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Unione Arti Grafiche - Città di Castello
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Memorie

| I SINODI SIMMACHIANI
E LA SEDE EPISCOPALE DI NOCERA UMBRA

Il Lanzoni (?) attribuendo assoluta storicità al brano della Legenda

major di S. Rinaldo circa le « preziose notizie su la fine delle diocesi

| di Tadinum e di Plestia e sull'origine di quella di Nocera» deduce

| che « dal passo, per quanto scorretto, da prima risulta che Nocera

i Umbra in antico non fu sede episcopale ; e, in secondo luogo, si ri-

» leva che la diocesi di Nocera Umbra successe a quelle estinte di Ple-

stia e di Thaini o Tadinum ». E conclude la sua esegesi del brano,

tutt'altro che limpido nei suoi particolari, con questa categorica af-

fermazione « a ogni modo la diocesi di Nocera Umbra non é anteriore
al X secolo» (^).

Forse il Lanzoni stesso ignorava che l'opinione sua non aveva
carattere di novità, perché già nel sec. XVIII l'erudito Stefano
| Borgia, nipote del vescovo nocerino Alessandro Borgia (1716-1724),
| nella sua opera Breve istoria dell'antica città di Taino stampata in
| Roma nel 1751, aveva avanzato la stessa idea. Il Borgia, peró, da
| buon conoscitore dei documenti storici diocesani, aveva basato
| la sua affermazione non sulla Legenda di S. Rinaldo, evidentemente
i derivata da fonti anteriori, ma da queste stesse fonti bene indivi-
|

duate nei codici gualdesi di fra Paolo e nel Lezionario di S. Facondino.

Il Borgia e il Lanzoni sono in opposizione con tutti gli storici

antichi e la quasi totalità dei moderni. Tra questi ultimi i pochissimi

| che negano Nocera Umbra quale diocesi anteriore al mille si basano
| unicamente sulle conclusioni del Lanzoni.

| In questo studio, senza, per altro, arrivare alle audaci afferma-

| zioni di mons. Faloci-Pulignani (*) che ha voluto annoverare anche

| Nocera tra quelle chiese umbre di cui ammette come certa l'origine

è apostolica, si vuole semplicemente dimostrare che ci sono stati vescovi

| di Nocera Umbra nel.primo millennio. La valutazione serena dei

|

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6 GINO SIGISMONDI

documenti porta a questa conclusione che fa crollare, indirettamente
ma efficacemente, la contraria opinione del Borgia e del Lanzoni.
Questi documenti, tra l’altro, attestano l’esistenza di un vescovo a
Nocera Umbra al tempo dei sinodi simmachiani. È il vescovo Aprile
(anno 502).

APRILIS EPISCOPUS ECCLESIAE NUCERINAE.

Che Aprile sia da ascriversi tra i vescovi di Nuceria nell'Umbria
è la conclusione logica di una laboriosissima indagine critica sugli
avvenimenti che sconvolsero in uno scisma i primi anni del ponti-
ficato di papa Simmaco (498-514).

Tale indagine si riduce fondamentalmente a dimostrare che nel-
l'anno 502 c'erano contemporaneamente due vescovi di Nocera: un
antipapa, di nome Lorenzo, e Aprile. Essendo certo che Lorenzo
era vescovo di Nocera Inferiore, ne segue che Aprile era vescovo di
Nocera Umbra. |

Questa linea schematica, peró, é rotta da varie questioni inti-
mamente connesse con quella dimostrazione: le fonti storiche e il
loro valore; la cronologia degli avvenimenti.

Ecco come queste due questioni vengono risolte dalla storio-
grafia piü recente. :

Anzitutto, in breve, i dati storici. Il 22 novembre del 498, (il
17 oppure 19 novembre del 498, secondo altri) morto il papa Ana-
stasio II, furono eletti pontefici contemporaneamente da due parti
avverse Simmaco e Lorenzo arciprete di S. Prassede in Roma.

Teodorico sollecitato a pronunciarsi dichiaró, con un judicium
aequitatis, di considerare legittimo pontefice colui che fosse stato
eletto prima con maggior numero di voti. Era il caso di Simmaco.
Il 1° marzo 499 il papa Simmaco tenne un sinodo nella basilica di
S. Pietro, cui parteciparono 72 vescovi italiani, e 67 sacerdoti delle
chiese di Roma. Si presero decisioni relative alle future elezioni
papali. Tra i sottoscrittori c'é: Coelius Laurentius archipresbyter tituli
Praxidae. Simmaco con un atto di benevolenza, «intuitu misericordiae »
dice il Liber Pontificalis, lo mandó poco dopo il sinodo (*) «ad
gubernandam Ecclesiam Nucerinam Campaniae civitatem ».

Nel 500 venne a Roma Teodorico e, benché ariano, fu accolto
con tutti gli onori. Partito Teodorico, alcuni del clero e la maggio-
ranza dei senatori a capo dei quali era l'ex console Festo (5), siccome
I SINODI SIMMACHIANI E LA SEDE EPISCOPALE DI NOCERA UMBRA 7

era loro impossibile, dopo l’arbitrato del re goto, contestare la legit-
timità di Simmaco, tentarono dimostrarne presso il re l’indegnità.
Accusarono Simmaco di non aver celebrato la Pasqua secondo il
calendario greco. Teodorico pregò il papa di recarsi a Ravenna. A
Rimini, però, Simmaco venne a sapere che si trattava di accuse
ben più gravi — sopratutto d’immoralità e d’illegittima alienazione
dei beni ecclesiastici — sicché senza aspettare l’udienza di Teodo-
rico, in tutta fretta ritornò a Roma e si rifugiò in S. Pietro. Teodorico
allora mandò a Roma, certo nella primavera e probabilmente nel mese
di aprile del 501, Pietro, vescovo d’Altino, della provincia ecclesia-
stica di Aquileia, quale visitator cioè come amministratore interino.
Con questa nomina estremamente grave giuridicamente — perché
si mandava il visitator quando una sede vescovile era vacante per
la morte del vescovo o per la sua regolare deposizione — Teodorico
considerava vacante la sede romana. Nel maggio dello stesso anno
501 a Roma, d’ordine di Teodorico, viene radunato un sinodo, che,
dopo varie sessioni e vicende turbolente — Simmaco, che aveva
autorizzato il sinodo, mentre si recava alla seconda sessione il 1°
settembre da S. Pietro a S. Croce in Gerusalemme fu perfino aggre-
dito e malmenato tanto che non si presentò mai più al sinodo, nono-
stante gli inviti insistenti dei vescovi — si radunò per l’ultima volta
il 23 ottobre 501. Simmaco era assente. Fu sottoscritto da 76 vescovi
un decreto in cui si rimetteva al tribunale di Dio il giudicare se le
accuse contro il papa erano fondate o no (Sinodo palmare) (5). Ma:
i torbidi non erano finiti. Il partito senatoriale riuscì di nascosto a
intendersi con Lorenzo, richiamandolo da Nocera. Fu composto un
libello diffamatorio contro il sinodo palmare: «adversus synodum
absolutionis incongruae ». Da parte cattolica rispose Ennodio di Pavia
con un Libellus adversus eos qui contra synodum praesumpserunt.
Simmaco tenne a Roma il 6 novembre 502 un altro sinodo a S. Pie-
tro: fu abolita la dichiarazione del praefectus praetorio Basilio del-
l’anno 483 relativa all’alienazione dei beni ecclesiastici.

L'antipapa Lorenzo per quattro anni riuscì a tener testa al
pontefice legittimo occupando le principali chiese di Roma, finché
nel 505 o 506, essendo abbandonato da Teodorico che aveva aderito
a Simmaco, si vide costretto a lasciare Roma per rifugiarsi in una
villa del suo fautore Festo ().
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8 GINO SIGISMONDI

LE FONTI STORICHE.

Tutti gli storici convengono in questa ricostruzione schematica
dei fatti, pur divergendo in alcuni particolari. Tali avvenimenti, del
resto, sono ben documentati dalle fonti che sono il Liber Pontificalis
e il cosidetto Fragmentum Laurentianum.

Tanto l'una quanto l’altra fonte hanno grande importanza
perché scritte da contemporanei. Secondo il miglior studioso, il
Duchesne, l’autore del Liber Pontificalis sarebbe un oscuro prete
vissuto proprio durante il pontificato di Simmaco e dello scisma
laurenziano che avrebbe scritto tra il 514-523. L’opinione del Waitz
e del Mommsen — quest’ultimo ha curato un’edizione del Liber
pontificalis posteriore a quella del Duchesne, ma di essa non critica-
mente migliore () — che vogliono l'autore del sec. VII non ha tro-
vato sostenitori (?).

Quanto al Fragmentum Laurentianum esso è un documento
scritto da un seguace di Lorenzo « redatto nei quattro o cinque anni
che seguirono la morte di papa Simmaco (19 luglio 514) » (1°).

Le fonti sullo scisma sono state studiate specialmente dal te-
desco Stóber e da Roberto Cessi. L'uno e l'altro critico vengono
alla conclusione, attraverso un’analisi molto accurata, che anche
la biografia di Simmaco del .Liber Pontificalis dipende dal fram-
mento laurenziano. Sicché dello scisma si hanno due versioni opposte
quella simmachiana e quella laurenziana, tutte e due, appunto perché
polemiche, in parte reticenti e in parte intenzionalmente diffuse su
punti più favorevoli al proprio candidato. Credo utile riportare le
due fonti l’una di fronte all’altra in sinossi.

Fragmentum Laurentianum

Symmachus sedit annos quinde-
cim, menses septem, dies viginti
et septem; cum hoc autem fuerat
Laurentius Romanae Ecclesiae pre-

sbyter ordinatus episcopus, tanta-

que clerum ac populum Romanum
discordia feralis invaserat, ut nec
divina consideratio, nec metus re-
gius partes a propria conlisione

Liber . Pontificalis

Symmachus, natione Sardus, ex
patre Fortunato, sedit annos XV,
menses VII, dies XXVII. Hic fuit
tempolibus Theodorici regis et Ana-
stasii Augusti, a die X Kal. Decem-
bris usque in diem XIV Kal. Aug.
Hic sub intentione ordinatus est
uno die cum Laurentio, Symmachus
in basilica Constantiniana, Lau-
I SINODI SIMMACHIANI E LA SEDE EPISCOPALE DI NOCERA UMBRA 9

cohiberet. Tunc coguntur utrique,
Symmachus scilicet et Laurentius
regium subituri iudicium, petere
comitatum : ibi Symmachus multis
pecuniis optinet; Laurentius ad
gubernandam ecclesiam Nucerinam,
Campaniae civitatem, plurimis coac-
tus minis promissionibusque diri-
gitur. :

Post aliquot autem annos pro
multis criminibus apud regem Sym-
machus accusatur: quem rex sub
occasione Paschali, quod non cum
universitate celebraverat, ad comi-
tatum convocavit rationem de festi-
vitatis dissonantia redditurum ; fe-
citque apud Ariminum resedere.
Dumque ibidem cum suis clericis
aliquantis permoratur, pomeridianis
horis super litus maris ambulans
vidit mulieres inde transire, cum
quibus accusabatur in scelere, quae
comitatum petebant regia iussione.

rentius in basilica beatae Mariae.
Ex qua causa separatus est clerus
et divisus est senatus, alii cum
Symmacho alii vero cum Laurentio.
Et facta intentione hoc consti-
tuerunt partes, ut ambo Ravennam,
pergerent, ad iudicium regis Theo-
dorici. Qui dum ambo introissent
Ravennam, hoc iudicium aequitatis
inveniunt, ut qui primo ordinatus
fuisset, vel ubi pars maxima cogno-
sceretur, ipse sederet in sedem
apostolicam. Quod tandem aequitas
in Symmachum invenit cognitio
veritatis et factus est praesul Sym-
machus. Eodem tempore papa Sym-
machus congregavit Synodum et
constituit Laurentium in Nuceri-
nam civitatem episcopum intuitu
misericordiae. -

Post annos vero IIII zelo ducti,
aliqui ex clero, et alii ex senatu,
maxime Festus et Probinus, incri-
minaverunt Symmachum; et su-
bornaverunt testes falsos quos mise-
runt Ravennam ad regem Theo-
doricum, accusantes beatum Sym-
machum.

Et occulte revocaverunt Lauren-
tium post libellum Romae factum ;
et fecerunt schisma, et divisus est
iterum clerus ; et alii communica-
bant Symmacho, alii Laurentio.
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10 GINO SIGISMONDI

Dissimulans ergo se Scire quod
viderat, nocte media, dormientibus
cunctis, cum uno tantum conscio
fugiens regreditur Romam, seque
intra beati Petri apostoli septa
concludit.

Tunc presbyteri et diaconi, nec
non reliqui clericorum, quos secum
deduxerat, adeunt regem, et sine
sua conscientia Synmachum fugisse
testantur; per quos rex tam ad
senatum quam ad clerum praecepta
super eius quodam modo damnatione
transmittit. Accusatur etiam ab
universo clero Romano, quod contra
decretum a suis decessoribus obser-
vatum ecclesiastica dilapidasset
praedia, et per hoc anathematis
se vinculis inretisset.

Pro diebus autem paschalibus ab
omnibus poene vir venerabilis Pe-
trus, Altinatis episcopus, a rege
visitator ecclesiae Romanae deposci-
tur; et post sanctam festivitatem
synodus in urbem Romam pro vo-
luntate senatus et cleri, iubente rege,
de eius excessibus iudicatura con-
venit. Atque id agitur a non-
nullis episcopis et senatoribus tan-
tum Symmachus ne audientiae sub-
deretur, hoc palam pro eius de-
fentione clamantibus, quod a nullo
possit Romanus pontifex, etiamsi
talis sit qualis accusatur, audiri.
Sed electiores antistites, tam pro
religionis intuitu quam pro regia
iussione censebant tantae rei nego-
tium poene utique vulgatum sine
examine nullatenus deserendum.
Cumque synodus sub hac dissonantia
plus inter partes ministraret fo-
menta discordiae ; tandem constituit

Tunc Festus et Probinus senato-
res miserunt relationem regi et
coeperunt agere ut visitatorem da-
ret sedi apostolicae. Tunc rex dedit
Petrum, Altinae civitatis episcopum,
quod canones prohibebant. Eodem
tempore B. Symmachus congregavit
episcopos CXV.

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I SINODI SIMMACHIANI E LA SEDE EPISCOPALE DI NOCERA UMBRA 11

ut libellus quem offerebant accusa-
tores Symmachi, susceptus inter
gesta solemniter panderetur. Quo
facto, mox per episcopos idem
Symmachus ut occurreret ad iudi-
cium convenitur. Sed cum -per
clericos, qui ei observabant, fuisset
eius negata praesentis, iterum et
tertio secundum regulas ut ad syno-
dalem conveniat audientiam per
antistites admonetur; nullumque
dignatus est dare responsum. Tunc
aliquanti episcopi, videntes nihil se
in causa proficere, clerum qui disces-
serat a consortio Symmachi semel
et iterum commonent ut ad eum
praetermisso revertatur examine.
Qui se nequaquam hoc facere posse
respondit, priusquam tantis crimi-
nibus impetitus discussione regulari,
vel absolvatur, si innocens fuerit,
vel, si reus extiterit, a sacerdotio
deponatur. Sed moras episcopi non
ferentes, cum viderent magis ac
magis studia divisionis augeri, quae
sibi utilia visa sunt pro Symmachi
persona constituunt, et sic urbem
in summa confusione derelinqunt.
Clerus ergo et senatus electior,
qui consortium vitaverat Symmachi,
petitionem regi pro persona Lau-
renti dirigit, qui eo tempore Ra-
vennae morabatur, Symmachi vio-
lentiam persecutionemque declinans,
ut ipse Romanae praesideret eccle-
siae, ubi dudum fuerat summus
pontifex ordinatus; quia hoc et
canonibus esset adfixum, ut unus-
quique illic permaneat, ubi pri-

mitus est consecratus antistes, vel

Si quibusdam commentis exinde re-
motus fuerit, eum modis omnibus
esse revocandum.
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12 GINO SIGISMONDI

Sic Laurentius ad urbem veniens
per annos circiter quattuor Roma-
nam tenuit Ecclesiam: per quae
tempora quae bella civilia gesta
sint, vel quanta homicidia perpe-
trata non est praesenti relatione
pandendum.

Dumque partes mutua se dissen-
tione collidunt, ac pro suis stu-
diis regale presidium saepe depo-
scunt, ad ultimum petitionem Sym-
machus regi per Dioscorum Alexan-
drinum diaconum destinavit, adse-
rens magnum sibi praeiudicium
fieri et maxime de titulis ecclesia-
rum quas intra urbem Laurentius
obtinebat. Ad hanc insinuationem
regis animus delinitus Patricio Festo
praecepta dirigit, admonens ut om-
nes ecclesiae tituli Symmacho refor-
mentur et unum Romae pateretur
esse Pontificem. Quod ubi Lauren-
tius comperit, urbem noluit diu-
turna conluctatione vexari, ac sua
Sponte in proediis memorati pa-
tricii Festi sine dilatione conces-
sit, ibique sub ingenti abstinentia
terminum vitae sortitus est.

Symmachum vero postmodum
quamvis victorem de multis rebus
fama decoloravit obscenior.

Et facta synodo purgatur a cri-
mine falso

Et damnatur Petrus Altinas in-
vasor sedis apostolicae et Laurentius
Nucerinus, quare vivo episcopo
Symmacho pervaserunt sedem eius.
Tunc ab omnibus episcopis et pre-
Sbyteris et diaconibus et omni clero
vel plebe reintegratur sedi aposto-
licae Beatus Symmachus cum gloria
apud Beatum Petrum sedere praesul.

Eodem tempore Festus caput
senatus exconsul et Probinus ex-
consul, coeperunt intra Urbem Ro-
mam pugnare cum aliis senatoribus
et maxime cum Fausto exconsule.
Et caedes et homicidia in clero ex
invidia. Qui vero communicabant
beato Symmacho iuste, publice qui
inventi fuissent intra Urbem, gla-
dio occidebantur ; etiam et sancti-
moniales mulieres et virgines depo-
nentes de monasteriis vel de abita-
culis suis, denudantes sexum femi-
neum, coedibus plagarum adflictae
vulnerabantur ; et omni die pugnas
contra ecclesiam in media civitate
gerebant. Etiam et multos sacer-
dotes occidit, inter quos Dignissi-
mum et Gordianum, presbyteros
ad vincula Sancti Petri apostoli et
sanctos Joannem et Paulum, quos
fustibus et gladio interfecerunt :
nam multos christianos, ut nulli
esset securitas die vel nocte de
clero in civitate ambulare. Solus
autem Faustus exconsul pro ecclesia
pugnabat.

“ua _ I SINODI SIMMACHIANI E LA SEDE EPISCOPALE DI NOCERA UMBRA 13

A integrare queste fonti principali rimangono gli atti dei tre
sinodi autentici (!) ricostruiti criticamente dal Mommsen nell'Appen-
dice al volume XII dei Monumenta Germaniae Historica, le Variae
di Cassropono, il Pro Synodo e le lettere di EnnoDIO, i brani di
TrEopono LETTORE e del cosidetto ANONIMO VALESIANO, Seconda
parte Theodoriciana (1).

LA CRONOLOGIA.

La questione cronologica dei sinodi simmacchiani é di essen-
ziale importanza per il profilo specifico sotto il quale essi vengono
qui considerati; cioè per la individuazione esatta della sede di « Apri-
lis Nucerinus ».

Una cosa, anzitutto, appare certa dalla sinossi del Fragmentum
Laurentianum con il Liber Pontificalis: quest’ultimo non si preoccupa
tanto di dare un ordine cronologico degli avvenimenti dello scisma
quanto, piuttosto, un ordine logico secondo i criteri abbastanza
diffusi nella storiografia di quel tempo: si mettono, cioè, sullo stesso
piano i fatti, che sono interdipendenti in modo da darne un prospetto
simultaneo completo, sicché la cronologia viene ad essere spesso
sconvolta (7). È evidente nel Liber pontificalis una elaborazione
letteraria in questo senso: le diverse fasi dello scisma sono raggrup-
pate sotto tre grandi periodi che cominciano tutti con la stessa
formula: eodem tempore. Così il richiamo segreto di Lorenzo sem-
brerebbe sia avvenuto prima del palmare, mentre il Fragmentum
Laurentianum si diffonde ampiamente nel raccontare che dopo l’as-
soluzione del palmare gli avversari di Simmaco mandarono una
petizione formale a Teodorico « pro persona Laurentii ». E la ver-

sione del Fragmentum così particolareggiata e precisa — sembra
perfino che abbia sotto gli occhi il testo della lettera, nella quale
era un pretesto giuridico con il richiamo ai sacri canoni — è, sen-

z'altro, la più esatta. Difficilmente, poi, i fatti di sangue narrati
nel Liber Pontificalis che paiono quasi l’innaturale conclusione dello
scisma, sono al loro posto; vanno, certo, messi avanti la condanna
dell’antipapa e del « visitator ». L’aveva già osservato il Du Sol-
lier nel sec. XVII — quando ancora non era stato ritrovato il Frag-
mentum Laurentianum che serve oggi ai critici d’indiscussa contro-
prova — scrivendo: « hic vero, ut saepe alibi, exactum rei ordinem
desiderari passus est; quae enim apud ipsum sequuntur non post

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14 GINO SIGISMONDI

habitum concilium sed multo ante accidisse, verum gestorum ipsa
natura docet » (!*). Si spiega, perciò, l'unanime preferenza degli sto-
rici moderni per il Fragmentum nella ricostruzione cronologica dello
scisma.

Specialmente intricata è la cronologia dei sinodi simmachiani.

Già gli eruditi secenteschi avevano notato: « synodi Romanae
Sedente Symmacho celebratae... suo ordine hactenus collocatae
variorum hallucinationum causa fuere ». L'osservazione è di Antonio
Pagi che insieme col nipote Francesco propone una cronologia com-
pletamente diversa dalla tradizionale. Secondo i Pagi il sinodo cosi-
detto palmare sarebbe stato radunato nell'anno 503. Il bollandista
Du Sollier dice palmare il sinodo del novembre 502; il Baronio,
invece, quello del 501 (1). Anche molti critici moderni, per motivi
non disprezzabili, credono che il sinodo palmare sia del 502 e non
del 501. I piü acuti sostenitori dell'anno 902 sono i tedeschi Stóber,
Schnürer Pfeilschifter e, tra gli italiani, il Picotti. Il Duchesne, pur
attenendosi alla cronologia tradizionale, osserva che «i tre concili
romani del 499, 501, 502, sono conservati in una raccolta dove figu-
rano nell'ordine 499, 502, 501 » (5). Invece, però, di spostare il pal-
mare nel 502, propone di trasportare il sinodo del 502 al 501 « poi-
ché sembra far seguito alla riunione del 23 ottobre di tale anno » (1°).
C'è la tendenza, comunque, a considerare i due sinodi del 501 e
del 502 come avvenuti lo stesso anno a pochi giorni di distanza
l'uno dall'altro. Tuttavia, siccome le date consolari sono perentorie,
la maggior parte dei critici stanno ancora per il palmare del 501.
Cosi il Mommsen, il Caspar, il Bardy, il Cessi e il Ginetti che ha
studiato a fondo la cronologia del sinodo palmare (13).

Altra «vexata quaestio » è questa; quando Lorenzo e Pietro
d'Altino furono scomunicati e deposti ? Dalle fonti storiche alcuni
punti sono certi. Lorenzo e Pietro d'Altino furono condannati in-
sieme. Come erano stati uniti nella lotta contro Simmaco così si
trovarono uniti nella scomunica e nella deposizione. Tale condanna
avvenne prima del 18 settembre 506, quando il diacono Giovanni
fece la sua ritrattazione condannando « nominatim » Pietro d’Altino
e Lorenzo. Questo «terminus ante quem » è l'unico dato sicuro e
qualche studioso si accontenta di questo: il Lanzoni, per esempio.

La condanna di scomunica e di deposizione fu lanciata in un
sinodo. Il Liber Pontificalis è esplicito. Lo stesso si legge in Vittore
Tunnunense: «Anastasio romano episcopo mortuo succedit Sym-
machus et ex alia parte Laurentius ordinatur, qui dum Nuceriae

m t$ rA tm net I SINODI SIMMACHIANI E LA SEDE EPISCOPALE DI NOCERA UMBRA 15

civitatis episcopatu nollet esse contentus, synodo Romae facta, a
coetu est sacerdotali proiectus » (1°).

Il diacono Giovanni ritrattandosi accettó « quae veneranda Sy-
nodus judicavit atque constituit anathematizans Petrum Altinatem
et Laurentium Romanae Ecclesiae pervasorem et schismaticum » (39);

Sono, perciò, contrarie ai documenti le opinioni di quegli storici
i quali pensano che Simmaco direttamente abbia lanciato la sco-
munica fuori di un sinodo. Erra il Saba quando scrive: « In questo
tempo (dopo il palmare) tanto Lorenzo come il visitatore Pietro
d’Altino, risparmiati dal sinodo, furono dal papa canonicamente
deposti »(*). Così pure sembra pensare il Grisar (25).

singolare, poi, é ció che crede il Cessi: « Gli scismatici caddero
sotto le sanzioni del sinodo (palmare)...: in tal senso furono ana-
tematizzati Lorenzo e Pietro, sotto il punto di vista della comunione
simmachiana, senza che intervenisse un atto formale del pontefice
dichiaranteli tali » (*). Anche questa «condanna implicita» urta
contro la documentazione.

Ma se è certo il fatto della scomunica e che fu comminata in un
sinodo romano, è altrettanto incerto di quale sinodo si tratti. In
nessuno dei sinodi simmachiani di cui rimangono gli atti è riportata
tale sentenza, anzi non c’è neppure l'accenno. Di qui le varie opi-
nioni degli storici.

Lo Jaffé l'assegna al sinodo palmare del 23 ottobre 501 (*). Si
basa sul Liber Pontificalis che ha: «eodem tempore b. Symmachus
congregavit episcopos CXV et facta synodo purgatur a crimine falso
et damnatur Petrus Altinas invasor sedis apostolicae et Laurentius
Nucerinus quare vivo Symmacho pervaserunt sedem eius». Tale
condanna, peró, nel sinodo del 501 é da escludersi per varie ragioni.

Gli atti del palmare che secondo i critici hanno «tutta l'appa-
renza e la realtà d'integrità » (*) non ne parlano. Non ne parla nep-
pure Ennodio nel suo Pro Synodo, scritto in difesa del palmare,
sebbene accenni qua e là al « visitator ». Nella sua lunga e mordente
apologia del palmare, Ennodio, che non sembra piü l'incerto e in-
voluto retore delle altre sue opere, non parla mai di Lorenzo: buon
indizio che il sinodo non dell'antipapa si interessó, ma di Simmaco.
Ha, invece, un lungo brano sul « visitator ».

Gli avversari obiettavano che era stato offeso Teodorico perché
in una sessione del sinodo Simmaco aveva preteso che prima di
essere esaminato venisse allontanato Pietro d'Altino. Ennodio scusa
Teodorico che mediante il visitator « non occasionem litis, nec fomen-

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GINO SIGISMONDI

tum iurgii, sed causam voluit esse concordiae » (**) e difende la legit-
timità della richiesta di Simmaco perché Pietro d’Altino aveva fatto
causa comune con gli avversari del papa: « Destinatus antistes ab
ipso complendae iussionis confinio oris vestri Spiris abripitur et ad
incentivum confusionis aptatur, qui paci militaturus adveneras » (37).
Ecco tutto: neppure un accenno sulla condanna. Ben altra vigoria
avrebbe avuto l’argomentazione avversaria se avesse potuto get-
tare contro il palmare la condanna del visitatore; impallidiva di
fronte a ciò lo screzio fatto a Teodorico col chiedere — semplice
richiesta perché non ebbe alcun seguito, tanto che Simmaco dovette
rinunciare a insistervi — l’allontamento previo del « missus regius ».
L'apologia ennodiana, quindi, col tacere affatto di Lorenzo e con
il tono agrodolce a proposito del visitatore fa legittimamente sup-
porre che nel sinodo palmare non furono condannati né l’uno né
l’altro. È certo, comunque, che nel Pro Synodo non c’è nessuna
traccia di tale condanna.
Altro documento estraneo agli atti del sinodo è la lettera, che

S. Avito vescovo di Vienne in Francia scrisse a nome di tutto l’epi-
scopato gallico ad alcuni membri del senato di Roma. Era arrivato
ai vescovi della Gallia — « de causa Romanae Ecclesiae anxii nimis
ac trepidi » — il decreto del sinodo palmare su Simmaco : « perlata
est sollecitudini nostrae ab Italia in exemplaribus sacerdotalis forma
decreti, quam de papa Symmaco apud urbem collecti Italiae anti-
stites ediderunt ». Benché « observabilem numerosi reverendique con-
cilii reddat adsensus », S. Avito crede siano da rimproverarsi i vescovi
del palmare che avevano osato chiamare in giudizio il papa: «si papa
urbis vocatur in dubium, episcopatus iam videbitur, non episcopus,

vacillare ». Anche nella fiera rampogna contro i vescovi italiani nel
sinodo dei quali Simmaco « consacerdotum solatium potius habere

quam recipere debuisset iudicium » (**) nessuna parola della condanna

di Lorenzo e di Pietro di Altino. Eppure sarebbe stata un'ottima

attenuante agli occhi di Avito che, in fondo in fondo, rimproverava

al palmare di essere stato troppo acquiescente ai comandi e ai desi-

deri di un re ariano come Teodorico. Anche se Simmaco aveva data

la sua approvazione al sinodo, non si distruggeva l'amara verità

che esso s'era radunato « ex praecepto gloriosissimi regis Theodorici »,

€ che sotto la sua influenza diretta era sempre rimasto (?»).

Il silenzio assoluto di documenti cosi diversi nella loro posizione

di fronte al palmare — Ennodio ne fa l'apologia, Avito ne fa la
critica — e, ancora piü sintomatico, il silenzio assoluto degli atti
I SINODI SIMMACHIANI E LA SEDE EPISCOPALE DI NOCERA UMBRA 17

sinodali sulla pretesa sentenza di condanna dell’antipapa Lorenzo e
del visitator Pietro, nell'ipotesi che tale sentenza ci fosse stata, sa-
rebbero incomprensibili.
Ancora. Il sinodo del 501 « de eius (Symmachi) excessibus indi-
) caturus convenit», discusse le accuse contro Simmaco, null'altro.
Sono concordi il Liber, il Fragmentum, Ennodio ed Avito. Non volle
| pronunziarsi né contro Lorenzo né contro Pietro d'Altino. Lo con-
| ferma ottimamente lo stesso decreto sinodale. « Cum Dei nostri
obtestatione — dicono i vescovi del sinodo — decernimus harum
necessitate vel religionum consideratione adstricti et coelesti inspi-
ratione perpensis omnibus, quae in causa erant, secretis: ut Sym-
machus papa sedis apostolicae praesul, ab huiusmodi propositio-
nibus impeditus, quantum ad homines respicit... sit immunis et
liber... Totamque causam Dei iudicio reservantes, universos hor-
tamur ut sacram communionem (sicut res postulat) ab eo perci-
piant». Questa, sostanzialmente, la sentenza del palmare. Discordi
sono gli storici sul significato preciso da dare a questa sentenza
emessa dopo vari tentativi di non addossarsi alcuna responsabilità,
tanto che piü di una praeceptio dovette emettere Teodorico per sol-
lecitare che i vescovi del palmare si pronunciassero.

Per il Duchesne il palmare pronunciò « una assoluzione in con-
tumacia»; per il Picotti, invece, « né assolse né condannò » (*°). Se
è un’assoluzione; essa è un’assoluzione di Simmaco soltanto dinanzi
agli uomini, perché si rimetteva al giudizio di Dio « totam causam ».
E questo, nonostante che fosse stato considerato attentamente tutto
ciò che era in causa. La. sentenza non dice di più: nessun anatema
contro Lorenzo e il suo sostenitore. Se il palmare avesse preso la
grave decisione di tale scomunica e conseguente deposizione non
sarebbe stato cosi timido da accontentarsi di un'assoluzione pruden-
ziale. E se l'avesse presa, l'avrebbe in qualche modo espressa.

Anche se il sinodo, diventato ad un tratto audace, avesse voluto
andare oltre l'assoluzione di Simmaco fino alla sua riabilitazione,
fino alla condanna degli avversari, non ne ebbe il tempo, perché
— e la testimonianza del Fragmentum ha tutto il suo peso — si
sciolse in tutta fretta: « moras episcopi non ferentes, cum viderent
magis ac magis studia divisionis augeri, quae sibi utilia visa sunt
pro Symmachi persona constituunt et sic urbem in summa confu- (t |
sione derelinquunt ». Prese il sinodo una qualsiasi decisione « pro iE
I Symmachi persona » per cui s'era radunato, e si sciolse. i
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18 GINO SIGISMONDI

Pietro d’Altino; Teodorico senza dubbio non l’avrebbe lasciato
condannare poiché per suo ordine si trovava a Roma. Quanto a
Lorenzo non c’era nessun motivo di procedere contro di lui che
ancora non era ricomparso a Roma come competitore » (?). Anti-
storico è il coraggio che si dà ai vescovi del palmare, che, radunati
per ordine di Teodorico, condannano il « visitator » Pietro, legittimo
rappresentante del re e amministratore, secondo il diritto regio,
della vacante chiesa romana. Ma se quei vescovi non avevano avuto
neppure il doveroso coraggio di accogliere l'eccezione giuridica pre-
giudiziale apposta da Simmaco al visitatore ! Possibile che, poi,

incuranti delle possibili ire di Teodorico — colpire Pietro d’Altino
equivaleva a colpire il re in persona — si sono spinti fino a con-
dannarlo ?

Lorenzo, poi, era ancora, apparentemente almeno, sottomesso
alle decisioni sinodali del 499. Le diverse fonti sono concordi nel-
l’insinuare che lo scisma riarse per i maneggi del partito greco in
Roma, non per opera di Lorenzo. Solo piü tardi l'opposizione sim-
machiana pensa a Lorenzo, che viene segretamente richiamato nel-
linverno 501-502. I termini stessi con cui «clerus et senatus elec-
tior » intercedono per Lorenzo presso il re sono abbastanza rivelatori.
Chiedono che Lorenzo « Romanae presideret Ecclesiae ubi dudum
fuerat summus pontifex ordinatus; quia hoc et canonibus esset
adfixum ut unusquique illic permaneat ubi primitus est consecratus
antistes, vel si quibusdam commentis exinde remotus fuerit eum
omnibus modis esse revocandum ». Questo testo suppone che altra
sede fosse allora quella di Lorenzo e precisamente Nocera di Cam-
pania. E poteva il senato e il clero dissidente chiedere la sede ponti-
ficale per Lorenzo se egli fosse stato regolarmente e solennemente
scomunicato e deposto in un sinodo radunato — la frase è del
Fragmentum — proprio «jubente rege»? A queste ottime argo-
mentazioni altre se ne possono aggiungere altrettanto probative. Il
Liber Pontificalis narra che al sinodo di condanna segui gran gioia
e tutto il clero e tutto il popolo acclamó Simmaco. Ció é impossibile
intendere del sinodo palmare poiché subito dopo cominciarono i
gravi fatti di sangue attestati chiaramente dal Liber e velatamente
dal Fragmentum. Nellipotesi di una condanna nel palmare sarebbe
priva d'ogni significato la frase del Liber Pontificalis «tunc ab om-
nibus episcopis et presbiteris et diaconibus et omni clero et plebe
reintegratur Sedi Apostolicae beatus Symmachus ». Questa unani-
mità di consensi per Simmaco da parte di tutti i vescovi, tutti i preti,
I SINODI SIMMACHIANI E LA SEDE EPISCOPALE DI NOCERA UMBRA 19

tutti i diaconi, tutto il clero, tutto il popolo non si ebbe dopo il pal-
mare. Dopo di esso si ebbe esattamente il contrario : una nuova e
più grave divisione di popolo e di clero, di cui una parte arrivò
perfino a chiedere a Teodorico di reintegrare Lorenzo nella sede
romana. E proprio dopo il palmare Lorenzo «per annos circiter
quattuor Romanam tenuit Ecclesiam ».

La condanna dell’antipapa e del suo incauto sostenitore dovette
essere l’ultimo atto della lotta cui seguì una calma relativa, non
turbata, certo, dai pochi residui e impotenti superstiti seguaci di
Lorenzo. I dati sincroni del Liber Pontificalis simmachiano e di
quello laurenziano sono indizi abbastanza positivi che la condanna
dovette avvenire molto dopo il 501.

Alla stessa conclusione si giunge analizzando la ritrattazione
del diacono Giovanni. Scrive a Simmaco: « agnoscens érrorem meum,
spero misericordiam beatitudinis vestrae et redintegrari me unitati,
consentiens quae veneranda synodus iudicavit atque constituit » (33);
Si richiama, evidentemente, un sinodo molto recente. Ed è sinto-
matica la data della ritrattazione: 18 settembre 506.

Queste ragioni valgono anche per chi volesse riconoscere il sinodo
di condanna in quello del novembre 502. Questo sinodo, molto tem-
pestoso per gli eccessi dei partigiani di Lorenzo, e molto deferente
verso Teodorico — sembra impossibile perciò una condanna del
«visitator» — si occupò esclusivamente dei beni ecclesiastici. È
giusta la denominazione che gli dà il Du Sollier: «de rebus Ec-
clesiae conservandis »(*). Del resto, nessun accenno negli atti a
tale condanna.

Tutto considerato il gesuita p. Fedele Savio ha avanzato la
ipotesi «che il concilio di 115 vescovi, di cui parla il biografo di
Simmaco, e la condanna ivi pronunciata contro l’antipapa Lorenzo
e Pietro d'Altino avvenissero soltanto dopo cessata l'usurpazione
dell’antipapa, e quindi o nel corso del 505 o nel 506 »(*). E conva-
lida la sua ipotesi con il fatto certo che Teodorico «lasciò libera
in tutto la mano a Festo e al partito greco finché speró d'avere
qualche utilità dall'amicizia coll’imperatore di Oriente, e ingiunse
a Festo di abbandonare Lorenzo e riconoscere Simmaco, quando
diventó nemico del medesimo imperatore, il che fu nel medesimo
anno 505»(*) come informa il cronista Marcellino (*).

A conferma della giustezza di questa ipotesi — non del tutto
nuova perché qualche cosa di simile aveva già supposto anche lo
Sbaraglia — si può aggiungere che proprio nel 506 Teodorico permise
ATI PIZZI

20 GINO SIGISMONDI

che fosse console in Roma Messala, figlio di Fausto «qui solus pro
ecclesia pugnabat » in favore di Simmaco, e che questo stesso Fausto
fosse questore. E sicuramente alla fine dello scisma allude Ennodio
in una sua lettera al questore Fausto — nel 506 quindi — scrivendo:
«Deo gratias quia felicitas vestra votivis erigitur aucta successibus
quod tumida inimicorum cervix Christo Deo nostro subcumbit » (*7).
Nell'epistolario di Ennodio si trova una lettera, senza destinatario
e senza data, in cui si dice: «Deo gratias... referamus quia in
societatem capitis sui aliquando Romana membra coierunt»(?5). Il
Thiel ed altri la dicono diretta al papa Simmaco poco dopo il 505 (*°).

Questi riferimenti cronologici al 505 difficilmente possono essere
spiegati, se la condanna di Lorenzo e del visitatore Pietro fosse
avvenuta nel 501 o 502.

L'Hefele stesso osserva: «Senza dubbio non si puó negare asso-
lutamente che un altro concilio, tenuto poco prima del 506 abbia
potuto emanare una sentenza di condanna contro il Visitatore e
contro l'antipapa; ma é tuttavia molto probabile che questa sen-
tenza sia stata pronunciata nel sinodo palmare o in uno dei concili
che l'hanno seguito » (**).

Sembra, comunque, chiara una cosa: è da escludersi che il sinodo
palmare del 501 abbia condannato e scomunicato Lorenzo e il « vi-
sitator » Pietro d'Altino.

Convengono in questo punto tutti gli storici più recenti. Il
Bardy, per esempio, non potrebbe essere più esplicito: « Nessuna
sentenza fu recata (nel sinodo palmare del 23 ottobre 501) contro
Pietro di Altino, il quale, in tutta questa faccenda, si era limitato
ad obbedire agli ordini del re. Quanto a Lorenzo, non si prese alcun
provvedimento, perché non era più comparso a Roma dopo la sua
nomina a vescovo di Nocera» (11).

Si ammette, così, evidentemente che il brano del Liber Ponti-
ficalis relativo alla condanna di Pietro e Lorenzo non è al suo posto.
Ottima, è, perciò, anche per i critici moderni l’osservazione del bol-
landista Du Sollier: « Anastasius (il preteso autore del Liber Ponti-
ficalis nel sec. XVII)... schismatis historiam sic involvit ut nec
eius originem nec concilia ad illud extinguendum habita nec adiuncta

reliqua sic distinxerit ut rerum gestarum accurata series deduci
possit » (#2).
I SINODI SIMMACHIANI E LA SEDE EPISCOPALE DI NOCERA UMBRA 21

-

LA SOTTOSCRIZIONE DI APRILE.

Il testo critico dei sinodi simmachiani ricostruito dal Mommsen
ha tra i vescovi sottoscrittori del sinodo del 6 novembre 502: « Apri-
lis episcopus Ecclesiae Nucerinae subscripsi ». Di scarso valore le
varianti: Ecclesiae Naucerinae, Nacerinensis, Episcopus Nucerinus.
Sicuro, quindi, che un Aprile era vescovo di Nocera nel novembre
502. E nessuno lo mette in dubbio.

Con quasi certezza si può ritenere che questo vescovo Aprile
sia lo stesso sottoscritto nel palmare del 23 ottobre 501. L’incerta e
tormentata lezione critica «Aprilis episcopus Ecclesiae Laterianae,
Latine, Latinensis, Laterianensis, Lateranensis, Liberianensis» non
ha esauriente spiegazione se non in un errore di un primo copista
trasmesso poi attraverso i codici. «Qui siamo davanti ad una evi-
dente scorrezione, poiché non esiste in Italia alcuna sede antica
vescovile che si possa identificare con Laterianae... e poiché il
nome di Aprile come nome di persona é assai raro, non puó pensarsi
verosimilmente a due vescovi di questo nome contemporanei » (**).
Buona conferma negativa è l'incertezza di quei critici che hanno
voluto fissare una sede all'Aprile del 501. Linternum o Liternum,
Lettere, Latera, sono sedi completamente ignote, tolta questa oscu-
rissima sottoscrizione conciliare: « Il Mommsen scrisse di questa in-
certa diocesi: quo pertineat ignoratur; e il De Vit (Onomasticon):
Laterana ecclesia 501 mihi non liquet, praesertim quia lectio admodum
variat». « Sottoscrivo il giudizio dei due eruditi ». Così il Lanzoni (4).

Proprio questo vescovo Aprile che compare nel sinodo del 502
e, quasi certamente, nel sinodo del 501 é il primo vescovo sicuro
di Nocera Umbra di cui si abbia memoria. Se Lorenzo vescovo di
Nocera Inferiore é stato deposto dalla sua sede con ogni probabilità
verso il 505 o 506, in ogni caso dopo il 502 — come è stato dif-
fusamente detto analizzando le fonti storiche — si deve assegnare
con ogni certezza il vescovo Aprile a Nocera nell'Umbria.

Il testo stesso del sinodo 502, del resto, esclude che Aprile possa
essere stato vescovo di Nocera di Campania. In questa ipotesi, sa-
rebbe succeduto a Lorenzo dopo la pretesa deposizione del 501;
sarebbe stato, quindi, un vescovo ancora di abbastanza recente
nomina nel novembre 502 e, come tale, sarebbe dovuto comparire
tra gli ultimi sottoscrittori. Proprio il contrario, invece, si deduce
dalla sottoscrizione, dove Aprile ha dopo di sé ben altri 25 vescovi.
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E che tale ordine, nel caso presente, sia quello autentico, — non
quello sconvolto, che spesso hanno tramandato i vari codici — lo
prova il fatto che Aprile si trova tra i vescovi piü anziani, tra i
primi senz'altro, anche nell'elenco episcopale, senza specificazione
di Chiesa, che si legge al principio degli atti sinodali. Identica con-
clusione si ha se si ammette con alcuni critici tutt'altro che affret-
tati e impreparati che il palmare é stato tenuto nel502, oppure,
col Duchesne, nel 501 ma qualche giorno prima del sinodo del no-
vembre; o se, pure ammettendo il sinodo palmare nel 501, si accetta
l’identificazione di Aprile del 502 con quello del 501. Se questa
ultima ipotesi escludesse ogni incertezza il vescovo Aprile sarebbe
da assegnarsi a Nocera Umbra anche nell'improbabilissima supposi-
zione — oggi, del resto, abbandonata da tutti gli storici — che il
sinodo palmare abbia pronunciato la sentenza di condanna contro
l’antipapa Lorenzo. Comunque si valutino gli elementi critici delle
fonti, si hanno tutti in favore di Aprile vescovo di Nocera Umbra.

Per infirmare la logica di questa conclusione bisognerebbe di-
mostrare che la condanna di Lorenzo avvenne nel palmare del 501,
che questa data é sicurissima e che l'Aprile del 502 non é quello
del 501. E sarebbe ancora nulla se questi tre elementi, pure tanto
labili e incerti sul terreno documentario storico, non fossero coesi-
stenti simultaneamente. Si puó, perció, parlare non solo di semplice
probabilità, ma di certezza; perché giustamente osserva uno stu-
dioso a proposito dell'origine apostolica di molte Chiese umbre « come
c'é una filosofia della storia che ha il suo grande valore, così c’è
anche un'ermeneutica storica che ci permette di dedurre quello che
può non essere stato chiaramente detto » (4). Ecco perché quegli
storici che hanno studiato a fondo — non sfiorato — la questione
presente si sono dichiarati senza esitazione alcuna per Aprile vescovo
di Nocera Umbra. Cosi il gesuita p. Fedele Savio, un'autorità indi-
scussa in materia di antiche sedi episcopali italiane, perché « concepi
l'ardito disegno di rifare con i buoni metodi moderni l'Italia Sacra
dell'Ughelli fino all'anno 1300... Disgraziatamente egli non riusci
che a pubblicare un volume sul Piemonte, e il primo di quelli desti-
nati alla Lombardia » (#9).

Il p. Savio nel sostanzioso articolo piü volte citato giunge fino
ad affermare: « Se Nocera Umbra già possedeva un vescovo nel 501,
nulla vieta di credere che la sua sede vescovile possa rimontare a
cent'anni prima, alla fine cioé del secolo IV, allorché vennero isti-
tuite parecchie nuove diocesi italiane ».
I SINODI SIMMACHIANI E LA SEDE EPISCOPALE DI NOCERA UMBRA 23

Il Duchesne nell’accurato e documentatissimo studio sui vesco-
vadi d'Italia e l'invasione longobarda, enumera tra le sedici sedi
episcopali anteriori all'invasione nella parte longobarda della regione
VI anche Nocera: Terni, Spoleto, Trevi, Foligno, Spello, Bevagna,
" Bettona, Assisi, Arna, Città di Castello, Forum Flaminii, Nocera,
Tadino, Plestia, Camerino, Matelica. Dice ancora che « delle sedici
chiese otto scomparvero definitivamente: Terni, Trevi, Spello, Ta-
dino, Bettona, Arna, Plestia, Matelica: due altre, Bevagna e Forum
Flaminii, risorsero temporaneamente. Altre ricostruzioni furono più
durature: sono Spoleto, Foligno, Assisi, Città di Castello, Nocera,
Camerino » (*°). E nell'appendice nella « Tavola dei Vescovadi d'Ita-
lia nel secolo VI» al n. 91 pone Nocera con l'anno sicuro attestato
dai documenti: 502 (*5).

Il Duchesne, perció assegna il vescovo Aprile a Nocera Umbra.
Tanto piü notevole questa assegnazione in quanto nel commento
alla biografia simmachiana del Liber Pontificalis era stata incidental-
mente espressa l'opinione che Aprile fosse stato successore di Lorenzo
nella sede di Nocera in Campania. Nel Liber aveva ragionato cosi:
Lorenzo e Pietro d'Altino furono condannati prima del novembre
502, perché nel sinodo del 502 è sottoscritto il successore di Lorenzo,
Aprile (4°).

Questa implicita ritrattazione dell’illustre critico è sfuggita ad
alcuni storici che a proposito di Aprile ancora ripetono l’opinione
espressa nel Liber Pontificalis. Scrive il Bardy: «Lorenzo non era
stato a lungo in possesso della sua sede (di Nocera) poiché sin dal
502 veniva deposto e sostituito con un certo Aprile che assistette
al concilio di quell’anno » (5°). Anche il Caspar ammette la condanna
di Lorenzo anteriore al 502 perché nel sinodo del novembre di questo
anno è presente il suo successore (1). Però nella lunga nota in fondo
al volume relativa ai sinodi romani il Caspar, ripetendo lo stesso
pensiero, sente la necessità di aggiungere testualmente: «La con-
clusione (che Aprile, cioè, sia successore di Lorenzo nel vescovado
di Nocera Inferiore) non è del tutto sicura, poiché vi erano due
vescovadi Nocerini, uno in Umbria e l'altro in Campania » (5°). La
osservazione è giustissima ed è capace da sola a demolire l’opinione
espressa su Aprile. L’induzione del Duchesne nel Liber Pontificalis,
del Bardy e del Caspar per essere legittima dovrebbe, anzitutto,
basarsi sulla sicura identificazione della sede nocerina con quella
di Campania. Ma è ciò proprio certo ? Chi ha dimostrato che quando

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24 i GINO SIGISMONDI

s'incontra nei documenti la sede di Nocera questa vada intesa sempre,
senza eccezione alcuna, Nocera di Campania ?

È gratuita, quindi, la supposizione che Aprile sia stato succes-
sore di Lorenzo; è, perciò, illogica la conclusione relativa all’anno
della deposizione canonica dell’antipapa e di Pietro d’Altino. Da
notare che non c’è altra ragione che giustifichi questa conseguenza:
l'unico motivo sta in quella gratuita opinione. D'altra parte, anche
in questo caso, bisognerebbe supporre una condanna extrasinodale
contro la testimonianza dei documenti. Tutto ció nella cronologia
tradizionale dei sinodi simmachiani; peggio ancora se si accettasse
l'opinione di quei molti che credono il palmare anteriore di pochi
giorni al sinodo del novembre del 502.

Che Aprile sia vescovo di Nocera Umbra è cosa indiscussa per
Faloci-Pulignani e per il Castellucci, appassionato e coscienzioso
studioso locale, il quale ha trattato la questione con una certa origi-
nalità sulle tracce del p. Savio nella bella monografia sulla catte-
drale di Nocera che ha pubblicato nell'Archivio per la Storia Eccle-
siastica dell’ Umbria.

Tra i moderni si é pronunciato in contrario, naturalmente, il
Lanzoni. Ma il tentativo che ha fatto d'inquadrare Aprile tra i
vescovi di Nocera di Campania é stato veramente infelice e in aperto
contrasto con le fonti storiche piü indiscusse. Contro l'unanime
opinione degli studiosi antichi e recenti, basata, del resto, sull'inter-
pretazione ovvia dei documenti, crede che Lorenzo è stato eletto
vescovo di Nocera Inferiore almeno dopo il sinodo del 502, succe-
dendo, cosi, ad Aprile. La violenza alle fonti storiche non potrebbe
essere piü evidente; perché se c'é una data proprio sicura in tutta
la cronologia Laurenziana, questa data 6, senz'altro, l'anno 499 per
l'elezione dell'antipapa a vescovo della sede nocerina campana.

. C'é di peggio. Pure assegnando il 506 come termine estremo
per la deposizione di Lorenzo, accettando, cosi, implicitamente le
conclusioni del p. Savio per sfuggirne le conseguenze relative allo
episcopato di Nocera Umbra si deve credere che Lorenzo sia succes-
sore di Aprile e non semmai, viceversa. Come si accordi con le fonti
questa cronologia singolare non si vede. Lorenzo vescovo di Nocera
Inferiore — intuitu misericordiae — dopo il 502? Ma allora dov'é
l'ombra della misericordia in questi tre anni, almeno, di aspettativa ?
E perché i quattro anni di pace relativa del Liber Pontificalis dopo la
sua sottomissione al sinodo del 499 ? E perché il palmare del 501
(secondo la cronologia tradizionale) ? Perché il sinodo del 5022 E

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— ————— — I SINODI SIMMACHIANI E LA SEDE EPISCOPALE DI NOCERA UMBRA 25

proprio quando Lorenzo — fino allora nella penombra nonostante
la buona volontà di ravvedimento dimostrata nel marzo 499 — in-
cominciò a dar fastidio a Simmaco, il pontefice legittimo, quasi a
premiarne la ribellione, l'avrebbe mandato nella sede di Nocera di
Campania, vacante del vescovo Aprile ? Tutti questi molesti interro-
gativi, che potrebbero anche prolungarsi, fanno logicamente pensare
che l'illustre storico delle antiche diocesi italiane, almeno questa
volta, é andato fuor di strada.

INDUZIONE E ANALOGIE.

A questi documenti dei sinodi simmachiani, che dimostrano
Nuceria nell'Umbria sede episcopale nel 502, possono essere di con-
ferma alcune buone ragioni di analogia, le quali hanno un certo
valore quando si tratta di risolvere questioni, come questa, con
scarse fonti storiche. |

L'analogia servirà, se non altro, a disperdere una pregiudiziale
abbastanza comune e che traspare da uno studio che la prof. Cam-
pelli ha dedicato all'antica Nocera. La Campelli é con il Lanzoni:
«la diocesi nocerina é di formazione piuttosto recente e non risale
oltre il X secolo. Inoltre tale diocesi sorse, per cosi dire, per riflesso,
come sostituzione a quella scomparsa di Tadinum ». Di nuovo c’è
che sarebbe « notevole conferma » il fatto che Nocera fu, « per ció
che si puó dedurre dalle notizie letterarie e dalla quasi assoluta
mancanza di resti archeologici... un piccolo Municipium, solo note-
vole come stazione sulla Flaminia... Il centro politico ed ammi-
nistrativo romano non si continuó dunque, come avviene per quelli
d'importanza più notevole, nella diocesi cristiana » (**). Queste affer-
mazioni sono difficilmente sostenibili.

Ammesso anche che Nocera sia stata un insignificante municipio
romano non ne segue l’impossibilità di una diocesi cristiana. Sol-
tanto dopo il 343 — dopo cioè il concilio di Sardica che nel canone
6 proibiva di creare vescovadi « in vico aliquo aut in modica civitate

. ne vilexat nomen episcopi et auctoritas » — non furono più erette
diocesi nei piccoli centri. Prima di quell’anno, però, era questa la
prassi corrente e la stessa proibizione conciliare ne è conferma
indiretta.

Fino a metà del sec. IV si badò ad una cosa sola: se c'era una
51:267 GINO SIGISMONDI

notevole comunità cristiana, ad essa si metteva a capo un vescovo,
non tenendo conto se la città fosse o no municipium. ES

Il Lanzoni stesso scrive: « Si è affermato che in Italia vennero
istituite tante diocesi quanti furono i municipi, ma ció non é esatto.
Vi é memoria di municipi sprovvisti di diocesi, e di diocesi erette
in luoghi privi di municipio » (**).

Comunque s'intenda risolvere la questione municipio-diocesi (c’è
chi afferma, anche oggi, questa dipendenza) (*) se ne puó prescin-
dere fino alla metà del sec. IV, pure ammettendo che, nella maggio-
ranza dei casi, il municipio romano si continuó nella diocesi cristiana.

Ma l'affermazione di Nocera romana « piccolo municipio » non
sembra affatto rispondente alla realtà storica. Gli elementi che sem-

brerebbero convalidarla — povertà di referti archeologici e notizie
letterarie specialmente di Strabone — non reggono ad un esame
critico.

E vero che i resti archeologici non sono molti (), ma è noto
agli studiosi che l'ubicazione di Nocera romana é tutt'altro che
determinata (5. La Nuceria dei Romani deve essere ancora ritro-
vata con assoluta certezza e soltanto allora si potrà formulare su
di essa un giudizio non affrettato, quale sembra, invece, quello
dedotto da quel poco che é venuto fuori saltuariamente dal sotto-
suolo della zona. Non dice, del resto, proprio nulla la grande necro-
poli barbarica scoperta nelle vicinanze di Nocera sulla fine del secolo
scorso e che si fa risalire all'epoca dei primi Longobardi ?

Sono ben 165 tombe, la cui suppellettile è in gran parte cri-
stiana (55).

La testimonianza stessa di Strabone che fosse Nocera «ove si
fabbricano vasi di legno » sulla Flaminia tra «i paesi conosciuti piü
in dipendenza della strada, che per la loro importanza » (59) va ri-
stretta al tempo in cui scriveva il grande geografo greco (63 av.
C.-19 d. C.). Estenderla tale e quale al III, IV e V secolo cristiano
sembra un assurdo storico. Questo : che la Flaminia, una delle piü
grandi strade di comunicazione tra Roma e l'Italia nord-centrale,
che aveva dato del tutto vita a paesi divenuti in seguito fiorenti,
portando un nuovo vigore di floridezza a tutti quelli preesistenti,
abbia invece atrofizzato l'antichissimo vicus osco-umbro di Nocera.
L'esemplificazione qui è molto significativa. Forum Flaminii è nato
con la Flaminia, é collocato da Strabone nel I secolo cristiano con
Nocera e Fossombrone tra «i paesi» sulla grande strada, eppure
nei secoli seguenti é notevole municipio romano e sicura sede vesco-
I SINODI SIMMACHIANI E LA SEDE EPISCOPALE DI NOCERA UMBRA 27

vile, benché alla brevissima distanza di tre miglia ci fosse il vesco-
vado di Fulginea. Tadinum con la costruzione della Flaminia acquistò
una vita nuova. Scrive un cronista medioevale (il gualdese fra
Paolo ?): «et ita quae erat quondam villula cum paucis taberna-
culis, facta est civitas copiosa » (9°). Da Strabone Tadinum non è
neppure ricordato tra i «paesi» della Flaminia; non é ricordato
negli itinerari Gaditano, Antonino e Peutingeriano, eppure anche
Tadinum nel IV e V secolo è indubbia sede episcopale (0).

Del resto, come se ancora non bastasse, dei tre « paesi » di Stra-
bone, due sono in seguito sicuramente sede di vescovi: Forum Fla-
minii e Forum Sempronii. Fa eccezione Nocera ?

Semplici induzioni queste, è vero; ma logiche. A comprovarne
la legittimità anche sul terreno ristretto delle fonti, c'é un documento
di prim'ordine: l'/finerarium Burdigalense o Jerosolimitanum, cosi
detto perché riporta il viaggio di un cittadino di Bordeaux da questa
città a Gerusalemme e da Eraclea a Milano passando da Roma. È
stato scritto tra il 335 e il 337 d. C. i

Eccone il testo da Otricoli a Pesaro (°°):

civitas Ucriculo MUSEI
civitas Narniae mil. XII
civitas Interamna mil. VIIII
mutatio Tribus Tabernis mil. III
mutatio Fani Fugitivi mil. X
civitas Spolitio mil. VII
mutatio Sacraria mil. VIII
civitas Trebis mil. IIII
civitas Fulginis mil. V
civitas Foro Flamini mil. III
civitas Noceria mil. XII
civitas Ptanias mil. VIII
mansio Herbello ml VIT
mutatio ad Hensis mil. X
mutatio ad Cale mil. XIIII
mutatio Intercisa mil. VIIII
civitas Foro Semproni mil. VIIII
mutatio ad octavo mil. VIIII
civitas Fano Furtunae mil. VIII
civitas Pisauro : mil. XXIIII.

La località é o civitas o mansio ovvero mutatio.
ATE Doo ue TT

GINO SIGISMONDI

Nocera è civitas insieme con Otricoli, Narni, Terni, Spoleto,

Trevi, Foligno, Foro Flaminio, Ptania (Tadino), Fossombrone, Fano
e Pesaro. i

Se si considera questo elenco, che ha un innegabile progresso
sul catalogo di Strabone, relativamente alla sede episcopale si ha
la sorpresa di constatare che tutte le località che hanno la deno-
minazione di civitas sono sicure sedi vescovili. Unica eccezione sa-
rebbe Nocera ? Se l’analogia ha ancora un significato anche nella
interpretazione delle fonti storiche — specialmente quando non si
hanno che pochi resti documentari — la conclusione non può essere
che questa: Nocera, come ogni altra civitas della Flaminia dell'itine-
rario Burdigalense, era sede episcopale.

L'aggettivo, quindi, Nucerinus che s'incontra nei documenti va
almeno un po' discusso prima che si possa riferire in senso asso-
luto e sempre a Nocera Inferiore, quando si tratta di un episcopus
Nucerinus. Sembrano, perció, affrettati quei critici che, per es., asse-
gnano senz'altro a Nocera di Campania il Felice episcopo Nuceriano
cui il papa Innocenzo I (401-417) mandó una lettera relativa a
questioni di disciplina ecclesiastica (52).

