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BOLLETTINO

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DEPUTAZIONE DI STORIA PATRIA
PER L UMBRIA

VOLUME LVII

PERUGIA - 1960
VOLUME LVII
- 1960

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DEPUTAZIONE DI STORIA PATRIA
S. P. A. ARTI GRAFICHE PANETTO & PETRELLI — SPOLETO d

Nel bimillenario

IL “BELLUM PERUSINUM ,,

Nella lunga e fortunosa vicenda che vide il giovane C. Ottavio
innalzarsi dalla mediocre condizione delle sue origini equestri sino
ai fastigi della consacrazione a principe dell’impero (Imperator Cae-
sar, divi filius, Augustus) un posto di particolare rilievo occupa la
«guerra di Perugia ». A chi ne riconsideri — nella ricorrenza del bi-
millenario — le premesse e gli sviluppi, essa sembra quasi assumere
un valore paradigmatico per le teorie degli storici antichi che con-
cepirono il corso degli eventi retto da una Forza sovrumana (come
il Fato) oppure abbandonato in balìa del Caso. E quindi si può anche
in certa misura comprendere (non giustificare) la posizione di quegli
studiosi che si son lasciati prendere dalla tentazione di fantasticare
su quelle che sarebbero potute essere le sorti dell'impero di Roma se
diverso fosse stato l’esito del bellum Perusinum. Ma oggetto della
storia non è ciò che sarebbe potuto accadere e non accadde, bensì
«la verità delle cose accadute » come avrebbe detto Tucidide; e allo
storico spetta in primo luogo di cercare e di esporre, interpretandola,
tale « verità ».

Quanto mai complessa ed irta di pericoli era la situazione che
il ventiduenne pronipote di Cesare (ora suo figlio adottivo, col nome
di C. Giulio Cesare Ottaviano) si trovò ad affrontare al suo ritorno
in Italia dopo le giornate di Filippi; e quando essa sboccò nella guer-
ra nessuno, neppure l'osservatore più ottimista, avrebbe potuto ra-
gionevolmente prevedere che egli ne sarebbe uscito non solo indenne,
ma anche notevolmente rafforzato. (!)

Disfatte nelle due battaglie di Filippi (ott. 42) le forze degli an-
ticesariani ed eliminati in gran parte i loro duci, Antonio e Ottavia-
no si erano anzitutto accordati circa una nuova ripartizione delle
province a spese dell'altro triumviro, l'assente Emilio Lepido, e quin-
di avevano raggiunto un'intesa circa la sistemazione dei veterani,
cioé degli uomini che, compiuto il periodo di servizio, dovevano es-
sere congedati. Era questo il problema piü grave e pressante: An-
tonio, che restava in Oriente, -s'incaricó di raccogliervi le ingenti
6 GIOVANNI VITUCCI

somme necessarie per il pagamento dei premi in denaro mentre Ot-
taviano avrebbe provveduto all’assegnazione di terre in Italia to-
gliendole, secondo le promesse fatte a suo tempo, a diciotto fra le
città più ricche. Quivi, trasformati in coloni, i veterani avrebbero
vegliato sulla conservazione del nuovo ordine rivoluzionario e sulle
fortune dei loro condottieri. Ma si trattava da un lato di sistemare
circa 200.000 uomini, dall’altro di sottoporre a confisca i vecchi
proprietari, dato che della possibilità di offrire un indennizzo non
era nemmeno il caso di parlare, ed è poco dire che la situazione si
fece ben presto rovente.

Orazio, Virgilio, Properzio, Tibullo ci hanno conservato, com'é
noto, l'eco dell'opposizione della media e piccola borghesia che, as-
soggettata all’espropriazione, portò a Roma le sue proteste e le sue
querimonie mescolandole a quelle degli strati più bassi della plebs
urbana, scontenti del potere tirannico dei triumviri e sempre pronti
a pescare nel torbido. Così Roma e l’Italia caddero in preda al caos
e alla violenza: si arrivò a veri e propri scontri fra militari e civili,
gli uni insaziabili nelle pretese, gli altri fermamente decisi a difen-
dere il patrimonio. Ottaviano, che impersonava il dispotico regime
militaresco del triumvirato, subì il contraccolpo della grave situa-
zione, e mentre vedeva deteriorarsi la disciplina degli uomini in armi
si attirava l’ostilità di regioni prospere e civili quali l'Umbria, l'E-
truria e la Sabina che non volevano — come altre volte era toccato
all’Italia — far le spese dei contrasti tra le fazioni di Roma e delle
guerre civili che n’erano scaturite.

A questo, poi, si aggiunse che Fulvia, la facinorosa moglie di
M. Antonio, e suo cognato L. Antonio, che in quell’anno 41 a. C.
rivestiva il consolato, gelosi del favore che Ottaviano si andava
guadagnando presso i veterani, si adoperarono dapprima perché
l'assegnazione delle terre fosse rinviata al ritorno dall'Oriente di
M. Antonio; poi, pressati dall'impazienza dei veterani, pretesero di
regolare essi stessi la concessione dei benefici a coloro che avevano
militato sotto Antonio.

Ottaviano cercó invano, sulle prime, di eliminare questa nuova
difficoltà facendo qualche concessione alle richieste degli esponenti
antoniani; la tensione, anzi, si aggravó quando il console L. Antonio
non esitó a imboccare un'equivoca politica di compromesso mostran-
do di porgere benevolo ascolto alle proteste degli espropriati e quin-
di atteggiandosi — egli, il fratello del triumviro — a rivendicatore
delle antiche libertà repubblicane conculcate dall'oppressione trium-

—— IL «* BELLUM PERUSINUM » 7

virale. In tal modo Ottaviano rischiava di soccombere di fronte a
una simile coalizione delle forze repubblicane con una parte dei ce-
sariani, vale a dire di tutti quelli che sulla scia di Fulvia e del con-
sole Lucio ritenevano di dover tutelare gl’interessi dell’assente M.
Antonio. Falliti due tentativi di conciliazione, promossi il primo da
qualcuno degli ufficiali più autorevoli dell'una e dell'altra parte,
il secondo da Ottaviano che aveva sollecitato la mediazione del
senato, la parola rimase ancora una volta alle armi.

Le forze di cui disponevano i due contendenti erano cospicue.
Ottaviano, che aveva al suo fianco il valente Vipsanio Agrippa con
una certa aliquota di truppe scelte e poteva contare su quattro le-
gioni di veterani stanziate in Capua, si affrettò a richiamare le sei
legioni inviate al comando di Salvidieno Rufo a prendere possesso
della Spagna. Lucio aveva ai suoi ordini sei legioni, che aveva ar-
ruolato come console, e poteva inoltre fare affidamento su numerose
legioni di stanza nella Gallia Cisalpina, di cui sette al comando di
Asinio Pollione e altre al comando di Ventidio Basso, due dei gene-
rali più eminenti di parte antoniana. Così non solo il rapporto delle
forze di terra era sfavorevole ad Ottaviano, ma contro di lui agi-
vano anche, sia pure indirettamente, le flotte della repubblica e
quelle di Sesto Pompeo che impedivano il normale afflusso delle gra-
naglie nei porti della penisola e peggioravano la situazione generale
con la minaccia della carestia.

Aperte le ostilità, sembra che Lucio si mettesse in moto verso il
nord per intercettare le legioni di Salvidieno, il quale discendeva se-
guito a una certa distanza dalle forze di Pollione e di Basso; questi
peraltro non s'impegnarono in un'azione decisiva sia perché divisi da
scambievole rivalità sia perché poco convinti delle buone ragioni di
Lucio nel provocare il conflitto e per di più all’oscuro sull’opinione di
M. Antonio a tale riguardo. Asinio Pollione, poi, sembra si preoccupasse
soprattutto di tener la guerra lontana dalla Cisalpina, che egli con-
‘siderava come un suo feudo personale. Agrippa, partito a sua volta
incontro a Salvidieno, riuscì a congiungere con lui i suoi uomini e
allora Lucio, temendo un attacco combinato, si accampò nei pressi
di Perugia in attesa dell’arrivo di Pollione e di Basso. Ma i due con-
tinuavano a muoversi con la stessa indecisione e Lucio, vedendosi
ormai stretto da Ottaviano, Salvidieno e Agrippa, e disperando di
poter resistere ai loro agguerriti veterani con le sue truppe, che in
massima erano composte di reclute, decise di ritirarsi al riparo delle
alte mura di Perugia. Fiducioso nel prossimo arrivo dei soccorsi,
8 GIOVANNI VITUCCI

egli aveva però trascurato di raccogliervi anche le vettovaglie ne-
cessarie, e la situazione non tardò a farsi difficile quando Ottaviano
circondò la città con una cinta di opere fortificate che nella parte
orientale si protendevano fino alle rive del Tevere e impedivano
l’arrivo di ogni rifornimento. Pressati dagli appelli di Fulvia, Pol-
lione e Ventidio Basso si decisero ad avvicinarsi alla città come per
tentarne lo sblocco; ma bastò che Ottaviano e Agrippa — senza in-
terrompere le operazioni di assedio — si facessero loro incontro per
indurli a una prudente ritirata, l'uno a Ravenna e l'altro a Rimini.

Con cautela anche maggiore operò Munazio Planco, un altro dei
generali di parte antoniana sollecitato da Fulvia, il quale, pur aven-
do avuto uno scontro vittorioso con una legione nemica, finì col rin-
chiudersi a Spoleto. Ottaviano fu così libero di ricondurre tutte le
sue forze sotto le mura di Perugia e, per garantirsi da eventuali mi-
nacce, cinse tutt’intorno la linea precedentemente apprestata con
una nuova linea di fortificazioni destinate a difendere gli assedianti
da un attacco esterno. La città venne stretta in una morsa che ri-
cordava il formidabile assedio di Alesia, ove dieci anni prima Giulio
Cesare aveva concluso il suo duello con Vercingetorige, e la fame che
allora si pati entro le sue mura diventó proverbiale (la Perusina
fames di Lucano, I 41). Vani riuscirono numerosi tentativi di sor-
tita, compreso quello che gli assediati fecero nella notte dell'ultimo
dell'anno 41 sperando di trovare piü rilassata la vigilanza degli av-
versari. (?) Unica speranza di salvezza restava il soccorso dall'esterno,
ma Asinio Pollione, Ventidio Basso e Munazio Planco, pur essen-
dosi infine decisi a congiungere le loro forze, non intrapresero alcuna
azione con la necessaria energia e si fecero rinchiudere in Foligno da
Vipsanio Agrippa. Li dividevano, come s'é visto, vecchi e sempre
nuovi motivi di rancore e di gelosia; li rendeva incerti il silenzio di
M. Antonio che, pur informato della gravità della situazione in Ita-
lia, non aveva ancora chiarito il suo atteggiamento, ma piü di ogni
altra cosa, é da credere, li trattenevano gli umori delle loro milizie,
poco propense ad impegnarsi in una guerra che poteva sembrare a
sostegno dell'equivoca politica «legalitaria » di L. Antonio e degl'in-
teressi della borghesia italica e che, comunque, ritardava l'assegna-
zione delle terre ai veterani.

E allora il bellum Perusinum precipitó verso l'ormai inevitabile
conclusione. Dopo un ultimo disperato tentativo di sortita, gli asse-
diati si rassegnarono alla capitolazione e le trattative poterono con-
cludersi rapidamente anche perché Ottaviano ebbe cura di far in-

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IL ‘BELLUM PERUSINUM » 9

tendere a Lucio Antonio che non avrebbe infierito contro la sua per-
sona. All'alba di uno degli ultimi giorni di febbraio dell'anno 40 le
truppe sconfitte cominciarono a defluire attraverso le porte della
città mentre Ottaviano, compiuti i prescritti sacrifici rituali, coro-
nato con l'alloro del generale vittorioso e assiso sull'alto scanno del
suo íribunal, si apprestava a riceverne la resa. Ordinato che tutti
deponessero le armi, i veterani di M. Antonio furono chiamati fuori
dai ranghi per appressarsi all’imperator e ascoltarne la parola, ma
a questo punto i loro vecchi commilitoni, che erano schierati attorno
al vincitore, corsero ad abbracciarli con cameratesca effusione e
impetrarono che fossero perdonati. E nell'insieme pare che Ottaviano
usasse una relativa clemenza verso i vinti, anche se non risparmió
nessuno dei suoi numerosi nemici personali, cosa consueta, del re-
sto, nella bufera delle guerre civili. I cenni riferiti da Svetonio sulla
insaziabile crudeltà che egli avrebbe dimostrato in questa occasione
sembrano il riflesso di una versione scopertamente avversa e tenden-
ziosa, e ugualmente esagerata — almeno nei particolari — sembra
la storia dei trecento senatori e cavalieri che alcuni giorni dopo,
nel quarto anniversario delle Idi di Marzo, sarebbero stati sgozzati
come vittime sacrificali dinanzi a un altare consacrato al divo Giu-
lio (le arae Perusinae di Seneca, de clem. I 11, 1).

I danni peggiori, com'era facilmente prevedibile, furono per i
Perusini che già avevano certamente sofferto assai più delle truppe
che si erano asserragliate nelle loro mura; fra l'altro furono passati
per le armi tutti i membri del senato cittadino, una punizione se-
verissima dalla quale parrebbe di poter ricavare che i ceti di governo
del municipio (come in altre città) si erano dati con impegno a so-
stenere la politica apparentemente « legalitaria » e antirivoluzionaria
del console.

Indenni uscirono invece dalla rischiosa avventura sia L. An-
tonio sia Fulvia, sebbene portassero la responsabilità di una guerra
che avrebbe potuto avere gli sviluppi più pregiudizievoli per quella
politica tutta personale che Ottaviano aveva abilmente saputo in-
traprendere fin dal suo primo affacciarsi sulla scena delle lotte civili.
Ma non era nemmeno da pensare che Ottaviano allora potesse — o,
piuttosto, volesse — entrare in contrasto con M. Antonio infierendo
sul fratello o sulla moglie. Ció che in quel momento importava era
proprio di opporsi con assoluta fermezza ad ogni manovra contro
la distribuzione delle terre ai veterani. Si trattava di realizzare uno
dei punti principali del programma per il rafforzamento di quella
. 10 GIOVANNI VITUCCI

potestà triumvirale che per intanto restava alla base della sua azione
politica, e nello stesso tempo si trattava di preservare e consolidare
il proprio prestigio personale. In attesa che altre opportunità ma-
turassero, di questo Ottaviano fu pago; e in fondo la validità di una
tale visione realistica fu avvertita dallo stesso M. Antonio che la
fece propria sia con l'astenersi da qualunque forma d'intervento nel-
la guerra, sia col non irrigidirsi durante le trattative che, qualche
mese dopo, si conclusero con l'accordo di Brindisi.

GIOVANNI VITUCCI

NOTE

(1) Le notizie che sul bellum Perusinum ci hanno lasciato gli antichi
autori sono relativamente copiose. Perduto il racconto di Livio (che ne trat-
tava nei libri CXXV e CXXVI), ci resta il racconto di Appiano di Alessan-
dria (11 sec. d.C.) e quello di Cassio Dione (1r sec. d. C.) mentre poco più che
un cenno sommario vi dedicano Velleio, Floro e Svetonio, notevoli tuttavia
per le varie «tendenze » cui s'ispiravano. Fra tutte particolarmente ampia
è la relazione di Appiano (nel V libro dei suoi "EuqUA), ma ricavarne un qua-
dro preciso dello svolgimento delle operazioni appare — agli specialisti di
storia militare — impresa disperata.

(2) Degli scontri furibondi che si combatterono allora sotto le mura di
Perugia ci rimane singolare testimonianza anche in un certo numero di glan-
des rinvenute nei dintorni e certamente relative al bellum Perusinum. Si trat-
ta di proiettili di piombo usati dai frombolieri (di forma simile a una ghianda,
donde il nome) con incise piccole iscrizioni di vario genere. Di queste talune
ricordano i reparti combattenti o i loro comandanti (Corpus Inscriptionum
Latinarum, XI 6721, 29: l(egio) XII victrix ; 6721, 25: M. Ferli]di[us] tr(ibu-
nus) mil(itum) l(egionis) XI); altre sono di carattere propagandistico e con-
tengono invocazioni — a seconda della provenienza — all'assente M. Anto-
nio oppure al divus Iulius ; altre ancora recano espressioni offensive, talora
di cruda oscenità, contro i capi delle parti in lotta, e cioè contro Lucio An-
tonio e Fulvia o contro Ottaviano. Fra queste ultime la più interessante (ivi,
6721, 13) è quella che si rivolge a Lucio Antonio, limitandosi a beffarne la
calvizie, e lo dichiara spacciato perché la vittoria arriderà a Cesare Ottaviano:
L(uci) Antoni calve, peristi ; C(ai) Caesarus ( = Caesaris) victoria.

A AR

DOMENICO SALVATI
ABATE VIAGGIATORE E AVVENTURIERO
DEL SECOLO XVIII

I.

Nella nostra letteratura del secolo xvii le memorie di avventure
e di viaggi, frantumate in forma episodica o dilatate nei termini d'un
lungo e compiuto racconto autobiografico, hanno un significato ed
un rilievo tutto particolare, sia come attestazione del gusto, tipica-
mente settecentesco, di vedere popoli e paesi, di stabilire sempre nuovi
rapporti umani e di appagare un'inquieta e fervida curiosità sia come
documento d'una tendenza letteraria, capace ad un tempo di asse-
condare l'individualismo proprio del secolo e di apparire il modo espres-
sivo più immediatamente adatto alle ambizioni o alle esigenze arti-
stico-narrative di persone non militanti nei quadri della cultura uffi-
ciale, ma pur intinte in varia misura di letteraria consapevolezza e
non prive, di solito, di buoni studi. Noi, infatti, non facciamo allusione
a quegli autori che hanno conferito alla forma autobiografica una va-
lidità propriamente estetica, quali l’Alfieri, la cui chronica de vita as-
surge a ritratto efficacissimo d'una personalità ed alla delineazione
coerente d'un carattere, ed il Goldoni, i cui Mémoires, col loro anda-
mento conversevole, garbato, amabilmente e argutamente rievoca-
tivo, paiono essere il rovescio della medaglia della ferrea, energica e
crucciosa tensione alfieriana. Qui intendiamo riferirci, esclusivamente,
a testi meno letterariamente impegnati, anche se forniti di una loro
peculiare venustà e convenienza: alle memorie del Casanova, ad esem-
pio, ed a quelle del Da Ponte; le quali sono ricordate soprattutto per-
ché alla loro generale impostazione ed ai loro procedimenti narrativi
puó essere in qualche modo accostata l'autobiografia, sinora intera-
mente sconosciuta, o quasi, di don Domenico Salvati, abate viaggia-
tore e avventuriero del nostro Settecento umbro.

Il Salvati nacque a Stroncone, borgata nei pressi di Terni, il 4
ottobre 1741, e qui frequentó le scuole primarie. Dopo una fanciullez-

NM HE c vy wl. E
12 FRANCO MANCINI E BRUNO MAIER

za irrequieta e movimentata, entrò nel seminario ecclesiastico di Narni
dove apprese più o meno disordinatamente nozioni di retorica, di mo-
rale e di teologia. Nel 1764 venne ordinato prete. Nel medesimo anno
il canonico Giovan Battista Alvi, appartenente ad una delle più il-
lustri famiglie patrizie di Todi, gli propose di entrare in casa sua, in
qualità di precettore dei suoi nipoti; incarico, questo, che il Salvati
accettò. Così egli fece il suo ingresso nel mondo nobiliare todino, che
divenne, da quel momento, il suo mondo. Il nostro abate passò la sua
vita tra l’attività di pedagogo e le distrazioni mondane, come il tea-
tro, l'accademia, il giuoco, le feste; né mancò di corteggiare le dame
della città e di fare il cicisbeo. La sua permanenza nell’Umbria fu
spesso interrotta da numerosi viaggi in Italia ed all’estero. Nel 1775
egli giunse sino a Lione ed a Ginevra; nello stesso anno fu a Torino,
allo scopo di far entrare tra i cadetti del reggimento « Aosta » due
nipoti del canonico Alvi: in tale occasione ebbe un colloquio con Vit-
torio Amedeo III.

Il Salvati cominciò a scrivere le sue memorie nel 1785; durante
una villeggiatura presso i conti Rifredi, non lontano da Todi. Negli
anni difficili dell'occupazione francese in Italia, egli fu nettamente
avverso alle nuove idee libertarie e condivise l’atteggiamento retrivo
del clero e della nobiltà d’allora. Data anche la sua condizione di eccle-
siastico, dovette fuggire più d’una volta dal borgo natale, dove, venuta
a cessare la sua mansione di aio, aveva fatto ritorno. Durante una di
queste fughe, fu assalito, come egli stesso racconta, dai briganti, che
infestavano numerosi paesi e campagne, approfittando del disordine
pubblico. Durante le vicende napoleoniche e la restaurazione legitti-
mista, don Salvati si trovava a Stroncone, dove si era ritirato fin dal
1789 (quando fu eletto canonico), onde dedicarsi al suo ministero, agli
studi e ricerche di storia locale.

Non si sa con certezza la data della sua morte, la quale, però,
non dovrebbe essere molto lontana dal 1818, anno in cui si arresta il
suo racconto autobiografico.

II.

L'autobiografia del Salvati, che ci é tramandata da un mano-
scritto del secolo scorso, esemplato sull'autografo e conservato nella
Biblioteca Comunale di Todi, trova la sua naturale sistemazione nel-
l'ambito della minore letteratura memorialistica del secolo xvIII; e ciò
non soltanto perché il Salvati é uomo di scarsa cultura e quasi privo
DOMENICO SALVATI, ABATE VIAGGIATORE E AVVENTURIERO 13

di aspirazioni letterarie (egli scrive soprattutto « per passatempo » e
per diletto personale, oltre che per lasciare di sé ai posteri una qualche
memoria), ma anche perché limitata ed angusta è la sua visuale, sicché
egli sembra trascorrere la sua vita, così ricca di viaggi e di sempre va-
rie e nuove esperienze, senza mai vedere al di là e al di sopra di se
stesso, in una condizione di curiosità agile, duttile ed emotiva, sì, ma
ingenuamente e grossolanamente popolaresca. Tale condizione spiri-
tuale dell’autobiografo si rispecchia nel suo medesimo linguaggio, il
quale non giunge al sicuro dominio dell’arte ed è per lo più povero e
sciatto, scarso di rilievo e di colore e contesto di frequenti dialettismi
centro-meridionali e di gallicismi allora di moda.

Se questi sono i caratteri fondamentali dell’opera di don Salvati,
ben si comprende che parlare, a proposito del nostro abate, di controllo
del proprio mondo umano e di coscienza morale e stilistica sarebbe
un’iperbole; e scorgere nella sua terrena avventura, quale traspare
dalla narrazione, i segni di una sistemazione cosciente e di un’archi-
tettura interiore, equivarrebbe a dimenticare quella preoccupazione
minutamente cronistica, che ne è costantemente alla base, e quell’ani-
mus popolaresco, impressionabile solo alle cose di più risentita e facile
evidenza, cui si accennava poc’anzi. Eppure, nonostante questi limiti
e questi caratteri, c'è nella biografia del Salvati qualcosa che c'invo-
glia alla lettura e che ci fa guardare con simpatia al nostro personaggio:
c’è, in lui, un’essenziale schiettezza, una sollecitudine di ricordare one-
stamente fatti e persone, alla buona se si vuole, ma con uno serupolo
di attenta e umile verità.

Don Salvati non ha pretese, ed ha caro di mettere in luce che non
ne ha e non vuole averne: la letteraria amplificazione è estranea al
suo modo narrativo; il quale è particolareggiato, attento e storica-
mente fedele; e proprio per questa sua storica fedeltà ed aderenza un
passo del Salvati fu riportato e commentato in un articolo dall’erudito
todino Lorenzo Leoni (!). Il rispetto della verità, così raro nelle narra-
zioni di genere autobiografico, in cui è facile passare dal reale al fanta-
stico, diventa per il nostro abate legge istintiva del suo racconto; e
la scarsezza di letterarie risorse o, addirittura, la mancanza di queste,
accentua la funzionalità veridica della sua prosa dimessa e tutta cose.

Eppure, questa cura del vero non porta alla freddezza oggettiva
del dato ed alla menzione distaccata di nomi e di episodi: poiché non
manca mai la partecipazione dell’autore alla materia che viene trat-
tando, e questa partecipazione, se non è, si diceva, superiore dominio
di poeta, è però compiacenza di essere stato protagonista di tante vi-
14 FRANCO MANCINI E BRUNO MAIER

cende, di aver girato in lungo e in largo l’Italia, con una puntata in
Francia (quanto rammarico, in lui, di non esser riuscito a giungere a
Parigi !), di aver fatto, nel corso della sua vita, tanti interessanti in-
contri. Sarebbe erroneo, però, scorgere in tale compiacenza un modo
di letterarietà: ché la compiacenza di don Salvati esclude letterarie
vanterie (egli non è, ovviamente, un Cellini, ed è troppo poco artista
per rivolgersi a tali, del resto così difficili, maniere espressive); e ri-
fugge da diversioni ed invenzioni fantastiche. Il suo gusto popolaresco,
tuttavia, reagisce con particolare commozione, con una stupita e cu-
riosa meraviglia innanzi a certi spettacoli ed a certe cerimonie, che
colpiscono fortemente la sua immaginazione: nascono così delle pa-
gine notevoli, anche letterariamente, come quella in cui è descritta
la festa veneziana dello « sposalizio del mare » del 1779. Don Salvati
in questa pagina mostra di ammirare i ricchi e sfarzosi costumi, la
grandiosità dell'apparato coreografico, lo splendore tastoso della sto-
rica manifestazione: e la sua ammirazione affiora semplice e schietta
dai periodi della sua prosa.

Un simile atteggiamento di devota ammirazione verso il « bel
mondo » del Settecento, con le sue dovizie ed i suoi lussi, è largamente
presente nell’autobiografia del nostro abate: il quale non tralascia
occasione di far risaltare la sua partecipazione, su un piano di parità,
alla classe privilegiata dei nobili. Sotto questo riguardo, don Salvati
è un tipico uomo del Settecento aristocratico, amante dei salotti
mondani e galanti, dei chiassosi divertimenti carnevaleschi, delle rap-
presentazioni teatrali, dell’elegante conversazione intellettuale. Egli
partecipa intimamente dei caratteri, ma anche, e più, dei vizi (il cici-
sbeismo ed il giuoco, a tacer d’altro) del suo secolo, completamente
ignaro dei fermenti popolari che avrebbero maturato la rivoluzione,
e del tutto pago, in una sorta di beato anacronismo, della sua situa-
zione di uomo ragguardevole, bene accetto ad una società tanto sedu-
cente e lusingatrice. Si potrebbe, anzi, soggiungere che, se c’è nell’auto-
biografia del Salvati un motivo che si affermi sopra gli altri e si faccia
notare per la sua insistenza, questo è proprio l'attaccamento del nostro
abate all’aristocrazia del tempo, della quale ama condividere il più
possibile, il livello ed il sistema di vita; e la sua medesima qualità
di precettore doveva a ciò naturalmente indurlo.

Da questo punto di vista, don Domenico Salvati è proprio l’op-
posto del « Don Raglia da Bastiero » satireggiato dall’Alfieri nell’Educa-
zione; e se è di stirpe popolana e se in tante manifestazione e atteggia-
menti della sua vita, documentati nell’autobiografia, appare senza
DOMENICO SALVATI, ABATE VIAGGIATORE E AVVENTURIERO 15

freni e ovattature il suo gusto popolaresco e fin volgare e spregiudicato
(talora apertamente amorale) di sentire ed intendere l’esistenza, di
fruire dei suoi doni, di cogliere i saporosi frutti che il benevolo destino
gli offre — il nostro abate è sempre ottimista ed epicureo (?) — dando
luogo ad accenti umorosi ed a toni talora grassocci e scollacciati (non
però osceni), don Salvati ama dichiararsi capace di far bella figura in
società e di adeguarsi quanto meglio gli riesce, per modi umani e per
fogge di vestire, all’aristocrazia del nostro Settecento. È proprio questo
suo essenziale aristocratismo, che lo fa schierarsi senza esitazione contro
gli odiatissimi francesi, negli anni delle campagne napoleoniche in Italia,
e che l’induce a considerare con ironico disprezzo e con malcelata com-
miserazione i rivoluzionari nostrani, esultanti intorno all’albero della
libertà, come si ricava da un episodio delle sue memorie. Don Salvati è
tutto immerso nella vecchia società settecentesca: come uomo e, pos-
siamo aggiungere, come autobiografo. In ciò sta il carattere più appa-
riscente della sua figura di precettore, di viaggiatore, di avventuriero.

Per tutti i motivi che qui si sono accennati, pensiamo che questo
abate umbro possa destare ancora qualche interesse; e se la sua auto-
biografia non ci rivela un carattere, ossia una tempra morale, una co-
scienza pensosa, un fermo impegno con la vita, riesce però a delineare
una fisionomia umana varia, se non vasta, ed un itinerario vitale, ricco
di spunti e di scorci, nel suo movimentato andirivieni;si da aver meri-
tato, vogliamo credere, un po’ della nostra attenzione.

Franco ManciNI e Bruno MAIER
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FRANCO MANCINI E BRUNO .MAIER

. DALLA « VITA» DI DON DOMENICO SALVATI

PRO MEMORIA

Il presente manoscritto, di mio proprio pugno steso per passatempo, avrei
dovuto io stesso darlo alle fiamme, perché vi rimangono notate molte cose che non
convengono al mio stato di sacerdote ; allora non riflettevo, né consideravo che
queste memorie, dopo la mia morte, mi avrebbero fatto poco onore, giacché avrei
dovuto attendere al mio stato di sacerdote e non alli divertimenti, giochi e passa-
tempi.

Mi pento adunque di non aver tenuta la condotta da ecclesiastico e fatto
il mio dovere. Ho sospeso di darlo alle fiamme, perché vi sono notate diverse me-
morie della mia famiglia (3), le quali con il lasso del tempo potrebbero ricercarsi ;
la gioventù non riflette e però nella vecchiaia si trova pentita.

Chi legge questo mio manoscritto sia persuaso che, potendo io ritornare da
capo, farei diversa condotta, però condonerà alla gioventù tante mancanze ; po-
trà però questa mia protesta servir di lezione a chi legge, se desidera finire i suoi
giorni con Dio.

Abbozzo manoscritto da me D. Domenico Salvati, di tutta la mia vita, di
tutti li miei viaggi ed avventure ed altre memorie, descritte con tutta verità e sin-
cerità in occasione d’una longa villeggiatura, fatta il mese di maggio dell’anno
1785 nella villa di Sobrano (4), diocesi di Todi, feudo del signor Conte Ridolfo
Fredi (5).

1) NASCITA E PARENTI

La mia patria chiamasi Stroncone, terra ragguardevole ed assai popolata,
situata nella provincia dell'Umbria. Mio padre, ancor vivente, chiamasi Fi-
lippo Antonio, figlio delli furono Domenico e Margherita Salvati, coniugi;
uomo onorato ed impiegato quasi sempre negli affari, si pubblici che privati
del paese, avendo esso esercitato la carica di tesoriere, ossia camerlengo,
della comunità per molti anni, é attualmente esattore del reverendo Capitolo
di S. Michele Arcangelo, scarso per altro di beni di fortuna, avendo educata
la sua numerosa famiglia a forza d'industria e fatiche.

Mia madre chiamavasi Bernardina, figlia delli furono Francesco e Silvia
Fiorenza coniugi. Questi, uniti in matrimonio l'anno 1740, ebbero diciannove
figliuoli, per averne mia madre più di una volta dati alla luce due in un parto;
ma al presente, ne viviamo adulti solo che sei, quattro maschi e due femine.
DOMENICO SALVATI, ABATE VIAGGIATORE E AVVENTURIERO 17

Nacqui io per il primo alli quattro di ottobre 1741, in una casa presen-
temente diruta. Fui battezzato nella chiesa di S. Michele Arcangelo di Stron-
cone, mi posero li nomi di Domenico, Francesco, Baldassarre, senza compare;
la commare fu la nobildonna Chiara Risi di Narni.

2) EPISODI DELLA PUERIZIA

Ero io allora in età di circa 6 anni, quando mi cresimai. Avevo in quel
tempo una vivezza ed uno spirito superiore alla mia età, per cui incontravo
spesso dei pericoli, per essere inconsiderato in tutte le mie operazioni. Un
giorno, montato a cavallo sopra un bastone ed andato alla fonte per abbeve-
rarlo, vi caddi dentro, e, se per accidente non si trovava un vecchio, chiamato
Remol’Antonio, che mi vide cadere, vi rimanevo annegato. Altra volta inal-
zavasi dal signor Francesco Angeletti la Croce sopra il colle, vicino alla chiesa
di S. Rocco, ornata di tutti li stromenti della passione, con il gallo in cima
di questa, che pretendeva far cantare ad ogni sorte di vento (il che mai gli
riuscì) mosso dalla curiosità puerile, montai sopra un alto muro, e, mancan-
domi un piede, precipitai in mezzo della strada: mi rompei un braccio, mi
caddero tutti i denti, così che mi convenne per 40 giorni guardare il letto (9).
Guarito che fui, i miei genitori incominciarono a mandarmi alla pubblica scuo-
la, della quale era maestro condotto (7) un certo D. Matteo Liberatore Pon-
teggi; questo, dopo pochi giorni incominciò a gastigarmi senza discrezione,
forandomi a parte a parte le orecchie con le unghie aguzze delle sue dita;
non era però questo bastante per reprimere il mio spirito impertinente e la
noncuranza allo studio.

La mia vivezza di spirito mi faceva apparire il più insolente ragazzo del
paese; e ciò doveva essere la verità, giacché tutti mi minacciavano e mi casti-
gavano; più di tutti, i miei genitori, che, con le percosse in testa, mi avevano
quasi stordito. Il timore di tante percosse m’indusse a fuggire la scuola, na-
scondendomi ora in un luogo ora nell’altro. Scoperto ciò, mio padre, nel ritor-
nare una sera a casa, mi legò, a mani dietro, in un chiodo; ed ivi mi fece pas-
sare tutta la notte.

3) RICORDO DI UN’ESECUZIONE CAPITALE

Combinossi in quel tempo (8) che in Terni doveva nella pubblica piazza
giustiziarsi un uomo per nome Leone, che aveva ammazzato un artigiano,
il quale sempre lo burlava e motteggiava. Mio padre, per reprimere in parte
il mio spirito smoderato, volle condurmi a vedere questa tragica festa. Giunti
dunque nella piazza, vedemmo il palco preparato; invece di uno furono due li
giustiziati. Nell'atto della giustizia (?), mi sentii addosso una pioggia di schiaffi
e calci con queste parole: — Imparate, ragazzo, ad esser buono,se non volete
avere la sorte di questi disgraziati.

M'é rimasta sempre viva la memoria di uno di quei giustiziati, che vidi
ridurre in quattro pezzi (19); ed il sangue lo bevve in un bicchiere un mio com-

2
Av m

18 FRANCO MANCINI E BRUNO MAIER

TERZI

pagno di nome Francesco Antonio Costanzi, chierico, figlio del capitano Ste-
fano Costanzi. Il povero chierico pativa di mal caduto (!!), e, per liberarlo, gli
fecero bere un bicchiere di quel sangue caldo; appena ebbe bevuto, fu preso
sotto le braccia da due uomini ben forti, che lo fecero correre per circa due
miglia, ricercandosi, bevuto il sangue, un moto assai violento. Non ho me-
moria se restasse libero da quel male; so bene che più non vive (??). Ritornato |
da Terni a Stroncone, stetti per due giorni talmente sturbato (7), che non l
potevo neppure mangiare per la memoria del tetro spettacolo della giustizia
veduta.

DIA rut

4) IL PRIMO AMORE |

Combinossi in quel tempo (14) che una donna di Stroncone doveva mari-
tarsi in Civita Ducale (15) e, pregata mia madre ad accompagnarla, questa
volle condurmi seco. Giunti alla casa dello sposo, vedemmo ivi radunati tutti
i parenti per ricevere la forestiera sposa; eravi preparato un lauto rifresco (7*)
di ogni genere di confettura. (!7) Fra questa comitiva trovavasi una graziosa
e vezzosa giovanetta, che la sua età dimostrava di circa quattordici-quindici
anni. Mi parve così simpatica e bella, che sùbito cercai di procurare la sua
amicizia; non durai fatica, perché ancor ella dimostrava parzialità per me.
Si mise sul momento in piedi una festa di ballo: ella, ballando, mai si disco-
stava da me (questa fu la prima volta che io sentissi tenerezza perle donne).
Venuta l'ora della cena e licenziatasi l'amabil donzella per ritornare a casa,
parea che malcontenta partisse. Vedendola io così mesta, feci in modo ch'ella >
con sua madre rimanessero a cena, come difatti, con la mediazione della no-
vella sposa, riuscì. Quali coetanei, procurammo di sedere vicini a tavola;
| contenti ambedue ci pascevamo piü di tenerezza e di espressioni che di vi-
| vande. Tutti della comitiva, accortisi del nostro genio (15) ci facevano degli

evviva e condonavano alla nostra età le piccole debolezze. Terminata la cena,
si licenzió, per ritornarsene a casa con sua madre. In che malinconia mi la-
sciasse, non so dirvelo: so bene peró che la notte non potei riposare.

| 5) Fuga A ROMA

Vedendomi malmenato da tutti, macchinai, per la terza volta (19), di
fuggirmene da Stroncone, con intenzione di non tornarvi mai più. Una sera,
essendo mio padre andato a letto, mentre era immerso nel profondo sonno e
ronfiava (2°) a più non posso, ardii entrare nella sua stanza a piedi ignudi,
pigliai i suoi calzoni, e, trasportati in altra stanza, gli levai dalla borsa buona
somma di danaro, la maggior parte oro. Fatto il colpo, sempre tremando,
riportai i calzoni a suo luogo, senza che nessuno se ne avvedesse. Immediata-
mente, allestito il mio piccolo equipaggio (?), di notte tempo, me ne partii
alla volta di Roma. Spirito e coraggio non mi mancò finché, di notte, solo
proseguii il mio viaggio, prendendo la via della Sabina (?). Giunto a Canta-
DOMENICO SALVATI, ABATE VIAGGIATORE E AVVENTURIERO 19

lupo (9), trovai un vettorale di Stroncone per nome Antonio, detto Magna-
sciutto; con questo m’accompagnai, e, perché non pratico di Roma, seco mi
condusse all'Albergo della Sapienza. Dopo qualche giorno il vetturale se ne
ritornó in Stroncone ed io seguitai a trattenermi all'albergo; intanto facevo
pratica per impiegarmi in qualche mestiere, ma non mi fu possibile. Dopo la
dimora di circa un mese, andando solo girando per Roma, incontrai a caso
un mio amico per nome Don Nicola Paoletti, conosciuto da me anni indietro
a Civita Ducale per uno sposalizio. Mi domandó come mi trovassi a Roma
cosi solo; allora gli feci note tutte le mie peripezie e la pessima situazione in
cui mi trovavo. Mosso a compassione, mi levó dall'albergo e seco mi condusse
alla di lui casa. Abitava questo alla Salita del Grillo ed aveva in sua compagnia
un prete napolitano; facevano questi vita comune e dormivano insieme; unito
con loro, spendevo la mia porzione (*^) per il solo mangiare, giacché, avendo
un comodo e spazioso letto, dormivo seco loro. Dopo pochi giorni, portò il caso
che io rimanessi solo con il prete napolitano. Questo, a mio credere, era un
pessimo prete, giacché, dormendo seco lui la notte, lo vedevo uscire dalla
fenestra della stanza, ove dormivamo, più spogliato che vestito, ed entrare
in un'altra fenestra contigua, per lo più verso la mezzanotte, quando mi
credeva immerso nel sonno, lusingandosi che non ne me accorgessi. Ritornava
poi per la stessa fenestra verso il fare del giorno, né io mai gli detti alcun in-
dizio d’essermene accorto; ma finì molto male per me questo suo tragitto,
perché, alzatomi dal letto, non trovai più i miei calzoni ove li avevo lasciati
la sera nell’andare a letto; entrai subito in qualche sospetto; ritrovai i calzoni
in un altro sito, osservai subito la borsa del danaro e trovai mancante quasi
tutta la somma che credevo di avere.

6) INGRESSO AL SEMINARIO DI NARNI

L’anno 1761, alli 31 agosto, morì monsignor Terzago ed il fine di settem-
bre dell’anno suddetto fu fatto il nuovo vescovo di Narni in persona di monsi-
gnor Prospero Celestin Meloni, nativo di Castel Bolognese (25) nella Romagna.
Questo, il mese di gennaro dell’anno 1762, venne in Stroncone a fare la prima
visita (29); fu alloggiato in casa dei signori Gallieni, trattato però a spese d’am-
bo i Capitoli. Mostrò, in occasione della sacra visita desiderio di tenere
ordinazione (?"): fece dunque ricerca dei chierici del paese, fra quali ero ancor
io. Presentatomi al degno prelato, mi esaminò lui stesso e m'’approvò per gli
ordini minori: la mattina stessa tenne ordinazione nella chiesa collegiata di
S. Michele Arcangelo. Andato il giorno appresso a ringraziarlo, m’invitò en-
trare nel seminario di Narni (?8); gli risposi che più che volentieri avrei con-
disceso, ma che le finanze della mia miserabile famiglia non lo permette-
vano. Mi soggiunse: « Procurate fare il possibile, ch'io vi ordinerò più presto
di quel che voi crediate ». Saputo mio padre il discorso fattomi da monsignor
vescovo, per il desiderio che aveva di vedermi presto sacerdote, fece ogni
sforzo per mandarmi in seminario. Difatti, preparatomi tutto l'occorrente,
20 FRANCO MANCINI E BRUNO MAIER

il 19 novembre dell'anno suddetto 1762, mi mandò in seminario e lui stesso
mi presentò al rettore. Prima di ritornarsene in Stroncone, pagò un semestre
di dozzina (?9), anticipato nella somma di scudi 12,50.

Il giorno appresso, unitamente agli altri seminaristi, fui condotto dalli
padri Scolopi, dove erano soliti andare a scuola li seminaristi; ivi fui esami-
nato su tutti li studi generalmente e mi trovarono capace per la scuola della
rettorica, della quale trovai maestro un certo padre Giuseppe Draghetti ro-
mano, uomo assai capace e prudente. Eravamo in questa classe 28 scolari,
la maggior parte seminaristi e nobili narnesi.

7) RICORDI DELLA VITA IN SEMINARIO

V'era una lega dei seminaristi più grandi, fra i quali fui ascritto anche
io. Fra noi tutti, che eravamo in numero di otto, vi fu una convenzione,
giurata e sottoscritta da ognuno di noi col proprio sangue, avendoci fatta
ciascuno una ferita in una mano; intinta la penna in esso, fu da tutti sotto-
scritto il foglio, il quale doveva tenersi un mese per ciascuno. Conteneva
questo un’amicizia reciproca giurata: prestarsi in tutti li bisogni ed occa-
sioni uno all’altro; qualunque azione o risoluzione dovesse farsi di comun
consenso. Con questa perfetta unione tenevamo soggetti tutti li altri e face-
vamo quello più (8°) ci piaceva. Non c'era alcuno di noi che non avesse con-
tratta qualche piccola amicizia con signorine della città, con le quali si par-
lava quasi tutte le sere che si andava a spasso. Avevano queste il segno (3!)
per sapere da che parte saremmo andati al passeggio, ed era il seguente: nel-
l'uscire dal seminario, se avevamo il cappello in testa, andavamo alle Grazie,
se lo avevamo in mano, andavamo a S. Girolamo, se sotto il braccio, a Cap-
puccini. Il giovedi, poi, giorno di vacanza, sapevano che andavamo al Ponte,
purché il tempo lo permettesse. Questa per me era una vita assai comoda e
piacevole, perché si stava allegramente, si mangiava bene e si studiava poco.
Due mesi dopo, per nostra disgrazia, avemmo un nuovo rettore, chiamato
da noi «fratello del lupo menaro» (??), perché mangiava smoderatamente e
trattava i seminaristi parcamente. La nostra lega peró degli Otto non pativa
certamente, ché, di notte tempo, si faceva una visita alla dispensa, benché
chiusa a doppie chiavi (si combinava entro di essa un pozzo, per dove uno
di noi scendeva e faceva provvisione di ogni genere commestibile). Dopo sei
mesi di sperimentata alleanza, siccome ognuno aveva qualche innocente cor-
rispondenza (59) e desiderava uscire di notte, si propose di fare otto contro-
chiavi (la mia chiave resta ancora presso di me). S'usciva spesse volte la notte
quando tutti i seminaristi dormivano. Duró per qualche tempo questo nostro
trastullo, fino a quando si divulgó per la città che li seminaristi uscivano la
notte dal seminario: e ció con fondamento, perché una volta fummo fermati
dalli sbirri. La notizia giunse all'orecchio del vescovo, il quale mandó subito
a chiamare il rettore e il prefetto (34), rimproverandoli della vigilanza. Essi

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DOMENICO SALVATI, ABATE VIAGGIATORE E AVVENTURIERO 21

risposero ciò non essere possibile, mentre (35) tutte le porte erano chiuse e le
chiavi la notte restavano appresso di loro. Il vescovo, persuaso, supponendola
una ciarla sparsa, li licenzió.

8) LA PRIMA MESSA

Il giorno 7 ottobre dell’anno 1764, giorno della Madonna del Rosario,
cantai la prima Messa nella mia parrocchia, chiesa collegiata di S. Michele
Arcangelo. Li miei genitori fecero gran pranzo con l’invito di ambedue i Ca-
pitoli, parenti ed amici di casa. Furono tanti e tali i regali che sarebbero stati
sufficienti a fare più pranzi. Ero in quei giorni così contento, che parevami
esser giunto al papato.

9) PRECETTORE A TODI PRESSO IL CANONICO ALVI

Il giorno 31 decembre 1764, mettendo in esecuzione il mio proposito,
partii da Narni con il corriero (*) di Todi, senza averne fatti intesi (9°) nep-
pure i miei genitori. Giungemmo in Todi ben tardi e, siccome ero nuovo in
quella città, il corriere mi condusse ad una buona locanda, il padrone della
quale chiamavasi Antonio Coarello, uomo assai di garbo. Egli mi assegnò
una stanza, dove, appena cenato, stanco del viaggio, andai a riposare. La
mattina, alzatomi di buon'ora trovai che pioveva dirottamente e, vedendo
che il tempo cattivo era per durare, licenziai il pedone con il cavallo. Erano
passati due giorni e ancora il tempo continuava ad esser cattivo. Capitó frat-
tanto in questa locanda un certo signor canonico Giovan Battista Alvi, uno
delle prime famiglie nobili di Todi, ed avendo sentito che ero prete, m’invitò
a restare in sua casa in qualità di aio, ossia maestro, per educare alcuni suoi
piccoli nipoti; io gli risposi che volevo continuare il mio viaggio per Perugia,
ma il locandiere mi consigliava a rimanere in Todi ed in particolare nella casa,
in cui ero stato invitato, facendomi elogio grande di quella famiglia. Ritornó
il giorno appresso il buon canonico e nuovamente mi stimoló. Vedendo io il
tempo continuare cattivo e mancandomi il denaro, credetti bene accettare.
Per emolumento mi furono offerti più di scudi dodici all'anno, tavola, letto
e biancheria necessaria per mio uso esterno e una cappellania (88) quotidiana
della quale sarei stato pagato puntualmente.

10) INGRESSO NELLA SOCIETÀ NOBILIARE DI Toni

Rimanevano i padroni di casa molto contenti della mia condotta, ma
dopo pochi giorni mi venne una fiera flussione agli occhi, che ebbi a rimaner
quasi cieco. Vedendomi dunque il padrone di casa malinconico e malcontento,
m'invitó una sera andar seco lui ad una conversazione (8°). Io, per non mo-
strarmi incivile, procurai di compiacerlo; mi condusse in casa del nobiluomo
Francesco Longari: aveva questo due figlie, che, benché piccole di statura,
erano di passabile bellezza; erano ambedue virtuose, una suonava il cembalo
i. eie U Fa "mers EE em ins
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22 FRANCO MANCINI E BRUNO MAIER

e l'altra cantava. Queste, per la prima volta che mi videro, mi fecero delle
buone grazie e, nel partire, m'invitarono a frequentare la loro conversazione.
La seconda di queste chiamavasi Leducarde, la quale ebbe in marito il nobi-
luomo Ludovico Accursi (19), figlio di un vecchio ottuagenario e di una madre
assai giovane, di cui mi riservo di parlare altrove. Incominciai cosi a frequen-
tare tutte le conversazioni nobili riscuotendo attenzioni e buone grazie. Go-
deva molto la mia buona padrona di casa che io mi fossi così sciolto (!) e che
trattassi (42) la nobiltà, tanto più che ero diligentissimo nel fare il mio dovere
nella educazione dei suoi signorini. Vedendomi gradito da tutti, procurai
mettermi in galanteria (9): mi feci subito un abito di amuerre (*), con tutto
il necessario per un abate pulito e cercai di vestire con più eleganza possibile.
Ero allora in età di circa anni ventiquattro, pieno di brio e di allegria. Dopo
il giro di quasi tutte le conversazioni nobili, il mio padrone di casa volle con-
durmi una sera ad una conversazione ove non ero mai stato; qui trovai una
damina assai bella e gentile, di anni circa diciotto. Aveva questa il marito
di circa ottanta anni, il quale era talmente geloso, che non la lasciava un mo-
mento, tanto più che lei era assai inclinata al divertimento e alla gioventù.
Mi piacque molto questa signorina, la quale mi pregava frequentare la sua
conversazione. Dopo qualche giorno mi chiamò a parte, dicendomi che la
mattina appresso m’aspettava a prendere la cioccolata seco lei. La ringraziai
con dirle che dovevo attendere all'educazione dei signorini, che però m'avesse
per iscusato; ma la sua obbligante (55) maniera mi costrinse ad accettare. La
mattina, dunque, tre ore prima del mezzogiorno fui ad incomodarla. Mi
ricevé con tanta gentilezza e buona grazia che ne restai sorpreso

1 . Questa cara signora m'aveva messo talmente in
ERO del ds ou che lui stesso facevami delle premure, perché spesso
tenessi compagnia a sua moglie. Ritornato a casa, trovai la mia padrona con
qualche contegno (19), contro il suo solito, né potevo pensare cosa potesse
avere. Terminata la cena, restammo soli: allora mi feci coraggio e le domandai
cosa avesse. Essa risposemi, quasi con le lacrime agli occhi, che gli rincresceva
all'estremo che io avessi presa l'amicizia della sposina Accursi, non perché
essa fosse gelosa di me, ma perché temeva che io andassi a rovinarmi per
sempre; però mi pregava che assolutamente me ne fossi disfatto, se non volevo
perdere e la reputazione e la pace.

Avrei dovuto purtroppo dare orecchio a chi mi parlava per mio vantaggio
ma io seguitai a visitare con piacere la sposina Accursi, tanto più che dalli
complimenti passava meco alla tenerezza: ed allora fu che maggiormente
mi sentii inclinato ad amarla. Stimolato nuovamente dal vecchio marito a te-
nergli spesso compagnia, mi dichiarò suo cavalier servente. Si dette il caso che
nel colmo del mio impegno venne in Todi un nuovo governatore prelato (1),
Questo era un certo monsignor Cacherano Brigherosi turinese; questo era
un giovanotto assai bizzarro, il quale, appena veduta questa mia amica, se
ne innamorò a furore; e siccome le donne sono quasi tutte volubili, lo corri-

CIELI
DOMENICO SALVATI, ABATE VIAGGIATORE E AVVENTURIERO 23

spondeva senza che nessuno se ne fosse avveduto. Era questo assiduo tutte
le sere in conversazione e riscuoteva tutte le distinzioni (4) immaginabili.
Accortosi il vecchio, geloso marito di questa reciproca corrispondenza, non
la lasciava un momento, essendo sicuro di essere incoronato dal suddetto
governatore. In tale occasione imparai il gioco di faraone (49), nel quale il
mio padrone signor Nicola Alvi (5°) una sera vinse sopra li scudi ottanta; di
questi la mattina appresso ordinò una bella ringhiera di ferro alla sua finestra,
che era davanti alla fontana detta della Rua (8), ché restava il suo palazzo (9?)
in questa contrada. S'avvicinava il carnevale, e il prelato, per compiacere la
signora, promosse una comedia in musica con l’intermedii di ballo; non tro-
vandosi impresario, fu costretto lui stesso a prendere l’incarico e fece venire
una buona compagnia di musica ed altra ottima di ballerini, che gli fecero
veramente onore. Il vecchio Accursi, non potendo venir lui al teatro, permet-
teva alla moglie di andare tutte le sere, ma sempre in mia compagnia. Questa
vita a me non piaceva, perché da principale ero divenuto accessorio, avendo
affatto perduto con la dama la libertà e la confidenza: il prelato non si sco-
stava un momento; era lei la prima ad entrare in teatro e l’ultima ad uscirne.
Tollerai per qualche giorno questa vita seccante: finalmente non potei a
meno di avvertire la dama che io non volevo fare il ruffiano e che avrei di
tutto fatto inteso il marito, giacché esso alla mia custodia l’aveva affidata.
Ma giunse il nodo al pettine: una sera, uscendo dal teatro, ella mi prese per
il braccio secondo il solito, per ritornare a casa; quando fummo alla direzione
di un vicoletto, mi fu violentemente levata dal braccio, senza che lei facesse
nessuna resistenza o pronunciasse parola; al buio, non seppi conoscere chi
fosse; restai in mezzo alla strada come un coglione. Pensai subito trattarsi
del governatore e che vi fosse fra loro l’intesa. Dopo un quarto d’ora infatti,
la dama fu di ritorno unitamente al prelato. Appena vedutomi, mi fecero
ambedue le scuse, pregandomi di non dir niente al marito e assicurandomi
che altro non era stato se non una burla. Offeso io da questa cattiva maniera
di procedere, non dissi niente al marito per non entrare in un’inimicizia col
prelato, ma servita (53) la dama fin dentro le sue stanze, secondo il solito, mi
licenziai da lei per sempre. >

11) LA MORTE DEL ROLLI

Mori in Todi il celebre poeta Paolo Rolli (55, il quale dopo la dimora di
quaranta anni (°°) in Inghilterra, ritornò in Todi, sua patria. Li suoi parenti
erano tutti morti, solo viveva una sorella e questa era monaca al monastero
delle Lucrezie, sicché testó di tutti li suoi beni a favore di un giovane ingle-
se (55), che seco condotto aveva per cameriere, il qual poi, battezzato, prese
moglie ed ora trovasi una numerosa famiglia. Al defunto Rolli fu fatto un
deposito (5) nella chiesa di S. Fortunato: nella pietra scolpirono le seguenti
parole Pauli Rolli pulvis, 1765 (58).
FRANCO MANCINI E BRUNO MAIER

12) VrAGGIO A ToRINO

Il giorno 20 aprile 1775, verso le ore diciotto, entrammo la bella città
di Torino. Il nostro vetturino ci condusse all’albergo del Bue Rosso, una delle
migliori locande di questa metropoli. Qui ci furono dal doganiere visitati li
nostri baulli ed indi trasportati alle stanze assegnateci. Non potei subito pre-
sentare le credenziali con i documenti per li miei signori, (9?) perché il re (99)
non era ancora ritornato da Alessandria della Paglia, dove lo lasciammo nella
nostra venuta a Torino. Appena ritornato, mi presentai coi miei raccoman-
dati (8!) in segreteria di guerra e presentai la lettera del signor cardinale Ales-
sandro Albani, ministro di quella corte. Il segretario di guerra mi disse non
potersi dare esecuzione a quanto si desiderava senza l'oracolo (8?) del re, ma
che sul momento sarebbe andato a farne rapporto a sua maestà (intanto io
stavo sulle smanie per proseguire il mio viaggio a Parigi). Il re rispose che

qualora i giovani avessero tutto il necessario, secondo l’istruzione della segre-.

teria di guerra, fossero accettati sul momento per cadetti e posti nel reggi-
mento Aosta. Ritornato il segretario di guerra dall'udienza del re, mi fece
chiamare unitamente alli giovani per ascriverli e mi domandò in primo luogo
che assegnamento (9?) avessero avuto per il loro mantenimento. Risposi che
di ciò non sapevo nulla, ma che potevo assicurare che li giovani erano di fami-
glia tanto nobile quanto povera. Ritornò allora il segretario dal re e ne uscì
dopo pochi momenti per annunciarmi che senza assegnamento li giovani non
potevano essere trattenuti a corte: m’invitò intanto a recarmi da Sua Maestà,
che desiderava parlarmi. Sul momento mi portai alla reale anticamera e da
un maestro di cerimonia fui condotto da Sua Maestà, che era a sedere in una
canapè coperto di velluto cremisi con frangie d’oro. Appena vistomi, mi parlò
del noto assegnamento, confermando quanto aveva detto il suo segretario di
guerra. Mi disse: « Voi dunque siete il sacerdote che ha qui accompagnati li
cavalieri De Alvis, raccomandatici dal nostro ministro cardinal Albani? ».
Risposi: « Maestà sì, io sono desso ». Indi incominciò il re a parlarmi nella se-
quente maniera: « Abbiamo non piccolo rincrescimento che questi cavalieri
non possano servire alla nostra corte, né in qualità di cadetti, per mancanza
di assegnamento, e molto meno per guardie del corpo, essendo legge che i
forastieri in qualità di guardie non possono servire. Li ricondurrete dunque
al loro padre, dicendogli da nostra parte che chi ha figli d’avanzo non li av-
venturi alla sorte. Noi però a riguardo del signor cardinale Albani, gli abbiamo
tutta la considerazione ».

