p

2d
ON

£d

Î

* ad lia
i ^
P T
| Bede.

H - e . Sa È
M ; ME ne. a
[^ IC ES |" : TEC PN Aen

















A
E]

BOLLETTINO

DELLA DEPUTAZIONE

DI

-
OX
|a
«
a
-
oc
O
fo
v)

«
o
en
>
a
zd
o
LU
o

> 3

VOLUME L

PERUGIA
PRESSO LA DEPUTAZIONE DI STORIA PATRIA



1953



Pesi á e —- x o —c—— i : ATA Ln



——ge-rrféàézà



Ta x
DE

B:

À

P" as

; 4

-

ai l
al

Y

"

P"
%

|
|
1
i



BOLLETTINO

DELLA DEPUTAZIONE

DI

STORIA PATRIA

PER L'UMBRIA

VOLUME L



FPERUGOTA
PRESSO LA DEPUTAZIONE DI STORIA PATRIA
1953





PROPRIETÀ LETTERARIA RISERVATA
\

|

|

á-—

Pe SSGRIASHUU BOIS

—--



S. p. A. Arti Grafiche Panetto & Petrelli — Spoleto, 6-1954.



[ao Se ae VS

li.

LA POLITICA INTERNA DI PERUGIA
IN UN POEMETTO VOLGARE
DELLA METÀ DEL TRECENTO

T.

IL MANOSCRITTO VAT. BARB. LAT. 4036: CONTENUTO
DATA E ORIGINE

Il manoscritto Vaticano Barberiniano latino 4036 é un codice car-
taceo, di cm. 28 x 20, del secolo xiv — preciseremo meglio in seguito
la data — che precedentemente all'annessione della Biblioteca barberi-
niana alla Vaticana portava la numerazione XLV-130, e anteriormen-
te ancora aveva avuto altre segnature, come risulta da una nota nella
prima facciata interna della legatura: « N°. Ao. 2229 — No. Mo. CC —
Legato di nuovo nel 1925 ».

Dopo quattro fogli in bianco, e due altri scritti, ma non numerati,

segue una numerazione continua per pagine — 196 — e un'altra per fogli

più antica. Questa seconda presenta varie lacune. Incomincia con 5;
mancano 7, 13, 14, 15; al 17, essendovi coincidenza con la numerazione
moderna, questa non è stata messa; al 18 I'8 é stato corretto dal nu-
meratore moderno in 9. Mancano ancora i nn. dal 21 inclusivamente
al 28 inclusivamente; 102; dal 112 inclus. al 125 inclus. Ultimo foglio
è il 129. Questa numerazione per fogli appare scritta con lo stesso in-
chiostro con cui è scritta la maggior parte del codice, e non v’è in ciò
cambiamento neanche quando nel contenuto del codice l’inchiostro
cambia: dimodoché dovrebbe essere stata apposta da chi per primo
apprestò e adoperò il codice.

Il primo dei fogli, all’inizio, scritti e non numerati porta nel recto
e nel verso un elenco di « Nomi de’ Poeti che sono nel presente volume»:
elenco che termina con l’ultimo testo del codice (« Instrumento del
1347 »), ma non è completo, né in ordine. Segue nel recto del suc-
cessivo foglio non numerato, della stessa mano: « Rime di Poeti anti-





6 LUIGI SALVATORELLI

chi Perugini e d’altri luoghi ». È mano dei secoli moderni, diversa da
quella delle parole « Di Carlo di Tommaso Strozzi », segnate in fondo
al recto del primo foglio numerato. Questo Strozzi, possessore del co-
dice, è un erudito secentesco (1587-1671) fiorentino ben noto, che fu in
rapporto coni Barberini, e anzi scrisse, per incarico di Urbano VIII,
una storia di quella famiglia (Roma, 1640). Egli procurò alla Biblio-
teca Barberiniana vari manoscritti, come risulta da sue lettere rac-
colte in uno dei manoscritti della biblioteca stessa (LXXIV-22, oggi
Vat. Barb. lat. 6476). È evidente che anche il nostro codice è venuto
alla Barberiniana dallo Strozzi, che può avervi apposto lui la nume-
razione moderna per pagine.

Null’altro possiamo dire, risalendo indietro, per la storia del co-
dice, fino al tempo in cui è stato redatto; e passiamo quindi all'esame
del suo contenuto.

La prima e maggior parte del codice è occupata da quello che
ai nostri giorni è stato chiamato — non del tutto esattamente — « Can-
zoniere dei poeti perugini ». Gli autori in esso rappresentati sono nu-
merosi; ma sino al f. 29 compreso predominano i sonetti di Marino
Ceccoli (perugino); e sonetti sono anche le poesie degli altri frammi-
schiate alle sue. Dopo il f. 30, in bianco, abbiamo a 31 r. la rubrica:
«Hic Incipiunt multa dicta clara et bona que fuerut (sic) dicta per
Nerium muscoli qui olim fuit de Civitate castelli » (1); e seguono
effettivamente sonetti suoi, ma anche di altri rimatori. Ai ff. 77-81
abbiamo sedici sonetti di Dante, due ballate del medesimo, un sonet-
to di Guido Cavalcanti, il tutto senza rubriche, aggiunto forse (appro-
fittando di fogli rimasti in bianco) dopo la trascrizione del « Canzoniere

(1) Questo gruppo di poesie di Nerio Moscoli venne studiato, su indica-
zione di Ernesto Monaci, da P. TommasiNnI MATTIUCCI in questo Bollettino,
anno III (1897); Nerio Moscoli di Città di Castello antico rimatore sconosciuto
(citiamo dall’Estratto). Il Tommasini-Mattiucci dà (p. 2 ss.) un elenco degli
scritti contenuti nel codice, ma non ne dà una descrizione: dice tuttavia che
non par dubbio esso sia stato compilato a Perugia, non oltre il 1347. Egli an-
nunciava che il Codice avrebbe visto la luce nel prossimo fascicolo del Bol-
lettino a cura del Monaci stesso e del Tommasini; ma la pubblicazione non è
mai avvenuta (salvo gli estratti di cui alla n. 1 di pag. 52). Dei Poeti peru-
gini peraltro si stanno occupando M. Pelaez e I. Baldelli. - Il Monaci additò
a me il capitolo dello Scolari e i Cinque Canti, come soggetto di tesi di laurea,
effettivamente da me preparata e sostenuta nel 1907. Nel corso di redazione
della medesima fui portato naturalmente ad approfondire l’aspetto storico-
politico del poemetto; e in ciò come nell’analisi del codice ebbi a guida sa-
piente e paziente Giovanni Monticolo.



Es

Pi

dii LI

— dá --

Es

— Mee —

LA POLITICA INTERNA DI PERUGIA i

perugino ». Sotto il primo sonetto di Dante, una mano assai piü re-
cente, che potrebbe essere quella dello Strozzi, ha scritto: « Questo e
i seguenti sono di Dante Aldighieri ».

A f. 82 r. incomincia una seconda serie di poesie, diversa dalla pre-
cedente, ed assai varia. Questa varietà è indicata nella rubrica ini-
ziale: «Hic incipiunt Cantilene exstense et multa allia (sic) dicta
varia et diversa per diversos poetas inventa ». La prima « cantilena »
é in latino, di un Rodolfo di Piemonte. Dopo questa, abbiamo un
capitolo in terzine intitolato: « Dominus Bosone de Eugubio tractans
de discordia orta inter christianos et turcchios » (ff.84 r.-86 v.) Esso
parla di una sconfitta dei cristiani a Smirne per opera dei Turchi
nel gennaio 1345 (si veda, per l'interesse destato in Italia da queste

lotte intorno a Smirne, Giovanni Villani, XII, 39).

Immediatamente dopo (86 v.-90 r.), altro capitolo, in ter-
zine, di un «dominus dominichus scolaris studens perussinus super
eadem materia quam dominus Bosone modo narravit » L'«eadem
materia» va intesa con una certa larghezza: vi si tratta della
crociata, senza particolare riferimento all'episodio suindicato; ma
anche, e piü largamente, delle cattive condizioni interne della
Chiesa. .

Seguono (90 r.-99 r.) cinque canti senza rubrica iniziale, e
anche senza numero per il primo canto, mentre poi abbiamo «Can-
tus secundus » etc. E accaduto, da parte di chi redasse il catalogo
manoscritto della Barberiniaua, e poi di chi ha avuto occasione di parla-
re del codice e dei cinque canti, che essi siano stati attribuiti allo Sco-
lari; anzi il catalogo sopranominato dice, sebbene in forma non trop-
po asseverativa, che essi trattano della stessa materia; il che non é
affatto vero, come vedremo. Sono questi cinque canti che formano
l'oggetto del presente studio.

Ai cinque canti segue una cantilena di Antonio di Ferrara.
Quindi:

103 r.-111 v.: nuova serie di poesie, in parte adespote e anepi-
grafe, di altre mani;

126 r.-127 v.: sette sonetti di Dante, della mano precedente al 103.
In calce a 126 r., la stessa mano dell'annotazione a 77 r. ha scrit-
to: «questo e i sonetti seguenti sono di Dante Aldighieri »;

127 v., in fondo: di mano diversa dalle precedenti, abbiamo qui
la menzione di un fatto successo in Romagna nel 1353. Poiché essa
ha interesse — come vedremo - per la storia del codice, ne diamo qui
la trascrizione:





8 LUIGI SALVATORELLI

L'agni del nostro signoe [sic] M. C. C. C. LIII (1) Marti note de
charnevale die. V. de frebaro [sic] (2) intró per furto Morandino
da crovara con i bartoli da tosignano in tosignano ruberto digla-
glaliduxi el tegnea e fe chavalchare molta gente da pe e da chavalo
da imola a die VI. del dicto mexe el dito ruberto e conduse genti-
lino di gl’aliduxi questa gente e vene in soe al cumo posero (3) da sasa-
delo e bertuzino da chanval monte con molta gente e resose tosignano
a morandino e foe tutto taglado (4) al quale e dito (5) fiolo de stecho
glen chulo portò la testa a ymola (6) e aprexentola a ruberto di ali-
duxi e fogle aprexentado multi altri prixi.

128 r.-129 v.: strumento di vendita, ancora di altra mano, di
armi e cavalli, rogato a Perugia il 27 aprile 1347.

La scrittura del codice é la corsiva comune a tutta l'Italia cen-
trale nei secoli x1ti-xrv. Vi abbondano i nessi che questa scrittura
ha comuni con la gotica, e tutte le sue forme hanno uno svolgimento
completo, che ben si accorda con una data verso la metà del secolo xtv.

Con tale data si accordano altresi le marche di fabbrica della
carta. Sino a f. 32 compreso abbiamo una testa di bove. Poi a ff.
35-37 distintamente (forse anche a 33 e 34) una figura lunga e stretta,
quasi certamente un angelo. A f. 38 riappare, piü chiara, la prima
marca, che continua sino a f. 111. A 126 (dal 112 al 125, come si è
detto, vi è una lacuna) abbiamo un giglio stilizzato trilobo. In se-
guito, la marca non si distingue più.

Secondo ogni verosimiglianza, la carta di questo codice provie-
ne da Fabriano. Ora, in carte fabrianesi della prima meta del secolo
XIV, 0 di poco posteriori, troviamo tanto la testa di bue quanto l’an-
gelo e il giglio (7).

Il contenuto storico del codice ci permette di precisare maggior-
mente la data. Il capitolo di Bosone si riferisce a un fatto del gennaio
1345: abbiamo qui un termine sicuro «a quo ».

(1) Segue, cancellato con un tratto: merrhuri (sic).

(2) Segue un «furto », cancellato: anticipazione di una parola che viene
al suo posto poco più avanti.

(3) Su «pos » un segno di abbrevazione. È un passo di lettura incerta e
non comprensibile, almeno per me.

(4) Segue una parola illegibile.

(5) Segue: «stecho », cancellato.

(6) Segue parola cancellata illegibile.

(7) Si confronti per tutto questo Zonghi, Le marche principali delle carte
fabrianesi (Fabriano, 1881), e Le antiche carte fabrianesi alla Esposizione gene-
rale italiana di Torino (Fano, 1884).









LA POLITICA INTERNA DI PERUGIA 9

Lo strumento di vendita é stato trascritto nel codice evidente-
mente dopo la redazione dell'atto, che e dell'aprile 1347. Poiché que-
sta trascrizione è stata operata da altra mano nelle ultime pagine,
essa ci dà un termine «ad quem », .A maggior ragione ciò vale per
la menzione del fatto di Romagna, scritta di tutt'altra mano in fon-
do a una pagina.

La combinazione dell'atto trascritto e dell'annotazione erona-
chistica ci permette di arrivare più avanti, e cioè ad'una ricostruzione
più che verosimile della storia iniziale del codice.

L’atto dell’aprile 1347 è stato rogato da «ginus guidinelli de
chastro sancti Petri comitatus bononiensis notarius ». Di questo per-
sonaggio ci dà precise notizie Lodovico Frati (Storia documentata di
Castel S. Pietro nell'Emilia, Bologna, 1904, p. 182). Egli fu creato
cavaliere nel 1345 da Giacomo e Giovanni Pepoli, e nel 1378 ebbe
anche la cittadinanza bolognese. D'altra parte sappiamo da documenti
perugini (citati a p. 141 del volume dell’« Archivio storico italiano »
indicato più avanti, p. 63) che per il secondo semestre del 1346
fu podestà di Perugia il « nobilis et potens miles dominus Cinus do-
mini Francisci de Cataniis de Castro sancti Petri comitatus Bono-
niae ». Codesta famiglia nobile Cattani di Castel S. Pietro é pure re-
gistrata dalla monografia citata del Frati.

Vien naturale di congetturare che il Cattani abbia condotto il
Guidinelli suo compaesano con sé a Perugia, come notaio; e che que-
sti, rimasto colà ancora nel primo semestre del 1347, abbia avuto
occasione di rogare lo strumento che sappiamo, e la cui copia egli
avrà inserito nel codice, probabilmente venuto in suo possesso allora a
Perugia. Egli si sarà poi portato il codice in Romagna, ove a cura sua
o di altri furono aggiunte, nelle pagine rimaste in bianco, altre poesie.
Nei testi da f. 103 r. a 111 v. (inclusivi) troviamo infatti forme —
« gracioxo », « uxo », « chiexia », etc. — certamente non umbre, ma che
ben possono essere romagnole. Infine, fu apposta l'annotazione del
fatto di Romagna del 1353, che appare chiaramente contemporanea:
si notino la precisione della data (esatta) « martedi notte di carne-
vale » e la correzione cosi fatta del primitivo, errato, «mercoledi »,
nonché le particolarità, anche di nomi di persone, con cui é raccon-
tato il fatto. ;

In conclusione: possiamo collocare con sufficiente sicurezza l'ori-
gine del codice fra il primo semestre del 1345 e il principio del 1347,
e il suo compimento prima del febbraio 1353.











LUIGI SALVATORELLI

kl

DUE TESTI DEL CODICE: IL CAPITOLO DELLO SCOLARI
E I «CINQUE CANTI »

Pubblico i due testi, dall’unico codice che se ne conosce, rispet-
tando scrupolosamente l’ortografia, sciogliendo tuttavia le abbrevia-
zioni, ed emendando qualche passo richiedente assolutamente corre-
zione (nelle note è indicata la lezione del manoscritto).

Aggiungo nel margine sinistro la numerazione dei versi, in quel-
lo destro la paginazione più antica del codice. Ho anche indicato, con
un tratto innanzi all’inizio di terzina, le battute di dialogo fra l’autore
e Perugia nel c. V.

86 v. C. d. dominichus scolaris studens peruss. super eadem mate-
ria (1) quam d. Bosone modo narravit.

Già rutilava la bella aurora

quando oriente inbiancha l’emisperio,
e 'l sol sentilla per parer di fora.

4 Non so per qual fortuna o quale inperio
li miei pensier sospesi fuor tirati,
e condutti a veder novo misterio.

87 r. 7 Che vider gli acti nuovi cfigurati

per danti al canto vigiesimo nono
di quella parte che purga ei peccati.

10 Fulminar vide né seguitar tono
ma solamente el carro triumphale
con sette donne senza canto o sono.

(1) La parola « materia» scritta in margine.

























e

13

16

19

22

25

28

31

34

37

caritas 40

43

46

49

52

LA POLITICA INTERNA DI PERUGIA 11

O immensa vertù cellistiale,
tu vedi bem ch'a si facto lavoro

volar non posso senza le tuoi ale.

Spirame donque del celleste choro
del qual tractare entendo alchuna cosa
che raggiar veggio nel carro de l'oro.

Fa la parola mia si luminosa,
che ne l'altrui (1) concepto mostri chiaro
quel che prende mia vista tenebrosa. :

Io vidde per un lume denso e raro
le sette donne ensieme ragionare
respecto del lor dolce alquanto amaro.

E poi le vidde insime ingienochiare,
come cholui che bisognoso dono
al suo singnore ardissce ademandare

Denance a quel che triunpha nel trono
dei vintequatro e dei quatro animali,
con umel vista e lamentevel sono.

Lassaro ei quatro l'offitio de l'ali
cessar le voce tronite e folgòri,
seder glie vintequatro offitiali.

L’aspecto dei lor visi era de fiori
lucenti assai più che raggio di sole
secondo la distantia dei collori.

Honorar l’una l’altra ongnuna vole
e però ensieme se guardaro un pocho
come comunamente far se sole.

Poi quella ch’era rossa come focho ST.
dixi: io comencio: che ciaschuna dicha:
che non son cose da metere in giocho

Peró ch'io so de tutte più mendicha
e de l’umane mente deschaciata
come se fosse loro mortal nemicha

E semelgliantemente abandonata
veggio ciaschuna de le miei sorelle
e per desuetudene sublata.

Mostrasse alchuno ragiar de miei fiamelle
per poder melglio ordenar tradimenti:
rapaci lupi con ovina pelle.

Onde è ragion, singnor, ch’io me lamenti,
che bem ch'io sia no me posso mostrare.
poi puse fine ai suoi ragionamenti.

(1) Man: atrui.



































12 LUIGI SALVATORELLI

speranza 55 La verde donna comincció a parlare,
e disse: io me retrovo in tucto spenta
che nessum vol più che veggia sperare.

58 Profetia nè miracol fa contenta
la mente dei mortali se manifesta
cosa non vede algli ochie suoi destenta. d
prudencia 61 Poi cridó quella con tre occhie en testa: |

o insensate mente e deffettive |
perché portate me tanto molesta ? |
64 Ché de me ugualmente site prive
e se per amor proprio alchun s’acosta,
nel secondo occhio solamente vive.
justicia 67 L'altra sorella che gli era a la costa
: sospirando depuse giü la spada
la qual per no ne usare a molti costa.
70 Poi disse: qual inditio o qual nayada
porria dir quanto so dal geno humano
abandonata che negium me bada ?
73 O cesar costantino o buon troiano 88r.
che de me fuste chari e veri filgli !
u' se' Rifeo ? (1) u' se' Iustiniano ?
forteza 76 Poi ch'a la terra abassó i sante cilgli
i cominció l'altra e disse: o giente triste |
perché vi trasformate nei conilgli ? |
79 Di terra primamenta ve vestiste |
et in terra sperate, e peró segue |
pocha vertü de magnifiche viste ck]
82 Onde a l'ofitio mio ó posta tregue
e se non soccorrite, singnor caro, .
convem che da la giente me delegue.
tenperanza 85 Poi soffiò l’altra con sospiro amaro
e disse: o giente enorme e smesurata |
senza rimedio e senza alchun riparo
88 Perché m'avete tanto abandonata
poi che sapete ch'ongne cosa mancha
senza la moderanza che m'é data?
fides 91 Ció visto e inteso l'altra donna biancha RO
piangiendo disse verso l'assessore
come persona lacerata e stancha:
94 Intende in me intende, o car singnore,
festina en mio aiuto en mio soccorso,
ascenda a te mia voce e mio clamore.

(1) Cod: Riteo.



97

100

103

106

109

112

115

118

121

124

127

130

133

136

LA. POLITICA INTERNA DI PERUGIA 13°

Ch'io so già sì revoltata seorso
da la tua prima e vera oppinione,
che l’use fronde non so de mio torso

E trovomi per prava abusione
usare in avaritia et in rapina
in tiranicha vita e storsione.

E solamente operation divina
è reputata s’en utel redonda
de quei che m'anno facta adulterina.

E tanto tal nequitia soprabonda
nella mente dei novi farisei
che mia vertà conven che se nasconda.

Assai men me molestano gli ebrei
che quella parte ch'an dei miei costumi
interamente servan piü che i miei.

Ma ss'elgli aven, singnor, che tu allumi
alchun si ch'a noi volte el suo desire
cche se specchie nei cristalin fiumi

E se di me vertà volesse (1) dire,
subitamente é decto pattarino:

o taccia o convienli de morire.

O singnor, io so bem ch’el tuo destino
à proveduto a me d’aspra vendecta;
cierta ne so, ma nol veggio festino.

E se licito m'é de poner frecta
pregoten, singnor mio, ch'é m'é mestieri
e non conosco scusabel desdecta

Peró ch'en oriente veggio arcieri
desposti acerbamente a conculcarmi
rabiosamente e mortalmente fieri.

Pochi respecto ai molti per aitarmi
surgono al suono de la mia stancha voce
e quei non son disposti a favorarmi

Ché fiamma de mia suora lor non choce.
né ciba alchun de l'altra verde pianta
né de le quatro circondan lor croce.

Qual povertà qual sinplezza amanta
qual ira dei suoi bene che vede structi
qual desioso a veder giente tanta.

Alquanti son da lor parenti inducti
per dolose losinge et avaritie
ma i piü da vana gloria son conducti. .

(1) Man: volsse.












































139
142
145
148
151
154
157
160
| 163
166
169
172
175

178



LUIGI SALVAYORELLI

Invocha tu singnor mio le militie 89 r.
ocidental da puoi che '] tuo vicaro
è dato tucto quanto a le delitie.

O quanto fo quel dono a me discaro
che fece Costantino al buon Silvestro ! 7|
ch'esso e i predecessor me coltivaro.

Da poi in qua deventato é alpestro 1
el mio giardino e de le miei sorelle
e per desuetudine é silvestro

E siamo state tucte vedovelle
de quei che ce soliano esser sposi
e'n chui solen raggiar nostre fiammelle.

O divi agusti o Cesar gloriosi,

o trionphali antichi romani
de l’universo in noi victoriosi

O palladin che dei malvagi cani
meco faceste e receveste -cede
spargiendo sangue per colli e per piani

Come ve veggio senza alcuno herede
se tu, singnore, e tua misericordia [
alchun buon sucessor no mi concede. i

Spira, singnor, le cristian precordia
e spira el tuo vicaro o tu ’l chastiga
che vengna al facto e lascie star gli esordia.

Pongasi fini a la christiana briga,

e sol s'entenda mo a la mia inpresa
che non é pocha né debel fatiga.

Bem che sia l'una de le spere acesa
ma dov'é l'altra ? U' sono i duo coltelli,
che petro nostro oferse a mia defesa ?

Non ó bisongno mo di poverelli |
de vedovecte né de miserabili, }
poi che chonven prorunpere ai flagielli.

Sotia me dei mei conestabili 89v.
ciò è del tuo vicaro e de l'inpero.

e di lor circostanti venerabili.

Surga universalmente tucto el clero
e dieno ei loro denari a chi po l’arme,
usen la vita che usò san Piero.

Surgan glie re christiani a seguitarme
e puoi de grado in grado gli altre mangni
contra de chi mo surge a deschaciarme.

——



181

184

187

190

193

196

199

202

205

208

LA POLITICA INTERNA DI PERUGIA 15

Da poi che l'assidente e i soi compangni
odier (1) le sante donne e lor querele,
gridaro; exultent in sanguine angni.

Uno fiamegiar d'enfinite candele
vidi denanze al santo tribunale
e fulminar la spada de michele.

Poi quei ch'eran pennute de sei ale
le sedie loro cierchondar d'una nube
che più non vide l’atto prencepale.

Poi udii sono d’innumerabel tube
e chome d’aqua che corra per foce
sentij sonar nelle mirabel cube

E puoi udij tal suono en cotal voce:
guardate a me, filglole benedecte
nel nome mio e de la vera croce.

Tutte le cose nascono inperfecte
e puoi perfectamente vegetando
a lor perfectione son puoi electe.

Ben che queste che van prencipiando
procedan con deffecto, in sé è bene
e verrà senpre in melglio augumentando.

Però derizate la deritta spene
che ben ch'el cominciar sia deffectivo
principio de buon fine esser convene.

Donque potete reportar solivo, go
e dir potete in tucto l'universo,
ch'el creatore universale é vivo.

Quem benedicho ne l'ultimo verso.

(CANTUS PRIMUS)

Piovete, cieli, di chiarezza fiumi,
sì che relucha la vertü soprana
per l'universo con veraci lumi.

Moyse mostre la sua mente chana
con quella leggie che fu circoscripta
nell'alto monte per la giente humana.

Pietro resurga che per la via dricta
sì ce conducha a piei del giusto lengno
dua maria con giovangnie fe trafficta

(1) Man: ordier



19

25

31

34

37

40



LUIGI SALVATORELLI

Ch'io veggio l'ira del singnor benengno
che verso noi non può più mitigarse
che non subisse giù '| terrestro rengno.
Non ve recorda ch'ella croce sparse
el giusto sangue per nostra redentione
che erevamo per lo pechato scarse ?
Dov'é '1 gran dono che po la surectione
rechó ai descipoi con alegra faccia,
che bem sonó intra la loro ligione ?
Alor per l’universo steser li braccia
fecendo schudo di verbo divino
pocho temendo ofesa ne minaccia.
La chiesa cie lassò quel nome trino
per fondamento de la nostra fede
che cie mostrasse ’l più dricto camino
Che facta è sinagoga si ben vede 90 v.
con pontifice nove e ffarisere
che niuna charità in lor se rechede.
Non fece mai la secta dei giudere
si nove piaghe contra el cristianesmo
come oggie fono le spietate fere.
Ciaschun mancha la fede en se medesmo
e solo a gueregiar s’entende e pungna
pur contra quei che receveron batessmo.
Contra vertude questa giente s'ungna, (1)
non ramentando la divina leggie
ciaschun vol che se scriva ciò che agongna.
Descopre gli ochie tu lector che leggie
se vei nel prato niun fiorecto fresco (2)
che non sia pasturato da la greggie.
Mira la bella sposa di francesco,
com'é rimasta sola (3) vedovella,
trista piangiendo nel diserto tresco (4).
Cacciata è d’ongne ovil cò’ pecorella
che giace enferma onde l’altre coronpe
però sola sen va per l’aier isnella.

(1) Il testo ha: sungna. Divido con l’apostrofo intendendo « ugna » per
«augna » La Crusca registra augnare = afferar colle unghie. Qui dovrebbe
significare: questa gente s’ingegna in tutti i modi contro la virtù (cfr. v. 36).

(2) Nel Man. prima di « fresco » è scritto, e cancellato, « seccho ».

(3) Man.: trista (errore di anticipazione), e sopra: sola.

(4) Maschile di « tresca » ? (Deserta la tresca di povertà, in quanto nes-

suno si accosta a lei).





LA POLITICA INTERNA DI PERUGIA

46 O gran vertü che tucte cose ronpe
rinnova ’1 sangue della bella donna
che diè christo al convento senza ponpe.

49 La morta charità alquanto risponna
prima che pera tra la giente vaga
socto le forge de la turbid'onna.

52 Ma più mi duol veder la mortal piaga
che sirà facta a perosa nel core,
pur che ’1 pianeta sopra '| mar ci traga.

55 Io te pur piango cità con dolore
che vecgio contra te irate ei cieli
che te sumergeran nele triste ore.

58 Ai quanto sentirai le tristi gieli
per questa giente che tu en te raboschi!
se questo é ver ti pregho non mi cieli.

61 Nei tuoi bei site tenebrosi boschi
rinaseran de la tua trista pena
per che d'ongne vertute en te sia toschi.

64 Mira contra fortuna chi te mena,

e vederai in te lupi rapaci .
sucharte ’1 sangue de ciaschuna vena.

67 Collor che t'onorar tu glie desfaci
e giente nova ristende en te ’1 braccio
faciendo stratij dei sangue veraci.

70 Chi (1) sono et onde fuor dir lo mi taccio,
che m’anno strecto colle mano en canna
sì ch’io dolente tra chostor mi giaccio.

Ta O citadini qual vitio v'aphanna
che non temete de divin giuditio
ma l'avaritia vostra tutto incanna ?

76 Dove son gli ossa del fedel fabritio ?
dove de scipion la giusta spada ?
ove chaton che biasmava one vitio ?

79 Ecce nessun che l'un l'altro non trada

© col mele en bocha e '] rasoio a centura
mostrando risa che pocho gli agrada ? (2)

82 Dè come puote soferir natura
questi vitiosi iniqui scelerati
che senpre vanno con la volglia dura ? .

(1) Man.: Chio; ma è cancellato l'o
(2) Sarà il «riso che non passa alle midolla ».

2

12;

91 r.





|

18

88

91

94

97

100

103

107

110

113



LUIGI SALVATORELLI '

O da la forte donna sogiogati

non ve recorda che la fronte nuda

rimarrà calva dai menbra spiciati? (1)
E gli ossa si lassiran la carne cruda

di ciaschedun di po'l colpo mortale

puoi vederete come l'alma muda. 91v.
Ció che qui sento socto le tuoi ale

dicer non voi per non stender mio tema

chè troppo seria lungo ’l nostro chale.
Non lascieria per brevità che gema

ch'io pur non dica como ’1 mal soperchio

senpre si biasma ed il bem si. pur sciema
Si che no ne reman sengno nè merchio

e de bem far niun mai se ricorda

ma per invidia schiuso è fuor del cierchio (2).
Pensate voi se quista è vita lorda

che ’1 vertuoso fama non aquista

ma ciaschedun lo guarda com'el morda (3)
Co' piü cié penso piü la mente atrista.

CANTUS SECUNDUS

Elgli è tanto ’l mio cor tristo e dolglioso
per lo gran duol ch’ella mia mente spira
ch'io non so trista chi me fie piatoso.
Ma quil che me conduce en magior ira
é di veder mia famelglia dispersa
che qual vegio morire e qual sospira.
La gente nova ch'al pecto mi versa
si m'an conducta nell'amaro pianto
fecendo nel mio cor piaga diversa
O filgliuoi miei che sotto nel bel manto
de libertà si v'alevaie essusse (4)
chi v'a conducti ne l'acerbo canto ?

(1) O soggetti alla forte donna (la morte), non vi ricordate, che, quando
avrete lasciato le vostre membra, la vostra fronte diverrà calva, e le ossa spol-
pate ? Allora vedrete come l’anima muta le penne (o sta in muda)!

(2) Non capisco il senso di questo verso.

(3) Si può interpretare: ciascuno lo guarda, come se egli mordesse — come
un cane arrabbiato.

(4) Forse: e sussi, perfetto di suggere, nel senso di allattare - Ma lo pro-
pongo con ogni riserva.

M C. " i M M









116

119

113

128

131

134

137

140

143

146

149

LA POLITICA INTERNA DI PERUGIA 19

Se unitate fra voi suta fusse
non portirate de peso tal croce
dai veneticce coi superbe giusse.
En me non sentiria le triste boce
latrar con apetite d'avaritia:
la vostra pena piü ch'altro me nuoce.
Tiranegiata sono con malitia: 92 r.
da tal che non se sa suo nascimento
di sua progienie niuna se sa inditia.
Considera lectore el mio tormento,
vegiendo ei filgluoi miei in tanta dolglia
per lo mal fare altrui preso an pavento
E de vertute ciaschedun si spolglia
seguendo con costor l'iniquitade
a ctutti lor diffecte mostran volglia.
Non v'acorgiete de le nude spade
che manderanno ei vostre membra sparte
di questa giente con gran crudeltade ? (1)
Io trista madre volglio aprir le carte,
dirve chi sono et onde fuor costoro
forse mo ve guardate da lor arte.
D'ogubio e del contado molte foro.
gualdese asciesciane e lor seguace;
quei di spolete me fan dentro coro.
Tudin con espellan golpe sagace
tel da noceia che dentro me langna (2)
tal da folingne duo ’1 mio sangue giace.
Tal fuorono di la grande montangna
che di raniere ancora porta titulo (3)
e tai de la cità che ’1 tever bangna. (4)
Tanti d’arezzo che mo’ fan capitolo
tal di contado con borgesi misti
tal fuor di l'alpe che mi placa '| vitolo. (5)
Da cortona ne fuoro anchor con quisti
chon altre ch'io non so donde fuor nate;
di llor confin non veggio que registi.

(1) « di questa giente » dipenderà da « spade » del v. 131.

(2) « mi dilania ».

(3) Civitella Ranieri.

(4) Città di Castello.

(5) v. 148. — Non saprei dare nessun senso al « vitolo »; «placa potreb-
be essere per « piaga ».



20 LUIGI SALVATORELLI

152 Torno nel primo canto, triste nate:
se quisti aveste piü tenuti en freno,
non.sirate da lor si mal menate (1).
155 Non vederate '| vostro valor meno 92 v.
sirebese marsciano ancor dei conte,
quei da deruta terian lor tereno (2). j
158 Gl'odde terreber piü alta la fronte j
ei fucciarei si terien monte alere;
quei da vallialla (3) sireber piü pronte.
I 161 Franche serieno i nepote i ranere
| con tucte i nobei de la teverina
: certo i balglione serien piü manere. I
! 164 Non temerien gli armanne l'altrui mina 6r.
LR quei da monte sperello e lor consorte
) non vedereber lor potentia enclina.
RS 167 Quei da montemellino averien sorte
! con quei de la pessina e da petroia
quei dal piagaio (4) terien magiur corte.
170 Volerlglie tucte nominar me noia
perch'io glie veggio piü dilacerare |
che non si fece la schiatta di troia. i ! |
173 Veggio '| sangue di lor vene manchare (5) )
da tal dicendo io so ghelpho anticho |
che pur ier venne in perosa ad abitare. |
176 Quanto ne so dolgliosa no Ite dicho |
vegiendo i filgluoi miei in tal dispregio |
quant'é milglior lo veggio pià mendicho |
179 Veggo senza vertü salire en pregio
tal che d'ongni saper si mostra nudo |
I
|



T



e sol per parte si vale en collegio.

182 Questi son quei chon l'apetito crudo
che ’1 mio podere tuctora discierpe
ond’io pensosa tra costor mi mudo.

(1) Nel 1281 i Bulgarelli avevano venduto] al Comune di Perugia tutti
i loro diritti e giurisdizioni sul castello di Masciano. Cfr. Briganti (op. cit. a

p. 63), e l’Indice manoscritto dei Contratti diversi compilato da Giuseppe )
Belforti, a p. 96.
(2) — Nobili di Deruta abbiamo nel diploma di Enrico VI del 1186. Do- ì

po, non saprei dirne altro.

(3) La forma ordinaria del nome è Valiano, o Valiana.

(4) — Nel Libro Rosso (v. p. 85) abbiamo « Comites de Plagario ».

(5) — «mancare » potrebbe essere per manicare (mangiare). Ma il sangue
si beve; quindi piuttosto: mancare per opera di tale, ecc.









185

188

LOI

194

197

200

206

209

LA POLITICA INTERNA DI PERUGIA 21

Chome cholui a chui morde la serpe 93 r.
sentendo la lucerta forte teme,
peró le mano nelgli ochie s'aderpe

Simelemente fa '| mio dolce seme
che per timenza de cadere in peggio
lodano ‘1 fallo de chi più spreme..

Se ve levaste de l’anticho seggio
giusta cosa me par che pur sogiette
a quista giente siate com’io veggio.

Quil ch’om si tolle raver non aspecte
per l’altrui mano che ngiusto seria
et contra di ragion faria (1) dispecte.

Perchè de voi mi strenge gielosia,
pur me ne duol ben che 1 vostro difecto
v'aggia conducti ne la pena ria.

Piango la pena dentro dal mio pecto
quando al mal fare altrui strengete l’orche, (2)
dubitando d’aprir vostro intellecto.

Messa m’avete tra rabiose porche
che qual me fier col muso e qual col dente
si ch'io non saccio verso'l qual mi torche.

E'l mi popolo anticho sta endigente
con voi piangendo en povertate e fame
o gram chativi de l'anticha gente.

Cert'io non sentiria si facte brame
vegiendo pur collor che ve fuor serve
andar con voi per glie deritte trame.

Sento le spade che talgliano i nerve
de le miei forze si ch'io callo alla terra
vegiendove filgluoi cosi preterve.

Odo cridare en me pur guerra, guerra
da una giente con l’acute lengue
che senpre m'apron dentro 'l core e serra.

So' bei colore lor dicte distingue, 93 v.
senpre arengando per metaforisma
cosi nelglie diote ’1 male enpingue.

O popol mio, cho’ non se’ sillogisma
che dei fals'argomente t'agorgiesse

che te provan costor collor sofisma !

(1) Man: farian, ma l’n è cancellato.
(2) — Orca = spalla, dorso.

———

ire



i
r
È
i

— —

etre SEI ts

Mut te DAT eU

re

"TE

22

224

227

240

243

246

249

255

258

(1) Per questo e altri passi di locuzione contorta, v. appresso, pp. 36-37.



LUIGI SALVATORELLI

Forse non crederie ció che dicesse
quei che t'enganan né non te n'aveie
enmagenando come te regesse.

Quil che senpre despiaque algli ochie mieie.

CANTUS TERTIUS

Parme veder che piü'] diffecto nostro
per nessun modo si possa coprire
si como apertamente m'ai dimostro.

Ma quando non t’increscha troppo udire,
gli enocente schusara ch'io contenplo
perché piü alto non provan salire.

S'ell'intellecto niun saper ademplo,
quei che fuor nate en fiera servitute
mai vider libertà nel suo asenplo.

Nollo paion mortal le lor ferute
stonse come riconperate schiave,
no sperando che fie magiur salute.

Acqua non veggio che '] diffecto lave
de quei ch'en libertà fuor guida e duce
esser conducte nei tormente grave (1).

Ma quilla donna ch'el mondo conduce
ci à trabocchate nella pena tetra
che non veden que splende né que luce.

Dè quanto è giusto el mal, chi lo s’enpetra !
passato '| tenpo, chi dirietro mira
iniquo quanto par chio losaretra (2).

Ongni nostra potenza par che spira, 94 r.

peró recuririm tra gl'afanate braccia,
seguendo (3) amor che verso te ne tira.
El sangue nostro nelle vene giaccia
peró te strenga el filliale amore, S
ch'io sento verso noi l'ultima chaccia.
Fa chome quei che no scieman dolore
del mal de lor filgluoi ben che sien dengne
tenendoi ficte senpre dentro al chore.
Mostrace i mode, assengnance gli engiengne
si che potian cessar tal tirania
che mostra crudeltà con tucte i sengne.

(2) - Forse: chi guarda di dietro di sé è colpevole quanto chi indietreggia.
(3) Man: tra «seguendo » e « amor » ci sono tre lettere cancellate.

|
|



À





dis m,
»

261

264

270

276

279

(1) Man:
(2) Man:
(3) Man:
(4) Man:

LA POLITICA INTERNA DI PERUGIA 23

O cità sola dolce madre mia,
quanta angoscia porte dei tuoi filglie
odendo crudeltà che senpre cria (1)

Veine stirparte atorno ei bei capelglie
da questa giente iniqua e scielerata,
che nella gola ci an ficti gli artilglie.

Assai cie duol vederte lacerata
trista (2) piangendo con sospire acerbe
perché d'ongne vallor te vei (3) robata.

Vei el tuo sangue spargier sopra l'erbe;
adonqua ormai considera ’l vero
odendo risonar le mortal verbe.

Mira chostor con l'apetito fero
che pur a gara el (4) vero danno stroppo
senpre mostrando el biancho per lo nero.

Vanse segure che non trovano entoppo
schandalo con eror van seminando
si ch'el mal sopr'al bem chavalcha troppo.

O giusta donna che vai ponderando
cholle bellancie ch'el mondo sostene
la nuda spada ch'en man vai trillando

Resurgan con vigor tucte tuoi lene 94 v.
rendendo a ciaschedun quel che gli é tolto
alglie vitiose tribuendo pene.

Deschopre gli occhie del beato volto,
con quella luce de lupo cervere,
et vederai el vitio che t'é ocholto.

Oimé dolente nostra possa pere,
perciò temen ch'al desiato porto
venir potiam se giustitia non fere. 5

Temem per brevità del tempo corto
chome cholui che vol salire a l'astre
sentendo ongne calore en sé ramorto.

Veggio le volpe ne le tane mastre
stare per divorare e far vendecta
peró conven che ciaschedun s'amastre.

Tra quista gente ch'a morir ci afrecta
sonce de quei che fuor filglie antiche
con lor faciendo compangnia e secta

quia.
strista.
tenei.
purgarel.



j
|
l
i
i
i

I
v
a

]

i

i 7 n 1
WE A ta ent t Aa a RSS eee AAA na ry

"

È n
t T MATER s ar Rar E SIDA

M A xar

24

300

306

309

312

324

327

330

333

336

LUIGI SALVATORELLI

Ver de noi volgiendo gli occhie iniche:
e questo certo piü ch'altro cie dole
vegiendoi contra noi chosi nemiche.
Qual é colui che dicer non vole
quil che comincia volgendose retro
vegendo quil ch'ascolta suoi parole
Cosi convencie volgier lo palpetro
sol per biasmar el vitioso fallo
convencie de noi fare specchio e vetro.
Dé co non sem monite (1) da quil vallo
o bella madre, che tu ramentaste !
forse nostro valor non siria en callo.
Si bem recordo quando tu sclamaste
dicendo in libertade io v'alevaie,
anchor mostrando quanto tu ci amaste.

Ma quisto é quil ch'a pianger piü cie traie, 95 r.

per che seguin la vertuosa norma
veder[cie] sottoposte puro ai guaie.

Pensa, lector, non creder qui ch'io dorma
ché saggie son tenute e gratiose
quei che de falsitade segon l'orma

E i giuste son opresse dai vitiose
perché nello mal far la gente abalglia,
tenendo (2) i scielerate vertuose.

O cità nostra chi te sprezza e talglia
qual disquarta per mezo la tua tunicha
e qual tiranegiarce se travalglia.

Questi son quei ch'el tuo poder comunicha
credendote condur socto tiranno
duo sentirai pur la batalglia punicha.

O cità francha volgete a l'onganno,
prima che te sia strecta mano en gola,
che non bastara non veder lo danno.

Mirate entorno ché se' rimasta sola
de tuoi filgluoli e dei buon citadine,

e vederai collor ch'el tuo s'envola.

Piangan di dolglia glie buon perusine
per questa giente ch'en te se ranida
vegendoi da virtù si peregrine.

(1) Man.: semonite.
(2) Man: tendo.

|



uu







Io

____-





342

358

361

364

367

370

LA POLITICA INTERNA DI PERUGIA 25

Scholten le boce che dentro te grida:
o tirania apetito insatabile,
non churar de vertù chiamate guida (1).
Quanto nelgl'umane ochie elgli è mirabele
vedere in quiste ongne giustitia morta,
e quanto a te deveria esser notabele !
O bella madre, lascio or te conforta.

CANTUS QUARTUS

Perché (2) ragione a parlar mi costrenge, 15. 9D V
convien che la mia lengua alquanto sbochi
e già d'esser contenta non me fengne.

Se con luce cervier tu fisso adocchi
non vederai scuxa o inocentia i
che scholpe gl'innocente che tu tocchi.

Ma i dolorosi de trista somentia
vente pur da pigritia con viltade,
non churan di cessar lor pistolentia.

Chi solo aspecta la necessitade,
vasene '| tenpo se tu mire fiso
concupisentia ‘1 manda a povertade.

Non basta quil ch’è dato de star fiso
se per vertute sua l'om non aquista
secondo ll'intellecto: me aviso.

Se seguirite pur divisa lista

'giammay non vederite libertate,

finché (3) unitate tra voi non ravista.
Per voi fontane d'occhi fa pietate:
o dolce filgluoi miei del sangue amabele
chi v'à del bel poder chosi robate ?
Mirate la fortuna quanto é abile
chi lei consegue co sua rota volglie;
senza fatiga non é l'uom laudabile.
Dé reducete ad un le bine volglie
e non s'entane en voi la meretrice
ch'aguza gli apetite a prave dolglie.

(1) — Sopra «chiamate » c’è un segno come di abbreviazione, che è cer-
tamente un errore. Si dovrà intendere: chiamate guida, ritenete come guida
il non far cura della virtù.

(2) Man: Erché.

(3) Man: fiche.





#

(
E E PP

acier ertet e Ier

373

376

379

382

385

388

391

394

396

400

403

406

LUIGI SALVATORELLI

Ell’è colei ch'é d'ongne mal radice
e non se sente en lei alchun dillecto
perch'ad ongne vertute contradice.
Considere ciaschun nell'intellecto
che libertade più che tesor vale:
chi l'abandona quanto à crudo aspecto.
Mirate gli angei come strengon l'ale (1)
sol per salire nell'alte vedute:
prendente asenplo se d'onor v'en cale.
De' non estate colle lengue mute
si che perdiate d'ongne valor lena
ché senpre di tacer non é vertute.
Qual è quella paura che rafrena
gli aneme vostre (2) che no anno audatia
de poder scanpar la prava pena ?
Chi pigiorar non può tormento o stratia,
de que l’animo suo prende paventa
[se] vede crudeltà che non se satia ?

Chi sta nel fondo non glie offende spenta;

se rota volge milgliorar porria,
se da contrarie vente no è venta.
Chi bem gueregia pace aver desia;
chi sé col suo per ragion deffende
pocho magiur vertù credo che sia.
Dicho ongne charità se tu m'entende
si s'encomenza sol da sé medesmo (3)
chi contra sente nelle croce ofende.
O quanto è giusto e bel questo batesmo
chi ce se lava tra le vergen onde
o quanto (4) è dolce cosa dire avesmo (5)
Se non v’achosterite ver le sponde
del bel navilio cho cholui che rema
stancho de navigar per glie profonde
Natura converrà che pur die tema
si nella terra che renda per fructo
giovene acerbe che ve rendan tema.

(1) Man: aile. con un punto di espunsione sotto l’i ».
(2) Man: nostre.
(3) - « Prima charitas incipit ab ego ».

(4) Man: quato, per dimenticanza del segno di abbreviazione.
(5) 400-02: Versi oscurissimi, e un enigma é quell'« avesmo ».

96 r.



LM id

409

412

415

418

421

424

427

430

433

436

439

442

LA POLITICA INTERNA DI PERUGIA 27

Secondo ch’ello ciel veggio costructo
queste vendicheran tucte nostre onte
con dolglie crudeltà tormento e lucto.

Queste non mostreran de pietà fronte, 96 v.
chè lor natura sirà sì feroce
che solo a crudeltà siranno pronte.

Queste gli aspecte mostreranno atroce
queste sopra di l'arme averan possa
queste raqueteran le crudel boce.

Queste daran pur ad altrui percossa
queste siran d'ongne malitia experte
queste averan da lor viltà remossa.

Queste siran da tal vertü coverte
che non si partiran del dricto trame
tribuendo a ciaschun secondo i merte.

O filgluoi miei descesci dei bei rame
de gientilezza che si ve sporona,
chi v'à conducte ne le pene grame ?

Se comprendete bem que’l mio dir sona
non lodo che per voi s’aspeete tenpo
perchè pigritia ’1 ben far abandona.

Colui ch'é lento mai non trova tenpo
e perder tenpo a chi più sa più spiace
de scanpar servitù mai è per tenpo.

O chi se fa valere a quanti piace
e quanto crescie per fama valore
considerando l’una e l’altra pace.

Dè corregiete adonqua ei vostre errore
se non v'encrescie de chi me vitupera,
né del gran duol che me spatia nel core.

Ma l'aspro marte dentro a me ricupera
el mortal hodio si ch'io dolente strido
vegiendo sua niquitia che me supera.

O popol mio de quanto duol se' nido
quando del francho sangue te ramente,
pensando chi de fama porta grido.

Popolo anticho, pregote, pon mente 97 r.
mira costor ch'el tuo podere usurpa
si chome a lo mal far mostranse atente.

La secta nova el tuo valor sturpa
e credo bem che tu con man lo tocche
sì che tu puoi saper chi ’1 tuo s’aturpa. (1)

(1) —- «s’aturpa» significherà: si appropria (si attruppa).





28

451

454

457

160

463

466

470

473

176

479

LUIGI SALVATORELLI

Ad ongne boce non creder entocch (1)
tu non cognoscie che sien filglie antique

ché molte an mele ai labbra e ’n gola el tosch.

O dolce filgluoi miei pregove unique
che veramente co’ le bestie paschono
de fin ch’a l’erba levan le folglie undique
Ma sucessivamente li renaschono,
chè la radice non glie venne meno
però le sue vertute non gli caschono:
Così roder a voi vegiove ’1 seno
che non ve consumate a conpimento —
che d'afletion sentiate ’1 troppo e ’1 meno.
Oi cho in eterno dure tal tormento (2)
però prego, filgluoi, che ve sie specchio
neglie vostre occhie el mio amastramento
Cche nova pena vol pecato vecchio.

CANTUS QUINTUS

L'anvidia che da noi pocho si tempera,
Sj ci à conducti nel misero exilio,
ch'el suo furor pur dentro ne distenpera.
L'omo envidioso mai non à concilio
perché dentro e di fuor lui se divora
non possedendo de dillecto auxilio. -
— O filgluoi miei, quanto dolor m'acora
vegiendo voi cusi delacerate
pur da costor ch'en voi l'anvito sciora. (3)
Quanto del bel chiaror son luminate
quei ch'en aversità portan patientia
e "lla prosperità son temperate !
Alchuna volta la somma sapientia
concede a l'omo iniquo libertade
che l'un punischa l'altro con sententia.

97 v.

(1) - Entocch sarà da «intus hoc », analogo a introque (« inter hoc »). A
differenza però di questo, è una congiunzione, a quel che pare, che significa
«fino a che », «se». Le curiose rime tronche di questa terzina saranno forse
una imitazione di Dante. Inf., XXXII, 26-30.

(2) Interpreto: Ohimé, che questo tormento debba durare in eterno ?

(3) Parole e senso per me indecifrabili.



I
I
I
I



488

491

493

497

503

506

509

LA POLITICA INTERNA DI PERUGIA 20

— O bella donna madre de pietade
se ddio provede tucto per ragione,
perché non presta a noi tal degnetade ?

Destingue condicion de le persone
quella enfluenza che da lui procede,

o dà per acidente conpassione ? (1) (2).
— Frate, la sua vertù tanto provede
che giustamente mai nessun offende,
ma a tucti mostra el pecto de mercede.

Or te voi demostrar se no m’entende
perché t'à dato lo libero arbitrio
oltra del tuo voler mai non si stende.

Dè mira qui, non chiuder lo palpitrio:
sarebbe dio de giustitia spolgliato
se contra ciò fecesse quisto arbitrio.

Se l’uom può non voler quel che gli è dato
chi ’1 può menar contra sua ferma volglia
essendo in libertà desposto e nato ?

Chi l’albitrio gentile da sè dispolglia
quanto giusto mi par che senza termene
senta sua vita di tormento dolglia !

— Tu perchuote mia mente di tal vermene,
ch’io non so, madre, piò de que t’adaste,
se non che qui con meco alquanto fermene.

Da puoi che tu sopra l’arcane entraste
d’un dubio voi che tu me faccie experto
per quello amor che tu e’ noi portaste.

Quisto tormento acquistaci alchun merto 98 r.
en quillo eterno e consacrato coro
o mostrase d'amor ver noi scoverto ?

— Cierto l'eterno scir non enamoro (3)
delgli angioi ch'en vertü non s'acostaro
et vitio nom seguier cogli altre loro.

Pensate adonqua quanto costa caro
chi non vuol operar vitio o vertute
e quanto sente sopra ’l dolce amaro.

(1) L’interrogativo non è nel manoscritto.

(2) Terzina oscura per estrema infelicità di espressione: il senso dev'es-
sere un quesito se sia o no la volontà di Dio a determinare gli atti umani.
Anche qui abbiamo una imitazione dantesca, che continua nella terzina se-

guente.

(3) La sapienza eterna non ebbe amore per gli angeli che rimasero neu-
trali. In «enamoro » l’accento sarà ritratto per ragione della rima.



30 LUIGI SALVATORELLI

518 — Io credo, matre, che magiur salute
niuna piü sia che remirar lo fine
e puoi proceder colle mente acute.
521 Perché noi sem di tal vitio vicine |
parme pur mei di passar la fortuna.
e star contente socto l'altruie mine. [
524 Forse che mo resurge forza alchuna |
che cie vendecherà dei nostre dannj |
retribuendo a noi d'umeltà muna. |
527 — Se ’1 lupo perde sua pelle en cento annj, I
troppo el par a salir l'aspro giuditio
vegiendo stropo a lui de tale enganni. (1)
530 Egli è humano de pecar nel vitio
ma di perseverar neglie suoi modi
parme che sia diabolicho initio (2). :
533 Mostrato t/ó, se tu m'entende o m'odi
che pigiorar (3) non puó non de' temere,
s'io ben recordo, nei misere modi.
536 Puoi che tu voi de tanto ’l fin sapere,
chi è crudele a sé come ad altruie
puote sua condition giamay piacere.
539 Quanto gravoso elgli è dicer: io fuie |
de la magnificha e gentile schiacta
vegiendo povertade posta en luie!
542 Duo son glie munazin (4) che fier baratta
di lor medesme per fugir lo giocho
de servitute che ciaschuno amacta ? (5)
545 — Di sot'al tuo precepto mi sogiogho,
entendo qui chanbiar l'usata norma
sentendo già chom'io dolente afogho.
Si la mia mente del tuo dir se riforma
per quel che pianti nei dolenti versi
ch'intendo de seguir per la tua forma.
551 Mostrato ci ae ’1 simel e i diversi:
e la ragion che più cie grava al fondo
tant’è l'amor che sopra de noi versi.

e

I

7
LIA I ce tene

#
e ENIT PT TTT CONI ee pre cera pr

!

i
&
oo

*

E

O

(1) — Versi assai oscuri. Forse nel 528 è da leggere « subir » e quindi da
interpretare: se il lupo perde i suoi vizi in cento anni, è troppo subire i suoi
comportamenti, vedendo quali inganni egli macchini.

(2) Invece d’«initio » era stato scritto prima « vitio », poi cancellato.

(3) Dovrebbe dire: «che chi pigiorar « ecc.

Il (4) Termine che non so spiegare.

(5) L’interrogativo manca nel man.



|





581

583

589

LA POLITICA INTERNA DI PERUGIA 31

— Vertù me par de dubitare al mondo,
o filgluoi miei, con se convene e quando
pensando senpre l’essere secondo.

Tanto sopra de voi dolore spando
vegiendo anunptio di danno futuro
di sopra a voi che morte vien gridando

E ’1 ciel si veste di collore oscuro
vegiendo marte che pocho s’umilia
nel suo aspecto ch’è crudele e duro.

Volgete verso me gli acute cilia
che del sangue futur so sanguinosa;
chi me dolente reggie e me consilia ?

— Tanto verso di noi tu se’ pietosa
ch’assai più duol dentro dal chuor ricarcere
per nostra pena che per tua gravosa.

Sento la luce che non cie può parcere
dell’assessor colle malfagie leggie
per condanarne en perpetua carcere.

— Ció ch'io mostrato t’ò sol voi che veggie
chi ve conduce nelgl’ultime exitia
o filgliuoi miei, chi me giudicha e reggie.

Tenpo è venuto da far sacrifitia
de l'uman sangue per humiliar Jove
chomo già fece l'anticha stultitia.

O padre cellestial che tucto move.
dacie del tuo valor si facta parte,
che podiam refrenar l'enique prove.

Io sol te chiamo e sol te pregho, marte,
per tucte quei che t'anno sparto sangue
che dal nostro voler non te disparte.

O filgluoi miei, perché mia vita langue,
poner voi fine al mio ragionamento
come cholui che per tristitia langue.

Pregove. tucti che ’1 mio sangue exenpto
sia per vertute del vostro intellecto
questo ve sia l’ultimo amastramento

Remossa la cagione cessa l’effecto.

P 7
trance am RITZ E rt

|
E
Mm
a
"
i
|
1

,
Te



2
i
i
i
j
I
i



32 LUIGI SALVATORELLI

ELE

ANALISI DEI DUE TESTI
INDIPENDENZA DEL SECONDO DAL PRIMO

Domenico Scolari incomincia narrando di essere stato rapito in
visione sull'aurora, e di avere avuto precisamente la visione di Dan-
te nel c. xxix del Purgatorio, con il carro trionfale e le sette donne.
Queste, dopo aver ragionato insieme, s’inginocchiano « denance a
quel che triunpha nel trono »; i quattro animali, simboli dei quattro
evangelisti lasciano «l’offitio de l’ali », tutto tace, e i ventiquattro se-
niori si siedono. Seguono i lamenti delle sette Virtù teologali e car-
dinali.

Incomincia la Carità, lamentando di essere affatto discacciata
dalle menti umane; subentra la Speranza, che accusa gli uomini di
non voler sperare se non in quel che vedono; seguono la Prudenza,
la Giustizia — che rimpiange i veri figli d'una volta, quali Traiano,
Costantino, Giustiniano; la Fortezza, la Temperanza, tutte concordi
nel lamentare l'abbandono in cui sono lasciate dagli uomini. Viene
poi ultima la Fede con il lamento piü lungo, che é una requisitoria
in regola contro il clero e il papa, i quali torcono le cose sacre al loro
interesse, e fanno tacere o mettere a morte come eretico chi si atten-
ti a dire la verità intorno alla Fede. Di fronte alla minaccia armata
dall'Oriente, invochi Iddio le milizie occidentali, dappoiché il papa
non ci pensa. Funesto fu il dono di Costantino a Silvestro ! S'uniscano
il papa e l'impero per questa impresa: i preti diano i loro danari,
tornando a vivere come già S. Pietro; i re cristiani e gli altri magni si
levino in arme contro chi vuole scacciare la Fede. Finito il discorso
della Fede, si vede una gran luce, una nube avvolge i seggi dei pennuti
di sei ali, squillano innumerabili tube, e infine si sente una voce, che
risponde alle sette donne, confortandole a non disperare: tutto é
imperfetto nella nascita, ma poi si va perfezionando. Possono dunque
annunziare in tutto l'universo «ch'el creatore universale é vivo ».







LA POLITICA INTERNA DI PERUGIA 39

Rileviamo, per gli accenni alla crociata contenuti nel capitolo
dello Scolari, una notizia cronistica perugina in A. S. I. (v. p. 63,
n. 4), p. 138, secondo cui nell’agosto 1345 moltissima gente partì
da Perugia per la crociata bandita da Clemente VI.

Il primo dei cinque canti, adespoto e anepigrafo, incomincia con
una invocazione ai cieli, a Mosè, a Pietro, a cagione dell’ira di Dio
che sta per subissare la terra. Così il poeta viene a lamentare la per-
versità umana, e specialmente la degenerazione della Chiesa, divenuta
sinagoga, con pontefici farisei, senza carità. I preti sono peggiori de-
gli ebrei, non hanno la fede, pensano solo al proprio interesse. La
povertà è cacciata come pecora inferma. Che la virtù celeste rinnovi
la Chiesa! A questo punto, improvvisamente, il poeta passa a parlare
della « mortal piaga Che sirà facta a perosa nel core ». Vi sono in Pe-
rugia lupi rapaci, che le succhiano il sangue: — gente nuova che s’im-
padronisce della città « faciendo stratij dei sangue veraci ». Tutti ope-
rano a tradimento. Ricordatevi però, dice il poeta, della morte che
aspetta tutti. E il canto termina lamentando la triste condizione dei
buoni.

Nel secondo canto parla fin dall’inizio Perugia, senza essere
introdotta in alcun modo. Essa lamenta, facendo eco ai detti del poe-
ta, la sua famiglia dispersa e i maltrattamenti della « gente nova ».
Rimprovera i figli suoi, da lei allevati in libertà, di essersi divisi
fra loro, e di aver dato cosi agio ai « veneticce » di venire in auge.

E qui Perugia fa una enumerazione dei vari luoghi da cui questa

gente nuova é calata entro di lei. Sono di Gubbio, Assisi, Spoleto,
Todi, Foligno, Arezzo, Cortona; ce ne sono del contado; e anche
da di là dalle Alpi; di alcuni infine non saprebbe dire l'origine. Se li
aveste tenuti piü in freno, dice Perugia, non sareste ridotti cosi. E
qui segue una seconda enumerazione, quasi a contrasto della prima,
di perugini autentici della nobiltà, e di altri nobili di luoghi intorno,
ridotti in tristi condizioni. Ora invece sale in alto chi, sprovvisto di
ogni sapere, «sol per parte si vale en collegio ». I figli di Perugia, per
timore del peggio, lodano i loro oppressori dopo aver loro ceduto il
potere, si stringono le spalle innanzi al mal fare altrui, e si lasciano
ingannare dai discorsi sofistici di costoro.

Nel canto terzo riprende la parola il poeta per scusare i Perugini
d'oggi i quali, nati in servitü, non conobbero mai la libertà, e non ap-
prezzano quindi esattamente la tristizia del loro stato. Scuse invece
non possono avere « quei ch'en libertà fuor guida e duce ». Ora Peru-

3



|]

m d

$

|
|
|
|





34 ‘ LUIGI SALVATORELLI

gia, supplica il poeta, abbia compassione dei suoi figli, e mostri loro
come uscire da una tale tirannia. E la giustizia compia il suo ufficio,
«rendendo a ciaschedun quel che gli è tolto Alglie vitiose tribuendo
pene ». Lamenta poi il poeta che fra gli oppressori ci siano di quelli
che sono antichi cittadini di Perugia, e si accostano tuttavia all’altra
parte. I poveri perugini non possono più parlare per paura delle spie.
Séguita quindi sino alla fine del canto lamentando la triste sorte dei
Perugini e di Perugia.

Nel canto quarto ripiglia la parola Perugia, che non accetta le
scuse messe avanti dal poeta in favore dei figli di lei, perché essi non
fanno nulla per porre termine ai propri mali. Nè potranno sperare
di esser liberati, finché rimangano divisi. Considerino che libertà vale
più che tesoro, e non stiano muti: tanto peggio di così non possono
stare. Segue qui una profezia intorno al sorgere di giovani acerbi,
senza pietà, che agiranno secondo giustizia, ma con sommo rigore,
punendo tutte le colpe. Non perdano adunque tempo, e si facciano
valere.

. Nel canto quinto parlano alternativamente Perugia e il poeta.
Dopo una discussione sul libero arbitrio, il poeta domanda se questo
loro tormento sia fruttifero di qualche merito presso Dio. Al che ri-
sponde Perugia, che a Dio non sono grati coloro che non operano
né viziosamente né virtuosamente. Il poeta espone quindi un suo pa-
rere, di sopportare cioé l'avversa fortuna, sperando nel futuro; ma tale
parere é assolutamente respinto da Perugia, che dice essere umano il
peccare, ma il perseverarvi diabolico. La risposta di Perugia persuade
definitivamente il poeta. Perugia fa poi un'altra profezia sui tristi
destini che appaiono incombere su di essa e su i suoi figli; e il poeta
invoca Iddio e Marte in aiuto. Chiude Perugia il dialogo domandando
che «l' mio sangue exenpto Sia per vertute del vostro intellecto »
ed ammonendo che « remossa la cagione [sic] cessa l’effecto ».

Si tratta di due componimenti o di uno solo ? E se di due, sono
del medesimo autore, cioé di codesto Domenico Scolari ?

Il contenuto non si presta a ritenere che si tratti di un tutto
unico. Nel primo componimento abbiamo una visione in cui le virtü
teologali e cardinali lamentano la malvagità umana; e fra esse la Fede
parla dei pericoli che vede incombere in oriente per cagione dei Tur-





|
|
I
Î
|
i.
Ì





LA POLITICA INTERNA DI PERUGIA 35

chi, pericoli contro i quali invoca l’aiuto della cristianità. Nei cinque
canti seguenti non è più parola della visione, sebbene nelle prime ter-
zine si continui il lamento sui mali morali della Chiesa e della società.
Ma da questo lamento si passa bruscamente al dialogo fra il poeta
e Perugia, la cui materia è esclusivamente perugina, locale. C'é poi un -
argomento estrinseco che decide la questione. Per ammettere che si
tratti di un unico componimento, bisognerebbe che tutto quel che
precede il « Cantus secundus » formasse un unico canto. Ma alla
fine della prima serie di terzine il poeta stesso dice esser quello l’ul-
timo verso. Quindi da quel punto fino al canto secondo — come del
resto mostra lo spazio interposto — si tratta di una nuova serie di
versi. Si direbbe che i cinque canti siano stati accodati, con quel-
l'esordio, al capitolo dello Scolari, a dissimulare il loro vero contenuto.

Rimane ora a stabilire se si tratti dello stesso autore. Niente
invero ci spinge ad ammettere questa ipotesi, dal momento che la
rubrica col nome dello Scolari si riferisce solo al primo componimen-
to. Ma ei sono poi argomenti intrinseci, dedotti dall'esame della lin-
gua e dello stile dei due componimenti, per stabilire che si tratta di
due autori diversi. i

In quanto ai fatti fonetici e morfologici - che esamineremo di
proposito più avanti — vi é certo buona parte di comune fra i due com-
ponimenti: cosi e tonica al posto di i; forme con dittongo alternanti
con forme non dittongate; uso oscillante di e ed i nelle atone; oscil-
lazione nel raddoppiamento delle consonanti; plurali in a di genere
maschile. |

Ma quasi tutti questi fenomeni sono comuni a larghe zone dia-
lettali, e ad una vasta sfera di produzione letteraria: cioé, non sono
tali da indurci ad assegnare i due testi, nonché ad un unico autore,
neanche ad una stessa provincia. E accanto a questi fatti comuni.
ne abbiamo altri che ci mostrano una divergenza del poemetto dal
capitolo dello Scolari. E cioé:

. 1) Nello Scolari abbiamo sempre la forma come (vv. 26, 39,
40, 45, 93, 157), mentre nel poemetto, accanto a questa, compaiono
le altre como (vv. 95, 230, 577), con (v. 555), co' (vv. 43, 455);

2) Nello Scolari mancano le forme dua (v. 9), duo (v. 142), che
compaiono.nel poemetto (— dove).
3) Nel poemetto abbiamo le forme quisto (vv. 315, 496, 509)

quista (vv. 100, 193, 297), quisti (vv. 149, 153), quillo (v. 510), quil
(vv. 107, 194), quilla (v. 243), accanto alle forme normali che sono
le sole che compaiono nello Scolari.





i
| |



36 LUIGI SALVATORELLI

4) Nel poemetto abbiamo la forma di preposizione arti-
colata en lo (ello), llo (da 'nlo) (vv. 13, 105, 234, etc.), accanto alla
forma normale, ch'é la sola che compaia nello Scolari.

5) Nello Seolari non abbiamo nessuna terza persona plu-
rale del presente indicativo uguale alla terza singolare, mentre ab-
biamo le seguenti nel poemetto: discierpe (v. 183), serra (v. 217), comu-
nicha (v. 327), envola (v. 335), grida (v. 339).

Tali differenze fonetiche e morfologiche fra il capitolo dello
Scolari e il poemetto c’inducono a concludere che non sia unico l’au-
tore dei due componenti, ma si tratti invece di due scrittori appar-
tenenti a diverse zone dialettali, o almeno, comportantisi in modo
differente di fronte al dialetto che avevano sotto mano, accostan-
dosi l’uno di più al tipo comune di lingua letteraria che veniva for-
mandosi; mentre l’altro (l’autore del poemetto) si mostra più in-
tinto di dialettalismi, e, come vedremo, precisamente di dialettalismi
umbri.

Accanto a queste divergenze nel campo fonetico e morfologico,
i due testi ci presentano anche una fisionomia sintattica notevol-
mente diversa, in quanto la sintassi dello Scolari è molto più regolare,
e l'andamento del discorso procede assai più chiaro e spedito che nel
poemetto, il cui autore lotta visibilmente con la difficoltà di espres-
sione rimanendo spesso al disotto. Certo, ha le sue mende anche lo
Scolari; così al v. 135 manca, perché il discorso proceda bene, la co-
pula; a 166-7 abbiamo un anacoluto, che però può essere giustificato
dalla foga del dialogo; a v. 69 abbiamo anche un'espressione con-
torta (dovrebbe dire: il non usare la quale costa a molti), e non felice
éanchel'«in sé è bene » del verso 200, ove si desidererebbe un «la
cosa é bene », o simili. Ma si tratta di pochi casi, e il senso é general-
mente chiaro.

Non cosi nel poemetto. Qui abbiamo: mancanza del segnacaso del
dativo (vv. 31, 358; tuttavia nel secondo caso potrebbe essere errore
del codice, ossia mancanza di un'a); mancanza dell'articolo determi-
nativo, che rende l'espressione goffa e a prima vista anche oscura
(v. 364); mancanza della negazione (v. 538); ripetizione del comple-
mento oggetto (vv. 113-14); gerundi usati impropriamente (vv. 299-
300), dove si aspetterebbero delle proposizioni introdotte col pronome
congiuntivo; «tacere » usato impropriamente (v. 70; dovrebbe dire;
mi astengo dal dirlo, o soltanto: lo taccio); collocazione delle parole
contorta e oscura (vv. 131-33); frasi infelici arbitrariamente coniate
(v. 94: « per brevità che gema », invece di: per quanto gema breve-









LA POLITICA INTERNA DI PERUGIA ad.

mente). L'autore si distingue per la goffagine con cui si esprime.
Cosi si osservino i versi 240-42:

Acqua non veggio che’l diffecto lave
de quei ch'en libertà fuor guida e duce
esser conducte nei tormente grave. n

L’autore vuol dire: non vedo giustficazione per la colpa di co-
loro, che, essendo stati nostri capi quando eravamo in libertà, si
sono fatti condurre in queste tristissime condizioni. Se l’autore avesse
fatto a bella posta a esprimersi male, difficilmente ci sarebbe riuscito
meglio.

E i vv. 394-96:

Chi bem gueregia pace aver desia;
chi sé.col suo per ragion deffende
pocho magiur vertü credo che sia.

L'autore forse vuol dire: chi difende i propri diritti non compie
un'azione molto più grande di chi fa la guerra per aver la pace («si
vis pacem, para bellum »). Ma ognuno vede come il pensiero è espres-
so infelicemente.

Ancora un esempio (vv. 442-44):

O popol mio de quanto duol se' nido
quando del francho sangue te ramente,
pensando chi de fama porta grido.

Sarà da interpretare: o popolo mio, quanta ragione hai di addo-
lorarti, se ricordi le tue illustri stirpi, e le paragoni a coloro che oggi
salgono in fama.

Insomma, l’autore del poemetto è scrittore infelice assai: i luoghi
oscuri abbondano e alcuni, forse, sono insolubili; l'andamento del di-
scorso è impacciato e pesante, a differenza dello Scolari, la cui terzina
è disinvolta e abbastanza garbata. Anche in fatto d’imitazione dan-
tesca vi è notevole differenza; lo Scolari, in una estensione tanto mino-
re, ha un numero d’imitazioni maggiore del poemetto tutto insieme.

Mi sembra inevitabile la conclusione che non solo i due testi sia-
no fra loro distinti, ma appartengano a due autori diversi. E poiché
io non debbo occuparmi del capitolo dello Scolari, non tocca neanche
a me di ricercare chi sia codesto Domenico Scolari. È noto che un indi-
viduo di tal nome è autore di un poema su Alessandro Magno termi-
nato nel 1355 a Treville nel Trevigiano. Potrebb'essere che si trattas-





38 LUIGI SALVATORELLI

se di una medesima persona: Domenico Scolari studente a Perugia
nel 1345, o poco dopo, poteva bene nel 1355 scrivere quel poema nel
Trevigiano.

Piuttosto, dovremmo ora ricercare l'autore del nostro poemet-
to. Ma poiché questo é anonimo, ci dovremo limitare a ricostruirne
i tratti caratteristici in base all'analisi filologica e al contenuto stori-
co del poemetto stesso. E innanzi tutto esamineremo brevemente i
cinque canti sotto l'aspetto letterario, mettendoli in relazione con la
produzione poetica contemporanea di natura affine, cioé con la poesia
storico-politica del sec. xiv.



jo



LA POLITICA INTERNA DI PERUGIA 39

IV.

I CINQUE CANTI E LA POESIA STORICO-POLITICA CONTEMPORANEA.
L'INFLUENZA DANTESCA

. ll genere di poesia storico-politica (che chiamiamo cosi per com-
prendervi tanto quella retrospettiva quanto quella di attualità) era
assai diffuso nel sec. xrv, e s'intende bene il perché (1). Il popolo pren-
deva parte viva agli avvenimenti, svolgentisi spesso per diretta opera
sua; e la poesia esercitava allora gli uffici che sono stati assunti poi
dall'opuscolo, dal giornale, dalla conferenza, Quando un fatto note-
vole colpiva l'attenzione ed eccitava la fantasia, sorgevano tosto uno,
due, dieci rimatori, che si prendevano la briga d'informarne il pubbli-
co, si facevano interpreti delle sue impressioni comuni, vi tessevano
intorno ammaestramenti morali e polemiche politiche. In altri casi
invece il rimatore si compiaceva di ritornare sugli avvenimenti pas-
sati, e scriveva lunghe cronache rimate rivaleggianti con quelle in
prosa per la minutezza dei particolari, ma inferiori spesso nella viva-
cità del racconto, mortificato entro le pastoie di un verso e di.una
rima ribellantisi alle mani inesperte degli audaci versificatori. Tuttavia
le cronache rimate meglio di quelle in prosa si prestavano a introdurre
nel racconto storico l'elemento soggettivo, a far sentire la voce del
poeta, interprete spesso, oltre che dei propri sentimenti, di una col-
lettività più o meno ampia che in lui riconosceva, ascoltava, applau-
diva se stessa.

Questo elemento soggettivo, appunto, può considerarsi come la
nota caratteristica per cui simili parti di una musa rozza quasi sem-
pre ed incolta, ma non priva d’interesse, se non per l’artista, certo per

‘lo storico, si differenziano tra loro, collocandosi lungo una linea che

(1) Quanto segue è la riproduzione abbreviata e controllata di ciò che scris-
si per la mia tesi di laurea quasi mezzo secolo fa. Per la letteratura più recente
sull’argomento basti rimandare a Sapegno, Il Trecento (nella « Storia let-
teraria d’Italia » Vallardi).



vee





40 LUIGI SALVATORELLI

va dalla narrazione puramente cronachistica alla lirica pura. Esso è
scarsissimo, ad esempio, nel Centiloquio del Pucci, il quale non fece
che versificare il Villani. È molto più spiccato in Buccio da Ranallo
(Cronaca Aquilana, in « Fonti per la storia d’Italia », n. 41, Roma,
1902), che nella sua impareggiabile rozzezza ha talvolta accenti ve-
ramente efficaci. Buccio introduce un elemento schiettamente lirico
nella cronaca rimata; ma ve l’introduce con un po’ di violenza. Un
notevole progresso su questa via segna la Cronaca dei Fatti di Arezzo
in terza rima riguardante il periodo 1310-1384, che era detta fin qui
di Gorello, ma che invece è di un Bartolomeo di Gorello (v. la nuova
edizione dei R.I.S., XV, P. prima: facciamo tuttavia i rinvii alla
paginazione vecchia, riprodotta nella nuova edizione).

Un breve sunto di quest’ultima opera mostrerà un'afflnità note-
vole coi nostri Cinque canti. Incomincia con una visione; al poeta ap-
pare Superbia, che tiene sotto i piedi Giustizia, Temperanza, Pace,
Fortezza; poi Avarizia, che calpesta Cortesia e Magnanimità; poi Invi-
dia, che calpesta Amore vero e Carità (c. I). Appare quindi Arezzo, di
cui si fa la prosopografia (vecchio, colle vesti lacerate, spargente lagri-
me e sangue). Interrogato, narra la sua storia ed esorta il poeta a
scriverla (c. II e ss.). Questa storia è intramezzata da colloqui con lui,
da lamenti, da esclamazioni, da svenimenti (c. IV, 827), da riflessio-
ni, comparazioni, sentenze, piccoli discorsi al poeta, da questioni risolte
da Arezzo (c. VII, 844), apostrofi a personaggi. Poi Arezzo se ne va
(c. XIII, 868), e l’autore ne sente i lamenti (c. XIV, ivi) intorno alla
condizione sua; nomina i vari luoghi del contado aretino, dicendo
qual’è la loro sorte, chi li possiede, ece.; apostrofa parecchi personag-
gi finché sviene (p. 870). Quindi vede molta gente (c. XV); fa il rac-
conto di altri avvenimenti, come sentiti dalla gente o visti da lui.

: Seguita a raccontare nei canti seguenti, con intramezzi di apostrofi,

di riflessioni, di cose dette al lettore. La Cronaca è interrotta, e man-
ca la fine.

Nel Gorello la narrazione é mista e compenetrata con l'elemento
lirico, e l'una e l'altro sono inquadrati nella cornice di una visione.
Così pure nella Fiorita di Armannino (G. Mazzatinti, La Fiorita di
Armannino giudice, in « Giornale di filologia romanza », III, fasc.
1-2,, 1880) la Poesia appare all’autore per incitarlo a raccogliere «lo
largo dire Delli nostri antichi autori », ed egli narra una vasta serie

di storie intorno alla creazione del mondo, ai fatti di Tebe, di Troia,

ecc.; mentre la Poesia, alla fine di ogni canto, fa riflessioni cristiane e
morali sui fatti. Anche nel Diffamondo Fazio incontra Roma che gli







LA POLITICA INTERNA DI PERUGIA 41

racconta la sua storia e quella d'Europa, in una narrazione lunghissi-
ma che dal 12. cap, del libro I si stende fino a tutto il secondo libro.
Accanto alla cronaca si sviluppano e si diffondono altre forme
poetiche piü brevi e piü adatte a riflettere l'immediata impressione
dei fatti e soddisfare la curiosità del pubblico. Un genere epico-lirico
è quello del Sirventese. Citeremo quello famoso dei Geremei a Lam-
bertazzi (T. Casini, Le rime dei poeti bolognesi del secolo XIII, p. 195
e segg., in «Scelta di curiosità letterarie, n. 185). È una narrazione con
discorsi parecchi, in cui si sente il parteggiare dell'oratore per i guelfi.
Il Cantare é anch'esso un genere piü epico che lirico. Quello per
la morte di Giovanni Aguto (pubblicato da A. Medin nel vol. XVII,
48 serie, dell’« Archivio Storico Italiano », pp. 172 ss.) contiene sempli-
cemente la descrizione degli onori resi al suo corpo. Ma un altro can-
tare, pubblicato pure dal Medin (La Resa di Treviso e la morte di Can-
grande 1° della Scala, « Nuovo Archivio Veneto », 1886, pp. 398 ss.),
intorno a Cane della Scala ci si presenta ben più complesso. Oltre al
racconto della presa di Treviso, della malattia e della morte di Cane,
del compianto fattone, dei funerali, abbiamo in esso le lodi della sua
virtù, riflessioni sulla « falsa speme del mondo bugiarda », un'esorta-
zione a star sempre pronti alla morte. Qui dunque accanto al racconto
abbiamo l’elogio e la moralità, propri del campo lirico e didattico.
Con il Lamento, altra forma di poesia assai diffusa, sembrereb-
be, a dar retta al nome, che fossimo in piena lirica. Ne abbiamo in-
fatti dei puramente lirici: così il lamento del conte Lando (1358), in
cui è sempre il conte a parlare, e a piangere sui compagni, senza che
vi sia narrazione, o quello di Firenze per Lucca (1342), del Pucci, in
cui c'è appena un accenno concreto al fatto (vv. 11-16). Ma la ca-
tegoria più numerosa forse è di quelli misti di narrazione e di lamento
propriamente detto: così il lamento del Duca d’Atene, del Pucci (1343);
due lamenti di Bernabò (1385); il sirventese della morte di « Carlo
Duca Figliol del Re Uberto di Napoli » (forse del Pucci), in cui il poe-
ta si rivolge alla morte dicendo della sua inesorabilità, fa le lodi di
Carlo, narra la sua fine, descrive il dolore per la sua morte; il poemetto
per la morte di G. Galeazzo, in cui si narra la sua malattia e la morte,
s'invitano al pianto gli antichi eroi, le città di Lombardia, i signori
d’Italia e di fuori, si descrivono lungamente i funerali, e infine è ri-
portata anche l’orazione detta da un frate. In essi vediamo il la-
merito amplificarsi e prendere una certa complessità. Questa è mag-
giore nel Lamento di Pietro d'Angió (1315), che è una ballata a dia-
logo fra la madre di Pietro e un superstite, con riflessioni filoso-





42 LUIGI SALVATORELLI

fiche, esortazioni a far riconciliare, per la vendetta, « Roberto col
cognato », e biasimi a re Roberto: e in un altro lamento di Bernabó
Visconti (1385) in cui Bernabò stesso racconta di una visione avuta
di Filosofia, riferisce il dialogo con i consigli di Filosofia, ch'egli di-
mostra di aver seguito; narra le sue imprese e le sue sventure. La fi-
losofia gli appare nuovamente in carcere, ecc. (1).