Tipica, in proposito è l'aggiunta del traduttore italiano (il Fru-
taz ?) alla monografia del Bardy, Il Papato da S. Innocenzo a S.
Leone Magno nella Storia della Chiesa, IV. Il critico francese crede
Felice vescovo di Nocera Umbra, ma il traduttore corregge con
questa parentesi: «leggi: Nocera Inferiore » ($6):

Non che questo Felice sia senza nessun dubbio da attribuirsi
a Nocera Umbra, ma non c’è ragione sufficiente per escluderlo almeno
da una probabilità.

Si pronunciano per Nocera Umbra, oltre al Bardy, lo Cheva-
lier (5) e il Kehr (*). Lo Sbaraglia e il Savio, invece, credono sia
impossibile stabilire con ogni certezza se Felice appartenga a Nocera
nell’Umbria o a Nocera di Campania.

Comunque, indipendentemente da ciò, per tutti questi critici
— cui si possono aggiungere tra i moderni, il Cappelletti, il Du-
chesne e il Caspar — Nocera Umbra è vescovado almeno dal secolo V.

Cosi il Lanzoni resta l'unico storico moderno che riporta la
origine dell'episcopato di Nocera Umbra al secolo X. Ed é un po'
curiosa questa posizione dell'illustre critico, anche se si accettano
per sicuri i dati della Legenda B. Raynaldi. Secondo la Legenda
« Nuceria, Thadinato successit in episcopatu » dopo la devastazione
delle città della zona sotto Ottone I (951-983) (**). Il Lanzoni accoglie

I
I SINODI SIMMACHIANI E LA SEDE EPISCOPALE DI NOCERA UMBRA 29

queste ampie determinazioni cronologiche. Del resto la tradizione
storica, documentata dal catalogo episcopale annesso alla stessa
Leg genda, fissa il tempo dell'attuale diocesi nocerina al 1006. Ma
allora perché sec. X e non piuttosto secolo XI?

Inspiegabile, invece, é l'opinione del Frutaz che, pure attenen-
dosi quasi del tutto alle conclusioni del Lanzoni, crede Nocera Um- :
bra «vescovado non anteriore al sec. VII » (6). Perché sec. VII e
non sec. XI? È già, comunque, un buon passo indietro. Sarebbe,
però, più logico ritornare alla opinione tradizionale raccolta già nel
sec. XVII dagli eruditi umbri Dorio e Jacobilli.

Tradizione adulterata, è vero; ma fondamentalmente buona,
come lo conferma un sereno vaglio critico della sua documentazione
storica ancora esistente.

NOTE

(1) F. LANZONI, Le Diocesi d’Italia, (1927), I, pp. 483-484.

(2) Per il testo della Legenda Maior, su cui si basa il Lanzoni, e per le
questioni relative alle fonti, alla redazione di esse, e alla loro interpretazione
cfr. G. SIGISsMONDI, La Legenda Beati Rynaldi, le sue fonti e il suo valore storico,
in Boll. Deput. Storia Patria per l'Umbria, vol. LVI (1960).

| (3) M. FaLoci-PuLIGNANI, Le origini del Cristianesimo nell Umbria,
p. 59: «Ciò che può di certo affermaisi è che tutte o quasi tutte le Diocesi del-
l’Umbria, dalla fine del secolo V in dietro, avevano una serie non interrotta
di Vescovi, e che questa serie nella maggior parte, o, se si vuole, in qualche
parte, facevano capo a S. Pietro, o a S. Paolo, o a qualche loro discepolo ».
E altrove, polemizzando con quei critici che nessun valore dànno alle tradi-
zioni locali perchè piene di « vacuità, fatuità ed errori » scrive : « Tanta fio-
ritura parassitaria non può distruggere il fatto storico, affermato dai contempo-
ranei e dai posteri, che cioè nella maggior parte le nostre diocesi hanno ori-
gine apostolica. Per noi queste origini sono un fatto storico vero ». (Le ori-
gini delle antiche Diocesi, p. 15).

(4) Qualcuno crede che nello stesso sinodo Lorenzo ebbe la nomina a
vescovo di Nocera Inferiore : « hac eadem synodo . . . constitutum fuit ut Lau-
rentius in schismate contra Symmachum electus Nucerinae civitatis antisti-
tem ageret ». Così l'erudito del sec. XVII SEvERINO Bini (cfr. MANSI, Collectio
VIII, p. 238). E l'interpretazione stretta del Liber Pontificalis (ed. Duchesne) :
« eodem tempore papa Symmachus congregavit synodum et constituit Lauren-
tium in Nucerinam civitatem episcopum ». Sembra concordare, benché erri
nell’attribuire tale nomina a Teodorico, anche il cronista greco TEODORO
à ATEI PS

30 GINO SIGISMONDI

LETTORE : « Theodoricus... collecta episcoporum synodo, Symmacho quidem
episcopatum urbis Romae confirmavit, Laurentium vero cuiusdam urbis
quae Nucerina dicitur, episcopum constituit » (MIGNE, P. G., LXXXVI,
par. 19). Il bollandista G. B. Du SoLLIER pensa che la nomina di Lorenzo
avvenne il 1 marzo 499, ma aggiunge che Simmaco agì «sive de consensu
synodi sive propria auctoritate ut ego arbitror » (Acta Sanctorum, Julii IV,
p. 638). Anche il GRIsAR mette la nomina durante il sinodo (GRISAR,
Roma, II, p. 15). Tuttavia, siccome nel sinodo Lorenzo è sottoscritto ancora
come arciprete, oggi comunemente si ritiene che la nomina a vescovo non
avvenisse il 1 marzo 499, ma qualche tempo dopo. Così il BARDY (Simmaco,
p. 337) e il CASPAR (Geschichte des Papstum, II, p. 88), per citare due storici
recenti,

(5) Gli intrighi politici dei bizantineggianti in Roma ebbero gran parte
nello scisma Laurenziano. Secondo Teodoro Lettore e Teofane l’elezione dj
Lorenzo come antipapa si dovette quasi esclusivamente ai maneggi del pa-
trizio Festo. Ma per qualche storico, come il Picotti, Teodoro Lettore è te-
stimonianza non attendibile perché «l'oriente non entra per nulla o poco in
questa faccenda » (cfr. I Goti in occidente ecc., p. 199).

(6) Il sinodo ha proprio questa intestazione : « Synodus habita Romae
Palmaris » (T. MoMMsEN, Monumenta Germaniae Historica. Auctores An-
tiquissimi. XII, p. 427). Non si sa bene perché questo titolo : «forse perchè
la sentenza fu proclamata in quel luogo appunto del Foro Romano, ad pal-
mam, dove Teodorico aveva rivolto al popolo il suo discorso... sia perché,
forse, l'adunanza fu tenuta nel vestibolo di S. Pietro presso il luogo deno-
minato ad palmata, ricordato in altre fonti » (GRISAR, Roma, II, p. 32).

(7) H giudizio che gli storici dànno di Teodorico per la sua politica
religiosa é discorde. Secondo il migliore storico di Teodorico, l'Ensslin, essa
fu sostanzialmente favorevole alla Chiesa in quanto espressione del suo attac-
camento a Roma (Romverbundenheit).

Per il Picotti, invece, «coscientemente o no, andó contro la Chiesa

di Roma » e si puó parlare soltanto di « un'apparente tolleranza che inceppó
la libertà della Chiesa ». (Cfr. I Goti in Occidente ecc. passim nelle relazioni
di Ensslin, di Picotti e sulla discussione che ne é seguita).

(8) T. MowwsEN, Monumenta Germaniae Historica. Gesta Romanorum
Pontificum. Berolini, Apud Weidmannos, 1898.

(9) Cfr. l'estesa introduzione critica del Duchesne alla sua definitiva
edizione del Liber Pontificalis. Cfr. anche H. GRISAR, Der Liber Pontificalis,
in Zeitschrift für Katol. Theologie, 1887, pP. 417-446 ; H. Gnisan, Analecta
Romana, Vol. I, pp. 1-25 e appendice prima ; H. GRISAR, Roma, II, p. 320.
L'opinione del Grisar, secondo il quale i! Liber Pontificalis sarebbe stato
scritto sotto papa Bonifacio II (f 532), è seguita dal BARDENHEWER e dal
FUNK.

(10) L. DucHESNE, Libér Pontificalis, I, p. XXX.
I SINODI SIMMACHIANI E LA SEDE EPISCOPALE DI NOCERA UMBRA 31

(11) Sotto il pontificato di Simmaco nacquero parecchi documenti
falsi, tra gli altri il famoso Constitutum Silvestri. Tre sono i sinodi simmachiani
in Roma certamente autentici tenuti negli anni 499, 501, 502. Quello del 503
(MAnsI, Collectio VIII, p. 296) si crede una falsificazione dello pseudo-Isidoro
(cfr. HinscHius, Decretales Pseudo Isidorianae, Leipsig, Tauchnitz, 1863,
pp. 675-677).

(12) Teodoro (sec. VI prima metà) detto il Lettore dalla carica che
occupava in S. Sofia di Costantinopoli, ha lasciato scritta, ricavandola in
gran parte da Socrate, Sozomeno e Teodoreto, una Storia Ecclesiastica,
di cui rimangono alcuni brani,

Sotto il nome di Anonimo Valesiano vanno due frammenti storici di
autore ignoto su Costantino e su Teodorico. La seconda parte, detta Theodo-
riciana interessa moltissimo il tempo di Teodorico ; l’autore ha scritto verso
la. metà del sec. VI.

(13) « È chiara, in questa redazione del Liber Pontificalis, come in ogni
altra parte, l’abitudine non di mentire, ma di sottacere quello che non piace,
e di presentare i fatti e gli uomini nella luce che megio sembri convenire ai
sentimenti dello scrittore ». Così il PICcOTTI, La politica. religiosa ecc. in
T-Goti-ecc. p. 170 i

(14) G. B. Du SoLLIER, Acta Sanctorum Julii IV, p. 640.

(15) Cfr. Acta Sanctorum Julii IV, p. 636-638.

(16). L. DucHESNE, L'Eglise, p. 113 nota.

(17) L. DUcHESNE, L'Eglise, p. 122 n. 1.

(18) Tratta della questione cronologica del palmare il CAsPAR nell'am-
pia nota in fondo alla sua opera già citata, II, pp. 758-761.

(19) MoMMsEN, Monumenta Germaniae Historica. Auctores antiquissimi.
Vol. XI, p; 192.

(20) A. THIEL, Epistolae Romanorum Pontificum, p. 597. Qualcuno crede
che questo Giovanni sia il futuro papa Giovanni I (Cfr. ZEck, Kirchenlexicon,
XI, p..1079). : :

(21) A. SABA, Storia della Chiesa, Torino, Utet, 1938, Vol. I, p. 368.

La stessa opinione con le identiche parole esprime nella Storia dei Papi,
Torino, Utet, 1936," Vol. I, p. 155.

(22) H. GRISAR, Roma, II, p. 32.

(23) R. CEssr, Lo scisma laurenziano, p. 200.

(24) JAFFÈ, Regesta I, p. 98.

(25) R. Czssi, op. cit., p. 93.

(26) EnnoDI, Opera, ed. Vogel, p. 60.

(27) EnnoDI, Opera, ed. Vogel, p. 61.

(28) Avrri, Opera, ed. Peiper, pp. 64-65.

(29) Lo documentano le diverse lettere che nell’estate dal 501 Teodorico
mandò ai vescovi convocati in sinodo, e specialmente quella a Lorenzo di
32 ; GINO SIGISMONDI

Milano, Marcelliano di Aquileja e a Pietro di Ravenna «in urbe residentibus »
in data 8 agosto 501 (MowMsEN, M.G.H., XII, pp. 419-420).

(30) DUcHESNE, L’Eglise au VI siècle, p. 120 ; G. B. PicotTI, La politica
ecc. in I Goti in occidente, p. 197.

(31) DucHESNE, Liber Pontificalis, I, p. 268.

(32) A. THreL, Epistolae Romanorum Pontificum, I, p. 537.

(33) Acta Sanctorum Julii IV, p. 640.

(34) P. F. Savio S.J., Un antipapa, p. 73.

(395) "PD: E. SAVIO" S. .5. 0D. cil, : p. 77.

(36) L. A. Munaroni, Annali d'Italia, anno 505.

(37) EnNODI, Opera, ed. F. Vogel, p. 314.

(38) ENNonr, Opera, ed. F. Vogel, p. 314.

(39) A. THIEI, Epistolae Romanorum Pontificum, I, p. 698.

(40) HErELE - LrcLERQ, Histoire des conciles, Libro XIII, p. 927.
L'Hefele, oltre il sinodo del 502, crede autentico anche il falso sinodo
del 503.

(41) BARDY, op. cit., p. 341.

(42) Acta Sanctorum Julii IV, p. 635.

(43) B; E.-SAvIO, 0p. cit. p.71.

(44) F. LANZONI, Le diocesi, etc. I, p. 206.

(45) E. GrovAGnoLI, Gubbio nella Storia e nell'Arte, Città di Castello,
Leonardo da Vinci, 1932, p. 19.

(46) È la bella testimonianza che rende al « valoroso amico » il LANZONI,
Le diocesi etc., I, p. 24.

(47) L. DucHESNE, Les évéchés, p. 12.

(48) L. DucHESNE, Les évéchés, p. 33.

(49) L. DucHESNE, Liber Pontificalis, I, p. 264, nota 10.

(50) G. Barpy, Simmaco, p. 344.

(51) E. CASPAR, Geschichte, II, p. 111.

(52) E. CASPAR, op. cit., p. 760.

(53) V. CAMPELLI, Nucerini Favonienses et Camellani, p. 503.

(54) F. LANZONI, Le Diocesi, II, p. 1091.

(55) La Rivista storica italiana, Anno 1904, p. 8 scrive: «ogni muni-
cipio romano costituì una diocesi cristiana ».

Il Pullé afferma che sia stata seguita la regola di assegnare ad ogni
municipium una diocesi (F. PurLE: Italia, Genti e Favelle, Torino, Bocca,
1927). Lo stesso p. Savio pensa che al principio del secolo V sia esistito, fra
le autorità ecclesiastiche ed imperiali, un accordo per erigere un vesco-
vado nei centri più abitati (F. SAvio, Gli antichi Vescovi d'Italia. Piemonte,
Torino, 1899, pp. 6-8).

(56) Tale patrimonio archeologico si è accresciuto nell’estate del 1948
perchè sono venuti alla luce in località Case un bel cippo funerario con epi-
grafe e due cippi dedicatori, dei quali uno con epigrafe mutila del tempo

Tee.

VOLLERO KDE
I SINODI SIMMACHIANI E LA SEDE EPISCOPALE DI NOCERA UMBRA 33

di Nerone e l’altro con epigrafe completa dell’Imperatore Gallieno del 254.
In quest’ultimo si ha il documento decisivo che Nuceria fosse municipium
perché il cippo fu messo «decreto decurionum ». Per il testo delle epigrafi
e per i problemi relativi all'ubicazione di Nuceria romana da esse avviati
a soluzione se non del tutto risolti cfr. G. SicisMoNDI, Epigrafi romane tro-
vale recentemente a Nocera Umbra, in Epigraphica, gennaio-dicembre 1962,
fasc. 1-4 pp. 114-132, pubblicato nel marzo 1964.

Altro notevole materiale archeologico è stato scavato nella stessa loca-
lità Case nell’agosto 1962 : grossi massi di travertino, lastre di pietra serena
alla base di un muro, molti frammenti di tegole di tipica età imperiale, e
un cippo dedicatorio all’imperatore Caligola. Siamo, forse, dinanzi ai resti
dell'antica monumentale porta di Nuceria, attraversata dalla Flaminia ?

La suggestiva ipotesi sembra confermata dai molti e importanti reperti
tornati alla luce in questa località Case tra il 1948 e il 1962.

(57) Il Dominici crede che Nocera romana fosse nei pressi della locale
stazione ferroviaria (G. DoMmINICI, La città di Nocera, p. 16, e La Via Flaminia
per Ancona e la « Nuceria » degli Umbri e dei Romani, in Bollettino della R.
Deputazione di Storia Patria per l'Umbria, Vol. XXXIX, 1942). La stessa
cosa aveva affermato il Martinori nella sua monografia sulla Via Flaminia
(E. MARTINORI, La Via Flaminia, Roma, Stab. Tip. Regionale, 1929, p. 170
e segg.). La Campelli, invece pensa fosse sul colle dove è attualmente (V.
CAMPELLI, Nucerini Favonienses et Camellani, p. 506). Oggi, però siamo
in grado di poter dire una parola meno incerta sull’ubicazione della Nuceria
romana.

Un cippo « miliarius » dell’Imperatore Vespasiano, anno 76 d. C. trovato
a Casaluna di Nocera ai piedi del monte Burella nell’aprile 1953, confrontato
e integrato con quanto dicono gli Itinerari, fissa « Nuceria » a 109 da Roma,
cioè nell’attuale zona bassa, fuori porta. Garibaldi, ai piedi del colle dove
sorge attualmente e a cui si aggrappò con un lento spostamento dal basso
all'alto nei tormentati anni delle invasioni e distruzioni barbariche medio-
evali. (Cfr. G. SiGismoNDI, Epigrafi ecc., p. 128 e segg., 1954).

Ricordando, poi, che le Piazze del Mercato attuali in molte città umbre
— Assisi, Spoleto, Bevagna ecc. — presero il posto dei romani « forao », attra-
verso le « Plateae Mercatalis » del medioevo, è tutt'altro che avventato ubicare
nella odierna Piazza del Mercato il «forum » della romana Nuceria.

(98) Gli scavi furono eseguiti sotto la direzione di A. Pasqui, il cui reso-
conto fu pubblicato postumo dal Paribeni in Monumenta Lincei X-X V, 1919.
Manca su questi scavi di Nocera uno studio riassuntivo e conclusivo riguardo
ai diversi problemi, non soltanto topografici, da essi sollevati.

(59) SrRABONE, Geog., V, 2. Ecco il testo completo: « Vi sono città
al di qua dei monti appennini degne di nota sulla stessa Via Flaminia (x«-
m'adthv uiv vhy DAxpav(oy 680v) quali Ocricoli presso il Tevere... Narni, Carsoli
e Bevagna e altre località (xerox) conosciute più per la strada che per la
34 i GINO SIGISMONDI

loro importanza (xai War 8'clol xatoriar Bu hy ó80v TAMNDUVoLEvaL, pov T, 51x
TOÀvtUXÓV ovetmua) Foro Flaminio, Nocera, ove si fabbricano vasi di legno,
Foro Sempronio ».

(60) Codice manoscritto II-E-18 dell'Archivio Storico di Gubbio, Memo-
rabilia civitatis Eugubij et aliarum urbium antiquarum in Umbria, fol. 28.
Per l'affinità tra questo codice e le cronache medioevali Gualdesi cfr. R.
GUERRIERI, Le cronache e la Agiografie Francescane Medioevali Gualdesi
ed i loro rapporti con altre Cronache e Leggende Agiografiche Umbre, Gubbio,
Oderisi, 1933, p. 21.

(61) Cfr. F. LANZONI, I, pp. 453-456.

(62) Itinerarium Burdigalense (sive Jerosolimitanum) Edizione Cuntz,
Lipsia 1929.

(63) È senza data. Il testo in JAFFÈ, Regesta, p. 814.

(64) Storia della Chiesa, edita dalla L.I.C.E. di Torino, vol. IV, p. 241.

(65) M. CHEVALIER, Répertoire des Sources historiques du Moyen áge.
Topo-Bibliographie. Paris, Montbéliard, 1903, p. 2119.

(66) P. F. Kun, Italia Pontificia, IV, Berlino, 1909, p. 51. Più recen-
temente, però, il Kehr, sull’autorità unica del Lanzoni citato, ha assegnato
Felice a Nocera di Campania (Cfr., Italia Pontificia, Berlino 1935, vol. VII,
p. 305).

(67) Veramente più che di Ottone I bisognerebbe parlare di Ottone III
(983-1002) perché tanto Tadino quanto Plestea furono distrutte con ogni
probabilità nell'anno 996. (Cfr. G. SiGisMonDI, La Legenda Beati Raynaldi,
p. 81).

(68) Storia della Chiesa edita dalla L.I.C.E. di Torino, Vol. IV, p. 241.
Il Frutaz escluse Nocera dai vescovadi dei secoli V e VI nell'appendice, Le
diocesi d'Italia nei secoli V e VI. Acclude anche delle cartine geografiche
dei vescovadi d'Italia in questi secoli, correggendo quelle pubblicate dal
Lanzoni nella prima edizione del 1923 nella sua opera sulle origini delle
diocesi italiane. In queste carte c’è qualche errore non leggero : per es. Tre-
biae è messa sulla Flaminia tra Interamna e Spoletium, mentre era situata
tra Spoletium e Fulginiae. Più grave è che Plestea viene collocata sulla Fla-
minia tra Forum Flaminii e Tadinum, mentre si trovava non sulla Flaminia
ma sulla strada tra Foligno e Camerino. Che al posto di Plestea debba met-
tersi Nuceria ?

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L. DucHESNE, Les Evéchés d'Italie et l'invasion lombarde. È la relazione
fatta nel Congresso Internazionale di Scienze Storiche nel 1903, sezione
storia medioevale e moderna. Stampata con aggiunte e lievi modifi-
cazioni in fascicolo separato a Roma dalla Tipografia della R. Acca-
demia dei Lincei, 1906. Si ha in questa preziosa pubblicazione il meglio
di quanto il Duchesne stesso aveva scritto in Mélanges d'Archéologie
et d'histoire, Anno 1903, pp. 83-16, Anno 1905, pp. 265-399, Anno 1906,
pp. 565-567. Gli articoli delle Mélanges avevano un carattere polemico
sopratutto contro il Crivellucci che aveva criticato le idee del Duchesne,
in Studi Storici, Tomo XIII, pp. 317-335.

L. DucHESNE, L'Eglise au VI siécle, Paris, Fontemoing, 1925.

L. DUCHESNE, Les schismes romains au VI siècle, in Mélanges, Vol. XXXV,
Stampato in fascicolo separato a Roma, Cuggiani, 1916.
36 GINO SIGISMONDI

L. DucHESNE, Liber Pontificalis, 2 voll., Paris, Ernest Thorin, 1886-1892.
li G. B. Du SoLLIER, De S. Symmacho papa sylloge historica, in Acta Sanctorum
I » Julii, Tomo IV, Venetiis, Apud Seb. Coletum, pp. 634-643.

M. F. EnnopI Opera, Recensuit Fridericus Vogel in Monumenta Germaniae

| Historica. Auctores Antiquissimi, VII, Berolini, Apud Weidmannos, 1885.

WE M. FaLOCI-PULIGNANI, Le origini delle antiche Diocesi dell'Italia. Nota cri- }

Ir | tica, Città di Castello, Leonardo da Vinci, 1924.

| | Fragmentum Laurentianum, in Liber Pontificalis (edizione Duchesne) Vol, I,
| pp. 43-406.

A. P. Fnurmaz, Le Diocesi d'Italia nei secoli V e VI, in Storia della Chiesa,
IV, pp. 617-626, Torino, Berruti, 1941.

L. GINETTI, Il sinodo palmare, in Studi storici, VII, Pisa, 1898, pp. 557-567.

H. GRISAR S. J., Roma alla fine del mondo antico. Ed. aggiornata e curata
dal Prof. A. Bartoli, 2 Voll, Roma, Desclée, 1930.

"dE C. H. HerELE - LEcLERCQ, Histoire des Conciles. Cito questa traduzione

MI dell'opera antica dell'Hefele: perché più recente dell'originale tedesco

| e perché annotata da H. Leclercq, Paris, Letouzey, 1908.

JAFFÈ-LOEWENFELD, Regesta Pontificum Romanorum a condita Ecclesia ad
annum post Christum natum MCXCVIII, 2 Voll., Lipsia 1881.

P. LAMMA, Teodorico, Brescia, « La Scuola », 1950. ,

F. LANZONI, Le Diocesi d’Italia dalle origini al principio del secolo VII, 2 Voll.
(Studi e testi pubblicati per cura degli scrittori della Biblioteca Vati-
cana, n. 35), Faenza, Stabilimento Grafico F. Lega, 1927.

D. MaAnsI, Sacrorum Conciliorum nova et amplissima collectio. Florentiae,
Expensis A. Zatta Veneti, MDCCLIX e segg.

C. MoMMSEN, Monumenta Germaniae H istorica. Auctores Antiquissimi. Vol. XII.

Ll CAsSs1IODORUS. In appendice (pp. 393-455) contiene l'edizione critica degli

il atti dei sinodi romani al tempo di papa Simmaco (498-514).

MN P. PrEILscHIFTER, Der Ostgothenkònig Theoderich der Grosse und die Kato-

lische Kircke, Münster, Schoningh, 1896.

P. F. SAvio S. J., Un antipapa e uno scisma al tempo del re Teodorico, in Civiltà
Cattolica, 1908, Vol. II, pp. 68-78.

C. SBARAGLIA O.M.C., Notae et additiones ad Italiam Sacram. L’opera in
cinque volumi giace ancora manoscritta nell'Archivio dei PP. Conven-
‘tuali dei SS. Apostoli in Roma. M. Faloci-Pulignani ha pubblicato nel-
l'Archivio per la storia ecclesiatica delU' Umbria, Vol. I (1913), fasc. IV,
pp. 988-595 la parte che riguarda le diocesi umbre.

J. SronBER, Quellenstudien zum Laurentianischen Schisma, in Sitzungsberichte
der Wiener Akademie, Philos.-hist. Klasse, Vol. CXII, Wien, p. 269 e segg.

F. UGHELLI, Italia sacra, Venetiis, Apud Seb. Coletum, 1717, Vol. I, coll.
1063-1074.

Sono state consultate, inoltre, le varie storie generali delle Chiese e
altre opere ed opuscoli di minore importanza citati nel corso dello studio.

MSN

NL E MT POLE T GUT i PIDEN

estem Qe tf I SINODI SIMMACHIANI E LA SEDE EPISCOPALE DI NOCERA UMBRA 37

APPENDICE

DUE VESCOVI LONGOBARDI IN NOCERA UMBRA
NEL SECOLO IX

All’indagine sui sinodi simmachiani, che attestano la presenza
di una sede episcopale in Nuceria almeno dal principio del secolo
VI, credo utile far seguire un’appendice sui concili romani del secolo
IX, perché in essi sono sottoscritti due sicuri vescovi nocerini di
origine longobarda a giudicare dal loro nome: Luitardo e Raciperto.
È una conferma certa che l’episcopato di Nocera Umbra è anteriore
al mille.

LUITARDO EPISCOPO NUCERENSE (ANNO 826).

Il 15 Novembre dell’anno 826 si riunì in Roma un concilio
famoso per le decisioni relative alla disciplina ecclesiastica. Nei tren-
totto canoni ivi approvati si sancì, tra l’altro, che (?) i canonici
facessero vita comune nei chiostri uniti alle cattedrali, che in tutti
i vescovadi e in tutte le pievi e negli altri luoghi necessari ci fosse
un maestro che insegnasse le lettere, le arti liberali e la S. Scrittura (?).

Insieme con il papa Eugenio II (824-827) si sottoscrissero 62
vescovi, 17 preti, 6 diaconi. Tra i vescovi c'è un Luitardo episcopo
Nucerense. Tale lezione dei codici è sicura: è accettata dal Mansi
e dal Werminghoff (*) nella accuratissima edizione critica del con-
cilio dell'826 nei Monumenta Germaniae Historica. Dei sei codici,
infatti, che rimangono quattro hanno Luilardo episcopo Nucerense
(varianti: Nuceriense, Nocerense); uno ha Lucerense; un altro Lune-
rense. Quest'ultima lezione é certamente errata perché il vescovo
di Luni é sottoscritto poco dopo Luitardo. Quanto all'unico codice
che ha Lucerense c'é da notare che si tratta di un codice abbastanza
mutilo e difettoso, come osserva il Werminghoff, ed ha, nel caso
presente, contrari la maggioranza degli altri codici, tra cui il vati-
cano che « vetustate praecellit » essendo del sec. IX. Il critico tedesco
preferisce, senz'altro, e giustamente, le lezioni del codice Vaticano:
«quippe cum sit vetustissimus ».

Il vescovo Luitardo é senza alcun dubbio da assegnarsi a Nocera
Umbra perché i 62 che si sottoscrissero appartengono tutti o all'Esar-
Y Pte od Scie = SRO I ROSEE REI, SIN uA, ball

à TURETTA

38 GINO :SIGISMONDI

cato ravennate, o alla Pentapoli, o al Ducato Romano, o alla Tuscia,

.0 al Ducato di Spoleto.

A convincersene basta osservare il seguente prospetto in cui
accanto a ciascun vescovo viene notata l’antica regione romana cui
apparteneva la città e la divisione longobarda ancora in vigore nel

Sec. IX-(9).

Regione Romana

Petronacio Archiepiscopo Ravennate
Leopardo episcopo Forosemproniate

Passivo episcopo Bleranae
Romoaldo episcopo Anagniae
Lamperto episcopo Arretino
Joanne episcopo Silvae Candidae
Stephano episcopo Portuense
Benedicto episcopo Albanense
Caesario episcopo Ostiense
Georgio episcopo Gavinense
Gregorio episcopo Bellitris
Constantino episcopo Praenestae
Romano episcopo Cerense
Grausolpho episcopo Faesulense
Paulino episcopo Senogalliense
Guriperto episcopo Populoniense
Perteo episcopo Senense.
Valerino episcopo Sutriense
Stephano episcopo Ariminense
Geimano episcopo Auximano
Passivo episcopo Calliense
Stephano episcopo Ortense
Andrea episcopo Clusense

Stabili episcopo Castello Felicitatis

Valiperto episcopo Orbivetis
Bastiano episcopo Suanense
Alifredo episcopo Balneo regis
Paulo episcopo Tribense

Petro episcopo Centumcellense
Agatho episcopo Monte Feretris
Agatho episcopo Polimartiense
Maio episcopo Assisiense
Luitardo episcopo Nucerense
Petro episcopo Lucano
Petroraldo episcopo Lunense

Aemilia
Umbria
Tuscia
Latium
Tuscia
Tuscia
Latium

Tuscia

»
Umbria
Tuscia

»

»
Flaminia
Picenum
Umbria
Tuscia

»
Umbria
Tuscia
Tuscia

»

Divisione Longobarda

Exarcatus
Pentapolis
Ducatus Romanus
Ducatus Romanus

Tuscia
Ducatus Romanus
» »
» »
» »
» »
» »
» »
» »
Tuscia
Pentapolis
Tuscia

»
Ducatus Romanus
Pentapolis
Pentapolis
Pentapolis
Ducatus Romanus
» »
Tuscia
Ducatus Romanus
Tuscia

»

Latium (o Umbria?) Ducatus Romanus

Tuscia
Umbria
Tuscia
Umbria
»
Tuscia

»

» »
Exarcatus
Ducatus Romanus

Ducatus Spoletanus

» »
' Tuscia

»
I SINODI SIMMACHIANI E LA SEDE EPISCOPALE DI NOCERA UMBRA 39

Aliprando episcopo Florentino Tuscia Tuscia
Lamprando episcopo Pistoriae » »

Theodorico episcopo Perusino » Ducatus Romanus
Donato episcopo Gallense » » »
Godemundo episcopo Tuscanense » Tuscia

Rauperto episcopo Rossellense » »

Tigrino episcopo Anconitano Picenum Pentapolis
Agriperto episcopo Fonestrense » E »

Joanne episcopo Pisano | Tuscia Tuscia

Benenato episcopo Eugubiense Umbria Pentapolis

Lupo episcopo Firmense Picenum Ducatus Spoletanus
Petro episcopo Bolaterrense Tuscia Tuscia

Sebastiano episcopo Burense . Tuscia (?) Tuscia (?)
Dominico episcopo Pisaurense Umbria Pentapolis

Joanne episcopo Esinate » »

Leonino episcopo Tribus Tabernis ^ Latium Ducatus Romanus
Gratioso episcopo Nepesinae Tuscia » »
Joanne episcopo Tudertinae Umbria Lt »
Eleutherio episcopo Privernate Latium : » »
Benedicto episcopo Amerinae Umbria » »
Theodosio episcopo Manturanense Tuscia » »
Hadriano episcopo Falaritanae » » »
Samuele episcopo Sabinense Sabina » »
Hadriano episcopo Signino Latium ; » »
Cosma episcopo Humanae Picenum Pentapolis
Mauriano episcopo Urbinate Umbria »

Bala episcopo Potentinae Picenum Ducatus Spoletanus

Questo quadro dimostra esaurientemente che Luitardo vescovo
di Nocera Umbra sta proprio a suo posto tra gli altri vescovi umbri
del Ducato di Spoleto e del Ducato Romano, appartenenti tutti al
così detto Patrimonium S. Petri. La legittimità di questa conclu-
sione ha una conferma rigorosa nella constatazione che nessuno di
questi vescovi appartiene all’Italia Meridionale, nessuno al Ducato
di Benevento, di cui allora faceva parte Nocera Inferiore. Il vescovo
più meridionale sottoscritto è quello di Priverno nel Ducato Romano.

Possibile che soltanto ed esclusivamente il vescovo di Nocera
di Campania sia venuto al concilio romano dell’826 ? Una carta
geografica-storica dell’Italia al principio sec. IX e il testo della
sottoscrizione conciliare escludono questa ipotesi. Pro ILE Toe

GINO SIGISMONDI

RACIPERTUS EPISCOPUS NUCERIENSIS (ANNO 853).

nia pet

LT Un «Racipertus episcopus Nuceriensis » compare tra i 66 ve-
IR E scovi che sottoscrissero il sinodo romano dell’8 dicembre 853, nel d
EUN E quale furono di nuovo approvati i canoni del precedente sinodo di |]
THE Eugenio II, con l'aggiunta di altri, e fu scomunicato e deposto
Anastasio cardinale prete del titolo di S. Marcello, che di suo ca-
priccio aveva abbandonato la propria chiesa nell'848 e, nonostante
li i richiami, non voleva tornare a Roma dalla provincia di Aquileia, |
IET. dove si era recato.
LN Il testo della sottoscrizione, che si omette di riportare per bre-
Il vità (*), testimonia chiaramente che anche questi vescovi, come quelli
del 826, appartengono al Ducato Romano, alla Tuscia, all'Esarcato,
|. alla Pentapoli e al Ducato di Spoleto. Il raggio territoriale é un po'
AI) più ampio di quello dell'826 — ci sono alcuni vescovi dell'Abruzzo
IH attuale — ma è ristretto, in gran parte al Patrimonium S. Petri.
Sono in massima parte i vescovi di quelle sedi che erano immediata-
| mente soggette alla S. Sede. Il fondamento storico di questa posizione |
| giuridica rispetto alla Sede Apostolica sta proprio qui : la secolare |
HM d : consuetudine di essere convocati a Roma direttamente dal Sommo
i I, Pontefice ha conferito loro, col tempo, il privilegio di essere esenti
He d dalla giurisdizione di qualsiasi arcivescovo. Osserva giustamente il
card. BaRONIO: « Insuper praeter septem collaterales Episcopos erant
alii Episcopi, qui dicuntur Suffraganei Romani Pontificis, nulli alii
| Primati, vel Archiepiscopo subiecti, qui frequenter ad Synodos voca-
Hd rentur. /n Campania: Tiburtinus, Anagninus, Signinus, Ferentinus,
| Alatrinus, Verulanus, Soranus, Fundanus, Cajetanus, Terracinus. In
Marsis sunt hi: Furconensis, Marsicanus, Valvensis, Theatinus, Pen- i
nensis, Aprutinus. In Tuscia sunt hi: Nepesinus, Surrinus, Civitensis, |
Hortanus, Balneoregiensis, Urbevetanus, Viterbiensis, Castrensis, i
Suanensis, Clusinus, Perusinus, Castellanus, Aricinus, Grossetanus, N
Volaterranus, Senensis, Lucanus, Pistoriensis, Florentinus, Fesulanus, i
Lunensis. In Umbria et Marchia: Spoletum, Assisium, Fulginas, j
| Nucerinus, Eugubinus, Reatinus, Tudertinus, Amerinus, Narniensis, i
B d Interanensis, Esculanus, Firmanus, Camerinensis, Auximanus, Hu-
di manus, Anconitanus, Esinus, Senogalliensis, Fanensis, Pisauriensis,
Lm d Forosemproniensis, Calliensis, Urbinas, Ariminensis, Ferentanus » (*). :
| Se Raciperto è un vescovo del Patrimonium, cioè d'una sede i
suffraganea del Sommo Pontefice non soggetta ad alcun primate o |

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I SINODI SIMMACHIANI E LA SEDE EPISCOPALE DI NOCERA UMBRA 41

arcivescovo, la conclusione non può essere che questa : la sua sede
Nuceriensis — lezione sicurissima per l’assenza di varianti — è
Nocera nell'Umbria. Tra i nove vescovi dell'Umbria attuale ivi pre-
senti — Spoleto, Todi, Foligno, Narni, Amelia, Perugia, Gubbio,
Assisi, Orvieto — va collocato anche quello di Nocera Umbra. Asse-
gnarlo a Nocera Inferiore sarebbe una ben strana anomalia storica.

Il testo stesso, del resto, esclude che possa pensarsi a Nocera
Inferiore, perché anche in questo sinodo deil'853 i vescovi dell’Italia
meridionale sono completamente assenti. Il Cappelletti spiega ció
ricorrendo ad un dato sicurissimo: le incursioni saracene nel mez-
zogiorno d'Italia. Anche se avessero voluto, sarebbe stato a quei
vescovi quasi impossibile recarsi a Roma a causa dei Saraceni che
proprio in questi anni intensificarono le scorrerie.

L'induzione é possibile. Resta, tuttavia, al di fuori. di ogni
contestazione che nessun vescovo dell'Italia meridionale é stato pre-
sente al sinodo dell'anno 853. Si puó seriamente supporre un'ecce-
zione per la sede nocerina campana, quando ogni.altro dato, sulla
solida base della ermeneutica dei testi, le è nettamente contrario ?

Queste e simili considerazioni non fanno altro che confermare,
con l’efficacia della documentazione storica, che Racipertus Nucerien-
sis non è riferibile in nessun modo a Nocera di Campania. Simile
riferimento non ha neppure l’ombra della più tenue probabilità. La
Nocera del vescovo Raciperto va senz’altro identificata con Nocera
nell'Umbria, allora appartenente al Ducato di Spoleto.

Questo stesso vescovo si trova. sottoscritto al sinodo romano
del 18 novembre 861, radunato dal pontefice Nicoló I (858-867) per
condannare l'arcivescovo di Ravenna Giovanni, reo di vari soprusi
giurisdizionali contro la S. Sede (?). Tra i 70 vescovi c’è Ropertus
Nocerinus (o Nucerinus secondo una variante). In altro codice si
legge Ragiperto Nucerino. Lezione, tuttavia, sicura anche qui. Questo
Ragiperto o Roperto é indubbiamente lo stesso Raciperto Nocerino
che sottoscrisse il sinodo dell'anno 853. Oltre l'affinità, per non dire
l'identità, della lezione — è difficile pensare a due diversi Raciperto
vescovi di Nocera in meno di un decennio — sussistono press'a poco
le medesime forti ragioni in favore di Nocera Umbra. E quasi a
sigillare con la nota della certezza l'identificazione, Ragiperto si
trova sottoscritto tra Ragio vescovo di Norcia (secondo altro codice:
Raino di Assisi) e Arigiso vescovo di Foligno.

GINO SIGISMONDI
ATE EEE

GINO SIGISMONDI

NOTE

(1) «Necessaria etenim res existit, ut juxta ecclesiam claustra con-
stituantur, in quibus clerici disciplinis ecclesiasticis vacent. Itaque omnibus
unum sit refectorium, ac dormitorium seu ceterae officinae ad usus cleri-
corum necessariae » (canone VII).

(2) « In universis episcopiis subiectisque plebibus et aliis Jocis in quibus
necessitas occurrerit, omnino cura et diligentia habeatur ut magistri et doctores
constituantur ; qui studia litterarum, liberaliumque artium ac sancta haben-
tes dogmata, assidue doceant, quia in his maxime divina manifestantur
atque declarantur mandata». (canone. XXXIV).

(3) A. WERMINGHOFF, Concilia aevi Karolini, pp. 552-583, in Monu-
menía Germaniae Historicae, Legum, sectio III. Concilio, II pars II. Han-
noverae et Lipsiae, impensis bibliopoli Hanniani, 1908. (L'opera é in due
volumi, ma un'unica e continuata impaginazione).

(4) Per la divisione ho seguito il MuratoRI, Rerum Italicarum Scrip-
tores, tomo X, De Tabula Chorographica Medii Aevi, sectio X:X. Cfr. anche
G. BruNENGO, Le origini della sovranità temporale dei Papi, Roma, Civiltà
Cattolica, 1852, pp. 217-241.

(5) D. Mawsr, Sacrorum Conciliorum ... collectio, XIV, p. 1020.

(6) BAnoNIUs CARD. CAESAR, Annales Ecclesiastici, XI, p. 214.

(7) D. MansI, Sacrorum Conciliorum... collectio, XV, p. 602.
BOLDRINO DA PANICALE

Conferenza tenuta a Panicale il 26 agosto 1962 per
» iniziativa dell’ Associazione Turistica «Pro Panicale »

Benchè a prima vista possa non sembrare vero, tuttavia è certo
che nuocciono, non tanto alla fama dell’uomo, quanto alla verità
storica, sia coloro che lo hanno esaltato, sia coloro che lo hanno deni-
grato. Gli apologeti e i detrattori, specie se si tratti di un soggetto
vissuto parecchi secoli addietro, sul quale la documentazione auten-
tica sia per forza di cose assai limitata e saltuaria, hanno agito in
modo, sotto la spinta di particolari interessi, da mescolare il vero
col falso, il certo con l’incerto, il probabile col reale, sì da venire a
formare intorno all’argomento una fitta nebbia di dubbio, che diviene
a distanza assai difficile dissipare per ricostruire con fondamento di
verisimiglianza fatti, atti e circostanze, in una parola la verità storica.

Questo è accaduto per Boldrino da Panicale, capitano di ventura
del secolo xiv; sicchè in sede di indagine storica è preliminarmente
indispensabile, per giungere ad un risultato positivo, effettuare da
un lato un attento vaglio delle fonti a stampa e manoscritte che ne
hanno tramandato la memoria e dall’altra ricercare e interpretare
al loro giusto valore i documenti autentici che testimoniano la sua
presenza e la sua attività, col proposito di tentare una ricostruzione
per quanto possibile esatta della sua vita e una valida valutazione
del suo temperamento e della portata della sua opera di guerriero.
È quello che io ho tentato di fare con questo mio studio, certamente
consapevole della difficoltà dell'argomento e nondimeno convinto
della necessità di ristabilire entro plausibili limiti di veridicità la
figura di questo singolare uomo d’arme di notevole rilievo se, oltre
i fatti concreti coi quali s'intesse la sua vita, si sono prodotti ed
hanno circolato per tanto tempo elementi leggendari, che hanno
contribuito notevolmente ad accrescerne il fascino tutto particolare.

Ma per una valutazione della vita e delle opere di Boldrino da
Panicale capitano di ventura del sec. xiv. è doveroso innanzi tutto
E VA TIILE "AGLy cue XD CORN "mp Vd gu ARTES X. r ANTSIE IO pem "Ys

44 GIOVANNI CECCHINI

LHP riferirsi al suo tempo, al clima morale e politico che vi prevaleva, alle |
LL istituzioni militari che vi predominavano, alle consuetudini e alle - i
dl leggi di guerra che vi si professavano, astenendosi in ogni caso dal- |
UR UE l'applicare a quel mondo i criteri etici oggi correnti, per evitare il
UE difetto assai comune di pesare uomini ed eventi di epoca storica cosi
EUH remota col giudizio odierno. !
Il periodo storico in cui è vissuto ed ha operato Boldrino è uno
dei più travagliati ed intricati della storia d'Italia : instabilità di
equilibrio politico ; debolezza organica e funzionale delle potestà po-
litiche e degli stati; progressiva trasformazione degli ordinamenti
giuridici e amministrativi delle repubbliche e delle città ; offusca-
mento delle autorità supreme a carattere universale, che nei secoli
precedenti avevano costituito il perno e il fondamento della società
occidentale, il papato e l'impero; evoluzione economica in progre-
diente sviluppo col sopravvento delle attività produttive industriali
e commerciali su quella agricola; con lo sfaldamento del comune
in favorevoli occasioni offerte dalle continue lotte di fazioni fami-
liari predisposizione all'avvento delle signorie ; reiterati tentativi
con pertinacia ma non con pari fortuna da parte di preminenti si-
| gnorie, come quella milanese dei Visconti, di costituire un forte stato.
| i La difficoltà principale che si presenta a chi tenti fornire un
B quadro complessivo e riassuntivo delle condizioni d'Italia nella se-
| conda metà del sec. xrv è appunto data dal dinamismo particola-
ristico di un'infinità di potestà politiche, grandi e piccole, per cui
Le M anche nei casi di conflitti insorti fra grossi blocchi contrapposti la
| M lotta finisce sempre per frantumarsi in piccole scaramucce e fatti
d d d'arme di scarso rilievo, in cui il tema dominante é fornito dal sac-
| cheggio, dalla crudeltà delle vendette personali, dalla spietatezza delle
GUI ingiurie e dei supplizi inflitti ai prigionieri ove non intervenga il ri-
Mr scatto della usuale taglia, quando a render superflue vere e proprie
battaglie campali non sono intervenute le defezioni in campo av-
verso dei capi militari, i trattati segreti o i tradimenti stipulati o |
orditi da una o più delle potestà collegate da una parte con la parte :
avversa. In un siffatto clima di vita politica era difficile, se non im-
possibile abbozzare un programma, un indirizzo a cui mantenersi per
i qualche tempo fedele ; ma in un logorante stato d’ansia per il peggio
it che poteva all’improvviso sempre capitare, travolgendo posizioni per-
In sonali e la stessa integrità fisica, i signori e i magistrati posti a capo
| delle repubbliche dell'Italia centrale e settentrionale erano costretti
a vivere giorno per giorno, sempre all'erta a fronteggiare eventuali

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cr ——— - BOLDRINO DA PANICALE 45

novità che dall’esterno influissero sull’interno e viceversa, e sempre
riluttanti ad assumere atteggiamenti e posizioni troppo netti per
lasciarsi aperta una via d’uscita a seconda delle necessità che si sa-
rebbero imposte. Situazione generale veramente delle più drammati-
che, e veramente drammatica è la lettura delle vicende spicciole della

vita cittadina in una qualsiasi delle città capoluoghi di più o meno:

grandi repubbliche, Siena, Perugia o Firenze, raccolte nelle cronache
contemporanee.

Sommariamente in un’alternativa logorante di successi e d’in-
successi il quadro generale della storia politica italiana in questo
periodo è caratterizzato da alcune azioni e da alcuni protagonisti,
che possono a buon diritto considerarsi i fattori degli eventi che vi
sì sono prodotti: cioè i tentativi attuati dalla potestà pontificia di
riaffermare il dominio temporale sulle terre del Lazio, dell'Umbria,
delle Marche in connessione col ritorno in Italia del papa, lo scisma
verificatosi dopo la morte di Gregorio x1 (1379), la lotta per il do-
minio del regno di Napoli, la politica di espansione verso Verona,
Padova e la Romagna ostinatamente perseguita dai Visconti e in
particolare da Bernarbò e Gian Galeazzo, il conflitto talora latente,
talora aperto tra la repubblica di Firenze e lo stato milanese. Questi
sono gli elementi che compongono il quadro grande, il quadro generale
della lotta politica, entro il quale s'inserisce una serie di più limitati
e circoscritti quadri, diciamo, locali, in cui si manifestano conflitti
di fazioni, lotte cittadine, che sono talvolta autonome, ma più spesso
s'intrecciano nei motivi e nei momenti culminanti alle lotte ingag-
giate dalle potestà maggiori.

Un elemento determinante nelle vicende politiche di questo tra-
vagliato periodo è costituito dalle campagnie di ventura, che hanno in-
festato l’Italia, moltiplicandovi le opportunità di conflitti e creando,
specialmente alle popolazioni dell’Italia centrale e settentrionale, una
condizione di perpetuo stato di guerra, con le esose pretese di salar
imposte alle comunità, con i sistematici guasti alle campagne, con le
gravose taglie, con le razzie e i saccheggi. Il fenomeno delle compagnie
di ventura è stato lungamente studiato e gli storici che ne hanrio
espressamente trattato non sono concordi nell’individuarne le cause.
Certamente esso è una manifestazione tipica di questo periodo per
la parte preponderante che ha assunto nello svolgimento delle vi-
cende politiche ; ed è la risultante spontanea di un complesso di cir-
costanze obiettive che ne hanno favorito lo sviluppo. Senza dar
fondo all’argomento, purtuttavia bisognerà accennare alle cause più
I TEOREMI

46 GIOVANNI CECCHINI

generali del fenomeno. Sotto il profilo politico è da ricordare l’af-
flusso di mercenari professionisti in Italia da parte di imperatori, di
papi, di re e principi stranieri, di legati pontifici; afflusso che risa-
liva ai secoli xr e xu e che in parte s'era arrestato in connessione con
lo sviluppo ed il rafforzamento dei comuni e con la costituzione delle
milizie cittadine, formate in prevalenza da nobili e da artigiani. Ma
nel corso del secolo xiv, parallelamente all'evoluzione politica, so-
ciale, economica operatasi in seno ai comuni, riprese vigore l’afflusso
a più ondate di mercenari stranieri, dalla Francia, dall’ Inghilterra,
dalla Germania, dall'Ungheria. Sotto il profilo militare son da ri-
cordare vari aspetti della mutata situazione. Innanzi tutto le milizie
cittadine sono quasi completamente scomparse o rese inefficienti. Atte-
nuato infatti quello spirito di orgoglio cittadino che aveva animato i
ceti sociali che formavano il nerbo dello stato comunale, per cui era
possibile senza rammarico passare dalla bottega alla milizia per la
difesa della comune libertà in azioni di guerra che generalmente erano
di breve durata, i cittadini, assuefatti ormai ad un benessere econo-
mico al cui incremento soprattutto si dedicavano, si sottrassero vo-
lentieri a quell'impegno e preferirono pagare una tassa allo stato per
usufruire della dispensa da obblighi militari. I nobili, pur dedicandosi
anche ad attività produttive, non abbandonarono l'esercizio delle
armi, che sin dal tempo degli eserciti feudali li aveva posti al centro
delle attività guerresche. Ma per il frazionamento sempre piü ac-
centuato della lotta politica essi badavano a servire la propria fa-
zione meglio che lo stato. D'altra parte é da tener presente la evo-
luzione di organica e di tecnica che le milizie hanno subito nelle azioni
di guerra. E anche sotto questo rispetto ci troviamo in una fase di
transizione tra gli ordinamenti propri dello stato comunale e quelli
della signoria e del principato. Sostanzialmente sotto l'aspetto stra-
tegico e tattico non si sono ancora operati grandi cambiamenti e
nemmeno sotto quello dell'armamento, che comprende la corazzatura
per l'uomo d'arme e pel cavallo, la lancia o picca, la spada, lo stocco,
la mazza, lo scudo e poi il palvese, oltre alle armi da gitto, l'arco e
la balestra, sinché intorno al 1380 fa la prima timida comparsa la
bocca da fuoco, che necessariamente Sconvolgerà tattica e strategia
e soprattutto la tecnica delle fortificazioni fisse e campali.

Le milizie comunali eran costituite oltre che da limitati contin-
genti di arcieri e balestrieri, in genere professionisti — famosi i balestrieri
genovesi — da cavalierie da fanti. Secondola tattica generalmente
seguita nello scontro in campo aperto si tentava l'azione risolutiva
BOLDRINO DA PANICALE

47

mediante l’urto della schiera, su una sola fila, dei cavalieri, che, dopo
il primo cozzo, si risolveva in singolari duelli. I fanti, disposti in
file compatte, per lo più a quadrato o a circolo, con le lunghe picche
puntate in avanti avevano il compito di resistere all’urto inferto loro
dai cavalieri nemici che fossero riusciti a sgominare la cavalleria av-
versaria. I fanti non solo avevano il compito di resistere all’urto della
massa cavalli-cavalieri, sin tanto che non intervenisse nella lotta o
una riserva di cavalleria o quella prima schiera di cavalieri che si fosse
nel frattempo rimessa coi superstiti in rango ; ma molte volte quello
di contrattaccare la cavalleria nemica dopo averne sostenuto la
spinta.

Con l'avvento delle milizie mercenarie e delle compagnie di
ventura militarmente più addestrate e più efficienti, la tattica e le
fasi dell’azione bellica si modificarono non radicalmente, ma par-
zialmente. Le compagnie di ventura, formate in prevalenza da uomini
di ogni ceto sociale, ma in ispecie da popolo minuto e campagnoli,
di robusta complessione fisica, allenati per lo più da lungo ed aspro
esercizio a sostenere disagi di rapide e lunghe marce e concentrati
sforzi fisici, costituivano un tutto relativamente omogeneo sotto l’im-
perio di rigorose leggi disciplinari, imposte da un capo di indiscusso
prestigio per ardimento, sprezzo del pericolo, assoluta autorità, ca-
pacità di comando. Erano quindi organismi esigui numericamente,
ma di notevole efficienza potenziata da laute paghe, da opulento
regime alimentare, da miraggi di compartecipazione a pingui prede.
In questo periodo anche gli eserciti più cospicui messi insieme dai
potentati maggiori non oltrepassavano la forza di poche migliaia di
uomini; le medie compagnie di ventura avevano effettivi variabili,
secondo le circostanze, cioè l’entità dell’impresa e la misura del sa-
lario, tra i 600 e i 1000 uomini a cavallo e altrettanti fanti all'incirca,
molti dei quali impegnati nei servizi sussidiari. Troviamo che, se-
condo il costume prevalente, la forza della milizia veniva misurata
in lance; ogni lancia era costituita da tre, raramente da quattro
uomini a cavallo; sporadicamente nelle clausole dei contratti sti-
pulati per le condotte dei capitani di ventura è specificato il numero
dei fanti. |

Nel periodo di cui ci interessiamo si era dunque modificata sen-
sibilmente la costituzione organica della milizia, che era in certo
senso tornata a puntare sulla cavalleria e che per le sue stesse esi-
genze di vita e di tattica, facendo conto Soprattutto sul fattore sor-
presa, necessitava di mezzi di rapido spostamento. La efficienza di
48 GIOVANNI CECCHINI

queste unità militari era data prevalentemente dalla quantità e
dalla qualità dell'armamento e dall'addestramento degli uomini, più
che dal numero ; la loro supremazia si affermava tanto più facil-
mente di fronte alle popolazioni sempre più imbelli ed inermi. Su
queste condizioni è fondato tanto il prestigio del loro potere militare
quanto il terrore da cui eran presi i capi di governo delle città e le
popolazioni al loro apparire.

c
* ok

In Italia di fronte al dilagare delle compagnie di ventura, che
fatalmente moltiplicavano le cause di guerra, senza portare un con-
tributo risolutivo alle ragioni dell'una o dell'altra parte, ma provo-
cando un permanente stato di disagio e di miseria, si formó nei capi
responsabili delle repubbliche e delle signorie una convinzione co-
mune: quella di considerare come una causa costante di inquietu-
dine e di danno la permanenza nella penisola di tali milizie mer-
cenarie straniere. Il movimento di avversione si estese rapidamente
e portó a concreti accordi stipulati allo scopo di liberarsi da quel
malanno. Cosi dopo la bolla, che nel marzo 1366 emanó papa Urbano
v? contro le compagnie di ventura, venne stipulato il 18 settembre
dello stesso anno un accordo fra molti stati dell'Italia centrale ten-
dente ad impedire che si formassero in Italia o vi scendessero
nuove compagnie, pur tollerando la permanenza di alcune delle più
importanti : quelle di Ambrogio Visconti, di Giovanni Acuto, di
Anichino Bongardo, del conte Giovanni d'Asburgo. Ma era diffi-
cile liberare il paese dai mercenari stranieri perché tutti, Santa Sede,
signori, comuni, pressati da ricorrenti minacce, da sempre nuovi pe-
ricoli di soggiacere ad attacchi nemici continuavano a servirsene.
Tuttavia si rinnovano i tentativi di intese a larga base per far
fronte a questo malanno ; sulla fine del 1385 fu stretta una lega tra
Firenze, Bologna, Siena, Perugia, Pisa, Lucca ed altre minori città
« per difesa de luoghi loro contra tutte le genti oltremontane et stra-
nieri ch'erano allhora per Italia » secondo l'espressione dello storico
di Perugia Pompeo Pellini. Ma sul terreno pratico non si ottenne
alcun risultato. Nondimeno il problema riaffiora e già nell'anno suc-
cessivo intercorrono nuove intese tra le città aderenti alla prima

lega, le quali, fors'anche per spuntarne le mire aggressive, invitano

Gian Galeazzo Visconti ad unirsi a loro ; sinché di nuovo nel 1389,
dopo lunghe trattative, fu stipulata a Pisa la lega contro le milizie

le 1d

PETIT III TINI I
BOLDRINO DA PANICALE 49

straniere tra le città già collegate, il conte di Virtù e altri signori di
Lombardia. E probabilmente qualcosa di positivo sarebbe accaduto
se la politica instaurata dal nuovo papa Bonifacio ix, in ispecie nei
riguardi dell’intricata questione del Regno di Napoli, non avesse por-
tato all’insorgenza di nuovi conflitti anche in Umbria e nelle Marche,
dove venne intrapresa una sistematica, progressiva azione di rias-
soggettamento alla Chiesa delle terre che avevano tentato di svin-
colarsene. E di qui nuovo impiego delle compagnie di ventura na-
zionali e straniere, come capitava.

* z *

Abbozzato alla meglio il quadro composto con le linee maestre
della situazione politica di quest'epoca, delle condizioni generali e
della tecnica militare secondo la quale operavano le compagnie di
ventura, veniamo a considerare la vita e le opere di Boldrino da Pa-
nicale, che in quel quadro si inseriscono, prendendo in esame le fonti
d'informazione di cui disponiamo sull'argomento. Le fonti piü au-
torevoli sono i contemporanei documenti di archivio, che forniscono
elementi certi ed incontrovertibili ; ma esse sono limitate e saltuarie
e Si riferiscono ad epoca piuttosto tarda, oltre il 1380. Notizie ab-
bastanza circostanziate su Boldrino affiorano nelle cronache stese da
autori contemporanei o di poco posteriori, raccolte quasi tutte nella
collezione muratoriana dei Rerum italicarum scriptores, come quella
dell'Anonimo fiorentino (?), di ser Guerriero da Gubbio (2), la Cro-
naca senese di Paolo di Tommaso (3), la Cronaca fermana di Antonio
di Nicolò (), lo Specimen historiae di Sozomeno pistoiese (9), «la
Cronaca fermana di Francesco Adami (5). Ne parlano anche le storie
particolari di città umbre, toscane, marchigiane composte nei se-
coli xvi e xvir, sulla scorta di documenti d'archivio, su fonti ma-
noscritte in buona parte successivamente scomparse ; così la Storia
di Perugia (°) del Pellini, quella di Siena di Orlando Malavolti (3),
quella di Camerino di Camillo Lilii (?), quella del Piceno di Pompeo
Compagnoni (1?), quella di Firenze di Scipione Ammirato (3). Infine
vi sono le fonti di carattere biografico espressamente dedicate a
Boldrino, che si riducono a ben poco ; esse vanno dal breve profilo
contenuto nella Laudatio in Panicalis oppidi perusini honorem (1)
compilato nel 1626 dal canonico Corinzio Corsetti al Racconto di
Boldrino Paneri da Panicale di Giuseppe Orsini stampato in Roma
nel 1700 (13), al saggio storico di Ariodante Fabretti da lui incluso

1
n ILE

50 GIOVANNI CECCHINI

nel primo volume delle sue Biografie dei capitani venturieri dell’ Um-
bria, edite nel 1842 (4) sino ai cenni del Grifoni (!5) e del France-
schini (9). La Laudatio del Corsetti inedita è conservata presso il
Comune di Panicale ; il manoscritto, sia per la scrittura, che sembra
appartenente al secolo seguente, sia per un banale errore di data-
zione solo imputabile a un copista distratto, non è da ritenere au-
tografo. Il carattere del profilo biografico steso dal Corsetti, in ac-
cordo del resto con quello composto dall’Orsini, è, secondo il gusto
del tempo, prevalentemente apologetico e di scarso fondamento sto-
rico. Il Corsetti e l’Orsini fatalmente non potevano sottrarsi allo
schema di compilazione biografica usuale al tempo loro secondo il
paradigma plutarchiano della vita esemplare: paradigma già rin-
frescato in parte da una preclara forma letteraria usata nell'ab-
bondante produzione biografica rinascimentale. L'Orsini tuttavia,
mantenendo la narrazione in un clima di aulica compostezza, che
dissimula abbastanza efficacemente la povertà e la genericità del-
l'informazione propriamente storica, da cui esulano quasi del tutto
precisi riferimenti cronologici e logico concatenamento di circostanze
e di fatti, offre qualche spunto positivo e riesce a delineare, sia pure
a contorni labili e sfumati, un abbozzo del soggetto che tratta. Col
Fabretti invece si realizza il primo tentativo di ordinare criticamente
l’arruffata ed incerta materia e di riportare la figura del condottiero
entro i limiti di una plausibile veridicità storica.