13) VIAGGIO IN FRANCIA

La mattina del 16 maggio 1775 ripartimmo da Lione, pigliando la strada
di Ginevra. Camminammo sulla sponda del fiume Rodano per molte miglia
e poi entrammo nella strada reale; finalmente, arrivati a Ginevra andammo
ad alloggiare in un borgo (9^) ove sogliono trovare albergo tutti li cattolici che
DOMENICO SALVATI, ABATE VIAGGIATORE E AVVENTURIERO 25

capitano in quella città. La mattina appresso osservammo esser questa fab-
bricata sopra una collina, che forma un anfiteatro; èvvi un lago assai vasto
e spazioso, che ha guarnite le sponde di vigneti; la campagna è deliziosa e vi
sì scorgono molti giardini, che formano una vista piacevole. Passeggiando
per la città, fui riconosciuto da un frate domenicano, che già trovavasi in
Todi in qualità di vicario del S. Uffizio. Questo, fuggito in Ginevra, vi prese
moglie ed aveva già figli. Volle esso farci da antiquario (95) e ci condusse in
molti luoghi, tra i quali in un conservatorio, ove erano racchiuse circa ottanta
belle ragazze a disposizione di quelli che volevano dare sfogo alle loro passioni.
Nell’ingresso di questo conservatorio, appesi in aria rimanevano li loro ritratti
e chiunque le desiderava poteva averle, leggendo prima in ciascun ritratto il
nome di ciascuna di esse: voltava quindi con una canna il ritratto e chiamava
la custode: pagata la tassa stabilita, passava al suo divertimento, avendo
prima dovuto assoggetarsi ad una ricognizione.

Questa città ha tre bellissimi borghi ed ognuno d'essi la sua publica
porta: una conduce a Parigi, la seconda alli Quattro Cantoni e la terza verso
la Savoia; vi sono gli ambasciatori e ministri di tutte le corti ed eccellenti
artisti. Prima di partirmi volli provvedermi di varie galanterie; comprai sette
orologi, tre d’oro, due di similoro e due di argento, diverse catene d’orologi,
fibbie e bottoni di diverse qualità, spendendo in tutto scudi cento romani.

14) UN'AVVENTURA CARNEVALESCA A PERUGIA

Non è possibile che io possa mettere in carta tutte le mie avventure,
perché parte non convengono al mio stato (e sono le più belle), parte sono
così lunghe e circostanziate, che ci vorrebbero più volumi; proseguirò le più
brevi; secondo mi suggerirà la mia mente. ........ 9 22e Venuto il
carnevale del 1778, si pubblicó con la notificazione (99) che in Perugia era un
brillantissimo carnevale. A me, che allora non mancavano denari, piacque
andare unitamente ad un mio amico per nome D. Giuseppe Petrini, con patto
e condizione che dovessimo godere tutti li divertimenti insieme. Una sera,
dunque, andammo ad una nobilissima accademia di ballo, dove era gran gio-
ventü d'ambo li sessi. Questo mio amico Petrini fece una stretta amicizia
con una bella giovane per nome signora Rosa Bartoli, sposa di uno assai ge-
loso. Ritirati questi in un cantone della stanza, supponendo non essere intesi
da alcuno, parlavano di mascherarsi il giorno appresso insieme, di soppiatto
del marito; ella insinuó.al mio amico che dovesse mascherarsi da pulcinella
e gli indicó il luogo e l'ora ove lei si sarebbe fatta trovare vestita in maschera;
partito suo marito, sarebbe subito sortita di casa e, accompagnata seco lui,
sarebbero andati ove loro fosse piaciuto. Sentito io in disparte questo loro
appuntamento, mostrai non saper niente. La mattina appresso, andando a
camminare con l’amico, secondo il solito, di nulla si parlò. Separatici sul mez-
zogiorno gli domandai: « Oggi dove andiamo ? ». Esso franco mi rispose: « Oggi
ho un appuntamento; abbiate pazienza, non possiamo uscire insieme ». Mi

til

mu
— de
26 FRANCO MANCINI E BRUNO MAIER

lagnai seco lui che non erano questi li nostri patti. Mi replicò di nuovo che era
impegnato e che non mi voleva seco lui a costo di perdere la mia amicizia.
Io mi quetai a questa risoluta risposta e quasi in collera ci separammo. Di
volo andetti in una bottega e, preso a nolo un abito da pulcinella, mi recai
subito a casa, feci sollecitare il pranzo, indi, vestitomi da pulcinella uscii per
raggiungere il luogo dell’appuntamento dell’amico, poiché sapevo l’ora in
cui lui avrebbe dovuto trovarsi al sito stabilito. Ma che ! quando fui a pochi
passi distante dalla mia casa, accadde che un pover'uomo stramazzasse morto
in mezzo alla strada. Accorsa subito della gente incominciarono a gridare: un
prete, un prete ! Io che trovavami cosi vestito, senza farmi scoprire, m'avvi-
cinai a quel povero disgraziato e, inteso il polso, capii che era ancora vivo:
volevo sotto maschera dargli con condizioni segretamente l'assoluzione, ma
capitò sul punto un monaco di S. Pietro (9?) e proseguì questo ad assisterlo.
Io continuai il mio viaggio e giunto al sito appuntato, viddila bella masche-
rina che stava aspettando alla finestra. Fattole io un segno, caló subito alla
strada e, appoggiatasi al mio braccio, ci mettemmo in giro per la città.

Poco distante da dove eravamo partiti, incontrammo l'amico che fret-
toloso andava all'appuntamento. Ella che.credeva essere in sua compagnia,
non sospettó neppure essere proprio quello il pulcinella da lei atteso... Venne
l'ora del corso (99) delle carrozze e per la gran folla ci convenne entrare in una
bottega. Terminato il corso, la bella mascherina voleva obbligarmi a ritor-
nare all'accademia della sera antecedente; io le dissi che come prete non vo-
levo essere riconosciuto. Ella mi consiglió di non levarmi la maschera e cosi
dovetti compiacerla. Entrai dunque la gran festa dell'accademia; ci ponemmo
a sedere ambedue. Io peró ero sempre attento alla porta della sala, se mai
fosse capitato l'amico: di fatti, dopo l'un'ora di notte, eccolo. Mi licenziai
allora dalla mascherina, con dirle: « Torno subito ». Così, a mano a mano
che lui si avvicinava all'amica, forse per rimproverarla, io raggiungevo la
porta per uscire. Quando il Petrini se le presentó davanti all'improvviso
vestito da abate, ella non ebbe fiato di parlare, avendo creduto d'essere stata
sempre in compagnia di lui. La bella mascherina giró subito l'occhio per ritro-
varmi, ma invano, perché io immediatamente uscii dalla sala e, ritornato a
casa e rivestitomi dei miei abiti d'abate, raggiunsi di nuovo l'accademia.
Entrato, m'andavo avvicinando a poco a poco al Petrini, che sedeva vicino
all'amica; salutato, appena mi rispose, essendo ambedue stralunati e d'un
umore da far compassione. M'azzardai di domandare all'amico cosa gli fosse
accaduto e perché tanta mestizia. Esso mi rispose che a tempo e luogo avrei
tutto saputo e dopo pochi momenti li viddi sparire dalla sala.

15) VIAGGIO A VENEZIA PER LA FESTA DELL ÀÁSCENSIONE

Il carnevale del 1779 si fece in Todi un’opera bellissima in musica con
scelti balli che richiamò molti forestieri da tutte le città circonvicine; in que-
sta occasione capitarono alcuni giocatori di biliardo (5°) e faraone. Una sera

TOZZI
DOMENICO SALVATI, ABATE VIAGGIATORE E AVVENTURIERO 27

questi di soppiatto, volendo tagliare al faraone (79), fecero un banco di scudi
ottocento in tanta moneta d’oro e d’argento. Io che ero assai inclinato a que-
sto gioco, credetti azzardare qualche piccola somma per esperimentare se la
sorte mi assistesse; vedendo dunque che la carta mi favoriva; attesi di pro-
posito a far la mia sorte (7): ed infatti in poche ore vinsi scudi duecento-
cinquanta, tutti in zecchini effettivi. Vedendomi questa somma conside-
revole nelle mani, lasciai sul momento di giocare e risolvetti andare a
Venezia a vedere lo Sposalizio del mare, solito farsi ogni anno il giorno
dell’ Ascensione.

Incominciammo a girare Venezia per osservare le cose migliori, ma sicco-
me si rendeva impossibile vederle tutte, si comprò la Cronica Veneta (??), che
parla delle meraviglie di Venezia, la quale pagammo baiocchi venti. Nono-
stante, nominarò di passaggio le cose migliori da me vedute che sono la chiesa
di S. Marco a cinque navate, tutta lavorata a mosaico.... il gran Palazzo
del Doge, la piazza S. Marco, l'Arsenale, il Ponte di Rialto, d'un solo arco
con quarantotto botteghe aperte, ventiquattro per banda, sette belli teatri
nominati nella seguente maniera: il teatro di S. Giovanni Crisostomo a cinque
ordini e quarantadue palchetti per ordine; il teatro di S. Benedetto a cinque
ordini, trentuno palchetti per ordine; il teatro S. Luca, di S. Samuele,
di S. Mosè, di S. Angelo e di S. Cassino: in tutti intesi qualche opera;
il teatro nobile è S. Benedetto, ove intesi una bellissima opera, intitolata
la Circe (?).

L'oggetto per cui mi portai a Venezia fu lo Sposalizio del mare. La vigi-
lia dunque dell’ Ascensione si vidde in pubblico alla riva di S. Marco un ric-
chissimo Buccintoro, la doratura del quale mi dissero che si calcolava cin-
quanta mila zecchini effettivi. La mattina dell'Ascensione, circa le ore quat-
tordici italiane, venne il Doge nella chiesa di S. Marco, seguito da molti per-
sonaggi, che nominarò in appresso. Era questo vestito di un lungo abito
bianco, ricamato d’oro: aveva in dosso una pelliccia d’armellino bianco con
molte codine nere, che chiamano zibbellino; nelle mani aveva i guanti bianchi
ed ai piedi, calze e scarpe rosse; in testa aveva una perucca bianca... Così
vestito, venne nella chiesa di S. Marco, sotto un ombrellino ricamato d’oro;
era seguito dal nunzio apostolico, da tutti gli ambasciatori e da centoventi
nobili veneziani, vestiti tutti di damasco rosso, con gran perucconi ed una
borsa nera in mano, dove portavano scattola (74) e fazzoletto. Questi assistet-
tero tutti alla messa cantata, celebrata dal Primicerio (7?) di S. Marco: la
messa la incominciò il Doge (79) benché avesse moglie e figli e nel fine dette
la benedizione il nunzio apostolico .Finita la messa, andettero tutti precisa-
mente alla riva di S. Marco ed entrarono nel Buccintoro; si staccó questo
dalla riva, condotto da centoventi giovanotti, a remi; fu seguito da tutte le
galere e da altri legni, che trovavansi fermi al porto, con le loro bandiere
spiegate, da moltitudine di soldatesca armata, da una banda di stromenti di
ogni sorte e da un'infinità di gondole piene di gente mascherata. Giunti ad una

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28 FRANCO MANCINI E BRUNO MAIER

immagine della Madonna, a poca distanza dall'arsenale, trovarono ivi mon-
signor Patriarca (7?) con tutto il suo clero, vestito di abiti pontificali; appena
giunto il Buccintoro, il Patriarca usci dalla poppa del suo legno e benedisse
l'anello, con cui doveva sposarsi il mare; questo gli fu presentato da un prete
con cotta, uscito dal Buccintoro, entro una sottocoppa d'argento, infilzato
in un mazzo di fiori. Appena benedetto, fu presentato al Doge, il quale,
alzatosi in piedi, apri il postergale della sua sedia e pronunciò le seguenti
parole: « Desponsamus te, mare, in signum veri perpetuique dominii maris
Adriatici. In nomine patris ecc. » (?8). Molti notatori, chetrovaronsi presenti,
lo rinvennero, e, vendutolo, si divisero il prezzo. Indi, proseguendo il viaggio,
andettero tutti ad approdare ad un'isola due miglia distante da Venezia,
chiamata l'isola di S. Nicolò (7°), dove esiste un monastero di monaci cister-
censi, osiano cassinesi; qui, entrati in chiesa, assistettero alla messa, cantata

. da quel padre abate; nel tempo della messa, tutto il popolo, che aveva se-

guito il Buccintoro in maschera, non essendogli possibile accomodarsi in
chiesa, si trattenne in uno spazioso prato e la maggior parte si posero a gio-
care alle bocce, che loro chiamano « burelle ». Terminata la messa cantata, il
padre abbate di quel monastero condusse al refettorio il doge con quelli che
erano nel Buccintoro ed il patriarca con tutto il suo clero; ivi si trattò, se-
condo l’antico costume, d’una povera colazione, consistente in fichi secchi,
uva cotta, ossia asciutta, castagne, pane ed acqua. Finita la colazione tutti
ritornarono nei loro legni a Venezia, accompagnati dalli stromenti di ogni
sorte, a suono di tamburo, con sparo di ambedue le fortezze. Nell’avvicinarsi a
Venezia, si vidde tutta la parata di bellissimi arazzi di vari colori. Ritornato
il Buccintoro alla riva di S. Marco e calati tutti in terra, si accompagnò il
doge alle sue stanze; ivi giunto, nell’atto di ringraziarli, invitò tutto il séguito
a lauto pranzo già preparato. Entrarono tutti in un gran salone e sì posero
subito con ordine in tavola. Tre erano le tavole: nella prima sedeva il doge,
il nunzio apostolico e tutti gli ambasciatori; nell’altre due collaterali sedevano
i centoventi nobili veneziani; quando si posero a sedere, era già in tavola la
prima portata. Intanto che questi mangiavano, passeggiavano intorno alla

tavola molte persone in maschera, quali dopo aver girato intorno per tre

volte, erano dai soldati licenziati, per dar luogo alle altre persone che deside-
ravano di vedere. In altro salone si vidde preparata altra tavola, dove man-
giavano i centoventi gondolieri, che condotto avevano il Buccintoro. Questi,
terminato il loro pranzo, portarono via non solamente gli avanzi, ma ancora
le posate e salviette. Mi dissero che questo era il solito costume. Terminó
il pranzo verso le ore ventiquattro e ciascuno dei nobili convitati, riportò a
casa un bacile di paste di più sorte, contornate di fiori. Dopo l’un’ora di notte,
si vidde la gran piazza di S. Marco illuminata a cera; si vidde ivi tutta la
notte il passeggio delle maschere: e questo per quindici giorni continui, che
sembrava la sede di tutti li piaceri e divertimenti.

ETMEZIIIUINUIPSRSSEIUISAEUN
DOMENICO SALVATI, ABATE VIAGGIATORE E AVVENTURIERO

16) L'ALBERO DELLA LIBERTÀ

Il giorno 15 marzo 1798, per ordine del cantone di Narni, si radunò con-
siglio e furono fatte tre compagnie di soldati, con li loro rispettivi officiali,
che le comandavano, di numero cento l’una. Fu risoluto in questo consiglio
di inalzare in Stroncone l’Albero della Libertà. Il giorno dunque 30 aprile
1798, s'intimó a tutta la popolazione, tanto uomini che donne, che il giorno
appresso, primo maggio, si sarebbe alzato questo grand’Albero alle ore 20:
che però tutti si trovassero presenti sotto pena di scudi cinquanta e che la
sera tutti illuminassero le loro fenestre. Portarono dunque per Albero un
altissimo cipresso con tutte le foglie, tagliato nella macchia dei frati di San
Francesco. Fu questo piantato da piedi al vicolo del pubblico forno, in mezzo
alla piazzetta, incontro le fenestre della sagrestia di S. Nicolò (e Scarabot-
tino ne fu l’architetto). Con l’assistenza dei municipalisti incominciarono a
ballarvi d'intorno e di tanto in tanto lo baciavano alla presenza di tutta
la popolazione, gridando: « Viva la repubblica, viva la libertà ! » Dato sfogo
a queste loro pazzie, uscì furibondo dal vicolo del forno pubblico il fanatico
Antonio Fioretti, allora medico condotto, che fece un discorso patriottico a
favore della Repubblica e della Libertà. Io, con alcuni preti, per non essere
penato (8°), ero testimone dalle fenestre della sagrestia di S. Nicolò. Termi-
nata questa diabolica funzione, andette tutto il popolo nella pubblica piazza,
dove era stato preparato un gran festino: qui ballarono li cittadini e cittadine
più polite (81) del paese, scordate affatto del papa e della religione. La sera
poi si vidde il paese illuminato a giorno.

17) I FRANCESI A STRONCONE

La sera dunque de’ 21 settembre 1813, verso le ora 24, giunse in Stron-
cone questa colonna di francesi che atterrì tutta la Comune. ..............
Il colonnello alloggiò in casa Rosa e tutti gli altri per le case particolari. Ap-
pena giunti, richiesero molte contribuzioni in denaro, fieno, biada, polli di
ogni sorte, ova, frutti ed altri commestibili, per servizio e mantenimento del
colonnello e degli officiali, che seco conduceva. Li coscritti di Stroncone che
non si erano voluti presentare e quelli che avevano disertato ascendevano al
numero di undici, per cui nacque nella nostra Comune questo gran disordine.
La mattina appresso, 22 del suddetto, il colonnello fece intimare a tutti li
preti della Comune che alle ore 12 di Francia, ossia al mezzogiorno italiano,
sì fossero trovati nella sala del pubblico palazzo; lo stesso ingiunse alli padri
e madri dei coscritti ed a tutti i loro parenti. Venne l’infatuato colonnello
con tutta l’officialità; póstosi a sedere in una sedia d’appoggio, intimó a
tutti il silenzio e incominciò a dire che fossero ritrovati subito li coscritti
di Stroncone: ne diede incombenza primieramente alli preti, dicendo loro
che se in termine di tre giorni non fossero stati ritrovati tutti li coscritti,
30 FRANCO MANCINI E BRUNO MAIER

li avrebbero fatti subito trasportare nell’isola di Corsica. L’arciprete Orsini,
che fu il primo ad avere tale incombenza, volendosene dispensare, ebbe una
strapazzata così fiera, che diede in un dirottissimo pianto. Pareva in quel
giorno che nel pubblico palazzo si rappresentasse una tragedia. Il colon-
nello fece cercare tutti li padri e madri dei coscritti e spogliare sul mo-
mento le loro case di mobili, levargli bestiame e quanto avevano di capi-
tale. La stessa sorte toccò alli prossimi parenti dei coscritti. Venti possi-
denti del paese furono costretti a pagare una grossa contribuzione in de-
naro: questa ogni giorno sarebbe stata raddoppiata finché li coscritti non
Srfosseropresentati cr Ci OM ADD ou
Si sparse tale un terrore per tutto il paese, che li preti si mossero subito ed
andettero in traccia di questi coscritti unitamente a li parenti per consi-
gliarli a presentarsi.

GIURAMENTO DI FEDELTÀ A NAPOLEONE

Radunati tutti in detta sala, il « Maire » (€?) chiamò ad uno ad uno
per ordine li canonici di S. Angelo, facendo loro noto, o che dovevano
giurare fedeltà e obbedienza, o partire subito per la Corsica; a tale scopo
presentava a ciascuno un foglio stampato da sottoscrivere, del seguente
tenore:

« Io giuro e prometto a Dio sui SS. Evangeli obbedienza e fedeltà al-
l’imperatore Buonaparte; prometto ancora di non avere alcuna intelligenza
né assistere ad alcun consiglio, né di formare alcuna lega tanto all’interno
quanto all’esterno, che sia contraria alla tranquillità pubblica, e sapendo
che si trami qualche cosa in pregiudizio dello Stato, farlo sapere all’impe-
ratore ». Verso le ore tre di notte, terminata la riunione, si combinò che
tutti giurassero e sottoscrivessero il detto foglio.

ALCUNI VERSI ANTINAPOLEONICI

Non contento l’imperatore Buonaparte d’essersi impadronito di tutta
l'Italia, tentò impadronirsi anche di Mosca, capitale della Russia ma vi
andette a soccombere, per cui gli fecero i seguenti versi:

Nei primi tempi e nell’età più fosca
il ragno sempre inviluppò la mosca.
Solo Napoleone, il forte, il magno
fe' che la mosca inviluppasse il ragno:
andò in Mosca per starsene sovrano;
tornò da Mosca con le mosche in mano. (8?)

ORIGINE DEL CAMPANILE DI SAN FRANCESCO DI STRONCONE

Il campanile di San Francesco di Stroncone fu fatto fare da un certo
padre Ludovico Iacomini da Stroncone.
DOMENICO SALVATI, ABATE VIAGGIATORE E AVVENTURIERO

PRO MEMORIA DI SACERDOTI DEFUNTI DI STRONCONE, INCOMINCIATA IL PRIMO
GENNARO 1700

1700.
1700.
1702.
1704.
1705.
1706.
1708.
1709.
1710.

EZIO:
LL.
1713.
IWA VA

IVA TE
1718.
1721.
1721.
1723.
1723.

1724.
1730.
1730.
1730.
1730.
1730.
1731.
1732.
1732.

1732.
1733.
1733.
1734.
1734.
1736.
1737.
1741.

Alli 4 febbraro mori don Lorenzo Giubilei canonico in Sant'Angelo.
Alli 11 giugno mori don Pietro Giorgi canonico in San Nicolò.

Alli 25 marzo mori don Orazio Bonacani arciprete di Sant'Angelo.
Alli 25 marzo mori don Bernardino Gallini in Sant'Angelo.

Alli 18 marzo mori don Filippo Anasetti canonico in San Nicolo.

Alli 19 novembre mori don Giuseppe Arca.

Alli 18 febbraro mori don Giacomo Santori canonico in Sant'Angelo.
Alli 22 agosto mori don Giacomo Santori canonico in San Nicolò.

Ali 12 gennaro mori don Gregorio Commissari canonico in San-
t'Angelo.

Alli 2 giugno mori don Carlo Candolfi in San Nicolo.

Alli 30 aprile mori don Bernardino Cecconi in San Nicolò.

Alli 28 aprile mori don Paolo Antonio Angeletti in San Nicolo.

Alli 15 aprile mori don Angelo Stefano Costanzi canonico in San
Nicolò.

Alli 31 gennaro mori don Amilcare Ferracci arciprete di Sant'Angelo.
Alli 17 maggio morì don Antonio Malvetani in Sant'Angelo.

Alli 11 luglio mori don Gio. Battista Bonacani canonico in Sant'Angelo.
Alli 15 ottobre mori don Valerio Umani canonico in Sant'Angelo.
Alli 17 gennaro mori don Giuseppe Contessa canonico in San Nicolo.
Alli 24 giugno mori don Pietro quondam Damaso Angeletti in San
Nicolo.

Alli 18 gennaro mori don Terenzio Manotti canonico in Sant'Angelo.
Alli 2 febbraro mori don Francesco Bonacani canonico in San Nicolo.
Alli 18 marzo mori don Loreto Nobile in Sant'Angelo.

Alli 11 marzo mori don Domenico Antonio Salvati in San Nicolo.

Alli 26 marzo mori don Giuseppe Florenzi canonico in San Nicolò.
Alli 29 maggio mori don Francesco Contessa canonico in San Nicolò.
Alli 4 ottobre mori don Fulvio Ferranti canonico in San Nicolò.
Alli 17 gennaro morì don Protogene Delfini canonico in San Nicolò.
Alli 19 gennaro mori don Paolo Antonio Malvetani canonico in San
Nicolò.

Don Filippo Milardi canonico di San Nicolò morì a Civitavecchia.
Don Francesco Antonio Costanzi morì curato di Miranda.

Alli 27 luglio morì don Bartolomeo Costanzi canonico in San Nicolò.
Alli 7 maggio morì don Pietro Simelli in Sant'Angelo.

Alli 11 ottobre mori don Terenzio Iacomini canonico in Sant'Angelo.
Don Andrea Bonacani canonico di Sant'Angelo mori in Roma.

Alli 27 ottobre mori don Giuseppe Costanzi canonico in Sant'Angelo.
Alli 26 novembre mori don Giovanni Giorgi canonico in San Nicolo.
32

1742.
1743.
1744.
1749.
1754.
1755.
1755.
1764.
1764.
1764.
1765.
1766.
1767.
1768.
1768.
1769.
1769.
1770.
ECCE.
1772.
1772.
1774.
1776.
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7118.
1779.
1785.
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1792.
1792.
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1794.
1794.
1798.
1798.
1799.

1799.

1800.
1800.

FRANGO MANCINI E BRUNO MAIER

Alli 10 maggio mori don Pietro Angeletti canonico in San Nicolo.
Alli 11 febbraro mori don Agostino Delfini canonico in San Nicolò.

Alli 15 febbraro mori don Domenico Costanzi canonico in Sant'Angelo.

Alli 5 gennaro mori don Giovanni Benedetti canonico in San Nicolo.
Alli 14 luglio mori don Francesco Grimani in Sant'Angelo.

Alli 15 marzo mori don Salvatore Perangeli in San Nicolò.

Alli 18 ottobre mori don Angelo Massoli canonico in Sant'Angelo.
Alli 19 settembre mori don Giuseppe Contessa canonico in Sant'Angelo.
Alli 3 dicembre mori don Costantino Bonacani canonico in Sant'Angelo.
Don Giovanni Loreto Novelli mori penitenziere in Roma.

Alli 5 gennaro mori don Ilario Costanzi arciprete in Sant'Angelo.

Alli 11 novembre mori don Giuseppe Costanzi arciprete in Sant'Angelo:
Alli 22 maggio mori don Erasmo Coletti in San Nicolò.

Alli 12 febbraro mori don Giovanni Cecchini in San Nicolò.

Don Giuseppe Novelli mori in Roma.

Alli 7 maggio mori don Giuseppe Santi canonico in San Nicolo.

Alli 24 maggio mori don Giovanni Iacomini canonico in San Nicolò.
Alli 13 agosto morì don Matteo Giubilei canonico in San Nicolò.

Alli 10 settembre morì don Pietro Andrielli in San Nicolò.

Alli 2 gennaro morì don Terenzio Desideri in San Nicolò.

Alli 28 ottobre morì don Giacomo Coletti curato in San Nicolò.

Al 1° gennaro mori don Ferdinando Delfini curato in Sant'Angelo.
Alli 2 gennaro morì don Gregorio Egiddi canonico in San Nicolò,

Alli 8 marzo mori don Gio. Battista Angeletti canonico in Sant'Angelo.
Don Giovanni Costanzi mori curato nello spoletino.

Alli 21 marzo mori don Bernardino Costanzi canonico in San Nicolo.
Alli 21 novembre mori don Francesco Giubilei a San Francesco.

Alli 15 agosto morì don Stefano Cecchini in San Nicolò.

Alli 19 gennaro mori don Tommaso Fiorenza canonico in Sant'Angelo.
Alli 13 giugno morì don Giovanni Santori canonico in Sant'Angelo.
Alli 4 febbraro morì don Pietro Egiddi canonico in San Nicolò.

Alli 10 febbraro mori don Carlo Delfini; fu canonico in San Nicolò.
Morì in Roma don Giacomo Sante Ledderucci.

Alli 29 novembre morì in Roma don Bernardino Alesandrini.

Alli 6 dicembre morì don Francesco Contessa canonico in Sant'Angelo.
Alli 30 dicembre mori don Felicissimo Costanzi canonico in San Nicoló.
Alli 25 gennaro mori don Antonio Fabri arciprete in Sant'Angelo di
Otricoli.

Alli 7 gennaro mori don Matteo Liberatore Ponteggi in Sant'Angelo
di Contigliano.

Alli 14 ottobre mori don Stefano Ferracci canonico in San Nicolò.
Alli 6 dicembre mori don Bernardino Angelo Florenzi canonico in San
Nicolo.
DOMENICO SALVATI, ABATE VIAGGIATORE E AVVENTURIERO 33

1801. Alli 13 gennaro morì don Fulvio Anasetti canonico in San Nicolò.

1802. Primo ottobre morì don Bernardino Giorgi canonico in San Nicolò.

1802. Alli 28 ottobre morì don Antonio Ledderucci canonico in Sant'Angelo.

1803. Alli 2 marzo morì don Giovacchino Giorgi canonico di San Nicolò.

1806. Alli 17 aprile morì don Bartolomeo Cecconi in San Nicolò.

1809. Alli 8 dicembre morì don Francesco Desideri curato di San Nicolò.

1811. Primo maggio morì don Mauro Rosa arciprete di Sant'Angelo.

1811. Alli 29 luglio mori in Roma don Settimio Costanzi delegato apostolico
in assenza del Papa Pio VII.

1811. Alli 2 dicembre mori in Roma don Gregorio Costanzi.

1813. Alli 5 dicembre mori don Valentino Pulita ex-cappuccino.

1814. Alli 29 dicembre mori don Giovanni Terenzio Giorgi canonico in San
Nicolò.

1818. Alli 15 gennaro morì don Serafino Antonio Ferracci canonico in San
Michele Arcangelo.

NOTE:

Nota — Il ms. originale di 340 fogli cartacei non numerati, redatto nel
1817 si conservava presso Leopoldo Lanzi di Stroncone e, più tardi, nel Muni-
cipio della stessa cittadina: nel 1944 venne distrutto in seguito ad eventi bellici.
La nostra scelta si basa sulla copia, che ne fece trarre Lorenzo Leoni, verso la
metà del sec. xix, da un impiegato del Comune di Todi. (Riferimenti: L. LEONI,
Inventario dei codici della Comunale di Todi, n. 207, p. 69).

Delle Memorie di don Salvati abbiamo riportato, con brevi cenni espli-
cativi, una scelta limitata, procurando di far conoscere agli studiosi soprattutto
quegli episodi che, da un lato, meglio possono lumeggiare la figura dell'abate
umbro, e che, dall'altro, rivestono un qualche interesse storico, o, anche, pro-
priamente letterario.

(1) Brigantaggio, capitolazione, saccheggio di Stroncone nell’ Umbria. Rela-
zione di don Domenico Salvati, in « Archivio Storico Italiano », Serie III, tomo
XXVI, 1877.

(2) Notevole a questo riguardo, per il suo valore caratterizzante, un passo
delle Memorie in cui il nostro abate, ormai settuagenario, dichiara di voler
ancora « saporire la vita ».

(3) Nella parte finale del ms. sono, infatti, registrate ampie notizie riguar- .

danti le origini della famiglia Salvati.
(4) Castello del contado di Todi, sulla strada che conduce a Terni.
(5) Discendente dall’antica famiglia comitale de Fredis seu Gualfredis,
olim de Civitella Masse, che risale ad un Gualfredus (sec. x).
(6) Uno dei francesismi, frequenti nella prosa dell A.
(7) Cioé « vincitore di pubblico concorso ».
(8) Siamo, come si ricava dal ms., tra il 1747 e il 1748.
(9) Qui per « esecuzione ».
(10) « Squartare ».
FRANCO MANCINI E BRUNO MAIER

(11) « Epilessia », detta più comunemente mal caduco.

(12) In queste parole si può avvertire certo illuministico scetticismo verso
un’assurda superstizione popolare.

(13) « Turbato e insieme disgustato ».

(14) Ancora tra il '47 e il '48.

(15) Civitas Ducalis, allora città del Regno di Napoli, provincia dell'A-
bruzzo, sulla riva destra del Velino. Oggi Città Ducale, in provincia di Rieti.

(16) « Rinfresco ».

(17) Altro francesismo.

(18) « Simpatia », «inclinazione reciproca ».

(19) Le prime due fughe da casa, o piuttosto i primi due tentativi, risal-
gono rispettivamente al 1747 e al 1749 .

(20) Dialettismo per « russare ».

(21) « Bagaglio », « corredo per il viaggio » (dal francese équipage).

(22) La Sabina è l'antica provincia degli stati della Chiesa, tra l'Umbria
(al nord), il patrimonio di S. Pietro (ad ovest), la campagna di Roma (a sud)
ed il Regno di Napoli (ad est).

(23) Borgo del Regno di Napoli, in provincia del Sannio.

(24) Contribuivo con la mia parte di denaro al vitto comune.

(25) Cittadina dell’Emilia nei pressi di Ravenna (comune della provincia
di Ravenna).

(26) S’intende la « visita pastorale ».

(27) Si tratta, come usava allora, di conferire, dopo breve esame, gli ordini
minori ad un gruppo di chierici designati.

(28) Cittadina della provincia di Terni.

(29) « Retta », « pensione ».

(30) Si noti l’omissione del « che ».

(31) Il segno convenzionale.

(32) Forma centromeridionale per «lupo mannaro »: il S., evidentemente al
di là del comune significato della parola, allude alla voracità del nuovo rettore.

(33) Relazione amorosa.

(34) L’addetto alla disciplina nel seminario.

(35) « Poiché ».

(36) « Diligenza », « carrozza di posta ».

(37) « Informati ».

(38) Beneficio ecclesiastico sancito con decreto vescovile.

(39) Riunione familiare in un salotto.

(40) Di antica famiglia comitale todina, proveniente da Montecastrilli
(Prov. di Terni).

(41) « Spigliato », « di modi urbani e disinvolti ».

(42) « Frequentassi ».

(43) « Vestire con eleganza, con ricercatezza ».

(44) Stoffa di seta marezzata.

(45) Altro francesismo.

(46) Imbronciata.

(47) Todi, fin dal sec. xv, era governata da un prelato di nomina pon-
tificia.
(48) « Attenzioni », « premure ».
DOMENICO SALVATI, ABATE VIAGGIATORE E AVVENTURIERO 35

(49) « Gioco d’azzardo che si eseguiva con dieci carte ».
(50) Fratello del canonico Giovan Battista.

(51) È la fontana sottostante alla piazza principale, fatta costruire nel
1606 dal vescovo Angelo Cesi.

(52) Tuttora esistente ed abitato dalla famiglia Alvi.

(53) « Accompagnata ».

(54) Roma, 13 giugno, 1687 — Todi, 20 marzo, 1765.

(55) Dal 1715 al 1744: si tratta, dunque, di 29 anni.

(56) Samuele, il quale diede origine alla famiglia Retti. (cfr. G. ZUCCHETTI

Gli ultimi anni della vita di P. Rolli, in Convivium, A. II, 1930, pp. 519-604).
(97) « Tomba ».

(58) La lapide esiste tuttora.

(59) Gli Alvi, per conto dei quali lA. s'era recato a Torino.

(60) Vittorio Amedeo III (1726-1795), divenuto re di Sardegna nel 1773,
dopo la morte di Carlo Emanuele III.

(61) I due nipoti del canonico G. B. Alvi, Lelio e Massimo, che il padre
desiderava, data la numerosa famiglia, collocare quali cadetti al servizio di
qualche sovrano. (Cfr. F. MANCINI, Todi e i suoi castelli, Città di Castello,
1960, pp. 173-4).

(62) « Il parere », « la decisione ».

(63) « Assegno in danaro ».

(64) « Rione ».

(65) « Da guida ».

(66) Si rese pubblico mediante manifesto.

(67) Del convento benedettino di S. Pietro Vincioli.

(68) « La sfilata ».

(69) « Bigliardo ».

(70) Tagliare significa qui « tenere il mazzo delle carte e andare sfoglian-
dole a vista dei giocatori ».

(71) « La mia giocata ».

(72) Opera, apparsa anonima, di Pier Antonio Pacifico e precisamente:
Cronica Veneta sacra e profana o sia un compendio di tutte le cose più illustri
ed antiche della città di Venezia... In Venezia, 1736.

(73). La Circe drama per musica e poesia di D. Domenico Perelli, musica di
Giuseppe Misliwecek eseguita nel 1779 al Teatro di S. Benedetto, per la prima
volta, in occasione della Fiera dell’ Ascensione.

(74) « La tabacchiera ».

(75) « Capo del clero minore, nel capitolo ».

(76) Paolo Renier, doge di Venezia dal 1779 a 1789.

(77) Federico Maria Giovannelli, patriarca dal 1776 al 1800.

(78) La formula esatta: « Desponsamus te, mare nostrum, in signum veri
perpetuique dominii ».

(79) L'imboccatura del porto dell'isola di S. Nicolò di Lido era la méta
d'obbligo dell'itinerario del Bucintoro.

(80) Colpito dal provvedimento sopra accennato.
(81) « Ammodo », « dabbene ».
(82) « I1 sindaco » alla francese.
36 FRANCO NANCINI E BRUNO MAIER

(83) L’epigramma è pure riportato da E. Parazzi, Enciclopedia degli
aneddoti, Supplemento, Milano, 1935, p. 622. Manca, tuttavia, degli ultimi due
versi e presenta qualche variante:

Fin dall'etade più remota e fosca

il ragno sempre avviluppò la mosca.
Solo Napoleone, l’eroe magno,

fe’ chela mosca avviluppasse il ragno.
CRONACA DI GIAMBATTISTA MARINI

NOTIZIE STORICHE DAL 1794 AL 1833 SCRITTE DAL SAC. GIAMBATTISTA MARINI
Trascrizione di MARIO RoNCETTI

(Vedi volume LVI, p. 177 e segg.)

1816

SETTEMBRE:

A dì 17. Fu fatta altra Corsa nel sud.° Anfiteatro con affluenza di fore-
stieri. E lo stesso fu nel di 18. i

A dì 18. La generosa Nazione inglese condusse a proprie spese nel Porto
di Fiumicino 169 sudditi Pontificii, già state vittime della barbarie algerina,
e da quella Nazione liberati coll’abolizione della schiavitù per tutta la Cristia-
nità con gran gioia ed applauso di tutto l’orbe cattolico. Furono i suddetti
schiavi liberati ricevuti dalla milizia Pontificia, e condotti in questo giorno in
Roma, ove giunsero di sera. Vennero alloggiati nella Trinità de Pellegrini.
Il S. Padre se ne rallegrò, e dette ordine, che fossero provveduti del bisogne-
vole. Dimorarono in quell’Ospizio per 10 giorni, e da zelanti Sacerdoti fu loro
predicata la divina parola, e data l’istruzione per l’apparecchio alla Confes-
sione e Communione. Volendo il S. Padre ringraziare l’Onnipotente Monarca
Celeste, e la SS. Vergine, che è Auxilium Christianorum, per tal segnalato
benefizio, nella mattina del 24 Settembre, Festa della Vergine sotto questo
titolo, processionalmente si fecero andare i schiavi suddetti tutti uniforme-
mente vestiti alla vasta Chiesa della Minerva: ivi fu celebrata Messa solenne,
e ricevettero tutti la SSma Eucarestia con gran commozione della numero-
sissima gente concorsa. Terminata la Funzione, coll'istess'ordine furono ricon-
dotti i suddetti alla Chiesa della SSma Trinità, ove col SSmo fu data la bene-
dizione. Furono fatte poi altre funzioni, e per compir l’opera furono ammessi
ancora dal S. Padre al bacio del piede. Nel dì 27 poi sopra 9 cariaggi con provi-
sioni furono rimandati nel seno delle loro respettive famiglie. Roma esultò
molto per simil fatto. Partirono da Roma 158, ed erano in n° 159: 51 erano di
Sinigaglia: 22 di Fermo e suo porto: 38 di S. Benedetto: 25 di Recanati: 7
di Pesaro: 16 di Civitanova: 4 di Grotte a mare: 2 di Ancona: 1 di Marrano:
1 di Rimini: 1 di S. Elpidio: 1 di Roma. Restarono in Roma il Romano e 6
infermi.

A di 19. Fu fatta all'Anfiteatro altra Corsa.

A di 20. In Duomo alle 23 coll’intervento di circa 4/m persone, e con ordi-
nata simetria disposti i luoghi secondo i ranghi fu cantato l'oratorio del Meta-
38 CRONACA DI GIAMBATTISTA MARINI

stasio rappresentante la passione di G. C. posto in musica dal celebre nostro
patriotta Cav. Morlacchi, e venne eseguito da 52 professori tra musici e sona-
tori avanti Mons.” Delegato, con grande ammirazione, e gradimento di tutti i
concorsi.

OTTOBRE:

A dì 3. Monache di S. Benedetto rivestirono l’abito religioso in perpetua
clausura.

A dì 4. Monache di S. Agnese rivestirono l’abito del 3° Ordine di S. Eli-
sabetta in perpetua clausura.

A dì 5. Fu preparato un Globo di notabile grandezza lavorato da Alessan-
dro Morlacchi, che mandossi in alto alle 22 innanzi al Palazzo Baldeschi.

A dì 10. La bella Statua di bronzo eretta a Giulio III nel 1555, come as-
sai benemerito e restitutore de’ dritti civili, de quali i Perugini furono privati
da Paolo III, rimasta in oblio per anni 18, nel giorno d’oggi per suggerimento
di alcuni cittadini zelanti con Decreto dell’Illmo Magistrato del 3° Trimestre
del 1816, trasportata dal Cortile del Marchese Monaldi fu innalzata nella notte
del dì 9 sopra maestosa base di travertino nel centro della Piazza detta della
Paglia d’incontro alla porta principale del Duomo a levante, sotto il disegno
di Filippo Pecci Perugino e vi furono poste iscrizioni: quelle nei lati anteriori,
destro e sinistro si leggevano sull’antica base, allorché il simulacro ammiravasi
alla destra della porta meridionale di detta Chiesa: nel lato posteriore fu posta
altra iscrizione per rammentare alla posterità l’epoca della nuova erezione. È
opera del celebre Dante Perugino, riconosciuta del peso di 29/m libre.

A dì d.° Giunse da Roma la Principessa Vittoria de’ Duchi di Bracciano
sposata già con Francesco Connestabile de Conti della Staffa, o Ermanni.

A dì 19. I Carabinieri furono sostituiti in luogo de’ Birri, che erano venuti
in odio a tutti.

A di 18. Fu fissato in Vienna il giorno per le nozze dell’ Imperator d'Au-
stria.

A dì 21. Mons. Arcivescovo Campanelli partì per la visita delle Parroc-
chie rurali di P. B.

A dì 25. Fu derubato da Ladri il Maggior Battisti; e nella stessa notte en-
trarono nella Spezieria dello Spedale per mezzo di uno sfascio e derubarono
scudi 300 allo Speziale Giuseppe Tei.

A dì d.° La Guardia dei Soldati del Forte s'impossessarono della Caserma
de’ Birri.

A dì 26. Giunse un Deputato da Roma richiedendo la nota de’ morti
del 1815 e 1816.

A dì 28. Vi fu un congresso di tutti i Parrochi per riparare i disordini della
popolazione, stante la carestia de’ generi di prima necessità.

A dì 31. Tornò Mons.” Arcivescovo dalla visita.

NOVEMBRE:

A dì 1. Anna Alfani fu derubata di 13 pezzi di argento.

A dì 2. Fu derubata in S. Agata una stola di lama d’oro. A S. Bernardo
rubata una tovaglia d’altare in chiesa. In Chiesa di S. Martino fu rubato un
facolotto. Al Sagrestano della Compagnia della Morte fu rubato il Mantello.

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CRONACA DI GIAMBATTISTA MARINI 39

A dì 3. All’Oratorio dell’Università furono rubati scudi cento.

A dì 4. Giunsero 58 Carabinieri in armi da Roma per guarnire la Città e
le Comuni adiacenti.

A dì 5. Giuseppe Ticchioni fu derubato di 3/m scudi nelle ore notturne.

A dì 8. Incominciò un incendio in casa di Bartoccini vicina alla Missione
in tempo di notte, ma per prontezza de Carabinieri fu subito estinto.

A dì 10. Fu celebrata in Vienna la solennità matrimoniale di S. M. l’Im-
perator d’Austria con S. A. R. la Principessa Carolina Augusta di Baviera
nella Chiesa degli Agostiniani, e dopo fu intonato il Te Deum.

A dì 15. Fu rubato in Casa di Antonio Baldella.

A dì 13. Giunsero alcuni giorni fa in Civitavecchia 83 sudditi Pontifici
liberati dalla schiavitù Algerina dalla Nazione Inglese.

A dì 19. Successe l’Ecclissi del Sole 2 ore innanzi il mezzo dì.

A dì 20. Fu spedita dalla Cancelleria Vescovile lettera circolare per aver
dai Parrochi la nota dei poveri, che furono divisi in varie classi.

A dì 23. Il Caffè di Masi fu danneggiato dai ladri.

A dì 25. Fu in Napoli dal Re fatto il Decreto per la Costruzione della
nuova Chiesa dedicata a S. Francesco di Paola incontro al Palazzo reale di
Napoli.

DECEMBRE:

A dì 2. I Ladri rubarono nella Chiesa del Gesù.

A dì 6. Editti del Delegato e del Gonfaloniere. Nel primo s’impose il nuovo
Dazio ai possidenti di baj. 10 per 100 per servire per i lavori pubblici: il 2o
riguardava il prezzo de generi, e l’ora di potersi comprare dai Bagarini.

A dì 7. I Fornari furono trovati in frode sui spacci di pane.

A dì 12. Un detenuto disertò nella mattina dalla Carcere vescovile.

A dì d*. Nella sera fuggirono dalla prigione del Governo 11 detenuti; fu-
rono inseguiti dalla forza armata, e ricondotti in arresto in Fortezza.

A dì detto. Si seppe, che in S. Elena si usava la più scrupolosa atten-

zione per parte degl’Inglesi nel custodire il depositato Bonaparte.

A dì 13. Si seppe la morte di Guido Baldelli Perugino Tenente del Reg-
gimento de’ Carabinieri, che fu ucciso in Sabina inviato. a dissipare gli
assassini.

A dì 15. Giunse il Convoglio di S. A. R. Principe Leopoldo di Napoli in
Perugia colla Guardia de’ Carabinieri all’Albergo d’Ortolani in piazza de’
Corsi. Il Colonnello de’ Carabinieri e Direttore della Posta pontificia andarono
incontro al suddetto Sovrano, e sua Sposa fino alla Torricella.

A dì 16. Giunsero in Perugia S. A. R. Principe Leopoldo con Maria Cle-
mentina Figlia dell’Imperator d'Austria di lui Consorte Novella in legno con
4 pariglie, col seguito di 2 carrozze, una a 8, l’altra a 6, nell’Albergo Ortolani;
furono complimentati da Mons.” Arcivescovo, Confaloniere e Deputati.

Nel di 17. Partirono i suddetti Sovrani con tutto l'imponente seguito
per Roma.

A di 23. Fu trasmessa una circolare dall'Episcopio ai Parrochi della Segre-
teria di Stato riguardante il Dazio per i necessari sussidj per i poveri per tutto
l'anno corrente.
40 CRONACA DI GIAMBATTISTA MARINI

A dì 30. Morì di anni 83 Anna Baldelli Rossetti, e nel dì 31 fu fatto il fu-
nere nella Chiesa delle Cappuccine P. S. S.

Nella sera concorsero in Duomo Mons. Arcivescovo ed altri, come il
solito, alla consueta funzione dell'ultimo dell'anno.

1817
GENNAIO:

A di 1. I Mendici si lagnavano per non trovare alimenti; eppure i stabili-
menti pubblici e le Comunità religiose aveano improntato denari per servire
ai generali bisogni e sussidi per gl'indigenti.

A dì 2. Si elessero in pubblico consiglio 6 Deputati da presiedere alle sov--
venzioni delle varie classi d’indigenti.

A dì 4. Per tutte le Provincie furono prese le più accurate premure per le
povere genti, che gemevano sotto la molesta penuria, e tutti s'interessavano a
gara per sollevare gl’infelici oppressi dalla fame.

A dì 5. Furono fatte le sagre funzioni dell’acqua benedetta per l'Epifa-
nia in S. Angelo di P. B. e in S. Cristoforo di Piscille.

A dì 9. Per Consiglio Generale furono collocati 50 ragazzi nell’Orfanotro-
fio di S. Anna, e 50 ragazze nel Monastero soppresso di S. Francesco delle Don-
ne, e baj 4 al giorno per ogni individuo mendico e ascendevano al n.° di 5/m.

A dì 13. Fu aperto per la prima volta il Teatro di S. Carlo, in Napoli
risorto dalle sue ceneri più magnifico di prima.

A dì 15. Il Sacerdote D. Landino Landi Parroco di S. Cristoforo P. S. A.
deputato dal Clero Urbano a perorar la causa de poveri nel consiglio tenuto :
il dì 10 fu minacciato da Mons." Arcivescovo della pena di sospensione a di- i
vinis, e di fare gli esercizi spirituali per 8 giorni per un ricorso fatto contro |
il medesimo di avere oltre misura inveito contro gli Amministratori dello Spe-
dale Maggiore riguardo alla difficoltà di ricevere i malati nell Infermeria.

A di detto. Mori di 82 Eleonora Goga moglie di Francesco Rossi, e nel di
| 16 fu fatto il mortorio nella Chiesa di S. Spirito.
| A di 23. S'incominció a sovvenire poveri 800 colla sovvenzione di baj 4
per ciascheduno, e baj 6 per i cronici ed infermi.

FEBBRAIO:

A di primo. Fu incominciato a sovvenire i poveri di una libbra di pane al -
giorno, ed i cronici ed invalidi coll'aggiunta di 1 baiocco di piü da proseguirsi
per 6 mesi.

A di detto. Alcune persone mascherate furono dalla forza armata obbli-
gate a tornare in casa, per esser giornata di riserva, e vigilia della Purificazione.

Dal di 2 Gennaio non cadde più acqua sino alli 7 Marzo. Furonvi alcune
giornate nebbiose e nuvolose, le altre sempre serene ed alcune ancora calide.

A di 6. Si seppe da Parigi, che fu commesso un attentato contro il Principe
reggente, e si faceano ricerche per ritrovare gl'intentatori.

A di 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. 14. 15. 16. 17. 18. Giornate serene e vento
grecale.
CRONACA DI GIAMBATTISTA MARINI 41

A dì 13. Fu condotta in arresto Speranza Ottoni, e presentata al Delegato
in visiera, e fu obbligata a spogliarsi degli abiti da Ecclesiastico, vietati a
portarsi in profanazione.

A dì 14. Cavalcata da Cocchieri ripristinata con istraordinario sfarzo di
cera andata dopo il giro per la Città alla Chiesa di S. Maria della Pace de’
Cappuccini.

A dì 19. 20. 21 Sereno. 22 Lampi e gragniuola. Il resto sino alli 7 Marzo
variabile e sereno, fuori del 27, in cui di notte venne poca pioggia.

MARZO:

A dì 1. Si seppe da Roma, che a Ferrara si era manifestato un ragionevole
timor di tifo nelle carceri. Le persone sospette erano segregate.

A dì 8. Fu variabile. Fino alli 21 sempre giornate serene, ed alcune
nuvolose. i

A dì 10. Fu spedita lettera circolare ai Parrochi per aver la nota delli de-
fonti da darsi al Preposto del Bollo e registro.

A dì 14. Si seppe, che in Stocholma di Svezia si era scoperta una trama
tendente a sconvolgere il governo. Si faceano delle indagini.

Dal dì 7 sino al 21 fu tempo variabile, sereno e freddo. Il 22. 23 venne acqua
il 25. 26. 27 Sereno: il 28 piovoso.

A dì 16. L’accatto del Purgatorio in Duomo fu di scudi 98; allo Spedale
nel dì 9 scudi 28.

A dì 17. Morì d'anni 67 S.* Virginia Paganini Abbadessa delle Cappuccine
di S. Chiara, e nel dì 18 fu fatto il funere nella propria Chiesa.

A dì 22. Incominciarono in Duomo gli esercizi, predicando uno della Mis-
sione.

A dì 28. Si ammalò Mons." Arcivesco Campanelli.

A dì d9. Era caduta nell'Agro Romano una gran quantità di acqua dopo
una lunga siccità sofferta.

In questi tempi si faceano da per tutto sovvenzioni per i bisognosi in
gran numero.

