano tra le più belle produzioni di questi anni;

Il Perugino contiene nei brevi limiti, armoniosamente raccolti,
1 busti dei santi, né i loro attributi (libri, pastorali, colombelle) gli
sono d’ingombro, bensì gli danno pretesto a variare le pose. Solo le
espressioni volute con troppa preoccupazione ed ostentazione e
quindi ricorrenti a mezzi schematizzati (occhi all’insù, colli piegati,
mani giunte) ci fanno intravedere il pietismo vuoto in cui cadrà.

Le tre scene Natività, Battesimo, Resurrezione, della predella
sono al museo di Rouen.

Vi vediamo impicciolite e quindi esasperate in alcune proporzioni
le composizioni create per maggiori dimensioni. Appare qua e là per
rapidità di esecuzione una tecnica che si vedrà in seguito con mag-
giore frequenza.

Certo in un'opera di cosi grande mole era inevitabile il concorso
di collaborazione e di aiuti, ma la partecipazione di altre mani si ri-
duce a parti minori e ad esecuzione materiale: l'ideazione, l'impostazio-
ne, il disegno e l'esecuzione nelle parti principali rimane del maestro.

(1) Nel libro dei disegni di Venezia vi è la copia degli schizzi originali
«li questi due tondi eseguiti da un allievo della bottega del Vannucci.
IL GUSTO E L'ARTE DI PIETRO PERUGINO .

RESURREZIONE VATICANA

Galleria Vaticana, Roma, 1499.

| -La Resurrezione della galleria Vaticana fu-ordinata all'artista . E vl
E per la Cappella di Bernardino di Giovanni da Corneto in San Fran- : “es
|. «esco del Convento (ora al Prato) di Perugia nel marzo 1499. M
Il contratto vincolava l’artista ad una rapidissima consegna:
gli erano concessi due mesi di tempo. Non consta che l’artista ab-
bia tirato in lungo questa tavola ad olio che ora, non datata né
firmata, è deturpata da alcune screpolature e nell’angelo a destra
‘ da taluni’ ritocchi. In quest'opera, nominata pure dalla biografia |
vasariana, intravediamo il ‘possibile svolgimento e il conseguente ra-
dicale mutamento in cui l'arte del maestro avrebbe potuto superba-
mente sfociare.
L'equilibrio simmetrico della sceria è sentito con la vivacità delle -
sue prime opere, il senso di profondità è aumentato dal taglio obliquo
della lastra del coperchio tombale (questa stessa composizione è nella
Resurrezione della predella di S. Pietro a Rouen) i colori intensissimi
delle vesti delle guardie, arancioni, paonazzi, rossi corallini, turchini,
brillano gemmati e contrastanti su fondi neutri.
Colori questi visti dal Perugino (che è in alcuni particolari ritor- |
nato a pieghe più morbide e profonde con intenti di rilievo e. quindi 1
necessitanti di chiaroscuro) per sé senza che la prospettiva aerea ne ;
3 diminuisca l'intensità, come si osserva nel manto amaranto del Si-
| — . . gnore. Il Cristo che risorge è il Cristo che ascende al cielo della tàvola
| di Lione. Identico è l'alone in entrambe, identiche le due figure di-
E vine, quindi uguale risoluzione di grazia attraverso il colore, la li-
3 nea, lo sfumato. | |
E Ma appunto perché questa figura si presenta piü sola (due sol- : di
E tanto sono gli angioli ai suoi lati) meno attorniata da altri ritmi e
2 da altri colori, che alla tavola precedente provenivano dall'assieme di
angioli, di aastri, di testine variopinte, delle quali era pieno il cielo,
emerge con maggior chiarezza quanto l'edueazione formale sia stata
per il maestro la causa della non piena realizzazione delle proprie
preferenze figurative.
Infatti l'intento plastico- della gamba fortemente rilevata, che
si pianta sulla nuvola simile a colonna, si oppone discorde al lembo
del manto mosso ed ondulato per scopi decorativi e, appesantendola,

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29. 139 MARIA AURELIA MOCHI ONORY VICARELLI

. smorza quel senso di ascesa che la figura poteva assumere dall'assie-
me dei suoi ritmi. I due angioli hanno la stessa struttura di quelli
della Madonna in gloria di Bologna, dell'Orazione nell'Orto (Uffizi),
della Madonna dei Battuti (pinac. Perugia). Il ritmo delle loro danze,
sottolineate da svolazzi di stoffe, si accentua e si esalta negli alluci
ripiegati. Ma neanche in essi l'artista ha il coraggio di deformare la
figura umana per intenti puramente decorativi. Loro mantenendo
quel senso di corporeità proveniente dal rilievo, Perugino cristallizza
lo slancio delle loro movenze e le rende assurde quindi... ridicole.

Inoltre proprio la luce che batte intensa sui colori vivi, era l'e-
lemento che avrebbe potuto condurre l'artista verso un grande muta-
mento. |.

Infatti egli la trasforma da universale (luce che rischiara il guer-
riero, presunto ritratto di Raffaello) in particolare (luce del guerriero
di fronte che ha il volto oscurato e la mano e la gamba violentemente
rischiarate) ma questa trasformazione in contrasto coll'educazione
fiorentina del maestro non del tutto sopita, rimane nella sua arte un
episodio illogico e forse anche inavvertito, certamente non sfruttato.
Infatti se la luce si stende larga sulle mani di queste figure appiatten-
dole, tendente a distruggerne la forma, il disegno resiste e la rinserra
in limiti decisi, si che il risultato é che le carni si sfasciano. La de-
formazione che doveva rispondere a intenti pittorici, ha presunzioni
plastiche. Lo stesso avviene nel braccio del Cristo che sostiene lo
stendardo, mentre nella mano del guerriero, in secondo piano, trovia-
mo che la luce non lumeggia più ma dona colore a una forma netta-
mente delineata. ^

E proprio dall’incompatibilità fra gli elementi formali e la luce
cromatica sorge quello strano effetto di stoffe cangianti della ma-
nica di un angiolo: rosa in ombra, verde in luce che ritroveremo lar;
gamente. : |

Anche per tale opera si é parlato di parti eseguite da Raffaello;
ma se si mantiene come epoca di esecuzione la data del contratto,
l'ipotesi si elide da sé.

Inoltre é talmente vivo il dissidio fra i varii elementi dell'arte
del maestro umbro, da non poter credere che esso sia pure albergato,
con tanta vitalità, nell'animo del giovanissimo allievo, proveniente da
scuola diversa.

Del resto questo subito arenarsi, questo inaridirsi immediato
di possibilità senza che siano comprese e utilizzate ci riporta al passa-
to di Pietro quando nell'Apparizione della Vergine a. San Bernardo
IL GUSTO E L'ARTE DI PIETRO PERUGINO 1391

del 1488-89, e nell’Annunciazione di Fano, 1489, l’artista aveva di

già interpretato la luce in maniera a lui non consueta per poi lascia-

| re, allora come ora, il germoglio di rinnovamento, nato nel proprio

giardino, completamente trascurato.

TRITTICO DELLA CERTOSA DI PAVIA

Galleria Nazionale di Londra e Certosa di Pavia, 1499 circa

La tavola ad olio per la Certosa di Pavia fu terminata con ogni
probabilità nel 1499. Ivi è tuttora la lunetta col Padre Eterno, mentre
il polittico sottostante con la Vergine in adorazione del Bambino e

ai lati S. Michele e S. Raffaele col Tobiolo, è emigrato alla Galleria.

Nazionale di Londra.

Quest'opera gode di un perfetto stato di conservazione. Essa.

porta la firma ma non la data di esecuzione (1).

Disperse invece sono le due tavolette laterali superiori con l'An-
nunziata e l'Annunziante.

La figura della Vergine è una delle più aggraziate e gentili. Non
che egli crei un nuovo tipo di Vergine: è quello da lui prescelto e co-
stantemente mantenuto e che nella grazia fisica della moglie ritrat-
tata, aveva avuto il suo punto di partenza e il suo addentellato colla
realtà.

Ma questo riecheggiamento di forme consuete è fresco, cosciente,

‘vissuto. Ogni cosa è linda, curata, agghindata, voluta per un intento

di grazia. Le dita della Vergine non giungono che lievemente, in ma-

-niera che solo le punte combacino, la bella persona è messa in valore

dalla disposizione studiata delle pieghe sobrie e larghe del manto, le
palpebre un pò grevi, la fronte alta, gli occhi profondi e quasi senza
sopracciglie, la bocca soave con labbra un pò turgide, il mento roton-
detto, i capelli armoniosamente raccolti dall’acconciatura: ogni cosa
risponde ad un ideale di grazia. Guardando ci torna al ricordo il ri-
spetto del Poliziano (2).

Costei per certo la più bella cosa,
che n’ tutto il mondo mai vedesse il sole,
lieta, vaga, gentil, dolce, vezzosa...

(1) Petrus Perusinus pinxit.
(2) POLIZIANO ANGELO, Le stanze, l'Orfeo e le rime, Torino 1921.

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132 - MARIA AURELIA MOCHI ONORY VICARELLI

Questo ipo di figura ove tutto è grazia, intraveduto fin: dalle
. prime opere del maestro, durante quest: anni è andato sempre più le-
vigandosi e appurandosi come si scorge anche dal nudo del Bimbo,
mollemente appoggiato sopra un lembo del manto dell’angelo, e dalle
figure laterali. Anche questi personaggi sono tutti protesi a questo
intento ed in esso trovano ogni loro ragione di essere.

In San Michele (che. ritroveremo nella tavola Vallombrosiana
e nel Licinio del Cambio, mentre aveva il suo predecessore nel santo
omonimo. della tavola bolognese) la posa delle gambe divaricate di ri-
cordo donatelliano, è controbilanciata dalla apertura delle grandi ali.
Essa è abbellita da fiocchetti sul berretto, da arabeschi sullo scudo
sagomato. L’armatura è tutta uno sfumato così grazioso di colori da
equilibrarsi col vezzoso gruppo di Raffaele col paggio Tobiolo, i quali
intrecciano le dita l'un dell'altro in un atto che sarebbe iezioso se tut-
ta la composizione del trittico non gli rispondesse «voce a voce in
‘tempra ed in dolcezza » (1).

Perugino profonde a piene. mani i più bei colori della sua tavo-
lozza: sono colori sgargianti, smaltati, sonori di cui riveste la sua Ver-
gine e i suoi santi, sì che contrapposti alle carni rosate e trasparenti,
libere da ogni forte passaggio di chiaroscuro, danno a tutto l'assieme
un aspetto d’incantato, di giovanile.

Il rapporto tra lo sfumato delle carni e I intensità dei colori vivi
dei paludamenti, e la trasformazione pittorica di questa grazia ini-
zialmente oggettiva, così come la ricerca di ornamentazione, di ele-
ganza su cui il maestro, compiaciuto, attarda la propria mano, si risol-
ve.in superiori armonie di ritmi ed attraverso questi festosi effetti.
decorativi sono espressi accordi del particolare sentimento religioso
dell’artista.

All’unisono colle figure umane è il paesaggio che degrada in col- -
line dai dolci declivii dando ampio spazio al cielo arioso, abbassandosi
là ove era necessario per far campeggiare sull'orizzonte il profilo della
Vergine.

In questa tavola anche i tre angeli cantori, ridotti di proporzione,
posti su striscioline di nubi, nel colmo del cielo, rivestiti.di colori dia-
fani, non sono ad esso d'ingombro. !

I soliti esili alberetti, dalla rada chioma lucente, non portano tur-
bamenti di masse compatte e scure, e un velo azzurrognolo di vapore
avvolge tutti gli elementi del paese, livellando ogni accenno a caratte-

(1) DANTE, Paradiso, X. 146..
IL GUSTO E L'ARTE DI PIETRO PERUGINO ges 133

ristiche, ma creando attraverso il graduale passaggio di tinte (i verdi
maceri dei primi piani si mutano in grigi dorati, in azzurri, fino a im-
madreperlarsi nel fondo) una sconfinata, universale e quindi religiosa
architettura spaziale.

Inoltrs osservando bene queste. lince di paese, ‘queste ondülazio-
ni delle colline che a tutta prima possono sembrare disegnate a caso,
senza riflessione, ritroveremo nella mollezza delle loro curve, lo stes-
so andamento che informa e addolcisce la figura umana. Sicché que-
sto creatore di paesaggio ad ampie ondulazioni, riusci a legare il
paesaggio alle figure o.meglio creó, facendo una cernita degli ele-

menti: che à lui si palesavano nel paesaggio della sua terra (per que--
sto molti rivedono nei paesaggi del maestro le colline umbre, il
lago Trasimeno. ecc.) un paesaggio che fosse ambiente adatto alle |

proprie figure, tanto. adatto che, vicendevolmente, figure ed am-

biente interferissero onde rispondere entrambi a un superiore ritmo

di linea.

La parte superiore del quadro è impostata in maniera i a

quella dell’ancona di San Pietro (ora a Saint Gervais, Parigi). Ma la
forma e l’altezza della lunetta permette un ben altro sfogo alla figura
che non si presenta più a mezzo busto, bensì a figura intiera sedu-
ta sulle nubi. Inoltre l’alone chiaro dietro il personaggio mancante
nell'opera anteriore dà ai colori della tunica e dei paludamenti del
Padre Eterno assai maggior risalto e fa brillare con maggior gaiezza
i ventagli variopinti delle testine piumate.

La testa del Padre Eterno è concepita con un’ampia fronte qua-
si priva di capelli a cui fa seguito un’abbondante chioma che si ir-
radia morbida e filamentosa nell’aria chiara dell’alone da cui pare

ricevere vaporosità e lucentezza. Essa si confonde alla fluente bar-

ba bipartita che nel ricoprire ampiamente le gote scarne porta su
di esse la possibilità di ampie zone scure che s’associano alle pro-

fonde ombre delle occhiaie, dalle palpebre quasi totalmente abbas-

sate per dare alla Bepi un senso Li solenne nobiltà e di rattristata
paternità.

Anche per questo assieme di tavole si è parlato di collaborazione
di allievi — da Raffaello all'Ingegno — ma senza fondamentali ragioni.
A. Venturi vede in quest'opera una copia della Tavola Liechstenstein
.di Vienna (1).

(1) VENTURI A., op. cit., pag. 542.

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MARIA AURELIA MOCHI ONORY VICARELLI

BATTISTA E QUATTRO SANTI

- Pinacoteca di Perugia, 1496-99 circa

Nella tavola a tempera — di cui pure il Vasari fa un cenno,
rappresentante il Battista e quattro Santi (1496-1499 c.) provenien-
te da S. Francesco al Prato, il monticello che fa da base al Batti-
sta non è altro che la montagna dell’Orazione dell’orto eseguita
per i Gesuati (1492-95) ridotta ancora più ai minimi termini. I colori
scialbi e senza forza s'oppongono senza sostenersi vicendevolemente.
Interessante è il soffermarci un momento su quest'opera che, a parte
il pessimo stato di conservazione che non permette di godere i rap-
porti dei colori e tutte le ridipinture posteriori che attutiscono le
espressioni, pure rimane un prodotto sintomatico dell’instabile equi-
librio su cui procede l’arte del maestro e in quanto tale riesce a farci
comprendere perfettamente come accanto ad autentici momenti crea-
tivi potessero fruttificare opere insignificanti o mancate. Di conse-
guenza ci fa maggiormente apprezzare la malia di quest'arte cosi este-
ticamente gracile e facile ad infirmare e ci rivela la buona qualità e la
precisa fisionomia estetica di quei quadri che hanno resistito e sono
l'arte di Pietro Vannucci.

Infatti il giovane armato è già espressione di sentimento degene-
rato in sentimentalismo, reso dagli occhi colle pupille all'insü e dai
tratti dolciastri. Le facce invece del Battista e di San Girolamo sono
ancora morbide e soffuse dij sfumato perché il maestro conserva, an-
che nelle opere mancate, maggior dignità e sincerità nelle figure bar-
bute tendenti al vecchio.

Siamo così in una mera rassegna di personaggi, senza unità di
concezione giacché il Battista non ha la forza di compiere questa fun-
zione. Non legati fra loro da nessun motivo, non animati da nessun
interesse comune che ne determini espressione ed atteggiamenti que-
ste figure si presentano di convenzionale manierismo.

. Quest'opera è da molti riputata di bottega. .
IL GUSTO E L'ARTE DI PIETRO PERUGINO

ASSUNZIONE DELLA VERGINE
PER IL MONASTERO DI VALLOMBROSA

. Uffizi, Firenze, 1500.

Questa tavola ad olio, non in perfetto stato di conservazione,
menzionata dal Vasari, si gloria della data e della firma del Mae-
stro (1) che deve averla eseguita in un periodo immediatamente
precedente al 1500.

Perugino non si logorò a pensare fantasie nuove, a ricercare rit-
mi inconsueti per i monaci di Vallombrosa. Egli aveva pronto tutto
il materiale che man mano era andato accumulando e questo profon-
«de, attingendovi come da un campionario.

Eccoci dunque a rivedere in questa tavola ora agli Uffizi le or-
mai viete schiere di personaggi sovrapposti, eccoci a riscontrare figure
a noi ben note sia nei tratti fisionomici, sia nelle positure (l’arcan-
gelo Michele già nella tavola di Bologna e poi nel Trittico di Pavia,
gli angioli candelabri e musicanti della 2% zona uguali a quelli dell’ A-
‘sceusione di Lione, il Padre Eterno per tutto simile a quello dell’an-
cona di San Pietro a Saint Gervais). Anzi dobbiamo notare che l’ar-
tista ha trasportato di peso da opere precedenti o quasi contempora-
nee (tavola di Bologna 1492-95 ancona di San Pietro 1496-99) l'im-
postazione a zone sovrapposte, mutando solo quanto gli era stretta- 4
[ mente necessario (la Vergine invece del Cristo, alcune figure di santi
E | ‘espressamente richieste dai committenti) ed anche in tale caso le fi-

E .gure mutate sono, sotto nomi diversi, figure di altre opere (la Madon-

3 na è la Santa Caterina di Bologna, il San Gualberto è il Sant'Erco-

3 lano della tavola Vaticana, il San Benedetto è il San Giacomo di IN
quella di Cremona). Solo il San Bernardo degli Uberti in cappello car- ‘ !

dinalizio è un motivo creato onde assecondare il desiderio dei frati. dh

Fresco ancora nell'animo il ricordo della tavola di Bologna, della |
Ascensione di Lione, della Resurrezione Vaticana, del trittico di Pa-
E via, osservando quest'opera, a tutta prima ci viene fatto di sentirla
.... come espressione di decadenza, sia a causa dell'indicibile peso della
E triplice sovrapposizione di gusto addirittura bizantino sia per la quasi
È totale assenza di fantasia creatrice, sia per il non sempre equilibrato
compromesso fra gli elementi. di scuola e quelli di tradizione.

(1) Petrus. Perusinus pinxit A. D. MCCCCC.
136 MARIA AURELIA MOCHI ONORY VICARELLI

Né infatti possiamo negare che essa riesca a nascondere la fatica.
dell'artista a raccogliere nel rigido schema che si é imposto, senza di- .
sarmonie tanti santi, tanti angioli (ben trentacinque teste), non pos-
siamo tacere che negli angioli candelabri, tolti loro di mano i nastri
alla cui linea essi si erano compiegati, viene sacrificata la parte più
alta del loro ritmo e minorato quindi lo slancio decorativo, non pos-
siamo neppur passare. sotto silenzio che le tre zone stanno ciascuna
a sé senza mutui legami di proporzione (la Vergine della 22 zona è
alta quanto i personaggi della 1) e che tutto l’assieme delle figure delle
. due zone inferiori si agglomera per permettere un terzo strato di per-
sonaggi, stipati entro spazio ‘troppo angusto. Tutto questo assembra-
mento soffoca un piü alto senso di spaziosità e dà l'aspetto al quadro
«di una macchinosa artificiosità. Inoltre, in ultimo dobbiamo rilevare
che i toni caldi proprii di quest’ epoca della attività del pittore e che
sono profusi a piene mani — la composizione a zone permettendogli
di portare in cielo i rossi più scarlatti, i gialli paglierini, e i verdi ma-
ceri e di dare così al quadro l’aspetto di mosaico di colore — vengono
per residuale desiderio di forma ad essere leggermente turbati nella
purezza della loro smaltatura.

Ma d'altro canto, non si può negare che, nonostante tutto, una
grande venustà scende da tale opera, il gusto decorativo del maestro:
è riuscito a non far naufragare la nativa grazia di quasi tutte le figure,
proprio perché esse rappresentano le espressioni figurativamente più
equilibrate e più coerenti di quel tesoro di grazia che egli aveva vivo
nel cuore. L'arcangelo Michele s'appoggia leggiadramente al suo scu-
do, Ja Vergine giunge le mani e leva il mento e gli occhi con morbida
soavità, il sommario paesaggio sfuma ondulato :in un cielo profondo..

MONACI VALLOMBROSIANI
Uffizi, Firenze, 1500.

La nostra attenzione si ferma ora su due mirabili tavolette ad
olio, in ottimo stato di conservazione, che non portano né data, né fir-
ma, bensì due scritte d’invocazione (1) che dovevano far parte della
. tavola vallombrosiana (1500) ospitate pur esse agli Uffizi: sono le due.
testine di monaci vallombrosiani Biagio e Baldassare che spiccano su.
un fondo unito con estrema riduzione di elementi. Non più lo sfondo

(1) «Blasio Gen. servo tuo succurre» e «Baltasar Monaco S. tuo succurre ».
lara

IL: GUSTO E L'ARTE DI PIETRO PERUGINO . pass 137

paesistico ed i molti Parueolani del ritratto del 1494 di nad |

delle Opere, qui non c’è che uno strato uniforme nero per fondo e le .
due teste giallognole incise in esso come intarsii di avorio su ebano.
Come la monumentale religiosità di Francesco delle Opere non nasce :

dal biblico « Timete Deum » così nón sono le scritte «servo tuo suc-
curre ».da cui si sprigiona l’altissimo ascetismo di queste opere. Ma
bensì proprio dal volontario limitarsi a un semplice contrasto di due © o c2 UM
colori che si contrappongono categoricamente nasce la.serietà e la ur
religiosità dell'opera.

Scomparsa. è la preparazione verdognola, d'insegnamento minia-
turistico, che ancora si notava nei precedenti ritratti, lo stesso chia-
roscuro a tratteggini formante reticolato. ha assai allargato le sue

© maglie e non ha intenti plastici bensì esprime unicamente morbidez-

| zesicapellia coroncina non rivelano il piano che tondeggia e non inter-

i rompono con un nuovo colore lo svolgersi dell'unico colore che forma
la piazza chiara del viso.

Parallela alla limitazione dei mezzi tecnici è la riduzione di quel-
le particolarità individuali che avessero, in qualche modo, potuto oscu-
rare quanto d’essenziale era stato colto in quelle fisionomie.

In queste tavolette Perugino ha proceduto ad una selezione, al
contrario di quanto aveva fatto per Francesco delle Opere in cui si
era attardato in precisa analisi delle caratteristiche fisionomiche..

Semplificatore di forme come egli é, riesce a sceverare dalla
‘realtà che deve rappresentare; la cui consistenza rimane però alla 4

3 base dell’opera sua, quanto a lui è necessario per trasformare queste
i due rappresentazioni di individualità staccate (il genere «ritratto »
È non era affatto sentito dalla tradizione umbra che aveva convertito
subito i ritrattati in oranti segaligni e monotoni) in vere opere di sin-
‘tesi e ad inalzarle al valore di simboli.

;. Con la massima semplicità, quindi, il Perugino ha raggiunto il
massimo ascetismo.

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IL CAMBIO
Perugia, 1500.

Il complesso degli affreschi del Cambio fu allocato all'artista nel
1496: la sala già ultimata (1493) nella parte muraria e nei lavori in
3 legno attendeva da alcuni anni la sua decorazione; ma era, pur tutta-
B via; già in. uso.

E CERE Una grandiosa opera if ripulitura e di restauro eseguita nel 1940
138 MARIA AURELIA MOCHI ONORY VICARELLI

dal prof. Mauro Pelliccioli sotto la direzione del Professor Achille
Bertini Calosso ha portato all'antico fulgore e alla primitiva armonia
di toni quest'opera, giá altre volte raschiata e ridipinta in varie parti,
in generale diminuita o addirittura alterata di colore. :

Questo complesso si presenta a noi accompagnato da una data
«A. Salut. M. D.» data dipinta in un pilastro di fronte all'autoritratto:
una precisazione di epoca adunque e per firma l’effigie del pittore stesso.

Sotto il ritratto alcuni versi, il cui contesto rettorico fa pensare
che dovettero essere vergati posteriormente alla morte dell'artista, ov-
vero furono l'espressione dell'ammirazione generale suscitata a lavoro
compiuto e a documento del plauso generale inserita nell'opera stessa:

Petrus Perusinus egregius pictor
Perdita si fuerit pingendi hic retutit artem
Si nusquam inventa est hactenus ipse dedil.

Si discute se la data si riferisca al compimento di tutta l'opera
ovvero di parte di essa: questione complessa: perché ad essa si abbina
un altro problema circa la possibilità o meno di collaborazione di
Raffaello Sanzio.

Raffaello si recò alla scuola dell'Umbro alla fine del 1501, gli anni
quindi in cui è possibile una sua collaborazione vanno dal 1502 al 1505.
L'anno poi dellavvicinamento più sentito col maestro è il 1503.

Perugino aveva, infatti, aperta una bottega a Perugia, pur man-
tenendo quella di Firenze, e precisamente il 1° gennaio 1501 (rimarrà
aperta fino al dicembre 1513) affittando dall'Ospedale della Miseri-
cordia due vani nel palazzo delle scuole site in Piazza del Sopramuro.
Raffaello quindi fu della schiera di quei giovani, che prima come allievi,
poi come aiuti, frequentarono questa scuola del maestro.

se quindi si ritiene che la data del 1500 non riguardi la fine del-
l'esecuzione complessiva, ma bensi di una parte di essa, il Sanzio puó
avervi partecipato.

Limiti massimi entro cui il Cambio deve localizzarsi sono il 1499
data del primo pagamento e il 1507 data dell'ultimo.

A favore della tesi che il 1500 sia la data veramente finale è la
constatazione della permanenza prolungata dell’artista a Perugia an-
teriormente al 1500, la limitata sua attività in altre opere durante
questi anni, e la ragione d'ordine pratico circa l'ingombro troppo pro-
lungato e quindi inverosimile di una sala già fruita dalla corporazione
per lo svolgimento della sua vita sociale. Alcune differenze invece tra
parete e parete, e più precisamente la superiorità di alcune figure
TTE RETE

IL GUSTO E L'ARTE Dì PIETRO PERUGINO 139

specie nel pannello col Padre Eterno, le Sibille e i Profeti farebbero
ritenere l'esecuzione scaglionata nel tempo e quindi vedere l'inter-
vento possibile della mano del Sanzio.

Ritengo più esatta l'opinione che il 1500 sia la data del compimen-

to totale, giacché la fine parziale non era certo cosi importante da do-..

versi segnare e lasciare sotto silenzio l'anno veramente terminale di
tutta l’opera, indicazione questa che sarebbe tornata ad orgoglio del-
l’artista e della corporazione.
Inoltre la considerazione pratica dell’uso del locale ha il suo enor-
me peso, come pure non vanno trascurate le testimonianze scritte.
‘ Perugino poi non era già sceso in tale fase di decadenza da non
‘essere più capace di scuotere ogni tanto il bagaglio del suo imparatic-
cio e compiere opere grandi. Prova ne è che nel 1500 stesso, se fece
opere che, come l'Assunzione di Vallombrosa, preludono al suo de-

‘clino, compì per gli stessi frati vallombrosiani, con i loro ritratti, .

amplissimi capolavori.

Agli occhi del maestro doveva questa decorazione del Cambio es-
sere di incalcolabile valore, suggellando la sua rinomanza nel seno
della città che gli aveva dato e cittadinanza ed appellativo.

Quindi il Vannucci, se anche avesse trascinato quest'opera in
anni successivi, non avrebbe affidato ad aiuti che esecuzioni seconda-
rie e mai di intiere arcate come si pensò (Eterno Padre, Sibille, tutto

di Raffaello) e questi lavori di mano di aiuti — indispensabili anche se .

l'opera fu finita nel 1500 — rimasero sempre nell'ambito del gusto del
maestro che del complesso aveva studiato l'inquadratura, i collega-
menti decorativi, e ne compiva le parti essenziali estrinsécando in
pieno la propria maniera, il proprio gusto, se non sempre, purtroppo
la propria arte. i

La disuguaglianza fra i vari affreschi è la caratteristica propria di

quest’epoca dell’attività dell’umbro (epoca che precede il suo tracollo)

durante la quale egli si serve sovente di spolveri, di abusati disegni,
di composizioni di vecchio stampo per alcune scene, mentre contempo-
ranéamente, in altre trasfonde la propria genialità, giungendo ad as-
soluti.

Francesco Maturanzio, lettore di rettorica all’Università di Pe-
rugia, e segretario dei Decemviri, aveva fissata la concezione di spi-
rito neoplatonico (l’influenza di Marsilio Ficino non è certo estranea)
su cui fondare l’opera. i puro:

Siamo nei tempi in cui, nei rogiti, spessissimo venivano prescritte
tutte le figure delle composizioni, gli atteggiamenti, lasciando po-

ap ° = e ETT
S tia lai
140 Y MARIA AURELIA: MOCHI ONORY VICARELLI

chissima. libertà agli artisti. Maturanzio indicó pure quali erano gli
attributi di ogni figura e diede al maestro le diciture da inserire. Que--
ste iscrizioni infatti le ritroviamo nel manoscritto del Maturanzio
« In audientia artis Cambi » conservato nella Biblioteca Comunale di

Perugia, che è in stretta relazione col manoscritto miniato di Cicerone. .

della stessa Biblioteca perugina ove sono riprodotte non solo la Pru--
. denza, la. Giustizia, la Fortezza, la Temperanza, ma bensì pure una
serie dei relativi uomini illustri..

Quello di cui non si preoccupò il Maturanzio, fu-di sincerarsi se
il pittore fosse-entrato nello spirito di questa composizione. Con le
sue solite disposizioni d'animo il Perugino si mise al lavoro, che può:
gustare solo chi non nega ogni valore alla musica pastorale perchè de-.

. luso nella promessa di una marcia militare.
: La cameretta, angusta, rettangolare, dalla bassa volta formata.
- da sei'spazi triangolari congiungentisi in alto attorno ad un rettangolo
non presentava al pittore condizioni molto favorevoli. La stessa for--
ma tozza delle lunette in cui si suddividono le pareti non si prestava a.
sfogate creazioni peruginesche a differenza delle arcate del capitolo.
di Cestello. Tutte le pareti, tranne quella dove si apre una porta-
finestra che comunica direttamente nella via (odierno Corso Van-
nucci) sono divise in due arcate. Dal lato destro di chi, attraveso
questa porta-finestra, entra nella sala c'è nel primo spazio un ban--
. cone di legno, mentre nel secondo c’è la rappresentazione di sei Sibille:
(Eritrea, Persica, Cumana Libica, Tiburtina, Delfica) e sei Profeti
(Salomone, Geremia, David, Daniele, Mose, Isaia) sovrastati dal Padre.
Eterno con angeli adoranti.

Nel pilastro che separa le due arcate la data.

Nella parete di fondo l'Adorazione del Bambino e la Trasfigura--
zione, a sinistra nell'arcata in fondo gli eroi ed i sapienti (Licinio, Leo--
nida, Orazio Coclite, Publio Scipione, Pericle, Cincinnato) e sopra le.
virtù per le quali costoro si resero illustri: Fortezza e Temperanza..
‘Nello spazio successivo i Saggi governanti (Fabio Massimo,Socrate,
Numa Pompilio, Furio Camillo; Pittaco, Traiano) dominati dalla
Prudenza e dalla Giustizia.

Fra i due archi l’autoritratto e la dicitura in versi. A lato della
porta in una niccchia, da solo, Catone.

Soltanto considerando l’assieme dal punto di vista decorativo,
si coglie in pieno e si comprende il legame che tiene assieme le diverse
- figurazioni; la sfilata dei savi, degli eroi, dei profeti, delle sibille, la.
Natività e la Trasfigurazione; i medaglioni e gli ornati, tutto con-
IL GUSTO E L'ARTE DI PIETRO TRANI

141

«corre all’ armonia dell’; insieme e tutto è visto in funzione di un ENG
:superiore.

Il dover rappresentare per mezzo di guerrieri e di filosofi antichi.

l'esemplificazione delle virtà morali infatti, non porta l'artista a ri-

‘correre a ricostruzioni archeologiche di un mondo che col suo senti- ‘

mento non aveva alcuna attinenza, né egli si cura di rendere evidenti

-gli scopi illustrativi e morali che avevano sorriso al dotto lettore. Piut- -
. tosto egli si delizia a farli belli questi personaggi:

La linea delle figure isolate che s'ignorano a vicenda, l’eleganza
di una testa inclinata, il ritmo di un corpo che proprio nella dinocco-

latura trova la sua particolare ragione d'essere, il vagare soffice di un ‘

velo o di un hastro attorno a corazze ed a spade, quasi fossero corpi
languenti di donna, quel tanto bestemmiato viso di verginella dagli oc-
chi troppo limpidi e troppo carezzevoli nel loro chiaroscuro, ecco ció
che attrae il maestro. Che-il suo intento sia stato decorativo è palese

| dall’amor sincero con cui egli si dedica agli elmi e ai diademi. In essi

movimenta la linea con forme arditissime e mai più viste: pennac-
grifoni, vasi con fiori, volute, ornamenti d'ogni sorta. Dimenti-

cando l'uso pratico a cui essi dovrebbero servire, li rende fonti di mo-
vimenti aggraziati, in perfetto accordo con la tonalità dell'opera.

Il paesaggio stesso, che egli aveva già ridotto nelle opere precedenti
alle. linee essenziali, e queste aveva agganciato e ritmato con quelle

«dei personaggi, semplifica in ondulazioni lente, amorfe ove qualche rado

albero (lunettone delle Sibille) ovvero piü nessuno cresce e quei pun-
tini fitti ed uniformi rivelano chiaramente come il Perugino non curi
piü il paesaggio di diversi piani, ossia gli elementi formali paesistici.
Il che dal punto di vista decorativo è coerenza.
se nelle figure egli insegue il ritmo gentile di un torso che si

HONO o di un elmo che fiorisce iu volute, o di una mano che regge

un'arma come fosse un fiore, non poteva attardarsi a rappresentare un
fondo prospettico, che, le figure anteposte frontalmente avrebbero,
d'altronde, smentito. I fitti puntini sarebbero stati per l'artista, a cui

sì vietava lo splendore di un fondo d’oro un conseguente punto d'arri-

vo, un ulteriore avvicinamento al mondo delle sue preferenze, se egli
avesse saputo minimamente o svilupparlo, o sfruttarlo mentre invece

«diverrà elemento negativo nell'opera sua, proprio perché, come sem-
pre, lo mantiene sulla base di compromesso, e cioè accoppiato a re-
:siduali presupposti prospettici.

Dopo questo sguardo panoramico soffermiamoci separatamente
su ognuna delle varie parti di quest'opera grandiosa.


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T 1 T = Pt na Ex -
Eee EEA EROS
142 MARIA AURELIA MOCHI ONORY VICARELLI

Il Padre Eterno con le Sibille e con i Profeti è il lunettone che ha:
fatto sorgere l'opinione della collaborazione di Raffaello, perché è
quello più complessivamene e più armoniosamente concepito. Ma dopo
il magistrale restauro molte opinioni sul Cambio vanno rivedute..

I giudizi pronunciati e la sopportazione risentita erano dovuti in
gran parte allo studio fatto su un'opera in pessimo stato di conserva-
zione quindi alterata nelle sue più genuine caratteristiche.

Ora bisogna riconoscere che l'assieme è tale che non è necessario
chiamare in aiuto al, precocemente scaduto maestro, il, precocemente
grande, allievo.

