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VOLUME XLIX

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PRESSO LA DEPUTAZIONE DI STORIA PATRIA
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BOLLETTINO

DELLA DEPUTAZIONE

STORIA PATRIA

PER L'UMBRIA



VOLUME XLIX



PERUGIA
PRESSO LA DEPUTAZIONE DI STORIA PATRIA
1952



PROPRIETÀ LETTERARIA RISERVATA



S. p. A. Arti Grafiche Panetto & Petrelli — Spoleto, 7-1953. |



PER LO STUDIO
DELLE TRADIZIONI POPOLARI UMBRE

Chi si proponesse di « fare il punto » sulla situazione degli studi
intorno al folklore dell'Umbria, troverebbe alcuni validi motivi per
non restare del tutto scontento. Certo, la parte tuttora più avvan-
taggiata è quella che riguarda la poesia popolare. Fin dal 1855 ORE-
ste MARCOALDI, « mosso dall'esempio solenne del sommo filosofo e
letterato Niccoló Tommaseo » (com'egli ebbe a scrivere) pubblicava
un centinaio di « Canti popolari inediti ümbri » insieme con altri di
altre regioni d'Italia, in una raccolta che per quel decennio (che pre-
luse allo studio critico della poesia popolare) rimane delle più impor-
tanti. Senza ricordare pubblicazioni minori, c'incontriamo poi nel
volume di « Canti popolari umbri raccolti a Gubbio e illustrati da
GivsEPPE MazzariNTI, dottore in lettere », dato in luce dall'editore
Zanichelli nel 1883. In quei bei tempi la laurea in lettere era meta cosi
rara e difficile che chi la raggiungeva poteva farne motivo di legitti-
mo orgoglio, sì da fregiarsene sulla copertina delle proprie opere. Il
Mazzatinti era stato, a Pisa, scolaro del D'Ancona e questa sua raccol-
ta, che è una delle più ben fatte, specie in rapporto al tempo in cui uscì,
rispecchia l'insegnamento del grande Maestro della scuola pisana. E
se il Mazzatinti si volse poi a studi e lavori di maggior lena, impegnan-
do, e stavo per dire immolando, il suo vivido ingegno nella faticosa
quanto meritoria impresa degli inventari dei manoscritti conservati
nelle biblioteche, questo suo giovanile lavoro rivela già quella serietà
di preparazione e di metodo che contraddistingue tutta l’attività di
questo benemerito studioso umbro. Altra importante raccolta fu
pubblicata nel 1917 da MARIO CHINI, l'insuperato traduttore di Mi-
rella, e geniale cultore di studi letterari e artistici (1). Se il Mazza-

(1) Canti popolari umbri raccolti nella città e nel contado di Spoleto, Casa
ed. Atanòr, Todi.



6 PAOLO TOSCHI

tinti ci aveva dato canti provenienti dal territorio di Gubbio, il Chini
ci offre quelli di altra zona dell'Umbria, Spoleto. E l'ampia introdu-
zione è preceduta da un « Sommario bibliografico della poesia popola-
re umbra » nel quale sono ricordate anche tutte le pubblicazioni mi-
nori, da i « Canti popolari umbri » che O. BrIzi e G. TALLINUCCI det-
tero in luce fin dal 1844, ne « La parola » di Bologna, ai vari contributi
di M. Faloci-Pulignani, E. Filippini, P. Fratini, V. Frittelli, G. Lesca,
L. Manzoni, B. Monti, L. Morandi, G. Pompili, L. Romagnoli, N. Se-
bastiani, L. Stoppato, Z. Zanetti.

Un particolare settore della poesia popolare umbra doveva natu-
ralmente attirare su di sé l’attenzione dei raccoglitori: la poesia reli-
giosa, in rapporto all’intensa vita e produzione letteraria d’ispirazione
mistica che ha dato così viva impronta alla storia e all'anima dell' Um-
bria. A questa sentita esigenza ha corrisposto l’opera di Don ORESTE
GRIFONI, con una raccolta, che si andò via via ingrandendo e perfe-
zionando fino a raggiungere la 48 edizione, di « Poesie e canti religiosi
dell'Umbria » (Tipografia della Porziuncola - Santa Maria degli An-
geli, 1927). Il Grifoni, la cui simpatica figura di sacerdote e di studio-
so mi rimane sempre così viva nel ricordo, ha illustrato la letteratura
e la tradizione popolare della sua terra nativa anche con numerose
altre pubblicazioni, tra le quali merita di essere specialmente ricorda-
ta quella, uscita postuma, (almeno credo) a Foligno nel 1943 (Libre-
ria editrice l'Appennino) sui « Proverbi umbri ». I canti popolari reli-
giosi raccolti dal Grifoni rivelarono l’esistenza, anche in Umbria, di
quel sottofondo di misticismo e di poesia che ha sempre formato
l'humus da cui fiori la poesia religiosa d'arte. E a ragione Giulio Sal-
vadori, che aveva cominciato anche lui la sua carriera di studioso
pubblicando canti popolari, scriveva fin dal 1899 al Grifoni: « .. . ve-
ramente questa poesia è spesso semplice, umile e pura come acqua
che deriva da una fonte montanina e fa bene a riaccostarvisi.... E
mi pare non inutile a noi, che ci diciamo gente colta (e mi ritorna in
mente l’espressione di Santa Caterina « Gli ignoranti superbi scien-
ziati ») per vedere come crede, spera e ama il popolo, che, assai più
che noi non crediamo, adora in ispirito e verità ».

Parole bellissime che meritavano — penso — di essere tratte fuori
dalle pagine di una di quelle prefazioni, che, in genere, nessuno legge
(almeno a quanto m'insegna la mia esperienza personale) e messe in
pieno rilievo. Ma il folklore non è soltanto letteratura, è anche vita.
E vari aspetti della vita tradizionale dell'Umbria, specie della classe
agricola, sono stati via via illustrati dai folkloristi. Su tutti campeggia



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PER LO STUDIO DELLE TRADIZIONI POPOLARI UMBRE dv

la nobile cara figura di GrusePPE BELLUCCI, la cui opera, anche nel
settore specifico di questi nostri studi, superò di gran lunga i confini
regionali imponendosi per la sua portata nazionale e talora interna-
zionale. Merito precipuo del Bellucci è appunto quello di aver osser-
vato e studiato vari e importanti aspetti della tradizione popolare
umbra inquadrando i fatti e le osservazioni in una visione più vasta,
sì da metterne in luce i significati generali e i rapporti di ordine etno-
grafico. Mi sembrerebbe'opportuno che Perugia, la città che gli dette
i natali, ravvivasse il ricordo, e onorasse la memoria del Bellucci non
solo come cultore di studi preistorici, ma anche come insigne folklo-
rista. Né migliore occasione potrebbe esserci di quella che si offrirebbe
se, rompendo gli indugi, si ordinasse e si esponesse al pubblico la sua
grande collezione di amuleti, che egli ha lasciato a! Comune di Peru-
gia, e che tuttora é chiusa nelle casse, tesoro infruttuoso, mentre
studiosi italiani e stranieri hanno più volte sentito (e invano) il bi-
sogno di servirsene per le loro ricerche. Esclusivamente dedicato alla
sua regione è lo studio del Bellucci su « La grandine nell’ Umbria »
(Perugia 1909) ma anche negli altri suoi lavori di carattere generale,
come quelli su « Gli amuleti » (1908), « Il feticismo primitivo in Italia »
(1919), « I chiodi nell’etnografia contemporanea » (1919), « Folk-lore
di guerra » (1920) etc., spesso dati e notizie sono tratti da ricerche
dirette compiute dall’autore nella sua Umbria. E apprendo dalla tesi
di una mia scolara, la dott.ssa Carla Maria Puntelli, che il Bellucci
condusse a più riprese delle inchieste sul folklore umbro e che le rispo-
ste inviategli dai suoi corrispondenti e informatori, sono tuttora seru-
polosamente conservate presso la figlia, sign. Ada Regnotti Bellucci,
fedele custode delle memorie paterne.

. La luce che irradia dalla figura del Bellucci non deve tuttavia farci
tenere in piena ombra l'attività meritoria di altri folkloristi. Una del-
le opere tuttora più valide nel campo degli studi della medicina po-
polare in Italia è quella del dott. ZENo ZANETTI « La medicina delle
nostre donne» che col sottotitolo «Studio folkloristico premiato
dalla soc. Ital. di antropologia » fu pubblicata a Città di Castello,
dal Lapi, nel 1892. Lo Zanetti, che ha al suo attivo qualche altro la-
voro sul folklore umbro, dichiara egli stesso nella prefazione di trarre
dal suo libro di appunti «tutto quanto riguarda la medicina del po-
polo della sua città e del suo contado ».

. Assai importante è anche l’ampio Saggio che GiusePPE NICASI
pubblicò nella rivista Lares (vol. I, 1912, fasc. IT-III, pagg. 137-177)
col titolo « Le credenze religiose delle popolazioni rurali dell’alta valle



8 PAOLO TOSCHI

del Tevere », lavoro ben informato e corredato da molte e interessanti
illustrazioni documentarie. Un aspetto che in questi ultimi decenni
ha suscitato un particolare fervore di ricerche in tutta Italia è l’abita-
zione rurale, per i molteplici rapporti ch'essa presenta non solo con i
problemi architettonici ma anche con le varie forme di vita sociale.
Per l'Umbria deve essere ricordata la Mostra della casa rurale che si
tenne a Perugia nel 1940 per iniziativa del Prof. AcHiLLE BERTINI
CaLosso a cui si devono anche importanti articoli (sulla rivista «Le
arti », a. II fasc. I, 1940 e sulla « Nuova Antologia » del 16 maggio
1939) che illustrano e dibattono questo problema.

Altri buoni articoli e studi, anche recenti, si potrebbero ricordare;
come non si deve dimenticare l'apporto recato da pubblicazioni pe-
riodiche d'interesse regionale apparse a intervalli: citeremo almeno
la più attuale, che esce col titolo « Perusia », e che reca spesso vivaci
articoli di folklore. Ma questo mio breve excursus non vuole né puó
essere (non sarebbe qui il luogo e il momento) una rassegna storico-
critica degli studi di folklore in Umbria. Ho voluto solo ricordare
alcune tappe compiute nel corso di quasi un secolo e alcune delle
opere più significative. Questa mia breve introduzione al lavoro di
un mio valente discepolo vuol guardare più al presente e al futuro che
al passato. Ma per sapere che cosa resta da fare e come lo si deve fare
è pur necessario sapere che cosa è stato fatto finora. Ripeto che per
lo studio del folklore umbro non stiamo male del tutto; ma quel che

Occorre è possedere una visione completa e precisa di questa materia,

secondo i più moderni criteri di raccolta e di studio. Occorre cioè
preparare i materiali e i mezzi per il Corpus delle tradizioni popolari
dell'Umbria, che dia, della vita tradizionale di questa regione, un
panorama quale altre regioni già posseggono, come per esempio,
la Sicilia, per merito del Pitrè e di altri.

La scienza del folklore ha ormai raggiunto una tale perfezione di
sistemi di ricerca e di illustrazione degli aspetti presi in esame, che non
sì può più ignorare la natura e la portata di questi nuovi metodi. Non
rimane che applicarli. Un’inchiesta condotta su queste basi, esige,
naturalmente, molto tempo e molto denaro. Ma intanto qualche cosa
si è fatto da alcuni giovani studiosi umbri che si sono laureati all’ Uni-
versità di Roma in questi ultimi quindici anni, presentando dei lavori
di tesi in « Storia delle tradizioni popolari ». Ad esempio, le tradizioni
di Gubbio e specialmente la festa dei ceri, hanno offerto il soggetto
per nuove ricerche e interpretazioni, in quanto la famosa festa e stata
studiata in un piü vasto quadro storico-etnografico. Cosi per le tradi-





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PER LO STUDIO DELLE TRADIZIONI POPOLARI UMBRE 9

zioni popolari di Perugia, ricorderó almeno il recente lavoro della Dot-
toressa ADRIANA PAMPANELLI, che ha vinto il primo premio in un con-
corso regionale. Per Città di Castello si puó segnalare una buona tesi
della Dottoressa GruLIiA TORRIOLI.

È davvero un peccato che le difficoltà che ora s'incontrano per
la pubblicazione di lavori di questo genere (a causa dell’alto costo
della stampa) facciano restare quasi del tutto infruttuose tante no-
bili fatiche. Anche il saggio di Don ALEssIo MAZZIER, che qui si
pubblica, è la prima parte della sua tesi di laurea, discussa con bril-
lantissimo esito all’Università di Roma nel 1951. Se ho ritenuto op-
portuno dare la precedenza a questo lavoro è perché in esso quei si-
stemi di documentazione e di interpretazione a cui sopra accennavo,
hanno trovato circostanze particolarmente felici per venire messi in
pratica.

Don ALessio MazziER ha compiuto le sue ricerche mentre era
parroco a Capodacqua d’Assisi. Il suo ministero gli ha concesso di
poter approfondire, mercé l’esperienza personale, una quantità di par-
ticolari relativi ad usanze e credenze, che in genere sfuggono anche
ad un attento folklorista. Il merito precipuo del suo lavoro consiste
appunto nel fatto che la ricerca è stata compiuta sulla base di questio-
nari precisi; in un’area delimitata, da persona particolarmente adatta
per compierla, e in seguito a lunghe, pazienti, controllate osservazioni
e interrogazioni. Solo se si avverano queste circostanze, noi possia-
mo essere sicuri che lo scavo ha dato tutto o quasi tutto quel che dal
terreno poteva venir fuori. Ciò ha valore anche per le risposte negative,
alle quali, di regola, non si suole dare grande importanza, mentre
come ha dimostrato il Van Gennep, la constatazione della mancanza
di un uso in un dato luogo, è utile e necessaria per stabilire la precisa
area di diffusione dell’uso stesso e riconoscere le vie che ha seguito
nel propagarsi.

Pochi sanno, da noi, che nel 1811, cioè circa un secolo e mezzo fa,
il governo del Regno Italico promosse, da Milano, un’inchiesta sugli
usi e costumi e dialetti dei vari dipartimenti. Orbene, l’inchiesta,
affidata in un primo tempo ai professori di Liceo, stava arenandosi e
allora i Prefetti pensarono bene di consultare «i più saggi e dotti par-
rochi », e solo attraverso le relazioni di costoro fu possibile raggiun-
gere lo scopo (1).

(1) Do notizie particolari sull’« inchiesta napoleonica » (come viene indi-
cata dagli studiosi) nel mio vol. Romagna tradizionale (ed. Cappelli, Bologna,
1952) pagg. XVIII-XXII della prefazione.



10 PAOLO TOSCHI

Del resto, gli studiosi della storia del folklore ben sanno quale ap-
porto alla conoscenza di questa materia ci venga dai dotti ecclesiastici
dei passati secoli: basti ricordare le Decisiones prudentiales del p.
Prospero Maroni da Cagli (Forlì, 1707), i Discorsi istruttivi sopra i
doveri del Cristiano del p. Agostino di Fusignano (Venezia, 1770-1786)
e sopratutto la Storia di vari costumi sacri e profani del padre Carmeli, )
professore nell'Università di Padova (Padova, 1750).

Ritengo poi che la conoscenza della vita tradizionale del nostro
popolo sia sommamente utile non solo ai maestri elementari, ma
anche ai parroci, che devono pur conoscere la psicologia e le attitu- |
dini delle popolazioni per le quali essi hanno la cura delle anime. Ció |
non solo per comprendere ma per correggere, ove appaia necessario. |
Infine é bene si sappia che gli studi del folklore hanno preso sempre
piü, con l'approfondirsi delle teorie e il perfezionarsi dei metodi, un
indirizzo storicistico. Esso, del resto, ha sempre piü o meno prevalso
da noi, in quest'ordine di studi. Ricordo per esempio che i bei « Saggi »
di Gaspare Bagli su le tradizioni popolari romagnole uscirono a
puntate negli atti della Regia Deputazione di Storia Patria delle
provincie di Romagna (1885-1887) e che, specialmente per iniziativa
dell'insigne folklorista prof. Giovanni Crocioni, anche la Deputa-
zione di Storia Patria delle vicine Marche ha, a piü riprese, dimo-
strato il suo vivo e fattivo interessamento per le tradizioni popolari.

E io confido che la stampa di questo bel lavoro di Don Alessio
Mazzier apra la serie di utili saggi e studi sulle tradizioni popolari
umbre da pubblicarsi con l'appoggio e sotto il patronato della bene-
merita Deputazione di Storia Patria dell'Umbria.

PaoLo ToscHI

IL CICLO DELLA VITA UMANA
NELLE TRADIZIONI POPOLARI UMBRE

^

SOMMARIO. — INTRODUZIONE — CAPITOLO I — La culla: I) La gravidanza; II) La nascita; III) Il.
battesimo; IV) La benedizione dopo il parto; V) Infanzia e adolescenza: a) Malattie e rimedi
prodigiosi; b) Giuochi infantili; c) Feste dei fanciulli; d) Compari di S. Giovanni.

CAPITOLO II — Il talamo: I) A la ricerca d’uno sposo; II I primi amori; III) Il fidanzamento;
IV) Scambio di doni; V) Serenate, incontri e visite; VI) Disgusti e vendette; VII) I prepara-
tivi delle nozze; VIII Il Matrimonio; IX) Dopo le nozze; X) Matrimoni per fuga e matrimoni
dei vedovi.

CapriroLo III- La bara: I) Presagi e cause di morte — Rimedi generici ; II) Agonia e morte;
III) Annunzio del decesso — Composizione della salma — Veglia del defunto; IV) Il trasporto
in Chiesa e al Cimitero; V) Officiatura funebre e suffragi; VI) Altri usi e credenze relative alla
morte; VII) Credenze relative ailo stato delle anime.

Bibliografia

Nel settembre 1949 il prof. Paolo Toschi teneva un breve corso di Lettera-
tura delle Tradizioni Popolari all’Università per Stranieri di Perugia. Nella
lezione introduttiva, dopo avere ricordato il noto dialogo tra S. Francesco e
Fra Leone, parafrasando concludeva: «Se voi, studenti stranieri, conoscete
la storia, la letteratura, l’arte e le bellezze naturali d’Italia, ma non conoscete
il popolo italiano, la sua vita, i suoi costumi, scrivete pure che non conoscete
l'Italia ».

Il bisogno di conoscere meglio il popolo, in mezzo a cui vivo e per il quale
opero, mi ha spinto a intraprendere il presente studio sulle tradizioni popola-
ri — ciclo della vita umana — della Diocesi di Assisi.

Chiunque, per vocazione o professione, ha compiti educativi, deve cono-
scere il popolo sotto tutti i molteplici aspetti e ricostruirne la mentalità sulla
base di dati sicuri. Solo allora potrà agire in profondità, nella certezza che il
silenzioso diuturno lavoro darà un giorno, sia pure lontano, i risultati voluti.
Valgano in proposito le autorevoli affermazioni del Lombardo Radice, esten-
sibili a tutti gli educatori.

« Il maestro educatore non solo dei suoi scolari, ma del popolo in mezzo al
quale vive, deve conoscere questo popolo. Il maestro che meglio lo conosce è
quello che più ama le sue manifestazioni d'ingenuo pensiero e di arte. Il mae-
stro che meglio lo educa é quello che riesce meglio a liberarlo da quello che ha
di più errato e sguaiato.

Il folklore é anche rivelatore di dii e sguaiataggini. Il maestro è
l’epuratore del folklore » (1).

(1) G. LomBarpo RADICE, Il dialetto e il folklore nella scuola, in « Educazione Nazionale»,
a. VIII, n. 10, 1925, pag. 23.







12 ALESSIO MAZZIER

AI Prof. Paolo Toschi, maestro di vita oltre che di scuola, che mi ha appas-
sionato per questa importante disciplina, che mi ha guidato con mano sicura
nello studio e non solo in esso, tutta la mia gratitudine.

Assisi, 18 ottobre 1952.

INTRODUZIONE

Il presente studio si estende a tutta e sola la diocesi di Assisi. I
comuni in cui sono state svolte le indagini sono pertanto cinque: As-
sisi, Bastia, Bettona, Cannara, Valfabbrica. Ad essi sono da aggiun-
gere le frazioni di Limigiano e Pomonte, appartenenti rispettivamen-
te ai Comuni di Bevagna e di Gualdo Cattaneo.

Il comune di ‘Assisi si può facilmente distinguere in tre parti:
montagna, collina, pianura. Alla montagna appartengono le frazioni
di Costa di Trex, Paradiso, Pieve S. Nicolò, Porziano, S. Maria di
Lignano (Armezzano non ci interessa). L’occupazione principale e
quasi esclusiva è l’agricoltura. È la parte più conservatrice (non poli-
ticamente) del comune, sebbene risenta dell’influsso della città, con
cui ha frequenti rapporti. Tuttavia dal punto di vista folklorieo ha
maggiori affinità col comune di Valfabbrica, a cui si collega attra-
verso le frazioni di Porziano e Pieve S. Nicolò. Al centro della collina
sorge Assisi, che ha, in direzione di Foligno, le frazioni di Capodac-
qua e S. Vitale e, in direzione di Perugia, quelle di Mora, Palazzo,
Rocca S. Angelo, S. Gregorio, Sterpeto, Tordibetto. Le principali oc-
cupazioni sono l'agricoltura, l'artigianato e la manovalanza generica.
Il territorio è percorso da frequenti linee turistiche. Molti sono quelli
che per commercio o lavoro hanno abituale contatto con le città vi-
cine. Le antiche tradizioni tendono quindi sensibilmente a trasfor-
marsi: resta difficile conoscerle con verità, senza mistificazioni, se
non ci si accosta alla parte più bassa e ingenua del popolino. Ai piedi
delle colline sono Petrignano e Torchiagina e, in aperta pianura, Ca-
stelnuovo, Rivotorto, S. Maria degli Angeli e Tordandrea. Occupa-
zioni prevalenti sono l’agricoltura, l’artigianato, la piccola media e
grande industria e il commercio. Il terreno è molto fertile, per cui un
contadino della pianura è spesso molto più ricco d’un piccolo pro-
prietario della montagna. Tutto il territorio è attraversato dalla fer-
rovia, strada nazionale, strade provinciali e comunali. Qui più che al-
trove la tradizione è in continuo processo di trasformazione.

Bastia, a cui appartiene la frazione di Costano, (Ospedalicchio
non c’interessa), distesa in pianura, è il maggiore centro industriale





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IL CICLO. DELLA VITA UMANA, ECC. 13

e commerciale della Diocesi, destinato a diventare una grande città.
Ancor più accentuato è il processo di trasformazione delle tradizioni,
eccettuate le feste calendariali o periodiche, in cui i bastioli sono te-
nacemente attaccati al passato. Caratteristiche e notissime sono, ad
esempio, le feste della « Rinchinata » (il giorno di Pasqua) e della Sa-
gra. Certi miei amici parlano quasi scandalizzati di queste feste, perché
la Chiesa assumerebbe troppo spesso aspetti teatrali. Essi non avver-
tono che son proprio quelle le circostanze in cui tutto un popolo ri-
trova e riconosce se stesso, la sua unità, la sua inconfondibile fisio-
nomia.

Cannara si distende ugualmente in pianura, collegandosi alle
frazioni del piano di Assisi con cui ha diverse affinità. La sua frazione
di Collemancio, quella di Pomonte (nel Comune di Gualdo Cattaneo)
e quella di Limigiano (nel comune di Bevagna), confinanti l’una con
l’altra, sparse su territorio montano, con rare comunicazioni coi gran-
di centri, sono abbastanza conservatrici ed hanno caratteristiche, che
le collegano col territorio di Bettona.

Bettona si trova sulle colline di fronte ad Assisi, da cui è sepa-
rata dalla pianura umbra. Occupazione principale è l’agricoltura. Il
territorio resta lontano dai grandi centri e difficili ne sono i contatti.
Non sono molti anni che è stato istituito un regolare servizio turi-
stico di collegamento. Le tradizioni sono abbastanza fisse.

Il comune di Valfabbrica, con le frazioni di Monteverde, Poggio
Inferiore e Poggio Superiore (Casacastalda non ci interessa) s estende
nella stretta Valle del Chiagio e sui colli e monti circostanti. Occupa-
zione principale è l’agricoltura. Lontana dai centri e con scarsi mezzi
di comunicazione, è questa la parte più conservatrice del contado ed
è collegata, come ho già detto, con la montagna di Assisi.

Si potrebbe pertanto tracciare una linea ideale, che divide il
nostro contado in quattro principali zone folkloriche.

Prima zona: Valfabbrica e frazioni della montagna di Assisi:
la più conservatrice (10 località).

Seconda zona: Assisi (città) e frazioni delle colline in direzio-
ne di Foligno e Perugia, dove il folklore è in continua evoluzione
(9 località).

Terza zona: Frazioni del piano di Assisi, Bastia, Cannara, dove
le tradizioni sono in accentuata evoluzione (9 località).

Quarta zona: Bettona, Limigiano, Collemancio, Pomonte:
zona conservatrice (4 località).

Complessivamente tutto il contado, per usare termini correnti, è

TRE

——— —



14 ALESSIO MAZZIER

un’area folklorica depressa, comprese anche le due zoné più conserva-
trici. Un discorso a parte meriterebbe la città di Assisi, ma lo studio
riguarda principalmente il contado.

Il materiale per il presente studio è stato raccolto mediante in-
chieste nei vari luoghi fatte da me e da miei amici. Ad essi mandai
un questionario composto sulla falsariga di quello fatto da M. Azara
e pubblicato dal Prof. Paolo Toschi (1). Molte domande non erano
necessarie, perché già prevedevo una risposta negativa: ma credetti
opportuno lasciarle ugualmente. Altre ne aggiunsi circa qualche
uso non contemplato in quel questionario, ma di cui conoscevo l’esi-
stenza.

Complessivamente l’inchiesta è stata svolta in 23 cittadine o
frazioni sulle 32 della nostra diocesi.

Desideravo che nessuna frazione fosse assente, ma non mi è
stato possibile. Gli stessi collaboratori non hanno dimostrato tutti
uguale diligenza. Qualcuno m’ha dato quel tanto di aiuto necessario
e sufficiente per togliermi dai piedi. Altri si sono appassionati per la
materia e m'hanno anche invitato sul posto per compiere meglio
insieme le ricerche. E appunto in questi luoghi l'indagine ha dato i
frutti migliori.

Tutti comunque debbo ringraziare per quel poco o tanto che
hanno fatto, ma in modo particolare i piü fedeli e diligenti amici
Prof. Don P. Bartolini, Don R. Borgognoni, Don G. Castellini, Don
R. Catanossi, Don O. Centi, Don A. Lollini.

Altre notizie ho tratto principalmente da alcune pubblicazioni
dello Zanetti e del Bellucci, dove si parla spesso di tradizioni umbre
in genere, anche quando la ricerca era stata svolta nel solo territorio
perugino. Perugia e Assisi sono vicine e non c'é da meravigliarsi se
si trovano delle analogie, che qua e là ho messo in rilievo. Talora si
descrivono degli usi, che sono esplicitamente attribuiti alla popola-
zioni del nostro contado. E in questo caso li ho sempre riferiti, se non
altro per dire che oggi sono trasformati o non esistono piü. Altre volte
mi son servito di quegli scritti per completare la descrizione di qual-
che costume vagamente ricordato oggi dai nostri vecchi.

In questa composizione mi son messo su un piano di pura realtà,
evitando ogni sentimentalismo. Non sarebbe difficile farci sopra della
poesia o delle osservazioni teologico-morali; ma la prima non servi-

(1) P. ToscHI, Guida allo studio delle tradizioni popolari, 2 ^ ediz., Roma,
Edizioni Italiane, 1945, pagg. 72-83.













IL CICLO DELLA VITA UMANA, ECC. : 15

rebbe a nulla e le altre ciascuno puó farle da sé. Presento quindi tutta
una serie di fatti folklorici nudi e crudi, senza commenti non stretta-
mente necessari. Tuttavia ho talora inserito qualche aneddoto, che
mi sembrava utile a dimostrare meglio una mia affermazione o la
forza d'una tradizione. 4

Naturalmente non potevo fare delle semplici tavole. Dovevo
collegare in qualche modo i vari fatti. E questo m’ha portato più di
una volta alla descrizione del costume mentale e morale del popolo,
nel campo cioè della demopsicologia propriamente detta e credo che
non sia stato inutile.

Nell'ordinamento ho seguito un criterio cronologico; ma quando
la ‘descrizione minacciava di diventare troppo farraginosa, ho prefe-
rito un criterio logico. I fatti, che non si potevano agevolmente inse-
rire nell’insieme, sono stati posti in nota o alla fine d'un paragrafo o
raccolti in un paragrafo a parte.

Tolte le poche righe sul culto di S. Vitale, non ho mai fatto rife-
rimenti storici. Oggetto dello studio sono le tradizioni come erano
ai tempi dei nostri vecchi (e quindi ai tempi in cui scrivevano lo Za-
netti e il Bellucci) e come sono oggi. Si abbraccia pertanto, un periodo
massimo di una settantina d’anni.

Spesso le tradizioni di una zona non si riscontrano in un’altra e
talora neppure in tutta la stessa zona. So che l'indagine non è stata
dovunque ugualmente approfondita, ma talora la varietà ha conti-
nuato a sussistere anche là, dove si è fatto un ulteriore esame. Per
questo non ho generalizzato, se non quando avevo sufficienti indizi
per concludere che l’usanza descritta fosse propria di tutto il contado
o almeno di tutta una determinata zona. Si troveranno quindi spesso
nominati i singoli paesi e le singole zone: il che non vuol dire assolu-
tamente che quel costume non sia mai esistito o non esista negli al-
tri luoghi, ma solo che non risulta allo stato attuale delle mie cono-
scenze.

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MAZZIER







































ALESSIO



CaAPrTOLO I

L A GU LL.

La gravidanza

«La donna incinta é considerata impura e, per tale condizione,
capace di recare danni e malefizi » (1) ed essa stessa è esposta ai peri-
coli di misteriose influenze preternaturali. Rimane perciò in qualche
modo segregata dalla vita sociale ordinaria (2). A me non è stato oggi
| possibile riscontrare questo concetto nel nostro popolo. Impura è
| la donna in vari momenti e periodi della sua vita. Ma dal momento
| che una creatura è stata concepita nel suo seno sembra che ogni im-
| purità sia almeno sospesa. La donna incinta è oggi da noi un essere
sacro, sia di fronte agli uomini come dinanzi a Dio. Può andare e va
dovunque, ‘în Chiesa, in città, ai campi. Attende assiduamente ai
suoi abituali lavori, casalinghi o campestri, sino al sopraggiungere
delle doglie. Nessuna paura di influenze preternaturali l’accompagna,
| cosi come nessuno ha paura di lei. La sua incolumità anzi in qualche
| modo garantita e rivendicata da Dio stesso. Chiunque fa un qualsiasi
| favore ad una gestante e specialmente chi si adopera per soddisfarle
: 3 una «voglia » compie un’opera altamente meritoria, ricompensata

| da Dio, secondo la sua entità, con grazie materiali o soprannaturali,
fino a quella di liberare un’anima dal purgatorio. Chi al contrario
rifiutasse il suo aiuto a donna incinta commetterebbe un vero e pro-
prio peccato mortale, punito da Dio non solo con pene eterne, ma
anche con afflizioni corporali, la minore delle quali sarebbe un orza-
iolo (3). È tanto grande in questo caso il timore dei castighi divini,
che difficilmente, per quanto si dice, una strega o un fattucchiere si
permetterebbero il lusso di fare qualche brutto scherzo a una gestante.



(1) P. Toscur, Il folklore, Roma, Universale Studium, 1951, pag. 28.
(2) A. VAN GENNEP, Manuel de folklore frangais contemporain, T. IOP| Paris, A. Picard, 1943, pag. 115.
i : (3) Cfr. Z: ZANETTI, La medicina delle nostre donne, Città di Castello,
S. Lapi Tip. Ed., 1882, pag. 111. La stessa afflizione avrà a Poggio Inferiore
chi si sofferma a rimirare troppo a lungo una gestante. i







IL CICLO DELLA VITA UMANA, ECC. 17

Naturalmente i nove mesi della gravidanza sono un periodo
fisiologicamente criticissimo: da ciò tutta una serie di prescrizioni e
interdizioni, scientifiche pseudoscientifiche e superstiziose, tendenti
a salvaguardare il benessere fisico e: morale della madre e del feto.
Non é naturalmente da escludersi che qualcuno di tali pregiudizi sia
in relazione con l'antico concetto di impurità.

Generale é la credenza che il nascituro acquisti le qualità psi-
chiche e somatiche delle persone che la madre ha piü osservato du-
rante la gravidanza o che in qualche modo le hanno fatto una certa
impressione. Conosco una donna che sempre ride e fa ridere e incolpa
di ció la sua mamma che, quando era incinta, sarebbe andata a ve-
dere i giuochi di un circo equestre. Per questo ogni donna tiene espo-
sta e rimira nella sua camera da letto un'immagine in cera (o almeno
a stampa) di Gesù Bambino, che la tradizione vuole la più perfetta
figura di uomo. Questa immagine è anzi il dono rituale che la comare
di battesimo deve fare alla sposa.

La donna incinta non cavalca somari, perché la sua gravidanza
durerebbe dodici mesi. Non si avvolge al collo la matassa della lana,
non si pone «la corolla » sulla testa quando va ad attingere l’acqua,
né passa sopra una corda, perché il bimbo nascerebbe contorto. Evita
ugualmente di passare sopra un fil di ferro o una croce (formata da
fuscelli di paglia od altro), perché il nascituro diverrebbe crudele od
‘ empio. Il passaggio sopra una croce del genere, se fatto con dispregio,
può esser punito da Dio persino con l’aborto. La gestante ancora
non mangia anguille, perché il corpo del feto sarebbe tutto ricoperto
di squame. Non soffia sul fuoco, perché per lo sforzo ne patirebbe il
feto che è nel ventre.

Scarso è il timore del malocchio, delle invidie e delle fatture, per
i motivi già esposti. Se però si dovesse riscontrare un malefizio del
genere, l’unico rimedio è dato dagli scongiuri dello strologo. Dalle
zone montane d’Assisi e Valfabbrica mi si comunica che i fattucchieri
locali usano per lo scongiuro una stecca dove è segnata una croce.
Credo di poterla identificare con quella trovata dal Bellucci (1) nei
territori di Nocera e Gualdo, simile alla stecca del pegno di fidanza-
mento, formata di legno di noce e contenente intarsiata una crocetta
di legno stregonio (Ilex aquifolium L.).

Il rimedio contro le « voglie » è abbastanza semplice: la gestante

(1) G. BeLLuccI, Folklore Umbro (Pegno del fidanzamento), Perugia, Un.
Tipogr. Coop., 1898, pag. 20.

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18 ALESSIO MAZZIER

si china e tocca la terra a cui trasferisce la « voglia »; se peró si trova
in stato di avanzata gravidanza e non puó agevolmente chinarsi, si
tocca una delle parti del corpo ordinariamente coperte dai vestiti:
in quella stessa parte si imprimerà al neonato il segno della « voglia », .
restando quindi invisibile agli occhi dei... profani.

Tutti questi pregiudizi sono generalmente diffusi in tutto il con-
tado. Diversi di essi sono elencati anche dallo Zanetti (1).

Sin dall'inizio della gestazione la famiglia si preoccupa di indo-
vinare il sesso del futuro neonato. Vari e talora contrastanti sono i
pronostici, a cui peró si presta oggi scarsa fiducia. Elenco quelli che
depongono a favore di un maschio, seguendo l'ordinamento del Prof.
Toschi (2). 4

I. Pronostici derivati da concezioni magiche per analogia.

1) Si tirano fra due contendenti le estremità dello sterno di
pollo. Avrà un maschio la donna pensata dalla persona a cui resta
in mano la parte minore (quella maggiore assomiglia alla « cuffia » e
indica il sesso femminile).

2) Si getta in terra un pestello di sale e uno scopetto. Se il bam-
bino presente raccoglie prima spontaneamente il pestello, la donna
avrà un maschio.

3) L'avere incontrato un uomo presso la porta di casa quando
si portava a battezzare l'ultimo figlio.

II, Pronostici tratti da osservazioni fisiologiche..

1) Il ventre della donna alto, tondo o largo («leggero » a Pieve
S. Nicolò).
| 2) La faccia della gestante con colorito normale (con chiazze
paonazze a Costano).
3) Il maggiore ingrossamento della mammella destra.
4) Gli eccessivi conati di vomito.

III. Pronostici basati sulle lunazioni.
.1) Il concepimento avvenuto a luna crescente o a luna piena.
2) La nascita prevista in un mese dispari, a norma del proverbio:
«Se caffo é maschio, se paio è femmina ».
3) La nascita dell'ultimo figlio avvenuta a luna piena.

(1) Z. ZANETTI, La medicina, ecc., pagg. 109-113. Lena,
(2) P. ToscHi, Il folklore, Roma, Universale Studium, 1951, pag. 30.









IL CICLO DELLA VITA UMANA, ECC. SERI 19

Da Bettona mi si comunica un singolare pregiudizio: il gatto, pas-
sando fra le gambe d’una gestante, si mangerebbe la «coda » (membro
virile) del feto, che perciò diverrebbe di sesso femminile.

Data la scarsa fede che si presta a tutte queste previsioni, chi
vuole avere un responso sicuro pensa di trovarlo infallibilmente nella
parola dello strologo.

Non solo ci si preoccupa di conoscere il sesso del nascituro, ma
anche il numero dei parti di ciascuna donna. Generale è il proverbio:
«Bambino coi capelli chiama altri fratelli ». Ai tempi dello Zanetti
si esaminava il cordone ombelicale del primogenito: i nodi scuri indi-
cavano il numero dei fratelli che dovevano seguire e quelli bianchi,
il numero delle sorelle (1). Oggi qua.e là in tutto il contado, secondo
quanto mi afferma un’ostetrica, la presenza di numerosi noduli (senza
distinzione di bianchi o neri) indicherebbe genericamente una nume-
rosa prole.

In genere si teme una numerosa prole. La preoccupazione di una
vita tranquilla, specie in rapporto all’attuale disagio economico-so-
ciale delle classi meno abbienti, si è diffusa, come un terribile morbo,
anche nelle nostre campagne. Gli sposi desiderano certamente dei
figli, come coronamento del loro amore; ma due bambini, specie se
un maschio e una femmina, sono ritenuti più che sufficienti. Oggi è
quasi scomparso il vecchio proverbio secondo cui «i figli non portano
carestia ». Si ripetono piuttosto frequentemente gli altri: « Un fijo è
poco, due me ce spasso, tre poretto me ! » e « Tanta famija porta di-
‘ spetto, poca famija porta diletto » (2). Ritengo necessario in pro-
posito dividere la nostra popolazione agricola in almeno due grandi

categorie: piccoli proprietari coltivatori diretti e contadini. La pic-.

cola proprietà è largamente diffusa, ma spesso assolutamente pol-
verizzata, tale da non consentire ulteriori suddivisioni. È proprio qui
che si nota la maggiore limitazione della prole. Diverso, fino a pochi
anni or sono, era il caso dei contadini. Qui i figli significavano braccia,
cioè forza produttiva e quindi possibilità di accedere a poderi sempre

più grandi e di fare maggiori guadagni. Oggi lo slogan: « La terra ai

contadini!» ha avuto delle impensate ripercussioni nell'ambiente
familiare. Il contadino è certo che in un domani ormai prossimo la

(1) Z. ZANETTI, La medicina, ecc., pag. 128.
(2) Cfr. O. GRIFONI, Proverbi Umbri, Foligno, L’ Appennino, 1943, pagg.
26-27, nn. 54, 60, 62. È SE

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20 ALESSIO MAZZIER

terra da lui lavorata diverrà di sua proprietà e comunque conosce
che, col blocco dei patti agrari (ormai divenuto pressoché definitivo),
non può più facilmente cambiare podere. Il problema della prole è
visto pertanto alla stessa stregua in cui lo vedono i piccoli proprie-
tari (1). Le famiglie patriarcali o sono finite o vanno rapidamente
scomparendo. L’onanismo o neomaltusianismo è oggi largamente
praticato nelle campagne come nelle città, nelle classi cosiddette
proletarie come nelle classi borghesi e aristocratiche, sebbene i mo-
tivi possano essere diversi per l’una o l’altra classe. I registri di stato
civile potrebbero confermare con precisi dati statistici la verità delle
mie costatazioni.

Se gli sposi non vogliono troppi figli, c'è tuttavia una categoria
di persone che non ne vorrebbe davvero nessuno e purtroppo invece
ne ha: sono le giovani donne nubili. Era veramente falso l’antico con-
cetto che voleva gli abitanti delle campagne integri, onesti, forniti
di tutte le virtù. Qui si ha invece un dilagare degli istinti passionali.
I «bisci » o «bastardi » o « figli di nessuno » sono assai più numerosi
di quanto comunemente si pensi. Negli ultimi decenni il numero tende
costantemente a decrescere. Maggiore moralità ? Non credo. A mio
avviso si tratta di una maggiore conoscenza delle pratiche onanistiche
e abortive. Sin dal 1892 lo Zanetti scriveva: « L'aborto è più frequente
di quanto i moralisti potrebbero credere. Esistono anche presso di noi
alcune donne, vere sagae dei tempi di Roma, le quali esercitano impu-
nemente le loro arti, non meno di quello che facessero le Canidie sotto
gl Imperatori : e nessuna legge, io credo, giungerà mai a colpire queste
immolatrici di bambini, che le stesse madri sottraggono ad ogni ricerca »
(2). La costatazione dello Zanetti non è oggi men valida di ieri. Vorrei
solo osservare che i moralisti sanno molto più di quanto pensasse lo
Zanetti: chi forse non sa o simula di non sapere sono i pubblici poteri.

Ma lasciamo questo argomento, che era pur necessario toccare
per avere una visione completa dei costumi del nostro popolo, e ri-
prendiamo l’ordine del discorso.

Man mano che si avvicina l'epoca del parto, la donna osserva
l'accrescimento del seno e procura di assicurarsi una abbondante se-
crezione lattea. Oltre i mezzi igienici dettati da dottori e levatrici o
« mammane », ci sono i mezzi soprannaturali. Non sono a conoscenza

(1) Per i braccianti la questione della prole è spesso questione di pane.
(2) Z. ZANETTI, La medicina, ecc., pag. 116.



IL CICLO DELLA VITA UMANA, ECC. 21

di amuleti lattiferi ancora in uso. Ogni chiesa possiede una immagine
miracolosa della Madonna, alla quale ci si rivolge con sicura fiducia
in ogni bisogno. Ma il buon esito del parto e una buona secrezione
del latte son cose di tale importanza che conviene incomodare qual-
che Madonna più potente di quella locale (1). Ogni gestante si reca
in pellegrinaggio alla Madonna degli Angeli. A Valfabbrica, Petrigna-
no e Bastia c’è chi si spinge fino a Perugia a raccomandarsi al Santo
Anello della Vergine conservato nella chiesa del Duomo (2). Le donne
di Bettona e Cannara preferivano la Madonna del Latte venerata
in una chiesa di Collemancio ora diroccata; oggi vanno anche più lon-
tano, al Santuario della Madonna della Valle, presso Bevagna. Nella
parte montana di Assisi si preferisce la Madonna dei Tre Fossi a
S. Maria di Lignano (3).

La più grande fiducia è però riposta nell’acqua di S. Silvestro,
che sgorga presso l’omonima Chiesa Abbaziale a Collepino, vicino a
Spello. Molte donne se ne procurano tempestivamente alcuni fiaschi,
per berne qualche sorso durante il periodo dell’allattamento. Nel re-
tro di una immagine del Santo, che là si dispensa, è stampata una
preghiera, vista e approvata dal Vescovo Nicola Grispigni, con 40
giorni d’indulgenza (Decr. 19 Dic. 1875). Vi si legge, fra l’altro:

«O glorioso S. Silvestro... assistete in special modo le devote
donne lattanti che senza interruzione si traggono a questo Santuario da
ogni parte, per ottenere a intercessione Vostra continue grazie, bevendo
l’acqua denominata di S. Silvestro ».

Il giorno del parto si avvicina. Dopo un’ultima visita alla Ma-
donna degli Angeli (per chi può agevolmente recarcisi) o alla Madon-
na più venerata della propria parrocchia, le nostre donne si mettono
sotto la protezione di Sant’ Anna, la cui immagine viene solennemente
esposta nella camera da letto.

In Assisi qualche donna del volgo, alla vigilia del parto, si reca
nella Basilica Superiore di San Francesco dove, eludendo la sorve-
glianza dei religiosi, si siede per qualche minuto in devoto raccogli-
mento sul trono papale: così i muscoli si distenderanno e le operazioni

(1) Qualcuno arriva a sospettare che i vari titoli dati alla Vergine corri-
spondano ad altrettante Madonne, spesso in concorrenza fra di loro.

(2) Molti ciociari, che vengono ad Assisi per il Perdono, vanno a visitare
il Santo Anello di Perugia. ;

(3) Sarebbe molto interessante uno studio sul culto della Madonna del
Latte e della Madonna dei Tre Fossi.



22 ALESSIO MAZZIER

del parto saranno facili e brevi (1). Il trono si connette al parto, per .
la legge della magia simpatica analogica, attraverso l’antica sedia a
bracciuoli. i

EI.
La nascita

È difficile venire a conoscenza di tutte le cerimonie e i pregiudizi
che accompagnano le operazioni del parto. La naturale reticenza
femminile merita ogni rispetto. La mia descrizione sarà pertanto
necessariamente incompleta. Una descrizione molto dettagliata è
fatta dallo Zanetti nell’opera più volte citata, nei capitoli XII e
XIII, pagg. 120-149. Molto di quanto egli dice del contado di Peru-
gia doveva essere valido, ai suoi tempi, anche per il nostro territorio.
Sono però convinto che varie cose da allora siano scomparse o ra-
dicalmente mutate.

Presenziano al parto, oltre lo sposo e la « mammana », le più
strette amiche e parenti della partoriente. Sono esclusi gli uomini
(com’è naturale), le donne gestanti o nubili e qualsiasi altra persona
che abbia un rilevante difetto fisico. Entrando nella camera tutti
salutano la donna, invocando su di lei la protezione di S. Anna, in-
nanzi alla cui immagine é già stata accesa, sin dal primo insorgere
delle doglie, una candela benedetta. So che in qualche rara famiglia
esiste ancora una robusta sedia a bracciuoli, destinata allo stesso
uso dei «banchi » dei siciliani.

È tuttora generalmente in uso far passeggiare la donna per la
casa, allo scopo di facilitare la discesa della creaturina. Se le doglie
si prolungano più del consueto, qualche famiglia aristocratica trova
il modo di ottenere, per distenderlo sul letto, il manto di una pro-
digiosa statua della Madonna, che si venera presso Foligno.

Il parto avviene quando la donna, in preda ai dolori, lancia im-
pensatamente un grido di disperazione, come « Mamma mia, non ne
posso più, me mòro ! »

Finalmente il bambino viene alla luce. Se è un maschio forti
gridi di giubilo echeggiano per la casa e presto vi accorrono ralle-

(1) Varie persone tentano sedersi sul trono papale anche per guarire dalle
sofferenze emorroidali.







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HL CICLO DELLA VITA UMANA, ECC. E 23

grandosi tutti i vicini. Una femmina invece non ha eccessive acco-
glienze e, in caso di primo parto, i genitori si guardano l'un l'altro
con un atteggiamento di mesta rassegnazione. Anche questa volta
accorrono i vicini, segnano col gesso sulla porta di casa grossi fiaschi,
vi spargono intorno rami e foglie di fico e chiamano il padre, facen-
dogli delle boccacce. Veramente «l’uso popolare non è punto caval-
leresco verso la donna » nascente (1).

Se sono due gemelli, le cose si complicano: lamenti, impreca-
zioni, pianti, singhiozzi si ripercuotono per la casa. I gemelli non
sono di per sé di malaugurio, ma importano notevoli spese impre-
viste.

Mentre i presenti al parto vanno facendo i loro pronostici, la
« mammana » provvede all'estrazione della secondina e alla legatura
del cordone ombelicale. Qualche famiglia conserva il bellico come

un talismano, ma per lo piü lo si distrugge, ponendo la massima.

attenzione a che non vada a finire ‘in bocca a un gatto. La cosa sa-
rebbe presagio di grave sventura incombente sul neonato o sulla
madre, detta «impajata ». « Questo appellativo, scrive lo Zanetti, sem-
bra ci sia rimasto, dopo un antico costume di chiudere con paglia ogni

. fesso delle porte e delle finestre della camera dove giaceva la puerpera,

perché non entrasse il vento il quale si crede che possa penetrare nell’u-
tero, e far gonfiare le donne sgravate di fresco » (2).

Il neonato, per usare le espressioni del Van Gennep, è biologi-
camente, socialmente e magicamente in uno stato di minore difesa.
Da ciò tutta una serie di riti profilattici e dinamici destinati ad assi-
curare la sua sopravvivenza (3). I

Si procede al bagno. Si pone nella bacina la candelina della Can-
delora, una palma d’olivo benedetta la domenica delle Palme e spes-
so anche la corona del rosario. Lo scopo è chiaro: allontanare gli spi-
riti maligni e attirare la protezione del cielo. Si pone ancora una fede
d’oro, perché il bimbo sia fortunato; una fede d’argento, perché sia

vivace (« Sei un argento vivo ! » si dice ai bambini svelti); alcune mo-

nete, perché divenga ricco. A Capodacqua si mette anche un uovo,
simbolo della salute; a Pieve San Nicolò, una piastrina di ferro, sim-
bolo della robustezza (« forte come il ferro ») e delle erbe aromatiche;

(1) A. DE GUBERNATIS, Sforia comparata degli usi natalizi in Italia e presso
gli altri vpoli indo-europei, Milano Treves, 1878, pag. 49.

(2) Z. ZANETTI, La medicina ecc., pag. 133.

(3) A. VAN GENNEP, Manuel de folklore francais contemporain, Paris, A.
Picard, 1943, T. IL, P. L, pag. 121. -

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24 ALESSIO MAZZIER

a Costa di Trex, una filza di coralli, simbolo di buon sangue e amu-
leto contro il malocchio.

Asciugato il bambino, lo si fascia (una volta per intiero, ora
parzialmente), dopo aver tracciato su di lui col «fasciatoio » un segno
di croce. Tra le fasce si pone il « breve », piccolo sacchetto quadrato
o rettangolare o a forma di cuore, preparato o procurato da una delle
comari, contenente una piccola immagine di Gesü o di altri santi,
una foglia di palme, frammenti di stola e del cero pasquale, polveri
delle tombe di San Francesco e Santa Chiara, un po' di semola, qual-
che acino di grano. A Valfabbrica e Costa di Trex si aggiunge qual-
che corallo; a Bettona, una piastrina di ferro; a Bastia, qualche
pelo di tasso. A Rivotorto, Capodacqua, Cannara molti mettono nel
breve solo semola, grano e coralli, con assoluta esclusione di simboli
religiosi, perché chi è pagano non è degno di portarne indosso: sa-
rebbe già quasi un abuso il momentaneo indiretto contatto al mo-
mento della lavanda. Sopra le fasce è fissato, con una spilla, un fioc-
co rosso e al polso sinistro vien posta una catenina di coralli.

Il bimbo è ormai pronto per scendere nella culla, ma anche que-
sta è esposta alle forze malefiche. Entro il piccolo materasso (che po-
trebbe essere invidiato) vien messa una fettina di pane, che dopo 40
giorni sarà intrisa nel vino, trasformata in « pappetta » e data in cibo
all’infante. L’usanza è stata da me riscontrata in quasi tutta la zona
che si estende da Capodacqua a Cannara e da S. Maria degli Angeli a
Spello; per gli altri luoghi non ho potuto avere nessuna indicazione.

Il bimbo è nella culla, grazioso come un angelo; ma è proibito
baciarlo, per non scolorirlo; è proibito decantarne la bellezza, per-
ché si potrebbe, anche involontariamente, iniettargli l’invidia; è
proibito perfino dirgli: « Dio ti benedica ! », perché è un pagano.

Il pianto non è temuto, come neppure il sorriso; ché anzi, quan-
do il bimbo abbozza vagamente un sorriso nella culla, si dice che
parla cogli angeli.

Lo sposo della puerpera, il babbo felice della nuova creatura,
come contrappeso alla sua gioia e al suo orgoglio, durante tutte le
operazioni del parto, ha un solo diritto e un solo dovere, quello di
attendere ai servizi... igienici: così nella zona montana di Assisi e
Valfabbrica.

E veniamo ai pronostici. Il primo pronostico è dato dai segni
particolari che il bambino porta con sé nascendo. Così il bimbo nato
di sette mesi, « settimino », se riesce a sopravvivere, sarà l’uomo più





IL CICLO. DELLA VITA UMANA, ECC. 25

felice del mondo; quello invece nato di otto mesi morrà quasi subito:
«la ragione, scrive lo Zanetti, è completamente astrologica » (1).

Assai fortunato sarà chi nasce «vestito » o con la «cuffia » o
«camicia »; la « cuffia » verrà essiccata e portata indosso per tutta
la vita, come valido amuleto contro ogni genere di mali. Il neonato
col naso lungo sarà una spia, coi capelli lunghi e folti sarà robusto, coi
capelli rossi sarà di animo cattivo (secondo il proverbio: « Pilo roscio
e pilo caffè, libera nos Dominè »); così pure chi nasce con qualche
deformità, essendo un « segnato di Cristo ». Il neonato dalle sopracci-
glia arcuate e quasi riunite sarà traditore, mentre quello dalle sopracci-
glia allontanate sarà leale.

In mancanza di segni particolari, il pronostico è tratto dal gior-
no della nascita. I nati di venerdì sono i più temuti. Nel migliore dei
casi saranno « senza sale » cioè poco intelligenti, come in Assisi città;
mentre nel contado sono ritenuti o di semplice malaugurio (Bastia),
o iniettatori di «inguidia » o « malocchio » (Bettona e Valfabbrica),
o addirittura degli stregoni veri e propri, specie se femmine (Cannara).
Chi nasce di sabato, il giorno della Madonna, è ritenuto universal-
mente felice, meno che a Valfabbrica, ove si teme che rimanga sden-
tato in ancor giovane età. Per i nati di domenica ho un’unica segna-
lazione dal Poggio Inferiore, dove sono stimati «senza giudizio ».

Per gli altri giorni (lunedì, martedì, mercoledì, giovedì) si segue
il pronostico tratto dal mese di nascita. I nati nel mese di gennaio
sono intelligenti; quelli di febbraio, che è il mese più corto, saranno
di piccola statura; i nati durante il carnevale saranno sempre alle-
gri, mentre i « marzaioli » saranno addirittura pazzi, giacché « marzo
è matto ». A un giovane o uomo troppo pazzarello si dice che gli man-
ca qualche venerdì di quaresima o di marzo. Maggio è il mese in cui
i somari « montano in calore » o «in amore », quindi i nati di quel
mese saranno dei « somari », poco intelligenti. Settembre è «il mese
delle croci », perché il 14 la liturgia celebra l'esaltazione della santa
Croce e il giorno seguente commemora i Sette Dolori di Maria; i nati
in questo mese saranno per natura melanconici e dovranno sopporta-
re molte croci. Novembre è il mese dei morti: chi nasce in esso o avrà
breve vita o sarà colpito da molti lutti.

Comunque siano i segni particolari del neonato o il giorno o mese
di nascita, sarà felice chi nasce nelle feste « ricordatoie », specialmente
il Natale e tutte le feste della Vergine, meno quella della Madonna

(1) Z. ZANETTI, La medicina, ecc., pag. 114.



26 ALESSIO MAZZIER

Addolorata che si celebra il venerdì della settimana di Passione e il
14 settembre. Infine chi nasce il primo dell’anno arriverà primo in
tutte le cose, mentre chi nasce il giorno di S. Silvestro arriverà sempre
ultimo. i

Quando i vari pronostici concordano, hanno valore sicuro e in-
discusso; quando invece risultano discordanti unusquisque in sensu
suo abundat e trova sempre una qualche giustificazione per dare
maggior valore al presagio piü favorevole. bus

Indipendentemente dai pronostici tradizionali, molti si atten-
gono ora a « Barba-Nera », il noto e simpatico almanacco che si stampa
a Foligno in due diverse edizioni: quella di F. Campitelli, la più an-
tica, giunta ormai al 188° anno di vita e quella più recente di G. Cam-
pi, iniziata nel 1903.

« Gli astri, il sole ed ogni sfera
or misura Barba-Nera,

per poter altrui predire

tutto quel che ha da venire » (1),

dice il Barba-Nera di Campitelli, a cui fa eco quello di Campi:

« Nell'immenso firmamento
Barba-Nera legge attento

e s'ingegna di sapere

quel che poi deve accadere » (2).

E i pronostici di Barba-Nera, varianti di anno in anno, sono per
il nostro popolo, e non solo per esso, delle autentiche profezie. Sulla
stessa scia si è messo il Lunario del Cappuccino « Frate Indovino »,
che si stampa da qualche anno a cura dei Padri Cappuccini dell’Um-
bria. Per citare un solo esempio, nel mese di febbraio del 1950 por-
| tava il presente pronostico: « I nati di questa costellazione (i Pesci)
__ saranno di poco sonno, flemmatici, travagliati in gioventù, onorati,
misericordiosi » (3).

Anche Frate Indovino, come ormai è chiamato il compilatore
del lunario, P. Mariangelo da Cerqueto O.F.M. Capp., è ritenuto un
profeta o addirittura un santo dal nostro popolino.

(1) Lunario Barba-Nera, Foligno, Campitelli, 1950.

(2) Barba-Nera di Foligno, Foligno, Campi, 1950.

(3) Frate Indovino. Lunario del Cappuccino, compilato da P. MARIANGELO
DA CERQUETO O. F.M. Capp., a cura di « Voce Serafica », Assisi, 1950.





IL CICLO DELLA VITA UMANA, ECC. 27

Così i pronostici di Barba-Nera e di Frate Indovino si vanno
lentamente sovrapponendo a quelli tradizionali. È necessario però
riconoscere un continuo processo ascendente e discendente.

III.
Il battesimo

Il battesimo oggi non si amministra in genere prima della terza
settimana dalla nascita, con accentuata tendenza a trasferirlo al
termine della «quarantana », quando la madre potrà partecipare
senza inconvenienti al banchetto battesimale. Un buon uomo così
mi diceva in proposito: « La mi’ moje ha tribolato nove mesi per
portà’ ’sta creatura addosso, ha tribolato quel che Dio solo sa pe’
sgravasse, lia ha portato tutto ’1 peso. Ve parrebbe giusto che nojaltre
ce stemo a diverti' e lia'n ha da gustà' gnente?» AI principio del secolo
non era cosi. Il Sinodo Diocesano di Assisi del 1908 ordinava ai par-
roci che « incuriam eorum serio improbent qui, absque gravi causa, ul-
tra triduum filiorum baptismum differunt » (1). Allora il battesimo
avveniva nella prima o seconda settimana dalla nascita. Ma già nel
1923 si era andata aftermando la nuova consuetudine; difatti il Pri-
mo Concilio Plenario dell'Umbria, tenuto in Assisi quell'anno,
prescrive: « Parochi sedulo advigilent ut infantes quam primum bapti-
zentur, et parentes frequenter commoneant de hac gravi eorum obliga-
tione, reprobata omnino consuetudine differendi baptismi usque dum
maler infantis e puerperio exeat » (2). E che questa consuetudine sia
invalsa non solo nell'Umbria in genere, ma anche nel nostro territo-
rio in specie, é confermato dal Sinodo Diocesano di Assisi del 1938,
che all'art. 71 richiama espressamente il succitato canone del Con-
cilio Plenario Umbro (3). ;

Come mai questa trasformazione in una materia tanto impor-
tante e delicata ? La fede del popolino è spesso priva di una base ra-
zionale ed è legata a tutto un complesso di pregiudizi di carattere

(1) Synodus Dioecesana Assisiensis habita... diebus XXII, XXIII, XXIV
Septembris MCM VIII, Assisi, Tip. Metastasio, 1909, cap. II, art. 3.

(2) Primum: Concilium Plenarium Umbriae celebratum . Assisii anno
MCMXXIII, Città di Castello, Tip. S. Cuore, 1926, art. 83. ;

(3) Synodus Dioecesana Assisiensis celebrata A. D. 1938, Assisi, Tip. Me-
tastasio, 1939, art. 71.







28 ALESSIO MAZZIER

magico. La scomparsa di questi comporta uno sfasamento nella pra-
tica religiosa. Una volta si credeva ciecamente alle forze del male
che circondavano il fanciullo e si ricorreva subito alle acque sacra-
mentali per combatterne le influenze funeste. Ora fortunatamente la
credenza va scomparendo, ma con essa scompare anche l'urgenza del
sacro rito. Poco giovano le frequenti esortazioni dei parroci, basate
esclusivamente su ragioni teologiche.

Non si attende certamente la nascita e tantomeno la fissazione
della data del battesimo per la scelta dei padrini. La designazione è
abitualmente fatta fin dai primi mesi della gravidanza. È un dovere
accettare l’invito, altrimenti si passerebbe per « pitocchi ». Per il
primo nato i padrini sono spesso i nonni paterni o materni, per i figli
successivi sono gli zii o altri parenti abbastanza stretti. Quando fra
parenti non esiste buona armonia, la scelta può cadere su qualcuno
degli amici più affezionati. Comunque è regola pressoché generale
che non si vada oltre i limiti della propria cerchia sociale, eccettuato
il caso in cui fra colono e proprietario esistano particolari relazioni
di affetto e reciproca simpatia (cosa in questi giorni alquanto rara).

La massima preoccupazione è comunque rivolta a che la scelta
non cada su una coppia di fidanzati, perché il loro matrimonio an-
drebbe in fumo o sarebe funestato da gravi liti o da lutti. Per evitare
questa terribile conseguenza si dovrebbero rimandare le nozze di
almeno tre anni: così a Capodacqua e frazioni vicine. Una giovane
donna lo scorso anno si rivolse a me tutta intimorita chiedendomi
assicurazioni in merito e non partì finché non le ebbi dichiarato sul
mio onore che poteva con tutta tranquillità far da madrina col suo
promesso sposo.

È dovere dei padrini fare un regalo al « figlioccio » e alla madre.
Al bimbo si regalano vestitini e scarpette e, se femmina, una catenina
o gli orecchini. Una volta si donavano gli orecchini anche ai maschi,
che poi li portavano per tutta la vita. Dono rituale per la puerpera è
una gallina, a cui si aggiungono ad libitum uova, zucchero, dolci e
frutta. A Pomonte la gallina deve essere nera. A Sterpeto e Petrigna-
no, prima della guerra '15-18, quando una numerosa prole veniva
ancora considerata come una provvidenza, era anche rituale il dono
di 12 pagnotte di pane, simbolo e augurio di 12 figli. A Cannara il
dono puó essere differito di sei mesi. Oggi, infine, molti padrini non
si prendono più la briga di andare in città a fare le spese; preferiscono
donare alla madre una imprecisata somma di danaro, non in busta







IL CICLO DELLA VITA UMANA, ECC. 29

chiusa, ma scoperta, ben visibile, in modo da ricevere i complimenti
degli astanti. Il nostro popolino, se fa un dono, cerca sempre di met-
terlo in evidenza.

La scelta del primo nome del primogenito viene fatta il giorno
stesso della nascita, spetta ordinariamente al padre ed è per lo più
il nome di uno dei nonni paterni, siano essi ancor vivi o già defunti.
Se però la nascita coincide con la festa di qualche santo molto caro
al popolo, il bimbo porterà il nome di quel santo. Speciali motivi
di gratitudine e di affetto inducono infine il padre a imporre il nome
di qualche amico, specialmente dell’ufficiale a cui ha fatto da atten-
dente durante il servizio militare. Per il secondo figlio il nome è scelto
di regola dalla madre, per i figli successivi, di comune accordo tra i
genitori.

Il secondo nome è imposto al momento del battesimo dal padri-
no (meno che a Pieve S. Nicolò, ove questo privilegio è riservato al
parroco) e il terzo dalla madrina.

Il giorno del battesimo è finalmente venuto ed è, di regola, una
domenica o altro giorno festivo. Il bambino è ben fasciato e gli vien
messo per la prima volta un bel vestitino e un’elegante cuffia, di co-
lor celeste per un maschio e rosa per una femminuccia. Le famiglie
meno abbienti tengono un unico vestitino bianco che serve per tutti
i figli di ambo i sessi.

Il «breve », il fiocco rosso, la collanina di coralli, che sono stati
messi indosso al bambino sin dal giorno della nascita, sono amuleti
validi a preservarlo dall’invidia e dal malocchio anche nel tragitto
da casa alla chiesa parrocchiale, meno che a Valfabbrica e dintorni,
dove per maggior sicurezza si aggiunge un osso di cane, e ad Assisi-
città, ove si mette al collo una catenina con cornetto.

Il bimbo è preso in braccio dalla levatrice (in città e negli altri
paesi maggiori) o da una giovinetta (negli altri luoghi), viene adagia-
to sempre sul braccio destro, qualunque sia il suo sesso, ed è ricoperto
con un ricco manto generalmente rosso, dato in prestito dalla « mam-
mana ». Il manto copre interamente anche le spalle della portatrice
e vien fissato con una spilla dietro la sua schiena. L’uso del coltron-
cino, riservato una volta ai « figli di mammà », si va ora estendendo
anche alle campagne, introdottovi per lo più dalle donne che furono
a servizio in casa di signori.

Si parte da casa. Il babbo si pone alla sinistra della donna che
porta il bambino; dietro vengono i padrini. Qua e là invece il babbo

P GHCoaw



va dietro e i padrini si dispongono ai fianchi della portatrice. Sulla



30 l ALESSIO MAZZIER

soglia di casa la madrina dice alla puerpera: « Vo' me '] dete reo e io
ve 7] faró cristiano » o altra formula simile. L'uso va scomparendo.

A Sterpeto, lungo la strada che porta in chiesa, si spargono di
nuovo foglie di fico, quando il primogenito é di sesso femminile.

Si arriva finalmente in chiesa, dove si darà l'anima al bambino.
Chi infatti non é battezzato non solo é un pagano, un turco o un reo,
ma é ritenuto addirittura un semplice animale con vita solo vegeta- :
tiva e sensitiva. Si pensa che sia l'acqua battesimale a infondergli
l'anima.

Non tutte le parrocchie avevano una volta il fonte. Le singole
famiglie portavano quindi i loro neonati alla chiesa preferita. Oggi
il battesimo avviene sempre nella chiesa parrocchiale propria, a nor-
ma dei canoni 774 e 775 del Codice di Diritto Canonico. Unica ecce-
zione è data dalla Cattedrale di San Rufino in Assisi, ove gli abitanti
delle cinque parrocchie cittadine preferiscono far battezzare i loro
figli, in segno di omaggio e di devozione a San Francesco, che proprio
presso quel battistero fu fatto cristiano. La tradizione vuole anzi
che « quanti presero il battesimo da questo fonte, andarono immuni dal-
l’insanabile infermità della lebbra» (1). f

Durante la sacra cerimonia nessun rito speciale si frappone a
quello liturgico, né esiste alcuna prescrizione riguardo al posto che
dovrebbe occupare il padre. Una volta si suonavano quasi ovunque le
campane a festa e il suono durava più a lungo per un maschio che per
una femmina; oggi l’uso mi è confermato solo per le due frazioni di
Sterpeto e di Poggio Inferiore, ove anzi il suono si prolunga per tutta
la durata della cerimonia. A Pomonte si suona durante il tragitto di
ritorno.

Com'é noto, i padrini devono recitare il Credo e il Pater noster.
In tutta la zona montana di Assisi si crede che se si «impunteranno »
o sbaglieranno, il bimbo diverrà balbuziente. A scongiurare questo
pericolo è stato trovato un facile quanto efficace rimedio. Al ritorno
in casa la madrina farà mangiare alla creatura un «biabino » (pic-
cola torta): così egli parlerà un giorno speditamente, come se nulla
fosse stato.

Si prega generalmente il sacerdote di non essere troppo misurato
nel somministrare il sale, perché il figliuoletto non resti « sciapo ».

| (1) Il battistero di S. Francesco, in « Il VII centenario della nascita di
S. Franc. d'Assisi» a. IV, n. X, 1882, pag. 219.





IL CICLO DELLA VITA UMANA, ECC.. . 31

Per lo più la candela viene fornita dal sacerdote, sebbene la sua -
offerta sia prescritta come diritto di stola. i

Il silenzio e il pianto del bambino durante il sacro rito sono va-
riamente giudicati dalle varie persone e non è possibile stabilire quale
e dove sia l’opinione prevalente.

Al termine della cerimonia il bimbo che era un animale, un pa-
gano, un reo è divenuto un uomo, un cristiano, un angelo; e non è
ancor tutto. Egli potrebbe essere forse figlio del peccato, dell’adul-
terio: il sacramento ha avuto anche il mirabile effetto di legittimare
l'eventuale adulterio e il suo frutto. E la formula della legittimazione —
sarebbero le parole: - Mamma certa e babbo incerto —, che il ministro
pronunzierebbe non so in quale momento del sacro rito. Tutti giurano
di avere bene inteso queste parole. Così il padre « cornuto » se ne tor-
na in casa, contento d’aver fatto proprio un figlio, che forse non è suo
e abbraccia la sposa, che fedele o no, o bene o male, gli ha regalato
un bel « pupetto ».

Secondo il Codice di diritto canonico «ex baptismo spiritualem
cognationem contrahunt tantum cum baptizalo baptizans el patrinus » (1).

Presso il nostro popolo invece la cognatio si estende fra l'intera
famiglia del battezzato e il padrino o anche addirittura tutta la sua
famiglia. I membri delle due famiglie si chiameranno a vicenda « com-
pari » e « COMMATI ».

Mentre il padre si trattiene nell’ufficio parrocchiale per la regi-
strazione del battesimo, la « commare » depone per qualche minuto
il suo figlioccio sull’altare maggiore e su quello della Madonna, invo-
cando su di lui la protezione del cielo. Nella zona montana del nostro
Comune, a Valfabbrica e in qualche parte del piano (come Costano)
il bambino viene voltolato tre volte sugli altari: così sarà premunito
per tutta la vita dal mal di reni e di ventre e dall'invidia. A San Vi-
tale vien messo anche nell'urna di pietra che, secondo la tradizione,
fu la prima tomba del santo omonimo: così sarà scongiurato pure il
pericolo dell’ernia, ché San Vitale è il « protettore delle rotture ».

‘L’emolumento al parroco consiste generalmente in una offerta
in denaro piü o meno generosa. Presso Valfabbrica si offre uno staio
(Kg. 32) di grano e un fazzoletto da naso: la stessa offerta vien fatta
nei funerali. A Capodacqua, al primo battesimo ‘fatto dopo l'annua
rinnovazione del fonte, si regalava al parroco un agnello. Per evitare

' (1) Codex Juris Canonici, Can. 768.



32 ALESSIO MAZZIER

il gravoso obbligo, la domenica delle Palme c'era sempre una lunga
serie di battesimi, anche di bimbi nati appena due o tre giorni avanti.
L'offerta, come regola generale, é a carico del compare; ma non é raro
il caso in cui il padre debba sostituirsi alla vera o simulata dimenti-
canza del padrino. |

Il piccolo corteo ritorna direttamente a casa per la stessa strada
seguita nel venire in Chiesa. Solo a Pomonte, per quanto mi risulta,
si segue la via migliore e quindi più lunga, passando sempre avanti
l’osteria, dove il babbo deve fare la « mollata », offrir da bere a tutti
gli amici presenti. Consegnando il bimbo alla mamma, la « commare »
le dice: « Vo' me l'éte dato reo e io ve l'ho fatto cristiano. Il Signore
ve lo benedica ». Segue un lauto pranzo, con distribuzione di confetti;
vi partecipano soltanto i padrini, i parenti piü stretti e le comari che
hanno assistito al parto. Ordinariamente viene invitato anche il par-
roco.

Non mi risulta che vi siano delle vivande rituali. Segue infine il
ballo, che é rituale in tutte le feste di famiglia, specialmente nelle nozze.

IV
La benedizione dopo il parto

Durante la « quarantana » la puerpera si trova veramente anche
oggi in uno stato d’impurità, sebbene la credenza non sia più così
generale e radicata come una volta. L’invidia e il malocchio sono i
mali a cui è più facilmente esposta, tanto che non è neppure permesso
rallegrarsi delle sue buone condizioni di salute. La cosa più grave è
poi che, una volta subito il fascino, la donna ne diventa involontaria
trasmettitrice. Appena pochi giorni dopo il parto riprende le sue fac-
cende domestiche, ma nell’interno di casa. Non le è lecito neppure
scendere nella stalla, perché il bestiame potrebbe correre qualche gra-
ve pericolo, mentre è noto quale inestimabile valore esso costituisca
per i nostri contadini.

Ma se è proprio necessario uscire, la puerpera si pone sul capo un
coppo o un testo: il che vuol significare che la donna, per quanto fuori
di casa, rimane almeno virtualmente sotto il proprio tetto o presso il
focolare. Anche quando torna in Chiesa per la benedizione, la puer-
pera porta il suo bel coppo. L’uso vige in qualche frazione del comune
di Valfabbrica, ma fino a trenta o quarant’anni fa doveva essere ge-









IL CICLO DELLA VITA UMANA, ECC. ; 33



- nerale in tutto il contado. L'informatore di Sterpeto aggiunge che nel
suo paese e nelle frazioni vicine era considerato peccato mortale l'an-
dare fuori di casa senza il coppo in testa.

Al termine della quarantana la donna va «a fasse arbenedi' » o,
più semplicemente, « torna in chiesa ». La cerimonia si svolge secondo
le prescrizioni del Rituale Romano. Le madri nubili e quelle che non
se la sentono di fare il rituale dono al curato omettono la benedizioue
liturgica e in sua vece si fanno dare l'acqua santa all'ingresso della
chiesa da una vecchia comare o assistono all'aspersione, che si fa la
domenica all'inizio della Messa parrocchiale. Anche le donne che han-
no abortito seguono abitualmente questo sistema.

Per l'occasione si offre una bella candela alla Chiesa e qualche
uovo al parroco. Qua e là le famiglie più devote fanno un'offerta di olio
per la lampada del Sacramento.

In famiglia non si fa Micuna festa Vesllide:

V
Infanzia e adolescenza .

Non é questo il luogo idoneo per la trascrizione della « poesia
dell'amore materno », che trova la sua naturale collocazione in uua
raccolta di canti popolari. Diró solo che sono molto scarse le ninna-
nanne vere e proprie. Per lo pn si tratta di lunghe filastrocche e can-
tafavole.

Chiunque vede il bambino, specialmente nella zona montana di
Assisi e quella di Bettona, deve invocare su di lui la benedizione di
Dio. Se non lo fa, si pensa che intenda iniettargli il malocchio. Anche
i genitori ogni sera benedicono il loro figliuoletto; e appena questi co-
‘mincerà a balbettare, tra le prime cose gli si insegnerà proprio a chie-
dere la benedizione al babbo e alla mamma.

L’allattamento dura di regola un anno e non viene mai prolun-
gato più oltre per timore che il bambino divenga «scemo ».

. Le fasce, che si stendono all'aperto ad asciugare, si devono
ritirare prima dell'Ave Maria, altrimenti, data la possibilità che vi
sia stata esercitata una « fattura », si dovrebbero rilavare di nuovo
(così a Poggio Inferiore).

Cresceranno le unghie e i capelli, ma non verranno tagliati finché
‘non sia passato un anno dalla nascita, per non far del bambino un

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Se i a 3i È i 4

34 ALESSIO MAZZIER

ladro; se però alla mamma dispiace di vedere la sua creatura con le
unghie troppo lunghe, può anche spuntarle senza timore, rosicchian-
dole coi denti: l'essenziale é che non adoperi le forbici.

Nelle case di campagna non tarderà il giorno in cui si troverà
indosso all’infante una pulce: giorno felicissimo, perché si prenderà
la pulce e si schiaccerà contro il fondo d'una padella o d'un caldaio:
il bimbo diverrà sicuramente un bravo «cantarino »: così a Capo-
dacqua, Rivotorto e San Vitale.

A sei anni, come di regola, i nostri fanciulli iniziano il corso delle
scuole elementari. Non tutti però lo compiono per intiero, sia perché
in varie frazioni ci sono solamente le prime tre o quattro classi, sia
anche perché in qualche famiglia si ritiene che sia sufficiente saper fa-
re la firma e si stima più utile mandare i fanciulli a « parare » le pecore
che non alla scuola. — « Noialtri 'n emo studiato, si sente spesso dire,
€ sapemo fa' mejo de tanti capiscioni ». Molto alta é fra i nostri vec-
chi la percentuale di analfabeti.

A) Malattie e rimedi prodigiosi.

Le malattie dei nostri bambini sono all’incirca quelle proprie
di tutti i bambini e non vedo la necessità di elencarle. Le relative
cure popolari, descritte dallo Zanetti nel cap. XVI (parte I) dell’ope-
ra più volte citata, dovevano probabilmente ai suoi tempi essere va-
lide anche in buona parte del nostro territorio. Oggi quasi tutto è
scomparso. La scienza medica si è generalmente imposta anche alle
menti più arretrate. Poche cose quindi posso dire in proposito.

Causa prima di ogni malessere sono l’invidia, il malocchio, le
«fatture ». A premunirne i bambini, a Poggio Inferiore si dà loro da
bere quattro gocce di latte di cagna. Per liberarli poi si usano molte
pratiche. In un piatto colmo di acqua si lasciano cadere tre gocce
d’olio, ripetendo per tre volte la formula: « Chi t'ha invidiato — non
te s'è mangiato. — Chi te invidierà — non te se mangerà. — Il Signore
benedetto t’aiuterà. — Io prego la Vergine Maria — che con quest’ac-
qua te se vada via ». La formula è stata raccolta a S. Vitale, ma la
pratica é diffusissima, pur dando luogo a molte varietà. Cosi si trag-
gono diversi presagi, secondo le varie configurazioni che assumono
le macchie di olio nell'acqua. Nella zona montana d'Assisi e Valfab-
brica si aggiungono tre chicchi di grano e tre acini di sale. Alcuni poi
gettano via l'acqua, altri la spandono sul pavimento, altri infine ci
lavano la faccia del bambino. Tutte e tre le forme, secondo quanto





IL CICLO DELLA VITA UMANA, ECC. 35



mi viene confermato dagli informatori, sono più o meno usate in tutte
le zone del nostro territorio. — Se l'operazione non consegue il suo
effetto, si sputa nella bocca e nelretto del bambino, pronunciando
non so quale formula: così a Capodacqua, Bettona, Pieve S. Nicolò,
Pomonte; si può quindi presumere che l’uso sia generale. — A Poggio
Inferiore si getta sul fanciullo un pugno di terra appartenente a tre
padroni. Si porta il malato o un suo indumento dallo « strollico », che
farà su di esso i suoi scongiuri (l'usanza é generale). Per conoscere chi
ha compiuto il malefizio, a Monteverde e a Poggio Inferiore, si spar-
gono le penne del cuscino nel prossimo crocevia: la prima persona che
vi passa sarà il fattucchiere. Ancora a Poggio Inferiore si va in Chiesa
con due aghi incrociati sul vestito, oppure si mette una chiave nel-
l'aequasantiera o anche si prega il chierichetto di non versare l'acqua
del Lavabo: in tutti e tre i casi il fattucchiere non potrà uscire dalla
chiesa e sarà quindi costretto a rivelarsi e a togliere la « fattura ».
L’ultima pratica mi è stata confermata anche dal sacrestano di Ca-
podacqua. — Come estremo rimedio si brucia la strega, facendo bollire
in un caldaio gli abiti del bambino. La fattucchiera, sentendosi bru-
ciare, correrà subito a togliere il malefizio, toccando i muri di casa
del fanciullo, o anche semplicemente, se non vorrà farsi vedere, sca-
gliandovi contro un sasso: così a Capodacqua. A Costa di Trex invece
si pensa che la strega muoia immediatamente e che la bruciatura,
causando un omicidio, sia un peccato gravissimo.

