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BOLLETTINO

DELLA DEPUTAZIONE

DI

STORIA PATRIA

PER L'UMBRIA

VOLUME XLIV

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PRESSO LA DEPUTAZIONE DI STORIA PATRIA
1947

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PROPRIETÀ LETTERARIA RISERVATA

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S. p. A. Arti Grafiche Panetto & Petrelli - Spoleto, 9-1955

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TERZO CONVEGNO STORICO UMBRO

Gubbio, 14-15 maggio 1947
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LE TAVOLE DI GUBBIO NEL QUADRO

DEGLI STUDI DI STORIA ITALICA

1. La nozione moderna di « storia italica » risale a uno scritto di
U.v. Wilamowitz, uscito, oltre venticinque anni or sono in Ita-

lia (1). Gli ho dato una risposta involontaria io stesso, pubblicando

gli Antichi Italici (2), che hanno visto ora la Iuce in uua seconda edi-
zione (3). Ma la mia risposta era parziale. Lo sguardo del Wilamowitz
sì rifaceva piuttosto al quadro delineato nel secolo scorso dal Mi-
cali, che comprendeva tutta l'Italia non romana, e cioè ante-
riore alla conquista romana (4); il mio lavoro si limitava a
un’Italia vista con occhio «italico », nel senso di Tosco-umbro.

In questa pubblicazione che si riannoda, sia pure a qualche anno
di distanza, al cinquecentesimo anniversario della scoperta delle Ta-
vole iguvine, mi riprometto di delineare il problema da un angolo
visuale ancora più ristretto, quello iguvino; di definire l'apporto delle
Tavole di Gubbio alla visione del problema, e insieme di sottolineare
alcune posizioni nuove che nella seconda edizione degli Antichi Ita-

lici non hanno potuto ancora essere formulate. La storia della sco- .
perta e della interpretazione delle Tavole è cosa nota: mi basta ri-.

mandare a quanto ho avuto modo di esporre nelle Tabulae Iguvi-
nae (5). L'imbarazzo degli alfabeti, prima ancora che della lingua,
appare sin dalle prime notizie: quelle dell'atto di vendita delle Ta-
vole (1456) che parla di «lettere latine e ignote » (6); di Leandro Al-
berti (7) (1550) per il quale « non si puó intendere sentenza di quelle

(1) «Rivista di filologia », 54 (1926), p. 1 sgg.

(2) Firenze 1931. ;

(3) Firenze 1952.

(4) L'Italia avanti il dominio dei Romani (1*9 ed. Firenze 1810, cfr. Pr-
SANI « Rivista indo-greco-italica », 16 (1932) 90. I

(5) (22 ed., Roma 1940), p. 5 sgg. e cfr. le mie Tavole di Gubbio .(Fi-
renze 1948). i

(6) v. ConEstTABILE, Giornale di erudizione artistica, (1873), p. 177-181.

(7) Descrittione d'Italia, (Bologna 1550) p. 79 sg.

T2
8 T TERZO CONVEGNO STORICO UMBRO

(Tavole), avvenga che si leggano »; dell’ipotesi di Antonio Con-

cioli (1673) che riferiva contenere esse, a detta di molti, le leggi

dei primi re della regione (1).

I problemi storici si delineano press'a poco nel modo seguente.
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- Paolo Merula (2) (1621), riconoscendo la differenza di grafia fra Ta-

vole scritte (come oggi sappiamo) in alfabeto indigeno di origine etru-

sca e in alfabeto latino, adopera per le primela nozionedi lettere.

. «greche rovesciate » e di lingua «eolica » (citando di altri quella

di «lettere e lingua etrusca »), per le seconde di lettere « latine » e di
lingua « etrusca ». A quasi due secoli dalla scoperta, se si era potuto
fare qualche passo dall'oscurità degli inizi, non si era dato vita at-
traverso le Tavole a nessun concetto positivo nuovo: latino greco ed
etrusco eraho i tre poll sui quali si fondava la scienza dell’antichità
classica.

Gli sforzi per uscire da questi schemi e per creare del nuovo non
sono stati senz'altro felici. Termini di confronto paradossali furono

cercati nelle lingue olandese (3) e persino punica (4). Ad essi si con--

trapponevano, senza speciale vantaggio, atteggiamenti ipercritici
come quelli di C. De la Croze (5) o di Alberto Fabricio (1722)
(6) che parlavano delle Tavole c come di cose sospette o addirittura
apocrife.

: Soltanto Filippo ori pubblicando l’opera De Etruria
regali di Tomaso Dempster (scritta fin dal 1619) (7), introdusse in-
direttamente la nozione autonoma di lingua umbra sia pure ac-
canto a quella di osca retica e falisca, e subordinandole non corret-

‘tamente tutte e quattro all’etrusca. Dalla parte opposta Scipione

Maffei osservava esattamente che « il linguaggio delle scritte in carat-
teri etruschi... parve... accostarsi più all’idea delle scritte in latino
che all’etrusco » (8), sviluppando così per primo l’autonomia della

(1) Cito dalla 2* ed. degli Statuta civitatis Eugubii, (Gerona 1685), i
troduz. c. 2.

(2) Cosmographia generalis (Amsterdam 1621), P. II, 1. IV, p. 867.

(3) A. v. SknrEck Originum rerumque celticarum et belgicarum 1. XXIII.

(4) V. E. SPANEMIO, De praestantia et usu numismatum antiquorum, |

(Roma 1664), p. 52.
(5) « Bibliotheque italique: », 18, 5.
(6) « Bibliotheca latina », 3 (1722), 886.
(7) De Etruria regali, (Firenze 1723).

(8) Ragionamento sopra gli itali primitivi nella Istoria diplomatica, (Man-

tova 1727), p. 242.
TERZO CONVEGNO STORICO UMBRO - - 9

nozione linguistica di umbro da quella di etrusco. D'altra parte

- non osava battere strade nuove, continuando a usare il termine di
«pelasgo » come elemento di confronto. i

L'affermazione decisiva risale invece all'abate G.B. Rasa, che
scriveva nel 1739, nella XII « Lettera roncagliese » (1): «intorno a
questa disparità di opinioni io produrrò la mia... Sapete voi in che
lingua sono esse scritte ? in lingua Gubina antica ». L’individuazione
linguistica è il primo risultato di questi sforzi. 3

2. Autonomia non vuol dire mancanza di collegamento. Così,
rispetto alle altre lingue dell’Italia antica, la lingua osca, conosciuta
di nome sin dal ’500, (2) compare nella citata opera del Dempster
come legata, sia pure in modo imperfetto, alla umbra. Nel 1752 si
pubblicava il « Cippo Abellano » (3), che il Gori e altri consideravano

ancora come etrusco (4), mentre il Passeri, ancora una volta a ra- -
gione, ne metteva in valore gli elementi latineggianti (5). Finalmente

nel 1789 il Saggio dell'Abate Lanzi (6) elaborava una genealogia
ancora imperfetta delle lingue italiche, ivi comprese le minori come la
volsca, sia pure imparentandole con l’etrusco, e insieme, e in diversa
misura, con il latino e il greco.

. La delimitazione definitiva dei rapporti fra le due nozioni di
umbro e di etrusco; adombrata già dal Buonarroti e dal Maffei, fu
operata da C.O. Müller (7) nel 1828. Dall’altra parte la precisa-
zione degli ultimi valori alfabetici, per opera di Riccardo Lepsius (8)
nel 1833, eliminò gli ultimi dubbi intorno alla presunta duplicità di
lingua, parallela alla duplicità degli alfabeti. L'inquadramento delle

Tavole iguvine nel campo dell’Italia antica divenne Anne: se-.

condo risultato acquisito dalla ricerca.
3. Continuavano intanto le scoperte di monumenti di lingua osca:

(1) «Raccolta di opuscoli scientifici e filologici editi da A. Calogerà »,
26 (1739), 245.

(2) « Altra cosa era la lingua latina, altra la... osca » secondo Angelo Co-
locci, v. MIGLIORINI nella Questione della linguiti in «Problemi e orientamenti
di storia letteraria» a cura di A. MomigLIANO (Milano 1948) p. 21.

(3) PASSERI, « Memorie della Società Colombaria », 2 (1752) p. 3-16.

(4) Idem «I. c.» 6 sgg.

(5) Idem «I. c.» 4 sgg.

(6) Saggio sulla lingua etrusca e altre antiche d'Italia, (Roma 1789).

(7) Die Etrusker, (1% ed. Breslaria, 1828), I. Abt., pag. 49 sgg.

(8) De Tabulis eugubinis, (1833).
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10 ; TERZO CONVEGNO STORICO UMBRO

nel 1796 la prima iserizione pompeiana, nel 1797 quella di Vibio
Adirano sempre a Pompei, nel 1848 la grande Tavola di Agnone (1).

Si scoprivano nuove varietà dialettali attraverso il Bronzo di Ra-
pino (2), documento della lingua dei Marrucini e quello di Antino
(3), testimonianza della lingua dei Marsi. Si compieva poi l’elabora-
razione filologica dei trovamenti attraverso gli Unteritalische Dialekte
del Mommsen (1850) (4) e i « Monumenti » antico-umbri di Aufre-
cht e Kirchhoff (1849-1851) (5). Le Tavole iguvine, accompagnate
da alcune brevissime iscrizioni, fra cui significativa solo una di Assisi,
avevano in questi la loro consacrazione antiquaria, come .docu-
mento fondamentale, di un rituale religioso, unico, non solo per
quanto riguarda la religione umbra, ma anche per le religioni del
mondo classico, cosi latino come greco. Il nucleo dell'interpretazione
ormai assicurata, costituisce la terza tappa del loro cammino nella
storia, a metà esatta dell'ottocento.

4. La pubblicazione ela ragionevole interpretazione dei documenti
consente a sua volta inquadramenti piü vasti e ricostruzioni compa-
rative più solide. Mentre.i lavori, pur ricchi di conoscenze e confronti,
di Ch. Lassen (6) e G. Grotefend (7) non avevano dato risultati con-
sistenti e la grammatica del Bopp, nella sua prima edizione, non dava
parte di rilievo ai materiali.delle Tavole di Gubbio, ecco che invece
nella seconda (8),e poi nel famoso. Compendium (9) di A. Schlei-
cher, del 1861, le lingue osco-umbre compaiono, a parità di diritti,
col latino, a costituire quella unità italica comune, conquista caratte-
ristica della seconda metà dell'ottocento. -

.Essa ha avuto la sua consacrazione tecnica nei « caratteri » che

(1) « Bullettino dell'Istituto di corrispondenza archeologica », 1848, 145.
(2) MommoEN «Annali dell'Istituto », 18 (1846) 82-98, 356-7. -

(4) ROMANELLI, Antica Topografia del regno di Napoli, III 231.

(3) (Lipsia 1850).

(5) Die Umbrischen Sprachdenkmdiler, (Berlino 1849-1851).

(6) Beitráge zur Deutung der eugubinischen Tafeln, (Berlino 1833).

(7) Rudimenta linguae Umbricae, (Hannover 1835-1839).

(8) Vgl. Grammatik des Sanskrit, Zend, Griechischen, Lateinischen, Goti-

schen und Deutschen, (Berlino, 1833-1857); 2* ed. (Berlino 1857-1863): cito dal- .

la trad. francese (Parigi, I, 1866), p. 370, 383 sg., 418 sgg., 434 sgg.

(9) Compendium der vgl. Grammatik der idg. Sprachen. I Kurzer Abriss
einer Lautlehre der idg. Ursprache, des Altindischen... Altitalischen La-
teinischen Umbrischen Oskischen..., Weimar 1861; per es. a p. 219-225 sul
consonantismo dell'umbro e dell'osco.

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TERZO CONVEGNO STORICO UMBRO 11

il Grundriss del Brugmann attribuiva nella sua seconda edizione, del
1897, all'italico, diviso nei due rami di latino e osco-umbro, quale
era stato riconosciuto fino dalla 1? edizione (1) 1) en, em da n, m;
or, ol da r l; —kl- da —tl-; f- da dh; -th- da -dh-; —- da s inter-
vocalico; abl. sg. non solo in —od, ma anche in —ad —ed —id; strum.
pl. in —ais sul modello di ois; som 'sum' al posto di esmi.

Essa é stata consolidata dalla accurata riedizione di tutti i mo-
numenti da parte di R. S. Conway (2), appare nel pieno fulgore nella
grammatica del Planta (3), e cosi é presupposta o affermata nella
attività di un epigrafista come J. Whatmough (4).

La sua consacrazione finale dal punto di vista lessicale le è ve-
nuta dal vocabolario di F. Muller (5) nel 1926.

Le testimonianze delle Tavole di Gubbio irradiano, ora, sia pure
attraverso la finzione di una lingua italica comune, in tutto il mondo
indeuropeo. Con il contributo essenziale dato alla elaborazione del
concetto di italico comune, si chiude il periodo classico, il quarto,
della storia degli studi intorno alle Tavole di Gubbio.

5. Il lento cammino percorso dal 1444 al 1861 dagli studi di filo-
logia umbra e dalla nozione di «italici » é stato percorso piü tardi,
in modo parallelo ma con un ritmo piü rapido, dagli studi di archeo-
logia preistorica.

Luigi Pigorini, cominciando a elaborare i dati delle scoperte
preistoriche della Valle Padana intorno al 1870, si rifaceva a nozioni
storiche e linguistiche e, immaginando una corrente etnica e culturale
che dalle regioni nord-orientali d’Italia (e da focolai originarî più re-
moti) era discesa all’Italia Centrale, li associava a una nozione an-
cora coniate di popoli italici, fra i quali erano compresi anche gli
etruschi (6).:

Alcuni decenni più tardi Edoardo Brizio (7), identificando la

(1) Grundriss der vergl. Grammatik der idg. Sprachen (I, Strasburgo 1886),

8 sg.,cír..2: ed. I (ib. 1897). 13.
(2) The Italic Dialects, Cambridge 1897.
(3) Grammatik der osk-umbr. Dialekte, I-II (Strasburgo 1892-1897).
(4) « Language » 27 (1951) 81 sg.
(5) Altitalisches Worterbuch (Gottinga 1926).
(6) Per es. Gli abitanti primitivi dell’Italia in « Atti della III Riunione

della Società Italiana per il progresso delle Scienze» (1910), p. 40 (dell'e-

stratto) per il termine « Italico », p. 5 per «etrusco ».
(7) Bnizio, Epoca preistorica, (Milano 1898).
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12-- Si TERZO CONVEGNO STORICO UMBRO

civiltà del ferro a Bologna con gli umbro-latini, e attribuendo tut-
t'altra origine agli etruschi, si metteva in linea con le formulazioni
classiche della grammatica comparativa del tempo. Gubbio, non le-
gata a-trovamenti preistorici se non attraverso le stazioni di Nocera
Umbra, Gualdo Tadino e Fabriano (1), si inseriva in un quadro non
molto dissimile da quello dei trovamenti dell’Esquilino a Roma (2);

veniva precisata e insieme inquadrata in uno spazio più ampio an-

che dal punto di vista antiquario. Ma l'archeologia, arrivata tardi
sul solco della linguistica, fu anche la prima ad approfondirlo e per-
fezionarlo. Federico von Duhn (3), rendendosi conto delle testimo-
nianze della civiltà del ferro in Italia, così eterogenee, introdusse una
distinzione capitale nella nozione, da tutti accettata, di Italici in quan-
to umbro-latini; e, in base al rito funebre, distinse italici «incineratori »
(o latini) venuti dall'Italia del nord, e italici «inumatori » o umbri
(osco umbri), disposti a oriente e a mezzogiorno dei primi. La regione
di Gubbio non conosceva da questo punto incertezze, non faceva so-
spettare passaggi da un tipo all'altro: era francamente inumatrice,

e confermava secondo i termini del Duhn di non essere latina.

È un primo arresto — benefico — nel processo di generalizzazione

che gli studi umbri seguivano da secoli. Esso ne Ta BpXespubd la

quinta fase.

6. Palin r iu. linguistica dl Tavole di Gubbio
cominciò ad apparire ad alcuni studiosi, del restò non rivoluzionarî,
sotto luce nuova. Già nel Manuale del Buck (4) appaiono scrupolo-
samente elencate le forme umbre che non trovano corrispondenze
non solo in latino, ma nemmeno in osco. Con chiarezza e compostezza,
il Kretschmer sottolineò la profonda differenza fra l'armonia inter-
dialettale greca e la disarmonia italica (5).

Nel 1931, la prima edizione dei miei Antichi Italici arrivava alla
conclusione estrema, di un «ramo » italico o osco-umbro, diverso e
indipendente da quello latino, nel quadro della comunità linguistica (6)

(1) DuHN, Îtalische Graeberkunde I, (Heidelberg 1924), 454 sgg.

(2) .DuUuHN, o.c., 470 sgg.

© (8) Duuw, o.c., 116 sgg. 437 sgg. i | i

(4) Elementarbuch der osksch-umbrischen Dialekte, (Heidelberg 1905),
p. 15 sgg.

VS) Einleitung in die Altertumswissenschaft, I, 3% ed. (Lipsia-Berlino

1927), 103 sgg. È

(6) Gli antichi italici, I. ed. (Firenze 1931), 48 sgg.

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TERZO CONVEGNO STORICO UMBRO 13

indeuropea. A questa tesi aderivano due studiosi italiani, V. Pisani
e G. Bonfante (1). Pure non seguendo il Duhn nella ripartizione
(2) dei territori « umbri » e.« latini », il parallelismo delle due scienze,
che riconoscevano entrambe due distinti filoni, poteva dirsi raggiunto.

Tuttavia l'affermazione della autonomia del filone umbro (e

osco) non è fine a se stessa né così rivoluzionaria come potrebbe pa-

rere a prima vista. Essa sottolinea le differenze fra l'umbro e il la-
tino, ma attenua quelle fra l'umbro e l'osco. È un'interpretazione
ramificatoria come le altre: non puó essere considerata definitiva.

Nello:stato attuale della scienza non si tratta di discutere se la
lingua delle Tavole iguvine deve concorrere, anziché alla ricostruzio-
ne di una lingua italica comune, a quella di un « proto-osco-umbro »,

nell'ambito delle teorie ramificatorie tradizionali già sottoposte a cri-

tica da ottant'anni (3). Si tratta di riconoscere che:

a) nello svolgimento di una lingua come nello svolgimento di
una società si alternano periodi di disgregazione e periodi di accen-
tramento;

b) l'argomento da silenzio non rende piü probabile la disgrega-
zione che l'accentramento;

c) nella espansione di una lingua esistono, accanto a svolgimenti
spontanei, svolgimenti dati dall'ambiente, proprio come nello svol-
gimento degli istituti giuridici c'è una spinta interna spontanea e una
spinta esterna degli eventi.

Così stando le cose, la domanda cui si deve rispondere non è
se «in base alla grammatica del Buck » (4) le somiglianze fra i dia-
letti osco-umbri e il latino sono molte o poche, ma se le somiglianze

‘ sono in generale più antiche delle differenze (e perciò atte a giustifi-

care un procedimento di separazione) o se le differenze sono più an-
tiche delle somiglianze (e perciò atte a giustificare un processo di

.... (1) PISANI, Studi sulla preistoria delle lingue indeuropee in « Mem. Acc.
Lincei», VI, IV (1933), 613 sgg.; BonFANTE, I Dialetti indo-europei, « An-
nali dell'Istituto orientale di Napoli », 4 (1931), 179 sg.

(2) Perché l’area incineratrice coincideva con l’area latina solo in Ro-

ma, e per il resto ricopriva l’Etruria, cioè un’area non indeuropea.

(3) J ScHMIDT, Die Verwandtschaftsverhdltnisse der idg. Sprachen, (Wei- .
mar 1872); Banrorr, Introduzione alla neolinguistica (Ginevra QN

(4) v. WHATMOUGH, «Language» 27 (1951) 82.
Tg neptem

14 TERZO CONVEGNO STORICO UMBRO

livellamento). Chi guardi anche la sola introduzione del Buck (1)
ha proprio l'impressione favorevole álla prima ipotesi. .

Le Tavole di Gubbio mostrano alcune serie divergenze lessicali
che non consistono solo nella presenza in umbro di parole Che il la-
tino «potrebbe aver perduto ».

Festo ner ‘maggiorente’ (come &vfp greco), Uero * porta. della
città ' (come lit vartai), nertro ‘sinistro ' (come gr. véprepoc) furfa —
‘tavoletta’ (come nell'anglosassone bord) potrebbero essere state
patrimonio (andato poi perduto) anche dei latini. Ma le sostituzioni
rispettive di vir, fores, sinister, mensa n on sono sostituzioni locali,
sono elementi ereditati.

A maggiore ragione fofa (‘civitas’ come in irlandese, gotico,
baltico), in latino significa * tutta *; l'equivalente di pir (* fuoco ' come
in greco e germanico) significa in latino ‘puro’, mentre ‘fuoco ' in
latino si dice ignis (come in lituano slavo e sanscrito); l'equivalente
di utur (* acqua ' come in greco) è unda, mentre ‘acqua ' si dice in
latino aqua (come in gotico); l'equivalente di mers (* diritto ’) è * mo-
dus' mentre ‘diritto ' è ius in latino; l'equivalente latino di vepur
(* parola ' come in greco) (2) è vor, mentre * parola ' si dice verbum.

Nella morfologia si ha certo una vera innovazione comune con
la sostituzione del pronome relativo yo con la famiglia di quo qui”.
Ma il perfetto del verbo si fonda in latino sulla sopravvivenza di
aoristi e perfetti mescolati: dixit, antico aoristo, vidit, antico per-
fetto. Non così in osco umbro, dove si hanno nuovi perfetti in u
in osco, in nky, in lin umbro, oltre al perfetto perifrastico in f.

Gli aoristi sigmatici, che si conservano in greco e in sanscrito,
(e in latino si sono confusi con altre formazioni per indicare dei per-
fetti) sopravvivono in osco solo come imperfetti del congiuntivo,
del genere di quelli latini es-se-t, foret. pr

Non minore è il distacco nel caso degli ampliamenti del verbo
in f (b in latino) (3). Essi determinano dei futuri anteriori umbri
come (an)dirsafust, che significa * cireumtulerit ' con una formazione
che in latino avrebbe dato « (circum)da-b-it »; e come (ambr)efurent
che significa * ambierint ' con una formazione che in latino avrebbe
dato (amb)i-b-unt e cioé un futuro semplice; oppure dei congiuntivi

(1) Pagg. 14-20 dell'edizione tedesca, Elementarbuch der. oskisch-umbri-
schen Dialekte cit.
(2) Vedi le mie Tabulae iguvinae (2* ed., Roma 1940), p. 348.
.(3) PLANTA, Vgl. Gramm. der osk-umbr. Dial., II, 340 sg.

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TERZO CONVEGNO STORICO UMBRO 15

perfetti passivi (her)ifi: ‘oportuerit ' e pihafi * piatum sit’ che in la-
tino avrebbero dato (opor L)e-b-il e pia-b-it e cioè, ancora una volta,
dei futuri.

L'ampliamento in f dell'unico imperfetto conosciuto si trova
in osco, ma anche questo in un verbo come fufans, cui corrisponde
in latino un imperfetto non in db come erant. E la terza porous plu-
rale del verbo sostantivo è sent che corrisponde al greco siot, e al te-
desco sind, ma non al latino sunt con la vocale o.

Sulla stanca posizione tradizionale insistono molti studiosi re-
stii a rimettere in discussione criteri tradizionali, e persino uno stu-
dioso, in tante occasioni cosi coraggioso, come F. Ribezzo (1) ancora
pochi anni orsono riaffermava la sua fede ramificatoria. M. Lejeune,
dopo avere insistito su queste posizioni (2) nell’ultimo suo scritto
(3) immerge e per così dire dissolve invece il «ramo» italico in
uno spazio più ampio, del quale entra a far parte il venetico.

-. Irriducibile rimane l’atteggiamento negatore di J. Whatmough
(4) per il. quale il Lejeune avrebbe dovuto passare sotto silenzio le
idee diverse dalla teoria italica tradizionale.

Egli dimentica che una teoria scientifica non può stare sulla
difensiva passiva, non ha mai posizioni definitivamente consolidate,
ma deve sapere contrattaccare, giustificandosi con argomenti Vaud,
incessantemente. ba

Comunque, le Tavole di Gubbio, nell’attuale fase degli studî,
non consentono che si consideri la nozione di italico comune come
cosa ovvia. .

L'arresto nel processo di generalizzazione non é dunque soltanto

archeologico ma anche linguistico, in questa sesta fase della ricerca.

7. Non solo le differenze fra umbro e osco sono notevoli: ci sono
casi in cui il solco fra umbro e latino é minore che fra umbro e
osco.

Il rotacismo è più intenso in umbro perché esteso alla posizione
finale, meno esteso in latino perché escluso dalla finale, manca del
tutto in osco. Dunque genetivi plurali in -arum si trovano in umbro
come in latino (in osco: azum); dativi in er si trovano solo in umbro

(1) «Riv. indo greco italica », 16 (1932) p. 27-40.

(2) La posicion del latin en el dominio indoeuropeo, (Buenos Aires 1949).
(3) «Bulletin de la Société de linguistique» 49 (1953) 52 sgg. spec. 55.
(4) «Language» 27 (1951) 82.
16 TERZO CONVEGNO STORICO UMBRO

contro il latino -is e l'osco -ois. Non si tratta di una ramificazione

ma di un'onda rotacizzante, irradiante in età relativamente recente

dall'Umbria, come ha mostrato da oltre vent'anni B. Terracini (1).
I dittonghi sono scomparsi in umbro, in corso di eliminazione
in latino, durano ancora integri in osco, in età storica. La situazione

è analoga: ma in questo caso l'ambiente protolatino, cui i dittonghi

oscuri si sono sovrapposti, ne ha forse favorito la conservazione,
mentre a Roma, sotto la pressione sabina, essi avrebbero comin-

ciato a modificarsi. Il dativo ablativo plurale che in latino e osco.
parte da una forma i-b h o s p. s. lat. (leg)ibus osco (lig)is, ino

umbro parte da o-bhos, per es. (fratr)us: lat. (fratr)ibus, con una
novità ingiustificata che non si estende fuori dell'umbro.

Invece la congiunzione ef, umbra oltre che latina, rappresenta
la sovrapposizione di un tipo latino a uno precedente enem che
sopravvive in osco, e un tempo doveva essere stato anche umbro.

" Queste. differenze non provano che le differenze tra umbro e
osco siano eccezionalmente forti, ma che la barriera linguistica fra
umbro e latino in tempi più recenti si è ridotta, ed è LG al
massimo di natura «dialettale ». | ;

Che i rapporti fra l’ambiente culturale umbro e quello romano
sì siano continuati in una forma per lo meno di comprensione e di

-traducibilità (che non vuol dire identificazione) appare anche dalle

vicende ulteriori, in piena età storica, quando i rapporti fra Roma
e la Sabina e l'Umbria, sono assai meno movimentati o ostili di quel
che non siano stati con il Sannio: l'inserimento della Sabina e del-
l'Umbria nel mondo romano è stato quasi spontaneo. |
Appunto per questo non è possibile mettere in una unica cate-
goria di «imprestiti », quelle parole umbre che, anche secondo la gram-

matica tradizionale, non entravano nel quadro delle leggi fonetiche

e dei TIRO di parentela accettati. Fra parole ereditate e parole as-
sunte c’era sì un solco, così interno come esterno, che non può essere
però attribuito genericamente all'ultimo. millennio avanti Cristo (2).

A loro. volta schemi umbri si sono imposti per esempio a Fa-
lerii, dove una forma come carefo nón può essere interpretata se non

.come opposta (ma insieme traducibile) rispetto a una forma preesi-

stente di tipo latino come carebo (3).

(1) « Studi etruschi», 3 (1929), 228 sgg.
(2) LEJEUNE, 0.c., p. 18.
(3) Vedi i miei Antichi Italici (2° ed. 1), p. 100.

Pe FROST II

ZII
TERZO CONVEGNO STORICO UMBRO 17

Questi scambi non esauriscono quei fatti fonetici e lessicali che
la teoria italica-comune non riesce a spiegare; ma si distribuiscono
singolarmente in un periodo di tempo che corrisponde all'età regia
e alla prima età repubblicana a Roma. Un magistrato umbro, che
serve fra l’altro a indicare le date, si chiama kvestur * questore’ con
parola di evidente fonetica latina (la forma umbra sarebbe stata
* pestur); e qui sono tutti d'accordo nel ritenere la forma un imprestito
recente. Ma anche Kk e b u * resto di cibi’ ha fonetica diversa dall'um-
bra, che esigerebbe invece cebu. D'altra parte una derivazione re-
cente sembra poco giustificata: essa appare determinata, piuttosto
che da un prestigio romano, da una convivenza e da una consuetudine,
e quindi deve essere leggermente piü antica.

Tipi come f amer'ia, carsitu, pumper'ias non hanno nes-
süna attinenza con modelli romani dal punto di vista della loro di-
scendenza o subordinazione: ma hanno un valore di contrapposi-
zione, se si pensa che, regolarmente, avrebbero potuto essere *famelia
*calitu, evidentemente più vicine alle forme latine ‘familia’ e ‘calato’;
oppure *pumperias con r normale, evidentemente piü confrontabile
con il latino quincuriae. Il suono nazionale r' ha un senso di ribel-
lione, di indipendenza polemica, di fronte a modelli latini che non
si vogliono imitare, ma peró facilmente tradurre.

Questo processo di avvicinamento distribuito nel tempo non lo
si prova solo con argomenti linguistici, ma anche con argomenti sto-
rico-culturali. |

Da una parte una Koiné culturale vera e propria, gravitante in-
torno al Lazio centrale nel sesto secolo avanti Cristo, è stata illustrata
efficacemente da S. Mazzarino (1). Dall'altra, é innegabile in tem-
pi piü recenti l'irradiazione di modelli e di schemi stilistici romani
che, anche quando Roma rispetta le autonomie locali, a poco a poco
pervade singoli ambienti. :

Fondarsi sul Cippo Abellano per attribuire agli Italici nelloro
insieme l'introduzione del costrutto indiretto libero, avrebbe un sen-
so solo se il Cippo Abellano fosse del 500 a. C., quando Roma era
linguisticamente una piccola oasi senza capacità di irradiazione.
Ma esso è del 11 secolo, quando nel territorio campano la penetrazione
romana era intensa (2): così per la Tavola Bantina, che è della fine

(1) Dalla Monarchia allo stato repubblicano, (Catania 1945), p. 5 sg. 83,

134.

(2) BeLocH, Rómische Geschichte, (Lipsia 1926) 587 sg. 18 TERZO CONVEGNO STORICO UMBRO

del II secolo cosi per gli altri principali monumenti della lingua
osca: proprio perché sono relativamente tardi, poco provano le loro
somiglianze col latino. Molto provano invece le differenze, perché
resistono in mezzo a un processo di sommersione generale, lin-:
guistica, politica, culturale.

- Il compito attuale della ricerca intorno alle Tavole di Gubbio
consiste dunque iri una critica approfondita, libera dagli etimologismi
tradizionali, e in un inquadramento razionale nell'ambiente culturale
del tempo. Lasciate le genericità ottocentesche, non si evitano certe
rigidità e certi particolarismi propri del novecento. |

Dopo un periodo alternante di dare e avere dall’viti al rr sec.

«a. C., comincia col rir secolo a prevalere la moda romana, in una dire-

zione unica: tale il settimo punto su cui ci si sofferma a proposito
della storia della cultura, quale appare attraverso: gl’insegnamenti

. delle tavole di Gubbio.

8. Le Tavole interessano però anehe per gli indizi di sedi. ante-
riori a quelle di Gubbio, a Atiedio (oggi Attiggio) sul versante adria-
tico: il problema delle origini lontane non si evita.. i

- Al di fuori dei dati linguistici, il processo di indeuropeizzazione
può essere ricostruito oggi in forma assai più concreta e complessa
di quanto non apparisse agli archeologi di 50 anni or sono, e ai lin-

guisti tradizionalisti contemporanei. Dalla regione danubiana l'I-

talia è stata raggiunta da correnti culturali e commerciali che hanno
preparato la strada alla successiva CONI AOLO da y di pe
coli ma organizzati nuclei indeuropei.

Oltre agli accenni antichissimi di queste correnti nell Italia me-
ridionale, e nell'Italia settentrionale, sono da mettere in prima linea
i trovamenti piü recenti e importanti di Cetona e Rinaldone nell Ita-
lia centrale (1). |

Di una colonizzazione balcanica vera e propria, e cioé indeuro-
pea non si può ancora parlare se non nella Apulia (2). Ma a questa

prima affermazione ne segue una seconda, caratterizzata essenzial-

mente dal rito funebre dell'incinerazione, che procede da nord, a
sud, con una complicazione assai diversa dalla semplicità ammessa .

‘ nell’ottocento. Altro sono i campi di urne di Pianello o di Timmari

. (1) LAvIOSA-ZAMBOTTI, Movimenti culturali ed etnici in Italia . . . in
« Rivista d'Antropologia ». 37 (1949) p. 16 sgg. dell'estratto..
(2) KascHNITZ, Handbuch der Archdologie, II (Monaco 1950) 356 © -
TREZO CONVEGNO STORICO UNBRO 19

altro i sepolcreti già dell'età del ferro ‘a Terni o a Tarquinia (1). Fi-
nalmente, una terza corrente di carattere militare, e a rito funebre.
inumatore, appare soprattutto sulle coste adriatiche marchigiane,
e di là si diffonde verso il mezzogiorno (2). :

L'indeuropeizzazione vera e propria dell'Italia consiste dunque :
in una prima affermazione in Apulia che si spinge verso il nord, ar-
rivando linguisticamente fino a Roma e a Falerii, e culturalmente
penetrando in Etruria con la civiltà delle tombe a fossa. Segue una
seconda affermazione, che si inizia con.l’età del bronzo e porta nuclei
isolati di lingua imprecisata soprattutto in Etruria, mentre afferma
‘il rito funebre a Roma. Segue infine una terza, in piena età del ferro,
che si svolge piuttosto sul versante adriatico, senza costituire peral-
tro ancora un parallelo Archeologico esatto dell’espansione tradizio-
nale da nord a sud.

. Di questa fa parte Gubbio. Ed ecco che dopo due secoli: di
E a distinguere e a sottolineare l'individualità delle testi-
monianze iguvine nei riguardi di etruschi latini e sanniti, si inizia
un secondo periodo che sottolinea invece certi tratti comuni al-
l'ambiente linguistico e culturale italico. ;

Certo, è ancora diverso l'atteggiamento di chi, come il Besler (3).
vede una «grande Italia» veneto-osco-umbro-falisco-latina, che con
landar.del tempo si ramifica nelle piccole Iralie linguisticamente
divise, e la visione mia di tre correnti culturali la protolatina la
‘ osco-umbro e la proto-italica (e veneta) che col tempo si avvici-
nana se proprio non si fondono (4).

.Ma sarebbe un atteggiamento di particolarismo eccessivo quello
che, volto tutto a individuare il mondo linguistico umbro, sorvo-
lasse sulle connessioni che volta a volta a) lo immergono nel mon-
‘do linguistico circostante, con le desinenze dello strumentale-dativo-
ablativo plurale in-bh-; 5)lo uniscono al veneto e al mondo celto-
britannico nel trattamento con a. delle nasali sonanti; contro
quello latino e celto-gaelico che hanno e; c) lo uniscono al greco nel
trattamento uniforme delle consonanti aspirate contro il latino
e il veneto che le trattano diversamente all’iniziale e all’interno.

(1) KASCHNITZ, 0.c., 364 sgg.

(2) KASCHNITZ, 0.C., 391 sgg.

(3) The Venetic Lanquage. (« Univesity of California pubblications in
linguistics » IV - I, 1949).

(4) v. i miei Antichi Italici cit. 65 sgg. -

WEI GRE
20 TERZO CONVEGNO STORICO UMBRO

E dunque probabile che le ricerche dei prossimi decenni si fon-
dino su uno schema etnico e linguistico tripartito, dal quale, varia-
mente mescolate e alternate, sarebbero derivate non solo

le lingue storiche, ma anche le infiltrazioni indeuropee in ambienti

estranei come l'etrusco; senza pretendere che tutto ciò che è lati-
no sia venuto dal sud, ció che é osco-umbro dal centro, e ció che
viene dal nord debba essere già definito linguisticamente come
* illirico ' o in altro modo.

Nel considerare le vicende degli antichi umbri, cristallizzate
nelle Tavole Iguvine ma precedute da complesse correnti e seguite
da un processo di ambientamento nel mondo italiano e romano,

sta la ottava conclusione del presente studio, il succo a mio avviso
della ricerca contemporanea.

GriAcoMo DEvoTO
L'URFETA IGUVINA
E ALCUNI RISCONTRI INDOEUROPEI

Nella seconda delle Tavole Iguvine (II b 21-29) é descritto il
sacrificio di un vitello a Giove Padre, un sacrificio privato a pro' della
gente Vovicia dei Fratelli Atiedii. L'offerente doveva pronunciare
una dichiarazione solenne dicendo: « Giove Padre Sacio (anche altrove
nelle Tavole Iguvine compare Iupater con l'epiteto di Sace), io mi
metto a tua disposizione con questo vitello votivo ». Tre volte il vi- .
tello doveva essere dichiarato sacro, tre volte doveva essere dichia-
rato votivo. Nel fare questa dichiarazione l'offerente doveva tenere
in mano un oggetto designato col nome di urfeta (II b 23 urfeta
manuve habetu). Seguono altre indicazioni per le ulteriori modalità
del sacrificio.

Urfeta corrisponde, con sufficiente approssimazione linguistica,
al latino orbita, e si suole tradurre con ruota (G. DevoTo, Le tavole
di Gubbio, Firenze 1948, 63). Sarà stata, verosimilmente, una ruota
simbolica. Che cosa eventualmente simboleggiasse, che senso avesse
il tenerla in mano in quel momento, non risulta dal testo. Soltanto
indirettamente possiamo giovarci di riscontri con oggetti e situazioni
rituali simili.

I riscontri più prossimi sono forniti dall’antica religione romana.
Si sa da Livio (VIII 20) di certi dischi di bronzo (orbes aenei) conser-
vati nel sacellum del dio Semo Sancus sul Quirinale, che erano stati
fatti (329 a. Cr.) con l’aes ricavato dalla confisca dei beni del tradi-
tore Vitruvio Vaeco al tempo della guerra contro Privernum. Nello
stesso santuario si conservava il documento del foedus Gabinum (Dion.

Halic. IV 58), cioè del patto d'amicizia concluso con Gabii da Tar-

quinio il Superbo dopo la presa della città; il testo era scritto sopra
la pelle di un bue sacrificato in quella circostanza, e la pelle era stesa
sopra uno scudo (anch'esso rotondo ?) di legno. Il dio Semo Sancus
si chiamava anche Dius Fidius. Dius Fidius era il protettore della

"Leo à CXXAde ^
— Doe— qp up e NI I— s ad . . gra

22 : TERZO CONVEGNO STORICO UMBRO.

fides, ici patti, dei gun (me dius fi idius). Ció spiega perché nel
suo santuario fossero depositati dei documenti di patti giurati e dei
monumenti di patti violati; = ma che senso aveva, se aveva un senso,
la forma rotonda? .

Focacce di farina tonde a forma di ruota - liba farinacea in modum
rotae fincta — erano in uso presso i Romani, col nome di summanalia
(Fest. p. 474 Linds.). A Summanus erano attribuiti i fulmini « not-
turni » (fulgur summanum conditum CIL VI 206; cfr. 30879. 30880),
come a Giove quelli diurni (Plin. n. h. II 138; Fest. Paul. p: 66,
p. 254 Linds.), E probabile che i summanalia fossero offerti a Sum-
manus nel suo tempio situato presso il Circo Massimo (CIL, I* 221,

320). Essi erano di pasta, mentre gli orbes di Semo Sancus Dius

Fidius erano di bronzo. L’urfeta non sappiamo di che materia fosse.
Comune all’urfeta, agli orbes aenei e ai summanalia era la forma
rotonda. Quale era il senso (se un senso c'era) di questa forma ? :

Un altro riscontro segnalato (ma non approfondito) dagli inter-
: preti delle Tavole Iguvine (DEvoro, Tabulae Iguvinae', Romae 1940,
366) ci trasporta nella.estrema regione orientale del mondo indoeu-
ropeo, nell'India antica. Nella Sezione. quinta del Satapatha-Brah-
mana (EcceLING, The Sacred Books of the East, vol. 41) e in altri te-
sti rituali brahmanici, come il Katyayana-Srautasatra (A. WEBER,
Sitzungsberichte der Berlin. Akad. 1892, II, 765-813), è descritto il
rito autunnale del vajapeya, nel quale gli studiosi della religione ve-
dico-brahmanica, A. Weber, A. Hillebrandt, H. Oldenberg, sono
d’accordo nel riconoscere i segni di un arcaismo accennante a lon-
tane origini «laiche », molto anteriori alla sua incorporazione (dovuta
forse alla sua popolarità) nel sistema sacerdotale brahmanico. Colui

‘che faceva celebrare il vajapeya (per ottenere, a quanto pare, abbon- -

danza di provvigioni e mezzi di sussistenza) era il protagonista di

tutta l'azione liturgica, che si svolgeva con l'assistenza di un perso-

nale sacerdotale qualificato. Tre erano i momenti principali. Il primo
. era una corsa di carri, alla quale prendeva parte il celebrante, e riu-
.sciva vincitore. La seconda. parte si svolgeva intorno al sacro palo
sacrificale (al quale si legavano gli animali destinati ai sacrifici). Il
. palo era smussato in cima, terminando con un piano incavato, in
-modo che una persona potesse starvi seduta, Sul palo, in alto, era fis-
sata una ruota di pasta, cioé una focaccia avente la forma di una
ruota da carro (rathacakra). Si appoggiava al palo una scala, e per
.essa il celebrante, seguito da sua moglie, saliva in cima al palo, toc-
.cava la focaccia, guardava in tutte le direzioni e diceva: «Siamo giunti

= e TERZO CONVEGNO STORICO UMBRO . 23

in cielo 1». Seguiva l’ultimo atto: il celebrante, disceso dal pel e

fatto sedere sopra una specie di trono, era unto é proclamato *'re
del tutto " (samraj).

sic «Il rito. del vajapeya è ricco di simboli solari, che risultano più
o meno evidenti dall'analisi dei testi. Basti dire che quando il cele-
brante tornava vittorioso dalla corsa, e1a salutato.con delle formule

‘che lo proclamavano signore dei dodici mesi e delle sei stagioni. Inol-
. tre durante la celebrazione del vajapeya il dio del sole, deva Savitar,

appariva: in posizione predominante. La ruota di pasta in cima al
palo sacrificale era anch'essa un simbolo solare; ciò è ammesso espli- .
citamente dall’Olderiberg (Die Religion des Veda, 85) e da altri (W.
CaLAND, Das Rad im Ritual, Zeitschrift der Deutschen Morgenlàn-

. 4ischen Gesellschaft, 53. 1899, 699-701).

Un altro riscontro, che mi sembra da aggiungere a quelli già
segnalati, lo troviamo presso gli Slavi del Baltico. Una grande focac-
cia di farina di forma rotonda era usata nel culto di Svantevit, il dio
degli Slavi pagani dell'isola di Rügen. Ce ne dà notizia Saxo Gram-
maticus, che partecipò alla spedizione danese contro l'isola ed assi-
stette alla presa di Arkona nel 1168. Ad Arkona si trovava il santua-
rio principale del dio Svantevit. Esso era di pianta quadrangolare
(la descrizione di Saxo, Gesta Danorum lib. XIV, è stata confermata
in questo punto dagli scavi di C. Schuchhardt), e conteneva una sta-
tua colossale del dio in legno massiccio, che aveva quattro teste, due
in avanti e due all'indietro. Il colosso reggeva nella destra un. corno
di metallo prezioso. Nella grande festa annuale, che si celebrava dopo
il raccolto, il sacerdote osservava se il * vino " (idromele) versato
nel corno l'anno prima fosse scemato, e, se non trovava alcuna dimi-
nuzione, ne traeva un presagio propizio per la nuova annata. Seguiva
un altro rito: si faceva portare una placenta rotundae formae, impa-
stata con l'idromele, di proporzioni enormi, alta quasi come un uomo.
Il sacerdote si metteva dietro di essa, e chiedeva ai fedeli ivi adunati
se essi lo vedevano. E rispondendo quelli di si, formulava l'augurio
che l'anno venturo non potessero vederlo, intendendo con ció augu-
rare che l'anno venturo il raccolto fosse anche piü copioso, e la fo-
caccia quindi ancora piü grande, tanto da nasconderlo del tutto agli
occhi dei fedeli. :

La grande focaccia di Svantevit si presta, al pari della ruota di
pasta del vajapeya, ad essere considerata come un simbolo del sole,
perché anche Svantevit era, almeno in parte, un dio solare, come ri-
sulta specialmente dal cavallo bianco a lui sacro (che era consultato
24 TERZO CONVEGNO STORICO. UMBRO

per ottenere presagi) e dalla sua policefalia come ingenua espressione
iconografica della onniveggenza, che é attributo proprio del sole (cfr.,
provvisoriamente, il mio articolo The pagan origins of the three-headed
representation of the Christian Trinity, Journal of the Warburg and
Courtauld Institutes, 9. 1946, 135 sgg.).

Nel mondo italico e romano i culti nei quali figuravano le ruote
di pasta o i dischi di bronzo (urfeta, summanalia, orbes aenei) si riferi-
scono ad una figura divina che nelle sue forme diverse (Jupater Sace,
Semo Sancus Dius Fidius ,Summanus) rappresenta un medesimo iddio
del patto, del giuramento, della fides, un dio vigilante sull’osservanza
dei trattati e punitore di chi li viola. Questa sanzione punitiva, che
si esercita col fulmine, rivela la natura uranica del dio che ne dispone,
ed è il naturale complemento di una onniveggenza che ha per organo
il sole come occhio del cielo. Semo Sancus Dius Fidius, dio dei giu-
ramenti, particolarmente adorato dai sacerdotes bidentales (CIL, VI
967, 568, 30994), che erano addetti ai monumenti fulgurali (biden-
talia), doveva pur avere anche qualche aspetto solare, se iconogra-
ficamente assunse la figura di Apollo, come d dalla sua statua
del Vaticano (CIL, VI 30994).

Sono questi riscontri che, in mancanza di dati positivi, possono
indirettamente aiutarci ad intendere il senso dell'urfeta nella religione
iguvina. In base a tali riscontri, non sembra inverosimile che essa
avesse un valore simbolico di natura solare, per analogia con'i riti
corrispondenti delle antiche religioni romana, balto-slava e indo-
brahmanica, nei quali la ruota di pasta o il disco di bronzo s'intona-
vano col carattere dell'azione liturgica e con la natura solare e cele-
ste della divinità. L'atteggiamento di colui che nel rito iguvino pro-
nunciava la dichiarazione sacrale tenendo in mano l’urfeta ricorda
un po' quella dei cantori in un rito indiano del soma, i quali canta-
vano tenendo in mano dell'oro, «ohne Zweifel als Sonnensymbol »
(Oldenberg).

RAFFAELE PETTAZZONI
APPUNTI SULLA TOPOGRAFIA
E I MONUMENTI DI BEVAGNA ROMANA

Il viaggiatore che, partito da Roma, percorreva la Flaminia per
andare verso l'Adriatico, a Narnia trovava, come è noto, una bifor-
cazione della strada: una via che fino al rit sec. d. C. era meno fre-
quentata dell’altra, raggiungeva Fulginium passando per Interamna,
Spoletium e Trebiae; l'altra - la vera Via Flaminia (che nei bassi tempi
cadde peró in disuso e venne sostituita dalla prima) — passava per
Carsulae, vicus ad Martis e, costeggiando le boscose pendici dei Mar- -
tani, scendeva con percorso assai diverso dall’attuale nella fertile
pianura del Tinia, toccando Mevania per poi ritrovare al Forum Fla-
mini il diverticolo sopra ricordato. Centro umbro cospicuo per la fer-
tilità del suolo, per quanto in posizione strategica infelice, Mevania
deve la sua ricchezza alla ricchezza delle acque del Clitumno e del
- Tinia — l'odierno Topino — che, con i loro affluenti irrigano per ampio
tratto il suo territorio, rendendo fertili i prati ricordati dai poeti
dove crescevano i candidi buoi destinati ai sacrifici romani.

Mentre tracce di vita esistono fin dall’età preistorica e protosto-
rica — quando la città era un centro degli Umbri - (1) Mevania si
affaccia alla storia quando s'iniziano i suoi primi contatti con Roma
e, se vi è discussione sulla data e sulla stessa storicità della battaglia
di Mevania che Livio pone nel 308 a.C., (2) non v'é tuttavia dubbio
che in quegli anni si svolse un episodio decisivo della penetrazione
romana in territorio umbro. Grande importanza per lo sviluppo della
città dovette avere l’apertura della via Flaminia (220 a.C.) che con-
voglió attraverso il suo territorio il traffico diretto verso l'Adriatico

(1) BoccorrNr, Mevania, Cagli, 1909, pag. 8.

(2) Liv, IX, 41; cfr. Pars, Storia critica di Roma, IV, 1920, pag. 44;
DE SANCTIS, Storia dei Romani, II, 1907, pag. 334: BErLocn, Rom. Geschichte,
pag. 443.
26 | TERZO CONVEGNO STORICO UMBRO

ma vi portó anche gli eserciti guerreggianti; cosi la città e attraver-
sata pochi anni appresso dalle truppe di Annibale in marcia verso il Pi- -
ceno dopo la battaglia del Trasimeno (217 a.C.) (1). Dopo la guerra.
sociale la città, forse rimasta fedele a Roma, (2) è ascritta alla tribù
Aemilia e diviene municipio retto da quattuorviri (3); piü tardi il
territorio subisce danni durante le guerre civili tra Cesare e Pom-
peo (4) e nell'età imperiale durante le lotte tra i partigiani di Vitel-
lio e quelli di Vespasiano (69 d.C.) (5). Mevania perde di importanza
nel tardo Impero con la decadenza della Via Flaminia; diviene nel
Iv secolo sede episcopale e l'esistenza dei suoi vescovi, è documentata
fino alla metà del sec. vi1 quando è assorbita dalla diocesi spolétina (6).

Questa in breve la storia della città, quale può essere ricostruita
sulla base delle poche fonti letterarie Dervenuieer

*okok

Dei monumenti di Bevagna romana esistono tuttora alcuni no-
tevoli resti: le mura, il teatro, l'anfiteatro, un tempio, un edificio
termale adorno di ricco mosaico e altri di incerta identificazione.

Di essi, che sono noti attraverso le opere di antichi autori lo- -
cali (7) non parleró sistematicamente: desidero solo accennare ad
alcuni punti controversi o a nuovi risultati raggiunti.

- RE

Un problema ancora aperto nella topografia di Mevania è quello
del percorso delle mura (8).

.La cinta medievale, che risale ai sec. xirr-xiv, è in gran parte
fondata sulle mura antiche della città e ciò ha contribuito a salvare

(1) Sir. IrAL., Pun. VI, 645-648.

(2) BeLOCH,. Rom. Gesch., pag. 606.

(3) CIL XI, pag. 731 segg. (BORMANN).

:(4) Lucan., Phars. I, 473.

(D) TAGC.; Hisl., L1], 55,.56;.59.

(6) EXRIUNT Diocesi d'Italia, Faenza, 1927, I, bab 435.

(7) Il più importante di questi è F. ALBERTI, Notizie antiche e moderne
riguardanti Bevagna, Venezia, 1785; rist. nel 1791.

