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PER L'UMBRIA

VOLUME LVIII

1961

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DELLA

DEPUTAZIONE DI STORIA PATRIA

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VOLUME LVII

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1961

PERUGIA -
Unione Arti Grafiche - Città di Castello

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Memorie

IL RESCRITTO DI COSTANTINO AGLI UMBRI

In un mio lavoro sulla posizione amministrativa dell’Umbria
nell'ordinamento della « Dioecesis Italiciana » (1), ebbi ad occupar-
mi dell'Edictum Constantini, conservatoci da C.I.L., XI, 4265, sulla
cui autenticità, dopo alcuni dubbi iniziali del Muratori, si pronun-
ciò definitivamente il Mommsen (2).

Egli lo mise a confronto con un altro documento dello stesso
imperatore, l’epistola « de iure civitatis Orcistanorum » (3), che tro-
vò somigliantissimo, non solo per la lingua, lo stile, per i titoli attri-
buiti a Costantino, per l’uso di forme arcaiche come « complec-
timur » (1. 8), « aput » (1. 19), « inpendio » (1. 22), ma anche per la sua
natura e strutturazione. Di qui la sicurezza della genuinità del testo.

Trattasi indubbiamente di un rescritto, come risulta dalle let-
tere iniziali (E.S.R. = « esemplum sacri rescripti »), che Mommsen
chiama «lex edictalis », « ein rescriptàhnliches Edict» (4) con cui
si risponde a una petizione del popolo umbro. Non vi troviamo al-
cuna data e ció puó sembrare in contrasto con quanto, nel 322,
lo stesso Costantino dichiarava in C. Th. 1, 1, 1: «Si qua posthac
edicta sive constitutiones sine die et consule fuerint deprehensa,
auctoritate careant» (5).

Ma questa essenziale indicazione doveva verosimilmente tro-
varsi nella base dedicatoria del monumento, andata evidentemente
distrutta, su cui poggiava la lapide riproducente il testo del rescrit-
to che, con tutta probabilità, risale all'anno 333 o poco dopo, per tro-
varvisi ricordato, come Cesare, Costante, il figlio minore di Co-
stantino (6). Né sappiamo a chi fosse indirizzata la risposta im-
periale, sollecitata dagli Umbri, a mezzo di qualche loro autorevole
rappresentante. Essa va tuttavia inquadrata e rientra nel nuovo or-
dinamento amministrativo dell'Italia attuato da Diocleziano (7) e
per cui l'Umbria e la « Tuscia » vennero a costituire, come è noto, una
sola regione, posta alle dipendenze di un unico funzionario il « cor-
rector Tusciae et Umbriae » che, piü tardi, ricevé il titolo di « con-
sularis » (8).
6 MARIO DE DOMINICIS

Da rilevare che Diocleziano, nella sua revisione delle circoscri-
zioni regionali italiche, operó, senza dar soverchio peso ai legami
etnici esistenti tra le varie popolazioni della penisola, tanto che
all'Umbria attribui la sola parte centrale dell'esteso territorio abi-
tato da questo antichissimo popolo e propriamente quel tratto che
Tolomeo chiama Vilumbria (9), situato nel cuore stesso d'Italia.
Lo separava dall'Etruria il corso del Tevere, lungo il quale si tro-
vavano, nella parte piü meridionale, le città umbre di Ocriculum
e quindi Tuder, Carsulae e Tifernum Tiberinum (10). A oriente il
fiume Nar, con Narnia, Interamna e poco discosto Ameria. Quin-

di aveva inizio il sistema montuoso dell'Appennino Umbro-Tosco-

Romano, che proseguiva a settentrione sino all'Esino.

Nel centro si stendeva la fertilissima e pittoresca pianura, at-
traversata dalla via Flaminia, con il Lacus Clitorius, nei pressi di
Spoletium e dove sorgevano i centri di: Trebiae, Fulginium, Me-
vania, Hispellum, Vettona, Asisium, mentre nel versante settentrio-
nale si ergevano: Nuceria, Camerinum, Tadinum, Matilica, Iguvium,
Attidium, Tuficum, Sentinum, Hurvinum Hortense.

Tutte le altre città umbre, situate nell'antico « ager Gallicus », si-
no a Rimini e Ravenna, entrambe pure di origine umbra (11), le tro-
viamo comprese in un'altra regione: la «Flaminia et Picenum ».

Augusto, particolarmente sensibile alle aspirazioni delle antiche
popolazioni italiche, aveva mostrato un maggiore riguardo per le
vetuste tradizioni della gente umbra composta, secondo Plinio, di
ben 47 popoli o tribü (12), ed allorché operó la nota divisione del-
l'Italia in undici circoscrizioni, ne riuni la piü gran parte del terri-
torio in una regione a sé; nacque cosi la regione umbra, la sesta
della lista ufficiale augustea: «sexta regio Umbriam complexa
agrumque Gallicum citra Ariminum » (13).

Occorre tuttavia tener presente che, sino dall'età pre-romana,
dopo un periodo di aspra lotta, tra Etruschi e Umbri si erano sta-
biliti stretti legami di amicizia e di alleanza, tantoché combatterono
insieme nella Campania e contro i Greci di Cuma (14), mentre piü
tardi, sottomessi da Roma, ebbero comunanza di vita e di costu-
mi (15).

. [noltre, nel terzo secolo, i due popoli figurano uniti da vincoli
religiosi per cui, nell'antichissimo centro etrusco di « Volsinii » (16),
che Valerio Massimo chiama « Etruriae caput» (17) si svolgevano
annualmente comuni feste e celebrazioni. Con ogni verosimiglianza
fu proprio l'esistenza di questa federazione religiosa, che risaliva
IL RESCRITTO DI COSTANTINO AGLI UMBRI 7

a tempi piuttosto remoti (18), a determinare l’unione amministra-
tiva della « Tuscia » e dell'Umbria.

Ed é noto che l'autorità imperiale volle anche attribuire a
tali celebrazioni un carattere politico. Già nel terzo secolo d. C., ai
vetusti riti e alle feste religiose facevano seguito speciali riunioni
o assemblee, alle quali partecipavano i maggiori esponenti e rap-
presentanti della regione. ,

La competenza di tali assemblee, chiamate «concilia provin-
ciae» (19) ,era quanto mai vasta e al riguardo sono di grande inte-
resse le istruzioni che limperatore Costanzo rivolgeva alle popo-
lazioni dell'Africa in

C. Th. 12, 12, 1: (rwPP.) Const(ant)ius ET CONSTANS AA, ad Tau-
rum (Pf.P.) «In Africanis provinciis, universis conciliis liberam
tribuo potestatem, ut congruente arbitrio studii condant cuncta
decreta, aut commodum quod credunt consulant sibi, quod sen-
tiunt eloquantur decretis conditis missisque legatis. Nullus igi-
tur obsistat coetibus dictator, nemo conciliis obloquatur » (20).
Notevole è anche quanto l’imperatore Costantino, in un docu-

mento di carattere piü generale, indirizzato a tutti i « provinciales »,
stabiliva per il controllo dell'opera e dell'attività dei funzionari
preposti al governo delle varie provincie:

C. 1, 40, 3: (IMP. CONSTANTINUS A. ad Provinciales) « Iustis-
simos et vigilantissimos iudices publicis acclamationibus col-
laudandi damus omnibus potestatem, ut honoris eis auctiores
proferamus processus, et e contrario iniustos et maleficos que-
relarum vocibus accusandi, ut censurae nostrae vigor eos absu-
mat. Nam si verae voces sint, nec ad libidinem per clientelas
effusae, diligenter investigabimus ; praefectis praetorio et co-
mitibus, qui per provincias constituti sunt, provincialium no-
strorum voces ad nostram scientiam referentibus. Dat. kalend.
Novemb. Costantinop. Basso et Ablavio Conss.».

Le scarse fonti che possediamo, pur non facendo piena luce
sull'attività svolta da questi organi provinciali, di indubbia impor-
tanza, attestano tuttavia che essa fu ovunque rilevante. Non solo
venne richiamata l'attenzione dell'autorità imperiale sul compor-
tamento di taluni governatori (21) su numerose questioni fiscali
che tennero agitate intiere provincie (22), ma furono anche via via
8 der MARIO DE DOMINICIS

proposti quesiti e rivolte interpellanze in materia di diritto civi-
le (23), processuale (24) e amministrativo (25).

Ponendo in atto una illuminata e coraggiosa riforma di strut-
tura dello stato romano, si volle dare inizio. ad una nuova vita
provinciale che, già nei primi decenni del secolo quarto, appare
intensa e fiorente. Furono cosi idealmente ricostituite le antiche
frontiere dei vecchi popoli italici « gentium vel fortissimarum Ita-
liae » (26) e tornarono ad essere operanti le loro vetuste federazioni
religiose cui vennero riconosciute, e questa fu l'interessante inno-
vazione, finalità politiche.

Gli Umbri, nel quadro di tale riordinamento generale ammini-
strativo, rivolsero una petizione a Costantino ben motivata, che
fu favorevolmente accolta ed é sulla portata della richiesta e sulla
conseguente decisione imperiale che gli interpreti non sono d'ac-
cordo: da una parte abbiamo l'opinione del Mommsen (27) già
accolta da vari studiosi e dall'altra, trascurando le secondarie, quel-
la di Jullian (28) e Guiraud (29), riproposta dal Piganiol (30) con
argomenti nuovi e sulla cui validità esprimeremo piü sotto il no-
stro punto di vista. Ecco intanto il testo di questo rescritto nella
piü recente edizione (31):

E- SiR;
Imp. Caes. Fl. Constantinus | max. Germ.

sarm. Got. victor
triump. Aug. et Fl. Constantinus || et

5 Fl Iul. Constantius et Fl. | Constans. |
Omnia quidem, quae humani genelris sc
cietate(m) tuentur, pervigilium culrarum
cogitatione complectimur ; sed pro |l

10 visionum nostrarum opus maximus (sic) |
est, ut universae urbes, quas in lumi-
nibus proviniciarum ac regionum omnium
species et forma disltinguit, non modo
dignitate(m) pristinam teneant, || sed

15 etiam ad meliorem statum beneficentiae
noslltrae munere provehantur. Cum igitur
ita vos Tuscilae adsereretis esse co-
niunctos, ut instituto | consuetudinis pri-
scae per singulos (sic) annorum vilces

rivera ricarica
IL RESCRITTO DI COSTANTINO AGLI UMBRI 9

a vobis adque praedictis sacerdotes creen-
tur, | qui aput Vulsinios
20 Tusciae civitate(m) ludos ll schenicos et
gladiatorum munus exhibeant, | sed propter
ardua montium et itilnerum saltuosa in-
pendio posceretis, ut indulto | remedio
sacerdoti vestro ob editiones cele- | ;
29 brandas Vulsinios pergere necesse non es-
set, || scilicet ut civitati, cui nunc Hi-
spellum (32) nomen | est quamque Flaminiae viae
confinem adque con | tinuam esse memoratis,
de nostro cognomine | nomen daremus, in
qua templum Flaviae gentis | opere magnifico
nimirum
30 pro amplitudinem (sic) | nuncupationis ex-
surgeret, ibidemque is | sacerdos, quem
anniversaria vice Umbria deldisset, spec-
taculum tam scenicorum ludorum | quam gla-
diatorii muneris exhiberet,
35 manente | per Tuscia (sic) ea consuetudine,
ut indidem crelatus sacerdos aput Vulsi-
nios ut solebat | editionum antedictarum
spectacula frelquentaret: precationi ac
desiderio vestrolfacilis accessit noster
adsensus. Nam civiltati Hispello aeter-
num vocabulum
10 nomenq. | venerandum de nostra nuncupatione "e
conceslsimus, scilicet ut in posterum prae-
dicta urbs | Flavia Constans vocetur ; in
cuius gremio | aedem quoque Flaviae, hoc
| est nostrae genltis, ut
| 45 desideratis, magnifico opere perfici || vo-
lumus, ea observatione perscripta, ne ae |
dis nostro nomini dedicata cuiusquam con |
tagiosae superstitionis fraudibus polluatur (33);
consequenter etiam editionum
in praeldicta civitate exhibendorum (sic) vobis !
50 licentiam dedimus scilicet ut, sicuti |
Ì dictum est, per vices temporis sollem | ni-
tas editionum Vulsinios quoque non delse-

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MARIO DE DOMINICIS

rat, ubi creatis e Tuscia sacerdotibus
memolrata celebritas exhibenda est. Ita
quippe nec || veteribus institutis plurimum

99 videbitur | derogatum, et vos, qui ob
praedictas causas | nobis supplices extiti-
stis, ea que inpenldio postulastis, im-
petrata esse gaudelbitis.

L'interpretazione del Mommsen, seguita, abbiamo già detto, da
altri studiosi, puó cosi riassumersi: anzitutto il documento non ha
solo importanza in ordine alla richiesta degli Umbri, ma fa luce e
di qui il suo interesse, sulle direttive generali della politica imperiale
in tema di amministrazione e ordinamento provinciale.

Prima dell'editto di Costantino, i rappresentanti delle città um-
bre si recavano periodicamente a « Volsinii », per partecipare alle co-
muni celebrazioni che avevano luogo sotto la presidenza di due « sa-
cerdotes » uno per gli Etruschi e l'altro per gli Umbri, annualmente
designati dai rispettivi popoli.

Si precisa nel documento che queste celebrazioni consistevano

in « ludos scenicos et gladiatorum munus » (ll. 20-21), cioè come chia-
riscono alcuni testi epigrafici (34), in corse di bighe, combattimenti

gladiatorii, competizioni atletiche, esibizioni e cacce di animali fe-
roci ed altri spettacoli vari.

E noto che lo svolgimento di tali feste era preceduto da un rituale
religioso assai semplice: un corteo ufficiale aperto dal « sacerdos »,
rivestito della toga purpurea e ornato di una corona d'oro (35), al
quale partecipavano i deputati della regione e che si concludeva nel
tempio federale con una breve cerimonia propiziatrice.

Orbene — ed è questa la interpretazione più comune del docu-
mento, che, ripetiamo, risale al Mommsen — alla richiesta degli Um-
bri di essere dispensati dal recarsi annualmente alle celebrazioni di
« Volsinii » «propter ardua montium et itinerum saltuosa impendio...»
(11. 22-23) e di potersi invece riunire in un centro proprio, più comodo
e di facile accesso perché attraversato dalla via Flaminia, l'impera-
tore Costantino, avendo presente, come si chiarisce nella premessa
del documento, la « pristinam dignitatem » del popolo richiedente,
dichiarava di aderire di buon grado « precationi ac desiderio vestro
facilis accessit noster adsensus ».

Anche permetteva che, nella nuova metropoli umbra, si prov-
vedesse a costruire un tempio, grandioso, « opere magnifico » (1. 30),
IL RESCRITTO DI COSTANTINO AGLI UMBRI 11

da dedicarsi alla sua stessa famiglia, alla « gens Flavia » e dove si
sarebbero svolte le cerimonie religiose connesse con le nuove cele-
brazioni, « nam ludorum celebrationes — scrive Lattanzio — deorum
festa sunt: si quidem ob natales eorum, vel templorum novorum
dedicationes sunt constituti » (36).

Prescindiamo qui dall’interpretazione, sostenuta principalmen-
te dal Beurlier (37), che il rescritto costantiniano desse unicamente,
vita a un sacerdozio municipale in onore della « gens Flavia », senza
per nulla modificare l'interno ordinamento della regione, perchè, a
nostro avviso, manca di qualunque fondamento.

Ora il Piganiol giudica errato questo modo di intendere il nostro
documento e lo sottopone ad una critica serrata e radicale. In parti-
colare osserva che l’espressione «per singulas annorum vices»
(1. 17), riferita alla elezione dei sacerdoti, prima di Costantino, pur
giudicandola « équivoque »,. perché, riconosce, si può qui anche
trattare di due sacerdoti rinnovati annualmente, va tuttavia intesa,
a suo parere, come già interpretarono Jullian (38) e Guiraud (39), nel
senso che questi si sarebbero alternati nella presidenza delle note
manifestazioni.

A conferma, cita un brano di Plinio, dove a proposito del rac-
colto dell'incenso in alcune zone dell'Arabia, ricorre l'espressione
«per vices annorum », appunto con il significato che questo pro-
dotto sarebbe spettato, a turno, a distinti gruppi della popolazione
locale (40). Inoltre tutto il contesto del documento imperiale indi-
cherebbe che gli Umbri e gli Etruschi eleggevano alternativamente,
ogni anno, un solo sacerdote per la presidenza delle loro comuni
riunioni: quello designato dagli Umbri è indicato, nel nostro re-
scritto, « quem anniversaria vice Umbria dedisset » (ll. 31-32), dove
«anniversaria vice» avrebbe lo stesso valore che « per vices anno-

rum» del passo di Plinio.

Afferma poi che, pure dopo tale riforma, il sacerdote federale
eletto dagli Umbri avrebbe conservato, come per il passato, il titolo di
«coronatus Tusciae et Umbriae». Ciò in base a C.I.L., XI, 5283:

« C. Matrinio Aurelio C(ai) f(ilio) Lem(onia) Antonino v(iro)
p(erfectissimo), coRoNATUS TUSC(iae) ET UMB(riae), PON-
T(ifid GENTIS FLAVIAE, abundantissimi muneris, sed et
praecipuae laetitiae Theatralis (edit)o(ri) aedili, quaestori,
duumviro iterum q(uin)q(uennali) i(ure) d(icundo) huius splen-
didissimae coloniae, curatori r(ei) p(ublicae) eiusdem colon(iae)
12 RE MARIO DE DOMINICIS

"et primo principali ob meritum benevolentiae eius erga se
(ple)bs omnis urbana Flaviae constantis, patrono dignis-
‘simo » (41).

La diversa interpretazione che di questo testo epigrafico dà il
Mommsen (42), seguito dal Dessau (43), secondo il Piganiol, sarebbe
forzata e chiaramente « tendencieuse ». Conclude ritenendo che l’uni-
ca sicura innovazione introdotta da Costantino (di qui il valore mi-
nimo del documento e comunque di nessuna rilevanza per quanto
concerne l’ordinamento amministrativo provinciale romano nel bas-
so impero), consisterebbe in questo: che, in avvenire, nell’anno di
turno, il sacerdote umbro, anzichè recarsi a « Volsinii », sarebbe ri-
masto a presiedere le note celebrazioni nella nuova città designata,
mentre quello eletto dai Toscani, «indidem creatus sacerdos », S'in-
tende nell’anno successivo, avrebbe continuato a operare nell’antica
metropoli etrusca.

In altre parole il Piganiol nega l’elezione simultanea dei due sa-
cerdoti, prima e dopo l’intervento di Costantino, aderendo così in
pieno all’opinione del Beurlier, il quale dichiarava: «il n'y eut
jamais qu'un seul prétre, le «coronatus Tusciae et Umbriae » (44) e
nemmeno crede all'esistenza del « concilium provinciae », l'assem-
blea che aveva luogo in occasione delle periodiche manifestazioni
provinciali, chiamata dal Mommsen «landtag » (45), dato, su questo
punto, il silenzio del documento imperiale.

Le osservazioni del Piganiol, a nostro avviso, non solo contrad-
dicono a una retta interpretazione del rescritto costantiniano, ma
sono anche in contrasto con le nuove direttive imperiali in tema di
ordinamento provinciale e che, abbiamo piü sopra ricordato, già
si manifestavano verso la fine del terzo secolo.

Un primo rilievo va intanto fatto a proposito della citazione
del passo di Plinio, cui il Piganiol sembra annettere particolare im-
portanza. Esso dice: « Nec praeterea Arabum alii thuris arborem vi-
dent. Feruntque MMM. non amplius esse familiarum, quae ius per
successiones id sibi vindicent. Sacros vocari ob id, nec ullo congresso
feminarum, funerumque, quum incidant eas arbores aut metant, pol-
lui: atque illa religione merces augeri. Quidam promiscuum jus iis
populis tradunt in silvis: alli per vices annorum divi-
di» (46).

Vengono qui riportate, mi riferisco alla conclusione del brano,
due contrastanti notizie circa il possesso e lo sfruttamento delle ri-

4 ————-

St
IL RESCRITTO DI COSTANTINO. AGLI UMBRI 13

strette zone di produzione dell’incenso. Secondo alcuni; scrive Plinio,
tutti gli arabi dei « vici » limitrofi ne avrebbero potuto disporre libe-
ramente: invece, per altri, il raccolto sarebbe spettato, a turno, a
una parte di essi. Il senso dell'espressione «per vices annorum di-
vidi» è qui chiarissimo.

Ora, anche volendo prescindere dalla dubbia utilità della com-
parazione di un costrutto grammaticale usato da Plinio con altro, che
si afferma analogo, di un testo giuridico di tre secoli dopo, nel re-
scritto imperiale troviamo aggiunto all’espressione « per annorum
vices », un « singulas », che manca in Plinio, per cui tutto il signifi-
cato cambia.

Del resto, lo avverte lo stesso Piganiol, se è costretto ad ammette-
re, come abbiamo già rilevato, che il passo in questione può anche
intendersi nel senso che i due sacerdoti venivano eletti ogni anno. È
vero che, più sotto, la cancelleria imperiale, nell'accennare ancora a
queste periodiche designazioni, evidentemente per abbreviare e snel-
lire la stesura del documento, omette di ripetere il « singulas », ma
il riferimento e la stretta connessione con quanto precede è di tutta
evidenza.

Basta rileggere e fermare un pò l’attenzione sulle limpide parole
del rescritto «a vobis adque praedictis sacerdotes creen-
tur, qui aput Vulsinios Tusciae civitate[m] ludos... exibeant»,
per rendersene esatto conto.

Ritengo sufficienti queste poche osservazioni per concludere che
il passo di Plinio non avvalora in alcun modo la premessa da cui
muove il Piganiol per sostenere la sua interpretazione del rescritto
di Costantino la quale, tra l'altro, porterebbe a quest'assurdo: a se-
guito della innovazione imperiale, gli Umbri si sarebbero riuniti nella
nuova sede « un an sur deux » (47), cioé ad anni alternati, come del
resto anche gli Etruschi a « Volsinii », mentre é risaputo che le mani-
festazioni provinciali in questione avevano ovunque luogo ogni
anno (48).

Rileva ancora il Piganiol che, nel documento in esame, non tro-
viamo alcun accenno alle assemblee o «concilia» dei due popoli,
ma la replica è facile. Rientrava infatti nella comune prassi costi-
tuzionale del tempo che i rappresentanti delle varie città confederate,
in occasione delle periodiche celebrazioni, si riunissero insieme, sot-
to la presidenza di un «sacerdos », di regola anche versato nelle di-
scipline giuridiche (49), dando cosi vita al « concilium provinciale ».

In proposito le fonti sono esplicite e nei testi giuridici troviamo

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con frequenza l’espressione « provinciale concilium » che il codice
Teodosiano, pubblicato nel 438 (50), ci rappresenta come una isti-
tuzione tuttora viva e operante. Quanto alla denominazione di « sa-
cerdos », che ricorre nell’« edictum Constantini, », va rilevato che, nei
documenti giuridici (51) ed epigrafici (52), questo éra, di solito, il ti-
tolo ufficiale attribuito ai presidenti delle nostre diete provinciali.

Solo eccezionalmente viene loro conferito quello di « coronatus »
o di «pontifex » ed uno di questi rari esempi riguarda proprio un
personaggio della nostra regione, Caio Matrinio Aurelio, che visse
nell’età di Costantino e a cui forse si dovè, in gran parte, il merito
della richiesta del popolo umbro all'imperatore. Ci induce a crederlo
il suo esclusivo e generoso interesse per le magistrature municipali e
provinciali, attestatoci da C.I.L., XI, 5283, più sopra ricordato.

Ed è questo documento epigrafico, abbiamo già detto, a fare an-
che supporre al Piganiol che, dopo l’editto di Costantino, il sacerdote
umbro sarebbe stato ancora designato con il titolo di « coronatus
Tusciae et Umbriae ». Ma la congettura non regge, perchè esso era
esclusivamente collegato con le celebrazioni di « Volsinii », dove i sa-
cerdoti, rappresentanti dei due popoli, portavano l’ornamento allora
in uso della « corona » (53).

Di qui la speciale denominazione (ricorre anche in C.LL., III,
1435, dove il «sacerdos » della Dacia viene ugualmente indicato « co-
ronatus trium Daciarum » (54), che ben richiama le speciali attribu-
zioni dei due sacerdoti, l'Umbro e l'Etrusco, di presenziare collegial-
mente allo svolgimento dei noti riti e ludi festivi.

Quando poi, a seguito della riforma imperiale, venuta meno
l'antica federazione religiosa di « Volsinii », gli umbri poterono an-
nualmente raccogliersi in una propria città, prima per le celebrazioni
religiose e festive e quindi, in sede di « concilium provinciale », per la
trattazione dei loro particolari interessi e problemi, il personaggio
designato a presiedere le nuove riunioni, assunse il solenne titolo di
« pontifex gentis Flaviae », in omaggio alla famiglia imperiale allora
al potere, cui era stato dedicato il tempio federale umbro, eretto
espressamente, abbiamo già ricordato, « opere magnifico» (55).

Caio Matrinio Aurelio fu tra i primi a rivestire l’alta carica e a
conferirle prestigio e dignità «... editor... abundantissimi... mu-
neris... et praecipuae laetitiae theatralis...» (56).

Noi quindi riteniamo che Costantino riconobbe agli Umbri una
piena autonomia, nei confronti della « Tuscia », autonomia religiosa
e sotto un certo profilo, amministrativa, concessione imperiale indub-

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IL RESCRITTO DI COSTANTINO AGLI UMBRI 15

biamente di rilievo, che, richiamandosi alla divisione augustea del-
l’Italia, riportava questo popolo alle civili tradizioni della sua storia
antichissima,

Del resto siamo propensi a credere che, prima di Costantino,
perdurando la federazione religiosa di « Volsinii », di origine remotis-
sima, nel documento costantiniano si parla di « institutum consuetu-
dinis priscae » (11. 17-18), gli Umbri, nella metropoli etrusca, godessero
pure di una certa indipendenza nella trattazione delle loro partico-
lari questioni.

Avvalora questa supposizione il ricordo dei « praetores Etruriae
quindecim populorum », conservatoci nelle fonti epigrafiche. La ca-
rica aveva indubbiamente carattere sacrale, perchè lo stesso titolo
ricorre in altri testi epigrafici per indicare magistrati con attribuzio-
ne puramente religiose.

Così il « praetor sacris Volkani faciundis » (57) e il « praetor sa-
crorum » di « Interamna » (58), con competenza peraltro limitata al
territorio municipale, mentre il « praetor Etruriae », con la collabora-
zione di magistrati minori, i cosi detti « iurati ad sacra Etruriae » (59)
e gli «aediles Etruriae» (60), sopraintendevano alla celebrazione
dei riti che interessavano tutti gli Etruschi. La sua origine dobbia-
mo sicuramente ricercarla in quelle periodiche adunanze che questo
popolo, sino dai tempi piü lontani, soleva tenere presso « Fanum Vol-
tumnae », nelle vicinanze di « Volsinii » (61). In un primissimo tempo
ebbero specialmente carattere politico (62), ma dopo l'espansione del
dominio romano, assunsero finalità esclusivamente festive e religiose.
Ed ha particolare interesse la notizia conservataci da Livio (63),
che le riunioni di « Fanum Voltumnae » erano anche allora presie-
dute da un « sacerdos » il quale offre evidenti analogie con il « prae-
tor Etruriae » del periodo imperiale: sia perché entrambi venivano
liberamente scelti tra le maggiori personalità della regione, all'in-
fuori di qualsiasi ingerenza degli organi statali, sia per l'indicazione
di « quindecim populorum », attribuita al pretore, che ben richiama
quella dei dodici popoli cui spettava di eleggere il sacerdote dell'età
repubblicana (64). Quanto al periodo in cui ebbe vita la « praetura
Etruriae», a seguito di un'attenta indagine condotta sul copioso
materiale epigrafico pervenutoci a tutt'oggi, possiamo affermare che
il più antico personaggio il quale ci appare rivestito di questa alta
dignità sacerdotale, é il cornetano Tullio Varrone, una figura emi-
nente del suo tempo, vissuto sotto l'imperatore Traiano, cioé nei

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16 MARIO DE DOMINICIS

primi anni del secondo secolo, come si deduce dal suo « cursus
honorum », di cui abbiamo ricordo in C.LL., XI, 3364 (65).

Di qualche decennio piü tardi é C.LL., XI, 1941, dedicato a C.
Betuus, edile e duumviro a Perugia, dalla figlia Betua Respectilla (66).
Appartiene alla seconda metà dello stesso secolo, C.LL., XI, 1432,
relativo a L. Venuleio Aproniano, che l'ultima volta ricoprì il: con-
solato nell'anno 168 (67).

Tra la fine del secondo secolo e i primi del terzo va collocato

.C.LL., XI, 2699, rinvenuto a « Volsinii » e la cui autenticità, dopo

qualche riserva iniziale (68), venne definitivamente riconosciuta dal
Mommsen. Nel terzo secolo la serie dei « praetores Etruriae » si apre
con C.I.L., XIV, 172, che risale ai primi decenni. Trattasi di un monu-
mento epigrafico rinvenuto nel teatro di Ostia e dedicato a Q. Pe-
tronio Meliore dai « mensores frumentarii », che furono alle sue

dipendenze, quando egli rivestì la carica di questore dell'annona.

Probabilmente padre di quel Petronio Meliore che, nel 230, entró
a far parte del Collegio dei «sodales augustales» (69): un perso-
naggio non di primissimo piano, come appare dagli uffici ricoper-
ti (70). La mancanza di qualunque carica militare riporta pure
allo stesso terzo secolo C.I.L., IX, 3667, dove è ricordato un Modesto
Paulino, il testo è privo del gentilizio, pretore a Roma e, nello
stesso tempo, « praetor Etruriae» (71). |

In C.LL., XI, 2115, rinvenuto nel territorio dell'antica « Clusium »,
figura infine L. Tiberio Mefanate, l'unico personaggio e lultimo
che, nel quarto secolo, porti ancora il nostro titolo (72). Egli tenne
anche l’ufficio di «defensor ordinis et civium » che, come è noto,
venne per la prima volta istituito dall'imperatore Valentiniano pri-
mo nel 364 (73) e pertanto il documento risale agli ultimi decenni
del secolo quarto.

Queste le fonti principali che ricordano i « praetores Etruriae »,
ne attestano là continuità per un periodo di quasi tre secoli e la
cui elezione, che verosimilmente aveva luogo in occasione delle
celebrazioni Volsiniensi, era collegata con la presidenza della dieta
provinciale toscana, composta in prevalenza dai rappresentanti dei
quindici maggiori centri etruschi, da cui derivò la particolare de-
nominazione di « praetores Etruriae quindecim populorum ».

Partendo da questa premessa, a nostro avviso estremamente
probabile, deve di conseguenza anche ammettersi che, terminata
la parte preliminare e religiosa delle nostre riunioni, allorchè la
delegazione toscana, assumendo il ruolo di « provinciale concilium »,

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IL RESCRITTO DI COSTANTINO AGLI UMBRI 17

passava ad esaminare e discutere le particolari questioni attinenti
all’Etruria ed il loro sacerdote, richiamandosi ad una antichissima
tradizione, assumeva l’onorifico titolo di pretore delle quindici città
confederate, logicamente anche la rappresentanza umbra doveva riu-
nirsi in altra sede, per la trattazione dei propri affari provinciali,
sotto la presidenza del rispettivo « sacerdos ».

In altre parole, la nostra regione, costituita da due diversi terri-
tori, era di fatto una doppia provincia.

Niente pertanto di più naturale che, già prima di Costantino, nel-
la metropoli religiosa di « Volsinii », avessero luogo due distinte as-
semblee, quella degli Umbri e l’altra degli Etruschi. Lo speciale carat-
tere e la lunga serie dei « praetores Etruriae », che abbiamo sopra
ricordato, fanno apparire del tutto verosimile questa ipotesi che, del
resto, trova rispondenza anche nella prassi di altre regioni.

Così i rappresentanti delle «tres Galliae», cioè dell’« Aquitanica»,
della «Lugdunensis» e della «Belgica », il primo agosto di ogni anno,
convenivano nella metropoli di « Lugdunum » (74), per partecipare
alle comuni celebrazioni che si svolgevano in quel tempio federale.
Tuttavia essi solevano anche riunirsi in assemblee separate, che
ricevevano il nome assai indicativo di tractatus, come appare in

C. Th. 12, 1, 148: (rMPP. ARCADIUS et HONORIUS AA. Theodoro
Pf. P. « Cum super ordinando sacerdote provinciae publicus
esset ex more tractatus, idem nostra auctoritate decretum est,
ut ad subeunda patriae munera dignissimi et meritis et faculta-
tibus eligantur nec huiusmodi nominentur qui functiones debitas
implere non possint. Dat. IIII Kal. Oct. Med.(iolano) Oljbio et
Probino Conss.» (75).

Nella « Tarraconensis », abbiamo ugualmente ricordo di assem-
blee particolari (76), distinte dalle solenni e generali assise che
si tenevano nella città capoluogo (77). Prescindendo comunque da
questa ipotesi, attinente ad una questione indubbiamente interes-
sante ma che riguarda un particolare aspetto della interna orga-
nizzazione della « Tuscia et Umbria », rimane a dire del valore del
nostro documento, nel quadro piü ampio della politica generale
imperiale. Anche qui, dissentendo dal Piganiol, riteniamo che il re-
scritto costantiniano abbia una notevolissima importanza.

Esso ci mostra che, nel pensiero degli statisti romani, si veniva
maturando e prendeva consistenza normativa la graduale sostitu-

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18 MARIO DE DOMINICIS

zione della provincia al « municipium », come unità amministrativa
nuova, a base dell’ordinamento Dioclezianeo-Costantiniano.

Roma non tratta più con le comunità cittadine, isolate o riunite

in federazioni, come già nell’età repubblicana e nel primo periodo
dell'impero sino al dominato, ma con i provinciali. I loro territori
vennero anche ridimensionati, rimpiccoliti, le quarantacinque pro-
vincie dell’anno 117 furono portate a ben centootto alla fine del
quarto secolo (78), perchè si voleva che fossero più omogenee dal
punto di vista etnico e quindi politicamente più efficienti ed ope-
ranti.
Nel codice di Giustiniano troviamo editti ripetutamente indiriz-
zati « ad provinciales», « provincialibus suis?»
e addirittura «ad universos provinciales», di cui il più
antico risale all'anno 315 (79).
Otto sono diretti « ad populum ». Ma fermiamoci a Co-
stantino. Nel 315 egli si rivolge «ad Afros» (80) due anni più
tardi «ad Bithynos» (81, nel 322 «ad Lusitanos (82)
nel 327 ancora «ad Afros provinciales» (83) mentre uno
dei suoi primi editti (84) come anche l'ultimo, affisso nel foro di
Cartagine il 21 maggio del 337 (85), sono entrambi indirizzati « a d
concilium provinciae Africae», il nuovo organo provin-
ciale che ormai appare come una salda e viva istituzione nella
organizzazione amministrativa romana.

Ora di questa nuova politica, che caratterizza un lungo periodo
della storia del diritto pubblico romano, il rescritto di Costantino
al popolo umbro offre, a nostro parere, una testimonianza quanto
mai valida e di estremo interesse.

Mario DE Dominicis

NOTE

(1) In «Annali della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Perugia »,
Vol. LIX, 1949-50, p. 86 sgg.

(2) MoMMSEN, Ges. Schr., VIII, p. 24, sgg.

(3) C.LL., 7000: cfr. Dessau, Inscriptiones selectae, 6091; Bruns, Fontes iuris ro-
mani antiqui, n. 35; RiccoBoNo, Fontes iuris romani anteiustiniani, I, ed. altera p. 461.

(4) Op. cit., p. 33 seg.

(5) Cfr. C. 1; 23, 4.

(6) Cfr. CADEVONI, Ricerche critiche, p. "I.

(7) La più antica fonte di cognizione di tale ordinamento, il « Laterculus Veronen-
sis», ricorda l’Italia con il nome di Dioecesis Italiciana (ed SEECK, p. 250), mentre
IL RESCRITTO DI COSTANTINO AGLI UMBRI 19

la Notitia dignitatum (Occ., I, 25), ce la presenta già divisa in due circoscrizioni mi-
nori, vicariati, quello detto d’Italia, comprendente tutto il territorio dell’antica Gallia
Cisalpina, dalle Alpi sino all’Arno e all’Esino, con l'aggiunta della Rezia e delle Alpi
Cozie, e l’altro di Roma, costituito, oltre che dalle isole, dalla parte centrale e meri-
dionale della penisola.

Da osservare l’eccezionalità di tale ordinamento, poichè le varie diocesi costitui-
vano, di regola, una sola circoscrizione ed erano amministrate da un unico vicario.
Il funzionario preposto al vicariato d’Italia, cui spettava il titolo ufficiale di « vi-

carius praefectorum per Italiam » (C.I.L., XI, 831), o più semplicemente di « vicarius,

Italiae » (N.D., L. c.), risiedeva a Milano, dove pure avevano la loro sede la corte im-
periale, peraltro sino ai tempi di Onorio e il prefetto del Pretorio d'Italia.

Dove probabilmente la sua denominazione al fatto che il nucleo principale del
territorio dipendente aveva costituito, un tempo, l'« Italia transpadana et citrapadum ».
Dal « vicarius praefectorum praetorio in urbe Roma », residente in questa città, chia-
mato pure « vicarius urbis Romae», « vicarius urbis aeternae» ed anche « vicarius
urbi» (su questi titoli abbreviati cfr. BETHMANN-HOLLWEG, ROm. Civilprozess, III,
D. 51, sgg), dipendeva invece l’altro vicariato, ad eccezione dell’importante territorio
che si stendeva sino a cento miglia da Roma e la cui amministrazione venne affidata
ad un funzionario di rango consolare, il « praefectus urbi» (cfr. il mio scritto, I di-
stretti della prefettura urbana e le « regiones suburbicariae », in «St. in onore di G.
Zanobini » (1962), V, p. 87 sgg.).

A seguito del nuovo ordinamento l'Italia risultava pertanto divisa in tre circoscri-
zioni: il vicariato di Milano, quello di Roma e la prefettura urbana. Inoltre l’intiero
territorio della penisola venne suddiviso in dodici distretti minori, ciascuno alle di-
pendenze di un funzionario chiamato « corrector », cui si dette il nome di « regiones ».
Cfr. MowMsEN, Die Diocletianische Reichspraefectur, in « Hermes », 1901, p. 201, Sgg.

(8) Cfr. C. Th. 12, 1, 72; DESSAU, Op. cit, 1252; C.I.L., VI, 1702; C. Tn. 2, 4, 5 etc.
Con ogni probabilità la sua sede ufficiale doveva essere « Volsinii », anche se qualche
testo lo mostra occasionalmente residente a « Florentia» (C, Tu. 9, 1, 8) ed anche a
« Pistorium » (Amm. M., XXVII, 3, 1). Nella seconda metà del quarto secolo e propria-
mente sino dal 367, troviamo poi la « Tuscia» divisa in « Annonaria » (Marcellino
Conte, Chr. minora, II, 105, 538, 4) a settentrione dell'Arno e in « Suburbicaria » (C. TH.
11, 28, 12), a mezzogiorno dello stesso fiume, sempre peraltro alle dipendenze di un
unico governatore (Amm. M., XXVII, 3, 11), almeno sino ai primi del quinto secolo,
cui risale la Notieia dignitatum, che ancora ricorda il « Consularis Tusciae et Umbriae ».
Cfr. Mommsen, Feldm., II, p. 207.

(9) III, 1, 53-54.

(10) Plinio il vecchio (H. n., 3, 14, 114) colloca « Tifernum Tiberinum » nella re-
gione umbra, né, a nostro avviso, e contradetto, come ritiene JuLLIAN (in « Bibl.
des Écoles Francaises d’Athènes et de Rome», fs. XXXVII, p. 81), da quanto scrive
Plinio il giovane in Ep., 4, 1: « Deflectemus in Tuscos... Oppidum est praediis nostris
vicinum: nomen Tiferni Tiberini ». Lo scrittore voleva solo indicare che la sua pro-
prietà si trovava in quella parte dell'Umbria che confinava con l’Etruria, nei pressi di
« Tifernum Tiberinum ».

(11) In proposito è esplicita la testimonianza di STRABONE (V; 1; 1D: « To: 8s
"Apigwvov "Opfpov gori xacvoua, xx0dxcp xal ‘Paoveva, 8'£Sexcvot S&roíxouc
‘Popatove Exatépa » e di PLINIO (H. m. III, 15): «... Ravenna Sapinorum oppidum
cum amne Bedese ab Ancona Cvm pass. Nec procul a mari Umbrorum Butrium ». Sulla
diversa lezione « Sabinorum oppidum » proposta da altri, v. il mio studio Sull'origine
di Ariminum in « Archiginnasio », 1926, n. 4-6 p. 248 sgg.

(12) H. n., III, 14. Anche Strabone, nel quinto libro della sua Geografia, mette in
rilievo l’importanza e l’estensione del territorio occupato dagli Umbri: (V, II, 1)

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obdèv rtov ueypr xai “Paovévme duoroyoda dravtec Siatetverv ‘oixeitat yàp Orb TOÙTUWY ».

(13) PLIN., H. 7., 3, 14, 112.

(14) STRAB., V, 4, 3; PLIN, H.n., III, 5: DrioNvs. HarL, VII, 3.

(15) « Aut pastus Umber aut obesus Etruscus », (CarULL, XXXIX, 11).

(16) Sulla sua topografia, cfr. Pars, Storia dell’Italia antica, 1, p. 184 e Soranr, To-
pografia storica dell'Etruria, 1, p. 265 sgg. V. anche Not. d.s., 1906.

(17): IX; 5:2:

(18) C.I.L., XI, 5265, l. 18.

(19) Cfr., specialmente ManquanDr, in « Eph. ep. », I, p. 200 sgg. e GurRAUD, Les assem-
blées provinciales dans l'Empire romain.

(20) Cfr. anche C. Tx. 12, 12, 7 e 8, 9, 14, 16.

(21) C.I.G., 2595, 2596, 2597; C.I.L., VI, 1702, 1706, 1729, 1736; III, 167; II, 1972;
VIII, 7012, 7013, etc.

(22) C. TH. 11, 7, 4 (Ad Afros): « Quoniam subclamatione vestra merito postulastis,
ne qua his, qui praestationes fiscales differunt reliquorum laxitas proveniret... ».
Cfr. C. TH, 1], 28, 2.e 7, 12; 11; 7,.18; 1L 1, 33; NOV. XXII], di-/Teod XI. (etc;

(23) C. Tz. 2, 14, 3; 4, 11, 1, etc.

(24) C. TH. 11, 30, 15. :

(25) C. TH. 12, 5, 2; 12, 1, 59; 16, 2, 17; 7, 1, 6; 12, 1, 24 e 64, 96, 166, 186, etc.

(26) PLIN., H. m., III, 103.

(27) MoMMSEN, in « Berichte der sáchsischen », 1850, p. 199 sgg.

(28) Op. cit., p. 117.

(29) :0p 4 6it^ D: :252- n1. 2.

(30) In « Revue des études anciennes », T. XXXI, p. 139 sgg. Cfr. anche dello stesso
autore, l’Empereur Constantin, p. 182.

(31) AsBor and JonuwsoN, Municipal administration in the roman empire, pp. 496-497,

(32) Importante centro umbro, nell’età romana, come lo dimostra il dono che gli
fece Augusto delle Fonti del Clitunno, celebrate nell'antichità per la virtü delle sue
acque (Giov. XII 13; Vrnma., Georg. II, 146) e dove gli « Hispellates » costruirono
delle terme (PLIN., Ep., 8, 8). Per il suo paesaggio oltremodo pittoresco, Caligola intra-
prese appositamente un viaggio per visitarle (Suer. Calig., 43) e più tardi, volle recar-
visi anche l’imperatore Onorio (Craupraw. Paneg. de sex. coms. Hon. Aug., v. 506).

(33) L'espressione « ea observatione perscripta ne aedis nostro nomini dedicata
cuiusquam contagiosae superstitionis fraudibus polluatur », è stata oggetto di attento
studio da parte di storici e giuristi. Mentre il Duruv (Histoire des Romains, Vol.
VII, p. 64) riteneva che Costantino avesse con essa inteso proibire, nella città Umbra,
la celebrazione di riti cristiani, l’ALLARD, (Le Christianisme et l'empire Romain, p. 178),
seguito dal Farocr PULIGNANI (in « Archivio per la storia ecclesiastica dell'Umbria »,
Vol. III, p. 361), che ha poi approfondito e acutamente sviluppato questa tesi, inter-
pretava le parole di Costantino come una condanna ufficiale del paganesimo. Già ri-
levammo in un precedente scritto (Il significato di « superstitio » nei testi giuridici
dell’età costantiniana, in « Annali dell'Università di Macerata», Vol. VII 1931, p. 246
sgg.), che entrambe queste tesi sono da respingere. Anche la seconda, più degna in-
vero di attenzione, trova, tra l'altro, un grave ostacolo nella circostanza stessa che
il nuovo tempio federale degli Umbri dava vita a un sacerdozio provinciale, al quale
presiedeva un « pontifex Gentis Flaviae». Anche sotto questo profilo, l'« edictum
Constantini » offre pertanto grande interesse, poichè fa luce sulla politica imperiale
in materia religiosa e a nostro avviso, chiarisce che le celebrazioni provinciali dovevano
essere spoglie di qualsiasi superstizioso rituale che potesse comunque urtare la sensi-
bilità, sia dei Cristiani, che dei seguaci del paganesimo. Si voleva dunque conferire
un carattere esclusivamente civile e politico a tali celebrazioni, nelle quali si affer-
mava la nuova vita delle province. Cfr. J. GAUDEMET, in « Revue d'histoire de l'Eglise de
France », 1947, p. 52 e PIGANIOL, Op. cit., p. 182, n. 1.
IL RESCRITTO DI COSTANTINO AGLI UMBRI 21

(34) C.I.G., 2511, 3677, 3213, 247, 3674, 3190, 1720, 2810, 3208, etc.

(35) TERTULL., De Idololatria, XVIII: « Purpura illa et aurum cervicis ornamen-
tum... coronae aureae sacerdotum provincialium ».

(36) Inst., VI, 20, 34.

(37) BEURLIER, Le culte imperial, p. 294 e 297; Cfr. GUIRAUD, Op. cit., p. 243.

(38) L.c.

(39) L.c.

(40) N.h., XII, 14, 30.

(41) Cfr. WILMANNS, 2843.

(42) L.c.

(43) Op. cit., 6623.

(44) Op. cit., p. 294.

(45) Gesamm. Schr., VIII, p. 34.

(46) L.c.

(47) PIGANIOL, /.C.

(48) Le fonti attestano che il « sacerdos provinciae » era nominato annualmente.
Cfr. Tac., Ann., I, 57, ORELLI-HENZEN, 5580. Una volta usciti di carica, i « sacerdotes » con-
servavano il titoto onorifico della dignità ricoperta ed entravano a far parte della
categoria dei « sacerdotales », fra le più autorevoli e di maggior prestigio nelle città
provinciali. Cfr. MARQUARDT, in « Eph. epigr. », I, p. 200 Sgg.

(49) Lo stabiliva chiaramente C. Tu. 12, 1, 46 « (Impp. Constantius et Constans
AA. ad Martianum Vic(arium). Afric(ae): a solis praecipimus advocatis eorumque
consortio dari provinciae sacerdotem. Nec aliquis arbitretur ita esse advocationis
necessitatem impositam sacerdotio, ut et ab eo munerum oppidaneorum functio se-
cernatur, cum nulla umquam iura patronis forensium quaestionum vacationem civi-
lium munerum praestituerint. Nullum igitur advocatum a curia, cui tenetur obnoxius,
patimur excusari, videlicet si civico nomine aut vinculo incolatus oppidanea necessitas
eum detinet obligatum. Itaque aput alios etiam iudices operam dantes negotiis pero-
randis obnoxios esse decernimus sacerdotio, sic videlicet, ut intra eam provinciam
huiusmodi honoribus mancipentur, ubi eos necessitas curialis detinet obligatos. Dat.
V. Kal. Jul. Mursae Datiano et Cereale Conss ».

(50) Nov. I di Teodosio II. Cfr. Kanrowa, Ròm. Rechtsgeschichte, I, pp. 944-945.

(51) C. Tnm. 16, 10, 20; 12, 1, "75 e 148; 15, 9, 2; C. 5, 27, 1 etc.

(52) C.LL., X, 3792; VI, 1736; VIII, 5338, 7014, 7034, etc.

(53) Cfr. Suer., Domit. 4 e TERTULL., Î. C.

(54) Cfr. « Eph. Ep. », 4, n. 142. Nell’« ordo salutationis » della Numidia, al tempo
di Giuliano, di cui abbiamo ricordo in C.LL., VIII, 17896, costituiscono la prima
categoria i « senatores et comites et ex comitibus et administratores »; vengono
poi il « princeps », il « cornicularius » e i « Palatini»; nel terzo posto figurano i « co-
ronati». Ai Vescovi cristiani che, sotto un certo profilo, possono considerarsi i conti-
nuatori di questi alti dignitari provinciali, viene attribuito il titolo di « sacerdotes
provinciales », in un documento ufficiale dei primi anni del quinto secolo, in C. Th.
16, 2, 38 (Impp. p. Arcad(ius), Honor(ius) et Theod(osius) AAA. Porphirio Proconsuli
Africae. Post alia): « Privilegia, quae ecclesiis et clericis legum decrevit auctoritas,
hac quoque praeceptione sancta et inviolata permanere decernimus. Adque hoc ipsis
praecipuum ac singulare deferimus, ut, quaecumque de nobis, ad ecclesiam tantum
pertinentia, specialiter fuerint impetrata, non per coronatus, sed per advocatis, eorum
arbitratu et iudicibus innotescant et sortiantur effectum. Sacerdotes vero provinciae erunt
solliciti ne sub hac scilicet privilegii excusatione etiam contra eorum utilitatem
aliquid his inferatur incommodum. Dat. XVII Kal. Dec. Rom(ae), Honor(io) VII et
Theod(osio) II AA. Conss. ».

(55) C.I.L., XI, 5265. Ad altro sacerdozio in onore della « gens Flavia» accenna
AuREL Vicr, (De Caes, XL, 28): «Per Africam sacerdotium decretum Flaviae

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gentis », mentre Or., 3672, ricorda un console del 390 che fu anche « pontifex Fla-
vialis ».

(56) C.I.L., XI, 5283.

(57) C.I.L., XIV, 3, 306, 341, etc. Cfr. LasatuT, Histoire de la préture, p. 144.

(58) C.LL., XI, 4189, 4193, 4209, etc. Cfr. LABATUT, Op. cit., p. 145.

(59) C.I.L., XI, 1848.

(60) C.I.L., XI, 2116, 3257, 2120.

(61) Liv., 4, 23, 5; 4, 25, 7, 8; 4, 61, 2; 6, 2, 2.

(62) Sul carattere e le finalità di queste antiche federazioni V. BELLINI, Sulla
genesi e la struttura delle leghe nell’Italia arcaica, in « Revue int. des droits de
l’antiquité », 1960.

(63)=:b;=18D:

(64) V'é assai incertezza sul numero delle città federate toscane. Gli antichi par-
lano concordemente di dodici (Dronys. Har. 6, 75; Liv, 4, 23, 5; 1, 1, 5; 5, 33, 9;
StRAB., 5, 2, 2), mentre dai documenti epigrafici dell'età imperiale; risulterebbero quin-
dici. È possibile tuttavia che il loro numero sia stato aumentato da Augusto come
suppone il Borman (Mittheil. aus Oesterr. XI, p. 27 sgg); cfr. anche MiLLER Die
Etrusker I, p. 327 e Pars, Op. cit., p. 189.

(65) Cfr. OR. 97. ;

(66) OR., 97. a

(67) Mur., 767, 7.

(68) OR., 96.

(69) Cfr. C.I.L., VI, 1984, 48.

(70) Cfr. LANCIANI, Not. d. s., 1880, p. 476.

(71) OR., 3149.

(72) Mun, 1039, 1.

(73) Cfr. SEECK, in « Pauly-Wissowa », R.E., IV, 2, p. 2365 sgg. e MANCINI, in « D.E.
de Ruggero », II, p. 1554 sgg.

(74) Suer., Claud., II: cfr. ViLLERS, in « Num. Zeitsch. », XXXIV, p. 79 sgg.

((b)s Cfr: CO. TR: 12; 12; 4.

(76) C.I.L., II, 2416, 2426, 2427, 3412, 3413, 3416, 3418, 3840, 4072, 4073, etc.

(77) C.I.L., II, 4198, 4236, 4256, 4257, etc.

(78) Cfr. MarquarpT, St. Ver, 1, p. 489 sgg.

(79) C. 8, 16, 7.

(80) C. 12, 57, 1.

(BIL 65:18; T.

(82):6^ 1:23: :4. Cfr; . C TH. 1, 1,1.

(83) C. 10, 21, 1.

(84) C. 2, 12, 21.

(85) C. Tn. 12, 5, 2. Cfr. C. TH. 11, 30, 15.
NUOVE OSSERVAZIONI SULLA BATTAGLIA
DI PLESTIA NEL 217 A. C.

Questo studio storico-topografico che era destinato al Convegno
di Studi Annibalici, tenutosi tra Cortona e Perugia nell’ottobre
1961, a cura dell’Accademia Etrusca di Cortona, non potè essere
presentato, per ristrettezza di tempo, come CORALLO da portare
a nome dell’Accademia Spoletina.

L’autore, stampandolo ora come modesta monografia, dichiara
subito di non avere pretesa alcuna di soluzione definitiva d'una
questione, che non solo è annosa, anche se continua ad essere sug-
gestiva pur nella sua secondaria importanza; ma è stata trattata.
(benchè non risolta) da dotti di larga fama e di altissima levatura,
quali Alessandro Tartara, Gaetano De Sanctis, lo Jung, il Pareti,
il Solari, per nominare alcuni tra i più noti e autorevoli.

Soltanto però, nel prospettare qui il suo punto di vista (condiviso
con varie argomentazioni da più d’uno studioso) intorno al luogo,
che fu teatro dello scontro equestre tra il romano Centenio e il
cartaginese Maarbale, avvenuto pochi giorni dopo la battaglia del
Trasimeno ; egli crede aver dato nuovo e particolare rilievo a un
elemento di non trascurabile valore probativo, se con le considera-
zioni, che un buon senso scevro di prevenzioni suggerisce, lo si in-
serisca acconciamente nel quadro della vicenda da esaminare :
una più concreta cioè e più valida precisazione (non scaturita da
erudizione libresca, ma dalla più attenta osservazione pratica
locale) delle caratteristiche dell’altipiano che, tra i monti dell’Ap-
pennino centrale, prende il nome dall’antica Plèstia.

Questo altipiano, che più avanti descriveremo, s'incontra, poco
oltre Colfiorito, in Umbria, da chi si reca nelle Marche passando
da Foligno, od anche riuscendo in qualche modo a seguire — perchè
non più transitabile — una strada, da Spoleto, chiamata «la Spina »
da un torrente omonimo ; abbandonata, oggi, ma un tempo certo
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24 GIOVANNI AMBROSI

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battuta, come scorciatoia nelle due direzioni, da Roma o per Roma ;
| | e della quale restano sicure tracce.
IBI Presso un'antica minuscola comunità di bravi e laboriosi mon-
| Hn tanari, Cancelli, si conserva, legata a quelle tracce, la radicata pia
IM tradizione d'un passaggio e d'una breve sosta dell'apostolo Pietro,
E che da Roma si recava o si era recato presso i Piceni.
| Wn All’autore sembra inoltre che il calcolo degli spazi di tempo
Hi intercorsi tra i vari momenti e movimenti riferentisi alle due bat-
| taglie strettamente connesse, sia in qualche caso da rivalutare,
tenendo piü realistico conto dei fattori psicologici, che agiscono
IE come straordinari impulsi acceleratori nel clima drammatico della
I ui . sconfitta o della vittoria; in special modo, quando si sia in piena
M In fase travolgente da un lato, e sotto la minaccia d'un crollo pauroso
e irreparabile dall'altro.
Veniamo dunque all'argomento.
Chi ne ha una qualche notizia, sa che per esso ci si appoggia
su tre testimonianze principali: di Polibio, di Livio, di Appiano.
C'é chi cita anche Cornelio Nepote, di circa due secoli piü
| vicino di Appiano agli avvenimenti; ma, a parte il suo relativo
d Me valore storico, dato lo scopo prevalentemente moralistico-politico
dud Il delle Vitae, non assume, a mio giudizio, grande importanza chiari-
(i | ficatrice quel suo passo, in cui fugacemente accenna avere Annibale
ISSN annientato un pretore Centenio «cum delecta manu saltus occu-
I d pantem ».
| Hi E, a proposito di testimonianze, diremmo, superflue, ci sia per-
| messa una breve parentesi su quella del famoso monaco bizantino
Giovanni Zonara.
| Uno storico illustre, se cosi si vuole; ma dal quale, sui fatti
| | almeno della seconda guerra punica e su questo di Pléstia, lumi
non ne possiamo attendere. Leggasi, in merito, ció che ne dice il
| De Sanctis (1).
| | E del resto, pur senza considerare che egli compendia soltanto,
l | | e a suo modo, a molti secoli di distanza, Dione Cassio, non si può
Wi pretendere di spremere sussidi dimostrativi alla propria tesi (2)
| da uno storico, che ci mostra, per esempio, un Annibale deviante
dall'obiettivo finale, Roma, per andare (notate bene) in Campania,
| dopo aver trovato distrutto un ponte.... a Narni. Una forza
n d'urto implacabilmente tesa verso la conquista suprema e mera-
vigliosamente organizzata, che, dalla Catalogna, per i Pirenei,
per la valle del Rodano con i suoi affluenti, per il massiccio mai
NUOVE OSSERVAZIONI SULLA BATTAGLIA DI PLESTIA NEL 217 A. c. 25

prima violato delle Alpi Graie, per tutta l’Italia settentrionale e
centrale, aveva avanzato irresistibile, superando avverse acciden-
talità d'ogni genere, avendo ragione di difficoltà inaudite, create
dalla natura e dagli uomini; ormai a poca distanza dalla grande
méta agognata, si arresta a un tratto, riconoscendosi impotente,

perché c'é qualche ponte distrutto, su corsi d'acqua non certo vorti-

cosi e paurosi, senza menomamente far ricorso ai suoi fabri o ge-
nieri ; per dirigersi poi al largo, in Campania! Da Narni !

Cosi Zonara scriveva di storia romana e di Annibale, al tempo
di Alessio I Comneno. Ció che si puó ancora capire ; ma rispolverarlo,
per metterlo accanto a Polibio e Livio, su per giü allo stesso livello,
é, per lo meno, un discutibile sfoggio di inutile erudizione.

Probabilmente, non il ponte di Narni, che forse il formidabile
condottiero neppure vide, ma la feroce invitta reazione di Spoleto
fu il primo e piü duro imprevisto, che lo indusse a riflettere su
grave pericolo che correva inoltrandosi nell'approssimarsi a Roma
Sopra un terreno, diciamo cosi, minato da altre possibili e non menl
accanite resistenze.

E la deviazione, che, attraverso il territorio dei Praetutii, l,
condusse in Apulia, prima che in Campania, la fece, non c'é dubbioo
ma, logicamente, verso il Piceno, dopo appunto — secondo il nostro
parere — aver tolto di mezzo Centenio, il quale, come vedremo,
ne occupava il valico centrale di accesso, presso il lago e nella piana
di Pléstia.

Torniamo perció a Polibio, Livio e Appiano.

Polibio, ostaggio a Roma nel 166 a. C., divenuto intimo degli
Scipioni, quasi contemporaneo ai fatti che narra, ci informa (3)
che il console Servilio, accampato presso Rimini, intento a tenere
a freno turbolente tribù galliche, saputo che il collega Flaminio
(di cui è naturale conoscesse l’indole impulsiva e pericolosa) stava
per attaccarsi con Annibale calato in Etruria; non essendogli pos-
sibile iniziare una marcia sufficientemente rapida con il grosso
del suo esercito; spedì avanti, in tutta fretta, xxtà orovdny, alla
testa di quattromila cavalieri Caio Centenio, affinchè, se ce ne
fosse la possibilità e la convenienza, si 3&ot9" oi xaipot, gli por-
tasse aiuto.

Ma prima che questa avanguardia serviliana, valicato l'Appen-
nino, giungesse a destinazione, Annibale, che intanto aveva liquidato
l'incauto e inutilmente eroico Flaminio, provvide immediatamente,
avutane tempestiva notizia da esploratori, a sbarazzarsene, mandan-

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26 GIOVANNI AMBROSI

dole contro Maarbale con un nerbo di lancieri e cavalleria : &yovta
Tobe AoYxyodpópouc xaí TL uÉpoc vOv irmécov.

L'annuncio della nuova sconfitta pervenne a Roma — racconta
sempre Polibio — tre giorni dopo quello del disastro avutosi al
Trasimeno.

Livio (4) riporta il medesimo fatto con dati identici, solo ado-
perando, per l'arrivo del secondo tragico annunzio a Roma, la parola
repens, invece della frase « dopo tre giorni » ; fornisce peró particolari
trascurati da Polibio, cioé la località dello scontro e la manovra
aggirante dei Cartaginesi : quattuor milia equitum cum Caio Centenio
propraetore missa ad collegam. ab Servilio consule, in Umbria, quo
post pugnam ad Trasumennum auditam averterant iter, ab Hannibale
circumventa.

Infine, nella versione discorde di Appiano, si dice (5) che An-
nibale, al principio della primavera scese in Etruria, e che iRomani,
a questo nuovo suo balzo in avanti sul cammino dell’Urbe, invasi da
grande terrore, radunarono « gli ultimi ottomila uomini che poterono»
e, posto loro a capo un patrizio, un tale Centenio, li inviarono in
Umbria, presso la palude Plestina, a guardia d'uno stretto passo,
dov'era una via più breve per Roma.

Subito dopo, senza neppure indicare il luogo (benchè il fatto
del Trasimeno sia d’importanza capitale, e non secondaria come
l’episodio sfortunato di Centenio) narra il tremendo agguato teso
a Flaminio e la distruzione di quell’esercito consolare, con la resa,
il giorno dopo, dei seimila legionari, i quali con risoluto impeto
s'erano aperti un varco, spezzando la morsa nemica.

La fama di queste cose — così egli continua — mentre Annibale
sempre .più avanzava, raggiunse Servilio, che era presso il Po e
che si preparava pertanto a passare in Etruria con i suoi quaranta-
mila uomini (come affermano pure Polibio e Livio); ed intanto
Centenio con i suoi ottomila rimaneva a guardia del passo a lui
affidato.

Andatogli Annibale incontro, visto, presso la palude « «4» Mpyvyy
tiv IMerotivyy », il monte soprastante, fa esplorare una via per
aggirarlo ; ed essendogli stato riferito che i luoghi erano intorno
scoscesi (&upixonuva) senza possibilità di passaggio sicuro e rapido,
dà nondimeno a truppe leggere l'ordine di riuscire a sorprendere
i Centeniani alle spalle. i

La sorpresa avviene e con essa l'azione simultanea: il preci-
pitarsi di Maarbale dal monte a tergo e l'assalto frontale di Annibale,
NUOVE OSSERVAZIONI SULLA BATTAGLIA DI PLESTIA NEL 217 A. c. 27

la zuffa sanguinosa, gran numero di uccisi e di prigionieri romani,
fuga disordinata di pochi superstiti.

A due costatazioni, diremo così, elementari, induce cotesto
racconto.

La prima è che lo sterminio di tale legione disperatissima,
inviata dal Senato quale ultima sua risorsa per tentar di fermare
un nemico ormai lanciato senza più valide rémore verso la méta
suprema, sarebbe stato assai più grave cosa che non quello della
cavalleria mandata avanti dal console Servilio in aiuto a Flaminio ;
e che quindi specialmente Polibio, il quale, come si sa, suol prestare
attenzione agli avvenimenti misurandone l’entità dalla natura e
gravità dei loro effetti, più che dalla loro mole, non ne avrebbe
taciuto (si rammenti che era quasi contemporaneo ai fatti), qualora
si fosse trattato di un altro episodio, e perciò di due Centeni diversi,
venuti alle prese con Annibale proprio negli stessi giorni: ipotesi,
questa, così strana da far meraviglia il vederla considerata accet-
tabile da qualche studioso di valore.

L’altra constatazione è che alcuni critici insigni (il Pareti ed
altri) hanno acutamente scovato e segnalato la evidente contami-
nazione appianea con l’episodio, narrato da Livio, d’una battaglia,
nei pressi della Lucania, tra Annibale che avanzava verso Capua
e un esercito di ottomila uomini, magna ex parte tumultuarium ac
semiermen, affidato dal Senato Romano ad un (Marco) Centenio,
primo centurione dei triarii. Nell'uno e nell’altro episodio un me-
desimo nome, Centenio; nel medesimo modo raccolti in fretta i
soldati; lo stesso numero, ottomila; eguale il mandato ricevuto
dal Senato e dal popolo romano ; eguale l'invio diretto da Roma;
e identico, ad opera dello stesso Annibale, l'esito infelice per av-
venuto accerchiamento: «omnibus viis ab equite insessis » (6).

La parentela non potrebbe essere piü stretta e piü chiara,
anche se in Appiano i cavalieri accerchianti diventano reparti celeri,
perché c’era un monte scabroso da aggirare.

Ma quale l'origine di tale contaminazione ?

Appiano, scrittore greco e cittadino romano, avvocato del
fisco e funzionario imperiale in Roma, con molta probabilità co-
nobbe — fors'anche nel corso di viaggi inerenti alle sue mansioni —
i paesi umbri e le cose dell'Umbria; e non scrisse a vanvera, chè
anzi, attingendo per la sua opera storica da tutti gli scrittori ante-
cedenti, da Fabio Pittore in poi, ci offre una miniera di conservate
notizie, che può dirsi preziosa; ma tuttavia, portato dall’ingegno

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e dall’indole ad aggiustare talvolta i fatti secondo una sua precon-
cetta opinione, sembra verisimile possa aver attribuito ad un ef-
fettivo evento del 217 a. C., in Umbria, presso il lago Plestino, i
particolari di ciò, che si narrava accaduto in circostanze quasi analoghe
(di preoccupante avanzata annibalica verso Roma) presso le lagune
a sud del Sele; le quali, dalla vicinanza di Pesto — come osservò
il Pareti e ammette il De Sanctis — poterono ovviamente prendere
nome di IIuotivy o Iaotayny Muy.

Anche dunque per l’attrazione d’una fama, che poteva essersi
mantenuta in Roma e regioni vicine, di quel lago adiacente a luoghi
montuosi (ne preciseremo in séguito l'identità), salito esso pure
alla ribalta d'una trista celebrità accanto al maggiore fratello, il
Trasimeno ; e che veniva cosi a confermare, con esatta determina-
zione, l'indicazione liviana «in Umbria »; non é molto arbitrario
pensare che la suddetta trasposizione di dati sia dipesa proprio da
una deliberata intenzione di emendare il presunto sdoppiamento
d'un'unica gesta, sospettato per la omonimia delle due posizioni,
oltreché dei due comandanti, nella conformità delle due situazioni.

E pertanto, il dotto alessandrino romanizzato, che intese am-
mannire con i suoi ventiquattro libri una storia Romana spesso
ad arbitrium riordinata e corretta, si convinse doversi innestare
nell’avanzata annibalica verso il Sud, dall'Etruria, anzichè verso
il Nord, dal Beneventano, l’eccidio degli ottomila centeniani, so-
stituendo alla palude Pestina quella Plestina della tradizione umbra
a lui nota: éc ’Ouppiyods è «4» IDetwztvqs Mpyny, che è denomina-
zione netta ed esplicita, ripetuta nel racconto due volte, quasi
a sottolinearne l’autenticità.

La mera ipotesi, come la chiama il De Sanctis, non è priva
d'un genuino sapore di realtà ; e può trovare altre ragioni d’appoggio,
non solo in quella libertà di compilazione, che è stata talvolta riscon-
trata in Appiano, ma altresì nell’aver egli evitato il prenome di
Centenio, Caio in Polibio, Caio e Mario in Livio nelle due narra-
zioni dei due diversi non contemporanei Centeni ; e nell'avere anzi
sfrondato il personaggio da ogni designazione specifica (propraetor
in Livio e praetor in Cornelio Nepote, per il Centenio del 217 ; cen-
turio primipilus insignis in Livio, per quello del 212), attribuen-
dogli la qualifica generica di ragguardevole privato, «&rupavisv i3oycó»y ».

Se é cosi, come appare probabile, il Centenio serviliano di
Livio dové sembrargli notizia errata da eliminare, tranne il dato
locale, «in Umbria ».
NUOVE OSSERVAZIONI SULLA BATTAGLIA DI PLESTIA NEL 217 A. c. 29

In qualsiasi modo del resto sia nata la versione appianea,
rimane innegabile l’impressione d’un insieme sconnesso e illogico,
manifesto frutto di eterogeneo adattamento.

Il terrore dei Romani, del quale egli parla, non fu certamente
quello che provenne dalla notizia del Trasimeno; perchè, come
avrebbe osato Centenio di andare con i suoi ottomila a prendere
una posizione in Umbria, quando nel tempo occorso per l’arrivo
d'un annunzio sicuro a Roma, più quello per l'inizio — che doveva
richiedere una preparazione, sia pure affrettata e febbrile — della
marcia del nuovo piccolo avventuroso esercito, Annibale da Passi-
gnano poteva essersi spinto già molto innanzi nella sua avanzata
sull Urbe ?

Ne Roma avrebbe scioccamente mandato ad immancabile
sbaraglio quel suo ultimo presidio, invece di prepararlo e disporlo
sübito a difesa della città, mentre il Senato « ab ortu usque ad occi-
dentem solem » stava adunato nella Curia per consultare « quonam
duce aut quibus copiis resisti posset » (7) : consultazione affannosa,
che portó ad una straordinaria misura di emergenza, con la dit-
tatura di Q. Fabio Massimo, « remedium iam diu neque desideratum
nec adhibitum », ad opera del popolo e in assenza del console super-
stite Servilio, il quale d'altra parte non poteva essere mandato a
chiamare, o comunque tempestivamente avvisato, «per Italiam
armis Punicis occupatam ».

Ed allora (e la versione appianea è da intendere appunto cosi)
prima di quel terzo funestissimo evento della lotta contro Annibale
in Italia, il terrore e il conseguente invio di quella estrema riserva
sarebbero stati effetto della costernazione prodotta dallaver ap-
preso che egli, Annibale, una prima volta ricacciato indietro, al
passaggio dell' Appennino, da una tempesta d'eccezionale violenza (8),
era alla fine sfociato in Etruria sopra Fiesole, per una impreve-
dutissima via, impaludata da piene stagionali dell'Arno e dei suoi
affluenti; e da lui arditamente scelta, come la più breve e la più
libera da sorprese per puntare sull’Aretino.

Sicchè, in sostanza, si tratterrebbe dell’acutizzarsi d’uno stato
d’animo già dilagante in Roma — come Livio racconta — dopo la
Trebbia: «Romam tantus terror ex hac clade perlatus est ut iam
ad urbem Romanam crederent infestis signis hostem venturum » (9).
Ma, in tal caso, se si capisce il crescere dell'agitazione che già la
Trebbia aveva provocato, non si capirebbe peró — con i due eser-
citi consolari, di Flaminio e di Servilio, ancora intatti — un inva-

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samento tale di cieca paura da indurre il Senato alla precipitosa
e quasi puerile decisione di creare un esercito raccogliticcio di otto-
mila uomini, mettendo a capo di esso un tale Centenio, per spe-
dmrlotizza a tamponare che cosa ?

Ben altrimenti coscienziosa e ineccepibile la già esposta narra-
zione in cui concordano Polibio e Livio : il primo, severo per indole e
per acquisita disciplina, del quale « nemo fuit », afferma Cicerone,
«in exquirendis temporibus diligentior», espertissimo di cose po-
litiche e militari, come esponente della migliore élife di quella Lega
Achea, che fu il più nobile ultimo tentativo di difesa della libertà
greca ; il secondo, Livio, di cui nessuno mette in dubbio il candore
e l’onestà, pur se sappiamo che i suoi metodi d’indagine non furono
proprio quali noi oggi li concepiamo e li vorremmo in uno storico.

Nessuna incertezza dunque sulla vericidità della versione uni-
sona che essi ci danno; la quale risulta come integrata da Appiano
con la puntualizzazione del generico dato topografico umbro forni-
toci da Livio.

E affrontiamo adesso la quaestio princeps.

È da identificarsi questo dato, secondo il parere del De Sanctis
e d'altri, con il lacus Umber, ove confluivano un tempo le acque

del Chiascio e del Topino, che da qualche zelante interpolatore sia

poi stato precisato in IIewotivy Muvy? E potrebbe tale sovrap-
posta denominazione essere giustificata dalla presenza di nomi
quali Bastia e Prestille nella piana un tempo da esso occupata ?

E quanto di questa pianura era allora coperto dalle acque
del lago ? Si ha conoscenza di dimensioni definite, oppure si sono
formulate piü o meno geniali ipotesi approssimative, sulla base
di troppo pochi elementi positivi e inoppugnabili, atti ad una sicura
ricerca ?

E poteva infine questo lago estendersi tanto, in maniera
continuativa, da Bettona ad Assisi, da creare una vera strettoia,
tà otevà, attraverso cui passava la strada romana tra Perugia
e. Foligno ?

Diamo, comunque, come tutte scontate e risolte siffatte obie-
zioni. Ritengo, anzi, che geologi ed idrografi sorrideranno forse
della mia incredula ignoranza ; e pertanto mi sottometto umilmente
alla irreprensibilità di induzioni e misurazioni che non sono in
grado di giudicare.

Però rimane una osservazione rilevante e tutt’altro che fa-
cilmente eliminabile : è osservazione di carattere militare e tattico,
NUOVE OSSERVAZIONI SULLA BATTAGLIA DI PLESTIA NEL 217 A. c. 31

che non ha tuttavia bisogno di grande acume strategico, bastando
per essa un minimo di sensato giudizio.

Ed è questa. Poteva Caio Centenio, deviando di sua iniziativa
dal cómpito affidatogli (che era solo di rinforzo a Flaminio, richie-
dendolo e permettendolo le circostanze, si 9eow9 ' oi xaipot, e non
quello di tagliare la strada ad Annibale) ; poteva Centenio, con soli
quattromila uomini e al tempo stesso mobilissimo com'era con un
contingente di tutta cavalleria, essersi lasciato agganciare o essersi
fermato di proposito ai piedi dei tenui e agevoli colli appoggiati al
Subasio, tra Spello e Assisi, sia pure protetto a sinistra (non sap-
piamo bene fino a che punto e come) dal lacus Umber, con la pre-
tesa di fare argine ad un nemico molto piü forte per numero e mezzi,
anche se in parte logorato e assai provato ; armatissimo di scaltrezza
e d'audacia, imbaldanzito dal successo recente di una prodigiosa
impresa, oltreché da tante battaglie contrassegnate tutte (le piü
impegnative) da altrettante vittorie ?

E per giunta, sapendo tale nemico (si noti anche questo) pro-
prio «equitatu meliorem » (10), cioé superiore per una cavalleria di
maggiori e migliori effettivi, non solo ben addestrata alla irruenza
delle cariche in pianura, ma, dove il terreno fosse disuguale, agli ina-
spettati accerchiamenti ? i

È inutile affaticarsi a voler creare un doppione inesistentissimo
di Termopili : perchè Leonida, facendo, come fece, barriera d’arresto
prima, pur con armi assolutamente impari, contro il nemico, e
sacrificandosi eroicamente poi con i suoi trecento, dopo aver con-
gedato gli ausiliari in séguito al tradimento di Efialte, sapeva di
portare un vantaggio enorme, sia strategico che morale, alle forze
greche. E queste, erano coscienti sì, della gravità del momento,
anche per la defezione dei regimi aristocratici tebani e tessalici
dalla lega panellenica ; ma erano in piena efficienza per affrontare
il nembo asiatico, e per terra e per mare: come appunto si dispo-
nevano a fare sull'istmo di Corinto, e come sübito dopo fecero al
capo Artemisio, e piü superbamente a Salamina, con il suggello,
nell’anno seguente, di Platea e di Micale.

Molto diversamente andavano le cose per i Romani dopo i
tre paurosi rovesci sübiti, al Ticino, alla Trebbia, al Trasimeno:
cosicché Centenio, davanti ad un Annibale (discretamente, crediamo,
superiore a Serse, anche se inferiore quanto alla bruta pesantezza
del numero) e in una posizione, che, anche nella migliore delle
ipotesi, neppure una pallida idea poteva dare delle strette tessaliche

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32 GIOVANNI AMBROSI

tra i monti e il mare sul golfo Maliaco, non aveva nessuna ragione
sufficiente, e quindi nessun interesse, di far da Leonida.

Il suo sacrificio, è noto, si verificò lo stesso, ma altrove, in altra
maniera; e dovette essere causato da altro orientamento tattico,
e da fattori diversi logici e psicologici, assai semplici e naturali nelle
circostanze in cui s'era venuto a trovare.

La mia modesta opinione è che questa tesi, non sostenibile
se non con speciosi appigli sul terreno pratico, abbia avuto origine
dal fatto che il famoso lacus Umber, nobilitato tra l’altro dalla poesia
di Properzio, non soltanto si presta meglio a dotte disquisizioni
storiche e geologiche, ma altresì tenta di per sè e soddisfa di più,
perchè inserito direttamente al centro d’una linea maestra di co-
comunicazione, che univa Roma all’Etruria e l'Etruria a Roma.

Il lago invece, o palude, di Plèstia (Pischia), di cui tra poco
parleremo, non godeva, e neppure gode ora come memoria, la
stessa notorietà, fuori di mano com'è rispetto a quella linea.

Si è piuttosto sorvolato, in genere, sopra un dato accertatis-
simo : che esso aveva, presso il valico detto oggi di Colfiorito, una
ubicazione di particolare importanza. Non solo infatti si trovava
al vertice, diremo così, del raccordo Umbria-Piceno, Tirreno-Adria-
tico, ma era, da ben tre lati, in collegamento, nè molto distante
nè difficile, con la grande via, commerciale e militare, allacciante
l'Urbe al Piceno e alla Gallia, che il censore Flaminio aveva fatto
in alcuni tratti aprire, in alcuni raddrizzare o rassodare, nel 223
a. C. o, secondo altri, nel 219, poco prima cioè che le truppe e gli
elefanti di Annibale si affacciassero dai gioghi Alpini: a nord-
nord-ovest con il tronco che porta tuttora a Rimini, a sud-sud-ovest
con quello di Roma, oltre che ad ovest-sud-ovest con il punto,
che dei due tronchi (sia dalla direzione Narnia-Carsulae-Mevania,
sia da quella Interamna-Spoletium-Trebia) rappresentava, come an-
cora rappresenta, il nodo mediano : il Forum Flaminium e Fulginia,
di dove, com'é naturale, doveva partire una via (anche se non pro-
prio coincidente forse con quella attuale) per Hispellum-Asisium,
verso Perugia e l'Etruria.

Credo anzi, quanto alla via compendiaria sud-sud-ovest, la Spina,
da Pléstia a Spoletium, che essa sia da molti ignorata o tenuta in
nessun conto, o che sia stato appena preso atto d'una sua antica
efficienza. Persino il cosi solerte ed insigne ricercatore di notizie
Storiche umbre, mons. Michele Faloci Pulignani, nel suo studio San
Pietro Apostolo a Cancelli presso Foligno, pubblicato nel 1937, in-
VII Via ad Trasimenum
versus

Ariminum Versus

MHHEEHHHHHH*"

adum brata Plestinae

Fulginatisque regionis
descriptio

"M, Vetus Lacus
i- Mons Orbis
2-Mons Trella
5-Castrum Populae
4- Caesium
5- Dolium Casonis
6- Fons Matinatarum
7- Mons Brullianus

Plestina inter montes planities
Castrum Collis Floreti
Fulginia

Mevania

Lacus Umber

Asisium

Mons Subasius

Via ad Trasimenum Versus
Nuceria

Castrum Amnifi

Spoletium
[ON EBUR Ot Yes
NUOVE OSSERVAZIONI SULLA BATTAGLIA DI PLESTIA NEL 217 A. c. 33

siste (pagg. 13-18) sull’esistenza d'una strada romana ; per conclu-
dere peró — in base a ritrovamenti di antichità — che essa serviva
ad una Cancelli romana, che giustificherebbe l'arrivo colà di San
Pietro e San Paolo o dell'uno dei due. Non gli vien fatto di sospet-
tare che un tale passaggio può assai meglio essere giustificato, e
quindi essere assai meglio convalidata la nota pia tradizione che ri-
guarda gli abitanti del luogo, quando si consideri non una strada .
in funzione di Cancelli (qualunque potesse essere la sua importanza
montana), ma in funzione di località situata presso via battuta,
collegante Spoleto al Piceno.

L'antica Plèstia dunque, dicevamo, e il suo lago sono riconosciuti,
ormai da tempo, una indiscutibile realtà storica. E furono situati
appunto sull’altipiano, di cui è stato detto a principio, poco oltre
Colfiorito, dopo superato in direzione nord-est il displuvio dell’Ap-
pennino centrale.

Le controversie, nate dal fervore degli studi umanistici anche
geografici, dell’Ortels (11) e del Cluver (12), nel ’500, e dello Iaco-
billi (13), nel primo ’600, sulla regione delle genti Plestine — che
già Plinio il Vecchio aveva, come Appiano, assegnato all'Umbria (14)
— non sono che un ricordo erudito.

Né importa molto il silenzio, in merito a tale località ben altri-
menti nota, della famosa Carta di Corrado Peutinger, la Tabula
Peutingeriana, nella quale per le regioni dell'Impero romano d'oc-
cidente si fa, com'é noto, menzione soltanto di luoghi situati lungo
le piü insigni strade militari.

Lo stesso nome attuale, Pischia, che risuona sempre vivo in
molteplici locuzioni — la piana di Pischia, o del Casone, la Madonna
di Pischia, la fiera di Pischia — non ha bisogno di sofisticate suc-
cessioni fonetiche per dimostrare la sua limpida naturale filiazione
da Pistia (cfr. stiava per schiava, Machiavelli, nel Principe), e Pistia
da Plistia, Pléstia.

Non a rappresentare, ma a ricordare le rovine della città,
rimangono alcuni villaggi, come Cesi, Fraia o Fratta, Popola,
Annifo: nomi, che potrebbero aver l'aria di voler rievocare non si
sa quali echi drammatici nell'orecchio di cultori di antica topo-
nomastica.

Ma noi ci guarderemo bene dal subodorare per esempio, in
Cesi i caesi centeniani tra i resti inseguiti e raggiunti prima di riu-
Scire a imboccare via della Spina; o in Annifo.... cogliere una
risonanza di Annibale, per quanto i Puni o Punici siano stati da

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p a ade Set re ei ct EVA, ULL GUAE Mu TR x 7)
34 GIOVANNI AMBROSI

taluno immortalati, in un colle Pune poco distante da Assisi. Nel
il che, niente da eccepire; a patto però che la golosità toponomastica
il non arrechi disturbi alla sanità logica.

ii) Su tale Plèstia, in quel di Pischia, non solo la bibliografia è
| ricchissima, ma sono anche recentissimi ulteriori studi e saggi
archeologici, in loco, dai quali risulta piü chiaramente che mai la
I esistenza, un tempo, d'una città abbastanza ricca e fiorente. Docu-
| | menti, iscrizioni diplomi imperiali, monete d'argento e di bronzo,
n ne attestano la vetustà e l’importanza.

B . Il Duchesne l'annovera tra le sedi vescovili, a cominciare dalla
EA fine del V e inizio del VI secolo dopo Cristo ; e lo Iacobilli accetta
l'opinione e la tradizione che essa sia stata rasa al suolo sul chiu-
dersi del primo millennio, e precisamente nel 996, dall'imperatore
Ottone III, perché schieratasi con il famoso partito antigermanico,
capitanato dal ribelle principe romano Crescenzio,

Quanto al lago, residuo, secondo la ricerca scientifica, d'un
| lago plioócenico o, comunque sia, alimentato dalle acque pluviali,
M che confluivano dai monti circostanti in un fondo valle privo di
| emissari, sappiamo con certezza che sopravvisse assai più a lungo
alla città da cui prendeva nome.

Esisteva ancora nel XIV secolo ; infatti il Waddingo, nei suoi
Annales, parlando del convento, affacciato sull’altipiano (adibito
ora a casa colonica), in cui, nel 1368, si era ritirato il francescano
Beato Paoluccio della nobile famiglia dei Trinci, signori di Foligno,
ce lo presenta cotesto lago con una pennellata di vivace realismo
ii paesistico: «In vicino lacu perpetua querela coaxabant ranae,
i coenosae paludes gravem exhalabant aérem » (15).

Ed è pure certo che esso fu prosciugato con la escavazione di
Dt fosse (tuttora chiamate forme), le quali permisero a quelle acque
(o stagnanti il deflusso nel fiume Chienti. Soltanto non è abbastanza
I chiarito se il prosciugamento avvenne ad opera del. munifico
| ll signore della regione, Francesco Iacobilli, verso la metà del 500,
|

ie o SALA Vu AES a SS PUR ae SATA Pia GU VE. Tu i AP. M

î


o se era stato già effettuato (o piü ovvio sarebbe dire, iniziato),
ii alla fine del '400, dal duca camerte Giulio Cesare Varano.
| Tutta la pianura elevata, che conteneva un tempo e città e
LH palude, circondata intorno intorno, come un piccolo acrocoro, da
montagne e colli di varia entità e altitudine, misura in ampiezza
un migliaio — o forse piü — di ettari, a poco meno di 800 metri
sul livello del mare ; ed ha alcune caratteristiche veramente singolari.
Come se la natura e insieme gli uomini avessero voluto creare
NUOVE OSSERVAZIONI SULLA BATTAGLIA DI PLESTIA NEL 217 A. C. 35

un munito accampamento stabile, in posizione eminente, di classico
tipo romano, troviamo ancora, entro la chiusa convalle, un antico
incrocio, per quanto irregolare, di due vie, che sboccano in quattro
porte.