Il paesaggio si limita a due tozze colline laterali poco e, molto va--
porosamente, alberate, unite in centro da una linea quasi retta, oriz-
zonte delle terre lontane, che coincide colla linea quasi retta delle spal--
le delle figure centrali. In primo piano i due gruppi dei grandi veggen-
ti e delle donne profetiche disposti su due file. I personaggi arretrati
appaiono negli intervalli lasciati dagli antistanti: ma tutti mantengono:
lo stesso livello di teste. Il Padre Eterno nel solito cerchione di luce,
attorniato dalle testoline piumate e da due angioli adoranti, è la so-
lita figura peruginesca dalla barba fluente bipartita, ma le palpebre
calate sugli occhi, e il torcere del collo lo rendono un pò più mellifluo
e convenzionale degli analoghi precedenti.

Solito manto gettato sulle spalle, ricco di pieghe, mantenute mor-
bide e succose di colore.

I due angioli, invece, hanno un indicibile slancio. Tutto assecon-
da e si flette a questo gioco di linea, la testa che si piega, il busto che
si sporge in avanti, la gamba rialzata e accompagnata da molteplici
Svolazzi del vestito e dai volteggi, quanto mai deliziosi, dei due na-
stri a rosario.

Questo slancio serve a trattenere sull’orlo del quadro la pesan-
tezza del cerchione del Padre Eterno.

Le due colline, dal colore terroso sono coperte di piccoli trattini,.
leggermente arcuati in tonalità più scura, che mantengono vigorosa-
mente in primo piano le figure, non permettendo loro d’immergersi
nello spazio prospettico creato dalle colline, e nello stesso tempo vi-
vificano attorno ai personaggi un moto, un riflesso quasi molecolare
che galvanizza maggiormente la linea in movimento che si sprigiona
dalle figure.

. La linea dell'orizzonte che s'imbianca nel”cielo assai rialzata,
batte proprio all'altezza delle spalle di Salomone e della Sibilla Eri--
trea formando un'interruzione del paesaggio corrispondente alla in-
IL GUSTO E L'ARTE DI PIETRO PERUGINO 0143

terruzione delle schiere; ma essa non è sentita in tutta la sua possibi-
lità di sviluppo.

Ricordiamo come l’artista in molte opere precedenti avesse, inve-
ce, abbassato l’orizzonte per far trionfare la figura a mezzo torso nel
chiarore del cielo.

Né spiega questo rialzo d’orizzonte la tentata soluzione dei trat-
tini delle colline: quinta a molteplici personagóf, essa rimane fram-
mentaria perché lascia alcune teste delle figure centrali-campeggiare
sul chiaro del cielo e menoma quindi l’unità del tentativo. E sono
proprio i due personaggi colle teste stagliate sul cielo che collegano
l’una schiera all’altra: Eritrea e Salomone,

In basso la positura flessa della gamba del re e la pronunciatis-
sima, magnifica arcuatura (sottolineata dalla doppia serie di svolazzi
della tunica) della gamba destra della veggente, in alto la linea che
da un rotulo passa e si conclude in quello vicino, legano tutte queste
figure che individualmente sarebbero immerse ciascuna nella propria
solitudine, paga della propria astrazione.

Nella creazione di questo spazio a forma di un'elissi fra i due grup-
pi che si bilanciano armonicamente; nei busti che si flettono in caden-
za; e sopratutto nei nastri dei due angioli; c’è ricerca euritmica anche
se non saputa più oltre chiarificare e coordinare.

Ma questi collegamenti ritmici, questi rapporti fra spazio e figura
non sono estranei all’arte del maestro (e per questo non vediamo la
necessità di attribuire alcune parti a Raffaello), ricordiamo come egli
nei suoi momenti migliori abbia fatto riecheggiare la stessa linea, la
stessa curva nella figura e nel paesaggio.

Purtroppo sono bagliori di rapidissima estinzione.

Infatti se specifica è questa ricerca, in questo lunettone, gli altri
due, con i guerrieri e con i saggi governanti, sono impostati su pause
e suoni alternati e langue ogni legame fra ambiente e personaggio.

Le figure dei due profeti barbuti sono le solite facce dei solenni
vecchioni, padri eterni scesi dai cerchioni di luce in terra, mentre per
le figure più giovanili l’artista sceglie ora il volto di un santo ora quel-

lo di un altro. Ampie ombre create da accurato, graduale, chiaroscuro
| orlano i tratti fisionomici e quindi infondono più intensa vita interiore.

Tutti son abbondantemente vestiti da robboni ampii e soppanna-
ti; corone e copricapi dalle forme fantasmagoriche (come quelle di
Daniele), decorano le teste.

Per ottemperare al suo scopo decorativo l’artista aveva fra ma-
no una materia assai duttile, quei rotuli bianchi, ai quali egli affi-

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GIU ST MARIA AURELIA MOCHI ONORY VICARELLI

da un compito di pura grazia (non gli interessa affatto si possano leg-
gere le tragiche profezie !) quasi fossero veli o nastri, con cui avvolgen-
dosene, uomini e donne, potessero vezzosamente giocare e con essi
atteggiarsi graziosamente. Questa trasformazione delle banderuole
| profetiche in elementi di grazia dà risultati di notevole portata.

Nelle figure femminili delle Sibille (1) (cosi come nelle quat-
tro virtü sulle nuvole delle altre due arcate) Pietro era nel suo
mondo: poteva agghindare le persone, muovere i gesti a gentilezza,
i passi a danza, avvolgere i capelli in veli. Le carni rosate hanno
spesso le tinte di maiolica rese con velatura trasparente.

Un «pathos » si sprigiona indubbiamente da questi volti ed in
“particolar modo da quello della Persica, della Libica, della Tiburtina
ed è ben maggiore che nelle placide Madonne ad esempio del Trittico -
di Pavia (1499) ovvero del quadro della galleria di Bologna (1492-95
€.) ma che ha un lontano addentellato nell'Apparizione della Vergine
a San Bernardo (1488-89) di leonardiana influenza. Mormora forse in
sordina la voce che sa ancora di Leonardo ?

E lo sfumato curato in tutti i suoi passaggi soavi che smagrisce
questi volti altrove più rotoudetti e più freschi, velando i colori rosei
delle carni; è la linea diventata più fine e più astratta che dà a queste
figure muliebri un fascino strano e indefinibile, come un qualcosa di
inconsueto, che loro: infonde quell'attrazione propria della bellezza
un pò gracile, un pò sfinita, infinitamente triste perché conscia: insom-
ma una sensibilità nevrotica, sconosciuta alle figure femminili prece-
denti anche se di esse conservano i tratti fisionomici.

A questo.si giunse non per complessità dell’animo di Pietro, scru-
tatore dell’inquieto stato d’animo di una profetessa del mondo pagano

e di quello sereno della Vergine del mondo cristiano, ma bensì per-
ché queste creazioni rispondevano più ET e ai desiderii di
grazia decorativa.

Questa maggior rispondevano alla grazia decorativa se da un
lato dimostra uno sganciamento dell'artista dalla grazia oggettiva .
che era stato il suo punto di partenza, d'altra parte appalesa come
alle concezioni astratte, intellettualisticamente a lui commesse, nel-
| elementarismo della sua anima anti-intellettuale l’ Bipisto non sapes-
se annettere veruna importanza.

Come egli alle richieste chiesastiche aveva risposto, concedendo

(1) Esiste un disegno per la Sibilla Cumana e Mosé del Perugino al ga-
binetto dei Disegni degli Uffizi.
.IL GUSTO E L'ARTE DI PIETRO PERUGINO 145

attributi di santità alle belle persone che erano il suo sogno, cosi ora
riporta sulla scena le stesse immagini, vestendole da romane e .da
greche, ma per lui non sono altro e non hanno altro compito che es-
sere occasione a vagheggiare le proprie preferenze, spunti ad inse-
guire una linea ritmicamente ondata, occasione ad attardarsi su un
passaggio voluttuoso di sfumato, ragione di esaltarsi con un accordo
‘di colore che è ancora nel pieno nerbo della sua robustezza.

Le vesti delle Sibille hanno ampie orlature a disegni, e si raccol-
gono un pò grevi ma ricche di colore sostanzioso: i verdi appaiono
ombreggiati da violetti, i rosa echeggiano vividi vicini a fulgenti gialli
dorati; le tinte del cielo si inazzurrano in graduali passaggi di tono;
la scelta insomma del colore sia in sé, sia nel vicendevole accordo è
proprio quella del periodo migliore.

Perugino imposta i guerrieri dell'arcata della Hantezza e della
Temperanza ed i saggi governanti di quella della Prudenza e della Giu-
stizia col suo solito metodo di rime obbligate simmetriche e cioè pre-
dispone un’elegante parata, schierando equidistanti, simmetrici i
personaggi in primo piano, cristallizzati nei movimenti assunti.

Ogni varietà di mossa che potesse in qualche modo turbare que-
sto andamento di pieni e di vuoti alternati, ogni variare di caratteri-
‘stiche è fatta tacere. tp ia ASPRE

Tutte le figure sono del suo abituale repertorio così come lo sono
le positure, egli riesuma i cartoni dei suoi santi, chi vecchio, chi giovi-
netto, ed allinea questi corpi chela lunga abitudine di fare e rifare e pu
fare da aiuti ha reso, in parte, svigoriti. ;

Coll'anima del maestro questa raffigurazione storica non ha n
cun addentellato: chi era mai per lui un Socrate filosofo, un Numa
Pompilio, un Leonida Lacedemonio ?

Al suo spirito semplicista, alla sua fantasia limitata, nella tota-
le sua mancanza di cultura letteraria, questi. come tutti gli altri: per-
-sonaggi sono muti, per lui non sono un suo mondo: per lui nou pre-

sentano differenziazioni, né rivestono funzione alcuna. È naturale
"quindi che nella ristrettezza della sua potenza creatrice egli non pensi
a nuove forme più atte ed appropriate o anche solo diverse, ma bensì
‘ricorra a quello che era il linguaggio della sua maniera.

Gli fu chiesto quanto egli non poteva dare ed egli, per contro,
diede quanto potè; gli fu chiesto marcia solenne, ma egli non BRpCYS
.Suonare che organo e cornamusa.

Nei guerrieri la cura con cui agghinda le sue figurette, gli Abs
degli arabeschi pieni di volute, di creste e di pennacchi; gli scudi dalle

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146 MARIA AURELIA MOCHI ONORY VICARELLI

complesse decorazioni, le loriche dai fregi aurei, le spade, gli scettri, i
veli con cui mollemente avvolge questi eroi ci fanno intravedere come
ben estraneo al suo spirito fosse ogni intento illustrativo o morale,
come egli non volesse minimamente incutere nei suoi riguardanti
sentimenti né di paura né di riverenza, ma bensi come cercasse uni-
camente di abbellire, di rendere pieni di grazia queste sue creature, ed
ora, perció, fiorisce in un elmo turrito, ed ora, insegue la linea di una
sciarpa che ondeggia, ed ora, accarezza la linea di un fianco arrotonda-
to che la corazza valorizza. |

Il valore di questi elementi è ancora cosi vitale per l'artista che

non c'é manierismo né leziosismo di sorta.

Grande é quindi la differenza fra i due pannelli: i saggi gover-
nanti ben poco si prestavano a questo giuoco. Grossi robboni ne av-
volgono i corpi, li appesantiscono, li ingoffano, non presentando al-

.cun spunto ai suoi intenti di grazia decorativa.

Sicché questa lunetta si inserisce nel tutto l'insieme pesantemen-
te, col solo merito di essere silenziosa e di non rompere i ritmi creati
dalle altre.

Certo un'indispensabile collaborazione Perugino deve essersi
organizzata per un’opera così ampia e in tutti i pannelli, ma specie
in quest'ultimo, deve essere stata assai larga ma sempre d'ordine ma-
teriale. :

Il paesaggio che si estende dietro le schiere, è quasi amorfo, col-
line lievemente tondeggianti, completamente brulle attraversano da
un lato all’altro le arcate. Il terreno. è coperto da puntini; analoga
situazione di compromesso del lunettone delle Sibille.

Il colore è fresco, brillante con tonalità calde ed armoniche fra

"di loro.

A differenza delle figure sottostanti in cui i movimenti hanno un
non so che di stanco, di languido, nelle virtü le mosse sono misurate,
armoniche, pensate e volute decorativamente cosi. La dolcezza dei
ritmi si esterna nei nastri, negli svolazzi, nei volti paffutelli dai
tratti piccini, nella cura messa dal pittore a drappeggiare il manto
sulle gambe, lasciandone i lembi cadere sulle nubi, nel colore delle
carni che affiora dall’interno verso l’esterno, donando trasparenza

e riflessi di smalto.

Delle quattro virtù quella della Fortezza è costruita magistral-
mente (tanto che da A. Venturi fu attribuita a Raffaello giova-
ne). La sua positura di sbieco, il suo appoggiarsi allo scudo comporta
a tutto il corpo un movimento rotatorio che egli bilancia nel capo,
. IL GUSTO E L'ARTE DI PIETRO PERUGINO 147

nelle spalle, nei fianchi, di modo che fa campeggiare su nel cielo, se-
duta sulle nuvole una massa fluida, ritmata. Tra queste figure e lo
spazio c'é un profondo rapporto: la positura di quella.crea la profon-
dità di questo e nel contempo in detto spazio essa si compone archi-
tettonicamente.

Anche le altre virtù sono ben lontane dall’essere figure stracche
e di maniera. Le virtù tutrici del saggio governo. Prudenza e Giusti-
zia, siedono esse pure di sbieco: a questo movimento non corrisponde
una flessione del busto che appare rigido e sostenuto (così pure nella
Temperanza). Ma esse non hanno un punto ove fare perno a un
movimento generale delle loro intiere figure e le positure della lunga
specula e della bilancia portano ancora maggiori impedimenti e re-
strizioni a complessi movimenti obliquati.

Nella Trasfigurazione, la montagna molto schiacciata, completa-
mente coperta di puntini verdognoli, non fa sentire alcuna prospettiva
aerea. La sua funzione è inconchigliare i corpi degli apostoli a terra.

L'artista.non l’ha infatti trattata come elemento paesistico in
sé, ma ne ha fatto un tutto con le tre massicce figure degli Apostoli.

Questa semplificazione del monte Tabor era necessaria e logica.
Egli considera questo tutto, compatto e terroso, in contrapposto al
gaudio della raggiera di luce del Cristo, quasi base al variare dei co-
lori sfumati nella parte superiore dell'affresco. Tutte le figure ci ricor-
dano figure già create: i tre apostoli in basso, per la stessa loro posi-
zione quelli addormentati dell'Orazione dell'Orto degli Uffizi (1492-
95) ed il Cristo, il Redentore della Risurrezione Vaticana (1499 c.).
Essendo vecchio materiale il modellato é un pó slargato ed ingrossato
ma il colore è brillante e fresco, la maniera in cui è condotto questo
assieme è tuttora sentita dal maestro.

L'atteggiamento del giovane apostolo Giovanni che s' appoggia
sulla destra per porsi a sedere e alza la sinistra sulla fronte per riparar-
si dai raggi che il Cristo emana, l'ammirazione calma che il vecchio
Pietro dimostra rovesciando un poco la testa; il gesto d’orante del
terzo apostolo Giacomo, simile a quello del Cristo ma più blando,
sono tutti motivi della grazia. Il Cristo che s'inalza nella mandorla,
è bensì impostato come quello della Risurrezione Vaticana, ma il
viso dentro il luminoso alone, s'imbruna accarezzato da più morbido
e più pittorico sfumato. Il quale morbido e pittorico sfumato si diffon-
de « per gli occhi e per le gene » (1) di Mosé e di Elia.

(1) DANTE, Paradiso, XXXI, 61.

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Perugino ripeterà questo cartone per S. Maria Nova di Perugia.

Nell'Adorazione dei Pastori, simile in tutto a quella del Trittico
Albani (1491) ritroviamo tutti gli elementi analizzati nelle altre lu-
nette. Essendo anche questo un vecchio cartone, le figure vengono
fuori ben modellate, ma un pó slargate quasi la stampa fosse consunta
dall'uso ripetuto. Pur tuttavia anche questo pannello si salva per il
miracolo gentile di grazia che il maestro sa infondervi. Che se il mae-
stro introduce qui, al di sopra. del pavimento, trattato a puntini,
uno sfondo di colline, di laghi e perfino di un ricco portico in prospetti-
va, sulle cui linee dispone le persone, riduce peró questa prospettiva
ad un valore secondario e tutto s'abbandona al vero tema del dipin-
to: la grazia degli adoratori. E. perció deduce dai suoi lavori prece-
denti i visi inclinati, le mani giunte o incrociate, o aperte, i panneggi
a molte pieghe, ottenendo un ondeggiamento di ritmi soavi intorno
al Bimbo morbidamente sfumato. Rinuncia alsenso unitario della
scena, di cui la Drop a è la base, ma raggiunge una particolare
unità decorativa.

A questa sacrifica anche certi effetti che gli sarebbero stati fa-
cili come l'apertura del cielo vuoto. V'introduce tre angioli onde
equilibrare questa lunetta alle altre, che tutte hanno figure nel piano
superiore. I pilastri del portico decorati hanno pure essi la loro ragio-
ne nella rispondenza con le parti riccamente ornate delle altre lunette
e del soffitto. i

Lo sforzo per impostare questa composizione come le altre, onde
tutte rispondano agli stessi motivi-base, sia ponendo i cantori nel
piano del cielo, sia ornando di candelabri i pilastri, dimostra che il
maestro pur servendosi di un vecchio cartone sappia ancora (e non
più per molto !) apportarvi quelle modifiche che a seconda del caso
riteneva necessarie. Grazie a questo intento decorativo, la stessa sim-
metria con cui Vannucci seguita a disporre Vergine, santi e pastori
non ci adombra più, né ci turba la ripetizione nello stesso quadro
di gesti, positure, volti. Naturalmente, essendo ripetizione di altra
composizione, in quanto tale ha le sue mende (copiosa deve essere
stata la parte degli aiuti) ma il sentimento che la anima è ancora
tanto fresco, la ricerca della grazia. così specifica, il colore si man-
tiene così vivo che, ‘anche questo pannello concorre alla bellezza e al-
la grandiosità del Cambio, Volano ed in un tutto organico ed
armonico.

Nella nicchia, sì come gli aveva prescritto la sua dotta guida, ad
esaltazione delle umane virtù, egli dovette dipingere Catone.
nido e ER T6

IL GUSTO E L'ARTE DI PIETRO PERUGINO 149

antico raccoglie sul braccio, che inarca sul fianco sporgente, la sua
pesante toga increspata a mó di borsa sul ventre. La tunica mantiene
la regolare rigidità dei suoi cannelli, in testa si erge un copricapo fan-
tastico. |

Fra tutte, questa è la figura in cui più si dosis la limitatezza e
— in questo caso — la manchevolezza dell'artista per la totale assenza
sia di grazia formale che contenutistica. Questa figura non presenta-
va possibilità ad estrinsecazione di grazia oggettiva, non il bel volto
di adolescente, non l'aggraziato fluire della barba di un vecchio, ma
bensi la massa allargata di un corpo con cui riempire l'apertura di un
arco. Inoltre al maestro non era dato. di contrapporre i ritmi deco-

rativi di questo personaggio a nessun altro, non poteva ravvivare i.

colori di esso con colori altrettanto sgargianti, sicché racchiuse dal-
l'arco, le linee s'ingoffano grossolane e spesse, lo sfumato s'intorpi-
disce e si oscura. La stessa positura leggermente obliqua non riesce a

dar movimento a questa massa massiccia.

Sé stesso il pittore vide ad un tempo con occhio sereno ma se-
vero. Cosi come aveva fatto nel 1491 per Francesco delle Opere a cui
aveva mantenuto le caratteristiche del naso a sella, nel caso proprio
riproduce gli occhi piccini, il naso carnoso, la bocca dal labbro supe-
riore sottile, i capelli ispidi e sgraziati. Egli non modifica questi parti-
colari fisionomici onde procurarsi appigli a grazie formali, ma invece
si sofferma sulla piazza chiara del volto largo e carnoso che fa emer-
gere dalle tinte scure del berretto, della capigliatura, dell'abito, del
fondo. Nessun dettaglio della struttura ossea turba l'andamento delle

carni un pò flaccide, ma bensì un fluido assecondamento al variare

dello sfumato della tinta locale, nessun rilievo plastico nel busto
trattato a stesura di un unico colore che: non una sola piega, non

un solo particolare illustrativo disturba o esalta. La sensazione di.

massa pesante di questo corpo, nasce, appunto, da questa unifor-
mità.di colore, fermamente racchiusa nella simmetria delle. due li-
nee delle spalle. Attraverso l'esclusivo impiego di elementi figura-
tivi, l'assoluto disprezzo della bellezza oggettiva, il gioco sciente-
mente ristretto di pochi colori scaturisce un senso di bonario ac-

quiescimento e di essenziale pu C che contraddistingue quest” as-.

soluto.
. Nel soffitto la linea decorativa non contrastata ha per unico

fine di assecondare il ritmo che essa con le proprie ondulazioni pro- .

duce. Nella festa dei suoi colori variopinti, nella varietà dei motivi

Appoggiato da un lato ad un esile bastoncello, questo mentore.
150 MARIA AURELIA MOCHI ONORY VICARELLI

che si alternano, questa ornamentazione fantastica e ad un tempo
composta, nitida quanto gentile, emana uno squisito senso di poesia.

Con quasi assoluta certezza nella volta sarà stata la mano di qual-
che aiuto (l’Ingegno ?) ad eseguire i leoni alati o le cornucopie, le
losanghe o gli arabeschi, ma é l'animo del maestro, ricercatore di gra-
zie decorative che aleggia dovunque.

L'uomo poggiante sulle foglie d'acanto, che allarga le gambe
per dare un'ampia base ed occupare quindi maggior spazio, e la don-
na del vaso di fiori e di frutta sono motivi perfettamente riusciti.

Vediamo intrecciati nastri, volute, draghi, ali, cicogne, cornuco-
pie, maschere teatrali, putti, liberamente e gentilmente. Il colore
brilla senza oscurarsi in tonalità chiare e lucenti di rosa corallini, az-

‘zurri, verdi, rossi, insomma in tutte le varietà del prisma.

I tondi sono sei con i pianeti influenzatori dei destini umani,
Giove, Saturno, Luna, Venere, Marte, Mercurio ed attorniano, simili
a cammei, il quadrato centrale con Apollo. I piü belli sono quelli di
« Juppiter» in cui il movimento del velo sottolinea le curve del dio
che si flette, ripetendo in sé l'arco della cornice;quello di « Venus »
in cui l'ardita linea del torso riverso e della gamba destra avanzata
all'orlo del carro é circonfusa dalla vaporosità delle vesti e dei veli
ampiamente ondeggianti; e quello di « Luna » elegantemente seduta
sul carrello tirato da due geni anch'essi avvolti in ampi svolazzi al-
tamente decorativi.

Il decorativismo è l'elemento che, subordinando a sé tutti gli
altri elementi (ingeniti o acquisiti) del maestro, solleva tutta la vasta
opera eseguita nella sala del Cambio a capolavoro di euritmia.

MADONNA CON BAMBINO E QUATTRO SANTI

Tavola Terzi, Pinacoteca di Perugia, 1500.

La tavola ad olio, in buono stato di conservazione, con la Ma-
donna, il Bambino e due santi sulle nuvole e due a piano terra porta
due volte segnate la data 1500. Una volta assieme al nome del commit-
tente (1) e l'altra volta nell'orlatura del manto della Vergine. Tace
invece il nome dell'esecutore. Essa fu eseguita per la cappella Capra

(1) Hoc opus fecit fieri ser Bernardinus ser Angeli anno salutis M. D.
Nella veste MCCCCC.
MARIA AURELIA MOCHI ONORY VICARELLI na KG

(già Terzi) della Chiesa di Sant'Agostino. Vasari equivoca il cogno-
me Capra con Calera.

La sua parte centrale è ora alla pinacoteca di Perugia mentre
invece la prèdella con l’ultima cena è al Friedrich museum di Berlino;
e lo sportello del ciborio col Redentore è andato perso. Da molti
critici essa è creduta opera di bottega sia nella sua parte centrale, sia
nella. predella.

Mentre il Cambio è un’opera ancora salda, organicamente sentita
e voluta, in questa tavola coeva sentiamo come per l’artista sia co-
minciato quel periodo in cui o per la fantasia ormai immobilizzata,
o per la scarsità di tempo, data la quautità di lavori intrapresi, si la-
scia sedurre a ricopiare estrinsecazioni della sua passata attività, in-
coraggiato in questo dal generale consenso tributatogli (siamo negli
anni della sua fama piü altisonante) e dalla facile accontentatura dei
committenti, i quali volevano urgentemente avere un'opera di sua
mano, ma non sottilizzavano se questa fosse copia di un lavoro
passato. Questa tavola presenta una situazione analoga a quella dei
Battuti del 1498 circa e con essa ha molte affinità,

Anche quella declinava verso la decadenza pur essendo attor-

niata da opere di grande valore, anche essa sfruttava materiale già

usato con risultato finale negativo.

Come la Madonna dei Battuti, questa Vergine si erge quale pe-
sante macchina sulle nubi, le vesti l’ingreviscono, ne sfasciano il
corpo slargato in confronto del capo rimasto piccolo ed infantile
nei graziosi tratti fisionomici. L'impressione penosa che si riceve è
quella che essa debba per il proprio peso precipitare al piano sot-
tostante.

Il Bimbo adiposo e torpido ha piani di carne troppo arrotondati;
i santi, stereotipati manichini, negli atteggiamenti ormai ultracon-
sueti sorreggono gli abituali simboli di santità e si allineano gli uni
presso o sopra gli altri... per ottemperare i desideri del commit-
tente esternando a mezzo di 3665) convenzionali i presunti loro stati
d’animo.

Il colore ha diminuito la sua vibratilità, il chiaroscuro trattato
senza i graduali passaggi si muta in ombre scure che danno alla tinta
delle tonalità olivastre e torbide e creano un rilievo, una corporeità
sfacciata che muta l’equilibrio, su cui si basava l’arte del maestro,
,di elementi di colore senesizzanti e di alcuni elementi formali fio-
' rentini.

I santi del primo piano appoggiano le loro teste sulle dye

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Rp PULS POTERE 1 > 152. MARIA Re .MOCHI ONORY VICARELLI

di quelli del secondo, non c’è più l’alternarsi di zone vuote e di zone
piene, di zone chiare e di zone scure. Proprio ove l'artista con una tra-.
sformazione consona al proprio gusto era riuscito a maggiormente
esplicare la propria personalità (trasformazione del rapporto prospet-
tico in rapporto cromatico) è là ove, per peccato di pigrizia, affiora
sensibilissima ed ineluttabile la sua decadenza.

SAN SEBASTIANO

Galleria Nazionale di Londra, 1500 circa

Approssimativamente di quest'anno è il San Sebastiano della
Galleria di Londra, tavola ad olio in discreto stato di conservazione.
Il pittore pose il suo nome nella freccia con cui trafisse la gamba
del Santo (1).
Nell’attività dell’artista questa figura dal corpo nudo, dalle for-
me efebiche ci appare molte volte.
Il caso, privandoci delle sue opere giovanili, fa sì che con essa
esordisca a Cerqueto nel 1478, e poi giù giù sia solo, sia in SOSDUREHIR
di altri santi, esso si presenta a noi sovente.

. L'artista Vannucci ha una predilezione per detta figura ed ha
ragione, giacché essa é fra quelle che gli presentano maggiori spunti
di nativa grazia e quindi, sostenendo vivacemente il suo interesse, '
gli dava modo, da questa base di grazia oggettiva, di ascendere a -
qub decorativa. :

‘Sicché, quantunque siamo nell'ambito di una ripetizione, l'arti- |
d non si è straniato dal processo creativo e non è di esso dimentico,
gusta ancora la contraposizione di questo nudo al paesaggio, del
quale comprende la necessità di sussistenza nelle sue tinte aeree.
Sa rivivere le ricerche delle pose eleganti ed è sensibile: allo svol-
gersi delle curve graziose; si delizia di linee decorativamente movi»
mentate, avvolge di luminosità tutta la figura, della quale insegue
con gioia i passaggi di tono, sente i valori degli impasti, e si rallegra
con colori forbiti e splendenti; insomma associa agli effetti decorati-

(1) Petrus Perusinus pinwit.

Vasari accenna ad un San Sebastiano fatto dal Vannucci per inviare in
Francia, venduto al re di Francia da Bernardino dè’ Rossi. Riguarderà questo
accenno quest’opera di cui si ignora la provenienza ? (Le vite, cit., tomo III,
pag. 577). i
IL GUSTO E L'ARTE DI PIETRO PERUGINO © ‘153

vi, gli accordi di sentimento, giungendo cosi anche in un'opera in
massima parte di ristampa ad offrirci un coerente assieme di grazia e
di sfumato e a mantenere l'equilibrio cosi maliardamente instabile !

Già nella tavola del Louvre egli aveva smorzato gli elementi ar-
chitettonici; l'arco e la colonna qui addirittura sono sostituiti da un
albero (affiora forse nel suo animo un ormai lontano ricordo del mae-
stro del Borgo ?) che rientrando negli elementi paesistici, immerge
più strettamente la figura nel paesaggio e crea una piü immediata ri-

spondenza di linee fra i due piani: quello del fondo e quello delle figure. -

Di tal guisa il personaggio viene a trionfare, unico protagonista,

anzi unico eroe nell'immensità della natura, che nell'inconchigliarlo .

riecheggia dei suoi ritmi e dei suoi accordi, formando un unico poe-
ma di grazia.

S. MARIA MADDALENA
Pitti, Firenze, 1500 circa

«Breve e amplissimo » capolavoro si puó definire la tavoletta
ad olio in ottima conservazione del Museo Pitti, che rappresenta San-
ta Maria Maddalena eseguita dal Vannucci all'incirca in questo primo
apparire del secolo (1500). Dal fondo nero le finezze -dello sfumato
cromatico, rivelatore di piani continuamente ondati e la letizia giova-
nile e sensuosa. della immagine traggon pienezza di potenza. .

Nelle tenebre s'immergono e si perdono i capelli sfatti. La luce
ne lumeggia d'oro solamente alcuni per sottolineare l'ovale del viso
o per accarezzare la spalla. Il contenuto di grazia (la bellissima gio-
vane, soffusa di tenerezza) é superato dall'arte. Ammiriamo, si, la ni-
tida fonte, il naso breve e sensibile, gli occhi gravati da palpebre
stanche, ma lucenti nel loro ovale allungato per il contrasto del bianco
col nero vellutato dellà pupilla, in cui la luce é un puntino, le labbra
piccine e tondette, il mento sinuoso e ombrato; ma l'incanto maggiore
emana dalle modulazioni lineari e cromatiche, a cui l'ampia scolla-
tura sul petto facilita svolgimenti e ravvolgimenti imprevisti quanto.
| appropriati. |

Cinquantacinque anni aveva Vannucci quando: dipingeva que-

st’opera: ormai il periodo fiorentino è lontano, Leonardo non è che un
ricordo amato di gioventü per lui ed egli puó senza pressanti richiami
assecondare totalmente le proprie esigenze. Infatti, mentre Leonardo
col suo sfumato intensificherà nella Gioconda la vibrazione cosmica

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line inarcantisi, come troveremo sul petto della Gioconda, (di poco

154

MARIA AURELIA MOCHI ONORY VICARELLI

che ne atteggierà le labbra a misteriosi sorrisi, Pietro domina i rap-
porti di colori e di linee con lo sfumato cromatico, avendo egli biso-
gno di larghe zone chiare e giungendo nella figura al risultato oppo-
sto del Vinci, a un senso di statico e di umanamente, terrenamente
conchiuso. Il vestito di Maddalena (lasciamo stare la pelliccia che po-
trebbe essere un'aggiunta d'altra mano) conferma questa impressio-
ne. Non fumeggiato da dolci ombre, che in esso diano infinite piego-

piü giovane di questa Maddalena o forse anche coetanea nell'oscilla-
zione dei tempi d'esecuzione) esso si stende ampio e solo imprezio-
sito dall’accostarsi alle morbidezze del nudo e da alcune linee oriz-
zontali a piccoli fregi col nome in oro della Santa.

E mentre Leonardo, che nel colore vedeva un pericolo per l'arte,
metterà sulla fronte della sua donna un velo ombrante tutto il viso,
Pietro accarezza il contrapporsi della fronte bianchissima allo scuro
dei capelli e del fondo; e col suo. innato senso decorativo s'attarda
sulle due curve che la fronte disegna, accentua l'angolo della scrimi-
natura dei capelli é ne fa il punto di partenza alle molte curve svol-
gentesi dalla posa e da innumeri particolari della intera figura. E sem-
pre decorativamente incrocia in atto gentile le femminee mani allun-
gate e sottili dal pollice leggermente riverso e ne cura le unghie lunate
e ne segna le loro luci filiformi.

Con questi ed altri analoghi elementi oggettivi, raggiunge il suo
ideale della grazia come contenuto, e colloro assorbimento nella to-
talitaria armonia cromatica e decorativa dell'opera, attua, come po-
che altre volte gli è avvenuto, il superiore ideale della grazia come
forma. Cosi, contemporanea ad opere già stanche, quasi un ritorno
di gioventü, quasi guizzo dell'antica malia addormentata, fiorisce e
stupisce, il capolavoro. |

I CONGIUNTI DI GESU |
Museo di Marsiglia, 1501-1502. :

Generoso, quanto preciso e meticoloso, era stato Angelo Tom-
maso Conti nel vergare il suo testamento. Per la chiesa di Santa Ma- |
ria degli Angioli di Perugia egli lasciava da far dipingere una tavola |
in cui fossero rappresentati tutti i consanguinei di Gesü. 1
Questa tavola ad olio, assai rovinata da fenditure e ridipinta in
IL GUSTO E L'ARTE DI PIETRO PERUGINO 155

- ‘alcune teste, e che si contraddistingue coi nomi di Santa Famiglia o
| dei Congiunti di Gesù trovasi ora al museo di Marsiglia.

| Non c'é data di sorta, solo sappiamo che questo lascito testamen-
tario entró in vigore nel 1500, e data la premura che vi era fatta, pen-
siamo che l'artista non abbia potuto protrarre molto a lungo e quindi
l'esecuzione sia fra il 1501 e il 1502. L'artista invece vi appose la sua
firma e già come aveva fatto per la tavola dei santi Protettori della
città di Perugia (1495 circa) la redige nella forma piü esatta « Petrus
de Chastro Plebis pinxit » quasi che in Perugia egli intendesse di far
sapere la vera sua terra natale e gli sembrasse inesatto o troppo ov-
vio qualificarsi « Perusinus » (1).

Quest'opera é popolata da una moltitudine di bimbi nudi oltre
al Santo Bambino che siede sulle ginocchia della Madre, alla quale
a sua volta fa da sfondo Sant'Anna (tutto questo gruppo è sul trono).
'Ci sono due bimbi ai piedi del trono stesso, altri due in braccio a Maria
Cleofe e a Maria Salome, altri due in un piano arretrato, uno per lato,
‘ed infine due santi uomini, pur essi della parentela.

A parte il contenuto leggermente risibile per quel trovarsi in ogni
dove infanti nudi, quest'opera non resiste nei suoi elementi figura-
tivi.

Sotto un atrio pesante, il trono si erge largo e scuro fino alla vol-
ta e vorrebbe raccogliere e trattenere la nostra attenzione col pira-
midare delle due figure di donna.

Ma alle tre piazze chiare (corpo del bambino e due volti femmi-
nili) si contrappogono sparsi i chiari degli altri bimbi nudi: piazze di
L luce piuttosto intense e slargate che stonano e disorientano la nostra
E attenzione.

Come l'artista, non coordina la luce, cosi non lega fra di loro
queste figure. La simmetria, unico elemento su cui imposta tutta la
composizione, per l'eguaglianza delle figurinette nude denuncia viep-
piü la propria artificiosità e soffoca ogni lirico afflato.