(8) Sulle mura: ALBERTI; Notizie cit., pagg. 6-10; Elenco monumenti
pag. 37; URBINI, Spello, Bevagna, Montefalco, SOI 1913, pag. 61; Boc-
COLINI, Op. cit, pagg. 20-32.
TERZO CONVEGNO STORICO UMBRO : je or

nella maggior parte del percorso i resti della cinta romana; nei punti
ove essa se ne distacca il muro é scomparso e occorrerebbero vaste
esplorazioni che nell’attuale stato delle culture agricole sono pres-
soché impossibili. :

Plinio menziona tra i più antichi esempi di mura: Inferno. quelle”

di Arezzo e quelle di Bevagna (1). A Bevagna purtroppo di questa
antica cinta non v'è traccia, mentre gli scavi hanno restituito alcuni
resti di quella di Arezzo (2). Il nucleo del muro era qui costituito
. da mattoni imperfetti legati con malta di argilla fina; sulla facciata,
di cui fu visto un tratto nel '500, i mattoni erano messi in opera con
grande esattezza ed erano laterizi lunghi 1 piede e mezzo, larghi un
piede e spessi mezzo piede romano. Questo tipo di mattone corri-
sponde bene a quello detto dai Romani lidio e di cui. sono AES
trovati esempi in Etruria, anche a Perugia (3).
‘La data di impiego di questo muro ad. Arezzo — e probabil-

mente anche a Bevagna — si ritiene debba essere fissata all'inizio del
IH sec. a.C. come è provato dal materiale archeologico rinvenuto nel
muro di Arezzo e dal fatto che Vitruvio al tempo di Augusto lo chia-

ma vetustus (4).

‘ A Mevania, ove la scarsa disponibilità di buona pietra locale

| impedì di costruire una cinta sul tipo di quelle delle vicine Tuder (5) e
Vettona (6), o. di Spoletium (7), possiamo adottare approssimativa-
mente la stessa cronologia delle mura di Arezzo.

Ad una seconda fase appartengono i cospicui resti che si osser-
vano lungo il percorso della attuale cinta, resti che nella maggior
. parte dei casi si presentano privi del paramento.

Tra le porte di S. Agostino e dei Molini vi è il tratto più cospi-
cuo e meglio conservato lungo m. -26, alto 5, spesso 2, visibile
tanto all’esterno che all’interno. All'esterno il muro presenta tutto
il suo paramento a blocchetti di pietra locale alti 8-9 cm. stratificati

(1) Nat. Hist., XXXV, 14 (173).

(2) L. PERNIER in Not. Scavi 1920, pagg. 167- 215; Rivoira, Architettura
romana, pag. 1 segg.
(3) PERNIER; l. c. pag. 188.
‘ (4) De Architectura II, 8, 49.
: (5) BEcATTI, Tuder Eug Italiae, R. VI, vol. I, Roma 1938), . col. 10
- segg. i
(6) BECATTI, in Studi Etruschi: 1934, pag. 397 segg.
(7) PrETRANGELI, Spoletium, Roma, 1939, pagg. 42-46.
28 TERZO CONVEGNO STORICO UMBRO

regolarmente; alla base esso é piü spesso, mentre va rastremandosi
in alto con varie riseghe, per accrescere la solidità della struttura (1).
All’interno esso è costituito da fortissimo emplecton di scaglie di
pietra legate con malta; altri tratti di quest'opera a blocchetti sono
visibili presso la Porta Molini e dietro il Monastero del Monte. Qui
presso, lungo la strada di circonvallazione si conserva un tratto di
muro in opera quasi reticolata a piccoli elementi di pietra di Spello
che evidentemente é un restauro dell'opera precedente.

È noto che l'opera quasi reticolata è usata a Roma all'incirca
nell’età tra Silla e Cesare; forse a Bevagna si puó anche discendere
di qualche decennio. Quanto alla datazione delle mura a blocchetti,
è probabile che si tratti di opera del principio del 19 sec. a.C. e forse
del tempo della Guerra sociale, se non pure di epoca Sillana ma non |
abbiamo termini precisi di confronto nella zona.

Come ho già accennato, é incerto il percorso della cinta tra il
punto in cui si osserva il restauro in opus quasi-reticulatum e una
posterula tra le porte Cannara e Guelfa; in entrambi questi luoghi,
mentre la cinta medievale piega decisamente in dentro, il muro antico
seguiva un diverso orientamento: é evidente che nel medioevo si era
sentito il bisogno di restringersi, data la riduzione del numero degli
abitanti, ma non bisogna naturalmente seguire gli storici locali nel
favoleggiare una estensione notevole del circuito delle mura romane
oltre questa località (2); è evidente che le loro ipotesi sono tutte us
influenzate dalla ben nota « questione properziana », e dalla necessità
di comprendere nella città l'Imbersato, latinamente ribattezzato in |
Imber Sacer (3). E strano che nessuno si sia finora accorto che questa |

(1) per le riseghe cfr. le mura sillane dell'Acropoli di Terracina, quelle
repubblicane di Alba Pompeia, quelle augustee laterizie di Torino, ecc.

(2) Vedi per tutti F. ALBERTI, Della patria di Properzio (in Nuova rac-
colta di opuscoli del CALoGERÀ, VII, Venezia 1760) pagg. 86-88 e 179-180 e
Notizie cit. pagg. 6-10.

(3) sull’« Imbersato », ritenuto avanzo di un edificio termale cfr. ALBERTI
Notizie cit. pagg. 13-15 e 18; BoccoLINI, op. cit., pag. 38. Una insperata con- |
ferma alla mia tesi é stata fornita dalle ricerche del prof. Angelo De Sanctis |
(Lingua Nostra VIII, 1947, p. 82-85) sulle voci Perilasio, Parlascio, Parlagio,
Verlasci, Berlasii cheindicano nel medioevo gli anfiteatri romani (cfr. su queste
LuP:i in Arch. Storico Italiano s. IV, 1880, pag. 492). Il De Sanctis ha ricol-
legato la voce Borsale che distingue l'anfiteatro di Formia con il toponimo
mevanate, da me segnalatogli, Imbersato noto dai documenti fin dal sec. xvi
e latinizzato in Imber Sacer. Vi si nota la stessa radice bersa che indica nel
m.evo le palizzate con cui si chiudevano le selve o i parchi per evitare che
TERZO CONVEGNO STORICO UMBRO 29

spaziosa cavità ellittica (m. 80 x 53 circa) che si trova sulla sinistra
della Flaminia per chi esce da Bevagna, sia tutto quello che rimane
dell'Anfiteatro e, poiché questo edificio era di norma fuori della città
(vedi ad esempio in Umbria Hispellum, Spoletium, Tuder, Ocricu-.
lum), è evidente che la cinta escludeva la zona dell’Imbersato, men-:
tre doveva comprendere l’area del Campo Sportivo ove nel 1931
furono scoperti numerosi resti di costruzioni romane. Quindi tanto
un muro di opus reticulatum normale al percorso della cinta medie-
vale presso la porta Foligno (1), quanto i resti scoperti nel gruppo
di costruzioni avanti alla porta stessa, ove era la chiesa di S. Maria
Maddalena (2) e dove nel '500 sembra sia stata trovata, secondo
gli storici locali, una statua equestre di bronzo dorato (3) (perché
escluderlo dopo i recenti ritrovamenti di Pergola ?); quanto la fitta
rete di muri trovata nei campi presso le mura (4), sono tutti com-
presi entro la cinta. Entro la cinta fu trovata forse la mensa con i
nomi.dei novemviri Valetudinis rinvenuta a 200 m. da Porta Foli-
gno (5); entro la cinta era un bidental, luogo sacro colpito dal fulmine,
a cui appartiene una grande iscrizione tuttora conservata a Bevagna
e trovata nella stessa zona. (6). Fuori della cinta erano invece le
tombe che furono rinvenute nel 1691 nella fondazione della chiesa
della Madonna della Rosa (7) e che sono le piü vicine alla città di cui
si abbia notizia da questa parte. Altra circostanza che si puó prendere
in considerazione è quella della posizione dell'Anfiteatro che attual-
mente dista c. 300 metri dalla cinta medievale. Perché costruirlo
così lontano dalla città, se il terreno è tutto pianeggiante (e non sco-
sceso. come a Spello o a Spoleto) e l'accesso dalla via Flaminia do-
vunque comodo ? È evidente dunque che le mura distavano assai
meno delle attuali dall'Anfiteatro.

Riassumendo: le mura dal punto ove esse si interrompono presso

ne fuggissero i cervi e la selvaggina da caccia. Da questa voce deriva Bersare
— cacciare e bersarii sono i cacciatori e i guardiacaccia. Attribuire questa
voce al luogo dove si svolgevano le venationes è pertanto ipotesi assai atten-
dibile.

(1) BoccoLINI, op. cit., p. 67.

(2) BoccoLINI, op. cit., pagg. 42-44.

(3) PieRGILI, Racconto della vita di S. Vincenzo, Foligno, 1646, pag. 51.

(4) vedi nota (2).

(5) CIL XI,,7926.

(6) Not. Scavi, 1926, pag. 205.

(7) ALBERTI, Rerum mevaniensium tabulae chronologicae (ms. nella Bibl.
Comunale di Bevagna, ad a. 1691).

w—EXC ; Jub. T E i n x gt
30 i . TERZO CONVEGNO STORICO UMBRO

Porta Foligno diven un ampio arco includendo la zona. del
Campo Sportivo, i terreni di proprietà Bartoli e altri fino verso la
cappella quattrocentesca della « Madonna del Core » (1); poi, compren-

dendo l'attuale « Campo della Fiera» ove anche recentemente sono
affiorati resti di costruzioni romane e i terreni che ancora nell'800 (2)

erano indicati col significativo vocabolo «Il Muro Vecchio », an-

davano finalmente a riunirsi presso la posterula medievale già ricor-

data al lungo tratto dell'antica cinta ivi ancora conservato.

Il fenomeno opposto — di espansione cioè della città medievale —
si verifica all'estremità occidentale di Bevagna ed è forse dovuto alla
necessità di includere nella cinta la chiesa: di S. Agostino fondata

. nel 1316.

Due elementi possono confermare tale dibus ar. la mancanza

di avanzi romani alla base.di tutto il settore occidentale delle mura

medievali e la scoperta in Via S. Agostino, nell'ambito della cinta

medievale, di un SERO reEO che evidentemente doveva trovarsi fuori.

delle mura antiche (3)..

Così la cinta mevanate che ora misura circa En 1,700, doveva
avere un perimetro di km. 2,200-2,300 circa. Quattro porte si do-
vevano aprire nelle mura romane: due in corrispondenza della Via
Flaminia (attuali Porta S. Vincenzo-Foligno e S. Salvatore-S. Ago-

stino) e due su una strada normale a questa che da una parte rag-
giungeva Perugia (Porta S. Giovanni-Cannara) e dall'altra doveva -

servire di comunicazione con la: zona di Montefalco e forse anche
con Spoleto (orta chiusa presso S. Margherita)..

* oko

Ed ora passiamo ad esaminare la pianta della città. Essa si pre-

senta in forma piuttosto regolare: la Via Flaminia che costituisce il

decumanus maximus attraversa l'abitato in tutta la sua lunghezza;

in qualche punto sono affiorati nei lavori per la posa della conduttura.

dell’acqua e, più recentemente, nei nuovi lavori di pavimentazione
della strada, resti del basolato, corroso dalle ruote dei carri (4). Anche
sotto alla piazza, alla profondità di m. 1, 80 fu trovato un Frammento

(1) Questa è anche l'opinione del Bocconi, op. cit., pagg. -20- 32.

(2) Arch. di Stato di Roma, Catasto CREBOLiano, Mappa Bevaena n. 723-
726.

.(3) Lettera di Aiino Bartoli al Sindaco di Bovagha de presso
la famiglia. Bartoli Aleandri di Bevagna.

(4) BoccorriNi, op. cit., pag. 46.

—€—————

IO
. TERZO CONVEGNO STORICO UMBRO : OR RI

di una dedica a Minerva «lontana circa m. 4 a destra d'un tratto
dell'antica Via Flaminia, guardando il settentrione, rintracciata alla
stessa profondità » (1). Da una parte e dall'altra si diramano normal-
mente dal decumanus numerose strade che per il loro orientamento
possono considerarsi sul posto di altrettanti cardines. Quindi la pianta :
della città romana, nonostante l'intensa vita dei Scrap] di mezzo, risul-
ta abbastanza ben conservata.
Centro della città medievale è la Piazza su cui sorgono le chiese
di S. Silvestro (1195) e di S. Michele Arcangelo dello stesso tempo e
il Palazzo dei Consoli, del tempo della signoria dei Tuna, Ma era que- t
' sto il Foro di Mevania ? "
Se noi osserviamo la disposizione dei monumenti antichi nell'in-
terno delle mura, notiamo che la maggior parte di questi si raggruppa
nella parte orientale della città. Ivi si trovano infatti:
.19) Un tempio, costruito in opus mixtum (laterizio e blocchetti
di pietra), il cui fianco é prospiciente sulla Via Properziana, il prolun-
gamento urbano della antica strada per Perugia (2).
20) Il Teatro in opera laterizia con la sua scena quasi a contatto
con la Via Flaminia e nelle- immediate vicinanze .del tempio sopra
- ricordato (3).
i ‘| 89) Un edificio sicuramente termale di cui rimane un solo am-
| biente adorno del noto mosaico con. animali marini orientato in ma-
niera alquanto diversa dei precedenti: (4).
fi 49) Un altro edificio con pavimento di mosaico orientato con
ff . la Via Flaminia, posto tra le mura e il monastero del Monte (5).
Verso il centro della città medievale, e precisamente tra le chiese e j N
. del Beato Giacomo e di S. Margherita, si distende una grande costru- i
zione in opus mixtum per la lunghezza di 105 metri e per la larghezza
di 40 metri circa. Vi si possono riconoscere ambienti sostruttivi e
muri di terrazzamento a nicchie che hanno creata una sistemazione
.a gradoni di un ampio tratto di terreno in pendio che guarda a sud-
:'estz (6):
Nel resto della AE non v'é nulla.o quasi nulla e specie nella

(1)-CIL XI, 5024.
(2) BoccoLINI, op. cit., pagg. 47-49; URBINI, op. cit., pag. 68.
(3) BoccoLinI, op. cit., pagg. 45-47.
(4) BoccoLINI, op. cit., pagg. 53-55, UnBINI op. cit., pag. 68; BLAKE in
Mem. Amer. Acad. in Rome: XIII, 1936, pag. 150-151. i
(5) BoccoLinI, op. cit., pagg. 52-53; URBINI, op. cit., pag. 62.
(6) BoccoLINI, op. cit., pagg. 49-52.
32 ; TERZO CONVEGNO STORICO UMBRO

parte occidentale — se si eccettuila scoperta fatta verso il 1725 durante
la costruzione della chiesa di S. Filippo del torso di una statua colos-
sale di Dioniso ora nei Musei Capitolini (1) — nessun resto antico si è
ritrovato. Come si spiega questo silenzio delle fonti monumentali in
questa zona di Bevagna ? E come si spiega d'altra parte la ricchezza
di monumenti pubblici all'incrocio della Flaminia con la strada di
Perugia, l'attuale Trivio ? Io proporrei di collocare qui il Foro, al-
l’inerocio del decumanus maximus (Via Flaminia) col cardo maximus
(Via per Perugia — Via per Spoleto (?)). La sua attuale eccentricità —
rispetto alla topografia medievale e moderna — è soltanto apparente:
se noi immaginiamo infatti la cinta allargata notevolmente verso la
zona dell'Anfiteatro, il Foro viene ad assumere nella città una posi-
zione centrale. Su di esso prospettavano il tempio (la cui situazione
arretrata rispetto al percorso della Via Flaminia è sintomatica) e l'an-
golo sinistro del Teatro. Vediamo ora se si possono trovare altre con-
ferme a queste tesi.

| Anzitutto occorre prendere in considerazione le iscrizioni: quattro
frammenti di iscrizioni onorarie furono rinvenute non molto lontano
da queste località, sembra nella casa Bartoli « presso le rovine di
un antico e amplo edifizio » (2); a queste si possono aggiungere quelle
che furono viste nel '400. dall'Anonimo Sabino murate nella prossima
chiesa di S. Vincenzo (dedica posta forse al Genio del Municipio (3),
iscrizione che si riferisce a Vespasiano (4)), o che furono rinvenute
di recente nella stessa chiesa (iscrizione in onore di un aruspice vol-
siniese, posta per decreto del senato locale (5)). Un'iscrizione trovata
nel 1598 « sotto la strada che si apre avanti alla chiesa di S. Francesco »
€ cioé in prossimità della via di Perugia, documenta l'esistenza di
una « Via Trionfale» lastricata in pietra di Spello a cura dei no-
vemviri Valetudinis (6), il collegio religioso già ricordato dedito al
culto di questa divinità salutare che doveva essere particolarmente
venerata a Bevagna (7). Non abbiamo naturalmente alcun elemento
di conferma ma, se l'iscrizione non ha molto vagato, non é inverosi-

(1) F. ALBERTI, Notizie cit., pagg. 19-20; STUART JowEs, The sculptures
of the Palazzo dei Conservatori, Oxford, 1926, pag. 14. n. 1.

(2) CIL XI, 5030, 5034, 5035, 5058. :

(3) CIL XI, 5069a

(4) CIL XI, 5027.

(5) PIETRANGELI, in Epigraphica 1945, pagg. 62-63.

(6) CIL XI, 5041.
(7) PIETRANGELI, l.c., pagg. 64-65.


; x
M o

TERZO CONVEGNO STORICO UMBRO K ad

mile che essa ci dia il nome del tratto urbano della via Perugina che,
servendo da accesso al Foro da nord, puó ben aver avuto un nome
così solenne.

Altra conferma dell’ ua di questa zona nell’ antichità è
data dalla circostanza che quando nel medioevo si volle venerare il:
santo vescovo Vincenzo, patrono di Mevania, si eresse, sia pure in
forma modesta, la sua chiesa in questo luogo. E che dire poi del fatto
che la Via Flaminia in questo punto, superando l'incrocio col cardo

: maximus, cambia orientamento ? La presenza di una piazza che ser-

visse di raccordo fra le strade confluenti da ogni direzione e ne smi-

| stasse il traffico era dunque assolutamente necessaria e mi sembra

che tutti gli argomenti sopra esposti ne attestino l'esistenza in maniera
inoppugnabile. —. AB

Ho voluto: accennare brevemente a qualche isaliato raggiunto.
durante lo studio tuttora in corso di Mevania romana; spero che il
rilevamento di tutti i monumenti e la pianta archeologica della città
eseguità per la prima volta, mi permettano di portare qualche ulte-
riore contributo alla conoscenza della topografia di questo antico.
municipio romano dell'Umbria.

CARLO PIETRANGELI /————P AQ má Ur — a n s tm S zn RR d È " T-—

DELIMITAZIONE DELL'ANTICA TERNI
SECONDO SCOPERTE ARCHEOLOGICHE

)

Delineare una storia delle scoperte archeologiche a Terni sarebbe
da parte mia troppo presuntuoso: e ricalcherebbe d'altro canto lavori
già in parte eseguiti, senza offrire nulla di veramente nuovo. Mi li-
miteró quindi ad accennare ad alcune notizie su ritrovamenti recenti,
notizie che sono apparse incomplete nella stampa locale, e, ad opera
mia, su « La Favilla », tentando di collegarle ad un elemento determi-
nato: e cioé l'estensione di Terni nell'antichità.

È ben noto, per quanto si attiene alla preistoria, che nulla auto-
rizza a supporre un abitato cosi antico nel luogo attuale di Terni.
Allora la nostra conca, residuo dell'antico Lago Tiberino, era una pa-
lude: e si ritiene che la stessa gola del Nera a monte, al di là delle at-
tuali Acciaierie fosse un lago, determinato da una chiusa naturale
(e di tal lago si vorrebbe sussistesse la tradizione nel nome di un pae-
setto della Valnerina, Castel di Lago). Comunque sia, certo è che fra
il 1900 e il 1910 fu esplorata una stazione preistorica presso la Cascata
delle Marmore: mentre un’altra neolitica di una quarantina di focolari
venne trovata nel 1909 alle radici del Colle di Pentima dietro le Accia-
ierie, proprio all'imbocco della gola del Nera. È, in mancanza d'altro,
a questa ultima, per quanto piccola, che ci si deve riferire; come al cen-
tro progenitore di Terni, non essendo ancora stato scoperto quel cer-
tamente maggiore abitato che diede i molti defunti, sepolti nella grande
necropoli delle Acciaierie, venuta in luce a più riprese tra il 1885 e il
1907 e illustrata dal Pasqui e dal Lanzi; necropoli stratificata, nella
quale sono rappresentate e una parte più antica con suppellettile del-
l'età del bronzo, e una di passaggio, e l'ultima dell’età del ferro. Tale
grande necropoli preistorica si estendeva proprio ai piedi del colle di
Pentima là dove termina la gola e si inizia la conca, a due chilometri
scarsi dell’attuale Piazza Tacito. Alcuni appunti trovati tra le carte
del Lanzi e risalenti all’ing. Ceriotto, (senza data, ma in un fascicolo

EE —————————s

TERZO CONVEGNO STORICO UMBRO 35

che si fermava ad una lettera del Gamurrini del 1885) precisavano
che da un lato, e cioé quello sud, la strada provinciale Valnerina im-
pediva di valutarne la dimensione in quel senso, mentre da levante
a ponente la necropoli si svolgeva parallela al piede della collina di
Pentima. Le molte notizie che l'ing. Ceriotto dà sulla giacitura delle
tombe e sul loro numero (dice che le tombe erano circa 2500 di cui solo
300 furono esplorate a scopo scientifico) avrebbero ora potuto in certo
modo concretarsi precisando almeno l'estensione verso sud, se non
ci fosse stata la guerra. È infatti in tale periodo che, in assenza di
tutti, nel 40-41 furono iniziati i lavori di ampliamento delle Acciaie-
ri fra la strada Valnerina e il fiume mediante un grande escavatore
meccanico. Lo scavo, sceso a 3 — 4 m. sotto il piano di campagna e
6 — 7 sotto quello della strada, ha sezionato il terreno, cosi che sem-
bra di vedere quanto l’ing. Ceriotto descriveva: sotto una coltre
vegetale alluvionale, sovente uno strato di ghiaia, poi il banco alto
di fine sabbia lacustre. Al limite fra gli strati, pietre fluitate abbastan-
za grosse, forse frammenti di tombe preistoriche. Ma la guerra ha
disperso i frettolosi operai di cui si dice che si siano appropriati di
suppellettile bronzea: tutto tace, ormai, e il disordinato scavo può
solo testimoniare che la necropoli si spingeva abbastanza vicino al
Nera: prima del quale scorreva un imprecisato corso d’acqua che doveva
essere cavalcato da un manufatto perché l’escavatore ne ha dissep-
pellito, manomettendoli, i ruderi. Oggi sono visibili i blocchi super-
stiti di pietra spugna locale, in grossi parallelepipedi squadrati. Ri-
prenderà l'ampliamento delle Acciaierie? Si potrà dire allora vera-
mente qualcosa di definitivo sull’estensione della necropoli. Ma è in-
tanto singolare che all'incirca nella stessa zona interna delle Acciaierie, :
sempre al piede della collina, là dove era la parte maggiore della ne-
cropoli preistorica, sia stato rinvenuto, nell’aprile-maggio del ’43, ac-
canto a numerose tombe a cappuccina, un mausoleo romano, a pianta
quasi quadrata 8;30 x 8,30, costruito da grossi blocchi di travertino
squadrati e ben connessi, con al centro un magnifico cippo lapideo
in marmo, sormontato da un'aquila. Esso porta un'iscrizione così
tradotta dal prof. De (Grassi: Anto, liberto imperiale, fece la
tomba per il fratello Talamo, liberto imperiale addetto al vestia-
rio, per la madre Claudia Asclepiade e per Ulpia Marcella figlia
di Talamo.

L'iscrizione per i suoi caratteri sembra risalire ai primi decenni
del 11 sec. d. C. Al contatto dell'aria, un piccolo scheletro, forse
quello di Ulpia Marcella.si dissolse quasi, portando con sé, nel
Poretti

36 È J— TERZO "CONVEGNO STORICO DB

nulla, il suo segreto. Lo stesso silenzio cade sui nostri interrogativi:
può l'«addetto alle vesti» testimoniare di una villa imperiale? E
questo ha legame con i due (ben più tardi, però) imperatori Taciti
che sono, secondo Vopisco, qui sepolti « sul proprio suolo »? E il dise-
gno di Francesco di Giorgio Martini conservato a Firenze agli Uffizi

e che delinea com'erano nel ?’500 i ruderi dei monumenti prima ché

Fausto Simonetta li disperdesse. per proprio comodo nel 1565?

Non penso a riaprire la questione, già un pò troppo campanili-

stica, di Tacito e dei Tre Monumenti, rinata quando il Lanzi scoprì
Je sostruzioni di questi presso Porta Spoletina. Ma mi sembra sug-
gestivo l’aver determinato un altro strato storico che lì, nella vecchia
necropoli, si sovrappone a quello vetusto e testimonia una strana
continuità secolare.

Anche nel 1942 dall’altro lato della città, presso il Camposanto,
il restauro della Chiesa di S. Maria del Monumento, mi permise di
ritrovare traccie lapidee del « Monumento » che dà ancora il nome ca-
tastale alla regione, e identificarne la natura da un frammento di la-
pide che il prof. De Grassi così ricostruì « Quinto Attio Successo —
liberto di Quinto — pose sul terreno suo — a sé e ad Attia liberta dius
e moglie benemerita ».

Ma qualche altra occasionale identificazione dallo città uni

e medioevale fu possibile: Nella piazza del Comune, scavando un ri-
fugio, apparve il vecchio mattonato medioevale: e, in quello, un co-

spicuo frammento di grande capitello composito, oggi nell'atrio del

Comune, il quale era certamente sovrastante ad una delle due colon-
ne che ornavano la piazza che da essa prendeva il nome di Platea

Columnarum è di cui si era perduta memoria.

Poi, al limite meridionale della città, sotto la vecchia Caserma
dell'Annunziata, in prosecuzione dell'antica cinta di mura romane,
della Passeggiata, le demolizioni dopo i bombardamenti posero in

: luce un tratto della cerchia tra l'antico Ponte cosi detto romano, edifi-

cato dal Fontana e fatto saltare dai tedeschi, e il nuovo ora ricostruito
a cento metri più a monte. Lungo la stessa cinta, più internamente,
ma duecento metri più a nord, nel luogo della già sconsacrata chiesa di
Sant'Angelo da Flumine (ad rivum leprosarum), distrutta, sono ri-
sultate, dalla demolizione, due colonne fastigiate, alcune cornici in
travertino, romane, e un frammento di sarcofago forse paleo-cristiano..

. Risalendo ancora la cinta, presso S. Salvatore, un'altra bomba ha:

consentito di rintracciare un pavimento a mosaico, romano, al disotto

di que quattrocentesca cappella a che costituisce un’appen-

uk "m H » da LEI "BOB PORNO . - A ; TERZO CONVEGNO STORICO UMBRO : 37

dice laterale del Tempio romanico, e una base di colonna: tanto da
giustificare la tradizione non dico del Tempio del Sole, ma di una con-
tinuità da edificio pagano: ma da consentire altresi di escludere che
la.costruzione circolare, ch'é la parte piü cospicua della chiesa di
S. Salvatore, fosse Tempio del Sole, perché le sue fondazioni, come-
si sono potute vedere sul fianco, dal lato della Cappella Manassei, so-
pra la detta pavimentazione a mosaico ed una soglia in travertino,
possono poggiare su altre strutture romane, ma non sono romane. .
Ancora, certo, le mura seguivano a non grande distanza, l'anda-
mento del fiume: più innanzi, nell'antica chiesa di S. Nicandro, emerge
appena un rocchio di colonna romana a conforto della tradizione che
vuole ivi fosse un Tempio di Nettuno: mentre in un locale attiguo
s'è scoperto un tratto di pavimento musivo, settanta-ottanta centi-
metri più basso. Invece, nello scavo delle fogne, nulla è apparso della
pavimentazione lastricata romana che secondo il Lanzi era in via
Barbarasa, Via -Aminale, Via Tre Colonne e sarebbe comparsa a Via
del Pozzo, e che era ottanta - novanta centimetri sotto l’attuale.
Proseguendo più oltre, dopo S. Lorenzo (il cui pavimento romano
è isolato e non in collegamento, con altri resti di costruzioni romane
constatati nel 1942 e nel 1945 nella contigua Via di S. Lorenzo insie-
me ad un sepolcreto barbarico), grossi blocchi di travertino paralle-
lepipedi hanno consentito di ritenere che nel luogo della via di porta
'S. Giovanni fosse probabilmente anche la precedente Porta dell’epoca
romana. ND S T
Se si collega tale documentazione del perimetro orientale della
città al ritrovamento fatto dal Lanzi di una sostruzione di mura ro-
mane, nello scavo di fondazione del fabbricato fra l'allora Via Cor-
nelio Tacito e la Via Nuova, presso Via Mazzini, si avrà all'incirca
confermato essere i| perimetro romano eguale a quello medioevale.
Qui i bombardamenti hanno dunque permesso, pur distruggendo,
di ricostruire l'andamento dell'antica città romana. E ci permettono
inoltre di confermare che l'antica città, sia essa fondata dai trasferi-
menti umbri del Colle di Pentima o da altri, si chiamava veramente
Interamna perché «tra due fiumi»: a differénza di quanto accade
oggi, situata come è all'incontro di due fiumi, il Nera e il Serra, i quali
non la racchiudono. Già il Lanzi, da un breve segmento di ponte di
notevole luce, incastrato presso le fondamenta delle mura medioeva-
li accanto alla Porta dei Tre Monumenti (Porta Spoletina), aveva
dedotto che ivi avesse dovuto scorrere un fiume, probabilmente il Serra;
ed analogamente il De Angelis aveva opinato che nel basso delle mura

Pd
38 TERZO CONVEGNO STORICO UMBRO

a occidente fosse in altri tempi corso, appunto, il Serra. La città ro-
mana sarebbe stata veramente cinta da due lati dai fiumi e quindi
con il leggero sopralzo ch'essa aveva su la conca (e che oggi ancora si
vede dalle mura Romane de La Passeggiata) sarebbe sorta in posi-
zione assai munita. A tale tesi adducono sostegno l'esistenza di altro
ponte ad arco ribassato con spalle romane ancora esistente sotto la
Porta Sant'Angelo e che non poteva essere costruito per superare i
Canali, medioevali; ma sopratutto la constatata esistenza di depositi
alluvionali ghiaiosi in tutto il tratto che si stende all'incirca tra il Pa-
lazzo del Governo e l'attuale Serra. Già nei lavori del Palazzo del
Governo furono trovate tombe romane, a profondità imprecisata.
Ma qualche mese fa, cercandosi le fondazioni di un nuovo fabbri-
cato all'incontro di Via Bosco con Via del Raggio Nuovo, s'incontró
a cinque-sei metri di profondità, sotto un'alta coltre di ghiaia, una
tomba romana, coperta con tegoloni senza marchio, alla cappuccina.
Tale ritrovamento costituisce la sicura prova che la. pianura era iu
altri tempi per intiero più bassa: è un dato di fatto, dunque, che il
Serra scorresse allora da est a ovest intorno alla città, per poi scendere
nettamente a sud, formando quella penisola su cui doveva sorgere
la città romana. Un'alluvione, prodotta forse dall'ora confluente e
ghiaiosissimo Tescino avrà probabilmente riempito la vecchia bassura
e in seguito a ció il Serra avrà aperto quel nuovo letto che fa dimen-
ticare oggi l'antica e pur giusta etimologia del nostro nome di Terni.
Etimologia destinata a rimanere ancora meno appariscente ai nostri
figli dopo che ancheil vallo che seguiva profondo le mura sotto 5. Fran-
cesco sino ad oltre Porta S. Angelo é stato colmato con le innume-

revoli macerie delle nostre case demolite. Onde il desiderio di affi-

dare almeno alla labile carta quelle memorie che il tempo necessa-
riamente distrugge, nel suo pur incessante ricreare, anche dalle rovine,

la vita. :
PieRO GRASSINI
CONTRIBUTO ALL'AGGIORNAMENTO
DELLA CARTA ARCHEOLOGICA
DEL MUNICIPIO ROMANO DI ASSISI

E ovvio che le memorie pur grandi dell' Assisi romana sono state
soverchiate nel tempo da quelle di mondiale risonanza dell'Assisi me-
dievale allo stesso modo che la luminosa figura di San Francesco ha
posto nell'ombra quella del poeta Sesto Properzio. La difficoltà di rin-
tracciare dietro il volto medievale di Assisi i lineamenti di quello ro-
mano, è accresciuta dal fatto che, ad eccezione del Tempio cosiddetto
di Minerva, le antichità romane di Assisi si trovano per lo piü nascoste
agli occhi del visitatore comune e, affondate nel sottosuolo e in preva-
lenza incorporate nelle fondamenta delle case medievali, sono di dif-
ficile ritrovamento anche per il ricercatore intenzionale.

Eppure l'Assisi romana conobbe uno splendore di vita che si im-
pone per chiari segni all'attenzione degli studiosi. i

Accingendomi alla raccolta di quelle sparse membra per riunirle
in un corpo organico che offra una visione quanto più completa dell’an-
tico Municipium, ho avuto modo di imbattermi in alcuni elementi
nuovi, di un certo rilievo, dei quali offro in questa breve comunicazio-
ne una fugace anticipazione.

a) Porta urbica romana incorporata nel Palazzo Fiumi-Roncalli.

Questa bella Porta urbica (fig. 1) era naturalmente già nota da
tempo ma gli scrittori di cose assisane le avevano dedicato soltanto
pochi cenni generici. Il solo che ne avesse dato finora una particolareg-
giata descrizione, tentandone anche la ricostruzione, era stato l’archi-
tetto U. Tarchi (1). Egli incorse tuttavia in qualche inesattezza, indot-
tovi a mio parere dalle condizioni disagevoli e non facilmente accessi-
bili del luogo che non gli dovettero permettere un più attento esame del
monumento.

(1) U. TarcHI, L'Arte nell' Umbria e nella Sabina, vol. I, Treves, Mi-
lano, 1936.
40 TERZO CONVEGNO STORICO UMBRO

La Porta in questione si trova attualmente incorporata nel Pa-
lazzo Fiumi-Roncalli ed é perciò visibile soltanto. dall'interno di esso.
Di detto Palazzo essa occupa due interi piani ma viene a trovarsi
TERZO CONVEGNO STORICO UMBRO 41

divisa in tre sezioni perché, nel primo dei piani anzidetti, sono stati
ricavati due ambienti piü piccoli, l'uno sull'altro.

La Porta, che ho potuto accuratamente esaminare per la corte-
sia del proprietario. del Palazzo Sig. Tardioli, ha la forma di una torre
pressoché quadrata, munita di due archi di transito, uno interno ed uno
esterno.

L'arco esterno, che si apre verso la sottostante vallata con direzio-
ne sud-ovest e che, forse per le esigenze di una migliore difesa, è più
stretto di quello interno di oltre 15 cm., è alto dalla soglia al sommo
della volta m. 6,50 circa; esso è a tutto sesto con un diametro di me-
tri 3,64. Gli stipiti sono costituiti da grosse e ben squadrate pietre di

travertino che si mutano nell'archivolto in regolarissimi conci dell'al-

tezza di cm. 70 i quali, rientrando di 17 cm. rispetto alla faccia di detti
stipiti, permettono alla cornice d'estradosso (fornita di una gola dirit-
ta con listello sottoposto ed alta 25 cm.) di adempiere alla sua sem-
plice funzione decorativa evitando nel contempo un aggetto eccessivo
che sarebbe stato poco conveniente in una costruzione del genere piü
rispondente a criteri concreti di difesa che a canoni ideali di estetica.

È errata la costruzione che si è tentata di tale Porta (1) secondo
cui essa verrebbe ad avere due archi di ingresso esterni e precisamete,
oltre a quello già citato verso sud-ovest, un secondo verso nord-ovest,
posto ad angolo retto con il primo.

Nel corso del mio minuzioso sopraluogo al monumento sono. af-
fiorati elementi di fatto cosi precisi che fanno perentoriamente scartare
l'eventualità di qualsiasi apertura sul lato nord-ovest. Anzitutto sulla
parete dove avrebbe dovuto aprirsi questa porta non esiste la minima
traccia di arco; in secondo luogo, mentre quelle che erano le effettive
aperture di transito sono state chiuse, al tempo della incorporazione
nel palazzo Fumi, con muri moderni di moderato spessore, il muro
invece della parete suddetta ha una massiccia struttura tipicamente
romana, spessa m. 1,70, quale si conveniva ad un muro esterno di di-



‘fesa; bisogna tener presente infatti che le mura, dopo questa porta.

urbica, risalendo verso nord, piegavano subito con forte angolo in mo-
do che la parete in questione: veniva a costituire la testata del nuovo
tratto. i
Unica apertura su questo lato è una porticina risultante da uno
strappo praticato in tempi moderni per accedere ai fondi ricavati
nell’adattamento della porta.

(1) v. U. TARCHI, Op. cit., vol. I, tav. CEXXXV.

reggio nl

»d 42 TERZO CONVEGNO STORICO UMBRO

Da escludersi inoltre l'eventualità che l'arco di questa ipotetica
apertura non sia ora visibile perché piü basso rispetto agli altri due;
ho esaminato con cura, scendendo nei fondi al primo piano, anche la
parte inferiore del muro che si é rivelata della stessa struttura della
parte superiore, o, se è possibile, ancor più solida con blocchi di traver-
tino come al solito esattamente squadrati e connessi, qualcuno dei
quali raggiunge anche m. 1,20 di lunghezza.

Da quanto su esposto appare quindi assolutamente da scartarsi
l'ipotesi di un'apertura in questo punto con direzione nord-ovest,
ipotesi che oltretutto sarebbe stata completamete contraria ai criteri
di difesa cui é improntata la costruzione di una cinta urbana. Basterà
osservare come tutte le Porte esterne dell'Assisi romana (e non solo di
Assisi ma in genere di tutte le città munite) non interrompano mai un
tratto continuo di mura ma sieno quasi sempre situate d'angolo in
maniera che gli eventuali assalitori si frovino con un fianco esposto ai
colpi dei difensori. Da ció si comprende come una duplice apertura ad

. angolo retto avrebbe fatto assurdamente di quell'ingresso il punto piü

fragile di tutto il sistema difensivo della cittadella romana.

b) Antichità romane nel Convento di S. Quirico.

Si sapeva già vagamente che nel terreno occupato dal Convento
delle Suore di S. Quirico dovevano trovarsi tracce notevoli di antichità
romane. Nel corso delle mie ricerche avevo trovato perfino menzione
d'un presunto Tempio di Marte eretto in quel luogo ma senza elementi
di fatto che suffragassero l'attendibilità o meno. della supposizione.
Inoltre lo stato di clausura che vige nel Convento non aveva reso possi-
bile finora precisare se vi si trovassero effettivamente resti di edifici
romani e di quale entità essi fossero.

A me fu dato, per gentile intercessione di S. E. il Vescovo di Assi-
si, il permesso di accedere all'interno del Convento per eseguirvi gli
indispensabili rilievi. Le ricerche sono state coronate da successo poiché
in alcuni ambienti adibiti dalle suore a magazzini, ho potuto rinvenire
una intera abside a volta di fattura romana, abbastanza ben conser-
vata, costruita in laterizi. Per l'ingombro dei locali entro i quali essa
trovasi inglobata non mi é stato possibile prenderne le esatte misure.
Il colmo della volta dell'abside che fa da soffitto ad un magazzinetto
è sfondato proprio al suo sommo ed è ben visibile la riparazione che ne
é stata fatta con materiale diverso in epoca relativamente recente. Sul
fianco sinistro di detta abside si apriva una finestra sormontata da una
ghiera di arco con tipici mattoni dello stesso tipo di quelli mostrati
TERZO CONVEGNO STORICO UMBRO 43

nella fig. 2 e facenti parte di una ghiera consimilo ancora in opera in
un tratto di muro medievale in corrispondenza del fianco destro del
l’abside in questione.

A detta delle Suore sono frequenti, durante i lavori dell’orto, i

Fic. 2 — Assisi, Clausura di S. Quirico: resti di opere romane.

| rinvenimenti di tessere di mosaico bianche e nere. Nel loro giardino
poi ho visto qualche grosso blocco di pietra, usato ora come sedile, ed
un lastrone di travertino si scorge in funzione di architrave in una por-
ticina.

Gli elementi riscontrati in questo primo esame, necessariamente
racchiuso entro quegli avari limiti che l'eccezionalità del luogo impo-
neva, sono già notevoli e, anche se non sono certo sufficienti ad avvalo-
rare l'ipotesi del Tempio a Marte che solo ulteriori e meno affrettati
secondo secolo (2).

44 : TERZO CONVEGNO STORICO UMBRO

rilievi potrebbero legittimare, bastano tuttavia a dare volto concreto
alle voci che parlavano, finora senza fondamento, di un importante
edificio romano in questa zona. Sco

c) Iscrizione inedita in Castelnuovo di Assisi.

Su cortese segnalazione del prof. A. Bertini-Calosso ebbi notizia
d'una lapide romana frammentata esistente nel cortile della casa par-
rocchiale di Castelnuovo di Assisi, nel piano immediatamente ai piedi
della città, fra S. Maria degli Angeli e Rivotorto, cioé in pieno territorio

» del Municipium. Up

L'iscrizione, incompleta e divisa in due pezzi, éin alberese, la pie-
tra calcarea del Subasio, e misura cm. 60 x 39. In buoni caratteri d'età
adrianea essa dice: je

TO EUSSADV
V3l. VIR

L'iscrizione viene ad aggiungersi alla serie delle lapidi assisane che
si riferiscono ai sexviri augustales del M unicipium, ed é notevole so-
prattutto dal punto di vista dell'onomastica essendo questo il primo
Salutaris che si incontra in un titolo appartenente alla regione VI
se si eccettua un Octavius Salutaris il cui nome è inciso in un vaso are-
tino trovato a Viterbo (1). Gli altri titoli, in verità complessivamente

‘assai pochi, recanti lo stesso nome provengono in prevalenza dal Lazio

e dalla Campania e nessuno di essi è più antico della prima metà del
MARIO BIZZARRI
UO). C ELO XE 6700:

(2) cfr. C.I.L., II, 1085; VI, 3002; VI, 10558; IX, 2998, (questo è peró di
donna); X, 3947. . js QN

2, y T -
NACL
LA STIPE VOTIVA DI COLLE ARSICCIO
NEI PRESSI DI MAGIONE

Sullo scorcio dell’anno 1934 in un campo del predio voc. Colle
" Arsiccio situato nella località «La Villa» del Comune di Magione .
(Perugia) alcuni coloni vuotando una vasca con pozzetto centrale :

rivestito da lastre di travertino rinvennero alcuni idoletti di bronzo
e di terracotta, che si affrettarono ad offrire al commercio antiquario.

Informata del fatto, la direzione dei Musei Civici di Perugia
riuscì non solo a recuperare il materiale rinvenuto, ma poté compiere
sul posto una esplorazione regolare clie mise allo scoperto le fonda-
menta di una costruzione quadrangolare di circa metri. 12,50. di lar-

ghezza per 10, 90 di lunghezza, poggiata a non molta profondità sul

© terreno nel cui recinto era contenuto il pozzetto menzionato, in pros-
‘ simità del quale fra un terriccio reso nerastro per gli effetti di un an-
. tico incendio (da cui forse l'appellativo di Colle Arsiccio) si raccolse
numerosa altra suppellettile di terracotta e di bronzo.

Tra gli oggetti fittili notevoli: due bambini fasciati dell'altezza
di 50-60 cm. che appaiono chiusi in una specie di custodia con cap- :

puecio in testa come le mummie egiziane, metà superiore di una sta-
tuetta alta cm. 33 che doveva essere seduta sopra un seggio di cui
si profila alle reni la spalliera semicircolare. Rappresenta questa
una Giunone che con l'indice e il medio della mano sinistra stringe
la mammella destra per porgerla a un lattante che doveva reggere
con l’altra mano e che è andato distrutto. Caratteristico è un amu-
leto contro il malocchio a forma di doppio corno che le pende dal collo,

Insieme a queste si rinvennero le parti inferiori di altre statuette

frammentarie, alcune teste di fanciulli distaccate dal busto, ed una :

di giovinetto in argilla di color grigio di delicata fattura.
Inoltre fra le terrecotte emersero altre due statuette frammen-

tarie con ampio copricapo rotondo a guisa di turbante decorato ad .
occhielli ed alto: collare della stessa specie che ne serra sasmplef,

mente il collo.
A tale singolarità dell’ abbigliamento che o rende incerta la loro
46 TERZO CONVEGNO STORICO UMBRO

interpretazione, a meno che non si voglia ricorrere a soggetti esotici
di cui ci sfugge il raffronto si aggiunge la caratteristica di avere la su-
perficie ricoperta di uno smalto vitreo di colore olivastro.

Di una identica invetriatura doveva essere rivestita anche la
figura di Giunone sopra menzionata, come si rileva da tracce sparse
in diversi punti della superficie. ! |

La medesima invetriatura si riscontra su diversi frammenti di
una specie di vaschetta rettangolare di una settantina di cm. di lun-
ghezza per una quarantina di larghezza, decorata all'esterno da pro-
tomi umane a rilievo alternate da gazzelle impresse di stile apparen-
temente arcaico, che ai quattro angoli reca sporgenti quattro proto-
mi bovine sormontate da pigne sull’orlo; intorno al quale si elevano
altre protomi umane. 1

La fattura, quantunque con imitazione di modelli arcaici, si pre-
senta grossolana e imperfetta. Resta in ogni modo singolare e interes-
sante la presenza di questo oggetto che potrebbe avere riferimento
con qualche rito speciale oppüre essere considerato come una specie
di foculo.

Tra i bronzi sono degne di nota alcune figure di Apollini e di
Veneri, i primi con le consuete mani distese ai fianchi e le seconde col .
tutulo in testa nella posa caratteristica di sollevare con la sinistra il
lembo della veste.

Altre statuine sono rappresentate in movimento, altre sedute
da identificarsi cou l'immagine di Ercole bambino; vi sono inoltre
discobuli, sacerdoti, offerenti fra una serie numerosa di idoletti rudi-
mentali schematici. f | |

Dovevano altresi esistere statue di una certa grandezza, come lo
dimostra il rinvenimento di grosse basi di travertino Su cui si riscon-
trano i fori nei quali vennero fissate colandovi del piombo; General-
mente anche quelle di piccole dimensioni dovevano essere applicate
su basi a tronco di piramide in pietra e in terracotta, di cui si rinvenne
qualche esemplare.

Tra i bronzetti figurati notiamo: un bovide, una colomba, due
anguille da richiamare offerte votive provenienti forse dal vicino lago
Trasimeno.

Associati si trovarono pure alcuni frammenti di aes rude e nume-
rose monete che vanno dal V secolo a. C. alla epoca costantiniana.
Tra esse notevole é un aes grave con testa di Pallade sul diritto e rüota

nel rovescio, e della stessa serie un sestante laziale con conchiglia,
oltre un sestante ovale di Todi: :
TERZO CONVEGNO STORICO UMBRO 47

Tutto ció induce a ritenere la esistenza sul posto di un edificio
sacro dedicato al culto della virilità e della salute dei fanciulli, come
sembrerebbe dimostrarlo la numerosa quantità di immagini bambi-
nesche fra il materiale rinvenuto.

UMBERTO CALZONI
ATTIVITÀ DELLA SOPRINTENDENZA ALLE
ANTICHITÀ DI ANCONA NELL'UMBRIA

In seguito alla riforma delle Soprintendenze del 1939 venne ag-
gregato alla Soprintendenza delle Marche il territorio delP Umbria
situato alla sinistra del Tevere, compreso nella regione V augustea
a cui apparteneva anche il territorio marchigiano a nord dell'Esino.

| A causa delle sopraggiunte note contingenze, l’ attività archeolo-
gica potuta svolgere nell’Umbria è stata forzatamente limitata, in-
tesa a tutelare, secondo le possibilità offerte dall’esiguità delle dota-
zioni, le antichità esistenti sopraterra e. quelle resistuite SPOStanea:
mente dal sottosuolo. i

.I più notevoli rinvenimenti archeologici avvenuti lai
al 1939 sono costituiti dal leoncino di bronzo di Sigillo, prodotto
etrusco del v sec. a. C.; da bronzi ornamentali dell’età del ferro e, per
il periodo ellenistico, da uno specchio di bronzo rinvenuto nei pressi

di Gualdo con graffita sulla faccia concava una scena generica di ca-

rattere funerario di evidente stile etrusco.

Al periodo di Augusto risalgono tre tombe scoperte in località
Genestrelle presso Gubbio, da cui sono stati recuperati avanzi di pre-
gevole suppellettile, tra cui due frammenti di un poculo di vetro con
figure di gladiatori a rilievo ed altro di terracotta ad anse rostrate, a
imitazione dei vasi d'argento, con figure a rilievo.

Interessanti scoperte dal lato topografico e storico si sono fatte. |

a Terni su cui per brevità si sorvola, avendo di ció esaurientemente
parlato l'ing. Grassini. :

Tralasciando trovamenti di minore importanza, si E che.

a Narni per i recenti lavori disposti da quel Comune è stato possi-
bile rimettere in vista proprio sulla piazzetta di fronte al Duomo un
bel tratto della cinta murata dell’umbra Nequinum. E nella zona

dell’antica Ocriculum, presso la sinistra del Tevere, ai confini meri-

dionali dell’Umbria, si sono rinvenuti due interessanti resti epigrafici
pertinenti al Battistero patcoerstiano scomparso.

Merisi
POE

l——————— TERZO CONVEGNO STORICO UMBRO . 49

Contemporaneamente alla raccolta dei segni che necropoli. e
città son: venute spontaneamente rendendoci della loro esistenza, la
Soprintendenza ha cercato di salvaguardare e valorizzare i monu-
menti piü significativi della romanità in Umbria. is

Così in questa stessa Gubbio, essa ha rivolto la sua attenzione
al Teatro Romano le cui strutture murarie di età Repubblicana erano
in continuo deperimento così da far prevedere in ‘più punti l'immi--
nente crollo. È stato provveduto a vaste opere di organico robusti- .
mento mediante sott'archi e riprese a mattoni, al fine di assicurare la
stabilità dei pilastri e degli archi lapidei, nonché di taluni muri ra-
diali superstiti di sostruzione a sacco rivestiti di reticolato a cunei
di calcare. Durante questi lavori si son fatte varie esplorazioni in
profondità sul piano della scena, lungo le arcate esterne della cavea
éd anche all'esterno del recinto, verso il mezzo, con lo scopo di
ricercare gli antichi canali di drenaggio, che peraltro non si sono an- .
cora incontrati; má ne sorti l’interessante constatazione che il sotto-
suolo breccioso e compatto aveva fatto risparmiare una piattaforma
di fondazione, ed anche un notevole sviluppo dei muri in profondità,
essendosi potuta raggiungere la garanzia statica con opere limitate.
Questo lavoro ha inoltre consentito di ripulire a fondo tutto l’edifi-
cio e di liberarlo dalle ultime superfetazioni utilitarie e recenti. Ora
resta solo di allargare la visione ed il respiro, demolendo il muro di
recinzione che l’imprigiona e scavando attorno un fossato protettivo
più ampio, ed allo scopo è già stata ottenuta gratuitamente dall'Ente
Assistenziale di Gubbio, che ne è proprietario, una striscia di terreno
larga 10 metri. Si potrà in tal modo esplorare profondamente anche
la zona limitrofa, dove nel 1444 si rinvennero le famose fabulae e
nei cui pressi recentemente è tornata alla luce una statua acefala vi-
rile in marmo che dall’esame stilistico deve ritenersi copia romana di
originale del tv sec. av. C. Essa, che non è improbabile costituisse un
ornamento del Teatro, è venuta ad alimentare in noi la speranza di
altri più cospicui trovamenti.

. A Spoleto sono state compiute delle opere per proteggere i resti
accessibili in cunicolo del Teatro Romano i quali erano minacciati
da una frana del terreno. È stato pertanto costruito un robusto mu-
raglione di sostegno e si era provveduto anche ad istallare l'impianto
d’illuminazione per visitare le parti dell’edificio finora scavato, che
asportato durante la guerra è stato di nuovo rimesso. Nella stessa
città sono stati eseguiti notevoli lavori per prosciugare, illuminare ed
areare la Casa Romana al di sotto della scalinata del palazzo Civico

4 50 "^. TERZO CONVEGNO STORICO UMBRO

e si è eseguito il restauro: di gran parte dei pavimenti musivi esistenti

nella stessa casa.