Sia accennato di volo alle Profezie, che potrebbero dirsi lamen-
ti estesi dal presente al futuro, e accompagnati dalla speranza in un
redentore che rinnovelli il mondo, in pastori umili e santi.

Anche talune canzoni rientrano in questo genere di poesia sto-
rico-politica. Nella canzone XV di Fazio degli Uberti (Liriche edite ed
inedite per cura di Rodolfo Renier, Firenze, Sansoni, 1883, p. 127),
abbiamo la narrazione dell’origine romana di Firenze, lamenti sui
mali che l’affliggono, esortazione alla pace e alla concordia, profe-
zia sui mali futuri che toccheranno alla città. Tutto ciò è messo in
bocca a Firenze stessa, apparsa in visione al poeta.

Se ora prendiamo la Cronaca di Bartolomeo di Gorello, l’ultimo dei
Lamenti di Bernabò sopra citati, e la testè menzionata canzone XV di
Fazio degli Uberti, possiamo osservare che queste tre forme di poesia,
così diverse apparentemente fra loro, hanno un contenuto in gran
parte comune. Così in tutti tre i componimenti abbiamo la visione e
il lamento, e im due di questi (cronaca e canzone) narrazione e lamento
sono appunto in bocca alla persona apparsa in visione, e tanto nella
cronaca quanto nella canzone abbiamo la profezia. Questo ci fa ve-
dere come entro le forme diverse di tale poesia finissero per raggrup-
parsi gli stessi elementi:

Le osservazioni fatte sin qui sui diversi caratteri di codesta poe-

sia storica e le loro varie combinazioni ci fanno comprendere meglio
la. tessitura del nostro poemetto. In esso abbiamo il lamento, l'e-
sortazione, la profezia, la discussione e risoluzione di certe que-
stioni: il tutto, in forma di dialogo. Se lo si dovesse definire con
un termine complessivo, lo si potrebbe chiamare un lamento esor-
tativo. Anche le questioni sulla provvidenza e la libertà (vv.482-502),

(1) Tutti questi testi, salvo uno che diremo subito, si trovano nelle due
raccolte Lamenti storici dei secoli XIV, XV e XVI di Medin e Frati, vol. I (in
« Scelta di curiosità lett. », n. 219), e Lamenti dei secoli XIV e XV del Medin
(Firenze, 1883). Il poemetto per la morte di Gian Galeazzo è in Bartoli, I
manoscritti italiani della Biblioteca nazionale di Firenze, T. III, p. 126.







EE ED :



LA POLITICA INTERNA DI PERUGIA 43

sui meriti dei patimenti dei Perugini (509-17), sulla tolleranza (510-547),
agitate fra i due interlocutori, non sono puri esercizi rettorici, ma hanno
un fine ben determinato; quello, cioé, di rimuovere i pretesti e le ob-
biezioni che si potessero sollevare contro i suggerimenti dati da Peru-
gia, e di confermare quanto era stato dimostrato precedentemente
(vv. 349-363), e cioé, che, se i Perugini stanno male, la colpa é loro
e tutta loro. Cosi nel lamento di Bernabó la filosofia dimostra a lui,
ch'egli non ha seguito i suoi consigli come pretendeva, e non puó
quindi scansare la colpa di quanto gli è accaduto.

È da notare che il discorso nel nostro poemetto non è fra uno che

|» parla eun altro che sta a sentire (come, ad es., nelle canzoni XII e XV

di Fazio degli Uberti), ma un vero e proprio dialogo. Il poeta intavola
con Perugia una conversazione, nella quale l’uno e l’altra rappresen-
tano due parti ben distinte. Il poeta, cioè, fa da interprete di tutti i
Perugini, che avevano ragione di lagnarsi del regime sotto cui vive-
vano, e si costituisce anche difensore delle loro debolezze, espositore
dei dubbi che li rendono incerti ad operare; mentre Perugia è la porta-
voce dei veri sentimenti del poeta tutto rivolto all’azione. Il poemetto
insomma vuol essere non un’esposizione teorica di quel che i Perugini
dovrebbero fare, ma un incitamento diretto a farlo, con una confu-
tazione degli argomenti in contrario; e ciò gli dà, non ostante l’infe-
licità della forma, una certa vivezza non disaggradevole.

Una particolarità dobbiamo ancora notare, e cioè, che non ab-
biamo qui nè visione, nè personificazione propriamente detta, ma
semplicemente un dialogo in cui uno degl’interlocutori è il poeta
e l’altro — Perugia — non è introdotto in alcun modo. E tutto il dia-
logo non è raccontato, ma presentato drammaticamente, senza nes-
suna cornice. Esempio di un fatto simile abbiamo in Bruscaccio da
Rovezzano (A. Medin, Le Rime di Bruscaccio da Rovezzano, in « Gior- .
nale Storico della Letteratura Italiana», XXV, 1895, pp. 185 e ss.), ove
troviamo una frottola (p. 226) a dialogo fra Marte e il poeta, in cui
tanto Marte quanto Bruscaccio entrano a parlare senza essere introdot-
ti in alcun modo. Così anche un’altra canzone di Bruscaccio è a dialo-
go fra lui e la Madonna (p. 244), senza che la Madonna sia introdotta,
e senza alcuna cornice.

** *
L’origine e i precedenti immediati della forma poetica del nostro

componimento si ritrovano nella Divina Commedia. Si prendano
ad esempio i canti XIV (Guido del Duca) e XVI (Marco Lombardo)



44 LUIGI SALVATORELLI

del Purgatorio, e i cc. XV e XVI (Cacciaguida) del Paradiso: e ve-
dremo, specialmente nel discorso con Marco, la stessa situazione del
nostro poemetto. L'autore, cioé, pone in bocca ad un'altra persona,
per dar loro maggiore autorità, i propri sentimenti, e simboleggia in
se stesso coloro che debbono da queste ammonizioni trar frutto ed in-
segnamento. E una evidente somiglianza possiamo trovare, per le que-
stioni discusse tra il poeta e Perugia, con quelle che si agitano così spes-
so nella Divina Commedia, sia nella forma (cfr. ad es. l’espressione
del soddisfacimento del discente in Purg. IV, 76-78, XVIII, 10-12, e
nel poemetto, vv. 103-4, 548-550), sia nella sostanza (cfr. la discus-
sione sul libero arbitrio in Purg. XVI, e poemetto c. IV). Ma codeste
sono piccole somiglianze ancora. La più importante è nelle idee, o
sentimenti, che animano il poemetto, così analoghi a quelli di certi
canti della Divina Commedia da potersene dire totalmente derivati,
e quasi copiati. Come Cacciaguida nel Paradiso, così il nostro au-
"tore inveisce contro la gente nuova, che infesta la cittadinanza an-
tica sciamando dai luoghi vicini; contro gli abitanti del contado, i vil-
lani che s'inurbano e salgono in alto. Come Cacciaguida, egli deplora
amaramente la decadenza delle antiche famiglie; e se Cacciaguida
a dice (Par. XVI, 64):





Sariesi Montemurlo ancor de' Conti
il nostro rimpiange (v. 156)
Sirebese Marsciano ancor dei conte.

Dante deplora sdegnosamente (Purg. VI, 125-6) che

, PA

' un Marcel diventa |
Ogni villan che parteggiando viene

| e il nostro se la prende (v. 181) con chi sale in alto senza alcun
H8 merito
| e sol per parte si vale en collegio.

Anche nei lamenti del poemetto, all’inizio, sullo stato della Chie-
sa sentiamo l’eco della voce dantesca. Così vi si dice che i pontefici
sono farisei, come Dante aveva detto (Inf. XXVII, 85):

I Uri

Lo Principe de’ novi Farisei





LA POLITICA INTERNA DI PERUGIA 45

quando l'autore esclama (vv. 32-33):

e solo a gueregiar s'entende e pungna,
pur contra quei che receveron batessmo

è facile ritrovarci la reminiscenza dantesca (Inf. XXVII, 88):
Ché ciascun suo nimico era cristiano

Così il verso 36
ciaschun vol che se scriva ciò che agongna

ci rammenta il dantesco (Purg. XVIII, 130)
Ma tu che sol per cancellare scrivi.

Se a Dante il nostro autore prende in prestito pensieri ed espres-
zioni, egli presenta altresì coincidenze, o almeno somiglianze, con
scrittori molto minori, e per ciò stesso assai più vicini a lui. Così,
egli dice (vv. 95-96)

como ’1 mal soperchio
senpre si biasma ed il bem si pur sciema;

e ancora (v. 278):

el mal sopr'al bem chavalcha troppo.

Anche Pannuccio dal Bagno (1) lamentava (Canz. « La dolorosa
noia », p. 356 e segg.) che

'—] bene a podere
sento perire, e ‘1 mal tuttora avanza

E Guerzo da Monti Sancti (2):

vezo d’ora en or el ben cadere
e profondar, e ’1 mal sormonta en cima.

(1) In Poeti del primo secolo della lingua italiana (Firenze, 1816), Vol. I.
(2) G. LEGA, Il Canzoniere Vat. Barb. Lat. 3953 (nella « Collezione di
opere inedite e rare», Romagnoli-Dall'Acqua, 1905), p. 187.

I



|
|

salgono in stim

hi)



46 LUIGI SALVATORELLI

E anche il Faitinelli (1) osserva che

lo mal travarca il bene

E Folgore da S. Gemignano (2);

lo mal pur cresce, e ’1 ben s'ammorta e tace.

Il nostro autore lamenta che i migliori sono i più poveri, che
a coloro che non hanno alcun merito (vv. 178-180)

e quelli che adoprano falsità, e i viziosi opprimono i giusti (vv. 319-

21). E Guittone d’Arezzo (3):

asgiato e manente
Gli è ciascun vile e fellone
E misasgiato e povero lo bono,
E sì come ciascuno
Dilletta a dispresgiare
Altrui, più c’altro fare.

E il Bonichi (4):

E chi è falso è tenuto saputo,
E sciocco è chi porta fede alquanta.

Il nostro (v. 10-12):

io veggo l'ira del singnor benengno,
che verso noi non può più mitigarse
che non subisse giù ’l terrestro rengno.

Il Faitinelli (ivi, p. 109):

La meraviglia è pur...
come l'ira sua (di Dio) può mitigarsi
Che non profonda giù il secol tutto.

(1) Rime, in « Scelta di curiosità lett. », n. 139, p. 109.
(2) « Scelta », n. 172, p. 54.

(3) D'ANcoNA e COMPARETTI,
(4) Rime di Binpo BONICHI, in «

Le antiche rime volgari, II, p. 218.
Scelta di curiosità lett. », n. 82, p. 196.





LA POLITICA. INTERNA DI PERUGIA 47

Non a Perugia sola era salita la gente bassa, quelli che prima
eran servi (v. 210). Anche Bacciarone pisano (1):

ten no' [tiene noi] gente di tant'arrogansa
in doloransa ch'eo ne voi morire

Che di guardar no' non soliano ardire
aver en parte di mar né di terra.

E il Faitinelli (ivi, p. 90) vedeva in Lucca

Eg signor fatti servi dig ragazi.
Vegola ontata, nuda et habitata
Non da suo anticho habitatore,
ma da color che l'ànno si guidata

E Matteo Frescobaldi (2) rivolgendosi a Firenze:

gente non degna d'abitar tuo nido
son la cagion di questo amaro strido.
Mentre che fusti, Firenze, adornata
di buoni antichi cari cittadini,

i lontani e' vicini

adoravan Marzocco e' tuo' figliuoli.

Il nostro inveisce contro la gente di cui non si conosce la stirpe:
« di sua progienie niuna se sa inditia » (v. 124). E Fazio degli Uberti
nella frottola « O tu che leggi » (p. 168 dell’ed. citata sopra), par-
lando con ogni probabilità dei Fiorentini:

Populo ingrato, superbo ed avaro,
che tal vi porta Varo
ch’è nato come fungo in questo mondo.

In più autori troviamo espresso lo sdegno contro il crescente
prosperare dei mercanti:

Chè più ladroni son che mercatanti

(1) Canzoniere Laurenziano — Rediano 9, per cura di T. Casiwi, in « Col-
lez. di opere ined. e rare », 103, p. 178.
(2) Rime, per Giosuè Carducci (Pistoia, 1866), p. 30.



|
|

=





48 LUIGI SALVATORELLI

(Pannuccio dal Bagno, Poeti del primo secolo, Firenze, 1816,
Vol. I, p:. 356 e seBg.).
Il Bonichi (p. 173):

Fra l'altre cose non lievi a portare
È ’1 mercenai veder tosto arricchito

Il Faitinelli ha una poesia (p. 88) in cui enumera sdegnosamente
la gente volgare che dominava in Lucca, innanzi la signoria di Ca-
struccio. È una sfilata di nomi plebei, accompagnati qualche volta
dall’indicazione della loro arte.

Così pure, non è solo il nostro a lagnarsi dell’avarizia e della ra-
pacità dominanti. Pannuccio (loc. cit.):

E quasi certo i Santi
son dirubbati, e non solo i palagi
E più che meritare
È intra loro alcun che l'or vorria.

Il Frescobaldi (p. 33 s.) parla di coloro

che sempre pur per loro
pensavan roder le midolla e l’ossa.

Oltre queste somiglianze più importanti, in cui il pensiero del
nostro s'incontra con quello di altri poeti del tempo, altri confronti
di versi e di espressioni spicciolate si potrebbero fare.

Non si può concludere da questi confronti, almeno nella maggior
parte dei casi, ad una imitazione vera e certa; tuttavia essi ci mostra-
no come le idee, e fino a un certo punto anche le loro espressioni,
fossero comuni, e per dir cosi nell'atmosfera poetica del tempo: ció
che è interessante, piü ancora che per l'aspetto letterario dei Cinque
canti, per quello politico.

*ockok

Farò cenno ora delle somiglianze che mi par di trovare fra il no-
stro testo e la Cronaca di Bartolomeo di Gorello, che è certamente
posteriore; somiglianze che ci mostrerebbero, se reali, che il poe-
metto fu conosciuto ed utilizzato da altri.

Innanzi tutto, la trama — l'impalcatura, diciamo — dei due testi
presenta analogie evidenti. Nell’uno e nell’altro abbiamo la città





LA POLITICA INTERNA DI PERUGIA 49



personificata, come madre in uno, come padre nell'altro, natural-
mente, in dialogo col figlio, il poeta, che rappresenta i cittadini. In
ambedue essa si lagna acerbamente dello stato in cui é ridotta. Anche
Arezzo morde una parte dei cittadini perché di bassa origine (col.
821, C).

Altri ve son Notarj, e Mercadanti,
e sarchiator di zuche e di popponi.

Come Perugia vede nel futuro dei «giovene acerbe» (v. 408),
che faranno giustizia perfetta e rigorosa, ed enumerando le loro qua-
lità sfila una serie di proposizioni introdotte con « queste » (— que-
sti): queste vendicheran tucte nostre onte... queste daran... que-
ste siran...,ecc.); cosi Arezzo spera in un suo figliuolo, e introduce più
proposizioni intorno a lui con «costui » (866 B):

Gostui ben credo ch'urdirà la danza,

costui farà di tucti un corpo solo...

Costui non haverà quel che dir nolo

de gli altri suoi fratei vechio costume
e naturato dal superno polo.

Anche Arezzo risolve delle questioni (844 B-D) ed é interrogato
dal poeta sul futuro (865-866); anche Arezzo parla sul libero arbi-
trio, difendendolo (867 D).

Il nostro lamenta di Perugia (vv. 61-62):

Nei tuoi bei site tenebrosi boschi
rinasceran de la tua trista pena.

E. Arezzo (862 A):

?1 dolce sito mio tanto giocondo
è devenuto pauroso e selvaggio.

Più ancora che l’analogia dei pensieri, mi par notevole la somi-
glianza di certe espressioni, di certi atteggiamenti del discorso, poi-
ché le somiglianze stilistiche sono più concludenti (per le imitazioni)
di quelle del contenuto. Così il nostro:

Chi sono et onde fuor dir lo mi taccio,
che m’anno strecto colle mano en canna
si ch'io dolente tra chostor mi giaccio (vv. 70-72)

dicer non voi per non stender mio tema
ché troppo seria lungo ’1 nostro chale (vv. 92-93)

Volerlglie tucte nominar me noia (v. 170).



50 LUIGI SALVATORELLI

E il Gorello (836 B):

Per nome, Figliol mio, non te li tango,
chè troppo saria lungo a dirti adesso,
e per lor vituper tutto mi frango.

Il nostro:
Co’ più cie penso più la mente atrista (v. 103)



Elgli è tanto ’1 mio cor tristo e dolglioso (v. 104).

Il Gorello:
Quanto più penso e quanto più ce miro,
più mi sento de doglia il cor turbato (858 D)

|

| Tanto più penso in lui mio cor s'atrista
a xe n tub quanto pb TRCORdo
| | più la mia mente teco se contrista (859 A).
|
|

Il nostro:
Considera lectore el mio tormento,
vegiendo ei filgluoi miei in tanta dolglia (vv. 125-6)

Quanto ne so dolgliosa nol te dicho
vegiendo i filgluoi miei in tal dispregio (vv. 176-7).
E il Gorello (863 B):

| Pensa, figliol, se debbo haver dolore
I vedendo ei miei figlioi così condotti.

II Il nostro (il poeta a Perugia, vv. 506-07):

Da puoi che tu sopra l’arcane entraste
d’un dubio voi che tu me faccie experto.

| Il Gorello (857 B):

Caro mio Padre, prima che tu eschi
M d’esta materia fa che non gavazoli
e la mia mente un poco me rinfreschi.

Il nostro poeta finisce per dichiararsi persuaso di quello che di-
ce Perugia (vv. 548-50):
Sì la mia mente del tuo dir se riforma

per quel che pianti nei dolenti versi
ch’intendo de seguir per la tua forma.









LA POLITICA INTERNA DI PERUGIA 51



E il Gorello (844 D):

Tu m'hai si, padre, la mente quetata,
odendo te parlar si dolcemente,
con la ragion che tu m'ai dimonstrata,

ch'io son disposto seguir certamente
il tuo voler, e quel voglio obedire
come se dee a padre veramente.

Il nostro (vv. 583-84) fa dire a Perugia:

O filgluoi miei, perché mia vita langue,
poner voi fine al mio ragionamento.

E Arezzo al Gorello (862 A):

Car mio figliolo, perch'io non aggio
virtü alcuna de seguir piü oltra...
jo taceró...

|
i
Ii
li
Il





LUIGI SALVATORELLI

e
N

CNP-- V.

LA LINGUA DEL POEMETTO

Senza fare un'analisi linguistica esauriente — per la quale non
avrei né lo spazio, né la capacità — mi limiteró a registrare i fenomeni
più notevoli, facendo qualche confronto con altri testi umbri, e cioè:

1) il canzoniere perugino contenuto nello stesso codice Vat.
Barb. lat. 4036, che citerò nella scelta pubblicata dal Monaci (1);

2) lo statuto volgare perugino del 1342 (2);

3) i testi umbri pubblicati da Adamo Rossi (3), che possono
essere assegnati senza difficoltà al secolo XIV.

Queste due ultime fonti, che hanno un carattere spiccatamente
dialettale, ci serviranno per constatare fino a che punto il nostro te-
sto segua il dialetto del tempo, e dentro qual misura se ne allontani;
e i sonetti perugini del Monaci saranno in ciò un utile mezzo di con-
fronto. Tengo presente lo studio recente di Alfredo Schiaffini: Influs-
si dei dialetti centro-meridionali sul toscano e sulla lingua letteraria. I.
Il perugino trecentesco (4), al quale faccio qui un rinvio generale.

I. Fonologia — a) Vocali toniche

A si mantiene, a differenza del perugino moderno. Però: merchio
(v.97), che sarà ricavato da « merchiare ». (Anche Mon. 34,6, ha merchio).

Del suffisso « arius » noterò l'esito Piagaio (v. 169), ch'é un paese
oggi detto Piegaro.

(1) Dai Poeti antichi perugini, in « Testi romanzi per uso delle scuole
a cura di E. MoNacGI », Sigla: Mon., seguito dai numeri della poesia e del verso.

(2) Cito secondo l'edizione Degli Azzi (v. appresso, p. 63, n. 2), per libro
e rubrica., con la sigla « Stat. ».

(3) Quattordici Scritture italiane edite per cura dell’Ab. Adamo Rossi, T.
I. (Perugia, 1859). Sigla: R. Citato per pagina e riga, con l'abbreviazione
«ult. », quando la riga è contata dal basso. :

(4) Cito dall’estratto de «l’Italia Dialettale », vol. IV, 1928.







LA POLITICA INTERNA DI PERUGIA 53

E. In sillaba aperta abbiamo oscillazione fra ie ed e; Piei (v. 8),
fier (v. 204), convien (v. 347), dierietro (v. 247) contro convencie (306),
fere (v. 290), retro (v. 304). Stesse alternanze in Mon. e R.

Nel nostro poemetto non c'é nessun esempio di un fatto assai

notevole, il passaggio cioè da ié ad ie e ad i (cfr. Schiaffini, p. 10-

s.). In Mon. 13 abbiamo pide e side in rima con piede e riede; in R.,
abbiamo repino (13,3).

E per I: (per cui v. Schiaffini, p. 12): benengno (v. 10), famelglia
(v. 108), strenge (v. 197), lengue (v. 216), fengne (v. 348), vente (v.
353), encomenza (v. 398). Troviamo lo stesso fenomeno in Mon., R.,
Stat.

O per U (per cui v. Schiaffini, pp. 12 sg).: Adonqua (v. 515),
come in Mon. donqua (22, 9), in R. adonqua (2, 15), e donqua (13, 9).
Vive oggi nel contado (1) donca. — Perosa (v. 53), come in Mon. Prosa
(40, 6) e nello Stat. Peroscia - Dua (— dove, v. 9), duo (vv. 142, 329)
accanto a dove (v. 76), ove (v. 77). In Mon.: du (3, 3), do (30, 1 e 3)
e dove (8, 8; 30, 9), ove (35, 12). R.: dua (262, 1), do' (412, 12 ult.),
o' (199, 5). Dua è forma vivente nel contado.

U per O: Turbid' (onna, v. 51). R. turbeda (439, 3 ult.). È vi-
vente nel contado trubbele - Analogo magiur (v. 239). In Mon. ma-
giure (19, 10), magiur (38, 12), di contro a magior (9, 7). Stat.: ma-
iure (passim). R. maiure (30, 8), maiore (18, 3).

Per 0 v'è oscillazione nel dittongamento, mentre questo regna
nello Statuto, che ci rappresenta più da vicino il dialetto del tempo
del poemetto. Perciò l’oscillazione del nostro testo sarà dovuta ad
influenza letteraria. A conferma, il dittongo è raro in Mon.

Metafonesi. — Abbiamo nei Cinque canti: quisto, quista, quisti
quillo, quil, quilla. In Mon. quista (5, 10), quilla (6, 7; 38, 10). Stat.
quilla (passim). In R. quisto (2, 11), quisti (2, 6; 15, 4 ult.) quista
(419, 11).

Si può ritenere che lo schema primitivo fosse: quisto, quisti, que-
sta, queste. Ma l’assimilazione delle forme femminili alle maschili ri-

{1) Devo precisare che questa e le ulteriori indicazioni di forme viventi
nel contado si riferiscono al contado di Marsciano e alla mia esperienza della
prima gioventù.





————





54 LUIGI SALVATORELLI

sale nel perugino ai testi più antichi, e si può crederla preletteraria.
Quista già nella carta fabrianese del 1186 (Crestomazia del Monaci,
num. 9). Si confronti Schiaffini, p. 7.

b) Vocali atone

1. — Protoniche iniziali. E per A: fecendo (vv. 20, 112); co-
me in R. fecesse (3,4).
A per E o I: piatoso (v. 106), asenplo (vv. 236, 381), ramorto
(v. 293), anvidia (v. 467).
I per E: ligione (v. 18), pigiorar (v. 388); come in Mon. ligiadra
(25, 1; 33, 1), pigiorando (16, 7).

2. — Protoniche interne. I per E: sirà (v. 53), siria (v. 311).
Anche in Stat. sirà (passim), di contro a seronno (passim). Mon.:
siró (3, 13), contro serai (1, 7).

Notiamo la forma pistolentia (v. 354).
U per O: cusì (474). Cfr. R. cusì (334, 7).

Postoniche. Notiamo puro (v. 317) per pure (la forma, carat-
teristica dei dialetti centro-meridionali, è vivente nel contado), e como
(vv. 95, 230, 577), con (v. 555), co (v. 43, 455), accanto a come (vv.
30, 82, 90, 185, ecc.). Per questa apocope v. Schiaffini, pp.'31 sg. —
Mon: come (1, 11; 9, 3; 9, 11; 18, 6), con (22, 13), co (3, 8; 42, 4). —
R.: como (2, 13; 13, 9, 88, ult.; 89, 2), co (86, 3; 87, 7; 188, 16).
Cfr. Schiaffini, p. 31. — Per dua, due v. sopra.

c) Consonanti

1. — Iniziali (V): boce (119), 451), vivente nel contado; golpe
(v. 140), che é anche in Mon. 43, 2.

2. — Consonanti interne;
a) la sonora per la sorda: segure (v. 276). R. sceguri (319, 4 ult.).
b) La scempia al posto della doppia, in protonica. G: magior
(v. 107), regesse (v. 226), pigiorar (v. 388), corregiete (v. 436), fugir
(v. 543). Mon.: fugiendo 1,4), fugire (2, 9), magior (9, 7), magiure
(19, 10). Stat.: regemento (IIL 104). R. fugire (3, 5), fugia (19, 7) —
F. Rafrena (v. 385), di contro a diffecte (v. 130) — Stat. contrafarà







LA POLITICA INTERNA DI PERUGIA 55

(IV, 132). — L.: Alegra (v. 17); scelerati (v. 83). Cosi R.: alegra (7,6)
alegrarse (12 ult.). All'incontro: vallor (v. 269), bellancie (v. 280),
dillecto (v. 472). Mon.: dilluvio (6,1) dellecta (14, 1). — N.: Ranida
(v. 337), contro rinnova (v. 47). R.: arengando (v. 219), contro fer-
restro (v. 12).

c) un caso di raddoppiamento in postonica: scuxa (v. 350), ri-
spondente a una pronunzia scussa. Cosi Mon.: vixo (12, 3), sdegnoxe
(12,4), dexio (13, 4).

3. — Consonanti Finali. Caduta: so — sotto (v. 218). Cosi an-
che Mon. (11, 7) — Per la caduta di min come v. sopra — Un caso
importante, tipico, di caduta della consonante finale si verifica nelle
terze persone plurali del presente indicativo (v. appresso).

d) Gruppi di consonanti (o consonante piü semivocale).

CJ. — Audatia (v. 386): si tratterà di un latinismo erroneo.
Cosi R.: fiduzia (182, 1, 7 ult., 12 ult.).

SJ. — Perosa (v. 53); Mon. Prosa (40, 6). Stat. Peroscia, co-
stantemente.

LJ. — Notevole l’esito j, accompagnato dalla caduta della vocale
seguente: voi (v. 92) (voglio, vojo, voi); mei (v. 522) = meglio. La
stessa origine ha l'i di descipoi (v. 17), da descipolie (per epitesi di
un e: descipoglie, descipoje, descipoi); nobei (v. 162), angioi (513)
filgluoi (vv. 113, 126, 177, 256 ecc.) di contro a filgluoli (v. 334),
filglie (vv. 262, 452), dolgloso (v. 104), famelgla (v. 108), spolglia
(v. 128), volglio (v. 134). Che qui abbiamo una epitesi di e ce lo mostra
chiaramente lo Statuto del 1342 con le seguenti forme, segnanti
anche i passaggi: vangelie, pupilgle spedaglie (I, 7). Un grado ulte-
riore ci presentano le forme di Mon. melgl (20, 14), vogl (27, 5), pic-
ciogl (27, 6), accanto a stralgle (10, 3). Cfr. Schiaffini, pp. 16 sg.

LV. — Malfagie (v. 570).

MN. — Ongne (v. 43) accanto a one (v. 78). Mon. onne (4, 12;
8, 4), ongne (2, 2; 9, 14). Stat.: onn' (IV, 84). Nel contado odierno
c'é la forma nicosa — ogni cosa.

ND. - Risponna (v. 49), onna (v. 51). E fenomeno di assimi-
lazione centro-meridionale.

QU. — Que (vv. 427, 504) per che. Mon. l'ha in 1, 7; R. in 14, 7
ult. (3 volte); 51, 12; 51, 16; ecc. In tutti questi casi il que è interroga-
tivo diretto o indiretto. La conservazione del nesso sarà dovuta al-
l'intonazione più forte con la quale in quei casi il que si pronunciava.



—————





56 LUIGI SALVATORELLI

SC. — Rinaseran (v. 62), nasemento (v. 123), di fronte a descesci
(v. 424). Mon.: sconosente (21, 4).

TR. — Abbiamo madre (vv. 134, 261, 310, 345, 482, 504), con-
tro matre (v. 518). Mon.: padre (11, 10); inoltre: mate (23, 11) pate
(28, 6), che sono forme di nominativo (Cfr. Schiaffini, p. 51). In R
il fr è costante.

9) Fonetica sintattica.

Caduta del d intervocalico in nepote i ranere (v. 161). Nell’odier-
no norcino £e ico — ti dico (1). Lo stesso accade sempre del d iniziale
a Rieti, quando precede lo, de o altra proclitica uscente in vocale (2).
In Jacopone da Todi: corte i Roma (3). Nel perugino moderno fuoco i
paglia (Papanti, p. 41), pezzi pene (4), cap'i casa = capo di casa (5).

b) Assimilazione del gruppo nl in chella — che en la (vv. 13,

105), ella = e en la (v. 478), collor — con lor — (v. 223), nollo = non

lo (v. 237). Mon.: ellei (6, 10). Stat.: ella, ello (I, 7) di fronte a en la
(IV, 84). In R. non ho incontrato tali assimilazioni. (Cfr. Schiaf-
fini, p. 30).

II. — Morfologia — a) Declinazione.

1. — Casi. — a) Nominativo: muna (v. 526), che suppone un
singolare muno da munus.

2. — Generi. — Plurali in a di genere maschile: li braccia (v. 19),
i membra (v. 87), ultime exitia (v. 573). Mon.: gl'autentiche libra,
(4,7); le pecata (33, 7). Stat: gle tormenta (III, 101). R.: li peccata (2,
14; 74, 3), le genocchia (3, 14), le membra (10, 7 ult.).

3. — Formazione del plurale. — a) 2% declinazione. Oscillazione
fra plur. — i ed — e, ie (cfr. Schiaffini, pp. 13-15): anni (v. 527), en-
ganni (v. 529), occhi (v. 364); scarse (v. 15), nove (26), filglie (v. 262),
occhie (v. 285). Mon.: cieli (6, 1), amorosi, (10, 8), ragi (14, 12); di-

(1) PAPANTI, / parlari italiani in Certaldo (Livorno, Vigo, 1875), p. 534.

(2) CAMPANELLI, Fonetica del dialetto reatino (Torino, Loescher, 1896).

(3) LAuDnI, a cura di F. Ageno (Firenze, Le Monnier 1953), LV, 34.

(4) RuaGERO TORELLI, Sonetti ed altre poesie in dialetto perugino, e ap-
punti sulla fonetica e morfologia perugina del Dr. E. Verga, (Milano, Galli,
1895), p. XXVII.

(5) Non so se ne esistano esempi seritti; io l’ho udito, in gioventù, nel
contado perugino.





LA POLITICA INTERNA DI PERUGIA 57



sperate (3, 10), elemente (67), sengne, (6, 10), grosse (7, 4), occhie (7, 7),
sasse (8, 1), sdegnoxe (12, 4), sonecte (14, 2). Stat.: sante (II, 2), van-
gelie (ivi), malefitie (II, 19), statute (II, 9), ordenamente (II, 10). R.:
mesi (39, 12), filioli (39, 13), anni (39, 14), altri (39,. 9 ult.), idoli
(39, 5 ult.), poveri (40, 1), occhi (43, 6 ult.); forestiere (41, 3). In R.
dunque, al contrario di Mon. e dello Stat., albano quasi completa
conformità alla lingua letteraria.
b) 38 declinazione. Abbiamo la stessa oscillazione nel plurale.

| 4.- Pronomi. — glie = li (vv. 67, 170, 171); lo = loro (v. 237);
i = li (v. 338). Per le forme dei pronomi dimostrativi v. sopra, p. 53.
Per que v. sopra, p. 55.

5. — Articoli. — Notevoli le variazioni dell'articolo maschile
plurale: i (v. 17), li (v. 19), gli (v. 37), ei (vv. 56, 126), glie (vv. 211,
284), le (v. 58). Mon.: i (3, 8), gli (7, 7), li (19, 4), ei (29, 2), glie
(23, 9). Stat.: i- (I, 84), gli (19;:55), ei (1, 81); Ie (5 7); mà la'for- -
ma assolutamente predominante é glie, di cui si trovano esempi a
ogni passo. In R. é costante la forma li. Per le forme della preposi-
zione articolata, v. sopra, p. 56.

b) Coniugazione

1) La terza persona plurale perde la n, invece di appoggiarla
con una vocale epitetica, e quindi diviene uguale alla terza singolare:
discierpe (v. 182), distingue (v. 218), comunica (v. 327), envola (v.
335), grida (v. 339). In Mon. e Stat. non ne ho incontrato esempi.
In R. abbondano: era (18, 9), significasse (18, 11), gionse (18, 3 ult.),
fugia (19, 7), fo (19, 11), avesse (20, 5), podesse (16 ult.), ripensa (8,
13), despiace (4,5), crederà (9, 1), fa (10, 5 ult,).

2) Forme speciali di futuro e di condizionale (cfr. Schiaffini,
pp. 44 sg.): a) Vederite (v. 90). Cosi Mon.: farite (7, 10). Stat.:
piubecherimo, manifesterimo, starimo, podirimo (I, 7). R.: amarimo
(386, 8 ult.), lodarimo (id.). vederimo (387, 2), possederimo (386, 3
ult.), ferimo (386, 8 ult), averimo (389, 8 ult).

b) schusara (v. 232), bastara (v. 332), portirate (v. 117), sirate
(v. 154), vederate' (v. 155). Mon.: pigiorara (37, 10). È il più che
perfetto indicativo latino (ezcusaram), passato a funzione di condizio-
nale. (Cfr. Schiaffini, p. 45).



il

B
li |
|
|
|
|

ti
Hi
|
|





58 LUIGI SALVATORELLI

Qualche altra forma speciale: a) stonse (v. 238), fono (v. 30)
di fronte a vanno (v. 84), fan (v. 139), danno (v. 273). Mon.: fon-
no (3, 8) vono (24, 12). Stat.: pagheronno (I, 7), feronno (1, 7), sape-
ronno (III, 103). R.: sto = stonno (427, 2), sonno = sanno (579, 4),
vorron (41, 11 ult.). È la serie dei verbi dare, stare, andare, fare, sa-
pere, avere, che anche ora, almeno nel contado, hanno queste terze
persone plurali (cfr. Schiaffini, pp. 38 sg.).

b) Accanto a sono, prima persona singolare (v. 122), abbiamo
sov(vv. 174; 176). Mon. L:ha 1n 41, 3. Anche H.. 89,0 n11.;* 90:5
ecc. Nel poemetto non ho incontrato esempi di so per la terza plu-
rale. Sono ambedue forme viventi.

III. — Sintassi.

Già ne ho accennato sopra (pp. 36 sg.) alcuni caratteri generali.

Faró ora qualche osservazione spicciola.

1) Pronome accusativo atono che precede il pronome dativo
(cfr. dillomi, comune nell'italiano antico, e il dantesco dicerolti): dir
lo mi taccio (v. 70) nolte dicho (v. 176), lo s'enpetra (v. 246). Pur
collocato avanti il pronome atono (come nella Vita Nuova, XL, 4:
io li pur farei): si pur sciema (v. 96).

2) Plurale coi collettivi: La gente nova... m'an conducta
(vv. 110-11); 'L mio dolce seme... lodano (v.188-190); questa giente. . .
vegendoi (vv. 337-38).

3) Che (cong.) omessa (vv. 60, 397, 491-3).

4) Indicativo ove si aspetterebbe congiuntivo: par che spira
(v. 249).

5) Temere costruito come dubitare (vv. 289-90).

*okok

Volendo ora riassumere in breve le caratteristiche grammati-
cali del nostro testo, diremo che l'autore si serve del suo dialetto, ma
non lo riproduce fedelmente: cerca invece di modificarlo, tenendo
a specchio l'uso letterario che già si andava affermando, quello cioé
degli scrittori toscani, del più grande dei quali abbiamo già vista la
forte influenza. Ne viene quindi al testo un carattere di oscillazione,
di alternanza, di ibridismo; carattere diffuso nella poesia italiana del
Trecento, del quale parló il Raina in un articolo che ha fatto te-







LA POLOTICA INTERNA DI PERUGIA 59

sto (1), e che poi é stato illustrato dal D'Ovidio, dal Parodi e so-
prattutto dal Salvioni. Così accanto al derieto di Stat. e R., corri-
spondente all’uso tuttora vivo, spunta il dirietro del nostro testo,
divergente dal dialetto nell’i prot. e nella conservazione del nesso tr,
e, meglio ancora, retro, del tutto letterario e dotto. Così al dua si uni-
sce dove e ove; como è combattuto e sopraffatto dal lett. come; maiure,
maiore è sostituito da magior, magiur. Il popolare nobeglie o nobeje è
temperato (senza arrivare a nobili) in nobei; e se qualche volta l’au-
tore si permette, o gli sfugge, filglie, occhie, altrove più letteramente
usa filgliuoi (filgliuoli), occhi. Tendenza comune, come abbiam visto,
ai Poeti perugini del Monaci.

(1) Una canzone di Maestro Antonio da Ferrara e l'ibridismo del linguaggio
nella nostra antica letteratura (in « Giornale storico della lett. ital.», XIII, 1. ss.).











60 LUIGI SALVATORELLI

VI.

I CINQUE CANTI E LA STORIA INTERNA DI PERUGIA
NELLA PRIMA METÀ DEL SECOLO XIV

1. —- LA SITUAZIONE STORICO-POLITICA DEL POEMETTO.

Comunque si voglia apprezzare l’interesse letterario e quello
linguistico del nostro poemetto, è certo che la sua importanza mag-
giore è quella storica. Esso rappresenta una testimonianza con-
temporanea ampia e viva della lotta politica interna nel comune di
Perugia verso la metà del secolo XIV: vale a dire, in un periodo in
cui il detto comune aveva raggiunto il massimo del suo sviluppo
dentro e fuori.

Vediamo di riassumere il contenuto storico del poemetto.

Chi sono i reggitori di Perugia secondo il poeta ? « Gente nova »,
(vv. 68, 110), « veneticce » (v. 118), persone della cui nascita e della
cui stirpe non si sa niente (vv. 122-24). E fossero almeno di Perugia !
Invece alcuni sono dei borghi e del contado altri delle città vicine.
Todi, Spoleto, Gubbio, Arezzo, ecc.; di alcuni poi non si sa neppure di
dove siano (vv. 137-151). Così spadroneggia in Perugia che c’è venu-
to ieri e si spaccia per guelfo antico (vv. 174-5), e sale in pregio chi è
sprovvisto di virtù e di sapere, ma è abile nel parteggiare (vv. 179-81).

Il poeta ci descrive lo stato morale e politico della città come pes-
simo. Tutti si tradiscono vicendevolmente «col mele en bocha e ‘1
rasoio a centura » (vv. 79-80), e la falsità è ritenuta saggezza e gra-
zia, cosicché i malvagi opprimono i giusti (vv. 319-321); del bene
sparisce ogni traccia, e nessuno si ricorda di operarlo (vv. 97-98). I
reggitori della città, questa gente nuova, sono pieni di avarizia e di
cupidigia (vv. 65-66; 119-20; 182-3, 273). Essi traggono in inganno il
popolo, arringando sofisticamente e presentando le loro parole sotto
bei colori (vv. 218-23) così da mostrare il bianco per il nero (vv. 275).
Procedono sicuri perché non trovano ostacoli, seminando scandalo
ed errore (vv. 276-77).







LA POLITICA INTERNA DI PERUGIA 61



I veri figli di Perugia trovansi in tristissime condizioni. Coloro
che hanno onorato Perugia sono disfatti (v. 67); la gente nova fa stra-
zio « dei sangue veraci » (v. 69). Così la vera famiglia di Perugia, i figliuo-
li da lei allevati in libertà (vv. 113-14), sono dispersi, e quale di essi
muore, quale sospira (vv. 108-9); il disprezzo grava sopra di loro, e que-
gli ch’è migliore è ridotto più mendico (vv. 177-8). Lo spavento dinanzi
all’ardita malvagità altrui li ha presi, e abbandonano la virtù, accon-
discendendo ai vizi dei loro oppressori (vv. 127-30), e lodandoli, per ti-
more di peggio, quanto più ne sono maltrattati (vv. 189-90), o stringen-
dosi nelle spalle (v. 201). Non osano parlare apertamente, perché c’è chi
spia, e debbono guardarsi ben bene attorno prima di parlare (vv. 303-
8). Così le illustri famiglie perugine sono tutte in decadenza, avendo
perduto il loro potere, e alcune anche i loro possedimenti (vv. 155-69).
Così i servi di ieri (v. 210) maltrattano, venuti al potere, quelli che
furono loro signori. E il popolo antico di Perugia — esclama questa —
«sta endigente Con voi piangendo en povertate e fame » (vv. 206-7).

Quale la causa di queste tristi condizioni, in cui si trovano i veri
figli di Perugia ? Le loro discordie (vv. 116-18), nate da invidia
(vv. 467-9) e l'avere abbandonato il potere da se stessi (vv. 191-6).
Anche adesso, fra gli oppressori ci sono dei Perugini, antichi, che
fanno comunella con quella gente infesta (vv. 297-302).

Per liberarsi da tanti mali bisogna scuotere la pigrizia e la viltà
(vv. 352-4), unirsi (vv. 361-3; 370), e prender coraggio dal fatto che
é impossibile ridursi peggio di cosi, e perció a reagire vi é tutto da
guadagnare e niente da perdere (vv. 388-93).

Per quel che abbiamo detto intorno alla data del codice, il no-
stro poemetto deve essere anteriore al 1347, e in ogni caso al 1352.
I lamenti del poeta accennano ad uno stato di cose recente, ma
non di ieri, poiché egli dice chiaramente che l'attuale generazione è
nata in servitü. Ora, quale puó essere l'avvenimento passato, su per
giü, da una generazione, che ha ridotto in cosi tristi condizioni i ma-
gnati perugini, se non l'istituzione del priorato, accaduta nei primi
del secolo XIV? Entro questi cinquant’anni perciò sarà da porre il
nostro poemetto, piuttosto verso il secondo termine, giacché la. ge-
nerazione nata in servitù è poi cresciuta e adulta. E si può anche
essere più precisi. I versi 569-71:

Sento la luce che non cie può parcere

dell’assessor colle malfagie leggie
per condanarne en perpetua carcere









62 LUIGI SALVATORELLI

alludono con tutta probabilità allo statuto del 1342, di cui vedremo
il valore tutto speciale per la nobiltà. In tal modo il poemetto risulta
fissato cronologicamente con molta precisione. Anche le imitazioni
dantesche tendono a riportarlo entro il secondo quarto del secolo.
Noi quindi dovremo esaminare le condizioni politiche di Perugia nella
prima metà del sec. XIV, premettendo per ragioni di connessione sto-
rica un rapido sguardo alla storia perugina dei due secoli antecedenti.

2. — FoNTI DELL'ESPOSIZIONE STORICA SEGUENTE

Fonte documentaria principale dell'esposizione che segue sono le
Riformanze del comune di Perugia, cioé i registri delle deliberazioni
dei Consigli del Comune. Il nome usato tradizionalmente per indi-
carli é quello di « Annali decemvirali »; nome proveniente dal nu-
mero dei Priori (« decemviri », Esso non potrebbe applicarsi, a ri-
gore, agli atti del secolo xiir, ai quali, peraltro, non abbiamo avuto
motivo di far ricorso particolare. Sono appunto le riformazioni dal
1256 al 1300 quelle di cui il compianto conte Vincenzo Ansidei, tanto
benemerito degli studi archivistici e storici perugini, aveva preparato
la pubblicazione, e di cui é uscito un primo volume (1) a opera della
Deputazione Umbra di Storia patria.

A parte questo volume dell’Ansidei, le Riformazioni perugine
sono inedite nel loro complesso (2). Noi per la prima metà del se-
colo XIV abbiamo fatto largamente ricorso diretto ai relativi codici
conservati nell’archivio comunale di Perugia, citando « Ann.» con
l'indicazione della data e della carta r [ecto] o v [erso].

Accanto alle Riformazioni, abbiamo le «Sommissioni » al comune
di Perugia, che non contengono solo atti di sottomissione di castelli,
terra e relativi signori al Comune, ma anche altri documenti impor-
tantissimi. Esse, contenute pure in diversi « Libri », sono state pub-
blicate in parte nel Bollettino della Deputazione Umbra, e altresi
nel volume del Briganti che citeremo appresso. Si riferiscono peral-

(1) « Fonti per la storia dell'Umbria »: Vincenzo Ansidei, Regestum Re-
formationum comunis Perusii ab anno MCCLVI ad annum MCCC. Volume i
primo. Perugia, 1935. Questo primo volume giunge fino a tutto il 1260.

(2) Gli. estratti più notevoli sono: 1° quelli pubblicati nel « Giornale di
erudizione artistica », Perugia, I-VI, 1872-1877, che cito con la sigla « Giorn. ».
Me ne sono servito specialmente per trarne notizie intorno alla costituzione di
Perugia; 2° quelli pubblicati nel Regesto di documenti del sec. XIV relativi a
Città di Castello, di Ansidei e degli Azzi, in Boll. VI e VII.





LA POLITICA INTERNA DI PERUGIA 63

tro prevalentemente a un periodo anteriore (sec. x11 e xii) a quello
da noi qui più particolarmente studiato.

Dopo le Riformazioni e le Sommissioni vanno ricordati i due
Statuti del 1279 (in latino) e del 1342 (in volgare). Il primo è comples-
sivamente inedito (1). Il secondo è stato pubblicato dal Degli Azzi (2).

Le fonti letterarie sono costituite principalmente dai Brevi An-
nali della Città di Perugia dal 1194 al 1352, pubblicati nell’ Archivio
Storico Italiano » (1* Serie, XVI, 1, Firenze 1850), e dalla Cronaca
detta Diario del Graziani (3), pubblicata nello stesso luogo con sup-
plemento di altre cronache (1309-1491) (4).

Per la storiografia perugina va ricordata soprattutto l'Historia
di Perugia di Pompeo Pellini (5), che in una certa misura puó esser
considerata fonte documentaria, in quanto fece larghissimo uso dei
documenti, e quasi un regesto delle cose più notevoli contenute ne-
gli Annali Decemvirali. Inoltre:

Saggio di memorie istoriche civili ed ecclesiastiche della Città di
Perugia e suo contado. Opera postuma di Annibale Mariotti. In Pe-
rugia MDCCCVI. E notevole per noi, in questa opera, l'elenco dei po-
destà e dei capitani del popolo di Perugia.

Bartoli, Storia della Città di Perugia, Perugia, 1843, vol. I. In-
teressante per i documenti di cui é corredata. Rimase interrotta.

Bonazzi, Storia di Perugia dalla origini al 1860, Volume I, Peru-
gia, Tipografia di Vincenzo Santucci, 1875. Esposizione assai prege-
vole, quantunque senza molto di nuovo in quanto ai fatti.

Delle opere piü recenti ricorderemo i notissimi Heywod e Guar-
dabassi, più analitico e ricco d’indicazioni il primo, più succinto e
generico il secondo. Essi vanno completati con Francesco Briganti,
Città Dominanti e Comuni minori nel Medio Evo con speciale riguardo
alla repubblica perugina. Perugia, Unione Tipografica Editrice, 1906. È

(1) Ne pubblica parecchie rubriche il Briganti nell’opera più sotto citata.

(2) Statuti di Perugia dell’anno MCCCXLII a cura di Giustiniano Degli
Azzi (« Corpus Statorum Italicorum » sotto la direz. di Pietro Sella, nn. 4 e 9),
voll. I-II, Roma, 1913, 1916.

(3) La cronaa detta del Graziani è, fino al 1450, di Antonio di Andrea
di Ser Angelo dei Guarneglie (Cfr. O. Scalvanti, Cronaca perugina inedita, ecc.
in Boll. IV, 57. i

(4) Citiamo questo volume dell'« Archivio storico italiano », con la sigla
A.S.L, seguita dalla pagina; e i Brevi Annali con la sigla B. t..

(5) Parte prima, in Venetia, MDCLXIV. Appresso Gio. Giacomo Herts.
Si dà solo la pagina; quando eccezionalmente si cita la parte seconda, si
premette: II.









64 LUIGI SALVATORELLI

importante soprattutto per i rapporti fra Perugia e i feudatari; ed è,
che io sappia, la prima e fino ad oggi unica trattazione «ex professo »
dell'argomento. È corredata di molti documenti.

S'intende che ho tenuto presente e attentamente consultato il
« Bollettino della Deputazione Umbra di Storia patria ». (Sigla: Boll.).

3. - IL COMUNE DI PERUGIA NEI SECOLI XII-XIII.

Lo svolgimento del comune di Perugia nei secoli xII-xIII è ana-
logo a quello degli altri comuni dell'Italia centrale, e più particolar-
mente a quello di Firenze. Il primo documento datato del regime
consolare é del 1139 (sottomissione dell'isola Polvese): da esso ri-
sulta come già da allora il Comune provvedesse a stendere il suo
dominio sul Lago Trasimeno e i territori circostanti. Del 1184 è
la sottomissione di Castiglione del Lago, mentre abbiamo già detto
come le sottomissioni di terre e castelli si susseguano nel corso
dei secoli indicati. Nel 1186 un diploma di Enrico VI riconobbe
il Comune e il suo dominio sul contado perugino, anche se con ec-
cezioni.

Dal 1183 Consoli e Podestà si alternano, o anche coesistono.
I primi compaiono per l’ultima volta nel 1232. Tra la fine del xir
secolo e il principio del x1rt fanno la loro apparizione i soliti Arengo
o Concione, Consiglio generale, Consiglio speciale. I nomi dei consoli
sono generalmente non titolati e oscuri; v’è tuttavia partecipazione
dei nobili al governo, ma nell’insieme sembra potersi affermare che
nella seconda metà del duodecimo secolo il comune avesse carattere
prevalentemente popolare. ;

Le sottomissioni dei nobili, col loro trasferimento susseguente
in città, portarono nel primo terzo del secolo tredicesimo alla or-
ganizzazione, entro la città stessa, dei « milites », cui si contrappose
quella dei « pedites »: e le due organizzazioni si fronteggiarono ostil-
mente, «armata manu », con le solite espulsioni e riammissioni (1).
Progredendosi verso la metà del secolo, si ha la formazione, entro o
accanto al Comune propriamente detto, di un « Commune populi »

(1) Una delle ragioni di contrasto era l'imposta per testa o per «libra ».
Il Bonazzi, I, 266-7, erroneamente crede che il primo sistema fosse quello pre-
ferito dai nobili — e il Guardabassi, p. 118, ripete l’errore — mentre era esat-
tamente il contrario. Il sistema per libra era quello tendente ad assicurare la
proporzionalità dell’imposta.





LA POLITICA INTERNA DI PERUGIA 65



(con suoi organi e statuti), che poi finisce per scomparire come orga-
nizzazione distinta, ma in quanto esso assorbe il Comune generale.
Fin dal primo quarto del secolo xir assumono funzioni pubbliche
i rappresentanti dell'arte della mercanzia, la maggiore delle Arti
perugine. Già dal 1235 compare, sempre con funzioni di governo,
un « Consiglio delle Arti »; e nel 1237 abbiamo quello dei « bailitores
societatum », cioé delle società popolari armate. Dal 1250 figurano
gli Anziani del popolo; dal 1255 il Capitano del popolo; dal 1257 un
« Priore del popolo » o « delle arti ».

Lo Statuto del 1279 nomina Consigli delle Arti e Capitano del
popolo, ma non ha rubrica per essi; segno che c'era uno Statuto del
popolo ove quegli istituti erano sistemati. In detto statuto abbiamo, ;
oltre gli altri consigli, un Consiglio dei Cinquecento (100 per porta).
Esso non conosce che la colletta « per libram », voluta dal popolo,
e rispecchia una politica annonaria favorevole all'abbondanza dei
commestibili, e contraria all’interesse dei proprietari fondiari. Tro-
viamo anche un netto impulso all’affrancazione dei servi. Vi sono
pure disposizioni di sapore antimagnatizio: contro l’elevazione delle
torri oltre una certa misura (rubr. 16); contro il gettito di proiettili
dalle torri avverso autorità pubbliche, e per la responsabilità in pro-
posito del proprietario delle torri stesse (rubr. 294); contro certi co-
stumi e libertà dei nobili o dei loro seguaci (rubr. 315, 377).

4. — L’ISTITUZIONE DEL PRIORATO NEL QUADRO DELLA LOTTA FRA
NOBILI E POPOLANI

L'istituzione del Priorato in Perugia è avvolta in una grande oscu-
rità, e le secche notizie dei Brevi Annali in proposito sembrano più
adatte ad accrescerla che a diradarla. Secondo questi, nell’agosto
del 1302 sarebbe stata deliberata una inchiesta circa presunte malver-
sazioni dei Raspanti: nel corso e in occasione di essa, nel 1303 sareb-
be nata una gran contesa «tra messer Giovanni di messer Baglione
caporale da una parte, et messer Giapeco degli Odde e messer Piero
di messer Venciolo caporale da l’altra parte: et tutta la città fu in
arme. Per questo furono cassi li consoli de l’arte ». (p. 59) (Il Pellini
riportando a p. 327 queste notizie dei Brevi Annali, prende un grosso
abbaglio, intendendo come se le due parti rappresentassero una
divisione in seno ai Raspanti).

È da credere che promotrice delle ‘accuse e dell’inchiesta fosse
la fazione avversa ai Raspanti, che è quanto dire la fazione dei magna-

5



66 LUIGI SALVATORELLI

ti, Potrebbe esserci entrata in qualche misura la carestia che gli stes-
si Brevi Annali ci segnalano nell’anno 1300, dicendoci che fu « grande »
(p. 59). Potrebbe darsi, ad esempio, che i nobili avessero accusato
| i capi del governo di essersi tenuti per loro il grano ricavato dalla
vendita dei frutti del Chiugi (cf. Pellini, p. 389, 446), invece di di-
| stribuirlo fra il popolo affamato.

f L'inchiesta adunque si fece; e da essa nacquero i tumulti di cui,
| parla l'Anonimo. I Brevi Annali specificano che il tumulto nacque

l

|



per avere il Capitano del popolo presa la difesa dei Raspanti. Ma
quello che rimane oscuro (e il Pellini l’ha notato) è la contesa fra no-
bili, Baglioni da una parte, Oddi da un’altra (in quanto a Piero di
| Venciolo non mi pare si possa affermare senz'altro che fosse nobile,
| dei Vincioli). Si può supporre che taluno dei nobili popolareggiasse:
un Oddi amico di popolari lo vedremo più tardi, mentre il Pellini
ci presenta il Baglioni come popolareggiante; ma forse ha fatto confu-
sione. Può anch’essere che, senza essere né l'un né l'altro favorevole
ai Raspanti, fossero discordi sul modo di procedere in quell’occasione,
o per altro motivo. Comunque sia, il tumulto finì con l'abolizione dei
consoli delle arti. Questa abolizione non puó non essere in connesso-
ne con l'istituzione dei Priori. I Brevi Annali danno per questa la
data del 1302; ma questa notizia é posta, non al suo luogo, ma in
fondo alla cronaca; oltre a ció in essa si dice che il magislrato dei Prio-
ri fu prima ordinato per due mesi, il che dimostra, che chi scriveva
viveva ai tempi del Priorato trimestrale. Il Pellini, il quale pure co-
nosceva i Brevi Annali (v. Pellini p. 240, e B. A. p. 55; Pell. 328,
e B. A. p. 59) non dà notizie dei Priori che all'anno 1304. Si po-
trebbe congetturare che la «cassazione » dei consoli delle arti rap-
presentasse un primo risultato della contesa, favorevole alla fazione
magnatizia; ma che poi quella popolare riprendesse il sopravvento,
con l'istituzione della nuova e molto più importante magistratura dei
Priori.

In ogni modo, l’istituzione dei Priori non può non essere stata una
vittoria popolare. Il Pellini ci dà il numero di dieci fino da quella
prima loro comparsa; io per mio conto posso dire che nel 1308 erano
Hi infatti dieci (Ann. 1308-10, c. 22 r.). E quindi probabile che fossero
M dieci fin dalla loro istituzione, cioé due per porta.

AER I Priori sono i capi del potere esecutivo, e, per delegazione delle
AN Arti, anche del deliberativo. Noi li vediamo fare ordinamenti, ora
n coi sapienti da loro convocati (1306, Giorn. di erud. art. IV, p. 53),
| ora coi carmerlenghi (1311, Ann. 1310-12, 128 v. e seg.), ora da soli



—— ——









LA POLITICA INTERNA DI PERUGIA 67



(1312, Ann. 1312-14, f. 166 v.) «ex auctoritate et Bailia eis con-
cessa ab adunantia generalis cuntarum Artium et Artificum Civita-
tis perusii ». Cosi nel 1311, il 23 settembre, l'adunanza dei priori,
camerlenghi, rettori, e generale degli artefici stabili che i Priori aves-
sero autorità e Balia, con i sapienti di popolo da loro scelti, sopra cer-
te proposte, e che quello che avrebbero fatto valesse e tenesse, come
se fosse stato fatto da quell'adunanza (Ann. 1310-12, 131 v.). Ció di-
mostra la grandezza del loro potere. Né poteva essere differentemente.
Quei mercanti, quegli artigiani avevano da provvedere agli affari loro,
e quindi dovevano scaricar la soma degli affari sui loro colleghi priori.
In quanto al Podestà e al Capitano del popolo, si puó dire che ormai
non fossero altro che uffici amministrativi, senza vera importanza
politica.

Partecipavano allora i nobili al Priorato ? Non ne sappiamo
nulla direttamente; ma certo, se mai, dovevano essere iscritti nelle
arti, che é quanto dire essersi fatti popolari. In una scorsa data ai
nomi offertici dal Pellini dei capi dei Signori fino al 1327 (anno in cui
comincia una lacuna dei libri decemvirali), io ne ho incontrati po-
chissimi che siano o possano essere nobili. Io stesso, senza aver fatto
in proposito una ricerca sistematica negli Annali Decemvirali, posso
dire di non essermi imbattuto in nomi diesicuramente nobili (se non
fosse un «Zonolus maffei de tortis » nel 1310 (Ann., 229 r.).

A proposito dell'ammissione dei nobili al Priorato abbiamo una
notizia assai caratteristica, in una cronica anonima (A. S. L, 154).
Vi si dice, che nell'anno 1351 il popolo perugino guastó tutti i sac-
chi dell'ufficio dubitando che in essi non vi fossero nominati peru-
gini nobili, da loro tenuti nemici della libertà e della città, e cava-
rono i priori a saputa per piü sicurezza. Questa notizia sarà proba-
bilmente da interpretare nel senso, non già che si volessero esclu-
dere i nobili, anche se regolarmente inscritti nelle arti, ma che si
temessero infiltrazioni nelle borse di gente non iscritta. Il fatto
dimostra quanto il popolo fosse vigilante e mal disposto verso i
nobili.

5. — PREPONDERANZA POPOLARE NEL COMUNE

In quanto ai consigli di questo tempo noi troviamo: 1°i Sapienti,
eletti dai Priori (1308, Giorn. d’erud. art. IV, p. 57, 59, 61; 1309,
ivi, p. 62). È da notare come negli Ann. Dec. sotto il 21 agosto 1308
si parli di sapienti da eleggersi « de populo perusii » (c. 25 v.); e di













68 LUIGI SALVATORELLI

«sapienti de populo » da eleggersi dai Priori si parla anche nel 1311,
23 settembre (c. 131 v.). Si vede da qui come, almeno talora, i sapienti
si scegliessero soltanto fra i popolari. 29 Consiglio dei camerlenghi
di tutte le arti. 39 Consiglio dei camerlenghi e rettori delle arti. 49
Consiglio dei camerlenghi, rettori, e generale degli artefici. 5° Consi-
glio del Popolo. Da una nomina negli Ann. Dec. 1308 (27 dicembre)
degli eletti « de consilio generali et speciali comunis perusii de consi-
lio populi » ricaviamo che il Consiglio del popolo consta di un consiglio
speciale (101), di un consiglio generale (101) e di 52 aggiunti, eletti,
sembra, dal consiglio speciale. 6° Generale e maggior consiglio. Negli
Annali sotto 1308 (c. 1 ss.), abbiamo il Consiglio generale e speciale
del comune di Perugia, composto qui di quattro sezioni differenti:
consiglio speciale (50), consiglio generale (100), aggiunti (50), consiglio
dei 100 per porta (500). I cinquanta aggiunti erano scelti dal consiglio
speciale per costituire cogli altri il consiglio maggiore (« adiuntorum
electorum de consilio maiori »). Vi è per quest’ultimo istituto una gran-
de varietà di formule: maggiore e generale consiglio del comune e del
popolo di Perugia (Ann. 1308, 25 luglio, c. 22 v.); consiglio maggiore
speciale e generale dei priori e dei rettori delle arti e di tutti gli altri
che nel detto consiglio possono intervenire (1311, 10 ottobre; c. 169
r.); comune e generale consiglio della città (1309, 25 febbraio: Giorn.
IV, 62); maggiore consiglio (1322, 17 maggio; Giorn. IV, 287). Non
è facile stabilire il rapporto che passa fra queste varie formule; ma
in ogni modo il consiglio maggiore e generale doveva esser quello che
abbracciava tutti gli altri, e, come appare dallo Statuto del 1342,
entrava a farne parte anche il Consiglio del popolo, il che spiega la
prima delle formule da noi riportate.

Da tutto ciò si vede l’enorme preponderanza che nel maneggio
della cosa pubblica avevano gli artigiani organizzati nei loro sodalizi.
Lo statuto del 1342 ci dice che nessun cavaliere poteva essere del
Consiglio del popolo; ma non sappiamo dire a che tempo risalga
questa disposizione. In ogni modo, il Consiglio del popolo era certo
composto solo di membri delle arti: e perciò, dei sei consigli che abbia-
mo annoverato, quattro erano già a questo tempo completamente
in mano loro, e qualche volta a questi si aggiungeva un quinto (vedi
a proposito dei sapienti). Nella lista dei membri del Consiglio generale
del 1308, di cui ho parlato sopra, abbiamo il Sig. Rodolfo « domini
Raynerij »; « Lucolus domini Rudulfi », « dominus hermannus domini
Raynerij ». Ma questi « domini » o figli di un « dominus » sono rari assai.
Fra i nomi dei Consiglieri del popolo, della stessa data, di cui pure







LA POLITICA INTERNA DI PERUGIA 69

ho parlato, nessun signore, se bene ho visto, e straordinariamente
rari i figli del signor tale. Ció potrebbe confermare, riguardo al Con-
siglio del popolo, che già in questo tempo i nobili ne fossero esclusi.
Del resto il « dominus » non indica necessariamente un nobile; puó
essere dato a un dottore o ad altra persona comunque ragguardevole.

* * *

Avevano almeno i nobili altri campi in cui affermare la propria
influenza ? Abbiamo visto come nel comune di Perugia non fosse
prescritto che il Podestà fosse necessariamente forestiero. Ora, seb-
bene l’importanza della carica di podestà, dopo la creazione dei Priori,
avesse subito una forte diminuzione, tuttavia l’ottenerla avrebbe
potuto sempre servire ai nobili perugini. Ma si pensò anche a questo.
Il 28 dicembre 1312 i priori delle arti provvidero, ordinarono e rifor-
marono (uno solo discordante), che nessuno in perpetuo si potesse
eleggere per Podestà, Capitano, o per alcun altro ufficio, se non fosse
oriundo di fuori dei confini del contado o distretto di Perugia, alla
distanza di 60 miglia. Nulla ogni elezione in contrario. E questo si
stabiliva perché «ex propinquitate et agnitione », che gli ufficiali
del Comune avevano coi Perugini e con quelli del contado, si depra-
vava la giustizia e non si rendeva a ciascuno il suo diritto con impar-
zialità (Ann. c. 166 v.). Così fu tolto ai nobili perugini anche questo
mezzo di potere, o di prepotere, nonché una fonte decorosa di luero.

Restavano però loro le podesterie nel contado (e, s'intende, quelle
al di fuori della giurisdizione perugina). Tuttavia, in quanto a quelle
del contado di Perugia, l'autorità ci volle ficcare il naso, e regolar
lei le cose. Infatti il 22 settembre 1311, in un'adunanza dei camer-
lenghi, Pascuccio « Benvenuti » priore propose — essendo molti i luoghi
del contado di Perugia che si scelgono il podestà o gli ufficiali fra i
perugini, e dicendosi che molti perugini hanno parecchie di queste
podesterie, e difendendo quelle università nei consigli e altrove dan-
neggiano il comune di Perugia — che per tutti i luoghi del contado e
distretto di Perugia aventi da ottanta focolari in su i podestà si eleg-
gessero «a brevi » nel maggiore e generale consiglio, e i priori deci-
dessero in quanto all’ufficio e salario loro e al modo dell’elezione
per brevi. La proposta venne approvata. Nello stesso giorno l’adu-
nanza dei camerlenghi e rettori l’approvò anch'essa, e il 23 settem-
bre l'adunanza generale degli artefici deliberò che i priori avessero
balia, coi sapienti «de populo » da loro scelti, sopra di tale proposta. Il





70 LUIGI SALVATORELLI



fatto di chiamare a decidere proprio i sapienti di popolo, insieme con
i Priori, conferma che la proposta era diretta contro i nobili, affin-
ché non se la godessero con troppe podesterie, servendosene magari
a danno del comune. E cosi l'ha intesa il Pellini, il quale dice (p. 383),
che il popolo era malcontento perché le podesterie e vicariati « piü

in mano dei nobili, che de' popolani cadevano ».

Sempre a proposito di uffici, abbiamo dal Pellini che il 1321
si stabili di mandar ad assoldar gente non nobili, ma popolari (p.
444). E dagli annali del 1325 apprendiamo che il 29 luglio, dovendosi
eleggere per la guerra e taglia contro Città di Castello un consigliere
pel capitano generale della guerra stessa, per sei mesi, ed essendo stato
questo ufficio tenuto finora dai nobili, del che i popolani si sentivano
gravati ed offesi, si stabilì dai priori che d’ora innanzi in quell’ufficio
si alternassero di sei in sei mesi un nobile con un popolare (Boll.,
VI, 453).

Questi esempi ci mostrano come il Comune cercasse di abbattere
ad una ad una la posizione privilegiata dei nobili, per far posto ai
nuovi elementi desiderosi d’entrar nella vita pubblica. Tuttavia i no-
bili, e per la loro educazione, e per l'indipendenza economica che il pa-
trimonio avito permetteva loro, rimanevano sempre più adatti a ge-
stire le cariche civili e militari che non i popolari, occupati nelle loro
aziende industriali ed artigiane; e non è quindi punto da meravigliarsi,
né da trarne le conseguenze di una preponderanza politica dei nobili,
se noi li troviamo occupare, anche con frequenza, posti importanti
nel comune. Così abbiamo, ad esempio, nel 1320 Cucco di Gualfre-
duccio Baglioni, podestà di Nocera (A. S. I., p. 88); Venciolo di Ven-
ciolo d’Uguccionello podestà di Assisi nel 1322, e di Spoleto nel 1324

(ivi, p. 62). E comandi militari troviamo affidati a Oddo degli Oddi

nel 1315 (p. 62) e nel 1327 (p. 64), a Venciolo di Venciolo d'Uguccio-
nello (p. 63) nel 1326, a Becello di messer Gualfreduccio de' Baglioni
nel 1328 (p. 98), ecc.

A sbarrare l'accesso degli uffici ai nobili potevano servire indiret-
tamente le leggi contro i ghibellini. Il 1311 (29 agosto) si stabilisce
che « nullus possit ad presens esse priorum artium qui non sit ex vera
párte Guelfa » (Ann. 111 r.). Cosi nel 1315 narra il Pellini, che si esclu-
sero dal Priorato i Ghibellini e quelli tenuti per ghibellini (p. 415);
e ancora nel 1325 (19 settembre) i Priori stabilivano che a loro suc-
cessori durante la guerra con Città di Castello fossero scelti solo « veri
puri et noti guelfi et de vera parte guelfa et non gebelini nec de par-
te gebellina ullo modo », sancendo pene gravissime contro chi osasse







LA POLITICA INTERNA DI PERUGIA 71

proporre o fare diversamente (Boll. VI, 461). Infine nel dicembre
1326, sempre a proposito della guerra con Città di Castello, si stabili
che durante la guerra nessun ghibellino o figlio di ghibellino potes-
se esser priore o camerlengo di alcuna arte, e che per provare quel-
la sua qualità bastassero sei testimoni per fama (Boll. XI, 579: da
una cronaca perugina inedita). Si noti questo mezzo di prova, soggetto
particolarmente ad errore e mendacio, ma che del resto rientrava
nei procedimenti del tempo. È vero che si trattava di guerra contro i
ghibellini — e così nel 1315 la disposizione fu presa dopo la battaglia
di Montecatini, e nel 1311 si era pure in guerra coi Ghibellini — e non
ci sarebbe quindi ragione di affermare che si mirasse a colpire speci-
ficamente i nobili; ma d’altra parte, essendo il governo popolare guel-
fo, era naturale che i nobili inclinassero a ghibellinismo. Il Pellini ci
racconta (p. 395) che nel 1312 Rigone di Golino Marchese (non si sa di
dove, aggiunge il Pellini; forse, dico io, sarà stato dei nobili di Castiglio-
ne Ugolino), Andrucciolo di Pellolo d’Andrea, Giacomo e Galasso fra-
telli di detto Rigone, fuorusciti, essendo stati coll’esercito imperiale
ai danni del contado perugino, furono condannati, e si promise una
somma di denari a chi li avesse dati nelle mani del comune, ecc. Fat-
to a cui risponde bene una rubrica (1. III, 6) dello Statuto del 1342
contro chi accompagna l’imperatore. Ho riferito sopra (p. 63) come
nel 1351 si guastassero a Perugia i sacchi dell’ufficio perché si temeva
vi fossero dei nobili. Ora il Villani, narrando lo stesso fatto, dice che
si fece questo per escludere i ghibellini. Si vede, dunque, come ghibel-
lini e nobili si scambiassero insieme e si accomunassero nell’opinione
di quei tempi e di quei luoghi.

6. — LA CASTA GOVERNANTE

Chi erano coloro i quali usurpavano, secondo l’opinione dei no-
bili perugini, il posto ad essi dovuto ? Il poemetto ce ne dà due carat-
teristiche: l’origine forestiera, la nascita bassa e oscura.

Non abbiamo nessun catasto perugino di questi tempi, e quindi
nessun mezzo diretto di constatare quanto elemento forestiero ci
fosse nella cittadinanza perugina. Ma che ce ne dovesse essere, si può
indurre per vari argomenti. Innanzi tutto, una città industriale, in
cui la mercanzia aveva parte preponderante, doveva attirare dai luo-
ghi vicini le braccia atte al lavoro e i capitali desiderosi d’impiego.
Di ciò non saprei citare nessun documento in questo periodo; ma pos-
so portarne uno alquanto posteriore, che per analogia avrà forza an-





i ——— P

72 3 LUIGI SALVATORELLI

che rispetto al nostro tempo. Nel 1381 (8 novembre), in un consiglio
di priori e di camerlenghi, si stabilì, per il bisogno di danaro che il
Comune aveva, di tassare i forestieri facendoli in ricompensa citta-
dini, e ammettendoli a tutti i benefici dei cittadini originari. Ora in
questa deliberazione si dice che molti forestieri abitavano la città,
i borghi e i sobborghi di Perugia, i quali colle diverse arti, mercanzie
e traffici guadagnavano quotidianamente come cittadini perugini.
Di qui dunque vediamo come per l’industria e commercio molti fo
restieri affluissero in Perugia; e con quale facilità, in certi momenti,
essi riuscissero ad esser fatti cittadini, e quindi a godere degli onori
e delle cariche della repubblica. Ma tal sorta di gente veniva anche
dal contado. E infatti in quello stesso anno 1381 (10 novembre) in
un consiglio di priori e camerlenghi, si stabiliva — considerando che
molti comitatensi perugini avevano abitato per molto tempo ed abi-
tavano in città, essendo artefici di qualche arte e collegio, « seu acti
ad civilitatem », e che il comune aveva bisogno di danaro — di sotto-
porre tali comitatensi ad imposta, e di farli, dietro pagamento di essa,
veri e originari cittadini (Ann. 196 v.). Di ammissione di forestieri
alla cittadinanza parla il Pellini sotto il 1301, dicendo che nel mese
di gennaio fu fatta una legge a favore di quelli che, pur non essendo
nati nella città di Perugia, vi avessero abitato trent'anni «e che vi
havessero fatto quelle fattioni reali, et personali, che vi havessero
fatte i propri perugini », per la quale, «ancorché vi fosse lo Statuto in
contrario », si riconoscevano per cittadini (I, 327). E di infiltrazioni
contadinesche abusive perfino nelle borse dei Priori ci parla lo stesso
autore nell’anno 1317 (p. 424). Un esempio notevole di concessione

di cittadinanza sarà quella fatta nel 1365 ad Anichino tedesco, Albu-

retto e Andrea, stipendiari forestieri, a cui fu data anche una casa
per uno in Perugia e l’entrata necessaria per vivere (Graziani, 202;
Pellini, 1012). Concessione, per quanto riguarda Alburetto, molto in-
felice, se si pensi che solo un anno dopo gli fu tagliata la testa per
ragione d’intrighi coll’Albornoz (Pellini, 1019). E pochi anni avanti
(1360) il Comune aveva fatto quattro cavalieri di Montepulciano, e
quel ch'é più, conceduto loro a vita la Posta di Valiano nel Chiugi,
« per merito della guerra fatta a Cortona et contra alli Senese »
(Graziani, 190).
Vediamo dunque, accanto ai forestieri commercianti, le citta-
dinanze e i favori concessi per ragione di guerra ad altri forestieri.
Una causa ulteriore di forestierume si dovrà cercare, mi sembra,
nell’ufficio che Perugia si era assunto di tutrice dell'Umbria, specie



a TO










oo SR

x

LA POLITICA INTERNA DI PERUGIA ys

in riguardo agli interessi della parte guelfa; il che naturalmente do-
veva portarla ad accogliere nel suo seno gli sbandati ei profughi delle
città vicine, ch'essa ritenesse a lei favorevoli e degni d'aiuto (Cf. Bo-
nazzi, I, 392-398; Pellini, 496). E parecchie delle città che il poemet-

to nomina come patria della gente che ha invaso Perugia sono appunto

città che con Perugia avevano avuto guerra (Assisi, Spoleto, Todi,
Città di Castello — la città bagnata dal Tevere —, Arezzo). Pensando
a tutto questo, non sarà dunque tutta esagerazione del nostro poeta,
s'egli ci rappresenta la sua città come piena di forestieri e di conta-
dini, come quasi il centro in cui si venivano a incontrare le correnti
di emigrazione dei luoghi circonvicini. E anche l’accenno a quelli
fuori delle Alpi (v. 148), se pensiamo all’ Anichino di cui sopra ho par-
lato, non apparirà vana enfasi retorica. E l’accrescimento della popo-
lazione ci è indicato dall'ampliamento della città. Il 1327, infatti,
essendosi accresciuto il numero delle abitazioni, specialmente nella
parte a settentrione detta la Conca (Porta S. Angelo), fu stabi-
lito di farvi un muro e una porta, riunendola così alla città (Pel-
lini, 489). :

In quanto alla bassezza ed all'oscurità della nascita di quelli
che predominavano in Perugia, ne tratteró piü tardi, passando in
rivista le varie classi sociali della città. Ora dobbiamo considerare
l'attività politica, giuridica ed amministrativa del Comune riguardo
agli interessi dei nobili.

7. — AZIONE DEL COMUNE NEL CAMPO POLITICO ED ECONOMICO RI-
SPETTO ALLA NOBILTÀ

Abbiamo visto quanta limitazione avesse subito, nel sec. xIII,
il dominio dei feudatari sui loro castelli. In questo secolo altri colpi
vengono portati ai loro diritti e interessi. Nel 1301, insieme alla dispo-
zione riguardante i forestieri, ne fu emanata un’altra, colla quale si
permetteva agli abitatori del contado di levarsi da un castello, o villa
e andare in un altro (Pellini, 327). Questa disposizione, enunciata
dal Pellini come la cosa più semplice del mondo, scioglieva i le-
gami che tenevano avvinto il contadino al suolo, e per conseguenza
al padrone del suolo. I feudatari così non potevano contare sopra
un corpo di sudditi certo ed invariabile da maneggiare a loro posta,
e rischiavano di trovarsi qualche volta le terre abbandonate dai con-
tadini. ug Xs
Nel 1315 (6settembre) i Priori e i Sapienti deliberarono, per rimuo-





M EE

o

74 LUIGI SALVATORELLI



vere ogni sospetto, che i Priori elegessero due buoni e sufficienti uo-
mini per porta (capitani delle porte sopra la custodia della città), che
dovessero occupare per il Comune di Perugia « omnes et singulas for-
tilitias turres palatia et domos de quibus aliqua esset in perusio »
e porvi custodi « de populo perusino » e « de vera parte Guelfa ». Seb-
bene fra i capitani eletti non manchi l'elemento nobiliare (c'é un si-
gnor Ermanno del signor Raniero, e, più esplicito, un signor Berardo
« de Corgna » — Ann. 24 v.), è evidente quanto la disposizione dovesse
riuscire ostica ai magnati, cui certo appartenevano le fortezze, le
torri ed i palazzi di cui si parla. E anche qui la nota popolare e la
guelfa ci si mostrano intonate insieme.