E. La stessa architettura dei corpi risente assai (specie nelle sante ai
3 | piedi del trono) dell’invalsa abitudine di adoperare vecchi cartoni
per opere nuove. I torsi appaiono più come imbottiture che come pla-
P stiche architetture umane. Anche i nudi soffrono dell'involuzione
E che sta guadagnando l'arte del maestro. Non piü corpicciuoli infan-
. tili anatomicamente costruiti, soffusi di calde tonalità, ma bensì in
essi appaiono evidenti fisici difetti (bimbi idropici sugli scalini, gob-

(1) Vasari non ricorda tale opera.

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156 MARIA AURELIA MOCHI ONORY VICARELLI

betto in braccio a Maria Cleofe) causati dal disegno che rimane fermo,

deciso, rivelatore di forme e di rilievo, là ove la luce uniformemente :

diffusa; allargando le Piazze di colore caro, aveva' "intenti puramen-
te coloristici. |

Per questo stesso dissidio fra intenti pittorici e presunzioni pla-
stiche, anche le vesti, mantenendo contorni rigidi e fermamente di-
segnati, s'ingreviscono di pieghe costruite di maniera (addentramen-
ti cosi detti ad occhiello) e formano borse sgraziate sugli addomi per
poi riprendere, discordemente, le linee decorative dei cannelli.

Il paesaggio, non molto abbassato, si mantiene su linee piuttosto
amorfe e non trova alcuna rispondenza collo sgraziato assieme figura-
tivo.

Mari collaborazione deve essere stata affidata quest'o-
pera, ma il disegno è sicuramente di mano del maestro.

Questo genere di rappresentazione, non molto usuale, dovette
interessare assai giacché di questo quadro abbiamo due copie antiche
(Galleria Castelbarco e collez. Duca Northumberland), ed una pic-
cola tavola, attribuita a Raffaello, ne rappresenta, staccati dal re-
stante del quadro, i due santi bambini Simeone e Taddeo (Sacrestia
di San Pietro Perugia).

Interessante è pure osservare la tecnica con cui è steso il colore:
la fretta non ha permesso all’artista di sovrapporre varii strati, ma
bensì in alcune parti (specie nella trasparenza delle carni) sotto l’u-
nica mano di tinta si vede il disegno:

ADORAZIONE DEI MAGI
Oratorio 5. M. de' Bianchi, Città della Pieve, JUS

Innumerevoli figure si compiacque di skis in un affresco di ampie
dimensioni, (assai danneggiato dall' umidità) a lieve prezzo « chome
paisano » (1) alla sua Città della Pieve rappresentante l'Adorazione
dei Magi, datata del 1504 (opera firmata e da alcuni critici creduta
opera di collaborazione). (2) Vasari verosimilmente accenna a que-
st'opera allorché parla di un lavoro a fresco che Vannucci avrebbe
incominciato ma non finito a Castel della Pieve, evidentemente equi-

(1) CANUTI, Perugino, Doc. 298.
(2) AS8D. MDILTH.. 5
IL GUSTO E L'ARTE DI PIETRO PERUGINO : 157

vocando con le opere lasciate incompiute a Fontignano a causa della

propria morte (1).

Quest'opera riceve quasi forma di trittico dalla capanna costruita
nel centro della parte centrale. Detta parte centrale, incorniciata
dalla capanna, è più luminosa delle due parti laterali, e presenta un
susseguirsi di ondulamenti chiari, costituiti prima dalla Vergine col
Bambino, dal vecchio Giuseppe e dal più canuto dei re magi, e, succes-
sivamente da.un cane bianco, da branchi di candide pecorelle, da un
limpido lago, da un altro lago, dal cielo chiarissimo.Le due partilatera-
li invece sono cariche di folla e oscure di alti colli, sparsi di figurine
generalmente nere, come neri sono gli alberi fronzuti nel cielo nuvo-
loso, nero l’angelo che vi si libra a sinistra e neri i due agili danzatori
‘‘ a destra. Sorretta e funzionante in questa struttura di trittico, la ri-
gorosa simmetria delle due schiere di personaggi, che quasi due masse
corali non ingenerano monotonia ma bensì s'innestano e valorizzano
l’effetto decorativo. Tanta e così varia rappresentazione di adoranti,
di cavalieri, di dromedarii è armonizzata in tal guisa dalla struttura
ideale di trittico e dalla vaghezza dell’ispirazione che è divina solo in
quanto è graziosamente umana.

Né bisogna pensare che l’ artista si sia allontanato dalla tradizio-
ne umbra popolando quest’opera di tante figure. Molta produzione
pittorica umbra precedente a questa data celo avvalora. L’esecuzione
risente assai della sveltezza con cui l’artista compì il lavoro: i partico-
colari sono tirati via con sciatteria, né è disgiunta la faciloneria inval-
sa ormai nell’attività del pittore.

Troviamo quindi anche qui bocche infantili, occhi convenzio-
nali, lineamenti minutì, pose accademiche, vesti ispessite e pieghe
uncinate, ma l'assieme — mantenendosi pur sempre opera di decaden-
za — si salva per l’intelaiatura organica saputa realizzare dall’artista.
e per la coloritura variopinta che dà a tutta l’opera freschezza e cao
za e trasfonde ringiovanita grazia umana.

BATTAGLIA DELL'AMORE CON LA CASTITÀ
Louvre, Parigi, 1505.

*

: E di questa grazia umana egli circoufuse la Battaglia di Castità
contro Lascivia (tempera non datata né firmata ora al Louvre) in
discreto stato stato di conservazione, commessagli da Isabella d'Este

(1) VASARI, Le vile, cit., tomo III, pag. 588.

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Letonia ie ael Bd. cie it i DITE
158 MARIA AURELIA MOCHI ONORY VICARELLI

Gonzaga nel gennaio 1503 e riuscita da lei ad avere nel giugno del
1505. : ! |

Col gran nome della marchesa e con le copiose lettere scritte da
lei e dai suoi corrispondenti, tutti accaniti perché il maestro non finiva
il quadro, é facile schiacciare il Perugino.

La Marchesa adorava il Mantegna, il Perugino è glorioso appun-
to perché ha una personalità sua profondamente distinta da quella
del Mantegna. Se il maestro fosse stato sorretto da una più robusta
coscienza morale e avesse ambito meno ai molti denari dei moltissi-
mi committenti, avrebbe senz'altro respinta la commissione che gli
veniva, col farraginoso elenco di divinità, compilato da Paride Cere-
saro e che gli imponeva di rappresentare, intorno ai già numerosi per-
sonaggi principali «una turba» di faune e «mille varii amori » e
gruppi con Mercurio e Glaucera, Giove ed Europa, Polifemo e Gala-
tea, Febo e Dafne, Plutone e Proserpina. Un intero trattato di mito-
logia. E pensare che Pietro era negato al genere illustrativo ! Nega-
tivi erano stati quei piecoli accenti tentati in tutta la sua antecedente
carriera pittorica !

L'artista nella sua fantasia, non solo polarizzata ma ormai im-
mobilizzata su determinati tipi, come non aveva potuto per il pas-
sato, tanto meno poteva ora, trasportarsi in un mondo totalmente
nuovo col quale, privo come egli era di ogni cultura, non aveva al-
cun addentellato. La stessa natura bonaria, sempliciotta, contadi-
nesca gli aveva impedito di farsi quella cultura spicciola che consue-
tudine di vita e di conversare con uomini dotti gli avrebbero pro-
curato.

Della cervellotica programmazione del Ceresaro egli non compre-
se lo spirito informativo, cosi come per il Cambio non avevaappro-

profondito quello della lunga spiegazione di Francesco Maturanzio.

Quanto a lui era richiesto esorbitava quindi completamente dal suo
mondo fantastico; egli s'attenne fin dove poté alle istruzioni marchio-
nali ed umanistiche, le quali tra l'altro dicevano «et per piü d'espres-
sione et ornamento della pittura dallato di Pallade li vuole essere
la oliva arbore dedicata a lui... dallato di Venere si debba farli el
mirto arbore gratissima allei» (1).

Ma a distinguere l'un dall'altro gli alberi non aveva mai pensato
il Perugino, e tanto meno a distinguere la materia di svariati oggetti,
come suggeriva la « poetica inventione » mantovana che assegnava al

(1) CANUTI, Perugino, Doc. 316.
IL GUSTO E L'ARTE DI PIETRO PERUGINO © 159

dio Amore lo strale d'oro e l'arco d'argento e agli Amorini archi non
d'argento né strali d'oro « ma di piü vil materia come di legno o ferro
o d'altra cosa che vi parrà ».

I due albe-i gli servirono a tripartire la larga figurazione perché
come non aveva titubato a lumeggiare d’oro la poca ariosa fronda
di entrambi, così non si fece scrupolo di slanciare, sdutti come pioppi,
l’olivo e il mirto, distinguibili solo per il fatto che sul primo posa una
nera civetta e sull’altro s'arrampica un bianco amorino.

Entrato così nel suo regno decorativo, trasformò la feroce bat-
taglia in una festa di pose eleganti, di linee ondulate, di colori, di
sfumati. RE

Questo spiega come ritroviamo qui, con una certa naturalezza,
madonne e sante caterine, solo un pò più leggermente vestite, come
non ci stupiamo troppo di vedere spuntate ali da amorini a bimbi
Gesü. ova

Cosi l'artista riportatosi, certo con soluzione ben piü comoda e
poltrona che geniale, nel campo delle sue preferenze poteva elargire
il suo solito repertorio di personaggi.

Né quest'opera é immune da pecche particolari, oltre a quelle
consuete per la ripetizione delle solite figure.

Il maestro deve aver tirato cosi in lungo questa esecuzione anche
perché non doveva trovarsi a suo agio — per mancanza di pratica —
nel dipingere corpi femminili nudi, ovvero coperti da veli e per di piü
nel furore di una mischia.

Il buon Ciocca aveva infatti resa edotta la marchesa che le fauni
femminili « hanno le gambe molto male proportionate et brute ». Na-
turalmente quelli che danno un'interpretazione religiosa dell'arte
del Perugino si scandolezzano di vedere qui, passate a deità pagane
le fisionomie delle Madonne e dei santi e degli angeli, e gridano alla
parodia, ma essi hanno così poca ragione come la marchesa quando si
oppose che il maestro modificasse in un particolare l'istruzione da-
tagli, benché lo facesse » per volere meglio dimonstrare la excellentia
de l'arte sua » (1). La quale eccellenza non era cercata dal Perugino
nello studio dell'antico o in altre meditazioni intellettuali, bensi colti-
vata in casa sua dove, con la bella moglie convenivano spesso «alchu-
ne bellissime zovene sue vicine » ammirate anche dal « bono cristia-
nazzo » Luigi Ciocca (2).

(1) CANUTI, Perugino, Doc. 356.
(2) CANUTI, Perugino, Doc. 348.
MARIA AURELIA MOCHI ONORY VICARELLI

PRIMA FASE DELLA DECADENZA

Se guardiamo complessivamente la produzione degli ultimi anni,
essa ci appare a prima vista la continuazione dell'attività precedente;
sempre la stessa strada senza variazioni né figurative, né ideali, ma
sempre in progressiva involuzione.

Infatti, sovraecarico di ordinazioni, desideroso di guadagni, il
‘maestro, la cui natura limitata l'aveva assai presto fatto invecchiare,
grettameute fedele ai. suoi ideali, anche se sorpassati, si è andato man
mano assuefacendo a guardare indietro e a vivere a spese del proprio
passato.

. Questa è la grave responsabilità che,ricade sulla figura morale
del Vannucci.che non ebbe scrupoli a rovesciare i suoi cartoni, a far
largo uso dell’operosità dei numerosi suoi allievi, a copiarsi e a rico-
piarsi: questa è una delle più gravi ragioni della sua decadenza.

: . Ad essa si aggiungono l’affievolirsi della fantasia ed il frettoloso
affidarsi alla tecnica.

Risultato della prima è la sostituzione di formule ad idee e a sen-
timenti. Egli non ci dà più che viete ristampe di antiche forme, ridu-
zioni pauperizzate di quelli che furono i suoi tipi gloriosi, figure stereo-
tipate che si sostituiscono a quelle un tempo studiate negli atteggia-
menti e nelle espressioni; anzi per molti anni, nel suo repertorio, cor-

risponderà ad un determinato santo una determinata forma, e ve-

nendo a particolari a un determinato sentimento da esprimere un de-
terminato segno, una determinata curva, un determinato colore.
Ne vengono fuori eleganti, melliflui fantocci, dai visi di fanciulle,
dai tratti segnati tutti di convenzione, dai corpi modellati accademi-
camente che sorridono del sorriso stereotipato delle loro labbra coral-
line, che pregano in quanto hanno ginocchia piegate e mani giunte,
ma ai quali manca ogni interiore commozione.
| La particolare sua grazia si è ormai dispersa nel più dolciastro
leziosismo in cui naufraga ogni ingenuità, ogni spontaneità del pitto-
re. La-elementare disposizione parallela delle figure, le composizioni a
due piani, la stessa simmetria, i ritmi, hanno ormai sapore di comoda

praticità, di monotoni schemi, di assenza di fantasia creatrice.

Il fasto, il lusso, la copiosità degli attributi devoti sono tutti non
riusciti paliativi per adombrare tale vuotagine.
IL GUSTO E L'ARTE DI PIETRO. PERUGINO 161

L'artista evoca ormai fantasmi di anni s riportando sulla
scena dell'arte, quasi fossero ancora palpitanti ed infungibili, espe-

rienze e realizzazioni conchiuse in tempo e con animo diverso.
I residui e talora i fugaci risvegli dell'ingenita grazia degli atteg-

giamenti e dellé espressioni di queste forme vuote non riescono a ma- ^

.:Scherare la materialità che fa, ora, di lui più che un artista un arti-
giano. :

In quanto : alla tecnica egli si abbandonò al virtuosismo della sua
mano esperta e memore, a cui egli non presenta più alcuno sforzo da
‘compiere, alcun problema da risolvere.

Né più egli la segue e la sorveglia sicché gli scorci sono spesso
deboli o palesemente faticosi, i drappi non più pastosamente model-
lati, ma bensì trattati nelle pieghe con durezza e fioriti, alla svelta,
di addentramenti ad occhiello. Egli non cura più i lineamenti sottili
dei volti che arrotonda e spiana nelle numerose ripetizioni, non lumeg-
gia i capelli, non s'attarda su sottili passaggi di ombre nelle carni: an-
che la diligenza e la scrupolosità del segno declina.

Il colore che, nelle opere precedenti, appare in purezza e splen-
dore, disteso omogeneamente a velature ed impasti, fuso senza spes-
sori di materia, s'intorpida, perde le sue prerogative di colore smal-
tato, la sua gemmea sonorità e diviene acquoso, quasi fosse impastato.
con liquidi che non sostengono la sua densità.

Inoltre esso si muta prima in colore cangiante, per poi smem-
brarsi nelle opere della vecchiaia (ad esempio la tavola doppia della
pinacoteca di Perugia e la predella della grande ancona di Sant'A-
gostino pur essa in detta pinacoteca) in maniera tale da «sembrare
la caricatura del principio con cui i moderni divisionisti disegnano
ed insieme coloriscono, seguendo e secondando il loro impeto, pit-
torico.

Nervose e lunghe pennellate di verdi, rossi, violetti e gialli pu-
rissimi, seguendo la forma, s'intrecciano e si fondono non pér impa-
sti, ma per sovrapposizione, talora con velature attenuanti la violen-
za. Quando, nei punti di maggior luce, riappaiono isolati, fanno vibrare
di colore e di luce le carni Ed i panneggi.

Ma ciò che per i divisionisti è punto-d’arrivo, per il Perugino è er-
rore determinato dalla confusione fra il colore locale e quello della
luce sovrapposto pace per non Sapore a quale dare la prefe-
renza. :

Conclusione di questa involuzione a cui l'artista soggiace è il di-
sfacimento delle forme che si slargano, si stemperano, le espressioni:

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162

MARIA AURELIA MOCHI ONORY VICARELLI

sono solo piü rese per mezzo di convenzionalismi, le stesse ricerche
ritmiche, ripetute e non vissute, divengono svigorite ed illogiche,
l'opacità di talune tinte denunzia l'abbassamento del gusto del colore,
il chiaroscuro diviene macchia, perché trattato con troppa frettolo-
sità e senza le graduali velature. La linea poi rompe ogni equilibrio,

tenta arditezza, pur essendo povera di risorse, cerca eleganza e cadein

snervatezze. Una gran materialità s'impossessa dell'arte del maestro.

TAVOLA DOPPIA PER SAN FRANCESCO AL MONTE

Pinacoteca di Perugia, 1505 circa.

La tavola ad olio, priva di firma e di data, taciuta pure dal Vasari,
fatta per la chiesa di San Francesco al Monte, trovasi ora, in discreto
stato conservativo, alla pinacoteca di Perugia.

Essa fu tuttavia eseguita tra il 1502 e il 1505 ed é doppia: da un
lato la Incoronazione della Vergine, dall'altro quattro santi e due
angeli attorno a un Cristo in croce, scolpito in legno da Eusebio Ba-
stoni.

Si vuole, e non a torto, che vi sia stata ampia collaborazione di
bottega.

L'Incoronazione, ‘specie nella parte inferiore, è impressionante
per quella selva di persone dalle membra sproporzionate e mal con-
nesse, sulle cui teste tonde crescono capelli ispidi come erba, i cui
panneggi sono stretti e mal composti ed i partiti delle pieghe scor-
Fetbh 3

Un guizzo di vita, che ricorda i suoi anni belli è il ritmo melodico
che produce la corona di foglioline e di bacche nella parte superiore;
ritmo che si spegne senza risonanza, e che sentiamo non senza nostal-
gia su questa atonia generale.

I quattro angioli sono così avvolti in questa linea ondulata, ‘che
si dimenticano le loro danze un pò troppo impetuose e i loro colori
scialbi, le loro forme di maniera.

Tale è la mancanza di sonorità e di lucentezza del colore che non
sì direbbe esecuzione ad olio.

Nell’altro lato della tavola, sei figure stereotipaticamente melli-
flue circondano il Crocifisso scolpito, anatomicamente concepito. Il

. viso quasi sferico, tutto carne e senza alcuna consistenza della Santa

Maddalena è la deformazione della grazia sentimentale. Colore, forma,
disegno non han forza di dominare gli elementi psicologici. Il manto
IL GUSTO E L'ARTE DI PIETRO PERUGINO 163

della santa da roseo che dovrebbe essere, diventa giallo paglierino in
luce e quello della Vergine da azzurro diventa violaceo per la tecnica
usata di pennellate, a colori diversi, intrecciate; si irrigidiscono le
pieghe dei manti e gli svolazzi paiono banderuole di cartone.

MARTIRIO DI S. SEBASTIANO
Panicale, 1505.

L'affresco assai deteriorato con il martirio di San Sebastiano a
Panicale porta, mutila in qualche sua lettera, la firma del pittore. An-
che in questa opera egli si indica come Petrus de Castro Plebis. Que-
sta volta egli non tralascia di scrivervi pure la data d'esecuzione (1).

Esso ci presenta nuovamente le pieghe e gli svolazzi in rovina che
vedemmo nella tavola doppia di S. Francesco al Monte e soltanto
ritiene alcunché del valore del maestro nelle ricche decorazioni linea-
ri, nel paesaggio pieno d'aria, e vagamente pure nel nudo delsanto, a
cui la gamma dei colori giallognoli, rosei, verdolini dà una certa qual
opalescenza. Queste carni giallognole rilevate da ombre diafane, vor-
rebbero rievocare, ma ahimé ! assai spettralmente, la calda gamma
ambrata, le trasparenze ocrate, dei San Sebastiani del tempo passato.

I vestiti degli arcieri poi sono un’accozzaglia di. colori sgargian-
ti (verde, arancione, amaranto, rosso) che stridono fra loro ei cui con-
torni a forte demarcazione vieppiù irrozziscono. Nel soldato a destra
del santo, un’ombra densa ed opaca, trattata per impasto e non per
velatura, dà l'impressione che egli abbia pianto. E la ragione della
sua aria contrita non può essere che quel tremendo cappellino, inal-
berato sul suo visetto cinese, (quale risultato porta l’impicciolimento
dei tratti fisionomici !) con tre penne rigide, simmetriche a punto
interrogativo.

Il suo vicino, efebico di forme, è assurdo nel moto dei nastri ondeg-
gianti, creati per nascondere la stanchezza del pennello, che stende co-
Tori vivi, ma sordi e opachi. Un senso quasi di ferocia sprigiona la linea
energetica che costruisce e muove l’ultimo arciere, il cui nudo corpo
atletico è rialzato da una robusta gamma di ocria. Per il pagamento
di questo affresco, il maestro si dovette inquietare, e non gli valse il

(1) A. D. MDV. Vasari non venne a, conoscenza di quest'opera, né
dell’aneddoto dei drappelloni dati in prestito.

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164... MARIA AURELIA MOCHI ONORY VICARELLI

prestito fatto alla Confraternita dei 14 drappelloni processionali...
per avere i suoi quattrini dovette ricorrere a vie legali (1).

Con ogni probabilità il maestro fu generoso verso sé stesso di
amplissima collaborazione. | |

CROCIFISSIONE .CHIGI
S. Agostino, Siena, 1506.

L'ampiezza del paesaggio dell'Adorazione di Città della Pieve

e del Combattimento fra l'Amore e la Castità si ritrova nella tavola

ad. olio con la Crocifissione e santi terminata a metà del 1506. com-
messagli da Mariano Chigi e che è tuttora, falsata e deturpata da or-

rendi ritocchi, nella Chiesa di sant'Agostino a Siena.

Vasari ricorda questa con un'altra opera che il pittore avrebbe
eseguita per Siena. | E
Il pittore non vi appose né data né firma.
> AI padre Mariano il figlio Agostino Chigi aveva scritto nel 1500
essere il Perugino «il meglio maestro d'Italia » (2). |
Per ironia del destino molto si appalesa in quest'opera la deca-

denza perché nelle varie parti, riprese tutte da opere precedenti

(S. Maria Maddalena de' Pazzi, Crocifissione Calza, ecc. ecc.) si no-
tano segni di stanchezza sia nel disegno (visi rimpiccioliti, occhi
spenti, nudi che si sfasciano ecc.) sia nel colore non bene armoniz-
Zato. La stessa composizione da spiritualmente simmetrica, diviene
volgarmente monotona. Quale disturbo ci danno le due sante ge-

melle ai piedi della Crcce !

I ritmi decorativi, lo stesso sfoggio di bei colori contrapposti,
già creati per necessità di spirito, sono ora motivi messi contro il cielo
quasi per timore della sua immensità e per ottenere a mezzo dei sim-
boli quegli effetti che egli non traeva più dai suoi personaggi ! (Vedi

. le quattro testine dalle ali a ventaglio appese a ventosa nell'aria, non- .

ché il nido del pellicano, il sole, la luna).

Il paesaggio solo resiste, ma senza alcuna rispondenza fra le sue
linee curve e quelle dei personaggi. Il maestro lo stacca dalla scena,
una cortina di alberi sottili lo fa vivere una vita sua, relegata nel fon-

do del quadro.

(1) CANUTI, Perugino, Doc. 380-383.
(2) CANUTI, Perugino, Doc. 384.

— ERES TOT TTE
.IL GUSTO E L'ARTE DI PIETRO PERUGINO 165

. Pur essendone copia, quanto siamo lontani sia dalla Crocifis-
. sione del museo russo e sia da quella del Monastero di Cestello !
Interessante é sapere che il cartone di questa tavola fu studiato

da Raffaello per la sua Crocifissione Gavassi per DS di Eiep.

(ora Mond. )

TAVOLA DOPPIA PER LA SS. ANNUNZIATA
Firenze, 1503-07.

Proprio a proposito della tavola lasciata incompiuta da Filippino

Lippi che i frati della Santissima Annunziata affidarono: nel 1505 a

Pier della Pieve per portarla a termine (1507 circa) Vasari ci racconta
. dello screzio sorto fra l'artista e Michelangiolo e come questi gli ab-
bia gettato al viso la frase di «goffo nell'arte » (1). Certo «affaticato

non s'era » seguita il biografo sempre a tiro per dare vita e colore alla
sua narrazione con qualche fattarello, qualche anedoto, qualche fa-

voletta. Naturalmente, sempre secondo l’aretino, dovettero i contem-
poranei accorgersi che egli aveva tralasciato il buon modo dell’ ope-
rare o per avarizia o per non perder tempo.

Nessuna spiegazione (che è poi un interrogativo di D è
. più appropriata a delineare questo periodo di decadenza che quel-
la stessa che dal Vasari è stata messa in bocca al pittore. «Io ho
messo in opera le figure altre volte lodate da voi e che vi sono
infinitamente piaciute, se ora vi dispiacciono e non le lodate che ne
posso io?» (2).

Perugino sposta da sé ai suoi spettatori il problema e ne fa una Pa
questione di gusto. L'involuzione della sua fantasia creatrice era.

stata inconscia, come avviene nella maggior parte delle decadenze, e
nel suo animo sempliciotto, senza complicazioni né liriche né intel-
lettuali, il copiare sé stesso non era insincerità e tanto meno cola
verso la propria arte.

La ragione della mancata approvazione non poteva dunque es-
sere, secondo l’artista, nell’avere egli rifatto i suoi cartoni, ormai stan-

. üi, ma doveva bensì risiedere in un cambiamento di gusto dei suoi con- i

temporanei che a lui chiedevano ciò che egli non poteva dare.

(1) Vasari, Le vite, cit., tomo III, pag. 585.
(2) Vasari, Le vite, cit., tomo III, pagg. 586, 587.

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166 MARIA AURELIA MOCHI ONORY VICARELLI

Quest'ultima opera fiorentina, in non cattive condizioni di con-
servazione, non porta né firma né data.

Al movimento vibrato della parte superiore eseguita da Filippino
Lippi si contrappone la figura immobile inginocchiata della Maddale-
na ed il gruppo serrato delle pie donne.

Il lento movimento della Vergine che il dolore fa accasciare ver-
so terra, il moto delle altre donne che la sostengono emana un senso
di tristezza pacata, addolcita.

Figurativamente il maestro ha tradotto questo suo contenu-
to di intimità e di grazia dolorosa col riavvicinamento delle linee
dei varii corpi, col formare una massa unica e profondamente sen-
tita dei varii colori di paludamenti. Nella larghezza del torso c’è
uno sprazzo dell’antico suo valore. Se non avesse fatto girare nelle
loro orbite le pupille, non avesse impicciolito teste, bocche, trat-
ti fisionomici, egli avrebbe salvato questo gruppo da vacuo pie-
tismo.

Vacuo pietismo che pervade tutta la figura dell’apostolo Gio-
vanni e che trionfa rigoglioso nella facciata opposta della tavola ove
l’Assunta sale al Cielo fra la solita corte di musicanti e di angeli scuri
sia nei manti dai colori bituminosi, sia nei volti dalle ombre opache
e brune. |

I due nastri degli angioli candelabri sono, nella loro linea deco-
rativa, il metro per valutare lo sfacelo !

A terra l'ormai consueta composizione degli apostoli tutti miso-
cefali tutte carcasse vuote di forma e che del contenuto non hanno
che gli schemi esteriori.

L'artista si è servito, ovvero ha fatto adoperare ai suoi aiuti che
dovettero concorrere largamente a quest'opera, dei vecchi suoi car-
toni (ad esempio quello dell'Ascensione di Lione).

Sicché questa é una esecuzione di mera pratica, priva di ogni
vita, senza fusione di toni, senza alcun risalto. Un'opera veramente
« ordinaria » come la qualificó Vasari e... non ebbero torto i buoni
Serviti che la voltarono dalla parte del coro.

Simile a questa Assunzione ne troveremo altre negli anni che
seguiranno, ad esempio quella di Corciano, e l'attribuita tavola Ca-
raffa del Duomo di Napoli.

Le quattro tavole laterali con figure sono due nel palazzo ducale
di Meiningen (San Giovanni Battista e Santa Lucia) e due nella rac-
colta Lindenau di Altemburgo (S. Filippo e Sant'Elena) ma non sono
degne di particolare ricordo.
IL GUSTO E L'ARTE DI PIETRO PERUGINO

QUATTRO 5 T:0 N.DJI
Vaticano, Boma, 1508.

A Riandando colla mente ai tondi con i profeti della grande ancona,
di San Pietro eseguiti tra il 1495 e il 1499 e paragonandoli coi quat-
tro tondi del 1508, affrescati nel soffitto della stanza dell'Incendio di
Borgo in Vaticano (1) sentiamo quanta strada ormai il vecchio
maestro abbia percorso a ritroso ! :
Allá sonora solitudine dei profeti che vivevano dei loro ritmi e
con essi compivano l'intero spazio del tondo si contrappongono in
questi medaglioni vaticani, affaraginamenti di padri eterni, di an-
gioli di tutte le foggie ed ingombranti ogni dove, di santi sproporzio-
nati, di aloni, di colombelle.
E tutto il repertorio del maestro che viene fuori, ma ancor piü
trascurato, ricalcato, ormai flaccido.

Bisogna riconoscere che il maestro si è ormai ridotto a mestie-
rante... a fallimagini come lo designa Adolfo Venturi.

Quest'opera é un punto di riferimento per valutare tutto il ro-
vinio dell'arte di quest'uomo che quanto piü declinava tanto piü cre-
deva sorreggersi agglomerando figure, aloni, animaletti simbolici,
angioli, attributi di devozione, quasi avesse timore di lasciare spazi
inoccupati !

È proprio a causa di questo ammucchiamento non si riesce a com-
prendere cosa abbia voluto l'artista rapresentare ! Il fogliame che con-
torna questi tondi é quanto egli abbia fatto di meglio; ma non possiamo
condividere il giudizio dei contemporanei, i quali, secondo il Vasari,
lo trovavano eccellente. |

Nessun lirismo, nessuna grandiosità lo ispira. Ci si chiede se
Raffaello non sarebbe stato piü pietoso verso il maestro se avesse
soppresso, come aveva fatto con opere di altri pittori, secondo l'or-
dine di Giulio II, queste povere cose di chi si stava sopravivendo !

(1) Tra le opere eseguite in Vaticano, Vasari elenca pure questa. Nella
vita del maestro breve ne è l’accenno additandole come storie di Cristo e fo-
gliami di chiaroscuro; mentre invece si dilunga a parlarci di esse nella vita
di Raffaello e del Sodoma, narrandoci come, licenziati tutti gli artisti dal papa
Giulio II per dar modo a Raffaello di compiere da sé tutta la decorazione, do-
vevano essere cancellate pure le pitture da essi eseguite e come Raffaello per
rispetto al vecchio maestro volle conservarle. (Le vite, cit., tomo III, pag. 579).

Vita del Sodoma, op. cit., tomo VI, pag. 383.

Rea pesto:

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UU Y : . ;
E CE DR M RE
MARIA AURELIA MOCHI ONORY VICARELLI:

MADONNA CON BAMBINO, S. ROSA E S. CATERINA
Galleria di Vienna, 1506-10.

Ripreso è il motivo della tavola del Louvre colla Madonna, il
Bambino, S. Caterina ed il Battista all’incirca del 1495 nella tavola
eseguita ad olio in discreto stato di conservazione della galleria di.
Vienna. In essa al posto del Battista c'è una seconda santa. Anche
quest’opera, in cui il maestro appose solo la sua firma (1) è un mo-
numento piuttosto felice, quasi un attimo di stasi, nel precipitare.

| sempre più in basso dell’arte del maestro.

A differenza però della tavola più antica che era giunta ad una
piena realizzazione di grazia formale non solo con trascuranza, ma
quasi con disprezzo della grazia oggettiva, qui questa interviene e

. non permette più all'artista di sfaldare i piani facciali delle sue fi-

gure onde allargare le piazze di colore.
Pur non raggiungendo quel grado di grazia pura il quadro di
Vienna è un ‘espressione sentita e vivace. dell’ideale del maestro.

SECONDA FASE DELLA DECADENZA

L'ormai fradicio repertorio del maestro si appalesa ognor piü.
Né egli, per l'involuzione sempre crescente in cui era caduta la sua
fantasia creatrice, poteva agire in maniera diversa. La sua fiamma.
era estinta, né l'aveva salvato, aihme, l'innato suo gusto del colore, il
linguaggio della sua arte sordo ed attutito, era totalmente sfasciato;
né cosi purtroppo tacevano le sue inclinazioni pratiche, né manca-
vano le contingenze.che lo portavano a produrre quadri.

L'inconsapevolezza della propria decadenza, la tragica since-
rità dell'artista, che copiando sé stesso non sente che commette un
tradimento verso i passati suoi punti di arrivo, é provata, diremo cosi,
della sfacciataggine con cui egli non si perita a buttar fuori queste
ultime opere.

Da questo cds indifferentismo risulta che Pn tecnica sempre
piü si sfalda, le pennellate a colori diversi si incrociano e si Bo VFaDDOR:.

(1) Petrus -Perusinus pinxit.
IL GUSTO E L'ARTE DI PIETRO PERUGINO 169:

gono con maggior frequenza e creano nei panni effetti puramente
| pittorici di cangiantismo in piena antitesi della pusucolare interpreta-
zione del colore propria del maestro.

Abbiamo di fronte ormai un uomo pratico che usa dei mezzi
| espressivi del suo io artistico ormai... cadavere.

TRASFIGURAZIONE PER LA CHIESA DEI SERVI
A PORTA EBURNEA

Pinacoteca di Perugia, 1514-19.

La solita impostazione DMorna la Trasfigurazione fatta per la
Chiesa dei Servi a Porta Eburnea in Perugia, da ascriversi tra il 1514-
1519. Cristo nella mandorla con angioletti ascende al cielo, ai lati
due santi, sotto tre apostoli in atto di preghiera o meraviglia.

Quest'opera, eseguita a tempera con un ultimo strato di vernice.
onde renderla brillante, muta di data e di firma, passó, quando venne
B. demolita la chiesa dei Serviti, alla Cappella Graziani nella Chiesa di

. santa Maria Nova. Ora è ospitata, in un ottimo stato di conserva-
zione, dalla pinacoteca di Perugia. es

Perugino ricopre della tradizionale veste bianca il Cristo che

si trasfigura, ma ormai non vibra piü in lui la necessità di farla ri-

saltere, piazzandola a ridosso di un colore scuro, bensi ne spegne

ogni valore dandogli per fondo la chiarezza del solito alone e per

di più striando tutto all'intorno il cielo di nuvole biancastre. Se la

parte superiore ha dissonanze ed attutimenti non di meno ne ha la -

parte inferiore ove i santi sono posti ub e disordinati su un
primo piano. .
Dalla Trasfigurazione del Cambio a questa che ne è copia si è
fatta gran strada a rovescio, il colore non é piü vibrante e sempre piü
si è andato spegnendo e disarmonizzando; il disegno copiato e rico--
piato dai cartoni, perde ogni freschezza e ogni forza, cade in errori,

‘ creando scorci malfatti o faticosi; la materialità avvolge sempre più

ogni raffigurazione.

Il paesaggio invece ha grande respiro: pochissimi particolari ai
due lati, qualche esile albero onde MGE questo piano scuro al piano.
del Trasfigurato.

La predella (con. V Ansumclüzióiie, la Natività ed il Battesimo)
poi, con la piccolezza dei suoi personaggi segna ancor piü la rovina.

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MGE.

FIERA III lata

Re e A —

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170 MARIA AURELIA MOCHI ONORY VICARELLI

dei tipi perugineschi. Faccine che si sfasciano, occhi segnati a punti-
no, figure anatomicamente mal congegnate e colorate con premura.

Non é da escludere che vi fu gran concorso della bottega, sia
nella tavola sia nella predella.

DUE AFFRESCHI DI SPELLO
5. Maria Maggiore, Spello, 1521.

E seguitiamo, tristemente memori del passato, a misurare il
cammino discendente, negli affreschi di Spello, nei quali nel 1521
Perugino ripeteva le abituali scene della Vergine col Bimbo seduto
in trono fra due santi e la Madonna col Cristo morto in grembo e due
figure di santi inginocchiati. |

Anche nella tecnica ad affresco Perugino lascia scorgere tutta
la propria decadenza, palesemente, aggravata dalla fretta con cui
egli eseguì questi due grandi pannelli. |

Infatti stende il colore talmente fluido ed acquoso che i colori
rimangono scialbi e poveramente ricoprono la parete, anzi nei punti
salienti delle luci è la stessa tinta di fondo che trasparendo forma la
luce.