Ammaccature. - La mamma tocca il bambino con l'orlo della
sottana (Poggio Inferiore).

Biforcola. — Si immette latte materno nel retto dell’infante (zone
montane di Assisi e Valfabbrica).

Convulsioni infantili o « fantignole ». — Il Bellucci ricorda certe
monete coniate nel periodo di Sede Vacante del Governo Pontificio,
dette « Medaglie dello Spirito Santo » e ritenute nei pressi di Perugia
come validi amuleti contro le convulsioni infantili (1). A Capodacqua
mi è stato possibile avere non una moneta, ma una medaglia vera e
propria, usata per il medesimo scopo, coniata nel giugno 1867 in « ri-
cordo del Centenario di S. Pietro e S. Paolo », come dice la leggenda.
Nel verso porta impressa l’immagine di Pio IX e nel retro quelle dei
due apostoli, sormontate dalla raffigurazione simbolica dello Spirito
Santo.

(1) G. BeLLucci, Il feticismo, etc. , pagg. 110-111 e Un capitolo di psicolo-
‘ gia popolare — Gli amuleti, Perugia, Un. Tip. Coop., 1908, pagg. 22-23.







36 ALESSIO MAZZIER

Denti. — Quando spunta il primo dente la casa si riempie di gioia,
senza però che vi sia una festa speciale: d’altra parte questo giorno
non è atteso con eccessiva impazienza, perché è risaputo che « chi tar-
di inossa tardi infossa ». Quando invece un dente casca, vien confic-
cato in un fesso della cappa del camino: così gli altri cresceranno ritti
e robusti. In Assisi si preferisce mettere il dente in una calza, che alla
sera si appende alla catena del focolare. Durante la notte scende la
Befana- attraverso il camino e, presosi il dente, riempie la calza di
dolci e frutti. Contro il mal di denti a Limigiano si pretende che il
parroco passi le dita sulle gengive del bambino, subito dopo aver toc-
cato un’Ostia consacrata.

Elminti o « vermi ». — Si fa bere al bambino un decotto di aglio e

| gli si pone al collo una collana composta di spicchi della stessa pianta.

È necessario però che l’aglio sia stato colto il giorno di S. Giovanni,
altrimenti non sarebbe più un amuleto, ma un semplice medicamento.
L’uso e il relativo pregiudizio sono generali in tutto il contado.
Ernia. - I bambini sono portati nella Chiesa di San Vitale, dove
vengono deposti per qualche minuto nell’urna del Santo. Poi si fa bere
loro qualche sorso dell’acqua che sgorga da una fonte vicina. Una
lapide, apposta nel 1746 presso la sorgente, ne spiega le virtù mira-
colose. « Bevete pur, cristiani, in questa grotía — l'acqua di S. Vitale —
ché sarete guariti dal vostro male — Bevete ancora senza paura — ché
S. Vitale è protettore della rottura ». L'iscrizione è sormontata da una
immagine del Santo, che attinge l’acqua con un canestro. S. Vitale
visse dal 1275 al 1370. Andò pellegrinando per tutta l’Italia, la Spa-
gna e la Gallia e in questi viaggi « multa tulit, fecitque Vitalis propter
vessicam sui corporis ruptam et testiculorum infirmitatem ». Fattosi
monaco eremita presso la frazione che da lui ha preso il nome, « aquam :
ab uno fonte penes Eremum in convalle ad simplicem usum canistro hau-
riebat ». Appena morto sanò oltre centocinquanta uomini «quibus

fracta genitalia membra fuerant ». Presso il suo sepolcro « fluunt undi-

que aquae dulces » (1). Il corpo del santo fu trasportato nella Catte-
drale di Assisi il 19 settembre 1586 (2) e non ha piü nessun culto,
mentre si considera tuttora prodigiosa la vecchia urna, che è rimasta
nella Chiesa edificata in suo onore subito dopo la morte.

(1) G. Di Costanzo, Disamina degli scrittori, e dei monumenti riguardanti
S. Rufino vescovo, e Martire di Assisi, Assisi, Tipografia Sgarigliana, 1797, pagg.
432-435.

(2) Ivi, pag. 337- Cfr. anche A. CRISTOFANI, Delle Storie d’ Assisi libri sei,
Assisi, Sensi, 1875, Tomo I, pagg. 255- 258. 1







IL CICLO DELLA VITA UMANA, ECC. 37

Lividure. — Si crede che siano effetto delle streghe che suc-
‘chiano il sangue. Si pone al collo del fanciullo una medaglia di

S. Benedetto che, come rileva il Bellucci, «riunisce molteplici e
disparate virtù » (1). L’usanza è molto diffusa anche presso il ceto
aristocratico.

Mughetto o « scaransìa ». — Si fa cullare il bimbo da una comare
la quale abbia avuto il raro privilegio di essere cullata dalla bisnonna:
così a Valfabbrica. Un informatore della‘ zona aggiunge alla notizia
il seguente commento: « A nulla valse, due anni or sono, la mia calda
raccomandazione ad una giovane mamma montanara, che aveva un
figlio in tale guisa ammalato. — Portatelo, dicevo, dal prof. Berardi
a Perugia. - E lei mi rispondeva: — Per carità sor Curato! Voi non
siete pratico. Vedrete che se lo prende in collo la X.Y., guarirà. —
Avvenne che il neonato, per la grave malattia alla bocca e alle labbra,
non poté succhiare il latte e regolarmente morì. Accompagnai la crea-
tura alla sepoltura con la mia più grande inquietudine, che riversai sul
popolo la domenica seguente dall’altare. Ma, per quanto io sappia, a

. nulla è valso né il triste esempio, né la mia indignata concione ».
Orzaioli. — Si fa mostra di cucire le palpebre con un filo nero (Can-
nara) o vi si applica per qualche minuto una fede d’oro (Capodacqua).
Paure. — I nostri bambini si spaventano facilmente, perché
. la paura costituisce, per la maggior parte dei genitori, il principale
mezzo di educazione. L’incubo del « bobotto », del «mago », del lupo-
manaio, che sbrana chiunque incontra, e dell’«omonero » o prete
che porta via i bimbi cattivi, persegue continuamente quelle anime
innocenti. Il rimedio usuale contro le paure è qualche sorso di acqua.
Se però lo spavento è molto grande, tanto da far temere per la vita
del fanciullo, a Pomonte si fa un tortellino che si impasta con l’orina
del bimbo e si dà da mangiare al cane. Se questi ne muore, la creatura
è salva. i
Tosse convulsa. — Si fa aspirare al bambino il fumo dell’incenso
| al momento della Benedizione Eucaristica (Capodacqua e Bastia).
Non sono a conoscenza di altri medicamenti prodigiosi, neppur?
delle chiavi contro il mal caduco, di cui il Bellucci trovò ai suoi tempi
un esemplare a Valfabbrica (2).

(1) G. BeLLuccI, Il feticismo primitivo in Italia e le sue forme di adatta-
mento, Perugia, Un. Tip. Coop, 1909, pag. 134.

(2) G. BeLLUCCI, Un capitolo di psicologia popolare, Gli amuleti, Perugia,
Unione Tipografica Cooperativa, .1908, pagg. 22-23.



38 ALESSIO MAZZIER



| B) Giuochi infantili.

| I
|
E Pochi e semplici sono i giuochi dei nostri fanciulli che fin dai
| primissimi anni escono per la campagna ad aiutare i genitori nei la-
"a vori campestri. A 4 o 5 anni già cominciano a sorvegliare i « bricchi » I
I
I

e a « parare » gli agnelletti; a 7 anni, i maiali e poi le pecore e vaccine:
cosi quando finiscono il breve corso della scuola elementare, comin-
ciano subito a lavorare la terra. Comunque quando si va o si torna
dalla scuola e dalla dottrina un po' si giuoca.

l| Giro tondo. — È il primo giuoco dei fanciulli che, presisi per mano,
i: si dispongono in cerchio e girando recitano lentamente la nota canti-
lena, tanto interessante come residuo dell’antico ballo tondo.

l| Giro, giro tondo,

| l'ovo del palombo,

FE un mazzo de viole

N per dalle a chi le vóle,
Eu le vóle la piü piccina:
gioca, gioca piccolina !



Agli ultimi due versi il moto si fà più veloce e alla fine tutti si
accoccolano dicendo: Coccodé ! Coccodè ! Coccodè ! La finale ha di-

ll verse varianti nelle parole e nel gesto.
| In altro giuoco simile una bambina è in mezzo al circolo ed ese-
Ó gue i gesti indicati dalle parole delle compagne che girando cantano:

| O bella che dormi

Un bacio vo' darti

: la cara mammina.

| | La poverina

di in dove sarà?

E Sarà in camera a letto
sicuro a pettinarsi,

il ciuffettino a farsi

la cara mammà. —

dl O Maria Giulia,

Bal dove sei venuta ?

$ Alza gli occhi al cielo!
Fa’ un salto !

Fanne un altro !

| sul letto di fiori,
M damme dormendo
Hu un bacino d'amor.
| y
I



: —





IL CICLO DELLA VITA UMANA, ECC. 39

Fa’ la riverenza !

Fa’ la penitenza !

Fa’ la giravolta !

Falla un’altra volta !

Lèvete il cappelletto !

Da’ un bacio a chi te l’ha detto.



Le due parti della poesia sono diverse come forma e come canto
e risalgono ad epoche diverse, ma qua e là si recitano unite. Alla fine
del canto le bambine seguitano a girare, mentre quella che è nel mezzo
si copre gli occhi con le mani, s'accosta al circolo e dà un bacio alla
prima che le capita. Questa andrà poi nel mezzo.

Piso pisello. — I bambini stanno tutti seduti in fila. Il più grandi-
cello pronuncia scandendo la filastrocca Piso pisello, usata dai nostri
vecchi come ninna-nanna. Ad ogni sillaba si tocca un bambino; quello
su cui cadrà l’ultima sillaba sarà esposto alla derisione dei compagni.

Anello, anello. — I bambini sono ugualmente seduti in fila con le
mani giunte. Uno dei più grandi fa il gesto di mettere nelle loro mani
un anello, un sassolino od altro piccolo oggetto. Poi domanda all’uno
o all’altro: Anello, anello, chi ha l’anello ? Il primo che indovina
prende il posto del più grande e così di seguito.

Cocuzze. — Qui il capo giuoco prende il nome di « cucuzzaro »,
gli altri giuocatori hanno ciascuno un determinato numero. Inizia il
«cucuzzaro » dicendo: Ieri so” sta’ al mercà' e ho comprato cinque
cocuzze.

Il numero cinque tosto riprende: Perché cinque cocuzze ?

Cucuzzaro: Quante se no ?

Numero cinque: Tre cocuzze.

Numero tre: E perché tre cocuzze ?

Cucuzzaro: Quante se no?

E cosi via. Chi non é pronto a rispondere appena vien fatto il
suo numero, é eliminato dal giuoco.

Mosca cieca. — Si benda un bambino e gli si domanda:

— Mosca: cieca, mio cuccù, quante spille cerchi tu iù

— Cento.

— D'oro o d’argento ?

— D'argento.

— Gira tutto ’1 mi’ convento.

Allora la mosca cieca si mette alla ricerca dei compagni. Il pri-
mo che verrà pigliato e riconosciuto diverrà a sua volta mosca cieca.

Perché. — Il capo rivolge qua e là ai compagni numerose do-

ME









E CUN a È



40 ALESSIO MAZZIER

mande: Perché hai fatto questa o quell’altra cosa ? Si deve rispondere
prontamente senza ripetere la congiunzione « perché ».

Chiapparella. - Un bambino deve rincorrere gli altri e « chiap-
parli ». Il primo che vien preso diventa il nuovo acchiappatore.

Tocca legno e Tocca ferro. — Sono simili alla « chiapparella »:
solo che non si può prendere chi già tocca qualche oggetto di legno
o di ferro. :

Intanarella. — Un fanciullo deve scoprire nei nascondigli e rico-
noscere tutti i suoi compagni. Il riconoscimento però non è valido,
se uno di questi arriva prima di lui a battere con la mano un oggetto
prestabilito, gridando: Uno, due e tre, tingolo, tingolo e tana!

Quattro cantoni. — Quattro fanciulli devono passare dall'uno

| all’altro degli angoli della stanza, senza che il quinto, che è nel mezzo,

riesca ad impossessarsene.

Gatto e sorcio. — I fanciulli si dispongono in cerchio tenendosi
per mano. Uno di essi, il sorce, è dentro al cerchio, l’altro è fuori. Si
svolge fra i due un breve dialogo.

— Sorcio che fai?

— Rosico le fave.

— E se te chiappa '1 padrone ?

— Fuggirò !

Tosto il sorce fugge, passando sotto gli archi formati dalle brac-
cia dei compagni, e il gatto deve rincorrerlo e acciuffarlo (se ci riesce),
seguendo lo stesso itinerario.

Fornaio. — I fanciulli si dispongono in linea retta tenendosi per
mano. Anche qui un breve colloquio tra il primo e l’ultimo: il cliente
e il fornaio.

— Fornaio, è pronto '] pane ?.

— No.

— E quando allora ?

— Domane.

Allora il cliente passa sotto l'arco formato dalle braccia del for-

. naio e del suo vicino, tirandosi dietro tutti gli altri compagni. Quindi

si ripete il colloquio e si fa un nuovo giro e cosi via, finché si é passati
sotto tutti gli archi. Infine il fornaio e il cliente tirano la catena, in
senso opposto, fino al suo spezzarsi.

Scarca mattone. — Si poggiano dei mattoni perpendicolarmente
sul terreno e da varia distanza si tirano dei sassi per farli cadere. Tira
per primo chi sceglie la maggiore distanza.

Soldarello. - Si scagliano dei soldi contro il muro, cercando di







IL CICLO DELLA VITA UMANA, ECC. i 41°



farli tiünbalzáre il più lontano possibile, oppure si mettono orizzontal-
mente per terra e si colpiscono con un sasso per farli capovolgere.
Naturalmente con la rarefazione e la successiva scomparsa delle mo-
nete metalliche anche questo giuoco è venuto meno, né mi risulta che
sia ancora tornato in uso dopo la recente emissione delle monete
italma.

I più grandi de fanciulli ed anche a bandiera, che è una
vera e propria battaglia.

Non è da dimenticare il pesce del primo aprile. Generalmente
nella prima settimana di maggio si fa il giuoco del verde. Tutti i ra-
gazzetti si premuniscono di un rametto di bossolo e incontrandosi .
gridano: — Fuori verde! — Chi non lo ha è sottoposto a una piccola -
multa o a penalità di vario genere.

Tutti gli spassi finiscono col «giuoco dell'ua (uva): ognuno a
casa. sua | »

Quando non c’è un capo-giuoco che si ssd si tira al conto
dopo aver pronunciato la formula: — Alle bombe del cannon ! Bim !
Bum ! Bom ! - Cosi a Capodacqua.

C) Feste dei fanciulli.

E veniamo finalmente alle feste dei fanciulli. Le principali sono
la Madonna, il Bambino, e la Befana. La Madonna viene la notte
precedente la festa dell’Immacolata Concezione (8 dicembre) e porta
abitualmente un pò di dolci (pinocchiate, caramelle, torroncini) e
qualche frutto. Sembra però che pensi solo ai bambini di Assisi. Il
Bambino viene la notte di Natale su un ricco carro pieno d’ogni
grazia di Dio. È molto ricco e generoso. Dona con profusione dolci,
frutti, vestiti e scarpe nuove e tutti quegli oggetti, che il fanciullo
gli ha fatto chiedere dalla mamma o gli ha chiesto lui stesso con una
letterina. La Befana viene la notte dell'Epifania, passando per il ca-
mino del focolare. È vecchia e povera: non può portar molto. Si
limita quindi a riempire la calza (appesa alla catena del camino) di
‘frutti (castagne, mandarini e fichi secchi) e di qualche caramella. In
varie frazioni la sera di Pasqua Epifania (6 gennaio) c’è la benedizione
dei fanciulli e una processione col « Bambirio » ad essi esclusivamente
riservata. Il rito sembra d'istituzione recente. Il presepio si fa in mol-
te case. È sconosciuto nelle campagne l’albero di Natale. i

‘A Capodacqua, fino all'inizio dell'ultima guerra, si poteva con-
siderare una festa particolare dei fanciulli anche il Venerdi Santo.

Ci

EN









42 ALESSIO MAZZIER

Tutti partecipavano (e partecipano tuttora) alla processione del Cri-
sto Morto con «fanali » e «rocche » per illuminare la strada e con le
caratteristiche, interessanti «racanelle » per fare rumori. Alla fine
erano invitati nella « Compagnia » (locale ad uso della Confraternita),
dove i « Priori del purgatorio » offrivano loro una buona merenda a
base di saporiti « torcoletti ». Le restrizioni del tempo di guerra banno
portato a sospendere questa costumanza locale che poi non è stata
piü ripresa. Al parroco del luogo sembrava troppo stridente il con-
trasto fra la gravità dei riti del Venerdi Santo e la piccola o grande
baldoria di quel banchetto, a cui si univano immancabilmente anche
gli adulti, a cominciare dagli iscritti alla Confraternita.

Le feste più importanti della fanciullezza sono quelle della Cre-
sima e della Prima Comunione.

Fino al principio di questo secolo la Cresima si riceveva assai
presto, tanto che il Sinodo Diocesano del 1908 dovette mettere un
freno allo zelo dei genitori. « Non ante septennium, saltem per aliquot
menses inchoatum pueri puellaeque ad confirmationem admittantur,
nam ad licitam huius sacramenti susceptionem ad rationis usum perve-
nerint necesse est » (1). La Prima Comunione invece si riceveva di re-
gola molto dopo, cioè sui dodici anni. Le due feste erano quindi com-
pletamente distinte e separate. In seguito al Decreto « Quam singu-
lari » della Sacra Congregazione dei Sacramenti dell'8 agosto 1910 (2)
e alle successive disposizioni del Codice di Diritto Canonico (canoni
854, 859, 860) le cose cambiarono. Le date dei due sacramenti veni-
vano teoricamente a coincidere: il primo nel settimo anno, il secondo
ugualmente nel settimo anno. Dalla teoria si é quindi passati alla
pratica. Dopo una prima tenace resistenza, i genitori hanno comin-
ciato lentamente a piegarsi alle disposizioni ecclesiastiche. La prima
Comunione si fa oggi ordinariamente ad otto anni ed essendo la data
della Cresima così vicina, questa viene trasferita di un anno, in modo
da riunire le due feste, prendendo, come suol dirsi, «con una fava
due piccioni ». Si vedrà subito come lo zelo pastorale dell’attuale
Vescovo di Assisi abbia contribuito a confermare e rafforzare questa
tendenza.

Mi si dice che una volta i Vescovi andavano generalmente nelle

(1) Synodus Dioecesana Assisiensis habita in Ecclesia Cathedrali diebus
XXII, XXIII et XXIV septembris MCMVIII, Assisi, Tip. Metastasio, 1909,
cap. IIl; art. 2.

(2) A.A.S. 2, 577.







IL CICLO DELLA VITA UMANA, ECC. 43



varie parrocchie soltanto per la Visita Pastorale, cioè ogni quattro o
cinque anni. Solo in quella circostanza i bambini ricevevano la Cre-
sima nella loro parrocchia. Negli anni che correvano fra l’una el’altra
Visita la Cresima veniva amministrata nella Cattedrale di Assisi una
volta l’anno e precisamente il lunedì di Pentecoste: era quella la gran-
de festa della Cresima che verrà appresso descritta. Da ventitré
anni governa la diocesi il Vescovo Mons. Giuseppe Placido Nicolini
O.S.B., che ama trovarsi in mezzo al suo popolo il più frequentemente
possibile. I fedeli di quasi tutte le parrocchie possono così udire la
sua voce una o anche più volte l’anno, per lo più nelle feste patronali,
in cui si è anche soliti fare la prima Comunione. È avvenuto pertanto
che questo sacramento, la cui amministrazione era prima un privile-
gio del parroco, oggi invece è ordinariamente dispensato dal Vescovo
presente alla festa; per di più, data l’occasione, si fa coincidere nello
stesso giorno il conferimento della Cresima. In tal modo la grande
festa, che si celebrava in Assisi il lunedì di Pentecoste, è oggi quasi
completamente scomparsa e penso che fra qualche anno non sarà
più che un semplice ricordo. 1

Negli anni della mia fanciullezza andavo sempre a San Rufino
a vedere quella festa, «salando » anche qualche volta la scuola. La
piazza antistante aveva l'aspetto caratteristico delle giornate di
fiera, gremita com'era di bancarelle ripiene di giuocattoli, dolciumi
e « campanelle di coccio ». Sin dalle prime ore del mattino arrivavano
i fanciulli, accompagnati ciascuno dal padre e dal compare (o « com-
mare »). I piü vicini venivano a piedi; gli altri, sui «legnetti » tirati
da un cavallo o da un somaro, immancabilmente ornato di fiocchi
rossi. Per tutti era quello il primo ingresso ufficiale nella città. Le
bambine erano altrettante reginette e i fanciulli guardavano intorno
trasognati, coi bei calzoni lunghi che per la prima volta indossavano.
Erano sempre varie centinaia di ragazzetti. Dalle otto in poi ogni
ora si aprivano e chiudevano i battenti della Chiesa per accogliere
nuove ondate di bambini. Al termine del sacro rito essi uscivano
fuori con la fronte fasciata da un nastro bianco (ora qua e là per le
fanciulle si usa il color celeste), mentre il compare si affrettava a do-
nare al suo figlioccio la tradizionale campanella ed altri piccoli gio-
cattoli. Cosi fin dopo mezzogiorno. Nel pomeriggio la fiera si spostava
a Piazza S. Pietro e per tutta la giornata era un continuo risuonare
di campanelle.

Quest'anno, dopo tauto tempo, son ritornato a vedere la festa,
proprio con l'idea di farne una precisa descrizione nel presente studio.







44 | ALESSIO MAZZIER

Non ho ritrovato più nulla di quello che avveniva fino a vent'anni fa.
Sulla piazza c'erano un banco di giocattoli e appena una ventina di
campanelle; in chiesa, solo una quarantina di bambini, a cui è stata
somministrata la Cresima in unico turno. Alle dieci era già tutto fini-
to. Ho domandato al Vescovo: « Eccellenza, la festa di una volta è
finita ? Come mai ? » E mi è stato risposto: « Figliolo, adesso vado
io a dare la Cresima nelle parrocchie; qui non vengono da che i ri-
tardatari e gli scarti ».

Mi sono soffermato un po’ a lungo su questo punto per chiarire
e dimostrare la trasformazione in atto di antiche tradizioni.

Quando le duè feste — Cresima e Prima Comunione - non si fanno
lo stesso giorno, la prima è più solennizzata, perché c’è di mezzo il
compare coi suoi doni; l’altra ha un carattere più familiare. I padrini
della Cresima sono scelti all’incirca cogli stessi criteri già detti per il
Battesimo; fra loro i figliocci e le famiglie si formano pure gli stessi
vincoli. I doni di prammatica oggi sono l’orologio a polso per i ma-
schietti e gli orecchini d’oro per le femminucce. .

Per i nostri bambini però la Cresima è una terribile festa, perché
sin da quando cominciano a frequentare la dottrina vengono spa-
ventati da familiari ed amici con l’idea che il Vescovo conficchi loro
un chiodo sulla fronte. Man mano che si avvicina il giorno fatidico,
cresce il terrore e a nulla valgono le parole rassicuranti dei parroci.
Tante volte nella Chiesa di S. Rufino in Assisi ho inteso urli e sin-
ghiozzi di fanciulli, che all’appressarsi del Vescovo tentavano in tutti
i modi di svincolarsi dalla forte stretta del compare. So che un gio-
vanetto l’anno scorso, la mattina della Cresima, fuggì via da casa ed
occorsero due ore di appassionate ricerche per poterlo ritrovare.

Poco dopo l’uscita dalla Chiesa, il nastro che era stato messo
sulla fronte viene posto al braccio sinistro. In casa c'è un gran pranzo
con distribuzione di confetti, senza però alcun piatto rituale. Dopo
il pranzo inizia il ballo, che prosegue fino a sera inoltrata.

Per la Prima Comunione non c’è nessun rito o pregiudizio spe-
ciale, salvo la rinnovazione delle promesse battesimali e la credenza
che, come si fa la prima Comunione, si farà l’ultima.

Ho già detto che i due Sacramenti si amministrano di regola in
occasione della festa patronale; se questa però cade nella stagione
fredda, si preferisce in genere una delle domeniche o festività che in-
tercorrono nel tempo pasquale.











à

IL CICLO DELLA VITA UMANA, ECC. 45

D) Compari di S. Giovanni.

I vincoli sociali tendono ad allargarsi mediante il comparatico
di San Giovanni, che mi viene attestato dai rispettivi informatori
solo per le frazioni di San Vitale e Porziano nel Comune di Assisi,
Poggio Inferiore nel Comune di Valfabbrica e Pomonte in quello di
Gualdo Cattaneo. Per gli altri luoghi o non ho segnalazioni o sono
addirittura negative, né posso assolutamente dire che questa volta si
tratti di scarsa informazione, perché, per esempio, a Capodacqua,

frazione contigua a S. Vitale, per quante domande abbia fatto io

stesso a persone di ogni età e di ogni classe, ne ho sempre avuto ri-
sposta negativa. D'altra parte la frazione di San Vitale é quasi al
centro della Diocesi, mentre le altre sono alla periferia e in direzioni
opposte. Penso quindi che l'uso sia stato anticamente diffuso in tutto
il nostro territorio.

La descrizione più completa mi viene da Pomonte. Il giorno di
S. Giovanni ogni ragazza si reca da una sua amica e le consegna un
mazzetto di garofani con altri piccoli doni, dicendole: « Il mazzetto
è piccolo, l’onore è granne; vengo per commare de San Giovanne ».
L’amica a sua volta il giorno di San Pietro restituisce la visita e, con-
segnando un suo mazzetto di fiori con altri doni, dice: « Il mazzetto
è piccolo, l'amore é quieto; vengo per commare de San Pietro ». Da
quel giorno (29 giugno) le due giovani si chiameranno «commari »
per un anno e tre giorni, cioè fino al due luglio dell’anno seguente.

A San Vitale non c’è una formula fissa, le commari restano tali
per sempre, come pure negli altri due luoghi, e l’usanza vige anche
fra uomini. A Porziano i fiori sono benedetti con uno spruzzo di acqua
santa e lo scambio avviene solo nel giorno di S. Giovanni. A Poggio
Inferiore c'è una formula rituale, che però il mio informatore non
ha potuto raccogliere per la diffidenza del popolo; lo scambio dei
fiori avviene nel solo giorno di San Giovanni e vien fatto sulla porta
della chiesa. :

È interessante il fatto che in varie frazioni, dove non ci sono i

. compari di San Giovanni, c’è però nello stesso giorno un simile scam-

bio di fiori tra fidanzati e anticamente si offriva il pegno del fidanza-
mento. Si tratta di tradizioni distinte ma derivate dallo stesso culto
di S. Giovanni, di cui è proverbiale la sincerità e la fedeltà alla missione.
«S. Giovanni non vuole inganni ». È notissima nel contado la leggen-











46 ALESSIO MAZZIER



da moraleggiante dei due compari, raccolta anche dal Chini a Spoleto
(1). Ne scrivo la strofa di chiusura nella forma dettatami dalla com-
pianta Rosetta Pucci in Tili di Capodacqua.

O bona gente,
che me state ’scoltà’,
s’avete li compari,
sapeteli ben trattà’;
i falsi giuramenti
badate de non fa’.

CaAPrroLo II

IL TALAMO

A la ricerca d'uno sposo

« Al cuore non si comanda », dice il proverbio; l'amore é quindi
teoricamente libero, in pratica peró viene circoscritto da una duplice
barriera: geografica e sociale.

Il matrimonio lega indissolubilmente l'uomo e la donna. È ne-
cessario pertanto che il giovane conosca profondamente quella che
dovrà essere «la fedele compagna » di tutta la vita. Ed è naturale
che si conoscano molto bene i pregi e i difetti delle persone che appar-
tengono allo stesso villaggio: da ciò il proverbio: « moglie e buoi dei
paesi tuoi ». E quindi regola generale nelle nostre campagne che i
matrimoni avvengano tra giovani della stessa parrocchia o di parroc-
chie adiacenti. L'endogamia cosi intesa é particolarmente accentuata
nella zona montana di Assisi. À volte si possono formare delle cor-
renti migratorie vere e proprie tra zone anche distanti. C'é un esem-
pio tipico a Capodacqua, dove si trovano varie spose provenienti dal
territorio di Nocera Umbra; ció vuol dire che si é trovata un'affinità
di sentimento e di costume tra le due zone. Notevole peró il fatto
che nessuna donna di questa parrocchia é andata mai sposa in quel
di Nocera. Frequente è poi il caso delle giovani che, dopo essere state a

: (1) M. CHinI, Canti popolari umbri raccolti nella città e nel contado di
Spoleto, Todi, Casa Editrice Atanòr, 1917, pagg. 35-42.

















IL CICLO DELLA VITA UMANA, ECC. 47

servizio per qualche anno in città, perdono o almeno affievoliscono
il legame con la propria famiglia e il paese di origine. Comunque av-
verto subito che nessun rito speciale accompagna la donna, che il
giorno delle nozze abbandona il suo villaggio per stabilirsi in quello
dello sposo.

Il secondo limite alla libertà dell'amore é, come ho detto, di ca-
rattere sociale. In mancanza di un proverbio in proposito, credo di
poter stabilire la seguente regola: il matrimonio avviene solo fra gio-
vani appartenenti allo stesso grado sociale, eccettuato il caso in cui
un forte interesse economico compensi ad usura il cambio o abbassa-
mento di classe da parte della donna. Agrari, coltivatori diretti, co-
loni, braccianti, artigiani costituiscono ciascuno una classe a sé. Di
rado e con pubblica disapprovazione si sposano due giovani apparte-
nenti a due categorie diverse, per quanto affini. Accade peró spesso
che un coltivatore diretto abbia la proprietà quasi polverizzata e un
contadino invece sia molto ricco. La figlia del piccolo proprietario
può allora sposare senza preoccupazioni il contadino, non viceversa.
La donna può in particolari circostanze scendere di grado sociale,
ma non l’uomo. Questa è la regola generale, naturalmente suscetti-
bile di eccezioni.

A quale età cominciano i primi amoreggiamenti ? Praticamente
sui 15 anni, ma in votis anche prima, all’inizio della pubertà. La gio-
vinetta dodicenne, che vede la sua sorella far l’amore, già comincia a
sognare e anticipare col desiderio il giorno in cui un ragazzo le farà il
primo gesto cortese. Così presto ? In campagna non c'è sicuramente
la malizia della città. Tuttavia i fanciulli delle nostre frazioni appren-
dono molto prima dei cittadini il segreto della generazione. Fin dai
più teneri anni vedono l’unione delle bestie da stalla e ne assistono
al parto. Non fa quindi meraviglia che tanto presto si sveglino gli
istinti sessuali e l’animo si apra poi al sentimento dell’amore.

A questa età i giovanetti perdono l'appellativo di « muli» o
«mulettacci », per assumere quello di ragazzi, giovanotti, signorine,
«bardasce », che li accompagnerà fino al matrimonio.

La giovinetta accoglie con confusione la prima offerta d’amore;
ma nell’interno vi aderisce con tutto l’animo. Naturalmente le prime
volte da parte dei giovanotti non si tratta che di scherzi, i quali però
aprono una grave ferita nell'anima della fanciulla. E questa, una vol-
ta disingannata, ad ogni nuova offerta, ricorre a qualcuna delle nume-
rose pratiche, da cui crede di poter trarre pronostici per il matrimo-
nio.





48 i ' ALESSIO MAZZIER

Indipendentemente dall'ordinamento dei manuali (1), che rag-
gruppano le varie pratiche secondo i caratteri magici propri di cia-
scuna, credo più opportuno in uno studio di carattere ristretto, come
il presente, farne una classifica secondo un criterio logico. Distinguerò
quindi due principali gruppi. 24
I Gruppo — Pratiche tendenti a conoscere: A) l’affetto del corteggia-

tore; B) la persona dello sposo effettivamente destinato dalle

| potenze superiori; C) il tempo del matrimonio.
II Gruppo — Pratiche tendenti a violentare: A) l'affetto; B) il tempo.

I GRUPPO

A-1 — La sera dell’Epifania si getta un ramoscello di olivo sul
focolare, dicendo: « Palma, palmuccia, palmetta, se lu’ me vo’ bene,
balletta ; se no, brucete su 'sta fiammetta » (Capodacqua).

| A-2 - Si sfogliano dei fiori, dicendo ad ogni petalo che si stacca:
«sl — no — si — no — ecc. », oppure « Me vol bene — me vol male — me
burla — me canzona - me vol bene — me vol male — ecc. » (Capodacqua).

A-3 — Si mettono in una coccia tre piantine di edera: se almeno
una non si dissecca, il corteggiatore é sincero (Capodacqua).

A-4 — Si accende un cerino e si tiene perpendicolarmente: se ar-
dendo si piega verso la donna, il giovane le é veramente affezionato
(Capodacqua).

B-1- Nei giorni di sabato e alla vigilia delle feste consacrate alla
Madonna si recita tredici volte di seguito la Salve Regina, tenendo le
mani sollevate al cielo: durante la notte si sognerà i futuro sposo
(Bettona).

B-2 — Nei primi dodici giorni di ogni mese si recita ogni sera,
tredici volte di seguito, la seguente formula:

«S. Antonio dal manto nero,
famme sognà’ ’1 mio sposo vero;
senza paura, senza disprezzo

fallo veni' da piede al mio letto ».

Anche qui si sognerà lo sposo nella notte fra il 12 e il 13 del mese
(Capodacqua).

(1) Cfr. A. VAN GENNEP, Manuel de folklore frangais contemporain, T. 1,
P. 1, Paris, A. Picard, 1943, pagg. 238-246.








IL CICLO DELLA VITA UMANA, ECC. 49

.-3 - Nelle sere del plenilunio s ‘invoca l'intervento della luna,
ripetendo tre volte senza respirare:

« Luna che su nel cielo risplendi,
dimme sognendo
chi sposeró vivendo » (S. Vitale).

E B-4 — Si mette fra i cuscini un confetto avuto da una sposa il
di. giorno delle nozze: anche qui si sognerà lo sposo (Poggio Inferiore).

C-1 - La sera dell'Epifania si getta sul focolare una palma di
olivo, come nella prima pratica, dicendo:

«Pasqua Befania, che viene ogn’anno,
sappeme di’ se so’ sposa "n altr'anno ».

T La risposta sarà positiva se la palma arderà vivacemente cre-
"A pitando (Capodacqua).

Dr C-2 —. Si incanta il cuculo con la formula:

«Cucco, cucchetto, cucchino:
dimme quant’anne ci ho più
per prende’ lo sposino » (Castelnuovo).

Anche gli uomini incantano il cuculo con la formula equivalente:

«Cucco da le boje,
dimme quant’anne ci ho più
per pijà’ moje » (Capodacqua).

ci Le coppie di suoni del cuculo indicheranno il numero degli anni
T mancanti al matrimonio.
C-3 — È pronostico sicuro di prossimo matrimonio il dono spou-

taneo di un confetto da parte di una sposa il giorno delle sue nozze
(Rivotorto).

II Gruppo

A-1 - La ragazza, che crede di aver trovato un’ottima occasione
di matrimonio, fa bere al giovane amato un bicchiere di vino in cui
ha segretamente infuso tre gocce di sangue. Qualcosa di simile, intel-
ligenti pauca, fanno pure gli uomini (Poggio Inferiore).

A-2 — Se i due giovani sono già fortemente innamorati e vogliono











50 ALESSIO MAZZIER

garantire il loro affetto da ogni possibile iettatura, si scambiano tre
capelli debitamente spuntati, li avvolgono in una pezzuola di seta e li
portano indosso come amuleto (Capodacqua), oppure li annodano e
li nascondono dietro la pietra del focolare (Porziano).

B-1 - La ragazza si fa dare in prestito una fede e se la infila nel-
l'anulare alla. presenza di tante persone, quanti sono gli anni entro
cui vuole sposare (Poggio Inferiore).

B-2 - La giovane ottiene di sposare nell'anno in corso, se riesce
à far si che una sua amica pensi a lei durante il proprio rito nuziale,
precisamente al momento in cui infila la fede nel dito dello sposo
(Capodacqua).

B-3 - Per ottenere la stessa cosa, a Pomonte le ragazze si preci-
pitano ad infilare sino in fondo al dito le fedi degli sposi durante il
rito nuziale.

Ho segnato i paesi da cui ho avuto la prima segnalazione delle
varie pratiche. Per quanto mi è dato sapere ed è lecito supporre,
gran parte di esse sono più o meno conosciute e usate in tutto il no-
stro contado.

In una cosa di tanta importanza, quale è il matrimonio, non man-
ca mai naturalmente il responso dello strologo.

Occorre ricordare per ultimo i mezzi soprannaturali. La cate-
goria apparentemente più devota del popolo è proprio quella delle
«bardasce ». Dai quindici anni in su le Comunioni si fanno sempre
più frequenti, mentre le preghiere i tridui e le novene si moltiplicano
in progressione geometrica. La Madonna è la più invocata e insieme
ad essa il grande taumaturgo di Padova. Bisogna sentire con quale
slancio le nostre giovinotte, specie le più attempatelle, cantano il 13
giugno l'inno di S. Antonio! Ma questo caro Santo vuol essere molto
pregato e anche bistrattato. Si crede anzi che non si decida a concedere
la grazia richiesta finché non gli si mandi qualche improperio o non
lo si getti addirittura dalla finestra (1). È veramente curioso S. An-
tonio! Se prende troppa simpatia per una donna, c’è pericolo che se

(1) Il pregiudizio è nato da un episodio del genere, che si legge su diversi
libri di pietà. Una donna infuriata contro S. Antonio, che non le trovava ma-
rito, avrebbe scagliato la sua statua dalla finestra, colpendo un giovanotto che
era sulla strada. Questi salito in casa per avere la riparazione del male fattogli,
saputa la ragione del gesto insano, avrebbe chiesto la mano della giovane.

IL CICLO DELLA VITA UMANA, ECC. 51

la tenga per sé e non la lasci andare sposa ad altri. Sarà allora neces-
sario alienarsi un tale affetto con brutte maniere. Il peggiore augurio
che si possa fare a una zitella, è che «rimanga per S. Antonio ».

SI:

I primi amori

Ho già detto che le prime simpatie fra giovanetti cominciano a
manifestarsi sin dall’inizio della pubertà; si tratta però ancora di un
sentimento vago che prende concretezza solo sui quindici anni, quan-
do la giovane è ormai fisiologicamente matura e il suo seno è tale da
attirare gli sguardi non più semplicemente sentimentali dei giovanotti.

L’ampiezza del seno è il più importante e direi quasi l’esclusivo ele-
mento di giudizio nella valutazione della bellezza di una donna.

Giovinettina, che vendi le mela,
se me ne vói da' "na quattrinata,
se me le vói da', dammele tonde:
quelle che porti in petto senza fronde.

(M. CIANCALEONI)

Giovinettina da lo petto bianco,
in mezzo li porti due pomi d'argento:
chi ve li toccherà sarà un gran santo;
se ve li tocco io, móro contento.

(D. FALCINELLI)

I fiori che portavi in petto, cara,
neanche la primavera ce li mena;
i fiori che portavi in petto, fija,
manco la primavera se li pija;
i fiori che portavi in petto, cocca,
manco la primavera ce li porta.

(M. CIANCALEONI)
* Quanno camini tu, ’1 petto te balla:
o Dio cielo, quanto séte bella!
(G. MAZZOLI)

Così cantano a Capodacqua (1).

(1) Molto decantati sono anche gli occhi e le trecce dell’amata.







52 ALESSIO MAZZIER

L'informatore di Poggio Inferiore mi dice che nel territorio di
Valfabbrica, la sera del 18 marzo, vigilia di San Giuseppe, si fa uno
spargimento di segatura avanti alle case delle ragazze «mosce ».

La domenica è attesa con ansia da tutta la gioventù. Le prime
Messe sono riservate alle mamme e alle vecchie nonne; l’ultima invece
può ben dirsi la Messa dei morosini. I giovanotti arrivano presto, si

| fermano sulla piazzetta della chiesa, parlando animatamente. La

campana dà gli ultimi «tocchi ». Ora finalmente arrivano anche le
«bardasciotte »: capo scoperto, capelli corti e ondulati e un abbiglia-
mento, che non ha più nulla di campagna e potrebbe fare invidia a
qualche signorina di città. Vauno serie e pettorute, ma con un colo-
rito che tradisce l’interna commozione. Passano senza guardare tra
le due fitte ale di uomini che fissamente l’osservano; prendono l’ac-
qua santa e si abbandonano sui loro banchi, sicure ormai che qualche
fiamma si sta accendendo per esse.

AI termine della Messa la cerimonia si ripete. Gli uomini escono
prontamente e tornano a disporsi presso la porta fuori della chiesa, in
attesa che escano le ragazze. :

Il giovanotto, che ha fatto una scelta in cuor suo, ritorna in
chiesa anche alla Benedizione pomeridiana e qui le distanze comin-
ciano ad accorciarsi. La Funzione termina in genere verso l'Ave Ma-
ria, quando calano le prime ombre della sera. Il ragazzo finge di unirsi
casualmente, quasi senza accorgersene, al gruppo in cui si trova la
sua bella. Scambia qualche parola con lei e le altre, senza mostrare
speciali preferenze e poi prosegue per la sua via.

Sopravviene la notte. Tutti vanno a riposare; ma quelle due o
tre ragazze, a cui si era affiancato il giovanotto all'uscita della chiesa,
non riescono a prender sonno. Per chi Tizio si è avvicinato ? Per me
o per l’altra ? L’interrogativo è presto risolto. L'indomani il nostro
morosino passa e ripassa per i sentieri abitualmente percorsi dalla
sua preferita. Quando finalmente riesce a vederla, si scambia fra i
due un semplice, ma significativo sorriso. L'intesa è ormai avvenuta.
Si seguiterà per qualche tempo col semplice sorriso, poi cominceranno
le prime frasi generiche e quindi delle esplicite dichiarazioni d’amore.

I luoghi e i tempi degli incontri saranno la strada che porta alla
fonte, il campo, il bosco, la Benedizione pomeridiana domenicale, le
feste religiose delle località vicine, a cui i giovani partecipano in.
massa e anche il cinema dei maggiori paesi vicini, dove ora le ragazze
possono recarsi in compagnia dei fratelli maggiori. Altre occasioni
d’incontro sono le veglie invernali e le feste da ballo familiari che







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IL CICLO DELLA VITA UMANA, ECC. 53

cominciano il giorno dell'Epifania. Non sono però ammesse visite pri-
vate del giovane in casa della ragazza, così come non si fanno doni.

Questo periodo, che potremmo chiamare di pre-fidanzamento,
è più o meno lungo: dura, secondo i casi, da qualche settimana a di-
versi mesi. I genitori ufficialmente ignorano il pretendente della fi-
glia; spesso, almeno nei primi tempi, lo ignorano anche di fatto. I.
due giovani conservano una certa libertà, a differenza di quanto av-
viene nel tempo del fidanzamento, in cui la ragazza rimane in tutto
subordinata alla volontà del fidanzato.

Va da sé che il primo amore è difficilmente quello definitivo.
Quando si decidono a fidanzarsi sul serio, i nostri giovani hanno già
fatto una lunga serie di dichiarazioni e si sono industriati a fare per
un po’ di tempo l’amore con diverse ragazze. Quelli che i moralisti
chiamano gli amoreggiamenti sono all'ordine del giorno e durano in -
genere per tutta l'età che va dai quindici ai venti anni.

La «rottura» avviene per futili motivi e anche senza nessuna
ragione oggettiva. Il giovane, che crede di aver trovato una ragazza
piü bella, passa a fare i suoi sorrisi a quest'ultima, senza curarsi piü
della prima, senza neppure comunicarle che non intende piü saperne
di lei. Non c'é da osservare, in questo periodo, nessuna regola spe-
ciale per le « rotture » come non ci son da temere reazioni della ragaz-
za o dei suoi parenti. «Quando capita, tocca incassà’ e... mosca | »
Non sempre però la donna è soggetto passivo di questi abbandoni.
Se si presenta una buona occasione, le nostre farfallette non ci pen-
sano due volte a volare verso un altro fiore.

Non è raro che ci sia qualche ritorno di fiamma e la ragazza è
ben orgogliosa di essere ricercata, anche se, per caso, è già in parola
con un altro. Ma esternamente, almeno in principio, si mostra sempre

| inflessibile. La sua superbia, la sua serietà vogliono così. Il pretendente

deve scontare caramente la sua leggerezza, deve dare prove sicure
di aver messo giudizio e di voler fare sul serio. È necessaria allora
l’opera del mediatore, o meglio, secondo gli appellattivi locali, del

«sensale » o ruffiano.

Lo Zanetti riporta un'usanza, secondo la quale il giovane si ac-
costava alla sua ex morosa e senza far parole, con rapido gesto, le to-
glieva di dosso un fiore, un fazzoletto o altro. Se la ragazza non recla-
mava quanto le era stato tolto, la pace era fatta (1). Qualcosa di si-

(1) Z. ZaNzETTI, Usi e tradizioni dell Umbria. Le paci, in « La Favilla », a.
XI, fasc. III, 1887, pagg. 70-71.







54 ALESSIO MAZZIER

mile esiste tuttora nel territorio di Bettona, dove il giovanotto non
toglie nulla alla ragazza, ma le chiede qualcosa con tono imperioso.
Se lei accondiscende, tutto è a posto; altrimenti si ricorre al ruffiano.

Non mi risulta che l'avvenuta riconciliazione sia pubblicamente
suggellata, né ora né al periodo del fidanzamento, con libazioni o al-
tri riti, come avveniva, ai tempi dello Zanetti, in qualche località del
contado perugino (1).

Ho detto che gli amoreggiamenti sono all'ordine del giorno.
Tutto però ha un limite. La ragazza, che passa troppo facilmente da
un amore all’altro, comincia ad essere «chiacchierata ». Può allora
mettersi l’anima in pace: non le sarà più possibile trovare in paese
un « cane » che la sposi. Se poi la donna manifestasse qualche trasfor-
mazione...fisiologica, il pià delle volte sarebbe rovinata per sempre.
Il cavaliere galante potrebbe abbandonarla, senza timore che alcuno
ne prenda efficacemente le difese, neppure la pubblica autorità.
A scanso di pericoli i nostri giovanotti hanno pronto un argomento di-
fensivo di prim'ordine: « Io ce so’ andato; ma ’n so’ stato nè ’1 primo,
nè l’ultimo ». All’infelice ragazza non resta che « sorbettarsi » un in-
famante appellativo che l’accompagnerà per tutta la vita. Cerche-
rà con ogni mezzo di liberarsi del feto; non riuscendovi, le rimarrà la
sola grama soddisfazione d’imporre alla creatura il nome del padre
vero o presunto.

ITE
Il fidanzamento

Dopo un conveniente periodo di amoreggiamento i giovani deci-
dono di fidanzarsi. È necessario però il consenso dei genitori della ra-
gazza. Quando si è certi di averlo, nel giorno stabilito il giovane si
reca in casa della morosina, che lo riceve sulla soglia e lo presenta ai
genitori. Gli altri componenti della famiglia non presenziano regolar-
mente al colloquio, eccetto i nonni. Il giovane domanda ai futuri
suoceri se sono contenti che la loro figlia faccia l’amore con lui. Non
segue un sì esplicito, ma una lunga « morale » della mamma. I due
giovanotti con la fronte bassa assentono a tutti gli avvertimenti. È
difficile che il babbo prenda la parola; ma a un certo momento invita
la moglie o la figlia stessa a dar da bere al ragazzo un buon bicchiere

(1) Z. ZANETTI, ivi, pag 72.

IL CICLO DELLA VITA UMANA, ECC. 5

di viuo: é il segno del consenso (1). Da quell’istante i due giovani sono
fidanzati. Scendono lietamente le scale e dandosi la mano fissano il
prossimo appuntamento.

Qualora iuvece si preveda qualche lieve difficoltà da parte
dei genitori, il giovane si fa accompagnare dal solito « mezzano ». Se
ci si attende un'opposizione abbastanza forte, il « mezzano » va da
solo finché non ha «smontato quei benedetti vecchi » (2). Quando in-
fine ci si aspetta un diniego assoluto, si tronca ogni rapporto o si met-
tono i genitori di fronte al fatto compiuto: cosa frequentissima. Co-
me ? In due modi diversi: la giovane dichiara ai familiari che deve as-
solutamente sposare, che non può farne proprio a meno, lasciando chia-
ramente intendere che ha perduto la verginità e che forse qualcosa
sta già maturando nel suo seno; oppure fugge addirittura da casa e va
a convivere more coniugali con l’amico e di ciò parlerò più diffusamen-
te nell’ultimo paragrafo di questo capitolo.

Nella prima visita successiva al consenso il giovane regala alla
futura sposa l’anello del fidanzamento: un ‘anello di poco prezzo
perché il fidanzamento ha ancora un carattere privato e diverrà uffi-
ciale solo nella prossima festa di Natale. Allora il giovane offrirà alla
bella, fra gli altri doni, un anello d’oro, che è oggi il vero e proprio
pegno: del fidanzamento.

A Pomonte il pubblico riconoscimento del fidanzamento avviene
in occasione della « festa delle coppie », che si celebra il lunedì di Pa-
squa in un piccolo Santuario dedicato alla Vergine, presso un corso
d’acqua chiamato Puglia o « Pugliola ». La mattina si svolgono rego-
larmente in chiesa i riti religiosi, la sera si fanno vari giuochi, a cui
partecipano a braccetto tutte indistintamente le coppie di fidanzati
dei paesi limitrofi.

Ho accennato al pegno del fidanzamento. Il Dott. Giuseppe Bel-
lucci nel 1898 illustrava uno speciale pegno del fidanzamento — la

(1) Nei costumi odierni non v’è traccia dell’antico toccamano. Vi allude
forse il seguente stornello:

‘ Fior de lupino,
me l’hai promesso de damme la mano
e po' me l'hai dato ’1 dito piccolino.
(A. MELILLO)

(2) Al mediatore spetterebbe come compenso un vestito completo da par-
te dell’uomo e una camicia da parte della donna.









56 : ALESSIO MAZZIER

stecca da busto — (1), che si donava ancora ai suoi tempi a Gualdo
Tadino, Nocera Umbra, Fossato di Vico e (per il nostro territorio) a
Valfabbrica (2), ma il cui uso sin da allora cominciava a tramontare
(3). Una vecchiarella del Comuné di Valfabbrica, secondo quanto mi
segnala un diligente informatore, ricorda ancor oggi che ebbe in dono
dal fidanzato la stecca da busto il giorno di S. Giovanni, che la portó
sempre indosso anche dopo il matrimonio, che un triste giorno le si
ruppe e che per conseguenza (secondo lei, s'intende) il marito le venne
a morire poco tempo dopo. La stecca, che aveva sentito tutti i pol-
piti del cuore della donna, fu messa nella cassa funebre accanto alla
salma del marito, come simbolo di un amore che non si sarebbe mai
spento. Dal racconto della vecchia si ricavano due notizie, cui il Bel-
lucci non accenna: la prima, che la rottura della stecca a matri-
monio avvenuto era un pronostico e quasi causa efficiente della morte
dello sposo; la seconda, che la stecca veniva rinchiusa nella cassa
presso la salma del defunto marito. Altri particolari non si son potuti
sapere dalla nostra brava vecchiarella, all'infuori che la stecca era
stata lavorata dal suo stesso fidanzato e c'erano incisi «tanti bei
segni ».

© Qualche altra donna di Valfabbrica e della montagna di Assisi
‘afferma di aver inteso parlare del famoso pegno del fidanzamento,
ma non sa dire nulla di più.

| Trattandosi di una usanza scomparsa, ma in un passato che po-
trebbe chiamarsi prossimo, allo scopo di integrare le poche notizie
che si son potute oggi raccogliere, credo opportuno riassumere con
la maggiore concisione quanto in proposito scrive il Bellucci.

La stecca da busto, detta «dono del cuore» (4), corrispondeva
«ad una promessa formale e solenne di matrimonio », aveva «il valore
e il significato di un vero contratto, rogato e registrato » (5). Era « il segnale
pubblico del fidanzamento, precedendo i bandi officiali che si fanno dal-
l’altare e quelli che si pubblicano alla porta del Municipio» (6). —

Era fatta e incisa preferibilmente dallo stesso fidanzato (7). Le

(1) G. BeLLucci, Folklore Umbro. Pegno del fidanzamento ( In nozze Sy-
monds- Vaugham), Perugia, Unione Tipogr. Cooperativa, 1898.

(2) Ivi, pag. 11.

(3) Ivi, pag. 23.

(4) Ivi, pag 11.

(5) Ivi, pag. 12.

(6) Ivi, pag. 13.

(7) Ivi, pag. 7.



IL CICLO DELLA VITA UMANA, ECC. 57

incisioni si facevano solo sulla parte anteriore ed erano poi ricoperte di
minio (1). Le figure più usuali erano due cuori fioriti in posizione op-
posta, due cuori incatenati concordi (quello rappresentante la donna
‘era più abbellito, come simbolo della delicatezza muliebre), il nodo
di Salomone a 12 o 16 annodature (simbolo dell’indissolubilità del
matrimonio), vasi con foglie, fiori, uccelli, ramoscelli fioriti (simbolo
della prole) (2). C'era sempre anche la rappresentazione degli sposi .
con allegorie ben chiare, ove si tenga conto che i fiori indicano figli.
1n una stecca, posseduta dal Bellucci, l'uomo é raffigurato con la pipa
e il bastoncino e ha tutta l'aria d'un giovane galante; la donna gli
siede vicino tenendo in mano un solo e semplice fiore: il giovanotto
amante degli spassi non voleva piü che un figlio. In un'altra stecca in-
vece il giovane é inchinato con la zappa, nell'atto di chi lavora la
terra e la sposa orgogliosa solleva in alto un grande cesto di fiori: il
fidanzato amante del lavoro vedeva con gioia lo sbocciare di tante
creature in seno alla famiglia che stava per formare. Sotto i disegni
c'eran sempre le lettere iniziali dei due sposi (3). Apparivano talora
simboli religiosi, come il monogramma di Maria e la croce (4).

Veniva data in dono il primo di maggio o il 24 giugno, festa di
S. Giovanni, o alla fine di settembre (5). Era portata nel busto e, se si
rompeva prima del matrimonio, il fidanzato la gettava nel fuoco e ne
faceva un'altra (6). A Valfabbrica nei giorni di festa, all'uscita dalla
chiesa, le ragazze sfoderavano dal busto il dono del cuore, sottopo-
nendolo « all’ammirazione, alle lodi, ai rallegramenti » delle amiche (7).

Il Bellucci ricorda infine che la ragazza ricambiava. tale dono
.con una fascia colorata, da lei fatta o cucita e tenuta per tre giorni
di seguito « sulla nuda carne attorno alla vita ». Il fidanzato la portava
poi esternamente, nella certezza che l’uso fattone dalla, donna gli
avrebbe infuso « maggiore tonicità e gagliardia nella regione lomba-
re» (8). Di questo costume non ho trovato oggi nessuna traccia.

, Ivi, pag.
Ivi, pag.
Ivi,. pag.
Ivi, pag.

) Ivi, pag.
Ivi, pag.

II, Dag.
Ivi, pag.











ALESSIO MAZZIER
IV.
Scambio di doni.

Lo Zanetti scrisse nel 1886 un articolo sui doni dei fidanzati nel
contado perugino (1). Alla distanza di oltre 60 anni, per quanto ri-
guarda la nostra zona, debbo dire che i periodi, in cui è rituale lo scam-
bio di doni, sono quasi gli stessi, mentre invece la natura dei diversi
regali è in gran parte mutata.

Ho già detto che solo per Natale si fanno i primi doni. La sera
del 24 dicembre il fidanzato va a veglia dalla sua ragazza, le mette al
dito l’anello d’oro e le offre il « Bambino »: una scatola di legno invol-
ta in carta celeste e chiusa con un nastro di seta color rosa. Dentro ci
sono tre piccoli pacchetti elegantemente confezionati: il primo con-
tiene dolci di varia qualità; il secondo, una boccetta di profumo e una
saponetta; il terzo, un paio di calze e un fazzoletto di seta e alle volte
anche una sciarpa di lana. A Costano si include pure, sebbene rara-
mente, un paio di scarpe. La stessa usanza esisteva sino ai tempi della
prima guerra mondiale nella zona montana di Assisi, come al Para-
diso, a Porziano e Costa di Trex.

Il pacco è bello e la giovane muore dalla voglia di vedere cosa
c’è dentro; ma non potrà aprirlo fino alla vigilia dell'Epifania, quando
essa presenterà al fidanzato la sua « Befana ». In cambio dell’anello
offrirà un orologio o una penna stilografica e nel pacco metterà alla sua
volta dolci, sigarette, fazzoletti, calze, una cravatta e una camicia.
A Porziano e in genere nella zona montana di Assisi si include pure
un piccolo dono per la futura suocera: un fazzoletto per il capo. Na-
turalmente i doni variano per qualità e quantità secondo le risorse
delle due famiglie e secondo il diverso spirito di grandiosità dei fidan-
zati.

La vigilia dell'Epifania i due giovani aprono insieme i pacchi e,
dopo essersi rallegrati a vicenda, mangiano parte dei dolci, offrendone
anche ai familiari. L'indomani poi indosseranno gli indumenti avuti
in dono.

(1) Z. ZANETTI. Usi e tradizioni dell'Umbria. I doni, i disgusti, le vendette
e le paci dei fidanzati nel contado Perugino, in « La Favilla », a. X, fasc. IX-
X, 1886, pagg. 329-334.

IL CICLO DELLA VITA UMANA, ECC. 59

Ho notato, almeno in alcuni paesi, che la tradizione tende in que-
sti ultimi tempi a trasformarsi.

L’anello e l’orologio si offrono non oltre la metà di dicembre (al-
trimenti il « Bambino » sarebbe « zoppo ») e si portano indosso la pri-
ma volta il giorno di Natale. Raramente si offrono capi di vestiario,
che possono sembrare un'offesa alla persona. amata. Il « Bambino »,
contenente solo dolciumi, si presenta la sera del 24 dicembre, ma si
apre il giorno di S. Giovanni, quando la fidanzata invita il ragazzo a
pranzo o a cena, esimendosi cosi dal dono della « Befana ».

La seconda domenica di gennaio si celebra a Foligno la festa
della Madonna del Pianto o « degli aranci ». La città si riempie per la
occasione di rivenditori di arance. E tutti i fidanzati corrono a com-
prarne in abbondanza, per regalarle alle loro ragazze. Questa locale
tradizione folignate si è estesa alle zone limitrofe e quindi, per il no-
stro territorio, a Capodacqua, Cannara, Castelnuovo, Rivotorto e an-
che S. Maria degli Angeli. Un’usanza simile, scomparsa ormai da una
quarantina d'anni, aveva per centro S. Maria degli Angeli e si prati-
cava il martedì di Pasqua. Ai tempi dello Zanetti il fidanzato inviava
«alla fanciulla una rama carica di arance e un grosso cedro, ch'egli
stesso recavasi a comperare alla festa della Madonna degli Angeli che si
celebra in quel giorno nel piano di Assisi e alla quale intervengono molti
venditori di frutta» (1).

L’arancia, per i molteplici semi che contiene e per il suo colore,
ha valore simbolico di prosperità e ricchezza.

Lo stesso Zanetti ricorda che nel periodo invernale il fidanzato
portava 0 mandava, in un giorno di festa, due fiaschi di vino alla ra-
gazza. Questa lo offriva a tutta la compagnia e ne beveva lei pure
nello stesso bicchiere in cui aveva bevuto il fidanzato (2). L’usanza
non è conosciuta nel nostro contado; c’è però qualcosa che può farla
vagamente ricordare. Il giovanotto, che va a veglia o al ballo in
casa della morosa, non va quasi mai a mani vuote, porta almeno un
fiasco di vino. Nelle nostre case di campagna è difficile trovare tanti
bicchieri quante sono le persone che di quando in quando vi si riuni-
scono. Talora bevono tutti allo stesso bicchiere o al massimo in due o
tre. Non ci sono troppe preoccupazioni igieniche; ma c’è in compenso
un grave pregiudizio, particolarmente diffuso nella zona dei due Pog-

(1) Z. ZANETTI, Usi e tradizioni dell'Umbria. I doni, etc., in « La Favilla »,
a. X, fasc. IX-X, 1886, pag. 332.
(2) Ivi, pag. 331.













60 * ALESSIO MAZZIER

gi. Nella bevanda potrebbero essere stati infusi dei rifiuti organici,
per « fatturare » qualcuno della comitiva. Questi elementi si giudica-
no pesanti e devono perciò andare (se ci sono) in fondo al bicchiere.
Avviene così che nessuno beve tutto intero il suo bicchiere fino all’ul-
tima stilla; passandolo anzi all'amico vicino, lo si capovolge istanta-
neaniente, per versare in: terra le gocce rimaste. Ebbene io stesso ho
osservato in varie occasioni che, passandosi il Meme tra fidanzati,
non lo si capovolge mai.

I doni del sabato santo sono completamente cambiati da quelli
che ricordano i nostri vecchi. Oggi perlo più c’è solo un reciproco scam-
bio di due grandi uovi di cioccolata con sorpresa. Una volta il dono
della donna consisteva invece quasi ovunque in una dozzina di uova

.variamente colorate: fra i colori prevalevano il celeste e il rosa, gli
stessi cioè che sono adottati per il vestito dei neonati il giorno del bat-
tesimo. Faceva eccezione la zona di Bettona, Collemancio e Cannara
dove la giovane offriva per lo più una pizza dolce. I doni del fidanzato,
secondo le testimonianze raccolte, erano di varia natura, in modo da
non potersi notare una tradizione prevalente in tutto il contado.
Così nella zona montana di Assisi e Valfabbrica lui offriva un coscio
di agnello; nella zona di Bastia, Costano e S. Maria degli Angeli,
un salame; in quella di Bettona, Collamancio e Cannara, una pizza
dolce. A Capodacqua infine mi è stata segnalata una caratteristica
usanza, anch’essa scomparsa e di cui non mi è stato possibile avere
indicazioni da altre località. Il fidanzato - offriva il sabato santo un
paio di zoccoletti elegantemente rifiniti. Nella parte interna del tacco
erano fissate delle « semenze » (piccoli chiodi), disposte in modo che
le capocchie formassero la figura. di due cuori concordi, tangenti
l'uno all'altro e trapassati da una freccia: notare l'analogia colle inci-
sioni del pegno del fidanzamento.

Il martedì di Pasqua i giovani che andavano a S. Maria degli
Angeli riportavano alle fidanzate grandi ciambelle e torcoletti. L'u-
sanza è ricordata anche dallo Zanetti, ma come dono tradizionale per
Ja festa di S. Giuseppe (1); anch'essa è tramontata insieme a quella
delle arance. :

Come ho già detto nell’ultimo paragrafo del primo capitolo, il
giorno di S. Giovanni (24 giugno) i fidanzati a Capodacqua e paesi li-
initrofi si scambiano un mazzo di fiori e verdura, fra cui il dittamo
(origanum dictamus), lo spigo, l'edera (simbolo dell’unione) e vari

(1) Ivi, pag. 331.

‘IL CICLO DELLA VITA UMANA, ECC. 61

garofani che, come commenta lo Zanetti, « colle gradazioni deli.
colore devono indicare le gradazioni dell’affetto » (1).
L’ultimo dono ufficiale dell’anno si offre durante la mietitura.
Il fidanzato che miete in un campo dove lavora la sua ragazza, le fa
trovare improvvisamente, a capo di un solco, una «gregna » di grano
in posizione eretta: in mezzo c’è un fiasco di vino e un fazzoletto per
il capo. La giovane fra gli applausi getta via il vecchio fazzoletto, si
mette il nuovo e distribuisce da bere a tutto il gruppo, cominciando
| dal fidanzato. L'usanza, con leggere varianti, può considerarsi gene-
rale in tutto il contado ed è chiamata «il dono della mietitura ». È
ricordata anche dallo Zanetti, ma con diversa denominazione e con
maggior dovizia di particolari (2).

Il compleanno dei fidanzati passa generalmente inosservato.
L’onomastico è variamente festeggiato secondo il buon cuore dei gio-
‘vani: il dono più comune da parte di lui è una catenina e da parte di
' lei, qualche fazzoletto o anche solo un pacchetto di sigarette.

Tutte le nostre donne una volta, quando erano libere da altre
faccende, filavano la lana e facevano la maglia. La «rocca » era pro-
prio il simbolo della pace domestica e dell'assidua sollecitudine ma-

terna. Ebbene varie persone dalla sessantina in su ricordano che ai
tempi loro il fidanzato regalava alla promessa sposa una rocca e un
« mazzarello », il giorno in cui si fissava la data del matrimonio. I due
oggetti erano fatti di preferenza dallo stesso fidanzato. La rocca era
adornà di nastri di color celeste e rosa e portava incisioni simboliche,
simili a quelle del pegno del fidanzamento. La descrizione fatta dal
Bellucci nel 1895 per il contado di Perugia (3) penso che possa essere
valida anche per il nostro territorio, salvo le naturali varianti dovute
piü all'inventiva personale del donatore che non ad una costante tra-
dizione. In mancanza di un modello diretto, traggo pertanto dalla
monografia del Bellucci (pagg. 5-6) le necessarie notizie al riguardo.

La prima figura del fuso descritto dal Bellucci rappresenta due
cuori, dalla cui base si sviluppano due palme (albero della vita). La
palma della donna ha le foglie più svolte, ma dello stesso numero di
quella dell’uomo. Nella seconda figura i cuori si fondono in una specie

(1) Ivi, pag. 333.

(2) Ivi, pagg. 332-333. i

(3) G. BeLLucci, Usi nuziali nell' Umbria (nel giorno degli sponsali Ta-
ticchi-Meniconi Bracceschi), Perugia, Tipografia Umbra, 1895.





62 ALESSIO MAZZIER

di cesto e le due palme sono ugualmente sviluppate: effetti del matri-
monio. Segue un nodo di Salomone a 12 cappi, simbolo del legame
dei cuori. Vengono poi un bimbo, un gallo e una pezza di tela, sim-
boli rispettivamente della prole, della sollecitudine e dell’arte tessile
«a cui la sposa dovrà attendere a completamento della filatura » (1).
L'ultima figura rappresenta ancora due cuori congiunti da una specie
di anello (perennità dell'amore), con le foglie delle palme uguali, ma
appena accennate, come fossero avvizzite (simbolo della vita che si
spegne).

Da molto tempo le donne non filano più la lana e il dono della
rocca è completamente scomparso. Anche qui è rimasto però qualco-
sa dell’antica usanza. Nei pochi paesi delle montagne di Assisi e di
Bettona, dove ancora si attende un poco alla filatura, pensa abitual-
mente il marito a fare o rinnovare il fuso, quando la donna ne abbi-
sogna. Sul fuso fatto dagli uomini di oggi compare ancora taluna delle
antiche figure: cuori e fiorellini.

Il Bellucci, nello studio ora citato, illustra anche il dono di una
«fuseruola » in terra cotta, dov'era stampato a caratteri inversi il
nome deila fidanzata, ma dice che l’usanza era già da lungo tempo
scomparsa (2). Posso invece affermare che la tradizione nella sua so-
stanza è rimasta sino ad epoca recente, come risulta da varie testi-
monianze raccolte a Capodacqua e nelle frazioni contermini di Rivo-
torto e San Vitale. Penso che probabilmente a uguale conclusione
avrebbe portato l’inchiesta nelle altre zone, se i miei informatori l'a-
vessero un po’ più approfondita. Il fidanzato insieme alla conocchia
donava anche un « mazzarello » di legno in tutto simile a un lungo e
grosso portapenne, dov'erano incisi vari arabeschi assai intrecciati,
dei cuori e fiori (margherite) e in alto le lettere iniziali del nome della
ragazza. La donna se lo fissava al fianco con la cinta e vi infilava uno
dei capi del ferro da calza.

Col dono della conocchia è scomparso anche quello del « mazza-
rello », sebbene ancor oggi le donne attendano molto ai lavori in lana,
specie maglie e calze. Qualunque osservatore può però facilmente no-
tare quanto ingegnosamente lavorati siano i « mazzarelli», che le
nostre madri di famiglia si fanno oggi fare dai mariti o dai figli.

(1) Ivi, pag. 6.
(2) Ivi, pagg. 8-12.

IL CICLO DELLA VITA UMANA, ECC.

V.
Serenate, incontri e visite.

Nelle notti miti e lunari di primavera gruppi di giovanotti, con
fisarmoniche, chitarre, violini e mandolini, vanno a fare la serenata a
tutte le belle del villaggio, comprese naturalmente le loro ragazze.
Molto vasto è il patrimonio poetico del nostro popolo. Io ho già rac-
colto oltre cinquecento poesie dell’amore e dell’odio e: non sono cer-
tamente tutte. Un certo Chiarone, abitante nei pressi di Capodacqua,
mi raccontava che diversi anni or sono, per la scommessa di due si-
gari, in una sola serata ne cantò trecento. Non è qui il caso di farne
una analisi psicologica o estetica. Mi sia però concessa una breve e
importante digressione di carattere filologico.

La forma prevalente del canto lirico monostrofico del nostro
contado è lo stornello. Nella mia raccolta re ho 351, di cui 143 fiori.
Dodici di essi sono (a mio avviso) tetrastici, 13 hanno una ripresa e 5
ne hanno due. La seconda forma è lo strambotto. Ne ho 189 così sud-
divisi: 20 distici (a carattere amoroso, sentenzioso, faceto), 107 tetra-
stici (schema prevalente a rima alterna), 32 sestine (schema prevalen-
te ABABCC), 14 ottave (schema prevalente ABABCCDD: rispetto),
16 canti di maggiore ampiezza, fino al massimo di ventotto endeca-
sillabi. Alcuni di essi sono enumerativi e anche iterativi.

Chiusa la parentesi, è opportuno osservare col buon Chiarone
che da una decina d’anni, e cioè dall’inizio della seconda guerra mon-
diale, non si fanno più serenate né più si canta durante i lavori agri-
coli stagionali. I nostri giovani, fra gli orrori dei combattimenti e la
caccia all’uomo delle truppe tedesche e delle milizie della Repubblica
Sociale Italiana, sembrano aver perduto il senso della poesia e del
canto. Passata la guerra, gli animi non si sono pacificati, ma sono
stati piuttosto inaspriti dalle violente lotte politiche e sociali. Così
al posto del sentimento è subentrata la passionalità. Se qualche raro
canto oggi si sente, non sono altro che dispetti (1).

Il carnevale comincia praticamente con l’Epifania e anche prima.
I fidanzati e i loro comuni amici organizzano diverse feste da ballo

(1) A Capodacqua mi si dice che il giovane non cantava presso la casa
della sua fidanzata, ma accompagnava con qualche strumento il canto dei
compagni. s







61 ; E ' | ALESSIO MAZZIER

nelle loro case. Gli antichi balli tradizionali umbri sono la « manferi-
na », il «saltarello » o « trescone », il ballo della «scopa » o del « mesto-
lo », il ballo del «serpente » e il ballo dell'« onore » (1). Le vecchie for-
me di danza vanno peró rapidamente scomparendo o sono già scom-
parse, anche nelle zone montane. Ormai tutti i nostri contadini balla-
no il valzer, la polca, il tango, la mazurca e-oggi anche la raspa. Il
ragazzo però è e deve essere geloso della sua fidanzata. La sua in-
transigenza personale e convenzionale ha talora qualcosa di sadico.
Lui può ballare con chi vuole, lei no. Ogni parola o sguardo scambia-
to con altri può dar luogo a un litigio. Ogni svago il più innocente
non può esser preso, se non col consenso di lui, che spesso però lo ne-
ga. Il giovanotto crede in tal modo di esercitare la sua legittima auto-
rità; in effetti obbedisce semplicemente a certi istinti, a lui stesso
ignoti, di perversione sessuale.

Veniamo alle visite. Fuori delle ordinarie veglie interfamiliari e
di qualche ballo di carnevale, la donna non può mai entrare in casa
del fidanzato, altrimenti sarebbe subito «chiacchierata » e a Betto-
na avrebbe l’appellativo di « salaiola ». Da più parti mi si fa però rile-
vare che l’antica severità si va lentamente mitigando. Purché sia ac-
compagnata da qualcuno, la giovane può andare, qualche volta, per
breve tempo in casa di lui senza speciali timori. Nelle zone di pianura
può essere perfino invitata da sola a pranzo nelle feste « ricordatoie ».

I giorni dedicati alle visite amorose sono ordinariamente il gio-
vedi, il sabato e la domenica. A Pomonte é ammesso anche il martedì.
Sempre e ovunque é escluso il venerdi, la giornata delle streghe.

Le persone di una certa età ricordano che ai tempi loro c'era un
certo rigore da parte dei genitori. I giovanotti non solo non erano la-
sciati mai soli, ma dovevano sedere a una certa distanza e parlare ad
alta voce. In mezzo sedeva filando la mamma. In termini morali si
deve dire che i costumi sono oggi assai decaduti. Non di rado avviene
che i giovani, per una ragione o l'altra, rimangano soli in tutta la
casa. Proprio in questi momenti possono succedere, come difatti
succedono, gli ... imprevisti. ;

Il giovanotto ritiene suo preciso dovere di. sedurre la ragazza.
Non soltanto gli istinti sensuali ve lo spingono, ma un errato, depre-
cato motivo d'onore. Egli vuole dimostrare la sua virilità. Se non lo
facesse o almeno non ci provasse, in caso di abbandono potrebbe essere

(1) Cfr. D. FETTUCCIARL Canti e danze popolari in Umbria, in « Peru--
sia », 1-15 ottobre, 1949, pag. 14. i

IL CICLO DELLA VITA UMANA, ECC. 65

beffeggiato come «un buono a nulla »: il massimo oltraggio per un
uomo. Questa è l’opinione corrente in varie frazioni e credo che lo sia
in genere in tutto il contado.

Quale sarà la reazione della ragazza ? Positiva o negativa, se-
condo che prevalga in lei l’umana debolezza oppure la naturale pu-
dicizia, la virtù, il timore di certe spiacevoli conseguenze.

Quali le eventuali conseguenze di un’accettazione o di un rifiu-
to ? Occorre distinguere. Se l’uomo è spinto principalmente dalla sua
così detta ragione d’onore (cosa davvero un pò rara), accettazione o
rifiuto non hanno conseguenze pratiche agli effetti del matrimonio.
Se si dovesse avvertire qualche segno di gravidanza, si sollecitereb-
bero le nozze, per nascondere possibilmente l’avvenuta fornicazione.

Se invece il giovane è sollecitato più che altro dalla passione, un
ostinato rifiuto della donna potrebbe facilmente indurlo a « piantar
tutto ». Conosco un’ottima madre di famiglia, che aveva dato indubbi
segni di assoluta serietà in diverse occasioni, anche durante l’occupa-
zione tedesca e alleata. Un bel giorno, quando era ancora fidanzata,
si seppe che era « caduta ». La poverina tutta confusa confidava pian-
gendo a un’amica il fattore psicologico, che l’aveva trascinata nel
fango. « Per esse’ onesta, evo perso già tre occasioni, una mejo de

l’altra. Anche ’sta volta facevo la stessa fine e ci ho dovuto fa’ per
forza ».

Talora un calcolo raffinato induce il giovanotto a sedurre la ra-
gazza. Una volta riuscito nell’intento, avrà «il manico del coltello
dalla sua parte ». Sotto la minaccia dell’abbandono, potrà pretendere
qualsiasi dote.

NE

Disgusti e vendette.

« L'amore non é bello se non é scorrucciarello », dice il proverbio.
Il troppo affetto può per se stesso provocare contrasti anche violenti,
che però facilmente si risolvono nel giro di pochi giorni. La mancanza
invece di serietà di una delle due parti è sempre causa di vere e defi-
nitive separazioni, che avvengono ordinariamente dopo un violento
alterco tra i due morosini. Il giovane galante dovrà poi fare i conti
coi fratelli della ragazza, che lo sottoporranno a un nutrito lancio di
pomodori e uova «boje » e, in casi di particolare gravità, potranno

5

4
















66 ALESSIO MAZZIER



anche malmenarlo di santa ragione. Sono comunque sempre esclusi

‘ fatti di sangue. Dalle zone montane di Assisi e Valfabbrica mi viene
‘ segnalata un’usanza ricordata anche dallo Zanetti (1). Il ragazzo

leggerino va a veglia dalla fidanzata. Il padre di lei gli dà un’occhiata e,
senza far parola, prende i tizzoni e li drizza ai fianchi del focolare: è
l’uso generale con cui si concludono tutte le veglie al momento in cui
gli ospiti tornano alle loro case e nel caso specifico è un chiaro invito
al malcapitato ad allontanarsi prontamente.

In queste circostanze nessuno dei due penserà più di rientrare
nelle grazie dell’altro; non ci sarà posto che per le vendette, di cui
parlerò appresso. Conseguenza giuridica dell’abbandono è il dovere
di restituire tutti i regali, che i fidanzati si sono reciprocamente scam-
biati. Se qualche oggetto si fosse logorato, si dovrebbe dis
nuovo, ma in pratica nessuno lo fa. ;

Altre volte il giovane s'innamora di un'altra ragazza e non si fa
veder più dalla legittima fidanzata (2). La buona giovinetta, dopo
aver aspettato invano la solita visita, comprende il nuovo stato di
cose e si abbandona inconsolabile al suo dolore. In questo caso, dopo
il primo periodo di smarrimento, la donna ricorrerà a tutte le « sen-
sali » per risvegliare l’antico amore, tentando anche di far bere all’in-
fedele un buon bicchiere di vino con qualche goccia di sangue. Riu-
scito vano ogni tentativo, si ricorre alle vendette (usate talvolta an-
che dagli uomini), che non si fanno ordinariamente contro l’ex fidan-
zato, ma contro la donna che ha rubato il suo amore. È bene ricordare
a questo punto che le stesse pratiche usano le mogli, quando sospetta-
no della fedeltà dei loro mariti. I generi di vendetta, per quanto ho
potuto comprendere, sono assai numerosi e vanno tutti sotto il ter-
mine generico di fatture. Il Grogio (cosi è soprannominato uno stro-
logo del contado) ha una rara competenza in materia, ma non son
riuscito a cavargli fuori niente. Nonostante tutte le promesse, teme
una eventuale divulgazione dei suoi segreti e quindi una riduzione:
dei suoi non lievi guadagni. Un altro famoso fattucchiere ho potuto
conoscere: il Professore (secondo il soprannome personale), o il Gal-
letto (secondo il soprannome di famiglia) e chiamato addirittura il
Professor Galletto. A lui si rivolgevano persone dei paesi vicini e

(1) Z. ZANETTI, Usi e tradizioni dell’ Umbria, in «La Favilla », a. XI, fasc. I,
1887, pag. 27.

(2) Solo da Poggio Inferiore mi si segnala che si mandano alla ragazza, i in
segno di « rottura », degli spicchi d’aglio. Cfr. Z. ZANETTI, Usi e tradizioni ecc., -
in « La Favilla », a. X, fasc. XII, 1887, pag. 365.

IL CICLO DELLA VITA UMANA, ECC. 67

‘anche di lontane province e non solo gente del volgo, ma anche ric-
| chi signori, che andavano alla sua umile casa con lussuose automo-
- pili (1). Ma da. qualche anno ormai è scomparso portando nella tom-
‘ba quei segreti che lo resero celebre e che non rivelò neppure alla sua
famiglia. Una sola cosa dicono i nostri fattucchieri: che loro tolgono,
- pon fanno le fatture e che tutte le dicerie della gente su certi loro te-
nebrosi sortilegi e presunti misfatti non sono altro che pure calunnie
| dettate dall’invidia. :

j In mancanza dunque di rivelazioni speciali da parte degli stro-
loghi, mi limiteró ad accennare ad alcune poche «fatture», che ho
conosciuto primamente dallo Zanetti (2) e il cui uso, con opportuni
accorgimenti, ho potuto riscontrare nel nostro coutado.