Notizie biografiche su Boldrino si rinvengono in molti mano-
scritti conservati nella Biblioteca Augusta di Perugia; nel Com-
pendio delle memorie della città di Perugia di Cesare Crispolti (!”),
nelle Vite di illustri perugini di Filippo Alberti (15), negli Annali del
convento di S. Domenico di Perugia di fra Timoteo Bottonio (1°),
negli Elogi di illustri perugini di Cesare Alessi (2°), nella Raccolta
d’alcune cose memorabili et de valorosi fatti de molti huomini illustri
della Augusta città di Perugia di Antonio Grisaldi (?). Ma si tratta
o di notizie più o meno raccogliticce rimbalzate dall’uno all’altro
autore o di scritture prevalentemente accademiche, come la vita del-
l’Alberti; di materiali insomma di quasi nessuna utilità per una ri-
costruzione rigorosamente storica.

Giacomo, che fu poi sempre chiamato Boldrino, diminutivo per
i linguisti di Ubaldo o di Gualtiero, secondo una tradizione corrente,
BOLDRINO DA PANICALE 5I

non suffragata da documenti, ma plausibile, nacque a Panicale da
Ambrogio Paneri e da Lucrezia Ceppotti nel 1331. Cominciano su-
bito tuttavia le incertezze ; la prima è quella concernente il nome
del padre. Infatti in tre mandati di pagamento disposti dal Conci-
storo di Siena (1385) (?) a favore di Boldrino il nome di suo padre
figura come Cecco, denominazione accolta pure dalla Cronaca se-
nese (?). Anche sulla sua famiglia, sulla sua condizione sociale le
notizie sono discordi : di rango cittadino e benestante per alcuni, di
estrazione contadina secondo altri (**). Oscure sono le vicende della
sua vita per un lungo periodo, sin quasi a cinquant'anni di età. Suo
padre fu ucciso, non si sa per quali motivi, e Boldrino, come è fa-
cilmente ammissibile, non si diede pace finchè non ebbe vendicato
la morte del genitore. Anzi è probabile che per sfuggire alla giusti-
zia Boldrino si arruolasse in qualche banda di armati. « Tempra
robusta, forme atletiche, sguardo severo, prontezza d’animo meravi-
gliosa, temerario coraggio e avidità di gloria presagivano in Bol-
drino un capitano di alta rinomanza » ; così lo descrive con essen-
ziali, plausibili tratti Ariodante Fabretti, riecheggiando soprattuto
il Corsetti. Il Fabretti nel suo saggio biografico riferisce una serie di
eventi bellici e politici, ai quali Boldrino, sebbene in sottordine,
avrebbe partecipato; ma la narrazione non è corredata da alcun
riferimento a fonti storiche attendibili. Tuttavia per la considera-
zione che l’eminente storico esige conviene accennare quei fatti, sia
pure con riserva. Egli avrebbe partecipato nella compagnia del grande
capitano Giovanni Acuto al servizio di Pisa alla guerra che la città
marinara sostenne con Firenze nel 1361-64. Con l’Acuto erano as-
soldati alla difesa di Pisa Ranieri de Baschi, Ghisello degli Ubal-
dini, Omo Santa Maria, signore di Jesi, e Anichino Baumgarten.
Narra il Fabretti: «E quando con più accanimento si accapiglia-
vano ambo i fiorentini municipi della Toscana, Boldrino da Pani-
cale obbediva ai comandi di Giovanni Acuto e con esso attraver-
sava città e paesi; desolazione, morte e spavento portava in tutte
le provincie in qualche modo soggette alla repubblica di Firenze, e
si avvicinava tremendo alle porte della città » (25). Firenze allo scopo
di por fine alla guerra, che danneggiava i suoi commerci, insoffe-
rente della lungaggine di essa, dovuta prevalentemente alla infin-
gardagine e alla mala fede dei capi militari ch’essa aveva alternato
al comando delle milizie, si decise alfine a provocare l’indebolimento
delle forze nemiche, ricorrendo al mezzo infallibile ed usuale della
corruzione. Per denaro fece sì che Anichino abbandonasse il campo

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52 GIOVANNI CECCHINI

nemico; poi tentò, a pieno esito, con Boldrino. E Boldrino «cui,
asserisce il Fabretti, questi maneggi non erano ignoti, vide che in
quei tempi burrascosi onorato capitano di ventura non significava
sempre leale, e che nelle armi il tradimento non era schifosa ver-
gogna » (25). Nel tirocinio, probabilmente non breve, fatto in bri-
gate di valenti capitani certamente Boldrino sviluppò e maturò
quella nativa disposizione al mestiere delle armi non disgiunta da
una chiara intelligenza delle cose e degli uomini, per cui si affermò
come autorevole capo e come intrepido guerriero.

Soltanto nel 1378 tuttavia si ha notizia di una vera e propria
compagnia alle sue dipendenze ; infatti Camillo Lilii nella sua storia
di Camerino riferisce che Boldrino con la sua brigata trascorse tutto
l’inverno di quell’anno nel territorio di Matelica al tempo in cui
questa città e San Severino erano in guerra con Camerino (?°); non si
sa esattamente se il capitano umbro parteggiasse per gli uni o per
gli altri; tuttavia faceva frequenti scorrerie, depredando, anche per
le terre camerinesi. Nel 1380 si produsse un importante fatto, ch’ebbe
rilevanti ripercussioni sull'evoluzione, sotto l'aspetto politico e mi-
litare, delle compagnie di ventura. Nella lotta ingaggiata dal papa
‘ Urbano vi? e dall’antipapa Clemente viro, che continuava a man-
dare dalla Francia milizie mercenarie a sostegno delle sue ragioni,
Urbano affidò le proprie fortune ad Alberico da Barbiano, che aveva
costituito su basi più propriamente militari la prima compagnia di
ventura formata da italiani. Presso Marino, il 30 aprile 1380, in una
battaglia che fu una delle più importanti del secolo, egli sconfisse
pienamente le forze dell’antipapa, composte da guasconi e da bret-
toni, che, dispersi, si unirono alla spicciolata ad altre compagnie.

Asserisce il Pellini (28) mutuando da Bernardino Corio, lo sto-
rico di Milano, che nel 1381 Boldrino era al servizio della Chiesa,
ma non precisa con quali compiti, ed aggiunge che Muzio Attendolo
giovinetto cominciò il mestiere delle armi sotto di lui o sotto Albe-
rico da Barbiano. La questione, che ha un certo valore, è controversa.
Muzio Attendolo si avviò alla carriera militare nelle schiere di Bol-
drino o in quelle di Alberigo ? Se si considerano nei loro esatti ter-
mini i passi contenuti nelle due fonti da ritenersi più autorevoli,
il Corio nella Storia di Milano e il Giovio nella Vita di Sforza, non
sembra arrischiato ritenere che Boldrino sia stato la prima guida di
Muzio, che probabilmente passò in un secondo tempo con Alberigo,
il quale vaticinò l'avvenire del giovane guerriero con la frase : « O
che costui sarà morto o venirà glorioso capitano ! » E fu lui che gl'im-
BOLDRINO DA PANICALE 53

pose il soprannome di Sforza, che resterà come cognome ai suoi di-
scendenti. Dice il Corio : « In questo anno medesimo (1381) Sforza
Attendolo già pervenuto in età di dodici anni, come spinto da fatale
destino, deliberò condursi al soldo del conte di Alberigo di Zaco-
nara, o vero Boldrino di Panigale, condottieri della Chiesa, senza

licenza del padre, et così partendosi in processo di pochi giorni si

misse con un huomo d’arme di Boldrino col quale dimorò quattro
anni» (2°). Afferma Paolo Giovio : «Mutius quoniam tredecim an-
norum puer in Boldrini castra concesserit, neque inde redierit, nisi
equestris ordinis miles » (3°). E più oltre: « Quum tredecim annos
natus miram indolem ad militiam afferret, clam arrepto domi equo,
et invito quidem patre, evolavit ad Boldrini Panicaliae castra, qui
Pontificiae militiae sceptra tenebat » (8). In altra opera il Giovio stesso
afferma più precisamente che Muzio Attendolo, aggregatosi alla com-
pagnia di Boldrino, « stette prima al servizio d’un uomo d’arme Spo-
letino, il quale per la colera fu chiamato per sopranome Scorruc-
cio. Con costui stette quattro anni » (?).

Secondo Camillo Lilii nel 1381 e 1382 varie compagnie di ventura
infestavano la Marca ; pertanto il papa vi mandò il fratello col ti-
tolo di Marchese della Marca con la brigata del conte da Carrara
e l’istruzione di opporsi alle gesta di quei masnadieri o di ritrarli
al soldo della Chiesa contro i Varano di Camerino, ai cui danni fu
posto l'assedio al castello di Penna, difeso dai camerinesi. Con la
brigata del conte da Carrara alle dipendenze della Chiesa v'erano
quelle di Boldrino e di Biordo Michelotti. Gentile Varano mosse alla
volta di Penna per liberarla dall'assedio, ma, affrontato dalle milizie
avversarie, fu messo in fuga e si ritirò a San Ginesio (8).

Ma la fondatezza di queste notizie è molto dubbia e sorge il
legittimo sospetto che lo storico camerinese abbia fatto confusione
con gli avvenimenti di dieci anni dopo.

Gino Franceschini asserisce che nel 1382, essendo il territorio
perugino minacciato dai ribelli, i magistrati di Perugia assoldarono
Boldrino e l’inglese Riccardo di Romisey per dodici giorni e che allo
scadere di questo termine trattennero in servizio l’inglese e dimisero
Boldrino, il quale « suffultus rebellium », ingrossate cioè le sue file
con numerosi esuli perugini, si gettò sul contado senese, mettendolo
a sacco. Ma il Franceschini non accompagna la notizia col riferi-
mento alla fonte da cui l’ha tratta.

Certo è che i senesi, credendo che Boldrino fosse ancora al ser-
vizio dei perugini e che avesse menato il colpo di coperta intesa con
54 GIOVANNI CECCHINI .

essi, ne mossero lagnanza al Comune di Perugia, che con una lunga
lettera di giustificazione e di conferma delle proprie amichevoli disposi-
zioni, precisò per suo conto i termini della situazione, attribuendo al
ponte di Valiano, voluto dai senesi e osteggiato dai perugini, uno dei
coefficieriti di successo dell'aggressione operata dal venturiero (?*). Ci si
rivelano così i primi rapporti di Boldrino col Comune di Perugia ;
ostili e turbolenti in principio divennero poi amichevoli e cordiali.
Perugia soffriva per lunga crisi dai tragici momenti tutti i mali che
affliggevano, sia per travagli interni, sia per pericoli esterni, quasi
tutti i Comuni dell'Umbria, della Toscana, delle Marche. All'esterno
coi tentativi, per quanto fugaci, di ristabilimento della sede papale
in Roma, incombeva la minaccia della piena sottomissione alla po-
testà pontificia, che i perugini con ogni cura cercavano di allonta-
nare o almeno di addolcire, inviando in ogni occasione ambascerie
al papa a rendere omaggio, a negoziare, a impetrare atti di clemenza
e di benevolenza. Così avevan fatto pace, nel 1378, con Urbano vite,
ottenendone il vicariato per cento anni. Ma all’interno sopratutto non
aveva pace per le fasi alterne della lotta delle fazioni, tra nobili e
popolari, tra beccherini e raspanti, che le massime magistrature,
nelle mani di uomini anch'essi inseriti nell'una o nell'altra parte,
non avevano autorità di dominare. E senza sosta si susseguivano le
vendette, le uccisioni, i tumulti. Per effetto della spinta operata dal
basso dalle classi di popolo medio e minuto che ambivano con cre-
scente impeto a impadronirsi del potere, stimolate e fomentate da
famiglie nobili che ne favorivano il gioco e ne sfruttavano per fini
egoistici la forza di espansione, si profilavano sulla scena politica
nuovi gruppi sociali accanto alla classe magnatizia tradizionale della
nobiltà militare e della borghesia mercantile. Perciò i Priori erano
in continuo sospetto di novità che potevano prodursi da ogni parte,
tanti erano i motivi per rancori personali, per odio sociale, per am-
bizione di dominio, per intese coi nemici esterni di ordire congiure
e di tentare colpi di mano. E poichè anche a Perugia per le cause
d’indole generale già ricordate erano cadute in disuso le milizie cit-
tadine, ricorrendosi all’uso delle armi solo nelle risse e nelle scara-
mucce di parte, nella occorrenza di disporre di un presidio militare
sì ricorreva all’ingaggio di mercenari. Nel 1380 i nobili, fallito un tu-
multo da loro suscitato, vennero banditi e il magistrato fu di nuovo in
angustie per impedire che i fuorusciti rientrassero in città o con la
forza o con l’astuzia a far vendetta, e per metter riparo alle scorrerie
ch'essi facevano nel territorio impadronendosi ora dell'uno ora dell'al-

TTG

TR ZII NPI xa”

BOLDRINO DA PANICALE 55

tro castello, a sventare le trame da essi ordite d’intesa con città ribelli
per rovesciare la situazione e la fazione al potere. L’anno successivo
la situazione si complicò per opera di Michelozzo Michelotti, espo-
nente di una famiglia che coi Guidalotti era tradizionalmente a capo
della parte popolare. Per prove certe fu scoperto che Michelozzo
aveva qualche intelligenza con emissari di Clemente vir? per dare
Perugia all’antipapa. I Priori, sventato in tempo il pericolo, per evi-
tare ogni estremo in una situazione resa già precaria dalla minaccia
costante portata alla città dai nobili fuorusciti, si mostrarono indul-
genti con Michelozzo, il quale nondimeno spontaneamente uscì dalla
città. E, come nota con la consueta acutezza il Bonazzi (8°), si giunse
all’assurdo per cui Perugia ebbe due gruppi di fuorusciti : i vecchi,
cioè i nobili, i nuovi, cioè i Michelotti, raspanti. Fu convenuto che
Michelozzo potesse rientrare in città, che trattenesse come in pro-
prietà il castello di Castelnuovo, restituendo alla soggezione di Pe-
rugia quello di Vernazzano. Ma il tempo passava e Vernazzano non
veniva restituito ; anzi i Michelotti si unirono a Boldrino e a Bar-
tolomeo da Pietramala e tutti insieme col nerbo di 600 cavalli en-
trarono nel Chiusi perugino, razziando bestiame, si insediarono a Ca-
stelnuovo e di lì infestarono le isole del lago e vari castelli riviera-
schi. Alla fine del 1382 i Priori perugini, allarmati dalle gesta di quei
mercenari scrivevano ripetutamente ai Difensori del popolo di Siena
e ad Obizzo di Montegarullo, capitano generale delle milizie di quella
città, proponendo loro di unire le forze per affrontare, battere e allon-
tanare dal territorio delle due repubbliche le milizie di Bartolomeo da
Pietramala, di Guido d’Asciano e di Boldrino che vi facevano dan-
no (39). Il tono delle lettere è di grave allarme e i termini usati nei
confronti dei tre capitani di ventura assai spregiativi: latrones, pre-
dones applicati a tutti tre, archipredo scelerosissimus riservato a
Boldrino. Ma la proposta non fu accolta ; anzi con una lettera dell'11
febbraio i Priori di Perugia replicavano ai Difensori del popolo di
siena alle proteste da questi avanzate perché sul territorio perugino
mercanti senesi erano stati depredati, affermando la propria estra-
neità a tale azione e meravigliandosi che da parte di quella città
amica si tollerasse che fosse posto in vendita il pesce del lago abusi-
vamente raccolto e commerciato dalle suddette bande di mercenari,
che si erano installate sulle rive del Trasimeno (87). Delle gesta com-
piute nel corso di quest'anno sul territorio umbro-toscano si ha un'eco
nella riformanza adottata il 3 dicembre dal Consiglio dei Priori,
dei consoli, auditori e camerari di Perugia, nella quale, premesso
56 GIOVANNI CECCHINI

che «ille perversus et malignus homo Buldrarinus de Panicali » nei
giorni passati cavalcò ostilmente nel territorio di Siena, Montepul-
ciano, Cortona e Castiglione Aretino per poi rientrare nel Chiusi pe-
rugino col bottino e coi prigioneri fatti, per timore che si pensasse
che ciò fosse accaduto « de licentia et voluntate » del Comune di Pe-
rugia, essendo insorta una viva reazione di quei luoghi contro Pe-

| rugia, si deliberava per fronteggiare gli eventi di eleggere cinque com-

missari con ogni arbitrio e facoltà «pro reparatione gestorum per
dictum Buldrinum » (88). Boldrino intanto nel febbraio 1384 con Bar-
tolomeo da Pietramala, su istigazione dei Michelotti, si spinse sino
a Ponte S. Giovanni e a Ponte Valleceppi predando e dando il guasto.
I magistrati perugini, poichè era comparso dalle parti di Mantignana
Giovanni Acuto con le compagnie di Riccardo Romisey e di Giovanni
d’Azzo degli Ubaldini, pensarono di assoldarlo per 15 giorni, dandogli
incarico di liberare le terre del lago Trasimeno occupate dai Miche-
lotti e compagni ; compito che l'Acuto assolse con tanta lentezza-cane
non morde cane-da non sortire alcun risultato concreto (29).

Ma Boldrino si veniva orientando verso Siena, che si trovava
nei guai. Ivi il governo dei cosidetti Riformatori di parte popolare
era in angustie per le reazioni che contro di esso sviluppavano i
nobili fuorusciti. Vari capitani, come Bernardo della Sala, l'inglese
Beltoft, il bolognese conte Taddeo Pepoli erano stati assoldati dal
Comune di Siena. Troviamo che con riformanza del 17 gennaio 1384
i Difensori del Popolo della città di Siena diedero disposizione al Ca-
merario e ai Provveditori di Biccherna di pagare al conestabile
Boldrino da Panicale 100 fiorini d'oro per suo salario (4°), e con suc-
cessiva del 20 gennaio fu disposto altro pagamento al medesimo ca-
pitano, chiamato qui esplicitamente Boldrino di Cecco da Panicale,
di 3282 fiorini e 30 soldi (4) ; seguono nel mese di febbraio registra-
zioni di prestiti effettuati, in conto evidentemente di future compe-
tenze, di 200 e poi di 300, di 50, di 800 fiorini d’oro (3). Con delibera-
Zione del 26 febbraio 1384 i Difensori del Popolo, il Capitano del
Popolo, il Priore dei Riformatori e gli Officiali di Balia del Comune
di Siena elessero « virum nobilem Boldrinum de Panicali» capitano
generale delle genti con pieno arbitrio «extra portas civitatis » sino
al 1° maggio successivo con la provvisione di 50 fiorini al mese (5).
Ma, come vedremo, la condotta di Boldrino costó ben piü salata alla
città. I prestiti e i pagamenti a Boldrino si susseguono, alcuni dei quali
effettuati al suo cancelliere ser Bartalo, nei mesi di luglio, agosto
e settembre. Il 12 luglio Boldrino fece in Siena la mostra, cioè la
BOLDRINO DA PANICALE 57

rassegna della sua compagnia costituita da 150 lance (4^). Intanto su
designazione fatta di volta in volta dai magistrati senesi Boldrino
si adoperava con impegno progressivamente decrescente a far fronte
alle manovre dei fuorusciti. Il 14 febbraio era intervenuto a soc-
correre Giuncarico, occupato dai fuorusciti (4^), dopo una rapida pun-
tata nel territorio di Città di Castello a sostegno delle mire di Bar-
tolomeo di Pietramala, effettuato nel giugno 1384 (19).

Nel febbraio 1385 (‘°) assali e mise a sacco Scorgiano, terra dei
Malavolti, riportandone preda e prigionieri, tra cui Uguccione Ma-
lavolti. Poi fu mandato con i balestrieri della città e delle Masse a
San Quirico coi patti « che fusse sua tutta la roba e carne dei Nove
che v'erano ; e [fecero] molte iniquità e crudeltà e combatterono
la terra e fuvene assai morti e presi, imperocchè si difesero » come
dice la Cronaca senese (5), aggiungendo che tra gli altri fu preso
Ranieri di messer Bindo dei Tolomei. Tuttavia dalle fonti locali non
risulta che si producessero azioni risolutive, bensi, come d'uso, il
capitano generale badava a curare i suoi particolari interessi piü
che quelli della città. Nel frattempo i soliti ambasciatori fiorentini,
che si intromettevano sempre dovunque sorgesse un conflitto, ma-
novrarono in modo da persuadere Boldrino ad abbandonare la parte
dei Riformatori per potere addivenire ad un compromesso fra le
due fazioni e conseguire la risoluzione della contesa, che fu raggiunta
in una riunione dei rappresentanti dei due partiti, domenica 26
marzo 1385 (‘°). Boldrino per abbandonare il campo ricevette 4000
fiorini dai nobili per tramite degli ambasciatori fiorentini, e, come
narra la Cronaca senese (5°) « per questo disse in Concistoro a la Balia
che non voleva stare nella città e non voleva fare guerra fra citta-
dini, e per questo si partì dalla città e stavasi nelle Masse e oggi qui
e donde colà rubava ciò che poteva ed era dirotta la cosa, che non
sì poteva uscire di Siena che non fusse rubato e drento si faceva
ogni male, e' Riformatori erano divisi, chi voleva una cosa, chi
un’altra ». Boldrino, Galeazzo e Taddeo Pepoli ebbero liquidati i
conti dal nuovo governo dei Dieci, come è specificato nella rifor-
manza del Concistoro del 21 aprile 1385 con l’intesa che detti capi-
tani desistessero «a furtis, violentiis, incendiis et civium, comita-
tinorum captionibus » (?). La liquidazione dei conti fu fatta per
singole partite, molto istruttive per la conoscenza dei rapporti fra
l'ente pubblico e il suo stipendiato. Furono corrisposti a Boldrino :
90 fiorini d'oro per il tempo in cui esercitó l'ufficio di capitanato ;
800 fiorini «pro bestiame ablato in partibus Asciani»; 883 fiorini

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58 GIOVANNI CECCHINI

per gli 8 giorni impiegati «ad scribendum comitivam suam » cioè
a formare i ruoli della compagnia, somma ch'egli non volle che fosse
defalcata, e aggiunse di suo il cancelliere la postilla « fece della vo-
lontà ragione » ; 146 fiorini per condono della somma a lui imputata

«pro pontaturis et defectibus » cioè per multe attribuitegli per sue

inadempienze ; 100 fiorini a Corbello e Angelo, suoi caporali ; 2 fiorini
a due ambasciatori di Boldrino e di Taddeo Pepoli, essendo stata
fatta la liquidazione per interposta persona (?). Nel medesimo anno
Boldrino e i Brettoni, ma ciascuno per conto proprio, ricomparvero
nel territorio senese, e la Cronaca senese commenta : «tutta gente
da preda e da carne a ber sangue » (9). Il governo senese per libe-
rarsene si accordò con Boldrino, il quale s'impegnó per 4 anni a non
offendere e recar danni alla città e al suo territorio per un appannag-
gio di 500 fiorini l’anno.

Frattanto nel corso di quell’anno erano ripresi saltuari ma abba-
stanza conclusivi rapporti di Boldrino col Comune di Perugia, che,
sapendolo stanziato sul territorio del suo stato, pensò di impiegarlo,
col compenso di 500 fiorini, nella riconquista di alcuni castelli, anche
per sottrarlo alla tentazione di porgere aiuto ai fuorusciti perugini.
A Perugia si era prodotto qualche cambiamento. Poichè si era venuta
acuendo la lotta coi Michelotti e si faceva sempre più assurda e
difficile da sostenere la situazione con due gruppi di fuorusciti da
fronteggiare, i Priori, col tramite degli ambasciatori fiorentini, riam-
misero in città i nobili, molti dei quali erano clandestinamente rien-
trati e stavano nascosti in casa di amici. Eliminata così una delle
due cause di angoscia che gravavano sulla coscienza dei rettori peru-
gini, fu possibile concentrare gli sforzi per contrastare ai Miche-
lotti che s’erano uniti agli Assisani, rinfocolati contro Perugia dal
ribelle Guglielmino. Anzi i Priori perugini pensarono di farsi amico
Boldrino, che era molto cresciuto in prestigio, servendosi dei buoni
uffici del concittadino cardinale Andrea Bontempi, rettore in tempo-
ralibus della Marca, al cui servizio era stato il condottiero panica-
lese nel 1381-82. Ma intanto sul territorio perugino erano comparse
altre vaganti milizie mercenarie e il Comune di Perugia pattuì con
Boldrino altri 500 fiorini purchè se ne distraesse ; ed infatti gli sgra-
diti ospiti si spostarono sul territorio di Assisi. Ma ai primi di agosto
comparvero nel territorio di Città di Castello l’inglese Beltoft, il
conte Taddeo Pepolo e Boldrino con le loro compagnie ; e di nuovo
il magistrato perugino ricorse allo sborso di 2000 fiorini purchè se
ne andassero e per un anno non dessero molestie. Senonchè nell’ago-

anm as? EOLDRINO DA PANICALE 59

sto stesso Boldrino venne colpito da grave infermità e, avendo
necessità di riposo e di cure in un luogo che gli assicurasse un asilo
sicuro e adeguata assistenza medica, si rivolse a Perugia, I suoi messi,
data assicurazione ai magistrati perugini delle pacifiche intenzioni
del loro rappresentato, ricevettero lieta accoglienza e favorevoli
consensi. Del fatto è rimasta circostanziata traccia in una riformanza
del Consiglio dei Priori e dei Camerari delle Arti del 13 agosto
1385 (€). Poichè « Buldrinus de Panicali capitaneus gentium armi-
gerorum nuper Perusiam venerat et gravi infirmitate laborat » al
fine di mantenere il pacifico stato e la quiete di tutti i sudditi anche
per intercessione di parecchi cittadini fu deliberato di rendere onore
al ragguardevole personaggio facendogli doni per 20 fiorini d’oro.
Da allora generalmente buoni si mantennero i rapporti tra Boldrino
e il comune di Perugia, che gli concesse la cittadinanza sancita con
solenne riformanza del Consiglio Speciale del 12 dicembre 1386 (5°),
in cui si riconosceva che « Buldrinus indefesso studio die noctuque
se exibeat promptuosum in excidium et exterminium quorumcumque
hostium Comunis et populi perusini », specialmente con l'intervento
dei suoi 600 uomini a cavallo per cacciare la società di Giovanni
Acuto dal territorio di Cortona; pertanto si concedeva la cittadi-
nanza a Boldrino come a vero e antico cittadino perugino con tutti
i diritti.

Ristabilitosi in salute Boldrino, secondo notizie frammentarie e
non di prima mano (5), si sarebbe unito alle milizie assoldate da
Inghiramo vii? sire di Coucy, le compagnie cioé di Giovanni d'Azzo
Ubaldini, Giovanni Ordelaffi, Taddeo Pepoli, Giovanni Acuto, giun-
gendo sino alle porte di Bologna, che ne evitó l'assalto col paga-
mento di 30.000 fiorini. Il 23 ottobre 1385 a Fabriano stipulava
l'atto di promessa di matrimonio tra suo figlio Giovanni Aretino,
maggiore di dieci anni, e Piccarda, figlia di Bosone da Gubbio, mag-
giore di nove anni, con la testimonianza di Guido Chiavelli, signore
di Fabriano, Giovanni di Ungaro degli Atti, signori di Sassoferrato,
Guido di Francesco degli Ottoni, signori di Matelica (?). Da una
lettera del 5 luglio 1386 con la quale Guido d'Asciano comunicava
alla Signoria di Siena che Boldrino abbandonando le compagnie sud-
dette s'era unito a lui, si sa che s'era spinto sino a Modena ; poi tornó
nell'Italia centrale e stanzió tra Umbria e Marche (58). È ovvio ri-
conoscere che oramai Boldrino ha di molto consolidato la sua fama
e la sua posizione di capitano di ventura. Esperto oramai non solo
dell'arte militare, ma di tutti gli espedienti con la quale veniva ai
Adi pene api

60 GIOVANNI CECCHINI

suoi tempi esercitata la milizia, circondato da una rinomanza, che
si propagava sempre più, di ardimentoso uomo d’arme e di implaca-
bile combattente dalla durissima grinta, era riuscito a imporre alla
sua compagnia, non mai molto numerosa, ma addestratissima, una
rigida disciplina, che la rendeva all’occorrenza un validissimo stru-
mento di guerra. Inoltre, poichè l'esigevano i tempi, egli, probabil-
mente dotato più d'istinto che di cultura, s'impratichi dei maneggi
politici, dei quali per mantenersi a galla occorreva avere gran pratica
non inferiore a quella delle arti di guerra. Oramai egli non solo cono-
sceva quasi tutti i capi di compagnie, ma aveva già servito la Chiesa
e molte signorie dell’Italia centrale. Sin dal 1384 Bartolomeo da
Pietramala in una lettera del 21 gennaio alla Signoria di Siena, che
gli aveva dato incarico di insistere presso Boldrino perchè andasse
al suo servizio, assicurava che l’interpellato avrebbe acconsentito,
ma scongiurava che i Signori di Siena mandassero presto un procu-
ratore a stipulare i patti perchè già Perugia aveva mandato amba-
sciatori allo stesso scopo e d’altra parte « Boldrino — aggiungeva
— è homo che sta pocho fermo e ha degli aviamenti asai a le
mani » (5°).

Nell’intrico di conflitti, alleanze, contralleanze, congiure, tu-
multi, tradimenti di cui pullula la storia di questo scorcio di secolo
con una mobilità e un ritmo da capogiro, Boldrino oramai si muove
a suo agio e si appiglia ad ogni occasione per conseguire il fine di
personale interesse tendente a crearsi una solida base di potere,
approdo ultimo di pace della sua travagliata esistenza di condottiero.

Nel marzo (6°) 1386 Firenze per tramite di Bartolomeo da Pie-
tramala, che era suo amico, faceva pressione su Boldrino per averlo
al suo servizio purchè fosse libero da impegni con Gentile Varano.
Poichè Gubbio per sottrarsi alle logoranti alternative di tumulti ed
eccidi causati da lotte di fazioni, aveva finito per darsi a un signore
di fuori, ad Antonio conte di Montefeltro, Firenze per vari motivi
e con speciosi pretesti si scagliò contro il Montefeltro e si accinse
ad aizzargli contro capitani di ventura e signorie limitrofe al suo
stato. Fra gli altri entrò nel gioco Boldrino, che non sappiamo tut-
tavia dove e come sia stato impiegato in questo conflitto che si esaurì
abbastanza presto; sappiamo soltanto che l'8 giugno di quell’anno
egli era stato soddisfatto di ogni suo avere (9).

Con riformanza del 19 aprile 1386 dal Consiglio dei Priori e
Camerari delle Arti di Perugia fu trasformato in un regolare atto
amministrativo quello che era stata una promessa verbale ; deliberò

————
BOLDRINO DA PANICALE 61

infatti di assegnare a Boldrino vita natural durante una provvi-
sione annua di 500 fiorini da pagarsi in due rate, al 1° marzo e al
I° settembre, e ciò per i buoni meriti e servigi ricevuti e da ricevere
da lui (°°).

Nell’estate, avuto sentore di una certa favorevole situazione crea-
tasi a San Severino da cui avrebbe potuto trarre vantaggio vi si
trasferì ; e da allora la sua attività si svolse quasi esclusivamente
nelle Marche. Il signore di quel luogo, dotato di una forte rocca,
Bartolomeo della famiglia Smeducci, valoroso capitano, si era allon-
tanato perchè assunto come capitano generale della lega stipulata
da Firenze, Bologna, Pisa, Lucca, Siena e Perugia contro le masnade
straniere. Suo nipote Onofrio credette di approfittare dell'occasione
propizia ad impadronirsi di San Severino e si appoggiò a Boldrino,
il quale si insediò nella rocca da padrone, rimpinguò le sue finanze
ai danni dei sanseverinati e per tutto quell’inverno vi acquartierò
comodamente la compagnia. Non mancò di compiere scorrerie e sac-
cheggi qua e là. Il 15 ottobre cavalcò nell’agro di Fermo con 150 ca-
valli e razzió 200 buoi e 600 pecore (8) ; il 2 dicembre come capo delle
milizie della Chiesa nella Marca e della lega tra Fermo, Ancona, Reca-
nati percorse la strada litoranea fino ad Ascoli, donde ritornò con ab-
bondante preda e il 20 dello stesso mese trascorse di nuovo per le
campagne di Fermo, ma senza poter far danno perchè i Fermani chia-
marono subito Crasso da Imola e Nello da Camerino, che tuttavia
arrecarono alla città e alle sue campagne quei danni che erano stati
risparmiati da parte di Boldrino (€). Nel febbraio 1387 per sventare
il tentativo fatto da Andrea di Marco Zeni, signore di Montegranaro,
di impadronirsi di Civitanova, da lui occupata, i Fermani vi man-
darono Crasso da Imola e Nello da Camerino, che occuparono la città.
Nel marzo Bartolomeo Smeducci, scaduti i termini della sua condotta
in Toscana, tornò nelle Marche, mise insieme quanti più armati
potè, si appostò nei pressi di San Severino e quando Boldrino uscì
con la brigata, perchè avvertito di quanto accadeva, lo investì con
infrenabile decisione e, dopo accanito combattimento, lo mise in
fuga. Nello da Camerino, che aveva meditato di uccidere Crasso da
Imola al fine di conservare per se Civitanova, si accordò con Boldrino
per attuare il suo disegno. Il 2 agosto Crasso fu ucciso, ma il 27 dello
stesso mese Nello e Boldrino per motivi non chiari abbandonarono
Civitanova. Boldrino per tramite di Carlo Malatesta fu assoldato da
Gian Galeazzo Visconti, che con Francesco da Carrara, signore di
Padova, era in guerra con Antonio della Scala col compito d’impe-
62 GIOVANNI CECCHINI

dire insieme a Everardo Suyler, a Corrado Lando Vithinger, Luchino
da Canale, Giovannolo da Genova, Nello da Camerino e Milano da Asto
che Bernardo da Sala, ritirato coi suoi Brettoni nei pressi di Fabriano,
portasse aiuto ad Antonio della Scala. Ma anche di questa condotta
non si conoscono i movimenti e i fatti d'arme cui diede luogo (6°).
Boldrino venne chiamato dal Comune di Perugia, che correva ai
ripari di fronte all’improvvisa occupazione del castello di Cannara
avvenuta ai primi di settembre da parte dei fuorusciti accompa-
gnati dai mercenari di Bernardo da Sala e di Everardo Suyler. Il
perugino Consiglio dei Priori e dei Camerari il 12 novembre 1387
deliberò di condurre per quattro mesi «il valoroso ed egregio capi-
tano Boldrino nostro concittadino » con 150 lance, che poi salirono
a 200 con i patti e le condizioni che avrebbero fissato i Conservatori
della moneta (6). Nel febbraio 1388 per intese con Onofrio degli
Smeducci Boldrino potè prendere la rivincita su Bartolomeo, che
di sorpresa fu catturato con la famiglia e messo in segreta nella rocca
di San Severino. Bartolomeo riacquistò la libertà a caro prezzo con
la cessione a buon mercato di varie sue terre e castella. Germano
Margarucci nei suoi cenni biografici di alcuni uomini illustri settem-
pedani, redatti nella prima metà del secolo scorso, informa che il
26 aprile 1388 per rogito del notaio Tommaso di Stefano fu stipu-
lata in Matelica la pace tra i membri della famiglia Smeducci con
l'intervento di Guido di Alberghetto Chiavelli di Fabriano e Guido
signore di Matelica, Giacomo Cima, signore di Cingoli, il capitano
Boldrino da Panicale. Il successivo 29 per rogito del notaio Angelo
Guiduccio di Matelica Bartolomeo Smiducci vendette a Boldrino
per 10.000 ducati d’oro il castello di Ficano, oggi Poggio San Vicino,
comune prossimo ad Apiro in provincia di Macerata, che lo stesso
Bartolomeo riacquistò dopo la morte del condottiero (9?).
Boldrino, nonostante queste diversioni e queste imprese con-
dotte a titolo personale, era al servizio della Chiesa e in modo parti-
colare doveva prestare la sua opera secondo le istruzioni imparti-
tegli dal Rettore in temporalibus della Marca, il perugino cardinale
Andrea Bontempi, il cui compito di rimettere in soggezione alla
Chiesa le città marchigiane veniva assai blandamente adempiuto.
Un atto del 28 ottobre 1388 conservato nell'Archivio storico del
Comune di San Severino attesta che per conto di Andrea Bontempi
e con l'intervento dei Comuni di Ancona, Recanati, Macerata, Osimo.
dei signori di Jesi e di Fabriano, di Onofrio da San Severino, Guido
da Matelica, delle terre di Montesanto, S. Elpidio, San Ginesio, Mon-
BOLDRINO DA PANICALE 63

tegranaro, Morro, Civitanova, Monte Cosaro, Monte Filottrano e
Force venivano assoldati i capitani Boldrino da Panicale, Giante-
desco da Pietramala e Milano da Asto, i quali erano impegnati per
un anno dal decorso 15 settembre a mantenere 200 lance vive e 25
morte di tre cavalli per lancia «pro conservatione et defesa de li
stati popolari de li comuni sopradetti et etiandio de li Signori e
nobili sopranominati » ($9).

Ma da un altro atto conservato in originale nel medesimo archi-
vio apprendiamo che parallelamente — cioè in data 23 novembre
1388 — furono firmati i capitoli di una lega tra i magnifici signori
Guido (dei Chiavelli) da Fabriano, Boldrino da Panicale, Onofrio
e Roberto da San Severino, Gentile e Berardo (dei Varano) da Ca-
merino e messer Guido da Matelica per il mantenimento e l’accre-
scimento dei loro stati, a salvaguardia delle azioni dei nemici loro
e precisamente messer Gentile e suo figlio Rodolfo da Camerino,
messer Bartolomeo e Smeduccio suo figlio e Pero di Stefano con i
figlioli da San Severino con tutti i seguaci, sudditi e aderenti, e Gen-
carello di Manardino «e tutti li osciti de veruno de li sopradetti
signori». La durata della lega era fissata in cinque anni. L'atto è
munito dei sigilli dei contraenti; esso era stato stipulato col con-
senso del Vicario generale Andrea Bontempi, che è citato nel pream-
bolo. L’atto è importante nei riguardi di Boldrino, poichè egli, diver-
samente da quelli precedentemente stipulati, vi partecipa non come
capo di compagnia di armati, ma come signore di terre — e non
se ne era sinora rintracciata la prova documentaria — quelle stesse
che si era procacciato come primo piccolo nucleo dell’agognata
signoria, Castel Ficano e i castelli di Domo e delle Precicchie nel
territorio di Fabriano, acquistati a conclusione della fortunata im-
presa contro Bartolomeo Smeducci (9°).

Le città delle Marche, non tenute abbastanza a freno dal Vi-
cario generale cardinale Bontempi, si guardavano reciprocamente
con sospetto e ricorrevano spesso ad atti di guerra. Nel conflitto
che nel giugno 1389 poco dopo ch'era stata fatta la pace tra Fermo
e il cardinale, stipulata il 19 settembre 1388 (7°) scoppiò tra le città
confederate con la Chiesa da una parte, Gentile Varano da Camerino
e Fermo dall’altra, Boldrino con 40 cavalli scorse il territorio ferma-
no, razziò bestiame e fece prigionieri. Secondo la narrazione del
cronista fermano Antonio di Nicolò, Boldrino « per tres dies post,
cuilibet ipsorum [captivorum] incisit auriculam, et misit dictas
auriculas sic incisas Communi Firmi, et dicebat: quod si subito
64 GIOVANNI CECCHINI

non mittebantur talee ipsorum, quod ipsos interficeret ; et verum
fecisset, cum erat spiritu diabolico instigatus ; nisi, Deo providen-
te, cecidisset de quodam suo equo taliter vulneratus, quod spera-
batur de morte; et precibus cuiusdam sui confessoris, presbiteri
et boni viri liberavit omnes captivos predictos » (?). Gravi furono
le conseguenze della caduta da cavallo, come c'informa nella sua
rigorosa e tacitiana cronaca fermana il canonico Francesco Adami;
Boldrino per consiglio dei medici si recó ai bagni, donde tornó il
18 ottobre 1389 col fianco sinistro indebolito e il 20 una banda di
suoi mercenari fece una nuova scorreria nel territorio di Fermo
portandone 200 pecore e 10 prigionieri (??).

Nel frattempo era morto papa Urbano vi? e il successore Boni-
facio rx? dei Tomacelli, napoletano, s'impegnava subito nelle vi-
cende del Regno di Napoli e metteva in programma il riassoggetta-
mento alla Chiesa delle terre dell’Umbria, delle Marche, della Ho-
magna. Col 1390 gli eventi incalzano e Boldrino, instancabile, ordisce
una ancor più fitta trama di intese, di alleanze, di patti, di cui tra-
pelerà palesemente la doppiezza, sicchè la sua stessa tattica finirà
per perderlo. Il mutevole rapporto di posizione tra il Vicario ponti-
ficio, le città maggiori e Boldrino è assai complesso nel 1390, in cui
cade la congiuntura tra il governo di Urbano vi? e quello di Boni-
facio rx?. Nei primi dell’anno Boldrino, che figurava sempre al
servizio della Chiesa come capitano generale delle milizie pontificie
nella Marca, aveva fatto ripetute cavalcate nel territorio di Ancona.
Si apprende dalla autorevole fonte della preziosa cronaca di Camillo
Albertini redatta esclusivamente sugli atti ufficiali del Comune di
Ancona (?), che il 24 aprile di quell’anno fu stipulata la pace, per
tramite del vescovo di Camerino (75), tra il Comune di Ancona, rap-
presentato da Biagio di Giovanni Baccimei, e il Vicario generale
Andrea Bontempi e Boldrino. Andrea Bontempi volle che il Comune
di Ancona contribuisse al pagamento degli stipendiari della Chiesa
e si prodigó affinché le città ele terre della Marca aderissero alla lega
bandita dal papa, una volta conchiusa questa pace (**). Fra i numerosi
impegni che Boldrino veniva assumendo nelle Marche s'interpose una
breve fase perugina. Il 29 maggio di quell'anno Michelozzo Michelotti,
che s'era impadronito del castello di Agello, venutogli a mancare
il soccorso dei fiorentini, che gli avevan sempre tenuto mano, si
vide costretto a capitolare. Narra il Pellini: «li Magistrati furono
necessitati per le capitolazioni fatte, et per rihavere il castello, di
Sborsare a Boldrino da Panicale trecento fiorini d'oro, per dodici
BOLDRINO DA PANICALE 65

prigionieri ch'egli il di innanzi l'accordo havea fatti di quei di dentro,
che si havevano fatta la taglia delli trecento fiorini, i quali furono
pagati di ordine de' Priori et de' Dieci al Boldrino e a Contucciolo de
Ramazzano, et perché si concludesse l'accordo fu forza di riman-
dare i prigionieri ad Agello, et ivi fare lo sborso delli trecento fio-
rini » (79).

Poco dopo, il 16 luglio, Andrea Bontempi mori e fu sepolto nella
chiesa del vescovato che era residenza abituale del Vicario generale.

La morte del Bontempi fu probabilmente un male per Bol-
drino, verso il quale egli in parte per debolezza di carattere, in parte
forse perché suo conterraneo mostró larga tolleranza. Il Bontempi,
già vescovo di Perugia, da papa Urbano v? eletto cardinale il 18
settembre 1378, aveva coperto l’officio di Vicario generale della
Marca in temporalibus dal 1381. Alla sua morte rappresentó tempo-
raneamente l'autorità della Chiesa come governatore della Marca,
il vescovo di Fermo (7°).

Da questo punto, anzi dai primi mesi del 1390 all'epilogo del
mortale conflitto tra il potere politico pontificio e Boldrino é possi-
bile seguire passo passo lo svolgersi delle vicende che portarono a
quella tragica conclusione, di cui si intuivano sino ad ora, ma non
si conoscevano con esattezza i moventi e le cause. E ciò in virtù
di una sequenza di atti pubblici contenuti nei registri di verbali
delle riunioni del Consiglio generale e speciale del Comune di An-
cona, a dir vero redatti da un cancelliere abile e preciso (79), atti
che sinora non erano stati utilizzati a questo fine da alcuno storico
o biografo di Boldrino. Ancona in quel complesso gioco di contra-
stanti interessi e di sottili, sotterranei conflitti che si svolse in quel
torno di tempo per la politica di reintegrazione dei poteri della
Chiesa nelle Marche attuata da Bonifacio ix, fu uno dei poli mag-
giori.

Come s'é già accennato, ai primi del 1390 Boldrino al servizio
del vicario generale Andrea Bontempi teneva un atteggiamento
ostile verso il comune di Ancona, recandogli molestie ad ogni occa-
sione. Il castello di Massignano infatti situato a circa sette miglia
dalla città per istigazione di Boldrino si ribelló per darsi al condot-
tiero, ma senza riuscirvi. Ai primi di febbraio gli Anziani del comune.
di Ancona avevano ricevuto una lettera nella quale il cardinale
perugino li invitava a mandare ambasciatori a Macerata (79), dove
già si trovavano quelli di Fermo, di Ascoli e di altre località e Gen-
tile da Camerino per dare ordine e pace alla provincia. In questa

$
66 GIOVANNI CECCHINI

riunione maceratese si dovette determinare, almeno formalmente,
una coalizione di malumori contro Boldrino se i cittadini ancone-
tani Pucciarello Ghebizzi e Francesco di Nicola di ritorno dalla
missione presso il cardinale perugino « pro facto guerre quam Bul-
drinus facit contra istud comune » riferivano in Consiglio, il 7 feb-
braio : «se praticasse et rationasse ad minutum » fra tutti i parte-
cipanti alla riunione di Macerata «super destructione Buldrini et
unanimiter omnes quod sunt parati capere imprensam, dummodo
imprensa pro pace provincie sit generalis tam contra Buldrinum
quam contra Brollium Brandolinum et Fantodiscum » (8°). Ma il
I° marzo nel Consiglio degli Anziani Antonio de Pando napoletano,
tesoriere della Marca anconetana e già ambasciatore al papa del
cardinale perugino venne da parte dello stesso cardinale ad esor-
tare il comune di Ancona ad ottemperare alle bolle emesse « super
ista discordia Buldrini » allo scopo di ristabilire la pace in detta
provincia (3). Inoltre per bocca di Biagio di Gianni cittadino anco-
netano, reduce da un’ambasceria al papa, che ne riferì in Consiglio
il 5 aprile, si apprende il proposito di Bonifacio rx? di allontanare
Boldrino dalla provincia e di stringere una lega di tutti i comuni
e la Santa Sede (8). Nel verbale della seduta consiliare del 24 aprile
è ricordato l’atto di pace stipulato nel palazzo episcopale di Ancona,
auspice Benedetto vescovo di Camerino, referendario del papa e
nunzio apostolico, tra il Comune di Ancona da una parte e il cardi-
nale perugino e Boldrino dall’altra, sotto la pena di 10.000 ducati,
se infranta (8°). Due giorni dopo Benedetto vescovo di Camerino e
i procuratori di Gentile da Camerino e del comune di Ancona fecero
«ligam, societatem et confederationem deo favente duraturam per
tempus trium annorum...ad defensionem et conservationem hono-
ris et nominis et statuum dicti domini nostri pape et fidelium suorum,
et predictarum partium contrahentium » (85). Successivamente i pro-
curatori anconetani don Pellegrino arcidiacono e Francesco Torri-
glioni inviati a stipulare la pace col cardinale perugino, Boldrino e
Milano da Asto riferirono della missione compiuta nel Consiglio
del 30 maggio (85), il quale Consiglio degli Anziani e Regolatori deli-
beró seduta stante quanto richiesto dalla controparte.

Nonostante le intese e i patti stipulati la situazione nelle Marche
permaneva fluida e irrequieta, per quanto si ripetessero tentativi in
tutti i sensi da parte dei protagonisti della vicenda per trovare una
condizione di equilibrio che realizzasse il massimo dei vantaggi per
ciascuno di essi. Ovviamente sia Boldrino che Milano palesarono



E
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BOLDRINO DA PANICALE 67

presto la propria irrequietezza e la propria insoddisfazione ; perciò
il papa nell’incontro ch’ebbe luogo a Roma, probabilmente nel mese
di agosto, tentò di venire ad un accordo coi due capitani, ma senza
successo. Se ne ha sufficientemente dettagliata notizia nel verbale
della riunione consiliare del 23 agosto (89). Il 28 successivo Antonio
di Mucciolo di Marsilio riferì in Consiglio sull’esito della sua mis-
sione presso la corte pontificia e disse che il papa non aveva potuto
concedere «res inhonestas et illicitas » che Boldrino aveva chiesto,
«videlicet [vult] unam terram in Marchia pro se et suis heredibus
in perpetuum, et v ducatos in die pro toto tempore quo fuit vexil-
lifer Ecclesie, et quod pro dicta quantitate quam dicit se debere
recipere pro dicta sua provisione, volebat a dicto domino nostro
unam aliam terram provincie in tenutam, donec habeat dictam quan-
titatem; et vult esse conductus ad servitia Ecclesie in provincia cum
ducentis lanceis et non teneri ad exeundum provincia cum dicta bri-
gata et quod in stipendio dicte gentis non solvant Sanctumsevere-
num, Fabrianum nec Matelicam, qui sunt eius recommendati, et
vult posse currere contra omnes provinciales, qui forent in mora
solvendi taleam et vult sibi solvi de mense in mense ». Milano asse-
riva di dover ricevere dalla Chiesa 5.000 ducati ; il papa glie ne offriva
600 per parte della nuova condotta, che Milano rifiutó. « Set statim
ipse et Buldrinus recesserunt turbati dicentes quod non acquisive-
runt tot terras in provincia pro Ecclesia, quas in breviori tempore
quam acquisiverint, non ipsas perdi pro dicta Ecclesia, postquam
sicut tractantur». Ma il papa «pro reducendo dictum Buldrinum
ne fidelibus provincie faceret novitatem » gli mandó ambasciatori, i
quali « habuerunt certam praticam et capitularunt aliqua super hiis
quae dictus Buldrinus petiit ». Il governatore della Marca raccoman-
dava al comune di Ancona la segretezza della cosa e desiderava
conoscere l'intenzione del comune anconetano «ut possit super ipsa
materia salubribus remediis providere » (8°). Il giorno seguente Cecco
di Popolo informò il Consiglio sull’esito della sua missione presso
Boldrino e Milano da Asto.

Boldrino aveva fatto le seguenti dichiarazioni : circa l’interpo-
sizione del comune di Ancona per la pace col papa non ve n'era
necessità perché egli era in concordia con lui ; circa l'osservanza delle
promesse da lui fatte al tempo della pace conclusa si maravigliava
«quod non erat nec est opus talia petere, nec suspicare in aliquo
de eo, nec sua brigata » intendendo egli esser fedele servitore di detto
comune. E aggiunse : « Sed si dictum comune habet aliquam suspi-

III

—ormIg[I |.“ =
ner sata s i >
68 GIOVANNI CECCHINI

cionem de eo, licet non expediat subspicari, dictum comune det
sibi aliqualem provisionem, et tolletur materia et causa suspitioni ».
Milano da Asto dal canto suo era in procinto di lasciare con la sua
comitiva la provincia per mettersi al servizio dei fiorentini (55).
Nello stesso giorno il Consiglio deliberó d'inviare Ciriaco di Polo
Salvatici ambasciatore al governatore «ad faciendum sibi respon-
sum pro parte huius comunis super dictis relatis per dictum Antho-
nium » (8°). Il 31 agosto Ciriaco di ritorno assicurò il Consiglio della
soddisfazione del governatore per la risposta avuta dal comune di
Ancona, precisando ancor di più le richieste «illecite e disoneste »
avanzate da Boldrino (9°).

Nella tornata del 13 settembre Cecco di Popolo e Fucciarello
di Nicolò riferirono al Consiglio che, ritornando da Tolentino, dove
s'erano recati per la festa di S. Nicolò, s'incontrarono in Appignano
con Boldrino, che li accolse molto affabilmente dichiarando « quod
erat et intendit esse filius et servitor huius comunis, dicendo quod
non erunt xv dies ab hodie quod comune Anchone videbit et pal-
pabit quod ipse est melior amicus quam habeat dictum comune,
et hoc multotiens replicavit, offerendo se ad servitia et beneplacita
dicti comunis ». Cecco aggiunse che il giorno seguente ebbe da solo
un colloquio con Boldrino, al quale obiettò che sarebbe stato difficile
corrispondergli una provvigione e una condotta. Al che Boldrino
replicò che egli non voleva ottenere una condotta dal comune di
Ancona, ma che se lo stesso comune era disposto a corrispondergli
una provvigione di cento ducati mensili «ipse volebat defendere
ipsum comune a papa et cardinalibus et a qualibet alia persona quae
contra ipsum comune faceret novitatem » (9).

Dal 18 settembre al 3 ottobre a piü riprese si dibatté in Con-
siglio (?) la questione se accogliere la proposta piuttosto subdola e
compromettente avanzata da Boldrino e deliberare di corrispon-
dergli la provvigione richiesta. I pareri dei consiglieri si palesarono
divisi: una parte di essi riteneva che fosse conveniente « dare dicto
Buldrino cauto et secreto modo aliqualem provisionem consideratis
conditionibus patrie»; un'altra parte, di minore consistenza nume-
rica, opinava che si dovesse «super dicta materia supersedere et
non procedere magis ante set ponere silentium » (9). Tuttavia dopo
nuovi colloqui con Boldrino avuti dai soliti ambasciatori, il Consiglio
sì venne progressivamente orientando verso l’accoglimento delle
proposte del condottiero, un po’ per l’incertezza della situazione,
un po’ per timore di sue eventuali rappresaglie, sinchè nell'adunanza

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BOLDRINO DA PANICALE 69

del 3 ottobre il Consiglio stesso sanzionò i patti stipulati con Bol-
drino dagli ambasciatori Francesco Torriglioni e Cecco di Popolo.
Nei patti era previsto che se Boldrino venisse condotto al servizio
della Chiesa «se sconti et compensi de la summa overo taglia che
toccasse ad pagare al dicto comuno per la dicta conducta » ; che il
comune corrisponderà al condottiero «con bona et pura fede como
padre ad figliolo » 1000 ducati «de bono et puro oro» alla fine di
ogni anno per sei anni ; che Boldrino rilascerà salvacondotto ad ogni
cittadino, suddito, distrettuale e raccomandato del comune per
andare in un luogo nemico di Boldrino ; che non si debba derogare
dalla pace fatta il 28 maggio prossimo passato fra detto comune e
Boldrino. Era inoltre precisato che facevan parte della brigata di
Boldrino i caporali Francia, Mazzone, Mostarda, Foscarello, Marino
da Santa Vittoria, Luca da Canale, Angelino da Casacastalda e
Neschino tedesco. Il 13 ottobre « Contius de Arnise et Nicolaus Con-
versanus theotonici » ricevettero da Paolo di maestro Giacomo, depo-
sitario del comune di Ancona, 100 ducati d’oro richiesti in mutuo
da Boldrino e restituibili fra due mesi (**).

Intanto Boldrino con sempre più frenetica irrequietezza veniva
ordendo ognor più fitte trame di rapporti e di accordi, da cui finirà
per essere schiacciato. Infatti dai consueti verbali di adunanze del
Consiglio del comune di Ancona se ne ha l’irrefragabile prova. Nel-
l’adunanza di Consiglio del 22 ottobre Francesco di Giovannino da
Fabriano, familiare e ambasciatore di Boldrino, riferì «quod hiis
diebus dictus Buldrinus fuit ad loquendum cum domino Thesau-
rario ad muros Recine et voluit ipsum Buldrinum conducere ad
servitia Ecclesie Romane cum illa brigata quam ipse Buldrinus
volebat et quod dictus dominus Thesaurarius habet malam inten-
tionem contra comune Anchone, cuius rei causa ipse Buldrinus
voluit se conducere ad servitia Ecclesie pro non essendo in aliquo
contra istud comune ; item quod Firmani et Esculani ac domini et
nobiles provincie requisiverunt ipsum velle conducere cum cxxv
lanceis ad defensionem statuum ipsorum. Propterea rogavit et rogat
istud comune quod velit esse ad hec una cum dictis Fermanis et
Esculanis et aliis volentibus ad hec esse ne pastores dicte Ecclesie
possint dictos presentes status liberos modo aliquo perturbare ».
Aggiungeva l'ambasciatore che insieme a Boldrino si trovava il
podestà di Fermo, Pietro da Montevecchio, il quale attendeva di
conoscere le intenzioni del comune anconetano (?*). Il Consiglio nel
trattare la proposta trasmessa da Boldrino per tramite dell'amba-
70 GIOVANNI CECCHINI

sciatore finì con l’approvare con 69 voti favorevoli e 12 contrari
un’ambigua mozione formulata da Francesco Torriglioni, e cioè « quod
per istud comune nunquam stetit neque remansit facere Ecclesie
quod debetur, nec remanebit in futurum et esse ad omnia quae
aspiciant statum, pacem et conservationem presentium statuum ad
honorem dicte Ecclesie et immo faciat Buldrinus quod ad predicta
sint alii provinciales, quia istud comune ad predicta semper erit
dispositum et paratum » (99).

Il 6 novembre ricomparve in Consiglio Francesco di Giovannino,
ambasciatore di Boldrino, a chiedere con premura piuttosto ulti-
mativa se il Comune di Ancona voleva o no unirsi ai Fermani, agli
Ascolani, ai signori di Fabriano, Matelica, Sanseverino, Jesi e ad altri
nobili della provincia che intendevano ingaggiarlo con 120 lance a
difesa del presente loro stato (?°). Gli fu risposto che il Comune di
Ancona era pronto a tutto ciò che verrà deciso dai Fermani e dagli
Ascolani ; e venne eletto seduta stante Leonardo di Marcellino anco-
netano procuratore alla stipula della lega (?8). Costui, rientrato in
sede da Macerata, riferì in Consiglio del 26 novembre di avere appreso
dal governatore che era imminente l'arrivo del nuovo rettore (9),
che Boldrino era stato condotto al servizio della Chiesa con 80 lance
e col precetto di trasferirsi con la sua brigata nel territorio del Pa-
trimonio non appena fosse giunto nella Marca il nuovo rettore (199),
Frattanto si veniva delineando con maggiore accentuazione la ma-
novra politica della Curia. papale con l’esplorativa e monitoria amba-
sceria di Bosone Raffaelli da Gubbio, detto l’Ungaro, al comune
di Ancona. Bosone infatti come ambasciatore del papa si presentò
dinanzi agli Anziani di Ancona il 28 novembre 1390. Comunicata
ai presenti la benedizione apostolica di cui era latore, chiese che
«si quis error esset vel fuisset inter quoscumque de provincia et
Buldrinum » la comunità di Ancona « velit interponere partes suas
pro concordia et esse promissor et stangha pro utraque parte si
opus fuerit ». A questo quesito fu risposto che da parte di quel comune
non v'era dubbio «de potentia pro statu Ecclesie et dicti domini pape
et pro pace et quiete provincie », ma che per impegni da assumere occor-
reva la decisione del Consiglio. Bosone riferi poi che «ad notitiam san-
titatis » risultava che «alique communitates provincie processerant ad
certam confederationem contra statum Sancte Romane Ecclesie ».
Pertanto il papa ammoniva quel comune, nel caso che vi fosse immi-
Schiato, a distogliersene. Bosone volle aggiungere ch'egli da poi che
era giunto nella provincia, aveva constatato con sicurezza che ció

n

TETUR URÜEBDHAGERDUENSUGCAUESZTISUSNTUIT:
BOLDRINO DA PANICALE 71

non era vero e che il papa era stato male informato. Gli fu risposto
dagli Anziani negando l’esistenza di tale confederazione «cum evi-
dentissimis et clarissimis rationibus ». Da ultimo Bosone partecipò
l’arrivo del nuovo rettore della provincia nella persona di un fra-
tello del papa, il quale in ogni occorrenza avrebbe tenuto conto del
consiglio di quella comunità. Gli Anziani ringraziarono per l’affe-
zione mostrata dal papa per la loro comunità (1?!).