Nella scena della Pietà è vero che l'anatomia delle spalle è male
impostata, che le faccie dei due santi inginocchiati hanno piani car-
nosi flaccidi e tumidi, che i torsi sono pesanti ele vesti soppannate,
piene di insenature senza senso e senza forma. Ma altresì non si può
disconoscere che in questo naufragio (e in certo senso, proprio perché
in simile naufragio) il gruppo della Madre e del Figlio, chiuso e quasi
costretto fra le due linee rette del trono scuro che fa da sfondo, ha il
suo valore, esprimendo un senso di raccolto, di rassegnato, di terrena-
mente conchiuso.

Anche il volto della Vergine, nella magrezza degli zigomi sporgen-
ti, nel soggolo e nel velo scuro che la incornicia mantiene le traccie
dell’antica nobiltà. È

Il secondo affresco invece con la Madonna in trono e due santi,
è proprio una meschina cosa. Le figure si ostentano in pose di devo-
zione senza essere animate da nessuna commozione. Al solito sono i
loro emblemi di martirio, le loro mani giunte, i loro occhi virgolati
all’insù, a dar la parvenza di quanto esorbita dalle loro possibilità.

Ecco quanto Perugino a pochi anni dalla sua morte, avendo
oltrepassato i settant'anni, poteva produrre.
IL GUSTO E L'ARTE DI PIETRO PERUGINO 171

Questi affreschi, ornati di data e di nome giunsero a noi in buona
conservazione, e sembrano piü opere della mano del maestro che non
di collaborazione. Del resto pure i documenti accennano non ad un
‘ aiuto, ma solo a un garzone che avrebbe portato e poi tornato a
prendere «le cose da pengere » (1).

SANTI A SAN SEVERO

San Severo, Perugia, 1521 circa.

Riuscendo a prescindere dalla parte superiore col trionfo della
Trinità, opera di Raffaello, la teoria dei sei santi, che il Perugino af-
frescó per ultimare l'opera del suo discepolo in San Severo di Perugia
nel 1521 é all'incirca, nell'attività senile dell'artista, una delle sue
opere meno avvilenti (2).

Come abbiamo detto non dobbiamo alzare lo sguardo in alto
dove Raffaello, impostando.la sua composizione in profondità, coor-
dinava le figure attorno ad un fulcro centrale verso il quale ci introdu-
ce a mezzo di due teorie oblique di santi.

Ma logicamente limitandoci a considerare Perugino in ciò che è
lui; la decadenza del maestro, pur essendo in atto, è in detta opera
sentita con meno dolorante impetuosità.

E questo perché nell’eseguire questi santi egli rimaneva più
che mai nel chiuso ambito delle proprie preferenze, anzi delle prefe-
renze più intime al suo cuore.

Stratificata tutta su un unico piano, ecco che in sordina ritornano
gli echi della scena a scomparti che tanto egli aveva amato e in cui
così bene, negli anni suoi migliori, aveva saputo equilibrare le sue
composizioni.

(1) CanuUTI, Perugino, Doc. 485.
(2) L’iscrizione con data, nome e delimitazione dell’opera del Vannucci
è contemporanea, ma non vergata dall’artista così come non lo è quella che
riguarda Raffaello. Essa così suona:
Petrus de Castro Plebis
Perusinus, tempore Domini
Silvestri Stefani Volaterrani.,
A destris et sinistris div Christi-
pherae, Sanctos Santasque pinxit
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Vasari nomina quest’opera, che purtroppo è in pessime condizioni. (Le
vite, cit., tomo III, pag. 587.

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172 MARIA AURELIA MOCHI ONORY VICARELLI

Nessuna azione muove o turba le figure, le quali hanno l'unico:
scopo di presentarsi aggraziate, di atteggiarsi in una maniera gentile,
di fare insomma da piedistallo alla composizione di Raffaello. La-
sciando da parte la maniera sciatta con cui é eseguita questa rappre- ‘
sentazione, e la consueta abitudine di ripetere figure fatte e rifatte,
trovandosi nella più assoluta coerenza con quanto era il meglio del
suo gusto, riesce a far balenare qualche sprazzo dell'antica fiamma,
come nel San Bonifazio efebico, dal corpo leggermente riverso, nello.
stesso ripetersi del libro messo nelle mani di tutte e sei le figure, onde -

dar modo a queste di atteggiarsi in pose leggiadre. Vibrazione bre-
vissima in aria ormai ferma. |

ADORAZIONE DEI MAGI
Trevi, 1521.

Onorata della firma del pittore e di una iscrizione di lode alla
Vergine, sempre del 1521, é l'affresco coll'Adorazione dei Magi ese-
guito per S. Maria delle Lacrime a Trevi.

La parte sinistra é purtroppo assai danneggiata (1).

Diciassette anni lo separano dall'analoga composizione fatta
per Santa Maria dei Bianchi a Città della Pieve. i

Pur mantenendosi estremamente ligio alla falsariga del prece-
dente lavoro, si sente come la copiatura avvenisse in maniera mec-
canica, ed il criterio che aveva diretto l'impostazione dell'opera pre--
cedente non fosse tenuto presente nell'esecuzione di questa.

Infatti l'artista nel 1504 aveva diviso la scena in due parti late-
rali scure ed una centrale onde in questa raccogliere e fermare tutta
l’attenzione dei riguardanti. |

Questo scopo egli non solo aveva accentuato col raccogliere ed
assiepare di figure scure ai due lati, ma bensi dietro queste aveva co-
struito — a continuazione degli scuri dei primi piani — due quinte di .
colline, popolate di figurette scure e rallegrate da alberi scuramente .
frondosi, onde restringere più in alto possibile il chiaro del cielo. Al

«contrario, nella piazza centrale aveva colto ogni spunto per stellare

di bianco (cane, pecore, laghi). - MY
Nel quadro di Trevi questa sapiente disposizione delle piazze dei
colori non è più osservata. Se lascia il gregge bianco apparire al cen-

*

(1) Quest'opera non è nominata dal Vasari.
* IL GUSTO E L'ARTE DI PIETRO PERUGINO 3

tro della capanna, lo raccoglie in tal guisa che le groppe degli animali

si nascondono l'un l'altra, rendendo minimo HappigHo al distendersi
del chiaro.

Inoltre ad esso dà a guardiani alcune figure nere vestite, che stri- -

dono in una sinfonia di tinte chiare. Il piano retrostante non occhieggia
di laghi dalle acque biancastre ed i colli stessi non s'anneriscono di
cupa vegetazione, ma bensi profilati con tinte atmosferiche, sia nelle

loro linee di terra, sia negli esili alberetti, vengono meno alla fun- -

Zione decorativa.

Rimangono, è vero, i due cortei con cavalli, dromedarii, ma la

loro presenza non è certo giustificabile con esigenze pittoriche. ma

‘solo spiegabile ripensando al racconto del Vangelo di San Marco i
«essendo nato Gesù in Betlem di Giuda al tempo di re Erode, alcuni -

Magi, venuti dalle terre d’Oriente ea a d NEAN e do-
‘mandarono ‘ Dov'é il nato re dei Giudei. AES

ANCONA. DI SANT'AGOSTINO
1502-23. |

Per la loro chiesa i frati di Sant'Agostino avevano chiesto al
pittore un'opera veramente monumentale, ancor piü grandiosa di
quella di San Pietro; un assieme insomma di cosi numerose tavole,
quale l'artista non aveva ancora eseguito.

Mai pensavano i buoni frati nel 1502 allorché fecero la prima or-
dinazione al pittore che proprio ; a loro toccasse la ventura di vedere
incompiuta l'ordinazione ! :

Oltre a non essere finita, non tutte le tavole componenti le due
faccie (verso la chiesa e verso il coro) sono di mano del maestro (in
nessuna c’è traccia di data e di firma): anzi là collaborazione è ampia
e notevole specie in quelle di minore importanza; mentre su quelle
centrali (Natività, Battesimo, Pietà e Padre Eterno) deve aver indu-
giato, non esclusivamente però, ma per la massima parte la mano del
Vannucci.

Certo non va disconc cinta l'impostazione costruttiva di questa

grande ancona, impostazione che risale agli anni centrali dell'attività
del pittore. Molte erano le scene, numerosi erano i personaggi voluti
dai buoni frati: e ad equilibrare e dominare tutto ci voleva una certa
assuefazione a scene di ampie dimensioni, popolate da molteplici
personaggi.

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"M et. D EO VERAS i.
174 MARIA AURELIA MOCHI ONORY VICARELLI

Il progetto completo della doppia ancona, la iutelaiatura quindi
Perugino deve essersela fatta su per giü, negli anni immediati della
ordinazione e fu un gran bene giacché, la sua mente ancora satura.
dell'organicità data al Cambio riescé a suturare assieme con equili-
brio le varie parti dell'ancona. Il guaio fu che l'esecuzione di esse fu
scaglionata in venti anni, e al Perugino progettista non corrispose un
altrettanto vitale esecutore.

Ragioni stilistiche ci fanno credere che le tavole centrali po-

c'anzi nominate, si allochino presumibilmente in un periodo piü attivo

che si chiude col 1513, anno in cui l'artista più intensamente si occupò
di questa ordinazione, incalzato com'era dal nuovo contratto del

. 1502. Infatti dalla fine del 1513 fino alla sua morte trascuró questa

commissione non dedicandole che minima attività, stanca, ammise-
rita e saltuarissima. :

Si capisce come abbia fatto eseguire su suoi cartoni dalla bottega
(e tutta la bottega dovette parteciparvi oltre a Bartolomeo di Gio-
vanni ad Eusebio di San Giorgio, i cui nomi affiorano dai documenti)
le parti meno salieati. Le quali per la determinazione del gusto del
maestro hanno valore nullo, rientrando nel fardello delle opere —
Perugino e bottega — che pullulano nei suoi ultimi anni. Vasari ricorda
assai dettagliatamente quest'opera che egli indica come «una tavola
grande isolata e con ricco ornamento intorno » nominandoci i sog-
getti delle tavole principali e dicendoci come egli avrebbe fatto « con
molta diligenza... molte storie di figure piccole » (1).

Il Cristo battezzato (ora alla pinacoteca di Perugia) assai restau-
rato) invece è l'ultimo nudo fatto con grazia. Esso si lega a quelli
eseguiti nella sua epoca migliore.

L'impostazione dell’opera è uguale alla scena analoga della pre-
della dell'ancona di San Pietro (ora al Nazionale di Londra).

Il V dell’addome del Cristo, le ondulazioni della fascia che ripe-
tono il ritmo delle braccia conserte, l’equilibrio della figura così rac-
colta in tutte le sue linee, il rapporto dello sfumato del corpo con la chia-
rezza delle acque e le tonalità chiare delle terre, ci ridestano la
nostalgia per la gioia già provata davanti al San Sebastiano della ta-
vola di Fiesole e a quello del Louvre.

Anche la figura del San Giovanni è costruita con freschezza;
l'artista, richiamandosi a figure anteriori, sa, rivivendola, apportarvi

(1) VASARI, Le vite, cit., tomo III, pag. 583.
Quest’opera in molte sue parti fu danneggiata dal tempo e dai restauri.
IL GUSTO E L'ARTE DI PIETRO PERUGINO 175

con spontaneità le modifiche rese necessarie dall'azione a cui il Santo
è intento.

Il braccio che sorregge la ciotola s'alza sul capo del Cristo con
movimento lento ed ondulato, il corpo che si sposta sull’anca destra
si denuncia ancor più nell'involucro arrotondato del manto, la gamba
sinistra si parallelizza nella positura a quella del Cristo. |

Quest'opera non manca di grandiosità d'impostazione e di di-
segno, solo il colore delle vesti, pur mantenendosi abbastanza puro,
si è un poco sbiadito.

Il paesaggio è costruito nella propria ampissima lontananza con
tenuissimi passaggi di colori aerei.

- Nessuna forma ardita di monte, nessun profilo nitido di albero
turba con richieste di colori più decisi questi passaggi di. sfumato
che avrebbero trovato la loro continuazione ed il loro specchio in un
cielo altrettanto ampio e sonoro se il gusto infrollito del maestro non
avesse temuto questo immenso padiglione di vuoto e non lo avesse
quindi riempito delle solite macchine di angioloni danzanti, di te-
stine, di aloni, di colombelle. Con nostalgia pensiamo al cielo vuoto
del Compianto e della Crocifissione de’ Pazzi !

Purtroppo una ricoloritura ne peggiora ancor più la situazione.

Battezzato, battezzatori e paesaggio e i loro mutui rapporti
sono la parte buona della tavola, parte fatta in un primo tempo cioè
negli anni più prossimi al suo periodo migliore. I due angeli invece
sono più tardi e già di piena decadenza. I due tempi d’esecuzione si
notano pure nella sproporzione fra i personaggi di primo piano e
questi dellimmediato secondo piano.
| Espressione di una più avanzata decadenza del maestro è il
fondo della Natività (pinacoteca di Perugia) capanna, pastori, pe-
corelle, angeli danzanti, paesaggio, elementi tutti accozzati assieme
senza alcun criterio organizzatore.

Anche la scenetta in primo piano è una reminiscenza anterio-
re (Adorazione Albani, Adorazione Cambio), e dalla disposizione
della Vergine e San Giuseppe, quasi a conchiglia attorno al corpic-
ciolo del Bambino, scaturisce un senso di tiepido, di raccolto, di
prezioso.

Ahimé ! l’immediato sbattere di quell'onda curva sulle figure
dei due pastori troppo rimpicciolite per inserirsi, e non ben disposti
per ripetere questo ritmo, ovvero in quelle dei due angeli che colle
proprie masse sgambettanti, riempiono tutta la struttura della ca-
panna, intorpidisce, soffoca questo motivo di grazia umana. Peru-

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176 ^ «MARIA: AURELIA MOCHI, ONORY VICARELLI

gino ormai non aveva più in sé la forza di sfruttare quel pó di vivo .
che veniva a lui dal suo passato. |
Anche in questa tavola il sentimento del colore non é più cosi.
fervido, egli si accontenta di stenderlo sbiadito e cosi poco sostanzioso
che spesso se ne scorge la preparazione di gesso sottostante, alla quale
poi dà il compito, per rendere piu rapida l'esecuzione, di funzionare
da lumi. pipes i |
Questa minorata cura dell'elemento colore ci fa pensare l'ese-
‘cuzione di questa Natività, nella sua massima parte, piü verso 11-1513 ‘
che non subito negli anni seguenti all'ordinazione. È
In una semplicità quasi claustrale, nel chiuso ambito di una
camera si compongono le figure della Pietà (chiesa di San Pietro),
coronamento della faccia verso il coro. Junt
Anche questa tavola ha nell'operosità auteriore del maestro i
‘suoi addentellati: fra gli altri il perduto affresco di San Pier Maggiore
a Firenze (il cui ricordo ci è tramandato da un’incisione del 700 (1)
‘e la lunetta per la Pietà per S. Maria Nova di Fano. Infatti ideal-
mente queste figure si dispongono ed occupano lo spazio di una lu-
netta che col livello e la disposizione delle varie teste sottolineano

ed assecondano.

L'ambiente poi in cui si raccoglie la scena ci riporta a rel
della Madonna e Santi del 1493 ordinata dal prete Cristoforo da
Terreno (ora Gemálde Galerie di Vienna).

L'impostazione costruttiva di questo quadro risente ancora della
semplicità monumentale di un tempo: il Cristo, morbidamente ela-
stico nel proprio corpo nudo e di sane proporzioni, staglia chiaro

sullo scuro del manto di Nicodemo, messo dall'artista per il ricordo
della necessità, un tempo sentita, di far risaltare le variazioni dello

sfumato delle carni nude su un fondo scuro. :
Quanto piccolo é peró l'orlo di scuro che, sottolineando il contor-
no del corpo del Cristo, se non lascia disperderne la sinfonia delle
tinte, non ne promuove invero il trionfo ! :
Il legame tra le varie figure è reso pittoricamente con le linee.
bianche delle braccia simmetricamente sorrette dalle due figure, de-

-corativamente analoghe. Se queste due linee ugualmente piegate delle

braccia, se l'afflosciarsi del corpo, se le qualche ricerche di morbidezze,

Se il colore non privo del tutto di sonora brillantezza emanano

‘ (1) Incisore fu Giovarini Ottaviani e due copie: dell incisione eseguita su
rame trovansi al gabinetto delle Stampe in Roma.
IL GUSTO E L'ARTE DI PIETRO PERUGINO 177

“sprazzi dell'antica grazia umana, l'esecuzione stereotipata delle due
figure, analoghe non solo nelle pose (per intento decorativo) ma bensi
nelle espressioni (teste torte e occhi obliqui) getta uaa impronta di
lezioso e di dolciastro. Nell'ormai vieto repertorio rientra l'Eterno
Padre, coronamento dell'altra faccia, né suscita alcuno particolace
interesse, essendo della piü sconfortante decadenza.
Questo é il gruppo delle opere che non é del tutto negativo.
Tutte le parti restanti o sono fatte in minimissima parte dal
Vannucci o addirittura su cartoni suoi dagli aiuti. In ogni modo
esse non riescono che a presentarci i brandelli consunti di un gusto,
ormai completamente sfaldato, proprio di questi ultimi anni.

MADONNA CON BAMBINO E PRESEPIO
Fontignano, 1522-1523.

Chiudono l'attività del maestro gli affreschi di Fontignano:

. T'uno colla Madonna e Bambino che in pietose condizioni trovasi an-

cora in questo solitario paesino, l'altro, non esente da danni, col

Presepio, trasportato su tela che è nella Galleria Nazionale di Londra

La mano ormai tremante del maestro non appose firma su questa

sua ultima Madonna, ma bensì vi ricordò il nome del committente e
l’anno di esecuzione 1522 (1).

Pietro Vannucci detto il Perugino ad esso lavorava quando, col-

E pito da peste, mori.

Guardando le ultime estrinsecazioni artistiche di questa perso-
nalità notiamo che ormai tutto é frammentario, nessuna traccia or-
ganica lega assieme personaggi, paesaggio e architettura; i compro-
messi su cui si era eretta questa individualità si sono totalmente sfatti.

Da lunghi anni abbiamo man mano notato questa crescente di-
sgregazione, qualche volta temperata da guizzi di vita, altre volte

adombrata da ricordi vivacemente rivissuti, spesse volte spietata-

mente ostentata. 5
Copiando vieppiü se stesso, l'artista si era allontanato in maniera

sempre maggiore ed estraniato, inscientemente, da quei particolari
aspetti della realtà che la sua tendenza verso il grazioso gli avevano,

(1) Angniolus Toni Angeli fecit fieri MDXXII.

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Ie TEL RITE 178 MARIA AURELIA MOCHI ONORY VICARELLI

un tempo, fatto ricercare, proprio perché in essi egli poteva estrinse-
care il desiderio ed attuare la propria ricerca di grazia fosse essa con-
tenutistica ovvero assai piü raramente, formale, o fosse ancora un
contemperamento fra le due.

. . Cosi quel suo particolare misticismo, compromesso fra il religioso
e l'estetico, non si celebra in questo lungo periodo di decadenza che
su vuote sagome e artificiosi manichini.

Così il compromesso pittorico è ormai venuto meno nella più
rovinosa maniera. Il colore, fulcro e ragione della parabola artistica
dell’artista, non più sentito e ricercato per il proprio valore intrinseco,
permette alla tecnica, fattasi frettolosa, di giungere all’assurdo delle:
pennellate di colori diversi sovrapposti e lascia che l’educazione for-
male fiorentina affiori, rompendo l’equilibrio fra forma e colore che
aveva generato il valore di Pietro: il connubio di sfumato e di colore.

MARIA AURELIA MocHIi ONORY VICARELLI

Nel licenziare questo mio lavoro per la stampa mi è caro ricordare i no-
mi degli amici carissimi Prof. Rodolfo Schwarz e Prof. Giuseppe Botti.
SOLDATI INGLESI NELL'ALTA VALLE.
DEL TEVERE SEICENT'ANNI FA

Impedito dalle presenti circostanze a proseguire alcune ricerche tto
di storia Montefeltresca nei grandi archivi, ho esplorato non infrut- id
tuosamente l'Archivio Segreto di Città di Castello, ove, oltre a copiosi "n
e interessanti documenti riguardanti il mio soggetto, mi sono venute
a mano due lettere del capitano inglese Giovanni Beltoft, e altre di i
altri, nelle quali si accenna a soldati inglesi, che militarono in Italia, | [
| negli ultimi decenni del secolo xiv. Sebbene tali documenti abbiano E
E un assai tenue valore intrinseco, mi é parso che le presenti circostanze
ne conferiscano loro uno particolare, perché a cosi accurati raccogli-
tori ed editori quali sono gl’inglesi nei monumentali « Calendar of
State Papers » e nei «Papers of the British School» (1) non puó riuscir
discaro che da un piccolo archivio di provincia altri tragga alla luce
carte, che in qualche modo possono illustrare anche se in modo episo- in
dico. la storia della loro gente nei secoli passati. 4:

Potrà sembrare forse a taluno, che da questi documenti traluca |
un'immagine poco lusinghiera di quegli antichi soldati; ma, chi cono-
sca in quali condizioni versava la milizia nel secolo xiv, in Italia e
fuori, non se ne meraviglierà. |

Le pagine che Jean Froissart dedica ai «routiers» bretoni e in- | | tl
glesi, anche se piü dimesse e novelliere di quelle che un generoso id
sdegno dettava a Matteo Villani, danno un quadro non dissimile da |
quelli che incontriamo tra noi (2). E

Per limitarci a parlare dei soldati nostri, diremo che, nella Peni-

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(1) Calendar of State Papers and manuscripts relating to English affaire
existing in the archives and collections of Venise and in other libraries of northern
Jtaly, a cura di H. F. Browne A. B. Himp, Londra, 1864-1932, vol. 33.

(2) JEAN FnoissART, Les Chroniques, Bruxelles, 1870-79, livr. I, pa-
rag. 413-416. MATTEO VILLANI, Cronica, lib. IX, cap. I e seg.

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TAI a, aet 180 NOTE E DOCUMENTI -

sola, quasi ogni capolancia proveniva da quella piccola nobiltà
campagnola violenta e rissosa, che non temeva talvolta di metter
le mani nel sangue, per la divisione d'un campo o d'una bicocca
(cosi accadeva di frequente) e che si buttava al mestiere dell'armi,
per aver modo ed occasione di compier le proprie vendette o mettersi

per quanto era possibile al riparo dalle altrui. La tenuità dei vincoli

che legavano i gregari ai capi, davano luogo ovunque agli stessi incre-
sciosi episodi d'indisciplina; ed i capi stessi, sopraffatti dalla continua
preoccupazione di procacciare a sé e ai loro uomini un pane, che no-
nostante le apparenze, era sempre precario, si trovavano nella ne-
cessità d'esercitare e tollerare che altri esercitasse ruberie, violenze
e soprusi d'ogni sorta, su nemici ed amici (1). Questo il male co-
mune di quelle che le popolazioni cittadine chiamavano «bande di

. ladroni », in Italia, come nella Francia e nell'Inghilterra d'allora. Le

milizie italiane, che pur esercitavano quel dannato mestiere nella loro
terra, si sa che non erano più clementi verso le povere popolazioni com-

messe alla loro difesa: un contemporaneo asserisce che « peggio gle

faxea quisti taliani, puoiché i bertuni o inglilixe, dapue che no tro-
vava robba », lasciavano che le persone inermi campassero (2). Forse
il difetto di dir male di noi stessi è molto antico, e non vogliamo per-
tanto credere a si severo giudizio; tuttavia si puó ricordare, a con-
ferma di quello, lo spaventoso saccheggio, che le genti di Alberico da
Barbiano (la famosa Compagnia di S. Giorgio) e di Villanuccio da
Brunforte (la meno nota Compagnia dell’Uncino), perpetrarono
sulla misera città di Arezzo, nel 1381, per constatare come, nel nostro
ricordo, impallidiscano quelli che nel 1377 i Brettoni infersero a Ce-
sena e gli Inglesi a Faenza. Ancora il «Liber inferni Areti» di Giovanni

(1) Biordo Michelotti scriveva il 14 ottobre 1394 ai Senesi, perché non acca-
desse loro cosa molesta o si trovassero di fronte all’evento sprovvisti, il seguente
avvertimento: «Io, come dovete sapere, ho gente d’arme in numero assai grande, .

le quali sono senza soldo et iuvamento veruno; di che tuttodi me richiedono

che io lassi fare cose mediante le quali si possino mantenére. E pertanto non
potendo loro dare soldo, non li posso denegare che non faccino delle cose per
le quali si sostegnino. Sopra la qual cosa io ne ho voluto scrivere a la Segnoria
vostra a ció che se per loro si facesse cosa veruna contro la Segnoria vostra voi
ne siate avisati». ALFONSO PROFESSIONE, Siena e le compagnie di ventura, Ci-
vitanova Marche, 1898, pag. 147. i

. (2) GIOVANNI DI M? PEDRINO DEPINTORE, Cronaca del suo tempo, a cura di

_M. Varrasso, vol. II, pag. 427, Roma, Bibl. Apostol. Vaticana, vol. I, 1924;

vol. II, 1934.
NOTE E DOCUMENTI 181

de Bonis, or non é molto ripubblicato nella ristampa muratoriana, e
le altre cronache coeve, stanno li a dimostrare le nefandezze e le atro-
cità senza nome (1).

Ma tornando ai nostri documenti, diremo che essi non sono i soli

a testimoniare la permanenza delle « Societates Anglicorum » su le *
terre altotiberine. Altri aveva già accennato incidentalmente a queste ..

non mai pacifiche presenze, e gioverà indicare in nota dove lo stu-
dioso possa attingere documenti, che integrino quelli da noi pubbli-
cati e conferiscano loro un più ampio significato (2). |

Ció premesso, facciamo seguire una schematica esposizione degli
avvenimenti politici, cui i documenti riprodotti si riferiscono.

Sul finire del 1375, Firenze, consapevole che il pontefice Grego-
rio XI era assai malcontento di lei per non aver ricevuto i debiti soc-
corsi nella lotta contro Bernabó e Galeazzo Visconti, timorosa che i
legati pontifici riversassero sulle terre di Toscana le genti d'arme ri-
maste disoccupate e senza soldo dopo la firma della tregua coi ti-
ranni lombardi, organizzó una generale sollevazione nelle terre della
chiesa, facendo divampare il generale malcontento delle popolazioni
contro i funzionari ecclesiastici, quasi tutti limogini e guaschi, tra-
cotanti e rapaci. Sostenuti dalle armi e dal denaro di Firenze, i si-
gnori che erano stati spodestati da Egidio d'Albornoz e dai suoi suc-
cessori, Androino de la Róche e Anglico Grimoard, rientrarono nelle
loro terre: i Prefetti di Vico, i conti d'Urbino, gli Ordelaffi, i Chiavelli
di Fabriano, i signori di Matelica, di San Severino, di Fermo, di Rocca
Contrada, rioccuparono i possessi aviti, accolti tra il giubilo delle po-
Poi

(1) JoHANNIS DE Bonis, Liber Inferni Aretii, a cura di ARTURO BINI, in
RR. II. SS, Tom. XV, Parte I, fasc. 5,; Cronica dei fatti d'Arezzo di BARTO-
LOMEO DI SER GORELLO, nella stessa raccolta, fasc. II, pag, 118 e seg. -

(2) GrovaNN1 CoLLino, La preparazione della guerra veneto-viscontea con-
tro i Carraresi, in « Archivio Storico Lombardo », anno XXXIV, fasc. del 31
dicembre 1907, pag. 240 e seg.; Lo stesso, La Guerra veneto-visconttea con-
tro i Carraresi, nello stesso Archivio, anno XXXVI (1909); fasc. I e II pag. 8
e seg.; G. DeGLI Azzi VireLLESCHI, Le Relazioni tra la Repubblica di Firenze
e l'Umbria nel secolo xiv, vol. I, Perugia, 1904; v. nell'indice alle voci Acuto,
Beltoft, ecc. —

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NOTE E DOCUMENTI

Il moto insurrezionale prese le mosse da V iterbo e si propago ri-
salendo via via rapidamente, attraverso le terre dell'Umbria. Il lu-
nedi 3 dicembre Città di Castello prese a furore le armi contro gli ec-
clesiastici, che furono costretti a rinchiudersi nella rocca (1). Appena ne
giunse notizia a Perugia, il legato pontificio, Gherardo du Puys « ab-
bas Majoris Monasterii » detto volgarmente l'abate di Monmaggiore,
mandó in aiuto delle genti assediate nella rocca di Città di Castello,
Giovanni Acuto con quante piü milizie poté avere sotto mano.

Ma non appena l'Acuto si fu allontanato da Perugia, anche il
popolo perugino, il 7 dicembre, insorse e costrinse il legato a rinchiu-
dersi con le sue genti in fortezza. L'Acuto falli nell'intento a Città di
Castello, ove il 13 anche il presidio delle rocche dovette arrendersi,
né miglior successo ebbe a Perugia, sebbene qui la rocca resistesse
fino all’ultimo dell’anno. Il primo di ‘gennaio del 1376, l’Abate di
Monmaggiore, che fin dal 20 dicembre Gregorio XI aveva elevato
alla porpora cardinalizia, dovette abbandonare la città e, scortato
dall’Acuto, si ridusse in Romagna, ove Galeotto Malatesta signore

di Rimini, tentava d’arginare il moto insurrezionale. Ai primi di feb-

(1) Quel che accadde a Città di Castello ce lo dice una lettera, inviata il
9 gennaio 1376 ai magnifici signori Difensori del popolo di Siena. Essa dice:

«Magnifici domini et honorabiles et carissimi Priores nostri. Superne di-
spositio Maiestatis intuitu cuius regitur universum novissime huic civitati in-
signe miraculum demonstravit, nam ex sevissima novitate presentialiter hic
occursa, quam ex sui principio certidunaliter putavimus nostre fore extermi-
nium civitatis, inter cetera nobis duo bona singularissima generavit, unum
videlicet quod nostre libertatis capitaliter inimici, solo divino adiutorio et
sucursu, alii trabocchatione a fenestris nostri palatii in plateam, alii suspendio
ad merlos civitatis, alii per amputationem capitis in platea, alii bellando et
fugiendo occisi, alii in cloacis et locis fetidis latitando in multo maiori numero
quam sit scriptum vel nosmet etiam credemus, eorum vite terminos amaris-
sime finierunt: ex quibus civitas nostra purgata admodo in libertate et popu-
lari statu quiescet, ad honorem et statum vestrum et omnium ligatorum. Al-
ternum vero quod tenutam et possessionem. castri Cellis, spetialis refugii et
receptaculi proditorum, a nobis longo tempore peroptatam, hodie, cum cas-
saro et fortelitiis suis, habuimus libere et quiete, per nos libere relapxatis
hominibus dicti castri et sue curie per gentem nostram captis tempore nostre
huiusmodi novitatis. Que omnia Dominationi et Paternitati vestre ad singulare
gaudium intimamus. Priores Populi Civitatis Castelli, ubi die nona ianuarii,
XV, indictione. (a tergo): Magnificis Dominis, dominis Defensoribus Populi
Civitatis Senarum, honarandis et carissimis patribus nostris». Archivio di
Stato di Siena, Concistoro, 1790, n. 11.

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NOTE E DOCUMENTI i 183

braio l’Acuto era a Castrocaro e fronteggiava le genti di Sinibaldo
Ordelaffi signore di Forlì, che unite a quelle di Antonio da Montefeltro
conte d'Urbino e di Guido da Polenta signore di Ravenna, molesta-

vano le terre della Chiesa e del signore di Rimini « gallicae tjrannidis

defensor et pugil » (1).

Il 3 febbraio il conte d’Urbino, rispondendo ai Priori di Città di
Castello, che chiedevano notizie dell'Acuto e delle sue genti, scriveva
che, da quanto avevano riferito alcuni che venivano di Romagna,
la compagnia degli Inglesi era in Castrocaro, ove la popolazione, es-
sendosi poco prima ribellata ai funzionari ecclesiastici e non avendo
potuto occupare i fortilizi, sentito che l'Acuto con le sue genti veniva
in soccorso di quelli che resistevano asseragliati nella rocca, sgombe-
rate le case di quanto aveva di meglio, si era rifugiata a Forlì. Gli In-
glesi avevano potuto quindi occupare il paese senza alcun contrasto.
A questo insignificante successo degli ecclesiastici, facevano riscontro
gli strepitosi successi della lega nelle Marche, ove i Fermani avevano
espugnato il Girifalco, l’inespugnabile fortilizio tenuto dagli eecle-
siastici, e avevano occupato molti comuni vicini, mentre altri erano
stati occupati da Rodolfo di Camerino; sì che, tranne Recanati, Mon-
ticolo e San Severino, la Chiesa non possedeva più nulla in quelle
parti.

Un anno dopo, nell’aprile del 1377, anche Giovanni Acuto, scon-
tento dei legati pontifici sempre a corto di quattrini, passava coi suoi
soldati al servizio di Firenze, non senza le suggestioni di Bernabò Vi-
sconti, suo suocero, che deve avergli mostrato quanto più vantag-
giosa fosse la nuova ferma (2). Poco dopo militava nell'Umbria e ai

(1) La frase è d’una lettera che il 6 aprile 1376 Firenze indirizzava a Ga-
leotto Malatesta. Cancelliere della repubblica era allora Coluccio Salutati.
Gino FrANcEscHINI, La Signoria di Antonio da Montefeltro, ecc., in « Atti e
Memorie della R. Deputazione di Storia Patria per le Marche », serie VI, vol. I,
pag. 57 dell’estratto.

(2) Che l’Acuto informasse la sua condotta ai consigli ed agli ordini di
Bernabò appare dalla lettera che il signore lombardo indirizzava il 9 dicembre
1377 ai Difensori di Siena, la quale dice:

« Magnifici amici carissimi. Audientes brigatam Anglicorum discedere a
fronteriis et partibus habilibus ad dampnificandum inimicos pro veniendo ad
se locandum in stantiis territorii comunis Florentie, et de huiusmodi eius di-
scessu et accessu inutili ad stantias supradictas, maximam displicentiam as-
sumentes utpote considerantes quod in exaltationem et comoditatem hostium
totiusque lige dedecus et dispendium non modicum redundabat, et per hoc

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primi di settembre era a Ponte San Giovanni a fronteggiare le bande
dei Brettoni, la cui fama d’invincibilità era cosi rapidamente tramon-
tata (1). Da Ponte San Giovanni, sollecitato da Città di Castello, man-
dava alcune squadre ad invadere le terre di Masio da Pietramala,
intorno a Citerna. Questi era genero ed alleato di Galeotto Malatesta
e sostenitore quindi della parte ecclesiastica; ma Firenze, deside-
rosa di pace, si serviva del signore di: Rimini come d'intermediario .
con la Curia, e non voleva pertanto che gli alleati molestassero lui o
qualeuno dei suoi aderenti. Pregó quindi i Castellani, si astenessero
dal recar danno a Masio da Pietramala e gli restituissero quanto gli
era stato tolto.

Il 28 gennaio 1379 Città di Castello si pacificava col pontefice,
ma ció nonostante, doveva. munirsi d'armi e d'armati, per la guerra
che spietata faceva nel suo contado Branca dei Guelfucci, gran capo-
rale guelfo bandito dalla città. Questi nel febbraio del 1376, al prin-
cipio della guerra contro Gregorio XI e gli odiati limogini, era caduto

pati per nos, vos et omnes colligatos, impedimentum non modicum prebe batur:
tenentesque nullum alium meliorem modum adesse presentialiter ad pacem
habendam, quam ad virilem guerram intendere, mandavimus anglicis supra-
dictis, quatenus ad fronterias et alias partes a quibus inimicorum dampna pro-

. curari possint, confestim redire debeant. Qui nobis rescripserunt, quod dispositi

sunt et parati equitare ad quascumque partes eis videbitur nostrum honorem,
vestrum et totius lige, et inimicorum dampna quomodocumque facere posse, .
videlicet nos instantius rogaverunt, ut amicitie vestre scribere dignaremur,
quod eis de victualibus opportune providere velletis. Et propterea amicitiam
vestram attente rogamus, quatenus, consideratis predictis, velitis taliter, per

|" quemcumque modum, providere, quod gentibus ipsis victualia suffitienter mi-

nistrentur, sic quod, bonam guerram facere possint, ut ad bonam et optatam,

ex ipsa veniatur ad pacem ». Datum Mediolani, die. VIIII*. decembris. MCCC.