Il giovanotto sarà preso da nausea e da invincibile disgusto verso
la.nuova morosa, se si riesce a fargli ingerire un cibo, dove sia stato
segretamente posto un rifiuto organico di lei: feci e specialmente .
orina. Per questo le nostre donne si preoccupano di E simili
elementi in luoghi inaccessibili.

La donna perderà le sue migliori attrattive, se il fattucchiere
potrà fare uno speciale scongiuro su qualche suo capello. Per questo le
donne nascondono o bruciano addirittura i capelli che cadono duran-
te la pettinatura. Se talvolta ne regalano qualcuno al fidanzato, co-
me ho detto più sopra, lo spuntano prima da ambo i capi.

Da Bastia mi si segnala l'impazienza con cui le donne del volgo
attendono il tempo in cui si fa l'esumazione dei cadaveri dai campi
comuni del cimitero. Allora fanno di tutto per trafugare qualche
osso umano, perché si dice che la rivale, contro cui viene scagliato,
deperisce lentamente, ma inesorabilmente sino alla morte (3).

.Altro genere di vendette sono alcuni dispetti, che un fidanzato
fa personalmente all'altro o che lascia fare dai suoi amici, A Valfab-
brica, Petrignano e un po' ovunque si dipingono fiaschi e damigiane
sui muri di casa del giovane abbandonato. A Pomonte si appendono
invece sulla porta due grosse e autentiche corna di bue maremmano.

(1) Il ceto aristocratico non sembra meno superstizioso del popolino.
(2) Z. ZANETTI, Le vendette, in « La Favilla », a. XI, fasc. I, 1887, pagg:
27-31.

(3) Non mi risulta che si facciano le « fatture » anche con le fotografie,
che vedo invece scambiarsi con tutta facilità tra fidanzati. Ugualmente nega-
tive sono le risposte degli informatori circa altre vendette enucleate dallo
ZANETTI nell’articolo citato.



















68 ALESSIO MAZZIER

A Porziano e al Poggio Inferiore il primo degli ex fidanzati che si spo-
sa, la vigilia delle nozze, consegna a un compagno un nastro di seta
per legarci furtivamente le gambe dell’amico deluso.

Nella zona montana di Assisi e in quel di Valfabbrica nella notte
precedente il matrimonio di uno dei due ex morosi, si fa la « impaglic-
ciata », si stende cioè della paglia attorno alla casa del giovane che è
rimasto, come si dice, «a piedi ». In tutte le altre zone si fa invece la
«lellerata » o «ernata », cioè lo spargimento di edera.

È da notare che quando lo sposo non partecipa all’operazione,
lo spargimento della paglia o dell’edera si fa lungo la strada che con-
giunge le case dei vecchi fidanzati. A Capodacqua invece e nelle vi-
cine frazioni di Rivotorto e San Vitale l’«ernata » si fa sempre sulla
via che dalla casa dell’amoroso deluso conduce alla Chiesa parroc-
chiale. In queste località insieme all’edera si spargono anche secchie,
barattoli, cocci rotti e immancabilmente qualche vaso da notte.
Nella concezione popolare questi oggetti indicano che la ragazza è
di leggeri costumi e quindi «chiacchierata ».

Ultimo, ma terribile genere di vendetta è lo scherno e la diffa-
mazione. L’uomo raramente ricorre alle fatture, ma usa un’arma ben
più micidiale gettando il fango a piene mani contro la vecchia amica.
Si fanno le serenate di ingiurie, come si fanno quelle di amore. Credo
anzi di poter affermare, sulla base di vari indizi, che il gruppo più
numeroso del canto lirico monostrofico del nostro popolo è forse
quello dei dispetti. Difficilmente si crea ez nihilo un nuovo canto di
amore, mentre di continuo la fantasia si sbizzarrisce a formare
dispetti assolutamente uuovi, che non rimangono invenzione di un
singolo, ma divengono presto e spesso linguaggio del volgo. Si puó
obiettare che sono relativamente scarsi i dispetti che compaiono
nelle varie raccolte; ma ció dipende solo dal fatto che le brave perso-
ne interrogate hanno ritegno a dettare gran parte di certi canti.

Nessun giovanotto puó sopportare che la sua ex fidanzata si
sposi prima di lui e, se questo avviene, il suo rancore diventa furioso.
Nel periodo delle pubblicazioni scrive o fa scrivere una specie di ma-
nifesto ripieno di ingiurie e calunnie e ne espone qualche copia nei
luoghi piü frequentati del paese. La mattina di Pasqua del 1949 vidi
e presi un manifesto del genere, fissato a un albero nei pressi d'una
Chiesa di campagna. Si tratta di un caratteristico modello di
schietta creazione popolare e ritengo opportuno riprodurlo mutando,
per ovvi motivi, i nomi propri e correggendo in parte l’ortografia

IL CICLO DELLA VITA UMANA, ECC. 69

e l’interpunzione. L'originale naturalmente è scritto a lettere maiu-
scole.

«Sulla città del Ponticello è successo un fatto bello. — Nella bor-
gata più pulita al sorger del sole è situata. — C'è da casa di Tonino è
sempre come un teatrino. — Che a raccontare il bene e il male ci vor-
rebbe un grosso giornale. — Qui si tratta di Franca la figlia che Anto-
nia la consiglia, imparato gli ha tanti vizi: oggi l'ha messa nei grossi
pasticci. - La Franca da piccoletta faceva la brava ragazzetta, ma
nell’età dei primi gusti à dato retta a tutti. - La colpa è anche di
Flora sempre con gente implora, dice del maritaccio schifo...
— Flora a quel caso ganzo dei due sollazzante, la caccia nell’istante
senza farla sta’ a pranzo, ma senza vergogna cercò a intosta il visetto
e una nuova alleanza venne a fare da Giulietto. — E lì da giovanotto
ci stava ancor Ciucchetta: ce l’avesse passata qualche serata schietta !
— La Franca in conclusione a opera stava con due padrone perché
da Luigino padrona era del pane e il vino. — Però tuttora Gianni le
annunzia cose triste, l'abbia portata via ai tempi dei fasciste. — A
casa l’ha mandata senza fagli fa’ un passo.... — A tutto il disonore
si accorse Antonione; gli fa sta realmente che questo non è niente.
Il primo giovanotto che ti capita adesso prendi una gran premura
di fargli una fattura. — Infatti un giovanotto a lei gli è capitato; per
poco se la sposa perché l'avean legato. — Questo giovanottone gli
dicono Peppone; é stato un gran birbone, benché pareva un tempe-
rone. — Si dice si tratta di una cosa quella che a Peppe gli è più orgo-
gilosa; ci abbia fatto la più lunga carriera e poi l’ha messa in fiera.
— A comperare venne subito il fratello di Sandra. — Piero ingenovino
partito vi è da Chioggia per venir da Tonino a far l’amore in loggia.
— Ma questa amore finta. Subito è stata spinta, perché con quel ma-
lesse” non c'era l'interesse. — Peró con più ruffiani subito hanno in-
tramato di mandare a chiamare il giovane Mariano. — E questo gio-
vanotto sceso dalla montagna non l’ha insistita tanto, perché ha sco-
perto la micragna. — Adesso Mariano capita piano piano; la colpa è
dei parente che non gli dicon niente. - Anzi questi parente cercon di
coprir tutto immodo che il mammalucco la piglia allegramente. —
Ma un giorno con fervore Consilia alla Franca le disse con ragione:
« Meglio che vai a la strada che sposi quel bastone ». — Franca in chiare
note rispose con rispetto: « Lo sposo certamente mi serve per coper-
chio » — E anche l'Antonia gli dice qualche cosa: « Muoio di crepa-
cuore se vai lontan di casa, perché fra noi due c’è grande cortesia,

scambiandosi gli amanti senza una gelosia; però prima che sposi











70 : È. ALESSIO MAZZIER-

aspetta due altri mesi immodo di piü vicino s'impazzisse qualcuno ».
— Ma ora la Franca ha messo il cuore in pace, si sposa Mariano anche
se non gli piace ». )

Segue un rudimentale disegno che dovrebbe raffigurare Mariano
con una lunga chioma divisa in due, a mo' di «corna ». In mezzo c'é
la dicitura: « Mariano ringrazia immensamente i parenti che anche a
causa loro gli hanno fatto la permanente. — Vi sembrono esagerate
(le corna) ? Eppure ne mancano un po' di metri ». j

: Questo po' po' di manifesto veniva affisso nel nostro contado, la
mattina di Pasqua, otto giorni avanti le nozze, contro una giovane
orfana d'illibati costumi. Fortunatamente la cosa rimase senza con-
seguenze.

VAT.
I preparativi delle nozze.

Fidanzamento in chiesa e sponsali non sono conosciuti nel no-

stro contado. e

"La data precisa del matrimonio si fissa circa un mese avanti la
celebrazione. In quell'occasione avviene il primo incontro ufficiale
tra i genitori dei ragazzi, si decide la dote da dare alla sposa e si pren-.
dono tutti gli accordi relativi alla celebrazione delle nozze. Al Poggio
Inferiore i genitori del fidanzato fino a tempi recenti si portavano
dei cibi, per poterne mangiare, in atto di sfida, in caso di disaccordo
sulla dote. « Volemo tanto perché je spetta da la fija e no perché
c'emo bisogno de la robba vostra ».

Non sempre si è in grado di sostenere le ingenti spese che occor-
rono per un matrimonio in piena regola. Allora si concreta di comune :
accordo tra le due famiglie la fuga della sposa, di cui parlerò all’ul-
timo paragrafo del capitolo.

Presi gli accordi, gli sposi vanno dal parroco a «cavare le carte ».
1 nostri vecchi dicono che ai tempi loro il curato faceva alcune lezioni
di catechismo ad ogni coppia di sposi. A_ cié sembra riferirsi l’art. 3
del capitolo X del Sinodo Diocesano del 1908, in cui fra l’altro si legge:
« Parochus insuper sponsos si fidei rudimenta ignorent, paterna cari-
tate instruat ». Secondo quanto mi si dice a Capodacqua, l'usanza fu
tolta dagli stessi parroci a causa degli inconvenienti a cui spesso dava
luogo. Gli sposi infatti si recavano soli dal curato sul far della sera;
le tenebre, che li accompagnavano nel tragitto di ritorno, costitui- -

IL CICLO DELLA VITA UMANA, ECC. 71

vano per se stesse un troppo grave pericolo àll'onéstà dei costumi. .
La condotta dei parroci fu anche in qualche modo sanzionata dal

Codice di Diritto Canonico, che nel can. 1020 $ 2 prescrive un esame
sommario sulla cultura religiosa degli sposi, ma non ordina una istru-
zione suppletiva da impartirsi prima del matrimonio. Questa forse,
stando al $ 3 dello stesso canone, é rilasciata alle particolari di-
rettive degli Ordinari; ma non mi risulta che successivamente siano
state emanate delle norme nella nostra diocesi.

. «Cavate le carte », si procede ai «bandimenti ». Solo nei paesi
maggiori le pubblicazioni si fanno per affissione alla porta della chiesa.
In tutte le altre parrocchie l’affissione è usata solo nel caso di fughe,
perché certe coppie son ritenute indegne di essere pubblicamente no-
minate dall'altare. La donna non assiste mai alla Messa in cui sa di
dover essere « bandita ».

Dal primo giorno delle pubblicazioni gli sposi provvedono a.
riempirsi le tasche di confetti, che distribuiranno abbondantemente
agli amici e conoscenti che incontreranno per via. I nostri campa-
gnoli fanno tutti una specie di gara nella scelta delle migliori bom-
boniere, che acquistano presso i negozi cittadini. Spesso vi mettono
dentro il bigliettino col nome degli sposi e la data del matrimonio.
I vecchi ricordano che ai loro tempi le bomboniere consistevano in
una specie di astuccio di cartone, lungo, coperto di carta fiorata e so-
prattutto molto capace. Il dono della bomboniera implica l’invito a
nozze e l’accettazione dell’invito comporta l’obbligo del regalo.

"Intanto si viene allestendo la camera nuziale. Una volta era
molto modesta: un lavamano, un comò, due rustici comodini e un
pagliericcio steso su un tavolone, che poggiava su due banchetti. Oggi
si fa tutto con lusso. L'economia di guerra ha creato la borsa nera e
questa ha portato tanti denari nelle mani di tutti gli agricoltori. I
ragazzi fanuo le spese in città insieme ai genitori, in modo che tutto
sia di comune gradimento. Lo sposo paga il letto, l'armadio e un co-
modino; la sposa, il comó, l'altro comodino, tutto l'occorrente peri
cuscini e la tela per il materasso. La lana per il materasso e il lavabo
^ sono pagati metà per ciascuno. Queste sono le norme dettatemi da
una sposina di Capodacqua.

Lo sposo inoltre dona la fede, il vestito LL col velo, le scarpe,
le calze, una borsetta e un paio di guanti; mentre lei offre una cami-
‘ cia, un paio di mutande, un paio di calze, una cravatta e anche la
fede. Il dono della fede da parte di lei è molto recente, ma è ormai
usanza assolutamente generale. Quando i genitori della ragazza pre-









72 ALESSIO MAZZIER

feriscono provvedere loro il vestito nuziale, lo sposo deve donare un
altro vestito per i giorni festivi. In ogni caso il velo spetta sempre a
lui. Non esistono doni fra i vari membri delle due famiglie; solo la
sposa offre alla futura suocera un regalo di varia natura, che può an-
dare da un semplice fazzoletto per testa a un vestito completo, se-
condo le possibilità. A Pomonte regala anche una camicia per uno a
tutti nuovi cognati.

Qualche giorno avanti le nozze la donna provvede a preparare
il «baulle » alla presenza dello sposo, senza però che vi sia una vera e
propria stima del corredo. I vari capi di biancheria personale, da letto
e da tavola sono almeno dodici per sorta.

Il trasporto del baule è fatto senza cerimonie, con qualsiasi mez-
zo e in qualsiasi giorno, eccetto il venerdì. Solamente da Poggio In-
feriore mi vien segnalato che anticamente la futura suocera, riceven-
dolo in consegna, vi versava sopra un piatto di confetti.

Le case degli sposi non hanno oggi, in tutto il nostro territorio,
alcuna decorazione speciale. A Capodacqua però qualcuno ricorda
che una volta si ornavano esternamente con festoni di bossolo e lam-
pioncini alla veneziana.

La vigilia delle nozze i familiari della sposa vanno a sistemare
la camera. A scongiurare i pericoli delle streghe, al Poggio Inferiore
pongono sotto il letto un fucile e una falce fienaia. Nella stessa zona
è rituale una visita dello sposo alla sua bella; a Capodacqua mi risulta
invece vietata. So che molte giovani si fanno assistere e aiutare nel
bagno da una comare. Il motivo, che oggi se ne dà, è solo di natura
igienica.

La sera in casa della ragazza si fa una cena discreta, seguita
talora da un breve ballo familiare e, più raramente, da qualche sere-
nata cantata dagli amici dello sposo.

VIII.

ll matrimonio

Il matrimonio si celebra di preferenza durante il carnevale, nel
mese d’aprile (dopo Pasqua) e nel trimestre agosto-ottobre. Periodi
esclusi sono l’Avvento e la Quaresima (sebbene la proibizione eccle-
siastica riguardi solo la benedizione solenne delle nozze e la pompa ec-.

IL CICLO DELLA VITA UMANA, ECC. 73

cessiva) (1), il mese di maggio, in cui «i somari vanno alla monta » (2),
e quello di novembre, che è il mese dei morti. Esclusi per ragioni pra-
tiche sono gennaio, giugno e luglio, il primo per il freddo e gli altri
per i lavori agricoli.

Anche i giorni della settimana sono fasti o nefasti. « Né de Ve-
nere, né de Marte non se sposa e non se parte, non se mette i figli
all’arte ». A_Capodacqua qualcuno sconsiglia anche il lunedì e il gio-
vedì, perché i coniugi si svegliebbero rispettivamente di martedì e di
venerdì. I giorni indicati rimangono quindi il mercoledì il sabato e la
domenica; il più propizio è naturalmente il sabato, il giorno della
Madonna. La domenica è preferita dalle giovani che, sposando col
lungo bianco vestito, desiderano farsi ammirare da un maggior nu-
mero di persone e scelgono pertanto l’ora della Messa più frequen-
tata.

L’abito nuziale è quello della moda del luogo, nel tempo in cui
si celebra il matrimonio. L'uomo preferisce il colore azzurro, la donna
il grigio, il marrone o altri colori neutri. Per quanto ridotto ai minimi
termini, la donna porta sempre in testa un velo «acconciato » con
nastri e un rametto finto di arancio. Sposano vestite di bianco le gio-
vani di illibati costumi, specie se sotto i vent'anni e di ricca famiglia.
Ho notato però più d’una volta che, per una reazione psicologica ben
comprensibile, come per sfidare le voci del pubblico, vestono di bianco
anche delle ragazze « chiacchierate ».

È il giorno in cui la vanità muliebre può avere maggiori soddi-
sfazioni e quindi si assiste a uno sfoggio di gioielli: anello del fidanza-
mento, pendenti, catenina al collo e un cornetto contro il malocchio.
I coralli, ornamento o amuleto che siano, sono fuori moda e le nostre
vecchie, non sapendo più che farne, li accumulano attorno alle varie
statue della Madonna. Osservando però bene tra le pieghe dei vestiti,
si può sempre scorgere un fiocco rosso. Dalla zona di Valfabbrica mi
viene segnalato un singolare amuleto contro l’invidia e precisamente
una fetta di pane, che la donna si pone sul seno prima di uscir di casa
e che mangia l’indomani a colazione insieme allo sposo.

Qualunque sia il colore del vestito, la donna porta sempre un
mazzo di garofani naturali bianchi che, almeno a Capodacqua, de-

(ei C4. C can. 1108,8.1,2,5,

(2) Gli studiosi ne danno varie ragioni. Nella raccolta inedita di canti del
P. FRATINI esistono due maggi, che per il contenuto fanno ricordare un antico
culto per i defunti nel mese di maggio.

















































74 ALESSIO MAZZIER

vono essere forniti dallo sposo. Assistetti un giorno a una elegante
questione di un padre di famiglia, che in base alle antiche regole osti-
natamente si rifiutò di comprare i fiori per la figlia che andava a
nozze. Per non guastare l'armonia della festa ormai imminente prov-
videro i fratelli della ragazza a comprare i fiori. E non si trattava di
gente povera !

La mattina delle nozze gli amici e parenti si riuniscono e consu-
mano la colazione in casa dello sposo 0 della sposa, secondo che siano
| stati invitati dall'uno o dall'altra.

E. "hu All'ora convenuta l'uomo, al braccio d'una sorella o d'una zia,
accompagnato dal suo seguito, si porta alla casa della sposa, dove è
introdotto dai suoceri. Al Poggio Inferiore sale in camera della sposa
iL e termina di vestirla, dicendole: «Ecco la prima volta che te vesto ».
(n Lei risponde: « E io non te vesterò mai » (1). Subito dopo la giovane
il compare in pubblico, accolta da vibranti acclamazioni e dai sinceri 0
| simulati complimenti delle amiche.

| Finiti i convenevoli, fra il pianto sommesso di tutti, la ragazza
confusa bacia i genitori e chiede la benedizione.



^

li

a
|

|





| E la zitella quanno se marita

« MB : .con gran dolore abbandona la mamma,
dice: — La libertà per me è finita,
l'ultimo di che porto la palma.

Il dolore è davvero sentito e per troppi ovvi motivi, ma non
precisamente per il pensiero della libertà che finisce o della palma
Ecc. che sta per avvizzirsi per sempre.
| Si ordina il corteo, che nelle zone montane di. Poggio Superiore,
Porziano e parrocchie limitrofe è aperto da un uomo, «il quale per
tutta la strada suona la fisarmonica, cantando a squarciagola le più
IND, volgari canzoni erotiche e non cessa di far ciò finché non arriva al li-
ill mitare della porta della Chiesa. A nulla valgono le gravi osservazioni
dei Parroci !». Così un mio informatore.

In prima linea compare la sposa al braccio del dale o d’un fra-
tello o qualcuno dei parenti più stretti. Ai lati o immediatamente die-
| tro, se la ragazza è vestita di bianco, ci sono talora due paggetti con
ili, fiori in mano. L’informatore di Poggio Inferiore mi avverte però che
| lassù i parroci non ammettono i paggetti se la donna è disonorata.





(1) « Vestire una persona » significa imporle abitualmente la propria vo-
lontà.

IL' CICLO DELLA VITA UMANA, ECC. vo

Segue ‘quindi lo sposo accompagnato da una sorella o una zia. Le
mamme restano naturalmente in casa per preparare il pranzo. A Pie-
ve S. Nicolò e nelle frazioni limitrofe spesso porta al braccio gli sposi
una persona ancora nubile o celibe, pretendendo di. trarne sicuro
pronostico di prossimo matrimonio.

Vengono poi i parenti e infine gli altri invitati, disposti in modo
che si trovino affiancati un uomo e una donna. A Capodacqua, Rivo-
torto, S. Vitale e Cannara gli amici e parenti della sposa per lo più
vanno a destra (cioè dietro di lei) e gli altri a sinistra. Nello stase
modo si disporranno poi a tavola.

Il corteo nuziale sta oggi tramontando. Una volta erano solo i
signorotti locali che si recavano in Chiesa per il matrimonio con una
lunga teoria di carrozze trainate da cavalli. Ora qualunque modesto
proprietario o ricco contadino si impone gravi sacrifici per il noleg-
gio di almeno quattro o cinque automobili. Quanto più numerose e
belle sono le macchine, tanto maggiore è il vanto delle famiglie.

I mortaretti sono esclusivamente riservati alle feste religiose.
Ma in tutti i matrimoni che si rispettano numerosi colpi di fucile sa-
lutano il passaggio del corteo.

Naturalmente si percorrono ovunque le strade migliori. A Betto- .
na però si considera necessario passare per vie già « battute » da una
coppia di buoi aggiogati. Il giogo dei buoi è simbolo del giogo coniu-
gale e la loro mansuetudine è ritenuta augurio efficace di quella mi-
tezza d’animo tanto necessaria ai coniugi.

'« Matrimonium inter catholicos celebretur in ecclesia paroeciali;
in alia autem ecclesia... nonnisi de licentia Ordinarii loci vel paro-
chi celebrari poterit »: cosi il can. 1109 $ 1 del C.J.C.. Sebbene la mag-
gior parte dei matrimoni si celebri nella chiesa parrocchiale, vi é tut-
tavia nelle nostre campagne una elevata percentuale di sposi che
preferiscono la Santa Cappella della Porziuncola, nella Basilica di
S. Maria degli Angeli, il più famoso e popolare dei numerosi santuari
locali. In un giorno del mese di aprile dell'Anno Santo 1950 vi furono
celebrati ben 22 matrimoni: naturalmente non erano solo giovani
coppie del nostro contado, ma anche di altre parti d’Italia. Fattore
leterminante di questa preferenza è spesso più un senso di snobismo
e d’ostentazione di ricchezza, che non una speciale devozione alla
Vergine. I cittadini di Assisi prediligono il mistico santuario di S. Da-
miano. Dopo il matrimonio di Giovanna di Savoia con Boris III di
Bulgaria, avvenuto il 25 ottobre 1930, venne di moda sposarsi nella
Basilica di S. Francesco. Ma visto l’infelice destino della Principessa,















76 ALESSIO MAZZIER

in molti assisani si è insinuato il pregiudizio che il Poverello non voglia
vanità e quindi matrimoni presso la sua tomba.

Il corteo nuziale giunge in Chiesa. Segnandosi con l’acqua santa,
la donna dovrebbe pronunciare la formula: « Padre, Fijolo e Spirito
Santo: ho trovato il c... (o il coperchio) finché campo »: così a Costa
di Trex e in genere nella zona montana di Assisi.

La coppia va al banco riservatole innanzi all’altare, ai fianchi
si dispongono i paggetti e i testimoni e dietro gli accompagnatori.
Tutti gli altri si sparpagliano confusamente per la Chiesa.

Subito dopo gli sposi vanno al confessionale. Ricevuta l’asso-
luzione, tornano al loro posto e s’inginocchiano, avvertendo bene
che un lembo della veste di lei rimanga sotto un ginocchio di lui.
Così nessuna «inguidia » potrà penetrare tra i due.

Incomincia la cerimonia religiosa. A Capodacqua ricordano che
una volta il parroco affiancava alla coppia due chierici con le torce
accese. Dalla varia luminosità delle candele si traeva presagio sulla
longevità degli sposi. L'usanza é scomparsa almeno da una ventina
d'anni.

Il sacerdote rivolge le rituali domande. La risposta naturalmente
é sempre positiva, ma forse non sempre altrettanto sincera.

Fior de ginestra,
do' che s'é fatto ’na volta '1 foco
sempre ’n po’ de cenere ce resta.

Forse il primo amore è lì in fondo alla chiesa, confuso tra la folla
dei curiosi. E mentre la donna pronuncia timidamente il suo sì, qual-
che maligno sussurra all’orecchio del vicino:

— Sì, so’ contenta e ce so’ venuta apposta;
no per lu’, ma per quello giù la porta. —

I due si infilano reciprocamente la fede, con tre girate, ma non
oltre la seconda falange, altrimenti la cosa sarebbe di cattivo auspi-
cio (1). Se poi in quel momento lei pensa a un’amica, questa troverà
marito nel corso dell'anno. A Pomonte qualche ragazza corre a toccare
la fede e spingerla in fondo al dito: anch'essa andrà presto a nozze.

(1) Una donnetta di Assisi mi dice che il marito dovrà rimanere in pur-
gatorio per tanto tempo, quanto sarà quello che la moglie avrà trascorso sen- -
za portare la fede.



IL CICLO DELLA VITA UMANA, ECC. du

Al termine del rito si leggono (come di legge) gli articoli del Co-
dice Civile riguardanti i diritti e i doveri dei coniugi. L'ultimo (145),
che impone alla moglie di «contribuire al mantenimento del marito,
se questi non ha mezzi sufficienti » getta un'ombra sinistra sui lieti
auspici del giorno. Piü d'una volta mi é capitato di vedere i due muove-
re furtivamente le mani e abbozzare qualche segno osceno che, nella
concezione del volgo, ha valore profilattico propiziatorio.

L'atto di matrimonio é sempre preparato in tempo. Non
rimane che darne lettura e apporvi la firma. E ció avviene alla fine
del rito nuziale propriamente detto o della Messa: la prassi non é
uniforme. Nel primo caso poi la firma puó essere apposta presso il
banco degli sposi o presso la balaustra o addirittura sull'altare mag-
giore. Tutto dipende dall’iniziativa personale dei parroci.

Segue la Messa. Di quando in quando si assiste a qualche nu-
trito lancio di confetti. Se ci sono dei bambini, si può immaginare il
parapiglia che succede in chiesa.

Finita la Messa, i due salgono i gradini dell’altare, dove la sposa
depone i suoi candidi fiori. Si va quindi in sacrestia per ringraziare il
parroco e consumare la colazione da lui offerta.

Cosa si dà al curato ? I diritti di stola secondo la tassa diocesana
e molti confetti. In tutta la zona montana di Assisi e nel territorio
di Valfabbrica si dava una volta anche un grande fazzoletto da naso:
doveva essere un dono molto gradito, quando i vecchi preti, specie
di montagna, possedevano la loro elegante caratteristica tabacchiera
con incisioni simboliche di carattere sacro. A Petrignano e nelle
frazioni limitrofe talora lo sposo dona la penna stilografica con cui
ha firmato l’atto di matrimonio.

Si rivolge sempre al parroco l’invito a pranzo. I vecchi curati
per lo più accettano, sull’esempio (dicono) di Gesù che partecipò alle
nozze di Cana. Il giovane clero preferisce invece declinare diploma-
ticamente l’invito. Sostiene infatti che non andrebbe a moltiplicare
le vivande, ma a consumarle. Non riescono comunque molto gradite
certe celie rivolte contro quei sacerdoti che indulgono troppo ai ban-
chetti.

L’invito a pranzo è spesso esteso anche al sacrestano; in caso
contrario gli si dà una discreta mancia. Fino a tempi recenti, a Capo-
dacqua il sacrista poneva sul banco nuziale un mazzo di fiori, che
la sposa prendeva dopo aver offerto i suoi all’altare; in compenso
lasciava una mancia sul vassoio.

Consumata la colazione e fatti i convenevoli al curato, la coppia













Ì
I
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78 ^ ALESSIO MAZZIER

ritorna in chiesa e si riordina il corteo, che deve sempre uscire dalla
porta per cui é entrato. Gli sposi vanno finalmente insieme. Die-
tro vengono i due accompagnatori. Per il resto ognuno riprende il
posto di prima.

Sulla piazza e poi lungo la via tutti i membri del corteo lanciano
abbondantemente confetti su quanti incontrano, Qua e là gli amici
sparano qualche fucilata a salve, mentre a Sterpeto, Costano, Po-
monte e anche ad Assisi (come ho visto recentemente io stesso sulla
porta della Cattedrale) tirano sugli sposi manate di riso. Il simboli-
smo è evidente.

Nel territorio di Valfabbrica i fanciulli costruiscono coi sassi,
lungo la via, delle casine in mezzo ad. aiuole fiorite o anche offrono
agli sposi immagini sacre rozzamente ornate di fiori. Nel primo caso
acquistano il diritto ad avere i confetti da tutto il corteo; nel
secondo caso, dai soli sposi.

Generale è l’uso delle « sbarre ». Tutte le famiglie, che hanno par-
ticolari rapporti cogli sposi, preparano lungo la via un tavolino, rico-
perto della tovaglia migliore. Vi pongono sopra un vaso di fiori, una
bottiglia di vermut o marsala, bicchierini e biscotti. Al passaggio del
corteo il tavolino è posto nel mezzo della strada e si offre a tutti un
piccolo rinfresco. La «sbarra » è detta più propriamente «banchetto »
nella zona di Bastia.

Una forte sparatoria accoglie il corteo al suo arrivo in casa della
sposa.

La buona mamma, che era riunita a sorvegliare la cucina, ab-
braccia commossa i «bravi figlioli ». Comincia ora un pranzo lucul-
liano che può variare dalle 15 alle 25 portate. Non mi risulta però che
esista ‘alcuna vivanda rituale, all’infuori della pizza margherita, che
taglia per prima la sposa. Tutti mangiano e bevono con appetito,
ma con discrezione, sapendo che un altro pranzo li attende fra poco (1).

Gli sposi mangiano in piatti distinti, eccezion fatta per la zona
dei due Poggi, dove si fa anche il minor uso possibile delle posate.
In tutto il contado in genere non è infrequente l’uso che lui versi il
vino dal suo bicchiere in quello di lei.

Verso la fine del pranzo ha luogo un generale Metto di confetti,
che cesserà solo quando i bicchieri della coppia saranno andati in
frantumi: «cosa obbligatoria e rituale, da compiersi ad ogni costo »,
annota l’informatore di Poggio Inferiore.

(1) Ricordare il significato di unione e di aggregazione del pranzo nuziale.

s IL CICLO DELLA VITA UMANA, ECC. v 79

La nostra donnina, dopo aver tagliato la pizza, passa in giro e
distribuisce i confetti. I convitati in cambio depongono la mancia
nel. vassoio appositamente portato dalla mamma. Non si usano le
buste, perché ciascuno vuole che gli altri conoscano la sua generosità.
E veramente la mance sono molto laute, come diró poi.

Al pranzo fa seguito un balletto per sgranchire le gambe e aiu-
tare la digestione, come si dice oggi (1).

Ad ora conveniente la sposa abbraccia i familiari, chiede ancora
una volta la benedizione ai genitori e parte per la nuova dimora. Il
corteo si dispone come prima. All'arrivo ha luogo l'ultima formida-
‘bile sparatoria. La suocera attende sulla porta con due polpette, una
per il figlio e una per la nuora. Fra le due donne avviene un breve col-
loquio.

— Che porti, fija mia ?
— La pace!

Così si dice oggi a Capodacqua, ma una volta la formula era piü
lunga e... ardita. ,

— Ben venuta, foja d'oliva !

Porti la pace tu a casa mia ?

— Se ce la trovo !
.Se no, ben trovata, foja. d'onauro !
Se tu sarai la serpe, io sarò ’1 diavolo.

In altre zone non c’è il dialogo, ma solo un saluto della suocera.

— Ben venuta, palma d'oliva !
Io son la madre e tu la fia. (Costa di Trex)

. — Ben venuta, palma onorata !
Porta la pace in questa casa! (Poggio Inferiore)

— Venite, nora mia !

Voi sarete la pace de casa mia.
Andremo da S. Antonio. i
Se voi sarete -’1 diavolo,

io sarò ’1 demonio. (Bettona)

(1) Ricordare l’importanza fondamentale della danza nuziale come rito
aggregazione.











ALESSIO MAZZIER

— Ben venuta, nora mia !

Porta la pace in casa mia:

la pace e l’onore;

e mangiate ’1 polpettone. (Pomonte)

L’uso della polpetta va rapidamente scomparendo. Prima d’en-
trare in casa la sposa deve tagliare un nastro bianco, che ne sbarra la
porta: così a Bastia, Costano e in genere nelle frazioni della pianura.

‘Si mette la scopa fuori dell’uscio ? Tutte le risposte pervenute-
mi sono negative, eccettuata quella di Poggio Inferiore, che dice:
raramente.

Inizia il secondo pranzo, sontuoso come il primo. Anche qui si
rompono i bicchieri degli sposi, la donna taglia la pizza e distribuisce
i confetti, accompagnata dalla suocera (raramente dallo sposo),
ricevendone in cambio nuove mance. So che in un matrimonio cele-
brato a Capodacqua tre anni or sono, i commensali offrirono in media
due mila lire ciascuno.

Questo pranzo è moltg più allegro del primo. Si mangia sino agli
estremi limiti della sopportazione e si beve senza limiti affatto. Via
via che crescono i fumi del vino, aumentano i gridi, gli applausi, i
lazzi più o meno osceni, i brindisi e gli stornelli. Ognuno vuol dire la
sua e continua a ripetersi, finché non è messo a tacere da autentiche
grandinate di confetti.

Alla fine tutti passano nella camera matrimoniale. Dopo un ra-
pido sguardo ai mobili e ai regali esposti, uomini, donne e fanciulli si
dispongono attorno al letto e si divertono a commentare più o meno
realisticamente i vari momenti dell’unione coniugale. Il tono licen-
zioso nella concezione del volgo, secondo il Toschi (1), ha potere propi-
ziatorio.

Segue la danza. La musica era ed è in parte anch’oggi accompa-
gnata dal canto di stornelli, gli stessi già cantati nelle serenate. Non
mancano però dei popolani-poeti, capaci di improvvisare alla meglio
un canto su qualunque aria. Non mi risulta che ci sia un ballo speci-
ficatamente nuziale, all’infuori della « manferina » a Pomonte.

A Castelnuovo e in tutti i paesi limitrofi fra un salto e l’altro com-
pare immancabilmente Checco de Saccone, un simpatico uomo sulla
sessantina, alquanto originale, che indetto il silenzio, recita un inter-
minabile discorso, da lui composto per i «cari sposi ».

(1) P. ToscHI, I! folklore, Roma, Universale Studium, 1951, pag. 53.

IL CICLO DELLA VITA UMANA, ECC. 81

È notte. Una certa impazienza traspare dal volto dei nostri ra-
gazzi. Gli invitati partono a gruppi, per lo più insalutato hospite.
Finalmente soli! La famiglia in pace ricorda e commenta i più cu-
riosi aneddoti della giornata e le celie più spiritose, si rallegra che
tutto è andato bene e tutti son rimasti contenti, che insomma ci si è
fatti onore. Si ricorda la pioggerellina del mattino, traendone lieto
auspicio, perché «sposa bagnata è sposa fortunata »: per questo la
sposina aveva qualche giorno avanti leccato la padella. Si rammenta
come il corteo si era incontrato ad un incrocio con un’altra coppia di
giovani sposi e che sollecitamente si era pensato a precederli, evi-
tando così di morire prima di loro. La sposina tutta raggiante avver-
te i familiari che ha saputo ben mantenere la consegna di non volgersi
mai indietro.Anche il vestito era proprio bello; se lo avesse fatto da
sé, sarebbe forse riuscito ugualmente, ma non ha voluto, perché la
cosa avrebbe portato malaugurio; cosi invece non s'é corso nessun
pericolo. Non c'é proprio nulla da ridire: tutto é andato alla perfe-
zione. Si puó andare a riposare tranquilli.

Al Poggio inferiore il marito si ritira da solo in camera. Quando è
a letto, la suocera vi introduce la nuora e la consegna ufficialmente
al figlio. Poco dopo i due chiamano la mamma, perché venga a spe-

gnere il lume. Spesso però riesce sgradita quell’intromissione della
mamma, per quanto istantanea, nella camera nuziale e specialmente
quel buio troppo improvviso. « Benedizione, mamma! Anche vo’
annate a dormì’ subito, ché séte stanca. 'N ce state aspettà', ché fa-
cemo da per nojaltre», avverte il giovanotto. Poi quando sarà venuta
l'ora di dormire, i due premeranno insieme l'interruttore o insieme
soffieranno sul lume, perché nessuno vorrebbe morire prima dell'altro.

IX.
Dopo le nozze.

Rarissimo é il viaggio di nozze. L'indomani i due nuovi coniugi,
per quanto gravati dal sonno e spossati dalle emozioni, si alzano di
buon'ora e si applicano subito ai lavori ordinari. La giovane moglie
appare già trasformata. Da ora in poi non si vedrà piü la sua bella
capigliatura. Il capo sarà sempre velato da un fazzoletto. Anche que-
Sta usanza va scomparendo.

Per una settimana la donna evita di incontrarsi e di parlare coi
suoi genitori. Dopo otto giorni lo sposo con la moglie e i genitori va a

6











82 ALESSIO MAZZIER

pranzo in casa dei suoceri e si dice che « va, torna o richiama a pa-
renti ». Dopo quindici giorni i genitori di lei ricambiano la visita pér
l’ultimo pranzo rituale.

La domenica seguente alle nozze la suocera o una cognata ac-
compagnano la sposa in chiesa al banco di famiglia. L'abbigliamento
nuziale in queste ricorrenze é usato di rado e solo nelle frazioni di
montagna; ma anticamente doveva essere una cosa abituale ed era
chiamata «la comparsa della sposa ».

Non esiste una visita ufficiale al sepolcro della nuova famiglia.

Non é raro il caso che lo sposo « entri in casa », vada cioé ad abi-
tare coi suoceri. Il fatto puó avvenire quando la sua casa paterna é
«troppo ristretta o la famiglia di lei ha bisogno assoluto dell'aiuto di
un uomo. Non ha' nessun appellativo speciale chi «entra in casa »,
ma spesso assume il soprannome del suocero.

La luna di miele e l'ardore di affetto non durano sempre a lungo.
« Tutti gli amanti dopo tre mesi son fratelli » dicono i nostri uomini.
E quella donna, che forse aveva tanto gelosamente custodito la sua
palma, diverrà presto, nel pensiero del marito, qualcosa di semipub-
blico. « La nostra moje, il fijo de la moje, quel mulo che sta to là da
casa », sono espressioni comuni sulle labbra di tanti padri e sono in-
dici d'una concezione e d'una vita morale non troppo lusinghiera.

E cón tutto ció non ci son troppe liti per gelosia. Gli uomini ben
sanno di non poter troppo pretendere quella fedeltà che loro stessi
non hanno. Ad ogni buon conto sostengono che le presunte parole
sacramentali del sacerdote: - Mamma certa e babbo incerto — assol-
veranno da qualsiasi adulterio, se proprio non lo legittimeranno.

Anticamente ci doveva essere maggior rispetto. Non é raro ancor
oggi sentir degli uomini sulla sessantina, che danno del voi alle loro
mogli.

A

Matrimoni per fuga e matrimoni dei vedovi.

Varie difficoltà possono frapporsi alla celebrazione d'un matri-
monio: il mancato consenso dei genitori della ragazza, il disagio eco--
nomico delle famiglie, il loro disaccordo circa la fissazione della data,

c.. Se i giovani, nonostante tutto, sono decisi a sposarsi, non c'é
difficoltà che li trattenga. Il mezzo normale per superare ogni osta-
colo é la «fuga ».

IL CICLO DELLA VITA UMANA, ECC. 83

Una certa sera, all’ora prestabilita, lui s'aggira fra le piante pres-
so la casa di lei. La ragazza con un pretesto qualsiasi scende furtiva-
mente le scale, raggiunge sollecita il giovanotto e insieme s’involano
verso la casa di lui. Quando arrivano, i familiari sono già tutti a dor-
mire. Il ragazzo apre la porta e v’introduce la ... refurtiva. Per
questa notte s'adattano a dormire sul piccolo letto ordinario. Si con-
siderano ormai marito e moglie. Il giorno dopo una famiglia trova
una vergine in meno e l’altra una donna in più. L’ira dalle due parti
deve cessare per forza di fronte al fatto compiuto.

A questo genere di fughe si riferisce il seguente stornello:

Su pe’ ’sto vicoletto ce tira ’1. vento,
c’è ’na bellina che me piace tanto:
quel boia del su’ padre ’n è contento;

x

se ’n è contento lu’, è contenta lia:
passo la notte e me la porto via. (F. DAMIANI)

Alle volte la fuga è decisa di comune accordo tra le due famiglie,
per evitare le ingenti spese di un matrimonio in piena regola. La ra-
gazza allora, sempre di notte, accompagnata da qualche compare,
va in carrozza a casa dell’amico. Qui l’attende una lauta cena e un
largo letto matrimoniale, ceduto temporaneamente dagli stessi geni-
tori del giovanotto.

La domenica seguente c’è di regola una violenta predica del cu-
rato. La chiesa si affolla più del solito, perché la gente gode un mondo
a sentire certe filippiche del prete. Il nostro popolino, compresa la

‘ parte più religiosa, non vede niente di immorale nelle fughe e nell’u-
nione concubinaria che ne segue.

Che ciel sereno, che cielo stellato !
Bella nottata de portà’ via le donne!
E chi le rubba le donne non è ladro:
se chiama giovinetto innamorato. (G. VITALONI)

Penso però che una procedura matrimoniale del genere, così lar-
gamente diffusa e frequentemente seguita, debba avere una qualche
giustificazione storica e non solo sentimentale.

Una decina di giorni dopo la fuga, la nostra coppia va a « cavare
le carte » per regolarizzare l’unione. Il curato annota... l’incidente
.nel « processetto » canonico e il cancelliere vescovile segna invaria-
bilmente sul foglio delle pubblicazioni la sentenza: — Sponsi separen-
tur usque ad matrimonium -. La disposizione é in sé piü che giusta, ma















84 ALESSIO MAZZIER

di non facile attuazione. La coppia già unita non intende separarsi.
Se si vuol sanare la situazione, non c’è luogo che ad una sollecita cele-
brazione del matrimonio.

Le pubblicazioni si fanno per affissione alla porta della chiesa.
Si sposa quindi in chiesa senza suono di campane, senza addobbi, col
vestito ordinario, di notte o sul far dell’alba.

In questi ultimi anni più di un parroco ha pensato di indirizzare
altrove, per lo più a S. Maria degli Angeli, «le coppie delle fughe ». Si
dice che chi ha la faccia tanto sporca da vergognarsi di comparire di
giorno nella sua parrocchia, è indegno di comparirvi anche di notte.
Così la cappella della Porziuncola è scelta per il matrimonio dai si-
gnori, dai devoti della Vergine e anche purtroppo dai... rifiuti delle
altre parrocchie.

A norma delle disposizioni vescovili, i parroci non benedicono
per un anno, a Pasqua, le case dei « fuggitivi », anche se nel frattempo
sia intervenuto il matrimonio. Con recente provvedimento. a Rivotor-
to si omette la benedizione per cinque anni consecutivi e si applica
alla coppia la multa di diecimila lire.

Il matrimonio dei vedovi si celebra ordinariamente di notte, co-
me quello delle coppie fuggitive. Appena il pubblico ne viene a cono-
scenza, comincia la «scampanata », che dovrebbe regolarmente du-
rare nove giorni. Spesso però termina prima o per stanchezza o
perché il vedovo-sposo offre da bere agli « scampanatori » Alle volte
invece dura di più e precisamente quando i due sposi si mostrano
troppo adirati e spilorci. Da una parte all'altra della frazione si fa
un rumore indiavolato con trombe, latte, bastoni e imbuti, mentre si
lanciano a squarciagola le più terribili calunnie e i più volgari scherni
all’indirizzo dei due sfortunati.

Un aneddoto curioso, che mette sufficientemente in luce il timore
delle scampanate, è avvenuto tempo fa in un paese del contado. Un
vedovo ha sposato una buona e brava giovane. Per evitare la scam-
panata, la donna ha preteso un viaggio di nozze di 10 giorni. Senon-
ché i maligni, saputa la cosa, decidevano di differire la scampanata
al ritorno degli sposi e di farla più grandiosa, invitando all’uopo nien-
temeno che la banda musicale. I parenti hanno creduto opportuno
avvertire la coppia. La sposa allora si è rifiutata di far ritorno e il
vedovo venturoso è dovuto tornare da solo e ha pagato profumata-
mente gli organizzatori della scampanata. Così si è Palat l'ap-
prensione della vereconda esigente sposina.

IL CICLO DELLA VITA UMANA, ECC. 85

Nonostante tutto ci son quelli che passano anche a terze nozze,
come una certa donnetta, che si dichiara disposta a prendere il quarto
marito, non appena le sarà morto il terzo. Lui da parte sua è di parere
uguale e contrario.

CaPrTOLO III
LA BARA
h
Presagi e cause di morte - Rimedi generici.

La morte, già cantata come sorella da Francesco nostro, e
per il popolo, sottoposto spesso a tanti soprusi, « l’unica cosa giusta »;
ma è nello stesso tempo rifuggita da tutti, sia per l’istinto naturale
di conservazione, sia perché, con tutta la fede nella vita eterna, sem-
bra un tremendo salto nel buio: « nisciuno é 'rtornato mai », dicono i
nostri contadini.

Il timore diventa un incubo, quando appare un qualunque se-
gno premonitore di disgrazia e di lutto. Divideró questi segni in quat-
tro gruppi, secondo che indicano: I) una disgrazia generica; II) un
lutto in un determinato territorio; IIT) un lutto in una determinata
famiglia o gruppo; IV) la morte di una determinata persona, general-
mente quella che avverte il segno.

I Presagi di disgrazia generica ma grave.

1) L'aspersione dell'aequa santa su un bambino che dorme.

2) La rottura d'uno specchio.

3) Il versamento dell'inchiostro. In questo caso si sparge
prontamente il vino (simbolo dell'allegria) sull'elemento versato, af-
fogando » cosi la iettatura.

II. Presagi di lutto in un determinato territorio.

1) «Non c’è due senza tre ». Se ci sono due morti di seguito
in una parrocchia, li seguirà quanto prima un terzo.

; 2) « L'orologio e la campana '| morto su la bara » (1). Quando
coincidono i due suoni muore un parrocchiano.

(1) O. Gnirrowr, Proverbi Umbri, Foligno, l'Appennino, 1943, pag. 77,
num. 3.













86: ALESSIO MAZZIER

3) Il suono «argentino » della campana: il lutto sarà entro
una settimana.
4) Il canto della civetta: lutto entro la zona in cui è udito.
5) La straordinaria irrequietezza e il continuo ululato d'un
cane: lutto lungo la direzione, verso cui l’animale abitualmente si
volge.
III. Presagi di lutto in una determinata famiglia o gruppo.
1) Il morto a cui si stenta chiudere gli occhi.
2) La presenza d’un gatto o d’un volatile nella camera ardente.
3) L’appoggiare la croce funeraria presso la casa d’un estinto.
4) Il volgersi indietro per riguardare la casa dell’estinto da
parte del portatore della croce, quando il trasporto funebre è già co-
minciato. |
5) Il sognare acqua torbida, uova, preti, specialmente se ce-
lebrano la Messa (i frati invece portano sempre fortuna, soprattutto
quelli con la barba). Il sogno d’un dente che casca:

. «Quanno te sogni che te casca un dente,
aspettete la morte d’un parente » (1).

6) Il battito involontario delle palpebre dell’occhio destro, a
a norma del proverbio: « Occhio mancino, core allegrino; occhio man-
dritto, core afflitto ».
7) Il ritrovarsi in tredici o in diciassette in una comitiva.
IV. Presagi di morte di una determinata persona.
. 3) Udire i «bussi» o l'orologio di S. Pasquale, il campanello
di S. Antonio o il fruscio della corona di S. Geltrude.
2) Lasciare un oggetto in casa d'un defunto e ritirarlo prima
che siano trascorsi nove giorni dalla morte.
3) Lo spegnersi d'un lume che arde nella camera d'un infermo,
presso un'immagine sacra (2).
4) Durar fatica ad accendere una candela.
5) Incontrare un prete, appena usciti da casa, la mattina del
primo gennaio: si muore entro l'anno.
6) Rinnovare i vestiti il primo gennaio: entro l'anno si «rin-
noverà » la cassa funebre.

(1) Ivi, pag. 78, num. 13.
(2) Z. ZANETTI, Mors (Usi e tradizioni), in « La Favilla », a. XI, fasc. NI,
1887, pag. 208.





IL CICLO DELLA VITA UMANA, ECC. 87





7) Rifare il letto e imporre il giogo ai buoi in tre persone:
muore la più giovane.

i 8) Accendere la sigaretta a tre persone con un solo fiammifero:
muore la più giovane.

9) Dormire coi piedi rivolti verso la porta della camera.

10) La fine d’una costruzione molto dispendiosa, specialmente
d'una casa nuova, a. norma del pento: « Fatta la gabbia, morto
l’uccello ».

11) Il cane che con le zampe scava una buca presso la casa del
padrone (1).

12) Il gallo che canta come. la gallina, a norma del detto:

.













«Se ’1 gallo canta come la gallina,

7] padrone va in rovina (= muore);
se la gallina canta come "1 gallo,
'] padrone va a cavallo (= guarisce) ».







I pregiudizi dei quattro gruppi sono generalmente diffusi in

tutto il contado: non tutti peró hanno uguale valore nelle varie zone
e anche in una stessa zona.

Non ho cognizione che ci i siano delle pratiche per conoscere l'e-
sito, letale o meno, d'una malattia: il solo responso in materia è dato
dagli « strolichi ».

Costoro hanno la terribile facoltà di causare, su richiesta e die-
tro lauto compenso, la morte di chiunque, facendo delle « fatture
mortali ». Solo un altro strologo, più potente del primo, può scon-
giurarle.

Quando i medici si mostrano indecisi o discordi nel diagnosti-
care una malattia, quando il suo decorso è diverso da quello previsto
dai dottori, si pensa subito che c’è di mezzo una « fattura ». Lo stro-
logo recita alcune formule misteriose su un fazzoletto o una camicia
| dell’infermo, a cui fa poi sorbire una bevanda nauseante. Esamina
quindi la materia vomitata per vedere se c’è il... corpo del delitto.
A] Poggio Inferiore lo strologo si pone a dormire in una camera vicina
a quella dell’infermo. I familiari dovranno eseguire ciò che egli dirà
nel sonno.

La fede nei fattucchieri è indiscussa e indiscutibile. Qualche
anno fa un uomo del contado era ricoverato al Policlinico di Perugia,
per essere operato d'un tumore. A un certo momento comparve una






















(1) Ivi, pag. 206.

























































88 ALESSIO MAZZIER

fattucchiera, che disse trattarsi di « fattura » e non di tumore. Fatti
i suoi scongiuri, ordinò di riportare immediatamente l’infermo a casa:
fra una settimana sarebbe guarito, i chirurghi invece l’avrebbero
ammazzato. Così si fece. La settimana dopo l’ammalato non stava
affatto meglio, ma la fattucchiera confermò che la guarigione era già
avvenuta: si trattava solo della solita debolezza che consegue ad
ogni malattia. Pochi giorni appresso il poverino morì. La fattucchiera
indisturbata obiettò che non erano state osservate tutte le sue prescri- |.
zioni. E la famiglia del defunto ancor oggi esalta la fattucchiera e
maledice i dottori, che dopo diciannove radiografie erano riusciti solo
a scambiare una fattura per un cancro.

Più terribile ancora delle «fatture » è ritenuta la « Messa spro-
fonda », che fulmina sull’istante le persone per cui vien celebrata.
L’anno scorso un disgraziato ne chiese al curato l’applicazione pro-
prio per sua madre, promettendogli ben diecimila lire ad effetto conse-
guito. Nessuno sa precisare cosa sia questa Messa; dicono solo che è
un segreto dei preti. Come si vede, la nostra « Messa sprofonda » ha
scopi ben diversi da quella quasi omonima delle popolazioni dell’Alta
Valle del Tevere (1). Contro di essa non c’è fattucchiere che possa
farci nulla.

Ometto qualsiasi riferimento alla medicina popolare, che non .è
oggetto del presente studio. Noto solo alcune pratiche più comune-
mente usate quando una persona amata versa in pericolo di morte.

Si va in pellegrinaggio a piedi nudi ai principali Santuari del con-
tado: alla Madonna degli Angeli, alla Madonna dei Tre Fossi, alla Ma-
donna della Valfe, al Crocifisso di S. Damiano.

Si fanno inghiottire all'ammalato le foglie del Roseto di S. Maria
degli Angeli, i petali delle rose di S. Rita da Cascia (benedette nella
Chiesa di S. Maria sopra Minerva in Assisi il 22 maggio di ogni anno);
si mescolano nelle bevande le polveri dei sepolcri di S. Francesco e di
S. Chiara. Si fa bere infine all'infermo un po' d'acqua santa attinta alle
pile di sette chiese.

Si fanno tridui e novene ai santi piü venerati; s'accendono lumi e
candele in chiesa, in casa e presso le « maestà » o edicole ritenute piü
prodigiose, come ad esempio quella cosiddetta di Mascicone, nei pressi
di Capodacqua.

Un'importante edicola esisteva a metà strada fra Palazzo e Petri-

(1) G. Nicasi, Le credenze religiose delle popolazioni rurali dell’alta Valle
del Tevere, in « Lares », a. I, fasc. II-III, 1912, pagg. 172-173.

IL CICLO DELLA VITA UMANA, ECC. 89

gnano fino a pochi anni or sono. Una famiglia del luogo l’ha demolita
perché fatiscente, ricostruendone un’altra. Era chiamata la « Ma-
donna de’ cenciarelli » e il complemento di specificazione stava proprio
ad indicare i cenci, gli stracci che v’erano appesi. C’informa in pro-
posito il Bellucci che una donna «raschia e raccoglie in un cencio un
po' di intonaco, esistente vicino all'immagine, e torna al malato per ap-
pendergli al collo il piccolo involucro... Se il malato guarisce... ri-
porterà personalmente all’immagine dipinta della Madonna il sacchetto »
(1). Si credeva che lo spirito del male passasse nella raschiatura
dell’intonaco e che questo si doveva poi riportare al suo posto, per
non commettere un furto di cose sacre.

Quando si giudica che non c’è più speranza di salvezza, si abban-
dona ogni rimedio scientifico, superstizioso e soprannaturale, perché
«avanti a la volontà di Dio non ce se comanna » e non è pertanto il
caso di tormentare oltre con inutili droghe il povero infermo.

Si dice che «se i giovani morgono, i vecchi non possono campà' ».
Senectus ipsa morbus, sostenevano a ragione anche gli antichi. Un
vecchio ammalato si considera sempre in pericolo di morte. E per lui
si applica tosto il proverbio della volontà di Dio, a cui non si puó co-
mandare. Un'unica visita del medico, qualche medicina di poco prez-
zo, qualche cura popolare poco difficoltosa sono sufficienti a liberare
i figli e i parenti da ogni scrupolo di coscienza. Un padre fa di tutto
per salvare il figlio, ma il figlio generalmente non s'incomoda troppo
per salvare il vecchio padre. L'affetto per un familiare é spesso com-
misurato alla sua attività produttiva. Si prova talora maggior dolore
per la perdita d'una vaccina, che per la scomparsa d'un vecchio or-
mai inabile a qualsiasi lavoro.

IL
Agonia e morte

Se si ha paura della morte, non si teme peró il prete, anche se
qualcuno continua ancora a chiamarlo corvo.

Signore, me colco;
non so se me levo.
Tre cose ve chiedo:

(1) G. BeLLucci, Il feticismo primitivo in Italia e le sue forme d'adatta-
mento, 29, ed., Perugia, Unione Tipografica Coop. Editrice, 1919, pagg. 59-61.



















ALESSIO MAZZIER

confessione, comunione, olio santo.
Benedizione, Signore ! Benedizione Maria !
Benedizione, santi tutti,

a la fin de la morte mia! (Bettona)

Me vojo confessane

o da prete o da frate; .

me vojo confessà' da Vo', Signore:
^séte un grande perdonatore...

...Su le "an del sacerdote

quant'é Lou» ’1 Creatore |

Chi ce l’ha su la sua morte

se pò di’ ch’è ’na gran sorte. (Bettona)

Padre nostro granne, granne,
sta sul cielo e damme, damme;
damme un segno naturale,
ché me possa confessane. (Capodacqua)

. .. Signore
facéteme morì in grazia de Dio. :
Benedizione, Madonna! Benedizione, Gesü mio! (Capodacqua)

x

Così pregano ogni sera i nostri contadini. Se la morte è anche
per i fedeli un certo salto nel buio, sè quel che vien dopo è sentito
come una terribile incognita, è necessario affrontarla nel modo più
sicuro. Appena il male desta qualche preoccupazione si chiama il
curato, spesso prima ancora del medico. Nelle nostre campagne i
vecchi preti, tutti aiutanti di sanità nel servizio militare, la facevano
un po’ anche da dottori. Un curato della montagna di Assisi lasciò per-
sino scritto un trattarello di medicina, che invano ho cercato di rin-
tracciare. Si capisce bene come i contadini preferissero farsi visitare
dal prete, ch’era vicino e non dovevano ricompensare, anziché dal
dottore lontano, che dovevano pagare a moneta sonante.

Il sacerdote è dunque chiamato con sollecitudine al capezzale de-
gli infermi per sanare l’anima e anche per curare, se possibile, il corpo.
L’ammalato stesso lo ricerca, quando è compos sui e lo saluta con
gioia. Spesso però le morti sono repentine. La fibra robusta dei nostri
contadini, che ha resistito a tante insidie, crolla di schianto: è il colpo
apoplettico. E

Oggi il Viatico si porta sempre in forma privata. S'incontra talora
qualche difficoltà ad impartire l'Estrema Unzione. Grande é infatti
la riverenza per questo sacramento e a Capodacqua si pensa che, in caso
di guarigione, sarebbe un peccato grave-andare in giro a piedi scalzi.

IL CICLO DELLA VITA UMANA, BE; 91

Dopo aver « sacramentato » l'infermo, il prete invita i parenti a
chiedergli l'ultima benedizione, a dargli l'ultimo bacio. Poi lui stesso
domanda direttamente al moribondo di ricordarsi di tutti quando
sarà in paradiso. È una scena straziante.

Il curato dovrebbe assistere l’infermo fino al momento del trapas-
so; ma non sempre gli è possibile. Quando si allontana, lascia presso
il capezzale l’acqua santa e la stola. Iniziata l'agonia, la stola viene
| distesa sul letto insieme al Crocifisso e ad altre immagini sacre che
sono nella camera. Si vuole che il Signore e i Santi proteggano più da
vicino il moribondo nell’estrema lotta fra la vita e la morte o fra le
potenze celesti e infernali che si contendono l’anima sua.

| Spesso l’agonia si prolunga fra gravi tormenti. « Come se vive,
se more », commentano i malevoli. Ma forse il poveretto è vissuto
sempre da buon cristiano. Allora si pensa che l’anima non vuol par-
tire, perché intende prima riconciliarsi con qualche suo nemico. I
familiari si domandano chi sia e, saputolo, corrono subito a chiamarlo.
Ma non sempre la persona invisa acconsente. L’odio nelle nostre
genti di campagna si estende sino alla morte ed oltre.

Man mano che s'appressa l'ultim'ora, vengono parenti amici e
curiosi. A Pomonte rivolgono invariabilmente il saluto: « Dio v'ardia
la salute ! » e mentre il curato « arcomanda l'anima », i parenti pros-
simi la « consegnano al Signore », dicendo ad alta voce: « V'arconse-
gnamo da Dio ».

C'é sempre qualche comare interessata a non abbandonare per un
solo istante le streghe, perché chi avrà la fortuna di stringere per ul-
timo la loro mano ne entrerà immediatamente in possesso dei segreti.
A Pomonte invece, quando una strega fa l'atto di dare l’ultimo saluto,
le si consegna prontamente una scopa. Non saprei indicarne la ragione
precisa.

A Capodacqua ho trovato un’usanza, introdotta probabilmente
da qualche vecchio parroco e di cui non ho testimonianza dalle altre
frazioni, anche vicine. AI momento del decesso si recita il Credo. Bello
questo atto di fede in Dio e nell’immortalità all’istante dell’apparente
annientamento di tutto ! — Credo in Dio. .., nella remissione dei pec-
cati, la resurrezione della carne, la vita eteixtà mi

Una persona pietosa si appressa al defunto, gli chiude gli occhi
e gli avvolge una fascia fra il mento e il capo per tenerne chiusa la
bocca. Il sacerdote lentamente intona il « De profundis » mentre la
casa risuona di lamenti e di singhiozzi.











































92 ALESSIO MAZZIER

III.
Annunzio del decesso. Composizione della salma. Veglia del defunto

Subito dopo la morte si aprono generalmente le finestre della
camera: solo a Pomonte però, per quanto mi risulta, si fa l'operazione
con l'idea precisa di lasciare all'anima la via libera per il cielo. Nella
zona montana di Assisi invece si chiudono scrupolosamente tutte le
aperture, per timore che entrino la civetta, il corvo che acciufferebbe
il cadavere, il gatto che saltando sopra il defunto chiamerebbe il
«capo-gatto », mostruoso animale capace di far perire tutta la fami-
glia, (secondo altri il « capo-gatto » sarebbe un morbo misterioso e
sempre letale, che nessuno strologo potrebbe scongiurare). A Capo-
dacqua e in varie frazioni del piano si conciliano le due usanze con-
trastanti. Si aprono le finestre, ma vi si stende davanti una rete metal-
lica, in modo che non entri nessun animale.

Qualche volta, sebbene raramente, a Capodacqua ho visto co-
prire gli specchi. Mi è stato detto che, se il morto si risvegliasse, ve-
dendosi allo specchio, rimarrebbe inorridito per la sua bruttezza.
Per gli altri luoghi le informazioni sono negative.

L’annunzio pubblico del decesso in Assisi e nei maggiori centri
del contado vien dato mediante il suono delle campane e un mani-
festo funebre. Nelle frazioni minori il manifesto è usato soltanto dai
signorotti locali. Il sacrestano suona prima l’agonia e poi la buona
morte. Ambedue gli avvisi sono dati abitualmente dopo il decesso,
perché si teme che il moribondo si spaventi, sentendo che gli si suona
l’agonia. Per gli uomini si danno tre suonate e per la donna due. Nella
città di Assisi si danno sempre tre suonate per ambo i sessi; poi per
gli uomini si danno tre tocchi, per le donne sette. Per i bambini si suona
a « gloria » cioè a festa. Fino a tempi recentissimi l’uso del « doppio »
o campana grande era condizionato al versamento di una forte tassa.
Le mutate condizioni sociali e politiche hanno però consigliato diver-
samente buona parte del clero.

Ad Assisi esiste la « Pia Congregazione » del Transito di S. Giu-
seppe ». Gli iscritti hanno diritto a una speciale funzione di suffragio
appena vien dato l’annunzio della loro morte.

La persona, che va ad avvertire il sacrestano, ritorna sempre in
casa del defunto con l’acqua benedetta e un ramoscello d’olivo, che
serviranno per aspergere la salma.

IL CICLO DELLA VITA UMANA, ECC. 93

Un'ora o due dopo il trapasso i parenti lavano il cadavere. Spesso
la lavanda è fatta col vino.

Si riveste la salma coi vestiti migliori. Per le fanciulle è usato il
color bianco e per le donne sposate il nero. Per gli uomini qualunque
colore è adatto. Non sempre però il defunto possedeva un abito de-
cente. Uno dei primi pensieri della famiglia, appena si manifesta il
pericolo di morte, è di provvedere il vestito. Diverse volte mi è capi-
tato di vedere nelle case gli abiti pronti (comperati nuovi o confezio-
nati all'uopo o ripuliti) diversi giorni prima della morte. Quando il
vestito è nuovo, si devono mettere nella bara l’ago con cui è stato
cucito e tutti i ritagli, per evitare gravi tormenti all’estinto 0, secondo
altri, un tedioso mal di capo che incoglierebbe al sarto. Il defunto
deve avere tutti i capi di vestiario che abitualmente portava da vivo.
Anche l’uso delle scarpe è soggetto a questa norma. Un giorno un
buon uomo scongiurò il curato che gli permettesse di aprire la cassa,
ove dal giorno avanti era già stata chiusa la sua mamma: si era di-
menticato di metterle la cinta attorno alla vita. « Chissà quant'anni
avrón da passà’ prima de poté’ entrà’ nto ’1 purgatorio ! » Non valsero
ragionamenti di sorta e fu necessario accontentarlo. L'interesse però
porta a passar sopra a certi scrupoli: nessun oggetto d’oro, spesso
neppure la fede, è lasciato indosso al defunto. E se ne è trovata
anche una giustificazione: il Signore ha ribrezzo dell’oro: davanti al
Suo tribunale son giudicati più severamente i ricchi che i poveri.
Qualcuno taglia e serba in ricordo una ciocca di capelli. Per quanto
io sappia, l’uso è generale solo a Pomonte.

Vestito il cadavere, gli si pone fra le mani un Crocifisso (in sua
mancanza un’immagine sacra) e la Corona del Rosario. Da Bettona mi
si segnala che la Corona dev'essere precedentemente spezzata, ché al-
trimenti sarebbe una catena che impedirebbe all’anima di salire al cielo.

Infine si copre il defunto con un lenzuolo pulito, che è momenta-
neamente sollevato ogni volta che viene qualcuno a rendere l’estremo
saluto.

Si accendono nella camera almeno due candele.

I familiari colpiti dal dolore non sono nelle migliori disposizioni
per recitare preghiere. Le vicine comari si dano il turno per « Co-
mandare » il Rosario e dire una serie interminabile di Pater, Ave,
Gloria, Requiem in suffragio di tutti i defunti e in onore di tutti i
santi più venerati. Ne do qui di seguito un elenco, così come m’è stato
stato dettato da una donna di Capodacqua, specializzata nella veglia
dei morti.













94 ALESSIO MAZZIER

« Tutte l'orazioni che dico l'offro dal Signore e da la Madonna in
suffragio e sollievo di tutti i poveri defunti e tutte l'anime sante del
purgatorio, applicate per quell'anima benedetta ch'é morta ».

Segue il Rosario tutto intero, recitato stando seduti, quindi le
litanie lauretane in ginocchio e infine, sempre in ginocchio, la seguente
litània"di"Pater: ^3

« 1) Per quell'anima benedetta, ch'é morta — 2) Pel padre e per
la madre (due volte) — 3) Pe' i póri nonni da parte del padre (due vol-
te) — 4) Pe' i póri nonni da parte de la madre (due volte) — 5) Per i
fratelli e le sorelle (secondo il loro numero) — 6) Per i fratelli cugini da
parte del padre (id.) — 7) Per i fratelli cugini da parte de la madre (id.)
— 8) Per le sorelle cugine da parte del padre (id.) — 9) Per le sorelle cu-
gine da parte dela madre (id.)- 10) Per tuttii poveri morti — 11) Pe’ i
morti de la cura nostra — 12) Per tutti i pòri confratelli de S. Giuseppe
13) Per tutte le pòre consorelle de S. Giuseppe — 14) Per i póri
morti de 'st'anno — 15) Per tutti i póri morti de oggi — 16) Per l'anime
Sscordate che nisciuno ce pensa — 17) Per l'anime scordate del purga-
torio, ché ce provvedessero — 18) Pe’ ’1 Signore e la Madonna, ché ci
aiuti e vivi e morti — 19) Per tutti i santi — 20) Pe' la Madonna —
21) Pe' l'anima mia — 22) Per tutti noaltre — 23) Pe' i parenti de 'sto
poretto ch'é morto - 24) Per S. Antonio — 25) Per S. Vincenzo Fer-
reri — 26) Per Gesù, Giuseppe e Maria — 27) Per S. Giuseppe. (sette
volte) — 28) Pe’ i dolori de Maria (sette volte) — 29) Pe’ ’1 Sangue spar-
so (sette volte) — 30) Per S. Francesco - 31) Per S. Chiara - 32) Pe’ le
cinque piaghe del Signore (cinque volte) — 33) Per l'Angelo Custode
che custodisce l'anima nostra — 34) Pe' lo Spirito Santo che sempre
ci aiuta — 35) Per S. Anna — 36) Per S. Liberata — 37) Per S. Lucia,
S. Apollonia e S. Emidio (tre volte) — 38) Per S. Pietro e S. Paolo
(due volte) — 39) Per quel santo ch'é oggi — 40) Pe' la divina Provvi-
: denza - 41) Pe' la Sacra Famija (tre volte) - 42) Pe' la Madonna degli
Angeli — 43) Pe' la Madonna del Rosario - 44) Pe' la Madonna Addo-
lorata - 45) Pe' la Madona degli Afflitti ».

I] lungo elenco non é ozioso, come sembrerebbe a prima vista,
perché comprende in forma sintetica tutti i principali oggetti del cul-
to popolare. La brava donnetta ha tenuto a sottolinearmi che « i
Pater nostri » recitati accanto ai morti sono piü di quelli detti a me.
Nel momento che mi parlava diversi gliene erano sfuggiti.

I legami civili, sociali o di sangue subiscono, in occasione di
morte, un repentino risveglio, salvo poi a illanguidirsi di nuovo poco
dopo. Mentre le pie comari si danno il turno nella veglia al defunto,

IL CICLO DELLA VITA UMANA, ECC. 95

altre accudiscono ai servizi di casa, altre infine preparano celermente
gli abiti da lutto per la famiglia che ne è stata colpita. Gli uomini
del vicinato con ammirevole gara e anche con notevoli sacrifici cor-
rono ad avvertire i parenti vicini e lontani, provvedono al disbrigo
delle pratiche civili e prendono gli opportuni accordi col curato per i
servizi religiosi. Tutto si svolge con rapidità, perché il defunto non
deve rimanere piü di una sola notte nella sua casa. Quando il trapasso
avviene prima dell'alba, la salma per lo piü é portata via in giornata,
perché ha già passato in casa qualche ora della notte.

Anche presso la più modesta gente di campagna si assiste oggi a
una vera gara nella scelta delle migliori casse funebri. In parte la sin-
cerità dell’affetto e in parte uno smoderato desiderio di ostentazione
portano a passar sopra a molte preoccupazioni economiche.

Appena portata la cassa, vi si pone dentro un pagliericcio e un
cuscino di paglia o di crine, mai di penne, che sarebbero altrettante
pene per il morto. Infine vi si adagia il cadavere, con i piedi rivolti
verso l’uscio. Se il defunto era membro di una confraternita e i fa-
miliari, anziché fargli indossare la tunica, han preferito fargli fare
sfoggio di un bel vestito nuovo, si mette da un lato della cassa, all’al-
tezza delle spalle, ben piegata la mantellina con l’insegna della con-
fraternita. Si mettono anche dei fiori, il pettine e talora qualche mo-
neta. Da Tordandrea mi si specifica che devono essere cinque monete
da un soldo; l’uso però non è generale, fuorché a Pomonte. Non credo
che sia fuor di luogo ricordare come anche nella tomba di S. Fran-
cesco, scoperta nel 1818, furono rinvenute delle monete, che si pos-
sono ancor oggi vedere nel Sacello della Basilica Inferiore, insieme a
varie reliquie del Santo. | |

IV
Il trasporto in Chiesa e al Cimitero.

All’ora convenuta il curato con la croce parrocchiale, la confra-
ternita a cui era ascritto il defunto e altre confraternite o pie Unioni
eventualmente chiamate dalla famiglia, partono dalla Chiesa e vanno
alla casa. del morto. Le croci hanno naturalmente la benda nera.
Da Pomonte mi si segnala la singolare usanza di coprire il Crocifisso
con un asciugamano bianco.

Nelle nostre frazioni di campagna tutti si considerano membri
di un’unica grande famiglia — la parrocchia --, che ha per padre il cu-













96 ALESSIO MAZZIER

rato. Qualunque sia il rapporto di amicizia, almeno una persona di
ogni famiglia partecipa al trasporto funebre. Tutti entrano in casa a
dare l’ultimo saluto e aspergere la salma.

In ultimo i congiunti del defunto baciano il cadavere fra sin-
ghiozzi ed alti lamenti e non smettono finché qualcuno non li stacca
a viva forza. A Pieve S. Nicolò c’è in questo momento un piagnisteo
rituale, fatto da tutte le donne presenti.

Al momento di chiudere la bara a Valfabbrica e frazioni limitrofe
si leva il Crocifisso di tra le mani del cadavere.

Intanto fuori di casa si distribuiscono le candele a tutti gli inter-
venuti. A Pomonte, a Pieve S. Nicolò e in genere dove c’è da fare un
lungo tragitto, si mesce abbondantemente da bere per tutti.

Se il defunto era membro d’una confraternita, lo «levano » da
casa i confratelli, altrimenti i congiunti. In tutta la zona montana di
Assisi e nel territorio di Valfabbrica, chi porta il feretro all’uscita da
casa deve anche portarlo all’ingresso e all’uscita dalla Chiesa.

La vedova non segue mai il feretro: ma si affaccia dal balcone
di casa, piange, si agita, declama. Ricorda il reciproco affetto e la
sua assoluta fedeltà. Invoca il marito di portarla presto con lui. Non
manca mai una parola di ammirazione « per tutta ’sta gente che te
viene dietro ». Mettendosi poi le mani fra i capelli, emette un ultimo
altissimo grido e fa cenno di gettarsi per le scale. Allora le comari e
qualche uomo l’afferrano prontamente e la riportano dentro casa.
Cosi m'é capitato di vedere più d'una volta nelle nostre campagne.
Ad Assisi e nei paesi maggiori il dolore è contenuto o almeno non è
ostentato.

Il convoglio funebre s’avvia. Si segue lo stesso ordine delle pro-
cessioni. Vanno innanzi le confraternite, seguite dagli uomini o dalle
donne, secondo l’usanza delle varie frazioni. A Capodacqua procedono
sempre gli uomini. Ad Assisi invece il popolo comune si addensa con-
fusamente, senza distinzione, dietro il feretro. Le ghirlande di fiori
precedono immediatamente la salma. Le famiglie, che hanno avuto
qualche legame particolare con lo scomparso, portano e fanno por-
tare una ghirlanda di fiori. Nelle campagne non si ricorre al fioraio,
ma si usano fiori campestri adattati sulle armature, che tengono a di-
sposizione i custodi dei cimiteri. Ad Assisi le famiglie signorili si
fanno rappresentare da una donna del basso popolo con un grande cero.

Da una quindicina d’anni è obbligatoria in tutto il Comune di
Assisi l'autobara; ma i nostri contadini non ci si rassegnano. In di-
versi paesi, ogni volta che si fa una pubblica riunione, si torna a chie-

° IL CICLO DELLA VITA UMANA, ECC. 97

dere il ritiro della legge in questione. Non saprei se questo sentimento
del popolo sia maggiormente suggerito dalla forza della tradizione
o dall’interesse. 1

Si passa naturalmente per le strade più comode e si cerca sem-
pre di prolungare il tragitto quanto piü possibile. A Bettona comun-
que si devono evitare i sentieri su cui non sia mai passato almeno un
carro trainato da buoi. Sembra che la figura della croce, formata dalle
aste della bure e del giogo, sia il migliore dei suffragi per il defunto.

Le cerimonie in chiesa sono quelle prescritte dal Rituale Romano.
Fuori di Assisi raramente si canta (o recita) uno dei Notturni del
Mattutino dei defunti.

Fino a tempi recenti, se non si poteva subito celebrare la Messa,
il feretro veniva lasciato in Chiesa per la solenne officiatura del giorno
seguente. In: Assisi rimaneva tutta la notte senza custodia. Nelle.
campagne, almeno a Capodacqua, a S. Vitale e Rivotorto, la vigi-
lanza notturna era tenuta da due o tre uomini, espressamente inca-
ricati dalle singole famiglie. La mansione era retribuita non a denaro, ‘
ma con una cena e abbondanti libagioni, che si consumavano in sa-
crestia o in casa del parroco. Il Sinodo Diocesano del 1938 ha messo
fine all’usanza. L’art. 130 prescrive infatti: « Velitum est corpora
mortuorum, eliam si eorum capsae sigillis clausae sint, in ecclesiis
quolidiano cultui addictis, diu servare, maxime noctis tempore. Optan-
dum ut stalim post exequias ad coemeterium efferantur ».

Compiute le esequie, oggi si trasporta immediatamente il fere-
tro al Cimitero, dove han luogo le ultime preci liturgiche e, trattan-
dosi di persona benemerita, gli elogi. Anche i parroci tenevano fino
a tempi recenti il loro bravo discorso e tutte le famiglie lo attende-
vano con ansietà. Ma in molti casi il curato non poteva moralmente
accondiscendere ai loro desideri. È facile immaginare il malcontento
e le critiche che ne derivavano. Il Concilio Provinciale Umbro del 1923.
(art. 169,c) e poi più decisamente il Sinodo Diocesano del 1938 (art.
131) hanno posto un valido riparo a tali inconvenienti. « Vetitum
est sacerdotibus utriusque cleri, absque nostra venia, funerum occasione
in defunctorum laudem sive in ecclesia sive in coemeterio verba facere ».

Finiti i riti sacri, ha luogo un grande piagnisteo. Le figlie, le s0-
relle e le nepoti del defunto devono chiaramente mostrare a tutti
l’affetto (vero o fittizio) che portavano al loro caro. Quanto più alti
sono i gridi e i lamenti, tanto più grande era l’amore. Nessuno intende
rimanere inferiore all’altro. Spesso cerca mettersi più in vista chi in
vita ha avuto più rancori col morto. Un buon uomo rifilò una volta

7











98 ALESSIO MAZZIER

un violento pugno ad una donna, che si sforzava tanto a piangere, di-
cendole: — Tié' ! Così piagni sul serio ! - Le nostre brave donnette si
aggrappano come forsennate alla cassa, si svincolano con violenza
da quanti le vogliono staccare, finché non s’accorgono che la gente
comincia ad andarsene. Allora si lasciano convincere dalle comari a
partire anche loro, pur seguitando ad emettere gridi lancinanti per
qualche centinaio di metri. Si ha talora l’impressione di assistere a
qualche scena dell’Inferno dantesco. 1

Tutte le persone che hanno avuto la candela o la ritengono con
sé per accenderla in casa «in suffragio del poretto », o la lasciano
accesa su qualche pietra nell'interno del cimitero, o la consegnano al
sacrestano per farla ardere in chiesa.

Nelle campagne tutti ritornano a casa a piedi, compresi i parenti
del morto. I signori hanno però le loro belle macchine, che li attendono
fuori del cimitero.

V.
Officiatura funebre e suffragi

L'indomani nella chiesa parrocchiale si svolge una solenne offi-.
ciatura funebre. Anche qui è necessario farsi onore. Si chiamano al-
l'uopo un buon numero di sacerdoti a celebrare la Messa e molte pie
donne a far la Comunione. In vari paesi l'invito alle pie donne era
pubblicamente fatto dal curato subito dopo il trasporto funebre.
Un informatore mi scrive in proposito: « In verità mi recavano un
senso di dispetto e di nausea quelle buone donne, che non vedevo mai
accostarsi ai Sacramenti e neppure frequentare la chiesa, se non in
occasione di funerali e cioè per esclusiva ragione di lucro. Da diversi
anni non mi presto più a tal genere d’inviti, per quante preghiere mi
si facciano. Ci sono naturalmente un po’ di comunioni in meno, ma
fors'anche un po' di serietà in più. — Pochi e bóni — dice il proverbio ».