Nonostante le ampie e fervide dichiarazioni di esultanza e di
devozione e gli atti di omaggio (1°) da parte delle comunità della
Marca, l’arrivo del nuovo rettore Andrea Tomacelli, insignito del
titolo di marchese della Marca, suscitò subito malumori e contra-
sti (1°). Gli ambasciatori anconetani, che frattanto erano stati in-
viati al governatore, ch’era il vescovo di Camerino, e a Boldrino
riferirono in Consiglio il 22 dicembre sull’esito della missione com-
piuta. Il governatore aveva con molta chiarezza precisato che il papa
aveva studiato il modo per estromettere Boldrino e la sua brigata
dalla Marca, per cui appena egli avesse percepito i 4000 ducati che
gli competevano entro tre giorni sarebbe dovuto uscire dalla pro-
vincia «et ire in Patrimonium ad servitia dicti domini nostri et stare
sex mensibus ad defensam fidelium Ecclesie et ad resistentiam
Brictonum inimicorum dicti domini nostri». Pregava pertanto il
comune di Ancona di mutuare 800 o 600 ducati da dare a Boldrino
e da conteggiare nella taglia da pagare. Boldrino invece dichiarò
che non intendeva andar via dalla Marca e che voleva i denari della
sua paga dai provinciali « quia conductus est » (19).

Gli atti consiliari di Ancona tacciono su questo argomento sino
al 14 febbraio 1391, quando i due ambasciatori, Leonardo di Marcel-
lino e Francesco Torriglioni, inviati ad Andrea Tomacelli, marchese
della Marca anconitana «ad visitandum eius dominationem et con-
gaudendum de suo adventu et ad supplicandum sue excellentie
quod dignetur providere huic provincie dare pacem et etiam quod
dignetur providere ad liberationem illorum civium anconitarorum
detemptorum in Sancto Severeno indebite et iniuste » riferirono sul-
l'esito dell'ambasceria. Il marchese li aveva accolti molto cordial-
mente ed aveva dichiarato che il papa lo aveva destinato a governa-
tore di quella provincia per governarla in giustizia e pace e per
mantenere le città e le terre viventi in pace«et bene in popularem
statum ». Aggiunse che il vescovo di Recanati e il tesoriere della
Marca pregavano quel comune di riscattare l'argenteria che fu già
del cardinale perugino e che era in pegno in Ancona; dispose che
72 GIOVANNI CECCHINI

fosse risolto il caso degli anconitani trattenuti a Sanseverino ; invitò
il comune di Ancona a deputare due o quattro o sei suoi cittadini
a stare con lui per consigliarlo sul da farsi, promettendo in fine di
recarsi in visita in Ancona. Gli ambasciatori avevano anche confe-
rito con Boldrino, che si trovava evidentemente presso il marchese
e che affermò « quod intendit esse fidelis servitor et filius comunis
Anchone et quod ante kalendas maij proximi venturi dictum comune
prependet per experientiam quod ipse Buldrinus est maior amicus et
fidelis quam dictum comune habeat in mundo » (19). Sotto la stessa
data il Consiglio generale elesse Ciuccio di Giovanni e Paterniano
di Tommaso, quali ambasciatori, e ser Antonio di Gianni, quale
commissario, per recarsi a Macerata allo scopo di partecipare al par-
lamento delle città della Marca indetto in quella città per il 25 feb-
braio (‘°). Detti ambasciatori di ritorno dal parlamento riferirono
nel Consiglio del 2 marzo : che in un colloquio avuto col marchese
prima dell’assemblea erano state scambiate reciproche attestazioni
di ossequio e di amicizia; che sulla questione del vicariato di Jesi
e di Serra S. Quirico verrebbe fatto in modo che quanto si diceva
che il papa avrebbe fatto non sarà o verrà revocato ; che per quei
cittadini anconitani detenuti a Sanseverino sarà disposto che ven-
gano a Macerata « sine fallo »; che il parlamento iniziato il 26 feb-
braio aveva unanimemente accolto la proposta del marchese di
imporre una taglia alle comunità della provincia per le spese occor-
renti per il pacifico governo di essa ; che infine il marchese pregava
il comune di Ancona di mandare un suo cittadino a stare al suo
fianco come consultore (197),

Nell'adunanza del Consiglio del 14 marzo si discussero gli argo-
menti contenuti nelle lettere dirette dal rettore al comune, con le
quali era data notizia dell'uccisione di Boldrino e veniva richiesto
urgentemente l'invio di cento «famuli» (19? Non è possibile pre-
cisare la data esatta della morte del condottiero — probabilmente
avvenuta il 10 o l’11 marzo — data tuttavia che anticipa di circa
tre mesi quella assunta sinora dai biografi, compresi l'Orsini e il
Fabretti. Sull'argomento interloqui in Consiglio Ciriaco di Polo
Salvatici proponendo innanzi tutto che si inviasse un ambasciatore
al marchese «ad congaudendum cum eo in forma debita de gratia
nobis illata a domino deo nostro, et ad commendandum eius pru-
dentiam et virtutes monstratas per experientiam in conculcatione
dicti Buldrini ». In quanto alla richiesta dei cento fanti l'ambascia-
tore facesse presente che a causa dei 400 uomini perduti dal comune
BOLDRINO DA PANICALE 73

di Ancona tra cittadini, sudditi e stipendiari nel conflitto infertogli
nel maggio scorso dal cardinale perugino «homines de Ancona et
eius comitatu sunt in tantum territi quod esset impossibile posse
aliquem extrahere ». L'ambasciatore cercasse sapere perché e per quale
scopo avesse chiesto questi uomini e non li negasse e non li promet-
tesse. Il Consiglio approvò questa proposta con 95 voti contro 4
ed elesse Benuto di Fucciarello e Ciriaco di Polo Salvatici a questa
missione (19). Il 19 marzo il Consiglio, dopo la lettura della lettera
con la quale Giovanni Aretino, figlio di Boldrino, e i suoi compagni
informarono il comune di Ancona della. morte del condottiero, deli-
berò di mandare a lui Michele di Pace per condolersi « de casu sinistro
occurso » e per notificargli che il comune era servitore della Chiesa

«set quicquid sit contra ipsos non vult agere » (119). Michele di Pace :

il 22 marzo riferì che il figlio di Boldrino e i caporali della brigata
«sunt dispositi ad posse facere vindictam de morte Buldrini » (11!) e
pregavano il comune di Ancona di far finta di non vederli se pas-
sassero sul suo territorio.

sulle vicende successive secondo i cronisti, i biografi e gli storici
si hanno due versioni, sensibilmente diverse l'una dall'altra ; sulla
autenticità dell'una o dell'altra doveva essere sin da allora qualche
dubbio se il Pellini ("?) non si perita ad accogliere un'altra versione
desunta da un autore in esemplare manoscritto non meglio precisato.
Secondo una versione, raccolta del resto dal Fabretti, la compagnia
boldrinesca, mossa da Castel Ficano, avrebbe ucciso tutti i Macera-
tesi incontrati per via; giunta alle mura della città avrebbe recla-
mato a gran voce la consegna e del cadavere di Boldrino e della
persona del Marchese, pena un eccidio di Maceratesi. La compagnia
avrebbe avuto in restituzione la salma di Boldrino accomodata su
un ricco cataletto, preceduto e seguito da una numerosa schiera
di gentiluomini e di gentildonne tutti vestiti a lutto e col cero in
mano. La compagnia, presa in consegna la cara reliquia, ma non il
Marchese che non potè avere, compiute le più atroci vendette, avrebbe
proseguito la sua usuale attività senza eleggere un successore a Bol-
drino, ma traendo ispirazione pel da farsi dall’arca contenente il
corpo imbalsamato del capo come da un oracolo. Poi, dopo un pe-
riodo di tre anni, coi suoi 400 uomini s’incorporò nella compagnia
di S. Giorgio.

Secondo l’altra versione Giovanni Aretino e i boldrineschi,
salvo atti spiccioli di vendetta per immediato sfogo dell'animo (118),
non riuscirono ad entrare in Macerata, che si era messa sulla difen-
74 GIOVANNI CECCHINI

siva, e tanto meno poterono farsi consegnare il cadavere di Boldrino
e il Marchese. Convinti di non potersi vendicare sul Tomacelli, persi-
Stettero tuttavia nel volere la restituzione dei resti mortali del loro
capo. Ma soltanto due anni dopo col concorso delle milizie di Azzo
da Castello e di Biordo Michelotti, capitani della compagnia di San
Giorgio, riuscirono nell’intento. Si accamparono ai primi di giugno
1393 non lungi da Macerata, ch'era guardata dal conte di Carrara
figlio naturale di Francesco. Ma i provvidenziali ambasciatori fio-
rentini s'intromisero per evitare lo scontro e negoziare un accordo,
che fu raggiunto ; il figlio di Boldrino ebbe i resti del padre e mille
fiorini (^*^). Ad una serena, obiettiva valutazione delle circostanze
e dei più sicuri riferimenti rivelati dagli atti del Consiglio anconi-
tano risulta verisimile la seconda versione, che può apparire tanto
più valida se si pensa che proprio il legittimo fine di riscattare la
salma di Boldrino ebbe il potere di mantenere unita e compatta in
buona parte la compagnia, i cui superstiti dopo la morte del capo
Stettero uniti e finirono poi, stando all'Anonimo fiorentino, in quella
del Michelotti, che in certo senso raccolse l’eredità e la tradizione
militare di Boldrino, e ne fece vendetta catturando Andrea Tomacelli,
liberato poi dal papa suo fratello mercè pingue riscatto (310);

Sia la Cronaca di ser Guerriero da Gubbio (25), sia il Pellini (12?)
accennano ad un effetto negativo per il marchese della Marca Andrea
Tomacelli dell’atto da lui compiuto dell’uccisione del condottiero.
Dalla successione degli atti del Consiglio anconitano apprendiamo
che con una certa frequenza proseguirono i contatti fra il comune
di Ancona e la brigata di Boldrino dopo la sua morte, tanto da susci-
tare le ire del rettore della Marca, Andrea Tomacelli, che fece le sue
rimostranze agli Anziani anconitani contestando loro che popola-
zioni del territorio di Ancona e in particolare di Polverigi avevano
dato soccorso con ospitalità e vettovaglie ai boldrineschi, suoi mor-
tali nemici (15). Non solo, ma la brigata dei boldrineschi riuscì ad
inserirsi nel moto di reazione che si produsse nei mesi dell’estate
di quell’anno fra alcune città e alcuni signori della Marca contro il
rettore, dopo aver sollecitato gli anconitani a dare ad essa una prov-
vigione allineandosi ai fermani e agli ascolani affinché «velint se
intendere cum eis [buldrinensibus] ad confusionem et destructionem
domini marchionis et conservationem eorum libertatis » (119).

Fatta concordia nel maggio col figlio di Boldrino (29) il comune
di Ancona, il 23 agosto, strinse un patto di unione con i comuni di
Ascoli e di Fermo, con Gentile da Camerino e Rodolfo suo figlio,
IE

BOLDRINO DA PANICALE 75

Guidone Chiavelli e Chiavello suo figlio, Onofrio da Sanseverino e
Roberto suo fratello e Antonio suo figlio, Sciarra, Raniero e nipoti
Simonetti di Jesi, Guidone e fratelli di Matelica, Benutiene Cima di
Cingoli e Giovanni Aretino di Boldrino (1). Quel giorno stesso il
Consiglio ascoltò ser Nicolò da Imola della Camera Apostolica, in-
viato dal papa ad esprimere la meraviglia di questo perchè le genti
del figlio di Boldrino, nemico di Sua Santità e della Chiesa Romana,
avevan ricetto in Ancona e nei suoi contado e distretto. Esortava il
comune di Ancona a trattare quelle genti quali nemiche e a dichia-
rare come voleva vivere con la Chiesa Romana. Boldrino era stato
ucciso « ad instantiam et requisitionem huius comunis et quantum
dictum comune habeat ius neque causam receptare suas olim gentes
iudicet prudentia ipsius comunis». Fu deliberato di rispondere a

. detto ambasciatore confermando con frasi generiche la devozione al

papa e ricordando le cose fatte dal comune al servizio della Chiesa
sin dal tempo del cardinale perugino, inoltre « quod gentibus olim
Buldrini, salva reverentia domini nostri predicti, nullus hic prebetur
receptus nec victualia, set fecimus cum eis certam concordiam, ne
nos offenderent postquam dominus marchio non providebat ad
nostram defensam » (1°?).

Tracce della presenza e dei movimenti dei boldrineschi tra An-
cona, Jesi e Fabriano si rinvengono nella lacunosa documentazione
originale tuttora esistente negli archivi di Macerata, Fabriano e
Ancona (128).

Il figlio di Boldrino, Giovanni Aretino, avuta alla meglio soddi-
sfazione nei confronti di Andrea Tomacelli mercé l'intervento riso-
lutivo di Biordo Michelotti, dopo vari tentativi di proseguire sulla
Strada del padre, del quale non possedeva le qualità, deve aver
rinunciato al mestiere delle armi e abbandonato le terre marchi-
giane, se alla fine del 1397 rivolgeva al comune di Perugia una peti-
zione «pro consequendo benefitium civilitatis olim concessum dicto
Boldrino eius patri» essendo egli già abitante nella città di Perugia
in Porta S. Susanna, parrocchia S. Antonino (1°).

Chiedo venia se l'esposizione della vita di Boldrino, cosi come
ho tentato di ricostruirla, accantonando gli elementi dubbi e i fron-
zoli di mera fantasia e di encomiastica assentazione, é proceduta a
76 GIOVANNI CECCHINI

balzelloni e a montagne russe ; a giustificazione di tale procedimento
adduco la esiguità e la saltuarietà delle notizie sicure salvo che nella
fase finale, la costante irrequietezza del soggetto, la fluidità delle
situazioni politiche fra mezzo le quali egli ha operato ; tutto un
complesso di condizioni che ostacolano, sino, a renderla impossibile,
la tessitura di una narrazione continua ed organica. Tuttavia nel-
l'insieme degli elementi raccolti un profilo, sia pure sfumato, del
condottiero si può ricavare, lungi però dal formulare un rigido e
definitivo giudizio critico. Non esiste dubbio sulle qualità militari
del condottiero panicalese secondo la prassi generalmente seguita ai
tempi suoi nell’esercizio dell’arte della guerra. Le sue spiccate virtù
di condottiero concorsero a forgiare una compagnia efficiente, salda,
duttile nelle sue mani di capo esperto e avventuroso. Circa la compo-
sizione numerica della sua compagnia sappiamo da varie condotte
assolte ch'essa non superó mai l'effettivo di 200 lance, cioò 600
uomini, a cui necessariamente doveva affiancarsi, secondo una pro-
porzione allora usuale, un numero di fanti e di ausiliari pari almeno
a 4 o 500 unità; quindi un migliaio di uomini in tutto all’incirca.
Non risulta ch'egli abbia adottato qualche particolare impiego o
espediente tattico, all'infuori di quelli che erano generalmente usati
dalle altre brigate di mercenari. I due maggiori maestri dell'arte
della guerra della seconda metà del Trecento, Alberico da Barbiano
e Giovanni Acuto, sono stati probabilmente i suoi modelli, come lo
sono stati per tutti gli altri capitani di ventura contemporanei. Per
azioni manovrate in campo aperto secondo una nuova piü aperta
concezione dell'arte della guerra, in cui l'abilità naturale e la capa-
cità inventiva dei comandanti costruivano secondo variate imposta-
zioni tattiche piani di battaglia, ai quali l'appropriato impiego di
milizie addestrate conferiva il valore di fatti risolutivi, bisognerà
attendere che si facciano luce i due rinnovatori della tecnica guer-
riera: Braccio da Montone e Muzio Attendolo. La compagnia di
Boldrino per virtù del capo aveva conquistato fama di terribile
compagine militare; tuttavia per entità numerica e per possibilità
di impiego essa rimase ognora sul piano delle medie compagnie, al
di sotto delle maggiori esistenti allora, come quelle del Barbiano,
dell'Acuto, di Jacopo Dal Verme, di Anichino Bongardo.

E certo nondimeno che alla milizia di Boldrino si possono attri-
buire due tendenze impressele dal capo. L'uno di questi caratteri
consiste nella formazione nazionale della sua compagnia, non pro-
prio al cento per cento, ma per una grande maggioranza, compati-
BOLDRINO DA PANICALE 77

bilmente con l’inevitabile fluttuare, secondo le circostanze e le neces-
sità, del reclutamento e della formazione dei quadri. Ne facevano
in prevalenza parte uomini provenienti dal popolo minuto di città,
da gente di campagna, cadetti di famiglie nobili, banditi politici,
rei di delitti di sangue o di reati contro la proprietà che si arruola-
vano per sfuggire alla giustizia. Altro carattere è rappresentato dalla
costante aspirazione a dare una base, un quartiere stabile alla com-
pagnia con la formazione della signoria o proprietà di una città, di
una terra anche piccola; condizione indispensabile, non tanto per
ambizione personale, quanto per sottrarre la brigata nei periodi di
inattività o di riposo alla penosa ed odiosa condizione di conculca-

trice della libertà altrui, di depredatrice delle altrui proprietà per

provvedere alle proprie necessità di vita quotidiana. Non è da cre-
dere che capi e gregari, pur razziando e depredando campagne,
borghi e città anche nei periodi in cui non erano impegnati in azione
bellica, non sentissero il disagio della loro condizione di raminghi,
costretti per vivere a esercitare quotidianamente prepotenze ai danni
di innocenti popolazioni. La lettera che Biordo Michelotti dirigeva
il 4 ottobre 1394 al Magistrato di Siena per scagionarsi delle malefatte
commesse dagli uomini della sua compagnia fornisce in proposito
una chiara conferma di questa incresciosa condizione. Egli scriveva :
« Io, come dovete sapere, ho gente d’arme in numero assai grande, le
quali sono senza soldo et iuvamento veruno ; di che tuttodì me richie-
dono che io lassi fare cose mediante le quali si possino mantenere.
E pertanto non potendo loro dare un soldo, non li posso denegare
che non faccino delle cose per le quali si sostegnino ». La lettera
pur nella sua fredda fermezza denunzia uno stato di disagio, quasi il
riflesso di un’umiliazione cui la forza delle cose sottopone l’orgoglio
del condottiero. La vita di questi uomini rotti a tutte le prove,
lanciati dal loro rischioso mestiere verso qualsiasi probabile sorte, fra
tante asperità di situazioni, tanti episodi sanguinosi, tante atrocità
commesse a mente fredda, aveva i propri momenti di interiore
cruccio e di senso di vacuità di ogni lotta, di patetica crisi di co-
scienza ; fuggevoli attimi, di cui è molto raro e difficile cogliere la
testimonianza verace. Di uno di questi eccezionali momenti ci è
possibile afferrare la carica emotiva in quel colloquio che i due
grandi antagonisti, Braccio e Muzio Attendolo, ebbero nel 1422 nel
bosco dei Saccomanni, tra Pietra e Guianello, e nel quale Braccio
s'ingegnó a persuadere il suo emulo a passare dalla parte della regina
Giovanna. Fu per i due condottieri un ristoratore abbandono del-
78 GIOVANNI CECCHINI

l'animo, quasi un'effusione di commozione, fra tanta usuale tensione
di spirito, e dopo tanti anni e tante lotte dai tempi in cui essi mili-
tavano insieme sotto l’alto magistero di Alberico da Barbiano. E al
momento del congedo con frase d’insuperabile efficacia, a suggello
del colloquio Braccio definì il mestiere del condottiero esclamando :
«El nostro è uno mestiere che, commesso el peccato, et fatto el fallo
et patita la penitentia, è tutto uno ».

Per quanto oscillante, purtuttavia la proprietà patrimoniale di
Boldrino dovette avere una certa consistenza. Al piccolo nucleo
della sua signoria, costituita dai castelli di Ficano, Domo e Precic-
chie, si aggiungevano case e fondi rustici sparsi qua e là; infatti
s'è trovato che da un suo fattore nel 1385 venivan dati in affitto
alcuni pezzi di terra arativa e a soccida capi di bestiame nei dintorni
di Fabriano (125).

L'affannosa ansia di crearsi uno status che ha assillato Boldrino
negli ultimi anni — l’età sua si avvicinava ai sessanta — durante
le campagne condotte nelle Marche è stata la causa che lo ha portato
a quella fine ingloriosa. E qui bisogna riconoscere che la sua accor-
tezza di politico non è stata pari alla sua virtù militare. Egli ha tra-
sferito sul piano politico la medesima tecnica impiegata con successo
come capo di brigata militare : cioè importunare signorie e comunità
per farsi prendere in considerazione, negoziare e pattuire mercedi,
promettendo di difendere e non offendere. Ma quell'organizzare
leghe di comuni delle Marche per stimolarli a resistere all'azione
di riconquista da parte della Chiesa, mentre egli era al servizio della
Chiesa, fu perlomeno impolitico e imprudente. Il gioco gli era riuscito
sinché l'autorità della Chiesa era carente e la Santa Sede era impe-
gnata nella lotta politica in altri settori. Ma quando, morto il Vicario
generale Andrea Bontempi, le redini dell'azione di riconquista delle
città delle Marche furono nelle mani del nuovo Vicario Andrea Toma-
celli, Boldrino non fiutó il nuovo vento che spirava e prosegui nei
suoi maneggi rischiosi. Né, giunte le cose a quel punto, egli avrebbe
potuto evitare il tradimento in cui peri; non avrebbe potuto rifiu-
tare linvito a recarsi a Macerata rivoltogli dal Marchese della
Marca, da cui come stipendiario della Chiesa dipendeva. Di colpo e
in modo ignominioso dileguó il suo sogno di potenza, la sua fortuna
costruita pezzo per pezzo dal nulla lungo un durissimo tirocinio di
lotte, di sacrifici, di pericoli spavaldamente affrontati, di rischi abil-
mente superati, fra le ingiurie e le lodi, ognora insidiato dalla disfatta
e seguito dall'ombra della morte.
BOLDRINO DA PANICALE

La fine di Boldrino suscitò ovunque una enorme impressione e
le vicende stesse subite dal suo cadavere per uno spontaneo processo

di mitizzazione, di carattere non soltanto popolare, ne trasferirono,

la vita e le gesta nella sfera della leggenda in una mescolanza di fan-
tasia e di realtà. Riflessi di questa irradiazione leggendaria boldri-
nesca hanno perdurato a lungo e in parte sono rintracciabili in testi
letterari del Tre e del Quattrocento. Una prima traccia di questa
fama di Boldrino si rinviene in Piemonte in un poema allegorico e
moraleggiante composto dopo il 1370 da Tommaso III Del Vasto
marchese di Saluzzo. Nel poema, intitolato Chevalier errant (1°), è
narrato un viaggio fantastico durante il quale un cavaliere, passando
in rassegna, collocati in seggi di sicurezza, i più gagliardi e famosi
guerrieri di ogni tempo, subisce un processo di catarsi che lo porta a
ravvedersi dei suoi trascorsi. Alle sedi di Giovanni Acuto e di Gio-
vanni degli Ubaldini da Firenze segue quella di Boldrino, di cui è
detto che fu della Marca, servì i ghibellini di quella contrada e che
non esistette giammai in Italia uomo di lui più temuto, chiamato
nondimeno « Baudrin le meurtrier » (127).

Uno dei caporali della brigata di Boldrino e precisamente quel
Foscarello, che è ricordato nella condotta stipulata nel 1390 col
Comune di Ancona, compare in una novella — la 39 — di Franco
Sacchetti. Foscarello apparteneva ad una ragguardevole famiglia di
Matelica ; egli si chiamava Angelo di Cola e i suoi successori porta-
rono il cognome di Comitibus. Si era al tempo della guerra tra Fran-
cesco signore di Matelica e Rodolfo Varano signore di Camerino
(1382). Boldrino era assoldato da Francesco e Foscarello, risiedendo in
Matelica ed esercitando le funzioni di camerlengo della compagnia,
fece una cavalcata nel territorio camerinese e razziò in un giorno
800 porci. Alcuni giorni dopo, narra il Sacchetti, si presentò a Ro-
dolfo in Camerino un famiglio di Agnolino Bottoni da Siena con un
bellissimo cane alano da preda, dono del suo padrone al signore
camerinese. Rodolfo guardò il cane e il famiglio e poi domandò a
che fosse buona quella bestia. Il famiglio rispose: «Da porci». E
Rodolfo incuriosito : « E quanti ne prende ? » — Quando uno, quando
due per di, secondo come l'uomo gli trova — rispose il famiglio.
Rodolfo scosse il capo e disse: « Amico mio, questo non é un cane
da me. Rimenalo ad Agnolino e di che io l'ho per ricevuto, ma che

3 rr M e ira
Ai Lene

80 GIOVANNI CECCHINI

questo cane non è per li tratti mia, se non piglia più che un porco
per volta. Se glie ne venisse alle mani uno di quelli di Foscarello
da Matelica, che ne piglia ottocento per volta, priegalo che me lo
mandi ».

Dell'elemento più leggendario della vita di Boldrino, quello
relativo alle vicende subite dai suoi resti mortali si rinvengono an-
cora riflessi nella letteratura minore, popolaresca del Quattrocento.
Antonio Cammelli, detto dal luogo di origine il Pistoia, e vissuto.tra
il 1436 e il 1502 in gran parte presso la corte degli Estensi, fu poeta
satirico e giocoso e compose 553 sonetti faceti conservati in un ma-
noscritto della Biblioteca Ambrosiana. Nel sonetto 46 della raccolta
milanese egli parla in prima persona di un uomo estremamente magro,
impiegando vari termini, espressioni e paragoni per rendere l’idea
della magrezza :

«Ognun mi dice: Tu sei magro e secco.

— Il pare un mostruoso babboino — ;

chi: — Santo Onofrio — e chi: — San Bernardino.
Ogni po’ men che fusse, il parrebbe Ecco!

Il pare un barbaianni senza becco.

Anzi, pur pare l’ossa di Boldrino » (128).

Francesco Maturanzio, l’erudito umanista perugino, ebbe l’in-
carico da Braccio Baglioni di comporre gli epitaffi in versi da apporre
ai ritratti di condottieri perugini che aveva fatto dipingere nel salone
di ricevimento del suo palazzo sul colle Landone, andato distrutto
con la costruzione della Rocca Paolina. Nella serie v'era anche il
ritratto di Boldrino da Panicale; ed ecco l'epitaffio contenuto nel
manoscritto H 47 (!°9) della Biblioteca Augusta di Perugia, ch'io
ritengo autografo, e già pubblicato non fedelmente da Ariodante
Fabretti :

«Io son quel degno capitan famoso
Boldrin nell’armi avventuroso e forte
In tucti i fatti mey victoriuso

e per mio senno e per celeste sorte.
E fui sì caro al mio stil valuruso
che le mie genti dopo la mia morte
tre anni el corpo a triumpho portaro
tanto che la mia morte vendicaro ».
BOLDRINO DA PANICALE 81

Un altro perugino vissuto nel sec. xv, Lorenzo Spirito, uomo
d'arme e poeta dalla turbolenta vita, ricorda Boldrino in un poema
inedito di aspra intonazione intitolato Il pubblico, che contiene il
Lamento di Perugia, con i seguenti versi :

E tornami a memoria di colui

Che fece assai gran prove per la Marca;
dico il Boldrin, ch'amó me, com'io lui

Et fu dall’honor suo sua gente carca

sì che tre anni guerreggiando intorno

il portar morto chiuso d'entro un'arca (139).

Infine un altro rimatore poco noto, Stefano, detto Cambino
d'Arezzo, in uno strano poemetto in terzine composto nel 1475 che
richiama i Trionfi del Petrarca, in cui immagina d'imbattersi prima
in una schiera di letterati aretini e poi, sotto la guida di Leonardo
Bruni, negli uomini illustri della sua patria e d'Italia, dedicó una ter-
zina a Boldrino :

« E l'altro, che di fama ogni altro avanza
Boldrin, che fé tremar poggi e pianure
e, morto, acquistò terre in abondanza » (181).

Ecco che nel giro di un secolo la vicenda terrena di Boldrino,
così materiata degli elementi e della sostanza piü terrestri, e cosi
nettamente rilevata in poco piü di un decennio sullo sfondo corrusco
di scontri sanguinosi, di intrighi; di vendette, di violenze, di tradi-
menti, in una faticosa progressione verso il potere, la ricchezza e
la gloria, e che al di là della morte si proietta in una singolare auto-
rità di comando terreno, ecco dunque che si evolve e matura in un
processo leggendario di sublimazione, che si cristallizza nel mito di
Boldrino. Processo, che per la sete umana di tropi, di immagini,
di sigle e di simboli segue l'arco di una smaterializzazione in cui
elementi reali e fantastici hanno concorso a formare un mito che ha
formato come un cliché del capitano panicalese ; che rappresenta in
definitiva un'espressione della sua patria, nella sua essenza piü poten-
temente virile e bellicosa.

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Panicale, forte castello, saldo sul suo poggio, tra un gruppo di
coline e il lago, fra Toscana e Umbria, valido avamposto della

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82 GIOVANNI CECCHINI

vigile Perugia guerriera, ancor oggi sostanzialmente integro col
baluardo difensivo esterno, con la sua pianta ellittica, con le sue
vie concentriche che secondano il ritmo della cerchia di mura castel-
lane, con la sua piazza, con la casa che Boldrino si fece, col palaz-
zetto del podestà, con la nota sanguigna del bel laterizio ; ben conser-
vato, austero, eloquente. E a controbilanciare, anzi a temperare il
fiero mito di Boldrino, forse placandolo, si leva e fiorisce la idealiz-
zazione della serena, soavissima plaga su cui esso sorge e di cui in
certo senso é il nume, idealizzazione consacrata con non minore
potenza di suggestione nelle visioni pittoriche realizzate in trasfi-
gurati, trascendentali paesaggi da grandi artisti umbri — forse
Masolino ? — certo Pietro Perugino. E cosi per virtü di queste
indeclinabili creazioni Panicale vive e sopravvive nell'empireo dei
valori universali.

GIOVANNI CECCHINI

NOTE

(1) Cronica volgare dall'anno 1385 al 1409 del'ANoN1MO FIORENTINO,
già attribuita a Piero DI GIOVANNI MINERBETTI, a cura di E. BELLONDI,
Città di Castello, Lapi, RR. II. SS., T. XXVII, P. II, 1390, 51.

(2) SER GueRRIERO DA GuBBIO, Cronaca dall'anno MCCL all'anno
MCCCCLXXII, a cura di G. MAZZATINTI, Città di Castello, Lapi, 1902,
RR.IILASS., T. XXTL.P..IV; p. 27.

(3) Cronaca senese di PAoLo DI ToMmMASO MONTAURI, Bologna, 1937,
RH. IL-SS;- I. XV.

(4) Cronaca della Città di Fermo di ANTONIO DI NicoLò con annotazioni
e giunte del cav. GAETANO DE MINICIS, Firenze, Cellini, 1870.

(5) Specimen historiae SozowEN1 PiIsTORIENSIS, Milano, 1730, RR. II.
SS PIEVI:

(6) FRANCISCI ADAMI civis et canonici firmani De rebus in civitate Fir-
mana gestis fragmentorum libri duo, Romae, Apud Ascanium et Hieronymum
Donangelos, MDXCI.

(7) Dell’historia di Perugia di . Pompeo PELLINI etc., In Venetia,
MDCLXIV, Appresso Gio: Giacomo Hertz.

(8) Dell'historia di Siena scritta da ORLANDO DI M. BERNARDO MALA-
VOLTI gentiluomo sanese, La seconda parte, Venezia, 1599.

(9) Istoria della città di Camerino di CAMILLO Lriumn istoriografo di Luigi
XIV il Grande re di Francia supplita da Filippo CAMERINI, Camerino, 1835.
(10) La reggia picena overo de' presidi della Marca. Historia universale

em
BOLDRINO DA. PANICALE 83

etc. di PoMPEO CoMPAGNONI, In Macerata, Heredi di Agostino Grifei e Giu-

‘seppe Piccini, MDCLXI, P. I.

(11) SciPIONE AMMIRATO, Istorie fiorentine ridotte all'originale e annotate
dal professore LuciANO -SCARABELLI, Torino, Cugini Pomba e C., 1853.

(12) Laudatio in Panicalis oppidi perusini honorem texia anno salutis
Millesimo sexcentesimo sexto mense iunii a CHORINTHIO canonico CORSETTI
panicalensi, manoscritto conservato nella residenza comunale di Panicale.
Esiste una buona copia del sec. XVIII dello scritto del Corsetti nella Biblio-
teca Augusta di Perugia (ms. 2928) nel quale è anche la Copia di una
lettera del Sig.re Antonio Pazzaglia da Cagli dottore dell'una, e l'altra Legge,
Sacerdote Canonico di Panicale, apposta al suo Trattato d' Astronomia in tempo
che era studente appresso il Sig.re D.re Simeone Tosi in Panicale, in cui di
sfuggita è ricordato Boldrino Paneri gerierale di S. Chiesa (c. 39v.). Da alcune
postille e dalla numerazione delle carte risulta che questo manoscritto è pas-
sato per le mani di Annibale Mariotti e Giambattista Vermiglioli.

(13) GrusEPPE ORsINI, Racconto di Boldrino Paneri da Panicale, Roma,
Paolo Moneta, 1700.

(14) Montepulciano, Coi tipi di Angiolo Fumi, 1842-44.

(15) GRIFONI Gustavo, Memorie istoriche su Panicale terra etrusco-umbra,
Milano, Soc. Ed. Dante Alighieri, 1918. Di scarsa o nulla utilità il breve
scritto Cenno storico sulla terra di Panicale scritto per commissione del Muni-
cipio dal dott. LurGi INNAMORATI, Perugia, V. Santucci, 1861.

(16) Gino FRANCESCHINI, Boldrino da Panicale (1331-1391). Contributo
alla storia delle milizie mercenarie italiane, in Bollettino della Dep. di Storia
Patria per l’Umbria, Vol. XLVI (1949), pp. 118-139.

(17) Ms. B 45.

(18) Ms. 1020, cc. 39-40.

(19) Ms. 1150, cc. 189v-192v.

(20) Ms. 1201, c. 94.

(21) Ms. I 110, cc. 19r.-20r.

(22) Archivio di Stato di Siena, Concistoro 125, c. 42v. sotto la data
20 gennaio 1384, Concistoro 126, c. IIr.-sotto la data 21 aprile 1385, c. 79v.,
sotto la data 25 aprile 1385.

(23) Cronaca senese di PAoLo DI ToMMASO MONTAURI cil., RR. II. SS.,
T. XV, P. VI, p. 703. La discordanza con le fonti e le biografie posteriori
venne già rilevata da G. FRANCESCHINI, op. cit., p. 121, nota 2.

(24) Tra l’altro negli Annales ecclesiastici post cardinalem Baronium ex
probatis Authoris ac precipue ex Abrahamo Bzoiro desumpti a Lupovico AURE-
LIO perusino in epitomem redacti, Roma, Mascardi, 1641, si parla di Boldrino,
che è detto «patre agricola natus » (pp. 339-400).

(25) A. FABRETTI, Op. cit., I, 61.

(26) A. FABRETTI, Op. cit., I, 62.

(27) C. Liri, Op. cit., P. II. L. I, p. 116. Nelle Memorie della antica

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84 GIOVANNI CECCHINI

e nova città di Settempeda detta oggi Sanseverino, opera di GrroLAMO TALPA,
libri VIII, manoscritto in Biblioteca Comunale di Sanseverino, nel vol. VI,
contenente i libri IV e V, p. 519 è detto, con probabile derivazione dal
Lili, che Boldrino nell’inverno del 1378 stanziò nelle terre di Matelica e
Sanseverino, recando danni ai camerinesi, mentre Sanseverino e Matelica
guerreggiavano con Camerino. Le Memorie di Matelica raccolte e ordinate da
CAMILLO ACQUACOTTA (Ancona, Baluffi, 1838) asseriscono che nel 1379 Mate-
lica tornò nella soggezione della Chiesa «sapendosi che Boldrino capitano
pontificio ebbe in quest'anno quartier d'inverno tralle nostre mura » (p. 135).

(28) P. PELLINI; Op. cit., I, 1273.

(29) L’historia di Milano volgarmente scritta dall'eccellentissimo ora-
tore M. BerNARDINO Corio gentil'huomo milanese, In Vinegia per Giovan
Maria Bonelli, MDLIIII, c. 255v.

(30) Vita Sfortiae clariss. ducis a PAuLo Jovio conscripta, Roma
MDXXXIX, c. 1v.

(31) Ibid., c. 11v. A. c. 111v. aggiunge: « Posito apud Boldrinum tyro-
cinium domum rediit, intestino revocatus bello ».

(32) Le vite di decenove huomini illustri, descritte da monsignor PAOLO
Giovio, et in diversi tempi et luoghi stampate etc., Venezia, Giovan Maria
Bonelli, 1561, c. 61r.

(33) C. Liri, Op. cit., p. 119.

(34) G. FRANcESCHINI, Op. cil, pp. 133-37. A proposito del ponte di
Valiano nella storia del Pellini (Op. cit., I, 1299) s'incontra citata per la
prima volta, se non erro, un'azione di Boldrino.

(35) L. Bonazzi, Op. cit., I, 501.

(36) Tali missive conservate nell'Archivio di Stato di Siena furono utiliz-
zate e in parte pubblicate da Arrowso PROFESSIONE nel suo ottimo saggio
Siena e le compagnie di ventura nella seconda metà del sec. XIV (Civitanova
Marche, 1898) e in parte ripubblicate da Gino Franceschini in Appendice
all'articolo citato.

(37) G. FRANCESCHINI, Op. cit., pp. 136-37.

(38) Arch. Stor. del Comune di Perugia, Consigli e riformanze, Vol. 31,
c. 211r.

(39) P. PELLINI, Op. cit., I, 1322 e segg.

(40) Arch. di Stato di Siena, Concistoro 125, c. 40v.

(41) Ibid. c. 42v.

(42) Ibid., cc. 49v., 52v., 68r., 54r.

(43) Arch. di Stato di Siena, Concistoro 125, c. 34r. Dal registro 123 di
Concistoro si ricavano i seguenti pagamenti : il 6 luglio di 1060 fiorini d'oro
a Boldrino in Torrita per tramite del mercante Nicoló di Francesco (c. 48v.) ;
l’11 luglio di fiorini d'oro 3070 a Boldrino « conestabili equestri CL lancearum
vivarum » (c. 50) ; il 25 luglio 25 fiorini (prestito) (c. 54) e il 3 agosto di 10 fio-
rini (prestito) a ser Bartalo cancelliere di Boldrino e di 2000 fiorini (c. 57r.) ;
BOLDRINO DA PANICALE 85

il 10 agosto di 40 fiorini (prestito) (c. 59r.); il 16 agosto di 108 fiorini (c.
60v.) ; il 22 agosto di 199 fiorini (c. 63r.) ; il 28 agosto di 50 fiorini (prestito)
(c. 65r.). Nel registro Concistoro 124 son registrati altri pagamenti : sotto il
22 settembre di 100 fiorini (prestito) (c. 30r.) e sotto il 27 settembre di 300
fiorini (prestito) (c. 32r.). Quest’ultima registrazione è cassata.

(44) Cronaca senese di PAoLO DI ToMMASO MONTAURI, p. 703.

(45) Ibid., p. 707.

(46) G. FRANCESCHINI, Op. cit., pp. 120-21.

(47) Ibid., p. 121.

(48) P. 709.

(49) Cronaca senese, p. 711.

(50) P2708;

(51) Arch. di Stato di Siena, Concistoro 126, c. 11r.

(52) P. 714.

(53) Nel registrare una parte di detti pagamenti si trova modo di pre-
cisare che Boldrino e Taddeo Pepoli «magna inferebant damna et vasta
in comitatu in comburendo, predando et captivos secum ducendo in damnum
et preiudicium civitatis et comitatus Senarum et quin etiam ipsorum stipen-
‘dia et solda capiebant tam magnam quantitatem pecunie quam non sine
magna gravedine civium poterat comportari » (Arch. di Stato di Siena, Con-
cistoro, 126, c. 79v.).

(54) Arch. Stor. del Comune di Perugia, Consigli e riformanze, Vol 33,
c. 161v. ;

(55) Arch. Stor. del Comune di Perugia, Consigli e riformanze, Vol. 34,

(56) G. FRANCESCHINI, Op. cil., pp. 123-24.

(57) Ibid., pag. 124.

(58) A. PROFESSIONE, Op. cit., p. 118. Di un pagamento di 100 fiorini
«ad rationem di 18 anconitani » per fiorino effettuato l'8 marzo 1386 dalla
comunità di Matelica a Cola da Civitanova cancelliere di Boldrino, che riscuo-
teva per il cardinale perugino, si ha notizia da una quietanza che ora piü
non si trova fra il disordine che regna nell'Archivio Storico del Comune di
Matelica, ma di cui esiste un regesto sia nell’Indice cronologico delle perga-
mene, scritture e libri che si conservano nell’ Archivio della Comunità di Matelica
eseguito nel 1804 dall’arciprete CAMILLO AcQUACOTTA (p. 284, n. 1033), sia
nell’Indice delle pergamene, carte e libri dell’ Archivio Segreto di Matelica, auto-
grafo del signor D. GiusePPE VocEL (p. 230, n. 1033), sia negli Archivi
della storia d’Italia (II, 403). i

(59) Arch. di Stato di Siena, Concistoro 1815, n. 66. La lettera è pub-
blicata in Appendice (documento n. 6, p. 111) dell'articolo Ciferna di Gino
Franceschini in Bollettino della Deputaz. di St. Patria per 'Umbria, vol. XLIV
(1947). |
(60) Sotto la data 26 gennaio 1386 figura un pagamento di 450 fiorini
=== pece STULTE ANC emer sr

noci

86 GIOVANNI CECCHINI

d’oro effettuato dal Comune di Macerata ad Andrea Bontempi, vicario gene-
rale per la Marca Anconitana « pro stipendio finite firme gentium armorum »
da ripartirsi nella misura di 300 a Nello da Camerino, 42 a Giacomo da Forlì,
il resto a Boldrino (Arch. Stor. Comunale di Macerata, Camerlenghi, Ricevute
diverse dal 1300 al 1500, Busta 667).

(61) G. FRANCESCHINI, Op. cit., pp. 125-26.

(62) Arch. Stor. del Comune di Perugia, Consigli e riformanze, Vol. 34,
c. 80v.

(63) FRANCISCI ADAMI. ... De rebus in civitate Firmana cit., c. 52v.

(64) Cronaca di Fermo di ANTONIO DI Nicorò etc., p. 14.

(65) G. FRANCESCHINI, Op. cit., p. 128. i

(66) Arch. Stor. del Comune di Perugia, Consigli e riformanze, Vol. 35,
cc. 155, 162.

(67) Cenni biografici di alcuni uomini illustri Settempedani scritti da N. U.
sig. GERMANO MARGARUCCI (1788-1842), ms. II, 51 non cartolato nella
Biblioteca Comunale di Sanseverino Marche.

(68) Arch. Stor. Comunale di Sanseverino Marche, Documenti smeduc-
ceschi, Cassetta superiore dell’ Archivio Segreto. L'atto contiene molte clausole,
tra le quali quella riflettente l’obbligo per i capitani di far la mostra a usanza
di gente d'arme il 15 dicembre, e l'impegno a non recar danno « senza sacco-
manno salvo de palgla e legna salvatiche ». Ciascun ambasciatore promette
di pagare per il soldo di detti capitani e loro brigata una taglia e mezzo per
tutto il tempo della condotta con versamento ratizzato di due mesi in due
mesi in ragione di 38 bolognini « paparum » per fiorino.

(69) Arch. Stor. Comunale di Sanseverino Marche, Documenti smeduc-
ceschi, Cassetta superiore dell’Archivio Segreto. L’atto è stipulato in nome
dell’Onnipotente, del papa Urbano VI e di Andrea cardinale perugino. Nono-
stante il rilevante numero di clausole di cui esso consta, riflettenti vari casi
che si possono verificare, in concreto il tono del trattafo è piuttosto generico,
nè vi si parla di forza militare. È previsto che altri signori o comuni possano
accedere alla lega, purchè i contraenti siano tutti consenzienti. La durata della
lega è prevista in 5 anni ; l'atto è firmato da Giovanni di Rainaldo da Lapiro
cancelliere di Nofrio, da Alfonso di Andrea da Campiglia, cancelliere di Gen-
tile e Berardo, da Nicolò da Fabriano, cancelliere di Guido da Fabriano.
Seguono i sigilli di Guido da Fabriano, Onofrio da Sanseverino, Gentile da
Camerino, Berardo da Camerino. Mancano quelli — forse perduti? — di
Boldrino e di Guido da Matelica.

(70) Cronaca della città di Fermo di ANTONIO DI Nicotrò cit., p. 16.

(71) Ibid., pag. 17.

(72) FrANcIScI ADAMI... De rebus in civitate Firmana cit., c. 54v.

(73) Storia di Ancona, Cronaca di CAMILLO ALBERTINI nella Biblioteca
Comunale di Ancona, P. II del Libro nono, c. 18 e segg. Fa meraviglia che
BOLDRINO DA PANICALE 87

un lavoro così importante non sia stato ancora pubblicato come validissimo
sussidio agli studi storici non solo locali e regionali.

(74) Se ne ha conferma negli atti consiliari del Comune di Ancona (Arch.
Stor. Sec. XIV, Sez. III, Atti consiliari, n. 10, cc. 52v.-53r.). Sotto la data
5 aprile 1390 il cittadino anconetano Biagio di Gianni inviato ambasciatore
al papa riferisce che Bonifacio IX aveva nominato nunzio apostolico nella
Marca di Ancona il vescovo di Camerino Benedetto da Fabriano per la paci-
ficazione della provincia e la costituzione della lega fra le città marchigiane
(EuBEL, Hierarchia Catholica Medii Aevi, I, 161).

(75) Arch. Stor. del Comune di Ancona, Sec. XIV, Sez. III, Atti consiliari,
n. 10, c. 60v;

(76) P. PELLINI, Op. cit., II, 8.

(77) Arch. Stor. del Comune di Ancona, Sec. XIV, Sez. III, Atti consi-
liari, n. 10, c. 110v. Era allora vescovo di Fermo Angelo Pierleoni da Roma
(EuBEL, Hierarchia Catholica Medii Aevi, I, 249).

(78) Silvestro di Benedetto da Collestatte notaio delle riformagioni e
cancelliere del comune e del popolo della città di Ancona.

(79) Arch. Stor. del Comune di Ancona, Sec. XIV, Sez. III, Atti consi-
ltart n--10;:c. 18r:

(80) Arch. Stor. del Comune di Ancona, Sec. XIV, Sez. III, Atti consi-
liari, n. 10, c. 18r. c. 22r. Inoltre: « Item quod dictus dominus cardinalis
dixit eis expresse quod habet in mandatis a domino nostro papa quod sit
toto suo posse ad destructionem Buldrini... et quod ipse sic est paratus
facere ».

(81) Ibid., c. 30v. Inoltre: « Et quod dictus dominus cardinalis vult
promictere et se obligare ad omnia oportuna pro Buldrino ».

(82) Ibid., cc. 52v-53r. « Retulit quod intentionis Sanctitatis Domini
nostri est quod Buldrinus non stet plus in provincia set quod omnino expel-
latur et quod quicumque erit eius amicus inimicabitur sue Sanctitati ».

(83) Ibid., c. 63r.

(84) Ibid., c. 65r.

(85) Ibid., c. 84r. In concreto Milano da Asto esigeva da allora a domenica
prossima (5 giugno) 100 ducati « pro emenda illorum equorum sibi ablatorum
per illos de Pulverisio in territorio Staffuli »; il cardinale avrebbe cassato
tutti i processi esistenti contro il Comune di Ancona e chiedeva che lo stesso
comune revocasse le rappresaglie concesse contro il Comune di Montesanto. I
procuratori portavano con se i patti della concordia fatta con Boldrino, essi
confermarono di aver consegnato al tesoriere della Marca 1700 ducati d'oro
per pagamento di una quota della taglia spettante al Comune di Ancona
« pro stipendio procerum in servitia ad servitia Ecclesie militantium » Da una
registrazione contabile a c. 107r. del registro n. 11 degli Atti consiliari del Co-
mune di Ancona risulta che in data 4 giugno 1390 furon consegnati a Piero
di Giannello di Ancona cavallaro del comune 100 ducati da versare a « Mi-

Ho V IP ^

SA wd terr a e
. 88 GIOVANNI CECCHINI

lano de Asti capitaneo gentium armorum in provincia militantium pro emenda
quorumdam equorum sibi ablatorum per quosdam de Pulverisio post banni-
mentum factum mandato domini episcopi camerinensis quod non offende-
retur ».

(86) Ibid., cc. 119.-120r. Vi é detto testualmente : « Imprimis quod cum
sanctissimus dominus noster Bonifatius papa nonus, et etiam reverendus in
Christo pater dominus episcopus firmanus gubernator Marchie et cetera nu-
perrime scripserint dictis dominis et comuni Anchone, qualiter Buldrinus et
Milanus cum eorum brigata recesserunt a dicto domino nostro papa inlicentiati
et discordes, et quod istud comune et eius sudditi caveant se ab ipsis et
eorum brigata quam ab inimicis, prout per eorum litteras in presenti consilio
lectas et divulgatas clare monstratur quod provideatur et consulatur de mo-
dis tenendis super materia supradicta ». A c. 120r. Ciriaco di Polo Salvatici
consigliere propone che sia inviato un ambasciatore a Boldrino e a Milano
«ad condolendum in forma debita post salutem de errore et differentia
exorta inter papam et ipsos, et ad offerendum quod si istud comune posset se
in aliquo interponere pro concordia, faceret libenter, et ad rogandum eos
quod promissa per eos huic comuni placeat observare, nam istud comune
intendit pacifice vivere cum eisdem, et sciat quam clarius poterit de eorum in-
tentione ut possit in agendis salubrius provideri ». Feliciano di Vannuccio con-
sigliere propone che sia inviato un oratore al vescovo di Fermo governatore
«ad auferendum quicquid dictus dominus gubernator dicere et narrare vo-
luerit et ratiocinare et praticare voluerit super preiacenti materia ».

55087) Jbid.; c. 123.

(88) Ibid., c. 124.

(89) Ibid., c. 126v.

(90) Ibid;; c. 127;

(91) Ibid., c. 134v.

(92) Nelle tornate del 18, 19, 20, 27 settembre, 1 ottobre. Ibid., cc. 136v-
37r., 138v.-39r., 142v.-43r., 144r. Nell'adunanza del 23 settembre il Consiglio
deliberó di donare a Boldrino per le nozze di suo figlio una pezza di seta

o altro, confetti e cera per il valore che gli Anziani e i Regolatori crederanno.
Ibid., c. 140v.

(93) Ibid.,

(94) Ibid.,

(95) Ibid.,

(96) Ibid., 151r. e v.
2:(97) Ibid, c. 157.

(98) Ibid., 158v.

(99) L'atto di investitura ad Andrea Tomacelli nell'ufficio di rettore

della provincia della Marca anconitana porta la data dell'8 marzo 1390 (Archi-
vio Vaticano, Diversorum cameralium, 14, fol. 93r. e v.); un esemplare di

136v.
148v.-49r.
150v.

op pa
BOLDRINO DA PANICALE 89

detta bolla di papa Bonifacio IX si trova nell'Archivio Storico Comunale di
Macerata (Pergamene, cassetto n. 5).

(100) Ho rintracciato nell’Archivio Vaticano la bolla che il papa in data
20 novembre 1390 diresse a Boldrino, dal tono un pò generico e nebuloso, per
ingaggiarlo al servizio della Chiesa, ma in realtà per vincolarlo alla sua volontà
secondo i suoi disegni. Eccone il testo : « Bonifatius etcetera dilecto filio nobili
viro Buldrino de Pannicalli domicello et nonnullarum gentium armigerarum
nostrarum capitaneo salutem etcetera. Gerentes de tue fidelitatis et cir-
cumspectionis industria nobis utique familiari experientia non ignotam fidu-
ciam in domino pleniorem te nonnullarum gentium armigerarum nostrarum
capitaneum in nostra provincia Marchie Anconitane duximus ordinandum et
etiam deputandum sperantes indubie quod per nos tibi commissa fideliter
exercebis et promptibus affectibus exequeris. Volentes itaque ut per nos tibi
commissa in hac promptioribus affectibus valeas in cunctis executionibus
debite demandare perfectiusque complere volumus tenore presentium et tibi
apostolica auctoritate concedimus quatenus de talea provincie nostre Marchie
Anconitane nobis et Romane Ecclesie debitarum pro rata satisfactionis lan-
cearum, quas ad nostra stipendia tenes a quibuscumque comitatibus et uni-
versitatibus dicte provincie petas exigas et recipias cum effectu donec tibi
aliud duxerimus ordinandum quibus et eorum cuilibet mandamus nichilo-
minus per presentes, ut tibi vel cui duxerimus ordinandum dare studeatur
et etiam assignare non obstantibus quibuscumque exemptionibus seu privi-
legiis eis seu eorum alteri a sede apostolica concessis per que petendi exigendi
seu recipiendi ut premittitur tua possit auctoritas aliqualiter impediri et de
“quibus quorumcumque totis tenoribus habenda sit in nostris litteris mentio
specialis volumus et nichilominus tenore presentium tibi de receptione habita
atque sublevata quitandi et absolvendi dantes et solventes plenam liberam
concedimus facultatem. Volentes postmodum quod exinde duo confici facias
consimilia publica instrumenta quorum uno penes te retento aliud ad Came-
ram nostram studeas destinare. Datum Rome, apud Sanctum Petrum xir
kalendas decembris Pontificatus nostri anno secundo. De curia A. de Porto-
gruario ». (Archivio Vaticano, Registri vaticani, B. IX (Bonifacio IX) T. I,
fol. CCXLV).

(101) Arch. Stor. del Comune di Ancona, Sec. XIV, Sez. III, Atti consi-
liari, n. 10, c. 166r.

(102) In data 11 dicembre (Ibid., c. 170r.) il Consiglio generale deliberó
di inviare in dono al nuovo rettore drappi di seta ed altro per un valore
di 80 ducati d'oro.

(103) Il Comune di Ancona era in contrasto col tesoriere della Marca
Giovanni Baligiani di Firenze pel pagamento della taglia impostagli e per
la richiesta del contributo straordinario per la venuta del nuovo rettore
(Ibid., c. 168r. e v.).

(104) Ibid., c. 178r. E poiché doveva essere a corto di denaro Boldrino
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i A ee RIT

90 GIOVANNI CECCHINI

mandò ad Ancona Francesco di Giovannino da Fabriano, il quale ottenne a
prestito 200 ducati dei 400 richiesti da scomputare dalla provvigione .a lui
dovuta da quel comune (Atti consiliari dal 1 gennaio al 31 dicembre 1391,
n. 12, c. 8v.). Cento fiorini d’oro ricevette Boldrino dal Comune di Macerata
per decisione di quel Consiglio generale del 20 gennaio 1391 (Arch. Storico
Comunale, Riformanze, Reg. n. 5, cc. 29v.-30r.) riscossi il 29 successivo da
Bartolo di Vanni da Fossombrone cancelliere di Boldrino (Arch. Stor. Comu-
nale, Camerlenghi, Ricevute diverse dal 1300 al 1500, Busta 667).

(105) Atti consiliari dal 1° gennaio al 31 dicembre 1391, Vol. 12, cc.
29v.-30r. Alcuni cittadini di Ancona passando per Sanseverino erano stati fatti
prigionieri per rappresaglia da Onofrio Smeducci; vertenza che si trasci-
nerà ancora per alcuni mesi.

(106) Ibid., c. 31r. Provvedimento analogo fu adottato dal Consiglio
generale e Consiglio di credenza di Macerata il 12 febbraio 1391 con l’elezione
di ser Bartolomeo di Filippo a procuratore « ad comparendum coram specta-
bili et excelso domino domino Andrea Thomacello milite domini nostri pape
germano, necnon provincie Marchie Anconitane marchione et rectori gene-
rali in parlamento nuperrime celebrando in civitate prefata una cum aliis
oratoribus dicte provincie ad promictendum obligandum et realiter obser-
vandum ac etiam ad implendum omnia et singula que pro statu Ecclesie
domini nostri pape et consolatione provincialium in dicto parlamento deli-

berata, obtempta et declarata». (Arch. Stor. Comunale di Macerata, Rifor-:

manze, Reg. n. 5, c. 37r. e v.).

(107) Atti consiliari dal 19 gennaio al 31 dicembre 1391, Vol. 12; 6.
40r. e v.

(108) Ibid., c. 46v. Il passo del verbale dice esattamente : « Imprimis,
quod. cum dominus marchio Marchie Anconitane nuper per suas litteras inti-
maverit dicto comuni Anchone causam mortis Buldrini de Panicali, per
ipsum dominum interfecti, prout litteris dicti domini marchioni clarius demon-
stratur, et etiam petierit sibi micti per dictum comune statim centum famulos
prout dictis litteris denotatur, quod provideatur et consulatur de modis
tenendis super dictarum continentiis literarum ». Per l'interpretazione letterale
del testo si apprende che fu personalmente il marchese ad uccidere Boldrino.
L'uccisione ebbe luogo nella residenza governatoriale in Macerata, ch'era
il palazzo del podestà riadattato (Notizie della Torre ed altre memorie storico-
artistiche della città di Macerata di GrusePPE Conte PALLOTTA, Macerata,
1885, p. 44).

(109) Atti consiliari dal 1° gennaio al 31 dicembre 1391, Vol. n. 12,
cc. 46v.-47r.

(110) Ibid., c. 49r. La lettera letta in Consiglio diceva : « Giovanni Artino,
Nuschino Todesco, Angelino da Casa Castalda, Angelo e Marino da Ramaz-
zano, Luca da Canale, Luca Grasso, Fortunato e Pietro da Castello, Gugliel-
mo Todesco, Lionetto Bertone e tutti gli altri suoi compagnoni, Semo certi
——

BOLDRINO DA PANICALE $ 91

che sapete lo sventurato caso, il quale con tradimento avemo ricevuto. Con-
siderando l'amore e la fede che la benedetta anima di Boldrino e mio Padre
a sempre portato con salutevole e utile provisione al magnifico vostro Comune
rendemone certi che io suo figliuolo e noi suoi cari compagni e luoghi suoi
dal magnifico Comune vostro non potrieno essere che ben trattati, e sempre
avere singulare cura di Essi, proferendo Noi sempre alli piaceri e comman-
damenti vostri. Se per altro modo accadesse, la qual cosa non credemo, che
potesse avvenire, excusamone, che ne convenia fare ad altrui quello che
fosse fatto alli luoghi, che sono rimasti della benedetta anima di Buldrino.
Data in Roccha Ficani. Die XVII mensis martii ».

(111) Di queste vendette dà conferma S. Antonino nel brano dedicato
alla morte di Boldrino : « Quum Boldrinus capitaneus multe gentis armorum
multa opera fecisset in servitium ecclesie ; tamen unus ex germanis pape
Bonifacii quem instituerat Marchionem in Marchia Anconitana invitans eum
ad prandium secum in ablutione manuum proditorie eum occidi fecit ; exi-
stimans ex morte eius quietius et plenius dominium possidere. Cuius contra-
rium accidit, nam amici et gentes illius Boldrini multa mala et homicidia
fecerunt in vindictam illius ». (Tertia pars historiarum domini ANTONINI
archipresulis florentini etc., Lione, Giacomo Myt, 1527, c. 127v.).

(112) Op. cit., II, 18. Il Pellini equivoca tra i due fratelli del papa, Andrea
e Giovannello, il primo dei quali fu vicario generale e marchese della Marca
anconetana. Il Pellini in questo passo segue strettamente il testo delle storie
di S. Antonino.

(113) Qualche eco dei movimenti e degli atti arbitrari della compagnia
di Boldrino si rinviene qua e là. Ad esempio nel Consiglio generale del Co-
mune di Macerata del 1° aprile 1391 viene portata la petizione di sei comita-
tini, i quali «isto die veneris sancti miserunt eorum boves et agnos ad
pasculandum et quod timore gentium maledicti Buldrini ad pascua solita
ire sine personarum et animalium periculo non poterant fuerunt reperti per
notarium officialium dicti comunis in scupulis Acti de Sarnano et ab ipso
Acto pacem habent » (Arch. Stor. del Comune di Macerata, Riformanze, Reg.
11,9; C-- ODIT).

(114) Cronaca volgare d'Anonimo cit., pp. 173-74 ; SozoMENO, col. 154.

(115) Cronaca volgare d'Anonimo cit., p. 178; SozoMENO, col. 155.

(116) Cronaca di ser GuERRIERO DA GuBBIO in RR. II. S.., T. XXI,
P. IV, Città di Castello, 1902, p. 27.

(117) Op..cit., IE 18.

(118) Atti consiliari del Comune di Ancona, Vol. n. 12, c. 68v.

(119) Ibid., 70r.

(120) Ibid., c. 79v.