LXXVII. (Bernabos Vicecomes Medio) lani imperialis vicarius generalis etc.

(a tergo): Magnificis, viris et amicis nostris carissimis dominis defensoribus

et Capitaneo populi Senarum etc. Arch. Stato di Siena — Concistoro, 1793,
n. 5.

(1) I1 3 dicembre 1376 a Perugia, che si lagnava di essere una Cassandra
inascoltata, Firenze rispondeva che non bisognava sopravalutare i pericoli,
soggiungendo: « Ecce Fabrianum, Britones appulerunt: fuerunt et in territorio
fratrum nostrorum Bononiensium et in partibus Romandiole. Si queratis even-
tum, certe hoc exitu, quod si totidem cicadae fuissent, plus nocuissent, saltem
enim diuturnos somnos suorum hostium perturbassent. Sed irritis demum ‘
omnibus ipsorum conatibus, quod fit in partibus Italiae, pene fama et preco-
nium perdiderunt ». L. Corucri: PIERI SALUTATI, Epistulae nunc primum edi-
tae a Jacopo di ME Florentiae, 1741- 42, vol. I.
‘ NOTE E DOCUMENTI '- {185

in mano del conte d’Urbino, che lo tenne prigione fino al 6 luglio
1378, giorno in cui lo liberò contro il rilascio d’un proprio fratello pri-
- gioniero degli ecclesiastici. Liberato, Branca occupò il castello di Sca-
locchio e ricuperò quello di Celle, che aveva avuto molt'anni prima, e dal
contado faceva guerra alla città, mentre in Curia il cardinale Galeotto
da Pietramala e messer Filippo dell’Antella, l’uno nipote e l’altro am-
basciatore di Galeotto Malatesta, s'adopravano a tutt'uomo, perché
il Santo Padre concedesse Città di Castello in vicariato al signore di
Rimini, l’unico, secondo le vedute dei guelfi, che avrebbe potuto paci-
ficarla all'interno .e salvaguardarla all'esterno dalle opposte mire di
Perugia e di Firenze e dalle minacce del conte d’Urbino (1).

Pel suggerimento di quest’ultimo e di Perugia, vennero allora
nel contado castellano le compagnie dell'Acuto e del conte Lucio,
a render più difficile la già difficile situazione della città. Firenze in-
tervenne a toglier l'alleata dal mal passo; mentre, per opera del suo
ambasciatore in: Curia, sventava le mene malatestiane. Inoltre fa-
ceva si che Città di Castello assoldasse alcuni conestabili della com-
pagnia dell'Acuto che, unita a quella del conte Lucio, si era portata
nei pressi di Gubbio. Anzi, onde togliere a Brancaleone Guelfucci e
ai Malatesti ogni modo di servirsi di quelle genti, il 10 giugno 1379,
promosse una lega tra Città di Castello, Perugia, Siena ed Arezzo,
la quale pattui con Giovanni Acuto, Everardo Suyler e Lucio conte
di Landau, che per due anni non avrebbero molestato le città alleate
e i loro territori, contro l'impegno di concedere libero transito e vet-
tovaglie a giusto prezzo (2).

(1) Firenze, il 5 novembre 1378, scriveva tra l’altro a Pazzino dei Pazzi.

ambasciatore in Curia: « E perché noi sentiamo che il Cardinale da Petra Mala
e messer Filippo dell'Antella ambasciatore di messer Galeotto procurano di
far dare il vicariato della Città di Castello a mess. Galeotto per aver materia
di pigliarsela, vogliamo che a questo vi opponghiate e adoperiate il contario

in far sì che la detta Città rimanga a popolo ». L. CoLucit PIERII SALUTATI |

op. cit., vol. II, pag. 911-12.

(2) «1379. Alli 19 di aprile. Venne la compagnia di M. Giovanni Aguto
e con lui il conte Luzio todesco nel contado di Castello et erano tremila uomini
a cavallo, stettero dieci dì, poi si partirono et andarono nel contado di Perugia:
nella partita fecero molto danno ». Cronaca del Laurenzi, passo riferito da G.
MAGHERINI GRAZIANI, Storia di Città di Castello, ivi, 1912, vol. III, pag. 141.
A pag. 143 sono riportati i termini della convenzione 10. giugno 1379. Ai mu-
tevoli umori dei capitani e all’alternative ‘che condussero alla stipulazione di

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La guerra, la cosidetta guerra degli Otto Santi, si conchiuse, come
ognuno sa, il 28 luglio 1378. Entrambi i contendenti principali, Fi-
renze ed il nuovo Pontefice Urbano VI, avevano interesse alla pace:
la prima pei gravi danni che la guerra aveva arrecato ai suoi commerci
in Francia, in Borgogna, in Fiandra e in Inghilterra; il secondo per
le difficoltà, che ogni giorno piü gravi incontrava nell'esercizio del
supremo magistero. Difficoltà che provenivano dallo stesso Sacro
Collegio, che nella sua maggioranza dubitava della legittimità della
elevazione di Bartolomeo Prignano a pontefice, e che dovevano ma-
nifestarsi a pieno poco dopo, con l'inizio di quel Grande Scisma d'oc-
cidente, che doveva colpire cosi gravemente la Chiesa, e doveva
risolversi solo trentott'anni dopo, con il Concilio di Costanza e la ele-
zione di Martino V. Chi sostenne i cardinali francesi, dissidenti da Ur-

questa nuova condotta, accennano due lettere che i perugini indirizzarono il
12 eil 25 maggio 1379 ai Senesi. Esse dicono:

«Fratres karissimi. A. nostris oratoribus apud sotietatem anglicorum et
teotonicorum morantibus, hac die, percepimus indignationem quam contras-
sisse. videntur eo quod dicunt a comitatibus Tuscie teneri in verbis, vestros
quidem ambaxiatores promississe responsum circha eorundem conductam in
brevi temporis spatio perventurum ex vestra parte. Et comuni Florentie, vo-
bis et nobis cavillando imputare student retardatam speditionem, quare vero,
eorum qui castra secuntur mores omnibus innotescunt, fraternitatem ve-
stram excitamus, ut tam vestre, quam aliorum vicinorum indemnitati consula-
tur, quatenus, remotis indutiis, si et pro ut vobis videtur, ad eosdem soda-
les vestros ambaxiatores transmittatis. Pro comuni autem Florentie iam venit
Spinellus de Lacamera et nostri ambaxiatores ibi sunt cum idoneo mandato
ad expeditionem eorum que iam credimus vestre fraternitati relata. Priores
Artium Civitatis Perusii ubi, die XII, maii. (a tergo) : Fratribus karissimis do-
minis defensoribus Civitatis Senarum. (sul verso): die. XIIII. maii. (d'altra
mano coeva; data della recezione).

« Magnifici fratres karissimi. Omnia temptavimus una cum vestris pru-
dentissimis oratoribus possibilia nobis, ut ad concordiam veniremus cum
sotietate teotonicorum et anglicorum, in qua sepius variarunt et a promissis
sepius discesserunt ea propter cum in eorum promissionibus stabilitatem nul-
lam reperiamus, vestram amicitiam, quam possumus et strictius exoramus,
ut in hoc tam dubio rerum nostrarum articulo de gentibus vestris armigeris
et maxime balisteriis pro defensionibus nostris, quam potestis, celerius sub-
veniatis cum putemus, non sine qua re prefatas gentes emulas in partibus no-
NOTE E DOCUMENTI 187

bano, e prestò loro ogni aiuto, sospingendoli nella china pericolosa
che doveva condurli al conclave di Fondi e all'elezione di Roberto da
«Ginevra (Clemente V II), fu la regina Giovanna, contro la quale Ur-
bano chiamó in aiuto Carlo di Durazzo, cui concesse la corona del

regno (1). Carlo relegó la sventurata Regina nel castello di Muro Lu- *

‘cano, ove poco dopo la faceva perire.

tris tam pertinaciter commorari iamque in nostrum territorium hostiliter
invaserunt, inferendo dampna, que possunt. Datum Perusii, die XXV. may,
:seecunda indictione. MCCCLXXVIIII. Priores Artium Civitatis Perusii et
Tres Conservatores libertatis civitatis eiusdem. (a fergo) : Magnificis viris do-
minis defensoribus populi, Civitatis Senarum, fratribus et amicis nostris ka-
rissimis. (sul verso) : die. XXVII. maij. (Di altra mano coeva. Data della rece-
zione). Siena Arch. Cit. Concistoro, 1796, n. 41 e 52. Credo che si riferisca
ad obblighi assunti da Città di Castello con questa convenzione, e non soddi-
sfatti,la lettera di Everardo Suylier ai Priori di quella città da noi riportata
in appendice: così almeno lascerebbe supporre l'accenno che vi si fa a Perugia,
Firenze e Siena quali garanti dei patti. Su questa venuta dell'Acuto nel con-
tado Castellano, di Gubbio e d'Assisi, vedi ALFONSO PROFESSIONE, Siena e le
Compagnie di ventura, ecc., Civitanova, 1898, pag. 76-78.

(1) Carlo che era al comando delle truppe ungheresi che bloccavano Chiog-
gia (divampava quella guerra che da quel blocco prese il nome) traversó la
valle padana e, pel territorio d'Urbino, venne nell'alta valle del Tevere. Il 2
‘settembre i priori di Perugia scrivevano a Siena: « Fratres karissimi. Princeps
clarissimus dominus Karolus de Durachio in comitatu nostro inter Castrum
Sigilli et Fossati castra tenet cum omni equitatu suo seque suae gentes exten-
dunt per comitatum Nucerii et Gualdi et per ea, que sentimus a certo, ungari
omnes illico equitare debent per Vallem Tyberinam et discurrere usque Ca-
'stellum et predam facere et vastare quid poterunt: habent pretera secum re-
belles nostros, qui per tractatus et seditiones castra omnia comitatus nostri
sepius temptaverunt et nec a temptando desistunt. Videtis, fratres karis-
simi, in quanto discrimine et status periculo res nostra versetur, videtis si
opus repentino subfragio, videtis si unquam ante alias post recuperatam li-
bertatem in tanta fuimus necessitate detrusi. Quocirca, fratres, properate sub-
sidia, impellite milites vestros, festinate cum quelibet morula multum possit
afferre iacture: non dormiunt fratres amandi qui nos vexant qui malis cogita-
tionibus et operibus pravissimis continuo nos infestant multa possumus argu-
menta conflare multa persuasione implere papirum, sed supervacaneum facit
‘vestra dilectio, sufficit dicere auxilio egemus et utique magno soccurrite fra-
tres et rumpite moras, nam agrum nostrum possidet aventitius miles et prope
"modum in foribus ensibus propulsamur. Datum Perusii, die secunda septembris
III. indictionis, MCCCLXXX. Priores Artium. Civitatis Perusii. (sul tergo):
Magnificis viris dominis Defensoribus Populi Civitatis Senarum, fratribus no-

stris karissimis. Arch. di Stato di Siena — Concistoro — 1799 — n. 70. Il 6 settem-

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T 188 NOTE E DOCUMENTI

Ma ecco che, a rivendicare i diritti di Giovanna, lantipapa Cle-
mente VII mandò in Italia quegli che essa, prima di morire, aveva
designato a succederle, Luigi d'Angió, fratello di Carlo V Re di Fran--
cia. Luigi con un fiorito esercito e con gli aiuti di Amedeo VI di Sa--
voia, attraversata la Valle Padana e le Marche, entrò nel Reame, met--
tendo i durazzeschi a duro cimento.

Il re Carlo fu costretto a richiamare da Arezzo e dalle altre terre:

di Toscana, le genti che vi aveva lasciate al comando di Giannotto:

di Protoiudice, d'Alberico da Barbiano e di Villanuccio da Brunforte:
il che, a Firenze e a Siena, sollevó gli animi dal grave incubo che si a
lungo li aveva oppressi. Anzi questo improvviso senso di sollievo, fece:
sì che Siena si credesse liberata dall'obbligo di pagare all'Acuto mille
fiorini, residuo del soldo dovuto. Il capitano inglese, se ne lagnò e

bre 1380 Carlo s'insignori di Gubbio e il 14 d'Arezzo. Aveva tentato di occu-
pare anche Città di Castello, ma ogni suo tentativo andó a vuoto. Sperando:
che le discordie interne potessero da un momento all'altro favorire i suoi di--
segni, fece stanziare un buon nerbo di truppe nel territorio Eugubino. Questo

. particolare era sfuggito agli antichi eruditi tifernati e sulle loro orme al Ma-

GHERINI GRAZIANI (Vol. III, pag. 148) ch'é evidentemente imbarazzato a met--
ter d'accordo le fonti analistiche con quelle d'archivio. Una lettera rimastagli
sconosciuta conferma la presenza delle genti di Carlo nel territorio eugubino:
fino al 23 febbraio 1381, e noi qui la riproduciamo: « Magnifici signori Priori
del populo de la Città di Castello — Signori nostri, mandammo ieri mattina
uno messo per sapere novelle dua era la compagnia de Carlo de la Pace e (il).
messo che noi mandava(mo) se condusse per fine a lo campo e favelló a uno no-
stro amico ch'é in lo campo: domandollo si elli erano per passare de qua in lo
nostro contado e elli respose che credeva del si, che non sapeva de certo e
mostra che se voliono fare una cosa co la compagnia che era a Colle Fiorito.
Credo che voi sappiate che messer lo Veschovo fo in lo campo a parlamento
con tutti i caporali: mandó uno bando che non fosse: persona che li dovesse:
ofendare per tutto quello d'Agobio a pena de la persona. E da Capo de Ranco
per fino a Carbonana e santo Agnilo de l'Asino tengono per fine a la... e fece
mozare lo capo Iunedi a notte a quattro citadini... pero poduto sapere i nomina

che se fuoro daite a la parte. Fate de la presente litera quello che pare a voi.

Avemoce remandato a lo campo pure per sapere de novelle, e co’ retorna ve
notificaremo. Date a questo messo sei anconetani per quello messo che andò
inlo campo... e se ce recha persona per sapere novelle. Si per noi c’è da fare
niente facetelo sapere e (1o) farimo voluntieri. Nicoló, Mateio, Tiere, fratelli
a Palazzo a di XXIII di febraio ». (A. S. Città di Castello, Cod. XLIV, fol.
CCXXVIII). Il Vescovo cui si accenna nella lettera, é Gabriello di Necciolo

. Gabrielli, che il sei settembre aveva dato Gubbio a Carlo. Cronaca di Ser Guer-

rino da Gubbio, pag. 21, RR. II, SS, T. CXILIP: V.
NOTE E DOCUMENTI 189

scrisse facendole presente che a tempo e luogo, « glie ne poteva se-
guire scandalo » (1). PU NY

I! Le difficoltà in cui venne a trovarsi il duca d'Angió erano assai
|: grandi: assai maggiori, non ostante l'aiuto dei ribelli, di quelle del suo
I avversario. Queste loindussero a richieder dalla Francia soccorso di nuo-
| vegenti,le quali scesero in Italia nell'estate del 1384 al comando di En-
I guerrand Sire di Coucy. Mentre attraversava la Toscana, il Coucy fu
indotto dai Tarlati da Pietramala e da altri fuorusciti aretini, ad oc-
cupare, il 29 settembre di quell’anno, Arezzo, che da quattro anni
gemeva sotto il dominio durazzesco, causa alla città di tante sventure.
Fin d'allora era ai servigi del Coucy la compagnia Inglese di Riccardo

torio di Borgo San Sepolcro, come appare dalla lettera di Bisaccione
da: Piagnano riportata in Appendice. Invece sul finire del 1382 il Ro-
misey s'attardava nel contado perugino ove rimase fino all'agosto
costringendo Perugia a sborsargli una somma. Era allora, per quel
che si diceva una compagnia poco numerosa e «male in proncto »,
ma andava tutto di ingrossando e «prampanellando » qua e là su quel
di Todi. Il 13 agosto mosse alla volta di Marsciano della Chiana e di
là si diresse verso Cortona e Montepulciano, col disegno d'andare in
Maremma. Agli ultimi d'agosto era presso Montalcino. Di qui tornó
verso l'Umbria, nello spoletano,e sul finir dell'anno si uni all'Acuto
e.a Giovanni d'Azzo degli Ubaldini, che tornavano dal Reame, e con
essi costitui la Società della Rosa. Era appunto con questa compagnia
nel cortonese allorché nel settembre del 1384 passó al servizio del

interpretate in modo controverso delle parti. Il 27 aprile 1382, l'Acuto scri-
veva ai senesi la seguente lettera:

«Magnifici et potentes domini, fratres carissimi. Conquesti sunt nobis
anglici, qui de anno preterito et presenti ad servitia vestra fuere, quod in eo-
rum rationibus, tempore firme finito, fuerunt fortiter defalcati et dampnifi-
cati contra formam pactorum indebite et iniuste, quod contra et preter ve-
stram coscientiam procesisse putamus; si verum est, magnificentiam vestram
precantes ut Dionixio de la Strata, cancellario nostro mittere placeat unam
licteram fidantie per qua venire valeat Senas et inde redire cum sex equibus
contradictione aliqua non obstante, et aliqua molestia sibi quomodolibet infe-
renda octo dierum spatio duraturam quamquam frustatoriam nobis videatur. Di-
spositi seniper ad singula magnificentie vestre grata. Datum Florentie, X XVII.
aprelis. Iohannes Haucud Capitaneus generalis. (sul tergo) Magnificis et po-

' tentibus dominis, dominis Deffensoribus civitatis Senarum, fratribus precaris-
siiis. Arch. di Stato di Siena — Concistoro — 1804 — n. 19.

di Romisey che, fin dall'anno prima, si diceva si aggirasse sul territo-

(1) A. PROFESSIONE, op. cit., pag. 97. Si tratta di ritenute e defalcazioni |

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Coucy. Quando il capitano Angioino, venduta Arezzo ai F iorentini,
si avviò verso l'Umbria per proseguire il suo viaggio alla volta del
Reame, lo segui fino alla Fratta, l'odierna Umbertide. Quivi, giunta
notizia della morte del duca d’Angiò, il Coucy decise di ritornare in
Francia e congedò la compagnia degli Inglesi. Questa s'attardó nel-
l'Umbria, sul piano di Trevi, costringendo le terre vicine a versarle
contributi, se volevano sottrarsi a danni maggiori. La notizia della
sua permanenza nei dintorni di Trevi, e del disegno a quanto si
diceva, di dirigersi verso il Nord, ci é data da una lettera di Corrado
Trinci, Signore di Foligno, ai Priori di Città di Castello, l'ottava di
questa piccola silloge.

Ma ritornando ad Urbano VI, intorno al quale si possono ricon-
durre tutti gli avvenimenti politici di quel tempo procelloso, bisogna
dire che, subitaneo e caparbio qual'era, sembrava fatto apposta per
mettere sé e la Chiesa, nelle situazioni piü disperate. Quando, morto
Luigi d'Angió, morto non meno tragicamente in Ungheria Carlo III
di Durazzo, col quale il Ponteficie era venuto a conflitto, sembrava
che tutte le difficoltà si appianassero, non, contento dei sovraccapi
che gli dava lo Stato della Chiesa, piü che bastevoli a turbare i
sonni anche ad uno piü cauto ed avveduto di lui, s'era fitto in.
capo d'andare a cerearne di nuovi nel Reame, ove s'accingeva a
Scender con un grosso nerbo di truppe, per spodestare tanto Luigi II
d'Angió, venuto a rivendicare le ragioni paterne, quanto Ladislao,
il giovanetto erede di Carlo III, che Firenze auspicava fosse ricono-
sciuto quale legittimo Re, e non cessava a SPESE uopo d'intercedere
presso l'rrequieto pontefice.

Il quale, mentre volgeva nell'animo sì vasti disegni, in Perugia,
ove s'era portato da Lucca, raccoglieva quante genti d'arme erano
allora senza soldo, e per non tenerle inoperose, s'accingeva a muover
guerra al conte Antonio d'Urbino ed a Rinaldo Orsini, che gli conte-
devano le terre del Prefetto Francesco diVico, ucciso pochi mesi prima
dai viterbesi in rivolta. Fra le genti assoldate dal Papa, era la com-
pagnia inglese di Giovanni Beltoft. Allora Firenze, per assicurare
nelle terre della Chiesa quell'equilibrio di piccole e mezzane signorie,
che aveva promosso con la guerra degli Otto Santi e aveva conso-

lidato conla pace del 1378, come più adatto a garantirle l'indipendenza,

prese pubblicamente la protezione di quei due signori, facendo mostra

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NOTE E DOCUMENTI 191

d'esser disposta ad impugnare le armi in loro difesa. I rapporti tra
la repubblica e il Pontefice divennero assai tesi, tanto che il Papa,

in un momento di collera, fece arrestare e perquisire gli ambascia-

tori fiorentini che, dopo aver parlato con lui, dovevano andare a con-
ferire con Giovanni Beltoft. L'incidente fece molto scalpore a Firenze,
ove si ebbero manifestazioni in cui il pontefice era ingiuriato e vili-
peso in effigie. Anche si divulgó allora per le terre fiorentine e giunse
qui nell'alta valle tiberina, un sonetto contro Urbano VI, in cui le

espressioni ingiuriose si mescolano ad accenni furbeschi, in una spe-
cie d'«argot», ove persone ed eventi diventano difficili ad indivi-

duarsi. Il sonetto ch'é anonimo e, credo, inedito, dice:

Urbano tu hai dua volte il veschovado
di Cartaggine auto e di Granate
e per Firenze le rene ispazzate
ma alla terza tu n'andrà in chontado.

Non righuardando al tuo rio parentado
perché tu arai le bandiere ispiegate
le forche sono per te apparecchiate
che la giustizia suol morir di rado.

Ma perché altra chompagnia s'aspetta
a esser techo, el tristo chechon grosso
e fallalbachio e ’1 malvagio crocetta

E salvadore e ’1 figlio e chapo rosso
el cincio-con fontana e giovannetta
e vicho chon meo grasso e guardalosso
e 7] cicutrenna ischosso,

E’ non sarà giustizia di chomune
che tredici fien techo ad una fune. (1)

Firenze intanto sobillava segretamente le genti del Papa allet-
tandole col miraggio d'una ferma assai piü vantaggiosa. Le soldate-

(1) « Biblioteca Ambrosiana », Cod. C. 35, Sup. f. 329. Non sappiamo
' come questo codice, scritto nella «rocca vecchia castellana del Borgo a San
Sepolcro », sia venuto nella Biblioteca Ambrosiana. Il Codice non è d'una mano:
sola e deve essere stato scritto in più tempi. A pag. 311 c’è questa indicazione:
«Deo gratias amen. Iscritta per mano di Giovanni d’Antonio di Scharlatto »,
e a pag. 168 c’è: «a dì 11 di giugno 1470. Abi per ischusato lo scrittore e priega:
Iddio per lui ». Il codice tra l'altro contiene il « Cantare per la battaglia d'An-
ghiari »e il «Lamento del conte di Battifolle », sonetti burchielleschi, ricette

mediche, ecc. Non so se ho letto sempre bene o se la colpa sia da rigettarsi

in parte addosso all'amanuense che certamente non sempre trascrisse bene.

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^ qoe VA METRE a 192 NOTE E DOCUMENTI

sche inglesi, che già prima avevano promesso di passare ai servigi
della republica, allo scadere degli impegni che avevano col Pontefice,
B senza aspettare il termine di rispetto convenuto, disertarono.
| | JM. A difesa del Pontefice scese allora in Umbria Pandolfo Malatesta,
Bn che posto il campo nel contado tra Città di Castello e la Fratta, rac-
TNT colse quante genti potè. S'unirono a lui Bartolomeo da Pietramala
signore di Citerna, alcune lance dei bolognesi, mentre ne aspettava :
altre trecento, condotte da Giovanni da Barbiano, già in cammino
da Arezzo, per congiungersi a lui. Ma prima che queste giungessero,
il Beltoft, che segretamente era alleato del conte d'Urbino, assali fu-
riosamente i Malatestiani asserragliati alla Fratta e li spominó com-
MOOR : pletamente, facendo molti prigionieri. :
ap Inflitta questa disfatta alle genti malatestiane, gli Inglesi ven-
ARI) nero, su invito dei Castellani, a dare il guasto alle terre di Barto-
Mu lomeo da Pietramala e di Pandolfo Malatesta, che qui nell'alta valle
Er : del Tevere, era signore di Borgo Sansepolcro. Ad essi si unirono anche ,
iu " le squadre di Averardo Suylier, noto ai cronisti italiani col nome di
kr Averardo Tedesco o Averardo della Campana. A difesa di Borgo San-
Bu. sepolero erano le squadre di Giovanni da Barbiano, e le larice bolo-
TM gnesi, che non erano giunte in tempo alla Fratta; mentre il Beltot
ji E era alloggiato non lungi d'Anghiari e aveva gli accampamenti nel
E territorio di Citerna. La lettera di Francesco dei Tiberti, vicario del
- Borgo, diretta ai Priori di Città di Castello, che si lagnavano della cat-
tura di loro sudditi ad opera delle genti del Barbiano, chiarisce meglio
| ERN qual fosse la situazione territoriale nell'Alta Valle del Tevere, ove
| | t Anghiari possesso dei fiorentini e Città di Castello, legata per ragioni
i vitali a Firenze, che la difendeva dalle cupidigie perugine, erano terre
ove gl'Inglesi trovavano sicuro ricetto e vettovaglie. Le due lettere
che dagli accampamenti in quel di Citerna, il Beltoft diresse ai Priori
di Città di Castello, hanno come s'é detto un assai modesto contenuto:
nella prima presenta Simone di Salisbury suo ambasciatore, mentre
| i nell'altra che pel cattivo stato di conservazione, è anche lacunosa,
| imd d spiega come per errore fossero stati presi e derubati cittadini di Ca-
ie stello che portavano vettovaglie al campo.
| juod i i Da queste nostre terre la compagnia del Beltoft ritornò ai servizi
in : di Urbano VI. Con queste genti, l'otto agosto il Pontefice mosse da
| HORUM Perugia verso Roma. «Papa Urbano VI — dice con acuto giudizio
Bn | . . un contemporaneo — se parti da Peruxa è andò verso la città de Tode:
| in, | MEE 5 e menò con lue niolta zente d’arme, de le quale la maore parte pagava
MU el ducha de Milano, cioé el conte de Virtude, per alturio del ditto

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NOTE E DOCUMENTI : 193

papa. E de tale andada n'é fatto per lo paexe grande amiracione con- -

‘siderando in lo summo Pontificho si poca stabilitade che de niuno homo
se fida, e spesso é vagante, e non mostra de se ne in Dio fidarse ne in
homo, e diverse oppinione gle va per lo cavo » (1). Giunto a Narni,
il pontefice fu abbandonato dal Beltoft e dai suoi. Essi si condussero
nel cortonese, ove, insieme alla compagnia del Romisey si unirono alle

| genti dell'Acuto, formando un'unica compagnia degli Anglici, che pre-

seil nome di compagnia della Rosa (2). Ad essi si uni la compagnia
comandata da Giovanni d'Azzo degli Ubaldini, che aveva gran nome
presso le genti d'arme italiane. I1 6 giugno 1389 i Perugini scrivendo ai
Castellani, dicono che l'Acuto, con le sue compagnie, trovavasi nei pressi
d'Acquasparta e che, a quanto si diceva, quelle genti si accingevano a
tornar di nuovo verso Borgo Sansepolcro, dirette ai danni, non si sa-
peva bene di chi.

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Questi, sommariamente, gli avvenimenti, che possono servire
a dare una collocazione cronologica ai documenti qui riprodotti.
| Ma perché l’incondito ‘affastellio di documenti assuma un signi-
ficato oltre la cerchia, entro la quale si giustifica come filologia sto-
rica ed erudizione, aggiungeremo alcuna considerazione, dalla quale
s'intravveda in qual modo una storia delle compagnie di ventura si
debba ricondurre entro i.quadri della vita politica italiana, e solo a
questo patto, ove non voglia limitarsi alla sola storia dell’arte della
guerra, possa divenire storia nell’accezione più vasta. Nel caso nostro
particolere accostando i decumenti editi dal Collino ai nostri si chiari-

(1) GiovANNI DI Mo PEDRINO DEPINTORE, Cronica, cit., vol. II, pag. 490...

(2) Cronica volgare di Anonimo fierentino, già attribuita a PIERO DI GIo-
VANNI MINERBETTI, in RR. II, SS?, Tomo XXVIII, parte II, pag. 66. Queste
ultime vicende di John Beltoft non rimasero ignote ad uno storico inglese il
Creighton (A history of the Papacy I, 90, London, 1882) che sulla scorta degli
«Annales Ecclesiastici » del Raynaldi (1378) intesse il racconto di questi
avvenimenti; dopo di lui ne ritesserono il racconto G. TEMPLE LEADER € G.
Mancorri, Giovanni Acuto, storia di un condottiere, Bologna, 1879, pag. 169-
171. Circa la data, in cui il Pontefice si sarebbe mosso da Perugia diretto a
Narni, non v'é accordo fra i cronisti. La Cronaca d' Anonimo fiorentino attri-
buita al Minerbetti, pone l'avvenimento al 2 agosto come si puó vedere alla
pagina citata, mentre la Cronaca del Graziani e quella del conte Francesco da
Montemarte, la pongono l’8 agosto. Vedi « Archivio Storico Italiano » vol. XI,

. pag. 230.

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ze. 194 NOTE E DOCUMENTI

sce come gli avvenimenti politici della Penisola, e in particolar modo la
lotta tra Fireuze e Gian Galeazzo Visconti, abbia costretto le squadre
degli Anglici, a formare una unica compagnia, agli ordini dell'Acuto.

Allorché 1 «tard venus », dopo la pace di Bretigny, scesero in
Italia, erano aggruppati in piccole formazioni, agli ordini di conesta-
UE bili e marescialli, come anche i documenti che pubblichiamo compro-
vano (1). Più tardi quei piccoli nuclei, di trenta o cinquanta lance, li

(1) Il primo che s'incontri qui, nell'alta valle del Tevere è un « Jacquecto

de Inghiltera » che il 24 aprile 1363 in Gubbio rilasciava quietanza di trecento
undici fiorini dovutigli « pro custodia terre Burgi Sancti Sepulcri » (Archivio dî
Città di Castello, filza 5, n. 14). Alle lettere 1 e 6 dell’Appendice, che avvalo-
rano il nostro asserto, ne aggiungiamo un’altra del conestabile Giovanni Caleston
ai Difensori del Popolo della città di Siena, la quale dice: « Signori miei. Come:
di io fui per vostro comandamento e la terra d'Asinalonga, el comune d'Asinalonga
Eu) mi videro e ricevettero benignamente et subito diero ordine et forniro me e mia.
Hi brigata di case e di lecta e de l’altre cose bisognevoli, e: quanto più tosto hanno ;
potuto, hanno mandato di fuora per lecta e hanno sofficentemente fornitomi
e la mia brigata d'ogni cosa che bisogna, si che io so bene contento de loro, e
per questo sono per voi da commendare come veri figliuoli del comune di Siena. |
Con reverenza, Signori miei, ve prego che diate ordine, nanzi che exiate d'of-
| fitio, el Camarlengo abbia mandato da voi di denari novi e denari vechi,
HE : quali debbo avere dal Comune, che n'ho grande bisogno — Giovanni di Cale-
ston, conestabile vostro. In Asinalonga a di XXIIII di febraio (1380) (a tergo)
Magnifici e potenti signori, Signori Defensori del Popolo de la Città di Siena,
d signori suoi etc. (di altra mano) die XXV mensis februarii presentata (Arch.
2 11 ERE Stato di Siena, Concistoro vol. 1798, n. 45). Quando le milizie di Carlo di
ERE Durazzo da Arezzo minacciarono i contadi di Firenze, di Siena e di Perugia, i
È m priori di quest'ultima città scrivevano ai senesi la seguente lettera,mandando-
Ri loro soccorso d'armati al comando del caporale inglese Giovanni Fow:
Bn. ; « Si labores nostri etque nobis constitutis in fronte questionum belli per
emulos nostros continuo solicite macchinantur, vobis, fratres carissimi, nota
| non forent, potuimus de tarditate facile reprehendi eo quod petitas gentes.
ond = distulerimus destinare. Hoc fratres que nos nimium gravare excusationem fa-
| Hid ciant dilationis honeste fuit animus evestigio facere satis petitis. Set impedi-
| TIERE menta multa et recasus condictionum gentium nostrarum aliquantulum tem-
B poris abstulerunt. Nunc ad vos mictimus probum militem dominum Iohan-
| | TN neni Fowi anglicum, cum lanceis treginta vestris iussionibus pariturum quoad.
m SE noletis vellemus posse plus gentium mictere. Set necessitates circumstantes
I T minime patiuntur note satis et vulgares vobis et omnibus que nos penes kari-

n tatem vestram faciant excusatos. Data Perusii, die. X. decembris. III. In-
| DERE dictione, MCCCLXXX. Priores Artium civitatis Perusii. Die. XIIII. mensis
Mult. decembris. (Di altra mano coeva, all'atto della recezione della lettera). (a.
| UNIS ^ tergo): Magnificis viris dominis defensoribus populi civitatis Senarum, fra-
i

|| ERRO tribus nostris carissimis. Siena Arch. cit., Concistoro, 1800, n. 52.

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NOTE E DOCUMENTI 195

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vediamo fusi in compagini più vaste: nei documenti non ricorrono
piü i nomi di Hughino Ethon, Tommaso Marscals, Giovanni Torna-
beri, Giovanni di Caleston-e altri, ma solo quelli di Riccardo Romisey,
Giovanni Beltoft e Giovanni Acuto. Durante le coalizioni antiviscon-

tee, dalla venuta dell’Albornoz alla morte di Gian Galeazzo Visconti, -

si delineó e divenne sempre piü palese la tendenza delle parti in con-
flitto a monopolizzare le genti d'arme disponibili sul mercato. La
norma cui s'ispirava la condotta delle grandi potenze imponeva di
sottoporsi a qualunque sacrificio finanziario, per quanto gravoso po-
tesse sembrare, pur di tentare di far si che l'avversario non trovasse
milizie sul mercato e restasse disarmato. A questo criterio di con-
dotta delle grandi potenze, s'aggiunga che l'esperienza aveva dimo-
strato, che le grandi società di mercenari, trovavano di che vivere e

prosperare più facilmente che le piccole, avendo in sé tanta forza da.

imporre taglie alle città disarmate, o di considerar buona preda quanto
trovassero nel contado di quelle. Da ultimo le ripetute leghe, pro-
mosse dai pontefici per lo più, contro le società di ladroni, non appro-
darono a nulla, ma contribuirono non poco a sospingere le piccole
formazioni a fondersi con quelle più grandi per la comune difesa. In
queste circostanze Riccardo di Romisey s'uni all'Acuto e a Giovanni
d'Azzo degli Ubaldini e costituirono la compagnia della Rosa (1).

(1) Due lettere sono nell'Archivio di Stato di Siena (fondo di Concistoro
vol. 1814, n. 40 e vol. 1817, n. 27) scritte una a nome dei tre capitani, della
compagnia della Rosa e l'altra a nome di Opizzo degli Alidosi con notizie
su la stessa compagnia. La prima dice: « Magnifici et potentes domini.
Mittimus ad vos ser Guicciardinum de Bononia, camerarium nostrum, cum
pleno mandato pro illa pecunia quam nobis dare debetis ex causa vobis nota,
quem placeat ad nos remittere expeditum et cum dicta pecunia, quia ipsa ut
plurimum presentialiter indigemus. Datum in campo vestro in comitatu Cor-
tonensi... XXIII septembris... (1384) VII indictione — Johannes Haucu-
tus, miles — Johannes de Ubaldinis et Ricciardus Romisey — Capitanei Socie-
tatis Rose. (a tergo) Magnficis et potentibus dominis Dominis Defensoribus
Populi Civitatis Senarum, dominis carissimis (di altra mano al momento del
ricevimento) die XXIII septembris.