Il cimitero di Capodacqua è attiguo alla Chiesa parrocchiale.
La mattina dell'ufficio si toglie il feretro dalla camera mortuaria e si
porta in chiesa. Finite le Sante Messe, si riporta di nuovo e definiti-
vamente al camposanto per la sepoltura. ;

Fino a pochi anni or sono erano rarissime le tombe di famiglia:
a Capodacqua, per esempio, ce ne erano appena due. Tutti venivano

IL CICLO DELLA VITA UMANA, ECC. 99

seppelliti sotto terra nel campo comune. Oggi nessuno si mostra più
rassegnato a sentirsi gravare addosso la terra e a rimanere esposto
alla pioggia e alla neve. Tutti vogliono andare a finire nei « forni ». E
i parenti, per pietà o convenienza, eseguono fedelmente le ultime
volontà dei loro cari. I campi comuni, dopo le periodiche esumazioni
decennali, sono destinati a scomparire.

Si getta qualcosa su o dentro le tombe ? Le risposte dei miei
informatori sono tutte negative. L’interratore del cimitero di Capo-
dacqua mi dice che i congiunti presenti alla mesta operazione getta-
no qualche manciata di terra sulla cassa, prima che lui la rovesci con
la pala. Il gesto, secondo lui, avrebbe un carattere rituale, riferen-
dosi alle parole della liturgia: — Memento, homo, quia pulvis es et in
pulverem reverieris —. Altri da me interrogati dicono invece che i con-
giunti gettano la prima terra sulla bara per un solo senso di pietà,
facendo raccapriccio quelle « palate buttate giü senza nisciun rispet-
to» dal custode del cimitero.

Si fa qualche offerta al curato ? Al Poggio Inferiore e in genere
nella zona di Valfabbrica si dona al parroco uno staio di grano (32
chili). Negli altri luoghi non c'é un'offerta speciale; si dà quanto é con-
templato dalla tabella dei diritti di stola. Raramente si fanno offerte
ai poveri del villaggio.

Per nove sere consecutive gli amici e le comari si raccolgono
nella casa del defunto per recitare insieme il Rosario e l'intermina-
bile sequela di Pater-Ave-Requiem.

In die septimo si fa il secondo ufficio funebre, che sarà ancora
ripetuto in die trigesimo e poi nel giorno anniversario.

Via via durante l'anno si fanno celebrare delle Messe basse.
Anche qui peró ci si trova spesso di fronte ad una ostentazione di
affetto e di pietà. In vari paesi il curato deve « bandire » tutte le do-
meniche.i nomi delle persone che fanno celebrare le Messe durante
la settimana. Se qualche volta se ne dimentica, gli piovono proteste
da tutte le parti. La prima preoccupazione di chi ordina la Messa e
proprio il « bandimento ». « Me raccomando, sor Curà', de bannilla,
perché la gente l'ha da sapé', che io ce penso da quel poretto, e'nvece
quel p... del fratello mio ’n ce pensa mai ». Talora la Messa sarà cele-
brata fra un mese, eppure si pretenderebbe che fosse « bandita » su-
bito. « Ditela 'n po’ quanno ve pare ta vo’, basta che la bandite dome-
nica ». Un informatore mi dice che provò a togliere l’usanza, ma ri-
mase a lungo... semidisoccupato ! Questo è il nostro popolo. Co-
munque tutte le Messe, che si fanno celebrare nelle nostre campagne,













100 ALESSIO MAZZIER

sono sempre in suffragio dei defunti. Il popolo non ha cognizione
degli altri valori del. Sacrificio Eucaristico.

Quasi tutte le sere, specialmente nei mesi invernali, le famiglie
di antico stampo recitano il Rosario per i loro morti e poi dicono al-
meno quattro Pater noster: « 1) a quel santo benedetto ch'é oggi e
S. Antonio benedetto che dispensa tredici grazie al giorno e una ne
possa dispensà' per noialtri; 2) a S. Giuseppe e la Madonna che ci as-
. siste insino a la morte nostra e sempre; 3) per l'anime scordate che
non ce pensa piü nisciuno; 4) per l'anime del Purgatorio ». Cosi ho
inteso in una famiglia di Capodacqua.

Dal momento che mi trovo a parlare dei suffragi, credo opportu-
no ricordare qui qualche altra usanza, ma con la massima concisione,
perché una descrizione particolareggiata trova meglio posto in uno
studio sulle feste calendariali.

Soltanto otto parrocchie, sulle trentasei della Diocesi, hanno la
Confraternita della Buona Morte: Bastia, Bettona, Cannara, Castel-
nuovo, Palazzo, Petrignano, S. Maria degli Angeli e Valfabbrica.
Tutte le parrocchie hanno peró la Prioranza del Purgatorio e i priori
fanno questue in generi e in denari per suffragare le « anime sante ».
A Costa di Trex, durante il carnevale, i priori raccolgono uova e gal-
line, che mettono in mostra e portano in giro legate in alto su ùna
lunga pertica. Dodici giorni avanti le Ceneri si fa un’ grande Ufficio,
funebre di 15-20 Messe, seguito da un buon pranzo. A tutto il perm
si dispensa una pagnotta di pane e un bicchier di vino.

La quarta domenica di quaresima é detta — la domenica del
Purgatorio —. In tutte la parrocchie si chiama un predicatore straor-
dinario, si celebrano varie Messe e si compiono altri riti di suffragio.

Anche i tre giorni delle Quaranta Ore sono in genere a carico dei
priori del Purgatorio e quindi tutte le sacre funzioni sono in suf-
fragio dei defunti.

Nella raccolta inedita di canti popolari del P. Giuseppe Fratini
compaiono due maggi lirici: dopo le prime strofe di saluto al « maggio
capitano, fresco e lieto », il canto invita a opere di bene per le anime
dei parenti scomparsi (1).

Nel cimitero di Assisi c’è un'antica Chiesa del 300 dedicata alla
Vergine Assunta. Ogni anno, la prima domenica dopo il 15 agosto, si
svolgono solenni riti in onore della Madonna e in suffragio dei defunti,



(1) G. FRATINI, Canti popolari umbri (manoscritto della Biblioteca Co-
munale di Assisi), libro II, 1879, pagg. 57-66.

IL CICLO DELLA VITA UMANA, ECC. S01

in una cornice di straordinaria letizia e festività. Si portano fotogra-
fie e fiori presso le tombe dei propri cari e c'é una grande frequenza
ai Sacramenti. Dall'alba a mezzogiorno si celebrano Messe all'aperto.
I priori dispensano « pagnottine imbottite » e bicchieri di vino a tutto
il popolo. Da mezzogiorno all'ora delle funzioni vespertine la gente
di campagna si distènde sui campi fuori del cimitero, dove consuma
il pranzo composto prevalentemente di polli arrosto e pizze dolci.
Gli uomini fanno qualche animata partita alla morra, mentre le
donne rientrano nel sacro recinto a recitar corone. Seguono infine
gli ultimi riti religiosi, conclusi da un poderoso discorso all’aperto
in cui si connettono le glorie di Maria Assunta con quelle che godremo
noi tutti il giorno della resurrezione finale. Un rito simile si svolge al
Palazzo l’ultima domenica di agosto. L’eccessiva degenerazione della
festa assisana ha indotto recentemente l’autorità ecclesiastica a dra-
stiche misure, richieste da tempo dalla parte più sensibile dei cittadini.

I riti per la Commemorazione di tutti i fedeli defunti sono seri e
devoti, come si conviene alla circostanza. I cimiteri s'adornano di
fiori e fotografie. La notte vi si vedono ardere centinaia e centinaia
di lumi. La maggiore affluenza di popolo si verifica la sera della fe-
sta dei Santi, quando si fa la Via Crucis e si benedicono i tumuli.
Molte famiglie trascorrono quasi tutta la notte in devota orazione.
Prima o dopo il 2 novembre tutte le parrocchie fanno l’ottavario dei
morti, con Messa ed Esequie alle 4 o le 5 del mattino. Per l'occasione
le chiese son sempre gremite.

Quasi tutte le famiglie, anche quelle che praticano poco la chiesa
e i Sacramenti, per tutto il mese di novembre recitano ogni sera .
il Rosario

Come si vede, la devozione per le « anime sante » è molto grande.
nel nostro popolo e dà anche molto lavoro al clero. I cosiddetti incerti
provengono ai curati da li, per la maggior parte. Da ció il detto:
«Il Purgatorio è la trippa dei preti ».

VI.
Altri usi e credenze relative alla morte
La morte dei « sicari » 0 avari è Min accompagnata da un for-
te vento: cosi a Pomonte.

Appena portato via il feretro, si provvede a spazzare il pavimen-
to: finché c'era il morto in casa, non si potevano fare le pulizie: la















102 ALESSIO MAZZIER

cosa sarebbe stata di malaugurio. Per neutralizzare gli odori cattivi
si getta dell’aceto per terra.

Al ritorno dal trasporto funebre si bruciano i cuscini e il paglie-
riccio del defunto; a Pomonte durante l’operazione tutti i presenti
devono ripetere il piagnisteo.

Nella zona di Bettona, Collemancio e Pomonte si mettono dei
rami di pungitopo sotto i letti e una scopa alla porta di casa e della
stalla. La scopa è diretta contro le streghe, che venendo, dovrebbero
contarne tutti i fili: nel frattempo passerebbe la notte ed esse sareb-
bero costrette a fuggire. M’è ignota la funzione specifica dei rami di
pungitopo.

Per nove giorni non si mette la tovaglia a tavola, come non si dà
e non si riceve nulla in prestito e non si alloggia nessuno. Qualunque
cosa eventualmente data o ricevuta dovrebbe essere trattenuta dal
possessore fino allo scadere dei nove giorni.

Non si mettono segni di lutto alla casa né agli animali.

Il coniuge superstite nel primo anno porta il lutto stretto, nel
secondo il mezzo-lutto. Così i figli per i loro genitori e viceversa. I
fratelli, cognati, zii e nepoti portano il lutto per tre mesi. Per gli uo-
mini segno distintivo del lutto era una fascia nera al braccio sinistro,
oggi è una striscia (sempre nera) sul risvolto della giacca. Le donne
di campagna vestono tutte di nero e portano sempre le calze e un faz-
zoletto alla testa. Nel periodo del mezzo lutto possono andare senza :
calze e fazzoletto e usano un abito grigio o a striscie bianco-nere. Il
lutto si toglie tre giorni dopo l'anniversario in memoria dei tre giorni
di lutto della Madonna. Chi nou facesse cosi, commetterebbe un pecca-
to mortale, secondo l'affermazione d'una donnetta di Capodacqua.

Nelle campagne non esistono vere e proprie visite di condoglian-
ze. «'L peggio é per chi é morto ». — « Tristo chi móre, chi resta se con-
sola »(1). — « Chi móre giace e chi vive se dà pace ». Le uniche espres-
sioni di cordoglio ( ! ?) e di conforto da me intese sono queste: « Cocca
mia, quanno é pianto, ch'é fatto... Ormai quel ch'é fatto é fatto...
Tocca dasse pace e fasse coraggio... Davanti la volontà de Dio 'n ce
se comanna ».

Nelle vie e sui campi, ove é morto qualcuno, si pone una croce
di pietra. Se si tratta di omicidio, dicono che di giorno si sentono attor-
no strani rumori e di notte si vedono orribili spettri.

(1) O. Gnirowr, Proverbi Umbri, Foligno, l'Appennino, 1943, pag. 89,
num. 14.

IL CICLO DELLA VITA UMANA,-ECC. 103

Parlando di un morto si dice sempre: il pòro (povero) X. Qual-
che anno fa, assistendo un’inferma, mi uscì detta questa espressione:
— Póra Palmina nostra ! Come vi sentite ? — Ed essa di rimando, con
tono rabbioso: — Pòro è chi more ! — Di lì a un’ora era morta |...

« Muoiono più agnelli che pecore », dice il proverbio (1). Coi pro-
gressi della scienza medica si può affermare il contrario. Comunque i
bambini muoiono ancor oggi.

Se il fanciullo è inferiore ai sette anni, si suonano, come ho già
detto, le campane a festa («a gloria ») tre o due volte, secondo che sia
maschio o femmina. Il trasporto funebre è fatto da fanciulli e bam-
bini. Tutti portano un piccolo mazzo di fiori. Le femminucce possi-
bilmente si vestono di bianco. La piccola cassa, se si tratta di un neo-
nato, è portata da una ragazzetta, altrimenti da quattro fanciulli.
Non partecipano gli adulti, eccettuati i parenti stretti, e neppure il
curato che attende sulla soglia della chiesa. Il rito funebre si svolge
secondo le regole liturgiche. Nel cimitero il campo dei bambini è di-
stinto da quello degli adulti.

Il custode del camposanto di Capodacqua mi dice che in caso di
aborto il feto si seppellisce lungo il muro di cinta in luogo riparato

dalla luce, perché il feto non vide mai luce, e in modo che vi cada so-
pra l’acqua che scende dai coppi, perchè il feto viveva nell’acqua
(membrana delle acque ?).

VII.
Credenze relative allo stato delle anime

Subito dopo la morte, l’anima lascia la casa, passando per la fi-
nestra della camera. Si presenta al cospetto di Dio per il primo giudi-
zio. Non si sa di preciso dove stia il tribunale; sembra che sia sospeso
fra cielo e terra. Il Padre Eterno siede in cattedra e tiene sotto gli oc-
chi un poderoso volume.

Liber scriptus proferetur
in quo totum continetur.

La Madonna Gli sta a destra con l'ufficio di avvocato, l'Angelo
Custode a sinistra, come unico teste qualificato. L'anima Gli sta ritta
innanzi. Manca il pubblico ministero.

(1) O. GRIFONI, 0.c., pag. 91, num. 40.















104 ALESSIO MAZZIER

Il vecchio Padre Eterno dalla lunga barba bianca legge i singoli
capi di accusa. L’angelo ne rende testimonianza e la Madonna fa ogni
volta una breve perorazione. Se la causa è un po’ « sballata », la Ver-
gine misericordiosa fa pure un lungo e commosso discorso finale. Se è
necessario, si prostra anche supplice ai piedi del Signore, tentando di
impedire ad ogni costo un giudizio capitale. La sentenza non viene
pronunciata a viva voce, ma è dimostrata dai fatti. i

L’anima è invitata a passare per «un ponticello ch'è più fino
d’un capello ». Nel tragitto è assalita dai diavoli che tentano trascinar-
la con loro. Non proverà nessuna paura chi è morto di sabato e chi
in vita ha ripetuto mille volte il nome di Gesù il giorno di S. Croce
(3 maggio). Quando le si avvicinerà il diavolo, gli dirà ad alta voce:

Vatte’ via, brutta bestiaccia,

ché de te non ho paura.

Il giorno de S. Croce

mille volte ho detto: Gesù, Gesù, Gesù. (R. Pucci)

Se il capello si strappa, l’anima precipiterà in una profondissima
voragine, di cui non toccherà il fondo se non dopo almeno tre giorni
e tre notti. Laggiù al centro della terra c’è l’inferno coi demoni, col
fuoco ed ogni genere di tormenti. Il dannato vi soffre anche e soprat-
tutto fisicamente, materialmente, perché possiede un suo o il suo
corpo: non si dice se sia di nuova creazione o più probabilmente sia
uno sdoppiamento del corpo già posseduto in vita e deposto nella
tomba in attesa della resurrezione finale (1). Il diavolo è raffigurato
come una bestia con artigli, coda e corna caprine. Non è mai nomina-
to esplicitamente, ma con epiteti: Maometto, brutta o mala bestia,
spirito tristo, ecc.. Gode di libera uscita dall’inferno, per poter a suo
agio tentare al peccato i viventi, specialmente nell’estrema agonia.
Gli altri dannati possono uscire dall’inferno solo con una speciale au-
torizzazione di Dio. Vanno nelle case dove abitarono da vivi, incutono
spavento ai loro parenti e mettono il disordine materiale in ogni cosa.
Sono le cosiddette case degli spiriti, di cui ce n'é una notissima nella
frazione di S. Vitale. Chi vi passa vicino giura di sentire « l'odore del-
l'inferno »estrani cupi rumori e di vedervi nelle notti lunari dei maca-
bri spettri. Nessuno scongiuro é capace di allontanare quegli spiriti.
; Chi riesce a oltrepassare il ponticello va nel purgatorio, che

(1) 11 popolo non riesce a concepire quella che i teologi chiamano la pena
del danno.

IL CICLO DELLA VITA UMANA, ECC. 105

trova nello spazio aereo fra la terra e il cielo. Le anime sante stanno
nel fuoco, avvinte talora da catene. Gemono e gridano verso la terra,
perché i parenti sentano pietà di loro e le aiutino con preghiere ed ele-
mosine. Non sempre però la loro voce giunge all’orecchio e al cuore
degli eredi. E allora Dio misericordioso le fa scendere sulla terra, fra
le strade e le piazze, per suggerire da presso un buon pensiero a qual-
che miserabile elemosinante. E questi, sollecitato dalla loro ispirazio-
ne, prende con fede il suo cammino di casa in casa.

— Pe’ "na voce che io sento,
lo tuo padre sta a chiamà',
pe’ le strade e pe’ le piazze
véne sempre e sta aspettà’ — (1).
; — Tutti li quarti e l’ore
‘ anime sante chiamano;
stennemoje ’na mano
pe’ potelle sollevà’ — (2).

Così ammoniscono i nostri mendicanti. E la loro visita è spesso
interpretata come un invito del cielo a fare suffragi.

Se questo non giova, la povere anime possono anche assumere
forme animali, specialmente di rospi. Nel rospo si nasconde un'ani-
ma « scordata » che «porta la provvidenza » a chi sa almeno guardarlo
con occhio compassionevole. Chi osasse malmenare un rospo commet-
terebbe un grave peccato, di cui sarebbe indice il grave dolor di testa
che colpirebbe il crudele. A Capodacqua si dice che una volta l'ani-
male abbia persino parlato, con accenti che ricordano i rimproveri di
Pier della Vigna a Dante.

.Le anime possono anche far risuonare di strani rumori le case.
La loro presenza si distingue facilmente da quella dei dannati, perché
i vivi restano naturalmente immuni da gravi spaventi e gli oggetti ri-
mangono tutti al loro posto. Si deve allora domandare: « Dalle quat-
tro parti di Dio, chi siete e che volete ? » Se non si sente nessuna ri-
| sposta, basta un Requiem e un segno di croce per placare quelle ani-
me e farle ritornare al loro luogo di espiazione.

Spesso i defunti compaiono durante il sonno. Il sogno d' un paren-
te morto é sempre di lieto auspicio, comunque sia il suo volto, lieto 0

(1) O. GRIFONI, Poesie e canti religiosi del Umbria, IV ed., S. Maria de-
gli Angeli, Tip. Porziuncola, 1927, pag. 71.
(2) ivi, pag. 68.



















106 ALESSIO MAZZIER

afflitto, e qualunque siano le sue parole. L’invito ai sufîragi è sempre
accompagnato da un grande dono di ordine materiale, come i numeri
per un terno al lotto o l’indicazione d’un tesoro nascosto. Una ragaz-
za di mia conoscenza aveva spesso questi sogni, da lei ritenuti auten-
tiche visioni. Risultate però vane tutte le promesse. la madre ordinò
alla giovanetta di dire alle anime che non avrebbe più compiuto un
suffragio per nessuna, finché prima non avesse realmente vinto al lot-
to o trovato il tesoro. Sembra che da allora gli spiriti non siano più
comparsi. La buona mamma, che tanto aveva sperato in una fortuna
improvvisa, raccontandomi il fatto, commentava amaramente che
anche le anime sante sono bugiarde, come tutti gli altri uomini.

Un vecchiarello raccontava ancora di aver visto una volta una
processione di spiriti salmodianti.

Dal purgatorio si vola sopra al cielo delle stelle, fino a raggiunge-
re la porta del paradiso, custodita dal vecchio e ormai docile S. Pietro.
Non ci sono troppe formalità per entrarvi, perché il guardiano è sem-
pre tempestivamente preavvisato dal Padre Eterno e l’anima è spes-
so accompagnata dalla Madonna del Carmine o dall’Angelo Custode.
A S. Pietro non resta che fare un inchino e aprire senza tante discus-
sioni la porta. Il paradiso è il regno dei tre b: banchetti, balli, baldo-
rie, sotto lo sguardo compiaciuto del Padre Eterno e l’occhio bene-
volo della Madonna. In mezzo a tanto gaudio nessun beato può ricor-
darsi dei poveri mortali, eccetto la buona Madre e qualche rarissime
santo. Per questo difficilmente si ottengono grazie e miracoli. Anche
qui « panza piena non pensa a quella vóta ». Ci vogliono molte e molte
suppliche e novene per farsi intendere dagli abitanti del paradiso. E
piü conveniente rivolgersi ai venerabili servi di Dio: essendo interes-
sati alla loro canonizzazione, si dànno da fare, finché non hanno otte-
nuto i tre miracoli di rito. Dalla maggior parte dei Santi c'é poco da
sperare: ascesi alla gloria degli altari, han visto appagate tutte le più
ambite speranze. Ora vogliono godere, senza tanti pensieri per gli al-
tri. « Esse, esse: tutto per interesse ». « Senza interesse non fa gnente
nisciuno », nè in terra nè in cielo.

I bambini morti senza battesimo vanno al limbo, il biblico para-
diso terrestre, riservato ad essi dopo che ne furono cacciati i progeni-
tori. :

I bimbi battezzati, morti prima di aver succhiato il latte mater-
no, vanno diretti in paradiso, dove si trasformano in angeli.

I bimbi infine battezzati, morti dopo aver poppato anche una

IL CICLO DELLA VITA UMANA, ECC. 107

sola goccia di latte, devono sostare in purgatorio per un periodo di
tempo uguale a quello passato presso il seno della mamma. L’impu-
rità, attribuita dal nostro popolo alle puerpere, sarebbe trasmessa
fisicamente ai figli insieme al latte.

Giuseppe Nicasi (1), il cui studio ho tenuto presente nell’ordina-
mento di questo paragrafo, narra numerose altre credenze umbre
sull’oltretomba. Per quanto abbia però interrogato, non sono a cono-
scenza di altri elementi, all’infuori di quelli qui descritti. Per la preci-
sione debbo dire che la materia per queste ultime pagine m'è stata
esclusivamente fornita dalle buone vecchiarelle di Capodacqua e da
qualche canto popolare più diffuso. Le indicazioni dei vari informa-
tori sono state, su questo punto, generiche o del tutto evasive.

(1) G. Nicasi, Le credenze religiose delle popolazioni rurali dell'alta valle
del Tevere, in'«Lares», a. I, fasc. II-III, 1912; pagg. 137-176.

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cesco d'Assisi», a. IV, n. 10, 1882.

— Synodus Dioecesana Assisiensis habita in Ecclesia Cathedrali diebus X XII,
XXIII et XXIV septembris MCMVIII, Assisi, Tip. Metastasio, 1909.

— Primum Concilium Plenarium Umbriae celebratum Assisii anno MCM X XIII,
Città di Castello, Tip. S. Cuore, 1926.

Synodus Dioecesana Assisiensis celebrata A. D. 1938 dieb. 28, 29 mensis
dec., Assisi, Tip. Metastasio, 1938.

— Barba-Nera di Foligno, Foligno, Campi, 1950.

— Lunario Barba-Nera, Foligno, Campitelli, 1950. i

— Lunario del Cappuccino — Frate Indovino, compilato da P. MARIAN-
GELO DA CERQUETO O.F.M. Cappuccino, a cura di « Voce Serafica », Assisi,
1950. ;

ALESSIO MAZZIER

GUIDANTONIO DA MONTEFELTRO
GRAN CONESTABILE DEL REGNO

Con la morte di Gian Galeazzo Visconti, sembrò che tramontasse

| per sempre il disegno di raccoglier sotto un unico scettro le terre del-

l’antico regno lombardo, e venisser meno le congiunte speranze d’as-

sicurare, con l’unità del regno, la pacifica convivenza delle sue genti.

A quelle speranze s’erano ispirati i poeti che avevano esaltato l’im-

presa del preconizzato re, parafrasando pensieri comuni ai Maggiori
ghibellini del Trecento.

«O figliol mio da quanto inde guerra
tutti insieme verremo a dolce pace
se Italia soggiace
a un solo re, che al mio voler consenta! ».

diceva Roma in una canzone attribuita a Fazio degli Uberti (1).
Chi opinava che un cosi felice concorso di circostanze, qual era

stato quello messo in atto dal primo « duca dei Liguri », non sarebbe

tornato piü per secoli, era nel vero. Ció non pertanto perduravano

(1) Fazio DEGLI UBERTI, Liriche a cura di R. Renier. Firenze, 1883,
pag. 111. La canzone già attribuita a F. degli Uberti è invece di Cione da
Siena. Vedi E. Levi, Poesia di popolo e poesia di corte neltrecento. Livorno, 1915,
p. 189-214; e B. Croce. Poesia popolare e poesia d’arte. Bari, 1933, pag 155. Sia
nelle note che nell'Appendice indicheró gli Archivi con le seguenti abbreviazio-
ni: A. S. F., l'archivio di Stato di Firenze; A.S.S., quello di Siena; A.S.N., quel-
lo di Napoli e A.S.C.C. l'Archivio Segreto di Città di Castello. Chiedo venia
al lettore se in troppi casi, anziché limitarmi a citare il documento e la sua
collocazione, come voleva l'economia di questa breve memoria, non ho saputo
resistere alla tentazione di riprodurlo per intero, appesantendo cosi l'apparato
delle note. Ma son documenti che traggo da archivi che per essere sistemati
alla meglio in piccoli centri, diventano per forza di cose, di meno agevole ac-
cesso. D'altro canto, l'organo di una Deputazione storica ha, secondo me, fra i -
E suoi compiti precipui quello di pubblicare quanto piü si puó dei fondi inediti e

significativi degli archivi meno noti. Queste considerazioni mi facciano ot-
tenere venia dal benevolo lettore.















110 GINO FRANCESCHINI

nella Penisola e in Europa le condizioni politiche, che avevano ispi-
rato i disegni del gran Lombardo. Perdurava quello stato di prostra-
zione, in cui era caduto il papato a causa dello Scisma, anzi doveva
di lì a poco divenire ancor più grave, per l’infelice tentativo del Con-
cilio di Pisa, che anziché ricondurre la pace in seno alla Cristianità
vi doveva portare maggior confusione e turbamento, dandole tre
papi in luogo di due. Perdurava l’estrema debolezza in cui era caduto
l'Impero, per l’insipienza di Venceslao e di Roberto, ed era convin-
cimento comune l’impossibilità di un suo efficace intervento nelle
faccende della Penisola. Perdurava, sopratutto, quella secolare crisi,
in cui si dibatteva la Francia, stremata da una guerra interminabile,
con un re demente e gare fratricide tra i principi che si contendevano
la reggenza. Nonché essere in grado di sostenere, con le vie di fatto,
il suo papa di Avignone o Luigi d'Angiò pretendente al trono di Na-
poli, la Francia doveva in quegli anni abbandonare anche Genova,
ultima sua base di qualche conto nella Penisola.

Queste erano tutte circostanze favorevoli perché gli Italiani po-
tessero darsi un assetto autonomo e tale, comunque, da render poi
più difficili gl'interventi stranieri nelle loro faccende.

Ma mentre nell'Italia padana Venezia, consapevole del pericolo
che aveva rappresentato per lei l'enorme potenza di Gian Galeazzo
Visconti, coglieva il momento propizio, offertole dallo sfacelo del do-
minio visconteo, ed iniziava una sua politica d’espansione in terra
ferma, mirando all’eredità della signoria Carrarese dapprima e di
quella Scaligera poi; nell'Italia centrale non v'era, all’infuori di Fi-
renze, un centro economico e politico di tal forza, da attirare natural-
mente le disperse membra della rovina viscontea e costringerle a
gravitare su di se. Questa in particolar modo la situazione dell’Um-
bria, i cui monti brulicavano di quelle minuscole signorie feudali,
che si erano gettate in braccio al tiranno lombardo ed avevano preso
le armi contro Firenze. Gli antichi ed i recenti rancori impedivano
ch’esse potessero gravitar su Firenze, mentre Perugia non aveva
forza capace di legarle durevolmente a sé.

Chi più d’ogni altro era in grado di profittare di queste favorevoli
circostanze, era il reame di Napoli e il suo giovane ed ambizioso re,
Ladislao di Durazzo. Questi, dopo aver costretto il suo avversario,
Luigi II d’Angiò, a rifugiarsi in Provenza, sicuro ormai entro i confini
del Regno per la scomparsa del riottoso principe di Taranto, s'accin-
geva a trar vantaggio dal disordine dello Stato della Chiesa.

L'intervento del Re non aveva nel mondo letterario quell'alto

GUIDANTONIO DA MONTEFELTRO GRAN CONESTABILE DEL REGNO 111

significato che cortigiani e poeti avevano ad una voce attribuito al-
l'impresa del duca di Milano. Fin dal tempo di Carlo e di Roberto il
regno aveva cercato d'assicurare le proprie difese nell'Italia centrale,
controllando le forze politiche di Toscana e di Romagna. Ora ripren-
deva gl’interrotti disegni, ripercorreva le già note vie, ricercando nel-
l'Umbria e nelle Marche i propri fautori non soltanto tra gli amici
della vecchia taglia guelfa, ma anche, ed ancor più, tra i fautori di
Manfredi e di Federico.

Certo assai più valido l’appello di Firenze alla libertà, contro
l'impresa del Re, assai povera letterariamente di motivazione ideale;
ma, in un primo tempo, si vasto fu lo schieramento delle forze che si
misero dalla parte del Re, che sembrò dovessero travolgere nel loro
cammino ogni avversa resistenza.

A ben considerare, la difesa dell’unità religiosa del popolo ita-
liano nell’obbedienza al Pontefice di Roma, non era impresa meno
ricca d’ispirazione ideale e morale, di quanto lo fosse il tentativo di
assicurarne l’unità politica. E tale era il significato dell’azione del re
nell’impedire il Concilio di Pisa e nel contrastare a Luigi d’Angiò, il
cui riconoscimento era inseparabile dal riconoscimento del papa avi-
gnonese. Ma anche se egli faceva leva su sentimenti universalmente
sentiti, la sua impresa non era accompagnata da quel letterario cla-
more, col quale cortigiani e poeti avevano esaltata l'impresa di Gian
Galeazzo Visconti.

In compenso però congiuravano con le ambizioni del Re gl’in-
teressi di quanti, signori e città, avevano ragione di temere di Firenze
o della Chiesa, per essere stati alleati del duca di Milano o investiti
d’alte dignità civili sotto i precedenti pontefici. Signori romagnoli,
umbri e marchigiani, come Alberico da Barbiano, Guidantonio da
Montefeltro, Berardo da Camerino, Lodovico Migliorati, Ceccolino
Michelotti; e città come Perugia, Ascoli, Fermo; i signori di Toscana
come Paolo Guinigi di Lucca, i Casali di Cortona, i da Pietramala ed i
Bostoli d'Arezzo; Cecco di Cione Salimbeni e Guido d'Asciano nel
contado senese; ed oltre a questi Genova liberatasi di Francia; e si-
gnori della Campagna come Bertoldo Orsini ed i Colonna nella stessa
Città Eterna, tutti guardavano al Re come a loro patrono e alleato.

Si puó dire che l'azione di Ladislao nelle terre della Chiesa si
facesse sentire immediatamente dopo la morte di Gian Galeazzo,
allorché i poteri del capitano generale del Patrimonio e del ducato
di Spoleto, Giovanni Tomacelli - fratello del pontefice Bonifacio IX —
divennero, per il ritiro delle milizie viscontee, effettivi. Allorché il 20















112 GINO FRANCESCHINI

novembre 1403 egli entrava in Perugia, vi entravano anche a presi-
dio le genti del suo naturale signore: « Johannes Thomacellus miles,
Regni Sicilie Cancellarius » si firmava negli atti e nelle lettere, quasi
ad indicare onde derivassero realmente i poteri che esercitava.

Fin d’allora qualche città umbra guardava con una certa cu-
riosità inquieta alle intrapprese del re avventuroso. Quando nel 1403
egli mosse contro il regno d’Ungheria, Città di Castello seguiva ogni
passo del re, raccogliendo notizie dei progressi di lui nella lontana Dal-
mazia. Bartolomeo dei Suppolini, un tifernate che allora era podestà.
d’Ancona, serviva da informatore. Il 24 luglio tra l’altro scriveva ai
suoi Priori: « ... In Ongaria se fa grande ammanimento per la venuta
del Re Lancilao el quale vene a pigliare la signoria d'essa. E qui è lo
ambasciatore del Conte Antonio da Signa per volere una galea in
presto da questo Comuno per andare al Re Lancilao. Oggi in questo di,
essendo con questi signori Antiani al porto a vedere mettere la dicta
galea in mare, disse lo ambasciadore del conte da Signa avere avuto
novelle come el Re era gionto a Giara e domane se partono de qui
con la dicta galea » (1). Si sarebbero dette le prime incerte avvisaglie.

Con il successore di Bonifacio IX, il sulmonese Cosimo de' Mi-
gliorati (Innocenzo VII), le ingerenze del Re nelle terre della Chiesa
ebbero una legittimazione solenne, con la dignità di Difensore e Con-
faloniere generale, conferitagli il 13 agosto 1406. Credette invece
opportuno porre un freno alle ambizioni ed alle mire del giovane so-
vrano, il veneziano Angelo Correr, consacrato pontefice il 6 decembre
‘di quell’anno stesso col nome di Gregorio XII. L'8 settembre 1407 da
Siena il pontefice rimproverava Ladislao di favorire Lodovico Mi-
gliorati, ex governatore della Marca Anconitana, il quale indebita- 0
mente aveva occupato città e fortezze in diocesi di Ascoli e di Fermo
e aveva fomentato ribellione in Roma e nelle Marche. Sedici giorni .
dopo il papa ingiungeva ai rettori ed ai sudditi delle provincie eccle- .

(1) A.S.C.C., Cod. XLV, fol. 129. La lettera che è indirizzata: « Ma-
gnificis et potentibus dominis Prioribus Populi Civitatis Castelli dominis suis »
si apre con le novelle di Bologna sottrattasi al dominio visconteo. Essa dice:
« Magnifici signori miei, la debita recomendazione premessa. Io non ve posso.
serivare a pieno de le novelle de qua, perché sono assai variate e sono tante
ch’io non so a qual me fare. Et bene penso sapiate apieno le novelle de Bolo-
gna e però a queste non me stendo più. La novella che con verità ve scrivo è
questa che in Ongaria (segue il passo riprodotto nel testo). De l’altre novelle
me taccio e Cristo felice mente ve conservi. Data in Ancona a di XXIII de
luglio. Vester servitor Bartolomeo de Zepolinis Potestas Ancone ».

GUIDANTONIO :DA MONTEFELTRO GRAN CONESTABILE DEL REGNO 113

| siastiche di non far lega con Ladislao e lo dichiarava ribelle ed usur-
| patore dei territori di Fermo e di Ascoli, appartenenti alla Chiesa (1).

Ma le difficoltà in cui venne a trovarsi in seguito alla convocazione
del Concilio di Pisa, consigliarono Gregorio: XII a riconciliarsi col re
ch'era, è bensì vero, un troppo invadente e pericoloso patrono, ma
l’unico in Italia i cui interessi antifrancesi coincidessero con quelli
del Pontefice romano, e le cui forze potessero costituire un sicuro pre-
sidio alle crescenti difficoltà della Sede apostolica. Mentre il pontefice
7 era a Lucca, si sparse la voce che Firenze lo avrebbe consegnato al-

lantipapa Benedetto XIII, ch'era per giungere a Pisa, e che Paolo
| Orsini avrebbe dischiuso al papa avignonese le porte di Roma. A
questa notizia i romani, pel timore d’esser traditi dall'Orsini, crea-
rono i Banderesi e decisero di arrendersi a Ladislao, che con grandi
forze stringeva la città. Il 23 aprile 1408, festività di S. Giorgio, La-
dislao entró trionfante in Roma. Di qui s'accingeva ad occupare l'Um-
bria e la Toscana.

Alle prime avvisaglie i fuorusciti perugini, che si facevano forti
dellappoggio di Firenze, si ammassarono nell'alta valle del Tevere,
per muovere contro Perugia. Erano circa seicento cavalli e cinque-
cento fanti agli ordini di Braccio da Montone, di Fabrizio de'Signorelli
| e di Giacomo degli Arcipreti. Il sei aprile 1407 erano a Citerna e una
parte accampati tra Pistrino e San Giustino: qualche giorno dopo
erano ammassati intorno alla Fratta (Umbertide). A più riprese ca-
valcarono sul perugino, efficacemente contrastati da Paolo Orsini,
che i Raspanti avevano chiamato a difesa della città. Quando Brac-
cio s’accorse che nel perugino non v'era, per allora, probabilità di
successo, si volse al soccorso degli abitanti di Rocca Contrada, i quali
per liberarsi dall’assedio, ond’erano stretti da Lodovico Migliorati, lo
avevano chiamato a propria difesa (2).

(1) A. CuroLo, Re Ladislao D’Angiò Durazzo, vol. II. Milano, 1936,
pag. 152. 0

(2) Alcune lettere dell’Archivio di Città di Castello consentono di stabi-
lire con maggior approssimazione la data dell’ingresso delle truppe braccesche
nella Rocca Contrada, avvenuto il 1° o il 2 maggio 1407. Il 3 maggio, Gioac-
chino ed Atto degli Atti di Sassoferrato, scrivevano ai Priori di Città di Castello:
« Magnifici fratres carissimi. Facemo ad voi fede e noto come Nicolò portatore
' della presente é venuto qui ad Saxoferrato et come esso ve reportarà a bocha,













114 GINO FRANCESCHINI

L’occupazione di Rocca Contrada (Arcevia) segna l’inizio della
signoria territoriale di Braccio, il quale rimase nelle Marche alcuni
mesi. Nell’estate Benedetto, vescovo di Montefeltro e rettore della
Marca d’Ancona, seguìto da Berardo da Camerino, dai Chiavelli di
Fabriano e dalla brigata degli esuli perugini, portò la guerra nel terri-
torio di Fermo contro Lodovico Migliorati; ma non riportava che insi-
gnificanti successi.

Dopo avere svernato alla Rocca Contrada, Braccio mosse alla
volta dell’Umbria, minacciando ancora Perugia. Allora i Raspanti
aprirono trattative con Ladislao. Il 5 giugno 1408 il re delegò Gia-
como Galgani e Ceccolino Michelotti a prendere possesso della città,
mentre Braccio e gli esuli passavano scopertamente al soldo di Fi-
renze (1).

la brigata de Braccio da Montone è intrata e sta in la Roccacontrada, et come
brigate assay ad quella inimiche sonno circumstante. Apparecchiati ai vostri
piaceri. Gioachino e Acto de li Acti Saxoferrato die tertia may XV Indictione».
A.S.C.C. Cod. XLIL, fol. XXII. Il giorno dopo lo stesso Braccio assieme ai suoi
colleghi scriveva agli stessi Priori la lettera seguente: « Magnifici signori. Perché
niuno inconveniente potesse occorrere vi pregamo voliate dare modo che Fabri-
tio e Carovino reagiano li loro cavalli e l'arme, cioé cavalli III e armature duy,
li quali furono tolti como voy sete informati. E l'ultima lictera che scriviamo
piü per si facta caxone. E non reavendo li predicti li loro cavalli e arme, la ra-
xone ce costrenge a favoregiarli in forma che non perdano. Pigliatece quelli savi
modi sapete pigliare in tutte le cose. Data ne la Roccacontrada adi IIII de
magio. Braccio de’ Fortebracci. Jacomo de l’Arciprete. Fabritio de Signorelli —
capitanei, etc. ». A.S.C.C. Cod. XLIII, f. 80. Sotto la stessa data c’è un'altre
letterina degli stessi, del tenore seguente: «Magnifici signori nostri. Per altra
lettera ve avemo pregato ve piaccia d’avere racomandati Meglioneccio e
Goro e compagni, quali cavalcaro in quello de Taivano e nel terreno de
Montone et per certo bestiame se dice essi predaro in quello de Castello e
lì li rendero, li volete mettere in bando: et pertanto pregamo la SEEVE
ve piaccia d’averli recomandati e de non bandeggiarli dal vostro terreno, per-
ché ne rencresciaria molto. Et reputariamo averlo fatto a noi proprio, et de
quisto ve pregamo se è de vostro piacere non ne sia più niente. Aparecchiati
a li vostri comandi. Dato nella Roccacontrada di IIII de Maggio XV indict.
Fabritio de Signorelli - Braccio de’ Fortebracci — Jacomo de li Arcipreti — da
Perosia capitani, etc. ». A.S.C.C. Cod. XLII, fol. XXIV. Queste letterine tol-
gono l’errore cronologico dell’AnsELMI (Dimostrazione storica di Roccacontrada.
Castelplanio, 1897), pag. 17, e danno un riferimento cronologico preciso alle
parole di G. A. CAMPANO, Bracci Perusini Vita et Gesta, a cura di R. Valen-
tini, in RR.ILSS.?, Tomo XIX, P. IV, pag. 25 e 26.

(1) G. A. CAMPANO, op. cit., pagg. 36 e 37 e note. I capitoli fra il Comune di
Perugia e Ladislao portano la data del 14 giugno 1408, come si rileva, da Pom-
PEO PELLINI, Dell’ Historia di Perugia, Venezia, 1664, vol. II, pag. 168, e da

GUIDANTONIO DA MONTEFELTRO GRAN CONESTABILE DEL REGNO 115

L'occupazione di Perugia gettò nelle braccia del re quanti da
tempo copertamente lo favorivano: i Tarlati da Pietramala signori di
Citerna e Monterchi, i Malatesti col loro possesso di Borgo San Sepol-
cro, gli Ubaldini signori di Apecchio e d’altri castellucci disseminati
lungo l'Appennino, i Chiavelli signori di Fabriano e Rodolfo da Va-
rano signore di Camerino (1). Tutti questi facevano capo a Guidan-
tonio da Montefeltro, la cui signoria dal cuore dell’Umbria si spin-
geva nella Romagna e nelle Marche dominandone le principali strade.

Il Gran Conestabile del regno, Alberico da Barbiano aveva con-
dotto le pratiche dell’alleanza tra il conte d’Urbino e il re. Sebbene i
capitoli di quest’alleanza ci siano ignoti, ne conosciamo una delle più
vistose ed immediate conseguenze: nell’agosto del 1408 Gregorio XII
concedeva a Guidantonio da Montefeltro il vicariato apostolico «in
temporalibus » su la città d’Assisi e suo distretto (2). La concessione
dev’essere avvenuta su richiesta del Re, ma non senza il segreto di-
segno che potesse eventualmente servire ad infrenare la stessa po-
tenza del giovane principe in Umbria. La data approssimativa del-
l'alleanza ci è porta da un decreto del re, mediante il quale concedeva
al conte d'Urbino d'estrarre dalle provincie marittime d’Abruzzo e
di Puglia mille salme di frumento alla misura di otto tumuli per

salma, da condurre per mare ai porti di Pesaro e Fanó, con totale eso-
nero dei dazi spettanti alla camera del re (dieci once e quindici tari per
ogni cento salme) e dei diritti spettanti agli officiali che sovrainten-
devano all'estrazione delle vettovaglie (3). Sebbene nel diploma si
dichiari che quel frumento era concesso « pro usu domini comitis et

ARIODANTE FABRETTI, Biografie dei capitani, ecc. Montepulciano, 1842, pag. 70;
ma l'occupazione della città avvenne il 19 giugno. Intorno agli stessi giorni
avveniva la dedizione al re della città di Rieti, e Francesco Moroni, il padre
del famoso oratore sforzesco Tommaso, fu uno degli oratori mandati dal Co-
mune al re, come si rileva da A. SACCHETTI SASSETTI, La famiglia di Tommaso
Moroni, in questo « Bollettino », anno XII, 1906, pag. 86.

(1) A.S.F., Fondo d’Urbino. Classe III, f. 18, «31 dicembre 1408, Patti
e convenzioni tra il re Ladislao di Napoli e Rodolfo di Gentile da Varano
signore di Camerino ».

(2) G. BaccINI, Cronachetta di Urbino (1404-1578) in « Le Marche illu-
strate » Fano, anno I, (1901), pag. 61 e seg. « 1408, agosto. Il Signore ebbe la
possessione de la città de Assesi ».

(3) Appendice, n. 1, un altro diploma del re « pro eodem domino comiti
Urbini » diretto « Gabrieli Aldericii de Brunelleschis mercatori Baroli commo-
ranti magistro portulano et procuratori parcium Apulie» si trovava nello
stesso Registro della Cancelleria Angioina n. 364 (1398) fol. 104-5.













116 ‘ GINO FRANCESCHINI

vassallorum suorum », un. passo di cronaca senese ci fa intravvedere
a quale officio si mandavano granaglie nelle terre del conte d’Ur-.
bino. Alla data del 16 maggio 1409, quando il campo del re era in-
torno a Cortona, il cronista dice: « ...e misser Giovanni signore che
fu di Vagliano forniva Perogia di vettovaglia e Choccho (Salimbeni)
e ’1 conte Brettoldo (Orsini) e ’1 conte da Orbino di vettovaglia,
ma’ unche il campo del re andava » (1).

Perfezionato il sistema delle alleanze e condotti a termine i pre-
parativi politici, nella primavera del 1409 Ladislao mandava la sua
flotta contro Pisa ad impedire o disturbare il Concilio, mentre egli
stesso alla testa delle sue genti muoveva da Roma verso la Toscana,
e Perugia diveniva il quartier generale delle operazioni contro Fi-
renze.

Alberico da Barbiano, da Urbino dove per mesi aveva fatto di-
mora affrettando i preparativi per l'imminente campagna, mosse,
con Guidantonio da Montefeltro incontro al re. L’esercito regio era
intorno a Sarteano allorché il Gran Conestabile, sopraffatto dall’età
passò di questa vita in Città della Pieve. In suo luogo il re elevò alla
dignità di Gran Conestabile Guidantonio da Montefeltro (2).

(1) La Cronaca di Bindino da Travale (1315-1416), edita a cura di Vitto-
rio Lusini. Siena 1900, pag. 50. Il Lusini interpetra il passo nel senso che Gio-
vanni Cavalieri signore di Valiano fornisse viveri a Perugia, all’Orsini, al Conte
d’Urbino e al campo di Ladislao; ma non credo che il passo vada interpetrato
così. Secondo me va inteso che Giovanni e l'Orsini e il conte d'Urbino fornis-
sero di vettovaglie Perugia e il campo del re, dovunque andasse.

(2) I1 22 gennaio 1409 Perugia inviava un ambasciatore ad Alberico da
Barbiano ad Urbino, Arch. Com. Perugia, « Annali Decemvirali », anno 1409,
pag. 6, CuroLo, II, p. 168. Il 14 marzo il Gran Conestabile era ancora presso
Guidantonio da Montefeltro. Da Montefabbri uno dei castelli del conte. d'Ur-
bino e su richiesta di questi, mandava al Capitano di Aquila la lettera
seguente: « Egregio viro honorando amico nostro carissimo Capitaneo Aquile
sive eius Locumtenenti et cetera, Magnus Comestabulus Regni Siciliae
et cetera. Egregie et honorande amice carissime, post salutem. Vene a vuy
el nobile homo Ser Guido de Bonaeursi da Urbino, portatore di questa,
nostro carissimo amico per consequire alcuni beni sono de Quintiliano de gli
Urbani, stato morto li per uno Benedetto da Nurscia, secondo ch'el dicto ser
. Guido piü specificatamente vi dirà. Il perché vi pregamo quanto piü possemo
che vi piacia havere recomendato el dicto ser Guido sopra la dicta facenda
et essergli favorevele in fargli dare piü presto spacamento vi scia possibile
come in vuy pienamente speramo, advisandovi che ogni bene gli farite sopra
di ció lo haveremo somamente a grado e reputaremolo da vuy in singulare
appiacere. E se nui possemo cosa vi scia grata n’aveti a rescrivere che la fa-
remo voluntera. Datum Montisfabbri die XIIII° Martii MCCCCVIIIJ?. Albe-

GUIDANTONIO DA MONTEFELTRO GRAN CONESTABILE DEL REGNO 117

dk

Nel campo del re grandi erano all’inizio le speranze in una ra-
pida campagna vittoriosa. La elevazione del conte d'Urbino all'alta
dignità di Gran Conestabile del Regno, le speranze riposte dal Con-
siglio del re nelle possibilità d'aiuto che il Gran Conestabile e lo stuolo
dei suoi aderenti avrebbero potuto offrire, erano grandi. Gli echi delle.
baldanzose speranze risuonano ancora nella nota canzone che il Sa-
viozzo indirizzò a Ladislao, nella quale il simbolico « veltro » cac-
ciatore dei rabbiosi lupi, che abitano «la maledetta e sventurata fossa »
è adombrato nel conte d’Urbino:

.Il conte Guido Anton da Montefeltro
fia lume del suo stato e forse veltro
contro e rabbiosi lupi suoi vicini
a danno e distruzion dei Fiorentini » (1).

ricus Comes Cunii ». A.S.F. Urbino, Cl. I, Div, V, filza CVI, carta 437. Per la
notizia della morte del Gran Conestabile e la nomina del successore vedi La
Cronica di Bindino cit., pag. 51. « Aprile 1409. E in questo tempo ch'i re istié
a Sarteano mori el gran conestabile signore da Barbiano: e fecielo portare a la
grande abadia dua stette un mese. Rimase chonestabile il conte de Orbino ».
La Cronachetta edita dal Baccini alla data luglio 1409 annota: «Il nostro
illustrissimo Signore Conte Guidantonio fu creato Gran Conestabile in Peroscia
per lo re Ladislao ». Anche gli Annales Estenses di Giacomo Delayto conservano
il ricordo dell'entrata in campagna del re e della dignità conferita al Conte
d'Urbino: 1409 de mense Martii... Ladislaus rex Apulie Rome dominus movit
bellum contra Senenses et Florentinos, ideoque circa principium Martii huius
anni cum gentibus et exercitu que in Apulia paraverat equestri ac pedestri,
movens ab urbe sua regali Neapolis... Roman advenit ubi congregatis pro-
ceribus ac ducibus suis tam qui secum profecti erant quam qui pridem Rome,
Perusi et alibi in cireumstantibus ad eius stipendia militantes demorabant,
gravi deliberatione exercitum ordinare constituit. Altero vero navalem exer-
citum cum classe duodecim galerum et conplurium aliarum navium transire
iusserat de Neapoli in mare pisano. Et dum haec fierent Magnus Conestabilis
decessit in Castro Plebis oppido perusino, cui rex subrogavit et Magnum Co-
nestabilem novum fecit Comitem Guidonem de Urbino complicem suum ».
RR.II.SS., Tomo XVIII, col. 1088-89.

(1) GUarIELMO Vorrr, La vita e le rime di Simone Serdini detto il Saviozzo .
in « Giom. Stor. d. Letteratura Italiana », anno XV (1890), pagg. 1-78. E un.
tono baldanzoso risuona in alcuni passi di Bindino, nei quali l'andamento del
periodo è più vicino ai modi dei cantari storici che della cronaca. La Cronaca
di Bindino, cit., pag. 45.















118. GINO FRANCESCHINI

L'esercito del re, dopo aver consumato la prima metà d’aprile
attorno a Sarteano e a San Quirico d’Orcia, si portò a Cuna in Val
d'Arbia nella speranza che Siena si arrendesse. A Cuna s'accampó
otto giorni; ma fallita la sorpresa, si volse con le sue genti verso Arez-
zo. « Anche v'andó - dice Bindino - il chonte da Urbino che portava
il bastone sinischalcho; era del champo del re con chuattrociento
lancie ».

Ladislao, memore che suo padre, con l'aiuto dei Bostoli e dei
Camaiani s'era impadronito d'Arezzo, il 14 settembre 1380, e che
l'aveva tenuta per quattro anni, fiducioso di poter contare ancora
amici in quella città, prestó benevolo orecchio alle profferte dei Bo-
stoli, che si vantavano di dargliene il possesso senza colpo ferire, sol
che si fosse con le sue genti accostato alle mura. Nella seconda metà
d'aprile pertanto, per Rapolano e Monte San Savino (1) si portó
nell'agro aretino; ma la città fu validamente difesa da Braccio e da
Malatesta da Pesaro. Deluso il re si ritiró all'Ossaia ed il 6 giugno
otteneva, a compenso, un insperato successo con l’occupazione di
Cortona.

L’occupazione di Cortona metteva in serie difficoltà la difesa di
Città di Castello. Già l'occupazione di Perugia da parte del re, mentre
da un lato aveva spinto Città di Castello a cercare nell'amicizia fio-
rentina una valida difesa, aveva ravvivato le speranze degli esuli
tifernati, che ingrossavano le file dell’esercito regio e dava nuova
esca alle ambizioni dei signori vicini, quali i conti di Urbino e i Tarlati
di Pietramala signori di Citerna e di Monterchi.

Città di Castello veniva ancora una volta a trovarsi nella di-
sperata situazione di dieci anni innanzi, quand'era tutt'intorno cir-
condata dalle terre del duca di Milano o dei suoi aderenti e raccoman-
dati: i conti d'Urbino e gli Ubaldini sui monti, i Malatesti a Borgo
San Sepolcro, i Tarlati da Pietramala a Citerna, e Perugia minacciosa
entro il castello di Montone. Allora la inopinata morte del duca di
Milano l'aveva tratta dal difficile passo, e ora riponeva tutte le spe-
ranze in colei che, in quella perigliosa occasione, l'aveva efficacemente

(1) Credo che l'indicazione del mese e del luogo assegnino a quest'anno
una lettera credenziale di Braccio ai Priori di Città di Castello. « Magnifici
tamquam patres et domini mei; post filialem recomendationem. Pro quibusdam
Magnificentie Vestre exponendis mei parte Petrutium de Scagnano transmitto,
informatum cui ut (mihi) dignemini dare fidem. Paratum etc Datum in Monte
S. Savini XXVIJ, martii. Vester Braccius de Fortebracciis, etc ». A.S.C.C. Cod.
XLII, fol. XVII.

GUIDANTONIO DA MONTEFELTRO GRAN CONESTABILE DEL REGNO 119

difesa dalle fauci del biscione visconteo. Non ostante però la fiducia
riposta nell’alleanza fiorentina, la perplessità e la paura, specialmente
dopo la caduta di Cortona, crescevano in città ogni giorno (1).

Ora, dopo gli scarsi successi della campagna in Toscana, la ne-
cessità d’agire nello scacchiere umbro, ove più accese erano le passioni
e le speranze degli esuli, e più immediatamente fruttuoso sembrava il
loro impiego, misero Città di Castello in grande pericolo di perdere
la propria libertà.

La minuscola signoria dei Tarlati parve per un momento dover
esser scelta quale luogo propizio all’ammassamento delle truppe regie,
designate ad operare contro Città di Castello e contro Anghiari, la
più vicina terra dei fiorentini su l’alta valle del Tevere. Dopo l’occu-
pazione di Cortona le genti del re, dalle valli di Pierle, del Nestoro e
del Cerfone, potevano agevolmente calare nell’ubertosa pianura ti-
berina, mentre altre potevano operare appoggiate alle fortezze di
Citerna, di Montone e d’Apecchio che tenevano quasi assediata la
città. Tanto più che l’azione dei regi trovava un valido appoggio in
alcuni malcontenti cittadini, che da tempo erano in comunicazione coi
fuorusciti e, attraverso questi, col Consiglio del re, per trovar il modo
che l'occupazione della città avvenisse col minor dispendio e nel modo
più sicuro.

Le fila del complotto facevan capo a un certo Conte di Peruzzolo,
uno dei fuorusciti castellani, ch'era venuto a Borgo San Sepolcro,
per vedere le cose piü da vicino. Dagli intrinseci favorevoli all'impresa

(1) Già fin dalle prime mosse del Re, un suddito del Conte d'Urbino, un
certo Paolo di Nicoló altrimenti detto« Cinquefanti » un eugubino che aveva
preso dimora alla Fratta, aveva tentato d'occupare a tradimento il castello
di Certaldo nel contado tifernate. In un primo momento il castello fu occupato
dai perugini, che vi catturarono tutto il presidio tifernate, ma venute genti
al soccorso lo recuperarono, facendovi prigioniero tra gli altri l'artefice del
tradimento. Il 3 marzo 1409 i priori di Città di Castello, dopo l'accaduto,
mandarono ambasciatori a Francesco dei Riccardi d'Ortona « Locumtenens
et Gubernator regius in Perusio », a chiedere la liberazione delle loro genti te-
nute prigioniere alla Fratta. Il luogotenente, accedendo alla richiesta «in gra-
tiam singularissimam petiit a Comune Castelli, non respectu malorum ope-
rum dicti Pauli Nicolay alias Cinquefanti, sed contemplatione Regie Maiesta-
tis... dictum Paulum sibi pro mortuo et tamquam hominem mortem pro-
merentem donari et a morte liberari ». E i priori « considerantes fore utilius et
prudentius pro salute publica dicti Comunis in hoc gratiam facere quam tan-
tam potentiam veluti regiam indignare » deliberarono di compiacere il luogo-
tenente del Re, A.S.C.C., Annales — vol. X XXV, c. 47 — A7t. - Regesto Cor-
bucci.











7120 GINO FRANCESCHINI

gli giungevano sollecitazioni ad operare « peró che hora - dicevano —
éiltempo che i fatti nostri andranno bene» (1).

In marzo uno dei maggiori promotori del complotto, assieme ad
un ser Alberto, si recarono dal Borgo a Perugia, ove facevano capo
tutte le fila della intricata matassa, e i molti altri progetti che si agi-
tavano nel consiglio del re. Da Perugia ser Alberto, con un altro com-
pagno, andarono a San Quirico di Rosena, ov'erano gli accampamenti
regi, mentre un certo Antonio, anch'egli facente parte del complotto,
tornava al Borgo a tener desti gli animi di quanti avevano promesso
il loro concorso all'impresa. Pochi giorni dopo anch'egli si recó a Sar-

teano ove nel frattempo s'erano trasferiti gli accampamenti del re, 1

- per sollecitare il pagamento del denaro necessario e l'invio delle genti
d'arme, che avrebbero dovuto prender possesso della città.

Quando, piü tardi, questo capo del complotto, a noi noto pel
solo nome, fu sottoposto a interrogatorio, disse che nel campo del
re c'erano due commissari dei figli di Bartolomeo da Pietramala, i
quali lo seguivano ovunque egli andasse e che in Perugia, ad opera dei
detti commissari, erano stati fatti « ei capitoli ei pacti di la concordia
intra esso re ei figli di Bartolomeo: e tra gli altri patti disse che sa-
peva de certo che messer Martino (da Faenza) con sue brigate
doveva andare a stare nelle terre dei detti figlioli de Bartolomeo e a
loro posta e voluntà guerreggiare in quello di Firenze e sul terreno
de la Città di Castello e in ogni altro luogo che a loro piacesse. E la
detta concordia si diceva avevano fatto fermamente per mezzo del
Gran. Conestabile, cioé del conte di Orbino » (2).

. (1) Alcuni dei congiurati i cui nomi ricorrono nel doc. n. 2 dell'Appendice
(dal quale è tratta la frase riferita nel testo) figurano compresi alcuni anni pri-
ma in una lista di proscritti per motivi politici. Il 27 settembre 1398 i Priori
di Città di Castello «reformaverunt quod familie omnium exbampnitorum et
rebellium culpabilium novitatis nocte proxime preterita idest X XVI septem-
bris adtemptate contra libertatem et popularem statum Civitatis predicte,
videlicet uxores, filii et filie, debent hodie pro tota die exire de dicta Civi-
tate et sui Comitatus.. Et nomina culpabilium novitatis predicte de quibus
supra fit mentio sunt hec videlicet: Conte Peruzzelli, Casciale Ritii Sisti, Bla-
xino Mei — Tadeus Baldi — Conte Peri Bandini — Ciarpallia de Vallebona — Flo-
ridus Franchi — Jacoputius Alberti — Barfutius Amodei — Mallus Jacopi Molli —
Floridus Antonius Federici — Antonius Nelli Randoli — Casparinus CODD »
A:S.C.C., « Annales », vol. XXVIII, c. 107 e 107 t.

(2) È un passo dell’interrogatorio che pubblichiamo in Axibeduiicc: Il
complotto è della primaverà del 1409, quando appunto il campo del re era a
Sarteano ed a San Quirico d’Orcia; mentre il processo deve riportarsi.a qualche

GUIDANTONIO DA MONTEFELTRO GRAN CONESTABILE DEL REGNO 121

Un altro dei congiurati di nome Bartolomeo e soprannominato
il prete, genero di quell’Antonio che aveva fatto le precedenti dichia-
razioni, nell’interrogatorio fece anche i nomi di quei cittadini intrin-
seci, che avrebbero dovuto rompere una delle porte e introdurre le
truppe napoletane al grido di: « Viva il Re ».

Fortunatamente per Città di Castello, il repentino rivolgimento
del corso delle operazioni in Toscana stornò da lei il pericolo e rese.
vani i disegni dei congiurati. Gli insuccessi subiti in Toscana dai regi,
rivelavano che la campagna era fallita nel suo scopo essenziale: im-
pedire il Concilio di Pisa. Questo invece il 26 giugno eleggeva, nella
| persona di Pietro Filargo, arcivescovo di Milano, il nuovo pontefice, e
lo stesso giorno si firmavano i capitoli dell'alleanza tra Luigi II d'An-

giò, il Legato pontificio Baldassarre Cossa e i comuni di Firenze e di
Siena. Da quel momento l’iniziativa.delle operazioni militari passava
agli alleati.
Firenze, vedendo come la caduta di Cortona mettesse Città di
Castello in serio pericolo, reso più grave dalle mene dei congiurati di
cui qualche voce doveva esserle giunta (in -Borgo San Sepolcro essa
aveva sempre molti fidati amici), il 3 luglio mandò a difesa della città
tiberina Braccio da Montone con le sue squadre, mentre il grosso
dei contingenti della lega s'ammassavano tra Chiusi e Montepul-
ciano (1).

‘Animato dalla speranza di costringere i regi a ritirarsi su Peru-
gia, Braccio si spinse innanzi lungo la valle del Tevere, minacciando
da rovescio i presidi del cortonese. Non riuscì a far cadere Montone

anno piü tardi, probabilmente dopo la conclusione della pace del 1411 o dopo
là morte del re (6 agosto 1414). In Appendice gli assegnamo la data del 1409
riferendoci al contenuto e non alla stesura dell'atto. Come appare dalla collo-
cazione, chi riordinò l'Archivio tifernate non seppe dare alcun significato al
documento. ;
(1) Una letterina dei Brancaleoni signori dell’alta valle del Metauro
‘ e di Castel Durante ai Priori di Città di Castello, ci ha tramandato il ricordo
del passaggio delle genti di Braccio per l’alta valle tiberina. « Magnifici et
potentes domini honorandi patres karissimi. Havemo inteso che le brigate de
Braccio sonno passate dal Borgo e venute verso Castello: et pertanto ve man-
damo questo messo per lo quale ve pregamo ve piaccia advisarce de loro an-
damento acciò che volendo passare de verso nostro terreno noy siamo advi-
sati de non recevere dapno. Recomandamoce sempre ale V. S. e se sentisti
alcuna cosa de la via che illi vogliono fare ve pregamo ve piaccia farcene ad-
visati. Galaotto e Alberico de' Brancaleoni. Durante XXVIIII Julii » (1409).
ASCG God; DV 3sfol. 46.255











122 GINO FRANCESCHINI

come forse sperava (1); ma le truppe accorse da Perugia ad allentar
la sua foga, furono sgominate a Promano il 20 settembre (2). Frat-
tanto tutto l’esercito della lega s'era messo in marcia e il primo otto-
bre Paolo Orsini, ch'era passato dalla parte dei nemici del re, e Brac-
cio da Montone entravano vittoriosi in Roma.

Ladislao, ridotte le sue genti alle fortezze, si era ritirato per la
via d'Abruzzo nel Regno. Il conte di Troia lasciato a difesa di Roma,
oppose una tenace resistenza che disorientó gli alleati. L'improvviso
arresto dell'avanzata consiglió di mandare Braccio e lo Sforza alle

(1) Il 15 gennaio (1410) Simoncello de’ Bonifazi di Aversa, castellano
regio di Montone, scriveva « nobili viro Nicolao de Civitate Castelli Commissa-
rio Primayni » la seguente lettera: « Nobilis vir atque michi onorande amice
carissime. Doie volte a questi di ho mandato la Margherita aportatrice de
la presente per andare a Città de Castello e diceme voy non volete niuna
femmina de quello: di Peroscia. vengha nel terreno de Castello senza vostro
salvo conducto e in caso venissero senza esso dite farci villania. Et pertanto
per quista lectera aviso voy che avisiate omne femina del contado di Castello
che venendo qua e in nostro terreno senza nostra licentia ve permecto la ri-
scuotare et in caso non la possa riscuotare gli faró servitio ne sirà pocho
contenta. Or mo mando la dicta Margherita per andare a Castello per ri-
scuotere uno priscione et pertanto ve pregho ve piaccia lassarlace andare
con fargli lo vostro salvoconducto a ciò non. muogia in priscione. Datum in
Castro Montoni die XV Januarii. Symoncellus Bonifatius de Adversa Ca-
stellanus Montonis ». A.S.C.C. Cod. XLV, fol. 40.

(2) G. M[uzi], Memorie Civili di Città di Castello. Ivi, presso Francesco
Donati, 1844, vol. I, pag. 237. Ad una cavalcata di Braccio contro Montone,
avvenuta forse dopo la vittoria di Promano, accenna una lettera del castel-
lano regio di Montone diretta ai Priori di Città di Castello. Essa dice: « Hono-
revoli amici carissimi. Uno Masio da Lanciano mio fameglio dette in pegno
una mia panziera a Bonaventura giudeo de Castello per uno fiorino e mezzo:
e per la dicta panziera ci ho mandato più volte per rescuotarla, di che lui
disse de comandamento vostro la prestò a un huomo d’arme di quelli di
Braccio quando Braccio cavalcò qua la prima volta, e per questa cascione
non la posso reavere. Appresso dice, per cascione voglio la mia menda, che
è de ferro et era d’acciayo. El detto Bonaventura farà bene non mecter-
mi per parole, che una volta me renda la panziera mia d’acciayo chomo
era. Et pertanto ve pregho me faciate rendere la detta panciera che una
volta non la voglio perdere et vogliolo pagare de la rascione sua en quello
gli viene. Paratum, etc. Datum in Castro Montonis XXVI Januarii (1410 ?).
Insuper Pasquarello mio fameglio aportatore de questa ve informarà a pieno
.de la dicta panziera et pertanto vi piaccia credergli quanto a la persona mia.
Symoncellus Bonifatius de Aversa Regius Castellanus Montonis ». A.S.C.C.
Cod XLIV, fol. 195. Un’altra lettera su lo stesso argomento, ma in tono più
risentito, scriveva lo stesso agli stessi il 12 febbraio successivo. Ivi. Cod. XLII,
fol. 59.

9

GUIDANTONIO DA MONTEFELTRO GRAN CONESTABILE DEL REGNO 123

stanze, affidando a Paolo Orsini e a Malatesta da Pesaro l'incarico di
condurre a termine l'assedio di Castel Sant'Angelo. Il 29 dicembre i
regi erano costretti ad abbandonare la città.

Le milizie, lasciate dal re nell'Italia centrale, erano in una situa-
zione alquanto difficile, ma non alla mercé dei nemici, come poteva
sembrare. Piü che presidi isolati erano territori contigui di signori e
città, stretti da comuni interessi antifiorentini, accostatisi al re, non
tanto per libera elezione quanto pel collasso in cui era caduto lo Stato
visconteo, loro patrono naturale fin dal tempo dell'arcivescovo Gio-
vanni Visconti. Erano città e terre della Marca d'Ancona, lo stato
dei signori di Camerino e quello dei conti d'Urbino, che col territorio
di Gubbio e d'Assisi giungeva nel cuore dell'Umbria e si saldava a
Perugia e Cortona. Territori impervii appoggiati ai massicci del Ca-
tria e dei Sibillini, ricco vivaio di milizie, a cavallo di tutte le strade
che conducevano in Romagna, in Toscana e nel Reame. Bastava che
qualcuno li avesse sostenuti col nerbo del denaro. Servivano di cor-
teo e frangia a questi territori, sin quasi alle porte di Bologna, le terre
degli Ubaldini, dei Guidi di Bagno e di Modigliana e d'altri minori.
Non fa meraviglia quindi che le operazioni degli alleati contro questi
fedeli del re, capeggiati dal Gran Conestabile, non ottenessero i suc-
cessi che si erano sperati.

Il 18 novembre Braccio tolse al conte d'Urbino il castello di Mon-
tegherardo nel contado engubino (1); ma nel dicembre, lasciati i
fuorusciti al comando di Giacomo degli Arcipreti intorno a Perugia,
dovette accorrere alla difesa di Bologna, minacciata dall'iniziativa
dei fautori del re. Infatti il Gran Conestabile verso la metà di gen-
naio del 1410 occupava Forlimpopoli e tentava d'impadronirsi di
Forlì e poco dopo ritoglieva ai bracceschi Montegherardo. Nella pri-
mavera i regi usciti da Perugia si spinsero nel Valdarno sino a
Montevarchi predando e facendo prigioni, mentre un tentativo dei
fuorusciti contro Perugia andò miseramente a vuoto.

Le operazioni militari, specialmente nell'Umbria, rivelaron ben
presto le debolezze della lega, minata dagli interni dissensi. Se si con-
sideri infatti, al di fuori delle amplificazioni encomiastiche del Cam-
pano, la reale portata delle intrapprese militari della lega qui in Um-

(1) La Cronachetta d' Urbino già cit. alla data del 18 novembre 1409 an-
nota: « Braccio e li altri usciti di Peroscia occuparo il castello di Monteghi-
rardo » che tennero quasi un anno: infatti « die prima octobris 1410 il Signore
(Guidantonio) riebbe la possessione di quello ».











124 i GINO FRANCESCHINI

bria, si rivela quasi nulla. Non. solo infatti resistettero efficacemente
Cortona, Perugia, Todi, Assisi e Gubbio, ma anche le minori fortezze
Montone, Valiano e Citerna si difesero validamente. Quest'era dovuto
al fatto che mentre il cardinale legato Baldassarre Cossa voleva che la
lega si adoprasse anzitutto a domare i fautori del re, quali i Guinigi.
o i Montefeltro, Luigi II mirava dritto allo scopo: cacciare Ladislao
dal regno, sicuro che il resto sarebbe venuto da se. Firenze, pentita
d’aver chiamato il principe angioino in Italia, già si riaccostava a
Ladislao. à

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Occupata Roma dai collegati e ricacciato entro i confini del regno
Ladislao, Firenze non era più disposta a sostenere il duca d’Angiò.
Questi si recò dal pontefice a Bologna, prima di far ritorno in Provenza
a raccogliervi tutte quelle forze che potesse maggiori, onde alla nuova
stagione ingaggiare la lotta suprema contro il suo avversario. All’op-
posto Firenze, che considerava pressoché compiuto quel compito
che i suoi interessi assegnavano all’intervento angioino, intavolava
con Ladislao trattative di pace. Il 18 gennaio la Signoria designava.
‘Cristoforo Spini, Giovanni Serristori e Luigi Pitti quali ambasciatori
al re: essi dovevano andare a Napoli assieme al Lomonaco agente di
Ladislao ed a Gabriele Brunelleschi. Queste trattative s’aprivano
mentre si diceva che il pontefice Alessandro V, Luigi d'Angiò e Sigi-
smondo d’Ungheria eran per stringere alleanza ai danni di Ladi-
slao e che Paolo Orsini, lo Sforza e Braccio da Montone erano ri-
condotti con duemila lance (1).

(1) Ne dava l’annunzio Cristoforo di ser Anselmo, ambasciatore tifer-
nate a Firenze, con una lettera ai suoi Priori, che qui riproduciamo. « Magnifici
Signori miei. Notifico ala magnificentia Vostra che a di XXVIII di questo
per questi magnifici signori sono stati eletti gli ambasciatori che vanno al re
Ladislao per parte di questa magnifica signoria e i nomi loro sono questi: messer
Cristofano d’Amfrione delli Spini, mess. Giovanni di ser Rastoro e Luigi di
Neri de’ Pitti. Penso che questi signori li solliciteranno che vadano prestamente
per andarne insieme con mess. Lomonacho e con Gabriello Brunelleschi a cui
a la sua tornata presentai la lettera de la Signoria vostra la quale acettò gratio-
'samente ringratiando la benignità de la vostra magnifica signoria e (dicendo)
che ne fatti del vostro comune si voleva adoperare realmente e si col re Ladi-
slao e si con questi ambasciadori fiorentini per forma tale che la vostra comu-
nità si potrà lodare delle sue buone e vere operationi fatte per voi. Provedete
il messo aportatore de questa di lire sette di questa moneta, non ho potuto :
fare di meno. per rispetto del viaggio chattivo che si trova. A me sarebbe sin-

GUIDANTONIO DA MONTEFELTRO GRAN CONESTABILE DEL REGNO 125

Si manifestavano intanto i primi segni d’un certo imbarazzo
nelle relazioni tra il Gran Conestabile e il re. Guidantonio da Monte-
feltro aveva intrappresa in Romagna un’azione militare, che se fosse
stata efficacemente sostenuta e proseguita, avrebbe potuto mettere,
diceva lui, in serio pericolo la stessa Bologna.

Aveva con grande istanza implorato che gli fossero dati « gente
et denaro, denaro et gente, et gente et denaro » ancora, «et inter cetera
che habiamo messer Martino a hobedientia perché se porria havere
più presto che niuno altro: et speriamo in Dio far sentire novelle a la
Maestà del Re che serano de grande so stado, exaltatione et gloria,
pure che se faccia presto. Le quale non sonno mancate se non per
mancamento .de gente. E de questo pensamo sia stato cagione la in-
credulità la quale ha havuto la Maestà del Re verso noi » (1).

gulare piacere avisare la vostra Magnifica Signoria di novelle, ma qui non si
dice ne sente niuna cosa la quale abbia niuno fondamento di verità, Qui sono
venuti gli ambasciadori di Porto Veneri di Genova e liberamente si vogliono
dare a questa signoria: non so che partito costoro ne prenderanno o del si o del
. no. Sarebbe buono per cavare una volta le mani de fatti di Livorno. El re Luigi
è pure a Bologna e dicese ch’el Papa gli ha fatto grande honore e che per niuno
modo vuole che se parta d’Italia e che torni a Roma e ch’el Papa e il re de
Ungheria e il re Luigi fanno liga insieme e che Paulo Orsini e Sforza e Braccio
sono ricondotti con due mila lance al loro soldo; che a la guardia di Bologna
rimane lo Cardinale del Fiesco legato di Romagna, e il marchese da Ferrara. e
Uguccione dei Contrari con seicento lance. Ho voluto dire questo a vostro
contentamento e ancho perché questa mia lettera non sia chosì ignuda di no-
vella: ben dico ch’elle non sono ancora aprovate da la Chiesa « et non debent
ascribi in Chatalogo Sanctorum ». Oggi sono partiti di qui ambasciadori di
questa Signoria vanno a Bologna al Papa o al re Luigi: penso che la principale
cagione sia di voler questo comune essere mezzo a fare accordo fra il Papa e
il re Luigi con lo re Ladislao, la quale cosa penso che avera pocho luogo pare
per Benesifó (Boucicault), e sono questi messer Bartolomeo Popoleschi e No-
fri di Palla degli Strozzi. Per questa non dico altro a la vostra magnifica signo-
ria a la quale umilmente mi raccomando. Vester Cristoforus ser Anselmi. Flo-
rentie die XXVIII Januarii 1410 ore XXI». A.S.C.C. Cod. XLIV, fol. 244.
(1) Anche dopo l’insuccesso, il conte d’Urbino chiese al re genti e de-
naro, nella speranza di riparare all’insuccesso, che la disobbedienza dei ca-
pitani regi aveva causato. L’otto febbraio scriveva infatti al suo ambascia-
: tore a Napoli: «« Nobilis dilecte noster. Mandamovi una copia de lettera la
quale scrivimo a la Maiestà reale cifrata in la forma infrascripta per che siate
avisato del tucto : anco se la M. R. non havesse la cifra che avemo cum essa
M., la podiate retrare secondo la vostra cifra, la quale vi lassó el Conte, peró
perché non sapemo se havete la vostra la quale havete cum noi, per Dio, per
Dio, per Dio solecitate presto ce siano gente et denaro, denaro et gente et
gente et denaro et denaro et gente, et inter cetera che habiamo meser Martino.







126 GINO FRANCESCHINI

Messer Martino (da Faenza) che avrebbe potuto, come più vicino,
accorrere tempestivamente in aiuto del conte, obbedendo forse ad
istruzioni superiori, non si mosse: e il Gran Conestabile se ne dolse
col re, vedendo in quest’atto vilipesa la sua stessa autorità.

Non ostante ciò, quelle poche genti che aveva potuto aver sotto
mano avevano occupato Forlimpopoli ed avrebbero agevolmente oc-
cupato Forlì, se fossero state soccorse in tempo. « Pò vedere la Mae-
sta vostra — diceva il conte — che havendo havuto le dicte brigate, le
cose non seriano in questi termini, perché havea pigliato modo che
Forli seria ogi a la devotione de la Maestà Vostra et etiamdio de le
altre cose, e pensava cum le vostre bandere visitare le porte de Bo-
logna » (1).

Si può credere che, nel rammarico dell'occasione perduta, il conte
d'Urbino amplificasse forse gli sviluppi che la intrappresa avrebbe
potuto avere; ma è però vero che la mossa del conte su Forli spaventò
il cardinale Baldassarre Cossa, tanto ch’egli chiamò in gran fretta
Braccio dall’Umbria, perché accorresse alla difesa di Bologna.

Intanto Luigi d'Angiò il 9 maggio 1410 tornava in Italia e s’ap-
prestava, insieme al nuovo pontefice Giovanni XXIII, a muover su
Roma, per proseguire in armi contro il suo nemico. Il fallimento delle
trattative di pace, strinse ancora una volta Firenze ai collegati e la

(segue il passo riportato nel testo). Per Dio solecitate et subito particular-
mente in avisare del tucto. Urbini 8 februarii 1410. Guidantonio conte de
Montefeltro, Urbini etc. (a tergo): Nobili viro Ser Bartolomeo de Camareno
oratori nostro apud Regiam Maiestatem — Magnus Comestabulus Regni Sicilie
et cetera ». A.S.F. — Urbino. Cl. I, Div. G., filza 104, n. 62, copia.

(1) Insieme alle due lettere che riproduciamo in Appendice ve ne sono
due dello stesso mittente al suo ambasciatore, che qui riproduciamo. La prima
e del 22 gennaio e dice: « Ser Bartolomeo. Volemo che senza nisuna tardità o
obmissione de tempo ve operiate cum la Maistà del Re, o cum chi altri ve pare,
che Bartolomuccio nostro camorero rehabbia li soi denari, quali li furono fu-
rati venendo esso a la fiera de Lanzano, commo pienamente dovete esser in-
formato. E torno ció date expedito effecto. Datum Urbini die XXII Januarii
MCCCCX. Guidantonio conte de Montefeltro, Urbini et cetera. (a tergo): Egre-
gio viro Ser Bartolomeo de Camereno, Segretario nostro. Magnus Comestabu-
lus Regni Sicilie et cetera » A.S.F. Urbino, Cl. I, Div. G., filza 104, n. 71. La
seconda è del 21 luglio senza indicazione dell'anno (ma appartenente anch'essa
io credo al 1410) e dice: « Bartolomeo, se el mandato de Ottaviano et Alluisi
è facto, manda qua o tu vene, sì che prestamente se habia, perché seria già
partito Alluisi et non aspecto che questo. Urbini XXI Julii, Guidantonio Conte
de Montefeltro Urbini et cetera (a tergo): Bartolomeo familiari nostro. Magnus
Comestabulus Regi Sicilie et cetera ». A.S.F. Ivi, n. 73.