A Norcia.sono stati eseguiti saggi di scavo attorno alla Chiesa.

di S. Lorenzo per accertare se gli elementi romani in travertino incor-
porati e visibili nel suo basamento risalissero ad un edificio dell'an-
tica Nursia esistente nella medesima area della chiesa, come qualcuno
colà riteneva. L'indagine ora compiuta lo ha escluso, ma ha servito
a far recuperare due altri massi con resti di iscrizioni, sinora celati
nel sottosuolo, che si sono lasciati in vista sul posto. Contemporanea-

mente alle predette escavazioni vennero eseguite ricerche nella Cripta.
della Chiesa di S. Benedetto per conoscere meglio i resti costruttivi.
romani nei quali si vorrebbe riconoscere la Casa. Avita di.S. Bene-

detto e di Santa Scolastica.
Questo in .breve il quadro dell'attività svolta dalla. Soprinten-
denza alle Antichità. di Ancona.
i GIOVANNI . ANNIBALDI

II LUCIANO BONAPARTE, GIAMBATTISTA
VERMIGLIOLI E GLI STUDI SULLE ORIGINI
DELLA CIVILTÀ ITALICA

Giambattista Vermiglioli, eo perugino, fu nella prima
metà del secolo scorso uomo di fama assai più che nazionale. L'Otto-
cento ebbe per gli studi archeologici un interesse singolare: nel secolo
in cui le varie nazioni europee raggiunsero o consolidarono la propria
indipendenza politica, la cultura cercò di conoscere, nella storia delle
nazioni, i caratteri peculiari delle rispettive individualità di nazioni;
con Vico e con Hegel si credette di trovare nella storia la soluzione ai
problemi più altamente pratici che tenessero agitate le coscienze de-
gli uomini, come singoli e come collettività nazionali. Onde la storia
dei tempi piü antichi e l'archeologia divennero materie d'attualità.
Per questo sugli spiriti maggiori del secolo, figure come quella del
Vermiglioli, che agli studi storici, all'archeologia in ispecie, aveva de-
dicato la sua vita, dovettero esercitare un'attrattiva tutta speciale,
e uomini come un Gino Capponi, un Giacomo Leopardi, un Vincenzo
Gioberti, un Jules Michelet desiderarono la conoscenza del Vermi-
glioli e uno scambio di pensieri con lui.

Nel carteggio del Vermiglioli, che si conserva nella Biblioteca Au-
gusta del Comune di Perugia, e che resta un documento'storico e let-
terario della maggiore importanza, si conservano tre belle lettere dt
Luciano Bonaparte a Giambattista Vermiglioli (1).

Quanto è stato scritto su Luciano Bonaparte si riferisce ai rap-
porti, al contrasto di questi con Napoleone, che pur doveva a Luciano,
il 18 brumaio, la salvezza della propria vita. Di Napoleone e dei na-
poleonidi, almeno ‘a certi studiosi e ad un certo pubblico, tutto inte-
ressa e tutto è stato ricercato, studiato, messo in luce; ma su Luciano,

(1) Una di esse è pubblicate in: Cento lettere inedito di LVII uomini illu-
stri a Gio. Battista Vermiglioli. Perugia, 1842, pag. 15.
52 TERZO CONVEGNO STORICO UMBRO

unico fratello degno dell'uom fatale, sulla sua vita di principe roma-
no, tramontata la meteora napoleonica, sui suoi studi, sulla sua per-

sonalità, non esiste — che io sappia — un lavoro come si converrebbe.
e come la fama ch'egli ebbe presso gli studiosi del suo tempo e le let-
. tere (di due delle quali daró lettura) al Vermiglioli farebbero desi-

derare.

Certo Luciano Bonaparte, più d'ogni altro della sua famiglia,
si sentì italiano, provò fierezza della propria italianità. Negli studi
di archeologo confermò i suoi sentimenti italiani: la lettera seguente,

| che vibra di un sentimento di patria altissimo, potrebbe averla scrit-
ta uno di quegli studiosi del Risorgimento che della cultura fecero un -

mezzo alla consapevolezza della nostra esistenza e dignità di nazione,

una scuola di patriottismo. Ecco la lettera (1) che è scritta il 9 luglio

1831 da Musignano dove viveva Luciano Bonaparte, Principe di Ca-

.nino (secondo il titolo concessogli da Pio VII), presiedendo ad una.

vasta e benemerita impresa di escavazioni archeologiche :
«Ho ricevuto, stimatissimo, Sig. Professore, la. Vostra lettera e

. l'illustrazione di un vaso dipinto inedito (2); ho letto la vostra opera
con l'attenzione che richiama da tutti il vostro nome ed ho provato:

il rammarico di vedere ancora titubante fra i due campi la persona che
l’Italia dovrebbe acclamare come il capo de’ difensori dell'antica sua
gloria; lasciate, stimatissimo Sig. Professore, ai scolari. mercanti te-
deschi che vogliono oscurare il nome etrusco tutte le riminiscenze el-

lene che non hanno nulla che fare con l’Italia anti-greca e anti-ro-
mana; sarebbe con un gran piacere che vi vedrei portare il vessillo,

d’Italia e non lasciare ai tedeschi ultra- “greci il vantaggio di potervi
citare come fautore de’ loro sogni.

« Vi prego di considerare questi miei sensi come una prova del-
l’alta stima che ho per voi e di considerarmi di vero cuore

« V. aff.mo L. PR. DI CANINO ».

(0) Nel carteggio del eei Hcl tale ia sebbene parzialmente pub-
blicata da G. Conestabile in Dei Momumenti di Perugia etrusca e romana, ecc.

| Perugia 1855, parte prima, pag. XXVI, figura ancora tra un manipolo di «lettere

varie senza firma e con firme indecifrabili ». Sia detto per incidens : la calligra-
fia di Luciano Bonaparte é veramente assai difficile a decifrare.
(2) Deve alludere al saggio del VERMIGLIOLI, Le érogamie di Admeto e di

Alceste nella pittura di vaso plastico, ecc. Perugia, 1831, pubblicato per nozze:

Bracceschi-Meniconi.

, . i

pri e ee TERZO CONVEGNO STORICO UMBRO 53

Grande fu la stima di Luciano Bonaparte per Giambattista Ver- .
‘miglioli, e sincera l'amicizia (1); ma con le loro teorie militavano in
campi diversi.

La questione che attraeva gli studi di archeologia anche allo-
ra — allora forse più d'ora per i riflessi d'attualità che si volevano ve--
dere, che si cercavano, nelle diverse soluzioni della: questione — era
quella della origine degli antichi popoli italici e della loro civiltà. Il
problema. dell'Italia preromana, diventava, quasi generalmente, il
problema degli etruschi: svelare l'enigma di questo popolo, della sua
provenienza, del suo linguaggio, della sua civiltà altissima, significava
non solo risolvere una delle questioni che più abbiano appassionato
gli storici di tutti i tempi, ma, praticamente, rivelare agli italiani qua-
si un po' la loro natura, la testimonianza di un'antica fervida vita
culturale e politica, e le prove di una gloriosa nobiltà, più che auspi-
cio, premessa e garanzia di civile grandezza per l'avvenire.

Due tesi avevano diviso già dai tempi antichi gli studiosi sulla
origine degli etruschi e su quella dei primi popoli italici: una. tesi che.
sostiene la presenza degli etruschi in Italia da un'età remotissima e li
considera autoctoni; un'altra, invece, che afferma l’essere penetrati
gli etruschi in Italia per via di mare dall’oriente, variamente speci-
ficabile, in migrazioni alquanto tarde e variamente databili.

Già queste due tesi noi le vediamo adombrate in Dionisio d'Ali-
carnasso. Nel progresso degli studi storici, con la scoperta continua
di nuovo materiale documentario, gli studiosi presero una posizione
sempre più recisa per l’una o per l’altra di queste due tesi. Ai tempi
del Vermiglioli e di Luciano Bonaparte la polemica tra i sostenitori
delle due opposte tendenze era vivacissima. Dalla lettera del Bona-
parte al Vermiglioli s'è visto come a quest'ultimo il Bonaparte, so-
stenitore delle teorie cosidette. autoctoniste, rimproverasse di soste-
nere, con l’autorità del suo nome e dei suoi scritti, quanti, con le teorie
delle migrazioni dall’oriente, privavano d’ogni originalità la civiltà
italica preromana, facendone un'importazione da altri paesi.

Il Vermiglioli, invero, se mirava ad escludere importazioni. orien-
tali ed asiatiche, tendeva tuttavia a dimostrare nell'Italia prero-
mana una fisonomia greca; si dava quindi a ricercare nel mondo gre-
co le prove della sua tesi e con Luigi Lanzi, suo maestro ed amico,

(1) Il Vermiglioli fua Musignano ospite del Bonaparte, che lo volle per
studiarvi quelle scoperte archeologicre fatte sotto la sua direzione, e cre tene-
: vano desto l’interesse dei dotti di tutta Italia. 54 TERZO CONVEGNO STORICO UMBRO

considerando gli etruschi quasi il ponte.di passaggio tra la Grecia e
Roma, gli scolari dei greci e i maestri dei romani, sperava di trovare
nelle due lingue della Grecia e di Roma le chiavi della lingua etrusca.

Luciano Bonaparte seguiva la teoria opposta. All'archeologia egli
si era dedicato tardi nella sua vita e quasi per la fatalità che aveva

messo quest'uomo politico, di indubbie capacità, all'opposizione e .

quindi ad una vita inattiva. Non si può dire però che negli studi ar-
cheologici fosse un dilettante, per l'intelligenza e l'impegno che vi
aveva posto. E gli archeologi, anche i piü qualificati, del suo tempo
mostrarono tenerlo in buona considerazione (1).

. Sosteneva il Bonaparte il primato italico nelle civiltà mediterra-
nee. Non l’Italia dalla Grecia ha sortito la sua civiltà, ma la Grecia
dall'Italia. Ed egli credeva fosse un po' la sua missione quella di pre-
dicare ai nostri archeologi di liberarsi dalla soggezione alla civiltà
greca; né mai si stancó di farlo.

Leggeró ancora questa lettera inedita di lui, Bonis da Canino .

il4 aprile 1840, appena tre mesi avanti la sua morte (2). Si noti come
anche in questa ribadisca le sue immutabili idee sulla natura schietta-
mente italiana dei monumenti che, mercé sua, venivano scoperti nel
territorio di Canino e di Musignano:

«Ricevo, stimatissimo Sig. Vermiglioli, la vostra lettera assai
gradita e vi ringrazio delle cortesi vostre espressioni a mio riguardo.
La Signora vi fa i suoi saluti ed il Padre Maurizio (3) si ricorda alla
vostra memoria. Nel tempo della mia assenza il Rev. Padre ricevette
le inscrizioni perugine e vi ringrazio di quell'invio.

« Riceverò con gran piacere la descrizione de’ vasi ritrovati in
Perugia. Qui si continua a trovare preziosi monumenti italiani pre-

(1) Tra i molti, Angelo Mazzoldi, sostenitore delle teorie autoctoniste,
nel suo libro/ Delle origini italiche, ecc. Milano, 1840, che suscitó cosi vivaci di-
scussioni e divenne famoso, cosi ne parla alla pag. 9: « A questi ultimi tempi...
Luciano; Bonaparte si ravvicinó al fatto, tenendo che gli Italiani potessero
vantare una esistenza civile certamente anteriore alla greca ed anteriore o al-
meno contemporanea all'egizia...P L'Italia ha un gran debito verso le forti
e fiere scritture di quest'uomo illustre. La severa rigidezza colla quale egli in-
sorse altamente contro le fole e vanità greche, indusse negli animi un prepo-
tente bisogno d'indagar finalmente com'esse avessero potuto per tanto tem-
po acciecare ed ingannare il mondo ».

(2)f Morì in Viterbo il 29 giugno 1840.
(3) Il dotto P. Maurizio Malvestiti da Brescia, cappellano e confidente di
Luciano! Bonaparte e precettore dei suoi figli.

TIT
TERZO CONVEGNO STORICO UMBRO 55

tesi greci dai vostri dottori di Germania... Una grotta egiziana con
l'idolo d'Iside in alabastro egizio, carri votivi, corone d'oro, statuette
dorate ecc. Fu il più prezioso ritrovato dell'anno ultimo.

«In questa si sono scavati, fra altri, due vasi preziosissimi ed
intatti a figure gialle, di perfetto disegno e coperti d'iscrizioni. L'uno
rappresenta il giudizio di Paride, e l'altro l'apoteosi di Cadmo con i
nomi a tutte le figure. La raccolta di ori della Principessa si é pure ac-
cresciuta di molto.

« Gradite, stimatissimo Sig. Professore, i sentimenti di alta sti-
ma con i quali mi pregio di dirmi di cuore

V. aff. serv. L. PR. DI CANINO ».

L'accenno ai « vostri dottori di Germania », che tolgono agli ita-
liani il loro primato storico, é pieno di amarezza. La Germania col-
l'opera del Müller del 1828 sugli estruschi e con quella del Lepsius
del 1833 sulle tavole eugubine, opere fondamentali, attirava ormai
l'interesse di tutti gli studiosi di archeologia. I metodi e le conclu-
sioni di Luciano Bonaparte erano superati, ma anche il Vermiglioli -
cominciava ad apparire ormai un attardato. Gli studi archeologici
avevano preso un altro indirizzo.

A quale dei due le conclusioni ultime della scienza abbiano dato
ragione non è compito nostro il dire. Certo, alla luce degli studi ulti-
mi le teorie del Vermiglioli non hanno piü gran fondamento.

. Laddove alla tesi degli autoctonisti, e quindi anche a quella del
Bonaparte, studiosi contemporanei quali il De Sanctis e il Pareti — ri-
tenendo presenti gli Etruschi nella penisola in tempi antichissimi, e
penetrati inizialmente non per via di mare ma attraverso i valichi
alpini - hanno apportato una maggiore verosimiglianza.

Comunque è bello e confortante il pensare all’amicizia di questi
due studiosi di opposte tendenze. È frutto di quella humanitas che
fiorisce nella vera cultura, che è vita morale, nelle anime grandi.

Nella storia della civiltà anche gli errori hanno un valore posi-
tivo. E quando questi errori si accompagnano a sentimenti generosi,
fecondi di opere di pace e di umanità, è bello, è utile, forse, ricordarli.

Errore generoso fu quello di Luciano Bonaparte. Credette nel
mito dei Pelasgi che la scienza moderna ha sfatato. Errore che egli
divise, in buona compagnia, con Vincenzo Cuoco e con Vincenzo Gio-
berti.
56 TERZO CONVEGNO STORICO UMBRO

L'idea del primato italiano, di un'antichissima civiltà italica, che
| in una popolazione autoctona avrebbe preceduto quella greca, non
nmn | intese lusingare lo sciovinismo (per dirla con una parola per fortuna,
| una volta tanto, d'importazione).del popolo italiano, e fu un'idea di
primato ben.diversa da quella alla quale, con le sue conseguenze esi-
ziali, abbiamo dovuto assistere nel pervertimento dell'età nostra. Essa
| : intese, alla vigilia del Risorgimento, render agli italiani consapevo-
B lezza della propria dignità, della propria missione di nazione nel pro-
Rigi gresso civile dei popoli liberi.
| | Per questo mi é parso valesse la pena leyar dall'ombra le due let-
IB tere di Luciano Bonaparte e ricordare la s sua figura.

FRANCESCO DURANTI
MEMORIE

CITERNA

. Citerna è un paesino adagiato su la sommità di un colle, dove
la valle del Tevere, risalendo da Città di Castello, si fa più ampia.
Un civettuolo borgo a balconata: sul crinale del colle la via e ai due
lati lunghessa. le case affacciate all'ubertosa valle del Tevere e alle
vallette del Cerfone e della Padonchia. In pochi luoghi di questa be- |
nedetta terra d'Italia, io credo, la Natura ha cosi largamente profuso
delle sue grazie come in questo angolo romito dell'Umbria ove sorge
‘Citerna. i -

Ricordo come a me ragazzo, vedendola da Borgo S. Sepolero sui
colli di faccia, quel suo ‘aspetto di roggia acropoli suggerisse l’ima-
gine delle rasenie città. Quell'imagine forse mi fece credere vere le
‘sue antiche origini etrusche, di cui udivo ragionare da quelli che ve-
neravo come uomini dotti. Parlavano essi di antiche tombe rinve-
nute lì presso, di grandi scheletri inumati con a lato ciotole e pa-
tere, notizie che anche se affidate alla sola tradizione, hanno poi tro-

vato, di recente, una conferma nelle scoperte di un dotto archeologo (1).

Più tardi, una più approfondita conoscenza della storia altoti-
berina e l'esame della toponomastica locale, mi hanno indotto a rele-
gare quelle origini tra le favole suggerite dall'amor del natio loco;
. e sebbene tali ancor le ritenga e mi paia d’averne riconosciuta la
‘natura erronea, non so esimermi dal riguardarle con quella indul-
genza che meritano i vaneggiamenti suggeriti da sentimenti non
volgari. (Rsa d | WEG
Un grande torrione che, fino al giugno del 1944, vigilava rossi-
gno il gruppo delle umili case, indicava qual'era stata nei secoli an-
dati la ragione che aveva indotto gli uomini ad asseragliarsi lassü.
| L’infausta guerra recente lo ha atterrato, privando il paese del ser-

(1) AntonIO Minto, Scoperte Archeologiche nell’ Alta Valle Tiberina, nella
rassegna « L'Alta Valle del Tevere » anno V, 1937, n. 1, pag. 9-10. 58 GINO FRANCESCHINI

batoio di acqua, e il paesaggio di una di quelle note, che il nostro
ombroso affetto vorrebbe per sempre immutate, poiché ci stanno
impresse nellanimo, come la cara immagine della madre nostra.

*okox*

Con ogni probabilità, Citerna fu, alle sue origini, cosi come
Anghiari, Caprese, Pieve Santo Stefano, e, più innanzi, il Chiaveretto,
la Chiassa, Catenaia e Chiusi del Casentino, uno dei fortilizi limitanei,
sorti sulla fine del sesto e il principio del settimo secolo, ad appoggio
dei distaccamenti bizantini contro i Longobardi d'Arezzo. Non è dif-
ficile riconoscere qual fu, all’incirca, la linea che separò per alcun tempo,
quest’ultimo lembo di « Romania » dall’antistante « Langobardia »
poiché tale linea segnò per. molti secoli i confini dell’antica diocesi
tifernate. Questa su le « Alpes Appenninae » confinava con la diocesi
d’Urbino, avamposto della Pentapoli Annonaria: risalendo il crinale
raggiungeva il territorio longobardo al Poggio dei Tre Vescovi, ove
confinava con le diocesi di Montefeltro e d'Arezzo; poi lo spartiacque
fra Tevere ed Arno segnava approssimativamente il confine con

quest’ultima, fino alle alte valli del Cerfone e del Nestore, ove la

diocesi tifernate raggiungeva quella perugina (1).

A. meglio chiarire i mutamenti che causò qui, nell'alta valle del
Tevere, l'occupazione longobarda dell'Etruria, giova forse tener pre-
sente qual fosse l’antica circoscrizione territoriale e la reciproca si-
tuazione delle due città confinanti, Arezzo e Tiferno. La prima giun-
geva col suo territorio fino alla riva destra del Tevere, ove confinava
l’Etruria, aveva una storia plurisecolare, era ricca di sonanti offi-
cine, prosperava per un esteso traffico, era insomma la maggiore
città dell'Italia centrale, dopo Roma; quando nasceva Tifernum Ti-
berinum, umile scalo fluviale, ove s'immettevano i tronchi delle
vicine foreste, che fluitando andavano a Roma.

Tiferno fu prevalentemente un centro rurale: assunse aspetto
di città al tempo della generale urbanizzazione dell'Impero, sui pri-
mi del secondo secolo, e più che per virtù propria, per la munificenza

(1) FEDon ScHNEIDER, Die Reichsverwaltung in Toscana, Roma, 1914,
pag. 95; e dello stesso: Die Entstehung von Burg und Landgemeinde in Italien,
Berlin, 1924, pag. 9, 166-67.
CITERNA 59

d'un potente patrono, che ne abbelli il foro con un tempio sontuoso
adorno di marmi e di statue (1). Il suo territorio si stendeva su la
sinistra del Tevere, dal monte Petrano per tutta quella regione che
più tardi fu detta Massa Beati Petri o Massa Trabaria, fino alle sor-
genti del Tevere, del Savio e della Marecchia.

Solo verso la fine del secolo vi, in seguito all’occupazione lon-
gobarda d’Arezzo e all’irrigidimento della difesa bizantina su lo
spartiacque fra Tevere ed Arno, Tiferno estese la sua giurisdizione
ecclesiastica e, dobbiamo credere, anche quella civile, su queste an-
tiche terre aretine dell’alta valle del Tevere. Qualche toponimo come
Gricignano e il titolo di qualche antica chiesa segna ancora i termini
di questa occupazione e della primitiva circoscrizione diocesana: un'an-
tica chiesa, oggi scomparsa, dedicata a S. Crescentino, presso An-
ghiari e Badia San Veriano, anche se tornata, attraverso la soggezione
a Camaldoli, sotto la diocesi d'Arezzo, ce ne forniscono una prova, ché
iloro patroni appartengono ad un antico catalogo di Santi della chiesa
tifernate (2). Cosi é fuori dubbio che tutta la Massa Verona (Pieve
Santo Stefano e il suo territorio fino a Monte Coronaro) appartenne
anticamente alla diocesi di Città di Castello, mentre nel decimo secolo
fa parte della contea d'Arezzo e d'allora in poi dipende sempre, nel
civile, da quella città (3). Se più tardi questi territori divennero, per
effetto della lenta penetrazione longobarda, Etruria o Toscana, pur
rimanendo spiritualmente soggetti al vescovo di Città di Castello, bi-
sogna ammettere che la dominazione bizantina vi duró il tempo ne-

(1) C. PLINI CAECILI SECUNDI, Epistularum libri etc., Lipsiae, in aedibus
G. B. Teubneri MCMXII, pagg. 88, 89, 275.

(2) San Veriano, san Griciniano e San Crescentino sono santi venerati dal-
l'antica chiesa tifernate. Nell'operetta Fiori della Chiesa di Tiferno Angelo Conti
dedusse, da un antico calendario di quella chiesa, un elenco «sanctorum Crescen-
tiani, Justini, Griciniani, Viriani, Orphiti, Exuperantii, Benedicti, Eutropi
atque Fortunati » in essa venerati. A proposito di questo elenco vedi FEDELE
Savio, Una lista di vescovi italiani presso Sant' Atanasio, « Archivio Storico
Lombardo », fasc. 34, 1903, pagg. 234 e segg. Egli congettura che tale raggrup-
pamento di nomi derivi dagli antichi dittici della Chiesa Tiferate. Vedi anche
il « Bollettino della R. Deputazione di Storia Patria dell'Umbria » 1903, IX,
pag. 520. Vedi come la tesi che Città di Castello ( Castrum Felicitatis) sia ri-
masta bizantina fino ai primi del secolo viri, è con nuove e valide argomenta-
zioni illustrata da SERGIO MocHI Owonv, Congetture sulla data del passaggio
del « Castrum Felicitatis » alla definitiva dominazione longobarda, in «Rivista
di Storia del Diritto Italiano » Roma, 1930, pag. 161-175.
(3) FEDOR SCHNEIDER, Die Reichsverwaltung, pag. 95.
che, almeno taluni, sono nomi di fortificazioni.

60 - GINO FRANCESCHINI

cessario per dare alla diocesi tifernate quella configurazione ch'é an- -
cora riconoscibile anche nelle terre situate su 1a destra del Tevere, ove
le numerose chiese private o feudali e la secolare opera di penetrazione
dei monaci di Camaldoli l'hanno cosi profondamente modificata.
Ma, per tornare al nostro argomento, diremo che appunto

dn questi anni, tra la fine del sesto e il principio del settimo

secolo, quando i bisogni della difesa popolarono piü intensamente
queste terre altotiberine, dovette nascere Citerna o, per meglio dire,
Cisterna: e il toponimo appartenente alla declinante latinità, é una
testimonianza che avvalora gli argomenti sin'ora discorsi.

Il «castrum Cisternae » che sorgeva nel territorio della Pieve
di Sant'Antimo, ebbe assai per tempo una chiesa dedicata a San Gia-

. como, il che ci fa sospettare che unito ad essa vi fosse uno xenodo-

chio e che l'antica strada che univa Arezzo a Tiferno passasse, come .
quella d'oggi, poco discosto dal castello, alle falde del colle. Queste for-
tificazioni bizantine, più che disposte di fronte a formare un «limes »,
sembrano disseminate lungo strade a difesa di punti obbligati, come
qui ove Citerna e Monterchi (Mons Herculis) controllavano la stretta en-
tro cui si snoda la strada sino al Vingone, cui dall'alto Celle sovrasta (1).
Piü tardi, quando i Longobardi occupando ad uno ad uno questi punti
muniti s'insediarono a Citerna, vi costruirono una loro chiesa .dedi-
cata a San Michele Arcangelo, ch'é uno dei santi più venerati da quella
nazione; e d'allora il patrono dei dominatori divenne il patrono del
paese.

Con eut iE longobarda, territorio municipale tifernate o.
« districtus civitatis » e diocesi ecclesiastica non coincisero più: Citerna
venne a far parte del Regno nel civile, mentre nello spirituale seguitó
a dipendere dal vescovo di Tiferno, da un vescovo cioé dell'Impero
romano-bizantino.

Il divario tra le due obbedienze apparve più evidente nella se-
conda metà del secolo viti, quando si consolidò quella duplice e diversa '
soggezione, che doveva esser la radice dei secolari dissidi tra Arezzo e

| Tiferno, che son tanta parte della storia di Citerna.

(1) Questo carattere della difesa bizantina é più chiaramente visibile nel-
l’altra strada, cbe dalla valle del Tevere convergeva su Arezzo. La segnano

i seguenti toponimi: « Mons aureus » (Montedoglio), «In glarea » (Anghiari),

« Trans flumen » (Trafiume), « Colonia » (Cologna) «ad montem Herculem »
(Montemercole), « Petra mala » (Pietramala), « Classis » (Chiassa);te ed è evidente
CITERNA 61

Quando il regno longobardo sotto l'urto dei Franchi vacillò,
"Fiferno, o meglio Castrum Felicitatis (per designarla col suo nuovo

nome), che solo da aleuni decenni era entrata a farne parte e pare non.

si fosse accomodata di buon grado al nuovo dominio, chiese la pro-
tezione di quell'autorità che appariva la legittima erede di Bisanzio»
ed era nel contempo assai venerata dai nuovi dominatori. Il pontefice

Adriano I accolse gli abitanti « de Castello Felicitatis in fide et ser-

vitio beati Petri» (1).

^. Ma tra coloro che, assai simili ali manzoniano Svarto, s'erano per
tempo volti ai nuovi padroni, v'erano alcuni strenui difensori delle
ragioni del regno, ai quali sembrava che la Chiesa si fosse. nel para-
piglia troppo allargata oltre i suoi storici confini: e non. tardarono a
farne accorto il nuovo sovrano che li ebbe cari par questa sollecitudi-
“ne, «e salirono in- alto.

Uno di questi era appunto Reginaldo « dudam: in Castello Felici-
"tatis castaldium » e promosso da Carlo a duca di Tuscia. Riconoscen-
'do. pertinenti al «regnum Langobardorum » quelle terre che ne ave-
‘vano fatto parte prima dell'avvento al trono-di Astolfo, mosse con:
‘l’esercito su Città di Castello e lo ritolse alla Chiesa (2).

Il papa ricorse a Carlo che annuendo ai desideri del pontefice
gli restituì la città contesa; ma riconobbe pertinenti al regno quelle
terre che ne facevano parte da secoli e ristabilì il confine vigente prima
che: Liutprando conquistasse Castellum -Felicitatis. Così Citerna ri-

. mase entro il territorio del «regnum Italiae»: territorio della Tuscia .
. mel civile e della «Romania », che sarà poi Umbria, nello spirituale.

Fra il decimo ‘e l'undecimo secolo, Citerna era nel distretto di
‘sovranità d'una antica stirpe di longobardi infeudati ai margravi
di Monte Santa Maria. Sia vera o no l'opinione del Gamurrini, che dice
questa antica stirpe derivata nel 1032 dai longobardi di Celle — il
possesso di Citerna sembrerebbe confermarlo — è fuori dubbio che nel
.» 1070 essi s’intitolano dal castello di Galbino e che la loro giurisdizione
S'estende su Montauto,; Galbino, Anghiari, Montedoglio, Viaio e
Citerna con le sue pertinenze di Pistrino, Fighille e Petriolo. Il. 15
ottobre 1196 trovandosi l’imperatore Enrico VI in Castiglione. del
Lago e considerando «devota obsequia fidelium nostrorum. Alberti,

(1) Liber Pontificalis, ed. L. Duchesne, vol. I, pag. 496.
(2) Monumenta Germaniae Historica, Epistolae Merovingici. et Karolini
aevi. Tom. I, Berolini, 1892, pagg. 583-84.

E A ii rene 4o Mme cte EM

62 GINO FRANCESCHINI

Mathei et Guilielmi filiorum Rainerii de Monteacuto » fa loro alcune
concessioni; «insuper, ipsi Matheo » conferma «...ut domum suam
quam habet in castro. Citerne pro suo velle mutet et edificet » (1).
Il dominio di questa famiglia — i Barbolani conti di Montauto = duró
fino al secolo xim inoltrato, fino a quando cioè, per appoggiare le
forze ghibelline di Città di Castello, essi entrarono nell'orbita politica
di quel comune e posero alcune loro terre, fra le quali Citerna, sotto
la protezione di quello.

Ma qui non sarà male addentrarsi un poco più nei particolari.
È noto che, dopo il ritorno di Federico II dall’impresa di Terrasanta,
e dopo la pace di San Germano, le fortune dell’impero e dei suoi
fautori, specialmente di quelli che avevano preso parte alla gesta
d’oltre mare, salirono rapidamente, e, per converso, subirono un
rovescio le speranze dei guelfi. I Montefeltro che erano rimasti fedeli
alla causa dell’Impero, anche nell'avversa fortuna, e che avevano
sostenuto. una logorante guerra, ad opera dei guelfi di Città di Ca-
stello, ottennero mediante un arbitrato una onorevole: pace. Il 26
settembre 1230 il capo di quella famiglia, Bonconte, ch'era rimasto
in Italia a difendere le posizioni imperiali nell'alta valle del Tevere
e nelle valli fra Marche e Romagna, e suo fratello Taddeo, che aveva
preso parte coi suoi fedeli alla crociata, nel castello di Monteceri-
gnone approvarono i capitoli del trattato e li roborarono con una serie
di atti che condussero ad una vera e propria alleanza. Segno di questo
mutamento negli spiriti e nella vita politica della città altotiberina,
fu la nomina di Bonconte da Montefeltro a podestà per l'anno 1231.
La fazione guelfa capeggiata dal vescovo Matteo e da Suppolino suo
padre, abbandonò la città minacciandola poi dal contado e costrin-
gendo il podestà a prendere alcune misure atte ad assicurare la di-
fesa dei capisaldi del territorio, fra i quali Citerna. Fu così che « Ysa-
chum quondam domini Mathei de Monte Aguto promisit stipulatione
solepni domino Bonocomiti de. Montefeltre potestati, comuni Civi-
tatis Castelli nomine dicti comitis stipulanti et recipienti, facere
guerram inimicis Civitatis Castelli, quos nune habet aut in antea
habebit occasione guerre incepte et ipsos inimicos tenere pro ini-
micis sine fraude et Castrum Citerne pro se et omni persona, pro eo

(1) Fipor. SCHNEIDER, Die Entstehung, pagg; 166 e seg. UBALDO PASQUI,
Documenti per la storia della Città d'Arezzo, Firenze, Viessieux, 1899-1937,
vol. II, pag. 42.
CITERNA 63

et homines eiusdem castri... sine fraude custodire et salvare... » (1).
Da quel momento Citerna entra nell’ambito della politica di Città
di Castello e ne segue le mutevoli vicende. Ma intanto s'avanzano,
lungo le valli della Sovara e del Cerfone, i Da Pietramala, che leghe-
ranno per due secoli le loro sorti a quelle di Citerna.

Questa. potente famiglia, che forse uscì dai longobardi della
Chiassa, giunse, per legemi di parentado e per virtü di conquista, a
raccogliere nelle sue mani pressocché tutte le ragioni e le «sorti»
di quei nuclei di arimanni o di lambardi che ancora a mezzo il se-
colo xIII, sopravvivevano, logorati dalla decadenza economica, lungo
l'alta valle del Tevere: raccolse quelle ragioni e facendole gravitare
su Arezzo, fece si che la città le difendesse come regioni proprie e
mettesse al servizio di quelle e degli interessi dinastici della grande
casata, una forza politica che, su l’ alto corso del Tevere, non temeva SUE
rivali (2). NH
: Fu cosi che Citerna divenne, nella prima metà del secolo xiv,

il pomo della discordia fra Arezzo e Perugia, o meglio, fra i Tarlati

da Pietramala signori di Ranco e Monterchi, e il comune di Città di
Castello. Del resto gli stessi Tarlati avvaloravano le loro rivendica-
izoni con ragioni storiche e precedenti assai remoti. Il 26 settembre
1194 Uguccione, marchese del Monte Santa Maria, dava in accoman-
digia al comune di Arezzo l'intero plebanato di Sant'Antimo,
con la condizione che. gli abitanti fossero obbligati a far pace e
guerra in favore di Arezzo, ed a non far pace o tregua con Città di
Castello.

Quest'atto mirava aristabilire l'antico legame che aveva per secoli "EH
unito queste terre arimanniche con la longobarda Arezzo. Ma solo
ora, lungo il secolo xiv, per opera dei Tarlati, quel disegno veniva
perseguito con piü continuità e tenacia, mentre, inserendosi nella
storia della signoria, assumeva un nuovo significato (3). j

(1) Archivio segreto di Città di Castello, Libro nero, Vol. I, fol, 89.

(2) Durante il:secolo xrrri Tarlati da Pietramala occuparono a uno a uno
i castelli della valle della Sovara. Nel 1241 il procuratore di Camaldoli pre-
senta. a Pandolfo di Fasanella, vicario dell'Imperatore Federico II in Toscana,
un ricorso per la. giurisdizione sul castello di Pianettolo conteso ai camaldo-
lesi dai nobili da Pietramala. UBALDO Pasquri, Codice Diplomatico Aretino,
Vol. II pag. 237, n. 542.

(3) GIOVANNI MAGHI CAR Storia di Città di Castello, Lapi ed.,
vol. IL, pag. 75. . 64 : GINO FRANCESCHINI

Le sconfitte di Montecatini e di Altopascio, che parvero pro-
strare Firenze, non furono senza effetti nell’alta valle del Tevere.
Arezzo assurse allora ad una potenza non mai conosciuta ad opera del
vescovo Guido Tarlati, che gettò le fondamenta di una vasta signo-
ria che abbracciava oltre il Casentino e il viscontado di Valdam-

bra e Castiglione Aretino, anche Anghiari, Caprese, tutta la Val

Verona con Pieve Santo Stefano, Sansepolcro, Citerna e Città di
Castello.

Questa. vasta Signoria.sopravvisse al vescovo Guido (à 1327) e Ci-

terna fece parte dei domini dei Tarlati per alcuni anni ancora, fino ab
1335, quand’essi persero Città di Castello e il suo contado. Stanchi

della dominazione petramalesca i terrazzani di Citerna si ribellarono
il 31 agosto e nell’impeto della rivolta scaricarono la fortezza che n’era
lo strumento. Un anonimo ‘annalista aretino ricorda infatti sotto
quella data «amissio. castri Citerna, quia homines dicti castri nole-
bant aliquam dominationem, immo in totum destruxerünt casserum
ipsius » (1). I Tarlati opposero per qualche anno un'accanita resi-

stenza in tutti i luoghi minacciati e specialmente nelle alte valli del

Tevere e della Sovara. Il 31-agosto 1336 i priori di Città di Castello

. deliberarono-« quod requiratur Comune Citerna quod faciant facere

sortitas corum expensis... Item quom fiant sortite expensis Com-

mis iuxta Toppole et alibi ubi foret expediens » (2). Logorati da. una-

sanguinosa lotta triennale i Tarlati dovettero scendere a patti. L'8
dicembre 1338 il procuratore di Firenze, a nome dei figli, consorti

e aderenti di quei di Pietramala, prometteva al procuratore di Città

di Castello, ch'essi non avrebbero fatto guerra né cavalcate contro i
castelli di Celle e di Citerna (3).

Il declino della potenza dei Tarlati; nell’ alta valle del Tevere,
era una conseguenza del declino della potenza degli Scaligeri cui i
signori d'Arezzo erano raccomandati. Pochi anni dopo, quando Fi-

(1) Annales Arretinorum Moiores in RR. II SS? T. XXIV, P; I, Città

di Castello, 1909, p. 28-29.

(2) ‘ARCHIVIO SEGRETO, cit. Annales, T. L, c. 25, 26. :
1909, pag. 73. Negli Annali di Città di Castello si ha ricordo delle pratiche
di pace: «anno 1338, die vigesimo nono septembris. Capitula cum illis quon-
dam domini Tarlati de Petramala; mandato siudico SIMI ». ARCHIV.,
cit. Annales, I, c. 78 t.

(3) GIUSTINIANO DEGLI AZzI VITELLESCHI, Le relazioni tra la Repubblica
di "Fisiénbe e l'Umbria nei secoli XIII e XIV, vol. II, Dai Registri, Perugia,
1909, pag. 73.
CITERNA : 65

renze subi gli insuccessi e le umiliazioni della guerra di Lucca, i Da
Pietramala sperarono di recuperare gli antichi possessi, con le armi
. di colui che contendeva Lucca a Firenze, Luchino Visconti signore di
Milano (1). | |

Non ottennero nulla per questa via. Anzi la notizia del trattato:
irapeló e i capi della famiglia Tarlati furono catturati e tratti pri-
gioni a Firenze. Liberati ad opera del Duca d'Atene, allorché questi
fu cacciato da Firenze, rientrarono in Arezzo e, portando la guerra
nel contado, ritolsero Castiglione Aretino ai Perugini e Citerna a
Città di Castello. Ma entrata nel conflitto Firenze a sostegno della
taglia guelfa, dovettero accedere al trattato di San Polo (27 luglio
1343) e restituire i recenti acquisti. Cosi Citerna tornó ai Castellani:
il 30 luglio 1345 Andreuccio Salamoncelli, al comando delle truppe
della taglia guelfa, la oceupava a nome dei magistrati di Città di Ca-
stello: il 16 ottobre di quell'anno fu stipulato l'atto di sommissione di
Citerna a Città di Castello (2). n

Sette anni dopo, con le armi dell’arcivescovo Giovanni Viscon-
ti, i Tarlati rioccuparono Borgo San Sepolcro, Anghiari e Citerna;
ma il 31 marzo 1353, col trattato di Sarzana, si stabiliva che il ca-
stello di Citerna dovesse restare per dieci anni in balia degli abi-
tanti e, dopo, dovesse passare sotto la giurisdizione di Città di Ca-
stello (3). ...

I deliberati di Sarzana non furono rispettati, poiché chi poteva
richiamare le parti alla leale osservanza dei patti, l'arcivescovo Gio-
vanni, il 5 ottobre passeva a miglior vita: a le iniziali incertezze che n
nel governo dell’avita signoria manifestarono i nepoti di lui, e di "EH
contro l’energica azione che Egidio Albornoz intraprese contro quei |
signori ch'erano stati gli alleati dell'areivescovo di Milano (i Prefetti
di Vico e i loro aderenti), risollevó le sorti della taglie guelfa e di
Città di Castello, alla: quale l'otto decembre un lodo di Brancaleone .

(1) Il 26 gennaio accedettero alla lega promossa da Luchino Visconti,
oltre i Gonzaga, i da Correggio e Francesco Ordelaffi, Neri e Guido da Mon-
tauto, Roberto da Pietramala e i suoi consorti « contra communia Florentiae

et Arretii » Repertorio Diplomatico Visconteo, Milano, Hoepli, 1918, pag. 27.
(2) BARTOLOMEO DI SER GorELLO, Cronica dei fatti d'Arezzo, in « RR.
IL SS?, T. XV, P. I. pag. 57. Per l'atto di sommissione v. G. MAZZATINTI.
Gli archivi della storia d'Italia, II, Roma S. Gasciano, 1900, p. 335.

(3) G. DEGLI Azzi VITELLESCHI, Op. cit., pag. 102. Il 31 gennaio 1353 i
priori di Città di Castello concedevano la cittadinanza castellana « Barfutio
quondam Venturini Barfutii de Citherna » Ancm., cit. Annales, I, c. 72-73.

b 66 GINO FRANCESCHINI

de' Brancaleoni signore di Castel-Durante, a poco più di otto mesi
:dalla pace di Sarzana, aggiudicava Citerna, ;

Risulta evidente, da quanto si è detto, che la storia di Citerna è,
nel secolo xiv (anche nei successivi le cose non mutarono gran che),
la storia di una fortezza di confine che, con alterna vicenda, passa
dalle mani di Città di Castello a quelle dei Tarlati di Arezzo e vice-
versa. Se anche i Citernesi contribuirono positivamente al trionfo
or dell’una ora dell’altra parte, certo l’opera loro non ebbe e non ha

alcun rilievo nella storia della loro terra, perché l’alterna vicenda
«con la quale passò dall’un dominatore all’altro, più che da ascriversi
al loro volere, era conseguenza del vario gioco delle grandi potenze;

della Taglia guelfa capeggiata da Firenze e Perugia, e dall’opposta
parte delle grandi signorie della Valle Padana, gli Scaligeri prima
ed i Visconti poi, dei quali Tarlati Da Pietramala erano aderenti e
raccomandati.

*ockock

Questo succinto disegno delle origini e delle vicende di Citerna,

‘pei primi otto secoli, presenta tuttavia tante oscurità e incertezze,
‘che non fa meraviglia la curiosità con la quale presi in mano una sto-

ria di Citerna, scritta da un giovane prete cultore di memorie pa-
trie, e stampata con molta cura dalla tipografia Boncompagni di
San Sepolcro, nel 1944 (1). Non mi aspettavo grandi cose. Del resto
quando mai l’erudizione locale è assurta a grandi cose, ove si eccet-
tui un Muratori, un Giulini e pochi loro emuli ? Qui da noi non si

‘può accostare a quei grandi se non Giovanni Muzi, che molto vide

e molto si aiutò con la sua conoscenza del diritto civile e canonico,
con la pratica degli affari e col naturale discernimento di cui era lar-
gamente provveduto. Non mi aspettavo grandi cose soprattutto perché
sapevo che isolati e col solo sussidio degli archivi locali, depaupe-
rati dalla secolare incuria e dalle non abbastanza ignare manomis-
sioni, non è possibile oggi dire neppure quant’hanno detto gli eruditi

del sei e del settecento. Conferma l’asserto giust'appunto la me-

moria di Alessandro Certini su Citerna, che giace manoscritta nel-
l'archivio capitolare di Città di Castello, nella quale sono riprodotti
documenti che, per la. perdita degli originali, sarebbero altrimenti

ignorati.

(1).D. AnGELO AscanI, Citerna, Memorie storiche e religiose, Boncom-
pagni, Sansepolcro, MCMXLIV, in-8° di pag. 246.
CITERNA 67 -

Ma la memoria del Certini doveva suggerire all'Autore qualche
criterio di metodo. Costretto a ridire quanto forse era stato detto,
bisognava dirlo meglio, tentare d'oltrepassare la mera erudizione,
sforzarsi d'attingere qualche problema che avviasse la ricerca verso
le mete della storia. 7

L'autore non ha accolto quel suggerimento, e neppure ha rifatto
lodevolmente — non so per qual fretta — l'opera degli eruditi. Con-
fesso che mi spiace non poter dire di queste « Memorie storiche e re-
ligiose di Citerna » tutto il bene che avrei voluto dirne. Mi spiace per
due motivi: perché credo siano da incoraggiare incondizionatame nte
quei sacerdoti che dedichino il tempo, che il ministero puó concedere
agli studi liberali, a raccogliere ed illustrare le antiche memorie delle
chiese commesse alle loro cure, e perché so per esperienza quante dif-
ficoltà incontri quel volenteroso che vi si accinga: tanto maggiori
quanto piü ristretto é l'ambito della ricerca, e quanto piü lo studioso
é lontano da centri di cultura, ove il sussidio di grandi biblioteche e
il consiglio ‘e l'incoraggiamento di persone dotte lo possano sorreggere
e guidare. ;

Ma il dovere di incoraggiare ricerche e studi di storia locale se-
cra e profana, non puó andare disgiunto dalla esigenza, non meno viva,
di elevarne quanto piü possibile il tono, richiamando alla memoria gli
esempi di quelli che ci hanno preceduto, gli eruditi dei secoli andati,
che oltre al Muzi già citato, rispondono ai nomi di Giulio Mancini, di
Alessandro Certini, per risalire su su fino al cronista Laurenzi, che
Si puó considerare il padre degli storici tifernati. Inoltre, dire ob-
biettivamente quel che si pensa di un lavoro, additarne le deficienze
e gli errori, giova al progresso degli studi, e credo che anche all’A.,
. anche a colui ch'é il bersaglio delle critiche, il linguaggio della verità
finisca per piacere più delle generiche lodi, se questo linguaggio sti-
mola un approfondimento di quelle ricerche, alle quali egli porta quel
disinteressato affetto, che il suo stesso lavoro testimonia.

D'altro canto su Citerna non esiste bibliografia di sorta, ove si
eccettui la monografia del Certini, di cui abbiam fatto cenno. Anche
l’Enciclopedia Italiana, che pur ha dedicato qualche riga a quasi tutti
i comunelli d’Italia, ignora Citerna; la cui storia poteva, forse anche
in brevissimo spazio, superare lo stretto interesse municipale e chia-
rire come, dopo il declino dell'impero romano, s'é venuto formando!il
nuovo confine fra Toscana ed Umbria. Quello dell’A. è quindi il primo
tentativo di storia di quest’umile paese, ed anche di questo gli va
tenuto il debito conto. . 68 GINO FRANCESCHINI

‘io quindi che le mie osservazioni saranno accolte come un.
contributo, modesto invero, al miglioramento di queste « Memorie
storiche », nella speranza che l’A. se ne possa giovare, per una se-
conda‘edizione, che auguro prossima, anche se i tempi non | sembrano
molto propizi, entro senz’altro in argomento.

Quel che salta subito agli occhi, anche ad ‘una superficiale let-
tura del libro, è la grande quantità di errori e di inesattezze in cui l'A.
è incorso; tanti da far sorgere il sospetto ch’egli non abbia una suf-
ficiente familiarità con gli studi storici, o, per lo-meno, non quanta ne
occorre per dominare il suo soggetto.

Per. esempio, non sembra all’A. che sia cosa assai forte par-
lare di « Valavassori, Goti, Eruli e Longobardi » (pag. 7), e che, se
l'errore non'è suo, ma è solo un picciol saggio della vastissima scien-
za e coltura del dott. Donini» (pag. 6), carità voleva, poiché egli
se ne professa estimatore, di lasciare questi fiori storici sulla penna?

Ponga mente che il pontefice, cui egli accenna a pag. 14, non.
può essere Adriano IV, ch’era morto fin dal 19 settembre 1159, ima il
suo successore, il grande Alessandro III; e rilegga più attentamente.
a pag. 15 il documento tratto dalle « Memorie ecclesiastiche » del
Muzi e s'accorgerà com'egli lo abbia del tutto frainteso, credendo
che quel « Bailitori » sia il nome del parroco di S. Donato. Quello
non è che il dativo del sostantivo « bailitor », il bailitore, un funziona-
rio che s'incontra assai di frequente nelle nostre carte, e di cui cono-
scerebbe la figura e l’officio, se avesse letto, com'era suo dovere, i «Fram-

' menti di statuti di Città di Castello » editi de] Magherini Graziani (1),

(1) Furono pubblicati in questo « Bollettino », anno XV, 1909, pag. 25
e seg. Nel 1212 il vescovo di Città di Castello teneva un suo « Baylitor »
nel castello di Verna ad esigere i servizi dovuti da alcuni vassalli. SERGIO
MocHi Onory, Ricerche sui poteri civili dei vescovi, Roma, 1930, pag. 252.
« Baylitores » si trovano anche nei paesi vicini: ad Anghiari, per esempio,
intorno al 1195 vi sono « Baruntius de Griciniano, Baylitor in Anglare pro
Henrico Faffo qui dominabatur in Comitatu Castelli pro imperatore Enrico

- VI, et Cappellutius-et Germanus nec non Ugolinus et Caciatus fratres bayli-
tiores omnes in Anglare... « REGESTUM CAMALDULENSE », vol. III, pag. 322,

323, e seg., in « Corpus Chartarum Italiae » dell'Istituto Storico Italiano,
Roma, 1914. Negli statuti del Comune di Anghiari della prima metà del
secolo xIII al par. LXXVI si fissano i compensi dovuti al « Baylitor Commu-
nis » in misura minore «pro messaggiaria » maggiore «pro tenuta danda »;
dal che s'intravvede quali erano le attribuzioni di questo officiale. Vedi Mosè
MoDpIGLIANI, Gli statuti del Comune di Anghiari del sec. LH in « Archivio
storico italiano », anno 1880, pag. 22.
CITERNA : 69

e specialmente il secondo, quello del 1273, che a pag. 69 contiene ap-

punto la rubrica «De balitoribus Comunis eligendis » Ma bisogna

qui nel bel principio osservare, che l'A. ha omesso di fare lo spoglio

sistematico delle annate di questo « Bollettino », omissione imperdo-

nabile, che, come egli stesso constaterà, lo ha fatto cadere in «tanti
errori, che. poteva agevolmente evitare.

Il passo « Patronatum et ius etc. » con il quale i donatori rendono,
alla canonica di S. Florido; i diritti che avevano sula chiesa di Pistrino,
nella traduzione che ne dà l'A., è incomprensibile, tanto grave ne è
il fraintendimento. Ricondotto 5n sua forma corretta il passo suona: |n
«Se alcun diritto o patronato avemmo nella chiesa di Pistrino, lo ce- a
diamo per la salute dell'aninia nostra mediante donazione «inter
vivos ».

Poiché mai.a pag. 36 lA. chiama « losca » la figura. ‘del vescovo
Guido Tarlati ? Consideri ‘all'opposto quanta. umanità e signorilità
traspare dalla figura, che la penna di Franco Sacchetti così felice-
mente tratteggió (novella XXXI e CLXI), e come ogni gesto e detto
di quel personaggio è improntao a una signorile sicurezza, che fa sentire,
se non il vescovo, l'uomo di mondo e di non comune statura. Se A: A, mi
osservasse, giustamente in questo caso, che il personaggio del Sac-
| chetti, ha rispetto a quello storico, quell’ autonomia che è propria
delle creature poetiche, lo rimanderò a Bartolomeo di ser Gorello, che
egli conosce, e vedrà che, anche dopo tutta la tara che si deve fare
alle encomiastiche terzine del cronista aretino, non si può in alcun
modo dire del vescovo Guido, quel ch'egli ne dice.

Anzi a questo proposito, mi permetto ricordargli. che, proprio ai
giorni nostri, i teorici della storia hanno assunto una massima del
Vangelo, lievemente modificata, a canone di metodologia: « Nolite
. nimium iudicare » (1); che é proprio da raccomandare. sempre, se
non altro quale norma di prudenza. Poiché ormai si é comunemente
.d'avviso che nell’opera dello storico non si debba tanto condannare
od assolvere, quanto chiarire i moventi delle azioni umane, lumeg-
giarli nella loro intima connessione e nel loro significato. Ove si ac-
.cetti questo canone d’interpetrazione, che solo può adeguare il pas-
sato al presente in cui attinge significato e valore, parmi che l’opera
del vescovo Guido debba essere considerata come la logica prosecu-
zione della politica del comune, intesa a farsi valere, nell’ambito

(1) BENEDETTO CROCE, in Almanacco della voce, 1915, pag. 57-59: e ora
in « Conversazioni critiche », Serie prima, Bari, Laterza, 1918, pagg. 196- 198. poco prima di mezzogiorno, dal vescovo Guido Tarlati.