Di queste, l’una che guarda all’incirca ad ovest-sud-ovest, tra
i monti Trella ed Orbe, potrebbe considerarsi una porta pretoria,
da presidiare contro un eventuale nemico avanzante da Foligno;
porta decumana, quella opposta, tra la « Botte del Casone» e la
« Fonte delle Matinate », da cui sfocia la strada che porta a Serravalle
del Chienti, Camerino, Macerata, e che anticamente doveva snodarsi
tra i pendii del lato nord da una parte e la palude o qualche pro-
paggine della città dall'altra; porta principale sinistra (rispetto
alla pretoria suddetta), quella tra Cesi e il Castello della Popola,
per dove aveva inizio la già accennata via Spina, via compendiaria,
che, puntando direttamente su Spoleto, scartando il giro per Foligno,
permetteva di guadagnare una quindicina circa di chilometri nel
viaggio a Roma e da Roma ; porta infine principale destra, la quarta,
di dove, sotto il monte di Brugliano (o Brulliano) per il passo di
Vaccagna e Annifo, con un percorso d'una ventina di chilometri,
anche qui lasciando da parte il piü lungo itinerario folignate, si rag-
giungeva presso Nuceria Camellaria, l'odierna Nocera Umbra, la
via Flaminia, scendente per Pesaro e Fano da Rimini.

Rifacciamoci adesso al viaggio, che dovette per troppe ragioni
essere drammatico, di Centenio, impegnato ad adempiere, nell'in-
calzare degli eventi, il suo cómpito, che non era, ripetiamo, né poteva
essere (sarebbe ridicolo pensarlo) di sbarramento della strada al ne-
mico, bensi di portare un aiuto urgente a chi poteva averne bisogno ;
e per cui la indagine sul luogo, dove fu sgominato, non puó andare
ispirata al cosi poco sensato preconcetto di una posizione acconcia
a fermare o tentar di fermare l'impetuosa marcia cartaginese. È
questo, io credo, il punto cruciale della questione.

Viaggio, quello di Centenio, a grandi tappe, x«vX orovdy, lungo
il litorale adriatico sino a Fano; e poi, quanto piü celermente pos-
sibile, per le strade montane, attraverso le gole e i valichi dell’A p-
pennino ; ma anche (dobbiamo supporlo, e può darsi ne abbia avuto
istruzione dallo stesso Servilio) con tutte le precauzioni del caso,
contro il pericolo d'incappare, qualora non fosse giunto. in tempo,
in un Annibale nuovamente vittorioso e fatto più minaccioso che mai.

Nè certo si diresse per Pesaro e Urbino verso Arezzo e Cortona,

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come qualcuno é stato tentato di sostenere, non troppo badando

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36 GIOVANNI AMBROSI

alla palmare contraddizione e inconciliabilità con le fonti insostituibili,
che sono quelle citate, di Polibio e di Livio (lasciamo Appiano,
che parla di provenienza da Roma) : era infatti, secondo queste due
fonti, diretto non dalla Romagna in Etruria contro Annibale, ma
incontro al console romano, che aveva davanti a sè Annibale.

Seguì dunque la via più a sud, attraverso Fano, Fossombrone,
Nocera Umbra, per poi risalire da Foligno verso Flaminio.

Qualunque sia la tesi storica, che si voglia sostenere circa il
luogo ove si scontrò con Maarbale, bisogna ammettere che l’an-
nuncio fatale del Trasimeno dovè giungergli — ad opera di super-
stiti cavalieri romani, che scendevano in rotta da Passignano —
probabilmente mentre toccava, o aveva appena toccato, i pressi di
Foligno, cioè, all’incirca, un paio di giorni dopo l’eccidio : non molto
prima, nè molto dopo, se si considerano attentamente nel loro vi-
cendevole rapporto i due avvenimenti, nei racconti di Polibio e
Livio, e la esattezza polibiana, che dimostreremo, dei termini di
tempo circa l'arrivo delle due notizie a Roma.

Che cosa avrebbe dovuto fare Centenio ? continuare la sua marcia
contro il vincitore Annibale ? Cerchiamo, di grazia, sinceramente
di appoggiarci ad un onesto e modesto buon senso, anziché alla in-
gannevole retorica dei romantici ardimenti.

Era un'idea pazzesca, un votarsi al quasi certo sacrificio senza
alcun corrispettivo vantaggio evidente ; né è pensabile che Servilio
avesse mandato in aiuto.a Flaminio, un altro e piü impulsivo
Flaminio.

Piegare a sud, alla volta di Roma ? Prima di tutto, da buon ro-
mano, non doveva ignorare che Roma e il Senato, pur in istato di
febbrile allarme, non avrebbero perduto la testa e si sarebbero im-
mediatamente preparati ad una estrema difesa, alla quale egli,
Centenio, avrebbe potuto concorrere meglio in altra forma piü tardi,
dopo il ricongiungimento con Servilio ; considerato inoltre, che il
suo arrivo con aspetto di fuga sarebbe stato elemento deprimente,
piü che di soccorso ; né avrebbe giovato a tenere alto il morale di
nessuno, e meno ancora dei cavalieri al suo comando.

Tornare verso Servilio, dunque ? Ma allora meglio valeva, tro-
vata una posizione adeguata alla critica circostanza, attenderlo,
tentando di fare nel frattempo qualche cosa di concreto contro il
nemico.

Che avesse li, a portata di mano, a meno di venti chilometri, una
specie di fortilizio naturale, uno di quei nodi montani eccentrici, in
NUOVE OSSERVAZIONI SULLA BATTAGLIA DI PLESTIA NEL 217 A. C. 37

grado di offrire possibilità o situazioni di ripiego da sfruttare, i quali
sono sempre stati l’ultima risorsa di eserciti o parti di eserciti in
condizioni d’inferiorità o d’incertezza davanti ad un prevalere di
forze nemiche, Centenio non poteva ignorarlo. Doveva anzi avere
una qualche conoscenza di Plèstia, città di rilievo, forse anche città
munita e difendibile (certi resti di muri affioranti ancora, potrebbero
farlo supporre), del suo lago, del suo altipiano ; poichè un incarico
di tale responsabilità non poteva il console Servilio averlo dato se non
ad un comandante abbastanza edotto e informato, nell’atto di assu-
mere l’impegno e le relative consegne, sulle caratteristiche principali
della zona da attraversare, allo scopo di saperne trarre profitto per
ogni migliore espediente di guerra, in ogni eventualità.

E d'altro canto, specialmente in frangenti simili, non avrà Cen-
tenio trascurato, nè gli saranno mancati mezzi d’esplorazione e in-
formazione.

Ed è allora per niente aliena dal vero l’opinione che egli abbia
scelto proprio quell’altipiano, un po’ appartato e al tempo stesso
(basta dare un’occhiata alla cartina topografica) al centro del qua-
dro di tutta l’azione bellica, che si stava svolgendo ; ad una ventina
di chilometri, più o meno, da Foligno come da Nocera, e ad una
trentina da Spoleto.

Di lì gli si presentavano le soluzioni più plausibili del momento :
aver modo di regolarsi a tempo sulle mosse del nemico, che senza
dubbio sarebbe poco dopo passato a valle per Foligno; servirsi,
secondo che richiedessero le circostanze, delle due vie laterali :
di quella di Annifo-Nocera, se avesse voluto o dovuto decidere
di affrettare il ricongiungimento con Servilio; di quella della
Spina, per effettuare rapide puntate di disturbo alle spalle di Anni-
bale, quando questi avesse raggiunto od oltrepassato Spoleto; o
anche invece per precederlo sulla strada di Roma, qualora ciò — ad
un certo punto ed essendo ancora possibile — gli fosse sembrato
preferibile.

Nel caso infine che fosse stato scovato in quel provvisorio ar-
roccamento montano e che non avesse potuto evitare (ciò che si veri-
ficò tre o quattro giorni più tardi) la battaglia, poter disporre a
proprio vantaggio, per difendersi da un avversario ascendente dal
basso, di un validissimo riparo naturale, avendo le spalle e i fianchi
protetti dai monti, con tre vie, aperte in tre diverse direzioni per
ogni eventuale ripiegamento ; al tempo stesso, rendere arduo il pas-
saggio in quel Piceno, che al nemico avrebbe potuto mostrarsi utile

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38 GIOVANNI AMBROSI
qualora avesse incontrato (come incontrò) ostacoli da altra parte;
e, comunque, trattenere la sua marcia, procurargli imbarazzo e
molestia.

Ci sarebbe da aggiungere, ad abundantiam, sia pure come soltanto
verosimile (se non anzi probabile) l’ipotesi già sopra prospettata :
che Pléstia fosse città cinta da mura, entro le quali i Romani avreb-
bero potuto rinchiudersi ; e che, in tal caso, per non averlo fatto o
non essere riusciti a farlo al momento dovuto, sarebbero stati scon-
fitti dal celere e astutissimo Maarbale.

Queste possibilità Centenio aveva; né si dimentichi che la sua
era una forza scelta e agevolmente manovrabile di cavalleria.

Il luogo, che Appiano ha precisato risponde benissimo qui al-
l'uopo, con i suoi &ppixpnuva, i suoi ovev&, ed altresì il valico, dtodog,
per dove c'era una via più breve verso Roma: f CUVTOLWTATOV
torw Eri cy Popunv.

Gli elementi topografici sono coincidenti e preziosi, anche se la
logica, con la quale è condotto il racconto appianeo, è scombinata,
per le ragioni che sono già state prima avanzate e discusse.

Si noti inoltre che acquista da ciò massima efficacia e chiarezza
la frase di Livio: «quattuor milia equitum circumventa in Umbria,
quo post pugnam ad Trasumennum auditam averterant iter ».

«Quo averterant », in quanto prima erano diretti, o per dirigersi,
in senso contrario, cioè verso l'Etruria ; non ubi constiterant, secondo
l'espressione che ci voleva se si fossero fermati al lacus Umber.

Da questa visione retrospettiva, che vien fuori spontanea dalla
valutazione e interpretazione dialetticamente argomentata dei dati
piü sicuri, ci sembra ormai lecito (e qui un po' di sana immaginativa
non guasta) ricostruire l'epilogo della vicenda.

Fermatosi sull'altipiano di Pléstia, avrà Centenio cercato senza
indugio di stabilire una sua linea d'azione: avrà distribuito le sue
forze, disposto i piü indispensabili approntamenti a difesa, e forse
anche provveduto, per la via presumibilmente libera Annifo-Nocera,
Fano-Rimini, ad informare Servilio di tutto lo stato delle cose. Ma
intorno al tempo (il computo seguente lo dimostrerà) che i Romani
costernati ricevevano non le prime vaghe voci, ma quella notizia
certa del Trasimeno, data in sintesi di sfortunata grandezza, pugna
magna vicli sumus, come annunzio ufficiale alla folla accorsa nel
fóro, dal pretore Marco Pomponio ; Maarbale faceva la sua appari-
zione, proveniente da Foligno, di fronte a quella che adesso diventava
NUOVE OSSERVAZIONI SULLA BATTAGLIA DI PLESTIA NEL 217 A. c. 39

realmente la porta pretoria del provvisorio accampamento cente-
niano, tra il monte Trella, a destra dell’assalitore, e i monti Orbe
e Brugliano a sinistra.

Con un non facile, ma possibile, aggiramento tattico, a più o
meno vasto raggio, preparato o improvvisato, dall'una o dall'altra
parte, avvenne la sorpresa alle spalle, che una eccessiva confidenza
forse dei propri mezzi, valorizzati dalla posizione, o una valutazione
inadeguata dell'ardimento, celerità e abilità di manovra dell'avver-
sario, non aveva permesso di prevedere.

Inclina l'animo a pensare che Centenio, vistosi perduto, sia an-
dato incontro alla stessa fine disperata ed eroica di Flaminio. Questa,
è la cosa meno documentabile ; ma piace ed è onesto congetturarla
dalla tradizione magnanima dei comandanti, grandi e piccoli, di
quel periodo, che fu il vero e più difficile banco di prova delle virtù
romane.

La notizia della nuova sconfitta fu portata a Roma, evidente-
mente dagli scampati all’inseguimento dopo la mischia infelice,
gettatisi giù per via della Spina verso Spoleto, non ancora forse attac-
cata da Annibale : notizia, per l’arrivo della quale ci sembra molto
esatto ciò che testimonia Polibio (cui fa eco il generico, eppur con-
corde, repens di Livio): i tre giorni impiegati a coprire il percorso
dal luogo della battaglia, vale a dire, nel nostro caso, circa cento-
cinquanta chilometri.

Il che, a parte il sentore o il grido d’allarme che suol trasvolare
le distanze con misteriosa rapidità, calza perfettamente per un an-
nunzio recato di proposito — in una eccitata atmosfera d’orgasmo,
ma non senza comprensibili tappe ed intoppi — in seno alla Curia,
da elementi responsabili, rivestiti di qualche grado o funzione.

Orbene, la notizia del Trasimeno, che era giunta tre giorni prima,
doveva allo stesso modo aver impiegato a sua volta almeno cinque
giorni; poiché da Passignano a Roma intercorrono tra i settanta
e gli ottanta chilometri in più che da Plèstia ; e l’intervallo di cin-
que giorni tra i due consecutivi fatti d’arme, è quanto basta perché
si possa ammettere che Maarbale, pur rimasto impegnato un intero
giorno nel successivo rastrellamento dei famosi seimila evasi dalla
stretta del lago, abbia poi superato, senza troppa difficoltà, con i
suoi imreîs e Aoyyopópot (un quid simile, si può supporre, dei « centeni »
tacitiani, che i Germani addestravano ad agire in concomitanza
con la cavalleria) la distanza di poco più che ottanta chilometri,
che lo separava da Plèstia.

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40 GIOVANNI AMBROSI

È sottinteso, perché nessuno ne dubita, che i servizi annibalici
d’informazione dovevano aver funzionato, come sempre funziona-
vano, a meraviglia in aiuto alle truppe operanti.

Rimane ora un’ultima difficoltà, messa in campo da alcuni cri-
tici: che la puntata punica su Plèstia mal si concilierebbe con l'as-
salto di Spoleto.

Mettendo da parte ogni disquisizione strategica puramente teo-
rica, non si riesce, sul piano concreto dei fatti, ad afferrare il motivo
per cui, in un condottiero tra i più sicuri e fulminei, che la storia
ricordi, nel cogliere e dominare la realtà delle situazioni, alla stessa
maniera che nel conformare a quella realtà la sua azione immediata ;
non possa, un tentativo di espugnare Spoleto, andare d’accordo con
la decisione d’inviare (distaccandoli in un momento qualsiasi della
marcia in avanti da Passignano, e magari attendendone, in un punto
qualunque e per ogni evenienza, il ricongiungimento) alcuni reparti
celeri, di manovra più che di assalto, per togliere di mezzo un Cente-
nio, il quale, piazzatosi non lontano, tra i monti, ad un incrocio di
vie di qualche importanza, era in condizioni sia di molestare la conti-
nuazione della marcia su Roma, sia d’ostacolare una eventuale oppor-
tunità o necessità d’accesso all’Adriatico. |

A questo punto anzi direi che quasi seduca l'idea d'un preordi-
nato appuntamento a Spoleto, di Maarbale da via della Spina e di
Annibale da Foligno.

Non soltanto nulla c'é che discordi tra le due azioni ; bensi salta
facilmente agli occhi che appunto questi due avvenimenti, non pro-
prio sincroni, ma concomitanti, debbono avere persuaso Annibale
a guardarsi dall'assalire al più presto la rivale, a mitigare la sua foga,
e a sfociare, per il momento almeno, nel Piceno.

Da un lato infatti lo smacco ricevuto per l'inatteso vigore di fie-
rissima resistenza degli Spoletini, che l'avevano ributtato da Porta
Fuga, lo ammoniva che Roma non aveva tutti contro di sé, com'egli
aveva sperato, ma poteva contare ancora su buona e temibile scorta
di città amiche fedelissime ; e dall'altro, lo sbaragliato Centenio
gli lasciava strada libera per il Piceno, e quindi per l'agro dei Pre-
tuzii e l'Apulia.

Tanto più che, dietro Centenio, c'era Servilio.

E Servilio rappresentata un grosso pericolo in atto, per chi,
senza poter sperare dopo tante dure battaglie su imminenti rinforzi
adeguati, avesse osato affrontare una difesa ad oltranza dell Urbe.
NUOVE OSSERVAZIONI SULLA BATTAGLIA DI PLESTIA NEL 217 A. c. 41

* * o X

Chi ora si reca là, dove fu l'antica Pléstia, nulla trova che gli
parli direttamente alla vista, né di quello che é stato il suo decoro,
se non anche splendore, di municipium Ufentinum di tanti secoli
or sono ; né degli avvenimenti storici, dei quali abbiamo ragionato.

Luoghi oggi, purtroppo, dimenticati, prevalentemente agresti
e non ricchi ; forse anzi, quasi poveri. Rimasti o divenuti, da secoli,
scarsi di ridente vegetazione, neppure potremmo dirli ameni e
pittoreschi nel senso turistico della parola; per quanto abbiano
tuttavia un loro fascino, e siano quindi invitanti, per una fresca
serenità d'orizzonte, aperto e luminoso ; per un che di limpido e ri-
posante, che essi attingono non solo dall'altitudine, ma anche dalla
singolarità della posizione e conformazione, in un conservato carat-
tere nudo e severo come le piane spoglie e M sano e rude
come la montagna.

Sparsi in piü villaggi, che abbiamo nominati e dei quali Colfio-
rito é il centro riconosciuto, gli abitanti sono semplici e schietti come
la loro regione, robusti, industriosi, dediti all'agricoltura, ma forse
piü all'allevamento del bestiame, bovino e ovino o suino, alla mer-
catura, all'artigianato, alla caccia; anche alla pésca, fino a pochi
anni fa, di ottime tinche, nei resti d'una palude — ora la piü parte
disseccata, soprattutto in estate — che occupava la cosiddetta
piana di Colfiorito ; quella piana, che è il vestibolo, andando nelle
Marche, dell’altra di Pischia o del Casone, proprio sul punto più
alto del passo appenninico, ove dovette sostare il grosso del distacca-
mento annibalico, fors'anche almeno in parte mascherato e non visi-
bile nella sua entità, mentre attendeva l’esito dell’aggiramento,
prima di sferrare l’attacco finale.

Colfiorito, borgo, è tra le due piane.

In quella di Pischia, pascoli e qualche coltivazione, a tratti,
di grano, granturco, patate, foraggi, nella parte non allagabile o
in quella bonificata.

Delle due vie decussate all’epoca di Centenio, battute dagli zoc-
coli dei cavalli cartaginesi e romani, nonché, come sembra, di quelli
germanici di Ottone III (mille duecento anni più tardi ed essendo
ancora in auge la città di Plèstia) resta attiva la nord est-sud ovest,
che abbiamo chiamato pretoria.

Con diversa frequenza nelle varie stagioni dell’anno, oggi vi
sfrecciano, dopo raggiunto o prima di raggiungere — secondo la

LA E tre $2 beds y. ALI a BB: B CA A e. ie e iI Ü

* (71^
Fante
42 ; GIOVANNI AMBROSI

loro direzione. — il valico, macchine d’ogni cilindrata, utilitarie o
di lusso, e vi si alternano rombando autocarri e torpedoni, popolari
o.di gran turismo, i quali, sostando appena — e non sempre — a
Colfiorito, proseguono alla volta di Camerino e Macerata o di Fo-
ligno: scambio di produzione, commercio, corrispondenza, o flusso
e riflusso di gitanti di solo passaggio, tra i due versanti, adriatico e
tirrenico.

Soltanto un ricordo rimane visibile, per cui quello delle guerre
umane pare dissolversi in un senso di pace, che trascende l’umano
travaglio. Non è della Plèstia, che devono aver visto Centenio e
Maarbale con i loro cavalieri, ma di quella più tarda, medievale
cristiana : la chiesa di Santa Maria di Pischia, della Madonna di Pi-
schia, piuttosto decrepita e fatiscente all’aspetto, più volte restau-
rata, che conserva tra l’altro una cripta preziosa, vetustissima, le
cui memorie sono davvero venerande ; la più antica chiesa dell’at-
tuale Diocesi di Nocera, a tipica forma basilicale, costruita in conci
romani, di epoca — con molta probabilità — risalente a verso la metà
del primo millennio cristiano.

I richiami del passato attingono talora vigore e fascino dal di-
stanziarsi nel tempo, e spesso, specialmente nei più recenti anni,
rinnovandosi per impulsi e ispirazioni varie il culto delle antiche cose,
si sono più e meglio ravvivati e valorizzati.

*. Ma ciò, qui, non è accaduto e non accade. Qui, essi sono andati
come sperdendosi per l’aria sottile e silenziosa, finchè, quasi del tutto
(tranne brevi riaffioramenti sporadici), si sono spenti e sommersi.

Nella realtà attuale e nella storia, la sorte di Plèstia è un po
come quella del carducciano « vedovo Clitunno », intorno a cui « tutto
ora tace » del nobile fervore e clamore di vita d'un tempo lontano.

GIOVANNI AMBROSI

NOTE

(1) G. DE Sanctis, Storia dei Romani, vol. III, parte II, p. 108.

(2) Gino Lure: ManrELLI, Annibale in Umbria, Perugia, Tip. Commerc.,
1924; citato, tra gli storici e saggisti più autorevoli, in Enciclopedia Trec-
cani, "ia voce « Pléstia ».

(3) PoLIBIO, 'locoptóv tpim, 85 segg.

(4) Livio, Ab Urbe condita, XXII, 8.

(5) APPIANO, ‘Popariv Amadei, VII.

(6) Livio, op. cit., XXV, 19.
NUOVE OSSERVAZIONI SULLA BATTAGLIA DI PLESTIA NEL 217 A. C. 43

(7) Livio, op. cit., XXII, 7-8.

(8) Livio, op. cit., XXI, 58.

(9) Livio, op. cit., XXI, 57.

(10) Livio, op. cit., XXI, 47.

(11) Abraham Ortels, geografo insigne, Anversa, 1527-1596.

(12) Filippo Cluver, famoso umanista, fondatore della geografia storica,
Danzica 1580-Leida 1623.

(13) Ludovico Iacobilli, autorevole storico folignate, Roma 1598-Foli-
gno 1664 (vedi bibliografia, in appendice).

(14) C. PLINIo Sec., Naturalis Historia, III, 14.

(15) WappinG, Annales Minorum, tom. IV, p. 119.

Ringrazio il Parroco di Colfiorito, rev.do don Franco Pellicciari, alla
cui cortesia e competenza sono debitore di alcune indicazioni bibliografiche,
nonchè precisazioni topografiche e notizie utilissime per una più piena e
sicura visione dei fatti e dei luoghi. px

BIBLIOGRAFIA

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LeonARDO DEL Turco, La battaglia di Plestia, in Perusia, 1934, n. 3 (pp.
65-79) e n. 4 (pp. 85-95).

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SICKEL, Monumenta Germaniae Historica, Diplomatum Regum et Imperatorum
Germaniae, t. II, pars posterior, Othonis Diplomata, nn. 214-215.

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AGAPITO GERALDINI DI AMELIA
primo segretario di Cesare Borgia (1450-1515)

Gli scritti sui Borgia — su Alessandro VI, su Cesare, detto il
Valentino, sulla graziosa Lucrezia — sono assai numerosi; pochi
autori, invece, si sono curati di descrivere i personaggi che questi
principi ebbero intorno a sè, che furono i consiglieri ed esecutori dei
loro piani. Io mi accingo a descrivere la vita di uno di questi, che
fu consigliere intimo e primo segretario del Valentino, suo famigliare
devoto e fedele sia negli anni della gloria, sia in quelli della sventura :
Agapito Geraldini di Amelia.

Degli scrittori, contemporanei o successivi, alcuni lo nomina-
rono appena; altri, facendone cenno, non si sono soffermati sulle
sue notevoli qualità o vi hanno fatto limitato riferimento. Io, suo
concittadino, sono stato in grado di tracciarne la vita, non soltanto
attingendo ai documenti già noti, ma riferendomi a molti docu-
menti inediti o poco noti, sia dell’Archivio vaticano, che di quello
di Amelia. Due circostanze della vita del Geraldini mi pare siano degne
di essere particolarmente rilevate : il suo affetto per la città natale,
Amelia, alla quale cercò, in ogni circostanza, di recare vantaggi e di
eliminare pericoli; la sua fedeltà al Valentino anche nell’avversità
quando, in seguito alla morte del papa Alessandro VI, egli si avviava
a sicura rovina.

Agapito Geraldini nasceva da famiglia nobile ed illustre, fra i
cui membri figuravano, già da secoli, prelati di alta erudizione e pietà,
giuristi di grido, capitani esperti e valorosi, ambasciatori peri-
tissimi.

Una tradizione molto antica vuole i Geraldini originari della
Valacchia, venuti in Italia al seguito di qualche imperatore germa-
nico; lo storico Gamurrini li dice, invece, derivati dai Gherardini
della. rosa rossa di Firenze. È certo, comunque, che alla fine del se-
colo XIII già primeggiavano in Amelia, per nobiltà e per censo,
conservando possessi feudali ed allodiali nel contado e facendo parte
del Consiglio, detto dei dieci, nel Comune di Amelia.
AGAPITO GERALDINI DI AMELIA PRIMO SEGRETARIO DI CESARE BORGIA 45

Il nonno di Agapito, Matteo di Angelo di Cello, dopo aver ri-
coperto la carica di podestà in Ancona (1422), Macerata (1447),
Osimo e Norcia, fu accolto come cittadino romano ; ebbe la castel-
lania di Cesi (1455), il governatorato delle Terre Arnolfe e fu creato
conte palatino anche per i discendenti maschi da Papa Callisto III
(1455) ; godette di ampi privilegi avuti dai re di Napoli e divenne
apprezzato cancelliere di Stefano Colonna di Preneste.

Bernardino, figlio di Matteo e padre di Agapito, ricopri altissime
cariche alla corte di Napoli; dottore in legge ed ottimo giurista,
fu governatore di Sassoferrato, podestà di Norcia (1459), giudice
criminale in Roma, pretore di Nepi e di Ascoli, chiamato dal re
Ferdinando di Napoli al capitanato della città (1460), luogotenente
del gran giustiziere (1463), pretore di Bari, presidente della Camera
della Sommaria in Napoli (1481), reggente la grande Corte della
Vicaria (1482), prefetto di Rieti e di Fermo. Dal re Ferdinando ebbe
la concessione d'inquartare, nel proprio, lo stemma di casa d'Ara-
gona. Quando il 2 agosto 1499 mori, in Amelia, cosi venne ricordato
negli atti consigliari: « Splendidissimus vir Bernardinus de Geral-
dinis, civis amerinus, Miles auratus et Comes dignissimus, qui mul-
tis dignitatibus hoc seculo fruitus est, ex vita migravit ».

Presso la corte aragonese, in Spagna, avevano soggiornato a
lungo due suoi cugini, Antonio Geraldini, poeta laureato, ed Ales-
sandro Geraldini, nunzio pontificio ; quest'ultimo, confessore della
regina Isabella di Aragona ed istitutore delle sue figlie, ebbe l'alto
merito di perorare la spedizione di Cristoforo Colombo, e, dopo la
scoperta del nuovo mondo, copri la prima cattedra vescovile di S. Do-
mingo, dove terminó i suoi giorni nel 1525.

Agapito Geraldini deve essere nato in Amelia verso il 1450;
in assenza del padre, trattenuto alla corte napoletana, provvide la
madre, la nobile Persia Cresciolini di Amelia, ad allevare la numerosa
prole. Il giovane Agapito trovò nell'ambiente umanistico familiare
gli elementi migliori per l’inizio e lo sviluppo dei suoi studi. Antonio
Geraldini, suo cugino e contemporaneo, ricorda, illustrando la vita
dello zio (Angelo Geraldini, vescovo di Sessa), che, nei suoi giovani
anni, aveva atteso con grande profitto alle belle lettere sotto il mae-
stro Grifone amerino, che. chiama «il Quintiliano » del suo. tempo ;
certamente anche Agapito, nello stesso periodo di tempo, frequentò
le lezioni di questo grammatico e filosofo. Non v'é dubbio che, fin
da giovanetto, dimostrasse una spiccata tendenza per i classici greci
e latini, tanto da far affermare da suo cugino Antonio che: «ad

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46 : CARLO CANSACCHI

carmina materne latineque lingue industrius, cultusque et, in pri-
mis, sue vere jucunde lepidaque consuetudine gratissimus ». Per com-
pletare gli studi frequentò l’ateneo perugino, dove suo zio Angelo
era stato lettore ed altri della famiglia si erano addottorati.

Adolescente, ebbe la prima tonsura ; non sappiamo se l'indirizzo
al sacerdozio gli derivasse da vera inclinazione o gli fosse suggerito
od anche imposto dai familiari per calcolo, in conseguenza delle bril-
lanti carriere dei suoi maggiori, specialmente degli zii: Angelo,
vescovo di Sessa, e Giovanni, vescovo di Catanzaro. Il 18 giugno
1479 troviamo Agapito in Amelia dove, alla presenza dei canonici
della cattedrale e previa lettura di un breve di Sisto IV, gli fu concesso
un canonicato, resosi vacante per la morte di Camillo di San Ger-
mano. Aveva appena ventotto anni e già godeva di cariche ecclesia-
stiche. In seguito ebbe anche delle prebende sulle abbadie di San
Secondo e di S. Benedetto in Amelia ; fu arcidiacono della chiesa
cattedrale di S. Fermina, quindi vicario del vescovo.

Sui trent'anni, dopo aver seguito le lezioni di Pomponio Leto
presso l'Università di Roma, raggiunse il padre Bernardino nel Na-
poletano, ove questi ricopriva, da tempo, uffici elevati. Alla corte
napoletana venne accolto con la benevolenza che i principi arago-
nesi, da lunga data, dimostravano ai membri della sua casa. Qui
non tardó a farsi conoscere ed apprezzare ; ne abbiamo una prova
nelle frasi lusinghiere con le quali si espresse il re Ferdinando nel
proporlo, pochi anni dopo, al vescovato di Siponto (Manfredonia),
raccomandandolo caldamente al milite Gerolamo Sperandio, amba-
sciatore di Napoli presso la Santa Sede.

In Napoli ebbe agio di dedicarsi agli studi filosofici e giuridici ;
strinse amicizia con letterati insigni, come lui attratti a corte dalla
munificenza dei re Alfonso e Ferdinando.

Salito alla tiara Sisto IV, le possibilità di maggiore ascesa au-
mentarono, giacché quel papa onorava della sua benevolenza 1o zio,
vescovo di Sessa, e per dimostrarla all'intera famiglia aveva soggior-
nato, col suo seguito e per piü di venti giorni, in Amelia nel signo-
rile palazzo dei Geraldini.

Il giovane Agapito fu scelto quale segretario del cardinale di
S. Lucia, Filiberto Ugunetti, borgognone; tale elevata carica gli
procuró molti benefici e gli permise di conseguire il canonicato di
Liegi dopo aver dimostrato i quattro quarti di nobiltà indispensabili
per coprire detto ufficio. Negli anni 1479-81 lo troviamo spesso in
Amelia ove lo richiedevano le cure ecclesistiche, gli affetti familiari
AGAPITO GERALDINI DI AMELIA PRIMO SEGRETARIO DI CESARE BORGIA 47

ed i suoi stessi interessi. Si occupava anche, con solerzia, dei paren-
tadi della sua famiglia ed infatti molto si adoprò per il matrimonio
di suo fratello Virgilio con donna Caramante dei conti di Castel
del Piero e Giaffignano, figlia del conte Pandolfo e nipote di Agnese
dell’Anguillara.

Nel 1482 era di nuovo in Roma, abbreviatore delle lettere apo-
stoliche sotto Sisto IV ; aveva alloggio nel palazzo papale ed aveva
ripreso a frequentare le lezioni di Pomponio Leto, venendo intró-
dotto nel cenacolo di studiosi e di letterati, chiamato Accademia
Pomponiana. Dopo la morte del Leto, gli accademici si riunivano in
casa di Paolo Cortese, scrittore elegante e di buona fama. Era fre-
quentata da Giovanni Vera, poeta laureato, precettore del Valentino,
poi cardinale ; da Serafino Cimino, detto l'Aquilano, elegantissimo e
squisito poeta, che accompagnava la declamazione dei suoi versi
col liuto ; da Vincenzo Calmeta di Castelnuovo, verseggiatore facile
e brillante; da Battista Orfino di Foligno, poeta di corte, che più
tardi sostituì Agapito nella segreteria del cardinale Giovanni Borgia ;
da Francesco Sperulo di Camerino, poeta classicheggiante, e da
Pierfrancesco Justolo di Spoleto che narrò, in versi, le gesta di Ce-
sare Borgia in Romagna.

Quando il cardinale Rodrigo Borgia fu eletto pontefice, molto
se ne rallegrarono i Geraldini ; il nuovo papa ricordava i devoti ser-
vigi che Matteo, nonno di Agapito, aveva prestato a Callisto III, e non
poteva dimenticare la grande figura del vescovo di Sessa, uno. dei
prelati più eminenti sotto il regno di cinque papi suoi antecessori ;
conosceva personalmente le qualità di Agapito, già apprezzato alla
corte d'Aragona e stimato in seno alla curia romana.

Nel periodo della calata di Carlo VIII, Agapito lasciò il Napo-
letano per ritornare in Roma, dove giunse quando il papa si era de-
ciso ad attendervi il re di Francia. Volgevano tempi burrascosi anche
perla città di Amelia e per il partito dei Colonnesi, del quale i Geraldini
facevano parte. Dopo la presa di Ostia da parte dei Colonna, in odio
alle direttive di Alessandro VI, il Geraldini credette opportuno rien-
trare in Amelia; quivi assistette, per opera dei suoi concittadini,
alla presa dei castelli di Alviano, Attigliano e Guardea che, già
posseduti da Bartolomeo di Alviano, con la consueta finzione si
dissero devoluti alla maestà del re di Francia, mentre, di fatto, ven-
nero incamerati dal Comune di Amelia e consegnati ai patrizi : Ber-
nardino Geraldini, Ludovico Archileggi, Fabrizio Ascani e Cristo-
foro Cansacchi. Si arguisce da questo episodio che il vecchio Bernar-

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48 CARLO CANSACCHI

dino Geraldini aveva, pel momento, abbandonati i Colonnesi, sco-
municati ed internati in Castel Sant'Angelo, per sostenere le parti
del pontefice. È probabile che anche Agapito Geraldini abbia: diret-
tamente partecipato a questi mutamenti.

La presa dei castelli era stata facilitata dal concorso di alcuni
soldati francesi dell'esercito di Carlo VIII, transitanti per Amelia,
al comando di un colonnello, il signor de Bertanie, scalco del re. Egli
il 22 dicembre 1494 riparti per Terni, diretto a Roma, ma prima,
in riconoscenza del servizio prestato, ebbe dal Comune una coppa
d'argento e 100 ducati. Gli Anziani avevano creduto che quel dono
fosse sufficiente, ma la mattina del 24 si presentó il magnifico don
Giovanni di Ansevillier, regis francorum armorum dux, il quale pre-
tese altri 300 ducati d'oro per l'assegnazione definitiva di quei ca-
stelli.

Nella primavera del 1496 le cose cambiarono; Carlo VIII do-
vette ritirarsi in Francia ed a malapena riusci a salvarsi a Fornovo ;
il Napoletano fu cosi liberato dai francesi. Il papa, sicuro ormai della
lontananza del re di Francia, scomunicó gli Orsini ch'erano passati
al partito francese e si ostinavano a far guerra a Ferdinando IJ (detto
Ferrandino); i Geraldini gioirono di questo nuovo indirizzo degli
avvenimenti, ritenendo che le ire del pontefice si volgessero ora con-
tro gli Orsini, lasciando in pace i Colonna ritornati al servizio del papa.
In quest'epoca Agapito fu chiamato in Roma dal papa che lo assegnó
alla sua segreteria.

La guerra contro gli Orsini, cominciata con esito favorevole, si
ridusse intorno a Bracciano, difeso brillantemente da Bartolomeo
d'Alviano e da sua moglie, Bartolomea Orsini.

Il papa, il 26 ottobre, aveva diretto un breve al Comune di Ame-
lia affermando che aveva scomunicato Bartolomeo d'Alviano, confi-
scati i suoi beni, ed esortava gli amerini a muovere «forti manu bel-
lum, et irrumpere contra status, terras et bona predicti Bartolomei ».
Gli Anziani, sollecitati anche da Agapito, non si fecero ripetere l'in-
vito, tanto piü che l'Alviano già da tempo aveva messo a rumore
la contrada, con vaste distruzioni di castelli e saccheggi. Il Comune
di Amelia invió anche cento pedoni contro Bracciano. Senonché
l'esercito pontificio fu sconfitto ed Amelia si trovó isolata fra i ne-
mici ; la Comunità decise, pertanto, di far pace con gli Alviano e con
gli Atti, capi della fazione catalanesca di Todi. Ma Alessandro VI,
appresa la notizia, spedi un breve agli amerini, ordinando che tron-
cassero qualunque negoziato con Bartolomeo d'Alviano, ribelle ed

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AGAPITO GERALDINI DI AMELIA PRIMO SEGRETARIO DI CESARE BORGIA 49

iniquo, e si opponessero a lui con tutte le loro forze. Gli Anziani in-
viarono al papa fra Egidio Delfini di Amelia, generale dei minori, per-
chè rappresentasse al pontefice che la Comunità non aveva forze suffi-
cienti per opporsi a quelle più numerose ed agguerrite del valoroso
condottiero. In questo periodo di tempo, ossia nel giugno del 1497,
il nostro Agapito, dietro consiglio del papa, veniva assunto quale
segretario del cardinale Giovanni Borgia, nominato legato di Perugia
e dell'Umbria. Alessandro VI aveva scelto il Geraldini perché dava
affidamento di energia e di tatto.

Le riformanze di Amelia ci danno, quasi giornalmente, l’attività
svolta dal cardinale e dal suo segretario ; quest’ultimo si teneva costan-
temente a contatto con gli Anziani, suggerendo ai medesimi la migliore
politica da seguire.

Dalle lettere conservate nell’archivio del Comune di Amelia si
nota che il cardinale ed il suo segretario si spostavano nelle città
principali ; le lettere sono tutte controfirmate Agapitus; egli scrive
gli atti più importanti e le patenti in latino, quello enfatico adope-
rato da tutti gli umanisti ; il resto è redatto in italiano ancora al-
quanto scorretto, ma colorito e vivace.

La legazione umbra non era una sinecura ed il lavoro della segre-
teria gravoso e pericoloso per le continue sollevazioni ed i contrasti
fra le città e i castelli. Il Geraldini per la sua opera instancabile me-
ritò gli alti elogi del suo cardinale e l'approvazione della corte romana.
Nel frattempo continuavano le scorrerie degli Alviano sul territorio
amerino, che mettevano in serio pericolo l’incolumità dei cittadini
e la raccolta delle messi; anche il castello di Lugnano fu preso e
spogliato nel luglio 1497 con grandissimo scorno della Santa Sede.
I lugnanesi fecero, però, poco dopo atto di sottomissione ad Amelia,
allorchè Bartolomeo d’Alviano si fu allontanato (24 agosto 1497).

In una lettera del gennaio 1498, il cardinale Giovanni Borgia
parla a lungo dei danni sofferti da Amelia per l’attacco a Lugnano
e si felicita per l'accordo concluso. A questo proposito dice che ha
ottenuto dal Santo Padre, anche per intercessione dei cardinali Co-
lonna e Savelli, che siano confermati i capitoli stipulati fra Amelia
e quel castello, ed ha disposto che messer Agapito Geraldini sia pre-
sente al dibattito per dimostrare il suo favore alla risoluzione. A
questo scopo Agapito si portò a Roma e dovette molto brigare per
indurre il papa a concedere il possesso di Lugnano ad Amelia senza
lo sborso di una grossa somma. Alessandro VI, quando si trattava
di far danaro, non aveva alcun ritegno ed Agapito se ne duole con

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50 CARLO CANSACCHI

i suoi concittadini sperando di trovare il meno « costoso modo d'ot-
tenere il mandato, facendone particolare diligentia ». L'esosità del
papa, peró, non aveva limiti, tanto che il cardinale Savelli, che pure
si occupava del negoziato e ne aveva parlato in corte, al fine, disgu-
stato, scrisse agli amerini che non ne facessero nulla, « considerando
essere strana cosa vender et comperar li poveri homini», e consi-
gliava di mandar un ambasciatore a messer Agapito soggiungendo :
« Noi nullo modo non comportarimo esser partecipi de tal mercanzia ».

Nei primi mesi del 1498 il nostro Agapito dovette adoperarsi
per ristabilire la pace fra Prospero e Fabrizio Colonna e gli Orsini ;
per il buon esito della trattativa s'impegnó tutta la famiglia Geral-
dini e Pier Matteo de' Manfredi di Amelia, pittore d'ottima fama,
familiare del papa e amicissimo di Agapito, ne dava notizia, quando
fu conclusa, con lettera del 13 luglio 1498, agli Anziani di Amelia.
Nonostante che nei patti fossero compresi anche gli aderenti e perció
la stessa Comunità di Amelia, Bartolomeo di Alviano, suo fratello
Aloisio e Ferrante Farnese attaccarono improvvisamente il castello
di Porchiano, ne scaricarono parte delle mura, uccidendo alcuni
uomini e depredando il bestiame. Gli amerini si rivolsero pertanto
di nuovo ad Agapito, affinché ottenesse dal papa nuove forze da
opporre agli Alviano, e contemporaneamente inviarono. lettere a
Prospero e a Fabrizio Colonna, a Troilo e a Ludovico Savelli, pro-
tettori ed amici della città, perché la soccorressero con uomini, pre-
gando pure le Comunità di Rieti e di Terni di inviare soldati contro
il comune nemico.

Trattandosi di fare cosa gradita agli amerini, tanto i Colonna
che i Savelli inviarono Troilo Savelli che, con una buona scorta
di 100 barbute, giunse in città il 27 luglio 1498. Finalmente il 6
agosto si venne a patti fra Amelia e gli Alviano ed il compromesso
fu stipulato in casa Geraldini, presente Troilo Savelli, Nicola Maz-
zancolli di Terni e Giovanni Muti di Roma, questi quale rappresen-
tante di Giovanni, Giordano e Giulio Orsini.

Non era ancora sopita l'eco di questo ben riuscito giuoco diplo-
matico che già il nostro Agapito aveva abbandonato la segreteria
del cardinale Borgia per passare a quella di Cesare Borgia, il quale
aveva deposto allora la veste talare. Infatti già dal luglio 1498 le
lettere del legato dell'Umbria non portavano piü la firma del segre-
tario Agapitus, ma quella di Battista Orsino, il ben noto poeta di
corte.

Il lavorio per formare la nuova segreteria di Cesare Borgia non
AGAPITO GERALDINI DI AMELIA PRIMO SEGRETARIO DI CESARE BORGIA 51

era stato semplice ; egli, dagli ozi dorati della sacra porpora, assur-
geva, d'improvviso, alla vita movimentata e brillante del principe
laico. Il nuovo astro, che riprendeva le aspirazioni troncate dalla
morte del duca di Candia, doveva avere intorno a sè uomini di
provata esperienza e di fede sicura. Il Geraldini, scelto fra tanti,
aveva data certezza delle sue spiccate qualità di uomo di genio,
di astuto diplomatico, di letterato e di scrittore, di organizzatore
perfetto, di abile segretario nei gabinetti del re d'Aragona, del papa
e, recentemente, del cardinale Borgia.

La prima incombenza della sua nuova carica fu quella di orga-
nizzare, insieme a don Remiro de Lorqua, lo splendido corteo che
doveva accompagnare Cesare Borgia in Francia per celebrare il
matrimonio con la principessa d'Albret e per prendere possesso dei
feudi elargitigli da Luigi XII.

Il papa, sempre grandioso quando si trattava dei suoi figli,
aveva deciso che Cesare facesse la figura d'un gran principe; ed
infatti le persone di qualità, gli uomini d'arme, gli equipaggi che lo
accompagnarono, erano degni d'un re. Aveva con sè più di 100
gentiluomini, altrettanti scudieri e staffieri, 50 muli con i forzieri ;
la sua casa al completo con il medico Torrella, il maggiordomo don
Remiro de Lorqua, il primo segretario Agapito Geraldini, il came-
rario Giovanni Mantovano, don Giovanni di Cardona quale amba-
sciatore ; fra i gentiluomini, i migliori delle famiglie romane : Barto-
lomeo Capranica, Mario Crescenzi, Domenico Sanguigni, Pietro
Santacroce, Giulio Alberini, Giovanbattista Massimo. Completa-
vano il seguito : Giovanni Alegre con i balestrieri a cavallo, il signor
di Piombino con alcune squadre e Giordano Orsini, generale della
Chiesa.

Questo viaggio, intessuto di feste, divertimenti e tornei, è troppo
conosciuto perché sia il caso di ricordarlo ; per il nostro Agapito
costitui certamente l'episodio piü grandioso ed interessante della
sua movimentata esistenza. Il Valentino, imbarcatosi ad Ostia ai
primi di ottobre, approdó a Marsiglia il 12 ottobre dove, a nome del
re di Francia, fu ricevuto da Antonio di Bissey, balivo di Digione.
Di qui con un seguito di dignitari pervenne ad Avignone, ove si fermó
dodici giorni ospite del cardinale della Rovere; proseguì quindi per
Lione, ove giuse il 16 novembre 1498. Fin dal 22 ottobre Luigi XII
aveva dato ordine di mettere Cesare Borgia al possesso dei suoi
feudi, ed il 28 novembre nel palazzo arcivescovile di Lione Cesare
nominava suo procuratore per prenderne possesso frate Antonio di

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52 CARLO CANSACCHI

Saint Martin dell'Ordine di S. Giovanni di Gerusalemme, commen-
datore di Tortosa. Finalmente il 18 dicembre, a Chinon, Cesare
Borgia fu ricevuto dal re. Il Geraldini seguiva il duca, rimanendo
sempre vicino a lui in qualità di segretario.

Il duca, appena entrato in possesso dei feudi, dette commis-
sione al Geraldini ed a don Remiro di organizzare l’amministrazione
del ducato del Valentinois e della contea di Dyois, dei quali il 14
maggio 1499, a Blois, nominò luogotenente Carlo Sexte, signore di
Noveysan. L'atto fu rogato dal notaio Perrault, tabellione del sigillo
reale, ed i testimoni furono Agapito Geraldini e don Pietro Remires.
In seguito a questa investitura ducale, Cesare Borgia fu comunemente
designato come il Duca Valentino.

Il matrimonio del duca con Carlotta d'Albret ebbe luogo il 12
maggio 1499 con l'intervento delle maggiori personalità. Egli, nel
giorno stesso della sua partenza per l'Italia, in un documento com-
pilato dal Geraldini e firmato da entrambi, confermava al Sexte
tutti i poteri per l'amministrazione del ducato; non avendo potuto
servirsi di un notaio, per dare all'atto piena autenticità, apponeva,
alla pergamena, il sigillo con l'arma dei Borgia e vi faceva pure
apporre la firma dal suo segretario.

— Durante il viaggio in Francia, il Geraldini ebbe modo di cono-
scere numerose personalità della corte francese, conoscenze che gli
furono utili in seguito giacchè — come è risaputo — il Valentino
per molto tempo parteggiò per la Francia, ricevendo aiuti di truppe
francesi e mantenendo continui contatti diplomatici con Luigi XII.

Il Valentino entrò in Milano il 6 ottobre 1499 a fianco del re di
Francia. In questa città o poco prima Agapito apprese la notizia
della morte di suo padre Bernardino avvenuta in Amelia il 2 agosto
1499. Non pare che Cesare Borgia abbia preso parte con i francesi
alla guerra di Milano ; il solo Pier Francesco Iustolo, scrittore e poeta,
in un panegirico dedicato al Valentino, accenna a genti d'arme che
egli avrebbe guidate in Lombardia. E probabile che il Iustolo abbia
voluto aggiungere, di sua iniziativa, qualche alloro militare al Borgia.

D'altra parte il Valentino non aveva con sé un numeroso seguito
di armati ed è poco probabile che, per la circostanza, prendesse il
comando di reparti attivi; infatti, mentre le truppe del Ligny e
del Trivulzio già in agosto erano intorno ad Alessandria, egli, come
abbiamo visto, era ancora in Francia e soltanto il giorno 8, prove-
niente da Lione, arrivava a Grenoble, per essere a Milano il 16 od
11-22. settembre:
AGAPITO GERALDINI DI AMELIA PRIMO SEGRETARIO DI CESARE BORGIA 58

Mentre il suo signore si godeva le feste, Agapito Geraldini si
adoperava per definire, con i consiglieri del re, gli aiuti, in uomini,
armi e denari, per la guerra di Romagna. Già da tempo, tanto nella
mente del papa che nell’animo del figlio, si era radicata la speranza
di riassoggettare quelle terre della Chiesa che avrebbero dovuto
costituire il primo nucleo di un principato da ampliarsi a seconda
delle circostanze. Le pratiche da svolgersi non erano nè facili nè
spedite perchè il re di Francia, una volta occupata Milano, cercava
di dilazionare e non era molto propenso ad imbarcarsi in avventure
pericolose e di lunga durata. In quelle giornate movimentate il
Geraldini ebbe conferenze con gli ambasciatori di Firenze, Pisa,
Siena e Bologna, tutti intenti a carpire qualche notizia che li facesse
certi delle intenzioni del Valentino ; poco riuscirono a sapere, perchè
la segreteria del principe non era facile a lasciarsi investigare. Per
non destare preoccupazioni si finse che l'impresa di Romagna fosse
condotta, in nome del re di Francia, da Cesare Borgia, quale suo
luogotenente.

Il 24 novembre 1499 cominciarono le ostilità in Romagna e
successivamente nelle Marche ed altrove, ostilità che dovevano
prolungarsi fino al 1503, cessando soltanto con la morte del papa
e con la caduta di Cesare. Da pochi giorni era terminato l'assedio
di Forlì con la presa della rocca e la cattura di Caterina Sforza (12
gennaio 1500), quando si seppe che il cardinale Giovanni Borgia
(senior) era improvvisamente morto ad Urbino. Anche di questa
repentina morte se ne attribuì la colpa al Valentino ; calunnia infon-
data perchè il cardinale da tempo era lontano dal campo di Cesare
e non v'erano contrastanti interessi fra il duca e il cardinale.

Con la cattura di Caterina Sforza terminò il primo assedio e
il 23 gennaio 1500 Cesare entrava in Cesena, seguito dal Geraldini
che vi stabiliva la segreteria. Mentre il Valentino si disponeva a
marciare su Rimini e Faenza, avvenne il ritorno di Ludovico il
Moro in Milano, circostanza questa che lo privò dell’aiuto dei Fran-
cesì costretti a raggiungere le schiere del re Luigi in Lombardia (27
gennaio 1500). Cesare volle, allora, ritornare a Roma passando per
Spoleto, dove la sorella Lucrezia occupava la rocca.

Anche gli Anziani di Amelia, nonostante le esauste finanze del
Comune decurtate per le continue contese con gli Ortani, i Todini
e gli Alviano, avevano inviato un patrizio per recare a Lucrezia
un doveroso dono del valore di otto ducati.

Il Valentino, seguito da tutto il suo stato maggiore e dal bril-

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54 CARLO CANSACCHI

lante seguito, fece l’ingresso trionfale in Roma il 26 febbraio 1500
ricevuto con grande effusione da Alessandro VI, che gli conferì il
titolo di gonfaloniere e capitano generale della Chiesa (17 marzo).
Mentre il duca si godeva le grandiose feste romane e si faceva applau-
dire nei giuochi e nei tornei, il Geraldini, presa stanza nel palazzo
apostolico, cominciava il lavoro più delicato, quello di organizzare
il governo nei paesi di Romagna appena occupati. Egli desiderava
dimostrare a quei popoli, da molti anni soggetti a dispotici tiranni,
che le direttive del nuovo signore erano diverse, improntate a mag-
gior giustizia, ad ordine e alla pace ; in questo progetto ebbe soste-
nitori, oltre che il Valentino, Giovanni Oliviero, vescovo d’Isernia,
nominato governatore di Cesena, e Martino Zappata, vescovo di
Sessa.

Il nostro Agapito nelle ore di riposo coltivava i suoi studi
prediletti ed era assiduo frequentatore dell’Accademia Pompo-
niana rinata a vita novella dopo le peripezie dell’epoca di Paolo II.
Gli era compagno carissimo il pittore amerino Piermatteo Lauro de’
Manfredi, che già da alcuni anni, dopo essere stato aiuto di fra
Filippo Lippi negli affreschi dell’abside del Duomo di Spoleto, era
venuto a Roma ed aveva cominciato a decorare la cappella di Sisto
IV (1479-80) e quindi, unendosi all’Antoniazzo ed al Perugino, aveva
portato a termine pregiate pitture insieme a questi insigni maestri.
La fortuna lo aveva assistito anche sotto Innocenzo VIII pel quale
aveva eseguito vari dipinti per l'incoronazione ed era, col tempo,
diventato una specie di appaltatore di lavori pittorici in Vaticano.
Alessandro VI lo aveva nominato chierico di palazzo, suo commen-
sale e custode della città di Fano, carica che non gli dava alcuna
occupazione, salvo quella di andare una volta all'anno a ritirare
il relativo stipendio. Aveva anche dipinto ad affreschi le lunette e
le volte della villa del Belvedere fatta costruire da Innocenzo VIII,
affreschi che, per molto tempo, furono attribuiti al Pinturicchio ed
all’Antoniazzo. Anche Piermatteo, come il Geraldini, aveva spesso
sostenuti gli interessi della sua città presso il papa.

Altro amico di Agapito era Clemente Clementini, d’illustre
famiglia amerina, addottoratosi in medicina nell’ateneo di Padova. )
Medico e fisico di valore, in pochi anni si era acquistata una invidia-
bile fama per la sua perizia, per la divulgazione di nuovi farmachi
e, specialmente, per il trattato sulle « febbri », opera che aveva tro-
vato grande favore in Italia e all’estero; divenne, poi, archiatra
di Leone X.
AGAPITO GERALDINI DI AMELIA PRIMO SEGRETARIO DI CESARE BORGIA 55

Un terzo amerino figurava in quel cenacolo di amici: fra Egi-
dio Delfini di Amelia, uomo di grande pietà e dottrina, dottore in
sacra teologia, eletto generale dei minori conventuali. Aveva rice-
vuto da Alessandro VI l’incarico di riportare ordine ai primitivi
statuti di S. Francesco. La riforma, a cui si accinse con tanto zelo,
incontrò infinite resistenze, egli ne fu scosso ed ancora in buona età
ne morì.

Le giornate, in questo periodo, non scorrevano tranquille perchè
rumori di guerra si andavano addensando anche nei pressi di Amelia.
Il Valentino aveva dato ordine agli Orsini ed ai Baglioni, ai quali
si era unito Bartolomeo d'Alviano, di levar soldati per mandarli
nell'Umbria, dove di continuo le città erano in lotta ; Amelia, cir-
condata da nemici, da tempo si era unita ai Chiaravallesi di Todi,
che però furono sconfitti e decimati in Acquasparta il 19 agosto
1500. In questo periodo Agapito fu colpito duramente dalla morte
di suo fratello Piergiovanni che, mandato ambasciatore a Roma e
ritornando in Amelia, nel passare da Castel dell’Aquila era stato
ucciso da alcuni facinorosi. Agapito ne dava partecipazione agli
Anziani «lamentando che suo fratello, dopo avere insieme a lui
dato ottimo indirizzo a le cose che gli erano state commesse, era
stato morto da più persone armate, inimicate con lui per aver ipso
eseguito i processi e pubbliche sentenze, in persona di certi loro
parenti pubblici ladri ed assassini », e soggiungeva : «la notizia di
questa tragica morte è stata appresa con grande costernazione dalla
città di Roma e da questa corte ».

Appena gli Orsini, Vitellozzo Vitelli ed i Baglioni ebbero preso
Viterbo con l’espulsione di Giulio Colonna e della parte Gattesca,
molti fuorusciti si ritirarono in Amelia che li accolse e ricoverò a
spese pubbliche.

Nell’appressarsi del temuto pericolo, gli Anziani mandarono
ambasciatori a Roma con lettere dirette ad Agapito perchè ottenesse
l'imvio di un presidio mercé l'interessamento del cardinale di Santa
Prassede e del Valentino. Il Comune non sapeva come regolarsi
essendo a conoscenza che l'esercito degli Orsini e dei loro aderenti,
consenziente il pontefice, sarebbe andato contro i possessi dei Co-
lonna, amici e protettori di Amelia; si aggiunga che Muzio Colonna
si trovava già in città con suoi soldati. Il Geraldini non si perse di
animo e, conoscendo le pratiche quasi concluse per una tregua fra
il papa, gli Orsini, il re di Sicilia ed i Colonna, insieme al pittore
Piermatteo Lauro consigliò ai suoi concittadini d'inviare un'amba-

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56 CARLO CANSACCHI

sciata ad Alessandro VI per riaverne la benevolenza. Il Valentino,
per compiacere il suo segretario, interpose i suoi buoni uffici e la
delicata situazione fu appianata; e quando, alcuni giorni dopo, il
duca, col suo esercito, passò per Capitone, vicino ad Amelia (2 ot-
tobre), fu ossequiato da molti patrizi amerini, ed il 4, quando si
fermò ad Orte, Valerio Geraldini, a nome della Comunità, gli rese
omaggio offrendogli un bacile d’argento e 40 ducati e disponendo
che 15 paia di buoi fossero diretti al campo per rimuovere le pesanti
artiglierie (1).

Il 10 agosto 1500, ancor giovane ma già molto in voga per i
suoi versi, moriva, in Roma, Serafino Aquilano, affezionato amico
e ammiratore del Geraldini. Curatore del testamento e della sepul-
tura, per volontà dell’estinto, fu Agapito che, con accompagna-
mento di amici ed ammiratori, lo fece inumare in S. Maria del Po-
polo, dove, a mezzo della generosità di Agostino Chigi, gli dette
decorosa sepoltura.

Nella ripresa della guerra in Romagna (ottobre 1500), Rimini
e Pesaro si dettero spontaneamente al duca Valentino. I fiorentini,
Giovanni Bentivoglio a Bologna ed il duca di Urbino cominciarono |
ad impensierirsi per quell'esercito cosi numeroso in prossimità dei
loro confini ; ma il Valentino, ch'aveva in animo di attaccarli in un
secondo tempo, cercó di calmarne le inquietudini, facendo scrivere
dal Geraldini lettere amichevoli. Prima e dopo la ripresa dell'assedio
di Faenza, la segreteria del Borgia ebbe molto a destreggiarsi nelle
relazioni con i veneziani, con i Bentivoglio, che desideravano aiutare
Astorre Manfredi, e con i fiorentini, che vivevano in grandi angustie
per le facili conquiste del duca. Il duca invió, anzi, il Geraldini a
Firenze per un diretto abboccamento, latore di promesse, ma anche
di minaccie in caso di atteggiamento ostile.

Il Geraldini seguiva giornalmente il suo signore in ogni sposta-
mento; lo troviamo a Forli il 1° dicembre 1500; a Cesenatico il
4 gennaio 1501 ; a Cesena il 15 gennaio ; da queste località le lettere,
gli avvisi, le istruzioni, le patenti, i bandi partivano in gran numero |
e si puó immaginare il lavoro snervante del segretario del duca.

Paolo Cortese, accademico pomponiano e amico del Geraldini,
ce lo presenta come un uomo di spirito mordace e di svegliato in-
gegno, e ci narra che il letto, per solito, lo accoglieva a notte inoltrata,
quando le udienze che Cesare soleva concedere ad ora tarda erano
terminate. L'alba lo trovava già nel suo ufficio a dettar lettere ed
a preparare lo svolgimento graduale delle pratiche in gran numero
AGAPITO GERALDINI DI AMELIA PRIMO SEGRETARIO DI CESARE BORGIA 57

affluenti sul suo tavolo. Durante il giorno, se la segreteria non doveva
muoversi con lo spostarsi del campo militare, gli ambasciatori, i
dignitari, i corrieri erano ricevuti da lui che li intratteneva sugli
argomenti più importanti, discutendo poi con il duca e con i più
elevati personaggi della corte le disposizioni più urgenti da prendere ;
classificava, per ordine di rilievo, le richieste fatte direttamente al
duca, il quale fissava le relative udienze. Infaticabile e sereno, così
lo deserissero coloro che ebbero rapporti con lui e basta scorrere
l’intero epistolario del Valentino, di cui una sola parte è conosciuta,
per rendersi conto dell’abilità e della prontezza del suo segretario.
Il Valentino gli dimostrò sempre il suo alto compiacimento e, col
passare del tempo, lo ritenne sempre più indispensabile, tanto che,
dovendo mandare in missione elevati personaggi del suo seguito,
preferiva scegliere il Remolino, l'Orfini od altri, trattenendo, invece,
presso di sè il Geraldini, ad eccezione di poche circostanze partico-
larmente importanti. In questo periodo il Geraldini si incontrò pure
con il grande Leonardo da Vinci, chiamato dal Borgia ad ispezio-
nare alcuni luoghi fortificati e a redigere progetti per opere difensive
in Romagna (2).

Già nel settembre del 1499; ritornando a Milano dalla Francia,
il Valentino aveva pensato di servirsi di Leonardo per la progettata
guerra di Romagna, ben conoscendo le dettagliate proposte che il
medesimo aveva presentate al duca Sforza circa il modo di difendere
ed attaccare luoghi forti e d’impiegare bombarde e mortai; certa-
mente lo invitò presso di sè, in Romagna, nei primi mesi del 1500.

È pressochè certo che Leonardo, chiamato in Romagna dal
Valentino, abbia assistito all'assedio di Forli ; dopo la resa di Cate-
rina Sforza (23 gennaio 1500), subentrato un periodo d'interruzione
delle ostilità (dal febbraio al novembre), Leonardo fece scavare il
porto di Cesenatico e l'uni a Cesena con un canale ; disegnó un grande
numero di carte geografiche e piani, e gettó le basi della fortezza
di Piombino ; sull'area della diroccata fortezza di Castel Bolognese
costruì vaste caserme per l’esercito di Cesare. Senonchè alla ripresa
delle ostilità, nell’autunno del 1500, tanto Rimini che Pesaro si
arresero senza combattere (3). .

Terminata l'impresa di Faenza (25 aprile 1501), il duca si portò
nelle vicinanze di Bologna e si accordò con i Bentivoglio. I suoi
capitani avrebbero voluto che si rivolgesse contro Firenze, ma il
papa lo distolse dall’impresa, consigliandolo a ritornare, pel momento,
in Roma. Intanto Alessandro VI faceva ultimare la fortezza di

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58 CARLO CANSACCHI

Civitacastellana, che doveva diventare la rocca personale di Cesare
nelle vicinanze di Roma e il luogo sicuro per la conservazione delle
sue ricchezze in argento, oro e gioie. Molto si è discusso sull’epoca in
cui la fortezza, opera dei Sangallo, fu compiuta. Le riformanze di
Amelia ci danno, in proposito, un accenno abbastanza sicuro : il
13 aprile 1500 il papa, con suo breve, chiedeva al Comune molti
uomini per lavori nella fortezza di Civita ; nel febbraio 1501 il com-
missario Alessandro Neroni ripeteva la stessa richiesta, ed il 14 marzo
1503 gli Anziani inviavano 60 operai con pale, zappe, trivelle per
lassestamento della rocca; si può, perciò, arguire che l'opera sia
stata ultimata in tale torno di tempo. Ciò è confermato anche dai
lavori pittorici di Pier Matteo De’ Lauri, il già nominato pittore di
Amelia; questi nel giugno 1503 aveva terminati gli affreschi nella
volta del cortile, lavoro ordinatogli dal Valentino.

Alla fine di giugno del 1501, con poco strepito d’armi, cadde
Piombino, da cui era fuggito Giacomo d’Appiano. Cesare non vi
era presente perchè rientrato a Roma fin dal 13 giugno. Il papa,
sempre generoso, gli concesse in dominio anche la città di Fano e,
per la circostanza, il nostro Agapito fu mandato dal Valentino a
prendere possesso della città insieme al cardinale di Salerno, inviato
dal pontefice. Il 22 luglio, in duomo, fu ricevuto il giuramento di
fedeltà e di obbedienza al duca, cerimonia terminata con una dis-
sertazione latina di Agapito sulla perspicacia della città che aveva
saputo accogliere, con tanto entusiasmo, il felicissimo governo del
potente signore. Mentre il cardinale rimaneva quale governatore
perpetuo, il Geraldini si rimise in viaggio per raggiungere il duca,
ch’era all'assedio di Capua nel Napoletano con truppe proprie. Egli
assistette alla disfatta del re, Federico I d'Aragona, ch'aveva ben
conosciuto e molto amato ; fu spettatore della breve prigionia di Fa-
brizio Colonna avvenuta in seguito alla presa di Capua e della riti-
rata di Prospero Colonna col re in Ischia. La fine degli Aragonesi,
di cui aveva goduto i favori, la tragica scomparsa di quella casa
che tanto aveva innalzato i suoi maggiori, fu un colpo molto grave
per lui; piü duri ancora la disgrazia e la disfatta dei Colonna che
egli ed i suoi familiari, da secoli, riconoscevano come principali pro-
tettori della famiglia e della patria amerina.

Altra fonte d'inquietudine erano le gravi notizie pervenutegli
da Amelia, contristata da incursioni e rappresaglie causate dai ghi-
bellini cacciati dalla città. Dopo la presa di Acquasparta, nel cui
episodio avevano trovato orrenda morte alcuni dei Chiaravallesi
AGAPITO GERALDINI DI AMELIA PRIMO SEGRETARIO DI CESARE BORGIA 59

alleati di Amelia, questa si era trovata alle prese con i soliti nemici :
Bernardino ed Alvisio di Alviano, Ferrante Farnese, Giampaolo
Baglioni, Blescino degli Atti, i quali predavano e bruciavano i mi-
gliori castelli. Il papa, per quanto cercasse di ristabilire la quiete
nella provincia, ne era distratto dal desiderio di accumulare danari
per sopperire alle ingenti spese del Valentino ; di fronte alle urgenti
necessità non ascoltava le suppliche che a lui pervenivano dalle città
del Patrimonio, stremate dalle distruzioni, dalle pestilenze, dai óra-
vami. Amelia, a causa delle ultime ribellioni, era stata multata per
10.000 ducati, ridotti, poi, a 5.000.

Gli Anziani amerini, assillati dai commissari pontifici, manda-
rono un’ambasceria al papa per far presente l’assoluta impossibilità
di pagare una tal somma e rilevare le misere condizioni della città.
Gli ambasciatori erano : Cristoforo Cansacchi, Ugolino Nicolai, Pom-
pilio Geraldini, Tiberio Mandosi. Vale la pena di riferire, in succinto,
la lettera inviata dagli ambasciatori amerini alla Comunità ; in essa
si descrivono le lungaggini delle anticamere pontificie, gli umori dei
cortigiani e le condizioni della vita di Roma in quell’epoca.

Erano partiti il 16 agosto 1501; ebbero udienze da monsignor
Trocces, cameriere del papa, « il quale è il primo uomo che ha il duca
e sta sempre vicino al papa »; questi pretendeva che la città pagasse
al più presto 5.000 ducati d’oro, ma gli ambasciatori risposero che
Amelia non poteva sborsare «nemmeno 1000 carlini !». Furono,
poi, ricevuti dal protettore di camera, il quale suggerì di pagare
subito altrimenti, come Terni e Rieti, « avrebbero ricevuto guasti ».
Così, invece di commiserazione ed aiuto, venivano minacciati di

Pellegrinando nei vari uffici avevano cercato di far ridurre la
somma a 3.000 ducati, ma il papa, indignato, non aveva voluto am-
metterli all'udienza. Fecero allora presente al protettore (cardinale di
Santa Prassede) «che non era possibile pagare data la miseria e la
fame grande che vi era in tutto il circondario ». Egli promise di ap-
poggiare le giuste ragioni, ma gli ambasciatori soggiungono melan-
conicamente: «... ma non si trova nessuno che li voglia contrad-
dire, nè hanno ardire a dire cosa che li dispiaccia ». Si lagnano, poi,
che vivono sulle spine e sulle spese ; hanno pochi danari e spendono
più di dieci quattrini al di! («tanto cara è omne cosa ! »..... « Noi
siamo mostrati al deto » (a dito).

Il papa non li assolve in seguito alle scuse fornite, ma tiene il
breve sospeso. Finalmente, dopo un mese di snervanti anticamere,

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60 CARLO CANSACCHI

di umiliazioni, di minaccie, con l’aiuto del Geraldini (nel frattempo
ritornato a Roma con il duca) ebbero la somma ridotta a 3.000 du-
cati, da pagarsi i primi mille il giorno di tutti i santi, gli altri di due
in due mesi. Agapito Geraldini, il 18 febbraio 1502, pagò, per Amelia,
alla corte di Roma rappresentata da Stefano Ghinucci e soci, mille
ducati che la città doveva al papa; ma la somma, per quanto ri-
dotta, era così esorbitante che l’intero importo fu pagato a tanti
anni di distanza e dallo stesso Geraldini all'epoca di Leone X!...

Cesare era ritornato a Roma negli ultimi giorni di settembre del
1501 per i preparativi dello sposalizio di sua sorella Lucrezia. Agapito
continuava in Roma il suo pesante lavoro di segretario, mentre il
suo signore fra danze e giuochi faceva di notte giorno, con gran di-
spiacere dello stesso pontefice. Il Geraldini aveva anche organizzato
un perfetto servizio di polizia e non dimenticava di proteggere, al-
l'occasione, la sua patria; infatti il 27 ottobre 1501 spediva un cor-
riere ai suoi concittadini avvisandoli che da una lettera perduta da
un personaggio e pervenuta alla sua segreteria, si dava avviso ad
alcuni avversari della città, perchè si preparassero ad andare contro
la terra.... «con particolari occisioni, saccheggiamenti per voltare
l’essere di Amelia ad altro proposito»; consigliava, pertanto, di
far buona guardia.

In considerazione dei pericoli che correva la città per i tanti
nemici che la premevano da ogni parte, il Geraldini consigliò ai suoi
concittadini di rivolgersi al duca ed implorarne la protezione. Il
Valentino, occupato nella conquista della Romagna e della Marca,
non pensava, certo, a dare il suo appoggio ad una città già soggetta
alla Chiesa e lontana dal suo raggio di azione ; ma, per assecondare un
desiderio del suo segretario intimo e per dargli una prova tangibile
del suo affetto, accolse la proposta favorevolmente. Fece, quindi,
sapere agli Anziani che mandassero all’uopo i loro ambasciatori.
Credo che nell'Umbria sia stata la sola città a ricevere la protezione
diretta del duca ; infatti il medico Clementini, nella sua dedica della
Clementia ad Agapito, ricorda appunto che in quel periodo così
critico fu lui a salvare Amelia da tanti nemici.

I patrizi ed il popolo, con grande giubilo, prima d’inviare i nunzi
a Roma, riunirono il consiglio generale (14 novembre 1501) anche
per festeggiare il nuovo governatore di Amelia, dottore Carlo de
Maschis, riminese, letterato insigne, presentato da una lusinghiera
lettera del duca in cui lo chiama: «suddito nostro dilettissimo ».
La deliberazione approvata dalla maggioranza dice : « Il Valentino,
AGAPITO GERALDINI DI AMELIA PRIMO SEGRETARIO DI CESARE BORGIA 61

mosso da sua spontanea volontà, liberalità e clementia ad miseri-
cordia de la calamità da esso populo al quale oltre la presente
afflictione e de la carestia et crudelissima pestilentia, per assidue
incursioni, incendi et occisioni oppresso et excusso da vicini con
adiuto et concurso de altri populi et signori ad esso inimici, ha of-
ferto ad noi, appresso alla santità di Nostro Signore, la sua prote-
tione et contra qualunque offensore, la defensione et tutela sua.
Accepta volentieri et con animo letissimo tale offerta.... etc... .
et perché mai non fu da alcuno benefitio ingrato, costituisce li nobili
homeni ser Ugolino de Grisolinis et ser Cristophoro de Cansacchis,
sindici procuratori oratori, commettendogli debbiano personalmente
trasferirse al cospecto del prefato Duca et, con reverentia et humile
visitatione, rengratiarla quanto maiurmente sappiano et possino
de la presente offerta et supplicarlo, con omne istantia, sia contenta
metterla in effetto, siccome indubiamente confidano ».

Per la circostanza, gli Anziani di Amelia revocarono tutte le
convenzioni fatte con i loro antichi protettori, e primi fra gli altri
i Colonna ed i Savelli, che in quel momento erano in disgrazia presso
il Valentino e il papa. Anche il nostro Agapito dovette, pel momento
ed a malincuore, far di necessità virtü, e, nonostante l'amicizia
della sua famiglia con i Colonna, non poté intervenire in loro favore ;
egli ben sapeva che già dai primi tempi del suo pontificato, Alessan-
dro VI aveva deciso di volersi liberare delle due casate piü potenti
e turbolente di Roma, gli Orsini ed i Colonna, quindi nessuno avrebbe
osato opporsi agli espliciti disegni del Valentino e del papa.

Il 6 gennaio 1502 avvenne la partenza di Lucrezia Borgia, sposa
al duca di Ferrara, con numeroso e splendido seguito. Per tutti i
luoghi ove il corteo ebbe a passare ricevette grandissimi onori, or-
dinati dal papa con brevi ai commissari. Il commissario per la zona
di Amelia, un certo Giacomo Pechinolus, cosi si esprime : « Per
quanto possete intender, la Ill.ma Ducissa de Ferraria deve passar
da Terani (Terni) e la Santità di Nostro Signore desidera sia hono-
rificamente receputa; per essere questo loco bisognoso et non pos-
ser substentar tanta comitiva, ha ordinato per noi commissari prov-
vediamo per li lochi vicini, siccome per un breve di S.S.tà qual copia
ve mandamo interclusa, per vigor del quale ve comandamo, sub pena
mille ducatorum et rebellionis, habbiate mandati qui, in Terani, 30
some di biada, item manderete polli para 50, candele di sego libre
50, candele di cera libre 20, una soma de ova et non manchi. Bene
valete ; Interamne v. Jan. M. D. II ». Da questo documento appare

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62 CARLO CANSACCHI

come Alessandro VI, con ordinanze emanate sub anulo piscatoris,
esigeva di provvedere alle necessità dei convitati di sua figlia, me-
diante le magre risorse dei privati cittadini suoi sudditi ! !

Verso la fine di dicembre del 1501, il Valentino aveva ricevuto
gli ambasciatori di Amelia che, come abbiamo visto, erano andati a
ringraziarlo per aver accettato la protezione del Comune. Essi rima-
sero a Roma quasi un mese, spettatori delle grandiose feste organiz-
zate per le nozze di Lucrezia. Ebbero un’ottima accoglienza, presen-
tati da Agapito e ricevuti benevolmente dal duca che li intrattenne
lungamente, mentre spediva una lettera, scritta dal Geraldini e di-
retta agli Anziani (24 dicembre), dove, riconosciuta ...«la studio-
sissima volontà et ferventissima affectione verso di lui, ne ha preso
piacere singulare, et augumento grandissimo de la benevolentia
quale, prima per inclinazione propria ne portavano », dice che accetta
volentieri la protezione, ma non altro perchè... «non potamo
extendere ad riceptare in nostro dominio, avendo per ferma delibera-
tione costituito non acceptare terre immediate soggette alla Santa
Sede, nè ancora mediante che non sieno per rascione et sententie
ad la dispositione de quelle recadute ». Ci teneva a far credere che le
conquiste ch'aveva fatte e quelle che era per fare, erano nell’interesse
della Santa Sede e con l'assenso del Sacro Collegio, di cui egli era una
Specie di braccio secolare. Conclude la lettera assicurando gli ame-
rini che saranno difesi da qualunque nemico « siccome a tale affecto
semo dispostissimi ». Il Comune di Amelia per compiacere maggior-
mente il Valentino, dietro consiglio del Geraldini, invitò il pittore
Mariangelo di Terni a dipingere le armi del papa e del Valentino
nel palazzo anzianale su di una porta ; era destino che quelle pitture
non giungessero fino a noi. Il palazzo anzianale é sprofondato nelle
cisterne sottostanti nei primi anni del secolo XIX ; i Borgia non por-
tavano fortuna!

Il 12 giugno 1503 il duca parti da Roma ed il 15 era a Narni dove
il Comune di Amelia gii fece trovare avena, orzo, vitelli, vino, polli,
capretti, carne salata e frutta ; da Terni, il 17, scriveva agli Anziani
pregandoli di accettare quale ufficiale dei danni dati Bernardino
Sonanti di Rieti, suo familiare, Qui si pose alla testa dell'esercito
riunito a Spoleto per iniziare la conquista di Camerino e del ducato
Varanesco. In questo periodo si comincia a delineare l'azione perso-
nale dei maggiori condottieri del Borgia miranti ad obbiettivi in con-
trasto con le intenzioni di lui. La fuga di Guidobaldo da Urbino e la
repentina ed improvvisa occupazione del ducato avevano fatto sor-

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AGAPITO GERALDINI DI AMELIA PRIMO SEGRETARIO DI CESARE BORGIA 63

gere nell’animo dei Vitelli, degli Orsini, dei Baglioni un grave timore
per le loro persone e per i loro feudi. Essi intuivano le altre aspira-
zioni del duca e del papa; temevano che, col passar del tempo,
quando le unghie del duca avessero ghermiti altri territori, certa-
mente anche i loro dominî sarebbero stati, inevitabilmente, limitati
e forse incamerati.

Il Valentino aveva donato a Paolo Orsini il feudo di Terra
Cesarina e Castel Bolognese ; a Vitellozzo Vitelli, il Castello di Mon-
tone ; l’Orsini aveva anche avuto da Alessandro VI, in vicariato,
Montedasula, Aspera e Cantalupa tolte a Paolo Savelli, Rocchetta
e Forano sottratte a Luca Savelli, Stazzano a Silvio e Mario Savelli,
tutti dichiarati ribelli (4); ma questi POSSESSI potevano essere ad
essi ritolti e ad altri elargiti.

Nessun papa, fra i predecessori del Borgia, per quanto nepotista,
aveva concepito un raggio di conquista familiare così vasto, quindi
tutti i grandi feudatari pontifici dovevano stare all’erta per i loro
possessi. Dopo la Romagna si era presa Camerino, occupato in larga
parte il ducato dei Varano e sgretolato il ducato di Urbino; ora
si mirava a Senigallia. Per quanto Cesare si barcamenasse nella poli-
tica con i fiorentini, aveva permesso a Vitellozzo Vitelli di occupare
Arezzo e di avvicinarsi, cosi, a Firenze ; pur non avendo accettata la
signoria di Pisa, che gli era stata offerta, non aveva chiaramente
dimostrato di esserne alieno, almeno in avvenire. Il Geraldini cono-
sceva i disegni del duca e ne impersonava la politica, teneva d'occhio
i suoi capitani d'arme ben sapendo che essi esclusivamente, con le
proprie milizie affezionate. e fedeli, avrebbero potuto, ad un dato
momento, capovolgere la posizione in cui si trovava il loro signore.
Da tempo gli Orsini non erano riguardati con simpatia dagli amerini
e da tutta la famiglia Geraldini; in quanto ai Vitelli, non avevano
mai riscosso stima agli occhi di Agapito ed ultimamente le barbare
distruzioni e gli incendi perpetrati da Vitellozzo in quel di Amelia
avevano accresciuto il risentimento contro di loro.

. Allorquando il Valentino si convinse che il re di Francia esigeva
che i fiorentini non fossero molestati, impose a Vitellozzo di ritirarsi
da Arezzo e lo minacció, in caso contrario, d'impossessarsi di Città
di Castello della quale era signore. Il Baglioni e Vitellozzo sul momento
ubbidirono, evacuando Arezzo, ma il violentissimo Vitelli pronunció
parole minacciose contro il Valentino, radicandosi in lui il desiderio
della ribellione; da quel momento, anzi, non volle più trovarsi alla
presenza del duca e lo rivide in Senigallia per l’ultima volta.

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CARLO CANSACCHI

La segreteria già da tempo diffidava dei capitani, tanto che il
Borgia, preoccupato della piega che potevano prendere gli avveni-
menti, aveva ottenuto da Luigi XII di Francia, con un trattato
segreto, l'impegno di aiutarlo per abbassare l'alterigia degli Orsini,
dei Vitelli e dei Baglioni. Gli Orsini non avevano dato ancora hessun
appiglio, almeno apparente, al biasimo del principe e si erano aste-
nuti dal prender parte ai movimenti su Arezzo; quando, però, il papa
dimostrò di voler assalire Bologna, allora tanto gli Orsini quanto i
Vitelli ed i Baglioni si credettero in obbligo di sostenere i Bentivo-
glio, ai quali erano obbligati per trattato, e si rifiutarono di prender
parte all’impresa. Gli Orsini, avendo appreso che il papa si appre-
stava ad avversare la loro casata, si misero sulla difensiva e, rite-
nendosi già minacciati, raccolsero in Todi le loro maggiori milizie.
Gli amerini, limitrofi a Todi, ne furono subito informati già nei primi
giorni di ottobre del 1503, e, temendo una coalizione degli Orsini
e dei signori di Alviano (questi ultimi inimicissimi dei Borgia e di
Amelia), avvisarono il cardinale di Salerno, loro protettore, per averne
consiglio e spedirono un tal Rossetto al Geraldini, in Cesena, per
tenerlo al corrente. Il nunzio, che recava notizie importanti, fu
trattenuto da Agapito alcuni giorni; quindi fu incaricato di riferire
agli Anziani ed al popolo amerino ch’era tempo di stare ben desti
ed in guardia, di prepararsi al peggio, nominando quattro cittadini,
invece di tre, sopra la guerra, con pieno arbitrio. Agapito, in parti-
colare, metteva gli amerini sull’avviso contro gli Alviano che certa-
mente avrebbero tentato qualche movimento contro la Santa Sede,
aiutati da Bartolomeo di Alviano che, ottenuto un congedo da Vene-
zia, non chiedeva di meglio se non di fare vendette in quei territori.
Alcuni giorni dopo, al suo amico e parente, il patrizio Ugo Crescio-
lini di Amelia, ch’era stato a trovarlo e ritornava in patria, rac-
comandò le stesse cose, insistendo presso i suoi concittadini ed ade-
renti affinchè iniziassero la guerriglia contro gli Alviano, gli Orsini
e tutti i nemici della Chiesa (novembre 1502).

Come si vede, il Geraldini, sempre all’erta, cercava di neutra-
lizzare gli apprestamenti offensivi degli Orsini e dell’Alviano, temi-
bili sempre e pericolosi per la politica e per le operazioni che voleva
svolgere il Valentino in quel momento. Gli amerini, per la loro parte,
corrisposero immediatamente alle direttive del loro concittadino ;
emanarono subito un bando contro coloro che avessero aiutato con
armi e vettovaglie i nemici della Chiesa ed attaccarono i lugnanesi per
danneggiare gli Alviano. Come ben si vede, anche in questa occasione
AGAPITO GERALDINI DI AMELIA PRIMO SEGRETARIO DI CESARE BORGIA 65

il Geraldini riuscì a far coincidere la politica della sua città con quella
del duca, a tutto vantaggio della prima.

Come è noto, i capitani del Borgia si riunirono segretamente
(ultimi di settembre del 1502) a Magione, presso il lago Trasimeno,
per cospirare contro di lui. Ai primi di ottobre cominciò a svilupparsi
quella rete d’intrighi, di minacce, di ripieghi, di finzioni che dovevano
sboccare nella tragedia di Senigallia. I fatti sono conosciuti nei minuti
particolari e non è il caso di ripeterli.

Destano ancora meraviglia alcuni episodi che, per quanto stu-
diati, permangono nell’ombra. È certo che, nel momento in cui i con-
dottieri cospiravano contro di lui, il Valentino si trovava sguernito di
armati, mancandogli anche le 300 lancie francesi; se i cospiratori
fossero stati uniti e lo avessero attaccato subito, certamente egli
avrebbe avuta la peggio. Le indecisioni e gli opposti pareri compro-
misero il piano già abbozzato a Magione e dettero tempo al duca di
formarsi un altro esercito in pochissimi giorni mediante il danaro elar-
gitogli con prodigalità. A questo punto la partita si presentava pari
ed ormai poteva prevalere soltanto l’astuzia. Il Geraldini, in unione
col principe, seppe destreggiarsi magistralmente. Dato il tempera-
mento violento e vendicativo del Valentino, fu necessario convin-
cerlo che, esaminate le varie responsabilità che si andavano deli-
neando, era meglio temporeggiare nell’attesa di poter puntare su
di una sicura debolezza dei collegati e cioè sulla loro reciproca ge-
losia e poca fiducia in se stessi. Lo svolgimento di questo disegno
si doveva attuare con fine maestrìa ed ebbe per spettatore Nicolò
Machiavelli, il grande segretario della Repubblica Fiorentina.

L'illustre fiorentino conosceva già il Geraldini avendo fatto parte,
col Soderini, della prima ambasciata inviata da Firenze al Borgia,
appena il duca Guidobaldo di Urbino aveva abbandonato i suoi
Stati. Il 24 giugno 1502 gli ambasciatori erano arrivati ad Urbino
dove il Geraldini andò loro incontro per onorarli, accompagnandoli
poi, a tarda ora, nel sontuoso appartamento ducale. Quivi furono
ammessi all'udienza del Valentino che durò fino al mattino con la
collaborazione del .nostro Agapito. In questa prima intervista il
duca si mostró sostenuto con gli ambasciatori e pretese un'esplicita
dichiarazione sull’atteggiamento dei fiorentini, ossia averli « amici o
nemici ». Il Machiavelli ripartì per Firenze per riferire e il Soderini,
rimasto alla corte del Borgia, ebbe continue conversazioni col Geral-
dini, in quanto i movimenti di truppa sembravano diretti su Firenze.
Il segretario lo calmò assicurandolo che il suo signore non si sarebbe

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‘66 CARLO CANSACCHI

mosso, se non dopo ricevuta la risposta di Firenze, e soggiunse, a pro-
posito della politica militare del papa, che « per le cose di guerra era
il duca che regolava Roma, non Roma il duca ».

Dopo la riunione di Magione, e cioè nel tardo autunno del 1502,
Cesare cercò di riavvicinarsi a Firenze ; così avvenne che, contempo-
raneamente, mentre egli inviava il Geraldini ai fiorentini, questi,
con lo stesso scopo, mandavano ad Imola il Machiavelli. I due diplo-
matici s'incontrarono per via, si riconobbero e, visto che la loro mis-
sione era la medesima, pensarono bene d'interrompere il viaggio
ed insieme ritornarono ad Imola (7 ottobre 1502).

Il più arduo compito del Geraldini era quello di convincere il
Machiavelli che il Valentino non aveva altro desiderio se non quello
di chiarificare le reciproche relazioni con i fiorentini. Fermatosi alla
corte di Cesare, il Machiavelli, con le sue lettere, ci fa assistere al la-
vorìo che si svolgeva nel chiuso della segreteria. Egli sì era messo
subito a contatto col Geraldini perchè lo riconosceva come « il primo
uomo che il Borgia ha presso di sè », ed in seguito, dopo gli abbocca-
menti che sovente aveva con lui, lo designava nelle lettere « quel-
l’amico altre volte allegato da me ». Agapito, certamente attratto
dalla personalità del grande segretario, spesso si ritrovava con lui
cercando di accattivarsene la confidenza. I fiorentini avevano ormai
la convinzione che il duca, una volta consolidate le sue conquiste
nella Romagna e nelle Marche, si sarebbe rivolto contro Firenze, cono-
scendo quanto grandi fossero le ambizioni di lui, accresciute da quelle
ancor più superbe del padre.