Di sottomissioni di nobili ormai non è più il caso di cercarne,
almeno di nobili perugini o vicini a Perugia; tutti erano « sottomessi ».
Troviamo invece casi di acquisti per parte del Comune, il quale na-
turalmente doveva avere interesse a far passare i possessi dei nobili
sotto il suo diretto ed esclusivo dominio. Nel 1309 fu ordinato che i
priori eleggessero dieci uomini per far dichiarare quale fosse in Mon-
talera la parte della città, e quale quella dei figli di Gucciarello e de-
gli altri cittadini, affinché quest’ultima si acquistasse per il prezzo
stabilito dagli eletti; e così venne fatto nel 1312 (Pellini, 354). Si noti
come la parte possedutavi dai nobili Gucciarelli dovesse esser deter-
minata da popolari, insieme col prezzo; e si vedrà quanto quei si-
gnori dovessero essere soddisfatti di quella vendita forzata. Nel
1326 il comune di Perugia pensò di acquistare il castello di Monte
Gualandro, posseduto ora dai nobili di Montemelino. Il Comune,
prima di comprarlo, pensò se non fosse il caso di ritornar sopra a
fatti che a proposito del detto castello si erano svolti a metà del se-
colo antecedente (1), e facendo valere i diritti della repubblica per la
confisca del 1252, prenderselo « gratis et amore Dei ». Furono dunque
consultati cinque dottori, fra cui Cino da Pistoia; ma il responso fu
contrario, avendo essi dichiarato che i Montemelini possedevano
Montegualandro legittimamente, e quindi potevano venderlo. Se poi
venisse comperato, non si sa (Giorn. d’erud. artist. V, p. 125; Boll.
IV, 157; Pellini, 487); solo possiamo dire che nel 1381 troviamo an-
cora nominato come suo possessore un Montemelini (Pellini, 1259).
Ma poiché anche in questa occasione noi vediamo il Comune volersi
tenere Montegualandro a dispetto della vendita fattane dal padro-
ne, ci sarebbe da sospettare che, nonostante il contrario parere dei

(1) V. Bonazzi, I, p. 292 ss.













LA POLITICA INTERNA DI PERUGIA 75



dottori, i magistrati perugini avessero tentato di metterci le mani
sopra; il che illustrerebbe assai bene l'accenno del poemetto ai Mon-
temelini (v. 167). |
Ad accrescere i guai dei magnati concorreva la loro non buona
situazione economica. La ricchezza magnatizia consisteva princi-
palmente nella proprietà fondiaria: case in città, terre nel contado.
Ora, i tempi erano singolarmente sfavorevoli alla proprietà fondiaria,
il cui reddito era scarso di fronte a quello dei beni mobili (Cfr. Salve-
mini, Magnati e Popolari in Firenze dal 1280 al 1295, p. 58). I campi
erano disertati per le guerricciuole continue che, piü assai che in ucci-
sioni di uomini e in vere battaglie, si esplicavano in saccheggi e depre-
dazioni. Basta leggere, riguardo a Perugia, il Graziani per convincer-
sene; e una testimonianza isolata, ma eloquente, ce ne offrono gli An-
nali Decemvirali del 1326. In essi sotto il 21 luglio è riferito come i
Marchesi e gli abitanti del Monte S. Maria avessero esposto che «a
tribus annis », per la guerra con Città di Castello, « nihil perceperunt
de fructibus possessionum eorum, set homines capti cremati occisi
mutilati et disrobati sint per hostes intrinsecos Castellanos et alios
eorum complices et fautores et eorum palatia et domus multe quas
habebant in districtu dicti castri combusta et diruta sunt ab emu-
lis supradictis », ed oltre a ciò, non potendo uscire, erano venuti ad
estrema penuria; così che, minacciando gli abitanti e i soldati di ab-
bandonare il posto, i Priori deliberarono un sussidio agli abitanti di
340 libre di denari al mese, e 5 mensili ad ognuno dei 110 soldati
(Boll. VI, 495). Il triste quadro ci mostra un’altra causa di rovina
per la proprietà terriera, cui venivano a mancare le braccia, e per le
stragi, e per lo spavento che spingeva i superstiti a fuggire. E non
solo lo spavento, ma anche la fame. Nel 1372 il Cardinale di Gerusa-
lemme, che reggeva Perugia per il papa, sapendo, che molti poveri
del contado, che avevano avuto granaglie in prestito dai cittadini,
erano costretti a pagarlo per il prezzo più alto cui era salito in quel
tempo, ordinava che il grano avuto in prestito avanti e durante la
guerra non si pagasse più di un dato prezzo (Pellini, 1121). Quello
che succedeva allora sarà successo anche prima. Si veda anche la no-
tizia dataci dal Pellini all'anno 1395, che per le guerre civili e per la
carestia dell’anno precedente molti avevano emigrato, e perché non
patissero le terre, rimanendo senza coltura, fu stabilito per i contadini
che tornassero ai luoghi loro l'annullamento dei debiti verso la città,
e l'esenzione per altri tre anni, e così pei forestieri, che venissero a
lavorare le terre (II, 68). Le terre dunque rimanevano abbando-

P 4
——————-;

Pi " x
suus RM HAMA —
RÀ x: M
È





76 ; : '" — LUIGI SALVATORELLI



nate: i contadini venivano uccisi o fuggivano, ridotti alla miseria.
Se si aggiunge a ció che l'agricoltore non era piü fissato al suolo,
e le chiamate per la guerra che strappavano.il lavoratore dal suo
terreno, si vedrà come la proprietà terriera non potesse trovarsi
in buone condizioni; e non é da meravigliare che i magnati con-
siderassero il governo popolare responsabile delle guerre, dei sac-
cheggi, dell'allontanamento dei contadini, di tutti, insomma, i loro
malanni. :

Tanto piü che esso governo interveniva nei rapporti fra produt-
tore e consumatore. Chi vuol vedere come la politica annonaria fosse
un terreno di conflitti fra magnati e popolani, non ha che a leggere
quel che ne dice il Salvemini (op. cit., p. 48). Le frequenti carestie
erano combattute con i calmieri: cosi nel 1340 il prezzo del grano si
voleva mantenuto a L. 12 la corba, mentre ne avrebbe valso 30, e
segretamente si vendette piü di 36 (Pellini, 545; Graziani, 120-21).
Il Comune ne faceva talvolta anche incetta: cosi nel 1346, essendovi
carestia, si compró il grano che cittadini e contadini avevano di piü,
per poterlo vendere ai poveri a basso prezzo (Pellini, 571-72; Graziani,
143). Oltre a ció si favoriva l'importazione. Cosi il 25 settembre
1311 si parla negli Annali di un inviato del Comune al re Roberto
di Napoli per procacciare grano a Perugia (c. 133 v.). E nello stesso
anno, ai quattro di maggio, i Priori stabilivano, « ad hoc ut habun-
dantia in Civitate perusii de universa blada sit », che tutti quelli che
ne avessero portata di fuori del contado di Perugia alla città avessero
per ogni corba di grano dal comune 10 soldi, per ogni corba d'órzo
5, per ogni corba di spelta 3. Stabilivano anche, sempre per l'abbon-
danza, «quod nulla persona audeat vel presumat granum vel Bla-
dam aliquam vel aliam grasciam extrahere nec extrahi facere extra
comitatum perusii », e che ognuno possa arrestare i contravventori
(c. 77 r.). In quello stesso giorno i Priori dicevano di essere « multis
et diversis negotiis occupati et maxime circa bladam emendam et
acquirendam » (ivi). Importazione favorita, esportazione vietata,
prezzo regolato dal comune; ecco la formula che compendiava la po-
litica annonaria del governo. Politica che andava contro agli interessi
dei nobili, giacché per il giuoco della concorrenza, e per l’imposi-
zione esteriore, tendeva a diminuire i loro guadagni nella vendita
dei prodotti delle loro terre. È ben vero che questa politica, più an-
cora che da una esplicita volontà dei governanti, derivava dalla ne-
cessità delle circostanze; tanto che nel 1385, in tempo di preponderanza
dei nobili, si assegnava una provvigione a chiunque conducesse nel-

A











LA POLITICA INTERNA DI PERUGIA 74

la città grano da fuori (Pell., 1335). E nel 1391, in piena signoria
dei nobili, noi vediamo deliberarsi: « Item ut pro nutrimento et abun-
dantia populi perusini granum seu bladum extra territorium non fe-
ratur et cesset occasio deferendi» (XII Statuta G., 47 r.), analogamente
ad altre deliberazioni del 1379 e del 1387 (23 — Statuta Annone,
N, c. 4 r., 11 v.). Ma quando ordinamenti di questo genere erano
sanciti dai popolari al governo non è ardito il supporre che i ma-
gnati li sopportassero più di mala voglia. Del resto conviene anche
notare che nella gabella del 1391 abbiamo contemplata l’uscita
dal contado, colla debita licenza, tanto del grano forestiero, quan-
to di quello del contado (sottoposti ambedue ad una tassa), men-
tre nulla di tutto ciò è nella gabella del 1379, fatta in regime po-
polare.

Un altro punto, nel confronto delle due gabelle, ci mostra come
la lotta fra i partiti si potesse fare, oltre che a colpi di spada, anche
a colpi di tariffe. Abbiamo cioè nella gabella del '91 — in tempo di
signoria dei nobili - un rialzo di molti oggetti attinenti alle Arti
ed alla mercanzia, rialzo che va da un minimo di due soldi per soma
(corna di bufalo, o bove; ginestrello per tinta; piombo) a un massimo
di 50 (azzurro fino). L'aumento rispetto al prezzo vecchio va da 1/7
(Bambagio bianco sodo, Budella secche, ecc.) al quadruplo (« Aineline
francessche crude »). La preponderanza però è assolutamente dei rap-
porti inferiori all'unità (« Vendita della Gabella delle some grosse
e del Pedaggio » in Fabretti, Documenti di Storia perugina, Torino,
1892, Vol. II, p. 1 sgg.).

E anche le imposte, sebbene a tutti comuni, dovevano sembrare
un duro peso alle delicate spalle dei nostri magnati. Frequenti sono
nel nostro poemetto — e lo vedemmo — gli accenni all’avarizia e cupi-
digia dei reggltori. Essi sono lupi rapaci, che succhiano il sangue di
Perugia a goccia a goccia (v. 65), e fanno a brani i suoi averi (v. 182).
E le imposizioni infatti erano frequenti; basta scorrere il Pellini, che
diligentemente ne prende nota, per accertarsene. Le imposte, s’in-
- tende bene, si riscotevano per libra; e lo stabilimento dell’imponibile
poteva dar luogo a contrasti, a favoritismi, a soperchierie. I nobili
avranno sempre trovato che le loro sostanze erano stimate al diso-
pra del giusto, e quelle dei popolari al disotto. All'anno 1313 il Pellini
ci dice che, imponendosi spesso gravezze, molti.si dolevano «che il
modo non fosse giusto per la descrittione dei beni, e delle libre non
convenevolmente descritte ne' libri publici » (p. 404). Il 1315 (5 no-
vembre), in un'adunanza di camerlenghi, si discute sulla revisione









= = =





78 LUIGI SALVATORELLI

della libra, ed uno di questi consiglia di aggiustarla in modo che tut-
te le porte siano uguali (Annali, 48 v.).

Sarebbe interessante il sapere con quale criterio s'imponessero
le gravezze rispetto alla libra, se cioé l'imposta fosse proporzionale
o progressiva. Il 1331 (27 maggio) abbiamo notizia di una collet-
ta pel contado di Porta Sole, in ragione di 118 libre e 3 soldi per mi-
gliaio, 11 libre, 16 soldi e 3 den. per centinaio, e una libra, 3 soldi, 4
denari e 14 per decina, e 2 soldi, 4 denari e 15 per libra (« Giorn. d’erut.
art». IV n. 107). Qui, come si vede, l'imposta è proporzionale. Ma
nella gabella del macinato del 1382 abbiamo la progressività. Infatti
chiunque è allibrato da 25 libre in più paga per ogni centinaio di
peso di grano che manderà a macinare diciotto denari; da 25 a 50
libre, due soldi; da 50 a 100, 2 soldi, 6 denari; da cento a duecento,
tre soldi; da duecento a trecento, 3 soldi e 6 denari; da trecento a quat-
trocento, quattro soldi. Cresce quindi un soldo per centinaio di libre
fino a 1900 (20 soldi), dopo la qual somma resta stabile. Questa ta-
riffa graduale non si applicava a tutti. Così ogni « panecuocolo o pa-
necuocola » e gli albergatori, e chiunque altro fa e fa fare pane ven-
dereccio, siano o no allibrati — come ogni altra persona non alli-
brata di qualunque condizione — pagano per ogni centinaio di peso
di grano quattro soldi in città e in contado 5 soldi. Contadini, lavora-
tori e forestieri, allibrati nel contado o no, pagano da 25 libre in giù
per ogni bocca 25 soldi all’anno; da 25 a 50 libre, 30 soldi: da 50 a 100,
35; da cento in su, quaranta. È detto poi che essendo in Perugia mol-
ti ricchi, « ei quali onno poca fameglia a governare, ei quali pagarono
poco per la dicta gabella, e non seria convenevile ch’ei predette riche
paghino tanto o meno quanto pagharono gli huomene povare avente
la gran fameglia », per togliere ogni inconveniente, e per impedire che
i più ricchi non facciano macinare ai meno ricchi, si impone uno speciale
pagamento in due rate semestrali, tale che alla fine dell’anno ciascuno
abbia pagato almeno come se pagasse un fiorino per centinaio, e venti
soldi per fuoco, aggiungendo ad esso pagamento la gabella innnanzi
esposta. Si eccettuano da questa disposizione coloro che hanno da 50
libre in giù: essi paghino 10 soldi per focolare. Per i contadini, infine,
chi è allibrato da 25 libre in giù, o non allibrato, o forestiero non alli-
brato abitante nel contado, paghi per ogni mina di grano due soldi; da
25 a 50 libre, tre soldi; da 50 a 100, quattro; da 100 in su, 5 soldi (« Ven-
dita della Gabella del Macinato » in Fabretti, Documenti, II, p. 233).
Non solo dunque l'imposta é progressiva, ma si vuole anche che le
persone agiate, qualunque sia la quantità di grano che macinino, pa-







LA POLITICA INTERNA DI PERUGIA 79



ghino non meno di una certa somma annuale in base alla loro libra (il
fiorino per centinaio deve certo intendersi per centinaio di libra), co-
costringendole ad un pagamento progressivo che, unito a quello che
in base alla gabella dovrebbero pagare, raggiunga la quantità stabi-
lita. Si noti poi come alla tariffa progressiva si sottraessero quelle
arti che esercitavano la vendita del pane, sottoponendole ad una
gabella fissa rispondente ad una ricchezza da 300 a 400 libre. Si sarà
voluto con questa disposizione favorire le arti medesime.

Una imposta speciale, per uso guerresco, era quella della cavallata.
Ne troviamo menzione, ad esempio, nel 1310 (Annali, c. 266; Pellini,
365), nel quale anno vediamo menzionati almeno duemila cavalli; nel
1321, in cui si parla di cinquecento (Pellini, 444) e piü; nel 1327, in
cui ne vediamo duecentocinquanta (Graziani, 95). Anche sulla modalità
di questa imposta possiamo spigolare qualche notizia non priva d'in-
teresse. Nel 1311 (22 settembre) in un consiglio di camerlenghi, si
esponeva che i priori delle arti, o altri « auctoritatem habentes » ve-
nivano accusati di avere esentato dalle cavallate alcuni, capaci di sop-
portare questa gravezza ed iscritti «in libro impositorum equorum
Cavallate Civitatis perusii »; si proponeva di cassare ogni esenzione.
Proposta intorno alla quale l'adunanza generale degli artefici dette
piena balia ai Priori ed ai sapienti di popolo da loro chiamati (c. 28 v.
e sg.). Nel 1321 si dice che i duecento cavalli di cavallata furono
imposti ai piü ricchi, e si stabili d'imporre altri a coloro che avessero
per 300 libre dilibra, e non a quelli di minor facoltà (Pellini, 444).
Anche qui dunque si mirava a colpire i piü ricchi.

Se si considera adunque la frequenza delle imposte, il criterio de-
mocratico nell'applicarle, ed il fatto che la quota dei magnati era sta-
bilita da un'amministrazione popolare, si troveranno assai naturali —
dico naturali, non giusti — i lamenti dei magnati stessi.

Giunti a questo punto, dobbiamo lamentar più che mai la man-
canza di un catasto perugino di questi tempi, il quale ci permetterebbe
di vedere se il complesso delle condizioni economiche in cui i nobili si
trovavano portó a uno spostamento nella distribuzione della proprietà:
a un passaggio, cioé, di essa dalle mani loro in quelle dei borghesi, e a
un frazionamento della proprietà stessa. Se noi ci rivolgiamo ad una
città vicina, Orvieto, apprendiamo che nell'anno 1292 possedevano
proprietà fondiarie 17 calzolai, 15 legnaiuoli, 13 pietraiuoli, 11 fabbri.
Tra i possidenti da 1000 a 2 mila lire cortonesi (la lira cortonese è cal-
colata equivalente a circa 26 lire-oro di oggi) c'è un calzolaio; tra i
possidenti da 500 a 1000, tre sarti, due fornai, due vasellari, un bar-







80 LUIGI SALVATORELLI

biere, un muratore. La proprietà era frazionata: 1.010 persone posse-
devano da lire-oro 2.600 circa a circa 13.000; trecentosessantotto da
13.000 a 26.000; ducentoquarantatre da 26.000 a 52.000 Sopra que-
sta cifra, duecentocinque (G. Pardi, in Boll. II. p. 246-47). Se anche
a Perugia le cose stavano in questi termini, la potenza economica dei
magnati era davvero in decadenza; e noi possiamo ben comprendere
i lamenti del nostro poemetto quando ci dice, che i migliori sono i piü
mendichi (v. 178), e le magnifiche e gentili stirpi si riducono in po-
vertà (vv. 539-41).

Potevano almeno i nobili restar soddisfatti e trovare il loro inte-
resse nel. modo con cui si amministravano i denari del comune, e nel-
l'impiego che se ne faceva ? E facile rispondere, che no. Specialmente
nella politica estera del Comune ben poco gusto essi potevano trovare.
Un obbiettivo principale di questa era di tenersi aperte le vie
del commercio necessarie alle arti grosse; il che ci spiega le ostilità
con Arezzo, sulla via di Firenze; con Todi, Foligno, Spoleto, su quelle
per Roma. Arezzo poi interessava anche per il possesso del Lago e del
Chiugi, parti importantissime delle entrate pubbliche. Queste guerre
dunque miravano ad assicurare i possessi della repubblica, e a tute-
lare gl'interessi delle Arti; in altre parole, ridondavano a vantaggio
di quei popolari, dai magnati abborriti e che li abbominavano. Oltre
a ció la repubblica, estendendo i suoi confini e allargando la sfera
della sua influenza, veniva a favorire l'entrata di quell'elemento fo-
restiero, che era ai nostri nobili un'altra cagione di sdegno e di dispetto.

La difesa di parte guelfa era un'altra linea direttiva della politica
estera perugina, la quale avrebbe potuto piacere a quelli dei nobili
che erano guelfi; ma dietro il guelfismo perugino c'era la necessità
di mantenere buoni rapporti col papa e coi Romani da una parte, con
Firenze dall'altra; nel che.rientravano quelle ragioni economiche cui
ho sopra accennato, sebbene esse non fossero le sole. Un tale guelfismo
doveva riuscire ai nobili poco interessante. Tanto meno, poi, doveva-
no loro piacere spedizioni come quella del 1327, a Castel della Pie-
ve, fatta per cooperare alla vittoria della parte di sotto (popolare) in
lotta con quella di sopra (grandi), controbilanciando i nobili venuti
in aiuto di quest'ultima (Graziani, 94; cfr. 127). Né potevano loro tor-
nar gradite disposizioni del Comune di Perugia come quelle del 1351
per Bettona, in cui si stabiliva « quod in perpetuum dicta terra Bic-
tonii regatur ad populum et ad regimen populare et sub titulo et no-
mine partis ghelfe » (anche qui, democrazia e guelfismo associati):
«item omnes homines de Bictonio populares in omnibus et per











LA POLITICA INTERNA DI PERUGIA 81



omnia tractentur deinceps et habeàntur pro civibus et ut cives pe-
rusini » (A. S. L, 161, n. 1) - si noti: solo i popolari —; o per Mon-
tepulciano, nella cui sottomissione a Perugia é detto che il Podestà
doveva « dictam terram manutenere, regere et custodire in populari
et comuni statu sine maioritate alicuius persone » (ivi, 181, n. 1).
Non poteva, dico, esser di loro soddisfazione la potenza di Perugia
all'esterno, se conduceva a questi risultati disastrosi per la loro
classe.

A questa indifferenza, o magari avversione, che i nobili provavano
per la politica del comune va certo attribuita in gran parte — così a
Perugia, come altrove — la decadenza della milizia comunale. Nerbo
di essa erano appunto i nobili, che militavano a cavallo, e potevano
agli esercizi delle armi dedicare quel tempo che ai mercanti e agli ar-
tigiani era giuocoforza impiegare altrimenti. I magnati non potevano
nutrire una gran voglia di militare a pro di un governo a loro ostile,
dalle cui vittorie nessun vantaggio veniva a loro, e che perseguitava
l’istituzione della cavalleria. Così a poco a poco le milizie mercenarie
sottentrarono alle cittadine, e si spezzò ancora uno dei vincoli che po-
tevano tenere la nobiltà stretta al comune.

I magnati, legalmente privi nel comune dell’influenza e dei van-
taggi cui pretendevano, erano tratti a rifarsi per le vie illegali. Essi
contavano sulla forza materiale delle loro armi, dei loro cavalli, dei
loro sgherri, sulla difesa delle loro torri e delle loro fortezze, per riu-
scire, se non era dato loro di potere nel Comune, a prepotere. Ma il
Comune alla forza oppose la forza, e quindi vediamo tutta una serie
di disposizioni dirette a tutelare lo stato popolare ed i cittadini di
esso dalle violenze dei grandi.

$. — LA LEGISLAZIONE ANTIMAGNATIZIA.

Il 19 lugiio 1312 (Annali Decemvirali, c. 143 v.), nel palazzo del
comune, i priori e i camerari di tutte le arti giurarono sui vangeli di
conservare il buono, pacifico e tranquillo stato di Perugia, e di seguire
il vessillo del conte Filippo di Coccorano, vessillifero delle Arti del
Comune e del Popolo di Perugia, e di non accedere a nessuno, ma-
gnate o popolare, salvo a lui, e di obbedirlo, seguendo in tutto l’or-
dinamento fatto intorno a lui. Giurarono anche di essere di parte
guelfa, e di mantenere in piena libertà il Comune ed il Popolo di Pe-
rugia «contra omnem dominum et personam toto eorum posse »,

Si era allora in guerra con Todi e con Spoleto, ed il Comune do-





82 e LUIGI SALVATORELLI



veva vigilare più che mai perché alle preoccupazioni esterne non si
aggiungessero i disordini interni. Si noti che nel giuramento si dice
di non seguire nessun magnate o popolano, e di mantenere la liber-
tà di Perugia contro ogni signore. Si temeva dunque di qualche pe-
ricolo per la libertà. Nel 1315, per le stesse ragioni si prese quel
provvedimento intorno alla custodia delle fortezze, ecc. di cui ho par-
lato sopra (p. 74). Il 1317 (8 luglio), in un’adunanza generale dei ca-
merlenghi e rettori delle arti, si propone che, sorgendo qualche ru-
more, ogni persona, tanto del popolo, quanto dei giudici e notari,
vada subito dai priori e dal capitano del popolo, e non ad altra per-
sona, affin di aiutarli. Chi va da altri, sia punito nel capo, i suoi beni
siano confiscati, e i suoi figli e discendenti fino al terzo grado (!) siano
esclusi da ogni ufficio e beneficio del Comune. Nessun marchese, con-
te, cattano, ecc., in tempo di tumulto, venga, armato o disarmato, a
piedi o a cavallo, in piazza; e se vi fosse al principio del tumulto,
se ne torni subito a casa, e non ne esca sino alla fine del tumulto, se
non vuole esser condannato come traditore del Comune e del popolo
di Perugia, e perder la testa, e aver tutti i suoi beni confiscati. Si rin-
novino poi e si confermino certi ordinamenti delle arti contro le cospi-
razioni, e contro il prender le armi, ecc. Infine, in favore del popolo
si eleggevano dai Priori cinquecento «de populo », fedeli e amatori
del popolo perugino. Oddo Niccoli, console dei mercanti, in quanto
alla proposta relativa ai rumori, ecc., consiglia di approvarla come è,
e così si fa. In quanto ai 500 non ne parla, e non sappiamo che cosa se
ne facesse, ma forse venne compresa nell’approvazione della proposta
precedente, sebbene sia introdotta coll’Item rituale, ed appaia per-
ciò cosa distinta (Annali, c. 163 v.). i

Gravissimi, come si vede, sono questi provvedimenti, e mirano
a colpire i magnati tanto da interdir loro, sotto pena capitale, quello
che agli altri era comandato. È facile poi trovare il modello di que-
sti provvedimenti nella repubblica fiorentina, e più particolarmente
negli Ordinamenti di giustizia. Se c’è una differenza, è nel carattere
ancor più spiccatamente antimagnatizio dei provvedimenti perugini.
Infatti in quelli di Firenze la proibizione di uscire è per tutti; a Pe-
rugia, per i soli magnati.

Il Comune vigilava anche intorno al porto d’armi. Così nel 1310
(25 novembre) i Priori proibirono di portare armi offensive o difen-
sive, nonostante qualsiasi licenza concessa in altri tempi, salvo col
permesso del capitano e coi debiti fideiussori, e salvo qualche altro
caso (c. 21 r.). Nel 1312, invece, se ne dette licenza a mille cittadini,







LA POLITICA INTERNA DI PERUGIA — 83

purché non ghibellini (Pellini, 391). Nel 1322 si revocarono le con-
cessioni fatte su tal punto dai priori antecedenti, in occasione della
guerra « ancorché fosse piü in colmo, che per l'adietro » (Pellini, 455).
- Infine, nel 1326 (6 maggio) i Priori, per la custodia della città, danno
licenza ai camerlenghi di portare qualunque arma offensiva, di giorno
e di notte, per dieci giorni (Annali c. 111 v.). Il che vorrà dire che
per gli altri c'era divieto. S’intende bene come queste restrizioni
intorno al porto d’armi dovessero riuscire ingrate ai nobili cui le
. armi stesse erano naturali compagne, e segno della loro nobiltà.
. Vediamo poi come il comune punisse risolutamente quelli che cau-
savano tumulti, o vi prendevano parte, nel caso del rumore sorto fra
il Degli Oddi e il Vincioli (1330: A. S. I, 65 e 104; Pellini, 511), o del
tumulto di Bettona (1343: Graziani, 127-28; Pellini, 555); nei quali
casi si procedette anche contro popolari. Un altro provvedimento di
pubblica sicurezza assai notevole fu quello per cui, nel 1327, si mi-
sero le catene alle porte dei borghi della città, e l'anno seguente ai
capi delle vie degli stessi borghi, in piü luoghi della piazza mag-
giore, e a tutti i capi delle vie che vi conducevano (Brevi Annali,
64; Pellini, 494). I cavalli dei nobili avevano cosi un buon ostacolo
alle loro scorrerie.

Altri provvedimenti mirarono a tutelare i magistrati dalle prepo-
tenze dei nobili. Il 15 marzo 1316, in un’adunanza dei camerlenghi,
si proponeva che — essendo l'ufficio dei priori conservazione e mante-
nimento del popolo e del Comune, e dovendo quindi esercitarsi in
piena libertà e sicurezza, e poiché i magnati vengono spesso davanti
ai Priori con superbia, minaccie e ingiurie — nessun magnate o di prole
militare (come anche nessun giudice) potesse entrare nella dimora
dei priori, sotto pena di cento libre. Il Podestà e il Capitano pronun-
zino la condanna « summarie de facto », diloro iniziativa, o a richie-
sta di qualunque persona. Salvo che tali magnati o giudici avessero
licenza dagli stessi priori (almeno sette d'accordo), scritta dal loro
notaio o dal notaio delle Riformazioni del Comune; o fossero dei Capi-
tani di parte guelfa. La proposta fu approvata con ventidue voti
contro undici. Nel consiglio dei camerlenghi e rettori uno di questi
propone l'approvazione; un altro — Massolus domini Boncontis —
la sospensiva, e che se ne provveda « maturius » coi sapienti. Ma la
proposta viene invece approvata con 189 voti contro 40 (Annali,
107 r.)

Si vede dunque che questa lotta contro i magnati incontrava
pure i suoi avversari, anche nei consigli delle arti. Forse quel Massolo



84 LUIGI SALVATORELLI



domini Boncontis era figlio di un giudice, e voleva salvare la classe
del padre da un tale provvedimento.

Il 1317 (8 luglio), in Consiglio generale dei camerlenghi e rettori
delle arti, si propone di provvedere alla frequente famigliarità dei
magistrati e di altri perugini col podestà e col capitano, per la quale
rimangono impuniti molti crimini, con danno del Comune e dei popo-
lari della città. Il consiglio risolse che fosse in facoltà dei presenti
priori delle arti e camerlenghi — purché siano presenti almeno venti-
quattro camerlenghi e due parti di essi in concordia — di stabilire co-
me meglio credono (Annal. c. 163 v.).

Il 1326 (3 maggio) i Priori concedono « nobilibus militibus do-
minis paulo de balionibus filippo de corgna tebaldo de Castro novo
et Andrutio Ranaldutij » d’entrare nelle abitazioni dei priori per un
giorno (Annali, c. 111 r.). La concessione, come si vede, é molto mo-
desta. Il 2 novembre, poi, noi vediamo i Priori delle arti comandare
ai preconi del comune di andare «in locis debitis et consuetis platee
dicti comunis et ibidem publicent et alta voce banniant sono tube
premisso», che nessun milite, o di prole militare e nessun giudice
debba entrare nel palazzo loro, sotto le pene contenute negli Statuti
ed ordinamenti del Comune e del popolo di Perugia (Annali c. 219 Fi).
Era dunque uso di far bandire pubblicamente questa proibizione.
Ma ora all'apparato rispose poco l'effetto. Infatti, il giorno dopo
3 novembre, i priori davano licenza a un giudice d’entrare nel loro
palazzo, licenza da durare « secundum formam ordinamentorum co-
munis perusii » (c. 219 v.). E il 4 novembre gli stessi priori danno li-
cenza d’entrata ai cittadini, magnati e giudici scritti dal notaio delle
riformazioni, per quel giorno, secondo deliberazione presa dal con-
siglio dei sapienti (c. 220 r.). Il 6 novembre altra licenza per due
(ivi), ed altre licenze il 10, 11, 15, 16 e 17, ecc. ecc., il 1 dicembre, il
9, il 10 ecc. Le concessioni dunque erano talvolta parecchie.

Sempre per la tutela dei magistrati, in questo stesso anno 1326
(28 agosto), i Priori, considerando che i magnati, quando trovano i
priori e il loro notaio restii ai propri voleri, fanno loro minaccie del
sindacato o altro, stabiliscono che nessun magnate o di prole mili-
tare, né aleuno della loro famiglia possa testificare contro i priori
o il loro notaio in qualunque sindacato o esame cui questi siano sotto-
posti (Annali, 188 r.). Si voleva dunque impedire che il sindacato
divenisse in mano dei magnati strumento di intrighi contro i capi del
governo popolare, e si toglieva cosi loro quello che era diritto comune
dei cittadini.





LA POLITICA INTERNA DI PERUGIA 85

Un'altra disposizione importante a tutela dei popolari è quella
del 1317 (8 luglio), quando, nella già menzionata adunanza generale
dei camerlenghi e rettori delle arti, si espose che i magnati avevano
preso a comprare diritti contro popolari, e a ricevere promesse e con-
fessioni da coloro che avessero avuto qualche offesa, per impedire
che si venisse ad una pacificazioni senza illoro consenso, il che tornava
a disdoro e oppressione del popolo; e si domandarono provvedimenti.
L’adunanza se ne rimise ai priori ed ai camerlenghi, i quali non sap-
piamo che cosa facessero, ma avranno certo proibito che si ripetes-
sero questi inconvenienti (Annali, 163 v.).

Questo complesso di misure legislative intorno ai rapporti fra
i nobili, il Comune e il popolo presupponeva che fosse bene stabilito
a chi spettasse la qualità di nobile. Nei nostri documenti li troviamo
nominati magnates; de prole militari; marchio comes et cataneus
sive miles. Però il termine più usato è quello di magnate. A stabilire
la nobiltà doveva servire da principio — oltre i titoli feudali, quando
c'erano = la cavalleria. Ma coll’andare del tempo, questa non poteva
più bastare: noi vediamo il Comune stesso fare dei cavalieri. Perciò
si dovette pensare a fare un elenco di magnati, e questa sarà stata
l’origine del Libro Rosso compilato nel 1333, fatto « più (come dicono)
per odio, che per altro » (Pellini, 521). Rimaneva di raccogliere e co-
dificare le disposizioni contro di loro. Ed è ciò che si fece collo Sta-
tuto del 1342 (cfr. per i precedenti e la struttura di esso la prefa-
zione del Degli Azzi alla sua edizione).

9. - Lo srATUTO DEL 1342 E LA LEGISLAZIONE CONTRO I MAGNATI.

Lo statuto volgare del 1342 non ci presenta gran che di nuovo
intorno alla organizzazione del Comune. A capo di esso sono ancora
il Podestà e il Capitano, che debbono essere cavalieri, amatori del Co-
mune e del Popolo di Perugia e di tutte le arti, e guelfi (L. I, rubr.
4), e i Priori. Due di questi dovevano esser sempre della Mercanzia.
In quanto alle altre arti, quella che aveva avuto un priore fra gli
uscenti non poteva averlo nei due mesi immediatamente successivi;
nessuna poi ne poteva avere più di uno. Per l’elezione si dovevano
radunare i rettori delle arti, e col consiglio loro i Priori in carica dove-
vano stabilire il modo di elezione dei loro successori. Fra un priorato
e l’altro della stessa persona dovevano correre tre anni. Eleggibile era
solo l’iscritto in qualche arte almeno da 5 anni, e che « continuamente
el dicto tempo aggia operato l’arte ». (I, 23). Se questa condizione





86 i LUIGI SALVATORELLI



dell’effettivo esercizio dell’arte era rigorosamente osservata, i nobili
dovevano trovare difficoltà e ripugnanza ad iscriversi.

In quanto ai Consigli, di qui innanzi si eleggano «a ventura de
brisciogle » (per sorteggio) due consigli «tanto »: uno, il Consiglio del
popolo (in numero di 250, 50 per porta); e l’altro, il Maggiore e ge-
nerale^consiglio (150 per porta). I cavalieri, i loro figliuoli, i figliuoli
dei donzelli, i giudici e notai non possono essere del Consiglio del po-
. polo. Di questo fanno parte i camerlenghi e rettori delle arti, e gli ex-
priori degli ultimi sei mesi; del Maggiore e generale consiglio, i camer-
lenghi e rettori delle arti, i priori e sottopriori e rettori dei giudici e
notai, gli ex-priori delle arti nei sei mesi precedenti al consiglio, e i
consiglieri del popolo. La metà di tutti i consiglieri, si del popolo e
sì del comune, devono essere della città vecchia, e metà dei borghi,
salvo nel rione di Porta S. Susanna, in cui tre parti toccano alla città
e la quarta al borgo. (I, 47). È evidente che tutto il potere è in mano
degli artefici, e i nobili (cavalieri) ne sono in gran parte nominatamente
esclusi. Nei Consigli abbiamo anche un largo posto riservato ai bor-
ghigiani, ch'é quanto dire, fino a un certo punto almeno, ai « venetic-
ce » cosi poco simpatici al nostro autore («tal di contado con borgesi
misti», v. 147).

Abbiamo nello Statuto un séguito dei provvedimenti intorno
alle podesterie. Il podestà di Nocera sia per sei mesi dei grandi e per
sei del popolo (I, 73), e cosi quello di Castel della Pieve (I, 74); nel
Chiugi si mandi un forestiero (I, 82). Per le altre podesterie peró
(rubr. 80, 81, 83) non vi é questa disposizione sull'alternanza di no-
bili e popolari.

A proposito delle podesterie, erano punite quelle castella o vil- :
le che da sé stesse si fossero scelto il proprio rettore; ela pena aumen-
. tava di molto se l'eletto era « alcuno conte, marchese, cavaliere overo
alcun altro nato da schiacta de cavaliere da paterna linea (1. III, 187
e 189).

È notevole quel che si ordina intorno all’« arengo ». Per ottener
questo è necessaria d’ora in poi la licenza e presenza del podestà, del
capitano, dei priori, l'intervento di almeno mille artefici immatrico-
lati nelle arti, e di quelli che possono essere del Consiglio del popolo.
Se si contravverrà a queste norme, siano puniti podestà, capitano e
priori, nell'avere e nella persona; e chi bandisse o sonasse per questo
.arengo, sia punito nel capo e nell’avere. Se il podestà o il capitano fos-
sero in questo procedimento negligenti, sia tolto loro tutto il salario;
si sospendano poi i lavori delle arti fino a punizione dei colpevoli.







LA POLITICA INTERNA DI PERUGIA 87



E chi opporrà eccezione a questo capitolo sia punito nei beni e nella
persona. E detto poi nella stessa rubrica, che nell'adunanza delle arti
si può discutere e deliberare intorno a qualunque oggetto, cogli stessi
poteri dell’arengo, purché vi siano almeno 500 artefici (III, 148).

Le disposizioni intorno all'arengo hanno origine, io credo, dal
timore che tumultuose riunioni di questo riuscissero dannose agli in-
teressi del popolo governante. I nobili avrebbero potuto portare in
esso della gente a loro devota, per far numero e far votare quel che
più a loro sarebbe piaciuto. Di qui le cautele e le condizioni di cui è
circondata la riunione dell'arengo; e i poteri uguali ai suoi dati all'as-
semblea degli artefici, che mira a soppiantare l'assemblea generale.

Riguardo all'incorporazione di nuovi elementi nella cittadinanza,
abbiamo nello Statuto due rubriche. Una di queste (IV. 63) riguar-
da i contadini, e vi si stabilisce che nessuno del contado di Perugia
sia ricevuto per cittadino « per pretesto d'aleuno statuto del popolo
de peroscia overo ordenamento overo reformagione » o anche per
pretesto di dimora o abitazione in città. Ció non ha luogo per quei
contadini che sono riconosciuti avere abitato in Perugia secondo la
forma degli statuti e degli ordinamenti di Perugia. Nessun contadino
che si trovi in questo caso potrà per dieci anni far parte dei Consigli
del comune, del popolo, dei savi, dei rettori, né avere aleun ufficio
o beneficio. E ciò per quelli che ebbero questa sentenza di riconosci-
mento avanti il 1319. Appare da questa rubrica, che .vi dovevano
essere degli abusi intorno all'ammissione dei cittadini, abusi commes-
si prendendo a pretesto le costituzioni del popolo. Ma le concessioni
fatte regolarmente sono rispettate, come si vede. Perché poi quella
disposizione intorno la data della ammissione, e quale ne sia il signi-
ficato, non saprei dire. Forse i riconosciuti dopo quella data non an-
davano soggetti alla norma dei dieci anni ? In tal caso sarebbe stato
un altro vantaggio accordato alla gente nuova.

L'altra rubrica («ke ei non native de la citade overo contado
de peroscia a certe ofitie non siano electe »: I, 92) é per i forestieri.
Gli uffici da cui li esclude la rubrica sono: priore, camerlengo, rettore,
uffici del comune in generale, capitananza di parte guelfa. Tali per-
sone non possono neanche partecipare all'elezione dei priori, camer-
lenghi, o rettori. Ció non si applicava a quelli che avessero abitato in
Perugia per quaranta anni continui. Del Consiglio generale si puó
essere dopo venti anni di abitazione e se si possiedono case, terre, ecc.,
e libra almeno di cento libre. Poiché non si parla dell'ammissione
alle arti, dovremo concluderne che per essa i forestieri non avevano











88 LUIGI SALVATORELLI



ostacoli. Ai trent'anni stabiliti nel 1301 (v. sopra, p. 72) si sono
sostituite due età diverse (40 e 20), con la media di 30, facilitando l'en-
trate dei forestieri nel Consiglio generale.

Gl'interessi economici dei nobili possessori di case vengono lesi
da una rubrica intorno agli affitti, che ha i suoi precedenti nel diritto
di entratura fiorentino (Salvemini, p. 51). Si stabilisce dunque che
nessun mercante o artefice possa prender a pigione un locale occu-
pato già da altri per adoperare mercanzia o arte, fino a che questi
vorrà pagare la pigione al padrone del locale; e ció, sia finito o no
il tempo della locazione. Se c’è discordia sul prezzo, eleggano un ar-
bitro, o uno per ciascuno, e, se non si accordano neanche allora, i prio-
ri dell’arti eleggano il terzo. E alla stima fatta si stia, rinnovandola
di anno in anno. Salvoché il padrone volesse adoperare il locale per
l’arte sua o per la sua abitazione. E se egli vendesse o in qualsiasi
modo alienasse il locale, il pigionante tuttavia rimanga per il tempo
per cui ha pagato (II, 44). Con questa disposizione era tolto il pericolo
che gli artefici, domandando a gara un locale in affitto, ne facessero
salire il prezzo, e si tagliavano i nervi alla speculazione edilizia, con
poca soddisfazione dei proprietari di case.

In quanto alla politica annonaria, è proibita l’esportazione delle
vettovaglie. Qualunque forestiero menasse nella città o distretto di
Perugia delle bestie — salvo certe eccezioni — non possa trarle fuori
del distretto, se non ha di ogni decina di bestie venduta nella città
una, che deve nella città stessa macellarsi e vendersi (III, 171). Ogni
castello o villa del contado « confine overo entorno ale confine per-
manente » presti giuramento d’impedire l’eportazione di vettovaglie
e ne dia cauzione (III, 173). Era vietata l’incetta di vettovaglie III,
172). Anche qui il Comune segue la stessa linea di condotta di cui
abbiamo parlato sopra.

Veniamo ora a parlare delle disposizioni che riguardano diret-
tamente i magnati. Doveva essere ispirato dal desiderio d’impedire
che i grandi si procurassero masnade pericolose per l'ordine pubblico,
il divieto fatto al contadini di andare con armi in servizio di qualche
grande, pena 500 lire di danari, o, in caso d'insolvibilità, l'amputa-
zione di un piede (III, 189). Cosi i grandi non potevano contare sui
propri contadini per appoggiarsi alla forza delle armi. Riguardo all'uso
delle armi, era proibito ai grandi e ai loro famigliari di portare armi
nella piazza o nei palazzi del Comune di Perugia. E se dei popolari
si trovassero portare armi in quei luoghi per la famiglia dei grandi,
dovevano punirsi con pena quadrupla di quella stabilita negli Statuti





LA POLITICA INTERNA DI PERUGIA 89



(III, 146). A tutela di un'importantissima zona di territorio perugino,
si vietava ai nobili di abitare fra il lago e le Chiane, di lavorarci
terreno o tenervi pasture (IV, 129). i

Per assicurare la giustizia e per tutelare il popolo dalle prepo-
tenze dei grandi, si vieta ad essi di entrare nei palazzi pubblici, pena
500 libbre di denari, salvoché siano accusati e citati a rispondere,
o debbano esser sottoposti alla tortura. (È da credere che i grandi, a
queste condizioni, avranno avuto poco desiderio di entrarci). Fatta
la risposta, si difendano per procura. La procura è loro imposta an-
che quando la legislazione comune-non l’ammetterebbe. I priori — a
differenza di quanto era stabilito antecedentemente (v. sopra, p. 83) -
non possono dar licenza ai grandi di entrare nei luoghi sopradetti,
e si provvede anche affinché non si eluda il divieto con finti procedi-
menti. Si eccettua il caso che i grandi andassero al maggiore e gene-
rale consiglio, o fossero richiesti di consiglio dai Priori, almeno sette
in accordo, o in adunanza della parte guelfa, ecc. (III, 143). Si proi-
biva al podestà e al capitano ed ai loro dipendenti di far venire dei
nobili nelle loro residenze (III, 13), come anche era proibito a quei
due magistrati di parlare con alcuno dei grandi dopo il suono della
campana della sera, pena di cento libbre di denari (III, 146). È proi-
bito ricevere malleveria di nobili per qualche maleficio, pena cento
libre di denari a chi riceve la malleveria e a chi le fa. E ai nobili stessi
si vieta di accompagnare alcun malfattore o imputato davanti ai giu-
dici, né mentre dura la causa, sotto la stessa pena (III, 13). Nessun
grande, né alcuno di loro famiglia può innanzi al sindaco dei priori,
e al giudice di giustizia che deve occuparsi della loro elezione, porgere
accusa, fare o far fare testimonianza, pena cento libbre (III, 144).

Questo complesso di disposizioni era diretto a tutelare l’indipen-
denza dei magistrati e l'adempimento della giustizia. Grazie ad essi
i nobili non potevano colla violenza ottenere dai magistrati ciò che
desideravano, né salvare i propri cagnotti dalle pene loro dovute, né
insidiare i priori con false accuse. Ma è evidente che per ottenere
ciò si ricorse a veri e propri provvedimenti eccezionali; e specialmente
l'esclusione dal sindacato era una « diminutio capitis » della loro per-
sonalità di cittadini.

Vediamo ora le disposizioni in materia civile e criminale dirette
a tutelare i popolari di fronte ai grandi. È vietato a questi di farsi
cedere per se o per altri qualche azione personale o reale, a qualun-
que titolo, contro qualche popolare, se non a certe condizioni, pena
la perdita dell’azione pel cedente, e cento libre tanto per il cedente

|
l
|
|
O
|
|
|
|
I
d
I
|
|

“TT

"TT ===





90 LUIGI SALVATORELLI



quanto per il concessionario. Proibito anche ai nobili di comperare o
ricevere a qualunque titolo, per sé o altri, qualche cosa che fosse
oggetto di lite, ed i contraffacenti paghino 200 libre, tanto l'una parte
che l'altra, e nulla sia l'alienazione (TII, 151).

Chiunque dei grandi ucciderà o farà uccidere qualche popo-
lare, sia punito con pena quadrupla che se fosse popolare, e se
non puó pagarla di suo, gli sia tagliata la testa, ed abbia le altre
pene sancite dagli statuti, E se avrà commesso qualche altro malefi-
cio contro i popolari, abbia sempre la pena quadrupla. Per il popolare,
poi, accompagnante il grande all'omicidio o ad altro maleficio, c'é
pure pena quadrupla — e in caso di omicidio, il capo, se non pagherà
di suo; e ove non si potesse prendere, il grande paghi per lui. Per
procedere in queste cose basti la pubblica fama (III, 150).

Con queste disposizioni va connessa l'altra, che chi commette
qualche maleficio a cavallo, sia punito doppiamente (III, 70); legge
che sembrerebbe quasi puerile, ma che serve a mostrare l'acutezza
della lotta.

Ma la gravità di queste leggi contro i magnati è accresciuta dalla
procedura che si adotta. Per stabilire che un individuo appartiene
ai grandi basta la prova della pubblica fama (III, 144). Idem, per
provare che un grande ha fatto commettere per mezzo di altri qualche
maleficio contro alcuno del popolo di Perugia. I testimoni intorno al
capitolo dei malefici dei grandi contro i popolari non si possono « repro-
vare» (III, 150). Infine, poiché gli ufficiali del Comune chiudono un
occhio, e magari tutti due, sui misfatti dei grandi, e gli altri stanno
zitti per timore, si stabilisce uno speciale sistema di denunzie anonime
(III, 146) per mezzo di cedole in cui siano scritti i delitti dei grandi,
i nomi dei testimoni, il mese e il luogo, da porsi nei ceppi dei palazzi
del podestà e del capitano. Costoro, alla presenza di sette priori, del
massaio del comune, dei suoi notai e del notaio dei priori, ogni setti-
mana facciano aprire questi ceppi, e se vi troveranno di queste ce-
dole, si leggano in presenza di tutte le predette persone e di chiunque
altro ci volesse essere, si registrino dai detti notai e se ne dia copia a
chiunque la domanda; e in base a queste denunzie s’inquisisca e si
dia sentenza entro il mese. Le chiavi di questi ceppi sono distribuite
fra i priori, i massari, i capitani, e il podestà, così che uno non possa
aprire senza gli altri. Una vera Bocca del Leone.

Altre disposizioni di carattere antinobiliare sono quelle con cui
si vieta al Comune di far dei cavalieri, e che non si facciano neanche
donativi, né festeggiamenti a nessun cavaliere novello (III, 229);





LA POLITICA INTERNA DI PERUGIA gs



si vieta di cingere i morti di cintura di cavaliere, e persino di lasciare
un cavallo presso la chiesa, nonostante che il cavalcante sia investito
di qualche dignità «de quegnunque religione » (III, 230); si vieta
infine ai popolari di « pasquare » coi grandi, pena al popolare di 100
libre, e al grande duecento, cosi nella pasqua del Natale, come in
quella della Risurrezione (III, 149).

Lo statuto del 1342 é dunque veramente per Perugia quello che
furono per Bologna gli Ordinamenti sacrati e sacratissimi, per Firen-
ze gli Ordinamenti di giustizia. Esso conchiude e assomma una serie
di lotte fra magnati e popolo, ed è l’espressione più compiuta del nuo-
vo diritto popolare, elaboratosi nella repubblica. Ma per la piena va-
lutazione storica di questo importantissimo documento sarebbe
necessario sapere le circostanze in cui venne promulgato. Fu esso il
risultato di una lotta violenta, a mano armata, fra i due partiti, o il
combattimento si fece solo a colpi di schede, nel fondo dell’urna ?
Non ne sappiamo nulla. Perduti gli Annali decemvirali, tacciono i
pochissimi testi storici, tace il Pellini, che potrebbe servirci di fon-
te, là dove fossero andate perdute le fonti a cui egli stesso attinse.
Ma veramente, se ci fosse stato un grosso conflitto, qualche eco ce
ne sarebbe pur dovuta giungere. Sarà dunque stato promulgato pa-
cificamente. Ma era pace superficiale, coprente una oscura e profonda
tempesta, che presto sarebbe scoppiata.

Sarebbe interessante il sapere fino a che punto le prescrizioni
dello Statuto fossero osservate; ma anche qui manca la testimonianza
degli Annali Decemvirali. Un volume che resta del 1351 ci mostra la
legge dei ceppi funzionante. Il 27 agosto, ad esempio, fu aperto il ceppo
del palazzo del Podestà in presenza dei priori delle arti, tutti e dieci,
e del signor Giovanni giudice e vicario del podestà; ma con esito
negativo. Il ceppo del palazzo del capitano aperto nello stesso giorno
non aveva più cedole del primo (c. 199 v.). E niente ci si trovò il 29
ottobre (241 r.), niente l’ultimo di dicembre; né ci si era trovato di
più il 19 di febbraio (33 r.), il 30 aprile (86 r.), il 25 giugno (141 v.)
O i magnati erano divenuti agnelli, o nonostante il secreto la paura
di loro era troppa. E questa ultima ipotesi sarà forse la più vicina al
vero, considerando anche gli avvenimenti seguiti.

Delle disposizioni intorno alla cavalleria abbiamo una viola-
zione nel 1360, quando il Comune fece quattro cavalieri di Monte-
pulciano (Graziani, 190) e un’altra nel 1362, per il famoso Leggieri
di Nicoluccio, fatto dal Comune e dal Popolo cavaliere dopo morto
(Graziani, 192).











92 LUIGI SALVATORELLI

10. - LE VARIE CLASSI SOCIALI NELLE LOTTE INTERNE PERUGINE.

Il Libro Rosso, di cui abbiamo già parlato, ci permette di cono-
scere quali famiglie appartenessero alla classe magnatizia, e quali
fossero le forze di questa. Esso é un elenco non solo di famiglie, ma
di persone; e ci permette quindi di calcolare, con esattezza appros-
simativa, il numero dei nobili. Dico con esattezza approssimativa,
in quanto parecchie volte alla elencazione degli individui si sosti-
tuiscono formule collettive indeterminate. Queste peraltro non sono
tali da portare uno spostamento molto grande. Abbiamo dunque
nel Libro Rosso 501 nobili enumerati; calcolando una media di tre
individui per ogni indicazione in cui non c'é il numero preciso (sono
sessantatre), abbiamo altri 189, che, aggiunti ai primi, fanno un to-
tale di 690 maschi nobili. Di questi, 357 appartengono alla città (282
espressamente enumerati); il resto, al contado. Peró, anche la ripar-
tizione fra città e contado non puó essere che approssimativa, ché
non sempre si può stabilire se si tratti di nobili del contado o della
città. Si può dire, insomma, che una metà della nobiltà appartenesse
alla città, e l’altra al contado. Tuttavia è necessario osservare che il
fatto di trovarsi divisi, parte in città, e parte, qua e là, pel contado,
non era troppo favorevole per i nobili, ai quali riusciva difficile riu-
nire tutte le proprie forze. S'aggiunga che anche dentro la città
membri di una stessa casa erano divisi fra le varie porte: cosi trovia-
mo tre Mastinelli sotto porta Sole, e sotto P. S. Angelo altri tre; due
Montemelini sotto P. San Pietro, uno sotto P. Sole, sette e piü sotto
P. Eburnea; otto Montesperelli sotto P. Sole, tre sotto P. S. Angelo.
Anche questo doveva indebolire le forze delle singole case.

Tuttavia, se i nobili fossero stati concordi, avrebbero sempre
rappresentato una forza considerevole. Ma tale unione mancava,
e ció faceva appunto la loro debolezza. Il nostro poemetto é espli-
cito su questo punto. Abbiamo già visto come esso attribuisca le
tristi condizioni dei magnati perugini alle loro discordie; dica che ci
sono anche adesso dei figli antichi che si uniscono agli oppressori;
e, infine, raccomandi come mezzo di salvezza l'unione, ottenuta scac-
ciando l'invidia, radice d'ogni male (vv. 370 e sg.). Possiamo cita-
re qualche fatto, che avvalora le parole del nostro rimatore. Abbia-
mo già visto nel 1303 Baglioni e Oddi contendere insieme, in un caso
in cui i nobili, a quel che sembra, avrebbero dovuto essere tutti uniti.
Da questa disunione dei nobili nel 1303 si puó anzi credere derivas-









LA POLITICA INTERNA DI PERUGIA 93

se in parte la vittoria popolare; il che ci spiegherebbe quel rimprovero,
altrimenti oscuro, del nostro poeta ai magnati perugini di essersi
tolti dall'antico seggio (v. 191): di essersi, cioé, spogliati da loro stessi
della propria potenza (cfr. vv. 194-198). E discordie fra nobili incon-
triamo ancora piü tardi, in quel litigio fra Oddi e Vincioli cui abbia-
mo già accennato —litigio cui presero parte anche un Baglioni e dei
Monmelini (Pellini, 511). Di quest'ultimo incidente possiamo veder la
causa in quell'invidia contro cui si scaglia il nostro autore; giacché
il Vincioli voleva usare, per quanto sembra, della raccomandazione
del Comune per far concedere il vescovado di Perugia a uno di sua fa-
miglia, al che si oppose l’Oddi (Pellini, e Brevi Ann. p. 65). E questa
opposizione ebbe, in fine, conseguenze mortali; giacché il litigio dovrà
considerarsi come causa dell'uccisione dell'Oddi (nell'anno seguente
1331) per parte, appunto, di Baglioni e Vincioli( (Brevi Annali, 66;
Graziani, 105-07; Pellini, 515).

Che poi alcuni dei nobili popolareggiassero, si puó anche facil-
mente provare. La discordia del 1303, piü volte nominata, avrà avuto
per origine con ogni probabilità il fatto-che una delle parti conten-
denti si accostava ai Raspanti, od era per lo meno verso di loro piü
remissiva dell'altra. Oddo degli Oddi, nel tumulto del 1330, venne a
contrastare al Vincioli «con molta gente de populare » (Graziani,
104; cf. Brevi Ann., 65). Un altro nobile popolareggiante era forse
quel conte Filippo di Coccorano vessillifero del Comune e del popo-
lo di Perugia (sopra, p. 81). Per dare a quel nobile un potere supremo
(si rilegga anche il giuramento fattogli) in quel momento critico,
bisogna dire che il popolo di Perugia ne fosse ben sicuro. Questi
sentimenti democratici dei conti di Coccorano ci spiegano forse,
ricevendone al tempo stesso conferma, quei versi del nostro testo, in
cui l'autore sembra lamentare che i Montemelini non siano fortunati
come quelli «de la pessina e da petroia » (vv. 167-168), feudi dei
conti di Coccorano (v. Boll. X, 78).

Un Tivieri Montemelini fu il rivelatore della congiura del 1361
(Pell. I, 922), e fu poi confinato coi Raspanti (1371) insieme a Nicoló
d'Andrucciolo, pure nobile: ambedue aderivano ai Raspanti (Pelllini,
1109). In quella stessa cacciata troviamo compreso anche Tancio
dei Mastinelli di P. S. Angelo (cf. sopra, p. 92): un altro nobile, dun-
que, fra i Raspanti, e rivelatore a sua volta della congiura dei Vin-
cioli, almeno secondo alcuni (Pellini, 908). A proposito sempre di
questa cacciata dei Raspanti lo stesso Pellini dice (p. 1110) che vi
erano altri gentiluomini aderenti ai Raspanti, ma seppero condursi



==

|
|
Ì
|

|
|











94 LUIGI SALVATORELLI

in modo da godere i benefici della vittoria dei nobili. senza perder
le grazie dei Raspanti. Infine sempre Pellini, sotto il 1372, ci dice che
Guiccione di Neri, e Giacomo di M. Guido dei Montemelini, sebbene
nobili e cacciati (1361) cogli altri, favorivano i popolari perché mal
veduti dagli altri nobili. Abbiamo dunque, in realtà, discordie di
. nobili, e nobili popolareggianti, come il nostro poemetto dice; e dai
casi che vediamo in tempi posteriori — quali sono gli ultimi di cui
abbiamo parlato — possiamo arguire l'esistenza di fatti analoghi anche
antecedentemente.

Vediamo ora come ci si presenti costituita, di quali tendenze
animata, da quali interessi sospinta, tutta quella parte della popola-
zione che rimaneva al di fuori della classe nobiliare.

Innanzi tutto, abbiamo la classe dei giudici e notai, degli uomini
di legge, insomma. Essa é fuori della organizzazione delle Arti; co-
stituisce un consorzio a sé, che si elegge tre priori, ed ha la sua matri-
cola (1). Gli uomini di legge, qui a Perugia, sono in poco buona vista
presso il popolo: quello che verró dicendo ora lo dimostra.

Nel primo priorato del 1310 si stabiliva che, se i Priori avessero
commesso «aliquod factum vel dubium alicui sapienti vel sapienti-
bus iuris », e costoro avessero dato qualche consiglio da cui fosse de-
rivato qualche danno al Comune « vel specialibus prioribus », gli stes-
si sapienti fossero costretti a rifare integralmente i priori dei danni e
interessi, e di ogni condanna in cui fossero incorsi per la detta causa
«tanquam ad predicta sponte se obligassent ». (« Frag. Stat. », c. 123
in « Giorn. di erud. artist. » V. 64).

Nel 1316, per la proibizione dell'ingresso nell'abitazione dei Priori,
ai magnati si uniscono i giudici e tutti quelli iscritti nella loro matri-
cola (Annali c. 107 r.). Si temeva adunque anche degli intrighi dei le-
gulei presso i priori. E la proibizione si rinnova nel 1326 (2 novembre).

Nello Statuto del 1342 abbiamo che i giudici e i notai non possono
essere del Consiglio del popolo (I, 47)). Riguardo all’aver le podeste-
rie, i giudici siano tenuti per grandi (I, 73). Se qualche savio « de ra-
gione » dà ai priori un consiglio dannoso, che frutti una condanna ai

(1) Stat. 1342: dela electione degli priore deglie notarie (1,100) — de la
matricola deglie notarie da fare (I, 101). Abbiamo una matricola del Golle-
gio dei Notari, del 1343. In un passo degli Annali del 1317 è detto « quili-
bet tam de populo quam de iudicibus et notariis » (c. 163 v.). Giudici e notai
dunque erano qualche cosa di distinto dal popolo.







LA POLITICA INTERNA DI PERUGIA 95

priori stessi, risarcisca loro il danno (I, 27); con che si codifica la pre-
scrizione del 1310. Vietato anche ai giudici di far malleveria, come di
accompagnare alcun malfattore, ecc. (III, 13). Vietato ai giudici
ed avvocati di entrare per la seconda porta del palazzo del popolo per
cui si va nel chiostro e di sopra, pena cento libre (III, 147). Però
il divieto ai grandi dell’entrata nei palazzi pubblici non va applicato
ai « giudece avocate » iscritti nella relativa matricola (III, 143), men-
tre, come abbiamo visto, nel 1316 l’ingresso nell’abitazione dei priori
era stato proibito anche a loro. Riguardo alle punizioni dei malefizi
contro i popolari, i giudici e notai non di schiatta cavalleresca sono
considerati di popolo. Parrebbe, dunque, che lo statuto del 1342
rappresentasse una attenuazione della ostilità o sospetto verso gli
uomini di legge, tanto più che fra coloro che fanno parte del Maggiore
e generale consiglio vi sono i priori e sottopriori e rettori dei giudici
e notai. Si può supporre che nella lotta decisiva impegnata contro i
magnati il popolo cercasse di avere, se non alleati, almeno neutri
i membri di codesta classe, che, grazie alla conoscenza delle leggi,
aveva nei comuni una grande importanza, come quella cui spettava
per necessità di cose l’interpretazione e l’applicazione delle leggi stes-
se. Ma in complesso noi vediamo nei giudici e notai una classe che è
tenuta fuori del popolo, e considerata più contro che in favore. I ma-
gnati, dunque, potevano farci assegnamento.

Passiamo ora alle Arti. Quali erano le forze degli artefici? In
un'adunanza generale degli artefici tenuta nel 1310 (1luglio), inter-
venivano 612 artefici (Annali c. 3 r.); il 1311 (23 settembre) ne inter-
venivano più di 500 (Annali, c. 131 v.). Nello Statuto del 1342 si ordi
nava, come abbiamo visto, che all’arengo intervenissero almeno mil-
le artefici immatricolati nelle arti. Ciò prova che in quel tempi gl’im-
matricolati nelle arti erano più di mille; e nel 1378, per la pace con Ur-
bano VI, parteciparono al Consiglio generale circa 1500 artefici (Bo-
nazzi, I, p. 494). Se vi aggiungiamo i discepoli, che non entravano
naturalmente a far parte dei consigli (cfr. Stat. 1342, I, 37), arrive-
remo, io credo, per il nostro tempo a un tremila persone.

Quali erano, nel complesso della popolazione artigiana, gli ele-
menti a cui gli statuti e le leggi, come anche la forza delle cose, da-
vano la prevalenza, e che perciò maggiormente si avvantaggiavano
del regime di quei tempi?

Nel 1312 si ordinava che per essere camerlengo si dovessero avere
almeno 60 libre di libra di stabile (Pellini, 397). Nel 1313 si stabilisce









96 LUIGI SALVATORELLI

che nessuno possa essere priore, se non ha libra di 100 l. almeno, som
ma che nello stesso anno (25 settembre) veniva ridotta a 50 (Anna- -
li c. 244) v.). Per lo Statuto del 1342 i Priori dovevano possedere da
un anno in qua, nella città o nei borghi, « casa buona e sufficiente »,
e almeno duecento libre di danari di possessione, e, sempre da un anno
nella città o nei borghi, libra almeno di cento libre (I, 23). Per eser-
citare l'ufficio di camerlengo e rettore dell'arte, « ofitio grieve e pon-
deroso per lo comuno e populo de peroscia », era necessaria libra di
60 1. per il primo, e 25 pel secondo: oltre a ció, per l'uno e per l'altro
bisogna aver casa in città o nei borghi, e nel contado o distretto ter-
ra o vigna (I, 32). Le condizioni economiche necessarie per l'accesso
agli uffici delle arti furono dunque elevate coll'andar del tempo; né
certo vi potevano aspirare tutti gli artefici. Il che del resto era anche
una necessità, giacché era d’uopo avere in quegli uffici gente solvi-
bile, che potesse rispondre del come li aveva tenuti.

Nel 1313 (25 settembre) venne presentata nell'adunanza dei
camerlenghi una petizione degli uomini dell’arte dei coltrai e dei tin-
tori di panni, denunciante che il camerlengo di detta arte viene elet-
to dal camerlengo uscente e dai rettori e sapienti scelti dal camerlen-
go stesso, mentre gli altri uomini dell’arte non partecipano all’elezio-
ne; dimodoché il camerlengo fa eleggere per suo successore chi vuole,
il che è e può essere causa di divisione e di discordia fra gli uomini di
quest’arte. Si domanda perciò che « quel che riguarda tutti, de tutti
si approvi », e quindi che l'elezione del camerlengo si faccia a scruti-
nio dagli uomini dell'arte, eleggendosi a camerlengo chi avrà avuto
piü voci. La petizione venne approvata (Annali, c. 244 v.).

Questa petizione é rivelatrice. Essa ci mostra che nelle arti, o
almeno in alcune, si tendeva verso metodi di governo oligarchici,
riducenti il potere in mano di pochi, escludendo il grosso degli arte-
fici. E poiché il camerlengo, e probabilmente anche i rettori, ve-
nivano scelti fra le persone piü facoltose, l'oligarchia tendeva altresi
a plutocrazia,

Abbiamo detto che secondo lo statuto del 1342 (I, 23) due dei
priori dovevano essere sempre della Mercanzia, mentre nessuna altra
arte ne poteva avere più di uno, né per due volte di seguito. La Mer-
canzia dunque, che nell'adunanza dei camerlenghi è sempre in prima
linea, seguita dal Cambio e dai Calzolai, aveva nel priorato una posi-
zione privilegiata, che risaliva fino ai primi tempi dell’istituzione.
Infatti nel 1309 (luglio e agosto) troviamo fra i Priori due mercanti
(Annali, c. 194 r.), e nel 1310 (gennaio-febbraio, c. 108 v.) lo stes-





LA POLITICA INTERNA DI PERUGIA 97

so; e nel 1311 (29 settembre) si stabiliva che la Mercanzia dovesse
aver sempre due Priori «ut solitum est» (e. 78 r.). Oltre a ció,
quando il Podestà e il Capitano entravano in ufficio, si adunava il
consiglio dei mercanti, e gli adunati coi consoli dovevano recarsi
dai nuovi funzionari per pregarli « quod debeant observare statuta
et ordinamenta comunis perusini et punire malefitia et mantenere
iura iurisdictiones et honores comunis et populi perusini, et facere
iustitiam cuillibet postulanti et offerre se paratos ad predicta
exequenda dare et prestare eis auxilium, consilium et favorem ».
Oltre a ciò, se i priori nell’elezione dei magistrati si fossero voluti
allontanare dagli ordinamenti statutari, era loro necessario l’espresso
consenso dell’arte della Mercanzia (Stat. della mercanzia del 1323,
in Briganti p. 225 s.).

Nella lista dei camerlenghi delle arti che abbiamo negli Annali
del 1315 (c. 48 r.) noi vediamo fin da quel tempo che la Mercanzia ha
quattro camerlenghi, detti consoli; ed il Cambio due, detti uditori.
Tutte le altre arti ne hanno uno solo. Mercanzia, cambio, e calzolai
vengono innanzi a tutte, come nelle adunanze dei camerlenghi. So-
no in tutto quarantaquattro, e altrettante ne abbiamo al 1389, nel
Graziani (p. 238), numero che si conservò in seguito.

Era un numero abbastanza alto, e che si può ritenere concedesse
abbastanza sfogo alle arti minute. Ma non per questo le arti grosse
volevano rinunciare alla preminenza nel comune. Vediamo infatti, il 29
settembre 1311, in un’adunanza dei priori, dei camerlenghi e di quat-
tro buoni uomini di ogni arte, proporsi che nell’elezione dei priori
non vi fossero più di diciassette arti colla mercanzia, pur conservando
tutte i camerlenghi e rettori ecc. Otto di queste arti abbiano otto
priori, per due mesi, e le altre otto nei due mesi susseguenti, ma la
mercanzia sempre due (Annali, c. 138). Il provvedimento fu approvato,
e dovette essere un colpo delle arti grosse contro le arti minute; con
il che concorda il privilegio serbato alla mercanzia. Una distinzione
fra le arti troviamo nello statuto del 1342, ove sono nominate speci-
ficatamente diciassette arti, per l'ordine con cui si debbono seguire
nelle processioni, e le altre arti non si specificano, ma si dice solo che
vengano dopo quelle ordinatamente (I, 45). Nell'elenco di queste
diciassette arti notiamo che sotto la nona arte sono riuniti alberga-
tori, tavernai e panicuocoli, mentre nel 1315 tavernai e fornai formano
due arti distinte; cosi pure sotto la decima abbiamo panni vecchi,
ferrai e scudellai, che sono nel 1315 tre arti distinte. Nel 1342 dunque
avremmo la soppressione di tre arti, e forse anche di altre (tre ne co-

7

T RM E

i
i
i
il
i

|
|
|
|
|
|









98 LUIGI SALVATORELLi

nosciamo sulle diciassette nominate). Ora questa non puó essere che
una nuova manovra dei grossi contro i minuti. E nello stesso tempo in
cui si sopprimono arti, si vieta anche il sorger di nuove. Infatti nello
stesso Statuto si dice che i mercanti di cavalli, i renaioli, i calcinaioli,
gli stamignatori, i compratori di macine, gli stacciari e le altre arti
i quali non ebbero in passato rettori, non possono farne neanche in
futuro, e non siano tenuti per arti né considerati nell'università di
queste, sotto pena di venticinque libbre di denari (I, 36). È facile
ora il vedere che le persone cui si proibisce di associarsi dovevano
essere al servizio delle altre arti esistenti: così i renaiuoli e i calcinaiuoli
al servizio dell’arte dei maestri della pietra e legname; gli stamignatori,
dell’arte della lana; i compratori di macine e gli stacciari, dell’arte
degli albergatori, tavernai e panicuocoli. Erano dunque dei « labora-
tores » che tendevano a sottrarsi ai loro padroni, costituendosi in arti
a sé, pari alle altre.

È ben noto che questa dei «laboratores » fu nella vita delle Arti
una questione delle più importanti; tanto importante, da portare a
vere e proprie rivoluzioni come quella dei Ciompi a Firenze. Sulla con-
dizione di questi «laboratores » ci fornisce interessanti notizie una
matricola perugina dell’arte della lana, ora perduta, ma di cui ha fat-
to uno spoglio Annibale Mariotti. Essa è mancante dal principio e
perciò della data, che però si può ‘stabilire nel 1342 (Mariotti,
p. 611). È proprio il tempo dello Statuto.

In codesta matricola, dunque, si stabilisce che nessuno possa
essere immatricolato, se non esercita per sé l’arte della sua bottega
(rubr. 21). Dai vantaggi dell’arte era dunque escluso chiunque non
potesse aprir bottega per suo conto. Nessuna rappresentanza, dunque,
agli operai nei consigli dell’arte; ed infatti per esser rettore era neces-
sario aver esercitato l’arte « per sé valmeno per cinque anni (r. 12).
S'intende che gli operai dovevano sottostare alla giurisdizione di
questa gente scelta unicamente fra i loro padroni; e così si dice che i
tintori dell’accia e dei panni di lana devono obbedire ai camerlenghi
dell’arte (r. 19); e che questo deve costringere i « celandratores » e gli
aventi « celandros » (strumento per lisciare i panni) ad obbedire e a
rispondere avanti a lui a chiunque volesse ottener ragione (r. 35);
e la sentenza del Camerlengo è proclamata valida, giusta o no che
sia (r. 15). Ad impedire, poi, che i lavoranti imparino l’arte e salgano
all’altezza dei principali, è proibito a chiunque sta a lavorare con al-
tri di fare alcun panno (r. 29). I tintori e i valcatori dovevano dar
giuramento e malleveria di far bene il loro lavoro (10); e malleveria



"mh m ©». Cc) U cC, QD > " O cr rn cov" £w C, M co

iE 85 "C$



LA POLITICA INTERNA DI PERUGIA 99

dovevano dare i conciatori, gli « assectatores », i cardatori ei cotenna-
tori dei panni (r. 34). A toglier liti e contese sorgenti spesso fra gli ar-
tefici e i valcatori, tessitori, conciatori, tintori dei panni di lana, ecc.,
per.cagione dei danni arrecati da costoro ai panni ed alla lana degli
artefici con il cattivo lavoro e la cattiva tinta, si stabilisce che quan-
do qualche artefice riceve di tali danni, mostri il danno e il lavoro al
camerlengo e ai suoi assessori, e costoro stimino il danno (r. 69).
(Si puó immaginare quanto gli operai saranno stati contenti delle
stime fatte da costoro). Si vigilava poi ad impedire qualche piccolo
guadagno di quella povera gente: e perció i conciatori, i cardatori, gli
« assectatores », i tintori e i « celandratores » dei panni di lana dove-
vano rendere la cardatura (r. 38), e nessun artefice poteva comperare
dai tessitori o dalle tessitrici borra, ecc. (r. 18).

Anche in una matricola dei calzolai del 1340 abbiamo, che nes-
suno puó esser Camerlengo o Rettore, se non esercita l'arte continua-
mente per sé, e non per altri, vale a dire se é discepolo o operaio (rubr.
6; Mariotti p. 139).

Tutti questi operai, in condizioni si poco favorevoli, dovevano
naturalmente essere dei malcontenti. Tuttavia per gli operai dell'arte
della lana qualche cosa c'era: c'era l'arte dei battilana, che noi tro-
viamo esistente già nel 1315, e che era certo una delle arti minori,
poiché nello Statuto del 1342 non é fra le diciassette nominate. In
un'adunanza dei camerlenghi e rettori del 22 gennaio 1315 si propo-
ne, essendo stati i pettinatori di lana nell'arte dei battitori e tessi-
tori di lana da quando l'arte fu creata, ed essendo iscritti nella matri-
cola, ed avendo avuti gli uffici e benefici dell'arte, che tutti gli ordi-
namenti parlanti dell'arte dei battitori e tessitori di lana s'intenda-
no anche dei pettinatori, cosicché questi tre vocaboli valgano per una
arte sola, e che tutti i pettinatori, scritti o no nella matricola, s'inten-
dano esser dell'arte, e fruiscano di tutti i benefici come gli altri. Que-
sta proposta, in cui non consentirono due dei priori, venne approvata
con 310 voti contro 4 (Annali, c. 5 v.).

Tessitori e battitori di lana formavano dunque un'arte; e di que-
st'arte si stabilisce che facciano parte i pettinatori, con eguaglianza
di condizione. Ma dobbiamo noi intendere questa disposizione come
un riconoscimento dei diritti dei pettinatori, come una concessione
fatta ai loro desideri ? Io ne dubito; e propenderei invece a ritenere
che i pettinatori volessero costituirsi in arte a sé; e i grossi, per ovviare
a questo pericolo di aver fra i piedi una nuova arte, facessero l'ordina-
mento di cui sopra.

a

ci,

|
|

I
I

ET p









100 LUIGI SALVATORELLI

In ogni modo noi possiamo arguire da ció che gli operai si agi-
tavano per migliorare la propria sorte. E questo ci è dimostrato an-
che della rubrica dello Statuto del 1342, di cui ho già parlato, contro
la costituzione di nuove arti: rubrica che suppone esser avvenuti tenta-
tivi, per parte della gente ivi nominata, diretti ad innalzarsi alla con-
dizione degli altri artefici organizzati. E in questi tentativi, in queste
lotte contro i capi delle arti, contro i padroni, contro i ricchi, i nobili
dovevano trovare il loro conto. Anch'essi odiavano, sebbene per al-
tre ragioni, quei popolani grassi, che spadroneggiavano nel comune.
Il poemetto riflette chiaramente una tale comunanza di sentimenti,
in quei versi (206-208):

E ’1 mi popolo anticho sta endigente
con voi piangendo en povertate e fame
o gram chativi de l’anticha gente.

Il popolo perugino autentico, secondo l’autore, è ridotto in
povertà; chi trionfa e gavazza sono gli avveniticci, i forestieri. A
parte, s'intende, l’esagerazione retorica — promossa anche, si può
credere, dall’imitazione dantesca — ci può essere del vero in questi
versi. Il popolo minuto, infatti, si può ritenere fosse meno soggetto
ad infiltrazioni estranee. Erano i mercanti, i grossi artefici, che veni-
vano da fuori in città, per l’esercizio e l’espansione della loro attività.
Si può anche ritenere che l’intrusione di elementi estranei riuscisse
più visibile e notabile nelle classi agiate che nell’infimo popolo, ed
apparisse quindi, per un effetto di prospettiva, come cosa propria di
quelle.

Comunque sia di ciò, è certo che nei tempi di cui discorriamo il
governo di Perugia era principalmente in mano della borghesia grassa;
col qual fatto si accordano le frequenti guerre esterne con Todi,
Spoleto, Arezzo, ecc., rispondenti (come s’è già accennato) alla poli-
tica degli artigiani grassi. Aggiungo che invece tali guerre non pote-
vano affatto piacere ai minuti, che facevano il commercio e l’industria
locale, e avevano bisogno di pace, tranquillità e di vita a buon prezzo:
tutte cose che la guerra comprometteva. Il basso prezzo della vita
era anche, s'intende, il desiderio principale della classe operaia. Tutto
questo ci è assai chiaramente espresso dal Pellini, a proposito della
guerra col papa, sotto l’anno 1371: e giova riferire il passo: « era uni-
versale opinione, che il popolo minuto desiderava grandemente di
havere occasione di romoreggiare, et travagliare la Città, così per
potere in un tempo vendicarsi contra i Raspanti, come per potere





LA POLITICA INTERNA DI PERUGIA 101

anco rubbare le case di questo, e di quello Cittadino, non havendo
la maggior parte di loro cosa alcuna da mangiare, né da sostentarsi
per la gran carestia ch'era allhora nella città cagionata, come abbiam
detto, della guerra trattenuta da' Raspanti, i quali perció caduti in
grandissimo odio di tutto il Popolo, al quale pareva, che si havereb-
be potuto conchiudere quella pace in un tempo, che essi haverebbono
rimesso i grani, che dal furore dei nimici furono lor poi levati via,
fatto arare, et seminare i loro campi, che per la medesima cagione
non havevano fatto, di che hora avedendosi, et gravemente dolen-
dosene, pareva, che tutta la necessità in cui si trovano (sic), fosse
cagionata dalla ostinata natura de' Raspanti, i quali per non rimet-
tere i fuorusciti, havevano differito tanto la pace, che ’1 Popolo non
poteva più né reggersi né sostentarsi » (p. 1094).

Mi pare ora non inopportuno il dire qualche cosa di due capi
della fazione dei Raspanti, ai quali si possono bene applicare i versi
del poemetto intorno a quelli che spadroneggiavano in Perugia.

Il primo è Leggieri di Nicoluccio d'Andreotto. Podestà di Spo-
leto nel 1327 (A. S. I. p. 93; Pellini, 491); inviato in Lombardia a
condurre truppe per lavare l'onta di Carbognana (1334; Pellini,
527); sindaco per la sua città nella pace tra Firenze, Arezzo e
Perugia (1337; Pellini, 540): ambasciatore a Cola di Rienzo nel 1347
(Pellini, 879): governatore di Anghiari (1349) dopo la ribellione di
questa terra (Pellini, 889); sindaco nella pace tra l'arcivescovo
di Milano, Firenze, Perugia e Siena (1353; Pellini, 933); ambascia-
tore a Carlo IV in Pisa (1355; Pellini, 951, 953); dei cinque sopra
la guerra con Cortona, mossa a sua instigazione e capitanata da lui
(1357; Pellini, 967), egli fu veramente l'anima del governo popolare
di Perugia. Dice di lui Matteo Villani: « Leggieri d'Andriotto popo-
lare di Perugia fu uomo di grande animo e al suo tempo Tullio, peró
che fu il più bello dicitore si trovasse, e senza appello il maggiore
Cittadino ch’havesse Città d’Italia, che si reggesse al popolo e liber-
tà, e il più amato e carezzato e dal Popolo e dai Raspanti, ma a’
gentiluomini, li cui trattati aveva scoperto, forte era in crepore e
malavoglienza ».