70 GINO FRANCESCHINI

del distretto o della diocesi, al di sopra delle caotiche forze feu-

dali.

Ma per tornare agli errori di fatto, osserviamo che Ludovico il
Bavaro non fu incoronato imperatore, per mano del vescovo Guido
Tarlati, come dice l’A. a pag. 39; ma solo re d’Italia, funzione che
non era «riservata al papa » com'egli dice, ma ad un vescovo, che,
quale vicario imperiale o grande vassallo, facesse parte della dieta
reale o presunta del regno, com'era appunto il caso del vescovo Gui-
do. Come, fin dai tempi del vescovo Ansperto questo privilegio spet-

tasse al metropolita di Milano, che nel secolo rx era anche il capo della :

dieta del regno, é lumeggiato, con quella sicura e larga erudizione
che gli é propria dal conte Giorgio Giulini al quale rimando l'autore (1).
A Milano, nella basilica di S. Ambrogio, il 31 maggio 1326, il vescovo
Guido usurpó, se mai, un antico diritto del vescovo di Milano, im-
ponendo sul capo di Lodovico il Bavaro la Corona del Regno d'Italia.
Come l’A. dovrebbe sapere, nella curia imperiale v'erano teologi, e
giuristi di grido, i quali sapevano bene quali erano le forme che caute-
lavano la legittimità di una incoronazione (2). Che un lapsus di tal
fatta sia caduto dalla penna del Gamurrini quasi tre secoli or sono,
non fa specie; ma oggi non si possono ripetere queste cose, né si puó
assumere, su questioni di critica storica, come autorità il Gamurrini,
il quale, al di fuori delle vicende genealogiche delle famiglie toscane
(ed anche qui é da accettare solo quel ch'é appoggiato all'autorità
de’ documenti) è da accogliersi con grande circospezione. E ne adduco
subito una prova attinente al nostro soggetto. Tralascio di par-
lare — per non andar troppo lontano — dei «tanti privilegi concessi
dall’imperatore Carlo Magno alle principali città della Toscana nel-
l’anno 809 » (pag. 11), ove si fa menzione di Citerna e d’Anghiari, a
quanto dice il buon Taglieschi, che l’A. assume quale fonte indiscussa,
e mi limito ad osservare che il diploma di Berengario, ch’egli ri-
porta dal Gamurrini a pag. 12, è una grossolana falsificazione attri-

(1) GrorcIio GiuLINI, Memorie spettanti alla storia, al Governo ed alla
descrizione della Città e della campagna di Milano nei secoli bassi, Milano,
nella stamperia di Giovan Battista Bianchi, 1760, vol. II, libro VIII, pag. 16
©: seg.. i 3

(2) GrusEPPE GEROLA, L'incoronazione di Lodovico il Bavaro in Milano,
in « Annuario degli Studenti Trentini », 1899-1900, pag. 40. Il 31 maggio 1326,
domenica di Pentecoste, Lodovico è incoronato Re d’Italia in Sant'Ambrogio,
CITERNA 71

buta ad Alfonso Ciccarelli, come inn CUIUS. EE Haad
e stranieri (1).

Anche é un falso il diploma di Enrico II, dato da Roma nel 1014,
col quale a petizione di Oddone venerabile abate si concedevano a ,
Santa Maria di Farnita in val di Chiana «in Castro Felicitatis...
ecclesiam sancta Marie in Podio sive de Vingone cum ecclesiis sanc-
torum Jacobi, Roffini, et Andree de Cellis eum pertinentiis suis, ec-
clesiam sancte Marie de Sen . » (2), tutte situate nel territorio
di Citerna. on

Un falso, questo, non così n. come il precedente, il quale
alla prima lettura deve mettere in diffidenza chiunque abbia un po’
di familiarità con le formule che via via prevalsero nella cancelleria
imperiale, nella compilazione dell'«invocatio » dell'«arenga » della
«dispositio » della «sanctio » delle singole parti insomma del di-
ploma. Un falso, diremo, abbastanza ben fatto: e poiché il discorso
sul vescovo Guido Tarlati sembra offrirne l'occasione, diremo che,
con ogni probabilità, fu manipolato nella curia del potente vescovo e
signore aretino, allo scopo forse di ottenere da Ludovico il Bavaro,
con l'ostensione d'un vecchio uu. la conferma delle donazioni
in quello contenute.

Soggiungeremo di sfuggita che gli «scrinia » imperiali, come ar-
chivio di Stato erano una ben povera cosa, sempre soggetti a manomis-
sioni e dispersioni, appunto perché seguivano l’imperatore nelle sue
peregrinazioni pacifiche od ostili, e pertanto molto spesso la cancel-
leria imperiale era nella impossibilità di controllare l'autenticità di
| diplomi più antichi prodotti dai postulanti a suffragio delle loro richie-
D- ste; di modo che le frodi erano quasi suggerite dal cattivo funzionamento
di quell’archivio, comprovato ancor oggi dal fatto che la pubblicazione
dei diplomi imperiali è possibile solo per la cura che ebbero nel con-
servarli, non l’autorità emittente che pur avrebbe dovuto tenerne co-
pia, ma le controparti, e di queste, non le grandi famiglie di origine
È germanica, ma le chiese ed i monasteri (qui da noi, la chiesa Aretina,
quella Castellana e il monastero di Camaldoli), in cui sopravvivevano:

(1) Lurci ScHiaPpPARELLI, J Diplomi di Berengario I, Roma, 1903, pag.
394-96; riporta questo falso e cita tutta la letteratura sul’argomento. Vedi anche
Luigi Fumi, L’opera di falsificazione di Alfonso Ciccarelli, in questo « Bollet-
Í tino», anno VIII, pagg. 213 e seg.

E: (2) Monumenta Germaniae Historica Diplomata, vol. III, Hannover,
1900-1903, pag. 716. D
Natale.

v) GINO FRANCESCHINI

da cultura e le tradizioni romane; sì che la storia degli imperatori della

nazione tedesca è possibile pel maggior grado di civiltà degli « italien
Ses», i cui archivi illuminano la barbarie. germanica.

La digressione suggerita dai falsi diplomi induce un breve cenno
su quelli autentici, sfuggiti alla ricerca dell'Autore, che in nessun punto
del suo libro accenna all'antica dipendenza di chiese e terre del citer-
nese dall'abate dal monastero di San Sepolcro. Appunto quell'ultimo
imperatore sassone, di cui abbiam fatto cenno più su, trovandosi a
Benevento nel 1022, rilasciava a Roderico venerabile abate del mo-
nastero «noviter edificato in loco qui dicitur Noceati ac dedicato in.
honore Sancti Sepulchri », dué distinti diplomi, coi quali gli concedeva

Pais « curtes et castella que sunt in Castro Filicitatis sicuti nostri iuris
' esse dignoscuntur prima qui vocatur Carsuga», aggiungendovi. la

corte «de Farnito qui est posita in casale Figlinule, cum. ecclesia
sancti Martini, qui est posita infra plebe sancti Antimi... » (1).

Questi diplomi imperiali ed un altro. precedente datato da Go-
slar il 29 giugno 1017, venivano confermati ed ampliati da un nuovo
diploma di Enrico III, rilasciato da Fano il 31 marzo 1047, al mede-
simo monastero, nel quale vengono enumerate le donazioni «infra
comitatum Castri Felicitatis sita, sicuti nostri iuris dinoscuntur,
primam qui vocatur Carsuga aliam vero Bagnolo cum castello Ho-
nesto et curtem et terram de Farnito que nuncupatur Quinciano cum
ecclesiam sancti Martini in casale Figlinule infra plebem sancti
Antimi posita...» (2). Diplomi che denotano come Fighille, la
Carsuga e il territorio citernese in genere fossero. pertinenze regie
(terre aarimanniche), come verrà altresì confermato dal diploma di
Carlo IV di Boemia, cui accenneremo in appresso.

Ritornando alla figura del vescovo Guido, aggiungeremo un par-
ticolare sfuggito all'autore: quand'ancora quel prelato era costituito
in minor dignità, esercitava su le chiese del citernese giurisdizione quale :
arciprete delle Pieve di Sant'Antimo, come appare da una sua let-
tera del 6 settembre 1308 con la quale conferma l’elezione del ret-

(1) Tutti i diplomi - concessi da Enrico II al monastero di San Se-
polcro sono editi nel vol. citato. dei Monumenta alle pagg. 326, 471, 598

e 599.

(2) Questo diploma, di Enrico III è ancora inedito e trovasi nel l'Archivio
di Stato di Milano, Museo Diplomatico, Dispacci Sovrani, Diplomi Regi e
Imperiali. «ad annum», Ne debbo la conoscanza all'amico dott. Rosario Alfio
CITERNA 73

tore della chiesa di Santa Maria di Pistrino (1). Questo particolare
suggerisce la congettura che i Tarlati, possedessero il patronato di
quella chiesa e che, già signori del castello di Ranco e della valle del
Cerfone, avessero per legami di sangue coi Lambardi di Celle e di Citerna
acquistato quei diritti che poi vantarono sempre su questo castello. j
| Osservo che a pag. 37, data la traduzione della lettera del 7 aprile
1318 dei Castellani ai Perugini, non era necessario riportarla in note,
ma bastava rimandare il lettore al Magherini Graziani (2) d'onde
l'A. l'ha presa, senza citare la fonte.

Il capitano, cui lA. accenna a pag. 60 non è Giovanni d'Arezzo
degli Ubertini, che non si sa chi sia, ma Giovanni d’Azzo degli Ubal-
dini, il più famoso capitano italiano del secolo xiv, prima di Alberico
da Barbiano. Nella stessa pagina, fa dire al regesto- del Degli Azzi
Vitelleschi cosa che non dice, perché non è vero affatto chei Castellani
nel 1385 rioccupassero Citerna. Ancora: sulla fede di chi l'A. tesse a
pag. 61 la narrazione degli avvenimenti? Lo scontro della Fratta fra
le squadre di Pandolfo M:latesta e la compagnia inglese di Giovanni
Beltoft avvenne il 19 giugno 1388, se si deve credere alla « Cronica
volgare di anonimo Fiorentino » (3) e quella data è confermata per
l’anno e pel mese dalle due lettere dello stesso Giovanni Beltoft ai
priori di Città di Castello, portando esse vicino all’indicazione del
giorno e del mese (10 e 13 luglio) anehe quella dell'indizione, ch'es-
sendo la XI FORD appunto all'anno 1388 (4).

(1) Città di Castello, Archivio Maghértui Graziani, Pond Il docu-
mento é seguito da un altro del 20 ottobre 1308 col quale i compatroni della
stessa Chiesa confermano la elezione del rettore, fatta dal cardinal legato Na-
poleone Orsini. Vedi GrusEPPE MAZZATINTI, Gli archivi della storia d' Italia,
vol. IV, fasc. I. Rocca San Casciano, Licinio Cappelli ed., 1904, pag. 25. Ill Maz-
zatinti ha letto erroneamente S. Antonio invece di S. Antimo.
| (2) MAGHERINI GRAZIANI, Op. cit., vol. III, 1910, pag. 13. Non c'era biso-
gno di ricorrere all'Archivio di Stato di Firenze per leggere il passo della Pace
di Sarzana concernente Citerna, perché lo strumento della pace é pubblicato
per intero in appendice alla Cronaca di Bartolomeo di Ser Gorello come I'A.
sa. Riportando in nota (pag. 53) un passo del lodo Brancaleoni l'A. omette
le indicazioni archivistiche necessarie perché il lettore sia nella possibilità di
controllare quanto nel lavoro si asserisce. Vedile in GIUSEPPE MAZZATINTI,
Gli archivi della Storia d'Italia, vol. II, pag. 335, Rocca San Casciano, 1900.
(3) «RR. IL. SS.^», Tomo XXVII, Cronaca d'anonimo fiorentino attri-
buita al Minerbetti, a pag. 61. i
(4) Credo che si riferisca a quest'anno la lettera n. 10 dell’ NEI che
sembra alludere a quei preparativi che dovettero precedere la venuta. del
Beltoft nell'alta valle del Tevere. Biffoli, Tommaso degli Armanni, Filippino Gonzaga, Giovanni da

74 ; GINO FRANCESCHINI

Ma.l'A. ha frettolosamente e tardi (quando. gran parte del suo
libro era già composto) consultato l'archivio di Città di Castello, ed
era da prevedersi che ad un esame frettoloso e superficiale dovesse
sfuggire l'importanza delle lettere del Beltoft, che sono due e non una,
come dice l’A. a pag. 62, sbagliando.la citazione, la data e omettendo
l'indiziene (1). Da questo errore deriva che quegli avvenimenti non
abbiano nessun nesso logico e siano, riferiti al 1386, Maure
fuori luogo.

L'A. avrebbe pitrattó grandissimo vantaggio dalla conoscenza
della « Storia di Rimini » di Luigi Tonini, ripiena di tanta soda eru-.
dizione per le vicende delle terre, che soggiacquero al dominio mala-
testiano; conoscendola, avrebbe evitato qui ed altrove. molti errori,
perché ad esempio, non nel 1366 Maso da Pietramala sposó Rengarda
Malatesta, figlia di Galeotto e di Helise de la Villette (pag. 61); il
matrimonio era avvenuto 20 anni prima, e nel dicembre di quel 1366
Rengarda moriva (2).

Confesso che non so chi sia quel capitano di ventùra Bernabò
Visconti che, stando a quel che dice l’A. a pag. 62, venne l'11 settem-
bre del 1386 alla badia di Petroio. Porta quel nome il famoso signore |
di Milano, ma egli era stato catturato, dal nepote Gian Galeazzo, nel
maggio del 1385, e rinchiuso nel castello di Trezzo, ove mori pochi
mesi dopo. Dalle nostre parti era venuto, qualche anno prima, il suo
figlio naturale Ambrogio, a capo della compagnia di S. Giorgio, nel
giugno del 1366, com’attesta la cronaca del Laurenzi, ch'é da consul-
tarsi con fiducia pressoché assoluta. Più tardi, nel maggio del 1388,
venne quaggiù/Carlo, un altro dei figli di Bernabò, «che venia dalla
Magna » ospite del signore di Cortona, Uguccione Casali, come atte-
stano l'anonimo fiorentino e Girolamo Mancini nella sua « Cortona nel
Medio Evo » (3). Ma quel Bernabò, cui accenna l'A., confesso che
non so chi sia. Si potrebbe avanzare un’ipotesi; che non si tratti di
Bernabò Visconti, ma del suo omonimo Bernabò di Dallo che con Betto

Borgo San Sepolcro e molti altri conestabili italiani e oltramontani, |
abbandonarono il 25 febbraio 1381 i servigi di Venezia e da Treviso, |

(1) Archivio segreto di Città di Castello, Cod. XLII, f. 47 e 49. i

(2) LUIGI ToNINI, Rimini nella signoria dei Malatesta, vol. IV, Rimini, :
Tip. Albertini, 1880, pagg. 319 e 388.

(3) Cronaca d'Anonimo fiorentino, cit., pag. 60 e GiRoLAMO MANCINI,
Cortona nel Medioevo, Firenze, 1897, pag. 236.
CITERNA 75

asportando i cavalli degli armigeri rimasti fedeli, pare siano scesi

nell'Italia centrale, al seguito di Carlo di Durazzo, che si fermò in que-

sti nostri luoghi dal settembre del 1380 a tutto l’inverno di quell’anno.

Venezia scrisse tra gli altri a Galeotto Malatesta (signore di Borgo.
Sansepolcro) e al comune di Perugia perché non assoldassero quei

traditori (1).

La contraddizione esistente tra data ed indizione, nel documento
riportato a pag. 63, doveva dare un po’ di perplessità all’A. e fargli
sospettare, non sia per avventura errata l'una o l'altra per una svista
del Certini. Gli avvenimenti infatti confermano la data 1392, poiché
Bartolomeo da Petramala che si era schierato coi Malatesti dalla
parte del Conte di Virtù nella guerra contro Firenze, era allora in
difficoltà per l'applicazione dei deliberati di Genova, secondo i quali
avrebbe dovuto restituire il castello di Toppole occupato durante la
guerra. i; ;

A questo proposito appare meglio che altrove quant'era necessa-
rio risolvere gli episodi nel nesso delle vicende generali d'Italia, per
togliere loro quell'aspetto d'arbitrarietà che li rende incomprensibili.
Era ovvio che Città di Castello non si lasciasse sfuggire una sola occa-

sione iu cui i più tesi rapporti tra Firenze ed i Da Petramala le por-
gessero modo di ritogliersi Citerna.

La prima occasione parve presentarsi nel 1377 (lettera a pag. 60).
- Quando sullo scorcio del 1375 Firenze si mise a capo dell'insurrezione
nello Stato della Chiesa, i signori di Citerna, rimasti fedeli coi loro
parenti Malatesti alla parte ecclesiastica, si trovarono pressoché cir-
condati dai nemici. In tal difficile frangente Città di Castello spinse
loro addosso Giovanni Acuto ch'era al soldo della lega fiorentina;
ma Firenze intervenne a difesa dei Petramala e il pericolo fu stornato.
Firenze aveva già detto l'anno innanzi agli aretini, perché l'amicizia
coi Malatesti le imponesse d'aver per raccomandati Masio da Petra-
mala ed i figli: e noi soggiungeremo che quell’amicizia riposava sul
vitale interesse chela repubblica aveva di salvaguardare i suoi traffici
con la Schiavonia e l'Ungheria che da Segna facevano capo a Rimini
ed ai porti marchigiani dei Malatesti (2).

(1) Lura1 PrEDELLI, I libri commemoriali della Repubblica di Venezia,
libro VIII, pag. 145-6, doc. 82, Venezia, 1889.

(2) La lettera agli aretini è pubblicata in nota alla Cronaca di Bartolomeo
di Ser Gorello cit., pag. 144. Il 4 ottobre 1391, scrivendo al conte d’Urbino,
Firenze diceva; « Habemus apud Ariminum in territorio dominorum de Ma- .diosi.

76 : ^— GINO FRANGESCHINI

‘ Un'altra occasione, e questa volta assai più promettente, sembrò

| nta si nel 1385 (regesto Degli Azzi, nella stessa pag. 60) quando

Firenze, acquistato nel novembre dell’anno innanzi, Arezzo e il suo.
contado da Inghiramo sire di Coucy, rivendicò tutte le terre perti-
nenti alla città e impose ai Petramala la restituzione di quello che de-
tenevano, non per ragioni patrimoniali o feudali, ma come brandelli
dell’antica loro signoria su Arezzo. A Città di Castello parve che se
Firenze faceva valere le rivendicazioni proprie, non potesse misco-
noscere quelle dell’alleata, ed assalì Citerna; ma anche questa volta
Firenze intervenne in difesa dei Petramala, come testimonia, oltre
il regesto citato, anche la lettera diretta al cardinale Galeotto dai Pe-
tramala, da noi riprodotta in appendice (1)..

La terza occasione, che Città di Castello tentò ghermire, fu quella
cui abbiamo accennato al principio, e la-lettera (pag. 63) che vi fa
riferimento è meglio chiarita da quella diretta sotto la stessa data a
Bartolomeo da Petramala, che riportiamo in Appendice. Ormai die-
tro il signore di Citerna c’era il conte di Virtù, e la prudenza consiglia-

‘ va di non offrire pretesti a chi si mostrava già tanto volenteroso d’in-

tervenire al di qua dell'Appennino. Quegli che negli anni indicati mi-
litava, con Bartolomeo da Prato e Ludovico da Parma al soldo dei.
Fiorentini, non era Antonio degli Albizzi come dice l'A. (pag. 64),
ma Antonio degli Obizzi da Lucca.

Nella stessa pagina, il giudizio che l’A. porta sul governo di Bar.
tolomeo da Pietramala, è come gli altri, completamente gratuito ed
ozioso. Quale testimonianza infatti egli adduce a giustificare il suo
asserto ? Crede forse l'A. che Città di Castello e le altre città vicine,
che si reggevano a libero comune, andassero esenti da quello spirito
fazioso, da quelle feroci discordie, da quegli atroci casi, da quelle
repressioni e vendette, che piü che segno di malvagità di questo o di
quello, erano mal comune delle terre d'Italia; tutte agitate da un

duro travaglio di assetto interno ed esterno ? Non mi pare infatti che

latestis et tota die. conduci facimus de partibus Dalmacie bestias minutas in
maxima quantitate... quoniam officiales nostri carnium per mare faciunt
advehi bestias huiusmodi pro nostri populi nutritura...» e chiedeva un salva-
condotto per uomini e merci (Arch. St. AO Signori Carteggio Missive,

I Canc., vol. 22 c. 162).

(1) A proposito di questo ‘prelato, vedi a pag. 57 che strano guazzabuglio
lA. fa: è evidente ch'egli non ha la più lontana idea del personaggio e di quel
che di Jui han detto un Francesco Novati, un Romano, per tacere di altri stu-
CITERNA ^ ^ e UI

il governo. dei Da Pietramala fosse peggiore i quello d' aer signori e
comuni.
| Quasi tutti i membri di qbéstà potente famiglia erano capi di mi-
lizie mercenarie e uno di loro, Gian Tedesco, acquistó un nome non
inglorioso nei fasti della milizia italiana del secolo xiv. Lo stesso Bar-
tolomeo formó piü volte corpi di milizie ed andó a combattere nelle
Marche, al soldo di Firenze contro Antonio da Montefeltro Signore di
Urbino nel 1386 (1), al soldo di Urbano VI nell'Umbria, e fu piü tardi
soldato di Gian Galeazzo Visconti; anzi si deve a lui, a Bartolomeo, se
negli anni, in cui tramontava la fortuna delle milizie straniere nella
penisola, si formó nelle sue terre ed in quelle circonvicine, una tradi-
zione militare, che dette alla milizia del secolo xv, alcuni soldati non
oscuri, quali quel Torchio da Citerna soldato di Filippo Maria Vi-
sconti (2), Baldaccio, Angelo, Gregorio e Simonetto, che sebbene si
dicano di Anghiari, sono di Ranco, di Sorci, di queste terre insomma,
e lo stesso Baldaccio è detto da un cronista «Baldacco da Citerno » (3);
€, oltre questi, Angelo Brancaleoni, Angelo Prosperi, Mariotto e
Baldassare Egidi, che Citerna annovera tra i suoi figli più generosi.
Come appare evidente, all'opposto di quel che dice l'A., è merito

(1) La testimonianza della formazione di queste compagnie e delle osti-
lità intraprese contro il conte di Urbino, al soldo di Firenze é data dài docu-
menti 2, e 8 dell'appendice. Per la collocazione cronologica della ottava let-
tera, parmi che la cattura di Cenne Bischi possa essere avvenuta nell'anno
indicato essendo gli Ubaldini della Carda alleati del conte Antonio da Monte-
"feltro. Anche in altre letterine dei cod. castellani citati si possono cogliere
frasi e periodi che alludono a rapporti ora benevoli ora ostili di Bartolomeo da
"Pietramala coi vicini. Intorno al 1382 in una lettera di Giovanni marchese del
2 Monte Santa Maria è detto: «...Ier sera tornoro i prigioni nostri da Rezzo
-— (Arezzo), ma el bestiame no; che dice mess. Bartolomeo da Pietramala il com-

^ parò cento fiorini e non volse che andasse per Arezzo, ancho el ne mandò per -
‘altrojcamino e non so dua se l'abia mandato (Cod. XLIV, fol. 117). Due anni
dopo gli « Homini, massari e consiglio del Monte Santa Maria » scrivono ai
Priori di Città di Castello: « Noy avemo comparato da Bartolomeo (da Petra-
mala) uno pocho de grano el quale volemo adurre e per non delongare troppo
el'camino che cie converia tenere per quello de Bartolomeo per fine a Lerchi e
da quello de Lelti intramo in quello de Maregna: ve pregamo e chieremo de
gratia podere tenire per Lama da Torre in sul vostro terreno e questo reputa-
rimo in grandissima gratia...» (Cod. cit., fol. 7).

(2) Gli Atti Cancellereschi |. V iscontei, vol. II, Parte I, pag. 225, Milano,
Palazzo del Senato, 1920.

(3) Giovanni di M. Pedrino depintore, Cronica del suo tempo, vol. I,
pag. 473. Ed. della Biblioteca Vaticana, 1924.
78: GINO FRANCESCHINI

della Signoria, e di quella dei Tarlati in particolar modo, di aver libe-
rato Citerna dal chiuso particolarismo secolare e di aver immesso
nel piü vasto circolo della vita italiana alcuni suoi figli, dischiudendo
mediante la professione delle armi e il maneggio degli affari del piccolo
stato, ai più capaci ed ai più avventurosi, la via per salire molto in
alto e da poveri distrettuali divenire italiani. Non ho frugato per en-
tro le schede Garampi e nei volumi del Tonini o dell'Amiani, ma
quel ser Stefano da Citerna che nel 1389 é a Pesaro cancelliere del Ma-
gnifico signore Pandolfo Malatesta, mi fa sorgere il sospetto ch'egli
non fosse, allora o poi, il solo citernese adoperato dai signori in fac-
cende di stato od in uffici di corte (1).

D'altro canto bisogna tener presente che la forza militare del
principe tütelava dalle offese esterne il suo piccolo dominio, mentre
all'interno, per quel che si puó sapere in parte, in parte congetturare,
era amministrato con un certo ordine. Ogni terra era retta da un vicario
(anche Citerna aveva il suo), come appare dalla lettera 4 giugno 1422
riportata in appendice, dal quale dipendevano le antiche magistra-
ture municipali. S'ha ragione di credere che l'imposta piü grave fosse
la decima, d'antica consuetudine in tutte le terre dell'alta Valle del
Tevere; ad ogni modo non si ha memoria di colte troppo gravose, di
contribuzioni straordinarie, cui cosi di frequente erano soggetti i sud-
diti di altre terre; nessuno di quei «caritativi sussidi » che presero
il carattere di esose estorsioni e che determinarono la ribellione gene-
rale delle terre ecclesiastiche negli anni 1375-76 e la lunga guerra che
ne segui, ch'ebbe fine solo con la morte di Gregorio XI e con l'inizio
del Grande Scisma d'Occidente. Anche induce a credere chei signori
si preoccupassero di dare un assetto pacifico e duraturo al loro domi-
nio il fatto, sfuggito all'A., che essi intorno al 1378, non con-
tenti dell'effettivo dominlo «iure gladii » su Citerna, si sforzarono
d'ottenere per opera del loro avo Galeotto Malatesta, il riconoscimento
della legittimità del loro possesso dall’imperatore Carlo IV. Ma v'ha
di più: bisogna proprio far risalire ai Tarlati («ecco il giudizio uman

(1) Tra gli ultimi del 1388 ed i primi giorni dell'anno successivo, fu dele-
gato dal suo signore a stipulare con « Ser Ugolino da l'Isola capitano del ca-
stello de Talachio per li magnifici conti da Montefeltro », una convenzione per
la pacifica convivenza de «li homiri ed Università del castello de Montelevecchie
contado de Pesaro da una parte et li homini et università deli castelli de Ta-
lachio e Monteifabri conta d'Urbino da l'altra parte». Posseggo di quest'atto
una copia fatta del compianto prof. Vitaletti, che qui ricordo con affetto. Non
so ove trovisi l'originale; ma credo all'Olivierana di Pesaro.
x

CITERNA 79

come spesso erra ») il merito di aver introdotto un certo ordine nell’am-
ministrazione di questi comunelli, se si deve aver: fede in una delle
fonti dell'A., il cronista Taglieschi, che attribuisce al cardinale Ga-
leotto da Pietramala il merito d'aver ordinato in Anghiari (e perché
no nelle altre terre ?) l'officio dei ragionieri del comune (1).

Circa il trapasso della signoria dai Da Pietramala ai Malatesta,
l’A. s'è attenuto all’autorità del Muzi, rigettando quella del Certini,
ma credo che abbiano torto tutti e due, o meglio tutti e tre. Ha torto
il Certini a credere che la signoria dei Da Pietramala avesse fine nel
1424, perché nel marzo del 1435 Citerna era tuttavia sotto il loro. do-
minio, se il 18 marzo di quell’anno, gli anziani di Lucca scrivevano
a Niccolò Piccinino, raccomandando Malatesta da Pietramala, donna
Anfrosina ed i figli, «una terra dei quali, detta Citerna, era ritenuta
da Niccolò da Tolentino » (2), avevano anche i lucchesi scritto ai fio-
rentini che senza parere avevano mano indirettamente in quella fac-
cenda. I fiorentini il 3 gennaio 1435 (1436) rispondevano ai lucchesi:
«querelam faciunt litere vestre de illatis molestiis domine Aufrosine
et suis per homines de Citerna... Credimus profecto non esse satis
natam vestre Magnificantie conditionem Citerne... Castrum Citerne
neque recommendatum nobis est, neque subditum, neque adhereus,
neque aliqua ratione obligatum Communitati nostre. Tenet autem
illud Franciscus de Tollentino frater quondam Nicolai de Tollentino,
qui fuit capitaneus noster » (3). Ma ha torto il Muzi perché dopo la
sconfitta d'Aughiari, Anfrosina da Montedoglio perse Monterchi e
Valialle (non Valella come dice l'A. a pag. 63), secondo quanto appare
dai capitoli di sottomissione, che portano la deta del 3 luglio 1440,
per Valialle, e del 10 per Monterchi (4). Citerna doveva già essere, a
‘ quella data, ritornata a Sigismondo Pandolfo Malatesta signore
di Rimini: dico ritornata, perché i Malatesta di Rimini ne ave-
vano il legittimo possesso fin dal 3 novembre 1378, come appare
dal seguente brano del diploma d’investitura, uno degli ultimi
dell'imperatore Carlo IV: «Carolus de Caraffis et Carolus de Bran-

(1) LonENzo TAGLIESCHI, Historia: Patria, cia 129, Archivio Comunale
di Anghiari.

(2) Archivio di Stato di Lucca, Regesti a cura di Luigi Fumi, vol. IV,
pag. 111, ove la lettera è seguita da un'altra del 21 marzo indirizzata a Ma-
latesta da Pietramala.

(3) BiBL. NAZION. FIRENZE, Manoscritti | Panciatich, Cod. 148, pag. 14 t.
« Lucanis ».

(4) I Capitoli del Comune di Firenze, Firenze, 1886, pagg. 593-95. 80 SLC GINO FRANCESCHINI

catiis pro parte tui exposuerunt nobis qualiter... nobilis Frisio
Lettus de Sancto Stephano fidelis noster dilectus Castrum seu Oppi-
dum Cisterne castellane diocesis quod a nobis et Imperiò Sacro...
dependit in pheodum cum... suis iuribus et pertinentiis universis
quibuscumque nominibus seu vocabulis censentur tibi rite et ratio-
nabiliter vendiderit pro certa pecuniae quantitate prout in instrumento
publico plenius apparebat. Quare Carolus de Caraffis et Carolus de

. Brancatiis suprascripti tuo nomine nobis humiliter supplicarunt qua-

tenus oppidum. Burgum (Sancti Sepulcri). Castrum Cisterne Castell

(ane diocesis)... cum eorum pertinentis memoratis tibi prefato Ga-
Jleotto tuis heredibus et legptimis successoribus masculini sexus dum-

taxat autoctoritate. Cesarea dignemur concedere... (et Nos) tenore
presentium confirmamus et nihilominus oppidum, Burgum et Castrum
Sancti Sepulcri nec non Castrum seu Oppidum, Cisterne castell(ane)....
tibi Galeotto et tuis heredibus... concedimus » (1). Da questo brano.
apprendiamo che Citerna nella seconda metà del secolo xiv era ancora
terra dell'impero e che non era ancora andato perduto il suo carattere
originario di terra arimannica, che (prima del 1375) l’imperatore
Carlo IV ne aveva dato l'investitura ad un Frisone o Frisonetto di
Santo Stefano (non mi par probabile sia di Pieve Stanto Stefano)il
quale la vendette a Galeotto Malatesta ed é lecito arguire che questi
assegnandola in dote alla figlia Rengarda ne investisse il genero Masio
da Pietramala che dal 1370 ne aveva l'effettivo dominio.

Certo quaudo l’A. riprenderà in esame il periodo della. domina-
zione Malatestiana, non dimentichi di consultare l'archivio di Fano
ove, cosa che egli forse ignora, si conservano gran parte dei documenti
riguardanti il dominio dei signori di Rimiui su Borgo Sansepolcro e

A pagina 67 l’A. asserisce che Braccio da Montone fu due volte
con le sue genti nel territorio di Citerna, ma poi ad una sola riesce,
sulla scorta del Certini, ad assegnare una data (1407), rivelando qui
come altrove di non essere in grado di controllare le sue fonti, correg-
gerle, completarle e soprattutto interpretarle là ove se ne palesi la
necessità. La seconda volta — come è noto — fu, nel luglio. del 1418,
precisamente il 22 luglio, stando alla Cronaca Senese di Paolo di
Tommaso Mont: uri, che ci ha tramandato Ia notizia. « Braccio — dice
il cronista — si portò in quello di Lucca... e tene per Siena... e alo-

(1) LuIcI TONINI, op.:cit., Appendice, pagg. 306-307.
CITERNA . e.

. giorno la sera presso a Cuna in sull'Arbia; a di 20 di luglio 1418... E
È: poi a di 21 andò tra Lucignano e il monte a San Savino; e poi l’altro di
b. andò a Bartolomeo da Pietramala, e poi andò a’ Città di Castello . . » (1).

; Transito all'amichevole, a quanto pare; il che lascerebbe supporre.
* ‘che i figli di Bartolomeo da Pietramala fossero alleati di Braccio o ‘
M da lui protetti contro le insidie di Città di Castello e degli altri non

meno cupidi vicini. :

‘A questo proposito, per rilevare un: po! la parte noiosa e trita e
non scevra d'una punta di saccenteria, che mi sono assunto, facen-
domi correttore e Mentore non richiesto, non sarà inutile lasciare un
poco da parte l'esame del libro e dire qualche parola sulla signoria dei
Tarlati da Pietramala, che durò più di un mezzo secolo su Citerna,
Monterchi e un gruppo di castelli della valle della Sovara: tanto piü
che quanto diremo è fondato su di un copioso materiale, che ripro- .
duciamo in appendice, affatto ignorato dall'A., e quindi completa . gy
e corregge la sua memoria. | | p.

Bisogna anzitutto premettere che queste minuscole signorie vis-
sero finché quella lunga crisi del Papato, che va sotto il nome di
Grande Scisma d’Occidente, ridusse quasi a nulla la potenza politica
della Chiesa, permettendo alle maggiori potenze italiane di servirsi
delle terre a lei soggette come di distretti di reclutamento di milizie
da impiegare nelle reciproche lotte. 4 i
E per questa loro dannata funzione, questi staterelli non solo ou
- vissero, ma conobbero qualche momento di prosperità, perché il si-
gnore inserendosi, abilmente talvolta, nei conflitti delle potenze mag-
giori e servendole con le proprie milizie e con lo stesso territorio, che
diveniva a volta a volta sicuro rifugio delle genti alleate o punto di
partenza per le operazioni offensive, procacciava a sé ed ai suoi, lar-
ghi cespiti col soldo e col bottino di guerra.
| Quando, dopo il concilio di Basilea, la Chiesa useì vittoriosa
da quella lunga crisi, e a poco a poco riprese il posto che le competeva
fra le maggiori potenze italiane, l'esistenza di questi minuscoli stati
si fece sempre più precaria, finché sparirono, preannunciando la ca-
duta dei principati più grandi, come quello di Rimini, di Ferrara, di

(1) «RR. II. SS», Tomo XV, Parte VI, pag. 790.

"huit 82 GINO -FRANCESCHINI

Camerino e di Urbino; con la scomparsa dei quali lo stato della Chiesa
escluse dal suo seno ogni possibile ingerenza straniera e raggiunse la
sua completa unità (1).

La signoria dei Tarlati da Pietramala su Citerna, ebbe origine
dalla guerra che Urbano V mosse nel 1369 a Perugia ribelle. Il do-
minio che questa città esercitava su le minori città e terre dell'Um-
bria si sgretoló: tutte si proclamarono indipendenti e tali il Papa le rico-
nobbe. In quell'occasione Masio da Pietramala, con genti della Chiesa,
occupò Citerna il 1° ottobre del 1370. Cinque anni dopo, durante la guer-
ra che i fiorentini mossero contro Gregorio XI, sollevando tutte le terre
della Chiesa (1375-78), i Pietramala rimasero a questa fedeli e com-
batterono a fianco dei loro parenti, i Malatesta di Rimini, la signoria
dei quali si stendeva fino a Borgo Sansepolcro (2). A riconoscimento
della loro fedeltà, ottennero il cappello cardinalizio per uno dei loro
(Galeotto cardinale di Sant'Agata), allorché Urbano VI, dopo la diser-
zione dei cardinali francesi e l’elezione dell’antipapa Clemente VII,
fu costretto a riempire i vuoti del Sacro Collegio.

Venuto meno ai vivi il 22 gennaio 1380 Masio o Maso da Petra-
mala, gli successero nella signoria i figli Galeotto e Bartolomeo e,
dopo il 1384, quest’ultimo, solo, che gli altri due fratelli Antonio e
Pandonfo, pur figurando nei documenti da noi riprodotti, non hanno
nel governo della minuscola signoria parte alcuna:

Il legame di parentela e d'interessi, che stringeva Bartolomeo da
Pietramala ai suoi parenti di Rimini, appare ancora evidente ed ope-
roso nell’atto di tregua stipulato in Perugia il 21 marzo 1380 tra i

(1) L’avvenimento è ricordato anche da due documenti d’archivio: il
primo accenna ai provvedimenti presi dai priori castellani il 30 ottobre 1370
per recuperare Citerna: « Anno 1370 die penultima octobris. Castrum Citerne
occupatum per dominum Masium de Petramala. Arbitrium pro castris et iu-
ribus recuperandis ». ARCHIVIO SEGRETO, cit. Annales, T. I. c. 3 t.; l’altro è
del 23 novembre 1370 ed è l'istromento di pace tra Perugia e la Santa Sede,

. da: cui si. desume « Comune et homines castri Citernae Civitatis Castelli dio-

cesis esse fautores S.R.E. contra perusinos » ARCHIVIO VATICANO, Schedario

Garampi, Indice 517, pag. 75.

(2) GiNo FRANCESCHINI, La signoria di Antonio da Montefeltro sesto conte
d’ Urbino, in « Atti e Memorie » della Deputaz. di Storia Patria per le Marche,

: Ancona 1943, Appendice, pag. 58, ove è riprodotta la lettera del 26 maggio -

1376, con la quale Firenze annuncia ai suoi collegati che avendo contratto una
tregua con Galeotto Malatesta «et suis complicibus... pro uno mense, do-
mino Masio de Petramala et suis terris plenam securitatem duximus conce.
dendam ». ;
CITERNA 83

Montefeltro ed i Malatesti, dove il «castrum Citerne cum eius di-
strictu et filii domini Masii de Petramala » figurano .fra gli aderenti
del signore di Rimini (1). L'amicizia poi che legava i Malatesti, fin
d’antico tempo, a Firenze faceva sì che la repubblica tutelasse Ci-

terna e gli ‘altri possessi petramaleschi delle molestie di Città di Ca-

stello (2). D’altro canto Bartolomeo da Pietramala dette prova di fe-
deltà ai Fiorentini tanto da posporre gli obblighi che aveva coi Mala-
testa, come mostrò nel 1383 quando, avendo preparato un corpo di
milizie per andare nelle Marche, in soccorso dei parenti, per la guerra
ch’essi avevano col conte Antonio da Montefeltro, su richiesta di Fi-
renze desisté dall’impresa (3). i
L’amicizia con la repubblica durò molt’anni. Nel 1386, quando
essa mosse guerra ad Antonio da Montefeltro conte d’ Urbino, Bartolo-
meo prese le armi come soldato della Signoria e nel trattato di pace,
che fu stipulato il 18 luglio di quell’anno, egli figura tra gli aderenti e

(1) Gino FRANCESCHINI, op. cit. pag. 70, ove sono esplicitamente citati
quali aderenti di Galeotto Malatesta. Il testo da me pubblicato é esemplato su
una copia dell'Archivio di Stato di Modena, Cancelleria ducale, Documenti
e carteggi di Stati e Città d'Italia. Lo credevo inedito, ma invece era stato pub-
blicato in un testo più completo da VINCENZO ANZIDEI, La tregua del 21 marzo
1380 fra Galeotto Malatesta signore di Rimini e Antonio di Montefeltro conte
d' Urbino, in questo « Bollettino » anno XXII, 1916, pagg. 19-40; la citaz. sud-
detta é a pag. 39.

(2) G. DEGLI Azzi VITELLESCHI, Le relazioni cit., vol. I, lettere del 17 giu-
gno 1385 e del I? febbraio 1393, numeri 638 e 767. Anche il nostro A. riporta dal
Certini a pag. 63 una lettera dei Fiorentini ai Castellani, in cui si lamenta un
. tentativo fatto per togliere ai Tarlati Citerna. L'A. non s'é accorto che o lui
o il Certini sono in corsi in un errore di trascrizione.

(3) Appendice, doc. n. 2. Si ha ricordo d’una « commissio facta ambasia-
toribus florentinis » il 13 giugno 1383 « supra differentia existenti inter comune
Civitatis Castelli et Bartolomeum de Petramala » circa denari che questi pre-
tendeva dal comune: « Aum inter comune Civitatis Castelli et eius offitiales
abundantiae ex una parte et nobilem virum Bartolomeum de Petramala ex
altera parte sit certa discordia et differentia nomine et occasione certarum
quantitatum pecunie quas idem Bartolomeus petebat sibi dari et solvi a dic-
to comuni videlicet qu/ngentos florenos aur; pro prov'sione sue gentis quam
idem Bartolomeus asserit se mississe in servitium dicti comunis pro recu-
perando castrum Montismigiani et certam quantitatem pecunie quam as-
serit se debere recipere a dicto comuni pro sui provisione et pro servitio fac-
to per eum de dicta gente et nomine et occasione certarum pagharum Mar-
chi morti quas dicit se debere recipere a dicto comuni ut. heredem dicti Mar-
chi et etiam nomine et occasione etc... ». ARCH. SEGR. cit. Annales, I, c.
162 t. i
?

84 ERO GINO FRANCESCHINI

seguaci del comune di Firenze, insieme. con Città di Castello e eon i
conti di Montedoglio (1).

Quando, due anni dopo, a difesa del pontefice Urbano VI che da
Lucca era venuto e Perugia, Pandolfo Malatesta scese con buon nerbo
di truppe nell'Umbria «era con il detto Pandolfo — dice il cronista
tifernate Laurenzi — Bartolomeo di messer Magio da Petramala e

| portava il bastone come caporale... anco v'erano molti fanti, da Ci-

terna e da tutto il terreno delli signori da Petramala ». Insieme subi-
rono la sconfitta della Fratta (19 giugno 1388) e le conseguenze di
quella, i saccheggi cioé dei territori di Sansepolcro e Citerna, ad opéra
della compagnia inglese di John Beltoft (2). .

L'amicizia con Firenze sembrò offuscarsi dopo il 1390, quando
la presenza di Gian Galeazzo Visconti, duca di Milano, cominciò a
farsi sentire al di qua dell'appennino continua ed irresistibile. Nell'at-
to federale che per mediazione di Pietro Gambacorta fu stipulato in
Pisa (5-9 ottobre 1389) fra il signore di Milano e le comunità di Firenze

€ Bologna, cui parteciparono i fautori dell'una e dell'altra parte, il

«nobilis vir Bartholameus de Petramala » figura tra gli «adherentes
et recommendati magnificorum dominorum de Malatestis » (3): e
quando quel supremo tentativo d'impedire il conflitto armato tra le
due maggiori potenze si dimostró inefficace e Gian Galeazzo mando il
cartello di sfida a Firenze e Bologna, i Malatesti e Bartolomeo da
Petramala presero le armi a favore del signore di Milano.

Dopo la pace di Genova (26 gennaio 1392) sembró che tra i si-
gnori di Citerna e Firenze tornassero le amichevoli relazioni di un

(0 ARCHIVIO DI STATO DI FIRENZE, Capitoli, vol. 8, carte 37. Al paragrafo
12iltrattato dice: «Item quod in presenti pace, et concordia veniant et inclu- -
dantur etiam sine alio actu faciendo infrascripti adherentes et sequaces co-
munis Florentie cum eorum castris, territoriis, hominibus et personis atque
obbedientibus quibuscunque, videlicet Civitas Castelli, Comites de Montedolio,
Bartolomeus de Petramala... », seguono gli altri alleati.

(2) A questi avvenimenti si accenna in una mia breve memoria apparsa
su questo « Bollettino » col titolo: Soldati Inglesi nell’ Alta valle del Tevere sei-
cent'anni fa. La stessa cronaca del Laurenzi ci dice che queste genti malate-
stiane prima di scendere verso la Fratta «posaronsi sulla villa di Lippiano »
presso Monterchi. Gli editori della Cronaca di Bartolomeo di Ser Gorello già
citata, riportando a pag. 151 in nota il passo del Laurenzi, sbagliano il no-
me del padre di Pandolfo, il nome del capitano inglese e la data del combatti-

- mento della Fratta.

i (3) L. Osro, Documenti diplomatici tratti dagli Archivi Milanesi. Milano,
1864, vol. I, pag. 285.
CITERNA : 85

tempo; ma la controversia per la restituzione del castelluccio di Top-
pole, che si trascinò per qualche anno alimentò diffidenze e rancori.
La lettera del 28 agosto 1392 riportata dal Degli Azzi Vitelleschi (1)
nella quale Firenze si lagna, che suoi mercanti siano stati derubati ,
dalle genti di Bartolomeo da Pietramala è un segno palese di questa
instabilità di rapporti. È assolutamente fuori dubbio poi che, qual-
che anno più tardi, egli era tutto duchesco e scambiava presenti e
cortesie con Ottobono Terzi, comandante delle’ milizie viscontee nel-
l'Umbria, come testimoniano l lettere dell'archivio di Città di Castel-
lo, che riportiamo in appendice (2). Quando per l’improvvisa morte di

(1) G. DeGLI Azzi VITELLEscHI, Le relazioni cit., pag. 205, doc. 756.
Nel 1399 il moto dei « bianchi » parve segnare una rappacificazione tra le parti:
vedi gli avvenimenti narrati sotto le date 4, 9 e 11 settembre da G. NU:
Memorie civili di Città. di Castello, II, pag. 18.

(2) Appendice, n. 24. Fautori del Duca di Milano, i Pietramala, dopo l'im-
provvisa morte di lui, cercarono di destreggiarsi con i némici di ieri. Antonio
da Pietramala, fratello di Bartolomeo, avendo fatto prendere per rappresaglia
un uomo di Mucignano, rispondeva ai Priori di Città di Castello, che se ne
erano lagnati, che avrebbe potuto farsi giustizia in momento più oppor-
tuno, ma non aveva voluto approfittare delle difficoltà, in cui li poneva
la guerra. La lettera dice: « Magnifici ac potentes domini mei singula-
rissimi. Io ho ricevuta vostra lettera della presa de Jacomo da Muci-
gnano, ad la quale io respondo che quello che io ho fatto non lo faccio
«de facto» per ciò che è grande pezo che io scripsi all'officio vostro che
lo piacesse informare della verità da li homini de Mucignano e trovata
la verità me facessero dare el mio: ed advisaili delle rapresaglie. Loro me
resposero chio mandasse ad Castello che me seria facta ragione et ho la loro
lictera. Per descretione mentre che avete auta la guerra non ho voluto pi-
gliare niuno dei vostri como averia potuto fare. Mo che è Ja pace Jo: voglio el
mio e voi ne dovereste essere contenti: si che da me non è proceduto nisciuno
errore — Recomandome ad le S. V....Citerne die XVIII februarii — El vostro
servidore — Anthonio da Pietramala etc. (Arch. Secreto di Città di Castello,
Cod. XIII, fol. 48). Quando le genti viscontee sgombrarono l'Umbria, sotto
la pressione delle armi della Chiesa, Bartolomeo da Pietramala, che aveva
ben previsto da qual parte si sarebbe posata la vittoria, faceva comunicare ai
Priori di Città di Castello le notizie, che mandava o faceva mandare dal
campo, come appare dalla seguente letterina, accompagnatoria di un'altra con-
tenente notizie che a Castello dovevano giungere gradite. « Magnifici signori
miei. Mandove la copia d'una lettera del mio Magnifico Padre e Signore Bar-
tolomeò, el quale nella sua partita me 'npuose che ogni novella occurrente,
a me nota, ve la dovessi notificare e chusì farò. Aparecchiato a li vostri co-
mandamenti. In Citerna di XXV di lugllo (1403). El vostro servidore Pandolfo
de Pandolfo. (Arch. Cit., Cod. XLIII, fol. 142). Quelle letterine chel’Ascani
dice di nessun interesse, si presterebbero a tante minute osservazioni, che. ri- $86 GINO FRANCESCHINI

Gian Galeazzo, le fortune viscontee nell'Umbria vacillanoro, i Pie-
tramala militarono nell'esercito della Chiesa, e si riaccostarono a Fi-
renze: anzi dopo la morte di Bartolomeo, chiesero instantemente che
la Signoria estendesse anche a Citerna quell'accomandigia che già
esercitava su leloro terre della val di Sovara. Piü tardi quando Ladislao
di Durazzo, il 19 giugno 1408 occupó Perugia, essi si accodarono a
quelli che favorirono le sorti del Re. Nel 1409 all'inizio delle operazioni
in Toscana, gli agenti dei Pietramala sono a San Quirico d'Orcia, presso
il Re. | |

Un cittadino tifernate, ch'era addentro alle segrete cose, in un
interrogatorio depose «che nel campo del Re sempre istettero doi
famigli dei figlioli di Bartolomeo da Pietramala cioè Meccacampana
e il marescalco. E dunche andava el campo andavano essi e spessis-
sime volte andava l'uno e remaneva l'altro e vidde... ei dicti famigli
parlare co lo Re piü e piü volte e dice ch'essi famigli andarono a Pe-
rugia e parlarono con lo Re e dice che udi dire che sine a Perugia erano
facti ei capitoli ei pacti di la concordia intra esso Re e i figlioli di
Bartolomeo e tra gli altri pacti disse che sapeva de cérto che mes-
ser Martino con le sue brigate dovea andare a stare nelle terre
dei detti figlioli de Bartolomeo e a lor posta e volontà guerre-
giare in quello di Firenze e sul terreno dela Città di Castello e in
ogni altro luogo che a loro piacesse e la detta concordia se diceva
avevano facto fermamente per mezzo del Gran Conestabile cioé del
Conte di Orbino » (1). —.

Com'era da aspettarsi, il rapido declino della fortuna del Re,
nel 1413, poteva costar caro alla piccola signoria dei Pietramala. La
lotta accesa attorno a Roccacontrada (l'odierna Arcevia), dove, s'era

manderó ad altra occasione. A proposito di queste lettere e di quelle che ripor-
tiamo in appendice, reca meraviglia quel che dice l’A. a pag. 58: che la corri-
spondenza di Bartolomeo da Pietramala con i Priori di Città di Castello sia
« Autografa » com'egli asserisce, io non oserei dire: che poi « nulla di particolare »
si possa «ricavare » da quella corrispondenza, lo lascio giudicare al lettore. Essa
fa intravvedere il vario gioco delle potenze italiane nell'Umbria per oltre un
cinquantennio. L'A., anche asserisce che«é scritta quasi tutta in stile diplo-
matico cioé conciso e misterioso » (1? ); ed anche di questo lascio giudice il
lettore.