Il Geraldini cercava di smontare questo centrale argomento
allegando la necessità che aveva il suo signore di premunirsi contro
un’eventualità ormai certa, quella della morte del vecchio papa. Da
buon politico sapeva che, alla scomparsa del pontefice, non sareb-
bero bastate le sole bombarde ed i cannoni a mantenere saldo il prin-
cipato di Cesare, ma sicurezza maggiore avrebbero dato alleati po-
tenti sui confini di Romagna. Il Machiavelli era stupito per l’atteggia-
mento apatico e quasi rassegnato del duca, per solito audace e ri-
soluto, di fronte alla congiura dei suoi migliori capitani d'arme
e non riusciva a convincersi che si lasciasse abbindolare, temporeg-
giando ed aspettando «il suo tempo ». Il Machiavelli scriveva a Fi-
renze: «sono stato oggi dietro messer Agapito....»; infatti non
lo lasciava un momento nella speranza di sapere qualche novità ;
quando conobbe che il trattato di amicizia con i capitani era in via
di concludersi, mediante Paolo Orsini, ed ebbe la promessa dal Geral-
AGAPITO GERALDINI DI AMELIA PRIMO SEGRETARIO DI CESARE BORGIA 67

dini di conoscerne gli estremi, rimane veramente perplesso e
dubitoso.

Un giorno, però, che il fiorentino insisteva per chiarire i suoi
dubbi, il Geraldini, nel calore della discussione, dopo avergli detta-
gliato i particolari della grave ribellione ed i propositi temerari dei capi-
tani, si lasciò sfuggire la famosa frase : «anche i putti dovevano ri-
dere...' di un trattato fatto per forza..... con tanta ingiuria
del duca ». Stupisce che il nostro Agapito, per quanto accorto, si
sia così confidato apertamente col Machiavelli, lasciandogli capire
che il trattato era un ripiego per ingannare i nemici del duca. Per
quanto il segretario fiorentino fosse personaggio di grande serietà e,
col silenzio , facesse gli interessi della signoria, non era da escludersi
che, per qualche involontaria indiscrezione, la cosa trapelasse e ve-
nisse alle orecchie dei confederati. Le lettere di Machiavelli, indiriz-
zate alla Signoria, ci tratteggiano, con particolari interessanti, la
vita movimentata della segreteria di Cesare. Il 28 novembre 1502
informa dell’arrivo di Antonio del Monte, presidente della Rota,
uomo di grande dottrina che tutto il giorno è stato chiuso con Cesare
ed Agapito per preparare le patenti e gli ordini, onde potersi recare
ad Urbino ad offrire il perdono al popolo e far sloggiare le genti d’ar-
me di Vitellozzo, nella speranza che Urbino possa ricuperarsi senza
spargimento di sangue.

Un giorno, nella seconda metà di dicembre, scrive che, mentre
egli parlava col duca, messer Agapito gli si accostò pregandolo di pro-
porre alla Signoria, come giudice della lana, il nobile Ludovico Ar-
chileggi di Amelia, cosa che gli avrebbe fatto ..... «singulare pia-
cere.... né potria dire con quanta caldezza ne fui pregato e dal
Duca e dal Geraldini ».

Si vede che Agapito Geraldini approfittava della. confidenziale
amicizia ch'aveva saputo ispirare al fiorentino per ottenere da lui
un favore a beneficio di un illustre e dotto concittadino.

Quando il Machiavelli potè leggere il testo dell'accordo di ami-
cizia con i capitani ribelli, compilato dal Geraldini, gli parve cosa
strana che Paolo Orsini avesse potuto firmare quei patti con la cer-
tezza di farli approvare dai suoi compagni, che erano posti in evi-
dente stato di inferiorità. Infatti in questi accordi si accenna a diffe-
renze, controversie, inimicizie fra il duca ed i collegati, ma in realtà
Cesare non aveva fatto alcuna mossa contro diloro, avevasolo preteso
che Vitellozzo Vitelli si ritirasse da Arezzo e non molestasse più i
fiorentini dietro ordine, però, del re di Francia. Già da questo parti-

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68 CARLO CANSACCHI

colare avrebbero dovuto i congiurati intuire che se il principe si ri-
conosceva un torto verso di loro, torto che non aveva commesso
mentre aveva ragione di punirli per la loro ribellione improvvisa,
ciò faceva nell’intento di tranquillizzarli per averli più facilmente
in sua mano. Nei paragrafi seguenti era anche grave la imposizione
di ricuperare il ducato di Urbino e Camerino, impresa non facile né
Spicciativa; perché il Vitelli vi aveva ricondotto il duca Guidobaldo
e le sue truppe erano dislocate nei vari castelli. Infine il duca pre-
tendeva da ciascun confederato un figlio o un parente in ostaggio
(cosi mostrava fidarsi di loro!!) e non concedeva contropartita !
Ci si puó chiedere : i capitani confederati su quali elementi fondavano
la loro sicurezza ?. Tutto si riduceva alla loro fiducia nel duca e
sembra incomprensibile che uomini d'arme fra i migliori di quei tempi,
avvezzi alla malafede ed agli inganni, siano caduti con tanta inge-
nuità nella rete. Esaminando, però, il loro comportamento in seguito,
si puó, con certezza, ritenere che, prima ancora di firmare il trattato,
essi avevano in animo di non osservarlo, attendendo unicamente
una migliore occasione per nuovamente ribellarsi.

Anche il Machiavelli, messo al corrente dal Geraldini, cosi
scriveva a Firenze: «... tutti sono sospesi nell'indovinare cosa farà
questo signore per assicurarsi di coloro che li hanno fatto questa vil-
lania e che sono stati ad un pelo di togliergli lo Stato ».

Quando Agapito diceva che « perfino i putti avrebbero dovuto
ridere di quel trattato », aveva perfettamente ragione ; egli l'aveva
pensato e fatto approvare dal duca nella supposizione, dimostratasi
giusta, che i confederati, appena fuori di Magione, si sarebbero tro-
vati discordi fra di loro ed irresoluti e non avrebbero domandato
di meglio che rientrare nelle sue grazie anche alla spicciolata.

Intanto un fatto sensazionale accadde il 18 dicembre 1502: la
cattura, il breve processo e l'immediata esecuzione di don Remiro de
Lorqua, il maggiordomo del Valentino, il suo braccio destro, già
governatore della Romagna.

La notificazione dell’arresto del de Lorqua, fatta il 23 dello stesso
mese alle città della Romagna e compilata dal Geraldini, parla di cor-
ruzioni, di esose ritorsioni, di moleste esazioni; accenna a traffici
di partite di grani, in cui il governatore avrebbe ritratto molto gua-
dagno esportandolo, mentre poi sarebbe mancato per il sostenta-
mento dell’esercito.

Certamente la ragione dell’improvviso arresto e della susseguente
immediata esecuzione deve essere stata molto più grave di quella
AGAPITO GERALDINI DI AMELIA PRIMO SEGRETARIO DI CESARE BORGIA 69

annunciata nella notifica. Alcuni scrittori asserirono che il duca aveva
le prove ch’egli lo tradiva, accettando provvigioni dal Bentivoglio
e da. Vitellozzo ; questo deve essere stato il grave movente che non
fu accennato nello scritto del Geraldini, per non destare l'allarme nei
confederati. Probabilmente il Valentino ebbe validi motivi per con-
dannare ignominiosamente un uomo ch'era stato, da tempo, uno
dei suoi migliori servitori; le ragioni addotte non convinsero,
però, il Machiavelli che, a corto di argomenti, scrisse: «Il Duca
mostra di saper fare e disfare gli uomini a sua posta, secondo i
meriti loro ».

Ben più cruenta e di più vasta risonanza fu la così detta strage
di Senigallia seguita il 31 dicembre 1502 in danno dei capitani
confederati.

Essa è stata descritta da numerosi storici ed il segretario fio-
rentino le dedicò un capitolo speciale ; non ritengo, perciò, di dover-
mici soffermare (5). L’avvenimento fu ampiamente commentato :
alcuni lo glorificarono come una memoranda impresa, altri lo riten-
nero un orrendo assassinio, compiuto per pura ferocia. Bisogna
riferirsi ai tempi: siamo agli albori del secolo XVI quando la vita
umana aveva un valore relativo, i processi si svolgevano a base di
tortura e le pene erano normalmente capitali. Occorre anche rilevare
che nessun principe, in quell’epoca, avrebbe magnanimamente per-
donato un tradimento così grave quale quello perpetrato ai suoi
danni da capitani ch’egli aveva innalzato e beneficato. Vari prece-
denti, non meno feroci, potrebbero ricordarsi, compiuti da altri
principî, italiani o stranieri, per mancanze assai meno gravi. È
certo che la strage di Senigallia fu voluta ed ideata dal Valentino,
ma è indubbio che alla sua preparazione ed esecuzione collaborarono
i personaggi più fidati della sua corte e fra di essi principalmente
il Geraldini.

L’eccidio di Senigallia ebbe grande risonanza non tanto per la
sua efferatezza, quanto per la notorietà degli uccisi e per la caduta
del Valentino, avvenuta poco dopo. Tutti coloro ch’erano stati dan-
neggiati, primi fra tutti gli Orsini, riempirono gli ambienti di Roma
delle loro invettive, rivestendo la pelle dell’agnello e narrando i fatti
a modo loro ; il triste episodio fu, così, oggetto di discussioni e sva-
riati commenti.

Dalla lettera scritta immediatamente dopo l’eccidio dal Geral-
dini e diretta al doge Loredan, emerge il vero movente della repres-
sione : «Li ho pervenuti (dunque sapeva che lo avrebbero attaccato)

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70 CARLO CANSACCHI

et facti presoni tucti ad un tracto per imponere qualche fine alla
infinita perfidia et malignità loro, del che ne rendo certo che la S. V.
ne prenderà piacere ».

La notizia giunse in Amelia il 6 gennaio 1503 per una lettera di
Carlo Maschio, governatore di Rieti e di Amelia, che riportava il
breve del papa del 3 gennaio. In esso il pontefice, dopo aver no-
tificata la cattura del cardinale Orsini (avvenuta in Roma), di Vitel-
lozzo Vitelli e degli altri Orsini, ordinava di fare attenzione ai passi,
di fermare le genti d'arme a piedi ed a cavallo dei medesimi ed anche
dei Baglioni; trattenerli e spogliarli delle armi, confiscar loro gli
equipaggiamenti, ricordando che voleva essere informato, per let-
tera, su tal bisogna. Agapito Geraldini, sempre deferente verso la
sua patria, si fece un dovere di scrivere agli Anziani di Amelia una
lettera confidenziale per spiegare gli avvenimenti. In questa parla
degli scopi perseguiti dal duca e cioé la pacificazione degli Stati
della Chiesa e la cacciata o la distruzione dei tiranni, ma non illu-
stra, nei particolari, l'eccidio e le sue dirette giustificazioni (6).

Troviamo, invece, chiarite queste giustificazioni nella notifica-
zione, da lui scritta il 19 gennaio 1503, agli Anziani di Forli; vi si
leggerne malignità venefica de li Orsini et de’ loro complici
contro la Santità di N. S. et Nostra . ... ci sono mancati a tempo de’
mazori bisogni et voltate le armi nostre contra noi medesimi, ado-
perandole con tucta loro forza contro li stati et contro la persona
di: N- S;et Nostra... et non contenti d'averli tanto remesso et
perdonato, sono venuti all’impresa di Sinigalia, facendo credere
ch'erano cum poca gente dove che conducevano tucte le fortie loro,
cum le quale et cum l'aiuto della rocca macchinavono contro nostra
persona ; quello che havendolo noi presento, havemo saputo preve-
nire et exeguire in loro medesimi ». Come si vede Cesare Borgia giu-
stificava l'eccidio con la conoscenza di un secondo complotto. tra-
mato dopo l'accordo concluso, ed in base al quale i capitani tradi-
tori avrebbero avuto in animo di assalirlo improvvisamente, mentre
si trovava con poche truppe e senza possibilità di scampo.

Questa giustificazione non é peró accolta dagli storici, antichi
e moderni, che trattarono l'avvenimento ; unico motivo fu la ven-
detta e il desiderio di cautelarsi oggi contro un probabile tradimento
futuro dei capitani confederati.

La sera dell’eccidio (31 dicembre) il Geraldini scrisse le lettere
giustificative ai vari signori delle città ; segui poi il Valentino che
con tutto l'esercito si dirigeva verso Roma e la mattina del 2 gennaio
AGAPITO GERALDINI DI AMELIA PRIMO SEGRETARIO DI CESARE BORGIA 71

1503 da Corinaldo avvisava i perugini di liberarsi dal giogo dei Ba-
glioni e di darsi alla Chiesa. .

Il 6 gennaio giunsero al campo gli ambasciatori di Perugia,
Gentile Signorelli ed Alfano Alfani, che annunciarono al Borgia la
fuga di Gian Paolo Baglioni e la proclamazione del dominio della
Chiesa. Si seppe anche, in quegli stessi giorni, che il duca Guidobaldo
di Urbino era fuggito a Pitigliano, che ugualmente erano fuggiti senza
ulteriore resistenza i Varano, il nipote di Vitellozzo e il figlio dell'Or-
sini, mentre Fermo e Città di Castello erano ritornate all'obbedienza
della Chiesa.

Cesare Borgia nominó commissario in Perugia il nostro Agapito,
che giunse in città l'8 gennaio insieme ai predetti ambasciatori.
Egli, in presenza del legato, cardinale Arborense, nella sala della
legazione, dopo avere accennato al fatto di Senigallia, espose ai
Priori ed al popolo le idee del duca, ch'erano quelle di ristabilire
l’autorità della Chiesa nelle città a lei soggette. La presenza e le
parole di Agapito furono gradite ai perugini, che per onorarlo mag-
giormente lo accolsero nel numero dei nobili della città.

Il Geraldini poco si trattenne in Perugia perchè richiamato
dal duca che raggiunse in Assisi ; con lui proseguì poi per Città della
Pieve. Il 14 gennaio riprendeva il suo ufficio scrivendo alcune lettere
dai paesi dove la corte si fermava : Sarteano ; Castel dell’Abbadia ;
Pienza; Acquapendente; Montefiascone (3 febbraio). |

L’esercito del Borgia si avvicinava, intanto, a Siena, ritardato
dalla piena delle acque, dalla rottura dei ponti e dalle pesanti arti-
glierie (aiutato nel passaggio dei ponti dal consiglio di Leonardo
da Vinci). Questa artiglieria doveva essere messa in posizione per as-
sediare Siena ove la città non avesse ottemperato all’ingiunzione
del Valentino di cacciare Pandolfo Petrucci e di accettare egli stesso
come signore.

Dal campo di Pienza, il 17 gennaio 1503, ricevette notizia che i
senesi non volevano separarsi dal Petrucci e tanto meno pensa-
vano di arrendersi. Il duca, preoccupato dalla lunga resistenza che
avrebbe opposto la città, dalla contrarietà del papa all’impresa e
dalla ribellione dei baroni nella campagna romana, fece devastare e
predare i territori circostanti, ma non proseguì oltre.

Intanto il papa non perdeva tempo nel perseguitare i suoi nemici :
il 26 gennaio 1503 mandava un breve agli amerini ordinando di dar
man forte a Giuliano di Imola, suo commissario, al fine di ricuperare
Lugnano, tenuto dagli Alviano, e riammetterlo alla Santa Sede. Con-

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72 CARLO CANSACCHI

temporaneamente il Valentino inviava come commissari Gabriele Car-
minati e Marco Campioni nel Patrimonio e nella Teverina per arre-
stare i castellani, gli ufficiali e gli uomini dei castelli e delle fortezze
che ancora persistessero nell’obbedienza degli Orsini e dei loro com-
plici. Il 25 febbraio il duca ringraziava gli amerini per l’aiuto che ave-
vano prestato nel recupero di Lugnano e soggiungeva di far lo stesso
per il Castello della Penna tenuto dagli Orsini ribelli; egli commet-
teva al solito Carminati « che lo castello, mura, case et omne altro
edificio debba intender a pianare, scaricare, abbattere, dissipare, fa-
cendo che, per quanto sia possibile, nullo recepto o vestigio ce remanga ».
Gli amerini, peró, fecero orecchie da mercante ; finché si trattava di
coadiuvare il duca nell'abbattere signori e feudatari avversi alla loro
città, ben volentieri si erano prestati all’impresa, ma quando si
trattava di abbattere e scaricare dei castelli che in definitiva dove-
vano ricadere sotto la loro giurisdizione, presero tutte le scuse per
non dare aiuto alcuno; le distruzioni ordinate non furono perció
portate a termine, tanto che un mese prima della morte del papa,
il Valentino minacciava e si mostrava offeso per la poca diligenza
dimostrata dagli amerini.

I senesi, nonostante le tristi condizioni in cui versava il con-
tado, si erano bravamente preparati alla difesa e il duca, rompendo
gli indugi, mandó il Geraldini, accompagnato dal Cipriano, uno dei
cancellieri della casa ducale, a Siena con un ultimatum. Come sempre
il Valentino nei momenti piü difficili e delicati, nei quali bisognava
trattare con accortezza e fermezza, mandava il suo primo segretario.

Questa volta, peró, il ricevimento non fu cordiale ; anzi i due
inviati del Borgia corsero grave pericolo a causa di un improvviso
tumulto del popolo inferocito dalla diceria che le truppe di Cesare
fossero giunte a Monteroni d'Arbia. I due rappresentanti furono
costretti a fuggire dalla città protetti dagli Anziani e dai magistrati
addetti alla loro persona; quando, sedato il tumulto, il Geraldini
poté rientrare in Siena, si rese conto che, allontanato Pandolfo
Petrucci dalla signoria, non potevansi ottenere maggiori concessioni.

La Repubblica Senese, nonostante la vicinanza dell'esercito di
Cesare e le sue minaccie, era ben decisa a resistere e non conveniva
esasperare la situazione. I senesi ottennero perció dal Geraldini che
il duca rinunciasse ad ogni ragione contro di essi, restituisse le terre
occupate con i bestiami predati e condonasse la multa di 100.000 du-
cati; se la cavarono con 60 ducati concessi al Geraldini. Messer Aga-
pito, ottenuto lo scopo, ritornó in fretta dal suo signore, lieto d'aver
AGAPITO GERALDINI DI AMELIA PRIMO SEGRETARIO DI CESARE BORGIA 73

portato a termine una missione spinosa e non scevra di pericoli.

Rientrato al campo, raggiunse Cesare ‘ai primi di febbraio a
Sutri mentre questi si «disponeva ad assediare Giulio e Giovanni
Orsini, trinceratisi in Ceri. Per quanto la rocca fosse in alto fra
roccioni scoscesi e la difesa eroica ed accanita, i difensori, alfine,
dovettero arrendersi ed il 7 aprile il Geraldini scriveva una lettera al
marchese di Mantova nella quale il duca gli annunciava che, avuta
la fortezza da Giulio Orsini, lo aveva ricevuto in grazia e libertà rac-
comandandolo al papa.

Questo insolito atto di clemenza fu dettato da accorta politica.
Per quanto Paolo e Francesco Orsini avessero seguito la sorte dei
loro compagni di Senigallia ed il cardinale Orsini fosse passato a
miglior vita in Castel Santangelo, pure la storica principesca famiglia
rimaneva in piedi, minacciosa e potente. Erano tuttora viventi il
conte Nicolò, il fiero capitano dei veneziani già generalissimo della
Santa Sede, e Gian Giordano, condottiero assai apprezzato del re di
Francia nel Napoletano. Inimicarsi più profondamente quei baroni
per estendere il numero degli avversari, non conveniva, quando non
si era ancora totalmente ricuperato il ducato di Urbino, quando
Venezia moltiplicava gli atti di rappresaglia ed inimicizia ed i
fiorentini, sempre preoccupati e gelosi delle conquiste ducali, spin-
gevano il Petrucci a rientrare in Siena, preferendo rivedervi lui, non
amico, che il Valentino signore.

Dopo questi fatti il Geraldini aveva preceduto il duca a Roma,
dovendo negoziare con l’ambasciatore Giustinian in oggetto a sospetti
e controversie insorte con la Serenissima Repubblica.

Il papa, il 7 aprile, ricevette Giulio Orsini, accompagnato dal
Valentino, e in presenza di monsignor Trocces e del Geraldini ; lo
trattenne affabilmente e gli concesse ogni sicurtà ; dopo più di una
ora lo licenziò facendolo accompagnare dal Trocces e dal Geraldini
fino a casa della madre.

Il duca prevedeva ora una sosta di qualche tempo nelle opera-
zioni di guerra e voleva approfittarne per dare effetto ai nuovi ordi-
namenti di Romagna ; vi inviò, quindi, il Geraldini che già da tempo
aveva preparati e fatti approvare i progetti per l’amministrazione
di quelle terre. Agapito si portò in Cesena dove il 24 giugno, in se-
guito a grandi feste inaugurali, s'iniziarono le sedute della Rota, già
istituita l’anno innanzi e ormai pronta a funzionare. Ai primi di
luglio il nostro Agapito ritornò a Roma, dove in sua assenza era
stato sostituito da Federico Marzio.

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CARLO. GANSACCHI

Mentre il duca si accingeva a ritornare in Romagna ed il papa
il 7 agosto dichiarava che sarebbe partito entro due o tre giorni
per la stessa meta, il 10 si seppe che tanto il padre, quanto il figlio
erano stati colpiti da grave morbo e che il loro stato destava seria
apprensione. Il 18 agosto il papa morì ed il Valentino, benchè gra-
vissimo, si ritirò in Castel Santangelo insieme alla famiglia.

Da quel giorno ebbe principio la sua rovina che, con raffinata
crudeltà del destino, si prolungò per alcuni mesi trasformandosi in
compassionevole agonia.

In questo periodo, così nefasto per Cesare, si dimostrò provvi-
denziale l’arte diplomatica del Geraldini, sostenuta dall’inalterabile
devozione al suo signore; egli lo consigliò nei momenti più critici,
lo sorresse con la sua forza d’animo e con la sua consumata abilità
diplomatica, lo difese contro gli intrighi e le coalizioni che si forma-
vano contro di lui. Furono giornate laboriose per il segretario del
duca, insidiato anche nella sua persona e non sostenuto da alcun
altro membro della casa ducale, la maggior parte dei quali si era
tratta in disparte per non compromettersi. Il Machiavelli ha de-
scritte alcune di quelle giornate e nella sua descrizione emergono,
da un lato, l’agitazione, le delusioni e lo scoraggiamento di Cesare
Borgia e, dall’altro, il coraggio e l’abilità manovriera del Geraldini.
Durante quelle giornate del torrido estate, mentre il Valentino era
ancora sofferente, il Geraldini riceveva le personalità e, per suo tra-
mite, il duca poteva far conoscere le proprie volontà, emanare ordini
e tenersi a contatto con i sudditi.

Subito dopo la morte del papa, e precisamente il 20. agosto,
mentre il duca era ancora gravemente ammalato, il Geraldini, pre-
vedendo l'addensarsi di forze nemiche, cercó, con un atto felice, di
conservargli l'alta carica di gonfaloniere e capitano generale della
Chiesa ; pregando e sollecitando alcuni cardinali, ottenne che il loro
rappresentante, il notaio Pandolfo Sanseverino cancelliere della
Camera Apostolica, si abboccasse con lui per venire ad un accordo
che, infatti, si concluse felicemente. Il 22 agosto, in presenza del
Sacro Collegio, Agapito, rappresentante di Cesare, ed il notaio Pan-
dolfo firmarono la convenzione per la quale il duca conservava le
sue alte dignità e si rendeva responsabile della sicurezza pubblica
fino all'elezione del nuovo papa ; gli si dava il termine di tre giorni
per presentarsi a giurare con i suoi capitani.

I pericoli incalzavano da tutte le parti e i Colonna erano arri-
vati a Roma suscitando tumulti; dietro a loro seguivano pure gli
AGAPITO GERALDINI DI AMELIA PRIMO SEGRETARIO DI CESARE BORGIA 75

Orsini. In questo tragico momento, ilGeraldini, fidando sulla devo-
zione sempre da lui dimostrata ai Colonna e sull’amicizia personale
di cui l'onorava Prospero Colonna, convinse il Valentino ad accor-
darsi con loro restituendo le terre di cui erano stati privati. In tal
modo riuscì ad isolare, almeno per il momento, gli Orsini e i loro
uomini, molti dei quali erano concentrati in Orvieto. Il trattato di
amicizia con i Colonna fece sorgere dei malintesi, perchè i rappre-
sentanti della Francia credettero che il Borgia si fosse dato agli
spagnoli; malintesi subito chiariti giacchè nel trattato il Valentino
si riservava espressamente la protezione di Luigi XII. Questa notizia
tranquillizzò i francesi che diffusero la clausola, soggiungendo che
il re aveva sempre in grazia il duca e che anzi lo avrebbe aiutato a
ricuperare i suoi Stati. Il trattato con i Colonna e la riconfermata
protezione francese diedero un notevole respiro a Cesare che s'era
fatto trasportare a Nepi. Il nostro Agapito andava avanti ed in-
dietro tra Nepi e Roma tutelando gli interessi del suo signore, avendo
continue interviste con gli ambasciatori veneto, spagnolo e francese ;
nonostante la sua attività diplomatica non poté, certo, arginare la |
riconquista degli Stati di Romagna dove alcuni antichi signori,
appena conosciuta la morte di Alessandro VI, si erano affrettati
a rientrare.

Il Geraldini comprese ch'era necessario tutelare gli interessi del
duca in Roma perché il pericolo maggiore ed i nemici piü insidiosi
erano annidati negli stessi ambienti vaticani; egli si destreggió con
vera maestria nel periodo del conclave. Eletto il Piccolomini (Pio
III), questi confermò il duca quale vicario e gonfaloniere della Chiesa,
biasimando coloro che gli avevano portato offesa. Il Geraldini riprese
animo e fu felice quando il duca, il 3 ottobre ,rientró in Roma con
un forte gruppo di armati. Agapito, non essendo il duca ancora
completamente guarito, ne organizzó le udienze in modo che gli
ambasciatori, i nunzi e i personaggi di riguardo dovessero essere
introdotti da lui per poter parlare a Cesare, tuttora a letto. Questi
si riprendeva a poco a poco e nutriva la speranza di poter ritornare
in Romagna di dove, spesso, gli arrivavano confortanti notizie.

Il 10 ottobre Bartolomeo d’Alviano e Giampaolo Baglioni irrom-
pevano in Roma cercando di catturare il Valentino, in ciò sostenuti
dalla Repubblica Veneta; ma egli, avvisato in tempo, si ritiró in
Castel Santangelo richiamando don Michele con i fanti ch'aveva in
Soriano e Taddeo della Volpe con altri armati.

E interessante lumeggiare l'azione violenta di Bartolomeo d'AI-

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viano, futuro grande condottiero di Venezia, parente degli Orsini,
inimicissimo di Amelia:ed accanito avversario dei Borgia. Egli, in
tante occasioni, si era messo contro il papa ed aveva trionfato del
duca di Candia nella strenua difesa di Bracciano (1496-97) durante
la guerra che Alessandro VI aveva imposto agli Orsini. Successiva-
mente, negli anni 1497-1500, aveva tenuto in subbuglio le contrade
umbre di Amelia, Todi, Viterbo, unendosi agli Atti, agli Orsini, ai
Vitelli contro la parte opposta dei Chiaravallesi, signori di Canale,
che furono trucidati ad Acquasparta (19 agosto 1500). Dopo la strage
di Senigallia, suo fratello Aloisio era stato rinchiuso in Castel San-
tangelo insieme al cardinale Orsini. ed al Santacroce ed il nipote
Iacobo, caduto in mano degli amerini, era in Amelia prigioniero.

. Conosciuta la morte del papa, Bartolomeo raggiunse le terre
di Romagna, poi si portò in Todi, che occupò il 2 ottobre ; il 5 era
nel contado di Amelia, cercò di liberare il nipote ma, non essendovi
riuscito, raggiunse Viterbo il 9 dove si unì agli Orsini ed al Baglioni
e capitò all'improvviso a Roma insieme ai Colonnesi ch'aveva riu-
nito in trattato. Bartolomeo, Fabio e Renzo da Ceri attaccarono il
Borgo appiccando il fuoco a Porta Torrione per poter penetrare in
Vaticano, ed il Valentino potè a stento salvarsi nonostante avesse
posto gli steccati intorno al suo palazzo e piazzate numerose arti-
glierie. Non avendo potuto prenderlo di sorpresa, l'Alviano si rivolse
ai cardinali perchè lo rinchiudessero in Castel Santangelo ; tanto
lui che gli Orsini lo volevano morto e non cessarono di sorvegliarlo
nella tema che potesse uscir loro di mano. Anzi, quando il papa
si era deciso a lasciarlo partire per la Francia, richiesto ad Alvisio
di Alviano perchè gli assicurasse i passi, questi rispose a S. Santità :
«La reputo impresa difficile perchè il Valentino ha fatti tanti guasti
nel Viterbese che non potrà attraversare quei luoghi con sicurezza ».

La fortuna di Cesare Borgia avrebbe forse potuto rifiorire se,
dopo 26 giorni di regno, non fosse morto Pio III. Suo grave errore
fu quello di non abbandonare Roma appena ristabilito, prima che
i suoi acerrimi nemici si fossero accordati e coalizzati e gli avessero
tolto ogni possibilità di dirigersi con le truppe ancora fedeli in Ro-
magna, ove il suo governo non aveva lasciato cattivo ricordo e dove
ancora gli rimanevano sudditi fedeli.

Il Geraldini aveva cercato di spingerlo a tale passo facendogli
presente che, se la riconferma a gonfaloniere e a capitano della
Chiesa poteva sollecitare il suo amor proprio, tali cariche non avevano
più lo stesso valore di quando era vivo Alessandro VI. Si era di
AGAPITO GERALDINI DI AMELIA PRIMO SEGRETARIO DI CESARE BORGIA 77

nuovo in sede vacante e non era permesso di tenere armati in Roma ;
i suoi antagonisti avrebbero cosi ripreso lena, addensandosi nei
pressi dell'Urbe per. annientarlo. Egli volle restare in Roma. per
premere sul conclave nella speranza d'aver un papa a lui favorevole.

All'annuncio della morte di Pio III, il principato di Romagna
cominció a sgretolarsi ; si ribellarono Faenza e Forli ; si mantennero,
invece, fedeli Imola ed alcune altre città. Non si comprende come
Cesare Borgia abbia caldeggiata la candidatura alla tiara del cardi-
nale Della Rovere, quand'era a conoscenza delle peripezie dolorose
di quel fiero ed orgoglioso prelato, il quale aveva dovuto intristire
in lungo esilio durante il papato di Alessandro VI, usando dire che
papa Borgia gli aveva rubato dieci anni di regno.

Il 4 novembre 1503 gli giunse notizia da Imola che questa città
sì teneva sempre per lui; fece rispondere una lettera dal Geraldini
nella quale si rallegrava per la fede che gli conservavano i sudditi,
assicurandoli « che presto si ritroverà con loro, in tale ordine, che
senza dilatione gli stati suoi saranno reducti in la solita unione ».

Per recarsi in Romagna aveva bisogno di un salvacondotto dei
fiorentini, che sperava avere favorevoli; ma il Machiavelli aveva
informata la Signoria che le promesse del papa non erano sincere
ed anzi si intuiva che Giulio II aveva in animo di perderlo. Il.7 no-
vembre 1503 il duca era pronto a partire per Ostia dove si sarebbe
imbarcato, ma non poté avere il breve di autorizzazione promesso
dal papa, nonostante gli sforzi fatti da Geraldini per ottenerlo, sforzi
segnalati in modo preciso nel diario dell'ambasciatore veneto (7). Una
settimana dopo il Valentino si disponeva a partire di nuovo, ma non
poté muoversi mancandogli il salvacondotto dei fiorentini; non
vedendo via d'uscita, deliberó finalmente di andare in Romagna
imbarcandosi ad Ostia per Livorno o per Genova, lasciando che il
Corella si riportasse in Toscana con 700 cavalli. Il 19 prendeva la
via di Ostia lasciando che il Geraldini compilasse l'istruzione su
quanto doveva trattare il vescovo di Veroli (Filonardi) con la Re-
pubblica di Firenze. Questo documento ufficiale, forse l'ultimo,
redatto parola per parola dal nostro Agapito, é riportato per intero
nelle carte dell'ambasciatore veneto; una frase vi é depennata con
questa dicitura personale : « cassum per me Agapitum ». Non avendo
voluto il duca concedere i contrassegni delle fortezze di Forli e di
altre città, Giulio II lo fece arrestare e tradurre a Roma nelle stanze
del Cardinale di Rohan ; quivi, appena giunto, ebbe la triste notizia
che le sue truppe, mandate avanti col Corella, erano state fermate

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e svaligiate a Castiglione d'Arezzo; che i loro capitani erano stati
fatti prigionieri; che il vescovo di Veroli, arrestato in Siena dal
Petrucci, aveva fallito la sua ambasceria. Quest'ultimo, ritornato a
Roma, era stato arrestato perchè non rivelasse quello che sapeva
dei fatti avvenuti in Toscana ed il Geraldini era tenuto d'occhio.
Inasprendosi sempre di più la polemica per i contrassegni di alcune
fortezze, la famiglia Borgia credette bene di fuggire a Napoli. Dopo
la vittoria delle armi spagnole, al Garigliano, l'ambasciatore spagnolo
ottenne che Cesare si ritirasse in Ostia, libero di partire per la Francia,
dopo aver dati i contrassegni delle rocche che gli erano rimaste fedeli.
Il 17 febbraio 1504 il duca raggiunse Ostia ed il 26 marzo Napoli,
recandosi presso Consalvo Ferrante, al quale, per mezzo del Geral-
dini, aveva chiesto ed ottenuto un salvacondotto in nome del re
cattolico.

Le speranze di quanti avevano seguito la sua fortuna rinacquero
per un momento allorchè si seppe.che il duca preparava una spedi-
zione in Toscana, che reclutava uomini d’armi, che riceveva gli am-
basciatori di Pisa con promessa di aiuti, che nel porto di Napoli
sì caricavano le artiglierie. Tutte queste speranze, però, crollarono
ad un tratto: nella notte del 26 maggio il Borgia era stato tratto
prigioniero in Castel dell'Ovo ed il 20 agosto veniva trasferito in
Spagna. Morì poi combattendo presso Viana. in Spagna il 22
aprile 1507.

Così ebbe termine la vita breve ed avventurosa di Cesare Borgia.
Tanto lui che il padre furono personaggi sinistri e feroci, seppure
dotati di ingegno, coraggio e di larghe iniziative. Possiamo affermare
che ebbero gravissimi difetti e si macchiarono di numerosi delitti,
ma non furono peggiori di altri principi dell’epoca. Scrittori di cose
militari designarono il Valentino come un condottiero di vaglia. Ho
voluto, con la scorta dell’Alvisi (che ne descrive la vita e le imprese
giorno per giorno), seguirne il periodo militare, ed ho potuto rilevare
che negli anni che vanno dalla prima campagna in Romagna (no-
vembre 1499) alla morte del papa (agosto 1503) egli non rimase a
contatto con le truppe che tre mesi e questo periodo, ad un di-
presso di 95 giorni, è intervallato da ampie lacune, tanto che si può
con sicura certezza affermare ch'egli tenne il comando per interposta
persona, affidando le incombenze più delicate, quali quelle della
istruzione, dello studio dei piani e del loro sviluppo, a Vitellozzo
Vitelli ed a Paolo Orsini, capitani di valore, conosciuti come esperti
in guerra; e pensare che elogi così lusinghieri gli si tributavano,
AGAPITO GERALDINI DI AMELIA PRIMO SEGRETARIO DI CESARE BORGIA 79

mentre era ancor fresca e vivida la gloria di superbe imprese portate
eroicamente a termine da un Colleoni, da uno Sforza, da Federico
di Urbino !

Non deve però credersi ch'egli fosse una nullità ; ebbe animo
forte ed avventuroso e si accinse con abilità e costanza ad un’im-
presa. difficile ed irta di pericoli, quale quella della conquista della
Romagna e delle Marche, con lo scarso aiuto del re di Francia e
con l'ostilità continua ed accanita di Venezia e. di Firenze. |

Come principe, ebbe il merito di governare con larghe vedute,
con buona giustizia, compatibilmente ai tempi, tanto da accatti-
varsi la fedeltà di molti paesi della Romagna, i quali gliela conser-
varono anche dopo la morte del papa. Alcuni storici scrissero che,
dopo l’elezione di Pio III, tutti i suoi cortigiani e dipendenti lo abban-
donarono, anche messer Agapito ed il Remolino ; asserzione smen-
tita dai fatti perchè tanto l’uno che l’altro rimasero con lui fino
alla sua partenza per Napoli, con la convinzione di raggiungerlo
quando fosse ritornato in Romagna. Anche il Giustinian, l'amba-
sciatore veneto, menziona il Geraldini quale rappresentante di Cesare
fino agli ultimi tempi e ricorda le udienze a lui concesse (8). Basta
poi rileggere la lettera della Vannozza (1515) a sua figlia, la duchessa
di Ferrara, nella quale raccomanda un nipote di monsignor Agapito
(ch'era morto da poco) ricordando i grandi meriti di lui verso Cesare,
per essere convinti che anche i membri di casa Borgia, dopo tanti
anni, non avevano dimenticato i servigi resi da lui tanto nella pro-
spera che nell'avversa fortuna.

Agapito Geraldini non aveva brigato per aver elevati compensi
al suo alto ed ininterrotto lavoro, ma tanto Alessandro VI che il
Valentino avevano largamente provveduto a lui: era arcidiacono
presso il capitolo di Amelia, protonotario apostolico partecipante
ed abbreviatore ; familiare e commensale del papa. Nel 1503, per
le insistenze del Valentino, il papa gli aveva concesso le rendite del
monastero di S. Cristoforo di Castel Durante a vita; aveva anche
una prebenda di cento ducati d'oro all'anno sul monastero di S.
Maria Nuova a Roma e figurava quale rettore parrocchiale della
Chiesa di S. Claudio in Carpi (nullius diocesis). Designato arcive-
scovo di Siponto (Manfredonia), aveva beni nell'arcivescovato di
Capua e rendite in quel di Bertinoro in Romagna ; Rieti, in ricono-
scenza di preziosi servizi resi da Geraldini, gli aveva donato una
casa nella città.

Il Geraldini, con la scomparsa del Valentino, rimase senza pro-

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80 CARLO CANSACCHI

tettori e, per quanto la sua personalità fosse stata molto apprezzata
anche dagli avversari di Cesare, non poteva sperare di essere pre-
scelto per ulteriori uffici.

Egli si ritirò a vita privata; alternó la sua esistenza fra la
casetta che aveva vicino al Tevere, in Borgo S. Pietro, ed il palazzo
in Amelia. Confortato dall’affetto e dalla considerazione dei lette-
rati che gli erano stati compagni e che avevano brillato alla corte
del duca, si era ridato agli studi prediletti alternando la conversa-
zione d’artisti e di studiosi in casa sua con le sedute e le conferenze
all'Accademia Pomponiana che accoglieva i migliori pensatori e dotti
di quell’epoca.

I concittadini amerini lo circondavano sempre di grande con-
siderazione e deferenza, non dimenticando i benefici ch'aveva recato
alla sua patria in periodi burrascosi; quando la Comunità aveva
bisogno di consigli e di aiuto si rivolgeva a lui prima che ad altri
per ottenere il suo apprezzato parere.

Egli, in Amelia, abitava il signorile palazzo lasciatogli da suo
padre Bernardino in contrada « Borgo » dove viveva insieme ai figli
del fratello Virgilio. In Amelia passava specialmente i mesi d'estate
ed a poco a poco aveva ridotto anche la sua attività ecclesia-
Stica. Troviamo, infatti, nei rogiti dei notari amerini, un grande
numero di procure per ritirare sue rendite e vitalizi e per rinunciare
a cariche già ricoperte. Nel 1509 aveva rinnovato come procura-
tori presso la Curia romana, per cause che aveva iniziato, i suoi
amici: Dottore Alessandro di Bologna, Antonio Geraldini, dottore
in leggi, Ascanio Marsi e Pierbenedetto de' Bonsaveri.

Egli nel 1510 nominava procuratore Angelo Lucio Geraldini per
rinunciare nelle mani del papa e di altri alla rettoria della Chiesa
di S. Claudio in Carpi, in favore del venerabile don Tommaso de
Federicis, chierico di Carpi. Nel 1513 nominava procuratore un tal
Giovanbattista Branconi di Aquila per rimettere i benefici che egli
aveva in quella terra nelle mani del cardinale d'Aragona od in quelle
del cardinale di Ferrara e preferibilmente in favore di suo nipote ;
questa rinuncia diede, anzi, luogo ad una controversia, dopo la morte
di lui, accennata nella lettera della Vannozza a sua figlia Lucrezia,
duchessa di Ferrara.

La città di Rieti, come abbiamo visto, gli aveva donato una casa,
vicino a porta romana, ed egli la vendette, poi, a Silvestro Colonnesi
al prezzo di cento ducati, che dovevano tenersi in deposito da Gio-
vanni Zaffini (forse Farrattini) di Amelia ed a sua disposizione per
AGAPITO GERALDINI DI AMELIA PRIMO SEGRETARIO DI CESARE BORGIA 81

farglieli avere a. Roma, a Napoli ed altri luoghi. Questa notizia
potrebbe far pensare ch'egli si recasse a prendere possesso dell'arci-
vescovato di Siponto (Manfredonia). Non abbiamo peró nessun dato
certo sulla sua attività di vescovo e quello che hanno scritto l'Ughelli
ed il Gams non dà nessun lume, perché tanto l'uno che l'altro, dopo
averne portato la designazione al 4 giugno 1500, che é giusta, lo
fanno morire nel 1506, mentre cessó di vivere nel 1515. Sembra,
invece, che egli abbia rinunciato alla cattedra vescovile nel 1500,
venendovi sostituito da Anton Marco del Monte.

Per quanto nominato arcivescovo nel 1500, per cui pagó alla
Camera Apostolica 500 fiorini d'oro, certamente non raggiunse la
sua diocesi fino alla primavera del 1504, epoca della scomparsa del
Valentino; d'altra parte, per quanto dalla primavera del 1504 al
1506 non vi sia traccia della sua presenza in Amelia, non sembra
che egli in detto periodo sia stato effettivamente sulla cattedra
episcopale di Siponto. Le ricerche presso l'arcivescovato non hanno
dato alcun risultato, perché l'archivio di quella curia arcivescovile
andó distrutto nel 1680 nel saccheggio dei turchi.

Prese parte a tutte le solennità che si celebravano e nella sua
famiglia ed in Amelia: fu presente quando Andrea, suo nipote, fu
eletto canonico della Chiesa di S. Secondo, quando Pompilio si uni in
matrimonio con donna Diana de' Chiaravallesi di Todi, signori di Ca-
nale. Si trovó ai festeggiamenti che tutta la famiglia tributó a monsi-
gnor Alessandro, ch'aveva sorretto ed appoggiato Cristoforo Colombo
nella sua difficile impresa, quando Leone X, per i suoi grandi meriti,
lo destinó alla cattedra di S. Domingo. Alla venuta in Amelia di
Marcantonio Colonna fece parte dei patrizi addetti alla sua persona
e fu lui che consigliò agli Anziani di prendere come protettori della
città il cardinale Pompeo Colonna ed il-cardinale della Valle.

Quando l’illustre generale Prospero Colonna, che andava a
prendere il comando delle truppe spagnole contro i francesi, passò
per Amelia (settembre 1512), gli Anziani, per onorarlo e riceverlo
in città, gli mandarono incontro i patrizi Pietro Moriconi, David
Cansacchi, Giuliano Archileggi ; fu ricevuto, poi, nel palazzo anzia-
nale e primi a salutarlo, mentre scendeva da cavallo, furono il
vescovo Moriconi e monsignor Agapito Geraldini che, unitisi al cor-
teo, lo accompagnarono nel palazzo di Stefano Cansacchi, capitano
del Colonna, ove il generale si fermò, concedendo udienze per un
giorno intiero, ripartendo poi l’indomani per Giove.

‘Gli ultimi mesi della sua vita furono amareggiati dalle continue
82 CARLO CANSACCHI

preoccupazioni per la sicurezza della città e dei suoi, mentre si deli-
neava, nella provincia, una manovra di fuorusciti ghibellini e le città
di Narni, Terni e Orvieto prendevano tutte le precàuzioni per difen-
dersi e per offendere. Egli cessò di vivere nella prima quindicina di
luglio del 1515.

Il notaio Vincenzo Artinisi di Amelia, nel rogito del 21 stesso
mese, ne segnala la morte con queste parole : « Cum sit quo, elapsis
diebus, Deo placuit, Reverendissimus pater bo. memo. Agapitus de
Geraldinis abdormiverit ».

Il suo corpo riposa nell’artistica monumentale cappella dei Ge-
raldini, detta di S. Antonio, nella bellissima Chiesa di S. Francesco
di Amelia, in un loculo vicino alle arche superbe ed artistiche dei
suoi antenati. Una semplice dicitura ne riassume la vita e le cariche
di curia (9).

Nella lapide sepolcrale non si accenna alla sua carica di segre-
tario del duca Cesare Borgia ; forse, dati i tristi ricordi di quel tempo,
era più conveniente il tacerlo.

Ci si può, però, chiedere per quali ragioni un uomo di spirito
tanto elevato e raffinato abbia potuto legare la sua vita ad un prin-
cipe così vituperato. La risposta potrebbe essere questa. Egli si
accostò a Valentino nel momento in cui questi iniziava la sua fortuna,
che fu tanto rapida ed imponente da impressionare i contemporanei :
anch'egli potè essere attratto da un’esistenza così avventurosa, tanto
più avendo potuto conseguire una diretta partecipazione ai più
importanti avvenimenti dell’epoca.

Probabilmente anch’egli ebbe l’illusione, come molti altri, che
il Valentino fosse l’unico principe ch’avrebbe potuto effettuare il
grandioso progetto di creare un vasto e stabile principato nel centro
Italia e forse, addirittura, di giungere all’unificazione politica della
intera penisola.

Il Geraldini non caldeggiava grandi distinzioni perchè di fa-
miglia patrizia e già insignita di titoli onorifici; non mirava a ric-
chezze perchè il suo patrimonio era esteso e redditizio e non aveva
discendenti diretti; non chiedeva nulla per i suoi perchè, per loro
personali capacità, occupavano già posti eminenti. È probabile che
egli abbia esercitato quella carica con la vocazione di un entustiasta,
esaltato dalla speranza di un miraggio radioso, ancorchè utopistico.

In Agapito Geraldini spiccano essenzialmente le doti del diplo-
matico e del letterato.

La sua abilità di negoziatore fu rilevata da tutti coloro che en-

TAMA
AGAPITO GERALDINI DI AMELIA PRIMO SEGRETARIO DI CESARE BORGIA 83

trarono in relazione con lui. Il Machiavelli, il Soderini e il Salviati,
ambasciatori di Firenze, che a lungo si trattennero alla corte di
Cesare ed ebbero il Geraldini come normale interlocutore, ne ripor-
tarono una impressione delle più lusinghiere. Basta leggere attenta-
mente le lettere del segretario fiorentino per vedervi emergere la
figura di monsignor Agapito, sempre presente in ogni più delicata
circostanza. Anche il Cappello ed il Giustinian, ambasciatori di
Venezia, lo conobbero e lo apprezzarono in momenti diversi: il
primo nell'autunno del 1500 durante la seconda guerra di Romagna ;
1] secondo nel periodo della disgrazia dopo la morte del papa.

Se poi si osserva l'ordinamento interno della cancelleria del
Valentino, si constata che il Geraldini vi occupava l'ufficio piü
elevato e di maggiore responsabilità. Le lettere, i bandi, gli editti,
le istruzioni venivano studiati e compilati da lui; egli trattava gli
affari più importanti, concordava con il principe le direttive poli-
tiche, curava le relazioni con i principi, dava ordini ai capitani di
guerra, predisponeva l'organizzazione delle terre e delle città che
venivano ad allargare lo Stato del duca. Il Valentino ne riconosceva
talmente i meriti e ne apprezzava a tal segno le qualità che nel 1501
fece coniare un timbro accomunante la sua firma con quella di
monsignor Agapito, in modo che questi, in qualunque momento,
potesse spedire il corriere in partenza senza sottoporlo preventiva-
mente al suo signore.

In fine egli ebbe la grande abilità di tenersi nell'ombra, riu-
scendo a far credere, almeno ai non iniziati, che gli innumerevoli
e non facili problemi politici fossero risolti brillantemente e svelta-
mente dal solo duca.

Agapito Geraldini fu pure un letterato di valore, come tale

stimato anche da scrittori contemporanei di chiara fama ; fu, in-
fatti, accolto nell'Accademia Pomponiana che riuniva i migliori
umanisti dell'epoca.

Le lettere di monsignor Agapito, giunte sino a noi, sono molte,
da quelle scritte quando era cón gli aragonesi a quelle del periodo
borgiano. Lo stile é squisitamente umanistico e gli eleganti periodi
ci rivelano, non soltanto il fine politico, ma anche il letterato, atti-
rando l'attenzione del lettore per un pregio speciale: la vivezza
delle espressioni.

. Cortigiano elegante ed accorto, seppe mantenersi — in un
periodo dei più sanguinari — su di una linea di moderazione, consi-
gliata dal suo ingegno e dalla sua signorilità. Nelle alte cariche clie

TRAE ONES RET

1

TA 27" -
84 .. CARLO CANSACCHI

ricoprì, ottenne unanimi consensi e fu altamente apprezzato. Seb-
bene un po’ mondano, fu pio e costumato e non trascese mai a quelle
forme scandalose di vita corrotta, della quale, in alto, si avevano
troppi esempi anche nei prelati. Come scrittore di lettere, gli si
puó assegnare un posto abbastanza eminente, come politico e diplo-
matico raggiunse la fama dei migliori. Senti, in sommo grado, lo
spirito della romanità e lavorò a tutt'uomo per creare uno Stato
ordinato e vasto, nel quale avrebbero dovuto regnare la pace e la
giustizia. Figlio devoto della città che gli dette i natali, con lena
costante cercó di farne salire il prestigio e di preservarla dai pericoli
che la circondavano.

CARLO CANSACCHI

NOTE

(1) Un anno dopo — essendosi nuovamente rinfocolate le inimicizie fra
i Borgia e i Colonna — il duca Valentino, con lettera 16 novembre 1501 di-
retta a Cristoforo Cansacchi, gonfaloniere di Amelia, esprimeva il desiderio
di vedere rimossa la colonna di marmo in piazza S. Maria, inalzata a gloria
del duca di Preneste.

(2) Il salvacondotto che lo nomina architetto ed ingegnere generale è
del 18 agosto 1502, firmato anche dal Geraldini, ma già da un anno prima
egli era al servizio del duca (Milano, Archivio Melzi d’Eril).

(3) Leonardo rimase al servizio del duca anche nel 1502 e nel 1503 ;
nel 1502 (luglio) era ad Urbino e vi si incontrò con il concittadino Nicolò
Machiavelli, allora ambasciatore della Repubblica Fiorentina presso il duca
Valentino. i

Allorchè nell’inverno del 1503 il duca marciò contro Siena, Leonardo
ne seguì l’esercito adoperandosi per il passaggio delle pesanti artiglierie su
ponti improvvisati e strade impervie ; nel marzo del 1503 risulta già a Firenze
e quindi non seguì il Valentino a Roma e ne conobbe la caduta a Firenze
(agosto 1503).

(4) Arch. Vatic. Arm. 35-T. 41.

(5) Cesare Borgia, incontrati a Senigallia Paolo e Francesco Orsini,
Vitellozzo Vitelli e Oliverotto Eufreducci da Fermo, che erano venuti per
ossequiarlo, li invitó a cena ed allorché furono entrati in palazzo li fece arre-
stare. Gli Orsini vennero condotti a Roma in stato di arresto ; Vitellozzo e
Oliverotto nella stessa notte furono processati, condannati a morte e stran-
golati. I soldati degli Orsini e dei Vitelli, accampati nei castelli attorno a
Senigallia, furono nello stesso giorno assaliti, uccisi e dispersi dalle truppe
AGAPITO GERALDINI DI AMELIA PRIMO SEGRETARIO DI CESARE BORGIA 85

del Borgia. Paolo e Francesco Orsini vennero poi strangolati il 18 gennaio
nella fortezza di Civita Castellana.

(6) La lettera è del 13 gennaio 1503 ed è trascritta nelle riformanze del-
l’anno (vol. 53).

(7) SAnuDO, Diari, vol. V. Il papa, all'ambasciatore veneto che lo pre-
gava d'informazioni, così rispondeva: « Ambassador l’è vero che questo
Agapito mi sollecita che li faziamo scrivere (il breve) ma non faró niente ;
che se il Duca averà pur la conservazione de la vita da mi, cum quel che in
sua malora l'ha robbato da questa Chiesa, potrà essere ben contento ».

(8) Biblioteca Vaticana : Codice Barberiniano, Latino 2312: « De Geral-
dinis Agapitus, ducis Valentini carus, grati animi, ergo sequens fortune atque
infortuni eius-dem particeps » (SANUDO, Diari).

(9) «D.O.M. — Agapito Geraldini — Bernardini Filio, Archidiacono
Amerino, Protonotario Apostolico ac abbreviatori, Omni litterarum Genere
Ornato. Alexandri VI Pont. Max. Secretario ob Praeclaras Animi Dotes.
Ad Praeces Friderici Siciliae Regis Electo Archiepiscopo Sipontino. Imma-
ture sublato Ann. Salutis MDXV. Julius I. V.D. Archa. Amer. Gaspar et Aga-
pitus fratres posuerunt ».

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86 e CARLO CANSACCHI

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Fonti

CRONACA DI GIAMBATTISTA MARINI

NOTIZIE STORICHE DAL 1794 AL 1833 scRITTE DAL SAC. GIAMBATTISTA MARINI
Trascrizione di MARIO RONCETTI
(Vedi volume LVII, p. 37 e segg.)
1818.

MAGGIO (segue) :

A di [27] detto. Furono sottoscritti i Fogli matrimoniali tra Tommasa
Oddi e Fabio Danzetta.

A di 28. Fu tenuto Consiglio per stabilire definitivamente per ordine
pressante della S. Consulta il locale per il Campo Santo, e fu risoluto di com-
prare il palazzo e terreno appartenente a Fabio Penna in faccia ai Cappuc-
cini del Luogo Nuovo, o S. Maria della Pace.

A dì 30. Al Teatro civico incominciò l'Opera in Musica. L'Impressario
era Molier, che promise di far la Festa della Madonna nel Luglio nella Festa
del:S. Anello ; di far giostre e tombole, avendo di queste avuto licenza da
Roma. In sequela di ció nella metà di Giugno s'incominció a formare un
Anfiteatro di legname per le corse e steccati, servendosi di Festa e cosa sagra
per profanità e guadagno.

GIUGNO :

A dì 1 e 2. Variabile e pioggia, di poi fino agli 11 giornate piovose.

A di 4. Mori Luigi Sensi in sua Casa posta nella Piazza Aureli vicino
al Teatro Civico, e nel di 5 fu fatto il funere in S. Maria Nuova, dov'era
sepultuario.

A di 5. Fu aggiunta la Colletta alla Messa, e furono incominciate le
Orazioni ai Gonfaloni per avere la serenità.

Dopo gli 11 venne della pioggia in piü giorni, e fu tempo variabile fino
al 23, e di qui per tutto il mese fu il tempo buono e caldo.

A di 16. Mori Ubaldo Nerboni di anni 84, uomo di onestissimi costumi
e di naturale dolce, affabile e di virtù. Avea un figlio chiamato: Giammaria,
giovane di talento: ebbe molta abilità per l'arte militare ; servi la Francia
con onore. Questo prese moglie, una Chiatti, che gli fece una Figlia, e mandó

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90 CRONACA DI GIAMBATTISTA MARINI

in Parma: per essere educata. Terminato il Governo francese andò a serviré
in Germania per militare e fu fatto Maresciallo. Ubaldo Nerboni ebbe tre
figlie, una maritó in Orvieto, una a Guardabassi di questa Città, un'altra a
Diamante Borgia, che poi si separó dal marito. Per somministrare denari
al figlio Giambattista vendette la bella Villa dei Murelli sotto S. Costanzo.

A dì 27. Giorno di mercato : crebbero di prezzo tutti i generi, quantunque
la stagione desse speranza di buon raccolto.

LUGLIO:

Dalli 1 fino al 7 tempo buono, fuori del 4 che successe piccolo temporale.

A di 4. Vi era il grano al Mercato a scudi 10 il rubbio.

A di 8 e 9. Pioggia. 10-11 variabile.

A di 8. Passó all'altra vita D. Federico Pascucci, sacerdote d’illibati
costumi, che patì molto in tempo del Governo Francese, e per avere assoluto
un Parroco dalla scomunica contratta per il giuramento dato senza limita-
zione, nell’Oratorio di S. Filippo Neri, accusato dopo circa 4 mesi, fu traspor-
tato a Spoleto dal Prefetto, e per impegni da lui rimandato al Vescovo, questi
lo tenne rilegato in Seminario. Essendo uomo sensibilissimo deteriorò nella
salute ; e andando sempre in peggiore stato all’ultimo nel 1817 fu colpito
da un accidente, e dopo essere stato per molti mesi infermo, per nuovo colpo
morì. Fu fatto il funere il dì 10 nella Chiesa nuova, e recitò l’orazione funebre
Serafino Siepi, marito della sua nipote. Aveva anni 72.

A dì 10. Giunse in Perugia l'ex-Re d'Olanda Luigi Bonaparte, fratello
di Napoleone ex-Imperatore de’ Francesi rilegato nell’isola di S. Elena sotto
la sorveglianza inglese, e partì agli 11.

La sera degli 11 vi fu illuminazione, come il solito, per la Festa del S.
Anello.

A dì 12. Musica piena in Duomo, e Messa solenne, e cantarono anche
il Basso e Tenore del Teatro. Nella sera vi fu il fuoco artifiziato, fatto da un
Canonico della Fratta, che riuscì male, e fu l’artefice fischiato. Costava scudi
25. Dopo vi fu la commedia.

A dì 13. Si fece la giostra col fantino nell’Anfiteatro. Furono fatte 2
giostre di 5 cavalli per volta, essendo infino 10. I due vincitori fecero la 3
giostra, ed uno rimase vincitore.

Dal dì 12 fino al 28 parte fu vario e parte sereno.

A dì 14. Fu fatta Caccia de Tori maremmani al Circo, e fu gradita. In
questa mattina le pagniotte erano di circa oncie 3, essendo calato tutto il
pane di peso, allegandosi la raccolta cattiva.

A dì 15. Si fece altra corsa col Fantino e con gran concorso,

A dì 16. Vi fu la caccia delle bufale.

L’Anfiteatro non fu dimesso, ma rimase per la festa di Settembre per
la Madonna delle Grazie nella 22 Domenica.

A dì 19. Partirono due Vescovi quà venuti pochi giorni prima, Mons.
CRONACA DI GIAMBATTISTA MARINI 91

Ancajani Vescovo di Gubbio, e Mons.r Ranaldi Vescovo consagrato da poco
di Ripatransone nella Marca, ambedue amicissimi.

A dì 21 e 22. Sono cadute grandini grosse e abbondanti in alcune parti
del nostro Territorio con grave danno.

In questi tempi si esigeva il dazio dell’Olio raccolto nel 1817 a baj. 30
il mezzolino, e andavano i Ministri per le case a riscuoterlo.

La raccolta de’ grani grossi andò bene, degli altri grani per i fondi e
piani andò male. Le colline parte bene, parte male. La cagione furono le
nebbie e cattive guazze,

A dì 29. Alle 13 fu portata la Communione per viatico a Mons.* Vescovo
Campanelli aggravato ed oppresso da un accesso al petto. Fu portata la
Comunione pubblicamente processionalmente coll'accompagno del Capitolo,
Benefiziati e Seminario, e fu communicato dal Canonico Titi, ed alle ore 18
fu unto coll'olio santo.

A di 30. Si celebrarono 10 messe per il Vescovo moribondo, ed alle ore
23 3/4 passó all'altra vita placidamente dopo lunga e penosa malattia.

In questo giorno vennero moiti Napoletani a visitare il S. Anello, ed era
del tempo, che non si era veduta tanta gente.

Nel sviscerare il Cadavere si trovarono nella Vescica tre pietre, uno come
un uovo di colomba, le altre due piccole. La sua malattia fu una ricommessa
di umori al petto e testa ; allentarono i sudori, si gonfiarono le gambe, che
sempre avea come due grosse colonne, e cessarono le urine.

A di 31. I Canonici capitolarmente congregati avendo tempo di otto
giorni per fare il Vicario Capitolare, elessero due Offiziali o Deputati, i Cano-
nici Pressi ed Angelucci per agire nelle cose occorrenti. Fu mandata notifi-
cazione, che da ogni Sacerdote si celebrasse la messa in suffragio del defonto
Vescovo, e che nel di 4 Luglio si sarebbe cantata messa dello Spirito Santo
per il nuovo Vescovo da eleggersi, e che in ogni sera incominciando dalla
Cattedrale si dovesse in ogni Chiesa per turno dare la benedizione del Vene-
rabile fino alla elezione. Nel giorno presente alle 21 tutti i Canonici e Bene-
fiziati, Chierici perpetui e Seminario con i PP. Conventuali di S. Francesco
unitamente si portarono alla Sala Vescovile e cantarono il Vespro. I Conven-
tuali fecero la funzione, intonarono le antifone e salmi, ed il Guardiano in
ultimo col Piviale fatte intorno al Cadavere le aspersioni e incensazioni recitó
l’orazione e fu terminato. I Canonici ebbero libbre 1 di cera, i Benefiziati
oncie 6, il Seminario oncie 3. Rimase esposto il Cadavere alla pubblica' visita
con tre Altari per celebrarvi le messe, i due giorni seguenti, com'é stato
sempre solito.

AGOSTO :

A di 1 e 2. Stando esposto il Cadavere nell'episcopio si sono celebrate
le messe negli altari eretti, ed il Clero e Religiosi interpolatamente sono con-
corsi a cantare ciascuno un notturno, conforme il consueto.

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CRONACA DI GIAMBATTISTA MARINI

. *A dì 3. Furono celebrati decorosi funerali in Duomo coll'intervento delle
Potestà pubbliche e collegi con concorso di numeroso popolo, e fu recitata
dal Canonico D. Luigi Mattioli, Maestro d’Eloquenza in Seminario, che unse
il Vescovo moribondo coll’Olio Santo e l’assistette in punto di morte. Le
facole intorno al catafalco erano 100 di libbre 3, 12 torcie di libbre 16 ed 8
di 12 : le messe celebrate furono 206 con l’elemosina di paoli 3. Finita l’Ora-
zione, in tempo che si faceano l’essequie cadendo un facolotto per il caldo
dette fuoco al Cartone di ornamento del 2° gradino. Si sentì un gran strepito
della gente; ma staccato il Cartone cessò tutto il pericolo d’incendio. Mori
di anni 72 e risiedette in Perugia anni 13.

A dì 4. Fu cantata la Messa dello Spirito Santo per la elezione del nuovo
Pastore, ed in ogni Chiesa per turno si fece lo stesso per fino alla nuova ele-
zione, e nella sera fu data Benedizione col Venerabile secondo la Tabella,
e fu aggiunta alla messa da tutti i Sacerdoti la colletta dello Spirito Santo.

Dal 1° Agosto fino al 12 furono giornate belle e calde.

Nel dì 4 dopo la messa i Capitolari congregati elessero il Vicario Capi-
tolare in Persona del Canonico Giovanni Pressi, stato già Vicario Generale
del Vescovo Defonto innanzi il ripristinamento del Governo Pontificio.

A dì 7. Editto del Vicario Capitolare riguardante il buon ordine tanto
per gli Ecclesiatici, quanto pei secolari.

- A dì 10. Fu celebrata la Festa di S. Lorenzo con primi Vesperi e secondi
e Messa solenne con Musica.

- A dì 12. Mori di anni 62 Maria Trinci nata Dominici, abitante nel Mona-
stero di S. Maria Maddalena di P. S. P. e fu trasportata, e fatto il funere
alla Compagnia della Morte.

A di 13. Acqua la mattina, che rovinó la fiera a Monteluce. 14 nuvolo.
15 poca pioggia. 16 al 21 buono.

‘A dì 15. Fu fatto il trasporto di Maria Trinci alla Compagnia della Morte,
ov'era sepolto il marito Domenico Trinci. Fu questione nell'accompagno col
Curato e Confessore, e questo l'accompagno.

‘A dì 16. Fu fatta la corsa de Cavalli col fantino nell'Anfiteatro. Vi furono
tre soli Cavalli : nella sera al Circo vi furono i Fochetti. Al Teatro essendovi
gl’Istrioni fecero alla porta scudi 84, e nella sera antecedente scudi 94.

A. di 17. Si fece al Circo la Caccia del Bue.

‘A di 19. Fiera a Monteluce, intimata fin dal di 13, che fu interrotta da
pioggia.

A. di 22. Da oggi sino alla fine del mese quasi sempre pioggia.

A di 26. Mori di anni 81 il Canonico Mariano Ranaldi della Diocesi di
Macerata, stato Auditor di Roma ; fu deportato nel governo francese, grande
elemosiniere ; e nel di 29 fu fatto il funere nel Duomo.

A di 31. Seguì lo Sposalizio di Tommasa Oddi con Fabio Danzetta.
Furono sposati in Cappella di Casa da D. Francesco Previtali.
CRONACA DI GIAMBATTISTA. MARINI 93

SETTEMBRE:

Dal dì 1 al 7 inclusive caldo e tempo buono.

A dì 3. Terminarono gl’Istrioni al Teatro Civico.

A di 8. Alle ore 20 acqua forte: Una ragazza di circa anni 22 essendosi
per causa dell'acqua rifugiata sotto il ponte di S. Galgano l'acqua la trasportó
via in un molino sottoposto mancandole mezza testa.

Nel di 10 e 11. Venne dell'acqua e poi dal 12 fino al 23 tempo quasi
sempre buono ed alcune giornate fredde. ;

A dì 8. Non si trovava vino. Si aprirono alcune cantine a un paolo il
Boccale. Si fece un serra serra del vino, quantunque l’abbondanza delle uve
dassero speranza di buon raccolto.

A dì 12. In questi giorni fu spedito in Roma un Memoriale sottoscritto
da molti, e massime Parrochi chiedendosi per Vescovo di Perugia il Preposto
Alessandro Petrignani, già Vicario del Defonto Campanelli.

A dì 20. Incominciarono le Missioni. |

Nel di 21. Nel Diario romano in data del di 9 si lesse, che era stato
eletto per Vescovo di Perugia il Sacerdote D. Carlo Filesio Cittadini di Terni,
nella cui casa entró una Figlia del conte Ranieri di Perugia sposata dal di
lui Fratello.

A di 29. Terminarono le Missioni.

In quest'anno é stata un'abbondante raccolta di mosto, e si è pagata
l’entratura un paolo per soma.

OTTOBRE :

A dì 1. Pioggia : nel 2 nuvolo : 3 e 4 buono. Dopo sino al 12 sempre
pioggie e nuvolo. cg

A di 2. Fu proclamato in Concistoro D. Carlo Cittadini di Terni per
Vescovo di Perugia.

A di 4. Fu consagrato Vescovo il sud.? Cittadini, e nel di 6 prese possesso
della sua Chiesa per mezzo del Vicario Capitolare Sig." Canonico Giovanni
Pressi coll’intervento de Parrochi Urbani, i quali si congregarono in Capi-
tolo con i Canonici e 2 Benefiziati per Testimoni. Fu preso il possesso in
faccia a tutti i suddetti in Chiesa, e dopo tornati parimente tutti in Capi-
tolo, e tutti dettero tanto Canonici che Parrochi in giuramento di obbedienza
toccandosi il Messale. Di poi si espose il Sagramento e cantato il Te Deum
fu data la Benedizione.

Al di 5. Nella mattina alle ore 11 astronomiche nella Chiesa dell'Ora-
torio di S. Filippo Neri seguirono i due Sposalizi dei due fratelli Oddi con
le due sorelle figlie di Alessandro Vermiglioli uniche ; cioè lo sposalizio del
Conte Marcantonio con Lavinia, del Conte Benedetto con Agnese, e furono
ambedue sposati da Mons." Vincenzio Strambi Vescovo di Macerata. Questo
degno e santo Prelato venne per dare gli esercizi agli Ecclesiastici ; ma di
94

CRONACA DI GIAMBATTISTA MARINI

più per 7 giorni li diede a tutti i Curati di Campagna a S. Maria Maddalena
P.S.P., altri 7 giorni alle Povere. Dal venerdì sera sino al Martedì suonarono
le campane ad un’ora di notte, ed in tal tempo doveano figli e figlie, servi
e serve chiedere perdono de loro mancamenti a respettivi genitori e padroni
e padrone.

Dopo il 5 le acque interruppero le vendemmie. In seguito e quasi per
tutto il mese le acque e i venti dissiparono gli uccelli in modo che i Tordi
si vendevano: baj. 5 l'uno.

A dì 22. S'incominció a scomporre il Circo di legno, che servì per la
giostra del luglio scorso,

A dì 23. Fu pubblicata la lettera pastorale di Mons.* Carlo Filesio Cit-
tadini nuovo Vescovo di Perugia, stampata in Roma presso Francesco Bour-
lié 1818.

A dì 30. Seguì un caso tragico in S. Maria Nuova 4 ore pomeridiane.
Fu trovato un certo P. Reggente di Foligno Servita non rivestito dell’abito
con un coltello, che si era conficcato nella parte sinistra sotto le coste sino
ad un pezzo di ferro ove si forma il manico.

NOVEMBRE:

A dì 1. Nelle ore 4 della notte si gittò dalla fenestra in cima alla casa
in faccia al D." Orsini, e che fa cantonata nella Piazza degli Oddi, la moglie
di Coradini Tenore del Duomo, essendo da qualche tempo per una appren-
sione rimasta inferma il capo con isterismo.

In questo mese il tempo fu sempre variabile.

A dì 15. Giunse il Cardinal Rivarola Protettore dello Spedale, e andò
a stanziare in Casa Friggeri.

A dì 16. Morì di anni 71 D. Pasquale Vivarelli, e fu fatto il funerale
nel Duomo, essendo Benefiziato della Cattedrale.

A dì 21. Nella sera giunse in Perugia Mons.” Carlo Filesio Cittadini, e
neHa mattina del 22 ricevette le visite del Capitolo e Benefiziati tutti in
corpo, dal Gonfaloniere ed altri.

A di 22. Fu ingresso solenne di Mons." Vescovo nella Cattedrale uscendo
dal proprio Palazzo preceduto dalle Confraternite, dai Corpi Religiosi, dal
Clero, Capitolo e corteggiato dal Gonfaloniere e pubbliche autorità col suono
di tutti i sagri bronzi, collo sparo dell'Artiglieria. Appena entrato nel Duomo
S'intuonó dai musici l'Ecce Sacerdos etc. Entrato nella Cappella del S. Anello
con i Canonici si vestirono tutti pontificalmente e continuó la processione
cantandosi in musica il Te Deum. Esso procedeva sotto il Baldacchino portato
da 6 Benefiziati. Giunto all'Altar maggiore e fatta l'adorazione Mons.?* Arci-
diacono recitó le preci con l'orazione. Di poi ascese al Trono, e ammise
al baeio della mano il Capitolo, Clero e Benefiziati. Indi andato nel faldistoro
in mezzo all’Altare fece un discorso, e finalmente dette la benedizione e
fuvvi gran concorso di popolo.
CRONACA DI GIAMBATTISTA MARINI 95,

Si pagò alle porte per l’ingresso dell’Olio baj. 30 per mezzolino e mezzo
bajocco per la bolletta.

Si pagò altra imposizione per la nuova misura de’ terreni, che si faceva
in tutto lo Stato.

Si sparse voce nei scorsi giorni, che si fosse ritrovato il Corpo di S. Fran-
cesco ; ma tutto rimaneva oscuro.

DECEMBRE :

In questo mese fuori di alcune giornate piovose e nuvole, le altre furono
serene e fredde. t.

A di 9. Cessó di vivere di anni 96 Pietro Franchi, che parea averne 50
per agire.

A di 24. Nella notte fu fatto il Pontificale da Mons.* Vescovo Cittadini.

A di 25. Fu altro Pontificale nella mattina coll'intervento delle pub-
bliche potestà.

In data delli 22 Dicembre per stampa di Roma si ebbe la notificazione
autentiea dell’Invenzione del Corpo di S. Francesco.

1819

GENNAJO :

Nel dì 10 Mons." Vescovo Cittadini aprì la visita incominciando dalla
Cattedrale coll’invito del Clero e di tutti i Sacerdoti della Città secolari.
Entrato in Duomo, come si dovea, recitate le preci solite fece un tenero
discorso, e poi fatte l’essequie ai morti in Chiesa e nel Cimitero, visitò il
Sagramento all’altar maggiore e dette la benedizione. Visitò il fonte e finì.

A dì 11. Nella sera giunse Mons." Spinola Genovese per Delegato dopo
un lunghissimo tempo da che mancò l'altro Delegato ; e fu Perugia governata
in quel frattempo da un Vice-Delegato.

A dì detto. Mons." Vescovo fece lo scrutinio degl’individui della Catte-
dale nel suo Palazzo.

A. dì 12. Vi fu illuminazione generale a contemplazione di Mons." Delegato.

A dì detto. Mons." Vescovo visitò tutta la Cattedrale.

A dì 16. Editto di Mons." Delegato per il permesso delle Maschere da
incominciarsi nel dì 18.

A dì 25. Partì Mons." Vescovo per Assisi col suo Segretario e Cancelliere
Serafino Silvestrini per riconoscere il Corpo di S: Francesco con altri 4 Ve-
scovi deputati da S. Santità, cioè d’Assisi, Spoleto, Foligno e Nocera.

de,
CRONACA DI GIAMBATTISTA MARINI

FEBBRAJO:

Dal dì 1 sino al 5 tempo piovoso. Dal 6 sino al 17 tempo sereno.

A di 2. Giunsero 3 Corrieri del Principe Michele Fratello dell'Imperator
delle Russie.

A di detto. Tornò d'Assisi Mons." Vescovo. Fu fatta dai suddetti Vescovi
la ricognizione del Corpo di S. Francesco. Quello era dentro un'urna di marmo
custodita da una Gabbia di ferro grosso piatto: ai quattro lati della Cassa
vi erano quattro colonne quadre di sasso, ov'era aggrappata l'urna, o Cassa.
Non vi era alcun segno. Il corpo era uno scheletro con un pezzetto di panno
di colore della Tonaca de' zoccolanti: Tante cautele fecero comprendere
poter essere il Corpo di S. Francesco. Poste le ossa trovate in un'urna, fu
questa sigillata coi sigilli de' 5 Vescovi, e ne fu mandata in Roma la relazione.

A di 4 alle ore 23. Giunse in Perugia alla locanda il Principe Michele

Fratello dell'Imperator delle Russie. Gli furono aperti gli appartamenti del
Palazzo della Contessa Anna Baglioni essendo la locanda nel 19 apparta-
mento, essendo stata pregata da Mons.” Delegato. Nella sera vi fu illumina-
zione al Teatro. Il Principe non vi andò essendogli di recente morta una so-
rella : ne goderono peró i Principi di sua compagnia. Parti nella mattina del
di 5 il detto Principe Michele per Roma. Nella sera del di 5 si manifestó nel
Palazzo, ove abitó il Principe, un incendio, avendo preso fuoco un capotrave,
che corrispondeva dietro la pietra del Caminetto per il gran fuoco che si era
fatto dal momento della sua venuta fino all'ora della partenza, e ove avea
‘ dormito il detto Principe ivi vicino sopra uno stramazzo. La veemenza del
fuoco avea infuocata la pietra. Fu smorzato, ma fece un danno di sopra
scudi mille; brució due quadri di pregio, uno del Barocci, l'altro di Pietro
Perugino, di cui si era trattata la compra per 5/m scudi, e brució un letto
da Sovrano.

A di 10. Vi fu il Concorso in Vescovato per il Canonicato Teologale.
Concorse solamente D. Michele Mattioli e l'ottenne. Gli esaminatori furono
5 regolari.

A dì 11. Morì in S. Caterina di anni 96 la Monaca Postio ; essendoglisi
attaccato il fuoco addosso per uno scaldino, che teneva.

A di 17. Giornata nuvolosa ed umida. Nelli 22.23 piovoso, nelli 25.26.27
fece molta neve. Dopo giornate piovose fino alli 7 Marzo.

MARZO :

A di 7 di sera. Mori Anna Staffa ne Connestabili di anni guasi 50, il
penultimo germoglio della nobilissima e antichissima Casa Staffa, e nel di
9 fu fatto il funere in S. Agostino.

Dal di 7 alli 19 fu sempre tempo sereno.

A di 18. Si tolsero alli Marchesi di Sorbello dall'Imperator NETS
i privilegi che aveano nel Marchesato.

TUERI
DITEMETS

CRONACA DI GIAMBATTISTA MARINI

Dal 19 fino all'ultimo, tolti due giorni fu sempre sereno.

A di 31. Giunse nella mattina il Principe Giuseppe Conte Palatino di
Casa d'Austria, fratello dell'Imperator di Germania. Andó alla Locanda
nel Palazzo della Contessa Anna Baglioni. Nella mattina seguente accompa-
gnato dal Delegato e Gonfaloniere andò al Duomo, a Monte Morcino al-
l'Università.

A di detto. Fu disciolta la Compagnia de Bandisti, perché venne loro
proibito di suonare all'arrivo della Duchessa di Parma, rimandando le patenti
al Segretario. Questa duchessa era Maria Luisa figlia dell'Imperatore, moglie
di Bonaparte. Questa venne il 19 Aprile.

APRILE :

A di 1. Parti il Principe Palatino dopo aver veduti i migliori Quadri
delle Chiese.

A di detto. Verso la sera giunse Maria Luisa d'Austria suddetta. Giunse
in Piazza in faccia alla Locanda, e senza smontare, mutati i cavalli seguitó
il viaggio per Foligno per andare a vedere la caduta delle Marmore. Rice-
vette degli evviva, a quali rispose con cortesia e ringraziamenti. Ebbe essa
divieto dall'Imperatore suo Padre di non andare in Roma, perché in Venezia,
Milano e Bologna ebbe grandi applausi, che in niun modo furono a lui fatti.

In luogo del Canonico Giacomo Oddi rinunziante fu eletto in Canonico
Dario Montesperelli Studente in Seminario.

A di 3. La sera alle ore 1 15 ritornò la Duchessa Maria Luisa dalle cadute
delle Marmore. Pernottò nella Locanda nel Palazzo della Contessa Anna
Baglioni. La mattina delli 4 andò in Duomo a sentir messa, essendo la Do-
menica delle Palme. Si celebrò la messa letta all'Altar maggiore, ed essa
stette in faccia all'Altare con sedia dorata, e Genuflessorio con molta rive-
renza. Dopo andó all'Altare di S. Bernardino a vedere il Quadro del Barocci
tornato da Francia. Andó al Cambio ad osservar le pitture, d'onde uscita,
e montata in legno se ne tornó via per la parte di Toscana. Fu per la Città
scortata dal Gonfaloniere e Delegato, e dalla Truppa de Giandarmi, e custo-
dita dalle Guardie della Truppa di Linea nella Locanda. Era questa Princi-
pessa in stato infelice né vedova, né maritata. Fu dal padre data in Isposa
ad un estraneo, che acquistó l'Impero colla industria, ed ammogliato con altra
che ripudiò : era stato nemico del Padre, con cui ebbe guerra ; si riconciliò
poi con lui per mezzo del Matrimonio della Figlia. Il Padre poi si rivoltò
contro di lui, collegatosi coi principi di Europa e vintolo lo vidde rilegato
nell'isola di S. Elena. Venne vietato alla moglie di andar col marito : le venne
dal padre tolto il Figlio avuto da Napoleone; ed essa fu sempre custodita
con molta cautela colla continua sorveglianza di un bravo Generale, che
perduto avea un occhio in una guerra. Questo ajo tanto accorto la sorvegliava
per tutto ; e tutto ció, che a lei veniva presentato, era da lui esaminato ; e
tanto in Casa, che fuori era sempre al fianco di lei. Nella sera, in cui qui per-

7
98 CRONACA DI GIAMBATTISTA MARINI

nottò la Principessa, certo Fiori Falegname, che tenea bottega in Piazza
de Corsi sotto il Palazzo del Baron Crispolti, in oggi Massini di Marsciano,
e che era ragattiere, avea posto un Busto di Gesso della medesima Princi-
pessa in una Residenza, o Ostensorio che avea servito per il SS.mo Sagra-
mento, ed attorno avea posti de Candelieri con candele e fiori, Il tutto gli
fu fatto levare dal Ministro di Polizia. Il Caffè detto di Mazza Ebreo sotto
la Locanda nella stessa sera fu illuminato tutto con Cera, e dallo stesso Mini-
stro fu fatto smorzare.

Dall’1 al 16 fu parte tempo buono, ma freddo e parte variabile.

A dì 9. Seguì un furto in casa Friggeri di scudi 1200.

A dì 17. Piovve, di poi sereno fino a tutto il 24. Nelli 25.26 pioggia. Di
poi sino al fine nuvolo e freddo.

A di 24. Si vendeva il grano scudi 8 il rubbio ; ma il pane era piccolo.
I Fagioli baj. 12 la coppa.

A di 30. Giunse nella mattina alla Locanda nel Palazzo Graziani la so-
rella dell'Imperatore delle Russie maritata al Principe di Norimbergh ; nel
giorno andò in S. Erminio a veder la Galleria. Partì nel 1° Maggio. Fu accom-
pagnata da Mons.” Delegato.

Nel di detto. Passò il Principe Palatino, Costantino Fratello dell’ Impe-
rator d’Austria Francesco I.

MAGGIO :

Dall’1 sino al 5 fu tempo vario. Dal dì 6 sino al 15 fu sempre sereno.
Dal 16 sino al 21 nuvolo, al 21 pioggia, e di poi sino al fine parte piovoso
e parte nuvolo.

A dì 18. Si seppe, che alla Pieve Caina si uccise con una pistola nel proprio
letto il giovane Costantino Sereni.

GIUGNO :

A dì 1.2.3.4.5.6.7.8 sereno e caldo. Nel dì 9 molta pioggia, e così nel
10 : dall’11 al 13 sereno. Dal 14 al 20 parte piovoso e parte vario.

A dì 4. I Bandisti o Sonatori della Banda quando rimandarono le loro
patenti furono arrestati in Fortezza, ove stettero fino al giorno d’oggi essendo
venuto ordine da Roma di rilasciargli, e furono arrolati nella Truppa di linea
sotto il Comandante della Piazza.

A dì detto. Andando in Carrozza la Principessa Odescalchi Connestabili
con la Balia ed il Figlio lattante per fare una scarrozzata, essendo alla Car-
rozza attaccati due vigorosi Polledri per ordine: di Francesco Connestabili
suo marito, questi rubarono la mano al Cocchiere e furono arrestati a S.
Giuliana. Niuno rimase offeso. Il Delegato spedì subito la sua Carrozza a
S. Giuliana, che ricondusse la Principessa ed il seguito al proprio palazzo.
CRONACA DI GIAMBATTISTA MARINI 99

Venne ordine di Segreteria di Stato di tenere in ordine 90 letti. Letti
60 erano in casa Connestabili, e gli altri nelle case de nobili vicine, e furono
in casa Friggeri. Si fecero preparativi grandi in Casa Connestabili dovendo
venire l'Imperator Francesco II di Germania da Roma.

A dì 6. Nella mattina vennero dalla Marca 15 Gubbie, e di poi altre
di più. Nella sera giunsero 6 Frugoni col tiro da 8 Cavalli, che partirono
nella notte. Antecedentemente furono mandati a Passignano 50 Cavalli.

A dì 8. Dovea in questo giorno giungere l'Imperatore Francesco I in
Perugia, ma per alcuni incomodi di sua Figlia Carolina procrastinò la venuta
per altro giorno. Vennero però i Convogli di genti della sua Comitiva.

A dì 9. Dopo il mezzo giorno venne la Principessa Maria Amalia di Sas-
sonia vedova sorella dell’Imperatore con 4 legni, 3 attaccati a 8 e uno a 4
con altro legno. Smontò in Casa Connestabili, ma poco dopo partì per Arezzo,
ove andava a pernottare. Giunta all’Olmo distante 3 miglia da Perugia si
ruppe il legno. Giunto ciò a notizia di Mons.® Delegato, vi si portò nel suo
legno.

A dì 12. Giorno di Sabato alle ore 23% o 7% astronomiche giunsero
le LL.MM. Francesco I Imperator d’Austria e sua Consorte l'Imperatrice
con la figlia Carolina e alcune Damigelle. Nel 2° col tiro a 8 e legno aperto
vi era l’Imperatore davanti con uniforme e Cappello grande gallonato, e
molti altri legni di seguito tirati da 6 e 8 Cavalli. L'Imperatore e la Fa-
miglia smontarono in Casa Connestabili, gli altri in Casa Friggeri contigua,
ove andò ancora la Figlia Carolina, che vi era là passata da Casa Connestabili.
Nella sera la principessa Carolina fu attaccata da un accesso di febre.
Nel giorno essendo tra 1’88 del Corpus Domini alle ore 20 fu detto vespero
e matutino senza l’esposizione del SS.mo. Dopo fu subito calato il S. Anello
per star preparati in caso l'Imperatore avesse voluto visitarlo nella sera.
Dopo l'Ave fu la S. Reliquia rimessa al suo posto. Andarono ad ossequiar
l'Imperatore il Delegato col Magistrato, il Vescovo col Capitolo, e tutti fu-
rono accolti umanamente dall’ Imperatore.

A dì 13. Alle 8 Antimeridiane, essendo preparati tre genuflessori con strati
e 3 sedie per Padre, Madre e Figlia venne l'Imperatore in Duomo colla Mo-
glie e figlia del Re di Baviera ad ascoltar la messa, che celebrò il Vescovo
Mons." Cittadini. Finita la messa vestito di Piviale andò al S. Anello, dove
giunti i Sovrani, e calata la Sacra reliquia fu da loro adorata e baciata. Dopo
l'Imperatore col seguito andò al Cambio a vedere le pitture di Pietro : di poi
a Montemorcino all’Università. I Sovrani si mostrarono con tutti affabili
e rispettosi e poi tornarono a Palazzo.