Anche il Pellini ci dice che i popolari per lo più si governavano
per consiglio suo e d’alcun’altri (p. 991). E della sua abilità dette la
prova nel 1358, quando, essendosi assunto a Perugia che l’esercito
s'era levato dall’assedio di Cortona, il popolo tumultuò contro di lui
motore e capitano generale della guerra. Egli « cedendo al furore, se









102 LUIGI SALVATORELLI

n'usci dalle porte, ma racchetato il tumulto, egli che molto pratico,
et astuto era, fece primieramente mostrar da suoi confidenti, et par-
teggiani ai Rettori della Città, che per lo meglio il loro essercito s'era
ritirato a Montegualandro, et poscia egli andando in persona di notte
a’ Signori Priori, et ad altri suoi Amici di piü consideratione nella
città, adornó tanto le sue parole, che molto ben dire le sapea et era,
come dicono, molto eloquente, et con tante persuasioni, et promesse
seppe si bene aiutare la causa sua, che con tutto lo sdegno havuto
contro di lui, il Magistrato de' Signori, et gli altri Rettori della Città,
confidati nelle sue, et nelle promesse de condottieri dell'esercito,
ch'era di far tosto la vendetta, et di recare| honore al Comune di Pe-
rugia, fu rimandato un'altra volta con piü soldati all'impresa », (Pel-
lini, 973).

Ho riportato tutto il brano un po’ lungo, perché mi sembra il-
lustri molto bene la figura di questo capoparte, e sia il miglior com-
mento a questo passo del poemetto (215-226):

Odo cridare en me pur guerra, guerra
da una giente con l’acute lengue
che senpre m’apron dentro ’l core e serra.

So’ bei colore lor dicte distingue,
sempre arengando per metaforisma;
così nelglie diote ’1 male enpingue.

O popol mio, cho’ non se’ sillogisma
che dei fals’argomente t’agorgiesse
che te provan costoro collor sofisma !

Forse non crederie ciò che dicesse
quei che t’enganan né non te n’aveie,
enmagenando come te regesse.

L’accortezza sua e l’eloquenza dovettero riuscire utili a Leggieri
anche in un’altra occasione. Nel 1359, essendosi spesi per la guerra
contro Siena molti danari da chi l’aveva guidata, fra cui c’era il no-
stro Leggieri, si fece venire un sindacatore fiorentino che rivolse le
sue indagini contro lo stesso Leggieri, e contro altri dei principali.
Gli inquisiti non si presentarono, ma procurarono «il dì et la notte »
d’impedire il sindacatore: mentre i nobili l’aiutavano e lo istigavano.
I popolari allora trovarono, secondo il Villani, uno Statuto, che esen-
tava da qualunque processo chi fosse eletto ambasciatore, e mandato















LA POLITICA INTERNA DI PERUGIA 103

dai magistrati in commissione, durante l'ufficio; e Leggieri fu fatto
ambasciatore, sospendendosi così ogni azione contro di lui. Il Villani
aggiunge che, partito questo primo sindacatore, il suo successore as-
solse i cittadini principali, e condannò alcuni meno potenti, onde il
popolo lo mise in prigione, ove morì (cf. Pellini, 982).

L’altro capo dei Raspanti è Bettolo di Piero, « detto altrimenti
il Pelacane », perché aveva esercitato l’arte di comprare e vendere
pelli (Pellini, 937). Egli, elevandosi al disopra dei suoi antenati, sem-
plici conciatori di pelli, era divenuto ricchissimo (Pellini, 1038). In
Occasione di una discordia intorno all'elezione degli ufficiali incari-
cati di rifar le borse degli uffici pubblici, egli si presentò nel palazzo
del Podestà, innanzi ai priori, con un codazzo di venticinque citta-
dini, e domandato di comunicare quel che pensava di.fare intorno .
all'elezione degli ufficiali, disse più volte pubblicamente, che si sareb-
be piuttosto fatta tagliar la mano che mostrar la polizza che aveva
in essa, o dire il suo pensiero ad alcuno; tanto da spingere con la sua
alterigia gli altri della sua porta a rumoreggiargli contro ed a batterlo
(1353; Pellini, 937). Noi troviamo codesto Bettolo sindaco nella pace
tra l'arcivescovo di Milano, Firenze, Perugia e Siena (1353; p. 933), e
priore al tempo della congiura nobiliare del 1361 (Pellini, 994). Aveva
egli due figli, Agnolino e Nicoló, «l'uno et l'altro dei quali era artifi-
cioso, et eloquente » (Pellini, 937): avrebbero dunque fatto parte di
quegli imbroglioni sofisti, di cui parla il nostro autore. Nicoló fu priore
col padre, e nel 1368 fu imputato di complicità nella rivoluzione di
Città di Castello; ma sebbene si credesse dai più alla sua colpevolez-
za, nessuno ardì accusarlo (Pellini, 1038). Due anni dopo, sebbéne
« de principali fra Raspanti, et di gran consideratione fra’ popolari »,
intavoló un trattato coi ministri del papa per metter Perugia sotto di
lui, trattato cui presero parte suo padre e Agnolino suo fratello, i quali
furono presi. Ma Bettolo, quando lo si voleva esaminare, diceva fu-
ribondo: « Chi viene a essaminarmi ? che cosa non ho fatto io per l'es-
saltazione di questa Città, e per lo stato suo ? voi volete essaminare
Santo Herculano, et San Gostanzo ». E infatti anche questa volta
la tempesta si risolse in una bolla di sapone; ed egli fu entro quat-
tordici giorni liberato, e incontrato all’uscir di prigione dalla maggior
parte dei principali cittadini di Perugia, ch'egli ringrazió del loro pa-
trocinio «con alta, et orgogliosa voce ». E Nicolò, presentatosi poco
dopo in Palazzo, dietro suo giuramento, dopo qualche giorno fu as-
soluto e rilasciato (Pellini, 1068).

Abbiamo qui una vera famiglia di gente nuova, arricchita,







104 LUIGI SALVATORELLI

e divenuta perció potente e orgogliosa; una vera famiglia di capi-
parte del popolo grasso. Anche il loro cognome è quello di artefici
ingrassati, derivato dall’esercizio dell’arte stessa. Non par di sentire
indirizzati a costoro, o a gente della loro risma, i lamenti del nostro
poemetto contro i « superbe giusse dei veneticce » (v. 118), le cui « tri-
ste boce » latrano «con apetite d’avaritia » (119-20); contro coloro
che salgono in pregio senza virtù e senza sapere, valendosi solo de-
glintrighi di parte (179-81) ?.

Contro questi si appuntavano le ire dei magnati e del popolo
minuto insieme. Contro questi, e contro i loro compagni di parte,
quali i Guidalotti, che contarono fra i loro un abbate di S. Pietro
divenuto tristamente celebre per l'assassinio di Biordo; i Buontem-
pi uno dei quali, Andrea, fu vescovo di Perugia nel 1354 (Pellini,
948); i Buoncambi, che possedevano anche una rocca (Pellini, 1072);
i Michelotti, che prendevano parte coi nobili ai torneamenti (Pellini,
960), ed erano dei veri feudatari, poiché possedevano Castel Nuovo
(Pellini, 1006).

In queste famiglie noi vediamo chiara la linea ascensionale per-
corsa da talune famiglie popolari, linea rivelantesi anche nelle for-
mazione di un cognome che per la loro potenza assume un aspetto
nobiliare. Tanto più che la linea di divisione fra nobili e non nobili
oramai non poteva non esser molto incerta, se pur si puó dire che an-
cora esistesse. C'erano dei magnati pià che dei nobili; e queste fami-
glie dei Raspanti non si potevano dire anch'esse, in un certo senso,
dei magnati ?

Non a tutti, dunque, i Raspanti poteva ormai applicarsi il rim-
provero di origine oscura ed ignota, che loro rivolge il nostro autore;
tuttavia per alcuni la freccia colpiva nel segno. In una rivista di Ra-
spanti dataci sotto il 1371 da una cronaca anonima (A. S. I., 125 s.),
oltre Messer Guglielmo dottore e giudice, e i Michelotti, abbiamo due
indicati per il luogo d'origine, Agnelino del Pian di Carpine, e uno di
S. Angelo (ecco i contadini del poemetto, v. 147); sette hanno il solo
nome (« non se ne sa suo nasemento », v. 123); due hanno un sopran-
nome, ser Agnelo de gli Statuti, e Vagni « ditto il Priore »; uno prende
nome dalla madre, P. (sic) della Camilla; due hanno due « di », tre un
« di ». Anche nel 1372 fra i Raspanti confinati dall'abate di Monte
maggiore abbiamo un Pietrozzo della Milla (A. S. I, 219); e nel 1382
facciamo la conoscenza del raspante Cristofano del Polzelletta (ivi



LA POLITICA INTERNA DI PERUGIA 105

p. 228). È più che probabile la illegittimità di nascita di costoro,
ed è davvero da credere che della loro progenie non si avessero «niuna
inditia » (v. 124).

Contro i Raspanti dunque, ossia contro la borghesia grassa, noi
troviamo schierati nobili e popolo minuto. Ce lo fa supporre l'analisi
dei rapporti fra le vari classi sociali, e ce lo provano i fatti. Nella
congiura del 1361 per far signore Alessandro di Pellolo dei Vincioli
«ce erano tutte gli gentilomini de Peroscia et più de mille populari »
(Graziani, 191), fra cui il Pellini nomina Tribaldino di Manfredino
ed Ercolano della Buona (I, 992). Nel 1368, al trattato per dar Pe-
rugia alla Chiesa prese parte Vico di Cola di Galiffo « populare » (A.
S. I, 209). Nel 1371 il popolo esce di qua e di là coll’armi in mano, gri-
dando: Viva il popolo, e va alla casa di messer Guglielmo, cui spez-
za la porta, campando egli la vita con la fuga: «e questo fecero, per-
ché essendo egli uno dei tre sopra la guerra, sempre s'era opposto
al Papa e alla Chiesa » (cfr. il passo del Pellini, sopra, p. 100 sg.). IRa-
spanti, tenendosi poco sicuri, fuggono di notte, e le loro case sono sae-
cheggiate. Anche nel 1382 abbiamo un tumulto al grido di « Viva il
populo et muoiano i Raspanti.»; e i nomi dei tumultuanti, come ve-
dremo, sono dell’infimo popolo (A. S. I., 228)). Lo stesso grido lo
sentiamo in un tumulto del 1384 (ivi, 22); e lo risentiamo in bocca
agli iniziatori del tumulto che nel 1389 portò alla fuga dei Raspanti,
iniziatori capitanati da Pandolfo di Oddo dei Baglioni (Graziani
235). E al grido di « viva il popolo » si sostituiva talvolta quello di
«viva la Chiesa » accompagnato peró sempre dall'imprecazione ai
Raspanti; come nel rumore del 1392, capitanato ancora da Pandol-
fo Baglioni, e sorto perché l’ufficiale del papa aveva mozza la mano
a un partigiano dei gentiluomini (A. S. I., 255). Ma nel 1393 s'in-
cominciò a gridare: «viva la Chiesa e muoiano i Raspanti » e si finì
con un altro grido: viva la Chiesa e muoiano i rubatori. I quali
adesso erano i nobili, che furono vinti e cacciati (A. S. I., 257).

I partigiani dei nobili reclutati nei più bassi strati del popolo
sono i « beccherini ». Teodorico di Niem, segretario pontificio che il
Mariotti (p. 511) congettura essere stato in Perugia alla corte di Bo-
nifacio IX, scriveva: « In eadem civitate perusina sunt tres ordines
seu status civium; nam quidam sunt Nobiles qui dicuntur Beccarini,
et post eos maiores de populo qui Raspantes nuncupantur, et minu-
tus populus ». (A. S. I., 234, n. 3). Teodorico faceva qui un po’ di equi-







106 LUIGI SALVATORELLI

voco: i beccherini non erano propriamente i nobili, ma i partigiani
dei nobili; erano gente del volgo, come lo prova un passo degli Annali
del 1376, in cui si ordina che il maggior sindaco tenga un numero
più forte di famigli per le malvagità perpretate da « multi dissoluti,
et sceleribus dediti, qui Beccarini, et malae [sic] aviati vulgo appellan-
tur » (Mariotti, 511). Del resto, si comprende facilmente che il sopra-
nome degli sgherri dei nobili passasse ai nobili stessi. Narra il Gra-
ziani, sotto il 1389, come venisse ferito un Ser Cecco di Passerino da
Corsino di Agnolello di Campo, che fuggì, ma in capo a pochi giorni
detto Corsino se ne tornò in Perugia, senza punizione, e ser Cecco pagò
la pena per lui, e si pacificò con esso « perché o bisogniava che fai
cesse così, o lui voleva morire; et questo se faceva a caldezza dei
becarine de Pandolfo dei Baglione » (Graziani, 234). Appare di qu-
chiaramente che i beccherini erano gente che seguitava i nobili. E
spuntano confronti con tempi recentissimi.

Di che grado e condizione sociale fossero questi popolari parti-
giani dei nobili, lo possiamo giudicare anche dai loro nomi. Nella
congiura del 1361, fra i nominati del Pellini (pp. 991-94) c’è un Ren-
zo di Nicolò di Baldolo detto lo Squatrano, un Pocciarella, un Ciar-
dolino detto Ciabacca, un Ercolano della Buona. Per il tumulto con-
tro i Raspanti del 1382, fu tagliata la testa al figlio della Nobile,
al figlio della Monina, al figlio della Mozza, al figlio della Mofina,
(una serie di bastardi, evidentemente); e fu appiccato Marin corraz-
zaio, e il figlio di Tetto di P. S. Angelo. (A. S. I., 228). Siamo in pie-
no « quinto stato ». Nel 1389, al tempo del dominio dei nobili — i Ra-
spanti erano fuggiti — troviamo per priori: Francesco detto Canavac-
cio, Antonio de Vigniatello dicto Malacacia, Giovagne de la Bocie,
Giapeco del Gioielare, Renzo detto Coda de Lepre (Graziani, 238).
Né dovevano essere di prosapia illustre Lippo tegolaio, « El Verde
fabro », « Bienceviene orfo », Pascuccio funaio, priori nel 1390 (ivi.
244 s.).

Il rimprovero dunque fatto dai nobili agli avversari, di bassa
condizione e origine, si poteva ritorcere con maggior forza contro
i sostenitori dei nobili stessi. Noi vediamo, si può dire, Perugia di-
visa in due campi: da una parte la borghesia grassa (Raspanti), dal-
l’altra nobili e popolo minuto, e si può credere anche gli uomini di
legge. Questa situazione del resto non è punto una particolarità di
Perugia. Anche a Firenze, alla fine del sec. xItr, le cose andavano
presso a poco così.





LA POLITICA INTERNA DI PERUGIA



11. — IL. MOMENTO E L'AUTORE DEL POEMETTO.

Il nostro poemetto ci rappresenta lo stato degli animi in Perugia
giunto alla massima tensione. Lo Statuto del 1342, promulgato o vi-
cino a promulgarsi, dovette finire d'esasperare i nobili. Tuttavia, co-
me ci dice la storia, prima dello scoppio aperto delle ostilità passó
ancora del tempo. Il nostro poemetto ci rappresenta, mi pare, l'af-
filarsi delle spade nell'ombra: é il brontolare dei tuoni che precede
l’uragano. Quelle misteriose parole sui sacrifici da farsi di sangue
umano (vv. 575-77), quella predizione intorno ai giovani acerbi e
feroci, che vendicheranno le onte «con doglie, crudeltà, tormento e
lucto » (ivi 408-423), quell'annunzio del cielo che si veste di colore
oscuro (v. 560), sono tutti accenni, mi pare, del lavoro che incomincia-
va a fervere tra i nobili per scuotere il giogo sentito oramai insoppor-
tabile. L'autore del poemetto, che tanto insiste sulla concordia neces-
saria per la liberazione, si propose probabilmente appunto di unifi-
care gli animi nella grande impresa, combattendo sia la troppa pru-
denza e l'inerzia, sia le rivalità ambiziose che minacciavano di osta-
colarla. Cosi inteso, mi sembra, che il poemetto acquisti un valore tutto
particolare: se non il valore del documento rivelante qualche mi-
nuzia storica finora ignota, quello ben piü alto dell'espressione di
tutto uno stato di animi e di cose, che preludia a grandi fatti, ad av-
venimenti di primaria importanza.

Ora ci possiamo e dobbiamo domandare: chi era l'autore del no-
stro poemetto ? di dove era ? a quale classe sociale apparteneva ?
Quali erano le sue opinioni politiche, la sua coltura, e via dicendo ?

Che fosse perugino, non ci puó esser dubbio. Come perugino egli
parla, e come a sua madre egli rivolge sempre il discorso a Perugia.
Forse era uno dei poeti del canzoniere. La sua lingua presenta, abbiam
visto, gli stessi caratteri. Le sue doti letterarie erano molto modeste:
l’espressione del proprio pensiero non era per lui la cosa più facile
di questo mondo. Della sua coltura letteraria non si può dir molto;
conosceva e studiava Dante, e conosceva anche, in genere, la poesia
del suo tempo, a giudicare dai raffronti che abbiamo fatto. Di poesia
classica non appaiono in lui vestigi; oramai la poesia volgare era tan-
to cresciuta, e aveva preso così coscienza di sé, da potersi fare, almeno
dagli scrittori correnti e occasionali, anche a meno degli antichi, una
volta unici modelli e ispiratori.





108 Y LUIGI SALVATORELLI

Le opinioni politiche del poeta sono chiare ed esplicite. È un par-
tigiano dell’antica cittadinanza perugina, che s’identifica, nei suoi
versi, con la nobiltà; un nemico della gente nuova, della borghesia
potente e trionfante. È un nobile egli stesso ? Io propendo a creder
di no. Se avesse appartenuto ad una famiglia magnatizia, non avreb-
be mancato, è da credere, di soffermarcisi quando enumera le nobili
stirpi di Perugia. Se anche non avesse voluto dichiarare apertamente
la sua origine — il carattere « sovversivo » del componimento poteva
consigliarlo a rimanere anonimo, e forse a misura di prudenza fu do-
vuta l’inserzione del poemetto senza rubrica nella raccolta di poe-
sie — ad ogni modo avrebbe lasciato trasparirne qualche cosa in un
cenno speciale, in una parola di più, in un aggettivo, in qualche modo
pur che si sia. Anche se la sua famiglia avesse appartenuto alla nobiltà
minore e più oscura, l’autore non si sarebbe astenuto dal nominarla;
del suo basso stato la giustificazione era pronta, lì, in tutto il poemetto:
colpa della gente nuova usurpatrice e tiranna. Io credo che il nostro
autore sia da ricercare in quelle categorie sociali che, senza esser no-
bili, a questi si accostavano, formandone il contorno e l’appoggio.
Ora, in tal fatta di gente ce n’era anzi tutto dell’infima plebe, come
vedemmo; ma non è da supporre che di lì uscisse un verseggiatore non
privo di coltura. Poi, l'accento del poeta é troppo sincero e forte, e
troppo ci si sente il rimpianto di un tempo migliore, perché si possa
pensare ad uno di quella gente lì, in cui la coscienza civile e storica
non era certo molto forte. Io propenderei a credere si tratti di un
qualche giudice, o notaro, o avvocato. Codesta era una classe che alla
poesia dava un notevole contributo. Nello stesso nostro codice ab-
biamo un Ser Marino Ceccoli di Perugia, un Ser Cecco Nuccoli di Pe-
rugia, Ser Ugolino da Fano (è il Ceccoli a dargli del « Ser », a c. 67 r.),
oltre a Cino da Pistoia. I giudici e notari erano, nella borghesia, una
delle classi più vicine alla nobiltà, e qui a Perugia questo fatto, come
abbiamo visto, è più vero che mai. Chi sa anzi che il nostro non fosse
uno dei notai del comune. Allora acquisterebbero un valore speciale
quei versi (70-72):

Chi sono et onde fuor dir lo mi taccio,
che m’anno strecto colle mano en canna
si ch'io dolente tra chostor mi giaccio

In ogni modo, notiamo che il nostro poemetto antidemocratico
non si trova male in questo codice. Marino Ceccoli ha un sonetto
« de desolatione urbis perusine » e uno « de diversitate gentium civi-



iaia





LA POLITICA INTERNA DI PERUGIA 109

tatis perusii » (v. Appendice), in cui lamenta lo stato della città. E di
poeti nobili abbiamo: Cione (se è Cione Baglioni), Cucco di Gualfre-
duccio (de' Baglioni), Nerio Moscoli (forse anche il Ceccoli e Atta-
viano), e Bosone da Gubbio (1).

LUIGI SALVATORELLI

Ringrazio il prof. Alfredo Schiaffini per aver voluto rivedere il
capitoletto linguistico fornendomi utili correzioni e suggerimenti. Un
ringraziamento particolare al prof. Ignazio Baldelli, che mi ha coa-
diuvato efficacemente nella correzione delle bozze e per taluni rinvii.

(1) Ser Cione Ballione risponde al sonetto di Dante da Maiano: « Pro-
vedi, saggio ad esta visione » (Ed. giuntina, 1527, 142 v.) —- Di un ser Cione
abbiamo parecchi sonetti in D'Ancona e Comparetti. Cucco di Gualfreduccio
dei Baglioni è nel Libro Rosso sotto Porta S. Pietro. Ivi é anche Nerio Moscoli
(P. Eburnea). Il « qui olim fuit de Civitate castelli» del codice (31 r.) si puó
intendere benissimo nel senso che il Moscoli, di Città di Castello, fosse divenuto
cittadino perugino. Nerio Moscoli è nominato anche espressamente come ma-
gnate negli Annali, 1323, 5 genn. (c. 219 v.), Cf. Pellini I, p. 465. In quanto
al Ceccoli abbiamo nel Libro Rosso Dominus Nicolaus Cieccoli domini Herman-
ni (P. S. Angelo) e Nere et Bartholus Cieccoli de Monte Ubiano (P. Eburnea).
In quanto ad Attaviano abbiamo, sempre nel Libro Rosso: Filii Actaviani
Corradi Comitis de Petronio (P. Sole). Il Tommasini Mattiucci (p. 92 dell'op.
cit. a p. 6, n. 1) lo vorrebbe identificare con un Ettore Ottaviani.



LUIGI SALVATORELLI

APPENDICE

Due sonetti di ManriNo CEccori

1o — Ser marinus tractans de desolatione urbis perusine.

L'esento nome e ’1 singolare arbitro
Che senpre ficero posa en quista donna
Si che descripta fo regal madonna
De terre e de provinze specchio e vitro

Veggio percoter da mortal tonitro
E desquartar per mezo tal colonna
E veggio meter sorte de sua gonna
Et a chui toccha chiudere el palpitro

E però prego che ciaschum se sveglie
Prima che quista fiamma colga canpo
Et a tener suo stato salvo veglie

Che po lo stroppo tardo vien lo scanpo
Popol se nanze tracto non reveglie
L’usate forze ad arcovrar lo canpo

Guardate donna che non faccie el terzo
Alalatre che fatt'ay rentrar per terzo.

(12 r.)

2» — Ser marinus tractans de diversitate gentium civitatis perusii.

Io trovo che l'un ceco l'altro guida
E trovo gente de suo danno vaga
La quale enasto nel profondo alaga
Et a se stessa subruzare aida

E trovo gente chui speranza fida
Ch'aspecta che da cel venga la paga
E gente trovo che da fin già smaga
Credendo de di en di sentir glie strida

Et io quase eriton già m'alegro
La qual predisse de tisalglia el sangue
Che fé ’1 roman senato venir egro

Poi che cossì la cosa fra sé langue
E lavorando de poco en pelegro
Cresciendo va sì come al suo loco angue.

Come la gente è infra se partita
Cusì tien tu la terra per perita

(12 v.)



a ee









NUOVI STUDI SULL’UBICAZIONE DELLA
CASA PATERNA DI S. CHIARA D’ASSISI

Della « Casa Paterna di S. Chiara » trattammo già a lungo al-
cuni anni fa (1). Dimostrammo allora, sulla base di autentici docu-
menti, l'insussistenza, o meglio la falsità storica di parecchie tradizioni
popolari sorte in questi ultimi secoli intorno alla sua ubicazione,
e, al tempo stesso — non persuasi dell'opinione espressa nel 1926 dal
Ch.mo Avvocato e Storico Assisano Arnaldo Fortini, secondc cui la
Casa della Santa sarebbe sorta nell'area oggi occupata dal Palazzo
Serma!tei — credemmo di poter indicare parte di quella memoranda
Casa nell'antico e contraffatto fabbricato (ora assai mutilo) ch'é si-
tuato sul fianco sinistro della Piazza della Cattedrale e nelle immedia-
te adiacenze del Campanile. Esprimevamo, infine, il voto, che, in se-
guito a quella nostra documentata segnalazione, da qualche appassio-
nato e competente studioso di topografia storica venisse fatto uno
studio profondo e completo su quella veneranda abitazione di Santi (2),
per poter avvalorare con altre prove documentarie sicure quanto fin
allora si era trovato nelle antiche carte.

Ma se quella nostra indicazione trovó aperto favore presso parec-
chi studiosi, doveva invece incontrare parere diverso da parte del-
l'amico Fortini, che, cogliendo la propizia occasione della ricorrenza
del VII Centenario della morte di S. Chiara, é tornato a sostenere,
appoggiandosi al Brizi, il suo antico punto di vista, sforzandosi, co-
me era logico, di fare risultare errato il nostro, sempre peró mantenen-
do nella pur ardua discussione un elevato tono di serenità e di corte-

(1) P. G. ABATE, 0.F.M. Conv., La Casa Paterna di S. Chiara e falsifica-
zioni storiche dei secoli X VI e XVII intorno alla medesima Santae a S. Francesco
d'Assisi. In « Bollettino della R. Deputazione di Storia Patria per l'Umbria »,
vol. XLI, 1944 (stampato nel 1946). Estratto. Assisi, Casa Editrice France-
scana, 1946, pp. 128. :

(2) In quella Casa vissero S. Agnese e la Beata Beatrice, nonché la Beata
Ortolana, rispettivamente sorelle carnali e madre di S. Chiara.



112 |. P. GIUSEPPE, ABATE

sia (1). Noi per tale ripresa del nostro valoroso antagonista sull'im-
portante e, diciamolo pure, assai elegante questione, ci protestiamo
sinceramente lieti, perché non dubitiamo che da un pacato e obbiet-
tivo riesame delle documentazioni e argomentazioni in contrasto,
alla ricercata verità (nel cui solo interesse dall'una e dall'altra parte
si discute) non puó non provenire il vantaggio di una luce maggiore.
Quali poi saranno stati i risultati concreti di questi nostri nuovi studi
non spetta certo a noi qui definire; siamo però assai fiduciosi, che essi,
in ogni caso, non saranno ritenuti vani.

La « Casa Paterna di S. Chiara », che originariamente era attigua al
vecchio Duomo, dopo l’anno 1148 venne a trovarsi sul lato sinistro
della nuova piazza di S. Rufino.

Il primo documento nel quale si ha menzione della « Casa di S.
Chiara » o meglio della « Domus » del nonno della Santa Offredduzzo
di Bernardo, porta la data dell'8 luglio 1148. In esso, quella casa è
detta trovarsi accanto alla chiesa di S. Rufino. Tale Chiesa peró
non era la presente Cattedrale, allora appena ai primordi della sua
costruzione (2), bensì la vecchia e più modesta Basilica Ugoniana, la
quale, per due terzi della sua lunghezza, dalla facciata dell’attuale
Duomo si protendeva sull’area della presente Piazza. Anche l’antico
Duomo aveva dinanzi a sè una «platea » (3); essa però era di più
anguste proporzioni.

Il secondo documento che ci dà l'indicazione topografica della
predetta « Casa di S. Chiara » è sì posteriore di quasi un secolo al
primo, avendo la data del 24 novembre 1253, ma si riferisce all’ubi-

(1) A. FoRTINI, Nuove notizie intorno a S. Chiara di Assisi. In « Archivum
Franciscanum Historicum », An. XLVI, 1953, 3-43. Le pagine, che interessano
la nostra questione, sono le 23-29.

(2) Secondo la nota Iscrizione ducentesca, che si vede nel muro esterno
dell’abside dell’attuale Duomo, la fabbrica di questo fu «inchoata»
nell’anno 1140, come comunemente si ritiene, o forse più esattamente nell’anno
1144, come ora sostiene il Ch.mo Prof. Achille Bertini-Calosso.

(3) In un documento originale del Luglio 1140 si legge che, a tale data,
certo Offreduccio di Ugolino fece una donazione alla Cattedrale « in ipsa platea
ante Sancti Rufini ecclesiam »; Archivio della Cattedrale, Fasc.. IV, Pergame-
na n. 10.





NUOVI STUDI SULLA CASA DI S. CHIARA 113

cazione che la medesima Casa aveva mentre ancora viveva in essa S.
Chiara insieme coi suoi parenti; si riferisce cioé a un tempo ante-
riore al marzo 1212, che fu l'ultimo della vita nel secolo della
Santa. In tale documento, ch'é una deposizione giuridica di Suor
Pacifica di Guelfuccio (assisana e già fin dall'infanzia vicina di casa,
amica, e poi anche compagna nel chiostro della Santa), la «predetta
«Casa Paterna di S. Chiara » é detta trovarsi nella Piazza di S.
Rufino; manca peró un qualunque particolare da cui si possa (indi-
pendentemente da ogni altro documento) sicuramente dedurre che la
«piazza» cui si riferiva Suor Pacifica era la «platea» vec-
chia della Basilica Ugoniana o quella nuova del Duomo eretto da Gio-
vanni da Gubbio. Stabilire pertanto quale delle due piazze è quella
cui allude la predetta testimonianza è lo stesso che stabilire l’area
dove sicuramente sorgeva la Casa della Santa. Ci spieghiamo più chia-
ramente: se la piazza cui allude quella testimonianza è quella della
vecchia basilica ugoniana, allora la Casa di S. Chiara bisogna cercarla
nell’area del Palazzo Sermattei, com’è opinione del Fortini; se invece
la piazza cui allude quella testimonianza è l’attuale, come crediamo
fermamente noi, allora la Casa di S. Chiara è proprio quella che poi
divenne il « Palatium Prioris S. Rufini ».

Ma perché potesse verificarsi la prima ipotesi bisognerebbe:
1) che il documento del 1148 non dicesse che la Casa di S. Chiara era
«Juxta ecclesiam »; — 2) che si dimostrasse con ogni certezza, che la
Basilica Ugoniana al tempo in cui la Santa viveva presso i suoi parenti,
cioè anteriormente al 1212, non era stata demolita. Queste due cose
però sono pienamente smentite dal documento e dai fatti.

Perché invece la seconda ipotesi possa ritenersi storicamente
certa, basta un solo dato di fatto, poter cioè dimostrare che la vecchia
Basilica Ugoniana nell’anno 1212 non esisteva più, e che invece esi-
steva al suo posto la Piazzanuova di S. Rufino. L’asserto, cre-
diamo, è assai chiaro; non meno chiara, speriamo, ne sarà la dimostra-
zione.

> >*

Il documento del 1148, il cui testo e commento hanno un posto
a parte in questo studio, per attestazione dei parenti di S. Chiara
afferma esplicitamente che la venerata Casa della quale ci occupia-
mo, oltre ad essere situata « juxta viam », si trovava anche « juxta ec-
clesiam ». i

Ora, dato che la nuova Chiesa in quell’anno 1148 era appena



114 P. GIUSEPPE ABATE

agli inizi della sua costruzione, è del tutto evidente che il documento
summenzionato non puo affatto riferirsi ad essa; bensì necessariamente
allavecchia Chiesa: è dunque alla Basilica Ugoniana che la Casa
di S. Chiara è immediatamente attigua, stando alla data del 1148.
Pertanto quella stessa Casa dovette allora confinare col fianco s i -
nistre del vecchio tempio, perché s o 1 o dal detto lato essa poteva
veramente trovarsi e dirsi « juxía ecclesiam », come sarà dimostrato
appresso. Or é proprio su tale fianco sinistro, divenuto posteriormente
all'anno 1148 lato pure sinistro della piazza nuova, che si trova
l'antico « palatium », che noi crediamo essere stato una volta la « Casa
Paterna di S. Chiara ».

Il documento, che ci assicura l'ubicazione della Casa di S. Chiara
essere stata «nella piazza », ci viene, come abbiamo già detto, dalla
testimonianza di Suor Pacifica di Guelfuccio. Esso non specifica se
quella casa fronteggiava la vecchia o la nuova piazza e nemmeno se
era sul lato destro o sinistro della piazza; parimenti non indica
alcuna data precisa in cui la Casa della Santa si vedeva fian-
cheggiare la piazza, ma solo ci assicura che mentre S. Chiara viveva
nella sua casa, cioé anteriormente all'anno 1212, la detta casa era
« nella piazza ».

KE

La «Casa paterna di S. Chiara » nell'anno 1148.

L'avverbio «juxta » usato dai notari assisani del tempo (e non
soltanto da essi) nella descrizione esatta dei confini di una casa o di
un terreno, non é termine generico indicantea pprossimazione
ma e un termine specifico indicante immediata contiguità. Ora,
come tutti sanno, in atti pubblici del genere non potrebbe essere al-
trimenti. Giusta è perciò l’osservazione dell’amico Fortini, allorché
rilevando una nostra precedente inesattezza, scrive che «negli atti
del tempo, lo juxta indica un rapporto di confini » (1).

Avendosi pertanto nell'atto del 1148 un doppio « juxta » nell'in-
dicazione dell'ubicazione della Casa di S. Chiara, d ue debbono es-
sere — diversi e precisi — i confini, che, per risolvere debitamente la
questione, si debbono identificare. Dice quell'atto: «... non leva-
verimus domum nostram, quae est juxía ecclesiam et juxta viam ».

(1) A. FORTINI, op. cit., p. 26.









c



NUOVI STUDI SULLA CASA DI S. CHIARA 115

Non c'é dubbio, come abbiamo accennato, e come deve essere
pacifico per tutti, che la «ecclesia » cui si riferisce quel primo « juxta »
sia stata la veccbia Basilica Ugoniana: la nuo va chiesa, infatti,
era solo all'inizio della sua costruzione, e perció non avrebbe potuto
allora avere la denominazione di « ecclesia ». Ma poiché tale vecchia
chiesa si estendeva — come risulta dalla sua cripta ancora esistente e
dagli scavi fatti in tempi a noi vicini — dalla seconda campata della
chiesa nuova per circa 25 metri sull’attuale piazza, è da ricercare a
quale dei lati di essa vecchia chiesa era « juxta » la Casa paterna di
S. Chiara, allo scopo di controllare se il fabbricato ritenuto da noi
come la vera Casa della Santa vi corrisponda esattamente o no.

Ora la Casa di S. Chiara menzionata nel documento del 1148:

1) Non era certamente dalla parte dell'abside: perché lo
esclude il fatto che da quel lato stava sorgendo allora la nuova chiesa.
Se si fosse trovata lì, essa avrebbe dovuto essere, al caso, del tutto de-
molita; e invece, secondo il documento, essa continuava (anche dopo
la costruzione della nuova chiesa) a stare in piedi, con l'impegno peró
assunto dai congiunti della Santa che non avrebbe dovuto mai al-
terare l'altezza precisa che aveva allora: « ... non levaverimus do-
mum nostram... nisi quantum modo est ».

2) Non era certamente sul lato della facciata, perché, co-
me sappiamo dal citato documento del 1140, li c'era la piazza.

3) Non era nemmeno sul lato destro della Basilica Ugonia-
na, perché questo allora era tutto occupato, come é stato rilevato an-
che dai recenti scavi, da un portico e da vari altri fabbricati della Ca-
nonica.

A questo punto, non resta dunque che ammettere, come del tutto
certo, che la Casa Paterna di S. Chiara nel 1148 non solo si trovava
« juxta ecclesiam », ma con uno dei suoi lati era immediatamente at-
tigua allato sinistro della vecchia Chiesa Ugoniana in demoli-
zione. Diciamo «immediatamente attigua » nel senso che tra essa
Casa e la detta navata sinistra non c'era una via od altro pubblico
passaggio, ma c'era una specie di formello o intercapedine che dir si
voglia, di proprietà della chiesa, divenuta di poi parte della nuova
piazza di S. Rufino.

Ognun comprende, che se quell'intercapedine o stretto spazio chiuso fra
i due corpi di fabbrica e nel cui fondo correva una fogna per il deflusso delle
acque, fosse stato di diritto della chiesa, i proprietari dell'edificio attiguo non
avrebbero potuto certamente aprirvi alcun loro ingresso. Ora sta di fatto, che

—————— 9

s Eid

M

Il
|
|



116 P. GIUSEPPE ABATE

il fabbricato che noi riteniamo essere stato la Casa di S. Chiara lungo il muro
che oggi fronteggia la Piazza e prima fronteggiava la Basilica Ugoniana, non
ebbe.mai alcun ingresso fino al secolo xvi.

Non è dunque vero, perché escluso dal documento del 1148,
« che la Casa della Santa si svolgeva al di qua dell'antica facciata
ugoniana », e perció non é parimenti vero che tale Casa debba ricer-
carsi nella località oggi occupata dal Palazzo Sermattei, trovandosi
questa non confinante con quell'antica chiesa.

Ora, l'edificio, che nel 1148 si svolgeva lungo il fianco sinistro
della chiesa ugoniana ed era, secondo il citato documento, la Casa
Paterna di S. Chiara, esiste anche oggi esattamente nello stesso posto
(sebbene sotto una diversa denominazione) e fronteggia il fianco si-
nistro della Piazza. L'identità di questo « Palatium » con l'avita Casa
della Santa, é quindi sicura, perché fondata sulla indicazione i n e -
quivocabile (nel presente caso) di un documento certo: « juxta
ecclesiam ».

C'é nel predetto documento un'altra indicazione topografica di
confine della quale pure bisogna necessariamente tener conto: è la
designazione «juxta viam ». Ebbene, anche per questa siamo tratti
alla identica conclusione, che cioé il poi chiamato « Palatium Prio-
ris S. Rufini » deve essere ritenuto come l'ex-Casa « Paterna di S.
Chiara ».

Escluso di necessità, come abbiamo veduto, il fianco sinistro della
Chiesa Ugoniana, la «via » menzionata nel documento del 1148 si
sarebbe potuta trovare o a monte, o presso il campanile.

Una via a monte ci sarebbe potuta essere, e forse anche ci sarà
stata, ma non é probabile che nel documento si sia voluto alludere
ad essa, perché remota dal confine «ecclesia ». E su ció crediamo
che nessuno abbia da ridire.

Invece nel lato prospiciente il vecchio campanile c'era proprio una
« via ». Essa — a scalini e coperta da un voltone, come documente-
remo appresso — in un primo tempo metteva in comunicazione le
strade pubbliche poste a monte del campanile con l'ingresso laterale
sinistro della Basilica Ugoniana, e in un secondo tempo, quando cioé
questa venne demolita, serviva ad unire, col suo passaggio sul lato







—— A—



aor MN 0"



NUOVI STUDI SULLA CASA DI S. CHIARA 117

anteriore del campanile, la nuova Piazza di S. Rufino con le menzio-
nate strade pubbliche poste a monte (1). Tale « via » è certamente
quella che, secondo il documento dell’anno 1148, fiancheggiava un
lato della « Casa Paterna di S. Chiara », cioè quell’ampio fabbricato
che piü tardi divenne il « Palatium Prioris S. Rufini ».

EFE
La «Casa di S. Chiara » anteriormente all'anno 1212.

Il secondo punto, importantissimo, che ci eravamo proposti di
dimostrare era questo: — La « Casa Paterna di S. Chiara » — che nel-
l’anno 1148 si trovava sul fianco sinistro della Basilica Ugoniana —
anteriormente all'anno 1212, e precisamente in seguito alla demoli-
zione di tale vecchia chiesa, venne a trovarsi sul lato sinistro dell'at-
tuale Piazza di S. Rufino, confinando sempre (naturalmente) da un
altro suo lato conla via corrente ai piedi del Campanile.

L'importanza decisiva di tale dimostrazione sta in questo, che
con essa si ha una indiscutibile « conferma » della già documen-
tata identità del « Palatium Prioris S. Rufini » con la « Casa Paterna
di S. Chiara »; e invece senza tale dimostrazione, o bisognerebbe ri-
pudiare, come inesatto e falso, il documento del 1148, che esplicita-
mente afferma esser la Casa della Santa contigua al fianco della vec-
chia chiesa e implicitamente ne nega dallo stesso lato la contiguità
alla Piazza; — o bisogna rigettare come errata la testimonianza di Suor
Pacifica di Guelfuccio, che esplicitamente afferma la contiguità della
stessa Casa alla piazza e implicitamente ne nega la contiguità al fianco
sinistro della vecchia chiesa. La Casa di S. Chiara, infatti, non avreb-
be potuto essere nello stesso tempo e dallostesso lato e
presso la chiesa e presso la piazza.

Ora è incontrastato che quei due documenti sono entrambi
autentici e veri, come del resto si ammette da tutti e come sarebbe

(1) Anche la nuo va Cattedrale, fino al noto rifacimento dell’Alessi,
ebbe sul suo fianco sinistro e all'altezza della « ecclesia superior» o presbiterio
un ingresso laterale (con quattro porte) di cui anche oggi si vedono gli stipiti.
Tale ingresso, per mezzo di gradini esterni, era unito alla strada, che ancora
fronteggia tutto il lato sinistro della chiesa.

rn]

|
|
|
il







118 P. GIUSEPPE ABATE

facilissimo criticamente dimostrare; ma naturalmente essi sono da
prendersi ognuno per il su o tempo. L'atto del 1148 ci indica le con-
dizioni ambientali della casa nel detto anno; e similmente la deposi-
zione di Pacifica di Guelfuccio quelle della stessa casa negli anni a cui
si riferisce, cioé prima del 1212. Autentici perció entrambi i documenti,
'essi con piena certezza storica dimostrano che la Casa di S. Chiara,
divenuta piü tardi Palazzo Priorale, confinava con la Basilica Ugo-
nianain un primo tempo e con la Piazza succeduta a questa in un
secondo.

Ma poiché questa, finora, é una nostra asserzione, e le asserzioni
quando vertono su questioni scientifiche debbono passare per il va-
glio della prova, ecco che ci accingiamo, e debitamente, a questo in-
tento. Poi che avremo provato che la sopra asserita mutazione del con-
fine-chiesa in confine-piazza si verificó anteriormente all'anno 1212,
avremo anche dimostrato l'impossibilità di applicare i due unici
documenti che si hanno sulla Casa Paterna di S. Chiara a un fabbri-
cato diverso dal « Palatium Prioris S. Rufini », ossia, nel caso nostro,
al fabbricato Sermattei come vorrebbe sostenere il nostro gentile
contradittore Fortini.

Abbiamo affermato che il tempo in cui la Casa di S. Chiara (per
noi il noto Palazzo Priorale) cessó di essere « presso la chiesa » e co-
minció ad essere « presso la piazza» dev'essere indubbiamente a n t e -
riore all'anno 1212, ma non abbiamo potuto precisare diquan-
to. Documenti in proposito non si conoscono, e del resto, tale preci-
sazione nel caso nostro non é richiesta. Infatti per applicare rettamente
alla predetta Casa la testimonianza di Suor Pacifica, basta esser certi
che essa si è venuta a trovare sull’attuale Piazza nuova di S. Rufino
anteriormente all’anno 1212, che fu l’ultimo vissuto dalla
Santa presso l’abitazione dei suoi. Sapere di quanti anni prima, può
essere utile; ma non è necessario.

Duplice è il modo con cui chiariremo il nostro assunto: l’uno
mostrando l’insussistenza, più che la fragilità, delle prove documenta-
rie addotte per la sua tesi dall’amico Fortini; l’altro esponendo le
prove documentarie, positive e certe, che suffragano la tesi nostra.



NUOVI STUDI SULLA CASA DI S. CHIARA 119

IV.

Insussistenza delle prove addotte contro l'affermazione che l' attuale
piazza di S. Rufino esisteva anteriormente all'anno 1212.

L'affermazione che l'attuale Piazza di S. Rufino esisteva
anteriormente all'anno 1212 implica come cosa certa la demolizione,
pure anteriormente allo stesso anno, della vecchia Basilica Ugoniana
e nel medesimo tempo l'apertura al culto della nuova chiesa: quindi,
se si prova che la nuova chiesa non era compiuta nell'anno
1212 — dice l'«altera pars » — si prova al tempo stesso che nel 1212 esi-
steva ancora la Basilica Ugoniana e non era perció ancora sorta a
quell'anno l'attuale Piazza.

Un primo argomento per provare che l'attuale Basilica di S.
Rufino non era compiuta nell'anno 1212 viene tratto dalle osservazio-
ni tecniche fatte nel 1910 dall'Ingegnere assisano Alfonso Brizi (1).
Secondo questo A. — riassume il Fortini (2) — nell'anno 1210 « restavano
da ultimare le navate e da farela facciata» della nuova chiesa
« cosicché la nuova fabbrica non era ancora giunta, in questo tempo,
a toccare il vecchio duomo ». In una parola ci si vuol dire, chetu tta
la vecchia basilica ugoniana nell'anno 1210 era ancora in piedi e conti-
nuava ad essere officiata.

Ma questa data precisa « 1210 », non indicata da epigrafi o da do-
cumenti, donde vien fuori? I caratteri costruttivi, dice il Brizi,
indicano genericamente che la ultimazione delle navate e la
costruzione della facciata dovettero avvenire « qualche tempo
dopo » la morte di Giovanni da Gubbio (vivo ancora nel 1163), dato
che esse appaiono lavoro di un maestro più progredito nell’arte (3).
Ora «qualche tempo dopo» non e la stessa cosa che «anno 1210 ».
Dunque é arbitrario dedurre dall'osservazione dei predetti elementi
costruttivi, che la nuova chiesa di S. Rufino non fosse compiuta in
tutti i suoi muri perimetrali e nella loro copertura prima del-
l'anno 1210.

Ma a corroborare questaa rbitraria data si adduce dal Bri-

(1) A. Brizi, La Facciata del Duomo di Assisi non è opera di Giovanni
da Gubbio. Studio pubblicato in « Atti dell’Accademia Properziana del Subasio
in Assisi », vol. III, 1910, 177-193.

(2) A. FORTINI, op. cit., p. 25.

(3) Cfr. Brizi, op. cit., p. 182.





120 P. GIUSEPPE ABATE

zi, e poi dal Fortini, un documento certo e pubblico di quell’anno 1210,
il quale però... non segnala affatto quanto i sullodati AA., sforzan-
dolo, vorrebbero fargli dire. Scrive il Fortini, sempre a proposito della
nuova chiesa:

« Non era compiuta nemmeno nel 1210, tanto è vero che nel patto del 1210
si faceva obbligo al Console di dare operam ad hoc quod quod opus nove ecclesie
sancti Rufini vadat in antea.

Qui si parla chiaramente dell'« opera della nuova chiesa », e cioé di quella
iniziata da Giovanni eugubino, per cui é chiaro che le funzioni, le cerimonie,
gli atti che si svolgono prima di quell'anno hanno luogo sempre nella vecchia
chiesa di Ugone » (1).

Or adoperarsi a che la fabbrica di una nuova chiesa « vada in-
nanzi » non é certamente la stessa cosa che adoperarsi affinché di tale
nuova chiesa vengano ultimate le volte delle navate e sia costruita
«a fundamentis » la facciata. Il documento, infatti, non specifica quali

erano nel 1210 i lavori ancora da farsi, ed é percióarbitrario che.

essi vengano specificati da altri e, implicitamente, attribuiti al docu-
mento. Quel « vadat in antea » avrebbe potuto riferirsi, per esempio,
alla decorazione interna o esterna della chiesa, e perció interpretarlo
come un «si faccia la struttura muraria della facciata » è addirittura
fuor di ogni legge.

Un esempio di arbitraria, oltre che errata, interpretazione di documenti si
avrebbe, se alcuno leggendo, nella nota Bolla Innocenziana del 1253 diretta a
Filippo da Campello (2), le parole « ... cum venerabilis Ecclesia S. Francisci
Assisiensisnondum sit decenti, prout convenit, opere consumata.
Nos cupientes... dictam Ecclesiam et nobili compleri structura

A », ne deducesse che la Basilica Assisana nell’anno 1253 ancora non fosse
stata aperta al culto perché ancora non « decenter » compiuta ! Si sa infatti, che
la detta Basilica era in funzione come chiesa nella sua parte inferiore
fin dall’anno 1230, e nella sua parte superiore fin dall’anno 1236. L’incom-

piutezza infatti, che nel 1253 veniva lamentata dal Pontefice, riguardava

solo la decorazione della chiesa, non già si riferiva alla mancanza di
quanto è essenziale a un edificio sacro, cioè muri (facciata e porte comprese),
pavimento, tetto, altare e simili.

Al documento summenzionato addotto dal Brizi per dimostrare
che nell’anno 1210 la nuova chiesa di S. Rufino era... senza facciata

(1) A. FORTINI, op. cit., p. 25.
(2) Cfr. Bullarium Franciscanum, Romae 1759, 666. Filippo da Campello
era il « Magister et Praepositus operis » della Basilica Assisana.







|





= —_—==—="

pe:

NUOVI STUDI SULLA CASA DI S. CHIARA 121

e nello stesso tempo era ancora in piedi e adibita al culto la vecchia
chiesa ugoniana, il Ch.mo Fortini ne aggiunge un altro del 1216; ma
questo, come l'altro, é d'indole generica, e perció non prova affatto
quello che si vorrebbe provare. Anzi, a ben intendere, prova tutto il
contrario. Sirestaura invero,cióche,già fatto e compiu-
to, per una circostanza qualunque, é andato in rovina. Se quindi,
come dice il documento citato dal Fortini, nell'anno 1216 i Canonici
di S. Rufino chiedono (« petunt ») a Papa Onorio III « auxilium debi-
tum ab eo pro expensis factis et fiendis in restauratione Ec-
clesiae sancti Ruphini », vuol dire ché allora la detta « Ecclesia »
era in funzione da moltissimi anni, tanto da dover essere ri-
parata,ossiarestituita nello stato di prima. Ció é lo stesso
che dire, implicitamente, che la nuova Cattedrale di Assisi aveva il
suo muro di facciata assai anteriormente al 1216, e che,
pure assai anteriormente alla stessa data, la basilica ugoniana era
stata demolita dando luogo all'ampliamento della Piazza antistante
quale si presenta ancor oggi.
Riassumiano: . i

1) l'argomento del Brizi tratto dall'esame degli elementi co-
struttivi é privo di valore probatorio, perché troppo generico e crono-
logicamente elastico. Non é una dimostrazione scientifica fondata
su dati di fatto attribuibili con certezza a un periodo di tempo de-
finito e preciso; é solo un'opinione personale, rispettabile quanto si
voglia, ma non puó dirsi mai documento;

2) il documento dell'anno 1210 per il suo contenuto generico
non é applicabile, senza un'interpretazione arbitraria, alla nostra
questione ch'é di contenuto specifico;

3) il documento dell'anno 1216, nella sua interpretazione ov-
via e letterale, prova tutto l'opposto di quanto gli si vorrebbe far dire.

"oko

Riportati, esaminati e chiariti nulli i documenti addotti dal Bri-
zi e dal Fortini per dimostrare che solo verso il 1228 (1) venne com-
piuto e aperto al culto il nuovo duomo di S. Rufino, e, conseguente-

(1) Nel « 1210 restavano ancora da ultimare le navate e da fare la faccia-
ta, cosicché... la nuova fabbrica non era ancor giunta in questo tempo a toc-
care il vecchio duomo... Nel 1216 continuavano pur sempre i lavori... La
nuova chiesa era compiuta nel 1228, quando Gregorio IX, passando per Assisi,
ne faceva la consacrazione. Forse alcuni lavori, specialmente della facciata, si



122 P. GIUSEPPE ABATE

mente, solo circa quell'anno fu demolita la vecchia chiesa ugoniana
e ampliata la Piazza, è ora la volta nostra di dimostrare con documenti
e con argomenti che tutto ciò avvenne parecchi decenni
prima, ossia, al più tardi, nel tempo in cui S. Chiara viveva ancora
nella Casa Paterna. Prima però di dare tale dimostrazione ci sembra
assai opportuno, per evitare equivoci e per dare al nostro discorso
maggiore chiarezza, fare alcune osservazioni.

1. Quando si parla di facciata di una chiesa bisogna distinguere
fra la struttura muraria e il suo rivestimento decorativo. Di molte
chiese (per citare le più note: Santa Maria del Fiore di Firenze, San
Domenico di Perugia, il Duomo di Arezzo) si dice che non ebbero fac-
ciata, alludendo ovviamente alla decorazione esterna della parete
frontale.

Quindi lo studioso che, notando la differenza fra.il modesto
ornato dell’abside del duomo assisiate e quello, tanto più ricco e
colto, della facciata, attribuisce questa parte ad un periodo successi-
vo, si riferisce solo all’aspetto architettonico, non alla struttura mu-
raria. Nè ci sono elementi per dimostrare che l’architetto eugubino,
vantato dall’iscrizione come queilo che « designavit » l’intera costru-
zione, non abbia almeno gettato le fondamenta della fronte del-
l’edificio.

2. Altra cosa da tener presente nella nostra questione è la diversità
d’icnografia e d’alzato (riguardante l’abside e il sepolero del Santo
titolare della Cattedrale Assisana) tra la vecchia basilica ugoniana e la
nuova chiesa eretta da Giovanni da Gubbio. Quella aveva sotto
l’abside una cripta, che esiste ancora ed è racchiusa nel perimetro
della chiesa attuale; in tale luogo sotterraneo, sino all’anno 1212,
venne custodito il « Corpo Santo », cioè le venerate spoglie di S. Ru-
fino. La nuova chiesa costruita alla metà del secolo xII, non aveva
una cripta, ma nel suo sfondo absidale presentava, all’altezza di pa-
recchi metri dal pavimento e sorretto nella grande navata da un pon-
tile a colonne (1), un'immensa tribuna (detta, di solito, nei docu-
menti anteriori ai 1571 «ecclesia superior »), che racchiudeva il Pre-

protrassero ancora » (A. FORTINI, 25-26). Tutti sanno, che non sempre le
nuove chiese vengono consacrate subito dopo la loro costruzione e la
loro apertura al culto (Consacrazione non è, liturgicamente, sinonimo
dibenedizione); difatti la Basilica Francescana di Assisi venne consa-
crata più di due decenni dopo che era stata costruita e benedetta.

(1) Due membri di queste colonne, con basamento alto circa un metro,
sono tuttora visibili nel vano precedente l’attuale Sagrestia.

*«——

NUOVI STUDI SULLA CASA DI S. CHIARA 123

sbiterio col suo Altare Maggiore sormontato dà un «ciborium », un
ampio Coro ligneo con la cattedra episcopale, e, ai due lati in fondo,
anche due Cappelle, una delle quali era dedicata alla Vergine. Si acce-
deva a tale Tribuna, o Chiesa Superiore, da duelarghescalinate
poste in cima alle navate piccole. L'ampio vano poi sottostante al
Presbiterio, la cripta, aveva il suo ingresso ad arcate in cima al pavi-
mento della navata grande, ed era diviso in tre scompartimenti (for-
manti tutti la «ecclesia inferior »,), dei quali quello di centro aveva
pure un Coro e un Alfare maggiore sotto la cui mensa era deposto il
« Corpo Santo » del Vescovo e Martire Rufino, mentre gli altri due
scompartimenti, piü piccoli, formavano due Cappelle. Infine, tanto la
cosidetta Chiesa Superiore che l'Inferiore avevano annessa, dalla
parte riguardante la pianura di Assisi, una Sagrestia (1).

3. Poiché é stato asserito, che i moderni studiosi aderiscono al-
l'opinione che l'attuale Cattedrale Assisana fu compiuta, cioè
venne data ad essa la sua facciata (muro maestro e decorazione ester-
na) dopo il 1216 e prima del 1228, facciamo osservare, che ció non
corrisponde propriamente al vero. L’ELISEI, per esempio, attribusice
a Giovanni da Gubbio non soltanto l’ossatura semplice e grezza della
nuova chiesa, ma anche la facciata, meno però il timpano che dice
essere di altro secolo, di altra pietra e di struttura più leggera e più
semplice che la parte inferiore (2). Il ToEsca giudica l'ordine i n -
feriore della facciata del secolo x, e attribuisce invece il
coronamento di essa al secolo seguente (3). Il VENTURI, di-
cendo che la nuova chiesa di Giovanni dà Gubbio fu «restaura -
ta a spese di Onorio III nel 1217, perché minacciante rovina » (4).
fa comprendere che egli la ritenne co mpiuta e adibita al culto
prima dell'anno 1217; e se poi lo stesso maestro ritiene la facciata
«un poco antecedente » al 1253, egli ovviamente, non puó riferirsi
che alla sua decorazione. La Zocca, pur ammettendo che i
lavori della nuova Cattedrale di S. Rufino proseguirono assai lenta-

(1) Chi ha veduto la chiesa di S. Zeno di Verona, o il Duomo di Modena,
o la Pieve di Arezzo, o S. Miniato al Monte di Firenze, può farsi un’idea suf-
ficientemente adeguata dell’abside costruita da Giovanni da Gubbio. Avver-
tiamo, che quanto abbiamo scritto in proposito ci risulta da documenti da noi
direttamente studiati.

(2) G. ELISsEI, Studio sulla Cattedrale di S. Rufino V. e M. in Assisi,
Assisi 1893, p. 12.

(3) P. TozEsca, Storia dell’ Arte Italiana, Torino, 1927, I, p. 580.

(4) A. VENTURI, Storia dell’ Arte Italiana, Milano, 1904, p. 808.

m ——— MÀ M MÀ ————


























CAPITOLO
PORTICO

SACDISTIA



ED
ALTDI EDIFICI
CANONICALI











'

'

I

I

'

'
| _ it i a
il : z

uu — m3 O9 Cp" ^^ ^ ^77—7—-——-——— +
x sE I s
n S0 o Oo t :
È EE: $ & 2 by O
a E 5 w NU LUI SE z
fa A o > PO I z
a r3 9 e e SA ' -—I

B oOz:pg.o0 9 2 A I x
= A i

a ^ ! aa
o | : aul
. ii I ui
d C zx





CAMPANILE



DI
$.CHIADA

CASA
VBICAZIONE E CONFINI DELLA CASA DI 9. CHIARA

124



NUOVI STUDI SULLA CASA DI S. CHIARA 125

SACDISTIA

CAPITOLO

VFFICI

































PROPRIETA
DELLA

CATTEDRALE

PIAZZA NVOVA
DI

5. DVFINO



VBICAZIONE E CONFINI DELLA CASA DI 5. CHIADA
ANTERIODMENTE ALL'ANNO 1212





126 P. GIUSEPPE ABATE

mente e non erano compiuti al principio del secolo xir, parlando
della facciata della chiesa («il cui grave coronamento male corrispon-
de al perfetto ritmo della zona inferiore »), scrive: « ... Appartengono
alprimo tempo dei lavori nella facciata la zona inferiore...
e la zona dei rosoni; sono c o e ve la porta del fianco destro e con ogni
probabilità la copertura in volta a botte e il tiburio... Il resto va
attribuito a lavori più tardi, che si protrassero certo parecchio
dopo il 1228... » (1).

V.

Due documenti storici sicuri provano che la nuova cattedrale assisano
era compiuta anteriormente all’anno 1212.

Dette queste cose, eccoci giunti alla documentazione storica
comprovante la nuova chiesa di S. Rufino essere stata aperta al culto
anteriormente all’anno 1212, e perciò anche anteriormente
alla detta data essere stata costruita la facciata, demolita la vecchia
chiesa ugoniana, condotta l’antica piazza alle maggiori proporzioni
che ha oggi.

Scrive il Fortini nel suo « Assisi nel Medio Evo »: «... nell'agosto 1212 -
il corpo di S. Rufino, con l’intervento dei Vescovi di Assisi, di Spoleto,
di Foligno, di Nocera, di Gubbio e di Todi, viene trasportato e collo-
cato con grande solennità dalla vecchia cripta alla nuova basi-
lica » (2). La notizia, naturalmente, non è una intuizione dell’illu-
stre A.; essa, infatti, é contenuta in un Lezionario del secolo xiv
della Cattedrale di Assisi, ove, sia pure fra particolari leggendari e
stravaganti, si narra di quella translazione (3).

(1) E. Zocca, Catalogo delle cose d'arte e di antichità d’Italia: Assisi,
Roma 1936, p. 174. La porta del fianco destro, cui accenna l’A., è simile,
benché più semplice, alle porte della facciata. Essa sorse insieme al muro for-
mato di conci regolari che si estende sino all’abside e che con ogni certezza si
deve a Giovanni da Gubbio: essa è dunque del secolo xir.

(2) A. FORTINI, Assisi nel Medio Evo, Roma, anno XVIII (1940), p. 66.

(3) L’Abate GiusEPPE DI CosTANzO nella sua notissima opera Disamina
degli Scrittori e dei Monumenti riguardanti S. Rufino V. e M. di Assisi », Assi-
si 1787, 167, pur non prestando fede a tutto quanto è contenuto in quel rac-
conto, scrive: « Ammetto peraltro, e riconosco per vera la traslazione del corpo
di S. Rufino nel MCCXII, ai 3 di agosto, indizione XV, sotto il pontificato d'In-
nocenzo III ». Similmente il Can. Dott. ALDo BrunaAccCI di Assisi, che ha fatto























NUOVI STUDI SULLA CASA DI S. CHIARA 127

Ci sembra, in verità, che questo sia un documento decisivo:
se nel 1212 avveniva quella traslazione, la chiesa era ufficiata; se era
ufficiata aveva una fronte; se aveva una fronte era stata demolita
la chiesa vecchia. Del resto il documento del 1210 parla di una « nova
ecclesia » mentre quello del 1216 parla solo di « Ecclesia », il che
puó ragionevolmente interpretarsi che l'appellativo di «nova»
non era piü confacente, e che quella vecchia era stata demolita
da tempo.

Se dunque nel 1212 la predetta antica chiesa ugoniana era già
stata demolita é del tutto certo che a quella data lo spazio antistante
la nuova chiesa era «platea»: — era cioè quella piazza su cui
fronteggiava la « Casa Paterna » di S. Chiara secondo la deposizione
di Suor Pacifica di Guelfuccio, quella casa cioè che fino alla demolizio-
ne di detta chiesa veniva a trovarsi al suo fianco: « juxta ecclesiam »,
come dice l’Atto del 1148.

La dimostrazione, come si vede, non è diretta, ma non per questo
é criticamente meno valida e probatoria di ogni altra che sia diretta;
essa pertanto è positiva e fondata in un documento, che anche il
nostro cortese contraddittore riconosce, e se ne serve, come certo.
Abbiamo invero con tale documento un «terminus, post quem » non
si puó dire compiuta la detta nuova Cattedrale; e abbiamo anche, im-
plicitamente, un « terminus, ante quem » la stessa chiesa deve dir-
si compiuta e aperta al culto: il primo termine è l'anno 1212; il secon-
do non può affatto stabilirsi, e può essere tanto di un solo anno come
di molti anteriormente alla predetta data. Infatti, quella Traslazione,
secondo il documento, non avvenne perché allora era stata com-
piuta la nuova chiesa, ma perché la visione che la provocò, se-
condo quella narrazione, si verificò in quell’anno 1212.

(Riteniamo qui superfluo ricordare, che la Cripta, dalla quale il
Corpo del Santo venne tolto per essere collocato nell’altare maggiore
della nuova chiesa, si trovava allora nel perimetro di questa e
precisamente sotto il pavimento della seconda campata).

specialissimi studi intorno a S. Rufino, ad una nostra richiesta in proposito,
così ci ha cortesemente risposto in data 15 luglio 1953: « Per quello che mi chiede
circa la data della traslazione le preciso quanto segue: — La data 3 agosto 1212
è accettata anche nell'ufficiatura come data della seconda traslazione di S.
Rufino... La data 1212 si trova nel racconto favoloso (Inventio II) la cui reda-
zione io nel mio lavoro attribuisco alla prima metà del secolo xrv. Non ostante
il carattere leggendario del racconto, non abbiamo motivi per respingere detta
data corroborata da un’antica ufficiatura ».



128 P. GIUSEPPE ABATE
* ck ok

Altra certissima conferma al fatto che la nuova chiesa nel 1212
era ufficiata, e quindi compiuta almeno nella sua struttura essenziale,
la troviamo nel noto episodio riguardante Santa Chiara, vivente an-
cora, ma solo per l’ultimo giorno, nella vicina sua Casa Paterna (1).
Lo riportiamo dalla Vita della Santa scritta, dopo poco la morte di
Lei e in base alle risultanze autentiche del Processo di Canonizzazione,
dal celebre agiografo Fra Tommaso DA CELANO:

Qualiter per beatum Franciscum conversa de saeculo ad religionem transivit.
Cap. 7. : ;

« Protinus ne speculum illibatae mentis mundanus pulvis ulterius inquinet,
aut contagio saecularis vitae azyman fermentet aetatem, properat Claram edu-
cere pius pater de saeculo tenebroso.

Instabat Palmarum dies solemnis (2) cum ad virum Dei puella fer-
vido corde se confert (3), sciscitans de sua conversione quid et qualiter sit agen-
dum. Jubet pater Franciscus, ut in die festo compta et ornata procedat ad
palmam cum frequentia populorum, ac nocte sequenti exiens extra castra,
mundanum gaudium in luctum convertat dominicae passionis.

Die itaque dominico veniente, in turba dominarum splendore fe-
stivo puella perradians, cum reliquis intrat ecclesiam (4). Ubi illo digno
praesagio contigit, et caeteris ad ramos currentibus, dum Clara prae verecundia
suo in loco manet immota, pontifex (5) per gradus descendens (6), us-
que ad eam accederet, et palmam suis in manibus poneret.

Nocte sequenti ad Sancti mandatum se praeparans, optatam fugam cum

(1) Sappiamo bene che l'episodio, al quale qui accenniamo, da altri si
ritiene essere avvenuto nell'anno 1211; ma poiché la cosa non ha speciale im-
portanza per la nostra questione, noi crediamo bene di non occuparcene. Stan-
no per il 1211: E. Gilliot-Smith, Z. Lazzeri, A. Fortini; stanno invece per il 1212:
Tommaso da Celano, B. Bughetti, Gratien de Paris, F. Pennacchi, E. Grau e
L. Harvick.

(2) Il giorno delle Palme nel 1212 cadeva il 18 Marzo.

(3) Chi spesso accompagnò la Santa quando andava a conferire con S.
Francesco fu Bona di Guelfuccio, sorella di quella Suor Pacifica, che quispesso
abbiamo menzionata.

(4) La vicina Cattedrale eretta da Giovanni da Gubbio: cfr. A. FORTINI,
Nova vita di S. Francesco d’ Assisi, Milano, 1926, 214.

(5) Il Vescovo di Assisi Guido II (1204-1228).

(6) Nessuno, crediamo, vorrà dubitare che qui si alluda alle scale lapi-
dee che fiancheggiavano l'ingresso della cosidetta «ecclesia inferior » 0 « con-
fessio » e che dal pavimento della basilica davano accesso all'elevato presbite-
rio e altare maggiore di quella parte dell'abside che gli antichi documenti chia-
mano «ecclesia superior ».





NUOVI STUDI SULLA CASA DI S. CHIARA 129

honesta societate (1) aggreditur. Cumque ostio consueto (2) exire non pla-
cuit, aliud ostium, quod lignorum et lapidum pondera obstruebant, miranda
sibi fortitudine, propriis manibus reseravit » (3).

NA

Il palazzo Sermattei e il palazzo del Priore di San Rufino.

Ci sembra di aver ormai ampiamente dimostrato, senza possibi-
lità di incertezze, che l’unico edificio al quale possa riferirsi il muta-
mento nelle condizioni di confine indicato nei due documenti (« juxta
ecclesiam » nel 1148, « juxta plateam » nel 1212) è la casa di cui finora
abbiamo parlato, e che quindi è da escludere l’identificazione della
Casa paterna di Santa Chiara con la Casa Sermattei, come vuole il
Fortini (4). Questa casa non fu mai contigua alla basilica Ugoniana,
e in nessun caso, se si vuol fare dell'ermenevutica seria ed oggettiva,
può riferirsi ad essa il documento del 1148.

* >k >*

Il Palazzo Sermattei oggi si presenta come un edificio ampio,
alto, maestoso e soprattutto unico; ma si sa bene ch’è una costruzio-
ne di pochi secoli fa innalzata sopra un c e ppo di case assai più mo-
deste. In una parola, prima del secolo xvi non fu mai un « palatium >,

(1) Chi accompagnò la giovinetta Chiara sino alla Porziuncola forse fu
Pacifica di Guelfuccio, di poi Suora Damianita anche lei.

(2) Data, per noi, l'identità della « Casa Paterna» di S. Chiara con il
« Palatium Prioris S. Rufini » quest'ingresso consueto dev'essere stato nella
via a scalini, che passando davanti la facciata anteriore del Campanile con-
duceva alla porta laterale della vecchia basilica ugoniana finché questa
stette in piedi, e dipoi alle porte d'ingresso (sboccanti sulla Piazza) della n u o-
va chiesa, finché nel secolo xvi non venne chiusa. L’attuale ingresso
del detto Palazzo venne aperto « ex-novo » dal Canonico M. Antonio Bruni;
prima di detto secolo xvi la « Casa di S. Chiara » non ebbe mai un ingresso
prospiciente la Piazza. Perciò la porta da cui uscì la Santa in quella memo-
randa notte successiva alla Domenica delle Palme del 1212, dovette essere si-
tuata in uno degli altri due lati del « Palatium ».

(3) Legenda S. Clarae Virginis. Ediz. di F. Pennacchi, Assisi, 1910, 10-13.

(4) A. FORTINI, 0p. cit., p. 23.





130 P. GIUSEPPE ABATE

come invece lo fu l'ampio fabbricato contiguo da noi ritenuto come la
« Casa Paterna » di S. Chiara, tanto é vero che le innumerevoli volte
che l'abitazione dei Sermattei viene menzionata dai Notari Assisani
di quel tempo (e particolarmente da un Notaro di quella stessa Fa-
miglia) essa é qualificata col termine comune di «domus » e mai di
« palatium ». Chi volesse perció richiamarsi, per caso, all'ampiezza e
maestosità dell'attuale Palazzo Sermattei per scorgervi un elemento,
e quasi una conferma, per ritenerlo come l'ex-Casa Paterna di S.
Chiara, farebbe cosa vana e anacronistica (1),

*ockok

Passiamo ora al « Palatium Prioris S. Rufini », intorno al quale
il Ch.mo Fortini ha asserito due cose, che da parte nostra esigono non
già una risposta nel senso meno gradito della parola, ma una illustra-

(1) Le prime notizie, a noi note, sulla nobile Famiglia Sermattei e sulla
casa di cui parliamo risalgono agli ultimi anni del secolo xtv e ai primi del xv.
Capostipite di essa ci risulta un « Ser Pietro « (ARCHIVIO NOTARILE DI ASSISI,
Protocolli di Giovanni di Cecco di Bevignate, 1389-1398, B. n. 1, all'anno 1395);
dal figliuolo di questi a nome « Ser Matteo » ebbe origine poi il cognome della
Famiglia. Da questo Matteo nacque Cristoforo, dal quale si ebbe il Notaro
«Ser Matteo di Cristoforo di Ser Matteo », i cui Protocolli ancora esistenti vanno
dall’anno 1468 al 1513. Della stessa famiglia, e abitante nella stessa Porta di
S. Rufino e dello stesso ceppo di casa, fu « Arcangelo Sermattei » fabbro e vendi-
tore di ferramenta, il cui nome ricorre frequentemente nei Libri di Spese del
Sacro Convento di S. Francesco. (Cf. per es. il Codice 374 dell’Archivio
Amministrativo del S. Convento, 1430-1465, all'anno 1453).

Diamo qualche documento:

1406, Genn. 31. — « Actum... in strata publica ante domum Ser Macthaei Ser Petri, posi-
tam in Porta S. Rufini, juxta fontem Plateae S. Rufini et viam, et alia latera ». (Arch. not. cit.,
Protoc. d. stesso Notaro, N. n. 17, fol. 62).

Due erano allora le fontane esistenti in Piazza S. Rufino: una di forma ottagonale, con un ca-
tino rotondo e una colonna in mezzo, posta a scopo ornamentale nel centro della Piazza, la quale
esisteva ancora nell’anno 1599, come si rileva dalla Pianta Topografica di Assisi edita da Jacopo
Lauro; — e un’altra fontana, di forma rettangolare, a scopo utilitario, ch'é quella menzionata in
questo documento. Essa esiste ancora, e si trova precisamente addossata ad un angolo della fac-
ciata del Palazzo Sermattei.

Dai Protocolli del Notaro Ser Matteo di Cristoforo di Ser Matteo si rileva che questi: — nel
1468 dice la sua casa posta «in Porta S. Rufini, cui a primo [latere] res dicti Christophori [Ser-
mattei], a secundo res Menici Caiotae, a tertio via Comunis » (Arch. cit., N. n. 1, fol. 1).; - nel 1482
i confini della stessa casa sono «... a duobus viae Comunis, res heredum Archangeli Sermac-
thaei » IVI, fol. 332 e 656; — nel 1485 « a tribus viae, res Francisci Sanmartini » IVI, fol. 565; — nel
1490: «... in domo mei Notarii, cui a I, II, et III viae Comunis, res heredum Archangeli Fran-
cisci fabri » IVI, fol. 699. È notevole, che quella casa, pur avendo dinanzi a sè la Piazza, non è
detta mai dal Notaro Sermattei, che pur ne indica i confini innumerevoli volte, trovarsi « juxta
Plateam ». Invero la predetta Casa Sermattei è ad un livello più alto e parecchio arretrata dalla
linea longitudinale sinistra della Piazza medesima.









NUOVI STUDI SULLA CASA DI S. CHIARA 131

zione e una più documentata riaffermazione: — la prima è che il detto
Palazzo Priorale, data la sua modestia, deve ritenersi escluso a priori
nella sua identificazione con la « Casa Paterna di S. Chiara »;—la seconda
è, che c’è da dubitare che il Palazzo Priorale (e annessa Cappella di
S. Maria) abbia avuto la sua vera ubicazione nei pressi del Campanile
e sul lato sinistro della Piazza, come abbiamo affermato noi.

Riguardo al primo punto ci si consenta ricordare che fino a tutto
il secolo xir le case dei nobili, specialmente quelle poste nel centro
della città, erano anguste, cioè di tre piani al massimo e, in genere,
con non più di quindici vani. I grandi palazzi, per esempio in Firenze,
sorsero tra la fine del secolo xII e il xv e suce ppi dicase all’uopo
demolite. Scrisse lo ScHIAPARELLI che le case signorili vennero co-
strutte sopra.un piano alquanto differente nel centro e alla periferia
della città. I palazzi eretti nel centro, rinserrati fra torri e chiusi fra
vicoli e viuzze, sorgevano sopra un’area cosìristretta che spesso
mancavano perfino del cortile... Cinque o sei stanze erano suffi-
cienti ad alloggiare una famiglia agiata... (1). Il CANUTI — che ri-
porta il brano citato nel suo interessantissimo studio sulla Casa di
Pietro Vannucci (2) — tra l'altro, aggiunge che «i nostri antenati di
quell’epoca, se molto attendevano alla solidità delle costruzioni, poco
si curavano delle comodità e delle esigenze igieniche ». Chi ha letto gli
« Studi Storici sul Centro di Firenze » fatti dal CONTI, dall’ARTIMINI,
dal DeL BADIA e altri e editi a cura di quel Municipio nell'anno 1889,
sa, per esempio, che i grandi palazzi delle famiglie nobili di quella Città
sorsero nei secoli xiv e xv, e, costruiti su c e ppi di case e casette,
occupano ora lo spazio di parecchi antichi fabbricati. Sostenere perciò
che la Casa Paterna di S. Chiara avrebbe dovuto essere un «palazzone » è
un gravissimo errore storico, e perciò ci sembrano infondati i commenti
del dotto amico Fortini, a proposito dell’antico edificio da noi indicato
come « Casa Paterna di S. Chiara »: «senza dire della modestia di
tale abitazione, la quale, anche se si vuole mutila nella parte inferiore,
si presenta con una facciata di così modeste proporzioni in larghezza
e in altezza, da farci escludere a priori che essa abbia potuto costi-
tuire l’abitazione di una fra le più potenti e numerose famiglie nobili
della città » (3).

(1) A, ScHIAPARELLI, La casa fiorentina nei secoli XIV e XV. Firenze,
1908, pp..1 6.95.

(2) F. CANUTI, La casa che fu di Pietro Vannucci in Città della Pieve.
In «Archivio storico per l'Umbria », Perugia, 1915, 55.

(3) A. FORTINI, op. cit., 27.

P e

TALL

|
i.
a





132 P. GIUSEPPE ABATE

Non é affatto vero che la Casa sovrindicata sia un edificio cosi
modesto da non poterlo ritenere degna abitazione della Famiglia di
S. Chiara. Non é da dimenticare anzitutto che i «Signori», cioé i
nobili feudatari, nei secoli xu-xiii avevanolaloroordinaria abi-
tazione nei loro vasti castelli di campagna (e ció tanto in Italia, come
in Francia, secondo che ci tramandó il Salimbene), mentre invece per
la loro non abituale dimora in città avevano delle case piuttosto pic-
cole e ristrette. La Famiglia di S. Chiara apparteneva alla categoria
sociale dei feudatari; ma la sua casa di città non doveva avere una
ampiezza maggiore di quanto concedevano gli usi del tempo. Del
resto, è pure arbitrario affermare che la Casa indicata dal P. Abate
come quella di S. Chiara sia una casa modesta: di essa non cono-
sciamo che uno smozzicato muro di facciata e una piccola parte della
struttura interna, essendo stata essa mutilata su tutta la sua parte
posteriore (non in quella inferiore) quando attraverso ad essa si
volle aprire alcuni secoli fa una pubblica strada; eppure quella
facciata e quei resti di struttura interna presentano una casa di
tre piani con numerose finestre, per cui non senza uu giustificato
motivo essa in tutti i documenti antichi che la riguardano — a dif-
ferenza dell’antica casa Sermattei ch’è sempre qualificata come
una comune «domus »- dai Notari Assisani viene detta sempre
« Palatium ».

X ok

Eccoci ora a documentare, contro i dubbi dell'amico Fortini,
l'ubicazione del noto Palazzo Priorale e contigua Cappella di S. Maria.
sul fianco sinistro della Piazza di S. Rufino e nei pressi del Campanile.