(121) I capitoli dell'unione sono precisati nel medesimo volume (c. 125r.
e v.). Sembra che uno dei motivi o pretesti alla costituzione di questa unione
fosse l'incapacità dimostrata dal rettore della Marca a difendere le città e i
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92 GIOVANNI CECCHINI

provinciali dalle molestie inferte loro da brigate vaganti nella provincia,
come quelle di Azzo da Castello e Bindo da Montopoli (Ibid., c. 79v.). Infatti
questi motivi sono esplicitamente formulati nei capitoli dell'unione : « Item
quod facta conclusione dicte unionis debeant statim ordinari et micti amba-
xiatores communiter ad dominum rectorem provincie ad narrandum sibi cum
debitis et honestis modis qucd gentes conducte pro pace et quiete ac etiam de-
fensione dicte provincie et ne ipse gentes. quae acte erant ad predandum et
faciendum guerram in dicta provincia, et si quotidie minabantur, habeant
materiam dampnificandi in dicta provincia ; et quod dignetur sua dominatio
observare pacem et quietem in dicta provincia sicut dixit in parlamento, et
vivere in pace cum provincialibus ; cum ipsi provinciales intendant erga
eum honorem et reverentiam exibere et dare sibi censum antiquitus ordinatum
et ipsum manutenere honorifice in dicta provincia donec in pace manebit et nou
pati quantum eorum posse se extendat quod dicta provincia ab istis gentibus
exteris amplius suppeditetur et voretur. Et quod sibi placeat esse una cum
predictis ad predicta et tenere quinquaginta lanceas etiam pro defensione
dicte provincie expensis tamen illarum terrarum que immediate gubernantur
per eum et quod non gravet amplius predictos fratres ad solutionem alicuius
tallee cum tallea fuerit male defensata et immo fuit necesse conducere gentes
predictas pro defensione, tutela et quiete dicte provincie, allegando in pre-
dictis alias causas et rationes honestas ad dictam materiam facientes. Et in
casu quo dictus domnus marchio desistat ab offensionibus quas facit contra
quosdam de dicta societate et fraternitate et velit stare in pace et assentire
bonis et salubribus consiliis dictorum fratrum unitorum, bene quidem:
alias omnes predicti de dicta fraternitate et unione teneantur ad defensionem
offensi et offensionem defendentis ». Questa lega stipulata per 5 anni fu appro-
vata dal Consiglio con 90 voti favorevoli contro 13. :

(122) Atti consiliari del Comune di Ancona, Vol. n. 12, c. 129v.

(123) Nei verbali di adunanze del Consiglio generale e di credenza del
Comune di Macerata nel corso del 1391 e 1392 dopo la notizia data da Gentile
da Camerino che le genti boldrinesche «sunt reverse ad castra Ficani et
Domni» si trovano provvedimenti adottati per fronteggiare « novitatem
castri Ficani» (Arch. Stor. del Comune di Macerata, Riformanze, Reg. n. 5,
cc. 64r., 139).

(124) Il testo della petizione è registrato a cc. 71-72 del vol. 31 del Primo
Gruppo di catasti in Archivio Stor. del Comune di Perugia : « 1397, 26 ottobre.
Johannes Artinus filius olim et heres. Jacobi alias Boldrini olim de castro
Panicalis, comitatus Perusii in Porta Heburnea habitator in civitate Perusii
in Porta Sancte Subxanne et parochia Sancti Antonini et coram dictis offi-
tialibus reproduxit quandam petitionem olim pro eius parte productam coram
dictis offitialibus pro consequendo benefitium civilitatis olim concessum
dicto Boldrino eius patri per priores et camerarios cuius petitionis tenor
talis est: Coram vobis prudentibus et discretis viris bonis hominibus et
BOLDRINO DA PANICALE 93

offitialibus super refectione catrasti comunis Perusii positis electis et depu-
tatis narrat et proponit Johannes Artinus filius olim et heres Jacobi Sardi
alias Boldrini olim de castro Panicalis comitatus Perusii Porte Heburnee,
habitator in Porta Sancte Subxanne et parochia Sancti Antonini dicens
quod sub anno domini millesimo trecentesimo octuagesimo sexto die duo-
decima mensis decembris per consilium dominorum priorum et camera-
riorum artium civitatis Perusii plenissimum et generale arbitrium haben-
tium ab adunantia generali artium et artificum civitatis eiusdem fuit
effectualiter inter cetera solempniter provisum et ordinatum videlicet pre-
fati domini priores et camerarii existentes ad consilium et collegium congre-
gati providerunt ordinaverunt et reformaverunt virtute arbitrii eisdem
dominis prioribus et camerariis concessis ab adunantia supradicta quod
prefatus Buldrinus sit et esse intelligatur ex civibus perusinis et eumdem
ex nunc decreverunt fecerunt et ordinaverunt civem verum et antiquum ci-
vitatis Perusii ; et quod inter cives antiquos veros et orriginales civitatis pre-
fate possit et debeat per offitiales armarii per principales et notarios in archivo
et armario dicti comunis ad petitionem dicti Boldrini vel eius procuratoris vel
alterius cuiuscumque nomine suo petentis poni et describi et etiam acatrastari
et alibrari in ea porta seu parochia prout et quemadmodum eius nomine fuerit
postulatum vel per ipsum quoquomodo libere licite et inpune viso dumtaxat
presenti ordinamento ; et quod de cetero et in perpetuum possit et debeat in
omnibus et singulis et quo ad omnia et singula haberi reputari censeri ac
etiam tractari et nominari pro vero antiquo et orriginali cive perusino ac
etiam gaudere omnibus et quibuscumque gratiis et privilegiis et immunita-
tibus et exceptionibus quibus et quorumcumque et qualitereumque gaudent
seu gaudere possunt vel debent quomodolibet in futurum cives veri antiqui et
orriginales civitatis prefate. Dicit etiam quod de dicto arbitrio virtute dicte
adunantie generalis traslato dato et concesso in prefatos dominos priores et
camerarios tunc in offitio presidentes constat manu ser Martini Franceschini
de Perusio notarii; dicit etiam quod de dicto ordinamento et civilitati con-
stat manu ser Herculani Matheutii de Perusio notarii publici et tunc notarii
dictorum priorum: dicit etiam dictus Johannes quod dictus Boldrinus de-
cessit jam sunt sex anni et ultra ; dicit etiam quod decessit superstite sibi
dicto Johanne eius filio legitimo et naturali et herede universali ex testa-
mento condito per dictum Boldrinum. Quare petit dictus Johannes filius
olim et heres dicti Boldrini facta vobis fide summaria de predictis ipsum
Johannem filium olim et heredem dicti Boldrini alibrari poni describi regi-
strari et acatrastari in libro comunis Perusii cum omnibus suis bonis tam
aquisitis quam aquirendis in Porta Sancte Subxanne et parochia Sancti Anto-
nini et inter veros antiquos et orriginales cives civitatis Perusii prout supra
fuit et extitit solempniter provisum et ordinatum; ac etiam precipi et
mandari vestris notariis principalibus ut dictum Johannem filium et here-
dem universalem dicti quondam Boldrini sui patris ponant allibrent de-
94 GIOVANNI CECCHINI

scribant et registrent cum supradictis et infrascriptis bonis in libro comu-
nis predicti in dictis porta et parochia Sancti Antonini et inter alios
veros antiquos et orriginarios cives perusinos secundum formam supra-
dicte legis et decreti et secundum formam statutorum et ordinamentorum
comunis Perusii et undecim arbitrii et omni modo via iure et forma quibus
melius fieri potest, unde ius et iustitia sibi fieri et administrari petit. Qui
offitiales visa dicta petitione visis ordinamentis et reformationibus de quibus
supra in dicta petitione fit mentio visis articulis etiam productis pro parte
dicti Johannis Artini, visis et auditis testibus et eorum dictis et adtestatio-
nibus inductis et productis ad probationem dictorum articulorum petitionis
predicte, visis consiliis latis super predictis per egregios legum doctores do-
minum Dionisium domini Nicolay et dominum Nofrium Bartolini de Perusio
consultores dictorum offitialium consulentes in effectu, ipsum Johannem
Artinum esse describendum inter cives perusinos eorum solitis sigillis sigillatis
et propriis manibus ipsorum scriptis de quibus apparet in filza scripturarum
dictorum offitialium et de productione etiam ipsarum et examinatione dicto-
rum testium constat manu ser Luce Symonis Porte Sancte Subxanne notarii
dictorum offitialium, considerata probitate personae dicti olim Boldrini,
patris olim dicti Johannis Artini et inspecta forma eorum arbitrii et omni-
bus visis que videnda fuerunt voluerunt et declaraverunt ipsum Johannem
Artinum filium olim et heredem dicti Jacobi alias Boldrini esse allibrandum
ponendum scribendum et registrandum et acatrastandum et describi et
acatrastari debere in libro catrasti comunis Perusii dicte Porte Sante
Subxanne et parochie Sancti Antonini cum omnibus suis bonis inter cives
orriginarios dicte civitatis, et mandaverunt mihi Honofrio notario infra-
scripto ut predictum Johannem Artinum describerem et acatrastarem in dicto
libro catrasti Comunis Perusii dicte Porte Sancte Subxanne et parochie Sancti
Antonini inter alios cives perusinos dicte porte et parochie cum infrascriptis
bonis et rebus que et quas dictus Johannes Artinus assignavit et assignat
possidere. Bona autem sunt infrascripta videlicet ».

L'elenco dei detti beni occupa il verso della c. 71 e circa la metà della
c. 72r. Tutti questi beni erano situati nel castello di Panicale e nelle sue per-
tinenze. A c. 72r, sotto la data 16 agosto 1401 v’è l'iscrizione catastale d'un
bene rustico fatta a richiesta di ser Luca di Simone procuratore di donna
Laria (Ilaria) di Pietruccio madre ed erede del fu detto Giovanni Aretino
di Giacomo alias Boldrino, che a quella data evidentemente era morto. Da
quest'ultima annotazione catastale si ricava il nome della madre di Giovanni
Aretino, Laria o Ilaria di Pietruccio sino ad ora non conosciuto. Nella lunga
premessa all'annotazione catastale vera e propria e prec'samente nella peti-
zione presentata agli officiali del catasto Giovanni Aretino si qualifica come
«filius et heres Jacobi Sardi alias Boldrini ». Secondo questa testimonianza
Boldrino sarebbe stato figlio di Sardo, nome diverso da quello di Cecco
rinvenuto nelle fonti senesi, che, aggiunto a questo, rende sempre meno
probabile quello di Ambrogio sinora tramandato e non si sa da quale fonte
autentica derivato. Dalla formula « figlio legittimo e naturale» usata da Giovan-
ni-Aretino per designare il suo rapporto di parentela con Boldrino si deduce
che Ilaria non era la moglie legittima del condottiero.

(125) Il 15 settembre 1384 Antonio di Bartolomeo di Alfano da Firenze,
procuratore di Boldrino da Panicale, dà in affitto per 3 anni a Nanni di Sa-
limbene un pezzo di terra arativa in contrada S. Andrea col canone di 50
libbre. I1. 20 aprile 1385 Pietro di Antonio di Giovanni « de Almatano » mag-
giore di 25 anni prometteva di pagare a Pietruccio di Gentile da Montesanto,
fattore di Boldrino da Panicale, in 3 anni 16 fiorini per prezzo di due buoi
avuti in soccida. Il medesimo giorno detto Pietruccio locò « ad laboritium »
a detto Pietro per 3 anni un pezzo di terra «in baylia Almatani » e un altro
pezzo di terra arativa nella stessa località per il canone di 50 libbre (Bastar-
dello di imbreviature del notaio Agostino di Matteo da Fabriano in Arch.
Notarile di Fabriano). i

(126) Del cavaliere errante, romanzo di TOMMASO III MARCHESE DI SALUZZO.
Lezioni del cavaliere Lopovico SAuUuLI D’IGLIANO lette nell'adunanza del I°
aprile 1819, in Memorie della Reale Accademia delle Scienze di Torino, T.
XXVII, Torino, Dalla Stamperia Reale, MDCCCXXIII, Memorie della Classe
di Scienze Morali, Storiche e Filologiche, pp. 1-71.

(127) « Dopo le sedi di Giovanni Acuto, e di Giovanni Ubaldini, era un

guerriero di natura cosi feroce, che mettea maraviglia in tutti siccome For-

tuna lo lasciasse tranquillo sopra un seggio di sicurezza. In età d'anni venti
abbandonó il suo primo mestiere di agricoltore, e si cacció in una masnada
di assassini, e tanto per la sua barbarie, e liberalità accrebbe il suo potere,
che divenne tra breve capitano di oste numerosa e fu podestà di molte cittadi
e castella. Non fuvvi in Italia giammai uomo di lui più temuto ; fu della Marca
di Ancona, e detto Baudrin le meurtrier. Servi ai ghibellini di quelle contrade ».
(Del cavaliere errante cit., p. 60).

(128) Sonetto n° XLVI dell’autografo ambrosiano H 223 inf., c. 38r.

(129) A c. 145r.

(130) Biblioteca Augusta, C. 17, c. 227 s.

(131) Il poemetto in terzine Degli uomini famosi d'Arezzo e d’Italia è
stato pubblicato da O. GAMURRINI (Bologna, Romagnoli, 1867) col titolo
Versi di Gambino d’Arezzo. Ad alcuni di questi echi letterari della fama
di Boldrino ha dedicato una puntuale nota Franca Ageno nel fascicolo di
marzo 1962 di Lingua nostra (pp. 12-13).

BOLDRINO DA PANICALE 95
Fonti

STATUTI DI TORGIANO DEL 1426

Quando nella primavera del 1959 ci imbattemmo per la prima
volta nel codice manoscritto contenente gli Statuti di Torgiano, ci
meravigliò non poco il fatto che un piccolo centro agricolo avesse
avuto nel medioevo una così vasta e minuziosa legislazione. Da tale
incontro nacque l’idea di uno studio che, movendo dall’esame di
quegli Statuti e procedendo ad una fedele ricostruzione, sulla base
dei documenti, delle origini e della storia del nostro castello, è andato
via via allargando e approfondendo il proprio campo d’indagine, così
da tentare una sintesi delle condizioni di vita di tutto il contado
perugino, e nello stesso tempo affrontare anche da un punto di vista
teorico il problema della legislazione statutaria.

Rispetto a questo importante fenomeno della vita giuridica e
politica medioevale diversi sono i metodi di studio proposti dagli
Storici del diritto. Secondo alcuni (!) è possibile costruire un quadro
generale ed organico, che partendo dal particolare raggruppi in cate-
gorie sempre più ampie gli statuti delle varie località, alla stregua
di un mosaico che, pur essendo composto di parti staccate e fornite
ciascuna di una propria indiscussa individualità, sia capace di offrirci
una immagine complessiva di coerente significato.

Secondo altri invece (?) bisogna rifuggire dalla tentazione del siste-
ma, considerando gli statuti per quello che sono, vale a dire elementi
di singoli ordinamenti giuridici locali, sostanzialmente estranei l’uno
all’altro, anche se poggianti sul medesimo indefettibile substrato
dello ius commune. Sterili dunque sarebbero tutti i tentativi di acco-
stamento, di costruzione di un sistema unitario : perchè in ogni
caso ne risulterebbe un mosaico formato da tessere eterogenee.

Indubbiamente ognuna di queste concezioni contiene in sè qual-
che cosa di vero; e mentre la prima sottolinea l’importanza delle
aree statutarie, mettendo in rilievo le influenze esercitate dagli statuti
delle città maggiori su quelli dei comuni più piccoli, la seconda pone
l'accento sul carattere particolaristico del fenomeno comunale, che

7
—_—_—_—_—— MU aD moi nei) : — IE

98 MARIO RONCETTI

si traduce sul piano legislativo in un'autonoma, originale produzione
statutaria ; la quale d’altronde, soggetta come è ad essere periodi-
camente aggiornata e mutata, male si adatta anche da questo punto
di vista alla inevitabile cristallizzazione del sistema.

Queste considerazioni di carattere generale conservano la loro
validità anche a proposito degli statuti rurali, sebbene essi presentino
per la loro origine e per la loro stessa natura determinate caratte-
ristiche uniformi, costanti e comuni che non é difficile individuare
con esattezza.

La genesi di tali statuti, come é noto, é da ricercare nel patto
giurato col quale, all'alba del comune rurale, gli abitanti del villaggio,
i membri della vicinia, danno sanzione giuridica alla ormai viva
coscienza di classe che li accomuna. Di fronte al deciso atteggiamento
dei rustici, che si traduce a volte in vere e proprie insurrezioni conta-
dine, il conte (o l'abate) é costretto a scendere a patti e addivenire
alla stipulazione di una charta libertatis. Più tardi, verso la metà del
secolo XIII, sono invece gli stessi signori che impongono ai comita- -
tini di avere uno statuto, per poter fermare in una legge scritta
ciò che rimane della propria autorità feudale, ogni giorno di più com-
promessa dalla inarrestabile evoluzione politica economica e sociale
delle campagne (?).

Un esempio di statuto signorile ci è fornito per l'Umbria dallo
Statuto del Comune di Baschi (inizio del secolo XV). Si tratta di un
comune rurale che è sorto e si è sviluppato nell’ambito della signoria

. feudale dei « domini de Baschio », divenuti conti alla fine del Cinque-

cento ; tale statuto peraltro appartiene al periodo in cui i rustici
hanno consolidato le proprie conquiste, ed essendo il frutto di una
lunga elaborazione si presenta molto più evoluto delle primitive
carte che regolano le relazioni economiche tra signori e agricoltori (*).

Da classificarsi piuttosto nella categoria degli statuti rurali
autonomi sembrerebbe lo Statuto di Gaiche del 1318, che costituisce
il più antico statuto dei castelli del contado perugino che sia perve-
nuto sino a noi (5).

D'altra parte non bisogna dimenticare che nel frattempo, spe-
cialmente dalla metà del secolo XII alla metà del secolo seguente,
il contado diviene teatro ed oggetto di una graduale incessante opera
di conquista, mediante la quale il comune cittadino tende a rico-
stituire sotto di sé l'antica unità provinciale, raggiungendo e a volte
anche superando i limiti del comitato storico o i confini dell'episco-

pato (9).
ni mr mom

STATUTI DI TORGIANO DEL 1426 99

Ma anche sotto la sovranità del comune cittadino, gli statuti
rurali seguitano a prosperare (7), sebbene essi abbiano perduto
ormai il loro originario significato di primordiale esperimento di
democrazia, e siano ridotti a semplici codici amministrativi mediante
i quali la città provvede alla minuziosa regolamentazione della vita
delle comunità del proprio territorio (8). E se pure l'iniziativa è
lasciata alle singole popolazioni, quasi sempre indispensabile appare
l'approvazione della città dominante.

Diversa è l’origine e la natura degli statuti di certi comuni a
carattere federativo, sviluppatisi nelle zone montuose delle Alpi e
degli Appennini. Essi rispecchiano un ordinamento più complesso,
che riunisce un certo numero di villaggi, quasi sempre tutti quelli
di una vallata, in una amministrazione comune, la quale provvede
a tutelare gli interessi dell'intera universitas (9).

Esempio cospicuo di tali statuti sono senza dubbio quelli di
Predappio del 1383 (19). Il comune di « Petra Appi » si presenta infatti
nel secolo XIV come un aggregato di quattro distretti minori, situati
tutti lungo la valle del Rabbi, nell'Appennino tosco-emiliano. Antico
possedimento dell'episcopato ravennate, poi feudo della famiglia dei
Calboli e roccaforte dei guelfi di Romagna, Predappio conobbe un
momento di particolare prosperità nella seconda metà del secolo
XIII, quando divenne parte integrante di un saldo organismo mon-
tano, il Vicariato delle Fiumane, sorto per fronteggiare lo schiera-
mento ghibellino dei signori della pianura.

Di tale organismo che riuniva tutte le comunità della montagna
romagnola, gli Statuti del 1383 conservano tracce notevoli, anzi si
puó dire che la maggior parte delle disposizioni risalgano a quell'epoca
felice, prima che la cessione dei feudi calboleschi alla Signoria di
Firenze, operata con molta disinvoltura intorno al 1381 da Francesco
de' Calboli, non rendesse necessaria anche per questi statuti la revi-
sione e l'approvazione della città dominante ().

Gli statuti di Predappio, per la vastità e complessità della nor-
mazione, per l'alto grado di maturità che essi esprimono, per la
stessa rigorosa e sistematica divisione della materia in cinque libri
(De officiis - Civilium causarum - Maleficiorum - Extraordinariorum
- Damnorum datorum), costituiscono un modello nel loro genere,
tanto da essere stati più volte copiati integralmente da altri comuni
della regione.

Ma non sempre gli statuti rurali presentano tale alto livello di
perfezione ; e anche se risentono l'influenza degli statuti cittadini e
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100 MARIO RONCETTI

delle scuole di diritto delle città, da cui provengono quei notai che
come tali o come vicari o podestà cercano di dar forma alle proposi-
zioni scomposte e sgrammaticate dei rustici, appaiono il piü delle
volte, come vedremo per Torgiano, piuttosto disordinati e confusi,
né la divisione in libri, relativamente tarda, funge sempre da ele-
mento chiarificatore, perché anche dopo di essa continuano ad
essere apportate allo statuto, in maniera farraginosa, variazioni ed.
aggiunte (1°). :

Comuni invece a tutti gli statuti rurali sono le caratteristiche
del proprio contenuto, dal momento che tutti rispecchiano l'esigenza
di provvedere, al di là. della semplice amministrazione e giustizia
locale, alla tutela e all'incremento dell'economia agricola o agricolo-
pastorale del territorio cui si riferiscono, che costituisce la grande
ricchezza e, si puó dire, l'unica ragione di vita delle rispettive popo-
lazioni. Non a caso numerose norme (quando non si tratti di un
intero libro) vengono dedicate, con una casistica quanto mai minu-
ziosa, alla repressione di tutti quegli atti che possano arrecare pre-
giudizio alla pacifica e fruttifera vita dei pascoli, dei boschi, delle
campagne.

Per quanto concerne il fondamento giuridico, la giustificazione
teorica della validità degli statuti rurali, possiamo dire che essi non
rappresentano un problema particolare nel quadro del grande di-
battito svoltosi tra i giuristi medievali in tema di legittimità della
legislazione statutaria comunale (8).

«Quaeritur an castrum vel villa statutum facere possint », si
domanda Alberico da Rosate nella sua fondamentale opera De Sta-
tutis (^) e aggiunge: «et est dicendum quod sic, ex generalitate 1.
Omnes populi ff De iustitia et iure (I, 1, 9); et quia etiam leges
expresse dicant legem oppidi vel municipii esse servandam ». Come
si vede, invariato è il ricorso alle fonti romanistiche, in base al quale
il pensiero di Alberico si inquadra nella teorica della permissio.

Degli statuti delle comunità minori parla anche Baldo degli
Ubaldi, mettendone peraltro in rilievo la necessità di superiore
autorizzazione : « Statuta penalia vel specialia non possunt facere
universitates nisi auctoritate superioris precedente vel antece-
dente » (15).

Torgiano, comune di circa 5000 abitanti (19) della provincia di
Perugia, sorge a 16 km. dalla città, verso sud, su un colle alto 219
metri situato in mezzo ad una vasta pianura alluvionale, irrigata
= eri da

STATUTI DI TORGIANO DEL 1426 101

"dai fiumi Tevere e Chiascio, che appunto in prossimità di esso uni-

scono le loro acque.

Centro di indubbia importanza strategica, Torgiano affonda le
sue origini nella notte dei tempi. Invano gli storici perugini si sono
affaticati per spiegarne l’etimologia e attraverso questa risalire al-
l'epoca della sua fondazione. Secondo l’erudita ricostruzione dello
Steuco, al nome andrebbe attribuito un significato geografico : Tor-
giano sarebbe l'equivalente di Trusiamnum, vale a dire luogo in cui
«multi amnes se trudunt in Tiberim » (!) ; ma il Ciatti, criticando
quest'opinione, si dichiara favorevole alla derivazione da Turris
Iani (5), mentre il Pellini propende addirittura per una origine
etrusca (19).

Non è il caso di soffermarsi su tali più o meno fantastiche elu-
cubrazioni ; comunque sia sembra certo che questo luogo fosse abi-
tato già nell'epoca romana, come testimoniano alcune epigrafi e i
resti di una villa rinvenuti dal Ciatti (?9).

Coinvolta Perugia come gran parte d'Italia nella sanguinosa
guerra greco-gotica, il castello fu probabilmente occupato dai Goti
di Totila che erano all'assedio della città ; nel 595 poi venne distrutto
dai Longobardi di Agilulfo, che presa e saccheggiata Perugia si erano
dati a devastarne il territorio (?!).

Dopo la lunga parentesi di silenzio dell'alto medioevo, le fonti
tornano a parlare di Torgiano nella seconda metà del secolo XIII,
periodo in cui si puó con fondamento fissare la rinascita del castello.

Le nostre pazienti ricerche, condotte in seno all'archivio storico

-del comune di Perugia, hanno infatti approdato ad una gran messe

di documenti, quasi interamente sconosciuti agli storici locali (??),
che ci permettono di ricostruire con sufficiente compiutezza le fasi
nella nuova fondazione del castrum Torsciani e di seguirne lo svi-
luppo con una assiduità che, nei primi anni, si può considerare quasi
quotidiana.

Il primo atto relativo a Torgiano, nel quale ci imbattiamo scor-

rendo la preziosa raccolta che va sotto il nome tradizionale di Annali.

Decemvirali, è una deliberazione del Consiglio speciale e generale del
comune di Perugia del 9 marzo 1274, con la quale si stabilisce l'acqui-
sto del territorio su cui dovrà sorgere il castello e si fissano i patti
che dovranno essere stretti con i suoi futuri abitanti e che ne deli-
neano fin d'ora la condizione giuridica (?). Esentati per dieci anni
da ogni gravame, essi ottengono facoltà di eleggere un console o
rettore della città o del contado e di emanare propri statuti nel
102 MARIO RONCETTI
quadro della legislazione cittadina, mentre sono accolti nel novero
della popolazione del comune e posti nella particolare condizione
di comitatenses.

Incaricato di porre in atto tale deliberazione e quindi di proce-
dere anzitutto all’espropriazione dei terreni necessari, è il giudice
Guido di Ugo, eletto sindaco a questo scopo dallo stesso Consiglio
l'11 marzo 1274 (2). E il nostro uomo dovette mettersi subito
all’opera, se il 23 dello stesso mese lo vediamo stipulare ben otto
contratti di acquisto, cui fanno seguito, nei mesi seguenti, altri ven-
titrè contratti, l’ultimo dei quali porta la data del 14 novembre 1274.
Si tratta complessivamente di trentun atti di compravendita, tutti
rogati dal notaio Brocardo, contenuti in venti pergamene che, attra-
verso la cancelleria decemvirale, sono pervenute fino a noi (?).

Alla maggior parte di questi contratti, esattamente a diciannove,
corrispondono altrettante refutationes (quietanze), rilasciate dai ven-
ditori nell’atto di ricevere il prezzo pattuito, che figurano nel quarto
volume dei Libri Submissionum (?5).

Ci troviamo in sostanza di fronte ad una serie di atti privati,
nei quali peraltro compare costantemente in veste di acquirente in
nome e per conto del comune di Perugia il sindaco Guido, mentre
le altre parti contraenti sono in genere privati proprietari del luogo,
se si eccettuano « Iohannes prior et rector ecclesie Sancti Angeli de
Rosciano » (??), che agisce in nome di detta chiesa, e «frater Nicola,
yconomus, sindicus, procurator et actor ac negotiorum gestor loci
et fratrum Pulcolonis » (?)), rappresentante di tale eremo. I terreni
acquistati dal comune sono tutti posti «in districtu Perusii in loco
qui dicitur Torscianum » (2°), «in Torsciano districtus Perusii » (39),
«in Torsciano, cui undique commune Perusii » (3) : tutte espressioni
che non lasciano dubbi sulla pacifica pertinenza di detto luogo alla
giurisdizione del comune perugino. Ad ogni modo la natura politica
dell'operazione é evidente e riceve un'ulteriore conferma dal fatto
che ad alcuni di questi contratti assistono in qualità di testimoni il
capitano del popolo e i consoli delle arti in persona (3).

Era di somma importanza per il comune di Perugia stabilire un
forte caposaldo a Torgiano, per poter dominare e proteggere i
confini meridionali dello stato ; ma il carattere strategico del nuovo
castello non poteva neppure passare inosservato agli occhi del duca
di Spoleto, che cerca con la forza di impedirne la realizzazione. Il 5
aprile 1274 giunge infatti la notizia che numerosi armati «ad peti-
tionem domini ducis » sono da piü parti penetrati nel territorio peru-
STATUTI DI TORGIANO DEL 1426 103

gino, allo scopo di offendere i torgianesi (?). Pronta e decisa è la
reazione del comune : il Consiglio al quale è deferita la questione
dispone immediatamente di inviare a protezione del castello un forte
nerbo militare, costituito da 500 fanti, 20 balestrieri e 100 cavalieri,
e ordinata la mobilitazione generale nella città e in tutto il distretto,
affida il problema dell’edificazione e della difesa di Torgiano ad una
commissione di sapientes (*).

In tal modo i lavori possono essere ripresi; e al 0: dei
materiali necessari alla costruzione si provvede mediante la requisi-
zione di bestie da soma e di braccia da lavoro presso tutti i castelli
e le ville del contado, lasciando in questo campo la più ampia discre-
zionalità al giudice Guido (85).

Un anno dopo però, la costruzione delle mura deve essere ancora
iniziata ; stabilito che per detta opera non debba venire applicata
alcuna imposta straordinaria (#9), i lavori per la sua realizzazione
sono dati a cottimo a dei privati (*?), che saranno remunerati « de
avere communis Perusii » (38). Le fonti accennano alla elezione di
un sovrastante (3°) e all'acquisto di calcina al prezzo più conve-
niente (4°) ; incaricati del trasporto sono nuovamente gli abitanti del
contado (4!) sotto la sorveglianza di appositi ufficiali (?) : altra riprova
questa di come tutte le energie del comune siano impegnate nel
complesso sforzo tecnico ed economico che l’erezione del nuovo
castello richiede.

Una volta giunto a destinazione, il prezioso materiale è preso
in consegna dalla comunità, e le gravi sanzioni comminate per scon-
giurare il pericolo di eventuali furti ne garantiscono l’impiego nella
edificazione delle mura, i cui fondamenti saranno stati tracciati
sotto la personale direzione del sovrastante (*?).

Passano sei mesi e già si parla della sistemazione delle porte
del castello (4), quando tutta l'opera rischia di rimanere incompiuta
per mancanza di mezzi finanziari (4). I dirigenti cittadini cercano
di far fronte alla difficile situazione, procedendo alla rinnovazione
delle cariche (49) e decidendo l'acquisto di tremila corbe di calcina,
da pagare con il ricavato della vendita di mille corbe di grano di pro-
prietà del comune, proveniente dalle fertili comunanze del Chiugi (*?).

Né deve stupire il fatto che il consiglio si preoccupi di fissare fin
nei minimi particolari le modalità di tali operazioni (45), se si considera
quanto lo stesso Consiglio riconosce e proclama ufficialmente nella
riformanza del 13 maggio : « decernentes ipsi de consilio et interpre-
tantes ipsa duo opera videlicet opus pontis et opus Torzani esse
C qa > —

di ott

104 MARIO RONCETTI

magnam acquisitionem et maximam utilitatem communis et populi
Perusii » (*9).

Si spiega anche così, come di fronte alla negligenza dei cotti-
manti, che fanno procedere i lavori molto a rilento con inevitabile
deperimento dei materiali, il comune cominci ad infliggere ai respon-
sabili delle pene pecuniarie (5°), fissando altresì un termine per la
ripresa dell'attività (8).

E sempre in considerazione dell'importanza dell'opera intra-
presa, osserviamo il Oonsiglio approvare tutte le spese necessarie al
compimento del castello (si parla addirittura di costruzione del pa-
rapetto e dei merli), mentre il sovrastante Angelo di Giovanni è
autorizzato a punire tutti coloro che si-rifiutano di eseguire i suoi
ordini (°°).

S'inserisce a questo punto il curioso episodio, che avrebbe potuto
degenerare in un vero e proprio casus belli (8), di un furto di bestiame,
del quale i torgianesi si sarebbero resi responsabili ai danni di un cit-
tadino di Foligno che tornava dal mercato di Pietrafitta : di fronte
alle proteste dell'ambasciatore della potente vicina, non ancora
soggetta a Perugia (9), i nostri magistrati si affrettano a riparare
l'offesa, disponendo che le bestie rubate «amore communis Folini
reddantur et restituantur eidem homini cui accepte fuerunt » (59).

Nella stessa adunanza il Consiglio si occupa anche dell'edificando
ponte sul Tevere, dando mandato al massaro del comune di risarcire
i proprietari dei terreni danneggiati dalla costruzione, secondo il
giudizio insindacabile del celebre fra Bevignate, sovrastante a detta
opera (5°).

Verso la fine di luglio, viene fissato un nuovo termine ai cotti-
manti, entro il quale portino a compimento la loro fatica (5°), mentre
continua la ricerca affannosa di calce «ita quod dictum opus finiatur
et compleatur in totum » (88). |

Ma ilavori devono ancora una volta segnare il passo per la morte
del sovrastante Angelo di Giovanni; eil Consiglio, riunito per prov-
vedere alla nomina del successore, in un primo momento ne delega
la scelta al capitano, limitandosi a stabilire il compenso giornaliero
di tre soldi (5°); ma in un secondo tempo, avendo constatato l'impos-
sibilità di trovare un religioso o altra persona idonea, disposta ad
accettare l'offerta (evidentemente non doveva trattarsi di un ufficio
desiderabile), ne affida l'elezione ad una commissione di dieci boni
homines, nominati a loro volta dallo stesso Consiglio, i quali fanno
cadere la propria scelta su Andrea di Roberto (69);
STATUTI DI TORGIANO DEL 1426

Creato il nuovo sovrastante, occorre trovare altro denaro, dal
momento che con il ricavato della vendita del grano devono essere
finanziate anche altre opere pubbliche nel contado (€) ; e allora non
si esita a disporre la vendita all'incanto di tutte le comunanze che
risultino necessarie (?), per poter provvedere all'acquisto della
calce, il cui difetto impedisce ai cottimanti di rispettare i termini
convenuti (93). :

Nel mese di ottobre viene assunta a spese del comune anche la
costruzione del palazzo pubblico di Torgiano (€), della cui realizza-
zione è infine incaricato Iacopo di Pietro, che riceve a tale scopo la
somma di 200 libbre di denari (95). Questa ed altre spese effettuate
in questo periodo ($9) vengono esplicitamente e unanimemente appro-
vate dal Consiglio, sempre in considerazione della pubblica utilità
delle due opere con esse realizzate o tuttora in corso di realizzazio-
ne (5°); e viene eletto un sindaco con il compito specifico di solle-
vare da ogni responsabilità, nel momento del rendimento dei conti,
il podestà, il capitano, gli ufficiali minori e gli stessi membri del-
l'assemblea, che di tali spese si sono fatti promotori ($9).

Frattanto il costruttore del palazzo pubblico ottiene la proroga
del termine stabilito fino al 19 aprile dell'anno seguente, mentre il
sovrastante Andrea di Roberto viene incaricato di presiedere pure
all'assegnazione dei casalini ai nuovi abitanti (9?). Ed appressandosi
la fine del suo mandato, senza che l'opera sia interamente compiuta,
egli é confermato nell'ufficio, con facoltà di prendere tutti i provve-
dimenti che ritenga più opportuni per una rapida conclusione dei
lavori ; d'altra parte le condanne inflitte ai cottimanti «causa ponendi
eis coptumatoribus terorem, ut melius laborarent » vengono sospese
fino a tutto il mese di maggio dell'anno seguente (7°).

Il 1276 si conclude con una serie di pagamenti : al notaio Bo-
namancia, che redasse i contratti di cottimo (?), ai notai Paolo e
Giovanni da Torgiano, che presiedettero alla misurazione della cal-
cina, e a Mercatante di Gerardo che ne curò il trasporto al castello (73);
mentre vengono annullate le multe inflitte in un primo tempo ai
venditori di calce per ritardi nelle consegne (7).

Va infine rilevato come nel corso di quest'annata di cosi intenso
lavoro, dedicato alla costruzione del castello, non si perdessero di
vista neppure gli altri interessi della comunità, dal momento che
ci si preoccupa di dotare convenientemente la pieve di S. Bartolo-
meo (75), o di fornire a Torgiano una soddisfacente rete stradale (75).
Nel 1277 i documenti. si fanno più rari e riguardano prevalente-

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106 MARIO RONCETTI

mente il ponte sul Tevere, intorno al quale si viene formando, sotto
la direzione di fra Bevignate, un piccolo centro abitato (l’attuale
Ponte Nuovo). Torgiano ritorna in una riformanza che accorda ai
suoi abitanti il permesso di allevare animali nel castello (79), segno
evidente di una vita ormai normalizzata ; ma più interessante appare,
anche se disgraziatamente troppo sommaria, la riformanza del 10
settembre 1277, che, denunciando un persistente stato di tensione
fra i torgianesi da una parte e gli abitanti di Rosciano, sudditi del
duca di Spoleto, dall’altra, incarica il podestà e il capitano di aprire
un'inchiesta sull’accaduto (77).

Altre interessanti notizie, relative all’edificazione del castello di
Torgiano, possiamo attingere da una fonte parallela alla serie degli
Annali Decemvirali : intendiamo riferirci a quegli importantissimi
documenti contabili che sono i Registri dei Massari del comune di
Perugia (79).

Disgraziatamente però tali registri iniziano dal 1277, quando
ormai la costruzione delle mura del castello doveva essere in una
fase molto avanzata ; tuttavia dal gennaio al novembre di detto
anno incontriamo numerose annotazioni di pagamenti, effettuati per
il cottimo delle mura, per l’acquisto e il trasporto di calce e di rena,
per ispezioni e sopraluoghi, per recapito di missive, ecc. Vorremmo
qui soltanto richiamare l’attenzione sul pagamento annotato sotto
la data del 2 ottobre 1277 (7?), dal quale risulta come il podestà e il
capitano, in compagnia di altri cinque illustri personaggi, abbiano
effettuato in quei giorni una visita ufficiale di collaudo, se così si
può chiamare, alle due opere del castello e del ponte; tale fatto,
unitamente alla constatazione di come sempre più frequente, con il
passare dei mesi, appaia nel registro la motivazione « pro comple-
mento solutionis » ovvero « pro complemento ipsius castri » (dopo il
mese di novembre del 1277 i registri non contengono più alcun paga-
mento che ci riguardi), ci consente di ritenere concluso in questa
epoca lo sforzo costruttivo del comune : il castello di Torgiano, dopo
quasi tre anni di tenace lavoro, può ormai considerarsi una sicura
realtà.

Abbiamo creduto di descrivere in maniera particolareggiata la
vicenda della fondazione di questo castello, anche perchè ci sembra
un esempio tipico di quella politica di intervento che caratterizza i
rapporti tra città e campagna nel medioevo, una volta conclusa la
fase clamorosa della conquista da parte del comune cittadino : poli-
STATUTI DI TORGIANO DEL 1426 107

tica mediante la quale le classi dirigenti urbane intendono porre
riparo al progressivo spopolamento del contado e nello stesso tempo
provvedere efficacemente alla sua difesa.

Infatti, come si è visto, Torgiano deve il proprio ingresso nella
storia non già ad un atto di sommissione, analogo a quelli per cui
il comune perugino attrasse nella propria orbita numerose altre
località umbre, ma più semplicemente alla iniziativa della città do-
minante, diretta a valorizzare e fortificare il colle che già portava
il suo nome (8°). Non è da escludere peraltro che in questo luogo
esistesse già un qualche insediamento umano, o addirittura una

forma primordiale di comune rustico, sviluppatosi all'ombra della .

grande lotta condotta contro il vacillante mondo feudale.

Certo é che fin dai primi mesi della costruzione del castello,
Torgiano diviene sede di una comunità di uomini liberi (universitas
hominum), il cui rappresentante tratta da pari a pari con il procu-
ratore inviato dalla città (8). E i patti nei quali si concretano tali
trattative (82) e che costituiscono come la magna charta delle libertà
torgianesi, cui anche in futuro gli abitanti del castello faranno ri-
corso (8), configurano nelle sue linee essenziali (magistrature e ordi-
namenti autonomi) un organismo al quale si puó senz'altro dare il
nome di comune.

Si tratta naturalmente di un comune rurale, quindi assai sem-
plice nella sua struttura ; si tratta d'altra parte di un comune sog-
getto alla città, con tutti i limiti che tale soggezione inevitabilmente
comporta; ma pur tenendo presente tutto ció, non si puó negare
che esso goda, almeno in origine, di un notevole grado di autonomia.
Anche se, come osserva il Caggese, questa iniziale mitezza di oneri,
questo largheggiare di concessioni da parte del comune cittadino,
non sia altro che una diabolica tattica per prendere al laccio le in-
genue popolazioni delle campagne (*), sulle quali, trascorso il pe-
riodo della concessione immunitaria (nel nostro caso i dieci anni),
si abbatterà senza misericordia la grandine dei servigi e delle imposte
comunali (85).

Forse proprio per questo le convenzioni stipulate col sindaco
della nascente comunità, sono considerate col massimo interesse da
parte del comune perugino, che per mezzo dei suoi rappresentanti si
impegna solennemente a rispettarle, anzi conferisce loro una specie
di carattere sacro, inserendole nella formula del giuramento podesta-
rile (85)

Fatte queste considerazioni, non ci sembra necessario proseguire
108 MARIO RONCETTI

nell’esposizione delle vicende storiche del castello, sia perchè col

' . passare degli anni esse divengono sempre più note, sia perché non .
è difficile rintracciarne le fonti sulla base dello schema fornitoci dal
Briganti (8°). Ci limitiamo a segnalare il giudizio quanto mai lusin-
ghiero espresso nei confronti di Torgiano in un capitolo dello Statuto
perugino del 1342 (88),

PRETE, s acne ia

idrica

GLI STATUTI DEL 1426

Dopo aver parlato degli statuti rurali in generale ed aver ri-
costruito le origini del castello, è giunto il momento di pren-
dere direttamente in esame gli Statuti che costituiscono lo « ius pro-
prissimum » di Torgiano, per poter meglio comprendere il modo in
cui si reggevano i comuni rurali soggetti a Perugia e quindi indi-
viduare esattamente i limiti della loro autonomia.

«In nomine Domini amen. Anno Domini millesimo quadrin-
gentesimo vigesimo sexto, inditione quarta, tempore sanctissimi in
Christo patris et domini, domini Martini divina providentia pape
quinti et die XXV mensis octubris. . . » : in questo giorno dunque gli
uomini del castello di Torgiano, riuniti in adunanza, approvano il
testo del nuovo Statuto, che si presenta a noi come una generale
riforma ed un'organica sistemazione di un ordinamento preesistente.

Da esso emerge un quadro abbastanza completo ed esauriente
delle norme che regolavano nei suoi vari aspetti la vita del ca- |
à stello, quadro che cercheremo di ricostruire ed analizzare nel corso
il delle pagine seguenti.

Amministrazione interna.

Al governo del castello di Torgiano è preposto un vicario, in
conformità a quello che è l'ordinamento generale del contado peru-
ili gino in questo periodo (8°), la cui elezione è demandata ad una com-

| missione di sei « boni homines » nominati dall'adunanza generale (99).
La scelta di costoro deve cadere su un cittadino notaio, come si
HI rileva anche dalla sottoscrizione posta in calce allo Statuto, in

i cui é un certo « Dominicus Francisci de Perusio Porte Heburnee et
parochie S. Blagii, publicus imperiali auctoritate notarius et tunc

I Dy g. STATUTI DI TORGIANO DEL 1426 109
vicarius et offitialis dicti castri Torsciani» che conferisce pubblica
fede alle deliberazioni dell'assemblea.

Il vicario dura in carica sei mesi; è obbligato a risiedere sta-
bilmente nel castello, e non può assentarsi di notte senza espressa
licenza dei consiglieri (9). |

Tutti gli abitanti sono tenuti ad obbedire ai suoi legittimi co-
mandi (°°) e sottostanno, come vedremo, alla sua giurisdizione ;
d'altra parte é suo compito ispezionare ogni giorno il territorio del
castello alla ricerca dei malfattori (99).

A] termine del suo ufficio il vicario é soggetto a sindacato, cioé
è tenuto a render conto della sua gestione di fronte a quattro mas-
sari eletti appositamente dai consiglieri (9).

Abbiamo così nominato quelli che sono i più intimi collabora-
tori del vicario : i consiglieri, eletti ogni sei mesi dall’adunanza gene-
rale. Essi sono otto, quattro per ognuna delle due parti in cui si di-
vide il castello ; assistono il vicario nelle sue funzioni ; possono di
loro iniziativa convocare l’adunanza generale, nonchè disporre del
denaro pubblico fino al limite di venti soldi (95).

Ma l’organo del comune al quale sono devolute le più importanti
deliberazioni è l'adunanza generale. Numerose sono le disposizioni
dello Statuto miranti a regolare la composizione dell’assemblea e
l'ordinato svolgimento delle sue riunioni: ricorderemo qui che è
ammesso all'adunanza soltanto un rappresentante per famiglia (%) ;
che tutti gli intervenuti hanno l'obbligo di sedere (?), quando non
salgono nell'arengo per prendere la parola; che infine sono commi-
nate pene per chi interviene alle riunioni armato o disturba e inter-
rompe il discorso di un membro dell’assemblea ($9).

Altro ufficio importante è quello del sindacato : esso ha una du-
rata di tre mesi e di volta in volta sono tenuti ad assumerlo tutti quei
torgianesi che dal catasto del comune di Perugia o da quello del co-
mune di Torgiano risultano possedere un patrimonio superiore alle
cinque libbre (*°). Al sindaco spetta un salario di tre libbre di denari ;.
tra i suoi compiti principali, oltre il prendere visione e lo stimare i
danni dati, v'é anche quello di riscuotere i tributi imposti sia dalla cit-
tà che dal castello. Delle somme riscosse, come pure di tutto il denaro
pubblico comunque pervenuto nelle sue mani, il sindaco deve render
conto al termine del suo ufficio (!°). Tutto questo rendeva il sinda-
cato particolarmente gravoso e gli uomini di Torgiano ben volen-
tieri accettavano di esserne esentati.

Per completare il quadro dell'amministrazione del nostro co-
preti

T ten

ce

LE Ladin code

110 MARIO RONCETTI

mune, non ci resta che far cenno dei funzionari e ufficiali minori,
contemplati da alcune rubriche dello Statuto. Troviamo cosi quattro
massari ai quali sono affidate le chiavi delle porte, due terminatori
cui spetta il compito di risolvere le controversie di confini e prov-
vedere allo sgombero delle vie arbitrariamente occupate, e i guar-
diani delle porte, per i quali si danno prescrizioni minuziose sul nu-
mero delle armi di cui devono essere dotati, nonché sull’orario e svol-
gimento del loro servizio (1%).

E interessante notare come siano anche previsti speciali fun-
zionari (offitiales super postis) con il compito precipuo di formulare
o approvare le proposte da presentare all'adunanza generale. Si
tratta in sostanza di organi forniti di iniziativa legislativa, che
sembra vincolare lo stesso vicario (ms

Non manca infine di essere regolata la figura degli ambascia-
tori, che dietro la corresponsione di un salario si recano in città o in
altri luoghi per svolgervi incarichi in nome del comune (13). È vice-
versa punito il torgianese che rechi al castello un'ambasciata dalla
quale derivi danno alla comunità (19).

Disposizioni comuni a tutte le varie cariche sono quelle della
rubrica 27 che stabilisce una pena di 10 soldi per chi rinuncia ad
un ufficio al quale sia stato eletto dall'adunanza o dai consiglieri (195),
e quella della rubrica 77 che commina la stessa pena a chi abbia vo-
tato per se stesso nella elezione di qualche ufficiale del comune.

Amministrazione della giustizia.

La giurisdizione civile è esercitata dal vicario, il quale « de mane
et de sero » siede «ad bancum ad iura reddendum unicuique pe-
tenti» (!*). La sua competenza ordinaria, nelle cause tra torgia-
nesi, si estende fino al limite di 5 libbre di denari, mentre non va
oltre i 40 soldi nel caso che attore sia un cittadino (105)

La procedura prevede la concessione al convenuto, che riconosce
il proprio debito, di un termine di otto giorni, spirato inutilmente
il quale si procede all'esecuzione contro di lui ; Se invece il convenuto
nega l'esistenza del debito, é a discrezione del vicario concedere al-
l'attore un termine per provare la sua pretesa, oppure deferire al con-
venuto il giuramento decisorio ; in caso di provato spergiuro è sancita
una pena di 20 soldi (19),

Dalla stessa rubrica risulta evidente la posizione d'inferiorità
STATUTI DI TORGIANO DEL 1426 111

in cui erano tenuti gli stranieri : infatti se nelle cause promosse dai
torgianesi contro i « forenses » la competenza del vicario è il doppio
di quella ordinaria (10 libbre), qualora attore sia un «forensis »
non supera i 40 soldi; a carico dei forestieri grava inoltre l’onere
delle satisdazioni (‘°), mentre sono colpiti da pene aggravate quando
si rendono autori di danni (119), ,

Entro i limiti suddetti non è lecito sottrarsi alla giurisdizione del
vicario : la rubrica 26 infatti stabilisce una pena di 20 soldi per chi
abbia arbitrariamente ripudiato il foro torgianese.

Lo Statuto disciplina anche il pignoramento (!!) e il procedi-
mento «per aiutorio » (1°), istituto che permette sia resa giustizia
anche ai poveri sprovvisti di mezzi per adire le ordinarie vie legali.

Per quanto riguarda la giustizia penale, bisogna innanzitutto
segnalare la rubrica 69, che impone al sindaco pro tempore di de-
nunciare ai magistrati cittadini i delitti cruenti verificatisi nel ter-
ritorio di Torgiano e ogni altro delitto per il quale sia cosi stabilito
dagli statuti del comunedi Perugia (1?) : tali reati sono quindi sottratti
alla giurisdizione penale locale, alla quale peraltro sono riservate
le meno gravi contravvenzioni alle disposizioni di ordine pubblico,
nonché i giudizi sui danni dati, ampiamente e minutamente contem-
plati dal nostro Statuto.

Questi minori reati sono in genere puniti con una pena pecu-
niaria, che per una metà va ad arricchire l'erario comunale, mentre
per l'altra metà spetta al vicario in carica (14),

Ordine pubblico.

Le disposizioni emanate a tutela dell'ordine pubblico, che noi
chiameremmo di pubblica sicurezza o di polizia del castello, sono
numerose e come quelle capaci di illustrare con estrema vivezza le
reali condizioni di vita della comunità, ci sal ressan0a in modo parti-
colare.

È anzitutto sancito il divieto di portare armi all’interno del ca-
stello, divieto che si applica a maggior ragione anche ai forestieri
che desiderino entrare in Torgiano ; esso vige in ispecie la notte,
nelle riunioni dell'adunanza generale, nella chiesa di S. Bartolomeo
o in occasione della festa di detto santo ; ed è punito severamente
chi faccia nascere qualche rissa in questi giorni festivi (115),

Il carattere focoso dei torgianesi si rivela anche nelle rubriche
fa ptentortee

MAII R E ATO a

112 MARIO RONCETTI .

che puniscono le imprecazioni e le ingiurie (9), nelle quali a mo’ di
esempio in mezzo al testo latino affiorano pittoresche espressioni
volgari. E in questo campo sembra che le donne non fossero da meno
degli uomini, se è stato necessario emanare una particolare disposi-
zione a carico di colei che « audeat vel presumat gridare seu voci-
ferare... cum aliqua alia muliere » (11).

E vietato il gioco dei dadi e i giocatori, come pure chi dà loro
ricetto, sono colpiti da una pena di 10 soldi, che é raddoppiata qua-
lora il gioco si svolga di notte (18).

La tutela e conservazione dei beni pubblici è compito essenziale
del comune, che impone a chiunque arbitrariamente abbia occupato
strade comunali o comunque sia venuto in possesso di altri beni pub-
blici, di restituirli entro quindici giorni dall’ingresso in carica del
vicario (19).

Disposizioni minori infine concernono l’obbligo di tenere legati
i cani (12°) e la punizione dei malfattori che si aggirano di notte per
il castello, disturbando la pubblica quiete (121).

Nell'economia generale dello Statuto, una parte notevole è oc-
cupata, come abbiamo accennato, dalle disposizioni riguardanti la
materia dei danni dati: una minuziosa e organica esemplificazione
di reati e di pene, che abbraccia ben 19 rubriche (1?) e che riveste
un valore altamente significativo soprattutto per quanto riguarda la
messa a fuoco dell’importanza dell'agricoltura nella vita econo-
mica del castello. Ne parleremo pertanto in quella sede, limitandoci
qui a segnalare la rubrica 72 che riconosce al danneggiato il diritto
di denunciare al vicario l'autore del danno, avallando la sua denuncia
con giuramento ; la rubrica 78 che concede al vicario la più ampia
discrezionalità nel giudicare sui danni dati, permettendogli anche
di far ricorso all’analogia ; e la rubrica 86 che vieta allo stesso vicario
di conoscere dei danni causati a beni che non figurino allibrati nel
catasto di Perugia e quindi non paghino i tributi imposti dalla città.

Catasto e imposte.

Diciamo qualcosa della organizzazione finanziaria del comune,
non perdendo di vista le concrete disposizioni dello Statuto.

Anzitutto è fatto obbligo ad ogni torgianese che abbia acquistato
una «libram forensium » o comunque sia venuto in possesso di un
bene non risultante nel catasto del comune, di farvelo iscrivere al
STATUTI DI TORGIANO DEL 1426 113

più presto, ottenendo in tal caso come beneficio che il bene sia col-
pito dalle imposte soltanto per la metà del suo valore (12). Ma indi-
pendentemente dalle nuove accessioni, tutti i beni dei torgianesi
devono essere allibrati nel catasto ; ed è concesso un termine di due
mesi per regolarizzare la situazione, trascorsi i quali si incorre in
una multa di venti soldi, oltre ad essere sottoposti alle imposte per
tutto il tempo in cui i beni non sono stati iscritti (124).

Per quanto riguarda più direttamente l’imposizione dei tributi,
è da segnalare la rubrica 9, che prevede l’elezione di quattro « boni
homines » con il compito precipuo di calcolare i debiti e le necessità
del comune e in base ad essi « inponere collectam pro libra et cata-
stro ». Si tratta in sostanza di un’imposta fondiaria che colpiva cia-
scuno in proporzione al valore dei beni posseduti e risultanti ap-
punto dai libri catastali.

Ma in un campo di così vitale importanza come quello finanziario
non poteva non farsi sentire la schiacciante presenza della città do-
minante : troviamo infatti nel nostro Statuto (125) prevista e rego-
lata l'eventualità che da parte del comune di Perugia siano imposti
tributi di vario genere (collecte, salarie, foci, subsidui) e per la loro
riscossione pignorato qualche bene dei torgianesi; ma c’è di più:
la stessa possibilità è ammessa anche qualora l’imposizione provenga
da parte degli « offitialibus Summi Pontificis », il che è estremamente

significativo e sta ad indicare la concreta supremazia che la Chiesa

va estendendo su tutto il territorio perugino.

Non si parla nello Statuto di pedaggi (129); ma d’altra parte sono
così numerose le multe comminate ai trasgressori delle varie disposi-
zioni, che il loro gettito doveva occupare un posto di primo piano
nel quadro delle finanze comunali.

Altra parte importantissima dello Statuto è quella concernente
l'Igiene : notevoli infatti sono le norme rispecchianti questa esigenza,
del resto spiegabili se si pensa ai frequenti contagi e alle fiere pesti-
lenze dell’epoca.

È anzitutto manifestata una viva preoccupazione per ogni even-
tuale contaminazione dell’acqua dei pozzi e delle fonti : a tale scopo
è punito chiunque in loro prossimità «audeat vel presumat lavare
vel aliquam aliam turpitudinem facere » (127).

La salubrità dell'aria e la pulizia delle strade sono le esigenze
lenute presenti nel comminare pene a chi ammucchi letame sulla
pubblica via e non lo rimuova nel termine di quindici giorni (1°8).

8
114 MARIO RONCETTI

Per quanto riguarda l’alimentazione, è fatto divieto a chiunque
di macellare bestie o comunque esercitare l’arte dei macellai senza
espressa licenza del vicario ; è altresì vietato introdurre nel castello
animali morti, tranne che si tratti di morte dovuta a cause acciden-
tali, nel qual caso è lecito vendere tali bestie fuori porta (1°).

Una preoccupazione igienica pensiamo che sia anche alla base
della disposizione contenuta nella rubrica 59, che vieta di allevare
capre e scrofe nel castello e nel suo distretto, permettendo soltanto
ad ogni abitante di tenere un porco per la necessità della famiglia,
e in caso di malattia una capra, a patto però che siano custoditi in
casa e non vadano pascolando in libertà (18).

Agricoltura.

Torg ano, situato al centro di una vasta e fertile pianura
irrigata dalle acque del Tevere e del Chiascio, non è soltanto un rile-
vante punto strategico, ma anche un centro agricolo di notevole
importanza.

Ancora oggi esso ritrae dall’agricoltura i propri mezzi di vita,
e al lavoro dei campi è dedicata quasi tutta la popolazione attiva,
se si esclude l’artigianato, peraltro in declino, dei cocciai, di probabile
derivazione derutese.

E l’agricoltura è presente nella mente del legislatore medievale,
che impone a tutti gli abitanti di coltivare orti e piantare alberi do-
mestici nei propri terreni, e li obbliga altresì ad intervenire alle opere
del comune, prestando la propria attività manuale o la forza delle
proprie bestie (181).

Ma la preoccupazione di tutelare con ogni mezzo la prosperità
e lo sviluppo dell’agricoltura si manifesta soprattutto nelle disposi-
zioni concernenti i danni dati : qui vediamo infatti sancite numerose
pene pecuniarie a carico degli autori dei danneggiamenti, pene che
variano a seconda che il danno sia stato cagionato di giorno o di
notte, personalmente o con bestiame, con animali grossi o piccoli,
ecc. (!). Inutile dire che i beni protetti da queste norme sono inti-
mamente connessi con la vita dei campi : si tratta di volta in volta
di biade, di campi seminati, di orti, di alberi domestici e non, di per-
golati, vigne e canneti; non mancano neppure di essere puniti coloro
che arrecano danno alle coltivazioni di legumi o alle giuncaie
altrui !
STATUTI DI TORGIANO DEL 1426 115

In un solo caso la pena è comminata per danni che non hanno
riferimento con l'agricoltura : nel caso di danneggiamento del fos-
sato che circonda il castello (!) : ma evidentemente la disposizione
si giustifica in base al superiore interesse della manutenzione delle
opere di difesa militare.

Religione

Abbiamo lasciato per ultimo quella parte degli Statuti che ri-
guarda il culto, non certo perchè essa rivesta un’importanza secon-
daria, ma proprio perchè volevamo farne un discorso a parte.

Non è certamente una novità l’affermazione che nel Medio Evo
lo spirito religioso, lungi dall’essere soltanto un momento eventuale
o transitorio della coscienza individuale, costituiva la base stessa
della società, che non era concepibile mettere in discussione, appunto
perchè esso pervadeva e dava un senso a tutti gli aspetti della vita.

Tuttavia fa una certa impressione verificare come questo giu-
dizio, necessariamente generale e sintetico, trovi riscontro anche a
proposito del nostro comune rurale, calandosi dal piano dei valori
su quello concreto e palpitante della realtà : quando i nostri Statuti,
come del resto qualsiasi altro documento dell’epoca, prendono inizio
nel nome del Signore, quando il più umile degli homines riuniti in
adunanza non può esprimere il proprio pensiero sugli argomenti in
discussione, senza prima toccare con mano le Sacre Scritture e senza
premettere al suo intervento l’invocazione a Dio e alla sua santissima
Madre, quasi a chiamarli a testimoni della propria buona fede, noi
ci rifiutiamo di considerare questi gesti e queste parole soltanto come
mezzi per conferire maggiore solennità all’atto che si compie, o peggio
come semplici ripetizioni di vuote formalità, alla base delle quali
non stia il fuoco di una profonda fede vissuta.

Allora si spiegano le disposizioni contenute nelle prime rubriche
dello Statuto, che mirano a rendere pacifiche e solenni le celebra-
zioni della festa del santo patrono, l’apostolo Bartolomeo, attardan-
dosi perfino a stabilire il peso delle fiaccole con le quali gli abitanti
devono intervenire alla processione (134) ; e acquista un senso anche la
rubrica 5 che colpisce con pene severe la bestemmia (35). Come già se-
gnalammo a proposito delle ingiurie, anche qui il testo della disposi-
zione ci offre a mo’ di esempio caratteristiche espressioni volgari ;
è interessante inoltre notare come siano puniti con la stessa pena

metum +

plcUIUMS TANUUSUE EE

dia è NATA TA
116 MARIO RONCETTI

coloro che bestemmiano il nome di S. Bartolomeo e degli altri apostoli
e coloro che bestemmiano i nomi di Lorenzo, Ercolano e Costanzo,
protettori della città : segno evidente del rispetto che anche in questo
campo era dovuto verso la dominante.