A dì 29. Fu fatto in casa Ansidei della Fortezza della Parrocchia di S. Bia-
gio matrimonio clandestino tra Galeotto Balioddi con la Contessa Emeren-
ziana Cesarei unica erede del suo ramo in tempo di notte. Si presentarono al
Vescovo, che furono posti ambedue in sicurezza, cioè la Dama nel Convento
di S. Agnese, il Cavalliere in Castello fino a nuovo ordine.

A dì 31. Si era scoperto in Londra un gran complotto di cospirazione con-
tro il governo.

Nei dì 29. 30. 31 sereno.

APRILE:

A dì 1. Variabile. 2. 3. 4. sino al fine sereno greco e freddo acuto in alcuni
giorni. :
A dì 6. Fu ripristinato il Casino de’ Nobili per le notturne conversazioni.
A dì 15. Fu in Olanda veduta una nuova Cometa dalla parte di Ponente
di un gran splendore.
CRONACA DI GIAMBATTISTA MARINI

A dì 18. Fu incominciato un Triduo ai SS. Confaloni per aver l’acqua.

A dì 20. Morì di anni 18 Marc’Antonio Cesarei Fratello della Dama, di
cui sopra. Stette malato nel Casino di Fabrizio Penna in faccia ai Cappuccini,
e nel dì 21 fu fatto il funere in S. Francesco.

A dì 22. Fu incominciato un Triduo al S. Anello per aver pioggia.

Nel dì suddetto. Galeotto Balioddi fu penitenziato ad andare a fare gli
esercizi alla Missione.

A dì 23. Morì di anni 78 Costanza Donini nata Baldeschi, e nel dì 25 fu
fatto il funere in S. Domenico. Si dispensò a poveri la Pagniotta di once 16.

A dì 26. In Spagna si scoprì, che un Generale cospirava contro il Governo
di quel Regno.

A di detto. Si seppe, che il Governo Inglese avea scoperto un metodo di
corrispondenza fra Napoleone, rilegato nell’Isola di S. Elena, ed alcuni dei
di lui partigiani in Europa finamente ordito e del tutto nuovo. Era giunto a
Madama Bertrand, che era in S. Elena con Bonaparte, un’abito di mussola
ottimamente ricamato, di cui tutti i fiori e figure erano altrettanti geroglifici,
che ciascuno avea il suo significato. Il Governo Inglese ciò seppe per la loqua-
cità di colui, che era incaricato di portare il vestito in S. Elena, e che portato,
era già tornato da poco in Inghilterra. :

A dì 27. Morì di anni 57 D. Luigi Michelangeli Parroco di S. Luca, e nel
dì 28 fu fatto il mortorio nella sua Chiesa.

MAGGIO:

A dì 1. I Sposi congiuntisi clandestinamente nel dì 25 Aprile, cioè Galeotto
Balioddi ed Emerenziana Cesarei con Benedetto Oddi si recarono al Palazzo
della Contessa Anna Baglioni, ov'era la Contessa Maria Cesarei madre della
Sposa, ed ivi seguì la riconciliazione della Figlia e suo sposo con la madre, e
poi andarono in Chiesa a ricevere la benedizione.

Dal dì 1 fino a tutto il 4 fu sempre sereno.

A dì 2. Fu incominciato il Triduo al S. Anello per ottener la pioggia.

A dì 4. Fu portata da Mons. Vescovo processionalmente la preziosa re-
liquia del S. Anello all'Altar Maggiore coll'intervento del Gonfaloniere ed An-
ziani. Esposta la reliquia fu cantata la Messa votiva della Madonna. Nelle ore
in cui rimase esposto il S. Anello vi furono sempre i Consiglieri a vicenda al-
l'Adorazione. Di poi al tardi recitato un discorso analogo dal Canonico Luigi
Mattioli si cantarono le litanie, e fu riportata la reliquia al suo altare a pie’
la Chiesa.

A dì 4. Cadde una guazzata di acqua. Di poi seguitò il sereno sino al dì 23.

A dì 8. Morì D. Diomede Ercolani Parroco di S. Agata per un maligno
per assistere i malati nelle carceri. Perivano nelle carceri e negli spedali i ma-
lati attaccati da maligno petecchiale. Fu vietato perciò di suonar agonie ed a
morto, e di portar cadaveri in Chiesa, e che indistintamente tutti doves-
sero esser sepolti a S. Caterina Vecchia, ove fu formato a guisa dei Campo
Santo. Anche per la Città morivano e nella Campagna. La malattia era chia-
mata Tifo.

A dì detto. A Londra in Inghilterra furono pubblicate le accuse di 5 indi-
vidui di aver meditata la morte del Re; 2° di aver proposto di detronizzarlo;
DOSSI Toni na -— re eee

CRONACA DI GIAMBATTISTA MARINI 43

3° di aver proposto una guerra contro il medesimo; 4° di aver congiurato di
far cambiare i piani suoi e i suoi consigli.

A dì detto. Si seppe, che sulle Coste Affricane eravi una siccità senza
esempio.

A dì 9. Fu fatto il mortorio in S. Domenico del suddetto D. Diomede.

A dì detto. Si osservò terminata la doratura di tutti i stucchi nella Chiesa
della Confraternita della Giustizia.

A dì detto. Furono esposti i SS. Gonfaloni.

La stagione dell’inverno riuscì bellissima, ed incominciò il tempo buono
fin dal Novembre dell’anno scaduto. Il freddo ciononostante fu sensitivo, e
nella nostra Città e contorni avessimo pochissime nevi. Venuta la Primavera
e non vedendosi cadere le pioggie necessarie furono fatte le suddette Orazioni.
Intanto si fecero le orazioni ai SS. Gonfaloni esposti.

A dì 6. Si seppe, che nel Regno di Napoli si scuoprì una segreta cospi-
razione. I Carbonari erano quelli, che erano sempre in azione per guastar la
pace comune.

In questi giorni uscì un manoscritto in giro, che contenea la vita di Bo-
naparte, e lo pubblicarono stampato le Gazzette.

A dì 10. Serpeggiando per la Città il male maligno chiamato Tifo con
petecchie, ne morivano molti, attacandogli il capo e levandoli fuori di loro.
Fu pubblicato un ordine, come fu detto, che non si suonassero più agonie
né campane a morto per impedire le malinconie e le apprensioni, e che si tra-
sportassero i Cadaveri in S. Caterina Vecchia senza distinzione di persone
ancor sagre. Si faceano l’essequie nelle Parrocchie, e di notte in un Carretto
si trasportavano i cadaveri al luogo suddetto. I Carcerati sani furono traspor-
tati in fortezza, e nel dì 12 quei malati furono trasportati in S. Margherita
Convento di Monache soppresso, ed ammensato allo Spedale. Le carceri erano
piene per l’abbondanza de ladri. I ladri di piccoli furti furono rilasciati. La
miseria era indicibile. Venivano i Contadini in Città per tutte le parti smunti
dall’inedia. Non si potea andare in niun luogo senza essere molestati e pres-
sati da tozzanti e mendichi. I ragazzi e creature per tutte le strade urlavano,
ed erano ammaestrati dai propri genitori a far questo per poter avere limosina.
Vi erano anche tra uomini e donne alcuni, che usavano delle industrie e fin-
zioni per guadagnare da mangiare.

A dì 15. Si seppe, che in Parigi molte teste torbide aveano formati disegni
contro il Governo.

A dì 16. 17. 18. Furono portati in Processione le Immagini de SS. Gonfa-
loni, con un ordine veramente esemplare e quietezza e modestia.

A dì 19 e 20. Fu tempo nuvoloso, ma tutta nebbia e caligine, non nuvoli
acquosi.

A dì 20. Morì di anni 41 Lavinia Boncambi nata degli Oddi, fu trasportata
in S. Agostino, ov’era sepultuaria, e fu fatto il mortorio, e fu trasportata in
S. Caterina Vecchia in una Cassa di Quercia nel dì 21 con canello di piombo in
cui era racchiusa una pergamena per memoria.

A dì 22. Fu dato principio ad un triduo al S. Anello non essendo caduta
pioggia, da portarsi poi in processione nella Domenica giorno 24.

A dì detto. Nella sera fece una buona guazzata, ed intorno venne del-
l'acqua.
Mep4. ^ v o i
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Ra: LAE: 2 I II n. ATEI

44 CRONACA DI GIAMBATTISTA MARINI

A di 23. Tornó nuovamente la pioggia, e venne acqua in abbondanza
universale.

A. di 24. Dalla notte antecedente venne una continua pioggia, che duró
sino alle 3 della sera.

A di 24. Due Parrochi di Città tornarono in Cattedrale a riprendere nuovo
Olio Santo.

A di 25. Fu giornata bella. Nella mattina due ore e mezza innanzi il mez-
zodì si trasportò da Mons." Vescovo il S. Anello all’Altar maggiore, ove rimase
esposto. V'intervenne il Magistrato, come nel di 4 del mese corrente. Alle ore 5
pomeridiane, italiane 2 % si cantó il Vespro; indi si diè principio alla Proces-
sione coll'intervento di tutti gli Ordini regolari, compresi i Benedettini e Ci-
sterciensi, come nelle solennità del Corpus Domini, ed uscì per la Porta maggiore
orientale a pie' della Chiesa, andó per la via Pinella scorrendo la piazza piccola
e giunse nel Piazzone in faccia alla Fortezza, ove nei due Baloardi a destra e
a sinistra vi erano eretti due Altari. Si posò la S. Reliquia nel primo e can-
tata l’Antifona Sancta Maria, incensata fu con essa data la benedizione ne’
4 punti, come nelle rogazioni, e lo stesso fu fatto nell’altro Altare in fac-
cia all’altro baluardo. Vi erano ancora alla Processione i pubblici rappresen-
tanti. Di poi ritornò la processione per la piazza grande. Nella scala del Duo-
mo vi era preparato l'Altare, dove fu data la solenne Benedizione colla S. Re-
liquia a tutto il popolo; indi fu riportata alla sua Cappella e riposta. Questa
processione fu fatta tanto per ottener la pioggia, quanto ancora per ottenere
la liberazione della epidemia, che molto minacciava la vita di tutti.

Per tutta la Diocesi dai primi di Maggio fino al presente giorno si erano
fatte gran preghiere e processioni di reliquie insigni e simulacri sagri per ot-
tener la pioggia. i

A dì 26. Venne nella giornata dell’acqua.

A dì 27. Nella mattina fu tempo buono, ma nel mezzo dì ve
e dopo pranzo venne della grandine con tuoni e lampi,
siroccale. Anche nei contorni cadde dell
la collina di Bettona.

A dì detto. Alle 18 ore morì di tifo Vittoria Mandolini nata Antinori di
anni 49. Fu nella seguente mattina di buon ora trasportata al Campo di S. Ca-

terina Vecchia nella Bara con 4 Torce da vento dal Parroco. Il funere fu fatto
in S. Domenico nel dì 29.

A dì detto. Ad istanza del Gonfaloniere
Gonfalone di S. Lorenzo per tener lontan
Tifo petecchiale, e fu ordinato di aggiunger
mortalitate.

Furono mandati via tutti i poveri forestieri d
Fu incominciato il riattamento della piazza fuori della Porta di S. Carlo per
impiegare poveri in fatiche, acció non tozzolassero. Ció fu fatto in più luoghi
in appresso, come in Monte Luce ed a S. Savino e in altri luoghi.

A dì 28. Morì di Tifo D. Giovanni Trasimeni Benefiziato del Duomo, nel
dì 29 fu fatto il funere nel Duomo. Avea anni circa 30.

A dì detto. Fu aggiunta alla Messa la Colletta pro gratiarum
la pioggia ottenuta.

A dì 29. Fu tenuta congreg

nne dell’acqua,
e più tardi tirò vento
a grandine, e nel dì 28 era ancor piena

fu incominciato un Triduo al
a la mortalità e la malignità del
e alla messa la Colletta pro vitanda

andosi a ciascuno baj: 10.

actione per

azione in S. Lucia del Clero dai Parrochi per

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te gm qu nti oq t P ra s a
CRONACA DI GIAMBATTISTA MARINI : 45

stabilire la mancia da trasportare i Cadaveri de' morti al Campo, essendosi fino
a questo portati in un Cassone senz'accompagno, e si determinó di portarli
nella Bara coll'accompagno del Parroco. La spesa si divise in piü classi, pei
Nobili, Mercanti, Possidenti, Braccianti e Poveri.

A di detto. Mori di Tifo D. Pietro Ferranti Coadiutore del Parroco Pellic-
ciani in S. Donato. Avea circa 45 anni.

A di detto. Mori di anni 70 D. Sisto Monsignorini, che lasció della sua
eredità la metà alla Cura di S. Biagio, di cui era Parroco, e l'altra metà all'Orfa-
notrofio. Il funere fu fatto in S. Biagio nel di 30.

A di 30. Fu incominciato un Triduo di ringraziamento al S. Anello per la
grazia della pioggia ottenuta da Maria Santissima.

A di detto. In Vescovato fu tenuto un congresso tra il Vescovo Gonfalo- '

niere ed Anziani per causa di salute per motivo dell'epidemia.

A di 31. Nella sera non si trovava pane. In questi ultimi giorni di maggio
si erano ridotte le pagniotte anche a meno di oncie 3 in paio, e perció poco piü
di oncie 2 a baj. Ognuno facea quello, che gli piacea, e cresceva e calava il
grano, ed altri generi a proprio arbitrio. I Fagioli si trovano a scudi 23 il rub-
bio, a minor prezzo non vi erano.

GIUGNO:

A di 1. Ultinio giorno del Triduo a S. Anello. Coll'intervento delle autorità
pubbliche fu scoperta la S. Reliquia, e dopo un quarto di Orazione si furono
recitate nove Ave con litanie ed antifona consueta a dirsi, ed indi si ricuopri.
Fu data di poi la benedizione col Santissimo essendosi cantato prima il Te Deum
per ringraziamento della pioggia ottenuta. Vi concorse gran quantità di gente.

A di 2. Fu incominciato un Triduo al Cristo morto nella Fraternità di
S. Francesco per la liberazione dall'Epidemia, avendo il Signore altre volte
pregato in simili circostanze, esaudite le suppliche.

A di detto. Per lo stesso motivo fu incominciato un Triduo in S. Domenico
alla Madonna del Rosario.

Editto del Delegato Mons." De Simoni contro i Fornari, che spianavano
pane mancante di peso, misturato colla minaccia di carcere, legnate, ed es-
sere portato in giumento per le pubbliche vie, esilio ec. ed estese le pene anche
ai Spacciatori, se non tenevano la tariffa al pubblico.

A di 3. Mori di circa anni 37 Menicone Meniconi di male epidemico dopo
14 giorni di malattia. Lasció una figlia e la moglie di Casa Connestabili incinta
con pianto del Padre inesorabile, e di tutti, anche alla Torricella vicino a Ba-
gniaia, e nella mattina del di 4 fu fatto il funerale in Bagniaia.

A di 4. Si seppe che il male contagioso si era sparso in vari luoghi, come
ancora lo stato di miseria.

Si seppe dagli avvisi, che la passata siccità era stata universale. In Algieri
il Bassà a piedi scalzi, e capo scoperto assistette ad una processione di Peniten-
za. Gl'Israeliti fecero anch'essi orazioni. Nell'ultimo poi venne grand'acqua,
e fu tanto sopra l'Egitto, che ebbero ad essere ingoiate le Case nel gran Cairo.

A di 5. In Roma incominciarono i prestiti per i sussidi agl' Indigenti.

A di detto. Fu fatta la Processione del Corpus Domini con il solito treno
e dignità ed intervento del Delegato, Anziani, ed Impiegati.

—RS í——— (1
46 CRONACA DI GIAMBATTISTA MARINI

A dì 7. Fu fatto un fraudo di molte rubbia di grano nelle vicinanze di
Chiusi dalla Milizia urbana, essendo seguita scaramuccia tra soldati e contrav-
ventori. Furono portati tutti arrestati in Perugia col fraudo.

A dì 10. Fu pubblicata notificazione dalla Congregazione di Sanità, in
cui si stabiliva che i medici denunziassero tutti gli attaccati dal male epidemico;
che quelli che non aveano modo di usare le debite precauzioni per strettezza
della casa, dovessero esser trasportati in S. Margherita.

A dì detto. Venne lettera circolare della Sagra Consulta, che ordinava per
legge fatta fino dalli 22 maggio, che si formassero i Campi Santi per tutte le
Città, Castelli ec. in quella guisa più decente e sicura per provveder alla salu-
te della popolazione. Che i funerali si facessero nelle proprie Chiese, ed i Ca-
daveri si trasportassero al Campo Santo, comprendendo qualunque sorta di
persone; si dava licenza di formare ivi i sepolcri gentilizi a chiunque piacesse.
Chi avea Chiese in Campagna particolari potesse ivi farvi un campo proprio
murato con tutto il necessario per li propri individui.

Fu fatto lo Spedale nel soppresso Monastero di S. Margherita per traspor-
tarvisi tutti gli attaccati dal Tifo, che non aveano commodo e maniera da es-
sere assistiti, acciò non infettassero gli altri individui sani.

Dalle ultime acque avute fino alli 12 ogni giorno fu sereno e caldo. Le
Campagne fecero un profitto sorprendente e promettevano abbondanti rac-
colte. I frutti però cadevano immaturi.

A dì detto. Mori di un improvviso accidente il D.* Niccola Orsini di sopra
anni 60. Fu trasportato nel dì seguente al Campo Santo Fratelli della Compa-
gnia di S. Anna dopo fatto il funerale.

In questo tempo non soccombono degli Individui per il malor del Tifo,
ma vanno a ristabilirsi lentamente.

A dì 13. In Prussia fu arrestato Giovanni Muller capo di una setta assai
pericolosa.

Nei giorni 12. 13. 14. 15 fu sempre tempo sereno e caldo. Si seppe, che vi
erano in Città sopra 90 malati di tifo, ma pochi ne morirono.

A dì 16. Venne nel giorno dell’acqua.

Nel dì 14. Il grano fu venduto scudi 22 il rubbio, e l’olio baj. 16 la libbra;
il vino a baj. 12 il boccale.

A dì 15, 16 furonvi 5 morti di tifo.

Nel 17. Venne grossa acqua. Anche ne giorni seguenti ne è venuta.

In questi giorni il Delegato mandò lettere per il quotizzo, e fissò il prezzo
a scudi 22 il rubbio. Quello venuto in piazza si sarebbe avuto a minor prezzo,
se non si fosse fissato a tal somma.

A dì 26 e seguenti si è venduto il grano a scudi 16, e fuori anche scudi 14
il rubbio; eppure si spiana allo stesso saggio di scudi 22.

Si seppe, che ne’ paesi circonvicini vi era della mortalità.

A dì 23. Fu tenuto Consiglio nelle Camere Decemvirali per dare in appalto
il Dazio comunitativo da pagarsi alle porte per scudi 3000.

A dì 27. S'intese, che in vari paesi si erano affissi proclami allarmanti,
massime in Foligno.

Nel dì 28. Venne acqua grossa, che durò 3 ore.

A dì detto. Seguì l’apertura delle stanze civiche nella sera con sala d
ballo, e vari divertimenti nella casa di Giovanni Anselmi. :

NEXIUUHPIUNUERIAEMUUE
CRONACA DI GIAMBATTISTA MARINI 47

La Campagna era bella da per tutto e dava speranza di buona raccolta.
Dal dì 28 fino al 4 Luglio furono sempre giornate bellissime e calde, onde
furono incominciate le recisioni de grani nel dì 3 luglio per tutti i piani.
Dalla metà dello scorso mese fino al presente vi è stato in ogni porta un Il
Deputato per impedire l’ingresso a Forestieri senza indagarne la qualità. T
A di 30. Ordigno nuovo ordinato da Mons. Delegato de Simoni, chia- hil
mato Cavalletto per bacchettare nelle natiche i Delinquenti.

LUGLIO: Me

A di 2. Fu condannato alla pena del Cavalletto un Fornaro per aver spia-
nato il pane scarso di peso, ma fu solo posto nella Cavalletta, e non battuto,
pavendo di rottura. n...

A di detto. Fini di vivere D. Landino Landini Parroco di S. Angelo P. S. A. hi | 7]
per male epidemico, e nel giorno seguente fu fatto il funere nella sua Chiesa. 1

A di 4. Mori all'improvviso Diamante Borgia di anni sopra 60. Tutto si
gonfió e non fu potuto far la sezione nel giorno dopo, dicendosi esser morto
di veleno.

Dal di 4 fino al 12 fu sempre tempo buono e gran caldo. Le mietiture an-
davano bene. Il grano costava scudi 12.50 il rubbio, e del pane tutta farina se |
ne davano oncie 5 a baj.; e le pagniotte non giungevano a oncie 3 per baj. |
La Toscana avea magazzini pieni, ma il prezzo non calava. Il vino si vendea |
baj. 14 il Boccale, e baj 15 la libbra l’Olio.

Il caldo in quest’anno sino ad ora fu stato assai sensibile, ed erano degli
anni, che non si era sentito in questo grado.

A dì 9. In questi tempi mancavano da per tutto i generi di prima necessità. I^

A di 12. A Francfort fu fatto l'esperimento della carrozza senza cavalli, NI
inventata dal Barone di Drais, e riuscì perfettamente, e caminó 4 leghe di Il i
posta. Essa consisteva in un sedile con due ruote alte 2 piedi posta l’una dietro NI
l'altra, che erano spinte coi piedi. NI

A di 13. Cadde uno scroscio di acqua. i

A dì detto. Fuggirono tre carcerati, ma furono subito ripresi.

A dì 14. Fu fatto un frodo di 12 colli fra zuccaro e droghe. Ill

Dal 14 fino al 18 fu sempre tempo parte buono, e parte nuvoloso. Lo B

A di 22. Mori di anni 36 D. Domenico Rocchi Parroco di S. Angiolo P. B. lil
di morbo epidemico, primo Parroco perito di questo male per arresto fatto al
petto dopo migliorato. WIE EI

A di 28. In un Concistoro segreto il S. Padre creó 3 Cardinali, e li pubblicò WU |
e pubblicó altri due Cardinali creati, e riservati in petto 8 Marzo 1816. Fra IM
questi fu Mons." Francesco Leoni Cesarei Perugino Vescovo di Jesi. In Pe- MI
rugia furono fatte delle Feste e dati segni di giubilo. Alli 27 Agosto fu consa- NT
grato Vescovo di Jesi. 1

A di 31. A Morchester vi fu un gran temporale accompagnato da una piog- WU
gia di pietre grosse, che alcuni uomini ne furono ammazzati. I
È A dì 28. Essendo il grano a scudi 12 il rubbio ed anche a scudi 10, si segui- MI
: tava a spianare nello stesso sistema di scudi 22. Pochi erano quei, che vende- MI
j vano la pagniotta di oncie 3 per un baj. e si davano oncie 6 del bruno per ill |
| bajocco. ll

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48 CRONACA DI GIAMBATTISTA MARINI

Si vedevano in questi tempi vendersi dai Ladroncelli e Ladroncelle in
pubblica piazza i frutti rubati, e mele cotte, ed il governo non se prendea
pensiero.

Nelle Colline il grano calò un 3? di anno, e ne piani crebbe. De mistumi
pochissimi ve ne raccolsero. Il granturco in tal tempo avea bisogno di acqua
per potersene raccogliere.

AGOSTO:

A dì 3. In Duomo fu cantata la Messa dello Spirito Santo con il Te Deum
in ringraziamento per l'esaltamento alla Sagra Porpora Cardinalizia di Mons.”
Francesco Cesarei Decano della Sagra Rota. Nella sera fu illuminato il Palazzo
del Pubblico e del Vescovato, e case de parenti, innalzato l’arme a suono di
banda, fuochi, spari e suono di campane. L'illuminazione fu fatta per tre sere.

A dì 4. I tempi seguitarono ad esser belli, e caldi, e perciò i granturchi
andavano rimpiccolendo.

La miseria era grande nel paese, ed i poveri erano senza numero.

A dì 5. Morì di Tifo Giuseppe Rossi di S. Fiorenzo di circa anni 60.

A dì 6. Morì di anni 65 Lavinia Balioddi nata Sorbelli, e nel dì 8 fu fatto
il mortorio in S. Agostino.

A dì 7. Morì all’improvviso D. Errigo Cruciani Amovibile nella Cattedrale,
e nel dì 8 fu fatto il funere nel Duomo. Avea meno di anni 30.

A dì 9. Fu fatto uso del Cavalletto per due ladroncelli.

Dal 20 Luglio fino alli 21 Agosto fu sempre tempo bello e gran caldo.

Gran corruzione di costume fu in questi tempi. Non si sentivano,ovunque
si andasse, che imprecazioni di accidenti, nominare in vano e bestemmiare
il S. Nome di Dio pubblicamente, parlar sconcio senza riguardo altrui. Non vi
era chi si prendesse briga d’impedir tali sconcerti e mali. I Superiori tacevano.

A dì 14. Morì di anni 62 il P. Maestro Batini Filippino, e nel dì seguente
fu fatto il funere in S. Filippo,

A dì 15. Era un gran caldo e tra li 15 e 17 giunse il caldo a gradi 28.

In quest’anno quattro Ebrei per far dispetto ad alcune persone vennero
in Perugia ad incettare Bocci, avendo alzato il prezzo sino a baj. 30 la libbra,
ed hanno cavato dalla Città e territorio circa 28/m scudi di bocci. Questi mer-
canti della Città ricorsero al Gonfaloniere per impedirne l’estrazione e lasciarne
almeno 10/ m scudi per ajutare i poveri lavoranti. Nulla volle fare il Gonfalo-
niere; onde erano per rimanere senza lavoro sopra 700 famiglie, che si alimen-
tavano col lavoro della seta. In Foligno i governanti si diedero il carico
d’impedirne da quella Città e Territorio l’estrazione. In Livorno le sete fino
al giorno d’oggi non valevano più di lire 22 la libbra; e qui in Città ne chie-
devano scudi 4, 50 ed anche scudi 5. Erano cresciuti i prezzi delle sete lavorate,
e niuno le lavorava per non ritenerle lavorate con grande scapito, se erano
per calare.

A dì detto. Morì di tifo il Parroco di Monte Corneo.

A dì 22 detto. Morì il Parroco di S. Marco di Tifo, nativo di Città di Ca-
stello. La Città e Diocesi era rimasta scarsa di Preti, perché Mons." Campanelli
ricusava di tenere ordinazioni.

A dì 22. In Roma dopo due mesi di siccità e caldo eccessivo cadde del-
l’acqua.
3

CRONACA DI GIAMBATTISTA MARINI 49

A di detto. Cadde buon acqua dopo tanta siccità e caldo, e nel 23 venne
grossa.

A. di 24. Si ritrovarono nella Cappellina fuori della Piazza de Cappuccini
posta nella strada maestra nove posate di argento, che dopo le ricerche fatte
si trovó, che erano state rubate a Bufalini.

A di 27. Ricadde dell’acqua. Fu consagrato Vescovo di Jesi il Cardinale
Cesarei.

A dì 30. Fu posta in esercizio la Cavalletta per 2 ladri, che rubarono in
campagna i frutti.

SETTEMBRE:

A dì uno. Nella passata notte fu commesso un’assassinio in Castello delle
Forme nella persona del Cappellano del luogo da 4 persone sconosciute. La
serva perché gridava ebbe delle coltellate. Il Prete fu legato ignudo e fu deru-
bato. Si disse nel dì 4 carcerato uno de complici dell’assassinio, che era il Bar-
carolo di Casalino.

Nelli giorni 1 e 2. Vi furono 17 morti.

A dì 3. Terminarono di passare per i contorni di Roma le Truppe Austria-
che, che aveano evacuato il regno di Napoli, ove erano fino dalla presa del
regno dopo depresso Bonaparte. Il Regno era tornato in tranquillità.

In questi giorni si viddero gran poveri tanto di Città, che di Campagna,
ed anche forestieri, ragazze e ragazzi piccoli di campagna fuggiti dalle loro
case pieni di rogna, ed estenuati, che cercavano pane. Si sentivano lamenti e
maldicenze del Governo Pontificio.

Fu detto che il Papa era dichiarato idropico, e che poco di vita a lui re-
stava. :

Gran Confusione in questi giorni regnava da per tutto, e le miserie abbon-
davano in tutti i regni. V'era gran corruzione di costume, molti monopolisti
ed incettatori de generi di prima necessità, e si tentava la carestia, come nel-
l'anno scorso. Tutto era caro. L'Olio a baj. 18 la libbra; il vino a baj. 14 il boc-
cale. Erano stati raccolti pochissimi mistumi. Vi era peró della Ghianda, Oliva
ed uva.

A. di 4. Fu detto, che Mons." Vescovo Campanelli stando sempre male
dovesse andare a riprendere l'aria nativa di Matelica per consiglio de' Medici.

A dì 6. Essendovi in quest'anno delle mele, e molti poveri e senza numero
i ladri, questi andavano di notte a rubbar le mele, e poi venivano a venderle
in Città. Alle porte eranvi i soldati, ed aveano ordine dal ministro di Polizia
di prendere ai ladri le robbe rubbate, essendo di poca quantità, e rilasciare i
ladri per non aver l'aggravio di mantenerli in carcere. Rilasciando cosi i ladri
senza gastigo si dava anza ad essi di commetterne maggiori, e di arricchire
le guardie coi furti fatti.

A dì 11. Essendovi proibizione di non sonare a morto, e né agonie, il P. Pe-
rilli Religioso Servita in S. Maria Nuova in questa mattina fece suonare a
morto,essendovi un Cadavere in Chiesa. Tutti rimasero stupiti. Ma fu saputo
il perché. Il P. Perilli suddetto, Religioso accetto a molti Cardinali sapendo,
che in Roma non si pratticava, come altrove di non portarsi Cadaveri in Chie-
sa, di non suonare agonie, e di non suonare a morto fece un ricorso segreto nar-

4
CRONACA DI GIAMBATTISTA MARINI

50

rando tal forma, che qui si pratticava, ed ottenne un ordine, che si suonassero
agonie, a morto, e si portassero in Chiesa i Cadaveri. Ottenuto tal ordine andò
segretamente dalle Monache di S. Caterina, e le istigò ad imbarrare la Chiesa,
e la Porta del Campo, ove si sotterravano i morti. Esse si opposero ponendo
avanti de’ riflessi giusti, ma esso disse, che eseguissero pure un tale imbarra-
mento, perchè egli era un birbante, ma che avea del buono in mano. Disse,
che il Vescovato ne era inteso, e che il Vescovo avrebbe risposto in Roma
in caso, che si fossero fatti ricorsi dal Governo; e che perciò egli avea fon-
damento di poter fare tal cosa. Le Monache adunque fecero imbarrare la
Chiesa e la Porta del Campo. Nella notte dei 12 andarono i Becchini a por-
tare un cadavere nel Campo, e trovarono le Porte della Chiesa e del Campo im-
barrate. Ne fecero il riporto al Governo, e per ordine di questo un Ministro di
Polizia con i Carabinieri andarono ed entrarono forzatamente per la casa colo-
nica, e sbarrarono le porte, e fu sepolto il cadavere. Tutti pensarono che le
Monache avendo ciò fatto avessero sicuramente qualche rescritto da Roma.
Nel dì 13 il P. Perilli andò dal Delegato, dopo ciò successo, che era Mons.
de Simoni e molto disse sulla sua condotta tenuta per riguardo ad umare i
Cadaveri in S. Caterina vecchia, e sulla violenza usata nel fare sbarrare le
Porte della Chiesa ed orto contro l’ordine ricevuto da Roma dalle Monache, e
lo minacciò, che ne avrebbe fatto un ricorso in Roma. Inoltre si oppose il
Perilli ad un Progetto proposto dallo stesso Delegato, di voler imporre un
Dazio sui possidenti molto aggravati per fare il Campo Santo.

Nel dì 13. Pel mezzo del Mandatario de’ Cleristi venne ordine di suonare
le agonie, di suonare a morto e di sotterrare i cadaveri nelle proprie Chiese,
e nello stesso giorno s’incominciò in Duomo per la 12 volta a suonar l’agonia;
ed in seguito si fecero i funerali nelle Chiese e seppellirvi i morti. Il non poter
seppellire i morti in Chiesa fece nascere degl’inconvenienti in campagna, di
cui in alcuni luoghi furono sepolti i cadaveri sotto alberi e luoghi non propri.

Si seppe, che segretamente in Roma si operava per formare un Monte
Pontificio coi beni tutti de’ Regolari Uomini e Donne, e de Collegi di Perugia,
ammensargli alla Camera, e pensionare Frati e Monache secondo il sistema
di Bonaparte. Nulla però si seppe di più.

Furono creati i depositari per le sovvenzioni de poveri, che ingombravano
tutte le strade per essere alimentati e sollevati dalla loro miseria.

A dì 13. Si aprì il Teatro del Pavone con un Opera in Musica. In mezzo
a tanta miseria, sciagure e guai, e castighi non si pensava che a divertimenti,
in cambio di porgere preghiere per placar l’ira di Dio.

Vi era poi gran numero di persone debosciate, che giravano baldanzose
con danno dell’anima, e della roba, e non vi si porgea rimedio.

A dì 15. Partì per Matelica Mons." Campanelli per riprendere aria, giac-
ché erano dei mesi, che veniva attaccato da repentine febri, e per lo più gli
conveniva guardare il letto. Diede ordine in Cancelleria, che fuori delle cose,
che non ammettevano dilazione, pelresto niuna cosa si facesse senza sua saputa;
e legò le mani al suo Vicario Patrignani.

A dì 18 e 19. Venne dell’acqua. E nel 18 seguì la vestizione di due Cap-
puccine Perugine in P. S. S.

A di 19. Venne ordine di Roma, che si ponesse mano per formare un Campo
Santo, e fu subito fatto l'Istromento nello stesso giorno con le Monache di
CRONACA DI GIAMBATTISTA MARINI 51

S. Caterina per la compra del locale. La perizia ascendeva a molte migliaia.
Ognuno attendeva un nuovo Dazio per tal opera, e d’essere al più aggravato
con tale imposizione. Ma tutto poi svanì.
A dì 20. Furono condotti per la Città nell’asino i condannati alla Galera.
Si era da molti giorni dimesso lo spedale provisorio per i Carcerati in
S. Margherita.

A dì 27. Si è in questa settimana incominciato a scaricare il Campanile
di S. Margherita.

A dì 27. Si seppe, che vi erano de’ Malviventi, che infestavano i dintorni
del Viterbese, ed oggi ne furono dalla Truppa arrestati alcuni.

A dì 28. Giorno di Domenica fu celebrato in Duomo la Festa della Madonna
delle Grazie. Fu fatto antecedentemente un Triduo. Si celebrò il 1° Vespero
con musica. Alle 10 Italiane fu cantato in Coro il mattutito. Si cantò la messa e
Vespero 2° in musica, e vennero due Musici forastieri. Nella sera si incendiò
un fuoco artificiato, di poi vi fu la Commedia e la Tombola di scudi 150.

A dì 29. Fu fatta la Fiera. Nella sera si incendiò un fuoco artifiziato, di
poi vi fu la Commedia, e la Tombola di scudi 150.

A dì 29. Fu fatta la Fiera: nel giorno lo Steccato del Bove: nella sera la
Commedia.

A dì 30. Vi fu la Corsa in P. S. P. e antecedentemente vi fu al Circo il giuoco
del Pallone.

OTTOBRE:

In quest’anno la raccolta del Mosto fu molto invidiosa; in alcuni luoghi
fu il doppio dell’anno scorso, in altri meno assai.

A dì 4. Cadde della grandine, e tra questi vennero pezzi come le noci, e
portò del danno all’Oliva e ghianda.

A di 5. Si seppe, che Mons. De Simoni Delegato era stato eletto dal S. Pa-
dre Chierico di Camera.

A dì detto. Non fu fatta la Processione della Madonna del Rosario per
causa del tempo piovoso.

A dì 7. Venne dell’acqua, e nel dì 8 si sentiva del freddo. Questo fu il
primo giorno di freddo.

A dì 9. Fu nella Chiesa dello Spedale celebrata Messa in Musica, e nella
sera vi fu Accademia per l’innalzamento al Cardinalato di Mons. Agostino
Rivarola Protettore dello Spedale, e nella sera degli 8 vi fu illuminazione, e
l'innalzamento dell'Arma a suono di banda. La elezione al Cardinalato fu
pubblicata nel dì 1° Ottobre.

A dì 22. Venne in Perugia l’Eminentissimo Cardinal Cesarei, che fu ac-
colto con sommo applauso dalla Città: ebbe varj trattamenti in casa Balioddi
e dalla Vedova Cesarei: abitò in Casa del Conte Giulio Gonfaloniere. Alli 25
partì per la sua residenza d’Jesi. La sua affabilità con ogni sorta di persone
lo rese a tutti amabile. Si seppe che la Partenza di Mons." Campanelli per Mate-
lica fu per sfuggire l’incontro del Cardinal Cesarei, al quale, essendo Prelato
il vescovo, negò la facoltà di confessare nella sua diocesi.

. L’Imperator d’Austria fece istanza a Pio VII per aver la nomina de’ Ve-
scovi per tutte le Chiese degli stati posseduti dalle soppresse repubbbliche di
52 CRONACA DI GIAMBATTISTA MARINI

Venezia e Ragusi, che faceano parte de’ suoi al presente, e S. Santità con
Bolla delli 30 Settembre concesse la facoltà a lui, e suoi successori cattolici
della Casa d’Austria il privilegio di nominare tutte le suddette Chiese i propri
Pastori.

Dopo lì 22 del corrente vennero le acque in abbondanza e seguirono inon-
dazioni nel Tevere e fossi, e fecero gran danno ai seminati già compiti, ed anche
ai campi da seminarsi.

Essendo venuto da Roma ordine, che fino alla formazione del Campo

Santo si seppellissero i morti nelle respettive Chiese, non fu quello eseguito,
ma molti cadaveri venivano tumulati o in S. Margherita, o in S. Anna, nella
campagna si seppellivano i morti nei campi, sotto degli Alberi, dove non vi
erano cappelle fuori delle Chiese parrocchiali. Vedendo il P. Perilli, che non si
‘metteva in prattica l’ordine di Roma, spedì staffetta ricorrendo contro la pro-
cedura del Governo. Nel dì 31 del corrente pervenne un miremur al Delegato
e Rappresentanti pubblici e nuovo ordine, che si seppellissero i morti nelle
respettive chiese, finché non fosse formato il Campo Santo. Il Delegato e Rap-
presentanti si scusarono, rifondendone tutta la colpa nel Vescovo e Vicario
dicendo di non essere ciò di loro potestà, ma del Superiore ecclesiastico. In
fatti il Vescovo di Assisi asserì sempre esser egli su di ciò il padrone, e non volle
dar mai licenza, che si seppellissero i morti fuori delle Chiese.

A dì 30. Seguì un furo in casa Mandolini commesso con chiavi false, o
Grimaldelli, consistente in molte torcole di panno, in tutta la imbiancheria
ed altre robe. Ciò fu scoperto nel ritorno che fece di campagna Camillo Man-
dolini, e ascese la somma del derubamento a circa scudi 300.

NOVEMBRE:

Dal dì 3 agli 8 furono sempre giornate belle, onde andarono innanzi molto
le sementi. Rari

A dì 13. Tornò Mons." Campanelli Vescovo dalla sua patria di Matelica
in buono stato di salute.

A dì 25. Non fu vera la compra del Campo di S. Caterina Vecchia, ma
bensì per ordine del Governo e con intelligenza del Vescovo e Vicario vi furono
mandati operai a lavorarvi, tirando su un muro a socio per chiudere il recinto,
ov'erano sotterrati i Cadaveri; essendosi divulgato che fu veduto in P. S. An-
gelo in bocca di un cane un braccio in bocca; ed inoltre vi correvano i maiali
e scavavano i corpi.

A dì 29. Partì il Delegato Mons.” de Simoni, richiamato in Roma, come
Chierico di Camera.

DICEMBRE:

Si scoperse una congiura in Macerata, e furono carcerati alcuni Giudici,
ed erano arrestate circa 30 persone, e fra questi due Nobili, uno di Osimo, due
Carabinieri Uffiziali, e tre Giudici, e si trovarono degli Aghi avvelenati.

A dì 3. Fu tenuto congresso degli Anziani e Consiglieri per deliberare sul-
l’affare del Campo Santo; per trovar maniera di sussidiare i poveri.

A dì 7. Passò all’altra vita Carlo Labruzzo Romano Pittore e Direttore del
CRONACA DI GIAMBATTISTA MARINI 53

Disegno di questa Città. Fece varie operé qui, e fra le altre il Quadro dello
Sposalizio di Maria Vergine con S. Giuseppe all’altare del S. Anello per cuo-
prire il vuoto del Quadro portato via dai Francesi; ed il Padre Eterno nel
Baldacchino dell’ Altar Maggiore di S. Giuliana. Abitava in Casa di Cesare Lazi,
la di cui moglie Margherita, nata Delicati, e bravissima ricamatrice anche in
figure, fu molto da lui assistita, e diretta nei lavori di sua professione. E di
questa oltre altre opere vi è una bellissima Benda ricamata con figure di un
gran pregio. Nel dì 11 fu fatto un bel funerale in S. Domenico sua Parrocchia
con Musica ed Orazione funebre fattagli dal D.' Luigi Bartoli Procuratore e
Lettore di Legge nella Università.

A dì 12. Per la prima volta fu fatto l’Uffizio del B. Corrado, compagno

di S. Francesco, il cui corpo si conserva nella Chiesa di S. Francesco de’ Con-

ventuali.

A dì 13. Furono eletti 4 Deputati per trovare un luogo addattato per il
Campo Santo. Furono visitati i luoghi di S. Bevignate, di S. Costanzo, di Mon-
temorcino, e furono trovati vari luoghi inopportuni per tale oggetto.

A dì 14. Ritornarono 5 Quadri di quelli, che trasportarono in Parigi i
Francesi nell’invasione che fecero nello Stato Papale. Uno quello della Deposi-
zione dalla Croce del Barocci in Duomo, che fu rimesso nell’altare di S. Ber-
nardino. Un Quadro delle Monache di Monteluce, rappresentante il Presepio,
che stava in coro, Quadro di valore, e tre altri Quadri piccoli della Sagrestia
di S. Francesco, ove furono rimessi. Tutti questi ritornarono da Roma, dove
con altre Opere furono trasportati, e riportati dagl'Inglesi.

Vicino alle Feste di Natale l’Olio costava scudi 7,50 il mezzolino. Lo strutto
baj. 10 la libbra; il Lardo baj. 8. I maiali erano cari, le Castagne baj. 13 e 14
la Coppa, i Marroni baj. 18. Il Grano, che costava scudi 10 il rubbio in questi
giorni si alzò a scudi 13. Il Granturco a scudi 11. I Fagioli bianchi a baj. 45
la Coppa e così i Ceci; poco meno costavano i Fagioli di altre qualità: le fave
a scudi 4 il rubbio.

A dì 22. Furono carcerati un Fabbro ed un Muratore colle respettive
mogli per motivo del furto fatto in Casa Mandolini sugli ultimi di Ottobre.

A dì 24. Vi furono i primi Vesperi in Duomo, e tenne Pontificale Mons.”
Campanelli, e nelle notte cantò pontificalmente la Messa.

A dì 27. Sabato si aprì il Teatro del Pavone con Opera buffa.

A dì 30. Mons." Campanelli pubblicò l'Editto per la santificazione delle
Feste, ordinando di tener chiuse tutte le botteghe, fuori di quelle, che erano
necessarie per la vendita de’ commestibili, e queste ancor fossero chiuse in
tempo de’ divini Offizi.

A dì 31. Secondo il solito si celebrò la funzione del compleanno in Duomo.

A dì detto. Morì l’Ajutante del Comandante della Fortezza, che abitava
in Casa Goga a S. Fiorenzo con tutta la sua Famiglia. Quegli prendeva la Pasqua
in Fortezza secondo le leggi della milizia, la qual Fortezza sta nella Cura dello
Spedale. Morto il detto Ajutante D. Michele Mattioli Parroco chiese il Corpo
del Defonto, e di fare il Mortorio allo Spedale. Ricusando il Parroco di S. Fio-
renzo Frate Servita, Mattioli portò la Bolla di un Pontefice, con cui provava,
che il mortorio apparteneva a farsi allo Spedale. Mons. Vicario Patrignani
fece il Decreto, che allo Spedale si portasse il Cadavere. Il Parroco di S. Fio-
renzo prese il denaro per il Funerale dalla Moglie del Defonto, fece celebrare
54 CRONACA DI GIAMBATTISTA MARINI

le Messe, e intimò la celebrazione della Messa cantata. Andò la Truppa a S. Fio-
renzo per assistere al Mortorio, e fare i dovuti atti militari. Mattioli saputo
ciò fece istanza al Vicario, che mandò ordine, che la Truppa andasse allo Spe-
dale, ove fu fatto il funere, ed i soldati fecero li soliti atti militari.

1818
GENNAJO:

A dì 1. Fu fatto derubamento in casa Bichi, entrando i ladri (!) per una
fenestra, portarono via alcuni lenzuoli e coperte.

A dì detto. Tempo nuvoloso, con minuta pioggia e aria rigida.

A dì 2. Teresa Connestabili ne Meniconi dette alla luce una femina, no-
minata Chiara.

A dì 3. Fu imposto un dazio communitativo col nome focatico, ripartito
a proporzione della possidenza.

A dì 5. Morì Niccola Batisti nobile di Cortona, domiciliato in Perugia,
avendo della possidenza in questo territorio. Era maggiore della Truppa Ur-
bana, e tra gli anziani nel Governo, e nel dì 7 fu fatto il funere in S. Agostino
coll’intervento del Gonfaloniere ed Anziani e la Truppa Urbana, e fattosi da
questa la funzione militare.

A dì 6. Il Conte Niccola Righetti nell’atto, che usciva per andare a sentir
Messa fu colpito di Apoplessia; nella sera fu communicato,e nella notte morì,
e ne fu fatto il funere in S. Francesco il dì 9. Non si pubblicò se non che al tardi
la morte per poter prendere possesso de beni a nome della Figlia.

A dì 9. Morì di accidente nel momento Luigi Monotti nella mattina in
mezzo alla strada del Mercato fuori della porta di S. Carlo.

A dì 11. 12. Due belle giornate, ma fredde.

In questi giorni calarono il pane di peso. L’Olio costò baj. 13 1/, la libbra;
il grano 13 scudi il rubbio.

A dì 13. Si radunò il Consiglio coll'intervento del Gonfaloniere, Anziani
e Consiglieri per deliberare sulla imposizione di un Dazio communitativo per
riparare alle spese del Comune. Dopo molto dibattimento fu determinato di
far pagare l’ingresso dell’Olio in Città baj. 30 il mezzolino, un paolo per soma
il mosto, e un baj. per i capretti.

A dì 16. Fu pubblicato Editto per le maschere colle solite riserve.

A dì 19. Venne ordine della Segreteria di Stato, che tanto il Gonfaloniere,
che gli Anziani dovessero servir gratis.

A dì detto. Morì Giulio Goga per una vena dilatata, e d’Idropisia e si
trovò nella sessione un cuore di smisurata grandezza. Fu fatto il funere in
S. Domenico nel dì 23. Era di anni 24.

A dì 20. Venne ordine dalla Segreteria di Stato, che immediatamente
si formasse il Campo Santo; altrimenti si minacciava mandare un Commis-
sario da Roma.

A dì 30. Fu fatta la solita Cavalcata de’ Cocchieri.

A dì 31. Pioggia e vento.

(1) «lari» nel testo.
CRONACA DI GIAMBATTISTA MARINI

FEBBRAJO:

A dì 23. Nella mattina fu giustiziato colla Guillottina al Campo di Batta-

glia Antonio Galeotti contadino del Colle del Cardinale, che nell’anno scorso
ammazzò crudelmente un suo Compare.

A dì 26. Editto dell’Assessore, che vietò il giuoco delle ruzzole fuori de’
luoghi prescritti passate le porte della Città.

MARZO:

A dì 1. Erano cresciuti i Dazi. Il grano era sbassato a scudi 11 e scudi 12 il
rubbio. Nel giorno di mercato vi fu gran roba in piazza. Il vino era a baj. 8
il boccale.

A dì 7. Nella sera alle ore 5 si sollevò un impetuoso vento ponente,come
un Oragano, che fece gran danni. In Città smantellò tetti, gittò giù camini.
In Campagna portò via pagliari, sbarbicò alberi.

Il grano era calato a scudi 10,50. Si dava il pane a oncie 7 a bajocco di
quel bruno.

Le Monache di S. Giuliana comprarono in Cortona due Cori di due Mona-
steri di Monache, uno di noce, l’altro di legno dolce. Nel mese scorso di Gennajo
fu di quelli il trasporto in Perugia. S'incominció il lavoro ed al presente si la-
vorava, e si sperava che per Pasqua fosse compiuto.

Nel principio di questo mese avendo il P. Abb. Monti Silvestrino parlato a
Mons." Campanelli contro il Fattore di S. Caterina, che entrava per i bisogni
nel Monastero, e che in altri due Monasteri entravano spesso i Ministri, esso
ordinò che niuno in avvenire avrebbe potuto aver licenza per entrare, se non
avea la fede del proprio Parroco su de suoi costumi, ed inoltre ordinò, che niun
ministro entrasse, ma che domandasse licenza ogni volta che dovea entrare.
Ciò diede a dir molto alle Monache e secolari, e molto disestò i bisogni de’
Monasteri, perché non poterono più entrare i Legnajuoli ed altre persone ne-
cessarie, e convenne che si facessero fare le fedi dai Parrochi.

A dì 8 e 10. Vento ed acqua e parte sole.

Circa il dì 20 furono scoperte e scavate alcune pietre di travertino nel
campo contiguo alla strada sotto, ed in faccia a S. Anna per andare alla Ma-
donna di Loreto sopra la Villa di Montesperelli. Erano pietre longhe e quadre,
ma senza alcun segno e di niuna considerazione.

A dì 25. Si seppe essere seguito un Concordato fra la S. Sede e la Corte di
Napoli per affari Ecclesiastici.

Si ammalò Scipione Rossetti ultimo di questa famiglia, abitante nel suo
palazzo contiguo all’arco antico della Via Vecchia. Si seppe, che avea fatto
testamento a favore della famiglia Brutti. Avea esso moglie, ma non avea mai
con lei convissuto. Fu consigliato a considerare sua moglie, e sua sorella Ric-
carda maritata con Giambatta Sperelli di Panicale, che avea parte nella ere-
dità e per una porzione di dote, e per legati a lei lasciati dai due Genitori.
Il Conte Giulio Cesare Gonfaloniere andando il male di Scipione ad aggravarsi
di molto, per mettere al sicuro la roba di Riccarda nella notte del 30 mandò
i Carabinieri per custodire il Palazzo. Nella sera del 31 passò all’altra vita in
56 CRONACA DI GIAMBATTISTA MARINI

età di anni 58, e fu fatto il funere in S. Fortunato nel dì 2 Aprile. Spirato che
fu il Capitano Soncini andò a prendere possesso de beni a nome della Riccarda
Sorella di Scipione. Il testamento consistette in ciò, che fece erede il Figlio di
.Brutti coll’obbligo di tirare innanzi la Casa Rossetti, e usufruttuari Antonio
‘Padre e Rosa Zurli madre: dotò una figlia.

APRILE:

A dì 3. Giunsero in Fortezza 4 Assassini di quelli, che erano stati sulle vic-
cinanze di Frosinone ad esercitar l’assassinio. Molti di quelli si costituirono, e
furono graziati, ma della vita sola, dovendo vivere ristretti in diverse fortezze.

A dì 11. Morì D. Tommaso Fortunelli Parroco Giubilato e Confessore
stato di Monache in età di anni 91, e fu fatto il funere nella Chiesa nuova per
sua disposizione.

Venne notizia del Sinodo fatto in Città di Castello dal Vescovo Mondelli,
e nel giorno finale vi fu la processione con 268 Coppie di Ecclesiastici.

A dì 13. Fu stabilito il Matrimonio delle due sorelle Vermiglioli con i due
Fratelli Oddi, ia Lavinia col Conte Marcantonio, Agnese col Conte Benedetto.

A dì 17. I Carcerati in Fortezza tentarono di fuggire, avendo scoperto
un pezzo di pavimento, ma l’Uffiziale di sorveglianza scoperse l’attentato, e
furono condotti i Carcerati nel Governo.

A dì 20. Giunsero due Stimatori per la riforma de nuovi Catasti per tutto
lo Stato e passarono a Città di Castello.

A dì 21. Ordine di ritirare diverse monete d’argento in termine di 3 giorni,
facendosene il cambio in tesoreria.

Dal dì 22 sino al fine furono alcune giornate belle ed altre nuvolose.

MAGGIO:

A dì 1. Giunse il Principe ereditario di Baviera di ritorno da Roma.

A dì detto. Passaggio del Principe Corsini eletto Senatore di Roma con
tutto l’equipaggio.

A dì 2. Fu concluso il Matrimonio fra la Tommasa Oddi e Fabio Danzetta.

Dal 1 al 4. Tempo sereno: nel 4 poco di pioggia. Di poi parte variabile, e
parte sereno sino a tutto il 14.

A dì 10. Si aprì un nuovo Caffè nella Casa Graziani da Mazza Ebreo.

A dì 15. Vento e acqua fino al 18, e neve ai monti.

A dì 14. Giunse il Cardinale Albani Protettore di Perugia, che veniva da
Todi. Andò ad incontrarlo il Conte Giulio Cesari Gonfaloniere, nella cui casa
fu ricevuto. A di 15 gli fu scoperto il S. Anello. Furono fatte alcune Accademie,
ed una nelle Camere di Giovanni Anselmi, luogo di divertimento comune,
come si disse, nel 17. Il medesimo Anselmi dette trattamento al Cardinale
come suo Patrino nel Casino al Sorbo. Nella sera vi fu opera al Teatrino delle
belle Arti nella Sapienza Vecchia, e vi andò ancora Mons” Campanelli. Gli
attori furono acclamati avendo rappresentato l’Ennio del Metastasio. Partì
il Cardinale il 18.

A dì 15. Venne pubblicata Legge, che i Contadini, che si volessero mandar
via dal luogo, fossero licenziati nel maggio, e che non potessero seminare nello
CRONACA DI GIAMBATTISTA MARINI 57

stesso podere, ma andar a far la sementa nel nuovo, ed il seminare perciò ap-
partenesse al nuovo. Fu tolto quel gravoso costume che il Contadino partito
dovesse far la raccolta nel podere lasciato; ed il nuovo facesse ancora la rac-
colta dell’olio. Dovesse perciò partire nel fine di Ottobre, e se prima della fine
di Ottobre fosse stato necessario raccorre l’oliva, dovesse esser pagato del rac-
coglimento.

Dal dì 18 fino aU fine del mese è stato il tempo vario in tutto e si senti
del freddo.