Facciamo osservare anzitutto, che le dizioni « Palatium S. Ru-
fini » e « Palatium Prioris S. Rufini » non sono sempre la stessa cosa:
la prima indica di solito l'abitazione dei Canonici e la sede degli uf-
fici canonicali; l’altra invece designa unicamente l’abitazione della
prima dignità del Capitolo. A non badare, nel nostro caso, a siffatta
distinzione si corre il non piacevole rischio di dare ai documenti una
interpretazione errata, com’è avvenuto a qualcuno. i

Il « Palatium S. Rufini » nel secolo xii: era la casa nella quale ave-
vano la loro abitazione i Canonici della Cattedrale. Le prove di questa
affermazione per l'anno 1244, e anteriormente per l'anno 1166, si
hanno tra le pergamene dell'Archivio di S. Rufino; esse peró non ci
dicono che il Priore in quel tempo abitasse anche nella stessa
casa; è perciò arbitrario affermarlo come cosa certa, ma è lecito sup-



NUOVI STUDI SULLA CASA DI S. CHIARA 133

porlo come cosa verosimile, almeno per lo spazio di tempo suddetto.
Fare poi la medesima affermazione per i secoli xrv-xv è basarsi sul
falso, come subito documenteremo, poiché allora il Priore della Catte-
drale non abitava nella Canonica, dove erano il « Capitulum » e il
« dormitorium » ricordati dal Fortini, ma dimorava in un ampio e
antico fabbricato a parte, il quale era denominato « Palatium Prioris
S. Rufini ». La Canonica, o « Palatium S. Rufini » era — usiamo qui le
stesse parole dell'Avv. Fortini (1) — ed é tuttora, sulla parte destra
della chiesa »; — la casa, invece, o Palatium del Priore della Cattedrale
era, nei predetti secoli, ed é tuttora (sebbene adibita ad altro uso)
sulla parte sinistra della medesima chiesa.

Il Fortini, confondendo in una le due diverse e contrapposte
abitazioni, cioé quella dei Canonici e quella del Priore, nega che sulla
parte sinistra ci sia stato un « Palatium Prioris S. Rufini », e perció,
mettendo in dubbio l'affermazione da noi fatta al riguardo scrive
conseguentemente che «d'altronde basterà porre attenzione agli
Statuti per constatare come questo Palatium S. Rufini fosse proprio
dalla parte opposta al campanile, e quindr alla presunta casa di S.
Chiara: Confines platee S. Rufini sunt isti : columna (2) ubi est desi-
gnatus Leo in capite fontis dictae platee, et trahit recte ad campa-
nile dicte ecclesie, et vadit recte ex opposito ad palatium dicte
eccresre»

Ora, é verissimo che questo « palatium » sia il fabbricato ca n o -
nicale; ma che per ció ? La questione riguarda non già l'ubica-
zione della Canonica, ma l'ubicazione del fabbricato pri o -
‘rale, e di questo non avrebbero mai parlato gli Statuti. Questi, in-
fatti, nel definire il lato sinistro della Piazza di S. Rufino indicano,
com'é giusto che indicassero, i limiti est re mi di esso, cioè la « co-
lumna ubi est designatus Leo » e il « campanile »; non potevano perciò
menzionare il « Palatium Prioris S. Rufini » e la «via », che di quello
stesso lato sinistro erano limiti intermedi. Chi perciò, allo scopo di

(1) A. FORTINI, op. cit., p. 28.

(2) Columna nella terminologia usata allora in Assisi, come possiamo am-
piamente documentare, non sempre ha il significato di un fusto lapideo o li-
gneo di forma più o meno cilindrica; talvolta, come nel caso presente, ha signi-
ficato di parallelepipedo rettangolare di mattoni o pietre conce, di targa. Tale
è infatti la ducentesca « columna » indicata in questo tratto degli Statuti Assi-
sani, e che si trova attigua (dalla parte destra) alla Fonte rettangolare addossa-
ta al Palazzo Sermattei. Ci sarebbe da osservare, che in base a questa indica-
zione degli Statuti, parte della Casa Sermattei è fu ori dei « confines plateae
S. Rufini » anticamente stabiliti.





134 P. GIUSEPPE ABATE

negare su quel lato sinistro della Piazza l'esistenza di quel Palazzo
Priorale (presunta casa di S. Chiara, come dice il Fortini) facesse ri-
corso agli Statuti Assisani, dimostrerebbe senz'altro di esser fuori
di strada.

Segue ora la serie dei documenti dal cui complesso risulta chiara
e precisa l'ubicazione, sul lato sinistro della Piazza, non soltanto del
Palazzo Priorale ma anche, com'é logico, dell'attigua Maestà esterna
dedicata alla Madonna e perció detta Cappella di S. Maria.

DOCUMENTO N. 1

1401, Marzo 7. — «Actum... in palatio Prioris Sancti Rufini,
juxta Plateam (1) dictae Ecclesiae et claustrum (2) dicti pala-
Ul -i»

(ARCH. NoTAR. D’Assisi, Prot. di Benve-
nuto di Stefano, C. n. 17, fol. 9 di quell’anno).

DOCUMENTO N. 2

1407, Maggio 27. — « Actum... in Platea Sancti Rufini ante scalas
lapideas (3), quae sunt juxta campanile (4) dictae ecclesiae
et hostium parvum ad intrandum in ecclesiam (5) praedictam ».

(ArcH. Norar., Prot. di Giovanni di Be-
vignate, 1406-7, B. n. 17, fol. 154).

(1) Che il Palazzo Priorale di S. Rufino fronteggiasse da un lato la Piazza
della Cattedrale ce l'avevano affermato negli anni 1390 e 1392 due rogiti del
notaro Gerardo di Giovanni: cfr. ABATE, 46, nota 1.

(2) Se il detto Palazzo aveva un cortile (« claustrum »), è segno che esso era
di ampie proporzioni e non già una casa modesta, come s’è voluta qualificare.

(3) Questa scalinata di pietra era coperta da un voltone (se ne vedono an-
cora le vestigia), e metteva in comunicazione la « Platea magna S. Rufini »
con la « plateuncula » esistente « supra campanile »: cf. ArcH: NoT., Prot. di
Giovanni di Giacomo, 1372-1392, A. n. 1, fol. 44. Essa costituiva la «via » di
cui parla il noto documento del 1148 e che poi troviamo come uno dei « fines »
del « Palatium Prioris S. Rufini ». Era uno degli « andrones sive rembucchi »,
cosi frequenti anche oggi in Assisi, creati per unire una strada, o piazza, o al-
tro luogo pubblico esistente in un piano inferiore con un altro esistente a un li-
vello superiore. Ai fianchi di dette gradinate si aprivano porte d'ingresso alle
abitazioni, come se ne vedono anche oggi.

(4) Il campanile é a sinistra della facciata di S. Rufino.

(5) Questa porta piccola immetteva direttamente nella Cappella del
Volto Santo.





NUOVI STUDI SULLA CASA DI S. CHIARA 135

DOCUMENTO N. 3

1410, Gennaio 6. — « Electio Capellani Capellae S. Mariae (1),
quae est ante portam Palatii Prioris S. Rufini». Il Notaro Ser
Benvenuto di Stefano, che ne stese quel giorno il pubblico strumento (fol.
36), disse che la predetta Cappella era «sitaextra portam Palatii Prio-
ris Ecclesiae S. Rufini » ed era stata « dotata (2) olim per dominum Nico-
laum Franciae de Spoleto olim Prioris eiusdem Ecclesiae ».

(ARCH. DELLA CATTEDRALE, Ms. n. 9, fol. 9).

DOCUMENTO N. 4

1416, Luglio 5. — « Actum... in Platea magna (3) ecclesiae Sanc-
ti Rufini ante dictam ecclesiam, cui a I9 dicta Platea, a II? Palatium habi-
tationis olim (4) Prioris sancti Rufini... ».

(ARcH. NOTAR., Protoce. di Costantino di Fran-
cesco Calzaverde, 1415-1417, H. n. 2, fol. 94).

DOCUMENTO N: 5

1420, Maggio 31. — « Actum... in Palatio Domini Prioris Eccle-
siae Sancti Rufini, in sala sive caminata dicti Palatii, cui Palatio a primo

(1) ‘Più che una vera cappella era questa una edicola o maestà con altare,
simile a quella esistente anche oggi in Piazza del Comune. La più remota me-
moria che ne conosciamo risale all'anno 1381; ma non é detto che non fosse
molto più antica. La sua origine ci è ignota; è però da escludere — dato che essa
era in luogo aperto da due lati: sulla «via » — che potesse servire ad una Confra-
ternita di Raccomandati della Vergine Maria da oratorio per ivi congre-
garsi, come pensa il Fortini. L'esempio addotto dell'Oratorio di S. Bernar-
dino, costruito dai Terziari di fronte alla Basilica di S. Francesco, non vale:
il detto oratorio era un vera cappella tutta chiusa, una piccola chiesa.

(2) Questa affermazione si ha anche in altri documenti, e vuol significare
che il pio Priore arricchi di beni stabili quella Cappella, ma non la eresse.

(3) Con il termine « magna » il Notaro ha implicitamente voluto alludere
alla esistenza di quella piazza piccola (« plateuncula ») la quale, dal lato su-
periore, fronteggiava l'ampio fabbricato appartenente alla Cattedrale e del
quale era parte cospicua il Palazzo Priorale, come risulterà chiaro dal docu-
mento seguente.

(4) Giustamente dal Notaro è stato detto « olim », perché, in quel tempo,
essendo Priore un assisano, questi anziché abitare nella casa priorale, che gli
spettava per ragione della sua dignità, aveva preferito abitare in quella pri-
vata di famiglia e di sua proprietà. Un documento del 1° Maggio 1520 ha:
— «Actum... in palatio veteri domini Prioris sito juxta Turrim
[il Campanile] et Plateam . ..»: ARcH. NoTtAR., Protoc. di Cherubino Cilleni,
000,*n. 1, fol. ‘209: -

—————T——Tr—< «<= ea

_—Trrr_roru _"-—_Pa_— Pr rr rr grrrg,-rTrttrrr rr erre

|
|
|
|
|
|
|
|

= ==





136 P. GIUSEPPE ABATE

Platea dictae Ecclesiae, a secundo via (1), etertio res Ecclesiae
práedictae (2) ...» ;

(ARcH. NorAR., Protoc. di Francesco di Ben-
venuto di Stefano, 1399-1424, C. n. 27, fol. 126).

DOCUMENTO N. 6

1430, Luglio 28. — «Praeseníatio et consecratio (3) Domini Silve-
stri». « Actum Asisii ante Cappellam Sanctae Mariae si-
tuatam juxta ecclesiam Sancti Rufini a parte Plateae dictae ecclesiae, jux--
tahostium'parvum (4) per quod intratur in dictam ecclesiam Sancti
Rufini, quod [hostium] est juxta Cappellam Vultus Sancti

(1) Questa via la conosciamo: é quella pubblica scalinata di pietra
che, passando tra il Campanile (cfr. docum. n. 2) e il Palazzo Priorale univa la
« platea magna Sancti Rufini » (cfr. docum. n. 4) con la « plateuncula supra Cam-
panile Sancti Rufini » menzionata in vari documenti.

(2) L'indicazione di questo terzo lato del Palazzo Priorale
è un dato importante per giudicare dellaspaziosità della ex-Casa Pater- ©
na di S. Chiara. Esso, infatti, non é una via e non é nemmeno la sovraccen-
nata piazzetta; ma- contiguo alla « sala sive caminata » del « Palatium
domini Prioris — è, come questo, un fabbricato appartenente alla Catte-
drale nel quale, agli anni 1391-1392, abitavano alcuni prebendati e canonici
di S. Rufino, cioè « Dominus Lambertus Putii, Dominus Gerardus Gaydonis,
Dominus Burgarus »; aggiungiamo, che il suddetto fabbricato fronteggiava
da un lato la « plateuncula supra Campanile »; ArcH. NoTAR., Protoc. di Gio-
vanni di Giacomo, 1390-1392, A. n.1, fol. 44; Prot. di Gerardo di Giovanni, 1390-
1392, C. n. 1, ff. 50, 116 e 167. È dunque solo parzialmente vero che i
Canonici di S. Rufino avevano la loro casa d’abitazione sul lato destro della
Piazza, guardando la facciata della Chiesa; parecchi di essi infatti, come ab-
biamo documentato, abitavano in fabbricati della stessa chiesa posti invece
sul lato sinistro. à

(3) Crediamo opportuno ad evitare errate interpretazioni di antichi docu-
menti (come talvolta é accaduto anche per carte assisane) che qui il termine
« consecratio » (e in casi simili quello di ordinatio e sacratio) significa unicamen-
te pubblica installazione di un beneficio ecclesiastico (per es. cappellania, ca-
nonicato, ecc.), cioé l'effettiva presa di possesso del beneficio medesimo. Di so-
lito in Assisi tale installazione veniva fatta dal Priore della Cattedrale, come noi
abbiamo potuto abbondantemente constatare.

(4) Come si sa, la Cattedrale di Assisi sulla sua facciata di porte pic-
cole («ostia parva ») ne ha avuto sempre due: quella di destra — al tempo del
nostro documento — oltre che al Fonte Battesimale era contigua, dalla parte in-



NUOVI STUDI SULLA CASA DI S. CHIARA 197-

situatum in dicta ecclesia, et prope portam seu hostium per quam vel per
quod intratur in Palatium et domum Sancti Rufini(1) con-
tiguum dictae Cappellae... ».

(ARcH. Norar., Protoc. di Giovanni di Cec-

co di Bevignate, 1430-1431; B. n. XII, ff.
120 e 121).

DOCUMENTO N. 7

1436, Dicembre 18. — « Actum... in Platea Sancti Rufini, videlicet ante
Capellam quaeestante etjuxta portam per quam intratur in Pa-
latium dictae ecclesia (2)... »

(AncH. NoTrAR., Protoc. dello stesso Nota-
ro, 1436-1437, B. n. 15, fol. 27).

terna, alla Cappella dei SS. Filippo e Giacomo, già Cappella di S. Giovanni ;
— la porta piccola di sinistra invece, oltre che al Campanile, era contigua,
sempre dalla parte interna, alla Cappella del Volto Santo, detta anche del SS.mo
Salvatore: ArcH. NoTAR., Protoc. di Francesco di Tommaso, 1380-1381, A.
n. 3, fol. 118 r; — Protoc. di Francesco di Benvenuto, 1413-1415, C. n. 20, fol.
83 r.; — Protoc. di Filippo Baciucci, F. n. 3, fol. 39 del 1499. Or se la Cappella
del Volto Santo era sul lato sinistro della chiesa e vicino al Campanile e alla
Cappella di S. Maria, ne segue che il « Palatium Prioris S. Rufini » attiguo alla
detta Cappella di S. Maria era sullo stesso lato sinistro della chiesa e non già
su quello destro, ove il Ch.mo Fortini pretende localizzarlo.

(1) Questo « Palatium S. Rufini contiguum dictae Cappellae » è il« Pala-
tium Domini Prioris »: cf. docum. n. 3.

(2) Non c'é dubbio, che qui si tratti della Cappella di S. Maria e che il
« palatium » qui menzionato, e detto appartenere alla chiesa di S. Rufino, sia
il « palatium domini Prioris S. Rufini »: cf. Docum. nn. 3 e 6.

Il documento ha un particolare interesse nei riguardi della ubicazione della
Cappella, perché lasitua davanti e vicino all'ingresso di quel palazzo,
che noi riteniamo essere stato la « Casa di S. Chiara », e perció — se non erria-
mo, e dato che si tratta di una edicola, anche se sormontante un altare
come dicono altri documenti — essa doveva essere appoggiata al muro di detta
casa, e non già a quello della facciata anteriore del Campanile. Aggiungiamo
inoltre, che la suddetta edicola — dato che essa è detta anche vicino alla
Piazza e alla facciata della Cattedrale, doveva trovarsi alprincipio della
via o gradinata, che congiungeva la suddetta « Platea magna S. Rufini»
con la « Plateuncula supra Campanile ». Vicinissima al Campanile era invece
la « banca lapidea » (detta anche « petrone») che viene talvolta menzionata negli
Atti del suddetto Notaro e in quelli di altri.





138 P. GIUSEPPE ABATE

DOCUMENTO N. 8

1470, Ottobre 14. — « Actum... in Porta Sancti Rufini, juxta Eccle-
siam Sancti Rufini, apud altare (1) Sanctae Mariae extra Ecclesiam et
ante hostium palatii [dictae Ecclesiae]... ».

(AncH. NoTAR., Protoc. di Matteo di Cristo-
foro Sermattei, N. n. 2, fol. 44 r.).

DOCUMENTO N. 9

1518, Giugno 1. — « Actum in civitate Assisii in seu ante Ecclesiam Sancti
Rufini super altare (2)sito in inter dictam Ecclesiam et domos
dictae ecclesiae (3) iuxta plateam, sub quadam volta (4)... ».

(ArcH. NoTAR., Protoc. di Gianfrancesco
Sammartini, 1517-1519, T. n. 5, fol. 56 di
quell’anno).

Qui ci fermiamo. Il complesso dei predetti documenti è più che
bastevole a dimostrare la completa infondatezza dei dubbi espressi
dall’Amico Fortini sull’esatta e precisa ubicazione di quel « Palatium
Prioris S. Rufini » — e attigua Cappella di S. Maria — che noi nel pri-
mo nostro studio sulla Casa Paterna avevamo detto trovarsi nelle
immediate adiacenze anteriori del Campanile del Duomo e sul fian-
co sinistro dell’attigua Piazza.

(1) Che la detta Cappella o Maestà di S. Maria avesse unaltare non
solo è cosa certa, perché affermata ripetutamente in pubblici strumenti (cf.
per es. i Protoc. di detto Matteo di Cristoforo Sermattei, N. n. 1, fi. 2 e 485);
ma è cosa che non deve destare meraviglia per il fatto che essa fosse all’aperto
e sulla pubblica via. Anche la Maestà o Cappella di S. Maria posta nella Piazza
Grande del Comune, e appoggiata all’antichissima Chiesa di S. Nicolò,aveva
un vero altare, ove talvolta si celebrava la S. Messa e si facevano altre funzioni
sacre. È pertanto da ritenere come certo, che attorno a quell’altare corresse
una cancellata di ferro, com’era uso e necessità.

(2) Di strumenti pubblici che dai Notari Assisani si dicono redatti « su-
per » qualche altare noi ne conosciamo un gran numero.

(3) Le case (« domos ») qui menzionate sono il Palazzo del Priore e le atti-
gue abitazioni dei Prebendati e Canonici di S. Rufino: cf. Docum, n. 5.

(4) Di tale volta, come abbiamo accennato, se ne vedono ancora i
resti ed i segni. Essa venne demolita quando nel secolo xvi fu chiusa la via a
gradinate e aperta un’altra via dalla parte superiore della Piazza di S. Ru-
fino mutilando il « Palatium Domini Prioris », cio6la vetusta « Casadi S. Chiara ».



enza I a i



————M——

NUOVI STUDI SULLA CASA DI S. CHIARA 139

Nulla, infine, abbiamo da aggiungere a quanto abbiamo già detto
e debitamente documentato sulla perfetta identità locale di detto
« Palatium » con l’antica Casa di S. Chiara. L’uno e l’altra, nei docu-
menti e nella realtà hanno gli stessi identici « fines »: dunque storica-
mente ed effettivamente, oltreché senza possibilità d’errore, sono or-
mai da considerarsi una cosa sola. :

VII.

Rapporti fra la « Casa di S. Chiara » e la Cattedrale di S. Rufino se-
condo l'atto dell'anno 1148.

Sebbene nel nostro studio precedente non demmo di questo im-
portantissimo Atto la trascrizione integrale, perché già pubblicata
nella nota « Disamina » del Di Costanzo, pure ne allegammo una chia-
ra e totale riproduzione fotografica. Oggi peró crediamo opportuno
dare tutto quel testo, da noi controllato sull'originale, perché inten-
diamo sottoporlo a speciale esame.

Il documento, sempre gelosamente conservato nell'Archivio della
Cattedrale, dice:

« In nomine Domini nostri Jesu Christi. Anno a Nativitate eius Millesimo-
C. XL. VIII. Mense Julii. Indictione XI.

Et ideo in Dei nomine. Nos qui sumus Rolandus eiusque filius Rainutius.
et Frondulfinus et Bernardinus eius filius. et Rodulfus et Berarducius et
Oderisius eiusdem filii. et Paganus cum svis filiis. Petrus. et Marescotus. et
Mendicus. et Ofredutius et Rainaldus Bernardi quondam filii:

promittimus et obligamus ecclesie Sancti Rufini unanimiter atque co-
muniter quod deinde in antea non vendiderimus nec cambiabimus. nec pi-
gnorabimus nec ullo modo alienaverimus. alicui persone. nec etiam donabi-
mus. nisi inter nos qui prenominati sumus. aut inter nostros eredes. nec
acommunabimus nisi filiis Ugonis Berardi. aut filiis Berardutii Capotii. aut
Gualterio Ugonis filio. nepotique eius T'afurino. aut etiam Rodulfo filio Guelfi
eiusque filiis. si predictam observationem atque inferius adiunctam ob-
servaverint et iure iurando confirmaverint: similiter etiam concedimus in
casa Ugonis Avultrini :

et non faciemus aliqua [cosi] offensam Ecclesiae Sancti
Rufini neque in bonis eius. quod si (quod absit) fecerimus et requisit



140 P. GIUSEPPE ABATE

fuerimus infra quindecim dies emendabimus absque fraude. et etiam edifi-

ficium terris non levaverimus nec etiam domorum nisiin quantum concessum
a vobis est:
et nos filii Bernardi OrREDpurIvs et RAiNALDUS non levaverimus domum
nosram que est juxta Ecclesiam et juxta viam. nisi
quantum modo est:
sic quoque omnes nos predicti insimul communiter. Rolandus. et
Frondulfinus. et Rodulfus. et Paganus. et Mendicus. et OrREDUTIUS et Rar-
NALDUS cum nostris eredibus. predictum pactum. et iam dictam promissio-
nem. semper observare promittimus Ecclesie Sancti Rufini
per manum Dompni Rainerii archipresbiteri (1): nisi forsitan quantum nobis
fuerit a vobis vel a vestris successoribus concessum. ita silicet aut cum om-
nium Canonicorum licentia. aut sex de maioribus personis:
quod si ita non observaverimus. tota pars non observantis veniat in
iam dictam Ecclesiam absque omni obstaculo vel impedimento.
Actum in Asisio feliciter.
Nos omnes predicti anc cartam scribere rogavimus.
Testes enim rogati. Guarnerius Iudex. et Berardutius Ugonis Bernardi.
et Tebaldutius Berardutii Tebaldi. et alios quamplures.
Ego Rodulfus Iudex scripsi complevique.

A nessuno certamente sfugge sia l’importanza storica di quest’At-
to unitamente alla solennità pubblica di cui si volle rivestito, sia lo
spirito di fede e l’attaccamento civico che animarono quegli antichi
Cittadini Assisani a stipularlo. È cosa mirabile, invero, che quei Citta-
dini, liberamente e concordemente, abbiano assunto con quell’Atto,
per sé e per i loro eredi, impegni onerosi e perpetui non solo senza chie-
dere alcuna concessione nemmeno di ordine spirituale, ma anzi sot-
toponendosi spontaneamente, per il caso di loro inadempienza, a una
sanzione gravissima, che automaticamente importava la perdita del
possesso della loro casa.

Quello strumento, ognun lo vede, è una « promissio gratiosa »;
ma non è della sua natura legale che noi qui vogliamo trattare, né del
fatto (la costruzione del nuovo Duomo) che lo provocò: a noi, per il
momento, interessa ricercare in quell’Atto quali siano stati i rapporti
materiale (di confine) correnti nel 1148 fra la casa dei suddetti Citta-
dini Assisani e il fabbricato del Duomo, allora esistente, rimettendo
ad altro tempo (o meglio a persone più competenti di noi) lo studio

(1) E questi quel Rainerio, Priore di S. Rufino, al cui zelo si deve la rac-
colta dei mezzi, già fin dall'anno 1134, per l'erezione del nuovo Duomo affi-
data un decennio piü tardi all'architetto Giovanni da Gubbio.





———————ÉÁÉ

——————————

NUOVI STUDI SULLA CASA DI S. CHIARA 141

sui rapporti giuridici, sorti in quello stesso anno e in virtü di quella
promessa, tra i possessori di dette abitazioni e l'Ente Morale Duomo.

Non è semplice curiosità, che spinge a fare la suddetta indagine,

ma è una ben salda persuasione che la conoscenza esatta di tali rap-
porti non soltanto sarà di molta luce nella questione della precisa
ubicazione della Casa Paterna di S. Chiara, ma, con ogni probabilità,
potrà anche suggerire un qualche remoto plausibile motivo per spie-
gare come quella stessa Casa divenne più tardi proprietà della Catte-
drale.

È evidente dal documento surriportato, che le case. d’abita-
zione e i casalini di quel gruppo di Assisani che stipularono quella
« promissio », dovevano trovarsi nelle vicinanze del fabbricato della
Basilica Ugoniana e Piazza antistante, fabbricato già destinato alla
demolizione per dar luogo a un nuovo Duomo e a una più ampia
Piazza. Se non si considera ciò come uri dato di fatto più che certo,
bisogna dire che quell’Atto non ha senso. Ora, poiché conseguente-
mente alla costruzione del nuovo Duomo in zona alquanto più arre-
trata (ma sempre sulla stessa linea e in contiguità con l’area del Duomo
vecchio) quelle case sarebbero venute a fronteggiare la nuova Piaz-
za dominata dalla facciata della Cattedrale, s'imponeva che fosse
posto ad esse un certo vincolo edilizio a salvaguardia dell'armonia
estetica risultante dal nuovo complesso monumentale. Brutto, invero,
e vituperevole sarebbe stato, se nelle immediate vicinanze del nuovo
Duomo si fossero vedute case di ogni altezza, forse anche sormontate
da alte torri o da arbitrarie ineleganti soprastrutture, perché esse
avrebbero deturpato, col loro stridente contrasto, la solenne mae-
stosità e bellezza dell'ambiente che stava per sorgere (1). Quei Citta-
dini compresero la necessità di quel vincolo e concordemente promi-
sero, alla presenza del Giudice della Città, di rispettarlo.

(1) Uno dei motivi, per cui furono allora demoliti il lungo portico e gli
altri edifizi della vecchia Canonica svolgentisi sul fianco destro della vecchia
Basilica Ugoniana, fu, a nostro credere, proprio l'intenzione di voler creare
presso la parte anteriore della nuova Cattedrale e attorno alla nuova piazza
una « zona di rispetto », quando, naturalmente, quelle demolizioni non veniva-
no richieste da esigenze di diversa specie, come era, ad esempio, quella della
maggiore larghezza da dare alla nuova «Platea» in corrispondenza della mag-
giore larghezza data alla nuova facciata.

=

I
| i;
|
|
| i
1
|
|

E

tae





142 P. GIUSEPPE ABATE

Quel vincolo peró, se fu grave ma suscettibile (previa autorizza-
zione) di un eventuale temperamento per tutte le case vicine alla vec-
chia chiesa, fu invece gravissimo, perché dichiarato perpetuamente
insuscettibile di ogni temperamento, per la Casa dei Parenti di S.
Chiara: quelle, infatti, avrebbero potuto raggiungere con licenza dei
Canonici di S. Rufino un'altezza superiore a quella che avevano allo-
ra; la Casa dei Parenti della Santa invece no: essa doveva rima-
nere sempre della medesima altezza in cui si trovava in quell'anno
1148. Perció in questo senso assoluto, preciso, incondizionato, Of-
{redduzzo e Rainaldo — essi soli — promettono alla Cattedrale, rappre-
sentata dal suo Priore Rainerio, che in ogni caso non avrebbero rico-
struita la loro casa più alta di quanto non fosse allora: « ... non
levaverimus domum nostram que est juxta Ecclesiam... nisi quantum
modo est » (1).

Pertanto di questo vincolo cosi assoluto, e di questa promessa cosi
esplicita, non crediamo possa darsi piü ragionevole spiegazione, se
non ritenendo come fatto certo, che la Casa di Offreduccio e di Rai-
naldo era più che ogni altra casa « justa ecclesiam »: ragione del vin-
colo era la vicinanza alla chiesa; quindi quel vincolo maggiore non
avrebbe potuto provenire che da una maggiore vicinanza. Or se la
Casa di S. Chiara era effettivamentela piü vicina alla Basilica
Ugoniana, essa non avrebbe potuto essere se non quel fabbricato che
in seguito divenne il « Palatium Prioris S. Rufini », perchésolo es-
so nel 1148 era il più vicino al vecchio Duomo: fabbricato, aggiun-
giamo, che anche oggi è il più prossimo alla Cattedrale, tro-
vandosi a pochi metri dal Campanile e dalla Facciata di essa.

*ockock

Offreduccio e Rainaldo di Bernardo, inoltre, hanno detto che
la loro casa era anche « juxta viam »: Orbene, essi, ció affermando, han-
no indicato un secondo elemento sicuro per identificare il detto « Pa-
latium » con la casa da loro abitata nel 1148. E, invero, non é possibile
che sia altrimenti.

(1) La parola «levaverimus » fa pensare (cosa, del resto, assai giusta)
che Offreduccio e Rainaldo avevano fin da allora intenzione di rimodernare la
loro vecchia casa e darle una forma piü conveniente, dato che da allora in poi
sarebbe venuta a trovarsi allo scoperto dal lato vicino alla facciata della nuova
Cattedrale, cioè sarebbe stata tutta visibile nella sua lunghezza nel lato fron-
teggiante la nuova Piazza.



NUOVI STUDI SULLA CASA DI S. CHIARA 143

Quella Casa, come abbiamo dimostrato in precedenza, dovendosi
trovare a quella data «juxta ecclesiam », di necessità allora fronteggia-
va illato sinistro della Basilica Ugoniana, cioé si trovava di
necessità sulla linea che partiva dal lato anteriore del Campanile e si
protendeva sino alla facciata della chiesa antica. Tale lato, intanto,
era lungo — come dice anche l’amico Fortini — circa 25 metri; ed esso,
nella parte vicina al Campanile, aveva dinanzi a sé una via a gra-
dini, che da una porta laterale del vecchio Duomo andava a raggiun-
gere le strade pubbliche correnti a monte; via, come appare anche oggi
nonostante che sia stata chiusa, della larghezza di 5 metri. Quindi,
come siamo certi che la Casa di Offredduzzo e di Rainaldo per uno dei
suoi lati era attigua alla Basilica Ugoniana proprio in quel fianco, cosi
siamo certi che per un altro suo lato confinava con la via che in quello
stesso fianco aveva il suo inizio.

Orbene, proprio in quel luogo si trova il lungo fabbricato (« Pa-
lazzo Priorale ») che noi indichiamo come l’ex-Casa di S. Chiara: fab-
bricato che da un lato fronteggia l’ex-via, larga 5 metri, antistante al
Campanile, e da un altro per una lunghezza di oltre 15 metri fronteg-
gia l’attuale Piazza di S. Rufino, ossia, per essere più precisi, l’ex-fian-
co sinistro della Basilica Ugoniana.

Come si vede, non solo l’identità locale dell’ex-Casa di Offreduz-
zo e di Rainaldo è così perfetta da potersi dire quasi matematica; ma
è altresì del tutto impossibile che l’ubicazione della stessa Casa possa
essere stata altrove. Solo per questa Casa si verificano infatti i
confini indicati nell'Atto del 1148 di essere «juxta viam et
juxta Ecclesiam»; tutte le altre case invece implicitamente
indicate nello stesso Atto, dovevano sitrovarsi nelle vicinanze
della Chiesa Ugoniana e presso la sua « platea » ma viceversa non
potevano trovarsi immediatamente attigue al fianco sinistro
della medesima chiesa e alla via che dal medesimo fianco si partiva.

Dall'esame, inoltre, dell'Atto del 1148 risulta chiaro, sebbene
non sia detto apertamente, che la stipulazione di quella « promissio »
venne fatta in vista della decretata demolizione del Duomo vecchio
e della iniziata costruzione del Duomo nuovo. Ora, questo avveni-
mento edilizio se, evidentemente, non mutava l'ubicazione della Casa
Paterna di S. Chiara, qualora esso si fosse realmente poi verificato,

|
|

= 2 I x

X

— M HÀ MÀ

=_=

__————roo

x



———— n— E — o—

Ata i



E SERERE TRI





144 . P. GIUSEPPE ABATE

ne avrebbe di necessità mutato un confine; quella Casa che nel 1148
era «juxta Ecclesiam » in appresso, e cioè quando col nuovo Duomo
fosse sorta la nuova Piazza, si sarebbe trovata di necessità
«juxia Plateam ».

Or questo fatto dà luogo ad una riflessione importantissima, ch'é
questa: — Per identificare in modo sicuro e preciso l'ubicazione
della Casa Paterna di S. Chiara basta unicamente l'esame attento e
sereno dei «fines » di essa registrati nell'Atto del 1148 rimasti m a -
terialmente sempre i medesimi e solo denominativa-
mente poscia mutati. Pertanto, ció in altri termini significa, che
indipendentemente dalla deposizione di Pacifica di Guel-
fuccio a chiunque sarebbe riuscito agevole conoscere, con certezza,
che la Casa di S. Chiara confinante nel 1148 con la distrutta Basilica
Ugoniana, qualche tempo d o po quell’anno si sarebbe trovata neces-
sariamente a fronteggiare l’attuale Piazza di S. Rufino a partire dalle
immediate vicinanze del Campanile; in conseguenza di ciò chiunque
parimenti sarebbe venuto a conoscere che se « Casa di Offreduccio e
di Rainaldo » e « Palazzo del Priore di S. Rufino » sono due cose diverse
nel nome, sono invece una cosa sola nella realtà.

Pertanto non essendo affatto necessaria la testimonianza summen-
zionata per giungere indubitatamente alla predetta identificazione,
essa nella nostra questione non costituisce un elemento essenziale di
prova, ma va unicamente considerata come un autorevole docu-
mento di conferma. Nulla essa dicendo di effettivamente nuo-
vo, quella deposizione viene ad attestare la veracità di quei documenti
antichi, che, narrando di avvenimenti verificatisi nella nuova Catte-
drale di Assisi nell’anno 1212, ci hanno implicitamente affermato,
che anteriormente a questa data la vecchia chiesa di S. Rufino era
stata del tutto demolita e, conseguentemente, la Casa di S. Chiara pri-
ma della stessa data cessò di essere « juxta Ecclesiam » e cominciò ad
essere «juxíd plateam ».

= P. GIUSEPPE ABATE
O. F. M. Conv.



STATUTO E MATRICOLA
DELL'ARTE DEGLI OREFICI DI PERUGIA

E stato da alcuni rilevato, e ricorderó soltanto Adamo Rossi ed
Umberto Gnoli, come l'oreficeria sia stata dopo la pittura e la minia-
tura l’attività artistica più importante a Perugia e nell'Umbria nei
secoli dal xv al xvi; è sufficiente scorrere questa Matricola, che, den-
sa di nomi dei quali alcuni celeberrimi, investe ininterrottamente
quattro secoli e mezzo, per rendersi conto subito di tale importanza.
Sistemare storicamente e criticamente i monumenti sino a noi per-
venuti nel quadro generale che si potrà trarre dai documenti; seguire
cioè lo sviluppo locale di questa attività artistica, che alla fine del
Trecento e nella prima metà del Quattrocento si libera dalla imita-
zione dei senesi e degli abruzzesi per assumere forme sue particolari;
esaminare la splendida fioritura che alla fine del sec. xv ed al princi-
pio del xvi fa di Perugia un centro di produzione di bellissime orefi-
cerie quale è difficile rintracciare in altre città italiane, ove si esclu-
dano Firenze, Venezia, Siena ed i centri abruzzesi; considerare la de-
cadenza verificatasi a metà del Cinquecento (un decorso assai simile a
quello della pittura); tutto questo è lavoro ancora da tentare. Credo
comunque che premessa utile a tale lavoro sia la pubblicazione di que-
sta Matricola, che viene ad integrare l’importantissimo gruppo di do-
cumenti pubblicati da A. Rossi 80 anni fa.

Gli orefici perugini avevano ottenuto di potersi associare in Arte
sino dal 1296 e lo statuto del 1351 che qui si pubblica è chiaramente,
come già ha osservato da un punto di vista generale A. Briganti ',
una riforma di norme statutarie più antiche; ma dagli estremi paleo-
grafici mi sembra che il gruppo più antico contenuto nel codice più
sotto descritto e cioè lo statuto riformato del 1351, che si fonde al 32°
cap. con la riforma del 1378, e la parte di impianto? della Matricola,
sia stato trascritto fra il 1378 ed il 1395, data quest’ultima della rifor-
manza contenuta nelle carte che seguono immediatamente la Matri-
cola e di altra mano °. Pubblico appunto questo primo gruppo di

10



146 NOTE E DOCUMENTI

documenti (Statuto del 1351, riformanze del 1378, del 1395, del 1398
e Matricola), il più importante, sperando di potere in seguito dare alle
stampe gli altri documenti del codice stesso. Ricordo che la presente
è la quarta Matricola pubblicata (dopo quelle dei spadai, dei vasai e
dei pittori) delle 21 Matricole superstiti delle 44 Arti perugine.

Per le questioni relative alla storia del diritto rinvio alla citata
opera del Briganti. Noteró qui soltanto come questi ordinamenti,
composti di 40 capitoli, non differiscano sostanzialmente da quelli
delle altre Arti nella scarsa organicità dell'apparato giuridico, per es-
sere i capitoli stesi senza un ordine conseguenziale; in complesso que-
sto costituto sembra peró piü povero di norme e di precisazioni di
altri ordinamenti. Cosi, relativamente alla iscrizione alla Matricola
si fa cenno solo al cap. 28° (dovere del notaro di iscrivere chi è rice-
vuto dall’Arte; divieto di avere cariche sociali prima di tre anni, a
meno di non avere già nell’Arte il padre o un fratello e di essere di
età di 18 anni), al cap. 3° (proibizione di intervenire «ad brevia »
ai non iscritti) ed al cap. 349. Nessuna distinzione fra classi; dei di-
scepoli si fa solo cenno al cap. 129 (divieto di assumere apprendista
già impegnato con altro orafo); per gli stranieri si stabilisce una
tassa al cap. 219 e norme al cap. 349. L'Arte era retta nomi-
nalmente da cinque Rettori (norme per le elezioni al cap. 29) ed in
realtà dal Camerario o Camerlengo, le cui funzioni sono esposte ai

capitoli 4o, 59, 6o, 79. 159, 169, 179, 189, 199, 319, 369, 379 e par. 20
della rif. del 1395, e che ha poteri giurisdizionali, esecutivi, di ammini-
strazione finanziaria e di controllo tecnico: posizione preminente,
quale appunto si riscontra nelle Arti del sec. xiv. In appunti della
Matricola si accenna ad un vicecamerario, che non si ritrova nel co-
stituto; si fa parola del Nunzio al cap. 79 e del Notaro ai capp. 39,
289, 399 e 409; nessun accenno al Massaro, né ad altro officiale. Per le
adunanze generali dell'Arte si danno norme ai capitoli 2o, 159, e 169.
Varie e complesse le norme sulla disciplina del commercio delle ore-
ficerie (oltre molti capitoli relativi alle funzioni del Camerario, vedi i
capitoli 89, 10, 149, 226, 230, 240, 25°, 260, 27°, 30° e par. 2° della rif. del
1398). Precise e rigorose le norme sulle leghe (cap.li 139, 29°, 329, 339,
359, 379), e sulle bilancie e sigilli (cap. 38° e par. 3° e 4° della rif. del
1395 e par. 3° della rif. del 1398). Infine le disposizioni per una ri-
gorosa e minuta osservanza delle festività (cap.li 1°, 9°, 40° e par. 5°
della rif. del 1395) e per l'intervento ai funerali degli appartenenti
all'Arte (cap.li 209 e 399). Mentre questi ordinamenti presentano in-
teresse per la storia civile e del diritto locale, dando nel contempo un
vivo quadro della vita della corporazione, assai importante è la Ma-





NOTE E DOCUMENTI 147

tricola per l'esame complessivo del decorso di questa Arte; mentre
dalla fine del sec. xiv per tutto il xv i nomi degli artisti sono diligente-
mente iscritti e le relative variazioni sono annotate con precisione,
indizio di una più intensa ed ordinata vita dell'Arte stessa, a partire
dal sec. xvi le iscrizioni sono man mano più trascuratamente eseguite,
di alcuni artisti si cancellano materialmente i nomi con obliterazioni
o con abrasioni; ma ciò che sopratutto è da rilevare è come molto alto
sia stato il numero di artisti che lavoravano contemporaneamente
in ogni periodo (cosa che già ho rilevato per la parte iniziale del docu-
mento alla nota 2) anche in epoche, quali i secoli xvii e xvi, nelle
quali la vita economica ed artistica della Città tristemente languiva 4.

Gli statuti e la Matricola degli Orafi sono contenuti in un codice
membranaceo (n. 976 dell’inventario dei manoscritti della Biblio-
teca Comunale « Augusta »; è stato recentemente restaurato) di carte
68 di mm. 237 x 185, legate in assi coperti di cuoio elegantemente
impresso a piccoli ferri del sec. xvi. La carta 2 v. reca una bella mi-
niatura a piena pagina e figure intere, rappresentante « La Vergine
col Bambino in trono ed i SS. Lorenzo ed Ercolano », della identica
mano del pittore perugino della metà del xiv sec. che ha eseguito
la miniatura a piena pagina a carta 2 v. della Matricola del 1356 del-
l'Arte della Mercanzia. A carta 4r. inizia, con una elegante H miniata
a fogliami, lo statuto riformato del 21 giugno 1351 fuso, come s'é vi-
sto, con le riformanze de 5 ag. 1378; la scrittura è, come per la parte
d’impianto della Matricola, la gotica trecentesca italiana in nero con
i titoli in rosso e azzurro alternativamente. Da c. 17 r. a c. 31 r. è la
Matricola, che all’inizio di ogni Porta reca miniature incollate al tempo
della stesura e forse provenienti da altro codice (ogni emblema entro
un portale ogivale: c. 17-P. S., sole d’oro in campo azzurro, mm.
109 x 135; c. 20-P. S. A., S. Michele colpisce con la spada il dragone,
mm. 116 x 140; c. 23-P, S. S., Santa con la palma, mm. 121 x 140;
c. 26-P. E., S. Giacomo con libro e bordone da pellegrino, mm. 122 x 146;
c.29-P. S. P., il Santo con libro e chiavi, mm. 118x136; sono pure
di mano di artista perugino della metà del sec. XIV), Segue, da c. 32
a c. 34, le riformanze del 21 nov. 1395 e dell'8 febb. 1398 (scr.
got. trec. con tit. in rosso). A c. 35 rifor, del 5 gennaio 1406. A c.
36 rifor. del 2 genn. 1425. Da c. 36 v. a c. 37 copia di atto del 28
giugno 1487. A c. 38 rifor. del 7 lug. 1492. Da c. 39 a c. 40 rifor. del 29
nov. 1462. Da c..41 a c. 42 copia di una bolla di papa Innocenzo VIII
con concessioni all'Arte. A c. 43 vifor. del 27 febb. 1495. A c. 45 rifor.
del 1488 con attestazione di trascrizione del 1516 a c. 46. A c. 46 v.
atto del 7 apr. 1516. Da c. 47 v. a c. 48 bando del 9 ag. 1568. Da

=
M

ER e ee.

|

|

| x
|
!
|

|
t
|

A
|



148 NOTE E DOCUMENTI

c. 49 a c. 50 copia della rifor. del sett. 1507. Da c. 50 v. a c. 51 co-
pia del breve 2 nov. 1507. Da c. 51 a c. 51 v. copia del bando dei
Priori in data 5 nov. 1507 con a c. 52 l'attest. di trascrizione del 20
nov. 1508. Da c. 54 a c. 55 v. sentenza in causa con l'Arte di seta e
bambagia. A c. 56 rifor. del 7 gennaio 1550. Da c. 57 a c. 58 copia di
rifor. generale del 20 mar. 1554 con a c. 59 conferma ed approvazione
del 16 luglio 1558. A c. 60 costit. dell'assemblea gen. dell'8 ott. 1555.
Da c. 62 a c. 64 rifor. del 28 sett. 1584. A c. 65 costit. del 2 ott. 1738.
A c. 66 ordinanza del 13 ag. 1852.5
La trascrizione, sia per facilità di stampa, che per comodità di
lettura, non é diplomatica, essendo state sciolte le abbreviazioni ed
essendo stati usati caratteri in tutto moderni. Ringrazio qui viva-
mente il Dott. G. Cecchini, Direttore della Biblioteca « Augusta » ed
il Dott. I. Baldelli per le facilitazioni usatemi nell'esame dei docu-
menti.
FRANCESCO SANTI

NOTE

1 A. BricantTI, Le Corporazioni delle Arti nel Comune di Perugia (Sec.
XIII-XIV), Perugia, 1910. A pag. 15, n. 1, vi é riportato l'atto di iscrizione
degli Orefici nel libro delle Arti della Città, in data 27 maggio 1296, esistente
negli Annali 1284 a 1296, c. 237 e 238.

2 Gli orefici che sono descritti nella parte originaria della Matricola, indi-
viduabili paleograficamente, sono: P.S. sino all’11° - P.S.A. sino al 9° - P.S.S.
sino al 12° - P.E. sino al 29 - P.S.P. sino al 4». Complessivamente quindi la-
voravano nella Città 38 artisti contemporaneamente, numero considerevole e
significativo per il fiorire dell’Arte.

8 Ciò è confermato dal fatto che Magio Federici e Paolo Stefanuzi, che
sono i primi due iscritti alla Matricola per P.S.S., sono tispettivamente Ca-
merarii il primo al tempo ‘della riformanza del 21 Nov. 1395, il secondo a
quella del 5 Ag. 1378.

4 A] principio del sec. XVIII gli Orefici ed Argentieri formavano la
Congregazione di S. Andronico, che aveva.il suo altare (2° a sin.) in S. Spi-
rito di P. E., altare arricchito da una tela di M. Batini, rappresentante
« Rassegnazione dei coniugi Andronico e Anastasio per la perdita dei figli »
Il dipinto esiste ancora, come è tuttora incastrata nel pavimento una lastra
con l’epigrafe: :

D.0.M. / AVRIFICES - ATQVE - ARGENTARII - CONGREGATIONIS - S. ANDRONICI /
SIBI - SVISQVE - CONFRATRIBUS / POSVERVNT / AN. A. REP. SAL. MDCCXXIII.









NOTE E DOCUMENTI 149

V. ScurTILLO D., Iscrizioni della Città di Perugia e suo Territorio, ms.
nell'Archivio dei Benedettini di S. Pietro in P. S. P. - Segn. CM-126, p. 442 -
e SrgP1 S. Descrizione di Perugia etc., Perugia 1822, II, p. 715.

5 Alla carta 1 verso esistono, di mano del sec. XV, alcuni appunti:
1408 die xxx novembris
honofrius Antonij Porte S. Angeli fuit receptus (6 119 per Porta S. Angelo)
1408 die xxx dicembris
Raffaellus Antonij (€ 129 per Porta S. Angelo e 79 per Porta S. Pietro)
1420 die iiijta Januar.

Xristoforus Meneci porte S. Angeli fuit receptus (6 189 per Porta S. Angelo)

Segue poi un indice analitico della materia del codice.



(c. 4)

150 NOTE E DOCUMENTI

STATUTO DELL'ARTE DEGLI OREFICI

— JInfrascripta sunt ordinamenta et capitula artis aurificum de Perusio.

— Hec sunt ordinamenta seu liber ordinamentorum artis aurificum
Civitatis et burgorum Perusii facta innovata et approbata et confirmata
in tempore camorlengatus sapientis viri Matheoli Santoli camerarii dicte
artis et per Petram magistri Pauli Baleonum Munaldoli, Michael magistri
Andree, Petrum domini Francisci, Dominicum Petri, Cola Gilgloli, Gugliel-
mutium fili Stefani rectores et artifices artis predicte sapientes electos ad
ipsa ordinamenta facienda corrigenda inovanda et approbanda per predictum
Matheolum camerarium ex vigore reformationis generalis adunantie dicte
artis facte super predictis et loquentis de dicta materia. Sub annis domini
Millesimo cccli Indictione iiij tempore domini Clementis pp vi die xxi men-
sis Junii. Et scriptum per me Mascium Bartoli magistri Andree notarium ar-
tis predicte. Valitur a dicta die in antea et observatur per artifices dicte
artis in perpetuum.

— Incipit primum capitulum quod loquitur que festivitates debeant cele-

brare et de pena contra facientis.

— In primis ordinaverunt et statuerunt quod omnes homines dicte
artis tam magistri quam discipuli teneantur et debeant honorifice celebrare
custodire et guardare infrascriptis festivitates nec impiis festivitatibus vel
aliqua earum laborare nec ipsam artem manibus operare. Et qui contra fe-
cerit solvat et solvere teneatur et debeat pro qualibet ipsarum festivitatum
si fuerit magister x soldos et si fuerit discipulus v sol. den. solvere teneatur
qui deveniant in arte predicta. Videlicet in omnibus diebus dominicalibus
in Nativitate Domini iu festo sancti Stefani et sancti Johannis de natali et
in eorum octavis. In festo Sanctorum Innocentum. In Circuncisione do-
mini. In Epiphania. In omnibus festivitatibus Beate Marie virginis. In om-
nibus festivitatibus beatorum apostolorum .et evangelistarum. In festo
Beati Laurentii, in festo beati Herculani de mense martii et de mense no-
vembris. In festo sancti Dominici Sancti francisci Sancti Augustini et Sanc-
ti Benedicti. In festo Beati Martini pape iiij. In ascensione domini. In pas-
ca pentecosten et duobus sequentibus diebus. In festivitatibus beati Mi-
chaelis Archangeli. In festivitatibus Sancte Crucis. In festo Beati Johannis
baptiste et in decollatione ipsius. In. festo omnium sanctorum. In festo
beati Costantii. In festo beati Bevegnatis. In sancta Catherina. In festo
sancte Luce et sancte lucie et sancte Agnesis. Et in omnibus aliis festi-
vitatibus quando alii artifices comuniter non laborant et in die veneris
sancti salvo quando in ipsa die possint laborare anulos sine pena.

— ij capitulum quod loquitur quando et quomodo fiant rectores dicte artis





NOTE E DOCUMENTI 151

— (Camerarius vero artis predicte teneatur et debeat de mense decem-
bris et de mense Junii. Octo diebus ante exitum cuiuslibet dictorum men-
sium adunari facere generalem adunantiam hominum artis predicte. Et
in ipsa elegi faciat. Quinque rectores hoc modo silicet quod fiant tot bre-
via quot erunt artifices in dicta adunantia et pro quolibet rectore fiant tria
brevia signata. sive ex duobus ex eis in concordia elegi debeant unum Rec-
torem artis predicte dummodo non eligant aliquem ex ipsis tribus qui ipsa
brevía signata habuerint se et si eligeretur talis electio non valeat et alius
eligi debeat loco sui. Et quicumque fuerit Rector in sex mensibus non pos-
sit esse Rector seu Camerarius artis predicte in aliis sequentibus sex mensi-
bus. Et si aliquis fuerit electus contra predictam formam talis electio non
valeat sed ipso iure sit nulla. Et alius eligatur loco sui.

— Incipit iij capitulum quod loquitur quod artifices dicte artis noa pos-

sint ire ad brevia nisi si fuerit scriptus in libro.

— Nullus habeatur pro artifice dicte artis nec possit ire ad brevia dicte
artis nec ad aliquid offitium pro ipsa arte habere nisi fuerit scriptus in li-
bro ipsius artis per notarum artis et inter alios artifices dicte artis. Et si
eligeretur talis electio non valeat sed ipso iure sit nulla. Et ille qui eum eli-
geret solvat pene nomine decem libras deu. qui deveniant in arte predicta,

— iiij capitulum tam magistri quam discipuli debeant obedire camerario

et de pena contra facientis.

— (Omnes artifices dicte artis tam magistri quam discipuli teneantur et
debeant obedire Camerario dicte artis in preceptis que eis per eum fierent
solvat et solvere debeat pene nomine quinque sol. den. qui deveniant in
arte predicta.

— v capitulum nullus artifex dicte artis possit se reclamare nisi ab eorum

camerario in civilibus questionibus.

— Statuimus in super Ordinantes quod Camerarius dicte artis pos-
sit et debeat intelligere et diffinire omnes et singulas questiones que essent
vel que orirentur inter artifices dicle artis cuiuscumque occasione et eas
diffinire et terminare summarie sine libelli oblatore litis contestatore stre-
pitu et figura iuditii cuiuscumque quantitatis existant occasione artis pre-
dicte. Et nullus de dicta arte possit nec debeat de aliquo artefice dicte ar-
tis conqueri ad aliquam curiam de aliqua questione civili nisi coram Came-
rario dicte artis sive rectore quando Camerarius presens non esset. Et qui
contra fecerit solvat et solvere teneatur et debeat nomine pene et banni
Centum sold. den. qui deveniant in arte predicta.

— vj capitulum qualiter. Camerarius possit difinire omnes questiones

que orirentur cum aliquo extra dictam artem.

— Volimus etiam ordinantes quod Camerarius dicte artis possit in-
telligere et diffinire omnes questiones que essent si aliquis qui esset extra
dictam artem vellet rationare alicuius mercantie artis predicte summarie
cuiuscumque quantitatis existat sine libelli oblatore strepitu et figura
iuditii. Dummodo ille qui fuerit extra dictam artem teneatur et debeat

(0 5)

(c. 6)

|



(6G: 4)

152 NOTE E DOCUMENTI

coram Camerario dicte artis ydonee satis dare et rendere in iure illi artifici
cum quo questionem haberet coram Camerario dicte artis. Et stare diffini-
tioni que fieret per predictum Camerarium et alia facere et iudicatum sol-
vere et obedire mandatis dicti Camerarii ad penam que ipsi Camerario
placuerit.

— Incipit vij capitulum quod loquitur qualiter puniatur qui pingnus Ca-

merario seu nuntio dicte artis non permicteret pingnorari.

— Quicumque se defenderet Camerario seu nunptio huius artis et non
permicteret se pingnorari quin eum pingnorare vellet pro factis dicte artis
et secundum formam ordinamentorum artis predicte solvat et solvere de-
beat pro vice qualibet decem sol. den. qui deveniant in arte predicta.

— viij capitulum qualiter puniatur cum imposita fiunt aliqua credentia

per Camerarium pro arte predicta.

— Quotiescumque et quincumque sunt imposita aliqua credentia
artificibus dicte artis per Camerarium dicte artis proficto dicte artis quili-
bet de dicta arte tenere debeat tantum quantum dicto Camerario placuerit.
Et qui contra fecerit solvat pro vice qualibet viginta sol. den.

— piiij capitulum in quibus festivitatibus artifices dicte artis teneantur

ire ad luminaria et de pena contra facientis.

— Omnes artifices huius artis teneantur et debeant ire personaliter
cum faculis in manu cum aliis artificibus dicte artis ad ecclesiam beati Her-
culanii in vigilia ipsius. Et ad ecclesiam sancte Marie de Montelucido. In
vigilia sancte Marie de mense agusti. Et in vigilia beati Costantii. Et nul-
lus mictat cambium vel alium loco sui. Et qui contra fecerit in aliquo pre-
dictorum solvat nomine banni Camerario dicte artis parte predicta Viginti
sol. den. Et non possit nec debeat ire ad brevia dicte artis ullo modo nisi
habuerit legitimam exusationem videlicet quam fuerit absens a civitate pe-
rusii sive corporea infirmitate gravatus ita quod commode venire non possit.

— & capitulum quod nullus de dicta arte debeat inbalzare nec accipere

alicui cameram vel locum.

— Dicimus et ordinamus quod nullus de dicta arte possit nee debeat
inbalzare nec accipere vel accipi facere alicui de dicta arte cameram vel lo-
cum et qui contra fecerit xxv libras den dicte arti solvere teneatur. Et ni-
hil perdat cameram vel locum quam et quem acciperet vel inbalzaret et in
ea vel eo stare non possit nec debeat deinde ad tres annos. Et si staret sol-
vat nomine banni pro vice qualibet C sol. den. qui deveniant et devenire
debeant in arte predicta.

— zi capitulum qualiter nullus de dicta arte debeat laborare cum aliquo.

— Si aliquis artifex huius artis recusaret esse cum aliis artificibus dicte
artis ad omnia et singula que fierent pro statu et honore dicte artis. Nullus
de dicta arte cum eo debeat laborare nec cum eo debeat mercari nec ali-
quam mercantiam fecere nisi ille primo reverteretur et facere mandata(?)
artis et Camerarii dicte artis. Et qui contra fecerit solvat pene nomine C
sol den. qui deveniant in arte predicta.









NOTE E DOCUMENTI 153

— xij capitulum.

— Si aliquis discipulus fuerit cum aliquo magistro seu artifice huius
artis et infra tempus quod stare debeat cum illo cum quo se pepigit nullus
de dicta arte debeant eum retinere donec ille discipulus non. complevit pac-
tum cum illo cum quo primo se pepigit sine licentiam et voluntatem illius
magistri. Et qui contra fecerit solvat pene nomine C. sol. den. postquam si-
bi inventum fuerit per Camerarium dicte artis.

— aziij capitulum qualiter nullus de dicta arte audeat vel presumat labo-

rare argentum minoris lege.

— Nemo audeat vel presumat laborare nec laborari facere argentum
minoris lege octo unciarum ita quod laboratur in quolibet opere ad minus
sit octo unciarum qui contra fecerit solvat pene nomine C sol. den. salvo
quod in botonibus et anulis possit et debeat laborari argentum valoris xxiiij
soldos per uncia ad minimum. Et quod Camerarius qui pro tempore fuerit
teneatur et debeat vinculo iuramenti quolibet mense scrutari facere si
quis de arte fecerit contra predicta vel venire presumpserit.

— azmiiij capitulum.

— Statuimus etiam et ordinamus quod nullus artifex huius artis de-
beat laborare alicui persone quae debent aliquo dare vel satisfacere alicai
artificibus artis postquam «sibi inventum fuerit per Camerarium huius artis
quod ei non laboret. Et qui contra fecerit Camerarius cogat illum illi arti-
fici solvere quie quid accipere deberet illo cui dictus artifex laboret et cre-
datur de predictis dicto Camerario. :

— &v capitulum.

— Statuimus et ordinamus quod Camerarius huius artis teneatur fa-
cere duas generales adunantias hominum dicte artis sive unam per festo
beati Herculani et alteram per festo beate marie mense agusti et fiant viii
diebus ante quamlibet in quibus tractetur et ordinetur inter artifices dicte
artis de cera et luminaribus fiendis in vigiliis dictarum festivitatum et si
aliquis artifex dicte artis non fuerit ad dictas adunantias et ad quamlibet
aliam adunantiam que fieret per Camerarium dicte artis solvat nomine pe-
ne v sol. den. pro qualibet adunantia.

— &pj capitulum.

— ]tem dicimus et ordinamus quod Camerarius huius artis qui nunc
est sive pro tempore erit non possit nec debeat in adunantiis dicte artis ali-
quid proponere nec reformare in adunantiis dicte artis nisi de presentia con-
sensu et voluntate ac etiam deliberatione omnium rectorum dicte artis sive
maioris partis ipsorum. Et si aliter fierent tales propositiones et reforma-
tiones non valeant nec teneant ullo modo set ipso iure sit nulla et nullus
valoris. Et pro non facte totaliteret et penitus habeantur.

— xvij capitulum.

— (Camerarius huius artis teneatur virari facere omnes artifices huius
artis attendere et observare omnia ordinamenta huius artis facta et facien-
da in presenti volumine scripta et scribenda.



(c. 9)



(c. 10)

154 . NOTE E DOCUMENTI

— aviij capitulum.

— Camerarius vero dicte artis qui nunc est seu propter erit teneatur
et debeat vinculo iuramenti et ad penam Centum sol. den. rendere ratio-
nem futuro Camerario de omnibus et singulis que ad manus eius pervenis-
sent pro arte predicta infra octo dies postquam dictum suum offitium com-
pleverit. Et omnes et singulos introitus et expensas inscriptis debeat assi-
gnare. Et reliqua restituere infra dictum tempus sub pena predicta et ut
inlicite expense non assignentur set remaneat imprevidentia Camerarii et
rectoorum que expense erunt legitime vel non. Et quicquod per Camerarium,
et rectores fiet valeat et teneat aliquo non obstante quod si non concorda-
rent remaneant in adunantia artis predicte.

— mviiij capitulum.

— Camerarius vero artis predicte teneatur et debeat vinculo juramenti
ad penam Centum sol. den. exigere et excutere pro arte predicta omnes et
singulas penas et bampna quas aliquis solvere debere si faceret contra
ordinamenta artis predicte. Et omnes et singulas condempnationes quas
faciet.

— xx capitulum.

— Omnes vero artifices artis predicte teneantur et debeant vinculo
iuramenti et ad penam V sol. den. ire cum Camerario quando aliquis de dicta
arte moriretur.

— xj capitulum.

— ]tem dicimus et ordinamus quod si aliquis forensis veniret ad labo-
randum de arte predicta in dicta civitate et quod haberet cameram solvat
et solvere teneatur Camerario dicte artis viginti sol. den. qui deveniant et
devenire debeant in arte predicta.

— mxij capitulum.

— Item dicimus quod si aliquis artifex huius artis clamaret aliquam
qui staret ad bancham alicuius artificis predicte qui veniret pro vendendo
vel emendo vel pactando aliquid de dicta arte salvo si non distaret per quin-
que pedes ad bancham penam sit magistro quinque sol. den. Et discipulos
duos sol. den. qui deveniant in arte predicta. Et si quis acceptaverit illum
talem contra facientem habeat accusator medietatem bampni et stetur et
credatur sacramento accusatoris.

— zxiij capitulum.

— Jtem dicimus et ordinamus quod si aliquis artifex dicte artis emeret-
aliquam mercantiam ab aliqua persona et ipsam mercantiam non solveret
post mercatum factum et ipsam contempneret non solvere solvere debeat
de suo totidem quantum mercantiam valeret. Et si quis eum accusaret
habeat tertiam partem banni.

— xiiij capitulum.

— ]tem statuerunt et ordinaverunt quod nullus de dicte arte aurifi-
cum ex nunc audeat vel presumat laborare vel laborari facere vel operari
sigillaturam alicuius vasis vel aliquod vas actum. ad tabernam sigillare sine







NOTE E DOCUMENTI 155

licentia Camerarii dicte artis qui nunc est vel qui protempore fuerit nisi
ille vel eius discipulus qui emisset dictam sigillatura et pro illo tempore quo
emessit ad penam Centum sol. den. Que pena contra fociente per Came-
rario dicte artis qui pro tempore fuerit auferatur et condempnetur. Et ta-
lem sic delinquentem Camerarius sub pena iuramenti condempnare in dicta
quantitate teneatur. Et ad penam xxv libras den. in quam si dictus Camera-
rius in predictis fuerit negligentes per successorem sub pena condempnetur,

— axo capitulum.

— ]tem ut fraus et falsis evitetur statuerunt et ordinaverunt quod
si aliquis de arte aurificum civitatis perusii fraude sive falsitatem comite-
ret in sigillatura sive circha sigillaturam alicuius vasis quam de matricula
aurificum et artis aurificum penitus cancelletur et in futurum ex nunc pro
ut ex tunc omnibus honoribus offitiis et benefitiis ipso facto et iure sit et esse
intelligatur privatus et pro artifice dicte artis ex nunc nullatenus habeatur.

— azxvj capitulum.

— ]tem statuerunt et ordinaverunt auctoritate et potestate impredic-
tis quod comodum et utilitas que percipi possit de sigillatura vasorum ven-
datur et vendi debeat per Camerarium qui protempore erit in adunantia dic-
te artis aurificum illi qui emere voluerit pro eo maiori pretio dando dicte
universitati quando plus fieri poterit. Quod quidem pretiunt predictum ta-
lem emptorem solvatur et solvi debeat Camerario dicte artis qui protem-
pore fuerit et ad illum terminum de quo fuerit emptor in concordia cum
Camerario tunc dictam venditionem faciet et qui placebit dicte adunantie.
Dummodo si contingat fieri dicta venditio et promicteretur per dictum Ca-
merarium alique vices de voluntate dicte adunantie emptor predictus ultra
predictum pretium solvendum dicte universitati sive Camerario qui protem-
pore fuerit pro dicta universitate dictas vices debentibus eas recipere solvere
teneatur summarie sine libelli oblatore mandatum dicti Camerarii sub pena
C sol. deu. proquolibet precepto infra x dies post preceptum factum per Ca-
merarium supradictum. È

— axvij capitulum.

— ]tem ordinaverunt et statuerunt quod nullus de dicta arte aurifi-
cum audeat ire per civitatem vel burgos perusii vel conmictatum gridando
argentum vel fregios sine licentia Camerarii dicte artis ad penam C sol. den.
proquolibet contra faciente et quolibet vice predicta nullus de arte predicta
possit ire per conmictatum et per civitatem perusii ad exercendum vel ope-
randum dictam artem aurificum vel aliquid quod ad dictam artem aurificum
spectet sub pena C sol. den. pro qualibet vice qua contra fecerit.

— xviij capitulum.

— Jtem statuerunt et ordinaverunt quod notarius dicte artis quin de
voluntate totius artis aliquis reciperetur in artifices dicte actis et aliler reci-
pi non possit in artefices nec recipi vel scribi in matricula dicte artis: et scri-
bat in matricula artificum dicte artis dies quo aliquis iurat ordinamenta
dicte artis servare et artem legaliter exercere. Et dictus talis qui fuerit scrip-

(c. 11)

(c .12)







(c. 13)



156 NOTR E DOCUMENTI

tus in dicta matricula dicto modo non possit oficium in dicta arte habere
deinde ad tres annos conpletos. Salvo quam predicta locum non habeant in
illo vel illis qui fratem carnalem vel patrem haberent aurificem et esset eta-
tis xviii annorum ad minus.

— maviiij capitulum.

— Jtem statuerunt et ordinaverunt quod nullus aurifex tam perusinus
quam forensis scriptus in dicta arte non possit nec debeat aliquid opus vel
laborerium argenti facere vel fabricare nisi tale argenti sit lege viij unciarum
per libram argenti et qui contra fecerit in centum sol. den. pro vice qualibet
per camerarium dicte artis debeat condempnari cuius condempnationis due
partis sint comunitatis ipsius artis et tertia pars residua ad Camerarium
condemnatem talem ut predicitur delinquentem debeat pervenire et ipsius
Camerarii esse presenlis auctoritate statuti. Quod aulem in predictis acoren-
sis(?) vel bennis(?) delinqueret. In predictis secundum delicti qualitatem in
pena inponenda agravanda et etiam exigenda ut Camerarius videbitur
veniat puniendus. !

— exc capitulum.

— Item ordinaverunt et reformaverunt quod nullus artifex dicte ar-
te artis audeat vel presumat quoquo modo ire per civitatem vel comitatum

.perusii exercendo dictam artem exclamando vel alio modo argentum aurum

vel metallum aliquid emendo vel vendendo nisi in solo suo certo loco in quo
artem predictam exercet in civitate perusii. Et qui contra fecerit puniatur
pro vice qualibet in x sol den. perusi. Et quilibet sit acusator et habeat ij
sol. den. quam penam. Camerarius qui protempore erit teneatur tali contra-
facenti de facto auferre et habeat ipse Camerarius de dicta pena ii sol. residu-
um deveniat in artem predictam.

— axxj capitulum.

— ]tem ordinaverunt quod sit licitum cuilibet et Camerarius et etiam
teneatur et debeat acipere decimum de quacumque questione que erit coram
eo inter quascumque personas sex den. pro qualibet libra a petente parte.
Et ille qui tale decimum solvere recusaverit non audiatur aliquo modo quod
decimum esse debeat ipsius Camerari.

— CAP. XXXII.

— Item providerunt et ordinaverunt et reformaverunt quod in xiij
capitulo matricule dicte artis ubi dictus nemo audeat vel presumat laborare
vel laborari facere argentum minoris leghe viii unciarum et ita quod labora-
tur in quolibet opere ad minus sit viii unciarum. Et qui contra fecerit solvit
nomine pene C sol. den. 4- Dicat solvat nomine pene pro quolibet den. x
sol. den. usque ad tres den. Et a tribus den. usque ad sex den. solvat nomine
pene xx sol. den. Et a sex den. usque ad xii den. solvat nomine pene proquo-
libet den. xxx sol. den. Et si fuerit reperlus ad minus laborare et non repe-
riatur prout superdictum est solvat ab inde supra xl sol. pro quolibet den.
prout mictit et ita declaraverit et in aliis partibus dictum Capitulum cas-

.saverit pro nullo et casso habere voluerit. Et si fuerit argentum cum boto-









NOTE E DOCUMENTI 157

nibus vel cum saldaturam debeat laborare et laborari facere quod reperiat
ad minus ad vii uncias. Et si non fuerit repertus ad vij uncias solvat et sol-
vere debeat nomine pene pro quolibet den. prout dictum est supra in proxi-
mo capitulo de argento sine saldatura.

(339 cap.).

— De artificibus tenentibus laboreria cum nimia saldatura.

— Item providerunt ordinaverunt et reformaverunt quod si Camera-
rius qui protempore fuerit reperiret aliquod aliud laborerium per cameras
artificum cum saldaturam quam et liceat et licitum sit videre ac etiam tenea-
tur vinculo iuramenti si esse plus saldaturam ultra debitum iuris quam super
predictis habeat et habere intelligatur plenum arbitrium una cum duobus
artificibus dicte artis qui dictam artem exercerent contempnandi illum
artificem laborantem dictum laborerium cum dicta saldatura ultra debitum
in ea quantitate denariorum et pecunie prout discretioni eorum videbitur et
placebit. .

(349 cap.).

— De non scriptis in matricula exercentibus artem.

— [tem providerunt ordinaverunt et reformaverunt ac corrigerunt xxi
Capitulum ubi dictum quod si aliquis forensis veniret ad laborandum in
civitate perusii de predicta arte solvat arti xx sol. den. addunt et dicunt
quod locum habeat in cive quem admodum in forense valet quod quilibet
Civis qui exerceret artem predictamr solvat arti xx sol. den. si non fuerit
scriptus in matricula salvo quam non habeat locum in discipulis qui non
steterint per tempus unius anni sed elaxo anno solvere teneatur.

(359 cap.).

— Qualiter xxviiij Capitulum procasso "penitus habeatur.

— Jtem providerunt ordinaverunt et reformaverunt ac etiam exprexe
mandaverunt quod xxviiij capitulum existente in matricula quod loquitur
. quod nullus aurifex tam perusinus quam forensis scriptus vel non in dicta
arte non possit nec debeat aliquid opus vel laborerium argenti facere et ce-
tera. Sit cassum et cancellatum et procasso cancellato hábeatur in totum
et sit nullis eficacie vel valoris et ita mandaverunt mihi notario infrascripto
quod ipsum cassare de matricula supra scripta.

(369 cap.).

— Quod Camerarius teneatur accipere saggium de quolibet generi argenti.

— [tem providerunt ordinaverunt et reformaverunt quod Camerarius
qui nunc est dicte artis et qui protempore fuerit teneatur et debeat acipere
saggium de quolibet argento secundum formam ordinamentorum dicte artis
ac teneatur et debeat recipere iuramentum ab illo magistro sive discipulo qui
laboraret dictum argentum ut dicat sibi nomen illius cuius esset labore-
rium et de qua lega esse debeat et laborare promisit. Et si fuerit
laborerium promissum depopolero (?) debeat reperiri si esset sine saldatura
' ad minus ad xi uncias et x. den. Et qui contra fecerit vel repertus
fuerit solvat magister nomine pene proquolibet de usque ad tres den.

(c. 14)





(c. 15)

(c. 16)



158 NOTE E DOCUMENTI

x sol. den. Et a tribus den. usque ad sex den. xx sol. den. proquolibet
denaro. Et a sex den. usque ad xij solvat pro quolibet den. nomine
pene xxx sol. den. Et ad xij den. super solvat nomine pene pro-
quolibet den. xl sol. den. ut mictit. De aliis laboreriis teneatur et debeat
laborans vel laborari facere illi persone cuius esset laborerium. Et si non
reperiretur prout promisit solvat nomine.pene proquolibet denaro prout
superdictum est in proximo capitulo. Et quod dictus camerarius teneatur
et debeat acipere vel acipi facere saggium de quolibet laborerio et argento
prout eidem videbitur et placebit. Et si reperiretur esse cum multa saldatura
in dicto laborerio ultra debitum modum quod Camerarius una cum duobus
artificibus eligendis per eum possit ipsum condempnare in ea quantitate pe-
cunie et denariorum prout eidem videbit esse conveniens.

(379 cap.).

— Qualiter Camerarius teneatur et debeat revidere aurum laborantes.

— Item providerunt ordinaverunt et reformaverunt quod nullus magi-
ster nec discipulus dicte artis possit nec debeat laborare vel laborari facere
aurum quin non reperiatur ad minus aurum demediatate (?). Et quis contra-
fecerit vel repertus fuerit solvat nomine pene proquolibet carato xx sol. den.
usque ad tres caratos. Et ad tribus caratis supra solvat nomine pene xl sol.
den. proquolibet carato. Et quod Camerarius qui nunc est vel qui protem-
pore fuerit possit teneatur et debeat petere et interogare quemlibet qui la-
boraret vel faceret laborerium cuius sit. Et si non reperiretur prout promisit
solvat proquolibet carato prout supra dictum est in proximo capitulo. Et
quilibet teneatur et debeat respondere veritatem dicto Camerario de intero-
gatis pereum sub pena suo articulo auferenda de quibus penis supra declara-
tis et quamlibet earum exigendis per Camerario et quas venire fecerit in dicta
arte due partes sint dicte artis et tertia pars sit Camerarii qui ipsas pecunias
venire fecerit in dicta arte.

(389 cap.).

— Quod nullus possit ponderare cum marcho campionis.

— Item providerunt ordinaverunt et reformaverunt quod nullus de
dicta arte vel qui ipsam exerceret audeat vel presumat ponderare vel pon-
derari facere cum marcho sive belancis vel alio pondere campionis et dicte
artis nisi quando advistantur pondera hominibus et personis qui et que
venunt ad vistandum ipsa pondera et belanceas pro ad vistatione fienda. Et
qui si contra fecerit vel repertus fuerit solvat nomine pene in pro qualibet
vice et quolibet pondere sive belanciis x sol. den. Quam penam de facto
eidem auferiatur per cameraric de cuis pena medietas sit Camerari et alia
medietas sit artis predicte et cetera.

(399 cap.).
— Capitulum de torlitiis portandis et deferendis ad cadavera camerarii no-
tarii et artificum artis aurificum civitatis perusii.
— Sub millesimo trecentesimo Ixxviiij die v mensis agusti tempore
pauli stephanutii Camerarii obtemptum liberatum et reformatum fuit per











NOTE E DOCUMENTI 159

artifices dicte artis. Quod omnes artifices dicte artis teneant et debeant vin- -

culo iuramenti et ad penam x sol. den. pro quolibet ire cum Camerario et
dictus camerarius una cum eis quando aliquis de dicta arte et ipsam exercen-
tes moriretur. et Camerarius dicte artis teneatur et debeat expensis artis
habere et deferire vel deferiri et portari facere duos torticios magnos cere
qui vadant et portent cum funere usque ad sepulturam prout mortis est nec
non ad funus patris matris uxoris fratis carnalis et filii etatis xij annorum et
ab inde supra cuiuslibet artificis iurati in dicta arte ed dicti artifices tenean-
tur et debeant expensis artis prefate tempore mortis Camerari et notari dicte
artis deferre et portare vel deferri portari facere duo paria tortitiorum cere
proquolibet eorum ad funus cum funere cuiuslibet ipsorum usque ad sepul-
turam prout deferuntur alii tortitii sub dicta pena. Et hec locum habeat si
et inquantum non sit contra ordinamenta communis perusii.

(40° cap.). i

— ]tem deliberatum et reformatum fuit in dicta adunantia. Quod ubi
camerarius et notarius habebant unam faculam cere duarum librarum in
quolibet festo sit et esse debeat trium librarum cere proquolibet et sic habeant
et habere debeant expensis artis unam faculam cere trium librarum proquo-
libet inquolibet festo in quo.actenus consueti fuerint ire cum luminaria pro-
tempore preterito ultra tres librarum candelarum quae habent et habere
consueverunt in semestri tempore pro eorum salario et labore et sic habeant
et habere debeant pro futuro de sex mensis in sex mensis candelas predictas.

RIFORMANZA DEL 21 NOVEMBRE 1395

— In nomine domini amen Anno Millesimo trecentesimo nonagesimo
quinto Indictione Tertia tempore domini Bonifatij pape noni die vigesimo
primo novembris.

— Convenientes ad invicem viri providi Magius Federici de Perusio
porte sancte subxanne Camerarius dicte artis aurificum.et Nicolaus Vannis
porte sancti Angeli et Laurentius Cecchi porte solis commissarii electi et
deputati per dictum Camerarium in adunantia generali dicte artis manu mei
notarii habentes ad infrascripta generale et plenum arbitrium in dicta gene-
rali adunantia in presenti Millesimo et die xvij Agusti providerunt ordina-
verunt et reformaverunt omnia et singula infrascripta, valet:

— In primis providerunt ordinaverunt et ordinaverunt (sic) et refor-
maverunt: Quod in perpetuum novus Camerarius teneatur et debeat infra

(c. 32)







(c. 33)



160 NOTE E DOCUMENTI

octo dies a die incepti offitii revidere rationem Camerarij preteriti et dictus

Camerarius preteritus teneatur et debeat dictam rationem reddere dicto
novo Camerario infra dictum tempus pena dictis camerario novo non re-
videnti et veteri non reasignanti x libr. den. proquolibet eorum que pena
aplicetur dicte arti et peti et exigi debeat per alium Camerarium tunc
proxime sequentem pro dicta arte pena incumbente eadem eidem camerario
negligenti. Et de predictis apparere debeat scriptura manu notarij dicte
artis et in libro diete artis.

— ]tem quod doana sigilli dicte artis possit dari vendi tam magistris

"quam discipulis dicte artis et emi per eos secundum formam ordinamento-

rum dicte artis et quod in casu quo discipulus alterius magistri emeret do-
hanam dicti sigilli quod sibi liceat et magister suus in cuius camera resi-
dentiam facit non possit denegare dicto eius discipulo exercitium sigillandi
quin fiat et fieri possit in eius camera toto tempore durante emptionis dicti
sigilli pena dicto magistro recusanti tantumdem pretij dicti sigilli empti per
dictum discipulum sibi per Camerarium dicte artis de facto auferenda ea-
dem pena dicto Camerario iminente si negligens fuerit ad dictam penam
auferendam pro dicta arte et ad cogendum dictum magistrum .quod sinat
dictum discipulum in dicta eius camera exercitium predicti sigilli facere.
Et quod in casu quo dictus magister voluerit assotiari in dicto sigillo et doana
cum dicto discipulo quod dictus discipulus non possit id denegare sub dicta
pena set eum accipere in dicta doana in sotium. Ita tantum quod dictus
magister dicto casu debeat mictere plumbum et ferramenta pro dicto exer-
citio sigillandi.

— ]tem ordinaverunt et reformaverunt quod in casu quo tempore ali-
cuius Camerarii doana dicti sigilli non possit vendi aliquibus de dicta arte
quod tunc et eo casu dictus Camerarius et sic in perpetuum alij possit eun-
dem sigillum vendere et concedere verum ex cameris artificum dicte artis
cui voluerit et pro pretio prout voluerit ita tantum quod non descendatur
pretium quinque flor. auri et sic procedatur de Camera in Cameram usque ad
omnes et deinde recipiatur dicto casu pena magistro camere recusanti Xxv
libr. den. sibi de facto per Camerarium auferenda eadem pena iminente
dicto Camerario pro sex mensibus dum taxat cuilibet camere.

— ]tem ordinaverunt et reformaverunt quod quilibet Camerarius qui
nunc est et protempore erit non possit ire et habere nisi duo luminaria tan-
tum et faculas et candelas ipse et notarius ut est solitus pro duabus lumi-
nariis et in casu quo Comune vellet quod acedetur ad aliquam luminariam
quod non possit accedere ultra quam cum sex faculis ita tantum quod non
habeant nec Camerarius nec notarius faculam.





NOTE E DOCUMENTI 161

RIFORMANZA DEL 13 FEBBRAIO 1398

— In nomine domini Amen Anno domini Millesimo cceclxxxxviij et (c. 34)

die xiij Februarij.