A dì 14. Essendo la Figlia malata gravemente non potè partire l'Im-
peratore ed andò coll'Imperatrice in vari luoghi della Città ; a S. Agostino
ed a S. Erminio alla Galleria. Nella sera giunse il 19 Ministro il Principe
Metternich con la Moglie e Figli, ed abitò in casa Donnini, e la sua Cancel-
leria in Casa Baldeschi, ed altri in Casa Coppoli al Verzaro.

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100 CRONACA DI GIAMBATTISTA MARINI

A dì 15. Giornata mediocre non sortì il Sovrano. Fu tenuto Consiglio
di Stato in Casa Baldeschi di Piazza.

A dì 16. Di mattina l'Imperatore coll'Imperatrice, il 1° Ministro, ed una
Dama di Corte in un legno, e il Delegato con altra Dama in altro legno si
portarono al Ponte Felcino per vedere quel bel Ponte, e tornando passarono
per il Campo di Battaglia e sotto la Fortezza. In tutti i giorni presenti le
Processioni del Sagramento passarono tutte sotto le Finestre del Connesta-
bili per appagare la divozione delle LL.MM.

A dì 17. Nuvolo e piovoso. Essendo tale il tempo non poterono le MM.LL.
[recarsi] in alcun luogo del Territorio per appagare il loro desiderio di vedere
la bellezza delle nostre colline. Sapendosi, che le suddette Maestà gradivano
vedere le Processioni del Corporale, in questo giorno 8? della Solennità, e
facendosi la Processione per le Piazze dalla Cattedrale, Mons.” Cittadini pensó
di fare una decorosa Processione. Intimò a tutte le Comunità Religiose solite
ad intervenire alle Processioni ed a tutte le Fraternite intervenissero a tal
processione come nel giorno del Corpus Domini; e fu fatta perciò una de-
corosa Processione per le Piazze, vestiti tutti i Canonici pontificalmente,
e portò il Vescovo il Venerabile, intervenendo la milizia della Truppa di
linea, nazionale e la Banda. Fu data all’ultimo la benedizione in Cattedrale.
Osservarono le LL.MM. la Processione dalle fenestre di casa Connestabili.
Intervennero alla Processione anche Mons.” Delegato, il Gonfaloniere ed
Anziani, e loro seguito.

Essendosi scoperta la qualità della malattia della Principessa Carolina
essere una febre putrida biliosa, fu spedito a Firenze per il medico di Corte.

Ogni giorno giungeva qualche Ambasciatore delle Potenze per far Corte
all’Imperatore.

Li dì 18, 19 piovosi. i

A dì 18. Non sortirono di casa le MM.LL. stando molto aggravata la
Principessa Carolina, fu ordinato dal Gonfaloniere un Triduo solenne in
Cattedrale coll’intervento del Delegato, Gonfaloniere, Anziani e seguito
ed incominciò il dì 19.

A dì 19. L'Imperatore andò a trottare a S. Pietro. Alle 11 giunse il Car-
dinal Consalvi Segretario di Stato. Nella mattina si cantò la Messa solenne
in Cattedrale e dopo fu esposto il SS.mo, celebrandosi il Triduo ad uso di
40 ore. In questo giorno in tutte le ore vi sono stati ad orare a vicenda due
Canonici, 2 Benefiziati, e due Chierici del Seminario. Fu ordinato di aggiun-
gere in tutte le Chiese alla Messa la Colletta pro infirma da Mons." Vescovo.
Nella sera le LL. Maestà si portarono in Duomo ad assistere alla Benedizione,
così ancora nelle altre due sere, e v'intervennero il Segretario di Stato, il
Delegato, le Autorità e l’Uffizialità.

Nella mattina del 19 le LL.MM. andarono a Monterone ancora a S.
Domenico e Frontone.

Il Segretario di Stato venuto incognitamente andò a smontare alla
TIMUUUOTUTEGQnU RTUATIRMUWUDISUTIUDIUNOGUNSET:

CRONACA DI GIAMBATTISTA MARINI 101

Locanda della Posta: si portó subito dal 19 Ministro Metternich suo stret-
tissimo amico. Casa Oddi lo volle in sua casa, che già lo aspettava. La For-
tezza dette due Colpi di Cannone per il Cardinale.

L’Imperatore e Metternich protestarono al Cardinal Consalvi, che erano
soddisfattissimi di Perugia tanto per l’aria, che per gli alloggi e trattamenti.

A di 20. Secondo giorno del Triduo : Fu cantata la Messa votiva pro
infirma, e dopo esposto il Sagramento. Nella sera intervenne l'Imperatrice,
essendo l'Imperatore incomodato di salute.

A. di 21. 39 giorno del Triduo fu fatto come ieri. Nella sera intervenne
la sola Imperatrice alla benedizione, incontrata sempre ed accompagnata
da Canonici e Benefiziati del Duomo, come le altre sere. Nella sera alla porta
di Chiesa ringrazio tutti. La figlia avea già migliorato per grazia della B.V.M.

Essendo partito il Confessore della Corte, tornó oggi, e giunse la sera
partito da Firenze, dov'era già giunto.

A di 21. A mezza notte riparti il Cardinal Consalvi per Roma.

L'Imperatore fece il Decreto di stare in Perugia per tre settimane, e
fu spedito il Decreto in Toscana e Vienna.

Nelli 22, 23, 24 Piovoso. Sino al fine parte siroccale, e parte buono.

A. di 22. Le LL.MM. con una Dama e Maresciallo andó a fare una scar-

rozzata al Piano di Massiano, ma incognitamente con un solo battistrada
senza Giandarmi, e vestito di negro. Nel di 23 non sortirono le LL.MM.

A di 24. L'Imperatore andò a scarrozzare incognitamente all’Olmo ;
e nel 25 andó, come sopra, al Ponte S. Giovanni.

A di detto. Nel dopo pranzo parti il 19 Ministro il Principe Metternich,
e lasció mancie in casa Donnini.

A di 25. Le LL.MM. andarono a scarrozzare nella mattina fino a Colle
di là da Ponte S. Giovanni.

A di detto. Essendosi cominciata a demolire la fabrica patita dei Fi-
lippini, cadde all'improviso un pezzo di muro, che prese sotto 3 Muratori,
che rimasero feriti ma non mortalmente.

A di 26. Le LL.MM. andarono al Colle del Cardinale Feudo di Casa
Oddi. L'Imperatore era vestito di nero, avea il tiro a 6 con l'accompagno
de' Carabinieri, e 5 Legni di seguito. Innanzi andava un legno col Generale
delle Poste. Tornò 1Y5 dopo mezzo giorno.

A. di 28. Lunedi Vigilia di S. Pietro ; l'Imperatore andó nel dopo pranzo
in carrozza al Ponte S. Giovanni, e l'Imperatrice a piedi colle sue damigelle
andó a S. Francesco e a S. Bernardino.

A di 29. Giorno di S. Pietro. Le LL.MM. andarono in Duomo a sentir
messa, accompagnate dai Ciamberlani, Dame, dal Delegato. Celebró la Messa
il Canonico Luigi Mattioli.

A. di 30. Le LL.MM. nella mattina in treno si portarono a S. Francesco,
alla Fraternita di S. Bernardino, a S. Domenico, indi in Fortezza, salutate
da molte salve di Cannoni.

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Fb ARIA 19
CRONACA DI GIAMBATTISTA MARINI
TR LUGLIO:

A dì 1. Sua Maestà ricevette in udienza per due ore la mattina, Mons.r
Vescovo, tutti i Lettori della Università, e tutti i membri de’ Tribunali.
Nel dopo pranzo le LL.MM. ricevettero Dame e Cavallieri avvisati con Cir-
colare dal Delegato. Le Dame furono 26. Nella sera fu sentita una scossa
di Terremoto. In questa mattina l'Imperatrice andò in Duomo con due
Damigelle, e girò per tutta la Chiesa, Sagrestia e Capitolo. Nella sera le
LL.MM. andarono al Teatro, e si trattennero fino dopo le 11 astronomiche. :
Nella sera e nella notte si sentirono piccole scosse di Terremoto. |

Nel di 1, 2, 3. Fu tempo variabile. Di poi fino al 14 sereno e caldo.

A di 2. Le LL.MM. uscite in Carrozza andarono in varie Chiese, cioé
Chiesa Nuova, Compagnia della Morte, S. Severo, Monte in P.S.A., alla
Libreria Pubblica, al Gesù, ove lasciò 3 luigi d'oro ; e con tutti furono affabili.

A di 3. L'Imperatrice chiamata Carlotta andó con sue Damigelle a S.
Agostino, era intendente assai di pittura, e prese la strada per S. Fiorenzo.
In S. Fiorenzo trovatasi fuor di via, domandò la direzione per S. Agostino,
e fu là indirizzata per la Via Muzia.

A dì 4. L’Imperatrice tornò al Cambio a riveder le Pitture, e ritornando,
incontrato uno stuolo di poveri, che ginocchioni Le porsero memoriali, da
se li prese, e li raccolse tutti, e nel partire lasciò molte limosine da distribuirsi

ai poveri.

A dì 4. Dovendosi fare il ringraziamento alla Vergine Maria al S.
Anello per la guarigione della Principessa Carolina, fu sontuosamente
adobbato di cera l’altar maggiore, e colla cera vi erano scolpite ardendo 4
Lettere, 2 da una parte, 2 dall’altra, a cornu Evangelii F. I.; ed in Cornu
Epistolae C. I., cioè Francesco I. Carlotta Imperatrice fatte tali lettere da
Fucelli come Chierico Maggiore. Nella mattina vi fu Messa Cantata, e nella
sera alle 22 fu cantato il Vespro, e prima delle 23 venne la sola Imperatrice
con la Corte, e poi tutti i Nobili sì Donne che Uomini, Cittadini e Cittadine
invitate tutte vestite di nero, e fu cantato il Te Deum, e data la Benedizione
| dal Vescovo. L'Imperatrice approvó, ed applaudi alla disposizione della
(ES IN Cera, e ringraziò tutti, che andarono ad accompagniarla. Il calo della Cera
INC in tutto fu libbre 170 e libbre 16 di cera nuova. Nella sera vi fu illuminazione
1d i MU al Teatro.
| A di 5. Nella mattina alle ore 5 antimeridiane parti il primo convoglio
ij per la Toscana. Erano 6 Legni ed un Frugone.
| | Alle ore 615 partirono da Perugia gli amabilissimi Sovrani Francesco I,
I Carlotta sua moglie, e la figlia Carolina guarita. Partirono prima l'Impera-
tore e l'Imperatrice, ed erano 12 legni; un'ora dopo parti la Figlia con 4
legni, accompagnati dal Delegato, Carabinieri e Corrieri Papali. :

Lasciarono i Sovrani molte Limosine, e grandi regali. Alla Sagrestia ;
di S. Lorenzo scudi 190. A ciascun Carabiniere luigi 130, avendo questi sempre
fatta la guardia negli appartamenti dei Sovrani e della Figlia, e furono sempre

tir - IITWERGUTUEUNDNEFCTOETEDER:

CRONACA DI GIAMBATTISTA MARINI 103

ad accompagniargli, ovunque andarono. Luigi 150 alla Truppa di linea, che
fece la guardia a pie’ de palazzi. Alla Banda 25 luigi. Una scatola d'oro a
D. Carlo Campalastri, che servi sempre la messa al Cappellano, del valore
di circa 40 zecchini. A D. Gioacchino Corogni, che servi da Cappellano, un
Anello con pietra in mezzo d'Amatisto, contornata di brillanti di valuta
circa scudi 700. Alle due Cameriere di Casa Friggeri, che ajutarono le Da-
migelle dell'Arciduchessa Carolina 25 luigi. 50 luigi alla Famiglia di Casa
Connestabili ; 300 luigi alla Famiglia in genere, ed inservienti nelle Case
dove abitarono i Sovrani e la Figlia. Alla Principessa Odescalchi Connestabili
una Collana con finimenti di brillanti del valore circa scudi 6/m. A Francesco
Connestabili suo marito una scatola d'oro col ritratto di Sua Maestà l'Impe-
ratore contornata di brillanti e 4 belli solitarj. A Filippo Friggeri una scatola
d'oro. Tutti i memoriali de poveri con scudi 1500 in mani di Mons." Vescovo
per farne la distribuzione.

A di 6. Giunse in Perugia un Ciamberlano, che parti subito per raggiun-
gere il suo Sovrano.

In questi giorni é apparsa una Cometa dalla Parte del Polo Artico co-
data colla coda in su, e un poco scendente a levante.

A di 8. Erano molti giorni, cioé dal 18 Giugno, che non avea piü piovuto
ed il caldo era in questi giorni giunto a gradi 28.

A di 16. Grandine, che fece danni e impedi la processione della Madonna
del Carmine.

A di 18. Fu gran festa alla Madonna di Colle, Parrocchia in P.S.P. Sino
al fine ogni giorno acqua. Fu fatta una Fontana nella piazzetta di sopra
S. Domenico, e nel giorno furono mandati 3 palloni, uno di questi quadro.
Nella sera vi fu la girandola.

A di 20. Mons.* Odescalchi da pochi giorni venuto in Perugia dovea
partire il 22 per la Toscana per andare a Vienna a Portare il Cappello Car-
dinalizio a Ridolfo d'Austria Fratello di Francesco I Imperatore promosso
da Pio VII al grado di Cardinale.

AGOSTO:

A di 1, 2. Sereno : alli 3, 4, 5, 6 pioggia. Dipoi sereno fino al 25.

Avendo Pio VII fatto Decreto, che i Cardinali non ordinati si ordinassero
prendendo quell'ordine, che ricercava il titolo Cardinalizio, venne nel di
29 il Cardinal Rivarola per andare in Macerata a fare gli esercizi spirituali
sotto Mons." Strambi Passionista Vescovo di quella Città, e parti per Ma-
cerata il di 7 Settembre.

SETTEMBRE:

A dì 9. Essendo andati i Signori di Casa Ranieri a fare una ricreazione
nel Casino posto nel Poggio di Pelliccione sopra la strada per andare al

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104 CRONACA DI GIAMBATTISTA MARINI

Ponte Falcino, passeggiando avanti pranzo per la sua Camera il Conte Ra-
niero Cavalliere di Malta, vicino alla fenestra si ruppe un Travicello, cadendo
al pavimento di sotto dopo poche ore morì. Fu riportato in Perugia alla
Chiesa nuova, e la mattina del dì 10 ne fu fatto il funerale.

NOVEMBRE :

A di 11. S'incominció in Piazza Rivarola in faccia alla Fortezza i For-
moni per piantarvi alberi per ombreggiare le passeggiate in tempo di state.

DECEMBRE:

A dì 4. Giorno di S. Barbara. Innanzi giorno facendo fracasso la Fortezza
coi colpi di Cannone per onore della Santa, sparandosi il Cannone dalla parte
della Sapienza nuova, dopo due colpi caricandosi per il 39 colpo, il Capo .
Cannoniere dovendo col dito pollice armato di ditaruolo di cuoio turar il
buco del focone, lo chiuse col pollice nudo, battendosi la caricatura da due
cannonieri, il Capo Cannoniere si senti bruciare il dito, e lo tolse dal buco
senza avvisare i Cannonieri, per il Calore prese fuoco la polvere, sparò e
portó via le mani ai due Cannonieri caricatori, e furono gittati di sotto mas-

sacrati. Uno morì subito, l'altro rimanendo vivo, e raccomandatagli l'anima

da un Sacerdote, che s'incontró a passare fu condotto semivivo allo spedale,
ove entrando spirò. Il Capo Cannoniere rimase senza pollice.

A di 5. Verso la sera giunse il Principe Leopoldo Figlio del Re di Napoli,
e marito di una Figlia dell'Imperator d'Austria Francesco I per trasferirsi
a Vienna dal suo Genero. Abitó alla Locanda della Posta nel Palazzo della
Contessa Baglioni.

Dopo terminato il Governo Francese nel 1814, tornato il Papa nel suo
Stato seguirono le soppressioni di due Conventi di Monache, di quello delle
Bartole o Bartolelle, di cui le Monache furono unite a quelle di S. Agnese,
ma pensionate ; e di quello di S. Francesco delle Donne, di cui 4 Monache
s'incorporarono a S. Giuliana per far numero, e altre andarono a S. Caterina
pensionate. Di questi due Monasteri soppressi formossi un Conservatorio
in S. Francesco delle Donne di 20 zitelle giovanette nel 1817 con due Maestre
per motivo della Carestia. Di poi fu aperta una scuola di Maestre Pie per,
l'educazione delle zitelle, e ne furono fatte venire 3 da Roma, che giunsero
nel Novembre del 1819 ; e la scuola fu aperta nella Casa del Monte Spinello
in Piazza Grimana, che riusci molto vantaggiosa.

Il Monastero di S. Margherita ancora rimase soppresso ed ammensate
le entrate ed il locale allo Spedale. Le Monache tutte pensionate parte an-
darono a S. Maria Maddalena in P.S.P. parte a S. Benedetto, parte a S. Ca-
terina, e 2 a S. Paolo.

A di 23 Dicembre. Il Canonico Giovanni Pressi, Canonico Teologo per
la morte del Canonico Ranaldi ottando, ne ottenne il Canonicato, ma per
CRONACA DI GIAMBATTISTA MARINI 105

poco, perchè in questo alle ore 23 fu colpito da male apopletico, e morì dopo
pochi minuti. La sua morte a tutti spiacque universalmente per causa del
suo sapere e della sua dolce maniera. Si spedì a Spoleto al Nipote, ed intanto
fu tutto sigillato. Nella mattina del dì 25 giunse il Nipote, e nella mattina
del 26 fu fatto il funere in Duomo ; vi assistette il Vescovo, e ne celebrò le
lodi il Canonico Luigi Mattioli.

A dì 27 Domenica. Fu nella mattina battezzato un Ebreo, dopo essere
stato catecumeno, ed istruito nei misteri della Fede, rimanendo ritirato per
alcuni giorni nella Casa della Missione. Fu battezzato da Mons. Cittadini
al Fonte Battesimale, vestito di una veste lunga bianca damascata con una
clamide con maniche lunghe pendenti. Il Vescovo gli pose il suo nome di
Carlo Filesio, patrino fu Francesco Connestabili. Processionalmente dopo
recatosi all’altar maggiore il Vescovo fattogli un discorso analogo lo cresimò, e
patrino fu Giulio Baldeschi, dipoi il Vescovo fece Pontificale e lo comunicò.

A di 30. Per morte del Canonico Pressi, il Canonicato fu conferito a
Rossi, che ottó, quello di Rossi al Canonico Angelucci, quello di Angelueci
al Canonico Scipione Lippi, quello di Lippi a D. Domenico Parriani Let-
tore della Università in Legge, il quale altre volte avea ricusato per altri
due Canonicati, ed ora pregato a concorrere per non esserci nobili avendo
anni 70.

1820
GENNAJO :

A dì 4. Nella mattina furono incominciati a piantar gli Alberi di Pla-
tano in Piazza Rivarola per ridurre quella Piazza un Bosco in mezzo alla
Città, ed in una parte sì bella e vistosa. Cervelli volanti !

Dal principio del presente mese cominciò l’uso di portare i baffi, come
una volta usava, ed alcuni usavano portar tutta barba alla Cappuccina.

A dì 21. Passò per Perugia la Principessa di Galles, che veniva da Pe-
saro, dove aveva la sua dimora per andare a Napoli, essendo proclamato
Re d’Inghilterra suo Marito per la morte di Giorgio suo Padre.

MARZO :

A dì 9. Successe la Rivoluzione in Spagna. Alcuni soldati spergiuri ri-
volsero le armi contro la Patria per dar leggi alla Spagna. Comparve l'Anar-
chia, e tutti i mali. Vollero il Re costituzionario, ed abolirono il Tribunale
del S. Offizio. Fecero de' danni alla Religione Cattolica. Fu tutt'opera dei
Carbonari, come lo furono le Rivoluzioni di Francia, del Piemonte e di Napoli.

APRILE :

A dì 11. Passò per Perugia Mons.” Pacca nipote del Cardinale di tal
nome, Governatore di Roma, fugiasco. Lasció innanzi la fuga da Roma

TON

M TA Led X cues Fari "SN xl
106 CRONACA DI GIAMBATTISTA MARINI

una lettera per il Cardinal Consalvi Segretario di Stato, ed altra al Gardinal
suo zio. Esso avea il passaporto con nome Tedesco.

Fu proibita la versione della S. Scrittura di Mons." Martini Arcivescovo
di Firenze, stampata in Livorno.

A dì 16. 2* Domenica dopo Pasqua. Gran solennità nella Parrocchia
di S. Elisabetta alla Conca per la Festa della antica Immagine di Gesù Naz-
zareno, che si venera in quella Chiesa. Vi fu il Triduo con musica. Nella
sera antecedente alla Festa fu illuminazione di fiaccole fino all’arco superiore
della Conca, di luminelli alle fenestre. Alle parti laterali della Chiesa vi erano
Archi vestiti di verdura. La Mattina della Festa vi fu Messa in Musica, e
la sacra benedizione, e vi furono fuochi artifiziati.

MAGGIO:

.A di 18. Da Mons. Cittadini fu comunicata alle Monache di S. Bene-
detto, una volta S. Maria Novella, un Breve di Pio VII, in cui esso era fatto
Visitatore Apostolico per esaminar tutto e dar conto a Roma, che era tolto
il Monastero dalla giurisdizione de Silvestrini. Essendo le monache di poco
numero, e guasi tutte Vecchie, esso chiese la soppressione di questo Mona-
stero per ammensar l'entrate al Seminario.

GIUGNO:

A di 10. Mori di sopra anni 60 Lorenzo Parizioli, Notaro pubblico, Uomo
di credito, e di merito, e nel di 11 fu fatto il funere in S. Severo.

In questi tempi si facea grand'uso di spiriti universalmente, ma qui di
molto. Questo abuso incominció fino dal Governo francese, e dopo molto
si accrebbe. Erano tanti i spacci de spiriti, quanti quelli del pane. Questo
abuso dette cause a morti improvise allora e dopo.

A di 28. Un fatto curioso successe. Uno scrivano del Colonnello de Ca-
rabinieri, per casato Blasi fece una scommessa di bevere 9 fogliette di vino
in poco spazio di tempo. Nella mattina d'oggi vigilia di S. Pietro dopo il
mezzo di andato a pranzo in una locanda incominció il pranzo col bere
un bicchiere di vino ritornato, cioè vino ribollito nelle venacce, ed in tempo
della minestra bevve 6 fogliette. Nel porre mano alla 7 venne la testa occu-
pata dal vino, e posto in letto incominció a sbattersi per il letto e a far bava.
Chiamati alcuni Cerusici giovani, saputosi dal Locandiere, che avea bevuto
tanto vino, avendo prima pensato di cavargli sangue, niuno volle cavarglielo,
ma suggerirono di lasciar digerire la ubriacatura. Venne un medico di grido,
e di credito, chiamato, e gli fece cavar sangue, ed attaccare i sanapismi ai
piedi, e nella sera gli ordinó il sagramento dell'Olio santo. Venne il Parroco
col vasetto, e tutta la notte lo assistette senza ungerlo. Nella mattina un'ora
innanzi la Longa, che era alle 10 Italiane, si sveglió il Giovane avendo di-
CRONACA DI GIAMBATTISTA MARINI 107

gerito il vino e scuotendosi ed osservando si maravigliò di quell’apparato.
Si alzò, e si pose a saltare, deridendo le ordinazioni e cose fatte, e dando
il titolo di sciocchi al medico ed ‘astanti. Divulgatosi il fatto dette occasione
a risate e fu l’oggetto delle Conversazioni.

LUGLIO:

A dì 17. Essendosi soppresso per Bolla di Pio VII il Monastero di S.
Benedetto o S. Maria Novella 3 Monache entrarono in S. Caterina, dove tutte
erano rimaste unite, e nel 18 sgombrarono il locale, ed entrarono tutte nel
detto Monastero.

Il Re di Spagna fu obbligato a sottoscrivere la Costituzione a lui pro-
posta dai ribelli, per non perdere il Trono, e rimase un Re schiavo, e senza
braccia,

Sul principio di questo mese crearono due loggie i Framassoni per cia-
scuna Città, una abbondante e scoperta, l’altra ristretta, segreta, e questa
dovea avere la communicazione in ciascuna Città con quella della Capitale.
Si dichiararono seguaci della Religion Cattolica.

In Napoli ancora vollero la Costituzione, ed il Re Costituzionario come
in Spagna. L’aggravio su de sudditi era la causa dei disordini. Dal Re fu
accettata la Costituzione nel corrente di Luglio con gran solennità e Feste.

Essendo andati in Sicilia i Napoletani Costituzionarj per introdurvi
la Costituzione, il Vicerè per non volerla sottoscrivere fu gettato per la fe-
nestra, ed il popolo s’irritò talmente, che il Forte fece fuoco a mitraglia.
Ciononostante i rivoluzionari scalarono e penetrarono nel Forte. Successe
tra una parte e l’altra un massacro di sopra 10/m persone ; ma i Realisti
rimasero trionfanti, e la Costituzione svanì in Sicilia.

Essendo i sudditi dello Stato Papale in stato da non poter pagare in
contanti i gravosi Dazi, gli Ascolani mandarono Deputati a Roma a porger
suppliche di pagare in generi e grasce. Furono scacciati. Fecero sapere al
Papa, che mandasse pur loro la forza, che l’avrebbero attesa, non avendo
maniera di pagare altrimenti, e furono i Deputati cacciati da Roma dai Ca-
rabinieri per essersi trattenuti un poco del tempo a loro assegnato per par-
tire. Quelli di Bologna, che andavano per lo stesso oggetto, saputa tal cosa,
si astennero dal presentarsi su quell’esempio.

AGOSTO :

A dì 2. Fu pubblicato il Decreto di ricognizione della veracità del Corpo
di S. Francesco di Assisi, ed ivi fu fatto un Triduo di ringraziamento con
grandi illuminazioni.

A dì 7. Fu posto mano alla demolizione del Ponte nella via del Loto
per fare una via ampia uguale a quella incominciata di sopra, cioè verso
la piazzetta di S. Donato.
CRONACA DI GIAMBATTISTA MARINI

SETTEMBRE:

A dì 3. Fu solennizzata la Festa del Crocifisso nella Villa di Castel del
Piano con musica della Chiesa nuova ; fu fatta la Processione e vi concorse
gran popolo.

A dì 13. Tornando Ferdinando Cinelli dalla Bastia, in faccia a Colle nella
strada fu colpito da un accidente. Portato al Ponte S. Giovanni alle 7 della
notte morì, e nella mattina del 14 fu fatto il mortorio in S. Francesco. Colla
di lui morte tutta la eredità del D.* Bernardi andò all'Orfanotrofio di S. Anna
per disposizione testamentaria dello stesso D.r Bernardi.

OTTOBRE :

A dì 7. Tornato il Canonico Carlo Giovio Coadiutore in S. Pietro di
Roma (di casa Giovio Perugino) non abitando nella propria Casa, ma stando
a dozina in casa terza si ammalò. La malattia fu mortale, e perciò nel dì 6
communicato la mattina dopo il mezzogiorno morì, e nella stessa sera fu
portato il Cadavere in Duomo, come ivi sepoltuario, e fu posto il cadavere
nella Bara entro il Coretto d'inverno vicino all'Altar dell'Assunta, volendosi
far la sezione del Cadavere dopo le ore 24, perchè si credeva esser etico. Nella
notte dormendo sopra il Coretto in una stanza una Ragazza sorella della
Moglie del Campanaro sentì un gran botto, ed uno strillo. Quella a nulla
pensò. Nella mattina aprendo il Campanaro la porta del Coretto chiusa a
chiave trovò il cadavere per terra a bocca di sotto. Chiamò subito il Bec-
chino e dissero essere escito dalla bara e caduto essere rimasto morto, non
essendo stato tale antecedentemente; e per segno patente avea nell’osso
sotto la tempia destra una grande ammaccatura morata, veduta da tutti,
mentre era il Cadavere esposto nella mattina del dì 8, in cui fecesi il funerale.
Avea circa anni 30. Si sparse la voce di tal fatto, ma subito fu procurato
farlo passare per una fola. Ma il fatto fu vero.

A dì 16. Si finì di riempire un pozzo di 84 piedi, 40 di acqua, e 40 fuor
d’acqua nella via del Loto quasi in mezzo alla strada sotto la Porta del D."
Monti.

A dì 29. Morì di anni 64 il Cavall.e Scipione Montesperelli ultimo di questo
ramo, e ne fu fatto il funerale in S. Francesco.

1821

GENNAJO:

A dì 14. Tornò un poco di freddo con giornate belle, serene e schiette
e durarono sino alli 2 Febbrajo.
CRONACA DI GIAMBATTISTA MARINI 109

FEBBRAJO:

A di 20. Vi erano in Città pochi miglia [sic] di Truppa.

A di 21. Giunsero sopra due mila.

A di 22. Ve ne erano 17/m, e si disse, che il Generale non volea partire
se non avea una risposta.

A di 24. Parti quasi tutta la Truppa e ne venne altra di 10/m.

A dì 26. Partirono tutti i Tedeschi: Il Convoglio, che conducevano
fu sempre abbondantissimo, e la Strada di Toscana sempre piena tanto,per
l'Artiglieria, che per i Frugoni.

A di detto. Nel giorno giunsero sopra 100 Frugoni, pieni di robe, fieni,
pane, ed altri generi, e 70 o 80 Frugonini con 31 Cannoni e munizione da Guerra,
e 2/m tra truppa e cannonieri. Dalle Fonti Vegge sino al Frontone era tutta
la strada piena di Frugoni. Il Frontone ne era pieno ed il Piazzone a piè
la Fortezza era tutto pieno di Carri d'Artiglieria e munizione.

A di 27. Passarono quasi 40 Cariaggi.di Barche con Tavole e correnti
per unirle e formar ponti in acqua.

A di 28. Partirono le Truppe, i Frugoni e Artiglierie.

I Tedeschi seguitarono a passare sino alli 12 di Marzo.

MARZO:

Il di 7 Entrarono i Tedeschi all'Aquila, e poi S. Germano. Nel di 19
entrarono in Napoli.

Nelli scorsi giorni successe una rivoluzione in Torino, ma fu sedata.
Il Re abdicò il Regno, e vi pose per Reggente il Duca di Carignano. Tutte
operazioni de' Carbonari.

In Modena essendoci del Fermento per parte de' Carbonari, il Duca
scopertovi esservi tre Capi delle principali Famiglie, fece fare a tutti il capo
e fini ogni fermento.

Fatto istorico accaduto entro il mese di Marzo corrente dopo il pas-
saggio delle Truppe Tedesche per andare in Napoli. Si unirono molti ra-
gazzi a fare una guerra tra loro, e battersi, formando tra piü potenze bel-
ligeranti. Quei di P.S.A. rappresentavano i Tedeschi ; quei di P.S.P. i Na-
poletani ; i Russi quei di P.B., di P.S. i Prussiani, quei di P.S.S. neutrali.
Quei di P.S.A. erano ajutati dai Russi e Prussiani come con loro alleati, contro
gli altri. Si erano creati Generali da una parte, e l'altra, e dati i gradi e posti
necessari nell'armata. Avevano formato Artiglieri, fatti Archibugi e sciable
di legno, ed in tutti erano sopra 500. Successe piccola baruffa tra loro per un
attacco seguito sulla metà di Marzo. Erasi poi determinata la battaglia nel
di 15 giorno di Domenica, Festa dell'Annunziata, da farsi al Frontone. Sa-
putosi ció dal Governo, andarono i Ministri di polizia ed i Carabinieri al
Frontone, ed altre parte per dissipare tali ragazzi, impedirne l'unione ; cosi
tutto svani. La cosa sarebbe mal riuscita, se non s'impediva, volendosi far
la guerra colle sassate.

na e def dA LAC DEORGA or Ml 11 i ONERC "eni xc PT ll CA CRONACA DI GIAMBATTISTA MARINI

LUGLIO:

A dì 1. Frasi già incominciata la strada nuova nel Campo di Battaglia
per andare a S. Margherita. Ivi si ruppero le mura Castellane in faccia a S.
Margherita, e andò sotto la strada vecchia sotto le case della Città a levante ;
furono gittati a terra due Torrioni del Carmine e della Porta del Carmine,
fu ivi alzata la strada per spianarla in faccia a Fonte nuovo, e giunse fino
alla voltata di Monte Luce. In faccia a Fonte nuovo furono fatte due scale
laterali per scendere in strada. La detta Strada poi al Campo di Battaglia
fu allargata fu tirata dritta, che giunse in Porta S. P. ad imboccare colla
Fonte Rossa. Furono gittate a terra alcune case per far la strada dritto,
e fu gittata a terra una casa con un Arco sotto alla Fonte Rossa, e si formò
una bella strada.

Per gittare a terra i due torrioni del Carmine e l’altro della Città nel
giugno venne il Cardinal Rivarola Protettore dello Spedale, che si aggiustò
coi PP. Carmelitani per demolire il loro Torrione coll'annuo canone di libbre
6 di cera da pagarsi dallo Spedale, e subito fu incominciata la demolizione.
Al 1 di Luglio la nuova strada era aperta sino al Torrione del Carmine. Dopo
si demolirono un dopo l’altro i due Torrioni.

A dì 20. Si seppe che nel dì 5 Maggio morì Napoleone Bonaparte nel-
l’Isola di S. Elena di un Cancro interno nel petto. Fece testamento, e fu assi-
stito da un Religioso Agostiniano.

AGOSTO :

A dì 30. Festa del SS. Salvatore nella Parrocchia di S. Elisabetta alal
Conca, fatta con solennità e pompa. Fu fatto un Triduo. Furono fatte arcate
da una parte e l’altra coperte con verdura e postivi i faloni da ardere fino a
cima l’arco. Nell’arco in cima alla piaggia un altarino con Immagine di Maria,
e tutto l’Arco parato con carte e damaschi e Lenzuoli adornati con fiori.
Sotto la Chiesa machina per i fuochi, ed in faccia alla machina un perterra
con giardino e piante. Nella sera della Vigilia e Festa vi fu illuminazione e
fascine. La mattina messa in musica, nella sera la benedizione ed a notte
la girandola.

1822

MARZO:

A dì 4. Si mise mano a livellar la Piazza tutta in faccia al Duomo e
Vescovato ; ma prima in faccia alla Loggia del Seminario per lastricarla
tutta di pietra; e v'era il progetto di trasportar la bella Fonte al Piazzone
in faccia alla Fortezza detta Rivarola, ed il Pozzo contiguo sotto le scale
della Sala per render libera tutta la Piazza: ma svanì.
CRONACA DI GIAMBATTISTA MARINI

MAGGIO:

Nel principio di Maggio si die’ principio ad abbassare il piano del Piaz-
zone sotto la Fortezza in faccia a S. Giuliana per riempire il vuoto che vi era,
per lo scarico fatto delle case del Borgo di S. Giuliana.

Si progettò di togliere, come si disse, la Fonte grande di Piazza in faccia
al Duomo : la Tazza si progettò metterla al Fonte di Piazza di sotto o pic-
cola, ed i lavori nel Museo della Università in Monte Morcino. Nacque una
gran diceria, volendosi togliere un'opera, cosi antica, bella e pregevole,
in stima presso gl’intendenti d’Europa. In tale occasione escì alle stampe
una riflessione di Giambattista Vermiglioli, che fece chiuder la bocca ai
fanatici, ed il progetto andò a vuoto, e per custodirla fu fatto fare intorno
uno steccato di tavole.

A dì 11 Luglio. Solennizzandosi la festa della Madonna, che fece pro-
digi, nella Chiesa di S. Maria di Colle nel giorno fu fatta la processione con
detta Immagine conducendola per le due Piazze con gran pompa e divozione.

SETTEMBRE:

Avea mesi avanti questo Pubblico determinato di celebrare una solenne
Festa della Madonna nel dì 1 Settembre, giorno di Domenica. A tale effetto
fu fatto un gran circo nella piazza sotto la Fortezza per la giostra de’ Fan-
tini. Vi dovea esser gran Musica e Teatro con Opera eseguita da bravi soggetti ;.
ed una lotteria di una casa alla strada nuova, detta prima Vicolo del Loto
con 7/m Cartelle di baj. 50 l'una ; giuochi artifiziali e fochetti al Circo del
gioco del pallone. I fochetti furono fatti la sera del 31 Agosto. Nel giorno
del 31 Agosto vi furono i primi Vesperi, e nel di 1 Settembre vi fu Messa
cantata e 2i Vesperi solenni con scelta Musica e con soggetti di merito. Nella
mattina del di 1 incominció vento grande, e pioggia lenta, che disperse tutto
l'apparato di cartone pitturato per la machina de fuochi, e rimase la pura
machina, ma grande, ed alta assai, che bastava per un fuoco di 100 doppie,
e la spesa del fuoco era di soli scudi 80. Nella sera non fu infuocata per causa
del tempo. Vi era molto popolo accorso per tal festa ; ma molto ne parti
la mattina delli 2. Nel di 2 fu fatta la corsa de Fantini, ed incominció allora
il tempo a piovere. Nel di 3 nella mattina venne dell'acqua e nel giorno ri-
messosi il tempo al buono fu fatta la caccia de Bovi, e nella sera fu infuocata
la machina, che riesci un fuoco assai bello. Nel dì 4 fu fatta la 28 Corsa essendo
bel tempo. Nel dì 5 vi fu lo steccato, e nella sera i Fuochetti.

A. di 20. Dopo tal giorno essendo tutta la Città contraria al disfacimento
della fonte grande, s'incominció a fare un riparo intorno di Tavole, acció
non andasse alcuna parte in rovina ; giacché in alcune parti vi si erano fatti
dei danni, mancando fin dal Governo francese la bella Cancellata di ferro,
senza sapere come sia andata a finire. Se ne furono trovati de' pezzi a ven-
dersi dai rigattieri.

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SAD e SLA IE STADE, DA SIOE O DS RACES,

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112 CRONACA DI GIAMBATTISTA MARINI

A dì 29. Fu fatta altra Corsa o giostra al Circo, ma senza invito a Fora-
stieri. Si volea mandare in alto un Pallone alto 80 piedi e 60 di larghezza.
Fu incominciato vicino al Circo a gonfiare ; ma per la poca grossezza de spaghi
per tenerlo forte, i spaghi si ruppero, si ruppe un cerchio ancora, e dato il
segno per lasciarlo, e non essendo ben gonfio, non so per quale accidente,
si ruppe, cadde in terra e s’incenerì.

(II OTTOBRE :

A dì 25. Fu finita di lastricare tutta la Piazza della Fonte Grande.

DICEMBRE:

A di 31. Alle ore 5 o 10 astronomiche passó all'altra vita Mons." Glotto
Ranieri Arciprete della Cattedrale di anni 88, e nel di 2 Gennajo 1823 fu
fatto il funerale nel Duomo con funebre Orazione recitata dal Canonico
Luigi Mattioli.
Note e documenti

È DI BERNARDO ROSSELLINO IL PROGETTO
DEL CAMPANILE DI S. PIETRO IN PERUGIA

È noto come il campanile che da monte Caprario guarda tanto
spazio di terra umbra, sia sorto nella sua forma attuale sui resti
della più antica torre campanaria del monastero benedettino di
S. Pietro, rovinata intorno all’anno 1390 e successivamente trasfor-
mata in temibile fortilizio, per volontà di papa Bonifacio IX nel pe-
riodo della sua dimora in questo nostro monastero.

Di quella più antica torre campanaria non sappiamo nè l’epoca
di costruzione, nè il nome del suo architetto, ma ne conosciamo la
forma e l’ornato grazie alle provvidenziali miniature dell’anno 1377,
conservate nel Collegio del Cambio ed in quello della Mercanzia.

Conosciamo pure l’ansia con la quale la città di Perugia aspettava
di risentire la voce delle campane di S. Pietro e sappiamo come popolo
e governanti cercassero ogni mezzo capace di aiutare il monastero
nel gravissimo compito della ricostruzione del campanile, sia conce-
dendo vistosi prestiti, sia inviando autorevoli cittadini al Pontefice
Romano per interessarlo all'opera che tanto stava a cuore alla città
intiera.

E fu all’umanista Pio II, al secolo Enea Silvio Piccolomini, che
Perugia inviò un’ambasceria di « dodici nobilissimi dottori perugini »
perchè efficacemente rappresentasse le necessità del monastero e
fu in quello stesso anno 1463 che i magistrati cittadini concessero
alla comunità benedettina un prestito di mille fiorini, da rimborsarsi
con annue cento corbe di grano «usque ad integram satisfationem
quantitatis mille florenorum ».

Una carta conservata nell’archivio del monastero, da tempo nota
e dalla quale risulta che a tali Giovanni di Betto e Pietro da Firenze
furono pagate alcune somme di danaro per lavori inerenti la ricostru-
zione del campanile, indusse ad attribuire ad essi la progettazione
e la esecuzione della nuova torre campanaria di S. Pietro, così che i
nomi di questi non meglio noti artefici, cominciarono a figurare in
ogni guida ed in ogni scritto che trattasse di questo nostro campanile,

8
114 MARIO MONTANARI

Fu soltanto alcuni mesi or sono che durante l'esame di un volume
del libro mastro del monastero, in cui sono registrate voci di spese
relative all'anno 1463, avemmo la fortuna di conoscere, senza ombra
di dubbio, il nome dell'architetto che dette a Perugia un campanile
di tanta bellezza : Bernardo Gambarelli da Settignano detto il Ros-
sellino.

Alla pagina 131 del volume L-E-1 dell'anno 1463, conservato
nell’archivio storico del monastero di S. Pietro, sono riportate le
seguenti annotazioni :

« A di 4 maggio pagati soldi 47, denari 6 che tanto spese Giovanni
di Bellucco da Papiano quando mandammo per Mastro Bernardo
da Firenze a Choragnano per aver consiglio del campanile » ;

ed oltre :

A di 21 detto pagati ducati 3 a Lorenzo Cantagallina per tanti
pagati a Mastro Pucco da Firenze e per sua fatica quando venne da
Choragnano a qui per darci consiglio e disegno del campanile ».

Che Mastro Pucco debba identificarsi con Puccio di Paolo ap-
pare evidente dalle ricerche fatte da Adamo Rossi negli archivi va-
ticani (Giornale di Erudizione Artistica, vol. 6, p. 29 e segg.) dove
in aleune note di spese fatte dal pontefice Pio II, risultano paga-
menti a favore tanto del Rossellino, quanto di Puccio di Paolo,
coadiutore senza dubbio del più grande Maestro.

Ed evidente appare l'arte del Rossellino nella costruzione del
campanile di S. Pietro, quando si confronti questa nostra torre con
quella della cattedrale di Pienza, opera sicura dell'architetto setti-
gnanese e che, sebbene di più modesta mole, molto somigliante si
dimostra nella linea fondamentale della cella campanaria.

Il Rossellino fu il realizzatore di quella vasta opera artistica
che per volontà di Pio II trasformò il modesto paese di Corsignano
(o Choragnano) nella più bella Pienza ed assai chiaro ci sembra il
fatto che questo pontefice, nativo appunto di Corsignano e fiducioso
nelle capacità artistiche del Rossellino, abbia desiderato che il mo-
nastero di Perugia desse incarico della progettazione del suo nuovo
campanile a chi con tanta capacità attuava nella sua patria una
così geniale trasformazione.

È ben vero che la ricostruzione del nostro campanile fu iniziata
soltanto un anno avanti la morte del Rossellino, ma la sua prematura
scomparsa a soli 55 anni di età gli consentì di svolgere una piena atti-
vità di lavoro fin quasi gli ultimi giorni della sua esistenza.

Lo stesso libro mastro, che riporta le trascritte annotazioni, re-
È DI ROSSELLINO IL PROGETTO DEL CAMPANILE DI S. PIETRO IN PERUGIA 115

gistra la spesa relativa ad un contratto inerente la ricostruzione del
campanile, senza però fornire chiarimento sulla natura del contratto
stesso.

Sotto la data del 16 maggio 1463 è scritto: « Lorenzo di Gia-
como e compagno devono avere fiorini 1, soldi 18 che tanto pagaro
per noi a ser Simone di Paolo notaro, per sua fatica di scrittura fatta
per contratto fabbrica campanile », ma nè presso l’archivio del mo-
nastero, nè presso quello di Stato abbiamo potuto rintracciare copia
di questo contratto, che senza dubbio di errore ci avrebbe consentito
di conoscere il nome di chi mise in atto il progetto del Rossellino.

L'onere finanziario che la ricostruzione del campanile impose al
monastero di S. Pietro fu veramente ingente, come ci dimostra un NI
altro prestito di 400 fiorini che la comunità benedettina chiese ed IU
ottenne dalla città di Perugia, allo scopo di condurre a termine l'opera n
intrapresa e come denunziano le molte somme di danaro registrate
nei libri economici, quali pagamenti ad una serie infinita di maestri,
di operai, di fornitori, interessati tutti alla importante costruzione. |

Nell’anno 1468, quattro anni dopo la morte tanto del Rossellino |
quanto di quel pontefice che, aiutando finanziariamente il mona- il
stero ebbe sicuramente a cuore l’artistica opera, la bella torre cam- d
panaria di S. Pietro tornó ad inalzarsi nel cielo di Perugia. |

Cinque anni occorsero per la realizzazione dell’opera che il |
Bonfigli, nell'affresco della Cappella dei Priori, rappresenta con una
balaustra ornata di statue al piano del secondo cornicione e con i il
gattoni rampanti posti lungo i costoloni della cuspide. | |
|

Mentre ricordiamo che la scomparsa di tali ornamenti é dovuta
ai successivi rifacimenti della piramide piü volte colpita e devastata
dalle folgori, crediamo di essere nel giusto esprimendo l'opinione che
la loro scomparsa abbia giovato alla bellezza del campanile che con
piü libero slancio domina i vasti fabbricati che lo circondano.

Si compie in questi anni il millennio della nostra basilica di S.
Pietro ed il mezzo millennio del suo secondo campanile, opere en-
trambe di grande onore per l'antica famiglia benedettina che Pietro
Vincioli di Monte Lagello in quel di Marsciano, volle stabilita nel
luogo ove già sorgeva la prima cattedrale di Perugia, nonché per i
numerosi artisti che vi profusero i tesori del loro intelletto, e per la
città tutta che alla sua chiesa di S. Pietro ha sempre guardato con
grande amore e con legittimo orgoglio.

Luglio 1960. MARIO MONTANARI

VO crar o TT GU ERKC 3E ET DI LAS LEGGI SUNTUARIE A CASCIA
NEI SECOLI XIV-XVII

La mania del lusso smodato ed il desiderio incontenuto della
vita agiata conquistarono nel medioevo non solo i centri mag-
giori, ma anche gli agglomerati più piccoli e rurali.

Gli abitanti delle grandi città facevano sfoggio delle loro ric-
chezze in ogni manifestazione della vita ; quelli invece delle zone
meno progredite solo in occasione di matrimoni che erano, e riman-
gono tuttora, l’espressione più viva di un popolo, qualunque sia il
grado di civiltà da esso raggiunto.

I ritrovati capricciosi della moda, lo sfoggio nel vestire e nel
calzare, la stipulazione di favorevoli contratti nuziali, con doti
cospicue e corredi sostanziosi, hanno sempre fatto presa, natural-
mente con tonalità diverse, a seconda delle possibilità economiche,
in tutti gli strati sociali.

È indubbio che l’ostentata ricchezza e la messa in evidenza di
una vita fastosa e comoda provocano, nell'animo dell’uomo, un
senso d'invidia e di emulazione che s'accompagna quasi sempre,
nelle famiglie meno abbienti, a dissesti finanziari e a indebitamenti
pericolosi.

Da qui la necessità di mettere un freno alla corruttela dila-
gante da parte dei reggitori della cosa pubblica.

Fin dall’antichità, infatti, si tentò di porre una remora alla vita
smoderata e raffinata degli amministrati.

Leggi suntuarie furono, di conseguenza, emanate dalla Grecia
e da Roma, quando i costumi incominciarono ad essere minati nella
loro semplicità ed austerità.

Re ed imperatori, nel medioevo, non mancarono di pubblicare
norme repressive e restrittive contro il lusso del vestire di ambo
i sessi. Disposizioni severe, che scendevano fin nei minuti parti-
colari, furono redatte e messe in esecuzione dai comuni grandi e
piccoli, a regime autonomo, per porre un argine alle mollezze e alle
usanze di quei tempi.
LEGGI SUNTUARIE A CASCIA NEI SECOLI XIV-XVII 117

Il fenomeno della corruzione e del malvezzo, specialmente
femminile, si propagò, come una macchia d’olio, in ogni direzione.

Non è vero, pertanto, che nei centri più lontani e remoti esso
si manifestò con ritardo di anni, vale a dire nel sec. XVI.

La prima legge suntuaria di Cascia è riportata, infatti, nella
rubrica XVI: «De exspensis non fiendis in nuptiis et sponsaliis »
dello statuto manoscritto del 1387 (1) ; legge che fu riportata, sotto
lo stesso titolo e rubrica, nello statuto stampato in Cascia nel 1545
per i tipi di Luca Bino mantovano, governatore Vincenzo Gualtiero
di Amandola (2).

Se si considera che lo statuto manoscritto del 1387 riporta
disposizioni di altro statuto più antico, andato distrutto per le
vicissitudini del tempo, si deve argomentare che nel sec. XIII anche
Cascia era invasa dalla malattia del tempo, vale a dire del lusso e
dello spreco.

Fra le due predette rubriche non vi sono differenze, se si eccet-
tuano lievissime modifiche linguistiche e, in quella stampata, qualche
errore tipografico. L’interpretazione si rende, talora, difficile.

La norma statutaria prescrive : « Inanes expensas et sumptus
inutiles qui in nuptiis et sponsalitiis in terra et districtu Cassiae
fiunt tollere cupientes statuimus et ordinamus quod nullus sponsus
vel sponsa vel alia persona pro eis de Terra Cassiae vel eius districtu
seu degens in ipsis audeat vel presumat in matrimoniis vel sponsa-
litiis et nuptiis et ante vel post facere vel fieri facere per se vel alium
aliqua dona exennia vel convivia seu convivationes aliquibus con-
saguineis vel affinibus ipsorum sponsi vel sponse publice vel occulte
contra vel ultra certam formam sub pena XXV librarum denariorum
pro quolibet contrafaciente et qualibet vice, et quod nulla persona
audeat vel presumat aliquod donum exennium dare vel recipere
in ipsis nuptiis vel sponsalitiis vel que convitata fuerit publice vel
occulte ad convivium sive convivationem accedere et stare sub
poena X lib. denariorum pro quolibet et qualibet vice. Salvo quod
liceat tempore quo fecerint infrascripta sponsalitia in ecclesiis
vel aliis locis etiam bibendo antiquam consuetudinem observare,
et quod quando contrahitur matrimonium per verba de presenti
possit sponsus secum ducere ad domum sponse usque ad decem
homines et mulieres pro eorum libitu, dum tamen nihil hinc inde
donetur nisi dumtaxat anuli confectiones et potus. Si vero sponsus
voluerit ante nuptias mittere pannos pro usu quottidiano et centu-
riam possit, dum tamen nulla dona mutuo interveniant publice
118 AGOSTINO SERANTONI

vel occulte, sed solum cum ipsis pannis et centuria valeat mittere
tres mulieres ad plus sine aliquo alio exennio, que mulieres nec
aliqua alia persona cuiuscumque etatis accedens cum eis non possint
recipere nisi confectiones et potum. Preterea licitum sit sponso
tempore nuptiarum mittere pannos ornamenta sue sponse pro
persona sponse tantum per viros tres ad plus, nec possit vel valeat
mittere cum dictis pannis vel ornamentis aliquod donum sive exen-
nium alicui de domo ipsius sponse vel cuiusque alteri persone publice
vel occulte sub dictis penis. Possit tamen quando duxerit dictam
sponsam ad domum convitare suos consaguineos usque in tertium
gradum et affines usque in secundum gradum et quando sponsus
mittit pro sponsa possit mittere homines quos sibi placuerit,
dummodo in Terra Cassiae potum non recipiant, in comitatu vero
possint tantum potum recipere et quod possit sponsa quando vadit
ad maritum portare cassam suam confinos (3) et arredium in eis pro
se et dona que voluerit pro marito, sed pro alia persona nullo modo
sub infrascriptis penis. Insuper liceat parentibus sponse si habuerit,
et si non habuerit parentibus vel aliis de domo unde exivit sponsa
octavo die vel infra octavam dictarum nuptiarum requirere sponsum
et sponsam et consaguineos ipsius sponse usque in tertium gradum et
affines sponse usque in secundum gradum. Sponsus vero possit secum
ducere tres homines et tres mulieres et portare solummodo unum
canestrum deferendum per unam aliam mulierem. Nullus autem pos-
sit tempore quo sponsa exiit de domo sua causa eundi ad domum viri
ipsius sponse manciam sive aliquod donum vel pecuniam dare pub-
blice vel occulte sub poena centum solidorum pro quolibet et vice

qualibet. Et nullus possit sponse eundae ad maritum se opponere

vel parare nec ab ea petere vel recipere aliquam manciam seu donum
sub quocumque nomine sub dicta poena pro quolibet contrafaciente,
et Potestas et sui officiales teneantur et debeant dictum statutum
observare et observari facere ac contra delinquentes inquirere per
omnem viam et modum prout melius poterit ne fraus committatur
summarie procedere et punire ».

Con l'andar del tempo però l'efficacia della norma andò affie-
volendosi talmente che fu necessario emanare nuove disposizioni
adatte ai nuovi tempi.

Infatti il 9 marzo 1578 il Consiglio Generale di Cascia fu inve-
stito della questione con la seguente proposta: «Perché si vede
chiaramente che le doti che si danno a questi tempi, et anco altre
portature, et vesti sumptuose che si fanno alle donne tanto nella
LEGGI SUNTUARIE A CASCIA NEI SECOLI XIV-XVII 119

Terra, quanto nel Contado di Cascia et per tante sumptuosità, et.

gravi doti, si vede che ne può nascer la rovina delle famiglie, et gene-
ralmente di tutti tanto nella Terra, come nel Contado, però si pro-
pone si pare al presente consiglio farci et pigliarci provisione o par-
tito alcuno » (4).

Aperta la seduta, dopo le formalità di rito, prese la parola il
dottor Girolamo Flamini, proponendo «che li magnifici signori
Consoli habbiano autorità di chiamare sei huomini della Terra et sei
del Contado, li quali assieme con loro signorie et con l’intervento del
sig. Governatore habbiano autorità di moderare tanto nella Terra,
come nel Contado le doti delle donne et loro portamenti, et vesti-
menti, come meglio a loro parerà, havendo consideratione alla qualità
della Terra, et altre che li parranno espediente, et sopra ciò fare capi-
tulatione, imporre pene, et fare in somma tutti li ordini, che gli
parranno necessarie » (5).

La proposta fu approvata con 107 voti favorevoli e 20 contrari.

I consoli, senza frapporre indugio, si riunirono nello stesso giorno
ed elessero gli uomini che dovevano far parte della proposta commis-
sione. Questa fu convocata per il 19 successivo ed il dottor Girolamo
Flamini, uno dei membri eletti, relazionò in questi termini : « Che
le doti delle donne da maritarsi per l'avvenire dentro la Terra di Cassia
se intendano essere costituite, et ordinate universalmente di fiorini
cento di moneta cassiana corrente per ciascuna donna da maritarsi
et non possa nelle costitutioni delle doti ascendersi detta somma ma
bene possa darsi, et constituirsi minor dote se le parti saranno d’ac-
cordo, et in tal caso dalla detta Terra se intendano escluse le Ville
et luoghi di Ocosce, Scei, Palmaiolo, et Atri (6), le quali se intendano
incluse nelli altri luoghi del Contado di detta, Terra, nelli quali le
doti da costituirsi da qui innanti, et per l’avvenire come di sopra per
ciascuna donna da maritarsi non possano escellere la somma di
fiorini cento di moneta preditta, ma che possano bene essere et con-
stituirsi di minore somma se le parti saranno d’accordo come di
sopra, escettuando dalle predette costitutioni di doti, le donne che
sì maritaranno per l'avvenire a persone graduate, come sono dot-
tori di ragioni, medici, cavalieri d’intrate o de religioni, et capita-
nei, che per privilegio, et adductione di compagnie saranno per l’av-
venire, le quali donne in detti casi possano havere et constituirsili
per dote fiorini otto cento simili per ciascuna di loro, et questo se
intenda tanto dentro la Terra, quanto nel Contado, et detti ordini
si habbino a osservare inviolabilmente con li modi, et forme che si

(PA NONE SCR eT n
120 AGOSTINO SERANTONI
diranno di sotto, sotto pena, et alla pena a chi contrafarà impigliar
doti maggiori delle predette o in constituirle, o vero in essere mez-
zano, o notaro a pigliar rogiti, o testimonio alle promissioni, et sti-
pulationi, et tanto chi le pigliarà o vero ordinarà, quanto che le
prometterà, o pagarà di scudi doicento d’applicarsi per la metà alla
Camera Cassiana, un quarto all’accusatore, quale possa essere uno
di quelli che interverranno a trattare il parentado o sarà testimonio
o in qual si voglia modo interverrà come di sopra; et in tal caso oltre
il guadagno di detta quarta parte se intenda esento, libero, et assoluto
dalla detta pena dal modo la denuntia o accusa si faccia validamente
alla corte del sig. Governatore per li tempi fa termine di otto giorni,
et ogn’altro testimonio, et dennuntiatore di tal cosa sarà creduto et
tenuto secreto, però che il fatto, et contravventione si provi per doi
testimonij, et per l’altra quarta parte al sig. Governatore et sua corte,
che ne farà esecutione oltre la pena della scommunica, et altre pene,
che se imporranno dalla Santità di N. Signore. Volendo che le pene
predette se incorrano tanto prima, quanto dopo la obtentione di
detta scommunica, ciò è, dette pene pecunarie, et ancorchè detta
scommunica non si ottenesse, et tanto se intenda delle pene da op-
ponersi nelli altri capitoli da farsi, delle quali pene non se ne possa
far gratia alcuna dal sig. Governatore per li tempi, nè dal Consiglio
publico di detta Terra, et molto meno dalli signori Consoli nè dal
numero di deputati, nè da persona alcuna, et chi tal cosa propo-
nesse per supplica o in altro modo o lo arrengasse o consultasse
caschi nelle pene predette d'applicarsi come di sopra, et che in ef-
fetto a detti ordini non possi derogarsi in modo alcuno, ma debbiano
osservarsi perpetuamente » (7).

Il 25 sempre dello stesso mese di marzo furono stilati i capitoli
che si riportano nella loro integrità :

« Volendo la Comunità, et Popolo della Terra, et Contado di Cassia
della diocese di Spoleto, et per essa Comunità li magnifici signori
Consoli, et Deputati da loro per ordine, et publico Decreto del ge-
neral Consiglio di detta Terra, et Contado celebrato sotto il dì VIILI
del mese di marzo del presente anno 1578, con l'intervento, et assi-
stentia dell'Ill.mo molto Ecc.te sig. Pirro Stefanutii nobile Todino,
et di detta Terra et Contado dignissimo Governatore dare rimedio,
et procedere all'abuso, disordine, et corruptela del dannoso, disutile,
lascivo, escessivo, et disordinato vestire, sfoggi, portature, et orna-
menti delle donne, et loro eccessive et intollerabile doti, et paraíre-
nali, beni, mobili, et giocali, che si danno a dette donne, et alle molte
LEGGI SUNTUARIE A CASCIA NEI. SECOLI XIV-XVII 19-31

gravissime, et superflue spese, che si fonno per causa de parentadi,
sponsalitij, et matrimonji seculari, le quali generano et cagionano
le rovine di molte famiglie, et casate; fanno l'infrascricti ordini,
capituli, statuti, dechiarationi, restrette, et reforme da durare per-
petuamente, et inviolabilmente, et precisamente da osservarsi come
dimostrano le parole di essi ordine, et reforme di modo che sia et se
intenda tolta, et levata ogni autorità, facultà, et arbitrio ad ogni
et qualunque persona di qual si voglia podestà, dignità, facultà,
autorità, et preminentia di dechiarare, interpretare, intendere et
restringere le parole o la mente delli ordini, et forme infrascricte,
riservando solamente alla generale arrenga di detta Terra et Contado
ogni dechiaratione, interpretatione, et intelligentia di tutto quello
sopra di che potesse nascere o nascesse alcun dubbio, etiam sopra
le parole, che si potessero tirare, dechiarare, intendere, et interpretare
in più, et diversi sensi.

1. Im prima, che le dote delle donne da maritarsi per l'avvenire
se intendano essere costituite, et ordinate come di sopra dechiarate
sotto il dì XVIIII del presente mese come si contiene in questo a
carte 141.

2. Item che per l’avvenire alle donne che si maritaranno in
detta Terra, o fuori a qual si voglia persona forastiera, et fuori del
Territorio di essa Terra per li parafrenali mobili et giocali non si li
possano, nè debbano dare eccetto le cose infrascricte, et nell’infra-
scricto numero et quantità.

Camisce Zitaresehe per essa sposa, che sarà maritata sette,
et al più otto, et in contado quattro, et una allo sposo.

Camisce per lo sposo una, et per ciascuno di quelli che sta-
ranno in commune et ad una mensa, ciò è maschi una per ciascuno,
et a ciascuna donna che viverà in casa dello sposo una perinnanse
di valore di giuli cinque.

Colletti, scolle o busti, di cortina sensa oro, et argento sei.

Senali o perinnanse quattro di cortina, et altre quattro di
sensina però senza oro, et argento.

Cuffie in tutto di varia sorte, et foggie dodece, delle quali
una ne possa esse d’oro, ma che non possa escedere il prezzo di scudi
tre, et chi sarà maritata a graduato come di sopra ne possa havere doi
d’oro però che l'una et l’altra non passino il prezzo o valore di scudi
cinque.

Asciuccatori per suo uso otto.

Fazzoletti quindeci.

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AGOSTINO SERANTONI :

Veletti da spalle sei.

Veletti da testa quattro, ma che non possino essere di maggior
prezzo di uno scudo per ciascuno.

Sopragetti da testa doi, ma che non ecceda il valore di fiorini
tre per ciascuno. |

Scopetta una di valore al piü di carlini doi.

Uno specchio, che il valore non passi carlini quattro.

Manto di sensina, cortina o cambraia uno.

Un paro di forzieri, che il valore non passi scudi tre.

Che la cuna, et suoi finimenti non la possano havere in modo
alcuno nè prima, né dopo che saranno andate a marito da chi le
maritarà tanto in detta Terra, quanto in suo Contado.

3. Item che le donne per l'avvenire, et dopo la publicazione delli
presenti ordini tanto maritate, quanto da maritarsi in detta Terra
non possano portare piü di una veste, et una zimarra di panno o
rascia di colore pavonazzo, che non esceda il valore di scudi doi il
braccio o vero di color rosso, peró che il valore non esceda detto prezzo
di scudi doi il braccio, quali veste, et zimarra non possino ornarsi
di trine d'oro o argento, ma solo di drappo, purché in ornar la veste
non vi si metta piü di braccio uno, et mezzo, et in la zimarra braccio
uno di drappo o vero si possino ornare di trine di seta, purché non vi
si ne mettano oltra doi, et in ogni caso si possi in dette zimarre fare
abbottonature di seta come si usa al presente o si usarà per l'avve-
nire, et a quelle che si maritaranno o sono maritate a graduati come di
sopra sia licito portare una veste, et una zimarra di drappo, però
sensa ornamento d'oro, et argento, ma solo di drappo del medesimo
colore o trine di seta, et non esceda la metà data di sopra a chi farà
le veste o zimarre di panno o rascia come si è detto et si più compia-
ceranno, et li parerà possano fare una veste, et una zimarra di panno
o rascia nel modo, che si é detto nell'altre donne per ciascuna di
loro, ma in quel caso volendo fare o facendo dette veste o zimarre di
panno o rascia non possano fare, né portare veste, o zimarre di drappo,
come anche si vorrà fare, et portare dette veste di drappo li sia prohi-
bito portare zimarre di panno o rascia come di sopra ; ma se vorranno
potranno portare un'altra veste di panno o rascià di ditto prezzo, o
minore oltre le dette di drappo, peró sensa zimarra, et contrafacendo
in ogni caso delli predetti se incorrano le dette pene per ciascuno, et
ciascuna volta d'applicarsi come di sopra et da levarsi al marito di
chi contrafarà ‘del numero di essa contrafacente per ciascuna, et
ciascuna volta. :
LEGGI SUNTUARIE A. CASCIA NEI SECOLI XIV-XVII 123

4. Item che le donne da maritarsi in detta Terra, o fuori dopo la
pubblicazione di presenti ordini non possano, né altri per loro possa
havere o recevere dal padre o da altri, che la maritarà piü di tre vesti
delli colori che piü li satisfaranno pur che il panno, rascia, buratto,
moccaiale, ciambellotto o altro per ciascuna di dette veste non esceda
il valore di scudi diece computato il lavoro et ornamento che vi
andarà, nel quale ornamento non possa essere oro, argento, perle,
nè gemme d’alcuna sorte, ancorchè fussino finte, ma possano sola-
mente ornarsi di detti drappi, trine, passamani, cordelline o altre
cose simile di modo non si esceda il valore predetto per ciascuna veste,
sotto le dette pene per ciascuna donna, et ciascuna volta d’applicarsi
et togliersi come di sopra, et in contado veste doi, di colore, che non
passi il valore di scudi sei per ciascuna veste sotto dette pene.

5. Item che non possano havere dal padre o altri, chele maritarà
più di doi para di maniche di drappo per ciascuna ornate le veste,
et nel resto per ogni veste havere un paro di maniche, purchè non
esceda il valore di dette maniche di drappo, et connumerate tutte
insieme non possano essere più di tre para secondo il numero di dette
veste.

6. Item che ogn'una di dette donne tanto maritate, quanto da

maritarsi in detta Terra, o fuori possa solamente havere, usare, et
portare quando li tornerà bene, et li piacerà un manto di sensina,
cambraia o cortina sensa alcuno ornamento d’oro o argento, ma sim-
plice sensa mostra o sfoggio alcuno sotto detta pena da togliersi et
applicarsi come di sopra.

7. Item che sia licito ad ognuna di dette donne portare, havere,
et usare una bernia di panno o rascia di colore negro o paonazzo
ornata di trine o drappo purchè il suo valore in tutto non escede scudi
diece sotto detta pena, et questo oltre dette zimarre, et manti.

8. Item si concede a ciascuna di dette donne di poter portare,
tenere et usare cappelli di drappo, però simplice sensa ornamento
o cordoni d’oro, argento o gemme, ancorchè finte, et sensa piume,
d’alcuna sorte, ma con cordoni soli o fascie di drappo, seta o buratto,
et le berrette non possano usare in modo alcuno sotto dette pene
da incorrersi in ogni caso di contravventione, et da togliersi et appli-
carsi come di sopra.

9. Item per levar via ogni difficultà, si dechiara che venendo il
caso, che alcuna vedova di detta Terra havesse havuta nel suo primo
maritaggio maggior dote, che quella, che si è detta, et ordinata di
sopra o, si aleuna maritata avanti la pubblicazione delli presenti
124 AGOSTINO SERANTONI

capitoli havrà parimenti havuto maggior dote, che la predetta, et
alcuna di loro sarà in caso et vorrà remaritarsi di nuovo, possa havere
o dare al marito al quale se remaritarà quella medesma dote, chi se
trovarà et provarà esserli stata constituita avanti alli predetti pre-
senti ordini, et capitoli sensa incorso di pena alcuna, et questo me-
desmo si osservi anco nel Contado.

10. Item si prohibisce che li parafrenali mobili et giocali pre-
detti non si possano, nè debbano mostrare o spiegare a parenti
o vicini, nè vi si possa chiamare o congregare alcuna persona escetto
la sposa alla quale si daranno et il suo marito, nè parenti, vicini, o
amici o altri possano essere presenti fuori che il notaro, et testimo-
nij per rogito della consignatione, et quietanza se tanto vorranno
le parti sotto dette pene.

11. Item si prohibisce allo sposo, et marito, et ads ogni suo pa-
rente, che quando si andarà a vedere la sposa o per il tempo che ella
starà in casa del padre, fratelli o altri avanti la consumatione del ma-
trimonio o in essa consumatione o nozze dare, fare o mandare, o vero
far dare o far mandare alla sposa o moglie o vero padre, fratelli o
parenti suoi alcuni presenti, mancia o doni, et in converso si prohi-
bisce alla sposa, suo padre, fratelli, madre o attinenti dare, fare o
mandare alcuni presenti o mancie allo sposo, marito, attinenti o
alcuni di essi, et di piü si prohibisce il fare le mancie, et presenti
soliti a farsi il natale, il carnevale, et pasqua, o altri tempi volendo,
che tali presenti non possano piü farsi, tolerando peró, che quando
la madre dello sposo o altri in suo luogo, et nome andarà la prima
volta a vedere la sposa, possa portarli per se o in nome del marito
un paro di pianelle, un paro di maniche ed un paro di pedali, et in
caso di contraventione se incorrano dette pene in ogni capo delli
predetti d’applicarsi.

12. Item si ordina, che quando il marito o sposo va la prima
volta a visitare la sposa, et quando anco mena seco li parenti, et
amici a visitare o cingere detta sposa si possa solamente ricevere un
fazzoletto di cortina per ciascuno, ancorchè fusse graduato, et purchè
detto fazzoletto non sia lavorato nè ornato d’oro, argento o seta, nè
con lavoro di sfilato, nè sia lecito dare o ricevere altro sotto dette
pene da incorrersi et applicarsi come di sopra ogni volta, et per
ciascuna che si contrafarà.

13. Item che nelle colationi, che si faranno in dette visitationi
non si possa usare marzapani, pinocchiati, torte o altre cose fatte
di zuccaro, ma solo ciambelle, et al più doi sorte di confetti di con-
LEGGI SUNTUARIE A CASCIA NEI SECOLI XIV-XVII 125"

fectioni di composte di mele, et frutti che portano et saranno per li
tempi sotto dette pene.

14. Item che da mó innanzi se intendano prohibite conviti, pa-
sti, banchetti, et nozze solite a farsi nelli sponsalitij, et matrimonij,
et in menar la sposa a casa del marito o nel cavar fuori la sposa o
nell'uscire di casa di essa o del marito etiam quando torna alla chiesia
dopo consumato il matrimonio, et questo se intenda prohibito ad
ogn'una delle parti o loro parenti sotto dette pene. :

15. Item si ordina che a dette donne tanto maritate, quando da
maritarsi in detta Terra non sia lecito nell'avvenire portare per orna-
mento o altrimenti al collo oro o perle, né altro, che in tutto passi il
valore di scudi otto, ma le graduate diece, ció é in oro solo o perle sole
ol'uno et l'altro mescolato purché non passi il detto valore, et prezzo.

16. Item si prohibisce il portare centure, che il valore di cia-
scuna centura passi scudi sei, et in contado scudi quattro.

17. Item si prohibisce il portare a dette donne pianelle di drappo
escetto alle graduate, che li si permette poterne portare un paro solo
di drappo.

18. Item se intendano prohibite a dette donne manigli d'ogni
sorte, escetto di coralli simplici sensa partimenti d'oro, argento, perle
o altre gioie, quali coralli si permette ancora poterli portare al collo,
oltre li altri ornamenti predetti peró sensa partimenti come sopra.

19. Item si prohibisce che alcuna di dette donne possa portare
piü di tre anelli d'oro di valore in tutto di scudi sei.

20. Item che le doti statuite, constituite, et ordinate come di
Sopra di seicento, et ottocento fiorini respettivamente non si possano
pagare, né promettere di pagare escetto nel modo infrascricto, ció
è, fiorini cento per il primo pagamento, quando si scoprirà il paren-
tado, et poi fiorini cento simili quando si menarà la sposa a casa del
marito, et poi fiorini cento infine di ciascuno anno sino all'integra
satisfatione. i

21. Item che non sia lecito a donna alcuna di detta Terra portare
corona alcuna, che il suo valore esceda scudo uno et mezzo.

22. Item che nessuna di dette donne possa portare in testa ri-
ticelle d’oro, nè d’argento vero, nè finto, nè perle, nè gioie, frontali, nè
pendenti all’orecchie, nè altre cose in testa dorate, nè altro escetto
una cuffia d’oro, come è detto di sopra o altre cuffie permesse di sopra.

23. Item si prohibisce a dette donne portare manichetti ornati
di altra sorte che della veste alle mani con fodera di pelle o altro.

24. Item che nessuna di dette donne possa portare manichetti
126 AGOSTINO SERANTONI

o lattughe alle mani, nè meno guanti ornati d’oro, argento, nè gioie.

25. Item che nessuna di dette donne possa portare perle, nè
catene, nè cente come di sopra, si prima non saranno bollate da uno
orifice da deputarsi per li magnifici signori Consoli, che saranno
per li tempi, acciò si mostri, o appaia veramente non escedersi le
mete, et ordini predetti. i

26. Item si prohibisce ad ogni sarto, che lavorarà in detta Terra
o Contado il poter lavorare alcuna veste di donna contra li ordini.
predetti.

27. Item si ordina che alla sposa per l'avvenire di qualsivoglia
qualità non si possa far mancie, nè presenti in casa del padre o d'altri,
avanti che vada a marito, nè in casa del marito dopo sarà condotta
a casa sua più di mezzo giulio per ciascuna persona né da qual si
voglia sposa si possa rendere o fare rendere fazzoletto nè altro a
persona alcuna che li farà o havrà fatta detta mancia.

28. Item che in Contado quando si andarà a cingere la sposa non
vi possa andare se non il socero, havendolo, il sposo o marito, et suoi
fratelli carnali, et consobrini et nepoti carnali, ma che in tutto non
passino il numero di diece persone, et che li sodetti non possino por-
tare alla sposa di presente o dono più di un paro di scarpe o il loro
valore, et lo sposo o marito della sposa una perinnanse di saia che
non esceda il valore di tre giuli, et la detta sposa non possa essere
presentata da nessun altro, né meno essa sposa possi presentare o
donare ad altrij che alli soprannominati.

29. Item che il marito o socero della sposa non gli possano com-
prare né donare o dare piü di tre anelli, li quali in tutto non esceda
il valore di sette giuli.

30. Item quando si menarà a marito la sposa non si possano
andare o menare piü di diece persone congionti, et di consaguinità
come di sopra, et per la spesa del companatico per il pasto o convito,
che si farà non esceda doi scudi, et li sodetti che vi andaranno non
li possano dare alla sposa di mancia piü di un giulio per ciascuno.

31. Item che al cingere che si farà della sposa non ci si possa
fare spesa per convivatione o pasto che passi uno scudo.

32. Item che nello renvitare o convitare che si fa in capo delli
otto giorni, non si possa fare se non dello sposo, et della sposa (8).

Tali capitoli, nonostante che fossero stati formulati con dovizia
di particolari, non sortirono l'effetto sperato e, se ci fu, fu solo
momentaneo.
LEGGI SUNTUARIE A CASCIA NEI SECOLI XIV-XVII 127

Infatti il 15 febbraio 1587 il Consiglio Generale fu di nuovo chia-
mato a discutere la proposta di « fare ordinare et deputare assiemi
con li magnifici signori Consoli quattro huomini buoni intelligenti
pratichi et esperti ciò è dui della terra di Cascia et dui del suo Con-
tado et dargli tutta l’auttorità ch'ha il presente Conseglio intorno al
moderare calzare et vestire delli homini, delle spose, vedove et altre
donne di detta Terra et Contado et loro habiti et di moderare le
doti delle donne et moniche doni, et presenti che se fanno nelli ma-
ritaggi, parentele et nozze et anco nel fare compadri et commadre » (9).

Relatore fu il dottor Tommaso Venanzi che si espresse in questi
termini : « Che attento la proposta bona giusta et santa per seguire
l’essempio del nostro Sommo Pontefice che Dio Benedetto ce lo
conservi longo tempo et per tor via tutti gl'abusi che sopra le cose
contenute nella proposta sono sino a mo’ cresciuti è di parere che se
faccia tanto quanto in detta preposta se contiene Et che li signori
Consoli habbino auttorità di chiamare et eleggere detti quattro
huomini contenuti in detta preposta li quali assiemi con lor Signorie
habbino auttorità quanto il presente Conseglio d’aggiungere et mi-
nuire togliere et riformare le capitolationi altre volte fatte et biso-
gnando di novo farci tutti quelli rimedij et provisioni che gli pare-
ranno utili et espedienti tanto sopra la materia di detti capitoli
quanto sopra l’altre cose contenute in detta preposta. Et le cose pro-
visioni riforme et moderationi fatte per essi mandarle in mano del
nostro procuratore a Roma quale con ogni diligenza se sforzi di farle
confirmare da N. S.re » (9).

Il 20 febbraio fu costituita dai consoli la commissione voluta
dal Consiglio nella tornata del 15 dello stesso mese (10).

Non si conoscono le conclusioni a cui detta commissione per-
venne in quanto non risultano riportate negli atti delle riformanze. |
È da supporre che essa formulasse una calda raccomandazione ai i
consoli perché facessero rispettare i capitoli redatti nel 1578.

Il 24 febbraio 1593 fu necessario porre nuove limitazioni. In-
fatti fu approvata dal Consiglio Comunale la risoluzione proposta
dal dottor Fabio Frenfanelli «che nell'advenire in Contado non
s'habbi da far portare piü corone in testa alle zite quando vanno am
a marito sotto pena de diece scudi a chi contrafarà et a chi le por- |
tarà d'applicarse un quarto all'accusatore l'altro all'essecutore et il
restante alla Communità » (11).

Il 23 gennaio 1636 «per vedersi tanto lusso nel vestire delle
donne, che da questo nasce danni notabili alle famiglie tutti di questa

; SIN MSto S - d d A m^ 4. NT "n PET E ^
i door) V" weed, ps LET iso 0 x LA 1 d PES NS e Vw a PORLLLA rg N 128 AGOSTINO SERANTONI

Terra, et sua Giurisditione se pare darni qualche assesto, tanto più,
che essi presenti ve inclinano per benefitio universale di questi po-
poli» si senti il bisogno di tornare di nuovo sull'argomento (12).

Il dottor Andrea Bentagliati, in una sua proposta, cosi si espresse :
«Sopra la prematica io sarei di parere, che si porti avanti hora che
sonno le cosi caldi, e che si facci elettione nel presente conseglio di
quattro huomini, i quali faccino i capitoli con l'assistenza del Sig.
Governatore e Sig. Magistrato e si mandino a Mons. Ill.mo Poli (13)
per confirmarli, e li huomini siano questi il dottor Ercole Leonetti,
dottor Pietro Amici, signor Paolo Gratiani, et il dottor Francesco
Reggio » (14).

La proposta del Bentagliati fu approvata e la commissione co-
stituita; ma nulla si sa dell'attività da essa svolta.

Non è improbabile che la commissione riferisse al Consiglio che
le leggi vi erano e che era necessaria, da parte dei consoli, un pó di
buona volontà per farle rispettare.

AGOSTINO SERANTONI

NO T:E

Tutte le notizie sono state desunte dall'Archivio Storico Comunale di
Cascia.

(1) Statuto di Cascia del 1387: Liber tertius statutorum comunis Cas-
siae super malefitiis, f. 49.

(2) Volumina Statutorum Terrae Cassiae. Liber tertius maleficiorum,
[^ XXE

(3) Nello Statuto manoscritto del 1387 si legge : « cofanos ».

(4) Consegli, 1575 sino 1581, vol. 18, f. 132 v.

(5) Come sopra, f. 133 r.

(6) Un tempo sobborghi di Cascia.

(7) Consegli, 1575-1581, vol. 18, dal f. 141 r. al f. 142 r.

(8) Come sopra, dal f. 143 v. al f. 148 r.

(9) Consegli, 1585-1588, vol. 21, f. 66 r.

(10) Come sopra, f. 67 r.

(11) Consegli, 1592-1594, vol. 24, f. 91 r.

(12) Consegli, 1631-1637, vol. 35, f. 180 r.

(13) Mons. Fausto Poli, casciano, nato nel 1581 e morto nel 1650, fu
eletto cardinale nel 1643 ed assegnato all'Archidiocesi di Orvieto.
(14) Consegli, 1631-1637, vol. 35, f. 181 r.
Contributi alla storia dello Studio perugino.

PAGAMENTI EFFETTUATI DALLA CAMERA
DEGLI OFFICIALI DELL'ABBONDANZA A
LETTORI E A PERSONALE DELLO STUDIO

Nel corso dell’ordinamento dell’Archivio Storico del Comune
di Perugia, effettuato negli anni 1949-55, mi è accaduto, tra l’altro,
di constatare che il volume della serie catasti del 1339 e seguenti
contrassegnato 3A nero (ora n. 4 del Primo Gruppo) contiene in
principio un inserto estraneo alle allibrazioni catastali. Si tratta
infatti di 86 fogli pergamenacei contenenti registrazioni di paga-
menti effettuati dalla Camera degli Officiali dell'Abbondanza rela-
tivi all'anno 1341. I fogli sono rilegati in una successione che non
rispetta l’ordine cronologico ; infatti i fogli 1 e 2 contengono paga-
menti effettuati da detta Camera l’11 aprile 1341, i fogli 3 e 4 denunce
catastali del 1334, i fogli dal 5 al 46 pagamenti effettuati dalla pre-
detta Camera dal 13 aprile al 15 maggio 1341, i fogli dal 47 all’86
pagamenti effettuati dai medesimi officiali dal 24 gennaio al 2
aprile 1341.

In prevalenza di tratta di pagamenti per consegna di grano :
ma frammischiati vi sono anche pagamenti effettuati a diverso
titolo, fra cui a lettori e a personale dello Studio. In sostanza si
tratta di una parte di registro contabile attinente alla Camera degli
Officiali dell'Abbondanza da ricollegare alla serie dell'Annona, che
per il sec. XIV ha soltanto quattro numeri.

Le registrazioni riguardanti lo Studio perugino sono le seguenti :

Catasti. 1° Gruppo, n. 4 (3 nero).

c. 47 r. In nomine Domini amen. Anno Domini Millesimo CCCXLI indic-
tione nona tempore domini Benedicti XII.

Die XXIIII mensis januarii actum Perusii in camera residentie trium
bonorum hominum et offitialium comunis Perusii super divitia et habun-
dantia que est in palatio novo populi perusini presentibus Cellolo Andrutii et
Ciutio domini Francisci testibus.

2
130 GIOVANNI CECCHINI

c. 57 v. Die XXI mensis februarii actum Perusii in camera residentie
trium bonorum hominum et offitialium super habundantia civitatis.

Sapiens vir dominus Johannes domini Nerii de Pagliarensibus de Senis
legum doctor electus per comune Perusii ad legendum in Studio perusino
ad extraordinariam sedem super Infortiati pro uno anno ut patet manu Bar-
toli Johannis notarii ad salarium et cum salario ducentorum florenorum auri
pro quolibet anno solvendo pro dimidia in festo nativitatis Domini et aliam
dimidiam in festo pascatis resurrexionis fuit confessus et contentus se habuisse
et habuit a dictis offitialibus solventibus ut supra pro prima dimidia solutione
dicti sui salarii secundum formam dicte sue electionis centum florenos auri
qui valent computato quolibet floreno IIII libras et XI solidos denariorum
quadringenta decem libras denariorum de quibus fecit eis finem et refutatio-
nem et promisit eis facere confessionem.

(A proposito di questo dottore vedi Apamo Rossi, Documenti per la
storia dell’ Università di Perugia con l'albo dei professori ad ogni quarto di se-
colo, in Giornale di erudizione artistica, V, 176, 310).

c. 79 v. Die vigesimaseptima mensis martii actum Perusii in camera inferiori
novii pallatii populi in qua resident tres boni homines et offitiales comunis
Perusii super habundantia victualium civitatis et comitatus.

Egregius doctor dominus Andreas domini Ranerii legum doctor electus
per comune Perusii ad legendum ordinarie in iure civili ad salarium CL flo-
renorum auri anno quolibet sibi solvendum tertiatim fuit confessus se habuisse
et recepisse a dictis Bindolo et Petro offitialibus supradictis solventibus ut
supra pro prima tertia parte dicti sui salarii sibi debita in festo nativitatis
Domini proxime preterito quinquaginta florenos auri qui valent ducentas
libras et decem solidos denariorum de quibus fecit finem et refutationem.

(Si tratta di Andrea di Raniero Montevibiano, A. Rossi, op. cit., V,
162-63, 304).

c. 80 r. Die eodem et loco presentibus dictis testibus.

Magister Franciscus de Bononia electus doctor in Studio perusino ad lec-
turam loyce et philosofie manu Perusini Johannis notarii ad salarium LX
florenorum auri solvendum in duobus terminis fuit contentus se habuisse et
recepisse a dictis offitialibus solventibus ut supra pro residuo medietatis dicti
sui salarii sibi debito in festo nativitatis Domini proxime preterito quindecim
florenos auri qui valent sexaginta libras et quindecim solidos denariorum
de quibus fecit eis finem et refutationem.

(È ricordato da A. Rossi, op. cit., V, 309, 315, 317).

Die XXVIIII mensis martii actum in dicta camera presentibus Ciutio
domini Francisci et Rubeo Bartutii testibus.

Nardus Monachi Porte Solis numptius et bidellus Studii perusini electus
per sapientes Studii perusini manu Orlandini Uderisisii notarii ad salarium
XX librarum denariorum pro quolibet anno fuit confessus se habuisse et
PAGAMENTI EFFETTUATI DALLA CAMERA DEGLI OFFICIALI ECC. 131

recepisse a dictis offitialibus solventibus ut supra pro medietate dicti sui sa-
larii quae sibi debebatur in festo nativitatis Domini nostri Yhesu Christi
decem libras denariorum de quibus fecit eis finem et refutationem.

Die eodem et loco presentibus dictis testibus.

Dompnus Bartolus Jacopelli et Petrutius Jacoputii clerici perusini cam-
panarii et qui pulsant campanam Studii et scolarium pro dicto Studio fuerunt
confessi se habuisse et recepisse a dictis offitialibus solventibus ut supra pro
medietate eorum salarii eis concessi per comune Perusii pro pulsatione campa-
narum pro scolaribus pro anno presenti incepto die VII* mensis novembris ut
patet de ipsorum electione manu Hermanni Raydi notarii sex libras denario-
rum de quibus fecerunt eis finem et refutationem.

c. 81 r. Die eodem et loco presentibus dictis testibus.

Dominus Muccius Nicolay Johannis rector universitatis scolarium civi-
tatis Perusii ut patet de sua electione manu Francisci Spenutii notarii pro
anno presenti fuit confessus se habuisse et recepisse a dictis offitialibus solven-
tibus ut supra pro suo salario sibi concesso per comune Perusii et sibi debito
in festo sancti Herculani triginta florenos auri qui valent centumviginti unam
libras et decem solidos denariorum.

Die eodem et loco presentibus dictis testibus.