A di 20. Morì di anni 70 il Conte Francesco Valenti Maggiore nella Milizia.

AI di detto. Fu tenuta Cresima in Cappella generalmente.

‘A di 27. Accademia presso il Marchese Giuseppe Antinori per l'Arciprete
Brami bravo Poeta già defonto.
—_ TT I e — ee

Memorie

ANTICHE CHIESE SCOMPARSE
E CHIESE RESTAURATE NEL DOPOGUERRA
IN TERNI

A chi voglia rendersi conto dello sviluppo, nel tempo, di una città,
ed esamini vecchie stampe o confronti antiche illustrazioni pittoriche
con la realtà di oggi, può avvenire di constatare mutamenti notevo-
lissimi, non solo, come naturale, nell’estensione, ma nella stessa qua-
lità compositiva della città. È il caso di Terni, sotto certi aspetti.

Infatti, pur senza riferirsi alla ormai remota pianta della città
di Terni delineata nel 1559-1570 dal Piccolpasso, guardando il nitido
disegno della pianta «intagliata » dal capitano Domizio Gubernari
(«che fu in Perugia l’uno degli Ingegneri dell’esercito pontificio nel-
l'occorrenza dell'ultima guerra di quelle parti ») per la Historia di
Terni dell’Angeloni, stampata nel 1646 — o la molto più grande inci-
sione a colori « Terni-Ville de l'Etat de l'Eglise dans le Duché de Spo-
leto » edita nel 1662 ad Amsterdam « par Pierre Mortier avec privilè-
ge » — si rimane un po’ colpiti dal gran numero di chiese ed oratori che
vi figuravano come edifici notevoli.

A parte il fatto che quella preminenza non v'é più oggi, sia pure
sotto il profilo monumentale, molti degli edifici sacri di cui si legge
il nome nella indicazione numerata delle «cose delineate » (così si
esprime l’Angeloni) nelle iconografie, sono oggi scomparsi. E poi che a
tale scomparsa, per una certa parte, ha contribuito la recente guerra
con i suoi bombardamenti e le sue distruzioni — e la stessa guerra ha
poi peraltro dato motivo perché si effettuassero, in alcune delle più
importanti chiese, fondamentali restauri che sono stati, dov'era possi-
bile, veri e propri ripristini, sembra interessante raccogliere qui alcune
memorie delle antiche Chiese scomparse e dare unitarie notizie dei
restauri avvenuti negli anni 1943-1950.

LT
PIERO GRASSINI

LE ANTICHE CHIESE SCOMPARSE PRIMA DELL'ULTIMA GUERRA

La pianta stampata ad Amsterdam, che ha grandi dimensioni,
è una bella veduta prospettica, ottenuta guardando la città dal lato
dell’attuale Camposanto fuori di Porta Sant'Angelo ed abbracciando
nella vista un orizzonte dal lato Narni sino all’antico castello di Per-
ticara, dal lato opposto sino a Rocca S. Zenone e Colle Licino sulla
via di Spoleto. Essa, che si chiude nell’alto, verso Miranda e le Mar-
more, con una corona di troppo aguzzi e fantasiosi monti, enumera,
entro le mura, ben trentotto Chiese o Cappelle: e ne aggiunge altre
11 fuori le mura. La pianta del Gubernari, più composta, meno appa-
riscente, dà un certo maggior ordine all'andamento delle vie citta-
dine, così ch’esso si riesce a cogliere meglio come fisonomia generale
dell'abitato, mentre nell'altra di cui s'è detto v'é, in compenso, una
tal quale raffigurazione del tipo stesso degli edifici; essa ha dimensioni
molto minori della precedente perché si conclude nella doppia pagina
di un libro, e gli edifici elencati come chiese ed oratori sono trentatrè.

Ora, se si pensa che nell'ambito delle mura la pianta di Amster-
dam indica, nella «legenda », settanta edifici degni di menzione (fra
cui le dette trentotto chiese) e il Gubernari solo quarantasette, si avrà
un'idea di quale importanza avesse l'edilizia sacra in una città che nel
cerchio delle mura neppure raggiungeva il mezzo chilometro quadrato
di superficie. Cosa sono cinquanta ettari, oggi, in campagna ? Qualche
podere. In quella cerchia invece viveva solo un nucleo di gente ope-
rosa — nemmeno 2000 fuochi, circa 8000 persone - la cui operosità
non interrompeva il colloquio con il Cielo, che veniva considerato in-
teresse preminente.

Mancano nell'elenco del Gubernari cinque edifici sacri, di cui si
danno le indicazioni come dalla pianta di Amsterdam: l'Oratorio
del Corpus Domini - la Madonna del Cassero — Santa Chiara con il
giardino — l'Oratorio dei Confrati di S. Giuseppe — Sant'Onofrio « con
piazza e giardino » — ed un sesto, l'Oratorio del Suffragio, é unito alla
Chiesa indicata come S. Luigi dei Gesuiti, che deve essere invece Santa
Lucia. Manca invece nell'elenco della pianta stampata in Olanda la
chiesa di « Santa Elisabetta delle Pinzochere » nel rione Amingoni,
che doveva trovarsi all'incirca fra largo Villa Glori, attuale, e il Corso
Tacito all'altezza della Cassa di Risparmio. Dice intatti l'Angeloni
che, dopo il palazzo del Monte di Pietà «uscendo appresso tal luogo
dalla Piazza, si ha incontro la piccola Chiesa di Santa Elisabetta delle
ANTICHE CHIESE SCOMPARSE E CHIESE RESTAURATE 61

Terziarie, raccomandata alli Zoccolanti, e poco appresso la Parrocchia
di S. Marco e Cassiano ». La omissione del Gubernari, pura dimenti-
canza, ha anticipato l’oblìo attuale, perché della chiesetta non restano
né tracce né memorie.

Riferendoci al più ricco elenco della pianta del 1662, erano del
tutto scomparsi prima della guerra:

Siro e Bartolomeo — già parrocchia
Egidio — già parrocchia

Nicolao fra le porte — già parrocchia
Cleto ed Ospedale dei Pellegrini
Nicolò in Viis Divisis — già parrocchia
. Antonio della Confraternita dei Disciplinati
Sant'Agata

S. Girolamo dei Confrati

Santa Chiara con il giardino
Sant'Onofrio con piazza e giardino

S. Giovanni Decollato

UNU

La maggior parte di queste «scomparse » è da attribuirsi al ra-
pido rinnovamento edilizio subito da Terni nel tempo. Possiamo la-
sciare stare la distruzione operata nel 1174 da Cristiano da Magonza,
luogotenente imperiale del Barbarossa, nella quale la città sarebbe
stata rasa al suolo, e la resurrezione successiva della città dalle sue
rovine perché nel 1198 ne prendesse possesso il pontefice Innocenzo III:
e così la riduzione delle torri delle mura e delle case — torri interne alla
città operata da Andrea Tomacelli, fratello di Bonifacio IX, nel 1404
«anche per trarne materiale per ricostruire la fortezza del Cassaro
presso il Ponte Romano »: o, ancora, le conseguenze della rivolta dei
« Banderari » del 1564 che ridusse la città ad 8000 abitanti e della cui
repressione ancora rimane un ricordo in quello strano nome di piazza
Clai dato ad una piazzetta cittadina nel quartiere più umile superstite,
per chiamarla « Piazza delle Stragi » dal latino clades = stragi come,
sulla scorta del Gradassi-Luzi, ricordava lo scomparso compianto
prof. Amedeo De Angelis: o infine, il grave terremoto del 1785 che
fece scomparire presso che tutte le ultime torri e case — torri medio-
evali: ma, indipendentemente da motivi particolari contingenti, la
vitalità industre di Terni è stata tanta nel tempo che da un primo
piccolo fabbricato ne è sovente sorto un altro più esteso perché il
primo ha incorporato l’altro vicino appena possibile.

Il
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Il
62 PIERO GRASSINI

Questo fatto, che potrebbe chiamarsi di ricomposizione edilizia
ante lilteram, è risultato di tutta evidenza dopo la guerra, quando i
bombardamenti avevano fatto cadere parti di case e sgretolato e ri-
mosso vecchi intonaci. Frequentemente, nei quartieri fra corso Tacito
e il fiume, in particolare, capitava di vedere una casa a primo aspetto
«unitaria per l’uguale tinteggio dell’intonaco di facciata, risultare in-
vece dalla «cucitura » di due o tre contigue. Un tizio, appena raggiunto,
lavorando o commerciando, un certo benessere, comperava la casa
del vicino, chiudeva vecchie finestre, cancellava l’antica facciata di
pietra spunga (o sponga che sia, com'era detta negli statuti la pietra
travertinosa spugnosa delle Marmore) e con un po’ d’intonaco e il
tinteggio, dava il segno della casa propria, più grande.

Si spiega così come molte vestigia del quartiere medioevale siano
sparite ed è facile argomentare che « Sant'Onofrio con Piazza e Giar-
dino » che risultava, dalla pianta edita in Olanda, essere presso le
mura cittadine all’incirca di fronte alla confluenza del Serra con il
Nera, dietro Sant'Andrea, nei pressi dell'Ospedale Civile sorto nel
secolo scorso e presso che distrutto dai bombardamenti, sia stato sa-
crificato allo sviluppo edilizio della città. Per lo stesso motivo è scom-
parsa, una diecina d’anni fa, presso San Tommaso, una bella Casa
Torre medioevale in pietra per dare spazio alla nuova Piazza del Mer-
cato — torre che si era rivelata solo dal tremendo diradamento e scon-
quasso provocato dai bombardamenti, caratterizzata da una grande
apertura a terreno con arco acuto e che avevam chiamato la « Torre
di Gesucristillo » dal soprannome dialettale di un artigiano che vi
abitava. E speriamo che sotto la spinta del rinnovamento senza ri-
guardi non venga in futuro demolita, analogamente, l’altra torre che
sì è potuta identificare ed isolare e consolidare in fondo a Vico Pos-
senti dietro Via Mazzini (per quanto risulti, dal piano di ricostruzione
che dovrebbe rimanere in un cortile e non dar fastidio a nessuno) così
come è stata demolita una delle ultime torri superstiti sulla cinta delle
mura prospicienti l'antico Canale Cittadini (Raggio Nuovo), ora co-
perto, per ampliare il collegio dei Salesiani.

Mentre nulla risulta per Sant'Agata che, per altro, non ostante
la indicazione anche del Gubernari, potrebbe essere stato un edificio
solo, o quasi, con Sant'Andrea, poi che l'Angeloni nella sua descrizione
della Terni secentesca dice « accanto, la Parrocchia, unita, dei SS. An-
drea e Agata », è comunque facile argomentare che l’altra Chiesa di
Sant'Egidio abbia seguito le vicende del Palazzo Priorale o del Ma-
gistrato.
ANTICHE CHIESE SCOMPARSE E CHIESE RESTAURATE 63

Di Sant'Egidio il Gubernari dice « Parrocchia incontro il Palazzo
Priorale » e la pianta di Amsterdam, conferma «di rincontro al Palazzo
del Magistrato ». A parte la vetustà di una costruzione che risultava
essere, dallo stesso lato del Palazzo su Corso Vecchio, ancora visibile
dopo i bombardamenti con il basamento in pietra squadrata e un bel-
l’arco ogivale dov'era l'antica cartoleria Panfani, si sa che nel 1732
il Municipio si trasferì nel secentesco Palazzo Carrara (rimanendovi
sino al 1878, quando si installò nell’attuale sede, già Palazzo Aposto-
lico, dopo che il Faustini l’ebbe restaurata trasformandola da resi-
denza del Governo Pontificio in Palazzo Municipale) e la sede dei
Priori fu concessa all’appaltatore del Forno Municipale. Non si hanno
notizie su quanto questi facesse per il suo Forno Pubblico, che era
l’unico in Terni tanto da essere chiamato « Forno del Pan {Venale »
poi che, a salvaguardia dei poveri, sino al 1801 era proibito vendere
il pane fatto in casa ed il pane da vendere era un monopolio, così da
tenerne basso il prezzo: ma nel 1840 sulla sua area ebbe a sorgere il
Teatro Comunale (l’attuale « Verdi ») del Poletti: e quindi il rinnova-
mento edilizio della strada dovette segnare la fine di Sant'Egidio.

Quanto a San Siro e Bartolomeo, parrocchia, posto fra il Corso
Vecchio ed il Palazzo di Giustizia, il Silvestri ci informa, nelle Rifor-
manze, che nel 1254 ne ebbero la concessione i Padri Agostiniani che
da Rocca S. Zenone volevano stabilirsi a Terni, per poi avere nel 1287
la Chiesa Parrocchiale di San Pietro Tirio. Lo stesso Silvestri ci in-
forma poi che il 25 luglio 1703 i contigui Padri Gesuiti ebbero dal
Comizio Generale permesso, a loro domanda, di demolirla « siccome
locale abbandonato ed in istato di rovina » per aggregare il suolo al
loro orto, intorno al Collegio nuovo di Santa Lucia.

Nemmeno di S. Nicolò fra la Porta, che sorgeva tra Piazza Giudea
del Gubernari (la Piazza Corona di prima della guerra, dove confluiva
nel Corso, allora Vittorio Emanuele oggi Vecchio, la via dei Tre Archi? —
dove dopo il bombardamento dell'11 agosto 1942 si intese per una
notte un lamento e scava scava tra le macerie non si poté trovar piü
nessuno vivo) e Porta Tre Monumenti, si hanno traccie topografiche.
Il Gubernari aggiunge solo « appresso fu innalzato l'arco all'impera-
tore Domiziano ». Dalla pianta stampata in Olanda la localizzazione
topografica é abbastanza precisa: sembra ch'essa fosse in Via Castello
lungo il canale nel quale ancora si lavavano i panni presso Porta Valne-
rina. Dell'arco di Domiziano non si sa: ma dopo i bombardamenti,
nell'angolo fra Corso Vecchio e Via di Porta San Giovanni apparve
un muro costruito con grossi conci squadrati romani che si sarebbero
64 PIERO GRASSINI

potuti benissimo conservare in sito, magari facendone uno zoccolo
per un nuovo fabbricato lì sorto: ma purtroppo invece sono soltanto
un ricordo che, prima di passare per sempre nel nulla con chi li ha
visti e guardati, è da affidarsi, almeno, alla labile carta.

Di San Nicolò in Viis Divisis (di cui l’Angeloni si limita a dire
che vi si tenevano « famosi esercizi spirituali della compagnia dei laici
istituita alle piaghe del Signore ») v'era memoria, prima della guerra,
nel suolo ch’era libero, e in una via che si chiamava così, tra San Fran-
cesco e l’attuale Largo Villa Glori. Il terreno era proprietà dei sale-
siani di San Francesco e la Parrocchia come tale dovrebbe essere
stata, pertanto, trasferita in San Francesco che nelle vecchie piante è
indicata solo come « dei Minori Conventuali ».

La chiesa di San Cleto era edificata « nel suolo lateranense » come
dice il. Gubernari, al fondo di Corso Vecchio, di fronte a San Nicolò
fra le porte: al suo fianco sorgeva l'Ospedale dei Pellegrini che la con-
fraternita di San Nicandro fu autorizzata ad erigere nel 1517, secondo
quanto ricorda il Silvestri, pagando ai Canonici Lateranensi l’annuo
canone di 24 boccali d’olio. Di essa ci ha lasciato un ricordo il Gradassi
Luzi in quel prezioso suo libro su « Le XX Confraternite Laiche del
Comune di Terni » — libro che nel suo titolo già mostra quale intensa
vita spirituale sapesse, o avesse saputo, esprimersi in una piccola città
di provincia. Una vita spirituale le cui traccie si suggerirebbe di ricer-
care leggendo il libricino, molto denso di notizie, poiché il Gradassi
Luzi fu nominato nel 1890 commissario per l'accertamento del patri-
monio delle « Confraternite » di Terni. Esso illustra quella vecchia
vita di fede, cui non mancava la speranza, di cui era però fondamen-
tale substrato la carità: della quale ultima virtù ci sembra sia rimasto
vivo il fondamento nel carattere ternano, così scopertamente fraterno
nel suo popolo lavoratore.

Purtroppo, su San Cleto (un nome che ricorre ancora, come nome
proprio, nel ternano, corretto in Clito) il ricordo è succinto. Il Gra-
dassi Luzi infatti nel 1918, occupandosi della Confraternita dei Disci-
plinati di Gesù Cristo — sorta a Terni nel 1322 a somiglianza di altri
centri dell'Umbria per l'efficacia del Fasani — ricorda che essa, ad un
certo momento (come documentato dal Silvestri) aveva esteso la sua
influenza «sullo storico spedaletto di San Cleto, ove, in prevalenza,
venivano ricoverati pellegrini infermi e perció anche i lebbrosi ». E
aggiunge: « La Chiesina di San Cleto, nitida, austera, or da piü anni
venne turpemente abbattuta. Era bella e fu una perdita per la storia
dell'arte. Nella soleggiata piazzetta dello Spedale si svolgeva annual-
ANTICHE CHIESE SCOMPARSE E CHIESE RESTAURATE 65

mente un allegro simposio, offerto dai Disciplinati nella festività di
Sant'Antonio Abate, alle Signorie dei mulattieri, vetturali e bifolchi,
i quali recando le loro bestie infioccate a benedire, lasciavano allo Spe-
dale tanta legna da ardere quanta ne potesse abbisognare per un anno.
I disciplinati, nella loro cappa bianca, servivano le vivande alle tre
numerose Maestranze... ».

Di un'altra Chiesa scomparsa ci dà pure notizia il Gradassi-Luzi
e precisamente di Sant'Antonio, che aveva a fianco l'Ospedale anti-
chissimo di Terni ed apparteneva ai Disciplinati. Essa sorgeva dov'é
ora il Politeama Ternano, tra la via deile Tre Colonne, il Vico di Santo
Antonio Abate, e la Piazzetta del Politeama. Il Gradassi riconosceva
nel muro perimetrale presso via delle Tre Colonne traccie di architet-
tura romanica, frammenti di archi ogivali con stemmi dipinti dalla
Confraternita e aveva visto nei muri della Cavea affreschi di scuola
Umbra pessimamente ridotti, che riteneva testimonianza dell'antica
Cappella dei Flagellanti. Nelle case vicine abitate dai Fratelli Speda-
lieri erano ancora « porticelle dei riti » ben visibili, ed il Cimitero dello
Spedale occupava il terreno ov'é ora la platea del Politeama.

Ancora nel 1885 il Gradassi Luzi poté vedere altra Chiesetta ora
scomparsa, tra via Cavour e la Passeggiata all'estremità del viale
nord dei giardini pubblici sorta per la Confraternita di San Girolamo
della Carità, detta dei Sacconi («la quale è d’una exemplarità con con-
tinua reverentia a Dio, celebra vigilie, astinentia, honesti parlamenti,
silentii, una sparsa Carità et elemosina, sprescio del Mundo, humiltà,
penitentia » diceva l’atto di fondazione) su un terreno donato alla
Confraternita stessa dai Padri Gerolamini della chiesa del Monumento
nel 1561, nel quale sorgeva una chiesetta già allora in rovina, detta,
come altre di Terni, San Pietro Vecchio. Era una chiesetta evangeli-
camente povera, nuda, con un piccolo e semidiruto campaniletto
romanico, con stalli cinquecenteschi ad intaglio, dalla quale proven-
nero un quadro del Pomarancio, raffigurante San Girolamo, ed una
transenna di travertino a trafori (che il Lanzi fece trasportare nel fa-
bularium municipale, illustrandola). Non più officiata da tempo, era
ridotta a fienile: dal che venne un incendio che la devastò, mentre an-
cora si notavano « molte e vaghissime pitture cristiane, abbastanza
ben conservate, e varie ornamentazioni in travertino preludenti la
linea romanica, come portali dall’architrave sorretto da caratteristiche
mensole e finestrine alte e strombate ». Ma alla fine del secolo la Con-
fraternita fece dono alla città della sua chiesetta, e si trasferì al Car-
mine, presso il Duomo, dopo che la Congregazione di Carità aveva

5
66 PIERO GRASSINI

ceduto tale cappella al vescovo in cambio della Chiesa di Santa Ca-
terina nella quale sistemò la scuola di musica. Per altro, nel ’43,
ancora c'era un vano come oratorio.

Di Santa Chiara, che la «legenda » della pianta stampata in O-
landa indica « con giardino » e che pure sorgeva prospiciente ai Giar-
dini, non è rimasto se non il ricordo topografico in una viuzza che si
chiama « Arco di Santa Chiara » e si dirama da Via 11 febbraio verso
Palazzo Fongoli e via della Passeggiata. Secondo le Riformanze essa
si andava costruendo come cappella, nel 1715, con elemosine. Era
«presso la Chiesa di S. Giacomo » e il 21 gennaio il Consiglio concesse
un sussidio per erigerla in sostituzione di un esistente semplice affresco
portante l’effige della Santa. Però al n. 51 nella casa di Proprietà Pia-
centini si ravvisava qualche elemento di un vecchio portale, ancora
nel '43 prima dei bombardamenti: e al piano terreno, dopo un atrio,
una stanza di abitazione sulla cui parete affioravano tre pitture tre-
centesche: una Madonna con il Bambino, una testa di Santa, una testa
di Madonna.

Ultima chiesa interna alle mure distrutta prima della guerra, fu
quella di S. Giovanni Decollato, abbattuta nel 1919 per far luogo al
nuovo Palazzo delle Poste. Tale Chiesa era stata costruita a partire dal
15 luglio 1564 nella piazza, ora del Popolo, allora Platea Columnarum
(dalle due colonne erette in onore di Federico Barbarossa, dicono i
vecchi storici — ma perché rimasero dopo che il Barbarossa distrusse
la città ? - delle quali, durante i bombardamenti, nello scavare un
rifugio, venne in luce un capitello, sovrastante il vecchio mattonato
medioevale a spina pesce — capitello che feci trasportare in una nic-
chia esistente nell’atrio del Palazzo Comunale) per la Confraternita
appunto, di S. Giovanni Decollato. La chiesa era stata ultimata nel
1748. Per quanto è dato vedere da una fotografia pubblicata nella mo-
nografia « Terni » di Latina Gens, la facciata barocca in pietra ha
lesene inferiori e una grande cornice a mezza altezza: e risulta poi in
certo modo rialzata con un grande frontone terminante in piano, il
quale sembra guastare l’effetto estetico della parte inferiore. La si
diceva, intorno a quando fu demolita, fatiscente. Comunque, il Gra-
dassi Luzi riferisce che era « foggiata a rotonda con pesante cupola »
e che « non presenta linee estetiche di eccezionale purezza »: ed enu-
mera due sole iscrizioni latine nell’interno e nessun notabile monu-
mento.

Altra chiesa scomparsa è quella del Cassaro, di cui l’ Angeloni dice
che «fu costruita all'entrata del Ponte per condursi alla Porta Roma-

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ANTICHE CHIESE SCOMPARSE E CHIESE RESTAURATE 67

na»: e aggiunge: «la Chiesa, condotta con riguardevole architettura, a
giusta proporzione, mostra la sua faccia arricchita di colonne, architra-
vi, cornicioni ed altri ornamenti di travertino. Ha nel di dentro ben
disposte Cappelle ed altari, e venne mantenuta di qualunque cosa op-
portuna al divin culto dai Confrati del SS. Sacramento, che ne furono
edificatori ». Nel 1584, secondo le Riformanze, la sua costruzione era
ancora in corso, ma già nel 1593 il Comune dette licenza ai laici
della Confraternita di erigere uno sperone a maggior solidità del
muro verso la via romana. Per ragioni di pubblica incolumità fu de-
molita nel 1841.

Non si può chiudere questo elenco di Chiese cittadine scomparse
senza aggiungervi, sebbene fuori delle mura medioevali, la Madonna
del Ponte che sorgeva al di là del Nera, presso il Ponte Romano dove
confluivano la Flaminia e la strada delle Grazie, trasformata in tem-
pietto nel 1612 da un’antica Cappella, a pubbliche spese, sotto il titolo
di Santa Vergine del Ponte. Essa fu di una Confraternita Laica detta
della Madonna del Ponte, che aveva singolare attività caritativa,
aiutando i pescatori poveri con denaro, offrendo ristoro ai viandanti
che sostavano alle soglie della città, vegliando ai pedaggi e persino,
a proteggerli da pericoli, agli esercizi di nuoto della gioventù. Essa fu
riaperta al culto prima della guerra mondiale e nell’annesso convento
dimoravano le Suore Carmelitane che, sembra, allontanate per ragioni
di piano regolatore, hanno trovato asilo nella rinnovata Chiesa di
S. Martino sotto la Passeggiata, già monastero cappuccino di cui
restava in un fienile un affresco.

E, ancora, San Paolo, o meglio il monastero di San Paolo di Gal-
lato, scomparso con lo svilupparsi delle industrie e che sorgeva al-
l’incirca di fronte a Santa Maria Maddalena, ma sulla destra del
Nera, con Chiesa detta, dalle Riformanze, « antichissima ». Il mo-
nastero fu soppresso per misura canonica generale nel 1464 — ceduto
in commenda al cardinale Bessarione: e nel 1472 alla Mensa Episco-
pale di Terni, che ne entrò in possesso di diritto e di fatto, insieme ai
beni stabili compresi nell’abbazia, i quali, al tempo delle occupazione
francese, passarono in dominio di proprietari laici per vendita fatta
dal demanio francese.

Si aggiungono infine altre Chiese sparite fuori le mura: Santa
Agnese, chiesa posta fra il Sersimone ed il Raggio Nuovo, prima
della Misericordia, e che ha dato il nome ad un quartiere popolare;
e un’altra, San Giovanni, posta sul Raggio Nuovo al di là del Serra,
che ancor essa ha dato il nome ad un quartiere e che ha dato il nome
68 PIERO GRASSINI

alla Porta San Giovanni: dice, infatti, l'Angeloni che essa si chiama
cosi «per la Chiesa che v'é di tal nome vicina, aperta al solo commodo
dei cittadini che fuori di quella (Porta) hanno poderi ».

LE CHIESE DISTRUTTE DALLA GUERRA

Sotto il profilo artistico la perdita maggiore é stata quella di San-
t'Angelo de Flumine - che sorgeva alla periferia della città sul ciglione
sovrastante il Nera, tra l'antico monastero dell'Annunziata (poi ca-
serma di fanteria — dopo la guerra sede provvisoria dell'Ospedale Ci-
vile) e la via delle Conce. Sembra che essa sorgesse presso e dove erano
le antiche Terme e quindi in luogo appartato dall'abitato, e accanto
al Rivum Leprosarum, cosi che probabilmente la chiesetta serviva
come cappella officiata per solo i lebbrosi. Essa era in proprietà
della più antica Confraternita di Terni e cioè quella di S. Sebastiano
risalente al secolo xir. Il nostro Silvestri informa: « parrocchiale sop-
pressa, come già altre molte, per scarsezza di rendite parrocchiali
rimasta alle dipendenze del Capitolo della Cattedrale ». Nell’interno
della Chiesetta il Gradassi Luzi descrive un «pregevole affresco di
maniera giottesca raffigurante San Sebastiano nella tragica ora del suo
martirio»: e il Lanzi descrive i resti di alcuni affreschi « provenienti
dalla chiesa frammentaria di Sant'Angelo d. F. fra i quali è notevole
una testa di Vescovo munita dell’antica piccola mitra latina » ascri-
vendoli ai secc. xr1 e xri (3). La semplice facciata in pietra viva e con
incastrati avanzi romani era sormontata da un campaniletto a vela
ed era squarciata da una finestrella recente e da una porta pure recente
adatta a far servire il vano come bottega di meccanico o fabbro. Col-
pita dai bombardamenti, si raccolsero nella strada due alti rocchi di
colonne fastigiate romane ed un frammento di cornice e furono addos-
sati alla parete per reincastraili nella nuova costruzione, a ricordo.
Tali vestigia sono purtroppo praticamente scomparse, utilizzate per
interno di muri nel vicinato.

Altre chiese distrutte son state quelle, non piü officiate, dei quattro
monasteri femminili soppressi. Erano questi, secondo la descrizione
di mons. Tizzani, che fu Vescovo di Terni dal 26 aprile 1845, il mona-
stero dell'Annunziata che ospitava monache della regola di S. Fran-
cesco, quello di San Procolo, pure retto da religiose francescane, quello
di Santa Teresa, della regola analoga, e quello di Santa Caterina che

(1) Riferisce il Morelli che tali affreschi emigrarono, venduti, nel 1899.

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ANTICHE CHIESE SCOMPARSE E CHIESE RESTAURATE 69

era disabitato ed era destinato per la pubblica istruzione delle fan-
ciulle.

Il monastero dell’Annunziata, passato in proprietà del Comune,
era adibito a Caserma della Fanteria. In esso nel '45 si allogò l'Ospe-
dale essendo il vecchio distrutto e non convenendo ricostruirlo in luogo
per difetto di spazio. Non v'era però più alcuna traccia di chiesa, se
non in una probabile cappelletta, esterna al corpo principale, ch'era
preceduta da un rozzo portichetto, sosta di animati nel tempo d'uso
del vicino Campo Boario; pur essendo senza carattere vi si notava
qualche stucco interno. Tale locale era ridotto a laboratorio artigiano
di un falegname, e aprendosi la nuova strada di fronte all'ospedale
per accedere dal nuovo Ponte al centro cittadino, é stato demolito.
Il monastero era stato edificato intorno al 1540 e il 30 gennaio 1541,
mentre esso si veniva edificando per «pia elargizione dei fedeli » il Co-
mune deliberó di contribuire con calce, legname, e quanto di sassi
occorresse. L'Angeloni ricorda, senza descriverla «la non humile Chiesa
dell'Annunziata »: certo più umile è la modesta Cappella, sempre inti-
tolata dell' Annunziata, che per il servizio dell'Ospedale si ricavò in un
locale terreno subito dopo installatovi l'Ospedale.

Altro monastero che, al tempo del vescovo Tizzani, ospitava un
educandato per fanciulle provenienti dalla ricca borghesia e che con-
teneva 25 religiose clarisse della regola francescana, era quello, ridotto
esso pure come il precedente a caserma di San Procolo in Piazza Val-
nerina, il quale pure fu colpito da bombe. Non distrutto da queste,
venne poi demolito con quanto restava dell'antica Chiesa sconsacrata,
per dar luogo ad un piazzale ed al Palazzo degli Uffici del Genio Civile.
La Chiesa del monastero era dedicata a San Procolo I Vescovo di
Terni, martirizzato il 4 aprile 310 («e cosi per empia mano restó diviso
al Santo vescovo Procolo, con pianto dei buoni, il capo dal busto ac-
canto le mura di Terni: tenendosi ch'entro una Chiesa al Santo Nome
di Lui fabbricata il Suo sacro corpo riposi» dice l'Angeloni). Tale
San Procolo non é da confondersi con l'altro Santo omonimo che con
Efebo ed Apollonio ateniesi discepoli di San Valentino, furono mar-
tiri, di cui Leonzio « uomo consolare » ordinó « che troncato fosse loro,
innanzi giorno il capo », e seppelliti in" Terni. E nemmeno è da con-
fondersi con San Procolo nobile bolognese soldato romano, martiriz-
zato sotto Diocleziano: o con San Procolo Siro, secondo di tal nome
nel vescovado di Terni e uno dei protettori della città, che, turbato
dalle eresie, venne nel 516 dalla Siria in Italia e fu eletto vescovo di
Terni dopo che « per l'ariana perfidia » fu martirizzato un altro vescovo
70 PIERO GRASSINI

Valentino sotto Teodorico. Questo Procolo II fu martirizzato ancor
esso, nel 543 sotto Totila, ma a Bologna, e la sua festa è unita a quella
del citato omonimo martire soldato, il 1 dicembre.

Dice l’Angeloni che in un libro di un P. Francesco Gonzaga si
narrava che la Chiesa ed il monastero delle Clarisse di S. Procolo ven-
nero fabbricati nel 1518 « a spese della città »: ed aggiunge « egli è peró
vero che circa il tempo di tale edificazione prendono li Ternani mera-
viglia, affermandosi apparire dal rogito di più istrumenti di lasciti,
che già l’edificio era in piedi oltre a 225 anni innanzi: ma forse essendo
la prima fabbrica rovinata, ragiona il Gonzaga della seguita riedifica-
zione...» In effetti, secondo il Silvestri, il monastero fu aperto al
culto nel 1508, e dopo i bombardamenti si è visto riapparire l’am-
biente della Chiesa, non grande, ma coperto a volte archiacute, rovi-.
nate, di cui restavano avanzi di costole: il che, confermando l'Angeloni,
ne prova l'origine gotica. Nella vecchia caserma il cortile era un antico
chiostro con basso porticato, senza carattere: solo nelle lunette di
un locale di deposito a piano terreno, coperto a volta, c'era un affresco
di buona mano forse del tardo Cinquecento o del primo Seicento, raffi-
gurante storie di santi, a colori vivaci. La poca realtà che si è potuta
vedere era d'accordo con i Ternani dell'Angeloni che davano al loro
S. Procolo, in effetti costruito presso le mura e quindi presso il luogo
indicato per i! martirio del Santo, un'oiigine almeno intorno al mil-
letrecento.

Il monastero femminile di Santa Teresa, retto con la regola di
Santa Teresa secondo quanto riferisce mons. Tizzani, é da identifi-
carsi anch'esso con un'altra caserma, posta fra Corso Vecchio e via
Angeloni, colpita dai bombardamenti, nel primo dopo guerra asilo di
sfollati ,poi demolita. Nell'elenco della stampa di Amsterdam si ha
un San Giuseppe delle Monache Scalze: l'Angeloni, nella sua «legen-
da » alla pianta del Gubernari aggiunge « Monache Scalze di Santa
Teresa »: e nel corso della sua storia informa, parlando di S. Tommaso
«grancia della patriarcale Chiesa di S. Giovanni in Laterano » che
li vicino «si trova il moderno gran monastero d’acqua e d’ogni agio
copioso delle Carmelitane Scalze che osservano la Regola di Santa

Teresa, essendo la chiesa loro dedicata al benedetto San Giuseppe ».
A noi era giunta, dopo la guerra, ancora in piedi, la chiesa, sconsacrata,
posta nell’interno del monastero-caserma, senza alcuna particolarità
della facciata. Solo l’interno la rivelava chiesa, per essere un ambiente
assai alto e decorato con stucchi e con i vecchi altari, senza però pregi

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ANTICHE CHIESE SCOMPARSE E CHIESE RESTAURATE 71

estetici notevoli. Ancor essa era ridotta a falegnameria ed ora non
se ne ha più traccia.

Infine, l’ultimo monastero femminile rammentato da mons. Tiz-
zani, era quello di Santa Caterina, allora, nel 1845, disabitato e ch’egli
destinò per la pubblica istruzione delle fanciulle, istituendo le oblate
di Santa Caterina o convittrici per renderle maestre ed educatrici spe-
cie per le fanciulle povere, e che facevan mostre dei loro lavori per
venderli e ricavarne mezzi, esse convittrici maestre, per soccorrere
i poveri... Poi, con la soppressione dei beni conventuali, il Monastero
passò, dopo l’Unità, al Comune: ma, come si è già ricordato, la Con-
fraternita di S. Gerolamo della Carità che aveva ceduto la sua chie-
setta della Passeggiata al Comune, e si era installata al Carmine che
era della Congregazione di Carità, fece sì che questa cedesse il Carmine
in enfiteusi al Comune nel 1919 e questi la ricedesse a sua volta con
lo stesso titolo al vescovo. In cambio, il Comune ricevette in permuta
l’uso della chiesa di Santa Caterina e suo monastero per installarvi
la Scuola di Musica Briccialdi.

Gravemente colpito dai bombardamenti l’insieme di Santa Cate-
rina era condannato alla demolizione per esigenze di piano di ricostru-
zione. Nell'attuarne la demolizione, sullo scorcio del '49 si rilevò che
nel muro di fondo della ex chiesa, in una nicchia dietro l’altar mag-
giore, c'era un affresco a fondo oro rappresentante la Madonna col
Bambino e due Santi, con in alto Angioli ed in basso San Giovannino,
di scuola umbra del '400. Se ne tentò, d'intesa con la Sopraintendenza,
il distacco, e si era pensato di ricollocarlo in San Cristoforo, lì presso.
Invece, sia perché nella demolizione avvenne un crollo che isolò il
muro tergale lesionandolo, sia perché non trattavasi di un vero af-
fresco ma di una tempera non fissata che al semplice tocco della mano
spolverava, si dovette rinunciarvi. Non si poté quindi che farne delle
fotografie, che vennero mandate alla Soprintendenza a Perugia, per
serbarne il ricordo.

Completamente distrutte dai bombardamenti furono invece le
due chiese di S. Filippo in fondo a via Roma, fra questa e l'Annun-
ziata, e Sant'Andrea presso il vecchio Ospedale.

Della chiesa dei Santi Filippo e Giacomo l’Angeloni si limita a
ricordare che in essa « con pio affetto, una compagnia di Schiave della
Beata Vergine, nelle lodi di lei si va esercitando ». Successivamente
essa fu sede della Venerabile Confraternita di Sant'Andrea Avellino,
fondata nel 1784 il giorno di San Valentino, principalmente a fini cul-
tuali (S. Andrea Avellino era considerato protettore degli infermi
72 PIERO GRASSINI

di paralisia) accessoriamente a scopi caritativi. Il Gradassi Luzi ricorda
la «Chiesa antichissima... ove l’architettura bizantineggia special-
mente nelle linee della facciata, che molto ritraggono del disegno, pura-
mente orientale, di quelle deliziose finestre che ornano una delle più
belle e vetuste case di via Garibaldi » quella con le belle finestre in
gotico lanceolato. Nel 1890 il solo possesso della Confraternita era
nella chiesa un armadio vuoto.

Di Sant'Andrea, l'unica memoria storica è che in essa furono se-
polti il conte Andrea Castelli ed i suoi quattro figli che erano stati
fatti uccidere nel 1415 da Braccio Fortebracci nella rocca di Colleluna
ove li aveva attirati.

Praticamente connesse con la guerra ed il piano di ricostruzione
sono poi le Chiese di Santa Lucia e quella della Misericordia.

La prima era annessa al Collegio dei Gesuiti ed era stata iniziata
nel 1548 ad opera della « Venerabile Confraternita del Suffragio sotto
la invocazione di Santa Lucia » a spese di un mecenate, Marcantonio
Rustici, che la fece decorare di belle pitture a fresco di cui ancora
taluni frammenti eran visibili al Gradassi Luzi, mentre non lo son
stati più a noi che l’abbiam conosciuta come caserma dei Vigili del
Fuoco. Aprendovi la nuova strada di piano regolatore a fianco del
Palazzo di Giustizia, quanto restava della chiesa fu demolito: non
prima però che i travertini della facciata ed il portale e le cornici fos-
sero usati per ricostruire la facciata della chiesa della Misericordia in .
Borgo Bovio, che aveva una modesta facciatina di mattoni, costruita
nel 1599 sotto il Governatorato di Rodolfo Ostilio, e che i bombarda-
menti avevano presso che distrutto.

Ancora connessa con i bombardamenti è la demolizione della
chiesa di San Nicandro nel cui luogo è il piazzale d’ingresso del nuovo
ponte Garibaldi. Essa era dedicata al martire Nicandro che nel 284
si era dato alla carriera delle armi e fattosi cristiano fu denunziato e
sopportò il martirio sotto Diocleziano — e come tale patrono di una
Confraternita patrizia di « Spadiferi » quale fu la Confraternita Ospe-
daliera di S. Nicandro che nel 1291 ebbe la enfiteusi del fabbricato
e dell'orto e dell'annessa chiesa. Nel dopoguerra la Chiesa era una
rimessa per autocarri e v'era annesso un fabbricato con un portichetto
verso fiume, senza alcuna caratteristica architettonica, di proprietà
di un pubblico Ente di beneficienza. Per altro, nell'effettuare uno scavo
per una buca di calce, nell'interno, si scopri un tratto di mosaico a
piccole tesserine grigie, romano, a circa un metro sotto il pavimento
mattonato della ex chiesa: testimonianza che quanto l'Angeloni an-
ANTICHE CHIESE SCOMPARSE E CHIESE RESTAURATE 73

notava su alcune chiese (già tempio di Cibele, già tempio di Marte,
già tempio del Sole) era quanto meno da riferirsi ad una continuità
costruttiva con vecchie strutture romane. Così, nei pressi di S. Cleto
o di S. Giuseppe delle monache di Santa Teresa, venne rinvenuta in
un muro una pietra concia con un frammento di iscrizione in grandi
e bellissimi caratteri lapidari romani, che fu portata al Museo.

Altro edificio sacro demolito per effetto dei bombardamenti, in,

certo senso, è stato l’oratorio della Croce Santa in piazza San Fran-
cesco. Esso fu edificato nel 1588, ad uso della Venerabile Confrater-
nita della Croce Santa fondata nel 1473 e che risiedeva in San Fran-
cesco e non aveva sufficiente spazio per le sue adunanze numerosissime.
Il 4 dicembre 1588 il Comizio Generale consentì, « con assai maggio-
ranza di suffragi », alla petizione di costruirlo, dopo aver « fatto ispe-
zionare la località da idonea deputazione, e verificatosi che con ciò
veniva ad acquistare una forma più regolare il piazzale senza perder
molto della sua ampiezza », giustificazione che oggi non varrebbe
più. Che l’occupazione di suolo pubblico avvenisse allora che non c’era
da lasciar spazio per la sosta delle automobili pazienza: ma il guaio è
che si cerca di farla ancor oggi e si guastano le città che si riedificano. .
I bombardamenti danneggiarono il tetto e un po' le pareti, lasciando
intatto il portale di travertino sulla cui sommità era la scritta: « cRUCIS
ALMAE DOMUS ». Ripristinato il tetto e consolidate le pareti poi che
proprietaria ne era la Congregazione di Carità, si usó l'ampio locale
a volta, nudo e senza alcun carattere, tramezzandolo in via provvisoria
come dormitorio pubblico, di cui Terni era sprovveduta. Poi la nuova
amministrazione pensò che sarebbe stato bene utilizzare il locale per
costruirvi una casa di abitazione per i propri dipendenti, e demoli
l'immobile le cui condizioni di stabilità erano rimaste precarie. Fatico-
samente la Soprintendenza riusci a ridurre l'entità del progetto e ora
è ormai sorto sulla stessa area un fabbricato di abitazione con pareti
esterne in vista in pietra spugna, tale da ambientarsi nella piazza;
in esso è stato incorporato l’antico portale e volumetricamente non
molto si é alzata quella che era la linea dell'oratorio, già coperto a
padiglione e che aveva un'altezza da terra, all'incirca, di sette-otto
metri.

Va infine ricordato l'edificio già della Confraternita dello Spirito
santo, che il Gradassi Luzi rammenta di fronte a Palazzo Carrara, e
che fino al dopo-guerra esisteva come rimessa, demolito per aprire la
nuova strada.
PIERO GRASSINI

I PARZIALI RESTAURI AL Duomo, SAN GIOVANNINO, SAN SALVATORE,
SANTA MARIA DEGLI SPIAZZI

La Cattedrale fu gravemente danneggiata da due bombe, l’una
dell'11 agosto 1943 che distrusse in parte la Cappella a Nord dell’Al-
tare Maggiore, la seconda della primavera del '44, che distrusse due
o tre campate della volta barocca, danneggió i piloni della navata e
sconquassò il tetto. Andò distrutto un quadro di Guido Reni — l'Appa-
rizione di Cristo alla Maddalena — nella 18 cappella a destra — un Cro-
cifisso ligneo medioevale nella 22 cappella a destra — per quattro quinti
un affresco di anonimo datato 1650, nella parte a ponente. Dopo i
primi restauri, seguirono nell'ottobre 1945, a cura della Soprintendenza,
quelli di carattere estetico. Caduti gli intonaci in gran parte, vennero
in luce nell'interno della vecchia facciata gli elementi originali della
prima struttura romanica denunciata dal bellissimo portale: e cioé
l'occhio centrale e due finestrelle bifore laterali ad esso ad arco tondo,
con stipiti e conci in pietra squadrata. Le due bifore son dissimmetri-
che (una ha la colonnetta esagonale in pietra con l'incavo o per una
transenna o per una vetrata; l'altra ha la colonnetta in marmo, con
più accentuato capitello): ed anche l'occhio è singolare, con sezione
della muratura all'interno piü stretto all'esterno piü largo, non a strom-
bo, ma con un risalto, come se dall'esterno si appoggiasse qualcosa
all'interno. L'antica parete d'ingresso era nell'interno tutta a bloc-
chetti di pietra, peró manomessa, con qualche traccia di affresco.

Nella testata della navata laterale, sinistra per chi entra, presso
la bussola della porta, venne in luce un affresco di buona fattura tre-
centesca, raffigurante Sant' Antonio Abate con il caratteristico cam-
panello, con la figura a due terzi e qualche frammento architettonico
laterale. Tutto l'interno della Chiesa fu ritinteggiato, abolendo quan-
to restava di un freddo verdino usato in una ripulitura di vent'anni
prima, con calda tinta avorio, ripreso l'affresco ottocentesco a carat-
tere storico del presbiterio, decorata a chiaro scuro la volta del presbi-
terio cosi da raffigurare una cupoletta, riempito un vuoto, rimasto
nella parete, con rameggio a fresco analogo a quello del grande organo:
il tutto assai diligentemente ed artisticamente ad opera del valente
restauratore ternano Tullo Bertozzi, allievo del celebre Ceci.

A San Giovannino, tra via Roma e Piazza del Popolo (presso il
quale nella strada si trovarono traccie di selciato romano e il basa-
mento di un tempio, scorniciato; in accordo con la esistente sostruzione
ANTICHE CHIESE SCOMPARSE E CHIESE RESTAURATE 75

romana della Chiesa, ben visibile nel cantinato) si procedette nell'in-
terno più che altro ad una ripulitura, la quale però riserbó la lieta sor-
presa di scoprire nella parete sinistra della navata un grande affresco
di Santa Lucia della fine del Cinquecento, della maniera del Porde-
none (il richiamo è dovuto al fatto che il Pordenone lavorò al castello
di Alviano, non molto lontano) bello e ben conservato. Venne anche
in luce, nella parte opposta, una bella pietra tombale.

Di San Salvatore, nel quale una bomba caduta in un vicino orto

lesionò la parte laterale aggiunta la trecentesca cappella Manassei,
si è già scritto in una particolare memoria presentata al V Convegno
Nazionale di Storia dell’Architettura in Perugia nel 1948. Gli scavi
per le sottofondazioni provarono che nelle fondazioni del perimetro
della cella rotonda apparivano sì grossi travertini romani, ma sagomati
però in modo contrario al loro giusto impiego, e posti in opera come
materiali riadoperati e appoggiati su preesistenti pavimenti romani:
così che si poté certamente concludere che la cella non ha sostruzioni
romane e che il tempietto rotondo è certamente paleocristiano, non
quindi un edificio romano dedicato al Dio Sole. La scritta di un tego-
lone farebbe riferire la preesistente costruzione romana al primo se-
colo: che cosa fosse la costruzione, non si sa. Poi che dagli scavi sì vide
che il pavimento romano si estendeva ben al di là del perimetro della
cappella Manassei, nell’orto, si è purtroppo recentemente perduta una
bella occasione di esame, quando è stata aperta la nuova strada tra il
nuovo Corso del Popolo e via delle Conce, nei cui scavi son state osser-
vate traccie di costruzioni romane.

Quanto infine a Santa Maria degli Spiazzi, lievemente danneggiata
da bombe cadute nelle vicinanze, più che di un restauro si è trattato di
una buona rinfrescata interna che ha messo in valore le linee dignitose
dell’interno, e la leggiadra Madonna con Bambino di scuola umbra
dell’altare maggiore.

IL RESTAURO DELLA CHIESA DEL MONUMENTO

Nel 1941, un Decreto Vescovile provvedeva a chiudere al culto
la chiesa di S. Maria della Visitazione, detta del Monumento, attigua
al Camposanto, e di fatto cappella mortuaria cittadina, perché inde-
corosa. Era, tale chiesa, ad una sola navata coperta con tetto — dis-
sestato — a due spioventi, con incavallature in legno scoperte, e pavi-
mento malamente mattonato, in stato di totale abbandono, dipinta
nell’interno di un polveroso e fosco grigio rimasto da una ripulitura
76 PIERO GRASSINI

di quarant'anni prima. La precedeva un portichetto, e nella parte
superiore, accanto ad un antico occhio, erano state aperte due sgra-
ziate finestre rettangolari: non v'era traccia di pietra in vista, nemme-
no nel portale ad intonaco. C’eran due poveri altari laterali, oltre al-
l’altare maggiore che saliva a coprire tutta la parete di fondo: dietro
ad esso c’era un vanetto sventrato per metà, di pianta semicircolare,
coperto a volta, con in alto una figura di Redentore fra angeli.

Il problema del restauro, di cui venni incaricato a fine 1942, si
presentava tranquillo quanto alla spesa che si addossò spontanea-
mente, e con molto amore per la propria città, la troppo presto scom-
parsa caritatevolissima marchesa Maria Nembrini Gonzaga Viviani:
non altrettanto era chiaro a che cosa si sarebbe potuti giungere, posto
che gli elementi stilistici visibili a disposizione erano pochi. Una sin-
golarità della pianta della navata, che risultava di due rettangoli
successivi sfalsati, il vanetto sagrestia che s’indovinava essere un
abside, il portale che risultò subito sotto l’intonaco, di pietra viva,
dello stesso stile del quattrocentesco portale dell’antico Palazzo
dei Giani, dal Lanzi ricomposto nel convitto dei salesiani, un altro più
antico portale che si rinvenne sul lato, lo stesso carattere del chiostro
interno, fecero pensare ad una Chiesetta antica, ‘ingrandita, che forse
era possibile ricondurre per quanto possibile all'aspetto primitivo.
C'era poi quel nome, « del Monumento » comune, catastalmente, con
la località, ad incuriosire per lo meno.

Le storie locali dicevano ben poco. Dalle Riformanze il Silvestri
aveva tratto che il 20 ottobre 1543 « si provvide il restauro della strada
che viene da Amelia ad Interamna, cominciando dal terreno a possesso
di Matteo Andreani sino alla Chiesa di S. Maria del Monumento ».
Nella sua pianta di Terni, il Gubernari indicava la « Chiesa del Monu-
mento dei Frati Eremiti di San Girolamo » ponendola al bivio di due
strade, quella di Amelia e quella Tuderte da Sangemini, che lì si uni-
vano per entrare in Terni da Porta Sant'Angelo. E l'Angeloni, là
dove al termine della sua Historia fa la « descrizione di cose estrinseche
della città di Terni » dice solo: «Dalla porta di Sant'Angelo si perviene
alla chiesa della Madonna di Monumento che come parrocchia som-
ministra in quelle contrade i Sacramenti: abitandovi in un sufficiente
convento i Padri Eremiti di San Girolamo » ; mentre il Gradassi Luzi
nomina solo incidentalmente i Padri Gerolamini di Monumento.

Consultati i libri delle visite vescovili, conservati nell'Archivio
vescovile dalla seconda metà del ’500 in poi essendosi prima bruciato
l'archivio, trovai come prima notizia un Decreto del vescovo Lodovico
ANTICHE CHIESE SCOMPARSE E CHIESE RESTAURATE 77 | Il »"

Ripa da Cremona del 18 maggio 1607 nel quale si prescrivono alcune
opere per la nostra Chiesa che non aveva ciborio fisso, mentre nulla Itl
si dice di particolare nelle visite del 1609 e del 1657. Nel 1714 la chiesa MUT
viene indicata, in una visita, come S. Maria del Monumento « dei PP. ui:
religiosi del B. Pietro da Pisa dedicata a Maria SS. della Visitazione ».
E nel 1799 un inventario del parroco descriveva cinque altari, uno
dei quali con un affresco « con i SS. Re Magi ».

Non pago di tali notizie, effettuai alcune ricerche nel Convento M
dei Gerolamini di S. Onofrio al Gianicolo, che risale al 1446, di cui | | ì
ho ampiamente riferito nel libretto su Santa Maria del Monumento N
indicato nella bibliografia. Il monastero dei Gerolamini di Terni risulta n
essere il ventinovesimo in ordine di fondazione di quelli della Congre- INI
gazione del Beato Pietro da Pisa, monaco eremita appartenente alla
famiglia dei Gambacorti signori di Pisa, là nato nel 1355. Il futuro
Beato si era ritirato nel 1375-77 in luogo deserto e nel 1380 si era ri-
dotto a Montebello di Monte Cessana, aspro luogo presso Urbino,
dove, con dodici compagni ebbe a fondare l’ordine degli eremiti di
San Girolamo, dotandolo di rigorose costituzioni: fare quattro quare- i
sime all’anno — flagellarsi e digiunare tutti i lunedì e venerdì — mattu- - AE
tino ogni notte — cibo d'erbe cotte e pane e scarsi frutti — e ogni giorno, D.
| in refettorio, ciascuno doveva accusarsi delle proprie colpe — tutto MT»
era posseduto in comune. . . UB
| Da una cronaca latina, conservata a Santo Onofrio, scritta da G. | |
| B. Sajanello dal titolo Historica Monumenta ordinis Sancti Hieronymi DM.
Congregationis B. Pelri de Pisis e stampata a Roma nel 1760, risulta | |
| che la nostra chiesa fu concessa ai detti Gerolamini, con propria let- : NINA î
| tera 8 settembre 1474, dal vescovo di Terni Tommaso dei Vincenzi. |
| In essa lettera si dice fra l'altro « poi che c'é al di fuori delle mura,
|

e vi fu sin dal tempo antico, una certa Cappella sotto il nome di Santa |
Maria del Monumento soggetta a noi riguardo alle cose spirituali, verso
la quale confluisce, a causa della divozione, il popolo d'ambo i sessi
della città di Terni e dei luoghi circostanti, e poi che nessuno in appa-
| renza si curava di essa all'infuori di Noi... ».
| Il primo rettore del cenobio fu, nel 1474, un padre Gregorio
da Genova, cui successe nel 1478 un Giusto da Segna: nel 1598 la
Chiesa fu creata parrocchia dal vescovo Onorato, cremonese, men-
tre poi, all'inizio del 1800 la parrocchia venne traslata alla Chiesa
del Rivo, sorta nel 1671 in un luogo che era nella giurisdizione del
Monumento ed ove era stata rinvenuta, nel 1668, una immagine della
Vergine.
78 PIERO GRASSINI

Intanto, alcuni ritrovamenti durante i lavori permettevano di
delineare meglio la fisionomia della chiesa.