— Convenientes ad invicem providi viri Paulus Stephani de perusio
porte sancte subxanne Camerarius dicte artis et Nofrius Nicolutij Bencevene
Gostanzoli de porta santi Angeli et Magius Federici porte sancte subxanne
aurifices ad infrascripta habentes generale arbitrium ab adunantia generali
dicte artis manu mei notarij concorditer et in unum providerunt ordinave-
runt et reformaverunt omnia infrascripta, valet:

— In primis providerunt statuerunt et reformaverunt Quod decetero
quicumque tam Civis forensis quam quicumque alius non matriculatus vo-
luerit cameram aperire et retinere pro se vel alio teneatur et debeat primo et
ante quam possit cameram aperire et artem exercere dare camerario dicte
artis qui protempore fuerit recipienti pro dicta arte ydoneum fideiussorem
de faciendo et observando. ordinamenta et reformationes dicte artis et de
dictam artem bene et legaliter exercendo iuxta et secundum formam ordi-
namentorum dicte artis sub pena xxv libr. den. Et nichilominus non possit
dictam artem exercere nisi dato eidem fideiussore.

— ]tem statuerunt et reformaverunt quod artifices dicte artis infra
mensem a die quo incipitur sigillare teneatur et debeat sigillari et aiustari
facere eorum marcos et bilancias sub pena xx sol. den. aplicanda Camerario
dicte artis pro medietate et alia dicte Arti.





(c. 17)

162

NOTE E DOCUMENTI

MATRICOLA DELL'ARTE DEGLI OREFICI

(à numeri d'ordine sono aggiunti.
Il segno | indica che l'annotazione e sull'altro margine del foglio).

ARTIFICES ARTIS AURIFICUM DE PORTA SOLIS

Nicus Herculani mortuus

Matheolus Ser cambii cassus quia mortuus *

Petrutius Johannis mortuus *

Cintius Pelloli *

Laurentius Cecchi Ser renti mortuus 1426 die iii Julij *

Brunacius Pelloli mortuus 1424 die 28 decembris

Marinus Cinelli mortuus

Andreas Cecchi cassus quia mortuus est

Lorentius Laurentij mortuus

Barnabeus Pulii cassus quia mortuus est

Jacobus Francisci sancti francisci cassus quia descriptus est in porta he-
burnea de mandato Timatei sub Mcccexii vii in die mensis augusti

Paulutius Nicolaii 1431 die 3 novembris cassus de mandato ....... in
porta sancti Angeli ubi habitat *

Bartolomeus Marini

Marioctus Brunaccii mortuus die 17 januarii 1473

Manfredinus Tancii mortuus die 2 januarii 1446.

Sinibaldus Brancoli mortuus est

Antonius Andree mortuus 1424 ad 13 augusti.

Francischus Jacobi francisci 1427 die 26 augusti cassus quia descriptus
in porta eburnea de mandato Timatey camerarii.

Antonius Benedicti decessit 1482.

Andreas Cr. Stefani de gualterottis cassus die 18 Junii 1446 de mandato
Jlarii Chiodii camerarii dicte artis quia descriptus est dicto die in
porta sancte subsanne ubi aparet allibratus.

Pelleus honofrii 1489 in die xv februarii cassus est nomen dicti pellei pro-
ter protestationem factam Mariocti Anestasi camerarii in presentia
ser martini ser francisci et ser angeli tome.

Elnero Barnabei.

Crescembene Gratiosi decessit 1490.

Iohan Jacobus Antonii 1463 die 3 Januarii receptus

Felix Mariotti Brunatij Jecessit 1478 / scriptus 1474 die 25 junii.

Guaspar Lodovici de Barsis decessit 1486.

Honofrius pellei honofrii / ...... mortuus.

Bevegnates Gabrielis / ...1480...

Aleander Jo Jacobi antonii receptus sub 1486 de mense octobris die xi *.

Johannes Johannis receptus 14...die 7 Junj

Ulisses Johannis bernardini dicto piccino receptus in anno 1504.







NOTE E DOCUMENTI 163

Felippus Joannis Jacobi Antonii receptus. ......

Franciscus Cristofori receptus in anno 1528 *.

Tomas Bevegnatis receptus 1531 /..... 1546

Gismundus Patritii.

Antonini Francisci receptus de anno 1544 / obiit die 31 Januari 1591

Jeronimus Patritii receptus de anno 1546.

Adrianus Serantonii receptus 1548 die 22 febraurij

Benedictus Basilii receptus de anno 1548 / obiit mersus in flumine Tibe-
ris 28 Martii 1591.

Cyprianus Alexandrj de Benincasis 1558 | ... fatto prite...

Petruspaulus Hieronimi receptus de anno 1582 / obiit 1592.

Patritius Sigismundi Patritii receptus de anno 1584 / . .obiit die 28, Sep-
tembris 1611.

Franciscus Herculani badiali receptus, de mense febr. 1581 / obiit 1603.

&

Horatius Johannis de Baccellis receptus fuit die 21 Mensis Januarij 1610.
Stephanus q. Senneci de Joachinis receptus fuit die 12 Februarij 1612.
Pierus Thoma de Antoni receptus die 12 Februarii 1612.

A di 23 di luglio 1657 Carlo di Vincentis Cin...... die et mense dicto.

Joannes Antonius q. Filiberti Vincent... receptus fuit die 29 may 1659
/ obiit die primo junii 1695 *.

D. Carolus D. Maria de Paulinis receptus die 22 mensis Januarii 1671.
passato alla P. di S. Susanna con Cocarione del Sacco 1683.

D. Carolus de Angelis recepetus in Collegio die 3 junii 1684.

D. Ferdinandus fil. D. Caroli de Cinellis fuit receptus die Januarii 1695.

D. Petrus Antonius Sodi q. Sebastiani fil. tuit receptus die 7 Martij 1718.

D. Dominicus Barattini q. D. Josephi fil. receptus die 2 Martij 1743 .

D.nus Angelus fil. q. m Ja. Bapta Arrighi fuit receptus die 23 Maij 1760.

D.nus Mathias q. D.ni Jgnatii Delicati Perusinus receptus die 24 Juni 1778.

D.nus Petrus fil. q. D.ni Arcangeli Battini Perusinus receptus die secunda
Martii 1783.

D. Bernardinus Delicati Perusinus receptus in Collegio die vigesimooc-
tava mensis Jan. 1793 et descriptus propresenti Porta Solis de
consensu DD. Juratorum.

Silverius Angelini filius D. Alevandri descriptus die 28 Januarii 1818.

D. Joseph Carattoli fil. def. Aloisii descriptus die 31 Januarii 1829.

D.nus Achillis Angelini fil. viventis D. Silverii descriptus fuit die 6 Sept.
1844.

(c. 18)

(c. 19)



164 d NOTE E DOCUMENTI

(c. 20) ARTIFICES ARTIS AURIFICUM DE PORTA SANTI ANGELI

1 Bencevene Gostanzoli cassus quia mortuus Mceccexxv *

* Lione Baríuccioli mortuus.

* Nicolaus Vannis mortuus et ydeo cassus die...... iii Julij.

* Paulus Vannis mortuus est et ydeo cassus fuit "*.

* . Nicholaus Casalete mortuus est.

* Bartolus Luce mortuus.

* Nofjrius Nicholutii mortuus.

* Jacob Mateutii Ser marini"

* Isac Mateutii Soranni cassus 1459 et die.....

iv Johannes Menecutii decessus de mense aprilis 1451.

" Nofrius Antonii cassus quia mortuus 1424.

" Rafael Antonii 1431 die x settembris cassus quia apparet scriptus in pur
ES-SV DOLI 50a rescr. allibratus de mandato Timatey camerarii"

1:3 Mateus Antonii Mcecexxvi et die xxi mensis decembris cassus de "oudoto
niri pelloli de perusio camerarii dicte artis vigintitrium (?) protesta-
tionem contrafactam predictum mateum de quo patet manu mei no-
tarii infrascripti in filza dicte artis.

4" Meus Riti mortuus est".

5» Paulutius Nicolai iu porta solis est descriptus.

16 Antonius Johannis 1423 cassus quia mortuus fuit.

v Montagnolus Ricciardi Ciani mortuus fuit die 24 m. novembris 1474.

1. Aristoforus' Menea ‘.;......4 1457 5: cr

11 Tomas Ser Herculani absens mortuus.

?: Johannes Jacob Maliutii decessit in peste 1448.

2 Jacobus antonii decessit 1434 de mense decembris.

*» Matheus Antonii 1431 die v settembris cassus de mandato Timatei vice-
camerarii dicte artis quia apparet TRSCRERIDS” in porta s. petri ubi ha-
bitat et est allibratus.

* Gentile Filippi Mcceclviiii et die vii mensis setembris cassus propter pro-

; testationem factam Matei Antoni camerarii.

24 Gabriel Chiodi cassus quia mortuus 1433 die 18 februarii.

2 Paulutius Nicolai.

* Robertus ser bartolomei Andruccioli.

*? Mateus Ghisdi decessit in peste 1448.

*5 Francischus Angeli Mei decessit 1486 die 16 Junii.

?* — Marioctus Ser Bartolomei decessit 1483......

s0. Batista Johannis alias de lomzucharale decessit 1448.

3 Mateus Jacob matiutii decessit in anno 1456.

* Cinus tome receptus et perditus sub die 2 juli 1453/.....







49

50

51

52

53

54

55

56

57

58

59

60

61

62

63

64

NOTE E DOCUMENTI 165

Oddo Jacob receptus et perditus sub die xviiii dicembris 1453/.....

Yeronimus moríagnoli mortuus..... ménset..; 1474.

Bonacursius Felicis Ser Dominici 1527.

Bartolomeus Mariocti Ser Bartolomei receptus sub 1483 die 9 dec. /de-
cessit die 23 Julii 1497.

Salve Francisci Johannis Salvis receptus sub 1489 die 9 maj/decessit de
mense Juli 1499.

Mateus petripauli Jacobi s. angeli receptus sub 1492 die prima februaris /
decessit 1547 in mense novembris

Nicolaus perantonii Isac receptus die 4 julii 1499 / (deces.) 1520.

Berardinus Patritii receptus sub 1503 die 3 Jan. decessit die xi julii 1542.

Michaelangelus Berardini de fantiis receptus 1511/ descriptus mandato
Honofrij pellii camerarii sub 1506 die 27 maij.

francischus nicolai poccioli | 1526.

Berardinus Latantii 1533 recettus ....... 1504 ^, —

Paulus Leonardi detto de Lurcio 1548 [obiit die 2 mensis augusti 1567 '*,

Franciscus Federici receptus de anno 1549 / obiit de anno 1585 !”.

Horatius Francisci Christophori receptus 1555.

Lactantius de berardino de latantii recetus de anno 1564/-cassus quia
Iuil.. es a Juratis Artis lapidis et lignaminis /.

Angelus sebastiani.......... [ obtit die 22 Julii 1612

Adrianus Perlaurentii de perusia P.S.A(ngeli). 15...

Fr. Claudius Bernardini lactantii .......

Andrea Clementis de perusio p. s. a. 1578 die 12 Junii / obiit.

Vincentio di Ottaviano Ciburri receptus die vii novembris 1591 / obiit
21 Decembris i6ii ".

Jo. baptista Do. Menneci gattinelli receptus die 29 Juli 1594.

Sebastianus Angeli sebastianireceptus die 6 febr. 1596 /obiit die 18 Jan. 1630.

Petres D. Sebastiani receptus die 16 febr. 1616.

Vincentius Christophori Rondolini receptus die octava februaris 1620.

Vincentius Pieri de Antoniis receptus die 23 Augusti 1635.

Franciscus Sanctii Fanelli receptus die 8 Julii 1636.

R. D. Tranquillus Baronus receptus fuit die x Februaris 1643.

Giov. Andrea di Mattio Manzari receptus die 14 marzo 1653 / obiit a di
14 febr. 1706.

Antonio Ricci receptus die 2 Juni 1680.

D. Laurentius de Brunellis receptus in Collegio die 3 Juni 1684.

D. Franciscus de Marsiliis receptus die XV. Mensis Aprilis MDCCXII
obiit die prima januarii 1765.

D. Bartholomeus de Marsiliis receptus die vigesima Mensis Juni 1740
obiit 23 Augusti 1764.

Dom.nus Gaietanus fil. q. D. Francisci Pretelli receptus die 23 Maij 1760.

D. Joseph fil. q. Andree Silvestrini receptus die 19 Junii 1764 - Ipse me

Joseph Silvestrini delevit ut supra.

(c. 21)

(c. 22)





166

68

69

NOTE E DOCUMENTI

D. Vincentius Vincenli receptus de 22 Martii 1769.

Dnus Alexander fil. q. Dni Silverij Angelini receptus die trigesima pri-
ma Januarii 1781 ".

Dnus Guidus q. D. Petri Coppioli receptus die 29 Febbruarij et descrip-
tus die prima Mensis Martii 1788.

Dnus Joseph Delicati filius defuncti Pauli descriptus die 6 Septembris 1844.

Dominus Franciscus filius viventis Andree Nicchiarelli cooptatus die
22 Decembris 1857 et descriptus seguenti die 23 eiusdem mensis.



n
;



NOTE E DOCUMENTI ; 167

ARTIFICES ARTIS AURIFICUM DE PORTA SANTE SUBSANNE (e. 23)

: Magius federici Mortuus est^"

* Paulus Stephanutii mortuus *

s: Rentius Johannis. Cassus quis est mortuus et fuit in adunantia

* Maffutius. Mortuus

s Paschocius Paschonis mortuus fuit die xxviii mensis februaris 1414.

* Angelutius Vannutii mortuus sub Mceccexxx.

' Meus Rili cassus quia est descriptus in porta sancti angeli.

* Matheus maph...... die viii Januarii 1418 dictus matheus protestatus
Wb oe iacit capssari debet dicta matricula et ideo cassus fuit.

* Andrea dni Johannis Bini.

» Franciscus pascolii decessit in anno 1456 de mense Augusti".

" Androvandolus Bartholi decessit

£3 Tomas magi capsus quia factus est monachus.

15 Johannes pascotii alias Gnagne.

14 Angelus Marcutii. Mortuus

: Marioctus Andree de binolfis absens de civitate / mortuus.

5» Milus Ser Genoini cassus virtute protestationis facte secundum formam
statuti.

v Pulicizius magistri cole mortuus est die 23 decembris 1445.

1: Marioctus nestagii decessit sub 1496.

1$» Franciscus Johannis alias Cecoline mortuus / die 29 decembris 1469.

2° Andreas Ser Stefani de Gualterottis cassus respectu protestationis et de
mandato mei Salvie facto in adunantia de mense decembris 1448.

2 Troilus Johannis Pascoccii [......

* — Galeoctus Bartolomei Ser Lelli receptus die 2 Julii 1445 /.......

2» Johannes Batista Mariocti Anestasii | 1520.

* Bonifatius troili johannis receptus sub 1480 in die xxi decembris.

5 Pantaleonus leonelli de oddis receptus 1488 in die vii iunii.

* Johannes baptista jnnocentij s. felippi receptus sub 1488 in die 18 decem-



bris.
| 2 Franciscus Valariani dicto roscielto receptus sub 1491 in die prima mar-
È DE lS xx n
* Cesarinus francisci diclo roscieito receptus sub 1492 in die iiii novem-
bris fice ats. s

* Johannes paulus bartolomei caporalis receptus sub 1492 die 3 junii [de-
cessit 1530 5.

* (Qamillus Severi arisi receptus sub 1492 in die prima februari / decessit
1527.





168 : j NOTE E DOCUMENTI

* Appolonius Jo.bap.te matteoli receptus sub 1503 die tertia junii /. ...

* Andreas Mariocli anestasii receptus sub 1511 3 junii".

3 ^ Chiriacus lactantii chiriaci receptus sub 1514 die 3 junii.

* [Laurentius Mariocti anestasii receptus... 1515 de mense. .Jan.. ./....

(c. 24) 3 Apollo Ludonici sante crucis receptus die 10 februaris 1534 /obiit de

anno 1580 ".

* Dominicus dominici alias el beco decessit dicto mense februarii 1547.

* Fabius S. francisci coldiscipuli Receptus sub 1548 die 22 febr. /decessit
die 14 Juni 1549.

* Simon Petrispauli Magistri Simonis receptus de anno 1548 ".

? "Thomas sebabastiani Petri receptus de anno 1556 / obiit de anno 1578.

* Alexander Peíri Raganelli receptus de anno 1558.

2 Ludovici Santa croce Receptus die prima Augusti 1559 /

*? Thomas petripauli Thome receptus de mense. .... 1567 / obiit de mense
' martij 1626

* Adrianus Thome veceptus die 17 Februarii 1582.

4 Tiburlius Santa Crucis receptus die 19 Julii 1594.

55 Angelus Jo. baptista de Costarinis 1611.

4 Andreas Constantini Rhanerii receptus die octava februarii 1629.

* Dhilibertus Antonii de Vincentiis a Lotharingia receptus die 7. Junii

1634.

* [Laurentius Federici Cellolus receptus die ......... 1636.

* Joannes Antonius de Bernabeis receptus fuit die tertia Juni 1665.
Die 29 Juli 1665 P.A.Jo. antonius.... juravit observuare contenta



in dicta matricula et alia in ea....

*' Jouannes Carolus Jo. Marie de Paolinis receptus die 22 mensis Januari
1671 / obiit die 28 Maj 1713.

* D. Laurentius Cuerardiis receptus in Collegio die 3 Junii 1684.

*? ]) Petrus Brunelli receptus in Coll.o die 3 decembris 1714. A dì 4 luglio
1740 fu cassato il ditto Sig. Pietro Brunelli attesa la rinunzia fatta
dal medesimo Sig. Brunelli come consta dal libro degli atti et art.li
di detto Collegio.

5$ ] Feliz Ronconi receptus in Collegio die 3 decembris 1714.

* D. Herculanus de Gulinis receptus in Collegio die 8 Julii 1747 /obiit vigin-
taoctava mensis septembris 1755.

5 [ Gaspar Bartolelli receptus die 22 Martii 1769 ^.

5 D.nus Joseph fili supradicti dm. Gasparis Bartolelli receptus die trigesi-
maprima Januarii 1781.

* D. Paulus Delicati receptus die 28 Januarii 1793 in Coll.et descriptus pro
presenti Porta Sancta Susanna de consensu DD. Iuratorum.

* ][) Aegidius Cappellani filius defuncti descriptus die 31 Januarii

1829.

* ][) Joseph Cerrini filius viventi Francisci descriptus fuit die 18 Septem-
bris 1848.







NOTE E DOCUMENTI 169

ARTIFICES ARTIS AURIFICUM SCRIPTI IN PORTA HEBURNEA (c. 26)

Angelus Johannis cassus quia postus est in Porta Sancti Petri.

Bartholomeus Carlutii cassus quia est mortuus

Tinmateus Jacobi 1435 die ultima februarii cassus et cancellatus fuit
InAnu. i5 mandato providi viri Matei Antoni camerari.........
virtute... ...

Batista Bartolomei. Mortuus

Jacobus Johannis cassus quia mortuus est 1424.

Ugolinus luce cassus quia mortuus est 1466.

Andreaghezzus Francisci cassus quia mortuus est sub 1424.

Trencolus francisci decessit 1492.

Bartolomeus magistri Johannis mortuus fuit sub Meccexxx.

Jacobus francisci cassus quia mortuus 1443.

Franciscus Jacobi alias de la lucia cassus die 17 junii 1451 de ipsius vo-
luntate et protestatus de mandato francisci angeli vicecamerari.

Stefanus Ser Nuli decessit die quindecim mensis maj 1475.

Valerianus francisci decessit die septima mensis octobre 1456 ^.

Cristianus pelegrini decessit de mense aprilis 1451.

Paulus Ser Jacobi decessit de mense Julii 1491 *'.

Timateus Jacobi cassu quia............

Jacobus antonii francisci.

Hector Laurentii millesimo cccclvii Ind. v die vi mensis novembris cas-
sus est nomen dicti hectoris de mandato Revevendissimi Domini B.
Episcopi Cornetani perusii Gubernatoris eo quia fuit condemnatus
pro fabricatore false monete.

i Paris Pandori 1463 die 3 januarii receptus.

Gregorius Ser Petripauli 1463 die 3 januarii receptus *.

Pelegrini Cristiani decessit 1478 die 15 mensis novembris.

Berardinus Nicolaii Angieli receptus die nona mensis januarii 1469 *'.

Costantinus Juliani Ser Gualpis decessit in anno 1513.

felippus jobatiste bartolomei matei pulii receptus 1485 "*.

Alexander pauli ser jacobi receptus sub 1486 de mense junii °°.

Herculanus bartolomei de bontempis receptus 1486 de mense octobris /1522

pervincentius ser bartolomei ranaldi alias Dante receptus sub 1488 die
17 de how. 18/....-.-. 1513. 5

federicus francisci dicto roscietto dicto el trippa ....... fossis

hieronimus francisci jo. receptus 1499 die 14 Julii.

JOCDDHS S co: ser Jacobi receptus sub 1454 (2).

Julius pervincentii alias dante receptus die 28 januarii 1525 / obiit 1575 °°. (c. 27)

Vincentius petri receptus de anno d.mi 1528 / mortuus 1571 *.

Paulus federici alias el trippa receptus sub anno 1534 /obiit die...
septembris 1567 ‘.

37



170 NOTE E DOCUMENTI

* Vincentius Julii pervincentii receptus die Januarii 1548 / obiit magno
bonorum moerore die 26 May 1576 ".

*5 Berardinus Ludovici Receptus sub 1548 die 22 februarii ".

se Joseph Alexandri pauli receptus de anno 1548 / obiit 1575.

* Conslantinus Pauli federici alias eltrippa receptus 1570 ^.

3 Simon Vincentii Petri acceptus die 7 Januarii 1572 /obiit die ottobris 1613.

* Hieronimus iulii Dantis receptus die ultima augusti 1575 / obiit die 26
augusti 1580 ‘.

* Jo. andreas Hieronimi Patritii receptus die 3 januarii 1578 / obiit 1 julii
1629 **.

* Joseph Hieronimi Patritii receptus die 28 januarii 1581.

* Angelus de Justinii not. s pub.s Perusinus receptus die septima Julii 1608/
renunciavit offitium notariatus atque iuratus dicte artis.

* Sebastianus Baptista Mariocti receptus sub die 22 mensis Januarii 1610
| obiit die 17 Augusti 1611.

^ Laurentius Hieronimi de Patritii receptus die 12 februarii 1612/obiit
mense Juni 1625.

1 Dominicus Jo. baptisti de gattinellis receptus...........

«& Gostantius.abrius.receptus.diel4-Juliit.-.-.

& ANT6UlausGostanctts C0) LE o

* Ercules q. Jo bapt.de baldasinis de Perusia receptus die vigesimasesta
Jan. 1627.

40 Horatius Vicentius Giorgettus Perusinus receptus die quinta mensis
Augusti 1635 / obiit die 27 mensis xbris 1694.

*' Joseph Christofari Scorbinus Perusinus receptus die tertia maii 1643. |

9 J[) Jouannes Bernardinus Cavalariis Perusinus receptus fuit in Colle-
gio ha die 27 Januarii 1665.

* ]. Dominicus de Riccis veceptus in Collegio hac die 3 junii 1684 / obiit
die 22 nov. 1744.

$ D. Jo. Bapte q. D. Antonii Ricci fuit receptus die 7 Martii 1718.

* D. Antonius Bordoni receptus die 22 Martii 1769.

5 Dnus Bernardinus q. D. Joannis Bapte Bianchi Perusinus receptus die
vigesimanona Febbruarii et descriptus die prima Mensis Martii 1788.

5. Dominus Seraphinus Germanelli filius q. D. Vincentii Perusinus descrip- |
tus die 23 Febbruarii 1815. |

(c.28) * D. Aloysius Cappellani filius defuncti descriptus die 31 Januarii 1829. |







NOTE E DOCUMENTI 171

ARTIFICES ARTIS AURIFICUM DE PORTA SANTI PETRII (c. 29)
*

Petrus Matheolii. Cassus quia Mortuus est
Antonius.
Johannes Ser masci. Cassus quia Mortuus

Tomas Marcutii. Cassus quia mortuus
Paulutius Alexandrini. absens et mortuus
Angelus Johannis cassus quia mortuus 1428.
Rafael et | aba . mortuus est 1433.
Mateus f PON : descriptus 1459.
Permateus hermanni decessit de anno 1543 de mense octobris. *
Ventura antonii decessit in peste 1448.
Hector laurentii cassus quia positus in porta heburnea 1456.
Francischus Mathei antonii cassus quia decessit 1497.
Antonius Rafaelis decessit die x septembris 1486 ydeo cassus.
Jacobus ludovici decessit 1474 de mense Junii. :
Mariotus Marchetti.

Francischus Cristofori. mortuus

Franciscus matei luce Giondoli decessit 1479.....

Ghaleazius Matheii Antonii Receptus die nona decembris mccccliij.
Pierfranciscus petri lelli bini-| decessit 1479.

Guaspar antonii luce svn ambo die xxiii februarii 1456.
Permatheus Johannis receptus al 8 mensis julii 1470. mere
Patritius Guasparis nucoli receptus 1469.............
Pergentilis bini petri receptus sub 1485 die vii......

Sustinus patritii gasparis receptus sub 1488 die 17 decembris.
Vincentius permatei hermanni receptus sub 1488 die 17 decembris.
Berardinus dicto pantanino Ser angeli de pantano receptus sub 1492. . .
Berardinus patritii receptus sub 1503 die 3 ianuarii /.......
Camillus permatei receptus sub 1503 die 3 iuni decessit Ln Tisi
Lautitius Mei receptus 1511 die 3 Junii / ............

Mateus Seneri bartholomei receptus 1524 /obiit die 29 Mai 1578. (c. 30)
Joannes batista Vincentii petrimatei rec ....... 1532 /obiit die 8 xbris
1576.9.

Lucalbertus Federici decessit 1541

Mariottus marci decessit 1536 de mense ottobris ^

Marcus mariotti marci receptus 1537 / obiit de mense aprilis 1578 ^.

Adrianus Domini Filippi receptus sub 15......

Cesar Magistri Philippi perjoannis receptus 1558/cassus quia fuit effectus
presbiter Seminarij.

Cesarinus francisci federici receptus 1575/obiit de mense Januarii 1596 Mc

* Annot. di mano del sec, xvi mentre il nome è dei primi del sec, xv.



(c. 31)

48

56

NOTE E DOCUMENTI

Balthasar Jo. baptiste Vincenti De Hermannis 1577/obiit de anno 1582.

Federicus Francisci Rossetti 1578/obiit 15 Januarii 1631 *.

Alfonsus Joanni Mancini receptus de anno 158. ../obiit die 28 Julii 1627

D. vincentius Jo. batiste........

Alexander Azzi de Sustinis receptus de anno 1597.

Juliuscesar Baldizoppius receptus die vigesimasecunda februarii 1620

Franciscus Pauli francie receptus de anno 1629 die trigesima mensis
Augusti morì ad ottobre 1664.

Zenobius Laurentii de massariis obtentus die vigesimanona Aprilis 1634.

«Benedictus 2 antii Gilluctii receptus ..... 8 Julii 1636.

D. Ridagus q. francisci de Cecchinis receptus fuit in Collegio hac die 5
xmbris 1663. i

D. Guidonis quidam Joannis de Carlettis receptus fuit in Coll. hac die
22 Julii 1667.

D. Joseph quidam Matthie de Brunellis fuit receptus in ditto Collegio hac
die 14 Maii 1682 (Die 22 Junii 1682 dicto D. Joseph iuravit observare
contenta in presente matricula et alia in ea contenta facere et........
facere. Franciscus Bocc...not.).

D. Joseph de Maris Perusinus fuit receptus in d. o Collegio hac die 7
7bre 1712 — obiit die vigesima Mensis Januarii 1767.

Dnus Angelus quidam Dominici Cagliesi fuit receptus die 23 Maii 1760.

D. Joseph filius Dni Angeli Cagliesi descriptus hac die 11 Aprilis anni 1770.

Dnus Antonius filius q. Domini Ignatii Delicati receptus die trigesima-
prima Januarii 1781.

Dnus Gaspar Bartolelli Filius Dni Josephi receptus die vigesimooctava
Januarii 1815.

Dnus Philippus Martelli filius........ descriptus fuit die 6 Septembris
1844.

Lycurgus Ricci filius defuncti Philippi die XIV augusti A. MDCCCXLIX.











NOTE E DOCUMENTI 173

NOTE ALLA MATRICOLA

1 È l’orafo e miniatore Matteo di Ser Cambio di Bettolo. Per altri documenti e bi-
PROBE, v. U. GwoLI, Pittori e miniatori dell' Umbria, ad vocem.

? È quasi certamente quel Petruccio di Giovanni detto « don Jozzo » | che batteva i
bolognini perugini di una Zecca di poco anteriore al 1395, v. G. B. VERMIGLIOLI, Della
zecca e delle Monete Perugine, Perugia, 1816, pag. 57 e Docum. XIII,

8 Fu commissario alle riformanze del 5 Genn. 1406 e del 2 Genn. 1425.

4 Fu commissario alla riformanza del 21 Nov. 1395 insieme a Nicola Vanni (3° nel-
le Matr. per P.S.A.), come da incarico avuto nell'adunanza del 17 Ag. s.a. — Era Came-
rario al tempo della riformanza del 5 Genn. 1406.

5 Con atto del 18 nov. 1426 Pauluzio Nicolai insieme a tale maestro Piero Matteo
Salvoli di Foligno ed al perugino Meo Riti si obbligava con i Priori ad eseguire due fiasche
d’argento cesellate e smaltate con figure di animali ed il Grifo, che la Signoria voleva do-
nare alla sposa del nipote del papa Martino V Colonna. V.A. Rossi, Seconda serie di stan-
ziamenti e contratti per opere di oreficeria, in Giornale di erudiz. artist., III, 206.

8 Leandro di Giangiacomo d’Antonio era fratello della moglie di Federico Roscietto
con il quale eseguì nel 1524 cinque piatti d’argento per la mensa dei Priori. V.A. Rossi al
1. c. a nota 23.

? Era presente alle adunanze del 7 Genn. 1550 e 8 ott. 1555, insieme a Jeronimo
Patrizi, 37° di questa Porta.

8 Giovanni Antonio Vincenti eseguì nel 1661-62 il tempietto argenteo nel quale è
conservato il Reliquario del S. Anello in S. Lorenzo di Per. V. SIEPI, Descrizione top. ist.
della Città di Perugia, T, 104-105. Era figlio di Filiberto di Antonio Vincenti, 47° della Matr.
per P.S.S., ricordato come di origine lorenese.

? Fu commissario alla riformanza del 5 Genn. 1406.

10 Paulus Vannis de Perusio firma e data 1398 la monumentale croce capitolare del-
la Collegiata di S. Maria Maggiore di Spello, opera di fondamentale importanza per la sto-
ria dell'oreficeria perugina, ché da essa discendono le numerose croci del sec. XV nel ter,
ritorio perugino, come l'altra di Spello in S. Lorenzo, quelle di Montecolognola, Agello-
Castiglion Fosco, Castelvieto, Spina, Gualdo T., etc. L'annotazione di morte é in corsivo
della prima metà del sec. xv.

1 Era Camerario al tempo della riformanza del 2 Genn. 1425, insieme a Mariotto Bru-
nacci (149 per P. S.) ed a Cinzio Pelloli.

12 A Raffaello d'Antonio di Franceschino, reiscritto 79 della Matr. per P.S.P., il -
2 Dic. 1421 veniva commessa una croce d'argento con figurazioni varie per la Cappella
dei Priori. v. A. Rossi, Stanziamenti e contratti per sei belle opere d'oreficeria ite a male.
in « Gior. di Erud. Art. », I, 333. Il 18 nov. 1426 gli venivano commesse due confettiere
d’argento smaltato e dorato per il dono di nozze di cui alla nota 5.

18 Meo Riti, già iscritto 7° della Matr. di P.S.S., v. nota 5.

14 Il 27 apr. 1423 Cristoforo di Menico di S. Maria del Verzaro prese a fare due am-
polle d’argento e due candelieri di rame dorato e smaltato per la Cappella dei Priori. v.
A. Rossi al 1. c. a nota 12.

15 Era presente alle adunanze del 7 Genn. 1550 e 8 Ott. 1555.

16 Era presente alle adunanze di cui alla nota precedente.

17 È il terzogenito di Federico di Francesco Roscetto.

18 È il figlio del pittore perugino Ottaviano di Polidoro di Stefano Ciburri.

19 Era anche pittore, iscritto il 4 marzo 1780 alla Matr. IV dei pittori per Porta
Sole, dalla quale fu cassato per passare fra gli Orefici.

20 Era Camerario al tempo della riformanza del 21 Nov. 1395.

21 Era Camerario al tempo della riformanza 5 Ag. 1378.

22 Il 21 nov. 1427.i Priori delle arti allocano a Francesco di Pascoccio la fattura di
una confettiera d’argento smaltato e dorato per la loro tavola. v. A. RossI, l. c. a nota 5

28 Francesco di Valariano o Valeriano detto Roscetto era di Foligno, ove 1’11 dic.













174 NOTE E DOCUMENTI

1473 dà a pigione una sua casa. Nel 1479 si trovava in Perugia, ove riceve dal Mon. di
S. Pietro il pagamento per la fattura di un calice. I1 13 ott. 1482 viene registrata la cedola
con la quale egli conduce la zecca perugina, ma da una petizione del 13 ott. 1486 si sa
che esercitava tale ufficio sino dal 1474. Il 13 ott. 1487 ottiene la cittadinanza perugina;
il 29 nov. s.a. collauda le catene auree eseguite da Bernardino di Nicolò (v. nota 33). Il
I mar. 1491 è ricevuto fra i giurati dell’arte ed il 10 ott. s.a. risulta creditore del Mon.
di S. Pietro per la fattura di 2 ampolle d’argento eseguite sino dal 1490; nel 1492 è credi-
tore del Cambio per la corona della statua della Giustizia posta nell'Udienza. Nel 1495
firma il ferro da cialde ora nella Galleria N. dell'Umbria (altro ferro da cialde con la firma
del Roscetto fu recentemente acquistato dalla Gall. Naz. dell'U. ad opera di A. Bertini
Calosso). Nel 1494 Francesco Roscetto intaglia un sigillo peri Priori. Il 18 luglio 1945 in-
sieme all'orafo perugino Bino di Pietro (compagno dei Roscetto in molti lavori, ma del
quale non si trova traccia in questa Matricola) si obbliga alla fattura di una «nave » d'ar-
gento per la mensa dei Priori (v. anche nota 50), secondo un disegno in pergamena (forse
da lui eseguito), ma sembra che l'opera non fu mai eseguita. Il 7 giugno 1496 gli viene com-
messa da Don Barnabeo di Renzo d'Antria (Magione di Per.) la fattura di un calice con
patena, di rame e argento dorati e con smalti. Nel 1° sem. 1500 tiene l'ufficio di massa-
ro dell’arte e nel 2° sem. quello di saggiatore. Il Rossi lesse nel margine della Matr. « 1509
die 15 decembris decessit », ma una densa obliterazione ad inchiostro rende tale annota-
zione di assai dubbia interpretazione. v. A. Rossi, Francesco di Valeriano detto Roscetto
ed i suoi figli Federico e Cesarino in « Giorn. di Erud. Art. » II, 89 e segg. G. DEGLI AZZI,
Di uno sconosciuto lavoro di oreficeria umbra, in Per nozze Nuti-Scalvanti, Perugia, 1912.
G. B. VERMIGLIOLI, l. c. a nota seg.

24 È il secondogenito di Francesco di Valeriano Roscetto. Il 3 genn. 1492 Cesarino
ed il fratello Federico sono ricevuti ad istanza del padre fra i giurati dell’arte; nel 2° sem.
del 1504 è massaro dell’arte stessa. Il 3 sett. 1505 prende in affitto con Federico un terre
no sul M. Malbe. Il 10 nov. 1507 il padre ratifica un contratto per un reliquiario della S.
Croce che Cesarino si era obbligato ad eseguire per la Ch. di S. Francesco di Cortona (l'o-
pera non fu terminata dall'artista, che per essa ebbe controversie con i Cortonesi per lunghi
anni). Il 10 nov. 1510 Cesarino risulta tenere bottega in Roma, dove riceve il pagamento
della fattura di due tondi in bronzo con fiorami a rilievo eseguiti per Agostino Chigi e per
i quali Raffaello (che ricorda l'amico orafo in una lettera a Domenico Alfani) aveva dato
il disegno. * Il 13 ag. 1511 è mallevatore di Ser Luca di Ser Viviano da Foligno per un de-
bito con il Vescovo di Chiusi. Il 10 luglio 1512 i Priori di Cortona saputo che Cesarino
ha commesso un omicidio inviano un messo ai Priori di Perugia per evitare il sequestro
degli argenti di loro proprietà; tuttavia nel 2° sem. dello stesso anno Cesarino è Camer-
lengo dell’arte. Il 6 maggio 1513 gli viene commessa dagli Operai della Cattedrale di Sie-
na la fattura di un Cristo Risorto d’argento. Il 24 giugno 1514 risulta tenere insieme a
due soci l’ufficio della zecca. Nel 1515 fa in Siena il modello delle figure d’argento di S.
Maria Maddalena. Il 29 giugno 1516 Cesarino risulta tenere ancora l’ufficio della zecca,
che dall'11 luglio seguente eserciterà insieme a Lautizio Mei; nel genn. e nel febb. 1517
stipula con i Priori altre convenzioni per l'esercizio di tale ufficio, che assumerà ancora per
tre anni dal 24 sett. 1520. Il 12 ag. 1518 si obbliga a finire la «nave » d’argento per i Priori,
lasciata incompleta dal fratello Federico (v. nota 37) e per la esecuzione di tale opera ri-
ceve somme il 28 giugno 1519, il 20 giugno 1520, il 28 ag. 1521 ed il 24 ott. 1524, ma mal-
grado la promessa più volte reiterata (5 luglio 1521, 9 dic. 1522, 21 dic. 1524) di portare a
termine l’opera con ogni solerzia e perizia, i Priori, il 29 dic. 1525, danno incarico alle arti
della Mercanzia e del Cambio di soprintendere al compimento delle due « navi » (una era
stata allocata a Mariotto di Marco, v. nota 50); il giorno seguente i consoli della Mercan-
zia rinnovano con Cesarino il contratto relativo alla sua «nave », stabilendo un tempo di

(*) Sui tondi in bronzo v. C. FEA, Notizie intorno a R. S. di Urbino, Roma, 1882, pag. 81. —
G. CucNoNr, Agostino Chigi il Magnifico, in « Arch. della Soc. Rom. di Storia Patria» Roma,1878,
nota 84. — M. MINnGHETTI, Raffaello, Bologna, 1885, pag. 140. — A. VENTURI, Raffaello, Roma,
1920, pag. 55 e nota 23. Il Venturi, parlando di questi tondi, attribuisce a Cesarino, in collabora-
zione con Antonio da S. Marino, la fattura del ricchissimo letto d’avorio, con oro, argento e pietre
preziose, per Agostino Chigi, opera ricordata al capitolo De Supellectili nella parte che riguarda Ago-
stino dei Commentari latini di casa Chigi, scritti da Fabio, poi papa Urbano VII (v. a pag. 20 della
citata opera del Cugnoni); l’A. non cita però la fonte sulla quale fondò l’attribuzione. Il Cugnoni
mette invece in relazione il letto con una ricevuta del 1522 (1. c. pag. 63), estranea a Cesarino.





NOTE E DOCUMENTI r 175

due anni per il compimento dell'opera, per le ruote della quale l'artista riceve dell'argento
I'1li gen. seg. a. Tuttavia Cesarino non riusci a terminare il monumentale lavoro e parti
della «nave » (cavalli, cassa) risultano dati in pegno o venduti negli anni successivi. In-
tanto l'artista era stato saggiatore dell’arte nel 2° sem. del 1519, stimatore nel 2° sem.
del 1523 e di nuovo camerlingo nel 1° sem. del 1525. Il 10 dic. 152@ si obbliga ad eseguire
per certe dame recanatesi un crocifisso d’argento, il 27 apr. 1523 riceve un pagamento
dal Mon. di S. Pietro per la fattura di un tabernacolo. Il 18 febb. 1524 riceve l’incarico
dai Priori di fare un piatto d’argento, che consegnò il 23 marzo seguente; il 12 maggio
s.a. esegue insieme al cognato Leandro (v. nota 6) cinque piatti d’argento per i Priori. Il
28 giugno s.a. riceve un anticipo per una croce d’argento che poi eseguì per la Ch.
di S. Medardo di Roccacontrada. Il I ott. 1524 risulta creditore del Mon. di S. Pietro
per lavori d’argento fatti alla statua di S. Pietro Ab. Il 10 mar. 1525 si impegna col Cap-
pellano di S. Maria di Bettona ad eseguire un Crocefisso di legno dipinto con decorazioni
in oro. Il 12 nov, 1525 riceve insieme a Mariotto di Marco ed a Leandro di Giangiacomo
rottami d’argento per fare due bacili con stemma della città e dei Savelli. Relativamente
alla data di morte dell’artista, 1527, letta dal Rossi nella Matr., v. l’osservazione alla fine
della nota precedente. V. anche A. ANSELMI, La croce astile di C. di R. per la chiesa di S. Me-
dardo in Arcevia, in Arch. Stor. dell’arte, II, p. 306 e segg. Per i contratti relativi alla zecca,
v. G. B. VERMIGLIOLI, Della Zecca e delle Monete Perugine, Perugia, 1816, pag. 57 e segg.

25 È il figlio del pittore Bartolomeo Caporali e fratello del pittore Giov. Battista.
Il 28 genn. 1510 insieme all'orafo fiorentino Rodolfo Compagni, residente in Perugia, si
impegna ad eseguire un croce d’argento per la Cattedrale di S. Lorenzo. v. A. Rossi, Ter-
za serie di stanziamenti per opere di oreficeria in « Gior. di Erudiz. Art. », III, 225.

26 Era presente all’adunanza del 7 genn. 1550.

2? Era presente all’adunanza di cui alla nota precedente.

28 Era presente a.lle adunanze del 7 genn. 1550 e nell’8 ott. 1555.

29 Era anche pittore, iscritto il 14 giugno 1473 «alla Matr. IV dei pittori per Porta
Sole, dalla quale fu cassato per passare agli Orefici.

80 Non è il padre di Fr. Roscetto. v. A. Rossi a l. c. a nota 23.

81 Paolo di Ser Iacopo era perito per il prezzo nel contratto di cui alla nota 46.

3? Paride di Pandaro è il padre del pittore Domenico Alfani. Nel 1506 era ancora
vivo, essendo ricordato in tale anno insieme al figlio. v. GnoLI, Pittori e Miniatori,
p. 16. v. anche a nota 37.

33 [] 19 luglio 1490 Bernardino di Nicoló di Angelo si impegnava con i frati di S.
Agostino di Perugia ad eseguire un « fregio » per l’altar maggiore della chiesa secondo il
modello presentato ed in argento, in quattro pezzi e con fregi di fogliami e 5 d 7 tondi
con figure di Santi. Nel 1487 esegue le collane d’oro dei Priori. v. A. Rossi ai l. c. alle
note 12 e 23.

** Filippo di Giovanbattista di Matteo Puti, insieme all'orafo Giovanbattista di
Mariotto Anestasi (23° della Matr. per P.S. Susanna) ed a Pietro Perugino è soprastante
alla esecuzione della « nave » per la mensa dei Priori, che doveva eseguire Mariotto di
Marco. v. nota 50.

35 I] 13 febb. 1487 Alessandro di Paolo di Ser Iacopo (figlio dell'orafo di cui alla
nota 31) si obbliga con il Priore di S. Agostino di Per. ad eseguire un calice d’argento ce-
sellato e con smalti, tabernacoletti con statuette di Santi e patena con uno smalto al cen-
tro raff. la Crocifissione, secondo un disegno su pergamena che l'artista aveva appron-
tato. v. A. Rossi, l. c. a nota 5.

86 Piervincenzo di Bartolomeo Ranaldi detto Dante (1440-1512), capostipite della
famiglia dei Danti, oltre che orafo fu rinomato matematico, traduttore e commenatore
del Libro della Sfera del Sacrobosco e costruttore (1498) di un famoso astrolabio, ora scom-
parso. Dalla densa cancellatura ad inchiostro sul margine della Matricola emerge la data
1513 la quale sembra riferirsi alla morte, che dalle altre fonti risulta avvenuta nel 1512.

37 È il primogenito di Francesco Roscietto. Come per quest’ultimo e per Cesarino
il Rossi (1. c. a nota 23) riuscì a leggere cose difficilmente leggibili ed assai dubbie;così.
anche per Federico nella Matr. una densa cancellazione ad inchiostro, dalla quale emergono
solo le parole « dicto el trippa », nasconde più antiche notazioni, che per il Rossi dicono
«receptus sub 1492 et die 3 Jan.». Riassumo e riordino, sempre dal Rossi, le netizie su Fe-
derico. 11 ag. 1485 (dodicenne circa) ratifica una promessa fatta agli orafi Paride di Pan-
doro (19° della Matr. per P. E.) e Patrizio di Gaspare (22° della Matr. per P.S.P.). 4 dic.
1496 gli viene commessa la fattura di quattro vaselli d’argento per sale, pepe e spezie
per la mensa dei priori. I° sem. 1499 è massaro dell’arte. 7 nov. 1499 gli viene pagato









176 NOTE E DOCUMENTI

un sigillo fatto per i Priori. I° sem. 1500 è Camerlengo dell’Arte. I° sem. 1503 è saggiatore
dell’Arte. 10 giugno 1505 promette a tale Antonio di Francesco Eugeni il pagamento di una
tazza ed altri argenti da lui acquistati. 27 ag. s.a. consegna una coppa ai Priori. 3 sett.
s.a. insieme a Cesarino prende in affitto una terra sul M. Malbe. 22 marz. 1506 insieme
a Cesarino si impegna ala esecuzione di una mazza d’argento per la Signoria, secondo il
disegno presentato. 15 genn. 1507 prende in affitto una bottega in Piazza Grande.
26 ag. 1508 i soprastanti del Cambio gli allocano la fattura di due « campanelle » fuse in
ottone e dorate, con saldate teste di leone e fiorami, per la porta dell’Udienza del
Cambio, campanelle collaudate il 22 dic. 1509 dagli orafi Giambattista di MariottoAnestasi
(23° della Matr. per Porta S.S.) e) e Rodolfo Compagni (è il fiorentino di cui alla nota 25);
il Rossi dubita che le campanelle siano mai state poste in sito, mancando indizi, ma forse
esse erano al posto degli attuali pomi di bronzo. 15 genn. 1509 i Priori lo diffidano a non
battere moneta adulterina a nome della Comunità, ma il 10 febb. 1510 lo stesso magistrato,
riconosciuta l’onestà dell’artista ed in considerazione della scarsezza di moneta, lo autoriz-
za a battere sotto certe norme, 15 luglio 1510 riceve una somma in pagamento di lavori
fatti per la Cappella dei Priori insieme all’uso per tre anni di una bottega al Sopramuro.
15 nov. 1510 insieme a Gianbattista di Mariotto Anastasi sopradetto si impegna a fare
sei piatti d’argento per i Priori. 9 febb. 1513 compra una casa nella Parrocchia di S. Se-
vero. 30 mar. 1513 gli viene commessa, insieme al fratello Cesarino la fattura della «nave »
d'argento per la mensa dei Priori, secondo il disegno dato da Pietro Perugino, opera che
. sappiamo non terminó (v. nota 24 e descrizione generale della « nave » a nota 50). 14 lu-
glio 1513 gli è promesso il pagamento entro due anni del residuo relativo alla fattura (1498-
1511) del Reliquiario del S. Anello (del quale sembra che Federico abbia eseguito la parte
architettonica e Cesarino le statuette), pagamento del quale fa quietanza il 21 nov. 1514.
14 dic. 1513 compra un terreno in voc S. Costanzo. 13 mar. 1514 compra altro terreno in
S. Biagio della Valle voc. Palazzo di Colle Secco. 9 mar. 1515 compra una casa in Porta
S.P. 24 mar. 1515 riconosce un debito verso tale Rustico Spagnolo detto « di Monsignore ».
Al 10 nov. 1517 era già morto.

88 Giulio Danti (1500-1576) fratello della pittrice Teodora, fu architetto ed orafo;
di quest’ultima sua attività si hanno i seg. ricordi. 13 mar. 1553 contratta con il priore
della Mercanzia la fattura di una mazza d’argento, della quale aveva presentato disegno.
3 febb. 1571 si obbliga ad eseguire per la Cattedrale perugina una vasca battesimale in
bronzo dorato con coperchio, secondo il progetto presentato, con l’obbligo di accettare
le modifiche che al disegno stesso crederà apportare Galeazzo Alessi. v. A. Rossi, l. c. a
nota 25. Nel maggio 1567 veniva pagato per la croce eseguita per il Santuario di S. Maria
di Macereto (Camerino), opera che è ora nella Collegiata di Visso. Era presente all’adu-
nanza dell’Arte del 7 genn. 1550.

3° Era presente insieme a Gismondo Patrizi (35° per P. S.) ed altri, all'adunanza del-
1°8 ott. 1555.

40 È il figlio di Federico di Francesco Roscetto. Nel 1566 aveva fatto testamento,
disponendo di essere seppellito in S. Francesco. v. A. Rossi, 1. c. a nota 23. Era presente
alle adunanze del 7 genn. 1550 e 8 ott. 1555. Nel 1561 chiese ed ottenne l’ufficio di zecchie-
re, quale aveva già ottenuto da Paolo III. v. VERMIGLIOLI, l. c.

41 È il celebre scultore, figlio di Giulio e fratello del pittore ed orafo Girolamo (v.
nota 44) e di Pellegrino detto Fra Egnazio. Della sua attività giovanile di orafo si ha me-
moria nel contratto in data 7 apr. 1554 con il quale Vincenzo si obbligava ad eseguire
un boccale d’argento per i priori. Si ha sospetto tuttavia che l’opera sia stata condotta
dal padre. v. A. Rossi, l.c. a nota 25.

1? Era presente all'adunanza dell'8 ott. 1555.

48 È il figlio di Paolo di Federico di Francesco Roscetto. v. A. Rossi a l. c. a nota 23:

44 È Girolamo Danti fratello di Vincenzo. Più che come orefice è ricordato come
pittore. v. U. GnoLI, Pittori e miniatori dell'Umbria. Non era però iseritto nella Matricola
dei pittori.

45 I] 19 nov. 1581 Giovanni Andrea di Gerolamo si impegnò con il monaco censua-
rio della Ch. di S. Pietro di Per. ad eseguire un «lampadario » di rame per l’altar maggiore,
secondo il disegno presentato dall’artista, il quale, dal testo del contratto, sembra avesse
bottega anche in Roma. v. A. Rossi, l.c. a nota 25.

46 Il 18 dic. 1488 Patrizio di Gaspare contrattò con il priore dello Spedale dei No-
tari la fattura di un calice d’argento con smalti raff. la Pietà S. Giovanni, la Vergine,
S. Luca, S. Agostino e lo stemma dell’arte dei Notari. v. A. Rossi a 1. c. a nota 25
v. anche nota 37.















NOTE E DOCUMENTI 177

4? È il « gran » Lautizio di Meo Rotelli, il più rinomato incisore di sigilli del Rina-
scimento. Come tale lo ricorda il CELLINI ne La Vita, (I, cap. XXVI e II, cap. I) e nel
Trattato dell’Oreficeria (cap. XIII). Il Muntz trovò un documento del 7 mar. 1522 rela-
tivo a quattro sigilli eseguiti da Lautizio. Varii sigilli sono attribuiti al maestro, ma con
scarsa sicurezza; forse l’unico sicuramente suo è quello di Giulio de’ Medici, poi di Ippo-
lito de’ Medici (Museo N. di Fir.), poiché dal testamento che Lautizio fece il 20 nov. 1523
risulta che aveva eseguito per il Card. Giulio de’ Medici un calice, un sigillo ed altre cose.
v. A. Rossi, Manico del sigillo di Pietro Bembo e testamento inedito di M° Lautizio da Pe-
rugia in « Giorn. di Erud. Art. », I, 358. Altro sigillo attribuito a Lautizio era nella Col-
lezione Giacomo De Nicola (n. 134 del Catalogo di vendita, Roma, 1929). In Roma Lautizio
tenne anche bottega di tipografo insieme a Lodovico Vicentino e lavorò all’intaglio di
elegantissime lettere tipografiche. v. Catalogo della Mostra della Stampa Umbra, a cura di
G. CeccHINI, Foligno 1943, p. 66. La data di morte non è leggibile nella Matricola per
una densa cancellatura ad inchiostro. Conviene qui notare che il CELLINI, oltre il Lautizio,
ricorda altri due orafi perugini e cioè il giovane soprannominato Fagiuolo, che gli subentrò
nell’ufficio della zecca papale (LA Vira, I, cap. XL), e Girolamo Pascucci, che lo aiutò nei
lavori (croce e coperta da libro) per Paolo III, che lo accompagnò nel primo viaggio in
Francia e che, secondo lo stesso Cellini, ne avrebbe provocato l’arresto e la prigionia in
Castel S. Angelo con l’accusa di furto di pietre preziose al tempo del Sacco.

48 Era Camerario al tempo dell’assemblea del 7 genn. 1550 ed era presente all’as-
semblea dell'8 ott. 1555.
| 9? Ril primogenito di Federico di Francesco Hoscetto. Il 21 febb. 1528 fu pagato
per la fattura di una mazza d’argento dorato donata al Cardinale Del Monte. v. A. Rossi,
I:p/8.Hota' 29:

5? Mariotto di Marco è, insiemej a Cesarino e a Federico Roscietto, fra i più impor-
tanti orafi perugini del Rinascimento. Di una mazza da lui fatta per i Priori si ha notizia
nel contratto 22 mar. 1506 citato alla nota 37, ma deve essere soprattutto ricordato

| per l’allocazione fattagli dai Priori il 30 dic. 1512, sotto la soprintendenza di Pietro Peru-
gino e degli orafi Giovan Battista di Mariotto Anestasi e Filippo di Giovanbattista di Mat-
teo Puti, della fattura della nuova « nave » (confettiera) per la mensa dei Priori, in luogo
di quella donata al Cardinal di Valenza. La nave, per la quale lo stesso Perugino aveva
fornito il disegno, era fornita di quattro ruote ed appunto come un carro era tirata da due
cavalli in atto di correre, ornati da sonagliere, ma aveva anche tutte le attrezzature di un
vascello, il timone retto da un « temonista », l'albero con la vela gonfia trattenuta dalla fi-
gura della Fortuna; nella « gabbia » in cima all’albero era la solenne figura di S. Ercolano
in abiti episcopali; figure varie di puttini animavano la splendida opera, arricchita anche
da dorature e da smalti, e che veniva fatta correre da un capo all’altro della tavola du-
rante i solenni banchetti nella sala da pranzo dei Priori, sala arricchita da altri splendidi ar-
redi argentei, decorata da affreschi ed allietata dalle musiche di artisti scelti fra i più ce-
lebri d’Italia. Il disegno della nave, quale ci appare dal contratto di allocazione, non può
non richiamare alla mente gli eleganti e fioriti carri dei Pianeti disegnati dal Perugino per
la volta della Udienza del Cambio. La nave, che tuttavia sostituì altri tipi simili più anti-
chi e che doveva avere per compagna quella commessa ai Roscetto, fu consegnata da Ma-
riotto il 30 marzo 1536 ed oltre il pagamento di 110 scudi d’oro ricevette dai Priori in do-
no la fonte fuori la Porta dei Ghezzi (in P.S.P.) vicina ai beni dell’artista, in riconosci-
mento della perizia usata. La nave. insieme all’altra bellissima argenteria dei Priori, fu di-
spersa al tempo della guerra del Sale. v. A. Rossi, l.c. a nota 23. Il contratto del
30 dic. 1512 fu erroneamente letto dai MarIoTTI (Lettere Pittoriche, p. 171), seguito
dal MEZZANOTTE (Della vita e delle opere di Pietro Vannucci, p. 147), attribuendo la
fattura della « nave » a Giovambattista di Mariotto Anastasi, che insieme al Vannucci
ed al Puti era invece soprastante all’opera.

51 Era presente all’assemblea del 7 genn. 1550 ed era Camerario al tempo di quella
dell’8 ott. 1555.

5° È Cesarino di Francesco di Federico di Francesco Roscetto.

5 È il fratello del Cesarino di cui alla nota precedente.

12















REGESTO DELL'ARCHIVIO
DELLE SEI CHIAVI A FOLIGNO

Quando qualche studente, lodevolmente curioso ma bibliogra-
ficamente digiuno, mi chiede in Biblioteca la Storia di Foligno, gli ri-
spondo invariabilmente che la Storia di Foligno non esiste perché
deve ancora essere scritta. E poiché il richiedente rimane stupito
a tale risposta, mi affretto a spiegargli che la Biblioteca è piena della
storia di Foligno, dalle carte dell’Archivio Storico e degli antichi
manoscritti agli articoli di giornali e opuscoli di Michele Faloci-Pu-
lignani, ma che per Foligno non esiste ancora un’opera che comprenda
tutta la sua storia, come invece possiamo trovarla per Perugia, Spo-
leto, Terni, Assisi, Città di Castello e Gualdo Tadino.

Filippo Ermini iniziò con larghe vedute una Storia della città di
Foligno (Foligno, 1891), ma non andò oltre il sec. viti. Giuseppe Bra-
gazzi ci ha lasciato un Compendio della storia di Foligno ad uso delle
scuole elementari (Foligno, 1858-59), ordinata a domande e risposte
come la dottrina cristiana, e che potrebbe piuttosto chiamarsi una
raccolta di notizie su Foligno. M. Faloci-Pulignani, con la sua lunga
e febbrile opera di ricercatore e raccoglitore delle patrie memorie, ha
messo insieme un ricco materiale ed ha illustrato periodi e fonti della
storia di Foligno: Fragmenta Fulginatis Historiae; Foligno (monogra-
fia storico-artistica); Guida di Foligno ; I confini di Foligno; Perugia
e Foligno nel sec. XIII ; Le arti e le lettere alla corte dei Trinci ; Codex
diplomaticus fulginatensis (dattiloscritto incompleto), ecc.

Una tragica e prematura morte ci tolse forse in D. Angelo Mes-
sini, nel 1943,colui che ci avrebbe dato finalmente una Storia di Fo-
ligno. Le ultime sue opere incompiute (Foligno durante il Risorgimento
Nazionale ; L'attività letteraria in Foligno nei secc. XV-XVII ; l'edi-
zione critica — rimasta interrotta per la fine improvvisa — degli Sta-
tuti del Comune e degli Statuti delle Arti) dimostrano come egli sapesse
procedere con preciso metodo storiografico.











NOTE E DOCUMENTI 179

Questo Regesto dell'Archivio delle sei chiavi, compilato per age-
volare le ricerche agli studiosi, potrebbe costituire un'altra fonte,
ed altre ancora dovrebbero scaturire, alle quali dovrà attingere lo
storico di Foligno.

Preziosi documenti inediti troviamo principalmente nell'Ar-
chivio Priorale. Oltre agli statuti già citati che il Messini intendeva
pubblicare, si conservano in detto Archivio gli Statuti del Dannodato
e gli statuti e matricole delle arti di Foligno del Sec. xiv, gli statuti
dei castelli, e i documenti relativi alle controversie per i confini con
i comuni limitrofi.

Interessano pure la storia di Foligno i volumi delle Riformanze
dal 1425 al 1539, quelli per le elezioni dei magistrati e per l'estrazione
degli uffici pubblici dal 1421 al 1860, gli atti dei podestà, pretori e
giudici di pace dal 1445 al 1810, i Catasti e le Gabelle del Comune, e
i volumi di pergamene, lettere e carte varie dal 1211 al sec. xvi.

L'Archivio delle Sei chiavi é cosi denominato perché i nostri pa-
dri coscritti, su proposta di Antonio Mazzanti, vollero nel 1478 cu-
stodire i propri documenti e assicurarli contro facili sottrazioni e per-
dite in una cassa con sei chiavi, una per ogni Priore. Esso costituisce
il primitivo nucleo, anche se é il minore per quantità, dell'Archivio
Storico del Comune di Foligno, le cui vicende sono narrate dal Fa-
loci in J| Bibliofilo, n. 1 del 1883.

Giuseppe Mazzatinti nella sua preziosa indagine su Gli Archivi
della Storia d’Italia (Vol. II, pag. 77 e segg.) ne palesó l'importanza
e lo rese noto riportandone un sommario con l’indicazione dei docu-
menti più interessanti.

Dall'Archivio delle Sei Chiavi vennero tolte, dopo l’indagine
del Mazzatinti, le ultime due buste che ho trovato incamerate nel-
l’Archivio Priorale; alcuni documenti risultano mancanti, mentre
altri pochi, tra il 1800 e il 1814, aggiunti.

Nella compilazione di questo Regesto ho ritenuto opportuno
conservare la vecchia segnatura e la primitiva disposizione, anche
se i Credenzini potevano meglio denominarsi Buste, e una numera-
zione progressiva fosse più indicata di una duplice ripartizione.

FELICIANO BALDACCINI













180 NOTE E DOCUMENTI

SOMMARIO

I. 1440-1770 — Governatori, Podestà e Cancelliere. Pertinenze e procedura nelle cause civili e cri-
minali. — II-1446-1814 — Priori, Consiglieri, Prefettura del numero dei XX, ed altri pubblici
ufficiali. Loro competenze ed attribuzioni.— III. 1502-1788 — La Fiera di Foligno. I Soprastanti
della fiera e la loro giurisdizione. Il mercato e gli Straordinari della piazza. — IV. 1138-1772 — à
Confini di Foligno, Diocesi e Castelli. Discordie con i Comuni limitrofi. Gualdo Cattaneo. —
V. 1457-1793 — Fiumi ed acque. Prosciugamento della palude nel piano folignate. Molini. —
VI. 1503-1791 — Dazio, gabelle ed appalti. Introiti. Strade. — VII. 1459-1762 — Pascolo.
Dannodato. Ufficio della Custodia. — VIII. 1532-1599 — Pragmatiche delle doti e degli orna-
menti muliebri. — IX. 1375-1766 — Interferenze tra la Comunità e gli Ecclesiastici. Culto, re-
liquie e chiese. — X. 1440-1773 — Repressione dei facinorosi. Concessione della cittadinanza.
Zecca di Foligno. — XI. 1495-1809 — Lettere di principi, cardinali e personaggi illustri.
Concessione della cittadinanza. Amministrazione e affari vari. — XII. 1727-1754 — Fascicoli
a stampa con gli atti di alcune cause, in particolare per omicidi commessi durante là fiera.



CREDENZINO I - Lisro I

1 — 1440 —- Decreto di Ludovico Cardinale di Aquileia per obbligare a con-
‘tribuire al salario del Governatore tutte le frazioni di Foligno, e per la
concessione alla stessa città di tutte le entrate purché si paghino alla Ca-
mera Apost. n. 800 fiorini d’oro annualmente.

2 — 1478 - Breve di Sisto IV in cui vengono approvati i Capitoli e Riforme
fatte dal Generale Consiglio per le prime e seconde cause.

3 — 1519 — Breve di Leone X che prescrive al Governatore e al Lost:
nente di non ingerirsi nelle cause civili e criminali.

4 — 1523 — Breve di Adriano VI che proibisce ai Legati, Vicelegati e Go-
vernatori di assolvere nelle sentenze degli Ufficiali del Sindacato.

5 — 1523 — Breve di Adriano VI relativo alle cause di prima e seconda i-
stanza.

6 — 1531 - Breve di Clemente VII a conferma che i Governatori e Luogo-
tenenti non debbano giudicare le cause di prima e seconda istanza.

7 — 1534 — Breve di Paolo III che proibisce ai Governatori la competenza
delle cause di prima e seconda istanza appartenenti al Podestà e Giudice
delle appellazioni.

8 — 1539 — Breve di Paolo III che ordina al Governatore di non valersi di
altri esecutori che di quelli del Podestà.

9 — 1548 — Breve di Paolo III in cui si ordina nuovamente che i Governatori
e Luogotenenti, ed il Legato e Vicelegato di Perugia non si intromettino
nelle cause di prima e seconda istanza. 4

10 — 1548 — Breve di Paolo III sopra le esecuzioni civili. (mancante) |
11 — 1548 — Breve di Paolo III in cui ordina al Governatore di non permet- i
tere il porto d’armi entro la città, neanche ai soldati della milizia.

12 — 1548 - Inibizione presentata dal Card. Legato di Perugia per l'osservanza

dello Statuto circa le cause civili.
13 — 1548 — Ordine del Card. Tiberio Crispo per l'osservanza dei privilegi
nelle cause di prima e seconda istanza.













14

15
16

17

18
19

20

21

22
23
24
25
26

27
28

29



NOTE E DOCUMENTI 181

1566 — Breve di Pio V in cui prescrive che il Governatore e Luogote-
nente di Perugia non possano intromettersi nelle cause civili e criminali
della città di Foligno, se non in certi determinati casi.

1548 — Breve di Paolo III sopra le esecuzioni civili.

1568 — Monitorio del Card. Alessandro Riario per l'osservanza dei Brevi
Apostolici sopra le cause di prima e seconda istanza.

1598 — Ordinanza del Card. Pietro Aldobrandini per esigere le sportule
ed altre gabelle.

1634 — Scritture « de jure » circa il breve delle seconde istanze.

1585 — Supplica con rescritto per l'osservanza degli Statuti in materia
di cause criminali.

1588 — Ricevuta di Sulpizio Camerini alla Comunità di Foligno per scudi
41,20 in conto dell'appalto dell'Ufficio delle esecuzioni civili.

1560 — Breve di Pio IV per riconfermare (..?..) Bontiuolo a Podestà
di Foligno.

1546 — Breve di Paolo III per riconfermare Orazio Salimbeni a Podestà
di Foligno.

1521 — Breve di Leone X per riconfermare Papia de Silves a Podestà
di Foligno.

1642 — Tassa delle sportule ed altri emolumenti straordinari per il tribu-
nale del Podestà di Foligno.

1747 - Inibizione del Podestà di Foligno Pisüdesbo Orazio Mattioli,
come giudice di ricorso nella causa per la terra di Gualdo di Nocera.
1644 — Una mandato « socii militis » che anticamente si giudicava nelle
cause inferiori a scudi 5.

1482 — Breve di Sisto IV che conferisce a Sigismondo de' Conti l'officio
di Cancelliere della Città di Foligno.

1522 — Brevé del Card. Francesco Armellini a Giovan Francesco de'
Conti, Cancelliere della Città di Foligno.

1555 — Breve di Giulio III per la elezione del Cancelliere del Governo.
1603 — Breve di Clemente VIII per la cessione dell'Officio della Cancel-
leria fatta dai Sigg. Orfini a favore della Comunità.

1618 — Quietanza in pubblica forma di scudi 300 d'oro pagati alla Rev.
Camera Apost. per il quinquennio della Cancelleria e Segreteria Civile
della Comunità.

LiBRo II

1541 — Lettera del Governatore di Perugia sopra le sportule dei
Giudici.

1544 — Il Vicelegato di Perugia prega si ammetta il Governatore di
Foligno a sindacare la procedura nelle cause.

1544 — Il Card. Legato Armellini rimette una causa grave al Governa-
tore di Foligno in vigore del breve delle prime e seconde istanze.

1544 — Il Card. Armellini Legato ordina al Governatore e Podestà di
Foligno, pro tempore, che osservino i privilegi e indulti della medesima
città.













182

10

11

12
13

14

15

16

17

18

19

20

21

22

NOTE E DOCUMENTI

1545 — Il Cardinal Legato conferma che le cause di prima e seconda
istanza si conoscano e decidano nella città di Foligno a tenore dei privi-
legi della detta città.

1556 — Il Card. Alessandrini ordina al Governatore di Foligno di abolire
l’ufficio del Capitano delle milizie di questa città, e vuole che si revochino
le licenze per il porto d'armi.

1560 — Lettera del Sig. Sebastiano Puteo, Canceliiere di Foligno, sopra
le cancellerie.

1560 — Giov. Paolo Micozzi Podestà partecipa che il Card. Strozzi era
stato fatto Governatore di Foligno, e prega per la continuazione della sua
podesteria.

1560 — Lettera del Vicelegato ai magistrati e Priori di Foligno che ac-
colgono per Podestà Simone Ugolunucci da Cagli.

1564 — Lettera del Governatore di Perugia Francesco Rossi sopra il
sindacato del Governatore di Foligno.

1566 - Il Governatore di Perugia non intende violare i privilegi della
città, ma soltanto intende procedere in una causa ove rientra la pena
capitale.

1567 — Lettera del Governatore di Perugia sull’osservanza dei privilegi.
1568 — Il Card. Alessandrini Legato ordina al Governatore della Pro-
vincia che osservi i privilegi della città di Foligno, e in ispecie quello
concesso da Gregorio XIII circa la cognizione delle cause di prima
istanza.

1570 — Il Governatore di Perugia ordina, per commissione del Card.
Alessandrini, che i Governatori, Podestà, Cancellieri e Bargelli di Foligno
siano sindacati per 12 giorni, enon per sei come era solito nel tempo pas-
sato.

1572 — Il Cardinale di S. Sisto concede al podestà per sua provvisione
i cinque scudi che prima gli erano stati tolti per aggiungerli al bargello
di Foligno.

1572 — Il Cardinale di S. Sisto avverte il Governatore della Provincia
che ascolti i deputati della città di Foligno e moderi le tasse di questo
Governatore.

1572 — Il Governatore di Perugia si dichiara prontissimo alla osservanza
dei privilegi della città per le prime e seconde istanze.

1572 — Lettera di Giacomo Fratadochio, Uditore di Mons. Governa-
tore di Perugia, in materia di procedura nelle cause di prima e seconda
istanza.

1572 — Lettera del Governatore di Perugia circa la mercede da darsi
al Vicefiscale e Notaro della sua corte quando vengono in Foligno per
confische.

1574 — Lettera del Governatore di Perugia sopra i privilegi e loro conser-
vazione.

1583 — Il Cardinale Montalto ordina che per sicurtà contro le offese si
osservi l’antico statuto della città.

1584 — Mons. Corrado Asinari, governatore di Perugia, dichiara, circa
l'esecuzione dei birri, debba osservarsi il breve e la lettera del Card.
Alessandrini.





——+—_—____







Tr -. —

23

24

26

29

30

38

39

40

NOTE E DOCUMENTI 183

1588 — Il Card. Montalto ordina che il sindacato si faccia dai soliti sin-
dacatori, né altri vi s’ingerisca.

1589 — Il Governatore di Perugia rimette per competenza alcune cause
al Tribunale di Foligno.

1591 — Lettera del Card. Caetani a Mons. Amalfi Governatore di Perugia
che per qualsivoglia somma camerale non si paghi se non due scudi di
esecuzione ai bargelli.

Altra lettera del Card. Caetani per notificare ai Priori di Foligno di es-
sersi doluto con il Governatore di Perugia e di avergli ordinato quanto
sopra.

1591 — Il Card. Pinelli Legato notifica che il Pontefice, per alleviare E
popoli, toglie l'appalto delle esecuzioni e l'applica ai bargelli, i quali
non possano in avvenire prendere se non la metà delle esecuzioni.
1594 — Il Card. Caetani, per non contrastare allo statuto di Foligno,
ritratta una sua richiesta.

1607 — Il Card. Scipione Borghese ordina al Governatore di Perugia
che le confiscazioni da farsi nella città di Foligno in virtù delle sen-
tenze del Governatore della città si facciano dagli ufficiali del medesimo
governo.

1612 — Lettera del Governatore di Foligno che raccomanda al Consiglio
il Cancelliere.

1635 — Lettera di Mons. G.B. Spada, Governatore di Roma, che ordina
di non offendere in 3° e 4° grado. Vi è unito il ricorso dei Priori per la
modificazione di quest’ordine.

1643 — Il Card. A. Barberini ordina che la sicurtà del bargello Giovanni
de’ Santi debba sottostare a sindacato.

1645 — Lettera del Card. Bonfigli circa il grosso (denaro) che fa pagare
il carceriere per le chiavi.

1648 — Il Governatore di Perugia partecipa di aver fatto restituire dai
birri della sua corte i danari estorti per cause leggere.

1650 — La S. Consulta ordina che non si estradano da Foligno i pegni e i
prigionieri che si fanno in detta città.

1677 — La S. Consulta prescrive che i Balii (commessi) non facciano la
croce alla porta delle case di quelli che devono essere citati, ma che ese-
guiscano la citazione con lasciarne copia.

1692 — La S. Consulta ordina al Camerlengo di far eseguire i mandati
dal bargello laicale.

1733 — Il Segretario della S. Consulta notifica al Governatore di Foli-
gno di aver scritto al Governo di Perugia che si valga della sua giurisdi-
zione con moderazione e prudenza, ed in determinati casi.

1761 — La S. Consulta ordina al Governatore di Foligno che i birri non
debbano trattenersi in teatro durante le rappresentazioni.

1762 — La S. Consulta ordina ai Priori di Foligno che, per la morte del
Governatore Bruni, debba esercitare le di lui veci il March. Alessandro
Barnabò.

1765 - Due lettere della S. Consulta per notificare che, per la morte del
Governatore Vespasiani, resti deputato al governo della città il March.
Alessandro Barnadò.













41

42

43

44

c

NOTE E DOCUMENTI

1763 - La S. Consulta dichiara al Governatore di Perugia che nella morte
del governatore non debba spedirsila provvisionale, ma debba assumere
il governo il Priore fiscale, a tenore della costituzione di Benedetto XIV.
1765 — Tre lettere dei Magistrati di Assisi a quelli di Foligno per con-
cordare contro le pretenzioni del Governatore di Perugia.

1768 — La S. Consulta dà facoltà al Governo di Foligno di procedere in
una causa di rissa, avvenuta tra due uomini della Fiamenga presso
Bevagna, che è nel Governatorato di Perugia.

1770 — Lettera della S. Consulta al Governatore di Foligno sopra l’abuso
introdotto dai Notari Attuari di far da procuratori nelle cause pendenti
negli atti loro medesimi.

CREDENZINO II - LiBro I

1446 — Breve del Card. Ludovico d’ Aquileia ai Priori e Comunità di Fo-
ligno, cui concede la custodia e governo delle fortezze o rocche dei ca-
stelli di Rasiglia, Verchiano e Colfiorito, con la facoltà di deputarvi i
Castellani.

1458 — Breve di Pio II per confermare ai Priori della città di Foligno
tutti gli statuti, riformanze, esenzioni e privilegi. Si concede loro l’uffi-
cio della Custodia e del Dannodato, con la facoltà di nominare gli uffi-
ciali. Si ordina che le cause di prima e seconda istanza debbano giudicarsi
in detta città, e che il Governatore, Podestà ed Ufficiali non possano
prendere né esigere le sportule per le cause; e infine che gli Ufficiali man-
dati dalla Sede Apostolica non possano esercitare per sostituzione.
1535 — Breve di Paolo III in cui nuovamente si ‘assegnano ai Priori,
oltre i 60 scudi per bimestre, altri 12 scudi, secondo l’antica usanza.

1746 — Monitorio sopra l’osservanza dello statuto della Città di Foligno,
specialmente per la disposizione che il Maestro di Casa e Familiari dei
Priori possano portare le armi di giorno e di notte e Mandato contro
il Governatore Fiscale di Perugia.

— 1553 - Breve di Giulio III in revoca ad altro suo breve in cui aveva ag-

gregato al Consiglio di Foligno Vincenzo Senglioni, che.nel presentare
l'istanza non aveva specificato essere stato proposto e non accolto in
Consiglio.
1744 — Breve di Benedetto XIV in cui dichiara Nobile il Consiglio di
Foligno, e conferma in forma specifica lo statuto disponente che i Con-
siglieri possano aggregare liberamente al Consiglio chi da essi sarà sti-
mato idoneo.

1744 — Lettera d'informazione al Governatore di Foligno circa il mo-
tuproprio di Benedetto XIV per l'aggregazione di sei famiglie al Consi-
glio di Foligno.

1515 — Breve del Card. Antonio del Monte sopra l'autorità e le preroga-
tive della Prefettura del Numero dei Venti.

1643 — Breve di Urbano VIII con la prescrizione per quelli della Pre-
fettura del Numero dei Venti di conservare il silenzio sotto pena di sco-
munica.















10

11

10

14

12

13

14

NOTE E DOCUMENTI 185

1548 — Breve di Paolo III: che venga sindacata l'opera del Governatore

‘nella procedura per delitti e reati.

(s. d.) — Breve del Card. di Cortona Silvio (Laurenzi), Legato dell'Um-
bria, con cui si approva la Prefettura del Numero dei Venti e si prescri-
vono le loro incombenze.

Lisro II

1541 — Il Legato di Perugia dichiara che i Priori non possano esser chia-
mati in giudizio durante il tempo del loro ufficio.

1544 — Il Card. Legato dà facoltà al Castellano di Rasiglia di risolvere
le cause fino a 15 fiorini.

1551 — Il Card. Legato conferma che i servitori del Magistrato hanno
facoltà di portare le armi.

1586 — Antonio Bartoletti si scusa da Spoleto per non poter esercitare
l’ufficio di magistrato cui era stato eletto.

1592 — Lettera di Mons. Tesoriere al Governatore di Foligno: dispone
quanto si debba dare per il vitto al Camerlengo della città nel tempo
che il Magistrato resterà privo della mensa, ed ordina che si pongano in
tabella i 414 ceri che i gabellieri sono soliti somministrare per la proces-
sione di San Feliciano.

1601 — Lettera del Card. Legato che, in risposta alla richiesta dei Priori
di Foligno, aggiunge due some di grano per ciascun magistrato.

1611 — Lettera della S. Congreg. del Buon Governo per la rinnovazione
delle cappe dei trombettieri.

1613 — La S. Congreg. dà facoltà di accrescere di uno scudo al mese la
provvisione del cuoco dei Priori.

1586-1608-1614-1619 — Carte relative alla rinnovazione dei pendoni delle
trombe, e lettere di approvazione di Mons. Tesoriere.

1618 — Lettera della S. Congreg. per l'aumento della provvisione del
Cappellano.

1618 — Lettera della S. Congreg. per l'aumento del salario di un e
miglio.

1620-1624 — Due lettere della S. Congregaz. per i vestiti della famiglia
del Magistrato.

1625 — La S. Congreg. non vuole che si molestino i Priori per i debiti civili
durante il loro ufficio.

1640 — La S. Congreg. ordina che il castello di Verchiano dia una quan-
tità di legna per. il Magistrato.

1644 — Il Card. A. Barberini dichiara che i castelli di Rasiglia e di Ver-
chiano debbano portare la legna alla mensa priorale.

1646 — Il Governatore di Perugia dichiara che la causa tra alcuni del-
l’arte dei fabbri spetta al Magistrato.

1552 — Il Cardinale Legato dichiara che la cognizione delle cause dei
sindaci spetti al Magistrato e che non debba ingerirsi il Governatore.
1666 — Il Governatore di Perugia trasmette copia della lettera della S.
Consulta sopra i titoli da darsi nei bussoli (elezioni) del magistrato.

















186

19

20

30

31

32

33

34

36

37

38

39

40

41

NOTE E DOCUMENTI

1701 — Lettera della S. Congreg. del B.G. per il provvedimento per le
spese straordinarie che i magistrati pro tempore sono soliti erogare.

1735 — La S. Congreg. trasmette il motuproprio di Clemente XII: che
nel rinnovarsi degli officiali, ne resti almeno uno dei precedenti, e ció
per il buon andamento dell'officio.