Magister Johannes ser Nuti de Castello magister in arte gramatice
electus per comune Perusii ad salarium XXX florenorum auri pro quoli-
bet anno ut patet manu Perusini Johannis notarii sibi solvendum media-
tim scilicet medietatem in festo nativitatis et aliam medietatem in festo
pascatis fuit contentus .se habuisse a dictis offitialibus solventibus ut supra
pro prima medietate dicti sui salarii sexaginta libras et quindecim solidos
denariorum in florenis auri de quibus fecit eis finem et refutationem.

Die eodem et loco presentibus dictis testibus.

Dompnus Jucta (1) de Magaloctis monacus monasterii sancti Bartolomey
de Campo Regio procurator reverendi viri domini Francisci abbatis dicti
monasterii manu Francisci Lelli Putii notarii procuratorio nomine ipsius
fuit confessus se habuisse a dictis offitialibus solventibus ut supra pro salario
dicti domini abbatis decretorum doctoris electi per comune Perusii ad le-
gendum decretum in Studio perusino ad salarium LX florenorum auri anno
quolibet ut patet manu Hermanni Raydi notarii. Quod salarium sibi debet
solvi in duobus terminis scilicet medietatem in festo nativitatis Domini et
aliam in festo pascatis pro prima medietate centumviginti unam libras et
decem solidos denariorum de quibus fecit eis finem et refutationem.

(Ricordato in A. Rossi, op. cit., VI, 250).

c. 84 v. Die ultima mensis martii actum in dicta camera presentibus
Ciutio domini Francisci et Rubeo Bartutii testibus.

. Magister Thomassus quondam domini Ugonis de Lombardia medicus in

arte cirusie electus per comune Perusii ad salarium LX florenorum auri et

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DIVA ME PIE RIM Me OK X
132 GIOVANNI CECCHINI

| XXX librarum denariorum pro pensione domorum anno quolibet sibi solven-
dum mediatim scilicet medietatem in festo nativitatis et aliam medietatem in
festo pascatis fuit confessus se habuisse a dictis offitialibus solventibus ut su-
pra pro medietate dicti salari sibi debita in festo nativitatis proxime preterito
Il triginta florenos et quindecim libras denariorum qui valent centum triginta-
| sex libras et decem solidos denariorum de quibus fecit eis finem et refutationem.
SUOI Die eodem et loco presentibus dictis testibus.
Idi IR Magister Jacobus magistri Phylippi olim de Asisio doctor in arte medi-
| cine electus per comune Perusii ad legendum in dicta arte ad sedem cirusie
ad salarium C florenorum auri anno quolibet ut patet manu Bartoli Johan-
nis fuit confessus se habuisse et recepisse a dictis offitialibus solventibus ut
| supra pro medietate dicti sui salari sibi debita in festo nativitatis Domini
Ili proxime preterito detracta parte contingenti pro duobus mensibus prime sue
electionis quatragintatres florenos et XXXIII solidos denariorum qui valent
centumseptuagintaquinque libras et sedecim solidos denariorum de quibus
fecit eis finem et refutationem.

ii c. 85 v. Die secunda mensis aprilis actum in dicto loco presentibus Ciu-
Il tio domini Francisci et Rubeo Barbutii testibus.
| Magister Michael de Mantua de Lombardia doctor in arte medicine
in phisica et pratica electus per comune Perusii ad salarium LX florenorum
auri anno quolibet solvendum tertiatim scilicet tertia pars in festo nativi-
tatis Domini alia tertia pars in festo pascatis et alia tertia pars in fine anni ut
Mi patet manu Hermanni Raydi notarii fuit confessus se habuisse et recepisse a
I dictis offitialibus solventibus ut supra pro dicta tertia parte prima viginti
(NI florenos auri qui valent octuaginta unam libras denariorum de quibus fecit
eis finem et refutationem.

c. 23 r. In nomine Domine amen. Anno Domini millesimo trecentesimo
quadragesimoprimo indictione nona tempore Benedicti pape XII.

Die tertia mensis maii actum Perusii in dicta camera presentibus Rubeo
| Bartutii et Matuctius Andrutii testibus.
HIT Sapiens vir dominus Andreas quondam domini Ranerii de monte Vbiano
MM legum doctor electus per comune Perusii ad legendum in jure civili in Studio
ii perusino ad salarium CL florenorum auri quolibet anno ut patet manu Her-
manni Ranaldi notarii fuit confessus et contentus se habuisse et recepisse a
dictis offitialibus solventibus ut supra pro secunda tertia parte dicti sui sa-
larii sibi debita in festo pascatis resurrectionis domini nostri Yesu Christi
proxime preterito quinquaginta florenos auri qui valent computato quolibet
floreno quattuor libras et duodecim denarios ducentas duas libras decem so-
lidos denariorum de quibus fecit eis finem et refutationem.

(Vedi A. Rossi, op. cit., V, 162/63, 304).
Die eodem et loco presentibus dictis testibus.
Sapiens vir dominus Bandinus quondam magistri Thebaldi legum doctor

IER PAGAMENTI EFFETTUATI DALLA CAMERA DEGLI OFFICIALI ECC. . 133

electus per comune Perusii ad legendum in studio perusino in jure civili ad
salarium CL florenorum auri quolibet anni [sic] ut patet manu Hermanni
Ranaldi notarii fuit confessus se habuisse et recepisse a dictis offitialibus sol-
ventibus ut supra pro secunda tertia parte dicti sui salari sibi debita in festo
pascatis resuressionis domini nostri Yesu Christi proxime preterito quinqua-
ginta florenos auri qui valent computato quolibet floreno quattuor libras et
duodecim denarios ducentas duas libras decem solidos denariorum de quibus
fecit eis finem et refutationem.

(Vedi A. Rossi, op. cit., V, 305).

Die eodem et loco presentibus dictis testibus.

Magister Stephanus ser Coscii medicus et doctor in arte medicine
electus per comune Perusii ad legendum in Studio perusino in dicta arte medi-
cine ad salarium XL florenos auri quolibet anno ut patet manu Hermanni
Ranaldi notarii fuit confessus se habuisse et recepisse a dictis offitialibus sol-
ventibus ut supra pro ultima tertia parte dicti sui salarii XIII florenos et
centum florenos (2) auri qui valent computato quolibet floreno auri IIII li-
bras et XII denarios quinquaginta quatuor libras denariorum de quibus fe-
cit finem et refutationem.

Die eodem et loco presentibus dictis testibus.

Adamutius filius magistri Francisci magistri Ranaldi medici porte sancti
Petri procurator dicti magistri Francisci ut patet manu Bernardi Venturelle
notarii procuratorio nomine ipsius qui magister Franciscus est electus per
comune Perusii ad legendum in Studio perusino in arte ciuisie (3) ad salarium
XXV florenorum auri anno quolibet fuit confessus se habuisse et recepisse a
dictis offitialibus solventibus ut supra pro duabus tertiis partibus dicti sui
salarii ultimis XVI florenos et duas tertias partes dicti sui salarii qui valent
sexagintaseptem libras decem solidos denariorum de quibus fecit eis finem
et refutationem.

à

c. 23 v. Die eodem et loco presentibus dictis testibus.

Magister Mafeus Reccutii de porta sancte Suxanne doctor in arte no-
taria electus per comune Perusii ad salarium L librarum denariorum ad
legendum in dicta arte fuit confessus se habuisse et recepisse a dictis offitia-
libus solventibus ut supra pro (4) medietate dicti sui salarii sibi debita in festo
pascatis resuressionis domini nostri Yesu Christi proxime preterito vigin-
tiquinque libras denariorum de quibus fecit eis finem et refutationem.

(Probabilmente il Maffeo ..... lettore dell'arte notaria del BinI (p. 183) ;
vedi A. Rossi, op. cit., IV, 126/27 ; V, 56, 121, 184, 311).

Die eodem et loco presentibus dictis testibus.

Sapiens vir dominus Menaciatus Nini de porta sancte Sussanne decre-
torum doctor electus per comune Perusii ad legendum in Studio perusino in
arte canonico (5) ad salarium CL florenorum auri anno quolibet sibi solvendum
tertiatim ut per manus Hermanni Ranaldi notarii fuit confessus se habuisse et
recepisse a dictis offitialibus solventibus ut supra pro secunda tertia parte dicti

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134 GIOVANNI CECCHINI

sui salarii sibi debita in festo pascatis resuressionis Domini nostri Yesu Chri-
sti quinquaginta florenos auri qui valent computato quolibet floreno IIII
libras et XII denarios ducentas duas libras decem solidos denariorum de qui-
bus fecit eis finem et refutationem.

(Vedi A. Rossi, op. cit., IV, 250/51 ; V, 57).

Die eodem et loco presentibus dictis testibus.

Magister Franciscus de Bononia doctor in philosophia vel in loyco electus
per comune Perusii ad legendum in philosophia vel loyca ad salarium LX
florenorum auri anno quolibet fuit confessus se habuisse a dictis offitialibus
solventibus ut supra pro parte ultime medietatis et pro residuo dicte ultime
medietatis dictis sui salarii X XII florenos auri excomputatis octo florenis auri
quos habuit a dictis offitialibus pro parte dicte ultime paghe qui XXII flo-
reni auri valent computato quolibet floreno IIII libras et XII denarios ottua-
gintanovem libras duos solidos denariorum de quibus fecit eis finem et refu-
tationem.

(Vedi A. Rossi, op. cit., V, 176).

c. 24 r. Die eodem et loco presentibus dictis testibus.

Dominus Federicus Petrutii de Senis decretorum doctor electus per
comune Perusii ad legendum in Studio perusino in iure canonico ut per manus
Bartoli Johannis notarii ad salarium CCC florenorum auri quolibet anno fuit
confessus se habuisse et recepisse a dictis offitialibus solventibus ut supra pro
ultima medietate dicti sui salarii et pro residua medietate dicti sui salarii
centumquinquaginta florenos auri qui valent computato quolibet floreno IIII
libras et XII denarios sexcentas septem libras decem solidos denariorum de
quibus fecit eis finem et refutationem.

(Vedi A. Rossi, op. cit., V, 176, 308).

Die IIII mensis maii actum in dicta camera presentibus Ciutio domini
Francisci et Rubeo Bartutii testibus.

Magister Peronus Ranaldi medicus de Bononia doctor in arte medicine
electus per comune Perusii ad legendum in dicta arte medicine ad salarium
ducentorum florenorum auri anno quolibet ut patet manu Perusini Johannis
notarii fuit confessus et contentus se habuisse et recepisse a dictis offitialibus
solventibus ut supra pro residua et ultima medietate dicti sui salarii sibi debita
in festo pascatis resuressionis domini nostri Yesu Christi C florenos auri qui
valent computato quolibet floreno quatuor libras et XII denarios quatrin-
gentasquinque libras denariorum de quibus fecit eis finem et refutationem.

(Vedi A. Rossr, op. cit., V, 176, 312).

Die eodem et loco presentibus dictis testibus.

Magister Petrus magistri Francisci de Aterna magister in arte gramatice
electus per comune Perusii ad legendum in dicta arte ad salarium XXX li-
brarum denariorum anno quolibet fuit confessus se habuisse et recepisse a
dictis offitialibus solventibus ut supra pro ultima et residua medietate dicti
UIUUUCTETEWUCES

PAGAMENTI EFFETTUATI DALLA CAMERA DEGLI OFFICIALI ECC. 135

sui salarii sibi debita in festo pascatis resuressionis proxime preterito quin-
decim libras denariorum de quibus fecit eis finem et refutationem.

Die eodem et loco presentibus dictis testibus.

Magister Michele de Mantua doctor in arte medicine electus per comune
Perusii ad docendum in dicta arte medicine ad salarium LX florenorum auri
anno quolibet sibi solvendum tertiatim fuit confessus se habuisse et recepisse
a dictis offitialibus solventibus ut supra pro secunda tertia parte dicti sui
salarii sibi debita in festo pascatis resurexionis domini nostri Yesu Christi
viginti florenos auri qui valent computato quolibet floreno IIII libras XII
denarios octuaginta unam libras denariorum de quibus fecit eis finem et re-
futationem.

Die eodem et loco presentibus dictis testibus.

Dompnus Bartholus Jacopelli, Petrus Jacoputii canpanarii et qui elec-
ti fuerunt per comune Perusii ad pulsandam campanam scolarium pro Stu-
dio perusino ad salarium XII librarum denariorum fuerunt confessi se habuisse
et recepisse a dictis offitialibus solventibus ut supra pro ultima et residua
medietate dicti eorum salarii sex libras denariorum de quibus fecerunt eis
finem et refutationem.

c. 25 r. Die eodem et loco presentibus dictis testibus.

Magister Iacobus quondam Filippi de Asisio medicus et doctor in arte me-
dicine electus per comune Perusii ad legendum in dicta arte ad salarium C
florenorum auri anno quolibet ut patet manu Bartholi Johannis notarii de-
tracta parte sibi contingente pro duobus mensibus primi salarii pro ultima et
residua medietate dicti sui salari sibi debita in festo pascatis resuressionis
domini nostri Yesu Christi preterito quadragintatres florenos auri et X X XVIII
solidos et X denarios qui valent computato quolibet floreno IIII libras XII
denarios centumseptuagintasex libras XXII denarios de quibus fecit eis fi-
nem et refutationem.

c. 27 v. Die eodem et loco presentibus dictis testibus.

Egregius doctor dominus Gualfredutius quondam domini Petri de Pe-
rusio legum doctor electus per comune Perusii ad legendum in Studio peru-
sino in iure civili ad salarium CL florenorum auri anno quolibet ut patet manu
Hermanni Ranaldi notarii sibi solvendum tertiatim fuit confessus se habuisse
et recepisse a dictis offitialibus solventibus ut supra pro secunda tertia parte
dicti sui salarii sibi debita in festo pascatis resuressionis Domini nostri pro-
xime preterito quinquaginta florenos auri qui valent computato quolibet
floreno IIII libras XII denarios ducentas duas libras decem solidos dena-
riorum.

Die eodem et loco presentibus dictis testibus.

Magister Antonius de Brusella electus per comune Perusii ad legen-
dum loycam in Studio perusino ad salarium LX florenorum auri anno quolibet
sibi solvendum mediatim ut patet manu Perusini Johannis notarii fuit confes-

CICERO PIERROT LE
136 GIOVANNI CECCHINI

sus se habuisse et recepisse a dictis offitialibus solventibus ut supra pro ul-
tima parte dicti sui salarii sibi debita in festo pascatis resuressionis domini
nostri Yesu Christi proxime preterito triginta florenos auri qui valent com-
putato quolibet floreno IIII libras XII denarios centumviginti unam libras
decem solidos denariorum de quibus fecit eis finem et refutationem.

c. 28 v. Die eodem et loco presentibus dictis testibus.

Egregius doctor magister Gentilis magistri Gentilis de Fulgineo doctor
in arte medicine electus per comune Perusii ad legendum in Studio perusino
in dicta arte medicine ad salarium CCXX florenorum auri et dimidii pro
suo salario et decem florenorum auri pro pensione domorum anno quolibet
fuit confessus se habuisse a dictis offitialibus solventibus ut supra pro residua
et ultima medietate dicti sui salarii sibi debita in festo pascatis resuressionis
domini nostri Yesu Christi CL (6) florenos et quartum floreni auri qui valent
computato quolibet floreno IIII libras et XII denarios quatringentassexa-
gintasex libras quindecim solidos tres denarios de quibus fecit eis finem et
refutationem.

(Vedi BINI, op. cit., 155/58, 185 ; A. Rossi, op. cit., V, 52, 309).

Die VII mensis maii actum in dicta camera presentibus Rubeo Bartu-
tii et Matiutio Andrutii testibus.

Dompnus Juncta monacus monasterii Sancti Bartolomei de Campo-
regio procurator venerabilis viri domini Francisci Pucciarelli de Assisio de-
cretorum doctoris abbatis dicti monasterii ut de ipsa sua procura patet manu
Francischini Lelli notarii procuratorio nomine ipsius domini abbatis electi
per comune Perusii ad legendum in iure callonico (sic) ad legendum in Studio
perusino ad salarium LX florenorum auri anno quolibet manu Bartoli Jo-
hannis fuit confessus se habuisse a dictis offitialibus solventibus ut supra
pro secunda et ultima medietate dicti sui sallarii sibi debita in festo pascatis
resuressionis Domini proxime preterito triginta florenos auri qui valent com-
putato quolibet floreno IIII libras XII denarios centumvigintaunam libras
decem solidos denariorum de quibus fecit eis finem et refutationem.

c. 37 r. Die nono mensis maii actum in dicta camera presentibus Ciutio
domini Francisci et Mathiutio Andrutii testibus.

Magister Johannes ser Nuti de Castello doctor in arte gramatice electus
per comune Perusii ad legendum in dicta arte pro anno proxime preterito fuit
confessus se habuisse a dictis offitialibus solventibus ut supra de mandato
dominorum priorum artium civitatis Perusii scripto manu Benedicti Martini
notarii pro residuo sui salarii pro anno proxime preterito de summa XXX
florenorum auri IIII florenos auri et VIII solidos denariorum qui valent
computato quolibet floreno IIII libras XII solidos denariorum sedecim li-
bras XII solidos denariorum de quibus fecit eis finem et refutationem.

c. 45 r. Die XIIII mensis maii actum Perusii in dicta camera presenti-
bus Rubeo Bartutii et Mathiutio Andrutii testibus.
PAGAMENTI EFFETTUATI DALLA CAMERA DEGLI OFFICIALI ECC. 137

Domino Johannes quondam domini Nerii de Paglarensibus de Senis
doctor legum electus. per comune Perusii ad legendum in iure civili in Studio
perusino ad salarium ducentorum florenorum auri anno quolibet ut patet
manu Herculani Ranaldi notarii sibi solvendum mediatim fuit confessus se
habuisse et recepisse a dictis tribus offitialibus solventibus ut supra pro ultima
et residua medietate dicti sui salarii sibi debita in festo pascatis resuressio-
nis domini nostri Yesu Christi proxime preterito centum florenos auri qui
valent computato quolibet floreno IIII libras et XII denarios quatringentas
quinque libras denariorum. i

(Vedi A. Rossi, op. cit., V, 176, 310).

Senza pregiudizio del partito che potranno trarre dalla cono-
scenza di questi nuovi documenti gli storici dell'Università, si può.
formulare qualche immediata considerazione sul contributo d'in-
formazione ch’essi recano a prima vista, di notevole rilievo poichè
essi si riferiscono ad un anno in cui per la nota lacuna mancano i
registri dei consigli e delle riformanze.

Innanzi tutto questo stralcio di registro della camera degli
Officiali dell Abbondanza — che fra l’altro è il più antico che risulti
allo stato attuale delle conoscenze nell'Archivio Storico Comunale —
s'inserisce negli atti di quella magistratura che provvide in buona
parte al pagamento dei salari dei dottori e del personale dello Studio
dal 1308 al 1365 (7), anno in cui questo carico passò alla camera dei
Conservatori della moneta. Esso pertanto porta un contributo alla
formazione di quel ruolo di gestione finanziaria dello Studio, che
per buona parte dei secoli successivi trova parziale riscontro in
partite fisse registrate nei conti della Tesoreria dell'Umbria conte-
nuti nei registri esistenti presso l’Archivio di Stato di Roma. Si
ha poi conferma che, come già indicato dalla matricola del 1339,
si aveva un solo rettore e una sola universitas scolarium et doctorum.
Si ha notizia che il salario del rettore, non si sa se limitatamente
al 1341, era di fiorini 30 anzichè 25 (8). È confermata la gradua-
zione decrescente del salario dai docenti di materie giuridiche a
quelli di medicina, di filosofia e di grammatica. Si ha inoltre notizia
del largo numero di cattedre coperte in via ordinaria e straordinaria
nel corso di un solo anno ; del metodo di corresponsione del salario
in due o in tre soluzioni — a natale e a pasqua o a natale, a pasqua
e a fin d’anno ai docenti — e in unica soluzione, per la festa di S.
Ercolano, al rettore; della corresponsione di un assegno ai dottori
di maggior fama per l’affitto della casa nella quale si tenevano le
lezioni ; ed infine di alcuni dottori che sinora non figuravano, come

CS x «Rea CE mi cr El FRA T "S "n Pa T us. ES de AT ped Pei 9S len Bum
138 GIOVANNI CECCHINI

Stephanus ser Coscit medicus, Franciscus m. Ranaldi doctor in arte
cirusie, Petrus m. Francisci de Aterna magister in arte gramatice,
Michael de Mantua doctor in arte medicine, Jacobus q. Filippi de
Asisio medicus, Gualfredutius q. d.ni Petri de Perusio legum doctor,
Antonius de Brusella lector loyce, Franciscus Pucciarelli de Assisio
decretorum lector, Johannes ser Nuti de Castello doctor in arte grama-
tice, Andreas d.ni Ranerii legum doctor, Tomasus d.ni Ugonis de
Lombardia medicus, oltre al rettore Muccius Nicolai Johannis,
al bidello e ai chierici campanari.
GIOVANNI CECCHINI

NOTE

(1) Leggi Juncta.
(2) Per evidente svista del notaio sta per « libras ».

(3) Lettura incerta, evidentemente « cirusie ».

(4) Lacuna.

(5) Così nel testo.

(6) La cifra non sembra esatta, ma è così nel testo.

(7) G. ERMINI, Storia dell’ Università di Perugia, Bologna, 1947, pp. 50-52.
(8) G. ERMINI, op. cit., pp. 67, 71.
DOTTORI, SCOLARI, PROGRAMMI E SALARI
ALLA UNIVERSITÀ DI PERUGIA
VERSO LA METÀ DEL SEC. XV

Un gruppo di documenti sconosciuti, scoperti nel fondo denomi-
nato lura diversa dell' Archivio di Stato di Perugia ha dato l'avvio a
queste note (1).

Per quanto i documenti che vengono riprodotti per la prima volta
non mutino sostanzialmente le nostre conoscenze sulla storia della
Università di Perugia, essi tuttavia valgono ad illustrare taluni aspetti
che, specialmente per il secolo XV, erano rimasti nell’ombra per la
mancanza di prove documentarie.

Più di una volta, infatti, Giuseppe Ermini, l’ultimo studioso della
storia dello Studio perugino, ha dovuto lamentare la scarsezza di
notizie riguardanti la popolazione studentesca nel Quattrocento,
o il numero delle nazioni e provincie rappresentate alla Università (2).
La scoperta di una lista, verosimilmente completa, degli scolari pre-
senti a Perugia nel 1443 merita attenzione particolare perchè è
l’unica finalmente conosciuta.

Il gruppo di documenti del fondo Iura diversa interessa gli anni
accademici dal 1439 al 1444, Per la presente pubblicazione si è scelto
l’anno 1443-44 perchè offre, allo scopo documentario, una visione
completa del ruolo dei professori, dei programmi da svolgersi nelle
varie facoltà e della Universitas scholarium che partecipa alla vita
della scuola nell’esercizio di un diritto gelosamente custodito, quale
la scelta di uno scolaro per una cattedra libera di insegnamento, re-
golarmente stipendiato (3).

È inoltre opportuno rilevare che i documenti colgono un mo-
mento della vita universitaria prima della riforma del 1457 e forni-
scono conseguentemente una viva testimonianza della tradizione
trecentesca che verrà in parte modificata dallo statuto del 1457.

Il 18 ottobre, festa di S. Luca, iniziava l’anno scolastico. I docu-
menti che si prendono in esame informano che intorno alla metà del

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S ‘ coltà di diritto canonico, diritto civile e medicina-arti. Qualche giorno

140 UGOLINO NICOLINI O. F. M.

secolo XV la cerimonia dell’apertura si celebrava nella sala inferiore
del Palazzo dei Priori (oggi Sala dei Notari).
La solennità dell'occasione poteva far dimenticare ai magnifici

Priori delle Arti del bimestre settembre-ottobre 1443 le amarezze

profonde del governo.

Le incessanti imposizioni sussidiarie del Piccinino e del suo
luogotenente Carlo Fortebracci, i guasti che nel territorio opera-
vano le soldatesche del capitano della Chiesa, andavano stremando
il comune. « Le cose di Perugia — narra il Pellini — erano in gran-
dissima confusione, perciocchè i cittadini, contadini et arteggiani
si lamentavano apertamente di quelli che reggevano, parendo loro
che per le continue impositioni e gravezze et per lo tanto spesso pa-
gamento dei denari alle genti d’armi del Piccinino, che si faceva,
fosse hoggi mal ridotta la città a tale che né il pubblico né il privato
potesse più resisterle in verun modo et quello che parea loro peggio,
non vedevano che né dai magistrati né dai nobili, che havevano in
mano il governo, né da nessuna altra qualità di persone vi si provve-
desse... Et li nobili per minor lor male, andavano rimborsandosi
per loro quello che haverebbe potuto far corpo alla repubblica, non
senza alteratione dei popolari » (4). Si aggiunga a questo stato di
cose la delusione per la mancata venuta del papa Eugenio IV che
da Siena, di ritorno a Roma, aveva promesso sarebbe passato per
Perugia. Per i preparativi si erano fatte spese rilevanti: ora il
popolo accusava gli amministratori della cosa pubblica di essersi
appropriati di quel denaro (5).

La serena atmosfera, dunque, di quel 18 ottobre rianimava le
autorità cittadine. Erano presenti: il collegio dei Dieci, con a capo
il mercante Mariotto d’Angelo, e tutti i camerlenghi delle Arti; il
vescovo, Giovanni Andrea Baglioni; il podestà, Battista Fresoni
da Terni (6); il bargello e maggior sindaco, Celano Federici da Ter-
ni (7); il governatore e legato papale, Gaspare Diana da Teano, arci-
vescovo di Napoli (8) ; il tesoriere dalla Camera Apostolica, Andrea
Pili da Fano (9).

Alla presenza dei magistrati e del loro sfarzoso seguito, dei pro-
fessori e studenti, dei rappresentanti degli organi amministrativi e
politici del comune, il notaio dei Savi dello Studio, ser Angelo di
Gaspare, detto «lo Scosso », dava inizio alla lettura delle condotte
dei professori.

Nell’elenco figurano trentanove dottori, suddivisi nelle tre fa-
DOTTORI, SCOLARI, PROGRAMMI E SALARI ALLA UNIVERSITÀ, ECC. 141

dopo, il 24 ottobre, i Priori riconfermano l’incarico dell’abaco al reli-
gioso Pietro Segni da Firenze (10) : salgono così a 40 gli insegnanti
per l’anno accademico 1443-44.

Nel diritto canonico si notano 11 professori, che partitamente
così svolgono la materia :

mattino : Decretali 3 letture
pomeriggio : Decreto 1 lettura
Sesto 3 letture
Clementine 2 letture
Decretali 1 lettura
giorni festivi: —Decretali 1 lettura

Si fa menzione di una sola lettura straordinaria di sera, quella
del Sesto, affidata a Baldassarre Signorelli, arciprete della catte-
drale.

Nessuna lettura è affidata quest'anno in concorrenza, mentre
più tardi sarà memorabile quella di Benedetto Capra con Pietro
Baldeschi (11).

Nel diritto civile troviamo in cattedra 13 professori così sud-
divisi :

mattino : Digesto vecchio 2 letture ordinarie in concorrenza
Digesto nuovo 2 letture straordinarie
pomeriggio : Digesto vecchio 3 letture ordinarie in concorrenza

4 letture straordinarie
1 lettura.

Digesto nuovo

giorni festivi: Volume

L'insegnamento dell’arte notaria, affidato a Marco Silvestri

si tiene al mattino o alla sera, secondo gli impegni professionali del
docente.

Da un breve esame comparativo con gli specchi contenuti nel-
l’opera dell’Ermini per i secoli XIV e XV (12) balza subito all’occhio
la dilatazione delle letture sia in diritto canonico che in diritto civile.
In uno stesso anno quasi tutta la materia è fatta oggetto di insegna-
mento; né doveva conseguire, evidentemente, una più veloce ro-
tazione dei corsi prevista forse in un quadriennio (13). Nel diritto
civile le concorrenze rendevano animatissima la partecipazione degli
scolari ai corsi, contribuendo, d'altra parte, ad aggravare gli incon-
venienti.

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LIA LICIA RITO TOSI EU vt.

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UGOLINO. NICOLINI 0. F. M.

La facoltà di medicina e arti è orientata nei tre indirizzi : me-
dicina e chirurgia (teorica, pratica, ortopedia), lettere (abaco, gram-
matica, autori, eloquenza), filosofia.

In medicina, dei cinque professori condotti, quattro leggono il
Canone di Avicenna e uno gli Aforismi di Ippocrate. L'ortopedico
Mancino, confinato sempre all'ultimo posto con quei pochi fiorini
di stipendio, sembra legato da un tenue filo ai ruoli degli insegnanti
dello Studio; e quattro, non cinque — come avrebbe richiesto il
numero dei rioni della città — sono gli insegnanti elementari. Il
cancelliere Tommaso Pontano é docente d'eloquenza e legge questo
anno la Rethorica di Cicerone, e Terenzio.

Tra i professori di filosofia la condotta presa in esame porta
alla luce due nomi del tutto ignoti fino ad oggi alla storia della Uni-
versità di Perugia. Sono due frati Minori, baccellieri nello studio ge-
nerale del convento di S. Francesco al Prato : Giovanni « De Tonsis »
da Fano e Giovanni « magistri Benedicti » da Pesaro. Come ai suoi
confratelli Giovanni da Serravalle (14), Angelo del Toscano e Fran-
cesco della Rovere (15), la cattedra perugina donò un grande pre-
stigio e forse facilitò la carriera al fanese. Infatti nel 1445 successe
a Giovanni da Serravalle nella sede vescovile di Fano (16); l’altro
fa parte del consiglio del suddetto convento ed è ricordato insieme
al ministro della provincia umbra Angelo del Toscano, in un atto

del 1444 (17).

Dalle condotte del 1441 e 1443 si viene a conoscere anche un
aspetto particolare di quella nomade Università perugina del Quat-
trocento. Dove si leggeva ? Aule nelle chiese, aule nelle case private
dei professori, aule dislocate e adattate alla meglio negli uffici e
nei vari rioni della città. « In pede platee », «in medio platee », « in
domibus propriis» sono espressioni che varrebbe la pena di rincor-
rere e analizzare. Ne verrebbe fuori un quadro vivace, ripensando
al suono della « campana scholarium » e alla presenza di tanti stu-
denti di tutte le parti d'Europa. Le vie di Perugia, occupate d'im-
provviso dagli scolari, anche se non tanti come oggi, chierici e laici,
con i grossi volumi in pergamena nelle «sportulae», dovevano
risuonare del nomi di Bartolo e di Cino, di Inforziato e di Glosse
forse come oggi risuonano non meno lietamente di nomi sportivi
e di canzoni da... due soldi.

Quale consistenza numerica poteva vantare lo Studio perugino
verso la metà del secolo XV ? Si é accennato che per questo periodo
non Si conoscevano documenti,
DOTTORI, SCOLARI, PROGRAMMI E SALARI ALLA UNIVERSITÀ, ECC. 143

Nella condotta dal 1441 il notaio dei Savi, pubblicando la let-
tura di Marco Ercolani alle Institutiones, avverte che il medesimo
leggerà nei giorni festivi l'Usus feudorum ; ciò viene ordinato « con-
templatione quamplurimorum scolarium »; per ragione cioè del
gran numero di studenti. Questi « quamplurimi scolares » nel 1443,
secondo il calcolo affrettato e negligente di un notaio (18), sono 114.
Ma sono tutti ? Certo è che nella lista che si pubblica si afferma che
i suddetti 114 scolari sono tutti gli appartenenti alla « universitas
omnium facultatum » aventi diritto di voto nell’adunanza generale.
Sono nominati anche i malati che non possono intervenire e che
votano per delega. Mancano evidentemente gli scolari perugini che
non facevano parte dell’« universitas »; sono quasi certamente pre-
senti i 40 chierici del collegio della Sapienza gregoriana. Secondo
lo statuto di fondazione del cardinale Capocci (19) 12 studenti di
quel collegio dovevano provenire da sei diocesi ultramontane, due
per ciascuna; Urgel e Valencia (Spagna), Terouane-Boulogne e
Autun (Francia), Wirzburg (Germania), Utrecht (Olanda). Gli
altri 28 dalle diocesi italiane: Roma, Tivoli, Velletri, Anagni, Spo-
leto, Narni, Rieti, Amelia, Viterbo, Todi, Orvieto, Camerino e
Osimo (20).

Ora, scorrendo l'elenco degli scolari e dei loro paesi d'origine,
si può notare l’assenza di alcune diocesi ultramontane e ciò potrebbe
indurre a concludere che gli studenti della casa gregoriana fossero
esclusi dalla « Universitas scholarium ». E non si potrebbe d’altronde
supporre che dei posti siano rimasti scoperti per la mancanza di
soggetti idonei nelle diocesi nominate perchè il fondatore del col-
legio, prevista tale possibilità, aveva stabilito che i capitoli delle
cattedrali da lui favorite avrebbero potuto scegliere altri giovani
dei luoghi vicini (21). In questo modo i 10 scolari ultramontani
non coprirebbero ancora i 12 posti dela Sapienza, tanto più che
nella lista figura un Giovanni « de Anglia», nazione esclusa dal
collegio gregoriano. La spiegazione non è facile, nè è il caso di indu-
giarvi oltre.

L'estensione geografica delle provenienze degli studenti, alla
metà del sec. XV non differisce sensibilmente da quella nota del
sec. XIV (22). Essa presenta una decina di scolari ultramontani e
un centinaio di cismontani, originari di quasi tutte le regioni d’Italia,
con forti maggioranze per la Marche, Umbria, Lazio, Regno, Sicilia.

Circa la frequenza alle varie facoltà si può osservare che, data
la costante tradizione perugina di attribuire il titolo di « magister »

Tu

Lu LIS LE FLEX POMA CO "kc A3 Y di. zv. d xe RO ox D atad TEM
144 UGOLINO NICOLINI O. F. M.

solo agli studenti di medicina e arti, 17 risultano iscritti a questa
facoltà ; tutti gli altri frequentano i corsi di diritto civile e canonico.

L'adunanza alla quale partecipano tutti gli scolari della « Uni-
versitas » e indetta nella chiesa di S. Maria del Mercato il 21 maggio
1443, è presieduta dal rettore Tommaso Buchemer da Norimberga.
Per quanto un atto di ordinaria amministrazione in preparazione
del prossimo anno accademico, dimostra tuttavia quello spirito
democratico a cui si improntava tutta la vita dello Studio perugino.

L'esito della votazione non permette, nella eterogeneità delle
provenienze dei votanti per l’uno o l’altro candidato, alcuna illa-
zione sugli eventuali raggruppamenti per nazioni o provincie. E
ci sfugge anche qualsiasi ragione che spieghi la forte maggioranza
ottenuta dallo scolaro di Sulmona. |

Quando, pochi mesi dopo la scelta fatta dagli scolari, il notaio
dei Savi, aprendo l'anno accademico 1443-44 nella cornice di austera
bellezza della sala dei Notari, annunció che Filippo da Sulmona,
«sapientissimus et peritissimus », avrebbe letto per il corso di Filo-
sofia il De generatione et corruptione di Aristotele, la goliardia peru-
gina applaudendo il collega rendeva una delle ultime testimonianze
alla vitalità dello Studio che verso la fine del sec. XV, con la per-
dita della libertà, si sarebbe avviato al suo inarrestabile declino.

UGOLINO NICOLINI O.F.M.

NOTE

(1) Sono quattro fascicoli non cartolati di numero ineguale di carte,
comprese nel mazzo I (1401-1450). Il primo fascicolo comprende 19 carte
sciolte con le domande di 19 professori per ottenere la prima rata dello sti-
pendio nei giorni immediatamente precedenti la festa di Natale del 1439.
Le richieste dei singoli professori sono seguite dalle testimonianze degli scolari
che attestano il regolare svolgimento delle lezioni. Il secondo fascicolo con-
tiene l’elenco di 43 professori condotti allo Studio per l’anno accademico
1441-1442. La proclamazione delle condotte con il programma dei singoli
corsi è fatta durante la cerimonia per l'inaugurazione dell'anno scolastico, il
18 ottobre, nella sala inferiore del palazzo dei Priori. Il terzo e quarto fasci-
colo sono quelli che ora si pubblicano.

(2) G. ERMINI, Storia della Università di Perugia, Bologna 1947, pp. 284
e 321.

(3) G. ERMINI, ibid., p. 404.
DOTTORI, SCOLARI, PROGRAMMI E SALARI ALLA UNIVERSITÀ, Ecc. 145

(4) P. PELLINI, Dell’historia di Perugia, II, Venezia 1664, p. 512.

(5) Cronache della città di Perugia (GRAZIANI), in Archivio Storico Italiano,
16 (1850), Parte I, p. 538 ; il Pellini confuta l’accusa ; cfr. ibid., p. 515.

(6) « De Fresonibus » e anche « De Frosonibus » ; era succeduto a Carlo
Lapi da Cesena ; Archivio di Stato di Perugia (ASP), Arch. st. com., Offici,
n. 8, c. 92r e 95r ; nello stesso vol. tutti gli officiali comunali dell'anno.

(7) ASP, Arch. st. com., Conservatori della Moneta, n. 75, c. 2r.

(8) Biblioteca Augusta, ms. 1827, cc. 4r-60v. (Serie dei legati e vice-le-
gati, redatta dal BELFORTI) ; cf. C. EuBEL, Hierarchia Catholica, II, p. 200.

(9) ASP, Arch. st. com., Conservatori della Moneta, n. 75, c. 1r.

(10) ASP., Arch. st. com., Ann. dec. 1443, c. 127r.

(11) È ricordata nel ms. A 48 della Biblioteca Augusta, c. ir. Le concor-
renze erano seguite appassionatamente dagli scolari e provocavano faziosità
pericolose; il regolamento del Collegio gregoriano ordinava che gli alunni
fra due protessori concorrenti dovevano frequentare sempre il medesimo ;
cfr. U. NicoLinI, S. Giovanni da Capestrano studente e giudice a Perugia, in
Archivum Franciscanum Historicum, 53 (1960), p. 48.

(12) G. ERMINI, op. cit., pp. 33 e 200.

(13) Ip., ibid., p. 394, nota 84.

(14) Ip., ibid., p. 526. Nel 1401 leggeva l’Etica di Aristotele ; ASP,
Arch. st. com., Catasti, gruppo II, n. 8, c. 77v.

(15) Ip., ibid., p. 512.

(16) Cfr. C. EuseL, Hierarchia, It, p. 245 ; II", p. 152.

(17) Cfr. A. FANTOZZI, De Fr. Angelo Christophori perusino, in Arch.
Franc. .Hist., 11 (1918), p. 158.

(18) G. ERMINI, op. cit., p. 321.

(19) Ip., ibid., p. 250-51; U. Nicorini,. Arch. Frane. Hisl; 53 (1960),
p. 44 segg.

(20) A. Rossi, in Giornale di Erudizione Artistica, VI (1877), p. 53-54.

(21) Ip.; ibid;, p. 54.

(22) G. ERMINI, op. cit., p. 69.

DOCUMENTO:A * : DOTTORI E PROGRAMMI SCOLASTICI.

Perugia, 1443, ottobre 18. — Il notaio dei Savi dello Studio proclama la
condotta dei 39 professori che leggeranno, secondo i programuni indicati, nelle
tre facoltà dello Studio perugino. (Archivio di Stato di Perugia, Iura diversa,
mazzo I [1401-1450] fasc. 49).

c. Ir. MCCCCXLIII, die XVIII octobris, lecte fuerunt..... (1) palatii
populi perusini, habitationis et residentie domini potestatis.

In Dei nomine, amen. Sapientissimi iuris pontificii et civilis, artium et
medicine, auctorum et gramatice aliarumque facultatum peritissimi huius

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4) C t ; ! d y n a EN r* Doe "
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146 UGOLINO NICOLINI O. F. M.

almi studii scolares, ceterique prestantissimi patres et domini mei, conducte lec-
ture que mihi presentate per istos famosissimos ac excellentissimos doctores
et magistros ad infrascriptas lecturas legendum et docendum electos et con-
ductos legitime per sapientes almi studii perusini, iste sunt : placeac aud're.

[DIRITTO CANONICO]

1. — Egregius utriusque iuris doctor dominus Lodovicus ser Luce de Anu-
sdei de Perusio, conductus per sapientes studii perusini ad lecturam Decreti de
sero, incipiet legere quando alii doctores incipient in titulo De restitutione
in integrum, ubi anno preterito dimisit (2), et prosequetur ibi vel alibi ad
libitum audientium in scolis consuetis (in scolis eximii legum doctoris domini
Baldi ser Cole de Perusio, sitis iuxta palatium dominorum Priorum).

2. — Eximius utriusque iuris doctor dominus Matheus Filitiani de Pe-
rusio, conductus ad lecturam Decretalium de mane, incipiet legere quando
alii doctores legere incipient et leget in titulo De restitutione in integrum ubi
anno preterito dimisit et prosequetur ibi vel alibi ad libitum audientium in
domibus propriis in campana scolarium ; (in scolis propriis iuxta Sanctam
Mariam Mercati in medio plathee).

3. — Eximius utriusque iuris doctor dominus Benedictus ser Filippi de
Perusio, conductus ad lecturam Decretalium de mane, incipiet legere quando
alii doctores legent ; incipiet in titulo De litis contestatione et prosequetur ibi
vel alibi ad libitum audientium, in scolis suis consuetis, in campana scola-
rium.

4. — Reverendus in Christo pater dominus Angelus Felice de Nardutiis .
abbas Sancti Poli, decretorum doctor excellentissimus, conductus ad lecturam
Decretalium de mane incipiet legere die qua alii doctores legere incipient in
titulo De causa possessionis et proprietatis (3) et prosequetur.... in scolis
suis consuetis in campana scolarium (in scolis excellentissimi utriusque iuris:
doctoris domini Angeli de Periglis).

9. — Reverendus in Christo pater dominus Baldaxar de Signorellis de
Perusio, archipresbiter perusinus, decretorum doctor eximius, conductus ad
lecturam Sexti extraordinariam de sero, incipiet legere die qua alii doctores
legere incipient et leget in titulo De rescriptis et prosequetur... in scolis
suis consuetis (in pede platee).

6. — Eximius utriusque iuris doctor dominus Nicholas domini Dionisii
de Barigianis, conductus ad lecturam Sexti de sero leget in titulo ...(4) et
prosequetur in domibus propriis.
DOTTORI, SCOLARI, PROGRAMMI E SALARI ALLA UNIVERSITÀ, Ecc. 147

c. lv. 7. — Eximius utriusque iuris doctor dominus Baldus ser Cole de
Perusio conductus ad lecturam Sexti de sero, incipiet legere... in titulo De
prebendis, continuando ubi dimisit et prosequetur...; in scolis sitis iuxta
palatium dominorum Priorum.

8. — Eximius utriusque iuris doctor dominus Conte domini Sacci de Pe-
rusio, conductus ad lecturam Clementinarum de sero,..... leget in titulo
De magistris et prosequetur... in scolis consuetis.

"

9. — Reverendus in Christo pater dominus Luchas de Ballionibus de Peru-
sio, abbas Sancti Felicis, conductus ad lecturam Clementinarum de sero...
leget in titulo De offitio vicarii, ubi anno preterito dimisit et prosequetur...
in scolis eximii utriusque iuris doctoris domini Petri de Ubaldis.

10. — Egregius utriusque iuris doctor dominus Filippus ser Andree de
Perusio, conductus ad lecturam Decretalium de sero... leget in titulo De
accusationibus, ubi alio anno dimisit, in scolis suis consuetis.

11. — Egregius decretorum doctor dominus Bartolomeus Nicole canoni-
cus ecclesie Sancti Laurentii, conductus ad lecturam Decretalium diebus
festivis... leget in titulo De calumpniatoribus in quinto libro, et proseque-
tur...; in ecclesia Sancte Marie de Viridario.

[DIRITTO CIVILE]

12. — Famosissimus legum doctor dominus Johannes Petrutii de Mon-
tesperello, conductus ad lecturam ordinariam Iuris Civilis de mane... inci-
piet legere in campana scolarium et leget Digestum Vetus in titulo De of-
fitio eius cui est mandata iurisdictio ; in scolis suis novis iuxta Sapientiam No-
vam (5).

13. Eximius legum doctor dominus Mattheus Tini de Perusio, conductus ad
lecturam Iuris Civilis ordinariam de mane incipiet legere... in campana
scolarium et leget Digestum Vetus in titulo De offitio eius cui est mandata
iurisdictio ; in scolis consuetis.

14. — Famosissimus utriusque iuris doctor dominus Angelus de Periglis
de Perusio, conductus ad lecturam Iuris Civilis de sero extraordinariam...
incipiet hora (6) et leget Digestum Novum in titulo De verborum obliga-
tionibus, in scolis suis consuetis.

15. — Famosissimus utriusque iuris doctor dominus Jachobus Tiberutii de
Raineriis de Perusio, conductus ad lecturam extraordinariam Iuris Civilis
de sero . . . leget Digestum Novum in titulo . . . (7), in scolis (8) (excellentissimi

legum doctoris domini Iohannis de Montesperello consuetis).
148 UGOLINO NICOLINI O. F. M.

16. — Egregius legum doctor Jachobus Tancii de Perusio, conductus ad
lecturam extraordinariam Iuris Civilis de sero... leget Digestum Novum
in titulo De appelattione in scolis suis consuetis (in pede platee).

17. — Egregius legum doctor dominus Jachobus Binorfi de Perusio, con-
ductus ad lecturam extraordinariam Iuris Civilis de sero leget...(9) in
scolis consuetis, sitis... . (10).

18. — Eximius legum doctor dominus Carolus ser Fraricisci de Perusio,
conductus ad lecturam extraordinariam Iuris Civilis de mane... incipiet le-
gere in campana scolarium, et leget Digestum Novum, in titulo De appela-
tionibus, in scolis suis consuetis.

19. — Eximius legum doctor dominus Mansuetus domini Francisci de
Perusio conductus ad lecturam extraordinariam de mane... leget Digestum
Novum in titulo ... (11) in scolis consuetis sitis in domibus propriis in pede
platee.

c. 2v. 20. — Egregius legum doctor dominus Grabriel ser Bevegnatis
conductus ad lecturam ordinariam Iuris Civilis de sero ..... incipiet legere
per horam ante lectionem Iuris Civilis extraordinariam de sero et leget Di-
gestum Vetus in titulo De rei vendicatione ; in scolis suis consuetis sitis . . . (12).

21. — Egregius legum doctor dominus Petrus Mathei de Ubaldis de Pe-
rusio, conductus ad lecturam Iuris Civilis ordinariam de sero, incipiet legere
per horam ante lectionem Iuris Civilis extraordinariam de sero et leget Dige-
stum Vetus in titulo De-rei vendicatione ; in scolis suis consuetis in domibus
propriis.

22. — Egregius utriusque iuris doctor dominus Tindarus Alfani de Peru-
sio conductus ad lecturam [Iuris Civilis ordinariam de sero..... incipiet
legere per horam ante lectionem Iuris Civilis extraordinariam de sero et leget
Digestum Vetus in titulo De rei vendicatione et hoc in scolis consuetis sitis in
medio platee.

23. — Egregius legum doctor dominus Felix ser Angeli (Poccioli) de
Perusio conductus ad lecturam Voluminis diebus festivis incipiet legere
hora XXI et leget librum Institutionum in principio.....; in scolis eximii
utriusque iuris doctoris domini Petri de Ubaldis.

24. — Egregius legum doctor dominus Marchus Silvestri conductus ad
lecturam Artis Notarie... leget in dicto libro in principio et in Notulis et
Institutiones (sic) . . . . . in scolis consuetis.
DOTTORI, SCOLARI, PROGRAMMI E SALARI ALLA UNIVERSITÀ, Ecc. 149

[MEDICINA]

c. 3r. 25. — Famosissimus et excellentissimus Artium et Medicine doctor
Magister Luchas ser Simonis de Perusio conductus ad lecturam ordinariam
Medicine de sero..... leget primam Fen quarti Canonis Avicenne, hora
XXI...;in scolis suis consuetis.

26. — Clarissimus Artium et Medicine doctor magister Matiolus magistri
Baldaxaris de Perusio, ad lecturam ordinariam Medicine de mane... leget
primum librum Canonis Avicenne..... in scolis consuetis.

27. — Egregius Artium et Medicine doctor magister Bartolomeus de
Gualdo, ad lecturam conductus ordinariam Medicine de mane, leget primam
Fen primi Canonis Avicenne, in scolis famosissimi doctoris magistri Luce.

28. — Egregius Medicine doctor magister Antonius Angelutii, ad lecturam

Medicine; in nonis, ; ..... leget librum Ipocratis Afforismorum .....
29. — Egregius Medicine doctor magister Andreas de Fabriano ad lectu-
ram Cerusie et Pratice... leget tertium Fen quarti Canonis Avicenne : De

apostematibus, erniis et pustulis ; in scolis consuetis.

[FILOSOFIA]

c. Jv. 30. — Egregius Artium et sacre Theologie doctor magister Johannes:

de Fano, ordinis beati Francisci, conductus ad lecturam filosofie de mane
leget librum De anima in scolis suis consuetis.

31. — Egregius Artium et sacre Theologie doctor magister Alexander
de Saxoferrato, ordinis sancti Augustini, conductus ad lecturam filosofie ordi-
nariam. de. mane... leget librum..... (13); in*'scolis.--—... (14).

32. — Venerabilis frater Johannes de Pensauro, ordinis beati Francisci,
leget Loicam de mane, de sero vero filosofiam ; pro lectione Loice de mane
leget librum posteriorem et pro lectione filosofie de sero leget Artem Vete-
rem et Loicam magistri Pauli.....; in scolis suis consuetis sitis in ecclesia
Sancti Augustini.

33. — Sapientissimus et peritissimus universitatis perusine scolaris
magister Filippus de Sulmona, conductus a dicta universitate ad lecturam
filosofie extraordinariam diebus festivis et in diebus quibus per alios non
legitur, incipiet legere sequenti die festiva in qua per alios non legitur,

MM BRUN X RE TERNURA e PO
150 UGOLINO NICOLINI O. F. M.

hora...(15) et leget librum De generatione et corruptione Aristotelis et pro-
sequetur ibi vel alibi ad libitum audire volentium, in scolis famosissimi
utriusque iuris doctoris domini Angeli de Periglis.

[GRAMMATICA E AUTORI]

34. — Eloquentissimus orator nec non cancellarius huius alme urbis
perusine dignissimus, dominus Tomas Pontanus, ad legendum Artem ora-

toriam et auctores conductus, leget Rectoricam Veterem Ciceronis et Teren-
tium.et ;.... (16).

35. — Magister Iachobus de Cingulo

36. — Magister Guido de Insula omnes ad Gramaticam et
Auctores legendum et
37. — Magister lohannes de Fratta docendum conducti.
38. ne Magister Johannes Petri de Perusio
39. — Mancinus de Perusio ad religandum et actandum ossa conductus.
Deo laus.

NOTE AL DOCUMENTO A

* Avverto che nella trascrizione del documento i puntini indicano parole
tralasciate per brevità e il cui testo integrale si legge nei numeri 1, 2, 3; op-
pure lacune nel ms. : in questo caso sarà fatta la segnalazione in nota.

In alcuni casi nella condotta non era specificata l'ubicazione della scuola :
l'ho integrata — quando era possibile — ricorrendo alla condotta del 1441
(fasc. 2) e scrivendo tra parentesi e in corsivo la frase alla fine della singole
condotte.

(1) Perdita di alcune parole per la lacerazione del fascicolo nell'angolo
superiore destro.

(2) Le parole «De... integrum » sono cancellate ; le altre «ubi... di-
misit » sono interlineate e poi cancellate con un frego di penna.

(3) Nel margine sinistro l'aggiunta : «in capitulo Cum ecclesia statueret ».

(4) Lacuna. :

(5) «Adi 8 de ottobre, in martedì, comenzaro a stanziare et abitare li
studenti nella Sapienza nuova, et ciascuno scolaro overo studente che vole
stanziare li, paga fiorini 40 per tempo de sette anni. Et ditta Sapienzia prima
era un'osteria, e chiamavasi albergo del Leone ; anche che messer Benedetto
dei Guidalotti comparò ditto arbergo, et li ordinó et fece fare la Sapienzia » ;
Cronache (GRAZIANI), in Arch. St. It., 16 (1850), Parte I, pag. 539 ; fr. G. En-
MINI, 0p. cit., pagg. 352-53.
DOTTORI, SCOLARI, PROGRAMMI E SALARI ALLA UNIVERSITÀ, Ecc. 151

(6) Lacuna.

(7) Mezza riga in bianco.

(8) Lacuna.

(9) Quasi tutta la riga lasciata in bianco.

(10) Lacuna,

(11) Perdita di varie parole per la lacerazione del fascicolo nell’angolo
inferiore sinistro.

(12) Lacuna.

(13) Lacuna.

(14) Spazio in bianco.

(15) Lacuna.

(16) Lacuna.

DOCUMENTO B: ADUNANZA DEGLI SCOLARI

Perugia, 1443, maggio 20-21. — La « Universitas scholarium » dello Studio
di Perugia, riunita nella chiesa di S. Maria del Mercato sotto la presidenza
del rettore Tommaso Buchemer da Norimberga, chiama per votazione lo scolaro
Filippo da Sulmona a leggere Aristotele nel prossimo anno accademico 1443-44
(Archivio di Stato di Perugia, Jura diversa, mazzo I [1401-1450], fasc. 3°).

c. lv. — In nomine Domine, amen. Anno Domini millesimo CCCCXLIII,
indictione sexta, tempore domini domini nostri Eugenii (divina) (1) pro-
videntia pape quarti; die XX mensis maii. Actum Perusii in domibus filio-
rum olim et heredum... (2) de Ballionibus de Perusio Porte Sancti Petri,
presentibus domino Tranquillo de Roma et domino Malatesta de Castello,
testibus ad infrascripta... descripta, vocatis, habitis et rogatis.

Pro magistro Iuliano:

dominus Francischus de Gallese, infirmus, moram traens in dictiis domi-
bus cum domino abate, dedit, commisit, et delegavit vocem suam tanquam
unus ex scolaribus universitatis, domino Petro de Urbe, presenti et acceptanti
pro magistro Iuliano de Urbe, scolari querenti lecturam universitatis a sco-
laribus ipsius universitatis et predicta dixit facere omni meliori modo etc.

Eisdem millesimo, pontificatu et die. Actum in domibus magistri Egidi
pictoris, sitis in Porta Sancti Angeli et parochia Sancte Marie de Viridario,
presentibus dictis testibus et dicto domino Petro, et Sano scuterio reverendi
domini gubernatoris, testibus rogatis.

Pro magistro Iuliano :
dominus Iohannes Corendoche de Alemania alter scolaris dicte üniver-
‘sitatis, infirmus et vulneratus, omni modo etc., dedit, commisit, consigna-

X
a ih.

t c dC VOMEAE
152 UGOLINO NICOLINI O. F. M.

vit et delegavit vocem suam domino Honofrio de Roma licet absenti, pro
domino magistro Iuliano.

Eisdem millesimo, indictione, pontificatu et die. Actum Perusii in do-
mibus habitationis et residentie nobilis domini Iachobi de la Racta sitis iuxta
maiestatem Volte, presentibus ser Nicholao Silvestri Porte Sancte Subxanne
et domino Severio ser Laurentii Porte Sancti Angeli, testibus rogatis.

Pro magistro Filippo :

Dominus Lodovicus de Rocchacontrata, scolaris dicte universitatis,
commisit, dedit et consignavit et delegavit vocem suam domino Iachobo de
la Racta predicto pro magistro Filippo, alio scolari querenti lecturam prefac-
tam, omni meliori modo etc.

Eisdem millesimo, indictione, pontificatu, die, testibus. Actum Perusii
in domibus residentie reverendi patris domini Angeli de Trano protono-
tarii, sitis in Porta Sancte Subxanne, parochia 1 ancti Severi.

Pro domino Filippo :

Reverendus pater dominus protonotarius, videlicet dominus Angelus
de Trano protonotarius, dedit concessit et cessit, commisit et delegavit
vocem suam domino Iachobo supradicto, presenti et intelligenti et accep-
tanti pro domino magistro Filippo. Dixit se sentire gravatum.

Eisdem millesimo, pontificatu et die, loco et testibus.

Dominus Petruspaulus de Citerna similiter dedit vocem suam, commisit
et consignavit dicto domino Iachobo presenti etc.

Actum in ecclesia Sancti Iohannis Rotundi presentibus domino ser Ni-
colao et domino Amicho de Aquila, testibus rogatis.

Pro magistro Filippo :
Dominus Petrus de Balneo similiter dedit, cessit delegavit etc. vocem

suam domino Iachopo prefato. Et de predictis dixit omni meliori modo etc.
quia infirmus.

c. lv. — Eisdem millesimo CCCCXLIII, die XXI. Actum in domibus
habitationis et residentie... (3), presentibus Herculano Massiarelli Porte
Solis, Dominicho Antonii, sutoribus de Perusio Porte Sancti Angeli, testibus
rogatis.

Pro magistro Filippo :
Dominus Ghuilielmus et Galcarandus de Catalognia, commisserunt
eorum vocem domino Iachobo da la Ratta presenti et eidem totaliter delega-
verunt. Dixerunt non posse interesse cum ceperint medelam.

Eisdem millesimo, indictione, pontificatu. Actum Perusii in Porta Sancti
Angeli et parochia Sancti Donati, ante cameram calcolariorum infrascrip-
torum, presentibus Meo iudice Porte Solis, parochie Sancti Simonis, Barto-

DORIS SE SAI
DOTTORI, SCOLARI, PROGRAMMI E SALARI ALLA UNIVERSITÀ, ECC. 153

lomeo Benedicti de Gualdo, testibus rogatis calcolariis. Dominus Bartolo-
meus de Montebodio, unus ex scolaribus dicte universitatis commisit vocem
suam magistro Iachobo. Dixit se velle 4 equites (4).

Pro magistro Filippo 73 voces

Pro magistro Iuliano de Roma 38 voces

Dominus Rafael de Pensauro (pro) mg. Filippo

Dominus Antonius

Magister Iachobus de Roma (pro) mg. Iuliano :
Dominus Petrus de Florentia (pro) mg. Filippo

Dominus Adovardus de Spoleto dedit

Dominus Tomasus de Monte Corbo

Dominus Paolus de Paulis

Dominus Angelus de Sancta Natoglia (dedit) domino Iuliano (5).

c. 2r. — Pro lectura 1443, die XXI maii data, et incipiet legere...(6)
de mense octobris proxime futuri.

In nomine Domini, amen. Infrascripti sunt omnes et singuli scolares
universitatis omnium facultatum studentes in hoc almo studio perusino,
vocem eorum dantes infrascriptis scolaribus, tempore magnifici et generosi
viri domini Tomassi Buchemer de Nurechunberghia, rectoris huius almi
studii perusini.

Convocata, congregata, choadunata dicta universitate almi studii Perusii
in dicta ecclesia Sancte Marie de Merchato ubi congregari solet et debet, de
mandato dicti domini rectoris, facta prius monitione et citatione de scola-
ribus universitatis per omnes et singulas scolas per Erige teutonicum et vice
bidellum dicte universitatis, in qua quidem universitate intervenerunt in-
frascripti scolares, videlicet :

N Mat Mcd ves ee SO” da
X. RO. LA 3 i TA c Lai Ale IN B. c 1
154 UGOLINO NICOLINI O. F. M.

Pro magistro Filippo de Sulmona

Pro magistro Iuliano de Urbe

Nobilis vir dominus Iachobus de
la Racta de Sexa electus pro parte
dicti magistri Filippi ad audiendum
voces eius imprimis dandas pro lec-
tura optinenda :

Dominus Iohannes de Sulmona
» Baldaxar de Salerno

» Antonius et ; de Pensauro
Rafel

» Petrus de Florentia

» Andreas de Salerno

» Angelus de Fabriano

» Silvester de Urbino

» Albertus de Fabriano

» Nicholaus de Cecilia

» Nicholaus de Castello
magister Ciucianus de Montemonaco
dominus Milius de Eschulo
magister Raimundus de Interande
magister Honofrius de Amatrice
dominus Henrichus de Alemania

» Lodovichus de Matelicha

» Andreas de Camerino

» Iulianus de Cingulo
c.2U » Michael de Viterbio

» Nicholaus de Sancta Victoria

» Stefanus (de) Trano (7)

» Iohannes de Sancto Seve-

rino

» Paulus de Cicilia

» Antonius de Nepe

» Mateus de Sutrio

» Antonius de Fano

» Baptista de Monte de No-

vem
» Nicholaus de Sancto Lupidio
» Iohannes Franciscus de
Monte Sancte Marie in
Giorgio

» Iohannes de Rachaneto

» Bartolomeus de Montebodio
magister Petrus de Camerino
dominus Andreas de Neapoli

» Rainaldus de Cicilia

» Lodovicus de Camerino

» plebanus de Camerino

Petrutius de Aquila



Sapiens vir dominus Honofrius de
Roma electus pro parte dicti magi-
stri Iuliani ad audiendum voces dan-
das eidem pro lectura optinenda :

Magister Iachobus de Roma
dominus Iohannes Paulus

» Iohannes de Camerino

» Paulus de Carpineto

» Corradinus de Interanda
magister Silvester de Amelia
dominus Paulus de Turri

» Iachobus de Tollentino

dominus Petrus de Roma pro domino
Iohanne Corendroche de
. Alemania
» Franciscus de Viterbio
C: 2D.

dominus Luchas de Roma

» Pace de Amelia

» Baptista de Reate

» Iohannes de Viterbio

» Iachobus de Amatrice

» Iohannes de Tuschannella

» Antonius de Veruli
magister Dominicus de Montebodio

» Serafinus de Camerino
dominus Blaxius de Eugubio

» Ierolamus de Urbe
magister Paulus. de Sinia (8)
dominus Fulgentius de Roma
magister Ambroxius de Cortonio

» Benedictus de Formio

» Simon de Alemania

» Nicholaus de Sarnano (9)
dominus Iohannes de Stronconio (10)

» Marcus de (11)

» plebanus de Camerino

» Landislaus de Cantalupo

» Francischus de Fabriano

» Iachobus de Camerino

» Iohannes de Anglia
Peso

"EP

DOTTORI, SCOLARI, PROGRAMMI E SALARI ALLA UNIVERSITÀ, ECC.
Pro magistro Filippo de Sulmona Pro magistro Iuliano de Urbe
dominus Iochobus de Roma
» Cristoforus de Sutrio (12)
magister Antonius de Sutro i
dominus Dominichus de Cingulo COP;
» Francischus de Trano
» Francischus de Callio dominus Angelus de Orte :
» Marcogus de Egubio » Dionisius de Roma
» Propositus de Aquila » Baptista de Nursia
» Nicholaus de Tauleto (13) » Bartolomeus de Monte Bo-
» Michael de Alemania dio
magister Enricus de Alemania ;
dominus Iohannes de Francia
cór » Galassus de Aquila
» Taddeus de Mutina
» Iachobus de Asisi
» Nicholaus de Camereno
» Iohannes de Carramanicho
» Androla Antonius de Nea-
poli
magister Felix de Fulgineo
dominus Angelinus de Interande
magister Iohannes Baptista de Nur-
sia
dominus Cataldinus de Monte Sancto
magister Dionisius de Nursia
dominus. Alvisius de Nursia
» Antonius de Sulmona
» Petrus de Alemania
» Iachobus de Aquila
» Nicholaus de Nursia
» Iachobus de Nursia
» Lodovicus de Rocchacon-
trata
reverendus pater dominus protono-
notarius
dominus Petrus de Baluco
» Galcarandus et de Catalonia
» Ghuilielmus
c. dv. — Eisdem millesimo, indictione, pontificatu, die X XI dicti mensis,
presentibus domino Francischo .....(14) priore et gubernatore dicte ecclesie
Sancte Marie de Merchato et Mariocto .....(15) de Perusio Porte Sancti
Petri, testibus ad infrascripta vocatis abitis et rogatis.
Confirmatio :
supradictus dominus Tomas rector prefatus.....(16).

t OC ORE PEDRO
156 UGOLINO NICOLINI O. F. M.

NOTE AL DOCUMENTO B

(1) L’angolo superiore destro è stato lacerato, con la conseguente perdita
di alcune parole delle prime tre righe.
(2) Due o tre parole perdute.
(3) Spazio in bianco.
(4) «4 equites » : lettura incerta. ?
(5) Alcuni di questi nomi sono in scrittura pressoché illeggibile e cancel-
lati con freghi di penna. Il documento é certamente la minuta che aveva sotto
mano il notàio durante la votazione.
(6) Perdute due o tre parole per la lacerazione del foglio.
(7) Lettura incerta.
(8) Lettura incerta.
(9) Lettura dubbia per la lacerazione dovuta al foro della filza.
(10) Nome cancellato con frego di penna.
(11) Anche questo nome é cassato.
(12) Subito dopo segue la parola : «suspendatur ».
(13) Lettura dubbia.
(14) Lacuna.
(15) Spazio in bianco.
(16) Sospeso cosi.
DOTTORI, SCOLARI, PROGRAMMI E SALARI ALLA UNIVERSITÀ, ECC. 157
Appendice

TABELLA ESEMPLIFICATIVA DEI SALARI

Avvertenza

Il seguente prospetto presenta i ruoli dei professori della Uni-
versità di Perugia con i loro stipendi per gli anni accademici 1437-38,
1438-39, 1443-44. Si aggiunge poi il ruolo parziale del 1461-62 allo
scopo di illustrare il variare degli stipendi a seconda dell'importanza
della materia, del valore dell’insegnante o di altre cause particolari.
Gli stipendi scelti per l'esemplificazione completano il breve quadro
esposto nelle pagine precedenti e dimostrano le variazioni a breve
e lunga distanza di anni, come pure la durata della permanenza in
cattedra. i

Avverto inoltre :

a) la materia d’insegnamento inserita nel prospetto non ha
valore assoluto quando si tratta della facoltà di diritto can. e di
diritto civ. ;

b) in qualche caso, pur risultando il dottore « condotto »,
lo stesso nome non figura nell’elenco degli stipendi erogati dai Con-
servatori della Moneta ; |

c) i maestri di filosofia spesso si sostituiscono nello stesso
anno ; risulta però lo stipendio di uno solo;

d) le somme sono espresse in fiorini « secundum stilum Camerae
Apostolicae » ; :

e) i nomi segnati coll'asterisco non figurano nella Storia
dell’Università di Perugia di G. Emwiwi (Bologna 1947).

Fonti

Il prospetto è stato compilato sulle seguenti fonti :

per l'anno 1437-38 : Archivio di Stato di Perugia, Arch. st. com.,

Conservatori della Moneta, n. 73, cc. 9r-10v ;

per l'anno 1438-39: Archivio di Stato di Perugia, Arch. st. com., ;
Conservatori della Moneta, n. 74, c. 9r-v ;

per l'anno 1443-44 : Archivio di Stato di Perugia, Arch. st. com.,

Conservatori della Moneta, n. 75, cc. 5v-6r;

per l'anno 1461-62: S. MAJARELLI-U. NICOLINI, Il Monte dei Po-

veri di Perugia. Periodo delle origini (1462-

1474), Perugia 1962, pp. 391-94.

MA A NEN US VELIE VR UOTA TERI ware

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5 Necesita 158

UGOLINO NICOLINI O. F. M.

—_———————_——rr_xrrroz==" ; E - LI DISSI E liim "TEZZE

TA

Anni Accademici
PROFESSORI Disciplina
1438 | 1459 p

Matteo Feliziani Di. Ca. |f. 160 |f. 160
Baldassarre Signorelli* Di. Ca. 60| 64
Giovanni Montesperelli Di. Ci 184! 195 f. 240
Angelo Perigli Di. Ci. 140| 140
Benedetto Capra Di. Ca. 20| 120 190
Giacomo Cavargenti(Binorfi ?)* Di. Ci. 20 20
Angelo Di Iacopuccio Di. Ci. 20
Marco Ercolani Ar. Not.

e D Gi 20 20
Bartolomeo Schiatti Di. Ci 30 56
Matteo Tini Di. Ci 54 55
Giacomo Tanci Di. Ci 20 20
Ivo Coppoli Di. Ci 164, 175
Giacomo Ranieri Di. Ci. 140| 140
Carlo Contoli Di. Ci. 34| 40 70
Lodovico Agnusdei Di. Ca. 30 31
Matteo d'Antonio da Gualdo Di.< Ct 54 40
Marco Silvestri* Ar. Not 20 30
Giacomo d'Antonio — Di. Ci. 30 30
Francesco .Mansueti Di. Ci. 164
Gabriele di Bevignate Di. Ci, 20 27 48
Nicola Barigiani Di. Ca. 24 32 50
Francesco da Norcia Med 64 65 |
Antonio Angelucci Med 74 75 101
Iacopo da Cingoli Gramm. 34 30
Giovanni di Pietro* Gramm. 10
Mancino* Ortoped. 10 10
Lello di Giovanni* Ortoped. 10 10
Luca Baglioni Di. Ca.
Conte di Sacco Di.-Ca. 20
Baldo Bartolini Di. Ca. 20 110
Andrea da Fabriano Med.
DOTTORI, SCOLARI,

PROGRAMMI E SALARI ALLA UNIVERSITÀ, ECC.

Anni Accademici

159

Bartolomeo di Nicola*

19 4 » d y j Ey
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pa af Sc Wage 9.

A UA Pe i
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ni TAR V BA | P

- ^.

CIN
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E Ye PETRI TAR

PROFESSORI Disciplina
Ade
.Giovanni dalla Fratta* Gramm 20 20 35 58
Guido d'Antonio da Isola Mag. | Gramm 70| 70|: 55| - 70
Baldassarre di Guglielmo Med 60 60 202
Luca di Viva, O. P. Fil. 30 40
Antonio Silvestri da Firenze* Abaco 34 35
Luca di Simone Med 300! 350, 300
Mattiolo di Baldassarre Med 74 75| 100
Nicolò da Narni, O.E.S.A.* Fil. 30
Riccardo da Castagnaccio* Fil. 30
Alessandro da Sassoferrato,
O.E.S.A. Fil. 20 30 30
Giovanni «De Tonsis» da Fano, 42
O. Min.* Fil. 15
Giovanni da Pesaro, O. Min.* Fil.
Paolo da Roma O.E.S.A.* Fil.
Egidio da Orvieto (religioso)* Fil. 15
Bartolomeo da Gualdo Cattaneo Med. 70| 70) ^46
Felice Poccioli Di. Ci. 20| 05] 49
Riccardo Riccardi* Di.Ci.
Filippo di ser Andrea (Franchi ?) Di. Ca. 20 30
Battista di Nicola da Gubbio Med 20
Lorenzo di Giacomo di Gentile Diz:Ca:
Michelangelo Roselli da S. An-
gelo in Vado* Di. Ci 62| 101
Mansueto Mansueti Di. Ci 57
Pietro Baldeschi Di. Ci 50
Tindaro Alfani Di. Ci 50
Giovanni da Civitella* Med. 98
Angelo Narduzzi* Di. Ca. 50
Pietro Segni da Firenze (religioso) | Abaco
IV° CONVEGNO STORICO REGIONALE

SUL TEMA

STORIOGRAFIA E STORIOGRAFI IN UMBRIA NEL SEC. XIX

(Terni, 11-12 novembre 1961)

11 Novembre

— Apertura del Convegno —

Nella Sala di Apollo e Dafne a Palazzo Carrara, con la partecipa-
zione di numerose autorità civili e militari, alle ore 10,30 ha avuto
luogo l'apertura del Convegno con il discorso di saluto del Sindaco
prof. Ezio OTTAVIANI : Rivolgo un fervido saluto a nome dell Ammini-
strazione Comunale, a nome, possiamo dire, della intera popolazione
della nostra città. Non siamo usi ad aprire lavori in questo campo, in
questo settore così altamente culturale. Ed è proprio per questo motivo
che la nostra soddisfazione è oggi veramente grande. È anche mio do-
vere ringraziare gli organizzatori di questo IV Convegno, per avere
voluto scegliere come sede del Convegno stesso la nostra Città. Auguro
al Convegno il miglior successo. Il Convegno propone all’attenzione un
tema di particolare interesse per la nostra Regione, tema che ben si
inquadra nel ciclo di manifestazioni che da un triennio si stanno svol-
gendo un. pò dappertutto nel nostro Paese. Il Convegno con la sua
relazione, con le comunicazioni che ci saranno, darà sicuramente un
contributo notevole all’approfondimento di quegli studi su scala regionale
di cui tanto sentiamo bisogno. Non si arriverà mai a una vera storia
nazionale senza un apporto serio, approfondito, documentato della realtà,
della vita, della storia delle varie località. Io sono sicuro che dal Con-
vegno verrà un contributo notevole a questo sforzo che è stato esaltato
proprio nel triennio del Centenario dell Unità d’Italia. Vi rinnovo il
saluto e il benvenuto. E buon lavoro.

Prende poi la parola il Presidente della Deputazione di Storia
Patria per l'Umbria : Ringrazio il Sindaco di Terni per il cortese saluto

Ele dicono
IV? CONVEGNO STORICO REGIONALE 161

rivolto ai partecipanti a questo nostro Convegno e soprattutto lo ririgrazio
per il concorso materiale e morale prestato con l’ Amministrazione ch'egli
così degnamente presiede alla organizzazione e alla felice riuscita di
questa manifestazione. Sin dal primo colloquio ch'io ebbi con lui or è
qualche mese per metterlo al corrente del proposito formulato dal Consi-
glio Direttivo della Deputazione di iniziare a Terni la ripresa del ciclo
dei Convegni Storici regionali ebbi la certezza del favore col quale sin
dalla prima presa di contatto con questa industre e patriottica città venne
ad essere confortata la nostra iniziativa, che tanto apertamente trovava
favorevole accoglienza presso una persona di cultura e per l'ufficio
ricoperto così rappresentativa quale è il Sindaco di Terni.

Per il concorso fornito alla organizzazione di questo Convegno
ringrazio caldamente l’ Amministrazione Provinciale e l'Ente Pro-
vinciale per il Turismo di Terni.

Rivolgo anche alle Autorità presenti, ai Soci e agli invitati il più
caloroso saluto da parte mia e del Consiglio Direttivo della Deputazione.

Nell'attuazione del programma che abbiamo formulato per la ripresa
di piena attività della Deputazione uno dei punti fondamentali per
riprendere diretto contatto con i nuclei più vitali di cultori e d'amanti
degli studi storici della regione è costituito appunto dai Convegni storici
regionali, che consideriamo uno strumento efficace per esercitare uno
stimolo operante a suscitare e a indirizzare verso positivi risultati il
culto per le memorie più valide della storia dell' Umbria. Dopo quelli
veramente fortunati tenuti nel '39 ad Orvieto, nel '46 a Perugia, nel '47
a Gubbio giunge ora questo Quarto Convegno di Terni.

Viene spontaneo di ricordare che nel Politeama di Terni si svolse
nei giorni 21, 22, 23 settembre 1902 un nutrito Convegno di studi storici
a chiusura delle feste indette per commemorare il centenario della Ca-
scata delle Marmore. Volgeva allora la stagione aurea della Deputa-
zione caratterizzata da un clima di fervidissima operosità di ricerca e
di studio sui principali aspetti della storia regionale. Presidente era
allora il conte Paolo Campello Della Spina e fra la nutrita schiera di
studiosi e di storici che parteciparono attivamente al Convegno si no-
favano i nomi dei ternani Paolano Manassei, Luigi Lanzi, Riccardo
Gradassi Luzi e poi quelli di Giustiniano Degli Azzi, Luigi Fumi,
Francesco Guardabassi, Giuseppe Mazzatinti, Oscar Scalvanti, Giu-
seppe Sordini, Vincenzo Ansidei, Ciro Trabalza, Angelo Sacchetti
Sassetti, Francesco Briganti, Giovanni Magherini Graziani, nomi che
hanno lasciato un’indelebile impronta non solo nel campo degli studi
storici locali, ma anche in quello più vasto della cultura nazionale,

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IV? CONVEGNO. STORICO REGIONALE

Tenne in quel consesso una sua magistrale relazione il prof. Giu-
seppe Bellucci sul tema « I primi abitatori di Val Ternana» e l'As-
semblea per favorire il moto ascensionale da cui la Deputazione era
animata nella preoccupazione legittima di provvedere i mezzi materiali
occorrenti per l’espansione della sua azione di valorizzazione culturale
e di elevazione civile della Regione Umbra fece voti per la concessione di
contributi, sia pur modesti, da parte di tutti i Comuni della Provincia
(Umbria era allora inclusa in un'unica provincia) affinchè facilitas-
sero-il conseguimento degli scopi che la Deputazione persegue.

Quali erano e quali sono tuttora tali scopi? È presto detto : pro-
muovere gli studi storici nell’ambito regionale, raccogliere nel suo grembo
tutte le forze vive operanti in questo settore, favorire e assecondare col
sussidio della sua specifica competenza e della sua crescente esperienza
la costituzione, l'ordinamento e l’illustrazione di tutto il ricchissimo
materiale documentario di ogni specie esistente nei centri grandi e
piccoli della regione, spesso giacente in condizione di disordine e di
pessimo stato di conservazione, provvedere con la stampa del suo pe-
riodico e delle sue collezioni alla pubblicazione, col rispetto del più
rigoroso metodo scientifico, delle fonti storiche e soprattutto delle princi-
pali serie documentarie sotto forma di integrale trascrizione, di regesti,
di inventari col corredo di essenziali sussidi storico-critici ; comporre a
grado a grado insomma mediante ineccepibile documentazione e relativa
elaborazione interpretativa la esatta ricostruzione storica dell’ Umbria
con l'inlento di fornire la definizione sostanziale del contributo fornito
dalla nostra regione alla civiltà nazionale e mondiale.

Se rivolgiamo l’attenzione allo stato attuale degli studi storici
attinenti all' Umbria ci troviamo a dover fare constatazioni piuttosto
amare. Innanzi tutto dobbiamo onestamente riconoscere che, nonostante
la voluminosa e per alcuni argomenti definitiva mole di lavoro svolta
dalla Deputazione, di cui sono testimonianza le pubblicazioni da essa
edite, che costituiscono ormai uno strumento di studio indispensabile
anche per i cultori di storia nazionale e generale, assai modesta è la
quantità di divulgazione per mezzo della stampa delle fondamentali fonti
storiche conservate negli archivi pubblici, mentre è ancora imponente
quantitativamente e importante qualitativamente il materiale documen-
tario che giace non dichiarato e persino non esplorato nelle raccolte
conservate negli archivi e nelle biblioteche.

Allo stato attuale la situazione generale non è rosea e nel tradurre
sul piano concreto il programma compilato per i prossimi anni se ne è
dovuta render conto la Deputazione. Molte cose son cambiate oggi ri-
IV? CONVEGNO STORICO REGIONALE 163

spetto alle condizioni ambientali in cui ha operato la Deputazione nel
corso dei primi venticinque anni della sua esistenza. Le difficoltà mag-
giori frapposte allo svolgimento di una piena attività secondo i fini
istituzionali sono costituite dalla insufficienza dei mezzi finanziari a
disposizione e dalla scarsità di studiosi qualificati che si dedichino
agli studi storici regionali. Circa i mezzi finanziari è da constatare che
sono oggi molto limitate le fonti di approvvigionamento, mentre sono
aumentati gli oneri per la produzione di apprezzabili contributi storici
in quanto alle spese di stampa si aggiungono quelle occorrenti per la
retribuzione ai collaboratori, sopratutto quando si tratti di metodici
lavori di ricerca e di seria illustrazione di serie di documenti, non
consentendo l’attuale ritmo di vita economico-sociale di assumere pre-
cisi impegni di occupazione senza un corrispettivo anche se modesto.

D'altro canto, tramontata la generazione di appassionati e in gran
parte disinteressati cultori di studi storici locali, assai limitato è il
numero di persone che, animate da amoroso fervore per il culto delle
patrie memorie, possiedono non solo la preparazione tecnica e culturale
necessaria ma l’interesse per questo genere di studi. È da sperare tut-
favia. che possa prodursi un rifiorire di operosità storica regionale col
concorso di giovani, che a tutti i fini avvertano il valore insito nell’assidua
applicazione alla verifica di quei valori etici, sociali, culturali e morali
di cui è satura la puntuale, piena conoscenza storica della plurisecolare
civilità fiorita in Umbria.

Con questo augurio abbiamo predisposto il presente Convegno e ci
accingiamo a svolgerne il programma impostato su un tema di notevole
importanza per fare il punto sulle correnti ideali dominanti e sulle con-
crete realizzazioni nel campo storico in un secolo che ha potentemente
affermato il valore della conoscenza storica.

L'on. Ermini assume la presidenza dell'Assemblea e dà la pa-
rola al relatore Innamorati.

STORIOGRAFIA E STORIOGRAFI IN UMBRIA NEL SEC. XIX

Signori,

bisogna che io dichiari, innanzi tutto, il senso ed i limiti
di questo intervento nel tema della storiografia umbra del XIX
secolo. Da un lato mi preoccupa, infatti, il possibile equivoco che
deriverebbe da una interpretazione estensiva dell'argomento, il

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164 IV? CONVEGNO STORICO REGIONALE

quale trova invece — io credo — la sua propria dignità nella deter-
minazione della relativa modestia dei risultati culturali toccati
dai nostri storiografi considerati nel loro complesso. Per un altro
verso, poi, ho bisogno di eliminare l’equivoco formale provocato
dal fatto che sia io, e non altri, a discorrere di questo tema. Anzi
chiariamo subito questo punto, poichè non desidero fingermi e con-
trabbandarmi per quello che non sono, per quell’esperto cioè di
questioni storiografiche che si ha qui il diritto di attendere. Sono,
invece, il primo a riconoscere che non mi compete, in questa sede,
la qualifica sempre pregevole ed ambita de «l'uomo adatto al posto
adatto ». Non si tratta, evidentemente, di modestia o di precostitu-
zione oratoria di un alibi di dubbio gusto, ma semplicemente del
fatto che la mia esperienza di letterato non costituisce per se stessa
un retroterra specialistico rispetto alla mia fervida lettura di testi
storici e alla predilezione per la storia e la vicenda culturale umbra,
alla quale mi ha riavvicinato di recente un lavoro di edizione della
Storia di Perugia di Luigi Bonazzi. Perció avrei, in fondo, desiderato
di trovarmi, oggi, dall'altra parte del tavolo ad ascoltare qualcuno
che degli studi storici eseguiti in Umbria nel XIX secolo avesse di-
Scorso raccogliendo nei suoi giudizi e nelle sue prospettive il senso
di una esperienza ben altrimenti nutrita che la mia; ma d'altro
canto, impegnandomi a ragionare di questo argomento, mi é parso
di potere offrire qualcosa senza cambiare le carte in tavola, cioè
una prospettiva personale e limitata della questione intorno alla
quale la nostra riunione possa esercitare le proprie risorse.

E con ció siete avvertiti che il presente discorso non si articola
nella direzione di un panorama compiuto o in quella di un organico
ripensamento critico della storiografia regionale del secolo passato,
ma consiste in riflessioni ed impressioni, le quali chiedono instan-
temente d'essere integrate e corrette dagli interventi che seguiranno ;
perché io ho inteso il mio compito alla maniera del dantesco bac-
celliere il quale espone i termini della sua questione solo « per ap-
provarla, non per terminarla », ché terminarla non a lui si addice,
come non Si addice a me nell’occasione presente.