Anzitutto, riconosciuto un vero e proprio abside nel vanetto die-
tro l’altare maggiore, si verificò che lo spigolo sinistro di chi guardi
con le spalle all'entrata era formato con grossissime pietre squadrate
romane di travertino, e mentre i gradini a fianco dell'altare maggiore
resultarono essere pezzi di cornici sagomate romane, si rinvenne, in

funzione di architrave, nell'altare maggiore una parte di lapide romana
in travertino cosi concepita

ss; PRIUS

Q. L

5. CESSUS

.ET ATTIAE
OCLAELIB

... ONIUGI . BM.

... OS. POSUIT

che il prof. De Grassi ebbe a tradurre:

Quinto Azzio Successo — liberto di Quinto — pose sul terreno suo
- a sé ed Azzia, liberta di... e moglie benemerita.

Si dimostró cosi che il vocabolo « Monumento » non era un Caso,
ma era precisa memoria locale di un monumento funebre eretto sul
fianco della strada Tuderte, cosi come, sotto sangemini, la cosi detta
Grotta degli Zingari.

Inoltre, presso il monumento romano a fianco dell'altar maggiore,
si rintracció un tratto di calcestruzzo di fondazione delle dimensioni
di due metri per due metri alto trenta centimetri: e si recuperarono
le due cornici sopra dette, e blocchi di travertino, e la mensa dell'altare
di ricco marmo saccaroide spessa quindici centimetri, e una grande
predella di marmo che sta come soglia all'esterno del portichetto,
e un sostegno di colonna, e un elemento di pilastrino di transenna
romanica a scanalature regolari, decorato a palme sulle due facce,
un piccolo fusto di colonnina, un lastrone squadrato e scanalato. Tutto
questo materiale veniva a dimostrare sia che il monumento doveva
essere di un certo pregio, sia che prima dei Gerolamini esisteva una
Chiesa ben piü antica. Ancora, nella facciata, apparve sotto l'into-
naco, nella parte bassa in destra, una facciatina in pietra calcarea male
squadrata costituita da due pilastroni sormontati da un arco in pietra
viva a tutto sesto, sostenuto da due rozze mensole, e proseguito da
un timpano sempre in pietra viva, con occhio a strombo: e nell'interno

es ——— —
ANTICHE CHIESE SCOMPARSE E CHIESE RESTAURATE 79

si rinvennero molti affreschi tra i quali alcuni del Trecento e Quattro- |
cento e uno datato, dipinto « per sua devotione » il « 22 septembris Il
1483 »: e sul portale, nell'architrave ch'é in marmo anziché in pietra TE
come il resto, tra fiori stilizzati incisi, apparve la scritta

SALVE CERTA SALUS MVN DI SA T ISSIMA V. n

parafrasi del saluto di Elisabetta alla Vergine e quindi origine o con- lil
ferma del titolo di Santa Maria della Visitazione.

In definitiva quindi, attorno ad un sepolcro pagano dei primi
secoli, quello del liberto Azzio Successo, si costrui un romitorio con
un chiostro, il cui carattere romanico consente di assegnare il tutto
al '200 o ’300, con una cappella nella quale, nello scorcio del '300 o
del '400 venne affrescata una Madonna dei Raccomandati nonché un |
ciclo di affreschi: tale cappella, che doveva consistere nella metà ante- (UE
riore della Chiesa attuale sulla destra di chi entra (tracce di finestrelle (0
basse e piü alte finestre sui muri esterni della seconda metà fanno pen- x
sare che questa fosse l'antico romitorio) com'é testimoniato e dagli
affreschi e dalla facciatina con l'arco e l'occhio, quando i Gerolamini
ne presero possesso, venne ampliata lateralmente, con probabile tra-
| sporto del primo portale — che è di carattere romanico — sul lato sini-
| stro dove si è rinvenuto nel muro e apposizione del nuovo con la
| scritta della Visitazione nella facciata principale. Il dipinto del 1483
| chiaramente ascrivibile per il suo carattere stilistico ad un pittore
| di scuola fiorentina, é un affresco raffigurante San Gerolamo che si |
| squarcia il petto battendoselo con un sasso. Poi, intorno al '500 la Il Il
| Chiesa subi un nuovo ampliamento, che la condusse all'organismo UE
attuale: e sulla parete di fondo si costrui un piccolo abside decorato IN
con finte architetture e forse con la figura del Redentore. Lateralmente, a
a destra, in nicchia, come indicato dal libro delle visite vescovili, si | |
| rinvenne un affresco cinquecentesco dei Re Magi purtroppo superstite |
| solo nelle parti laterali perché la nicchia era stata sfondata e richiusa, |
fortuna non a raso, quando si ricavò là a fianco la camera mortuaria il)
del Camposanto. WI

Povera comunque fu l'esecuzione muraria e l'utilizzazione di |
materiali o locali o provenienti da S. Pietro vecchio proprietà degli | |
stessi Gerolamini poi divenuta chiesetta della confraternita di San |
Gerolamo. Successivamente, tra l’inizio e la metà del Settecento venne
decorata l’abside, e tutta la Chiesa, con labilissime tempere che non si
| sono potute conservare. Sull'altare maggiore, al centro, v'era un afîre-
sco che risultava ritagliato in epoca remota dal muro su cui era stato II

M EA e

Lot 3
rnrinnzintomi dliim 80 PIERO GRASSINI

dipinto e che rappresentava la Madonna dei Raccomandati fram-
mentaria, simile nel soggetto all’altra che è in un gonfalone dipinto
della fine del Quattrocento conservato a Ferentillo nella chiesa dei
Dottrinari: tale affresco ripulito e consolidato venne collocato in alto
sul muro di fondo, un po’ come a dominare la chiesa.

Sulla parete di ingresso della Chiesa, per chi entra c’è a sinistra
il ricordato affresco del 1483 di San Gerolamo: sulla destra vi sono
un affresco di una Pace proveniente da un'altra parete e collocato lì
avendo ritagliato e l’affresco e il muro che lo portava, come si usava
in antico quando non si facevano i distacchi, e un affresco di una Ma-
donna con il Bambino: entrambi chiaramente quattrocenteschi, rac-
chiusi in cornici rinascimentali a chiaroscuro.

Nella prima parte della parete destra, c’è poi il complesso degli
affreschi più importanti. Esso risulta formato da due frammenti di
riquadri uno sotto l’altro, da due successivi riquadri interi e da un
riquadro terminale che comprende in altezza i due precedenti, tutti
in cornici gotico — romaniche in mosaico a fresco. Sotto, in edicolette
ad arco tondo su sottili pilastrini, sono figure di Santi: un S. Leonardo
protettore dei carcerati, una Madonnina con il Figlio, un San Valen-
fino primo vescovo di Terni, un Santo Anastasio suo successore, una
Santa Giuditta con la testa di Oloferne e, nello zoccolo, in basso,
due testine superstiti, una di arcangelo l’altra di santo.

Nel primo riquadro in. alto, parziale, è una scena con due buoi
aggiogati, uno fulvo e uno grigio, tra alberi, su un paesaggio verde:
in quello che lo segue alla stessa altezza, c'è un biondo santo nimbato,
vestito di pelli come un pastore, appoggiato ad una verga, con singo-
lari mezze calze che lascian scoperte le dita dei forti piedi e gli stinchi:
egli guarda al di là di altri due buoi accosciati, un contadino vestito
di un vivace camice cremisino, che guarda ancor esso, stupito: la sua
attenzione è rivolta ad alcune tondeggianti mele dorate, che spiccano
su un paesaggio di roccie con fitti alberelli dalla chioma tonda. Nei
riquadri sottostanti, in quello che sta sotto il primo e che è mutilo
ancor esso, ancora due buoi che pascono su un irreale paesaggio ru-
pestre di risalti e tavolati roseo lividi: nell'altro, intero, ancora c’è
il contadino dal camice color vino, ma ad esso sovrasta una soave
Madonna leggermente estatica, con un velo monacale ed un lungo
manto bianco, la quale porge al contadino un frutto eguale a quello
ch’egli ha di sopra scoperto, mentre un’altra mela dorata galleggia
in una piccola gora, su un paesaggio più chiaro; con roccie schematiche
geometricamente intagliate come nei primitivi senesi.
ANTICHE CHIESE SCOMPARSE E CHIESE RESTAURATE 81

Nel riquadro finale, che in altezza abbraccia i due precedenti,
ancora c’è il campagnolo, con una grande falce su cui si appoggia, ma
la Madonna ch'egli guarda forse a ricordare l'avvenuto prodigio delle
frutta, è grande, raddoppiata rispetto all’altro riquadro, con i lunghi
occhi obliqui, il manto che al piede sconfina nel campo, la mano bene-
dicente. Sul fondo, più piccoli, due frati bianco vestiti aventi sul cap-
puccio e sulla spalla una crocetta rossa, entrano in una Chiesetta,
mentre tre coppie di religiosi salgono con il rosario in mano sino a
giungere ad un gruppo di altri sei che si raccolgono dietro due monaci
che si baciano: e il paesaggio dietro di loro è gialla roccia in basso, e
in alto si estrinseca in una città turrita nella quale ha rilievo una grande
chiesa gotica a tre navate.

L'atteggiamento dei due frati che in pace si baciano corrisponde
a quello della Pace nel muro di entrata, nella quale due giovani con
lunghi capelli inanellati che scendono loro sulle spalle, sono inginoc-
chiati faccia a faccia e si abbracciano, mentre un Angelo guerriero
posa loro le mani sulle spalle, e si vedono al piede due ceppi simbolo
probabile di prigionieri liberati.

Non è chiaro a quale leggendario possa essersi ispirato il pittore
della «leggenda delle mele dorate », della quale non si son trovate
traccie né nella Leggenda Aurea di Jacopo da Varagine, né nella Vita
dei Santi e Beati dell’ Umbria dello Iacobilli. Per altro, nello Iacobilli
v'é una certa analogia con un episodio della vita del Beato monaco
silvestrino Paolino Bigazzini vissuto nel 1260: un giorno d'inverno
S. Silvestro Guzzolini da Osimo andó a visitarlo nel suo monastero
di Sambuco nella diocesi di Gubbio: era sera, nulla v'era nel convento
per rifocillarsi: ma egli «si raccomandò al Signore con grande affetto
in quell'ora di notte, e nell'orto del Monastero, in mezzo alla neve ed
ai ghiacci, trovó erbe verdeggianti e cavoli bellissimi, e vide un albero
in un momento produrre pere per divina potenza: e presa l'erba e le
pere portolle al Santo Padre perché se ne cibasse ».

E i monaci crociati possono rassomigliarsi agli incappucciati che
nel ricordato Gonfalone di Ferentillo sono all'ombra del manto della
Madonna, e hanno la croce rossa sul mantello pur se questi son forse
confratelli di una fraternita laica ?

Nulla del pari puó dirsi sul pittore che ha raffigurato il ciclo di
affreschi: certe analogie di vestire nei calzari avevano fatto pensare
ad Ottaviano Nelli, ma un confronto su affreschi nel San Francesco
di Gubbio han fatto ritenere di escluderle: e cosi si é concluso che
l'autore poteva essere un pittore proveniente si da quel centro di irra-
82 PIERO GRASSINI

diazione che fu Assisi, al quale non furono ignoti i modi decorativi
del fabrianese Allegretto Nuzi, ma che, dipingendo nello scorcio del
Trecento e il primo inizio del Quattrocento è da caratterizzarsi per un
suo forte influsso senese. In sostanza, così, alla scarsa ricchezza pitto-
rica di Terni recano buon contributo questi scoperti affreschi della
Chiesa del Monumento i quali testimoniano fra l’altro, per certo, con il
San Gerolamo, la presenza di un pittore fiorentino della fine del Quat-
trocento, e di modi senesi vivi nella nostra pittura fra il Trecento e
il Quattrocento.

La rimessa in ordine dei vari affreschi, e la ripresa pittorica ar-
chitettonica dell’abside furono opera appassionata del pittore Tullo
Bertozzi.

Ripulita e ritinteggiata, chiuse all’esterno le sgraziate finestre,
riordinato il portichetto lasciando in vista la vecchia facciatina, mu-
randovi la lapide del liberto e altri frammenti, il restauro della chiesa,
che fu riaperta al culto il 7 giugno 1943, fu completato salvando degli
altari laterali solo due tele settecentesche di Sant'Onofrio e della Ver-
gine con ai piedi S. Girolamo e Sant'Isidoro Argireste, rinfrescate dal
Bertozzi, e costruendo un liscio nuovo altare maggiore in travertino,
nuovo nel materiale del nostro tempo ma, senza essere copia, realiz-
zato con volume e forma quali avrebbe avuto nell’epoca, ed una balau-
stra moderna, ambientata all’altare con l’usare eguale travertino di
Guardia. Per la comprensione di un devoto che l’aveva trovato in una
antica cappella ridotta a legnaia, e che l’aveva posto in deposito nella
Sagrestia di S. Salvatore, si riuscì ad assicurarsi, per l’altare, un prege-
vole Crocifisso ligneo primitivo, probabilmente da riportarsi al ‘200.
E sempre sull’altare si usarono bellissimi candelabri in legno di costru-
zione rinascimentale, colorati, provenienti da una Chiesa del conta-
do. Nel 1960, però, il Crocifisso era finito in Sagresia, sostituito da uno
della Val Gardena: e i candelabri non c’erano più sostituiti da moderni
candelieri di ottone, lucidi. . .

RICOSTRUZIONI E RIATTAMENTI A SAN LORENZO ED A SAN FRANCESCO

In una relazione del maggiore prof. I. B. W. Perkins, della Sotto-
commissione Alleata per i Monumenti, le Belle Arti e gli Archivi,
dell'ottobre 1944 (la liberazione di Terni era avvenuta 1’11 giugno 1944)
si legge, circa i danni di guerra subiti dalla chiesa di S. Lorenzo: « Una
piecola costruzione romanica molto interessante, con una cappella
più tarda aggiunta sul lato nord cosi che ne risulta una chiesa a due
í——————————

ANTICHE CHIESE SCOMPARSE E CHIESE RESTAURATE 83

navate. Il corpo della chiesa più antica (in pietra da taglio, eccellente
opera muraria) sembra salvo, benché molto spaccato, eccetto per
la facciata in cui il portale quattrocentesco è piuttosto sconnesso. La
facciata, aggiunta in un periodo più tardo (costruzione a sacco) è in
condizioni pericolose e richiede di essere demolita. Il tetto è completa-
mente scomparso ».

La chiesa di San Lorenzo era giunta a noi del Novecento, rivelando
dal muro in pietra di un fianco, verso un vicolo, e dell’abside, i carat-
teri di edificio romanico: ma, ampliata con una aggiunta laterale, si
presentava, ancora nel 1930, con una rozza facciata a due spioventi,
con in centro due grandi finestre rettangole, ravvicinate, sotto una del-
le quali era, dissimmetrico rispetto alla finestra, un bellissimo portale
del Quattrocento. Una ripulitura interna che coprì di bianco gli affreschi
del soffitto nel quale il Locchi riferisce che si vedeva effigiata la ban-
diera dei Consoli della Seta, fu l’avvio ad una sua maggior considera-
zione, intorno al 1930. E così, sulla scorta di un progetto Bazzani, per
l'interessamento appassionato di mons. Pierino Montanari, parroco,
che molto del suo ancor finanziariamente dette per ottenerlo, si avviò
un regolare restauro, sotto la Soprintendenza di Perugia.

E in tale occasione, demolito il pavimento, scavando la parte
destra, antica, della chiesa, si giunse a ritrovare frammenti di un
antico pavimento romano a mosaico di pietruzze grigie, sul quale pog-
giavano basi di colonne: presso l’abside, su due grandi pilastri di pietra
che si trovarono sull’allineamento degli intercolunni, era impostato
l’arco trionfale, cui poi seguiva un’abside romanica in pietra viva
assai interessante. La chiesa risultò così di due parti, una bassa antica
absidata, cui si scendeva dal bel portale con una scalinata, l’altra a
livello strada, separata e congiunta alla prima da un grande arcone:
la fiancata esterna di quella bassa era tutta in pietra a filari, mentre
la facciata venne riadattata, chiudendo le due brutte finestre e sosti-
tuendole con la copia, in pietra, di una biforetta romanica che era
sul muro di fianco.

Questa dunque era la chiesa, come si presentava, prima dei bom-
bardamenti. Dopo le distruzioni, si poneva il problema della ricostru-
zione mantenendo alla chiesa lo stesso aspetto raggiunto nel prece-
dente restauro pure se la facciata era stilisticamente arbitraria, e del
rafforzamento. Purtroppo però, l'8 gennaio 1945, mentre appena il
Genio Civile aveva iniziato i lavori di consolidamento, mancando
il legname per le puntellature, si verificò all’improvviso, sul mezzo-
giorno, il crollo di tutto il fianco originario sulla destra di chi guarda
84 PIERO GRASSINI

la chiesa e della parte alta dell’abside: forse dovuto alle perdite di una
fogna nella stradina laterale i cui lavori di risarcimento erano stati
frammentariamente eseguiti nel 1942-43. E ciò venne a complicare,
costruttivamente, le cose.

Si ricordò intanto che, alla fine del '42, nello scavo di questa fogna
si erano trovate, sotto il piano della strada, più alte del piano della
chiesa, alcune tombe coperte alla cappuccina, contenenti due corpi,
uno sopra e uno sotto, che furono riconosciute per parte di un cimi-
tero barbarico servile. Nello stesso tempo, sotto tali tombe era stato
trovato un grezzo mosaico romano, a grossi elementi di pietra concre-
zionale saccaroide locale, avente superiormente uno strato di malta
di 3 + 4 cm ben attaccata, rossiccia, come fosse stata eseguita con
pozzolana (di Orte ?) o meglio con laterizio tritato minutissimo, che
non era il normale cocciopisto e che forse era il sottofondo su cui po-
sava il vero mosaico decorativo che era a pochi centimetri di diffe-
renza di livello dal mosaico romano, che poco dopo il '30 si era sco-
perto essere il pavimento della chiesa. Il mosaico informe era delimi-
tato, dalla parte opposta della chiesa, verso le case medioevali del
vicolo, da un muro di 60 centimetri con intonaco lisciato ad encausto,
grigio.

Tale ritrovamento poteva porsi in collegamento con la tradizione
che San Lorenzo fosse sorto sulle rovine di un tempio di Marte. I la-
vori di ricostruzione avrebbero consentito di sciogliere.l'enigma ? Men-
tre si rinveniva solo un frammento di lapide con due lettere sole in-
cise in stile lapidario, nel febbraio del '46, dall'altro lato della Chiesa,
nel consolidare un voltone della stradella a fianco di Palazzo Moretti,
si ebbe occasione di rinvenire, a circa due metri e mezzo di profondità
un'altra tomba coperta a tegoloni, senza suppellettili come le prece-
denti, nella quale lo scheletro posava sopra un pavimento romano cosi
composto: sottofondo di calcestruzzo normale di calce e sabbia, di cui,
scavandone quindici centimetri, si è constatato che continuava —
massetto di calcestruzzo composto con tegolozza per cinque dieci
centimetri — intonaco rosso lucidato lisciato (encausto ?) che doveva
costituire il pavimento od il fondo di qualche costruzione romana.
Dunque, tempio di Marte o no, San Lorenzo era sorta in zona di costru-
zioni romane.

Curiosamente però, nella struttura della parte romanica interna
della nostra chiesa, la fila di colonne di cui c'eran solo due zoccoli (e
che continuava all’interno dei pilastroni quadrati precedenti all’absi-
de, in quanto essi racchiudevano anche il fusto di colonne rotonde che

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P. GRASSINI
ANTICHE CHIESE SCOMPARSE E CHIESE RESTAURATE 85

sono state in parte rimesse in luce, come possibile, senza falsarle)
dista pochissimo dal muro perimetrale che costituisce l'antico fianco
della chiesa. Appariva come se l'originaria chiesa romanica, il cui
pavimento e l'impostazione dell'abside e quella delle colonne é ben
più bassa della piazza attuale antistante, avesse avuto una navata
centrale delimitata da colonnato e, almeno dal lato verso il vicoletto,
fra le colonne ed il muro, una navatella laterale strettissima. Perché ?

Con lo scavo praticato per accertare la stabilità del detto muro
esterno laterale che si doveva ricostruire, si tentó di vedere se esso
fosse originario: ma si riusci ad accertare solo che sotto di esso non
v'era un pavimento romano che continuasse quello rinvenuto nella
chiesa riunendosi con quanto visto nel '42 del pavimento romano
esterno, quasi allo stesso livello si, ma delimitato da un muro. Rimase
quindi la perplessità circa la continuità costruttiva di un edificio ro-
mano di egual perimetro con il nostro: ma poi che si é posto in luce
all'imposta della tazza dell'abside un frammento di cornice romana,
si può affermare quanto meno un legame fra un tempio romano e
quello dell'alto medioevo.

Ad ogni modo, la ricostruzione permise di realizzare qualcosa
più del precedente restauro, quanto ad isolamento della parte roma-
nica. Sulla chiesa insisteva, con un vano, la contigua casa canonica:
nel ricostruire il tetto, lo si liberó da questa sovrapposizione. Di piü
venne isolato e rimesso in luce il campaniletto a vela con la sua mura-
tura in pietrame un po’ grezza che si ebbe cura di profilare. E si diede
luce all'abside arretrando un muro di confine, ad essa perpendicolare,
che ne copriva una parte.

All'interno, la tela del Martirio di San Biagio attribuita al Guer-
cino era ridotta in frammenti dallo scoppio delle bombe, ma si riusci
a ricostituirla ottimamente, sempre dal bravo Bertozzi. Si consenta
di dire qui che é un po' commovente rileggere le minute delle frequenti
relazioni alla Soprintendenza, su tutti quei lavori del '45 e del '46,
ritrovandovi il fervore che tutti ci animava.

*ok ox

Per San Francesco, la relazione Perkins sui danni cosi si espri-
meva: « Grande, ben proporzionata chiesa gotica, gravemente colpita.
La parte sud ed il tetto del transetto meridionale sono caduti, espo-
nendo gli affreschi. La volta della crociera é caduta e le parti della
volta rimaste, manifestamente poco sicure. La facciata è intatta salvo
86 PIERO GRASSINI

per la porta meridionale, in parte scardinata e proiettata in avanti, e
che richiede di essere demolita. Il campanile è intatto. Il pittoresco
chiostro di un’epoca più tarda, in gran parte demolito. Il problema
qui è così radicale che un’opera seria di ricostruzione sembra ora im-
possibile ».

Nella realtà, invece, fu possibile ben presto avviare la ripresa
delle strutture e lo stesso restauro. Già nel gennaio 1945 si riferiva
che, nelle navate laterali imbarocchite, erano state demolite le vol-
tine a mattoni di sottotetto di quella verso l’interno del convitto an-
nesso alla chiesa e che stavan per esserlo quelle delle navate esterne
perché gravemente pericolanti.

Come è noto, la chiesa di San Francesco è una delle chiese più
ragguardevole di Terni per il suo carattere artistico. Sorta nel 1265,
si dice su disegno di Filippo da Campello, su un preesistente oratorio
di San Cassiano, ad una sola navata, coperta a volta archiacuta molto
slanciata, con transetto della crociera non lungo sul quale affacciavano
una cappella laterale al presbiterio a destra e forse un’altra a sinistra
di chi guardi l’altare, simmetrica, sulla quale, sorse, posteriormente
il futuro campanile. Il presbiterio dovette essere chiuso da un'abside,
non si sa come. Le pareti della prima citata cappella a destra del pre-
sbiterio vennero affrescate (e si riteneva ciò avvenisse nella prima metà
del 1300, per commissione dei fratelli Paradisi Pietro ed Angelo, che
furono Capitani del Popolo in Firenze negli anni 1333-1335, in onore
del loro zio Giovanni) con un ciclo di affreschi che raffigurano i tre
regni della Divina Commedia. Nel 1445, sull’altra cappella dall’altro
lato del presbiterio Angiolo da Orvieto eresse un alto e svelto campa-
nile con modanature ai ripiani, uno dei quali sfinestrato, a bifore,
l’ultimo a quadrifore trilobate: il campanile giunse un po’ incompiuto
sino ad un restauro eseguito, come si dirà, intorno al 1930.

Nel 1455 si ritenne di dedicare una cappella a San Bernardino
da Siena e si prolungò un braccio della crociera ricavando una cappella,
detta di Sant'Antonio, che poi in tempo barocco fu decorata con affre-
schi del Sermei e con pregevoli stucchi di Domenico Grimani da Stron-
cone. Nel 1472 o 1473, sorta in Terni la Confraternita della Croce Santa,
si ha notizia che questa si radunava in « un buio ed angusto vano ter-
reno situato dietro il coro dei Minori Conventuali ». Allungatosi, in
simmetria con la cappella di San Bernardino, il lato destro della cro-
ciera, quando gli iniziatori della Confraternita, i Camporeali, esposero
una loro preziosa Reliquia della Croce nella chiesa di San Francesco,
nel 1525, loro sede divenne la detta cappella, alla cui decorazione,
ANTICHE CHIESE SCOMPARSE E CHIESE RESTAURATE 87

poi, « diede un decisivo impulso il Crocesignato Conte Petruccio Cam-
poreali nel 1555 ». Successivamente, nel 1588, la Confraternita si tra-
sferì in quel suo proprio oratorio della Croce Santa di cui abbiamo
visto, la cappella, affrescata dall’aretino Sebastiano Florio, venne
decorata ancora con stucchi e dorature.

Forse sullo scorcio del Quattrocento vennero aggiunte le navate
laterali, basse per altro: successivamente, non è chiaro quando, esse
vennero rialzate così che la chiesa ebbe un tetto unico a due soli spio-
venti: sui fianchi, oltre all’aggetto in muro pieno della facciata rispetto
al muro perimetrale, si avevano, fuori di tale muro perimetrale,
due grossi contrafforti cilindrici, con loro cornice piana, risultanti in
corrispondenza dei pilastri a fascio della navata centrale: che l’organi-
smo fosse rimaneggiato era chiaramente visibile dall’esterno, dove in
facciata, in corrispondenza delle navate centrali sono due portali cin-
quecenteschi e presso che all’altezza del grande occhio della navata
centrale, sovrastante il portale a colonnine a strombo, sono, sopra i
due portali laterali, due bifore aggiunte mentre la parte alta è ad into-
naco. Non si sa quando venisse rimaneggiato l'abside, che prese la
larghezza dell’intero presbiterio, ampliandolo: certo, al tempo ba-
rocco vennero aggiunti altari laterali a decorazioni e stucchi, e tutte
le volte, anche quelle della navata centrale e del transetto, vennero
intonacate.

Fu motivo di ampliamenti il capitolo generale che venne tenuto,
con tremila minori partecipanti, nel nostro San Francesco il 4 ottobre
1500 e fu uno dei « capitoli delle stuoie ? ». O la visita del 1598 di Papa
Clemente VIII che andò in San Francesco con «solenne corteo » e
nulla più dovette rinvenire di quel « Palazzo del Papa » fatto costruire
da Gregorio IX ed incorporato quasi certamente poi nel Convento
dei Minori attiguo alla chiesa ? Comunque, nel 1930 per impulso del
parroco mons. Nazareno De Angelis e per opera dell’ing. Fabrizio Ra-
maccioni, cui non mancarono gli autorevoli consigli di Cesare Baz-
zani e di Achille Bertini Calosso, si procedette ad un restauro interno
eliminando alcune sovrastrutture e rimettendo in ordine il bellissimo
altare maggiore gotico: e si abbatterono basse costruzioni addossate
all’abside.

Nel 1945, a distruzioni avvenute, e nel corso dei lavori di consoli-
damento e ricostruzione, vennero a porsi alcuni problemi circa il re-
stauro, mentre si chiarivano intanto alcuni elementi stilistici. Si ebbe
conferma che la prima chiesa era stata sicuramente ad una navata:
infatti dal lato sinistro di chi entra, nella parte estrema di uno dei
88 PIERO GRASSINI

pilastri a fascio questo è risultato decorato in alto, con arcatelle ana-
loghe a quelle che ornano la facciata: e nel rifare i pavimenti si tro-
varono le fondazioni dei muri che collegavano i pilastri a fascio e che
erano muri perimetrali della navata unica, i quali in alto (fra le volte
delle navate laterali demolite ed il tetto, per la parte che continua
sopra gli archi che riuniscono i pilastri a fascio e pongono in comuni-
cazione la navata centrale e le laterali) mostrarono il solito motivo
delle arcatelle. Del pari è risultato provato che quando furono ag-
giunte le navate laterali, queste erano sicuramente basse ed a tetto,
perché sono venute in luce, nel muro verso l’esterno, finestrelle strette
e lobate ad altezza giusta per aver sopra un tetto vicino. Esse sono a
mezza altezza della parete, però, e sopra ad esse ve ne sono altre di-
verse, chiuse, così che non avrebbero senso le prime se fossero state
contemporanee alle seconde. Inoltre, si è messa in luce l’imposta del-
l’arco, decorato nella parete inferiore con tracce di antichi affreschi,
ma assai basso, che fu ricavato per porre in comunicazione la navata
laterale destra con la crociera, e che poi fu sostituito da altro più alto:
e si rintracciò la imposta di un arco, ancor esso molto basso, aperto
nei muri, che venivano a non esser più solo esterni, fra la navata cen-
trale e le laterali nella loro prima attuazione, basse cioè.

È risultato pure che, quando vennero rialzate le navate laterali,
vennero contemporaneamente rialzate le aperture fra la navata cen-
trale e le laterali: e sono infatti risultati costruiti con mattoni, nel
muro originario. che è come i pilastri a fascio in pietra sponga, i neces-
sari archi, i quali hanno l’imposta allo stesso livello di quello della volta
a crociera della navata principale: tali archi longitudinali consentirono
che il soffitto, sotto il tetto, delle navate laterali, venisse eseguito con
volte in mattoni ad una testa, a crociera, ribassate. Naturale quindi
che da queste accertate risultanze si ponesse il problema se mante-
nere alle navate laterali l’altezza che avevano prima dei bombarda-
menti, o riabbassarle per dare alla chiesa un aspetto più organico: e
come dovesse configurarsi il soffitto delle navate laterali se si mante-
neva il tetto a due soli spioventi ora che le volte di sotto tetto erano
state demolite. Altro problema era che fare delle cappelle di prolunga-
mento della crociera, di cui quella dei Camporeali era scoperchiata,
tenuto conto che aveva i muri pericolanti e gli affreschi a tempera del
Florio non recuperabili.

Il mai abbastanza ben ricordato prof. Bertini Calosso, che seguiva
amorosamente la vicenda dei nostri monumenti d’intesa con l’archi-
tetto Bizzarri, ritenne che, stante il grave impegno che avrebbe com-
ANTICHE CHIESE SCOMPARSE E CHIESE RESTAURATE 89

portato il chiudere in alto le fiancate della navata centrale (che a de-
stra di chi entra avevan oltre tutto qualche dissesto statico, così che
la facciata, in corrispondenza presentava un non trascurabile stra-
piombo) non convenisse riabbassare le navate laterali. E ritenne si
dovessero coprire con semplice tetto a travature, senza incavallature,
in vista all’interno, facendo mostra di collegare i pilastri a fascio con
muri perimetrali esterni in corrispondenza dei contrafforti cilindrici
esterni, non chiaramente definiti nella loro struttura (destinati, pur
mancando gli archi rampanti degli organismi gotici, ad assorbire la
spinta delle crociere ?) così da rompere la monotonia di una lunga
copertura uniforme, con degli pseudo archetti rampanti. Convenne
anche sull’opportunità di demolire il prolungamento della crociera
in destra perché l’unica cosa di un certo pregio, gli stucchi del Grimani,
eran perduti. i

Cosi si chiuse con muro verso l'esterno la crociera in destra, ripor-
- tandola alla dimensione originale: e analogamente si praticò dall'altro
lato provvedendo peró ad aprirvi due porte cosi che la cappella da
quel lato divenisse sagrestia: nella quale, dopo averlo staccato, si ap-
plicó un superstite affresco del Sermei. Poi che l'abside nel quale
sulla parete interna, nel restauro del 1930, si erano riportate mezze co-
lonnine sulle quali insisteva la copertura a volta, risultava difforme
dalla struttura originaria, la muratura della parete interna si lasció
in vista, profilando le pietre, cosi che si capisse, dalla disposizione e
dal succedersi discontinuo delle murature e delle aperture, che la
pseudo struttura della copertura «in stile » era invece un’aggiunta
posteriore eseguita in forma imitativa. Ma forse l’aspetto più interes-
sante che si riuscì a realizzare fu il non demolire, come si chiedeva, le
volte a crociera della navata principale: ma rimetterne a posto i conci
di pietra chiudendo le lesioni colando dal di sopra. dal sotto tetto,
cemento, in tutti i giunti: e ricostruire pure in pietra le volte cadute
nella crociera delle quali erano rimasti in piedi solo i costoloni: e poi
lasciar tutta in vista la pietra viva, senza rimettervi sopra l’intonaco:
con un effetto estetico suggestivo oltre che perfettamente fedele stili-
sticamente.

A tergo della chiesa, si profittò dell'occasione per porre in vista
la facciata in pietra, con le interessanti vecchie finestre che erano
risultate del corpo di fabbrica laterale all'abside dove era prima il
Convento dei Minori ed ora il Convitto Salesiano. E si ritrovò altresì
qualche struttura interna interessante: così, la cappella del Convitto,
a voltoni in pietra sponga, e un’analoga struttura in vista in un’altra
90 PIERO GRASSINI

sala: e del portico interno dell’antico chiostro si ripristinò quello che
era rimasto, senza ripetere l’aggiunta, caduta, sul fianco della Chiesa.

Tra i ritrovamenti, legame con l’antichità classica, è da indicarsi la
scritta rinvenuta nel tergo di una lapide settecentesca, che suona così:
DIIS MANIBUS L. APULEIO EPAPHRODITO SEVIRO AUGUSTALII L. APULE-
IUS EPAPHRODITUS FILIUS PATRI PIISSIMO ET SCAEPIA NEBRIS UXOR
BENEMERENTI — Acquisizione della chiesa fu invece l’aver mantenuto
nella navata destra il masso informe, specie di rozzo basamento, sul
quale San Francesco, nei pressi di San Cristoforo, predicava ai ternani.

Nella chiesa, la base della cella campanaria fu ridotta a cappella,
senza guastarne in alcun modo la struttura, la quale in sede di re-
stauri ebbe a dare gravi preoccupazioni e per il cui consolidamento
come per quello di altre murature, e laterali al presbiterio e di facciata,
si dovette ricorrere a cementazioni. Fu ricondotta all’originario stile
grezzo e rude l’altare della cappella Paradisi: e, in questa, si ebbe
una sorpresa : che cioè sotto il ciclo di affreschi a soggetto dantesco,
c'era un altro strato di affreschi più antico che per altro, per saggi
praticati, si è rilevato mutilo. Così, se ne è lasciata in vista la sola stri-
scia che è risultata dall’intonaco caduto sulla parete dietro l’altare
e che più in basso non appariva più, nella quale sono la parte superiore
di una testa di un Santo, forse San Francesco, una Santa Regina ed
un'altra figura. Quanto meno, tale ritrovamento ravvicina la costru-
zione della cappella a quella della navata centrale con il breve tran-
setto a crociera, o la unifica.

Nella stessa cappella Paradisi l’intonaco si presentava assai stac-
cato. Perciò, esauriti i restauri statici, quando nel maggio '47 si poté
provvedere ad assicurare la consistenza del prezioso ciclo di affreschi
si operò in un primo tempo per fermarlo e consolidarlo mediante uno
attento e paziente lavoro ancora opera del valente pittore Bertozzi.
Si effettuarono colate di malta di pura calce e pozzolana, escluso il
cemento, a tergo di esso e ad opportune iniezioni: nei punti più com-
promessi si provvide ad attaccare l’intonaco a staffe, riempiendo, die-
tro e poi riabbassando l’intonaco rigonfiato. Per fortuna i distacchi
irreparabili risultarono nella quasi totalità dove c’erano già prece-
dentemente riprese di intonaco e quindi andarono perdute solo le pre-
cedenti « toppe » di riprese e non tratti di superfici affrescate. Il lavoro
venne fatto in due tempi: dal basso in alto prima, dall’alto in basso
poi: ed a consolidamento dell’intonaco avvenuto si provvide a ripu-
lire gli affreschi, oltre tutto, dal grosso strato di polvere che vi si era
accumulato.
ANTICHE CHIESE SCOMPARSE E CHIESE RESTAURATE 91

Purtroppo nulla emerse che potesse dare il nome dell’artista del
ciclo pittorico: secondo il Longhi e poi il Berenson, esso sarebbe
stato Bartolomeo di Tommaso da Foligno: e recentemente lo Zeri ha
confermato diligentemente tale attribuzione, precisandone la possi-
bile data d’esecuzione al 1453.

Nulla può dirsi invece di chi abbia dipinto altro limitato af-
fresco, raffigurante un Pontefice, apparso sopra un lato della porta
della navata sinistra di chi entra, di carattere quattrocentesco, e che
avrebbe potuto dare la datazione della costruzione della navata. Nel
complesso, comunque, la Chiesa ha riacquistato carattere sia stilisti
camente, sia religiosamente: più nuda, di sole linee essenziali, ci rav-
vicina all’estatico tempo della povertà francescana.

IL RIPRISTINO DI SAN PIETRO

Le notizie storiche che si hanno su San Pietro dagli storici locali
non sono moltissime. Si sa dal Silvestri che i Padri Agostiniani ave-
vano «da tempo immemorabile » un eremitaggio presso il borgo di
Rocca San Zenone, all'imbocco della valle del Serra presso Terni, in
località San Bartolomeo. Secondo quanto poi resultava da un mano-
scritto del 1663 di un frate Adeodato Catalano che trattava le vicende
del convento agostiniano di Terni dal 1254 al 1457, con Breve 13
febbraio 1254 dato in Perugia da Papa Innocenzo IV, tali Padri ave-
vano avuto la concessione della Parrocchia dei SS. Siro e Bartolomeo
nel rione Amingoni. E, dopo che si erano istallati in Terni, nel 1287
ebbero anche la Chiesa Parrocchiale di San Pietro del Trivio (« vene-
rato su un trivio ») o San Pietro vecchio (o dei Fabbri perché sorgeva
in tale rione) e subito si dettero «a tutt'uomo all'ampiamento e mi-
glioria di quella Chiesa e del Convento che ivi avevan perloro dimora ».

Nel 1929 il P. Lopez agostiniano dava notizie su Analecta Augu-
stiniana che il manoscritto di Frate Adeodato non si era potuto rin-
venire: ma già nel 1920 la stessa rivista Analecta Augustiniana (vo-
lume VIII, nn. XI-XV, 28 agosto 1920, tip. Poliglotta Vaticana)
aveva pubblicato alcuni documenti latini sul Convento Agostiniano
Interamnense con alcune annotazioni a sigla P.S.L., e precisamente
i documenti di concessione e conferma. Essi non recano nuove notizie
e quindi, rinviando per il testo alla citata rivista, basterà ricordare
che il concedente di San Pietro fu il vescovo di Terni Tommaso, già
frate agostiniano.

Cagione della donazione fu l'estrema povertà di San Pietro, tale,
92 PIERO GRASSINI

dice il documento, «da mancare di ogni più piccolo bene, tanto che
non si può trovare un ministro del culto che possa vivere o sostenersi
di essa vivendo con l’onestà propria del sacerdote ». Esecutore dell’in-
vestitura del vescovo fu « perché si occupi di eseguire le cose in gene-
rale ed in particolare », come dice il documento, il prevosto della chiesa
di San Cristoforo in Terni « nostro amico ».

Una nota a tale primo documento, a sigla P.S.L. sul citato nu-
mero di Analecta (nella quale si precisa ch’esso è desunto dal modello
in carta pergamena esistente nell'archivio generale dell'Ordine — vo-
lume il cui titolo: Bolle e Documenti, è segnato con il numero 50 che,
secondo l’Herrera, una volta era conservata neil'archivio del convento
ternano — e dalla relazione sullo stato di quello stesso convento fatta
nel 1650 per ordine di Papa Innocenzo X, che ancora è nell’archivio
generale dell’ordine Relazioni delle Provincie Italiane, titolo III, lib.
5, p. 158) informa che, dopo la donazione, gli Agostiniani costruirono
una nuova chiesa la quale era «a volta e d’una navata e di 200 piedi,
con 12 altari, dove si celebra, et altri imperfetti ». Dice ancora la rela-
zione che «il monastero ha un bello claustro..., pozzo, horto e stalle
con un poco di vigna ed una quarta a semenza. Il dormitorio è di 18
stanze o habitazioni, con altre sette stanze per li novitii, separate come
sopra. Sotto vi sono altre stanze, come Refectorio, cucina, cantina,
et un granaio ».

Dal secondo documento, che è la conferma del possesso, trascritta
dal notaio Giovanni Aveste nel 1324, si desumono solo alcuni nomi di
partecipanti all’atto, fra i quali un domino Giovanni « Prepositus
Santese » di San Cristoforo. Ad ogni modo, sempre da quanto il Sil-
vestri riporta dalle Riformanze, resulta che nel 1335 gli Agostiniani
avevano venduto loro fondi per « ampliare la loro Chiesa di San Pie-
tro, per edificare un nuovo Palazzo per dormitorio et per altre como-
dità del Convento ». E l'ampliamento della Chiesa doveva essere, nel
1430, portato ben avanti se in quell’epoca, come testimoniato da una
lapide apposta sulla sua base, veniva edificata la solenne torre cam-
panaria. Così pure, nel 1449 il convento doveva essere ben ampio
se poteva dare albergo a Papa Nicolò V in viaggio per Ferrara con
eccelso corteggio. E nel 1460 ebbe luogo una nuova solenne consacra-
zione della Chiesa, che doveva quindi allora aver raggiunto una sua
rinnovata: espressione.

Ancora le Riformanze informano che lo «strenuus miles » Ste-
fano Manassei, a maggiore e più decoroso ampliamento della Chiesa
stessa, «dava opera all’edificio della sua tribuna: né la potendo veder
P. GRASSINI

Terni.

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La Chiesa di
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L’abside della

Chiesa di S. Pietro in Terni dopo il ripristino.
ANTICHE CHIESE SCOMPARSE E CHIESE RESTAURATE 93

compiuta mentre visse, morendo senza prole lasciò tutti i suoi beni
a quel convento » per ultimare la «intrapresa fabbrica ». Ma la sua
pietra tombale, che porta la data del gennaio 1489, era presso che
la sola traccia di valore artistico rimasta nell’interno della nostra
Chiesa dopo che essa, all’interno, era stata rimaneggiata totalmente
nel '700. Rimaneggiata altresì la facciata, ad intonaco, in essa rima-
neva d’antico solo un bel portale cui sovrastava una scultura di Cristo
benedicente, mentre la parte rimasta libera del fianco sinistro esterno,
in pietra viva, diceva, con le sue arcatelle nell'alto, l'origine romanico-
gotica dell'edificio; la stessa abside era nascosta da casucce e non aveva
più alcun carattere; ed il chiostro, divenuto scuola, risultava molto
rimaneggiato.

Poco prima della guerra, le lacerazioni dell’intonaco cadente della
facciata settecentesca che aveva coperto il vecchio paramento a conci
e l'aveva squarciato con due grandi finestre rettangolari, suggerirono
al Padre Rettore del tempo, l'agostiniano P. Racchini, un restauro
della facciata, del quale ebbi l'incarico. Ritrovammo cosi ch'essa era
in pietra a filari come il fianco, e rinnovammo le arcatelle del corona-
mento, analoghe nel disegno a quelle in vista sul lato e, chiuse le fine-
stracce settecentesche, avviammo l'occhio centrale. Per la struttura di
questo, una intuizione di un caro collaboratore, che mi sostitui men-
tre ero in guerra, il compianto ing. Adolfo Tanchi, ne permise la ricom-
posizione geniale: erano infatti apparsi, quando si era liberata la fac-
ciata dall’intonaco, sopra al portale, in corrispondenza degli stipiti,
come due lobi lavorati, di pietra bianca, che se li eran stati un tempo
forse posti in funzione decorativa, non certo eran legati strutturalmente
e stilisticamente al portale che era oltre tutto di altro tipo di pietra.
Si intuì che essi dovevano essere, invece, parti della ghiera interna del-
l’occhio, il quale si poté così ricostruire decorato e di proporzioni fedeli.
Dal restauro del '40, pur essendo esso rimasto limitato alla facciata,
emerse intanto oltre tutto, una convalida di quanto ricordato dalle
notizie storiche. La grande facciata ne sovrastava e inglobava altra
più piccola, conchiusa in alto, sopra al portale, da un arco di scarico,
larga meno di un terzo della totale, e assai bassa. Questa poteva essere
dunque l’antica piccola Chiesa di San Pietro del Rione dei Fabbri,
ovvero di San Pietro, onorato ad un trivio, che poi, al tempo dell’am-
pliamento, era rimasta parte dell’organismo attuale.

Fu poi il danno provocato dai bombardamenti, per una bomba che
colpì, in pieno, la navata centrale scoperchiandola, a dar motivo al
ripristino stilistico dell'intero tempio. Nella struttura quale appariva
94 PIERO GRASSINI

prima della guerra, sulle pareti laterali, internamente si rilevavano
sporgenze rettangole, tipo lesene, dalle quali sporgevano colonne in
mattoni intonacati, con capitelli corinzi, sul cui fregio appoggiavano
archi a pieno centro articolando così il grande soffitto a volta con le
sue decorazioni settecentesche. Ma quando tali archi crollarono, si
vide che al di sopra di quello verso il presbiterio ne preesisteva un al-
tro, a sagoma ogivale. Poi che quindi l'arco circolare risultò un sott'ar-
co aggiunto come le colonne, si ritenne di poter dedurre che le lesene
rettangolari fossero state strutture originali sulle quali insistessero,
in analogia a quello che si vedeva nel presbiterio, arconi archiacuti
che servissero, in luogo delle capriate a sostegno delle travi del tetto
così come a Gubbio, e così come si ebbe modo di ritrovare intorno al
1950, in altro restauro, nel San Francesco di Sangemini.

Invece, l’induzione era errata. Alcuni contrafforti-lesene appari-
rono, all’inizio dei lavori di restauro, nell’ottobre 1945, come staccati
dal muro. Si riteneva ciò fosse uno degli effetti del bombardamento:
ma poi che uno d'essi era talmente slegato dal retrostante muro esterno
che non si sarebbe potuto far costruire su esso l’arcone come sostegno
del tetto, richiamati su tale stacco da un capomastro che lavorava
ai restauri, lo si fece demolire. E da tale demolizione ebbero inizio le
più preziose scoperte perché apparve sotto di esso un bell’affresco tre-
centesco con un Angelo.

Intanto, a conferma che le lesene erano un’aggiunta si vide, non
essendovi intonaco nella parte interna della facciata, insieme alla
traccia dell’incontro con essa delle volte (una volta ogivale superiore
una ad arco tondo inferiore) che vi erano cavità nelle quali dovettero
alloggiare le teste dei primitivi arcarecci. Si videro così, confermando
con ciò le vaghe notizie storiche su non precisati e non precisamente
databili ampliamenti, i lineamenti di tre organismi costruttivi che
aveva avuto la copertura, escluso naturalmente quello della prima
piccolissima chiesa. In un primo, mentre la nuova grande navata era
a pareti lisce ed affrescate, il tetto era ad incavallature in vista: poi,
in un secondo tempo, a tale copertura, elevando un po’ la navata con
il rialzamento dei muri laterali, si sostituirono volte reali a mattoni,
ogivali, delle quali sono prova e la traccia della volta più alta (estra-
dosso ?) nell’interno della facciata, e il fatto che nelle fiancate esterne
si vede che, sopra le primitive archeggiature di cornice, i muri late-
rali furono rialzati non più a blocchetti squadrati ma con muretti a
minor spessore, eseguiti adoperando come materiale pietre di demoli-
zione di precedenti strutture, alcune delle quali avevano ancora at-
ANTICHE CHIESE SCOMPARSE E CHIESE RESTAURATE 95

taccati pezzetti d’intonaco (su taluni di esse apparvero frammenti di
affreschi, si poté distinguere un Santo). È al tempo di costruzione di
tali volte che possono farsi risalire le aggiunte lesene-contrafforti sulle
quali esse furono impostate: e tale secondo organismo è probabile si
determinasse quando fu costruita la volta ogivale dell’abside, i cui
costoloni archiacuti sono in mattoni a sagoma poligonale. Infine, terza

fase strutturale della copertura fu poi quella settecentesca, quando

ai contrafforti rettangolari interni a lesena si aggiunsero delle colonne
che furon riunite le une alle altre da un cornicione, e si arrotondarono
inferiormente gli archi come voleva il gusto del tempo.

Comunque, non ostante gli accertamenti e le deduzioni, natural-
mente rimasero degli interrogativi: uno di questi provocato dal fatto
che le archeggiature laterali esterne di coronamento cambiano tipo
e leggermente livello in corrispondenza del presbiterio: questo fu dun-
que un’aggiunta: ma contemporanea alla costruzione del campanile
od a quella della grande tribuna di cui si parla a proposito del Ma-
nassei ?

Un diverso interrogativo si pose poi circa il modo definitivo di
ricostruire il tetto. Dato che non si avevano elementi certi per fare,
oltre il tetto, una soffittatura a volte, e che la spesa minore era di co-
struire il tetto ad incavallature scoperte, lo si sarebbe dovuto impo-
stare al livello originario dei muri laterali, demolendo cioé i rialzamenti
che questi avevano avuto sopra le archeggiature esterne ? Ovvero si
sarebbe dovuto ricostruire il tetto secondo l'altezza totale esterna dei
muri in modo da consentire che in avvenire si potessero ricostruire le
volte di sottotetto, tenendo conto ch'esse poterono essere state ag-
giunte un tempo non tanto per estetica quanto per rendere meno fred-
do l'ambiente ? Dopo maturo esame, si convenne con il Soprintendente
prof. Bertini Calosso che conveniva rifare il tetto alto a travature
scoperte con capriate in vista, lasciando l'altezza dei muri qual'era.

Riattata la copertura e proseguendo nel restauro, e dopo riaperte
le lunghe finestre archiacute, la Chiesa riapparve nella sua bella nudità,
.conchiusa dall'abside poligonale, di bell'effetto per la sua intatta volta
serrata, un po' bassa, quasi improntata ad un tardo gotico settentrio-
nale; ed all'abside davan luce tre grandi terminali finestre ogivali, di
cui la centrale poté rifarsi trifora (copiando le dimensioni di altra
esistente alla base del campanile) senza nulla inventare sull'essere
stata in origine bifora o trifora, perché, mentre si ricercavano nel
muro di fondo le dimensioni del vano, si rinvennero, entro le strutture,
i peducci delle colonne e gli Stipiti. E furono liberati l'arcone ogivale
96 PIERO GRASSINI

precedente il presbiterio, e l'arco trionfale pure ogivale; e se pure nelle
murature della volta dell’abside non riuscì possibile lasciare in vista
i mattoni, troppo informi, si ebbe cura di dar rilievo alle nervature
con l’intonaco, onde crear nuovamente l’effetto di chiaroscuri voluti
dal costruttore.

Come si è già detto, la prima esistenza di affreschi era stata data
dalle tracce che ne furono rinvenute sotto una prima lesena: nel corso
dei lavori per il tetto altri ne apparvero demolendo le altre lesene ag-
giunte, mutili, e risalenti ad epoca che, per quanto sopra detto, sta
fra il ’300 e il '400. Ma intanto, poi che, nell'estate del 1946, si era
constatato esser tornato in vista, nell’interno della facciata, a destra
di chi entra, un arcone che risultava costruttivamente inesplicabile
in quanto mancava ad esso corrispondenza in qualche apertura esterna
ed in esso si constatò all’inizio dello stipite un accenno d’intonaco af-
frescato, lo si fece riaprire. E fu questa la seconda documentazione
d’affreschi: perché si rinvenne sul fondo un grande Santo Monaco
eremita, dalla lunga barba fluente, di carattere trecentesco, di un po’
rozza fattura, stilisticamente con fondo già gotico e di probabile
impianto senese: particolare curioso, l’austera faccia del santo con
barba bianca dovette incutere timore al muratore incaricato di chiu-
dere la nicchia, così che pensò a ricoprirla con una tavola sotto la
quale ritrovammo intatte le sembianze del santo. Sul fianco dell’ar-
cone, in un secondo strato d’intonaco, apparve un piccolo San Lorenzo
quattrocentesco, che secondo il Bertini Calosso è da riferirsi alla se-
conda metà del Quattrocento, con influssi benozzeschi, di pittura
umbro-fiorentina.

Ma poi che risultava dalle memorie storiche che all’epoca della
consacrazione del 1460 erano in essere dodici altari, bussando sulle
pareti, esplorando più qua e più là si rinvennero, oltre quel primo, altri
sei nicchioni, asimmetrici, taluni ad arco tondo, altri ad arco acuto,
con i fondi e talora i fianchi affrescati.

Si rivelò quindi un complesso di affreschi pregevolissimi, alcuni
in due strati sovrapposti come se nel '400 urgessero altre esigenze
(religiose ?) rispetto a quanto si era effigiato nel pur vicino Trecento.
Fra i più interessanti, nel primo nicchione a sinistra, una Dormitio
Virginis di chiara iconografia cavalliniana, molto simile al mosaico
della Madonna in Santa Maria in Trastevere, con la variante che l’ani-
ma della Madonna è, qui, ignuda: notevole l’amorevolezza con la quale
la raccoglie, nella sua mandorla, il dolce Cristo barbato: e sopra, gli
Angioli volano con le loro ali setticolori come quelle di Assisi e di
ANTICHE CHIESE SCOMPARSE E CHIESE RESTAURATE 97

Santa Cecilia in Trastevere. Secondo Federico Zeri (che definì i
nostri affreschi « di eccezionale importanza per la storia del Trecento
umbro ») essa «rammenta i modi del cosidetto — Maestro dell’incorona-
zione di Urbino — un riminese cavalliniano che lavorò a Fano ed a
Fabriano. » Secondo il Bertini Calosso l’affresco era da datarsi in-
torno al 1330. Sono poi lì presso, sulla parete, un Angelo Annunziante,
quattrocentesco, con influssi benozziani e una Santa Caterina di in-
fluenza gotica con reminiscenze di Simone Martini. E, inoltre, un bel-
lissimo iconografico San Francesco (le mani del Santo che recano un
libro rosso hanno infatti le tracce delle stigmate) a tutta figura, con
una lieve barba bruna e rada, dal disegno accuratissimo, quasi mi-
niato, così che il volto ricorda, nella figura di profilo, con i lunghi
occhi pieni di sognante al di là, il San Francesco che, nel braccio destro
della crociera della chiesa inferiore di Assisi, la non confermata tradi-
zione assegnava al Martini.