GUIDANTONIO DA MONTEFELTRO GRAN CONESTABILE DEL REGNO 127

minaccia contro Ladislao parve, per un momento, veramente grave.
A sua difesa egli raccolse quante più genti poté, richiamandole anche
dallo scacchiere umbro. Il 18 agosto partiva da Urbino alla volta del
reame il Gran Conestabile con le sue genti e raggiunse il re intorno ad
Aquila (1). Insieme affrontarono nei pressi di Tagliacozzo alcuni
luogotenenti dell’Angioino con a capo l’Orsini, ai quali inflissero
gravi perdite. Bindino, con l’enfasi d’un popolano, dice che le sorti
del re pericolavano «chuando il chonte (Guido) Antonio perchosse
per chosta chon mille cavagli. Chuesto era il grande chonestabile
chonte d’Urbino; feriva chon grande valore a chavagli e a pe-
doni» (2).

Ma il riuscire a fronteggiare con successo il proprio avversario
era assai poco a petto della vittoriosa impresa condotta a termine
dalla flotta di Ladislao sulle acque di Genova. Quando nella prima-
vera il re aveva saputo che l'angioino stava per approdare a Porto
Pisano, ordinó alla flotta, ch'era a Gaeta, di muovergli contro. Il
duca d'Angió era partito con dodici galere e due brigantini e s'era
lasciato dietro sette galere con tutte le scorte e il tesoro dell'armata.
Su queste si imbatté la flotta napoletana incerta dapprima se assa-
lirle o lasciarle andare: azzuffatasi riuscì a sopraffare le navi angioine
e a catturarle. Era il sabato 17 maggio 1410 il giorno stesso in cui
l’energico card. legato Baldassarre Cossa veniva elevato alla tiara
pontificia col nome di Giovanni XXIII. Le navi vittoriose appro-
darono a Genova in mezzo alle grida di esultanza.

Genova, ribellatasi ai francesi, s'uni a Ladislao, la cui flotta il
10 agosto prendeva Talamone: mentre i genovesi in settembre occu-
pavano Lerici e mettevano il campo a Portovenere. Il colpo inferto
da Ladislao al suo avversario, costrinse questi ad una pericolosa ina-
zione, nella quale consumò tutto il resto dell’anno. L’insipienza del-
l'angioino e la sua vergognosa inoperosità, spinsero Firenze a ripren-
dere le interrotte pratiche di pace ed a condurle a felice compimento.

Un agente tifernate scrivendo l’ultimo dell’anno ai suoi Priori
mentre si rammaricava di non aver potuto condurre ai servizi del
comune Lorenzo da Cotignola, soggiungeva: « Ma per quanto a me
paia, oggimai non harete più bisogno di gente d’arme perché li imba-

(1) La Cronachetta più volte cit., alla data del 18 agosto dice: « Il Signore
si partì da Urbino et andò a l'Aquila dal Re ».

(2) Cronaca di Bindino cit., pag. 123. Esalta nella stessa pagina le gesta
di Guido d’Asciano, e narra come Braccio fu ferito nello scontro.















128 3 GINO FRANCESCHINI

sciadori del Re Lancilao sono qua e, secondo se dice, non po’ rema-
nere che non sia pace » (1). i

Chi conduceva le pratiche di questa pace era un fiorentino, Ga-
briello di Alderico Brunelleschi, il quale oltre che essere procuratore
del re in Puglia e controllore del porto di Bari, gestiva grandi interessi
in proprio nel Regno. Questi seppe mostrare al re come la cessione di
Cortona fosse un lieve scotto di fronte al vantaggio di staccare Fi- .
renze dalla Lega. Venuto meno il nerbo del denaro la lega sarebbe ca-

‘duta nell’impotenza, si diceva.

Il 5 gennaio un altro tifernate scriveva ai Priori della sua città:
«Credo che la pace si bandirà di questa settimana »: e coglieva nel ..
segno, perché in effetti fu pubblicata due giorni dopo. Diceva altresì
che per la cessione di Cortona, Firenze sarebbe giunta col suo territo-
rio alla Lama, avrebbe cioè confinato con Città di Castello. Nei capi-
toli della pace, soggiungeva, non erano compresi né il papa Giovanni
né Luigi d'Angió, i quali per mandare a vuoto le mene fiorentine,
erano in procinto di riprendere da Bologna la marcia verso Roma.
A conferma di ció si diceva che il re Luigi e Braccio da Montone e lo
Sforza erano per giungere a Prato (2). :

Non ostante la marcia degli alleati, la pace ebbe il suo corso ed il
18 gennaio Città di Castello nominava il procuratore che doveva re-
carsi a Firenze ed a Napoli a ratificarla (3).



(1) A.S.C.C., Cod. XLII, fol. 73. La lettera è scritta da « Thomas de Ca-
stello » e diretta: « Magnificis et potentibus dominis, Dominis Prioribus Populi
Civitatis Castelli,Singularissimis suis », e dice: « Magnifici et potentes domini,
domini mei singularissimi. El vostro podestà pensava avere Lorenzo da Codi-
gnola per menarlo là, e così erano contenti i dieci che venisse; ma Lorenzo non
vole venire senza i suoi denari, e non veggio sia per haverli e per questo credo
non verrà. (Segue il brano riportato). Racomandome a la Magnifica S. V. Da-
tum Florentie die ultimo decembris 1410. Eiusdem Magnificentie Vestre fide-
lissimus servitor. Thomas de Castello». .

(2) Vedi le due lettere riprodotte in Appendice ai numeri 5 e 6.

(3) I1 17 gennaio fu ingiunto dal viceré che risiedeva in Perugia al Po-
destà ed ai magistrati di Perugia, di far sospendere dai Comuni soggetti, in
ottemperanza della pace, ogni ostilità contro quei comuni e castelli che di- :
pendevano dalla giurisdizione tifernate o fiorentina. Quelli di Montone scri-
vevano in quell'occasione ai Promanesi; « Nobili viro Nicholao Guidi de Civi-
tate Castelli, Capitaneo Primayni Amico nostro carissimo. Nobilis et amice
carissime. Ogie a quisto avemo recevuto comandamento da i nostri Signori da
Peroscia noy né ofendiamo ne facciamo offendere illo terreno de Fiorenca e
de Città de Castello et quisto a noy e singulare gratia vicinare bene con i Pri-
manesi e collaltri. Et pertanto ve preghamo ve piaccia notificare per una vo-

. GUIDANTONIO DA MONTEFELTRO GRAN CONESTABILE DEL REGNO 129

La notizia che tolte erano le offese tra Firenze, Siena e Città di
Castello da una parte, il re ed i suoi aderenti dall’altra, non riuscì ad
acquietare immediatamente gli animi, qui nell’alta valle del Tevere.
Non si sa come e perché alcuni reparti di riottosi cavalcarono sul
terreno della Fratta (Umbertide), ov’erano a presidio le squadre di
Ceccolino Michelotti soldato del re. Firenze e il vicerè, che risiedeva
a Perugia, ne fecero rimostranze, sospettando che Città di Castello
‘ avesse copertamente favorito quel colpo di mano, per riprender con
la forza Montecastelli, la cui restituzione non era contemplata nella :
; prima stesura del trattato (1).
Il quale fu perfezionato a Napoli il 26 aprile 1411, con
un «instrumentum declarationis certorum capitulorum pacis »,
una sorta di codicillo, che dava piena soddisfazione alle riven-
dicazioni tifernati. Infatti, dopo. i rappresentanti di Firenze e di
Siena, appose la sua firma all'atto « Jacobus Guelfucci de Ci-
vitate Castelli » cui seguivano il rappresentante di Sangemini e’
quello di Todi (2).

La pace con Firenze era avvalorata dalle amichevoli relazioni .
che il re intratteneva con Venezia, contro il comune avversario Sigi-
smondo di Lussemburgo, re d'Ungheria. Pel tramite del Gran Cone-
stabile la Serenissima il 5 marzo 1411 pregava il re, bisognoso di de-

stra lectera la intentione vostra e de i Signori de Castello se loro e voy simil-
' mente ne voliate stare e bene vicinare con noy. Disposti sempre al piacere
' vostro. Datum in Castro Montonis die decimaseptima Januari IIIJ Jndictione.
Potestas, Sex et Comune Montonis ». A.S.C.C. Cod. XLIV, fol. XXXVI. In
quella stessa occasione Ciccolino Michelotti capitano al servizio del re, che pre-
sidiava la Fratta (Umbertide), scrisse « Magnificis dominis prioribus populi
Civitatis Castelli, etc. » la seguente lettera: « Magnifici domini honorandissimi
patres carissimi. Ho recevuta vostra lectera e advisore che heri ad hora de ve-
spero hebbi lectare de Perusia.dal Vece Re e da Signuri priuri ch'io degia an-
dare ad conferire con lloro alcune cose: sicche non posso fare ch'io non vada e
so più volunteroso all’andare perche misser lu Monaco ha scripto per cifra al
Vece Re tucte le specialità de la pace e de le quale me contento sapere subito;
l’altra che messer lu Monaco scrive a me, ecco ve la mando acio che n’agiate
alcuno adviso, niente de mino se’l' vosto ambaxiatore ve fosse con piacere man-
darlo a Perusia, ecco glie mando el salvoconducto. Piacciave remandarme
; questa litera ch'io ve mando de messer Lumonaco a. Perusia, overo qui a Sil-
vestro de Neri. Apparecchiato ali vostri piaceri. Datum Fracte die XVIJ Ja-
nuarii. Ciccolinus de Michiloctis, Capitaneus, etc.». A.S.C.C. Cod. XLIII,
fol. 57. Originale.

(1) V. Appendice, n.
(2) CuToLo, II, pag. 192.









130 GINO FRANCESCHINI

naro, che si contentasse pel momento di 10 mila ducati, su quelli
ancor dovutigli per la cessione delle terre di Dalmazia.

La pace aveva anch'essa le sue ombre: metteva cioè in appren-
sione e dava qualche irrequietezza a quanti temevano di non essere
abbastanza tutelati e di rimanere esposti alle rappresaglie e alle ven-
dette. Al Gran Conestabile, che aveva richiesto aiuti, il 16 marzo
Perugia mandava due ambasciatori che dovevano spiegare alla sua
«fraternità » come non fosse possibile distaccare truppe per provve-
dere alla difesa delle terre di lui, perché il contado perugino era mi-
nacciato dai nemici « che stavano alle confine » (1).

A Siena invece la pace non aveva avuto quella popolarità e su-
scitato quel giubilo che l’aveva salutata a Firenze. S'era convinti
fosse cosa del momento e non furono tolte le conseguenze delle passate
ostilità con quella sollecitudine che gli interessati avrebbero voluto.
A favore d’uno di questi il 16 ottobre Guidantonio da Montefeltro
scriveva ai Priori: « ...Altre fiate io ve ho facto pregare in favore et
gratia de Ciappettino, occurrendo che in quello tempo ch’el re La-
dislao se retrovò l’altro anno in li vostri territorii, io per fare allora
meo debito, l'andai a visitare: e fra gli altri requisiti da me et ch'io
menai in mea compagnia, menai el spectabile homo Ciappettino de li
Ubertini, al quale per la dicta soa venuta fo dato bando et pubblicato
per sbandito de testa vostra comunità. La quale cosa é tornata et
torna al dicto Ciappettino in disconcio et pocho utile. E pertanto
carissimamente ve prego, considerato che solo lui venne da me requi-
sito et per farme compagnia et anche che mai fece, né ordinò nisuna
cosa in dapno et despiacere de testa comunità, per mio amore et con-
templatione li rendiate gratia et faciatelo ribandire et reponare in lo
pristino stato et vostra bona gratia, come io spero et non me direte di
no » (2). Quasi due mesi dopo il 9 decembre, il magistrato della
città rispondeva « Comiti Guidantonio, Regni Sicilie magno conesta-
bili » ch'era bensì vero che per l'operato del solo « Rappertus de Uber-
tinis» tutta la sua «familia amicissima nostro comuni sententiam
incidit pubblice bannitionis » ma che essendo ciò avvenuto « nostro-
rum consiliorum deliberatione, ab ipsa non possumus liberare ». Avreb-
bero pertanto proposta nei prossimi consigli la liberazione dalla con-

(1) CuroLo, II, pag. 185.
(2) A.S.S., Concistoro. Lettere senza data, filza C. J., n. 195. Il contenuto
assegna alla lettera una data indubbia, portando essa in calce « Urbini XVI

octubris, V indictione ». :

GUIDANTONIO DA MONTEFELTRO GRAN CONESTABILE DEL REGNO 131

danna, ma siccome non sapevano se ciò si sarebbe ottenuto o meno,
si scusavano ed offrivano tutto il loro buon volere (1).

"oko

Il trattato di pace non era riuscito peró a stornare il pericolo
d'una discesa di Luigi d'Angió contro il regno. Quindici giorni prima
della ratifica di quello, il 12 aprile 1411, il duca e Giovanni XXIII
avevano fatto il loro ingresso nella Città Eterna e l'angioino ne ri-
partiva poco dopo, con un grosso esercito, alla conquista del regno.
Il 19 maggio presso Roccasecca, sul Liri, riportava una vittoria, che
avrebbe potuto essere decisiva se avesse inseguito il nemico, come
chiedevano i suoi capitani. « Et si havessero — dice un contemporaneo
— seguita la vittoria, li toléno tucto el Reame. Fo dicto alora che la
persona del re et el Reame fo in le mani de li nemici; el secondo di el
Reame solo et non la persona; el terzo di né lo Reame né la per-
sona » (2).

Mentre Luigi d'Angió disperdeva con la sua insipienza i frutti
della vittoria di Roccasecca, una non minore iattura toccava al suo
alleato, il papa Giovanni XXIII: Bologna, malcontenta dei troppi
denari estortile per alimentare la guerra, si ribelló il 12 maggio e si
dette a Carlo Malatesta divenuto soldato del re: «si ribelló — dice un
contemporaneo — có l'aiuto dé Malatesti e del conte d'Urbino » (3).
L'evento dava ragione al conte d'Urbino e le congiunte forze dei Mon-
tefeltro e dei Malatesti comprovavano la serietà delle previsioni del-
l'anno innanzi.

Non molto dopo la giornata di Roccasecca, il duca d’Angiò si
trovò in gravi difficoltà, senza viveri, senza denari e senza credito
alcuno. Deluso se ne tornò in Provenza, per scomparire affatto dalla
scena politica italiana.

Dei capitani dell’angioino rimasti al soldo del pontefice Giovan-
ni XXIII, Braccio da Montone, fiducioso di sorprendere pressoché
indifese le terre umbre che ancora ubbidivano al re, si portò celer-
mente con tutte le sue genti contro Perugia. La città aveva chiesto

(1) A.S.S. Concistoro, Reg. 1608, « die VIIIJ decembris ». Anche qui il con-
tenuto dà l’indicazione dell’anno.

(2) Ser GuERRIERO DA GUBBIO, — Cronaca, a cura di G. Mazzatinti — R.R.
II. SS?. T. XXI. P. IV. Città di Castello 1902, p. 36.

(3) Cronaca Senese di Paolo di Tommaso Montauri in RR.ILSS., T.
XV, P. VI, pag. 769, Bologna, 1937.



152 GINO FRANCESCHINI

soccorsi a Guidantonio da Montefeltro ed a Carlo Malatesta da erano
alla sua difesa Ciccolino Michelotti e Berardo da Camerino. Ma tanto
fu l'impeto del primo assalto dei bracceschi sostenuti dalle genti di
Paolo Orsini, che riuscirono a penetrare in alcuni sobborghi. Ne fu-
rono ricacciati; ma si accamparono poco discosto occupando Ponte-
pattoli (1). Nel febbraio tentarono un colpo, di mano su Montone, che
non riuscì (2).

Frattanto la sconfitta del duca d' Angiò e la sua scomparsa dalla
scena politica italiana, doveva. portare un profondo mutamento nel
sistema delle alleanze. Giovanni XXIII, dopo ever sperimentato la
nullità delle armi spirituali contro Ladislao, fu costretto a prendere
in considerazione, assai saggiamente, l’opportunità di un mutamento
di politica verso il re. La consigliavano insistentemente al papa,
Firenze e i suoi alleati ed ancor più la realtà effettuale delle cose; la
consigliavano al re, il peso della lunga guerra, divenuto insopportabile
alle terre soggette e la necessità d’impedire una possibile alleanza tra

(1) Braccio e Giacomo degli Arcipreti indirizzavano da questa località
una lettera ai Priori di Città di Castello che dice: « Magnifici parentes et domini
nostri honorandi, post recomendationem. Filippo de Paulo da Peroscia no-
strò intimo amico e servitore delle S. V. per caso con alcuni compagni avendo :
preso uno pregione in quello de Peroscia, li venne de rietro la caccia et per si-
gurtà recoveraro nel vostro territorio et retornaro ad Castello abbandonato el
pregione in quello de Civitella: per la qual cosa, forse per scarco del vostro
comuno, fu messo in bando lui e i compagni e ad noi non pare che per la dicta
chagione meritasséro essere esbanditi. Et pertanto, como la cosa se sia o ad
ragione o ad torto che siano esbanditi, pregamo le V. S. che ve degniate per
nostra gratia contemplatione e amore, farli rebandire e restituire in pristina
libertà de usare et pratichare la vostra cipta e contado como prima facivano
e loro usare non serà se non con tutto amore delle V. S. Sempre aparecchiati
ai vostri piaceri e servigi. Datum in Pontepactoli die X XVIIJ mensis octubris,
filii et servitores vestri Braccius de' Fortebraciis, Jacobus de Archipresbiteris.
Capitanei » A.S.C.C. Cod. XLII, fol. XX. Anche un'altra letterina inviata da
Giacomo degli Arcipreti agli stessi priori tifernati pel riscatto d'un prigioniero
il 17 novembre di quell'anno, trovasi nello stesso Cod. a fol. IV.

(2) Il 4 febbraio il capitano di Montemiggiano scriveva ai Priori di Città
di Castello: « Maniffici signori miei e otto de la balia. Facciove sapere ier sera
passaro el Tevere presso in bocca del monte, entorno da quaranta chavalli e
andaro a Montone, e più ne sono alla Fratta. Per Ja qual cosa io feci fare nel
monte uno fuoco.acció che le vicinanze estassero en guardia. E oltra questo
vaviso quelli de Migiana mandaro ieri qui doi femmene con una lettera la quale
. ve mando nella lettera interchiusa. Io vaviso fornescho Ia condotta mia a XI di
questo mese. El vostro minimo servidore Nicolò de Jacomo de Buondì in Mon-
temigiano adi IIIJ de febraio ». A.S.C.C. Cod. XLII, fol. IX.

GUIDANTONIO DA MONTEFELTRO GRAN. CONESTABILE DEL REGNO 133

Giovanni XXIII e Sigismondo d'Ungheria, innalzato da poco alla di-
gnità di Re.dei Romani.

D'altro canto la pertinace fedeltà di uomini e città testimonia-
vano quanto salda ancora fosse nell'Italia pontificia la posizione del
re. Non solo Perugia e la maggior parte delle terre dell'Umbria erano
rimaste fedeli a Ladislao; non solo il conte di Celano aveva preferito
riscattarsi a caro prezzo piuttosto che tradire il suo re, ma qui nel-
la alta valle del Tevere il conte Antonio di Sangro aveva preferito
rimanere prigioniero e lasciare a Città di Castello il figlio quale
ostaggio, piuttosto che recuperar la libertà aderendo ai nemici (1).
A rafforzare le posizioni del re s'aggiunse la defezione dello Sforza
che con la maggior parte delle truppe al soldo di Giovanni XXIII,
passò ai servizi del re. Quest'ultimo evento consigliò al papa di avan-
zare i primi sondaggi per una rappacificazione.

Nel giugno un'ambasceria fiorentino-senese si recò a Napoli, la-
trice di proposte di pace: e poco dopo il cardinale Brancaccio a nome
di Giovanni XXIII stipulava col re, presso il monte Circello, la pace
di San Felice (17 giugno 1412). Era presente «il conte da Urbino si-
niscalcho di tutta la sua giente » (2). Non sappiamo se Guidantonio
da Montefeltro prendesse parte all’infausta giornata di Roccasecca;
ma il trovarlo dopo quella giornata quasi sempre a fianco del re, fa
pensare di si. Rimase presso il re per tutto il 1412. Nel gennaio si
rivolgeva a lui l'ambasciatore perugino per averlo patrocinatore delle
richieste della sua città presso il sovrano; nella primavera partecipa
alle pratiche di pace e nel settembre prese parte alle manifestazioni
di lutto per la morte della regina madre (3).

La pace segnava una svolta nelle vicende politiche dell’Italia cen-
trale e l’inizio del graduale distacco del Gran Conestabile dal suo re.
Per le clausole della pace infatti il 17 giugno il conte Guidantonio
stipulava una condotta ai servigi della Chiesa e di Giovanni XXIII.
Pochi giorni dopo il papa commetteva a Francesco priore della ca-
nonica di Gubbio, di assolvere il conte Guidantonio, i suoi seguaci ed
aderenti e gli abitanti delle terre a lui soggette, da ogni censura in

(1) Vedi la lettera di Ladislao ai Priori di Città di Castello riprodotta in
Appendice. L’originale della lettera è sequaparos dal Cod. ed al suo luogo v'é
una copia assai tarda.

(2) Cronaca di Bindino, inis. pag. 187 e 197, Per la pace di San Felice
vedi Pietro FEDELE. I capitoli della pace fra Re Ladislao e Giovanni X XIII in
Arch. Stor. Napol., 1905.

(3) CurToLo, II, pag. 199. Cronaca di Brindino, pag. 215.







134 GINO FRANCESCHINI

cui fossero incorsi per aver aderito ad Angelo Correr, che indebita-
mente si faceva chiamare papa Gregorio XII. E qualche tempo dopo
in tutte le terre del conte fu pubblicato « quod prestetur obedientia
domino Johanni XXIII tamquam vero et unico pastori Ecclesie
et summo pontifici et quod sic in istrumentis instituatur per tabel-
liones et alios » (1).

Il papa dal canto suo, cercava cautamente ogni via per distac-
care il conte Guidantonio dal re, e si serviva all'uopo dell'opera del
nuovo Re dei Romani. Fin dal maggio 1411, Sigismondo, che da poco
era stato elevato all'altissima dignità, avendo avuto sentore forse dei
dissapori ch'erano stati fra il Gran Conestabile e il re, a proposito del-
l'impresa di Romagna, aveva mandato due suoi cappellani, Otta-
viano di San Severino (Archidiaconus Zemliensis in ecclesia Argen-
tinensis) e Giovanni preposto delle Cinque Chiese a Guidantonio da
Montefeltro, per promuovere una filiale intensa di lui con Giovanni
XXIII, e contemporaneamente comunicava al papa il passo compiuto
presso il conte d'Urbino (2). Ora riprendeva con piü istanza la pra-
tica, considerando che le terre del conte erano la posizione piü ido-
nea per minacciare Carlo Malatesta, ultimo sostenitore di Gregorio
XII. Il 6 agosto Giovanni XXIII inviava una lettera al conte Gui-
dantonio nella quale gli annunciava il prossimo arrivo del preposto
Giovanni di Pécs latore di alcune lettere con le quali Sigismondo gli
raccomandava di ubbidire alla Chiesa ed a Giovanni XXIII legittimo
capo di essa (3).

La pace tra il papa e Ladislao riposava su troppo labili fonda-
menta. Ladislao conservava bensi i propugnacoli avanzati delle Mar-
che e dell'Umbria a presidio del regno: conservava per dieci anni Fermo,

(1) L'originale della condotta di Guidantonio da Montefeltro ai servizi
di Giov. XXIII é in Bibl. Oliveriana di Pesaro. Inv. Ms. n. 376. Tomo 59, f. 81-84
La bolla col mandato d'assoluzione Ivi. Inv. Ms. 443. Repertorio di Scritture
dell'Archivio ducale, f. IV-V, v. e r. Assegnata erroneamente al 1413. La do-
menica 25 settembre 1412 nel Consiglio generale dei Cento di Assisi al quale
partecipano ser Nicoló Luni e Antonio di Sburagliato oratori del Comune di
ritorno «ab exelso domino Guidantonio comiti Montisferetri item vicario ci-
vitatis et Comunis Assisii pro Sancta Romana Ecclesia », fu pubblicato quanto
s'é riferito nel testo. Vedi ARNALDO FORTINI, Assisi nel Medioevo. Roma, 1940,
pag. 435. E

(2) Maggio 1411 da Kaschau, v. H. FrNKE, Acía concilii Constanciensis,
vol. I, pag. 101, senza data, ch'é posta invece nei Regesta Imperii, XL, vol. II,
pag. 433, doc., n. 12227-28.

(3) CuToLo, II, pag. 202.

x

GUIDANTONIO DA MONTEFELTRO GRAN CONESTABILE DEL REGNO 135

Ascoli, Perugia e Assisi, oltre che le fortezze minori, e il papa s'im-
pegnava ad ostacolare ogni intrappresa del nuovo re dei Romani ri-
volta contro il regno di Napoli. Ma l’accresciuta potenza di Ladislao
nella penisola, doveva necessariamente determinare uno schieramento
di forze che ristabilisse l'equilibrio, e questo schieramento non po-
teva nou far capo a Giovanni XXIII e dietro lui all'imperatore desi-
gnato, ora che Luigi d'Angió non c'era piü.

A questo aggiungi che l’insuccesso del Concilio, convocato a Roma
nel dicembre del 1412, tolse tanto prestigio a Giovanni XXIII quanto
ne dette al nuovo re dei Romani, il quale sembrava ormai il solo che
come « defensor Ecclesiae » potesse invitare le singole obbedienze ad
un Concilio ecumenico, ond’avviare la questione dello scisma ad una
soluzione supernazionale. Il cresciuto prestigio del re dei Romani
spinse Giovanni XXIII ad accostarsi a lui e, prevedendo la pronta
reazione di Ladislao, prese l’iniziativa, tentando di staccare definiti-
vamente il conte d’Urbino dal re.

Il 13 gennaio 1413, auspice il papa si stringeva un patto tra Gui-
dantonio da Montefeltro e Paolo Orsini pel quale il capitano pontifi-
cio avrebbe avuto ricetto e soccorso nelle terre del conte, nella guerra
che doveva intrapprendere contro i Malatesti patroni di Gregorio XII.
L’Orsini mosse con le sue genti da Roma ed occupò, ai danni di Carlo
Malatesta, Sassoferrato. Il re gli spedì contro lo Sforza. Questi venne
a Perugia a compiere i preparativi e in aprile mosse verso le Marche (1)

Quando Ladislao s'accorse del nuovo atteggiamento assunto dal
pontefice, mosse fulmineamente su Roma dalla quale Giovanni XXIII
fuggì dirigendosi verso Firenze. Entrato l’8 giugno in Roma, prese
severe misure e portò con se prigionieri a Napoli tutti quei nobili che
erano saspetti d'essere infidi. « Molti che vengono da Roma — dice un
informatore tifernate — dicono ch'el Re s'é partito per mare et
é andato a Napoli e seco à menati gram quantità di romani,

(1) CuroLo, II, pag. 209. Un accenno alla presenza delle genti dello
Sforza a Montone e a Umbertide si coglie in una lettera che un certo Andrea de
Gavaduccio capitano a Montecastelli, indirizzava ai Priori di Città di Castello.
Essa dice: « Magnifici Signori miei. Como la S. V. en informata quando me
mandaste a Montecastelli, voi me diceste ch'io tornasse lunedi passato per li
denari e fesse aconciare la guardia. A cagione che le brigate de Sforzo non sono
partite da Montone né dalla Fratta io non tornai e per questo non me ne dé
nociare. Prego la S. V. darme licentia ch'io venga per li denare del mio sal-
laro, ecc. Qui sono tanti soldati ch'el castello ene ben guardato. Andrea de
Gavaduccio capitano in Montecastelli adi IIIJ Aprile ». A.S.C.C., Cod. XLII,
fol. 63.

196 5x: . M GINO. FRANCESCHINI

cittadini e baroni, e à fatti fare gram quantità di ferri da tenere
prigioni» (1). E linformatore soggiungeva: «Le cose sue de qua
sonno molto alentate ed a Firenze si fanno gram provedimenti e la
Legha è conchiusa col papa e cò sanesi ».

| Firenze infatti, dopo avere esperito ogni via per salvare la pace,
ponendosi come arbitra (compito che gli stessi capitoli della pace
le assegnavano) tra Ladislao e il Papa e tra Ladislao e Sigismondo,
riconosciuti vani i suoi sforzi, dopo la caduta di Roma e la fuga
di Giovanni XXIII, si volse ai preparativi di guerra. Ancora il
3 giugno, in un supremo tentativo, mandava Francesco Torna-
buoni al conte d'Urbino a chiedere che Paolo Orsini con le sue
genti lasciasse il territorio d’ Urbino e si recasse a Roma, perché altri
ostacoli non si frapponessero alla conservazione della pace tra il
re di Napoli e il Papa (2). La notizia della caduta di Roma rese vana
quest'ultima speranza e mise Firenze a capo dei nemici del re.

(1) E il passo d'una lettera indirizzata da Ubaldino Guasconi ai Priori
di Città di Castello, la quale dopo il brano riprodotto e quello che citiamo
appresso prosegue: «... Altro per ora non ho avisare la S. V. la quale Dio
conservi in felice. stato. Presto ai piaceri vostri. Datum in Monte pulitiano
die VII Julii MCCCCXIII. Ubaldino Guasconi podestà e capitano in Monte
pulciano ». A.S.C.C., Cod. XLIV, fol. 142.

(2) CuroLo, I, pag. 400 e II, 209: per «lapsus» dice « duca » d'Urbino.
Accenni ai preparativi fiorentini e al'avvento di Braccio nell'alta valle del
Tevere sono copiosi nei carteggi tifernati. Bartolomeo di Guido e Francesco di
Neri di Senso che andavano ambasciatori a Firenze, giunti ad Arezzo scrivevano
ai loro Priori: «Al nome de Dio em 1413 adi 11 de luglio. Magnifici signori.
Fommo in la città d'Arezzo adi detto ale vinti hore e foccie detto da nostri
citadini, homini degni de fede e servidori de la V. M. S., che senza fallo a tre-
dici o vero a quattordici di questo mese, sulo vostro piano siranno doi miglia
chavalli e molti fanti a piei, per la quale cosa preghiamo la V. S. provvedere
che nostri citadini e contadini recevino meno danno che se po'... Da puoi
che questo ce fo detto noy avemo veduto che tutte le gente d'arme che sono
in Arezzo atendono a far ferare cavalli e mettonse in ponto:e le pp. (papali ?)
brigate che sono a Cortona da cavallo e da pey s'aspettano in questi di de fora

in Arezzo per venire. Per li vostri servidori Bartolomeo di Guido de Pacie e

Francescho di Nieri de Senso in Arezzo adì XI de luglio ». A.S.C.C., Cod. XLIV,
f. CCXXI. Alcuni giorni dopo i Dieci di Balia di Firenze pasa ai agli stessi
. « Magnificis viris Prioribus Populi ac Octo Balie Civitatis Castelli amicis Karis-
simis » la seguente lettera: « Magnifici viri amici Karissimi. Relatione viri
nobilis Tomasii Rainerii de Populanis dilectissimi civis et oratoris nostri a
caritate vestra nuperrime redeuntis accepimus quam benigne quam gratiose
eum excepistis quamve ardenti et sincero affectu et festina provisione votis
nostris annuere decrevistis, pro quibus omnibus uberrimas vobis gratiarum

GUIDANTONIO DA MONTEFELTRO GRAN CONESTABILE DEL REGNO 137

In soccorso del Papa scesero da Bologna, Braccio da Montone e
Paolo Orsini. L’uno, sboccando dalla valle del Savio scese a Pieve
Santo Stefano nell’alta valle tiberina per muovere contro Perugia (1);

rependimus actiones. Et quum Braccius prope diem venturus est ad partes
illas et cum eo Felice Nicholis de Brancaciis civis et. commissarius noster dilec-
tus, quem ut adventum Bracci occeleraret tranüsmisimus, placeat vos, et ro-
gamus.efficaciter, providere ut sine temporis intercapedine ad ipsorum requi-
sitionem pedites deputati si t ad iter accinti. Quamquam (7?) hec superva-
caneum putemus ex relatis per Tomasum memoratum, ne ulla daretur mora,
placuit hec dilectioni vestre rescribere. Datum Florentie die XXVJ Julii
MCCCCXIIJ. Decem Officiales Balie Comunis Feorentie ». Ivi, Eodem Cod.,
Isi ;

(1) Braccio giunse a Pieve Santo Stefano la sera del 27 luglio. Nicoló di
Giovanni Bellacci vicario d'Anghiari per Firenze scriveva quel giorno aiPriori
di Città di Castello, « Magnifici domini etc. Come sa la S. V. secondo sono in-
formato da Galeotto (da Pietramala ?), voi consentiste e concedeste pér
mezzo del vostro ambasciatore avere presti alla bisogna vi sapete fanti tre-
cento, i quali volendo operargli sono advisato da vostri egregi octo dell’arbi-
trio, cum quali spesso per litera delle nuove occorrenti conferisco, che innanzi
un di o due ne rendessi voi e loro informati. Et perché comprendo in questi due
o tre giorni saranno al bisogno, adviso e recordo alla V. S. vi piaccia dare buona
forma che sieno in ordine ed in punto, perché questa sera s’attende Braccio
cum sua brigata alla Pieve Santo Stefano, ed in queste circumstantie. Datum
Anglarii die XXVII iulii MCCCCXIII. Ind. sexta. Nicholaus Johannis Bel-
lacii Vicarius Anglaris etc. ad beneplacita vestra paratus». A.S.C.C., Cod.
XLIII, f. 42. Il giorno dopo lo stesso scriveva agli stessi, accompagnando la
lettera riprodotta alla nota precedente: « Magnifici domini priores nec non spec-
tabiles et Egregi octo balie etc. In questo punto.ho ricevuto.una lettera che ad
voi dirizzano i dieci della Balia di Firenze, la quale cum questa vimando. Ed altre
nuove non ho di là, di che avisare vi possa. Braccio adloggia questa mattina
in sü confini qui d'Anghiari et questo di attenderó ad esser cum lui e.col com-
missario e con questi altri capitani e prenderemo forma che un di innanzi come

"scrivete ad avere fornita la faccenda sarete advisati. Alla parte delle brigate
del paese, veggo quanto dite e al detto mandai la vostra originale ad ció che
| pienamente rimanesse advisato, pregandovi che per lo innanzi, come per adire-
tro avete facto, dare buona forma e sollecitudine ad sentire qualunque bri-
gata o fosse per passare o passasse di qua. Intorno al lago dite non sentite bri-
gate vi sia, che sentendolo vi piaccia advisarne et simile di tucto faró io ad -
voi. Alla parte delle brigate de! campo regio et simile del Palazzo, intendo quan-
to dite: è vero che qui ier sera arrivò uno trombetto di Sforza (segue il brano ri-
prodotto più innanzi nel testo). Ala parte del vicario a Lamole ò visto quanto
dite, e intorno a quello allui ne bisogna, ò scripto a Galeotto ne facci opera ad
Orbino et al presente per una persona li scrivo e glie lo ricordo. Altro per ora
non occorre. Paratum etc. Datum in Castro Anglaris die XXVIII Julii de
matina. Nicholaus Johannis Bellacci vicarius Anglaris ». A.S.C.C., Cod. XLIII,
fol. 129.





138 GINO FRANCESCHINI

l’altro che fin dai primi di febbraio operava nelle Marche contro i
Malatesti, costretto dallo Sforza ad abbandonare Sassoferrato, s'era
rinchiuso in Roccacontrada (Arcevia), aspettando che l’aiuto diBrac-
cio gli consentisse d’uscire e di muovere insieme contro il re. E sic-
come l’Orsini disponeva del grosso delle forze pontificie, il re mandò
pressoché tutte le genti, che aveva in Umbria, all’assedio di Rocca-
contrada ond’impedire che l’Orsini potesse accorrere alla difesa di
Roma (1).

Braccio, dopo essersi riposato il 28 nel fertile piano tra Borgo San
Sepolcro e Città di Castello (2), il 29 mosse contro il suo natio Mon-
tone e la mattina del 30 giorno di domenica quasi di sorpresa v'entra-
va trionfante, vent'anni dopo che n'era stato cacciato in bando. Esul-
tante comunicava egli stesso la notizia ai Priori di Città di Castello.
« Perché só certo la S. V. é desiderosa savere cose nove et spetialmente
de le cose me seguitano prospere, ad gaudium notifico vobis che que-

(1) Secondo Bindino da Travale Ladislao mandó all'assedio di Rocca-
contrada il Conte d'Urbino, Ciccolino Michelotti, lo Sforza, il nepote del Mo-
starda, il conte di Carrara, Lodovico Tarlati da Pietramala e Malatesta da
Pesaro. Vedi Cronica cit., pag. 231.

(2) Un certo Onofrio non meglio specificato scriveva il 28 luglio 1413
« Magnificis Potentibus dominis Prioribus Populi et Octo al arbitrio Civi-
tatis Castelli, dominis suis: Magnifici Signori miei. Jo so stato con Braccio, et
ame veduto molto volentieri, che è alogiato in quello del Borgo, al palazzo de
San Nando. Quello m’à resposto ve avisarò... Pregave voi voliate mandare
uno a Peroscia a Niccolò de l'andamento. ... del Malacarne e del Tartaglia...
cò suoi e con Tomasso. Dicieme voi fareste bene provedere questi capitani
de vino e de quello ve paresse. É veneno con lo conte. Io me ne vo con lo conte
Piero ad Anghiari. Dicieme voi faciate acompagnare el trombetta de Paulo
(Orsini) dua esso ve dirà. Secondo seguirà ve avisarò. Lorenzo da Codignola l'é
alogiato qui presso a Braccio: non siamo ancho stati a lui. Altro al presente
non dicho. Racomandomi ale Signorie Vostre. Per lo vostro Nofrio in lo campo
de Braccio al palazzo de San Nando adi 28 de luglio ». A.S.C.C., Cod. XLV,
f. 93. Il commissario fiorentino Felice Brancacci lo stesso giorno scriveva agli
stessi priori: « Per alchuna buona e utile chagione magnifici Priori ci sarebbe
de necessità sentire nuove partichularmente dove e chome e quanti sono la
gente dell'arme che sono in circha Perugia, cioó messer Malacharne e Tartaglia
e quello che fano. E avendo in Voi singulare fidanza confidamo piü e meglio
da voi essere informati e avisati chon sichurtà. Vi daremo questa fatica pre-
chando che prestamente quanto potete mandate là in quel modo e tal persona
che prestamente e bene de tutto vi renda bene avisati e, chome né avete nuove,
subito né avisate quanto a Braccio, come senz'altro achade del presente. Apa-
rechiato ad ogni chosa a voi grata. Data in campo nel tereno del Borgho adi
XXVIII di luglio 1413. Felice Branchacci chomessario di detta terra ». Ivi,
f. 101.

GUIDANTONIO DA MONTEFELTRO GRAN CONESTABILE DEL REGNO 139

sta mane a terza aggio avuto Montone... Et perché se tene ancora la
rocha ve prego cum grandissima sigurtà ve piaccia prestarme doi
bombarde che gettino da le X a le XV libbre con XX pietre e cuconi
e polvere. E perché so mal fornito vi prego vi piaccia mandarmele si a
bona hora che siano qui al levare del sole » (1).

Occupato Montone, Braccio proseguì celermente per Roccacon-
trada ove giunse il 6 agosto (2). Alle sorti di questa fortezza, ov'era
rinchiuso l'Orsini, s'appuntava ormai l'interesse di tutta quanta
l'Italia. Il re, che muovendo fulmineamente su Roma, aveva sperato
d’impadronirsi dalla persona del papa per tenerlo sotto la sua vigi-
lanza, ora che gli era sfuggito, mirava a privarlo d'ogni forza mili-
tare e gli sembrava che ove avesse catturato l'Orsini (poiché la com-
pagnia di Braccio era un organismo ancora relativamente modesto)
avrebbe raggiunto l’intento. Le forze di cui disponeva l’imperatore,

(1) Sono due brevissime lettere di Braccio spedite una dopo l’altra ai
Priori di Città di Castello. La prima si apre con « Magnifici tamquam patres
ed domini miei » e dopo le parole « aggio avuto Montone » si chiude con « Datum
in Castris Montonij penultimo Julii. Vester Braccius de Fortebraccis etc ».
La seconda, dopo la formula sopra riferita, incomincia: « Oggi avisai le S. V.
commo era intrato » e segue poi il testo riprodotto cui segue la firma come so-
pra senza datazione né topica né cronologica, come se fosse il seguito della
prima. D'altra mano coeva invece è annotato in calce: « presentata de lune
ultima Julii post tertiam horam » ad indicare il perché del ritardo delle bom-
barde. A.S.C.C. Cod. XLII, fol. 64, e fol. 5; come si vede collocate a caso. Non
il 27 luglio, come dice ARIODANTE FABRETTI, ma il 30 Braccio espugnò Mon-
tone. Vedi l’errore ripetuto in G. MAGHERINI GRAZIANI, Investitura di Montone
a favore dei Fortebracci in questo Bollettino, anno III (1897), pagg. 383-84.

(2) L’eco delle dicerie che, occupato Montone, Braccio avrebbe ripreso
il cammino né si sapeva per dove, si ha in una lettera di Marco della Torre
da Fano vicario per i Signori Malatesti a Borgo San Sepolcro, indirizzata ai
Priori di Città di Castello. Essa dice «Magnifici et potenti signori miei - Quando
io venni qui al Borgo ei miei Signori Malatesti me comandóno che en specialità
cum le vostre Signorie dovessi ben vicinare et tractare gli amici vostri come
quegli del Borgo proprio; e cosi so’ desposto de fare. Et perché qua se dice che
queste brigate debbono tornare indietro e che Brazzo ha havuto Montone da
Perugini... Ve piaccia de dignarve de avisarme del tucto, ch’el simile farrò
sempre a voi, e mai de qui haveriti cosa che ve rinchrescha. E perché dubitiamo
pur de Brazzo, benché sò certo per vostro terreno non verria che ce fesse dapno,
per questa caxione mando ala Vostre Signorie, ale quale sempre me recomando:
e quando per me se posesse fare cosa niuna de vostro piacere piaciave coman-
darme che sempre ve obedirò. El vostro servidore Marcho de la Torre de Fano
Vicario e luogotenente al Borgo etc. Ubi ultima Julii VI Jndictione ». A.S.C.C.,
Cod. XLCV, fol. 106.



140 r ; GINO FRANCESCHINI

ch'era già nella valle padana, non erano tali da consentirgli d'intra-
prendere una campagna contro Ladislao; Firenze s'era volta agli
apprestamenti militari troppo tardi, mentre il re disponeva ai primi
di luglio di quasi tutte le forze militari ch'erano in Italia.

È bensì vero, si diceva che alcuni capitani del re erano incerti
tra gli antichi obblighi che avevano avuto con lui ed i nuovi che, lui
auspice, avevano contratto, dopo la pace, col pontefice. Tanto piü
| serie queste incertezze in quanti erano vassalli dalla Chiesa, ora che a
dar vigore di legittimità agli impegni da essi assunti con Giovanni
XXIII interveniva lo stesso re dei Romani, presente nella Penisola,
Quegli che si trovava nella posizione più diflicile era indubbiamente
il conte d’Urbino, ch'era pur sempre Gran Conestabile del Regno di
Sicilia. Il suo problema era all’incirca questo: mantenersi fedele a
quell’alta dignità, che a più riprese il re aveva considerato come una
semplice lustra senz'alcun contenuto, o ai precisi impegni assunti con
la condotta contratta col pontefice ?

Quando, verso la metà di maggio, il re gl'ingiunse di muovere
con tutte le forze che aveva ai suoi ordini contro la Roccacontrada
per impedire all'Orsini ogni scampo, sebbene la guerra fosse già in
atto, il contegno di Firenze che esercitava ancora il suo arbitrato e
dimostrava col suo contegno che la situazione anormale non era an-
cora la guerra, lo autorizzava, attenendosi a questa interpretazione,
ad ubbidire mantenendosi nella legalità. Il re poi, dandogli come a
Gran Conestabile il comando supremo di tutte le sue genti, lo mise sul
punto d'onore di rimanergli fedele (1); ma scoppiata la guerra si
videro le prime incertezze. Il 26 luglio i Fiorentini comunicavano ai
loro alleati di avere assoldato « capitaneos novos... Malatestam de
Malatestis pensauriensem ac comitem Urbinatem et alios, qui para-
tiores haberi potuerunt cum copiis numerosis » (2). Tuttavia il con-
tegno del conte d’Urbino rimaneva incerto, dicendo egli che essendosi
nei capitoli della condotta stipulata col pontefice «eccettuato il ri-
spetto delli signori Malatesti, non intendeva eseguire quanto gli era
imposto (soccorrere Paolo Orsini e provvedere al suo scampo) per

(1) Binpino, nel cap. CCL della sua Cronica narra appunto « Come lo
re Vinzilau mandó un messo al chonte da Urbino ched era a oste a la* Rocca-
contradia, che v'era assediato Paolo Orsini drento, che la fusse ben ghuardata,
che giente non v'entrasse né uscisse ». Prima ha dato l'elenco delle genti e dei
capitani, che Ladislao aveva messo agl'ordini del Gran Conestabile, p. 231.

(2) R. VALENTINI, Braccio da Montone e il comune di Orvieto, pag. 85.

GUIDANTONIO DA MONTEFELTRO GRAN CONESTABILE DEL REGNO 141

non rompere la pace, che detti signori Malatesti avevano stabilito |
col padre » suo Antonio fin dal 1393.

A rimuovere il conte da questi propositi, il 5 agosto l'Imperatore
designato gli comandava di ubbidire a Giovanni XXIII « come a vero
e unico et indubitato pontefice » e questi a sua volta gl’imponeva.
« che secondo li capitoli passati tra loro » andasse ad aiutare «il Signor
Paolo Ursino capitano d’alcune genti della Chiesa presso la Rocca-
contrada et quei contorni, non lasciando di eseguire ciò sottopretesto
studioso... perché il suddetto Signor Paolo prometteva non mole-
stare con le sue genti i Signori Malatesti e loro giurisdizioni e luoghi »
come anche gli prometteva egli stesso. Soggiungeva inoltre che
avendo inteso che era stato creato alcuni anni innanzi Gran Cone-
stabile dal Re di Sicilia, nemico di Santa Chiesa, faceva cosa non
conveniente ad un fedele della Chiesa conservando quel titolo, e gli
imponeva sotto pena di scomunica e della privazione di tutti i beni
e dignità concessigli, di rinunziare ipso facto a quella dignità, e per
far ciò, se fosse bisognato, lo dispensava da ogni promessa (1). Da
questo momento il conte d'Urbino cessò d’essere conestabile del Re-
gno: non si servi piü di quel titolo e dimise di fatto quell'alta dignità
e si accostó alla coalizione antidurazzesca che faceva capo a Firenze,
Siena e Giovanni XXIII.

Intanto l’assedio intorno a Rocca-Contrada durava da più di
tre mesi. Nicolò Bellacci scrivendo ai Priori tifernati dava notizia di
successi delle truppe del re dicendo: « . . . Ier sera (27 luglio) arrivò qui
(ad Anghiari) uno trombetto di Sforza che va ad Firenze cum lic-
tere ai Signori. Et io perché non si vada suolazzando e vedendo que-
ste genti dell’arme (braccesche) l’ò tenuto qui in casa: il quale dice
che martedì passato (era il 25 luglio) ad hore venti fu che il campo
entrò in Palazzo a pacti salvo l’avere e le persone » (2).

(1) Pesaro — Bibl. Oliveriana. Inventario dei ms. n. 443. Repertorio di
Scritture dell’ Archivio ducale, f. XC v. Il diploma imperiale è nel Repertorio
a f. XCV: ne riferiamo il regesto: «5 agosto 1413. Comandamento fatto da Sigi-
smondo Imperatore e Re d'Ungheria per lettera al conte Guido Antonio da
Montefeltro pel suo ambasciatore Giovanni preposto delle Cinque Chiese resi-
dente in Roma, perché secondo ció che desiderava d'intendere e sapere il sud-
detto Conte Guidantonio nei capitoli di confederazione e lega stretti con Papa
Giovanni XXIII potesse, anzi dovesse in ogni modo si come gli comandava, di
aiutare il detto pontefice come vero e unico e indubitato pontefice, persegui-
tando gli nemici emuli e scismatici di Santa Chiesa ».

(2) È il brano della lettera riprodotta alla nota 1 a pag. 28.







142 GINO FRANCESCHINI

Il 6 agosto fulminea si sparse la notizia che Paolo Orsini era riu-
scito a fuggire da Roccacontrada e s’era rifugiato ad Urbino. Il 7 un
corriere portò a Marino Cossa, nepote di Giovanni XXIII, e gover-
natore di Spoleto una lettera di Guidantonio da Montefeltro nella
quale si diceva come « novamente era giunto Braccio da Montone e
altri caporali con grossa gente alla Roccacontrada e che aveva assal-
tato il campo che teneva assediato Paolo Orsini per siffatto modo,
che tutta la gente era corsa in quella parte e allora Paolo Orsini con
tutti i suoi compagni ed arnesi era uscito e s’era rifugiato nelle sue
terre, soggiungendo il detto conte ch’egli aveva rivolto ogni suo vo-
lere contro il re e contro i Malatesti. Per questa notizia furono fatti
a Spoleto grandi falò » (1).

Il pontefice, esultante per la prova di fedeltà datagli dal conte
d’Urbino, volle dargli un segno tangibile della sua paterna benevo-
lenza. Mentre già il 1° agosto, per guadagnarsene l’animo e indurlo
all’obbedienza, confermava due capitoli concordati con longanimità
da un commissario pontificio e riguardanti pagamenti di ceusi arre-
trati, ora anche a compensar!o dalla perdita di Forlimpopoli ritoltagli
da Giorgio Ordelaffi fautore dei Malatesti e di Gregorio XII (2), gli
concedeva l’investitura della città di Forli con sue ville, terre e ca-
stelli, per se pei figli e i nepoti nati e da nascere, sino alla terza gene-
razione, contro il pagamento del censo di mille fiorini annui e con l’ob-
bligo di giurare fedeltà in forma consueta e con l’esplicito giuramento
d’essere contrario ad Angelo Correr cardinale che si fa chiamare Gre-
gorio XII ed a Pietro de Luna che si fa chiamare Benedetto XIII (3).
Questa donazione era destinata a rimanere sulla carta perché il conte
Guidantonio avrebbe dovuto conquistare quella città tenuta dai
fautori di Gregorio XII; ma la coalizione Malatesti, Ordelaffi e Man-
fredi era in Romagna troppo più forte di lui.

(1) G. A. CAMPANO, op. cit., ed. Valentini, pag. 68. La Cronachetta ed.
dal Baccini cit. alla data del 6 agosto 1413 — dice: « Paulo Ursino fugì da la
rocca contrata et venne a Urbino non ostante che li signori Malatesti erano a
campo contro di lui ».

(2) GIovANNI DI M°. PEDRINO DEPINTORE, Cronica, vol. I, pagg. 48-49,.
Roma 1929, Chronicon Fratris Hieronimi de Forlivio — a cura di A. Pasini —
RR.ILSS.? Tomo XIX P. v. fasc. unico pag. 22. La nota dell'ed. dice che il
conte Guidantonio asseriva che nel cooperare all'acquisto di Forlimpopoli per
Giorgio Ordelaffi aveva incontrato delle spese, delle quali voleva essere rim-
borsato. Forlimpopoli era stato tolto alle genti del card. Cossa.

(3) San Leo Arch. Comunale. Gro BATTISTA MARINI, Raccolta di memorie
del Montefeltro, ms. sec. xvin, vol. III, pag. 49.

GUIDANTONIO DA MONTEFELTRO GRAN CONESTABILE DEL REGNO 143

La condotta del conte d’Urbino giuridicamente forse ineccepi-
bile, fu allora da tutti giudicata come un tradimento, compiuto « per
denari che i Fiorentini derono al detto conte d’Urbino, che n’ebbe
buona quantità, e anco dei Sanesi ne pagarono più che 5 mila fiorini,
el quale conte d’Urbino era al soldo di re Lanzilago » (1). E il giu-
dizio di tradimento è fondato su quest’ultima asserzione ch'è, come
abbian veduto, erronea.

Quando tra il maggio e il giugno, del 1414 corsero tra Firenze e
Ladislao proposte e controproposte di pace, Torello dei Torelli ed
Angelo dei Filippi che per la Signoria fiorentina risiedevano in Peru-
gia e conducevano, attraverso Gabriele Brunelleschi le pratiche di
pace col re, chiesero che nel trattato fosse compreso il conte d’Urbino
e quanti potevano temere la vendetta del re (2). Nel trattato in-
fatti del 22 giugno «dominus Guidantonius comes Montisferetri » è
compreso tra i raccomandati ed aderenti di Firenze; mentre tra i
raccomandati del re attraverso i signori Malatesti sono il conte Gio-
vanni di Carpegna coi suoi fratelli, Bisaccione da Piagnano e i figli,
Galeotto, Bartolomeo e Alberico dei Brancaleoni, Tommaso Chia-
velli di Fabriano, Francesco, Atto e Carlo figli di Gioacchino degli
Atti di Sassoferrato, Francesco di Montevecchio conte di Mirabello,
la terra di Macerata Feltria e i nobili di Certaldo (3).

Quando il 6 agosto di quell’anno Ladislao morì, Guidantonio da
Montefeltro poteva far sue le parole del vecchio giurisperito fioren-
tino Filippo Corsini, il quale « dixit et consuluit, quod gratias omni-
potenti Deo referre debemus de obitu Regis, quia nos liberavit a su-
spicione » (4).

Coi signori Malatesti il conte d'Urbino non aveva bisogno di
rappacificarsi, perché mai, sebbene appartenessero a diversa obbe-
dienza papale, aveva aperto contro di loro le ostilità. E le relazioni
cordiali sono testimoniate da quelle cavalleresche cortesie, alle quali
Guidantonio prese parte, quando nel novembre del '13 «el signor
Carlo di Malatesti fé fare in Arimino grandissima festa per lo nevodo

(1) Cronaca Senese di PAoLo pi TowMAso MONTAURI. RILDESS.. T.
XV, P. VI, fas. 9, pag. 776. GirovANNI SERCAMBI, Cronache, ed. Bongi, vol.
III, pag. 208. 3

(2) CuroLo, I, pag. 421; II pag. 218.

(3) CuroLo, II, pagg. 226-27; per quella parte almeno che concerne gli
aderenti e raccomandati dei signori Malatesti si desidererebbe una lettura più
corretta del testo. ; ;

(4) CutoLo, II, pag. 231.



144 È GINO FRANCESCHINI

che menó mogliere ». In quell'occasione, dice un anonimo «fo fatto
grande zostre e torniamente su la piaca del foro, cum multa solare
intorno, dove staxea signor e valente omine che vedea e dame a oltra
mesura; ancho li staxea zente a dare prexo de cue se portava meglo.

Ma il signor Carlo se porto maravigloxamente a la zostra, e pure
Zohanne da Sasadello abe el prexio de la zostra da una parte, da l'altra
el conte d'Orbino » (1).

Abbandonando il servizio e l'alleanza del Re, Guidantonio da
Montefeltro non ha certo dubitato che dal punto di vista giuridico la
sua condotta fosse men che corretta e tale da non potergli venire
rimproverata da chi fosse a conoscenza dei termini della questione.
E se adaltri questa correttezza formale, poteva forse parere spregiudi- :
catezza, bisogna riconoscere ch'essa conteneva un implicito giudizio
politico sulla nuova situazioae del Re, che faceva onore alla chiaroveg-
genza del conte d'Urbino.

Era evidente che la posizione di Ladislao nell'Italia centrale
non presentava piü nel 1414 quelle possibilità di sviluppo che aveva
avuto cinque anni prima. E se (Gregorio XII, in seguito all'abban-
dono del Re, era papa soltanto in alcune diocesi della Romagna e
della Venezia; se l’autorità di Giovanni XXIII aveva anch’essa subito
dopo il fallimento del Concilio Romano un grave tracollo; se la con-
tradittoria condotta del Re nella questione dello scisma aveva con-
tribuito a scuotere l’autorità dell’uno e dell’altro papa italiano, assai
piü profondamente aveva vulnerato sé stessa, perdendo l'appoggio
dei fedeli dell'una e dell'altra obbedienza. All'opposto tutte le con-
giunture politiche e religiose del momento si rivelavano propizie al-
l'intervento del nuovo Re dei Romani, e a questo nuovo astro sor-
gente si rivolgevano le speranze di tutta Europa. Nell’abbandonare
le fortune del Re e nel volgersi verso l'Imperatore designato, Guidan-
tonio da Montefeltro vide giusto o gli eventi gli dettero ragione.

Le operazioni militari del 1414, non ostante il successo dell’occu-
pazione di Roma, rivelavano che l’azione del Re era in un vicolo
cieco. Era evidente che egli non avrebbe potuto rimanere a lungo su
le posizioni avanzate dell'Umbria e delle Marche tenendosi su le di-
fese, ora che la possibile soluzione dello Scisma era passata in altre

(1) GIrovaNNI DI M°. PEDRINO, cit., I, pag. 47.

GUIDANTONIO DA MONTEFELTRO GRAN CONESTABILE DEL REGNO 145

mani. La stessa pace con Firenze rivelava il declino dell’iniziativa
del Re e confermava l’esattezza delle previsioni del conte d'Urbino.
AI quale la sorte, per l'improvvisa morte di Ladislao, fini di dare al
tutto ragione.

In tali circostanze, per assicurare ancora al suo Stato quella pre-
minenza che fia dalle origini della casa dei Montefeltro godeva in
mezzo alle minori Signorie marchigiane, nonu v'era altra via, nel col-
lasso in cui si trovava ancora la potenza viscontea, che ricondurlo
nell'orbita della politica fiorentina e conservarlo nell'obbedienza di
Giovanni XXIII e del nuovo Re dei Romani. E a questo partito sag-
giamente s'attenne Guidantonio da Montefeltro.

Gino FRANCESCHINI



GINO FRANCESCRINI

APPENDICE

1408 novembre 10, Napoli.

Il re Ladislao concede a Guidantonio da Montefeltro di poter estrarre dalle terre
d’ Abruzzo o di Puglia mille salme di frumento col pagamento del solo da-
zio dovuto alla camera regia. (A.S.N., Cancelleria Angioina — Reg. n. 364

.. (1398), f. 104-5 — Originale).

Pro domino comite Urbini etc.

Ladislaus rex etc. Loysio de Fano de Neapoli magistro portulano et
procuratori parcium utriusque aprucii vel eius locumtenenti nec non iudici
. Angelo de Urso de Gayeta iurisperito et Francisco de Superalto de Neapoli
secretaris et magistris tractarum utriusque aprutii familiaribus, magistris
quoque iuratis, commissariis et personis aliis statutis per nostram curiam in
singulis terris et locis maritimis parcium dicti utriusque aprucii super prohi-
bicione tractarum frumenti et aliorum victualium quorumcumque presentes
licteras inspecturis fidelibus nostris dilectis gratiam et bonam voluntatem.

Ad amabilium precum instantiam nobis noviter porrectarum pro parte
magnifici domini Guidonis Antonii Montis Feltri et Urbini comitis, amici
nostri carissimi, volumus et fidelitati vestre de certa nostra scientia harum
serie mandamus expresse quatenus vos predicti magistri portulani et procu-
ratores vel locumtenens ac secretari et magistri stratarum utriusque Aprucii
aut alter vel alii vestrum ad quem vel quos spectaverit, nuncium seu pro-
curatorem dicti comitis presentes vobis aut alteri vel aliis vestrum licteras
assignantem extrahere seu extrahi facere de portubus seu maritimis parcium
dicti utriusque Aprucii licitis et permissis et ad extradictionem victualium
deputatis, frumenti salmas mille ad generalem Regni mensuram de thumulis
scilicet octo per salmam ferendas abinde per mare extra Regnum cum vaso
seu vasis competentibus ad civitates Pensauri et Fani parcium Marchie An-
conitanae vel alteram ipsarum et abinde per terram ad terras et loca dicti
comitis et exonerandas ibidem pro usu domini comitis et vassallorum suo-
rum prout ad vos spectaverit vigore presencium permictatis et recipiatis a
dicto procuratore seu nuncio ipsius comitis vos vel alter vestrum cuius seu
quorum intererit ius pro dicta extractione curiam nostram contingens, ad
racionem videlicet de unciis decem et tarenos quindecim pro singulis centum
salmis frumenti iamdicti et pecuniam de qua iure ad curiam nostram defe-
ratis seu mictatis nostris inibi thesaurariis assignandam seu de illa faciatis
prout vobis dederimus in mandatis, solutaque per eum vobis vel alteri ve-
strum iure predicto nullum aliud ius exiture tareni et vicesime nec aliud
quodcumque ius quod propterea nostre curie deberetur a dicto procuratore

GUIDANTONIO DA MONTEFELTRO GRAN CONESTABILE DEL REGNO 147

seu nuncio ipsius comitis petere vel exigere quomodolibet presumatis loco
in fideiussione prestari solito ab extrahendo frumentum et victualia extra
regnum de illis videlicet ad loca licita et non alio devehendis responsalibus
ydoneis licteris in certis terminis deferendis excipiatur per vos aut alium
vel alios vestrum ad quem vel quos spectaverunt ab extrahentibus si qui
fuerint in testimonio puplico pro parte nostre curie iuratoria... et fiat inde
puplicum instrumentum proviso tamen actente quod oneracioni dicti fru-
menti portulani statuti intersint ipsumque ad oculum videant ne pretextu
presencium maior dicti frumenti quam que prescribitur quantitas seu prohi-
bita quevis alia alterum in fraudem nostre curie quemlibet extrahantur,
vosque predicti magistri iurati commissarii portulani et persone, nullum in
extracione huiusmodi quocumque pretextu vel causa impedimentum vel
obstaculum inferentes illam fieri libere patiamini ut superius continetur,
quibusumque prohibicionibus licteris, cedulis et mandatis per nos in contra-
riis forte facte sub quibusvis tenoribus sive formis non obstantibus quo-
quomodo presentes autem licteras post oportunam inspectionem earum
copia ipsarum per vos predictos magistros iuratos, commissarios, portulanos
et personas si expedierit in scriptis recepta penes vos magistrum portulanum
et procuratorem vel locumtenentem seu iudicem Angelum et Franciscum
aut alios vestrum qui dictam extractionem fieri fecerit volumus remanere
in vestro computo producendas. Datum Neapoli in camera nostra, anno
domini millesimo CCCCVIIJ die X novembris, secunde indictionis, regno-
rum nostrorum anno XXII.
Ladislaus rex manu propria.

1409, marzo-luglio

Deposizioni rese da alcuni congiurati che disegnavano dare Città di Castello
a Ladislao di Durazzo — (Città di Castello. Arch. Segreto — Busta 10 —
1476 — 1500 — doc. G. n. 34 — originale).

... Anche disse el detto Antonio nel secondo examino che Lippo di Fran-
cescho de Vanni Tarlatino del mese di luglio andó al Borgo secondo ch'elli
disse per certi suoi facti e alora el dicto Antonio gli parló e disse: Se noi fa-
cessimo covelle dei facti nostri a Castello, non saresti tu con noi ? — Respose
elli e disse: — Tu dirai tanto, ch'io di te saró pocho amicho. Che vai tu tutto
di pure novellegiando con mecho ? Lassame istare. E alora el ditto Antogno
disse: — Toccano questi fatti piü a te che a veruno altro e tu il sai. E alora
el ditto Lippo disse: — Quand'elli achadesse io faria ció che bisognasse etc.

Ancho disse el detto Antogno che nel campo del Re sempre istettoro
doi famigli dei figliogli di Bartolomeo da Pietramala cioè Mezzacampana e
' mareschalcho. E dunche andava el campo andavono essi e spessissime







148 GINO FRANCESCHINI

- volte andava l'uno e remaneva l'altro: e vidde il detto Antogno ei decti fa-
migli parlare co lo Re piü e piü volte. E dice ch'essi famigli andarono a Pe-
rusgia e parlarono con lo Re e dice che udi dire che ine a Perusgia erano
facti ei capitoli ei pacti di la concordia intra esso Re ei figlioli di Bartolo-
meo: e tra gli altri patti disse che sapeva de certo che messer Martino con
sue brigate dovea andare a stare nelle terre dei detti figlioli de Bartolomeo
e alor posta e volontà guerregiare in quello di Firenze e sul terreno de la
Cità di Castello e in ogni altro luogo che a loro piacesse, e la detta concordia.
se diceva avevano facto fermamente per mezzo del Gran Conestabile, cioè —
del Conte d'Orbino etc.

Bartolomeo, chiamato il Prete, genero del dicto Antogno examinato etc.
disse che Conte de Peruccelo gli aveva detto che Batista di Vanni di Tarla-
tino era andato a parlare al Borgo e avevali detto essere con Bartolomeo di
Guastalopera esso e ’1 figliolo e Francesco di Vanni di Tarlatino e ser Cione
e Nofrio di Landuccio e Ugolino del Cervelliere e Nicholo d'Ugolino, Fran-
cescho e Domenico, conrere a una de le porte de la cità, la più abile a loro,
e essa porta rompere e spezzare con le scure e altri ferramenti fatti a ció, e
di fore era dato l'ordine che fusse la gente del Re e rotta e aperta la ditta
porta, doveva entrare dentro la detta gente colli usciti di Castello e gridare:
Viva el Re.

Ancho disse che Biasgio de Ser Meo andó al Borgho a siitfitare e pro-
cacciare che gente s'avesse e che se desse ispaccio al dicto trattato e a ciò
che si dovesse fare per li detti usciti. E questo fo quando el Re era a campo :
a la ceppa e le dette chose parló e disse el dicto Biasgio con lo ditto Conte e
con Bartolomeo e con gli altri usciti.

Ancho disse el dicto Prete, che frate Nicholó de l'ordine di Santo Agu-
stino andó al Borgo e parló a Conte e a tutti gli altri usciti dicendo: Io vengo
a recordarve che voi diate ispaccio e sollicitudine se voi dovete mai fare cho-
velle peró che hora è il tempo che i fatti nostri andaranno bene. Che aspettate”
voi oggimai che non ve nasca ? L’ondesgiare è il pigiore. Traitene capo
avaccio.

Anco disse che ser Alberto andò al Borgo e parlò con Antogno fore de
la porta e finalmente andaro a Perusgia amendoi per andare al Re ch’era
a Sanchierecho de Rosena e a Perusgia trovaro l’Ongaro e inde da Perusgia
se partirono l'Ongaro e ser Alberto e andaro a parlare al Re per sollicitare
che i cinquecento fiorini s'avessero per dare a Bartolomeo a ció che se po-
desse dare ispaccio e compimento al dicto tractato e alora Antogno se tornó
al Borgo e doppo pochi di esso Antogno andó a Sartiano a parlare al Re per
sollicitare el spaccio del pagamento dei dicti VEIWOdeNSO fiorini e la venuta
de la gente del Re a Castello.

Ancho agionse nel secondo examino che Guido Rosso de la Cità di Ca-
stello andò più volte al Borgo e parlò con Conte di Peruzolo e cho' gli altri
usciti e dicea che con loro doveva essere a correre la città el figliolo di ser

' GUIDANTONIO DA MONTEFELTRO GRAN CONESTABILE DEL REGNO 149

Buiamonte, Pietro di Cristofano da le galine e uno suo nepote e uno Agnolo
de Renguccio dal Borgo dovea venire qui e esser colloro a ogne cosa: el -
quale Agnolo veniva qui alcuna volta a sollicitare la faccenda e reducevasi
e praticava con quel Pietro de Cristoforo e con essi dovea ancho essere se-
‘condo dice il Prete uno garcone di Jacopo di Gualdo di Nerone il quale elli
vidde venire più volte al Borgo. Più oltre dice non sapere de la decta faccenda.

d

1410, gennaio 22. Urbino.

Guidantonio da Montefeltro al suo oratore presso il re, mandandogli la copia
di una lettera indirizzata allo stesso re, gli raccomanda di sollecitare l'in-
vio di genti e la riparazione dell’offesa fattagli. (A.S.F. Urbino. Cl. I, Div.
‘G. Filza 104, n. 70 — Originale).

Nobis dilecte noster. i
‘A di XV del presente mese scrivimmo a la Maiestà Reale et a vuy più
cose per Domenico da Prato nostro correro el quale pensamo sia venuto a vuy.
Et per quelle ve avisammo particularmente de le cose che ce occurrevano,
. circa le quale cum omne solicitudine et diligentia attendete che di ciò ha-
biamo nostra intentione. Et spetialmente volemo attendiate circa la remo-
tione de la infamia et detractione a noi posta. E a questo non mancate niente
e prestamente ce rescrivete per lo dicto Domenico particularmente quel che
haverete facto. Noi per le cose occurse de qua come vederete havemo deli-
berato mandare Nardello-a li piedi de la Maesta Reale, al quale havemo im-
posto che d’omne cosa conferischa cum vuy et cusi pensamo farà. E però
siate inseme cum luj et solicitate senza mettere algun tempo in mezo la pre-
fata Maestà et li nostri Magnifici padri meser Gorello, Maistro Antonio, meser
Abbatecola et messer Arcthuso et li altri che vederete essere utili a le fa-
cende. A vostro avisamento vi mandamo qui inclusa la copia de la lettera
che scrivimo a la Maestà prefata. E ben li potete recordare et a li altri soi che
‘noi non domandavamo né domandamo brigate per correre né per vache né
per bovi, ma solo per augumentare lo stato de la Maistà Reale. Echo che
havemo rocto: e havendo havuto quel che altre volte havemo domandato,
haviamo modo a rompere sì el capo a li soi adversari che forte li seria stato
| à curarse come sete pienamente informato. Nondimeno pensiamo se la pre-
fata Maistà se facesse. . . [lacerazione] de là et redurli la guerra et mettere el
foco a casa loro. Come pensamo sapiate Forlimpopolo per se medesimo he
sufficiente sempre a sostenere et governare mille cavalli: per Dio solicitate et
non vi curate un poco importunare perché la materia el rechede.
Questi cittadini de S(iena ?) hanno di certo che li fiorentini hanno cassi
tucti li soldati et ufficiali aretini ghelfi et ghibilini ch'erano a li loro servitii:
per la qual cosa ne pregano li racomandiamo a la R. M. se digne darli qual-





150 GINO FRANCESCHINI

che exercitio che possano vincer e cusì volemo li supplichiate e havisatene
presto de la resposta che haverete. Recomandate alla Maestà prefata Mo-
naldo da Sena, qual sa ben essere suo fidelissimo servitore: et noi cusì sem-
pre l'avemo trovato.

Meser Thomaxo da la Gazaia he tornato a Sena richiamato da li Signori
de Sena, quale he stato graciosamente veduto et recevuto da quella comu-
nità et da tucti li citadini in particularità. Pensamo fosse bene la M. R. el
gratificasse secondo el ragionamento et cetera, perché adesso po’ più che
potesse mai.

Urbini XXII Januarii MCCCCX.

Guidantonio Conte de Montefeltro Urbini et cetera.

1410, gennaio 22. Urbino.

Il Gran Conestabile alla Maestà del re Ladislao lagnandosi che pei mancati
soccorsi l'impresa di Romagna non abbia avuto quegli sviluppi che si
potevano ottenere. (A.S.F. Ivi — Copia).

Sacra Maestà,
Io scripsi a questi di a Ser Bartolomeo meo secretario, quale dei esser li
a li pedi de la Maestà Vostra, piü cose le qual penso habia tucte exposte a li

pedi de la Maestà Vostra, e intra l'altre cose fo de' facti de Romagna, che
non possendo io piü sostenere la facenda, deliberai nel nome di Dio, mandarla
a executione. E per lo dicto effecto richesi meser Martin da Faenza et Ro-
dolfo da Camerino che me mandasse Berardo cum quelle più gente d’arme
che possea e zaschuni me dè intentione de venire cum le loro brigate: la qual
cosa intesa me misi in puncto cum questa mia poca brigata de gente d'arme
et cum la brigada da pé, per volerme retrovare inseme cum li predicti a man-
dare a executione la facenda. Et dato il di determinato a li amici cum ferma
speranza de havere queste gente d'arme, de novo solicitai la loro venuta; li
quali me resposero non poter venire, allegando certe cagione, come porrete
vedere per loro lettere, le quale mando per Nardello a la Maestà Vostra. De
che, appressandose el termene dato, deliberai non andare perché non me ve-
dea forte, ma mandai questa mia brigatella de gente d'arme et la brigata da
pé, li quali arivaro sabato a nocte proxima passata a Forlimpopulo et quello
ebbero liberamente et la rocha per forza, la quale he quasi inexpugnabele.
Penso la Vostra Maestà sia informata Forlimpopolo essere da tenere conti-
nuamente meglo che mille cavalli. Quello he seguito vederà la Maestà Vostra
per lettere recevute da loro, le quale vi mando per Nardello supradicto.
Po' vedere la Maestà Vostra che havendo havuto le dicte brigate, le
cose non seriano in questi termini, perché havea piglato modo che Forli seria

GUIDANTONIO DA MONTEFELTRO GRAN CONESTABILE DEL REGNO 151

ogi a la devotione de la Maestà vostra et etiamdio de le altre cose, e pensava
cum le vostre bandiere visitare le porte de Bologna.

Cum omne humile reverentia me doglo cum la Mestà Vostra ch’io Gran
Comestabulo vostro, sia sì malamente hobedito et tractato, le quale cose non
me pare ch’io meriti: né conoscho che non provedendose per la Vostra Mae-
stà per altro modo che sia facto fino al presente, de posserme impaciare né
de cercare alguna cosa, ma habandonare omne ragionamento et pratica
ch'io ho circa lo honore et stato de la Vostra Maestà; per le qual cose mando
Nardello de Mongrana, meo compagno, a li pedi de la Vostra Maestà, infor-
mato a pieno de mia intentione. Degnese la Vostra Maestà udirlo et darli
piena fé come a la mia propria persona et presta expedictione, perch’el tempo
non pate longheza, come porrà vedere la vostra Maestà, a la quale cum omne
humile reverentia me recomando. Urbini XXII Januarii MCCCCX.

Magnus Comestabulus Regni Sicilie et cetera.

1411, gennaio 5. Firenze.

Cristiano de’ Gulfucci informa i Priori che i capitoli della pace fra Ladislao
e Firenze sono stati firmati ma non vi è contemplata la restituzione dei
luoghi tolti a Castello. (A.S.C.C. Cod. XLIV, fol. 229 — Originale).

Magnifici signori miei. Lunidì a mattina giunsi qui e per li conseli non
poddi parlare a questi signori: parlai con più cittadini sopra la parte de Mon-
tecastelli e del Palazzo e anco col nostro podestà el quale ha fatto e fa quanto
si puó dire, e perché la S. V. sia avisata ni fo questa. Tenete de certo che l’ul-
timo di dicembre in lo palazzo de questi Signori fu ferma la pace da una
parte questo Comuno, i Senesi e noj, da l'altra re Ladislano con tutto quello
che tene e suoi cholegati. E entrati questi Signori overo Consiglio, de numero
circa 1500 e là furono letti i capitoli e con le fave in mano fu ottenuto tutti
i capitoli fatti per li Signori passati, e fo giurata la Credenza. Io mi so misso
in mezzo per sentire: non vi fu nominato i luoghi cioé Montecastelli e per
quello tratto é seguito che Giovanni di Bartolo n'ha parlato con li Signori
e con li Dleci di Balia e ancho con quelli de la Pratica che sono due dei Si-
gnori dei Dieci e quattro di Collegio. E io ancho ho parlato con parte di
questi de la Pratica: dicono buone parole sopra de luochi vostri occupati,
non so che fare. Non avisove che Giovanni vostro podestà ci fa tanto
ch'io penso che vinti cittadini non fariano quanto fa esso: e perché sono in
sul fatto mi pare e cosi prego scrivete al ditto Giovanni non si parta di qua
sino che la pace non è bandita, che credo si bandirà di questa settimana. E
non penso ci bisogni mandare qui vostri ambasciadori per doi ragioni: per-
ché non penso venissero a tempo e perché Giovanni ci fa tutto quanto
li sia possibile. E io pure che sono qui non ci lascio a dire niente di quello



152 GINO FRANCESCHINI:

. saperó; e di questo non dico piü perché queste cose sono secrete e non posso
scrivere a pieno. Tanto ve dico che Cortona diventerà guelfa e anco averanno
le Lame. In questo di andai a l'albergo de la Corona dove stanno l'ambascia-
dori de lo re in compagnia di messer Lionardo d'Arezzo cercelieri di questi
Signori e con Cristofano per l'ambasciada de lo Re Ladi..ano e quando se
partiro de l'albergo disse messer Lomonacho e piü el cavalieri. Arispose Ga-
briello Brunelleschi si avea il mandato e ’1 sogiello. Andonno in lo palagio en
la saletta due scrivia quegli de la Pratica: entraro dentro messer Lomonacho
e uno dottore e Gabriello. Questo ho ditto perch'io penso de di in di se ban-
dirà la pace e perché non fa di bisogno mandare qui imbasciada perché vereb-
bero indarno (segue una lacerazione di quattro righe). Al fatto di Lorenzo da
. Codignola vi dicho che Giovanni avea ottenuto venissero là con piü lunghezza
di tempo che non si credeva perché qua sono le cose lunghe; non di manco
ve dico non sono per venire e non farà di bisogno. Non so più che dire se
non che la pace è fatta infra re Ladislano e il comuno di Fiorenza senza punto
altre potentie: e non ci è in questa pace punto de la Signoria Spirtoale, e la
Lega di re Alevigi è fornita. Questo popolo vole pace e l’hanno bene fatta in
fretta. Racomandome a la V. S. In Fiorenza di 5 di gennaio 1411. Cristiano
de’ Guelfucci vostro servidore.

1411, gennaio 11. Firenze.

Cristiano de’ Guelfucci annunzia ai Priori che a tenore dei capitoli della pace
firmata tra il re Ladislao e Firenze, Città di Castello riavrà Montecastelli
e il Palazzo toltigli dai regi. (Arch. cit., vol. XLIV, fol. 185 — Originale).

Magnifici signori miei. Perché el nostro Podestà torna ed e bene avisato
dirò breve. Da pui ve scrissi fui con questi Signori co’ li Dieci de la Balia,
con tutti quegli di la Pratica e loro parenti e amici e ancho con Gabriello
Brunelleschi a pregare s'operassero riaveste i luochi vestri, e tenete de certo
che ’1 nostro Podestà a fatto tanto che ’1 nostro comune sempre gli è tenuto
e de buono dèlo tenere caro perché di suoi pari ne sono pochi. Verrò al fatto.
A di 8 di questo in lo Palagio quasi a ore otto se sogelò i capitoli, posto che
qua sono segreti e penso si starà a bandire la pace tutto questo mese. E avete
capitolo per voi, come i Senesi, che mi pare sia a far onore al fatto de Monte
Castelli e de Palazzo che dovete riavere come cose vostre, in questa forma
che questi Signori degiano mandare imbasciadori al Re a Napoli i quali ave-
ranno a lodare con loro insieme quanti denari dovete pagare che penso siano
pochi e forse non se pagarà denaro. I detti ambasciadori non sono eletti,
penso se partiranno come la pace sirà bandita. Eletti i detti ambasciadori
qua non ha venire lengua viva per dare modo a questo fatto e Gabriello mi

GUIDANTONIO DA MONTEFELTRO GRAN CONESTABILE DEL REGNO 153

‘fa di buona voglia e pensa fare con lo Re non se pagarà denaro o si pure si
pagasse seranno per dare a quegli fanti l’hanno guardati. A questo non dico
più. Questi signori non vogliono se levi l'offese si no non se bande pel re la
pace: fàllo per buona cagione. Si voi sapeste levare voi l’offese, questi Signori
saranno contenti e penso come stanno i vostri cittadini farete bene levare
l’offese, perché si possano semenare i biadi e non curate de qua perché seran-
no più che contenti: e se potessero con loro onore farlo costoro come podete
voi l’averino fatto più di fa e non credete ch'io il dica per me, ch'io v'aviso
in lo mio podere non ci ha lavoratore, dicolo per chi ha maggior bisogno di
me e anco per buono rispetto. Il vostro Podestà vi avviserà del tutto, farete
bene farli onore perché '] merita. Io penso essere presso a la S. V. a dire quello
non se po' scrivere. Io one lasciato tutti i fatti propri per seguire quando mi
fo comandato e avea si grande el pensiero di questi luoghi ch'io non ho mai
| finato come sa il vostro Podestà el quale più ha fatta questa opera. E Dio
onnipotente ha voluto sia pace con onore e utile: il quale Idio sia sempre lao-
dato. Datum in Firenze dì 11 di gennaio 1411. 2
i Io penso che ’1 re Alevigi e Braccio e Sforza seranno da venire a Prato.
Per lo vostro servidore Cristiano de’ Guelfucci.