Un gruppo di norme (?*) si occupano del comportamento degli
uomini e delle donne nella chiesa parrocchiale, inculcando il rispetto
per il tempio specialmente durante le sacre funzioni.

Le rubriche 14, 15, 16 sanciscono l'obbligo del riposo festivo (197),
che vige fin dal sabato pomeriggio, dopo i vespri, e si estende oltre
che a tutte le domeniche, anche alle altre festività religiose, ivi com-
prese le feste dei santi Lorenzo, Ercolano e Costanzo. Anche gli ani-
mali hanno diritto al riposo, ma naturalmente sono previste le de-
bite eccezioni per i più urgenti lavori dei campi.

Terminiamo ricordando la rubrica 57, che impone agli abitanti
del castello di intervenire, nella misura di almeno uno per famiglia,
ai funerali di ogni torgianese defunto(!8) : disposizione probabilmente
pleonastica, come può facilmente rilevare chi abbia avuto occasione
di constatare de visu la profonda e sentita pietà per i morti, tuttora
viva nelle nostre campagne.

LE RIFORME SUCCESSIVE

È noto come la produzione statutaria di ogni comune non sia
qualche cosa di statico, ma vada soggetta ad un continuo processo
di revisione e di aggiornamento ; ad integrazione quindi del quadro
tracciato nel capitolo precedente è indispensabile che anche noi se-
guiamo l’evoluzione legislativa di Torgiano, onde individuare nel
divenire delle norme i problemi ricorrenti e le esigenze nuove della
sua organizzazione e della sua vita.

Nel codice contenente i nostri Statuti infatti, al testo fondamen-
tale del 1426 fanno seguito numerose riforme, decise dall'assemblea
generale nel corso del secolo XV. Si tratta di una serie cospicua di
deliberazioni, che occupano nel loro insieme un'estensione maggiore
delle originarie ottantasette rubriche, e si succedono in genere in
ordine cronologico, anche se non mancano esempi di deliberazioni
posteriori inserite negli spazi del codice rimasti liberi tra altre deli-
berazioni antecedenti (199),

È interessante anzitutto segnalare lo schema formale, la veste
STATUTI DI TORGIANO DEL 1426 117

diplomatica che assumono queste riforme : dopo l'invocazione alla
divinità e la datazione, è immediatamente fatto cenno della convo-
cazione dell'adunanza generale, riunita «ad sonum campane vo-
cemque preconis » nel palazzo del comune ; dinanzi ad essa il vicario,
che normalmente come notaio ha anche rogato l’atto, previo accordo
con i consiglieri e gli ufficiali super postis, espone le proposte al-
l’ordine del giorno e chiede che su di esse « sanum et utile consilium
exhiberi ». Si alzano quindi a parlare uno o più membri dell’assem-
blea e manifestano il loro pensiero sui singoli argomenti; dopo di
che le proposte vengono messe ai voti e della votazione viene ripor-
tato il risultato. Raccomandata l'inserzione nel libro degli Statuti e
riaffermata la sua validità in perpetuum, la riforma termina con il
signum tabellionatus e la sottoscrizione del notaio.

Per quanto riguarda il contenuto, conviene porre subito in
evidenza la prima riforma, del 2 marzo 1429 (19), che è importante
perchè fissa un regolamento particolareggiato delle riunioni del-
l'adunanza generale e del suo sistema di votazione.

È anzitutto ribadito il principio che non si possa prendere alcuna
deliberazione se prima non siano state formulate le proposte relative
da parte degli appositi offitiales super postis ; viene quindi stabilito
il procedimento di votazione che assicura ai membri dell’adunanza
la segretezza del voto. Ciascuno di essi infatti dovrà introdurre en-
trambe le mani chiuse nelle due urne (bianca : voti favorevoli, rossa :
voti contrari) e lasciare cadere la pallina o la fava in quella che corri-
sponderà alla sua scelta ; e chi non si atterrà a questa norma sarà
multato di un bolognino (14).

Della regolare convocazione e del regolare svolgimento dell’adu-
nanza è reso responsabile il vicario : ogni deliberazione presa in
maniera non legittima oltre a non avere alcun valore giuridico si
risolverà per lui in una multa di dieci libbre di denari.

Anche la figura degli altri organi del comune è contemplata
dalle riforme : così il 22 novembre 1467 (1?) l'assemblea delibera sul
rispetto e sulla obbedienza di cui devono essere circondati i massari,
dal momento che «in ipso offitio tota res publica ipsius castri se
fundatur»; qualora dunque i massari e i consiglieri « pro maiori
parte in concordia existentes » diano un ordine ad un abitante del
castello, questi non puó esimersi dall'obbedire, se non vuole incorrere
in una pena di venti soldi.

E procedendo sulla stessa strada, vediamo come ai massari sia
concessa il 10 novembre 1470 (19) anche la facoltà « addendi et mi-
118 MARIO RONCETTI

nuendi statutos dicti communis et ipsos reformandi », il che costi-
tuisce una delega a tempo indeterminato di quella che finora era
stata una specifica prerogativa dell'adunanza generale.

Preoccupazione costante del comune è quella di consoli-
dare le basi della propria economia, procedendo al riordinamento del
proprio sistema tributario e comminando pene contro gli evasori
fiscali (nil sub sole novi !) : perciò il 25 gennaio 1433 (14) l'adunanza,
in parziale deroga a quanto prescritto dalle rubriche 55 e 56 dello
Statuto del 1426, dispone che qualsiasi abitante del castello di Tor-
giano o del suo distretto, il quale sia in possesso di beni non risultanti
nel catasto comunale, debba farveli iscrivere nel termine di 15 giorni,
incorrendo altrimenti in una multa di 5 soldi per ogni giorno che detti
beni siano stati fuori dei libri catastali. La riforma specifica anche
la destinazione di tale pena pecuniaria : la metà andrà all’erario del
comune, un quarto a chiunque denunci il fatto e l’altro quarto al-
l’ufficiale che eseguirà la condanna.

Ma non basta tutelare le fonti delle entrate comunali, occorre
anche garantire una sapiente amministrazione del pubblico denaro
e difenderlo da ogni eventuale appropriazione indebita : a tale scopo
vediamo stabilita tutta una rete di controlli dalla riforma del 27
dicembre 1437 (!5), Ja quale, vietando al vicario di raccogliere col-
lette, sottopone tutti i funzionari del comune al controllo degli « of-
fitiales consiliaratus » e ordina l'elezione di un massaro con il com-
pito specifico di ricevere e conservare tutto il denaro spettante al
comune.

Sempre in campo finanziario é interessante esaminare la riforma
del 1494 (45), che trae origine dalle incessanti lamentele della popo-
lazione torgianese, oppressa da eccessivi gravami. Poiché «sepius
fuerit discussum ... nec usque modo fuerit reperta via neque modus

unde et quomodo dicte collecte inponi debeant », allo Scopo di « huius-

modi latratibus finem atque metam inponere», vengono incari-
cati di formulare un'equa soluzione tre illustri personaggi, tra i quali
spicca il nome del giurista Matteo degli Ubaldi. Essi propongono
che per l'avvenire la colletta e il salario del capitano del contado,
per la quota spettante a Torgiano, vengano riscossi per due terzi
secundum libram, cioé proporzionalmente ai beni posseduti da cia-
scuno, e l'altro terzo per capita et secundum capita hominum (1*).

D'altra parte, poiché vi sono dei comitatini che posseggono
qualche «libram, que olim fuit civium » e come tale già esente da
imposizione almeno per quanto riguarda il salario del capitano, per

liti Lir LT iuit
STATUTI DI TORGIANO DEL 1426

venire incontro alle loro rivendicazioni si concede ad essi l'esenzione
dall’onus del sindacato per un periodo di anni (da 8 a 15) propor-
zionale all'entità dei beni di origine cittadina posseduti.

E queste sagge determinazioni della commissione arbitrale ven-
gono regolarmente approvate dall’adunanza generale, presenti i due
terzi degli aventi diritto.

Nel frattempo Torgiano provvede energicamente a tutelare
l’integrità delle sue mura, affidando la custodia del fossato a due
«boni homines » da eleggersi ogni anno : chiunque senza licenza di
costoro osi farvi lavori di scavo incorrerà nella pena di 10 fiorini
d’oro, da ripartirsi come al solito tra il comune (metà) l’accusatore
(un quarto) e l’ufficiale della esecuzione (l’altro quarto). Viene riaf-
fermata la necessità di tenere sgombre le vie del castello e del terri-
torio ; la punizione di coloro che le occupano in modo che « bestie et
persone non possint per dictas vias transire... sine magno periculo
et preiuditio » è rimessa all’arbitrio dei terminatori, estimatori e
degli uomini da essi deputati (riforma del 30 novembre 1445) (14).

L'11 agosto 1448 l'assemblea é chiamata a deliberare sul grave
problema dell'approvigionamento idrico del castello (!4) : «cum in
dicto castro non sit abundantia aquarum » si auspica la costruzione
di due pozzi nuovi, delegando il giudizio tecnico sulla scelta dei luoghi
più idonei ad una commissione composta dai massari e da quattro
boni homines da essi nominati (1).

È noto come nel corso del secolo XV Torgiano sia stato teatro
di sanguinosi episodi di guerra civile ed abbia visto il suo territorio
corso dagli eserciti del papa e del re di Napoli; tutto questo, senza
contare le pestilenze tanto frequenti in quell’epoca, deve avere sen-
sibilmente ridotto il numero dei suoi abitanti: certo è che una po-
litica di incremento della popolazione si può riscontrare nelle ri-
forme, là dove impongono a tutti i torgianesi di prestare una gior-
nata lavorativa in favore dello straniero che, desideroso di venire
ad abitare nel castello, viinizi la costruzione di una casa (15) e quando
stabiliscono la recezione di Nanni di Castiglione Aretino, conceden-
dogli tutte le esenzioni previste dagli Statuti (19).

Nella stessa riforma del 1448 troviamo nuove disposizioni con-

‘ cernenti la festa del santo patrono Bartolomeo : e affinchè « possit

et valeat intercedere pro hominibus dicte civitatis coram domino
nostro Jesu Christo et pro nobis orare quod nos omnes caveat ab
omni periculo et fortuna », viene ribadito l’obbligo di intervenire
(unusquisque pro quolibet foculari) alla processione; e se il peso

119%.
120 MARIO RONCETTI

delle fiaccole è ridotto ad una sola libbra, la pena per i trasgressori
è portata a venti soldi. Aggravata si presenta anche la multa per
coloro che non rispettano il riposo festivo.

Per quanto riguarda la giustizia penale è interessante considerare
la riforma del 14 ottobre 1487, la quale rivela come non troppo pa-
cifica fosse la vita del castello ; infatti «ad obviandum maleficia,
que ex nimia facilitate committuntur » viene stabilito che in caso
di omicidi o altri delitti cruenti, da denunciare come sappiamo ai
magistrati di Perugia, il colpevole incorra anche in una multa di dieci
libbre di denari (cinque nei casi meno gravi) a vantaggio delle fi-
nanze comunali (15),

Ma in questo campo maggiore importanza riveste, a nostro
giudizio, la lettera che GiovanniRosa, vescovo di Rimini e governatore
di Perugia con il titolo di luogotenente generale, invia a Torgiano il
12 giugno 1486 (55, per riportare sulla retta via le pecorelle
smarrite.

Il documento, interessante anche da un punto di vista lingui-
stico, è in volgare e consiste in sostanza in una serie di provvedi-
menti intesi a colpire la bestemmia, il gioco d’azzardo e il porto
d’armi proibite.

Dopo un generico preambolo, in cui il prelato afferma essere
suo dovere curare il pacifico e quieto vivere dei popoli affidati al
suo governo, ci si imbatte in una narratio oltremodo espressiva :
«sentendo noy come lì in quillo castello de Torsciano se vive descu-
stomatamente e cum grande licensia de male opere specialmente in
giocare, in biastemare Dio co li suoy Santi e in portare le arme, de
che ne avemo dispiacere grandissimo ...»; per cui «a ciò che chi
per timore e amore de Dio e de la vertù non se vole emendare sal-
tem per timor de la pena se abstenga dal male fare » si ordina al
vicario, ai sindaci e massari di Torgiano di rendere di pubblica ra-
gione le disposizioni seguenti. Le quali stabiliscono, in aggiunta
alle sanzioni previste dagli Statuti locali, pene severe (1 ducato,
1 fiorino, 50 soldi, secondo i casi) per i bestemmiatori, e multe di
40 soldi per i giocatori e i portatori d’armi proibite. Il ricavato di
queste pene pecuniarie è destinato in egual misura all’accusatore,
all'ufficiale dell’esecuzione e alla Camera Apostolica.

Dall'esame di questo documento si può facilmente rilevare come
oramai anche il governo del contado perugino sia in mano ai ministri
della Chiesa.

E ad essi i rappresentanti del nostro comune rivolgeranno « hu-

——————— tx

MM
- neri

STATUTI DI TORGIANO DEL 1426 121
miles preces» per ottenere l'approvazione degli Statuti, approva-
zione che conclude il 15 giugno 1562 la vicenda legislativa del ca-
stello di Torgiano : « Attentis narratis suprascripta statuta quatenus
sint in viridi observantia, et ecclesiasticae libertati sacrisque ca-
nonibus non sint contraria, confirmamus et observari mandamus
ut petitur, nostra tamen et successorum superioritate semper salva,
et reservata ». :

Segue la sottoscrizione e il sigillo del vice legato Girolamo Man-
nelli, vescovo di Nocera (15).

In verità il Briganti afferma (799) di aver trovato negli Annali De-
cemvirali un'approvazione degli Statuti di Torgiano da parte dei
magistrati cittadini in data 30 novembre 1575 ; ma un attento esame
della fonte citata ci ha permesso di stabilire che non si tratta di un'ap-
provazione generale degli Statuti di questo castello, paragonabile
a quella sopra illustrata, per quanto in margine si legga la nota:
«Statuti castri Torsciani confirmatio », bensì di una semplice rati-
fica di una deliberazione dell'assemblea torgianese, ottenuta in se-
guito all'istanza del giurista Pietro degli Ubaldi (15).

Interessante è comunque il contenuto di detta deliberazione :
in essa infatti si prendono provvedimenti per evitare il ripetersi di
frodi alimentari e di abusi nella vendita del pane, delle carni e del
vino, nonchè nell’esportazione fuori del territorio perugino di generi
di prima necessità ; e « ut pauperes dicti loci non defraudentur » viene
stabilita la creazione di un apposito ufficiale, da eleggersi ogni anno,
con il compito specifico di indagare sulle frodi e punire i colpevoli.

APPENDICE

Il ms. 966 della Biblioteca Comunale « Augusta » di Perugia (158)
è un codice pergamenaceo del secolo XV (1426-1494) e seguente
(1562), le cui dimensioni oscillano da mm. 260 x 182 a mm. 250 x
172. Consta, secondo una recente numerazione a matita, di cc. I + 45
+ I (le cc. 1-9, cartacee, risultano aggiunte nel corso del secolo XVIII);
tra la c. 9 ela c. 10 si trovano due fogli membranacei tratti da un
messale gotico del '300, che appaiono laceri verso gli angoli interni
e che probabilmente costituiscono tutto quanto rimane della origi-
naria legatura.
I fascicoli di cui è composto il codice si susseguono in quest'or-
122 MARIO RONCETTI
dine : quinterno (cartaceo), duerno, quaterno, quaterno, duerno,
quaterno, duerno.

Si tratta evidentemente di un codice miscellaneo, in cui al nucleo

originario sono state fatte aggiunte, anche di diverso formato, in
epoche successive.

Il numero delle linee varia da un massimo di 40 a un minimo
di 14.

La scrittura é gotica corsiva, cancelleresca, che tranne poche

eccezioni é abbastanza regolare e talora perfino elegante. Essa appare
vergata da diverse mani, di cui indichiamo qui di seguito la succes-
sione :

ces —T[—-9 Indice settecentesco delle rubriche dello Sta-
tuto e delle sue successive riforme ;
c. fOr ev Indice delle rubriche dello Statuto ;

cc; TIr.— 25r Testo dello Statuto del 1426;
ec. 250 — 20v Riforma del 1429 ;

cc. 27r — 28r Riforma del 1433 ;

e. 28r Riforma del 1455;

cc. 28» — 29r Riforma del 1437 ;

cc. 20r — 29v Riforma del 1445 ;

cc. 30r —- 300 Riforma del 1467;

cc. 31r — 32v Riforma del 1448;

ce. 39r Riforma del 1470;

c. 33r Riforma del 1470;

cc. 34r — 34v Copia di lettera del governatore ;
ec; 094p — 35r Riforma del 1487;
cc. 359p — 4lr Statuto dei capitani del contado (19) ;

c. 41v Inizio di una Riforma (1491) ; distico su Tor-
giano ;

cc. 42r — 43r Riforma del 1494;

c. 430 Approvazione degli Statuti (1562).

Le cc. 44 e 45 fungono da fogli di guardia pergamenacei, con
grosse macchie al centro; l'ultimo con qualche annotazione mano-
scritta.

Il testo dello Statuto presenta rubriche in rosso e sul margine
sinistro di ogni foglio la numerazione progressiva in cifra romana
(araba per le prime tre) delle rubriche stesse ; a partire dalla quinta
i titoli in rosso delle rubriche si allineano (senza più sovrapporsi)

y
rati
STATUTI DI TORGIANO DEL 1426 123

a quelli scritti in nero e in caratteri più minuti, che in genere sono
piü estesi. i

La legatura è moderna, in tutta pelle scura, che riveste piatti
formati da due assicelle di legno : la chiusura è assicurata da due
fermagli metallici. Essa è stata eseguita nell’ottobre 1958, quando
il codice venne inviato al Laboratorio di restauro del libro della
Badia di Grottaferrata (Roma), per esservi appunto restaurato.

Anche per questo si può dire che il suo stato generale di conserva-
zione sia abbastanza buono. Tuttavia la pergamena, per quanto
sottoposta a procedimento di smacchiatura, presenta specialmente
nell’angolo inferiore esterno dei fogli un alone di sporco, segno evi-
dente che il codice veniva letto e consultato ; e in questo senso vanno
interpretati anche le frequenti postille marginali e i vari segni apposti
sui margini stessi per attirare l’attenzione sopra qualche passo no-
tevole. Negli ultimi fogli le macchie si fanno più evidenti e mar-
cate, mentre compare anche qualche foro, che rende in due o tre
punti incerta la lettura.

Ci preme infine di segnalare la lingua del testo, una lingua che
del latino conserva solo la veste esteriore, mentre nella caotica anar-
chia dei casi e delle costruzioni, nonchè nella frequente introduzione
di termini schiettamente volgari, denuncia il suo uso esclusivamente
dovuto al peso della tradizione e alla natura giuridica del suo con-
tenuto.

MARIO RONCETTI

1.

/11r In nomine Domini, Amen. Anno Domini millesimo quadringen-
tesimo vigesimo sexto, inditione quarta, tempore sanctissimi in Christo
patris et domini, domini Martini divina providentia pape quinti et die
XXV mensis octubris.

Infrascripta sunt statuta et ordinamenta ac reformationes comunis
et hominum castri Torsciani, comitatus Perusii, facta, ordinata et reformata
per generalem adunantiam hominum dicti castri, prout de dicta reforma-
tione latius constat manu mei Dominici, notarii infrascripti, quorum sta-
tuta inferius per ordinem adparent.
124 MARIO RONCETTI

I — De pena non euntis ad alluminariam in vigilia
sancti Bartolomei. — Rubrica.

In primis statuerunt et ordinaverunt quod omnes homines de dicto
castro, videlicet unus pro quolibet foculari, in vigilia gloriosissimi Appostoli
sancti Bartolomei de mense agussti debeat venire ad palatium comunis
pro facula et cum ea adcensa debeat ire ad aluminariam cum processione
sub pena trium soldorum pro quolibet contra fatiente ; quos tres solidos
denariorum debeant micti in cippo comunis. Et quod quilibet sindicus
qui pro tempore erit teneatur et debeat adportare faculas, videlicet una
pro quolibet foculari ponderis duarum librarum pro qualibet, et si in pre-
dictis fuerit negligens in adportando dictas faculas, solvat et solvere tenea-
tur et debeat nomine pene libras quinque denariorum . . . . . libr. V.

IL — De pena ferentibus arma in festo sancti Bar-
tolomei — Rubrica.

Statuerunt et ordinaverunt quod nulla persona tam torscianensis
nec aliqua alia persona audeat vel presumat ferre aliquod genus armorum
tam offendibilium quam defendibilium per dictum castrum Torsciani in
die festivitatis santi Bartolomei pena cuilibet contra fatienti decem soli-
dos denariorum pro quolibet genere armorum et vice qualibet.

III. — De pena fatientis rissam in festo santi Bar-
tolomei.

Statuerunt et ordinaverunt quod quicumque de dicto castro Torsciani
vel aliqua alia persona fecerit aliquam rissam in dicto castro in vigilia seu
in festo (19?) sancti Bartolomei seu in die sequenti post/ 11» dictum festum
solvat et solvere teneatur et debeat nomine pene solidos viginti denariorum ;
et si rissam fecerit in dicta ecclesia solvat nomine pene solidos quadra-
ginta denariorum, et vicarius, qui pro tempore erit, habeat medietatem
dicte pene.

III. — De pena portantium arma de nocte per dic-
tum castrum. — Rubrica.

Statuerunt et ordinaverunt quod nulla persona cuiuscumque status
seu conditionis existat audeat vel presumat ferre aliquod genus armorum
STATUTI DI TORGIANO DEL 1426 125
offendibilium de nocte per dictum castrum pena cuilibet contra fatienti
et pro quolibet genere armorum decem solidos denariorum, et hoc non
habeat locum in illis qui irent ad fatiendum custodiam, et quilibet possit esse
accusator et habeat quartam partem dicte pene et teneatur sibi credentia.

V. — De pena blasfemantis Deum, Virginem Mariam
vel Santos. — Rubrica (191). (De pena blasfemantis Deum, Vir-
ginem Mariam vel Apostolos et alios Santos).

Statuerunt et ordinaverunt quod nulla persona, cuiuscumque status
et conditionis existat, audeat vel presumat blasfemare dominum nostrum
Jesum Christum vel eius matrem Virginem Mariam, videlicet dicendo :
maledecto sia : solvat nomine pene quicumque contra fecerit solidos decem
denariorum pro qualibet vice. Et si dixerit: per lu culo o per la pocta sol-
vat nomine pene pro qualibet vice solidos quinque denariorum. Et si dixe-
rit : che de l'anno sia scunficto sia malgrato n'agia vel quocumque alio modo
victuperose dixerit vel iuraverit per corpus, per sanguinem, per visciera,
solvat nomine pene pro qualibet vice unum bologninum. Et si maledixerit
et blasfemaverit aliquem Appostolum, videlicet santum Petrum, santum
Paulum, santum Bartolomeum vel alios Appostolos et Martires, videlicet
santum Laurentium, santum Herculanum et santum Constantium, dicendo :
maledecto sia, solvat nomine pene pro qualibet vice quinque solidos dena-
riorum ; et si blasfemaverit aliquem alium Santum vel Santam vel iura-
verit per membra victuperosa, solvat nomine pene unum bologninum pro
qualibet vice et pro qu-libet contra fatiente, et cuilibet sit licitum accusare
et teneatur sibi secretum, et vicarius qui pro tempore fuerit teneatur et
debeat super predictis procedere et habeat et habere debeat medietatem
dictarum penarum.

VI. — De electione consiliariorum. - Rubrica.

statuerunt et ordinaverunt quod electio consiliariorum dicti castri de-
beat fieri pro sex mensibus et non ultra et sic subcessive eligantur de/ 12r
sex mensibus in sex menses. Qui consiliarii eligi debeant in adunantia ge-
nerali dicti castri ad brisciolos albos et nigros, et quod quicumque habebit
brisciolum nigrum debeat vocare et eligere unum ex massariis dicti castri,
et modo predicto eligantur octo consiliarii. Qui octo consiliarii quatuor
eligantur ab una parte castri et alii quatuor ab alia parte modis antiquitus
consuetis. Qui consiliarii teneantur et debeant interesse in palatio ad om-

mee 41

i VIZI

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126 MARIO RONCETTI

nem requisitionem vicarii dicti castri ad consiliandum et ad providendum
ea que sunt utilia pro dicto comuni, et habeant arbitrium congregari fa-
cere adunantiam dicti castri prout eis videbitur fore opportunum et etiam
spendendi de pecuniis comunis usque in viginti soldis denariorum pro uti-
litatibus comunis.

VII. — De electione portannariorum seu clavorum.
— Rubrica.

Statuerunt et ordinaverunt quod in adunantia generali dicti castri
eligantur de duobus mensibus in duos menses quatuor homines de dicto
castro qui habeant claves portarum et teneantur claudere et aperire de
mane et de sero oris congruis et debitis, qui quatuor massarii pro dicto
tempore non teneantur facere cusstodiam de die tantum.

VIII. — De electione terminatorum. — Rubrica.

Statuerunt et ordinaverunt quod in dicta adunantia eligantur modo
predicto duos homines de dicto castro, qui habeant terminare et terminos
ponere in convicinos ubi (1?) eis videbitur iustum fore cum pleno arbitrio
et potestate, et similiter habeant arbitrium providere super viis occupatis
per disstrictum dicti castri et ipsas reducere (169) et reduci facere in pristino
statu.

VIIH. — De electione offitialium ad ponendum col-
lectam. — Rubrica. (De electione offitialium ad ponendum col-
lectam pro solvendo debita comunis).

Statuerunt et ordinaverunt quod in dicta adunantia modo et ordine
predictis eligantur quatuor boni homines de dicto castro qui habeant ple-
num arbitrium calculandi omnia debita iusta et rationabilia dicti comunis,
et ipsa debita vera, visa et calculata possint et valeant in/ 12v ponere col-
lectam pro libra et catastro, prout eis videbitur convenire, omnibus haben-
tibus libram et catastrum in dicto castro Torsciani seu in civitate Perusii
inter homines et personas dicti castri ; et pro illa libra et catastro quilibet
teneatur solvere inpositam inponendam per ipsos massarios in illis terminis
per ipso: declaratis et declarandis et cum illis penis solvendis per illos qui
fuerint negligentes in solvendo in ipsis terminis. Et vicarius, qui pro tempore
STATUTI DI TORGIANO DEL 1426

fuerit, teneatur et debeat vinculo juramenti facere executionem contra
delinquentes.

x.— De electione offitialium super postis. — Rubrica.

Statuerunt et ordinaverunt quod in dicta adunantia, modo et ordine
predicto, eligantur quatuor boni homines de dicto castro ad brisciolos, qui
quatuor homines habeant arbitrium capere partita postarum que mictuntur
in adunantiis dicti comunis et capere illud dictum de ipsis postis prout eis
videbitur fore melius et utilius pro dicto comune, et vicarius dicti castri
teneatur et debeat mictere ad partitum illud dictum quod eisdem massariis
videbitur pro utilitate comunis convenire.

XI.— De pena lavantium infonte, puteis vel prope.
— Rubrica.

Statuerunt, ordinaverunt et reformaverunt quod nulla persona cuius-
cumque status et conditionis existat audeat vel presumat lavare vel ali-
quam aliam turpitudinem facere in puteis aut fontibus existentibus in
ipso castro vel extra dictum castrum per territorium ipsius castri vel prope
ipsis fontibus et puteis per viginti quinque pedes, pena cuilibet contra fa-
tienti et vice qualibet solidos quinque denariorum et quilibet possit esse
accusator et habeat tertiam partem dicte pene et teneatur secretum.

XII. —De pena dicentis vermecane vel rabia.

Statuerunt et ordinaverunt quod nulla persona de dicto castro vel
habitans in eo audeat vel presumat (19^ blasfemare aliquem dicendo : che
gli venga [13r il vermecane, rabbia o cacasangue, pena cuilibet contra fatienti
pro quolibet predictorum verborum et pro qualibet vice sex denarios, et
vicarius de predictis teneatur facere executionem.

XIII. — De pena dicentium alicui verba iniuriosa.
— Rubrica.

Statuerunt, ordinaverunt et reformaverunt quod nulla persona de
dicto castro vel habitans in eo audeat vel presumat dicere alicui verba iniu-
riosa, videlicet : tu mente, per la gola, tredetore, falco, ladro, forone, puctana,
ruffiana vel hiis similia vel maliarum factorana vel remproperantis mortem

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128 i MARIO RONCETTI

alicuius ; quicumque contra fecerit solvat nomine pene solidos quinque de-
nariorum pro quolibet verbo usque ad decem solidos denariorum et non
ultra pro qualibet vice vel verba similia, non obstante quod in hoc statuto
non sint declarata, de quibus stetur discretioni vicarii.

XIIII. — De pena laborantium die sabatipost vespe-
ras. — Rubrica.

Statuerunt, ordinaverunt et reformaverunt quod nulla persona de
dicto castro vel in eo habitans audeat vel presumat laborare nec laborari
facere in dicto castro et eius districtu in die sabati post vesperas, videlicet
post tertium sonum campane comunis vel ecclesie Santi Bartolomei, ex-
cepto quod cuilibet sit licitum facere erbam in bladis vel alibi et tempore
estatis facere arcas, et qui contra fecerit aliter solvere teneatur nomine
pene pro qualibet vice solidos duos denariorum.

XV. — De laborantibus festivitatibus apostolorum
et aliorum sanctorum. — Rubrica.

Statuerunt, ordinaverunt et reformaverunt quod nulla persona de
dicto castro vel habitans in eo audeat vel presumat laborare nec laborari
facere in diebus festivitatibus Appostolorum, in diebus PaSquatis Resur-
rectionis et Pentecosten cum duobus diebus sequentibus, in die Nativitatis
Domini, in-festo santi Stefani, in diebus venaris martii, in die Venaris Santi,
pena cuilibet contra fatienti et pro qualibet vice solidos quinque denariorum;
et in eadem pena incurrat si laboraverit in diebus dominicalibus, in festi-
vitatibus Domini, in festo Omnium Sanctorum, santi Laurentii, santi Her-
culani et Costantii, santi Antonii et sante Caterine, [13v salvo quod liceat
unicuique ire Perusium cum besstiis carchis lingnarum, bladi et palearum
et etiam facere erbam et adportare et aliud stramen sine aliqua pena aliquo
non obstante.

XVI.— De somegiantibus diebus dominicalibus. —
Rubrica.

Statuerunt, ordinaverunt et reformaverunt quod nulla persona cuius-
cumque conditionis existat audeat vel presumat somegiare nec aliquod
aliud laboritium facere in diebus dominicalibus, vel basstum ponere in ali-
STATUTI DI TORGIANO DEL 1426 138

ad dictam cusstodiam fatiendam, pena cuilibet contra fatienti quinque soli-
dos denariorum.

XXVIII. — De pena non stantium ad custodiam. —
Rubrica. (De pena illorum qui non starent ad custodiam).

Statuerunt, ordinaverunt et reformaverunt quod si aliquis ex custo-
dibus portarum dicti castri non fuerit repertus per vicarium stare ad portam
ad quam est deputatus stare ad custodiendum, de die solvat pro qualibet
pontatura duodecim denarios et de nocte quinque solidos denariorum, et
hocintelligatur de nocte in omnibus postis, et si aliquis custos fuerit repertus
de nocte dormire solvat pro qualibet vice duodecim denarios.

XXX. Quod custodes portarum punctent foren-
ses. — Rubrica. (Quod custodes de die teneantur punctare forenses).

Statuerunt, ordinaverunt et reformaverunt quod si aliquis forensis
venerit ad portam dicti castri Torsciani cum armis vel sine, si cum armis
arma debeat dimictere ad portam aut ligare si vellet transire per ipsum
castrum, pena cui: bet contra fatienti decem solidos pro quolibet genere
armorum, et cusstodes dictarum portarum non dimictant ipsos forenses
intrare intus dictum castrum sine licentia vicarii, pena cuilibet cusstodi
duos solidos denariorum.

XXXI. —De pena custodum redeuntium de custodia.
— Rubrica.

Statuerunt, ordinaverunt et reformaverunt quod nullus cusstos de
dicto castro positus et deputatus ad fatiendum cusstodiam in aliqua parte
dicti castri, intus vel extra, tam de die quam de nocte, debeat recedere de
dicto loco usque ad horam debitam et congruam, videlicet, si de die, ad
primam horam noctis dum ianue clauduntur, si de nocte, de mane post

ortum solis, pena cuilibet contra fatienti pro qualibet vice quinque solidos
denariorum.

XXXII. — De pena non obedientis precepta vicarii.
— Rubrica.

Statuerunt, ordinaverunt et reformaverunt quod quisque de dicto
castro vel/ 16r in ipso castro habitans vel eius disstrictu teneatur et debeat

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134 MARIO RONCETTI

obedire mandata vicarii ipsius castri qui pro tempore fuerit, pena cuilibet
contra fatienti quinque solidorum denariorum. Nolumus tamen quod
vicarius dicti castri audeat vel presumat ullo tempore, aliquo quesito colore,
cogere aliquem torscianensem vel in eo habitantem eundi ad fatiendum
aliquod opus manuale vel cum aliqua bestia ad petitionem alicuius
persone, nisi pro factis comunis dicti castri tantum et aliter non, et si contra
factum foret minime obediatur nec teneantur ad aliquam penam.

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XXXIII. —De. pena non venientibus ad adunan-
tiam. — Rubrica.

Carene seme > ana

Statuerunt, ordinaverunt et reformaverunt quod quando vicarius
dicti castri fecerit banniri adunantiam per baiulum dicti castri, quod quilibet
qui est descriptus in requisitione debeat adcedere ad ipsam adunantiam
ad primum sonum campane comunis, pena cuilibet contra fatienti quinque
solidos pro vice qualibet.

XXXIIIIL. — De pena rumpentis dictum arrengantis
seu consulentis. — Rubrica. (De pena rumpentis dictum
alicui arrenganti in adunantia).

Statuerunt, ordinaverunt et reformaverunt quod quando fit adu-
nantia nulla persona in dicta adunantia existens audeat vel presumat,
ullo quesito colore, dum aliquis consulerit et dixerit super postis propo-
sitis per vicarium in dicta adunantia, surgere ne[c] elevare nec dictum
consulentis rumpere, pena cuilibet contra fatienti duodecim denarios, et
vicarius teneatur facere executionem vinculo iuramenti.

XXXV. —De pena ferentibus arma in adunantia.
— Rubrica.

Statuerunt, ordinaverunt et reformaverunt quod nulla persona de
dicto castro vel in eo habitans audeat vel presumat, dum fit adunantia
in ipso castro, portare in ipsa adunantia aliquod genus armorum, pena
cuilibet contra fatienti quinque solidos denariorum.

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XXXVI. — De pena ludentium ad taxillos.

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Statuerunt, ordinaverunt et reformaverunt quod nulla persona de
dicto castro/ 16v vel in eo habitans audeat vel presumat ludere ad aliquod

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STATUTI DI TORGIANO DEL 1426 135

. ludum taxillorum in dicto castro vel eius disstrictu ad penam decem soldo-
rum pro quolibet contra fatiente et qualibet vice, et quilibet possit esse
acusator et habeat quartam partem pene et teneatur secretum et stetur
eius sacramento, et si fuerit de nocte solvat nomine pene viginti solidos
denariorum.

XXXVII —De pena receptantium ludum taxillorum.
— Rubrica.

Statuerunt, ordinaverunt et reformaverunt quod quicumque recepta-
verit ludum aliquod taxillorum in dicto castro vel eius disstrictu, si de
die, solvat nomine pene vice qualibet solidos viginti denariorum, et si de
nocte, vice qualibet solvat solidos quadraginta denariorum, et quilibet
possit esse acusator et habeat quartam partem banni et teneatur sibi cre-
dentia.

XXXVIII. — Quod omnes de dicto castro debeant
facere ortum. — Rubrica.

Statuerunt, ordinaverunt et reformaverunt quod omnes de dicto
castro teneantur et debeant facere vel fieri facere ortum in suis posessioni-
bus et bonis in principio mensis martii vel primo, pena cuilibet contra
fatienti decem solidos denariorum, et vicarius dicti castri qui pro tempore
fuerit teneatur investigare contra delinquentes et executionem facere
contra eos.

XXXVIII. — Quod quilibet de dicto castro teneatur
plantare arbores domesticos. — Rubrica.

Statuerunt, ordinaverunt et reformaverunt quod quilibet de dicto
castro seu in ipso castro habitans, videlicet unus pro quolibet foculari,
teneatur et debeat anno quolibet plantare in posessionibus suis vel in
quibus laborat quinque plantas arborum domesticorum ad minus, pena
cuilibet contra fatienti pro qualibet planta tres solidos denariorum, et
quilibet vicarius dicti castri qui pro tempore fuerit teneatur et debeat
super predictis inquirere et repertos culpabiles punire./ 17r

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136 MARIO RONCETTI

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XL. — De pena non euntibus ad operas comunis.
— Rubrica.

Statuerunt, ordinaverunt et reformaverunt quod quilibet de dicto
castro vel in eo habitans teneatur et debeat adcedere ad operas manuales i
vel cum bestiis fiendas pro comune Torsciani ad omnem requisitionem vicarii
ipsius castri, pena quinque soldorum denariorum pro quolibet contra
fatiente, et nichilominus teneatur dictam operam facere ad petitionem
vicarii qui pro tempore erit.

ETE T motrice AME

XLI. — De pena dantibus dampnum in orto. — Ru-
brica.

Statuerunt, ordinaverunt et reformaverunt quod nulla persona cuius-
cumque conditionis existat audeat vel presumat dare dampnum in aliquo
orto personaliter, pena cuilibet contra fatienti de die quinque solidos dena-
riorum, si de nocte decem solidos denariorum personaliter. Si vero damp- )
num dederit in dictis ortis cum bestiis grossis solvat pro qualibet bestia
grossa duos solidos de die, si vero de nocte solvat pro qualibet bestia grossa
solidos quinque denariorum. Et si dampnum dederit in dictis ortis cum
bestiis minutis, videlicet pecudinis, solvat pro qualibet pecudina tres
denarios ; si dampnum dederit in dictis ortis cum capra seu porco mangno
vel parvo solvat pro qualibet capra seu porco solidos quinque denariorum.

XLII. — De pena dantibus dampnum in blado ali-
cuius. — Rubrica.

| Statuerunt, ordinaverunt et reformaverunt quod quicumque dederit
| dampnum personaliter in aliquibus bladis a kalendis novembris usque ad
| kalendas mensis martii, videlicet adtraversando, intrando et exeundo,
solvat nomine pene qualibet vice duodecim denarios ; et a kalendis mensis
martii usque ad kalendas mensis agussti solvat et solvere teneatur et debeat
| vice qualibet duos solidos denariorum. Si vero dampnum dederit in dictis
i bladis cum bestiis grossis solvat pro qualibet bestia grossa a kalendis
| mensis martii usque ad kalendas mensis agussti (solvat solidos quinque) ;
a kalendis mensis novembris usque ad kalendas mensis martii duodecim
|i denarios pro qualibet bestia grossa. Et eadem pena sit de capris et porcis,
quod omni tempore dantes dampnum in dictis bladis solvat pro quolibet
STATUTI DI TORGIANO DEL 1426 129

qua bestia causa somegiandi, pena cuilibet contra fatienti et pro qualibet
vice solidos quinque denariorum.

XVII... -— De pena mulierum vociferantium.. — Ru-
brica.

Statuimus, ordinamus et reformamus quod nulla mulier cuiuscumque
conditionis existat audeat vel presumat gridare seu vociferare in dicto
castro Torsciani cum aliqua alia muliere, pena quinque soldorum dena-
riorum pro qualibet contra fatiente, et eadem pena puniatur si occurreret
dicere verba iniuriosa prout supra loquitur de verbis iniuriosis.

XVIII. — De pena occupantium aliquam stratam cum
litamine. — Rubrica.

Statuerunt, ordinaverunt et reformaverunt quod quicumque de dicto
castro Torsciani vel in eo habitans fecerit aliquem montonem litaminis
in viis dicti castri teneatur et debeat ipsum litamen elevare et removere
ipsam viam in terminum quindecim dierum, pena cuilibet contra fatienti
et pro qualibet vice quinque solidos denariorum. Sic subcessive de XV
diebus in XV diebus sit eadem pena donec ipsum litamen elevaverit, et
vicarius teneatur facere executionem de XV diebus in XV dies et etiam
removere stratas semel in mense et fatiat banniri, et quicumque non remo-
veret ante domum suam solvat et solvere teneatur et debeat qualibet vice
solidum unum denariorum.

XVIIII. — Quod mulieres non debeant stare in eccle-
sia Santi Bartolomeisupra murum. — Rubrica. (Quod
mulieres non debeant stare in ecclesia Santi Bartolomei supra murum
qui est in medio ecclesie).

Statuerunt, ordinaverunt et reformaverunt quod nulla mulier /14r
cuiuscumque conditionis existat audeat vel presumat stare in ecclesia
santi Bartolomei supra murum qui est in medio dicte ecclesie tempore quo
dicitur divinum offitium, pena pro qualibet contra fatiente quinque solidos
denariorum.
130 MARIO RONCETTI

XX. T- De pena hominum stantium supra scalas
ante altare Santi Bartolomei. — Rubrica.

Statuerunt, ordinaverunt et reformaverunt quod nullus homo de dicto
castro Torsciani vel in eo habitans audeat vel presumat stare supra scalas
que sunt iuxta altare santi Bartolomei dum dicitur divinum offitium, pena
cuilibet contra fatienti et pro qualibet vice quinque solidos denariorum,
set omnes teneantur stare a scalis infra.

XXI. — De pena portantium armain ecclesia Santi
Bartolomei. — Rubrica. (De pena portantium arma in dicta
ecclesia Santi Bartolomei).

Statuerunt, ordinaverunt et reformaverunt quod nulla persona de
dicto castro vel in eo habitans audeat vel presumat stare in dicta ecclesia
Santi Bartolomei quando dicitur divinum offitium cum aliquo genere armo-
rum offendibilium, pena cuilibet contra fatienti et pro qualibet vice decem
solidos denariorum, et vicarius dicti castri teneatur facere executionem et
quilibet possit esse accusator et adhibeatur sibi fides cum eius iuramento
et teneatur sibi credentia.

XXII. — Quod macellatores non possint interficere
aliquam bestiam. — Rubrica. (Quod macellatores non: pos-
sint interficere aliquam bestiam sine licentia vicarii).

Statuerunt, ordinaverunt et reformaverunt quod quicumque vellet
macellare aliquam bestiam seu aliquod animal in castro Torsciani aut
voluerit artem macellatorum exercere in ipso castro non possit nec valeat
interficere aliquam bestiam sine licentia vicarii dicti castri qui pro tempore
erit, pena cuilibet contra fatienti qualibet vice et pro qualibet bestia decem

solidos denariorum, et vicarius teneatur predictis macellatoribus notificare.

XXIH. — De pena.mictentis intus dictum. castrum
aliquam bestiam mortuam. — Rubrica.

Statuerunt, ordinaverunt et reformaverunt quod nulla persona cuius-
cumque /14v status et conditionis existat audeat vel presumat mictere
aliquam bestiam mortuam in dicto castro Torsciani causa vendendi sive

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STATUTI DI TORGIANO DEL 1426 131

macellandi, pena decem soldorum denariorum pro quolibet contra fatiente
et qualibet vice ; et si contingeret casus quod aliqua bestia esset interfecta
a lupo vel foret spallata vel aliter esset mortua, quod tunc tales bestie
possint vendi extra portam dicti castri ad hoc ut omnes habeant notitiam
quod dicta talis bestia est causaliter interfecta.

XXHIIL — Quomodo debeat- eligi. vicarius . dicti
castri. — Rubrica.

Statuerunt, ordinaverunt et reformaverunt quod vicarius castri Tor-
sciani debeat eligi per duos menses ante finem offitii vicarii qui in tempore
est in offitio, infrascripto modo videlicet quod in adunantia generali dicti
castri fiant sex brisciuli nigri et sic eligantur sex boni homines per illos
quibus tetigerint tales briscioli, videlicet tres pro qualibet parte. Qui sex
boni homines teneantur eligere vicarium in octo dies proxime sequentes
computatos a die facte electionis eorum cum salario declarato in adunantia,
et si predicta non facerent in dictum terminum quod dictam electionem
non possint facere, et si facerent non valeat nec teneat et de novo eligan-
tur sex alii massarii similiter in adunantia, qui habeant eligere vicarium,
ut dictum est, cum arbitrio, auctoritate, potestate predictis.

XXV. — De modo et ordine congnoscendi in causis

civilibus. — Rubrica. (De citationibus fatiendis in causis civi-
libus).

Statuerunt, ordinaverunt et reformaverunt quod vicarius dicti castri
Torsciani teneatur et debeat sedere ad bancum ad jura reddendum uni-
cuique petenti, de mane et de sero, horis congruis et debitis ; qui vicarius
possit et valeat congnoscere inter torscianenses usque ad quantitatem
quinque librarum denariorum ; et si aliquis civis vellet agere contra aliquem
torscianensem dictus vicarius possit et valeat congnoscere usque ad qua-
draginta solidos denariorum. Et si aliquis torscianensis vellet agere contra
aliquem forensem quod vicarius valeat congnoscere contra forensem usque
ad decem libras denariorum hoc modo, videlicet quod si reus comparuerit
et confitetur debitum, quod tunc si est torscianensis statuatur eidem ter-
minum octo dierum ad solvendum et elapso termino gravetur realiter et
personaliter ad solvendum ; et si debitum negaretur statuatur terminus/
15r actori ad probandum aut difiniatur per iuramentum prout discretioni
vicarii videbitur convenire; et si aliquis iuraret debitum non esse verum

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132 MARIO RONCETTI

et eidem foret reprobatum per actorem quod debitum est verum, quod
tunc vicarius mandet illi reo quod non recedat de palatio quando satis-
fatiat dicto suo creditori et nichilominus solvat pro pena periurii vi-
ginti solidos denariorum in cippo comunis. Et si aliquis forensis vel-
let agere contra aliquem torscianensem primo et ante omnia debeat
satisdare et vicarius possit congnoscere usque ad XL solidos denariorum
et non ultra et teneatur solvere decimum forense ad rationem XII dena-
riorum pro qualibet libra et torscianensis teneatur solvere decimum. Et
quilibet qui velit agere contra aliquem solvat pro prima citatione duode-
cim denarios et non ultra, et si aliquis torscianensis teneretur habere ali-
quid ab aliquo forense possit et valeat ipsum iurare suspectum et debitum
esse verum et demum possit fieri executionem realiter et personaliter donec
satisdet de iuditio sisti et iudicatum solvere.

XXVI. — De pena repudiantis bancum. — Rubrica.

Statuerunt, ordinaverunt et reformaverunt quod nullus torscianensis
possit nec valeat repudiare nec renumptiare bancum seu tribunal dicti
castri dicendo : nolo síare juri in dicto castro coram vicario dicti castri,
pena cuilibet contra fatienti viginti solidos denariorum, quam penam vica-
rius qui erit in tempore de facto fatiat solvere et micti in cippo comunis.

XXVIL — De pena renuentis offitium in castro
Torsciani. — Rubrica.

Statuerunt, ordinaverunt et reformaverunt quod nullus homo de dicto
castro Torsciani qui fuerit electus ad aliquod offitium tam per adunantiam
generalem quam per consiliarios dicti comunis audeat vel presumat ipsum
offitium renumptiare, pena cuilibet contra fatienti decem solidos dena-
riorum, et vicarius teneatur facere executionem. | 15v.

XXVIII. — Quod custodes portarum debeant habere

tria arma. — Rubrica. (Quod custodes portarum debeant ferre
tria arma).

Statuerunt, ordinaverunt et reformaverunt quod custodes portarum
dicti castri Torsciani, qui starent et stare tenentur ad custodiendum portas
dicti castri tam de die quam de nocte teneantur habere tria arma ad minus

— —
STATUTI DI TORGIANO DEL 14-6

LV. —De adportantibus libram forensium in ipso
castro. — Rubrica.

Statuerunt, ordinaverunt et reformaverunt quod si quis de dicto castro
Torsciani emeret vel quomodocumque ad eius manus vel eius familie
perveniret aliquam possessionem que unquam fuisset allibrata in catastro
alicuius torscianensis vel ad minus per decem annos, quod ille talis torscia-
nensis velilla teneatur et debeat dictam rem seu possessionem poni et describi
facere in eius catastro in ipso castro et non ten atur solvere factiones que
inponerentur inter homines dicti castri nisi pro medietate libre illius poses-
sionis que reperiretur allibrata et non ultra. Statuerunt autem quod si
ullo tempore ille talis dominus dicte posessionis alienaverit alicui ipsam
rem seu posessionem quomodocumque vel qualitercumque, quod tunc
alius posessor non possit nec valeat gaudere dictum benefitium, set tenea-
tur et debeat solvere omnes factiones imponendas per dictum comune
pro tota illa libra aliquo non obstante.

LVI. — Quod omnes torscianenses fatiant describi
et poni bonaque possident. (Quod omnes torscianenses
fatiant describi in eorum catastris omnia bona eorum).

Statuerunt, ordinaverunt et reformaverunt quod quilibet de dicto
castro Torsciani vel in eo habitans qui habuerit seu possederit aliquam/
20r posessionem que non esset posita, allibrata et descripta in suo catas-
tro, quod ipsam posessionem teneatur et debeat in suo catastro allibrari
et describi facere infra duos menses a die quo ad eius manus et dominium
pervenerit computandos, pena cuilibet contra fatienti et pro qualibet vice
viginti solidos denariorum et nichilominus cogatur ad solvendum collectas
inpositas et inponendas pro illa libra pro toto tempore quo ipsam poses-
sionem habuit et tenuit.

LVII. — De pena non venientium ad mortuos. — Ru-
brica.

Statuerunt, ordinaverunt et reformaverunt quod omnes qui sunt
descripti in libro adunantie ipsius castri, videlicet unus pro quolibet focu-
lari, teneatur et debeat ire ad sotiandum et honorandum corpora defuncto-
rum a decem annis supra a domo defuncti usque ad ecclesiam Santi Barto-

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142 MARIO RONCETTI

lomei, et similiter ab ipsa ecclesia usque ad domum defuncti sotiare con-
sanguineos ipsius defuncti, pena cuilibet contra fatienti non habentis legiti-
mam excusationem quinque solidos denariorum.

LVIIIL. — Quod capudece teneantur precipere cu-
stodiam. — Rubrica.

Statuerunt, ordinaverunt et reformaverunt quod quilibet capudece
dicti castri qui erunt in tempore teneantur et debeant precipere et man-
dare custodiam hora debita et congrua omnibus de sua dicina omni tem-
pore quo ei mandatum fuerit per offitialem vel baiulum dicti castri, pena
cuilibet contra fatienti et qualibet vice quinque solidos denariorum pro
quolibet qui obmiserit mandare.

LVIII. — De capris, scrofis et porcis non tenendis.
— Rubrica.

Statuerunt, ordinaverunt et reformaverunt quod nulla/ 20v persona
cuiuscumque status et conditionis existat audeat vel presumat retinere in
dicto castro Torsciani vel eius disstrictu aliquam capram vel scrofam, pena
cuilibet contra fatienti quolibet die quo contrafecerit duodecim denarios
pro qualibet, et vicarius fatiat illi tali precipi cui retinenti dictas capras
vel scrofas removere ad hoc ut non pretendat ingnorantia ; liceat tamen pro
aliquo infirmo cum licentia vicarii retinere unam capram in domo sua et
aliter non et de hoc stetur discretioni vicarii. Et de predictis vicarius qui
pro tempore erit teneatur et debeat facere executionem contra delinquentes,
pena quinque librarum denariorum de suo salario auferendarum tempore
sui sindacatus ad petitionem cuiuscumque petentis. Liceat etiam uni-

cuique retinere in domo sua unum porcum pro eius vita, dummodo non
vadat pasturando. :

LX. — Quod canes debeant ligari. — Rubrica.

Statuerunt, ordinaverunt et reformaverunt quod quicumque de dicto
castro vel habitans in ipso vel in disstrictu ipsius castri qui haberet aliquem
canem teneatur et debeat ipsum canem tenere ligatum a die primo mensis
agussti usque ad decem dies mensis octubris, pena cuilibet contra fatienti
qualibet vice qua repertus fuerit discioltum quinque solidos denariorum,
et cuilibet sit licitum accusare cum eius iuramento et teneatur sibi secre-
tum et vicarius teneatur facere executionem contra delinquentes. :

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STATUTI DI TORGIANO DEL 1426 143

LXI. — De salario sindici dicti castri et eius offi-
tio. — Rubrica.

Statuerunt, ordinaverunt et reformaverunt quod quilibet sindicus
dicti castri teneatur et debeat habere pro eius salario et mercede pro dicto
offitio exercendo de pecunia dicti comunis tres libras denariorum et non
ultra; teneatur tamen ire ad videndum omnem dampnum de quo eidem
fuerit protestatum et ipsum dampnum extimare prout sibi/ 21r videbitur
convenire et de predictis dampnis datis stetur discretioni cuilibet sindici
qui erit in tempore. |

LXIL — Quod sindici teneantur reddere rationem
post depositionem offitii. — Rubrica.

Statuerunt, ordinaverunt et reformaverunt quod quilibet sindicus
dicti castri Torsciani teneatur et debeat colligere omnes factiones que inpo-
nerentur tam per comune Perusii quam per comune dicti castri durante
tempore sui sindicatus et offitii et ipsas collectas seu factiones exequere
et exequi facere usque ad integram satissfationem et de predictis factio-
nibus et omnibus aliis per eum exactis et de omnibus aliis pecuniis dicti
comunis ad eius manus perventis quomodocumque et qualitercumque
teneatur reddere rationem ipso comuni et cum super predictis fuerit depu-
tatus per ipsum comune ad ipsorum petitionem et terminum, pena cui-
libet contra fatienti et vice qualibet qua fuerit requisitus per vicarium
ipsius castri quinque librarum denariorum, et vicarius dicti castri teneatur
et debeat facere executionem contra delinquentes ad petitionem dicti
sindici.

LXIII. — De penis mictendis in cippo comunis. —
Rubrica.

Statuerunt, ordinaverunt et reformaverunt quod vicarius dicti castri
qui pro tempore fuerit teneatur et debeat poni et micti facere in cippo
comunis omnes quantitates pecuniarum quas fecerit solvere quibuscumque
ochasione cuiuscumque penarum per eum exactarum quomodocumque et
qualitercumque vigore sui offitii et non alibi.

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144 MARIO RONCETTI

LXIII. — De parte tangente vicario. — Rubrica.

Statuerunt, ordinaverunt et reformaverunt quod vicarius/ 21v dicti
castri Torsciani qui pro tempore fuerit habeat et habere debeat (mediam)
partem omnium bonorum et penarum de omni eo et toto quod devenire
fecerit in cippo comunis de dampnis datis et aliis penis in presenti statuto
contentis et secundum formam sue electionis.

LXV. — De pena occupantium viam seu alia bona
comunis. — Rubrica.

Statuerunt, ordinaverunt et reformaverunt quod quicumque de dicto
castro occupaverit seu occuparet in futurum aliquam viam seu stratam
comunis tam intus dictum castrum quam extra ipsum castrum quod in
terminum quindecim dierum ab initio cuiuslibet offitii vicariatus teneatur
et debeat ipsam viam seu stratam exgommerasse et remonuisse, pena

decem soldorum denariorum pro quolibet contra fatiente, et vicarius tenea-
tur predicta baniri facere.

LXVI. — De pena adprendentium bona comunis. ==
— Rubrica.

Statuerunt, ordinaverunt et reformaverunt quod nulla persona cuius-
cumque conditionis existat audeat vel presumat adprehendere aliquam
viam dicti comunis in totum vel in partem nec aliqua alia bona ipsius
comunis intus vel extra dictum castrum, et si quis adprendisset quod in
principio offitii cuiuslibet vicarii in terminum quindecim dierum teneatur
et debeat remisisse et in pristinum statum reponere et reposuisse, pena viginti
soldorum denariorum pro quolibet contra fatiente. Et quilibet vicarius qui
pro tempore fuerit teneatur et debeat super predictis inquirere et repertos
culpabiles punire et condempnare modo et forma predictis, pena quinque
librarum denariorum de suo salario auferendarum tempore sui sindicatus
et nichilominus dicti adprehendentes dictas res occupatas teneantur relaxare.

LXVII. — Quod omnes habentes aliquam massari-
tiam comunis debeant notificare. — Rubrica.

Statuerunt, ordinaverunt et reformaverunt quod unusquisque de/
22r dicto castro qui habuerit aliquam ex massaritiis comunis vel aliquam
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STATUTI DI TORGIANO DEL 1426 137

porco et pro qualibet capra solidos duos denariorum. Si vero dampnum
dederit/ 17v (195) in dictis bladis cum bestiis pecudinis solvat nomine pene
pro qualibet bestia pecudina tres denarios et non ultra, et hoc non habeat
locum in quatuor bestiis pecudinis quod si darent dampnum in aliquo
blado et custos in continenti expelleret eas non teneanturad aliquam penam
et hoc stetur discretioni vicarii. Si vero metierit aliquod bladum alterius
vel erbam solvat nomine pene solidos quinque.

XLIII. — De pena dantibus dampnum in arboribus
domesticis. — Rubrica.

Statuerunt, ordinaverunt et reformaverunt quod nulla persona cuius-
cumque conditionis existat audeat vel presumat dare dampnum in arbo-
ribus domesticis alicuius persone in disstrictu dicti castri colligendo fructus
nec aliquod aliut dampnum, pena cuilibet contra fatienti in quinque solidos
denariorum.

XLIII — De pena incidentibus aliquam arborem
alicuius. — Rubrica.

Statuerunt, ordinaverunt et reformaverunt quod nulla persona de

dicto castro vel eius disstrictu seu habitans audeat vel presumat incidere
aliquam arborem alicuius sine licentia posessoris tam domesticam quam
non, pena cuilibet contra fatienti et qualibet vice viginti solidos denario-
rum et teneatur reficere dampnum patienti.

XLV. — De pena dantibus dampnum in pergulis co-
munis et aliarum personarum. — Rubrica.

Statuerunt, ordinaverunt et reformaverunt quod nulla persona audeat
vel presumat dampnum dare in pergulis comunis castri Torsciani neque
in aliis pergulis aliarum personarum tam in dicto castro quam in foveo
ipsius castri et eius disstrictu a kalendis mensis agussti usque ad kalendas
mensis novembris, pena cuilibet contra fatienti decem solidos denariorum.

XLVI. — De dantibus dampnum in vineis alterius.

Statuerunt, ordinaverunt et reformaverunt quod si quis de dicto
castro vel habitans in eo dederit aliquod dampnum in aliqua vinea/ 18r

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cumque conditionis existat audeat vel presumat dare dampnum alicui

138 MARIO RONCETTI
alicuius persone colligendo uvas, solvat et solvere teneatur et debeat qua-
libet vice solidos quinque denariorum. Et si aliqua persona fuerit reperta
adportare agresstam vel uvas solvat nomine pene pro quolibet raspo duos
solidos; liceat tamen adportare de vineis suis duos raspos uvarum seu
agreste et non ultra usque ad vendemias. Et similiter solvat si dederit damp-
num in arboribus domesticis existentibus in vineis solvat vice qualibet
solidos quinque denariorum, et de quolibet dampno dato in vinea so[l]|vere
teneatur eadem pena.

XLVII. — De dantibus dampnum in vineis cum ani-
malibus. — Rubrica.

Statuerunt, ordinaverunt et reformaverunt quod si aliquis de dicto
castro vel habitans in eo vel alia persona dederit dampnum inaliqua vinea
alterius cum aliqua bestia grossa ullo tempore solvat et solvere teneatur
et debeat nomine pene pro qualibet bestia grossa solidos decem denario-
rum, et si dampnum dederit cum aliquo porco seu capra solvat nomine
pene pro quolibet porco et qualibet capra solidos decem denariorum ; si
vero dampnum dederit cum aliqua alia bestia minuta solvat nomine pene
pro qualibet tres denarios si non essent uve, set si sunt uve solvat pro
qualibet bestia duplum dictarum penarum, et si aliqua bestia fuerit ad
stratum sine custodia et dampnum dederit puniatur in XX solidos dena-
riorum de die et nocte in XL solidos pro qualibet bestia et qualibet vice.

XLVIII. — De dantibus dampnum in canneto. — Rubrica.

Statuerunt, ordinaverunt et reformaverunt quod nulla persona de
dicto castro seu habitans in ipso vel disstrictu audeat vel presumat inferre
aliquod dampnum in canneto alicuius persone personaliter, pena cuilibet
contra fatienti et vice qualibet solidos quinque denariorum et dampnum
emendet patienti. Et si dampnum dederit cum aliqua bestia grossa sol-
vat nomine pene pro qualibet bestia grossa solidos tres denariorum et pro
quolibet porco et capra solvat solidos tres denariorum et pro qualibet alia
bestia minuta solvat sex denarios.