La seconda che é di dieci mesi dopo, dice: « Magnifici domini mey. De-
bita recomendatione premissa vobis tenore presentium notiffico quod hodie,
die XIIII mensis iulii, simus Bonomie pro quibusdam mei negotiis geren-
dis, et... dominationi vestre notum fatio quod comitiva seu sotietas Rose
est ventura seu debet esse hodie in territorio comunis Bononiensis, in loco
dicto el Borgo da Panigale, et communiter dicitur quod est itura in partibus
Romandiolae... vester servitor Opizo de Aledoxiis de Ymola. Bononie XIIII.

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zs a. MORE: a 9 LA VESTA 196 . J— NOTE E DOCUMENTI

Restavano ora due sole grandi compagnie di soldati inglesi; quella
dell'Acuto e quella di Giovanni Beltoft. Dopo la cattura e la morte
di Bernabó, quando l'Acuto suo genero si schieró a favore degli eredi
del tiranno lombardo, Gian Galeazzo tentò per ogni via di togliere:
all'Acuto milizie disgregando per quanto era possibile la sua compa-

.gnia. Gli parve di aver trovato in Giovanni Beltoft l'uomo che gli oc-

correva. Questi che fino a poco prima era.a capo d'un esiguo mani-
polo di lance, (1) allorché Urbano. VI da Lucca disegno di trasferirsi a
Perugia, ingrossó di genti per fare scorta al pontefice.

Si diceva che chi lo aveva acconciato col papa erail conte di Virtù,
che favoriva la disegnata impresa di Urbano nel Reame, nella spe-
ranza di distogliere e allontanare dalla Toscana quelle trüppe, che
altrimenti Firenze avrebbe potuto assoldare.

Firenze che da tempo circuiva il Beltoft con larghe promesse,
gli mandò il 7 luglio 1388 «in territorio Civitatis Castelli » Biliotto
Biliotti perché lo sollecitasse ad uscir dagli indugi e lo inducesse a sti-
pulare una condotta ai servigi della Repubblica, rivelandogli come
fosse imprudenza fare assegnamento sul Conte di Virtü, che aveva
in animo una generale lega delle potenze italiane contro le compa-
gnie di ventura: che soprattutto diffidasse di Guido d'Asciano e di
Gherardo Aldighieri, conestabili degli italiani nella sua compagnia,
perché erano, segreti emissari del DECR di Milano (2).

A paralizzare l'opera del Biliotti c'erano, negli accampamenti del
Beltoft, gli agenti del Conte di Virtü, i quali tentarono ogni via per
distoglierlo dalle profferte fiorentine e farlo rimanere ai servigi d'Ur-
bano VI; ma Firenze usci dal duello vittoriosa e lavorando col denaro
i singoli caporali mise il Beltoft di fronte all'alternativa o di lasciare
il servizio del papa o di rimaner solo. :

Il pericolo però non era per Firenze del tutto scomparso; anzi
sembrava che il Beltoft avesse convinto l'Acuto ad andare insieme

Julii, (sul verso) Magnificis dominis meis Dominis Prioribus Gubernatoribus
Comunis et Populi Civitatis Senarum. (d'altra mano, all'atto del ricevimento):
die XVII iulii.

(1) 1123 luglio 1384 Firenze richiedeva a Siena quelle cinquanta lance,

che le aveva mandate ai primi di luglio al comando di Giovanni Beltoft e di

Giovanni di Monfort, uomini di provata esperienza nelle armi. A. PROFESSIONE,
op. cit., pag. 106.

(2) GIOVANNI COLLINO, La guerra veneto-viscontea contro i Carraresi, in
« Arch. Storico Lombardo », anno XXXVI, (31 marzo 1909), pag. 8-9, e vedi
ivi gli altri riferimenti alle trattative col Beltoft a pag. 13 e seg.
NOTE E DOCUMENTI : 197

con lui nel Regno, in aiuto di Ottone di Brunswick. Ond'é che sui primi
di dicembre del 1388 Firenze mandò all'Acuto Ghino di Ruberto, per
confermare il capitano inglese nella buona risoluzione di non andare
laggiù perché... «e fatti di Lombardia e di Toscana s'avviluppavano

in forma che quello ch'egli aveva gran tempo desiderato (l'Acuto era:

in segrete intese con Carlò:Visconti, figlio di Bernabò e ospite di Uguc-
cione de' Casali signore di Cortona, per far le loro vendette contro il
. Conte di Virtù) dovrà aver luogo tosto: restando nei paesi di qua, sarà
presto a fare bene per sé e per i suoi amici ». Anzi, proseguiva Firenze,
invece di andare nel Reame, doveva cercare di trarne Ottone di Brun-

grandi cose, considerata la valentia di messer Otto e la inimicizia che
ha col Conte di Virtù». Facesse l'ambasciatore presente all'Acuto
che, «senza andare oltra », poteva svernare nella Marca, o in Roma-
gna «dove é buono vivere.» e che «il conte d'Urbino aveva fatto sa-
pere che gli darebbe amichevole ricetto e vettovaglie ».
Incidentalmente diremo non essere improbabile che il Conte di
Urbino, entrato già, dopo la pace del 17 novembre 1388 (1), nell'or-
bita del signore di Milano, volesse rinnovare il tentativo di staccare
l'Acuto da Firenze, tentativo fallito al Beltoft. :
2. Il nemico era duro a morire e Firenze lo sapeva. Il 6 febbraio
13 1389 mandò all’Acuto Pera Baldovinetti, perché gli mostrasse le let-
i tere «che ti diamo — dicevano — le quali scrive alcuno inghilese, aciò
che si provvegga che nullo gli possa rompere la sua brigata. E gli
dirai come Beltoft fu qui e chiese essere da noi disobbligato dicendo
volere ire con gli altri Inghilesi. E poi se n'é ito al Conte di Virtù, offe-
si rendogli torre all'Acuto la maggior parte degli Inglesi che ha seco » (2).
| Ma a' nessuno riuscì di smembrare la compagnia dell'Acuto, che

ormai era stabilmente passata al servizio di Firenze. Questo fatto ac-
centuò la crisi che da anni minava la taglia guelfa ; e Perugia assieme
a Siena e al conte d'Urbino, s'accostó al Conte di Virtù che ne assunse
la protezione. Risoltasi poi in una burla la lega contro le milizie stra-
niere stipulata in Pisa, nell’ottobre di quell’anno, ad opera di Pietro

(1) GIOVANNI CoLLino, op. cit, in « Arch. Storico » cit., fasc. del 30 giu-
gno 1909, pag. 357 e vedi il mio breve saggio, Gian Galeazzo Visconti arbitro

anno 1938, fasc. 3-4.
(2) TEMPLE — LEADER C. e G. MARCOTTI, Giovanni Acuto, Firenze, Bar-
bera, 1883, pag. 173-5

swick e far compagnia insieme, perché « eglino due insieme farebbero

di pace fra Montefeltro e Malatesti (1384-1388) in « Arch. Storico. Lombardo »,

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^ 198 NOTE E DOCUMENTI

Gambacorta, Gian Galeazzo Visconti «sapendo quanto fossero trava-
gliate dalle genti straniere queste nostre parti e che Giovanni Acuto
s'andava trattenendo hor per lo contado di Perugia verso Montone
e la Fratta, hora uscendo di esso, nel territorio del Borgo a San Sepolcro
e d'Anghiari, per far cosa grata a perugini e perché meglio si potessero
difendere dalle correrie de nimici mandò loro cento lance pagate da
lui, sotto la scorta del conte Antonio da Romagnano » (1). Il quale,
attraverso le terre del conte d'Urbino, giunse a Gubbio ed a Perugia.

Le ulteriori vicende della lotta che qui si profila ci porterebbero
troppo oltre i limiti eronologici delle nostre lettere: basta a modo di
conclusione dire che il 13 ottobre 1390 Firenze mandava contro i Se-
nesi alleati del Conte di Virtü John Beltoft con ottocento lance e tre-
mila balestrieri e fanti (2). La compagnia degli inglesi era oramai riu-
nita in un sol corpo ai servigi di Firenze sino alla morte dell’ Acuto.
Dopo di che possiamo far ritorno alle nostre lettere. E giacché siamo
in sede di filologia storica, non dispaccia se aggiungiamo ancora due
parole a chiarire alcuni loro caratteri esteriori.

Nove di queste sono conservate negli originali da quattro codici
dell'Archivio comunale di Città di Castello, ove furono rilegate senza
ordine alcuno, come chiaramente appare dall'indicazione che abbiamo
premesso a ciascuna: e di queste lettere castellane nessuna, tranne
la quarta, porta l'indieazione dell'anno. Solo la seconda e le ultime
tre portano il numero dell'indizione e, mediante questa, e tenendo
presenti gli avvenimenti cui si accenna nel contesto, é possibile sta-
bilire l'anno con quasi assoluta certezza. La datazione della seconda
testimonia che nella cancelleria del conte d'Urbino si seguiva allora
lo stile fiorentino. La datazione dell'ottava presenta qualche incer-
tezza: m'é parso tuttavia che si debba assegnare al 1385, pur sapendo
che non sono riuscito a togliere ogni dubbio. Circa l'andata del Ro-
misey alla Fratta, ho desunto la notizia da una lettera, scritta da
Siena il 14 novembre 1384, da Nicoló di mess. Carlino agli Anziani
di Lucca, ove li ragguaglia dell'uscita del Coucy da Arezzo e del suo
transito per Borgo Sansepolcro, diretto alla Fratta. Tale lettera fu
pubblicata dal compianto Luigi Fumi, nei Regesti dell'Archivio di
Stato di Lucca (3).

(1) Pompeo PELLINI, Dell’ Historia di Perugia. Venezia, 1664, pag. 1373.

(2) A. PROFESSIONE, op. cit., pag. 142.

(3) « Archivio di Stato di Lucca », Regesti, vol. II, Carteggio degli An-
ziani a cura di L. Fuwr. Lucca, 1903, pag. 234-5.
NOTE E DOCUMENTI 199

Circa la lettera undecima credo utile dire al lettore che il mittente,
non é il vicario che « pro tempore » reggeva Anghiari, che in quell'anno
era ser Brunellesco di Pippo, il padre del famoso architetto, (1) ma
un commissario mandato apposta presso l'esercito a sollecitare la

ferma del Beltoft ai servigi di Firenze (2) e a comporre la questione

«cui si accenna nella lettera stessa.

Alle lettere, prima, sesta e settima, che son tratte dal fondo di
Concistoro dell'Archivio di Stato di Siena, l'anno é stato apposto
:da chi presiedette all'ordinamento di quel meraviglioso fondo, ed io
«da lui l’ho accettata. Nella sesta il cancelliere di Giovanni Fow vo-
leva mettere l'indizione, poi ha dato l'indicazione dell'anno «ab
incarnatione » secondo la consuetudine senese.

Circa la corretta grafia dei nomi di questi soldati, mi rimetto a
chi ne sa più di me: io son pago di essermi attenuto alle forme consa-
crate nei documenti.

Gino FRANCESCHINI

(1) Una notiziola che va ad aggiungersi alle pochissime che abbiamo
intorno al padre del grande architetto. V. « Archivio Comunale d'Anghiari »,
manoscritti Taglieschi, Elenco dei Vicari d' Anghiari. Ser Brunellesco è il quinto,
‘e resse il comune per tutto l'anno 1388, mentre d’ordinario il vicario stava in
‘carica sei mesi. Lo precedette Ranieri di Luigi Peruzzi pel primo semestre del
‘1386, Simone di mess. Pepo Adimari pel secondo, Andrea di Bartolo Cortegiani
pel primo dell’87 e Lorenzo di Angelo pel secondo. A ser Brunellesco di Pippo,
“successe Ugo Vecchietti per tutto l’anno 1389.

(2) La «Nota e informatione a te Biliotto Biliotti di quello che ai a fare
‘con messer Giovanni Beltoft, ecc. » in data 7 luglio 1388 è pubblicata da Gro-
‘VANNI CoLLIino, La guerra veneto-viscontea contro i Carraresi, ecc. in « Arch.
“Storico Lombardo », anno XXXVI, fasc. I, 31 marzo 1909, loc. cit.

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APPENDICE

Le lettere qui riprodotte, tranne la prima, la sesta e la settima
che sono tratte dall'Archivio di Stato di Siena, si conservano nell’Ar-
chivio Segreto di Città di Castello, annesso alla Biblioteca Comunale
di quella città. La quarta è tratta dall'opera manoscritta di ALES-
SANDRO CERTINI, Cilerna illustrata, che si conserva. nell'Archivio

capitolare della stessa Città.

Con punti d'interpunzione indico i passi consunti dall'umidità
o le lacerazioni che rendono lacunosa la lettura: ho messo tra parentesi

parole mancanti nel testo che mi sono SERIE necessarie per la
compiutezza del senso.

1375, novembre 10, in territorio Perusii.

Giovanni Tornaberi, : maresciallo degli Inglesi si lagna coi difensori del
Popolo del Comune di Siena, non vogliano mantenere le promesse
fatte a lui e a Riccardo di Romisey. «Archivio di Stato di Siena,
— Concistoro, 1787, n. 72).

Magnifici domini. Multum admiror quod pacta inter vestrum comune
et sotietatem non vultis optinere quia promissum fuit nobis, videlicet
Riccardo Raumusey et michi per vestros scribarios certam quantitatem
pecunie. Et etiam fuit nobis promissum quod super tradatione sumenda
equorum ablatorum super territorio vestro fieret que nec... emenda nec
soutione nostra facta est. Unde si predicta non fecistis, ut tenemini ex
debito promissionis et pactorum, habeatis nos excusatos quod nos etiam
non optinebimus pacta inter nos et vestrum comune, nam ser Jacobus
ser Gani et Bancha sunt informati de omnibus promissionibus et super
quibus mictemus. vestrum novum familiarem informatum de intentione
nostra. Datum in territorio Peruxii, die X. novembris.

Iohannes Tornaberi, mariscalcus anglicorum.

(sul verso): Magnificis et potentibus dominis Defensoribus Populi
Comunis Senarum.
(di altra mano, alla 0 « die, XIII, mensis novembris ».
NOTE E DOCUMENTI

1376, febbraio 9. Ind. XIIT, "bio:

Antonio da Montefeltro conte d’ Urbino ai Priori di Città di Castello, dà no-

tizie della compagnia inglese ch'è a Castrocaro e dei progressi della
ribellione nelle Marche. (Archivio Segreto di Città di Castello-Cod.
XLIII, fol. 42, originale).

Magnifici domini et patres mei carissimi. Literis vestris, petentibus .

. nova de maledicto Anglicorum consortio et aliis occurrentibus quibuscun-
que, vobis respondeo per presentes quod, per relata michi per quosdam de
Romandiola venientes, dicta diabolica pestis est in Castrochario... nam
gentes dicti castri, facta per eos novitate, cum roccha teneretur nec reparare
possent quinimo succurrerent eidem si societas predicta veniret, persen-
sientes ipsius societatis adventum, depredato seu disgomberato castro ipso
quam melius potuerunt, ad civitatem Forlivii cum earum rebus et suppel-
lectilibus, quas inde potuerunt extrahere, trasmigrarunt, dictaque societas

libere et sine ulla molestia habuit dictum castrum... Hic postea fuit a plu- .

ribus diebus citra palma comunis Firmi de victoria per dictum comune ha-
bita de Girifaleho, sub populari regimine et suo. Qui firmani etiam
habuerunt plures de illis comunantiis convicinis et reliquas habuit domi-
nus Rodulfus de Camerino, ita ut de comunantiis ipsis, preter Rachane-
tum, Monticulum, Santum Severinum, nulle, ut nobis asseritur, pro Ec-
clesia teneantur. De Ancona etiam novum habiumus quod populus insur-
rexerat... quod adhuc non abemus pro certo: statim habita certitudine
facti, de ipso vobis rescribam omnia que habebo. Paratus sum ad omnia
vestra beneplacita et honores. Datum Urbini die III° mensis februarij, XIII2.

. (Antonius) Comes.

(a tergo) Magnificis... Prioribus Civitatis Castelli honorandis... per-
carissimis.

(1377) settembre 8, Perugia.

Ludovico (ser Ludovico da Fabriano ?) ai Priori di Città di Castello raggua-
gliandoli che il campo degli Inglesi è a Ponte San Giovanni e dando
altre notizie militari. (Archivio cit., Cod. XIII, f. 49, originale).

Magnifici domini mei. Campus Anglicorum est ad pontem Sancti
Joannis, Britones sunt apud Insulam in plano Assisii. alia potentia Ec-
clesie per Patrimonium militans apud dictos Britones creditur adventura.
Eritis statim requisiti ut mictatis gentem vestram, et vere quia negotia

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sunt in pronto (?) et iste erit per modicis diebus, credo fore vestri honoris
ut equites vestros sine aliqua dilatione mictatis nec displicet michi si reti-
nueritis lanceas decem et quantum ad transmissione peditum existimo
posse suspendere. Celerate pro deo armorum dirigere gentes. Comes Lu-
tius adhuc est in Marchia et multas predas et dapna fecit super Cameri-
num et alias terras illorum: Dominus Venantius frater domini Rodulfi in-
dit diem extremum apud Spelleun. Duo de exititiis perusinis capti sunt
et confitentur multos tractatus fore per partes istas ideo adviso vos de cu-
stodia vestrorum castrorum. Datum Perusii die VIII septembris.

Servitor vester Ludovicus.

(a tergo) Magnificis dominis meis dominis Prioribus Populi Civitatis
Castelli.

4.
1377, settembre 8, Firenze.

‘li otto della guerra ai Priori di Città di Castello, dolendosi che dietro loro ri-
chiesta la compagnia inglese sia andata nelle terre di Maso da Pietra-
mala dove ha messo a ferro e a fuoco alcune ville. (A. CeRTINI-Citerna
illustrata, pag. 25, copia).

Amici carissimi. Scribit nobis magnificus miles dominus Magius de
Petramala, amicus noster carissimus, quod ad vestram istantiam anglici
accesserunt in territorium suum, ibique plures villas igne cremaverunt
ac etiam subditi vestri de territorio Cisterne multa vasa magna et mas-
seritias abstulerunt, de quo non modicum admiramur. Et ideo amicitiam
vestram affettuosissime deprecamur quatenus vobis placeat omnes res et
masseritias ablatas subditis domini Magij restitui facere quum conveniens
non est, ut dominus.Magius taliter pertractetur cum ipse semper cum

omnibus amicabiliter vixerit et vivere sit paratus. Datum Florentie die

VIII septembris MCCCLXXVII.

5.

1380-1381 febbraio 20, Perugia.

Everardo conte di Landau richiede a Città di Castello il pagamento della parte

di provvisione dovutagli. (Arch. Segreto di Città di Castello — Cod.
XLIV,- fol. 129, originale).

Magnifici et potentes domini. Sicut novistis pluries et pluries vobis

Scripsi et ad vos transmisi pluries ex meis familiaribus rogando vos quan-

tum dominacioni vestre placeat persolvi facere denarios in quibus michi
NOTE E DOCUMENTI 203

tenemini et obligati estis provisione quam mecum (fecistis iniri) Johanni
Tincharino campsori in Perusio: que omnia facere neglexistis nec solum
michi de predictis aliqualiter respondere. Jdeo micto ad presentiam ve-
stram Curadum Valdech latorem presentium consotium meum cui rogo
dominationem vestram ut dictos denarios et provisionem persolvi facia-
tis vel saltem respondere michi de vestra finali intentione. Que omnes si
neglexeritis faciendum providebo michi persolvi ab ambaxiatoribus co-
munitatis Florentie, Perusii et Senarum qui pro predictis fuerunt fideius-
"sores et loco et tempore debitis vobis ad memoriam reducam quod me
pro talibus tanto tempore verbis nugalibus deduxistis que forsitan vobis
magis ad dapnum quam honorem redundabunt. In reserendis autem
coram dominatione vestra mei parte predictum Curadum placeat fidem
credulam adhibere in omnibus tamquam michi. Scriptum in Perusis
die XX mensis februarij.

Everardus milex Comes de Lando.

(a tergo) « Magnificis et potentibus dominis dominis Prioribus et
Vexillifero iustitie Civitatis Castelli maioribus honorandis ».

6.

1383, febbraio 17, Perugia.

Il capitano inglese Giovanni Fow ai Priori della città di Siena offerendosi
ai loro servigi. (Arch. di Stato di Siena — Concistoro, 1808,
n. 62).

Magnifici et potentes domini. Vestre magnifiche dominationi noti-
fico quod ad aures meas vos quosdam stipendiarios equitum habere velle
pervenit, et me et mea brigata pro nunc carere stipendio, et quam plures
alii, eoque ad stipendium receperunt omnes equites et pedites in castro
Arni existentes de Perusii comitatu. Oppinatus igitur quod propter amo-
rem et amicitiam, quam semper erga dominationem vestram vestrique
comunis et populi cordialiter portavi, et, semper concedente Altissimo,
portare intendo, et cum ad servitium vestre dominationis cum. LX. aut.
LXX. lantiis bone gentis venire disposui, ideo cum dicto numero aut cum
quo vestra cara dominatio me duxerit adceptandum, subito dignemini
intimare et ad dictum stipendium adceptare.

Iohannes Fow miles anglicus
Perusii, die, XVII, februarii, indictione MCCCLXXXII.

(a tergo): Magnificis et potentibus dominis, Dominis Enonpus Ar-
tium Civitatis Senarum, dominis singularissimis, etc.

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1383, ottobre 12, Monte S. Savino.

Bisaccione conte di Piagnano capitano dei Senesi in Monte San Savino
riferisce ai Difensori della Città di Siena d’aver appreso da uno d'A-
rezzo che la compagnia inglese di Riccardo di Romisey è in quello di
Borgo San Sepolcro. (Arch. di Stato. di Siena — Fondo Concistoro,
vol. 1811, n. 49).

: Magnifici signori mei, mandove interchiusa una lettera la quale io
ho ricevuta da messer Orlando di Malavolti, capitano de Peroscia, per lo
cavallaro ch'io ce mandai, e perció sopra essa podete deliberare et prove-
dere secondo piace alla .vostra signoria. Data al Monte San Savino, di
XII, d'ottobre. E

Oltra questo me dice uno uscito d'Arezzo che gente é in quello del
Borgo de San Sepolcro, e dice che é la Compagnia de Ricciardo, ma non
è da credere, e, se pure fosse vero, tosto el saperimo e farollo sapere a voi.
Credo che sirà la brigata de Checco de monna Diana, etc.

El vostro servidore conte da Piagnano, senator et capitaneus gene-
ralis, con raccomandatione.

(1385) luglio 25, Foligno.

Corrado Trinci signore di Foligno ai Priori di Città di Castello dà notizie
della compagnia di Riccardo Romisey. (Archivio Segret. Città di Ca-
stello — Cod. XLIII, fogl. 12, originale).

Viri magnifici et amici carissimi. Ut de sotialibus Ricciardi de Romi-
sere et eorum motibus sitis continuo advisati, ut vestris literis postulatis,
significo sotiales ipsos residere in loco solito plani Trevii et querunt extor-

‘quere pecunias a quibusqumque et iam fecerunt pacta cum civitatibus

circumstantibus et mecum de non offendendo. etc. Per ea que sentio in
brevi debent cursum (arripere): versus quas partes accedant nescio. Quod
ulterius sentiero de ipsorum motibus vobis intimabo.

Corradus de Trincis, etc., Fulginei die, XXV Juli.

(a tergo) Magnificis viris amicis carissimis dominis Prioribus Populi
Civitatis Castelli.
NOTE E DOCUMENTI

(1388) ?, luglio 8, Citerna.

Il capitano Everardo Suylier ai Priori di Città di Castello, circa l’eredità di
un soldato ungherese, morto al servizio di quel Comune. (Ivi, Cod. XLV,
fol. 22, originale). :

Honorandi amici carissimi. Prout predicte Vestre Magnificentie re-
colo scripsisse, super factis olim Blascii Hungari defuncti dum ad servi-
| tia vestra esset, nunc quidem audio quod dictus Blaxius habebat septem
equos et vos scribitis de sex, demum non facitis mentionem suorum armo-
rum nec aliarum rerum: quare vestram Magnificentiam presentibus duxi
-deprecandam quatenus inspicere et videre velitis et placeat intuitu veri-
tatis ac meo, et si aliquid superat illud placeat Lanciallocto Hungaro so-
tiali meo, fratri olim Blascii (assignare). Et quantumcumque hoc sit con-
‘sonum rationi, nichilominus ad placitum reputabo, offerens me ad omnia
vobis grata. Et in dicta ratione transmissa per vos superat unus florenus
«um dimidio.

Everardus Suylier Capitaneus etc.
Datum in campo nostro Cisterne, die VIII Julii.
(a tergo) Magnificis dominis Prioribus Populi Civitatis Castelli hono-
randis amicis carissimis.

10.

1388, luglio 9, Borgo San Sepolcro.

Francesco de’ Tiberti, vicario pei signori Malatesti nella terra di Borgo San-
sepolcro, ai Priori di Città di Castello, circa la cattura di due castellani,

che portavano vettovaglie al campo inglese, fatta dalle genti di Giovanni:

da Barbiano e circa un fatto d'armi fra le genti del Barbiano e del Bel-
toft. (Ivi, Cod. XLIV, fol. CLXX, originale).

Magnifici domini. Recepi literas vestras querelantes quod, per gentes

armigeras excelsi comunis Bononie ad defensam Burgi commorantes, capti -

fuerunt Ceppa et eius filium cum certis animalibus nec non quedam alia
someria cuiusdam vestri comitatini et coetera. Quibus respondeo et primo
quod prefate gentes dicti comunis Bononie ad mei regimen nec gubernatio-
nem deputate sunt nec de eorum gestis licet me impedire, sed hoc perti-
net ad magnificum militem dominum Johannem comitem de Barbiano
quarum capitaneus ipse est. Cui tamen supra hec sum loqutus qui supra

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206 NOTE E DOCUMENTI

premissis mihi dixit quod tenet et habet pro inimicis sotietatem domini
Beltosti et eorum complices et fauctores et victualia dare dictis satiali--
bus... tam ipsius et suarum gentium quam sui comunis Bononie eo quod
dicti sotiales procurarent et p... dapna dictorum dominorum suorum
Bononiensium: asserit etiam idem comes quod die dominica proxime ela--
psa infinite gentes pedites et balistarii venerunt inimicabiliter et hostili--
ter una cum ipso Beltosto et eorum sotialibus ad insultandum et meten--
dum et destrutionem dicti comunis et suarum gentium procurandum
prope Burgum et ad preliandum cume eis, licet gloriam non reporta--
verit de prelio dictus Beltostus et sue gentes: et demum concludimus.
non debetis ita admirari si per gentes suas capti sunt venientes et por--
tantes victualia eorum inimicis. Aliud ab eo et eius gentibus habere
non possum, verumtamen tacere non valeo quod ubi scribitis quod vultis.
bene vicinare cum dominis meis de Malatestis et cum Burgensibus. .. in--
dicio meo oppositum f... sicut dicit comes multi et multi vestri cives in.
magno numero balistariorum et peditum venerunt dicta die dominica in:
badaluccho facto per Beltostum contra Burgenses et gentes Bononien--
sium... grano et domibus existentibus extra Burgum. Quantum hoc sit.
iustum et de bono vicinato (?)... etiam tenuistis et tenetis indebite et
iniuste captum in territorio Burgi pe. . . ac etiam infinitum granum exporta--
tum fuit per gentes vestras de territorio Burgi... Castelli et credatis.
quod hoc est bene ponderatum. Datum Burgi Viiij...

Franciscus de Tibertis, vicarium in terra Burgi Sancti Sepulcri

(a tergo) Magnificis et potentibus dominis Prioribus Populi Civitatis.
Castelli.

11.

1388, luglio 9, Anghiari.

Biliotto de’ Bilioti, commissario fiorentino presso le genti d'arme, scrive
ai Priori di Città di Castello, circa la lite pendente fra un cittadino fio-
rentino e un provisionato tifernate: dal contesto si ricava che Giovanni
Beltoft alloggiava non lungi d'Anghiari. (Ivi —- Cod. XLIV, fol. 199,
originale).

LI

Honorevoli Signori. Neri de Laguto nostro cittadino è venuto qui in
Anghiari e nel campo, per la questione chel ga con Luigi vostro provisio-
nato: e quando per meco de la Vostra Signoria Luigi voglia venire a quelle
cose che sono state ragionate co vostri ambasciatori e ch'essi ragioneranno
che siano... del fatto per havere suo honore quanto ragione porta, Neri
rimarrà contento ed io ci durer6 ogni diligenza co vostri commissari in-
sieme (quanto) io saprò. Quando Luigi non venga alle cose ragionevoli.

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NOTE E DOCUMENTI 207

sando la Vostra Signoria perché se ci ha modo non ne habbia altro schan-
dalo, voi ci diate quella opera vi pare. Aspetto risposta tutto di domane
X di luglio in Anghiari o nel campo di mess. Joanni Beltot, alla sua casa

amico e servidore.
Biliotto de Biliotti di VIIIJ di luglio

Non scrivo a ser Iacopo de Guelfo né a Joanni de mess. Johanni, che
vennero a Firenze vostri ambasciatori, ne ad Alexandro di Johannino
vostro cittadino, isperando perché hanno parlato di questa facenda e
farete loro vedere questa lettera e fieno avvisati di tutto.

(a tergo) Magnificis dominis dominis Prioribus Populi Civitatis Castelli
amicis carissimis.

12;
1388, luglio 10, Citerna.

Il capitano Giovanni Beltoft ai Priori del Popolo e agli otto arbitri presenta
Simone di Salisbury quale suo procuratore. (Ivi, Cod. XLII., fol. 47,
originale).

Amici carissimi. Mictimus ad presentiam vestram nobilem Virum
Simonem Salasbery sotium nostrum carissimum quibusdam emergenti-
bus de intentione nostra plenissime informatum, relatibus cuius velitis
fidem ut nobis credulam adhibere. Datum in campo nostro super terri-
torio Citerne die X mensis Jul. XI Ind.

Johannes Beltoft, Capitaneus, etc.

(a tergo) Magnificis viris dominis Prioribus populi et Octo arbitrii Ci-
vitatis Castelli dominis singularissimis.

13.
1388, luglio 13, Citerna.

Il capitano Giovanni Beltoft ai Priori di Città di Castello, circa la indebita
cattura di cittadini tifernati da parte di soldati inglesi. (Ivi, Cod. XLII,
fol. 49 originale).

Magnifici amici carissimi — Recepimus literas vestras continentes
quomodo quidam ex meis ceperunt certos cives et comitatinos vestros
et quod ob id venientes cum victualibus derobaverunt. Quibus responde-

Neri é disposto non (partirse) del paese che non faccia suo debito, avi- .

ove è alloggiato. Sono a piaceri vostri, Cristo vi guardi. Per lo vostro .

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iii 208 |. NOTE E DOCUMENTI

Jus quod contra posuimus in sodo et... secure mictite gentes vestras
et mictite dopno heri Nicolao Guidonis, uni e octo, victualia hodie... ha-
bundanter et si quis ex vestris captus fuerit faciemus quod relapsabitur
de presenti. Paratus ad grata vobis. Datum in campo nostro super terri-
torio Citerne die Xiij mensis Julii. XI Ind.

Joannes Beltoft, Capitaneus.

(a tergo) Magnificis viris dominis Prioribus Populi Civitatis Castelli
amicis karissimis.

14.

1389, giugno 5, Perugia

I Priori delle arti di Perugia ai DE del Popolo di Città di Castello, danno
notizie della compagnia di Giovanni Acuto che, a quanto si diceva, s'era
congiunta ad Acquasparta col conte Corrado e avrebbe dovuto portarsi .
su quel di Borgo Sansepolcro. (Ivi, Cod. XLV, fol. 130, originale).

Magnifici viri amici nostri karissimi. Intellectis litteris vestris et ma-
teria contenta in illis amaricamus et dolemus vobiscum de scelere perpe-
trato non aliter quam vos ipsi. Summe enim appetemus nostram circustan-
tem viciniam nullis vexari molestiis sed per amplius pacis dulcedine re-
foveri. Hic nichil concludimus aliud nisi quod pro descriptis in vestris lit-
teris solicita diligentia faciemus perquiri ut examen nostri iudicii perdu-
cantur et recipiant debitum culpe commisse supplicium ut merentur.

Postremo ad vestram prescientam intimamus quod dominus Joan-
nes Haucud cum sua congerie nuper apud Aquam Spartam cum comite
Corrado et suis socialibus se coniunxit et se ad sociale commertium fecit
unum. Et per ea que satis habemus ad certum statum debent iter assumere,
‘versus Burghum. De hiis igitur vos reddimus advisatos ut vestris utiliter
dirigamini in agendis. Datum Perusii V Junii, XII, Indictione.

Priores Artium Civitatis Perusii.
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IL VOLO ATTRIBUITO
A GIO: BATTISTA DANTI

‘I perugino Gio: Battista Danti (1478- 1517) appartenne a quella

famiglia Rinaldi che cambió il cognome in quello di « Danti » per me-

rito del fratello maggiore di Gio: Battista, Pier Vincenzo (1440-1512)
che eccelse cosi altamente nelle lettere e nelle matematiche da esser

| ‘paragonato dai suoi contemporanei, per l'acutezza dell'ingegno, a

Dante. E mentre Gio: Battista non ebbe discendenza, da Pier Vincenzo
ebbero origine almeno due generazioni di eminenti personalità; fra le

«quali primeggiarono i due nepoti: Vincenzo (1530-1576) architetto e

celebre scultore che lasció opere assai belle a Firenze e altrove e pres-
so il Duomo di Perugia la statua in bronzo di Giulio III; e suo fra-
tello Ignazio (1537-1586), grande geografo, matematico e astronomo.

Il nostro Gio: Battista non lasció scritti; ma gli storici perugini
sono concordi nell'affermare che anche esso, dotato come tutti di

sua famiglia di ingegno singolare, riusci eccellente negli studi delle

matematiche e come architetto militare fu apprezzatissinto da Gio.

| Paolo Baglioni che lo ebbe al suo soldo nelle diverse imprese guerre-

sche cui prese paite in varie regioni di Italia. Ma la ragione della sua
celebrità poggia specialmente sul fatto singolare attribuitogli di essersi

così bene saputo adattare due ali, da volare con esse « circa trecento

passi »; dando cosi meraviglioso spettacolo di sé ad una folla enorme
radunata a Perugia per festeggiare le nozze di un membro della allora
potentissima Casa Baglioni. i

Chi riassunse con molta abbondanza di particolari tutte le noti-
zie correnti fino allora su questo fatto straordinario fu LEONE PASCOLI

(1674-1744) nelle sue « Vite di pittori, scultori, architetti perugini

Roma 1722 » il quale a pag. 59 scrive: « Narra nella sua storia stam-
«pata questo fatto il Pellini; nella “ Perugia Augusta ,, lo rammenta
«il Crispolti; ne fa tra i suoi ‘* Elogî " l’ Alessi menzione; ne riferisce

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210 NOTE E DOCUMENTI

« nell'* Ateneo Perugino " l'Oldoino, e nei monoscritti il Lancellotti
«lo descrive. Né trovò tra questi autori alcun divario che nelle nozze;
« dicendo il Lancellotti — (e doveva aggiungere il Crispolti) — che erano
«di Gian Paolo colla figlia di Jacopo Conti romano; e l’Alessi e l'OI-
« doino che erano della sorella di Gian Paolo con Bartolomeo di AI-
-« viano ».