*
* *

Da una visione d’insieme della produzione storiografica umbra
dello scorso secolo risulta, per prima cosa, che quanto in essa v'é
di più vivo ed interessante, si raccoglie tutto — o quasi — sul ver-
IV? CONVEGNO STORICO REGIONALE 165

sante del secondo cinquantennio. Il fatto è ben spiegabile se si ri-
flette al rapporto che generalmente legò lo svolgersi della storio-
grafia ottocentesca italiana al grande rinnovamento ideologico,
spirituale e politico della nazione, e se si tiene conto del relativo
ritardo con cui l'Umbria riuscì ad inserirsi nel vivo della operazione
risorgimentale, in particolar modo dal punto di vista di una effettiva
presa di contatto da parte degli intellettuali locali col ritmo ideolo-
gico, con i temi e con le avventure della cultura nazionale più quali-
ficata ed impegnata. Nè qui si dovrebbe parlar solo di Umbria
(e nei suoi attuali confini) a proposito di una condizione di sfasa-
mento cronico che era proprio di tutte le province dello Stato pon-
tificio nella elaborazione di certe esperienze culturali rispetto ai centri
più attivi, evoluti e liberi del Paese. Comunque più da vicino
ci riguarda ed interessa, ora, quel che accadeva da noi e l’impres-
sione di ritardo (se non proprio di stentatezza) che la cultura umbra
offre nell’insieme, specialmente sulla linea degli interessi letterari
e storici fino alla metà del secolo. Al di là del crinale si incontrano,
è ben vero, personalità ed opere di qualità considerevole, le quali
esplicarono, bisogna bene sottolinearlo, una loro precisa autorità
nella determinazione dei seguenti studi storici regionali. Basti ri-
cordare Vincenzo Bini con le sue Memorie istoriche della Perugina
Università degli studi e dei suoi professori (1816), Serafino Siepi
con la sua Descrizione topologica-istorica della città di Perugia (1822),
Cesare Massari con il suo Saggio storico-medico sulle pestilenze di
Perugia e sul governo sanitario di esse dal secolo XIV ai giorni nostri
(1838), ma soprattutto Giovanni Battista Vermiglioli, la cui atti-
vità di archeologo, di ricercatore e di suscitatore di ricerche, di
approntatore di documenti, di repertori e di illustrazioni erudite
meritò, e difatti. gli ottenne, un’autorità tutt'affatto speciale di
depositario e promotore della tradizione culturale locale. Si capisce
che a questi esempi potrebbero ben accompagnarsi altre numerose
citazioni di scrittori e studiosi perugini ed umbri; quello che im-
porta qui è, tuttavia, la indicazione dello stato proprio della cultura
storiografica dei primi decenni ottocenteschi, nel corso dei quali
si mantenne una condizione di eruditismo indubbiamente fervoroso
e non mai disprezzabile, ma di impianto piuttosto settecentesco,
e di sapore neoclassico, che fu patina letteraria affatto priva
di autentica animazione interiore. E si aggiunga pure che codesto
eruditismo si manifestò con una sua arcigna gravità la quale pro-
vincialescamente ridusse a pesantezza e disorganico impegno l’agi-

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166 IV? CONVEGNO STORICO REGIONALE

lità, la spinta critica e l’apertura ben diverse della esperienza cul-
turale settecentesca, come è sovente dell'altra impronta, quella
neoclassica, che appare — in esso — bloccata nella legnosità di una
filologia antiquaria puntigliosa e gelosamente arroccata sugli spalti
di una tradizione ormai stanca. I meriti del Vermiglioli come archeo-
logo, etruscologo e quelli inoltre acquisiti presso ogni contempo-
raneo e successivo studioso della storia municipale e della cultura
perugina, sono indubbiamente notevolissimi, ma trovano un cor-
rettivo ben preciso nello stesso riconoscimento che gli va dato circa
l’essersi adoperato utilmente nella raccolta e nella conservazione
di una grande quantità di materiale documentario. Nell’attività
di recupero e nella illustrazione notiziaria di una selva di fatti,
nomi, testi e personalità della storia perugina, l’erudito si aggirò
con la pericolosa, anzi, assurda ambizione di mettere in tutto : ordine
e sicurezza di archivio. Nè riuscì a farlo, nè farlo — chi ben guardi
— avrebbe davvero potuto esser possibile. È stato notato bonaria-
mente che nell'amoroso e quasi maniaco fervore del Vermiglioli si
venne componendo il «testamento morale » di Perugia «nel mo-
mento in cui essa si avviava ad assumere altro ordinamento e ad
entrare in un ritmo più vasto di vita », cioè nel passaggio tra la con-
dizione municipale e chiusa in cui era mantenuta dal vecchio or-
dinamento dello stato pontificio e la sopravveniente integrazione
di Perugia e dell'Umbria nel più largo ed unitario orizzonte della
vita nazionale. Ebbene, a parte il valore morale del làscito del Ver-
miglioli il quale, certo, era mosso da intenzioni celebrative nei con-
fronti del particolaristico patrimonio cittadino e non ubbidiva affatto
— pertanto — all’esigenza della spinta unitaria e nazionale (sul piano
— per fare un esempio — del programma dell’Archivio storico ita-
liano e di iniziative consimili), c'è effettivamente qualcosa, anzi
assai, di lugubre e di testamentario nei farraginosi apporti inventa-
ristici del Vermiglioli. Riguardo a questa nota di pesante tristezza
mi sembra che sostanzialmente il Bonazzi abbia avuto felicis-
sima intuizione critica quando ne discorse nel XXVIII capitolo
del secondo libro della sua Storia. Lì, dopo avere apprezzato senza
riserve le qualità d’erudito dello scrittore veniva così seguitando :
« Si dice che [quella erudizione] è scompagnata da critica, ed è vero ;
ma egli ce ne compensa con tanti fatti che espone, e bene spesso
ci offre l'antidoto nelle sue opere stesse. Al Vermiglioli, come alla
Maddalena, molto si vuol perdonare, perchè molto amò, se non
l'Italia, almeno il suo loco nativo... Ben più a ragione potrebbesi
IV? CONVEGNO STORICO REGIONALE 167

rimproverare al Vermiglioli quel sistema di lodi abborracciate, per
cui la storia sparisce o è travisata. A chi legge le sue biografie degli
scrittori perugini farà forse meraviglia come il nostro scrittore
con tanto zelo pel culto delle muse, con tanto amore per gli umani
studi, non abbia mai preso in mano per sè, nè la grammatica nè
il vocabolario. Ma chi è mai che, leggendo quell’opera di cui una
buona metà è adoperata a segnare i grandi progressi avanzati da
ogni scrittore nella carriera delle lettere, non si persuada ché Pe-
rugia fosse un nido di eccellenti poeti, non solamente in tutti i
secoli, ma anche nei tre primi decenni del secolo presente ? Quali
fossero le condizioni letterarie, felici o no, di Perugia nei tempi
scorsi, lo abbiamo visto e toccato con mano». A parte qualche
scivolata bonazziana sul gusto della sua propria muscolosa vivacità
di canzonatore, quella opposizione del loco nativo e dell'Italia
nello amore del Vermiglioli e il giudizio, in chiave di contem
poraneità e di impegno, sulla adesione del Vermiglioli alla cascante
letteratura paesana del primo trentennio, marcano — secondo me —
un ritratto preciso che provoca e sottointende un giudizio nega-
tivo largamente accettabile riguardo alla impostazione storica dello
scrittore.

Insistendo ancora sulla caratterizzante sfasatura ideologica e
tecnica alla quale ho accennato poco fa, non é da dimenticare
che, stampando nel '22 la sua Guida topologica-istorica, Serafino
Siepi (una figura — si badi bene — tutt'altro che disprezzabile,
anzi dotata di una sua calorosa e simpatica capacità di impegno)
si volgeva al lettore scusandosi se nei tanti particolari della sua
voluminosa descrizione, preventivata in cinque volumi, potessero
mai riscontrarsi inesattezze ed errori, e ció non solo a causa della
materia vasta e difficile, ma per la natura dei tempi «in cui — di-
ceva — ad ogni ora succedono cambiamenti ». Nella quale ingenua
protesta il Siepi veniva ad esprimere il diffuso ideale dell'eruditismo
retrogrado, quello, cioè, di un mondo bloccato, fermo e passivo, che si
presti senza sussulti alle ricerche del dotto, il qualerisulta malservito,
invece, dai tumultuosi mutamenti, dalle incomprensibili e scomposte
velleità del nuovo e del diverso. Cosi, mentre diceva di offrire devota-
mente «l'estremo parto » delle sue fatiche come «filiale tributo di
affetto industre... sull'ara sacra al Genio della Patria », si mostrava
animato da quello spirito municipalistico che, negli eruditi della sua
generazione, travestiva di dignità intellettuale e di un assai equivoco
decoro letterario la impotenza di uscire da un sentimento patrio,

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168 IV? CONVEGNO STORICO REGIONALE

che era solo tenuto in piedi da quella ch'egli chiamava, amorosa-
mente, la «taciturna oscurità degli archivi ».

Il Siepi moriva nel 1827, e lasciava inediti, oltre alle Memorie
storiche della Colonia Augusta dalla fondazione quegli Atti dalla
restaurazione dal 1807 al 1827, che indicano la direzione dei suoi
estremi interessi culturali, vólta all'annalismo e alla documentazione
della inerte vita contemporanea della colonia arcadica cittadina.

Il Vermiglioli sopravvisse fino al 1848 e frattanto proseguiva
imperterrito la sua opera pubblicando, nel 1839, La vita e le imprese
militari di Malatesta IV Baglioni, nella quale tentava di documentare
a suo modo l'innocenza del Baglioni riguardo al tradimento della re-
pubblica fiorentina, ma sacrificando il vero sulla solita ara del genio
patrio, pur di mondare la fama di un perugino illustre. Anche l'av-
vocato Francesco Bartoli, licenziando una Storia della città di Perugia,
nel 1843, mostrava di essersi applicato alla sua fatica con spirito
antiquato e — a parte l'insuccesso tecnico del suo tentativo — cari-
cava la propria compilazione di propositi fumosi ed ambiziosi come,
per esempio, quello di arrecare i vantaggi del metodo sperimentale
(«da' filosofi eccitato e seguito » con successo nelle scienze fisiche
e naturali) nel campo della storiografia. A tale riguardo asseriva,
da un lato, che il beneficio di tal metodo era assicurato dai risultati
storiografici raggiunti dalla storia universale di « quell'ingegno pri-
vilegiato che si è Cesare Cantù », da un altro — poi — ammoniva
che le storie generali o nazionali non danno, per la loro ampiezza,
le garanzie di approfondimento minuto dei fatti e delle persone che
offrono quelle particolari e cittadine, « dove — proseguiva — le pub-
bliche imprese degne della narrazione, sendo di natura quasi legate
alla domestica vita, è mestieri che i cittadini almeno più notabili, vi
sieno ritratti ». Ed è evidente da queste parole del solerte avvocato,
non meno di quanto risulti dalla lettura del racconto storico (dove
— fra l’altro — egli rielaborò infelicemente tutto il materiale raccolto
già da Luigi Belforti) che il Bartoli si mosse in un’aura di interessi
intellettuali assai stagnanti. E che stagnassero non solo in lui, ma in

tutto l'ambiente ufficialmente accetto di quegli anni, cosi come nel
costume letterario e culturalistico che a quello corrispondeva, ció
è ben mostrato, insieme ai casi precedentemente richiamati, dal
prevalere presso di noi di un archeologismo industrioso che pur
continuava a venarsi di un arcadico e nobilesco dilettantismo,
dalle sopravvivenze classicistiche e dai toni languidi e seriosi di un
preromanticismo provinciale del tutto privo di prospettive.
IV? CONVEGNO STORICO REGIONALE 169

A questo punto il richiamo alla compressione politica del regime
pontificio funzionerebbe da risolutivo e da scarico delle coscienze
un po’ troppo estrinseco, se ad essa (ed insieme ad essa alla arre-
tratezza economica e sociale e alla difficoltà degli scambi) non si
aggiungesse, fuori da ogni alibi storico, che quella compressione,
quella arretratezza, quelle difficoltà erano le vie lungo le quali
continuava a marciare, con pochissimo fiato, quell’ideologico pro-
vincialismo, quella particolaristica realtà che non era stata spenta
affatto, anzi poco più che temporaneamente compromessa, dalla
incompresa ricchezza del moto rivoluzionario del secondo Settecento
e dei suoi portati primo-ottocenteschi. Certo in Umbria si mantenne,
con più spazio e credito che altrove, una intercapedine sospettosa
e reazionaria che agì contro gli sbocchi nuovi che la vita contempo-
ranea veniva offrendo e — alla lunga — imponendo. Vedete con
che programma si presentava, nel 1833, l'Oniologia, quel periodico
che prese, poco dopo, il nome di Giornale scientifico letterario agrario
di Perugia e che durò fino al 1865. Antinori e Mezzanotte, due cultori
non poco rappresentantivi della cultura di quegli anni, ne control-
‘larono l’equilibristico neutralismo e difesero un assenteismo di
fondo, che pur denunciava una situazione di inquietudine, una presa
di contatto con una realtà che batteva alle porte e della quale non
si voleva parlare in termini espliciti. « Protestiamo eziandio — pu-
litamente diceva quel programma — che ci guarderemo al pos-
sibile dall’inchinare nei nostri scritti a verun partito letterario,
nè d’altra natura : pregando perciò quelli che di tali ricerche fossero
soverchiamente curiosi, a voler vedere in ciascuno dei nostri articoli
le opinioni di un individuo, non quelle di una qualsiasi società.
Non saremo in alcuna cosa giudici troppo severi...» eccetera.
Sembra la caricatura del moderatismo progressista, per esempio,
dell'Antologia fiorentina, ma ridotto ai termini di un qualunqui-
smo (per adoperare una parola moderna che nella nostra storia
civile ha radici antiche e non facili da strappare) assoluto e senza
profonde giustificazioni tatticistiche, nè intenzioni copertamente bat-
tagliere. Voglio dire che — alla fine — la morale del non scegliere,
del ricercare una dignità estrinseca nel rifiuto di qualsiasi impegno
di lotta era più spontanea e più diretta nel costume delle nostre
classi dirigenti di quello che non fosse altrove. Ma, fuori d’ogni so-
fisma interpretativo, va altresì sottolineato che nel programma di
un periodico come l’Oniologia, il quale non fu certo un giornale
di battaglia, ma un serbatoio accademico di temperati interventi

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170 IV? CONVEGNO STORICO REGIONALE

culturali, il proposito del non compromettersi era e rimase assoluta-
mente sincero. Il che non significa che in Umbria, nel corso del
primo cinquantennio non si manifestassero segni di rinnovamento
ideologico e politico. Sarebbe davvero stato íroppo eccezionale il
contrario, e certo é, invece, che tra il '30 e il '59 la vita attiva della
regione trovó un riflesso speciale nella partecipazione della nobiltà
e della borghesia urbana e terriera (che aveva già aderito nei suoi
centri piü sensibili ai programmi riformistici dell'estremo settecento
e poi a quelli dell'età post-napoleonica) alla battaglia per il rin-
novamento delle istituzioni locali. A parte il tentativo di rinnovare
la condizione delle campagne con la introduzione di nuove tecniche,
o quello di ottenere dal governo centrale una liberalizzazione pro-
gressiva degli scambi e un ammodernamento istituzionale, che si
faceva sempre piü urgente, c'é — in Umbria —, in questo periodo,
tutta una trama di relazioni politiche, un infittirsi palese e clandestino
delle relazioni con il movimento risorgimentale ed i suoi diversi
centri nazionali. Su questa trama di relazioni non ci si puó soffermare
in questa occasione, ma é certo che da essa, cioé dall'inserimento
degli intellettuali umbri in un dialogo politicamente e socialmente
piü serrato e nuovo, nasce la storiografia umbra ottocentesca, quando
per ottocentesca si intenda — come è giusto intendere — non ‘lun
termine cronologico, ma una caratteristica scadenza culturale. In
questo senso la morte del Vermiglioli, avvenuta, come ripeto, nel
1848, segna un margine preciso e significante, nè d’altro canto l’aver
fatto ricorso, fino a questo momento, a personalità perugine consente
di rinvenire nella prospettiva regionale delle sostanziali alternative
al panorama. Pensiamo all’esempio del Muzi le cui diligenti Me-
morie ecclesiastiche e Memorie civili di Città di Castello, edite tra il
1824 ed il 1843, rimangono iscritte nella zona tradizionalistica che
abbiamo rievocato. Ne escono — invece — e tanto più sicuramente
per quanto più intimamente si mossero dall’interno di quella zona
e dei suoi valori, due discepoli del Vermiglioli quali Giancarlo Co-
nestabile e Ariodante Fabretti, con i quali la tradizione antiquaria
umbra esce dal chiuso, si lega concretamente alla cultura moderna
e trova i propri esiti nella operosità costruttiva di un impegno di
misura nazionale.

Il primo, dopo avere esordito ventiduenne, nel 1846, con le
Notizie biografiche di Baldassarre Ferri, del solito impianto, e con
le Memorie di Alfano Alfani, pubblicate nel 1848 « con illustrazioni
— dice una indicazione del titolo — e documenti inediti spettanti
IV? CONVEGNO STORICO REGIONALE 171
alla storia di Perugia e d’Italia », venne concentrando i propri in-
teressi nei settori specialistici dell’etruscologia e della archeologia
e fuori di quelli non contribuì altrimenti agli studi di storia. Il
Fabretti, invece, accanto all’attività filologica e agli studi di epi-
grafia e di archeologia, mantenne viva una incessante operosità
di studio della storia patria. È assai notevole in verità che l’uomo
chiamato dal Vermiglioli, nel 1846, a succedergli sulla cattedra
fosse lo stesso che aveva programmaticamente dichiarato : ‘« Io
consacro i miei studi allo scopo di ridestare ne’ miei concittadini
i sensi d'indipendenza e di libertà », lo stesso che era sorvegliato
dalla polizia perchè politicamente attivo tra i carbonari. La stima
reciproca e l’affetto che legò i due uomini sottolinea il contrasto
delle età che rappresentavano e avvalora ai nostri occhi il signi-
ficato di quel cattedratico avvicendamento.

Un esame dei contributi del Fabretti non è qui possibile e del
resto già le sue Biografie sui capitani venturieri dell Umbria, pub-
blicate tra il ‘42 e il '44, e la Vita e fatti d'arme di Malatesta Baglioni
condottiero dei fiorentini, stampato nel ’46, risaputamente esprimono
con chiarezza l’atteggiamento culturale dell’autore, con il suo amore
per la illustrazione erudita e precisa, la probità tecnica e la intenzione
di rispondere — frattanto — ad esigenze concrete della cultura
contemporanea, allineandosi sul fronte di una battaglia energica-
mente sentita come fatto politico anche nell’attività divulgativa
che egli svolse nella appendice scientifico-letteraria de L'Osservatore
del Trasimeno. La pubblicazione famosa delle Cronache e storie inedite
della città di Perugia dal MCL al MDLXIII nel XVI volume del-
l'Archivio storico italiano (1850-51) in collaborazione col Bonaini
e col Polidori e la impresa piü tarda dei documenti su La prostitu-
zione in Perugia nei secoli XIV e XV (1885) e delle Cronache della
città di Perugia e dei Documenti di storia perugina, pubblicati tra
il 1887 e il ’94, indicano il senso della partecipazione del Fabretti
alla storiografia umbra moderna. Si tratta di collaborazione inten-
samente documentaria, garantita da una forte dottrina che conduceva
ad esiti nazionali (puntando sui temi della storia delle istituzioni e
del costume, come sugli aspetti della democrazia comunale) i ter-
mini propri di una tradizione locale degli studi altrimenti priva di
grande respiro e del sentimento drammatico non già della platonica
utilità nazionale di certe ricerche, ma della loro urgenza e necessità
rispetto alla vita pubblica e agli indirizzi attuali della sua spiri-
tualità.

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IV? CONVEGNO STORICO REGIONALE

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Non lontano dal tipo di lavoro o quanto meno dai risultati of-
ferti agli studi di storia patria dal Fabretti puó apparire il contributo
complessivo del lungo e valoroso lavoro di Adamo Rossi, il quale
riusci ad essere espertissimo di documenti d'ogni genere e quasi tra-
mite necessario, per anni ed anni, di ogni ricercatore di cose storiche
ed artistiche perugine. Anche di lui, voglio dire, potrebbe ripetersi che
il senso della sua partecipazione fu intensamente documentaristico
e, parimenti, che il suo storico sapere risultó garantito (se non pro-
prio sempre, almeno ad un considerevole livello di esperienza critica)
da una certa spinta ad incontrarsi con i temi della cultura contem-
poranea. In realtà le cose stanno diversamente, perché in Adamo
Rossi, malgrado le sue idee politiche ed il suo umano, ma un poco
sempre bilioso coraggio di scelta e di compromissione, sembra
proprio di vedere ricomparire l'edizione aggiornata dell'erudito pura-
mente locale, il quale si appoggia, sì, a motivi ideologici « contem-
poranei », come nel suo caso a quelli laicistici ed unitari, o, sul piano
della scienza, ad un filologismo che par correre sulla spinta del piü
arridente vento di progresso, ma nella sostanza rivela la incapacità
ad uscire dal descrizionismo nozionistico, dall'appagamento di un
«sapere » che non si fa mai critica sintesi e si arresta ad una fun-
zione enciclopedistica, o, per non fare confusione con le parole,
alla funzione di uno schedario, che é per se stesso strumento uti-
lissimo per quanto, nella sua presenza materiale, passivo ed inerte.
Che se poi Adamo Rossi inerte non fu, e riesci invece a promuovere
iniziative quale quella benemerita degli studi umbri e di sicura
dignità nazionale (anche se poco consultata) che fu il Giornale di
erudizione artistica e concretó il suo sapere in utili ricerche sull Arte
tipografica in Perugia (1868), sulla cattedrale di S. Lorenzo, sulla
leggenda dell'Anello della Vergine (1868), su Galeazzo Alessi, archi-
tetto perugino, sulia storia del perugino palazzo dei Priori ed in
tante altre forme di studio e di applicazione, ebbene é chiaro che
linerzia della quale qui metaforicamente parliamo riguarda gli
intenti, l'impegno organico, la «situazione » per adoperare un ter-
mine desanctisiano anche se fuori del suo specifico luogo, che fu
proprio del Rossi. Non ci dilungheremo piü oltre su questo patito
delle cose patrie, che si fece tutto un geloso prestigio culturale,
civile e municipale senza badare a fatica, e che pure espresse uno
stato d'incertezza tra la vita regionale antica (alla quale il suo
temperamento aderiva come il fondo indistruttibile della sua espe-
rienza) e la volontà di giocare una partita piü grande. Sembra
IV® CONVEGNO STORICO REGIONALE 173

così che non per caso si sia divulgata la notizia della sua morte
provocata dai dispiaceri che seguirono alla perdita del famoso
codice del De Officiis di Cicerone dalla Biblioteca Augusta. Oltre
che i libri hanno, dunque, sua fata anche i bibliotecari, viene fatto
di pensare; e Adamo Rossi, inquieto e impaziente erudito della i
seconda metà del secolo scorso, si fa riconoscibile come sigla di m.
un faticoso inserimento, e altresi di un disordine e di una delu- ill |
sione che erano figli non dirò dei tempi, perchè i tempi sono sém- |
pre disordinati e sono sempre nell'ordine della esperienza spirituale
degli uomini, ma nel sentire confuso e nelle strettoie di un clima
morale che, globalmente considerato, rende il suono di una bella
bròcca, ma incrinata e rabberciata solo a furia di pazienza.

È questo un suono che più o meno ci tocca di ascoltare ripetuto
nel corso degli anni che seguirono al famoso decennio di preparazione.
Quante speranze, anche da noi, in Umbria, non caddero o non si
deformarono ? Quanti impulsi decaddero o si rattrappirono in un
ritorno ormai già anacronistico alle forme, ai sistemi, alle funzioni
di una vita che era stata, non già promessa, ma preparata e desi-
derata diversa ? La cultura, in provincia, risentì, più direttamente
e certo piü violentemente che nei grandi centri, della ambiguità
ideologica, del compromesso sociale, della ipocrisia degli ordina-
menti pseudo-democratici dell'Italia, che nacque alla maniera in
cui nacque. Certo v'era — lo sanno anche gli studentelli — una pro-
ficua ragion politica nel moderatismo ambiguo, nelle carenze sociali,
nella faticosa e burocratizzante fatica del centralismo unitario,
ma alla fine é da riconoscere che quella ragione malamente ricono-
scibile per « nazionale » non poté passare sul corpo vivo delle tra-
dizioni locali senza corrompere, senza tradire e violentare quel che
di spontaneo esse ponevano a disposizione dell'avventura ita-
liana. Direi proprio che in questo senso la fragilità intima del la-
borioso Adamo Rossi è significativa (indipendentemente dal giu-
dizio che possa recarsi sulla persona e sulle sue debolezze), perché
da un punto di vista che rifiuti anche i residui del caratterologico
cànone del personalismo psicologico vive — come problema serio
— il giudizio che si dà di un uomo per l'antico dove, come e quando
egli fece quello che fece. E Rossi operó nella sua Perugia, senza
riuscire mai a creare un rapporto efficiente, diversamente che per
polemica particolaristica, con i problemi della cultura nazionale,
né gli venne mai di raccordare, se non per un suo cruccioso senso
di rivalsa, i fatti propri della sua platonica città rinascimentale,

TAA UE ROLE PRA SIT TIC MORTO Pn

I ASTRO 174 IV? CONVEGNO STORICO REGIONALE

con i dati storici della vita umbra del suo tempo. Che è come par-
lare di uno storiografo fallito al suo scopo e di un intellettuale, anzi,
sostanzialmente fallito nei suoi molteplici scopi. Ma come i falli-

| menti compongono i fati di una cronaca economica che ha un suo

preciso valore, così non esiste un fallimento vero e proprio, cioè
assoluto, nella storia della cultura od in quella di qualsiasi altra
attività umana, nella sua spiritualità, quando viva in un segno
della memoria. È un teorema — questo — di facile e quasi vulgata
accezione della crociana proposta della nonnegatività del fatto
storico. Esso ha di certo un margine tautologico nell’uso corrente,
ma anche un margine di salvezza della concreta umanità del lavoro.
Di fronte alla quale concretezza io credo che un moderno e, se pos-
sibile, giovanile studio intorno alla figura di Adamo Rossi sarebbe
auspicabile, perchè verrebbe a comporre un confronto più diretto
e spassionato di quello che sia stato possibile realizzare finora
mentre è durata, cioè, una stagnazione polemico-culturale, che ha
distratto gli studi di storia patria da figure che hanno avuto una
loro drammatica storia, una loro vicenda violenta e triste, quasi
di vittime che furono sacrificate dal giudizio spietato e facilmente
condotto sugli elementi di maggior debolezza, nel transito vero e
faticoso che condusse da una situazione di intolleranza e di speranza
ad uno di delusione e di precaria attesa.

*
* _*

Ho certamente insistito assai sulle condizioni di partenza e
sulle figure che conducono al passaggio dalla cultura regionale a
quella nazionale. Mi si potrebbe ben chiedere conto di tale insistenza,
ma darei sempre in proposito un conto «che torna ».

Al di qua del crinale del mezzo secolo resta la nostra storio-
grafia ottocentesca, la quale — non ci vogliamo disperdere lontano
da un panorama riassuntivo e lontano anche dalla realtà — si rea-
lizza in una serie di monografie e di imprese collettive, le quali
ultime solo assai lentamente e senza forte incidenza sulla cultura
regionale riuscirono a stabilire una presenza della tradizione e della
cultura umbra antica e moderna in quella nazionale. Quanto alle
altre, cioè alle storie locali monografiche, bisogna sicuramente
riconoscere in esse l'apporto e l'impegno più vivace che abbiamo
avuto, non solo perché esse vennero ad offrire un contributo che
(in direzioni diversé, ma concorrenti all'inserimento della storia
IV? CONVEGNO STORICO REGIONALE 175

civile locale in quella della positiva mitologia storica della « nazione »)
consentì e rispose ad un bisogno autentico di confronto con le
proprie origini ed i propri antecedenti da parte di quella incerta,
ma pur sempre presente, classe dirigente che il risorgimento aveva
o introdotto o confermato nella condizione direttiva, e che fame
e sete di specchi culturali in provincia mostrava con più schietta
violenza che nei grandi centri.

Così, legando una sua vecchia e ben autentica tradizione erudita
alle necessità pratiche ed agli impulsi intellettuali del presente,
l'Umbria ha una sua nuova fioritura di studi storici, dopo la rea-
lizzazione politica dell’unità.

Prima di generalizzare sulle conclusioni più o meno facili da
trarre da questo dato verifichiamone le scadenze cronologiche di
maggior rilievo, e cerchiamo di ricavarne qualche notizia.

Il primo posto tocca a Lorenzo Leòni con le sue Memorie sto-
riche di Todi pubblicate nel 1856. Altri di lui parlerà diffusamente,
credo ; a me interessa ricordare che nel 1856, il patriota tudertino
sentiva già di non poter più dedicare il suo lavoro alla giovane
generazione «sperando che ella riuscisse migliore, e più felice, o
almanco più forte negli infortuni... che noi non siamo» perchè
facendolo gli sarebbe parso d'essere «o troppo maligno, o troppo
chimerico ». C'era forse qualcosa di letterario ed occasionale in
una dedica così scettica, cosi come nel testo narrativo c'è un miscuglio
di orgoglio municipalistico di franca, ma non però risolta criticamente,
ambizione nazionale. Oltre l’occasionalità e la rettorica, resta che
il Leòni svolgeva il suo lavoro in una dimensione tra consolatoria
e disillusa, che ha un riflesso in quel franco suo squilibrio espressivo
diviso tra la grandiosità del racconto ele punte polemiche dell’uomo
direttamente chiamato in causa.

Dopo il Leóni, il Cristofani, con le sue Storie d' Assisi pubblicate
per la prima volta nel 1866. Il Cristofani meno occasionalmente
d'altri storiografi «risorgimentali» si era compromesso col suo
argomento ed aveva cominciato già nel '59 a dar fuori quella Vita
del patriarca S. Francesco seguita dalla illustrazione dei monumenti
d'arle in Assisi, che rappresenta bene il centro effettivo della sua
opera maggiore. La quale — sia detto di passata — a me pare la
sola tra le storie locali dell'Umbria monograficamente condotta
che abbia qualche possibilità di tenere il confronto con la Storia
di Perugia di Luigi Bonazzi. Quei sei libri delle storie d'Assisi sono
ancora oggi un documento storiografico importante, nobile per
176 IV? CONVEGNO STORICO REGIONALE

composizione e per serietà, utile per concretezza di informazione,
ricco di punti socialmente e moralmente vivaci, anche se lontano
dal vigore critico del lavoro bonazziano che è tuttora, come mi è
accaduto in altra occasione di asserire, un libro di storia locale
non solo benissimo costruito, e più saldamente fondato di quel
che non si sia soliti dire, ma soprattutto un libro vivo e giovane nei
suoi elementi di comunicazione attuale con il lettore. Su queste
due opere — in fondo — varrebbe la pena di soffermarsi, chè l’una,
quella del Cristofani, ispirata a sentimenti profondi di fede e l’altra,
cioè quella del Bonazzi, schiettamente laicistica e scettica, mostrano
una liberale comunione di intenti ed una capacità interpretativa dei
fatti di Assisi e di quelli perugini, che non si riscontra al medesimo
grado in alcuna altra delle nostre storie ; siano esse quelle di Spoleto
del Sansi o di Umbertide del Guerrini, sia il volenteroso e tardo spirito
di « guida » delle Memorie di Gubbio dell'avvocato Lucarelli o l'erudi-
tismo « aggiornato » del Faloci-Pulignani nel caso di Foligno. Il
Faloci-Pulignani, del resto, come l’Amicizia, storiografo di Città
di Castello, escono per molti versi dal nostro orizzonte cronologico
e attestano — se mai — una tendenza nuova degli studi di storia
patria, che si avvale delle esperienze del morente secolo XIX e
si accampano in quello nostro. È una tendenza scientificamente
più agguerrita, più attenta nel lavoro di critica e meglio organizzata
nella distribuzione del lavoro. Nutrita dalle prove di ricerca esse
sì composero nelle provvide pagine del Giornale di erudizione ar-
listica e poi in quelle del Bollettino della Deputazione di Storia
Patria. Essa crebbe e si mosse sulla scia del positivismo ed in quelli
permase nei primi decenni del nostro secolo. Ma certo sugli studiosi
remoti era frenata se non spenta la mossa spirituale che aveva
tratto Cristofani e Bonazzi a comporre i loro libri. Anzi, già tra il
'70 e il ’90, che è il periodo più fiorente della produzione delle nostre
storie locali, nella maggior parte di esse e degli studi che le accom-
pagnarono si notava l'affiorare di un atteggiamento tra deluso e
Scettico nei confronti della vita contemporanea, una mancanza di
aggressività morale, di mordente politico, di quell'elemento, cioé,
che fa vivi — al di là del contributo informativo — i libri del Bo-
nazzi e del Cristofani. È una condizione, quella di cui parlo che negli
studiosi umbri si fa sensibile anche come tendenza a ripetere —
talvolta — modi della vecchia tradizione erudita, ma che è pur
vinta da un sostanziale e ricco dialogo che alla fine del secolo si
manifesta nell'impulso scientifico e critico degli studiosi umbri.
IV? CONVEGNO STORICO REGIONALE 177

Su questa prospettiva, Signori, interrompo il mio discorso
mentre mi auguro di veder condotta con altra competenza che la
mia la conversazione che seguirà adesso alle mie parole.

ERMINI : Ringrazio vivamente il prof. Innamorati per la sua bril-
lante ed esauriente relazione che è piacevole anche ascoltare. Ora però
vorrei dire una cosa, Innamorati. Tutto vero quel che Lei ha detto ;
questi storici peccano di classicismo, di romanticismo, di provihcia-
lismo, d'amore esagerato verso il loro paese, di municipalismo : anche
se lo riconosciamo con l’atteggiamento più agguerrito della critica del
secolo XX, tutto questo è il carattere proprio dell'uomo, direi ; non
è un difetto. Ora anche per gli storici della prima metà del secolo i loro
lavori sono documenti storici, a loro volta, del tempo ; è il sentimento
del tempo che si riflette anche in quella che dovrebbe essere la storia
rigida, obbiettiva ; ma è storia anche quella. È di un interesse straordi-
nario, per esempio, leggere il Vermiglioli ; è di interesse straordinario
leggere il Bonazzi, con quelle sciabolate che di quando in quando vi si
trovano. Lo facciamo anche noi oggi talvolta, con più compostezza, con
più astuzia ; ma se noi guardiamo, non dico tutta, ma buona parte della
storiografia del periodo che corre dal 1920 al 1940, vi troviamo altre
manifestazioni che oggi noi, uomini del 1960, critichiamo. Probabilmente
usiamo altri termini per dire altre cose, ma anche per manifestare
sempre questo che è un sentimento per cui lo storico non può astrarsi
dai suoi tempi. Questo è vero sia per il Bonazzi e il Cristofani, sia per
lo stesso Faloci, che, pur avendo maggior senso di critica storica, è
così innamorato della sua Foligno da peccare in modo piacevole. È il
carattere del secolo, ma io non direi soltanto del secolo XIX. Lei questo,
Innamorati, ce l’ha chiarito benissimo. È illusorio lo sforzo degli storici
di sottrarsi al clima proprio del tempo in cui vivono, sforzo che, per
quanto condotto con serietà di intenti, non può mai raggiungere risul-
tati perfetti. Ringrazio il relatore per la vivacità e la finezza, anche,
di gusto letterario con cui ha trattato l’argomento.

INNAMORATI : Ringrazio l'on. Ermini delle cortesi espressioni
rivoltemi, confermando la consapevolezza che mi è stata presente nel
preparare la mia relazione, dei limiti, non di impostazione ma di
svolgimento di una trattazione di questo genere. Pur senza diminuire il
valore intrinseco degli autori presi in esame, è pur lecito, a distanza di
tanto tempo, valutarli secondo quei principi e.criteri che oggi presie-
dono alla valutazione storica.

12
IV? CONVEGNO STORICO REGIONALE

SALVATORELLI: Concordo pienamente col giudizio favorevole
esposto dall'on. Ermini sulla relazione così sagacemente svolta dal prof.
Innamorati, e che è, secondo me, apprezzabile non solo per le valutazioni
di gusto letterario ma anche per i giudizi di natura propriamente sto-
rica. Se un minimo appunto dovesse farsi, potrebbe consistere nel rile-
vare che nella relazione sono messi più in evidenza gli aspetti negativi
della storiografia che quelli positivi ; come pure a me è sembrato che
dell’opera del Bonazzi non sia stato dato il rilievo che ad essa compete,
in rapporto specialmente all’opera storica del Cristofani, che è indub-
biamente inferiore all'altra, specialmente per l'oscurità e la farraginosità
dello stile.

DuRANTI : Constato l'aspetto quasi completamente negativo, come
bilancio finale, dell’esame fatto dal relatore della produzione storio-
grafica umbra dell’800 ; e ritengo che, a questo proposito, varrebbe la
pena di dare uno sguardo alla produzione coeva di altre regioni italiane,
per rendersi conto se vi domini un livello medio altrettanto negativo.
È ovvio indubbiamente che nella prospettiva del tempo certi valori che
dai contemporanei erano apprezzati in altissimo grado, vengano poi
inevitabilmente ridotti entro limiti più circoscritti e più esatti ; come è
accaduto — fra gli Umbri — a G. B. Vermiglioli, che godette al tempo
suo di una per allora meritata fama, e verso cui conversero uomini
come Jules Michelet, Giacomo Leopardi e Vincenzo Gioberti.

Innamorati : Non ho nulla da obiettare in merito alla indiscussa
fama goduta da G. B. Vermiglioli presso gli studiosi e gli eruditi del
tempo, ma faccio le più ampie riserve sulla opportunità e sulla validità
di un esame in certo senso comparativo fra le produzioni storiche ela-
borate nell'800 in più regioni italiane.

PAMBUFFETTI : Esprimo la mia meraviglia perchè nella relazione
non è stato dato il necessario rilievo all'opera storica di Achille Sansi
di Spoleto, il quale si differenzia da tutti gli altri storici umbri dell’ 800
per l’impostazione profondamente giuridica della storia della sua
città, che gli consente di valutare il tessuto delle vicende dall'interno,
secondo le linee maestre delle strutture giuridico-politiche. Pertanto,
secondo me, solamente il Sansi realizza un tipo di narrazione storica
valida in confronto degli altri suoi conterranei che si limitano a nar-
rare fatti e a colorirli.
IV° CONVEGNO STORICO REGIONALE 179

SEGOLONI: Invalidando i criteri di metodo seguiti dal Bonazzi
nella sua opera, per me insufficienti, sono in grado di precisare più
di un caso in cui il Bonazzi ha dato errata interpretazione formale di
documenti di ragguardevole importanza ; errori che naturalmente hanno
implicato una errata interpretazione sostanziale, che ha avuto ripercus-
sione nella valutazione dei fatti. Mi limito a citare il caso della bolla
di papa Innocenzo III, datata 2 ottobre 1198 contenente il privilegio
della libertà di Perugia. Il testo della bolla in uno dei volumi di som-
missioni dell’ Archivio Storico del Comune di Perugia è stato letto dal
Bonazzi e da altri storici perugini in un certo passo : «... civitatem
perusinam et quoad ius et proprietatem ipsius pertinere dignoscimus . . . »
mentre deve leggersi : «... civitatem perusinam quam ad ius et pro-
prietatem . . . ».

TEororr: Prendo atto della chiarezza e della scrupolosa ricerca
storica con cui il prof. Innamorati ha steso la sua relazione ; ritengo
peró che questa non sia esauriente in rapporto all'argomento fissato.
La relazione è troppo limitata alla città di Perugia e circondario, mentre
sarebbe stato augurabile che la ricerca storica fosse stata estesa a tutta
l'Umbria. In tale maniera non si ha una panoramica del contributo
storiografico dell Umbria, ma solo di una parte di essa.

MoNTESPERELLI : Come era poco fa auspicato dal prof. Cecchini
è desiderabile che nel settore degli studi storici locali affluiscano energie
nuove; ma mi vien fatto di constatare che molti giovani studiosi i
quali vogliono avvicinarsi alle opere storiche già esistenti si trovano
nella impossibilità di reperirle. Molti miei studenti infatti, che vogliono
avvicinarsi alle opere di storiografia locale, si trovano nella difficoltà
di trovarle. Sotto questo rispetto è stata molto opportuna la ristampa
della Storia di Perugia di Luigi Bonazzi ; lodevole iniziativa sarebbe
anche la ristampa di opere di scrittori di storia locale del secolo passato.

MonGHEN : A proposito delle considerazioni fatte dal prof. Se-
goloni, osservo che un conto è la esatta lettura e interpretazione dei
documenti, che è indubbiamente operazione indispensabile per la cri-
tica storica, e un conto è il senso storico, che costituisce una guida
infallibile nella valutazione degli avvenimenti e nella ricostruzione
nei suoi caratteri sostanziali di un’epoca o di un movimento. —

ERMINI : A conclusione del contenuto della relazione del prof.
Innamorati e della discussione che su di essa è seguita, mi sembra si

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180 IV? CONVEGNO STORICO REGIONALE

possa affermare che il contributo di chiarificazione recato al tema del
Convegno è notevole. Le discussioni fra studiosi sono sempre utili, c’è
‘sempre qualche cosa di giusto, e noi facciamo tesoro di tutto quello che è
stato detto. Vorrei, come conclusione della bella relazione che ha presen-
fato Innamorati, fare anche mio, e vorrei che l' Assemblea facesse suo,
quell’auspicio che da parte del prof. Morghen, di Montesperelli, e di
altri è stato fatto. Non dobbiamo noi sperare di poter condurre una
sintesi di una storia regionale prima di aver approfondito ancora di
più il problema della storia delle singole città e dei singoli luoghi nostri.
Se io volessi istituire un confronto tra quello che è stato fatto (e, dobbiamo
dirlo, per gran merito del secolo XIX, non del nostro) nell' Umbria
per le storie cittadine, e quello che è stato fatto, per esempio, nelle vicine
Marche e nella Toscana, l'Umbria non avrebbe da guadagnare. Noi
abbiamo bisogno ancora di illustrare molte e molte delle nostre glorie
cittadine, ed è bene che questo lo facciano gli storici locali, che hanno
maggior possibilità di consultare gli archivi del posto, che hanno spesso
maggior amore per quelle cose, che hanno spesso anche maggior tempo ;
da queste storie locali, anche se permeate di amore per il proprio paese,
che — alla stregua di un rigoroso giudizio critico — può sembrare
eccessivo, gli storici traggono una quantità di sussidi preziosi per una.
sintesi. Vi sono, per esempio, nelle vicine Marche, alcuni prodotti
di carattere storico dotati di un corredo ingente di documenti, anche
letti male, che noi consultiamo utilmente per lavori di carattere più
ampio e di più ampio respiro. Ricordiamoci che l’Italia è vissuta per
municipi, per comuni, attraverso i secoli : da questa storia comunale,
non dalla somma, naturalmente, ma dalla giustapposizione di queste
storie comunali noi possiamo trarre la storia nazionale. Anche coloro
che hanno scritto la storia di Orvieto, di Terni, di Amelia, o la storia
di qualunque altra città, hanno lavorato per la storia d’Italia. Anzi
l'auspicio è questo : abbiamo ancora bisogno di lavorare sulle storie
locali per poter avere maggiori elementi per la nostra storia nazionale.

Chiusa la tornata alle ore 13, i partecipanti al Convegno si sono
recati all'Albergo Plaza per la colazione offerta dal Comune di Terni.

ASSEMBLEA GENERALE DEI SOCI

Nella Sala di Apollo e Dafne, a Palazzo Carrara, alle ore 16 in
prima convocazione e alle ore 16,30 in seconda, ha luogo l'Assemblea
Generale dei Soci.
IV? CONVEGNO STORICO REGIONALE 181

Sono presenti : il presidente prof. Giovanni Cecchini e i soci
Abate p. Giuseppe, Alighieri di Serego conte dott. Leonardo, Biz-
zozzero prof. Giovanni, Ciotti dott. Umberto, Comez Armando,
Degli Azzi Vitelleschi dott. Ubaldo, Ermini on. prof. Giuseppe,
Ferri prof. Crispino, Grassini ing. Piero, Hagemann prof. Wolfgang,
Innamorati prof. Giuliano, Mancini dott. Franco, Mazza avv. Vin-
cenzo, Morghen prof. Raffaello, Nicoletti prof. Gioacchino, Nicolini
p. Ugolino, Pambuffetti prof. Pietro, Polticchia p. Raimondo, Sal-
vatorelli prof. Luigi, Sandri prof. Leopoldo, Scaramucci dott. Paola,
Zaccaria p. Giuseppe.

La seduta ha inizio con la lettura del verbale della precedente
Assemblea Generale (12 febbraio 1961), che viene approvato all’una-
nimità.

Ha inizio la relazione del Presidente, che si articola nei seguenti
punti :

Innanzi tutto permettete che esprima il più vivo compiaci-
mento per ritrovarci qui riuniti a parlare dei problemi attuali, delle
prospettive future attinenti a questa nostra cara istituzione, cui tutti
noi sentiamo che competono tuttora, sia pure con gli adattamenti
e le rettifiche che i nostri tempi richiedono, una funzione di alto pre-
stigio e un impegno di esemplare operosità perla valorizzazione cul-
turale della nostra regione.

È mio compito di informare l’ Assemblea sulla situazione presente
della Deputazione, sul suo programma di lavoro, sulle iniziative in
corso e richiederne suggerimenti, consigli e prestazioni di collabo-
razione.

Comincerò dalle pubblicazioni. Il Bollettino, dopo il rapido re-
cupero del ritardo causato dagli eventi prodottisi negli anni 1939-45,
esce con la consueta periodicità annuale, se pure con lieve arretra-
tezza cronologica. Per la redazione del Bollettino è da notare una
certa carenza di collaborazione fissa, soprattutto nella parte che,
secondo me, è la più necessaria e la più utile, e cioè l’informazione
bibliografica, sia sotto forma critica di recensione, per la quale vera-
mente abbiamo qualche contributo anche di valorosi soci nostri,
sia sotto forma di spoglio. Abbiamo già iniziato uno spoglio piuttosto
abbondante, se pure non completo, per gli anni 1946-56 ; abbiamo
continuato per un altro anno; il prossimo volume del Bollettino
non conterrà spogli bibliografici, che riprenderemo, speriamo, col
volume successivo.

Inoltre non mancano nel Bollettino alcuni contributi di soci

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182 IV? CONVEGNO STORICO REGIONALE

volonterosi : il volume LVII, che è in corso di composizione, con-
tiene, ad esempio, una memoria assai ampia dell’ing. Grassini sulla
situazione di opere monumentali in Terni dopo le traversie subite
dalla città durante la guerra; una colorita cronaca di un abate
todino del ‘700 ; il resoconto di una recente campagna di scavi ef-
fettuati nella zona di Orvieto, a cura dell’Ispettore Bizzarri ; la prose-
cuzione della cronaca di G. B. Marini ; recensioni e alcuni necrologi,
perchè purtroppo in questi tempi abbiamo perduto numerosi soci.
Saranno infatti ricordati Giustiniano Degli Azzi, che tanta parte ha
avuto nella vita della Deputazione, Federico Chabod, che ha avuto
la cura, durante il periodo in cui fu a Perugia docente presso l'Uni-
versità degli Studi, di riordinare la Deputazione secondo i criteri
che l’allora ministro De Vecchi aveva creduto di adottare, e l’arch.
Mario Labò. Per le altre pubblicazioni abbiamo in cantiere il ragguar-
devole volune degli Atti del Convegno per il settimo Centenario del
Movimento dei Disciplinati, che sarà pubblicato a parte come unità
delle Appendici al Bollettino per renderne più agevole la vendita.

Abbiamo nondimeno perduta un po’ la speranza di continuare la
pubblicazione dei regesti delle riformanze del Comune di Perugia,
preparati dal conte Ansidei, per un motivo, direi, pratico : questo
materiale, attraverso vicende ereditarie, è finito nelle mani del dott.
Vicarelli, funzionario del Ministero degli Esteri, il quale sembra ne
sia molto geloso.

Per vie traverse egli mi fece sapere che avrebbe voluto curare
lui l'edizione, proposito che per vari comprensibili motivi ci lascia
perplessi.

Per intercessione del conte Manzoni, che lo aveva temporanea-
mente in casa, e anche della figlia P. Ardu ed io potemmo dare un'oc-
chiata a questo materiale. Esso, così com'é, non si può pubblicare
immediatamente ; quindi nell’ipotesi che potessimo disporne, biso-
gnerebbe affidare a qualche competente il lavoro per il riscontro
sugli originali, per l'ordinamento cronologico del materiale, essendo
stati gli annali, in quei primi 25 volumi, messi insieme alla rinfusa ;
quindi io credo che sarebbe opportuno, per risolvere definitivamente
la questione, di scrivere ufficialmente all’attuale proprietario e di invi-
tarlo a consegnare il materiale.

SANDRI : Desidererei sapere gli anni ai quali si riferiscono i re-
gesti pubblicati.

PRESIDENTE : Il volume pubblicato contiene i regesti degli anni
1256-60, ma il programma originario comprende i regesti fino al-

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iie kel NONO US N c ike A. LARA

ai FOLIO 43
* IV? CONVEGNO STORICO REGIONALE A4 $83 i

l'anno 1300. Negli appunti Ansidei, che io ho avuto occasione di ve- |
dere, ci sono i regesti per una decina d'anni, salvo le lacune dovute alla uw
irregolare formazione dei registri. mul

HAGEMANN : Sarebbe necessario in ogni modo fare una specie di
controllo sulla base della esatta successione cronologica.

PRESIDENTE : È giusto, perché Ansidei ha trascritto certamente
con la riserva di un successivo ordinamento e di un riscontro.

HAGEMANN : Indubbiamente sarebbe molto opportuno di conser-
vare la parte di lavoro già fatta dal conte Ansidei, completandolo |
con un riscontro sugli originali. üt

PRESIDENTE : A conclusione della discussione mi pare di doversi IH
procedere all’invio di una lettera in cui venga richiesta all'attuale |
proprietario la consegna dei residui regesti elaborati dal conte Ansi-
dei e da lui destinati alla Deputazione di Storia Patria.

Riguardo poi al centenario della Deputazione, che si celebrerà
l’anno venturo, ho già preso contatti con quella toscana e in parti-
colare con il Commissario prof. Rodolico, il quale è entusiasta dell’idea.
Avremmo deciso di attuare due manifestazioni : un Convegno e una
importante pubblicazione che attesti la vitalità delle due istituzioni. e
Per la pubblicazione commemorativa ci siamo orientati sul piü an- WM
tico statuto del Comune di Perugia, del 1279. In seguito a queste
intese abbiamo stabilito un abbozzo di programma finanziario ;
il prof. Rodolico ha promesso un piccolo contributo da parte della
Deputazione toscana, ed è molto significativo il gesto che in occasione
di una manifestazione celebrativa comune, il punto fondamentale del
programma, la pubblicazione di una fonte storica, sia riservato alla
nostra regione. Ho già preso contatto con Enti Pubblici e industrie in
locali per approntare il finanziamento occorrente per questa manife- i
stazione. L’edizione del suddetto statuto è stata affidata al Direttore
dell'Archivio di Stato di Perugia prof. Roberto Abbondanza e compren-
derà, oltre al testo, un adeguato corredo di commento storico-giuridico.

La situazione delle forze della Deputazione presenta attualmente
n. 26 soci ordinari (il numero bloccato per statuto è 30), n. 60 soci
corrispondenti, quanti sono consentiti dallo Statuto. Aperto è invece
il numero dei soci aggregati, i quali sono attualmente 29 : è da osser-
vare a questo proposito che nell’ultima assemblea si è ritenuto op-
portuno di impinguare questa categoria, tenendosi conto che essa
rappresenta — in certo qual modo — una fase di attesa per alcuni
soci, i quali presentino requisiti che li rendano idonei ad una categoria
più qualificata.

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è N IV? CONVEGNO STORICO REGIONALE 6

Passando alla situazione finanziaria, informo l'assemblea che
pesa gravemente sul bilancio della Deputazione il fatto che il Mini-
stero della P. I. ha sospeso da due esercizi la corresponsione del con-
tributo straordinario, limitandosi a corrispondere quello ordinario
di L. 25.000, avendo il Ministro reputato più opportuno non conce-
dere sussidi maggiori ad alcune Deputazioni soltanto, ma ripartire
il fondo a ciò destinato a tutte. Parallelamente alle pressioni eserci-
tate per riattivare il contributo straordinario del Ministero, la Depùta-
zione ha cercato di riprendere contatti con gli Enti Locali, che, in
tempi ormai lontani, avevano la consuetudine di corrispondere con-
tributi apprezzabili; e qualche risultato si va gradatamente realiz-
zando. È doveroso poi ricordare che la Giunta Centrale per gli Studi
Storici si è sempre mostrata assai sensibile alle esigenze della Depu-
tazione, e che per il Convegno sui Disciplinati la Deputazione ha bene-
ficiato di sussidi straordinari, con i quali ha largamente coperto le
spese, eccettuata però la stampa del volume degli Atti.

Nel complesso la situazione attuale della Deputazione non è
grave nè disperata. Sussistono le condizioni per un ritmo di vita nor-
malmente limitata ; mancano per ora le prospettive per un più pieno
sviluppo di attività ad attuare il quale occorrono l’apprestamento
di mezzi finanziari e l’apporto di più estesa e soprattutto assidua
collaborazione di persone idonee e qualificate. A tal fine sono pro-
tese le nostre volontà e le maggiori cure del Consiglio Direttivo, il
quale confida nel più volonteroso concorso del corpo dei soci.

Al termine del suo discorso il Presidente, prima di aprire la di-
scussione, invita il prof. Nicoletti — che deve assentarsi da Terni —
a presentare l’ordine del giorno sull’organizzazione archivistica in
Umbria.

ORDINE DEL GIORNO

Il IV Convegno storico regionale, indetto a Terni dalla Depu-
tazione di Storia Patria per l'Umbria, esaminato il problema della
conservazione dei documenti che contengono la storia plurisecolare della
Regione con speciale rapporto alla funzione di primaria importanza
affidata in tale settore agli Archivi di Stato,

dopo aver riconosciuto lo sforzo compiuto nei tempi più vicini
dalle. Autorità di Governo per dare nuovo ordinamento agli Archivi
civici, sforzo manifestatosi nella Regione Umbra con la creazione

———— “1 mag A E e:
x DE kel NUT DIS 0.5 PAST". w BEBE RES dict cec) irm LAS
IV9 CONVEGNO STORICO REGIONALE 185

degli Archivi di Stato di Perugia e di Terni e della Sezione di Spoleto,
FA VOTI

perché sia portata con la uRGENZA che il problema richiede, alla discus-

sione del Parlamento il disegno di legge predisposto per rendere fun-

zionanti in modo migliore gli Archivi di Stato, rendendoli sempre più

idonei al nobile compito di conservare e di far conoscere agli Italiani

quelle che sono le autentiche tavole della loro storia.

L'assemblea approva all'unanimità l'ordine del giorno Nicoletti.

Il prof. Morghen propone che si rifiutino, per ragioni di decoro,
i contributi di troppo modesta entità; procuri il Presidente di
far capire che al di sotto di una certa misura il contributo non solo
non é utile, ma non é nemmeno decente.

Il Presidente assicura che terrà presente la raccomandazione
espressa dal prof. Morghen, e a proposito di questo argomento ricorda
che — per un avvenimento straordinario come il VII centenario
del Movimento dei Disciplinati — la Cassa di Risparmio di Perugia
dopo molte insistenze ha erogato un sussidio di L. 50.000.

Per la bibliografia generale dell'Umbria, il prof. Morghen dice
che il problema deve essere impostato con esattezza, perche é molto
rilevante ; chela bibliografia deve essere ragionata, affinché soddisfi
meglio le esigenze degli studiosi. Pone il quesito se é il caso di ela-
borarla per autori o per soggetti, per quello che riguarda l'epoca con-
temporanea, mentre quella di epoche precedenti deve essere generale.

Il Presidente, per tener conto nel migliore dei modi dei suggeri-
menti dati nella discussione, qualora sia approvato l'ordine del
giorno contenente la proposta inerente alliniziativa della biblio-
grafia dell'Umbria, propone che sia costituita una ristretta com-
missione incaricata di determinare i criteri di attuazione della impor-
tante impresa.

I] prof. Hagemann, osserva che é opinione diffusa, non sola-
mente in Umbria, presso istituti di credito locali, che alle Depu-
tazioni o Società Storiche affluiscano i mezzi finanziari occorrenti
da parte degli organi centrali, per cui i contributi erogati da questi
Istituti di credito sono mantenuti entro limiti modesti come sussidi
meramente supplementari.

Il Presidente chiarisce che, per quanto riguarda le sedi locali
delle Banche a carattere nazionale, non è sperabile ottenere congrui
sussidi perchè qualsiasi determinazione è presa dalle rispettive
Direzioni centrali.

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A, UN
186 IV? CONVEGNO STORICO REGIONALE

Parlando poi dell’azione di propaganda che egli sta svolgendo
presso Enti Locali, sopratutto Comuni, per indurli ad assegnare
alla Deputazione contributi continuativi, precisa che, tra l’altro,
tutte le volte che il Bollettino contiene studi critici di un certo
rilievo dedicati alla storia dell'una o dell'altra città, se ne fa oppor-
tuna segnalazione al Capo dell'Amministrazione Civica. Sempre
su questa linea egli ritiene che la ripresa dei Convegni storici regio-
nali da far svolgere alternatamente nei maggiori centri dell' Umbria,
possa influire sulla disposizione favorevole degli Enti Locali alla
erogazione di aiuti finanziari. E precisamente dal presente Con-
vegno é augurabile che derivi un maggior interessamento concreto
da parte degli Enti Locali, dei quali per ora soltanto l'Amministrazione
Provinciale veniva dando alla Deputazione un contributo annuale
che riteniamo sarà prossimamente accresciuto, mentre la medesima
Amministrazione ha assegnato perle spese del presente Convegno
un sussidio straordinario di L. 100.000 ; sempre per questo Convegno
abbiamo avuto un sussidio straordinario di L. 20.000 dalla Cassa
di Risparmio di Terni, mentre dalla Società Terni e dalla Camera di
Commercio, cui era stato scritto per lo stesso motivo, non si é avuta
nemmeno risposta.

L'on. Ermini precisa che due sono fondamentalmente gli argo-
menti della discussione: quello dell'incremento della collaborazione
culturale, e l'altro della provvista dei mezzi finanziari. Riguardo
al primo, la ricerca deve orientarsi verso elementi locali che attual-
mente un pó scarseggiano ; per cui sarebbe molto opportuno attuare
una costante intesa e collaborazione fra la Deputazione e la Facoltà
di Lettere recentemente istituita presso l'Università di Perugia ;
per favorire tale intesa il Rettore promette tutto il suo interessa-
mento nei confronti dei docenti, non solo della Facoltà di Lettere
ma anche di materie storiche di altre Facoltà. Riguardo ai mezzi
finanziari, é indubitato che bisogna moltiplicare i rapporti, sopra-
tutto personali, con Enti e Istituti Bancari, tenendo presente la
raccomandazione fatta dal prof. Morghen nel senso di svolgere
azione persuasiva presso Enti, come le Casse di Risparmio, per indurle
a corrispondere un sussidio confacente anche alla loro stessa dignità
di Enti sovventori. Suggerisce anche di indirizzare una lettera alla
Direzione Generale Accademie e Biblioteche del Ministero della
Pubblica Istruzione, per chiedere un sussidio a favore dell'incre-
mento della biblioteca della Deputazione, per la cui erogazione
egli stesso si interesserà presso il Direttore Generale.
IV? CONVEGNO STORICO REGIONALE 187

I] Presidente informa, su richiesta dell'on. Ermini, che il con-
tributo straordinario, che é stato sospeso da due esercizi finanziari
dal Ministero della P. I., era non inferiore a 1.000.000 annuo, che
integrava cosi quello ordinario di L. 25.000.

L'on. Ermini domanda poi notizie sulla ubicazione e sulle
caratteristiche della sede.

Il Presidente informa che la sede è nel Palazzo dei Priori e
occupa la metà di quella che era la sala di lettura della Biblioteca
al secondo piano del Palazzo, suddivisa in Biblioteca-Ufficio e magaz-
zino librario. Il Comune, oltre alla sede, fornisce alla Deputazione
illuminazione, riscaldamento e telefono ; recentemente da parte del
Ministero della P. I., dietro insistenti richieste della Presidenza,
è stato donato tutto l'arredamento metallico di scaffalature e mobili
per l’Ufficio-Biblioteca e per il magazzino librario.

Il Rettore Ermini infine riconosce l'opportunità che, per incre-
mentare la collaborazione dei giovani al Bollettino, specie per la
parte bibliografica venga corrisposto un piccolo compenso, indispen-
sabile per una collaborazione utile e continuativa. Si compiace del
fervore operativo da cui é animato il Consiglio Direttivo.

Il prof. Bizzozzero, in relazione all'impegno di ricerche e di
studio nel campo archeologico che egli ha svolto nel passato, auspica
che venga presto istituita la Sovrintendenza Archeologica per l'Um-
bria, con poteri più ampi oggi spettanti all'Ispettorato Archeologico
di Spoleto. A tal proposito egli sa che sono stati fatti dei passi
per l'istituzione della Sovrintendenza a Perugia, la quale potrà
essere in grado di ovviare a tutti gli inconvenienti che attualmente
si verificano nel campo delle sistematiche campagne di scavo della
Regione, e sopratutto della conservazione in loco dei reperti archeo-
logici che risultano dalle campagne. L’on. Ermini sull’argomento
riferisce che è in corso un progetto di legge per l'aumento delle
Sovrintendenze, una delle quali è auspicabile che sia assegnata
all'Umbria, senza per ora determinazione di sede.

Il P. Nicolini raccomanda che i giovani i quali si dedicano a
ricerche archivistiche e storiche senza essere provvisti delle necessa-
rie conoscenze paleografiche possano essere messi in grado di acqui-
sirle allo scopo di non disperdere la buona disposizione che essi hanno
nel campo di studi particolari del quale i cultori sono semprepiù rari.

Il Presidente fa notare che, a Perugia almeno, non mancano
con la Facoltà di Lettere e con la scuola di Paleografia, Diplomatica
e Archivistica i centri di addestramento per tali discipline.

^
IV? CONVEGNO STORICO REGIONALE

Il prof. Morghen esprime il suo più vivo compiacimento nel
constatare il progressivo incremento che la Deputazione ha preso
da quest’ultimo dopoguerra, iniziato dal compianto prof. Bertini
Calosso e proseguito con pari impegno dall’attuale Presidente.

Il Presidente ringrazia per le voci di consenso espresse da auto-
revoli membri dell'Assemblea, che lo impegnano a moltiplicare i
suoi sforzi per raggiungere i fini prestabiliti, e sopratutto dei pre-
ziosi suggerimenti datigli nel corso dell'Assemblea. A conclusione
della discussione finora svolta egli presenta l’ordine del giorno
relativo alla bibliografia umbra :

L'Assemblea generale dei Soci della Deputazione di Storia Patria
per l'Umbria riunita a Terni l’11 novembre 1961 in occasione del IV
Convegno Storico Regionale,

uditi la relazione del Presidente sulla situazione e sul futuro
programma di lavoro della Società, nonchè i vari interventi su tali
argomenti ;

riconosciuta la necessità di dotare l'Umbria di un efficace, indi-
spensabile strumento di consultazione e di lavoro per docenti, spe-
cialisti, persone colte, studenti, istituti d’istruzione e di cultura, atto
a fornire una testimonianza concreta del contributo umbro alla vita
nazionale e a costituire una solida base per una conoscenza organica
e integrale della storia della Regione

delibera

di predisporre la realizzazione di una antica aspirazione programma-
| tica della Deputazione : la Bibliografia Umbra con carattere generale ;
M I di costituire un'apposita Commissione con lincarico di elabo-
Bi rare nel più breve tempo possibile un programma di attuazione e di
fare i passi opportuni presso enti pubblici e società industriali e com-
merciali affinchè essi col proprio concorso finanziario consentano il
sicuro avverarsi di un’impresa che tornerà a loro particolare onore e
a vantaggio di tutti.

Su proposta del Presidente, l’ Assemblea elegge la Commissione
per lo studio di un programma di lavoro e di provvista dei mezzi
finanziari nelle persone dei soci Ermini, Morghen, Salvatorelli e
Sandri, ai quali, su proposta del prof. Salvatorelli, viene aggiunto
il Presidente.

Il Presidente chiude i lavori dell'Assemblea alle ore 18,30.
Successivamente i partecipanti al Convegno, con i mezzi auto-
IV? CONVEGNO STORICO REGIONALE 189

mobilistici messi a disposizione dall'Ente Provinciale per il Turismo
Si sono recati ad ammirare la Cascata delle Marmore appositamente
illuminata e col consenso della Società Terni alimentata dal normale
flusso di acque.

12 Novembre

Il prof. Morghen, assunta la presidenza del Convegno, dà inizio
ai lavori alle ore 9,30, invitando l'ing. Piero Grassini a svolgere la
sua comunicazione :

CONTRIBUTI DI DUE OTTOCENTESCHI TERNANI,
LUIGI LANZI E RICCARDO GRADASSI LUZI,
ALLA STORIOGRAFIA LOCALE

Debbo preliminarmente precisare due inesattezze nel titolo
della presente comunicazione. La prima è sulla dichiarazione di
« ternani ». Riccardo Gradassi-Luzi era sì nato a Terni il 30 luglio 1852
ed a Terni visse: ma Luigi Lanzi, che pure visse sempre a Terni,
era nato a Stroncone nel 1857, e quindi egli non sarebbe strettamente
ternano : ma la « Magnifica Comunità » di Stroncone è alle porte di
Terni... La seconda imprecisione sarebbe sul loro essere del se-
colo XIX : ma in realtà, sebbene il Lanzi sia morto a Terni nel 1926,
entrambi hanno dato i loro maggiori contributi alla storia locale
prevalentemente del secolo scorso: e persino l’opera preminente,
direi, o quanto meno più significativa di colui fra i due che maggior-
mente ha vissuto nel secolo presente, il Gradassi-Luzi, Le XX Con-
fraternite laiche del Comune di Terni, ristampate postume dal Co-
mune di Terni in segno di omaggio alla memoria nel 1927, era stata
annunciata da lui da lunghissimi anni quale conclusione di suoi pre-
cedenti lavori e solo il desiderio di lima lo aveva trattenuto dal pub-
blicarla : comunque la prefazione per licenziarla alla stampa era del
1918. E ancora, per il Lanzi, i preminenti studi suoi sono da ascri-
versi agli ultimi decenni del secolo scorso.

Chiarito quanto sopra, deve dirsi preliminarmente che diversi
sono stati i tipi di contributi dei due studiosi. Il Lanzi, oltre che Ispet-
tore onorario ai Monumenti ed archeologo, fu per lunghi anni ot-
timo Rettore del Convitto di Terni presso San Francesco, nel quale
ebbe cura di riunire quante più memorie artistiche possibile del pas-
sato (sino a murare all’ingresso dell’edificio l'antica porta quattro-

UL A3 LISTE Buts KC Peer y TORE
190 IV? CONVEGNO STORICO REGIONALE

centesca della casa dei Giani che altrimenti sarebbe andata dispersa,
ed a raccogliere nel Convitto pregevoli antichità quali un sarcofago
romano scolpito molto apprezzato dal compianto prof. Bertini Ca-
losso) : esordì, a parte alcuni sonetti, nel 1880 con una memoria stam-
pata ad Assisi sull'Anfiteatro Fausto, cui seguirono nel 1885 le illu-
strazioni della diruta Abbazia di San Benedetto in Fundis presso
Stroncone e su Sangemini ed il suo Palazzo Vecchio ; altra sul Gon-
falone della città di Terni e le Prime pagine della storia di Terni
(1886) : e ancora, nel 1886, quattro memorie su Piediluco, Carsulae,
il Ponte di Augusto e, più importante tra tutte, su / primi abitatori
della Valle, l'età del Bronzo e la Necropoli di Naarti.

Successivamente, memorie sul convento di San Francesco a
Stroncone del 1887; dell’antico sigillo, di aleune medaglie e nove
libri corali membranacei a Stroncone, del 1889; memorie sul con-
vento di San Martino alle Porte di Terni, del 1890 ; di un lodo di
Innocenzo Terzo ai Narnesi del 1295 ; sopra un altorilievo esistente
nella basilica di San Valentino; e per il centenario dell'assedio di
Stroncone, del 1897 ; sull'antico nome di Terni del 1898.

Tali scritti, nei quali la ricerca storica procede di pari passo
con l'indagine artistica, ed alla quale il Lanzi aveva affiancato altre
vere e proprie illustrazioni di località (Terni, Stroncone, Sangemini,
Calvi, del 1893 ; Sangemini, ricordo d'arte e di storia, 1894, Guida di
Terni e dintorni, in collaborazione con l'Alterocca), maturano poi
in altri, quasi sempre della stessa intonazione storico-artistica. Così
nel resoconto apparso nel 1901 in Notizie degli Scavi su Scoperte
varie nell’ Acciaieria, nell'interno della città e nel suburbio di Terni,
che ricordano le particolari tombe a circolo venute in luce presso lo
sbocco della gola del Nera, che apparentano i sepolcri preistorici ter-
nani a quelli di altri lontani popoli dell’età del bronzo e di cui il
Lanzi una ne ricostruì. E poi, notizie sulle Antichità scoperte nella
via provinciale da Terni a Rieti (1902); notizie su L'Antica cripta
della Cattedrale di Terni (1902); e l’elenco di tutte le fonti per la
genealogia delle principali famiglie di Terni, delle quali descriveva
gli stemmi (scritto di 18 pagine Araldica di Terni nel Bollettino
della Deputazione di Storia Patria per l'Umbria) pure del 1902: e
Note e Ricordi sulla Chiesa di San Francesco in Terni, e altre ancora
che sarebbe troppo lungo elencare (la bibliografia ternana del Ciaurro
elenca ancora altre sue ventitrè memorie oltre agli scritti sparsi nel
periodico Il Convitto di Terni pubblicato dal 1896 al 1910) sino alla
notevole monografia Terni pubblicata nel 1910 dall’Istituto Ita-

— HM
IV9 CONVEGNO STORICO REGIONALE 191

liano d’Arti Grafiche di Bergamo nella collezione diretta da Corrado
Ricci.

Il Gradassi-Luzi, a parte la sua notevole produzione poetica,
della quale non v'é qui da occuparsi, muove invece generalmente,
nella sua ricerca storica, dai documenti, il più spesso direttamente
d’archivio. E nascono quindi, dall’opera assidua dei due scrittori,
due illustrazioni della storia locale, da due punti di vista, che si
integrano a vicenda e risultano quindi più interessanti per comporre
il quadro di alcuni aspetti della storia di Terni,

Tornando al Lanzi, per poi fermarci al Gradassi-Luzi, è molto
interessante seguire il suo ‘progredire nell’approfondimento sto-
: riografico.

In uno dei primi scritti (le Notizie sul Convento di San Martino
pubblicato in Miscellanea Francescana del 1890) egli riferisce le
notizie storiche di tale chiesa presso che distrutta da un incendio
nel 1876 e che é alle porte di Terni, sotto la Passeggiata, illustrando
un lato caratteristico della vita locale, certamente non soltanto lo-
cale. Ci dice cosi che i religiosi cappuccini, che già avevano un con-
vento presso Terni in località L'Eremita (che il Gradassi-Luzi, scri-
vendo della Chiesetta confraternale di Santa Maria Maddalena chiama
invece con il suo nome attuale, suggestivo pur nell'attuale abban-
dono, de La Romita), avendo chiesto nel 1584 al vescovo Petroni
un terreno della mensa vescovile e la chiesa di San Martino, li ebbero
solo a patto che il comune avesse dato un equo compenso al vescovo :
ma ne giunsero in possesso solo quando, non potendo il comune
per le sue strettezze finanziarie mantenere tale impegno, il papa Sisto
Quinto ebbe a cedere un certo dazio imposto dal governo al comune.
Si accentuó poi questa partecipazione degli enti pubblici all'edilizia
sacrale — partecipazione allora consueta come risulta da altre docu-
mentazioni e in altri casi dall'Angeloni — con l'offerta da parte del
comune, nel 1589, poi che la fabbrica languiva, dei laterizi, delle
travature e persino della campana. Ma già qui l'interesse del Lanzi
non è nel solo ricordo storico : ed infatti ci descrive un affresco del
cappuccino Francesco Paolo Piazza da Castelfranco dipinto ad olio
sul muro della sagrestia rimasta indenne dall'incendio, con tema
Il Giudizio.

Ma dove questo metodo storico deduttivo del Lanzi dà notevole
prova è nella memoria su L'Antica Cripta della Cattedrale di Terni
pubblicata nel Bollettino della Deputazione di Storia Patria. Egli
ha la ventura di riscoprire, in certo senso, la Cripta pregevole :

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192 IV? CONVEGNO STORICO REGIONALE

da essa trae la prova che, indipendentemente da quanto asserivano
i vecchi agiografi come l'Angeloni, lo Iacobilli, l'Ughelli, su un pre-
teso oratorio di san Pellegrino del I secolo nel luogo della cattedrale,
— che il Lanzi dimostra impossibile perchè a S. Valentino, che era
sulla via esterna della evangelizzazione in quanto sull’itinerario da
Roma, non vi sono tracce cristiane anteriori al IV secolo — era plau-
sibile essa fosse primitivamente una costruzione del secolo VII eretta
sotto il vescovo Anastasio, come la tradizione afferma, quale nucleo
originario della cattedrale perchè l’attuale costruzione del secolo X
od XI utilizza materiali di una precedente costruzione. E dall’inda-
gine stilistica (e dalle notizie sull'abbandono del tempo precedente,
ché ancora dopo il 1850 si era tolta una colonna di marmo africano
dalla cripta per segarla e rappezzare cosi il pavimento della cattedrale)
si passa a quella dei documenti, alle ricerche erudite. Il ritrovamento
fatto dal Lanzi in quell'occasione di un'altra cappelletta sotterranea
a fianco dell'ingresso, le notizie delle riformanze su 50 scudi dati al
vescovo del tempo nel 1573 per contributo a far bella, nel duomo
stesso, a livello, la cappella di sant'Anastasio, ora distrutta : un
documento spulciato nel protocollo del notaio Rutilio Bussone nel
cui rogito del 15 giugno 1575 si dice dei sacri resti che maximi cum
diligentia ibi reconditis, lo inducono a riconoscere, in una sorte di
finestrella posta nella facciata esterna, a livello pavimento, (collocata .
in luogo a fine 400, e che per la testa di bufalo che l’incorona, ram-
menterebbe l’allora vescovo di Terni Ventura Bufalini) la prova
che all’interno, in corrispondenza, si sarebbe avuto l’altare di santo
Anastasio. Attraverso di essa i fedeli potevano. nelle ore nelle quali
la chiesa era chiusa, di notte, « fare i loro atti di devozione al Santo » :
il cui corpo doveva quindi riposare nell’altare, poi traslato, del cui
luogo non si aveva più memoria... Ed a conferma indiretta, il
persistere della tradizione ancor viva intorno al '900 — ma oggi chi
la ricorda più ? — che « coloro che sono tormentati dal dolor di capo,
nel cavo marmoreo appoggiano fiduciosi la parte dolente, invocando
la guarigione ».

Non si deve qui, nè è possibile per ragioni non fosse altro di-
mensionali di esposizione, rintracciare la sostanza di tutti i molti
apporti del Lanzi alla storia di Terni e non si possono quindi indagare
nel dettaglio le sue opere, fra le quali pregevolissima la monografia
Terni nella quale l’illustrazione dei monumenti dà motivo via via ad
inserirli nella storia della città — nè ci si può soffermare sull'importan-
tissimo apporto alla conoscenza dell’età preistorica in Terni — ma
IV? CONVEGNO STORICO REGIONALE 193 d

prima di abbandonare il Lanzi per vedere l'altro atteggiamento storio-
grafico del suo contemporaneo e coetaneo Gradassi Luzi, sia consen-
tito dire ancora qualcosa su uno studio del Lanzi sugli affeschi della |
cappella Paradisi in Terni. : til

Il Lanzi, rettore e restauratore del convitto, già convento, |
annesso alla chiesa di San Francesco (e che molto si addolorerebbe
oggi che, nella ricostruzione in corso di un'ala di questo, si sia demo-
lita una bellissima volta in pietra spugna di un grande locale a piano
terreno, analoga ad una dell'altro lato del cortile, forse salva solo per-
ché nel dopoguerra ebbi le ventura, restituendola, di fare dell'am-
biente la cappella del convitto) si occupó piü volte, nei suoi scritti, di
talune sconosciute pitture della cappella Paradisi. Tale cappella era
stata eretta in san Francesco in onore di un Giovanni Paradisi i cui m.
nepoti Paolo ed Angelo erano stati capitani del popolo in Firenze n
dal 1333 al 1335. E poi che la morte dell'Alighieri era del 1321, e gli |
affreschi alle pareti rappresentano l'inferno diviso a bolge con Luci-
fero che maciulla i dannati come a Tuscania (in Santa Maria Mag- |
giore, nel grandioso Giudizio che vecchie guide attribuiscono addirit- Ihi
tura a Giotto od a Cimabue, e che dovrebbe ritenersi invece della
scuola del Cavallini) e il Paradiso ed il Purgatorio: ed in Umbria
erano fioriti i primi imitatori il Dante (che il Luzi ricorda essere
stati il Moscoli ed il Frezzi) e Giotto aveva dipinto ad Assisi uno
dei più antichi ritratti di Dante, deducendone che l'Umbria fosse
stata la prima terra d’Italia a sentire la influenza di Dante, egli
accolse la datazione degli affreschi come trecentesca.

Ora, recentemente, Federico Zeri (sul Bollettino d'Arte del Mi-
nistero P. I. n. 1, II, 1961) riprendendo un'attribuzione del Longhi del
1926, dimostra che il ciclo della cappella Paradisi è da attribuirsi’
al pittore goticizzante Bartolomeo di Tommaso da Foligno: il
quale, come informa il Berenson nelle sue Pitture Italiane del.1932 |
— accettando l’attribuzione degli affreschi fatta dal Longhi — operò mu
tra il 1425 ed 1445. L'indagine stilistica compiuta dallo Zeri con-
clude essere impossibile che il ciclo Paradisi sia del primo '300,
come si voleva per una certa dipendenza iconografica dal poema
dantesco. Il Lanzi, nel riferire una tradizione, si era riportato altresi
ad un documento d'archivio che la accreditava in quanto dava come wi
anno dell'affresco il 1353. Ora lo Zeri, su una vecchia fotografia |
della scritta dedicatoria (già lacunosa ed oggi ancor più mal ridotta
dopo i bombardamenti) legge invece 14... e ne deduce che la data
doveva essere 1453. D'altra parte adesso i bombardamenti hanno “dj

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194. IV? CONVEGNO STORICO REGIONALE

fatto apparire in uno strato sottostante altre pitture piü antiche che
potrebbero essere del tempo nel quale la cappella fu eretta per Gio-
vanni Paradisi dai suoi eredi, ma tali pitture erano sconosciute al
Lanzi. |

Passando oltre alla digressione — nella quale si é voluto porre
in luce come sia difficile, pur disponendo di documenti, sceverare
la verità storica da talune deformazioni affettive che anche i docu-
menti non recenti possono avere — eccoci al Gradassi-Luzi.

Il Gradassi-Luzi, a parte la sua attività poetica e qualche excursus
in campo piü vario biografico e illustrativo, si caratterizza per le sue
pubblicazioni e le sue indagini sugli Istituti di Carità di Terni e le
Confraternite laiche. Nativo di Terni, dopo aver studiato a Pisa
ed essersi laureato in legge e diplomato notaio, egli diveniva, a 21
anni, Vice Segretario della Congregazione di Carità di Terni nel 1873
e ne era eletto Segretario nel 1886. E poi che per il suo stesso compito
professionale ebbe a riordinare l'antico e rieco archivio della Congre-
gazione, il settore della sua operosità storiografica nacque, puó dirsi,
dal suo lavoro quotidiano.

Il primo scritto storico del Gradassi-Luzi — primo storico,
perché la sua prima pubblicazione fu una raccolta di poesie del 1881
— è un Sommario di memorie storiche degli Istituti di Carità di Terni.
(1883). Ad esso seguirono Gli antichi capitoli della Fiera di Campitello
in Terni (1885), Gli antichi Statuti della Confraternita della Miseri-
cordia di Terni (1885), La Compagnia dei Disciplinati di Terni (1886).
E poi nel 1902 L’Antico archivio delle opere Pie di Terni e qualche
altro scritto sino al già citato Le XX Confraternite laiche, che rias-
sume, ampliandole, diverse delle precedenti pubblicazioni.

Dice il Mariani, nella sua prefazione alle XX Confraternite Laiche,
che il sommario di memorie storiche degli Istituti di Carità, pubbli-
cato a Terni per i tipi del ternano Francesco Boni « corredato di
preziosi documenti, è una viva e fedele pittura degli istituti di bene-
ficenza ternani ». Ad esso seguì la pubblicazione de Gli Antichi ca-
pitoli della Fiera di Campitello, la cui riproduzione a stampa è pre-
ceduta da un preambolo di una diecina di pagine nel quale il Gradassi-
Luzi ha cura di rilevare, fra l’altro, che « talora da uno scritto dei
più insignificanti si sono rilevate le costumanze di un popolo ».
Il preambolo accenna al complesso delle confraternite ternane che il
Gradassi-Luzi elenca allora in 14, riconoscendone 10 esistenti ancora,
diffondendosi poi su quella detta di S. Maria in Campitello, sorta
IV? CONVEGNO STORICO REGIONALE 195

nella chiesuola posta sulla strada fra Terni e Sangemini, a lato della
quale avveniva la Fiera : i cui statuti, per la prima volta in quella
occasione pubblicati, egli deduss» da una pergamena di archivio
del 1567. Tali statuti sono suddivisi in libri: un primo, che tratta
« Degli Officiali » si sofferma sui « Soprastanti della Fiera e autorità
et officio d'essi»: « Che li soprastanti habbieno la residenza presso
la Chiesa e non si possano partire », « Che tutto quello sarà dal sopra-
stante giudicato si debba seguire», «Che li soprastanti possano im-
ponere datii alle botteghe, l’entrata dei quali metà sia della Chiesa
predecta ». Il libro secondo tratta « Dell'ordine luogo e tempo di
detta Fiera » ; il terzo « Delli pesi e misure » : e prescrive che ognuno
che venda « dovrà mostrare di haver misura giusta ». Il libro quarto
si occupa « Delli proventi della Fiera » e, fra l’altro, dà i limiti delle
mercedi che possono chiedere i soprastanti per sigillare. E il libro
quinto tratta « delle Fraudi, fraudati et pene » e prescrive « che cia-
scuno sia tenuto a dare il giusto peso », « che nessuno possa vendere
una cosa per un’altra », « che gli Zengari non possano stare nè essere
assicurati in detta Fiera nè fuora nel convicino ».

Dopo il nutrito studio su Gli Antichi Statuti della Confraternita
della Misericordia, volume di 118 pagine, il breve scritto La Compagnia
dei Disciplinati di Terni, precorre con le sue notizie, in certo modo,
il recente convegno sui Disciplinati in Umbria. I Disciplinati ternani,
secondo i « Capitoli d'ordini », di cui esiste una stesura del 1619, si
configurano come « una scuola dove si impara e si esercita la disci-
plina della cristiana milizia che consiste nella imitazione della vita
di Cristo il quale, come dice Isaia, é la Disciplina della nostra pace,
e ci ha lasciato l'armadura per superare li nemici della nostra salute
et insegnata la via della vera beatitudine, che é il fuggire le mondane
delizie et il soggiogare la carne allo spirito e soddisfare il peccati
nostri con li esercitii della penitenza e della mortificazione ». A
questo robusto ed aspro misticismo volto a vincere con dura disci-
plina, talvolta anche esteriore nella flagellazione, la natura nostra
non sempre volta al bene, sono accompagnati consigli, come quello
del capitolo VI nel quale si esortano «i fratelli ad essere caritatevoli
e mantenere il laudabile costume di distribuire il pane ai poveri
tre volte all'anno, preferendo quelli che per certi riguardi si peritas-
sero di stendere la mano ». Ed è da notarsi come fra i confratelli
vi fossero, oltre gli Infermieri, i Paceri i quali dovevano aver cura di
«concordar tutte le risse et ;differentie tanto civili che criminali ».
Il che prova quale influenza sul costume generale potesse avere il

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196 IV? CONVEGNO STORICO REGIONALE

legarsi ad una confraternita che tentava di tradurre in vita pratica
i precetti cristiani. Nel successivo scritto su L'antico archivio delle
OO.PP. di Terni pubblicato sul Bollettino della Deputazione di
Storia Patria, prima di esporre l'indice dei documenti, il Gradassi-
Luzi, riaffermato il suo concetto che «la storia del Comune di Terni
é ancora da farsi » perché essa, al di fuori dei semplici fatti materiali
puó trarsi dalle ricche documentazioni dei superstiti ma ben ordinati
archivi del Comune e della Congregazione di Carità, si sofferma sulla
nobile Confraternita degli Spadiferi di San Nicandro. Questa «ricca
di denaro » « attendeva a viso aperto alle molteplici opere di pietà con
signorile decoro e con ischietta e larga munificienza ». Ed a proposito
dell'attività della confraternita quale risulta dai documenti d'archivio
e della luce che da questa promana sul costume della popolazione
ternana via via nei secoli, egli commenta : « Soltanto l'analisi delle
ben 318 pergamene basterebbe a nutrire uno studio storico della
più grande attrattiva. I vescovi, i podestà, i capitani del popolo,
i monasteri ed i conventi, gli ospedali ed i cimiteri, gli eremi e le
chiese con i loro penitenti, il fiero aspetto della piccola città medievale
cinta dalle sue mura e dai suoi propugnacoli, la latinità decadente
ed i primi periodi della lingua volgare in una prosa rozza, impacciata
ed infantile : tutto in quelle carte rivive con una freschezza di vita
e con una vivacità di colore, con una limpidezza di verità, con un pro- -
fumo di poesia, da farci dimenticare la magnificata epoca nostra ».
Vorremmo dire che questo oblio del passato per un oggi splendido ma
incerto, è ancora .il nostro.

Lo scritto ha poi una sua parte propriamente storica là dove
dà notizie che tutti i documenti di archivio classificati in quegli anni
erano stati elencati in un lungo indice che viene riprodotto. Tale
indice si inizia con le citate pergamene, che già nel 1822 aveva deci-
frato ed ordinato il ternano Pietro Antonio Magalotti: e raccoglie
tutti i documenti della Confraternita di San Nicandro, della compa-
gnia dei Disciplinati, della compagnia del Suffragio, del Sacro Monte
di Pietà a partire dal 1551, del Convitto Pio delle Orfane a partire
dal 1771, del Legato Teofoli dal 1824 al 1860, dell’Orfanotrofio
Guglielmi a partire dal 1837, oltre la bibliografia ed i manoscritti
a partire dal 1300.

Ed eccoci, finalmente, alle X X Confraternite Laiche, la più antica
delle quali, prima sulla quale il Gradassi-Luzi si intrattiene nelle
esposizioni in successione cronologica delle vicende di ciascuna, fu
la Confraternita di San Sebastiano : essa dovette essere operante
IV? CONVEGNO STORICO REGIONALE 197

prima del 1291, anno al quale risale un documento della Nobile
Confraternita di San Nicandro. Le piü recenti invece, cui sono dedi-
cati gli ultimi capitoletti, sono quella di S. Andrea Avellino, protet-
tore degli infermi di paralisi, la quale risale al 1784, e quella di Santa
Anna che è del 1847. Non è qui che si potrebbe delineare quella storia
intima della comunità ternana cheil Gradassi-Luzi commette, in certo
senso, a colui che saprà tesserla dalla ricca messe di documenti d'archi-
vio : ma a parte gli sviluppi successivi cui potranno condurre gli studi
del Gradassi-Luzi, non si puó per altro non sottolineare come questo
libretto di poco piü di 200 pagine contribuisca in modo assai sugge-
stivo a porre alcuni punti fermi essenziali della storia della comunità.
Le nostre confraternite, come ben dice l'autore all'inizio: « rac-
colsero all'ombra di un gonfalone le energie vive e rinnovellantisi
di tutti i ceti, di tutte le fazioni, di tutte le arti ». « Quei remotissimi
Laici che, assunta una dimessa divisa, popolarono i primi Oratori
per meditare e operare» che per aver «sentito l'angoscia di infi-
niti mali... provarono prepotente il bisogno di rivolgersi a Dio »
«ritennero però, senza rinuncie, tutti i diritti e i doveri del più gene-
roso civismo, ed ogni dì ricordarono di avere una famiglia da mante-
nere, un’arte cui attendere, molte miserie da lenire, una patria da
difendere. Furon quindi ad un tempo Confrati ed armigeri, priori
ed artieri, spedalieri e magistrati, canevari e giurisperiti, sacristi ed
agricoltori, confortatori di vivi e seppellitori di morti».
Spigolare sulla loro attività, sui loro statuti, sarebbe certo in-
teressante: ma basti qui accennare alla molteplicità degli aspetti
di vita che risultano dal testo, dai singoli capitoli dedicati ciascuno
ad una confraternita, ampliamento e rimodellamento in qualche
caso dei precedenti studi già visti, ad esempio sulla Confraternita
di San Nicandro o su quelle dei Disciplinati. A parte la notizia ad
esempio che le spese della solenne processione dell’Assunta del 15
agosto 1440 gravarono sugli ebrei ai quali era assegnata Piazza Gio-
decca (probabilmente quella che era prima dei bombardamenti
Piazza Corona) per i loro cambi e per i loro traffici spesso usurai
(la Magistratura consentiva loro di praticare una « discreta » usura),
perché le grandi feste provocavano movimento di gente e quindi
incremento dei commerci cui gli ebrei erano interessati — od il ri-
cordo di Padre Barnaba Manassei, inventore della istituzione bene-
fica dei Monti di Pietà da lui predicata in Perugia fin dal 1460 ed -
attuata a Terni sua Patria nel 1467 — ecco la Confraternita della
Croce Santa che provvede «alla distribuzione di pane ai poveri,
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198 IV? CONVEGNO STORICO REGIONALE

di doti a monacande, di soccorsi a carcerati, di assegni di maritaggio
ad oneste zitelle, di medicine ad infermi » inoltre « addestrando la
gioventü alle massime del buon vivere, con filosofiche dispute, con
frequenti conferenze e predicazioni». Ed i laici della Confraternita
del Carmine non si limitavano ai «soccorsi» che praticavano verso
i bisognosi, fra i quali soccorsi è da ricordare, stante la notevole ric-
chezza di lasciti raccolti e la possibilità degli iscritti, il prestar denaro
a basso interesse : ma era loro prescritto, fra l’altro, di « procedere
velata facie per le piazze e le vie più frequentate, e penetrar nelle
osterie, nelle taverne, per correggere la bestemmia ». Invece la Frater-
nita Laica della Madonna del Ponte provvedeva, quando la notte
i forestieri non potevano penetrare nella città, chiusa dalle Torri
del Cassaro, a ristorare i viandanti negli alberghi confraternali :
ed inoltre pensava a sovvenire dei mezzi d’opera (lenze, reti, ami)
i pescatori che stavan sulla spalletta del ponte d’ingresso a Terni:
ed i confrati si adoperavano ai salvataggi degli inesperti a nuoto,
nel fiume, nei pericoli di annegamento.