1411, gennaio 29. Firenze.

I Dieci di Balia si lagnano coi Priori di Città di Castello che alcuni soldati
di Braccio abbian assalito il perugino e si siano rifugiati con preda e
prigioni nel territorio Castellano. (Arch. cit., vol. XLIV, fol. 73. Originale).

Magnifici amici Karissimi. Nuper nobis innotuit egregii militis domini
Monacelli de Anna Regis Ladislaj oratoris narratione qualiter nonnulli ex
armigeris gentibus Bracij de Fortebrachijs perusinum insultaverunt terri-
rorium captivos et predam abigendo dumque ab hostibus insequerentur
in vestrum cum eisdem territorium se reduxerunt quibus subditi vestri fa-
vorem et auxilium adversus emulos ne opprimérentur et tuti cum preda et
captivis permanere valerent adhibuerunt. Et quum ut novit vestra dilectio
diebus pluribus iam elapsis offense sublate sunt dicti oratoris mandato nec
Perusini vel alii vestros subditos aut territoria vexaverunt ac pro utiliori
conclusione rerum que in vestri favorem cum eisdem geri debentür, amici-
tiam vestram affectione quanta possumus requirimus et hortamur quatenus
ad restitutionem et liberationem captivorum et prede sine cunctatione ali-
qua providere dignemini ne scandala aliqua possent quomodolibet exhoriri.
Verum si id executioni mandare quocumque obstaculo superveniente ne-
quiretis, velitis in loco tuto et ydoneo captivos et predam saltem locare quod



454 GINO FRANCESCHINI

alio sine vestro iussu asportari vel conduci non possint. Datum Florentie
die XXVIIIJ Januarij MCCCCX.

Decem officiales
Balie Communis
(a tergo) — Magnificis viris dominis Prioribus Populi Civitatis Castelli amicis
charissimis.

Florentie

1411, gennaio 31. Firenze.

I Dieci di Balia comunicano ai Priori di Città di Castello d'aver occupato la
città di Cortona con giubilo di tutti i cittadini. (Arch. Cit., vol. XLIII,
fol. 51 — Originale).

Magnifici amici carissimi. Ut notorie percepistis Civitatem Cortone
cum suis fortilitiis castris iurisdictionibus et pertinentiis cunctis iusto titulo
adepti sumus possessionemque pacificam cum universarum civium alacri-
tate et iubilo singulari. Et quum ad accipiendam castri Anciani tenutam de
presenti destinare curaverimus, cum sub iurisdictione Cortone comprehen-
datur et sit, id vobis harum serie notificare decrevimus, dilectioni vestre
uberrimas referentes gratias... oblationibus per oratorem vestrum no-
stris commissariis factis dum fuerunt Cortonam ingressi cum ex affectione
singulari quam ad nostram rem publicam geritis talia emanasse... Pro
quibus ceu pro amicis precipuis placita cuncta efficere paratos nos inveniet
caritas vestra. Datum Florentie die XXXJ Januarii MCCCCX.

Decem Officiales
Balie Comunis
(a tergo) — Magnificis dominis Prioribus Civitatis Castelli amicis charissimis.

Florentie

1412, giugno 28. Napoli.

Il re Ladislao ringrazia i Priori di Città di Castello della cordiale ospitalità
data al magnifico Antonio di Sangro. (Arch. Cit., vol. XLIII, fol. 50 copia).

Ladislaus Rex Ungarie, Jerusalem, Sicilie etc. Viri magnifici et amici
carissimi. Dignas gratias vobis referimus de bona tractatione et benignitate
quam etiam vel maxime Nostri contemplatione erga virum magnificum
Antonium de Sangro Consiliarium et fidelem nostrum dilectum verbo et
opere sicut eo referente didicimus in adversitate sua libenter ostendistis,

GUIDANTONIO DA MONTEFALCO GRAN CONESTABILE DEL REGNO 155

amicitiam vestram propterea rogantes interim quatenus sicut pro ipso An-
tonio egistis, ita pro eius Nato qui remansit loco eius agere placeat et etiam
operari, Nobis propterea plurimum placituri. Offerentes nos ad omnia et
singula vobis grata. Datum in Castro Novo Neapolis sub proprio sigillo no-
stro die vigesima octava Junii V? indictione.

Locum Sigilli.

(a tergo) « Magnificis Viris Prioribus Civitatis Castelli, amicis nostris
carissimis ».



NOTE E DOCUMENTI

L'ORIGINE DELLA FESTA DEL CORPUS DOMINI
NELLA TRADIZIONE ORVIETANA

È noto che in questi ultimi anni non pochi studiosi hanno ripor-
tato la loro attenzione sulle origini della festa del Corpus Domini e
di conseguenza anche sulla storia del miracolo di Bolsena.

Numerose pubblicazioni sono, infatti, comparse interessanti i
due argomenti o, se si vuole essere più precisi, quell’unico argomento
+ centrale, la devozione Eucaristica, nel quale le due storie vengono a
confluire e fondersi. Del particolare rifiorire di queste ricerche c’è
stata, come assai spesso accade, una causa occasionale oltre, si intende,
la importanza grande e quindi la perenne attualità che nella storia.
della vita religiosa cristiana, rivestono gli studi su ogni cali

del culto eucaristico.

Tale occasione è stata offerta dalle celebrazioni con le quali nel
1946 si è voluto ricordare il VII centenario dalla istituzione di una -
festa eucaristica nella diocesi di Liegi che, per essere avvenuta attorno -
al 1246, sarebbe stata la più antica della cristianità ed avrebbe suc-
| cessivamente determinato l'istituzione per la Chiesa intera, della fe-

sta del Corpus Domini (1).

(1) Studia Eucharistica. DCC anni a condito Festo Sanctissimi Corporis .
Christi 1246-1946. Antwerpen, 1946: miscellanea di studi, fra i quali di
particolare interesse per il tema della presente indagine: G. SIMENON, Les ori-
gines liégeoises de la Féte-Dieu, pag 1-10; C. LAwBor, Eve de Saint-Martin et
les premiers historiens ligéoises de la Féte-Dieu, pag. 10-37; G. BARBIERO,
L'origine delle confraternite del SS. Sacramento in Italia, pag. 187-216; R. M.
| GALLET, Bibliographie bij het Festum Corporis Christi, pag. 415-451. C. LAM-
BoT, L'office de la Féte-Dieu, Apergus nouveaux sur ses origines, in « Revue
Bénédectine », a. 1942, pag. 61-150; F. CaLLAaEY, Documentazione Eucari-
stica liegese dal Vescovo di Liegi Roberto di Torole al papa Urbano IV (1240-
1264), in « Miscellanea Pio Paschini - Studi di Storia Ecclesiastica », Roma,
Lateranum, 1948, vol. L, pag. 215-237. E. DuwowTET, Corpus Domini.
Aux sources de la piété eucharistique médiévale, Paris, 1942; C. LamBOT — I.
Frasen, L’office de la Féte-Dieu primitive. Textes et mélodies retrouvés, Mared-
sons, 1946; M. RIGHETTI, Storia liturgica, vol. Il, Milano, 1946, pag. 222-227.

NOTE E DOCUMENTI VOLA

È in relazione a questa letteratura che Andrea Lazzarini, ben cono-
sciuto ed apprezzato dagli studiosi di cose umbre e dalla più grande
famiglia dei lettori dell' Osservatore Romano, ha di recente pubblicato
un volume dal titolo Il miracolo di Bolsena (1).

Egli, infatti, così presenta la sua pubblicazione: «in una recente
miscellanea di studi sulle origini della festa del Corpus Domini è
scritto che di quelle une version nouvelle avait pris naissance en Italie
an début du XV siecle perché nous la trouvons formulée en 1435 par le
dominicain Leonardo Mattei di Udine dans un sermon de la Féte-Dieu.

Cosi tardiva, quindi si crederebbe la narrazione del miracolo di
Bolsena (quale che sia il rapporto fra il prodigio ela bolla transiturus).
Perció-trovo opportuno raccogliere e pubblicare — assai spesso ripub- -
blicare — tutti i documenti narrativi del sec. xrv, che al miracolo si
riferiscono. E siccome non mancano alcuni altri del sec. xim, più
strettamente connessi con la prima indagine canonica e con l'origi-
nario culto orvietano per le reliquie eucaristiche, penso di pubblicare
anche questi che sono ignorati ».

L'affermazione dalla quale prende le mosse questo studio è del
Lambot, ma la risposta va oltre i limiti del problema posto da questo
autore (2), per investire l'intera questione del miracolo di Bolsena nei
suoi aspetti fondamentali e cioè, tradizione e documentazione del
fatto.

Data l’importanza dell'argomento e l’interesse che esso in par-
ticolare riveste per la storia spirituale, politica ed artistica dell'Um-.
bria, mi è sembrato opportuno dar qui qualcosa di più ampio di

. quanto comporterebbe una recensione, e cioè tenendo pur sempre
d’occhi questo libro, ricco di notizie anche nuove, distaccandosene -
per attingere ove del caso ad altre fonti, raccogliere e riferire quanto
allo stato attuale degli studi e delle ricerche è storicamente accertato
attorno ai due punti fondamentali del tema e cioè tradizione e docu-
mentazione del miracolo di Bolsena ed i possibili rapporti di questo
con le origini della festa del Corpus Domini.

(1) A. LAZZARINI, Il miracolo di Bolsena. Testimonianze e documenti dei
secc. XIII e xiv, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1952.

(2) GC. LAMBOT, op. cit. sub Studia Eucharistica « Une version nouvelle de
l’origine de la Fète-Dieu avait pris naissance en Italie au début du xv siécle
et se propageait rapidement, d’après la quelle Urbain IV aurait institué la so-
lennité sous l’émotion causée par un miracle eucharistique survenu a Bolsena
près d’Orvieto » (pag. 19, e in nota 2 si precisa che questa versione « nous
la trouvons formulée en 1435 parle domenicain Leonardo Mattei di Udine »).







NOTE E DOCUMENTI

* o * >

Attorno a questi fatti e circa i rapporti fra gli stessi, si è andata
sviluppando nel campo degli storici una garbata e spesso dottissima
polemica, vecchia ormai di cinquecento anni, della quale è necessario
pur sempre tener conto dati i suoi continui, sia pure a volte tenuissi-
mi, ritorni. È però doveroso constatare che è anche dallo stesso secolo
xv che questa disputa ha trovato il suo punto di intesa o meglio una
ampia base di pacificazione: tuttavia l’impostazione dei problemi,
anche in scritti recenti, risente pur sempre di quelle (1) perché, come
è agevole constatare, la materia del contendere affonda le sue radici
in quell’amore del natio loco 0, se si vuole delle «nobiltà patrie », assai
spesso rinascente anche fra le pieghe della più severa opera di storico.

I termini di questa polemica quale si è andata sviluppando lungo
i secoli, possono essere riassunti così:

non abbiamo documenti che comprovino storicamente l’ avvenuto
miracolo di Bolsena ; se è avvenuto, non abbiamo documenti che com-
provino una qualsiasi relazione fra questo fatto e l'istituzione della festa
del Corpus Domini.

Queste affermazioni vanno intese come risposta alla proposi-
Zione che segue:

il miracolo di Bolsena è stata causa determinante della istituzione
della festa del Corpus Domini.

Il punto di incontro delle opposte tesi è venuto fuori da sé dalle
pieghe delle discussioni ed ha preso forma in questi termini:

il miracolo di Bolsena ha concorso a che Urbano IV si decidesse a
stabilire per la Chiesa intera la festa del Corpus Domini.

E su questa affermazione, che ha accettato il fatto del miracolo
di Bolsena senza più discuterne la documentazione, hanno trovato il
loro punto di incontro le due principali tradizioni sulle origini della

(1) Il Lambot nel summarium dello studio citato « Institutio solemnitatis
nullo modo ex hostia miraculosa Bolsenae anni 1264, sed ex imfluxu leodiensi
expHeanda videtur» La perentorietà della espressione sembra echeggiare il
« pertinet autem hoc ad gloriam Gallorum », con il quale, si chiude una nota
apposta (nella edizione di Lione del 1587 del Chronicon di S. Antonino di Fi-
renze) al passo nel quale si mette l’istituzione della festa eucaristica in rela-
zione con il miracolo di Bolsena.

NOTE E DOCUMENTI 159

celebre festa: quella che va sotto il nom» di tradizione orvietana detta
anche umbra o italiana e quella che va sotto il nome di tradizione
liegese o belga.

* * *

La tradizione liegese è la seguente: (1) È a Liegi che nella prima
metà del sec. xItI nacque il progetto di celebrare annualmente, con
una festa speciale, il mistero della Eucarestia. L'iniziativa parti
da un circolo di devoti. Su istanza di Giuliana, superiora del convento
di Mont-Cornillon, il vescovo di Liegi, Roberto di Torote, prese la
risoluzione nell’estate del 1246 di istituire una festa eucaristica. La
sua iniziativa ebbe poco seguito. Di passaggio per Liegi illegato papale
Ugo di San Caro, con un decreto del 29 dicembre 1252 impose questa
festa in tutto il territorio della sua delegazione di Germania; decreto
confermato l'anno successivo dal nuovo legato, card. Pietro Capocci (2).

Nel 1261 diviene papa con il nome di Urbano IV, Giacomo Pan-
taleone di Troyes che negli anni 1242-1249 era stato arcidiacono di
Campine nella diocesi di Liegi ed aveva fatto parte di quel gruppo di
devoti dell'Eucarestia che avevano spinto il vescovo Torote ad isti-
tuire la ricordata festività.

Fu, come é noto, Urbano IV che istitui tale festività per la Chie-
sa universale con la bolla transiturus dell'11 agosto 1264 (3) data da
Orvieto, anche a seguito delle sollecitazioni che gli venivano dai suoi
amici di Liegi, alcuni dei quali, del resto, come il card. Ugo di S. Caro,
vivevano accanto a lui in curia (4).

Questa tradizione poggia su di una solida documentazione coeva,
nel senso che i legami tra il culto eucaristico già fiorente in Liegi e la
istituzione per la Chiesa della festa del Corpus Domini, sono piü che

(1) GC. LAMBOT, L’office de la Féte-Dieu, op. cit., pag. 61. La tradizione lie-
gese é largamente esposta in quasi tutte le opere citate in Studia Eucharistica.

(2) Il decreto del legato Ugo S. Caro, quello del Capocci ed altri documenti
inerenti a quanto esposto, sono pubblicati in P. Bnowtz, Textus antiqui de festo
Corporis Christi (Opuscula et textus historiam Ecclesiae... illustrantia.
Series Liturgica, n. 4) Monasterii 1934; v. anche la bibliografia pubblicata da
R. M. GALLET, op. cit.

(3) Il testo della bolla in Bullarium Romanum, 'T. III, Torino 1858, pagg.
705 e segg.; in Clementinarum, lib. III, Tit. XVI, compresa nella bolla Si Do-
minum del Concilio di Vienne (1311).

(4) Bibliografia in R. M. GALLET, op. cit.; PENNAZZI, Istoria dell' Ostia sacra-
tissima che stillò sangue in Bolsena ete., Montefiascone 1731, passim.





160: , . i NOTE E DOCUMENTI

provati, essendoci pervenuti documenti ineccepibili, il cui autore è lo
stesso pontefice Urbano IV.

Il papa, infatti, nella bolla transiturus scrive fral'altro « Intelle-
vimus autem olim, dum in minori essemus officio costituti, quod fuerat
quibusdam catholicis divinitus revelatum, festum huiusmodi n
in Ecclesia celebrandum » (1). à

Questo passo viene normalmente interpretato come un diretto ri-
ferimento ai ricordi personali del papa « un tempo, scrive egli infatti,
quando ricoprivamo una dignità di gran lunga minore della attuale,
venimmo a conoscenza che a taluni cattolici era stato rivelato da Dio
che la Chiesa intera avrebbe dovuto celebrare una simile festività ».

Altri documenti permettono di avvalorare questa interpreta-
zione e indipendentemente anche dal passo citato, di precisare come il
papa nella sua azione si sentisse anche legato ai tempi in cui, essendo
arcidiacono a Liegi, era venuto a contatto con quel circolo di devoti,
ove era vivo il ricordo delle visioni eucaristiche della B. Giuliana.

Infatti il 7 settembre dello stesso anno papa Urbano IV invia
una lettera a Enrico de Gueldre vescovo a Liegi, con la quale lo in-
forma di aver istituita la festa del Corpus Domini e lo esorta a cele-
brare subito, nel primo giovedì libero dopo il ricevimento della let-
tera, la festa Eucaristica in Liegi (2). Edil giorno successivo, 8 settem-
bre indirizza il breve scimus o filia ad Eva la Reclusa, una suora ben
conosciuta dal papa, e che era stata intima e collaboratrice della B.
Giuliana; alla lettera unisce una copia della bolla transiturus e di un
officium da recitarsi nella festa del Sacramento, esortandola a colla-
borare a che venga da tutti celebrata una tale solennità, e la informa
di avere già celebrata in Orvieto lui stesso la festa eucaristica con
straordinaria solennità « Et scias quod nos huiusmodi festum cum
omnibus fratribus nostris, Romanae videlicet Ecclesiae cardinalibus.
nec non cum omnibus Archiepiscopis et episcopis ceterisque Eccle-
siarum prelatis, tunc ad sedem apostolicam commorantibus, ad hoc
. ut videntibus et audientibus de tanti festi celebritate praeberetur
exemplum, duximus celebrandum » (3).

(1) Questo passo non figura nel testo della bolla inviata al patriarca di
Gerusalemme. (J. GurRAUD, Les registres d'Urbano IV, T. II, Registre or-
dinaire t. 1., Paris 1901, pagg. 422-425); v. anche LAZZARINI, op. cit., pag. 85
nota n.:5.

(2) La lettera é pubblicata in E. PONCELET, in « Bulletin de la Sen mit
Royal de Belgique », T. VII, (1897), pag. 612.

(3) P. BRowE, op. cit., pagg. 34-35.

NOTE E DOCUMENTI

*okok

. La tradizione orvietana o umbra o italiana, puó riassumersi cosi:
nel 1264 il papa Urbano IV si trovava in Orvieto con la corte e nella
vicina Bolsena si verifica un fatto miracoloso. Un sacerdote celebran-
do nella chiesa di S. Cristina vede l'Ostia assumere un colore incar-
nato e divenire sanguinante, le gocce cadendo imprimono macchie
sanguigne sul corporale, nelle macchie sono visibili delle figure (1).
La notizia del fatto giunge al papa, che manda in Bolsena il Vescovo -
di Orvieto perché raccolga notizie sicure sul fatto e porti il corporale
e le altre testimonianze del miracolo in Orvieto. Il Vescovo fa solenne
ritorno in Orvieto ed a lui che portava i lini del miracolo, va incon-
tro con la corte il papa fino fuori della città (2). Il pontefice commos-
so da tale avvenimento si decide ad introdurre nella Chiesa la festa
del Corpus Domini.

S. Tommaso d'Aquino riceve dal papa l'incarico di comporre
l'officium in festo Corporis Christi.

Di questo fatto, cioè dell’avvenuto mifitdolà in Bolsena e degli
altri avvenimenti che seguirono all’evento, di cui è parola nella tra-
dizione orvietana e di cui avrebbe dovuto essere testimonio il ponte-

fice stesso, la corte papale, il clero ed il popolo di Orvieto, non parla il
"papa nella bolla transiturus, non nelle lettere da lui dirette a Liegi, (3)
tace Tommaso d'Aquino nei suoi scritti, che pure era in quell'epoca

(1) S. Antonino nella sua Cronaca (P. III, tit. 19, cap. 13,8 1) dà del
fatto una versione alquanto diversa, che però non è seguita da altri autori;
in talune edizioni della Cronaca (es. ed. Lione 1587) si trovano note che correg-
gono la versione del testo con quella ormai accettata dell’Ostia che stilla san-
gue. Vedere in L. PASTOR, Storia dei Papi, ed. it., Roma 1932, vol. III, pag.
998-999 e nota n. 2 (pag. 998).

Le figure che secondo la tradizione locale si dice essere state visibili nelle
macchie, avrebbero rappresentato il volto del Salvatore. Taluni sostengono che
tali figure siano ancora visibili; comunque la tradizione di tale prodigio nel
» prodigio di Bolsena è è antica quanto la tradizione stessa del fatto miracoloso
principale.

(2) Per un raffronto tra le varie narrazioni orvietane del miracolo v. lo
schema comparativo assai interessante in A. LAZZARINI, op. cit., pag. 58.

(3) Nella transiturus e nella lettera ad Eva la Reclusa, il papa, come si
€ veduto, inserisce i ricordi del passato liegese e dà notizia della processione
eucaristica da lui celebrata in Orvieto: il silenzio quindi su di un fatto di cosi
alta importanza e che non avrebbe potuto non riempire di gaudio spirituale
i suoi devoti amici liegesi, è indubbiamente di grande peso.

11













162 NOTE E DOCUMENTI

in Orvieto (1), tacciono i cronisti stessi orvietani (2). La tradizione
mette anche la fondazione del Duomo avvenuta nel 1290 in relazione
al miracolo di Bolsena, ma anche qui in nessuno dei documenti del
sec. xir a noi pervenuti è parola del fatto (3). È inutile cercare di
spiegarsi questo silenzio come fa il Pennazzi con motivi che divengono
friabili a primo esame (4) o aumentarne se è possibile la profondità
elencando coloro che avrebbero potuto parlarne e non lo hanno
fatto (5).

(1) Per la cronologia della vita di S. Tommaso, v. A. WaLz, S. Tommaso
d’ Aquino, Studi biografici sul Dottore Angelico, Roma, 1945. Tace anche Tolo-
meo da Lucca nella sua Historia ecclesiastica, che pure fu discepolo e confessore
di S. Tommaso e parla dello Officium in festo Corporis Christi scritto dall'A-
quinate.

(2) Oltre al silenzio dei coevi cronisti orvietani, occorre sottolineare quello
dei cronisti di città vicine umbre c toscane, di regola informatissimi degli avve-
nimenti orvietani, e delle altre cronache del tempo interessate più o meno di-
rettamente alla città in quanto allora sede della corte papale. Dato il silenzio
delle fonti non stupisce che taccia del fatto D. WarEev, Medieval Orvieto
(1157-1334), Cambridge, 1951.

(3) Del periodo 1284-1292 si conservano dieci documenti relativi alla co-
struzione del Duomo di Orvieto, in nessuno si fa riferimento al miracolo o al
proposito di conservare nella nuova fabbrica il « corporale » « Cum... inten-
derent ad honorem Dei et beatae Virginis Mariae novam hedificare ecclesiam
honorabilem » (22 giugno 1284) e cosi in altro del 3 marzo 1285: in data 13 di-
cembre 1289, Nicoló IV concede indulgenze a chi aiuti la chiesa costruenda e :
visiti il vecchio oratorio a S. Costanzo e pur elevando nella premessa una bellis-
sima invocazione alla Vergine, tace del miracolo; come pure tace nella bolla 21
agosto 1292 in cui fra l'altro ricorda di avere egli stesso posta la prima pietra
della nuova costruzione.

Bisogna arrivare al 1344 per trovare un documento, bolla di Clemente VI del
13 febbraio, che accenni al «corporale» conservato in duomo. I documenti citati
sono pubblicati da L. Fuwr, Statuti e regesti dell' Opera di S. Maria di Orvieto.

(4) S. A. PENNAZZI, Istoria dell’Ostia sacratissima che stilló sangue in
Bolsena, etce., Montefiascone 1731. Pareva invero cosa degna di meraviglia. ..
che S. Bonaventura e S. Tommaso, i quali in quel tempo vivevano in Orvieto,
non abbino fatta menzione alcuna nelle loro opere. Si risponde che questi due
santi non ristettero a farne la narrazione perché l’aveva già fatta Urbano IV
nella sua bolla lasciata qui in Orvieto (di questa bolla parlano scrittori orvie-
tani del sec. xvi, ma non se ne trova traccia), « perché la narrazione di questo
S. Miracolo era incombenza d'istorico, non di scritturale e teologo... » (Lib.
IV, cap. II, pag. 183).

(5) Come F. CALLAY, op. cit, pag. 215 « fa meraviglia vedere come non
ne sappia niente nemmeno Giacomo da Voragine, benché nella sua Leggenda
Aurea compiuta tra il 1263 e il 1288, egli tratti di Bolsena e della sepoltura a
S. Cristina, nel cui ipogeo sarebbe avvenuto il miracolo ».

NOTE E DOCUMENTI 163

Ciò che è doveroso constatare è solamente questo silenzio di
fonti, il quale peraltro non può giustificare un abbandono di possi-
bili ulteriori indagini.

Le ricerche del Lazzarini hanno, infatti, permesso di aprire
su questo buio, si parla sempre di documentazione databile al
sec. xin, un fenue spiraglio.

Nella ricognizione delle «reliquie del miracolo di Bolsena », con-
tenute nell'interno del tabernacolo marmoreo che conserva nella cap-
pella del Corporale nel duomo di Orvieto, il reliquiario famoso, sono
stati rinvenuti tre cartigli uno cartaceo e due pergamenacei, con le
seguenti scritte:

I. — Benda in qua fuit involutum corporale et residuum corpo-
ralis cum guttis (cancellato) sanguis Christi et figuris ;

II. — Sanguis Christi sparsus fuit super hoc corporale et ideo
cum summa diligentia debet custodiri;

III. — Reliquie sanguis Christi.

Mentre il primo di questi cartigli, il cartaceo, é di scrittura attri-
buibile al sec. xiv, gli altri due possono farsi risalire alla fine del
sec. xin; di questi il pià interessante é il secondo in quanto da una
serie di piccoli fori che seguono uno dei lati mostra d'essere stato cu-
cito al corporale in un periodo antecedente alla sistemazione di questo
nel reliquiario (1).

Tranne questi tenui listelli di pergamena, non si incontra altro
che parli del miracolo in questo secolo (2).

Nel secolo xrv, invece, la documentazione diviene notevole,
nel senso che abbiamo documenti anche solenni che raccolgono la
memoria del fatto, come la lettera di Clemente VI Etsi devota del 13

(1) A. LAZZARINI, op. cit., pag. 23-30.

(2) Il LAZZARINI, op. cit., pag. 65, introduce fra la documentazione del
miracolo per il sec. xir una «riformanza » sotto la data del 24 aprile 1298,
nella quale i sette Consoli delle arti assolvono un capotecnico che era stato
multato, «a patto che lavori per sei mesi alla fabbrica del Duomo nascente »,
precisando che «et hec omnia dicti septem fecerunt ob reverentiam dei corporis
et beate marie Virginis »: a parte la singolarità della espressione del tutto inu-
sitata dei corporis, nel testo non c'é scritto come i primi lettori, dai quali ha de-
rivato l'A. la interpretazione citata, vorrebbero ob reverentiam dei corporis,
ma ob reverentiam dei omnipotentis, come pu leggersi nella fotoriproduzione del
documento, pubblicata a pag. 80 dell'op. cit., e in quella pubblicata nella
ENCICLOPEDIA CATTOLICA alla voce ORVIETO.







164 NOTB E DOCUMENTI

febbraio 1344 nella quale si raddoppiano le indulgenze ai visitatori
della Cattedrale di Orvieto nella festa del Corpus Domini, avendo il :
pontefice saputo del gran concorso di popolo che vi si verificava (1),
o la bolla quamvis di Gregorio XI del 24 giugno 1377 nella quale per
la prima volta in un documento pontificio viene posto il miracolo di
Bolsena in relazione con la istituzione della festa del Corpus Domini (2).

La memoria del fatto quale era viva nella tradizione locale, ve-
niva fissata negli smalti che ornano il reliquiario di Ugolino di Vieri
opera compiuta nel 1338, dalla quale venti anni dopo derivava il ciclo
pittorico della cappella del Corporale, lavoro di Ugolino d’ Ilario.

Ai primi decenni del sec. xiv occorre anche far risalire il testo
della carta lapidaria che trovasi in questa stessa cappella, e che con-
tiene la narrazione del miracolo (3); quali che siano le fonti che si
vogliano ricercare per il testo o le diverse mani che si pensa abbiano
contribuito alla stesura di questo, dall’esame degli elementi che ne
emergono l’opera deve essere stata effettuata tra il 1323 e il 1344, e
cioè dopo la canonizzazione di Tommaso d’ Aquino che in essa è ricor-
dato come beato e prima del 1344, in quanto il testo non fa menzione

(1) ...«Sane pro parte dilectorum filiorum cleri et populi civitatis urbe-

vetane... nuper humiliter supplicato, quod cum in Ecclesia urbevetana,
post institutionem dicti festi de ipso primum oratorium constructum fuerit et
propter quoddam miraculum quod ad consolationem fidelium et Fidei exal-
tationem Catholice, ibidem extitit divina clementia mirabiliter operata, tam
de civitate ipsa quam de vicinis partibus cum ingenti devotione fidelium mul-
titudo innumerabilis annis singulis in festivitate huiusmodi ad ecclesiam con-
veniunt supradictam »., L. FUMI, op. cit., pah. 93. |

(2) Questo documento pontificio è, come anche il precedente, v. del resto
n. 1, responsivo ad un memoriale di richieste avanzato dalla città di Orvieto
memoriale che si apriva, proprio, con il ricordo dell'avvenuto miracolo e vi si
ricordava la conseguente istituzione della festa del Corpus Domini, chiedendosi
perciò nuove indulgenze; il documento in L. Fuwr, Codice diplomatico della città
di Orvieto, Firenze 1884, pag. 564; nella bolla quanvis si riprende la descrizione
del fatto quale é esposta nel memoriale orvietano, precisandosi « sicut accepi-
mus »; a questa formula, peraltro, non ritengo si possa dare il valore di una
riserva prudenziale, come vorrebbe F. CALLEY, op. cit., pagg. 215-216, nota 2;
e nemmeno sono attendibili le riserve circa l'autenticità del documento solle-
vate da N. C., De Beata Juliana, in « Analecta Augustiniana », T. VI, (1915-
1916), pag. 309. |

(3) Ci si riferisce qui al festo della lapide non già alla lapide come tale,
sulle cui vicende sono assai interessanti le notizie ed i dati raccolti dal LAZZA-
RINI in op. cit. con particolare riguardo alla derivazione di questa da una car-
ta lapidaria preesistente in Bolsena, l'epoca probabile della composizione
del testo, ed alle vicende dei rifacimenti marmorei di quella nel sec. XVI.

NOTE E DOCUMENTI 165

delle indulgenze concesse da papa Clemente VI con la ricordata bolla
del 1344, mentre ricorda quelle concesse da Urbano IV (1).

Tutte quest» narrazioni hanno un. elemento in comune; il ri-
cordo di S. Tommaso come autore dell’Officium.

Oggi su ciò non v'è più dubbio; la cronologia della vita e degli
scritti del Santo precisa come egli abbia dimorato tra il 1261 ed il
1265 in Orvieto alla corte del Pontefice e come nel 1264 abbia composto
l'officium (2). Ma allora, vale a dire alla fine del sec. xir ed agli inizi
del successivo ciò non era accertato neppure fra i Domenicani; è solo
infatti nel 1323 che si diffonde e viene accettata l’attribuzione a S.
Tommaso (3). Ed è quindi il riferimento a S. Tommaso come autore
dell’Officium un elemento di più per datare le narrazioni nel fatto mi-
racoloso che ci sono pervenute o le rappresentazioni artistiche dello
stesso (4). Oltre quelle ricordate è necessario includere fra queste ul-
time una sacra rappresentazione del miracolo di Bolsena che con il
Lazzarini può datarsi «come spettacolo che si ripeteva al popolo or-
vietano già verso il 1325-1330 » (5).

Due incertezze corrono al pari in questa istoria, scriveva il Pennaz-
zi ai suoi tempi, cioè il giorno ed il mese nel quale avvenne il SS. M ira-
colo in Bolsena (6), né da allora queste incertezze sono, state rimosse.

Nessuna fonte, neppure la leggenda, ci dice il giorno ed il mese
nel quale il fatto avvenne; ripete solo « al tempo in cui papa Urbano IV
era in Orvieto » e qualche volta se ne precisa l’anno 1264, sul quale
del resto sono concordi i più degli autori che nei secoli eunt hanno
raccolto la tradizione.

Secondo la tradizione locale il miracolo si sarebbe Sotto
prima dell'istituzione della festa del Corpus Domini avendo determi-
nato il papa ad introdurre nella Chiesa la celebre festività, quindi

prima dell’agosto. È difficile indagare o formulare ipotesi.

(1) Le indulgenze ricordate nella carta lapidaria di Orvieto sono quelle
stesse concesse dal papa Urbano IV nella bolla transiturus per tutti i fedeli che
parteciperanno alla festa del Corpus Domini ; non risultano speciali indulgenze
date da quel papa per Orvieto in relazione alla detta festività.

(2) V. A. WALZ. op. cit.

(3) C. Lambot, op. cit., in Revue Benedictine cit., pagg. 63-65.

(4) Questo elemento figura nel ciclo degli smalti del reliquiario, in quello
pittorico della cappella, nella carta lapidaria, v. in LAZZARINI op. cit. Schema
comparativo fra le varie narrazioni orvietane. pag. 58.

(5) A. LAZZARINI, op. cit., pagg. 33-35.

(6) PENNAZZI, op. cit.



NOTE E DOCUMENTI

Il Lazzarini si pone l’interrogativo se il miracolo sia avvenuto
invece dopo l’istituzione della festa eucaristica.

Questa ipotesi, se accolta, permetterebbe di spiegare il silenzio
che di quel fatto è stato riscontrato nella bolla transiturus e per di
più potrebbe fornire una spiegazione della gran fretta mostrata dal
papa nel celebrare una festa eucaristica in Orvieto, subito dopo la
istituzione e prima che cadesse la data liturgica fissata da lui stesso
per la celebrazione di quella festa in tutta la Chiesa (1).

Accettando questa ipotesi, che solo come tale viene avanzata,
il giorno del miracolo verrebbe a cadere tra l'11 agosto data della bolla
transiturus e l'8 settembre, data della lettera papale ad Eva la Reclusa
in cui si dà notizia dell'avvenuta processione.

Se con ciò può spiegarsi il silenzio della bolla, diviene più grave
il silenzio sul fatto in una lettera diretta ad una ardente devota del
Sacramento cui si dà notizia e quasi si descrive una processione, (2)
senza poi dire la causa immediata della stessa, e quale causa! cioè
un miracolo eucaristico.

In quanto ai motivi che possono aver determinato il papa a ce-
lebrare subito questa festa, senza attendere circa un anno (3), nel
silenzio di fonti precise, più che raccogliere i motivi possibili che
da taluno vengono segnalati (4), se proprio si vuol fare questa in-

dagine, non è possibile dimenticare la devozione per l’Eucaristia di
Urbano IV, come e da quanto tempo desiderasse vedere istituita
quella festa; non sorprende perciò che egli stesso abbia voluto dare
subito nel celebrarla quell’exemplum di cui fa cenno nella lettera ad
Eva (5) e vedere realizzato così il suo sogno antico, quasi presago
di non averne in futuro il tempo; morì egli infatti, circa un mese
dopo (6).

(1) Tale data veniva a cadere l'anno successivo essendo la bolla dell'ago-
sto del 1264 ed essendo in questa stabilito che la festa doveva celebrarsi il pri-
mo giovedi seguente la fine del ciclo liturgico.

(2) Vedere il brano di questa lettera riportato a pag.

(89) V: m^ f.

(4) Come SIMENON, op. cit., pag. 7.

(5) «ad hoc ut videntibus et audientibus de tanti festi celebritate prae-
beretur exemplum ».

(6) Il papa muore a Deruta presso Perugia il 2 ottobre 1264. La data
della processione cade tra l'11 agosto e 1’8 settembre. V. anche C. LAMBOT
in « Revue Bénédectine », cit.

NOTE E DOCUMENTI

Mock ok

Accanto alle tradizioni liegese e orvietana circa le origini della
celebre Festa occorre aggiungerne altre che, peró, se bene si esaminano,
possono considerarsi variazione delle prime, come quella raccolta dal-
l'anonimo autore della Chronica S. Sabinae e quella detta di Laon
o francese (1).

Nella Chronica che é statà scritta nel 1367, si racconta che papa
Urbano IV avrebbs istituita la festa del Corpus Domini, su richiesta
di S. Tommaso e come ricompensa per aver egli scritto la catena aurea.
« Concurrentibus maxime ad hoc quibusdam revelationibus factis
et miraculis circa huius sacratissimi Sacramenti veaerationem » (2).

In realtà sappiamo che S. Tommaso su istanza del papa fu l'au-
tore dell'officium e non e possibile allo stato attuale della documenta-
Zione attribuirgli un particolare intervento nella determinazione del
pontefice di istituire quella festa. Interessante è, invece, l’accenno
revelationibus et miraculis, come concause della determinazione pa-
pale, che dimostra il formarsi delle due tradizioni.

La versione francese si riconnette, invece, direttamente con quella
di Liegi e trova il suo punto di partenza nella giovinezza di Urbano
IV e nel periodo in cui il futuro pontefice fu canonico della cattedrale
di Laon. Secondo questa tradizione Urbano IV sarebbe stato da gio-
vanetto cantore della cattedrale di Laon e piü tardi, divenuto canonico
nella stessa, avrebbe dato impulso a particolari cerimonie eucaristiche
ivi celebrate per antica tradizione, introducendo anche l'usanza della
festa del Corpus Domini molti anni prima che se ne iniziasse la cele-
brazione in Liegi. Per cui é essenzialmente a questi ricordi che occorre
risalire se si vuole dare una giusta interpretazione alla celebre frase
« dum in minori essemus officio constituti » della bolla transiturus.

Tale tesi sostenuta nel sec. xvit dal benedettino Marlot (3) e

(1) Su queste in G. SIMENON, op. cit., pagg. 1-2.

(2) La Chronica è pubblicata in E. MARTÈNE, Veterum Scriptorum am-
plissima... collectio, Parigi 1729, Tomo VI, « Cum enim B. Thomas ad manda-
tum B. papae Urbani IV dictasset opus continuum super quatuor evangeli-
stas, pro praemio laboris dominus papa ei episcopatum obtulit, quem ipse
noluit acceptare. Unde rogavit eundem, ut pro reverentia eiusdem Sacramenti
festum institueret particulare de eo ad laudem Salvatoris et in recompensatio-
nem sui laboris: quod papa libentissime fecit concurrentibus etc.» (coll. 365-366).

(3) Manror, Metropolis Remensis historia, 1666. "

168 NOTE E DOCUMENTI

ripresa alla fine del secolo scorso dal Baton (1) veniva, però, effica-
cemente controbattuta dal Darsonville (2) che poteva accertare
che agli inizi del sec. xuI non esistevano presso la cattedrale di Laon
speciali usanze devozionali verso il Sacramento, che il futuro papa
non aveva mai fatto parte del coro di quella cattedrale, che nel periodo
1220-1240 circa, in cui era stato canonico di quella, non istituì nes-
suna solennità eucaristica, ma che, divenuto il suo amico Roberto di
Torote, anch'egli canonico di Laon, arcivescovo di Liegi, fu da questi
chiamato nella propria diocesi ove venne a contatto con gli ambienti
mistici ivi fiorenti. :
1 *okok

Urbano IV, si sa, visse troppo poco per vegliare a che la sua decisio-
ne trovasse pronta esecuzione ovunque (3). A Roma, nella Curia stessa
la nuova festa cadde in disuso ben presto. Verso la fine del sec. xiu
si trova celebrata appena in qualche paese germanico, rarissima in
Italia; comincia a riapparire nei primi anni del sec. xiv fino a che nel
concilio di Vienne Clemente V rimette in vigore la bolla di Urbano
IV, e la sua costituzione venne promulgata nelle Clementine da Gie-
vanni XXII nel 1317. Da allora la festa del Corpus Domini fu a poco
a poco universalmente accettata (4).

(1) G. Baton, Essai historique sur la devotion au Saint Sacrament et l’eta-
blissement de la Féte-Dieu a Laon, in « Compte rendue du Congrès Eucharisti-
que de Reims ». 1896. Nella versione di Laon si inserisce anche un altro ele-
mento e cioè che Eva di Saint Martin fosse nativa di Laon ed emigrata poi.a
Liegi verso il 1220, tesi che venne dimostrata senza fondamento da J. DEMAR-
teau, La bieneureuse Eve de Saint Martin. Liegi 1896, pagg. 17-20. :

(2) A. DARSONVILLE, Urbain IV et la Féte-Dieu a Laon, in «Bullettin de la
societé d'art et d'histoire du Diocése de Liege», vol. XIII, (1902), pagg. 297-403.

(3) Nella esposizione qui fatta, essendo questa strettamente attinente |
alle tradizioni su l’origine della festa ed il miracolo, si è omesso di proposito
ogni accenno alle questioni più generali ed ai problemi connessi con le posi-
zioni teologiche allora in discussione nella Chiesa attorno al mistero eucari-
stico. Occorre peró ricordare che non tutti erano allora consenzienti della op-
portunità che venisse istituita una speciale festa per onorare il Sacramento e
molte furono le resistenze anche di carattere dottrinario che il papa a tal fine
aveva dovuto superare; come si ricorderà nella lettera ad Eva la Reclusa Urba-
no IV dice di aver voluto lui stesso dare un exemplum celebrando subito in Or-
vieto la festa, quasi a dare il via ad una tradizione nella Curia e spingere altri a
seguirlo decisamente. ---

(4) Per le vicende della introduzione e diffusione della festa del Corpus
Domini nei vari paesi passim in quasi tutte le pubblicazioni citate in Studia
Eucharistica; per l'Italia in G. BARBIERO, op. cit. :

NOTE E DOCUMENTI 169

È nel riflesso del generale fervore eucaristico che seguì a questi
provvedimenti, che occorre vedere l’interessamento orvietano per
tutto ciò che riguarda il miracolo di Bolsena, la cui documentazione.
come si è veduto è tutta posteriore al primo ventennio del sec. x1v, €
quindi ricollegabile direttamente a quel fervore, nel cui clima e la
emanazione da Orvieto della. bolla transiturus di nuovo posta in
onore, ed il ricordo di quella prima processione eucaristica ivi cele-
brata dal papa, non potevano non assurgere a gloria cittadina.

È anche di fatti attorno a questo tempo che prende piede e si
diffonde la tradizione orvietana sulle origini della celebre festa e si
consolida lungo il secolo, sostenuta dalla fama che circonda ormai
la reliquia del corporale, per quanto la Chiesa non abbia autorizzato
per questa reliquia alcuna forma di culto eucaristico (1). Occorre
aggiungere che dei rapporti tra la istituzione della festa ed il culto
eucaristico dei devoti di Liegi si è, per così dire, a poco a poco atte-
nuato lungo il secolo xiv il ricordo; e ció si é verificato anche nella
stessa diocesi di Liegi. L'unica versione, pertanto, che prende uni-
versalmente piede é quella orvietana.

Questa tradizione viene ripetuta dai pulpiti e ricompare specie tra
la fine del xiv e poi nel successivo in cronache e pubblicazioni devote.

E la diffusione avuta da uno di questi scritti, le prediche del
domenicano Leonardo Mattei da Udine che in un sermone sulla festa
del Corpus Domini ricorda e mette in relazione con le origini di questa
festa, il miracolo di Bolsena (l’opera è del 1435; dopo l'invenzione
della stampa, compare in una edizione largamente diffusa) che spinge
studiosi liegesi a rintracciare la documentazione di una tradizione
locale, affievolita o spenta nei più, anche perché a quella pubblica-
zione del Mattei seguono altre più famose come la Cronaca di S.
Antonino (1459), i Commentari di Pio II (1458-1464). La tradi-
zione liegese viene raccolta, da Giovanni Blaer da Diest (2) sia pu-
re in uno scritto largamente lacunoso, ultimato nel 1496, che servì
comunque a riproporre un problema, cui peraltro venne dato scarso

(1) È noto anche che la Chiesa non si è mai esplicitamente pronunziata
sul miracolo: ha però accettato la versione del fatto, regolando le possibili for-
me di manifestazioni devozionali verso il « corporale » in modo da escludere
forme di culto eucaristiche. Nelle processioni è stabilito che oltre al « corporale »
venga portato anche il SS. Sacramento. Vedi anche LAZZARINI, 0. cit., pag. 28.

(2) G. BLaER da Dirsr. — Tracíatus sive historia .de. revelatione. insti-
tutionis festi venerabilis Sacramenti. L’opera sia pure diffusa manoscritta
venne però stampata solo nel sec. xvi da J. Le MAIRE in Magnum Speculum
exemplorum, Douai, 1603.

170 NOTE E DOCUMENTI

credito dai contemporanei se il Platina nelle sue Vite dei Pontefici
può scrivere a proposito delle origini della Festa « ancora che alcuni
non so ché di una certa donna chiamata Eva favoleggino...» (1).
Simili prese di posizione non poterono non essere il segnale di ricerche
sistematicamente condotte, sia pure con intonazioni a volte polemi-
che; le quali ricerche hanno fruttato la ricca e probante documenta-
zione di cui ora si dispone circa la tradizione liegese.

Tradizione che del resto fin dal secolo xv come aveva accettato
la concausa del miracolo di Bolsena nella determinazione di Urbano
IV, così veniva ampiamente accolta dagli scrittori, se possono dirsi, di
parte orvietana (2). Le due versioni come è noto vivono ancora in-
sieme nella più comune letteratura in materia.

Ma detto ciò, solo in quanto partiti in questo scritto dal riassu-
mere le diverse posizioni; è doveroso tirare per così dire le conclusioni
promesse al principio. i

Più di cinquanta anni fa il Pastor scriveva « non conosco nessuna
testimonianza contemporanea che favorisca l’asserzione che il mira-
colo abbia contribuito alla istituzione della festa del Corpus Domi-
ni » (3) né da allora è stato portato qualche elemento nuovo perché
una simile affermazione possa essere riveduta.

Per quanto si riferisce al miracolo di Bolsena è il silenzio di fonti

documentarie contemporanee o di epoca vicina a quella in cui sarebbe-
ro avvenuti i fatti che, con il suo indiscutibile peso, costituisce il pun-
to centrale di un problema ancora aperto.

Rimane, sia pure raccolta in documenti del sec. xtv, la tradizione,
locale che questo fatto é avvenuto e quelle reliquie che ne dovrebbero
essere la testimonianza piü certa, ma anche di queste sappiamo assai
poco (4), solo induzioni circa le loro vicende nel sessantennio che

(1) B. Platina, Delle Vite dei Pontefici, con le annotazioni di Onofrio
Panvini. Venezia 1650, p. 402. I. CALLEY op. cit., pag. 216 in n. 1 osserva che
l'edizione latina è più riguardosa « quamquam non me lateat, quos dam
esse, qui nescio quid de quadam muliere sancta moniali reclusa nomine Eva
fabulentur », Colonia, 1626, p. 215.

(2) Già G. BLAER, op. cit. ammette che il miracolo di Bolsena abbia in-
fluenzato Urbano IV e così per le due parti gli autori citati dal PENNAZZI, da
BENEDETTO xiv nel De festis D. N. Jesu Christi etc., Roma, 1786.

(3) PASTOR; Op./cit. e loc. cit:

(4) Il LAZZARINI, op. cit., ha condotto diligentissime ricerche sulle vi-
cende storiche e le ricognizioni avvenute lungo i secoli delle « reliquie » del mi-
racolo, conservate nel Duomo di Orvieto; ad eccezione dei cartigli ricordati,
non ha trovato memorie che possano farsi risalire oltre il secolo xvr.

NOTE E DOCUMENTI 171

va dall’epoca in cui il miracolo sarebbe avvenuto a quando e tradi-
zione orale e reliquie assurgono, nel generale rifiorire del culto euca-
ristico, a importanza eccezionale e vengono l’una e le altre rivestite
di nobilissime forme artistiche.

Molte considerazioni si potrebbero fare sul valore attribuibile
a questa tradizione e se sarebbe stato possibile o meno celebrare un
avvenimento non avvenuto ad un pubblico di cui non pochi potevano
essere ancora memori delle vicende di quegli anni od anche se sarebbe
stato possibile che l'evento miracoloso passasse per allora senza parti-
colare eco o senza quella grande risonanza che gli venne attribuita
più tardi.

Ma questi od altri, sono sentieri per i quali è difficile incammi-
narsi senza più solidi punti di appoggio. Dalla generale ripresa di ri-
cerche e di pubblicazioni di fonti italiane ed europee ancora inesplo-
rate e dalla revisione in corso di quelle già conosciute ed edite, c'è da
augurarsi che anche per questo problema di storia, sia dato in futuro
giungere a definitive conclusioni attraverso l’attesa documentazione
coeva (1). 3

LEOPOLDO SANDRI

(1) Ci appare piuttosto fantastica l'allusione al miracolo di Bolsena che
G. De Luca ha voluto vedere, sia pure dubitativamente, in una lettera scritta
tra il 1268 ed il 1271 a Giovanni de Courtenai, arcivescovo di Reines da un
G. Alberti che visita a nome dell’arcivescovo il collegio dei cardinali riunito
a Viterbo durante il celebre conclave. Il passo della lettera è « et utinam non
obstitisset illius credulitatis panis obstaculum, propter quod distulistis visi-
tare dictorum collegium dominorum», D. De Luca osserva « non mi pare pro-
babile che il credulitatis panis della lettera riguardi il miracolo di Bolsena, trat-
tato dunque piuttosto disinvoltamente », in Archivio Italiano per la Storia della
Pictà, vol. I, Roma, 1951, pag. 339 e pag. 328.

J ALCUNE NOTIZIE INEDITE
SU SER GUERRIERO DA GUBBIO

Alle notizie che già il Mazzatinti trasse dalle matricole dei no-
tai eugubini, per una meno confusa conoscenza della persona e del
nome di ser Guerriero de' Campioni (1), il noto autore della Cronaca
eugubina accolta nella silloge muratoriana, vengono ora ad aggiunger- .
si alcune lettere dei conti d'Urbino, che danno alla persona del no-
taio cronista un maggior rilievo, presentandocelo come ambasciatore
e funzionario di corte de’ suoi signori e come investito di magistra-
ture in talune delle grandi città italiane.

Il sette settembre del 1430 Guidantonio da Montefeltro. che
aveva assunto «per ponto d’astrologia » il comando supremo del-
l’esercito fiorentino contro Lucca, mandava da Cascina ai Priori di
Siena la seguente lettera a mezzo di ser Guerriero:

« Magnifici et potentes domini patres carissimi. Mando a la Si-
gnoria vostra ser Guerriero da Eugubio mio familiare, portator de
questa, al quale ho imposto alchune cose che vi dica per mia parte:
et pertanto prego la Signoria vostra gli piaccia dare piena fé quanto
a mi, A la qual vostra Signoria me recomando. Ratum Cascine VII
septembris MCCCCXXX.

filius. Guidantonius comes Montisferetri, Urbini oto. ac globi
Comunis Florentie Capitaneus Generalis » (2).

Sebbene il conte d' Urbino si limiti, con queste poche righe a pre- -
sentare ai Priori di Siena ser Guerriero, esse confermano quell'ima-.
gine che del notaio eugubino ci dava la sua Cronaca: qual d'un no-
taio al seguito d'un capo, di milizie, di qualcuno de' conestabili di
Nicolò Fortebracci da prima, e poi dei suoi naturali signori, di Gui-
dantonio da Montefeltro prima e del conte Federico suo figlio poi..

(1) Cronaca di Ser Guerriero da Gubbio, a cura di G. MAZZATINTI, in «R.R..
II. SS.?», T. XXI, P. IV, Città di Castello, 1902, pag. V.
(2) AncH. pr SrATO Di SrENA, Concistoro, 1919, n. 6, originale. Sul
tergo: « Magnificis potentibus dominis patribus carissimis dominis Prioribus
et Capitaneo Populi et Communis Senarum ».

NOTE E DOCUMENTI 173

Ed a Federico doveva essere assai caro, giudicando dall’instanza
con la quale nel novembre del 1449 chiedeva a Cosimo de’ Medici ed a
Piero suo figlio, che s'adoprassero affinché fosse eletto officiale del-

‘l’Arte della Lana, assicurando che la elezione sarebbe caduta in « per-
sona da bene » che avrebbe fatto loro onore. Ove si consideri che Fe-
derico era ancora soldato dei fiorentini, si comprenderà che la richie-
sta cadeva in momento assai opportuno. Essa dice:

« Magnifice frater et compater honorande. A li di passati per An-
tonio da Foligno advisai il Magnifico nostro comune patre che haveria
caro la Sua Magnificentia scrivisse a li vostri a Fiorenza che ser Guer-
riero mio dilectissimo cetadino da Ugubio fosse electo offitiale de l'Arte
de la Lana, et da poi anche li scrissi. Hora, per non tediare più la Sua
Magnificentia, con sicurtà reprico a Voi pregandove adoperiate per
dicto ser Guerriere como solete fare per lo amico, che oltra a servire
a me, che per una fiada non podria havere magiure apiacere, farite
fare electione in persona da bene et che ve ne renderà honore. Et a
ció possiate fare questo principio con effecto, mando incluso li nomi
de li consoli de l'Arte. El tempo da la nova electione, secondo sento,
serà a XXVIII del presente. Ex Ulmo prima novembris 1449.

Federicus Montisferetri Urbini et Durantis Comes etc ». (3).

La commendatizia ottenne il suo effetto e ser Guerriero ebbe
l'officio desiderato. Copri poi l'officio di cancelliere della sua città e
come tale nel 1456 riceveva per il comune di Gubbio le sette tavole
di bronzo (le famose Tavole Eugubine), scoperte nel 1444, da Paolo
Gregori da Signa, abitante in Gubbio, a nome di Presentina figlia del
fu Francesco di Vico Maggi e dalla signora Angela moglie del detto
Paolo (4). Ma la magistratura fiorentina doveva essere assai più
remunerativa di quella paesana e tale da doverne essere assai con-
tento se quattr'anni dopo chiedeva al suo Signore di poter esservi
chiamato ancora una volta. Federico infatti richiese pel suo protetto
l'officio desiderato, con la seguente lettera indirizzata a Giovanni di
Cosimo de’ Medici: 4

«Magnifice frater carissime. Altre volte a mia requisitione face-
ste ellegere a l'ofitio de l'Arte de la Lana ser Gueriere de’ Campioni

(3) ARcH. DI STATO DI FIRENZE, Med. av. il principato, f. XIV, lett. n. 22
originale, a tergo: « Magnifico fratri et compatri honorando Petro Cosimi de’
Medicis ». 3

(4) Giornale di Erudizione artistica, Perugia, 1872, Stromento di compera
delle Tavole Eugubine, pag. 178.

174 NOTE E DOCUMENTI

mio dilectissimo cetadino de Ugubio: et perché lui ha fornito el di-
veto desideraria retornarvi. El perché strectamente ve pregho, così
commo operaste alora, operiate al presente, che per una fiada non
poreste farne cosa più grata, offerendomi sempre a simele et magiure
a li vostri piaceri. Ex felicibus castris apud Trontum die XXII se-
tembris 1460.

Federicus Montisferetri Urbini ad Durantis Comes etc. ac Re-
gius Capitaneus Generalis (5) ».

Da queste lettere resta confermato quant’asserivano le matricole
dei notai eugubini che indicavano lo storico col nome di famiglia
«de Campionibus »: e ci dicono inoltre che se nel decembre 1429 era
ancora al servizio di Nicolò Fortebracci e con quel capitano prese
parte alla campagna in Valdinievole e in Garfagnana, pochi mesi
dopo era passato al servizio del suo naturale signore Guidantonio
da Montefeltro e che si trovava ancora agli ordini di Federico nel
1460. In questi trent'anni egli fu assai accetto ai suoi principi e piü
dovett'esserlo negli anni successivi se, uomo di poche lettere, a cele-
brare l'elevazione a duca del conte Federico, egli scrisse l'opera alla
quale è raccomandato il suo nome. Questa, più che una cronaca eu-
gubina come suona il titolo, è una autorevolissima biografia di Fe-
derico da Montefeltro, cui fan da preambolo gli avvenimenti che con-
dussero Gubbio sotto l'obbedienza dei conti e duchi d’Urbino.

Cronaca autorevolissima, ben inteso, per quelle parti che ser
Guerriero attingeva ai propri ricordi e per gli anni nei quali egli stesso
fu attore degli avvenimenti che narra. Sotto questo riguardo la Cro-
naca è una delle fonti, ed autorevole assai com’abbiam detto, per la
vita di Federico da Montefeltro, indipendente com’è dal Paltroni e
superiore alla biografia disegnata dal cancelliere di Federico, alla
quale dona il lume di un’esatta cronologia. Del resto se il Muratori
l'accolse nella sua silloge, c'erano sicuramente dei validi motivi.

Essa è meno buona nella prima parte che va con la narrazione
sino alle soglie del secolo XV. Li si rivela l’uomo di poche lettere,
incapace di controllar le sue fonti e di coglierne in taluni punti il si-
gnificato. Ma circa i pregi e i difetti della sua cronaca, riprenderemo
il discorso un'altra volta.

GINO FRANCESCHINI

(5) ARcH. ST. FIRENZE, ivi, f. VI, lett. n. 484, originale. À tergo: «Magni-
fico fratri carissimo Johanni Cosime de' Medicis civi florentino ».

BALDASSARRE ORSINI E IL TRATTATO
DELLA PITTURA DI LEONARDO (*)

Nell’anno 1805 per i torchi di Carlo Baduel, usciva in Perugia il
« Trattato della Pittura » di Leonardo (1).

Ne aveva curata l’edizione Baldassarre Orsini, una delle figure
più significative di Perugia nel periodo tra gli ultimi del Settecento
e gli albori dell'Ottocento, che, sebbene sconosciuta dalla maggior
parte degli scrittori d’arte, merita di essere più compiutamente lu-
meggiata e rivendicata ad un più largo apprezzamento degli studiosi.

Nacque l’Orsini nel 1732 in Perugia da Valentino Orsini e da
Anna Maria Camilletti, che morì a solo otto anni dalla nascita del fi-
glio. Nella sua prima giovinezza ebbe maestro nelle Arti del Disegno

(*) Ringrazio il prof. Bertini Calosso, che dopo un mio articolo pubbli-
cato nel giornale Centro Italia del 24-30 maggio 1952, con cui in occassione
delle Celebrazioni Vinciane volli ricordare l’omaggio che già Perugia aveva
reso al Sommo con l'edizione locale del Trattato della Pittura, mi suggerì di
svolgere più ampiamente l’argomento, offrendo quindi ospitalità al mio mo-
desto scritto in questo Bollettino.

Potranno queste mie brevi pagine servire anche a mettere meglio in luce
l’ambiente culturale perugino nel periodo tra il sec. xv e il sec. xIx, già il-
lustrato da GIrovaNnNI CEccHINI nel suo Saggio sulla cultura artistica e lettera-
ria in Perugia nel sec. x1x (Foligno, 1921) e da GAETANO GasPERONI in Movi-
‘mento culturale umbro nel sec. xvii (Boll. della Deput. di Storia Patria, xxxvi,
1940), per non parlare dell'arguto e sempre piacevole nostro storico Luigi Bo-
nazzi.

(1) Trattato della Pittura di Lionardo da Vinci nuovamente dato in luce
con Note, e Supplementi, e con le Memorie dell’ Autore per opera di Baldassarre
Orsini Direttore dell’Accademia del Disegno nell’ Augusta Città di Perugia, Pe-
rugia, 1805, presso Carlo Baduel Stampatore Cam, e Vesc., tomi 2 in 1 vol.,
con il ritratto di Leonardo inciso dal fiorentino Raimondo Faucci, che tanto
lavorò in Perugia.

Contiene inoltre una Appendice intorno al metodo di disegnare secondo il
vedere dell’Occhio o sia di quella parte del Disegno, che dinominasi Prospettiva
Artifiziale, Opera pittorica ordinata per gli studiosi del Disegno da Baldassarre
Orsini.

176 . NOTE E DOCUMENTI

Francesco Busti (1), e non ancora ventenne si recò a Roma per fre-
quentare la scuola del Massucci, che era. allora pittore molto sti-
mato. Nei ventotto anni di permanenza a Roma ebbe modo di cono-
scere e frequentare il Mengs, l'artista sassone che aveva la direzione
della Scuola di Pittura del Vaticano. Cosi calda stima questi gli con-
cesse da sceglierlo quale maestro dei suoi figli.

Nel 1779 ritroviamo l'Orsini a Perugia con l'incarico di dipinge-
re le scene del Teatro Civico del Verzaro, che illustró, dando anche
precetti di scenografia in un suo apposito volume (Perugia 1785) (2). -
Nel 1790, poi, vi accettava la direzione dell'Accademia del Disegno,
allora per nulla fiorente.

Dopo una vita intensa di studio e di attività, colpito da para-
lisi, Baldassarre Orsini cessava di vivere il 13 dicembre 1810 (3).

Al generale cordoglio si uni il tributo di gratitudine degli sco-
lari che a spalla accompagnarono il feretro del maestro scomparso
alla Chiesa dei PP. Carmelitani Scalzi (4).

(1) Francesco Busti ebbe i natali in Perugia nel 1678. Fra le sue opere
migliori l’Orsini rammenta il quadro di S.Vincenzo Ferreri, eseguito per la
Chiesa di S. Domenico, dove tuttora esiste. Cfr. LuPATTELLI A., Storia della
pittura in Perugia, Foligno, 1895.

(2) Sono proprio i suoi scritti di scenografia a tenere ancor vivo il nome del-
l'Orsini. Di particolare interesse sono i suoi problemi di prospettiva aerea e lo
studio dei rapporti tra colore e colore. Nonostante la critica un po’ contrastante,
l’Orsini potrebbe dirsi un antesignano nel campo della tecnica divisionista.

Oltre che da ManiAROSA GABBRIELLI e da VrnaiLIo Mancui (Encicl. Ita-
. liana, voll. 13, 68b e 31,25c), lo scenografo perugino è ricordato anche da V.
MARIANI nella rivista L'Arte del 1923.

(3) Ho desunto i rapidi cenni biografici dalla Buxpeía degli scrittori pe-
rugini..., II, Perugia, 1829, di G. B. VERMIGLIOLI (che rimane la fonte princi-
pale di notizie sulla vita e l’opera dell’Orsini), il quale compendiosamente ed ef-
ficacemente riassunse l’opera dell’Orsini nell’iscrizione, composta peri fune- :
rali di lui e riportata da Umberto Calzoni nella sua biografia di B. Orsini, nel
volume in memoria di Annibale Mariotti, pubblicato dal Liceo a lui intitolato,
in Perugia nel 1901.

Dinanzi al feretro Luigi Canali recitò un’orazione funebre, passata poi
alle stampe.

Ai primi del 1900 il capitano Beniamino Cenci ebbe la ventura di ritrova-
re tra le carte di un suo antenato l’autobiografia dell’Orsini. Le poche pagine
furono scritte su preghiera di Lodovico Cenci, ma con la precisa condizione di
non pubblicarle. La notizia è data dallo Scalvanti in un suo articolo -sull’Or-
sini apparso nel quotidiano Unione Liberale (1910).

(4) Erano sede dei Carmelitani gli edifici circostanti la Chiesa di S. ‘‘Tervéal
oggi adibiti a scuole, prossimi alla Torre degli Sciri.

NOTE E DOCUMENTI 177

“Perugia aveva perduto il « Padre delle Belli Arti del sec. XIX ».
Non mancarono all'Orsini né la passione né la tenacia.

Se le opere che egli lasció nel Duomo e in palazzi signorili a Pe-
rugia e a Todi non valsero a dargli fama di valente pittore o di geniale
architetto (1), la sua vasta produzione di opere, a carattere preva-
lentemente didattico, lo additano quale appassionato e coscienzioso
oltre che valente maestro.

La sua Geometria e Prospettiva pratica (2), l’Antologia pittorica
il Dizionario di Architettura, il commento alle opere di Vitruvio, -
dello Scamozzi, di Leon Battista Alberti ed i suoi numerosi trattati
dimostrano quanto l’Orsini avesse a cuore la formazione dei giovani
artisti e come si studiasse di completare l'educazione degli scolari che
amava sinceramente. Un accenno a tale lunga dimestichezza con
gli allievi puó leggersi nel suo volume sulle Scene del Verzaro.

Si è detto poc'anzi che l'Orsini assunse la direzione dell’Acca-
demia del Disegno in un periodo poco felice; un suo manoscritto
presso l'Accademia di Belle Arti (3) documenta le molteplici avversi-
tà e gli ostacoli che si frapponevano alla intelligente e solerte opera
del nuovo Direttore eletto « per omnia vota alba ».

Poiché aveva in animo di tornare a Roma, Baldassarre Orsini
si era mostrato a lungo dubbioso ed incerto all'architetto perugino
Vincenzo Ciofi che lo sollecitava ad accettare l'incarico, e solo quan-
do seppe da questi «che si correva pericolo di dare in affitto le stanze
dell'Accademia, essendosene già da taluno fatto richiesta, egli a be-
nefizio della Patria, si prestò a questo incarico... » (4).

Difficoltà finanziarie (l’Orsini insegnava senza retribuzione) (5)
continue petizioni ai Decemviri persino allo scopo di ottenere olio per

(1) Nella Descrizione di Perugia di S. SrePI sono ricordati i vari lavori di
pittura lasciati dall’Orsini in Perugia. Nel quadro del Martirio di S. Lorenzo
nell'Abside della Cattedrale ha ritratto se stesso nella figura dietro il Santo in
costume spagnolo. Rimane graziosa cosa dell'Orsini l'anfiteatro aréadico del
Frontone.

(2) « Opera cotanto rinomata che Napoleone I, re di Francia con suo de-
creto stabili che tutto il suo Stato dovesse questa sola studiare chi a tal Pro-
fessione avesse voluto attendere» (AGostINI, Dizionario perugino storico-
biografico. Ms. Arch. S. Pietro, Perugia).

(3) Sono grata al Direttore dell’Istituto d’Arte Arch. Pietro Frenguelli,
che lo ha cortesemente messo a mia disposizione con i) materiale che poteva
essermi utile.

(4) Ms. cit, pag. 27.

(5) Ms. cit, pag. 101.

12

178 NOTE E DOCUMENTI

i lumi, mancanza di locali, lotta di concittadini (1) avrebbero stan-
cato chiunque altro fosse stato al posto dell’Orsini, ma egli non ab-
bandonò l’impresa; e pur se l’autorevole Vermiglioli lo definisce un
cinico (2), non gli si può disconoscere il merito di aver tenuto desto
nella sua città l’amore per le Arti oltre che con i suoi scritti anche
con la sua instancabile attività.

Giustamente — ci sembra — il Bonazzi dà tra gli scrittori d’arte
del secolo scorso il secondo posto a Baldassarre Orsini, dopo Anni-
bale Mariotti. Questi eruditissimo come storico, riconosce di non a-
vere sufficiente senso critico per giudicare le opere d’arte. In una
lettera del 1788, diretta all'Amaduzzi, e pubblicata dal Gasperoni,
egli dice: « Io ho cercato di spargere qualche lume storico sulle opere
che abbiamo spettanti alle arti del Disegno; poco o nulla peró ho
potuto dire sul merito loro, non avendo io capitali bastanti a deci-
derne. Sento che il Signor Orsini medita di pubblicare altre lettere
in risposta alle mie, ed egli che è del mestiere soddisferà a quella
parte che per me non si è potuta compiere ».

Qui il Mariotti accenna alla Risposta alle Lettere Pittoriche del
dott. Annibale Mariotti pubblicata in seguito nel 1791, nella quale
l’Orsini fa anche un accenno alla fatica che aveva in animo di intra-
prendere per pubblicare il Trattato della Pittura. Parlando della com-

posizione, egli dice che il lavoro di Leonardo: « Avrebbe, egli è vero,
bisogno di un po’ di carezze per farlo un po’ più intelligibile, in alcuni
precetti, che paiono inesplicabili; e sono stato tentato d’illustrarlo.

(1) Cristofano Gasperi, da Magione, formatosi anch'esso alla scuola del
Massucci, molto valente nel disegno, criticava in ricorsi alle superiori autorità
il metodo d’.nsegnamento «di un certo Baldassarre Orsini» che istruiva i
giovani anche nello studio della Geometria e Prospettiva « distintissime e se-
paratissime Arti liberali » che non si possono assolutamente confondere con
la nobile scienza del Disegno » (ms. cit, pag. 39)

È da ricordare in proposito che la traduzione della Prospettiva di Euclide,

fatta da Ignazio Danti e pubblicata in Firenze dai Giunta nel 1573 è dedicata
dagli stampatori agli Accademici del Disegno di Perugia. Si sentiva dunque
la convenienza dell’insegnamento della Prospettiva già al nascere dell'Acca-
demia.
(2) Forse più che un cinico era un mordace. Si riporta di lui questo aned-
doto: al pittore Marcello Leopardi, Accademico Romano che, avendo termi-
nato di dipingere la Cappella del SS.mo Sacramento nel Duomo di Perugia,
gli chiedeva il suo giudizio, Baldassarre Orsini rispose: « Mi piace che quei San-
ti si stanno raccomandando al Signore che li risani, perché sono tutti storpi
ed il Padre Eterno loro dice: « Cosa vi ho da fare Santi miei, sono storpio
per me».

NOTE E DOCUMENTI 179

con delle note e lo farei se fossi assicurato del pubblico gradimento ». (1)
Più avanti aggiunge di desiderare «che a trovare il buono, e
difettoso delle pitture si facesse uso delle regole, e precetti degli e-
gregi Artefici e fondatori di Pittura, come sono il Vinci, il Lomazzo
e Leon Battista Alberti... ed allora diverrebbero le censure molto
giuste e le lodi sobrie, e non vaghe. .. » (2). Soprattutto, quindi, per
guidare i suoi allievi Baldassarre Orsini si accingeva a pubblicare il
Trattato della Pittura di Leonardo, che avrebbe dovuto essere — è
quanto dice nella sua prefazione — il codice per ciascun giovane stu-
dioso di pittura (3).

Rifacendosi alle edizioni precedenti di Parigi, Bologna e Napoli,
critica quella di Firenze del 1792 sulla copia a mano di Stefano Della
Bella e dice di seguire quella parigina del 1651 del Du Fresne. Si at-
tiene infatti fedelmente al testo, allontanandosi però nei disegni
che, in tavole separate, hanno i contorni non ombreggiati.

Non fa cenno l’Orsini dell’edizione dei Classici Milanesi che era
stata pubblicata in Milano nel 1804, ossia l’anno precedente a quella
perugina. È da ritenere, con probalità, che egli la conoscesse e seppu-
re avesse avuto in animo fin dal 1791 di pubblicare l’opera di Leo-
nardo, deve essersi sentito incoraggiato nella sua fatica dall’edizio-
ne di Milano. Ma si potrebbe per scagionare l'Orsini dall'aver taciu-
to dell'edizione dei Classici supporre che il suo lavoro fosse già stato
cominciato a comporre nel 1804, quando non era ancora uscita l'e-
dizione milanese e che per lungaggini di tipografia abbia veduto la
luce solo nel 1805 ? Tanto piü che nel confronto tra le due edizioni
non possono in verità trovarsi elementi decisivi per concluderne che
l'Orsini si sia servito della prima. La stessa divisione dei capitoli é
quella antecedente alla edizione dei « Classici ».

La vita di Leonardo che segue alla prefazione, e che l’Orsini ri-
calca su quella del Vasari, nell’edizione milanese fu compilata dall'A-
moretti che, allora bibliotecario dell’Ambrosiana, poteva giovarsi di
prezioso materiale a sua disposizione. Questi considera probabile che

(1) Orsini B. Risposta alle lettere pittoriche del signore A. Mariotti, Peru-
gia, 1791, pag. 12.

(2) OrsINI B. Op. cit. pag. 103.

(3) Orsini B. Trattato della Pittura di Leonardo da Vinci, Perugia 1805,
pag, VI. A pag. vii l'Orsini scrive « Non ispiegherò cose superiori al mio inten-
dimento. Io propongo, espongo, descrivo, dimostro e conchiudo: e questo e
non altro é il mio stile di scrivere per farmi intendere da chicchesia con chia-
rezza, e con verità ».

130 — NOTE E DOCUMENTI .

Leonardo abbia scritto molte cose, tra cui il Trattato della Pittura,
per l'Accademia di Milano, che da lui prese il nome, allo scopo di di-
scuterne con i colleghi e di istruire gli scolari. Bene avrebbe dunque
compreso l’Orsini l’intendimento di Leonardo. i

A differenza degli Editori milanesi, che si sentono indotti a pub-
‘blicare il Trattato soprattutto dal giudizio del Parini su Leonardo,
quale « Autore di lingua », l'Orsini afferma che il pregio dell'opera
«non è riposto nella purgata grammaticale eleganza dello scrivere;
ma sibbene nel valore de’ suoi precetti pittorici » (1). ES

Tuttavia egli riporta il sonetto, ritenuto più o meno a ragione di
Leonardo, e che compare anche nell’edizione dei « Classici Milanesi ».

Quanto quella perugina volesse presentarsi più completa delle
precedenti, ed ispirata a diverso carattere, appare dal ricco corredo
di note e dai supplementi che rivelano oltre all’intendimento didat-
tico, anche un nuovo criterio di critica. È la prima volta che si tenta
l'arduo compito di commentare l'opera di Leonardo, tanto tormen-
tata dai critici, particolarmente da quelli d'oltralpe. Pregio questo
del lavoro dell'Orsini, che é sottolineato anche dal Manzi nella sua e-
dizione del 1817, la quale basata sul Codice Vaticano Urbinate fino
ad allora t segna un'era nuova nella storia delle edizioni
di Leonardo (2).

Si era detto dài Trattato della Pittura che costituiva un lavoro
del tutto inorganico, frammentario e che per questo perdesse ogni
suo pregio; l'Orsini si studia di riparare a questa manchevolezza con
opportuni richiami e riferimenti (3). Per interpretazioni di passi po-
co chiari frequentemente le note rimandano al Trattato dell’ Arte del-
la Pittura del Lomazzo. Per l’ Orsini il pittore milanese aveva mol-
to appreso da Leonardo, «aveva bevuto al fonte più puro » egli dice, -
aggiungendo che « quanto si è da lui insegnato in questa materia pos-
sa soddisfare al genio dei pù rigidi studiosi di pittura » (4). Notevole ‘

(1) Trait. della Pitt., pag. xir.

(2) Come poi la fatica del nostro Orsini sia stata dimenticata lo prova il
fatto che nell’edizione del Trattato curata da GAETANO MILANESI e pubbli-
cata in Roma nel 1890 tra le edizioni del Trattato non si annovera questa
del nostro concittadino. Nè la ricorda ANGELO BorzeLLI nell’Introduzione al-
l’edizione da lui curata nel 1914 per il Carabba di Lanciano. Sembra che nem-
meno LioNELLO VENTURI conosca l'edizione dell'Orsini. ;

(8) «L'Autor», forse, non ebbe tempo di riordinarlo, e di presente coi
suoi nei, lascia indietro tutti i Trattatori di Pittura, che dopo il da Vinci fu-
rono in voga ». Tratt. della Pitt. pag. VI.

(4) Tratt. della Pitt., pag. 90, in nota.

NOTE E DOCUMENTI . 181

questo atteggiamento di Baldassarre Orsini nei confronti del Lo-
mazzo, soprattutto per quanto riguarda le sue osservazioni critiche.

Questi si distacca infatti, dagli altri scrittori del Cinquecento,
che in linea di massima apprezzavano nell'opera di Leonardo quella
grazia squisita, che entusiasmava anche Isabella d'Este.

Né il Giraldi, che giunge ad una considerazione psicologica del-
l'arte vinciana, né il Serlio — per citare i maggiori - indicano preci-
samente e in maniera completa i principi dello stile di Leonardo, che
«sono piuttosto lo specchio di bisogni pratici e sociali » (1).

Gian Paolo Lomazzo che viveva in Milano, amico del Melzi, a-
mava leggere gli scritti di Leonardo, conoscerne le opere profonda-
mente, tanto che potrà dire qualcosa di veramente nuovo nel campo
della critica leonardesca (2). L'Orsini oltre ad apprezzarne i giudizi
avverti l'eco che dagli scritti di Leonardo si ripercuoteva nel Trat-
tato del Lomazzo, e ad esso rimanda come a colui che meglio si é
accostato alla mente di Leonardo (3).

L'Orsini scrive in pieno periodo neo-classico; certo il meno a-
datto ad intendere i misteriosi effetti di luce ed ombra, che danno
carattere e fascino alla pittura di Leonardo. Si attingeva allora all'ar-
te antica, si era perduto il senso del colore per dare pieno valore al
contorno e si rifiutava ogni gioco di chiaroscuro. E vero che il Winckel-
mann proclamava qualcosa di diverso e che il Mengs parlava — se-
condo il Venturi - del chiaroscuro in senso «prettamente vinciano » (4)
ma è altrettanto vero che si levavano anche voci decisamente ostili,
quali quella del Bosse che riduceva il valore del Trattato, scritto « sans
aucun ordre et regle» ad una sola pagina, formulando giudizi veramente
azzardati. Contro questi con lo spirito pungente che abbiamo già
avuto modo di sottolineare, si erigeva l’Orsini in difesa di Leonardo (5).

(1) L. VENTURI, Storia della critica d'arte; Roma, 1945, pag. 164.

(2) L. VenTURI, La critica e l’arte di Leonardo da Vinci, Bologna, 1919.

(3) Tratt. della Pitt., pag. 123, in nota.

Vuole l’Orsini che « chi scrive di pittura debba dire cose vere, poco impor-
tano se egli sappia o no mettere in opera quanto dice ». Soggiunge « che il sot-
tilissimo Leonardo da Vinci scrisse di Pittura con tanta profondità che diffi-
cilmente uno s’indurrà a credere, che ei operasse con quella medesima sotti-
gliezza che scrisse; e dicesi che lo stesso succedesse al Lomazzo ». In questo
giudizio l’Orsini riprende il pensiero dello SCARAMUCCIA, pittore perugino (1616-
1680), che esprime tale parere nella sua opera « Finezze de’ pennelli italiani »
edita a Pavia nel 1654.

(4) L. VENTURI Storia crit. arte già cit., pag. 140.

(5) « Estan certain que pour arriver à la perfection de vray Peintre, il se

182 NOTE E DOCUMENTI

E - si badi — non è fanatico entusiasmo quello che guida l'Orsini
nei suoi giudizi su Leonardo, ma studio coscienzioso e buona com-
petenza, che gli hanno permesso di capire quello che di nuovo egli
aveva detto e che non tutti avevano inteso. s

Comprende, ad esempio, come Leonardo fosse stato spinto alla
ricerca del chiaroscuro per imitare diligentemente la natura « ma-
dre comune di tutte le arti » e come la conoscesse, oltre che da artista,
anche da scienziato.

Dice il Venturi « che il Trattato di Leonardo sarà il programma
fondamentale del sec. xvi. Il pittore deve conoscere e rappresentare
tutti gli aspetti della natura, le nebbie, le pioggie, la polvere, i fiu-
mi, le trasparenze delle acque, e le stelle nel cielo » (1).

Avverte ugualmente l'Orsini la novità della prospettiva lineare
di Leonardo, che si allontana da quella dell'Alberti, e ne sottolinea
l'importanza nelle note a carattere strettamente tecnico.