(1) Città di Castello, Archivio più volte citato, Busta 80: G., n. 34. Debbo
osservare che il documento è fuori posto: la busta ha su la costola l'indicazione
1476-1500 e contiene per lo più documenti di quegli anni. Nella dignità di Gran
Conestabile del Regno era successo, alla morte di Alberico da Barbiano nel
1409, Guidantonio da Montefeltro conte di Urbino (1404-1442).
CITERNA : 87

rinchiuso Paolo Orsini, sceso a sommuovere la Marea e l'Umbria ai
danni del Re, fu per travolgere la signoria di Citerna. A liberare l'Or-
sini dal blocco, tutti gli alleati di Giovanni XXIII e di Luigi II d'An-
giò (la Lega per dirla coi cronisti), mandarono genti, e sopratutto Fi-

renze. «I Fiorentini — dice il cronista senese più volte citato — man-'

darono molta gente verso Città di Castello e dicevano che andavano
a soccorrere Paolo Orsini, mentre avevano ordinato il trattato a Ci-
terna, la quale era del figliolo di Bartolomeo da Pietramala, ch'era
loro raccomandato, e volevali torre le sue terre, imperoché un prete
n’era operatore e faceva el tradimento, el tradimento si scoperse come
piacque a Dio» (1). i
Fortunatamente i Malatesti vigilavano su Citerna come su cosa
propria, e i Pietramala furono salvi. Per comprendere l'intervento
malatestiano, si tenga presente, oltre ai legami di parentela, che se
fosse riuscito a Firenze di trarre Paolo Orsini dalla Roccacontrada,
iper condurlo in Toscana, come s'andava dicendo, queste terre
malatestiane dell'alta Valle del Tevere, San Sepolcro, Citerna e Mon-
tedoglio, rimaste fedeli al Papa Gregorio XII, avrebbero passato
un brutto quarto d’ora (2). Paolo Orsini fu salvo pel voltafaccia del

(1) Cronaca Senese, di Paolo di Tommaso Montauri in « RR. II. SS° »,
TONS B.V, pag. 24740.

(2) In quell'occasione Malatesta Malatesti, accampato presso Montedo-
glio, per sorvegliare le mosse dei fiorentini, mandó a Città di Castello una let-
tera assai risentita per impedire che s'inviassero soccorsi all'Orsini. Essa dice:
« Magnificis fratribus Prioribus et Octo Civitatis Castelli — Magnifici Fratres
carissimi. Ho intesa non senza diplicentia da aviso che voi fade adunada de
fanti per mandarli a soccorre Paulo Ursino per trarlo de qua, de la qual cosa
sommamente me meraviglio e non so che casione, raxione ardire o presump-
tione ve mova a questo, perché né li mei Magnifici Fradelli, ne mi mai havemo
fatto o tentato contra voi e vostro stato, ne fatto cosa che ve debia indurre a
tale atto. Ma io che me taccio, non posso dire così, che più offese ho receute
da voi le quale ho inghiuttide solamente. per respetto della amicitia et benivo-
lentia havuda per la felice memoria del signor mio padre et de gli altri mei pas-
sadi cum la vostra comunità, la quale non volea essere raxone turbare, ben
che sia stato da voi ingiuriato. Mo veggio la intentione vostra essere molto di-
versa dalla mia, pertanto ve prego non vogliate fare a mi quello non havide
alcuna raxone farlo, ne anche ve ne sia stada dada casone per li miei Magnifici
fradelli ne per mi. Certificandove che se gli mandaride pur un fante, che questa
vendetta non lassaró mai a farla a Galaotto mio figliolo, et recordove che ve
son più vixino che Paulo Orsino et a vixino non manchò mai vixenda. Piaciave
avisarme per questo corero dé vostra intentione.. Paratum. etc. Malatesta
de Malatesti in campo apud Dolium di XXVIII Julii 1413. Archivio Segreto
Città di Castello, Cod. XLIV, fol. 102. |

Td oe s i
. parte cit., pag. 804.

df Rent ide ero

88 A GINO FRANCESCHINI

Gran Quizsiabilo: Guidantonio da Montefeltro, ‘più che ‘comprato
dall’oro fiorentino, come si disse, deluso dal diniego opposto del Re
all’impresa di Romagna, che tanto .stava a cuore al conte” d’Urbino:
l'Orsini fu: salvo, ma non venne a danneggiare queste nostre terre,

come si temeva.

Dopo la morte del Re (1414),. 1 signori di Cim seguirono le
fortune di Braccio da Montone, che li tutelava dalle brame di Firenze
di Perugia e di Città di Castello. Ma la battaglia dell'Aquila (1424) e
l'improvviso tramonto della meteora braccesca, poneva i Pietramala
in gravi difficoltà. In quello. stesso anno, la giornata di Zagonara aveva
dischiuso a Filippo Maria Visconti le vie della Toscana e dell'Umbria.
Comandante delle milizie viscontee, qui nell'alta valle del Tevere, era
Giovanni da Varano dei signori di Camerino, e si disse che Firenze
fosse riuscita a corromperlo nella speranza di mettere le mani su
Sansepolcro, Citerna e Città di Castello. « I Fiorentini — dice il cro-
nista senese che abbiamo già citato — comperaro. Giovanni de Signori
de Camerino al quale el Duca di Milano aveva lasciato per suo capi-
tano e comessario e tradi el duca... ed ebbe denari dà Fiorentini, si
disse XX mila fiorini, e lasciò prendere tutte le castella che la gente
del duca avea prese, e perché si scoperse el trattato come detto Gio-
vanni voleva dare a Fiorentini el Borgo e Citerna e Città di Castello
el quale trattato lo scoperse Piero da Pisa connestabile del Duca, unde
detto Giovanni si fugì con poca gente » (1).

Come s'é detto, queste minuscole signorie di origine feudale: di
che la nostra regione pullulava, potevano reggersi finché fungevano

‘da luoghi d’acquartieramento di milizie, che alla stagione propizia

sotto la guida del signore andavano a procacciarsi il pane al servizio
di Firenze e del Papa, o dei Montefeltro o dei Malatesti, che come im-
presari di guerra di potenze maggiori, li portavano sui campi di Lom-
bardia, al servizio di Milano o di Venezia.

I Fiorentini chiamavano questi luoghi « ladronaie » e, fino ad un
certo segno, avevano ragione.

Si comprende come non appena queste minuscole signorie ca-
devano in mano a donne o a minorenni, a gente insomma che non
fosse capace d’esercitare la milizia e d' acquistare nel mestiere delle
armi un certo nome, andavano ineluttabilmente alla rovina. Perché,
sebbene minuscoli stati, avevano i epu degli stati grandi UM

à) Oronadi Senese. di Paolo Tommaso Montauri, «RR. II. Ss: » T omo e
CITERNA : 89:

dei castelli, amministrazione della giustizia, esazioni di pedaggi, resi-
denti diplomatici ed informatori, patroni in Curia ecc. ecc.) con un

onere finanziario ch'era relativamente tanto più gravoso, quanto più

lo stato era piccolo, incapace di vivere con le sole risorse del territorio

ed il lavoro dei sudditi. Queste considerazioni: Pei come 3 Si- o
gnoria dei Pietramala andò-in rovina.

A. Bartolomeo, morto il 10 aprile 1406, successe il figlio Carlo,
di tanto inferiore al padre. Morto anch’egli prematuramente lasciò
la vedova, Anfrosina dei conti di Montedoglio, con i figli ancora in
giovane età (1). Una. figlia di Carlo e di Anfrosina era andata. sposa
al condottiero Cristoforo da Tolentino, il quale vedendo la situazione di
Citerna assai pericolante, per la debolezza dei principi e la potenza
dei cupidi vicini, la occupò per assicurarsi della dote della moglie, -
e dopo la battaglia di Anghiari che segnò la rovina d’Anfrosina e
dei figli, la cedette a Sigismondo Pandolfo Malatesta signore di Ri-
‘ mini, contro il pagamento di quanto spettavagli per le sue regioni
dotali.

Sigismondo Pandolfo teneva, a quanto dichiarò più tardi, Ci-
terna in deposito per crediti che aveva verso i Pietramala. Infatti
quando nel 1463, il signore di Rimini dovette soccombere contro le
armi vittoriose di Pio II, negli assaggi che si facevano per la pace,
scriveva a Borso d’Este, che non poteva a nessun patto cedere Citer-
na, come il Papa esigeva, perché quel borgo non era suo. «... de
Citerna, dice l’oratore ducale, non vole intendere covelle dicendo scu-
se... cioè che lui l’ha in deposito per dinari prestati ad uno da Pie-
ttamala: . » (2).

(1) Del rapido declino dello Stato Petramalesco dopo la morte di Bar-
tolomeo, si ha una netta impressione anche dal mutato tono delle lettere.
Prima lo stile era un altro: anche nelle frasi cerimoniose si poteva sentire
la minaccia o quanto meno una certa signorile albagia e sicurezza; ora il
tono è dimesso querimonioso come appare da questa lettera di Carlo ai Priori
Castellani. « Magnifici domini, domini mei singularissimi etc. Io ve ho scripto
che ve piacesse concederme la tracta del grano e non ne agio poduta avere re-
sposta. Pregove che ve piaccia responderme e faritemene grande ad piacere.
. El grano lo voglio mandare verso la Fracta. Recomandome ad la S. V.Citerne
die XIII februarii — Carlo da Petramala etc. (Arch. cit. Cod. XLII, fol. 57).
In questo povero signore che non può uscire di casa per. vendere il suo grano,
senza elemosinar il passo o l'esenzione da dazio dagli invidi vicini, è descritto.
il melanconico tramonto di queste minuscole signorie.

(2) GIOVANNI SonANZO, Pio II e la politica italiana nella lotta contro i Ma-
latesti, Padova, Druker ed., 1911, pagg. 456 e 502.
To— Teresa nie ne cte

GINO FRANCESCHINI

Ma il Papa fu irremovibile nel volere Citerna, e bisognó piegarsi.

L’Anonimo veronese, così ben informato di cose malatestiane,
all'anno 1463 dice : «... Nel concludere la pace... Pio papa volse che
Sigismondo lassasse... in Toschana, Citerna, loco lungamente da
Malatesti possesso » (1).

Firenze che da tempo aspirava al possesso di quel castello (e per
questo non permetteva che altri molestasse i Pietramala), per mezzo
dei propri oratori in Curia e di Ottone del Carretto oratore del Duca
di Milano, richiese istantemente la cessione di Citerna, pertinente, come
essa diceva, al contado d’Arezzo, e da lei lasciata, con altri castelli in
godimento ai Pietramala suoi raccomandati, quand’essa, nel novem-
bre 1384, aveva comprato Arezzo e il contado da Enguerrand sire di
Coucy (2).

I] Papa, mentre si meravigliava dell'insistenza della Repubblica
in quelle richieste, sapendo che Citerna assicurava un ben munito con-
fine, non cedette; e cosi la piccola terra, fino allora incerta fra Toscana -
ed Umbria, rimase alla Chiesa edivenne definitivamente territorio
umbro. Non che subito si cancellasse il ricordo dell'antica signoria
e che s'estinguessero i sospetti sulle ascose mire degli antichi signori:
tanto piü che quelle mire non sostenute da Firenze, che mal si rasse-
gnava a vedere svanire i suoi disegni su Citerna. Allorché dopo la
sciagurata congiura dei Pazzi si venne tra la Chiesa e Firenze alle
ostilità, in una enciclica nella quale il 19 giugno 1478 Sisto IV de-
nunciava le macchinazioni messe in opera da Lorenzo de’ Medici
contro lo Stato della Chiesa, diceva: « Preterea ad castra eiusdam
Ecclesiae anhelantes et apertis faucibus inchiantes, castrum Citer-
nae Civitatis Castelli dioecesis, quod ad eamdem Ecclesiam perti-
nere dignoscitur, per insidias nocturnas clam invadere et dato ad
id nonnullis armigeris negotio tyrannidi corum subiacere, quamvis
temerariis corum ausibus fidelium dicti castri custodum opera et
diligentia abstiterit ». E di contro in una Sinodo fiorentina convo-

" cata il 23 luglio per rispondere alle accuse del papa, circa il castel-

(1) Cronaca di Anonimo Veronese, edita da G. Soranzo, Venezia, 1915,
pag. 197. Il 22 ottobre 1463 per gli atti di Gentile Buratti si venne ad una
transazione tra l'università del castello di Citerna ed i preti dello stesso ca-
stello circa le decime. G. Muzi, Memorie ecclesiastiche e civili di Città di Ca-

-stello, vol. III, pag. 30, v. anche pag. 93 e pag. 264.

. (2) Fra gli agenti fiorentini che assecondavano le mire della repubblica

Su Citerna v'é un ser Giusto d'Anghiari di cui riproduciamo due lettere in

SPAM; doc. 29 e 30.
CITERNA 91 .

lo di Citerna si diceva: «ut ad Citernam oppidum insidiis petitum
veniamus...» e si respingevano le accuse d'aver tentato d'occu-
parlo (1).

Mentre duravano ancora le ostilità Roberto Malatesta, successo
nella signoria di Rimini al padre Sigismondo Pandoifo, lagnandosi
dei sospetti che ingiustamente si avevano in corte di Roma verso di
lui, tra l'altro diceva: « Venne una nuova che io haveva mandato
uno mio in la rocca de Citerna per amazzare il castellano et torre quel
loco alla Sua Santità, et (il papa) mandó per lo reverendissimo mon-
signore Vescovo de Castello che era a l'ora, a dire a ser Philippo mio
cancelliero quello li parve, cume dire che ’1 sapeva che io voleva quel
loco per dare a li signori fiorentini et acconciarme cum loro per
questa via. Et qui Sua Santità si li disse quello li piacque cume me-
naciarme che faria et che diria... » (2). |

Più tardi durante il conflitto per il Polesine quando Roberto
Malatesta militando per la Chiesa il 21 settembre 1482 morì, il pon-
tefice mandando le milizie di quel capitano alla difesa di Rimini,
diceva: « ceterum propter subsecutam mortem clare memorie Roberti
Malateste necesse est gentes illius armigeras remittere pro defensione
et securitate status illius Ariminensis, ordinavimusque ut gentes ipse
per agrume perusinum iter faciant et ad terram nostram Citerne in
illo transitu divertant ad ferendum terre illi auxilium eamque ab ab-
sidione liberandam »: e lo stesso giorno scrivendo al patriarca an-
tiocheno su lo stesso argomento diceva: « volumus ut hoc breve pe-
nes te retineas donec ipse gentes Citerne subveniant et illam si pos-
sint liberent » (3). A meglio invigilare sulla custodia di Citerna. Pochi
anni dopo, Sisto IV la concesse o disegnava concederla con altre terre
della valle del Tevere, al Conte Gerolamo Riario suo nepote, come
ci assicura l'oratore del duca di Ferrara in un dispaccio da Firenze
del 25 maggio 1484. « Questi signori dieci — scrive l'oratore ducale —
hanno particolare avviso che la Santità del N. S. ha dato in vicariato
all’illustrissimo conte Girolamo, Città di Castello, Citerna e la Pieve
di Sestino, che sono molte castella a li confini de lo stato del Signore
di Rimini, Urbino e Fiorentini; per li quali luoghi poteria venire da
Castello a Cesena che non toccaria de li luoghi alcuni di quelli signo-

(1) G. Roscoz, Vita di Lorenzo de’ Medici, T. II, Pisa 1799, Appendice
p. LXV e CIII.
(2) L. ToNINI, Appendice, pagg. 277-78.
(3) TONINI, pagg. 294-95-96.
92 PN GINO FRANCESCHINI

ri »(1). La concessione non ebbe luogo o, s'ebbe luogo, non ebbe effet-
to, perché la pace di Bagnolo (7 agosto) ela morte del papa, che non.
sopravvisse a quella notizia, si infausta ai suoi disegni, (12 agosto:
1384), segnarono il tramorito della. potenza del conte Gerolamo; ma
la notizia serve a indicare quanta fu l'attenzione con la quale la
Curia romana guardò in quegli anni a Citerna, quando cioé su quella
fortezza s'appuntavano le mire di Firenze. La quale. non potendo
insignorirsene direttamente e riportare per questa via Citerna entro
1 confini del contado Aretino, aiutó i Vitelli perché ne divenissero
signori. Ad essi la Chiesa finalmente la concesse in vicariato'e la loro
signoria duró fino a tempi a noi assai vicini. B y

A. dir vero la signoria vitellesca fu turbata dalla guerra tra Ur-
bano VIII ed i Farnese, pel possesso del ducato di Castro, guerra che
portó le truppe toscane e quelle pontificie a combatter sotto le mura
di Citerna, le une pel possesso, le altre per la difesa di quella fortezza.

In quegli anni, il nome di Citerna suonò tant'alto, quanto nes-
sun Citernese avrebbe osato mai sperare. I dispacci di Francia e di

. Alemagna ripeterono il nome dell’umile terra, come quello della for-

tezza, sotto le cui mura s’erano infranti gli assalti delle genti toscane.
‘|. L'autore segue passo passo la cronaca che di quegli avvenimenti
ha lasciato il: maggiore attore citernese, don Pietro Arrighini, cui
l'amor del campanile ha fatto immiserire a bega tra anghiaresi (0 to-
scani) e citernesi, quello che fu un episodio del grande conflitto euro-
peo, che dai trent'anni clie durò prese il nome (1618-1648), insangui-
nando la Germania tutta e, in minor misura, la Francia, le Fiandre,

la Spagna e l'Italia superiore.
Più agevole che negli altri casi, e più copiosa, poteva soccorrere

qui la bibliografia, atta ad inquadrare l'episodio Citerna nella storia

d'Italia e d'Europa; qui la sua materia poteva alquanto innalzarsi,
e per.la vastità delle risonanze, aspirare a quel tono, che anche alle
umili cose, conferisce dignità. Se non che il difetto fondamentale
di queste « Memorie Storiche » è che l'autore non ha mai sentito il
bisogno di dare a sé stesso una giustificazione del proprio lavoro; per-
ché se lo avesse fatto, si sarebbe accorto che la storia di Citerna doveva

. pur essere storia d'Italia, e che per questa lapalissiana verità, il suo

pensiero doveva di continuo ricorrere dal particolare al generale, da

(1) CAPPELLI, Memorie di Pandolfo Malatesta ultimo signore di Rimini,
in « Atti e Memorie della R. Deputazione di Storia Patria dell'Emilia » Mo-
dena, 1864, vol.I, pag. 434. (leues
CITERNA d 93

Citerna all'Italia e viceversa, per illuminare i particolari di un signifi-

cato ed arricchire di nuove determinazioni la storia generale.

Riesporremo noi brevemente gli eventi, collocandoli i in quel piano
prospettico che loro compete. La lega (come potevano: sorgere «due
leghe »'come dice l’A. a pag. 121? Formate da. chi ?) costituita da
Venezia, dal Gran Duca di Toscana e dal Duca di Modena, si formò
con l’intento espresso di rattenere Odoardo Farnese dal buttarsi in
braccio a Francia, ed evitare così una-conflagrazione generale in Italia.
Il Duca di Parma offeso e danneggiato dalla Chiesa, per l’occupazine
dei suoi feudi, avrebbe voluto far le sue vendette con le armi del Cri-
stianissimo re di Francia, desideroso d’infliggere un’umiliazione ad
Urbano VIII, responsabile, secondo i ministri francesi, del manteni-
mento della potenza absburgica nella Penisola. Sicuri che il Papa

. non avrebbe potuto allearsi con Francia, e che ancor meno avrebbe

potuto ricevere efficaci soccorsi da Spagna o dall'Impero battu ti svi
campi europei, i colegati volevano costringere Urbano VIII, non solo -
a restituire quanto richiedeva il Duca di Parma, ma anche a sistemare
onorevolmente le questioni pendenti da anni con ciascuno di.loro,

e cioé: un accomodamento perla questione del Polesine con Venezia,
una pacifica intesa con.il Duca di Modena per le questioni sorte con la
devoluzione di Ferrara e Comacchio e un accordo col Granduca di To-

‘scana pei beni allodiali della moglie, Vittoria della Rovere, ultima
‘erede del ducato di Urbino. La Francia che non aveva potuto ottenere

neppure con la promessa cessione del ducato di Milano, che Venezia
rinnovasse il patto già altra volta stretto con Luigi XII a Blois, non
avendo potuto servirsi delle armi della lega in Lombardia; vide: di
buon occhio che quelle si rivolgessero contro le terre della Chiesa,
onde vincere le resistenze dei Barberini. |

Ebbero cosi inizio le ostilità. Il duca di Parma occupò Bondeno
e la Stellata sul Po, mentre Venezia occupava il Polesine. Ma giuati
i yeneti ad Arriano ed a Cento ed essendo nel frattempo entrato in

, campagna anche il Duca di Modena, che rivendicava per se quelle

terre, incominciarono i dissapori tra i collegati. La facile avanzata
dei primi giorni subì un arresto, che dette modo ai pontifici di portare
forze rilevanti sul Po e passare alla contr'oflensiva.

Fiducioso che le genti ecclesiastiche sarebbero state duramente
impegnate nella valle del Po, il 15 giugno 1643 entrò in campagna il
Granduca di Toscana. Aveva affidato il comando supremo dell'eser-
cito al fratello Mattia, segnalatosi nelle campagne di Germania, met-

tendogli al fianco, come Maestro di Campo, il generale Alessandro dal
94 GINO FRANCESCHINI

Borro, aretino, divenuto famoso quale generale d'artiglieria, nelle

armate cesaree. Alla rara perizia, questi accoppiava una minuziosa
conoscenza dei luoghi. Attaccò tra Città della Pieve e Castiglione del
Lago ed occupò Passignano, Monte Colognola, e tutta la riviera, co-
stringendo i papalini a ritirarsi oltre il Tevere. Volendo poi stornare
con un diversivo i pontifici, mandò il sergente generale Alfonso Strozzi,
a prendere di sorpresa Citerna. Ributtato con qualche perdita, lo
Strozzi s'accostó a Citerna coi cannoni, e dopo qualche volata i di-
fensori offersero la resa, contro l'immediata sospensione delle osti-
lità. Le trattative furono uno stratagemma per guadagnar tempo e
dar modo ai soccorsi ecclesiastici di giungere a Citerna. Lo Strozzi,
vistosi ingannato occupò San Giustino e Celle, interrompendo le co-
municazioni tra Citerna e Città di Castello. Il colonnello Cornelio
Malvasia uscito da questa città, con un reggimento di carabine, risa-
lendo la valle del Nestore, tentò d'aggirare lo Strozzi e piombare sù
Castiglione Fiorentino; ma ai Poggioni fu rotto e messo in fuga. Il
generale pontificio Federico Imperiali, mandó a liberare Citerna, il
maestro di campo Tobia Pallavicini, con uno scelto nerbo di truppe,
e lo Strozzi fu costretto ad abbandonare Celle e San Giustino ed a
ricoverarsi in Borgo Sansepolero. Riordinatosi, si schierò, secondo gli
ordini ricevuti, tra Anghiari e Monterchi, mentre venivano in suo
aiuto il colonnello Adami, con un regginiento di dragoni e una compa-
gnia di corazze, per impedire ai Dousso: di risalire la valle del Cerfone

e minacciare Arezzo.

Ma intanto l'avanzata dei Toscani oltre il lago Trasimeno; co-
strinse i pontifici ad abbandonare Deruta, a ripiegare su Todi ed a
richiamare il Pallavicino dal contado di Città di Castello. Venuta meno

la minaccia pontificia su la linea Arezzo-Castiglione, anche al Dal.

Borro parve inutile tener tante genti intorno a Citerna, e Ponta mo] lo
Strozzi (1).

La guerra pel ducato di Castro fu l'ultima occasione, credo, of-

ferta a Citerna, per figurare nelle relazioni diplomatiche e nei dispacci

di guerra. La storia di quello che Giovanni Villani aveva chiamato

«il forte castello di Citerna » (2) era finita. Cosi come l'abbiamo qui

tratteggiata, si puó dire storia di una fortezza, piü che storia di uomini.

(1) Vrrronrio Srnz, Del Mercurio overo Historia dei correnti tempi di V. S.
consigliere di Stato e Historiografo della Maestà Cristianissima, Tomo terzo,

In Lione MDCLII, pag. 456 e 502.

(2) GIOVANNI VILLANI — Cronaca, lib. XI, cap. XXXVII.
CITERNA 95

Quella, infatti che fu la ragione dei suoi vanti e della sua passata gran-
dezza, la posizione strategica, è ora in condizioni economiche tanto.
mutate, la ragione, della sua decadenza e delle gare per cui le frazioni
del piano le contendono oggi l'onore d'esser sede del comune. :
Queste schematicamente le vicende di Citerna sotto le signorie,
durate piü secoli, dei Pietramala, dei Malatesti, e dei Vitelli; vicende
che ho qui riassunte, non solo per mettere un po’ d'ordine nella con-
fusa esposizione dell’A., ma soprattutto per sopperir alle sue lacune e
ricordare a lui ed agli amici altotiberini, cultori di memorie municipali,
come l'erudizione fondata su le sole fonti locali non basti ad una illu-
- strazione delle secolari vicende di queste piccole terre giustificata
dalla raggiunta unità nazionale, tale cioé che dimostri per quali vie
ogni singola terra usci nei secoli passati dall'isolamento cantonale ed
entró nel circolo vitale della regione e della Nazione.

“ak ask

Riprendendo ora la rassegna degli errori che deturpano il libro, .
rileviamo che non è vero che Domenico Malatesta trovasse la morte
‘nel piccolo fatto d’arme di Tena: il fratello di Sigismondo Pandolfo,
sebbene infermo per una ferita riportata in gioventù (a Tena A visse
ancora a lungo come signore di Cesena.

Di frequente si ha la prova palmare che l’A. non è in ai di
controllare le sue fonti e pertanto le cita in una forma che dev'essere
a lui stesso incomprensibile. Ad esempio, chi é quel « Giusti » del passo
del Taglieschi, che nella citazione non par neppure una persona ?
L'A. non sospetta evidentemete ch'ei sia Giusto dei Conti di Val-
montone, il petrarchesco poeta de «La bella mano ». Chi é quel car-
dinale Deciano, che l'A. cita a pag. 73? Come mai nell'incertezza
non ha sentito il bisogno di consultare l'Eubel (Hjerarchia Catolica
Medii Aevi) per vedere chi mai fosse questo nebuloso personaggio ?
Il cardinale legato che diresse le operazioni militarii controSigismondo
Pandolfo Malatesta fu il pistoiese Nicoló Forteguerri, comunemente
detto il cardinale di Teano, che l'A. storpia cosi in malo modo.

Da pag. 70 in poi l'esposizione degli avvenimenti dà spesso una
impressione penosa. La guerra che Pio II mosse a Sigismondo Pan-
dolfo Malatesta é un episodio di qualche rilievo nel processo d'unifi-
.cazione dello stato della Chiesa e nella storia italiana del secolo xv e
bisognava che l’A. la conoscesse un po’ meglio: come ha potuto diret- füllen i^

96 GINO FRANGESCHINI

tamente constatare, oltre il Tonini bisognava che leggesse il dotto |
.libro di Giovanni Soranzo da noi citato, che quegli eventi espone con

tanta documentata copia.

Anche a pag. 74 è palese nell’A. l'incapacità d'inserire l’ episodio
Citerna nel più vasto quadro degli avvenimenti politici dello stato
ecclesiastico. Il pontefice Paolo II voleva ritogliere Rimini a Roberto
Malatesta, ma si opponevano a questo disegno, che avrebbe com-

promesso l'equilibrio fra Marche e Romagna, il Conte d'Urbino,

Federico da. Montefeltro (non duca.come dice l'A.; sarà creato

«duca quattro anni dopo, da Sisto IV), ch'era il più gravemente mi-

nacciato, Firenze e Venezia. Appunto per questo atteggiamento dei
Fiorentini, ostili ai disegni del pontefice, la guerra dilagó qui, nel-
l'alta valle del Tevere, e si tentó di ritoglier loro Borgo Sansepol-
cro, dato in pegno un ventennio prima da Eugenio IV a Cosimo dei

. Medici.

Anche nell'esposizione della guerra che Alessandro VI mosse agli
Orsini e che ebbe nelle vicende di Citerna non lievi ripercussioni (per-
ché a fianco di questi ultimi si schierarono i Vitelli), le deficienzesono
molto gravi e quasi imperdonabili. Perché se si puó indulgere all'A.

«il non aver consultato i Regesti dell'Archivio di Stato di.Lucca o

altri repertori che solo le grandi biblioteche posseggono, ove pure
avrebbe trovato documenti preziosi per il suo soggetto, non si può
perdonargli, come abbiamo già detto, di non aver fatto lo spoglio
sistematico del « Bollettino della R. Deputazione di Storia Patria
per l’Umbria.», ove, tra l'altro copioso materiale riguardante diretta-

. mente e indirettamente il suo soggetto avrebbe trovato la monografia

di Giuseppe Nicasi, «la famiglia Vitelli di Città di Castello e la Repub-

blica Fiorentina fino al 1504 » (1), che gli avrebbe fatto conoscere

molte cose rimastegli al tutto ignote, fra le quali l'occupazione di
Citerna da parte di Vitellozzo Vitelli, avvenuta il 25 dicembre 1496;
vi avrebbe trovato molti documenti che illustrano quell’episodio e

lo pongono nel nesso degli avvenimenti italiani.

Questa doverosa conoscenza delle annate del. « Bollettino »
avrebbe somministrato al suo lavoro strumenti assai migliori di quelli
che ha adoperato. Basta un esempio. A chiarire le vicende cui andò

| soggetta la terra di Citerna a causa della guerra che Sisto IV, nel 1482,

mosse ai Colonna, durante la quale con l’aiuto di Lorenzo dei Medici

(1) La documentatissima memoria del dott. GrusEPPE NICASI apparve
su questo « Bolletino », nell'annata xv e seg., 1909-1910.
CITERNA i 97

e di Federico da Montefeltro, Niccolò Vitelli rientrò in città di Castello,
I'A. avrebbe dovuto servirsi, non del cronista anghiarese Lorenzo Ta-
glieschi, ch'é testimonianza assai tarda rispetto agli avvenimenti ed
infida, ma della contemporanea «Cronaca Perugina » edita dallo
Scalvanti. La venuta del campo fiorentino a Citerna non sarebbe av-
venuta « nel giugno » come dice l’A., a pag. 77, rivelando la propria
incertezza, perché la cronaca mentovata non ha questi dubbi. Essa
dice: «... a questi di de agosto (1482) vene la nova qui (a Perugia)
. come il campo dei Fiorentini se face forte a Citerna » (1).

E qui potremmo far punto; poiché l'esame di queste prime 82
pagine, delle 244 che compongono il volume, rivela-già a sufficienza le
manchevolezze del lavoro. Se volessimo proseguire e rendere più rigo-
roso il nostro esame dovremmo scrivere uno zibaldone più voluminoso
di quello ch'é l'oggetto delle nostre critiche, e meglio varrebbe scri- '
vere daccapo quella storia di Citerna che l’A. aveva promesso e non

ha, in effetto, scritto. Faremo, a mo’ di conclusione ancora due o tre
| osservazioni qua e là ad apertura di libro e chiederemo quindi venia al
lettore d’avere già troppo abusato della sua longanimità.

Parlando a pag. 120 e seg. della guerra pel ducato di Castro e
‘ delle ripercussioni che ebbe qui a Citerna, ove si svolsero operazioni
guerresche che potevano far cangiar sorte al paese e decidere della sua
definitiva aggregazione alla Toscana, come mai l'A. non ha dato in-
| dicazioni precise del manoscritto di Don Pietro Arrighini che di quegli
avvenimenti fu attore e cronista ? (2). i

La soppressione del Priorato di Santa Croce cui l'A. accenna a
pag. 200, dovette avvenire posteriormente alla data ch’egli avanza
come ipotesi suggeritagli dal Taglieschi, perché in un elenco delle
.. chiese censuarie del monastero di Fonte Avellana compilato il 4 set-

tembre 1553, sotto il pontificato di Giulio III, trovo annoverate « Prio-
ratus Sante Crucis de Citerna » e poco dopo «Ecclesia Sancti. Bene-

dicti de Citerna » di cui l'A. non fa menzione (3).
. E poiché ho fatto cenno delle omissioni, in cui l'A. é incorso,

(1) O. ScALVANTI, Cronaca. Perugina inedita, «Bollettino cit. », anno
.IX, 1903, pag. 210.

S (2) Una copia dell’opera dell’Arrighini trovasi a Città di Castello, nel-
larchivio Magherini Graziani, come rilevo dall’inventario di GrusEPPE MAz-
. ZATINTI, Op. cit., vol. IV, fasc. I, pag. 33.

-(8) D. ALBERTO GiBELLI, Monografia dell’antico Monastero di Santa.
.Croce di Fonte Avellana, Faenza, Tipos Pietro Conti, 1895, pag. 397 dell'ap-
pondice;

7 aS t DR RR RR

d

'98 GINO FRANCESCHINI

chiudo con un ultimo rilievo, additandogli un documento fonda-
‘mentale per l’ultima parte del volume (Le memorie religiose di Citerna),
rimastogli del tutto ignoto. Il 5 giugno 1291 «apud Urbem Veterem »
Niccolò IV concedeva l’indulgenza per la Chiesa dei frati minori di È
Citerna, diocesi di Città di Castello (1). :

Non gli faccio addebito di non aver condotto o fatto condurre
accurate ricerche presso l'Archivio Vaticano, che per tutte le terre
dello Stato della Chiesa, è, dopo gli archivi locali, la fonte più co- E
spicua: la nequizia di quegli anni di guerra lo scusano in parte. Mi 1
limito a fargli constatare nell'appendice, che tra l’altro vi avrebbe
trovato un elenco dei Vicari di Citerna, anche se lacunoso ben più im-
portante di quello ch’egli pubblica a pag. 87 del suo volume. Da questo |
nostro infatti si desume che il 1464 fu il primo anno di giurisdizionedi- i
retta della Santa Sede su Citerna (2): la sconfitta di Sigismondo Pandol- |
fo Malatesta permise a Pio II di annettere Citerna allo stato pontificio.
HI d Passo ora alla stesura del libro, che certo da una più profonda
UU d padronanza dell'argomento puó guadagnare in snellezza e semplicità.
Sarebbe stato, ad esempio, assai piü proficuo all'assunto dell'A., che
tende a dimostrare l'antichità dei primi stanziamenti umani sul colle
di Citerna, servirsi delle recenti scoperte archeologiche del Minto,
anziché relegarle in fondo al volume come un fuor d'opera; ricercare
se altre mai ve ne furono, onde dimostrare giudiziosamente la sua t
tesi, piuttosto che perdersi dietro, le fantasie del dottor Donini, una |
simpatica macchietta di provinciale della cultura, se la cultura tollera
il bisticcio, il quale per amore del natio loco, per dare cioé onorati na-
tali alla sua patria, é andato almanaccando pindariche etimologie, dan-
doci una spiegazione della toponomastica citernese veramente spassosa.

Anche l’A., d'accordo in questo col dottor Donini, recalcitra
Ill dinanzi ad una cosa che a me pare evidente; e nega .che « Citerna »
ii M possa essere una corruzione dialettale di « Cisterna ». Perché adon-
B tarsi che il nome del paése possa avere si umili origini ? Crede forse
lA. che i nomi di « Maratona » e delle « Termopili » avessero un signi-
ficato più nobile di quello di « Cisterna » prima che gli uomini con le
loro gesta, li rendessero si venerandi ?

E - — (1) A. PoTTHAST, Regesta Pontificium, vol. II, pag. 1988, doc. n. 23693.
Il Mind (2). Archivio Vaticano, Indice n. 517, vol. 67. L'indicazione del decreto
Kit MDC di nomina del primo castellano, Porricia de Porrinis, è data in appendice. Ab:
i ESI biamo creduto opportuno non riportare per esteso i documenti dell'Archivio
E UL Vaticano riguardanti Citerna, che avrebbero di troppo appesantita l’appen>
Du hl ' dice: ci siamo limitati a darne l'esatta collocazione.

CITI LICIA AME RETE E EE RB BRE EET ERES erre Le

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-— Wi Pm 1 > 9 LX SHOP. VENE ben»
CITERNA 99

« E. antistorico ed antipatico — dice l'A. a pag. 5 — voler ammettere
che il nome augusto (sic /) di Citerna, sede di una Roccaforte famosa
nel corso dei secoli, abbia tratto origine da una volgare Cisterna ». E

perché, diciamo noi, non ammetterlo ? Che possa essere antipatico.

.all'A. ed al dott. Donini, possiamo concedere e scusare; ma che poi
sia antistorico, non mi pare affatto dimostrato. L’A.ed il dott. Donini
credono forse che Citerna sia la sola a sopportare quest’onta? Si con-
solino, che non è affatto vero; Citerna ha degli altri compagni in Ita-
lia, quali Cisterna di Roma, Cisterna d’Asti, Cisternino delle Murge; e
il gentilizio «de Cisternay » mi fa sospettare che ne abbia anche in
Francia. A proposito della quale, come mai non ha pensato l’A. che
la forma neolatina Citerna è del tutto simile a quella di « Citerne »

che nella lingua francese s'é imposta vittoriosa su la forma latina onde

entrambe derivano ? |
Questa declinazione, di Cisterna in Citerna non é fenomeno lin-
guistico limitato al territorio tifernate, ma si stende per tutta la To-
scana e l'Umbria ed attinge la regione Marchigiana. In un « Inventa-
rium arcis Fabriani » del 1455, la enumerazione degli oggetti riposti
nel chiostro della cisterna, incomincia con un «In claustro Citer-
ne... »(1);enon molto discosto da Fabriano, tra la Branca e Gual-
do Tadino, si innalza il monte Citerna, pel cui etimo son sicuro che
non si debbano scomodare il monte Citerone e gli altri emuli del-

l'Olimpo, come il dott. Donini ha fatto per le umili pendici del

natio colle.

Ma gli dirò di più: che su l'alto di quel monte, ch'é più comune-
mente conosciuto come colle di Civita, fu già un abitato preistorico
e romano e c'é tutt'ora una grande cisterna scavata nella roccia, che
i villici della frazione di Ceresola, chiamano comunemente Citerna,
salvo i più evoluti e letterati, che usano la formaTpiù corretta (2).

Che più ? Franco Sacchetti narrando un curioso accidente e sca-
brosetto accaduto a Civitanova Marche, dice che «il gridare di Mauro
era molto grande, perché rimbombava nella citerna »; non tanto pel
vezzo d’usare con allusione oscena una parola marchigiana, quanto
perché quella parola era d’uso comune anche a Firenze. Dino Com-
pagni parlando delle discordie civili in Arezzo e del podestà messer

(1) Archivio Storico per le Marche e l'Umbria, Foligno, 1886, pag. 135.

(2) La notizia mi è stata data dall’amico dott. Romualdo Sassi di Fa-
briano, vicepresidente della deputazione Marchigiana di Storia Patria, che
qui pubblicamente ringrazio. ene nen E

100 ; GINO FRANCESCHINI .

Priore da Lucca, dice che i nobili «lui presono e misono in una citer-
na, e quivi si mori» (1).

La cisterna che Citerna accampa nel suo sofia. conferma chiara-
mente l'etimo proposto. E certamente quello stemma risale ad un tempo

in eui durava ancora la consapevolezza che « Citerna » altro non fosse.
che una corruzione dialettale di « Cisterna ». Se ne desiderano altre

prove? In tutti i secoli, fino al xvi, la forma « Cisterna » s'incontra
nei documenti vicino a quella pi comune; e mentre nei documenti
redatti nel Tifernate, dopo il secolo xin (nei secoli xir e xim son
propenso a credere che prevalga la forma « Cisterna ») la forme dia-

lettale prevale su quella letteraria, questa permane in quegli redatti

lontano di qui, e in quelli ove è evidente il proposito di usare la forma

corretta di quel nome. Poi in processo di tempo la forma « Cisterna »

sì fa via via sempre più rara.

L'A. dice non senza ombra di iattanza: «Io che ho FEO ormai.

parecchi libri manoscritti anche del tempo (di qual tempo, s'è lecito ?),
solo due o tre volte ho trovato scritto « Castrum Cisterne » tutte le
altre volte « Castrum Citerme » o «terra Citerne » (pag. 7). Mi duole

dover dire, ancora una volta all’A. che questa osservazione è una -

delle prove più sicure dell'inadeguata sua preparazione specifia. Glie
ne dò la dimostrazione, e consideri che è tanto più valida in quanto

che, se è vero che ho una certa preparazione erudita sulle vicende
.di queste terre altotiberine, non ho tuttavia fatto ricerche specifiche

sulla storia di Citerna, se non in questa occasione.
Nel 1195 tra i testi che si sottoscrivono in un privilegio rilasciato
al monastero di Fonte Avellana, c'è un «Vuidone de Cisterna » (2)

mentre il 21 marzo 1263, prendendosi a Città di Castello misure per la

custodia del contado (3), si stabiliva che « de porta Sancti Jacobi, Tur-
ris de Cisterna et Porta » fossero guardate « per tres .custodes » (4).
Il 12 agosto 1269 « Comune Civitatis Castelli petiit absolvi ab

(1) Dino COMPAGNI, La Cronica, a cura di G. Luzzatto, Milano 1906,

: cap. VII pag. 14; FRANCO SACCHETTI, Il libro delle Trecentonovelle, a cura di

E. Li Gotti. Bompiani ed. Milano, novella CCVIII, pag. 586.

(2) ANSIDEI E GIANNANTONI, I codici delle sottomissioni, ecc., in questo
« Bollettino », anno VI, 1900, pag. 319.

(3) « Wuido de Cisterna » figüra anche tra i testi del diploma rilasciato da
Filippo di Svevia a Daniele Priore della Canonica Tifernate, v. G. Maghe-

rini Graziani, vol. II, pag. 299.

(4) G. DEGI Azz1, Di due antichissimi registri rtifernati,ecc., nel suddetto
« Bollettino », anno XI, 1906, pag. 402. i

Gain kie e iE
CITERNA È i 101 ;

interdicto, et promittit solvere camerae apostolicae expensas quas
fecit in custodia castrorum Cisternae, S. Justini, Silicis ete. », e il 7 di-.
cembre 1272 si compilò «l'instrumentum quo procurator comunis Ci-
vitatis Castelli iurat se restituire camerae apostolicae expensas factas
in custodia castrorum Primani, Petralongae, Silicis, Cisternae etc, » (1), "
Nel 1302 fu podestà di Fabriano Guidarello di Oderisio de Cisterna,

ch'io credo della terra nostra, (2) mentre tra i Ghibellini fatti pri- -
gionieri dai Perugini il 25 marzo 1326, nella disfatta, inflitta agli in-
trinseci di Città di Castello, v'é il nobile Paolotto « Nutii de Cister-
na» (3). Tra: coloro clie erano presenti quando «frater Nicolaus Do-
mine de Interampne, qui se fecit Episcopum Interampnense predicavit
contra summum ponteficem in ecclesia fratrum minorum de Burgo

‘Sancti Sepulcri », tra i fautori insomma di fra Michele da Cesena e di
Pietro da Corvara, si annovera nel maggio del 1329, con i monaci

«Antonius de Castello et Sanctutius de Burgo » anche «frater Giunta

de Cisterna » (4). Nell'istrumento della pace stipulata tra il pontefice

Urbano V e la città di Perugia, il 23 novembre 1370, subito dopo i
fuorusciti di Città di Castello figurano come aderenti gli « exitieii de :
Castro Cisterne » (5) e un cronista senese ricorda che in quell'anno
« Misser Magio di misser Piero Saccone presa Cisterna per la Chiesa,
che era de’ Perugini » (6). Cinque anni dopo scrivendo Gregorio Xlai-
Fiorentini, dice che Carlo IV «illis quibus Castrorum Burgi Sancti
Sepulcrii:.. et Cisternae donaverat, concessit quod ea Ecclesiae Ro-
manae possint vendere» (7). Il 3 novembre 1378 l'Imperatore rila-
sciava, come abbiamo veduto, a Galeotto Malatesta signore di Rimini
il diploma col quale riconosceva «Qualiter nobilis Frisolettus de

. (1) Archivio Vaticano, Schedario Garampi, Indice 681, pag. 125.
(2) Fabriano Arch. della Cattedrale, FVCBESIO delle pergamene a cura di
RomuaALDO SASSI, n. 327 e 332.
-.. (3) ANSIDEI E DEGLI Azzi, Regesto di documenti, ecc., nel « Bollettino »
cit,, a 1900, VI, pag. 486.
PRA): Luici FUMI, Eretici e ribelli, ecc., in questo « Bollettino » anno Y,
1899, pag. 279. 3
(5) Archivio Vaticano, Arm. XXXV, T. 22, f. 15. Debbo l'indicazione -

. di questo documento — che credevo e non è riprodotto nella memoria del Balan

— all'amico dott. Augusto Campana, scrittore della Biblioteca ‘Vaticana, che
ha copiato per me i passi del trattato riguardanti i conti d'Urbino..

(6). Cronaca Senese di Donato di Neri ecc., in RR. II. SS*, T. zv P. VI
vol. II, pag. 635.
50 07(1) Oporicus RAYNALDI, Angnfe Ecclesiastici, T. XVI, Rond 1652.
Ad Annum 1975: positions

102

GINO FRANCESCHINI

Sancto Stefano fidelis dilectus, Castrum seu oppidum Cisternae Ca-
stell(ane diocesis) quod a nobis et Imperio romano... dependit in
pheodum cum suis iuribus... tibi... vendiderit » e sancisce la legit-
timità del trapasso; mentre l'8 giugno 1388 (?) il capitano Everardo
Suylier, scrivendo ai Priori di Città di Castello, firma la lettera «in
campo nostro Cisterne » ed anche Maso da. Montepulciano, cancelliere
di Bartolomeo da Pietramala, il 24 maggio 1398 (?) .chiude una let-
tera diretta agli stessi priori con un «datum Cisterne die XXIIII
Mai » (1). Sessant'anni dopo, il 15 febbraio 1460, Alessandro Sforza si-
gnore di Pesaro, esponendo al Duca di Milano, suo fratello, le misure
prese per impedire che il conte Jacopo Piccinino, nel lasciare le Marche,
molestasse le terre dell'Umbria, dice: « La exellentia vostra scrive...
che gli pare che ei cento cavalli che avemo mandati ad alogiare a Ci-
sterna stariano meglio a Gualdo o a Nucea... el parere mio si era che
staessero bene a Cisterna perché non sono troppo distanti degli altri no-
stri, che da Castello a Cisterna, non sono se non circha octo milia» (2);
in un «recordo de quanto se ad fare per lo Magnifico Brazo Baglioni
genero di Francesco Sforza duca di Milano, sotto l'anno 1462 é detto
« Cisterna (del) Signor don Sigismondo, 500 fanti sonno de’ citadini »
e nella pagina successiva: « Cisterna tractato » (3). Nel 1478 si sti-
puló-un « Instrumentum treugue inter communitates Castelli et Ci-

sterna ex una parte et communitates Burgi, Anglaris, Monterculis

et dominum Ranerium filium recolende memorie quondam magnifici
domini Cerboni marchionis Montis Sancte Marie... » (4); ad un anno
dopo, scrivendo Federico Galli cancelliere del duca d'Urbino a Gentile
Becci vescovo d'Arezzo circa i. possibili disegni di pace tra Lorenzo
de' Medici e Sisto IV, gli dice che bisognerebbe non considerare Lo-
renzo come ingiustamente assalito, ma, ricordare le offese che il Ma-
gnifico aveva recato al papa, inframmettendosi nelle questioni di
Montone, di Città di Castello e di Cisterna, «si vos veteribus (iniuriis)
etiam past habitis Civitas Castelli, Senae, Perusium, Cisterna non
fugiunt... » (5). Il 15 ottobre del 1482 il Notaio de Antiportu scrive-
va nel suc Diario che a Roma era giunta «la nova come la rocca

(1) Archivio di Città di Castello, Cod. XLV, f. 22, e cod. XLII f. 45.

(2) Archivio di Stato di Milano, Potenze Estere, Bust 146, ad. Annum,

(3) Archivio di Stato di Milano, Sforzesco, Umbria, ad annum.

(4) Archivio Segreto cit., Fasc. XXIII. Regesto Corbucci.

(5) FEDERICO DA MONTEFELTRO, Lettere di' Stato e d' Arte, Roma, 1849,
p. 76. È
CITERNA ) 103

de Cisterna » era « perduta per la Chiesia » e l'avevano « pigliata Fio-
rentini » (1), mentre sedici anni dopo, il 27 dicembre 1496, Marin
Sanudo notava in. modo non dissimile, che da Roma era giunta a
Venezia la nuova «che Vitellozzo Vitelli aveva preso un loco di la

Chiesa, nominato Cisterna, verso Città di Castello » (2). I1.16 dicembre:

1538 il pontefice Paolo III concedeva « Sancte Marie et Sancti Ste-

‘phani di Pistrino parrochiales ac... Sancte Flore de Cisterna Civi-

tatis Castelli diocesis ecclesias... dilecto filio Francisco Fatii clerico
Burgi Sancti Sepulcri diocesis » (3); a ventun'anni dopo, il 15 giugno
1559, l'Arcivescovo. di Rossano, governatore dell'Umbria, scriveva
da Città di Castello che « La Signora Angela... si sta in un castello
suo detto Cisterna, sei miglia discosto da qui» (4). Ultima va ag-
giunta la testimonianza d'un falsario che in questo caso ha valore
probante. Imitando antiche scritture, il Ciccarelli nel falso diploma
di Berengario I, scrive « Castrum Montis Erculis, castrum. Cister-
ne...» Non l’ha notato l'A. ?

‘ Vede bene, che, cercando con un po’ di buon volere, avrebbe
potuto trovare testimonianze in numero assai maggiore di quelle
poche da lui addotte; le quali tuttavia dovevano essere sufficienti per
indurlo a riflettere e a non adontarsi delle umili origini di Citerna.
Creda a me: se si potesse spiegare con sicurezza il significato della pa-
rola « Roma », (si contenta ?) s'accorgerebbe che quel nome non è
molto piü glorioso di quello di « Citerna » e son sicuro che se, invece
di rivolgere al lettore domande alle quali lui era tenuto a rispondere,
prima di accingersi a scrivere (pag. 15), se invece di fare quelle inutili
domande, dico, avesse dato una occhiata alla natura geologica di
quell'ameno colle, che, solo con la raccolta delle acque piovane, poté,
nei secoli passati dissetare uomini e armenti, avrebbe dato a se stesso

ea noi una risposta soddisfacente.

Riprenda quindi con amore il suo soggetto e non si accontenti

(1) «RR. II. SS?», fasc. 53, ad Annum.

(2) Marin SANUDO, I Diarii, a cura di F. STEFANI, Venezia, 1879. vol. I,
col, 151. X

(3) Archivio Vaticano, Reg. Vatic., vol. 1652, fol..52, e fol. 73. Debbo la
copia per exíenso di questo. e di molti altri documenti riguardanti Citerna, al
Sig. Stefano Fortini che qui pubblicamente ringrazio.

(4) Lurci Fumi, L’Epistolario dell’ Arcivescovo di Rossano, ecc. « Boll. »,
cit., anno XIII, 1907, pag. 95. Abbiamo voluto deliberatamente che le te-
stimonianze fossero archivistiche e cronachistiche, edite ed inedite, e chiediamo
venia al lettore se l’eccessiva enumerazione lo ha annoiato.
| storia delle umane genti.