Ancora sulla parete sinistra, tra gli altri, ma in alto, e isolato
frammento, un assai fine esempio di pittura gotica (senese ? dell’ano-
nimo che lavorò a San Rufinuccio di Assisi intorno al 1340 ?), forse
parte di una scena di caccia, o di una Cavalcata di Magi. In esso sono
due figure di cavalieri, uno dei quali con ricco manto rosso, entrambi
aventi un cagnoletto al guinzaglio: e nelle due figure umane colpisce
l'estatico sguardo che si coglie rivolto all’alto verso una visione, od
una scena perduta, mentre dietro a loro rozze fronde stranamente
erette crescono su uno stelo verde, su stanche chiare roccie aggrup-
pate. Sotto a questa, dello stesso carattere, una Santa Caterina con
gli emblemi del martirio.

Nella parete destra, in una prima nicchia quasi a fronte a quella
della Dormitio, una dolcissima Madonna apparve, sotto l’affumica-
mento di secolari fiamme di candele, testimonianze di antica devozione.
Essa allatta il bambino, ed è posta sotto un alitante baldacchino go-
tico sorretto da gentili flessuosi angeli che ricordano il volo della Santa
Casa — il che la fece riconoscere per una Madonna di Loreto — e che
Federico Zeri assegna alla « scuola fulignate del 1390 circa, sotto l’in-
flusso di Pietro Lorenzetti ed in rapporto con i contemporanei di
Camerino ». Ancora secondo lo Zeri la scoperta di tale affresco potrà
chiarire uno spinoso problema di attribuzioni circa un gruppo di tavole
sparse nelle Marche e in vari musei americani ed europei.

L'affresco continuava nella parete con figure di Santi, e poi in
altra nicchia contigua: ma in questa qui fu ricoperto, perché sopra i
frammenti mutili di esso (fra i quali resta scoperta e riconoscibile una

7
98 PIERO GRASSINI

Vergine trecentesca ancora d’influsso senese) in secondo strato, sì
scoprì invece una Lapidazione di Santo Stefano, d’intorno al 1400,
miscuglio di gotico con reminiscenze di pittura fiorentina attraverso
Benozzo. Si hanno poi, nella chiesa un grande Arcangelo San Michele
goticizzante, apponibile intorno al 1350: e un San Rocco del 1330-
1350 che rivelerebbe influssi di Simone Martini: e un Santo Monaco
del secondo trecento e una Madonna di tipo quattrocentesco.

Infine, ancora nella parete destra, nell’ultima nicchia, si rivelò
molto tenue, una assai fine Madonna in Trono con Santa Caterina
d' Alessandria (protettrice della Sapienza e quindi cara agli Agosti-
niani) e San Giovanni Battista, in un affresco che, secondo il Ber-
tini Calosso, potrebbe ascriversi ad un artista della prima metà del
'400 che già avesse conosciuto l'Angelico attraverso Benozzo, e che
indulge un po' calligraficamente alla maniera gotica, ma che ci avrebbe
lasciato nella sua pittura uno dei più interessanti documenti della pene-
trazione pittorica fiorentina in Umbria.

Sembra quindi di poter concludere che la chiesa, nella quale gli
altari laterali si son ridotti a quattro (quello maggiore è rimasto come
era, settecentesco), ha ripreso non solo l'antica linea per l'avvenuto
restauro architettonico: ma che in essa si son delineate cospicue tracce
di una ricchezza pittorica di alto valore artistico non solo, ma altresi
storico-religioso. Si puó ora infatti immaginare quale potesse essere,
nel Tre-quattrocento, l'aspetto delle intere pareti affrescate con una
particolare varietà dettata dall'indole mistico-pedagogica delle pitture
sacre: le quali rappresentavano, in un tempo di fede sincera, un vero
libro di devozioni illustrato per chi, entrando nella chiesa, ammae-
strato e commosso per quelle trasfigurazioni di cielo ch'egli sensibil-
mente vedeva, riusciva ad incominciare il colloquio, attraverso i suoi
Santi, con Dio.

IL RITORNO DI SAN CRISTOFORO ALL'ASPETTO PRIMITIVO

Della chiesa di S. Cristoforo si ha un ricordo nel tempo presso
che solo perché è tradizione che accanto ad essa, in Via Angeloni, presso
lo scomparso vico dei Banderai, San Francesco predicasse ed avesse
fatto due miracoli: inoltre, dai precedenti documenti abbiam visto
nel 1287 un Priore di San Cristoforo come garante della donazione
di San Pietro dei Fabbri agli Agostiniani. Comunque dai caratteri
stilistici, essa può ascriversi ai secoli x11-xm1: prima della guerra era
notevole solo per una sua facciatina composita, in pietra nella parte
ANTICHE CHIESE SCOMPARSE E CHIESE RESTAURATE 99

inferiore, a filari, con incastrati vecchi frammenti architettonici, non-
ché per avere, a tergo, una piccola graziosa abside romanica in pietra
viva, mal visibile. All’interno era invece di un grigio pesante, soffittata,
senza carattere: nemmeno si percepiva l’abside, coperta da una grande
tela sull’altare.

I danni di guerra subiti dalla vicina canonica furono motivo per
un attento restauro, il quale consentì di ricostruire la canonica stessa
un po’ arretrata, in pietra sponga non intonacata, inserendovi, utiliz-
zandole, le interessanti liscie porte ad arco con mensole, a lunetta
piena, in pietra grezza, del vetusto edificio. In tale occasione vennero
in luce, proprio nell’angolo destro della chiesa, all’esterno, e quindi
nell’angolo che si è formato avendo arretrata la Canonica, un selciato
di strada romana orientata a raggiungere i Tre Monumenti dei Taciti,
ed un cimitero. Il selciato romano si trovò a circa 90 cm. sotto il piano
strada ed era largo metri uno e settantacinque, formato con grossi
lastroni calcarei, fiancheggiato da un cunicolo a secco, largo m. 0,52,
coperto con due lastroni a tetto, alto in centro 0,65, che fu rinvenuto
pieno di ossa. Nell’intorno, ove era caduta la bomba, si rinvennero
massi informi di una costruzione romana, una testa di Medusa a sa-
goma angolare, una stele alta circa 0,60 in travertino, ed una lapide
pagana ascrivibile al principio del secondo secolo dopo Cristo, con la
scritta D. M. TAMUDIAE EUPHROSINENI C. SALVIUS CLEMENS CONIUGI
CARISSIMAE...

Nel luglio ’49, ultimati i lavori di riassesto statico della chiesa,
con il tetto ad incavallature rimasto in vista, le pareti ricondotte,
dove non erano affrescate, alla loro struttura di conci di pietra viva,
nell’abside reintegrata dopo risarcito lo squarcio avvenuto al centro
di essa per il bombardamento, venne in luce una decorazione pittorica.
In una fascia inferiore, bassa, apparvero una Madonna del Latte con
Santi, trecentesca, e altre più piccole figure di monaci santi con un
donatore: in una seconda fascia, più tarda, che giungeva al catino
dell’abside, si rinvennero altre figure di santi (San Sebastiano, San
Cristoforo e forse un San Giovanni Evangelista) sotto i quali corre la
scritta: HOC OPUS FECIT, interrotta dal bianco della parete ricostruita,
perché purtroppo lo strappo della bomba si era inghiottito il nome
dell’artista, come assai spesso avviene in altri affreschi, così da la-
sciarci nell'anonimo, per raffigurare l'autore. Al di là, rimane della
scritta solo una parte della data: 1487 Dies sEPTEMBRIS. Allo stesso
tempo può ascriversi quanto riapparso nella calotta: nella quale sono
solo due figure laterali, di cui una è un Angelo quattrocentesco molto
100 PIERO GRASSINI

bello, mentre, per la ricostruzione muraria, era scomparsa al centro
una Madonna.

Oltre alla decorazione absidale di cui si è detto ed a resti di una
decorazione pittorica, nella parete sinistra di chi entri, in alto verso
il fondo, assai frammentaria, che diceva comunque essere state ancor
quelle pareti un libro di devozione oculare, sono riapparsi poi molti
vari affreschi, prevalentemente votivi, nella navata. A sinistra en-
trando, nell’interno della facciata si vedono ora infatti vari affreschi
di due tempi, in due piani sovrapposti: tra essi è una parziale Croci-
fissione, che stilisticamente sembra la più importante opera rinvenuta
e che si vorrebbe dire eseguita nei modi dell’Alunno (che operò a Terni,
come si vede dalla Crocifissione della Pinacoteca, come vi operò il
Gozzoli che lasciò al convento dei Riformati di Colle dell’Oro una
sua opera ora pure alla Pinacoteca). Sulla parete seguono un San
Francesco, un San Giovanni, un San Bernardino e una Santa Lucia,
quattrocenteschi. In uno stemma affiancato a questi ultimi il Morelli
avrebbe riconosciuto quello della famiglia ternana dei Castancolle.
A destra entrando, sono poi due affreschi di un Martire e di un Santo
Eremita, i più antichi, che dalle cornici, oltre tutto, dovrebbero essere
trecenteschi. Seguono infine sulla parete laterale tre altre figure di
Santi e, sotto a questi, un Presepio con di fianco un vescovo ed un
giovane martire. Tutti questi affreschi vennero rimessi in ordine dal
Bertozzi.

Nel complesso la chiesa, nella quale si sono lasciate le pareti nude,
e senza altari, interrotte da due grandi vecchi arconi e nella cui parte.
sinistra in alto verso il fondo sono apparse sottili feritoie romaniche,
e si è rinnovato in linea semplicissima, in pietra, l’altare maggiore -
è tornata ad essere di una semplicità estrema, raccolta e di alto valore
religioso. I frammenti di lapide trovati sono stati murati all’esterno
nella parte di fianco che sporge sulla canonica. Speriamo che nuove
costruzioni future non chiudano la vista dell’abside ora possibile dal-
l'orto della canonica che affaccia sulla nuova piazza.

LE SCOPERTE DEL DOPOGUERRA NELLE CHIESE DI TERNI CARATTE-
RIZZANO LA VECCHIA VITA ARTISTICA DELLA CITTÀ

Le testimonianze pittoriche nella nostra città non erano molte,
e alcune presso che sconosciute, come quelle della chiesetta subur-
bana di Santa Maria Maddalena, dove in una grotta erano pregevolis-
simi, ma già nel ’46 assai deteriorati e mutili affreschi. Quanti ter-
ANTICHE CHIESE SCOMPARSE E CHIESE RESTAURATE 101

nani hanno visto tali affreschi di cui si dà qui memoria, nel dubbio che
non sopravvivano ? In essi era raffigurata una croce insanguinata
eretta su un monte pur esso sparso di stille di sangue (è questo il modo
consueto dell’artista — fiorentino ? del Quattrocento cui l’opera si
potrebbe apporre ? e può essere questa labile traccia un motivo per
dire chi poteva essere ?) e ridotta al solo troncone inferiore, al cui
fianco sono, a destra un Santo Monaco, con i lunghi capelli ed il viso
volto in alto e le mani ripiegate e congiunte, ed un Santo Francescano
assai simile nell’iconografia a San Bernardino ma senza il monogram-
ma e, invece, con un libro, e a sinistra la solo parte inferiore di una
figura di Santa di cui si distingue una mano. In un frammentario ri-
quadro a destra, con il torso nudo di un uomo, le bellissime frutta e
una lucerna e delle patere sono una pura decorazione rinascimentale,
ovvero una rappresentazione di San Sebastiano ?

Comunque, questi avanzi, e un’altra figura nimbata, con molti
capelli che reggono una corona (una Santa Elisabetta, dunque, o la
Madonna ?) rintracciati allora sotto l'intonaco di un superiore muro
pericolante per i bombardamenti, e sempre quattrocenteschi, confer-
mano in Terni un incontro operoso di pittori di diverse scuole.

D'altra parte, già due epoche sarebbero state del pari presenti
negli affreschi di Sant'Aló, il xir1 e ii xv secolo, secondo quanto risul-
terebbe da alcuni recenti restauri, avvenuti dopo che l’antica chiesa
romanica del xir-xim secolo, sorta secondo la tradizione sul tempio
di Cibele (nei fianchi esterni sono murati frammenti lapidei) e che,
già in commenda dei Cavalieri di Malta, era divenuta magazzino di
uno stagnaro; è passata al vescovo di Terni. Cosi dal xrt-xmI secolo
degli affreschi della cappella Manassei, in San Salvatore, si passa al
Cristo Crocifisso con ai lati San Giovanni e la Madonna ed ai piedi la
Maddalena, di scuola Umbra del secolo xv. Ma la novità delle ritro-
vate pitture, oltre al loro intrinseco valore artistico, sta in questo
incontro di antichi pittori in una piccola città di provincia, sia pure
posta sulla strada di Roma: e nella continuità di opere che si è venuta
così a stabilire dal secolo xr: al secolo xvi, riempiendo una lacuna che
poteva sembrare povertà.

La stessa rimessa in pristino dei tre cicli di affreschi della cappella
Paradisi di San Francesco, ha fatto dire a Federico Zeri che quelle
pitture sono « una delle cose più sorprendenti di tutta l’Italia Centrale».
Come già detto, egli ravvisava, d'intesa con il Longhi, l'Ottener ed
il Berenson, in Bartolomeo di Tommaso da Foligno l'artista che le
avrebbe dipinte. Ed in una sua lettera a me del settembre 1947
102 PIERO GRASSINI

auspicava che altre opere si potessero scoprire a Terni di questo gran-
dissimo pittore umbro ch'egli paragonava al Sassetta.
Auguriamoci quindi che la avvenuta documentazione di non co-
nosciuta vita artistica ternana sia fonte di studio per chi ama la pro-
pria città: e questo motivo intellettuale si aggiunga al piacere che dà
la nuova offerta bellezza ed al compiacimento per il nuovo valore
religioso acquistato, attraverso questo ritorno nei tempi, dalle super-

stiti nostre chiese maggiori.
| PrERO GRASSINI

BIBLIOGRAFIA

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Boll. Dep. Storia Patria per l'Umbria, Perugia, 1947.
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Salvatore in Terni, in Atti V Convegno Naz. di Storia dell’ Architettura,
Perugia, 1948.
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MonELLI L., Terni e le città della sua Provincia, Terni, Tip. Frattaroli, 1960.

Zeri F., Bartolomeo di Tommaso da Foligno, in Boll. d’ Arte Min. P. I.,

n. 1-2, 1961.

ETNTURCPUIMURRTYT]
CORTEI ERI COEVI TUM RWUDERUUTESTTLETT.

CAMPAGNA DI SCAVO 1960 NELLA
NECROPOLI ETRUSCA DI CROCEFISSO
DEL TUFO IN ORVIETO

A meno di un anno dalla sua istituzione, l’orvietana Fonda-
zione Museo Claudio Faina ha suscitato nella zona un fitto fervore
di ricerche e di scavi che ha già portato ad interessanti scoperte e
ha fatto affluire nelle collezioni cittadine materiali scientifici di ecce-
zionale novità ed importanza. Questi materiali provengono dalle ne-
cropoli etrusche di Montecavallo, di Montecchio, di Crocefisso del
Tufo, ma è soprattutto di quest’ultima che conviene parlare poiché
mentre nelle prime due località si è trattato di interventi sporadici a
seguito di occasionali scoperte, nella necropoli di Crocefisso del Tufo,
alla base della stessa rupe orvietana sul lato nord, è stata condotta
una regolare e sistematica campagna di scavo il cui lusinghiero successo
è appunto documentato nella seconda sala della Mostra.

Lo scavo diretto dal sottoscritto nella sua qualità di Ispettore
della Soprintendenza alle Antichità d’Etruria di Firenze e di Dirigente
dell'Ufficio Distaccato di Orvieto, è stato possibile mercè il finanzia-
mento della Fondazione Faina e sopratutto, mi sia lecito affermarlo
in sede di consuntivo morale oltre che scientifico, grazie alla ferma vo-
lontà e le chiare direttive del Presidente della stessa, che è anche il
Soprintendente alle Antichità della zona, prof. Giacomo Caputo, non-
ché all’inesausto entusiasmo del Segretario della predetta Fondazione
prof. Andrea Lazzarini.

A prescindere dal bilancio finale, che solo adesso sappiamo quan-
titativamente e qualitativamente positivo, bisogna dire subito che
lo scavo rivestiva già sulla carta una sua enorme importanza in quanto
esso, dopo circa ottant’anni di stasi, reinseriva Orvieto nel novero
delle città archeologicamente « vive » e doveva farlo in misura adegua-
ta alle alte tradizioni di ricerca legate in questa regione a nomi illu-
stri e a risultati eccellenti. Le comprensibili ansie e incertezze della
vigilia legittimano la compiuta soddisfazione con la quale mi è dato
ora stilare queste brevi note. Con l'occasione desidero rendere pubbli-
104 MARIO BIZZARRI

che grazie al Soprintendente prof. Caputo e al Consiglio della Fonda-
zione Faina che affidandomi la direzione dello scavo mi hanno dimo-

strato la loro fiducia, ed anche (perché no ?) alla Provvidenza che ha

voluto coronare le ricerche del più largo successo.

Il programma minimo che ci eravamo proposti iniziando lo scavo
nel terreno demaniale di Crocefisso del Tufo era quello di sondare il
terreno al fine di accertarne la reale consistenza archeologica ed even-

tualmente restituire alla luce quelle tombe monumentali nelle quali

ci fossimo imbattuti. La esiguità del programma non dipendeva certo
da furbizia di calcolo, era semmai dovuta a motivate ragioni di pru-
denza: si sapeva bene che l’intera zona era stata fatta oggetto di una
ricerca attenta e metodica durante tutto il secolo scorso senza contare
le effrazioni e i saccheggi già sofferti in antico dagli inizi del rr secolo
a. C. a quelli del x1x secolo dell’era volgare.

Secondo le direttive del Soprintendente io dovevo procedere a
«macchia d’olio », allargandomi cioè con metodo da un determinato
punto (che ora preciserò) e subordinando quindi il successivo sviluppo
dello scavo agli orientamenti che via via gli elementi messi in luce
avrebbero suggerito. Così facendo sono riuscito a mettere in luce un
complesso abbastanza omogeneo di tombe e, quel che più conta, sono
in condizione nelle future campagne di scavo di allargare la ricerca
almeno in tre sicure direzioni senza più incertezze e spreco di tempo
ma bensì secondo un piano organico ed oculato.

L'esplorazione ha preso le mosse da una vecchia planimetria
della necropoli di Crocefisso del Tufo disegnata con scrupolosa perizia
nel 1887 dall’orvietano A. Cozza e pubblicata a corredo di una nutrita
relazione di G. F. Gamurrini e di un rapporto a cura dello stesso Cozza
e di A. Pasqui, relativamente alle ricerche condotte pochi anni prima
nella zona dall’ing. R. Mancini (?).

Io ho voluto iniziare l'esplorazione partendo dall'estremo limite
sud di detta planimetria laddove il Cozza segnato l'avvio di una strada
sepolcrale la interrompeva subito facendola riassorbire dal terrapieno
(punto A della pianta; fig. 1). Guidato dal ricco cornicione del muro
sul lato destro di detta strada, formato da un listello aggettante con
toro sottoposto incassato a fil di parete, io ho continuato ad approfon-
dire lo scavo. Uno strappo sulla parete, sempre sul lato destro, mi spie-
ga perché il Mancini interruppe l'esplorazione, egli infatti dovette
credere che il muro crollato non piü seguitasse. Al contrario, esso se-
guita ed é poi continuato senza soluzione di continuità da altro muro
con cornicione ancora piü elaborato (vedi fig. 2) in quanto arricchito
COMPAGNIA DI scavo 1960 105

sotto il toro da cornice a becco di civetta, motivo architettonico ab-
bastanza arcaico e non conosciuto finora in questa necropoli.

Così fin dalle prime battute lo scavo dava frutti positivi e inediti;
oltre alle tombe e relative iscrizioni funerarie incise sugli architravi,
cominciavano ad affluire i primi oggetti e l'entusiasmo faceva affron-
tare di buon animo le difficoltà dello scavo. Perché una cosa va subito
detta: man mano che le tombe venivano alla luce (la loro numerazione’
sulla pianta dà anche la progressiva successione dello scavo) dovevo
accorgermi che soltanto quelle fra di esse « provvidenzialmente » crol-
late in antico mi davano materiali di rilievo. Quelle strutturalmente
integre mi davano nient'altro che pochissimi frammenti di bucchero
0 di vasi a impasto grezzo, gli avanzi quasi d'un grande naufragio. Un
ricco bottino potevo aspettarmelo invece da quelle tombe che, violate
una prima volta dai romani, erano crollate dopo breve tempo per essere
rimaste malamente sconnesse nel corso del primitivo saccheggio. Il
fatto di essere completamente piene di terra e di rottami di tufo aveva
impedito successive violazioni in epoca moderna, cosicché io trovavo
in esse ciò che ai soldati romani non era interessato, vale a dire cera-
miche attiche, ossi intagliati, buccheri, bronzi ecc. Oggetti di oro e
argento no, o solo eccezionalmente, come aveva già notato il Gamur-
rini, in quanto sfuggiti ai primi saccheggiatori oppure perduti dai
successivi scavatori lungo i loro cunicoli.

La messe dei recuperi compensava il lavoro improbo dello scavo;
si trattava di togliere via dalle tombe il cumulo dei massi franati dalla
volta e spezzatisi nel crollo e su di essi il terriccio dei singoli tumuli.
Man mano che si scendeva la terra era più pressata e umida e al pic-
concino doveva succedere la spatola e infine a questa le sole dita a
frugare il fango per estrarne i frammenti di ceramica, di bucchero,
uno dopo l’altro con estrema pazienza. Poi il fango veniva portato
fuori della tomba, fatto seccare al sole e ancora passato al vaglio;
soltanto così è stato possibile recuperare quei frammenti minimi di
ceramica che hanno permesso quasi sempre la migliore integrazione
dei singoli vasi.

Le tombe sono tutte del tipo già noto e descritto (?) a pianta ret-
tangolare con pseudo volta composta di grossi conci aggettanti in
senso longitudinale e fermati al sommo da conci di chiave. L'interno
è di solito occupato da una o due panchine depositorie e l'ingresso è
chiuso da una grossa lastra fatta scendere sul più basso dei tre gradini
d’accesso e fermata in alto dall’architrave più interno; poi contro que-
sto lastrone veniva gettato un rivestimento di terriccio e quindi co-
106 MARIO BIZZARRI

struito un paramento di conci a filo con la fronte della tomba. Questa
complessa chiusura spesso si trova perfettamente integra in quanto
i ricercatori preferirono entrare nella tomba da strappi praticati nelle
pareti laterali o sul sommo di essa.

L’insieme delle tombe venute ora alla luce si presenta ben diverso
e monumentalmente assai più interessante del nucleo già da oltre mezzo
secolo esibito all'ammirazione dei turisti. Infatti, mentre quello, per
l'aspetto dimesso delle sue tombe e per l'uniformità del loro allinea-
mento sulla via antistante, aveva in passato fatto pensare al sepol-
creto collettivo di una comunità a tipo monacale, (*) il complesso
di tombe da me scoperto conduce a conclusioni totalmente diverse.
Qui non si avverte alcun criterio collettivistico ma, al contrario, l'af-
fermazione del piü deciso individualismo che si esprime in una svariata
gamma di modi.

Fermo restando il principio del raggruppamento secondo una pla-
nimetria urbanistica di tipo, diciamo cosi, moderno cioé con isole ret-
tangolari di tombe divise da strade fra loro parallele e raccordate da
trasversali minori con le quali si incontrano ad angolo retto, poi tutte
le varianti dell'iniziativa privata sono ammesse a ravvivare qua e là
l'insieme monumentale con un pizzico di inedito. Così tutto vale a
rendere « viva » questa città dei morti: il digradare dei singoli prospetti
delle tombe lungo il naturale pendio (perché, stranamente, questa geo-
metrica planimetria si attua su un terreno in precipitoso scoscendi-
mento man mano che si allontana dalla rupe), l'improvviso arretrare
delle fronti, i cippi verticali inscritti a segnare una svolta, un incrocio,
il fondo d'un vicolo cieco. Qualche volta interviene addirittura una di-
versità nel tipo tombale: non più tombe ad un vano, affiancate a due
a due e adiacenti senza soluzione di continuità ma tombe rigorosa-
mente isolate con vestibolo che precede il vano funerario vero e pro-
prio, divise l'una dall'altra da un diaframma di spazio a segnare gli
intangibili confini dell'ambito sepolcrale (cfr. pianta, nn. 14 e 15).

Con le tombe é venuto alla luce un gran numero di cippi di varia
forma, tutti di nenfro, da quello perfettamente sferico su basetta qua-
drangolare, a quello a ghianda su uguale base, a quello cilindrico con
superficie leggermente convessa e breve toro a rilievo tutto intorno.
Essi per lo più dovevano essere posti sul culmine del tumulo che so-
vrastava la tomba, infatti nelle tombe crollate essi si rinvengono di
solito nella camera sepolcrale fra le rovine del tetto.

Cosi anche sono venute alla luce diciotto iscrizioni funerarie ine-
dite, fra intere e frammentate, molte delle quali arricchiscono di nomi
COMPAGNIA DI scavo 1960 107

inediti il patrimonio onomastico etrusco. Citerò una sola di esse che
presenta la peculiarità di essere scritta da sinistra a destra contraria-
mente al normale uso etrusco (v. fig. 4):

Mi aviles 9anarsenas

Io (sono la tomba) di Aule Thanarsena
il nome é, almeno in questa forma, del tutto nuovo e l'unico raffronto
che mi sembra legittimo istituire è con il nome *annursiannas con-
tenuto in una iscrizione ceretana (*).

Le suppellettili raccolte consentono una datazione abbastanza
precisa di questo tratto di necropoli, vale a dire la seconda metà del
VI Sec. a. Cr., o, ancora con maggiore approssimazione (almeno per i
due terzi del materiale raccolto) il terzo quarto di detto secolo. A que-
sto ambito cronologico sfuggono invece un paio di tombe (v. pianta,
nn. 1 e 2) nelle quali sono state raccolte due tazze attiche a ff. rr. che
fanno scendere la cronologia fin oltre il primo trentennio del v sec. a. C.

Ecco ora un cenno illustrativo dei materiali rinvenuti, suddivisi
per categoria, che verrà a dare un'idea dell'entità qualitativa dei recu-
peri effettuati.

CERAMICHE ATTICHE FIGURATE

Si tratta di una notevole serie di oltre trenta vasi fra i quali dimaggior
rilievo i seguenti:

1) Anfora a ff. nn. (fig. 5 e 6)

A) Gigantomachia.

B) Tre citaredi.

È attribuibile ad un pittore del cosiddetto « Gruppo E » cui appartengono
artisti che gravitano attorno alla eminente figura del ceramografo Exekias.
590-540 a. Cr.

2) Anfora a ff. nn.

A) Vestizione di un guerriero.

B) Commiato di un guerriero.

Lo stile farebbe pensare ad un pittore della cerchia di Lydos il che porta
la datazione di quest’anfora ad un decennio più addietro della precedente.

3) Tazzetta a ff. nn. (fig. 7)

A) Cigni a d.

B) Sfingi alate a d.

È una tazza del tipo cosiddetto «dei Piccoli Maestri». Sotto il fregio su
ambo i lati corre la scritta in'caratteri greci: XENOKLES: ETOIESEN la
108 MARIO BIZZARRI

firma cioè del vasaio Xenokles, già noto per altre tazze consimili rinvenute
per lo più nella zona compresa fra Vulci, Tarquinia, Cerveteri e Orvieto (5).

540 c. a. Cr.
4) Anforetta a ff. nn.

A) Ercole che strozza il leone nemeo, fra Athena e Iolao.

B) Dioniso fra menadi e satiri.

Il tratto caricaturale e tuttavia composto e aggraziato delle figure fa-
rebbe pensare ad un tardo epigono di Amasis. 530°c:a- Cr:

5) Anfora a ff. nn.

A) Ercole, armato di arco e clava, si scaglia contro il leone nemeo.

B) Dioniso affiancato da satiri itifallici.

Stile abbastanza trascurato anche se non manca a suo modo d’una certa
grandiosità. Artista affine al cosiddetto « Gruppo di Leagros ». 520-510 a. Cr.

6) Cratere a colonnette a ff. nn.

A) Due guerrieri con lance e scudi (aventi per episema una gamba e

un’ancora) affiancati da due personaggi ammantati.

B) Accolta di Dei. Riconoscibili per i loro attributi, Hermes, Apollo e
Poseidone.

Il tipo del vaso parrebbe appartenere all’officina di Lydos ma lo stile
con il quale è trattato sembra piuttosto una degenerazione di quello di Lydos
- il disegno grossolano e impacciato raggiunge un’involontaria verve carica-
turistica. 510 c. a. Cr.

7) Tazzetta a ff. nn.
A) e B). Cervo a s. fra due pantere.

8) Tazzetta a ff. nn.

A) e B) Sirena a s. fra due arieti.

Questa tazzetta e cosi quella precedente, è del tipo « dei Piccoli Maestri ».
La forma é elegante e slanciata e il disegno assai delicato. 540 c. a. Cr.

9) Grossa tazza a ff. nn. del tipo « a occhioni ».

A) Quadriga a d. guidata da Athena.

B) Quadriga a d. guidata da un personaggio barbato.

All'interno: maschera gorgonica.

530-20 a. Cr.
10) Tazzetta a ff. nn. con sole palmette all'attacco delle anse e sui lati la
scritta: XAIPE KAITIEI cioè «sta bene e bevi». Per l'eleganza della forma e
la grazia della pur semplice decorazione la tazzetta ci ricorda lo stile di Tleson
del quale esistono già un paio di esemplari nel Museo dell'Opera del Duomo
in Orvieto (9).
COMPAGNIA DI scavo 1960

11) Stamnos a ff. nn.

A) e B) Due pugili affiancati dai rispettivi paidotribai.

Sulla spalla: personaggi d'ambo i sessi stesi sui letti conviviali.

Lo stamnos fa parte d'una serie di vasi del genere (nutrita la rappresen-
tanza nel Museo dell'Università di Würzburg) considerati tutti della stessa
officina e non più antichi del 510 a. Cr. (7).

12) Oinochoe a ff. nn.
A) Dioniso seduto fra due Menadi danzanti.

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Nonostante l'eleganza del tratto disegnativo il vaso è attribuibile ad
un periodo di tempo a cavallo fra il vi e il v sec. a. Cr.; siamo perciò già in
piena decadenza della tecnica a figure nere.

13) Tazza a ffff. rr.

A) Giovanetta nuda stante fra personaggio barbato seduto e giovane
stante.

B) Giovanetta nuda stante fra due personaggi barbati stanti.

Al centro: figura femminile nuda stante, con specchio.

La purezza del disegno e l’equilibrio della composizione fanno pensare
ad un artista vicino al « Maestro della Pentesilea », 470-60 a. Cr. Il piede è
di altra tazza, adattato in antico mediante un perno di bronzo.

14) Tazza a ff. rr.
A) Lezione di musica: tre giovani stanti.
B) Lezione di musica: giovane seduto fra altri due stanti.

Al centro, donna in corsa a s. con due patere tenute avanti a sé.
Lo stile delle figure vigorosamente costruite é quello del cosiddetto « Pit-
tore di Sabouroff » del 470-60 a. Cr.

SERIE DEI BUCCHERI

Sulla serie svariatissima e numerosa prevale la produzione « pesante »
chiusina, ma non manca qualche bell'esemplare dall'Etruria Meridionale a
riprova del fatto accertato che Orvieto era un centro di notevole entità eco-
nomica, e ovviamente politica, ove attivissimo avveniva lo scambio fra le
regioni del sud e quelle del nord d'Etruria.

I pezzi d'eccezione sono tre:

1) Askos a corpo di colomba e faccia umana (fig. 8); è una succosa inter-
pretazione etrusca del tipo greco della sirena-arpia nella quale l’esagerato
gusto volumetrico vale ad accentuare il senso caricaturale. Il suo più imme-
diato riscontro è con un esemplare da Vulci ora nel Museo di Berlino; brut-
tino, per la verità, di modellato più secco e sgraziato, senza quello spirito
e quella placida maestria della materia trattata che sono i pregi salienti del
nostro askos, il quale è pertanto di qualche decennio più tardo dell’altro e
cioè del 540 circa a. Cr.
110 MARIO BIZZARRI

2) Kantharos di inusitata leggerezza di forme e sottigliezza di pareti.
Non ne conosco un immediato riscontro in alcun museo. Costituisce un esem-
plare a sé stante che tradisce la diretta dipendenza da un prototipo metallico
e che comunque è il frutto del virtuosismo con il quale l'ignoto artigiano ha
voluto tentare i limiti della propria perizia tecnica.

3) Tazzetta con piede intenzionalmente tagliato. Una volta integro que-
sto esemplare costituiva la più fedele versione d’una tazza attica del tipo
«Piccoli Maestri ». Nonostante l'ostacolo della materia diversa il copista,
chiamiamolo così, è tuttavia riuscito a riprodurre l’aerea eleganza del
modello. Questa tazza rappresenta pertanto un « unicum » in quanto non
si conosce una classe di buccheri di questa forma.

OGGETTI IN OSSO

1) N. 4 placchette rettangolari scolpite con scene a rilievo: a) di ban-
chetto, b) di sfingi alate che tirano una biga guidata da un giovanetto (fig. 9).
Esse sono pertinenti al rivestimento esterno di un cofanetto ligneo e fanno
parte di una serie di intagli assai diffusa in Etruria. Nonostante le nostre
appaiano di esecuzione meno fine esse trovano comunque un loro diretto
riscontro nei famosi intagli conservati al Louvre (8) e in quelli del Museo
Archeologico di Firenze (?) provenienti anch'essi dalla stessa necropoli or-
vietana. 530-520 a. Cr.

2) Sirenetta a tutto tondo (fig. 10).

Pertinente anch’essa alla decorazione del cofanetto ligneo di cui ho già
detto e del quale chiaramente costituiva il fastigio; per la finezza dell’intaglio
e la minuta eleganza delle forme rappresenta un prodotto tipico di quel felice
momento dell’arte etrusca che è detto « di influenza ionica ».

3) Leoncino accovacciato — da vedersi soltanto frontalmente per essere
la parte posteriore lasciata liscia e grezza.

4) Dado del tipo noto, con il valore numerico indicato sulle singole facce
mediante cerchielli incisi. Il dado era ricavato da un osso animale previa squa-
dratura, perciò gli sono stati applicati dei tasselli a chiudere i due lati natu-
ralmente forati.

Segue poi un numerosissimo gruppo di altri oggetti in osso: cilindretti
cavi lavorati spesso con grande cura e decorati di anelli e collarini a rilievo;
parallelepipedi con faccia levigata e altra lasciata rozza, cavi all’interno e
con fori per farvi passare chiodetti, rivestimenti forse di parti in legno; dischi
forati; strisce rettangolari con linee incise lungo i margini ecc.

OGGETTI DI BRONZO

1) Frammento in lamina di bronzo decorato a sbalzo con motivo alterno
di palmette, girali, fiori di loto e grappoli di bacche (fig. 11). La lamina rive-
stiva la cintura di cuoio vera e propria come indicano i numerosi forellini
COMPAGNIA DI scavo 1960 111

lungo i margini. Inoltre il frammento principale (il disegno riproduce solo uno
di due frammenti secondari ad esemplificarne il motivo decorativo) accenna
ad incurvarsi alle due estremità dando luogo ad una specie di snodo. Esso
quindi costituiva la parte posteriore del cinturone alla quale si adattavano
sui due lati altre due porzioni che finivano per ricongiungersi sul davanti
mediante la fibbia che non è stata però ritrovata; con tutta probabilità do-
vette far gola al soldato romano che primo violò la tomba.

2) N. 10 leoncini accucciati, col muso rivolto avanti e la coda arcuata;
uno solo volge il muso indietro verso il proprio dorso. Facevano certo parte
della decorazione di un candelabro tanto più che insieme sono venuti alla
luce numerosi terminali a ghianda anch'essi tipici di questa classe di oggetti.
Per un riscontro diretto potrebbe servire una base di candelabro da Vulci,
ora a Londra, databile alla fine del vi sec. a. Cr. (19).

3) Fibula del tipo a navicella con il dorso dell’arco decorato mediante
intarsi di piccoli frammenti di pietra bianca.

4) Fibuletta con arco a foglia, completa di staffa e ardiglione.

9) Piccolo scalpello con l'estremità opposta al taglio sagomata a punta.

A questi oggetti sono da aggiungere una grande quantità di chiodi grandi
e piccoli, bulloni, spilloncini, aghi, rosette d’ogni grandezza (decoravano le
casse lignee che rinchiudevano il cadavere), laminette di rivestimento ecc.

OGGETTI DI FERRO

Sono gli oggetti di peggiore conservazione e se ne sono trovati in gran
numero; per quanto è dato riconoscerli essi erano alari, tirabrace, molle,
spiedi, coltelli, pugnali, spade, accette e lance d’ogni misura.

OGGETTI DI ALABASTRO

Una sola tomba ha dato due alabastra di forma cilindrica con boccaa
largo bordo piatto e due escrescenze poco più sotto a fare da manici: un tipo
che occupa ininterrottamente i secoli vir e vi a. Cr.

A questo bilancio positivo è doveroso aggiungere ancora una voce,
meno appariscente forse ma sicuramente di fondamentale peso per le
sue immediate risultanze e la vasta risonanza che susciterà in avve-
nire: quella relativa al ritrovamento nella zona di Crocefisso del Tufo
di molti frammenti di ceramica villanoviana (e alcuni anche più an-
tichi; un esame più organico e raffronti su scala più vasta lo stabili-
ranno quanto prima). La testimonianza cioè di una civiltà della quale
finora la scienza ufficiale non riconosce traccia nella regione orvietana;
una documentazione inoppugnabile cui certo le prossime campagne
TE »
112 MARIO BIZZARRI

di scavo apporteranno un ulteriore progressivo incremento quantita-
. tivo e qualitativo.

Perché una cosa, visti i primi risultati, mi sembra lecito sperare
da un’opera di ricerca accurata e metodica in questa necropoli orvie-
tana: che cioè il bilancio scientifico d’ogni nuovo anno di lavoro con-
tinui con lo stesso ritmo lusinghiero e che ad ogni nuova campagna
di scavo le tombe, violate questa volta con riguardoso amore, cedano
un loro pur minimo segreto, una briciola inedita di verità. Ché anche
questi sono contributi modesti ma insostituibili a favore di quell’im-
presa tremendamente seria che è la ricostruzione storica di una civiltà
che noi sentiamo come una tappa fascinosa nel lungo itinerario del
nostro spirito.

MARIO BIZZARRI

NOTE

(1) Notizie degli Scavi, p. 344 e segg., Tav. VII.

(2) Notizie degli Scavi, id. c. s. ; 1880, pag. 439 e segg., Tav. XV.

(3) P. PERALI, Orvieto Etrusca, Roma, 1928, p. 47.

(4) v. M. PALLOTTINO, Testimonia Linguae Etruscae, n. 58, p. 27.

(5) cfr. J. D. BEAZLEY, Attic black-fig. vase painters, Oxford, 1956, p. 185.

(6) J. D. BEAZLEY, Op. cit. p. 180, n. 33 e p. 182, n. 17.

(7) v. E. LANGLOTZ, Griechische Vasen, Monaco, 1932, p. 328, tavv. 99
e 100.

(8) Y. Huts, /voires d' Etrurie, Bruxelles, 1957, p. 66, Tavv. X XXII-III.

(9) v. Mostra dell' Arte e della Civiltà Etrusca. Catalogo. Milano, 1955,
p. 99, Tav. XXXIV.

(10) British Museum, Br. 598, v. L. BANTI, Il mondo degli Etruschi, Roma,

a 1960, p. 319, Tav. 57.
M. BIZZARRI

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ECROPOLI ETRU/CA DEL

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PLANIMETRIA - nel 4:25

Fic. 1. — Planimetria dello scavo.

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Fic. 5. — Anfora attica a figure nere. Lato A: Gigantomachia.
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Varietà

LA “GIUDITTA,, DEL SASSOFERRATO
DELL’ABBAZIA DI SAN PIETRO IN PERUGIA:
ED IL SUO DISEGNO

In occasione della recente visita ufficiale della regina Elisabetta
d’Inghilterra in Italia, a Roma, nelle sale di palazzo Venezia, per ini-
ziativa di Sir Ashley Clarke, ambasciatore inglese in Italia, è stata
tenuta una mostra di disegni facenti parte delle ricchissime collezioni
reali di disegni raccolte nel castello di Windsor. La mostra, necessa-
riamente limitata la scelta dei disegni nel tempo e nello spazio, ha
voluto offrire agli studiosi di cose d’arte, con gentile pensiero, in Ro-
ma, un saggio dei migliori e meno noti disegni della scuola pittorica
romana del ’600.

Presenti i nomi migliori di tale scuola.

Largamente presente (8 disegni) Giovanni Battista Salvi, detto,
dal suo paese natale, il Sassoferrato; presente con lo studio di Giu-
ditta con la testa di Oloferne sul quale vogliamo, appunto, fermarci
con questa « scheda » che ci permettiamo comunicare agli ordinatori
della mostra e compilatori del relativo catalogo, e a quanti possano
avervi interesse, per un modesto contributo alla conoscenza del Sasso-
ferrato e del patrimonio artistico di Perugia.

Nel catalogo della mostra romana (1) alla pagina 16, nelle indi-
cazioni sui disegni del Sassoferrato, al n. 89 (numero d’ordine delle
opere esposte) si legge: « Giuditta con la testa di Oloferne, mm 372 x 255.
A matita nera e bianca su carta grigio azzurra; quadrettato (?)
il dipinto relativo a questo studio non è noto ».

Questa notizia vogliamo rettificare. Ci sembra strano che gli or-
ganizzatori della mostra, i compilatori del catalogo e gli organizzatori
delle mostre precedenti, e studiosi quali il Blunt ed il Cooke non siano
a conoscenza del « dipinto relativo a quello studio » che si trova a Pe-
rugia nella navata sinistra della Basilica di San Pietro.

Nessuno, a quanto mi risulta, ha mai dubitato della autenticità
del dipinto del Sassoferrato che si trova in Perugia; anche il Vita-
letti (*) afferma che la Giuditta è una « leziosa esecuzione da Raffaello ».

8
114 FRANCESCO DURANTI

Sia, dunque, o non sia di ispirazione originale, la Giuditta del Sasso-
ferrato, è un fatto, allo stato delle cose non contestabile, che il dise-
gno della collezione reale inglese del Castello di Windsor, con tanto
fondamento attribuito al Sassoferrato, è il disegno per la tela che si
trova nella Chiesa di San Pietro in Perugia, eseguita dallo stesso Sas-
soferrato.

Che Sassoferrato abbia eseguito tale quadro perugino è stato
affermato, senza ombra di dubbio, da quanti si sono occupati delle
ricchezze artistiche di San Pietro di Perugia. Ed oggi attraverso l'espo-
sizione e la conseguente pubblicazione del disegno ne viene, dall'In-
ghilterra, una nuova conferma. Ai nostri lettori, perché ne facciano
il raffronto ed ogni più opportuna considerazione stilistica, offriamo
le fotografie del disegno e del dipinto.

Del resto della presenza del Sassoferrato a Perugia abbiamo molti
indizi ed una prova certa nel suo quadro dell’ Annunciazione di Maria,
che si trova ugualmente in San Pietro di Perugia, e che è una copia
di una scena dipinta da Raffaello sulla predella della Incoronazione
della Vergine, oggi alla Vaticana, ma che al tempo del Sassoferrato
si trovava in Perugia, ove quest’ultimo potè direttamente copiarla.

Vedendo il bel disegno del Sassoferrato nell'esposizione romana
abbiamo pensato al quadro perugino; abbiamo provato la gioia di ve-
dere, dopo secoli, idealmente riunito il quadro al suo disegno.

FRANCESCO DURANTI

NOTE

(1) Mostra di disegni delle collezioni reali d’ Inghilterra a Windsor. Roma,
Palazzo Venezia, aprile-maggio 1961. (Stampato in Gran Bretagna, Hunt
Barnard e C., Ltd. Aylesbury-Bucks).

(2) Seguono: la indicazione bibliografica, da cui risulta che il disegno è
stato pubblicato in: A. F. BLUNT e H. L. Cooke: Roman Drawings at Windsor
Castle, Londra 1960, ed i riferimenti alle precedenti esposizioni cui ha parte-
cipato il disegno e cioè alla Royal Academy nel 1938 (N. 407) e nel 1950 (N. 439)

(3) Gurpo VITALETTI, Il Sassoferrato a Venezia e a Perugia. Ascoli Piceno,
1915; e in Rassegna Bibliografica dell’ Arte Italiana, Anno XVIII, n. 4-6, 1915.
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F. DURANTI
RECENSIONI

OLGA MARINELLI, La vita e l’opera di Zeffirino Faina. Prefazione di Carlo Fai-
na. Vallecchi editore, Firenze 1959,

Ai lettori del Bollettino della Deputazione di storia patria per l'Umbria
non occorre certo presentare Zeffirino Faina: patriota umbro insigne, membro
del governo provvisorio formatosi a Perugia il 14 giugno 1859, e pertanto uno
dei capi della gloriosa resistenza del 20 giugno; esule dopo caduta la città, ma
rimasto attivo nella rinnovata cospirazione, e anzi uno dei centri di collega-
mento degli esuli, raccoglitore di fondi con personale contributo sia per soc-
corsi ai profughi, sia per il proseguimento dell’opera patriottica; dopo l’annes-
sione, e la fondazione del regno d’Italia, consigliere e deputato provinciale di
Perugia, deputato al parlamento dal 1873 al 1886, quindi senatore fino alla
morte nel 1917, a 91 anni. Si perdoni al mio naturale affetto per il luogo natio
se ricordo che il Faina, nativo di San Venanzo, a pochi chilometri da Marsciano,
svolse in quest’ultimo paese per molti anni una benefica attività quale consi-
gliere comunale, sindaco e assessore.

Questa attività marscianese, tuttavia, non fu che una piccola parte del-
l’opera intensa e proficua, economico-sociale, amministrativa, politica, da lui
svolta dopo l’unificazione italiana. La sua biografia è particolarmente interes-
sante proprio per il fatto che abbraccia Risorgimento e Postrisorgimento, sen-
za soluzione di continuità: dopo il contributo del Faina alla fondazione del re-
gno d’Italia viene quello dato per mezzo secolo alla vita dello stato unitario.
In pochi casi come in questo del Faina si vede bene quanto siano fuori luogo i
piagnistei — largamente in uso una volta, ma non scomparsi neppure oggi, an-
che se abbiano cambiato in parte di carattere — sulla discesa, decadenza, cor-
ruzione, e via dicendo, a cui sarebbe andato soggetto il giovine stato, quasi su-
bito dopo la fondazione.

L’amplissima bibliografia finale della egregia autrice — divisa secondo i
capitoli, e per ciascun capitolo ripartita fra manoscritti e opere a stampa — non
reca (se abbiamo ben visto) nessuna monografia su Zeffirino Faina. Basta questo
per stabilire la benemerenza di Olga Marinelli verso la storiografia italiana,
particolarmente risorgimentale ed umbra. La Marinelli ha avuto in mano il ric-
co e vario archivio Faina, e abbondanti estratti ne dà nell’ Appendice, la cui
estensione è più del doppio — anzi, tenuto conto del diverso corpo tipografico,
si dovrebbe forse dire il quadruplo — del testo. Le accresce importanza il fatto
che per la più gran parte essa ha attinenza con l’insurrezione e la cospirazione
116 RECENSIONI

perugina. Soprattutto il «Carteggio politico » (prevalentemente lettere al Faina
di Berardi, Bruschi, Danzetta, Gualterio, e altri) è un contributo primario per
la storia del movimento nazionale in Italia centrale, dalla insurrezione del giu-
gno ’59 alla spedizione cavouriana del settembre '60.

In una nota premessa all' Appendice la Marinelli sembra volersi giustificare
per aver pubblicato lettere contenenti « espressioni molto accese, a volte pun-
genti », ricordando che esse sono state scritte «in momenti particolarmente
drammatici » « quando un piccolo malinteso, un lieve contrasto assumevano
proporzioni gigantesche ». Nessuna giustificazione occorreva; e non é neppure
il caso di una svalutazione eccessiva di quei dissensi, per verità non tanto lievi.
Il periodo « agiografico » — secondo un termine ripetuto fino alla sazietà da cer-
ti critici — della storiografia risorgimentale é passato da un pezzo, e anzi nel
campo degli studiosi autentici non è esistito mai; mentre in quello dei politici
la discussione critica, la polemica anche partigiana e irosa ha fiorito fino ad oggi.

Diró, che non avrebbe fatto male la Marinelli a spremere un po’ di più il
succo dei documenti pubblicati: codesta insurrezione dell’Italia centrale nel
'59 (uso a bella posta il singolare) e i suoi « postumi » fino all’annessione, man-
cano ancora di una storia completa e organica, degna dell’importanza di quel
complesso, e capitale, momento risorgimentale.

Olga Marinelli invece ha preferito — e dopotutto era nel suo diritto — anche
in questa prima e storicamente più importante parte della vita del Faina, te-
nersi stretta al filo biografico. Si comprende pertanto che manchi nella sua nar-
razione un inquadramento organico, approfondito, degli avvenimenti peru-
gini in quella che abbiamo chiamato la rivoluzione dell’Italia centrale; e che
abbia lasciato da banda pubblicazioni documentarie importanti (in cui il Faina
personalmente non figura) come quella del Mazzatinti su Angelico Fabbri e il
centro liberale cospiratorio eugubino, che ebbero stretti contatti con l’insurre-
zione perugina, e il Carteggio politico di G. B. Cherubini con Annibale Vecchi,
illustrante vividamente le condizioni di Perugia riconquistata dai papalini:
pubblicazioni uscite rispettivamente nel primo e secondo volume dell’ Archivio
storico per il Risorgimento umbro.

È accaduto, peraltro, che la rinunzia a quell’inquadramento storico orga-
nico della insurrezione perugina abbia fatto incorrere l’autrice in due inesattezze
non indifferenti. La prima riguarda l’impostazione data dai dirigenti del movi-
mento del 14 giugno alla loro azione. Secondo la Marinelli (p. 23), essi, presen-
tandosi al Delegato pontificio mons. Giordani, avrebbero dichiarato decaduto
il governo pontificio in Perugia, e costituito senz'altro il governo provvisorio.
Le cose non andarono così: essi, secondo la Narrazione storica dei fatti acca-
duti in Perugia dal 14 al 20 giugno 1859 — ristampata da questa Deputazione
ne L’insurrezione di Perugia nella pubblicistica contemporanea, 1959 (p. 48) —
si limitarono a dichiarare la volontà popolare « di voler concorrere con ogni
possa alla guerra dell’indipendenza, sottraendosi alla incompatibile neutralità
pontificia, e dandosi alla dittatura del magnanimo re di Piemonte » (*). Solo
dopo che il Delegato si dimise dall’ufficio « rassegnando il potere a cui meglio
credessero » (sapeva poco il suo mestiere, quel Delegato !), e non essendosi il
Municipio fatto innanzi a raccogliere il potere, fu costituito il « governo prov-
visorio », il quale nel suo manifesto alla cittadinanza non disse niente di più
di quel che i suoi componenti avevano detto al Delegato pontificio. i
RECENSIONI 117

Non è a dubitare che la versione qui riportata sia esatta, perché così erano
andate le cose anche a Bologna due giorni prima; e anzi questa linea di condotta
fu quella generale nella rivoluzione dell’Italia centrale; e non è dubbio che tale
fosse la parola d'ordine partita da Cavour, e trasmessa dalla Società Nazionale.(?)

L'altra inesattezza, o piuttosto incompiutezza, riguarda il mancato aiuto

da parte di Cavour al moto perugino. Dice dunque la Marinelli (p. 29): « Pur-
troppo Cavour, da buon politico, anche se vivamente sollecitato, non concesse
il suo aiuto ». Ora, é esatto fhe Cavour dichiaró di non poter mettere a disposi-
zione del governo provvisorio il deposito di Arezzo; ma è dubbio se egli, in
tanto pochi giorni, avrebbe fatto a tempo a organizzare un soccorso valido
(aiuto di armi ci fu, e ne adduce un testimonio incontestabile la nostra
autrice, con la circolare Boncompagni del 17 giugno). Ma il punto principa-
le, nella questione perugina di allora, non è quello del mancato soccorso
prima del 20 giugno, ma l’altro della spedizione Mezzacapo preparata dopo il
20 giugno per la liberazione della città, e non solo di quella, e arrestata alla
Cattolica. Di questo arresto ci fornisce il segreto la lettera di Napoleone III a
Cavour del 3 luglio (Carteggio Cavour-Nigra, II, n. 474) ordinante — su preghie-
ra del papa, dice l'imperatore — che si impedisca quella spedizione. E si noti
che a quella data, 3 luglio, era già da una diecina di giorni almeno in corso nello
spirito del Cesare francese quel cambiamento che portó a Villafranca. Fu pre-
cisamente Mezzacapo a dire al Fabbri (v. sopra) che Napoleone aveva cambiato
— e fece il gesto di rovesciare la palma della mano — « da cosi a cosi ».

LUIGI SALVATORELLI

PICKERT LUISE CHARLOTTE, Gli Artisti tedeschi a Perugia nel secolo XIX. Isti-
tuto Statale d’Arte « Bernardino di Betto » in Perugia, 1957.

In un lavoro assiduo l'Autrice ha dischiuso un brano della storia dell’arte
del secolo xix, fino ad oggi completamente sconosciuto, risuscitando i soggior-
ni degli artisti tedeschi a Perugia e le loro relazioni con la perugina Accademia
di Belle Arti.

Aila fine del 700 alla nostra Accademia ebbe inizio l'istituzione degli Ac-
cademici, che distinguevansi in quelli di Onore e in quelli di Merito. Tra gli
Accademici d'Onore si assegnavano principi, mecenati d’arte e scienziati famosi.
In questa istituzione si trovano sparsi i nomi tedeschi ed austriaci dal 1819
fino al 1909 per quasi un secolo. Sono ricordati fra i membri d’onore per la Ger-
mania sei nomi e quattro per l’Austria, mentre dell’ Inghilterra si presentano
in tutto quattro nomi, della Francia cinque (di cui tre durante il dominio fran-
cese al principio dell’Ottocento) uno della Danimarca ed uno della Polonia.