Ma il maestro perugino aveva anche sensibilità d'artista ed ap-
prezzava la bellezza del contrasto nella pittura di Leonardo; «la no-
biltà ne’ moti, chiarezza di immaginare, beltà ne’ volti » e notava
come fosse « unico nell’effigiare le cose divine ed angeliche, famoso
ne’ ritratti, bravissimo compositore de’ mostri » (2). Quando tutta-

via, qualche precetto gli appare tramontato, l'Orsini, da critico
sereno ed obiettivo, non si astiene dal sottolinearlo (3); dice lo Scal-
vanti, nell'articolo citato, che egli serbó giusta misura nella critica,
sia favorevole che sfavorevole. L'Orsini aveva inteso Leonardo; lo
ammirava e capiva il valore dei suoi scritti, per cui si rifiutava di se-
guire la corrente dei suoi tempi che con tanta leggerezza aveva ri-

faut servir des regles toutes contraires a celles de ce pretendu L. de Vinci. Cosi
parla con franchezza il buon Franzese per rispetto al Pussino. Chi ha rimirato
le sue più belle opere in Roma, saprà ancora compassionare l’ignoranza di co-
testo Oltramontano, e di tutti coloro che anche sulla fine dello scorso secolo
hanno così creduto ». (Tratt. della Pitt., pag X, in nota).

(1) VENTURI L. La crit. e l'arte di L. da Vinci già cit. pag. 129.

.(2) Tratt. della Pitt., pag. XV. Eppure l'ambiente perugino, in cui l'Or-
sini viveva non era dominato da molto buon senso artistico, se si pensa che il
Mariotti, il più autorevole dotto e letterato e la mente più dotata di qualità
dell’epoca, trovava che bene si addicesse a completare il severo aspetto della
chiesa gotica di S. Ercolano il campaniletto settecentesco, « che ne termina
vagamente il prospetto » Il giudizio, che il Mariotti esprime nella Lettera scritta al
Sig. AB. N.N. Romano per ragguaglio della Chiesa di S. Ercolano di Perugia
da Nalbinae Tritiamo (Firenze, 1775, pag. 100), sarà poi ripreso dal Siepi.

(3) Tratt. della Pitt., pag 286, in nota.

NOTE E DOCUMENTI 183

posto in un angolo il Trattato della Pittura, permettendo a qualche
straniero di muoverci l’accusa più o meno fondata, di aver lasciato
sotto la cenere un’opera di tanta importanza.

Se ì Francesi possono menar vanto di aver dato per primi alle
stampe il manoscritto di Leonardo, ammettano che mentre voci di
disapprovazione si levavano anche nella loro terra, in Italia c’era chi
aveva capito il valore di colui che non era più considerato un mago,
ma un artista e uno scienziato.

Dall’oblio noi abbiamo voluto togliere l’opera dell’Orsini, che
merita di essere segnalata e ricordata nella storia delle edizioni vin-
ciane. La fatica del Direttore dell’Accademia del Disegno, apprezza-
bile anche per aver permesso di annoverare tra le prime edizioni ita-
liane quella perugina, testimonia che apporti meritevoli di qualche
apprezzamento sono derivati alla cultura nazionale dalla città di Pe-
rugia anche il quel secolo, nel quale, secondo alcuni, essa avrebbe ta-
ciuto completamente.

Di Baldassarre Orsini come cittadino e maestro dissero alcuni
padri di famiglia: « ... benediciamo il Cielo di averci dato in sorte
nel Signor Baldassarre Orsini un quanto dotto altrettanto amore-
vole cittadino, il quale spogliato d’ogni interesse, e condotto solamente

dal proprio amore, con tanto impegno attende a promuovere il felice
coltivamento del Disegno, della Geometria e dell'Architettura» (1).

Sono giudizi di contemporanei: in genere i meno indulgenti e i
piü scettici.

OrcA MARINELLI

(1) Ms. cit., pag. 100. Sono parole di un memoriale che capi di famiglia,
nobili, cittadini ed artisti di Perugia presentarono in Roma all'Eminent.mo
Carandini, Prefetto della Congregazione del B.G., affinché fosse concesso a
Baldassarre Orsini un onorario annuo.

Il Direttore dell’Accademia rinunciò alla sua carica quando, ormai set-
tantenne, avrebbe dovuto prestare giuramento di fedeltà al nuovo governo
repubblicano, proclamato dalle truppe francesi. Ad Annibale Mariotti, allora pre-
fetto consolare, addusse a pretesto la sua età avanzata (Cfr. MONTESPERELLI
Z., Brevi cenni storici sulla Accademia di Belle Arti in Perugia, Perugia, 1899.)

Resta intanto indiscutibile il fatto che per merito dell’Orsini il Trattato
di Leonardo divenne familiare ai cultori d’arte in Perugia. Un anonimo con-
cittadino, nel criticare in un suo scritto a stampa il quadro che il Wicar
aveva dipinto nel 1825 per la cappella del S. Anello in Cattedrale, dice che
ogni pittore dovrebbe rammentare i canoni sulla prospettiva lasciati dal
« grande Leonardo » e che l'autore dell'aspra critica riporta.

La fatica dell Orsini non passò indarno. È

NICOLÒ CIRCIGNANI() DETTO «IL POMARANCIO»

Nicolò Circignani (2) ebbe i natali in Pomarance (la Pomarancia
dell’antichità), città del Volterrano nell’antico Stato di Firenze.

Non si conosce con precisione l’anno di nascita perché scarse sono
le memorie che intorno alla sua famiglia rimangono in patria, e per-
ché i registri parrocchiali della Chiesa di Pomarance hanno principio
solamente dal 1564. Gli antichi storici dell’arte, anche i più vicini al
Pittore, sono discordi nell’indicare gli estremi della sua vita. Il Ba-
glione che scriveva le sue Vife (3) non molto tempo dopo, lo dice
nato nel 1516 e morto nel 1588 di anni 72. Nicolò Pio (4) nel suo
Ms. della Vaticana conferma il detto dal Baglione. Il Titi (5) nella
sua Guida di Roma lo dice morto all’età di anni 80, facendolo morire
nel 1596. Il Ticozzi (Dizionario degli Architetti) (6) lo dice morto nel
1591. Dai documenti che pubblichiamo risulta invece che nel novem-
bre 1597 viveva ancora e lavorava. Nel 1599 era morto. Si può rite-
nere dunque come molto probabile la sua morte nel 1598 (7).

Il Circignani era in Firenze quando il Vasari scrisse le sue Vite e

(1) Eviterò in questa Rassegna di nominarlo come spesso è chiamato
«Pomarancio » per non confonderlo con gli altri tre pittori che hanno lo stesso
soprannome, derivato dal paese di origine: il figlio Antonio, Cristoforo Roncalli
e Jacopo Vignoli, quest’ultimo nato nel Casentino nel 1592, morto nel 1664.

(2) Questo casato viene in vario modo ripetuto nei documenti e nei di-
pinti: CINCIGNANI, CERCIGNANI, CIGNANI 0 CIRGNANI.

(3) BaGLIONI, Vife, dal 1572 al 1642.

(4) NicoLò Pio, Le Vite dei Pittori. Bibliot. Vatic., Cod. SOBRA N. 257,
D..201;

(5) Tiri, Guida di Roma, p. 451.

(6) Ticozzi, Dizion. Arch. ecc.

(7) Nell'Archivio della Chiesa Collegiata di Città della Pieve non esiste
il Libro dei morti del 1598.

NOTE E DOCUMENTI | 185

quindi era a lui ben noto. Il Vasari lo dice « giovane » allora, cioè nel
1550 circa, ed aggiunge che dava buone speranze di riuscire un ottimo
pittore. Se era giovane allora, vuol dire che poteva avere al.massimo.
trent'anni o poco piü, facendo così risalire la data di nascita al 1520.
Le date estreme in tal modo potranno subire qualche spostamento,
ma ben di poco.

Ebbe in patria i primi insegnamenti dell’arte e probabilmente
da quel Daniele di Volterra (Daniele di Antonio Ricciarelli) che nacque
in Volterra nel 1509, fu seguace del Sodoma o del Peruzzi, dipingeva
nel 1527, fece testamento nel 1566 il 4 di aprile, e morì lo stesso anno.
Lo stile del Circignani molto si avvicina a quello di Daniele. Venturi
lo mette nella tradizione michelangiolesca, (St. A. Z., vol. IX,
P.i Vili p: 237):

Comunque, il suo perfezionamento lo ricevette a Firenze, dove
bisognava andare per divenire perfetti, come dice il Vasari. I documen-
ti che si conoscono lo dicono « pictor florentinus ».

Difficile è stabilire chi fossero i suoi maestri in Firenze. Se dob-
biamo credere al Ticozzi, sarebbe stato il Titi di Borgo S. Sepolcro,
valente pittore uscito dalla scuola del Bronzino e del Cellini, e il Ven-
turi ripete la notizia. Il Baldinucci, che scriveva prima del 1688 le
sue Vite e parla molto di Santi di Tito, non lo annovera fra i suoi sco-
lari. Naturalmente la sua attività comincia a manifestarsi in Firenze
e nei dintorni, ma volenteroso com'era e come il Vasari ce lo fa credere,
è da presumere che abbia cercato lavoro altrove; a Firenze erano tanti
gli artisti di buona fama, i quali venivano preferiti ai mediocri e poco
noti.

Quando però si è recato nell’Umbria era già artista provetto e
quindi di età matura. Per la prima volta i documenti ce lo danno pre-
sente in Castel della Pieve (così si chiamava prima del seicento Città
della Pieve) il 24 luglio 1564 e in Orvieto il 22 Dicembre dello stesso
anno; ma dobbiamo ritenere che a Castel della Pieve fosse già da qual-
che tempo, giacché questo più antico documento lo dice «habitator ad
praesens terrae Castri Plebis » e dava denaro ad imprestito ai pae-
sani.

Pare inoltre che non avesse più intenzione di tornare a Poma-
rance, dal momento che in data del 31 luglio di quell’anno, nominava
. colà un suo procuratore per gli affari in corso, e il Notaio che roga
l'atto lo dice senza meno «hodie habitator in terra Castri Plebis ».
Come qui sia capitato non ci fu dato di scoprirlo. Una circostanza da

186 NOTE E DOCUMENTI.

considerare però è che contemporaneamente si trovava da queste
parti un fiammingo venuto anch’esso per lavoro, e i contatti fra i due
erano frequenti. Il fiammingo, Hendrich van den Broeck, venuto an-
che lui da Firenze, era in Perugia nel 1561 a dipingere una tavola per
la Chiesa di S. Francesco. Nello stesso anno era in Orvieto e avrebbe
dovuto dipingere la Cappella nuova detta dello Stucco, dove a tal
fine, per dimostrare ai Soprastanti del Duomo la sua capacità, aveva
dipinta una figura per mostra. Vi doveva dipingere i miracoli del Si-
gnore. Non si sa perché questa commissione non fu eseguita dal
fiammingo; il quale, alla fine, si sarebbe anche contentato di eseguire
soltanto la tavola destinata all'altare di quella cappella. Nel 1562 di
maggio il Fiammingo torna a chiedere l'esecuzione della tavola, ma
anche Cesare Nebbia discepolo del Muziano, l’aveva chiesta. Per la
qualcosa i Soprastanti del Duomo decidono che « debbia preferirsi
il nostro cittadino alli foristieri ».

Passano gli anni e le trattative continuano tra i Soprastanti e i
Pittori; forse il Fiammingo era occupato in altri lavori: si sa che nel
1563 era intento a dipingere il coro del Santuario della Madonna di
Mongiovino (Panicale). Ma i Soprastanti del Duomo d’Orvieto vo-
gliono che al più presto la Cappella dello Stucco sia lavorata, e vi
sia collocata la Tavola. Nel 1564, il 22 di Decembre, sono in Orvieto
il Fiammingo e il Circignani. I due pittori si conoscevano. Venuti
da Firenze dove si erano incontrati, avevano tra loro stabiliti rapporti
di amicizia e di lavoro. Il 22 Decembre di quell’anno si erano costi-
tuiti in società «per l’esercizio della pittura e scultura ed in ogni
altro lavoro per lo spazio di un anno » (1) e l’atto viene stipulato in
Perugia.

Il 21 di Gennaio 1565, e cioè pochi giorni dopo di quest’atto,
i Massari si riuniscono e deliberano di affidare la tavola al Fiammin-
go (2), e il 30 Maggio lo pregano di assumersi anche l’incarico di « pin-
gerela Cappella di stucco nuova ». Ma il Fiammingo non accetta e non

(1) Arrigo nacque verso il 1530. Venne a Firenze poco dopo la metà del
2500, passò più di 40 anni della sua vita a Firenze, Orvieto, Perugia e Roma.
Il 24 settembre 1579 ottenne la cittadinanza in Perugia. È ricordato per al-
tri lavori, nel 1582, in Mongiovino. Cfr. BomBE,i n « Rassegna d’Ar. Um »,
Anno I, fasc. 2°, p. 14.

(2) Tutte le notizie riguardanti le pitture in Orvieto sono prese dal FuMI,
Il Duomo d’Orvieto, alle pagg. dal 411 al 416. Il Fumi le aveva tratte dal
Libro delle Riformanze 1560-1571, c. 45, 50, 67, 162, 162*, 179*.

NOTE E DOCUMENTI 187

viene, perché è sempre occupato nei lavori del Santuario di Mongiovi-
no, dove sta ora a dipingere la tavola del « Deposto di Croce ». Il 31
luglio il Circignani scrive ai Massari del Duomo: « Essendoché M°
Enrico Fiammingo non possa o non voglia venire a dipignere la Cap-
pella dello stucco a fresco quando la S. V. si contentano, la dipignarò
io con ogni diligentia, che potrà stare a paragone delle altre; et pe-
quel medesmo prezzo che si pagò a M° Girolamo Veneziano, et met-
terò mano subito a dipignerla ». I Soprastanti deliberano: « che al
sudecto M° Nicola li si dia a pengere la Cappella dello Stucco, et che
ponga a paragone delle altre; et che non essendo a paragone, che non
si paghi, con questo, che debbia far venire M° Enrico Fiammengo
a pengere la tavola ».

I Soprastanti insofferenti di più attendere, finalmente accolgono la
domanda del Circignani, e il 15 d'Agosto stipulano l'atto, con cui Mo
Nicola si obliga di dipingere la Cappella dello Stucco a fresco, da comin-
ciarla subito e da darla finita entro 4 mesi, per lo stesso prezzo che
si era convenuto con M? Girolamo Muziano. Si obliga pure nel frattempo
di non prendere altri impegni che lo distraggono da questo lavoro.

M? Nicola mantenne esattamente l'impegno preso con i Sopra-
stanti; anzi invece di condurla a termine in 4 mesi, non ve ne impie-
gó che tre soltanto. Vista pertanto tanta precisione, e soddisfatti della
buona esecuzione del lavoro, nel successivo 22 Novembre oli affida-
rono quella tavola dell'altare che prima avrebbero voluto fosse fatta
dal Fiammingo. i

Questa tavola ha pure la sua storia. Il 15 Maggio 1562 era sta*a
richiesta da Cesare Nebbia, il quale aveva dichiarato che l’avrebbe di-
pinta in Roma in casa di M° Hieronimo, cioè sotto la guida del Mae-
stro. Anche il Fiammingo l’aveva chiesta, ma, come di sopra fu detto
gli fu negata. Quando i Soprastanti lo ricercarono per dipingerla, M°
Enrico non se ne curò più. Ora vista la buona volontà del Circignani
l’affidano a lui, perché sono rimasti anche contenti delle pitture della
Cappella.

Nella tavola il Maestro doveva dipingere «la historia di Cristo
quando liberò lo stroppiato che stava alla piscina ». La tavola fu ese-
guita puntualmente e M? Nicola ritiró i 100 scudi promessi.

Nello stesso anno 1565 torna frequentemente a Castel della
Pieve, interrompendo i lavori in corso in Orvieto. Aveva qui casa
aperta affidata ad una donna di servizio; e qui tornava perché una gio-
vane donzella di ottima famiglia, nobile e agiata, aveva conquistato
il suo cuore, ed erano corse promesse di matrimonio. Qui aveva fatto

188 3 NOTE E DOCUMENTI

molti amici, dava denaro in prestito, e riceveva commissioni di lavoro,
tra cui è memoria di una ordinazione di pitture fatta dalla Comunità
per il Palazzo dei Priori e per le Porte del Castello. Intanto la sua
‘ domestica che l’aveva servito per più anni (Maddalena parmense)
andando sposa, riceve da lui come dote 50 scudi. :

Nel 1566 i Soprastanti del Duomo d’Orvieto lo richiamano e
gli danno a dipingere un’altra Cappella, quella di S. Nicola. Anche
Cesare Nebbia aveva fatto domanda di dipingerne un’altra. Queste.
cappelle erano state costruite lungo le pareti, forse per facilitare
la celebrazione delle Messe, forse per ornamento e forse anche per
devozione a qualche Santo particolare venerato dal popolo. Ora si
stavano ultimando. Lo stesso C. Nebbia aveva anche chiesto di di-
pingere la tavola della Cappella della Madonna, promettendo che la
avrebbe fatta « assai più bella di quella di M° Niccolò, non disprez-
zando però mai l’opera sua ». i

L'8 di Giugno 1567 si celebra il matrimonio tra « M9 Nicolaio,
pittore di quel di Fiorenza e Donna Teodora, figliola di Ser Girolamo
Catalucci ». Alla sposa viene assegnata la dote di 400 fiorini, somma
notevole per quei tempi. La famiglia Catalucci era una delle primarie
del Paese e di nobiltà antica. Cento fiorini gli furono pagati subito;
i rimanenti 300 gli furono dati in beni stabili con atto del 14 Gennaio
1569, e cioè 210 fiorini prelevati dai beni paterni e 100 da quelli ma-
terni. Tra i beni ceduti è compresa una parte della Casa paterna. Si
trova poi che di questi beni se ne fa la registrazione nel Catasto citta-
dino, e M? Nicola paga le tasse.

Alla distanza di circa un anno nasce il primo figlio, Antonio (era
il nome del nonno) il quale seguirà sotto la direzione del padre l'arte
del pittore. Si chiamerà anche lui Pomarancio e riuscirà un pittore di
qualche nome. Acquistati altri beni coi risparmi del suo indefesso la-
voro, i Libri conservati in questo Archivio Comun. registrano i con-
tributi all'Erario pubblico. Alla sua morte lascia ai figli un patrimo-
nio notevole. Da uomo saggio il frutto delle sue fatiche ha voluto che
fosse a benefizio dei suoi 6 figli nati da Teodora.

Dove si svolge la sua attività nei primi anni della sua dimora
nell’ Umbria ? ;

In Orvieto l'abbiamo visto. In Castel della Pieve come luogo di re-
sidenza, prima e dopo il matrimonio, lavora molto nel ritorno frequente
in famiglia. Molte opere sono perdute, di altre lo sappiamo dai do-
cumenti. Nel 1568 dipinge iu Perugia, nella Chiesa della Maestà delle

NOTE E DOCUMENTI 189

Volte, Cristo che si manifesta agli Apostoli in Emmaus e i SS. Pietro
e Paolo : nella Cupola la creazione di Adamo ed Eva, la loro colpa, e la
| loro cacciata dal Paradiso terrestre, una Gloria di Angeli e, nei peduczi
i Quattro Evangelisti. In due peducci si leggono le parole « Nicolaus
Circignanus pinxit 1568 ». Altre pitture sono ricordate nelle Guide e
in altre pubblicazioni, come la Volta di S. Caterina Vecchia; un Ri-
tratto di S. Filippo Neri fatto mentre viveva e che una volta esiste-
va nell'ex Museo di S. Erminio; così pure la Cappelletta della Sacre-
stia del Duomo (1). Ma non dovrebbero essere queste sole le opere
lasciate in Perugia e dintorni, perché il Circignani è poco conosciuto,
e molte opere d’incerta attribuzione sparse nelle varie Chiese potreb-
bero esser le sue. Nei documenti lo vediamo a Perugia nel 1564.

Nel 1569 il Circignani è a lavorare nel Santuario della Madonna
di Mongiovino (Panicale). Qui era già intento allavoro, come si é detto,
il Fiammingo amico suo e socio nell'arte. Mentre il Fiammingo si era
preso l’incarico del coro dove si dovevano affrescare i Miracoli che la
tradizione recente aveva consacrato alla storia di quel Santuario,
e più una Deposizione dalla croce in tavola, il Circignani si era obli-
gato di « pengere tre Cappelle drenato de la Madonna, scontro la fine-
stra ad holio... da bon maestro et a fresco » e quella Cappella dove
sta il Crocifisso. .

Dipinse pure la Risurrezione di Cristo dove a sinistra si legge
l'iscrizione: « Nicholaus florentinus pinxit 1569». Questa data ora
é quasi scomparsa. I pagamenti per queste pitture continuano a piü
riprese per tutto Decembre; ma egli si era obbligato di dare il lavoro
finito entro il Settembre, e forse, com'era sua abitudine, mantenne
l'impegno. Trovandosi colà dipinse un'Edicola nella Villa di S. Mar--
tino; ma questa non esiste più. Anche altri lavori eseguì nella Chiesa
di Mongiovino Vecchio a giudicar dallo stile. Tornando a Castel della
Pieve non stava in ozio. Un documento del 1569 fa cenno di una
tavola per l’Altar Maggiore di S. Agostino di Sarteano che gli viene
pagata 200 scudi e si dice che é «habitator continuus... terrae
Castri Plebis ».

Nel 1570 la sua attività si trasferisce in Città di Castello, e nel
vicino paese di Citerna lavora per gli Osservanti una grande tavola di
altare la Deposizione dalla Croce con quarantatré figure, composizione

(1) BownE, in « Bollettino St. Pat. Umbra», vol. XXIX fasc. 1? e 29, /
p. 23, dice: «Che quelle piccole storie sieno del nostro Nicoló, lo lasció
scritto il Crispolti ».

190 NOTE E DOCUMENTI

grandiosa, dove ha lasciato scritto il suo nome e il millesimo. Altri di-
pinti in Citerna gli sono attribuiti, come la Predica di S. Francesco
in Citerna.

A Città di Castello è di questa data nella Pinacoteca Comunale
una tavola rappresentante il Martirio di S. Stefano, che il Circignani
aveva fatto per la Chiesa di S. Francesco dei Conventuali. Anche
questo dipinto è firmato e datato. A quel che pare a Città di Castello
si è fermato a lungo dopo il 1570. Era molto ricercata l’opera sua di
pittore, specialmente dalle varie Comunità Religiose che in que] tempo
erano fiorenti di vocazioni e di mezzi. Così nel 1572 lo troviamo occu-
pato in Umbertide (l’antica Fratta) per la Chiesa di S. Francesco.
In Città di Castello è sua una SS. Annunziata e una Immacolata Con-
cezione. In Cattedrale fece pure alcune opere che sono andate per-
dute, e dipinse la cappella Guazzini. Si sa inoltre che in quel tempo
lavorò nella Chiesa di S. Tommaso Apostolo, in quella dei Cappuccini
e in S. Domenico.

Nel 1573 è tornato in famiglia, si può supporre per passare le
feste e perché si avvicinava il parto di Teodora, che il 14 gennaio diede
alla luce il secondo figlio che al battesimo fu chiamato Mario. Ma poi
torna a Città di Castello, e lascia a Castel della Pieve un suo Procura-
tore nella persona del Socero. Si può affermare che a Città di Castello
il C. abbia svolto molta attività fra gli anni 1570 e 1573. Di Gennaio
1574 è tornato a Castel della Pieve e risolve una lite con la Confra-
ternita dei SS. Sebastiano e Rocco in occasione di alcune pitture
fatte in quella Chiesa, e per le quali aveva ricevuto il prezzo in un
terreno prossimo a quello della Confraternita, obligandosi a fare, in
questo, certe forme che non fece. A compenso ora si prende l’impe-
gno di dipingere un quadro colla Vergine SS. e i SS. Sebastiano e
Rocco, rinunciando alla mercede. Nell’Ottobre nasce la terza figlia
che prende il nome di Cleria, e la suocera fa testamento a favore
della figlia Teodora. In questi anni poi e nei successivi il C. seguita
a fare acquisti di terreni, cosicché la sua consistenza patrimoniale
diventa notevole.

Finora lavorando qua e là per l'Umbria non si trova alcuna me-
moria di Lui in Roma. La prima è quella dell'Oratorio di S. Marcello
dei PP. Serviti che è del 1575. In quest'anno tornando da Roma, forse,.
si ferma in Orvieto qualche poco di tempo per restaurare la tavola del-
la Piscina Probatica e i Soprastanti gli pagano 15 fiorini. Nel 1577 lo
ritroviamo a Città di Castello, poi a Fratta, dove aveva lasciata una
tela incompiuta, e in essa lascia scritto il suo nome e il millesimo, poi

NOTE E DOCUMENTI 191

nella Chiesa dei Camaldolesi a Monte Corona dove dipinge una ta-
vola. Città di Castello è uno dei paesi dove il C. ha lavorato di più e
dove si è fermato più a lungo. Città di Castello che per diversi anni
l'aveva veduto in piena attività laboriosa, e per i suoi buoni senti-
menti gli si era affezionata, gli decreta la nomina a cittadino onora-
rio, con risoluzione dei 40 Nobili che rappresentavano la suprema
Autorità cui era demandato in ogni affare il pronunciare un giudizio.
Nel 1578 è di nuovo in Roma, e le pitture della Chiesa dei SS. Giovanni

e Paolo portano questa data. Da quest'epoca la sua permanenza a Ro-
ma è quasi continua. Sono molti i dipinti, alcuni esistenti, altri per-
duti, alcuni autentici, altri attribuiti, che meriterebbero uno studio
particolare per distinguerli da quelli del figlio Antonio e da quelli
del Roncalli che pure molto hanno operato in Roma. Ma tornando
non perde tempo a Castel de la Pieve; le autorità cittadine che molto
lo stimano, e le numerose Fraterie e le Chiese gli passano ordinazione
di opere in tela, in tavola ed in affresco.

Il 21 gennaio 1579 la Confraternita del Gesù gli ordina un Gonfa-
lone, dove dovrà rappresentare la Resurrezione del Signore. Il Gon-
falone doveva essere consegnato entro l’ Aprile. Il 24 luglio i Confratri
gli pagano 20 scudi a saldo. Per solito queste commissioni le riceve
in occasione delle feste, in cui torna in famiglia e si ferma per qualche
tempo. Nel Giugno di quest'anno, tornato, i Canonici della Collegiata
gli danno a dipingere la Cappella del Rosario e la tavola d'altare da
eseguirla entro un anno.

A Roma peró molti lavori l'attendono e deve lasciare Castel
della Pieve. Prevede pertanto di non poter eseguire la commissione
ricevuta dai Canonici, e passa l'incarico della cappella e del quadro
a Salvio Savini, buon pittore, anche lui fiorentino e dimorante con
la famiglia in Castel della Pieve (1). Sulla fine di quest'anno termina
di dipingere nella nuova Chiesa del SS. Nome di Gesü, e trovandosi
piü tardi ia Roma incarica il suo procuratore Ludovico Oliva, il 13
Decembre 1579, di riscuotere dalla Confraternita i 30 scudi pattuiti;
e la riscossione avviene il 20 Febbraio 1580. Il C. lavorava in Roma
in quel tempo nella Chiesa di S. Stefano Rotondo. Risulta che il 30
Luglio 1581 era sempre in Roma, perché riceve il denaro di un suo
credito, con dichiarazione per mano di Notaro. Da Roma pure nomi-
na i periti a stimare un terreno.

(1) Gfr. su Salvio Savini: CANUTI F. in « Boll. St. P. Um. », vol. XXXVIII
1941, Doc. 21 luglio 1591.

192 NOTE E DOCUMENTI

Dal 1580 al 1590, meno qualche breve interruzicne, egli lavora di
continuo in Roma. L’opera sua è molto apprezzata e molto ricercata.
Lavorava nella Chiesa di S. Antonio Abbate all'Esquilino, la-
vori di grande importanza, e sotto Gregorio XIII in Vaticano le de-
corazioni del Museo Gregoriano-Etrusco, la sala maggiore del Bel-
vedere, l'appartamento di Papa Pio IV, nelle Logge del 39 piano, ed
altre. La sua dimora ormai è fissa qui dove si svolge la sua instan-
cabile attività. A Roma ha condotto la sua famiglia, e poiché non
ha più intenzione di tornare a Castel della Pieve, affitta qui la sua
casa d’abitazione. In questo documento che porta la data del 16 Mag-
gio 1586, si dice: « habitator olim Castri Plebis, et in praesentiarum
degens Romae ». Il Notaio lo dichiara «excellens pictor». A Roma
in quel torno di tempo, benché non fosse ammalato, fa il suo testa-
mento il 26 Agosto 1586, per mano di notaio, lasciando erede la mo-
glie e i figli Antonio, Mario e Giacoma. Aveva altre tre femmine che
nell'atto non sono nominate, perché — forse — avevano già ricevuta la
dote. Il 1» Decembre 1586 nominava suo procuratore in Castel de la
Pieve il cognato Girolamo Catalucci, ma a di 26,1o sostituiva con un
altro. ;

Il 21 Maggio 1583 si registrano le promesse di matrimonio della
figlia Giacoma; ma il matrimonio si celebró soltanto 10 anni piü tardi.
Nel 1589 dipinge insieme ad alcuni suoi scolari la Cappella di S. Lo-
renzo nella Badia di Valvisciola presso Sermoneta, dove i suoi scolari
hanno lasciato una curiosa iscrizione che fa pensare che non fossero
trattati bene dai Religiosi nel vitto.

Nel 1590 ormai avanti nell'età, stanco per il continuato lavoro,
soddisfatto dei guadagni accumulati, torna via da Roma e colla sua
famiglia riprende la sua dimora nell'ospitale Castello della Pieve, dove
ha i suoi beni, dote sono i suoi figli e i suoi amici. Ma sente pure la
nostalgia della patria d'origine, Volterra e Pomarance, dove intende
lasciare un ricordo di sé e della sua valentia.

Tutto il 1592 e forse tutto il 1593 lo passa in Pomarance e in
Volterra, dove dipinge nella Chiesa di S. Giusto e S. Clemente una
Deposizione dalla Croce e nella Chiesa di S. Marco un Ascensione di
Cristo, ponendovi la data. Oggi questa pittura si trova in S. Giovanni.
Intanto nella sua assenza ha i suoi Procuratori in Castel della Pieve
che per lui attendono al disbrigo dei suoi affari, e cioè il notaio Giov.
M. Pratelli, e Ciriaco Balducci. Il primo lo ha rappresentato nella
causa con il pittore Salvio Savini per le pitture della Cappella del Ro-

NOTE E DOCUMENTI 193

sario nella Collegiata, ottenendogli sentenza favorevole. Il secondo
stipula per lui una permuta di terreni e sistema gl’interessi con i
parenti della moglie. Dove si trova egli ? Io credo sempre in Volterra
e in Pomarance in questi due anni 1591 e 1592 e forse 1593. In Po-
marance mancano documenti, ma vi sono opere che gli sono state at-
tribuite e che manifestano il suo stile. Non è possibile che nel paese
dei suoi natali non abbia lasciato un ricordo di qualche importanza
in lavori dell’arte sua.

Nel 1594 è tornato a Castel della Pieve, perché il 4 di Febbraio
compra un terreno e il Notaio lo dice «continuo habitatore terrae
Castri Plebis ». Il 31 di Marzo compra un podere e altri appezzamenti
di terra per il prezzo di 530 scudi e vende un censo annuo per 325
scudi; il 2 Luglio compra un altro terreno. Come si vede si era bene
arricchito col frutto del suo lavoro, e lo metteva a frutto impiegandolo
in beni stabili.

Non si trova più traccia della sua laboriosità dopo quest’anno,
se si eccettua una tavola per la Cattedrale di Città di Castello, e se è
vero quel che scrive il Titi, che avesse la data del 1596 e fosse firmata.

Nel frattempo uno dei suoi figlioli, il maggiore, Antonio, sposa
donna Aurelia di Lodovico Fetti di famiglia antica e nobile, a cui vie-
ne assegnata la dote di 800 scudi (6 Febbraio 1595); e da questo ma-
trimonio, in due anni successivi, nascono al vecchio Nicola due nipo-
tini, che si chiamano Lucrezia e Margherita e che rallegrano la sua
casa.

Il paese di elezione e che fu la sua seconda patria si cousiderò
orgoglioso e non ingrato a M° Nicola del lustro procuratogli col suo
nome. Per la qual cosa con atto ufficiale e solenne dei suoi Reggitori,
in data 11 Settembre 1594, fu nominato con unanime voto Cittadino
Onorario.

La sua morte secondo quanto abbiamo detto da principio do-
vrebbe essere avvenuta nel 1598, dato che nel Novembre del 1597
stipulava un atto di vendita come presente, e nel Marzo 1599 non era
più, e la vedova Teodora e i figli stipulavano atti di compra e vendita.

*ok *

L’arte del C. ebbe ai suoi tempi molta estimazione e molto suc-
cesso. N'é prova la grande richiesta, specialmente in Roma, dei suoi
dipinti. Il giudizio dei contemporanei scrittori gli è stato assai favo-

13

194 NOTE E DOCUMENTI

revole. Nicolò Pio (1) da noi più volte citato, lo dice « pratico e mol-
to spedito pittore, », ed aggiunge: « che si pose ad operare ed a fare di
molti lavori sì in pubblico che in privato, con gran maestria e somma
lode condotti... e dopo d’aver fatto molti bravi allievi fra i quali il
Cav. Christofano Roncalli ed Antonio Circignani suo figliolo, quali al
par di lui, sono stati valenthuomini et hanno fatto opere di somma
stima, et hanno adornato diverse Chiese di Roma ». Il Vasari, benché
al suo tempo il C. fosse ancora giovane, dice, a proposito delle pitture

di Orvieto, « che ha mostro insieme con altre cose a fresco di racconciar

nome appresso agli altri suddetti ». Il Doc. del 16 Maggio 1586 lo dice

«excellens pictor ». Il Baglione che scriveva prima del 1642 dà del

C. questo giudizio « Nicholao dalle Pomarance huomo in quei tempi

molto buono e pratico e facile dipintore a fresco cominciò sempre ad

operare in ogni luogo con sua lode, e fece assai cose in quei tempi...
e gran lavori intraprendendo con molta prestezza e, con poca moneta,

li terminava » (2).

Il Giappesi nel suo Ms. conservato presso i PP. Agostiniani di
Perugia lo dice « celebratissimo nella pittura come da varie opere che
qui (cioé in Perugia) conservansi »,

Il fatto è che come valente ed eccellente pittore era ritenuto in
Umbria e nel Lazio, ed era apprezzato tanto da non poter mai posare
il pennello, e lavorò fino all’estremo della vita guadagnando molto
denaro.

I moderni critici lo giudicano piuttosto severamente.

Uno per tutti il Venturi (3) lo dice «manierista del peggiore
stampo, formatosi sugli esempi dell’accademismo romano, commisto
di forme raffaellesche e michelangiolesche. Manca alla sua opera l’agi-
lità, lo spirito di ricerca, comune a tanti anche fra i minori manieristi
fiorentini, dipinge figure appiattite e duramente contornate come di
carta pesta colorata. Solo talvolta, in qualche brano di natura morta,
dimentico delle pretese di grande maniera, ottiene espressioni d’ina-
spettata vivezza, infondendo agli oggetti la vita mancante alle sue
figure. La decorazione della cupola di S. Pudenziana a Roma è tra le
opere migliori di questo pittore, che ebbe gran voga ai suoi tempi »

Umberto Gnoli (4) è più indulgente nel giudizio: il Circignani

(1) Ms., 3. D. 291.

(2) iod: Le Vite.. 2, p. 41 e 42.

(3) « Enciclopedia Italiana » Vol. XXVII, p. 791.
(4) Pittori e miniatori nel Umbria, p. 207.

NOTE E DOCUMENTI 195

« mostra una grande facilità e sicurezza di esecuzione e un tempe-
ramento di artista. Malgrado le eccellenti qualità di cui era dotato
trasformò l’arte in mestiere per la fretta e il guadagno. Le più varie
influenze si scorgono nei suoi dipinti: Daniele da Volterra, Raffael-
lino del Colle, Taddeo Zuccari, Federico Barocci, il Muziano, pur
conservando uno stile proprio, facilmente riconoscibile, specie nel
colorito, e per figure appena abbozzate, (OLE alla brava, con pen-
nellate risolutive ».

L’arte nella seconda metà del sec. xvi era un’arte in decadenza,
. ed il gusto degli uomini era alquanto cambiato. Ma un giudizio sicuro
dell'arte del Circignani non si puó dare se non vengono con sicurezza -
identificate le sue opere, le quali ora sono attribuite al Figlio, ora al
Roncalli, e viceversa. Il nomignolo di « Pomarancio » ha portato que-
sta confusione. Molte opere autentiche sono sparite, e alcune dete-
riorate.

Noi ci siamo studiati di mettere in evidenza quelle che o documen-
ti o la firma del pittore col suo millesimo, ce le fanno considerare co-
me certe, ma sono moltissime quelle che gli vengono attribuite, e
sulle quali sarebbe opportuna l'indagine per distinquerle dalle altre
molte che sono attribuite al Figlio Antonio e a Cristoforo Roncalli,
e che forse sono le sue. Concludendo, io credo che la figura di questo
non mediocre pittore cosi famoso ai suoi tempi, debba esser meglio
studiata, senza accettare il giudizio critico dei moderni, dato sui
pochi elementi finora conosciuti.

Il Ritratto di Nicolò fu disegnato da Giulio Solimene per il ms.
originale delle Vife dei pittori, scultori ed architetti di Nicolò Pio
che abbiamo ripetutamente ricordato. La Raccolta dei disegni e delle
istruzioni che lo arricchivano è passata in Francia, e non sappiamo
dove sia finita.

Il Circignani lasciò molti scolari, tra cui si resero famosi Cristo-
foro Roncalli, il figlio Antonio che lavorò molto in Roma col Padre,
e da solo dopo la morte di lui.

Furono anche suoi scolari il Consolano, il Guidotti, il Baldassar-
rino, Francesco Fazzuoli, Camillo Campani e Avanzino Nucci.

FIORENZO CANUTI

NOTE E DOCUMENTI

ALBERO GENEALOGICO DI NicoLò CIRCIGNANI

Nicola (1)

|
Antonio (1)

|
Nicola (1)
| | | | | |
Mario Cleria Antonio = Querezia = Aurelia = Giacoma
(n. 1573) (n. 1574) (n. 1568) (n. 1576) (n. 1578) (n. 1579)
(14 genn.) (7 ottob.) (2) (150ttob.) ^ (29giug.) (20 lugl.)
(2) (2) (2) (2) (2)



D'O:Q MUGE!N P

1563,

In Volterra nel Museo del Palazzo Guarnacci é conservato un dipinto
proveniente dalla Chiesa di S. Pietro in Selci, restaurato da Ippolito Cigna
nel 1721, che sul tergo porta la iscrizione:

NICOLAI CERCIGNANI OPUS ANNI 1563

e rappresenta l’ Annunciazione e quattro figure di Santi. È una tavola centi-
nata, (cm. 284 x 186) — si può ritenere opera giovanile del C.

[Frum Dott. Enrico, « Catalogo deli’esposizione di opere d’arte »].

1564, Luglio, 24.

La prima notizia della dimora del C. in Castel della Pieve l'abbiamo dal
Doc. seguente: 4

« Cunctis pateat qualiter in mea et testium infrascriptorum paesentia,
fuit constitutus Mag. Nicolaus Antoni Circignani, pictor de Pomis Aranci
Comitatus Florentiae, habitator ad praesens terrae Castri Plebis, nomine
puri et gratuiti mutui, et meliori modo dedit, numeravit et mutuavit Lu-
dovico quondam Ser Remigioli, dictus « Il Galletto » scuta 25 monetae » da
restituirsi entro l'Agosto 1564.

[Città della Pieve — Arch. Not., Rog. Lazari Lazaro, Vol. IV, c. 27].

1564, Luglio, 10.

Arrico Fiammingo in questi mesi lavora in Mongiovino e riscuote dai
Massari del Santuario della Madonna.

[Arch. del Santuario, Giornale segnato 9, 1562-1565, c. 168, 177, 180].

(1) Archivio di Pomarance — Estimo Catastale dell'anno 1569.
(2) Archivio Capitolare di Città della Pieve — Libro Battesimi della Collegiata

NOTE E DOCUMENTI 197

1564, Luglio, 31.

Il C. nomina un suo Procuratore in Pomarance, nella persona di Alberto
di Piero di Arcangelo Lupineschi. Questo notaio è nominato nell’Estimo
Catastale del Comune di Pomarance, nel 1569.

«Cunctis pateat qualiter Mag. Nicolaus quondam Antoni Nicolai
pictor de Ripomarancis Comitatus Ducatus Florentini, hodie habitator in
terra Plebis ex certa eius scientia, et sponte, et omni meliori modo etc.;
facit, constituit, etc... suum verum legittimum ac indubitatum procura-
lorem, etc... egregium virum Dominum Albertum Lupineschi notarium
de Ripomarancis, not. Mercantiae d. Civitatis florentinae, licet absentem,
etc... ad petendum et pro eo ad exigendum ad recipiendum, etc...
omnes et singulas, etc. rerum immobilium et mobilium cuiuscumque generis
summas... et facultatem de constituendis debitis, et delendis, etc...»
(segue la consueta formula del mandato generale di procura).

[Arch. Not. di Città della Pieve — Rog, Gaspare Teobaldi, Vol. 10, f. 182].

1564, Decembre, 22.

Il C. e M.° Enrico fiammingo (Hendrick Van den Broeck) fanno società
insieme per l’esercizio dell’Arte. :

«In nomine D! Amen. Anno D.i Millesimo quingentesimo sexagesimo
quarto, die vero XXIImensis Decembris. Actum in celleraria Monasteri
S. Petri, praesentibus, etc. testibus, etc. Mag. Nicolaus Antonj Nicolai Cir-
cignanus de Pomarancio, Status Florentiae ex una, et Mag. Henricus Hen-
rici de Malinis Flandens, praesentibus, etc. sponte, deliberate, omni meliori
modo, iure, causa, et forma, quibus magis, melius, utilius, efficacius de iure
potuerunt et debuerunt, obligando se et suorum haeredes ac omniaet singula
ipsorum bcna, mutua ac solemni refutatione interveniente, contraxerunt so-
cietatem in arte et exercitio pictorum sculptorum et ad omne aliud opus quod
ab eis fieri contigerit, per tempus unius anni proxime futuri ab hac diei enci-
pindi, et ut sequitur finiendi. Et hocfecerunt supradicti Mag. Nicolaus et Mag
Henricus sub dictis obligationibus, ac solemni stipulatione intercedente, quia
sic voluerunt, et quia fuerunt contenti; et voluerunt quod omne lucrum quod
ab eorum aliquo fiet debeat inter eos aequaliter dividi ut unusquisque me-
dietatem consequatur, et quilibet teneatur exercere personam suam bene,
diligenter, et fideliter, etc. et rationem reddere, quolibet semestri, de om-
nibus operibus factis gestis, et de lucro facto, bene et fideliter ad usum bo-
norum sociorum, etc. ».

[Perugia — Arch. di Stato, Rog. Giacomo Santucci, Prot. 1564-1565, c. 95].

1565, Maggio, 30.

I Soprastanti del Duomo d'Orvieto deliberano di dare a] Fiammingo a
dipingere la Cappella dello Stucco.

[FumI, Il Duomo d’Orvieto, p. 413, 414 dalle « Riformanze », 1560, c. 179t].

198 NOTE E DOCUMENTI .

1565, Luglio, 31.
Il C. chiede ai Soprastanti dell'Opera del Duomo d' Orvieto di dipin-
gere la Cappella dello Stucco, che prima era stata data al Fiammingo.

1565, Agosto 15.

I Massari del Duomo « «locaverunt Magistro Nicolao Florentino pictore,
paesenti et conducenti pro se Cappellam noviter factam ut vulgo dicitur
a stucco, pingendam a fresco... incipiendum quam primum de paesenti
mense Augusti... cum pacto quod dictus Mag. Nicolaus non debeat nec
possit se obligari alicui ad pingendum, quousque non fuerit finita dicta
Cappella infra quatuor menses proxime futuros » per il prezzo come si era -
pagato al Muziano. :

‘{Fumr L., Op. cit., p. 113 — Riform. c. 184 t].

1565, Settembre, 5.
« Nicola di Antonio Circignani, pittore di Pomarancio» ritira da Ludo-
vico di Ser Remigioli, d? il Galletto i 25 scudi dati a mutuo nei mesi passati.
[Città della Pieve — Arch. Not., Rog. Lazaro Lazzari, Vol. IV, c. 163 t].

1565, Novembre, 22.

I Massari del Duomo allogano al C. anche la tavola per la cappella che
stava dipingendo. « ponenda in Cappella noviter picta per Mag. Nicolaum
Antoni Circignani, ubi sunt duae sibillae Samia et Cumana, et viso opere
facto per dictum Mag. Nicolaum, ut supra... locaverunt dicto M. Nicolao
tabulam pingendam et ponendam supra dicta Cappella, cum conventioni-
bus, videl: — che dicto M9 Nicola sia obligato a pengere decta tavola
con la Historia di Cristo quando liberó lo stroppiato che stava alla Piscina;
che sia a paragone della tavola, overo Historia della resuscita di Lazaro
facta per M? Hieronimo, pittore, e che detta opera si facci per scudi 100 da
10 Iulii per scudo ».

[Fumi L., Op. cit., p. 114].

1566, Marzo, 8.

Il Comune di Castel della Pieve gli paga due fiorini per alcuni lavori.
«...de quibus solvit M9 Nicolao, pictori, pro sua mercede florenos duos ex
commissione Dominorum Priorum Iosephi Marlini Galassi et Bartolomei
Racchi, die 8 Martii 1566 ».

[Città della Pieve — Arch. Com., Vol. 264, f. 354].

1566, Aprile, 30.

| Ritira dal Comune il saldo delle pitture fatte sopra le porte del Castello
e nel Palazzo dei Priori: « Magister Nicolaus pictor habuit et consequutus
fuit a Benedicto Paraciano, Camerario Comunis, pro Comunitate florenos

NOTE E DOCUMENTI 199

quindecim et solidos quinquaginta pro residuo suae mercedis picturae in Ja-
nuis et in Palatio DD. Priorum, super gabellam Francisci Orlandi sub die
ultimo Aprilis 1566. Flor. 15 — sol. 50 ».

[Città della Pieve — Arch. Com., Nol. 265, p. 17).

« De quibus solvit Magistro Nicolao pictori pro residuo suae mercedis
picturis factis flor. 15 et solidos 50 vigore Bullette Benedicti Paraciani Com-
missari sub die ultimo Aprilis 1566. Flor 15 — sol. 50».

[Arch. Com. di Città della Pieve — Vol. 264, fol. 354 t].

1566, Giugno, 12.

I] Soprastante del Duomo d'Orvieto « dedit et locavit M9 Nicolao
pictori, vulgariter loquendo dalle Pome Arance, dominii florentini, Cap-
pellam quae ad praesens fit et construitur — ut vulgo dicitur — a stuchio,
pingendam —- ut dicitur — a frescho; quae Cappella est intitulata sub no-
mine Sancti Nicholai (Cappella Mazzocchi) ad annum hodie incipiendam et
ut sequitur finiendam » per scudi 60. La Cappella deve essere dipinta in
tutti gli spazi. Che se il lavoro non sarà di soddisfazione del Camerlingo,
dopo la stima di Raffaello scultore, il Camerlingo avrà facoltà di ritenere 30
scudi ». Nella Cappella di S. Nicola a giudizio del comp. Comm. Fumi il C.
aveva eseguito ottimamente la « Cananea prostrata ai piedi del Redentore
- Due Angeli adoranti — Maria sorella di Mosè ed Aronne — S. Nicolò Vescovo
di Mira — S. Girolamo nel deserto — Il Redentore che scaccia i profanatori

dal tempio » ed altre jdn — Colla distruzione delle Cappelle questi dipinti
scomparvero.
Il mosaico della facciata del Duomo váppreséütante lo « Sposalizio della
Vergine » fu eseguito dal Pierucci su disegno del C.; come pure la « Presenta-
zione della Vergine ».

[Fumi, Op. cit., p. 414, dalle Riform., c. 220 «Rassegna d'Arte Um. », fas. 2°, P. 15; Pic-
corowiNt, Guida Storico- Artistica d'Orvieto, p. 60].

1566, Settembre, 18.

Promette di pagare una certa somma, a titolo di dote, alla sua domestica
Maddalena Parmense, nell'occasione che va sposa a Lodovico Cruchi, per i
servizi da Lei ricevuti. « Cum sit quod fuerit nuptus... D. Maddalena q.
Thommassi de Montana Carceris (?) Comitatus Civitatis Parmae (?) Ludo-
vico Johannis Cruchi, germano, de Civitate Franchi Fortis, cum dotis pro-
missione et nomine dotis scutorum quinquaginta nostrae monetae ad ra-
tionem juliorum decem pro quolibet, solvendam per M. Nicolaum, pictorem
q. Antoni Nicolaj Circignani de Pomarancis Dioecesis Volterranae, Distric-
tus Ducatus Florentini; quam summan dictorum scutorum quinquaginta,
dictus Mag. Nicolaus sponte promiserat dicto Ludovico marito et Magda-
lenae solvere pro servitute et gratiis et benefitiis, servitiis et obsequiis a
«dieta D. Maddalena factis tempore quo cum dicto M? Nicolao permansit,

200 NOTE E DOCUMENTI

prout partes et infrascripti asseruerunt... volentes instrumentum dictae
promissionis dotis conficere, ad futuram rei memoriam... constituti coram
me Notario et infrascriptis testibus dictus M. Nicolaus non vi, dolo, sponte,
pro se et suis successoribus... promisit et convenit dicto Ludovico et D.
Maddalenae dictos scutos quinquaginta dare et solvere et numerare pro dote
et dotis nomine, dictae D. Maddalenae, ...de qua quidem summa dictus
Ludovicus maritus fuit confessus et contentus habuisse et recepisse a d. Do
Nicolao scutos vigintiquinque ».

(Ludovico accetta la detta somma in costituzione di dote, ed assume
obbligazione verso Maddalena, dichiarandosi soddisfatto per tutti i servizi
fatti a Mo Nicolao durante il tempo che è stata con lui).

[Arch. Not. Città della Pieve — Prot. Teodori Gaspare, Vol. 10. f. 290 t].

1567, Giugno, 8.

« M? Nicoló pittore ». « Per mano de me 0. Bartolomeo Manni Cano-
nico della Chiesa de Sancto Gervasio della terra della Pieve, furo congiunti
in matrimonio Mastro Nicolaio Pintore de quel de Fiorenza e Donna Teho-
dora figliola di Ser Girolamo Catalutii con li solite cerimonie che comanda
il S. Concilio Tridentino, present. etc. La dote fiorini 400 ».

[Città della Pieve — Arch. Capitol. Libro I, 1565-1730 — Parroc. SS. Nome di Gesü].

1567, Agosto, 4.
Il Circignani paga il residuo della dote promessa a Ludovico di Giovanni

Cruchi « alemannus, de Civitate Franchi Fortis, habitator ad praesens Terre
Castri Plebis, facit finalem quietationem M. Nicolao q. Antoni Nicolai pictori
de Pomarancis, quam. summan dictus Ludovicus pro securitate dictae dotis
scutorum quinquaginta tuto posuit, ipotecavit supra quadam domo sita in Ca-
stro Castiglionis Lacus, empti ab Alexandruti».

[Arch. Not. di Città della Pieve — Rog. Teodori Gaspare, Vol. 11, f. 57 t].

1568, seconda metà.

Alla distanza di c. un anno dal matrimonio il Circignani ebbe il primo
figlio, Antonio, il quale quando sposò nel 1595, avrebbe avuto circa 25 anni.
Nel Libro dei nati dove sono registrati gli altri 4 figli, non è registrato Anto-
nio, perché forse nacque in altro paese dove Nicola padre andava a lavorare.

1568.

Figura come contribuente nel Libro « Capo d’Uomo e Bestie » del Co-
mune di Città della Pieve. « Per il disegno », « M° Nicolao dipintore, grano
staia 5 ».

[Arch. Com di Città della Pieve, Vol. 586].

1568.
Dipinge in Perugia nella Chiesa della Maestà delle volte. Le pitture sono

NOTE E DOCUMENTI 201

datate e firmate. La piccola Chiesa fu tutta restaurata nel 1888, e ritoc-
cate le pitture deperite per l’umidità.
[Cfr. A. BRIGANTI e M, MaGNINI, Guida di Perugia, 5%. ed., pp. 28-2]9.

1569.

«NicoLAIO DI ANTONIO DI NIicoLAIO CERCIGNANI» possedeva in Po-
marancie una casa in Castello stimata Lire 150, una vigna stimata L. 100,
un podere « Docciarelli » stimato L. 130.

[Arch. Com. di Pomarancie — Estimo Catastale del 1569].

1569, Gennaio, 14.

Alla moglie Teodore Catalucci viene assegnata la dote: « Cum fuerit et
sit prout infrascriptae partes asseruerunt, quod Ser Hieronimus q. Ser Fe-
licis Cathelutiis de terra Castri Plebis teneatur et obligatus sit, cum effectu

. dare et solvere et numerare M? Nicolao Antoni Circignani pictori de comitatu
Florentiae, florenos tercentum nostrae monetae ad rationem iulios quinque
pro quolibet, causa et occasione promissionis dotis D. Theodorae uxoris dicti
M. Nicolaj, filiae d. Ser Hieronimi, hoc modo, videlicet; florenos ducentum
de bonis paternis, et florenos centum de bonis maternis prout apparet in-
strumento celebrato manu Ser Ciani (Feliciani) Melosi... et cum sit quod
d. Ser Hieronimus velit dotem et summam praedictam in singulis satisfacere
prout tenetur, et non habeat in praesentiarum modo aliquo nisi in immobili-
bus, unde possit solvere, idcirco praefatus Ser Hieronimus non vi, dolo, etc.
pro se suos haeredes et successores iure proprio et in perpetuum, dedit et
in solutum concessit, tradidit, et consignavit praedicto Mo Nicolao marito
d. D. Theodorae, presenti, stipulanti, et recipienti bona infrascripta pro
infrascriptis praetiis... videlicet partem domus d. Ser Hieronimi sita in
Terz. Burgi Intus, iuxta res ab uno Antoni Mariani aromatarii et ab alio res
Batt. ae Pauli Britii, hoc modo videlicet: La casa dove abita d. Ser Hieronimo
per la prima intrata fino al tramezzo sia comune, colla ritorna nella predetta
entrata; esso M9 Nicolao habbi a fare la scala per servizio dell’appartamento
di sé, la quale l’habbi da fare larga piedi 4 di vóto ed il suo fondello a tutte:
sue spese il quale fondello habbi uno da farsi anche nella cantina di esso
Ser Hieronimo. ( Seguono altre disposizioni). Item: d. Ser Hieronimo gli con-
segna un pezzo di vigna posta in contrada della Nebbiaja... per 100 fiorini
che con la casa fanno la summa di trecento fiorini che è tutta la dote di Don-
na Teodora moglie di esso Nicolao ».

[Arch. Not. di Città della Pieve — Rog. Gaspare Teobaldi, Vol. 21, f. 222].

1569, Marzo, 27.

Nicola Circignani denuncia i suoi beni per iscriverli all'Ufficio del Ca-
tasto di Città della Pieve: « Ser Hieronimus Ser Felicis Catalucci et pro
eo Felix eius filius assignavit habere infrascripta bona. Inter alia: Unum
palatiolum situm in contrada dicta "La Nebbiaia" extinratum florenis tri-

Dio. — NOTE E DOCUMENTI

ginta. Item unum petiolum terrae hortivum situm a posteriore parte domus
ipsius Ser Hieronimi extimatum florenis duobus ».

« Item elevatum pro florenis 100 et positum in libra Magistri Nicolaj
pictoris eius generi die 27Mensis Martii 1569, et intestatum in nomine pro-
prio ». :
[Arch. Com. di Città della Pieve — Vol. 525, Libro del Catasto, Terz, Borgo Dentro f. 10].

« Mag. Nicholaus pictor assignavit habere infrascripta bona dotalia D.
Teodorae eius uxoris videlicet: Unum petium terrae vineatum laborativum
et pomativum situm in Contrada Nebbiaja iuxta res Ser Hieronimi de Ca-
telutiis et res M. Iohannis Maria M. Silvestri elevatum de libra Ser Hiero-
nimi extimatum florenos centum ».

[Ivi, loc. cit., f. 145 t].

1569, Aprile, 14.

Vengono eseguiti dei pagamenti per conto del Circignani dai Sopra-:
stanti del Santuario di Mongiovino: «...scudi 3 d'oro due a Domenico
suo garzone et uno a quello garzone mezzano che il mandó a Perugia ». .

[Arch. del Santuario di Mongiovino — Reg. 12; 1-92]

1569, aprile, 18.

« M. Nicholó di Antonio Circignani, fiorentino, pittore fu condotto qui
detto di, per li sottoscritti homini cioé Pepo de Sante et Pacie de Herculano
de Francesco Thommasso de Alessandro Pietro de Bino de Andrea ditto del
Caroso Massari de Mongiovino et Giohanmaria de Costanza al presente so-
prastante, et Camerlengo de ditta Madonna et Nicholó de Guido, suo com-
pagno asserirono qualmente hanno dato al predetto M. Nicholó a pengere
quelle tre cappelle drento de la Madonna scontro la finestra ad holio... de
buon maestro et che habbia a metter buoni colori, excentuando drento
la finestra che abbia a mettere a fresco. Et anchora li p. dicti homini li dan-
no a pengere quella cappella dove sta il Crocefisso. E delle figure che ci è
andare a detta cappella si obliga a far quel tanto che vorranno li predetti
homini; et cussì li si promette al predetto M. Nicholò per la sua fatica scudi
50 a grossi 20 per scudo, et promessi darli letto, la stanzia, la calcina per
detta hopera e farvi tutte le spese del suo, et di tanto sono tutti d’accordo
che detta hopera habbia detto M. Nicholò ad dar finita per tutto Settembre
prossimo; et cussì ne fu rogato per Carlo de Marsciano Vicario de Mongio-
vino, presenti il Rev. D. Ciesaro di Thaddeo Bonci, pievano de Mongiovino
et D. Bastiano de Cristoforo da Mongiovino al presente Cappellano de dicta
Madonna et cussì ha tirata la partita del suo havere... ».

[Arch. di Mongiovino — Reg. 12, f. 92].

1569, Aprile, 18.
« A M? Nicholó di Antonio Cirniani fiorentino hauto il predicto scudi 3

NOTE E DOCUMENTI ‘© 203

in quattrini quali sono per parte di petture facte drento la Madonna et de
lo Crocefisso per li Massari Presenti ».

[Arch. del Santuario di Mongiovino — Reg. 12 a c. 92].

1569, Aprile, 20.
«...hauto grossi 20 ».
[Ivi, Zoc. cit., c. 88].

«M? Micoló de Antonio Ciruiani fiorentino pentore, habitante a Ca-
stello della. Pieve, si chiama contento et confesso haver hauto detto di sc.
3 etc. ».

[Ivi, loc. cit.,].

1569, Agosto, 7.
« ...scudi 1 pagati a D. Ciesaro Pievani per due barili di vino vermiglio
mandò alla Pieve etc. ».

[Ivi, loc. cit., Reg. 12, c. 92].

1569, Settembre, 10.
«...hauto grossi 20 ».
[Ivi].

1569, Settembre, 7.

«...grossi 27 per barili due di vino quali si sono pagati per lui da D.
Cesare Bonci ».

[Ivi, c. 88].

' 1569, Settembre, 14.
«hauto scudi 10 ».
[Ivi, c. 89].

1569, Settembre 21.
«...hauto scudi 10 ».
[Ivi].

1569, Settembre, 24.

«...AÀ M? Nicholó fiorentino habitante a Castel de la Pieve hauto a di
24 Settembre scudi 6 a buon conto de le figure et pitture etc. ».

[Ivi, c. 93].

1569, Ottobre, 30.
«...hauto scudi 10 ».
[Ivi, c. 99].

204 * NOTE E DOCUMENTI

1569, Novembre, 20.
«...hauto scudi 6 ».
[Ivi, c. 101].

1569, Novembre, 27.

Vengono annotate varie minute spese per piccoli oggetti di uso do-
mestico.

[Ivi, Reg. 12, c. 134].

1569, Decembre, 5.
«hauto bajocchi 17 ».

[Ivi, c. 102].

1569, Decembre, 9.
«...hauto scudi due dati per sua lettera a M9 Giorgio di Monetto Pe-
rusino Habitante a Castel de la Pieve, muratore ».

[Ivi, c. 103].

1569, Decembre, 20.

Fa quietanza di scudi 200 per un lavoro di pittura eseguito nella Chie-
sa di S. Agostino di Sarteano: « Pateat evidenter et notum sit omnibus qua-
liter in mei praesentiam constitutus est Mag. Nicolaus Antoni Circignani, pic-
tor de Pomarancis Status Ecc.mi Ducatus Florentiae, et habifator continuus
terrae Castri Plebis... fecit finem, quietationem, Orlandum q. Bartholomei
Nizze de terra Sartheani de scutis ducentis monete... de ligneaminibus,
expensis pro victu aedibus, etc. sibi per dictum Orlandum promissis pro
pictura tabulae sive altaris majoris Ecclesiae S. Augustini de dicta terra, ac
aliis contentis in instrumento desuper inter dictas partes celebrato, manu
Ser Ludovici q. Gasparis Oliva, notaj publici d. Terrae etc... ».

[Arch. Not. di Città della Pieve — Rog. Lazari Lazaro, Prot. 29, c. 253].

Fatte le più minute ricerche nei protocolli di Ludovico Oliva di data
anteriore al 1569 non è stato possibile rinvenire l’istrumento di cui è cenno
nel superiore atto. La tavola dipinta del Pomarancio, per tali ricerche nega-
tive non sappiamo che cosa rappresentasse.

1570.

Ha dipinto una Maestà in Mongiovino: « Alla Comunità, cioè quisto
modo fiorino uno pagato a M? Nicholò pittor fiorentino, per la limosina della
pittura de la Maestà della Villa di S. Martino per commissione de Paulo de
Pietro elli soi compagni assenti».

[Arch. del Santuario di Mongiovino — Giornale 1568-72, c. 111].

NOTE E DOCUMENTI 205

1570.

Denuncia le sue possidenze al Catasto di Città della Pieve: «Mag. Nicho-
laus, pictor de Pomarancis habet unum petium terrae vineatum olivatum in
contrada Nebbiaja juxta bona Johannis Mariae M. Silvestri, Ser Jeronimi Ser
Felicis, et stratam Comunis extimatum flor. 75 ».

« Die 18 Mensis Sept. 1573 elevatum et positum ad librum Ioh. Mariae
M. Silvestri f. 19 ad Catastum Casaleni ».

«Item habet unum petium terrae vineatum et olivatum in contrada
Castelli extimatum flor. 50 ».

« Item habet unum petium terrae in contrada Castelli ».

«Item habet unum petium terrae vineatum et olivatum in contrada
Castelli ».

[Arch Com. di Città della Pieve — Catasto 1570, Borgo Dentro, f. 6t, Vol. 527].

1570.

Dipinge in Citerna nella Chiesa degli Osservanti una tavola con « Gesù
Crocifisso, 43 figure », e vi pone la data. Il terremoto del 26 aprile 1917.
risparmiò questo dipinto. Sotto la Vergine si legge:

NICOLAUS CIRCIGNANUS PINXIT

[GvARDABASSI, Ind. G. p. 48 — MawciNi, VI, p. 83].

1570.

Portante la data del 1570, esiste a Città di Castello nella Pinacoteca
Com. (Sala 1, n. 15) una tavola rappresentante « Il Martirio di S. Stefano »,
che il Pomarancio fece per la Chiesa di S. Francesco dei Conventuali di
quella Città.

NICOLAUS GIRCIGNANUS A POMARANCIO PINGEBAT MDLXX.

[Ctr. BERNARDINI G., Le Gallerie Com. dell'Umbria p. 97; MancINI, L’Arte a Città di Castello,
vol. 25, p. 83; GUARDABASSI, Ind. G. p. 48].

1571.

Dipinge in Città di Castello nella Chiesa degli Agostiniani una tavola
grande colla « Strage degli Innocenti ». La tavola si ammira oggi nella Pina-
coteca Mancini. Porta questa data e fu danneggiata dal terremoto del 1789.

[Ctr. MaAcnERINI GnRAZIANI, L'Arte a Città di Castello].

1572.
Dipinge nella Chiesa di S. Francesco in Umbertide (Fratta) «una Vergine
col Bambino in trono e Santi» (1572) e vi pone la firma e il millesimo.

1573, Gennaio, 14.

« Mario, figliolo di Maestro Nicolao Circignani pittore, dalle Pomeranci
e donna Teodora ».

[Arch. Capit. Registro, Battesimi, Libro I, c. 190, 1565-1575].

206 NOTE E DOCUMENTI

1573. i
Sotto questa data si conserva nella Pinacoteca Comunale di Città di
Castello una tavola a olio rappresentante «la Concezione di M. Vergine »,
che il Pomarancio aveva lavorato per la Chiesa di S. Francesco all’altare.
della Famiglia Catrani. i :
[Cfr. BERNARDINI G., MANCINI, GUARDABASSI, MAGHERINI GRAZIANI, Op. cit.].

1573, Luglio, 8.

Girolamo di Felice Catalucci, socero, Procuratore di Nicola C., compra
un terreno a nome di Lui in contrada Castello. « Iacobus Britius vendidit
M. Nicholao q. Antoni Circignani pictori de Pomarancio Districtus Ducatus
Florentini, licet absenti, et Ser Hieronimo q. Ser Felicis Cathelutiis eius so-
ceri, presenti, stipulanti, recipienti pro d. M. Nicholao unum petium terrae
vineatum, olivatum in contrada Castelli iuxsta res Iulii Angeli Paraciani,
pro pretio et nomine pretii centum viginti florenorum, etc... ».

[Arch. Not. di Città della Pieve, Rog. Gaspare Teobaldi, Prot. 13, c. 37].

1574, Gennaio, 25.

Viene ad una transazione per le pitture fatte e da farsi nella Chiesa della
Confraternita di S. Sebastiano in Città della Pieve, cogli uomini della Con-
fraternita, obligandosi di dar compiuto il lavoro dentro un anno. « Cum annis
elapsis Nicholaus Circignanus de Pomarancis, Status Serenissimi Magni
Ducis Etruriae, conduxerit a Fraternitate et Confratribus S. Sebastiani
Terrae Castri Plebis, ad faciendum et pingendum unum gonfalonem et unam
Cappellam, ac reaptare Ecclesiam d. Confraternitatis, et versa vice ultra alia
Confraternitas praedicta concesserit eidem M. Nicholao tunc praesenti
fructus omnium, et quorum cumque, bonorum Confraternitatis praedictae,
existentium in Comitatu d. terrae in Contrada Cardetarum, spatio quinque
annorum, ac et facere foveas in dictis bonis, et prout latius in Instrumento
desuper inter eos celebrato, prout constare... manu Ser Johannis Franci-
sci Tavonis, et nunquam dictas foveas fecerit, et cum eadem de causa inter
eos lis, questio et controversia mota fuerit; et volentes dictam litem amica-
biliter et urbane finire et terminare litisque exspensas evitare; hinc est, etc. . .
dictus M. Nicholaus dedit, cessit et consignavit d. Priori, Sindico et Supe-
riori Confraternitatis praedictae d. Confalonem factum et pictum in terminis
in quibus ad praesens in eodem manibus reperitur, et insuper promisit et
convenit pingere unam cappellam in Ecclesia construenda per d. Confra-
ternitatem, ac in et supra pingere dicti. M. Nicholai sumptibus et expensis
Imagines Divae Mariae, BB. Sebastiani et Rochi cum dictis aliis suis orna-
mentis, inter tempus et terminem unius anni proximi futuri, et incipiendo
a die quo Confraternitas praed. inceperit d. Cappellam; et versa vice offi-
ciales praedicti promiserunt d. Mag. Nicholao nil petere de pecuniis et
fructibus dictarum terrarum per ipsum habitis, etc... ».

[Arch. Not. di Città della Pieve — Rog. Lazari Lazaro, Prot. 7, c. 13 t].

NOTE E DOCUMENTI 207

1574, Ottobre, 7.

« Cleria nata da Donna Teodora di M° Girolamo Catalucci e di Mae-
stro Nicolao di Antonio Circignani pittore» viene battezzata nella Chiesa
Collegiata.

[Arch. Capit. Città della Pieve — Reg. Battez. Lib. I, 1565-1575, c. 224].

1574, Decembre, 24.

Lucrezia di Gaspare Oliva, moglie di Girolamo Catalucci, fa testamento
e lascia eredi universali le figlie Pantelita (?) e Teodora moglie del Circignani:
« Dominae Lucretiae filiae q. Gasparis Olivae uxoris Ser Hieronimi Cathelutii
Testamentum ».

[Città della Pieve — Arch. Not. Rog. Teobaldi Gaspare, Ptot. 13, c. 183].

1575, Maggio, 11. i

Compra un terreno in Contrada Castello da Giulio Teobaldi: « Per
hoc publicum instrumentum pateat, qualiter Iulius Q. Ser Francisci de
Theobaldis... dedit... vendidit Nicholao q. Antonii Circignani pictori de
Pomarancie, agro Fiorentino, degenti in d. terra Castri Plebis... unum pe-
tiolum terrae sodive quantitatis medii starii in circa,... in contrada Castelli
iuxta alia bona eiusdem Iulii, ac bona Ser Gasparis de Theobaldis similiter
a pede, coetera bona eiusdem D. Nicholaj ab alio latere etc. pro pretio sexde-
cim florenorum ».

[Città della Pieve — Arch. Not. Rog. Ludovico di G. Oliva, c. 242 t].

1575, Maggio, 13.
Compra un altro terreno in contrada Castello. « Nicholaus pictor Cir-
cignanus de Pomarancis dominii Florentini, incola terrae Castri Plebis, etc. . .»
[Città della Pieve - Arch. Not. Rog. Giov. Franc. Tavoni, Prot. 14, c. 139].

1575, Maggio, 30.

La moglie Teodora dà a mutuo 80 scudi a Giulio Catalucci. « Pateat hoc
publicum instrumentum inspecturis, quatenus Iulius q. Catelutii de Catelutii
publice recognovit habuisse in mutuum... a D. Theodora filia Ser Hiero-
nimi de Catalutiis de dicta terra, uxor D. Nicholai Circignani de Pomarancis,
pictoris degentis in eadem terra, scutorum octoginta monete de paulis decem
pro quolibet ».

[Città della Pieve — Arch. Not. Rog. Ludovico di G. Oliva, c. 245 t].

1575. È :

Le pitture nell'Oratorio di S. Marcello in Roma, si possono ritenere ese-
guite sotto questo millesimo; giacché nell'ultima della parete sinistra si legge
questa data con la sigla - C —indicante il cognome del pittore.

[NicoLò Pio, BAGLIONE, p. 190; TITI, p. 325, op. cit.].

208 NOTE E DOCUMENTI

1575, Decembre, 31.

Riceve dai Soprastanti dell’Opera del Duomo di Orvieto scudi 15 per il
restauro alla tavola detta della Piscina: « Visa resarcitione per d. M. Nicho-
laum pictorem facta tabule nuncupate ‘della Piscina"... per sua mercede
scuta 15». /

[Arch. dell'Opera del Duomo - Cfr. Fuwtr L., 71 Duomo d'Orvieto].

1576, Ottobre, 15.
« Lucrezia (o Queretia) nata da Mastro Nicolao e da Teodora di Girolamo
Catalucci » viene battezzata nella Collegiata dei SS. Gervasio e Protasio.

[Arch. Cap. di Città della Pieve — Reg. dei Battesimi, Libro 29 dei nati, c. 10].

1577, Luglio, 27. ;

Il Consiglio appellato di Reggimento ossia dei Quaranta Nobili di Città
di Castello, lo nomina cittadino onorario, Il cosidetto Consiglio dei 10, o di
Credenza, l’aveva proposto colla seguente deliberazione: « Consilium Cre-
dentiae virorum factum 27 Julii 1577. Magistrum Nicolaum a Pomaranciis
pictorem numero civium cum solitis honoribus et oneribus aggregandum
esse, obtento, partito, unum in contrarium non obstante, proponi manda-
runt; etc»

[Arch. Com. Annali Com. Ad annum 1577, p. 166].

1577, Novembre, 7.

Compra in Città della Pieve un terreno in contrada Rocchetti: « Per
hoc publicum instrumentum, omnibus sit notum quatenus Dom. Pollonia
filia p. Mariani Guiduzzi et uxor relicta q. Benedicti Corsetti... dedit, ven-
didit M. Nicholao quondam Antoni de Circignanis ex Castro Pomarancii Do-
minii Florentini, praesenti, pictoris degentis in Terra Castri Plebis, unum
petium terrae, situm in contrada Rocchetti iuxta alia bona. ipsius emptoris
pro praetio 50 florenorum usualis monete, etc... ».

[Arch. Not. di Città della Pieve — Rog. Ludovico di Gaspare Oliva, c. 87].

1577.

Termina di dipingere in S. Francesco di Fratta (Umbertide) dei PP.
Conventuali una tela rappresentante la Vergine col putto e 4 Santi, ponendovi
la firma e la data:

NICOLAUS CIRCIGNANUS DE POMARANCIO PINGEBAT SUMPTIBUS
SER CBRISTOPHONI MARTINELLI DE FRATTA. A. D. MDLXXVII

Questa tela rimase all'Altar Maggiore fino al 1906; quindi fu trasferita
alla Cappella Rarrieri dove attualmente si trova.

[MANCINI, vol. 2° p. 83 — MAGNI, Op. cit, p. 83 — « Rassegna d'Arte Usu », fasc. 2^ p. 71 — VEN-
TURL Op. cit.].

NOTE E DOCUMENTI 209

1577.

Dipinge in Città di Castello, una tavola con una « SS. Annunziata »
in S. Francesco dei Conventuali, per la famiglia Beriali, e vi pone la firma
e la data. È conservata nella Pinacoteca Com.

[Gfr. BERNARDINI G., GUARDABASSI, MANCINI, Op. cil.].

1578, Gennajo, 28.

Paga il residuo dell’acquisto del terreno come da istrumento rog. sotto
il dì 7 Novembre 1577.

[Arch. Not. di Città della Pieve — Rog. Ludovico di Gaspare Oliva, c. 105].

1578,. Giugno, 29.
‘. «Aurelia di Maestro Nicolò Circignani pittore e Teodora di Girolamo
Catenucci » è battezzata nella Chiesa Collegiata.

[Arch. Capit. Città della Pieve - Registro Battesimi, Libro 2? c. ].

1578.

È questa la data delle pitture del C. nella Chiesa dei SS. Giovanni e
Paolo in Roma, e non già quella del 1588 come male fu letto. Il Baglione
(op. cit.) le ricorda. Nella Tribuna al centro della Cupola è raffigurato Cristo
benedicente circondato da una gloria di angeli. Sotto la cornice diverse
storie. Il quadro d'altare rappresenta «il Martirio dei SS. Giovanni e Pao-
lo ». Questi lavori furono ordinati dal Card. Nicola Caraffa. L’affresco fu
restaurato nel 1907.

[Trri, Op. cit. p. 77; RoNDiNI FiLIPPO, De Sanctis martiribus etc., 1707, p. 163; P. GERMANO
La Casa Celimontana, p. 446; PAsTOR, vol. VII, p. 46].

1579, Gennaio, 21.

Si obbliga di dipingere un gonfalone in Castel della Pieve nella Chiesa
del Gesù rappresentante «la Storia della Resurrezione » da ambe due le
parti: « Cunctis pateat qualiter, hac praesenti scripta die, in praesentia mei
not. et testium const. in loco infrascripto Magister Nicolaus Circignanus de
Pomarancis, Status veteris Serenissimi Magni Ducis Etruriae, habitator ad
praesens Terrae Castri Plebis, Clusinae Dioecesis, pictor... qui... promisit..
Antonio q. Lazari genitori mei Notarii infrascripti, Antonio q. Cristophori
Britii et Simeoni Q. Ludovici Monaldi de eadem terra, confratribus et homi-
nibus electis a Vener. Confraternitate Nominis Iesu dictae Terrae... vul-
gari sermone loquendo » « fare et depingere un Gonfalone con l’historia della
Risurrezione di N. s. Iesu Xsto et con tutte le altre cose ad istoria spettanti et
appartenenti, cioè un gonfalone di armisino o taffettà rinforzato d'altezza di 5
braccia e di larghezza di due altezze di detto armisino o taffettà, con detta historia
di Resurrezione da tutte due le bande di detto Gonfalone, et che detto M. Nicolao
l’habbia da depingere ad olio con colori fini a sue spese et ancora fare il fregio

14

210 NOTE E DOCUMENTI

intorno a detto Gonfalone a suo oro di quella medesima larghezza che è il fregio
del Gonfalone della Compagnia dei Bianchi della medesima terra, et più ricco
di quello ; et detto gonfalone fare ad uso di buono diligente pratico et experto
pittore et maestro, et darlo et consignarlo finito a mezzo Aprile. prossimo
futuro del presente anno 1579». « Et versa vice etc. (i Confratelli si obli-
gano di pagargli per tutto il lavoro 60 scudi, e cioè 25 subito; 15 a metà del
lavoro e il resto a lavoro compiuto) ».
[Arch. Not. di Città della Pieve — Rog. Lazari Lazaro, Vol. IX, c. 143 t].

1579, Giugno, 16.

Si obbliga di dipingere la Cappella del Rosario nella Cattedrale di Città
della Pieve. « Cunctis pateat qualiter D. Julius Paracianius, unus ex Cano-
nicis Eccl. Sanctorum Gervasi et Protasi, D. Mutius Q. D. Dionisi de Mosca-
tellis, Franciscus q. D. Jacopi Laudini, Honofrius q. Augustini de Honofriis,
Petrus Jacobus Augustini Caselle, omnes dictae Societatis Santissimi Ro-
sarii homines, etc. ad Omnipotentis Dei laudem. . . tradiderunt, locaverunt ad
pingendum, construendum, faciendum provido viro M. Nicholao Circignani,
pictori, praesenti, stipulanti, Cappellam Societatis Rosarii existentem in
Ecclesia SS. Gervasii et Protasii, bona fede et sine fraude et... ad usum boni
et fidelis Magistri, iuxta modellum et designationem factam per ipsum M.
Nicolaum... pro praetio in solutum scutorum centum nostrae monetae ad
rationem X iuliorum pro quolibet... solvendorum infra terminum duorum
annorum prox. futur... et dictam Cappellam iuxta designationem... de-
pingendam infra terminum unius anni prox. futuri, incipiendo a praesenti. . .
manu propria dicti Mag. supradicti Nicholai, pictoris, omnibus sumptibus et
expensis supradicti Mag. Nicholaj, di color oro et stuco et in loco stuchi desi-
gnati appareant figuris. . . e£ in favola lavorata et depinta a olio colla Madonna
et il suo figlio in braccio : da un lato S. Ludoviso e dall'altro S. Caterina e di
sopra alla volta e con tutti i misteri del S. Rosario et altri segni et ornamenti

iuxta dictum modellum... in aliis autem di ponti, tavole, calcina, muraccio
obligata sia detta Società, etc. ». T5

[Arch. Not. Città della Pieve — Rog. Gaspare Teobaldi, Vol. XIV, c. 154].

Questa Cappella fu demolita quando si costrui il Cappellone di destra.
È rimasta la Tavola, la quale però fu dipinta da Salvio Savini, avendo il Po-
marancio passato a lui l’incarico. (Vedi Doc. 1591, Luglio 12). Nella Chiesa
Cattedrale dipinse pure la Tribuna circa questo tempo; ma di quelle pitture
non rimane che una «Gloria Celeste, con angeli musici ». Era una magnifica
composizione, ma molto rovinata nei secoli scorsi e più volte restaurata.