104 GINO: ‘FRANCESCHINI

di scrivere per i soli Citernesi, ch'é poi una mancanza di riguardo ai
Citernesi stessi; a quelli cioè che sono al cuore dell'A. più vicini: con-
duca più vaste e più profonde ricerche, mediti sui problerni che via
via il suo soggetto gli propone; e scoprirà, son sicuro, la verità del
precetto oraziano « ...cui lecta potenter erit res, nec facundia dese-
ret hunc nec lucidus ordo » (Ep. ad Pisones v. 40-41). | :
Ma tenga presente che a voler fare opera di storico, occorre tut-
t'altra disposizione spirituale di quella che si effonde nell'innocente
giuoco del verseggiare e di quello, o altri simili, si appaga. Dico que-
sto perché l’A. mi sembra ancora un generico, un cultore (non privo

d'entusiasmo) dei vari «generi letterari» e artistici come mi fanno

sospettare i versi dell'« Inno a Citerna » e la notizia — messa li senza:
ombra di civetteria, voglio credere — che a quell'inno « sonum dedit »
lo stesso autore, per farne dono al comune di Citerna. Non c’è niente
di male; tutti abbiamo scritto dei versi in gioventü, ed a qualcuno é
forse parso sinceramente chela «franda peneia » di se lo avesse asse-
tato. Ma l'essenziale poi é mettercisi sul serio ed essere disposti a pa-
gare quello scotto, per duro che sia, che il dono della poesia comporta.
Ora, siccome l'opera dello storico ha bisogno d'una grande in-

dulgenza, non vorrei che cosi fosse anche per quella del musico e del

poeta: il che sarebbe ancor più grave, non consentendo l'arte mezze
misure. Si puó essere grande o piccolo erudito, ma non credo si possa
essere grande o piccolo poeta: si é poeti e basta, oppure non si é nulla.
Vorrei perció raccomandare all'A. di mettersi con serietà per una via,
deciso a percorrerla con fermo coraggio, fin dove le possibilità umane
consentono. Tenga a mente che dalla letteratura alla poesia, c’è di
mezzo il mare come dal dire al fare. Nel caso ‘che egli accolga il mio
‘consiglio e si determini a curare la sua formazione di storico, gli rac-
comando di leggere e meditare i dué volumi di Benedetto Croce « Teo-
ria e Storia della storiografia» e «La storia come pensiero e come azione »
e in generale tutta l'opera storica di questo nostro insigne maestro.
Legga, in particolar modo, di lui, le due brevi monografie su Montene-
rodomo: e Pescasseroli, che si debbono considerare modelli classici. di
storia municipale, di storia di piccole terricciole non più importanti
di Citerna; nelle quali opere tuttavia aleggia un cosi largo respiro, che
investe la materia erudita e le conferisce quell'umano valore per cui
essa diventa storia; si che nella vicenda di quei comunelli e delle loro
migliori famiglie, si rende visibile quel crescere materiale e spirituale
d'una generazione sull’altra, in che consiste il progresso umano e la
.CITERNA —— 105

Felice l’A, se un giorno potesse dare a Citerna un'opera che da
quelle monografie derivasse qualche pregio ! Quel giorno diverrebbe
. segno di generosa invidia a molti é a me, tra gli altri, che non conosco
altra ambizione. Sparirebbero allora senza dubbio, dall’attuale volume,
quei capitoli farraginosi e confusi, come quello sulle compagnie di
ventura, e gli avvenimenti acquisterebbero una chiara collocazione
nel tempo e nello spazio. Il volume ci rimetterebbe forse un po’ della
sua pletorica .mole, ma ne acquisterebbé in chiarezza ed in inte-
resse. Cadrebbero le questioni oziose, ed, al loro posto, si porreb-
bero quelle concrete, ché solo possono dare risultati soddisfacenti.
Anche nell’isolamento ove ha condotto le sue ricerche, era possibile,
guardando bene trovare le vestigia del passato, e dal presente in-
‘terrogarle. Chiedersi ad esempio perché il paese si sia posto sotto la
. protezione di quel determinato Santo patrono e non di un altro; è un
modo onde dal presente si può risalire al passato e quasi sempre ad
un passato assai remoto, forse all’origine stessa della Chiesa e del
paese.

Il Patrono della piccola | terra è San Michele Arcangelo (festa del-
l'apparizione) del monte Gargano. Questo Santo era il patrono della
nazione longobarda, la quale in ogni città dove si accentrava il suo .
. dominio, innalzò a quel principe celeste sontuosi templi (Pavia, Monza,
‘Lucca, Arezzo); ma nel tempio di San Michele del Gargano si accen-
trava questo culto, là accorrevano pellegrini non solo dal Ducato di
Benevento, ma da tutta la Langobardia. Là il culto dell’Arcangelo
aveva sopraffatto quello di Wotan, aiutato dall'iconografia, che aveva -
. con quella del dio germanico qualche simiglianza.

Un altro tempio dedicato al culto del celeste ‘guerriero, fu dai
Longobardi della Sabina fondato, a simiglianza di quello del Gargano,
entro alcune grotte del monte Tancia, e di li quel calo si cituse per
tutto il ducato di Spoleto.

Si può ritenere quasi certo che il culto di S. Michele del monte .
Gargano sia venuto a Citerna coi Longobardi e che il paese sia alle | -
origini un'arimannia longobarda stabilitasi su di un «castrum» bizan-
tino come Monte Santa Maria, Celle, Galbino, Catenaia, la Chiassa
(Classis), Caprese, Gaviserre (Clavis Serre), ché segnano, come già
s'é detto, dai primi del secolo vir, la linea di confine tra il territorio
bizantino di Città di Castello e quello longobardo di Arezzo. Danno un
certo sostegno a quella congettura, non solo il fatto che i Lambardi
siano stati la più antica famiglia gentilizia di Citerna, ma anche l’al-
. tro non meno probante, che nell'alta valle del Tevere Citerna, è, con 3406 GINO FRANCESCHINI

Caprese, uno dei pochi comuni che serba ancora un avanzo dell'antico
possesso consortile, divenuto possesso- comunale.

.Ma c'é un altro documento, non meno interessante del primo,
che chiede di essere interrogato. Si può star sicuri che la piccola terra
che conta oggi 150 anime, non ne contò nei secoli passati molte di
più; anzi c’è ragione di credere che, fino al secolo xv, la popolazione
fosse numericamente inferiore all’attuale. Ebbene, fin dalle più lon-
tane memorie, queste 150 anime sono spartite in due parrocchie, quella
di San Michele e quella di San Giacomo, poste alle due estremità del
borgo: quella di San Giacomo verso Città di Castello (che, come abbia-
mo veduto, annovera Citerna tra le terre « de Porta sancti Jacobi ») e
quella di San Michele verso Arezzo.

È evidente che non il numero delle anime impose la duplicazione
della parrocchia, ma una cosa diversa che potrebbe essere la dispa-
rità di culto. Credo che si vada poco lontano dal vero se si ammette
che la festa dell’apparizione (8 maggio), sia originariamente una festa
ariana e perché la Chiesa Romana non riconobbe per un secolo e più
quella solennità, mentre fin dai tempi di san Leone Magno celebrava
3l 29 settembre quale dies natalis della basilica dell'Arcangelo al sesto
miglio della via Salaria; e perché quando piü tardi (in seguito alla ge-
nerale conversione dei Longobardi ?) accolse tra le solennità del ri-
tuale romano la festa. dell'Apparizione, dedusse l'«ordo missae»
dell'otto maggio, non.da gli officii che si celebravano nei. santuari del
Gargano o del monte Tancia, ma da quelli ch'essa celebrava il 29
settembre (1). os

| Se parrà che le prove addotte abbiano una qualche consistenza,
bisognerà dedurne che i Longobardi sono venuti sul colle ove sorse
Citerna, sui primi del secolo vir, quand'essi erano ancora nella maggior
parte ariani: e quando più tardi, con l’avvento al trono di Ariberto I
(693-662), il moto di conversione al cattolicesimo divenne generale,
la Chiesa dei dominatori e quella dei dominati rimasero di pari diritto
parrocchie, e non è improbabile che anche qui accadesse in piccolo
(l'arco che divide le due parrocchie lo fa sospettare) quel che accadde
in alcune città longobarde, Arezzo o Bergamo per esempio, che eb-
bero un vescovo cattolico ed uno ariano, per lo che, dopo la conver-
sione le due chiese episcopali a lungo vissero in discordia rivendi-
cando ciascuna l’onore di essere chiesa cattedrale. wi

(1)-I. SCHUSTER, Liber Sacramentorum. Torino, 1925, pag. 160-1. .
M di

CITERNA i 107

Non sappiamo se, a un più riposato esame critico, la serie delle
ipotesi che qui abbiamo avanzate regga (noi siamo inclini a crederlo);
abbiamo creduto opportuno accennarle solo. per indicare possibili
vie di ricerca, senza preoccuparci. della probabilità dei risultati.

Ricapitolando, è indubitato che i più antichi stanziamenti sul
colle aprico di Citerna sono estruschi, che alle origini il territorio è
Etruria, e che tale permane fino al tramonto del mondo antico. Più
tardi, probabilmente per effetto dell’invasione longobarda, che, arre-
standosi per qualche tempo intorno ad Arezzo, spezzò le antiche cir-
coscrizioni territoriali, divenne diocesi di Città di Castello e tale per-

mase anche quando più tardi, Citerna venne occupata dai Longobardi.
. Allorché, assai più tardi, il ducato di Perugia e più tardi quello di Spo-
leto vennero a far parte dello Stato della Chiesa, queste terre rivelano
ancora, per la dipendenza dall’impero, il loro originario carattere di
terre pertinenti al «regnum Italiae». Carlo IV aprì l'adito all'aliena-
zione e al passagio di esse sotto la dominazione pontificia, conce-
dendo, come dice Gregorio XI, «illis quibus castrum Burgi Sancti
Sepulcri et Cisternae donaverat... quod ea Ecclesiae Romanae pos-
sint vendere ». ds

sarebbe anche oggi una terra di Toscana, pur essendo nella dio-
cesi castellana (come Sansepolero e Monterchi che appartennero a
quella diocesi) se la spoliazione di Sigismondo Pandolfo Malatesta,
ad opera di Pio II, ela conseguente annessione (far si che la cessione
avesse carattere di una vendita non era certo cosa difficile) non ne
avesse fatta definitivamente una terra dell'Umbria.

In una piü giustificata economia, questa storia di Citerna do-
vrebbe meglio determinare questo disegno; dire per il concorso di
quali cause e di quali circostanze, fin dall'alto Medio-Evo la Dio-
cesi di Città di Castello poté penetrare bene addentro in territorio
' aretino e riuscire per questa via ad avvalorare con nuovi partico-

lari le fondamentali ricerche di quello storico insigne che é Fedor
Schneider. | |

Ma non vogliamo prospettare piü. onerosi compiti all'Autore e
porre altri problemi, che ci porterebbero troppo lontano. Il sermone
più lungo essere non può, però che, anche così, è già stato protratto
di troppo oltre ogni convenienza.

Non mi resta che rivolgere un pensiero di gratitudine ‘alla cara
memoria dell’amico Gustavo Bioli, già Direttore della Biblioteca e
dell'archivio Comunale di Città di Castello e ringraziare 1l prof. Leo-
poldo Giombini, che gli è successo in quell’officio, i quali facendo si 108 : | GINO FRANCESCHINI

chein biblioteca io fossi come in casa mia, hanno agevolato queste mie
ricerche (1). E resta da ultimo a sperare che la lunga chiacchierata
possa giovare a taluno, come sicuramente riuscirà ad annoiare la piü
gran parte dei lettori. | :

Gino FRANCESCHINI

APPENDICE:

I documenti qui riprodotti sono tratti dall'Archivio segreto di Città
di Castello che indico con le lettere A. S. C. C., dall'Archivio Vaticano:che
indico con A. V. dall'Archivio di Stato di Siena che dico con A. S. S..e
dall'Archivio di Stato di Firenze che indico con A. S. F.

1
1370 novembre 10 — Siena.
Lettera del Concistoro Senese a Masio da Pietramala circa un progetto

d'alleanza ventilato fra il signore di Citerna e un emissario senese. (A. S. S.
Fondo di Concistoro vol. 1601 — c. 2 minuta). SER

Die antescripto X novembris (1370) — Domino Masio de Petramala ex .
parte Francisci Minuccii de Senis, vocati Fondi.

Onorevole e maggiorevole amico Karissimo, come voi sapete e’ ragio- -
namenti sono stati tra voi e me dele materie che sono state scritte dall'uno
all'altro, ed è verità ch'io n’ò cercato e ragionato con molti cari et buoni cit-
tadini amici carissimi, e alloro come pare e piace che si segua a le cose ra-
gionate e principiate e, per quello ch'io spero, avaranno buoni effetti desiderati;
mo?’ tali cose e operazioni non si possono fare, se prima non si vede e non si
dichiari la volontà vostra, de’ modi che con questo volete tenere. È adunque
di bisogno che qua mandiate vostro confidente et segretario, di vostra enten-
tione pienamente informato, si che con lui si possa tractare et componare :
come sarà di bisogno, el quale vi piaccia senza indugio mandare. Ricordomi
che per vostra parte fu detto che in quanto fusse contra Santa Chiesa non

(1) Mi corre l'obbligo di ringraziare altresì il dott. Gino Corti ed il dott.
Sandro De Colli, per aver in mia vece copiate e collazionate il primo le lettere
dell'Archivio di stato' di Firenze, qui riprodotte, e il secondo quelle dell’Ar-

‘chivio di Stato. di Siena.

: NOTA — Questo breve saggio fu scritto qualche anno fà, quando non co-
noscevo ancora l’autore;il quale, avendo con esemplare modestia, riconosciuto
al suo libro il carattere di un trascorso giovanile, fa sì che io senta più acuto

il rammarico di aver un pò ecceduto nella polemica. Di ciò chiedo venia a lui
ed al benevolo lettore. G. F. d. ud S (f


vestri Comunis assumpti sumus, inimici nostri, quam. pluries, in nos ger-

CITERNA 14 pus 109

intendavate che seguisse, e questo medesimo dico io, imperò che, come dovete
sapere, questo comuno e i suoi cittadini sono sempre stati, e così intendono
essere, singulari figliuoli di Sancta Chiesa, e non contrastre per alcuno modo,
e per cui se voi aveste o fatti o convenzioni con Santa Chiesa vi piaccia,
per lo segretario vostro, narrare si che se n ‘abbia o del sì o del nó piena.
notizia.

1383 — maggio 9 — Firenze.

I Priori ed il Gonfaloniere di Giustizia di Firenze scrivono ai Priori di
Città di Castello pregandoli di far sì che i soldati della disciolta compagnia di
Bartolomeo da Pietramala restituiscano le somme anticipate. (« A.S.C.C. », cod.,
XLIII, fol. 3, originale).

Amici karissimi. Sicut alias scripsimus scitis quomodo Bartolomeus de
Petramala cupiens in armorum exercitio. laudabiliter experiri certam gen-
tium societatem in suo territorio congregabat: sed a nobis pro salute patriae
paternis affectibus requisitus proposuit omnino talia coepta demittere et
in iustioris expeditionis conturbenio militare. Verum quod gentibus illis
mutuaverat certas pecuniae quantitatés et aliqui ex ipsis ad vestri communis
stipendia sunt profecti. Iterum rogamus ut amore nostri ac etiam ut eum-
dem Bartolomeum in amicitia conservemus placeat taliter ordinare quod
antequam isti sui debitores de civitate vestra descedant rstituant eidem in-

‘ tegre quicquid ab eo prefata de causa mutuo DCN quod quidem nobis

erit multipliciter gratiosum.
Datum Florentiae die VIIII maj, VI Jnd. MCCCLXXXIII.
Priores Artium et | Pupuli et communis
Vexillifer iustitiae Florentiae.

(A. tergo) Magnificis viris Prioribus Populi civitatis Castelli Amicis nóstris
carissimis.

1384 — luglio 20 — Citerna.

Il Cardinale Galeotto da Pietramala ai Signori di Siena informandoli che
a loro offesa e dispregio da quando egli e i suoi consorti sono stati assunti nel-
l’accomandigia senese, i nemici non cessano di molestarli con cavalcate. Chie-
de alcuni uomini d’arme e balestrieri. (A.S. Sa Concistoro, vol. 1813, n. 92,
originale).

Magnifici domini et amici nostri carissimi. Postquam sub protectione
———————— — —

110 : GINO FRANCESCHINI

manunque nostrum et alios nostros consortes venerunt tumultubus et caval-
catis cotidieque ab eisdem omnimodam vexamur et inquietamur. Quare ma-
gnificentiam vestram, in qua nostra spes sola remansit, deprecamur ad posse
ut de aliqua vestra gente equestri aliquibusque balesteriis, prout potestis,
nobis subvenire dignemini, ut vestrum nostrunque honorem facere valeamus :
et superbiam nostrorum inimichorum reprimere. Parati ad omnia vestra be-
neplacita et accepta. Datum in Castro nostro Citerne, die. XX. mensis
julii, VII indictione. iS |
(A tergo): G(aleottus) Cardinalis de Petramala.

Magnificis dominis et amicis nostris carissimis, Dominis Rey
publice Defensoribus Civitatis Senarum.

1384 — agosto 11 z Citerna.

Il Cardinale da Pietramala presenta ai Signori Difensori della repubblica
di Siena Niccolò di Neri da Pietramala che si reca nella loro città quale amba-
sciatore e portatore del Palio dovuto alla comunità nel giorno dell’ Assunta.
(A.S.S., Concistoro, vol. 1814, n. 16, originale).

Magnifici Domini et amici nostri carissimi. Mittimus ad vos dilectum
consanguineum Nostrum Nicolaum Nerii de Petramala, latorem presentium,
cui placeat tamquam nobis fidem adhibere credentie, qui etiam nostri et
germani nostri parte, omnem obedientiam impendet et palleum puntabit in
festo gloriose Virginis, ut tenemur. Parati semper ad omnia vobis grata.
Datum in castro nostro Citerne, die XI. Augusti.

(Sul retro): Cardinalis de Petramala.

Magnificis et potentibus dominis, et amicis nostris carissimis
Dominis Defensoribus Rey publice Civitatis Senarum.

(Di altra mano, al momento del ricevimento): die XIII. mensis au-
gusti presentata.

(1384 ?) dicembre 2 — Monterchi.

Dello stesso agli stessi. Lettera di credenza per due ambasciatori. (A.S.S.,
Concistoro, vol. 1815, n. 2, originale).

Magnifici et potentes domini et amici nostri carissimi, pro quibus (dam)
nobis plurimum necessariis ad vestram magnificentiam transmictimus pro-
vidos viros ser Nerium ser Iohannis, concivem vestrum, et ser Donatum ser
Cecchi, intimum. secretarium. nostrum, oratores nostros, quorum relatis
'CITERNA 111

‘credere placeat et fidem credentie dare velut nobis. Parati sempr ad queli-
bet vobis grata. Datum Monterchi, die secundo decembris.
G(alaoctus) Cardinalis de Petramala.
(A tergo): Magnifici et potentibus. dominis et amicis nostris carissimis,
Dominis Defensoribus Civitatis Senarum. ;

. (1385 ?) gennaio 21, Cortona.

Bartolomeo da Petramala prega i Signori di Siena di concludere solleci-
famente la condotta ai loro servigi di Boldrino da Panicale (A.S.S., . Con-
cistoro, vol. 1815, n. 66, originale).

Magnifici et potenti signori miei, ho recevuto una vostra lectera, la
quale io me immagino esserme venuta da la signoria vostra, non obstante
che in essa lectera non sia chi la mandi: ma subito veduto el sigillo vostro,
fuoi mosso et ho trovato Boldrino et é disposto a fare quello che sia piagere
della signoria vostra. Emperció a me parri che voi doveste mandare un vo-
stro qua col mandato et che se cavi tosto cavo a questo, perché hieri sera se
parti de Valle de Pierle da lui Contuccio de Ramazano et alchuno altro am-
baxiatore de Perogia per fermarlo con loro, et fine qui non ho lassato rema-
nergli en concordia neuna, fine che non torna la resposta vostra. Emperció
credo che sia buono el solicitare tosto, perché Boldrino é homo che sta pocho
fermo et ha degli aviamenti asai a le mani. E se torno a questo o altro io
havesse a fare niente, piacciave farmelo comandare. E perché io non so'
acto a posere restare qui, pregove ch'io n'abbia subito resposta.

. El vostro servitore Bartolomeo da Petramala. Cortone. XXI. ianuarii

(A tergo): Magnificis et potentibus dominis suis Dominis. defensoribus
Populi Civitatis Senarum.

1385, giugno, 17, Firenze.

La Signoria al Cardinale da Pietramala comunica d'avere scritto ai
Castellani di ritirare le genti che avevano mandato contro Citerna (A. S. F.
Missive, vol. 20, e. 76, minuta J.

Cardinali Petramalensi. Reverendissime in Christo pater et domine.
Scribet reverentie vestre nobilis germanus vester Bartolomeus, quot et
quanta fecerimus et quod capitaneo nostro guerre et quod dominis de Ca- originale).

—— MM M— M ÀM e — € 4

112 . GINO. FRANCESCHINI

stello scripsimus contra gentes illas que in castrum Citerne sevire hostiliter .
ceperunt. Et ut unico verbo dicamus, parati. sumus ut omnia in statum
pristinum reponantur et exercitus ille pedem retrahat, nil ad agendis pre-
termittantur, omnem nostri consilii potentiam exponendam. Datum Flo-
rentie die XVIII Junii, VIII Ind. MCCCLXXXV. |

1386, aprile 2, Firenze.

I Dieci di Balia ai Priori di Città di Castello pregandoli «di rilasciare
un salvacondotto a Bartolomeo da Pietramala e ai suoi che si debbono
recare nelle Marche in servizio di E irenze. (A.S.C.C., Cod. XLIV, fol. 161,

Amici carissimi. Prout alias vobis scripsimus vir egregius Bartolomeus de
Petramala sepius est accessurus ad partes Marchiae atque Ducatus pro negotiis
nostri communis. Quapropter àmicitiam vestram affectuose rogamus quate-

. nus vobis placeat sibi et sue comitive salvumconductum in plena forma in

eundo stando et redeundo semel et pluries et quolibet cum eorum. valissiis

eorumque rebus et bonis concedere ipsumque nobis trasmittere tenentes a certo

quod ipse Bartolomeus amicabiliter pertransibit pro rebus vobis.et nobis pla-
cidis et acceptis. Datum Florentiae die secundo aprilis MCCCLXXXVI.

MSN ! Decem officiales |

Balie communis

(A tergo): Magnificis viris dominis Prioribus populi Civitatis Castelli

amicis carissimis. UM

Florentiae.

(1386 ?) aprile 29, Monterchi.

Bartolomeo da Pietramala ai Priori di Città di Castello richiede un sal-
vacondotto per un suo familiare. (A.S.C.C. Cod. XLIV, vol. 160, originale).

Magnifici domini. Mitto Appecchium numptium istum presentem della-
torem pro relaxatione cuiusdam mei familiaris nomine Cennis Vischi ibidem
a sacomannis nobilium Ubaldinorum detenti et capti. Et ad hoc ut prefatus
numptius meam. possit literam prefatorum. (sic) presentare (et) a vestris
gentibus quibuscumque per vestra territoria nulla lesione inferri, vestram
magnificientiam instanter exoro ut eidem numptio prefato quoddam bul-
lectinum plenarie necessariis roboratum placeat impartiri. Potestis brevi :
CITERNA : 113 :
quod per protatus defertur ADponere si placet. Paratum ad quelibet pos-
sibilia. -

Bartolomeus de Petramala etc. Monterchi adi XXVIIII aprilis.

È (A‘tergo): Magnificis dominis dominis pignus Communis Civitatis
z Castelli. °

10.

(1388 ?) maggio 24, Citerna.

Bartolomeo da Pietramala ai Priori di Città di Castello; manda una let-
lera ricevuta da Borgo Sansepolcro e prega che quei di Celle facciano i segnali
‘convenuti. (A.S.C.C., Cod. XLII fol. 3, originale).

Magnifici signori miei. Mandove questa litera interchiuxa la quale ho
ricevuta dal Borgo: se più sentirò ve lo farò a sapere e farò fare li segni
altra volta per mi scritti a voi e però provedete avixare quelli da Celle che

respondano. Aparechiato sempre a vostri comandamenti. Citerne XXIIII
maii. El vostro servidore Bartolomeo da Pietramala,

—— e

LIS

1390, novembre 23, Citerna.. "ue

Alberto dà Pietramala ai Conservatori della ciltà di Siena perché testimo-
nino presso il Conte di Virtù circa i patti ch'egli aveva ottenuto da Giovanni
d’Azzo degli Ubaldini prima che morisse. (A.S.S., Concistoro, Reg. 1828,
n. 15, originale).

P Magnifici et potenti patri et Signori mei. Come credo a la: Signoria vostra
E. sia noto en questo anno io ebbi certi pacti e pratica di miei facti co la bona
memoria messer Giovanni Dazzo, quando fo a campo nel terreno di ne-
mici. E vero che per cascione de la sua enfermità ne podecti fare conclusione
pienamente a tucti mei facti, de la qual cosa voglio scrivere al nostro illu-
E. stre et excelso Signor messer lo Conte. E pertanto prego. la vostra Signoria -
i carimente che vi debba piacere per mio amore et. gratia scrivere per vostra
‘parte al dicto nostro Signore di quel chio praticai col dicto messer Giovanne
acciò che per la vostra fede io possa octenere le cose a me promesse, de le
quali se la vostra Signoria non fosse bene fpienmata, hallo vayellg e Gian-

BC
114 GINO FRANCESCHINI

tedescho ve ne porranno pienissimamente enformare. Disposto sempre a li
vostri comandamenti. Citerne. XXXIII. novembre 1390 El vostro servidore
Alberto da Petramala.

(A tergo): Magnificis et potentibus patribus et dominis, suis dominis,
conservatoribus Comunis et populi Civitatis Senarum.

12.
1391, giugno 13, Milano.

Gian Galeazzo Visconti raccomanda ai Governatori della città di Siena .

| Bartolomeo da Pietramala suo provisionato. (A.S.S., Concistoro, Reg. 1829,
n. 24 originale).

Magnifici Filii carissimi. Rogamus vos ut virum egregium Bartolomeum
de Petramala, dilectum. provisionatum nostrum, contemplatione nostra,
recommendatum, habere placeat, et eundem ac sua in omnibus vobis possi-
bilibus prosequi favoribus et auxiliis opportunis. Datum Mediolani, die.
XII. iunii. MCCCLXXXXI. Galeaz Vicecomes, Comes Virtutum, Mediolani

etc., Imperialis vicarius generalis. Pasquinus.

(A tergo): Magnificis filiis nostris carissimis dominis Prioribus et Guber-
natoribus civitatis Senarum.
(Sigillum deperditum).

13.

(1391 ?) settembre 24, Toppole.

Da Toppole, uno dei castelli della Val di Sovara, Bartolomeo da Pietra-
mala manda ai Priori di Città di Castello un suo agente fidato e con la presente
lo accredita. (A. S. C. C., Cod. XLII, fol. 40, originale).

Magnifici signori miej. Vene a Voi Francescho de Ceccharello mio homo
e caro amico per certi facti miei al quale vi piaccia crederli e darli fede
como a mi proprio. Sempre apparecchiato ai vostri comandamenti. Data in
Toppole dei XXIIII septembris.

El vostro servidore Bartholomeo de Petramala.
14: ,,
1492, aprile 14, Firenze.

La Signoria a Bartolomeo da Pietramala perché. secondo i capitoli della
pace di Genova (26 gennaio 1392) restituisca il castello di Toppole (s S.F.j
Carteggio della ‘Signoria, vol. 23, c. 102 minuta).
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CITERNA Da 115

Bartolomeo da Pietramala. Noi abbiamo aspettato che vedendo tu

1 la disposizione del magnifico et excelso Signore et carissimo nostro fratello
$ mess, lo Conte di Virtù la quale è in quella forma che sempre speravamo cioè
| che tu et gli altri observassi quello che si dee per li capitali della pace per
te medesimo ti movessi come discreto ad renderci il nostro castello di Toppoli .

di che ritardando quale che sia la cagione noi pur vogliamo una volta richie-

dere quello ch'é nostro et mostrarti quello ch'é tuo dovere. Tu sai et se nol

sapessi tel notifichiamo, che pel secondo lodo che si diede a Genova della

pace, tu et gli altri della casa tua siete tenuti a renderci ogni tenuta che tolta
ci avessi. Et pertanto se tu intendi essa pace osservare come piü volte ai |
scritto ora che tu non hai la scusa di poter dire che'l detto mess. lo Conte tel (8 |
vieti vogli fare tuo dovere inverso del nostro comune et noi dalla nostra parte *

E ci offeriamo essere presti versa vice a fare ció che avessomo a fare et a questo
1 fa che ci rispondi tua intentione. Da poi ch'avemo scritto insino a qui rice-
È ' vemo tua lettera et maraviglianci che tu dica altra volta non avere avuta
P. la risposta imperó che te la mandamo nella forma che ti mandamo inter- EX
chiusa et perché fa per te vivere in pace et sicuro del tuo ancora di nuovo ti )
i E dichiamo che se gli è di tuo piacere noi c'interporremo co’ Castellani tu possi

vivere in pace et confidentemente che pensiamo fia il meglio per te che an-
dare dietro ad altro. Datum Florentie due XIII aprilis, MCCCLXXXXII.

15.

1393, febbraio 24, Firenze.

E. INS Ti

La Signoria a Bartolomeo da Petramala assicurandolo che scrive ai; Castel-
lani riprendendoli e biasimandoli per le molestie che hanno inferto a Citerna, e — |
ricordando loro l'obbligo dell'osservanza della pace. (A.S.F. Carteggio della Si- Wu
gnoria, vol. 23, c. 88, minuta)..

Pit

E. E dn

Bartolomeo de Petramala. Abbiamo ricevuto la tua lettera et inteso il
caso divenuto di Citerna la qual novità ci dispiace cordialmente imperocché
cosi come noi siamo disposti all'osservanza della pace cosi desideriamo che

7 ogni altro nostro adherente et seguace l'osservi. Et per questa cagione per
fante proprio scriviamo al presense a Castello riprendendo et biasimando
questo facto quanto la materia richiede con significarlo al magnifico nostro
fratello mess. lo Conte di Virtü secondo che tu ne scrivi. Quanto a noi non
dispiace perché siamo certi ch'egli é si ben informato de capitoli della pace et

maximamente d'uno che vi fece agiugnere che sa bene non si debba ne puó

E procedere per simigliante atto come se pace rotta fusse. Alla conclusione

3 : della lettera tua nella quale tu di che non obstante questa ingiuria in questo

.. etin ogni altro fatto tu vuò tenere quei modi che per noi ti sarà fatto coman-

3 dare ti comendiamo e piaceci molto quello che ne scrivi della tua buona di-

E. spositione. Come vedi noi ne scriviamo a Castello, quando saremo informati

, 1 ] C
— M! — im T

ri 116 EUR ^". — .* GINO FRANCESCHINI '

del fatto ti sapremo me' dire quello tu abbia a fare. Bene vogliamo che ti
piaccia per contemplatione et riverenza: di noi che ’nfino a tanto che noi ab-
biamo risposta da Castello et che noi ti scriviamo altro che tu sia contento
ad attendere a buona guardia lasciando stare ogni altra novità la quale po-
trebbe di leggiere accendere il fuoco che non si spegnerebbe in fretta. Datnm
Florentie die XXIII Februarii, prima ind. MCCCLXXXXII,

16.

RUN OMNI 1394, novembre 11, Monterchi.

Bartolomeo da Pietramala chiede ai Signori di Siena-un salvacondotto per
scortare al bagno di San Filippo sua sorella madonna Lisa degli Alidosi.
(A.S.S., Concistoro 1835, n. 8 originale).

Magnifici signori miei, la mia magnifica sorella madonna Lixa degli
Alidoxi, vole essare al Bangno de Sanphylippo e mandame a dire ch'io vada
con lei. Et impertanto vi prego che vi piaccia de mandarme, per questo mio
messo, uno salvaconducto per lei et per mi, per noi, per nostri cavalli, per
nostri compangni e famigli a cavallo et a pe', e nostre some, arme, arnexi,
valixi et ongni altra cosa. Sarimo da LXXX. cavalli, non so quante some,
pieno come bisogna, e' duri tucto questi altro mese cioè decembre. Et se io
ho affare niente de vostro piaxere so' sempre Hur UU ai vostri coman-
damenti. Monterchi.. XI. novembre.

El vostro servidore Bartolomeo de Petramala. .

(Sul verso): Magnifici dominis suis, Dominis et Gubernatoribus Civi-

tatis Senarum etc. i

17.
‘1395, gennaio 14, Firenze.

La Signoria a Bartolomeo da Pietramala perché induca un suo suddito a .

' rimborsare la taglia che due d' Anghiari avevano pagata per liberarlo dalla pri-
| gione del conte Giovacchino da Montedoglio. Rispondono risentitamente alle |

minacce. (A. 8. F., Carteggio della Signoria, vol. 24, c. 101. minuta).

Bartholomeo da Pietramala. Karissimo nostro. Sentiamo che nel tempo
della guerra essendo preso Ciuccio di Pietro da Citerna et impostogli taglia
di XXV fiorini per lo conte Giovacchino di chui egli era prigione esso Ciuccio
prego Piero di Bartholomeo et Agnolo del Bene da Anghiari che promettessono

per lui questi XXV fiorini promettendo sopra la sua fe' che subito glie le

manderebbe, di che costoro ferono la promessa et sonne stati pagatori. Et -
essendo venuti parecchie volte a te per richiedere questi denari mai non ànno
CITERNA . © ii ‘117

trovato ragione quantunche e’ vicari nostri d' Anghiari te gli abbino ogni
volta racchomandati. Di che vedendo nostri antecessori questo, commisseno
che per la ragione dinegata fusse fatto ragione con e’ sudditi tuoi et lor beni
la qual cosa è molto ragionevole. Ora mostra che di questo tu ti gravi forte
. et che '] tuo cancelliere, che venne per ambasciadore al nostro vicario, pro-»
testasse che come fussono trattati e’ tuoi sottoposti cosi sarebbono e* nostri |
et che tu te ne scusavi. A questa parte siamo molto contenti, si che se per
quelli nostri ufficiali non si facesse ragione a’ ‘tuoi huomini tu dia simile
regresso. Ma noi sappiamo bene che questo ne’ tu né eglino el potete dire.
Da: poi disse per tua parte che tu avevi a tua posta mille cavalieri intorno :
alle Chiane: Questo ti diciamo bene ci ha fatto meravigliare impero, che tu .: ES m 25
debba bene essere certo che noi n'abbiamo et avremo ogni volta tanti che : A N-
. risponderemo a una maggior potentia et non sappiamo donde ti venga questa : Sen
arroganza. Non ne facciamo però più stima sia da fare di chi parla cosi mat-
tamente. E pertanto vogli fare si che’ tuoi sottoposti paghino coloro a chui
anno a dare et in singularità quelli predetti Piero et Agnolo et ancho Martino
d'Andrea di quello debba avere da Venturino da Citerna. Se ’1 farai, farai tuo
dovere et honore, et riaverai coloro che giustamente denegando tu ragione
son sostenuti. Et per lo innanzi vogli tener modi non bisogni venire a questi
atti, imperò che alla nostra Signoria è pure di bisogno fare che nostri sotto-
‘ posti abbino ragione. Datum Florentie die XIIII Januarii III Ind. MCCC-
LXXXXIIII. iE

(1398 ?) maggio 21, San Giustino.

. Piermatteo di Francesco scrive ai Priori di Città di Castello circa gli abboc-
È camenti tenuti in Citerna dai fuorusciti ghibellini di quella città per parteci- :
E pare alle ostilità intraprese dal conte d' Urbino fautore ed aderente del Duca di

Milano. (A. S. C. C., Cod. XLV, f. 98, originale). |

Magnifici signori miei. Notifico ala vostra magnifica signoria come é
venuto uno vostro caro servidore a me et sy m'à ditto come saretrovó den-
tro in Citerna a uno ragionemento con doi vostri isbanditi di volere togliere
il palazzo del la Badia di Botti. Hollo notificato a coloro de chui è il palazzo;

et anco piu me disse che quegli che fe pigliare Carlo de Bartolomeo che sono
da Pistrino si furono menati posieri dentro in Citerna da cavallo in su liso-
mari co li ferri ai piei: disseme che se crede per la gente che li farà mcrire.
Et anco v'aviso che ho prosentito che dentro in lo Borgo (Sansepolcro) se ‘

fanno fanti a pe e si se soldano; dicesi per lo Borgo che i vanno ad Arimino.

Per lo vostro servidore Piermatteo de Francesco in OOO — di XXI

de Hose.
GINO FRANCESCHINI

19.
(1398 ?), luglio 10, San Giustino.

Florido Bucchi arciprete scrive ai Priori di Città di Castello sui prepa-
rativi di Guerra del Conte d' Urbino (Ivi. Cod. XLIII f. 141, originale).

Magnifici signori miey: faciove a sapere como hieri matina el conte
d’Urbino mandò in l’alpi de Fontanelle in luogo detto val de Rupina mae-
stri de legname et altri homini li quali fuoro VI* (sessanta) et hanno inco-
mencato a edificare una bastia con fossa e bertesche de la quale cosa omni
homo del paese ne piglia grande ammiratione. Recordove che ve piaccia
mandare a la Badia di Botti et a Montegiovi che quelli palacci se guardeno.
Apparecchiato a tutti i vostri comandamenti. Florido Bucchi archipresbiter
populi Civitatis Castelli in Plebe Sancti Justini Julii.

(A tergo): Magnificis et potentibus viris dcm. Prioribus Civitatis Ca-

stelli dominis suis.

90.

(1401 ?), maggio 24, Citerna.

" Masio da Montepulciano ai Priori di Città di Castello circa le malefatte di
distrettuali di quella città. (Ivi, Cod. XLII f. 45, originale).

Magnifici et potenti signori miei. Certi vostri contadini da Celle e cioé
el figlolo de Saglinbene e lo figlolo de Trona cum dece compagni armati sonno
venuti hogi su in quello de Valialla per ucidere uno homo de Bartolomeo e
questo non credo che e de vostra coscientia: et pertanto prego la Signoria
Vostra che vogliati che nun se tengano questi modi perché tenendogli e
altro ne intervenisse ad me ne incresceria et ipsi ne averiano lo danno. Datum
Cisterne die XXIIII maii vester Massius de Montepulsano.

21:
(1401 ?), agosto 5, Citerna.

Bartolomeo da Pietramala ai Priori di Città di Castello circa le offese fatte
a un suo corriere dai cittadini. (Ivi, Cod. XLII, f. 39, originale).

Magnifici et potenti signori miei. Elli é gia passato do volte li per la

| Cipta de Castello uno mio corieri e ogni volta é stato spogliato e vilanegiato.

Et pertanto me meraveglio forte de questo perché non é fatto cosi ali vostri-

quando passano per qui. Paratus etc. Datum Citerne V augusti. Vester ser-
vitor Bartolomeus de Petramala. E
CITERNA | 119

22.
1402, aprile 26, Monterchi.

1 Bartolomeo da Pietramala ai Priori di Città di Castello comunica che le
P milizie del duca di Milano sono per passare pel territorio tifernate per andare
| a Perugia ed a Siena. Assicura che non coglierà l'occasione per vendicarsi dei
È sorprusi sofferti. (Ivi, Cod., XLIV, f. 106, originale).

d Magnifici signori miei. Io ho ricevuta la vostra litera come non avete
presi colloro che presero i miei in sul vostro e rubargli. Io so bene che essi
erano presi et ero certo che sariano lassati come che essi fuoro: e i sopradicti "i
sono presi al Borgo chel dicono ma piacime se i miei pigliassero chiunque in

lo vostro de non tractare pegio i miei che gli altri se venissero in vostra forza.

Apresso jo ho novelle de Romagna come la gente del Signore messer lo Conte

circa a IIII milia lanze sono in su quello di Bologna passano de qua da Bo- È
logna e sono una parte presso a Imola a tre miglia e un’altra vengono, in

su quello di Astorre: le tre parti rimangono in quegli paesi el quarto passa

de qua che sono mille lanze e vengono per Romagna e vanno da Peroxia e

arivano a Siena. Avisove passeranno per lo vostro. Apresso misser Bernardo

da Sala el conte Lucio denno essere gionti in quello de Bologna con mille

lanze. El duca de Torena vene al servizio del Signor messer lo Conte con IIII"®

: Ve Janze e V? balestrieri da cavallo. Avisove che abiate cura che nel passare

i non poteste ricevere dapno. Et io vi dico così che se passano o non passano

| per questo terreno vi credo essere bono amico ne non amiriró ne ai cauli ne

BE altre spiacev olezze che i miei hanno ricevute in lo vostro. Apresso el me scrive

| uno officiale del dicto signore come molti cittadini bolognesi sono andati con tu
E lo salvaconducto al Signore predicto e che crede che esso averà tosto sua

| intentione dei facti de Bologna e ancor Astorre é per accordarse. Desposto

L ai vostri co mandamenti. Monterchi XXVI apiile — Bartolomeo de Petra-
E mala etc.
È 23.

(1402 ?), ottobre 13, Anghiari.

Gioacchino conte di Montedoglio scrive ai Priori di Città di Castello accen-
nando ad offese che le genti di Bartolomeo da Pietramala hanno recato ai Fio-
rentini. La lettera è lacunosa a cagione dell'umidità che l'ha quasi del iutto
cancellata. (Ivi Cod., XLV, fol. 15, originale). d

Magnifici signori padri miei. Ben che da molte e diverse persone abbia
ricevuto... terreno per d'aleuni fiorentini e loro subditi per la brigata de

TAS

Mi Aladar

rt . quando non possono guadagnare in un loco vanno in un altro e voi savete:

120 one GINO FRANCESCHINI

. Bartolomeo... a voi e per l'amore che porto a ciaschun chastellano non ho
voluto scrivere ne... Firenze. E pregove che teniate si facti modi che paia
che siate veri amici... o che paia che siate malcontenti de quello che la bri-
gata de Bartolomeo... che nessuno se possa vantare ch'abbi messo schan-
dalo nessuno tra i miei. Sempre a ciascun piacere vostro e del vostro chomune.
In Anghiari di XIII d'octobre = Johachinus comes de Montedoleo.

24. | ix
(1403 ?), gennaio 15, Citerna.

Bartolomeo da Pietramala chiede ai Priori di Città di Castello un salva-
condotto per soldati di Ottobuono Terzi capitano del Duca di Milano. (Ivi, cod. .

XLII, fol. 43, originale).

Magnifici et potenti signori miey. E venuto qui a me fra Rufino per
parte de messer Octo el quale m'ha menato uno cavallo per sua parte e un

altro me ne manda domandando, il quale io so disposto de mandarglilo. Etho:

sempre inteso dire che ogni omo de questi de messer Octo po passare per lo
vostro comuno e de loro piacere: nondimeno ve prego per alchuna cosa è in-
tervenuta a fra Rufino ve piaccia farli uno salvo conducto per X cavalli chel
se possa ritornare a messer Octo, e anche chel possa menarne el mio cavallo
el quale io mando a messer Octo. Apparecchiato ad ogni vostro comanda-
mento. Datum, Citerne die XV Januarii. o

El vostro servidore Bartolomeo da Petramala. - : i

(A. tergo): Magnificis et potentibus dominis meis dominis Prioribus
Populi Civitatis Castelli. A

25. !
(1403 ?), luglio 20, Monterchi.

| Bartolomeo da Pietramala informa i Priori di Città di Castello dell'arrivo
di Pandolfo Malatesta a Sarteano, dei movimenti delle milizie ducali e di quelle :
della Chiesa nell' Umbria. (Ivi, Cod. XLIII, fol. 13, originale).

Magnifici et potenti signori miei. In questa hora he tornato uno mio
curiero dal Signor messer Pandolfo el quale e a Sartiano e dice che martedì
a matina se partì Ciccolino, Lodovicho Cantello, messer Antonio Bale- .
straccio con ben mille dugento cavalli e sono tirati verso Asesi; come la cosa
andarà tra loro io non so. Eme dicto che la brigata de la Chiesa se partita:
e andata verso Spoleti. Non de meno come la cosa se sia vel significo acio che
i vostri non possano recevere dapno: perche voi savete che le brigate grosse

ici int ei OTT TS
CITERNA days 1 . 121

che sono de mule in Peroscia che ve vogliono poco bene e non curarano con-
fortare i cani a la salita.

Ogni altra cosa chio sentiro el faro savere ala Vostra Signoria. Apparec-
chiato ad ogni vostro comando. Data in: Monterchi XX Julii hora XXIII —

El vostro servidore Bartolomeo de Petramala.

26.

(1403 2), luglio 23, El Palagio ?

Giovanello dei Bontempi informa Bartolomeo da Pietramala degli avve-
nimenti militari in Umbria e gli dà notizia di Carlo suo figlio che milita nell’ eser-
cito del duca di Milano. (Ivi, Cod. XLIII, fol. 43, originale).

Magnifice domine tanquam pater carissime. Io recevei la vostra litera e

inteso el tenore d’essa. Credo ‘che voi abiate saputo come el magnifico si-
gnore messer Pandolfo me die VIII* cavalli o più, de tutto il fiore della sua
compagnia ei quale anne messi nella bastia e con loro circa a VII* cavalli
utile de nostri. E per certo ch'é troppo avantagiosa brigata e annose facto
grandissimo honore. Esendose ei nimici tucti alogiati nelle piagie d'Axesi
ieri alle XVIII hore ei nostri se misero a battaglia e mandarono i saccomanni
innance li quali andaro per le piagie per fine alle case; ei nemici le ussiro
adosso e fierono bei fatti e in ultimo ei nostri furono respinti per sino la loro
retroguardia la quale usciro adosso ai nemici e per certo si dice che è stato
cusi bel facto d'arme quanto che se facesse a gran tempo fa, e duró la mischia
tutta sempre strecta per fine a gran pezzo de notte e quasi el forte si fe con
la spada e fuorono guasti molti cavalli: e nostri ne perdettero alquanti ma
non dovete (credere) essere cosa da farne extima e che veruno homo d'arme
cie fo preso, ma i nostri menorono presi XXV (homini) d'arme de nemici e
guadagnarono più che cento cavalli. E se non fosse ei molti fanti che hanno
ei nemici ei nostrili rompieno certificandove che i nostri che stavano alle ban-
diere mai se travagliaro ne levatose dal primo loco la dove da prima se posero.
E parendole avere molto soprafatto se voleno allogiare a Santa Maria degli
Angeli più specialmente messer Antonio Balestracco, ma a Lodovico Cantello
non parve. El signore messere Pandolfo rimase a Sarteano e remase. Karlo
vostro el quale sta benissimo. Altro non v'ho a dire se non che se vedete che
se i miei fratelli e io podiamo ne sappiamo alchuna cosa, ve prego che ne fa-
ciate quello conto che di quale avete più intimo e discreto che sempre ne
trovarete presto a ogne vostro comandamento — Elprangio? di NE de
luglio.

El vostro servidore Giovannello di Bomtempi.

(A tergo): Magnifico viro Bartolomeo de Petramala honorando viro
patri precarissimo.

imm

E "ah OE din
GINO FRANCESCHINI

1408, giugno 20, Firenze.

La Signoria a Carlo e Pandolfo da Pietramala assicurandoli di mirare alla

| conservazione dello stato loro e d'averli per figliuoli (A.S.F. Carteggio della

Signoria, vol. 28, c. 85, minuta).

Carolo et Pandulfo de Petramala. Nobiles et egregi viri fillique nostri
carissimi. Alle vostre lettere le quali ci avete scripte sopra i facti di Citerna
offerendo di volere che quella sia nella nostra acomandigia come sono l’altre
vostre terre et circa alle quali noi vi facciamo brieve risposta. A noi è som-
mamente grata la vostra offerta e buona intentione la quale avete inverso
questa Signoria. Alle quali cose noi vi faremo altra volta et prestamente
particulare risposta ora non abbiamo potuto per certe occupationi le quali
non possiamo abandonare ma rendetevi certi che la intentione nostra è
largamente avere l’occhio alla conservatione dello Stato vostro come del
nostro proprio, per che una volta v'abbiamo presi per figliuoli et siamo di-
sposti di volervi essere padri et cosi troverrete che effecto seguirà. Datum
Florentie die XX Junii MCCCCVIII. Ind. prima.

28.

1422, giugno 4, Citerna.

Bartolomeo da San Donato vicario per Carlo da Pietramala in Citerna ai
Priori di Città di Castello circa i danni fatti a un molino dagli sbanditi da Ci-

terna che si raccolgono nella loro città. (A.S. C. C., Cod. XLII, fol. 70,
originale). :

Magnifici et potentes domini. Martidi proximo passato li usciti de
Citerna i quali habitano la a Castello vennero ai confini et parte de loro intro
in lo terreno de Citerna et intraro in uno molino che sechiama el molino del
vescovo et fecero certo dapno avegnadio che fosse piccolo. Io ve n'aviso.
Et quanto queste cose le quale voi comportate si facciano per si facta
gente in lo terreno del mio magnifico et excelso S. Signor Carlo siano hone-
ste e de honore de la Signoria vostra el podete pensare. Citerne die IIII
Junii 1422.

Vester tamquam servitor Bartholomeus de Sancto Donato Vicarius
Citerne.
CITERNA 123

29.

1463, novembre 4, Anghiari.

Ser Giusto d' Anghiari al Confaloniere di giustizia di Firenze avvisandolo
- che il signor Sigismondo Pandolfo Malatesti è per ottenere la pace dal Ponte-
fice e non intende innovare nulla nella faccenda di Citerna (Bibl. Nazion. Fi-
renze. Manoscritti, Magliabechiano, classe VII, serie I, tomo I, n° 28, ori-
ginale). ;

Magnifice et potens domine, domine mi singularissime. Adi ultimo de
passato scripsi ala M.S.V. non havendo ancora certecca che la sorta havesse
dato il dominio ala Magnificenzia Vostra, di che poi sono advisato e molto
me ne ralegro, sé per la dignità e honore de la S.V. che cosirichiede la
servitù e amicizia che ho havuta con quella sino da le scuole, e sé pel
buon governo che è subditi e servidori de la S. haveranno da la M.S.V.

In quella mia lettera advisai la V.S. di quello che alora occorreva nella
facenda di Citerna. Di poi seguì che quel Lorengo cancelliere del S. messer
Gismondo passò di quà a Cisterna e mandò per me e dissemi che ’1 Si-
gnore era per havere la pace e che per non isdegnare più el papa, non vo-
leva per hora innovare altro e che pure io actendesse con quel Comissario
se el Signore per qualche caso mutasse proposito. E con questo ci partimmo
d'asieme. E venne detto ser Lorenco costà e disse di riferire a la S.V.
quanto haveva di commissione, che a me disse era in quello effecto. Se a
la M.S.V. pare ch'io habbia a fare più una cosa che un'altra, piacciavi co-
mandarmi ché faró quanto me sirà possibile per cotesta Excelsa Signoria
a la quale mi raccomando sempre.

In Anghiari adi 4 di novembre 1463, hova 12%

* ser Giusto d'Anghiari

Quod nimis miseri volunt hoe facile credunt. Subgiungo di mio parere
che io che ho havuto et ho grandissimo desiderio di questo facto, credo che
si farà meglio pe’ la pace che per la guerra, e senca tema di doglianca, e
l’amico n’arè bisogno, pregarei che si seguisse per tenere questo paese senca
pensiero.

1 (A tergo): Magnifico et Potenti domino Antonio domini Laurencii
de Ridulfis dignissimo Vexillifero Iustitia Propuliflorentini
domino suo singularissimo. 124 i GINO FRANCESCHINI

1463, novembre 22, Anghiari.

Lo stesso allo stesso dandogli notizia circa la pratica di Citerna (Ivi, n.
29, originale).

Magnifice et potens donilte; domine mi singularissime. Io hebbi adi
17 di questa lettera. da la M.S.V. de di 14 del predetto responsiva a una
mia confortandomi a seguire la facenda etc. E perché in quella la S.V. re-
plica che se campo vi venisse e se campo vi fusse non si faccia altro, me
occorre scrivare questa ché non vorrei errare nello interpetrare le parole.
Quella «se vi venisse », e l'altra «se campo vi fusse » è chiara, che non si
faccia nulla: quella se vi venisse, se potrebbe intendare che vi venisse ogni
volta che quelle genti si movessino del luogo dove sono, e potrebbono non

. di manco andare altrove: ché si dice ancora che parte di quelle genti deb-

bano venire a svernare a Cità di Castello. E credendo io sapere la cagione
di quelle parole, intendo quella parte venisse, cioé quando fussino a l'Alpe
‘e calassino in qua a quella via, che alora non s'habbia a fare altro; ma sino

che non sono in quel luogo, intendo si possa seguire el facto nostro e' cosi

intendo s'abbia a fare, e cosi farei venendo el caso. Se a la M.S.V. paresse
da fare altrimenti o intendesse in altro modo quella parte, comandatemi

‘ che farò quanto mi comandante, e non havendo altro Conancauo se-

guirei come di sopra ho detto.