(1) Le parole da me poste fra virgolette sono sottolineate nell’originale, e dovrebbero pertanto
ritenersi testuali. Del resto, basta il senso indubbio, anche senza certezza di riproduzione letterale.
(2) La Marinelli non parla della Società Nazionale, né qui, né, mi sembre, altrove; e lo stesso
vale per il Bonazzi. Questa omissione risponde alla generale trascuranza della storiografia italiana
per l'opera di quella Società; ma non c’è il minimo dubbio che essa sia stata organo principale per
la cospirazione liberale di quegli anni nell’Italia centrale.
118 RECENSIONI

Tra gli Accademici di Merito, in cui si scelgono soltanto artisti in atto,
la Germania è rappresentata da ventiquattro nomi, l’Austria da due; poi si
hanno tre svizzeri, tre danesi, quattro inglesi, tre francesi, due americani, quat-
tro spagnoli, un portoghese, un belga.

Ma una grande differenza presenta l'A. cioè che le nomine tedesche ed au-
striache incominciano due anni dopo l’inizio della istituzione ossia nel 1793 e
si susseguono durante un secolo. Le altre nomine straniere, invece, si iniziano
non prima del 1856 e cessano nel 1892; poi, dopo una pausa di cinquant’anni,
cioè dopo il 1949, se ne hanno ancora.

Gli artisti tedeschi si compiacevano molto di essere stati iscritti fra gli Ac-
cademici, quali colleghi degli altri italiani; oltre a ciò molti tedeschi hanno avuto
una preferenza per la nostra Università degli Studi e l'A. ricorda che nelle
Matricole, dal 1579 al 1721, si trovano iscritti circa 2000 studenti. Gli artisti,
affezionati alla perugina città medioevale, «città artistica per eccellenza »,
come diceva F. Overbeck, venivano attratti oltre che dalle bellezze panorami-
che, anche dai tesori della Pinacoteca, ove sono raccolti i deliziosi quadri della
Scuola Umbra.

Molto degno di nota è che l’A. presenti ai lettori il nuovo sentire dei cosi
detti Nazareni, che non volevano più, come nella tecnica fredda del barocco, i
soggetti trattati senza sentimento individuale. La Scuola Umbra e Raffaello
giovane erano il loro ideale; trovavano nella soavità, nella dolcezza delle figure
femminili, nella dignità dei Santi, nell'insieme meditativo, un atteggiamento
conforme alla loro mentalità.

F. Overbeck, che dava alla Scuola Nazarena l'inizio e l'impronta, ebbe per
iscopo il rinnovamento dell'arte sulla base della religione. L'affresco sulla fac-
ciata della Porziuncola lo esegui in onore del Santo di Assisi, senza essergli sta-
to ordinato, né ricompensato. Un altro suo lavoro è la bella tavola della « Visi-
tazione » in S. Maria della Stella, che gli fu ordinata dal Vescovo di Spoleto
nell’ultimo decennio della vita. L’altro caposcuola, Peter von Cornelius, non si
limitò ai soggetti religiosi; ma predilesse anche soggetti patriottici e della sto-
ria antica. Fu suo scolaro il nostro Mariano Guardabassi, che si recò apposi-
tamente a Roma per imparare da lui l’arte della pittura e ne fu amato come
un figlio. Sopra tutti gli amici italiani perugini 1’ A. ricorda i tre direttori del-
l'Accademia di B. A. dal 1813 al 1828, cioè: Carlo Labruzzi, Tomaso Minardi e
Giovanni Sanguinetti anch’essi Puristi. Né i Nazareni, né i Puristi italiani,
hanno avuto la fortuna di essere molto riconosciuti, ma non è insignificante.
l’espressione del Professore di Storia dell’Arte, il dott. von Einem nell’Univer-
sità di Bonn, il quale scrive così:

« Ciò che voleva raggiungere la corrente romantica (e nazarena) dal nuovo
livello del soggettivismo, convinta della possibilità del successo, fu irragiungi-
bile al volere umano ed è dono del destino. Sarebbe stato necessario il crescere
irrazionale di molte generazioni per realizzarlo. Se le forze creatrici del romanti-
cismo avessero corrisposto al giudizio degli artisti e alle loro intenzioni, avrem-
mo avuto al principio del secolo xix di nuovo un'arte paragonabile all’arte
medioevale, che rinchiudeva in sè tutta la vita. Ma questa conformità non esi-
steva. Così il romanticismo dovette fallire come movimento. Ma non è l’unico
valore quello del successo nella storia dei tempi: anche la purezza e la grandez-
za del volere conta e non va perdendosi: è merito del romanticismo l’aver te-
RECENSIONI

119

nuto sveglio per le sue aspirazioni e la larghezza dei concetti, in un periodo de-
cisivo, il senso dell’infinito ».

Tra le tante nomine di Accademici ci sono anche pittori paesisti romantici
di fama, scultori, architetti, incisori e medaglisti. Da un materiale abbondante
di documenti inediti, rinvenuti con indagine piuttosto unica che rara lA. è riu-
scita a presentare ai contemporanei un quadro vivo delle relazioni fra gli arti-
sti tedeschi ed italiani. Su queste pagine sono risvegliate le figure che hannó
. percorso le strade di Perugia, e gli occhi che hanno guardato con comprensione
la nostra città, rivolgono verso di noi i loro sguardi dai ritratti come fossero
vivi.

Molto contribuì ai soggiorni di Tedeschi in Perugia la permanenza ripetuta
del Re Luigi I di Baviera, membro d’onore dell’Accademia dal 1827, grande
animatore del salotto della marchesa Marianna Florenzi, ove si trattava anche
di politica, in quel tempo di lavoro per l’Unità d’Italia, alla quale tanto il Re
quanto la Marchesa aspiravano. Il Re in seguito accolse generosamente nella
sua Baviera molti profughi italiani. Rifulgono nelle rievocazioni dell’A. altri
personaggi conosciuti dell'Umbria, quale il marchese Giuseppe Antinori e la
contessa Camilla Oddi-Baglioni. Un’altra cerchia di artisti si delinea intorno
alla famiglia Zanetti, che teneva in quegli anni una piccola scelta pensione.
Venivano da Roma quattordici discepoli delle Muse durante i mesi più caldi e
studiavano su quadri e disegnavano gli angoli della città. Nelle loro lettere e
diari si trovano descritte scenette deliziose della gentilezza del popolo perugino,
che aveva un gran rispetto degli artisti, i quali stavano lavorando con la ta-
volozza in mano. Le donne raccomandavano ai bambini di non disturbare
« il forestiere ». Un contadino venendo per una strada stretta con l'asino carico,
al vedere il forestiere disegnare, fermò l'asino, riflettè un poco, poi tornó in-
dietro per passare da un'altra strada meno stretta. Anche un sacerdote, che
doveva celebrare nella Chiesa di Monteripido, scelse un altare lontano da quello
che l'artista stava riprendendo (Vedi anche l'articolo nella rivista « Perusia »
dell'anno 1953, n9 11).

E merito della nostra Accademia di B. A. di aver stampato nel suo riparto
tipografico questa documentazione della vita artistica perugina dell Ottocento,
scritta in italiano dall'A. tedesca. Il libro contiene piü di cento illustra-
zioni, oltre i ritratti degli artisti tedeschi ed italiani e i loro doni all'Acca-
demia e alle persone private e le opere esistenti in Umbria. Le numerose bio-
grafie degli Accademici d'Onore e di Merito, come degli artisti diversi, offrono
un lavoro che molto potrà servire alla conoscenza di un periodo storico, fino
ad oggi da nessuno studiato, e che sarebbe potuto rimanere nel nulla, se la
volonterosa dottoressa Pickert non se ne fosse interessata; tanto piü che al
presente, è più comune la tendenza alle cose materiali che non a quelle intellet-
tuali ed artistiche, sistema che favorisce la distruzione e la dispersione dei ri-
cordi del passato. Cosicché l'opera della dottoressa Pickert costituisce un mo-
numento a cui la città di Perugia deve serbare riconoscenza imperitura.

FRANCESCO BRIGANTI
120 RECENSIONI

NicoLiNI UcorrNo 0. F. M., San Giovanni da Capestrano studente e giurista
a Perugia (1411-1414). Estratto da Archivum Franciscanum Historicum,

1960.

Tra i compiti della nostra Deputazione è senza dubbio anche quello di
porre in rilievo figure di personaggi che, se anche non nativi della regione, ad
essa sono congiunti per il consono ambiente trovatovi, e i primitivi spunti e
motivi della propria azione.

San Giovanni da Capestrano (1386-1456) l'eloquente minorita che con l'ac-
cesa parola seppe spronare le armi cristiane a memorande vittorie sui Turchi, è
legato a Perugia da diverse vicende della sua giovinezza.

Studente alla nostra Università, pubblico funzionario in mansioni di giu-
dice; prigioniero politico nel vicino castello di Brufa, ivi sofferse quella crisi
spirituale che lo portò a vestire il saio francescano, a diventare un ardente as-
sertore della più stretta osservanza nell’Ordine, a predicare, quasi novello Pie-
tro l'Eremita, la guerra contro la mezzaluna che stava invadendo l'Europa.

In questi ultimi anni fra gli scrittori della famiglia serafica ha ripreso un
interessamento per la figura del Capestranese, ed è stata anche tradotta in ita-
liano l’opera di G. Hofer, Giovanni da Capestrano. Una vita spesa nella lotta
per la riforma della Chiesa, L'Aquila, 1956.

L’Hofer ha tratto dalle prediche del santo molti elementi per tesserne la
vita; ma non ha conosciuto i documenti degli archivi perugini, e quindi per
quanto riflette i dati della di lui permanenza nella città nostra, è riuscito man-
cante e talora inesatto. Il P. Ugolino Nicolini guidato da una sicura conoscenza
dei fondi archivistici e della storia cittadina, se ne è dato alla ricerca con felice
risultato, e gli anni giovanili del santo vengono da lui illuminati con documenti
inediti e sconosciuti.

Egli si trova a Perugia scolaro del Collegio Gregoriano detto poi della
Sapienza Vecchia; e come tale frequentò presso il nostro Studio allora famosis-
simo, il corso di diritto civile, senza che risulti peraltro d’avervi conseguito il
dottorato.

Interessantissime notizie ci dà l'A. sull'ordinamento e sul funzionamento
di questo istituto universitario collaterale e integrante l’antico Studio perugino,
alla cui scolaresca portò l’efficiente contributo dei suoi convittori nazionali e
stranieri.

Dopo questo primo tempo di studio, Giovanni riapparve sulla scena peru-
gina come giudice per le cause civili al seguito del podestà Coluccio dei Grifi
da Chieti.

Erano anni travagliosi e travagliati quelli, per la città nostra.

Tramontato ormai per sempre il periodo della fiera indipendenza comunale,
Perugia come il famoso vaso di argilla obbligato a viaggiare in mezzo a vasi di
ferro, era costretta, almeno per conservare una interna autonomia, ad offrire
per averne la protezione, la propria sudditanza a qualche maggiore potentato,
e si era data a Ladislao re di Napoli. Ma la lotta maggiore della città era contro
i nobili fuorusciti e nella vittoria di questi capeggiati da Braccio Fortebracci,
Giovanni, forse perché lievemente compromessosi, venne tratto prigioniero e
chiuso nella torre di Brufa.
RECENSIONI 121

L'A. illustra questo secondo periodo della vita del santo, con testimonianze
inedite, che valgono non solo per la vicenda particolare di lui, ma per la storia
cittadina nella sua ampiezza.

Risulta cosi documentato come in Perugia ebbe il Capestranese quella
preparazione culturale e spirituale che lo portò alla vocazione religiosa e che in
Perugia inizió l'apostolato per una riforma della Chiesa e una difesa della fede
cristiana anche sui campi di battaglia. Da Perugia prendon le mosse la sua per;
sonalità e la sua azione; e il suo nome va segnato fra quelli dei grandi francescani
che si ricollegano all'Umbria.

RAFFAELE BELFORTI
Necrologi

FEDERICO CHABOD

In questi ultimi mesi la morte ha falciato spietatamente nel cam-
po della storiografia italiana. Morto Pettazzoni, fondatore degli studi
storico-religiosi in Italia. Morto Fraccaro, uno dei più sagaci indaga-
tori della storia di Roma regia e repubblicana. Morto Chabod, che
ben poteva dirsi il primo della scuola storica italiana formatasi nel
secondo quarto di questo secolo: e cioè, della generazione successiva
a quella del De Sanctis, del Salvemini, del Volpe.

Primo, non soltanto per l’opera sua scritta, ma per la molteplice
attività di professore universitario che ha educato una eletta schiera
di discepoli; di redattore dell’Enciclopedia italiana; di direttore at-
tivo e illuminato dell’Istituto storico fondato dal Croce a Napoli; di
editore non meno zelante e sapiente della Rivista storica italiana ;
di vice-presidente e redattore fra i più agguerriti della Commissione
per la pubblicazione dei documenti diplomatici italiani, nonché mem-
bro dell’altra Commissione per i carteggi cavouriani; di socio nazio-
nale dei Lincei, promotore di riunioni storiche d’importanza euro-
pea; infine di membro e ultimamente presidente del « Comité interna-
tional des sciences historiques ». In quest’ultima qualità egli aveva
diretto con energia e accortezza tutto il lavoro preparatorio del Con-
gresso storico internazionale che si tenne a Stoccolma nell’agosto 1960.
Era il « suo » congresso; ma egli non vi assisté.

L'enumerazione di queste sue diverse cariche e attività non dà
ancora una idea piena dell’autorità da lui goduta, dell’influenza da
lui esercitata su scolari e colleghi: un’autorità e una influenza che si
realizzavano spontaneamente, nell’incontro fra l'impulso del maestro
e il ricorso a lui degli studenti. Già per questo la sua morte crea nel
campo della scienza storica italiana un vuoto incolmabile.

Pure, non è ancora questa la perdita più grave. C'è, suprema
iattura, il troncamento brutale dell'opera storica personale, che in
124 NECROLOG]

venticinque anni — quanti ne corrono dalla monografia giovanile sul
Principe di Machiavelli (1926) alla Storia della politica estera italiana
dal 1870 al 1896, Volume primo, Le Premesse (1951) — si era andata
non tanto ampliando come mole, quanto elevando come altezza di
sguardo storico, come capacità sintetica di associazione e interpreta-
zione, unitaria e multiforme a un tempo, di tutti gli elementi storici.

Dopo la tesi sul Principe — di cui è come una continuazione ideale
la monografia del 1933 su Giovanni Botero — Chabod aveva parteci-
pato alla campagna archivistica condotta a Simancas, l'« emporio »
archivistico dello Stato spagnuolo, nel 1927 e 1928 dal suo maestro
Pietro Egidi (morto precocemente l'anno seguente, 1929). Dal ma-
teriale ivi raccolto, e grandemente ampliato da altri archivi italiani e
stranieri, egli trasse gli elementi per i due volumi integrantisi fra lo-
ro (1934, 1955) sullo Stato di Milano al tempo di Carlo V. Notevole
particolarmente il primo per la valutazione delle condizioni politiche
interne della Lombardia e per l'intreccio, intorno alle sue sorti, dei
fili della politica europea; esemplare il secondo per il rilievo delle di-
verse correnti religiose e delle personalità anche minori.

Misura piena delle sue capacità di sintesi storica dette lo Chabod
nel breve scritto sul Rinascimento (nella « silloge Rota » Problemi sto-
rici e orientamenti storiografici), mirabile per aver saputo, sulla base
di una completa informazione, districare il nodo dei rapporti fra Me-
dioevo maturo e Rinascimento, armonizzando continuità e novità,
pur con prevalenza della seconda.

Pienamente agguerrito ormai nella storia diplomatica, in quella
politica pura, nella storia delle idee e nell’indagine degli ambienti
morali, lo Chabod, mentre preparava l’edizione di tutta una serie
di documenti diplomatici italiani di cui il primo (21 settembre - 31
dicembre 1870) è uscito postumo, ci dette nel 1951 il volume primo
(rimasto purtroppo unico) della già menzionata Storia della politica
estera italiana.

Nonostante il modesto sottotitolo di « Premesse », esso è ben altro
che una semplice introduzione alla storia diplomatica del regno d'Ita-
lia. Esso ci dà, del ceto dirigente italiano all’indomani dell’unità,
una analisi penetrante e una sintesi luminosa. Ci vediamo riflesso
tutto lo spirito nazionale del Risorgimento e tutta la grandezza eu-
ropea dell’opera risorgimentale. Abbiamo qui uno spaccato ideolo-
gico e psicologico della società politica, una individuazione e un trac-
ciato delle diverse correnti, una raffigurazione delle idee e dei senti-
menti agitantisi negli animi di Visconti Venosta, Lanza, Sella, Min-

III SER
NECROLOGI 125

ghetti, Crispi, nonché (anzi con particolare sviluppo) Vittorio Ema-
nuele II. Impossibile, qui, entrare in particolari; aggiungiamo sol-
tanto che questo libro è la maggior realizzazione che fino allora si fos-
se avuta in Italia di quell'ideale di storia politico-etica che il Croce
predicò nel suo ultimo periodo.

Non si fa storia senza capacità di penetrazione politica, senza’
elevazione di coscienza morale. Ambedue le qualità Federico Chabod
possedette in sommo grado: e le mostrò anche nella vita attiva. Pa-
triota di fede liberale e di respiro europeo, egli serbò intatti, in digni-
toso riserbo, i suoi ideali durante il ventennio fascista. Comandante
di bande partigiane contro la dominazione nazifascista, fu il primo
presidente della Val d'Aosta nel momento più scabroso, in cui velleità
annessionistiche francesi e oltranzismi separatistici minacciavano
l'integrità del suolo nazionale. Egli seppe tutelarla; mantenendo al
tempo stesso rispetto ed affetto al natìo loco, attraverso gravi rischi
che affrontò impavido vietando che si ricorresse alla forza per la di-
fesa della sua persona. Cervello quadrato, coscienza pura, uomo inte-
grale così nella vita pubblica come nell’opera storica. Spirito schietto
e cordiale, affermò sempre vigorosamente quel che gli parve il giusto,
ma senza ira e avversione per alcuno. Non aveva, ch’io sappia, ne-
mici; sulla sua tomba precoce il rimpianto, in Italia e all’estero, è
stato profondo e unanime.

In questa sede è doveroso ricordare che a Federico Chabod, allora
docente all’Università perugina fu affidato il compito della riorga-
nizzazione della Deputazione di Storia Patria per l'Umbria secondo
la riforma del settore delle Società Storiche contemplata dal R.D.L.
20 luglio 1934 e dal R.D. 20 giugno 1935, n. 1176. Egli stesso nel 1935,
succedendo al prof. Francesco Guardabassi, assunse la presidenza
della Deputazione rinnovandone gli organi direttivi e i quadri e do-
nando ad essa nuovo impulso.

LUIGI SALVATORELLI

Per la bibliografia degli scritti di F. Chabod si rinvia a quella compilata
da Luigi Firpo e pubblicata nel fasc. IV, anno LXXII della Rivista Storica
Italiana (Napoli 1960) pp. 811-34.
GIUSTINIANO DEGLI AZZI VITELLESCHI

In Giustiniano Degli Azzi la Deputazione di Storia Patria per
l’Umbria ha avuto uno dei suoi esponenti più attivi e rappresenta-
tivi. Benché negli ultimi tempi della sua vita laboriosissima si fosse
un po’ estraniato dal nostro Istituto, restando assente dalle sue riu-
nioni, non dandole ulteriore contributo di propri scritti, pure é tanto
l'apporto della sua operosità recatogli negli anni suoi migliori, da
farlo considerare tra i soci maggiormente valorosi e benemeriti che
la Deputazione abbia annoverato.

Rievocando la sua personalità di erudito, di scrittore, con tutto
il memore affetto d'amico, con tutto l'apprezzamento delle sue qua-
lità e pregi di studioso instancabile, ci piace porre anzitutto l'accento
sui suoi rapporti con la Deputazione, testimonianza di quanto si
possa amare e lavorare per una istituzione che si ha a cuore, per i
compiti assegnatile e gli intenti che persegue.

Il Degli Azzi era nato, si può dire, con la vocazione per le inda-
gini documentarie e i lavori archivistici. Ancora studente passava
tutte le ore disponibili nella Biblioteca Comunale a cercare e trascri-
vere documenti, quali lo Statuto volgare del 1342, andato poi alle
stampe nel Corpus Statutorum del Sella; e ancora studente pubblicó
il suo primo saggio su Le rappresaglie negli Statuti Perugini.

Ma non si creda per questo che egli fosse una mentalità un po'
arida, chiusa nel ristretto ambito di tali studi. Era invece una intel-
ligenza genialissima, era di quegli individui che subito si fanno no-
tare, apprezzare e valere: intuizione pronta, laboriosità disciplinata,
penna sciolta e vivace, parola facile e arguta. Quando appunto era
studente, mentre da un lato attendeva al faticoso e silenzioso lavoro
d'archivio, sapeva dall'altro comporre le piü sbrigliate e giocose sa-
tire goliardiche. Compagno amato e stimato dagli altri, per la sua
serietà nello studio e insieme per il suo spirito e brio.
NECROLOGI 127

All'Università, dove si laureò in Giurisprudenza nel 1897, l'ebbe
discepolo amatissimo il prof. Oscar Scalvanti, quegli che fu l’anima-
tore dei giovani verso gli studi storici, loro amico, consiglio e guida.

E il primo ufficio che il Degli Azzi ricoperse fu quello di Vice-
Bibliotecario della Comunale perugina, quando alla Biblioteca Au-
gusta era annesso’ sotto un'unica direzione, l'antico archivio del Co-
mune, e Bibliotecario Archivista era il conte Vincenzo Ansidei.

Presso la civica Biblioteca aveva sede la Società prima, e poi
Deputazione di Storia Patria per l'Umbria (che comprendeva allora
anche la Sabina) e li si riunivano le fila intessute tra i cultori di
memorie locali, tenuti in colleganza e affiatamento anche dall'acco-
gliente cortesia e dal fine tatto del conte Ansidei.

Pertanto il Degli Azzi venne a trovarsi nel centro di raccolta
della storiografia regionale e a contatto diretto con quanti lavora-
vano su tale tema. Era quella l'età d'oro della Deputazione; non solo
per le insigni e competenti personalità che ne formavano attiva parte
dirigente, per il contributo di scritti che le giungevano da pubbli-
carsi, ma anche per il favore e il consenso con cui era seguita dall'ele-
mento intellettuale della regione.

Non c'era individuo delle classi colte delle città maggiori e mi-
nori dell'Umbria che non amasse di essere socio aggregato della De-
putazione. Oggidi il campo della cultura generale si è tanto esteso
nelle direzioni piü diverse che il cerchio di coloro che s'interessano
alle finalità proprie dell'Istituto storico umbro si è inevitabilmente
ristretto. E altrettanto è accaduto rispettivamente in ogni regione.

Ai congressi tenuti periodicamente in ciascuna delle città umbre
interveniva gran numero di intendenti, studiosi, amatori; ed in tutti
il Degli Azzi risultava quale uno degli elementi più fattivi e organiz-
zativi. Mantenne questa assidua cooperazione coll’istituzione e coi
suoi componenti, anche dopo lasciata la Biblioteca perugina, ed en-
trato nella carriera degli Archivi di Stato, che poi abbandonò per
sue ragioni personali. I diversi suoi scritti apparsi ancora nel Bol-
lettiho, lo attestano; continuò ad occuparsi della segreteria e della
compilazione degli Analecta; e della Deputazione fu anche Vice
Presidente nel 1912.

Per il Degli Azzi formava particolare oggetto d’attrattiva e
d'indagine la vicenda del nostro Risorgimento Nazionale. Ma era
stato un criterio seguito dalla Deputazione di non toccare la storia
più recente, come quella risorgimentale, perché ancora non suscet-
tibile di tutta l’assoluta oggettività di valutazione di uomini e di
128 NECROLOGI

eventi, e possibile a dividere gli animi di coloro che, pur partendo da
contrastanti premesse, volevano cooperare d’accordo e senza attriti
agli intenti del sodalizio.

E così il Degli Azzi, per avere un appropriato e autonomo or-
gano di lavoro in questo campo, fondò, insieme a Giuseppe Mazza-
tinti e Angelo Fani quell'Archivio Storico del Risorgimento Umbro,
di cui uscirono otto volumi dal 1905 al 1912, e che contiene cospicua
messe di documentazione e notizie, ma a cui avrebbesi desiderato
una un po’ più spassionata e serena visione di avvenimenti così ca-
richi di contrasti nel loro svolgersi concordi e discordi, riuscendo
verso una superiore meta finale.

Il Degli Azzi organizzò anche un Museo storico del Risorgimento
Umbro, coadiuvando prima il prof. Giuseppe Bellucci nella Mostra
del materiale relativo nella Esposizione Umbra del 1900, e poi ordi-
nandolo presso l’Università e affidandolo quindi alla Biblioteca Co-
munale quando ne era bibliotecario il dott. Francesco Briganti.

Stabilitosi fuori di Perugia il Degli Azzi prestò la sua attività
anche ad altri organi della cultura storica nazionale, quali l’ Archivio
storico italiano, di cui fu Vice-Direttore al 1903 al 1912, e ne compi-
lò insieme al dott. A. Panella il secondo indice tripartito della V2
Serie volumi XXI-XL.

Quando per la scomparsa di Giuseppe Mazzatinti rimasero so-
spese le collezioni da lui fondate e dirette de 7 Manoscritti delle Bi-
blioteche Italiane e Gli Archivi della Storia d’Italia, mentre la prima
veniva ripresa da Albano Sorbelli dell’Archiginnasio di Bologna, il
Degli Azzi riprese e continuò, finché gli concorsero i mezzi finanziari,
per più volumi la seconda. Così dette la sua collaborazione, che gio-
vanissimo aveva iniziato su modeste riviste di ristretto carattere
cittadino, ad altre di portata nazionale, ed anche a straniere, quali
l'Archiv für Strafrecht di Berlino. Fu collaboratore dell’ Enciclopedia
Treccani, di quella Britannica, dell'Allgemeine Lexicon degli artisti
del Thieme e Becker, del Dizionario del Risorgimento Italiano; fu
consultato e richiesto per la sua peculiare conoscenza della storia e
bibliografia soprattutto umbra.

Segretario della Commissione Araldica Toscana dal 1907 al
1918, collaboró in special modo all'Enciclopedia storico-nobiliare
diretta da Vittorio Spreti; poiché nel più recente periodo della sua
attività egli si era di proposito specializzato in ricerche araldiche e
genealogiche. Non si giudichino con troppa superficialità quali cose
inutili simili ricerche, atte soltanto ad appagare delle personali e
NECROLOGI 129

familiari ambizioni, giacché tanta storia politica, militare, culturale,
economica si accumula intorno alle casate gentilizie, che indagini
su di esse arrecano tutto vantaggio alla cognizione e comprensione
del passato nazionale. E lasciamo pure al nostro grande poeta del
secondo Ottocento una di quelle sue sparate a vuoto quale l’ode sulla
Consulta Araldica istituita nell’ottobre del 1869.

Il Degli Azzi tenne prima a Roma e poi a Firenze un suo ufficio
di consulenza e assistenza per pratiche e vertenze in tale materia,
e compilò insieme a Vittorio Spreti il Saggio di Bibliografia araldica
italiana (Milano 1936), della cui utilità nessun bibliografo può du-
bitare.

La produzione del Degli Azzi è vastissima e di natura storica
la più svariata per soggetti e argomenti. Va dalla pubblicazione di
inventari e regesti a quella di scelte e ordinate raccolte documenta-
rie, quali, per citarne una, quella sulle Relazioni tra la Repubblica
di Firenze e l'Umbria nel sec. XI V ; dalla rievocazione di fatti sto-
rici determinati (la sua memoria sulla « Dimora di Carlo figliuolo di
Re Roberto in Firenze » vinse il concorso bandito dalla Accademia
Pontaniana di Napoli) a biografie, profili di personaggi, carteggi,
notizie e spigolature archivistiche, artistiche, alla riesumazione di
particolari anedottici, a tutto quanto si può ricostruire sulla base di
documenti,

Il documento è il punto di partenza degli scritti del Degli Azzi.
Egli lavora su di esso, lo riporta alla ribalta del presente; esame e
giudizio potranno anche essere diversi dai suoi, ma la pietra basilare
rimane in luce.

Giustiniano Degli Azzi (nato a Perugia il 13 luglio 1874 e man-
cato in Firenze il 13 agosto 1960) fu un lavoratore indefesso. Egli ha
ripreso la tradizione di quei nostri eruditi cittadini, infaticati nel rin-
tracciare e illustrare le memorie patrie e aventi un riflesso ancor più
ampio, quali furono Annibale Mariotti, Giuseppe Belforti, Gio. Bat-
tista Vermiglioli, Adamo Rossi. Per tale suo merito, oltre che per il

valore e l’interesse dei suoi numerosissimi scritti, egli va da noi ri-
cordato e onorato.

RAFFAELE BELFORTI
e: —— — -

NECROLOGI

BIBLIOGRAFIA

. Le rappresaglie negli Statuti Perugini. Saggio storico giuridico. Perugia,

Tip. Boncompagni, 1895.

. I Capitani del Contado nel Comune di Perugia. Saggio storico. Perugia,

Unione Tip. Coop. 1897.

. Il grido degli Insorti. Pro Candia (Versi). Perugia, Unione Tip. Coop.,

1897.

Un documento inedito sulla questione della data dello Statuto volgare di Pe-
rugia, in Boll. della Dep. di St. Patria per l'Umbria, Vol. IV, 1898, pp.
177-82.

. Gli albori del Teatro Italiano. Perugia, Tip. Umbra, 1898.
. L' Archivio del Laicale Sodalizio di S. Martino in Perugia. Notizie storiche

e inventario-regesto, in Bollettino della R. Dep. di St. Patria perl’ Umbria,
Vol. VI, fasc; III; 1899;

. Barone Gaudenzio Claretta, in Boll. della Dep. di St. Patria per l'Umbria,

Vol. VI, 1900, pp. 369-70.

. Conte Alessandro Ansidei, in Boll. della Dep. di St. Patria per l' Umbria,

Vol. VI, 1900, pp. 370-71.

. Brevi cenni storici sull’ Università di Perugia. Perugia, Tip. Centr., 1900.
. Della polizia negli Statuti dei Comuni italiani del Medio-Evo. Prolegomeni.

Perugia, Unione Tip. Coop., 1900.

. Il dialetto perugino nel sec. XIV. Studio storico-filologico. Perugia, Tip.

Umbra, 1900.

. I nostri giornalisti d’un tempo. Saggio critico sulle cronache perugine dei

secoli xiv-xvi. Perugia, Tip. Umbra, 1900.

. I « Paria » delle società democratiche medioevali. Nobili ed ebrei in Perugia

nel sec. XIV. Perugia, Tip. Umbra, 1900.

. Il trattato « De Statutis » di Baldo e gli Statuti di Perugia. (Dal volume per

le onoranze a Baldo degli Ubaldi). Perugia, Unione Tip. Coop., 1900.
Gli Archivi delle Confraternite dei Disciplinati di Perugia. Inventario-re-
gesto. Rocca S. Casciano, Cappelli, 1900.

. Regesto di documenti del sec. XIV relativi a Città di Castello esistenti nel-

l'Archivio Decemvirale del Comune di Perugia. Parte I e II (continua).
(In collaborazione col conte dott. Vincenzo Ansidei). 1900-1901.

. Lettere inedite di Angelo Maria Ricci a G. B. Vermiglioli, in Boll. della R.

Dep. di St. Patria per l'Umbria, Vol. VII, 1901, fasc. III.
Un commento inedito alla Divina Commedia del sec. XIV. Perugia, San-
tucci, 1901.

. Il Collegio della Mercanzia di Perugia. Ricerche storiche-artistiche, con

tavole. Perugia, Tip. Umbra, 1901.

. Un romanzo del sec. XIV sulle origini poetiche dell’ Umbria. (Dal codice

vaticano lat. 4834). Perugia, Tip. Umbra, 1901.

. Notizie inedite di storia dell’arte umbra tratte dall’ Archivio del Collegio del

Cambio. Perugia, Tip. Umbra, 1902. i
22.

23.

24.

25.

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29.

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33.
34.

35.

36.

37.

38.

39.

NECROLOGI 131

L'Archivio storico del nobile Collegio del Cambio di Perugia. Notizie sto-
riche ed inventario-regesto, in Archivi della Storia d’Italia del prof. G.
Mazzatinti. Rocca S. Casciano, Cappelli, 1902.
Il giorno nuziale nelle leggi perugine del sec. XIV. Perugia, Unione Tip.
Coop., 1902.
Per la storia dell’antico Archivio del Comune di Perugia. Parte I: Notizie
e documenti fino al sec. XV; Parte II: Notizie e documenti dal sec. XV dl
sec. XVI, in Boll. della Dep. di St. Patria per i Umbria, Vol. VIII, 1902,
pp. 29-133, X, 1904, pp. 1-30.
Inventario-regesto dell’ Archivio Comunale di Corciano. Città di Castello,
Lapi, 1902.
Regesti delle Pergamene del Diplomatico del R. Archivio di Stato in Lucca.
Parte I (dall'anno 790 al 1081) pp. XXXVI-204, Lucca, Marchi, 1903.
Parte II (dal 1082 al 1155); pp. 290, Lucca, Marchi, 1911.
L'assedio e la distruzione di Montecatini (1554) narrati da un contempora-
neo. Pescia, Nucci, 1903.
Cimeli Colombiani della Biblioteca Comunale di Perugia, in La Bibliofilia,
Vol. V, disp. 7-8, Firenze, 1903.
Notizie inedite, tratte dall' Archivio del Comune, per servire alla storia di
Montecatini (Valdinievole) e delle sue Terme, in Rivista delle stazioni bal-
neari, ecc. Anno 1903.
Corrispondenza letteraria di Lodovico Jacobilli .da Foligno e di Eugenio
Gamurrini coll'erudito fiorentino Carlo di Tommaso Strozzi, in Atti della
Dep. di Storia Patria per l' Umbria, Vol. X, 1904, pp. 514-528.
Spigolature di Storia politica e artistica Folignate nell Archivio delle Rifor-
mazioni di Firenze e nell’ Archivio Mediceo, in Atti della Dep. di St. Patria
per l'Umbria, Vol. X, 1904, pp. 514-28, Serie cronologica dei folignati
che ebbero pubblici offici in Firenze dal sec. XIV al XVI, in Atti della Dep.
di St. Patria per l'Umbria, Vol. X, 1904, pp. 514-28.
L'Archivio domestico dei Marchesi Bufalini Conti di S. Giustino. (Città di
Castello). Inventario-regesto. Rocca S. Casciano, Cappelli, 1904.
L'Archivio storico del Comune di Montecatini di Valdinievole. Cenni sto-
rici e inventario-regesto. Rocca S. Casciano, Cappelli, 1904.
L' Archivio storico del Comune di Chiusi. Cenni storici e inventario-regesto.
Rocca S. Casciano, Cappelli, 1904.
Le relazioni tra la Repubblica di Firenze e l'Umbria nel sec. XI V, secondo
i documenti del R. Archivio di Stato di Firenze, Vol. I. Dai Carteggi. Pe-
rugia, Unione Tip. Coop. 1904. Vol. II. Dai registri. Perugia, Unione
Tip. Coop., 1909.
Di due antichissimi registri Tifernati di deliberazioni e di Atti Criminali,
in Boll. della Dep. di St. Patria per l'Umbria, Vol. XI, 1905, pp. 93-134.
Briciole di storia folignate. Comunicazioni presentate all XI Congresso
della R. Deputazione di Storia Patria per l'Umbria. Perugia, Unione
Tip. Coop., 1905.
Aneddoti di vita claustrale in due monasteri umbri del sec. XII, in Boll.
della Dep. di St. Patria per l' Umbria, Vol. XI, 1905, pp. 247-53.
Il Carteggio politico del patriota perugino Annibale Vecchi. Parte I. Lettere
di Ariodante Fabretti, in Archivio Storico del Risorgimento Umbro, 1905.
132

NECROLOGI

40. Il tumulto del 1488 in Perugia e la politica di Lorenzo il Magnifico, in Boll.

41.

42.

43.

44.

45.

46.

47.

48.

49.

della Dep. di St. Patria per l'Umbria, Vol. XI, 1905, pp. 407-81.
Urkundliche Beitràge zur Geschichte des Strafrechts III. Umbriche Straf-
prozesse aus dem 13. Jahrhundert (in collaborazione col prof. J. Kohler),
in Archiv fur Strafrecht und Strafprozess, 52 Jahrg., 3-4 Heft. Berlino,
Schenck, 1905.

Il carteggio dell’ Ambasciatore Toscano in Parigi col Ministro degli Affari
Esteri di Toscana ne’ primi anni dell’Impero, in Révue Napoléonienne,
fasc. III del 1905.

Bonapartisti, Massoni e Carbonari nell’ Umbria dopo la Restaurazione Pon-
tificia (1814-1818), in Archivio Storico del Risorgimento Umbro, Anno II,
fasc. 4, 1905.

Per la storia di un giornale democratico Umbro « La Sveglia », in Archivio
Storico del Risorgimento Umbro, Anno II, fasc. I (continua).

Consiglio medico di maestr' Ugolino da Montecatini ad Averardo de’ Medici
(In collaborazione col prof. F. Baldasseroni). Firenze, Tip. Galileiana,
1906.

Per Giuseppe Mazzatinti, in Boll. della Dep. di St. Patria per l Umbria,
Vol. XII, 1906, pp. 153-72.

Briciole di storia assisiate. Circa il riordinamento dell’antico archivio giu-
diziario di Perugia, in Boll. della Dep. di St. Patria per l'Umbria, Vol.
XII, 1906, pp. 497-502.

Commemorazione di Giuseppe Mazzatinti, tenuta il 17 giugno 1906 nel ci-
vico teatro di Gubbio. Con un’appendice bibliografica di tutti gli scritti
editi ed inediti del Mazzatinti. Città di Castello, Lapi, 1906.

Pompeo Neri ed il riordinamento degli Archivi minori in Toscana. Firenze,
Tip. Galileiana, 1907.

. Inventario-regesto del Museo Storico del Risorgimento Umbro in Perugia,

Vol. I, Perugia, Unione Tip. Coop., 1908.

. Ricordi di Perugia di Giuseppe Fabretti (1859-62). Perugia, Unione Tip.

Coop., 1908.

. La dimora di Carlo figliuolo di Re Roberto a Firenze. (Memoria premiata

al Concorso Tenore dell'Accademia Pontaniana di Napoli). Firenze, "TID.
Galileiana, 1908.

. I Gabrielli da Gubbio. e i Trinci da Foligno nella storia della Repubblica

Fiorentina, in Boll. della Dep. di St. Patria per l' Umbria, Vol. XIV, 1909,
pp. 299-304.

. Secondo indice tripartito della V serie dell' Archivio Storico Italiano. Volu-

mi XXI-XL (in collaborazione del dott. A. Panella). Firenze, Tip. Ga-
lileiana, 1909, pp. IV-300.

. Das Florentiner Strafrecht des XIV Jahrhunderts. (In collaborazione col

prof. J. Kohler dell'Università di Berlino). Mannheim, Bensheimer, 1909.

. Archivio Storico del Risorgimento Umbro, diretto da G. Degli Azzi ed A.

Fani. (1905-1912); volumi 8.

. Gli Archivi della Storia d’Italia, pubblicazione trimestrale, diretta da G.

Degli Azzi. (1906-1915); vol. 7.

. Per la storia della poesia patriottica nell’Umbria (Per le nozze Kohler-

Kahn). Perugia, Unione Tip. Coop., 1908. .

————— _66
III I

59.

60.

61.

63.

64.

74.

NECROLOGI

133

Il Congresso Storico Internazionale di Berlino e il II Congresso della So-
cietà Italiana per il Progresso delle Scienze. Resoconti, in Archivio Storico
Italiano, Serie V, Anno 1908.

Cimeli d’empirismo e di scienza nell’ Archivio di Stato in Firenze (in colla-
borazione col dott. Nello Tarchiani), in La Lettura, di Milano, Anno IXS
1909, ottobre.

Giuseppe Belforti, erudito perugino del sec. XVIII. Cenni bio-bibliogra:

fici, in Boll. della Dep. di St. Patria per l’ Umbria, Anno XV, 1909, pp.
347-58.

. L'insurrezione e le stragi di Perugia del Giugno 1859. Volume commemo-

rativo compilato per incarico ufficiale del Comitato pel Cinquantenario.
Perugia, Bartelli, 1909; pp. X VI-400, ill.

Idem, seconda edizione ampliata e corretta, con nuovi documenti e illu-
strazioni. Perugia, Bartelli, 1970.

Per la liberazione di Perugia e del Umbria. Volume commemorativo per
incarico ufficiale del Comitato pel Cinquantenario, di pp. VIII-370, cor-

redato di 25 tavole fuori testo e un'Appendice di documenti. Perugia,
Bartelli, 1910.

. Idem, II edizione ampliata e corretta. Perugia, Bartelli, 1910.
. Gli Umbri decorati per le Campagne del Veneto e di Roma. Perugia, Bar-

telli,' 1911.

- Di uno sconosciuto lavoro di oreficeria umbra, in Boll. della Dep. diSt. Patria

per l'Umbria, Vol. XVII, 1911, pp. 631-33.

. Gli Umbri nelle Assemblee della Patria (1798-1849). Volume illustrato

con molte tavole e fac-simili di documenti. Perugia, Bartelli, 1912.

. Ottavio Coletti, Deputato di Terni alla Costituente Romana. Perugia, Bar-

telli, 1912.

. Inventario-sommario dell’antico Archivio Comunale di Pieve S. Stefano.

Rocca S. Casciano, Cappelli, 1913.

. Gli Umbri nelle Campagne francesi e napoleoniche. Perugia, Bartelli, 1913.
. Giovan Battista Marini e la sua Cronaca Perugina inedita (1798-1799).

Perugia, Bartelli, 1913.

. Statuti di Perugia del 1342, in Corpus Statutorum Italicorum diretto da P.

Sella. Vol. I (Libri I-II), pp. XVI-402. Roma Loescher, 1913; Vol. II.
(Libri III-IV), pp. 500. Roma, Loescher, 1915.

Gli Archivi di San Sepolcro. Inventario-sommario dell'Archivio Comu-
nale e Giudiziario, e dell'Archivio di Casa Alberti, coi diari inediti degli
Artisti Alberti e un Regesto di documenti ad essi relativi. Rocca S. Ca-
sciano, Cappelli, 1914.

. Due ricchi inventari inediti delle famiglie Baglioni ed Orsini (1554), in Boll.

della Dep. di St. Patria per l’ Umbria, Vol. XX, 1914, pp. 505-539.

. Oscar Scalvanti, in Boll. della Dep. di St. Patria per l'Umbria, Vol. AXL.

1915, pp. 451-63.

. Giuseppe Nicasi, in Boll. della Dep. di St. Patria per l'Umbria, Vol. XXI,

1915, pp. 465-68.

. Brevi note di diplomatica giudiziaria perugina del sec. XIV, in Boll. della

Dep. di St. Patria per l' Umbria, Vol. XXI, 1915, pp. 525-35. .
134
79.

B 80.

81.

82.
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M 85.

86.
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89.

. Saggio di Bibliografia Araldica Italiana. Milano, 1936.

NECROLOGI

Un informatore Mediceo in Romagna (Gaspare da Todi), in Boll. della Dep.
di St. Patria per 'Umbria, Vol. XIX, 1915, pp. 15-36.

Un Condottiero di ventura tuderte al servizio di Firenze : Berardino da Todi,
in Boll. della Dep. di St. Patria per Umbria, Vol. XIX, 1915, pp. 87-102.
Istruzioni segrete della Curia Pontificia pel Governo di Perugia e delle altre
città umbre (sec. XVI-XVII), in Boll. della Dep. di St. Patria per l'Umbria,
Vol. XXI, pp. 375-86.

Saggio di bibliografia archivistica umbra, in Boll. della Dep. di St. Patria |
per l'Umbria, Vol. XXII, 1916, pp. 55-92.

Leggi suntuarie perugine nell'età dei Comuni, in Boll. della Dep. di St. Pa-
tria per ' Umbria, Vol. XXII, 1916, pp. 125-26.

Un prete di spirito nel Seicento (Don Secondo Lancellotti da Perugia), in
Boll. della Dep. di St. Patria per l'Umbria, Vol. XXII, 1916, pp. 217-28.
Francesco Guardabassi nel cinquantenario della sua morte. Commemora-
zione tenuta nella Sala dei Notari di Perugia il 14 settembre 1921. Pe-
rugia, 1921.

La secolare vertenza pel possesso della Montagna di. Patrignone. Notizie
storiche. Roma, 1926.

Documenti su opere d’arte e pittori aretini. Arezzo, 1934.

Memorie autobiografiche del prof. avv. Vincenzo Sereni pubblicate a cura di
Antonio Sereni suo figlio, con preparazione e note del dott. Giustiniano
Degli Azzi Vitelleschi. Perugia, 1934.

Nuovi documenti per la biografia di Galeazzo Alessi. Arezzo, 1935, nella
rivista Il Vasari.
MARIO LABÒ

In quel breve diario forse non abbastanza conosciuto, che Mario
Labò tenne durante il suo viaggio a Roma alla ricerca del figlio Gior-
gio, fucilato dai tedeschi il 7 marzo 1944, nel momento in cui stava
per riprendere il desolato cammino verso casa, leggiamo: « ... e lo
strazio di pensare a lui, ad Enrica, al nostro Galeazzo Alessi, è inso-
stenibile ».

In questa sola, amarissima frase, è chiuso il mondo di Mario
Labò, morto nel febbraio 1961. L'amore e il dolore per l’unico figlio
tragicamente scomparso (« Che peccato, che peccato » sono le sole paro-
le che riesce a pronunziare, anteponendo al dolore di padre il rimpian-
to amaro di amico e di uomo per «il bello organismo spezzato, per l’at-
tività interrotta... ») l’amore e il dolore per la moglie a cui dovrà
recare la notizia atroce, il dolore per la bella carriera troncata in quel
campo di studi in cui si erano trovati così uniti e interessati e in cui,
in qualche modo, Giorgio avrebbe dovuto continuarlo. « Importante
è cercare di rimanere nel proprio tempo » mi disse una volta, e in questo
limite umano era lui che avrebbe dovuto fermarsi per primo; lui, in-
vece, che dovette sopravivere.

Il figlio, la moglie, il lavoro. Granitiche basi su cui posò la sua
vita in un identico amore, e che rimasero a sostenerlo anche quando il
pilastro della sua speranza nella continuità venne a mancare. Il figlio
ancora, di cui teneva nello studio, accanto al tavolo da disegno, sotto
il suo sguardo sempre, la fotografia del martirio, in quella bara di ta-
vole sconnesse su cui la sua ricerca aveva dovuto fermarsi e la sua
speranza cedere alla realtà; il figlio-compagno con cui conduceva an-
cora il quotidiano colloquio che nulla poteva interrompere. E Enrica,
anch'essa compagna di ogni ora e di ogni pensiero, e Galeazzo Alessi,
il lavoro cui attendeva, e le sue creazioni, i suoi interessi, i suoi studi,
136 NECROLOGI

tutti uniti in una medesima luce. Non era un modo per stordirsi e di-
menticare, quel piegarsi sul lavoro, quell’andare da un luogo all’altro
di incontri, di congressi, di discussioni; da spirito forte egli aveva ac-
colto in sè il suo dolore, ben sapendo che il solo modo per placarlo era
continuare nella via del dovere, anche per Giorgio che aveva dovuto
fermarsi.

Non a caso Labò aveva scelto la carriera di architetto e aveva
orientato i suoi studi sulla storia dell’architettura. L'architettura
include una visione di rigore che non può cedere a nulla, un ordine
misurato, un’armonia delle parti, che si determinano l’una sulla forza
e la bellezza dell’altra. Costruire, creare, ricreare in un discorso nuovo
l'opera di chi ci ha preceduti, e tutto questo nel nostro tempo. Essere
moderni, cioè, parlare da moderni, per diventare più tardi, a nostra
volta, storia. E della sua vita e del suo lavoro la cornice fu Genova,
l'amata città natale, in cui egli voleva rimanere, appunto, come una
voce del presente.

A Genova e alla Liguria rivolse i suoi studi storici e le sue opere,
fino a quella nuova sede del Museo Chiossone, dedicato all’arte orien-
tale, che ancora deve trovare conclusione. Le sue ultime opere furono
questa, appunto, e il monumento ai morti italiani nel lager di Mau-
thausen, di una sobrietà scarna e dolente, come il dolore che egli sa-
peva di eternare. La sua opera di storico dell’architettura rimarrà
nei molti studi volti anch’essi per la maggior parte ad artisti genovesi
o che operarono a Genova; la sua opera di artista, nelle ville e nei
monumenti in cui interpretò il carattere e le vicende della sua terra
e della sua età, con la sobria compostezza e la dignità che erano della
sua vita morale.

Mario Labò, nato a Genova nel 1884, si laureò in architettura
presso il Politecnico di Torino nel 1910. Fuori della scuola fu disce-
polo di Annibale Rigotti.

Si è dedicato specialmente alla costruzione di teatri, di cinema, di
alberghi, di stabilimenti balneari, all'arredamento e ai problemi di
urbanistica. Si è pure largamente occupato di estetica e di storia del-
l'arte (e sopratutto dell'architettura) e di arte industriale. È stato
uno dei primi che abbiano studiato e messo in rilievo l'importanza
della pittura, della scultura e sopratutto dell'architettura genovese
in innumeri saggi su giornali e riviste e nelle opere I Palazzi di Ge-


NECROLOGI

nova, G. B. Castello architetto e nel complesso di articoli su palazzi
municipali di Strada Nuova a Genova, in cui si rivela il più preparato
studioso dell’Alessi.

Ha lasciato già pronta per la stampa un’opera fondamentale che
riassume tutte le sue ricerche in questo campo, la nuova edizione dei
Palazzi di Genova del Rubens, con commento storico e critico. Con
articoli relativi a questioni d’arte antica e moderna, oltre che di ar-
chitettura, ha collaborato a numerosissime riviste italiane e straniere
(L'Arte, Dedalo, Emporium, Gazette des Beaux Arts, Art et decoration,
L'Art vivant, Domus, Casabella, Monatshefte für baukunst und stüdtebau,
Comunità, Urbanistica, ecc.) e in opere di consultazione come En-
ciclopedia Italiana e il Künstler Lexicon di Thieme e Becker. È stato
tra i primi ad aderire al movimento per il rinnovamento dell'architet-
tura, in stretto contatto con i razionalisti milanesi e eon la rivista Ca-
sabella di Persico e Pagano.

Ha pubblicato un volume su l'architetto Giuseppe Terragni e su
L' Architettura e l'arredamento del negozio e ha tradotto due classici
dell'architettura moderna La cultura delle città di Lewis Mumford e
Spazio tempo e architettura di Siegfried Giedion. Grande attività ha
dedicato all'urbanistica anche in campo pratico: tra l'altro ha fatto
parte della Commissione incaricata di redigere il piano regolatore ge-
nerale di Genova, ha vinto il concorso per il piano regolatore di Sestri
Levante ed è stato tra i vincitori dei concorsi per i piani regolatori di
Recco e di Rapallo.

Opere notevoli: tomba di famiglia Toscanini nel Cimitero Mo-
numentale di Milano, in collaborazione con Leonardo Bistolfi; rimo-
dernamento del Politeama Genovese (1932); Cinema Odeon a Genova;
Chiesa delle Suore Crocifisse a Genova (1935); sistemazione della Bi-
blioteca Universitaria di Genova e restauro della sua sede nella Chiesa
di S. Francesco Saverio; bagni Sud-ovest a Paraggi; ristorante S. Pie-
tro alla Foce di Genova (1937); bagni Stella d'Italia e bagni Mediter-
raneo a Pegli; Villa Della Ragione a Genova; il Cinema Italia a Novi
Ligure (1939); albergo Villa Balbi a Sestri Levante; la villa Jesi a
Sori; la sede dell’AMGA genovese (in collaborazione con l'architetto
Luigi Carlo Daneri) la Chiesa di Santa Caterina a Genova; la Casa
della Giovane a Genova (in via di ultimazione); Nuova Sede del Mu-
seo d'arte orientale « Edoardo Chiossone » a Genova (in costruzione);
il Monumento ai morti italiani nel lager di Mauthausen.

E stato capo di uno dei gruppi che hanno progettato il quartiere
138 NECROLOGI

case popolari CEP a Genova-Prà e di uno dei gruppi che hanno pro-
gettato il quartiere INPS a Genova-Coronata.

Dal 1922 al 1924 è stato Assessore alle Belle Arti del Comune
di Genova; dal 1922 al 1923 Membro della Commissione Edilizia del
Comune di Genova; nel 1936 e nel 1948 Membro della Giuria Interna-
zionale della 6? e dell’8® Triennale di Milano; dal 1945 ininterrotta-
mente Presidente dell’Accademia Ligustica di Belle Arti di Genova;
dal 1945 al 1947 Presidente dell'Ordine degli Architetti della Liguria;
dal 1945 al 1949 Membro della Commissione Urbanistica del Comune
di Genova e del Comitato Urbanistico incaricato della redazione del
Piano Regolatore Generale, incaricato anche, con altri, della reda-
zione del Piano di Ricostruzione di Genova; dal 1949 al 1950, Mem-
bro della Commissione Edilizia del Comune di Genova; nel 1951 Mem-
bro della Commissione giudicatrice del Concorso Ina/Casa per la pro-
vincia di Savona; Membro effettivo dell’I.N.U.

Era Consigliere della sezione Ligure dell'Istituto Italiano di Ur-
banistica, socio dell'Associazione Internazionale dei critici d'Arte e
dell'Associazione Europea di cultura.

PAoLA DELLA PERGOLA

ALCUNI TRA I PROGETTI E COSTRUZIONI

1932, Rimodernamento del Politeama Genovese.

1932, Villa Rosselli ad Albissola Capo (Lo Scoglio).

1935, Chiesa e Convento delle SS. Crocifisse a Genova.

1935, Sistemazione della Biblioteca Universitaria di Genova nella Chiesa di
S. Francesco Saverio.

1935, Bagni Mirasole a Genova-Pegli.

1935, Bagni Sud-ovest a Paraggi.

1937, Ristorante S. Pietro alla Foce a Genova.

1938, Bagni Mediterraneo a Genova-Pegli.

1939, Villa della Ragione a Genova-Quarto.

1939, Cinema Italia a Novi Ligure.

1939, Progetto di Albergo a Genova-Nervi.

1939, Progetto di Kursaal a Genova-Pegli.

1943, Villa Mazzucchelli a San Michele di Pagana.

1946/48, Casa a Genova, Piazza Soziglia (ricostruzione).

1947, Concorso per il P. Regolatore di Sestri Levante, collaborazione con L.
C. Daneri ed altri. I° premio.

1947/48, Grand’Hotel Villa Balbi a Sestri Levante.
NECROLOGI 139

1948/49, Ricostruzione e restauro del Palazzo Lamba-Doria a Genova, piazza
S. Matteo.

1948/49, Casa a Genova, via Zara.