1579, Luglio, 20.
« Giacoma, nata di legittimo matrimonio di Maestro Nicolao Circignani,
pittore, e di Teodora Catalucci. Fu compare il Capitano Taddeo Cerretti ».
[Areh. Capit. Registro Battesimi — Lett. I — Libro II, c. 51].

NOTE E DOCUMENTI 211

1579, Luglio, 24. : ;
Ha terminato di dipingere il Gonfalone della Chiesa del SS. Nome di
Gesù rappresentante «la Risurrezione di Cristo». « Cum... constare ut
asseritur et pinxerit dictum Gonfalonem, illudque consignaverit dictae Con-
fraternitati », riceve il prezzo di scudi 20 a saldo e rilascia quietanza.
[Arch. Not. di Città della Pieve — Rog. Lazari Lazaro, Vol. IX, c. 231 t].

1579, fine.

Termina di dipingere una pittura nella Chiesa nuova del SS. Nome di
Gesù, alla quale si era obligato per il prezzo di scudi 30. Questa pittura non
è certamente quella di cui abbiamo notizia nel superiore atto del notaio
Lazari. L’istrumento che segue (1580 Febbr. 20) si limita a farci sapere che il
Pomarancio è creditore della Confraternita peruna pitturafatta nella Chiesa del
SS. Nome del Gesù, ma non ci dà indicazione alcuna che valga ad identificarla.
fa [Arch. Not. Città della Pieve — Rog. Lazari Lazaro, Vol. 10, c. 28].

Circa questo tempo, ma non si può precisare l'anno, lavora nel coro e
nella facciata della Chiesa di S. Pudenziana in Roma. Rimane nella cupola
« La Gloria di Cristo » circondato di Angeli adoranti e sonanti. Dieci figure
più grandi, e nei peducci 4 gruppi di Angeli che suonano istrumenti. La gran-
de composizione è benissimo conservata, e molto ammirata come una delle
migliori sue opere. Gli affreschi della facciata erano già del tutto perduti,
quando nel 1870 il cardinale Luciano Bonaparte ha fatto iniziare i lavori di
totale rifacimento della facciata stessa, costruendosi anche la gradinata d'ac-

cesso verso la via Urbana. Gli affreschi sulla nuova facciata sono opera prin-
cipalmente di Pietro Gagliardi.

[BaGLIONE, NicoLo’ Pro, p. 291; Lupovisi, Guida di Roma, p.184; LANZI, Storia della Pittura
Ital. vol. I, p. 185; TTI, Op. cit, p. 267, MELCHIORRI, Guida di Roma, 1840; p. 256; VENTURI,
St. A. Lt., vol. IX, P. VIL p. 784].

1579, Decembre, 13.

Si trova in Roma e ce lo attesta il mandato di procura al Notaio Ludo-
vico Oliva, rogato in Roma da Giov. Battista Carnevali Notaio publ. della
Curia Romana, col quale lo incarica di riscuotere dalla Confraternita del SS.
Nome di Gesü di Castel della Pieve la somma di scudi 30 per la pittura fatta
nella Chiesa nuova della stessa Confraternita.

[Arch. Not. di Città della Pieve — Rog. Lazari Lazaro, Vol 10, c. 28].

1579, Decembre, 13.

; Mandato di procura: « In mei praesentia, D. Nicolaus Circignanus de
Pomarancio de Volterra, pictor, habitator ad praeseus Castri della Pieve,
Clusinae Diocesis, sponte etc. constituit in suum Procuratorem D?» Ludo-
vicum Oliva Notaium publicum absentem, nomine et proeo, ad vendendum,
alienandum etc. pignorandum omnia et singula eius bona, mobilia at immo-
bilia (formola amplissima e generale di procura ».

Datum Romae, ecc.
[Roma — Arch. di Stato, Rog. Carnevali dal Colle Scipione, ad diem, c. 143].

212 NOTE E DOCUMENTI

1580.

Lavorava in Roma e probabilmente nella Chiesa di S. Stefano Rotondo.
Benché infatti le numerose pitture ivi eseguite dal Pomarancio non abbiano
singolarmente indicazioni di date, sopra la porta di Sagrestia si legge il mil-
lesimo 1580, al quale forse tutte le pitture debbono riferirsi. La Chiesa, detta
pure « SM? in Domnica » appartiene al Collegio Germanico, ma è da qualche
anno chiusa per restauro. Il C. oltre le pitture del presbiterio rappresentanti
il « Martirio di S. Stefano » affrescò tutta in giro la fascia circolare in 32
scomparti, dove sono dipinti tutti i generi di tortura dei primi cristiani,
aiutato dal Tempesta. Il Baglione che poté esaminarli quando erano in buono
stato nel 1580 lasciò scritto: « Sono con buona pratica condotti ».

[Ctr. BAGLIONE, Op. cit.; BALDINUCCI, Op. cit., vol. 3°, p. 283; TiTI, Op. cit., p. 208; MoRONI,
Diz. Ec., vol. XIII; p. 50; L. PAsTOR, IX; 823; VENTURI, St. A. It., vol. IX, P. VII, p. 784].

1580, Febbraio, 20.

Il suo procuratore Ludovico Oliva riceve in suo nome il pagamento della
pittura eseguita nella Chiesa nuova del SS. Nome del Gesü nel precedente
anno: « Cum Confraternitas SS. Nominis Iesu terrae Castri Plebis teneretur
et obligata sit Mag. Nicholao Circignano pictori de Pomarancis Status ve-
teris Serenis. Magni Ducis Etruriae, habitatori eiusdem terrae, in summa et
quantitate scutorum 30 dei iulis decem singulis scutis, pro pictura per ipsum
diebus proximis decursis facta in Ecclesia nova eiusdem Confraternitatis,
sita intus dictae terrae in contrada portae Prati iuxta dictam portam et
moenia castrentia. Hinc est quod hac praesenti superscripta die constitutus,
in loco infrascripto Ser Ludovicus q. Gasparis Oliva, procur. et eo nomine
praedicti M. Nicholai prout de eius mandato constare vidi instrum, rogato
sub die 13 mensis Decembris anni proximi periti 1579 per D. Joan Batt.
Carnevalium de Colle Scipionis not. pub. Rom. Cur. eius solito signo et cum
fide legalitatis et sigillo Ill.mi et R.mi Card. Sahelli (?) SS.D.N.PP. Vicarii,
et cum subscriptione p. D. Alexandro romaulo N. D. Rodulphi... confessus
fuit se recepisse scuta II per manus Johannis q. Octaviani ManniDeposi-
sitarii Confraternitatis, et scuta 13... et scuta 6, ect. ».

[Arch. Not. di Città della Pieve — Rog. Lazari Lazaro, Vol. 10, c. 28].

Queste pitture ricordate ma non indicate, esistevano nella Chiesa della
Confraternita, per qualche tempo ricoperte di bianco. Ora peró nonesistono
piü perché distrutte nel costruire la rimessa per i Carabinieri della Repub-
blica.

[Cfr. CANUTI, Neila Patria del P.].

1581, Luglio, 30.
È in Roma. «A dì 30 Luglio 1581 Matteo Mulazani di Brà, già For-

NOTE E DOCUMENTI 213

naciaro in Roma, confessava d’aver avuto da Nicolao Circignano, fiorentino,
pittore, scudi 10 a conto di 15.

{Notaio Palmerio, 1581, fol. 600, 639, 672 — Cfr. BERTOLOTTI, Artisti Subalpini in Roma
p. 131].

1583, Marzo, 4.

Istrum. di vendita al C. di un pezzo di terra: « In mei praesentia con-
.stitus Hector filius q. Ser Johannis Tavoni de terra Castri Plebis qui con-
fessus fuit se legittimum debitorem D. Nicolaj Circignani de Castro Poma-
ranci Volterranae Dioecesis pictoris in Urbe, de scutis quadraginta prout
partes asseruerunt constare per acta mei et Christine Sanctuli. D.us Hector
filius Ser Johannis confessus fuit habuisse a D. Nicholao, praesenti ut supra,
alia scuta decem in contanti numerata in tot argenta. Dictus Nicolaus quie-
tavit et promisit pro dictis scutis quinquaginta eidem Nicholao prae-
senti in solutum dare, unum petium terrae extimandum per duos homines eli-
gendos, situm in territorio dictae terrae Castri Plebis, in contrada detta
Musignano, iuxta bona dicti Nicolai, etc. ». Actum Romae etc.

[Roma — Arch. di Stato, Rog. Fabrezio Palmerio, Vol. 1583, c. 111].

1583, Maggio, 21.

Promesse di matrimonio della figlia: « Die 21 Mensis Maiy 1583. Haec
sunt fidantiae, pacta, et parentele in Dei nomine habitis et firmatis inter
Dum Nicolaum q. Antoni Circignani delle Pomarancie, pictore in Urbe, Pa-
trem et legittimum administratorem D** Jacobae ipsius dicti Nicholai et
D** Theodore Catalucci coniugum filiae ex una; et D"? Johannem q. Mat-
thiae Contusii de dicto loco Pomaranciae ex altera; quam parentelam dictae
partes promiserunt ad effectum conducere sive (?) ad decem annos ab ho-
die incipiendo, et ut sequitur, et ab inde citra ad beneplacitum ambarum
partium factis prius solitis denuntiationibus iuxta formam S. Concilii Tri-
dentini. Promisitque dictus D. Nicholaus dare dicto D. Johanni praesenti
in eius sponsam et uxorem d*? D. Jacobam cum dote nomine scutorum qua-
tringentorum monetae de juliis decem pro singulo scuto, partim in bonis sta-
bilibus existentibus in dicto territorio Pomaranciae extimandos per duos
homines, et partim in pecunia enumerata arbitrio dicti Dom'ni Nicolai. D.
Ihoannes promisit recepere in eius uxorem supradictam D. Jacobam et cum
ea facto sanctum matrimonium consumare » Actum Romae. Testimone il
garzone del M° Gaspare de Caravaggio.

[Roma - Arch. di Stato, Rog. Fabrizio Palmerio, Prot. 1583, c. 305].

1583, Luglio, 5.

Costituisce un Censo a favore della Chiesa di S. Michele in Pomarance.
«Die quinta Mensis Iulii 1583 ». « In mei praesentia constitutus Mag"? D.
Contughus de Contughis, civis Volaterranus, qui sponte, etc., pro se suisque

214 NOTE E DOCUMENTI

Haeredibus titulo venditionis vendidit D. Nicholao de Circignanis, pictore
in Urbe, ad Transtiberim, petium terrae laboratum, vineatum, etc. situm
in territorio terrae Pomaranciae, annuo canone sive censu scutorum trium,
solvendorum Cappellae S' Michaelis de dicta te-ra, etc. ».

[Roma - Arch. di Stato, Rog. Fabrizio Palmerio, Prot. 1583, c. 406].

1584, Gennaio, 30.

Con istrumento pubblico del Notaio Fabrizio Palmeri, notaio di Campo
di Marzio (Roma), Nicolò nomina i periti a stimare un campo e una casa in
loco Musignano, perizia che fu eseguita il 4 ottobre 1584.

[Arch. Not. di Città della Pieve — Rog. Rughi Giovanni, Vol. 1, c. 124].

1584, Gennaio, 30. :

« In mei praesentia constitutus D"* Hector Johannis Tavoni de Castro
Plebis, qui sponte et meliori modo vendidit D? Nicolao Antoni Circignani de
Castro Pomaranci unum ipsius D. Hectoris petium terrae quod habet et
possidet ia territorio dicti Castri Plebis in loco dicto Musignano iuxta bona
ipsius M? Nicolaj emptoris. Dictam venditionem D'* Hector fecit Nicolaio
praesenti pro pretio etc. cum clausolis solitis etc.

[Roma, Archivio di Stato, Rog. Fabrizio Palmerio, Vol. 1584, c. 37].

1584, Ottobre, 4. ;

Era iu Roma. Viene stimato un terreno in loco d. Musignano, e sotto que-
sta data é riportata la sentenza dei periti. « Nos Gisbertus Orlandi et Petrus
de Ugolinis homines electi, assumpti et deputati a D. Nicolao q. Antoni
Circignani de Castro Pomaranci Volterranae Dioecesis ex una, et D. Hectore
q. Hioannis Tavoni ex alia, respettive ad extimandum unum ipsius d' Hecto-
ris petium terrae quod habet et possidet pro indiviso cum Giraldo ipsius
Hectoris germani, sito in territ. d. terrae in loco detto Musignano, iuxta bona
ab uno praedicti Mag. Nicolai, ab alio bona Antoni Mariani. ad alio bona q.
haeredum Bartholomei Cocchi... sedentes pro tribunali in infrascripto loco
etc... unde visa electione per DD. Hectorem et D. Nicolaum de bonis facta,

prout constare vidimus publicum instrumentum rogetum D. Fabiitii Pal-
meri Maceratensis civis Romani Reg. Campi Martii Notarii in matriculas
Populi Romani descripti, rogatum sub die lunae 30 mensis Tanaurii 1584
cum fide legalitatis a tergo Ill.mi et Rev.mi D. Jacobi S. Romanae Ecclesiae
Cardin. Sabelli, Episcopi Portuensis, ac SS.D.N. Vicarii Generalis Rom. Cur.
Judicis Ordinarii, viso de praetio terrae ac domo in ea existente, visa et bene
considerata qualitate terrarum, etc... declaramus dictum petium terrae...
esse praetii et valoris florenorum 28 de iuliis quinque singulis florenis, dicta
vero domus... esse praetii et valoris iuliorum sexdecim. . . ».

«Mag. Hercules q. Mag. Silvestri Pretellus agrimensor, fu eletto dai





NOTE E DOCUMENTI — 215

due periti sopradetti ed Egli stimò il campo staia 8, ottave 2, quarti 3, la
casa canne 31.
[Arch. Not. di Città della Pieve - Rog. Rughi Giovan Battista, Vol. 1, c. 124.].

1584. st

Era ancora in Roma occupato nei lavori della Chiesa di S. Antonio Ab-
bate dei PP. Camaldolesi come rilevasi dalla data che ancora si vede sopra
una delle porte della Chiesa.

1585. i
In una seconda porta della Chiesa stessa di S. Antonio A. in Roma legge-
si la data del 1585, la quale si riferisce senza dubbio alle pitture quivi eseguite
dal Pomarancio. In questa Chiesa il Pittore ha lavorato per ben. due anni
rappresentando in diversi episodi la vita di S. Antonio Abate, e affrescando
le pareti laterali con 4 quadri da una parte e tre dall’altra, e in quella Cap-
pella che è oggi del Sagramento. Tutte queste pitture furono restaurate da
A. Orlandi nel 1931 e 1932. La Chiesa appartiene al « Russicum ».

[NicoLò Pio; BAGLIONE; TITI, p. 249; MoRonI, vol. VI, p. 307; VENTURI, Op. cit.].

Circa quest'epoca della sua permanenza in Roma,. quando sotto
Papa Gregorio XIII s’intraprese la pittura di quel vastissimo edificio detto
la Galleria Vaticana, tanto vasto da esser capace di occupare centinaia di
pennelli, il Circignani ebbe l’incarico di distribuire la pittura in storie pro-
spettive, paesi e grotteschi.

[RANALLI, Storie delle Belle Arti, Vol. 2°, p. 469; LANZI, Storia Pit., Vol. 2°, p. 130].

1585,

Un dipinto ad olio su tavola (280 x 200) con « L’Incoronazione della
Vergine e i SS. Michele e Francesco ed altri due Santi inginocchiati » è con-
servato in Volterra nel Palazzo Guarnacci, proveniente dalla Chiesa di San

. Pietro in Selci. A tergo della Tavola si legge:

« OPUS NICOLAI CERCIGNANI DE POMARANCIO 1585 LAMBENS
DE PULVERE VALDE SORDIDUM RESTAURAVIT IPPOLITUS CIGNA 1720 ».

[FrumI.DoTT. ENRICO, Catalogo dell' Esposizione, n. 39].

1586, Maggio, 16.

Il suo campo di lavoro era diventato Roma, in cui aveva preso stabile
dimora. È significativo che il notaro nell’atto lo dica « già abitante a Castel
della Pieve e al presente con dimora fissa in Roma ». Per stipulare l’atto che
segue si reca a Castel della Pieve. « In mei notarii publici testiumque infra-

. scriptorum praesentia personaliter constitutus D. Nicholaus Circignanus,
excellens pictor de Pomaranciis agro florentino, habitator olim Castri Plebis
et in praesentiarum degens Romae, sponte suaque libera et spontanea

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216 NOTE E DOCUMENTI

voluntate, et non per errorem aliquem, per se suosque haeredes et meliori
modo, etc... locavit et locationis titulo dedit et concessit ad vitam et du-
rante vitam infrascriptis Ser Leonardo et. Dom. Vincentiae suae uxoris et
non ultra eisdem Ser Leonardo q. Antonii Lazari et Dom. Vincentiae suae
uxori, filiae q. Catelutii de Catelutiis a terra Castri Plebis, ipso tamen Ser
Leonardo praesente et pro se'et D. Vincentia absente, recipiente, stipulante,
et conducente ad pensionem durante vitam ipsius Ser Leonardi et. D. Vin-
centiae, si eadem sibi supervixerit et viduate vitam servaverit et non aliter
quod ea prout ex pacto inter ipsas partes conventum fuerit unam domum
cum hortho nec non pro rata sibi tangente cum puteo ibi existentibus, ipsius
D. Nicholai sita in terra Castri Plebis in Trez. Burgi Intus, iuxta bona hae-
redum q. Antoni Mariani ab uno latere, bona Ser Battae. Britii ab olio latere
stratam publicam ab anteriori et posteriori, et bona etiam Ser Hieronimi
Cathelutiis, seu Felicis eius filii, ad habendum utendum, fruendum, et inha-
bitaudum, cum introitu d. domus comunis inter dictum Nicholaum et praed.
Ser Hieronimum et prout dicta domus spectat et pertinet ad eum cum dictis
horto et puteo pro annua pensione scutorum sex monetae, incipienda dicta
pensio calendis mensis Augusti praesentis anni, etc. . . ».

[Arch. Not. di Città della Pieve — Rog. Lodovico Oliva = Vol. 2°, €. 16t].

à

La casa che viene ceduta a titolo di vitalizio dal Circignani é proprio la
casa paterna della sua cousorte, assegnatagli per dote (come apparisce dagli
atti soprariferiti), e che il medesimo abitò fino alla sua partenza per Roma.

Il vitalizio compiuto dimostra il proposito del Pittore di non tornare a Città
della Pieve.

1586, Agosto, 26.

Il C. fa testamento benché non fosse ammalato: « Nicolao del defunto
Antonio Circignani de Castro Pomarantiae Diocesis Volterranae, pictor»
habitante in Via della Croce della SS. Trinità faceva testamento a dì 26
Agosto 1586. Erano presenti Ciriaco Balduccio del defunto Giovanni del
Castello della Pieve pittore, Pietro di Giorgio Wannadinem, pittore fiam-
mingo. Lasciava erede universale la propria moglie Teodora Catalucci del
Castel della Pieve, e dopo lei i figli Antonio, Mario e Giacoma.

[Fatte ricerche di questo Docum. non è stato trovato. Lo cita il BERTOLOTTI in Arte e Storia,
1885, p. 231 il quale dice di averlo cavato dai Prot. di Fabrizio Palmerio].

1586, Decembre, 1.
Nomina suo Procuratore il Cognato Girolamo Catenucci da Castel della
Pieve; ma a di 26 lo sostituiva con un altro.

[Cita questo Docum. il BERTOLOTTI in Arte e Storia, 1885, p. 231, dice d’averlo ricavato
dai Prot. di Fabrizio Palmerio — a me non fu possibile trovarlo].

1587, Decembre, 29.
È ancora assente da Città della Pieve. Il suo procuratore M° Battista







NOTE E DOCUMENTI 217

di Città di Castello, in suo nome compra un terreno a Città della Pieve in
contrada Castello. « Gratianus q. Johannis Mariae M. Antonii... vendidit
unum eius petium terrae in contrada Castelli prope bona M. Nicholai An-
tonii Circignani de Pomarancio... et hoc prefato Mag. Nicholao et pro eo
Mag. Battista libero aurifice de Civitate Castelli ».

[Arch. Not. di Città della Pieve — Rog. Ser Lorenzo Filippeschi, Vol. 1, c. 10].

1589.

Dipinge in Valvisciolo presso Sermoneta (Prov. Roma) per i religiosi del-
la Badia la capp'lla di S. Lorenzo insieme al figlio Antonio e ad altri scolari
e vi pone sotto una curiosa iscrizione. Queste pitture erano state fino al 1866
attribuite comunemente al Caracci, ma essendosi aperta una nicchia murata
al lato sinistro dell'altare maggiore si scoperse il nome degli artefici che ave-
vano lavorato la Cappella, in questa iscrizione: Francesco Fazzuoli, Anto-
nio Circignani e Camillo Campani... Voltera, saritrovorno quando si fece
la Cappella di S. Lorenzo e -- quando si dipinse il coro essendo discepoli di
M^? Nicolao Ciccignani, el quale fece tal lavoro l'anno 1589 — tutti secchi dallo
stento ».

Oltre la Cappella di S. Lorenzo dipinse parimenti a fresco le pareti la-
terali dell'Altar maggiore, rappresentandovi figure di Santi. Il giorno 5 giu-
gno 1898 facendosi altri lavori alla Chiesa per ordine del Rev. Abate D. Sta-
nislao White fu smurata una seconda nicchia accanto alla prima, e vi fu
trovata quest'altra iscrizione:

...QUESTA FINESTRA FU MURATA A TEMPO DE SIGNORE PATRIARCHO
D'ALESSANDRO CAETANO PATRONE DI QUESTA BADIA 1589 E IL DUCHA SU
FRATELLO FECE DIPINGERE LA CHAPPELLA DE SAN LORENZO DA ME NICOLAIO
CICIGNANI DE POMARACI

Questa iscrizione ha grande importanza, perché ci fa conoscere l'auto-
grafo del pittore. Tutte queste pitture della Badia di Valvisciolo si vedono
ancora, ma un po' rovinate dall'umidità.

[BENINI, PANTANELLI, RAéMONDI, MicHELANGELO, La Badia di Valvisciolo, p. 154; MAGNI?
vol. 3°, p. 347; NARDINI ORESTE in « Arte », a. 1900, p. 44].

1590.
Dipinge nella Chiesa di S. Giusto e S. Clemente a Volterra vna « Depo-
sizione di Croce». Porta la scritta:

«NICOLAUS CIRCIGNANUS DE RIPOMARANCIA PINGEBAT 1590»

Era giudicata uno dei suoi migliori lavori, ma ora é una tavola molto
rovinata e malamente restaurata. :

[BEssoNE AURELI, p. 231; - PECCHIA? nelle Vite del Vasari; - Giacchi].

[T3





218 È NOTE E DOCUMENTI

1591.

Dipinge in Volterra nella Chiesa di S. Marco un’« Ascensione di Cristo »
e vi pone la data. Questa bellissima pittura oggi si trova nella Chiesa di S.
Giovanni. È firmata:

« NICOLAUS DE CIRCIGNANIS PINGEBAT 1591 »

1591, Luglio, 12.

Il suo procuratore Giov. M. Pratelli a Città della Pieve riscuote in suo
nome la somma di scudi 20 dal pittore Salvio Savini, a saldo della pittura
fatta nella cappella del Rosario della Collegiata di Città della Pieve, per la
quale era sorta questione tra loro decisa dal Giudice in favore del Circignani.
Il lavoro di cui qui si fa menzione sarebbe stato compiuto molti anni avanti
giusta il tenore dell’istrumento che segue (vedi Doc. 1579, Giugno, 16): « Cum
sit prout infrascriptae partes asseruerunt, quod Mag. Salvius Savinus de
Civitate Florentiae, et modo habitator continuus in terra Castri Plebis, te-
neretur et obligatus esset Mag. Nicholao Circignano de loco dicto « Poma-

' rancie » in summa et quantitate scutorum 20 monetae, virtute unius chiro-
grafi manu D. Johannis Vannuti conditi, ut asseruerunt, causa et occasione
operis picturae per d. Mag. Nicholaum dati in Cappella Rosarii terrae Castri

: Plebis, in Ecclesia SS. Gervasii et Protasii ut... de causa annis elapis fuerit .
agitata judicialiter coram Mag. D. Gaspare Tarugio de Monte Politiano,
tunc temporis Hon, Iud. d. Terrae, per Mag. Johannem M. Pratellum, pro-
curatorem d. Mag. Nicholai contra praefatum Mag. Salvinum; et d. Mag.
Salvius eidem M? Johanni M. procurat, praedicto dictam summan scutorum
viginti solverit et exbussaverit, et de summae solutione nullum appareat
instrumentum, et volentes dictae prartes caute vivere et ad bonum finem et
effectum, praedicti constituti coram me notario et testibus infrascriptis,
Mag. Johannes M. Pretellus procurator praedic. d. Mag. Nicholai, pro quo de
rato, qualiter opus sit promissit, alias de suo proprio, etc... non vi, dolo,
sponte per se, etc... fecit finem quietationem, liberationem. absolutionem
et pactum perpetuum eidem Mag. Salvio presenti de dictis scutis viginti
quod d. Mag. Salvius eidem Joh. M. ac dicto nomine tenebatur et obligatus
erat virtute dicti chirografi, et hoc idec fecit Johan. M. predictus precurator,
quia dictam summam scutorum 20 a predicto Mag. Salvio presenti, fuit con-
fessus et contentus habuisse et recepisse, hoc modo videlicet scuta decem per
manus Ser Ludovici De Judicibus, scuta octo per manus M. Mutii de Theo-
baldis, et scuta duo per manus D. Lucretiae, uxoris Cesarini Orlandi, et sic.
in totum scuta viginti» (segue la solita formula).

[Arch. Not. di Città della Pieve —- Rog. Giovan. di Valente, Vol. 1588-1592, c. 170].

1592, Gennaio, 12. i
« Instrumentum permutationis, et pro parte venditae facte inter Felicem
q. Ser Hieronimi de Cathelutiis et D. Nicholaum Circignanum, de domo













NOTE E DOCUMENTI 219

et petio terrae cum additione decem scutorum numeratorum pro parte d.
Magistri Nicholai ».

[Arch. Not. di Città della Pieve - Rog. Romolo Vannucci (protocollo].

1592, Febbraio, 22.

«Mag. Ciriacus Baldutius, uti procurator M. Nic. Circignani, praesen-
tavit apocam die 22 d. mensis factae, continens ipsum Dom. Nicolaum dedis-
se ad affictum unam possessionem d. Mag. Nicolai per triennium ad ratam
scut, 6 pro medietate... pro quolibet anno ».

[Arch. Not. Liber Receptorum, 1591-1601, c. 192t, Scans. I].

1592, Febbraio, 25.

: Il suo procuratore Ciriaco Balducci dà in affitto la casa del Circignani
per 4 scudi all’anno. « Mag. Ciriacus Baldutius, uti procurator Mag. Nicolai
Circignani, presentavit apocam die 25 d. mensis factae continentem ipsum
dedisse ad pensionem domum d. Nicolai ad ratam scutorum 4 pro quolibet
anno ».

[Arch. Not. di Città della Pieve — Liber Receptorum 1591-1601, c. 192t, Scan. J].

1592, Luglio, 2.

Fa quietanza ad Ettore di Giovanni Tavoni di 30 scudi che il medesimo
doveva pagargli per una donazione fatta alla moglie Teodora da Pier Gen-
tile Tavoni, e per denari dati a mutuo da lui stesso. « Cum Hector Q. Hioan-
nis Tavoni de terra Castri Plebis teneatur et obligatus sit Mag. Nicolao Cir-
cignano de Pomarancis et D. Theodorae uxorissuae et filiaeq. Hieronimi Ca-
tenutii de dicta terra, in summa et quantitate scutorum 30 de julis decem sin-
gulis scutis, vigore transationis inter ipsos factae causa et occasione...
supra hereditate q. Petri Gentilis Thavoni de d. terra donatore... et occa-
sione pecuniarum d. Hectori per D. Mag. Nicholaum mutuatarum, etc...»
(Il Circignani si dichiara pagato e soddisfatto ricevendo il denaro di questo
suo credito).

[Arch. Not. di Città della Pieve, Rog. Lazari Lazaro, Vol. XIII c. 284 t].

1592, Decembre, 30.

Il suo procuratore a Città della Pieve, Ciriaco Balducci, con mandato
speciale, rogato dal Notaio di Volterra, Ser Michelangelo Bava (?), fa una
permuta di un terreno. Apparisce quindi, che il Circignani durante questo
anno erasi condotto in patria, e che nel Decembre era ancora occupato in la-
vori, di modo che non poteva muoversi e tornare a Città della Pieve a siste-
mare i suoi affari. « Publice omnibus pateat... qualiter Felix q. Ser Hiero-
nimi de Catenutiis dedit et permutavit iure proprio D. Nicholao Circignano
et pro eo D. Ciriaco Baldutio, procuratori D. Nicholai, prout de eius procura
constare vidi instrumento Ser Michaelis Angeli Balche (?) Notari Volater-

ba



220 NOTE E DOCUMENTI
@

rani, cum clausola inter coetera ad permntandum infrascriptum, petium
terrae cum domo infrascripta, presenti, etc... et pro d. D. Nicholao stipu-
lanti, domun sitam intus dictam terram in Terz. Burgi Intus prope bona
supra, sub, et retro d. Domini Nicholai ab uno latere, bona Haeredum q.
Antoni de Catenutiis, ab altero bona hearedum Battistae Britii viam ante,
et alia, ad habendum cum omnibus et singulis suis accessibus, etc. et hac
specialiter expresse pro una vinea dicti F. Nicholai sita in territorio d. ter-
rae in contrada dicta Musignano, etc... ».
[Arch. Not. di Città della Pieve -- Rog. Ser Romolo Vannucci, c. 27].

1593.
Giacoma ultima figlia va sposa a Volterra.



1594, Febbrajo, 4.

È presente in Città della Pieve e compra un terreno in contrada Ca-
stello. « Cunctis pateat qualiter Virginia filia Q. Mag. Hieronimi Bani...
dedit vendidit Mag. Nicholao Circignano de Pomarancio et continuo habi-
tatore terrae Castri Plebis, praesenti, unum petium terrae vineatum et oli-
vatum in contrada Castelli iuxta bona dicti emptoris, etc... ».

[Arch. Not. di Città della Pieve — Rog. Giovanni Di Valente, Vol. VI, c. 168].

1594, Marzo, 31. ;

Compra da Federico e Giovanni Melosi un podere e due pezzi di terra
pel prezzc di scudi 530; e nello stesso giorno un appezzamento dello stesso
podere da a censo a Maestro Fiorenzo di Giovanni Gemelli, rilasciando que-
sti finale quietanza di scudi 325 a Federico Melosi, col consenso di cancellare
l’ipoteca di questo credito.

«Instrumentum emptionis factae per Mag. Nicholaum Antonii Circi-
gnani a Federico Joh. M. Melosi de praedic et duobus petiis terrae pro pretio
scutorum 530 et quietationis factae per Mag. Florentium loh. Gemelli
praefato Federico de scutis 325 ».

« Cum Federicus et John Felix fratres ad invicem et filii et coheredes q.
Joh; M. Melosi ipotecaverint unum eorum podium in centrada *' Bagnaiole "'
ete. ».

[Arch. Not. di Città della Pieve — Rog. Lazari Lazaro, c. 80 e 81t].

« Instrumentum emptionis factae per D. Mag. Florentium Joh. Gemelli
praefato Mag. Nicholao de annuo censu pro scutis 325 ».
[Arch. Not. di Città della Pieve — Rog. Lazari Lazaro, c. 81t].

1594, Luglio, 2.

Dimorando in Città della Pieve compra un terreno da Donna Lucida
Teobaldi pel prezzo di scudi 5. « Instrumentum emptionis D. Nicholai Cir-
cignani de petio terrae D. Lucidae De Theobaldis petio scutorum 5 ».

[Arch. Not. di Città della Pieve - Rog. Bandini Mario ].









NOTE E DOCUMENTI 221

1594, Agosto, 2.

Paga un terreno acquistato da Donna Lucida Teobaldi in contrada
Castello.

[Arch. Not. Città della Pieve — Rog. Bandini Mario, c. 91].

1594, Settembre, 11.

Nel Consiglio Maggiore della Comunità di Castel della Pieve, bandito
dal pubblico trombettiere e a di 11 Settembre dell'anno 1594 al suono della
campana, adunato nella Sala grande del Palagio, presente l'Ill.mo Sig. Go-
vernatore e i Magnifici Signori Priori fecero varie proposte, tra le quali per
l'ottava « se piace aggregare come cittadino alla nostra Citta, per le sue virtù, il
Nicola Circignani ». « Si placet aggregare propter suas virtutes Dominum
Nicholaum Circignanum in nostram Civitatem ».

'Su questo negozio uno dei congregati consultó nel modo che segue: « Per
mostrare amorevolezza, poiché altramente questa Comunità non puó do-
nare, vedendosi le rare virtù di detto Maestro Nicolao Circisnano quale non
solo nobilità la sua patria per le virtù sue ma ancora per havere figli quà
virtuosi, ed essendo già molto tempo accasatosi in questa nostra terra, per
questo, ed anche gli si mostri questo nostro grato animo d'accettarlo et ag-
gregarlo nel numero dei nostri cittadini et terriéri, et per tale si sia accettato
tanto per tempo passato quanto anco per il tempo avvenire con tutta la sua
famiglia cum honoribus et oneribus, siccome patiamo et habbiamo noj altri
et per mostrarli più amorevolezza li Signori Priori li faccino fare la patente dal
Cancelliere et Gli la mandino a donare senza spesa alcuna, et pregarlo da par-
te di tutto questo Consiglio che ci vogli far gratia, per amorevolezza sua, di
farci una pianta delli nostri confini cominciandose dalla Pilosetta, et segui-
tare, come dice il Breve di Federico II Imp. Rom, quale pianta si mandi fatta
che sarà, cole altre Scritture all’Agente in Roma dai Signori Priori, et si facci
detta pianta conforme all’informazione che Gli darà Maes. Ercole Pratelli,
homo pratico in questo fatto, per il quale Gli si trovi li cavalli et tutto quel-
lo che occorrerà ».

La proposta messa ai voti ottenne 32 voti favorevoli ed uno contrario:
« Misso partito super consilio supradicti Consultoris... reddito ad propositio-
nem circa Mag. Nicholaum, visisque suffragis secreto et separatim red-
ditis victum fuit fabiis triginta duobus, lupino uno in contrarium non
obstante ».

[Arch. Com. di Città della Pieve — Riformanze del 1594, c. 6 e seg.].

Il Breve di Federico II ricordato esiste in pergamena custodito nell'Arch.
Com. di Città della Pieve ed é pubblicato dal Bolletti nelle sue « Notizie
Storiche » (p. 40 e segg.).

1594, Settembre, 27.
Fa la permuta di alcuni beni con Caterina di Ser Battista Brizi: « D.





222 NOTE E DOCUMENTI



Nicolaus Circignanus pictor a Pomarancibus, et habitator continuus in ter-
ra Castri Plebis, per se suosque haeredes, etc. dedit permutavit D. Catarinae
q. Ser Battistae de Britiis ab eadem terra Castri Plebis, unum petium terrae
laborativum situm in territorio d. terrae in contrada Bagnajole seu alio ve-
riori vocabulo, prope bona Ill.mi D. Michaelis de Bonellis, D. Mag. Britii de
Britiis, bona, D. dicti Nicholai, viam publicam, etc... et hoc specialiter et
expresse pro parte domus d. D. Catharinae sita intus dictae terrae Castri
plebis in Terz. Burgi Intus prope bona D. Martinae et Basiliae sorores dictae
D. Catharinae, etc... nec non pro quadam vinea d. D. Catharinae sita in
territorio d. terrae in contrada Rocchette prope bona Oradini Paraciani
etc... nec non pro quodam petio terrae laborativo et arborato sito in terri-
torio d. terrae in contrada Rocchette propre bona D. Martinae at alia bona
d. Nicholai ».
[Arch. Not. di Città della Pieve — Rog. Giovanni Battista Bompezzi, Vol I, c. 29.

1594, Ottobre, 9.
Tra la Signora Caterina Brizi e il Circignani avviene la consegna regolare
dei beni, della cui permuta è oggetto il superiore atto del Notaio Bompezzi.
[Arch. Not. di Città della Pieve — Rog. Giov. Battista Bompezzi, Vol I, c. 35 t].

1595, Gennaio, 2.

Il Pomarancio paga il saldo di un terreno in contrada Bagnoiole a Fe-
derico Melosi e a suo fratello, nella somma di scudi 136 14. « Federicus q.
Joannis Mariae de Melosio a terra Castri Plebis tam nomine suo, etc... quam
nomine Felicis eius fratris germani, . ... fuit confessus habuisse et recepisse a
M. Nicholao Circignano de Pomarancibus, ad praesens continuo habitatore
' dictae terrae Castri Plebis, praesenti, etc... scuta centum triginda sex cum
dimidio, quae dictus Mag. Nicholaus solvere et dare tenebatur dicto Federico
occasione venditionis factae unius praedii in contrada Bagnoiolae, iuxta suos
notos fines, prout constare dixerunt publico instrumentu manu Ser Lazari
de Lazaris notai publici dictae terrae, ad quod, etc... de quo praetio fecit
finem et generalem absolutionem... ».

[Arch. Not. di Città della Pieve — Rog. Giov. Battista Bompezzi, c. 51 t].

1595, Febbraio, 1.

Il figlio Antonio contrae matrimonio con Aurelia Fetti. Il padre di co-
stei Le assegna in dote la somma di 700 scudi. « Instrumentum sponsalium
contractorum inter D. Antonium Nircignanum et D. Aureliam Fettam rog.
die 1 Febb. 1595 cum dotibus scutorum 700 (!) cum presentia et consensu Ni-
colai sui patris »..« D. Antonius Mag. Nicholai de Circignanis a terra Plebis,
constitutus agens omnia et singula cum presentia, consensu, et voluntate
d. Mag. Nicolai sui patris, omni quo potuit meliori modo promisit Ludovico
Q. Alessandri Fette ab eadem terra, presenti, et stipulanti, etc., pro D.
Aurelia eius filia legittina et naturali quod ipse consentiet in dictam D.Aure-















NOTE E DOCUMENTI 223

liam tamquam in eius sponsam, et uxorem legittimam, et eidem Aureliae
anulum praestabit et matrimonium consumabit cum d. Aurelia, servatis
servandis, etc... Et versa vice D. Ludovicus promisit... consentire et pro
dote et dotis nomine dare scuta 700 videlicet scuta sexcenta de bonis suis
paternis et alia scuta 100 de bonis D. Bartholomeae uxoris suae... ».

[Arch. Not. di Città della Pieve - Rog. Ludovico Giudici, c. 60 t].

1595, Febbraio, 6.

«A dì 6 di Febbr. 1595 Antonio figlio di M. Nicolao Circignani fu
congiunto in matrimonio con Donna Aurelia di Lodovico Fetti in la Chiesa
di S. Gervasio ».

[Città della Pieve — Arch. Cattedrale, Lib. I, Matrimoni dal 1565 al 1730, c. 90].

1595, Luglio, 5.

Viene ad una composizione di lite con M° Fiorenzo Gemell', sorta per .

causa di alcuni censi, e si obl'ga di pagare 17 scudi a titolo di accomoda-
mento (v. 1594 Marzo 31). Cum fuerit quod, mensibus praeteritis, orta fue-
rit lis et controversia inter M. Nicholaum Circignanum incolam terrae Plebis
ex una, et M. Florentium Gemellum de Monte Lione, similiter incolam ter-
rae Castri Plebis, causa et occasione quorundam censuum decursorum ac mer-
cedis debitae d. Mag. Florentio, causis de quibus in actis civilibus d. terrae
Plebis D. Marii de Bandinis Notarii publici et actuarii et cum de presenti
dicta lis vertatar inter dictas partes in Civilate Perusiae, et velint ac inten-

dant pacificae componere, etc... Hinc est quod personaliter constituti co--

ram me Notario, etc... Mag. Nicholaus et Mag. Florentius devenerunt ad
infrascriptam concordiam... Quod Mag. Nicholaus teneatur et obligatus sit
solvere d. M. Florentio sc..8 et Baj. 12 de residuo censuum decursorum et de
-bitorum nec non scuta 9 cum dimidio de praeteritis et debitis ex causa mer-
cedis... ».

[Arch. Not. Città della Pieve — Rog. Vegni Girolamo, c. 10].

1596, Febbraio, 14.
«Lucrezia, nata da Antonio Circignani ed Aurelia Fetti ».
| [Città della Pieve — Arch. Carit., Libro 2°, c. 301].

1596.

Il Titi (Guida di Roma p. 451) asserisce che in quest'anno N'cola dipin-
geva nella Cattearale di Città di Castello una cappella per commissione di
Cammillo Guazzini e che sotto gli affreschi, oggi periti, si leggeva allora là
scritta « Nicolaus Circignanus ex Pomarancio pingebat anno 1596 ».

[MancInI, Memorie degli Artisti di Città di Castello; Tiri, Guida di Roma, n. 451].

1596, :
Si credette per un certo tempo, che nel 1596 il C. avesse dipinto in Ca-





T"



224 NOTE E DOCUMENTI

scia nella Chiesa di S. Francesco « un’ Ascenzione » eil Guardabassi (Ind. G.)
riferi l'iscrizione che vi si legge « Nicolaus Pomarancius pingebat 1596 ». A.
parte che lo stile non è del C., e che questi mai si è firmato « Pomarancius »
è senz’altro da accogliersi quanto scrive il Morini, che cioè quella firma è
apocrifa, e che ha trovato l’istrumento da cui risulta che quella pittura era
stata allogata a un certo Fiorenzo di Giuliano da Perugia. Il Morini spiega
la ragione del trucco.

[Morini, Cascia nella Storia e nell’ Arte in « Bollettino St. P. Um. », 1915, p. 537.

1597, Febbraio, 6.

« Margherita, nata da legittimo Matrimonio di Messer Antonio Circi-
gnani e Aurelia Fetti ».

[Città della Pieve — Arch. Cap. Nati, Lib. 2, c. 314].

1597, Novembre, 4.

Il Circignani era ancora in vita È presente a Castel della Pieve, e vende
un censo alla Sig. Gaudenzia Melosi per il prezzo di scudi 225.

[Arch. Not. di Città di Castello — Rog. Giulio Cesare Pratelli, Vol. VI, c. 180, anno 1617,

luglio, 6.].
1599, Marzo, 23.

Sotto questa data si ha sicura notizia della morte del nostro pittore. Teo-
dora sua moglie dà in affitto a M. Fiorenzo Gemelli un certo terreno. Il notaro
nomina nell'istrumento i soli due figli Antonio e Giacoma. « D.Hieronimus
Vegnus praesentavit instrumentum locationis et affictus factum per Theodoram
Cathenutiam de Circignanis uti mater... Antonii et D. Jacobae eius Filiorum,
Mo Florentio Gemelli de petio terrae per annos quinque, praetio scutorum
octo cum dimidio, pro quolibet anno, rog. die 22 Marzo ».

[Arch. Not. di Città della Pieve, Rog. Giovanni Di Valente, Vol. 2°, c. 59, Indice som-

mario].
1599, Maggio, 17.

Antonio Circignani riconosce un debito del defunto suo padre verso
una nepote, Sulpizia Pretelli, per avere riscosso in suo nome, come di lei
' procuratore, una donazione di scudi 25, mai consegnata. Da quest'atto appa-
risce che Antonio fu erede universale del padre. « Conparuit coram iudice
Iohannes M. q. Mag. Silvestri Pretelli et D. Nanthea eius oxor et filia q.
Ser Hieronimi Cathenutii, nec non et Si'putia eorumdem M. Johanuis Ma-
riae et Nanteae filia legittima et naturalis; cum sit quod Johannes Batta.
Piendibeni legavit Sulpitiae filiae Joh. M. Pretelli scuta 25; sitque, etc. quod
Nicolaus Circignanus avunculus et procurator eiusdem Sulpitiae, conscripta
scuta 25 recuperaverit a Marcello Oliva, et cum dictus Nicolaus dictas pe-
cunias nunquam reconsignasset ipsae Sulpitiae post ips us Nicolai obitum;
ipsa D. Sulpitia intendens ad recuperandam illam devenire contra infrascrip-
tum D. Antonium praenominati q. Nicolai filium et haeredem universalem ».

[Arch. Not. di Città della Pieve — Rog. Lazari Lazaro, Vol 15, c. 106].





IL I CONGRESSO INTERNAZIONALE

DI STUDI LONGOBARDI
(Spoleto, 27-30 settembre 1951)

Alla fine di settembre dello scorso anno si è svolto a Spoleto,
per-le iniziative congiunte della Accademia Spoletina e della Depu-
tazione di Storia Patria per l'Umbria, il I Congresso Internazionale
di Studi Longobardi.

Effettivamente da vari anni si era pensato di tenere a Spoleto
un Convegno Longobardo e quando nel 1939 la Deputazione Umbra
riprese la tradizione dei Congressi Storici si stabilì che dopo il primo
indetto ad Orvieto, il secondo si sarebbe dovuto organizzare a Spo-
leto e avrebbe dovuto essere dedicato a quel Ducato longobardo (1).
Il Sen. Leicht, che vi doveva tenere il discorso inaugurale, suggerì
anzi di ordinare per l'occasione a Spoleto una mostra d'arte barbarica
e di indiré un raduno di rappresentanti dei maggiori centri di vita

longobarda in Italia. Purtroppo gli eventi non permisero allora la.

realizzazione del progetto, né essa fu possibile nel 1946, quando, dopo
la fine della guerra, riprendendosi la consuetudine dei Convegni, sem-
brò più opportuno tenere il primo di essi a Perugia.

Il progetto fu però riesumato dalla Accademia Spoletina la quale,
d'intesà con la Deputazione Umbra, indisse per il settembre 1951 il
I Congresso Internazionale di Studi Longobardi, al. quale ha arriso
il più lusinghiero successo.

Il Congresso è stato inaugurato il 27 settembre nel Teatro Nuovo
di Spoleto, presenti autorità, numerosi studiosi venuti da ogni parte
d’Italia e parecchi stranieri; il discorso inaugurale è stato tenuto dal
prof. Giorgio Falco dell’Università di Torino sul tema « La questione
longobarda e la moderna storiografia italiana ». I lavori del Congresso
sono stati svolti in tre sezioni: Storia, Storia dell'Arte e Diritto; ad
essi hanno partecipato con comunicazioni e relazioni, insigni studiosi

(1) Atti della Deputazione: adunanza del 17 dicembre 1939 (« Boll. Dep.
Storia Patria per l'Umbria » XL, 1943, p. 209).

par

a





226 NOTE E DOCUMENTI

italiani e stranieri, quali il compianto prof. Enrico Besta, i proff. Pier
Silverio Leicht, Giampiero Bognetti, Ottorino Bertolini, Raffaello
Morghen, Jean Hubert, Joach. Werner, ecc. Sono stati effettuati
sopralluoghi ai monumenti spoletini e alla abbazia di Ferentillo con
la guida del prof. Achille Bertini Calosso. La basilica di S. Salvatore
e il tempietto del Clitunno sono stati illustrati dal prof. Salmi che ha
presentato per l’occasione la sua recentissima opera su questo argo-
mento, edita dall'Accademia Spoletina.

Una parte notevole, ma non prevalente, delle comunicazioni e
relazioni svolte nel congresso è stata dedicata alla regione umbra nei
suoi rapporti con la storia, l’arte e la vita longobarda. Citiamo le più
importanti trascurando gli accenni, tanto più che è imminente la
pubblicazione di un grosso volume di « Atti ».

Il prof. Ottorino Bertolini ha parlato delle relazioni tra Roma e i
ducati di Spoleto e Benevento dalla invasione longobarda al 774. Egli
ha esaminato partitamente gli avvenimenti svoltisi dal sec. vi al-
l’viri, distinguendo il periodo in tre fasi: la prima, da porsi negli ulti-
mi decenni del sec. vr, fase drammatica in corrispondenza con la con-
quista; la seconda, che occupa il vir secolo, periodo di tranquilla con-
vivenza tra Longobardi e Bizantini; la terza, la più lunga di tutte,
con la crisi finale del dominio imperiale su gran parte d’Italia e del
dominio Longobardo su tutta la Penisola; essa corrisponde al sorgere
e al primo sviluppo del potere temporale della Chiesa e all’intervento
franco in Italia.

Il prof. Giuseppe Marchetti Longhi ha parlato di « Un ricordo
del ducato di Spoleto nella storia feudale romana del sec. 1x », riferen-
dosi al ripetersi nella famiglia romana dei Papareschi o De Papa del
nome di Guido e dell’appellativo personale di Saracenus e allo spe-
ciale significato delle figure araldiche che compaiono nei sigilli di
quella famiglia (bande ondate di azzurro in campo argento). Tra i più
antichi possessi dei Papareschi è Castel di Guido sulla via Aurelia,
presso il quale è una località detta Furnus Saracenus. Questi toponimi
sarebbero in rapporto con la battaglia contro i Saraceni ivi combat-
tuta nell’847 dai Romani ai quali avrebbe recato soccorso, per conto
dell’imperatore Lotario, Guido duca di Spoleto: in questa battaglia
i Saraceni furono battuti e inseguiti fino a Centumcellae. Il nome di
Guido sarebbe rimasto al castello della via Aurelia, mentre il furnus
Saracenus ricorderebbe il luogo ove furono bruciati i cadaveri dei
Saraceni caduti. Le fasce ondate dell'arma dei Papareschi sarebbero
in relazione con imprese marittime contro i Saraceni lungo il litorale









NOTE E DOCUMENTI 227

tirreno. Tale ricordo si riscontrerebbe nel nome e nei simboli araldici
di altre famiglie romane (Caetani, Saraceni, ecc.).

Sui monumenti longobardi di Spoleto ha parlato l'avv. Pasquale
Laureti che ha ricordato anzitutto il palazzo Ducale i cui resti si con-
servano sotto l'Arcivescovado; ha citato inoltre la base di una torre
in via Pierleoni, l'arco di Piazza S. Apollinare, l'arco di via delle Felici
ela cripta di S. Marco. Il Laureti ha ricordato infine le opere men-
zionate dal monaco cassinese Giovanni in una breve storia spoletina
scritta nel x secolo; le scarse fabbriche rimaste, insieme coi pochi
resti di sculture conservati nel Museo Civico spoletino, sono gli unici
avanzi di questo periodo le cui tracce scomparvero quasi totalmente
nélla distruzione della città fatta dal Barbarossa nel 1155.

Il sac. A. Vignoli di Parma ha parlato di « Chiese e basiliche dedi-
cate al Salvatore in Italia sotto i Longobardi con particolare riferi-
mento a quelle di Spoleto e Ravenna ». Il disserente ha osservato che
solo dal rv secolo si cominciò a costruire e a dedicare chiese al Salvatore.
Tale uso divenne però più comune sotto i Longobardi per la reazione
determinatasi in Occidente dalla lotta inconoclasta e in opposizione
alle eresie cristologiche e specialmente all’arianismo. Dopo aver citato
molti esempi di chiese longobarde dedicate al Salvatore, il Vignoli è
passato a parlare della Basilica spoletina del Salvatore ricordata per
la prima volta con l'annesso monastero da Gregorio da Catino e da
un diploma di Ludovico il Pio (815) insieme con il monastero di
S. Marco, fra i possessi dell'abbazia di Farfa. Il Vignoli si trova d’ac-
cordo col Deichmann (che l’ha preceduto) nell’attribuire la costru-
zione della chiesa all’viti secolo e precisamente a Faroaldo II (703-
724), il fondatore di S. Pietro in Valle. Un esame della decorazione
architettonica della chiesa serve al disserente di conferma per la sua
ipotesi. Anche il sacello del Clitunno, dedicato al Salvatore e a S. Mi-
chele (particolarmente onorato dai Longobardi) sarebbe un edificio
di origine cristiana sorto in questo periodo utilizzando gli avanzi di
un sacello pagano (1).

Io stesso ho parlato dei cinque sarcofagi classici che decorano
l'abbazia longobarda di Ferentillo: uno del tipo «a colonne » con mo-
tivi bacchici servì di tomba, secondo la tradizione, a Faroaldo II;

(1) Ho riferito obiettivamente quanto ha esposto il Vignoli pur schie-

randomi decisamente, come ho più volte scritto, col Salmi e con gli altri stu-
diosi che ritengono la basilica del Salvatore e il tempietto del Clitunno opere

del Iv-v secolo,

-

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m





228 NOTE E DOCUMENTI

un altro strigilato, con ritratto del 111 sec. entro medaglione, contenne
i corpi dei SS. Lazzaro e Giovanni. Gli altri sono adorni di scene di
caccia, del gruppo di Amore e Psiche e di Amorini su. barche e si da-
tano tra il r1 e il rv sec.

L'avv. Arnaldo Fortini ha trattato di « Nuovi documenti del
diritto e del costume longobardo nell'archivio della Cattedrale di
Assisi ». Il Fortini, dopo aver ricordato che nel periodo longobardo
: l'Umbria fu divisa in due parti di cui una longobarda costituì il du-
cato di Spoleto e l’altra bizantina quello di Perugia, dice che Assisi
fece parte del ducato di Spoleto e tale rimase fino al x secolo. Anche
nei secoli che seguono la conquista dei Franchi, nel territorio di Assisi
continuano a sopravvivere, accanto ai Romani, longobardi autentici
retti da una loro tradizione e da un loro diritto. A conferma il Fortini
cita alcune pergamene dell’archivio di S. Rufino in cui figurano isti-

tuzioni tipicamente longobarde tra cui il mundualdo e il morincaput

(morgengabe).

Merita di essere ricordata tra quelle di interesse we anche .

la comunicazione di Gino Franceschini che ha parlato di « chiese a
coppie in territori arimannici dell’alta valle del Tevere » in una zona

dipendente civilmente dal comitatus di Arezzo ma spiritualmente dalla,

| diocesi di Città di Castello. In questa zona l'isolamento ha perpetuato
forme di vita già tramontate altrove; il Franceschini ricorda il feno-
meno delle chiese che sorgono una accanto all’altra, di cui una di pro-
prietà del consorzio arimannico — e forse in origine ariana — e l’altra
dipendente dal vescovo o dal capitolo locale. :

Il convegno, chiusosi il 30 settembre con importanti relazioni di

Giampiero Bognetti, Jean Hubert e Pier Silverio Leicht, ha gettato.

un seme destinato a germogliare e a dar presto i suoi frutti: la crea-
zione a Spoleto di un « Centro Italiano di Studi sull'Alto Medioevo»
che ha già iniziato la sua attività sotto i migliori auspici e al quale
auguriamo di cuore ogni piü lusinghiero successo.

CaAnRLO PIETRANGELI

P. S. — Mentre la presente nota era in stampa, sotto gli auspici del
«Centro Italiano. di studi sull’alto medioevo » sono stati pubblicati gli atti
del Congresso (Atti del I Congresso Internazionale di Studi Longobardi — Spo-
leto 27-30 settembre 1951. In Spoleto presso l'Accademia Spoletina 1952,
pagg. 538, 54 tavole f. t. L. 1500).







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I MUSEI CIVICI DI PERUGIA (1)

A me quale Direttore dei Musei Civici di Perugia spetta il com-

pito della loro presentazione.

Due sono i Musei che Voi siete qui a onorare con la vostra pre-
senza: l’Etrusco-Romano e il Preistorico.

Il primo è in ordine di creazione il più vecchio. Ebbe origine nel
1790 col dono elargito dal patrizio perugino Francesco Friggeri della
sua imponente raccolta privata di suppellettili archeologiche, che
venne ordinata da prima nell’antico Palazzo dei Priori per essere nel
1812 trasferita nei locali della Università degli Studi.

Per quarant'anni la direzione del Museo fu tenuta dall’insigne
archeologo Giovan Battista Vermiglioli che vi dedicò tutta l’opera
sua di studioso, profondendovi anche molte delle sue sostanze per ac-
crescere la serie dei monumenti e aumentare il decoro dell'Istituto
affidato alle sue cure.

Sotto di lui il Museo archeologico entró in possesso di una nu-
merosa e interessantissima raccolta di urne etrusche che egli procurò
e donó, provenienti dalla dispersione dei monumenti antichi che for-
marono già il Museo Oddi in Perugia.

Tra i suoi allievi, che ne seguirono le orme, sono da ricordare Ario-
dante Fabretti, nobile figura di patriota e di studioso che vicende po-
litiche costrinsero a mantenere la direzione per breve tempo, cui su-
bentrò un altro insigne concittadino non meno illustre, il conte Gian-
carlo Conestabile, sotto la guida del quale il Museo si accrebbe non solo
di nuove e interessanti suppellettili, ma aumentò di rinomanza nel
campo degli studiosi per le dotte illustrazioni dovute alla sua mente
erudita di archeologo.

Gli successe il Conte Giovan Battista Rossi-Scotti, che con
acquisti e donativi ne procurò ancora l’incremento, rendendosi degno
dei suoi predecessori.

(1) Parole pronunciate il 28 settembre 1952 — inaugurandosi in Perugia
nei locali dell’ex-Caserma Biordo Michelotti (in origine Convento di San Do-
menico) i Musei Civici, alla presenza del Sottosegretario di Stato della Pub-
blica Istruzione Carlo Vischia — dal prof. Umberto Calzoni, Direttore e rior-
dinatore dei Musei stessi. :





230 NOTE E DOCUMENTI

Alla sua morte, la direzione venne affidata ad un altro perugino,
al prof. Luigi Carattoli, che rispose con intelligente e disinteressato
zelo al mandato conferitogli.

E fu durante il tempo della sua direzione che andò ad aggiun-
gersi al materiale precedentemente raccolto l’importantissima col-
lezione donata dal benemerito concittadino Mariano Guardabassi,
collezione di notevole interesse archeologico, che costituisce uno dei
nuclei principali del Museo stesso.

Dopo il Carattoli, il Museo restò disgraziatamente senza dire-
zione, finché non fu proceduto alla nomina di una Commissione per
il suo riordinamento; Commissione che delegò a questo intento il
prof. Giuseppe Bellucci, studioso di larga fama la cui attività si svolse
nel campo dell’archeologia storica e soprattutto di quella preistorica.

Egli procedette con acume profondo al nuovo assetto delle col-
lezioni e ne compilò oltre il catalogo descrittivo anche una guida ap-
prezzatissima.

Scomparso il Bellucci. il Museo fu retto per qualche tempo dal
prof. Pericle Perali e dalla Professoressa Anna Paoletti, che vi conti-
nuarono la loro opera sapiente di ordinamento e di studio.

E fu nell'anno 1921 che in seno alla Brigata Perugina deli A-
mici dell'Arte fu espresso il voto che a fianco dell'importante Museo
Etrusco-Romano sorgesse in Perugia un Museo Preistorico destinato
a raccogliere i più antichi resti dell'uomo. di cui abbonda il nostro
territorio. Al voto univasi il desiderio che la importante raccolta la-
sciata dal compianto prof. Bellucci fosse assicurata alla città nostra
per costituire il nucleo fondamentale dell’istituendo Museo da inti-
tolarsi al suo nome.

Le autorità cittadine ebbero il merito di raccogliere la proposta;
e avvenuto l’acquisto della collezione Bellucci, il museo poté dirsi
creato.

Senonché ragioni e vicende di forza maggiore costrinsero dopo
un precario assestamento della raccolta, a riporre in magazzino il ma-
teriale, che soltanto con la destinazione di Palazzo Donini a sede dei
Musei fu possibile ordinare alla ammirazione del pubblico.

Ma intanto la direzione dei Musei Perugini, affidata all’umile sot-
toscritto, col favore e con l’ausilio della Soprintendenza alle Anti-
chità dell'Etruria, retta a quel tempo da un valente archeologo e ca-
rissimo amico, il prof. Antonio Minto, che mi duole non vedere per
ragioni di salute qui presente ma che ha voluto partecipare ugual-
mente con un nobile telegramma a questa riunione, effettuò un am-





NOTE E DOCUMENTI 231

pio programma di ricerche che condussero a importanti scoperte e
alla raccolta di nuovi e ingenti materiali.

Furono di quel periodo le esplorazioni compiute nelle grotte di
Belverde sulla montagva di Cetona, territorio di Chiusi, che misero
in luce con la imponente abbondanza dei reperti i caratteri della ci-
viltà del bronzo nell'Italia Centrale; come pure della stessa epoca fu-
rono le scoperte effettuate nelle Tane del Diavolo di Parrano (Or-
vieto) dove al di sotto di uno strato coevo a quello di Belverde fu rin-
venuto uno strato della età della pietra, che trova i suoi riscontri in
altre parti della penisola.

Ma rimaneva sempre sentita la opportunità di riunire in unica
sede i due musei cittadini, e l’occasione si presentò quando vennero a
rendersi liberi questi locali già adibiti a caserma.

L’Amministrazione del Genio Civile concorse egregiamente con
i suoi lavori di restauro ad adattarli a sede dei Musei, il Comune di Pe-
rugia provvide con decoro all’opera di arredamento, ed i Musei si pre-
seatano oggi nel loro nuovo assetto.

Dai primitivi stadi della civiltà umana, quali si rivelano nei più
rudimentali oggetti della età della pietra, voi potete seguire tutto lo
svolgersi di questa età, dalla paleolitica alla neolitica, osservare la
comparsa dei metalli attraverso il periodo eneolitico fino alla età del
brondo, con la quale si effettua una trasformazione sostanziale della
vita primitiva.

Successivamente si presenteranno alla vostra ammirazione i ci-
meli della civiltà estrusca e di quella romana, che completano il
quadro del lungo cammino percorso dall'uomo attraverso i millenni
e la sua lunga storia di lavoro e di conquiste.

Il criterio da noi seguito nell'ordinamento e distribuzione del ma-
teriale ebbe questo scopo dimostrativo: di dare al visitatore la visione
completa del graduale svolgimento della civiltà umana dalla prima
età della pietra fino alle epoche storiche.

In questo lavoro di sistemazione mi è doveroso segnalarvi l’o-
pera intelligente ed entusiasta di uno dei miei più diretti collabo-
ratori, l'Assistente prof. Walter Briziareli, a cui va diretto uno
speciale elogio, e quella di tutto il personale addetto ai Musei che coo-
peró alla sua riuscita.

Ma piü che intrattenervi con le mie parole, desidero condurvi
attraverso le sale per avere l'onore di presentarvi questo nuovo volto
dei Musei perugini nella loro riordinata unificazione.

UMBERTO CALZONI





L'ARTE CONTEMPORANEA
NELLE RACCOLTE LOCALI*

A parlare di una necessaria disciplina negli acquisti da parte dei
musei locali di antichità e di arte non si vuole affatto recare alcuna
minorazione al principio, che deve rimanere intangibile, della loro au-
tonomia entro il complesso mondo determinato dalle esigenze della tu-
tela del Patrimonio Archeologico e Artistico della Nazione.

Tutti conosciamo, tutti abbiamo care queste raccolte, alcune del- .
le quali veramente insigni, e tutte, sotto uno od altro punto di vista,
importanti, si che sembra inutile, o forse addirittura riuscirebbe dan-
noso, volerne ricordare alcune a mero titolo di esemplificazione.

Sorti dove ‘per una qualche favorevole contingenza (il dono di
un fortunato collezionista, il lascito di una famiglia patrizia, una
prolungata e fruttuosa campagna di scavi, la conclusione di una ver-
tenza giudiziaria), e dove per la cosciente e ben determinata volontà
di salvare dalla dispersione oggetti d’antichità e d’arte, questi musei
locali integrano l’attività delle raccolte statali, e, non meno di queste,
adempiono ad un'altissima funzione così per quanto si attiene al pro-
gresso degli studi dell’antichità e dell’arte, come per quello che riguarda
l'educazione del gusto e, in modo più lato, l'educazione morale del po-
polo. A questa duplice funzione tanto meglio le raccolte locali adem-
piono se alla loro organizzazione è preposto un personale che abbia la
dovuta preparazione. Questa condizione ormai si avvera in un certo
numero di raccolte, e molti fra i direttori e gl’ispettori dei musei co-
munali e provinciali si sono acquistato buon nome fra i migliori stu-
diosi italiani, ma è sommamente desiderabile che a capo di qualsiasi

raccolta archeologica od artistica di una qualche importanza sia sem-

* Comunicazione letta al Secondo Convegno dell'Associazione Nazionale
dei Direttori e dei Funzionari dei Musei Locali (Perugia, 29 settembre 1952). .









NOTE E DOCUMENTI 233

pre almeno una persona in grado di curare la conservazione, l’ordi-
namento, l'incremento del materiale.

: Quanto all'incremento di questi musei, si dovrà abitualmente la-
mentare quella medesima deficienza di mezzi che purtroppo anche
ai musei statali fa perdere tante buone occasioni. Ma le amministra-
zioni locali, quelle comunali segnatamente alle quali appartengono
nella quasi totalità i musei dei quali ci stiamo occupando, riescono
talora a muoversi con una maggiore libertà in confronto della incep-
pata macchina della contabilità governativa. Poi i Comuni possono
spesso (anche se non tanto spesso quanto sarebbe desiderabile) con-
tare su atti di munificenza alimentati da un generoso senso di orgoglio
municipale. Perché doni e lasciti vogliono essere considerati tra le
più importanti fonti di incremento dei musei, soprattutto dei musei
locali, e particolarmente di quelli comunali.

Doni e lasciti a parte (si è costretti molte volte ad accettare an-
che ciò che non torna molto gradito, che non giova, da un punto di
vista qualitativo, all’effettivo miglioramento delle raccolte), per gli
acquisti veri e propri è noto che gli studiosi preposti ai musei locali
si trovano a dover obbedire ad esigenze di varia natura. Innanzi
tutto i musei locali raccolgono svariate categorie di oggetti che ven-
gono trascurati dalle raccolte statali: spesso si debbono interessare,
ad un tempo, di antichità, d’arte, di storia, e persino di storia natu-
rale. In questa più larga sfera di categorie sulle quali i musei spiegano
il loro proficuo intervento sta spesso uno dei principali motivi dell’in-
teresse, talora addirittura del fascino, che presentano per i visitatori,
e dell'importanza che vengono ad acquistare nei riguardi degli studi.
Raccogliere esempi sarebbe oltremodo facile, ma porterebbe il discorso

troppo in lungo: basti ricordare i mobili e gli altri lavori in legno che .

costituiscono uno dei vanti del Museo Civico di Torino.

Tra musei statali e musei locali non bisogna determinare mai un
regime di rivalità e di concorrenza: é sempre utile invece procedere
di comune accordo, con mutua comprensione delle finalità e degli in-

‘ teressi che si trovano talora a divergere. Più che di limitazione, io
vorrei che si parlasse di specializzazione a proposito del campo d'a-
zione di questi musei, destinati a raccogliere entro un più ristretto

territorio il. materiale che ne assicuri l’accrescimento. E questa sorta

di specializzazione, che per forza delle cose si viene determinando nei
riguardi delle raccolte locali, mi sembra che vada considerata con par-
ticolare attenzione quando si tratti di acquisti di opere di arte moder-
na, e, ancor più, di arte contemporanea. È anche troppo noto che in



234 NOTE E DOCUMENTI

fatto di arte moderna le gallerie statali in Italia sono due soltanto,
quella di Roma e quella di Firenze, composta quest’ultima in parte di
depositi effettuati dal Comune. Con un po’ di buona volontà si possono
segnalare, accanto a queste, le raccolte che sono sorte o che vanno sor-
gendo accanto alle Accademie governative di Belle Arti: notevolis-
sima quella di Napoli, e meritevole di ricordo almeno quella di Car-
rara.

Tranne queste eccezioni, tutto ciò che in Italia si è fatto e si fa
per raccogliere oggetti d’arte moderna è all’infuori delle iniziative
dello Stato. E ad eccezione di Piacenza (dove la ragguardevolissima
Galleria Ricci Oddi è costituita in Ente Morale) e di Bari (dove la Pi-
nacoteca, che ha una notevole sezione dedicata all'Ottocento e al
Novecento, è provinciale), sono i comuni in Italia a interessarsi d’arte
dell'Ottocento e del Novecento. Al primo posto va ricordata, fra
queste raccolte comunali, la Galleria Internazionale d'Arte Moderna
di Venezia, la quale ha modo di raccogliere anche opere dí artisti
stranieri grazie alla possibilità di acquisti alle Biennali, e il Civico
Museo Revoltella di Trieste, che, attraverso ottant'anni di esistenza,
é riuscito a mettere insieme una buona documentazione della Pittura
e della Scultura in Italia nell'Ottocento e nel Novecento.

A Roma anche il Comune ha una sua Galleria d'Arte Moderna, che
si.va ricostituendo entro Palazzo Braschi, e che, in base ad un piano
preordinato, raccoglie quasi esclusivamente opere di artisti romani,
attuando programmaticamente quel criterio di specializzazione territo-
riale che io vorrei fosse alla base di tutti oli acquisti da parte dei
Comuni in materia d’arte contemporanea. Questa preferenza alla pro-
duzione artistica locale si viene determinando spontaneamente, at-
traverso la necessità e il desiderio di favorire negli acquisti pittori
e scultori del luogo, attraverso le mostre maggiori e minori che si ten-
gono sul posto, attraverso doni di persone generose e anche degli ar-
tisti stessi. È possibile osservare come ciò avvenga anche in quelle
due gallerie comunali d’arte moderna che dovremo a questo punto
ricordare a preferenza delle altre, cioè in quelle di Torino e di Mi-
lano (le quali nondimeno, per i mezzi di cui si son trovati a disporre e
per i criteri di maggior larghezza usati dai loro reggitori. hanno al-
largato il campo d’azione al di là dei limiti regionali), e più che mai
una conferma abbiamo in pieno con le gallerie di Genova, Bologna,
Palermo. Ugualmente, e davvero non dovremo maravigliarcene, la
preferenza per la produzione locale è dato di ritrovare in quelle rac-
colte che, per il verificarsi di qualche contingenza favorevole, sono







NOTE E DOCUMENTI 235

sorte in differenti luoghi, come a Livorno, a Vasto, a Giulianova, a
Portoferraio, ad Agrigento: raccolte che si sono formate attorno al
nucleo delle opere di un artista del luogo, o attorno al lascito di un
amatore che più agevolmente ha potuto fare i suoi acquisti nella città
o nella regione.

Ma non minore interesse, sotto il punto di vista dell’acquisizione
di opere prodottesi sul luogo, hanno quelle raccolte comunali che,
sorte e sviluppatesi senza avere particolarmente di vista l’arte con-
temporanea, a poco a poco hanno sentito la necessità di non lasciare
disperdere ciò che veniva loro donato, o che avevano qualche buona

‘ occasione di acquistare. Ciò è accaduto e accade un pò dapertutto: a

Udine e a Cagliari come a Foggia e a Barletta e come a Terni e a Rieti:
esemplificazione sommaria e incompleta, che, a voler essere completi,
bisognerebbe finire per ricordare moltissimi dei Musei comunali d'I-
talia ! Tranne quelli, ben s'intende, che, specializzati nel mondo ar-
cheologico od in qualche singolo ramo di produzione artistica, non
potrebbero accogliere una suppellettile che si troverebbe fuori di posto
nel modo piü assoluto: tranne Perugia, per esempio. dove non si sa-
prebbe come aprire, accanto al complesso magnificamente ordinato
delle raccolte preistoriche od archeologiche, qualche sala dedicata
all'arte di oggi.

Mà é da sperare che col tempo Perugia ed alcune altre città fra
le più ragguardevoli potranno avere un'apposita raccolta, o almeno
una sezione, d’arte moderna e contemporanea, dove troveranno posto
intanto quegli oggetti che oggi non attendono se non una più conve-
niente collocazione. Infatti presso le sedi comunali si conservano (si
conservano per modo di dire, ché spesso sono considerati inutili in-
gombri) dipinti e sculture acquistati a qualche mostra o nello studio
di qualche artista, e presso le Soprintendenze hanno trovato asilo
(sicuro asilo, almeno dal punto di vista della garanzia inventariale)
altri dipinti e altre sculture che il Ministero della Pubblica Istruzione
ha ritenuto ugualmente di dover acquistare sul posto. Non dico che
si tratti di un materiale sempre molto scelto e molto significativo,
ma occorrerà ad ogni modo non perderlo di vista, lasciando sulle
pareti degli uffici quello che non sembri meritevole di venire ospitato
in queste raccolte embrionali che, ripeto, è desiderabile possano sor-
gere abbastanza numerose.

Una volta che queste raccolte, o almeno sezioni di raccolte, ci
saranno, dovrà pensarsi a disciplinare gli acquisti: dato che anche in
molti centri secondari qualche cosa bisogna pure spendere a vantaggio





: 236 : NOTE E DOCUMENTI

della produzione artistica odierna, procuriamo che i mezzi a disposi-
zione si impieghino il meglio possibile, e cerchiamo di sollecitare doni
da artisti e da collezionisti anche per quello che riguarda l'arte del
nostro tempo. E anche per quello che riguarda l'arte moderna e con-
temporanea si puó e si deve ripetere ció che va affermato in linea ge-
nerica per gli acquisti da parte delle collezioni locali: evitiamo la o
concorrenza alle raccolte maggiori, ma plaudiamo cordialmente a
quei musei e a quei direttori che (gli esempi ci sono offerti da Torino
e da Milano) riescano ad assicurarsi una rara pittura di Renoir o di Mo-
digliani. Come finalità diretta e particolare le collezioni locali si preoc-
cupino di raccogliere opere di artisti contemporanei soprattutto del
luogo, cioè nati od operosi entro ben circoscritti limiti di spazio. Nei
centri maggiori e di più grande vitalità artistica (come a Torino,
a Milano, a Venezia, a Firenze, a Roma, a Napoli) sarà agevole, anche
rimanendo fedeli a questo programma, avere una documentazione
atta ad illustrare almeno alcuni dei più importanti sviluppi dell’arte
contemporanea italiana.

Ma dobbiamo anche occuparci e preoccuparci dei centri minori,
delle raccolte più modeste. Se qui gli acquisti (come i mezzi lo permet-
tono, e come lo consentono le condizioni della vita artistica locale)
saranno fatti con serietà, riusciremo a mettere insieme una documenta-
zione non spregevole e non inutile. Il museo locale non si trasformi
mai in cassa di soccorso per gli artisti mancati, e il danaro pubblico,
o quello messo a disposizione da liberali sovventori, si abbia cura di
non spenderlo male. Pensiamo che in un domani più o meno vicino sarà
non inutile avere le prove dei riflessi provinciali dell’arte fiorita nei
centri maggiori, pensiamo che qualche artista, che si è affermato fa-
ticosamente in un piccolo centro, potrà più tardi conquistare una
larga fama uscendo dal ristretto orizzonte paesano.

Pertanto i musei comunali e provinciali, che rappresentano una
parte di così alta importanza nella vita della cultura nazionale, cer-
chino fra gli scopi che loro appartengono più particolarmente di inclu-
dere anche questo, di raccogliere, con una scelta accurata e rigorosa,
il meglio dell’odierna produzione artistica locale, al fine di mettere
insieme una documentazione, non inutile anche se modesta, che in

nessun altro modo si potrebbe assicurare.



AcHILLE BERTINI CAaLOSSO



NECROLOGI
Pror. ROBERTO VALENTINI

Il 25 aprile del 1952 moriva a Roma, dopo una laboriosissima
vita tutta dedicata alla scuola e alla scienza, Roberto Valentini. Egli
era nato ad Orvieto il 25 agosto 1881 ed aveva compiuto in gran parte
i suoi studi a Firenze sotto la guida di insigni maestri fra i quali

‘. il Comparetti, il Vitelli, il Rajna.

Entrato nell’insegnamento medio professò con grande dignità
le discipline letterarie, da ultimo nei licei scientifici, finchè, nel 1930,
venne comandato presso l’Istituto Storico Italiano per attendere
agli studi per l’edizione dei Cantari sulla guerra Aquilana di Braccio
da.M ontone e poi del Codex Topographicus Urbis Romae da lui edito
in collaborazione con G. Zucchetti. Libero docente di Storia medio-
evale presso l'Università di Roma e Incaricato di Storia della tradi-
zione manoscritta nel biennio 1948-50, presso la Scuola speciale per
Archivisti e Bibliotecari, istituita presso la facoltà di Lettere della
stessa Università, il Valentini sostitui lo Zucchetti nell'ufficio di
Segretario dell'Istituto Storico Italiano per il Medioevo, quando que-
sti dovette abbandonare, nel 1950, la carica, per raggiunti limiti d'età.
Fu pure direttore della Fondazione Primoli per gli scambi culturali
Italo-Francesi e ebbe incarichi di studio e d'insegnamento a Malta,
alla cui storia, specialmente dei secoli dal x11 al xv, dedicò una parte
notevole della sua attività scientifica. Appartenne a lungo alla no-
stra Deputazione, e a questo Bollettino collaborò efficacemente.

Il Valentini aveva esordito come studioso pubblicando dal 1910 al
1920 diligenti studi di filologia classica, ma verso il 1930 egli si volse
più decisamente verso gli studi di filologia e di storia medioevale. Sono

infatti del 1929 la sua edizione Braccii Perusini Vita et gesta, auctore

I.A. Campano e del 1935 la sua edizione dei Cantari della guerra aqui-
lana pubblicata nelle « Fonti della Storia d’Italia », mentre del periodo
che va dal 1934 al 1940 sono i suoi studi riguardanti la storia maltese
e in particolare i Cavalieri di S. Giovanni, I Universitas Melivetana,
gli Aragonesi e le loro mire su Malta, la vita religiosa, municipale e
sociale dell'isola verso la fine del secolo xiv. il Comune maltese dalle
origini fino al periodo svevo.

ri

E
2





238 NECROLOGI

Anche alla storia dell’Università di Roma egli dedicò lavori pre-
ziosi e contributi interessanti. Ma l’opera a cui il Valentini dedicò gli
ultimi anni della vita, e nella quale egli poté mostrare la sua larga pre-
parazione umanistica e la sua sperimentata capacità di editore di
testi, fu l'edizione del Codex fopooraphicus Urbis Romae alla quale
egli si accinse fin dal 1930 insieme a Giuseppe Zucchetti. Si trattava
di rifare l'opera ormai invecchiata dell'Urlichs, completando la serie
dei testi raccolti, dandone la trascrizione in edizioni critiche, quando
queste esistessero, corredando i singoli testi di introduzione e di note
adeguate al progresso degli studi. I tre primi volumi dell'opera sono
già usciti e le favorevoli accoglienze degli studiosi attestano il suc-
cesso dell'opera. Il quarto ed ultimo volume sta per vedere la luce.
Ed anche a quest'ultimo volume il Valentini ha potuto dare fino agli
ultimi giorni della sua vita la sua preziosa collaborazione.

La morte ha colto il Valentini nel pieno fervore del suo lavoro.
Ma l’opera sua già compiuta attesta la nobiltà di una vita tutta de-
dicata agli studi con severa disciplina, con competenza indiscussa,
con risultati di grande importanza.

RAFFAELLO MoRGHEN







INDICE DEL VOLUME

. ToscHI, Per lo studio delle tradizioni popolari umbre

. MazziER, Il ciclo della vita umana nelle tradizioni popolari
umbre

. FRANCESCHINI, Guidantonio da Montefeltro Gran Conestabile
del Regno

Note e Documenti

. SANDRI, L’origine della festa del Corpus Domini nella tradizione
ONDICIONAS: RENT Ceux

. FRANCESCHINI, Alcune notizie inedite su Ser Guerriero da Gubbio

. MARINELLI, Baldassarre Orsini e il Trattato della Pittura di Leo-
nardo

. CAnuTI, Nicolò Circignani detto « Il Pomarancio »

. PrETRANGELI, Il I Congresso Internazionale di Studi Longo-
bardi (Spoleto, 27-30 settembre 1951) SI

. CALZONI, I Musei Civici di Perugia
. BERTINI CaALosso, L'arte contemporanea nelle raccolte locali .

Necrologi

. MonGHEN, Roberto Valentini . . .

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LE

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156
172

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184

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229
232

237







Direttore Responsabile: ACHILLE BERTINI CALOSSO





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