Si può dunque concludere confermando che il Lanzi da un suo
punto di vista, il Gradassi-Luzi da un altro, hanno validamente con-
tribuito ad arricchire di contributi e di documentazioni intressantis-
sime la storiografia cittadina di Terni. E che v'é da far nostro l'auspicio
che quella solidarietà umana che ha così vivi accenti nelle « frater-
nite » così ‘amorevolmente illuminate dal Gradassi-Luzi, rifiorisca
dai non del tutto dispersi filoni che ancora esistono perchè la vita non
sia soltanto una lotta, ma quante più volte possibile un cristiano
atto di amore.

Il Presidente Morghen si compiace dell’impegno col quale l’ing.
Grassini ha delineato la figura e l’opera dei due studiosi ternani,
come genuini esponenti di quel tipico movimento di interessi, di
studi e di ricerche nel campo storiografico locale, a cui si frammi-
schiava un’apprezzabile componente di amore del natio loco. Dà
poi la parola al prof. Franco Mancini per lo svolgimento della sua
comunicazione : |

APPUNTI PER UNA RASSEGNA DELLE OPERE
DI LORENZO LEONI, STORICO TUDERTINO

Ad una strenua educazione letteraria — sicuramente acquisita
negli studi romani e di continuo accresciutasi sui volumi della biblio-
IV? CONVEGNO STORICO REGIONALE 199

teca paterna (1) fino a diventar pratica di vita nei circoli fiorentini
del Vieusseux, del Peruzzi e del Capponi — è necessario ricondurre
qualunque nostro giudizio che riguardi l’opera storica di Lorenzo
Leóni. Poichè se quella cultura significò da un lato chiarezza e do-
minio di un proprio mondo interiore, segnò dall’altro i limiti di una
umanità spesso astratta e più che altra incline a togati atteggiamenti.
Questa duplice impressione ci viene subito e soprattutto da quello
che possiamo considerare il primo lavoro di un certo impegno, cui
lo studioso diede il titolo di Memorie storiche di Todi, ad evitare la
parola «storia » che gli pareva «aver troppo del grande » (2).

Il libro è costituito da settori indipendentemente elaborati,
precedenti o successivi (3) all'anno 1856, apposto nell'edizione del
Natali. Con molta probabilità la suddetta data riguarda invece la
uscita della prima dispensa, quando cioé il lavoro era in fieri e il
disegno dell'opera appena abbozzato. Conclusasi, comunque, ab-
bastanza felicemente l'esposizione delle epoche etrusca e romana
colle lodi e l'incitamento del Gams, del Cantü e dello stesso Grego-
rovius — gli appigli dai cronisti locali (4) erano stati per la prima
volta assunti con organicità e coerenza dopo i luminosi esempi del
Niebuhr e del Mommsen — il Leóni si accinse di buona lena alla
redazione del periodo medievale; ma qui alla maggiore esigenza
di fedeltà e di sviluppo non soccorsero le fonti todine né la prepara-
zione dell'autore, il quale cercó di rimediare con taluni appunti sui
vescovi della città e con uno scritto sulla vita di papa Martino I;
per i secoli, dal dodicesimo al sedicesimo, venne infine utilizzata
con pochi ritocchi la vecchia cronaca di Gian Fabrizio degli Atti (5).
Completò il volume — che, senza un indice, vedeva la luce non certo
prima del '62-63 — l'aggiunta di un corpus d’iscrizioni latine.

Inevitabili in un saggio cosi composito le soluzioni di continuità
— omessa, ad esempio, l'illustrazione di un episodio fondamentale
come il soggiorno del Bavaro a Todi — la diversità dei criteri espo-
sitivi e le dissonanze di stile: gnomico moraleggiante nella prima
parte; romanzesco e drammatico nella seconda ; aridamente crona-
chistico nella terza. Quelle che tuttavia contano in questa congerie,
oltre a certi risultati di documentazione erudita (6), sono le pagine
delle prefazioni (7), nelle quali, come nei cori delle tragedie manzo-
niane, si palesano gli intendimenti del giovane autore. Il quale im-
paziente di offrire un contributo alla rinnovata coscienza degli ita-
liani (« ché a poter scrivere la storia nazionale fa di necessità aver

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apparecchiato dinanzi le municipali ») (8), rivela di muoversi ancora

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200 IV? CONVEGNO STORICO REGIONALE

nell’aura del carme foscoliano (« sono in Italia ruine di una civiltà,
di cui poco altro che del nome ne rimarrebbe... se non fossero i
sepolcreti. . .) (9); e alquanto prima della vulgata carducciana, si
rifà al « gran Vico » (10) e ai ricorsi storici e « crede che sotto al corpo
| dei fatti sia, come sostanza avvivatrice ed informativa un'eterna
(GET ragione » (11) ; rigorosamente romantica, inoltre, la valutazione delle
| età di mezzo, della vitalità sconvolgente dei barbari, dell'espressione
popolare genuina rivelatrice di verità e di poesia («interrogansi i
M dialetti e le tradizioni popolari, anche le favole, e con profitto ») (12).
MIU In una concezione tanto solenne della funzione moralizzatrice
| della storia non si dà ovviamente luogo a chiuse esaltazioni campani-
listiche: ogni vicenda assume significati aperti all'avvenire e riso-
nanze larghissime ; perció il Leóni riprendeva argutamente quanti
— terrazzani, panegiristi, cianciatori — «armeggiavano come liti-
ganti per trarre a casa ogni gloria dubbia e combattuta » (13). Queste
Memorie storiche ci presentano, dunque, una galleria di eroi (alcuni
saranno in seguito oggetto di compiute biografie), la cui natura piü
o meno vicina allo Iacopo Ortis è invece del tutto ignara della le-
zione machiavellica ; esempi del valore italiano mai spento nei se-
coli, essi vengono considerati i precursori di quel Risorgimento che
^| TBI é come il corollario di un lungo processo storico, una stagione nella
BI quale si dischiudono i germi di libertà già presenti in talune istitu-
| È | zioni del passato. Ché la mancata unità d'Italia si deve, secondo il
f dii Leoni, solo ascrivere all'immaturità dei tempi e non — come vuole
a il Machiavelli — alla politica dei papi : « non che spiegare la divisione
d'Italia con la politica de’ papi, bisogna spiegare la politica de’ papi
con la divisione d’Italia » (14). Soluzione interessante, anche se discu- -
tibile, di un fondamentale e annoso problema, in cui, se é implicita
una polemica palinodia (fino a che punto deformante ?) contro chi
aveva definito l’Italia una terra di morti o riconosciuto nella riscossa
della nostra borghesia l'influenza decisiva della rivoluzione francese,
Sono pur contenute le premesse di un metodo storiografico che,
|l distaccandosi nettamente dall'empirismo settecentesco, muove alla
a ricerca di cause e di effetti, di motivi ideali, ma sempre immanenti
il nella storia; ricerca, insomma resa più valida da un’obbiettività
schiva da angustie municipali come da meschine passioni di parte.
Proprio per questa via con il trascorrer degli anni, sarà possibile
al Leòni pervenire all'amoroso rispetto del documento (15) e alla
capacità di sostituire una concreta indagine a quella che era una
vuota esercitazione accademica.
IV? CONVEGNO STORICO REGIONALE 201

Risultato che peró non ravvisiamo nelle Memorie storiche, dove
le citazioni e i riferimenti sono rari e generici e la loro interpretazione
portata a livelli di teatralità (16). Qui infastidiscono le frequenti
ipotiposi, la mimica dei dialoghi, i tacitiani discorsi indiretti, le
anafore, le allitterazioni, in un miscuglio che va dal lepido-grazioso
dell’Arcadia al romantico-passionale dell’Ortis, per una gamma inter-
minabile di reminiscenze e di tòpoi interessanti autori di tutti i se-
coli, dal trecento in qua, particolarmente Dante, Boccaccio, Guitciar-
dini, Foscolo, Tommaseo e Manzoni (17). Nonostante un’affermazione
dell’autore (18), persino il dato biografico filtra a stento e illanguidito
attraverso il pesante drappeggio oratorio. D'altra parte, che l'indi-
vidualità romantica del Leòni, anzichè esprimersi in termini auto-
biografici, preferisca palesarsi in una personale filosofia della storia
ci viene largamente provato anche dalla Vita di Bartolomeo d’ Al-
viano (19), condottiero todino del secolo XV : in questo caso, tutta-
via, la formula storiografica non intralcia l’ardito svolgersi e arti-
colarsi delle parti nè l’eccessiva letterarietà (non mancano però or-
pélli e civetterie) soffoca la linea robusta del racconto. L'Alviano
attrae la simpatia dello scrittore come colui che valse « più della sua
epoca » (20) : si tratta, al solito, di una figura generosa e non volgare,
aliena dalla furberia e dal tradimento, rifuggente l’inutile strage e
la lotta fratricida : per il Leòni il condottiero todino, combattendo i
francesi e gli Asburgo, lottò non tanto per Venezia quanto per la
Italia. Patriottici anacronismi, che però animano gli episodi e dànno
rilievo ai personaggi (anatéma a Lodovico il Moro che sollecitò la di-
scesa di Carlo VIII ; gloria a papa Giulio per il grido « fuori i barbari »)
e non impediscono che la monografia sia scrupolosamente condotta
sulla scorta dei documenti : attento il quadro e dovizioso di notizie
sia di carattere locale che nazionale ; lo storico si districa agevol-
mente dal groviglio di quel difficile periodo ; presenta i fatti nei loro
nessi logici e cronologici. L'appendice si estende per duecentoquaranta
pagine e contiene — tra gli atti pubblici e privati, editi per la prima
volta — deliberazioni del senato veneziano e del Consiglio dei Dieci,
lettere dello stesso Alviano, di Altobello da Canale, di Lucrezia
Borgia (21) e di Alessandro VI.

A sottolineare la progressiva rinuncia del Leòni alle sintesi
improvvisate e ambiziose, il suo allontanarsi dall’astrattismo razio-
nalistico per accostarsi invece pazientemente all’esplorazione archi-
vistica e a una maggior considerazione della componente filologica,
giovano i numerosi articoli pubblicati nell’ Archivio storico italiano,

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202 IV? CONVEGNO STORICO REGIONALE

benemerita istituzione del Vieusseux, l’Inventario dei codici della
Comunale di Todi e la Cronaca dei vescovi di Todi. Tra i primi ricor-
deremo i Documenti tratti dall’ Archivio segreto del Comune di Todi (22)
sui rapporti con il papa Giovanni XXII e la conseguente questione
del Patrimonio, corredati di ottime note e di una limpida premessa,
nella quale — accanto a riflessioni ispirate dalla fine delle libertà
comunali — lo scrittore abbonda di acute osservazioni circa la crisi
politica e religiosa, sofferta in quel particolare momento da Todi e da
altri centri dell'Umbria. Il confronto con le pergamene — per quelle
almeno che é stato possibile reperire (purtroppo il Leóni non ne in-
dica la collocazione) — ha dimostrato che la trascrizione è sufficien-
temente vicina all'originale, anche se non sempre conservatrice delle
pecularietà grafiche e linguistiche.

Frutto di lunghe consuetudini con le opere della Biblioteca ci-
vica da lui riordinata (e quasi istituita) é quel catalogo dei codici (23),
divenuto ormai introvabile, eppure ricercato dagli studiosi di tutto
il mondo.

Lo stato miserevole dei preziosi manoscritti — appartenuti un
tempo alla biblioteca del cardinale Bentivenga dei Bentivenga di
Acquasparta, fratello del piü famoso Matteo — quale venne descritto
dal Gregorovius (24), che li vide ammucchiati alla rinfusa in un angolo
della sacrestia di San Fortunato, commosse e indignò il Leòni, il
quale sottrasse da sicura rovina tanti tesori, li studiò e li descrisse ;
i trecentotrentotto codici, che figuravano in un catalogo del 1435,
sì erano intanto ridotti a 183; il Leòni di tutti riportò l’incipit e
l’explicit, ne compendiò brevemente il contenuto, rilevando con di-
scretadiligenza le altre caratteristiche. Certamente il lavoro risulta
oggi invecchiato — se non altro per la bibliografia che sotto gli espo-
nenti sì è venuta accumulando — si è scoperta qualche svista, qual-
che attribuzione inesatta : i criteri permangono tuttavia accettabili.

La cronaca dei vescovi (25), pubblicata dopo la morte dell’autore,
testimonia infine — insieme ad altre pagine rimaste manoscritte (26)
— a quale misura stilistica e serietà d'informazioni sia pervenuto
lo storico nell’ultimo scorcio della sua esistenza amareggiata dalla
disfatta della Destra italiana e dall’ingiuria di grandi e piccoli avver-
sari. La storia della Chiesa tudertina, che lo aveva già appassionato
nella giovinezza, è vista adesso in relazione con la vita di un popolo :
non le singole figure di vescovi interessano lo scrittore (tutto rac-
chiuso in un distico, in cui si dissolve elegantemente l’immediatezza
di un risentimento, il profilo del vescovo Giovanni Rosati, 1855-1882 :
IV? CONVEGNO STORICO REGIONALE 203

« Vir simplex, fortasse bonus, sed pastor ineptus Vult, tentat, peragit
plurima, pauca, nihil ») (27), ma le epoche nelle quali quelli operarono,
il significato politico e sociale delle loro attività e perfino i riflessi
o le modificazioni che di conseguenza si verificarono nella cornice
esteriore e monumentale della città.

Quella che voleva essere soltanto l'umile cronaca é diventata
cosi la vera storia : l'opera che non esiteremmo a sottoscrivere, perché
sintesi ormai di filosofia e filologia, di meditazione e di rigore scien-
tifico.

NOTE

(1) Della famiglia Leóni — di cui si hanno notizie fin dal sec. XIII —
lo stesso Lorenzo redasse l'albero genealogico, che attualmente si trova
manoscritto presso il prof. Muzio Mazzocchi Alemanni di Todi. Per notizie
biografiche su Lorenzo Leòni si vedano: A. TENNERONI, L. L. (Necrologia),
in Arch. stor. ital., T. XX, 1877, pp. 513-16 ; In Memoria di L. L., Todi,
1877 (opuscolo che forse troppo risente della circostanza e del clima politico) ;
G. Ceci, Todi nel medioevo, Todi, 1897, pp. XXX-XXXVII ; F. MANCINI,
Todi e i suoi castelli, Città di Castello, 1960, pp. 355-56. Ci limiteremo qui a
dire che Lorenzo Leóni nacque in Todi il 20 settembre 1824 dal conte An-
gelo; compi gli studi medi e universitari a Roma, laureandosi in giurispru-
denza. Perduti i genitori, si recó spesso a Firenze, dove conobbe Porzia La-
parelli Pitti che fu sua prima moglie. Militò, fin dal 1851, nel partito monar-
chico, di cui fu sostenitore anche nei suoi scritti (attribui alla monarchia il
compito di unificare sotto una sola bandiera i vari Stati d'Italia). Nel luglio
1860 subi il carcere a Perugia sotto accusa di aver contribuito alla pubblica-
zione e alla divulgazione in Todi di tre numeri del giornale liberale clandestino
Il mio paese; venne liberato nel successivo 14 settembre dalle vittoriose
truppe piemontesi. Nominato nel 1850 archivista e bibliotecario del Comune
tudertino ; deputato provinciale dal 1862 al ’76; deputato al Parlamento
per tre legislature. Soddisfece a questi incarichi con dignità e onestà, decli-
nando offerte e lasciando cadere occasioni propizie, che potevano consoli-
dare la sua posizione di privato cittadino. Tra le amicizie letterarie annoverò
uomini illustri come Gino Capponi, Alessandro D'Ancona, Teodoro Mommsen,
Eugenio Bormann e Ferdinando Gregorovius. Con la caduta della Destra
nel 1876, allontanato da ogni pubblico ufficio, venne fatto segno di odio e
di persecuzione. Mori il 19 agosto 1887.

(2) Memorie storiche di Todi, Todi, 1865, p. XV ; nella stessa pagina si
definisce il Piemonte « paese misterioso, il più antico per avventura e il più
nuovo ».

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204 IV? CONVEGNO STORICO REGIONALE

(3) Del 1857 è la Vita di San Martino I papa e martire: occupa nelle
Memorie le pp. 151-218; la seconda prefazione (pp. 243-260) veniva
per la prima volta stampata nel 1860.

(4)-Si citano i principali autori tudertini usufruiti: G. F. ATTI, Cronaca
di Todi (loriginale è presso la signora Laura Micheli Branzani di Todi);
G. BENEDETTONI, Notizie storiche di Todi, sec. XVI (posseduto dal medesimo
Leóni); C. SATURNINI, Croniche della città di Todi e tutti li nomi della sua
edificazione, 1583 (Arch. com., arm. VI, cas. XII, n. 9) ; G. B. GUAZZARONI,
Collectanea rerum tudertunarum, vol. IV, secc. XVI-XVII (Arch. com., arm.
VI, cas. XII, n. 3) ; L. A. PeTTI, Commentarii overo memorie di Todi antiche e
moderne, 6 voll, sec. XVII (Arch. com., arm. VI, cas. XI); L. BOosELLI,
Memorie di Todi, 1765 (Arch. com., fondo Alvi, n. 33) ; G. B. ALvI, Dizionario
topografico tudertino, 1765 (Arch. com., fondo Alvi, n. 26); O. CrccorrNr,
Raccolte dei potestà, capitani di guerra, governatori, che ressero la città di Todi
dal 1202 al 1797 (Arch. com., arm. VI, cas. XII).

(5) Si veda ora pubblicata a cura di F. MancINI in Studi di filologia ita-
liana, vol. XIII, 1955, pp. 79-166.

(6) Benché assai vicina ad una dissertazione da «antiquario », la nota
sul cosi detto Tempio di Marte (pag. 119, n. 4) contiene utili notizie.

(7) La prima di esse veniva, infatti, per intero riportata dall’ Archivio
storico italiano (nuova serie), T. III, p. 223.

(8) Memorie storiche cit., p. X.

(9) Ibidem, p. IX.

(10) Ibidem, p. 2.

(11) Ibidem, p. 2.

(12) Ibidem, p. XIV.

(13) Ibidem, p. XII.

(14) Ibidem, p. 252.

(15) Di O. Ciccolini nella stessa Appendice (p. 9) delle Memorie storiche
severamente scrive:«... invasato dal malo esempio dei Romani che distrus-
sero le opere degli Etruschi, da quel valente antiquario che egli era, copio,
e Dio vel dica come, alcuni manoscritti de’ nostri vecchi e ne abbruciò gli
autografi per fargli parer sua fatica, ma non seppe ben copiare né sopperire
al distrutto ».

(16) È sottinteso che cosi voleva la moda del tempo ; in circostanze ana-
loghe un altro studioso todino, Pirro Alvi, scriveva ‘ tragedie ', che venivano
rappresentate con successo, su papa Martino e Altobello da Canale. Lo stesso
G. Ceci, pur vissuto in epoca di trionfante positivismo, non si limita a dire
che la forma del Leòni « costituisce, in fondo, il massimo de’ pregi ond’esso
debba andare lodato ; forma grave, classica, piena di studio...» (op. cit.,
p. XXXIV), ma copia quasi letteralmente passi della Vita di papa Martino
(cfr. op. cit., p. 17 e segg.). Così emigra dal Leoni (Memorie cit., p. 306)
al Ceci e ad altri l'errore per cui gli ‘ aquilini’ (monete) diventano « piccole
aquile d’argento » con le quali i ghibellini fregiavano i loro berretti.
IV? CONVEGNO STORICO REGIONALE 205

(17) Ricorderemo soprattutto, nella tensione a un linguaggio eletto, la
scelta di termini stravaganti o arcaici: rinciprignire, rincapellare, rombazzo,
gozzaglia, esorato, inesplebile, ghiottornia, numismi, crocitante, orrevole, navile
ecc. ; latinismi : intèrito, concaptivi, framea, di suo proprio moto ecc. ; france-
sismi : falta, grossiero, persona (nessuno) ecc. ; qualche voce dialettale, nobi-
litata dall'uso di precedenti scrittori : ricòlta, gualdana, morséllo.

(18) Memorie storiche cit., p. 108.

(19) Vita di Bartolomeo da Alviano, Todi, 1858. Il Ceci (op. cit., p. XXXIII)
giudicó l'opera come la migliore del Leoni. Tra i vari cenni recensivi ci fu
quello di G. Pirrè in L'Umbria e le Marche, 15 dicembre, 1868. E cír. la
bibliografia dell' Enciclopedia italiana sotto Alviano.

(20) Op. cit., pag. 14.

(21) Cfr. l'articolo di F. MANCINI, Lucrezia Borgia governatrice di Spo-
leto in Archivio storico italiano, 1957, disp. II, pp. 182-187, dove venne ri-
stampato il documento del Leóni insieme ad altre lettere della medesima

Borgia.
(22) Cfr. Archivio storico italiano (terza serie), 1865, T. II, P. II,
DAguy .

(23) Inventario dei codici della Comunale di Todi, Todi, 1878. Unitamente
videro la luce le Editiones saeculi decimiquinti quae in Bibliotheca comunali
Iuderti asservantur per Laurentium Leonium descripíae, Firenze, 1879.

(24) Storia di Roma, vol. V, pag. 692.

(25) Cronaca dei vescovi di Todi, Todi, 1889. Stampato postumo dal dr.
Franco Franchi, era destinato all’ Archivio storico italiano, che, per la morte
dell'autore, ne ospitó la sola recensione (cfr. t. IV, p. 695).

(26) Tra queste Prefazioni, aggiunte e note al volume di P. LASPEYRES,
La Chiesa di S. Maria della Consolazione in Todi, con cenni intorno ai monu-
menti architettonici medioevali della stessa Città, Berlino, 1869 (di cui curó an-
che la traduzione dal tedesco) ; Catalogo dei codici dell archivio e della biblioteca
del Sacro Convento di Assisi ; Statuto del Castello di Canale, con illustrazioni
e note; Catalogo delle carte medievali e dei documenti esistenti nell’ Archivio
segreto del Comune di Todi.

(27) Op. cit., p. 211.

Opere principali di Lorenzo Leòni :

Memorie storiche di Todi (fascicoli sei), Todi, A. Natali, 1856.

Vita di San Martino primo, papa e martire, Todi, A. Natali, 1857.

Vita di Bartolomeo di Alviano, Todi, A. Natali, 1858.

Vita di Sabatino Cori, in Letture di famiglia, gennaio 1860.

Notizie intorno alla vita di Sigismondo de’ Conti, Perugia, V. Bartelli, 1864.

Notizie sulla vita di Marianna Florenzi- Waddington, Todi, Scalabrini, 1865.

Documenti tratti dall’ Archivio segreto del Comune di Todi, in Arch. stor.
ital., T. III, 1865.

Vita del colonnello Francesco Alfani da Perugia, in Arch. stor. ital.,
T. VIII, 1868, P. I, pp. 9-58 ; P. II, pp. 3-28. |

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+ e Moret e +
. nell’ Umbria, relazione di Don Domenico Salvati, in Arch. stor. ital., T. XXVI,

206 IV? CONVEGNO STORICO REGIONALE

SALVATI DoMENiCO, Brigantaggio, capitolazione, saccheggio di Stroncone

1877, pp. 43-47.

La peste e la compagnia del Cappelletto a Todi nel 1363, in Arch. stor.
ital., T. IT, 1878, pp. 3-11.

Brevissimi cenni sui tre palazzi del Comune di Todi, Todi, Z. Foglietti, 1878.

Inventario dei codici della Comunale di Todi, Todi, Z. Foglietti, 1878.

Editionis saeculi decimoquinti quae in Bibliotheca Tuderti asservantur per
Laurentium Leonium descriptae, Firenze, Tip. Arte della Stampa, 1879.

Lo Statuto del Castello di Canale, in Arch. stor. ital., T. III, 1879,

pp. 273-75.

Giovanni X XIII e il Comune di Todi, in Arch. stor. ital., T. IV, 1879,
pp. 184-197.

Decreti del Comune di Todi contro gli Ebrei e giustizia loro resa da Fran-
cesco Sforza, in Arch. stor. ital., T. VII, 1881, pp. 25-28.

Cronaca dei vescovi di Todi, Todi, F. Franchi, 1889.

Collaboró con scritti minori all'Archivio storico italiano, al Fanfulla
della Domenica, al Giornale d'erudizione artistica di Perugia, al Manzoni
di Spoleto, al Folchetto di Foligno.

Il prof. Salvo Mastellone, nel rilevare il conributo chiarifica-
tore contenuto nella comunicazione del prof. Mancini, sottolinea
l’importanza della posizione critica romantica di cui è permeata
la produzione storica locale, anche ai fini della elaborazione della
storia generale. Segue la comunicazione del prof. Elio Lodolini
sul tema :

UN MINORE DELLA STORIOGRAFIA TIFERNATE
DELL’OTTOCENTO

La storiografia tifernate dell'Ottocento si incentra su due scrit-
tori di primo piano : il vescovo Giovanni Muzi, autore delle Memo-
rie di Città di Castello (1), e Giovanni Magherini-Graziani, che alla
storia politica ed artistica di Città di Castello dedicò numerose e
imponenti pubblicazioni (2).

A fianco di questi due nomi di maggior rilievo, molti sono quelli
di studiosi minori, di storici locali, autori di pur pregevoli pubblica-
zioni. Ad uno di essi, Giuseppe Amicizia (3), è dedicata appunto la
presente comunicazione.
IV® CONVEGNO STORICO REGIONALE 207

Abbiamo detto storico « minore » : e senza dubbio tale fu l'Ami-
cizia ; più che storico, anzi, potremmo definirlo un « cronista », un
modesto, ma prezioso, « manovale » della storia, per la precisione con
la quale elenca nomi, cifre, dati statistici, lasciando spesso ad altri
di trarne studi critici, ma preparando così un materiale prezioso,
pronto per essere adoperato con facilità.

La sua opera principale, Città di Castello nel secolo XIX (4)
è frutto di un minuzioso e paziente lavoro, durato dieci anni; dal
1892 al 1902 (5). Non si tratta di una storia della città, ma dell’espo-
sizione cronologica dei principali avvenimenti cittadini, anno per
anno, quasi giorno per giorno.

Fonti ne sono i verbali del Consiglio comunale, i bilanci ed i
rendiconti del Comune, ed una serie di documenti, di notizie, di ri-
tagli di giornale, che lo stesso Amicizia venne via via raccogliendo.
Questa singolare collezione non è andata dispersa : essa sì trova nel-
l'Archivio comunale di Città di Castello dove le due serie miscellanee
intitolate rispettivamente Comune di Città di Castello e Documenti
per la storia tifernate raccolti da G. Amicizia, computista comunale,
occupano 135 cassette (6).

Sfilano così, frammisti gli uni agli altri, i piccoli e i grandi fatti
della vita cittadina ; gli avvenimenti lieti e tristi ; gli eventi gloriosi
e le vicende della vita minore di una cittadina di provincia. Tutto
è annotato con uguale cura, dai mutamenti di regime politico agli
stipendi dei maestri di scuola.

L’Amicizia non era del resto nuovo a questo genere di lavoro.
Un suo precedente volume, le Notizie statistiche (7), edito nel 1883,
con dati risalenti talvolta ad un secolo prima (1783), è una miniera
altrettanto preziosa per gli studi — specialmente di storia econo-
mica — sulle vicende tifernati dell’Ottocento (8). Basti pensare
alla tabella dei prezzi medi dei generi di prima necessità, dall’anno
1785 al 1882, prezioso sussidio a disposizione di qualunque storico
dell'economia che voglia servirsi di quei dati, già pronti, senza
essere costretto a ricavarli con lunghi e complessi calcoli.

Proprio nelle Notizie statistiche, una sessantina di pagine costi-
tuiscono la prima base del lavoro destinato a svilupparsi vent'anni
piü tardi: si tratta del capitolo (pp. 93-155) intitolato Brevi cenni
dei principali avvenimenti del Comune per la parte contabile, dal-
l'anno 1800 al 1880, che, con l'aggiunta di notizie di carattere po-
litico e vario, si completeranno nel volume Città di Castello nel se-
colo XIX.

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IV? CONVEGNO STORICO REGIONALE

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Qui tutta la vita tifernate di un secolo — ed esattamente l'Ami-
cizia ne pone i termini cronologici dal 1801 al 1900 — è vista e regi-
strata con l’obbiettività del cronista, ma anche, spesso, con il com-
mento del cittadino partecipe degli avvenimenti che descrive.

Spigoliamo qua e là, quasi a caso. Il secolo XIX si apre con la
registrazione dell’ordine del Delegato apostolico, mons. Agostino
Rivarola, di inviare alle truppe francesi di passaggio a Perugia vi-
veri ed altri generi: l'Amicizia li registra voce per voce — si tratti
di tre buoi o di un paio di stivali — con i prezzi unitari e quelli com-
plessivi, per un totale di 2238 scudi e 54 bajocchi (p. 1).

Altro ordine del Rivarola : riordinare l'archivio segreto del Co-
mune, «avendolo trovato nel massimo disordine e confusione, occa-

sionato dalle passate vicende» (p. 2).

Dopo la Restaurazione, il Comune di Città di Castello rinun-
cia, nel 1816, alla baronia di Pietralunga (p. 38), mentre nel 1826,
composta la plurisecolare vertenza di confine tra lo Stato Pontificio
ed il Granducato di Toscana, la famosa « Repubblica di Cospaia »
viene attribuita al primo ed aggregata, come appodiato, al Comune
tifernate (9). i

Piuttosto tiepida, a quanto sembra, la partecipazione ai moti
del 1831 e l’adesione al Governo delle « Provincie unite italiane »
(pp. 56-61) ; nel 1848, invece, partono da Città di Castello 80 volon-
tari per raggiungere le truppe romane nella guerra contro l’Austria
(p. 85); il 21 gennaio 1849 vengono eletti deputati alla Costituente
il dott. Antonio Sediari ed il marchese Giuseppe Bufalini (p. 87) ;
l'11 febbraio è innalzato l’« albero della libertà », nello stesso luogo
dove era stato eretto quello del 1798 (pp. 89-89; l’albero fu poi
sostituito il 12 aprile dallo stemma della Repubblica : p. 92). Nella
confusione hanno la peggio, come al solito, gli archivi : « Alcuni del
Circolo Popolare accompagnati da diversi soldati si recano il 13 feb-
braio nel Convento di S. Domenico, s'impossessano di tutte le carte,
libri e documenti appartenenti al Tribunale della Santa Inquisi-
zione o Sant'Offizio e li bruciano » (p. 89). Il 25 febbraio scoppia a
Montone una rivolta anti-repubblicana (pp. 89-90); il 24 marzo è
a Città di Castello Angelo Brunetti, fra l’entusiasmo generale. Ad
un popolano che grida «Evviva la repubblica romana », Ciceruacchio
IV? CONVEGNO STORICO REGIONALE 209

risponde : « No! Evviva la repubblica italiana! Evviva Gesù Cristo
repubblicano » (p. 91). Il 29 aprile il Circolo popolare invia un veemente
indirizzo di sdegno contro il « preveduto sebbene incredibile attentato
alle nostre libertà con incancellabile vergogna commesso or ora dal
Governo di Francia », aggiungendo : « sul capo liberticida del Governo
Francese, di quel Governo che nel nascere istesso dimentico di sua
origine, con meretricia impudenza ha rinnegato tutti i principî di
giustizia e di verità, invochiamo i fulmini terribili dell’ira di Dio e
del Popolo, per questa e per tutte le generazioni » (pp. 92-93). Altro
indirizzo è votato il 3 maggio dal Municipio (pp. 93-94), mentre la
«Commissione di difesa della città » invita tutti i cittadini ad arruo-
larsi : « Avete a cuore l'onor delle vostre figlie, delle vostre sorelle,
delle vostre spose ? l’esistenza de’ vostri bambini, de’ vostri vecchi ?
Volete salvare le vostre terre, i vostri bestiami dalla devastazione
e dalla rapacità dei Croati ? » e ricorda : «i prodi Magiari hanno di-
sperso centosessantamila Austriaci e trentamila Russi ! Così dobbiam
fare noi pure, se vorremo un giorno esser chiamati degni figli di Roma »
(pp. 94-95).

Ma ogni resistenza è vana. Roma deve soccombere all’esercito
francese e vari tifernati cadono nella difesa dell' Urbe (10). Il 30 luglio
a Città di Castello è fucilato dagli Austriaci il popolano Cipriano
Angioloni, detto Berlicche, catturato mentre tornava dall’aver por-
tato messaggi a Garibaldi, a S. Angelo in Vado (p. 98).

Nel ’51 l'Amicizia nota che anche a Città di Castello il popolo si
propone di non consumare tabacco e di non giocare al lotto « per non
dare utile al governo ». Alcuni che eccitano i cittadini a conformarsi
a tali popolari prescrizioni «in attesa del ritorno della Repubblica »
sono, dalla Commissione militare austriaca di Perugia, condannati
alla pena del bastone (p. 105).

Nel '59, sono 150 i tifernati che espatriano e si arruolano volon-
tari nell'esercito piemontese (p. 113). Nel '60, le truppe italiane entrano
in città l'11 settembre, dopo breve resistenza di 78 carabinieri pon-
tifici, che vengono fatti prigionieri (p. 115). Il plebiscito, avvenuto
il 4 e 5 novembre, vide 5.443 iscritti, 3.259 votanti, 3.239 sì, 10 no,
10 voti nulli (p. 115). Nel primo censimento, la popolazione tifernate
risultò, al 31 dicembre 1861, di 22.916 abitanti (11.552 maschi e 11.364
femmine ; in città 5.587, in campagna 17.329) (p. 122), contro 24.699
del 1802 (p. 2).

Subito dopo, nel '62, la Giunta municipale chiese che Città di
Castello fosse capoluogo di un circondario, composto dai tre manda-

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210 IV? CONVEGNO STORICO REGIONALE

menti della stessa Città di Castello, di Fratta (oggi Umbertide) e di
Sansepolcro (11) e che il circondario facesse parte della provincia di
Arezzo (pp. 122-123: in effetti, deve dirsi che molti sono i vincoli che
legano Città di Castello con Arezzo e Firenze).

Nel ’66 i volontari garibaldini tifernati furono 93 (p. 129);
nel '67 addirittura 98, che si comportarono assai valorosamente a
Monterotondo e a Mentana (p. 130) (12) ; otto i tifernati caduti ad
Amba Alagi e ad Adua (pp. 165-166) (13) e sette i volontari di Città
di Castello nella guerra greco-turca del 1897 (14), uno dei quali fu
ferito. a Domokos (p. 161).

Insieme con le vicende politiche, militari, amministrative, l'Ami-
cizia registra, come abbiamo detto — ed é anche per questo che la
sua opera merita particolare interesse — una serie di notizie di
argomento economico-sociale e statistico.

Nel 1810 è istituita a Città di Castello una Camera consultiva
di arti e manifatture (p. 15) (15). Nel 1812 Giuseppe Magi spedisce al
magazzino generale in Roma 4.150 libbre di salnitro dalla sua fab-
brica tifernate (p. 25). Durante la carestia del 1817, i poveri assistiti
dal Comune con viveri e denaro ascendono a 2.250. L'indigenza era.
tale che gli abitanti delle montagne si pascevano persino di ghiande
e fieno cotto (p. 37). |

Nel '45 una società mineraria intraprese i primi studi per la
ricerca della lignite presso Città di Castello (p. 77); nel '49 vari ti-
fernati ottennero premi dal Ministero del Commercio, nel quadro
dei provvedimenti per promuovere ed incoraggiare la piantagione
di alberi nello Stato Pontificio (p. 100) ; nel '51 si aprirono due nuove
fabbriche: una di sapone ed una filanda di seta (p. 103); nel '55
Città di Castello ebbe, dopo vari anni di tentativi, la Cassa di Ri-
sparmio (pp. 103 e 109) (16) ; nello stesso anno il colera mieté 190
vittime su 384 colpiti (p. 108).

Nella seconda metà del secolo, frequentissima è la menzione
di premi o riconoscimenti ottenuti da cittadini od enti di Città di
Castello, a fiere ed esposizioni, per prodotti industriali ed agricoli :
chiara testimonianza di una economia fiorente, sia nel campo agri-
colo che in quello industriale e commerciale.

Ed ancora nel '58, la rappresentanza municipale, considerando
che « da gran tempo chiarissimi scrittori di fisica e di agronomia de-
IV? CONVEGNO STORICO REGIONALE 211

plorano altamente i danni gravissimi che arreca all’agricoltura ed
alla pastorizia la distruzione de’ boschi negli alti monti, specialmente
nella catena degli Appennini e nelle sue principali diramazioni »
studia un progetto tendente a reprimere i danni derivanti dal taglio
abusivo dei boschi d’alto fusto e cedui del territorio (p. 112).

Nel 1862 nasce, con 408 aderenti, la « Società patriottica degli
Operai » (p. 124); ma già dal 1846 datava la Società di Mutua Be-
neficenza (p. 160).

Nel '68 si costruisce uno stabilimento termale e si sperimentano
nuovi tipi di tabacco (p. 132), uno dei cardini dell'economia agricolo-
industriale tifernate ; nell'82 si istituisce una officina meccanica per
la costruzione di materiale ferroviario (p. 147) ; nell'86 si inaugura
la ferrovia Arezzo-Città di Castello-Fossato (p. 151) ; nel '99 il Comune
apre una stufa da bozzoli « per comodo dei coltivatori di bachi da
seta» (p. 167).

Accanto alla politica ed all'economia, l'Amicizia non manca di
registrare quelli che potremmo definire gli aspetti culturali della
vita tifernate, specialmente per il periodo post-unitario.

Già nel 1805 si erano fatte istanze per la ripristinazione del Col-
legio Umbro Fuccioli in Roma, fondato nel 1623 dal tifernate Gio-
vanni Antonio Fuccioli (p. 6) (17).

Nel 1872, per suggerimento di Cesare Correnti, Ministro della
Pubblica Istruzione, si inaugura a Città di Castello una « Scuola
reale » — «la prima e forse l'ultima in Italia », dice l'Amicizia (p. 136)
— comprendente ginnasio, liceo, scuola tecnica, istituto tecnico e
sezione di agronomia (18). Ebbe però breve vita, perché fu soppressa
con decreto del Ministro della Pubblica Istruzione nel 1875 (p. 139).

La Biblioteca civica fu aperta nel 1876, con 15.000 volumi
(p. 141), contemporaneamente alla Pinacoteca, ricca di dipinti di
Raffaello, di Luca Signorelli, di terracotte dei della Robbia. Nu-
merosi erano stati, durante tutto il secolo, doni e lasciti di libri
alla biblioteca da parte di concittadini : così nel 1832 Giuseppe Raf-
faello Machi (p. 63), nel 1840 Ferdinando Betti (p. 70).

Nel 1879 si inaugurò l’Osservatorio meteorologico (p. 144);
nel 1896 il prof. Silvio Serafini iniziò il suo collegio-convitto (p. 160),
destinato a divenire presto famoso.

Già dal 1873 aveva avuto vita il Circolo tifernate (p. 139),

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217 IV® CONVEGNO STORICO REGIONALE

che nel 1900 ospitò il Congresso della R. Deputazione umbra di
Storia patria, con l’intervento del Sottosegretario all'Istruzione
Pubblica, Enrico Panzacchi (p. 169).

Ma non è solo questo il contributo di Città di Castello alla cul-
tura dell'Ottocento. La plurisecolare tradizione di centro dell'arte
tipografica fu rinnovata e ripresa, negli ultimi decenni del secolo
XIX, da un industriale-umanista, l'ingegner Scipione Lapi, tipografo
ed editore, cui il Municipio conferi nel 1889 la cittadinanza ono-
raria (p. 154), cosi come tre anni prima l'aveva conferita al Magherini-
Graziani (p. 151). Proprio mentre il secolo si chiude, nell'anno 1900
— scrive l'Amicizia — « Scipione Lapi, mostrando quanto in Italia
possa l'opera di un uomo solo, concepisce l'ardito disegno di ripub-
blicare i Rerum Italicarum Scriptores; e già l'opera di Ludovico
Antonio Muratori, diretta da Giosuè Carducci e dedicata all'Augusta
Regina Madre, torna dalle mura della città nostra a rivedere le stelle,
rinvigorita, ringagliardita » (p. 168).

E con questo richiamo all'opera del Muratori, nella enfatica
. e forse ingenua prosa di Giovanni Amicizia, sia lecito concludere
questo ricordo di un onesto e scrupoloso artigiano della storiografia
tifernate dell'Ottocento.

NOTE

(1) Grovauui Muzi, Memorie storiche, ecclesiastiche e civili di Città di
Castello, Città di Castello, 1842-1844.

(2) GIOVANNI MAGHERINI-GRAZIANI, Storia di Città di Castello, Città di
Castello, 1890 segg. ; IDEM, L'arte a Città di Castello, Città di Castello, 1897.
Nuovi campi di indagine e nuovi problemi sono stati recentemente affrontati,
su quest’ultimo tema, dal volume di CorrAaDpo Rosini, Città di Castello nel-
l’arte, Città di Castello, 1956.

(3) Ne diamo qualche notizia biografica.

Giuseppe Amicizia nacque a Città di Castello l'11 settembre 1851. Dal
1878 fu «computista » (oggi si direbbe « ragioniere capo ») del Comune natale,
dopo esserlo stato di quello di Umbertide.

La sua bibliografia comprende :

Notizie statistiche del Municipio di Città di Castello, Città di Castello,
1883 ; Città di Castello nel 1893, Città di Castello, 1893 ; Notizie e dati statistici
sulla agricoltura tifernate, Città di Castello, 1893; Cronistoria della strada
Città di Castello-Apecchio (in collaborazione con D. Matteucci), Città di Ca”
IV? CONVEGNO STORICO REGIONALE 213

stello,.1895 ; Città di Castello al 1° novembre 1896, Città di Castello, 1896 ;
Guida artistico-commerciale. di Città di Castello, Città di Castello, 1899 ; Città
di Castello sulla fine del sec. XVIII o il «viva Maria », Cronistoria delle rivolu-
zioni del 12 gennaio, 16 aprile e 5 maggio 1798, Città di Castello, 1899 ; Città
di Castello nel secolo XIX, Città di Castello, 1902 ; Filippo Fantini di Città
di Castello, estr. dall’ Archivio storico del Risorgimento umbro, a. VI, fasc. 1-2,
Perugia, 1910.

Fu membro dell’« Accademia scientifica e letteraria dei Liberi » di Città
di Castello, Cavaliere della Corona d’Italia, collaboratore dell’ Archivio sto-
rico del Risorgimento umbro. Morì a San Giustino il 10 settembre 1911.

(4) Città di Castello, Tipografia dello Stabilimento S. Lapi, 1902, pp.
VII-214.

(5) G. AMICIZIA, Città di Castello nel sec. XIX cit., p. III.

(6) E[LIo] L[opoLINI], Città di Castello, nel volume : SoPRINTENDENZA
ARCHIVISTICA PER IL LAZIO, L’UMBRIA E LE MARCHE, Gli archivi dell’ Umbria,
Roma, 1957 (« Pubblicazioni degli Archivi di Stato », vol. X XX), p. 95.

(7) Notizie statistiche del Municipio di Città di Castello, raccolte e pubbli-
cate da GIUSEPPE AMICIZIA, computista comunale, Città di Castello, S. Lapi,
1883, pp. 254. |

(8) Riteniamo interessante dare almeno l'indice sommario del contenuto
di questo volume :

Popolazione divisa per parrocchie (censimento 1881); Stato civile: mo-
vimento della popolazione e leva militare ; Distanze chilometriche ; Elenchi
dei consiglieri comunali dal 1860 al 1882 e statistica delle elezioni (un dato
curioso : la scarsa affluenza alle urne. Nel 1861 votarono appena il 9% degli
elettori: 39 su 409) ; Giunta municipale, deputazioni e commissioni comunali ;
Consiglieri provinciali, dal 1860 al 1882 ; Elezioni politiche, dal 1861 al 1882 ;
Conferimenti di cittadinanza ; Bilanci comunali, dall'anno 1800 all'anno
1880 e « brevi cenni dei principali avvenimenti del Comune per la parte conta-
bile, dall'anno 1800 al 1880 », con un « Rendiconto dell'anno 1783 ». Lavori
pubblici eseguiti dal Comune dal 1860 al 1882 ; Stato patrimoniale del Comune
al 31 dicembre 1881 ; Cassa per le pensioni degli impiegati comunali ; Imposte
e sovrimposte comunali; Bestiame ; Dazio consumo ; Scuole pubbliche co-
munali ; Illuminazione pubblica ; Ufficio del Giudice conciliatore ; Carcere
mandamentale ; Bozzoli da seta, con i prezzi del ventennio 1863-1882 ; Uva
e vino, con i prezzi dal 1813 al 1882 ; Prezzi medi dei generi di prima necessità
(dal 1785 al 1870 dati quinquennali ; dal 1870 in poi annuali); Lascito Fuc-
cioli (già Collegio Fuccioli in Roma) ; Opera laica privata Segapeli.

(9) Scrive l'Amicizia a p. 49: « È notorio che Borgo Sansepolcro (già
Granducato di Toscana) a confine con Sangiustino, nel 1440 era soggetto alla
Santa Sede. In quell'anno papa Eugenio IV impegno il Borgo per 25.000 fio-
rini d'oro alla Repubblica di Firenze. Per non essere stati ben fissati i confini
fra Sansepolcro e Città di Castello, rimase sospeso a chi dovesse spettare

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214 IV? CONVEGNO STORICO REGIONALE

la villa ed il territorio di Cospaia. Si accese perciò calorosa quistione fra il
Papa e il Duca di Toscana. Cospaia intanto si reggeva a Repubblica, e tale
si resse fino al 26 giugno 1826 ». E dal giornale L’Osservatore del Trasimeno
di Perugia, del 1° luglio 1826, n. 26, riporta : « Cospaia, villaggio con piccolo
territorio situato nel confine dello Stato Pontificio e della Toscana, il quale da
varî secoli era rimasto abbandonato a sè stesso senza alcun determinato e
stabile regime, fu per lungo tempo oggetto di controversia fra i due Stati li-
mitrofi; ma alfine ogni differenza è stata felicemente terminata mediante
la divisione fra loro convenuta del medesimo territorio. Il giorno 28 giugno
ne fu preso formale possesso per parte delle rispettive Corti. La Pontificia
venne rappresentata da S. E. Rev.ma monsig. Adriano Fieschi, nostro ama-
tissimo Delegato Apostolico, e quella di Toscana dall’illustrissimo Vicario
regio di Borgo Sansepolcro ».

Dell’avvenimento dettero notizia due notificazioni in data 15 maggio
1826, rispettivamente del Segretario di Stato, card. G. M. della Somaglia, e
del Delegato apostolico di Perugia, mons. Adriano Fieschi.

Chi scrive ha rintracciato alcuni anni or sono, nell’Archivio notarile
mandamentale di Città di Castello, un fondo di 23 volumi, degli anni 1690-
1796, relativi alla delimitazione dei confini tra lo Stato Pontificio ed il Gran-
ducato di Toscana. Cfr. : E. L. Città di Castello, cit., p. 96, nel citato vol.
Gli Archivi dell’ Umbria.

(10) Dal catalogo Ai Caduti per Roma MDCCCXLIX-MDCCCLXX,
Roma, 1941, risultano otto i tifernati caduti a Roma nel '49 : Pasquale Bal-
dacci, di anni 21, soldato nel 29 Regg. Fanteria, 11° Battaglione Fucilieri ;
Giuseppe Belletti, sergente nel 3° Regg. Fanteria ; Augusto Bini, carabiniere ;
Tommaso Canonichesi ; Luigi Fidanza, caporale nel 29 Regg. Fanteria ; Do-
menico Francioni, di anni 25, caporale nel 6° Regg. Fanteria, 2 legg. ; Giacomo
Manfucci ; Girolamo Santinelli, caporale nel 39 Regg. Fanteria. Inoltre, nel-
l'esodo di Garibaldi da Roma, tre ragazzi tifernati si unirono alla sua colonna.
Di due di essi, Peppino Gagliardelli, di 12 anni, e Napoleone Negri undicenne,
non si ebbero piü notizie.

(11) Nello Stato Pontificio, com'é noto, Città di Castello era stata, dopo la
Restaurazione, « distretto » (circondario) della « delegazione » (provincia) di
Perugia.

In precedenza, invece, era stata provincia autonoma, una delle quattro
comprese nell'attuale territorio umbro : Spoleto, Perugia, Città di Castello,
Orvieto.

(12) L'Amicizia ricorda che tifernati furono gli artiglieri del piccolo corpo
di spedizione. L'artiglieria era composta da due cannoncini, reliquia delle
Cinque Giornate di Milano, di proprietà della contessa Manni di Terni, che li
custodiva gelosamente e li cedette soltanto dopo molte insistenze. Finirono
piü tardi al Museo del Risorgimento di Torino.

Il citato Catalogo dei Caduti per Roma annovera tre tifernati: Angelo
IV? CONVEGNO STORICO REGIONALE 215 tul

Marioli, Luigi Nicasi (nato il 26 novembre 1847, volontario nel '66 nel Tren-
tino, laureato in geane qo e Giuseppe Segapeli, fra i garibaldini caduti nel WE AI
1867. 1H

(13) Tenenti Arnaldo Vibi ed Umberto Volpicelli, sergenti Remo Rossi
e Luigi Migliorati, soldati Riccardo Castellucci, Achille Sideri, Massimiliano
Cameroni e Giuseppe Ricciardi.

(14) Eugenio Cenciarini, Angiolo Falchi, Samuele Falchi, Guglielmo
Francioni, Esdra Innocenti (tenente nelle truppe garibaldine), Giambattista
Ricci, Icilio Spaccialbello. Quest'ultimo rimase ferito.

(15) Cfr.: Erro LopoLinI, Camere e Tribunali di Commercio nello Stato ; (Red
Romane (sec. XIX), in Studi in onore di Amintore Fanfani, Milano, Giuffrè, | | Á.
1962, vol. VI, pp. 275-327. Per la legislazione sulle « Camere consultive di 0E
manifatture, arti e mestieri», si vedano le pp. 287-288. Nella seconda parte
dello studio, cfr. poila voce specifica «Città di Castello» a pp. 310-311.

(16) Le vicende di questo istituto sono state esaurientemente illustrate,
nella celebrazione centenaria, da AncELO Rosini, La Cassa di Risparmio di
Città di Castello nei suoi primi cento anni. 1855-1955, Città di Castello, 1956.

(17) Su questo Istituto cfr. : LEoPoLDO SANDRI, I collegi per gli Umbri
in Roma nei secc. XVII-XIX, estr. dal Bollettino della Deputazione di Storia n
patria per l'Umbria, vol. XL VIII, Perugia, 1951, pp. 81. | di

(18) «Il Consiglio deliberò l'apertura della Scuola che doveva seguire
il metodo e l’indirizzo delle Scuole Reali di Germania, le quali diedero splen- di
didi risultati e furono riconosciute sotto ogni rapporto utilissime. Svolgendosi | j | P
nella Scuola Reale un programma puramente scientifico, diviso in quattro i
anni di corso inferiore, e quattro di corso superiore, il Municipio reputó anche
utile di congiungere a questo l'intero corso classico dei Ginnasi e Licei, ed
un corso distinto di Agronomia, affinché i giovani, compiuti nell'Istituto
gli studi secondari, si trovassero in grado di essere ammessi a qualsiasi facoltà
nelle Università del Regno.

« Fu questo il primo esempio di una Scuola siffatta in Italia, all'istituzione
della quale avemmo conforti e favori dal Ministro della pubblica istruzione.
Lettere, scienze ed arti, componevano tutto lo scibile umano. Unirle in bel
connubio, impartendo una cultura classica e tecnica, fu il concetto che guidó il Ria
il Municipio. In tanto fervore di studi, di rigenerazione intellettuale e di mate- m
riale progresso, non si dubitó che la novella istituzione non fosse accolta
con plauso e non avesse a fiorire pel concorso di giovani eletti e volonterosi di
apprendere e di giustificare le speranze, che in loro riponeva la patria.

«Il Municipio provvide l'Istituto di sufficiente numero di abili insegnanti,
e nulla lasció intentato per fornirlo materialmente di quanto abbisognava,
specialmente per la parte sperimentale dell'insegnamento della Fisica, della
Chimica e delle Scienze Naturali ».

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IV9 CONVEGNO STORICO REGIONALE

216

..] Presidente Morghen ringrazia il prof. Lodolini perla sua
lucida e concreta esposizione, e dà la parola al prof. Ferri, per la
sua comunicazione sul tema:

PROBLEMI POLITICI ECONOMICI CULTURALI
IN ORVIETO NEL SEC. XIX

In una comunicazione al Convegno, indetto dalla Deputazione
di Storia Patria dell’Umbria in Perugia nell'aprile 1946, delineai
l’opera dell’Accademia Orvietana «La Nuova Fenice ».

Questa, voluta e diretta dallo storico Luigi Fumi, nell’ultimo
ventennio del secolo scorso, contribuì notevolmente alla ripresa degli
studi storici, tanto che, per le scoperte d’archivio e per le numerose
pubblicazione, anche oggi viene giustamente apprezzata da quanti
rivolgono i loro interessi alla storia della nostra città (1).

L'iniziativa del Fumi e dei suoi diretti collaboratori non scaturì
dall’isolata volontà di alcuni investigatori del passato, ma fu la con-
tinuazione di una tradizione che, in un centro ricco di storia e di
arte come Orvieto, non venne meno anche in mezzo ai rivolgimenti
del secolo XIX.

Il periodo poi, dal 1890 al 1900, contrassegnato dalla pubblica-
zione di opere fondamentali per gli studi storici ed artistici, vide due
solenni celebrazioni : il sesto centenario della fondazione del Duomo
nel 1891 e il quindicesimo Congresso Eucaristico Nazionale nel 1896.

Questi avvenimenti non ebbero solamente manifestazioni di
grandiosa esteriorità, ma intorno al Fumi ed alla « Nuova Fenice »
fecero convergere gli studiosi e gli artisti più illustri, italiani e stra-
nieri, del tempo i quali ebbero modo così di approfondire le cogni-
zioni di storia e di arte e di contribuire con il loro lavoro alla giusta
valorizzazione di Orvieto (2).

È da rilevare che il Fumi, come attestano i suoi numerosi scritti
e l’indimenticabile attività di archivista di Stato, fu l’unico degli
storici umbri che non limitò i suoi studi all'ambito locale, ma studiò
avvenimenti di altri centri importanti della regione umbra nonchè
di gloriose città italiane quali Siena, Lucca e Milano (3).

La fine del secolo, così fervida di studi e di ricerche, vide una
schiera di giovani interessarsi con entusiasmo alle iniziative ed alle
attività locali, nel campo della storia e dell’arte, e alcuni di questi
acquistarono poi spiccata personalità tra gli studiosi italiani e stra-
nieri. Tra questi, sebbene ancora in quei tempi adolescenti, sono da

TL)
IV? CONVEGNO STORICO REGIONALE 217

ricordare Pericle Perali (4) e Roberto Valentini (5), i quali portarono
nei loro studi e nelle loro attività quel fervore, quel senso di onestà e
di disinteressato amore e quel filiale affetto verso il natio loco acqui-
siti dai loro primi maestri.

Non va poi dimenticata la efficace partecipazione del clero, in
questo periodo, alla vita culturale. Tra i sacerdoti emerse nella pa-
leografia e nell’archivistica don Alceste Moretti per lunghi anni
conservatore dell'Archivio Storico Comunale e valente maestro nelle
discipline umanistiche (6).

Prima della « Nuova Fenice », nel tempo antecedente al 1860,
anno dell'annessione di Orvieto all'Italia, uomo di studio e di azione,
fu Filippo Antonio Gualterio.

Questi, esponente della corrente liberale nell’orvietano e mas-
simo artefice degli avvenimenti politici del periodo risorgimentale,
nominato dal Consiglio Comunale, nella seduta del 18 settembre
1843, conservatore dell'Archivio segreto del Comune che riordinò
con la collaborazione del padre gesuita Sebastiano Lebl, ravvivò
gli studi della storia dell’« età medioevale » e non solo per facilitare
la sua divulgazione in connessione al rifiorire delle idee di libertà,
ma soprattutto per corroborare la non diretta appartenenza di
Orvieto e del suo territorio al patrimonio di S. Pietro e giustificare
quindi il necessario ed immediato suo distacco dallo Stato Ponti-
ficio (7).

Il Gualterio quindi venne ad essere il rappresentante più rag-
guardevole nel campo politico e l’espressione di un’intensa attività
culturale che, risalendo ad una secolare tradizione, ebbe notevole
parte nello studio e nella risoluziohe dei vari problemi cittadini.

Orvieto, per tutto il secolo, in mezzo ai rivolgimenti politici,
alle lotte ed alle invasioni, non smenti il passato e determinati gruppi
di cittadini seguirono quei fermenti di vita forieri di novità nel
campo politico e culturale (8).

Oggi, purtroppo, la dispersione di carte in possesso di privati,
per l'estinzione di famiglie, che nel secolo scorso ebbero parte attiva
nella cosa pubblica, e l'attuale condizione degli archivi ecclesiastici
creano delle difficoltà, spesso insormontabili, per una completa e
serena ricostruzione storica necessaria per valutare il pensiero dei
singoli e delle classi prima e dopo l'annessione della città all Italia.

Isolata rimane cosi la figura di Ludovico Negroni, unico tra gli
umbri a prender parte alla sfortunata impresa di Sapri nel 1857;
elemento questo dimostrante che nell'Italia centrale, almeno in

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218 IV? CONVEGNO STORICO REGIONALE

certe zone dello Stato Pontificio, non ebbero diffusione le idee li-
bertarie del Bakunin e del Pisacane (9). Il Negroni, per ragioni di
famiglia, fu costretto ad abbandonare la città natale e, nella politica
e nei fatti d'arme, speró di superare le vicissitudini della vita privata
che lo portarono esule in Toscana prima ed in Liguria poi.

Contributo notevole per la storia risorgimentale di Orvieto è
la pubblicazione edita dal Comitato Comunale per le Celebrazioni
Centenarie dell'Unità d'Italia Orvieto 1860, nella quale Leopoldo
Sandri, Soprintendente dell'Archivio Centrale dello Stato, ha am-
pliato il discorso tenuto a ricordo della storica data con l'aggiunta
di documenti tratti dall'Archivio di Stato di Roma e dal carteggio
Cavour-Nigra dal 1858 al 1861 curato dalla Reale Commissione
Editrice nel 1929 (10).

Tra i lavori di recente e non remota pubblicazione, nei quali sono
possibili rilevare aspetti di vita orvietana del secolo scorso, possono
essere ricordati La vita e le opere di Mons. Antonio Briganti, curata
dal pronipote avv. Francesco Briganti, e La vita del Cardinale
Bonaventura Cerretti edita anonima nel 1939 (11).

L'opera del Briganti, mentre é lodevole dal lato biografico,
manca di un completo inquadramento della vita e delle opere del
Presule nel tempo, sia degli anni trascorsi a Perugia come anche in
Orvieto, per aver l'autore affidato certi episodi alla tradizione orale
e per aver troppo limitato la ricerca di archivio, costretto, senza
dubbio, dalla sopracitata attuale condizione dei fondi ecclesiastici.

Nel libro Il Cardinale Bonaventura Cerretti da alcuni brani di
diario, ivi inserito, si puó cogliere lo stato d'animo specialmente della
piccola borghesia di campagna nei decenni susseguenti all'unità
d’Italia; proba, laboriosa, ma chiusa nel mondo dei piccoli affari
e riluttante ai sistemi apportati dal nuovo stato (12).

Ma, per la conoscenza degli avvenimenti in Orvieto all'inizio del
secolo scorso, è da ricordare Il diario del Cardinale Angelo Mai alcuni
anni or sono scoperto e pubblicato dal p. Pietro Pirri (13).

Il Mai, al seguito dei sacerdoti rimasti fedeli alla disciolta Com-
pagnia di Gesù, chiamati in Orvieto per il pubblico insegnamento dal
vescovo Giovan Battista Lambruschini, fu in questa città dal 1806
al 1810.

L'importanza della dimora orvietana del sacerdote lombardo
fu messa in giusta luce, specialmente in relazione agli studi paleo-

il convegno di studi filosofici indetto in Bergamo nel 1954 per la
IV? CONVEGNO STORICO. REGIONALE 219

celebrazione del centenario della morte del dotto fedele di Santo
Ignazio, nelle comunicazioni dell'allora Cardinale Patriarca di Ve-
nezia Angelo Giuseppe Roncalli, del compianto prof. Gianni Ger-
vasoni e del prof. don Benedetto Riposati (14).

Il diario, unito a quella tradizione locale di Cipriano Manente,
di Matteo di Cataluccio, di Francesco Monaldeschi e di Ser Tommaso
di Silvestro Notaro, non solamente annota i fattori piü salienti di
quel periodo, ma presenta anche episodi di cronaca nuda ché piü
attirarono l'attenzione dell'estensore. Accanto al drammatico epi-
sodio della deportazione del vescovo Lambruschini sono cosi de-
scritti i momenti di vita conventuale, tra la preghiera e lo studio,
come anche gli stati d'animo dei cittadini e del clero davanti alle
decisioni delle autorità francesi, mentre non mancano nemmeno no-
tizie meteorologiche e di altri fenomeni naturali.

Il gruppo dei sacerdoti, fedeli alla regola di Sant'Ignazio, con-
tinuó con lo studio e l'insegnamento una secolare tradizione di cul-
tura e si eresse a baluardo contro le idee propagandate dai francesi.

In quegli stessi anni, contemporaneamente al Mai ed agli altri
padri, fu in Orvieto, al seguito dello zio vescovo, Raffaele Lambru-
Schini, colui che poi doveva lasciare un'orma indelebile nel campo
degli studi pedagogici.

Sulla avversione del Maestro alla Rivoluzione ed al regime pos-
siamo aver testimonianza dalla corrispondenza intercorsa tra il pre-
fetto di Spoleto ed il sindaco di Orvieto, che in una missiva cosi si
esprimeva : «... l'avversione del Lambruschini agli ecclesiastici giu-
rati mantiene nella mia Comune non solo, ma pure nell'intera Diocesi
il partito dell'opposizione producente i piü gravi disordini. Molti
ex religiosi giurati che già godevano il diritto della confessione sono
stati dal Lambruschini sospesi da tale ministero, con scandalo per
cui sono divenuti oggetto di disprezzo e derisione presso il volgo
sempre seguace del partito peggiore...»(15).

Se fino ad oggi le indagini sugli anni giovanili trascorsi dal Lam-
bruschini in Orvieto presso lo zio, che nel partire per la deporta-
zione lo nominó vicario della diocesi, non sono potute essere esau-
rienti, per troppe ragioni, dai limitati documenti esaminati si puó
intravedere la fedeltà assoluta del medesimo ai principi fondamentali
della Chiesa, senza indizio di quelle innovazioni filosofiche e peda-
gogiche che contrassegnarono poi le sue dottrine.

Un secolo che vide all'inizio il fiorire degli studi umanistici per
merito del gruppo ignaziano e che alla fine portó Orvieto, nel campo

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220 IV? CONVEGNO STORICO REGIONALE

artistico e culturale, all'avanguardia rispetto alle altre consorelle
della: regione, per opera dell'Accademia «La Nuova Fenice», in
mezzo a tante vicende politiche fu contrassegnato, lungo il suo corso,
dall'agitarsi. di diverse questioni legate alla politica, all'economia
ed alla amministrazione della città.

Se l'attività di storico del Gualterio miró, come già si é detto, a
giustificare prima e a sanzionare poi l'annessione di Orvieto al Regno
d'Italia, fu merito della « Nuova Fenice » aver acceso quell'interesse
utile alle ricerche archeologiche ed ai grandiosi restauri della Cat-
tedrale per ripristinare nell'interno le linee architettoniche primitive.

Non vi fu quindi in Orvieto una vitalità nel campo culturale
a sé stante e rinchiusa nella sfera di mera esercitazione spirituale,
ma fu questa elemento essenziale e propulsore per la risoluzione di
tutti quei problemi inerenti all'incremento economico del territorio
ed alla revisione di determinati provvedimenti amministrativi af-
frettatamente presi, nei rivolgimenti politici, in contrasto con le
caratteristiche etniche e i naturali sviluppi della città e del contado.

Per chi oggi esamina nel fondo comunale dell'Archivio di Stato
la vasta raccolta delle riformanze, ossia le decisioni del Consiglio
Comunale attraverso i secoli, hon si trova solamente in presenza di
una sequela di atti di arida amministrazione, ma nella giustifica-
zione storica di questi avverte di quale sensibilità per il passato e
per le tradizioni fossero stati gli esponenti della cosa pubblica e
quale rilievo fosse stato dato alle regioni storiche e giuridiche in
determinate circostanze.

Nel 1815, nel momento della Restaurazione dello Stato Ponti-
ficio, il Comune espresse il suo disappunto alla Segreteria di Stato
per aver voluto includere Orvieto nella provincia del Patrimonio
ed, a dimostrazione dell'indipendenza del territorio, con precisione
cronologica vennero citati i brevi pontifici che avevano riconosciuto
tale giurisdizione a cominciare da quello di Urbano V del 1368 (16).

Forte dei precedenti storici, l'azione del Comune, per ottenere
l'istituzione della Delegazione non venne meno nel tempo e periodi-
camente furono inviati memoriali e dati particolari incarichi ad
orvietani residenti in Roma per sollecitare il loro interessamento
alla questione presso le competenti Congregazioni.

Cosi, nel 1831 Gregorio XVI concesse la Delegazione orvietana
dipendente dal circondario di Roma che poi venne ad essere soppressa
con l'annessione del 1860.

In altri momenti affioró quel senso civico che scaturi dall'impor-
IV? CONVEGNO STORICO REGIONALE 221

tanza riconosciuta non solo alle tradizioni ma anche a quei diritti,
che difesi sempre nei secoli dai cittadini tutti, senza distinzione .di
classe e di ceto, costituiscono il patrimonio insopprimibile della comu-
nità tutta.

Con giuste asserzioni riflettenti il lato storico ed amministra-
tivo del problema, tra il 1848 ed il 1854, furono compilati memoriali
per evitare la soppressione del tribunale civile e criminale istituito
nel 1831 e poi soppresso nel 1854 con l'aggregazione della zona or-
vietana a quella di Viterbo (17).

Con l’avvento della Repubblica Romana, nel 1849, si volle scon-
giurare l’incameramento dei beni del Duomo, perchè considerato
ente religioso ; cosa che non si potè evitare con le disposizioni del
1861 (18).

In una missiva del 1849, inviata dal gonfaloniere al preside del
territorio di Spoleto si legge : «. . . la fabbrica del nostro gran Duomo,
che, come vedete, è una delle igini meraviglie per le opere stupende
in ogni genere di cui si compone, uno dei più classici monumenti
d’Italia nostra, fu composta dai fondamenta coi sol sforzi municipali,
fu risultato delle cure, delle affezioni, dei sacrifici, de’ nostri maggiori
e continuati per molti secoli. Dessi nulla vollero risparmiati. per
acquistarsi la gloria di tanta grandezza e per avviarla nel presente
splendore. Di poi ne vollero il Patronato e lo tennero di fatto e di
diritto dopo averlo arricchito dall'epoca della sua remota origine
sino al presente...» (19).

In altre decisioni, come per i permessi rilasciati dal Comune per
impianti industriali nella zona di Sugano e per ottenere il passaggio,
attraverso il territorio orvietano, della ferrovia da Roma a Siena,
anni 1850-1851, si nota un desiderio di tutti i cittadini di non smen-
tire il passato e di mantenere quelle posizioni, in armonia con nuovi
sistemi di vita, consone ad un centro ricco di storia e di arte (20).

Il secolo scorso, con le sue mutevoli vicende e nel quale per deci-
sione comunale fu favorita l’attività dell’Accademia dei Risvegliati
e fu incrementata la vita di quella del teatro, per le iniziative di Fi-
lippo Antonio Gualterio e le attività di Luigi Fumi, vide l’incre-
mento degli interessi di storia e di arte per opera di molti studiosi
italiani e stranieri (21). i

Il ricordo di quel prezioso lavoro è oggi quanto mai opportuno
perchè, in questa attuale tendenza all’universalità, le piccole città,
con le loro vicende storiche e le loro opere d’arte, possono contri-
buire ad elevare maggiormente gli spiriti ed a veramente unire gli

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uomini sotto il segno di una cordiale collaborazione, illuminando
sulle vicende del passato, senza la conoscenza delle quali, effimera
diviene la costruzione del presente.

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(1) FerRrI CrIsPINO, L'Accademia « La Nuova Fenice» in Orvieto », in
Bollettino della Deputazione di Storia Patria per U' Umbria, vol. XLIII, Spoleto,
Panetto e Petrelli, 1946.

(2) Tammaro Conti Lucia, Bibliografia di Luigi Fumi, in Bollettino del-
l’Istituto Storico Artistico Orvietano, fascicolo unico, anno XIV 1958, Orvieto
Tip. degli Orfanelli, 1960.

(3) MANARESI CESARE, Commemorazione di Luigi Fumi, in Bollettino della
Deputazione di Storia Patria per l'Umbria, vol. XXXIV, Perugia, 1939;
PERALI PERICLE, Commemorazione di Luigi Fumi orvietano, in. Notizie degli
Archivi di Stato a cura del Ministero dell’Interno, anno X, gennaio-agosto
1950, nn. 1-2, Roma, 1950 ; MANGANELLI GuiDo, Luigi Fumi archivista e uma-
nista, direttore dell’ Archivio di Stato di Milano, 1907-20, in Notizie degli Ar-
chivi di Stato, a cura del Ministero dell’Interno, anno X, gennaio-agosto
1950, nn. 1-2. Roma, 1950.

(4) Muzi ANTONIO, Pericle Perali, in Bollettino dell’ Istituto Storico Arti-
stico Orvietano, fasc. unico, anno V, Orvieto, Tip. Marsili, 1949 ; DELLA MaAssEA
ANGELO, Pericle Perali, in Bollettino dell'Istituto Storico Artistico Orvie-
tano, fasc. unico, anno VIII, 1952, Orvieto, Tip. Orfanelli, 1953.

(5) SanprI LEeopoLpo, Roberto Valentini, in Bollettino dell’ Istituto Sto-
rico Artistico Orvietano, fasc. unico, anno VIII, 1952, Orvieto, Tip. Orfa-
nelli, 1953. i

(6) Don Alceste Moretti (necrologio), in Bollettino dell’ Istituto Storico Arti-
stico Orvietano, anno I, fasc. 2, luglio-dicembre 1945, Orvieto, Marsili, 1945.

(7) Codice Diplomatico della Città di Orvieto. Documenti e Regesti dal
sec. XI al sec. XV. e la Carta del Popolo. Codice Statutario del Comune di
Orvieto con illustrazioni e note di Lurei Fumi, Firenze, G. P. Vieusseux,
1884. 11 settembre 1860. La liberazione di Orvieto. Memoria compilata dalla
Commissione Storica per la Commemorazione cinquantenaria della libera-
zione di Orvieto. E. Marsili, 1910.

(8) PeRICLE PERALI, Filippo Antonio Gualterio, Nota biografica, in Diario
scolastico del R. Liceo Ginnasio « Filippo Antonio Gualtério », Orvieto, E. Mar-
sili, 1932.

(9) BuccoLini GERALBERTO, Tre nomi ricongiungono nel tempo Cortona
e Orvieto ; Luca Signorelli, Ludovico Negroni, Filippo Antonio Gualterio, Or-
vieto, Tip. Marsili, 1934.
IV? CONVEGNO STORICO REGIONALE 223

(10) Orvieto 1860. Nel primo Centenario della Liberazione : 11 settembre
1960, Orvieto, E. Marsili, 1961.

(11) La vita e le opere di mons. Antonio Briganti vescovo di Orvieto, a cura
di un suo pronipote, Perugia, Simonelli, 1960.

(12) Il Cardinale Bonaventura Cerretti,-Roma, Istituto Grafico Tiberino,
1939.

(13) PirrI PieTRO S. J., Angelo Maj nella Compagnia di Gesù, Suo diario
inedito del Collegio di Orvieto, in Archivum historicum S. J., vol. XXIII, pa-
gine 234-82, Roma, 1954.

(14) Bergomum, Studi di letteratura storia ed arte, anno XLVII, 1954,
n. 4, Bergamo, Tip. G. Secomandi, 1954 ; LAZZARINI ANDREA, Angelo Maj
in Orvieto (da fonti archivistiche inedite), in Bollettino dell’ Istituto Storico
Artistico Orvietano, anno X, 1954, fasc. unico, Orvieto, Tip. Orfanelli, 1955 ;
FERRI CnisPINO, Gli studi umanistici in Orvieto al tempo di Angelo Maj, in
Bergomum, anno XLVIII, 1954, n. 4, Bergamo, G. Secomandi, 1954.

(15) Archivio di Stato di Orvieto, Fondo Comunale, Corrispondenza,
Reg. 790, gennaio-agosto 1811 n. 997 ; Id. id. 3 luglio 1811, n. 1623. Nel Re-
gistro Corrispondenza 791, agosto 1811-maggio 1812, in una lettera inviata
dal sindaco, in data 12 gennaio 1812, al prefetto di Spoleto si legge tra l'altro
nei riguardi del Lambruschini «. . . l'indicato giovane oltre di essersi fatto non
pregio di disapprovare intieramente tutti i parrochi proposti dall'Eccellenza
vostra per supplenti alle Parrocchie vacanti per la deportazione degli antichi
parrochi si é anche arbitrato di collocarne degli altri in altre Parrocchie senza
veruna mia intesa, e per non volere egli approvare canonicamente alcuni Sog-
getti da me proposti si trovano nella mia Mairie delle Cure prive affatto ‘ di
parroco ».

(16) Archivio di Stato di Orvieto, Fondo Comunale, Corrispondenza, Reg.
794, anni 1815-1818, n. 97, Promemoria alla Suprema Giunta di Stato, 18a prile
1815 ; Id. id. Reg. 795, anni 1819-1822, nn. 80-131, 24 luglio 29 ottobre 1819.

(17) Loporiw1 ELIO, L’ordinamento civile e penale nello Stato Pontificio
(sec. XIX), estratto da Ferrara Viva, anno I, n. 2, ottobre 1959, Bologna,
Steb., 1959 ; Archivio di Stato di Orvieto, Fondo comunale, Corrispondenza
Reg. 800, anni 1847-1850. Pratiche per evitare la soppressione del Tribunale
nn. 5344-5350-5351-5363-5395-5400-5574-5579-5365.

In un memoriale inviato al conte Giovanni Cozza in Roma, in data 2 set-
tembre 1848, per invitarlo ad adoperarsi onde sia evitabile la soppressione
del Tribunale, tra l'altro si legge : «... Orvieto é una città di vastissimo com-
mercio, tanto per la sua posizione tra la montagna e la maremma, quanto
per la fertilità dei suoi territori. Una quantità di famiglie orvietane estendono
i loro possessi in paesi vicini che non fanno attualmenge parte della Delegazione
e quindi tengono il grado di primi Possidenti.

Il Comune di Baschi dista di sole nove miglia da questa città, non meno
di quarantacinque dalla città di Perugia. Questo comune appartiene al Go-

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ru 224 IV? CONVEGNO STORICO REGIONALE

verno di Todi, Governo di smisurata grandezza ed è diviso dal suo: Capoluogo
da una catena di monti asprissimi e da difficilissime strade. Per questa vastità
del Governo di Todi e della Delegazione di Perugia avviene che una quantità
enorme di delitti resti impunita, e quei paesi rigurgitano specialmente di
Ladri ad onta che le Prigioni siano sempre stipate di Delinquenti. Altrettanto
dicasi del Governo di Bagnorea. Le due Delegazioni di Viterbo e di Perugia
tengono quasi tutto il Confine dello Stato Toscano dagli Appennini infino al
mare onde lo stesso Confine è mal guardato attesa la sproporzione delle po-
tenze, sia per ciò che riguarda il contrabbando, sia per ciò che riguarda le
catene degli Abigei. Arroge che la distanza di Acquapendente e di Bolsena
dal centro di Viterbo è oltre il doppio maggiore di quella che corre colla città
nostra. Tutti questi riflessi non possono non riuscire influentissimi nella riso-
luzione del soggetto in disputa per cui Ella è pregata a farsi valere presso il
Sig. Avvocato Piacentini, quanto presso tutti gli stessi che possono avere
nella cosa un’influenza. Io la prego a volerlo fare anche in nome degli altri
membri di questa Magistratura e della Commissione speciale deputata dal Con-
siglio, molto più che appartiene al novero dei primi anco Lei, e che se la no-
stra sorte fosse degradata questa Città cadrebbe in una vera rovina.... ».
(Corrispondenza, Reg. 800, n. 5389).

(18) Opera di S. Maria di Orvieto. Statuti e Regesti raccolti e pubblicati
da LuiGi Fumi, Roma, Tip. Vaticana, 1891.

(19) Archivio di Stato di Orvieto, Fondo Comunale, Corrispondenza,
Reg. 800, anni 1847-1850, nn. prot. 13+22.

(20) Archivio di Stato di Orvieto, Fondo Comunale, Corrispondenza,
Reg. 795, anni 1819-1822, n. 156 ; Reg. 797, anni 1836-40, n. 1810 ; Reg. 800,
anni 1847-50, n. 487 ; Archivio di Stato di Orvieto, Riformagioni, n. 371 ; anni
1849-53, cc. 80a-81r., 155 ; id. id., Corrispondenza 801, anni 1850-51, nn. 1180,
1181, 1189, 1206, 1212, 1220.

(21) Archivio di Stato ‘di Orvieto, Fondo Comunale, Riformagioni, anni
115-26, n. 368, c. 143a ; Conti Lucia, L'accademia del Teatro di Orvieto, Parte
II (sec. XIX), in Bollettino della Deputazione di Storia Patria per l'Umbria,
Vol. XLIII, Spoleto, Panetto e Petrelli, 1946.

Il prof. Morghen constata che il quadro di questa storiografia
si viene sempre più articolando e arricchendo di nuove figure e di
nuovi dati che sono stati messi cosi bene in luce dai relatori,
anche con quel garbo, con quel criterio di penetrazione critica, che
li rende concreti nel campo della storiografia del secolo passato.

Il prof. Sandri, pur facendo qualche riserva su varie lacune di
citazioni di autori e di opere che si sarebbero potute includere nella
comunicazione del prof. Ferri, sottolineando le difficoltà che in-
contra nel proprio lavoro di archivista, tributa un elogio all'opera
silenziosa e modesta svolta dal medesimo prof. Ferri.
IV? CONVEGNO STORICO REGIONALE 225

Il Presidente Morghen dà poi la parola al p. Ugolino Nicolini,
per una comunicazione sul tema :

APPUNTI PER UNA STORIOGRAFIA
ECCLESIASTICA UMBRA NEL SEC. XIX

La presente comunicazione vuol sottoporre all’attenzione del
Convegno un argomento che, pur seducente nel titolo, è tuttavia
ben più limitato di quello annunciato. Esorbiterebbe infatti dai limiti
di una breve comunicazione l’intento di svolgere, anche in sintesi,
la produzione storiografica di tredici diocesi, quante ne conta la
piccola Umbria. Solo alcuni problemi preliminari strettamente con-
nessi con l'argomento della comunicazione esigerebbero una tratta-
Zione a parte, come, per esempio, la distribuzione geografica delle
sedi vescovili che dilata notevolmente l'Umbria, facendola spin-
gere da Borgo Sansepolcro e. Fonte Avellana a Rieti ; da Bolsena a
Sassoferrato (1).

Anche i limiti cronologici dovrebbero essere considerati prelimi-
narmente, poiché se da un lato gli scrittori di cose ecclesiastiche dei
primi decenni del sec. XIX sono saldamente ancorati alla tradizione
settecentesca, dall'altro il rinnovamento degli studi promosso dal
pontificato di Leone XIII proietta uomini e idee che si formarono
in quegli anni nella piü fervida temperie degli inizi del secolo nostro.

Ma una riserva ben piü radicale potrebbe infirmare il risultato
di chi si accingesse a trattare la produzione storiografica umbra del
sec. XIX, e consiste precisamente in un problema di metodo: bi-
sogna discutere di erudizione o di storiografia ? Evidentemente, a
tale proposito, sarebbe necessario, per rigorosità di metodo e per og-
gettive esigenze di ricerca, distinguere nettamente anche nel settore
della storiografia ecclesiastica tra il campo della erudizione e quello
della storia. D'altra parte, molteplici difficoltà potrebbero avere
origine da una delimitazione troppo rigida dei compiti dell'erudi-
Zione e della storia, poiché, come autorevolmente ha sottolineato
il Sestan, « non sempre si sa dove finisca l'opera dell'erudito e dove
cominci quella dello storico ; senza dire che negli scritti di uno stesso
autore prevale ora lo storico ora l'erudito » (2).

Poiché la produzione storica in campo ecclesiastico nell'Umbria
del sec. XIX ha prevalentemente carattere di erudizione, era neces-
sario sottolineare questo aspetto fondamentale prima di passare a
qualche rapido accenno.

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226 IV? CONVEGNO STORICO REGIONALE

Un prospetto che della nostra storiografia ecclesiastica durante
il secolo XIX ponderi la consistenza, determini il contributo di metodi
scientifici con la verifica dell’aggancio alle correnti culturali europee
e nazionali, non esiste; e neppure uno sguardo d'insieme volto al- .
l'individuazione dei canoni storiografici o alla semplice enunciazione
della tematica di quella corrente cattolico-liberale o neoguelfa che
in altre regioni d'Italia fu fecondissima e considerata dal Croce «1a
maggiore scuola di storiografia italiana di quel tempo » (3). Ma queste
aperture nel campo ecclesiastico umbro sono precluse dallo stato
attuale delle ricerche e bisogna quindi limitarsi all'elencazione delle
opere, sulla scorta dell'Italia Pontificia del Kehr, pur tenendo conto
delle istanze piü vive del secolo e dei rapporti dei vari scrittori con
il mondo scientifico che indirettamente li chiamava in causa.

Intendiamo riferirci ai settori culturali aventi relazione di con-
tinuità con la tradizione filologico-erudita che dalla seconda metà
del secolo XVIII fino ed oltre il tramonto del XIX si sviluppó negli
ambienti cittadini diocesani e piü frequentemente ecclesiastici umbri.
Nella produzione storico-erudita di tali centri si possono scoprire
addentellati, almeno per quanto riguarda i temi e i metodi di ricerca,
anzitutto con quel filone che fa capo al Garampi e per mezzo suo ci fa
risalire all'Italia sagra dell Ughelli, studioso quest'ultimo tutto chiuso
nell'orbita d'interessi puramente ecclesiastici, nella ricerca delle serie
dei vescovi e dell'origine delle diocesi.

Il Garampi con le sue Memorie ecclesiastiche e civili della Beata
Chiara da Rimini del 1752, quasi un trattato di cose ecclesiastiche
umbre nonostante il titolo, sarà un modello costante per gran parte
degli eruditi umbri del secolo XIX. Allo stesso modo le scuole bene-
dettine di Perugia col Galassi e di Assisi con l'abate Di Costanzo,
monaci della Congregazione Cassinese, manifestano palesi legami di
continuità con la tradizione maurina e baroniana ripresa dal Wadding
negli Annales Minorum, dal Mittarelli negli Annales Camaldulenses,
per non dire dell'opera svolta nella agiografia umbra dai bollandisti.

Le testimonianze dell'impronta lasciata negli studiosi locali da
questi giganti della storiografia monastica — specialmente dal Ma-
billon negli Annales Ordinis S. Benedicli — sono sparse in tutta
l'Umbria nella produzione compresa tra la fine del secolo XVIII
e l'inizio del secolo XIX.

A Perugia il Mariotti con la Descrizione della città e territorio,
divisa per ogni parrocchia in storia civile e storia ecclesiastica, sarà
la fonte costante di tutti gli eruditi posteriori, dal Vermiglioli che
IV? CONVEGNO STORICO REGIONALE 227

ne eredita le più profonde istanze filologiche-erudite, al Siepi per i
suoi interessi più specificamente artistici, al Fabretti, ad Adamo
Rossi (4).

Il Mariotti si sofferma per le chiese, gli oratori, gli antichi edi-
fici civili, le volte, i ruderi, per ogni luogo insomma dove lo storico
e l’archeologo vedono utile fermare lo sguardo; dei nomi e della
loro origine tenta di dare una spiegazione, illustra le località e le
loro vicende lungo il corso dei secoli; un lavoro che per il metodo
e l'impostazione fu certamente il modello costante dei volumi del

Muzi sulla storia civile ed ecclesiastica di Città di Castello. Un’at- -

tenta analisi dell’opera del Mariotti, forse proprio e in quanto è una
monumentale glossa a quella del Belforti, non impedirebbe di veri-
ficare da una parte l’atteggiamento e la disponibilità dell’autore
di fronte all'esigenza di rinnovamento totale che l'Enciclopedia aveva
fatto filtrare anche nei nostri chiusi ambienti di provincia, e dall'altra
quanto egli fosse ancorato ai temi della vecchia e stanca erudizione
settecentesca.