XLVIIIL — De dantibus dampnum in fabis et aliis
leguminibus. — Rubrica. (De dantibus dampnum in fabis,
bisellis et aliis leguminibus).

Statuerunt, ordinaverunt et reformaverunt quod nulla persona cuius-
STATUTI DI TORGIANO DEL 1426

in aliquo genere leguminum, pena cuilibet contra fatienti, si personaliter, /
18» quinque solidos denariorum pro quolibet et qualibet vice, set si aliquis
dampnum dederit cum aliqua bestia grossa, capra vel porco, solvat pro
qualibet dictarum bestiarum et vice qualibet dampnum dantium in aliquo
genere leguminum tres solidos denariorum ; sed si aliquis dampnum dede-
rit cum aliis bestiis minutis solvat pro qualibet bestia minuta sex denarios,
et hoc non habeat locum usque ad quatuor vel quinque pecudes si custos
illico expelleret ipsas et hoc stetur discretioni vicarii.

L. —De pena dantibus dampnum in argecto vel
venco alicuius. — Rubrica. |

Statuerunt, ordinaverunt et reformaverunt quod nulla persona de
dicto castro vel in ipso habitans seu in districtu audeat vel presumat dare
dampnum personaliter in aliquo argecto colligendo vencum alicuius persone,
pena cuilibet contra fatienti et vice qualibet quinque solidos denariorum ;
et si dampnum dederit cum aliqua bestia grossa seu capra vel porco solvat
pro qualibet ipsarum nomine pene tres solidos denariorum.

LI. — De pena forensium dantium dampnum. (De
pena forensium dantium dampnum in omnibus supradictis locis).

Statuerunt, ordinaverunt et reformaverunt quod nulla persona cuius-
cumque status et conditionis existat que non solveret collectas in dicto
castro Torsciani vel non habitaret in ipso castro vel disstrictu audeat vel
presumat dare aliquod dampnum personaliter in disstrictu dicti castri
Torsciani, pena decem soldorum pro quolibet contra fatiente et qualibet
vice. Et si dampnum dederit cum aliqua bestia grossa in aliquo genere
bladi, vinee, canneti, argecti [vel] in aliquo alio loco solvat et solvere te-
neatur et debeat vice qualibet et pro qualibet bestia grossa, porco vel
capra, decem solidos denariorum ; et si cum aliis bestiis minutis duodecim
denarios pro qualibet bestia minuta./ 19r

LII — De pena dantibus dampnum cum bestiis eun-
tibus astratum. — Rubrica.

Statuerunt, ordinaverunt et reformaverunt quod nulla persona cuius-
cumque status et conditionis existat audeat vel [pre]|sumat dare aliquod

139

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140 MARIO RONCETTI

dampnum alicui persone cum bestiis euntibus astratum, pena cuilibet
contra fatienti duplum illius pene que tenebatur solvere si daret dampnum
cum pastore et similiter duplicentur pene in omnibus dantibus dampnum
de nocte tam personaliter quam cum bestiis, qui teneantur solvere duplum
et penam duplicatam.

LIII. —De pena adtraversantium terras magiesatas.
— Rubrica.

Statuerunt, ordinaverunt et reformaverunt quod nulla persona cuius-
cumque status existat debeat adtraversare aliquam petiam terre magie-
satam alicuius, pena cuilibet contra fatienti duodecim denariorum perso-
naliter et cum bestiis grossis, capris vel porcis, pro qualibet bestia grossa
duodecim denarios et pro qualibet macta pecudum duodecim denarios
solvat nomine pene (sine diminitione).

EIHIL — De offitio sindicatus dicti castri -— Ru-
brica.

Statuerunt, ordinaverunt et reformaverunt quod quilibet homo de
dicto castro Torsciani vel in eo habitans qui reperiretur allibratus in armario
librorum comunis Perusii inter torscianenses seu reperiretur allibratus in
castro Torsciani in ca[ta]stro ipsius comunis cum eorum bonis teneatur et
debeat facere offitium sindacatus hoc modo, videlicet quod offitium sindi-
catus teneatur et debeat incipi ab illo qui habuerit maiorem libram et
sic sequere usque ad illos qui habent quinque libras, qui non teneantur
facere sindicatum ; quod offitium sindicatus duret et durare debeat per
tres menses et debeat publicari dictum sindicum inter consiliarios per tres
dies ante finem offitii alii sindici hoc modo, quod videatur catastrum in
armario librorum comunis Perusii et etiam/ 19» catastrum existentem
in ipso castro in quo sunt allibrati et descripti torscianenses cum eorum
bonis, et quicumque fuerit repertus habere maiorem libram in ipsis catas-
tris vel altero ipsorum teneatur et debeat facere offitium sindicatus, et
si essent plures concurrentes in eodem gradu quod ille qui fuerit repertus
descriptus primo cum suo catastro in armario librorum comunis Perusii,
ile qui est primus teneatur dictum offitium incipere et sequere et sic re:-
terare, et quilibet sindicus qui erit sic publicatus teneatur dictum offitium
bene et lealiter, bona fide facere sub pena quinquaginta librarum dena-
riorum et ad dampnum et interesse dicti comunis.
STATUTI DI TORGIANO DEL 1426 145

aliam rem pertinentem seu expectantem ad ipsum comune, quod in principio
offitii cuiuslibet vicarii et consiliariorum ipsius castri teneatur et debeat
illud quod habeat dicti comunis adsingnare et consingnare et illud facere
quod fuerit sibi mandatum per ipsum vicarium et consiliarios, pena cuilibet
contra fatienti decem soldorum denariorum et hoc non vendicet sibi in
massario comunis qui retinet massaritias ipsius comunis. (Et vicarius
predicta fatiat banniri).

LXVIII. — De dantibus dampnum in foveo comunis.
— Rubrica.

Statuerunt, ordinaverunt et reformaverunt quod nulla persona cuius-
cumque conditionis existat audeat vel presumat dare dampnum in foveo
comunis dicti castri personaliter, videlicet incidendo aliquam arborem vel
sambucos nec facere aliquem varcum causa venandi seu ucellandi nec
aliquod aliud dampnum, pena cuilibet contra fatienti et qualibet vice
decem solidos denariorum. Et si dampnum dederit cum aliqua bestia grossa,
capra vel porco, solvat nomine pene, videlicet pasturando cum ipsis bestiis,
duos solidos denariorum pro qualibet; set si cum bestia minuta, solvat
nomine pene si pasturaverit trcs denarios pro qualibet bestia minuta.

LXVIII. — Quod quilibet sindicus debeat denump-
tiare sanguinolenta. — Rubrica. (Quod quilibet sindicus
dicti castri debeat.denumptiare sanguinolenta).

Statuerunt, ordinaverunt et reformaverunt quod quilibet sindicus
qui pro tempore erit electus ad offitium sindicatus teneatur et debeat
nomine dicti comunis comparere coram offitialibus comunis Perusii totiens
quotiens fuerit opportunum et parere mandata eorum et eisdem denump-
tiare omnem malefitium sanguinolentum et omne aliud malefitium ad quod
tenetur secundum formam statutorum et ordinamentorum comunis Perusii
et ita et taliter facere et curare quod ex defectu ipsius dictum comune
nullum detrimentum patiatur./ 22v

EXX. .— De. pena recusantium pingnus baiulo —
Rubrica. |

Statuerunt, ordinaverunt et reformaverunt quod quicumque baiulus
dicti comunis mandato vicarii iret ad gravandum aliquam personam ad

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PEE d si dampnum foret latum in pertinentiis castri Torsciani.

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TI | LXXII. — Quod cuilibet sit licitum acusare dam p-
iù | | num datum in suis posessionibus. — Rubrica.

THU | [.- sitionem contra/ 23r illos qui reperirentur dampnum dedisse et suffitiat

146 MARIO RONCETTI

il au domum eius habitationis quod nullus audeat nec presumat sibi recusare
| LED pingnus non dimictendo se gravari et quicumque contrafecerit solvat
| RIS nomine pene pro qualibet vice quinque solidos denariorum et stetur sim-
plici verbo baiuli.

LXXI. — De pena dantibus dampnum in colle S
Patringnani. — Rubrica. |

Statuerunt, ordinaverunt et reformaverunt quod nulla persona de
dicto castro audeat vel presumat dampnum dare in posessionibus homi-
num dicti castri sitis in colle S. Patringnani ultra Claxium personaliter
vel cum bestiis, pena contra fatienti illud idem quod in pertinentiis castri

Statuerunt, ordinaverunt et reformaverunt quod unusquisque de
dicto castro cui fuerit factum aliquod dampnum personaliter vel cum
1l bestiis possit et sibi liceat talem dampnum dantem acusare coram vicario
" | | d et stetur sacramento patientis dampnum et vicarius teneatur procedere et
nii punire in illis penis, ut superius declaratum est, et etiam dictus vicarius
| ad petitionem cuiuscumque petentis possit et valeat procedere per inqui-

probatio unius testis de visu et puniatur delinquens in penis supra decla-
ratis.

| EB LXXIII — De pena euntibus de nocte per dictum
| castrum. — Rubrica.

Statuerunt, ordinaverunt et reformaverunt quod nulla persona de
dicto castro cuiuscumque conditionis existat audeat vel presumat ire ad
domum alicuius persone dicendo adliquod verbum inhonestum vel iniu-
riosum, pena quolibet contra fatiente et pro quolibet verbo: quinque solidos
| denariorum. Statuerunt etiam quod nulla persona de dicto castro audeat
| de nocte traversare aliquod lingnum vel aliquod aliud impedimentum
STATUTI DI TORGIANO DEL 1426 147

in aliqua via ipsius castri nec ante hostium alicuius truffative vel dolose
nec ire per dictum castrum gridando nec vociferando inhoneste, pena
cuilibet contra fatienti quinque soldorum denariorum et pro vice qualibet.

LXXIIIT. —- De cognosciendo in causis civilibus con-
tra forenses. — Rubrica. ds

Statuerunt, ordinaverunt et reformaverunt quod quandocumque
aliquis. forensis teneretur dare alicui torscianensi aliquam quantitatem
pecunie seu aliquam aliam rem quod vicarius dicti castri, habita fide de
debito, possit et valeat et teneatur et debeat dictum talem forensem cogere
realiter et personaliter ad satisfatiendum suo creditori.

LXXV. —De dantibus dampnum ad sepes. — Rubrica.

Statuerunt, ordinaverunt et reformaverunt quod nulla persona/ 23v
de dicto castro audeat vel presumat dare dampnum ad aliquas sepes alterius
personaliter deguasstando ipsas sepes et accipiendo lingna sive spinas,
pena cuilibet contra fatienti quinque soldorum pro vice qualibet.

LXXVI. — De pena portantis aliquam ambasciatam
contra comune . — Rubrica.

Statuerunt, ordinaverunt et reformaverunt quod nulla persona de
dicto castro audeat vel presumat facere aliquam ambasciatam comuni
dicti castri seu consiliariis neque in adunantia ad petitionem alicuius unde
possit sequi aliquod. gravamen dicto comuni, pena cuilibet contra fatienti
viginti soldos denariorum pro vice qualibet, salvo quod si esset preiudi-
tium tacere, quod tunc teneatur et sibi sit licitum facere ipsam ambasciatam.

LXXVII. — Quod nullus possit se ipsum eligere ad
aliquod offitium. — Rubrica.

Statuerunt, ordinaverunt et reformaverunt quod nulla persona de
dicto castro cui tangeret eligere aliquem offitialem ipsius castri non possit
nec valeat aliquo modo eligere semetipsum, et quicumque contra fecerit
solvat pro pena decem soldos denariorum et nichilominus ipsa electio non
valeat nec teneat. :

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. 148 MARIO RONCETTI

LXXXVIII. —De arbitrio vicarii. — Rubrica.

statuerunt, ordinaverunt er reformaverunt quod quilibet vicarius
qui pro tempore erit habeat plenum et liberum arbitrium in cognosciendo
et terminando super omnibus et singulis predictis et infrascriptis et quolibet
predictorum et etiam in procedendo in. omnibus casibus super quibus
statuta non locuntur de similibus ad similia prout sue discretioni vide-
bitur convenire. |

LXXVIIIIL. — De venientibus. ad adunantiam et qui
debent esse. — Rubrica.

Statuerunt, ordinaverunt et reformaverunt quod in adunantia/ 24r
dicti castri teneatur et debeat interesse unus pro quolibet foculari et non
plures, ad penam duorum soldorum pro quolibet qui contra faceret et ni-
chilominus sua vox non valeat.

EXXX. — Quod vicarius teneatur ire prescrutando
extra dictum castrum. — Rubrica. (Quod vicarius tenea-
tur ire prescrutando pro delinquentibus extra dictum castrum).

Statuerunt, ordinaverunt et reformaverunt quod unusquisque vica-
rius dicti castri qui pro tempore fuerit teneatur et debeat ad minus semel
omni die ire per territorium dicti castri ad presscutandum et perquirendum
pro dantibus dampnum et alia fatiendum contra formam dictorum statu-
torum et repertos culpabiles punire modo et forma predictis.

LXXXI.— Quod venientes ad adunantiam debeant
sedere. — Rubrica.

Statuerunt, ordinaverunt et reformaverunt quod omnes et singuli
homines qui venient ad adunantiam castri Torsciani, qui ad dictam adunan-
tiam interesse debent teneantur et debeant sedere et nullus debeat surgere
in ipsa adunantia nisi fuerit ad harengam ad consulendum ea que sunt
utilia pro comune, pena cuilibet contra fatienti duodecim denarios.
STATUTI DI TORGIANO DEL 1426 149

LXXXII. — Quando aliquis foret gravatus pro fac-
tionibus comunis Perusii. — Rubrica.

Statuerunt, ordinaverunt et reformaverunt quod quicumque aliquis !
de dicto castro fuerit gravatus in ipso castro seu in civitate Perusii vel
in aliis quibuscumque locis et eidem fuerit adcepta aliqua bestia vel aliquod
aliud gravamen ochasione alicuius collecte, salarie, foci seu subsidui M
inpositi per comune Perusii vel offitialibus Summi Pontificis et ille talis
qui esset gravatus sive pingneratus non solvisset illam factionem per quam
esset pingnoratus, quod tunc ille talis pingnoratus teneatur et debeat recol-
ligere pingnus sibi adceptum seu aliam tenutam omnibus suis sumptibus
et expensis ; set/ 24vsi solvisset ante gravationem de eo factam illam factio- if
nem de qua esset gravatus, quod tunc expensis aliorum qui non solvissent Il
debeat recolligi illud pingnus per sindicum dicti castri.et vicarius qui pro Il
tempore fuerit teneatur et debeat facere executionem contra malpaghos,
et ille qui esset gravatus, si personaliter fuerit detentus, expensis malpaghis Il il
habeat pro quolibet die soldos VII, denarios VI; si fuerit adcepta eidem WI
i bestia, pro quolibet die duos solidos, denarios sex expensis malpaghis. |

LXXXIII. — De euntibus Perusium pro ambasciatis
comunis. — Rubrica.

Statuerunt, ordinaverunt et reformaverunt quod unusquisque de dl
dicto castro cui mandatum fuerit per vicarium et consiliarios dicti comunis
quod deberet adcedere Perusium vel alibi pro ambaxiatore ipsius comunis
et pro negotiis ipsius comunis teneatur et debeat ipsam anbaxiatam facere It HE
et ad dicta loca ire et habere pro eius salario quolibet die solidos sectem |
et denarios sex et qualibet nocte, si de nocte pernoctaverit, solidos tres
denariorum et non ultra.

LXXXIIII. — Quod vicarius non possit se absemp-
tare a dicto castro. — Rubrica. (Quod vicarius non possit
se absemptare a dicto castro de nocte). î

Statuerunt, ordinaverunt et reformaverunt quod quilibet vicarius
qui pro tempore erit ullo quesito colore possit nec sibi liceat se absentare
de nocte a dicto castro To:sciani sine expressa licentia consiliariorum dicti
castri, pena vice qualibet et.pro qualibet nocte quinque solidorum denario-
SES dtt

- a E. CETTE LOS E
=_= VENA TENERE AT

150 MARIO RONCETTI

rum eidem retinendorum de suo salario per sindicum dicti castri tempore
sui sindicatus.

LXXXV. — Quod vicarius teneatur stare ad sindi-
catum — Rubrica.

Statuerunt, ordinaverunt et reformaverunt quod quilibet vicarius
dicti castri qui pro tempore erit teneatur et debeat stare ad sindicatum
in dicto castro ad reddendum rationem de administratione sui offitii per
duos dies post depositum suum offitium coram sindicatoribus suis; qui
sindicatores eligi debeant per consi /25r liarios ipsius comunis per qua-
tuor dies ante finem sui offitii et vicarius teneatur congregare ipsum consi-
lium ad eligendum ipsos sindicos et quod debeant esse quatuor massarii, vi-
delicet duo pro qualibet parte; qui quatuor massarii seu sindici facta elec-
tione teneantur et debeant iurare manu tactis scripturis eorum offitium
diligenter facere omni causa remota.

LXXXVI. — In quibus locis non
dampnis datis. — Rubrica.

procedatur de

Statuerunt, ordinaverunt et reformaverunt quod vicarius dicti castri
qui pro tempore erit non possit nec valeat procedere contra dampnum
dantes in aliquibus bonis de quibus non solvuntur date et collecte comunis
Perusii et non essent allibratis in armario librorum comunis Perusii; et
hoc non vendicet sibi locum in bonis sitis in colle S. Patringnani neque in

argectis sitis in disstrictu castri Torsciani quod possit procedi ut supra
dictum est.

LXXXVII. — De
Rubrica.

modo procedendi per aiutorio. —

Statuerunt, ordinaverunt et reformaverunt quod si quis torscianensis
vel forensis pauper teneretur habere aliquam quantitatem pecunie ab
aliquo de dicto castro ochasione aiutorii et querelam faceret coram vicario,
quod tunc vicarius dicti castri, habita fide de debito, teneatur cogere talem

debitorem ad satissfatiendum creditori sine alio termino vel dilactione
temporis.
STATUTI DI TORGIANO DEL 1426 151

[S. T.] Ego Dominicus Francisci de Perusio, Porte Heburnee et parochie
S. Blagii, publicus inperiali auctoritate notarius et tunc vicarius et
offitialis dicti castri Torsciani, predictis omnibus et singulis rogatus
scribere scrisi et publicavi.

9. j

[25v In nomine Domini, Amen. Anno eiusdem millesimo quadringente-
simo vigesimo nono, indictione septima, tempore sanctissimi in Christo
patris et domini, domini Martini divina providentia pape quinti, die secunda
mensis martii. ;

Convochata, congregata et chohadunata publica et generali adunantia
comunis, hominum et personarum castri Torsciani in palatio dicti comunis
et solite residentie mey vicarii infrascripti ad sonum campane vocemque
preconis, more solito et consueto, de licentia et mandato ac voluntate mey
Affrichani vicarii infrascripti nec non consiliariorum dicti comunis, in qua
quidem adunantia ego vicarius predictus proposui infrascriptas propositas,
primo per dictos consiliarios et offitiales super postis deliberatas secundum
formam statutorum et ordinamentorum comunis predicti.

Et primo quod in futurum non possit aliquo modo aliquid deliberari
in comuni predicto nisi primo ponantur poste per offitiales super postis
secundum formam statutorum comunis predicti; et quod dicte poste debeant
micti ad partitum ad bussulas et fabas secundum formam statutorum
comunis predicti; et si aliter fieret non valeat, pena cuilibet vicario qui
predicta non servaret decem librarum denariorum auferenda sibi de facto
de suo salario in fine sui offitii; et nichillominus/ 26r facta et deliberata
aliter quam ut supra dictum est non valeat nec teneat ullo jure. Item
quod quilibet de adunanzia quando aliquid deberet fieri sive aliquod debe-
ret provideri in comuni predicto debeat mictere ambas manus clausas in
bussolis et reddere fabam in illa bussola in qua sibi videbitur, pena cuilibet
contrafacienti et vice qualibet unius bononieni. Et vicarius qui pro tempore
fuerit teneatur facere executionem de predictis ante quam dicta adunantia
disscedat, ad penam decem soldorum denariorum auferendam sibi de suo
salario in fine sui offitii. Et quod presens reformatio ponatur et describatur
in volumine statutorum comunis Torsciani ita quod in perpetuum debeat
observari prout alii capituli statutorum predictorum.

Item quod provideatur etc.

Super quibus prepositis et qualibet earum ego vicarius predictus nomine
comunis predicti peto per homines presentis adunantie sanum et utile

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comunis, hominum et personarum castri Torsiani in
et solite residentie mey Johannis vicarii infrascri

vocemque preconis, more solito et consueto, de licentia et mandato ac
voluntate mey Johannis vicarii infrascripti n

comunis, in qua quidem addunantia ego Johannes vicarius infrascriptus

152 MARIO RONCETTI

consilium exhiberi secundum formam statutorum et
comunis predicti.
Mathiolus Bartolelli, unus ex consiliariis

pedibus in arengheria dicti comunis dixit et
videlicet :

ordinamentorum

presentis adunantie, surgens
consuluit modo infrascripto,

Et primo super prima preposita incip'enti quod in futurum non possit
aliquo modo aliquid deliberari etcetera, fiat e

dicta posta puntualiter continetur. / 26v

Super quibus omnibus et singulis et misso solempni ac diligenti partito
ad bussulas et fabas albas et rubras modo et ordine supra denotato, victum
et obtemptum fuit dictum et consilium redditum per supradictum Mathio-
lum et per sexaginta novem fabas repertas in bussula alba del sic, non
obstantibus quinque fabis repertis in bussula rubr.
premissorum. Et sic statutum, ordinatum et refo
tem adunantiam et homines ipsius adunantie omni modo, via, jure et

forma quibus magis et melius de jure fieri potest et secundum formam
statutorum et ordinamentorum comunis Torsciani.

t observetur prout in supra-

a del non in contrarium
rmatum fuit per presen-

[S. T.] Et ego Affrichanus condam ser Nicolay Angeli de Perusio, Porte
Santi Petri, publicus imperiali auctoritate notarius atque iudex ordi-
narius et nunc notarius, vicarius et offitialis comunis castri Torsciani
ad dictum offitium per magnifficum virum Tancredum de Raneriis
de Perusio honorabilem capitaneum comitatus civitatis Perusii, Porte
Solis etc. specialiter. deputatus, predictis omnibus et singulis dum
sic agerentur interfui et ea rogatus scribere scripxi et publicavi.

3.

© [27r In Dey nomine, amen. Anno Domini millesimo quadringentesimo
trigesimo tertio, indictione undecima, tempore sanctissimi in Christo patris
et domini, domini Ugenii divina providentia pape quarti et die vigesima
quinta jenuarii.

Convocata, congregata et choadunata publica et generali addunantia
palactio dicti comunis
pti, ad sonum campane

ec non consiliariorum dicti


proposuy et proponendo dixi infrascriptas propositas, primo per dictos

consiliarios et officiales super postis deliberatas secundum formam sta-.

tutorum et ordinamentorum comunis predicti.

Et primo quod si aliqua persona de dicto castro Torsiani sive habitans
in ipso vel in eius destrictu cuiuscumque condictionis et status existat
habuisset vel haberet aut quomodocumque habere potuerit in futurum
aliquas libras, possessiones sive res aliquas in armario comunis Perusii
vel alibi in destriptu dicti castri Torsiani et dictas libras, possessiones et
res non. posuisset et describi fecisset et faceret in catasto comunis Torsiani
in dicto castro Torsiani prout ad catastum allibrate et scripte sunt in catasto
comunis dicti castri in dicto castro Torsiani alie libre, possessiones et res ho-
. minum et personarum dicti castri, infra xv dies a die quo habuerit et sibi
pervenerint supradictas libras, possessiones et res aliquas, de quibus posses-
sionibus et rebus supradictis non solute fuissent nec solverentur expense et
collecte inposite et inponende in dicto castro per comune et homines dicti
castri Torsiani, talis contrafaciens in predictis vel aliquo predictorum
puniatur et condempnetur per vicarium (et massarios) comunis Torsiani
in quinque sollidos denariorum pro qualibet die quo supradicte libre, pos-
sessiones et res steterint extra dictum catastum/ 27v» comunis Torsiani
et quo non adcatastaverit et scribi fecerit et fecisset et faceret in futurum
in supradicto catasto comunis Torsiani in dicto castro Torsiani prout
allibrate, scripte et adcatastate sunt alie libre, possessiones et res hominum
et personarum dicti castri Torsiani in supradicto catasto. Cuius pene supra-
dicte medi tas sit comunis Torsiani, quarta pars cuiuscumque denump-
tiantis aliquem facientem contra predicta vel aliquod predictorum et alia
quarta pars officialis facientis executionem ; et quod presens reformatio
ponatur et scribatur in volumine statutorum comunis Torsiani, ita quod

in perpetuum debeat observari prout alii capituli statutorum predictorum. -

Et supradicta quarta pars adcusatoris sibi accusatori solvi debeatur per
vicarium et teneatur in secretum. Super quibus omnibus et singulis provi-
deatur etc.

Super quibus propositis ego Johannes vicarius predictus nomine
comunis predicti peto per homines presentis addunan'ie sanum et utile
consilium exiberi secundum formam statutorum et ordinamentorum comu-
nis predicti.

Johannes Cole, unus ex consiliariis presentis addunantie, surgens
pedibus et adscendens in arencharia dicti comunis Torsiani more solito et
consueto dixit et consuluit modo infrascripto, videlicet :

Et primo super proposita incipiente quod si aliqua persona de dicto
castro Torsiani sive habitans in ipso vel in eius destriptu etc. fiat et obser-

STATUTI DI TORGIANO DEL 1426 [09159

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154 MARIO RONCETTI

vetur omnia supradicta prout in supradicta posta puntualiter et parti-
culariter continetur.

Super quibus omnibus et singulis et misso solempni ac diligenti par-
tito ad bussulas albas et rubras ad fabas more solito et consueto supra
denotato victum et obtemptum fuit dictum et consilium redditum per
supradictum Johannem per quinquaginta et octo fabas repertas in bus-
sula alba del sic, non obstantibus octo fabis repertis in contrarium in bus-
sula rubra del non. Et sic statutum, ordinatum et reformatum fuit per
presentem addunantiam et homines ipsius addunantie omni modo, via,
iure et forma quibus magis et melius de iure fieri potest et secundum
formam/ 28r statutorum et ordinamentorum comunis castri Torsiani pre-
dicti etc. : :

Et ego Johannes Lelli de Perusio, Porte Sancte Subxanne et parochie
Sancti Valentini, publicus ymperiali auctoritate notarius atque iudex
ordinarius, et nunc notarius, vicarius et offitalis comunis castri Torsiani,
predictis omnibus et singulis interfuy et ea rogatus scribere scripxi et
publicavi, singnumque meum apposui consuetum etc.

[S. T.] Singnum mey Johannis notarii supradicti.

In nomine Domini, amen. Anno Domini millesimo quadringentesimo
quinquagesimo quinto, die vigesima quarta junii.

Reformatum et ordinatum fuit per totam adunantiam castri Torsciani
in palatio comunis dicti castri ex consilio rendito per Valentinum Nannis
Petrini, unum ex dictis hominibus in dicta adunantia existentibus, quod
quilibet de castro Torsciani, videlicet unus de familia qualibet, possit
et sibi licitum sit retinere in castro Torsciani et eius districtu et territorio
duos porchos et non plures, non obstante statuto loquente in contrarium.
Et hoc fecerunt ut homines dicti castri possint aliquos denarios lucrari pro
sussidio et cullectis et aliis eorum necessitatibus, non obstante ut supra,
sine aliqua pena et banno, salvo super quod si dederint dampnum debeant
puniri pena contenta in presenti statuto, ut supra continetur.

Valentinus Pauli de Perusio vicarius
de mandato adunantie scripsi.
STATUTI DI TORGIANO DEL 1426.

9.

[28v In nomine Domini, amen. Anno Domini millesimo quadringen-
tesimo trigesimo septimo, indictione decima quinta, tempore santissimi
in Christo patris et domini, domini Eugienii divina providentia pape quarti
et die vigesima septima mensis decenbris.

Convochata, congregata et chohadunata publicha et generali adunantia
comunis, hominum et personarum castri Torsiani in palatio dicti comunis
et solite residentie mey vicarii infrascripti, ad sonum canpane vocemque
preconis, more solito et consueto, de licentia, mandato et voluntate mey
Astoris domini Beneincase de Vitelensibus de Perusio vicarii infrascripti
nec non consiliariorum dicti comunis, in qua quidem adunantia ego vica-
rius supradictus proposui infrascriptas propositas et primo per dictos consi-
liarios et offitiales super postis deliberatas secundum formam statutorum
et ordinamentorum dicti comunis Torsiani.

Et primo in futurum omnes consiliaratus offitiales debeant revidere
omnes et singulas rationes dicti comunis omnibus et singulis cultoribus,
vicariis et aliis eorumcumque offitialibus dicti comunis in octo dies in prin-
cipio eorum offitiorum et dictos cultores seu offitiales repertos retinere
vel habere pecuniam dicti comunis fatiant remictere apud sindicum seu
massarium electum per dictum offitialem consiliariatus sub pena quinque
librarum pro quolibet consiliario.

Secundo quod quicunque vellet venire ad habitandum in dicto castro
Torsiani tantum non sit civis et facere ea que faciunt torsianenses, quando-
cumque voluerit edificare domum vel casalenum in dicto castro, quilibet
torsianenses debeant sibi adiutare unum diem pro quolibet ad requisi-
tionem dicti actantis.

Tertio quod nullus vicarius per in futurum valeat colligiere vel nullas
collectas facere nec aliqua alia pecunia coligiendi per dictum comune. /29r

Quarto quod quando fieret sacchectum officiorum comunis dicti castri
debeant insacculatores insacculare certos massarios et debeant extraere
unum pro semestri in principio officii vicarii, qui massarius debeat recipere
totam pecuniam pertinentem ad dictum comune, et quod vicarius quando-
cumque vellet condepnare aliquam personam faciat ey bolectam et solvat
dicto massario et dictus massarius debeat dictam bolectam infilzare etc.

6.

In nomine Domini nostri Jesu Christi, amen. Anno Domini millesimo
quadringentesimo quadragesimo quinto, indictione octava, tempore santissi-

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156 MARIO RONCETTI

mi in Christo patris et domini, domini Eugenii divina providentia pape
quarti et die ultima mensis novembris.

Convocata, congregata et quoadunata publica et generali adunantia
comunis, hominum et personarum castri Torsciani, comitatus Perusii, in
palatio dicti comunis et ad presens residentia mey Angeli vicarii infrascripti,
ad sonum campane vocemque preconis, sono tube premisso, et de licentia
et mandato mey Angeli vicarii infrascripti nec non de licentia et matura
[de]liberatione providorum virorum Bartholelli, Herculani, Martini et
aliorum sotiorum et dominorum consiliariorum dicti castri, in qua quidem
adunantia interfuerunt omnes illi qui consuetum est similem adunantiam
facere. Ego Angelus condam Marini proposui infrascriptas propositas se-

cundum formam statutorum dicti castri, super quibus petii consilium
exhiberi,

Et primo etc.

Secundo quod per present m adunantiam est necesse providere, ordi-
nare et de novo reformare quod nullus de dicto castro vel habitans in eo
cuiuscumque status vel condictionis existat ullo modo pro fucturo audeat
vel presumat per se vel per alium cavare seu cavari facere fossum comunis
dicti castri ad hoc ut muros dicti castri non ruinantur nec aliquo modo
devastatur ex culpa et defectu hominum et personarum qui vadunt ad
cavandum et hoc pro reparatione dictorum (murorum ; in Dey nomine
super hoc consuletur./ 29v

Tertio est necesse providere et de novo reformare quod sunt multi
cives et alii de dicto castro qui occupaverunt et occupant et adprendi-
derunt vias vicinales et aliis viis ita quod bestie et persone non possint
per dictas vias transire cum eorum bestiis sine magno periculo et preiu-
ditio bestiarum et personarum ; in Dey nomine super hos consuletur et
reformetur.

Super quibus omnibus et singulis etc.

Angelus Benedicti alias el Boldrino, unus de numero dominorum
consiliariorum, auditis predictis surgens pedester et ivit ad arengheriam
ad consulendum more solito. Et primo fecit invocationem altissimi Do-
mini nostri Jesu Christi etcetera et postmodum dixit consulendo, vide-
licet super prima preposita et contentis in ea quod consiliarii qui sunt
ad presens habeant arbitrium determinandi, ponendi et de novo vocandi
duos bonos et legales homines de dicto castro, ad hoc ut nullus possit
cavare sine licentia dictorum duorum hominum ad hoc deputandorum.

Et quod insacule[n]tur dicti duo homines et durabit offitium ipsorum pro
tempore unius anni. Et quod dicti homines non possint dare licentiam in
preiuditium dictorum murorum. Et quicumque cavaverit in dicto fossato
STATUTI DI TORGIANO DEL 1426 157

comunis dicti castri incidat in pena decem florenorum auri et quilibet possit
accusari cum iuramento et tencat in secretum. Que pena medietas sit comunis
dicti castri, quarta pars offitialis qui facit de predictis executionem et alia
quarta pars accusatoris. Et si vicarius qui erit perfunctus in predictis fuerit
negligens in condepnando et ad faciendum solvere incidat in pena quin-
que librarum tempore sui sindicatus aufferendarum et hoc quantum ad
dictam prepositam. Et hoc continue fiat pro conservatione rey - publice.

Item dixit super tertia preposita et in ea contentis quod terminatores
et extimatores qui sunt ad presens de offitialibus in offitialibus debeant
eligere et deputare duos homines una cum terminatoribus et extimatoribus
comunis, qui homines sic electi una cum predictis habeant arbitrium,
potestatem et bayliam reducendi et reduci faciendi omnes et singulas vias
sic appreensas prout dicte vie erant in pristino statu. Et solvant illam
penam prout et sicut dictis hominibus una cum predictis terminatoribus
et extimatoribus videbitur et placebit. Et omne id quod factum est per
dictos quattuor homines sit ratum et firmum tanquam ordines presentis
adunantie. ;

Super quibus omnibus et singulis, misso solempni et diligenti partito
super secunda preposita et contenta in ea hoc modo quod quicumque vult
et sibi videtur dictum dare consultui sit una pars et mictat eorum fabas
in bussola alba del sic ; quicumque videtur et vult contraria sit altera pars
et mictat eorum fabas in bussula rubra del non, et reperte fuerunt in bus-
sula alba del sic fabe XXXVIII, non obstantibus fabis novem in contra-
rium premissorum et sic octentum per plures quam due partes etc.

Item misso partito modo ut supra super tertia preposita etcetera fue-
runt reperte in bussula alba del sic fabe XLIIII, non obstantibus fabis II
in contrarium et sic octentum et reformatum fuit modo et forma predictis.
Et quod presens reformatio sit in perpetuum.

[S. T.] Ego Angelus quondam Marini civis Perusii, Porte Sancti Angeli
et parochie Sancti Fortunati, publicus imperiali auctoritate notarius
et iudex ordinarius et nunc vicarius castri Torsciani et aliorum castro-
rum et villarum comitatus Perusii, Porte Sancti Petri, predictis omni-
bus et singulis interfui, scripsi et rogatus fui.

4.

[30r In nomine Domini, amen. Anno Domini millesimo quadrin-
gentesimo sexagesimo septimo, inditione decima quinta, tempore sanctissi-

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158 MARIO RONCETTI

mi in Christo patris et domini, domini Pauli divina providentia pape se-
cundi et die vigesima secunda mensis novembris.

Convochata, congregata et choadunata publica et generali adunantia
comunis, hominum et personarum castri Torsciani in palatio dicti comunis
solite residentie mey vicarii infrascripti, ad sonum campane vocemque
preconis more solito et consueto, de licentia et mandato ac voluntate mey
Nicolai vicarii infrascripti nec non consiliariorum dicti comunis, in qua
quidem adunantia ego vicarius predictus proposui infrascriptas propositas
primo per dictos consiliarios et offitiales super postis [deliberatas] secundum
formam statutorum et ordinamentorum comunis predicti.

Im primis cum offitialium massariorum castri Torsciani sit quasi
caput et regimen dicti castri et in ipso offitio tota res publica ipsius castri
se fundatur et conveniens sit quod ipsi massarii in rebus concernentibus co-
modum et utilitatem et honorem ipsius comunis obediantur et onorentur
et illi qui inobedientes sunt pro aliorum exemplo aliqua pena puniantur,
ideo et quod presens reformatio ponatur et ita quod in perpetuum debeat
observari prout alii capituli statutorum predictorum.

In Dey nomine provideatur etc.

Super quibus proposit s et qualibet earum ego vicarius predictus nomi-
ne comunis predicti peto per homines presentis adunantie sanum et uti-
lem consilium exhiberi secundum formam statutorum et ordinamentorum
comunis predicti.

Marthinus Tomassi alias de Orlando, unus ex consiliariis dicti castri,
surgens pedibus et iens ad arengam consuetam animo bene consulendi,
ut moris est, primo invocato nomine omnipotentis Dei eiusque gloriosis-
sime matris et semper Virginis Marie et omnium Sanctorum et Sanctarum
Dei, super dicta prima preposita solummodo consulendo dixit, exposuit
quod pro omnibus rebus et factis comunis consiliarii comunis dicti castri
pro maiori/ 30r parte in concordia existentes possint et debeant unicuique
de dicto castro vel habitanti in eius districtu precipere et mandare omnem
id et totum quod, noverint oportunum pro necessitate et utilitate. dicti
comunis et qui fuerit inobbediens et preceptum eorum non observaverint
incidat in penam viginti solidorum denariorum per vicarium et offitialem
dicti castri auferendorum et aplicetur in cippo comunis dicti castri.

Super quibus omnibus et singulis et misso solenpni ac diligenti partito
ad bussulas albas et rubeas ad fabas more solito et consueto supra denotato
victum et obtemptum fuit dictum et consilium reditum per supradictum
Martinum per XXXVIIII fabas repertas in bussula alba del sic, non ob-
stantibus VII fabis repertis in bussula rubea del non in contrarium premis-
sorum. Et sic statutum, ordinatum et reformatum fuit per presentem
STATUTI DI TORGIANO DEL 1426 159

adunantiam et homines ipsius adunantie omni modo, via, iure et forma
quibus magis et melius de iure fieri potest et secundum formam statutorum
et ordinamentorum comunis castri Torsciani predicti.

[S. T.] Et ego Nicolaus condam Angeli Nicolai de castro Papiani comitatus
Perusii, Porte Sancti Petri, publicus imperiali auctoritate notarius
atque iudex ordinarius et nunc notarius, vicarius et offitialis comunis
castri Torsciani ad dictum offitium per nobilem virum Ugolinum
De Gratianis de Perusio, honorabilem capitaneum comitatus Perusii,
Porte Sancti Petri etc., specialiter deputatus, predictis omnibus et
singulis dum sic agerentur interfui et ea rogatus scribere scripsi et
publicavi.

8.

/31r In nomine Domini, amen. Anno Domini millesimo quadrin-
gentesimo quadragesimo octavo, indictione duodecima, tempore domini
Nicolai divina providentia pape V, die undecimo mensis agusti. Actum
in sala domorum comunis castri Torsciani in quibus vicarius dicti castri
residentiam habet. :

Convocata, congregata et quoadunata fuit publica generalis adunantia
hominum et personarum dicti castri Torsciani in supra dicto loco in quo
solitum est inter homines dicti castri adunantiam facere, de mandato pre-
sentium massariorum, videlicet Bartelle Herculani, Bartoli Angeli, Pascutii
Georgii, Blaxii Sensi, massari dicti castri, sono tube premisso vocemque
preconis more solito et consueto et de licentia, mandato, volumptate ac
commissione mey Petri Mathei vicarii infrascripti nec non presentium
consiliariorum dicti comunis. In qua quidem adunantia interfuerunt omnes
et singuli homines representantes totam adunantiam et dictum comune;
et in dicta adunantia et dictis hominibus in dicta adunantia collegialiter
existentibus ego Petrus vicarius predictus proposui infrascriptas propositas
sive infrascripta posita, videlicet :

In primis quod cum in dicto castro non sit abundantia aquarum et
necesse sit habere aquam et abundantiam aquarum pro casibus occurren-
tibus sive occurrendis et aliis de causis, idcircho quod si dictis hominibus
in dicta adunantia existentibus videtur providere construere seu construi
facere duo putea in dicto castro. Et quod provideatur etcetera facere in
locis comodis ubi videtur dicte adunantie et hominibus ipsius adunan-
tie./ 31» :
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160

que posita et descripta est in catastro dicti comunis castri Torsciani, cuius
occasione dictum comune est gravatum occasione libre, quod si dictis
hominibus et dicte adunantie videtur concedere alicui persone, cum sit
soda et etiam causa alleviandi sumptus subsidi dicto comuni, predicti
nomine consuletur et super predictis consuletur et provideatur.

Tertio quod cum Nannes de castro Castiglionis Aretini cum sua fa-
milia velit et intendat se acatrastare inter homines dicti castri Torsciani
et venire pro tempore futuro ad habitandum dum modo sibi provideatur
per dictum nostrum comune de una habitatione seu de loco in quo con-
strui et edificari possit unam domum cum hoc pacto, videlicet quod con-
servetur sibi exentio sibi concessa per comune Perusii pro illo tempore
in dicta exentione contenta et etiam statutorum comunis Perusii et dicti
cas:ri loquentium de forensibus volentibus venire ad habitandum in dicto
castro et aliis qualitatibus forensibus observatis, hiis premissis ipse offert
se cum sua familia in futurum venire in dicto castro ad Eon et
habitare intendit.

Quarto quod cum festum sancti Bartolomei prop nquatur et necesse
sit providere pro faculis pro luminaria facienda more solito et ad hoc ut
dictus beatus Bartolomeus patronus dicti castri possit et valeat intercedere
pro hominibus dicte civitatis coram Domino nostro Jesu Christo et pro
nobis orare quod nos omnes caveat ab omni periculo et fortuna ; et si dictis
hominibus videtur quod unusquisque nostrum pro quolibet foculari tantum
de qualibet domo habitantes in dicto castro valeat/ 32r et teneatur emere
unam faculam cere unius libre eorum et cuiuslibet ipsorum sumptibus.
Et si quis contra fecerit incidat in penam et teneatur solvere viginti soli-
dos denariorum pro quolibet contrafatiente in cippo dicti castri. Et etiam
quod nullus possit nec valeat laborare post sonum campane in evigilia
dicti festi sancti Bartolomei, videlicet quando pulsabitur in nonis, pena

cuilibet laboranti et contrafacienti X solidorum denariorum. Et quod de
predictis vicarius qui pro tempore erit teneatur facere executionem realem
et personalem infra decem dies ; et quod medietas dicte pene sit vicari et
alia dicti comunis.

Super quibus omnibus et singulis supradictis postis particulariter vel
divisim in Dey nomine consuletur quid agendum et deliberetur.

Andreas Mey alias Carlovale surressit et consulendo dixit: super
prima posta que tangit de provisione puteorum etc. quod presentes massari
habeant arbitrium et potestatem eligendi unum bonum hominem pro
quolibet eorum et quod dicti massari una cum dictis quatuor hominibus
elligendis [h]abeant arbitrium et potestatem providendi, statuendi, refor-

MARIO RONCETTI

Secundo quod cum quedam petia terre sita in loco dicto la cavata,
STATUTI DI TORGIANO DEL 1426 161

mandi, liberandi et declarandi omne id et totum quod eis videbitur de et
pro contentis in dicta prima posta. Et quod possint habere consilium in
quibus locis magis utilius et magis commodius fovendi seu foveri faciendi
dictos puteos. Et quod factum et deliberatum fuerit per eos ratum, gratum
et firmum habeatur per omnes homines huius universitatis, et plenam
habeat roboris firmitatem quam ad nunc habet presens et tota adunantia.
Et ita obtentum fuit misso partito per xxxi: fabas in bussula alba per
lo sic, X fabis in contrarium repertis in bussula rubra per lo non.

Item super secunda posta que tangit super facto petie terre sode
comunis in eius catastro descripte, site in loco dicto la cavata etc. dixit
et consuluit quod dicta petia terre mittatur ad bannimenta et ipsam ven-
datur plus offerenti et sibi concedatur et instrumentum sibi fieri debeat
in forma de jure vallitura. Et si aliquis non inveniretur velle emere, tunc
presentes massari habeant arbitrium una cum offitialibus super catastro
ipsam alteri concedere cui magis consonum eis placuerit et dicta petia terre
elevari debeat de dicto catastro etc. Et misso partito obtentum fuit ita
per XXxv fabas per lo sic etc. /32v ;

Item super tertia posita que tangit de receptione Nannis et sue familie
etc. dixit et consuluit quod presentes massari habeant arbitrium et pote-
statem adceptare in nostrum terrazinum dictum Nannem cum sua familia
cum pactis, promissionibus et provisionibus et conditionibus prout eis
videbitur convenire et placuerit ; et eis dicendi, promittendi vice et nomine
dicti comunis de observando sibi pacta inter eos facienda ac exentiones
que et quas habent a comune Perusii et cuncta que eis concedantur ex
forma nostrorum statutorum. Et quod possunt sic Nanni et sue familie
concedere de bonis dicti nostri comunis sive domos sive casalenum in quo
inhabitet ut possit edificare domum pro sua habitatione. Et omne id et
totum quod factum, concessum, promissum et deliberatum fuerit per dictos
massarios ratum et firmum habeatur quemadmodum deliberatum fuerit
per totam et presentem adunantiam. Et ita obtentum fuit misso partito
per xxxvi fabis etc.

Item super ultima posta que tangit super provisione et luminaria
pro festo sancti Bartolomey et pena inponenda non ementibus faculas et
laborantibus in vigilia sancti Bartolomey post missas post sonum campane,
statuerunt, ordinaverunt et reformaverunt in dicta adunantia misso presens
partito et obtentum per xxxvi fabas iuxta formam statutorum dicti
castri quod omnes et singuli homines dicti castri acatastrati, videlicet
unus pro quolibet foculari, teneantur infra otto dies ante festum sancti
Bartolomey emisse una faculam cere ponderis unius libre et se represen-
tare cum dicta facula corani vicario et se scribi facere, pena cuilibet con-

11
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162 MARIO RONCETTI

trafacienti et non ementi dictam faculam xx solidorum denariorum. Et
si quis etiam inventus fuerit laborare post nonas in evigilia sancti Barto-.
lomei vel accusatus fuerit pena cuilibet x solidorum denariorum, quam
solvere teneatur infra duos dies, quod si non solverit infra dictum termi-
num tunc vicarius dicti castri teneatur exigere dictas penas infra x dies.
Et quod medietas dictarum penarum sit ipsius vicari et alia medietas
sit comunis et incippetur.

Ego Petrus quondam Mathey Guidonis de Perusio, Porte Sancti Petri,
predictis interfui et ea rogatus scribere scripsi et publicavi.

9.

[33r In nomine Domini. Anno Domini millesimo quadringentesimo
septuagesimo, indictione tertia, tempore sanctissimi in Christo patris
et domini, domini nostri Pauli divina providentia pape secundi et die
decima mensis novembris. |

Convochata, congregata et choadunata publica et generali adunantia
comunis, hominum et personarum castri Torsciani in palatio dicti comunis
solite residentie mey Johannis Baptiste vicarii, ad sonum campane vocem-
que preconis more solito et consueto de licentia, mandato ac voluntate
mey vicarii nec non consiliariorum dicti comunis, in qua quidem adunantia
proposuy infrascriptas propositas :

. Et primo quod massari una cum eorum aiuntis habeant arbitrium
addendi et minuandi statutos dicti comunis et ipsos reformandi et omnibus
hominibus precipiendi pro utilitate et honore et necessitate dicti comunis,
videlicet habitantibus in castro Torsciani vel eius districtu, sub pena in
estatutis antedictis. contempta.

Super quibus propositis et qualibet earum ego vicarius predictus
nomine comunis peto per homines presentis adunantie sanum et utile
consilium exiberi secundum formam statutorum et ordinamentorum dicti
comunis. T

Martinus Thome alias de Orlandis, unus dicte adunantie, surgens
pedibus et iens ad rengariam consuetam animo bene consulendi, ut moris
est, primo invocato nomine omnipotentis Dey eiusque gloriosissime Vir-
ginis Marie et omnium Santorum et Santarum Dei, super dicta prima
proposita solumodo consulendo dixit et exposuit quod consiliarii dicti
comunis una cum eorum aiuntis pro omnibus rebus et factis dicti comunis
pro maiori parte in concordia existentes possint deliberare omne id et
totum quod eis videbitur.
STATUTI DI TORGIANO DEL 1426 163

. Super quibus omnibus et singulis et misso solepni ac diligenti partito
ad bussulas albas et rubeas ad fabas more solito et consueto super denotato
victum et optentum fuit dictum et consilium reditum per super dictum
Martinum per xLIII. fabas repertas in bussula alba del sic, non obstanti-
bus 111 fabis repertis in bussula rubea del non in contrarium premissorum ;
et sic statutum et ordinatum fuit et reformatum per presentem adunantiam
et hominum ipsius adunantie omni modo, via, iure et forma quibus melius

et magis de iure fieri potest et secundum statuta et ordinamenta comunis
castri Torsciani. :

10.

/33v In nomine Domini, amen. Anno Domini millesimo quadrin-
gentesimo septuagesimo, indictione tertia, tempore santissimi in Christo
patris domini, domini nostri Pauli pape secundi divina providentia, die
vigesima octava novembris.

Dominicus Santarelli

Guerrerius Ricole

massarii dicti comunis una cum eorum aiuntis
ex commissione eis data et concessa per

Pascutius Meneci predictam generalem adunantiam ut in

Menecus Bonaccursi antecedente folio plenius et latius patet,
ordinaverunt et reformaverunt quod nulla persona habitans in castro
Torsciani vel eius districtu non possit nec debeat retinere plus quam duas
capras et duos porcos, sub pena in exstatutis contenta, non obstante
statuto in contrario faciente et ita voluerunt et reformaverunt dictum
statutum valiturum.

[S. T.] Ego Johannes Baptista olim ser Antonii Mey Albergutii de Perusio,
Porte Sancti Petri et parochie Sancti Stefani, imperiali autoritate
notarius atque in predictis iudex ordinarius et nunc vicarius castri
Torsciani per nobilem virum Bartholomeum Andree Pascutii de Perusio
capitaneum deputatus, predictis omnibus et singulis interfui et roga-
tus fui.

11.

[34r Copia littere gubernatoris. ^ Jesus.
Egregii viri nostri charissimi salutem. Essendo offitio nostro de pro-
vedere cum hopportuni remedie a tucte quelle cose che sonno cason de la

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164 MARIO RONCETTI

perturbatione de la quiete et pacifico vivere de li populi subditi al regi-
mento e cura nostra, cum preiudicio et dampno grandissimo non solamente
de le persone e facultate ma etiam de le anime loro, e sentendo noy come
lì in quillo castello de Torsciano se vive descustomatamente e cum grande
licensia de male opere specialmente in giocare, in biastemare Dio co li
suoy Santi e in portare le arme, de che ne avemo dispiacere grandissimo,
sapendo che per altri tempi se soleva vivere cum grande modestia et buoni
costume come persone da bene e timorati, havemo proposto e dilibrato-
che a questo inhonesto e licentioso vivere se pona remedio, a ció che chi
per timore e amore de Dio e de la vertü non se vole emendare saltem per
timor de la pena se abstenga dal male fare: pertanto volemo e... ve
comectemo e expressamente comandamo a voy vicario presente e futuro
e sintici e massari del dicto castello de Torsciano presenti et futuri, debiate
fari adunari el consiglio e che publicamente selegano quiste ordinatione
e lectere nostre; e de po quiste ordinatione farete anco fari le gride per
dicto castello manifestando e significando a ciaschuno dictas ordinationes
infrascriptas, le quale cosi comenciano :

Al nome de Dio. Però che la biastima che se fa de Dio e de la glorio-
sissima Vergene Maria del Salvatore nostro Messer Jesu Christo Matre
Santissima e cosi... Santi del paradiso è cason de provocare la ira de la
sua divina maiestà sopra de noy e de li beni nostri, se bandisse per parte
del R.mo Monsignori Vesthio de Arimine Locotenente generale del R.mo
Mons. Legato'de Peroscia etc. che se da mo innanti alcuna persona de che
condictione se sia del castello de Torsciano o suo territorio biastimerà co
la scellerata boccha Dio, o la prefata gloriosissima Vergine Maria cada in
pena de uno ducato per volta ultra la pena de le statute e quisto per ogne
fiata che biastimerà ; et si giura per alcuno membro dei dicti Sante sia
pena soldi cinquanta. :

Item chi biastimerà aleuno Santo, o Santa cada in pena de uno fio-
rino oltre la pena de li statuti per ongni volta et si giura per alcuno nome
di essi sia pena soldi cinquanta./ 34v

Item chi giocarà ad alcuno giocho de carte, o dadi o ad altro giocho
prohibito cada in pena de xr solde per ciaschuna volta oltra la pena sta-
tutaria.

Item chi presumerà portare alcuna generatione de arme prohibite
de di o de notte per lo dicto castello, incurra la pena de xr solde per cia-
schuna volta oltra la pena statutaria ; de le quale pene la terza parte sia
de lo accusatori el quali li serà tenuto secreto. L'altra terza parte de quello .
che ne farà la executione et l'altra terza parte de la Camora apostolica.
‘Volimo adoncha che voi Massari successivamente teneate quista o la
STATUTI DI TORGIANO DEL 1426 165

copia d’essa apresso de voy, e che continuamente ne fiaciate relatione de
quilli contra faranno socto pena a voy de cinquanta ducati. Valete.
Perusie xi1 Junij 1486
Johannes Episcopus Ariminensis
Perusie etc. Locumtenens generalis

12.

In nomine Domini, amen. Anno Domin! millesimo quadringentesimo
octogesimo septimo, indictione quinta, tempore santissimi in Christo patris
et domini, domini Innocentii divina providentia pape ottavi et die decima
quarta octobris.

. :Convocata et quoadunata publica et generali adunantia comunis,
hominum et universitatum castri Torsciani in palatio comunis dicti castri,
ad sonum campane vocemque preconis, ut moris est, in qua quidem adu-
nantia fuerunt in forma valida obtenta infrascripta capitula pro bono,
pacifico et quieto vivere dicti castri manu mei Johannis Petri Pauli de
Perusio notarii publici, videlicet :

In primis ad hoc ut homines et personas qui in futurum emerent bona
comunis dicti castri reddantur prontiores ad eas solvenda, statuimus et
ordinamus quod si quis/ 35r a comunitate dicti castri emeret macellum no-
vum sive alias res dicto comuni pertinentes ad bannimenta ... aliquo alio
modo et non solverit seu solverint prout tenerentur de iure secundum eorum
promissionem, teneantur a dicto comuni solvere quartam partem illius
quantitatis quam restaret solvende ultra principalem sortam cum execu-
tione vicarii.

Item ad obviandum maleficia que ex nimia facilitate committuntur, sta-
tuimus et ordinamus quod si aliquis de dicto castro seu in eo habitans com-
mitteret aliquod homicidium personarum seu aliquod ali:d maleficium ex
quo sindicus dicti castri teneretur ipsum denumptiare ex forma statutorum
civitatis Perusii, quod ille seu illi qui tale commiserint maleficium, videli-
cet omicidium, teneantur solvere libras X denariorum comuni dicti castri
ultra penam a statuto ditte civitatis prefixam, quam quantitatem massarii
qui tempore commissi maleficii erunt in offitio teneantur et debeant dit-
tam penam exigere effettualiter et de fatto tempore eorum offitii, de qua
quantitate decem librarum due partes sint comunis dicti castri et alia tertia
pars sit offitialis facientis executionem de predictis. Et si dicti massarii fue-
rint negligentes in exigendo dittam quantitatem librarum x, quod tempore
eorum sindicatus teneantur solvere de eorum propria pecunia, et nichilho-

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166 MARIO RONCETTI

minus incurrant in penam in libras decem denariorum pro quolibet. Et
si aliquis committeret aliquod aliud maleficium ut dittum est dummodo ex
eo non sequatur mors, solvere teneatur dicto comuni libras quinque de-
nariorum, quas massarii qui pro tempore erunt teneantur et debeant dittas
libras quinque exigere effettualiter. Et si hoc non adimpleverint de eorum
proprio solvere teneantur et nichilhominus incurrant in penam librarum
quinque, quas solvere teneantur in eorum sindicatu.

13.

/41v In nomine Domini, amen. Anno Domini millesimo quadringen-
tesimo nonagesimo primo, die nona mensis martii, inditione septima, tem-
pore sanctissimi in Christo patris et domini, domini Inocentii divina pro-
videntia pape octavi.

Convochata, congreghata et chohadunata publica et generali adunantia
comunis, hominum et personarum castri Torsciani in palatio dicti comunis
solite residentie mey vicarii infrascripti, ad sonum campane vocemque
preconis more solito et consueto, de licentia et mandato ac voluntate mey
Francisci vicarii infrascripti nec non consiliariorum dicti comunis, in qua
quidem adunantia ego vicarius predictus preposui infrascriptas prepositas
secundum formam statutorum castri super quibus petii consilium exibiri :

Hic locus odit, amat, punit, conservat, honorat
nequitià, leges, crimina, jura probus (196),

14.

[42r In nomine Domini, amen. Anno Domini millesimo quadringente-
simo nonagesimo quarto, inditione decima secunda, tempore domini nostri
domini Alexandri pape sexti et die...

Cum sepius fuerit discussum inter homines et consilium castri Tor-
sciani de modo ponendi collectas pro solvendis debitis comunis dicti castri,
nec usque modo fuerit reperta via neque modus unde et quomodo dicte col-
lecte inponi debeant, et ex hiis magne differentie fuerint et sint in comuni
dicti castri et inter homines ipsius ; quod in presenti volentes omnino diri-
mere et huiusmodi latratibus finem atque metam inponere, putantes prop-
ter varias volumptates hominum dicti castri sine consilio ac favore eorum
qui dictum comune et homines dicti castri actenus fovere inspexerunt
STATUTI DI TORGIANO DEL 1426 167

non posse comode hec peragere, per numptios hec omnia ex comuni dicti

castri parte denumptiata fuerunt reverendo patri celeberrimoque utriusque
juris doctori domino Matheo de Ubaldis, sacri palatii Apostolici auditori,
et generosis viris Gentili Gentilis et Rodulfo Rodulfi de Signorellis ut pla-
ceret pro quiescendis vocibus ac stridoribus hominum dicti castri aliquem
salubrem modum reperire ad hoc ut communitas predicta pacate atque
unanime vivat et ut dicti comunis bona etiam in melius per concordiam
inter ipsos ineundam adiuventur.

Qui reverendus pater dominus Matheus et generosi viri Gentilis et
Rodulfus postulationibus hominum dicti castri et comunis annuentes pro
bono pacis et concordie habende trattande et augende inter homines dicti
comunis tam pro presenti quam futuris/ 42v temporibus, arbitrati fuerunt
infrascriptam ordinationem salubrem atque profuturam esse si ea exeque-
retur, iudicaverunt, laudaverunt et arbitrati sunt quod dicte collecte omnes
et quecumque de cetero imponende in futurum perpetuis temporibus et
salarium capitanei solvatur per dictos comitatinos hoc modo, videlicet
quod due partes de tribus solvantur per libram et secundum libram et
quod tertia pars de dictis tribus partibus solvatur per capita et secundum
capita hominum. Et quia sunt aliqui comitatini habentes libram que olim
fuit civium, prout sunt filii Marci de Septe Nebbie et filii Blaxii Sensi et
filii Germani et Johannis Luce et quidam alii, qui dicunt se per hoc multum
gravari, attento quod pro dicta libra olim civium secundum certam ordi-
nationem non tenentur solvere nisi medietatem eius quod solverent si es-
sent de comitatu; et per partem adversam respondetur quod posito sed
non concesso quod in hoc graventur, debent patienter substinere quia rele-
vantur in eo quod solvitur per capita preter consuetudinem licet forte dicta
relevatio sit minor quam gravamen, dicti arbitri moti ex equitate lauda-
verunt quod predicti comitatini solventes per libram ut supra releventur
etiam in alio circha onus sindicatus, videlicet quod qui habent dictas libras
de predictis usque ad xx non teneantur facere sindicatum neque contribuere
ad expensas sindicatus per tempus octo annorum ; qui vero habent xx libras
vel ab eo supra usque ad xxx exclusive non teneantur ad sindicatum neque
ad expensas fiendas pro/ 43r sindicatu per tempus xir annorum. Qui au-
tem habent xxx libras de predictis vel ab eo supra, non teneantur ad
sindicatum neque ad expensas sindicatus per tempus xv annorum. Et cog-
noscentes predicta fore equitati consona ac etiam attendentes autoritatem
predictorum reverendi patris domini Mathei et nobilium virorum Gentilis
et Rodulfi predictorum, facta publica, et generali adunantia in domo comunis
dicti castri in qua interfuerunt due partes de tribus partibus hominum
dicti castri, factis propositis exibitisque consiliis et facto, posito et misso

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168 MARIO RONCETTI

partito ad bussulam et palluctas seu fabas more solito et solempniter ob-
tempto partito, ordinaverunt, statuerunt et reformaverunt prout supra
laudatum, decretum, provisum ac declaratum est per supradictos dominos
Matheum, patrem reverendissimum, et Gentilem et Rodulfum, viros ge-

nerosos. Et predicta fecerunt, providerunt et ordinaverunt omni meliori
modo etc.