Hiarsera hebbi aviso da uno di quelli dentro di Citerna, che le spie loro
havevano referito che ’1 campo gli de’ venire di quest'altra septimana,e
più dice che ànno aviso da Roma che Malatesta figliuolo di madonna. Au-
frosina è stato al papa e con aiuto di lectere e imbasciate del signor messer
Federigo ha octenuto di riavere Citerna come vero signore di quella. Questa
parte non la credo, pure sentendola, mi pare dovere scrivare. Se cosi fusse
ne dovrebbe haver sentito l'ambasciadore de la M.S.V. e dato aviso. Ho

saputo ancora che ’l castellano di Citerna mandò via hieri la donna sua

e una sua fanciulla e che la mandó a Montone, castello del Conte Carlo
di Braccio. Questi da Citerna stanno con gran guardia e sono in gran di-
scordia, e non lasciano entrare dentro persona, se non é ben conoscente;
pure non fanno altro: stannosi a quella speranca che é data loro de la pace,
che è vana e fallacie, perché la pace à a essere a loro guerra. E così ho
facto.intendare al Castellano di per sé, e agli uomini, dicano che non haven-
do altra appressione, non par loro. havere cagion di muovarsi. Credo fia

a me tracto lo scoppio e la bocta di quello che debba essere, che previo si

chiarirà, venendo il campo, come dicono havere aviso.
— UE EN Rm

CITERNA 125

Bisogna, a mio parere, stare [in a] eteso e ala vista di quello segue, e
continuare con loro la pratica; e così fo e farò con ogni diligencia sino al
fine: [che] Dio el. permecta ala voglia nostra. Non posso scrivare con piü
effecto, perché non ci é ancora altro. Scrivo per dare aviso piü spesso ala
Vostra M.S. ala quale mi raccomando.

in Anghiari di XOU. di novembre 1409. Dot lo

Ser Giusto d'Anghiari

(A tergo): Magnifico et potenti domino Antonio domini Laurencii de
Redulfis dignissimo [vexillifero] Iusticie populi Florentini:
domino Suo singularissimo.

31.

ELENCO DEI VICARI E DEI CASTELLANI DI CITERNA (tratti da
‘Registri dell'Archivio Vaticano).

Die V septembris 1464 — (Arx Citerne) concessa est ad petitionem domini
episcopi Civitatis Castelli, Sacriste cuidam amico suo per eum nominando-
Videlicet Petro Francisco de Civitate Castelli qui habuit Breve ad Benepla-
citum. (A.V. — Reg. Vatic. vol. 544 — fol. 201°).

1464 — Porricia de Porrinis castellanus Citernae. (A.V. arm. 29 — we 30,
fol. 1167).

1465 — Johannes de Luca fit Vicarius Citernae. (AN. Reg. Vat. 544 — fol. 47)..

1466 — Andreas de Piliis fit Gubernator terrae Citernae. (A.V. Reg. Vat.
542 — fol. 122»).

1468 — maggio 23 — Antonius Sanctus de Alatrio Castellanus Arcis Citerne -
fuit deputatus ad beneplacitum cum. pagis etc. consuetis per Breve
sub data 23 maii 1468 ad instantiam D. Spalatensis Thesaurarii.

1470 — febbraio 5 — Gabriel de Oleo de Vicentia (vicarius Citerne) habuit
Breve ad semestre cum primum se conferret sub data 5 februa-
rii 1470.

1470 augusti 23 — Pandulphus de Cortesinis de Bertinoro Gen Citerne)
habuit Breve ad semestre cum primum se contulerit sub data 23 augu-
sti 1470.

1471 gennaio 31 — Ser Anastasius Compagni de Arignano (vicarius Citerne)
obtinuit Breve ad semestre post ipsum Pandulphum sub data ultima
Januarii 1471 anno VII ad ordinationem D. Cardinalis S. Marci. (Ivi
— Reg. Vat. vol. 544, fol. 57” e 201").
126 GINO FRANCESCHINI

1471 — Marcus de Ceretanis castellanus Citerne. (Ivi Arm. 29, vol. 37 fol. 7:).
1486 — Innocentius de Montono fit vicarius Citernae.
1486 — Johannes Benedictus fit. vicarius Citernae.

1486 — Johannes de Raonibus de Ferentino fit vicarius Citernae. (Ivi Brev.
Minut Tom. I fol. 369, 373, 374).

1492 agosto 30 — Guido Scaiola fit Castellanus Citernae. (Ivi, arm. 34
— Tom. 13 fol. 101°).

1511 — Actus Johannis de Actis de Fulgineo fit Castellanus Citerne.

1512 maggio 22 — Sebastianus de Monte fit. Castellanus Arcis Citernae ad
annum, post finitum tempus Acti Johannis de Actis de Fulgineo. (Ivi
— Arm. 29 — Tom. 58 —- fol. 256).

32.

Indicazioni sommarie di altri documenti riguardanti Citerna esistenti
nell'Archivio Vaticano.

1466 — febbraio 15 — Roma. Instrumentum ratificationis salarie Citernae
— (A.V. Arm. 34 vol. II fol. 186 Olim. fol. 207).

1472 — decembre 23 — Roma — Capitula Salariae terrae Citernae (A.V. Arm.
29 vol. 42 fol. 27” olim 28").

1471-73... Roma. Taxa pro Bestiis dannum dantibus in Citerna (A.V. Arm.
29 vol. 36 fol. 39 1725.

. 1567 — aprilis — Roma. Il card. Vitelli tesoriere di S.R.C. ordina agli offii

ciali della Dogana del sale dell'Umbria che per un quinquennio diano
ogni anno centosessanta libbre di sale « venerabilibus Conventui et
fratribus Monasteri S. Crucifixi de Citerna Ordinis Sancti Francisci
de Observantia »; e quattrocento libbre « Abbatissae et monialibus
Monasterii Sanctae Elisabette eiusdem Terrae ac eiusdem pariter or-
dinis » (A. V. Arm. 30 — vol. 225 fol. 192 olim fol. 181).

1568... Roma. De locatione pro ecclesia Sancti Donati oppidi Citernae.
(A. V. Arm. 29 — tom. 232 fol. 181).
RANIERO DA PERUGIA

L'insegnamento e la legislazione notarile in Perugia
(Secc. XIII-XIV) |

SOMMARIO

I. Raniero da Perugia ela Scuola di Diritto presso la Cattedrale Perugina.

II. Notaio in Bologna, Maestro di Rolandino Passeggeri e di altri.

III. L'Ars Notaria e formule relative riunite in trattato.

IV. L'insegnamento dell'Ars Notaria nell'Università di Perugia: Magister
Maffeus contemporaneo di Cino da Pistoia e di Bartolo; Francesco da
Padova e Piero da Citerna.

V. I Notari negli Statuti del 1279 e del 1342. L'Archivio del Comune e i Ca-
tasti.

VI. Il Collegio dei Notari e sua Sede. — Lo Statuto. — La Matricola — L'in-
vestitura ed altre notizie varie.

VII. I Codici dell’« Ars Notaria» nella Biblioteca Augusta di Perugia.

I.

RANIERO DA PERUGIA E LA ScuoLA DI DIRITTO
PRESSO LA CATTEDRALE PERUGINA

La prima notizia biografica ci è data da un atto della sua « Ars
Notaria » che porta la data del 1214. [^
Nativo di un paese del Lago Trasimeno, può ritenersi che vi aves-
se visto la luce circa l'anno 1190, e avrà sicuramente trascorso la sua
adolescenza in Perugia per apprendervi innanzi tutto gli elementi
della grammatica.
In quel tempo l'insegnamento erà in mano degli ecclesiastici, i
quali non istruivano solo gli iniziati alla carriera sacerdotale, ma al-
tresi secolare.
È fuor di luogo fare una digressione sui metodi didattici, ma è
opportuno ricordare quale sia stata la scuola in cui Raniero abbia ap-
preso il diritto romano e canonico.
Alcuni storici perugini fanno risalire i primordi del nostro Ateneo
ad una Scuola di diritto presso la Gattedrale e ne argomentano l'esi-
stenza dal fatto che ivisi conserva, nell'Archivio Capitolare, un pre-
Ziosissimo Codice del secolo x, contenente elementi di diritto roma- .
no, che va sotto il nome di « Summa Perusina ». . Innsbruck, 1917.

128 SUMA ‘GIUSEPPE BRIGANTI

Ma che a Perugia fosse poi sorto un insegnamento di diritto ac-
canto a quello della Schola Episcopalis, promosso dal potere civile, è
provato dalla circostanza che nel 1208 certo Rainaldo per sé e per i

figli di suo figlio Carbone fa quietanza al Comune per l'avvenuta resti-
. tuzione di alcuni testi di diritto civile e di teologia, che forse il Co-

mune di Perugia si era trattenuto per farne la trascrizione.
Questo documento porta la seguente firma:
«Ego Matteus Medicus et Notarius complevi et absolvi ».
Non erano in quell’epoca sancite le incompatibilità professionali ?

. Certamente ai nostri tempi un medico-notaio non avrebbe contratti

da: stipulare né malati da curare!

. Non mancherebbe materiale per rinvenire nomi di notai perugini
anteriori al secolo xItI e ciò sarebbe facile leggendo, non solo le sotto-
scrizioni dei contratti, ma anche le Deliberazioni dei Consigli generali
e particolari dei Comuni, i quali recano sempre la firma di un notaio.

Sin dalla fine del secolo xit doveva esistere una Scuola dalla quale

uscivano i candidati notai riconosciuti poi dall'Autorità Imperiàle o
Pontificia, ed essendo questi numerosissimi, come risulta dalle Matri-
cole, qualcuno di essi emigrava in cerca di miglior fortuna. E come il
perugino Brunaccio, a detta del Muratori (« Antiquitates Italicae
Medii Aevi») si era trasferito a Lucca, dove lo vediamo nel 1234 notaio
di quel Pubblico Magistrato, e come, altresi, Taddeo di Giacomo da
Bettona (sempre a detta del Muratori) era nel 1281 notaio di Uguc-
cione Marzola fiorentino, rettore della Città di Benevento, così il nostro.
Raniero da Perugia doveva essere emigrato a Bologna (1).

II.
NOTAIO IN BoLoGNA, MAESTRO DI ROLANDINO PASSEGGERI E ALTRI

Come sopra abbiamo detto, Raniero nel 1214 si trovava a Bolo-
gna. La data risulta da un contratto riportato nella sua « Ars No-
taria ». \

(1) Tutte le notizie su Raniero riguardanti il presente lavoro sono state
desunte dai seguenti autori:

VeERMIGLIOLI G. B., Biografia degli Scrittori Perugini e notizie delle loro

| opere. Perugia, 1829.

GAUDENZI A., Biblioteca juridica Medii Aevi. Bononiae, 1892,
Lupwie W., Die «Ars Notariae» des Rainerius Perusinus in Quellen zur
Geschichte des Rómisch-Kanonischen Processes in Mittelalter. Vol. III, fasc. II,

BEsTA ENRIco, «Enciclopedia Treccani».

=

ratti

ISTIS e
RANIERO DA PERUGIA . 129

E se nel 1214 già Stipulaya, il suo trasferimento da Perugia a
Bologna dev'essere avvenuto qualche anno prima.

.. Bologna fu la sua seconda patria e non ci risulta che sia tornato
a Perugia.

Nel 1219 fu iscritto ST Matricola dei Notai JN teneva ©
‘una scuola nella località denominata Porta Nova, come si rileva da.
un documento del 1228, in cui è detto: «in scholis magistri Raineri
. de Porta Nova ». |
is E in altro documento del 15 agosto 1226 si era già sottoscritto:
«Ego Rainerius Peruxinus de Porta Nova Bononie opere EGO.
tate Iudex et Notarius ».

Il nostro Raniero ha interessato gli studiosi perugini e bolognesi;
e dalle ricerche sino ad oggi compiute puó argomentarsi come egli, al-
lievo della Scuola Perugina, andó a perfezionarsi a Bologna,o ve emerse
come insegnante e come professionista e con il suo trattato elevó a
dignità di scienza l'ars notaria. di vvue

Ma la sua fama si accrebbe per avere àvuto a scolaro il celebre
Rolandino Passeggeri di Bologna, il quale con la « Summa Artis Nota-
rie » del 1255, seguita come Appendice dal « Tractatus Notularum »,
compose il Trattato piü divulgato oscurando la fama di quello del
suo maestro Raniero.

Può ritenersi che alla scuola del nostro Raniero fosse educato il
bolognese Salatiale che risulta immatricolato nel 1237 ed ebbe il ti-
tolo di Doctor Notarie ; scrisse anch’egli una « Summa Artis Notarie »
in quattro libri, di cui l’ultimo riservato al Formulario.

Pure alla Scuola dell’illustre perugino si formò il nobileR anieri
di Arezzo, di cui esisteva un manoscritto membranaceo dal titolo
« Casus artis Tabellionatus mag. Rainerii Perusini, et Ars Tabellionatus
| Rayneri Physici et Nobilis Aretini ». :

L’ultima data che risulta da un contratto riprodotto nel suo for-

mulario è dell’anno 1245 e dopo questa data sarà avvenuta la sua
morte. Tutta la: vita conosciuta di Raniero è bolognese (mai un’allu-
sione a Perugia) e in Bologna ebbe onori, uffici e ricchezze e ne ottenne
la cittadinanza. Dobbiamo purtuttavia andare orgogliosi di questo
nostro concittadino che costituì, primo, in disciplina sistematica, ele-
vandola a dignità dottrinale, l’arte notarile, chiamandola « Notaria
Scientia ». L’opera di Raniero venne studiata e messa in luce dal
Gaudenzi, che pubblicò e illustrò un codice della Biblioteca Pubblica
di Siena, e dal Wahrmund commentatore di un altro codice della Na-
zionale di Parigi.

9
130 GIUSEPPE BRIGANTI

; Io mi limiterò modestamente a riassumere il contenuto di questo
ORE primo formulario notarile senza la pretesa di voler completare quanto
hanno detto i sopra accennati Autori, avendo per unico scopo di far
conoscere ai nostri concittadini un illustre predecessore dell'arte no-
tarile.

ELE

L'« Ans NOTARIA » E FORMULE RELATIVE RIUNITE IN TRATTATO

| E, parlando di lui, crediamo necessario intrattenerci brevemente
sulla sua « Ars Notaria » che, nella immaginazione di qualche studio-
AE | so, potrebbe essere ritenuta un'arcaica ed inutile raccolta di formule
| | contrattuali.
| Si tratta, invece, di una raccolta di tutte le forme di contratti
| tipo nei loro originali già stipulati da Raniero o dai suoi colleghi, re-
: | datti con tutte le regole del diritto romano e delle varie legislazioni
li medioevali. È

Queste raccolte di formole erano in uso fin dall'epoca longobarda
e di carattere diverso, con l'impronta dei metodi delle varie Scuole di
Ravenna, di Venezia e di altre città d'Italia; vi era pure il « Liber
diurnus Romanorum Pontificum » adottato dagli ecclesiastici.
qu Col sorgere dei Comuni si sentiva, quindi, il bisogno di abbando-

NESitI nare le vecchie formule, e la tecnica del notariato si andò perfezio-
Bi nando col « Formularium Tabellionum » d’Irnerio che prevalse nella
OS pratica fino ai tempi di Odofredo e di Accursio.
| i Ma la nuova legislazione degli Statuti locali e lo studio del Diritto
Romano resero necessaria l'adozione di nuovi formulari che dettarono
gli allievi delle gloriose Scuole giuridiche di Perugia e di Bologna.

Il progredire degli studi del Diritto Romano e la diuturna pratica
professionale suggerirono al nostro Raniero la compilazione di un
nuovo formulario: l'« Ars Notaria », che ci siamo prefissi di pren-
dere in esame.

L’opera non è un'arida raccolta di-formule di stile, ma il frutto

a di un’accurata disamina e retta interpretazione delle leggi romane,
B | - longobarde e della nuova legislazione comunale, che si presenta con

| una serie completa di atti e contratti, come possono verificarsi durante
l'esercizio professionale.

|
ud

I I° ele p DS UP URETL D Ni a OUI CHAM TT IEITIEC UU SOR en DR UTE RIDERS RP ERE ERR RANIERO DA PERUGIA 131

— — I Trattato principia con una introduzione, chiamata dall'autore
« Prologus », in cui vengono enunciate le regole generali alle quali deve
attenersi il perfefto notaro :

PL. 19) Ben conoscere le condizioni di mente dei contraenti e cioé
i la capacità fisica; i
2°) Icontraenti possono rinunciare ai benefici ad essi concessi
LE leggi, costituzioni o senatus-consulti ;
3°) Deve tenersi conto dei minorenni;
4°) Conoscere bene l’oggetto del contratto;
5°) Nonché le varie specie dei contratti;
6°) Il numero dei testimoni per ciascun atto, che va da un mi-
nimo di tre ad un massimo di 15 nel caso di subrogatione prepositi sa-
crorum scriniorum ; mentre 11 ne occorrono negliatti di accusa contro -
i defraudatori dell'annona militare; 8 nei testamenti fatti senza il no-
taio; 7 nei testamenti pubblici; 5 nei testamenti ricevuti in campa-
gna, ecc.

Dopo il Proemio, Raniero ha diviso l'opera in due parti che con-
tengono il Formulario in base agli istrumenti da lui redatti, e che ven-
gono riportati per esteso.

La Prima Parte si inizia Gonicinplanug i casi di trasferimento
di mobili ed immobili.

E sono dettate le norme occorrenti per la sicurezza dei contraenti
e con riguardo a tutti i casi possibili.

Si passa quindi ai contratti di permuta o cambio con tutte le for-
mole inerenti.

Sempre in materia di alienazione, si tratta della « Datio in solu-
tum », quando cioé il debitore dà in pagamento al suo creditore una
«cosa », la quale può essere data in pagamento o a seguito di citazione,
proposta dal creditore, o mediante primo o secondo decreto del Pretore,
o mediante sentenza del Giudice, nel caso in cui dal debitore sia ese-
guita, o con la condanna di lui nel caso contrario.

Contratti di donazione.

Sono contemplate le tre specie vigenti:
1) Donazione per causa di morte e formula relativa;
2) Donazione tra vivi e formula relativa;

3) Donazione « propter nuptias » (in contemplazione di
fao. GIUSEPPE BRIGANTI .

monio) a) secondo l'uso di Bologna ; b) secondo la legge romana ; c) se-
condo la legge longobarda (mundualdo).

‘Di ognuna di esse vengono riportati analoghi istrumenti.

| Si parla infine della donazione, secondo la legge longobarda, di
una determinata quantità di denaro o « quarta ».

"Testamenti e codicilli.

Su questa forma di disposizione di beni post mortem dobbiamo
diffonderci in una pie menzione per il testamento non ricevuto
dal notaio. 3 :

Possiamo rilevare da quattro formule che era ammesso il testa-

mento verbale poiché avanti il Podestà di Bologna, Matteo da Cor-

reggio, il 19 giugno 1214, si presentarono n. 6 testimoni, uno dei
quali, Roberto, sotto il vincolo del giuramento, depose che il giorno
4 maggio raccolse dal morente Guidone le sue ultime volontà e
disposizioni dei propri beni. Erano presenti i legatari e il Fi-
decommissario..

E cosi l'espressione verbale delle ultime Kalogtai di Guidone fu
consacrata in iscritto e pubblicata dal notaio rogante (1).

. È da notarsi pure la formula per l'emancipazione del servo, la
quale, oltre che in forza di testamento, poteva darsi anche conatto

“tra vivi.

Codicilli.

Questa forma testamentaria risulta nel trattato di Raniero, che
contempla la validità del Codicillo, sostituente il testamento in man-
canza dei sette testimoni necessari a tale atto solenne, ma coll'inter-

vento di soli cinque testimoni (2).

(1) « Ego Rainerius communis 'Bónonle notarius hos teste mandato domini

- Mathei de Corrigia potestatis Bononie recepi, dicta quorum in publicam re-

digens scripturam, coram eo et dictis testibus legi et publicavi ».

(2) « Ego quidem Guido testamentum propter inopiam testium facere non
valens presentes codicillos iuré assistente perficere cupio, in quibus rogo eum
ad quem ab intestato mea, hereditas defertur, ut eam Iohanni nepoti meo
Word primum potuerit restituat », ;
RANIERO DA PERUGIA Ne: coda

Seguono altri contratti speciali riguardanti la emancipazione,
. adozioni, conversioni. Per «conversione » si intende il contratto che il
3 miscredente convertito stipula cedendo i propri beni a favore della
I Chiesa. |
La prima parte termina con atti di Cessione di Crediti, transazioni”
‘ di varie specie, comprese quelle fatte a mezzo di arbitri, e contratti
chiamati di Pace per pacificazioni avvenute tra litiganti.
Seconda parte. In questa parte si tratta dei Feudi, Enfiteusi, lo-
cazioni di qualsiasi specie tanto di cose che di opere; per costruzioni
di muri, sopraelevazioni di tetti. i | Eun
Vengono poi i contratti di mutuo con le forme di garanzia sia | per:
sonali che a mezzo di pegni, e riscatto dei medesimi; concordati; de-
positi di somme per interruzione del pagamento degli interessi e resti-
tuzione del deposito stesso; procura alle liti; restituzione di uffici. CURO
Seguono tutte le formule riguardanti il conferimento dell'ufficio | “SaR N
di notaio sia da parte dell' Imperatore o Conte Palatino, del Papa, del
Comune, del Podestà. Termina infine con la ricostruzione di istrumenti
smarriti; e se il contratto smarrito é un mutuo, deve farsi su richiesta
del Giudice o del debitore.
Contiene in tutto, questa seconda parte, 48 saggi di tutte le varie
formule di contrattazione del tempo. |
Termina con un ‘appendice i in cui dal Gaudenzi vengono riprodotti
nella loro integrità tutti i rogiti o scritti di Raniero, o comunque a lui
appartenenti, custoditi nel pubblico Tabulario di Bologna, e che,in
ordine cronologico, vanno dal 1221 al 1245.

IV.

725

L'INSEGNAMENTO DELL’ARS NOTARIA NELL'UNIVERSITÀ DI PERUGIA:
MAGISTER MAFFEUS CONTEMPORANEO DI CINO DA PISTOIA E DI
BARTOLO; FRANCESCO DA Papova E PiERO DA CITERNA

L'insegnamento dell’Ars Notaria: venne impartito nell’ Ateneo
Perugino fin dalla prima epoca della sua fondazione. E, come vedremo:
più innanzi, questo insegnamento ebbe la più alta ‘considerazione nel-
l'epoca di maggiore prosperità e splendore del nostro Comune nel
sec. XIII.
134 GIUSEPPE BRIGANTI

Aveva im quest'epoca il Comune di Perugia esteso la propria
giurisdizione oltre i confini del proprio territorio. Sede preferita dei
Papi e sede di Conclavi, aveva l'onore di ospitare spesso i rappresen-
tanti dei vari stati della cristianità. Andava in tal guisa acquistando
un'autorità e un ascendente su tutti i comuni limitrofi che, se non
addivenivano sudditi, domandavano la sua alleanza e protezione, in -
modo che Perugia di quei tempi era l'arbitra del Partito Guelfo nel-
l'Italia centrale.

Sulle rovine degli edifici etrusco-romani si rinnovellava l'edilizia
cittadina, cui presiedette l'architetto fra Bevignate, il benemerito
ideatore del primo acquedotto, coronato dalla monumentale fontana
di Nicola e Giovanni Pisano; a lui si devono le grandiose costruzioni
del Sopramuro, le numerose strade, i ponti gittati in quel secolo; e, se
pure non l'architetto, fu forse l'ispiratore del maestoso Palazzo dei
Priori. ;

La prosperità politica ed economica del Comune favoriva lo svi-
luppo culturale, manifestatosi nelle opere di fra Bevignate, ma aveva
la sua base nell'insegnamento dello scibile di quel tempo che i Perugini
vollero completo con la istituzione dello Studio generale. Così sorse
e s'affermó il patrio Ateneo che venne maggiormente a consolidare
quell’autorità e quel prestigio per cui Perugia si trovò alla pari dei
principali Comuni d’Italia.

Il 12 settembre 1266 il Maggior Consiglio deliberava l’invìo di
Ambasciatori alle città vicine pro facto studii, per invitare la gioventù
studiosa a recarsi in Perugia ad apprendervi le discipline impartite
da valenti maestri. E poiché altri ambasciatori si erano portati nelle
principali città d’Italia alla ricerca di insegnanti di grido, trovia-
mo nelle deliberazioni decemvirali i nomi di Lamberto di Giovan-
ni, del Boninsegna, di Guido della Corgna, di Sinibaldo Benincasa
nel Diritto Civile; nella Matematica il Tribaldo, Niccolò di Gual-
fredo; nella Medicina Francesco da Lucca, Bosco Bernardino (Me-
dicus oculorum), Filippo ed Angelo da Camerino, Pandolfo e Bernardo
da Siena. i

L’Ars Notaria in questa prima epoca era compresa nel corso di

- Diritto Civile, ma una cattedra speciale l'ebbe quando fu realizzata

l'istituzione dello Studio generale, concesso da Clemente V (1308),
confermato da Giovanni XXII e dall'Imperatore Carlo IV.

Volle Perugia con la creazione dello Studio generale mettersi alla
pari dello Studio Bolognese, e in quel periodo di tempo l'organico del-
l'insegnamento comprendeva le facoltà di Diritto Civile, Diritto Cano-
RANIERO DA PERUGIA 135

nico, Ars Notaria, Medicina, l'insegnamento della grammatica e della
logica.

Il primo docente nell' Ars Notaria fu Magister Maffeus Recutii de
Porta S. Susanna che, già nominato nel 1305 lettore di Ars Notaria e

di Istituzioni, nel 1308 faceva parte del Consiglio dei Savi. In questo*

consesso rimase anche nel 1311 e 1313. ;

Nell'anno 1314, quando al nostro Maffeo venne deliberato lo sti-
pendio di 35 libbre di denaro all'anno per il suo insegnamento (il qua-
le si estendeva anche alla lettura della Summa di Rolandino), il no-
taio estensore della deliberazione affermò quanto fosse utile questo in-
segnamento per la città di Perugia. Nell'anno successivo (1315) gli An-
nali registrano una strana deliberazione, con cui veniva sospeso lo sti-
pendio ai professori oriundi della città di Perugia, fatta eccezione però
degli insegnanti di logica e grammatica. Ma nel prendere questa deli-
berazione fu fatta espressa eccezione per Maffeo insegnante l’arte no-
taria: benevola eccezione che si ripete in un’altra delibera del 31 ago-
sto dello stesso anno.

Questo benemerito insegnante tenne la cattedra dell' Ars Notaria
fin oltre il 1342 e quindi fu contemporaneo di Cino da. Pistoia inse-
gnante a Perugia dal 1326 al 1333, di Bartolo e di altri insigni lettori.

Altra benevola manifestazione ebbe Maffeo nel Consiglio Generale del

20 settembre 1326, in cui, con unanime votazione di 274 adunati, fu
approvata la proposta dei Priori in favore di Maffeo riguardo al suo
stipendio. | i

Ai singoli insegnamenti erano preposti un «ordinario » e uno
«straordinario » quelli che insegnavano la mattina e quelli del
pomeriggio. Cosi insieme al nostro Maffeo troviamo Francesco da
Padova. | |

Il 27 maggio 1316 si erano adunati i Priori con l'assistenza dei 20
Sapienti e del Rettore degli Scolari per procedere alla nomina di vari
Lettori, fra i quali troviamo Francesco da Padova, che per un periodo
di tre anni fu prescelto per l'insegnamento della Scienza Logica e
Notarile con lo stipendio annuo di 100 libbre di denari.

Il nostro Maffeo, osservavamo, era insegnante anche nel 1342,

poiché nello Statuto di Perugia di quest'anno si ripete il divieto di pa--

gare lo stipendio agli insegnanti Perugini: « Ma niuno cetadino per
lectura delle dicte scientie salario receva dal comune salvo che non
sentenda en coluie el quale leggesse la summa de la notaria overo del
notariato ».

Ció dimostra in quanta considerazione fosse tenuto quest'insegna-

i

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Y ài 136 SELE GIUSEPPE BRIGANTI

mento, e tale merito lo dobbiamo forse a Maestro Maffeo, poiché nella
stessa rubrica vi è un paragrafo speciale a lui dedicato:

«De l'offitio e del salario de mastro Maffeo » (1).

«Con cio .sia cosa che mastro Mafeo de Recuccio legga e leggere entenda
aglie volenteudire la soma de mastro Orlandino en l’arte de la notaria e’Ilivero
de la statuta e per lo tempo pasato sia suto salariato dal comuno, secondo
cho gl’altre dottore, la qual lettura de mastro Mafeo è troppo utele en la
citade de Peroscia, statuimo e ordenamo che esso mastro Mafeo da qui e da.
mo ennante sia e essere degga dottore en le ditte scientie e legga aglie vo-

. lente udire E che aggia dal comun de Peroscia annuatamente de l’aver del
comun de Peroscia el salario a luie ordenato per lo comun de Peroscia en
l’ordenamento scritto per mano d’Armanno de Ranaldo notario, e en quil
modo e forma cho e secondo enn esso se conthiene ».

Quale sarà stato il programma scolastico del notaio Maffeo ?
Rimandiamo il lettore a quanto nel paragrafo terzo del presente
lavoro é stato detto, esaminando la Summa Artis Notariae di Raniero
‘ da Perugia, poiché vi è da presumere che nella nostra città non po-
teva esser dimenticata l’opera di chi fu tra i primi ad informare ed
inquadrare i vecchi formulari nei principii dettati dal diritto romano e

. longobardo.

All’opera di Raniero avrà fatto seguito lo studio dei formulari di
Rolandino.

Le numerose lacune che si incontrano negli Annali Decemvirali
della prima metà del sec. xiv non permettono di dare maggiori notizie
biografiche del nostro Maffeo, che sicuramente sarà mancato ai vivi
poco dopo il 1342. B5

Sembra che il suo successore, condotto a Perugia dall'incari-
cato del Comune, Tancio di Gello, sia stato Piero di Francesco dal
Citerna, il quale dal Maggior Consiglio fu nominato Lettore del-
l'Ars Notaria con lo stipendio annuo di 30 fiorini d'oro e il 95 agosto
1351 passato ordinario per un anao a far tempo dal 18 ottobre suc- -
cessivo. |

Nei secoli xiu e xiv si perfezionò l'Ars Notaria, i cui principii
e le cui formule assunsero un assetto definitivo a seguito degli Sta-
tuti del 1366. gi

.. (1) Statuto del 1342, lib. IV, rubr. 100. Per le altre notizie cfr. i docu-
menti pubblicati da ApAMo Rossi (Vedi Bibliografia).
RANIERO DA PERUGIA

V

I NoTARI NEGLI STATUTI DEL 1279 E DEL 1342.
L’ARCHIVIO DEL COMUNE E I CATASTI

Le numerose disposizioni dello Statuto di Perugia del 1279 (1)
riguardanti il nostro argomento, ci dimostrano che il Notariato, nella i |
seconda metà del sec. xirr era già nel suo pieno sviluppo e la fede. i 4
pubblica aveva dato una illimitata fiducia ai notai, chiamati per l'esple-
tamento degli atti più importanti della vita del Comune, non solo nelle
sue mansioni amministrative, ma altresi in quelle del potere legisla-
tivo ed esecutivo delle piccole Repubbliche medioevali.

In ogni anno il Consiglio Maggiore eleggeva dodici notai, sorte g-
giati dai componenti il Collegio.

Due di essi rimanevano a fianco del Giudice, la cui competenza
era fino a dieci libbre di denari.

Il Giudice per le cause fino a 20 libbre di denari ne aveva altri
due, e altri due assistevano i Giudici di competenza superiore.

Nel Tribunale speciale « Super viis » figuravano due notai; e altri
due ve ne erano nei giudizi di appello. Non sono spiegate, nella Rubrica
che parla del Tribunale super viis, le speciali attribuzioni, le quali do-
vevano sicuramente soprastare all’igiene e alla sicurezza pubblica.

Sembra che il Tribunale fosse suddiviso in cinque sezioni, poiché per
esso si sorteggiavano dieci notai e cioè due per ciascuna Porta o Rione,
-in cui era divisa la nostra Città.

Dovevano verbalizzare i risultati delle rispettive adunanze e il ri-
lascio della copia si effettuava non prima degli otto giorni successivi
alle udienze.

E perché non fossero distratti nel disimpegno del: 1988 ufficio, era
ad essi proibito di esercitare la professione, nell'interesse dei privati,
nel palazzo del Comune e in quello del Podestà e Capitano del Popolo. .

Passando nel campo amiministrativo troviamo che il Massaro,
nelle sue mansioni di Tesoriere del Comune, doveva valersi dell’opera

. (1) Statuto di Perugia dell'anno 1279, rubr. 100, esistente presso l'antico
Archivio del Comune. Y 138 : GIUSEPPE BRIGANTI .

di due notai, uno per l'annotamento delle entrate e l'altro delle uscite.
e Dovevano redigere tutte le scritture riguardanti l'ufficio e la loro assi-
Lm stenza era continua. In caso di mancanza, pagavano a titolo di penale
| dieci soldi di denaro. Duravano in carica sei mesi, poiché per ugual
| tempo durava in carica il Massaro ed erano retribuiti con 15 libbre di
ii denaro (1). |
| Nell'assumere l'uffieio prestavano giuramento di «observare
| bona fide, remoto odio, amore, timore, pretio vel precibus alicuius » (2).

Esisteva in quel tempo un ufficio speciale per la divisione di beni
stabili che i cittadini avessero tra loro posseduto in comune, cosi detti
« communi dividundo »; ogni rione della città aveva un Ufficio affidato
i ad un notaio e ad un giudice.

Il maggior Consiglio del Comune, entro otto giorni dalla nomina
del Podestà e Capitano del Popolo, eleggeva un Sindaco ed un no-
| taio per rivedere la gestione dei precedenti funzionari usciti di carica.
AB : Le cruente lotte politiche di quei tempi obbligavano gli esponenti

| LER del partito soccombente ad esulare dalle proprie città e, se ció non
avveniva volontariamente, vi erano le note di proscrizione, e per dare
esecuzione alle medesime come pure per sorvegliare l'atteggiamento
dei fuorusciti e infine perché questi rimanessero lontani dalle mura
cittadine, vennero creati speciali uffici per la sorveglianza degli
M Wd esuli.
T | : Un notaio per ciascuno dei cinque rioni della Città teneva un
| | Registro per annotare tutti gli esuli e banditi dal Comune. Di questi
elenchi ve ne dovevano essere cinque copie, una delle quali si affidava
| ad un monastero della Città, cui erano pure affidati i più importanti
| carteggi del Comune; le altre copie erano depositate presso il Massaro,
(RI che le custodiva insieme al denaro a lui affidato.
BU Vengono precisate le norme per la tenuta dei registri e il notaio
TORRE che aveva omesso qualche nome doveva subire la pena alla quale era
stato condannato il bandito ilcui nome non era compreso nell'elenco (3).
| 1 Decemviri o Priori avevano il loro notaio per il Maggiore e
AI Minor Consiglio; un notaio accompagnava l’esercito nelle imprese
Na guerresche sempre con mansioni amministrative.
UT Gli uffici che presiedevano all'igiene «super fontibus » e alla via-

MII (1) Stat. cit., rubr. n. 105,
i MICI: (2) Stat. cit., rubr. n. 110.
WES UE (3) Stat. cit., rubr. n. 277-278.


RANIERO DA PERUGIA 139

bilità erano pure affidati ai notai, e tanta era l'importanza che si dava
agli uffici stessi che ve ne era uno per ciascuna Porta (1).

In qualunque ufficio, insomma, in cui vi fosse stato bisogno di
verbalizzare le relative mansioni e di tenere un registro, doveva esser-
vi un notaio, ed i privati stessi per tutte le scritturazioni, anche di mi-
nima importanza, ricorrevano al notaio. -

Gli Statuti si intrattengono auche sulla tecnica dei contratti,
per quanto riguarda pure le scritturazioni; sanciscono che nei testa-
menti non vi dovévano essere meno di tre testimoni (2).

Il notaio aveva l'obbligo di denunciare le disposizioni testamen-
tarie a favore del Comune (3) e sembra che dovessero essere state fre-
quenti, poiché il Massaro era tenuto ad avere un registro speciale per
annotare le donazioni relative (4).

Non mancavano i provvedimenti disciplinari, e sono caratteristi-
che le sanzioni di pene che si ripetono in ogni Rubrica per i notari ina-
dempienti alle varie disposizioni statutarie, in cui si contempla
anche il caso di falso e alterazioni di scritture per cui il notaio è punito
con il pagamento di 100 libre di denaro, e la pena veniva pubblicata
avanti il Maggior Consiglio (5). |

Nello Statuto di Perugia dell'anno 1342 si ripetono in gran parte le
disposizioni legislative del secolo precedente: ed emerge soprattutto
l'alta ingerenza del Comune, riferentesi all'organizzazione della Cor-
porazione dei notari. Si vede chiaramente come stesse a cuore dei no-
stri Reggitori il decoro della classe notarile per ció che riguarda la ca-
pacità, l'onestà e tutti quei requisiti necessari a mantenere ai tabel-
lioni la pubblica estimazione e fiducia. E se negli Statuti troviamo di-
sposizioni concernenti il Collegio dei notari, la sua organizzazione e il
regolare funzionamento, è segno evidente che il Comune esercitava
non solo un'alta ingerenza, ma rappresentava la Superiore Autorità da
cui dipendevano quei pubblici funzionari, dai quali si richiedeva ca-
pacità, onestà, requisiti necessari per l'esercizio professionale; cosi ri-
sulta dallo Statuto quando si parla della formazione della Matricola (6).

(1) Stat. :cit;, rubr. n. 168.
(2) Stat. cit., rubr. n. 459.
(3) Stat. cit., rubr. n. 464.
(4) Stat. cit., rubr. ri. 472.

(5) Stati. cit., rubr. n..11.
(6) Statuto di Perugia dell'anno 1342, libr. I, rubr. 100. 140 . : GIUSEPPE BRIGANTI

Il Podestà é il Capitano del Popolo dovevano sorvegliare la for-
mazione della Matricola, dalla quale erano esclusi i notari che per
capacità od altro non fossero stati ritenuti degni di appartenervi.

Non bastava essere immatricolati, ma in ogni anno si formavano
i cosi detti « Sacchetti », che venivano affidati ai Frati della Penitenza,
nei quali si ponevano i nomi di quelli più idoneiai vari uffici, ed ogni
sei mesi, od annualmente, si faceva il sorteggio per le relative nomine.

Il Consorzio dei notari era amministrato e presieduto da nove
Priori, i quali duravano in carica sei mesied erano eletti, nell'adunanza
generale del Collegio, otto giorni avanti l'entrata in carica. Di questi
uno era chiamato il Priore del Consorzio, di cui aveva la legale rappre-
sentanza; altri tre erano chiamati i Priori dei notari ;e gli altri cinque
venivano a rappresentare i cinque rioni in cui era divisa la città. -

Il capo dei Priori doveva scegliere quattro notai per Porta (in
tutto 20), ai quali spettava di invigilare sulle condizioni dei notai della
città e del contado; i medesimi venivano a formare un ispettorato per
controllare l'operato dei colleghi e mantenere cosi il prestigio di classe

‘in guisa da esser sempre degni di quella pubblica fede che manteneva

ad essi la generale estimazione. dioe

Nel sec. xiv era di gran lunga aumentato il numero dei notai
adibiti a funzioni di.carattere amministrativo e giudiziario, parago-
nabili agli attuali Segretari e Cancellieri. Il Podestà e il Capitano del
Popolo dovevano avere sette notai per ciascuno: ben 45 ne stavano a
disposizione dei loro giudici; altri poi, e spesso in quantità considere-
vole, dipendevano dal maggior Sindaco, dal Giudice della Giustizia,
ecc. Alcuni di essi dovevano per legge essere forestieri, altri potevano
scegliersi tra i tabellioni locali. A tutti poi era vietato l'esercizio delle
professioni di avvocato e procuratore, dovendo essi registrare, trascri-
vere, collazionare anche gli atti di importanza assai relativa; il che del
resto spiega il loro cosi ragguardevole numero e la frequenza dei casi
in cui era richiesta l'opera loro (1). |

Nell'amministrazione della giustizia il notaio riceevva la deposi-
zione dei testimoni, ma per delega del Giudice; riscuoteva le tasse giudi-
ziarie e le ammende, teneva il registro dei condannati e banditi, rila-
sciava le copie, compiendo le altre mansioni inerentia detto ufficio (2).

(1) DEGLI Azzi GIUSTINIANO, Brevi note di Diplomatica Giudiziaria Pe-
rugina nel sec. XIV. Cfr. « Bollettino della R. Deputazione di Storia Patria
per l'Umbria », vol. XXV, pag. 533. i
(2) Stat. cit., libro I, rubr. 11.
RANIERO DA PERUGIA i SESTA

I notari forestieri alle dipendenze del Podestà e del Capitano del
Popolo dovevano osservare altre speciali disposizioni.

Nell'amministrazione del Comune poi, come nelsecolo precedente,
viera il notaio dei Priori o Decemviri, che sedeva alla.loro mensa,
dimorando continuamente in Palazzo per tutto il periodo del suo uffi-.
cio. Anche in quel tempo mancava forse la semplicità delle mansioni,
così dette burocratiche, come risulta dal seguente elenco di uffici,
datoci dallo Statuto, in ognuno dei quali erano uno o più Notai.

I notai adunque facevano parte degli uffici del. Comune, cosi
elencati nello Statuto in volgare di Perugia del 1342 (1).

« De glie pagamenta da recevere per glie notarie de palazzo e de loro
e de certe altre nota1ie de gli offitiagle electione ». :

« Gl'ofitie veramente ai quagle ponere e mectere se deBgono esse notarie
el gle dicte saccogle sonno de socto scricte.

L'ofitio. del notariato dei palage dei signore podestade e depetauib.

L'ofitio del notariato colgle masare del comuno de Peroscia.

L'ofitio del notariato ell'armario del comuno de ps

L'ofitio del notariato de l'ensinuatione.

L'ofitio del notariato sopre gle sbandemente e Seba dominio,

L'ofitio del notariato col gle soprestante del canpo de la batalgla.

L'ofitio del notariato colgle colgletore dei salarie de la ‘podestade e del
capitanio e de certe altre ofitiaglie.

L'ofitio del notariato colgl'ofitiagle de l'abundantia e del canpione.

L'ofitio del notariato col gl'ofitiaglie de la Mastade.

L'ofitio del notariato colgl'ofitiaglie del biado del Chiuscie.

L'ofitio del notariato coll'ofitiale de la masaria e de l'aconcime dei pa-
laze del comuno de Peroscia.

L'ofitio del notariato colgle maiure gabeliere. .

L'ofitio del notariato sopre le mostre dei soldate.

L'ofitio del notariato sopre le colte vecchie.

L'ofitio del notariato collo priore de Colle.

L'ofitio del notariato colgle savie de lo Studio.

L'ofitio del notariato sopre le represalgle.

L'ofitio del notariato a copiare ella corte de meser lo scendeco.

L'ofitio del notariato a copiare ella corte del giudece de la giustizia.

L'ofitio del notariato colgle giudece da diece livre en giu.

L'ofitio del notariato collo giudece sopre le cose comune partire.

L'ofitio del notariato sopre le veture.

L'ofitio del notariato colgle scendecatore de la otestidé e del capitanio
e de gl'altre rectore del comuno de Ti ROscla:

(1) Stat. cit., libro I, rubr. 97.
142 GIUSEPPE BRIGANTI

Questo numeroso elenco, peró, non comprende tutti gli uffici
ritenuti dai notai, poiché ai medesimi erano pure affidati l' Archivio
.del Comune e il Catasto, due istituzioni di un'importanza maggiore di
quelle sopra elencate.

In data 6 maggio 1290 i Consoli del Comune adunati insieme con
i Rettori delle Arti deliberavano la nomina di un notaio e di un Cu-
stode, incaricati della conservazione di tutti i privilegi, istromenti, Ri-
formazioni, Registri e di tutte le altre scritture pubbliche della città,
affinché fedelmente si conservassero in ur luogo che fin d’allora venne
denominato Archivio. (1). Venne prescelto, come luogo più sicuro
alla custodia, il Convento di S. Domenico; indi verso la metà del
secolo successivo, l’ Archivio venne collocato nel nuovo Palazzo del
Comune, nella sala avente l’ingresso sul ballatoio situato a destra di
chi entra nella Sala dei Notari e sulla cui porta in ferro si legge tuttora
« Armarium generale ». i

Nel documento suddetto sono contenute le norme regolanti tutto
ciò che è necessario per l’organizzazione dell’ Archivio e suo funziona-
mento. Vi si parla della raccolta dei documenti e delle consegne, enu-
merando le varie forme degli atti del Comune, di quelle giudiziarie, del
rilascio delle copie e di tutte le cautele per evitare che i documenti
si smarrissero. Si ingiunge l’obbligo degli inventari da farsi in duplice
copia e sì raccomanda sopratutto la ‘continua sorveglianza da farsi
sotto la responsabilità dei custodi e dei notari preposti all' Archivio
i quali, oltre prestare giuramento, dovevano dare idonea cauzione.

Le vigili premure di quei nostri antenati non valsero ad evitare
gli incendi ricordati dagli storici perugini, tra cui quello dell'Archivio
della Cattedrale che, per deficienza d'acqua, venne spento con il vino
delle cantine dei Canonici.

I] Catasto, come attualmente, lufficio in cui si conservavano i
registri dei beni stabili, era diviso in due sezioni: una per gli abi-
tanti della città e l'altra per quelli del contado.

Anche questo era affidato ai notai che lo tenevano accuratamente

(1) Cfr. la Collezione Annali Decemvirali del Comune di Perugia: Annale B,
1284-1298, cart. 1291. Il documento è stato pubblicato da G. DEGLI Azzi, Per
la storia dell Antico Archivio del Comune di Perugia, in « Bollettino della R. De-
putazione di Storia Patria per l'Umbria », vol. VIII, pag. 29.

Materiale tutto oggi passato nel locale Archivio di Stato, ex-Convento
di S. Domenico, Piazza Giordano Bruno.
RANIERO DA PERUGIA 143

sotto l'osservanza del relativo Statuto: si conservano le copie dei con-
tratti presentati per le annotazioni catastali, di cui ne rimangono
"ancora circa 30.000 (1).

In Perugia l'istituzione del Catasto risale al secolo xIt1, forse prima
che in altri Comuni, poiché, per esempio a Firenze, la serie delle Decime
catastali si inizia soltanto nel 1427. I cittadini vi sono raggruppati
per parrocchie, le quali sono suddivise nei cinque rioni della Città.

Spesso vengono trascritti documenti con cui si concedono i titoli
e i privilegi della cittadinanza.

Sono 258 enormi in-folio, tutti in pergamena, e le famiglie gareg-
giavano nell'adornarli di miniature per la riproduzione dei loro
stemmi gentilizi e marche professionali o commerciali.

Detti Catasti terminano nel secolo xvi in cui ha fine il Catasto
ordinato dal Comune per far luogo ai nuovi Catasti istituiti dallo Stato
Pontificio.

Vi é da notare che le famiglie nobili avevano i loro Catasti par-
ticolari, spesso ricchissimamente decorati.

VI.

IL CoLLegio DEI NOTARI E SUA SEDE. — Lo STATUTO. LA MATRI-
COLA. — L'INVESTITURA ED ALTRE NOTIZIE VARIE

L'ordinamento corporativo s'iniziava in Perugia nel secolo xii
.esi completava con le Corporazioni delle Arti verso la metà del secolo
successivo, quando la nostra città, durante il periodo Avignonese, si
era costituita in repubblica indipendente. :
L'ordinamento corporativo di Perugia in quel tempo si imper-
niava sui quaranta Collegi, in cui erano raggruppate le Arti cittadine.
I Collegi del Cambio e della Mercanzia avevano il diritto di tenere
rappresentanti tra i Decemviri, il Magistrato dei Dieci, chiamato an-
che dei Priori, cui era affidata l'amministrazione pubblica; gli altri

(1) Dette pergamene fanno parte del « Fondo Gardone », il cui Regesto
viene compilato dal Bibliotecario della Comunale di Perugia e Conservatore -
dell'Archivio:. di Stato prof. Giovanni Cecchini.

\
144 | GIUSEPPE BRIGANTI

membri si estraevano a parte dalle Arii classificate: calzolari, la-
naioli, sarti, lavoranti in pietra e legname, fabbri, macellari, taver-
nieri, speziali, mercanti di panni vecchi, alie formavano la prima |
classe. i

La seconda comprendeva i pesciaioli, i procaccianti (mediatori),

‘| gli scudellari, i vasari, i fabbricanti di cappelli e berretti; i battilana,

i materassai, i merciai ed i pettinari.
La terza classe comprendeva i ciabattini, gli; zoccari, i pollaioli, i

tessitori, i pizzicarelli (ortolani).

La quarta comprendeva gli spadari, i fabbri-ferrai, i calzolari, i
pittori, i barlettari (bigonzari), i pietraioli, i funari e bastari.

La quinta comprendeva i tegolari, i bovattieri, i.cestari e cor-
bari, i pellicciari, i sellai, i fornari, i barbieri e i tintori.

Ogni Corporazione aveva i suoi Camerari, i quali si riunivano
insieme con i Decemviri o Priori per decidere gli affari amministrativi
e politici del Comune.

I cittadini, poi, che si dedicavano ad un lavoro o ad un’attività
di carattere prevalentemente intellettuale, quali medici, avvocati,
Lettori dello Studio, notai, erano. Taggruppati in Collegi; anche i par-
roci Urbani formavano una Corporazione con relativo Statuto. E
chiunque, ad eccezione degli ecclesiastici, voleva partecipare alla

vita amministrativa e politica del Comune, doveva i iscriversi ad una
Arte.

I notai forse erano quelli che più di tutti prendevano parte di-
rettamente o indirettamente alla vita pubblica della città.

Il notaio dei Decemviri risiedeva in Palazzo e faceva vita co-
mune con i Priori.

L'ufficio del notaio non si esplicava soltanto nella stipulazione
dei contratti; ciascuna delle Corporazioni delle Arti aveva il suo no-
taio. Qualsiasi verbalizzazione riferentesi a pubblici affari veniva affi-

‘ data al notaio. E quindi avevano il Notaio i Massari, i Catasti, l'Uf-
ficio dell'Annona, dei Danni Dati, nonché altri Uffici o Commissioni

che erano emanazione dello stesso Comune, come abbiamo veduto
nel paragrafo precedente.

Il Podestà, il Capitano del Popolo, il Giudice di Giustizia; le Au-
torità Ecclesiastiche, quali il Vescovo, gli Abati, i Capitoli, emana-
vano decreti e sentenze autenticate a mezzo del notaio.

Veniva adunque consacrata con un atto notarile qualunque af-
fermazione od espressione della vita pubblica e privata.
RANIERO DA PERUGIA 145

H Collegio dei Notai ebbe, nel 1300, sua sede in un palazzo in
| prossimità della Cattedrale, demolito nell’ anno M per l'ingrandi-
mento della Cattedrale stessa.

Contemporaneamente fu edificata la nuova, che ancora ammiria-
mo, corrispondente al palazzo situato sull' angolo formato dal Corso *
Vannucci e dalla Via Calderini, l'antica Via Pinella, che prese nome da
quel. Cardinale, Legato Apostolico, il quale nel 1591 ordinó l'allar-
gamento dell'angusta via denominata allora Rimbocco degli Seu
lari.

L'architetto Valentino Martelli, nel dirigere lo sventramento,
che apriva una nuova arteria tra la Piazza del Duomo e quella del
Sopramuro, causó la deturpazione interna ed esterna del Palazzo del-
l'Udienza dei Notari, i quali, peró avevano già trasportata la loro sede
nel Palazzo Comunale, nel Salone che porta tuttora il loro nome.

Si ammira ancora, sebbene deturpata, la facciata del vecchio
palazzo dalle trifore imitanti quelle del prospiciente Palazzo Comu- -
nale. Nella stessa facciata si ammira il grifone passante sopra il cala-
maio con la penna; l'emblema ufficiale dei notai era peró quello
dell'Evangelista S. Luca.