Fra gli storici che il Pascoli non nomina, ma di cui evidentemente
occorre tener conto perché riferentesi ai tempi nei quali il volo sa-
rebbe avvenuto, debbono aggiungersi il GRAZIANI, il MATURANZIO e
altri autori delle « Cronache e storie inedite della Città di Perugia » che
vanno dal 1150 al 1563; pubblicate nell'« Archivio Storico Italiano
di Firenze » Volume XVI in due parti o volumi nel 1850-51 e che del
resto anche lo storico settecentesco avrebbe potuto conoscere attra-
verso i manoscritti.

Ad ogni modo, rifacendoci alle citazioni del Pascoli, le due date
che é necessario di chiaramente precisare, per una condotta razionale
delle ricerche dirette a dimostrare la realtà del volo del Danti, sono
quelle delle nozze di Giovanni Paolo e di sua sorella Pantasilea colle
quali avrebbe coinciso il tentativo del Dedalo perugino; salvo poi a
stabilire in quale delle due sia avvenuto, se avvenuto.

Ora per quanto riguarda le nozze di Gian Paolo con Ippolita
Conti, secondo il Graziani, ebbero luogo tra il 1490 e il 1491. Secondo
il detto cronista (1) se ne incominció a parlare nel Decembre 1489,
quando i Baglioni andavano convocando « dunanze » per sollecitare
i giovani di Porta S. Susanna e Porta Borgna a « fare la compagnya »
per « quando Giovan-Paolo menerà donna ». La quale donna — e cioè
Ippolita, figlia di Giovanni Conti romano — fu da Rodolfo Baglione,
padre di Gian. Paolo, condotta da Roma e lasciata a Graffignano il
21 Giugno 1490 (2). Il 18 e 30 Luglio 1490 furono fatte a Perugia altre
« dunanze » in tutte le chiese delle altre Porte, sempre perché fossero
preparate le « compagnye » per quando « menerà moglie Giovan Paolo
de Rodolfo Baglione che sarà ai 25 d'Agosto » (3). Se non che sotto
quest'ultima data il Cronista nulla nota e dobbiamo sfogliare fino al
Decembre dell'anno seguente (4) per trovare scritto quanto appresso:

(1) Cronache della Città di Perugia. in « Archivio storico Italiano », Firen-
ze, parte I, pag. 718-719.

(2) Opera cit., parte I, pag. 730.

(3) Opera cit. parte I, pag. 734.

(4) Un quaderno della Cronaca perugina del Graziani inedito pubblicato
da Adamo Rossi, Perugia, Boncompagni, 1879, pag. 11.
NOTE E DOCUMENTI 211

«A di 21 de dicembre 1491:menó moglie el nobile homo Giovan Paolo
«de Ridolfo dei Baglioni, benché la dicta donna era stata in Spello
«piü tempo e li ditto Giampaolo s'era adunato. E allo intrare che
«Essa fece in Peroscia gli si fecero incontra tutti li gentilomini et
«molti cittadini. Intró per la porta de Fonte Nova e venne per la,
«strada Moza (Muzia) e usci in capo alla piazza con trombe e bifari
«innanze; la qual donna era vestita de broccato d'oro e aveva el balzo
«in testa. E questo fu el di de S. Tommaso, et fu un cattivo tempo
« perché tutto quello di piovve. Et a di dicto la dicta Zita fu appresen-
«tata da queste terre infrascritte e da molti castelli del nostro con-
«tado di per di, et prima. Lo imbasciatore de Spoleto donó... lo
«imbasciatore de Fuligno donò... ».

Qui segue una lacuna di circa otto righe, dovuta alla cattiva

conservazione dell’originale da cui fu tratta la stampa.

Ma di questo stesso ingresso parla anche PomPEO PELLINI (T 1594)
nella sua Storia di Perugia: « El dì de S. Tommaso che è alli 21 di De-
« cembre (1491) venne in Perugia la moglie di Giampaolo Baglione che
«era stata quasi sempre, da che Ella da Graffignano parti, alla Ba-
«stia detta d'Ascesi, e venne con molta compagnia, perciocchè Guido
«e Ridolfo con Camillo Vitelli e col Conte Ranuccio di Marsciano an-
« darono incontra con tutti i Nobili e Cittadini principali della Città
«e Terre vicine, da Todi, da Spoleto, da Città di Castello, da Ascesi,
«da Foligno, da Trevi, da Montefalco, da Nocera, da Gualdo, da Be-
« vagna e da Bettona, e da tutte le furono donate o drappi o argenti
«di valore: vi vennero le terre dei Baglioni e tutte le Castella della
« Città con doni necessarî al vitto e convenevoli alla dignità loro » (1).

Un racconto sostanzialmente identico — fondato evidentemente
sulle narrazioni del Graziani e del Pellini — ci è dato da Ariodante
Fabretti (2), lo storico dei Capitani venturieri dell'Umbria.

Ora ognuno può aver constatato da sé come in tutto questo com-
plesso di festeggiamenti e preparazione ai festeggiamenti non com-
paia affatto Gio: Battista Danti; e tanto meno il suo volo.

Ma passiamo all’altra data: quella del matrimonio di Pantasilea
sorella di Gian Paolo con Bartolomeo d’Alviano. Il VERMIGLIOLI nelle
« Biografie degli Scrittori Perugini » (3) in una nota apposta alla voce

(1) Pompeo PELLINI, Della Historia di Perugia. Venetia presso Giacomo
Hertz, 1664, parte III, libro I, pag. 25.

(2) A. FABRETTI, Biografie dei Capitani Venturieri dell’ Umbria. Monte-
pulciano, 1844, vol. III, pag. 127..
(3) VERMIGLIOLI, Biografie degli Scrittori perugini, Perugia, Baduel, 1829.

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«Pier Vincenzo Danti» dà la data del 1503; e penso che sulla sua
autorità si siano basati quanti (1) l’hanno ripetuta. In realtà, nel-
l'Agosto-Settembre 1503, Bartolomeo d'Alviano venne nel Perugino,
come concordemente narrano il Maturanzio (2) e il Pellini (3), ma non
per celebrare il matrimonio ormai da più anni avvenuto; sebbene per
aiuto e consiglio a quelli che già erano suoi parenti; e cioè Gian Paolo

‘ e Gentile Baglioni che cacciati dal Valentino « erano anche essi con
«gli altri loro fratelli fuorusciti da Perugia e ritrovandosi allhora in
« Firenze, e udita la morte del Pontefice (Alessandro VI — 18 Agosto
« 1503) per non mancare a sé stessi con cento cavalli e con 300 fanti e
« con alcuni amici che con esso loro avevano, e con isperanza che da'
« Fiorentini e da' Senesi le ne fossero mandati degli altri, si inuiarono
« verso il Territorio di Perugia ». Cosi il Pellini. E il Maturanzio sotto
«le date del 27-28 Agosto nota che ‘ veniano di ora in ora gran gente
«al Capitano (Gian Paolo) appiede e a cavallo in modo che tuttavia
«el suo campo se afforzava di gente; e infra l'altri venne el Signore
«Bartolomeo d'Alviano suo cognato: non peró menó seco geute '
« Il quale — scrive il Pellini — s'era da Venezia (perché stava ai servigi

.«di quella Repubblica) partito per venire in aiuto degli Orsini e dei
« Baglioni suoi parenti contro il Valentino commune inimico... E
«ancorché con soldati non vi andasse, fu loro — (e cioè ai Baglioni
« parenti ed in particolare al cognato, come lo chiama il Pellini, Giam-
«paolo) — nondimeno oltremodo caro, per essere egli famosissimo
« Capitano e molto valoroso nel mestiere delle armi ».

Abbiamo detto che il matrimonio fra Pantasilea Baglioni e Bar-
tolomeo d'Alviano doveva essere avvenuto da piü anni quando nel
1503 questi fatti accadevano; e lo deduciamo da due passi. del Ma-
turanzio (4) e del Pellini (5) che (descrivendo ambedue l'azione spie-
gata dall'Alviano nel 1494 per cacciare i Chiaravellesi da Todi e ri-
mettere la Città in possesso della famiglia Atti) qualificano Bartolo-

‘ meo genero. del magnifico Rudolfo Baglione, padre di Pantasilea..

Ma quale la data precisa di questo matrimonio ? Non avendola
trovata notata dal Maturanzio né dal Pellini sono ricorso àd un serio
storico moderno; il già ricordato ARIODANTE FABRETTI che a pag. 240

e (1) Vedere, fra l'altro, l'« Enciclopedia Treccani » alla voce « ‘Danti Gio:
| ERANO : . °° Battista».

IERI o (2) Cronache della Città di Perugia, op. cit., vol. 2°, pag. 229- 230.

(3) PELLINI, op. cit., parte III, libro I, pag. 187 e 189.

(4) Cronache della Città di Perugia, op. cit., vol. 29, pag. 21.

(5) PELLINI, op. cit., BARRE III, libro I, pag. 51-52.

WT NOTE E DOCUMENTI 77918

del Volume 39 dell'opera già citata scrive « Nel 1491 Bartolomeo,
«essendo già entrato in servizio dei Fiorentini, venne a Perugia con
«Paolo Vitelli e Camillo Vitelli a fortificare la potenza dei Baglioni
«usciti allora vincenti da sanguinosa lotta cogli Oddi che vissero a
«lungo in terre d'esilio. Da indi innanzi Giampaolo Baglioni e Barto-
«lomeo d'Alviano fecero causa commune, e di concerto il mestiere
«di Capitani di guerra esercitarono in Italia. Pantasilea Baglioni,
«figlia di Ridolfo e sorella di Giampaolo, fu sposata dall'Alviano nel
«1494. Nel qual tempo l'Alviano, pigliando parte nelle calamità del
«suo paese, ripristinò in Todi la potenza degli Atti, avversata dai
« Chiaravellesi, per le sciagurate rivalità dei quali molto sangue con-
. ctinuamente spargevasi ».

Le nozze furono dunque, secondo il Fabretti, celebrate nel 1494
e Bartolomeo d’Alviano profittò della sua presenza in quella occasione
a Perugia per fare l’impresa di Todi: della quale parlano concorde-
mente, come abbiamo già visto, oltre il Fabretti, il Maturanzio e
il Pellini (1). |

Orbene, né sotto la data del 1494, né sotto quelle che prece-
dono dal 1490 o seguono fino al 1503 compreso — limite superiore di
tempo toccato dalle indicazioni tradizionali riferentesi al volo del
Danti — mi é stato possibile trovare nei Cronisti o nel Pellini alcuna
traccia o cenno sia del volo sia del Danti medesimo. In altre parole
ci manca qualsiasi testimonianza di chi potrebbe essere stato o con-
temporaneo o per lo meno vissuto in tempo non molto lontano da
un fatto così singolare. Che se osservato, non è facile spiegare il
pue sarebbe stato taciuto.

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Deve passare più di un secolo e mezzo prima che si trovi chi si
occupi del volo di Gio: Battista Danti. Solo verso la metà del Secolo
xvir ne incomincia la storia con Cesare Alessi (T 1649) e con Cesare
-Crispolti (1609-1652); per seguitare — sempre in questo secolo — con
Ottavio Lancellotti (1593-1671) e in ultimo con Agostino Oldoino.
La « Perugia Augusta descritta — Perugia — 1648 » del CRISPOLTI iu-

niore (1) deve essere presso à poco contemporanea e forse anche

(1) Secondo l'albero genealogico dei Bagl oni annesso all’opera « Comte 107
DE BAGLION DE LA DUFFERIE. — Histoire de la Maison de Baglion. — Le Baglion
de Perouse. Potier 1907». il matr monio di Pantasilea con Bartolomeo d'AI-
viano sa ebbe avvenuto nel 1501. Le citazioni riportate dal Maturanzio e dal
Pellini sono — come abbiamo visto — decisamente contrarie a questa Cla; il
che non avviene per quella fissata dal Fabretti.

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raga: 214 NOTE E DOCUMENTI

posteriore al racconto inserito dall’ALessi nel secondo volume
(Centuria 223) Roma 1652 dei suoi « Elogia civium perusinorum qui
patriam, rerum pace vel bello gestarum gloria, illustrarunt »; perché se
questa seconda centuria fu stampata solo nel 1652 — (il primo volume
o Centuria 1? era uscito in Fuligno nel 1635) — fu indubbiamente scrit-
ta e diffusa prima del 1649, data della morte dell'Autore, attraverso
copie manoscritte di cui una ancora esistente presso l'abbazia di S.
Pietro in Perugia.

Della « Scoría sagra » del LANCELLOTTI ne esiste l'originale ma-
noscritto presso la Biblioteca Augusta di Perugia, senza l'indicazione
della data che indubbiamente peró é posteriore di poco a quella delle
due opere precedenti (2).

Ultimo l’« Afheneum Augustum in quo perusinorum scripta pub-
blice exponuntur » dell'OLporwo dista dalle prime due opere di appena
trent'anni all'incirca, essendo stampato in Perugia nel 1678. Si tratta
quindi di una esplosione storica quasi simultanea; resa anche piü
evidente dal fatto che la uarrazione del piü distante Oldoino (3) non
fa che ricalcare quelle dell Alessi e del Crispolti esplicitamente citate.

I punti nei quali i quattro ricordati autori concordano o, per lo
meno, discordano di poco sono i seguenti:

1° Il Danti, prima di tentare l'esperimento pubblico, si eser-
citó ripetutamente soprà le acque del Lago Trasimeno. Il Crispolti e il

(1) CEsARE CRISPOLTI seniore autore di Perugia Augusta mori nel 1606
e la sua opera, limitata ai primi due libri, venne continuata e stampata solo
nel 1648 da un omonimo nepote Cesare Crispolti juniore, prete dell'Oratorio;
il quale afferma di essere l'autore del terzo libro ove si trova (a pag. 269)
la breve biografia del Danti.

(2) ARIODANTE FABRETTI (nel « Giornale degli eruditi e degli studiosi »
Padova 15 febbraio 1885) pubblicó la narrazione tolta dal manoscritto « Scorta
Sagra » del Lancellotti, dandola per inedita. Inedita si, ma non sconosciuta;
almeno dal Pascoli che, come abbiamo visto, la cita. Lo JOTTI DA BADIA Pol.
(Gio: Batta: Danti aviatore perugino del’ 500 nella rivista « Scienza per
tutti », n. 23 dicembre 1942 e n. 1-2 gennaio-febbraio 1943) scrive che « il ma-
«noscritto del Lancellotti ha tutta l'aria di precedere in ordine di tempo le
«note versioni del Crispolti, Alessi, Oldcino e sia l'antica fonte manoscritta
«che ha servito agli altri ». Il che se fosse vero tutti gli altri lo avrebbero se-
guito nel racconto; mentre, come vedremo, forti sono le discordanze, princi-
palissima quella relativa alla traiettoria seguita nel presunto volo. D'altra
parte, secondo lo Jotti, il Lancellotti sarebbe vissuto nell'ultimo quarto del
1500 e nella prima metà del 1600; mentre gli estremi precisi dati dal Vermi-
glioli (nelle Biografie degli Scrittori Perugini) sono 1593-1671.

(3) Op. cit. pag. 168.
NOTE E DOCUMENTI 215

« Lancellotti aggiungono che uno degli scopi di queste esercitazioni
«era (riporto le parole del Crispolti) di « gettarsi a volo per imparare
«il modo di calarsi poco a poco a terra; ma che, con tutto il suo in-
«gegno, non lo poté mai ritrovare ».

90 Il Danti si era adattato « un remigio di ali con meravigliosa
maestria lavorate »; remigio proporzionato alla gravezza del corpo.
All'atto dello slanciarsi, secondo l’ Alessi, il Crispolti e l’Oldoino, emise
un molto orribile sibilo. L'Alessi e l'Oldoino aggiungono che si era
coperto il corpo di penne. |

30 Il Danti progredi nel volo per « circa trecento passi ». (equi-
valenti — facendo il passo uguale a m. 0,75 — a circa m. 225).

49 Prima di giungere col volo al luogo destinato gli si ruppe il
ferro principale che reggeva l’ala sinistra, e non potendosi più oltre
sostenere colla sola destra fu forzato a lasciarsi cadere. E cadendo,
secondo l'Alessi e l'Oldoino si ruppe una gamba; secondo il Crispolti
«restonne qualche poco offeso »; secondo il Lancellotti «la caduta non
fu mortale ».

5o Il Danti cadde — secondo l’Alessi, il Lancellotti e l'Oldoino
sopra il tetto del Monastero di Santa Maria delle Vergini; — secondo il
Crispolti «sopra un tetto contiguo al Tempio di Santa Maria delle
Vergini ove è oggi la Sapienza Nuova » (1); ove, preciseremo .noi,
é oggi il primo gruppo di edifizi situati fra la Via dell'Alberata e la
Via Cesare Caporali, sotto l'Albergo Brufani e la Banca d'Italia.

69 Secondo il Lancellotti, non avendo «potuto mai trovar modo
di calare a bell'agio in terra » aveva preparato uno strato « di morbi-
dissime piume » nel cortile del Monastero di Santa Maria delle Ver-

(1) La precisazione del Crispolti ci avverte che ai suoi tempi la Chiesa
e il Monastero delle Vergini non esistevano più: demoliti (aggiungeremo noi)
nella rivoluzione edilizia ordinata nel 1540 da Paolo III per fare il posto alla
« Fortezza » innalzata da Antonio Sangallo. La striscia degli edificizi demoliti
si iniziava dalla attuale piazza Vittorio Emanuele e Prefettura (al posto delle
quali sorgevano le Case dei Baglioni; la Sapienza Nuova n. 1, la suntuosa Chiesa
e Convento dei Servi etc.) e scendeva fino circa la metà (presso gli ancora per-
sistenti Chiesa e Convento di Santa Giuliana) del piazzone. Evidentemente
quindi la Sapienza Nuova, che al tempo del Crispolti (1609-1657) si trovava al
posto dello scomparso Monastero delle Vergini, era una « Sapienza Nuova n, 2»
«trasferita (dice A. Iraci nell'opuscolo *' Sulla Toponomastica urbana, Peru-
gia, Santucci, 1928 "") nei residui del Convento di Santa Maria dei Servi, ove
fu poi il Teatrino della Minerva »; ove, preciseremo noi, è ora il primo gruppo
di edifici situato tra la Via dell’Alberata e la Via Cesare Caporali; sotto l'Al-
bergo Brufani e la Banca d’Italia. ;

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gini in cui « lasciarsi cascare ». Gli Du tacciono questo particolare;
ma non lo negano. i
7° Quando si fu riavuto dalla caduta: — secondo i Crispolti,
. Gian Paolo Baglioni «lo condusse seco in Lombardia, come suo Inge-
«gnero, in quelle guerre; nelle quali poi caduto infermo venne a morte »; .
— secondo l'Alessi « Hunc (cioè il Danti) postea valetudine confirma-
«tum Joannes Paulus Balionus ut mathematicum insignem cum -
« honore et stipendio magno sibi adduxit (1) ubi digito ab omnibus,
«ut quondam Demosthenes, indicabatur; proque viro admirabili su-
«spiciebatur ab omnibus qui ingeni quoque acumine homines vo-
«lare posse docuisset. At nondum quadrigenarius dira febri correp-.
«tus meritorum suorum pennis tutius quam mentitis vivens alis ad
« coelestia, ut sperare licet, volavit anno MDXVII (2): - secondo
‘«l’Oldoino: móx valetüdine confirmatum (si intende, il Danti) Chi-
«rurgorum opera vidit. Venetiis inde dum Mathematicem pubblice
« florentissima in Urbe profiteretur, nondum quadrigenarius dira febri
« correptus volavit in Coelum ». Il Lancellotti termina la narrazione
colla cauta
| * oko

.Divergenze fra i quattro narratori riguardano:

a) La data del tentativo. Come abbiamo già notato secondo il

. Crispolti e il Lancellotti essa coincise colle nozze di Giampaolo Ba-

glioni con Ippolita Conti (21 Decembre 1491); secondo l’Alessi e l'OI--
doino con quelle di Pantasilea sorella di Gian UAR con Bartolomen
d'Alviano (1494).

.b) Il punto di partenza del volo. Il Lancellotti non lo precisa;
secondo il Crispolti era «sulla altezza di una torre vicina » al palazzo
dei Baglioni; l’Alessi e l'Oldoino lo indicano indeterminatamente colle
parole «ex altiori civitatis parte ». Nel secolo seguente il Vincioli
identificherà quest'ultima « col nostro Monte di Porta Sole ». (3)

(1) « Venetiis secum perduxit» si legge in una copia manoscritta delle
Centurie (ms. CM, 368, Centuriae 2°, n. 192) dell’Abbazia di S. Pietro a Pe-
rugia.
(2) CAESAR ALESSI, Blogia Civium Perusinorum, Centuria 23, Romae,
Tipis Francisci Caballi, pag. 204-207. rte

(3) VincioLI GraciNTO, Lettera concernente tre curiosi fatti : il volo di
Gio : Battista Danti, ect. Venezia, per il Lazzaroni (senza data). Non ho tro-
vato questo opuscolo: ma ho potuto invece consultare il manoscritto, di carat-
tere. stesso (credo) del Vincioli, conservato presso la Biblioteca Augusta di
Perugia (ms. 1792, n. 17) che porta la data del 28 novembre 1738.
NOTE E DOCUMENTI : 217

c) La traiettoria seguita nel volo. Secondo l’Alessi e il suo co- !

piatore Oldoino, il Danti volando passò sopra la « piazza grande »
dove era convenuto «frequens populus ad hastiludium ». Con. essi
concorda sostanzialmente il Crispolti che scrive: « mentre un giorno
«in Perugia molti signori principali venuti erano ad onorar le nozze.
«di Gian Paolo Baglioni e correvano lancie in una strada principale
«sotto il suo palazzo egli... si mosse dalla altezza di una torre vicina
«e sibilando con un fischio molto orribile volo felicemente sopra la
«piazza grande, piena di innumerevole popolo ».

Secondo il Lancellotti infine « mentre veniano nella strada di

« S. Savino con nobilissima giostra honorate le nozze di Gio: Paolo
‘ « Baglioni e di (manca il nome) figlia di Giacomo Conti romano, con
«indicibile stupore dell’innumerevole popolo spettatore, all'improv-
«viso, con due ali con meravigliosa maestria lavorate si portò leg-
« giadramente per l’aria da trecento passi incirca sino alla fine di detta
« strada sopra il Monastero di Santa Maria delle Vergini ».

La piazza grande si stendeva allora dal Duomo alla piazza Santo
Isidoro (1) (attualmente piazza della Repubblica).

La Via S. Savino doveva esser prossima a quella che fino a poco
tempo fa fu la Chiesa di 9. Savino e che ora è un laboratorio di fale-
gnameria: mi sembra quindi che dovesse avere il senso di quel tratto
di Via dell'Alberata che va dallo sbocco di Via Marzia fino all'angolo

dove è l'imbocco della Via del Pozzo (fino cioè a quel complesso di

edifizî dove era il Monastero delle Vergini).

Un’altra osservazione. Dove si trovava la «torre dalla cui altezza »
il Danti — secondo il Crispolti — avrebbe iniziato il volo ? Se — “come
precisa sempre il Crispolti — era « vicino al palazzo dei Baglioni » viene
spontaneo il pensare ad una delle quattro torri — dette appunto dei
Baglioni — che nella pianta lasciataci dal Sangallo si vedono indicate
intorno alle case occupate dai Baglioni (2). La quale ipotesi può
riuscire verosimile accettando il racconto del Lancellotti secondo cui
il Danti per raggiungere il Monastero delle Vergini sarebbe passato
per là Via S. Savino e se si ammette che la Via S. Savino corresse in
vicinanza della già ricordata omonima Chiesa. Ma se invece si giu-

(1) A. IrAcI, Sulla toponomastica urbana, Perugia, Santucci, 1928, pag. [

21-23.

(2) Vedere lo «Schizzo topografico della parte della Città di Perugia
ove erano le Case dei Baglioni poi occupate dalla Rocca » a pag. 10 della. bella
monografia di G. Basile DI CASTIGLIONE .« La Rocca Paolina di Perugia »,

Perugia, Tipografia Cooperativa 1914.

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218 NOTE E DOCUMENTI

dicano piü rispondenti alla realtà i racconti quasi concordanti del-
l'Alessi e dell'Oldoino non che del Crispolti secondo i quali il Danti
avrebbe sorvolato la piazza grande (estendentisi, come abbiamo già
notato, dal Duomo alla ricordata piazza Sant'Isidoro); e se si aggiunge
che, al dire dell'Alessi e dell'Oldoino, il volo proveniva ex altiori parte
civitatis, allora bisogna cercare il punto di partenza in altra con-
trada della Città, e precisamente, come voleva il Vincioli, «nel nostro
Monte di Porta Sole ». Ma se pensiamo che Perugia — chiamata perció
Turrenia — era allora ricchissima di torri — (fino a 42 secondo il Ma-
riotti citato del ricordato Castiglioni; residuo delle quali é oggi solo
quella degli « Scalzi ») — non ci sarà da pensare che ad una torre cul-
minante da Porta Sole. Ma se sorgeva a Porta Sole si poteva dire -
«vicina al palazzo dei Baglioni » situato ove è oggi la Prefettura ?
E la distanza dal Monastero delle Vergini non superava i « trecento
passi » ammessi concordemente da tuttii ricordati storici seicentisti
come massimo del tragitto percorso dal Danti ?

. Concludendo, dovunque ci rivoltiamo è difficile non trovare con-
tradizioni; e non solo fra i racconti dei diversi storici (specie tra il
Lancellotti e gli altri) ma entro il racconto di uno stesso storico (spe-
cialmente per quanto riguarda il Crispolti)e

Comunque, tenendo conto al massimo possibile cosi delle con-
cordanze come delle ineniminabili discordanze fra i vari racconti,
crediamo che le traiettorie attribuite dagli storici seicentisti al volo
del Danti possono ridursi alle seguenti:

Secondo Alessi, Oldoino, Crispolti.

Partenza dalla sommità di una torre situata nella parte piü alta della
Città (Porta Sole?) e vicina al Palazzo dei Baglioni.
Traversata della Piazza grande, oggi Corso Vannucci.

Secondo Lancellotti.

Partenza da un punto indeterminato (forse una delle quattro torri cir-
condanti le Case dei Baglioni e situate presso a poco dove è ^ oggi la Piazza Vit-
torio Emanuele).

Traversata della Via S. Savino corrispondente presso a poco al tratto di
Via dell’Alberata dallo sbocco di Via Marzia all’imbocco di Via del Pozzo.

Per tutti gli storici.

Arrivo al Monastero delle Vergini poi Sapienza Nuova n. 2; oggi gruppo
di edifici situati fra l'imbocco di Via Cesate Caporali e l'Alberata, sotto la
Banca d' Italia e 1’ Albergo Brufani.
NOTE E DOCUMENTI

C'é chi si é dimandato se le ali, che i ricordati autori affermano
il Danti si applicasse, entrassero in rapido alternato movimento per.
progredire in avanti (come quelle degli uccelli e degli aeroplani) o
costituissero delle semplici inattive espansioni per ritardare la caduta
verticale a spese della resistenza dell'aria, come nei paracadute. La
progressione in avanti sarebbe stata effetto nel primo caso — come
negli uccelli — del lavoro dei muscoli del Danti (i quali avrebbero
fatto lo stesso ufficio del motore nei moderni aeroplani): nel secondo
(ove si fosse effettuata come gli storici ricordati affermano si effettuò
per circa trecento passi) delle correnti d’aria. Ora siffatte correnti pos-
sono spostare orizzontalmente non solo di trecento passi, ma anche
di molto più, un paracadute che scenda da qualche chilometro di
altezza, non però uno che si lasci cadere da meno di un centinaio di
metri: in questo caso occorrerebbe che il vento assumesse il carattere
e l’intensità di un turbine; e in tali condizioni il Danti non avrebbe
tentato l'esperimento, né comunque avrebbe trovato spettatori fermi
ed ammirati ad applaudirlo. Concludendo, se le notizie riferite dai
quattro ricordati autori rispondono alla realtà, l'apparecchio appli-
catosi dal Danti fu un vero e proprio apparecchio di volo e non un
paracadute.

Insistiamo: se rispondono alla realtà. Leone Pascoli come ab-
biamo visto riduce le differenze fra le narrazioni dei quattro alla di-
versità delle date: quella delle nozze di Giovan Paolo o di sua sorella
Pantasilea. Anche se fosse così non sarebbe poco. Ma, come è stato ri-

levato, c’è dell'altro. C'é la inconciliabilità della traiettoria del volo
secondo l’Alessi, l'Oldoino e il Crispolti da una parte e il Lancellotti
dall'altra. C'é la vaga indicazione del punto dell'inizio del volo da
parte dell’Alessi e dell’Oldoino; la meno vaga ma sempre indeter-
minata del Crispolti; il silenzio del Lancellotti. Due autori contem-
poranei — come l’Alessi e il Crispolti — che hanno scritto presso a
poco nello stesso tempo; che, data la ristrettezza dell'ambiente in
cui vivevano, è ovvio si siano rion solo conosciuti ma anche scam-
biate le idee sull'argomento; come mai hanno finito per dare al ten-
tativo del Danti due date cosi diverse quali sono quelle delle nozze del
fratello e della sorella Baglioni ? |

Probabilmente ció dipende dalla natura delle fonti — o forse
più propriamente della fonte - cui l’Alessi, il Crispolti e il Lancel-

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BE | 220 NOTE. E DOCUMENTI

lotti — (sorvolo su l'Oldoino, quel «copiatore dal latino» dirà nel
secolo seguente il Vincioli; il quale Oldoino dichiara del resto lui
stesso di essersi attenuto alle narrazioni dei primi due) — hanno at-
tinto. Fonte che è la tradizione orale: esplicitamente per il Crispolti;
probabilmente pe: l'Alessi e il Lancellotti. Scrive infatti il Crispolti . ‘
nel corso della sua narrazione; « quelli che viddero non solamente il
volo, ma l’ossatura delle ali e l'artificio loro meraviglioso dissero, e
si ha per tradizione...» (1). L'Alessi invece termina il suo racconto
accennando a manoscritti: « De eo (il Danti) habetur in antiquis
manuscriptis ». Ora i manoscritti dell'Alessi erano sincroni alle pre- .
sunte gesta del Danti o per avventura manoscritti che attestavano
la tradizioue e la cui asserita antichità non riguardava proprio loro
relativamente recenti, ma la tradizione che riferivano ritenuta ap-
punto di origine contemporanea al Danti ? Secondo il mio modesto
parere si trattava proprio di quest'ultima cosa; e tali manoscritti —
se realmente esistiti — hanno poi servito direttamente o indiretta-
mente anche al Lancellotti.

Ora la tradizione che era alla base di siffatti manoscritti — come

. in genere tutte le tradizioni mantenutesi per lungo tempo orali — man-

cava di precisione e riferiva voci vaghe non uniformi rispetto ai tempi
ed ai luoghi: voci che hanno costretto ciascuno dei tre scrittori a ri-
costruire colla propria fantasia la scena del volo; adattandola — nel
tempo, alla data di quella delle due nozze che sia per i festeggiamenti
sia per altro è sembrata costituire l'ambiente più adatto alla sce-
na stessa; — e nello spazio, ‘alle loro personali conoscenze della to-
pografia della Città trasformata colla ricordata rivoluzione edilizia
del 1540; e quindi della ubicazione delle Case dei Baglioni ai tempi
del Danti.

>

Nel 1700 la tradizione del volo del Danti continua e direi quasi,
si ingigantisce, ma attraverso grosse venature di dubbio. Tre sono gli

(1) Scrive lo JoTTI DA BADIA Por. (op. cit., pag. 6): « Il Crispolti (nepote).
asserisce di aver potuto continuare l'opera dello zio attingendo ad « appunti
manoscritti » che « attestano la tradizione », Queste parole io nella « Perugia
Augusta » (Perugia, presso gli eredi di Pietro Tommassi e Sebastiano Zecchini
MDCXLVIII) non le ho potute. trovare; né nelle prefazioni (ce ne sono due:
al Card. Mattei ed al Lettore) né nella « Chiusa al Lettore »; né nel torso della
narrazion: delle presunte gesta del Danti; dove invece si leggono. le ripor-
tate» quelli che Did dero non solamente etc;
NOTE E DOCUMENTI 221

‘autori principali che ne parlano: PascoLI LEONE (1674-1744), ViNcioLI
Giacinto (1684-1742) tutti e due perugini ed il bergamasco, celebre
bibliotecario del Duca di Modena, successore di Ludovico Antonio Mu-
| ratori, GeRoLAMo TrraBoscHI (1731-1794). Nessuno dei tre porta nuovi
argomenti e documentazioni; ma tutti e tre si appellano alla testimo-..
| nianza dei ricordati panegiristi seicenteschi. Il Vincioli, polemizzando
con un poco rispettoso innominato Reverendo (che sì era permesso un
riso piuttosto scettico alla rievocazione delle prodezze del Danti)
gli snocciola giù (e crede con questo di avergli tappato la bocca) i
racconti dell’ Alessi e del Crispolti che riporta per intero (1); il Pa-
scoli e il Tiraboschi, alla autorità dei quattro seicentisti aggiungono
quella del cinquecentista Pellini; in buona fede certamente, ma di

fatto — come già superiormente rilevato — erroneamente ed infonda- .
tamente. E l'errore è stato forse possibile per la difficoltà della con-

sultazione diretta del terzo volume delle Storie del Pellini; le cui copie

‘andarono in un incendio quasi tutte distrutte, mentre le cinque o sei
residue (di cui una nella Comunale di Perugia da me consultata), per-
ché sparse quà e là, sono difficilmente accessibili. Con tutto ció ecco
come il Tiraboschi (2) terminava il suo accenno: « A dir vero però
.di questo mirabile volo, benché si abbia testimonianza presso il Pel-
lini storico perugino che visse nel medesimo secolo ma alquanto lon-
tano dal Danti, sarebbe a bramare qualche più accertata memoria ».

Il Pascoli parla più volte, e con tono diverso del Danti. Nella
edizione del 1722 delle « Vite di pittori, scultori e architetti perugini »
si introduce con un lungo esordio, il carattere polemico del quale fa
supporre che non pochi né disprezzabili erano «i singolari e i saputi
che di tutto dubitano e tutto negano »; evidentemente in relazione
al volo attribuito al Danti. Tanto che conclude: «io non pretendo
«di forzare il lettore a credere ciò che di Gio: Battista Danti sono
«per iscrivere; così non deve pretendere egli di forzare me a. scrivere
« quel che pare a lui ». Evidentemente lo scetticismo sul volo del Danti
‘non doveva essere in difetto ! Nel 1730 (3), più moderato e generico,

si limita ad esclamare: « Si, io so bene che il fatto (volo del Danti) ;
«è verissimo per leggersi in manoscritti di gravi autori del tempo ». .

Se l'esclamazione — (evidentemente diretta contro gli scettici di cui

(1) VINCIOLI, op. cit.

(2) GirroLamo TrnABOSCHI, Sforia della letteratura italiana, Tomo VII (dal.

1500 al 1600), parte I, Libro II, Roma, presso Perego Salvioni, 1784, pag. 437.
(3) PAascoLI LEONE, Vite dei Pittori, Scultori e Architetti moderni, Roma,
1730, vol. I, pag. 297. -

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sopra) — non ha carattere puramente rettorico dovrebbe significare
che i manoscritti già denunziati dall'Alessi ancora esistevano al tem-
po del Pascoli; che lui Pascoli li aveva consultati e aveva loro rico-
nosciuto il carattere di testimonianze sincrone al volo (e non di tardi
fissatori di tradizioni orali).

Ma come va che né lui, così largo nelle citazioni recenti, né il
suo predecessore ne specificano alcuno, o riportano un qualche sia
pur breve tratto di queste testimonianze che per la loro antichità
potrebbero riuscire veramente probanti? E non precisano dove si
trovavano ? E come va che nessuno — né i Cronisti, né il Pellini —
ne fa il menomo cenno ? E dove sono andati a finire ? Per esempio,
nella Biblioteca Augusta di Perugia se ne conservano di molto più
antichi; ma di questi non vi è traccia.