A Città di Castello si collocano in questo periodo e si collegano

alla tradizione erudita Alessandro Certini, Giuseppe Segapeli (que-
st'ultimo con le sue Memorie per servire alla serie dei vescovi di Città
di Castello) ed il canonico Mancini che con la sua vasta produzione
costituirà il sustrato della classica opera del vescovo Giovanni Muzi ;
ad Orvieto il Sannella con le Notizie Istoriche dell'antica e magnifica
cattedrale di Orvieto e il vescovo della città cardinale Brancadoro con
Gli atti di San Costanzo vescovo e martire di Perugia ; a Rieti Fran-
cesco Antonio Maroni con il Commentarius de ecclesia et episcopis
reatinis; a Narni il Picucci che s'interessa degli atti dei martiri
Gemine, Proculo e Volusiano, vescovi di Terni e Carsoli, e a Todi
Giammaria Stella che svolge una dissertazione sui santi di Massa
Martana.
Nella storiografia degli Ordini Regolari un posto particolare
occupa il padre Nicolò Papini dei Minori Conventuali, morto a Terni,
che, dimenticata ormai l’attività dello Spader, è considerato il vero
restauratore degli studi francescani in Umbria.

Ma tutta questa produzione erudita nel campo ecclesiastico
sarebbe rimasta irrimediabilmente senza conseguenze e senza forza
vivificatrice nella storiografia successiva se essa non avesse l’impronta
della personalità dell'abate Di Costanzo e dell'abate Fatteschi con
le sue Memorie Istorico-diplomatiche riguardanti la serie dei duchi e
la topografia dei tempi di mezzo del ducato di Spoleto. Il Di Costanzo

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228 IV? CONVEGNO STORICO REGIONALE

per i suoi vivi e vastissimi interessi di storico ed erudito vissuto nei
centri dove verso la metà del secolo XIX si accenderà la fiaccola del-
labate Tosti, aggancerà l'attività storiografica umbra sia in campo
civile che ecclesiastico, ai problemi della storiografia nazionale. Si
deve al suo Odeporico che ricalca l'Ifer Viterbiense, Urbevetanum et
Perusinum del Garampi, se sono stati creati i presupposti alla piü
solida e scientifica opera di storiografia umbra, tanto che questa
stessa storiografia nel campo ecclesiastico esce dall'ambiente di
provincia solo nei pochi casi in cui raccoglie le istanze del metodo
rigoroso inaugurato con la Disamina sulla cattedrale di San Rufino
in Assisi dal Di Costanzo. :

« Assisi e l'Umbria intera, scriveva il Faloci Pulignani,. devono
molto a questo monaco studioso che con vera pazienza da benedet-
tino ne andó diligentemente ricercando ed illustrando tutte le an-
tichità etrusche, romane, cristiane, medievali, occupandosi della sua
agiografia, della sua istoria artistica, letteraria e civile, in modo com-
mendevolissimo » (5). Enrico Nissen lo giudicó « uomo veramente
dotto da mettere innanzi a tutti gli scrittori di antichità municipali
dello scorso secolo per acume di mente e sodezza di critica » (6).

La produzione storico-ecclesiastica nei centri umbri del primo
decennio del secolo fino alla data dell'Unità non sembra partecipare
al moto di rinnovamento, né sembra sollecitata dal fermento po-
litico e ideologico determinato in Italia dalla restaurazione di Vienna,
dopo la bufera napoleonica. I sintomi di dissenso che qua e là pos-
sono ravvisarsi nellambiente ecclesiastico sono assai scarsamente
testimoniati nelle opere erudite e non permettono un tentativo di
avvicinamento completo di quellambiente alla corrente liberale
cattolica o neoguelfa, almeno fino al pontificato di Leone XIII, se
si eccettua il perugino Bartoli che si ispira al Cantü (7) ; di qui la
necessità di sottolineare aspetti episodici nella mancanza di studi
più approfonditi che certamente potrebbero riservare sorprese.

A Perugia nel 1826 mentre un quaresimalista tuona contro i
liberi pensatori, il canonico Giambattista Marini, citato più di 40
volte dal Bonazzi, sembra scuotere il capo mestamente e nella sua
preziosa cronaca annota le ingiustizie che si commettono dai rappre-
sentanti di Roma : si arrestano le persone senza alcuna giustifica-
zione, non ci si preoccupa di dare lavoro alla povera gente. Colui che
chiama «anno d'oro» il 1815, vede nei moti del 1831-33 la mano
di Dio che interviene a colpire la corruzione della Curia e il mal-
governo pontificio ; un'altra voce spregiudicata, è quella del pur
IV? CONVEGNO STORICO REGIONALE 229

reazionario canonico di Stroncone, Domenico Salvati, mentre a Carlo
Latini, canonico e vicario generale di Rieti, continuatore della tradi-
zione di studi storici ecclesiastici dello Sperandio, del Galletti e del
Fatteschi, l'abito e gli uffici non tolsero l'indipendenza di giudizio.
Per fare una sintesi valida delle idee che come lievito dovettero
fermentare tra le generazioni del nuovo clero in Umbria dopo il
1815 sarebbe necessario fare una storia delle singole diocesi che
facesse conoscere per ognuna quale era il suo stato, il véscovo
ed il clero, le istituzioni ecclesiastiche, la vita religiosa, le forme
di pietà, i rapporti con l’ambiente laico locale. Ma qui ora dob-
biamo vedere la consistenza della produzione storico-erudita in
campo ecclesiastico. Essa direttamente o indirettamente subisce
l'influenza del clima culturale creato dall'Archivio Storico Italiano,
pur rimanendo in gran parte agganciata all'antico filone dell'eru-
dizione storico-filologica. E se non fosse per la coincidenza con
certi temi di ricerca della scuola cassinese lasciati in eredità ad essa
dall'abate Di Costanzo, come l'interesse per il Medioevo, l'edizione
di fonti, l'attenzione ai problemi storico-politici della Commedia
dantesca e il largo influsso nell'ambiente umbro dell'opera del Cape-
celatro da una parte e del Cappelletti dall'altra, (quel Cappelletti
che dedicó la sua opera Le Chiese d'Italia a Carlo Alberto) noi do-
vremmo considerare la produzione di questo periodo stanca e in-
vecchiata.

Del 1839 é il Saggio storico sulla cattedrale di Foligno di Antonio
Rutili Gentili; del 1842 è la Storia ecclesiastica di Città di Castello
del Muzi ; del 1848 la Descrizione della chiesa metropolitana di Spoleto
di Pietro Fontana ; del 1855 é la Regola degli eremiti di S. Pier Da-
miani di Adamo Rossi, già politicamente impegnato come Raffaele
Marchesi ; del 1858 è la sua Lettera intorno alla morte e sepoltura di
Santa Caterina di Bologna e dell'anno precedente L’ Anello Sponsalizio
di Maria Vergine, del 1859 sono le Quattordici scritture dell’instanca-
bile erudito ; nel 1854 il canonico Giovanni Eroli pubblicava la Mi-
scellanea storica Narnese mentre a Todi Lorenzo Leoni attendeva
alla Cronaca dei Vescovi.

Nel ventennio tra il 1860 e il 1880 l'Umbria e la sua storia eccle-
siastica sono quasi improvvisamente portati al centro di vastissimi
interessi culturali per opera della storiografia tedesca che aveva por-
tato il suo rigore scientifico che intimidiva i nostri storiografi su due
tra i più importanti temi del medioevo cristiano : il Ducato di Spoleto
e Fonte Avellana, con riferimento al principale affiancatore dell’opera

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230 IV? CONVEGNO STORICO REGIONALE

di riforma di Gregorio VII, Pier Damiani; sono due temi ricorrenti
anche nella scuola storiografica neoguelfa. La spinta poderosa che
la scuola tedesca impresse alla nostra erudizione é dimostrata dalle
personalità di Ariodante Fabretti, Adamo Rossi, Achille Sansi, An-
tonio Cristofani, Giuseppe Mazzatinti e poco piü tardi da quelle
di Faloci Pulignani, Luigi Fumi, Vincenzo Ansidei e Giustiniano
Degli Azzi, i quali, anche se spesso combattenti in campi opposti,
arricchirono la storia ecclesiastica umbra di contributi prezio-
sissimi. è

Al rinnovamento degli studi storici in campo ecclesiastico con-
tribui certamente l'opera dell’arcivescovo di Perugia Gioacchino
Pecci che con la fondazione dell’Accademia di S. Tommaso — esau-
rientemente studiata da Francesco Duranti nel nostro Bollettino (8)
— promosse quel fervore scientifico del Seminario di Perugia dal
quale uscirono alcuni dotti che furono poi anche validi collaboratori
della grandezza del pontificato di Leone XIII.

Il Faloci Pulignani che nel 1884 insieme al Mazzatinti aveva
fondato l’ Archivio Storico per le Marche e per l'Umbria, due anni
dopo, nel 1886, con la fondazione della rivista Miscellanea France-
scana riusciva a infrangere per l'Umbria i vincoli di quel provincia-
lismo che aveva pesato per tutto il secolo sulla sua erudizione e porre
un settore della storiografia ecclesiastica, quello. francescano, al
centro dell’attenzione del mondo dei dotti, come già a Quaracchi
gli editori delle opere di S. Bonaventura, sotto la presidenza del frate
Minore umbro .Elpidio Rocchetti da Montegabbione, avevano intra-
preso con straordinario impegno.

Eppure tra la vasta opera rinnovatrice di Leone XIII compiuta
nella cultura cattolica in Italia, la storiografia era il campo dove
più chiara si palesava l’inferiorità dei cattolici. Rivelatrice è a questo
riguardo una lettera del Faloci al card. Parocchi che lo aveva invitato
a collaborare nella progettata Rivista di Scienze Ecclesiastiche,
lettera che illumina retrospettivamente dall’ultimo decennio del
secolo XIX il violento urto che sconvolse gl’italiani dell'età del Ri-
sorgimento, precisando i termini della polemica secondo il suo animo
fortemente impegnato e intransigente : « Vedo che non è volontà di
Dio che io mi occupi ora della rivista ... della quale pare a me tanto
più urgente il bisogno quanto più grande è la necessità di far co-
noscere con una storia severa le vere e grandi benemerenze del ponti-
ficato romano, sia in ordine alla civiltà, sia in ordine all' Italia. Quando
leggo i fascicoli del « Giornale Storico del Risorgimento Italiano »
IV? CONVEGNO STORICO REGIONALE 231

creda, Eminenza, mi è penoso constatare che non esiste un antidoto
contro una storia monca o mutilata. E mentre oggi si va facendo
popolare l’idea che il pontificato di Roma ha impedito da secoli l'uni-
ficazione della Penisola, non si ha un organo che permetta, in modo
sistematico, di far conoscere l’esistenza provvidenziale del princi-
pato politico di Roma papale il quale avendo impedito costante-
mente l’unione di Napoli con Milano, ha impedito italianamente
che la patria nostra divenisse o tutta spagnuola o tutta tedesca o
tutta francese. Questi ed altri concetti esposti metodicamente con
una serie di forti studi non solo recherebbero servizio alla verità, ma
impedirebbero il pullulare di nuovi errori. Purtroppo in Italia questi
studi poco e i meno che li fanno sono i chierici, e non vi è ombra di
studioso che possiamo opporre al Pastor, al Grisar, al Vigouroux,
al Duchesne. La nostra scienza, mi perdoni, è ridotta a pubblicare
regesti o a contare le tegole di S. Maria Maggiore ... Umile gregario
della scienza non ho di buono che il desiderio di vederla svilup-
Parent o» (y: :

È stato nostro proposito particolare quello di non soffermarci
sui problemi che a volta a volta dopo il 1860 portarono alla piü
violenta polemica i cattolici e i liberali in Umbria. Quelle polemiche,
con contributi in campo di erudizione artistica, storica e letteraria
rintracciabili in tanti giornali e periodici locali, andrebbero storiciz-
zati e occorrerebbe anche ridimensionare quelli che diventeranno veri
e propri miti, e « decantarli » dai sedimenti, svincolarli dall'impegno
e dalle tesi cui furono asserviti, come pure dalle deformazioni deter-
minate dagli abusi di essi fatti nel corso agitato dell'ultimo secolo.
Scrittori del nostro tempo, come lo Spadolini, hanno canonizzato
la teoria di un duplice schieramento nel campo cattolico di fronte
al problema del Risorgimento : i liberali conciliatoristi e gli intransi-
genti, dimenticando che una corrente meno impetuosa e meno co-
nosciuta veniva formandosi nelle diocesi. Gli spiriti più pensosi, anche
nel settore piü ufficialmente anticlericale, assumevano spesso at-
teggiamenti moderati e comprensivi. La corrispondenza dell'arci-
vescovo di Perugia Gioacchino Pecci con il Gualterio e le autorità
comunali all'indomani del ’59, l'opera (quella meno ufficiale) dei
canonici Laurenzi, Salvatorelli, Rotelli e Romitelli a Perugia, i rap-
porti più schiettamente umani tra uomini di tendenze diverse testi-
moniati da documenti privati, dalla collaborazione all'opera della
Deputazione di Storia Patria, suggeriscono valutazioni di quel periodo
che, qualora fossero suffragate con rigorose e metodiche ricerche

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IV? CONVEGNO STORICO REGIONALE

232

d’archivio, aprirebbero nuovi orizzonti alla conoscenza della storio-
grafia umbra del secolo XIX, al di là delle conclusioni più note e
arrischiate.

NOTE

(1) Il Kehr enumera per l'Umbria 16 «episcopatus », (Italia Pontificia,
vol. IV). Città della Pieve, facente parte della diocesi di Chiusi, fu staccata
ed eretta in diocesi nel 1601. Attualmente le diocesi dell'Umbria sono 13 ;
Perugia, Spoleto, Norcia, Terni e Narni, Amelia, Orvieto, Todi, Foligno,
Nocera e Gualdo, Assisi, Gubbio, Città di Castello, Città della Pieve.

(2) E. SEsrAN, L'Erudizione Storica in Italia, in Cinquant'anni di vita
intellettuale italiana (1896-1946), II, Napoli 1950, p. 426 ; cfr. Aspetti della
cultura cattolica nell'età di Leone XIII (Atti del convegno tenuto a Bologna il
27-28-29 dicembre 1960), Roma 1961, p. 234. :

(3) Benedetto Croce alludeva alla scuola napoletana del Troja ; cfr. C. D.
FonsEGA, Appunti per la storia della Cultura Cattolica in italia. La Storiografia
Ecclesiastica Napoletana (1878-1903), in Aspetti della cultura cattolica . . .,
p. 465.

(4) L’opera del Belforti Mariotti è rimasta manoscritta ; cfr. A. BEL-
Lucci, Inventario dei Manoscritti della Biblioteca di Perugia, Forli 1895, nu-
meri 1413-23.

(5) M. FaLoci PuLIGNANI, L’« Odeporico » dell’ Abbate Don Giuseppe
Di Costanzo, in Archivio Storico per le Marche e per l'Umbria, II (1885),
p. 518.

(6) Id., ibid., p. 531.

(7) Vedi la relazione di GIULIANO INNAMORATI a questo Convegno.

(8) L' Accademia Perugina di S. Tommaso d' Aquino e il Tomismo perugino,
XLIII (1946), pp. 58-96.

(9) A. MessInI, La vita e gli scritti di Mons. Michele Faloci Pulignani,
in Miscellanea Francescana, XLI (1941), pp. 208-29.

Il Presidente Morghen, dopo aver ringraziato P. Ugolino Ni-
colini per il contributo fornito con la sua comunicazione per la mi-
gliore conoscenza di un settore finora in parte trascurato, esprime
l’augurio che possa essere avviato a soluzione il problema del rior-
dinamento degli Archivi Ecclesiastici per una loro normale acces-
sibilità di consultazione. Il prof. Salvatorelli si associa, proponendo
che sia emesso un voto in proposito. L'on. Ermini completa la pro-
posta suggerendo che per quanto riguarda l’Umbria si indirizzi
un invito agli Ordinari Ecclesiastici della Regione. L'Assemblea
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IV? CONVEGNO STORICO REGIONALE 233

pertanto dà mandato di dare l’attuazione di questo voto alla Presi-
denza della Deputazione, la quale si riserva di presentare apposito
ordine del giorno avanti la chiusura.

Il Presidente dà poi la parola al prof. Giovanni Cecchini, per
una comunicazione sul tema :

. UNA SOTTOSCRIZIONE PUBBLICA
A FAVORE DEI VOLONTARI PERUGINI NEL GIUGNO 1848

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Recentemente la piccola raccolta di manoscritti, di carattere
documentario e letterario, esistente presso la nostra Deputazione si
è arricchita di un fascicolo di documenti originali donato dal nostro
illustre socio dott. Raffaele Belforti e concernente una colletta ef-
fettuata in Perugia nel giugno 1848 per raccogliere fondi da desti-
nare a favore del corpo di volontari perugini.

I documenti provengono dall'Archivio privato della famiglia
Belforti e più precisamente da Luigi Belforti, che per circa 60 anni
copri l'officio di Maestro di casa del Comune di Perugia e Conserva-
tore dell'Archivio. Figlio di Francesco e nipote, quindi, dello storico
Giuseppe, il riordinatore di tutti gli archivi perugini, pubblici e
privati, Luigi Belforti nacque a Perugia il 13 marzo 1805 e vi mori
il 23 settembre 1885. Amantissimo della sua città e fervido patriota,
egli coltivò gli studi di storia patria ed effettuò assidue esplorazioni
nell'archivio civico, estraendone documenti che in parte passò al
Vermiglioli, a Conestabile, a Fabretti, a Bartoli, che li utilizzó per
la sua Storia della città di Perugia sopra memorie raccolte e compilate
da Luigi Belforti, rimasta interrotta all’anno 1260.

Il documento base, la sottoscrizione per la raccolta dei fondi, è
costituito da un doppio foglio protocollo : non vi è segnata la data,
ma presumibilmente non si dovrebbe andare oltre il giugno 1848.
L’intestazione, scritta di pugno del Belforti, dice : « È dovere d’ogni
buono Italiano aiutare con la persona e coll’opera la causa nazionale.
I fatti s'incalzano e forse saranno intempestive le cooperazioni di
tutte le città, ma se la Romagna va in soccorso de Lombardi se la
Toscana si precipita contro lo straniero, Perugia non deve restare
inoperosa.

Quelli che non possano colla persona soccorrano co’ mezzi, per-
chè abbiamo bisogno più che di braccia di denaro ».

Seguono le firme autografe dei sottoscrittori con l’indicazione
della cifra sottoscritta, in tutto 72 sottoscrittori per un importo di

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234 IV? CONVEGNO STORICO REGIONALE

scudi 488, oltre a daghe, cappotti, berretti. Vi sono i nomi di membri
delle più specchiate famiglie della nobiltà e della borghesia peru-
gina : Montesperelli, Calderini, Girolami, Lippi, Vaiani, Temperini,
Gaspardi, Degli Azzi, Bartoli, Baldelli, Uffreduzi Bordoni, Anti-
nori, Ridolfini, Tassi, Babucci, Donati, Cipriani, Carnevali, Bom-
belli, Donini, Friggeri, Boldrini, Degli Oddi, Pernossi, Rossi-Scotti,
Bruschetti, Piceller, Ercolani, Ticchioni, Nissim, Servadio, Meni-
coni-Bracceschi, Baldeschi Eugen].

Sono da notare alcune riserve. « Quante volte non s’incontri osta-
colo da ordini governativi scrivo scudi 50 e venti daghe, intendendo
che ciò abbia luogo ancorchè marciassi personalmente », postilla
G. B. Sereni, che fu della Guardia Imperiale ai tempi di Napoleone,
avvocato della Sacra Rota, docente di diritto canonico nell'Uni-
versità perugina, dopo i moti del '31 esule a Marsiglia, nel ‘48 depu-
tato e presidente dell'Assemblea e ministro di Grazia e Giustizia
dopo la morte di Pellegrino Rossi. I fratelli Tancredi ed Emanuele
di Sorbello annotano: «in qualunque modo». Fra le personalità
politicamente più in vista vi sono l’abate Raffaele Marchesi, l’avv.
consigliere di Stato Luigi Lattanzi, Francesco Conestabile, padre
dell’archeologo Giancarlo, Alessandro Ansidei e Reginaldo Ansidei,
che furono poi l’uno segretario, l’altro sindaco del Comune, Enrico
Baldini il banchiere fiorentino trasferito a Perugia, suocero di Zef-
firino Faina. Le offerte più cospicue furono quelle di Sereni e dei
Sorbello per 50 scudi, di Conestabile per 40, di Montesperelli, Lu-
ciano Sereni per 20 scudi.

Dal riepilogo a chiusura dei conti, sotto la data del 30 giugno
1848, risultó un totale, effettivamente raccolto dai collettori Gio-
vanni Galli, Ubaldo Baldeschi, Tancredi di Sorbello, Carlo Uffre-
duzi-Bordoni, Luciano Sereni, di scudi 474.

La erogazione di tali fondi, come risulta dalle note di scarico e
dalle quietanze allegate, ebbe luogo dal 4 luglio al 17 ottobre del
medesimo anno mediante corresponsione di diarie di trasferta,
per fornitura di vestiario ed effetti di equipaggiamento a volontari e
mediante pagamento di « sussidi » ai reduci.

Alcune lettere e minute di lettere tutte concernenti l'erogazione
del fondo pecuniario completano il fascicolo.

Questo piccolo gruppo di documenti, sinora sconosciuti, illumina
un limitato ma preciso aspetto del fervore patriottico e del concreto
senso organizzativo, da cui erano animati i patrioti perugini, promo-
tori del moto risorgimentale.
IV? CONVEGNO STORICO REGIONALE 235

UNA IMPORTANTE LETTERA DI MAZZINI AL PATRIOTA
FOLIGNATE CESARE AGOSTINI

Il prof. Giovanni Lazzaroni per sopraggiunti impedimenti non potè con-
ferire personalmente al Convegno questa comunicazione, che pubblichiamo in

appendice agli Atti.
N. d. D.

Abbiamo il piacere di presentare all’attenzione degli studios
una lettera inedita, in data 16 settembre 1849, indirizzata dal Maz-
zini a Cesare Agostini, nella quale il fondatore della « Giovane Italia »
autorizza il patriota folignate, in esilio a Londra, ad affiliare gli esuli
italiani alla nuova organizzazione, che egli aveva fondato mentre
era ancora a Ginevra e che aveva chiamato « Associazione Nazionale
Italia del Popolo ». La lettera ci sembra importante anche se con-
ferma, almeno per quanto riguarda il Genovese, quanto storici e
studiosi hanno già messo in luce sull’apostolato del Mazzini specie
dopo la caduta della Repubblica Romana. In lui la coerenza ideologica
si accompagnava ad una duttilità pratica che, a prima vista, potrebbe
sembrare per lo meno strana in un uomo come Mazzini, così rigida-
mente fedele ai suoi principi teorici ed al suo credo politico. La realtà
è che nell’applicazione pratica, come è stato già detto, «le alleanze,
i compromessi erano inevitabili... e altrettanto inevitabili erano
gli urti e le rotture » (1). Nel nostro caso si tratta di alleanze, e di
un'alleanza che è tra le più comprensibili. Il Mazzini invita l'Agostini
e i suoi amici ad accogliere nella nuova organizzazione anche quei
repubblicani che, pur accettando tutti gli altri principi dell’Associa-
zione, « credessero in un diverso modo d'unione». «Non crediamo poter
respingere, egli afferma, un Italiano che ci dicesse : desidero lavorare
con voi, ma lasciate che per quell’unico punto io serbi, fino a che una
manifestazione nazionale decida, l’opinione mia individuale ».

Da questa frase traspare anche un’altra convinzione dell’apo-
stolo, già a tutti nota, e che il Mazzini stesso più volte ebbe occa-
sione di ripetere in varie circostanze e per diversi motivi, quella cioè
di convocare, dopo la liberazione della penisola, una Assemblea
Nazionale Costituente, che avrebbe dovuto democraticamente ri-
solvere tutti i problemi del nuovo Stato italiano: monarchia o re-
pubblica, stato unitario o federale, accentramento o decentramento
amministrativo. Molti storici dubitano che il Mazzini fosse vera-
mente convinto della distinzione che egli faceva tra la sua fede re-

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236 IV? CONVEGNO STORICO REGIONALE

pubblicana e unitaria, e «l’azione sotto bandiera neutra, fino alla
sovrana manifestazione della Costituente ». Sta di fatto comunque
che in molti scritti e in svariate occasioni il Mazzini riconobbe la
necessità della convocazione dell'Assemblea Costituente. Fino a
quando però l’Italia non fosse stata liberata e non si fosse convocata
la Costituente, egli si sentiva il rappresentante del popolo italiano
e quasi il capo di un governo italiano in esilio. Nell'aprile del '50
Mazzini cosi scriveva ad Aurelio Saffi: « Ho un'idea abbastanza
difficile a verificarsi, ma che credo debba tentarsi: bisogna impian-
tarci formalmente Governo Italiano incaricato dalla parte repubbli-
cana d'operare l'emancipazione italiana. Bisognerebbe avere un ad-
dentellato con la legalità » (2). « L'addentallato, come dice il Falco,
sarebbe stato la conferma del Triumviarato della Repubblica Ro-
mana da parte di una trentina o quarantina di rappresentanti della
Costituente » (3). L'idea in verità si era già da tempo insinuata nel-
l'animo del Mazzini. Egli forse l'accarezzava fin dal momento della
partenza da Roma. Difatti nella lettera all'Agostini, che vi presen-
tiamo, é accluso il foglio (c. 1 r. riportato in copia) in cui a nome
del Triumvirato il Mazzini (la firma è autografa) affida all'Agostini,
al Villani e al Bezzi «l'organizzazione del lavoro sociale fra gli Ita-
liani residenti in Inghilterra ». L'autorizzazione porta la data del 15
settembre 1849. Il Mazzini era allora a Ginevra, ma ben presto si
trasferì a Londra, dove costituì 1°8 settembre 1850 il Comitato Na-
zionale Italiano ( Sirtori, Saffi, Montecchi, Saliceti, e Cesare Agostini
Segretario) e donde lanció un prestito a favore della causa italiana.
Nel primo appello del Comitato Nazionale Italiano, datato da Londra
e firmato dal Mazzini e dagli altri esponenti, è contenuto un atto del
4 luglio 1849, «che veniva incontro in maniera meravigliosa, —
forse anche un pó troppo meravigliosa — all'idea espressa da Maz-
zini a Saffi cinque mesi innanzi: alcuni Rappresentanti del Popolo,
di cui si omettevano i nomi per misura di prudenza, il giorno dopo
la caduta della Repubblica ..., costituivano provvisoriamente il
il Comitato Nazionale Italiano, composto da Mazzini, Saffi e Mon-
tecchi e li autorizzavano a contrarre un prestito in nome del Popolo
Romano e a beneficio della Causa Nazionale » (5).

Il primo appello del Comitato era redatto in tono moderato,
nell’intento di attrarre nell'organizzazione tutti quelli che deside-
ravano battersi per l'indipendenza e la libertà della patria, riman-
dando ogni decisione definitiva alla sovranità popolare. Lo stesso
atteggiamento di comprensione e di moderazione tenne il Mazzini
IV? CONVEGNO STORICO REGIONALE 237

nei confronti dei siciliani, che, come tutti sanno, erano al massimo
disposti ad una unione federale con gli stati di terraferma. Ma queste
concessioni costavano care all’apostolato e spingevano all’intransi-
genza i suoi seguaci fedeli all’ideale unitario e repubblicano. Perciò
egli era costretto, per il timore di essersi spinto troppo oltre, per lo
meno a parole, nelle concessioni ai monarchici e ai federalisti, o
per non essere frainteso nel suo pensiero, che rimaneva fermo ai suoi
antichi principi, a riaffermare con intransigenza l’ideale unitario e
repubblicano. :

Si ebbe cosi il secondo appello del Comitato, il quale, mentre
sorvolava sulla convocazione della Costituente, proclamava decisa-
mente Unità e Repubblica.

L’accordo raggiunto con tanta accortezza incominciò a sfal-
darsi ; dopo i prini dissapori e le prime polemiche col Sirtori, la crisi
si acuiva in seno al Comitato fino al punto che il Mazzini fu spinto,
in vista della rivoluzione imminente, a svalutare lo stesso governo
della Repubblica Romana, e a non accettare l’invito da più parti
rivoltogli di «fare dell'assemblea romana il centro della lotta di li-
berazione e della Costituente Italiana » (5). La preoccupazione del
federalismo, la necessità di una direzione unitaria nella rivoluzione
che egli credeva imminente, la preoccupazione dei monarchici,
dovettero determinare tale atteggiamento, il quale accentuó le op-
posizioni che già si erano manifestate in seno al Comitato e a tutta
l'organizzazione. Perfino repubblicani unitari, fedelissimi alle idee
e all'opera del Maestro, ma legati alla gloriosa esperienza della Re-
pubblica Romana e della Costituente, profondamente democratici,
non condividevano l'atteggiamento assunto dal Mazzini in quelle
circostanze. Il quale, in verità, sapeva molto bene che la libertà
e la democrazia per gli Italiani erano ancora da conquistarsi, che
si poteva avere fiducia nel popolo solo dopo una lunga opera di edu-
cazione (gli avvenimenti francesi del 1851 erano stati per lui una
grave delusione, ma anche di grande ammaestramento), e che la
rivoluzione aveva bisogno di una direzione unitaria e decisa a tutto.

Il fallimento della sommossa di Milano del 6 febbraio 1853,
preparata con tanta ansia e attesa, acui la crisi fino a determinare
la rottura tra il Mazzini e alcuni suoi seguaci da una parte, e quanti,
o per una ragione o per un'altra, avevano già espresso i loro dubbi
sul suo atteggiamento. Il periodo che va dal '49 al '53 fu perció uno
dei più duri e dei più deludenti per il Mazzini, che pur era abituato,
nei lunghi anni dell’esilio e della persecuzione, nell'ardore di un'azione

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238 IV? CONVEGNO STORICO REGIONALE

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| ardimentosa e instancabile, ad affrontare insormontabili difficoltà
| e a sopportare tremende delusioni. In quegli anni egli ebbe vicino
| lAgostini e si valse dell'opera preziosa dell'esule folignate come

segretario del Comitato. L'unica lettera del Mazzini pubblicata nel-
| l' Epistolario e rivolta a Cesare Agostini inizia come queste parole
| (14 aprile 1850): « Fratello, ebbi l'Atto... Ho letto attentamente
| tutte le tue osservazioni, giuste pressochè tutte: e farò conto di
tutte » (6).

L’Agostini si era fatto notare soprattutto come deputato alla
Costituente Romana. Egli diede un contributo notevole ai lavori
dell’ Assemblea, intervenendo con importanti discorsi, che dimostrano
la sua competenza e la sua preparazione. Perle sue capacità fu no-
| minato segretario-relatore della Commissione *per il progetto della
Costituzione. È rimasto famoso soprattutto il discorso che egli tenne
all'Assemblea sulla « questione romana » e sulla legittimità del po-
tere temporale della Chiesa (7). Il Mazzini dovette apprezzarne le doti
e il carattere. Perció da Ginevra si rivolse a lui per iniziare la riorga-
nizzazione del partito e per dar vita al nuovo movimento rivolu-
zionario. Trasferitosi a Londra, lo ebbe tra i suoi piü fedeli collabo-
ratori. Leggiamo nella lettera di Mazzini a Shaen del 12 dicembre
1851 : « Avete ricevuto da me tempo fa la firma di Agostini da ripro-
dursi in una specie di sigillo, per poterla applicare alle cartelle ? Che
ne é accaduto ? » (8). I loro rapporti in quel periodo divennero anche
personali : Mazzini piü volte, scrivendo alla madre, le chiese di con-
segnare certe somme di denaro all'altro esule folignate e cognato di
Agostini, Francesco Benaducci. che si trovava a Genova, aggiungendo
di star tranquilla perché quelle somme erano già state rimborsate
dall'Agostini a lui stesso (9).

Fu soprattutto nel periodo che va dall’aprile '51 al dicembre '52
che i loro rapporti s’intensificarono. E non sembra che l'Agostini
fosse tra quelli del Comitato che criticarono l'opera del Maestro in
quello stesso periodo. D'altra parte la fede di ardente repubblicano
esclude che egli abbia potuto essere sulle posizioni del Sirtori o che
condividesse le idee dei federalisti. Forse è più lecito supporre che
l'Agostini fosse tra i repubblicani più intransigenti, che dubitavano
dell'opportunità di fare concessioni ai moderati e ai monarchici, o
tra quelli che, legati all'esperienza della Repubblica Romana, ave-
vano accolto con rincrescimento l'ultimo atteggiamento del Mazzini
nei confronti di quanti volevano nel nuovo Comitato richiamarsi
al Governo della Repubblica, considerato legittimo dai più democra-

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IV? CONVEGNO STORICO REGIONALE 239

tici. Purtroppo non possediamo una documentazione che ci consenta
di chiarire la precisa posizione dell’ Agostini in questo periodo, ma
tutto ci lascia pensare che le cose stiano proprio così come abbiamo
supposto.

Ma allora come si spiega la rottura dell’Agostini con il Maz-
zini e i mazziniani dopo la sommossa di Milano ? L’unica cosa certa
è che l'esule folignate « protestò contro il moto del 6 febbraio '53,
ma per questo suo contegno fu aspramente criticato dai mazzi-
niani » (10).

In verità per molti esuli quella fu l'occasione buona per esprimere
nettamente la loro avversione e abbandonare decisamente la linea
mazziniana. Ma si trattò in genere di monarchici o di moderati,
o di federalisti, o di ex-mazziniani (possiamo chiamarli così) che, con-
quistati dalla politica di Cavour, dopo la giovanile esperienza repub-
blicana, incominciavano ad intravedere una soluzione del problema
italiano diversa da quella prospettata dal Mazzini. C'é tra questi
anche l'Agostini ? Non possiamo per il momento dare una rispèsta
precisa e certo sarebbe interessante per i cultori di storia locale sta-
bilire con esattezza le vere ragioni del distacco dell'Agostini dal Maz-
zini. Gli unici documenti in nostro possesso sono le lettere del pa-
triota folignate al Bertani (11).

Vale la pena di esaminare i punti che ci interessano per cercare
di individuare, se é possibile, data la scarsità dei riferimenti, le ra-
gioni che determinarono quel dissidio.

Già l'11 marzo 1853 il tono delle lettere che l'Agostini rivolge
ad Agostino Bertani è mutato. Ormai non si lamenta più soltanto del
suo esilio o della precaria situazione economica, o della difficoltà che
frappone l'editore alla pubblicazione di un suo lavoro. « Di salute
sto benissimo, gli affari economici mi vanno all'incirca come sempre,
l'animo sarebbe tentato di prostrarsi sotto l'ingiustizia degli uomini,
che fanno due pesi e due misure per giudicare, ma non sarà finché
son forte». E piü avanti: « Addio, caro Bertani, sono momenti in
cui ho bisogno di sapere che gli uomini di cuore ancora mi amano ;
credimi sempre tale che possa non negarsi degno del loro amore ».

Il 5 aprile 1853 egli cosi scrive allo stesso Bertani : « Ti ringrazio
dal fondo del cuore della tua graziosa lettera che mi ha in gran parte
compensato dell'ingiustizia di molti qui, che nel giudicare i diritti
di coscienza degli uomini hanno due pesi e due misure. Ma io non feci
la mia protesta per costoro, si per i compatrioti che sono in Italia, ed
hanno sotto gli occhi e sul cuore gli effetti delle ultime sciagure. Da

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240 IV? CONVEGNO STORICO REGIONALE

molti mesi io era ignaro di tutto, ignaro poi fin della partenza dei
capi, ignaro da ultimo di tutto ciò che andava ad intraprendersi,
e con che mezzi e come. Argomento è questo che domanderebbe
molte parole; ma io per ora preferisco non aggiungerne altre, e de-
sidero se ne faccia altro scalpore. Verrà tempo, forse non lontano,
in cui se spontaneamente non farà giustizia alla mia protesta e alle
generose tendenze, oso dirlo, del mio carattere, chi è, più ch’altri,
in debito di farla, mi ricorderò che anch'io ho una penna non disav-
vezza all’inchiostro come ho un’anima non disavvezza a sentire la
dignità umana ».

Esaminando attentamente le parole del patriota folignate si ha
l'impressione che il dissidio .con Mazzini sia da ricercarsi nel fatto
che l’Agostini era contrario ad imprese destinate al fallimento. Egli
si lamenta infatti dell’atteggiamento, nei suoi confronti, di « compa-
trioti che sono in Italia e che hanno sotto gli occhi e sul cuore gli
effetti delle ultime sciagure ». È come se l’Agostini avesse già pre-
cedentemente considerato inutile, in quel momento, un qualunque
moto rivoluzionario, soprattutto se non sufficientemente preparato
e con buone prospettive di riuscita. Ma più avanti, come si è visto,
dichiara che era «ignaro di tutto ». A prima vista quest'ultima af-
fermazione può lasciarci perplessi. Come è possibile, ci si può do-
mandare, che un uomo come l’Agostini, così vicino al Mazzini in
quegli anni di esilio a Londra, segretario del Comitato Nazionale
Italiano, sia stato tenuto all’oscuro di ciò che si andava ad intra-
prendere ? La domanda, legittima, può trovare soltanto una risposta :
i capi della rivolta, che erano partiti, come lo stesso Agostini afferma,
senza avvertirlo, lo tennero all’oscuro di tutto forse perchè sapevano
che egli era contrario ad imprese del genere. L’ipotesi non ci sembra
azzardata, anche perchè la prima espressione della lettera che stiamo
esaminando sembra confermarla.

Una terza lettera, sempre al Bertani, del 6 giugno dello stesso
anno, accenna appena e di sfuggita alla questione che ci sta a cuore :
« Per ciò che riguarda la mia contesa per l’abuso fatto del mio nome,
ancora non ha avuto luogo alcuna spiegazione, e io andrò a provocarla
fra brevi giorni». In due successive lettere, del 13 giugno e del 9
settembre 1853, si accenna ad un opuscolo sugli ultimi casi di Milano,
in cui si parlava dell’Agostini e del suo « atto di opposizione ». Nella
seconda più precisamente è detto : « Non prima degli ultimi di agosto
potei avere a leggere ciò che con insigne ingiustizia e con amarezza
di proposito indegno e inconsueto dello scrittore, si trova nel li-
IV? CONVEGNO STORICO REGIONALE 241

bretto riguardante gli ultimi fatti di Milano ». L’esule folignate è | Aui
deciso a ottenere una ritrattazione pubblica e incondizionata, altri- |
menti darà incarico all'amico di far pubblicare o su Italia e Popolo |
o in altro giornale un suo scritto di giustificazione. |
Quali erano le accuse tanto gravi che gli venivano rivolte ?
Per il momento non é possibile formulare una risposta. Certo é che
l'Agostini è dolorosamente colpito dall'atteggiamento dei maz- i
ziniani nei suoi confronti. UR
Dopo cinque mesi di silenzio abbiamo finalmente la lettera |
al Bertani del 23 febbraio 1854, in cui l'Agostini così scrive all’amico :
« Dal giorno che io declinava da me le responsabilità di fatti che non
erano miei, sono divenuto bersaglio di una persecuzione continua,
fitta, pettegola che non risparmiava alcun modo d’infastidirmi.
| Io ho risposto con disprezzo altero, altero quanto la mia coscienza.
È Ma ultimamente, dopo l’ultima scarica di emigrati fatta da costì
| sull'Inghilterra, la guerra s'é inacerbita, e debbo dirti che hanno
cercato di danneggiarmi anche nell’interesse ...». E più avanti:
« È bene inteso che questa è opera interamente di uomini che pre- È;
sumono vendicare un torto che presumono fatto a un uomo che ae
certo non é loro complice nell'opera vile, e che o non ne sa nulla, i)
o se la sa, certo la disapprova. ». L'Agostini non vuol cedere « agli
stimoli del dolore e dell’ira per sostituire una causa individuale
alla causa pubblica ». La polemica coll’uomo, di cui egli ha in fondo
un alto concetto, è giunta ad un punto morto. Dopo aver invano i
atteso, almeno così pare, una ritrattazione di quanto ingiustamente |
è stato detto sul suo conto, quell'uomo gli ha finalmente scritto,
ma la sua lettera é ben lungi dal soddisfarlo. « Ora io sono invilup-
pato, egli scrive, in un problema i cui termini son questi: nei mo-
| menti attuali, che sarebbero piü utile al nostro paese, lo scrivere
I o il tacermi ? ». « Io sento e so di aver intera ragione e troppo più
di quanto tu puoi immaginare ; sento e so di rimanermi ora sotto
un’accusa che nella prima parte è menzognera, nella seconda parte
menzognera e stupida e trista; nondimeno se può risultare in bene
del paese che io accetti di annichilarmi sotto quell’accusa, che io
non pubblichi tale una giustificazione che involga necessariamente N
la prostrazione dell'avversario, io mi taccio. Se d'altronde puó gio-
vare al paese che io non mi taccia, parlerò sfidando quali fosser
per esserne le conseguenze. In una parola io non voglio farne causa
d'individuo ma di pubblico bene. Ma chi mi scioglie il problema ?
Qui evvi chi mi esorta a tacere e chi a non tacere ? Diffido degli uni

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LIS A LULEV LX mAePUMEM TixSey 3C DITE 242 IVO CONVEGNO STORICO REGIONALE

e degli altri, ai quali le passioni dettano l’esortazione, e manca
conoscenza dello stato vero dello spirito pubblico in Italia. Che io
scriva non può essere senza conseguenze morali, e ciò per la pecu-
larietà delle circostanze ; ma farei bene o farei male, non dico a me
cui non penso, ma al paese ? ». Abbiamo trascritto per intero questo
brano centrale della lettera del 23 febbraio 1854, perchè ci sembra
estremamente importante. Il povero Agostini, amareggiato e avvi-
lito, si spegneva a Londra qualche mese dopo (1 giugno 1854) senza
forse aver risolto il suo dilemma.

Ma quale era l’accusa infamante che era stata formulata nei
suoi confronti ? Chi era l'uomo di cui l'Agostini non fa il nome, ma
la cui persona era tanto importante per la causa italiana da indurlo
a tacere cose che, se rivelate, potevano nuocere al bene del paese ?
L'ultima lettera del patriota folignate, se rivela l'altezza della sua
coscienza morale e il suo profondo amore per l'Italia, non ci aiuta
a risolvere gl'interrogativi su esposti.

*ockok

In questa breve nota, cogliendo l'occasione di dover pubblicare
questa importante lettera di Mazzini, tuttora inedita, desideriamo
solo prospettare la figura del patriota folignate Cesare Agostini,
con l'augurio che altri documenti vengano ricercati e studiati per
una risposta agli interrogativi che ci siamo posti, e che qualche stu-
dioso voglia assumersi il compito d'illustrare l'opera dell'Agostini,
nella Costituente e nell'esilio, il suo pensiero politico e la sua fede
per un'Italia libera e repubblicana.

LETTERA DI MAZZINI A CESARE AGOSTINI (12)

AES SU a

TRIUMVIRATO
DIO E IL POPOLO

15 settembre 1849
Il Triumvirato dell'Associazione dell’Italia del Popolo affida

ai cittadini Agostini, Villani e Bezzi, come autorità dirigente, l'orga-
nizzazione del lavoro sociale fra gli Italiani residenti in Inghilterra,
IV° .CONVEGNO STORICO REGIONALE » 243

Essi daranno ogni mese conto del loro operato al Triumvirato
nel modo prescritto dallo Statuto dell'Associazione.

Ginevra Pel Triumvirato
Gius. Mazzini A. SAFFI

c. 1 v (bianca)
16 settembre
(€ 5. T

Caro Agostini

Per te e pei tuoi colleghi. Eccovi una autorizzazione. Ed eccoti
ciò che intendiamo pel congiungersi della formola d'affratellamento.
Siamo unitari. Ma non intendiamo respingere dai nostri ranghi gl'indi-
vidui repubblicani i quali credessero in un diverso modo d'unione.
Per la repubblica abbiamo ora, oltre le nostre convinzioni, un pre-
cedente, un fatto compiuto in Roma, perchè l’unità non l’ab-
Dinmo 1: (13) usurpare con soverchio esclusivismo sulla deci-
sione della nazione. La..... (13) dell'Associazione é peraltro uni-
taria ; e unitari tutti i Comitati ; unitaria [quindi] (13) sarà la nostra
predicazione. Bensi, ripeto, non crediamo potere respingere un
Italiano che ci dicesse: desidero lavorare con voi, ma lasciate che
per quell'unico punto io serbi, fino a che una manifestazione nazio-
nale decida, l'opinione mia individuale.

Ora affretellate : Villani tiene le antiche fila della nostra Asso-
ciazione, e se gli uomini non hanno stranamente mutato, ei potrà
ridurre rapidamente molti dei nostri operai alla nuova forma. Se vi
riesce riunirli e se tu fai sentire ad essi l'importanza assunta dal
nostro partito, la necessità di renderlo più sempre compatto, d'orga-
nizzarlo, di [costituire] (13) una cassa, di tenerci pronti ad agire
con tutte le nostre forze al sorgere d’una nuova occasione, li avrete
in massa. Bezzi lavori SEGNATAMENTE fra gli esuli nuovi dello Stato
Romano.

Non so se tu conosca un Angelo Usiglio, modenese, d’apparenza
fredda, ma caldo nel core e a me devotissimo. Farò, scrivendogli,
che s'abbocchi con te; e potrai condurvi altri amici miei del ramo
mercantile.

D'una sola cosa vi preghiamo : d'insistere sulla regolarità nel
versamento delle quote mensili. Notate nei vostri registri le partenze
e i luoghi dove i vostri affratellati si recano : comunicateli a noi

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244 IV? CONVEGNO. STORICO REGIONALE

[per]ché l'Associazione li segua e reclami l'adempimento de’ loro
obblighi dovunque vanno.

Un terzo dei fondi andrà per le vostre spese: un terzo dovete
mandarlo a noi pei materiali di guerra ; l’altro terzo deve per ora
distribuirsi in sussidi : tra voi, se gl'Inglesi non bastano all'uopo ; in
Marsiglia o dove saranno accumulati esuli poveri, se i fondi raccolti
dal Comitato Inglese bastassero.

Teneteci a giorno regolarmente: noi pure lo faremo. Ama
sempre il tuo Gius. Mazzini.

(Timbro ovale dell’ex-proprietario della lettera : L. G. Agostini -
Tarragona) (14).

62D.

(Indirizzo: Dr Agostini - p. r., di mano del Mazzini; London,
46 . .. street, d'altra mano ; tre bolli dell'ufficio postale con le date
rispettivamente del 18, 20 e 21 sept. 1849).

NOTE

(1) Gronacio FaLco, Giuseppe Mazzini e la Costituente, Firenze, 1946,
p. 84.

(2) G. MAZZINI, Epistolario, vol. X XII, p. 206, Imola, 1925.

(3) G. FALCO, op. cit., pp. 84-85.

(4) G. FALCO, op. cit., p. 85.

(5) G. FALCO, op. cit., p. 98.

(6) G. MAZZINI, op. cit., vol. XXII, p. 227.

(7) Le assemblee del Risorgimento : vol. III, pp. 63-67, Roma, 1911.

(8) G. MAZZINI, op. cit., vol. X XV, p. 140.

(9) G. MAZZINI, op. cit., voll. X XIV e XXV, passim: cfr. l'indice de
nomi, alla voce Agostini Cesare. :

(10) G. MAZZINI, op. cit., vol. X XI, p. 34, nota.

(11) Agostino Bertani (Milano 1812-Roma 1886) partecipó attivamente
al Risorgimento Italiano organizzando, quale valente chirurgo, l'assistenza.
ed il servizio sanitario dei moti e nelle guerre per l'indipendenza nazionale.
Fu fervente repubblicano, ma nel '59 promosse tra gli esuli l'adesione al go-
verno piemontese, e venne eletto deputato alla VII legislatura (9 ottobre 1860).

Le lettere di Agostini al suo amico Bertani si conservano a Roma nel
Museo Centrale del Risorgimento ; per questo nostro lavoro ci siamo serviti
della loro copia, fornita, anni or sono dal predetto Museo alla Biblioteca Co-
munale di Foligno, ove si conservano nel fascicolo dattiloscritto. MR 48
(ex Museo del Risorgimento).
LEX RE TREE T To AR AAT ATI E ORE MOTOR Y 7 AIA He:

IV? CONVEGNO STORICO REGIONALE «245

(12) Questa lettera ed altre carte e documenti di Cesare Agostini sono
stati recentemente donati dalla signora Hilda Agostini de Lopez, anche a
nome dei suoi fratelli, alla Biblioteca Comunale di Foligno, per essere quivi
conservati insieme al ritratto ed altri ricordi e lettere del patriota folignate.

La lettera è in due fogli di mm. 270X215, presenta qualche lacerazione
e un mediocre restauro sulla piegatura del foglio. Autografo del Mazzini è
il testo della c. 2 r. La c. 1 r. ha l'intestazione a stampa e il testo con scrit-
tura calligrafica ; il Mazzini vi ha posto di suo pugno la sottoscrizione : Pel
Triumvirato, Gius. Mazzini, e l’indicazione del luogo : Ginevra.

(13) Scrittura mancante o di incerta lettura per la lacerazione del foglio.

(14) L(uigi) G(iuseppe) Agostini è il figlio del nostro Cesare Agostini, il
Gigetto (Luigi) per la cui salute, nell’esilio di Londra, il padre era molto preoc-
cupato e ne scriveva all'amico medico Agostino Bertani. Luigi Agostini, che
aggiunse poi il nome di Giuseppe in onore di Garibaldi, è il padre dei donatori
dell’autografo mazziniano.

Il prof. Salvo Mastellone domanda se, sul complesso dei nomi-
nativi compresi nell’inserto d’archivio di cui alla comunicazione del
prof. Cecchini, è possibile stabilire in percentuale le diverse categorie
sociali alle quali essi appartengono. Il prof. Cecchini chiarisce che
fra i sottoscrittori della colletta sono in prevalenza elementi della
borghesia e della nobiltà, e che negli elenchi di coloro che hanno usu-
fruito di sovvenzioni ovviamente sono compresi nominativi di arti-
giani e di popolani non abbienti.

Il Presidente Morghen dà lettura dei seguenti ordini del giorno
che vengono approvati all'unanimità dall’ Assemblea.

ORDINE DEL GIORNO N. 1

I partecipanti al IV Convegno storico regionale (Terni, 11-12
novembre 1961)

Presa conoscenza dei risultati raggiunti nel corso dell’ultimo de-
cennio dall’organizzazione degli archivi pubblici statali nell’ambito
della Regione umbra

fanno voti
affinchè venga provveduto adeguatamente dalle competenti Autorità
alla sistemazione e conservazione e al moderno ordinamento, al servizio
degli studi e delle ricerche, degli archivi ecclesiastici, che contengono così
larga e importante messe di documentazione non solo della DE reli-
giosa ma di quella civile.

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IV? CONVEGNO STORICO REGIONALE

ORDINE DEL GIORNO N. 2

I partecipanti al IV Convegno Storico Regionale (Terni : 11-12
novembre 1961) in riferimento alla comunicazione resa dal prof. Elio
Lodolini e concernente Città di Castello, riconoscendo il valore ecce-
zionale costituito dall'attività editoriale realizzata da Scipione Lapi,

che portò un contributo primario allo sviluppo della cultura e della let-

teratura nazionali

fanno voti
affinchè in occasione della scadenza, nel 1963, del sessantesimo anni-
versario della morte del grande editore venga ordinata in Città di
Castello una Mostra della produzione libraria di quella Casa con la
compilazione di un catalogo illustrante adeguatamente la produzione
stessa.

Il Presidente propone, e l'Assemblea approva, che sia data per
letta la comunicazione dal titolo « Una importante lettera di Mazzini
al patriota folignate Cesare Agostini », inviata dal prof. Giovanni
Lazzaroni, il quale si è scusato di non potere, per improrogabili
impegni, partecipare personalmente al Convegno.

Il Presidente prof. Morghen, nel chiudere la tornata del Con-
vegno, ha espresso il più vivo compiacimento per il proficuo lavoro
svolto, per merito sopratutto dei soci che hanno conferito la rela-
zione fondamentale e le comunicazioni accessorie, dalle quali è ve-
nuto un efficace contributo di chiarificazione alla migliore cono-
scenza storiografica dell'Umbria nel secolo XIX. Egli esprime in-
fine la certezza che dall’ottima riuscita, sotto l’aspetto sostanziale
e organizzativo, del Convegno possa trarsi l’auspicio per un progres-
sivo incremento degli studi storici nella regione umbra sotto il pa-
trocinio della Deputazione di Storia Patria.

Secondo il programma del Convegno i convenuti si sono trasfe-
riti a Sangemini, dove sono stati ricevuti dal gr. uff. avv. Alberto
Violati, Presidente della S.p.A. dell’acqua minerale di Sangemini,
il quale, prima della colazione da lui offerta ai partecipanti al Con-
vegno, ha loro rivolto un fervido saluto.

Stante la persistente pioggia, non potè aver luogo la prevista
visita agli scavi di Carsoli, che si sarebbe dovuta effettuare sotto la
guida dell'Ispettore alle Antichità dott. Umberto Ciotti.
RECENSIONI

MEERSSEMAN G. G. O. P., Dossier de l'Ordre de la Pénitence au XIII* siècle,
Fribourg, Editions Universitaires, 1961, pp. XVI-346.

Nella collezione « Spicilegium Friburgense », Textes pour servir à l'histoire
de la vie chrétienne, prende posto il volume di P. Meersseman, che costituisce
la documentazione, esemplare, di tutto ció che con lunghe e fruttuose ricerche
é stato possibile raccogliere per tracciare finalmente una persuasiva storia
dell'ordine della Penitenza nel XIII secolo, che lo stesso P. Meersseman ci
promette in altro volume.

Percorrendo le varie sezioni della raccolta documentaria e orientati
dall'ampia introduzione (pp. 1-38), è agevole rendersi conto che là dove era
una inestricabile «forét vierge » c’è ormai ordine, e le troppe, spesso appic-
cicose, ipotesi o sono svanite perché sicuramente false o hanno preso piü
preciso contorno.

È del tutto fuori discussione che lo stato canonico di Penitenza è dunque
ben più antico di S. Francesco, che, passato per quell'esperienza, lo lanciò
e lo propago. Chi l'abbracciava si imponeva una regola di religiosa penitenza,
e peró quello stato di vita era riconosciuto da particolari privilegi, come
l'esenzione dalle funzioni pubbliche, dal servizio militare, dalle tasse straor-
dinarie. Con la fondazione degli Ordini medicanti, i Penitenti ebbero la pos-
sibilità di scelta di direzione spirituale, di collaborare con quelli, sopra tutto
amministrandone le proprietà per opere caritative, ma rimanendo giuridi-
camente distinti, non governati ovviamente dai ministri di quegli ordini, ma
sottoposti all'ordinario. E peró gruppi locali di Penitenti finirono con il qua-
lificarsi nell'ambito nero o bigio, a seconda delle istituzioni nere o bigie, do-
menicane e francescane, delle quali si trovavano ad essere «clienti », e pote-
rono essere coinvolti talora nelle puntuali loro rivalità. Ma sarebbe un grosso
errore confondere la storia dell'Ordine della Penitenza con quella degli Ordini
mendicanti e delle loro particolari confraternite, come è stato fatto. Se le
esperienze religiose concrescono, per essere risposta a problemi concreti, in
certi momenti, con intime somiglianze, e imprestano l’una dall’altra elementi,
non si deve perciò fare mescolanza di istituti diversi, compromettendo così
la possibilità di coglierne le vicende e gli sviluppi, d’intendere, in una parola,
l’articolata storia della spiritualità medioevale.
248 RECENSIONI

Ma qui gioverà piuttosto riassumere il contenuto del « dossier » raccolto

da P. Meersseman, composto di sei lezioni. La prima è costituita dal Bollario,

che fornisce una cronologia sicura ; poi vengono i documenti legislativi (re-
gole e statuti), poi gli atti dei capitoli. La quarta sezione è costituita da una
scelta di atti notarili, che illuminano tra l’altro i primi rapporti tra Penitenti
e domenicani a Firenze. Segue una serie di estratti di tre registri di beni
amministrati dai Penitenti a Firenze. La sesta sezione comprende vari docu-
menti relativi alla riunione dei Penitenti bigi e neri. Un’appendice infine
raccoglie regole di altre associazioni di pii laici, utilizzate nelle redazioni delle
regole dei Penitenti (1221, 1284, 1285, 1289).

Impeccabile è l’edizione dei testi, impreziosita dal commento storico che
laccompagna, sempre esauriente e miniera di spunti, di informazioni.

Il volume del dotto domenicano è dedicato alla memoria di L. Oliger e
A. Teetaert, francescani. Sigillo certo di una stima e di una amicizia profonda.
Ma si sarebbe tentati di sottolineare questa dedica, come emblema di quella
superiore concordia degli spiriti disinteressati, qui a conclusione di una que-
stione storica che ha nel passato recato con sè certi rivoli di puntigliosità
gelosa, di neri e bigi.

ARSENIO FRUGONI

Lurar Bonazzi, Storia di Perugia dalle origini al 1860 a cura di GiuLiANO
INNAMORATI con una nota di LurGIr SALVATORELLI. Città di Castello, Unione
Arti Grafiche, 1959. Voll. 2, pp. LII-654, 630. L. 3.500.

Questa ristampa della Storia di Perugia di Luigi Bonazzi — e sia
comunque la benvenuta | — è nata da un compromesso o, meglio, dalla con-
fluenza di un antico desiderio e della scadenza di una ricorrenza centenaria.
Esaurita da tempo l’edizione originale, di cui soltanto nel settore antiquario
era ormai possibile rintracciare saltuariamente qualche esemplare, s’era
più volte affacciato il proposito di rifarne una ristampa; ma sinora sulla
scelta dei criteri da seguire, sulle persone o sugli enti che dovessero sostenere
il carico culturale-scientifico e finanziario ogni possibilità di realizzazione
s'era infranta.

È stato il Comitato cittadino costituito a Perugia per le celebrazioni
centenarie dell'Unità d'Italia a voler includere nel suo programma cele-
brativo la ristampa del Bonazzi, da far coincidere con la commemorazione
della insurrezione perugina dal 14-20 giugno 1859, della quale il Bonazzi
stesso del resto aveva lasciato una vivace e precisa testimonianza nel suo
L’ingresso degli Svizzeri in Perugia il dì 20 giugno 1859. E questa subordina-
zione di un’impresa piuttosto impegnativa a una precisa e assai prossima
scadenza ha condizionato il carattere e i limiti che ha assunto la ristampa
della Storia. Se si pensa che piuttosto largamente era sentita la necessità
di offrire a forestieri e alle giovani generazioni di perugini una storia della
città e che, gira e rigira, non si poteva far altro che ricorrere alla storia del

KU, uL DESIDG ny A
RECENSIONI . 249

Bonazzi, come quella che, a parte le scapricciature e le intemperanze spesso
gustose del resto dell’autore, poteva sostanzialmente assolvere con molta
dignità il compito di esprimere i valori storici che su Perugia si erano accu-
mulati nei secoli, spontaneamente sorge il suggerimento di ristampare, sì,
il Bonazzi, nel suo testo integrale, ma con quel corredo critico e dichiarativo
che, tenendo conto dei risultati degli studi storici conseguiti nel corso di
circa un secolo, ne eliminasse le inevitabili e sensibili insufficienze d’informa-
zione e le mende interpretative, non imputabili tanto e solo al Bonazzi.quanto
alle comuni conoscenze del tempo suo. In tal modo, pur servendosi di un testo
vecchio di quasi cent'anni, ma ancor valido nel disegno generale, nell'in-
tonazione e sopratutto nell’esposizione, si sarebbe messo nelle mani delle
persone colte e dei competenti uno strumento di conoscenza storica e di
valutazione critica aggiornato e sicuro.

Ma considerazioni d’ordine pratico sopratutto inducevano a reputare
come unica occasione favorevole all’attuazione di questo disegno la cele-
brazione centenaria dell’insurrezione perugina del ’59 ; per cui fù giocoforza
rinfoderare ogni proposito di revisione e integrazione critica del Bonazzi
e ripresentare la storia di Perugia come era stata vista un secolo fa da un
perugino illustre e geniale, non storico di professione, ma ben immerso nel
flusso vivo della vita privata e pubblica dei tempi mossi in cui visse. E fu
fortuna che la cura della ristampa col preciso compito della mera rimondatura
formale del testo e dell’inquadratura culturale, estetica, psicologica della
opera venisse assunta e adempiuta con amorevole impegno da un perugino
dotato di versatile sensibilità ed esperto cultore di critico storico-letteraria
qual è Giuliano Innamorati, che nella Nota al testo dà ragguaglio dei criteri
seguiti nel lavoro.

Giuliano Innamorati ha compiuto con lodevole zelo la revisione del
testo nell’edizione originale per la rimondatura da banali errori materiali
— ma qualche piccolo refuso è rimasto nella ristampa — specie nel secondo
volume, che non potè avere le cure dell'autore essendo uscito dopo la morte
di lui. Ma opera ben più meritoria egli ha compiuto redigendo uno studio
biografico-critico su Luigi Bonazzi veramente completo e definitivo. Egli,
sulla scorta della più sicura documentazione e con felice scelta e graduazione
prospettica, ha individuato le varie componenti del temperamento multi-
plo e, sotto certi aspetti, contradittorio del soggetto, riducendolo nei giusti
limiti della sua vivace, esuberante individualità. Forse preoccupato di renderlo
appunto nella sua individualità non si è curato di adombrare, sia pure a
larghi tratti, l’ambiente civile e politico, pur così pieno di contrasti, specie
negli anni culminanti del moto risorgimentale e della fase immediatamente
successiva al compimento unitario, in cui il Bonazzi ha operato ; che sa-
rebbe stato un modo, forse, di dare un maggior risalto alla sua figura morale
su uno sfondo non esente da meschine querele e da egoistiche ambizioni.

Giuliano Innamorati, applicando a una materia specifica, che non è sua

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250 RECENSIONI

propria, i metodi più aperti e moderni della critica storico-letteraria, ha così
smentito gli zelanti rigoristi dell’esclusivismo specialistico conferendo un
contributo altamente apprezzabile nell’ambito della vera e propria critica
storica.

La Storia di Perugia del Bonazzi, con la quale si conchiude degnamente
nel secolo scorso il pingue filone della storiografia perugina e che è stata
al centro di fieri contrasti e di polemiche invelenite da sentimenti proma-
nanti da precostituite posizioni di parte, le quali sono momentaneamente
risorte nell’occasione della presente ristampa, offre tuttora il destro a più
d’una considerazione. Ma per non renderle perfettamente incongrue e su-
perflue bisogna tenersi esclusivamente all’opera, al suo autore, al momento
in cui è stata creata.

Certo il Bonazzi ha letto nel gran libro della storia e nelle vicende che
hanno avuto per teatro Perugia con l’animo dei suoi tempi e secondo i suoi
ideali come se di questi egli cercasse in quelle una confortante conferma.
Ma quale storico più o meno apertamente non opera in tal modo ? Tutto
sta a vedere se egli per i fini che, anche inconsciamente, persegue, nell’inter-
pretazione dei fatti e dei dati storici ne opera un’artificiosa ed anche dolosa
forzatura ; e veramente possiamo riconoscere che ciò non accade. A tal
proposito è stato anche recentemente affermato che Bonazzi non ha retta-
mente interpretato il senso letterale di importanti documenti, limitandone
o fraintendendone il contenuto sostanziale. Può anche ammettersi, per quanto
sia noto che nei riguardi dei documenti medievali custoditi nell’Archivio
comunale di Perugia il materiale gli era compiacentemente fornito da Adamo
Rossi, sul quale, se mai, ricadrebbe tale responsabilità ; ma senza ricorrere
all’aforisma del purus gramaticus, sappiamo per certa conoscenza che la
perfetta lettura di un documento é atto puramente strumentale, il cui ri-
sultato non esclude la capacità interpretativa dello storico, quand'egli sappia
coglierne il valore essenziale anche fra mezzo a una decifrazione imperfetta ;
quello cioé che sa appunto fare il Bonazzi, il quale fornisce ampiamente la
prova di possedere sicuro intuito storico pur non accedendo sempre diretta-
mente alle fonti documentarie. Basta osservare con quale cautela egli si
muove sullinfido e lacunoso terreno della preistoria umbra, limitandosi
per lo più a citare dati riconosciuti per certi e a riferire quelle opinioni che
la cultura corrente forniva, accennando velatamente, ma in rari casi, la
propria propensione personale per l’una o per l’altra. E a proposito di fonti
occorre rilevare che egli ne ebbe a disposizione in misura assai limitata, e non
per colpa sua ; tuttavia anche con tale limitata disponibilità il tessuto della
storia perugina da lui ordito è sostanzialmente valido ancor oggi; se mai
con la utilizzazione di fonti adesso e non allora attingibili si tratterebbe di
lievi, se pur utili integrazioni, di lievi, ma non clamorose rettifiche. Egli

— e con lui i suoi collaboratori, Rossi e Fabretti sopratutto — ha potuto
È 4 A ERN, E. VERAS
RECENSIONI «SQ

utilizzare prevalentemente i fondi dell’Archivio storico comunale, quelli
. dell'Archivio. benedettino di S. Pietro, di alcune corporazioni di arti, do-
cumenti dell’Archivio fiorentino e di quello senese. Ma per la sua stessa
posizione ideologica e politica non potè accedere a tutti gli archivi gentilizi
perugini; nè potè consultare l'Archivio vaticano e l'Archivio della Tesoreria
dell'Umbria e della Camera apostolica, solo da pochi decenni ostensibili
presso l'Archivio di Stato di Roma. Lo stesso Archivio storico del Comune
di Perugia — di cui il Pellini nella sua storia aveva utilizzato le serie relative
al diplomatico, ai consigli e riformanze, agli statuti, alle sommissioni, agli
offici e scarsamente a quelle della gestione finanziaria, di rilevante importanza
— sia per l'empirico suo ordinamento — quello attuato nel 1792 da Giuseppe
Belforti — sia per l'allora limitata sfera di interessi nella ricerca per la ri-
costruzione storica, non venne sfruttato appieno. Queste limitazioni non
sono imputabili al Bonazzi, ma allo stato degli studi storici di allora. Ed
ecco dove trova fondamento l'esigenza di una utile e in certo senso doverosa
opera di integrazione dell'opera bonazziana nell'occasione della sua ristampa
con un opportuno corredo di annotazioni informative e critiche che si valesse
della più larga visuale nella ricostruzione storica secondo le moderne con-
cezioni storiografiche, a cominciare dallo storicismo crociano, e dei sussidi
di più calzante valutazione di fatti, istituti e moti che l’elaborazione nel
campo sia della storia generale sia di quella particolare ha fornito dall’epoca
del Bonazzi ad oggi.

Sul carattere di questa Storia, sull’indirizzo storiografico, di metodo in-
somma, nel quale essa si inserisce Innamorati non insiste — e fa bene —
salvo qualche accenno a una tendenza romantica. A parte la mia personale
avversione all’incasellamento che si suol fare, per ragioni di comodo per lo
più, di un’opera letteraria o storica, operazione che ha sempre sapore di
scolastico e di convenzionale, ritengo che nel caso del Bonazzi, autodidatta
nel più elevato senso del termine, si tratta di precisare la posizione ideale
e morale in cui egli si pone, considerando che il punto di visuale da cui egli
sceglie e valuta la materia storica meglio che da una teorica professata dipende
da quella formazione di esperienza vissuta e sofferta in un’assidua lotta in-
terna ed esterna nel corso della sua travagliata, onesta, indipendente esi-
stenza. Dalle fresche risorse di esperienza umana deriva il suo senso storico ;
e deriva quella capacità di svolgere con continuità e con persuasiva evidenza
un tessuto storico, che spazia dall’antichità all’epoca contemporanea senza
smagliature di lacune nei periodi quasi affatto vuoti di eventi politici, di-
plomatici e guerreschi, come nella lunga stasi prodottasi dalla metà del
Cinquecento alla fine del secolo XVIII, tenendo sempre desta l’attenzione
del lettore con un’adeddotica mediante la quale riesce a costruire una co-
lorita visione panoramica della vita cittadina.

Sotto questo aspetto egli dimostra capacità di storico superiori a quelle.
che si riscontrano nelle Storie di Assisi di Antonio Cristofani, così impenetra-

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M LIA TE E. ix TRO Lk. x 22i Av LE ud LA e Ri V SIR cà N
252 RECENSIONI

bilmente macignose per le oscure arcaicità lessicali e per l’involuzione sti-
listica, e nelle narrazioni storiche di Achille Sansi su Spoleto, che si limi-
tano a concentrare la propria attenzione, con tanto più acuto senso giuridico
che nel Bonazzi, nelle intime ragioni soltanto dei periodi più intensi di vita
della storia spoletina.

Al di fuori quindi delle correnti storiografiche prevalenti al tempo
suo, pur avendo subito la suggestione di alcuni storici, come il Balbo e il
Sismondi, in quest'opera, secondo la giusta considerazione di Giuliano In-
namorati, «la volontà dello scrittore di agire in profondo sullo spirito -dei
lettori e di trarli al proprio ideale di civiltà risalta da ogni parte del li-
bro, dove non è perduta mai l'occasione di dar rilievo, per esempio, al-
l'aborrimento delle «storiche carneficine », di sfrondare gli allori degli
«interessi dinastici » o di casta o di classe, dove l’amore della patria si nutre
dell’amore per il popolo della patria e questo è esaltato per le sue virtù,
rimproverato e ammonito con passione dei suoi difetti, esortato sempre a
ritrovare e difendere la propria capacità di organizzarsi in libere forme di
governo, di darsi leggi ed istituzioni che in ciascun cittadino stimolino e
rispettino il progresso della collettività». Invero ebbi già occasione di ricor-
dare nell’annuncio editoriale di questa ristampa, che venne diffuso anonimo
sotto la sigla del Comitato cittadino patrocinatore dell’edizione, che «non
si può comprendere il significato e la portata reale di questa narrazione sto-
rica, non si giustificano certe posizioni in essa assunte, che furono, e sotto
un profilo formale non a torto, accusate di intemperanza e di faziosità, se
non si conosce e si valuta al suo giusto valore la vita del Bonazzi, l’ambiente
in cui essa è stata immersa, e se non si giunge a riconoscere che gl’impulsi
cui egli ha obbedito e che lo hanno guidato nella stesura della sua opera sto-
rica sono quelli derivanti e operanti, con stimoli talvolta spasmodici, da un
onnipresente ed altissimo, potrebbe dirsi inesorabile ideale civile, che co-
stituisce in ultima analisi il motore e il senso finale di questa storia di Perugia ».

Tre motivi: il senso della libertà e della dignità civica, l’affettuoso
interesse per la condizione e la inquietudine delle classi popolari, l’ideale
della giustizia sociale e dell’armonia politica costituiscono gli elementi strut-
turali sui quali si compone la storia del Bonazzi, il quale su di essi, come
su una pietra di paragone, saggia e misura eventi, atti e persone.

Fa da introduzione all’opera come un opportuno e felice elemento di
giunzione tra la storia municipale perugina e quella generale il meditato
saggio di Luigi Salvatorelli.

| Egli vi svolge un motivo che gli é caro, quello della rivendicazione alla
Umbria e a Perugia di un importante ruolo nello svolgimento della storia
nazionale, quale generalmente non è riconosciuto ; e nel sottolineare gli
addentellati esistenti tra la storia regionale e quella nazionale traccia quel
lineamento del processo di unificazione italiana che risale, secondo ben
individuati motivi, all'età romana repubblicana ; tesi ch'egli ha, anche re-

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RECENSIONI . 253

centemente, sviluppato nello studio La formazione storica dell’unità italiana
posto come introduzione al volume Spiriti e figure del Risorgimento (Fi-
renze, 1961).

Questa ristampa della Storia di Perugia del Bonazzi, presentata in
sobria veste tipografica e messa opportunamente in vendita a bassissimo
prezzo, contiene in fine un Indice degli autori, che sarebbe stato molto bene
fosse stato esteso ai nomi di persone e di luogo al fine di rendere di più ra-
pida consultazione i due volumi, che superano le mille pagine di testo.

GIOVANNI CECCHINI

FRANCESsco BRIGANTI, La vita e le opere di Mons. Antonio Briganti, Vescovo
di Orvieto, Arcivescovo di Apamea, a cura di un suo pronipote. Ricordi
di cronistoria locale contemporanea (1817-1906), Perugia Ed. Natale
Simonelli, 1960, pp. 167.

Francesco Briganti ha voluto onorare la memoria del suo Antenato,
Antonio Briganti, nato a Mantignana nel 1817 e morto nel 1906 nel convento
di Monteripido in Perugia, dove si era ritirato nel 1883, dopo la rinuncia alla
sede vescovile di Orvieto, per una grave infermità, con una interessante bio-
grafia dedicandola, per un atto di venerazione, alla memoria dello storico or-
vietano Luigi Fumi.

L’autore, con precisione cronologica, descrive la vita del prelato peru-
gino, dalla nascita agli anni dello studentato nel seminario diocesano e nella
università, dal periodo sacerdotale nelle parrocchie di San Lorenzo in Monte-
nero e in Torgiano a quello dell’episcopato orvietano fino al lungo ritiro
trascorso, tra la preghiera e lo studio, nel convento francescano caro al beato
Egidio.

Nella narrazione viene così a rivivere la figura del sacerdote e del ve- ‘
scovo il quale, trovandosi in un periodo denso di contrasti ideologici e di
vicende politiche, seppe rigorosamente indirizzare la sua azione al lavoro
pastorale, agli studi storici e teologici ed al mecenatismo nell’arte, del quale
dette prova nelle sedi parrocchiali ed in Orvieto.

Del Briganti, preso dal suo alto magistero, così infatti si esprime l’autore,
a pag. 60, «... Antonio Briganti, sacerdote impavido, restò al suo posto,
animato dal sentimento del dovere e della dignità sacerdotale. Dato il suo
carattere disciplinato di fronte allo svolgimento delle nuove vicende poli-
tiche, si rassegnò, come vedremo più innanzi, le accettò pazientemente, uni-
formandosi al nuovo stato delle cose ....».

Si estraniò completamente dalla vita civile del tempo e, soffrendo,
come scrisse nel registro parrocchiale di Torgiano, «.... quindi le spoglia-
zioni del clero, le persecuzioni e quell’altra bile che aizzava la plebe contro
i Preti ad ogni specie di requisitoria e di vessazioni, si che l’animo nostro sul
momento si sente accasciato ! Tempi colmi di sciagure ! ...» fu costretto a ma-

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254 RECENSIONI

lincuore ad attuare per sè e per gli altri il detto evangelico: « Date a Cesare
quel.che è di Cesare ed a Dio quel che è di Dio ».

Se nella Chiesa il Briganti comprese il regno dello Spirito, per il quale
indirizzò se stesso e gli altri alla necessaria disciplina, ed in questo nelle dignità
ricoperte fu inflessibile, non dimenticò quelle attività esterne che al medesimo
possono dare lustro e decoro.

Nella pubblicazione è così ricordata l’opera del parroco di San Lorenzo
e del pievano di Torgiano per abbellire le chiese con accorti restauri e neces-
sari rifacimenti, come anche lo zelo del Pastore profuso in Orvieto per ria-
prire al culto le chiese di San Domenico e di Santa Maria dei Servi, per dare
forma dignitosa alle chiese di Montegabbione e di Sugano e per concorrere
alle nuove ornamentazioni del Duomo e di S. Andrea.

Dal testo si rileva poi che il Briganti fu il coraggioso riorganizzatore,
sotto tutti gli aspetti, della Chiesa Orvietana dopo gli avvenimenti del 1860.
Accennando a questi e riferendosi al Vescovo Vespignani, morto nel 1865,
ed al suo successore mons. Marino Marini che stabilì la sede in Bolsena,
ancora nello Stato Pontificio, l'Autore si affida alla tradizione orale, mentre
il periodo, nel quale visse ed operò il dotto Presule, avrebbe richiesto, per una
serena e precisa trattazione, un’accurata indagine archivistica. In tutto il
lavoro si avverte la mancanza di tali ricerche della quale il Briganti si giu-
stifica con le attuali condizioni degli archivi ecclesiastici nell'Umbria.

In appendice, anzi, l’Autore stesso auspica un sollecito riordinamento
degli archivisti ecclesiastici di Perugia e di Orvieto.

Come la descrizione delle vicende civili e religiose in Orvieto pecca di
superficialità e non viene delineata con la dovuta chiarezza, così la vita di
Perugia, nel secolo scorso, è svolta in maniera a volte confusa e non risolve
quei dubbi che oggi negli studi storici si vanno presentando. La Chiesa peru-
gina, dominata dalla figura del cardinale Gioacchino Pecci, poi Leone XIII,
con le tendenze dottrinarie, spesso latenti nel corso del secolo che, come le
opinioni politiche, crearono delle fratture nel clero, poteva giustamente essere
oggetto di un più profondo esame.

Tra le opere scaturite dallo zelo pastorale del Briganti vengono ricor-
date : l’impulso dato al Seminario Diocesano, che divenne il centro spirituale
e culturale della città, la solenne ricognizione del corpo di Santa Cristina
in Bolsena, la trasformazione del convento di S. Anna a casa di esercizi per
il clero, la celebrazione solenne di importanti ricorrenze religiose, quali il
centenario della morte di S. Tommaso d'Aquino, e la introduzione in città
e diocesi di pratiche divozionali.

La bibliografia delle opere da Lui seritte, arricchita da brevi segnala-
zioni, è un mezzo utile per meglio conoscere la figura del vescovo che fu
profondo teologo, saggista, agiografo e polemista sopratutto nell'esame della
situazione della Chiesa nei riguardi dello Stato. Interessante è anche la pub-
blicazione della corrispondenza tra Leone XIII ed il presule.
A SU MU Ur SUAE LIUASLGYET TORI; ASSE MERRILL MARZIA

RECENSIONI 2:205

Negli scritti del Briganti appare evidente la Sua opinione per la conser-
vazione del dominio temporale dei papi, mentre le note in appendice, su
avvenimenti e personaggi dell'epoca, costituiscono un orientamento per ulte-
riori indagini. i

Il lavoro è corredato da un indice analitico con riferimenti storico-biblio-
grafici e da fotografie, in maggior parte, riguardanti luoghi e monumenti
legati al nome del vescovo. Unica imprecisione nel testo è la data di demoli-
lizione della Chiesa di S. Domenico in Orvieto e della costituzione dell'Ac-
cademia d’Educazione Fisica che non avvennero nel 1926 ma nel ’34.

È augurabile che quanto Francesco Briganti ha lodevolmente scritto
sulla vita e le opere del suo prozio possa accentuare, riordinati gli archivi
ecclesiastici della regione, le indagini sulle complesse vicende del secolo scorso.

CRISPINO FERRI

Perugia and her people by Mary A. Johnstone, Perugia, Grafica, pp. 261,
1117: 3;.8.

È triste dover constatare che l’unica storia di Perugia in quest'ultimo
mezzo secolo é stata scritta in inglese da una inglese! (anzi da una scoz-
zese). E non, si badi bene, scritta e pubblicata lontano da qui, ma scritta
e pubblicata in Perugia. Siamo anche informati — e ce ne rallegriamo —
che il libro si vende con abbondanza e continuità come i bomboloni ancora
caldi nei bar di primo mattino.

Decisamente la cultura storica, o perlomeno la cultura storica divulga-
tiva, della città nostra è passata in mano agli stranieri. Gli stranieri se
la scrivono e gli stranieri se la leggono.

I perugini diranno che loro ce l’hanno nel sangue e non ne hanno biso-
gno. Ma intanto provate a fermare un perugino, anche un professionista, e
chiedetegli chi era il Monmaggiore. Vogliamo scommettere che lui lo pi-
glierà per una collina e lo confonderà con Monte Malbe ? (Eppure il Monmag-
giore cambiò i connotati della città abbattendo perfino il Duomo già quasi
finito e colle sue atrocità mettendo pace tra beccherini e raspanti, tra i
perugini tutti, inducendoli, per una volta d’accordo, a una delle rivolte
più gloriose di cui abbiamo ricordo).

Risponderanno i perugini che loro hanno il Bonazzi. Giusto. Però il
Bonazzi scriveva un secolo fa. Vogliamo o no supporre che gli studi sto-
rici abbiano fatto qualche progresso in un secolo ? E il secolo intercorso
chi ce lo narra ?

Il Bonazzi poi, pur essendo, senza forse, lo storico locale italiano più leg-
gibile di tutta la storiografia dell’ottocento, era, più del consueto in questo
campo, falloso. Nè poteva essere altrimenti. Giunto alle istorie a quasi ses-
sant'anni dopo una vita di attore lontano dalla natia Perugia, egli dovette

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256 RECENSIONI

tutto fare da sè, scavando in una miniera vasta, dispersa e ancora intatta.
Aggiungi che era anche (ciò gli dà, del resto, il suo sale) non poco parti-
giano. E poi sono ben due volumi, la sua storia. Quanti che confondono il
Monmaggiore con il Monte Pecoraro li hanno letti ?

E chi giunge a Perugia e desidera, in una sola serata di lettura, ren-
dersi conto di che diavolo è successo nei tre millenni intercorsi da quando
i primi padri etruschi apparvero sui colli nostri, dove si rivolgerà ?

Uniea risposta possibile oggi: imparerà l’inglese e leggerà il libro della
Johnstone. Oppure rimarrà a bocca asciutta.

Questo è, naturalmente, un libro « compilato». Chi ha le mani in pasta
ci sente le fonti, le quali sono tutte fonti a stampa, cioè il Bonazzi e gli
altri pochi che tentarono una storia di Perugia senza portarla a termine
(come il Guardabassi). Oppure il Gigliarelli che raccolse nel 1909 molte
memorie della città senza redigere una vera storia. Oppure la storia della
nostra università dell’Ermini. Altre notizie sono state prese anche dalle varie
«guide». Insomma un ricamo. Ma un ricamo sapiente e ben steso in un
inglese scorrevole e fresco, a cui non manca la pennellata felice di colore.

Non solo la Johnstone ha l’approccio e la sintesi facile come succede
a coloro che, già maturi, si avvicinano a una storia e a una civiltà sino al-
lora ignorata. Anche una storia intricata e piena di lacune e problemi come
quella di Perugia le si presenta chiara, e chiara la rende per il lettore. Certo,
a ciò si accompagnano i difetti di chi non essendo cresciuto in loco, non
può, a naso, evitare delle smarronate perfino formidabili. Come quando
(p. 213) l’Autrice scopre tre grandi giureconsulti nello Studium perugino :
«Baldo Baldesco», Baldo degli Ubaldi e Bartolo Alfani, senza accorgersi
che i primi due sono la stessa persona ; o come quando, per ben due volte,
menziona Braccio Fortebraccio « da Modone». Vero che più tardi lo chiamerà
giustamente « Braccio da Montone». Ma sorge il dubbio che ella li abbia
presi per due persone distinte (no, no non può essere: sarebbe troppo gros-
sal). Insomma alla signora Johnstone è mancato proprio un qualificato amico
perugino che sapesse l'inglese e. le rivedesse il testo.

Eppure eccolo qua il solo libro che possiamo, e leggere volentieri, e
mettere in mano di chi ci chiede il passato della città. Una città che ancora
veleggia nel mare del tempo con ciurme crescenti (ognuno con utilitaria
in cerca di parcheggio) in tolda, mentre ben sepolti le dormono in stiva i
suoi etruschi, i suoi romani, i suoi longobardi e le genti corrusche e mira-
bili dell'età rinascente. Del resto, prima di questo libro che altro avevamo
di maneggevole se non il libro di un'altra inglese, The story of Perugia, della
Symonds pubblicata nel 1898 ?

Tra quei perugini che cercano disperati un parcheggio speriamo che ce
ne sia uno, almeno uno, che — trovatolo — abbia tempo e voglia di darci
una storia di Perugia in italiano.

UGuccionE RANIERI
VE FETO ARTT Lm C APARTE E AZ MOUAIR Y

INDICE

Memorie

MARIO DE DomInICIS, Il rescritto di Costantino agli Umbri (Nuove
osservazioni)

GIOVANNI AMBROSI, Nuove osservazioni sulla battaglia di Plestia
neb. 217. a. C;

CARLO CANSACCHI, Agapito Geraldini di Ania primo Segretario
di Cesare Borgia (1450-1515)

Fonti

Cronaca di Giambattista Marini. Trascrizione di MARIO RONCETTI.

Note e documenti

MARIO MONTANARI, È di Bernardo Rossellino il progetto del cam-
panile di S. Pietro in Perugia. :

AGOSTINO SERANTONI, Leggi suntuarie a Cascia nei deboli XIV:
XVII

Contributi alla storia dello Studio perugino

GIOVANNI CECCHINI, Pagamenti effettuati dalla Camera degli Of-
ficiali dell’ Abbondanza a lettori e a personale dello Studio .
UcoriNo NICOLINI O. F. M., Dottori, scolari, programmi e salari alla

Università di Perugia verso la metà del sec. XV.

IV° CONVEGNO STORICO REGIONALE

Pag.

sul tema: Storiografia e storiografi in Umbria nel sec. XIX

Terni, 11-12 novembre 1961

Apertura del Convegno Wn uu TT EA

GIULIANO INNAMORATI, Storiografia e storiografi in Umbria nel
sec. XIX. Relazione

Assemblea generale dei Soci

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258 INDICE

Comunicazioni :

PrERo GrassINI, Contributi di due ottocenteschi ternani — Luigi

Lanzi e Riccardo Gradassi Luzi — alla storiografia locale.
FRANCO MANCINI, Appunti per una rassegna delle opere di Lorenzo
Leóni, storico tudertino . . .
ELIO LopoLiNI, Un minore della storiografia (ifertiate dell ‘Ottocento.
Giuseppe Amicizia e il suo Città di Castello nel secolo XIX.
CRISPINO FERRI, Problemi politici, economici e culturali in Orvieto
nel secolo XIX sie
UGoLINO NicoLINI O. F. M. Anni per una orografia eccle-
siastica umbra del Pod XIX. OU
GiovANNI CECCHINI, Una sottoscrizione pubblica a apre dei vO-
lontari perugini nel giugno 1848. SUR
GIOVANNI LAZZARONI, Una importante lettera di Marini d pa-
triota folignate Cesare Agostini

Recensioni

G. G. MEERSSEMAN O. P., Dossier de l'Ordre de la Pénitence au
XII? siècle (A. Frugoni). 5

LurGi Bonazzi, Storia di Perugia dalle origini ‘al 1860 : a cura a di
GIULIANO INNAMORATI con una nota di LUIGI SALVATORELLI
(G-Cecchin) -. : :

FRANCESCO BRIGANTI, La vita e le opere di Mons. Antonia: Briganti
Vescovo di Orvieto, Arcivescovo di Apamea a cura di un suo
pronipote. Ricordi di cronistoria locale contemporanea

. (1817-1906) (C. Ferri) SR
Perugia and her people by Mary A. TORAZIONE (U. "Ranieri

Pag.

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255

Direttore Responsabile : DOTT. GIOVANNI CECCHINI
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