1760 — La S. Consulta ordina che gli eletti ai gradi di magistrato deb-
bano accettare ed esercitare, come anche gli eletti ad uffici pubblici.
1767 — La S. Congreg. prescrive che le lettere di commissione all'agente
e al Priore debbano sottoscriversi o da tutto il corpo del magistrato o
dalla maggior parte.

1537 — Nota della legna che annualmente solevano portare al magi-
strato le ville della montagna e della costa.

1596 — Editto per le tasse pei pizzicaroli, osti, rivenditori ordinate dai
Priori e Straordinari (officiali) della Piazza.

1605 — Decreto in cui una causa di aromatari e speziali si rimette al
magistrato.

1616 — Bando sopra le tasse da tenersi affisso dai pizzicaroli.

1642 — Tributi che il magistrato era solito ricevere in gennaio e febbraio
1661 — Decreto spedito agli speziali d'ordine dei Priori.

1637 — Intimazione ad istanza di Giacomo Antonio Lozzi presentata ai
Deputati destinati a fare il nuovo bossolo (elezioni) del magistrato.
1542 — II Card. Legato partecipa il suo arrivo ed ordina che siano depu-
tati tre principali consiglieri per stabilire alcune cose in servizio del Papa.
1543 — Lettera del Card. Legato diretta alla città sopra alcuni negozi
commessi dal Papa.

1548 — Il Card. Legato prescrive che il Governatore non intervenga in
Consiglio.

1552 — Il Vicelegato trasmette una causa di. sindaci, giudicata dal Ma-
gistrato, al Pubblico Consiglio.

1557 — Il Governatore di Perugia sollecita l’invio di un Comandante
con 200 uomini bene armati alla volta di Bettona.

1583 — Lettere varie circa l'intervento del Governatore nel Consiglio.
1591 — II Card. Legato non intende pregiudicare ai privilegi e decreti
della città con l'ammissione di alcuni al Magistrato.
1557-1577-1578-1603-1618 — Cinque lettere di ringraziamento ai magi-
strati di Foligno per favori ricevuti.

1640 — Il Card. A. Barberini dichiara, secondo l'intenzione del Papa,
che l'Ospedale venga amministrato dai Priori, ma che si elegga, come al
solito, un consigliere.

1657 — La S. Consulta non approva il decreto in cui viene disposto che
nella elezione dei consiglieri siano necessari i 5/6 dei voti, ma dichiara che
sono sufficienti i 2/3.

1668 — La S. Consulta ordina che si osservi il decreto del Consiglio per
l'amministrazione degli uffici pubblici spettanti agli assenti.

1670 — La S. Consulta, a conferma della deliberazione del Consiglio,
proibisce di fare archi e ponti sopra le strade pubbliche.

1676 — Il Card. Colonna esprime il desiderio che il Sig. Giustiniano Giu-
stiniani sia ammesso nel Consiglio,







ricettina "Artena



43

44

46
47

48
49

57

NOTE E DOCUMENTI 187

— 1704 — Lettera della S. Consulta e del Govern. di Perugia in cui si ordina
che il Governat. di Foligno non intervenga in Consiglio, e che si tralasci
per il momento l'aggregazione di nuovi consiglieri.

— 1760 — La S. Consulta ordina che l'Orfini venga proposto nelle debite
e solite forme in Consiglio, e , qualora venga eletto, si costringa coi ri-
medi di fatto e di ragione a prender possesso e ad intervenire.

— 1464-1578 — Copia delle istruzioni a diversi ambasciatori della città d
Foligno.

— 1590 — Metodo di ballottare i consiglieri (elezioni).

— 1603 — Lettera al Governatore di Foligno: che non si eserciti l'officio

di balio (commesso) senza l'approvazione del Consiglio.
— 1716 — Convenzioni tra i nobili consiglieri.

— 1741 — Evangelista Torelli rinuncia per indisposizione all'Ufficio di

Consigliere a favore del suo figlio primogenito Pietro Paolo.

— 1554 — Lettera del Card. Crispo ai Priori di Foligno per l'aggregazione del

Sig. Girolamo Tempestino da Montefalco alla cittadinanza di Foligno.

— 1567 - Lettera di Cesare Guasco da Ancona.
— 1571 — Due lettere di Giustiniano Orfini ed altre di Teodosio Florenzi

per l'ammissione di Ascanio Florenzi al grado di Priore Novello e quindi
al Consiglio.

— 1583 — Lettera di Antonio Bartoletti per ringraziare i magistrati di

Foligno di averlo eletto loro concittadino.

— 1587 — Fra Girolamo d'Uppello, confessore del Papa, ringrazia i magi-

strati di Foligno per aver concesso la cittadinanza a Francesco Bilacqua.

— 1597 — Mons. Malvasia ringrazia per essere stato annoverato tra i cit-

tatini di Foligno.

— 1596 — Mons. Giov. Battista Del Monte (ecc., come sopra).
— 1609 — Il Card. di Camerino ringrazia per essere stato ammesso tra i

nobili di Foligno.

— 1609 — Il Card. Pallotta (o Paleotti ?) ringrazia per essere stato ammesso

tra i nobili di Foligno.

— 1611 — Il Card. Bevilacqua (ecc. come sopra).

— 1620 — Il Duca Mattei Asdrubale (ecc. come sopra).

— 1622 — Pietro Feliziani (ecc. come sopra).

— 1622 — Mons. Santarelli (ecc. come sopra).

— 1623 — Mons. Cuccino (ecc. come sopra).

— 1626 — Mons. Pietro Paolo Caputo ringrazia per l'aggregazione alla

cittadinanza.

— 1627 — Mons. Giovanni Deangelis è grato per essere stato ammesso

tra i cittadiai di Foligno.

— 1628 — Mons. Alessandro Rangone ringrazia per l’aggregazione alla cit-

tadinanza.

— 1629 — P. Costanzo Malvetano (ecc. come sopra).

— 1636 — Mons. Giorj (ecc. come sopra).

— 1671 — Mons. Vincentini (ecc. come sopra).

— 1680 — Mons. Lomellino (ecc. come sopra).

— 1684 — Mons. Giov. Battista Pallotta, vescovo di Foligno, ringrazia

per l’aggregazione alla cittadinanza.

















188

72 —
73 —

82 —

83 —

84 -

85 —

87 —

88 —

92 —

94 —

NOTE E DOCUMENTI

1704 — Il Card. G. Sacripanti (ecc. come sopra).

1705 — Il Principe Boncompagni-Ludovisi, Duca di Sorà, (ecc. come
sopra).

1730 — Lettere di ringraziamento per l'elevazione al grado di Priore No-
vello di Bonaventura Senzasono.

: 1754 — Lettera di Stefano Vai per l'aggregazione di suo figlio al Con-

siglio.

1769 — Tommaso Maffei ringrazia per l'aggregazione alla cittadinza.
1770 — Giuseppe Andreozzi-Deangelis (ecc. come sopra).

1770 — Germano de Simone (ecc. come sopra).

1770 — Due lettere di Mons. Vincenzo Macedonio per l'aggregazione alla
nobiltà di Foligno, e sulla causa di beatificazione del Ven. G. B. Vitelli.
1545 — Lettera del Card. Legato per una colletta da imporsi a disposi-
zione del Numero dei XX.

1814 — Mons. Lodovico Gazzoli ringrazia per l'aggregazione alla no-
biltà di Foligno.

1558 — Il Duca di Urbino si mostra disposto ad interessarsi per la con-
clusione di una vertenza.

1555 — II Card. Caraffa domanda informazioni ai Priori di Foligno sulla
cattiva condotta e costumi dei Monaci di S. Maria in Campis.

1556 — Il Card. Caraffa autorizza i magistrati del Numero dei XX ad
eleggere l'abbate di S. Maria in Campis.

1586 — Il Card. Spinola invia il Commissario richiesto dalla Prefettura
del Numero dei XX.

1621 — Adriano Baglioni risponde da Cannara di aver inviato per la
cattura di alcuni delinquenti il Commissario Ettore Tesorieri.

1621 — La S. Consulta approva la spesa per una taglia di scudi duecento
per la cattura dei delinquenti che hanno svaligiato il corriere di Venezia.
1621 — Lettera di Alessandro Orfini sopra alcune persecuzioni contro la
Prefettura del Numero dei XX.

1622 — Il Gard. Ludovisi ed il suo Uditore pregano la Prefettura del
Numero dei XX ad interporsi presso le. Monache delle Contesse per la

vendita al Papa del quadro di Raffaello (oggi « La Madonna di Foligno»

nella Pinacoteca Vaticana).

1623 — Il Governatore di Perugia assicura la Prefettura del Numero
dei XX che le impertinenze fatte dai suoi birri in Foligno sono avvenute
a sua insaputa.

1630. - Mons. Bartolomeo Roscioli ringrazia di essere stato aggregato
alla Prefettura del Numero dei XX.

1633 — Vertenza tra il Monastero di Sassovivo e la città di Perugia
per l’elezione dell’abbate ed altri dignitari.

1645 — La S. Consulta vuole che la Prefettura del Numero dei XX sia
rinnovata ogni anno, come disposto dallo Statuto.

1646 — I! Governatore di Perugia, aderendo alla richiesta della Prefet-
tura del Num. dei XX e volendo conformarsi alle disposizioni, revoca la
grazia fatta al secondo medico per la deroga di un voto.

1655 — Mons. Vincenzini assicura di adoperarsi «col braccio della giu-
stizia » contro i facinorosi del territorio di Foligno.











NOTE E DOCUMENTI 189

95 — 1665 — Tre lettere del Card. Giulio Rospigliosi relative ad una deputa-
zione per sedare le turbolenze in Foligno.

96 — 1670 — Il Governatore di Perugia dispone per la cattura di alcuni de-
linquenti che commettono furti con troppa frequenza.

97 — 1680 — Lettera del Card. Colonna e Savelli che pregano i Magistrati
del Numero dei XX ad pori per la pace fra gli Elmi e i Be-
nedetti.

98 — 1681 — La S. Consulta dispone che, per volere del Papa, i Magistrati
del Numero dei XX si adoperino con ogni facoltà per rintracciare l’au-
tore dell’omicidio commesso in Roma in persona di Muzio Orfini.

99 — 1689 — Il Card. E.B. Altieri raccomanda alla Prefettura del Numero dei
XX di concedere il grado di Priore Novello ai figli del Sig. Pietro Arcan-
geli.

100 — 1601 — Copia della lettera scritta al Papa dalla Prefettura del Mumero
dei XX per riparare ad alcuni disordini e delitti commessi nella Cattedrale
e nel Monastero di S. Lucia.

Vi è unita la, risposta per il provvedimento.

101 — 1599 — Tre lettere del Governatore di Perugia G.B. Orfini con disposi-

zioni a favore della città.





Lisro III -



1 — 1792 — Plico di lettere tendenti ad appianare e risolvere una vertenza
tra il Comune di Foligno e il Delegato Mons. Ciavoli, per delle spese non
autorizzate dalla S. Congregazione del Buon Governo, ed altre deficienze
riscontrate nella pubblica amministrazione di Foligno.

2 — 1781 — Plico di lettere relative alle gratificazioni comunitative dei 300
scudi da ripartirsi tra i pubblici rappresentanti.

3 — 1754 — Memoriale a stampa a favore degli Straordinari della Piazza
(magistrati per il controllo del mercato), presentato per una vertenza
con la Sacra Consulta.

CREDENZINO III — LiBROo I

1 — 1537 — Paolo III approva l'immemorabile consuetudine dei Sopra-
stanti o Presidenti della fiera per giudicare tutte le cause civili e criminali
in tempo di fiera.

2 — 1548 — Breve di Paolo III in cui dichiara che i Presidenti in tempo di
fiera e proroga della stessa debbano giudicare tutte le cause civili e cri-
‘minali « usque ad mortem inclusive », tanto tra i mercanti che interven-
gono alla fiera, quanto tra i cittadini; e che in tale periodo cessi la giuri-
sdizione del governatore e del podestà.

3 — 1571 — Breve di Pio V che conferma il breve di Paolo III e dichiara che
le cause introdotte prima della fiera avanti al governatore e al podestà
restino sospese sino alla fine della fiera stessa.

4 — 1571 — Copia del Breve di Pio V sopra la giurisdizione dei Presidenti
della fiera.











10
11

12

13

14

15

16
TZ

18

19

20

21

23

24

25
26

27

28

NOTE E DOCUMENTI

1639 — Breve di Urbano VIII che conferma i brevi di Paolo IIIe Pio V,
e dichiara che il Governatore possa proseguire le cause criminali inco-
minciate prima della fiera.

1728 — Breve di Benedetto XIII che dichiara essere competenza dei
Presidenti della fiera della Città di Foligno la giurisdizione anche per i
delitti commessi nel territorio.

1502 — Breve di Alessandro VI per la proroga della fiera.

1514 — Breve di Leone X a favore della città di Foligno per una contro-
versia con la fiera della città di Pesaro.

1523 — Breve di Adriano VI per la proroga della fiera.

1524 — Breve di Clemente VII per la proroga della fiera.

1530 — Breve di Clemente VII che proibisce le rappresaglie in tempo di
fiera.

1532 — Breve del Card. Spinola che proibisce le rappresaglie in tempo
di fiera.

1535 — Altro breve del Card. Spinola contro le rappresaglie in tempo
di fiera.

1537 — Breve del Card. Grimani che proibisce le rappresaglie in tempo
di fiera.

1538 — Breve del Gard. Sforza che proibisce le TARDE Me in tempo di
fiera.

1540 — Breve del Card. Sforza contro le rappresaglie in tempo di fiera.
1541 — Altro breve del Card. Sforza che proibisce le rappresaglie in
tempo di fiera.

1541 — Breve del Legato di Perugia che Pa le rappresaglie in tem-
po di fiera.

1542 — Breve del Cardinale Legato che proibisce le rappresaglie per la
fiera di Foligno.

1542 — Breve del Card. Sforza che proibisce le rappresaglie per la
fiera.

1543 — Breve di Paolo III che ordina non si uM fare rappresaglie
in tempo di fiera.

1551 — Breve del Card. Giulio della Rovere che ordina non sia molestato
alcuno in tempo di fiera per cause civili, per debiti camerali, e pene
pecuniarie per cause criminali.

1554 — Breve di Giulio III che ordina non possano farsi rappresaglie
in tempo di fiera.

1590 — Processo fatto dai Soprastanti della Fiera contro uno di Gualdo
Cattaneo, che fu poi assolto.

1591 — Monitorio per la fiera ad istanza della città di Spoleto.

1618 — Condanna di Giov. Francesco Floridi e confisca dei beni per il
tribunale dei Soprastanti.

1685 — Attestato circa le guardie che debbono mettersi nel castello di
S. Eraclio in tempo di fiera.

1722 — Sentenza di morte pronunciata dai Soprastanti contro Francesco
Storti reo di omicidio in persona di G.B. Cotogni.

1760 — La Sacra Congregaz. del Buon Governo conferma una sentenza
pronunciata dai Soprastanti della fiera.









30

31

32

33

34

35

36

39

40

Q

6



NOTE E DOCUMENTI 191

1769 — Mons. Gennaro de Simone, Uditore di Clemente XIV, permette
di proseguire in tempo di fiera una causa avanti al Podestà, senza pre-
giudizio della giurisdizione dei Soprastanti.

(s. d.) — Disposizioni per la fiera stipulate dai mercanti di variecittà
d'Italia.

1646 — Processo contro Biagio di Bartolomeo, reo di furto, condannato
a morte dai Soprastanti della fiera.

1683 — Carte relative ai fanti della fiera, con un attestato dei Notari
di Foligno circa la composizione antica della Colletta.

1504-1601 — Privilegi e capitoli dell'arte e collegio degli Speziali, e loro
approvazione.

1744 — Attestato di tutti i Notari della città sopra la giurisdizione del
tribunale dei nobili Proconsoli della Mercatura.

1659 — Decreto pubblico con cui si ordina che l'ufficio degli Straordinari
della piazza non possa vendersi, né darsi in amministrazione, che invece
i Consiglieri debbano esercitarlo personalmente.

1660 — Dichiarazioni a prova che gli Straordinari della piazza hanno
sempre riveduto i pesi e le misure.

1711 — Attestato del Cancelliere pubblico di aver ricevuto dagli Straor-
dinari della Piazza alcune misure che servissero di matrice per tutte le
misure. '

1754 — La S. Congreg. del B. G. prescrive siano concessi gli uomini
armati agli Straordinari della Piazza per le loro visite, come stabilito
dallo statuto.

1761 — Conferma della S. Congregazione del B. G. ad una sentenza degli
Straordinari della Piazza.

LiBRO II

1512 — Il Card. Legato dichiara che Leone X è molto contento della
città di Foligno, e le ha concesso il salvacondotto.

1539 — Il Card. Crispo dichiara che nella fiera di Foligno debbano os-
servarsi tutti i privilegi concessi.

1547 — Il Card. Legato di Perugia dichiara debbano osservarsi, come al
solito, tutti i privilegi dei Soprastanti.

1552 — II Vicelegato dichiara di non volere avocare una causa di pace
sorta in tempo di fiera, ancorché la parte offesa abbia fatto ricorso, e
l'offensore sia nipote di uno dei Soprastanti.

1554 — II Vicelegato rimette una causa per la vendita del vino al Pre-
sidente della Fiera, perché vengano rispettate le costituzioni.

1559 — Lettera del Governatore di Perugia sopra l'osservanza dei Pri-
vilegi della flera.

1565 — Il Governatore di Perugia rimanda una causa al Governatore
di Foligno, ma come giudice deputato dai Soprastanti.

1567 — Il Governatore di Perugia sopra l'osservanza dei privilegi della
fiera.

1573 — Il Governatore di Perugia si dichiara pronto a mantenere ed
ampliare la giurisdizione e i privilegi dei Soprastanti.









192

10

11
12

14

15

17

18

19

20

21

e».

23

26

27

28

29

NOTE E DOCUMENTI

1573 — Il Card. di S. Sisto rimette ai Soprastanti una causa tra il Com-
missario dell’appaltatore e Cecco Scafali.

1576 — Lettera del Card. di S. Sisto relativa ai privilegi della fiera.

1580 — Il Governatore di Perugia rimette la causa di due omicidi ai
Soprastanti della fiera.

1584 — Mons. Corrado Asinari, Governatore di Perugia, approva che i
Soprastanti proseguano la causa di un omicidio e che revochino la licenza
delle armi da lui concessa.

1584 — Mons. Corrado Asinari approva che i Soprastanti della fiera giu- .

dichino la causa dell’omicidio commesso in persona di Angelino Cattanei.
1585 — Proroga della fiera confermata dal Card. Spinola.

1585 — Mons. Corrado Asinari vuole che i Soprastanti rimettano al
Tribunale di Perugia la causa dell’omicidio commesso in persona di
Angelo di Bartolomeo.

1586 — Mons. Dandini Governatore di Perugia, revoca e richiama un
Commissario mandato da lui a Foligno in tempo di fiera, perché ignaro dei
privilegi dei Soprastanti.

1588 — Mons. De Rossi, Govern. di Perugia, si dichiara pronto alla con-
servazione delle facoltà dei Soprastanti.

1588 — Lettera di Fabio Riccucci per una causa in tempo di fiera.
1591 — Il Card. Sfondrato approva che l’inizio della fiera venga pro-
tratto ai 15 di giugno, a causa della penuria dell’anno.

1591 — Il Card. Pinelli approva la deliberazione del Consiglio affinché la
fiera venga posticipata dal periodo pasquale al 15 giugno-20 luglio, con-
servando i soliti privilegi.

1591 — Il Card. Pinelli avverte che la fiera di Foligno non si proroghi
oltre il 28 luglio per non pregiudicare la fiera di Assisi che inizia il
1° agosto.

1591 — Il Card. Domenico Pinelli concede, nonostante il ricorso fatto

dalla città di Assisi, la proroga alla fiera di Foligno, restando liberi i
mercanti di andare o meno alla fiera di Assisi.

1592 — Il Governatore di Perugia dà facoltà ai Soprastanti di procedere
nella causa contro Orfeo Cenzio funaro, nonostante la supplica da questi
presentata per la grazia.

1594 — Il Card. Pietro Aldobrandini dichiara che i soldati della milizia
non sono né devono essere esentati dal pagamento del tributo per i fanti
della fiera (guardie alle porte della città).

1595 — Aurelio Ridolfi, agente della città di Foligno, scrive che la S.
Consulta lascia libertà al Consiglio di determinare l'inizio della fiera,
purché la giurisdizione non ecceda il periodo di due mesi.

1595 — Il Card. Pietro Aldobrandini comunica al Governatore di Foligno
che la franchigia di solito concessa per la fiera incominci con l’inizio della
fiera stessa. :

1596 — Mons. Bartolomeo Cesi, Tesoriere Generale, dichiara che l’esen-
zione dalle gabelle cominci con l’inizio della fiera.

1596 — Mons. Bartolomeo Cesi scrive al Tesoriere di Perugia che la fran-
chigia dalle gabelle in tempo di fiera duri per due mesi a partire dal 15
maggio.









31

32

33

34

39

40

41

42

43

44

45

46

47

48

49

13

NOTE E DOCUMENTI : 193

1596 — II Governatore di Perugia approva che il breve della fiera abbia
il suo effetto.

1601 — Un Commissario della S. Congreg. dichiara ai Priori di Foligno
che i Soprastanti possano per questa volta trattenersi il denaro preso per

la' permissione del Lotto, ma che per l'avvenire se ne astengano.

1603 — Il Vicelegato loda la diligenza dei Soprastanti in una causa per
ferimento.

1605 — Il Card. di Camerino ordina che il Governatore di Foligno non
s'ingerisca in una causa dei Soprastanti.

1605 — Il Card. di Camerino dichiara che, essendo già scaduto il termine
della giurisdizione dei Soprastanti, debba trasmettersi il processo di una
causa al Tribunale di Perugia.

1609 — Il Governatore di Perugia informa i Soprastanti come debbano
procedere in una causa di omicidio in persona di Salvio Merganti.

1610 — Il Card. Scipione Borghese ordina ai Soprastanti che diano
avviso alla S. Consulta dei delitti che succederanno.

1611 — Lettera del Card. Borghese circa le botteghe che di solito si af-
fittano in tempo di fiera.

1639 — Il Card. A. Barberini ordina si paghi alla Città il quarto del-
l’affitto delle botteghe che si locano in tempo di fiera.

1612 — Il Card. Scipione Borghese ordina ai Soprastanti di comporre le
vertenze tra i parenti di Girolamo di Caterino da S. Eraclio.

1612 — Mons. Domenico Marini, govern. di Perugia, commette ai So-
prastanti una grave causa di omicidio in persona di Ottavio da Butino.
1612 — Mons. Domenico Marini chiede ai Soprastanti informazioni circa
un furto commesso in una osteria.

1612 — Mons. Domenico Marini ordina ai Soprastanti di terminare la
causa del furto prima che termini la loro giurisdizione.

1613 — Il Governatore di Perugia richiede notizia degli emolumenti che
si percepiscono in tempo di fiera. 3
1613 — Il Card. Sc. Borghese ordina che ai Soprastanti siano mantenuti
i loro emolumenti.

Esposto della Città di Foligno alla S. Congreg. sopra la distribuzione degli
emolumenti.

1614 — Il Card, Scipione Borghese ordina ai Soprastanti di proseguire
la causa contro Simone di Fabrizio, reo di omicidio in persona di Pier
Vincenzo da Casale.

1612 — Il Card. Scipione Borghese in una causa di omicidio tra due
barbieri con circostanze aggravanti ordina che, si proceda con diligenza
ed in termini di rigorosa giustizia.

1612 — Il Gard. Scipione Borghese ordina che i Soprastanti procedano
con giustizia in una causa di omicidio commesso da Giovan Battista bar--
biere in persona di Girolamo di Mastro Tullio.

1617 — Il Card. Borghese prescrive, d’ordine della S. Consulta, a quali
pene debbano esser condannati Gio. Francesco e Settimio Veronici, rei
di ferite contro Pirro Cenci da Gualdo Cattaneo.

1618 — Il Sig. Piermarino Cirocchi, Fiscale Generale, avvisa che la S.
Consulta ha deliberato che i Soprastanti giudichino una causa di omicidio











194
50 —

51 -

52 —

53 —

54 —

55 —

60 —

61 —

62 —

68 —

69 —

NOTE E DOCUMENTI

1618 — Il Card. Borghese accorda il salvacondotto ai Sigg. Floridi ad
effetto di costituirsi prigioni per un preteso omicidio.

1618 — Piermarino Cirocchi avvisa che la S. Consulta ha risolto che i So-
prastanti della fiera condannino alla pena della vita Giov. Francesco
Floridi e mettano in libertà gli altri (Floridi).

1618 — Il Card. Scipione Borghese prescrive come debbano regolarsi i
Soprastanti nella causa del Floridi per omicidio.

1618 — Sentenza dei Soprastanti per la confisca dei beni per l’omicidio
commesso dal Floridi.

1621 — Il Card. Ludovico Ludovisi significa ai Soprastanti che nella causa
per le ferite date a Donna Orsola da Bernardino suo fratello venga
il processo eseguito dal Cancelliere, già inviato dal Governatore di Perugia,
ma quale deputato dai Soprastanti.

1621 — Il Card. Ludovisi ordina che i Soprastanti diano relazione alla
consulta delle archibugiate sparate dai birri ai figli di Donna Virginia
Boncompagni. Altro foglio con la relazione del fatto.

1621 — Il Card. L. Ludovisi ordina che i Soprastanti procedano con
ogni diligenza nella causa di omicidio commesso in persona di tale Pa-
scolino da Rasiglia.

1621 — Il Card. L. Ludovisi rimette ai Soprastanti la cognizione di una
causa per lite e ferite.

1627 — Il Card. Francesco Barberini ordina ai Soprastanti di procedere
nella causa contro Bastiano di Rao, reo di aver ferito in Chiesa il sacerdote
Mileo Pascoli.

1627 — Il Card. Fr. Barberini ordina ai Soprastanti di procedere secondo
giustizia nella causa di cui sopra.

1629 — Il Governatore di Perugia richiama il suo Uditore da Foligno,
perché non s’intrometta nella giurisdizione dei Soprastanti della Fiera.
1632 —- D. Taddeo Barberini, Generale di S. Chiesa, significa ai Sopra-
stanti di non concedere i privilegi militari al soldato Bartolomeo del
Sarto, qualora abbia insultato premeditatamente Bartolomeo di Gi-
smondo.

1635 — Il Card. Barberini concede ai mercanti ebrei di Ancona di poter
viaggiare e commerciare nelle Marche e nell'Umbria.

1633 — Lettera del Card. Fr. Barberini sopra l'omicidio commesso da
Vittorio Sensini in tempo di fiera.

1633 — Il Card. Fr. Barberini, capo della S. Consulta, condanna alla
galera perpetua Vittorio Sensini, reo di uxoricidio.

1633 — Il Governatore di Spoleto comunica ai Soprastanti essere nelle
sue carceri il detto Vittorio Sensini e promette d’inviarlo subito.

1634 — Mons. Ab. Roscioli invia copia del breve di conferma di Urbano
VIII a favore dei Soprastanti, perché venga considerato prima della
firma.

1634 — Lettera del Card. Barberini sopra un omicidio commesso in

tempo di fiera.

1634 — Il Card. Barberini ordina di procedere contro Silvestro di Giu-
seppe, reo di omicidio, e che Lorenzo, servitore del medesimo sia condan-
nato alla galera a vita.









70

71

73

74

75

76

tf.

78

79

80

81

82

83

84

85

87

NOTE E DOCUMENTI 195

1642 — Lettera del Card. Fr. Barberini ai Soprastanti sopra una causa
di omicidio e circa la condanna del reo.

1642 — Francesco Antonio di Amatica (?) loda la diligenza usata dai
Soprastanti nell'amministrazione della giustizia, specie in occasione del
furto dei calici.

1645 — Mons. Giacomo Colonna, Govern. dell'Umbria, si mostra
propenso all'osservanza dei privilegi della fiera.

1645 — II Govern. di Perugia ordina al suo Uditore di desistere nella co-
gnizione della causa per l'omicidio di Francesco Roncalli, e di consegnare
il processo ai Soprastanti.

1646 — Mons. Colonna invita il Podestà a desistere nella causa relativa
a Donna Solomea di Nardo e Donna Virginia di Bernardino, essendo com-
petenza dei Soprastanti.

1646 — Il Governatore di Perugia significa al Podestà di Foligno di non
intromettersi nelle cause civili e criminali in tempo di fiera, essendo giu-
risdizione dei Soprastanti.

1646 — Il Governatore di Perugia approva ai Soprastanti la facoltà di
concedere le licenze per estrarre l’olio per il contado.

1648 — Il Govern. di Perugia dichiara di non avere avocate al suo tri-
bunale alcune cause per non pregiudicare i privilegi dei Soprastanti;
ma insinua ai medesimi che, terminata la loro giurisdizione, trasmettano
a lui i processi delle cause incomplete.

1651 — La S. Consulta dichiara che i Soprastanti procedano alla pena
capitale contro Giov. Batt. di Ottaviano per l'omicidio di Menico di
Agostino.

1652 — La S. Consulta ordina ai Soprastanti di condannare a 10 anni di
galera Giov. Batt. Cavallucci, reo dell'omicidio di Gabriele Angeli.
1658 — II Tesoriere Generale ordina ai Tesorieri dell'Umbria di at-
tenersi al consueto circa le merci introdotte dai mercanti in tempo di
fiera, senza innovazione delle gabelle.

1664 — La S. Consulta, in occasione di un processo eseguito dai Sopra-
stanti, ammonisce questi a non risolvere in avvenire cause capitali senza
darne avviso alla stessa S. Consulta.

1664 — Il Govern. di Perugia ringrazia i Soprastanti per avere consegnato
con sollecitudine il processo per l'omicidio del bargello.

1667 — Assoluzione di Luca di Loreto Ricci, ministro dei Soprastanti, per
la delazione di due pistole e un pugnale di notte.

1668 — Il Governatore di Spoleto chiede ai Soprastanti di aiutare ed
assistere un suo notaio inviato per un processo d’omicidio.

1670 — La S. Consulta chiede al Governatore di Perugia informazioni
sulla gabella imposta per i capretti, contrariamente alla franchigia pra-
ticata sempre in tempo dì fiera.

1674 — Il Card. Altieri dichiara esplicitamente che i Soprastanti pro-
cedano per il furto commesso nel Convento di S. Giovanni Battista, e
proibisce al Govern. di ingerirsi nella causa.

1674 — Lettera del Card. Altieri ai Soprastanti circa l'omicidio commesso
in persona di Pietro Crisci.



















196

NOTE E DOCUMENTI

88 — 1722 — Il Card. P. Ottoboni ordina di togliere la patente a Filippo

89

91

92

93

94

95

96

97

98

99

100

101

102

103

104

105

106

107

Tonnetti che, in disprezzo degli ordini emanati dai Soprastanti, si fece
lecito vendere carni di maiale e salsiccie.

— 1728 — Lettera di G. B. Emiliani a Viviano Cirocchi con la notizia del

rescritto della S. Consulta favorevole per la giurisdizione dei Sopra-
stanti nel contado.

— 1728 — I1 Card. Nicola Lercari significa al Govern. di Foligno che ai

Soprastanti compete in tempo di fiera la giurisdizione anche nel contado
e nel distretto.

— 1728 — Lettera della S. Consulta contro l'ingerenza di un Commissario

del Governat. di Perugia nei processi in tempo di fiera.

— 1738 — Mons. Tesoriere commette ai Soprastanti il processo, di sua com-

petenza, per una causa di omicidio.

— 1744 — Il Card. Valenti chiede la relazione per un processo che dovrà

essere svolto presso la S. Consulta.

— 1753 — Lettera e memoriali del Procuratore sopra la giurisdizione in

tempo di fiera pef l’esecuzione dei rescritti della S. Congreg. del Buon
Governo.

— 1755 — La S. Consalta chiede al Govern. di Foligno se il Governo, in

tempo di fiera, possa o meno proseguire le cause intraprese prima del-
l'inizio della fiera stessa.

— 1764 — II Card. L. Torrigiani dichiara che la fiera di Foligno non deve es-

ser compresa nell’editto proibitivo pubblicato dal Governatore di Perugia.

— 1616 — Il Card. Scipione Borghese conferma agli Straordinari della Piazza

l’officio della revisione delle misure.

— 1630 — Il Card. Barberini revoca un ordine inviato, onde rispettare lo

statuto della giurisdizione dei Soprast.

— 1660 — Il Governatore di Perugia ordina al Govern. di Foligno di non

ingerirsi nelle cause spettanti agli Straordinari della Piazza.

— 1661 — Lettera del Procuratore della S. Congreg. circa un monitorio
per gli Straordinari della Piazza contro il gabelliere.

— 1724 — Il Governatore di Perugia dichiara che gli Straordinari della
Piazza hanno la facoltà di provvedere che si vendano le carni e qualunque
specie di commestibili a prezzi giusti, e di buona qualità.

— 1754 — Il Card. Valenti comanda al Governat. di Foligno di concedere
gli uomini armati agli Straordinari della Piazza. Altri tre documenti re-
lativi a detto privilegio.

— 1788 — Lettera della S. Consulta con il permesso per la rappresenta-
zione di alcune commedie nel teatro.

= 1788 — Lettera della S. Consulta per rimborsare a Ottavio Paolucci il
costo dei medicinali somministrati ai carcerati poveri infermi.

— 1788 — La S. Consulta ordina ai Presidenti della Fiera di far tradurre
a Narni il carcerato Antonio Marconi.

— 1788 — Due lettere della S. Consulta ai Presidenti della Fiera con l’or-
dine di trasportare in Camerino Pasquale di Flaminio, reo di abigeato
di un cavallo.

— 1780 — Memorabile della S. Congreg. del Buon Governo sull'amplissima
giurisdizione sia civile che criminale dei Presidenti della fiera.







NOTE E DOCUMENTI 197

CREDENZINO IV - LiBnRo I

1 — 1138/1316 — Fascicolo membranaceo di cc. 12, cm. 24 x 34, restau-







rato nel 1930, contenente i seguenti nove documenti relativi ai confini
di Foligno (cfr.:: M. Faloci-Pulignani, I confini di Foligno — Perugia,
1935), e con la rispettiva trascrizione in fogli sciolti.

a) 1209 — Privilegio di Ottone IV, che prende sotto. la sua prote-
zione Foligno e il suo territorio, conferma i confini già noti, riservando
peró Bevagna e Coccorone (Montefalco) a disposizione dell'impero.

b) 1210 — Privilegio di Diopoldo, Duca di Spoleto, che conferma i
confini del territorio e le note concessioni, promette che non farà piü re-
staurare Castel Reale e non farà piü costruire alcuna fortezza che possa
essere molesta ai cittadini.

c) 1177 — Concessione di Federico Barbarossa. L'imperatore con-
ferma ai Consoli della città il territorio del quale determina i confini, ag-
giungendovi Bevagna e Coccorone.

d) 1153 — Papa Anastasio IV conferma a Benedetto, vescovo di
Foligno, il possesso di quanto gli aveva concesso il suo antecessore In-
nocenzo II, elencando le relative chiese. Segue la sottoscrizione di 15
cardinali.

e) 1214 — Bolla di Innocenzo III che conferma a Egidio, vescovo
di Foligno, i privilegi e le concessioni di Innocenzo II e Anastasio IV,
aggiungendo alcune altre chiese. Segue la sottoscrizione di 13 cardinali
e l’autenticazione notarile.

f) 1138 - Privilegio del pontefice Innocenzo II che conferma a Be-
nedetto, vescovo di Foligno, il possesso dei beni, stabilisce i confini della
diocesi, rinnova la sua giurisdizione sulle chiese, monasteri, e cappelle, e
conferma infine gli antichi pedaggi e diritti di tasse sul mercato, sui ponti
sulle strade, sui molini, ecc.

Segue la sottoscrizione di 10 cardinali.

.. g) 1210 — Privilegio di Innocenzo III a Egidio, vescovo di Foligno,
cui concede diritti e privilegi su chiese, canoniche, monasteri e ospedali.
Segue la sottoscrizione di 17 cardinali e l'autenticazione del notaio,

h) 1289 — Berardo, vescovo di Foligno, nomina il priore e rettore
della chiesa e ospedale di S. Lazzaro di Corsciano, sul confine con Spello.

i) 1316 — Bartolomino, vescovo di Foligno, nomina il priore. e ret-
tore della chiesa e ospedale di S. Lazzaro di Corsciano.

(mancante).

(s. d.) - Copia pergamenacea dei due diplomi di Federico Barbarossa
del 1177 e 1184 relativi ai confini di Foligno.

(mancante).

1345 — Deputazione fatta per gli uomini di Orzano per dividere i confini
con Ugolino Trinci, governatore di Foligno.

















198 NOTE E DOCUMENTI

6
7

8

9
10
11
12
13
14
15
7
18
19

20

N

— 1383 — Breve di Urbano VI per la conferma dei confini.

— 1138 — Copia pergamenacea del breve del pontefice Innocenzo II.

— 1435 — Breve di Eugenio IV ove si asserisce che il Castello di Acqua-
franca è sotto la giurisdizione del Comune di Foligno.

— 1451 — Mandato di procura del Castello di Pasano.

— 1465 — Supplica per la costruzione della torre di Montefalco.

— 1482 — Sentenza del Pontefice Sisto IV contro gli Spoletini per i danni
arrecati nel territorio di Foligno.

— 1484 — Concordia fra la terra di Bevagna e Castel Buono.

— 1489 — Concordia e assegnazione di confini fatta dal Card. Piccolomini
tra Foligno e Spello, con la dichiarazione della libera estrazione dei frutti
dal territorio di Spello.

— 1489 — Concordia tra Foligno e Bevagna con l'autorità del Card. Fran-
cesco Piccolomini. -

— 1613 — Sentenza di Mons. Paolo Cittadini per i confini tra Orzano e Trevi.

— 1515 — Sentenza di Mons. Grifoni per i confini tra Foligno e Trevi.

— 1612 — Sentenza di Mons. Paolo Cittadini circa i confini fra Orzano e
Civitella.

— 1153 — Copia del breve di Anastasio IV a Benedetto, vescovo di Foligno
(cfr. al n. 1/d).

— 1489 — Sentenza del Card. Francesco Piccolomini e Maurizio Cibo, arbi-
tri eletti dalla Comunità di Foligno e di Spoleto per i confini.

— 1493 — Breve di Alessandro VI che concede alla Città di Foligno il go-
verno perpetuo sul Castello di Gualdo Cattaneo.

— 1493 — Quietanza di mille ducati d'oro pagati dal Comune di Foligno

per Gualdo Cattaneo.
— 1496 — Tregua tra Folignati e Spellani con la sicurtà della città di Terni
per i Folignati.

3 — 1500 — Dichiarazione relativa al tributo che annualmente si paga dalla

Comunità di Foligno a quella di Spello per la estrazione dei frutti rac-
colti nelle possessioni poste nel territorio di Spello.

— 1800 - Ferdinando Frenfanelli ed Enrico Barnabó espongono al Com-
missario Imperiale Antonio de Cavallar le prerogative della Città di Foli-
gno e dei suoi magistrati nel campo politico, amministrativo ed econo-
mico, e dei privilegi dei Soprastanti in tempo di fiera. Lamentano che
il governo provvisorio « democratico repubblicano » non abbia rispettato
le prerogative ed i privilegi della Città di Foligno. Risposta del Commis-
sario Imperiale.

LiBROo II

— 1535 — Gio. Batta Savelli, Luogotenente Generale, ordina ai Priori di
Foligno che mandino dei guastatori a demolire le mura di Spello.

— 1535 — Assoluzione per la demolizione delle mura di Spello.

— 1535 — Il Governatore di Foligno ordina ai Priori che mandino a
demolire le mura di Spello.

4 — 1536 — Assoluzione di alcuni facinorosi nella demolizione delle mura di

Spello e dei suoi castelli.





16

17

gb

R5

20

t2
Q

NOTE E DOCUMENTI 199

1549 — Breve di Paolo III con cui Castelbuono viene assoggettato alla
Città di Foligno.

1549 — Procura degli uomini di Castelbuono per la transazione da farsi
con la Comunità di Foligno.

1577 — Dichiarazioni del Govern. di Camerino a favore di Foligno sopra
i confini tra Camerino e Foligno per la nuova strada.

1589 - Decreto e capitoli tra l’Università della Rocchetta e il Ca-
stello della Popola.

1589 — Dichiarazione dei Priori di Spello sulla continua estrazione dei
grani fatta dai proprietari delle terre folignati nel territorio di Spello.
(s. d.) — Controversia per i confini tra Montefalco e Gualdo Cattaneo.
1621 — Monitorio del Proton. Apost. G. D. Spinola per il fonte di Pri-
sciarello, in seguito a controversia tra la Comunità di Foligno e quella
di Spello.

1623 — Mandato del Card. Ludovico (..... ) per la manutensione del
fonte di Prisciarello.

1623 — Ricordo del fonte di Prisciarello.

1623 — Atto notarile per l'apposizione della lapide del fonte di Pri-
sciarello. f

1717 — Capitoli da osservarsi nella misura di tutto il circuito del contado
di Foligno per la rinnovazione del catasto.

1724 — Editto di Mons. Raffaele Fabbretti per i Castelli e le Ville che
sono soggetti al pagamento dei Provvisionati.

1728 — Monitorio del Card. Prospero Colonna contro la città di Assisi
per impedire la costruzione di certi muri nei confini.

1751 — Inibizione del Card. Domenico Riviera circa i confini tra Foligno
e Trevi.

1582 — Ricevuto del Sindaco di Popola di scudi 6 per le spese della causa
dei confini con la Rocchetta.

1662 — Monitorio ad istanza della Villa di Lié per il possesso di un
monte, e della metà del monte verso il sasso di Pale. i

1472 — Istromento di concordia tra la Comunità di Foligno e Giulio
Varani.

1487 — Mandato di procura per la pace da farsi tra la Comunità di Fo-
ligno e circonvicini.

1567 — Concordia tra la Comunità di Foligno e Gualdo Cattaneo circa
il pagamento del sussidio.

1523 — Breve di Adriano VI per cui il Castello di Roccafranca e Ver-
chiano debbano essere reintegrati dei danni fatti dagli Spoletini.

Ligsro III

1495/1764 — Fascio di carte relative a Gualdo Cattaneo.
1) 1541/1543 — I difensori di Gualdo Cattaneo chiedono venga con-
fermato per altri sei mesi il loro Podestà Antonio Salvi.
2) 1495 — Capitoli di Virginio Orsini nella guerra di Gualdo Cattaneo.
3) 1557 —- I difensori di Gualdo temono rappresaglie da parte











200

26 — 1492 — Tregua fra gli uomini di Spello, i Baglioni e la Comunità di Fo-

NOTE E DOCUMENTI

degli Spellani e chiedono aiuto e consiglio alla Prefettura del Numero
dei XX.

4).1561 — Gli uomini di Gualdo chiedono protezione alla città di
Foligno per gli insulti e minacce avute dai Todini.

5) 1548 — I difensori di Gualdo pregano i magistrati del Numero dei
XX di porre rimedio alle inimicizie sorte tra alcuni di quel castello.

6) 1577 — Inventario degli oggetti esistenti nella Rocca di Gualdo
Gattaneo.

7) 1544 — I difensori di Gualdo chiedono la conferma nella carica
per un loro podestà.

8) s. d. — Rubricella di spese «in re Gualdi» rimborsate al Sig. -

Barnabò (..... ).

9) — 1541 — Aggregazione di Baldino di Mattiolo tra i consiglieri
di Gualdo.

10) 1543 - I difensori di Gualdo chiedono consiglio e protezione
ai magistrati di Foligno.

11) 1526/1573 — Due lettere relative alla carica del podestà in Gualdo

12) 1570 — Ser Paolo Filippi da Gualdo si obbliga a presentarsi ai
magistrati di Foligno.

13) 1574 — Il Podestà di Gualdo Ludovico Bolognini avverte in due
lettere i magistrati di Foligno che alcuni di Gualdo tramavano per l’an-
nessione del Castello al Comune di Spoleto.

14) 1573 — I magistrati della città di Foligno espongono al Card.
di S. Sisto quanto sia stato speso pe: l'ordine e il riattamento del Castello
di Gualdo, mentre alcuni gualdesi tentano ora di sottrarsi alla autorità
e giurisdizione di Foligno; lo pregano pertanto che si interponga affinché
il podestà di Gualdo possa intervenire in tutte le riunioni segrete che i
gualdesi fanno sotto forma di pubbliche assemblee.

15) 1565/1670 — Sei lettere relative all'officio del Podestà in Gualdo

16) (secc. xvi/xvir) — Fascicolo di carte relative a controversie per
la elezione dei Podestà e la giurisdizione della Città di Foligno in Gualdo
Cattaneo.

17) 1703/1704 — Pratica relativa alla compilazione del catasto di
Gualdo per ordine della S. Congreg.

18) 1599/1692 — Sei lettere della Comunità di Gualdo ai magistrati
di Foligno per l'elezione del Podestà.

19) 1611 — Tre lettere relative alla giurisdizione dei Soprastanti della
fiera di Foligno per un reato commesso da uno di Gualdo.

20) 1589 — Due lettere da Gualdo Cattaneo ai Priori di Foligno re-
lative al dazio sul vino.

21) s. d. — Lettera relativa alla giurisdizione del Podestà di Gualdo
nelle cause civili e criminali di prima istanza.

22) s. d. — Lettera relativa all'apertura di una nuova porta sulle
mura del castello di Gualdo.

23) 1621/1764 — Sei lettere da Gualdo ai Priori di Foligno per chie-
dere il grano necessario al sostentamento di quel popolo.

ligno.





A











33

34

35

36

37

38

39 -

40

41

43

44

45

NOTE E DOCUMENTI 201

1497 — Descrizioni delle possessioni che hanno i Bevanati e gli Spellani
nel territorio presso i confini di Foligno.

(1526) — Supplica e grazia accordata ad alcuni di Foligno che erano
ricaduti in alcuni delitti sotto il Pontificato di Clemente VII.

1464 — Mandato di procura.

1466 — Supplica per restaurare la torre di Roscitolo, ossia di Montefalco.
1547 — Lettera del Card. Legato circa la Maestà (cappella) che deve fab-
bricarsi sui confini tra Popola e la Rocchetta.

1582 — Il Card. Farnese, protettore della città di Foligno, consiglia di

‘fare un compromesso nella causa dei confini fra Rasiglia e Verchiano,

castelli di Foligno, ed Orzano castello di Spoleto.

1597 — Lettera dell’Università di Roccafranca per questioni di confini
con Norcia e Camerino.

1612 — Supplica degli uomini di Butino contro la tassa imposta dal
Comune di Foligno, e riconferma del Card. Borghese per l'esenzione per
quel territorio paludoso.

1615 — Lettera del Card. Borghese sopra la precedenza tra Roccafranca
e Gualdo Cattaneo per l’ordine nella processione di S. Feliciano.

1618 — Lettera dei Priori di Camerino ai Priori di Foligno per la contro-
versia dei confini tra gli uomini di Rasiglia e Roccafranca e quelli di
Piercanestro.

1618 — I priori di Camerino chiedono si venga ad un compromesso per la
controversia sorta sui confini tra Civitella, Rasiglia, Verchiano e Popola.
1660 — Lettera del Governatore di Perugia per l’elezione del Sindaco di
Annifo. |

1657 — Il Card. Barberini obbliga Ottaviano di Loreto, eletto sindaco
di Butino, ad accettare l’incarico nonostante la sua patente di revisore
delle fraudi nelle gabelle della carne.

1689 — I difensori di Gualdo Cattaneo dichiarano che il loro castello
sia sotto la giurisdizione dei Priori della Città di Foligno, quale membro
della stessa città.

1690 — Il Governat. di Perugia obbliga anche i privilegiati, ancorché
soldati, ad accettare l’officio di sindaco, in conformità dell’ordine della
S. Congregazione.

1708 — Il Card. Paolucci ordina di presentare al Consiglio di Foligno
l’istanza di Bartolomeo di Vincenzo da Pale per aprire alcune finestre
nelle muraglia castellane.

1736 — Il Card. Firrao ordina che, a tenore del ricorso della città di
Foligno, venga costretto Pietro Fabio Allegrini ad accettare l’officio
di massaro del castello di Verchiano, cui è stato eletto.

1737 — Il Card. Riviera comanda che i patentati e privilegiati debbano
esercitare l’officio di sindaco.

1772 .— Il Card. Rezzonico dichiara che gli uomini di Gualdo Cattaneo
debbono considerarsi come cittadini di Foligno, onde ordina la resti-
tuzione di sei quarti di grano sequestrato ad uno di essi perché acqui-
stato prima di mezzogiorno.

1469 — Sentenza circa i confini tra Foligno e Spoleto emessa dal Card.
Francesco Piccolomini e Maurizio Cibo, eletti arbitri da quelle due città.









202
47
48
49
50
51

52
53

QUO
QU ue

e

Qt

13

14
15

NOTE E DOCUMENTI

1407 — Sentenza del Vescovo Antonio Colonna sopra i confini tra il ter-
ritorio di Foligno e Orzano con altri castelli di Spoleto.

1407 — Atti fatti nella causa per i confini tra la Comunità di Foligno da
una parte, Spoleto ed Orzano dall'altra.

1612 — Sentenza di Mons. Cittadini sopra i confini tra Orzano, Morro
e Civitella.

1543 — Convenzione tra Folignati e Trevani per i pascoli.

1611 — Lettere della Comunità di Trevi per le terre esistenti nei confini.
1612 — Alcune convenzioni tra Foligno ed il castello di Orzano.

1765 — Monitorio della S. Congreg. del Buon Governo per la osservanza
della transazione tra Foligno e Trevi, e principalmente per la esenzione
dal pagamento dei dazi per i beni che si possiedono sui confini del ter-
ritorio.

1669 — Memoria della sentenza per i confini tra Foligno e Trevi.

1734 — Monitorio della S. Congreg. del B.G. per l'osservanza della tran-
sazione intervenuta tra Foligno e Trevi per i confini presso la villa di
Matigge (2).

CREDENZINO V - LriBROo I

1508 — Condanna alla multa di 500 fiorini d'oro contro il Comune di
Montefalco per aver posto degli argini sul letto del fiume Timia.

1536 — Ratifica fatta da Bevagna delle convenzioni e concordia con Fo-
ligno per la rottura del Topino.

1561 — Convenzioni tra Foligno e Montefalco per le acque del molino.
1561 — Mandato di procura in pubblica forma per comporre e terminare
tra Foligno e Montefalco la discordia per l'acqua per il molino.
1562 — Capitoli tra Foligno e Montefalco per il Teverone.

1575 — Ricevuta di Ottavio Pollioni di scudi 100 da servire per la rotta
del fiume Topino.

1592 — Commissione del Card. N. Caetani ad Angelo Jacobili per as-
sistere al riattamento, scavo e amplificazione della Fossa Renosa, Chio-
na, Teverone e Clitunno.

1593 — Perizia dell’architetto Giovanni Fontana circa la sistemazione
del corso del Topino per le acque che inondano il territorio di Foligno.
1645 — Sentenza del Govern. di Perugia sopra l’alveo del fiume Topino.
1712 — Perizia di Angelo Sebastiani per l'acquedotto del fonte di S
Eraclio.

1713 — Memoriale del Sebastiani sull'acquedotto da lui costruito per
portare l’acqua del Topino dentro la città che ne era deficiente, e sul
suo credito verso il Comune.

1720 — Precetto agli abitanti della strada che conduce a S. Domenico
per lo scavo degli acquedotti.

1723 — Ripartizione delle spese per il riattamento della fonte della Vill
di Scandolaro.
(s. d.) — Ripartizione delle spese del ponte di Roscitolo.

1693 — Sentenza del Card. Acciaioli a favore della Comunità di Bevagna
circa il riattamento delle ripe del fiume Topino.





nu" T C ——————

16

17

18

19

20

21

22

23

24

27

28

29

31

NOTE E DOCUMENTI 203

Secc. xvir-xvin — Fascio di 42 carte relative a richieste di acqua, pre-
sentate da conventi, monasteri e privati al Consiglio Comunale di Foligno.
Parte delle richieste si riferiscono all'acqua potabile per l'interno della
casa, e parte all'acqua per l'irrigazione dalla formella o dal Topino.
1773 — Monitorio a favore della Comunità di Foligno: che nessuno possa
deviar l'acqua della formella, né far argine nella medesima senza l'appro-
vazione del Consiglio, per essere detta formella privativa della Comunità
e destinata ad uso dei molini.

1507 — Controversia per la deviazione dell’acqua del Timia con pregiu-
dizio del funzionamento dei molini di Montefalco.

1670 — Sentenza di Mons. Odoardo Cibo per concordare la città di Foligno
e la Villa di Belfiore circa la ripartizione delle spese per l'arcatura del
fiume Menotre.

1479 — Atti relativi alla causa di un molino ad olio.

1590 — Bando per l'osservanza del breve relativo ai molini ad olio della
città.

1703 — Transazione tra la Comunità di Foligno e le Monache di S. Clau-
dio per l’acqua del loro molino.

s. d. — Copia di una istanza del 1447, fatta dai Sigg. Baldino Baldini e
Valerio Vitelleschi per i molini.

1772 — Monitorio della S. Congreg. del B, G. per impedire la costruzione
di nuovi molini e l'introduzione di nuove macine nella città e territorio
di Foligno senza il consenso del Consiglio Comunale.

1534 — Il Card. Camerlengo vieta che vengano sequestrati i grani che
si portano ai molini.

1533 — Il Govern. di Perugia ordina che non si facciano rappresaglie
agli uomini della terra di Spello per i grani che essi portano ai molini di
Foligno per essere macinati.

1537 — Il Governatore di Perugia vieta di fare rappresaglie contro coloro
che portano grano al molino per macinarlo, e grasce alla piazza.

1643 — Ricorso dei Frati di S. Agostino al Consiglio per la innovazione
di una sportella per deviare l’acqua.

1662 — Conferma del Consiglio di Foligno al decreto sopra l’arcatura.
1462 — Breve di Pio II sopra i molini ad olio.

1581 — Breve di Gregorio XIII in cui vieta agli abitanti di Foligno di

andare a macinare fuori della città.

LiBro II

1457 - Breve di Calisto III in materia di paludi.

1468 — Accomodamento e concordia tra Foligno e Bevagna per Barto-
lomeo Vitelleschi in materia di paludi.

1464 — Breve di Paolo II sopra i paludi: che si osservi la smadiemza di

"Bartolomeo Vitelleschi, Govern. di Perugia, tra i Folignati e i Bevanati.

1468 — Breve del Pontefice Paolo II che concede l'assoluzione dalla
multa di 5.000 fiorini d'oro incorsa per non aver terminato il prosciuga-
mento delle paludi.



|
|
|
1
à







204

un
i

10 —
11 -
13 —

14 —
15 -

16 —

18 +

NOTE E DOCUMENTI

1557 — Sentenza dell’Uditore della Camera Apost. Paolo Odescalchi,
in cui sono riferite le violenze commesse dai folignati e dai trevani nel
territorio delle paludi durante la vacanza della S. Sede per la morte di
Giulio III, il quale aveva ceduto il suddetto territorio in enfiteusi perpetua
alla N. D. Laura della Corgna, sua nipote.

1560 — Istrumento di quietanza di scudi 875 pagati alla N. D. Laura della
GCorgna.

1560 — Mandato dell'Uditore della Camera in materia di paludi.

1560 — Dichiarazione circa l'onere dovuto dalla città di Foligno e Trevi
à favore di Laura della Corgna.

1560 — Quietanza di scudi 1.600 d'oro fatta da Laura della Gorgna alla
Comunità di Foligno per le terre dei paludi.

1560 — Breve di Pio IV che assolve i folignati e i trevani dalle censure
incorse nelle violenze commesse nel 1555 e li obbliga al pagamento di
1750 scudi alla N. D. Laura della Corgna per i danni da lei subiti.

1562 — Divieto di vendere le terre delle paludi deliberato dal Consiglio
Comunale di Foligno e confermato dal Card. Legato.

1561 — Misura delle paludi eseguita dall'agrimensore Antonio Ugolini.
1566 — Misura dei terreni bonificati eseguita il 17 agosto 1566 da Gio-
vanni Trivisiano e Giov. Antonio Ugolini. Superficie complessiva stari;
13.191.

1570 — Misura delle paludi eseguita da Giov. Antonio Ugolini a richiesta
di alcuni privati possessori di quelle terre.

1562 — Divisione del territorio delle paludi e assegnazione a varie fra-
Zioni e comunità di Foligno. .

1593 — Mandato contro Giulio Jacobilli di scudi 3.700 a favore della
Comunità di Foligno.

1638 — Ricevuta del Sig. Gregorio Jacobilli della copia del mandato
contro Giulio Jacobilli senior.

(tra il 1562 e il 1570) — I giureconsulti Viviano Cirocchi e Gentile Gen-
tili a richiesta del Comune di Foligno e di Francesco Jacobilli esprimono
il giudizio che le terre delle paludi non vengano segnate in catasto.

s. d. (1563 circa) — Nota delle terre dovute a Francesco Jacobilli da
parte delle compagnie della città e dei sindacati del contado.

1618 — Documento relativo al censo di scudi 3.000 delle te:re delle paludi
di Gregorio Jacobilli.

1570 — Scomunica di Pio V ai magistrati di Foligno per aver venduto le
terre delle paludi a Francesco Jacobilli.

1575 — Perizia per regolare l'acque del fiume Topino nella Fossa Re-

. nosa.

1576 — Ordini sopra il fiume Topino, Chiona e Fossa Renosa.

1588 — Spese per la fabbrica del ponte del Teverone.

1610 — Due lettere del Comune di Trevi per far regolare il deflusso delle
acque sul confine del territorio.

1612 — La S. Congreg. del B. G. autorizza la spesa per lo scavo della
forma del molino di Ponte Cavallo.

1613 — Mons. Marini, Govern. di Perugia, concede alcune facoltà ai
contadini adiacenti alle ripe del fiume Topino..





dà ci attici e



28

29

31

32
33

34

35

36

38

39

40

41

42

43
44

45

46

47

48

49

NOTE E DOCUMENTI 205

1621 — Lettera di Mons. Uditore della Camera circa la contribuzione
dei privati alla spesa per lo scavo del fiume Topino e per le eventuali
esenzioni.

1625 — La S. Congreg. ordina alla Comunità di Foligno di provvedere
il danaro occorrente per il riattamento del ponte delle tavole e rivalersi
poi ratealmente dalle altre Comunità.

1633 — Lettera di Alfano Alfani, inviato dal Govern. di Perugia per
risolvere la lite con il Comune di Spello.

1633 — La S. Congreg. vieta al Govern. di Perugia di ingerirsi nella lite
con il Comune di Spello.

1633 — Lettera di Baldassarre Salvi circa la causa con gli Spellani.
1633 — Lettera di Baldassarre Salvi circa la causa per la Chiona con
Spello.

1647 — La S. Gongregaz. delle acque ordina che si dilati l'alveo della Fossa
o Formella di Butino dalla parte della Chiona a spese degli adicenti che
esposero reclamo.

1650 — Lettera di Mons. Giulio Spinola sopra il riattamento del fiume
Topino nel territorio di Foligno e Bevagna.

1682 — Lettera al Governat. di Foligno circa l'esproprio del terreno del
Canonico Salvi per il nuovo alveo del fiume Topino.

1697 — Lettera e copia della sentenza: che il vescovo di Foligno sia te-

‘nuto a contribuire nella colletta dei fiumi « pro rata commodi particu-

laris et privati ».

1725 — La S. Congreg. ordina che si riparino gli argini del fiume
presso S. Magno e si chiuda la strada che é stata aperta sopra quel-
l'argine.

1549 — Tre lettere del Card. Farnese sopra il prosciugamento delle
paludi e circa alcuni provvedimenti nella vendita del grano.

1551 — Lettera dei Priori di Foligno al Pontefice circa gli aggravi che
ricevono i folignati dalla N. D. Laura della Corgna nelle paludi.

1563 — Lettera degli ambasciatori di Foligno che ragguagliano di aver
concordato per le paludi con Laura della Corgna.

1602 — Sospensione del bando estorto da Gregorio Jacobili per le
paludi.

1581 — Due lettere di Giustino Barnabò sopra il breve per i molini.

1593 — Nona parte del fruttato dei molini venduta all'Ospedale a condi-
zione di poterla recuperare.

1604 — La S. Congreg. del B. G. ordina che i molini si appaltino e non si
tengano in amministrazione.

1611 — I Priori di Fano chiedono informazioni sulla maniera tenuta dai

. Folignati nel deviare dal fiume un ramo del medesimo mediante un canale

I

per uso dei molini.

1627 — La S. Congregaz. ordina che per macinare il grano si osservi il
breve di Gregorio XIII.

1636-1653 — Per la molitura del grano non deve pagarsi altra imposta
sul macinato. $

1659 — Lettera di Mons Tesoriere in cui dà facoltà di procedere contro
Domenico Gregori per frode nel macinato.













206

10
11
12
13
14

15
16

NOTE E DOCUMENTI

1660 — Dichiarazione del Monte di Pietà di Foligno per la somma depo-
sitata da Claudio Bolognini per un terreno presso il molino da lui acqui-
stato.

1665 — II Govern. di Perugia avverte dell'invio del suo Auditore che in-
terverrà allo scavo per i molini.

1543 — Istromento di concordia fra la Comunità di Foligno e Belfiore
circa il deflusso delle acque per i molini.

1693 — Profilo e dichiarazione circa le acque della Chiona che defluiscono
nel territorio di Assisi.

1793 — Monitorio contro i Fratelli Pizzoni per il diritto di ritenere la
chiave del cancello dell'orto a Porta Abadia, per regolare lo sportellone
che dà l'acqua agli acquedotti interni.

Vi si conservano la chiave del cancello e la chiave del regolatore fuori di
porta Abadia.

CREDENZINO VI - Lisro I

1503 — Breve di Giulio II che concede la terza parte delle gabelle per -
bisogni pubblici per un anno, e per le spese della Rocca di Gualdo Cati
taneo.

1509 — Breve di Giulio II in cui si dispone che i castellani non siano
tenuti a pagare le decime imposte per gli uffici.

1511 - Breve di Giulio II sopra la moneta vecchia e nuova.

1513 — Breve di Leone X con la concessione alla Comunità di Foligno
di fiorini 400 degli introiti delle gabelle, da servire per i salari agli uomini
della rocca di Pasano.

1515 — Motuproprio di Leone X per l'aumento degli introiti delle gabelie
1515 — Breve del Card. Camerlengo che la Comunità di Foligno non possa
obbligarsi a pagare l'imposizione per l'aumento degli introiti ai Tesorieri
della Provincia.

1516 — Breve di Leone X per l'aumento degli introiti; controversia coi
Gabellieri e Tesorieri della Provincia, e grazia accordata alla Comunità
di Foligno.

1516 — Breve del Card. Camerlengo sopra l'umento degli introiti.

1517 — Breve di Leone X per la estinzione dell'aumento della gabella
sul sale, in considerazione della ospitalità di Foligno a persone e milizie
della corte pontificia.

1568 — Breve di Pio V sopra l'imposizione del nuovo sussidio.

1560 — Breve di Pio IV che dona alla Comunità 2.000 scudi.

1586 — Breve di Sisto V che avoca a sé una lite e causa sopra le gabelle,
vertente tra il Tesoriere e Foligno.

1586 — Breve di Sisto V sopra il quattrino della carne, con dichiarazione
che non si pesino intestini, teste e piedi.

1587 — Breve di Sisto V per l'assoluzione delle gabelle imposte senza
autorizzazione. "

1595 — Breve di Clemente VIII per l’appalto delle pizzicherie.

1595 — Breve del Card. Enrico Caetani sulla proroga del bollo per anni
sette.







17

18

19

20

21

22

23

t

13

14

NOTE E DOCUMENTI 207

1603 — Breve di Clemente VIII: che non si possa far macellare a S. Era-
clio e Vescia senza il permesso della Comunità.

1602 — Il Card. Pietro Aldobrandini approva l’esenzione e franchigia
perpetua alla Villa di Butino.

1604 — Il Card. P. Aldobrandini ordina che gli appaltatori della carne
non possano tenere animali, né macellare a Vescia e S. Eraclio senza
licenza della Comunità.

1605 — Il Card. P. Aldobrandini proroga il bollo per anni sette.

1605 — Breve del Gard. Alfonso Larata circa le esenzioni per il macello
e per il peso delle carni.

1537-1553 — Brevi di Paolo III e Giulio III circa alcune esenzioni e
privilegi sulle gabelle.

1555 — Breve del Card. G. A. Sforza per l’urgenza della tassa per la rin-
novazione della strada dal Ponte Milvio al luogo detto la prima porta.

LiBro II

1543 — Esonero dal pagamento di una rata del sussidio delle galere.
1545 — Il Cardinale Legato vuole che il sussidio triennale venga pagato
nonostante le esenzioni e i privilegi già concessi.

1556 — Mons. Tommaso Orfini dichiara che non si pesino gli intestini
degli animali, né se ne paghi la gabella.

1559 — Ordinanza firmata da tre cardinali al Governatore di Foligno
per evitare il sopruso di un Commissario ‘che faceva pagare il quat-
trino per libbra di carne anche per le interiora, le teste e i piedi degli
animali.

1556 — Lettera di Mons. Tesoriere al Commissario della carne ove vieta di
far pagare il quattrino della carne per le interiora, le teste e i piedi.

1573 — Lettera di Mons. Tesoriere dello stesso tenore della precedente.
1574 — Curzio Garofano richiede ai Priori di Foligno copia autentica
del rescritto circa la gabella del quattrino a libbra di carne.

1560 — Lettera degli ambasciatori di Foligno ai Priori circa la riscos-
sione delle gabelle.

1560 — Altre lettere da Roma degli ambasciatori ai Priori di Foligno
circa la questione delle gabelle.

1566 — Lettera di Antonio Barnabò ambasciatore in Roma sulla que-
stione delle gabelle, e di Gualdo Cattaneo.

1568 — Lettera di Giustiniano Orfini da Roma circa il quattrino della
carne.

1568 — Lettera del Card. Alessandrini in cui avvisa che il Pontefice con-
cede che la Comunità possa tassare per i prossimi 5 anni un quattrino per
libbra di carne, onde facilitare il pagamento del nuovo sussidio.

1569 — Il Card. Alessandrini revoca un ordine dato l’anno precedente
contro la Comunità circa il quattrino della carne.

1569 — Il Card. Alessandrini ordina siano restituiti alcuni muli presi dai
gabellieri.





na e A".



208

NOTE E DOCUMENTI

15 — 1569 — I1 Card. Alessandrini conferma la moderazione voluta da

16

d

18

19
20

21 —

31 —

32 —

33

34

35

36

Paolo III per la mercede da darsi agli esecutori in materia di ga-
belle.

1569-1573 — Lettere di Mons. Tesoriere che ordina che la città non sia
molestata per il pagamento del tributo per il porto di Ancona.

1585 — Documento relativo alla quantità di sale dovuto dall'appaltatore
della salara.

1585 — Memoriale di Bernardino Baldini, conduttore della salara, in una
giustificazione per le controversie che aveva con lo Straordinario della
Piazza circa il prezzo del sale.

1574 — Informazione sulla gabella del quattrino della carne.

1588 — Ordine sopra la gabella per le galere in relazione alle esenzioni
per gli ecclesiastici.

1589 — Il Card. Caetani dichiara che i Cavalieri detti Pii del Giglio, o
altri simili, non siano esenti da oneri camerali.

1592 — Mons. Tesoriere concede che si aggiungano altri 300 scudi per le
spese straordinarie, e che si metta una nuova colletta per la estinzione
dei censi gravanti la Comunità.

1595 — Lettera sopra le Fide della Dogana per il bestiame che esce dal
territorio di Foligno.

1595 — Ordinanza relativa al dazio del 12 % per quelle mercanzie che
entreranno nello Stato Pontificio dal Mare Adriatico attraverso porti
che non siano quello di Ancona.

1596 — Lettera di Mons. Tesoriere per l’appalto della gabella sulla carne.
1596 — Altra lettera di Mons. Tesoriere per l’appalto della gabella sulla
carne, in base di 900 scudi.

1596 — Altra lettera di Mons. Tesoriere sul contratto e modalità

di pagamento dei 900 scudi annui per l’appalto della gabella della

carne.
1596 — Il Gard. Aldobrandini dichiara che i Governatori locali possano
giudicare le controversie tra Tesorieri ed appaltatori fino alla somma di
scudi 20.

1597 — IN Gard. Caetani i evitare ai gabellieri di accrescere la gabella
sul vino e sui capretti contro gli osti.

1604 — Il Gard. Bevilacqua rimette la spesa del Pontecentesimo con la
nota delle comunità che debbono contribuirvi.

1605 — Lettere sui pagamenti camerali da farsi anticipatamente ogni
trimestre.

1606 — Modo di esigere le imposizioni camerali.

1661 — Cinque lettere del Gard. Borghese per il riordinamento e l'appalto
delle scritture dell’archivio.

1611 — Due lettere del Card. Borghese per conoscere se il Carmerlengo
abbia sottoscritto i capitoli del contratto e dato la sicurtà.

1611 — Il Gard. Borghese ed il Governo di Perugia dichiarano che nes-
suno venga esentato dalla gabella imposta per gli oneri camerali.

1627 — Il Card. Barberini concede venga restituita la Banca Civile al
Collegio dei Notari, purché paghino alla Comunità 30 scudi annuali.

37 — 1629 — Lettera del Card. Barberini per l'appalto delle pizzicherie.







Lisi siste









38

39

40

41

42

43

44

45

46

47

49
50

51

52

57

58

59

60

NOTE E DOCUMENTI 209

1629 — Il Card. Barberini, per sollevare la città da grossi debiti, ordina
venga tolta la provvisione assegnata alla mensa del magistrato, e si ac-
cresca un quattrino a libbra di carne.

1633 — Lettera del Card. Barberini sull’obbligo del Camerlengo di pagare
il quarto aggiunto al sussidio triennale.

1636 — Il Card. Barberini vuole che l’appalto del camerlengato si debba”

dare sempre con il consueto costume dell’accensione della candela.
1636 — Il Card. Barberini, per ‘estinguere il grave debito di Foligno,
permette di prelevare dal Monte di Pietà 5.000 scudi, e di imporre il dazio
del bollo sopra il pane venale ed appaltare la custodia delle mercanzie
che vengono alla fiera.

1641 — Lettera del Commissario Apostolico per la ripartizione della ga-
bella del macinato.

1641 — Lettera riguardante l'appalto della gabella sulla carne.

1648 — Provvedimenti del Govern. di Perugia per indurre il sindaco
di Verchiano al versamento dell importo del dazio camerale alla
comunità.

1650 — La S. Congreg. concede alla Comunità di appaltare le pizzicherie
della città per tre anni.

1656 — La S. Congreg. concede alla Comunità di appaltare lo scortico
dei capretti, la vendita del pesce e l'appalto dei colli.

1613 — Lettera del Card. Borghese sopra il Camerlengato.

1658 — Sgravio della gabella del macinato per i due giuli.

1618 — Lettera del Card. Borghese per l'appalto della gabella sul vino.
1619 — Il Card. Ludovisi vuole che si osservi il solito circa l’affitto dei
macelli della città. ;

1622 — Il Govern. di Perugia concede che gli appalti della panetteria e
macello si possano deliberare in Consiglio per voti segreti.

1631 — Il Card. A. Barberini ordina che i castelli del territorio contri-
buiscano alla colletta per rinfrancare la Comunità della perdita subita
con l’abbondante distribuzione di grano del 1625.

1660 — Il Camerlengo non deve essere impedito nella esazione dei pesi
camerali da sequestri. E

1661 — I gabellieri devono pagare alla Comunità quanto dovuto, senza
attendere alcuna inibizione dalla S. Congregaz.

1662 — La S. Congregaz. vuole che anche Verchiano concorra nella tassa
per la Via Flaminia.

1669 — Per l'appalto della gabella sul vino si accetti l'offerta migliore;
nei casi dubbi si proceda come al solito con l'accensione della candela.
1669 — Il Governatore di Perugia contro i nuovi oneri del gabelliere
per gli osti.

1669 — Il Governatore di Perugia si congratula per il nuovo appalto
della gabella sul vino, che supera di 86 scudi quello dell’anno precedente.
1670 — Il Presidente della Provincia vuole che i cavalcanti non possano
presentarsi alle comunità prima che sia maturato il debito.

1682 — Il Presidente della Provincia ordina che le tabelle della Comu-
nità debbano rimettersi alla S. Congregaz. due mesi prima che scada
l’anno.

===





ERE



A —————— =
Lia IEEE AE E E Eq E E I

210
61

62

63

64

65

66

67

68

69
70

80

81

2€
82

NOTE E DOCUMENTI

1670 — Lettera del Card. Altieri al Govern. di Perugia circa il ricorso
di Foligno per le frequenti e costose visite del Governatore delle armi e
del Sergente Maggiore.

1679 — Informazione dei Priori di Perugia circa la gabella sulla carne,
e come venga stabilito il peso, la tara e la qualità delle carni soggette
a gabelle.

1686 — Il Governat. di Perugia avvisa che la S. Congreg. ha accordato
la licenza di affittare il provento dello scortico e pesceria.

1686 — Il Govern. di Perugia dichiara che i pagamenti degli oneri ca-
merali si facciano ogni trimestre in anticipo.

1687 — Lettera del Govern. di Perugia sopra la gabella del quattrino
per la carne.

1690 — Il Card. Ottoboni dichiara che i soldati debbano pagare tutti
quegli oneri che furono imposti prima della pubblicazione dei loro privi-
legi.

1690 — Let'era del Tesoriere dell'Umbria sopra le gabelle del pesce del
lago.

1698 — Lettera del Govern. di Perugia sopra l’appalto della gabella dello
scortico e pesceria, con relativa proroga.

1699 — Lettera del Card. Spada sopra i tributi imposti ai soldati.

1713 — Due lettere del Govern. di Perugia circa le contribuzioni dei
mercanti.

1723 — Il Card. Imperiale approva l’imposizione di otto quattrini per
ogni rubbio di grano da macinare, per supplire allo sbilancio camerale.
1725 — Il Card. Imperiale partecipa la risoluzione della Congreg. Ca-
merale per il pagamento di due quattrini a libbra per le carni macellate
per le truppe estere.

1733 — Il Card. Imperiale prescrive che i laici non possano fare rogiti, né
archiviarli se non nell’archivio della Comunità.

1734 — II Card. Imperiale partecipa che la Comunità di Foligno é tassata
di annui scudi dieci per il governatore delle armi.

1735 — Il Card. Imperiale approva che si appalti la privativa di vendere
il pesce di mare.

1752 — Il Gard. Valenti dichiara competere all’appaltatore della neve
(ghiaccio ?) la privativa per quelle sole cose per cui è necessaria la neve.
1757 — Memoriale circa la privativa delle pizzicherie.

1758 — La S. Congreg. dichiara che i venditori di tutti i capi e sorta di
merci siano soggetti al bollo ed alla revisione dei pesi e misure.

1762 — Il Card. Lante della Rovere prescrive che i pizzicaroli non intro-
ducano in città capretti e agnelli già morti, senza la pelle, e ciò per non
pregiudicare il diritto dell’appaltatore dello scortico e pesceria.

1554 — Lettera di Mons. Tesoriere al Commissario Petroni circa la com-
posizione fatta con Foligno per 60 scudi.

1580 — Mons. Boncompagni aderisce al pagamento della sua rata per
la pavimentazione di un rione.

1654 — Lettera del Govern. di Perugia circa l'istanza delle dame di
Foligno per il riattamento delle strade per poter ballare durante il car-
nevale,





—— — — — —



— -—— —

83

84

85

86

87

88

89

90

91

92

93

94

95

5496

97

N

e

oo r-

NOTE E DOCUMENTI 211

1672 — Il Commissario Giannetti vuole che i soldati contribuiscano alla
tassa per la strada Flaminia.

1759 — Il Card. Lante della Rovere approva che la riga di mezzo delle
strade urbane si faccia a spese della Comunità e le laterali a spese degli
adiacenti.

1761 — Lettera del Card. Colonna e memoriale circa il piano regolatore
delle strade.

1763 — Ragguaglio del Deputato della città di Nocera che assisteva alla
visita delle strade, circa la distanza dalla Porta di S. Giacomo.

1595 — Lettera del Tesoriere per il riattamento della strada a Pontecen-
tesimo a carico di quelli di Capodacqua.

1611 — Lettera del Card. Capponi per il riattamento della strada per
Loreto con il concorso anche dei soldati.

1645 — Mons. Colonna ordina che il Governatore di Foligno non s'inge-
risca nel risarcimento delle strade, ma ne lasci la cura ai Prefetti.

1649 — Il Govern. di Perugia prescrive quali castelli e ville debbano
contribuire per il ponte vicino alla Villa di Colle.

1662 — Il Card. Flavio Chigi ordina che la tassa per la Via Flaminia si
esiga da tutti i laici anche se esonerati e privilegiati.

1672 — Il Card. Altieri dichiara che alla tassa per la Via Flaminia con-
tribuiscano anche i soldati.

1681 — La S. Congreg. prescrive che la quota della tassa per le strade del
distretto di Roma spettante alla Comunità di Foligno è di scudi 29,36.
1714 — Il Governatore di Perugia dichiara che al riattamento della strada
di Colle concorrano tutti i patentati e privilegiati.

1757 — II Card. Colonna ordina che si costringano i soldati al riattamen-
to delle pubbliche strade.

1759 — Il Card. Colonna approva il piano per il riattamento delle strade
interne della città.

1770 — Il Card. Lante della Rovere trasmette gli ordini per il versamento
delle due quote della tassa fissa per le strade.

LiBsro III

1590 — Tre documenti relativi al riattamento della strada della Prima
Porta.

1577 — Istrumento di affitto della Tesoreria dell'Umbria.

1569 — Ricorso al Pontefice contro il Commissario della gabella sulla
carne.

1593 — Monitorio del Card. Camerlengo sopra la libertà di macellare i
bovi nella città di Foligno.

1589 — Risoluzioni della Società dei Mercanti.

1592 — Elenco delle spese pubbliche detratte nella riforma avuta da
Roma.

1564 — Fascicolo di 9 carte con la tavola delle gabelle di Foligno.
1516 — Ricevuta di scudi 1110 per l'aumento degli introiti della S.
Congregaz.







212

10 —

11 -
12 -

13. —

14 -

16 -
17 -

l2 ND
-- e
I l

v
C
I

26 —

30 —
31 —

34 —

NOTE E DOCUMENTI

1531 - Ripartizione fra i Rioni e le Frazioni della spesa per il sussidio
del sale. :

1731 — Monitorio contro il Marchese Niccolini per i beni della eredità
di Francesco Jacobilli.

1659 — Due tariffe per gli appaltatori del forno del pane.

1660 — Imposizione della Comunità di Foligno agli uomini della città,
del piano e della montagna.

1659 — D'ordine della Comunità di Foligno non si apportino novità nelle
gabelle per gli osti.

1659 — Decreto di soprassedere alla esazione della nuova gabella per i
frutti che s'introducono in città dal territorio di Foligno.

1673 - Decreto della S. Congreg. per l'esenzione degli agrimensori dalla
gabella dei frutti.

1694 — Tara sul peso nella macellazione delle carni.

1543 — Obbligo di Piermatteo Barnabò, quale deputato della Co-
munità di Foligno, al pagamento di scudi mille d'oro degli introiti
della città.

1579 — Attestato delle esenzioni dalle gabelle in tempo di fiera.

1579 — Oneri per le gabelle nella rimessa dei frutti.

1579 — Gabelle introitate dalla Città di Foligno e passate alla Camera
Apostolica.

1657 — Bando circa l'assegna degli animali per il sussidio del quattrino
a libbra di carne.

1679 — Tasse per i Segretari Apostolici.