1949/50, Concorso per la ricostruzione del Teatro Carlo Felice (in collabora-
zione con Marco Zanuso), 2° premio.

1949/51, Lottizzazione progetti di massima per un quartiere operaio a Geno-
va-Sestri. :

1949/51, Sede dell'Azienda Municipalizzata Gas ed Acqua (in collaborazione
con L. C. Daneri).

1950/51, Villa Jesi a Sori.

1950/52, Museo Chiossone per il Comune di Genova, attualmente in costru-
zione nella Villetta Dinegro.

1952/53, Casa ad Arenzano, viale Sauli Pallavicini.

1953, Concorso per il piano Regolatore di Rapallo, in collaborazione con Fran-
co Finzi, 3° premio ex-aequo.

1954, Progetto di sistemazione della Piazza della Torre a Sestri Levante a se-
guito dell’esplosione di un laboratorio pirotecnico.

1954/55, Monumento agli Italiani nel Lager di Mauthausen.

1951/55, Sede dell’Associazione Internazionale per la Protezione della Giovane
a Genova, con la conservazione della facciata di un oratorio.

1954/55, Progetto di Centro Civico a Sestri Levante, comprendente gli uffici
del Comune ed elementi residenziali.

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Conoscere i laterizi, Ed. Poligono, Milano.

Conoscere i laterizi, Quaderni della tecnica, ed. Poligono, Milano.
Esposizione in Svizzera, Ed. Comunità.

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Le sedie di Chiavari, Ed. Comunità.

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Tempo e gusto del Liberty, in Emporium.

Il Vasari critico dell'architettura, in Studi Vasariani, Firenze.
Esposizioni in Svizzera, Emporium: (Rassegna delle principali esposi-
zioni tenute in Svizzera durante il 1953: Sciaffusa — « Cinque secoli di
pittura »; Berna — « Tesori storici di Berna » e « Maestri della pittura
bernese dal 1500 al 1900 »; Lucerna, « Arte tedesca del xx secolo).
GIEDION S., Spazio, tempo ed architettura ; ed. italiana a cura di E. e
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Palazzo Bianco (Il palazzo I del Rubens), in Rivista dell’ Istituto di Archi- |

lettura e Storia dell’ Arte.

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nascente: Compasso d’Oro, 1956.

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142 NECROLOGI

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— Gestione vincolistica della tutela delle bellezze panoramiche, in Atti del
VI Convegno Nazionale di Urbanistica, Lucca 1957: Difesa e valoriz-
zazione del paesaggio urbano e rurale, Atti dell'Istituto Nazionale di Ur-

. banistica, Roma.

— Gio Ponti, Il Disegno industriale, con una nota di M. Labò (Premio
La Rinascente: Compasso d’oro).

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Un dipinto inedito di Perin del Vega, estratto da L’ Arte anno IX, fascicolo V.
(Alle notizie e alla bibliografia ha collaborato Enrica Labo).
GIUSTINO CRISTOFANI

È molto probabile che per una Storia della Cultura umbra nella
prima metà di questo secolo si debba attendere ancora parecchio.

Naturalmente converrà dar tempo al tempo: ma forse non è
troppo presto per affermare che la parte più genuina della vita spi-
rituale si cercherà nell’ombra discreta degli studi e dell’erudizione.
Gli uomini che passarono la loro vita nelle biblioteche e nei musei,
che frugarono negli archivi o si prodigarono nelle ricerche archeo-
logiche, rappresenteranno molto meglio dei facili orecchianti di mode
artistiche o letterarie, una civiltà ed una tradizione.

L'aristocratica razza degli studiosi locali è ancora una gloria
della provincia italiana, la schietta testimonianza di nobiltà, di men-
te e di cuore, nel panorama così spesso squallido e stagnante. Di
quel buon sangue Giustino Cristofani, assisano. Nacque il 5 Giugno
1875 da Antonio, il maggior storico cittadino del secolo scorso.

Egli scomparve dopo una vita difficile e tormentata quando
Giustino non aveva che otto anni. Ma l'esempio paterno rimase scol-
pito nell'animo del fanciullo ed oggi i due uomini si identificano in
uno stesso ritratto morale: nell'amore alla propria città ma più an-
cora all'Italia, nel cattolicesimo senza pietismi od ipocrisie, nella
fedeltà intransigente agli ideali che ispirarono ogni azione della vita.

Giustino studió a Perugia nel Seminario. Un suo compagno di
scuola, il dotto notaro Francesco Briganti ricordava il giovinetto at-
tento ed ammirato davanti ai quadri della Pinacoteca, primo segno
di una vocazione che non verrà mai tradita.

Compiuti assai per tempo gli studi medi frequentó a Pisa i corsi
di lettere in quella Università ove insegnavano allora il D'Ancona,
il Torraca ed altri illustri maestri. A soli vent'anni conseguiva la
laurea e subito iniziava la lunga carriera d'insegnante nei ginnasi e
licei umbri, prima a Spello, poi a Terni, a Foligno, a Perugia.
144 NECROLOGI

Il 1895 è anche l’anno del suo primo contributo storico che qui
conviene ricordare, la Poenitentia Fratres Heliae. Un prezioso do-
cumento francescano inedito, pubblicato negli Studi Storici di A.
Crivellucci.

Era allora un gran fervore di ricerche intorno al Santo d’Assisi,
Da poco il tedesco Thode aveva, in un’opera rimasta fondamentale,
additato in lui l’ispiratore dell’arte nuova, il precursore del Rinasci-
mento; il francese Paul Sabatier con straordinaria acutezza e con
rigore scientifico ne ricostruiva la vita e le opere. Proprio in quel
momento, Giovanni Joergensen, un poeta danese, seguendo gli iti-
nerari francescani dell'Umbria, della Toscana, delle Marche e del
Lazio, andava divulgando e rinverdendo nel mondo intero l’attua-
lità di quell’insegnamento, la lirica freschezza di quell’esperienza.

Così mille letterati, dotti ed artisti. Il giovane Cristofani non
poteva accettare, per le sue convinzioni cattoliche, le prime tesi del
protestante Sabatier, ma sentiva il valore di un metodo inteso a cor-
reggere tutto ciò che a noi era giunto attraverso la contaminazione,
le interpolazioni, la leggenda.

Tale esigenza di verità si faceva sentire nello studio dell’arte
sorta da quella civiltà estetica e morale; una produzione immensa
che il mito aveva avvolto sì da nasconderne spesso i tratti autentici,
il valore intrinseco e genuino.

L'umile ma grande Cavalcaselle aveva aperto, con il suo passo
da pellegrino, la strada della critica, il Morelli aveva forgiato i primi
ferri del mestiere alla giovane disciplina. Ed un esercito di studiosi
esplorava un mondo ancora in gran parte nascosto sotto gli occhi di
tutti. i

Il Cristofani non allargò l’orizzonte dei suoi studi oltre i confini
della regione: ma se rimase così legato a quella tradizione locale di
cui si diceva ed in cui era nato, si impadroni dei nuovi strumenti,
come ebbe l'animo aperto alla cultura del tempo suo.

Il suo lavoro fu attento e paziente: nella Storia dell'Arte è ab-
bastanza facile cadere nella retorica, svicolare in una letteratura di
terzo o quarto ordine. Gli scritti di Cristofani, apparsi nel Bollet-
tino d'Arte, nell'Arte, nella Rassegna d'Arte Umbra, nella Augu-
sta Perusia, nel Bollettino della Deputazione di Storia Patria ed
in altre riviste, i suoi contributi al « Thieme Becker» per cui re-
dasse molte voci su artisti umbri, hanno tutto il rigore dello studio
scientifico. Cristofani, di così vivace e colorita parola, era nello
scrivere secco, direi arido. Non un aggettivo di piü, non un'im-

b-
NECROLOGI 145

magine, non uno svolazzo: Cristofani sviscera una questione col bi-
sturi del chirurgo.

Ammiratore dei critici artisti, specie del Vasari, sapeva che se
non si raggiunge quel livello per cui la critica è essa stessa arte, si
rimane confinati nei limiti di un gusto letterario che col tempo passa
di moda, diviene deteriore; proprio ciò che rende fastidiosi e spesso:
inutili gli scritti di tanti suoi contemporanei. Prudentemente Cristo-
fani costrinse la sua opera critica negli argini rigorosi della filologia.

Quando agli inizi del secolo vi fu un entusiasmo generale per
l’arte umbra, Cristofani apparve come uno degli studiosi più seri e
preparati. Grandi e piccoli vennero da lui guardati con lo stesso amore,
da Matteo da Gualdo al Perugino, da un Chola Pictor al Pintoricchio.
Ne ricostruiva l’opera nell'esame dei documenti, nell'attribuzione
stilistica. Da queste solide basi nasceva il giudizio, affatto scevro di
partigianeria e di campanilismo, equilibrato, circonstanziato.

La sua attenzione si fermò non solamente sulle opere di pittura
ma anche sulle cosidette arti minori, le quali, a torto trascurate,
riescono assai spesso, quanto le altre, vive e poetiche testimonianze
dello spirito del tempo. A tal proposito, fra gli altri contributi, va
rammentato il suo studio sull’Arte del Legname in Umbria, un la-
voro fondamentale per la larga documentazione e la ricostruzione
di quell’importantissima attività artigiana ed artistica.

Troppo ci vorrebbe a parlare di ciascuna opera del Cristofani:
e perciò si rimanda il lettore alla Bibliografia qui annessa.

Basterà rammentare i suoi studi per la Mostra d’Arte Umbra
del 1907, tenuta nel Palazzo dei Priori in Perugia, che è poi rimasta
l'iniziativa più importante per la comprensione dell'arte locale. A
quella generale revisione di giudizi e di prospettive, che impegnò i
più grandi storici del tempo, da Adolfo Venturi al Bombe, da Van
Marle allo Gnoli, il Cristofani partecipó con contributi fondamentali.
Ed è veramente da rimpiangere il fatto che egli non abbia mai pen-
sato ad ordinare le sue ricerche in un volume, un volume che sarebbe
oggi prezioso per gli studiosi.

Oltre l'industriosa fatica dello storico é da ricordare il suo vivo
interesse per tutti i problemi di conservazione e restauro del patri-
monio artistico. Più di una volta la sua parola si levò in difesa di un
monumento minacciato dal tempo o dagli uomini, di un affresco in
deperimento, di una pittura da salvare.

Da vecchio, vivo mantenne lo spirito: una delle ultime, se non
proprio l’ultima fatica fu dedicata ad una parola cancellata nel ma-

10
146 NECROLOGI

noscritto della vita celliniana (Integrazione di una frase nella vita
di Benvenuto Cellini, Rivista Lares, Gennaio-Giugno 1957); ove
con sapienza ed acutezza egli rintraccia il significato di una blasfema
espressione perugina nella colorita prosa dell’artista.

Cristofani fu pittore; e fu pittore inconsueto. Lavorava per me-
glio conoscere i « suoi » artisti. In una lettera, scritta negli ultimi mesi
della vita si legge: « Ho fin da giovane avuto qualche rapporto con
pennelli e colori, convinto poi che a parlar di pittura senza conoscere
per nulla il mestiere si corre rischio di scrivere sciocchezze da pren-
dere con le molle: io sono nato ad Assisi dove c’è tanta pittura antica
ma tutt’altro che vecchia ed agli antichi ho guardato come a tecnici
perfetti, cercando di ritrovare la loro tecnica per penetrare meglio
lo spirito del loro linguaggio ».

In queste poche righe è tutto l'animo dell'uomo, il suo amore
all’arte. In quell’arguto richiamo alla distinzione vasariana tra an-
tico e vecchio è l’incitamento a sentire la presenza del passato nella
nostra vita, di guardarlo come cosa moderna.

Risalire dalla tecnica al linguaggio. Cristofani copiava le antiche
pitture o meglio si esercitava in variazioni su quei temi a lui fami-
liari (che poi firmava non senza una punta di compiacimento Justi-
nus de Asisio pinxit), per capire meglio. Un lavoro che lo portava a
scrutare centimetro per centimetro gli originali, che gli faceva valu-
tare il tocco felice, l'attimo di genio, come il mascheramento della
difficoltà, la soluzione di maniera, insomma la stanchezza creativa.
Il suo dipingere era già critica. Ma davvero che non ci sarebbero in
giro meno idee fasulle, meno banalità o assurdità se i critici conosces-
sero qualcosa del mestiere pittorico ?

Né è a dire che la pittura di Cristofani non abbia le sue intrinseche
possibilità: egli fu abile come pochi ed un fatto curioso lo dimostra.
Cristofani completò certe matricole dei Notari in possesso di una
famiglia perugina con gli emblemi dei Rioni. Passate in antiquariato,
le miniature vennero ritenute vere e le matricole finirono in Biblio-
teche celebri. Come a dire che Cristofani fu falsario senza volerlo !

Del resto egli sospettava l’utilizzazione disonesta dei suoi qua-
dri: nelle carte del suo archivio che andrebbero studiate, sono molte
fotografie delle sue opere. Nel retro si legge spesso: « questa pittura
feci io Giustino Cristofani, e donai o vendei alla tal persona. Non so
adesso dove si trovi ma se è finita tra le mani degli antiquari passa
quasi certamente per antica».

Molte sue produzioni si trovano Huttora nelle chiese e presso i
pren

NECROLOGI 147

privati: forse il suo lavoro più impegnativo, quello che meglio dimo-
stra le sue possibilità, rimane la grande tempera nella Chiesa della
Colombella, ove il Cristofani interpretò liberamente 1’ Annunciazione
del Pinturicchio di Spello, con sorprendente facilità, con delicatezza
tutta quattrocentesca, tanto egli s'era immedesimato nello stile e
nello spirito del festoso maestro !

Questa conoscenza profonda del mestiere gli fu naturalmente
di grande aiuto nell’opera di restauro. Perché Cristofani lavorò a
lungo come restauratore di tavole e di affreschi in tutta l'Umbria:
ed anche sotto tale aspetto molto dobbiamo a lui.

Infine c’è il Cristofani insegnante. Prima di Lettere italiane e
latine, di Storia e di Storia dell'Arte nei Ginnasi e Licei dell'Umbria:
poi di Storia dell'Arte nell'Università per Stranieri di Perugia.

La severa formazione umanistica, la pratica stessa di pittore
gli davano una gran completezza nel trattare di un periodo, di un
artista. Mai fu un pedante, un « professore » nel senso cattivo del
termine. Ancora pochi anni addietro teneva un corso su Giotto, il
suo cavallo di battaglia. Giotto toscano, che nell' Umbria di San Fran-
cesco aveva trovato l'incanto della sua arte nuova. Gli stranieri
accorsi alle sue lezioni non sapevano se più ammirare la scienza o
l'entusiasmo di quest'ottantenne che con Giotto viveva la giovinezza
eterna della poesia.

Conduceva gli studenti nelle città dell'Umbria, della Toscana,
delle Marche, della Romagna: fino a Urbino, a Siena, a Ravenna.

Gite spesso pesanti, stancanti anche per i giovani. Cristofani
non sentiva la fatica del viaggio, quella delle ore passate nei Musei
parlando ad alta voce a tante persone, quella di illustrare nel movi-
mento delle città i monumenti d’architettura. Parlava, accaloran-
dosi come sempre, parlava intrecciando alle notizie d’arte, notizie
storiche fino a ripopolare l’ambiente dei personaggi celebri di un tem-
po, fino ad animare di nuovo chiese e palazzi. Si dimenticava allora
d’essere vecchio.

Gli ultimi tempi furono dolorosi: dapprima la scomparsa della
moglie, poi la infermità della figlia e la stessa sua grave malattia.
Mai vennero meno in lui la serenità e la forza d’animo con cui sempre
era vissuto.

Cristofani morì il 23 Ottobre 1958; se ne andò silenziosamente
come chi ha la coscienza in pace.

Resterà l’opera dello studioso e del pittore, la memoria dell’in-
segnante. Ed ancora l'esempio di un uomo che seppe vivere in li-
148 NECROLOGI

bertà, sopratutto in libertà interiore. Essa per gli studiosi è la più
difficile a conservare. Quante cose si dicono o non si dicono, si scri-
vono o non si scrivono per convenienza, perché non si vuol dispiacere
ad un amico, oppure solamente perché si teme di approfondire il
proprio pensiero.

Cristofani passó per la sua schiettezza, per il suo vivace assen-
tire o dissentire per ruvido e burbero, mentre fu l'uomo più buono
schietto e leale di questo mondo. Solamente non scese mai a com-
promessi.

Insegnó a non essere conformisti con ogni sua azione e con la
stessa sua vita culturale, artistica e religiosa.

Forse è questa la sua eredità più importante.

PIETRO SCARPELLINI

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scritto del Cristofani ma di un importante documento da lui rinvenuto
nell'archivio di S. Francesco ad Assisi e pubblicato in questo volume.
A. Crivellucci in una breve nota descrive il documento e le ricerche del
Cristofani).

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9. Un'opera ignorata di Fiorenzo di Lorenzo, in Augusta Perusia, Anno I,
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6. Nel S. Agostino di Perugia, in Augusta Perusia, Anno I, n. IX, settembre
1906, pp. 128-130. /

7. Un dittico inedito di Cola Petruccioli da Orvieto, in Augusta Perusia, Anno
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8. Un trittico fabrianese ed il polittico di Ottaviano Nelli alla mostra di Perugia,
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9. La mostra di antica arte umbra a Perugia, in L' Arte, Anno X, fasc. IV,

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10.

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NECROLOGI 149

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Recensione in Augusta Perusia, Anno III, nn. VI-VII-VIII e IX, giugno-
luglio, agosto e settembre 1908.

. I più antichi documenti sulle maioliche di Deruta e sui tessuti detti « peru-

gini » nell’archivio francescano di Assisi, in Boll. della Dep. di St. Patria
per l'Umbria, Vol. XV (1909) pp. 359-63.

. Della chiesa di Assisi dove veramente si trovava la Pietà di Niccoló da Fo-

ligno lodata da Giorgio Vasari, in Boll. della Dep. di St. Patria per l'Um-
bria, Vol. XV (1909) pp. 373-78.

. Le vetrate di Giovanni di Bonino nella Basilica di Assisi, in Rassegna d' Arte

Umbra, Anno II, fasc. I, 1 gennaio 1909, pp. 3-13.

. Appunti critici sulla scuola folignate (dipinti mal noti od inediti), in Bol-

lettino d' Arte, Anno V, fasc. III-IV, marzo-aprile 1911, pp. 93-105.

. Le vetrate del 500 nella Basilica inferiore di Assisi, in Rassegna d'Arte,

Anno IX, n. IX, settembre 1911, pp. 153-160; Anno XI, n. X, ottobre
1911, pp. 93-105.

. Le vetrate di San Francesco in Assisi (A proposito di una recente pubblica-

zione) in Boll. della Dep. di St. Patria per l'Umbria, Vol. XVIII (1912)
pp. 45-70.

. Una data sicura nella vita di Pellegrino di San Daniele, in L'Arte, Anno

XV, 1912, pp. 200-201.

. L'iconographie des vitraux du XIII siècle de la basilique d' Assisi, in Revue

de l' Art chrétien, LV, Annee 1912, Tome LXII. Fascicoli, nn. II, pp. 111-
116; n. IV, pp. 271-282; n. V, pp. 351-360

Matteo di Pietro da Gualdo (dipinti inediti o sconosciuti), in L' Arte, Anno
XVI, 1913, pp. 50-57.

Dipinti inediti di Simone Martini nella Basilica inferiore d' Assisi, in L' Arte,
Anno XVI, 1913, pp. 131-135.

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150

NECROLOGI

GnoLI U., Raffaello e la « Incoronazione » di Monteluce, in Bollettino d' As-
sisi, XI, 1917, 5-7, Recensione in Boll. della Dep. di St. Patria per l'Um-
bria, Vol. XXIII, 1918, pp. 355-57.

LorHRrop S., Bartolomeo Caporali, Extr. from Memoirs of the American
Academy in Rome, Bergamo, 1917. Recens. in Boll. della Dep. di St. Patria
per l'Umbria, Vol. XXIII (1918), pp. 353-54.

GnoLI U., Giannicola di Paolo, in Bollettino d' Arte, XII, 1918, 1-4, recen-
sione in Boll. della Dep. di St. Patria per l'Umbria, Vol. XXIII, 1918,
354-55.

Prefazione al Vol. XXVIII del Boll. della Dep. di St. Patria per l’ Umbria,
Vol. XXVIII, 1924, pp. III-X.

Un ignorato autoritratto del Pintoricchio nelle sale Borgia, in Bollettino
d' Arte, Anno V, serie II, fasc. II, agosto 1925, pp. 80-83.

CeccHINI G., La Galleria nazionale dell' Umbria in Perugia, Anno 1932,
Recensione in Boll. della Dep. di St. Patria per l'Umbria, Vol. XXXI,
pp. 126-27.

GnoLI U., Pittori e miniatori nell' Umbria, Spoleto 1923. Recensione in
Boll. della Dep. di St. Patria per U' Umbria, Vol. X XXI, pp. 127-28.
GUERRIERI R., Storia civile ed ecclesiastica del Comune di Gualdo Tadino,
Gubbio 1933. Recensione in Boll. della Dep. di St. Patria per l’ Umbria,
Vol. XXXI, pp. 128-31.

Ritmi veneziani nel Palazzo dei Priori a Perugia, in Atti del II Convegno
Nazionale di Storia dell’ Architettura, Assisi, 1-4 ottobse 1937, Roma,
1939, pp. 221-222.

La data di costruzione del Palazzo del Podestà in Assisi, in Atti del II Con-
vegno Nazionale di Storia dell’ Architettura, Assisi, 1-3 ottobre 1937, Roma,
1939, pp. 222.

Rivendicazione di alcune opere di Antonio Cristofani, in Boll. della Dep.
di St. Patria per l’ Umbria, Vol. XLI, 1944, pp. 235-37.

CnisTOFANI G. e VENANZI CARLO Gino, La copertura della Basilica di
San Francesco in Assisi, ibid, pp. 223-224.

Quattro secoli di pittura in Umbria, in Illustrazione italiana, n. 26 del 30
giugno 1946, pp. 423-425.

L’insegnamento della Storia dell’ Arte, in Perusia, Perugia, Agosto 1951.
Note d’ Arte in Assisi, in Atti dell’ Accademia Properziana del Subasio,
Assisi, 1955, pp. 23-27.

San Benedetto al Subasio, in Atti del V Convegno Nazionale di Storia del-
lU Architettura, Perugia, 1948, 1957, pp. 481-482.

Le vicende di un grande monumento nell'ultimo sessantennio, ibid., pp.'639-
642.

Integrazione di una frase nella vita di Benvenuto Cellini, in Lares, Organo
dell'Etnografia italiana, Anno XXIII, fasc. II, gennaio-giugno 1957,
pp. 15-20.

ANTONIO CRISTOFANI, Le Storie di Assisi, IV edizione curata dal Prof.
Giustino Cristofani, figlio dell'autore. Venezia, Nuova Editoriale, 1959
(con due brevi note di Giustino Cristofarii).

Varie voci nel Allgemaaies in Lexikon der Bildende Künstler di U. THiEME
e F. BECKER, Leipzig, 1907-50.
ATTI DELLA DEPUTAZIONE

ADUNANZA DEL CONSIGLIO DIRETTIVO
DEL 16 DICEMBRE 1956

Presenti: ABATE p. Giuseppe, BeLFORTI dott. Raffaello, Bnr-
GANTI dott. Francesco, CECCHINI prof. Giovanni, SALVATORELLI prof.
Luigi.

La seduta è aperta alle ore 10,45. Presiede il prof. Giovanni Cec-
chini.

Il Presidente fa una breve esposizione della situazione finanzia-
ria in cui si trova la Deputazione. Soddisfatti i conti per la stampa
dei volumi arretrati del Bollettino che sono usciti nell’ultimo anno, la
Deputazione allo stato attuale può fare assegnamento sulle seguenti
entrate: il contributo ordinario del Ministero della Pubblica Istru-
zione di L. 25.000, quello straordinario del medesimo Ministero por-
tato da due anni a L. 1.000.000; il contributo della Presidenza del
Consiglio sui fondi messi a disposizione dall’Ente della Carta e della
Cellulosa in favore dei periodici di alto valore culturale, in L. 100.000;
il contributo del Comune di Perugia in L. 20.000. In più è da valutare
intorno alle L. 100.000 il gettito delle quote dei soci, e a qualche de-
cina di migliaia di lire il ricavato della vendita del Bollettino.

Poiché per lungo periodo di tempo dopo la fondazione la Depu-
tazione ha regolarmente ricevuto sussidi annui in forma continuativa
dagli Enti locali della Regione e dai maggiori istituti di credito locali,
sarà bene sviluppare un programma di assidue cure per riattivare gra-
dualmente questa importante fonte di proventi.

In considerazione del limitato volume delle spese fisse, rappre-
sentate dal compenso al segretario-bibliotecario e al fattorino, e dalle
spese postali e di cancelleria, è possibile destinare quasi tutti i proventi
alle pubblicazioni, al cui incremento occorrerà rivolgere le più assidue
e fervide cure. :
152 ATTI DELLA DEPUTAZIONE

La pubblicazione base della Deputazione è quella periodica del
Bollettino, al quale, secondo la proposta del Presidente, converrà dare
più dignitosa veste formale e maggior ordine e migliore distribuzione
di materiale critico-storico ed informativo.

Il Consiglio, dopo esauriente discussione, a cui partecipano tutti i
membri, conviene sull’opportunità di impostare la pubblicazione del
Bollettino su un criterio redazionale, per il quale in linea generale
siano previste alcune parti essenziali: atti della Deputazione, contri-
buti originali di carattere critico (memorie, studi, saggi ecc.) e docu-
menti di notevole importanza; amplia bibliografia sotto la forma di
recensione critica e di cenno informativo. Sarà anche tenuto conto
della necessità di indurre i collaboratori a fornire contributi intorno
ad argomenti ben definiti e condotti con compiutezza di visuale e di
conclusione.

Al duplice scopo di aumentare entro i limiti possibili e convenienti
la snellezza del periodico e di affidare a volumetti a sé stanti i contri-
buti che anche per la loro mole poco si confanno al Bollettino, il Con-
siglio ritiene opportuno, ove i mezzi finanziari lo consentano, di riat-
tivare la collezione delle Appendici al Bollettino.

Per la ripresa della collezione delle Fonti, il Presidente informa il
Consiglio che si offrono due possibilità: la prosecuzione della pubbli-
cazione dei regesti delle Riformanze del Comune di Perugia dell’An-
sidei, se gli eredi, coi quali è già stato preso qualche contatto, lo con-
sentiranno; e la stampa degli Statuti del Comune di Foligno nella tra-
scrizione con commento critico, storico e filologico del compianto prof.
don Angelo Messini. Il Presidente riferisce che per poter sostenere
l’onere assai rilevante della spesa occorrente per la pubblicazione del
volume degli Statuti di Foligno egli ha preso contatti con la Cassa
di Risparmio di quella città per un aiuto finanziario, ma sinora senza
positivi risultati.

Il Presidente informa che è quasi pronto l’indice dei cinquantuno
volumi del Bollettino, compilato dalla dott. Olga Marinelli; esso co-
stituirà uno strumento ormai indispensabile per la rapida e agevole
consultazione della collezione e verrà pubblicato in volume, venendo a
costituire il LII della collezione, corrispondente all’anno 1955. Suc-
cessivamente sarà pubblicato nella nuova veste il vol. LIII (1956).

Il Consiglio delibera di riprendere la feconda consuetudine dei
convegni storici regionali, per cui nell'autunno del 1957 se ne terrà
uno, il quarto, a Perugia con la trattazione dell’argomento « Storio-
grafia e storiografi in Umbria nel sec. xix ».
ATTI DELLA DEPUTAZIONE 153

Su proposta del dott. Francesco Briganti il Consiglio formula e
approva il seguente voto a favore del sollecito approntamento della
nuova sede per la Biblioteca Augusta:

« Il Consiglio Direttivo della Deputazione di Storia Patria per
l'Umbria, considerata la condizione anormale e pregiudizievole per la
custodia di parte del materiale bibliografico e per il disimpegno dei
servizi, in cui, per effetto dell’accertamento delle precarie condizioni
statiche del Palazzo dei Priori, è venuta a trovarsi dal 1951 la Biblio-
teca Augusta;

mentre plaude al proposito formulato dall’Amministrazione
Comunale di costruire un edificio appositamente destinato alla Biblio-
teca;

esprime il voto affinché l'Amministrazione stessa provveda
nel modo più spedito e più soddisfacente all'allestimento di una sede
adeguata alla ricchezza e all'importanza delle collezioni della Biblio-
teca e idonea alla piena esplicazione della funzione che ad essa com-
pete, quale massimo istituto bibliografico della Regione Umbra, nel
disimpegno dei propri servizi svolti a favore dell’incremento degli
studi, del progresso della cultura nazionale, della diffusione dell’istru-
zione fra il popolo ».

La seduta è tolta alle ore 12.20.

Il Segretario Il Presidente
PAOLA SCARAMUCCI GIOVANNI CECCHINI

ADUNANZA DEL CONSIGLIO DIRETTIVO
DEL 7 LUGLIO 1957

Presenti: ABATE p. Giuseppe, CECCHINI prof. Giovanni, SALVA-
TORELLI prof. Luigi. Assenti: BELFORTI dott. Raffaele, BRIGANTI dott.
Francesco.

Presiede il prof. Giovanni Ccecchini; la seduta è aperta alle ore
10.45.

Il Presidente dà lettura del verbale della precedente riunione,
che viene approvato.

Sul IV Convegno storico umbro il Presidente riferisce che il prof.
Ghisalberti, pur avendo a suo tempo accettato l’incarico di tenere la
relazione principale, ha comunicato che per sopraggiunti impegni, so-

^^
154 ATTI DELLA DEPUTAZIONE

pratutto all’estero, non potrà assolvere tale compito per la data pre-
vista del Convegno, alla fine estate o inizio dell'autunno; il Presidente
ha già risposto invitando il prof. Ghisalberti a scegliere lui stesso il
periodo che gli sembrerà più opportuno, purché non si debba rinun-
ciare alla sua relazione; il Consiglio approva, convenendo che si può
rinviare il Convegno alla primavera 1958. Quanto alla località del
Convegno, rimane confermato che esso si svolgerà a Perugia.

Il Presidente illustra quindi la situazione finanziaria: la Deputa-
zione, avendo soddisfatto tutti i conti con la tipografia per la stampa
dei numeri arretrati del Bollettino, ha la disponibilità di L. 1.500.000.
Il Presidente informa il Consiglio dell’azione svolta per la riattiva-
zione dei sussidi da parte degli Enti locali e istituti di credito; allo sta-
to attuale per il 1957 sono assicurati contributi, che ci si augura di-
vengano continuativi, per L. 350.000.

La Fondazione Bertini Calosso è ora arrivata alla somma di
L. 1.648.460; è opinione del Presidente, condivisa dal Consiglio, che
sia opportuno chiedere al Ministero della P. I. l'arrotondamento a
due milioni.

Il Presidente espone il caso del socio Amedeo Morelli, il quale ha
chiesto di essere esentato dal pagamento delle quote sociali: poiché
non esiste nello statuto una categoria di soci esonerati da tale obbli-
go, il Consiglio ritiene di dover considerare il sig. A. Morelli decaduto
dal ruolo dei soci corrispondenti.

Dopo aver accennato all’attività che la Deputazione sta svolgen-
do, in particolare pei cambi di pubblicazioni che sono stati ristabiliti
o iniziati, il Presidente espone un programma per l’attività futura.
Nella Collezione delle Fonti, superate alcune difficoltà di ordine finan-
ziario e tecnico, il Consiglio si propone di includere il volume degli
Statuti del Comune di Foligno curato dal dott. don Angelo Messini,
e almeno il secondo volume dei regesti delle riformanze del Comune
di Perugia del conte dott. Vincenzo Ansidei.

Per la formazione del vol. LIII, la cui pubblicazione è prevista
per la fine dell’anno corrente, si attende dai soci e collaboratori. che
ne hanno avuto l’incarico il conferimento del materiale promesso.

La seduta è tolta alle ore 12.30.

Il Segretario Il Presidente
PAOLA SCARAMUCCI GIOVANNI CECCHINI
gs li : sua E. -— I j V i. x ATTI DELLA DEPUTAZIONE 155

ADUNANZA DEL CONSIGLIO DIRETTIVO
DEL 6 LUGLIO 1958

Presenti tutti i componenti del Consiglio: ABATE p. Giuseppe,
BeLFORTI dott. Raffaele, BRIGANTI dott. Francesco, CECCHINI prof.
Giovanni, SALVATORELLI prof. Luigi.

Sotto la presidenza del Presidente, prof. Giovanni Cecchini, la
seduta ha inizio alle ore 10.30, con la lettura del verbale dell’ultima
adunanza di Consiglio, che viene approvato all'unanimità.

Circa la situazione finanziaria della Deputazione, il Presidente
riferisce che i contributi degli Enti Locali sono in leggero aumento in
confronto a quelli dell’anno 1957, tanto che si può sperare di giungere
ad un totale di L. 400.000. |

Si passa poi alla trattazione di vari argomenti: il Presidente ha
avuto dall'ing. Messini una copia del volume degli statuti del Comune
di Foligno, curato da don Angelo Messini, ma vi ha riscontrato lacune
negli elementi di corredo e sopratutto nel testo; perció lo stesso ing.
Messini ha ritirato questa copia e si attende conferma ad una notizia
secondo la quale dovrebbe esistere una seconda copia del manoscritto,
che potrebbe rivelarsi piü completa.

Per ció che concerne poi il Regesto delle Riformanze del Comune
di Perugia, curato dal conte V. Ansidei, e la cui pubblicazione rientra,
come risulta dal verbale precedente, nei propositi del Consiglio, si è
saputo che le carte relative sono in possesso del dott. Giulio Vicarelli;
si decide quindi che il Presidente si metta in contatto con lui, per cono-
scerne le intenzioni a tale proposito.

Il vol. LII del Bollettino è in corso di stampa; il Presidente rife-
risce al Consiglio che egli, pur apprezzando i dati positivi presentati
dalla Tipografia Porziuncola, ha dovuto constatare che il lavoro è
spesso rallentato da difficoltà di organizzazione; egli propone quindi
che, per evitare di essere trascinati in ulteriori ritardi nella pubblica-
zione del Bollettino, si torni a trattare con la Tipografia Panetto e
Petrelli di Spoleto, consegnando ad essa il materiale di cui si dispone
per i volumi LIII e LIV. Il Consiglio approva tale proposta.

Per quanto riguarda la situazione interna della Deputazione, si
approva la proposta del Presidente di riattivare la categoria degli
abbonati al Bollettino, che esistevano in passato, e che avranno di-
ritto a ricevere il Bollettino stesso per una quota annua di L. 1.200.
156 ATTI DELLA DEPUTAZIONE

Il Presidente chiede poi ai membri del Consiglio di formulare
proposte per la nomina di nuovi soci, specie per la categoria degli
aggregati che non presenta limitazioni di numero.

Su invito del Presidente la Segretaria dà notizia dei soci ehe,
nonostante le sollecitazioni, sono rimasti arretrati col pagamento
delle quote, di numero del resto assai limitato. Il Consiglio ritiene
opportuno che a ciascuno di essi venga inviata la specifica di quanto
dovuto con l’invito ad assolvere il proprio obbligo verso la Deputa-
zione, pena la decadenza dalla condizione di socio.

Infine il Presidente propone che sia diretta a tutti i soci una cir-

colare, per invitarli a dare al Bollettino e alla vita della Deputazione
un fattivo contributo.
(INR Il Consiglio approva la proposta del Presidente, che sia elargita
una somma alla dott. Marinelli, a titolo rimborso delle spese da lei
sostenute nella preparazione del vol. LII del Bollettino: la cifra è fis-
sata in L. 50.000.

Il Convegno storico umbro è stato finora rinviato, in attesa che
sia disponibile il prof. Ghisalberti, il quale dovrà tenere la relazione
principale: il prof. Salvatorelli riferisce al Consiglio che il prof. Ghi-
salberti sarà a Perugia nel mese di luglio; si spera quindi che sia pos-
sibile al più presto fissare per il Convegno una data, che sarà presu-
mibilmente nella seconda metà di ottobre o in novembre.

Il Presidente dà poi lettura di una lettera del p. Emilio Ardu, il
quale, con l’appoggio del socio prof. Ignazio Baldelli, propone che la
Deputazione assuma l’iniziativa di una celebrazione del settimo cen-
tenario di Raniero Fasani e del Movimento dei Disciplinati, con un
programma di massima che lo stesso p. Ardu traccia e che può con-
cretarsi nei seguenti punti: a) convegno nazionale o internazionale;
b) mostra di codici, manoscritti ecc.; c) rappresentazione di drammi
sacri.

Il Consiglio, dopo nutrita discussione, decide di prendere l’ini-
ziativa di tale celebrazione centenaria, con un convegno nazionale
che contempli inviti eventuali, nei casi strettamente necessari, a stu-
diosi stranieri, e secondo il programma sopra enunciato. A tale scopo
stabilisce la costituzione (che potrà eventualmente essere preceduta
da un'intesa con l'Istituto storico italiano per il Medio Evo) di un
comitato d'onore e d'un comitato organizzatore o esecutivo, compo-
sto di un limitato numero di persone (cinque o sei), che si assuma
il lavoro organizzativo, e del quale entrino a far parte il p. Ardu, il
prof. Baldelli, il Presidente, in rappresentanza della Deputazione, e

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ATTI DELLA DEPUTAZIONE 157

altre persone particolarmente qualificate allo studio dell'argomento
sotto i vari punti di vista nei quali è prospettato dal programma pro-
posto da p. Ardu (storico-religioso, letterario, sociale, artistico).

Infine si parla di un possibile intervento della Deputazione nelle
celebrazioni centenarie del XX giugno 1859. Il Presidente comunica
che egli si è già permesso avanzare all'apposito Comitato l'eventua-
lità che la Deputazione assuma la pubblicazione della documenta-
zione pubblicistica, e il Consiglio lo autorizza, approvando l'inizia-
tiva, ad organizzare una adeguata ricerca e pubblicazione di docu-
menti.

A tale proposito, il vice presidente Belforti riferisce alcune noti-
zie su una relazione dei fatti del 1859 che sarebbe stata compilata da
un Rossi Scotti, e su un’altra che doveva trovarsi presso la famiglia
Conestabile; e infine su un’inchiesta che fu condotta dal Governo italia-
no, il testo della quale sembra trovarsi presso la Procura della Repub-
blica.

La seduta è tolta alle ore 12.30.

Il Segretario Il Presidente
PAOLA SCARAMUCCI GIOVANNI CECCHINI

ADUNANZA DEL CONSIGLIO DIRETTIVO
DELL'8 OTTOBRE 1958

Presenti: il prof. Giovanni CECCHINI, presidente, il dott. Raffaele
BELFORTI, vicepresidente, p. Giuseppe ABATE, il dott. Francesco
BRIGANTI, il prof. Luigi SALVATORELLI.

Presiede il prof. G. Cecchini. La seduta è aperta alle ore 10,
con la lettura del verbale dell’ultima adunanza di consiglio, che viene
approvato all’unanimità.

Si parla della pubblicazione da preparare per la celebrazione cen-
tenaria del XX giugno 1859: a proposito della quale si decide di in-
cludervi il rapporto, già edito, del colonello Schmid e di ricercare
presso gli Uffici Giudiziari la relazione dell’inchiesta disposta dal Go-
verno italiano, rimasta inedita.
158 ATTI DELLA DEPUTAZIONE

Si passa quindi a parlare delle celebrazioni, secondo un program-
ma da stabilire, del settimo centenario di Raniero Fasani e del Movi-
mento dei Disciplinati; il Consiglio discute la composizione del Co-
mitato Organizzatore, al quale spetta la preparazione e l’attuazione
del programma della manifestazione, e decide di includervi definiti-
vamente i seguenti signori: p. dott. Emilio Ardu, prof. Ignazio Bal-

delli, prof. Giovanni Cecchini, prof. Arsenio Frugoni, prof. Raffaello

Morghen, m° dott. Francesco Siciliani.

Si prevede che la celebrazione comprenderà: un Convegno inter-
nazionale di Studi che per mezzo di relazioni elaborate da specialisti
illustri l'argomento negli aspetti storico, sociale, letterario e artistico;
una Mostra di documenti, di manoscritti e d’opere d’arte figurativa;
l'esecuzione di una lauda musicale.

Il Consiglio provvederà piü tardi alla costituzione di un Comitato
d'onore. I componenti pensano che sia utile dare al Convegno una larga
e tempestiva pubblicità.

Infine il Presidente parla brevemente della situazione finanziaria
della Deputazione, sopratutto in relazione al sussidio straordinario
del Ministero della Pubblica Istruzione, la cui concessione sembra
presentare per l'anno in corso qualche difficoltà, o almeno qualche
ritardo. Si ritiene comunque opportuno chiedere agli Enti sov-
ventorf un contributo per le manifestazioni del centenario dei Di-
sciplinati.

La seduta è tolta alle ore 11.30.

Il Segretario | Il Presidente

PAOLA SCARAMUCCI GIOVANNI CECCHINI

ADUNANZA DEL CONSIGLIO DIRETTIVO
DEL 21 GIUGNO 1959

Presenti: ABATE p. Giuseppe, BrIGANTI dott. Francesco, CEccHI- -

NI prof. Giovanni, SALvATORELLI prof. Luigi. Assente giustificato
il dott. Raffaele BELFORTI.

Sotto la presidente del Presidente prof. G. Cecchini la seduta è
aperta alle ore 10,30.

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ATTI DELLA DEPUTAZIONE 159

Il Presidente dà lettura del verbale della precedente adunanza,
che viene approvato all'unanimità. Egli legge poi una lettera del vice
presidente Belforti, che presenta le sue dimissioni dalla carica per
motivi di salute; il Consiglio decide concordemente di respingerle.

Il Presidente mette al corrente il Consiglio circa la formazione
dei volumi LV e LVI che si stanno preparando, e circa il vol. n. 8 delle
Appendici al Bollettino, che è stato pubblicato in occasione del cen-
tenario del 20 giugno 1859.

Esaminata brevemente la situazione finanziaria, si passa a par-
lare della celebrazione centenaria del Movimento dei Disciplinati,
sia per quanto riguarda il programma delle manifestazioni, sia per le
considerazioni di carattere finanziario.

Il Presidente legge al Consiglio la domanda di p. Emilio Ardu,
membro del Comitato Organizzatore della celebrazione stessa, che chie-
de un aiuto economico della Deputazione per poter attuare alcune ri-
cerche su Raniero Fasani: il sussidio viene accordato nella misura di
L. 50.000 (cinquantamila). .

Si accenna quindi al Convegno storico che si vorrebbe tenere in
settembre.

Dopo che sono stati ricordati il prof. Giustino Cristofani e altri
soci recentemente scomparsi, la seduta è tolta alle ore 12.

Il Segretario Il Presidente
PAOLA SCARAMUCCI GIOVANNI CECCHINI

ADUNANZA DEL CONSIGLIO DIRETTIVO
DEL 14 SETTEMBRE 1960

Presenti: il Presidente prof. Giovanni CECCHINI e i consiglieri
p. Giuseppe ABATE, dott. Francesco BRIGANTI, prof. Luigi SALVATO-
relli. Assente giustificato il vice presidente dott. Raffaele BELFORTI.
Il Presidente, aperta la seduta alle ore 10.30, dà lettura del ver-
bale della precedente adunanza, che viene approvato all'unanimità.
Si pongono in discussione alcuni particolari relativi all’organiz-
zione del Convegno Internazionale sul VII Centenario del Movimento
dei Disciplinati, cui la Deputazione ha dato vita, e che avrà inizio
160 ATTI DELLA DEPUTAZIONE

domenica 25 del mese in corso, sopratutto per quello che riguarda
la cerimonia inaugurale.

Il Presidente propone che si tenga in tale occasione una assem-
blea generale dei Soci della Deputazione, mentre verrebbe rinviata
al mese successivo (o ai mesi successivi) l’ Assemblea dei Soci Ordi-
nari. Il Consiglio dà la sua approvazione a tale proposta, e decide che
i Soci siano convocati per le ore 17 di domenica 25 settembre.

Si ricordano infine alcuni Soci recentemente defunti, per i quali
si provvederà secondo la consuetudine a pubblicare sul Bollettino i
necrologi.

La seduta è tolta alle ore 12.

Il Segretario . - Il Presidente
PAOLA SCARAMUCCI GIOVANNI CECCHINI

ADUNANZA DEL CONSIGLIO DIRETTIVO
DEL 28 DICEMBRE 1960

Presenti: il presidente prof. Giovanni CEccHINI e i consiglieri
p. Giuseppe ABaTe, dott. Francesco BRIGANTI, prof. Luigi SALVA-
TORELLI.

Assente giustificato il vice presidente dott. Raffaele BELFORTI.

Il Presidente, aperta la seduta alle ore 11,15, dà lettura del ver-
bale della precedente adunanza; si rileva che in esso risulta omessa,
per dimenticanza del Segretario, la decisione presa dal Consiglio di
assegnare al dott. Emilio Ardu S. J. un ulteriore sussidio di L. 50.000,
per aiutarlo ad effettuare le ricerche archivistiche su Raniero Fasani.
Chiarito questo punto, il verbale viene approvato e si passa agli ar-
gomenti previsti dall’ordine del giorno.

Il Presidente fa il punto sulla situazione finanziaria, che risulta
in linea di massima soddisfacente, pur tenendo conto delle spese ef-
fettuate per il Convegno dedicato al Movimento dei Disciplinati.

Si parla quindi della Assemblea dei Soci Ordinari che dovrà es-
sere convocata per il rinnovo del Consiglio Direttivo: si decide di far-
lo entro i prossimi due mesi e si discute poi sul locale che ospiterà l'As-
semblea stessa, nonché sull’ordine del giorno che in linea di massima
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ATTI DELLA DEPUTAZIONE 161

si articolerà sui seguenti punti: relazione del Presidente; quote sociali,
per le quali si prospetta la necessità di un aumento, e di una gradua-
zione fra le varie categorie di soci; nomina di nuovi soci.

Fino da ora i membri del Consiglio fanno alcuni nomi che saran-
no inclusi nella compilazione dell'elenco da portare all'approvazione
dell'Assemblea per la nomina, secondo il disposto dell'art. 9 comma
c dello statuto.

Si discute quindi sulla forma da dare alla pubblicazione degli
atti del Convegno sui Disciplinati; il Consiglio si orienta verso la pub-
blicazione di tali Atti come volume della serie di Appendici al Bollet-
tino nel caso che si abbiano a disposizione i mezzi finanziari occorrenti,
che potranno essere rappresentati dalla ripresa dell'erogazione da
parte del Ministero della Pubblica Istruzione del sussidio straordina-
rio, non corrisposto nell'esercizio finanziario 1959-60.

Altri elementi che vengono portati in discussione sono i seguenti:
lo statuto della Fondazione Bertini Calosso; la pubblicazione di testi,
nella collezione delle Fonti o tra le Appendici, suggeriti dal dott. Bri-
ganti; la proposta, avanzata al Convegno dei Disciplinati dal prof.

Raffaello Morghen, di attuare presso la Deputazione uno schedario .

bibliografico di raccolta sui Disciplinati; il necrologio del socio de-
funto prof. Chabod.

Dopo ampi interventi dei membri del Consiglio, la seduta è tolta
alle ore 13.

Il Segretario Il Presidente
PAOLA SCARAMUCCI GIOVANNI CECCHINI

ASSEMBLEA GENERALE DEI SOCI DELLA DEPUTAZIONE
25 settembre 1960

Presenti: il Presidente prof. Giovanni CECCHINI, e i soci p. Giu-
seppe ABATE, prof. Ignazio BAaLDELLI, prof. Giovanni BIZzOzzERO,
dott. Francesco BRIGANTI, dott. Umberto CiorrI, mons. dott. Bruno
FRATTEGIANI, dott. Franco MANCINI, prof. Raffaello MonGHEN,
prof. Gioacchino NicoLETTI, dott. don Mario PERICOLI, p. Raimondo
POLTICCHIA, dott. Francesco SANTI, dott. Paola ScARAMUCCI, dott.
Danilo SEGOLONI, prof. Francesco UGOLINI, p. Giuseppe ZACCARIA.

«c
162 ATTI DELLA DEPUTAZIONE

La seduta è aperta alle ore 17.15 dal Presidente, il quale fa una
relazione sulla attività della Deputazione, a partire dall'Assemblea
dei Soci Ordinari del 28 ottobre 1956.

L'esposizione verte sui seguenti punti:

a) numero dei Soci, che deve essere integrato, e per cui si sol-
lecitano eventuali proposte di nominativi;

b) situazione finanziaria, con particolare riguardo alle entrate
straordinarie per il Convegno commemorativo del Movimento dei Di-
sciplinati, che in data odierna si è inaugurato;

c) formazione del Bollettino, ed auspicabile continuazione della
pubblicazione delle Fonti e delle Appendici. A proposito della pubbli-
cazione delle Fonti storiche si prospetta la difficoltà della prosecuzione
della serie di regesti delle riformanze predisposti dal conte dott. Vin-
cenzo Ansidei, e della messa a punto degli Statuti del Comune e del
Popolo di Foligno, già trascritti da mons. dott. Angelo Messini.

Si fa presente la necessità di nuove leve di giovani che si interes-
sino a ricerche storiche regionali, e di collaboratori sui quali si possa
fare affidamento per lo spoglio bibliografico che è parte essenziale del
Bollettino.

Si apre quindi la discussione con l'intervento del prof. Raffaello
Morghen, socio ordinario, il quale, dopo aver accennato alla storia e
alle vicende delle Deputazioni di Storia Patria, si è rifatto in parti-
colare a considerare la Deputazione umbra, ricordando l’opera del
compianto prof. Achille Bertini Calosso e quella dell’attuale Presi-
dente prof. Giovanni Cecchini. Egli ha auspicato che l’attività della
Deputazione si faccia più ampia e più intensa, in primo luogo con
Convegni regionali (uno di questi potrebbe avere per tema il cente-
nario della Deputazione) e con l’eventuale fondazione di sezioni in
centri minori, per una diffusione capillare; in secondo luogo con l’as-
siduo contributo di studiosi locali, fra i quali potrebbero particolar-
mente essere avviati a tale genere di studi nuovi elementi da attin-
gersi alla Facoltà di Lettere. Per questo scopo potrà essere utile il
premio che verrà corrisposto dalla Fondazione Bertini Calosso.

Il Presidente risponde, mettendo in luce l’utilità della presenza
di eminenti studiosi pure non residenti a Perugia (come lo stesso prof.
Morghen, come il prof. Salvatorelli e altri) accanto agli studiosi locali.

Si hanno quindi, in ordine, i seguenti interventi, cui viene rispo-
sto di volta in volta dal Presidente. ATTI DELLA DEPUTAZIONE 163

Il dott. Francesco Briganti, socio ordinario, suggerisce che venga
pubblicato un necrologio del socio Giustiniano Degli Azzi Vitelleschi,
che è stato uno dei promotori della Deputazione. Inoltre fa presente
che ha pronto del materiale che potrà essere pubblicato nelle Appen-
dici al Bollettino.

Il dott. Danilo Segoloni, socio corrispondente, chiede quali siano
le condizioni della attuale sede della Deputazione. Fa poi presente la
necessità di uno schedario di spoglio di riviste su argomenti umbri, e
suggerisce per questo la possibilità di rivolgersi alle Biblioteche locali.

Il prof. Francesco Ugolini, socio corrispondente, promette la
collaborazione della Facoltà di Lettere, nell’ambito della quale egli ha
già cominciato ad assegnare tesi di laurea di argomento umbro. Quindi
esprime il suo desiderio di attuare una stampa delle cronache volgari
perugine del Medioevo: per questo egli pensa che possa essere di estre-
ma utilità una collaborazione tra la Facoltà di Lettere e la Deputa-
zione.

Il prof. Gioacchino Nicoletti, socio Corrispondente, prospetta la
possibilità di attingere interessanti notizie bibliografiche sull’Umbria
anche da alcuni studenti della Facoltà di Scienze Politiche, che si in-
teressano alla storia dei partiti politici nella Regione.

Sull’importanza del contributo bibliografico replica in modo par-
ticolare il Presidente, assicurando che, col promesso appoggio di soci
docenti universitari, egli farà di tutto per stabilire intese che assicu-
rino la più ampia collaborazione di capaci studenti e laureandi alla
parte bibliografica del Bollettino.

Esauriti gli interventi dei soci e le repliche del Presidente, la se-
duta è tolta alle ore 18.45.

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FR CD LI
AN OMM t eon at ob e t X SOMMARIO DEL VOLUME

Nel bimillenario
ViTUCCI GIOVANNI, Il « Bellum Perusinum »

Fonti
MancinI Franco e Maren Bruno, Domenico Salvati abate viaggia-
tore e avventuriero del secolo XVIII .
Cronaca di GIAMBATTISTA MARINI .

Memorie

- GRASSINI PieRO, Antiche chiese scomparse e chiese restaurate nel do-
poguerra in Terni . À

BizzARRI MARIO, Campagna di. scavo 1960 ‘nella necropoli: etrusca
di Crocefisso del Tufo in Orvieto

Varietà

DURANTI FRANCESCO, La « Giuditta » del Sassoferrato dell’ Abbazia
di San Pietro in Perugia ed il suo disegno .

Recensioni

OLGA MARINELLI, La vita e l’opera di 2l Faina (Luigi Sal
vatorelli) :

PICKERT LUISE de innna Gli artisti tedeschi a Pina nel secolo
XIX (Francesco Briganti) . :

NicoLINI UcoLiwNo O. F. M., San Giovanni da Capestrano studente
e giurista a Perugia (1411- -1414) (Raffaele Belforti)

Necrologi

Federico Chabod (LurGI SALVATORELLI) . :
Giustiniano degli Azzi Vitelleschi (RAFFAELE BELFORTI)
Mario Labó (PAOLA DELLA PERGOLA) .

Giustino Cristofani (PIETRO SCARPELLINI)

Atti della Deputazione

Adunanza del Consiglio Direttivo del 16 dicembre 1956 .-
Adunanza del Consiglio Direttivo del 7 luglio 1957
Adunanza del Consiglio Direttivo del 6 luglio 1958 .
Adunanza del Consiglio Direttivo dell'8 ottobre 1958 .
Adunanza del Consiglio Direttivo del 21 giugno 1959 . .
Adunanza del Consiglio direttivo del 14 settembre 1960 .
Adunanza del Consiglio Direttivo del 28 dicembre 1960 .
Assemblea Generale dei Soci del 25 settembre 1960

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113

Direttore Responsabile: DoTT. GIOVANNI CECCHINI
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