>

Nell'ottocento si occupò del famoso volo — come abbiamo già
riferito — il Vermiglioli; ma per incidens in una nota, non rientrando
il fatto attribuito al Danti nel disegno della sua narrazione. E mal-
grado il valore e la serietà ben noti di questo scrittore abbiamo visto
che equivocò indubbiamente nella data. Ed è evidente che, non in-
teressandogli direttamente, non sottopose la sostanza del fatto al
vaglio di quella critica che egli ha mostrato in altri numerosi casi di
saper bene usare.

Nei tempi vicini a noi il ricordo del volo attribuito al Danti è ve-
nuto di moda; specie dopo la scoperta dell’aviazione e il passaggio
di questa nell’uso quotidiano. Ogni trattatista ha visto nel Danti un
pioniere; e i racconti si sono moltiplicati senza che si moltiplicassero
le prove del fatto; ma solo i particolari talora contrari o travisati da
quelli riferiti dai primi più volte ricordati storici seicentisti. Così nel-
l'Enciclopedia Treccani alla voce « Danti Gio: Battista » (a firma
GruLio CosrANzi, generale della R. Areonautica) si può leggere che il
Danti « fece numerose e felici prove di atterraggio sul lago Trasimeno,
lanciandosi dagli edifici circostanti ». Abbiamo già riportate a questo
proposito le affermazioni del Crispolti: qui aggiungeremo quelle del
. Lancellotti (1): «risolse (il Danti) di lasciarsi cascare non avendo

(1) LanceLLOTTI, Scorta Sagra, ms. B. 4 della Biblioteca Augusta di
Perugia; al 22 Giugno, foglio 105/er. È una specie di calendario perpetuo che
ricorda giorno per giorno, coi religiosi, i fatti storici cittadini piü importanti.
NOTE E DOCUMENTI : 223

«potuto per molti anni che a tal novità pensó mai trovar modo di

«calare a bell'agio in terra ». Parimenti nella « Treccani » è scritto:
« Il Danti venne poi presentato a Leonardo da Vinci, al quale il Ba-
«glioni lo segnalò come colui qui ingenii acumine hominem quoque
« volare posse docuisset ». In realtà questa frase è tolta di peso dal rac-,
conto dell’Alessi il quale però non nomina affatto Leonardo, ma la
mette in bocca ai numerosi ammiratori che il Danti avrebbe trovati
nel nord d’Italia quando vi si recò con Gio: Paolo Baglioni; dai quali
tutti « digito, ut quondam Demosthenes, indicabatur; proque viro
«admirabili suspiciebatur qui ingenii quoque acumine hominem
« volare posse docuisset ».

Cosi Luici GARIBBO (nei suoi «Cenni storici sull’ Aeronautica» 1938)

non contento di aver fatto ammirare il Danti «librato a volo sopra le

abitazioni » lo fa arrivare (senza menomamente accennare dove abbia
pescato la straordinaria notizia) « sempre a forza d’ali al Lago Tra-
simeno, tre miglia distante », per poi ricondurlo in Città a fracassarsi
una coscia precipitando presso una chiesa.

Ma chi è arrivato al colmo, con una più che semplicistica spie-
gazione del silenzio dei cronisti contemporanei e del Pellini di poco
lontano dalle presunte gesta del Danti, è il VENTURINI nel suo «Da Icaro
a Montgolfier — Isola del Liri — 1928 ». Il qual silenzio sarebbe - se-
condo lui — l'effetto di una congiura ordita nel ’500 ai danni del Danti,
perché al servizio degli esecrati Baglioni. A parte che l'esecrazione
non ha mai tappato la bocca degli storici (quante non se ne sono rac-
contate proprio in quei tempi sull'esecratissimo Cesare Borgia !);
fra i cronisti che avrebbero aderito alla congiura dovrebbe contarsi
anche il Maturanzio attaccatissimo ai Baglioni (1); i quali del resto
erano in quel periodo all'apogeo della loro potenza, non che del favore
popolare. Solo infatti più tardi — nel 1520 — Gian Paolo lasciò la te-
sta fra le mura di Castel Sant'Angelo a Roma.

Bel libro invece, informato a serietà storica, é quello del Padre
GiusePPE Borrrro sul «Volo in Italia» (2). Il Boffito è il primo a rile-
vare il silenzio assoluto dei Cronisti e del Pellini sul famoso volo del
Danti: e noi ci siamo assunti l'incarico di controllare — (come abbiamo

(1) Vedere alla pagina XXIV della prefazione del Fabretti alla piü

volte citata cronaca del Maturanzio (« Cronache della città di Perugia» op.

cit. vol. 2°) come il Maturanzio abbia ripetutamente esaltato i Baglioni non
solo nella prosa di elogi funebri, ma ancbe nei versi di celebrazioni nuziali.

(2) Borrrro GiusEPPE, Il Volo in Italia, Firenze, Barbera, 1921, pag.
22-26.
224 NOTE E DOCUMENTI

ininutamente controllato e già esposto) — negli scritti di questi autori
la mancanza affermata dal Boffito di ogni qualunque menomo accen-

no o anche indiretto riferimento cosi al Danti come al di lui asserito
volo. Se, scrive egli, «dal 1700 e dal 1600 — in cui abbondano i racconti
« del volo di schietta aria romanzesca — risaliamo al 1500 e al 1400; ai
« secoli in cui ci attenderemmo... di veder moltiplicarsi e diventare
«piü particolareggiate le testimonianze, non tardiamo ad accorgersi
« che queste invece di crescere diminuiscono rapidamente fino a sva-
. «nire del tutto ».

Quale la: conclusione dà trarre da questa indubbiamente non

chiara situazione di fatto ? È ammissibile che l'Alessi e il Cri-
spolti — i primi che hanno parlato dello straordinario avvenimento —
lo abbiano inventato di sana pianta, e per giunta con tanta abbon-
danza di particolari? E d'altra parte se effettivamente il fatto
| straordinario era consegnato nelle pagine dei manoscritti ricordati
dall'Alessi e dal Pascoli, come è che nessuna eco se ne è risentita
negli scrittori contemporanei MELOnISH) o di non OO posteriori
(Pellini) ?
A mio modesto parere si tratta di una leggenda; ma con un fondo
di verità, come é proprio in generale delle leggende.
| Il Danti, uomo indubbiamente come tutti di sua famiglia di
ingegno acuto, deve aver pensato al volo; deve aver tentato delle
prove al Trasimeno; deve aver forse cercato di effettuarlo a Perugia,

ma l'insuccesso deve essere stato immediato; talché il pubblico non.

deve averci visto che il capitombolo di un malcapitato equilibrista (1).
-Se non ché l'interesse che egli non era riuscito a destare nel pub-
blico perduró in lui che aveva studiato con competenza e serietà di

(1) Lu1a1 Bonazzi nella sua Sforia di Perugia (Perugia, 1879) pag. 700,
- Sserive: « Nella lunga iscrizione posta da Ignazio Danti ai suoi più vicini pa-
«renti in S. Domenico di Perugia niuna menzione si fa del singolare prozio,
« come si fa dell'avo (Pier Vincenzo) ». E ne deduce il dubbio della esistenza di
Gio: Battista. Ne quid nimis! Lo scopo dell'epigrafista era di ricordare i pa-

renti della linea cui egli apparteneva, perché tutti degni di memoria per in-
| gegno e per opere egregie. Quindi questo non prova che non esistessero colla-
terali; tutto al più può essere buon indizio che i collaterali eventualmente esi-
stenti non fossero degni di speciale ricordo e che tale fosse Gio: Bautista, fra-
tello del capostipite Pier Vincenzo. i
NOTE E DOCUMENTI 225

matematico il problema del volo e che a forza di ruminare la cosa fini
(i Tartarin anche se non cosi grandi non nascono solo a Tarascona) a
persuadere sé stesso di avere, per sia pur breve spazio, effettivamente
volato. E la persuasione generata in sé stesso communicò agli altri,
specialmente quando recatosi al nord si trovò lontano dai testimoni -
diretti. Il racconto andò poi via via gonfiandosi, e rimbalzato in pa-
tria dopo la sua morte (avvenuta quando era nondum quadrigena-
rius) la leggenda, che era già nata, camminò, confortata dalla tradi-
zione del genio inventivo di tutti i componenti la famiglia Danti. Fu
fissata da qualcheduno in iscritto ? Non é improbabile; ma comunque
sarebbe rimasta leggenda nelle tradizioni popolari se non avesse in-
contrato un retore come l'Alessi. Al quale, in cerca di « Perusinorum
qui patriam rerum pace aut bello gestarum gloria illustrarunt », non
sembrò vero di fabbricarci sù — (scomodando perfino. Demostene cui
per la popolarità acquistata paragono il Nostro « qui digito », come
il grande oratore Ateniese, ab omnibus indicabatur) — uno dei suoi
duecento elogia ; tutti più o meno rigonfi di retorica.
Il resto seguì spontaneo, ed è noto.

D. PieTRO PIZZONI
prc

NECROLOGI

Dorr. EMANUELE RANIERI Conte pr CIVITELLA
£g pi MONTE GUALANDRO

A chi abbia avuto la ventura di avvicinarlo, e di entrare con lui
in qualche dimestichezza, il Conte Emanuele Ranieri è sempre ap-
parso soprattutto come il superstite di una tradizione patrizia d’altri
tempi. La sua stessa probità, rifuggente da ogni calcolo e da ogni
compromesso, lo collocava in una serie cronologica di decenni molto
lontani da noi.

All’arte egli. portava un amore sincero e, quando occorresse,
anche coraggioso. Poco prima e poco dopo l'approvazione della legge
del 1902 sulla tutela del Patrimonio Artistico e avanti che Corrado
Ricci assumesse la direzione generale delle Antichità e delle Belle
. Arti, in quel periodo nel quale timida ancora e incerta era l'applica-
zione delle benefiche norme legislative, a Umbertide da parte della
Congregazione di Carità e del Comune si tentò ripetutamente di met-
tere in vendita la tavola della Deposizione dalla Croce di Luca Signo-
relli, conservata in quella Chiesa di Santa Croce: si deve all’intervento
tempestivo ed energico di Emanuele Ranieri se ogni trama fu sven-
tata e il bel dipinto è sempre al suo posto. Quale premio ambitissimo
egli ebbe dal Ministero della Pubblica Istruzione la nomina a R. Ispet-
tore Onorario dei Monumenti per la circoscrizione di Umbertide. In
tale Ufficio, nel quale portava uno zelo encomiabile e un sentimento
di alta dignità, rimase per oltre quarant’anni sino alla morte. Di que-
stioni araldiche e storiche si è occupato in garbati articoli.

Unica fra le grandi famiglie perugine la sua ha il vanto di aver
conservato una insigne opera di pittura umbra del Rinascimento, l'An-
nunciazione di Pietro Perugino. La preziosa tavola tramandatagli dai
suoi antenati egli circondava di cure gelose, e non ce ne dobbiamo
sorprendere sapendo quanto fosse sincero il suo attaccamento alle

cose d'arte. Però quando gli organizzatori della grande Mostra di.

antica Arte Umbra, tenutasi a Perugia nel 1907, gli chiesero questo
quadro egli non esitò a cederlo in prestito, e per parecchi mesi agli
. NECROLOGI 227

artisti e agli studiosi accorsi da ogni parte fu possibile fare la conoscen-
za nel Palazzo dei Priori di questo squisito capolavoro della giovinezza
del più grande artista della regione. |

AI Castello di Civitella Ranieri (il bell'edificio che sorge poco lungi
da Umbertide, ricostruito nel Quattrocento e nel Cinquecento sopra
resti più antichi) portava un affetto particolare. Ivi le memorie più
illustri della famiglia erano tuttora vive, e in mezzo a quelle mura
austere così piene di ricordi egli faceva volentieri lunghi soggiorni,
ed ivi è morto il 28 novembre 1943. « Civitella mia » diceva spesso,
più spesso forse che non se ne accorgesse, con una tenerezza ‘che poteva
far sorridere chi l’ascoltava. Alla passione per la sua proprietà neces-
sariamente si univa un po’ anche l’orgoglio del discendente d’una stir-
pe così antica e nobile, ma contro la tentazione di rievocare e di desi-
derare per sé la potenza e la prepotenza feudale egli ha sempre avuto
quale sicura difesa il sentimento religioso vivo e schietto, che lo ha
guidato e lo ha confortato per tutta la vita, gli ha inspirato la più rac-
colta semplicità di abitudini, e gli ha fatto intendere come un alto
dovere, ^] quale non è lecito sottrarsi, la solidarietà verso le classi so-
ciali meno favorite. Al progresso agricolo delle sue tenute ha dedicato
quasi totalmente le rendite che ne ricavava, curando in modo parti-
colare le case dei suoi contadini, i quali lo ricambiavano con devoto
affetto. Anche sotto questo punto di vista egli ha lasciato un esempio
che merita di essere conosciuto e seguito.

Era nato a Perugia il 9 ottobre 1865.

AcuiLLE BERTINI CALOSSO

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Portes a dir Dorr. GERALBERTO BUCCOLINI

Il 25 ottobre 1944 chiuse in Orvieto la Sua vita il dott. Geralber-
È i ‘to Buccolini, nato in quella città il:2 febbraio 1865. Pur nell’esercizio
della Sua professione di. medico, Egli sentì altissimo il culto delle me-
. morie, cosi gloriose, della Sua terra, e ad esso si dedicó, come ad una
altra missione.

Per lunghi anni, col più alto disinteresse, attese all'ordinamento
della Biblioteca Comunale ove erano confluite varie notevolissime
collezioni di fondi monastici, e donazioni di cittadini, a cominciare
da quella di Luigi Fumi; ed ebbe la soddisfazione di conseguire il
premio della Sua fatica, con la solenne inaugurazione della Biblio-
teca stessa, avvenuta il 18 ottobre 1931. Anche dell'Archivio. Comu-
nale, di cui era conservatore, poté iniziare il riassetto; parte attivissi-
ma rappresentó nel Comitato « Ippolito Scalza », a cui devesi il restau-
ro, purtroppo rimasto incompiuto, della facciata del palazzo Clemen-
tini, sede della Biblioteca. |

-Oltreché Ispettore Bibliografico Onorario fu Ispettore dei Mo-
numenti e Scavi dal 1931 al 1938, e, nel 1930, Segretario Generale del
Comitato per le Onoranze a Lorenzo Maitani, di cui si commemorava
il VI Centenario della morte. |

Socio corrispondente lo elessero la Società Colombaria di Firen-
ze e l'Accademia. Etrusca di Cortona; della nostra Deputazione di
Storia Patria fu Corrispondente.

.. Fu relatore del Comitato per la ferrovia Foligno-Todi-Orvieto-
Porto S. Stefano, progetto di cui si occupò per lungo periodo di tem-
po (1900-1910) e sul quale convergevano le vivissime aspirazioni della
cittadinanza orvietana, rimaste deluse. Ne fece oggetto di una sua
pubblicazione (Orvieto, 1910), mentre in un'altra illustró «La sistema-
zione edilizia, tecnica e finanziaria dell'Ospedale Civile» (1913). Nel |
campo delle ricerche e degli studi, attese alla raccolta di un « Albo dei
«Caduti orvietani nella guerra 1915-18, nelle guerre d'Indipendenza e
nelle guerre coloniali » (1923); col « Problema archeologico di Orvieto .
antica » (1935) risollevó, con profonda conoscenza delle fonti, la discus-
| : sione sulle origini etrusche della città. Vide la luce negli Atti del II
Convegno Nazionale di Storia dell'Architettura (Assisi, 1939) una

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NECROLOGI . 229

sua nota su «La primitiva Cattedrale. di Orvieto », mentre la Sua
‘opera di maggior respiro sulla serie dei Vescovi, e sulla politica or-
vietana dal 538 al 1466, con speciali riferimenti ai Monaldeschi, ha
veduto la luce, col titolo « Serie critica dei Vescovi di Bolsena e di
Orvieto », in questo Bollettino (vol. XXXVIII, anno 1941).

| ——. A dar rilievo alla Sua attività possono ricordarsi ancora il lavoro:
« Tre uomini ricongiungono nel tempo Cortona e Orvieto — Luca Si-
gnorelli — Ludovico Negroni - Filippo Antonio: Gualterio » (1934);
e due discorsi, dati alle stampe: « In memoria del Dott. Alfredo Smu-
raglia » (1899) e « Im memoria di G. B. Caracciolo ed altri caduti in
guerra » (pronunciato a Civitella d'Agliano, 1915). Del discorso inau-
gurale della Biblioteca « L. Fumi » (1931) si conserva il manoscritto.

Nella attiva e feconda Sua opera aleggia sempre l'amore per la .

Sua città; e in questo spirito Egli, anche non più presente, avrà de-
gna memoria. |
ANTONIO MuzI
Dort. Comm. LUIGI PETRANGELI

L'attaccamento alla sua Orvieto, dov'era nato il 25 aprile 1868,
Luigi Petrangeli non poteva dimostrarlo con maggior coerenza, con
maggior abnegazione durante l’intera vita: nessun ufficio pubblico egli
ha rifiutato, e in tutti ha saputo portare una capacità operosa e con-
clusiva che trovava il primo fondamento in una coscienza rettissima
e in una matura preparazione. La signorilità dei modi aveva la più
esatta rispondenza interiore in un disinteresse assoluto: per lui accet-
tare una carica voleva dire sacrificare tempo e interessi privati al
raggiungimento di un fine comune.

A lungo consigliere comunale, assessore, sindaco di Orvieto, de-
putato provinciale, infine per ventidue anni — dal 1922, sino alla mor-
te avvenuta il 10 dicembre 1944 — è stato presidente dell'Opera del
Duomo, recando nelle delicatissime mansioni un raro fervore e un
senso di alta dignità.

Innamoratissimo dell'insigne monumento alle cui sorti si trovava
ad essere preposto, molte iniziative seppe prendere ed altre promuo-
verne, a volta a volta collaboratore, consigliere e incitatore della So-
printendenza ai Monumenti dell'Umbria e degli altri uffici responsa-
bili della conservazione del nostro Patrimonio Artistico. A non volere
parlar d'altro, converrà almeno ricordare come in questi ultimi anni
si sia fatta strada una sua idea opportunissima, alla quale certamente
non potrà mancare una prossima realizzazione, quella di riordinare la
suppellettile archeologica di Orvieto, tanto ricca e varia e importante,
in una raccolta a sé, con una sede propria, lasciando nel Museo del-
l'Opera tutto quello, e soltanto quello, che si riferisce alla storia del
Duomo e ne illustra le successive trasformazioni. E, merito suo se è
risorta in Orvieto una Bottega del Mosaico con una piccola maestran-
za specializzata, iniziativa quanto mai utile, se si pensa al lavoro con-
tinuo di manutenzione delle superfici con decorazione musive sulla
facciata del Duomo. |

All'Archivio Storico del Duomo ha dedicato, con zelo e con in-
telligenza non minori, le sue cure durante molti anni. Allo scoppio
dell'ultima guerra, nonostante la sua salute già malferma, ha curato

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NECROLOGI 231

di persona l'occultamento delle opere d'arte del Museo e del Duomo,
nonché di altre chiese della città.
Scarsi gli scritti, e di scarso valore, venuti in luce durante la

vita. Notevolissimo invece il libro, uscito postumo nel 1945, nel quale

ha studiato Lorenzo Maitani e la sua opera nel Duomo di Orvieto, fa-
cendo un'accurata ed utile rassegna dello stato della questione, e re-
cando anche qualche argomento originale che senza dubbio gioverà
alla soluzione dell'intricato problema. |

Col suo testamento, coerente agli ideali che lo avevano sorretto
durante l'intera vita, ha voluto lasciare all'Opera del Duomo una
piccola ma pregevole collezione di opera di pittura e d'incisione dei
secoli xix e xx, allo scopo di costituire il primo nucleo di una Galle-
ria d'Arte Moderna in Orvieto. Questo atto generoso ha soprattutto
un significato morale, e un valore di alto ammaestramento: Luigi
Petrangeli, che già aveva donato alla Cappella del SS. Corporale nel
Duomo una vetrata moderna eseguita da Cesare Picchiarini su car-
tone di Duilio Cambellotti, ha voluto farci capire con questo atto suo
ultimo che non ama veramente l'arte, e non ne sa penetrare l'essenza,
chi si limiti al culto di forme consacrate da una tradizione lunghis-
sima. |
AcHILLE BERTINI CaALosso

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E: | Mons. ENRICO GIOVAGNOLI

" Logorato dalle privazioni che la guerra imponeva, tanto più gra-
‘vi ad un organismo delicato e bisognoso di speciali attenzioni diete-
tiche cessava di vivere a Città di Castello il 31 dicembre 1944, il no-
stro deputato mons. Enrico Giovagnoli. i

La sua scomparsa segna un lutto per la Deputazione Umbra di
Storia Patria, che lo ebbe molti anni collaboratore solerte ed attivo.
Egli infatti fu degli studi storici un appassionato cultore, come testi-
moniano i suoi volumi, nei quali non sai se ammirar più la garbatezza
| di uno spirito versatile e brillante, o quel sincero entusiasmo che, in
mancanza d’una più sicura formazione DR egli portava
nella ricerca storica.

Era nato a Gubbio il 9 novembre 1876 e PIOVINetUG fu avviato
alla vita ecclesiastica. Alunno del Seminario Pio, compi gli studi
filosofico-teologici nell' Ateneo di Sant'Apollinare a Roma, ed a Roma
‘ fu consacrato sacerdote il 23 dicembre 1899. Tornato in Umbria fu
insegnante nel Seminariò vescovile di Città di Castello, rivelando bel-
le qualità di limpidezza di pensiero e felicità d’eloquio. Temperamen-
to d’entusiasta, divenne guida ammirata ed amata dei suoi giovani
allievi, cui seppe ispirare quell’amore disinteressato che solo è pro-
ficuo nel culto della scienza.

Eravamo allora sulle soglie del: nuovo secolo, che. già s'annun-
ziava ansioso di rinnovamento. In quegli anni gli elementi piü fervidi
del clero italiano, consapevoli della sterilità rancurosa dei « non expe-
dit », cui il più retrivo clericalismo voleva rimanere ostinatamente
attaccato, e paventandone il danno, affrettava col desiderio e con
gli scritti una piü fattiva carità ed una piü inteusa azione sociale:
voleva vivere lo spirito del Vangelo in più immediato contatto con le
classi popolari, che divenivano, ogni giorno piü, facile preda d'ideo-
logie ispirate al materialismo marxista. L'enciclica « Rerum nova-
rum » aveva acceso negli animi una nuova speranza. La suprema au-
torità della Chiesa era uscita dal suo riserbo, annuendo in certo modo
alle speranze di quei giovani, ed aveva dischiuso nuovi orizzonti di
carità operosa, valida a contrastare al socialismo trionfante il pre-
dominio sulle classi operaie. Del resto anche alcuni alti prelati piü
NECROLOGI . 293

lungiveggenti, puv osservando quel riserbo che imponeva la loro di-
gnità, assecondavano quel giovine clero e lo incoraggiavano su la
strada intrapresa: basta ricordare mons. Geremia Bonomelli, il suo
collega di Bergamo mons. Radini-Tedeschi e, più in alto, il card. Pie-
tro Maffi. s
Si deve a quel giovane clero intelligente e coraggioso, a quell'in-
stabile ed incerto connubio di liberalismo sociale e di carità cristiana,
ch'egli ha saputo in cosi varia dosatura adoprare, se mutate le circo-
stanze, dopo l'approvazione della legge sul suffragio universale (la
cui attuazione segna uua svolta decisiva nella storia d'Italia, come
d'una rivoluzione pacifica) al posto delle sparute e derise pattuglie
di clericali di cinquant’anni fa, è sorto un partito nazionale, che per

le congiunture messe in atto appunto dal suffragio universale, ha do- :

vuto assumere la responsabilità del governo..

Ma quel fervore di vita nuova non poteva andar disgiunto da
qualche intemperanza. Quelli infatti che non.si riconoscevano atti-
tudini pratiche e che avevano piü spiccate predilezioni speculative,
anelavano ad una cultura piü consona ai nuovi tempi, piü aderente
ai bisogni spirituali della società moderna, più capace d'inserirsi effica-
cemente nel discorso del rinascente storicismo e della filosofia idea-
listica. Lo storicismo, che signoreggiava l'indirizzo degli studi, ispiró
allora libri insigni nella storiografia ecclesiastica: accenniamo solo ai
nomi di Louis Duchesne, e di Francesco Lanzoni. Ed' in quel « primo
giovenil tumulto » venivano anch'essi con grave danno per gli studi
e per quegli iusigni studiosi, confusi coi novatori più estremi, ed i
loro criteri storici identificati o quasi con le tesi piü audaci di un
Alfredo Loisy. $m

Com'era ovvio, l'autorità ecclesiastica non tardó a moderare le
audacie dei novatori, a colpire con le censure i più temerari ed a ri-
cordare a tutti la impossibilità di ridurre la religione ad una filoso-
fia, e come il tertullianeo « verum est quia impossibile est » avesse an-
cora il suo originario e perenne valore, nell'indicare ove poggi la di-
stinzione tra religione e filosofia, il valore perenne insomma dell'ori-

ginaria contrapposizione tra volontarismo cristiano e razionalismo

greco.

Don Enrico Giovagnoli, pur con l'animo dischiuso a quel moto
di rinnovamento, non senti il bisogno di quegli autorevoli richiami.
Anima intimamente religiosa, disposta per naturale inclinazione à

far piü posto alla santità degli affetti che alla tirania della ragione,
rimase fedele al patrimonio sacro trasmessogli dalla Chiesa e dagli.

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d a S ER pi 234 - NECROLOGI

avi: e la sua docilità s'è dimostrata più tardi, dopo la riconciliazione
e la morte in grembo alla Chiesa del capo dei « modernisti », l’unica
via giusta, per chiunque volesse rimanere cristiano e cattolico.
Fedele alla giurata obbedienza, don Enrico Giovagnoli tenne
chiusi in cuore quegli ideali della giovinezza, che quali ideali di bene,
dovevano per più giusti tramiti. trasformarsi in opere di bene. Di qui
nacquero gli istituti cui egli dette vita. Il Circolo « Nova Juventus »
da lui fondato e sorretto, la Società tipografica «Leonardo da Vinci»
che in breve tempo fu portata da lui a tanta altezza da meritare che

ad essa la casa editrice Zanichelli e l’Istituto Storico Italiano affi-.

dassero la stampa dei « Rerum Italicarum Scriptores », già tenuta
con tanta abnegazione e decoro, per designazione di Giosuè Carducci,
dall’Editore Scipione Lapi. Ma più delle altre sue creature va ricorda-
to l’Istituto di carità « Cieca della Metola », di cui fu padre amoroso
per tanti anni e nel quale il suo ardente spirito di carità trovò il suo
adempimento e la sua pace sino alla morte. (
Ma nou di questa sua attività di sacerdote e di cristiano, come
non strettamente pertinente al nostro soggetto, vogliamo qui occuparci
e sebbene s'abbia consapevolezza di tralasciare il meglio di lui e di met-
ter sotto silenzio quegli atti, pei quali la sua vita assume un significato
esemplare, faremo ritorno allo studioso di storia, che avvalora i suoi
studi con i volumi, con gli opuscoli e con le numerose conferenze.
Era parlatore copioso ed elegante ed in Città di Castello e nei
paesi vicini, moltissimi. ricordano ancora la sua calda ed affascinan-
te parola, che fece di lui, nell'ambito della regione, un'oratore famoso.
Più duraturo però è il segno che ha lasciato negli studi storico-lette-
rari. pee
Ancor giovane dedicó una monografia di carattere divulgativo
a Città di Castello e in collaborazione con Giovanni Margherini Gra-
ziani scrisse La prima giovinezza di Raffaello, illustrando, come ver-
tice di quella meravigliosa stagione pittorica, l'attività tifernate del
genio d'Urbino. Uno studio accurato e profondo, meritevole di par-
ticolare ricordo, è quello in cui s'illustra Gubbio nella storia e nell'arte,
« Non credo affatto — dice nella prefazione - né d'aver detto tut-
to né d'averlo detto nel migliore dei modi; peró ho la coscienza di aver
messo tutta la buona volontà perché il materiale raccolto da altri non
andasse disperso, e di non aver risparmiato sacrificii per offrire a Gub-
bio quell'omaggio doveroso che ogni cittadino deve al suo loco natio ».
Raccolse iu alcuni volumi i brevi cicli annuali di conferenze che
durante le vacanze estive teneva alla« Montesca » la bella villa con
NECROLOGI 235

munificenza donata dai Franchetti, per offrire alle insegnanti elemen-
^ tari un luogo di riposo e di cura.

Nel volume Sulle orme di San Francesco apparso nel 1938, sono
illustrati storicamente e artisticamente quei luoghi, dalla Verna a
Montauto e a Montecasale, santificati dalla presenza del Serafico.
Scrisse una Vita della Beata Margherita della Metola, ad esaltazione
della santa creatura, che prima dette vita all’opera pia, alla quale
aveva legato tutta la sua carità di sacerdote esemplare: scrisse tan-
te minori monografie su episodi di storia tifernate e su artisti umbri
o che in Umbria operarono, quali Antonio da Ferrara, Ottaviano
Nelli e Luca Signorelli. Rimase fedele sino all’ultimo alla naturale
inclinazione per la ricerca storico-artistica, che coronò illustrando il
Tesoro di Canoscio in uno studio nel quale tenta di fissare i caratteri
e l'età di quei famosi vasi argentei.

Ma il meglio di lui si spese in un lavoro anonimo che nessuno sa.
Quanta silenziosa abnegazione abbia speso per anni ed anni nella
prima revisione dei testi e degli apparati eruditi, si saprebbe solo, se
si potesse ad uno ad uno far parlare gli studiosiche si giovarono e sì
avvantaggiarono dell'opera sua nella ristampa della monumentale
raccolta muratoriana. Questo lavoro anonimo era più congeniale alla
sua natura di lavoratore modesto e schivo.

Ha voluto che la sua bella e ricca biblioteca divenisse strumento
di lavoro per tutti i suoi cari concittadini tifernati, facendone dono
al Comune, che l'ha incorporata nella preziosa biblioteca civica. Se
la formó con appassionata costanza imponendosi sacrifici: e questa
considerazione accresce a piü doppi quell'alto valore spirituale che
un tal dono ha. E quanti sono spiriti educati a gentilezza, attingeran-
no da quella ricchissima raccolta, prima che luce alla mente, nutri-
mento all'animo e pensieri di memore gratitudine.

Gino FRANCESCHINI

us

ALE ERI
Flea dif n Pnor. PAOLO ORANO

Nato a Roma da famiglia sarda il 15 aprile 1875. Ha insegnato
nei licei dal 1891 a Trani, a Siena, a Roma. Fu chiamato all'Univer-
sità di Perugia per insegnare nella Facoltà di Scienze politiche, in
una cattedra nuova nelle Università italiane, quella di Storia del
giornalismo: le sue lezioni, interessanti per cultura e genialità, furono
"pubblicate, nella loro varia fisonomia, con il titolo « Saggi di Storia
del giornalismo ». .

— ]DellUniversità di Perugia fu rettore dall aprile del 1935 all'a-
prile del 1944. .

Fu pubblicista di intensa attività. Non ancora ventenne, sosten-
ne, nel Diritto, che non si erigesse un monumento a Nicola Spedalieri
autore dei « Diritti dell'uomo ». Il monumento, del Rutelli, fu poi si- -
lenziosamente inaugurato all'ombra della Chiesa di Sant'Andrea
della Valle, in Roma. Tra il 1894 e il 1903, mentre la stampa romana
si rinnovava, fu collaboratore al Fanfulla, al Don Chisciotte, al Fal-
chetto, al Capitan Fracassa, a Vita Italiana, diretta da Angelo De Gu-
bernatis, al Corriere di Roma, edito dal Perino, alla Tribuna, a Rivi-
sta politica e letteraria, diretta da Primo Levi. Fu redattore dell'A-
vanti! nel 1903, pubblicandovi le monografie dei «508 moribondi »
di Montecitorio, diffusissime per la loro vivacità, anche se non sempre
apprezzatissime per una non costante serenità. Nel 1907-1908 fu con-
direttore di Pagine Libere di Lugano, nel 1910 direttore di Lupa di
Firenze, nel 1924-25 fu direttore della edizione romana di Il Popolo
d'Italia. Fu fondatore e direttore della rivista Il Pubblico che
nella sua breve vita fu quasi interamente scritta da lui e dalla com-
pagna della sua vita: Camilla Mallarmé.

E Dal 1925 al 1943 fu collaboratore inconfondibile delle principali
riviste e dei principali periodici italiani, tra i quali, con notevole assi-
duità, del Corriere della Sera.

Tra le sue principali pubblicazioni segnaliamo:
Psicologia della Sardegna (1896), Il Precursore italiano di Carlo
Marx (1899), Il problema del Cristianesimo (1901), Psicologia | sociale
SA EDT YE: NC crm

NECROLOGI ; 237

(1902), I Patriarchi del socialismo (1904), I moderni (1908), I contem-
poranei (1908), Nel solco della guerra (1915), Là spada sulla bilancia
(1917), L'Italia alla conferenza della pace (1920), La rinascita del-
l’anima (1920), Lode al mio tempo (1926).

La casa editrice Pinciana, 1n occasione del DU rantennfo della atti-
vità scientifica politica letteraria di Paolo Orano, pubblicó o ripubblicó:
Mussolini da vicino, Giornale pubblico potere, Le persone: colte, I poeti
‘ed insieme un saggio critico su Paolo Orano di Alfredo di Donno.

Ad attestare la sua notorietà di oratore resta il ricordo di alcuni
notevoli successi: per invito di Domenico Gnoli tenne, nell' Aula Magna
del Collegio Romano, una vibrante conferenza sulla Sardegna; presie-

duto da Luigi Luzzatti, fu memorando il suo duello oratorio (Babel,

Bibel) con Romolo Murri, svoltosi nel Salone della Stampa romana;
vibrantissimi i suoi discorsi per la lotta elettorale in Sardegna nel 1919.

Fu parlatore acuto e brioso nelle sue innumerevoli conferenze e
ira queste possono essere considerate (e tali erano) le sue lezioni alla
Università di Perugia.

Politicamente fu un irrequieto: nel 1903 socialista, nel 1906
sindacalista; nel 1919 animatore del partito sardo d'azione; nel 1924
si iscrisse al partito fascista, alla cui azione non risparmiava negli ul-
timi tempi la sua critica vivace.

Fu eletto Deputato in Sardegna nel 1919 e fu rieletto successiva-
mente nelle legislature seguenti. Fu nominato Senatore del Regno
I'8 aprile. ‘1939. Appartenne, come Deputato, a questa Deputazione
di Storia Patria dal 1936.

Si spense a Padula il 7 aprile 1945. (Cfr: TAipE, Rev. Phis. nov,
1899, dic. 1901; SoreL, Mouvem. Soc. 15-IV-1908; OTTOLENGHI,
Coenobium, gennaio-febbraio 1918; Civiltà Cattolica, 20-V-1915 e
4-XII-1920, Revue Eur. sett. 1923 e ALFREDO di DonnO, op. cil.).

La vita di Paolo Orano, come la vita di ogni uomo, non trascorse
senza ombre; ma resta in coloro che lo conobbero il ricordo della sua
brama incontenibile di nuove conoscenze ed esperienze. Egli fu un
entusiasta e insieme un insoddisfatto. Amò profondamente la vita
e la sentì e predilesse come creazione continua. La stessa intensità di
questo sentimento nocque all’approfondimento dei suoi studi, che
restano tuttavia ad attestare un animo sensibilissimo al moto delle
idee e alla funzione determinante della cultura nel progresso della
‘vita civile.

| SALVATORE VALITUTTI

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Note e Documenti

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Necrologi
A. BERTINI CaLosso, Emanuele Ranieri di Civitella.. . . . . » 226
| A: MUzi, Gerdiberto- Boccolini 228
| A-'BERTINI. GALOSSO, Luigi Petrrangeli; go ARA V». 290 E
| GOBRANGESCHINI, Enrico Glovagnoli 22. 7 7.2 $ 40 a 292 É

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