1655 — Inibizione ad istanza di alcune Arti della Città di Foligno per il
canone solito a pagarsi la vigilia della festa della SS. Annunziata.

1659 — Ripartizione tra gli osti della spesa per il cero per il SS. Sacra-
mento.

1659 — Ripartizione tra i mercanti della somma di scudi 90 imposta ad
essi dai Magistrati di Foligno.

1629 — Riduzione di spese pubbliche per sollevare la comunità da molti
debiti.

1705 — Nuova ripartizione delle spese del sussidio tra i rioni e le frazioni
di Foligno.

1705 — Sentenza del Tesoriere a conferma dell’editto sopra la gabella
per i colli, ossia della merce delle pizzicherie.

1705 — Monitorio della S. Congreg. per l’osservanza del breve di Clemente
VII: che nessuno ardisca tagliare e vendere carne nel territorio di Foligno
se non nei luoghi prescritti.

1714 — Attestato circa la fiera del Ponte di S. Lucia.

1715 — Il Marchese Niccolini ottiene dalla S. Congreg. la proroga peril
pagamento della colletta e sussidio triennale.

1729 - Editto per il provento della foglietta (dazio sul vino).

1769 — Monitorio del Tesoriere ad istanza delle Ville del territorio di
Foligno per l’abolizione delle gabelle sopra gli animali.

1757-1758 - Due sentenze per obbligare gli uomini del Castello di S.
Eraclio al risarcimento per i lavori della strada di Colle.

1624 — Instrumento di riscossione delle gabelle di Foligno.



cente iti) dine

PD







n



36

37
38

39

40
41

42

46
47

48

49

59

60

61

NOTE E DOCUMENTI 213

1624 — Il Card. Barberini ordina che anche i soldati debbano concorrere
alle spese causate dall’abbondanza.

1553 — Breve per il dazio di un quattrino a libbra di carne.

1514 — La S. Congreg. ammonisce il Tesoriere di Perugia di non procedere
ad alcun aumento delle gabelle in Foligno.

1636 — La S. Congreg. vuole che l'appalto del macello venga deliberato
in Consiglio per voti segreti.

1618 — I raccoglitori delle olive non devono pagare gabelle. :
1636 — La S. Congreg. concede di poter prendere a censo scudi duemila
per l'appalto del forno.

1555 — Memoriale sullo stato delle gabelle dei cittadini e della Comu-
nità.

1622 — Monitorio ad istanza della Comunità di Verchiano.

1567 — Breve sull’esercizio dell’ufficio di Segretario Apostol.

1567 — Breve di Pio V che revoca tutte le esenzioni concesse dai suoi
predecessori.

1695 — Mandato esecutivo contro i beni ereditati da Decio Ancaiani.
1742 - La S. Congreg. non accorda la implorata condonazione di un
debito di scudi 3509 per fallimento dei proventieri.

1654 — Lettera del Governatore di ideis per l’ appalto del tabacco, in
contormità del capitolato.

1766 — Originali cartoni dei conti fatti tra Pietropaolo Amadei e Luca
Cieci, già Tesorieri di Perugia e Umbria.

1766 — Diversi cartoni dei ministri delle gabelle di Foligno con i paga-
menti annui versati dai gabellieri alla Comunità di Foligno.

1766 — Tassa per i Segretari Apostolici.

s. d. — Censuari inestinti per la Cassa Camerale.

1540 — Motuproprio di Paolo III per l’affitto delle gabelle di Foligno
per 6.000 fiorini l'anno.

1691 — n. 19 ricevute di Tiberio Orfini ed altri Segretari Apostolici.
1691 — Specchio delle somme dovute per il periodo 1685-1691 dalla Città
di Foligno alle Tesorerie di Spoleto e dell'Umbria.

1770 — Otto fogli d'istrumenti, procure ed altro tra Foligno ed Andrea
Ancaiani, Tesoriere dell'Umbria.

1766-1770 — Regolamento per le pubbliche pizzicherie di Foligno e let-
tere di approvazione della S. Congregaz. del B. G.

1791 — Concordia fatta tra la Comunità di Foligno e la. Rev. Camera
Apost. che condona una somma pari agli introiti per la gabella del pedag-
gio da poco soppressa.

1783-1784 — Plico di carte relativo alle gabelle comunitative incame-
rate.

1703 — Fascicolo a stampa relativo alla causa per le gabelle € con la Comu-
nità di Spello.

1767-1770 — Quattro opuscoli a stampa relativi alla causa tra la Rev.
Camera Apost. ed il Comune di Norcia per lo sgravio di tasse, senza ag-
gravare le altre comunità.

Gli opuscoli contengono molte notizie e dati sulle gabelle dello Stato Pon-
tificio con la ripartizione tra le varie città.







214

NOTE E DOCUMENTI

CREDENZINO VII - LiBRO I

1 — 1459 — Sentenza per controversie tra Foligno e Gualdo Cattaneo.
2 — 1483 — Bolla di Sisto IV per l’Uffizio della Custodia.

3

4

5

6

NI

10

12
13

14

N

I

1502 — Inibizione del Card. P. Aldobrandini contro coloro che pascolano
pecore entro i confini di Foligno.

1513 — Breve di Leone X che proibisce, sotto pena di scomunica, di
far pascolare pecore e capre entro i confini stabiliti dallo statuto.

1514 — Breve di Leone X che proibisce anche agli ecclesiastici quanto
specificato nel numero precedente.

1567 — Istrumento per l'acquisto dell'Uffizio del Notariato e del Dan-
nodato.

1567 — Breve di Pio V per l'Uffizio del Notariato e Dannodato.

1569 — Ricevuta di scudi 100 per l'appalto dell'Uffizio dei Notari.
1572 — Breve di Gregorio XIII ove dichiara tutti quelli che tengono
animali nelle Ville dover contribuire alle pene della contumacia.

1591 — Mandato di procura per acquistare l'Ufficio del Dannodato.
1620 — Breve di Paolo V a conferma del divieto di tenere pecore entro
i confini stabiliti dallo statuto.

1458 — Breve di Pio II sopra il Dannodato.

1621 — Pene comminate dal Card. Ludov. Ludovisi contro coloro che
tengono pecore nei territori vietati dallo statuto.

1743 — Breve di Benedetto XIV a conferma dei brevi e decreti che proi-
biscono di tener pecore ed altri animali entro i territori vietati dallo
statuto.

Ligro II

(sec. XVI in.) — Ordinanze contro i furti di olive.

1514 — Tassa dell'Ufficio della Custodia.

1516 — Quietanza di un certo pagamento per la tassa dei cavalli della
Custodia.

(sec. XVI) — Causa tra il Comune di Foligno e l’appaltatore dell'Ufficio
del Dannodato.

1569 — Il Govern. di Perugia proibisce in un bando di portare roncetti
ed altre cose per far danni.

1580 — Divieto del Vescovo, dei Priori e della Prefettura del Numero
dei XX di tenere bestie di dogana per stabbiare entro i territori del piano
folignate.

1601 — Istanza fatta dal deputato del Banco del Dannodato per la man-
canza del sindaco a Tur.i e Ranci.

1618 — Il Governatore di Perugia ordina che nessuno vendemmi o fac-
cia vendemmiare prima del 6 di ottobre.

1635 — Il padrone delle bestie è tenuto alla pena ed all'ammenda del
danno arrecato.

ea

10

11
12

13

14

NOTE E DOCUMENTI 215

1640 — Attestato della pena per le «bestie minute » che passano nelle
chiuse.

1641 — Nota dei Guardiani eletti dai Magistrati di Foligno.

1652 — Non si ricevano nel Banco del Dannodato le accuse per gli ani-
mali trovati in terre non seminate.

1666 — L'appaltatore del Dannodato puó provare le accuse senzale guar-
die, se queste non siano fornite dalle Ville.

1701 — Monitorio spedito dai Priori e Giudici del Dannodato, ad
istanza di uno di Verchiano, contro i conduttori del Dannodato di
Rasiglia.

1720 — Intimazione al sindaco di Verchiano per la risposta del Danno-
dato.

1639 — Attestato circa la consuetudine e le accuse per il procedimento
contro i malfattori. o

1683 — Attestato circa il modo di procedere nell’Ufficio del Dannodato,
provandosi l’accusa con la sola dichiarazione di un testimonio.

1703 — Protesta di alcune frazioni del piano folignate di voler dare la
guardia all’Ufficiale del Dannodato.

1631-1689-1703 — Attestati circa alcune consuetudini e leggi del Banco
del Dannodato.

(sec. XVI) — Fascicolo di carte con i capitoli del Dannodato e fogli di
revisione dei conti dell’appaltatore. £

1556 — Tassa dei guastatori per le necessità della Cittadella e Città di
Perugia.

1639 — Monitorio a favore dei Monaci di Sassovivo contro gli Ufficiali
del Dannodato.

1598 — Intimazione per la riforma dello statuto del Dannodato di Ra-
siglia.

Lisno III

1529 — Provvedimenti del Govern. di Perugia in materia di contumacia
nel Dannodato, e particolarmente per furti di olive.

1544 — Il-Card. Legato dispone il luogo e la durata delle soste per le
greggi che vanno in Maremma, al fine di limitare i danni ai campi.
1561 — Lettera di Adriano Baglioni circa il dannodato.

1567 — Protesta della Comunità di Foligno e provvedimento del Card.
Alessandrini contro i danni che arrecano le greggi che vanno nella cam-
pagna romana durante le lunghe soste nel piano folignate.

1587 — Lettera dei Priori di Trevi circa il danno arrecato in territorio
folignate.

1591 — Lettera del Card. Pinelli per la tassa del Dannodato.

1595 — II Card. P. Aldobrandini ordina l'osservazione del decreto, che
non si vendemmi prima che le uve siano mature.

1602 — II Govern. di Perugia conferma il decreto del Dannodato contro
coloro che cavano piante e ritengono bestie nei confini.

1609 — II Card. Scipione Borghese dichiara che i soldati a piedi e a ca-
vallo non sono esenti dalle pene dei danni dati.



216 NOTE E DOCUMENTI

10

11

na
NN

13

14

.16

RZ

13

19

21

25

26

27

— 1609 — Il Card. Scipione Borghese dichiara non doversi concedere l'e-
senzione dagli oneri camerali e dalle pene del danno dato per coloro che
hanno 12 figli. ;

— 1609 — Il Card. Borghese prescrive che il magistrato proceda nella co-
gnizione delle cause per dannodato, nonostante qualunque inibizione
non segnata per rescritto.

— 1618 — Il Gard. Borghese proroga all’appaltatore del Dannodato il
termine per riscuotere.

— 1619 — Capitoli aggiunti allo statuto del Dannodato di Foligno con ap-
provazione della S. Congreg.

— 1638 — Il Card. Barberini vuole che al conduttore del Dannodato non
sia concessa la manoregia dopo i quattro mesi di tempo per la riscos-
sione delle pene pecuniarie.

— 1639 — Il Card. Barberini abolisce il decreto, per cui l’appaltatore
del Dannodato non poteva avere la manoregia dopo aver terminato
l’appalto.

— 1640 — Il Gard. Barberini dichiara che i soldati a piedi e a cavallo devono
pagare la pena per i danni arrecati, ogni qualvolta non si ritrovi il mal-
fattore.

— 1641 — Lettera dei Priori di Foligno sopra alcuni abusi introdotti dal-
l’appaltatore del Dannodato.

— 1653 — La S. Consulta ordina l'osservanza dello statuto e del breve di
Paolo V in rapporto ai danni arrecati dalle pecore.

— 1670 — Il Card. Altieri ordina che, in vigore dello statuto, le Ville
debbano dare le guardie all’Ufficiale campestre per giustificare le
accuse.

— 1680 — Il Card. Chigi ammonisce il Govern. di Foligno perché ha ac-
cordato la proroga della manoregia per la riscossione dei residui delle
pene per il Dannodato.

— 1682 — La S. Congreg. dichiara che anche i coloni dell’Abbadia di Sas-
sovivo devono pagare le pene dei danni arrecati e gli oneri communi-
tativi per la parte colonica.

— 1691 — Il Govern. di Perugia notifica il parere della S. Consulta, per cui
non si debba pignorare né procedere all’esecuzione contro più di una per-
sona quando il malfattore risulti incerto.

— 1706 — Il Card. Imperiale dichiara che del privilegio dei 12 figli non debba
godere Pietro Barnabó per esimere i suoi coloni dal pagamento per i
danni arrecati,

— 1725 — Il Card. Imperiale conferma la risoluzione del Consiglio di Fo-
ligno di espellere le vacche introdotte dagli Allevini nei campi del piano
folignate e di procedere contro di essi per i danni arrecati.

— 1733 — La S. Congreg. ordina si osservi lo statuto circa il possesso degli
animali immondi a Casenuove e Serrone.

— 1734 — La S. Consulta approva la risoluzione del pubblico Consiglio per
l'elezione di due guardiani che reprimano i malfattori nelle campagne.

— 1762 — Il Can. Pompeo Carriani, preposto di Trevi, risponde ai Priori
di Foligno che i patentati del Vescovo di Spoleto possono essere obbligati
ad andare come guardie con l’Ufficiale del Dannodato.







= x — =

- e €

—r"cett

«n

I

NOTE E DOCUMENTI 217

CREDENZINO VIII - LisRo I

1532 — Breve di Clemente VII con la scomunica e altre pene contro il
lusso nel vestire e le ricche doti delle donne.

1541 — Breve di Paolo III che toglie la pena della scomunica ai trasgres-
sori dei capitoli dello statuto circa gli ornamenti e le doti delle donne della
città di Foligno.

1550 — Breve di Giulio III a conferma degli statuti disponenti la mode-
razione nel vestire e nelle doti delle donne.

1563 — Breve di Pio IV contro il lusso del vestire delle donne e conferma
dello statuto che proibisce determinate specie di vestiti, gioielli ed altri
ornamenti per le donne di qualsiasi grado.

1589 — Breve di Sisto V contro le doti troppo ricche e il lusso del vestire
delle donne di Foligno.

1561 — Breve di Pio IV contro i trasgressori alle ordinanze relative alle
doti e agli ornamenti delle donne.

1567 — Breve di Pio V a conferma dei capitoli contro la ricchezza delle
doti e il lusso del vestire delle donne.

1599 — Breve di Clemente VIII per la moderazione delle doti e la re-
pressione del lusso nel vestire delle donne.

Lisro II

1537 — Il Govern. di Perugia conferma che le donne di Foligno maritate
ai forestieri non possanno portare ornamenti diversi da quelli che porta-

‘no le maritate ai folignati.

1556 — Bando del Vescovo Sebastiano Portico e del Consiglio dei Cento,
nel quale si ordina che le donne disoneste debbano portare in testa per
distintivo un velo turchino di un palmo e mezzo di lunghezza.

(1556 circa) — Bando di Sebastiano Portico, vescovo di Foligno, e del
Consiglio dei Cento: che le donne in segno di lutto non debbano piü porta-
re in testa il velo giallo, perché potrebbero identificarsi per ebree, alle
quali il Pontefice ha ordinato di portare in testa, per riconoscimento della
loro razza, un simile indumento.

Viene ordinato che le donne porteranno in segno di lutto un velo tutto
bianco e senza pieghe.

(mancante) —

(sec. XVI in.) — Capitoli del Consiglio di Foligno per moderare le doti
e i doni alle donne per nozze.

CREDENZINO IX - LiBRo I:

1484 — Bolla di Sisto IV per invitare i Priori di Foligno ad assegnare ai
Frati della Congregazione del Beato Amedeo qualche luogo di questa
città, e viene particolarmente indicato il luogo di S. Feliciano detto di
Mormonzone.

ram















ow

cQ

10

11

13

14

15

16
17

18

NOTE E DOCUMENTI

1504 — Breve di Giulio II che ordina si diano 30 ducati d'oro annual-
mente per la festa di S. Feliciano.

1513 — Breve di Leone X in cui si dichiara che il Monastero di S. Claudio
non possa essere unito ad altri Monasteri, e che in esso non possano es-
sere ammesse se non monache folignate.

1514 — Breve di Leone X per i legati «ad pias causas ».

1515 — Breve di Leone X in cui prescrive che i Padri Osservanti, detti
Zoccolanti, non possano demolire parte alcuna del Convento e Chiesa
di S. Bartolomeo, senza licenza della Comunità di Foligno.

1543 — Breve di Paolo III con cui concede scudi 3.000 d'oro dei beni di
Giov. Francesco de' Conti per i restauri della Chiesa Cattedrale.

1545 — Inibizione al Commissario della Fabbrica di S. Pietro a favore
della Cattedrale di Foligno per 3.000 scudi d'oro dell'eredità di G. F.
de' Conti.

1546 — Breve di Paolo III con cui ordina che anche gli ecclesiastici
siano sottoposti al tributo per il sussidio triennale.

1549 — Breve di Paolo III in cui pure si prescrive che nessuno venga e-
sentato dai tributi per il sussidio triennale.

1554 — Breve di Giulio III che annulla l'alienazione dei beni ecclesiastici
avvenuta nei 50 anni precedenti.

1577 — Breve del Card. Camerlengo circa gli oneri imposti dalla Comunità
di Foligno sui beni acquistati dagli ecclesiastici.

1634 — Breve di Urbano VIII nel quale si ordina che nel Monastero di
Sassovivo siano ricevuti alla figliolanza i monaci folignati e si conferisca
anche ad essi la prelatura.

1730 — Rescritto della S. Congregaz. per l'immunità per i forni dell'ab-
bazia di Sassovivo e del Vescovo di Foligno.

1669 — Concessione fatta dal Card. Ottoboni per la esposizione delle
reliquie dei SS. Abdon e Sennen, estratte dalla Chiesa di S. Marco in
Roma. (mancante)

1730 — Monitorio del Card. Prospero bovina circa le prerogative e for-
malità nelle funzioni sacre e profane per la festa di S. Feliciano.

1375 — Catasto della Villa di Morlupo.

1720 — Rescritto del Card. Camillo Cibo: che i coloni degli ecclesiastici
non debbano godere del beneficio del foro.

1765 — Breve di Clemente XIII, nel quale conferma la transazione e
concordia fatta tra la Comunità di Foligno ed il clero secolare e regolare
della stessa città relativamente alla distribuzione e pagamento delle
tasse.

LiBRo II

1582 — Copia dei bandi pubblicati in Bologna per il nuovo calendario
gregoriano e per la peste nella Provenza.

1585 — Lettera del Card. Alessandrini per l'ordine e la. conservazione
dei documenti relativi ai beni enfiteutici della diocesi.

1631 — Attestato contro gli abusi del bargello vescovile.

1634 — Esposizione per la controversia nel Monastero di Sassovivo.



cx

10

11

12
13

14

15

16

17

18

19

21

22

23

24

NOTE E DOCUMENTI 219

1649 — Donazione della duchessa Eleonora Boncompagni alla città di
Foligno di una reliquia di S. Domenico da Cocullo estratta da una cas-
setta esistente nella Cattedrale di Sora.

1659 — Decreto di Mons. Brancacci per esonerare le monache dal paga-
mento delle quote per il sussidio triennale arretrato.

1637 — Esenzione di alcune terre acquistate dai Padri del Convento
di S. Giacomo.

1651 — Mandato del Prot. Apost. Prospero Caffíarelli nella causa per
l'applicazione del dannodato ai coloni e nei beni del vescovo di Foligno.
1667 — Atto notarile in cui si descrivono i corpi dei beati esistenti nella
chiesa di S. Francesco.

1673 — Decisione del Capitolo della Cattedrale per obbligare alcuni chieri-
ci a pagare le tasse della Via Flaminia.

1676 — Attestato circa il sale che il Comune di Foligno è solito dare per
elemosina a diversi luoghi pii.

1677 — Confini assegnati alla Parrocchia di S. Giovanni dell'acqua.

1667 — Descrizione dei corpi dei beati che sono in S. Francesco eseguita
per ordine del Consiglio Comunale.

1684 — Documento circa la donazione di terreni al Convento di S. Ago-
stino da parte del Comune di Foligno nel 1344.

1700 — Copia dell'atto di vendita fatta dall'ospedale di S. Giov. Batt.
al Ven. Oratorio del Buon Gesü della chiesa della S. Concezione e case
annesse.

1715 — Decreto del Capitolo della Cattedrale per i banconi che si met-
tono in chiesa per separare gli uomini dalle donne in occasione delle
prediche.

1719 — II Vescovo Mons. Battistelli istituisce in Foligno le Sacre Missioni
ed esercizi da svolgersi ogni 5 anni dai Gesuiti.

1725 — La S. Congreg. dichiara che il cappellano della Chiesa di S. An-
tonio di Scopoli debba soggiacere al pagamento degli oneri camerali per
i beni assegnati alla sua chiesa.

1734 — Decreto della S. Congreg. per l'invio del Govern. di Spoleto ad
accertarsi della situazione dei pubblici interessi e del bilancio del Comune
di Foligno.

1743-1604-1671 — Tre atti di concessione per 70 anni di alcuni beni en-

fiteutici dalla Mensa Vescovile al Comune di Foligno.

1671 — Supplica del Capitolo della Cattedrale al Consiglio di Foligno per
ottenere nuovamente il sussidio di 46 scudi per i bisogni della chiesa.
(sec. xvi ex.) — Deliberazione del Consiglio di Foligno per l’elezione
annuale di un bravo predicatore per la quaresima, e per l'aumento a 50
scudi di onorario per lo stesso predicatore.

1692 — Istrumento per l'erezione di due canonicati per la casa Jacobilli.
1703 — Istrumento per concordare con il March. Niccolini la riparti-
zione dei beni ereditati dalla fam. Jacobilli.

1584 — Breve di Gregorio XIII per i due canonicati in Cattedrale dispo-
sti dal quondam Francesco Jacobilli nel suo testamento.

1729 — Istrumento, capitoli e condizioni da osservarsi per le scuole pub-
bliche concesse dal Comune di Foligno ai PP. Barnabiti.











220

26 —

10 —

11 -

12 -

13 -

NOTE E DOCUMENTI

1621 — Rescritto del Card. Ludovisi al Vescovo di Foligno. Poiché molti
delinquenti e debitori, fruendo dell'immunità ecclesiastica, sfuggono
all'autorità giudiziaria riparando per troppo tempo e successivamente in
luoghi sacri, il vescovo dovrà stabilire e far osservare in detti luoghi un
ristretto periodo di giorni per l'immunità, trascorso il quale i delinquenti
e debitori dovranno essere sfrattati. i

(sec. xvirr in.) — Decreto di Mons. Vai circa l'emolumento al Cassiere
al Depositario, allo scritturale del Monte di Pietà di Foligno.

LiBRO III

1545 — Il Card. Legato ordina che nessuno, sia secolare che ecclesiastico,
sia esente dal pagamento di un baiocco per soma di grano, imposto dalla
Comunità per il completamento della cupola di S. Feliciano.

1551 — Il Vescovo di Todi prega i Magistrati di Foligno voler rinnovare
la concessione e l’uso della cappella del Palazzo Apostolico (Palazzo
Trinci) ad Alessandro Bello.

1555 — Lettera del Govern. della Provincia circa quelle persone che pos-
sono introdursi nei monasteri.

1557 — Il Card. d’Aracoeli prega di concedere il permesso ai Padri di
S. Agostino per fabbricare un molino ad olio.

1566 — Lettera dei Guardiani della Compagnia della Morte di Roma ai
Priori di Foligno circa l’erezione di una simile compagnia in Foligno.
1567 — Il Card. Alessandrini raccomanda ai Priori di Foligno di concede-
re un sussidio per riparare il Convento di S. Domenico abbisognevole di
restauri.

1573 — Lettera del Generale dei Frati di S. Girolamo in ringraziamento
ai Priori di Foligno perla concessione del luogo di S. Lorenzo.

1580 — Quattro lettere relative all’obbligo degli ecclesiastici di pagare
il sussidio dei beni patrimoniali, in conformità dei brevi dei pontefici alla
città di Foligno.

1593 — II Capitolo della Cattedrale riferisce alla S. Congreg. la sop-
pressione di alcuni suoi emolumenti da parte del Consiglio di Foli-
gno, e risposta della stessa S. Congreg. favorevole al Capitolo della
Cattedrale.

1596 — II Card. Alessandrini vuole che si continui a dare l'elemosina di
scudi 200 per i poveri, voluta dal quondam Francesco Jacobilli nel suo
testamento.

1597 — Lettera del Vescovo di Foligno sopra l'elezione del predi-
catore.

1598 — Risposta del Card. Legato ai Priori di Foligno con alcune dispo-.

sizioni per i preparativi per la visita del Pontefice a Foligno.

1599 — La S. Congreg. obbliga al pagamento delle collette dnche gli
ecclesiastici.

1600 — II Card. Aldobrandini concede che gli scudi 300 avanzati nel-
l'amministrazione del macello si possano impiegare per il completamento
della Cupola di S. Feliciano.







NOTE E DOCUMENTI "pai

15 -- 1602 — Il Card. Aldobrandini permette di prelevare dal bilancio scudi 50

16

17.

18

19

20

21

23

27

28

29

31

32

33

per la Compagnia della Misericordia per il ricevimento dell'Arciconfrater-
nita di Roma.

1616 — Lettera del Card. Barberini circa la pretesa giurisdizione del
Vescovato di Spoleto sulla Chiesa della Madonna delle Grazie di Rasiglia.
1630 — Lettera di un Commissario ai Priori del Comune: che non diano
il passo ai Regolari senza il passaporto del Card. Barberini.

1648 — Lettera del Govern. di Perugia per l'esazione di una gabella con-
tro gli ecclesiastici.

1623 — I Priori di Cingoli chiedono informazioni sulla vita di S. Bonfilio
da Osimo, vescovo di Foligno, di cui quella città conserva il corpo e lo
venera.

1634 — Il Generale degli Olivetani accusa ricevuta del breve a favore
dei folignati nella lite con la Congreg. Perugina, ed annuncia di avere già
destinato un abate e un superiore folignati nel monastero di Sassovivo.
1635 — Il Card. Barberini, secondo l’intenzione del Pontefice, comanda
al Vescovo di Foligno di restituire alcuni pou fatti per la controversia
dei danni dati.

1656 — La S. Congreg. ordina che gli ecclesiastici secolari e regolari,
ancorché esenti e privilegiati, paghino il sussidio triennale e il quattrino
aggiunto.

1656 — La S. Congreg. dichiara revocati i privilegi di qualunque specie,
eccettuati quelli contemplati nella bolla del pontefice. I ricorsi non
dovranno comunque ritardare la riscossione.

1656 — Tre lettere relative ai proventi per il dannodato spettanti al
tribunale ecclesiastico.

1657 — La S. Congreg. dichiara che la Mensa Vescovile e l’Abbadia di
Sassovivo paghino la quota per la gabella della carne.

1657 — Il Gard. Barberini dichiara che i 15 coloni della Mensa Vescovile
non dovranno godere di alcun privilegio ed esenzione per il porto d’armi,
per le rappresaglie, nei tributi e dannodato.

1658 — Il Govern. di Perugia stabilisce 15 giorni di mora ai debitori
della Comunità.

1665 — Risposta dei Priori di varie città umbre ad una richiesta dei Priori
di Foligno circa l’imposizione o meno agli ecclesiastici delle gabelle della
carne e utensili per le milizie.

1670 — La S. Congreg. approva la concordia stabilita tra il vescovo e la
Comunità di Foligno con il pagamento di 50 scudi per la nuova investi-

‘tura dei beni enfiteutici.

1672 — II Card. Altieri ordina che gli ecclesiastici concorrano al risarci-
mento della strada Flaminia.

1673 — I soldati non godano alcuna esenzione per le collette della Comu-
nità imposte prima della pubblicazione dei privilegi.

1681 — La S. Congreg. dichiara che i coloni degli ecclesiast. debbano
contribuire ai pesi camerali e comunitativi.

1701 — Lettera del Card. Sacripanti per fondare la Chiesa e Collegio
dell’Umbria in Roma, con allegata una stampa « Relatione per lo sta-
bilimento della chiesa e collegio dell'Umbria in Roma ».



222

NOTE E DOCUMENTI

34 — 1701 — II Card. Imperiale richiede al Govern. di Foligno una nota dei

35

36

97

29

40

41

l

beni e territori degli ecclesiastici.

1677 — La S. Congreg. ordina che i beni dei laici, che passano agli eccle-
siastici, debbano soggiacere agli oneri ordinari.

1692 — Decisione della S. Congreg. dell'Immunità Ecclesiastica relativa
ad una vertenza tra il bargello della corte vescovile e la Gomunità per la
esecuzione dei mandati emessi dal Camerlengo e pubblici ufficiali.

1715 — Mons. Vescovo di Spoleto ordina ad un suo patentato della
Villa di S. Stefano di accettare l'incarico di sindaco di quella frazione cui
era stato eletto.

1715 — Lettera del Govern. di Perugia e dei Priori di Foligno per la
riscossione delle assegne, ritardata dagli ecclesiastici e dai mercanti.
1715 — Il Pontefice ha accordato ai Priori di Foligno la messa quoti-
diana nel Palazzo Priorale; mentre la celebrazione di più messe nella fe-
sta della Madonna della Neve è competenza del Vescovo di Foligno.
1721 — Lettera del Card. Altieri, Abate Commendatario di Sassovivo,
per una visita fatta per errore al forno abbaziale da pubblici deputati.
1728 — Il Card. Lercari dichiara che i patentati dei cardinali, i coloni del-
l’abbadia di Sassovivo e della Mensa Vescovile non debbano essere esenti
dall’ufficio di sindaco.

1733 — Il Card. Imperiale prescrive che le pene dei dannidati dovute
dagli ecclesiastici debbano esigersi dalla Comunità.

1733 — Il Card. Imperiale dichiara al Vescovo di Foligno che le pene dei
dannidati degli ecclesiastici non debbano applicarsi ai Luoghi Pii, ma
alla Comunità.

1761 — Il Card. Torrigiani prescrive che gli ecclesiastici debbano dare
le assegne del bestiame per il regolamento del provento del Dannodato.
1766 — Il Tesoriere generale ordina che le monache cappuccine debbano
essere esentate dalle gabelle camerali per la carne,

1664 — La S. Congreg. scrive al Vescovo di Foligno di permettere agli
ecclesiastici un proprio esattore, ma che venga da essi stipendiato.
(mancante) — Inventario dell’Archivio dell’Ospedale degli infermi.

CREDENZINO X - LiBRO I

1440 — Breve del Card. Camerlengo con cui vengono assolti i 13 citta-
dini che si erano uniti all'esercito di Niccoló Piccinino contro lo Stato
Pontificio.

1462 — Breve di Pio II che dà facoltà di battere monete in Foligno.
1472 — Il Card. Latino Orsini sanziona i capitoli dello statuto per il divieto
di introdurre vini forestieri nella città di Foligno, ad eccezione di taluni
casi per cui viene specificata la gabella da imporsi per ogni soma di vino.
1502 — Breve di Alessandro VI per costringere anche gli ecclesiastici
e gli esentati a contribuire nel pagamento della somma di 12.000 ducati
cui fu condannata la città di Foligno.

Quietanza di Alessandro VI per ricevuta dalla città di Foligno della
somma di 1.200 ducati.





è



pn

_—______—_—_—__

————— TE

10

11

12

13

14

15

16

17

18

19

20



NOTE E DOCUMENTI 223

1503 — Bolla di Giulio II con la partecipazione alla Comunità di Foligno
della sua assunzione al Pontificato.

1504 — Breve di Giulio II in cui dichiara che i rei di omicidio non pos-
sano tornare in patria né riavere i propri beni se non per speciali dispo-
sizioni pontificie.

1513 — Breve di Giulio II circa l’impiego delle somme avanzate in bi-
lancio.

1516 — Breve di Leone X che approva le disposizioni prese dal Legato
di Perugia contro i rei di omicidio e di riunioni segrete.

1517 — Breve del Card. Legato di Perugia che prescrive venga bruciata
la casa ai rei di omicidio, oltre alle pene già previste da precedenti di-
sposizioni anche per i parenti del reo.

1520 — Il Vicelegato di Perugia concede a diversi cittadini di Foligno di
togliere il « Montarone » (cumulo di terra tra la Torre del Cassero e la
Chiesa di S. Claudio), perché ostruiva l’uscita delle acque all’altezza delle
mura della città.

1522 — Breve di Adriano VI per reprimere i facinorosi e delinquenti,
per conservare la pace e la quiete in Foligno e dare la sicurezza ai proprie-
tari di terre e di altri beni.

1523 — Breve di Adriano VI che vieta alle città confinanti con Foligno
di dare ricetto ai delinquenti folignati esuli, i quali, riunendosi da una
parte o dall’altra, continuano a far scorrerie in Foligno.

1526 — Breve di Clemente VII che conferma lo statuto fatto dall'Uni-
versità dei Calzolari di Foligno circa l'ammissione di calzolari forestieri
nella loro società.

1528 — Breve di Clemente VII in cui esorta i magistrati di Foligno ad
ospitare gli Svizzeri del Marchesato di Saluzzo in Gualdo Cattaneo.
1529 — Breve di Clemente VII in cui comanda di alloggiare nella città
di Foligno il Marchese di Saluzzo, il Duca di Urbino e il Provveditore
Veneziano con i loro uomini.

1529 — Breve di Clemente VII in cui ordina ai magistrati di Foligno di
lasciar passare Luigi Gaddi fiorentino, il quale trasporta il grano dal Du-
cato di Urbino a Roma.

1531 — Breve di Clemente VII in cui costituisce Martino da Foligno a
castellano di S. Eraclio con il solito salario.

- 1531 - Breve di Clemente VII contro Marco Antonio di Giovanni Sal-

vati degli Atti che ha ucciso Nicola Scarcioni, e poi a Narni Antonio
Botoroni, cancelliere di Foligno a Roma.

1541 — Breve di Paolo III in cui ordina che gli osti e tavernieri non pos-
sano comprare vini forestieri dal tempo della vendemmia sino alla fiera
dei Soprastanti, in conformità dei capitoli dello statuto.

1548 — Breve di Paolo III che esonera Foligno dal contribuire alla for-
mazione della milizia, per essere questa città maggiormente dedita al
commercio ed all'agricoltura.

1554 — Decreto del Vicelegato di Perugia per l'assoluzione dei rei di
omicidio contro i soldati degli eserciti «della Lega imperiale», i quali an-
dando all'assedio di Firenze sotto il papato di Clemente VII avevano
esasperato i folignati con incursioni, incendi, furti e omicidi.







224 NOTE E DOCUMENTI

29 — 1576 — Bando del Vescovo di Foligno, Ippolito Bosco, per la scomunica
contro i debitori della Comunità. ;

23 — 1579 — Inibizione fatta a Flaminio Gatti e Gaudenzio Ranocchia di non
parlare, né in bene né in male, e di non intromettersi nelle cose della
comunità, sotto pena della frusta.

24. — 1536 — Decreto del Consiglio di Foligno per un emolumento di 25 giuli
a semestre all'assistente dei pegni esecutivi.

25 — 1598 — Decreto del Consiglio confermato dal Gard. Savelli per le spese
occorrenti per la venuta di Clemente VIII.

26 — 1773 — Sentenza della S. Congreg. del B. G. contro i fratelli Stillacci di
Sterpete, che pretendevano godere i privilegi della cittadinanza senza
abitare in città.

27 — 1602 — Monitorio del Card. P. Aldobrandini a favore di Ludovico di
Onofrio che aveva ottenuto la cittadinanza «titulo oneroso ».

28 — 1604 — Il Card. P. Aldobrandini a favore di Bartolomeo Centi di Scafali,
che aveva ottenuto la cittadinanza «titulo oneroso ».

29 — 1604 — II Card. P. Aldobrandini a favore dei fratelli Buco da Uppello,
che avevano ottenuto-nel 1534 la cittadinanza di Foligno « titulo oneroso »

30 — 1605 — Il Card. P. Aldobrandini a favore dei fratelli de Sorce di Mace-
ratola per la cittadinanza accordata fin dal 1535.

31 — 1668 — Decreto dei Priori di Foligno a favore di Angelo Turchi, perché
gli vengano serbati i privilegi della cittadinanza.

32 — 1739 — La S. Consulta conferma la decisione del Consiglio Com/le di non
far rimettere sopra le porte delle case e delle botteghe i tavolati e i tetti
che erano stati rimossi in occasione del passaggio della Regina delle Due
Sicilie.

CREDENZINO XI - Lisro I

1 — 21 gennaio (1495) — Lettera di Carlo VIII re di Francia, in risposta
ad una richiesta della Città di Foligno, con la promessa di dare ai foligna-
ti, nella sua prossima venuta in Italia, «forza aiuto e favore » contro le
molestie e violenze dei Perugini.

2 — 1720 — Lettera del Ganduca di Toscana Cosimo III che si dimostra
disposto a interporre la sua mediazione perché venga promosso il culto
di S. Messalina. .

3 — 1549 — Lettera del Duca d'Urbino Francesco Maria della Rovere che
partecipa alla città di Foligno la nascita di un figlio maschio.

4 — 1549 — Lettera della Duchessa di Urbino che raccomanda ai Priori. di
Foligno la riconferma in carica di un Podestà.

5 — 1552 — II Duca d'Urbino si mostra grato ai Magistrati di Foligno per la
benevolenza di questa città verso la sua persona, e prega voler scusare il
suo Capitano Jacomo Cavallo che, impedito dal servizio per il Ducato,
non ha potuto assolvere al suo ufficio di Priore di Foligno cui era stato
eletto.

6 — 1553 — Lettera del Duca d'Urbino Guidubaldo della Rovere in ringra-
ziamento alla città di Foligno che gli aveva presentato le proprie congra-
tulazioni per il grado conferitogli dal Pontefice.





NOTE E DOCUMENTI 225

7 — 1555 - II Duca d'Urbino Guidubaldo della Rovere consiglia i magistrati

10

11

13

14

15

16

T7

di Foligno a non tentare alcunché di nuovo nella causa contro la N. D.
Laura della Corgna.

1558 — — Il Duca di Urbino assicura la Comunità di Foligno di interporsi
per la pace «fra due querelanti ».

1560 — Il Duca di Urbino assicura i Priori di Foligno di aver raccoman-
dato al Vicelegato di Perugia la loro richiesta.

1562 — Lettera del Duca di Urbino in raccomandazione di un pittore
alla città. (mancante)

1562 — Il Duca di Urbino prega il Magistrato di voler pubblicare nella
fiera di Foligno il bando per la fiera che si vuole introdurre nel suo stato.
1590 — Risposta del Duca di Urbino alla richiesta di Foligno per la prov-
vista del grano in tempo di penuria.

1605 — Il Duca di Urbino Francesco Maria II della Rovere ringrazia
delle congratulazioni per la nascita di un figlio maschio.

1620 — Il Duca d’Urbino, nonostante il danno che suppone derivare al
suo stato dal transito dei grani forestieri, pure, per questa sola volta,
non vuol negare il passo al grano provveduto dalla città di Foligno nel
territorio di Fano.

1622 — Il Principe di Urbino Federico della Rovere ringrazia il Magi-
strato di Foligno per la lettera di congratulazione scrittagli per la nasci-
ta di un figlio maschio.

1495 — Lettera di Antonello Savelli che richiede aiuti per l'impresa
contro Perugia.

1495 — Antonello Savelli chiede alla città di Foligno l'allestimento di
alcune milizie per l'impresa dei Savelli e Colonna.

1495 — II Card. Giovanni Colonna avverte che manderà soldati in aiuto
di Foligno.

1535 — Giov. Batt. Savelli ordina da Spello di inviare dei soldati per
demolire il castello di Collepino (Collis Lupini).

1535 — Il Governatore di Foligno ordina di mandare 300 soldati in aiuto
di Giov. Batt. Savelli.

s. d. — Copia di un breve a Malatesta Baglioni contro Giovanni Salvati
degli Atti.

1513 — Spello — Lettera di Gentile (?) Baglioni circa un omicidio com-
messo in Foligno.

1553 — Bettona — Gost. Vit.la (sic) de Baglioni ringrazia per le congra-
tulazioni rivoltele per il suo felice parto.

1553 — Bettona — Ridolfo Baglioni si mostra disposto ad operare in
favore della città di Foligno.

1553 — Bettona — Ridolfo Baglioni assicura la città di Foligno contro i
danni che potrebbero derivare dal passaggio delle sue milizie.

1553 — Cortona — Ridolfo Baglioni presenta ai Magistrati di Foligno il
suo auditore Prospero Perleoni.

1555 — Spello — Adriano Baglioni manda Orlandino Vibio per conferire
con i Priori di Foligno. |

1561-1562 — Spello — Sei lettere di Adriano Baglioni ai Priori della
Città di Foligno.









226 NOTE E DOCUMENTI

1

oo

19

Ls WIN

Q

1568 — Astorre Baglioni insinua ai Priori di Foligno di procedere con ogni
giustizia e senza alcuna clemenza per alcuni danni arrecati nel territorio
di Spello.
1577 — Torre di Andrea (Tordandrea) — Guido Baglioni si rammarica
per alcuni danni arrecati da uno di Spello in territorio folignate.

— 1558-1559 — Jacopo Vitelli si interpone per la pace tra Virgilio Polione
e Lattanzio (Leom)Bruni.

— 1670 — Il Duca Mattei ringrazia per le congratulazioni della Città di
Foligno per la nascita di un figlio maschio.

LiBro II

— 1524 — Mons. Valenti ringrazia alle congratulazioni di Foligno.

— 1529 — II Card. Guastavillani ringrazia per i doni avuti.

— 1547 — Mons. Isidoro Clario partecipa ai Priori di Foligno di essere stato
destinato a vescovo di detta città.

— 1551 — Mons. Leonello Cibo partecipa di essere stato eletto vescovo di
Civita di Penna.

— 1555 — Partecipazione da Ancona del novello Vescovo eletto per la
città di Foligno.

— 1555 — I Priori di Camerino domandano ai Priori di Foligno alcune
istruzioni per il loro governo.

— 1555 — I Priori di Camerino chiedono ai Priori di Foligno consiglio sopra
la maniera di moderare il soverchio lusso nel vestire delle donne e le
spese superflue dei funerali.

— 1556 — L'Arcivescovo di Nazaret comunica di aver raccomandato al
Governatore della città quanto richiesto dai Priori di Foligno.

— 1556 — Silvestro Aldobrandini comunica di voler proteggere e favorire
la città di Foligno in seguito a raccomandazione del Duca d’Urbino.

— 1559 — Bartolomeo degli Onofri rappresenta il cortese ricevimento avu-
to dal Pontefice Pio IV, allorché presentò le congratulazioni della città
di Foligno per la sua elezione.

— 1560 — Bartolomeo degli Onofri suggerisce di inviare un presente al Card.
Strozzi, nuovo governatore.

— 1563 — Vincenzo Bellucci, uditore del Legato, elogia il medico Antonio
Maria (sic).

— 1579 — Lettera del Card. Felice Peretti di Montalto (poi Sisto V) ai
Priori di Foligno circa il numero dei magistrati.

— 1579 — II Card. Guastavillani offre la sua opera in favore della città
per mezzo di Girolamo Giosuè.

— 1579 — Il Gard. Giustiniani ringrazia per un dono e si mostra disposto
a favorire la città di Foligno.

— 1582 — Mons. Troilo Boncompagni partecipa il suo trasferimento alla
chiesa di Foligno.

— 1586 — Il Card. Gaetani offre il suo aiuto a favore di Foligno.

— 1588 — Il Card. Guastavillani promette in due lettere la sua protezione
per la Città di Foligno.

y

ni

ca
ne

di

to

di

le

al

u-


19
20

21

26

27

28

29

30
31

32

33

36

37

38
39

40

41

42
43

NOTE E DOCUMENTI 227

1589 — Il Card. Caetani offre la sua protezione per Foligno.

1589 — Lettera di G. B. Orfini e del Card. E. Caetani per l'aiuto e prote-
zione alla città di Foligno.

1589 — Il Card. Caetani, dovendo andare ambasciatore in Francia,
lascia la protezione di Foligno al Gard. Ascanio Colonna.

1589 — Il Card. A. Colonna assume pro interim la protezione della città
di Foligno.

1597 — Il Gard. Cinzio di S. Giorgio ringrazia in nome del papa Clemente
VIII per gli scudi 5.000 offerti dalla città per la spesa dell’esercito per
recuperare Ferrara.

1598 — Il Gard. Cinzio di S. Giorgio ringrazia per le congratulazioni della
città a Clemente VIII per riconquistare Ferrara.

1599 — Il Gard. P. Aldobrandini con molta benignità riceve Foligno
sotto la sua protezione.

1621 — Il Card. L. Ludovisi ringrazia dei complimenti avuti per l’assun-
zione al Pontificato di Gregorio XV, suo zio.

1621 — Il Gard. Bevilacqua si mostra grato per la visita degli ambascia-
tori di Foligno.

1621 — Il Card. P. Aldobrandini ringrazia per essere stato nominato
protettore di Foligno. 3
1621 — Il Card. Aldobrandini promette con molta benignità di favorire
in Consulta quanto gli verrà raccomandato.

1621 — Lettera di Mons. Theodoli eletto governatore di Foligno.

1622 — Il Principe Aldobrandini ringrazia per le congratulazioni per la
nascita del suo primogenito.

1622 — Il Card. Aldobrandini promette di osservare i privilegi e gli in-
teressi della città.

1624 — Il Card. Barberini ringrazia a nome del Pontefice Urbano VIII
per le congratulazioni rivoltegli dalla città di Foligno per la esaltazione
al pontificato.

1625 — II Card. Barberini ringrazia per l'offerta di scudi 5.000 per le ne-
cessità della guerra.

1642 — Il Card. Barberini acconsente a raccomandare al Pontefice il
trasferimento di Mons. Gentili al vescovato di Foligno.

1642 — Il Card. Barberini dice di aver raccomandato al Papa Mons.
Gentili per il Vescovato di Foligno.

1645 — Mons. Giuseppe Colonna, eletto Governatore dell'Umbria, rin-
grazia alle congratulazioni della città di Foligno.

1645 — Lettera di commiato del Vescovo di Anagni ai Priori di Foligno.
1646 — Il Card. Sforza ringrazia d’essere stato eletto protettore degli
interessi della città.

1654 — Il Card. Valenti ringrazia alle congratulazioni per la sua promo-
zione.

1658 — Il Card. A. Barberini ringrazia della elezione di G. B. Bindio a
medico della città.

1663 — Il Card. Farnese ringrazia per gli auguri dei Priori di Foligno.
1663 — Mons. Bargellini, Governatore dell’Umbria, ringrazia per i sensi
di cortesia dei Magistrati di Foligno.



228

44

45

46

47

48

49

50
51

52

60

61

62

NOTE E DOCUMENTI

1664 — Il Card. Farnese interpone i suoi uffici per risolvere la vertenza

sulla formazione del Consiglio.

1665 — Il Card. Ottoboni avvisa di essersi adoperato per la conservazione
delle prerogative della città di Foligno.

1658-1665-1667 — Lettere del Card. Azzolini per assicurare il suo in-
teressamento a favore di Foligno.

1674 — Il Segretario della S. Consulta assicura la sua assistenza nella
causa della città di Foligno.

1672 — Il Card. Altieri accetta e ringrazia per essere stato eletto protet-
tore della città di Foligno.

1677 — Raffaele Marchetti assicura dell’impegno del Card. Altieri e del
Card. Azzolini per una causa della città.

1586 — Niccolò Azzolini raccomanda il Sig. Bernabeo ai Priori di Foligno
1717 — Mons. Lercari ringrazia per le congratulazioni per essere stato
eletto governatore di Perugia.

1739 — Il Card. Ruspoli accetta la protezione della città assegnatagli
per voto unanime e ringrazia.

1741 — Il Card. Acquaviva accetta la protettoria della città assegnatagli
dal Consiglio dopo la morte del Card. Ruspoli.

1773 — II Card. C. De Simone ringrazia per le congratulazioni inviategli
per la promozione al cardinalato.

1800 — Lettera di Pio VII in risposta alle congratulazioni rivoltegli
dalla città di Foligno per la sua assunzione al pontificato.

1808 — Il Segretario di Stato partecipa la soddisfazione del Pont. Pio
VII per aver Foligno più volte ricusato di formare la cosidetta Guardia
Civica.

1808 — Viviano Orfini partecipa di aver ringraziato Pio VII per la cle-
menza dimostrata alla città di Foligno « nella nota emergenza ».

1809 — Il Card. Pacca dimostra il compiacimento del Pontefice per la
fedeltà di Foligno « anche nella occasione del prossimo passato carne-
vale ».

1800 — Quattro lettere di Fulvio Valenti con i sensi di gratitudine del
Pontefice per gli auguri inviatigli da Foligno.

(sec. xix in.) — Lettera di Fulvio Valenti ai Magistrati di Foligno circa
la sosta di Pio VII in questa città.

1800 — II Card. Antonelli esprime ai Magistrati di Foligno la possibilità
di invocare da Pio VII provvedimenti per sanare l'economia locale.
1809 — Il Card. Pacca esprime i sensi di affetto del Papa alla città di
Foligno.

LiBno III

1596 — Lettera di Aurelio Ridolfi circa il ricorso dei contadini per alcuni

oneri.

1611 — Il Card. Borghese dà facoltà di inviare un ambasciatore in Roma
per la questione dell’appalto del Dannodato.

1613 — La S. Congreg. approva la provvisione dei revisori dei conti al
Camerlengo. :

red —

—HÁ Á

10

11

12
13

16
17

18
PD
20

NOTE E DOCUMENTI 229

- 1617 — Richiesta dei Priori per la spesa di mille scudi per la riparazione

del Palazzo Priorale ed approvazione della S. Congreg. del B. G.
1617 — La S. Congreg. dà facoltà di assegnare al chirurgo forestiero la
provvisione per la pigione della casa.

1623 — Approvazione del decreto del Consiglio per il divieto ai funari di
importare canapa da luoghi distanti piü di dieci miglia.

1633 - Baldassarre Salvi notifica ai Priori di Foligno l'esito del suo col-
loquio con il Govern. di Perugia per la vertenza con Spello.

1637-1651 — La S. Congreg. non vuole che la città di Foligno sia mole-
stata da Gregorio Jacobilli o da altri per i frutti del censo imposto nel 1571

.à favore della eredità di Cesare Parisio.

1655 — Il Preside della Provincia informa sulle artiglierie che furono
trasportate da Foligno in Perugia ed in Toscanella.

1657 — La S. Congreg. vuole che il Sindaco della Vescia eserciti il suo
ufficio. i

1658 — Lettera di Mons. Visconti e ricorso dei soldati per il trasporto del
sale.

1663 — La S. Congreg. vuole che si osservi lo statuto dell’arte dei funari.
1665 — La S. Congreg. vieta che la Comunità sia gravata per i beni dei
delinquenti.

1667 — Lettera della S. Congreg. circa le spese per le cause.

1667 — Il Card. Azzolini rimette all'arbitrio della Comunità la scelta
della persona cui richiedere una somma necessaria.

1668 — Il Delegato Apostolico avverte che si recherà in Foligno.

1668 — Francesco Falconieri notifica l’interesse del 2 % sulla somma di
scudi 4.466 prelevata dalla città di Foligno sul Monte di Pietà.

1668 — Le misure devono essere controllate ogni tre mesi.

1674 — Aumento del salario del Camerlengo di altri 20 scudi ogni anno.
1701 — La S. Congregaz. vieta ai magistrati di prestare consenso nelle
cause in Tribunali che non siano quelli della S. Congreg. del Buon Go-
verno. 3

1713 — La S. Consulta ordina che anche i soldati debbano assumere la
carica di sindaco dei castelli e delle ville.

1716 — Il Card. Imperiale ordina alla Comunità di non erogare il denaro
pubblico in regali ai Signori Protettori nuovi, ai Vescovi e Governatori,
a tenore della bolla di Clemente VIII.

1716 — Istanza del Castello di Roccafranca per rinnovare il catasto.
1718 — Lettera del Govern. di Perugia e del Card. Paolucci perché si
elegga il sindaco di Turri.

1738 — Disposizioni per l'alloggio di quelli che verranno incontro alla
Regina di Napoli e del suo seguito.

1741 — La S. Consulta vieta che si maceri la canapa vicino alle mura della
città.

1765 — II Card. Rezzonico precisa che il divieto per la estrazione della
seta non comprende la città e il territorio di Foligno.

1766 — La S. Consulta conferma la proibizione di tenere tetti e tavolati
sopra le porte delle botteghe dei mercanti.

1772 — Il Card. Rezzonico vieta ogni innovazione al prezzo del mosto.

»
E

=

|
|
|
|

li
|
|
|



230

30

36
37
38
39
40

41
42

44

45

46

47

48

49

50

52

NOTE E DOCUMENTI

1557 — Disposizione per il vitto a 3.000 soldati che sosteranno a S. Era-

clio. .

1593 — Il Card. Caetani conferma che gli abitanti di Sterpete e di Ma-
ceratola paghino la loro rata per l’alloggio dei soldati.

1605 — Disposizioni della S. Congreg. circa la procedura per la revoca

delle cittadinanze concesse.

1606 — Il Card. Borghese dichiara espressamente che coloro che non

abitano in città non godano in alcun modo del privilegio della cittadi-

nanza.

1606 — Il Card. Borghese ordina che tutti i contadini « creati cittadini »

che non abitano in città debbano pagare gli oneri rusticali.

1609 — II Card. Borghese ordina che i « contadini civilitati » proseguano

a pagare gli oneri soliti, senza altre aggiunte.

1625 — Il Card. Antonio Barberini dichiara che i folignati che non abi-

tano in città non godano i privilegi della cittadinanza.

1671 — Il Gard. Altieri dichiara (ecc. come sopra).

1557 — Il Commissario Apostolico affretta da Torciano il Luogotenente

delle battaglie in Foligno per la spedizione degli uomini armati contro

gli «insolenti Bettonesi ».

1555 — Mons. Roberto Monaldi scrive ai Priori circa una causa con Assisi.

1540 — Il Govern. di Perugia ordina che gli zingari non possano perma-

nere in questo territorio, ma solo transitare senza pernottare.

1541 — Lettera del Vicelegato circa il ricevimento del Pontefice.

1541 — Il Vicelegato ordina venga ospitato il Duca di Camerino con il

suo seguito.

1556-1557-1560 — Lettere di Pierangelo Cellini, di Filippo Gregori e di

Vincenzo Cibo, ambasciatori di Foligno a Roma, circa vari affari.

1568 — Lettera del Card. Alessandrini circa l'elezione di Mons. Orfini a

Vescovo di Foligno.

1573 — Il Card. Camerlengo prescrive di osservare gli antichi statuti

della città circa l'estrazione dell’olio.

1573 — Il Governatore di Perugia, per istanza dei Priori di Foligno, vieta

al Governatore locale di procedere contro i ricettatori di olio, perché la

poca quantità di olio acquistato indica previdenza per sé e non danno

al pubblico.

1585 — Lettera dello Scaramuccia circa la pretensione del conduttore

delle poste di trasportare la posta di Foligno a S. Eraclio.

1578-1579 — Due lettere del Govern. di Perugia circa le spese occorrenti

per il ponte sopra il Chiascio.

1585-1586 — Quattro lettere relative alle spese per l'alloggio e ricevi-

mento dei Principi Giapponesi.

1589 — Giustificazione di Giulio Jacobilli circa gli oneri suisuoi terreni

paludosi.

1591 — Il Card. Legato di Perugia assolve dalla scomunica Terenzio

Mansueti Camerlengo per controversie avute con Mons. Vescovo, ed esorta

la città ad accordarsi col medesimo. :

1595 — Il Commissario dichiara che l'oste della posta non provveda per

le altre osterie, ma gli sia permesso di acquistare in qualsiasi ora e giorno.

60

61

64

66 -

67

68

DN

NOTE E DOCUMENTI 231

1459 — Lettera di Giovanni Germani, segretario di Calisto III, circa la
vertenza tra Foligno e Bartolomeo da Gualdo.

1501 — Il Card. Legato di Perugia ordina di alloggiare 60 cavalieri delle
milizie di Ercole Bentivoglio, venuto per ricuperare Nocera allo Stato
Pontificio.

1501 — Lettera del Legato di Perugia per le pecore rubate da quelli di
Valtopina e per l'operato del bargello.

1598 — Il Card. di S. Giorgio dichiara di accettare metà dei 5.000 scudi
offerti dalla città di Foligno per le spese dell’esercito per la conquista di
Ferrara.

1600 — Il Card. Aldobrandini approva la permuta di case tra la città di
Foligno e gli eredi di Ottaviano Orfini.

1600 — Il Card. P. Aldobrandini permette si possano impiegare scudi
100 del pubblico denaro per ospitare i poveri pellegrini che vanno a Ro-
ma per l’anno santo.

1604 — Il Card. Aldobrandini ordina che tutte le misure dei grani si uni-
formino a quelle di Roma.

1606 — Lettera del Legato di Perugia per l'approvazione della spesa di
100 scudi l’anno come provvisione a un chirurgo forestiero.

1606 — Il Card. Legato di Perugia approva la risoluzione del Consiglio
che i mercanti, dando merce a credito, facciano sottoscrivere i debitori
a pié della partita.

1610 — Il Card. Borghese approva la risoluzione del Consiglio: che si
diano scudi 50 di provvisione ad un lettore pubblico d'Instituta.

1611 — Il Card. Borghese prescrive che il Depositario del Monte di Pietà
debba restare in carica per tre anni, con il rendiconto per ogni anno di
amministrazione.

1644 — Il Card. Barberini ordina che non si spediscano ambasciatori
dalle comunità, ma che queste si servano degli agenti e cittadini che
hanno nella corte vaticana.

1638 — Il Card. Barberini ordina che venga saldato il: debito della co-
munità a Donato Fontana e Natale Selva per il loro lavoro nel palazzo.
1643 — Il Card. Barberini autorizza altri 3000 scudi di spese straordi-
narie.

1643 — Facoltà d’inviare in Roma un agente per trattare i pubblici af-
fari. ;
1588 — Fascicolo con informazioni diverse sopra le gabelle per il maci-
nato e la panetteria.

CREDENZINO XII - Lisro I

(sec. xvirr) — Copia di vari atti del 1509 relativi ad una causa per il
Molino di Mazzante vertente tra i Marchesi Vitelleschi e la mensa vesco-
vile.

1727 — Sei copie di un fascicolo a stampa relativo alla causa per l'omi-
cidio commesso, nel tempo della fiera dei Soprastanti, da Giacomo Pa-
dovani di Scopoli in persona di Bernardino Adriani.



232 NOTE E DOCUMENTI |

3 — 1727 — Quattro copie di un fascicolo a stampa relativo alla causa per
l'omicidio commesso durante la fiera dei Soprastanti da Nicoló d'Ago-
stino in persona di Nicoló di Vincenzo nella frazione di Vescia.

4 — 1727 — Fascicolo a stampa con il sommario di alcune cause giudicate
dai Presidenti della Fiera dal 1587 al 1720. )

9 — 1727 — Fascicolo a stampa relativo alla causa contro Francesco Storti, i
reo di omicidio in tempo di fiera in persona di Giov. Batt. Cotogni. T

6 — 1754 — Fascicolo a stampa con i capitoli dello statuto di Foligno e i pri-
vilegi relativi all'autorità dei Presidenti della Fiera nel giudicare le cause.

7 — 1754 — Copia a stampa di un atto notarile relativo alla località detta
«il Pianillo » nei pressi di Colfiorito.

8 — 1732 — Gopia a stampa di un atto notarile relativo alla eredità di Ales- j
sandro Guaschi e di Costantina Martelli sua moglie. |



=

ge













TE

Tren

=



ge

RECENSIONI

F. CANUTI, Documenti per la vita e per il culto del B. Giacomo Villa di Città
della Pieve — Proposto a patrono degli avvocati d'Italia. Perugia, Donnini,
1952, pagg. 51.

Quanti, e non sono pochi, fra i conoscitori di storia umbra e dell’arte no-

stra seguono l'infaticabile attività di Mons. Canuti, non possono non accoglie-
re con simpatia questo nuovo scritto di lui. 1

Con esso il Canuti riprende e completa un suo giovanile lavoro su lo stesso
Beato Villa, pubblicato una cinquantina di anni fa, entrambi segno di quel-
l’affetto che lo legano alla sua terra, Città della Pieve.

Dalla «leggenda » del Beato, che l’Autore ricostruisce e pubblica inte-
gralmente, dopo essersi mosso fra le pieghe, non sempre agevoli, di antiche
redazioni di ispirazione francescana e servita, sappiamo che il Beato visse
nel secolo xIII, che fu uomo benefico specie verso i malati, che per costringere
un potente di Chiusi a render dei beni che aveva usurpati ad una pia istitu-
zione provocò e vinse una lunga azione giudiziaria, e che, per vendetta, fu uc-
ciso attorno all’anno 1304. Si discute se il Beato appartenne a qualche ordine
religioso; sembra se ne contendano l’appartenenza i francescani edi serviti;
una antica pittura lo rappresenta, però, coni distintivi francescano, servita e
degli oblati di S. M. della Scala. Il popolo pievese memore della beneficenza
fatta in vita dal Villa e delle grazie e miracoli distribuiti dopo morte lo chiamò
e lo chiama ancora l'Elemosiniero. E. in fondo una tenue vicenda, accompa-
gnata da qualche documento sulla storia del culto reso al Beato, non priva di
interesse, che nel rifiorire di studi sul formarsi e trasformarsi della pietà
religiosa in Italia, non va perduta di vista.

Nella prefazione, come avverte del resto il sottotitolo del libretto, è for-
mulata la proposta di fare del Villa un patrono degli avvocati d’Italia. Pro-
posta assai singolare, cui però la fama ormai consolidata di S. Ivo come celeste
avvocato dei suoi colleghi terreni, offre poche probabilità di successo, tante
più che l’Autore presenta la sua proposta come dettata soltanto dalla preoccu-
pazione di sostituire, per i nostri avvocati, un santo italiano ad uno francese.

LEoPotDo SANDRI

PrETRO SELLA, Rationes decimarum Italiae .nei secoli XIII-XIV - Umbria.
Vol. I, Testo, pagg. 916; Vol. II, Indice e Carta Geografica delle Diocesi,
pagg. 214 e carta geografica 1 : 250.000 (Collezione Studi e Testi, nn.
161 e 162). Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, 1952.

Delle fonti per la storia dell'Umbria edite in questi ultimi anni, poche in-
vero, è questa senza dubbio di gran lunga la più importante, nè è possibile far
paragoni. Se lo si volesse, per rimanere nel campo delle fonti per la storia eco-













234 RECENSIONI

nomica, si dovrebbe risalire alle pubblicazioni dei Registri della Tesoreria Apo-
stolica di Perugia e Umbria di L. Fumi o altre dello stesso autore; ma sono la-
vori senza dubbio ancora utilissimi, ma troppo discussi nel metodo, perché
possano essere presi come termine di raffronto. Per rimanere nell'ultimo decen-
nio si dovrebbe parlare di quel Glossario Latino-Italiano, ove sono raccolte
voci latine di significato particolare diverso da quello reso normalmente dai glos-
sari piü noti, compilato per fornire una guida sicura ai lettori di documenti
medioevali redatti iri località dello Stato della Chiesa, e che è quindi un sussidio
ma anche una fonte per la interpretazione delle carte umbre, poiché nella sua
compilazione è stato tenuto presente e vagliato quanto in materia si conosce
di edito; ma questa è anche fatica di Pietro Sella (Glossario Latino-Italiano ;
Stato della Chiesa - Veneto e Abruzzi (Studi e Testi, n. 109, Città del Vaticano
Biblioteca Apostolica, 1944, pag. 686) e può essere considerata come premessa
alla migliore lettura ed interpretazione della gran mole di documenti e di noti-
zie che nelle Rationes Decimarum vengono offerti agli studiosi.

I volumi interessanti l'Umbria sono stati editi con gli stessi criteri tenuti
presenti nella edizione dei volumi già pubblicati e riguardanti le Rationes
Decimarum di altre regioni d’Italia, come pure con le norme già esperimentate,
sono stati compilati gli indici; è pertanto, data la notorietà della serie, su-
perfluo parlare qui dei criteri scientifici e tecnici con i quali la pubblicazione
è stata condotta.

Occorre, però, ricordare che in questo volume come negli altri della serie
del resto, essendo questo l’assunto base, ma anche il limite della pubblica-
zione, sono edite le decime dell'Umbria contenute nei codici dell'Archivio
Vaticano.

Questi codici contengono la registrazione dei conti resi dai tesorieri, col-
lettori, procuratori o subcollettori incaricati della riscossione delle decime nel-
l'Umbria; conti che se nella maggior parte dei casi si riferiscono agli introiti,
comprendono anche talvolta l’indicazione delle spese per le operazioni di esa-
zione e registrazione delle relative contabilità. Gli anni ai quali queste regi-
strazioni si riferiscono vanno dal 1275 al 1349; non di tutte però le diocesi qui
prese in considerazione figurano i computa per gli anni che vanno fra quelle
due date estreme, in quanto le lacune, oltre a rappresentare possibili dispersioni
dei documenti base dai quali furono tratte le registrazioni stesse, vanno rife-
rite ai metodi e periodi di riscossioni, nonché a particolari vicende territoriali
e politiche delle singole diocesi.

La ripartizione territoriale dell'Umbria ai fini della riscossione delle de-
cime si articolava sulle circoscrizioni ecclesiastiche, diocesi, e nell’interno di
queste, normalmente, nelle pievi, e queste, a loro volta, nelle chiese e monaste-
ri. Le diocesi sono quattordici, e precisamente Città di Castello, Massa Trabaria,
Perugia, Gubbio, Assisi, Nocera Umbra, Foligno, Spoleto, Rieti, Terni, Narni,
Amelia, Todi, Orvieto. Nella carta geografica annessa al II volume, apposite
colorazioni indicano i confini antichi ed i moderni delle diocesi; a questo fine
di particolare interesse è quanto si riferisce alla diocesi di Massa Trabaria,
oggi assorbita da altre e sparita come nome, e che allora aveva nella propria
giurisdizione le pievi di Macerata Feltria, Carpegna, Pieve-vecchia, Selvanera,
Mercatello, S. Angelo in Vado, Pieve dei Graticcioli, etc. Le registrazioni di
pagamenti effettuati superano le 12.000. Se si pensa che in ogni registrazione

> -—

RECENSIONI 235

figurano il nome della Chiesa e del titolare che fa il versamento, la somma da
lui corrisposta, a volte anche i nomi dei testimoni che assistono alle operazioni
di riscossione, quello del notaio che effettua le scritturazioni o le autentica, si
avrà una idea del gran numero di notizie che è possibile ricavare da questi do-
cumenti, e come volendo sarebbe possibile ricostruire i quadri uno ad uno, par-
rocchia per parrocchia, di quella che era allora, non tanto nelle sedi vescovili,
perché molte fonti aiutano in questo campo, quanto nei piccoli centri rurali
o nelle parrocchie cittadine, la gerarchia ecclesiastica ed il potenziale econo-
mico attribuito od attribuibile a ciascuna di quelle.

Alla compilazione di questi quadri aiutano, dunque, le registrazioni qui
pubblicate. ‘

Queste si riferiscono alle decime pagate nelle singole diocesi negli anni
seguenti: Città di Castello: 1349; Massa Trabaria: 1297; Perugia: 1332-1334;

.Gubbio: 1295-1296; Assisi: 1333-1334; Nocera- Umbra: 1333-1334; Foligno:

1333-1334; Spoleto: 1333-1334; Rieti: 1327; Terni: 1275-1280; Narni: 1275-
1280, 1297; Amelia 1275-1279, 1297; Todi 1275-1280, 1299-1302; Orvieto:
1275-1280, 1297.

La pubblicazione delle Rationes decimarum della Tuscia (vol. 58 della
collezione Studi e Testi), del-Latium (vol. 128 della stessa collezione, questo
a cura di G. Battelli) della Marchia (vol. 148) aiutano a completare, per le zone
di confine, quanto territorialmente puó interessare la regione umbra, o la storia
delle sue città più vive; si pensi, ad esempio, al territorio controllato politica-
mente da Orvieto ed ai sempre mobili confini con le città Toscane.

Certo il quadro sarebbe riuscito più completo se il volume avesse contenuto
anche la segnalazione dei codici più importanti non conservati nell’Archivio
Vaticano e contenenti conti di esazioni di decime riferentesi alle diocesi e ter-
ritori Umbri; ma ritengo che la vastità della ricerca abbia consigliato di omet-
tere questo importante completamento.

Tale lacuna del resto potrebbe essere facilmente eliminata, o perlomeno
ridotta, dallo sforzo e dalla buona volontà degli studiosi di storia Umbra, solo
che segnalassero per esempio alla Deputazione di Storia Patria, che ne darebbe
notizia sul Bollettino, i codici di tal natura venuti o che venissero a loro cono-
scenza. Ma su questo argomento, che è poi quello della raccolta sistematica in
genere di notizie informative sulle fonti edite ed inedite per la storia della re-
gione, si dovrà pur ritornare in sede diversa dalla segnalazione di un’opera che,
con la dovizia della documentazione da essa desumibile, dimostra tuttavia la
necessità ed utilità del centro di raccolta proposto.

Un indice ricchissimo dei nomi di persona e di luogo desumibili dall’opera
del Sella, così ampio da costituire da solo un volume, aiuta nelle ricerche;
e perché la sua consultazione sia quanto mai facile e spedita, appositi ca-
ratteri tipografici indicano i nomi di luogo oggi non più vivi o dei quali si
ignora il corrispondente moderno, quelli fra i nomi di luogo che ancor oggi con-
servano la grafia e la forma che hanno nei documenti qui pubblicati, quelli,
infine, puramente moderni nella forma e nella grafia.

La carta geografica, chiarissima, dà l'Umbria, con le sue circoscrizioni
ecclesiastiche, chiese, monasteri, quale era nel secolo xiv; l'eventuale studioso
è messo così in condizione di potere rapidamente consultare ed interpretare
ai fini di sue ricerche questa fonte.



236 RECENSIONI

Il protagonista di questi documenti e quindi della storia che da essi è pos-
sibile ricavare é, in via principale, il fedele che paga le sue decime ordinarie e
straordinarie al prete della sua chiesa, la tassazione della quale era appunto
commisurata al numero ed alle possibilità economiche del suo gregge, oltreché
agli altri possibili cespiti delle mense vescovili, capitoli, chiese, monasteri: è,
in fondo, tutto il sistema economico di una regione che si svela e si offre agli
occhi dell’indagatore, per non parlare ad esempio delle ricerche di carattere
geografico e genealogico. In un momento in cui l’indirizzo degli studiosi storici
è teso alla ricerca dei documenti che permettano una ricostruzione economico-
sociale delle vicende passate, questo lavoro del Sella è quanto mai utile e pre-
zioso, e poiché egli va pubblicando le rationes decimarum di tutte le regioni di
Italia, l’opera acquista maggior pregio per la sua vastità e per la completezza
del quadro che viene così a comporsi.

LEOPOLDO SANDRI

UMBERTO CALZONI, Umbria Paesana (nella Collana Poeti d’Oggi). Gastaldi
Editore, (Milano, 1952).

Ci sono sue modi per rappresentare con evidenza e verità la vita tradizio-
nale popolare. Il primo, rigidamente scientifico, precede con perfezionati me-
todi alla ricerca sistematica e alla documentazione precisa per mezzo di questio-
nari, di inchieste, di fotografie, di registrazioni, ecc.

Il secondo, invece, non si pone di fronte al mondo paesano in un’osserva-
zione oggettiva e distaccata, ma lo interpreta attraverso una spontanea intro-
spezione e, vorrei dire, autoconfessione. Avviene in questo caso che il paese (0
la regione) parla con la voce di uno dei suoi figli: si rivela attraverso un « infor-
matore » d'eccezione che attinge dal di dentro e che negli affetti, nei ricordi, in
tutta la sua psicologia si è sempre nutrito della tradizione, l’ha vissuta.

È facile allora che questa confessione, questa interpretazione del proprio
paese che sorge ex imo corde, si esprima in poesia. Più frequentemente ciò av-
viene con la poesia dialettale, in quanto il dialetto appare come il mezzo espres-
sivo più aderente a quel mondo che si vuol far rivivere. Ma lo stesso tono minore
— per usare la terminologia crociana — può bene trovare la sua perfetta forma
anche nella poesia in lingua. E una prova convincente ce ne offre il gustoso li-
bretto di versi che Umberto Calzoni ha pubblicato col titolo « Umbria Paesana ».

Si tratta di una sessantina di poesie ciascuna delle quali svolge un motivo
di vita paesana tradizionale: usanze, credenze, leggende, motti e proverbi a cui
fa sempre da sfondo la vasta campagna umbra, o il piccolo paese animato da
macchiette e da tipi originali, ultimi testimoni di un mondo ormai scomparso.

Ogni tema è racchiuso dentro la misura precisa di dodici versi, con una
struttura metrica che è qualcosa di più di un semplice strambotto, ma qualche
cosa di meno impegnativo che il classico sonetto; tre quartine di endecasillabi,
quasi sempre a rima alternata, sì che il discorso vi si può stendere con la sempli-
cità propria di quello spirito paesano che il poeta vuole evocare.

E chi s’intende di poesia sa quanto sia difficile raggiungere una tale sempli-
cità.

Nel suo insieme questa galleria di quadretti dipinti a tocchi rapidi e sicuri,

—— 2

—— —

A



RECENSIONI 237

riesce a creare tutto un mondo: il mondo campagnolo e paesano umbro. Si con-
ceda a un folklorista che ha dedicato particolare attenzione al folklore dell' Um-
bria — com'é chi scrive queste brevi note — affermare che tale mondo è visto e
reso con piena verità: non solo, ma talvolta vi si rivelano aspetti ignorati di
vita e di psicologia popolare che sfuggono anche ai più attenti ricercatori. Il vo-
lumetto, ha dunque un valore, oltre che poetico, documentario: tanto più che

l’autore, il quale non tiene per nulla ad appartenere alla folta schiera dei lirici -

ermetici, non trascura di offrire a pié d’ogni pagina, quelle notizie che servano
a meglio far comprendere gli elementi folkloristici di cui la poesia è intessuta.
Abbiamo così precise conferme e preziose varianti di molte tradizioni che forma-
rono già oggetto di ricerca e di comparazione da parte di studiosi specialisti; il
valore della testimonianza offerta dal Calzoni è dovuto anche alla icastica evi-
denza con cui egli sa rappresentare e ambientare il suo mondo paesano. Per
esempio, esiste un ottimo studio storico-comparativo che un eminente glotto-
logo e folklorista Giuseppe Vidossi, ha pubblicato in Lares (a. III, N. 1) sul
presagio delle calende, cioè sull’uso di trarre l’oroscopo del tempo che farà per
tutto l’anno dal comportamento metereologico dei primi dodici giorni. Il Vi-
dossi ha esteso la ricerca a tutte le regioni italiane e anche a tutte le principali
nazioni d’Europa. Ma, evidentemente, per l'Umbria gli mancavano i dati poi-
ché egli passa, nella sua diligentissima rassegna dalla Toscana all’Abruzzo.
Or ecco che noi possiamo riempire il vuoto con questi versi del Calzoni:

LE DODICI CIPOLLE

Prendi a fin d’anno dodici cipolle,
mettici sopra un pizzico di sale,

ma che sia ben asciutto e non sia molle
se no l’esperimento non ti uale.

A ciascuna cipolla il nome dai

d’uno dei mesi che compongon l’anno ;
e una notte così le lascerai

per vedere lo scherzo che faranno.

Se il sal si scioglierà, piovoso il mese,
se il contrario, godrai di tempo bello :
e disse sempre il vero al mio paese.
Me l’ha insegnato un gobbo di Castello.

Così pure, è noto il bel lavoro, che uno dei più insigni etnologi umbri,
Giuseppe Bellucci, pubblicò su «La grandine nell'Umbria » (Perugia, 1903). Or-
bene, in due delle poesie del Calzoni il motivo ispiratore è tratto da usi e creden-
ze intorno alla grandine. Come, del resto, in molte altre regioni, anche in Um-
bria « per allontanare la grandine si usa come estremo rimedio di gettar via la
catena con cui è appeso il caldaio sul focolare »; e col ricordo di questa usanza
si chiude « La grandinata », mentre ne « La saetta » il tema centrale è offerto
dalle « pietre del fulmine », che, come è noto, sono punte di freccie dell’epoca
neolitica, ritenute dal popolo come residuati dello scoppio della saetta: negli
ex voto dipinti in ceramica che decorano le pareti del santuario della Madonna



AA



238 RECENSIONI

della Quercia a Deruta se ne vedono delle raffigurazioni precise e interessantis-
sime.

Ma non è possibile indicare anche solo sommariamente tutta la materia
folkloristica che forma il fondo ispiratore delle poesie del Calzoni: tutto il ciclo
della vita umana, dalle voglie del periodo della gravidanza al battesimo e al
suono delle campane a festa per il bimbo morto, e tutto il ciclo delle feste dal
Natale alla Pasqua, e tutto il mondo delle superstizioni e delle ubbie, dalle cre-
denze sul malocchio, a quelle sulle streghe, sui sogni, sui tesori nascosti, rivive
negli schietti versi di questa « Umbria paesana », talora con accenti e tratti di
una vivezza che rivela nell’autore autentiche doti di poeta. Ricercare questi
valori poetici nel libretto del Calzoni è compito che non spetta a un folklorista:
ma voglio pur dire che durante la lettura m’è avvenuto più d’una volta di sof-
fermarmi a riascoltare un verso, una quartina, un’intera lirica non più per ri-
levarne il contenuto, ma per godermi la bellezza del linguaggio, la vivezza del
colore, e il felice taglio delle scene. Ecco la prima e l’ultima quartina de «le
streghe »:

Le streghe avean preso a dar la baia
a un certo contadin di Casalalta :
radunava la pula in mezzo all’aia
e la mattina la trovava spalta...

.. mentre stolzava allegra la fiammata,
eccoti una lunghissima bussata :
era la strega che sentia bruciarsi
e veniva pentita a inginocchiarsi.

Se noi ci domandiamo che cosa sia che dà vivezza ed espressività a questi
versi riconosciamo che molto è dovuto alla genuinità del linguaggio: quella
pula spalta, quella fiammata che stolza, nel loro sapor dialettale, raggiungono
l’effetto con un sintetismo lirico spontaneo.

Un sorriso interiore, discreto e bonario scorre quasi senza farsi avvertire in
gran parte di queste poesie: e corrisponde a quell’umorismo semplice e schietto
che è così frequente nella comune conversazione dei contadini e dei paesani.
Ma talvolta la poesia si eleva e si raccoglie in visioni delicate e soffuse di intimo
sentimento come in questi versi:

Sul candor della neve dicembrina
nereggiavan le croci allineate

al pari di libellule posate

sopra un letto di bianca mussolina.

Qui il folklorista e il poeta cedono il posto al pittore: non per nulla siamo
nella terra dove fiorì la grande scuola umbra.

Paoro ToscHI

—— e

INDICE DEL VOLUME

. SALVATORELLI, La politica interna di Perugia in un poemetto vol-
garesdella-:imetà del, percento:
c

G. ABATE, Nuovi studi sull'ubicazione della Casa Paterna di S. Chia-

Puhd-AseDa va eo ai

Note e Documenti

F. SANTI, Statuto e Matricola dell’ Arte degli Orefici di Perugia » 40
F. BALDACCINI, Regesto dell’ Archivio delle Sei Chiavi a Foligno . 25 dS

Recensioni

CANurI, Documenti per la vita e per il culto del B. Giacomo Villa di

QuidasdellaeDIoUP (D SANDRI) va Roc coU ErHUEN o pE 2939

P. SELLA, Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII-XIV-Umbria
(I SANDRLI)eu aa e UM 233
(TGAZZONI, Umbria Paesana:; (P. PlOoSCHYL) 9 tassi ).7 2206

AU



Direttore Responsabile: AcHiLLE BERTINI CALOSSO







ENTI IU US MIU RE REUS EURO