Chi volesse attingere particolari notizie dell'antica sede, potrà
desumerle dalla Descrizione topologica-istorica della Città di Perugia
di Serafino Siepi, il quale vi ricorda anche una tavola di Sinibaldo Ibi,
scolaro del Perugino, rappresentante l'Annunciazione.

Tornando alla Sala dei Notari nel Palazzo Comunale, noteremo
che fu adibita a sala delle udienze giuridiche. In quel tempo non
. Ni si ammiravano gli affreschi del Cavallini nè gli stemmi dei Ponte-
fici e dei Podestà perché il Cardinale Riario fin dal 23 aprile 1582 aveva
iniziato la modifica della Sala stessa che non aveva più la primitiva
linea medioevale, ma si presentava a tre navate divise da sei pilastri -
con tre arconi, come è descritta dallo stesso Siepi.

In seguito il Comune, forse a corto di denaro anche in quel
tempo, vendette al Collegio dei Notari la sala per il prezzo di 4.000
scudi, che, per la valutazione corrente, ammonterebbe a non meno
«di 3.000.000 di lire.

La sala venne poi arredata, nel 1599, con sedili, banconi e ar-
madi, in cui erano custoditi gli atti notarili.

._ Rimase quivi la Sede del Collegio dei Notari fino all'epoca in cui
«andò in vigore il Codice di Napoleone (luglio 1809-maggio 1814), se-
guito nel gennaio 1815 dal Nuovo Codice Pontificio di Procedura Ci-
. vile, per il quale il Tribunale di prima istanza venne trasportato nel

10 146 SINN .GIUSEPPE BRIGANTI

Palazzo dell'antica Università (ora Corte d'Appello), e nella Sala dei
Notari rimasero gli atti di natura civile, affidati ad un notaio che
ne estraeva e rilasciava copia ai richiedenti.

Oltre la sede, i notari possedevano, fin dal 1300, un Ospizio, si-
tuato nei vecchi locali adiacenti alla Chiesa e Monastero di Santa Ca-
terina in Corso Garibaldi, che, secondo noi, non era altro che un ri-
covero uguale a quelli posseduti dal Collegio del Cambio in Porta San
Pietro e dal Collegio della Mercanzia in Porta S. Angelo, destinato

. ad alloggiare i viandanti poveri, ospitale, quindi, non Ospedale.

Lo Statuto ela Matricola: del Collegio dei Notari si conservano

tra i manoscritti della Biblioteca Augusta di Perugia contrassegnati

con i N.ri 972 e 973.
‘ Lo Statuto comprendeva semplicemente disposizioni di carattere
amministrativo, come era sancito generalmente in tutti gli statuti delle

. Corporazioni; non essendovi disposizioni di carattere giuridico, trala-

sciamo di prenderlo in esame.
La Matricola del 1403 non è altro che il itacimiento di una vec-

- chia- Matricola esulata or son pochi anni dalla nostra città e che-ora

trovasi presso la Biblioteca di Brera a Milano.

La Matricola porta in principio una miniatura rappresentante
l'Annunciazione. La Vergine Annunziata era la protettrice dei notai
e la sua festa veniva da essi solennizzata con una processione raffigu- -
rata in üna miniatura. della Matricola stessa. : :

Iu questa i notari della città erano raggruppati per Porte: Porta
S. Pietro, Porta S. Angelo, Porta Sole, Porta Eburnea, Porta S. Su-

sanna, e venivano distinti da quelli del Contado.

Dell’epoca da noi studiata è un'investitura fatta dal Comune di
Perugia che, nel 1266, nominò a sua richiesta notaio Bartolomeo Bo-
naccorsi, |
‘Secondo lo stile del tempo, il documento reca anzitutto che il no-
taio potesse pubblicamente stipulare. | —

Sembra che la nomina spettasse al Comune, mentre l’investitura
era un’attribuzione del Podestà, poiché il documento stabilisce espres-

samente: dopo che il Consiglio ebbe nominato il Notaio suddetto.

Nel documento viene descritta la formalità dell’investitura spet-
tante al Podestà. L'investitura fü celebrata «cum Callamario et
penna» e al notaio fu data facoltà di stipulare tutte le contrattazioni
‘consuete, obbligandosi sotto il vincolo del giuramento di non mancare
RANIERO DA PERUGIA UN qam

alla fede krpostágli e di scrivere il vero; mantenere il segreto profes-:
sionale, tutelare gli interessi degli orfani, delle vedove, degli Ospedali,
dei luoghi religiosi, ecc. Segue inoltre la consegna delle carte relative
ai contratti stipulati dal genitore dell’investito. i

La deliberazione venne presa con l'assistenza dei testimoni e dei
Banditori (trombettieri) del Comune,

Le caratteristiche di questa investitura ci rammentano quanto
si legge nei trattati di Storia del Diritto per ciò che si riferisce alla
investitura dei notai, la quale, più che dall’autorità comunale dipen-
deva da quella imperiale e pontificia.

L'Imperatore, suprema autorità, emanava continuamente pri-
vilegi a favore dei suoi sudditi, che non potevano godere nessun bene- -
ficio civile se non fosse stato affermato nei diplomi imperiali. Non ap-
pena quindi i Notai ebbero la veste di pubblici ufficiali, si sentì il biso-
gno che l'autorità di cui erano insigniti, venisse loro da un'autorità su-
periore, di conseguenza l'Imperatore era quello che doveva nominarli.

A principiare dal sec. x i Notai nella loro sottoscrizione aggiun-
gevano sempre la qualifica « imperiali auctoritate » o « imperiali aula ».
E poiché i maggiori dignitari delegarono ai minori le facoltà di cui era-
no investiti, gl'Imperatori non solo nominavano direttamente i Notai,
ma vi provvedevano a mezzo di delega ai loro vicari, i conti Palatini,
e questi, alla lor volta, alle nobili famiglie. In seguito anche il Pontefice,
arrogandosi il diritto di nominar Notai, dette dim facoltà ai Legati
Apostolici e ai Vescovi.

La cerimonia dell'investitura si faceva d'ordinario in una Chiesa,
con grande solennità. Il candidato, inginocchiato avanti al Conte Pala-
tino o a chi altri rappresentasse l'autorità Imperiale o Pontificia,
riceveva da lui la penna, il calamaio e l'anello, simboli della sua di-
gnità, e prestava giuramento sul Vangelo di bene e lealmente eserci-
tare l'ufficio. Nel secolo xv si aggiunge a queste formalità del cerimo-
niale dell'investitura lo schiaffo « alapa », che il Conte Palatino dava
sulla guancia del Notaio inginocchiato avanti a lui, quasi ammo-
nimento delle sanzioni penali in cui avrebbe potuto incorrere eserci-
tando male il suo ufficio. Lo schiaffo simbolico è forse imitato dalla.
liturgia canonica della cerimonia della Cresima, in cui il Vescovo dà
del pari uno schiaffo sulla guancia del cresimando, ut

L'«imperieli auctoritate » unita a quella apostolica veniva ri-
chiamata dai notai nelle loro SSTOSCELAOHE e aleuni l’ ADU an-
ehe nel sec. XVIII. 148 GIUSEPPE. BRIGANTI .

Nostro proposito era il ricordare Raniero da Perugia e la legisla-
zione perugina nei secoli xiu e xiv: lasciamo ad altri il compito di
narrare le vicende del Notariato cittadino in quelli successivi.

Per questa seconda epoca aumentano le fonti, sia in riguardo ai
documenti conservati nell'antico Archivio Comunale, sia per quella
particolarissima dell'Archivio Notarile, che risale al secolo: xiv.

Dai numerosi protocolli ivi esistenti potrà desumersi quale siano
state la forma dei contratti secondo le varie epoche; le attribuzioni
del notaio e i limiti della sua competenza eilriadizionale quando
assumeva la veste di Giudice.

Di sommo interesse sarebbe anche lo studio dell'Archivio del Col-
legio Notarile, nel quale sono custoditi i fascicoli delle delibere consi-
liari del Collegio e i registri amministrativi.

Il Collegio possedeva una proprietà immobiliare di terreni e fab-
bricati poiché i notai pagavano degli emolumenti, i quali, accumulan-
dosi con l’andar dei secoli, avevano formato un patrimonio che, verso
la metà del secolo scorso, fu devoluto in opere di pubblica beneficenza.

VII.
I Copici DELL’« Ans NOTARIA » NELLA BIBLIOTECA AUGUSTA

DI PERUGIA

Si trovano descritti nel Catalogo dattilografato (inedito) dei ma-
noscritti della Biblioteca, da pubblicarsi in continuazione al Catalogo
del BeLLUCCI, sotto la denominazione « Nuovo Fondo», da pag. 127
a 129.

N. 49. — RANIERO da PeRruGIA. - «De Arte Notaria». — RANALDO,
giudice. — «Formularium». — «In nomine patris et filii et spiritus sancti amen.
— In nomine domini Amen ars notarie ranerii perusini de negotiis legitime
ordinamdis proemium / et cuilibet eorum incertum condictionis fideicom-
missi competiturum ». — Codice membranaceo di cc. 60. Legatura moderna
in tela grezza al dorso e granulata, color marrone ai piatti. — Scrittura gotica;
lettere capitali in rosso e turchino; rubriche in rosso. — A c. 35 termina l'«Ars
Notaria », e a c. 37 inizia il « Formulario »: « Incipit formularium domini ra-
naldi iudicis A abreviatura terre. — In nomine domini amen. — Anno Christi a
nativitate. M . CC. XL domino papa Gregorio residente et domino. Frederico
imperatore seregnissimo imperante. indictione. XIIII tertio idus februarii
RANIERO DA PERUGIA 149

actum in civitate aretina ante domum plain fabri coram talibus ». — A c.
59: « Cartà emptionis et vendictionis ». Nel Formulario, che ha note, postille,
richiami di rubrica, si hanno pure pagine interamente glossate. E, fra le
tante formule contrattuali, una ve n’ha che reca la data: «M. CC. XXXI.
indictione tertia die martis ultimo mensis Iulii Imperante domino Frederico
secundo romanorum jimperatoré » — Dimensioni : mm. 150 x 210.

N. 47. — ROLANDINI PassAGERI. — « Summa artis notariae » e « Trac-
tatus de notulis ». — « Jehsus sacri ventris fructus pie matris prece ductus sit
via et conductus liber in hoc opere amen - Incipit Summa magistri Rolandini
Pasagerii / Explicit Summa domini Rolandini super Arte Notarie opus pre-
ciosum, Deo gracias Amen ». — Codice membranaceo del sec. XIV, di cc. 48.
Consta di sei fascicoli di cui alcuni ultimi sono palinsesti, e la scrittura ante-
riore sembra del sec. XIII. — Rubriche in rosso; lettere capitali in rosso e
turchino. Scrittura gotica a due colonne; glosse marginali, sincrone.

La c. 1 ha due belle miniature che adornano una A ed una I, riprodu-
cendo due figure in costume notarile. — Al margine della c. 7 è una tabella
dei valori monetari romani e sottomultipli dall'Asse al Sestante. — Lettere
capitali a c. 11, 14, 19, 21, 23, 24, 29, 40 e 42. - La « Summa Artis Notariae »
comprende le cc. 1-41. — A c. 42 è il « Tractatus de Notulis », che comincia
con la Rubrica: « Quid sit notaria et unde dicatur ». — A c. 48 è un breve
elenco di formule legali. — Si osserva che le ultime cc. da 45 a 47, sono di
mano più accurata e regolare, che si avvicina molto alla forma tipografica.

Legatura moderna di lusso, in cuoio rossiccio, a cinque nervature, che
reca impressioni in oro su ambi i piatti, dentelli interni pure in oro, e l'indi-
cazione in basso al dorso: « Cod. membran. Sec. XIV ». — Firmata: Tarditi
Leg., Torino.

La c. 48 t°. ha la seguente nota un po’ cancellata da acqua e da alcune
abrasioni: « Scrito de Ser Christofolo bianco de mano propria. — Questa
Suma de nodaria Sie de Christofolo biancho la qual i fo inprestada dal nobel
homo miser michiel de yapodesta in Arezo et Chila chata si la daga
per so bona cortexia». La leggenda è posta in alto del foglio, mentre tutto il
resto della pagina é occupato da un disegno nel senso della lunghezza che
raffigura lo scoatro di due cavalieri: un combattimento di Orlando. — Di-
mensioni: mm. 230 x 359.

Uno scritto anonimo del 1897 avverte che il Codice, già appartenente
al diplomatico e paleografo piemontese Conte Bollati di Saint-Pierre, fu
comperato dalla Libreria Bocca. — Avrebbe dunque appartenuto a Emanuele
Bollati, lo stesso possessore di uno dei Codici dell'« Ars Notaria » di Rauiero
da Perugia, che il Gaudenzi poté studiare a Trieste.

.N. 48. - RoLaNDINUS DE PassaGERIS. — La « Summa Artis Notarie »
e il « Tractatus Notariarum ». — « In Christi nomine amen. Jhesus sacri ven-
tris fructus pie matris prece ductus, sit. via dux et conductus liber in hoc
opere amen. Incipit primum capitulum immobilium rerum diversis titulis

4
150 ‘ GIUSEPPE BRIGANTI

et causis contineas dationes. Rubrica. / Qui scripsit scribat semper cum do-
mino vivat / Vivat in celis M. in nomine felix. / Scriptor hunc librum locetur
in paradisum / Est liber expletus cum Christi munere letus ». — Codice mem-
branaceo di cc. 52 (l'ultima è tagliata) dei primi del sec. XIV. — Scrittura
gotica a due colonne. Lettere capitali in rosso e turchino; rubriche in rosso, =
Il « Tractatus de Notulis » comincia a c. 45. — A c. 51: esempi di atti notarili,
— Aleune glosse e note marginali. :

Legatura con assicelle, del sec. XIV; dimensioni: mm. 259 x 361.

Nel risguardo interno del piatto posteriore, di mano del sec. XIV, è
questo ex-libris: « De frate Luca da Foligno ».

GiUSEPPE BRIGANTI

BIBLIOGRAFIA

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Bini V., Memorie istoriche della Perugina Università degli Studi e dei suoi
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NECROLOGI
Dott. Cav. nr Gr. Croce GIORGIO ANDREOLI...
DEI. MARCHESI DI SOVICO si

Nato a Pergola — in provincia di Pesaro — il 2 maggio 1863, Gior-
gio Andreoli è morto il 22 maggio 1945 a Gubbio, la città originaria,
della sua antica e patrizia famiglia: alle due regioni, la marchigiana e.
l'umbra, egli ha portato un eguale, intenso: amore, e nelle -due re-
gioni, anche se per le esigenze della carriera ha dovuto dimorare spesso
altrove, ha passato la più gran parte della sua vita. |

Entrato giovanissimo nella Magistratura, vi percorse rapida-
mente i gradi sino a quello di Procuratore Generale di Corte d'Ap-
pello, le cui funzioni altissime esercitó dapprima a Cagliari, poi a
Bari, e finalmente ad Ancona. Lasciato per raggiunto limite di età
il servizio effettivo, gli fu conferita la nomina a Procuratore Generale
di Cassazione. |

Una raffinata educazione umanistica gli giovó non solo a su-
perare brillantemente quelle difficili prove grazie alle quali gli

anche a portare nella sua missione di magistrato un senso di
squisita comprensione, e a coltivare con intelligente ardore gli studi
letterari e storici. m j
L'assistenza ai profughi durante il primo conflitto mondiale, e
la prolungata opera a vantaggio degli orfani di guerra, segnano la
realizzazione di uno degli aspetti del suo carattere generoso. Le sue
relazioni per cerimonie inaugurali di anni giudiziari non si limitano
ad essere modelli del genere /dal punto di vista tecnico, ma attrag-
gono anche per la nobiltà della forma, per la piena coscienza dell'al-
ta e difficile missione dell'Ordine Giudiziario al quale sempre si pro-
fessò orgoglioso di appartenere, per il sincero convincimento che il
lavoro della magistratura deve contribuire a perfezionare il sistema
legislativo, per lo studio continuo dei programmi che si propongono
la redenzione del colpevole durante e dopo l'espiazione, per la com-

prensione dei doveri del giudice verso il mantenimento della concor-
dia sociale.
NECROLOGI 153

Oratore ammiratissimo e scrittore efficace, oltre alle relazioni
delle quali si é detto e a memorie d'indole giuridica, ha lasciato molti
articoli di quotidiani e di riviste, illustrando con garbo e con preci-
sione ricordi di carattere locale. Negli anni 1930 e 1931 ha pubbli-
cato sulla rivista « Urbinum » due larghi estratti da un Diario urbi*
nate del primissimo Seicento. E stato Socio effettivo dell'Accademia
Raffaello in Urbino, e Corrispondente della nostra Deputazione.

Figura nobile quant'altra mai nella sua schietta tempra morale,
Giorgio Andreoli ha lasciato l'esempio di una lunga vita mirabil-
mente appassionata nella ricerca della verità e della giustizia. Attento
e scrupoloso nel suo alto ufficio, non ha trascurato (esemplare anche
in questo) i buoni studi e le memorie del passato, traendone affina-
mento allo spirito, conforto nel diuturno lavoro professionale.

AcHILLE BERTINI CALOSSO . GUSTAVO BIOLI
| (1:27 ottobre. 1945)

Gustavo Bioli appartenne a quella generazione, che sui primi:
del novecento schiudeva l'animo a generose speranze: quella genera-
zione, che aveva avuto impareggiabile maestro di umanità: Giosuè
Carducci, e che, venuto a mancar quello, s'avviava a prender chiara.
consapevolezza di sé, sotto la guida di Benedetto Croce.

Un gagliardo anelito le rimpieva il petto, quasi presaga d'esser
chiamata di li a poco a far olocausto della propria giovinezza, per
dischiudere all'Europa le vie del suo faticoso cammino. Ritornó dai
campi cruenti, più fidente nelle proprie forze, più ferma nel proprio.

' volere, più tenace nel proprio lavoro. Da quel sacrificio cruento, da

quella generosa offerta, attinse la piena consapevolezza di se; a quella
scuola di sacrificio imparò la vita, ne sentì tutta la grave responsa-
bilità, prese il gusto di viverla degnamente.

La vita di Gustavo Bioli acquista valore paradigmatico, rife-
rita a quella della sua generazione. Nato a Città di Castello il 15 feb-
braio 1885 di umile famiglia, fu avviato, a compimento degli studi
primari, a quelle scuole tecniche, ch’erano allora la massima ambi-
zione dell’artigianato urbano, e che così degnamente risposero, in
innumerevoli casi, alla fiducia in esse riposta. Giovinetto, militò nel
partito socialista, come tutta la gioventù più fervida d’allora, e nel
foglio locale di quel parutos «La Rivendicazione» fece le sue prime
prove.

. La guerra di Libia e più tardi quelli esperienza che, dinanzi alla
guerra europea, indusse tutto il popolo italiano a convertire gli ani-

mi dalla neutralità all'intervento armato, lo distaccarono dai com-

pagni della prima giovinezza e parti per il fronte. Tenente di fanteria
e comandante d'una compagnia di mitraglieri, fu circondato e ferito
gravemente in un corpo a corpo notturno, e per trattenere la baio-
netta nemica che doveva trafiggergli il petto, ebbe recise tutte le
dita delle due mani. Raccolto quasi esanime, con le ferite aggravate
dalla canerena per congelamento, Peregrino prigioniero per gli ospe-
NECROLOGI : 155

dali austriaci, ove soffrì rassegnato i ripetuti interventi chirurgici,
nel tentativo di salvare le sue povére mani nionche. .

Ritornato in patria, si gettó con rinnovata passione nella. vita
giornalistica e fu chiamato a dirigere un giornale di organizzazioni
sindacali a Biella. Venuta meno la libera stampa, la sua passione di
ricercatore e di bibliofilo, gli dischiusero un nuovo campo d'attività.
‘ Si strinse allora di fraterna amicizia con Achille Pellizzari, amicizia
che durò sino alla morte. AI

Tornato a Città di Castello, dette corpo ad un disegno che va-
gheggiava da lunghi anni: fondare una rivista che promuovesse e
ravvivasse la coltura paesana, mettesse in più vivida luce il pregio
e l'originalità dell'artigianato altotiberino (maiolicari, liutai, rica-
matrici), raccogliesse le antiche memorie e le tradizioni popolari, ri-
chiamasse tutti all'amore per la propria terra e per le sue antiche me-
morie municipali.

. Da questa fedeltà al proprio paese, da questo illuminato amore

alla propria terra, nacque «L’alta Valle del Tevere». Essa vide la
luce per la prima volta il 21 aprile 1933 e per otto anni usci in fasci-
coli bimestrali sempre varia, spigliata, attraente, con una saggia do-
satura di soda dottrina storico-letteraria e di piacevoli racconti, di
fantasiose leggende, di canti popolari, di storie di santi e di eroi.
3 Amintore Fanfani, Mario Salmi, Sergio Mochi Onory, Goffredo
Bendinelli, Antonio Minto, Antero Meozzi, Vittorio Corbucci, non
sdegnarono collaborarvi incitando quasi col loro esempio, i giovani
del novissimo bando, Nicola Palarchi, Antonio De Cesare, Agostino
Turba, Igea Torrioli, Giovanni Ugolini e tanti altri:

Gustavo Bioli parve ringiovanire. In lui e nella sua parola ogni
collaboratore anche il più lontano, trovava la giusta voce e quella
convenienza, che dava alla rivistina quel suo particolare carattere.

Indenne sui suoi cinquant'anni, il Direttore correva per ogni dove, .-

interrogava ogni comunello, ogni terricciola, frugava archivi di chiesa,
svegliava dai secolari sonni nei pacifici solaile vecchie carte, ovun-
que cercava documenti, tradizioni, canti, memorie e giovani colla-
boratori. Artigiani ingegnosi, imprenditori coraggiosi, solerti agri-
coltori, ogni forma d’intelligenza, ogni fervore d’attività gli piacque
esaltare, incoraggiare, additare all'esempio dei vicini, all'ammira-
zione dei lontani.

| Questa sua varia e benefica attività, se non gli fu parca di delu-
sioni e di sacrifici, gli attirò anche larghi consensi e simpatie: e quando
le ragioni dell’età consigliarono il collocamento a riposo dell’avv. Vit- 156 ; NECROLOGI

torio Corbucci direttore della Civica Biblioteca, Gustavo Bioli, l'auto-
didatta, fu chiamato a succedergli, mentre un altro: riconoscimento
gli veniva dalla Sovrintendenza ai Monumenti per l'Umbria, che ne
proponeva la nomina ad Ispettore onorario dei Monumenti.

Ma fra tutti i riconoscimenti, quello che appariva più doveroso;
era che il direttore d'una rivistina, che così vivacemente riproponeva
alla coscienza d’un più vasto pubblico le antiche memorie dell’ Um-
bria, fosse chiamato a far parte come Corrispondente di questa De-
putazione di Storia Patria. E questo riconoscimento; forse il più am-
bito, il più caro al suo cuore, egli l'ebbe e n'andó sempre orgoglioso.

Dai suoi concittadini, da quelli che erano certi che la sua opera
avrebbe dato alla Biblioteca Civica una nuova vita, ch’egli avrebbe
saputo immetterla in un più vivace circolo vitale, onde promuovere
una più valida e moderna cultura, ebbe un più profondo un più co-
struttivo consenso: ottenne ch'essi legassero le loro splendide biblio-
teche alla Comunale.

Le cure alla sua cara Biblioteca, furono interrotte solo dai primi
segni di quel cieco malore, che i disagi degli anni dell’ultima guerra
dovevano esacerbare, dipingendo nel suo volto già così facile all’a- '
perto sorriso, quella rassegnata tristezza, che s'impadroni dell'animo
suo alla vista delle tante sventure che si abbattevano su la Patria di-
letta, cui aveva sacrificato la sua giovinezza.

GiNo FRANCESCHINI

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PapnE ETTORE RICCI

Con quella del Padre Ettore Ricci dell’Oratorio di Perugia
(morto a. Perugia il 19 gennaio 1946) è scomparsa una tra le bene-
merite figure di studiosi di provincia che avevano consacrato tutta
una vita ad illustrare in ogni aspetto la storia della propria terra, e
l’opera dei quali aveva dato, nelle monografie locali, il più grande
contributo alla storiografia nazionale. È una scomparsa che lascia
un vuoto che non sarà colmato, perché nessuno delle nuove genera-
zioni viene a sostituire i vecchi nelle ricerche erudite — la vita è
sempre più difficile per quel che la rendiamo noi, per il costume
nostro, per le esigenze sempre crescenti di una vita facile, di im-
mediati guadagni, di rapida carriera, di manifesto successo — e Pe-
rugia che da antica data aveva una non interrotta serie di valorosi
studiosi e cultori del suo patrimonio storico e artistico, vedrà deserti
i suoi archivi e più nessuno che illustri la sua passata civiltà, così
piena di interesse e di fascino, che ricerchi l'origine di tradizioni no-
bilissime. Ha perduto dunque col Padre Ricci la Deputazione di Sto-
ria Patria per l'Umbria non solo uno dei fondatori, ma uno dei suoi
uomini piü rappresentativi ed operosi; uno, nella sua modestia, dei
più consapevoli della importanza morale e attuale delle Deputazioni
locali nel campo della cultura dell'intero paese. Per questo il ritratto
che ne tracceremo su queste pagine, ammirati della figura dell'uomo,
sarà, forse, più un ricordo affettuoso che un compiuto critico ritratto
e.ci auguriamo di essere compresi dei limiti che, alla valutazione dello
storico e dell’esteta, l'affetto può aver posto non sempre consapevol-
mente.

: Giovanni Ettore Ricci era nato a Cortona il 3 agosto 1866. Suo
padre, Alceste, era un.modesto pittore, dedicatosi quasi unicamente
all’arte sacra: senza grande successo, ma raggiungendo una sufficiente
notorietà locale di dignitoso compositore di sacre tele. Regole tecni-
che, estetiche, storiche e liturgiche, numerosissime, facevano del pit-
tore di quadri sacri un duro mestiere più che un’arte. E quelli che lo
praticavano - i più almeno — erano quanto mai modesti e non si sareb- 158 2 NECROLOGI

bero mai sognati di derogare ad alcuna di quelle moltissime regole,
perché le accettavano e perché non si ritenevano (la modestia era, .
a quei tempi, comunemente apprezzata) tanto grandi personalità da .
poter rinnegare la tradizione, gli insegnamenti di una scuola. Me- .
. Stiere, dunque, e disciplina, prima che arte; la qual ultima parola
LER . poi, era.talmente sacra e solenne che pochi e poche volte s'attenta-

| | tavano di pronunciare, temendo di proferirla a “sproposito. Comunque -
un'educazione artistica il piccolo Ettore Ricci dovette riceverla in
easa, anche nonostante il divieto del padre al figlio di dedicarsi alla i
pittura; divieto che Ettore Ricci, vecchio ancora, ricordava sorri-
dendo ed osservando che la sua vera inclinazione, più che per gli stu-.
di, doveva essere per la pittura, nella quale, a tempo perso e da dilet-
il lante, aveva dato prove non dubbie di iuge anché come Fostane
Mul ; ratore di antichi quadri.

(INI i Trasferitosi con la famiglia, ancora bambino, da Cortona a Pe-
ERI . rugia, compi presso gli istituti perugini quelli che una volta, giusta-

| mente, venivan chiamati studi di umanità. Terminato il ginnasio e
TEN E mostrando vocazione allo stato ecclesiastico entró nel Collegio Ora-

i | dino, ora soppresso, che aveva buone tradizioni culturali cittadine, e.
vi frequentò le scuole del Seminario.

Erano quelli tempi d'oro per la vita del Seminario perugino. L'al-

lora Papa Leone XIII- da Vescovo di Perugia — aveva dedicato a que- . |

| . Sto antico e glorioso istituto Ie sue qualità intellettuali ed organizzative dq
d'eccezione e larga parte del suo privato bilancio. Serviva ormai di
SU ‘ modello agli altri Seminari. E d’ogni parte si guardava, con ammirata
“il i simpatia, al.clero perugino che il grande vescovo aveva saputo crea-
| re. La vita ecclesiastica perugina aveva raggiunto un altissimo li-
vello culturale con elementi quali un Rotelli, un Satolli, un Brunelli,
un Frontini, un Cicioni. Ruggero Bonghi, uomo politico italiano e
pubblicista notissimo allora, mostrava il più vivo interesse a questo
giovane clero e più d’una volta ne aveva scritto additandolo, insie-
me a quello napoletano, ad esempio del clero italiano SICH accu-
sava di decadenza intellettuale. :

In questo ambiente Ettore Ricci abbracciò la vita gacerdbtale:

.Furon questi i maestri che seppero indirizzarlo agli studi.

Fu sacerdote nel 1889. Ancora studente di teologia gli venne af-
fidata la direzione della Congregazione della Dottrina Cristiana aven-
te sede nella Chiesa Nuova di San Filippo Neri.

Fu segretario ed intimo collaboratore di mons. Federico Foschi,
Successore di Gioacchino: Pecci sulla cattedra vescovile di Perugia,
NECROLOGI ; i 159

La quale città era sempre la prediletta del Papa, che anche da lonta-
no continuava ad interessarsene con le sue cure pastorali.

Vi fu in quel tempo — com'è risaputo — un tentativo di concilia-
zione tra il governo italiano e il Vaticano, tentativo che — come è pu-
fe risaputo — aborti sul nascere per un complesso di ragioni pregiu-
dizialmente storiche e politiche. Tra governo italiano e Vaticano non
‘c’era non dirò rapporto, ma neppure possibilità di contatto; è per-
ciò logico che agli uomini del governo italiano d’allora potesse venir
. in mente che per arrivare dal Quirinale al Vaticano si dovesse passare
per Perugia. Così fu che (la notizia raccontataci da Ettore Ricci ha
tutta l’aria d'essere ancora inedita) un pomeriggio domenicale, quan-
do tutti erano andati a passeggio, perché nessuno vedesse e nessuno
sapesse, nel palazzo vescovile di Perugia rimasero il vescovo Foschi e
‘ il suo fido Ettore Ricci in attesa di una visita da restare segretissima.
Senza nessun seguito, arrivato a piedi, come un qualunque cittadino,
‘ Francesco Crispi bussa alla porta. Ettore Ricci gli va ad aprire, lo

introduce dal vescovo, si ritira che la conversazione è già iniziata.

‘animatissima, lo va a riprendere, al termine, per accompagnarlo
alla porta, poche parole del vescovo e del ministro lo incuorano a
bene sperare sulle trattative che, così clandestinamente, hanno avu-
to inizio. Francesco Crispi eil vescovo di Perugia si sono incontrati,

ma silenzio per carità. Sembra che l'uno si vergogni dell'altro. Ognuno
teme lo scandalo di un incontro compromettente, le polemiche degli

‘intransigenti della sua parte. La conciliazione non è solo estrema-
mente difficile, ma è ancora impopolare peri più accesi settatori, di
qua e di là. Nondum matura est..

Ancora giovanissimo Ettore Ricci fu chiamato ad insegnar let-
tere italiane nel Seminario perugino. Se qualcuno un giorno scriverà
la storia di questo antico istituto (cosa che sarebbe da invocare) do-
| ‘vrà occuparsi di Ettore Ricci come di uno dei docenti di miglior fa-
. ma, che più fervore, che più emulazione allo studio abbiano suscitato

‘nei discenti. Chi ascoltò le sue lezioni di stilistica, di letteratura, le
‘sue letture dantesche, non ha mai dimenticato, per la bontà del suo
metodo, quegli altissimi concetti che il testo in esame sapeva ispi-
rare ad un cosi fine interprete. Già, perché la formula «l'arte per
Parte» a quei tempi, almeno nella scuola, era non solo assurda ma
nociva ed un maestro, pur facendo rilevare in tutta la sua bellezza
‘estetica la pagina di un poeta (ed il Ricci ne aveva del gusto), po-
"eva farne risaltare ammaestramenti morali, onde, nell'antico e
sano concetto degli studi, l'educazione del gusto letterario era edu-
“pre una posizione (anche sbagliata talvolta, certo) ma di quelli che

160 : NECRÓLOGI

cazione della personalità morale. E se un maestro. accoppiava este-
tica ed etica o, almeno, non ne avvertiva sempre il diaframma di se-
parazione, nessuno si scandalizzava, nessuno lo accusava di profana-
zione. Con questo.non abbiamo voluto prendere posizione, ma la-
sciando le cose come stanno e disposti a dar ragione agli uni e agli al-
tri in cotanto problema, abbiamo voluto solo rilevare un sistema di
insegnamento che fu del Ricci e che diede pure i suoi frutti.

Oggi che si trovano tanti speciosi motivi per giustificare la
negligenza in chi impara e l'incuria, quando non l'ignoranza, in chi
insegna, si troverà. pedante il metodo d'insegnamento di Ettore
Ricci che faceva imparare a memoria migliaia di versi e di pagine
di prosa, che nelle esercitazioni letterarie, in quelli che oggi chiamia-
mo femi, sottilizzava sull'esattezza delle definizioni, sulla purezza
della lingua, sul costrutto e sul suono della frase. Par di credere che
con tanto sofisticare e pignoleggiare, più alcun interesse non doves-
sero mettere i giovani nell'apprendere a quella scuola, quei giovani
studenti che non possiamo non immaginare seccati a queste analisi
minutissime. Non era, invece, cosi. À quei tempi nel Seminario di Pe-
rugia si istruivano, come esterni, anche giovani non destinati alla
vita ecclesiastica; oggi quei giovani d'allora sono funzionari, magi-
strati, professionisti, medici o avvocati: le vicende di ciascuna vita
e le specializzazioni degli studi non hanno più permesso a costoro di
coltivare le buone lettere, ma della vasta conoscenza di autori classici,
(te li senti uscire sul più bello di una comparsa conclusionale o nel ca-
lore d'una conversazione con un'ottava del Tasso o un passo del
Convivio di Dante, così senza nessun incomodo) della cultura che li
distingue nella vita serbano gratitudine al metodo pedante di Ettore

‘ Ricci.

Prete secolare nel mondo, ne sentì la solitudine morale, i limiti
d’un’esistenza piccolo borghese, i pericoli. Aveva un’individualità

sua, così caratteristicamente italiana, un temperamento niente af-

fatto conformista e d'una fierezza — diciamolo — talvolta sconcertante.
Ma si sentì ugualmente attirato dalla vita di comunità religiosa: il
suo spirito religioso aveva bisogno di risonanze corali. Sentendo la
modernità, il fascino della grande figura di Filippo Neri entrò nella
Congregazione dei Padri dell’Oratorio di Perugia, di cui divenne nel
1915 preposito.

La sua attività di sacerdote fu grande, multiforme, penetrante.
Era di quegli uomini che non si tirano mai indietro, che prendono sem-
NECROLOGI 161

arrivano dovunque la loro energica volontà lo voglia. Acquistó Don
Ettore Ricci una popolarità singolare: lo conoscevano tutti, ma non
tutti, naturalmente, gli erano amici, anche setuttilo stimassero e non.
trovassero in che attaccarlo, se non — come si dice — in quel caratte-
rino un po' difficile. j

Con tanto ingegno, dottrina, zelo sacerdotale, avrebbe potuto
percorrere una carriera ecclesiastica delle più brillanti, ma non ci
tenne; né pensò mai a procacciarsi consensi o simpatie, non seppe es-
sere un piaggiatore, cercò di dire sempre, apertamente, la verità a
tutti, suonasse come suonasse e — caratteristica peculiare — con-
dendo le verità col sale attico di arguzie, di battute che, per la finezza
umoristica, divenivano immediatamente popolari e facevano il giro
d’ogni ambiente e servivano a divulgare quelle verità che una pru-
denza più conformista avrebbe cercato nascondere.

Con quest’insieme di positivi e di negativi, le qualità del suo tem-
peramento che più apparivano, che più lo facevano popolare, non
erano certo quelle della carità e della pietà, ma quelle della polemica
e della dottrina. Se non dovessimo scrivere di lui sulle pagine di un
Bollettino di studi storici, preferiremmo intrattenerci a considerare ‘
l'aspetto suo più intimo e meno noto, ci avvicineremmo a quella
«cara e buona immagine paterna » a quel grande cuore che conosceva
soltanto chi aveva con lui dimestichezza; dobbiamo invece ricor-
darlo nella sua veste di uomo di studio, di erudito e di scrittore che
era quella sua più comune e appariscente. Perché la sua bontà, sin-
cera e profonda, aveva un pudore che la celava agli occhi del mondo,
mentre le asprezze del suo forte carattere apparivano con tanta im-
mediatezza, così che Don Ettore Ricci era per il popolo non il prete
santo, ma il prete dotto.

Difficil cosa ci sarebbe poter elencare la produzione di Ettore
Ricci. Innumerevoli sono i suoi scritti, di mole e d’argomento diver-
sissimi, dispersi in gran quantità su periodici e nascosti sotto l’ano-
nimo. Ricercare, studiare e poi scrivere era per il Ricci un bisogno
dell'anima: non era velleità di fama letteraria. Per questo alcune
sue opere assai ponderose ed alle quali pure avrebbe potuto commet-
tere il suo nome di erudito o di esegeta sono ancora là, compiute e
rifinite, sul suo scrittoio manoscritte, chè mai egli s'era dato cura di
licenziarle alle stampe.

Pubblicò studi e memorie ad illustrazione di monumenti, di qua-
dri.e d'antiche carte, in riviste storiche di tutta Italia; il Bollettino
della Deputazione di Storia Patria per ’Umbria, fu dai suoi primi nu- pria

162 : EN NECROLOGI

meri fino alla sua morte (e oltre: ha lasciato il seguito, già collazio-

nato e pronto per la stampa, della Cronaca del Marini) la sede più
adatta, direi, più naturale per i suoi studi. Ma studi diede alle stampe
in tante pubblicazioni d'occasione, numeri unici, scritti per nozze o
in memoria di scomparsi. È la produzione minore, diciamo così mar-
ginale della sua attività di studioso, ma non è per questo trascurabile:
pochi conoscevano monumenti e memorie storiche perugine come
Don Ettore Ricci, ai nostri tempi, forse, più nessuno, onde le sue cose
avevano sempre un pregio di originalità che le rendeva quanto mai
interessanti e desiderabili a tutti gli studiosi; rivelavano aspetti o
episodi sconosciuti di figure storiche, lumeggiavano momenti di vita
civile o artistica del passato, chiarivano un documento o una questio-
ne storica rimasta dubbia a precedenti storici.

E il documento veniva illustrato nell'esame critico da Don Ettore
Ricci e, inquadrato nell'ambiente politico, culturale, economico del
suo tempo, diveniva storia. Storia come attività dello spirito che la
pensa e la crea. Don Ettore Ricci era in questo, pur tra tanta opacità
di eruditi (benemeriti del resto) per cui il documento in sé era prin-
“cipio e fine di ogni attività storiografica, un antesignano di più .mo-
derne correnti e la sua pagina aveva sempre un lievito di vita morale,

Lievito che veniva a quella prosa da una vis polemica, non sem-
pre, ma a volte anche nobilmente polemica, che dava alla pagina
richiami di attualità. Perché Ettore Ricci fu principalmente un erudito,
qma anche come tale rivelò sempre la sua sensibilità di uomo mo-
derno, che vive concretamente nel RESPELO tempo, che ne partecipa
ai drammi, alle esigenze.

‘Su quanti soggetti fermò la sua indagine ! Scrisse sul beato An- .

gelico e sulla sua opera in Perugia, sul ciborio di San Prospero, sui
primitivi pittori perugini (opera ancora interessante ed informativa,
sebbene superata ormai per metodo e documenti) una monografia
-sull'immagine della Madonna delle Grazie, un'altra sul dipinto del
Vannucci presso il Monastero di Sant’ Agnese in Perugia, fece la storia
assai dolorosa delle vicende del tempio monumentale di San Fran-
cesco al Prato, e quella d'una reliquia insigne perugina e cioè l’anello
nuziale della Vergine, scrisse una biografia della francese Le Dieu,
fondatrice delle suore del Patrocinio di San Giuseppe, e un’altra di
una piccola forte monaca del Quattrocento perugino, la Beata Co-
lomba da Rieti. Il qual ultimo libro, condotto sulla scorta degli an-
nali decemvirali del Comune di Perugia, e d’altri documenti dell’epo-
‘ca, resta forse l'opera migliore del Ricci ed è ancora un'appassionan-

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NECROLOGI 163

te lettura. Più che altrove il Ricci vi mise il proprio impegno di sto-
rico e di letterato: siamo convinti che egli non abbia dato neanche
con quest'opera la misura piena delle sue capacità, ma se, tuttavia,
dovessimo consigliare un libro suo, che potesse più efficacemente
presentarlo a chi non lo conobbe, non esiteremmo a scegliere la bella
storia di questa piccola Santa Caterina dinanzi alla quale si placa il

fermento delle passioni, anche feroci, della vita politica perugina.

C'é in quest’opera il documento rivissuto, sapientemente incentrato
in un lavoro biografico di giuste proporzioni e di umano calore. La
prosa, nella più rigorosa purezza della lingua italiana, nella comples-
sa struttura del periodo, dall’interlineare pathos morale, potrebbe
richiamare lontani echi manzoniani. È una prosa levigata e politis-
sima, che il Ricci, assai serupoloso, prima di licenziare alle stampe,
fece leggere, peril parere, a un letteratone fiorentino (mi pare il Conti),
che non ebbe che commendarla sotto più rispetti.

Per quanto non fosse facilmerite assoggettabile a dii
con chicchessia, partecipò ad alcune notevoli imprese storiche ed
artistiche. Una fra tutte: Fiorenzo Canuti, gratissimo, gli rende pub-
blico omaggio nel suo grande lavoro su Pietro Vannucci.

Giornalista Ettore Ricci fu per vari anni alla direzione del Paese,
il giornale cattolico fondato da Leone XIII nel suo espiscopato pe-
rugino. Tempi di lotte i suoi, lo videro polemista vivacissimo, te-
muto dagli avversari, i quali sapevano della tremenda efficacia de-
molitrice del Ricci giornalista, della sua ironia non sempre evangeli-
camente bonaria. Comunque di tale vivacità ne risentiva la tiratura
del giornale, che, per la prosa del Ricci, andava nelle mani dei piü
indifferenti, anzi dei piü ostili. :

Polemista di razza si sarebbe detto Ettore Ricci e si sarebbe

potuta credere la polemica profondamente connaturata a quel suo
" singolare carattere, ma era — lo ripetiamo — uno degli aspetti di una -
figura complessa, quello che in cute più si vedeva e colpiva. Nell’in- .

timo, che si apriva solo con pochi amici e nel campo della propria
attività sacerdotale e parrocchiale, era tutt’altra cosa. Certo però,
eol cuore più grande e più puro, nella difesa dei suoi principi, che

eran quelli della Chiesa Cattolica, era tenacissimo, intransigente per

definizione e, convinto e nutrito delle sue verità, era persuaso che si
dovessero combattivamente difendere contro ogni errore, contro ogni
deviazione, in un’epoca piena di difficoltà morali, di sbandamenti
intellettuali. Per quelli che professavano principi sospetti o anche solo,

«con la più innocente umana curiosità, si avvicinavano a questi, c'era

gr i,
€-—————— M QM RÀ . . Pon

164 NEOROLOGI

lotta senza quartiere fino alla capitolazione e senza nessuna indulgen-
za. Poiché le cose umane tutte son destinate a degenerare, non si puó
certamente escludere che Ettore Ricci, nel fervore di questo santo
zelo, non vedesse pericoli anche dove non ne fossero affatto: é profon-
damente umana e commovente la figura dellimmortale cavaliere
spagnolo contro i molini a vento. Erano quelli tempi difficili per la
Chiesa, di fronte al laicismo trionfante in tutto il mondo: i pericoli,
le più volte, non erano immaginari; erano i tempi che precedettero e
seguirono immediatamente all'Enciclica Pascendi. Ettore Ricci ave-
va scelto con recisa decisione il suo posto di combattimento e vi stava
con quella indefettibile fermezza della sua coscienza. Del resto la Chie-
sa, nella sua cattolicità, è sintesi divina della perenne dialettica di
opposte esigenze, di conservazione e di rinnovamento.

Ove i principi fondamentali della sua vita di religioso non fossero
in giuoco, Ettore Ricci era con tutti paternamente cordiale. Con gli
studiosi, in ispecie coi più seri e operosi (ché la cultura — diceva sem-
pre — non è roba da dilettanti) era sinceramente amico ed aveva
amicizie anche in campi a lui avversi: con Francesco Guardabassi, lo

storico perugino, nella superiore vita della cultura, ebbe intimità e-

confidenza e del pari ne fu ricambiato. Prodigo in consigli ed in aiuti
d’ogni genere a chi gli si rivolgesse nell’intraprendere lavori storici,
era anche pronto a comunicare, non senza larghezza, quelli che fos-
sero i risultati di ricerche sue personali. Nella Deputazione di Storia
Patria per l'Umbria, allora fiorente cenacolo di vita culturale, che riu-
niva uomini di opposte tendenze, era di tutti l’amico migliore, l’ani-
matore d’ogni iniziativa.
Venne una volta a Perugia per i suoi studi Paul Sabatier, il di-
scepolo prediletto di Ernesto Renan, e volle conoscere di persona
Ettore Ricci: ne conosceva gli studi, che aveva apprezzato e di cui
s’era servito. Ne restò ammirato e, direi, edificato del dignitoso con-
tegno del giovane prete, dinanzi al riconosciuto prestigio di uno stu-
dioso di fama europea. Affabilissimo fu l’incontro e la conversazione
spaziò su temi di comune interesse, religiosità umbra, francescane-
simo, ma ognuno restò sui propri convincimenti, che eran faticose
intime conquiste. È bello pensare che tra questi due mondi, pur così
diversi e distanti tra loro, ci sia stato, in quell’incontro un attimo di
umana comprensione, una scintilla di simpatia nell’incontro di due
anime.
Umanista, nel senso più tradizionale ed accettato di questa parola,
ne vide su vastissima scala riconosciuto il grande valore: coltivò le
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n I RITZ

NECROLOGI 165

lettere latine con quella concinnitas che avrebbe potuto essere. d’un
classico. In mille disparate circostanze, in tanti luoghi, e da persone
diverse, gli vennero chieste epigrafi latine o italiane: non disse mai di
no, tanta gioia gli procurava comporne, raggiungendo in. materia
epigrafica un’autorità indiscussa e indiscutibile. Ne dettò di bellissi-
me, veri capolavori del genere, in entrambe le lingue. Raccoglierne
un volumetto, con le migliori, significherebbe offrire ai lettori dai gu-
sti più delicati un saggio di modelli. di incomparabile eleganza in
quest'arte ormai negletta.

Compose anche versi con una straordinaria facilità, ultimo erede
di quella generazione di letterati per cui ogni argomento era buono
per una poesia ed ogni vicenda triste o lieta, piccola o grande, for-
niva una propizia occasione.

Insegnò per tanti anni nella insigne Accademia di Belle Arti
di Perugia storia dell’arte. L’insegnò, ancora vecchio, come l’aveva
appresa lui giovane, con quel metodo storico-erudito che ai moderni
parrà, forse, assai poco critico, ma che, didatticamente, un pregio
pure aveva: quello di fornire una conoscenza dello sviluppo storico di
una scuola, di una corrente, di un gusto stilistico, con rigore scien-
tifico, lasciando peraltro liberissima la sensibilità estetica dei giovani
di tirare quelle conclusioni critiche che essi volessero. Che nei dati,
nelle notizie, nei documenti, stia tutta la storia dell’arte non vorrei
proprio dire, né vorrei sostenere che quello del Ricci fosse il sistema
migliore per insegnarla, ché in quanto storia è sempre soggettiva
attività giudicante, ma mi pare di dovergli riconoscere questo — otti-
mo per integrare altri più moderni sistemi — che, sbarrando la strada
a ogni dilettantismo, offre un materiale metodologico eccellentissimo
per ogni indagine critico-estetica.

Raccolse parecchie migliaia di volumi, di opuscoli, di stampe, di
manoscritti, che in morte legò alla sua Congregazione Filippina. Rac-
colse specialmente cose perugine, ma talvolta, raccolse per il gusto di
raccogliere, buono e cattivo. Facciamo tuttavia voti perché la bi-
blioteca di Ettore Ricci, il suo migliore, il più vivo e ricordevole mo-
numento, riordinato con giusto criterio, liberato del troppo e del va-
no, venga aperta agli studiosi: sarà l’unico e più opportuno mezzo per
onorare la memoria del raccoglitore, per rendere benemerita quella
che può essere anche una mania, per dilatare nel tempo, oltre la tom-
ba ed oltre lo spazio breve di una fama di provincia, l’opera di uno
studioso.

Visse in una modestia estrema. Una piccolissima camera, zeppa — — —————— ÁÀ—QQ . " - emat EUNDI

166 . - j NECROLOGI

di libri, lo accolse, nei giorni lieti degli studi dilettissimi storico-ar-
tistici, nei giorni tristi della lunga malattia, le imposte della fine-
stra sempre spalancate di giorno e di notte, anche al gelo delle notti
perugine. Raffinato di gusti, visse rudemente, male, direi, ignorando
tante ormai elementari conquiste del comfort moderno.

Ma gli ultimi anni della sua vita furono il trionfo delle sue vir-
tü cristiane: major autem harum caritas. Dov'era piü l'antico pole-
mista, l'uomo della cultura cosi viva e cosi dinamica ? Non restava
che un mite vecchio prete che aveva soffocato tutte le intemperanze
d'un cosi fiero carattere. Gran signore della carità, di quella carità
paolina « che é longanime e benigna, soffre ogni cosa, ogni cosa crede,
tutto spera, tutto sopporta » coi suoi confratelli filippini, in tempi
tristissimi di persecuzioni e di servitü, aveva splendidamente aperto
la sua casa a perseguitati politici, a uomini che chiedevano soccorso
o rifugio, di qualsiasi provenienza, di qualsiasi colore o fede o lingua,
senza chiedere nulla, senza l'ombra di preoccupazioni borghesi, con
un coraggio tanto piü ammirevole per l'avanzata età dell'uomo,
tanto piü denne d'essere ricordato perché osava intrepidamente ma-
nifestarsi in un'epoca in cui la viltà di questo povero nostro prossimo
sapeva trovare tante giustificabili ragioni.

Gli antichi richiami del. mondo, pur cosi apprezzabili, quello
stesso della cultura, non avevano più il potere di attirare questa no-
bile coscienza che, in un affinamento d’ardore e di carità umana, chiu-
deva la sua esistenza terrena. La lunga malattia ne aumentò la spi-
ritualità, il merito di una serenità imperturbabile nelle più penose
sofferenze fisiche: egli aveva raggiunto il possesso della certezza più
piena. Un grande scrittore sacro francese, che Don Ettore Ricci doveva
avere tanto letto, diceva: « Un istante di raccoglimento, d’amore e di
presenza di Dio, fa più vedere e udire la verità che non tutti i ragio-
namenti degli uomini». -

FRANCESCO DURANTI

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INDICE DEL VOLUME

Terzo Convegno Storico Umbro

25

G. Dxvoro, Le tavole di Gubbio nel quadro degli studi di storia italica Pag. 7
R. PETTAZZONI, L' Urfeta Iguvina e alcuni riscontri indoeuropei ì » 21
C. PIETRANGELI, Appunti sulla lo pografia e i monumenti di Bevagna
romana Pire »
. GRASSINI, Delimitazione dell'antica Terni secondo scoperte archeo-
logiche » 34
. BIZZARRI, Contributo all'aggiornamento della carta archeologica
del Municipio romano di Assisi » 39
. CALZONI, La stipe votiva di Colle Arsiccio nei pressi di Magione .. » 45
G. ANNIBALDI, L’attività della Soprintendenza alle Antichità di An-
cona nell’ Umbria » 48
F. DurANTI, Luciano Bonaparte, Giambattista Vermiglioli e gli
studi sulle origini della civiltà italiana . . » 51
Memorie
G. FRANCESCHINI, Citerna » 57
G. BrIGANTI, Raniero da Perugia pe 7A
Necrologi
.G. ANDREOLI » 152
GUBIGLI i 4 2975 8 0 0L A » 154
P. E. Ricci » 157
Direttore Responsabile : AcHiLLE BERTINI CALOSSO
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