15.

/43v Dignetur D. V. R.ma ad humiles preces devotorum illius ora-
torum sindici et massariorum universitatis et hominum castri Torsciani,
comitatus Perusie, supradicta statuta, ordinamenta, decreta et constitutio-
nes in presenti libro descripta approbare, confirmare et emologare et quate-
nus opus sit de novo concedere et mandare omnibus ad quos spectat et pro
tempore spectabit inviolabiliter observent et ab aliis quantum in eis erit
observari faciant et mandent. Decernendo ex nunc nullum, irritum et ina-
nem quicquid scienter vel ignoranter in contrarium contigerit attemptari,
supplendo omnem defectum, omissionem et narratorum habendorum...
legibus, statutis, constitutionibus, ordinationibus apostolicis et presertim
pre allegatis ceterisque in contrarium facientibus non obstantibus quibus-
cunque quibus omnibus placeat derogare et petita oratoribus concedere
de gratia speciali, quam Deus ad maiora augeat.

Attentis narratis, suprascripta statuta quatenus sint in viridi obser-
vantia et eccle^iasticae libertati sacrisque canonibus non sint contraria
confirmamus et observari mandamus ut petitur, nostra tamen et successorum
superioritate semper salva et reservata.

Hieronymus Nuceriensis Vice Legatus
. Datum Perusiae die xv Junii 1562

FRANCISCUS DRUDA

NOTE

(1) Cfr. Mocur Owonv S., L’applicazione pratica del diritto statutario.
Contributo per una « Storia del diritto consuetudinario » e per una organica
classificazione degli Statuti italiani, Città di Castello, Scuola Tip. Orfanelli
S. Cuore, 1927; introduzione.

(2) Cfr. GuALAzziNI U., Considerazioni in tema di liriche statutaria
medievale, 2% ediz., Milano, Giuffrè, 1958; cap. VIII: Una postilla metodo-
STATUTI DI TORGIANO DEL 1426 169

logica, pp. 117 e segg. Ecco come si esprime a p. 118 : « Mi pare quindi che non
solo non risponda ad una realtà obiettiva, ma neppure ad una esigenza scien-
tifica, il coordinamento in un unico sistema della legislazione statutaria di
più comuni ».

(3) Cfr. CAGGESE R., Classi e comuni rurali nel Medio Evo italiano. Saggio
di storia economica e giuridica. Firenze, Tip. Galileiana, 1907, vol. I, pp. 268,
338 segg. ; e LEICHT P. S., Storia del diritto italiano - Le fonti. Milano, Giuffrè,
1956, p. 211, il quale distingue tra statuto signorile e statuto autonomo.

(4) Cfr. Ricci A., Lo Statuto del Comune di Baschi (Umbria) del principio
del *400 con una introduzione sugli statuti dei comuni rurali italiani, in Boll.
Dep. St. Patria per l'Umbria, XVIII (1912), pp. 237-355.

(5) Cfr. BRIGANTI F., Lo Statuto di Gaiche del 1318, in Boll. Dep. St.
Patria per l'Umbria, XIV (1908), pp. 491-544.

(6) Cfr. DE VERGOTTINI G., Origini e sviluppo storico della comitatinanza,
Siena, Circolo Giuridico della R. Università, 1929; Vaccari P., La territo-
rialità come base dell'ordinamento giuridico del contado, Pavia, Tipografia
Cooperativa, 1921, pp. 32 s.; GUALAZZINI 550p; cIE, p. 87.

(7) Il BRIGANTI (in appendice all'opera : Città dominanti e comuni minori
nel Medio Evo con speciale riguardo alla Repubblica Perugina, Perugia, Unione
Tipografica Cooperativa, 1906) fornisce un elenco di tali statuti, quasi tutti
dei secoli XV e XVI, relativi alle comunità del contado perugino.

(8) Non é detto peró che in queste tarde redazioni non si conservino
preziose tracce di riti, di sentimenti, di disposizioni derivanti dall'originario
statuto, che ci permettano quindi di ricostruire la vita del vecchio comune

rurale. Cfr. CAGGESE R., op. cit., Firenze, O. Gozzini Editore, 1909, vol. II,

pp. 177 segg. :

(9) LeIcHT P. S., op. cit., p. 212.

(10) Statuti di Predappio dell'anno 1383 pubblicati da Carlo Guido . Mor
a spese del Senato del Regno. « Corpus Statutorum Italicorum » n. 21 — Terza
Serie n. 1 — Roma, Istituto Poligrafico dello Stato, 1941.

(11) Come risulta dal proemio del primo libro (p. 35).

(12) Cfr. Ricci A., op. cit., pp. 244 segg. :

(13) Cfr. GUALAZZINI U., op. cil., pp. 8, 52, 78, 104 e passim; ERMINI
G., Corso di diritto comune. I. Genesi ed evoluzione storica. Elementi costitutivi.
Fonti. Milano, Giufîrè, 1943, pp. 25, 30; ScHuPFER F., Manuale di storia
del diritto italiano. Le fonti. Leggi e scienza. 3* ed. Città di Castello, S. Lapi ;
Roma, Torino, Firenze, E. Loescher & C., 1904, pp. 446, 449; Carasso F.,
Medio Evo del Diritto. Le Fonti. Milano, Giuflré, 1954, pp. 494 ss. ; VACCARI
P,5-0p.: cil. 5: pp. 177-segg.

(14) Cit. da PERTILE A., Storia del diritto italiano, vol. II, parte II, p.
661, nota 34. Padova, Stab. Tip. alla Minerva, 1882.

(15) Cfr. BRIGANTI F., op. cit., p. 112, in nota.
(16) L'ultimo censimento ‘del 1961) dà 5.079 abitanti, di cui 1.085 resi-

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170 : ^ MARIO RONCETTI

denti nel capoluogo e i rimanenti disseminati nella campagna o riuniti negli
agglomerati di Miralduolo (599), Brufa (898), Ponte Rosciano (990), Signo-
ria (581) e Ponte Nuovo (926). La superficie complessiva del comune è di
kmq. 37,70.

(17) Augustini Steuchi Eugubini Bibliothecarii contra Laurentium Vallam,
De falsa donatione Constantini libri duo. Eiusdem de restituenda LIUIUS
Tiberis. Lione, Sebastiano Gryphe, 1547, p. 219.

(18) CraTTI F., Delle memorie annali et istoriche delle cose di Perugia,
Parte prima: Perugia Etrusca. Perugia, Bartoli, 1638, pp. 24 segg.

(19) PeLLINI P., Dell'historia di Perugia... Parte prima. Venezia, Gio-
Giacomo Hertz, 1664, p. 8. :

(20) CIATTI F., op. cit., Parte terza: Perugia Augusta, p. 465.

(21) CraTTI F., op. cit., Parte quarta: Perugia Pontificia, p. 92. Il Bri-
ganti, sulle orme del Belforti-Mariotti e del Fabretti, prende in proposito
un grosso abbaglio, spostando al 595 l’assedio gotico a Perugia, celebre se
non altro per l'episodio del vescovo Ercolano (cfr. BRIGANTI F., Cenni storici
sul castello di Torgiano sino a tutto il secolo XVI. (Per nozze Severi-Galecta),

Perugia, Unione Tipografica Cooperativa, 1900, p. 8).

(22) Perfino il BeLFoRTI-MARIOTTI (Illustrazione storico-topografica del
territorio perugino), che è considerato la base di ogni ricerca sul nostro con-
tado, non vi accenna minimamente.

(23) Ann. Dec. n. 7 - 1274 marzo 9 - cc. 139r-140v.

(24) Ann. Dec. n. 17 - 1319 - c. 136r.

(25) Diciassette di queste pergamene sono nominate anche nello « Inven-
tarium scripturarum comunis » redatto nel 1341 e pubblicato dal Degli Azzi
(cfr. DEGLI Azzi G., Per la storia dell’antico archivio del comune di Perugia.
I. Notizie e documenti fino al secolo XV, in Boll. Dep. St. Patria per l'Umbria,
VIII (1902), pp. 29-133).

(26) Sommissioni, n. 4 (C), cc. 127r-129v ; cfr. FALOCI PULIGNANI M.,
I Libri delle Sommissioni del comune di Perugia, in Arch. St. per le Marche
e per l'Umbria, vol. I (1884), p. 472.

(27) Fondo Diplomatico, Contratti, Cassetto 27, Pergamena 161 (7 ago-
sto 1274).

(28) Ibidem, Pergamena 162, I (20 agosto 1274).

(29) Ibidem, Pergamena 146 (23 marzo 1274).

(30) Ibidem, Pergamena 153, II (8 maggio 1274).

(31) Ibidem, Pergamena 162, II (25 agosto 1274).

(32) Ibidem, Pergamene 145, 146, 147, 148, 149, 167.

(33) Ann. Dec. n. 7 - 1274 aprile 5 - cc. 148v, 153r.

(34) Ibidem. Cfr. anche Ann. Dec. n. 7 - 1274 marzo 27 - cc. 147v, 148r.
(35) Ann. Dec. n. 7 - 1274 aprile 10 - cc. 155v-156v.

(36) Ann. Dec. n. 2 - 1275 marzo 11 - c. 103v.

(37) Ann. Dec. n. 2 - 1275 marzo 24 - c. 109r.

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STATUTI DI TORGIANO DEL 1426

(38) Ann. Dec. n. 2 - 1275 maggio 9 - c. 126v.

(39) Ann. Dec. n. 2 - 1275 maggio 13 - c. 128r.

(40) Ann. Dec. n. 2 - 1275 maggio 22 - c. 130r.

(41) Ann. Dec. n. 2 - 1275 maggio 26 - c. 130v.

(42) Ann. Dec. n. 2 - 1275 giugno 30 - c. 135r.

(43) Ann. Dec. n. 2 - 1275 luglio 21 - c. 141r.

(44) Ann. Dec. n. 7 - 1276 gennaio 16 - cc. 177v-178v.
(45) Ann. Dec. n. 7 - 1276 febbraio 20 - cc. 195v-196v.
(46) Ann. Dec. n. 8

- 1276 febbraio 21 - c. 37v ; 1276 marzo 12 - c.

45r. E

(47) Ann. Dec. n. 7 - 1276 marzo 4 - cc. 199r, 201v.

(48) Ann. Dec. n. 7 - 1276 marzo 26 - cc. 205r-206v ; 1276 maggio 25
cc. 225r, 227v. i

(49) Ann. Dec. n. 7 - 1276 maggio 13 - cc. 220r, 223r. Il ponte di cui
si parla è quello di Ponte Nuovo.

(50) Ann. Dec. n. 7 - 1276 giugno 2 - cc. 231r-232v.

(51) Ann. Dec. n. 7 - 1276 giugno 5 - cc. 233r, 235v.

(52) Ann. Dec. n. 7 - 1276 luglio 13 - cc. 250v, 251r, 253v, 254r.

(53) Cfr. LeIcHT P. S., Storia del diritto italiano. Il diritto pubblico. Terza

edizione. Milano, Giuffrè, 1950, pp. 232 segg.

(54) Nel 1289, stretta d’assedio dall’esercito perugino, Foligno dovrà
arrendersi e sottomettersi a Perugia. Cfr. PELLINI P., op. cit., Parte I, pp. 302
ss. e BRIGANTI F., Città dominanti... cit., pp. 179 segg.

(55) Ann. Dec. n. 7 - 1276 luglio 14 - cc. 255v, 256r; Ann. Dec. n. 9
- 1276 luglio 15 - cc. 66v, 68v.

(56) Ann. Dec. n. 7 - 1276 luglio 14 - c. 256r. A fra Bevignate, monaco
silvestrino, nato intorno alla metà del secolo XIII, si deve non soltanto il
progetto della fontana maggiore di Perugia, ma anche, a quanto pare, quelli
del duomo e della chiesa di S. Ercolano.

(57) Ann. Dec.-n. 7 - 1276 luglio 23 - cc. 259r, 259v, 261v, 262r.

.(58) Ann. Dec. n. 7 - 1276 luglio 31 - cc. 264v-267v.

(59) Ann. Dec. n. 7 - 1276 agosto 17 - cc. 277v, 278v.

(60) Ann. Dec. n. 7 - 1276 agosto 18 - cc. 279v, 280r. Si tratta sicura-
mente dello stesso personaggio che figura tra i consoli delle arti che fanno
da testimoni ai contratti di acquisto dei terreni.

(61) Ann. Dec. n. 7 - 1276 settembre 14 - cc. 296r, 297v, 298r.

(62) Ibidem.

(63) Ann. Dec. n. 9 - 1276 settembre 15 - cc. 103v, 104r.
(64) Ann. Dec. n. 7 - 1276 ottobre 19 - cc. 308v, 311r.
(65) Ann. Dec. n. 7 - 1276 novembre 15 - cc. 321v, 322v.
(66) Ann. Dec. n. 7 - 1276 novembre 11 - cc. 319v, 320r.
(67) Ann. Dec. n. 7 - 1276 dicembre 15 - c. 333v.

(68) Ann. Dec. n. 9

- 1276 dicembre 15 - cc. 15ir, 151v.

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(69) Ann. Dec. n. 8 - 1276 dicembre 17 - c. 118v; Ann. Dec n. 9 -
1276 dicembre 17 - cc. 152r, 152v.

(70) Ann. Dec. n. 7 - 1276 dicembre 18 - cc. 334r-337r.

(71) Ibidem.

(72) Ann. Dec.

(73) Ann. Dec.

(74) Ann. Dec.

- 1276 dicembre 23 - cc. 338r, 338v, 341r, 341v.
1276 dicembre 31 - cc. 342r, 343r.
- 1276 giugno 2 - cc. 27v-28v.

(75) Ann. Dec. 9 - 1276 dicembre 18 - cc. 152v-153v.

(76) Ann. Dec. 8 - 1277 maggio 25 - c. 189r.

(77) Ann. Dec. n. 176-- 1277 settembre 10 - cc. 26v, 27r.

(78) Cfr. ArcHIvio DI STATO DI PERUGIA, Archivio Storico del Comune
di Perugia. Inventario a cura di Giovanni Cecchini, Roma, 1956, pp. XXIV
S., 86 s.

(79) Massari n..3 - 1277 ottobre 2 - c. 106r.

(80) Per quanto nelle convenzioni stipulate con gli abitanti del nuovo
castello compaia un'espressione caratteristica delle formule di sommissione :
i torgianesi infatti, trascorso il periodo immunitario, saranno tenuti «ad
exercitum generale et parlamentum », cosi come le località sottomesse si obbli-
gano normalmente «ad pacem et guerram, ostem et parlamentum et ad
coltam et datam » (cfr. BRIGANTI F., Città dominanti... cit., p. 51).

(81) «... et predicta firmentur per sindicos communis Perusii et homi-
num predictorum ad hoc specialiter ordinatos ». Ann. Dec. n. 7 - 1274 marzo
222: 0:139V:

(82) Ibidem.

(83) Estremamente significativo al riguardo é un documento del 1319,
da cui risulta come la città, contrariamente ai patti convenuti, avesse quasi
subito inviato propri ufficiali a reggere il castello. I torgianesi, nel protestare
contro tale limitazione della propria autonomia, si appellano proprio alle
convenzioni stipulate nel 1274. Cfr. Ann. Dec. n. 17 - 1319 - c. 136r.

(84) CAGGESE R., op. cit., vol. II, p. 154.

(85) Ibidem, p. 210.

(86) Leggiamo infatti nello Statuto del comune di Perugia del 1279,
alla Rubrica 10 (Qualiter potestas suum debeat facere iuramentum) : « Ego
potestas communis Perusii iuro corporaliter ad sancta Dei evangelia toto
posse salvare et defendere et manu tenere in pace et unitate et bono statu
totum commune civitatis et comitatus Perusii et omnes et singulos cuiuslibet
etatis et gradus dicti communis, ecclesias, hospitalia, loca religiosa et eorum
bona et iura, omnia iura et stantiamenta, ordinationes et reformationes con-
siliorum communis Perusii et artium dicti communis, secundum purum intel-
lectum et interpretationem maioris consilii civitatis; laudum seu precetum
factum sive pronuntiatum per dominum Bonacosam capitaneum olim com-
munis et populi Perusii inter priorem seu rectorem. hospitalis Plani Carpi-
nis ex una parte et syndicum et universitatem ville Plani Carpinis ex

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STATUTI DI TORGIANO DEL 1426 173

altera tenere et illibatum servare ; et omnia et singula ordinamenta, pacta |

et conventiones inita et facta inter commune Perusii ex parte una et homines et
universsitatem castri Torsciani ex altera observare. . . ».

(87) BRIGANTI F., Cenni storici sul castello di Torgiano. . .cit.

(88) «.. sopra tucte gli altre casteglie uteglie e delecteveglie per lo co-
muno e per lo popolo de Peroscia è più utele el castello de Torsciano, quase
de nuovo facto per lo comuno de Peroscia, e esso accrescere e augmentare ©
governare retorna enn onore e profecto grandissemo del dicto comuno. .. »
Statuti di Perugia dell’anno MCCCXLII a cura di Giustiniano Degli Azzi,
Roma, E. Loescher, 1913-1916, Libro IV, Capitolo LXII (Che gli uomene da
Torsciano siano costrecte de gire ad avetare e case edificare en lo dicto castello).

(89) Cfr. Civitatis populique Perusini Statutorum Tertium Volumen...
Perugia, Girolamo Cartolari, 1523, R. 104, De officio et vacatione vicario-
rum comitatus : et de iurisdictione vicariatuum plenarie observanda. Cfr. anche
Statuto di Gaiche, L. I, R. 3, De electione notarij vel vicarij et eius offitio.

(90) Rubrica 24.

(91) Rubrica 84.

(92) Rubrica 32. Cfr. Statuti di Castiglion del Lago, R. 62, Contra non
obbedientes vicario seu rectori dicti castri (in Boll. Dep. St. Patria per l' Umbria,
XVIII (1912), pp. 101-147, a cura di E. Farina); e Statuti di Predappio,
L. IV, R. 2, De pena non parentis mandato potestatis dictorum comunium.

(93) Rubrica 80.

(94) Rubrica 85. Ed ecco la motivazione che ne darà lo Statuto di Mar-
sciano : « Se trova scripto in lo evangelo redde rationem villicationis tuae.
È adoncha cosa necessaria chel Potestà...». Cfr. A. RicciERI, Memorie sto-
riche del Comune di Marsciano fino a tutto il <> X VI con uno statuto medio
e documenti, Assisi, Tip. Metastasio, 1914 (L. I, R. 10).

(95) Rubrica 6. Cfr. Statuto di Gaiche, L. I, R. 1, De electione consiliato-
rum et eorum officio et massariorum. «... Qui consiliarii et massarii. . . iurare
cogantur... consulere notario vel vicario dicti castri omnia et singula et
que pro dicto comuni erunt utiliora. . . ».

(96) Rubrica 79. In base alla somma dei voti favorevoli e contrari riportati
nei verbali delle successive riforme, si può fissare la consistenza dell’adunanza
generale in un’ottantina di persone. Il che è confermato anche dalle notizie
relative a Torgiano contenute nell’opera di CiPRIANO PiccoLPasso, Le piante
el i ritratti delle Città e Terre dell' Umbria sottoposte al Governo di Perugia,
Roma, 1963, p. 96, la quale ad un secolo di distanza afferma che Torgiano
«fa fuochi 80 in circa» ed ha 100 uomini atti alle armi.

(97) Rubrica 81.

(98) Rubriche 33, 34, 35. Cfr. Statuti di Castiglion del Lago, R. 11, De
adunantijs fiendis et de modo in dictis adunantijs tenendo et de partitis mictendis
el de pena non venientium ad dictas adunantias et arengantium in eis.

(99) Rubrica 54.

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174 MARIO RONCETTI

(100) Rubriche 61, 62. Cfr. Statuto di Gaiche, L. I, R. 2, De electione ca-
merariorum et eorum officio.

(101) Rubriche 28, 29, 30, 31. Cfr. Statuto di Gaiche, L. I, R. 9, De octo
trerminaloribus eligendis et ipsorum offitio ; Statuti di Predappio, L. IV, R. 17,
De pena non eunlis ad custodiam et discedentis ab ea.

(102) Rubrica 10. i

(103) Rubrica 83. Cfr. Statuto di Gaiche, L. V, R. 28, De petentibus amba-
sciatores comuni ; Statuti di Predappio, L. I, R. 11, De ellectione ambasiatorum.

(104) Rubrica 76.

(105) Cfr. Statuto di Gaiche, L. I, R. 12, De pena accipienda offitiali electo
in offitio ipsum non acceptando ; Statuti di Castiglion del Lago, R. 12, Contra
renumpliantes offitia et ambaxiatas ; Statuti di Predappio, L. I, R. 3; Statuto
di Marsciano, L. I, R. 34; Che nessuno possa renuntiare officio.

(106) Rubrica 25.

(107) « Perchè le cose grandi ricerchano più alta indagine delle cose de
poco momento, et etiam perchè tal cosa ne è prohibita per li statuti et altre
ordinatione del comune di Perosa. . . », Statuto di Marsciano, L. II, R. 14.

(108) Cfr. Statuti di Predappio, L. III, R. 18, De pena deierantis et pe-
riurii : « Ordinamus quod deierantes et periurii in TTE causa civili vel
criminali in soldis centum bononinorum puniantur... ».

(109) Rubrica 74. Cfr. Statuti di Predappio, L. II, E 10, De satisdatione
prestanda a non possidente inmobilia in causa reconventionis.

(110) Rubrica 51.

(111) Rubrica 70. Cfr. Statuto di Gaiche, L. I, R. 9, De electione baiuli
el eius offitio ; L. IV, R. 14, De pignoribus acceptis per baylium comunis et
recolligendo ipsa infra X V dies ; Statuti di Castiglion del Lago, R. 63, De pena .
renumpliantis pignus seu tenutam baiulo seu vicario.

(112) Rubrica 87.

(113) Cfr. Statuti di Predappio, L. III, R. 37, De pena sindicorum non
denunciantium maleficia.

(114) Rubriche 63, 64.

(115) Rubriche 2, 3, 4, 21, 30. Cfr. Statuti di Castiglion del Lago, R. 37,
De armis non portandis per dictum Castrum Leonis; Statuto di Marsciano,
L. III, R. 5, Deli portante le arme prohibite.

(116) Rubriche 12, 13. Cfr.: Statuto di Gaiche, L. III, R. 3; Statuti di
Castiglion del Lago, R.35 ; Statuti di Predappio, L. III, R. 4 e 15; Statuto di
Baschi, L. III, R. 27, in cui ricorrono quasi le medesime poi ingiuriose.

(117) Rubrica 17.

(118) Rubriche 36, 37. Cfr. Statuto di Gaiche, L. III, R. 2, De ludentibus
ad ludum taxillorum ; Statuti di Castiglion del Lago, R. 38, Contra ludentes et
ludum retinentes seu receptantes ; Statuti di Predappio, L. III, R. 26, Pena
lusorum (tra i giochi consentiti sono gli scacchi); Statuto di Baschi; L. II,
R. 10, L. III, R. 37 ; Statuto di Marsciano, L. IIL;:R.:6.

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STATUTI DI TORGIANO DEL 1426 175

(119) Rubriche 65, 66, 67.

(120) Rubrica 60. Lo scopo è anche quello di evitare che vadano dan-
neggiando le colture, in particolar modo le vigne. Cfr. Statuto di Gaiche, L.
III, R. 16, De canibus retinendis ligatis a festo sancte Marie mensis augusti
illac et citra. «... usque quo vindemie erunt perfecte. ..»; Statuti di Casti-
glion del Lago, R. 50, Quod canes et porci certo tempore teneantur ligati ; Statuti
di Predappio, L. V, R. 13, Quod canes teneantur ligati vel incedant cum uncino ;
Statuto di Baschi, L. V, R. 34, De la pena de porci che vanno per la terra ; Sta-
tuto di Marsciano, L. IV, R. 33, Che li cani se leghino ad certi tempi.

(121) Rubrica 73. « Perchè lo andare de nocte senza lumi è più presto
officio de malefactori che de huomini volenti bene vivare. . . ». Statuto di Mar-
sciano, L. III, R. 15.

(122) Gli statuti di Gaiche, Predappio, Baschi e Marsciano vi dedicano
un intero libro. Interessante è la distinzione fatta dagli Statuti di Predappio
(L. III, R. 24) tra guasti e danni dati, essendo i primi caratterizzati dalla
presenza di una chiara volontà criminosa, quale risulta dall'esame dei danni
e dal sicuro apprezzamento arbitrale, e venendo quindi puniti in maniera
molto più grave.

(123) Rubrica 55.

(124) Rubrica 56.

(125) Rubrica 82.

(126) I pedaggi sono invece contemplati dagli Statuti di Predappio (L.
V, R. 15), naturalmente con le dovute eccezioni verso la dominante : « Et pre-
dicta non vendicent sibi locum in magnifico et potente comune Florentie. . . ».

(127) Rubrica 11. Cfr. Statuto di Gaiche, L. III, R. 28, De turpitudinem
facientibus in fontibus comunis ; Statuti di Castiglion del Lago, R. 45, De fa-
ciente turpitudinem in aliquo fonte vel cisterna dicti comunis ; Statuti di Pre-
dappio, L. IV, R. 28, De pena proicientium bruturas in plateis vel prope fontes ;
Statuto di Baschi, L. V, R. 16, De la pena de chi facesse turpitudine in alcuna
fontana.

(128) Rubrica 18.

(129) Rubriche 22, 23. Cfr. Statuti di Predappio, L. IV, R. 30, De be-
chariis et eorum iuramento ; Statuto di Marsciano, L. III, R. 26, De le carne
mortacine non se vendino per lo castello.

(130) Cfr. Statuti di Castiglion del Lago, R. 49, De capris non tenendis in
diclo castro vel eius districtu.

(131) Rubriche 38, 39, 40. Cfr. Statuti di Castiglion del Lago, R. 53, De
orlis fiendis et habendis per quemlibet de dicto castro ; Statuti di Predappio,
L. IV, R. 45, Quod qui habitaverit uno anno teneatur facere ortum, R. 46, Quod
quilibet teneatur plantare arbores.

(132) Rubriche 41-50, 52, 53, 71, 75.
(133) Rubrica 68.
(134) Disposizione comune del resto a quasi tutti gli statuti rurali. Cfr.

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176 MARIO RONCETTI

Statuto di Gaiche, L. IV, R. 24, De faculis emendis in festivitate sancti Laurentij ;
Statuto di Baschi, L. I, R. 1, De operibus pietatis ; Statuto di Marsciano, L.
I, R. 24, Delle lumi o vero processioni et ordine di epsse.

(135) Cfr. Statuto di Gaiche, L. III, R. I, Et primo de maledicentibus Deo
et sanctis ; Statuti di Castiglion del Lago, R. 33, De blasfemantibus Deum eiusque
Matrem et sanctos et sanctas eius ; Statuti di Predappio, L. III, R. 3, De pena
blasfemantium Deum et Sanctos eius ; Statuto di Baschi, L. III, R. 15, De la
pena de chi biastimasse Dio o la sua matre o vero altri sancti ; Statuto di Mar-
sciano, L. III, R. 2 ; Deli biastimanti Idio, la vergine Maria et sancti. Come si
vede, quasi tutti questi statuti si occupano della bestemmia all'inizio del libro
dedicato al diritto penale. .

(136) Rubriche 19, 20, 21 Cfr. Statuti di Predappio, L, IIT, R. 40, De
pena turbantis divinum officium.

(137) Cfr. Statuti di Castiglion del Lago, R. 34, De festivitatibus custodien-
dis et de diebus Sabati venerandis ; Statuti di Predappio, L. II, R. 27, De feriis
et de diebus feriatis, L. IV, R. 29, De pena laborantium diebus festivis.

(138) Anche questa é una disposizione ricorrente in quasi tutti gli sta-
tuti rurali : cfr. Statuto di Gaiche, L. IV, R. 19, De pena accipienda non eun-
libus ad cadaver, R. 20, De pena accipienda non euntibus ad cadaver extra
districtum ; Statuti di Castiglion del Lago, R. 64, Quod requisiti ire ad mortuos.
debeant accedere sub cería pena.

(139) Cfr. Appendice, n. 4.

(140) Vedi Appendice, n. 2.

(141) Analogo regolamento dell'adunanza generale dispongono gli Sta-
tuti di Castiglion del Lago, R. 11 cit., e gli Statuti di Predappio, L. I, R. 10,
De propositis fiendis in arenghis, consiliis et inter ancianos.

(142) Vedi Appendice, n. 7.

(143) Vedi Appendice, n. 9.

(144) Vedi Appendice, n. 3.

(145) Vedi Appendice, n. 5.

(146) Vedi Appendice, n. 14.

(147) Tale metodo di riscossione corrisponde e probabilmente si ispira
a quello stabilito più in generale per la retribuzione dei capitani del contado
dal governatore cardinale Savelli nel 1467.

(148) Vedi Appendice, n. 6.

(149) Vedi Appendice, n. 8.

(150) Tale provvedimento è da mettere in relazione con quanto disposto
dagli Statuti cittadini :

Statuto 1279, R. 158 — Qualiter homines castrorum et villarum comi-
latus Perusii faciant fontes et reactent. — « Potestas et capitaneus precise
teneantur fieri facere ab hominibus cuiuslibet castri et cuiuslibet ville comi-
tatus Perusii duos fontes ubi facti non sunt et ubi facti sunt et non sunt
bene aptati eos faciant reaptari, unus quorum sit ita muratus et aptatus
STATUTI DI TORGIANO DEL 1426 177

quod animalia in eo bibere non possint et alius sit pro bestiis et teneantur
precise bailitores seu syndici castrorum ad penam XXV librarum denario-
rum et bailitores seu syndici villarum ad penam X lib. denariorum predicta
facere et observare, que si facere neglexerint potestas et capitaneus dictas
penas eis tollere teneantur ».

Quartum volumen Statutorum, 1528, R. 83 — Quod in quolibet castro
el villa fiat unus fons sive puteus vel cisterna — « Cum per castra et villas
eomitatus Perusie tempore extivo sit magnus defectus aquarum : ita quod
homines habitatores ipsorum castrorum et villarum et etiam cives perusini
qui habent facere in dictis castris et villis ac transeuntes per viam non possunt
sibi de aqua satisfacere, statuimus quod in quolibet castro et qualibet villa
comitatus Perusie in quo castro et villa non est puteus vel fons ex quo com-
mode homines et persone ipsorum castrorum et villarum per se et suis fami-
liis et habitatoribus et animalibus non habent usum et abundantiam aque
et satisfacientem et commodam : fiat et fieri debeat expensis hominum dicte
universitatis unus bonus et competens fons si fons possit fieri sufficiens et
ubi fieri non posset fiat puteus vel cisterna competens pro usu aque hominum
dicte universitatis et civium perusinorum habentium ibi possessiones. Et
predicta fiant et executioni mandentur per potestatem et capitaneum et
eorum officiales et maiorem sindicum communis Perusie et per quemlibet
officialem civitatis et comitatus Perusie ad petitionem cuiuscumque petentis
summarie et sine libelli oblatione et strepitu et figura iudicii sub pena cccc
lib. den. pro quolibet contrafaciente et vice qualibet extiterit contrafactum.
Et pro executione dicti statuti homines et persone dictarum universitatum
possint per dictos officiales personaliter et realiter compelli aliquo non ob-
stante. Additio. Addentes dicimus statuimus et ordinamus quod etiam cives
in dictis castris et villis seu eorum pertinentiis bona stabilia possidentes te-
neantur et debeant contribuere expensas et alia necessaria pro faciendo dic-
tum fontem puteum seu cisternam in dictis castris: et ad predicta facien-
dum per officiales predictos realiter et personaliter compelli possint ».

(151) Vedi Appendice, n. 5.

(152) Vedi Appendice, n. 8. Cfr. Statuti di Predappio, L. IV, R. 26, De
immunitate sive exemptione forensium.

(153) Vedi Appendice, n. 12.

(154) Vedi Appendice, n. 11.

(155) Vedi Appendice, n. 15.

(156) BRIGANTI F., Città dominanti... cit., appendice A, p.255; cfr.
anche dello stesso autore : Cenni storici sul castello di Torgiano . . . cit., p. 14.

(157) Annali Decemvirali n. 143 (1574 al 1576), c. 115 (119 secondo la.
nuova cartolatura).

(158) Cfr. BErLucci A., Inventario dei manoscritti della Biblioteca di Pe-
rugia, Forli, Luigi Bordandini, 1895, p. 162.

(159) Constitutiones Officii Capitaneorum Comitatus Perusinij renovate

12
178 MARIO RONCETTI

sub MCCCCLXXX per dominum Jo. Bap. Sabellum qui in dicto anno ad
Cardinalatum assunius fuit. Parte. del manoscritto che non abbiamo tra-
scritta, perché già conosciuta nella edizione del Briganti, il quale peraltro
sembra essersi basato su una fonte diversa. Cfr. BRIGANTI F., Città domi-
nanti ... cit., pp. 156 nota e 272-282.

(160) Nel testo festro. :

(161) A partire dalla quinta, i titoli delle rubriche figurano due volte :
infatti il rubricator, nello scrivere le rubriche in rosso, si é tenuto o al di sopra
o al di sotto degli originali titoli in minuta scrittura nera, che in genere sono
piü estesi.

(162) Nel testo ui.

(163) Nel testo redure.

(164) Nel testo presummat.

(165) La c. 17» inizia con la ripetizione : Si vero dampnum dederit.

(166) Cfr. i versi 5-6 dell'epigramma posto sul frontespizio del primo
volume degli Statuti di Perugia, nella edizione del Cartolari (1526).

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is IEEE c AE LR: dry > P4 o acre Vu. 3 CRONACA DI GIAMBATTISTA MARINI

NOTIZIE STORICHE DAL 1794 AL 1833 scRITTE DAL SAC. GIAMBATTISTA MARINI
Trascrizione di MARIO RONCETTI
(Vedi volume LVIII, p. 89 e segg.)
1823
GENNAJO:

Essendosi da un pezzo dato termine a lastricare la piazza in faccia al
Duomo, ed essendosi ricoperta di terra di mano in mano, che si lavorava,
e tirati degli arioni a traverso per ogni banda, acciò non vi passassero carri
e carrozze, cadendo dell’acqua vi si fermò tanto fango, che parea un campo
lavorato. Nelle feste di Natale cadde una gran neve, e si formò un gran ghiaccio.
Questo nel Gennajo presente smungendosi accrebbe il fango, e si ridusse
la piazza nuovamente in Campo di Campagna. Tutti incominciarono a schia-
mazzare, e si faceano continui ricorsi ; ma non si dava ascolto. Le strade,
che si accomodano per uso degli uomini sono diventate tali, che essi debbono

alle strade servire, e star soggetti per subire gl'incommodi. Dopo tante

lagnanze alla metà di Gennajo furono fatti de viali, e rimase la strada piü
commoda a pratticarsi. Tutto è in rivolta a nostri tempi, ed è un mondo
nuovo ; anche nelle strade si sono stravolti i cervelli, rendendole impratti-
cabili per conservarle e piuttosto abbia a patir la gente, che patir la strada.
Essendosi nel Novembre e Decembre scorsi rifatta la Piaggia di S. Ercolano
con mattoni e a cordonata, anch'essa subi la stessa sorte di esser ricoperta
di terra ; dove l'acqua fece quello, che non vollero fare i capi torti e di cervello
di oca, cioé portó via l'acqua tutta la terra.

La carne di majale in quest'anno, la doppia scudi 3 il 100 e la semplice
sotto a scudi 3.

Si é raccolto poc'olio e cattivo, essendo le olive bacate.

A di 31. Nella Basilica de' SS. Apostoli in Roma furono fatti solenni
essequie all’immortal Canova bravissimo scultor Veneziano, e con gran
apparato.

FEBBRAJO:

A dì 12, Giorno delle Ceneri. In quest'anno è venuta la dispensa, come
nello scorso anno per i soli latticinj. Siccome si è raccolto pochissimo olio,
e quello cattivo, per essere state le olive bacate, fu chiesta da questo Vescovo

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180 . CRONACA DI GIAMBATTISTA MARINI

per istanza dei Pubblici Rappresentanti da Roma la facoltà di servirsi degli
unti, e venne nel dì 26 tal facoltà di servirsi de’ lardi e strutti per condire

. per la Quaresima, e per tutto l'anno corrente con alcune riserve.

MARZO :

La Questua per il Purgatorio in Duomo fu di scudi 114, ed allo Spedale
nella domenica antecedente di scudi 20.

A dì 31. In Londra si seppe Scoperta a Parigi una cospirazione per rovinar
la Francia e l'Europa con una rivoluzione. I Cospiratori si tenevano a Parigi
e Londra. I Costituzionali di Spagna erano del complotto. Furono molti
arrestati de’ Capi e di tutti si sapevano i nomi.

APRILE :

A di 6. Nella mattina successe un caso atroce qui in Perugia. Una giovane
di anni 33, che avea il marito in Roma, abitando vicino al Monastero delle
Monache di S. Paolo per la parte di S. Francesco de’ Conventuali, era del
tempo che era insidiata da certo Giovane detto Perucca per casato, e discolo,
Era ricorsa al Tribunale laico, e nulla avea ottenuto per sua salvezza. Ricorsa
era al Vicario, da cui dovea portarsi col Curato. Il Giovane le avea promesso
di ammazzarla. Tornando questa mattina dall’ultima Messa di S. Francesco,
in cima alla piaggetta in ‘faccia a S. Luca l'attese il Giovane insidiatore, e
con un coltello, arrotato il giorno innanzi assali la giovane e con 12 colpi
l'ammazzoó, lasciandola in terra. Accorse un Sacerdote, che le die’ l'Olio Santo,
e poco dopo spiró senza poter parlare, avendo avuto nel cuore uno de 12
colpi. Spedi subito il Governo per catturarlo, ma sempre si aggiró vicino,
o non molto lontano dalla Città, e nel mezzo di del 7 non era stato ancora
da Carabinieri ritrovato. Il disgraziato andó in Assisi da un suo amico e
compare, a cui fece noto il suo delitto in confidenza, e quello lo tradi. Lusin-
gandolo di custodirlo lo chiuse nella sua casa, e se ne venne ratto in Perugia
al Governo sulla speranza della mancia. Andarono i Carabinieri, lo cercarono,
e nel di 8 giunse in Perugia. Nella sera fu esaminato, e tutto confessó, ma
non tutto nella maniera veritiera. Ebbe 8 ore di esame, ed in poco tempo
andó il Processo in Roma.

A di 19. Tre ore innanzi il mezzodi mori S.^ Rosa Giacinta Massini abba-
dessa nel Monastero di S. Lucia per colpo apopletico, presole alle ore 1 di
notte nel di 18, e nel di 20 fu fatto il funerale. Avea anni 58.

MAGGIO :

A di 14. Mori di anni 78 Vincenzio Fucelli Chierico maggior del Duomo
con dispiacere di tutti, essendo stato uomo di servizio inappuntabile, conti-
nuo, attento, pratichissimo, e affezionatissimo alla Chiesa, e primo, che
usasse simmetria nell'ornare gli altari di cera, e formarci parole e fiorami.
Nel di 15 fu fatto il suo funerale in Cattedrale.

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CRONACA DI GIAMBATTISTA MARINI 181

A di 19. Essendo il tempo assai caldo ed asciutto, ed essendo in pericolo
a male tutti i minuti e formentoni, fuori del grano, ed avendo le Olive fatto
un grandissimo apparecchio universalmente senza mai sbucciare, fu fatto
ricorso alli SS. Gonfaloni, e fu incominciato un Triduo. Dipoi furono esposti.
Non ottenendosi la grazia fu risoluto portarli in processione e seguì nei giorni
26, 27, 28. Nel primo giorno incominciò a piovere, e seguì anche negli altri
due. Concorsevi gran quantità di popolo. Nella sera del 28 essendo piena
la piazza di un immenso popolo, giunti i Gonfaloni in Piazza del Duomo,
incominciò a piovere, ma non durò, che poco, e senza corsa di acqua, e tutti
fuggirono con somma fretta. Si ravvivarono tosto le aride campagne.

GIUGNO:

A dì 10. Presero possesso nella Cattedrale D. Carlo degli Oddi dell’Arci-
pretato e D. Averardo. Giovio dell’Arcidiaconato, che avea degli Oddi era
stato eletto in Roma in Canonico D. Sebastiano Cinelli ex-religioso Minore
Conventuale, che prese possesso alli 22 di Luglio ()). -

A dì 12. Erasi terminata l’ossatura e muramenti, ed i Colonnati della
nuova Chiesa sotterranea in Assisi nella Chiesa di S. Francesco, ove dovranno
collocarsi le ossa del S. Patriarca. L’Architetto di tal’opra è stato Giuseppe
Brizi d’Assisi.

LUGLIO:

A dì 6. Venne all’improvviso il Boja, che unito coll’ajutante in legno
con cherubine entrarono dentro il Palazzo, ed ivi smontarono, senza che
la Guardia dicesse loro cosa alcuna, non avendogli riconosciuti. Andò dal
Governatore il Boja con un plico, ma riconosciuto non fu fatto passare, e
ordinò il Delegato, che fosse fatto mettere in prigione coll’Ajutante. Era
stato spedito per far giustizia di un omicidiario della Fratta da molti mesi
condannato a morte. Non vi era l’istrumento, e fu spedito subito in Ancona
per prendersi. Il Delegato non avea avuto avviso previamente. Il Boja dunque
stette in carcere fino al dì 13, in cui fu fatta giustizia nel Piazzone in faccia
a S. Giuliana appie’ la Fortezza, essendo venuto l’istromento il giorno 12
da Ancona,

A dì 11. Fu aggiunta alla Messa la colletta per il Papa infermo, che era
caduto nel dì 6, e si era rotto il collo del femore, dal qual male si sperava
guarisse.

A dì 21. Morì di anni 79 il P. M. Giuseppe M? Calvieri Minore Conven-
tuale Lettor Giubilato nella Università e nel 22 fu fatto il funere in S. Fran”
cesco,

A dì 22. Prese possesso del suo Canonicato nel Duomo D. Sebastiano
Cinelli ex-religioso Conventuale.

(1) Il copista, incappando in un omoioteleuto, deve aver saltato qual-
che parola. i

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CRONACA DI GIAMBATTISTA MARINI

AGOSTO:

| A di 20. Passò all'altra vita a ore 10 Pio VII sommo Pontefice, chiamato
Gregorio Barnaba Chiaramonti di Cesena Monaco Cassinese nato il dì 14
Agosto 1742, e alli 14 Febbrajo 1785 fu traslatato ad Imola e creato Cardi-
nale. Fu esaltato al Pontificato il dì 14 Marzo 1800, e fu incoronato il dì 21.
Cadde il dì 6 Luglio 1823, e si ruppe il colle del femore. Regnò anni 23, mesi 5
gi 6. Essendosi saputo, che il Pontefice era assai aggravato per ordine del
Delegato a dì 20 fu incominciato un Triduo in Duomo, Nella mattina del
22 venne staffetta in Città annunziante la seguita morte: nella 38 sera del triduo
fu sospesa la funzione. Nella mattina del 23 per ordine di Mons. Vescovo
Cittadini fu fatto il Funerale in Duomo con poca solennità e col solo
intervento del Vescovo, il quale fu molto criticato.

. A di 22. Mori di anni 64 la Contessa Chiara Staffa ne degli Oddi, ultima
di sua Casa, e nel dì 24 fu fatto il funere in S. Severo.

A dì 23. Si congregarono 28 Cardinali nel Vaticano nella Camera de
Paramenti e fecero Congregazione, e giurarono dopo lette le Costituzioni
Pontificie riguardo al Conclave. Nella sera fu trasportato il Cadavere in S.
Pietro. L'essequie novendiali incominciarono nel 24. Nel dì 25 dopo l'Ave
Maria fu tumulato il Pontificio Cadavere incassato, e vestito pontificalmente
dentro una coltre, fu chiusa la Cassa, e inchiodata, e ne fu fatto il rogito.

A dì 26. In quest’anno è stata fatta buona raccolta di grani, ma assai
scarsa di mistumi.

A dì 28. Morì di anni 56 il Canonico Alessandro Veracchi con danno
della Famiglia, e nel dì 30 fu fatto il funere in Duomo.

A dì 30. Dopo la Messa ed essequie del settimo giorno fu tenuta in Roma
l'8a Congregazione generale e fu fatta l'estrazione delle Celle del Conclave.

SETTEMBRE:

A dì 2. Nella sera in Roma dopo il Veni Creator, sotto la Croce Papale
processionalmente nella Chiesa di S. Silvestro radunati i Cardinali entrarono
nel Palazzo Quirinale in n.° di 34. Nel dì 3 entrarono altri 3 : nella sera altri
due, e uno nel dì 4.

A dì 6. Essendo vacato in Duomo il Canonicato per la morte del Can.co
Veracchi, fu conferito in Roma al Can.co Parriani, essendo del Canonicato
risultato la nomina devoluta al Vescovo Mons.r Cittadini per causa della
sede vacante ; il medesimo nominò Giuseppe Coli Chierico di una famiglia
antica di Montali, e nel dì presente ne detto il possesso sub spe obtinendae
dispensationis aetatis, non avendo l’età richiesta; che poi ottenne.

A dì 12. In Roma furono puniti colla morte 4 individui della setta de’
Carbonari, che tentarono nel dì 17 Giugno 1820 di produrre una rivolta
contro il Governo, e ad uno fu mutata la morte in quella di ergastolo.

A dì 30. Alle ore 20'/, o 1'/, pomeridiane si sentì lo strepito dell'Arti-
glieria del nostro Forte, essendo giunta la nuova ministeriale della elezione
de

CRONACA DI GIAMBATTISTA MARINI 183

del sommo Pontefice seguita nel dì 28 nella persona del Cardinale Annibale
della Genga, che era Cardinal Vicario, nato alla Genga Feudo di sua Casa
nella Diocesi di Fabriano il 2 Agosto 1760, e prese il nome di Leone XII;
fu coronato alli 5 Ottobre. Fu creato Cardinal Prete il dì 8 Marzo 1816.
Creò suo Segretario di Stato provisionale il Cardinal della Somaglia Diacono.
I Cardinali in n.° di 46 stettero chiusi in Conclave 27 giorni.

OTTOBRE:

A di 1. Nella mattina fu qui innalzato lo Stemma Pontificio nella Porta
del Palazzo tra spari, banda e acclamazioni.

La raccolta del mosto fu abbondante, e ne entró in Città gran quantità.
Il dazio d'entrata era di baj. 10 per soma.

A dì 2. 3. 4. Nella sera furono sonate tutte le campane per l’esaltazione
al Trono Pontificio di Leone XII. La sera delli 4 furono illuminate tutte
due le Piazze con fiaccole una alta e una bassa, che facea bella simetria e
veduta, con tutte due le vie pinella e nuova, la piazza del Vescovato ; e tutta
la Città illuminata con lumi alle finestre, ed alla Porta della Chiesa del Duomo,
che facea una bella comparsa.

A dì 5. Il Cardinal Rivarola in età di sopra anni 60 essendo Diacono
ricevette l’ordine sacerdotale.

A dì detto. Vi fu in Duomo Pontificale, essendo tornato apposta Mons."
Vescovo Cittadini dalla visita di Campagna, per l’esaltazione del Sommo
Pontefice. V'intervenne il Delegato col Magistrato e pubblici impiegati,
tutta la milizia con la Truppa. Compita la Messa con musica si cantò il Te
Deum, e fu data la benedizione col Venerabile, e riuscì la Funzione decoro-
sissima. Nella sera vi fu la stessa illuminazione, e rimasero le Piazze illumi-
nate in maniera, che altra simile non si era a tempi nostri veduta. La nuova
elezione del Pontefice fu di universale gradimento a tutti.

A dì detto. Fu incoronato il Sommo Pontefice Leone XII.

Il S. Padre abolì l'appalto del nitro per lo Stato, ed in Roma tolse il
Dazio delle Case, e calò il Bollettino del Macinato.

NOVEMBRE:

A di 3. In Palermo tentarono i carcerati fuggire ; erano giunti sulla
Porta, ma la Guardia Austriaca con fucilate gli trattenne.

A di 6. Nella sera a notte cadde la facciata della casa 28 a mano sinistra
per andare a Monteluce, che rimane fuori della Porta della Pesa per essersi
scavata per abbassar la strada per andare a Monte Luce, e lasciato il muro
sopra terra coll'esservi posto sotto un mattone per dritto per sostenerlo.
Ecco i bei vantaggi, che si sono fatti alle case a sinistra per andare a Mon-
teluce, lasciandosi le facciate per piü di 4 piedi sopra terra. Spese superflue
sono queste, ed aggravanti la Commune per fare una strada piana come
una sala da ballo.

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CRONACA DI GIAMBATTISTA MARINI

A dì 14. Sposò una Figlia del Conte Torquato Cesarei un Petroni di S.
Feliziano del Lago figlio di un Pescatore, abitante domiciliato in Perugia
contro il consenso del zio Cardinale Cesarei.

A dì 15. Morì di anni 75 Luigi Caruso Maestro di Cappella della Catte-
drale essendosi a lui dato da alcuni mesi per sostituto Rossi Figlio di Adamo
Rossi Perugino tornato da Napoli ; ove era stato ad imparar la Musica. Nel-
l'accompagno della sera vi fu la Banda, e tutti i scolari, essendo stato Maestro
della Università. Fu fatta la Messa in musica piena di tutti gl’Individui
unisoni, in Cattedrale, essendo il suo Cadavere incassato. V’intervennero
tutti i membri della Cattedrale, ed il Seminario. Fu cantata una messa da
lui composta e battuta da Rossi.

A dì detto. Si seppe, che Leone XII facea tenere ad esempio di S. Gre-
gorio Magno ogni giorno nel Palazzo Quirinale alla caritatevole mensa 12
poveri, e che spesso andava ad impartir loro la benedizione Apostolica. Sei
ne doveano essere tolti sempre dal numero de’ Pellegrini, e 6 altri proposti
dai Parrochi di Roma.

A dì 19. Leone XII tenne il primo Concistoro dopo la Coronazione.
Traslatò e creò varj Vescovi, e di poi prestò il suo giuramento di osservare
le Bolle e Costituzioni Apostoliche.

Si abbassava nello scorso mese ed in questo la strada fuori della Porta
della Pesa per andare a Monteluce per livellarla colla nuova strada aperta
nel Campo sotto la mattonata di Monteluce. Questa fu spesa superflua e
gravosa. Si sbassò questa strada per un altezza di sopra 4 piedi in faccia
alle case a mano destra poste ne’ muri castellani, e rimasero le case tutte
fuor di terra per 3 e 4 piedi, e convenne rincalzarle per non vederle a terra.
Pensarono i Progettisti di fare un passeggio da camera, non una strada da
viaggiare e passeggiare. Si fanno in questi tempi grandi spese per aprir strade
nuove, ma non si pensa ad aprir fabriche da lavori per occupare e sfamare
la povera gente, ed occupare gli oziosi ; essendo Perugia avvilita a vedere
tutti i rioni ripieni di mendichi ed oziosi.

DICEMBRE:

A dì 3. A dì 13 Novembre in Capua furono condannati per giudizio
militare a morte 3 soggetti, uno Capo, e due graduati in una nuova setta
col nome di Nuova Riforma di Francia, tendente al rovesciamento del Go-
verno monarchico per introdurre il Democratico. I Settari non avevano
luoghi fissi di riunione. Erano questi tre della Terra di Lavoro, e fino dal
1822 tentavano seguire il loro disegno. Si conoscevano tra loro con segni
e parole convenzionali. Avevano una medaglia pendente dentro il petto
con 4 nastri di color rosso, nero, turchino e giallo, ed eravi effigiato un fascio
consolare con la scure e sulla cima un berretto con intorno 4 fucili e 4 baio-
nette. Fu eseguita la sentenza di morte di forca dentro 24 ore, e colla multa
di 1500 ducati per ciascuno. Tutti poi al rimborso delle spese per il processo.

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CRONACA DI GIAMBATTISTA MARINI 185

el di d'oggi, cioé 3 dicembre, per altra setta di una Riforma Carbonaria co]
nome di Ordini di Napoli, due capi, uno sargente di Artiglieria, ed un Cap-
pellano furono condannati alla morte della forca col laccio al collo, come
i tre surriferiti, ed alla multa di ducati mille per ciascuno. Undici altri com-
ponenti tal setta furono condannati alla pena del 39 grado di ferri per anni
19, ed alla multa di ducati mille per ciascuno, ed altra pena, e tutti alle
spese del processo. Altri furono posti in libertà provisoria. Dei tre due furono
impiccati il dì 3 suddetto fuori di Porta Capuana. Del 3° fu sospesa l’ese-
cuzione per aver svelata tutta la trama, e per implorare la clemenza di S. M.

A di 16. In Terra di Lavoro nel Napoletano furono militarmente con-
dannati altri due Settari di quelli che agitavano la Spagna chiamati Sca-
misciati. Uno fu Pierantonio de Laurentiis promotore della Setta alla pena
di morte col laccio sulle forche, e alla multa di 2500 ducati ; era impiegato
nella fornitura: l'altra Giuseppe Carabba armiere alla pena di moite dello
stesso genere e alla multa di 2/m ducati ; era questo il Direttore della Setta.
Due altri, uno possidente, e l'altro Guardiano di campagna, come semplici
membri della setta condannati a 20 anni di ferri, e alla multa di mille ducati
per ciascuno. Si ordinó istruzione su altri due accusati. Nel di 16 fu eseguita
la Sentenza. ;

A di 22. Dopo tanto tempo da che si terminó di lastricar la Piazza in
faccia al Duomo, ora finalmente si è posto mano ad aggiungere i due ultimi
scalini alla scala di S. Lorenzo, non potendosi prima salir la scala, che in
faccia alla Porta della Chiesa per la lunghezza di un uomo. L'ultimo scalino
a piè era alto perché era stata abbassata la strada. Il Pozzo poi comune
rimane ancora senza riparo a pian terreno.

A di 26. Per la Posta si seppe la malattia del S. Padre e per ordine del
Vescovo fu incominciato un Triduo alla Madonna al S. Anello, e aggiunta
la Colletta alla Messa pio Pontifice infirmo.

A dì 31. Si seppe da Madrid, che in Spagna era stato intercettato un
documento, che conteneva un piano di esterminazione contro le truppe estere
entrate in Spagna (cioè francesi). La esecuzione era affidata a compagnie
chiamate Compagnie esterminatrici. Esse doveano impiegare tutti i mezzi
possibili ed anche il veleno per distruggere ciò, che chiamavasi nemico,

A dì detto, Si seppe da Roma, che in vari luoghi dell’Italia girava un
numero considerabile di giovani vagabondi, che aveano abbandonate le
loro famiglie, ed erano legati d’intelligenze scambievoli, ed organizzati in
compagnie per commettere furti e scroccherie d'ogni sorta, e trovavano per
tutte le Città grandi de seguaci. Uno de' mezzi per conoscersi fra loro con-
sisteva nel portare i baffi e la barba nel mento.

A dì detto. Fu fatta in Duomo la solita Funzione con gran Decoro, inter-
venutivi il Vescovo e Delegato con tutti gli Anziani e Impiegati, gli Uffiziali
delle milizie ; e vi fu Musica.

- FINE DELLA 1? PARTE

lod HEY CERE, EO DE 4

& A we Note e documenti

FONTANILE DEL XII° SECOLO IN LOCALITÀ
«LE VELETTE» PRESSO ORVIETO

Nell’agosto del 1962, in località «Le Velette », sul breve alti-
piano che fronteggia Orvieto da est, nel corso di lavori di aratura
meccanica in terreno di proprietà Muzi-Felici, si verificava un im-
provviso cedimento del terreno che metteva allo scoperto una ca-
vità sotterranea.

L'Ufficio distaccato di Orvieto della Soprintendenza alle Anti-
chità di Firenze dava subito inizio alla esplorazione di quella che,
atutta prima, era sembrata una tomba etrusca del noto tipo a camera
scavata nel matile tufaceo. Ben presto però appariva sulla parete,
in corrispondenza dell'avvenuto franamento della volta, una croce
in rilievo. Tuttavia lo scavo, condotto a spese della locale Fondazione
per il Museo C. Faina, continuava anche perchè non era da escludersi
una diversa destinazione in epoca posteriore di una primitiva tomba
etrusca (lì vicino era avvenuta due anni prima la scoperta della ne-
cropoli etrusca di Monte Cavallo), fino al totale svuotamento del
vano dalla terra che vi era crollata e dall’acqua che vi si era rac-
colta in abbondanza.

Ad esplorazione ultimata la cavità sotterranea si presentava
come una stanza a pianta rettangolare, con soffitto a volta, intera-
mente scavata nella terra ed alla quale si accedeva mediante un
breve corridoio in forte pendenza (fig. 1). Essa misurava m. 5,60 x
2,00 x2,10; d’ambo i lati, in quello che poteva dirsi il vestibolo,
si aprivano sulla parete a diversa altezza dal suolo (cm. 30 a sinistra
e 24 a destra) due cavità ad edicoletta terminate anch'esse a volticina.
Verso la metà dell’ambiente si incontrava una prima vasca (fig. 2)
profonda cm. 90 protetta da un breve parapetto che saliva 20 cm.
circa dal piano di calpestio. La parete di fondo di detta vasca costi-
tuiva a sua volta il parapetto di una seconda e più grande vasca
(m. 1,80 x 2,10; profondità 0,70) la quale comunicava con la prima
per mezzo di un condotto in pietra inserito nel diaframma di terra.
La prima vasca infine presentava sulla fronte superiore delle pareti
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SE s en nate

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— —

. grestia (ex-chiesa medievale) di S. Angel

188 ANDREA LAZZARINI

laterali due sensibili incavi i quali tradivano l'ovvio Scopo di inse-
rirvi un grosso bastone di traverso onde servirsene di eventuale ap-
poggio per i recipienti con i quali si attingeva acqua dal condotto.

In alto, sulla parete di fondo, al centro della lunetta delimitata
dalla volta del soffitto, campeggiava, ancorché mutila nella parte
inferiore, una croce dai bracci ad estremità bifide (fig. 3).

L'insieme di questi elementi caratterizzava senz
di equivoco la vera natura di fontanile di questa stanza
con la grande vasca che fun

per attingere acqua dalla
disperso.

a possibilità
sotterranea,
geva da serbatoio e l’altra, più ristretta,
prima senza che il prezioso liquido andasse

DATAZIONE DELLA FONTANA, — Per la datazione della fontana
— nella sua forma conosciuta, beninteso ; a parte ogni ipotesi su
eventuali origini arcaiche — soccorrono alcuni risultati dello scavo :
la croce in rilievo sul fondale intonacato della quale si è detto, ed
alcuni frammenti di vasi. Evidentemente tutt'un insieme tardome-

dievale. Ma esaminiamo partitamente i detti elementi per la data-
zione più precisa. i

A) La «croce » dell’abadia dei SS. Severo e Martirio.

La croce latina con le estremità bifide è ]
orvietana dei SS. Severo e Martirio.
Questa abadia, leggendariamente fondata da una nobile lango-
barda, Rotruda, fu sicuramente dei Benedettini sino al 1221, venendo
poi assegnata ai Premonstratensi nel 1996 (L. Fumi, Codice diplo-
matico della Città di Orvieto, Firenze 1884, p. xLI; N. BACKMUND,
Monasticon Praemonstratense etc. Straubing, 1949, I, p. 386).

Uno stemma identico è stato trovato (1961) nei restauri della sa-
o de Posterula in Orvieto :

chiesa che in città — come nel suburbio la chiesa di S. Angelo de Sur-
ripa e nel contado i villaggi di Canale e di To

deva dalla detta abadia. Lo stemma ritrovat
pietra calcarea rettangolare (cm. 58 x 37
inciso (mm. 8) uno scudo ogivale di rozza f
gnarsi ad epoca più tarda del sec. XIV.
La natura rustica della fontana, della sua intonacatura — pe-
raltro ottima — e del rilievo non permettono di stabilire con stretta
Precisione la data della croce araldica. Ma, si ha ragione per ritenere

o stemma della abadia

rre S. Severo — dipen-
o in S. Angelo è su una
X 13) sulla cui faccia è
attura, che non può asse-
——

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Fig. 1.

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FONTANILE DEL XII? SECOLO IN LOCALITÀ « LE VELETTE » PRESSO ORVIETO 189

che il detto stemma sia della seconda metà del sec. XIII : ossia del
primo periodo premonstratense.

B) I frammenti di vasellame.

In varie parti del vano sotterraneo, ma piü specialmente in una
delle edicolette — per precisione, in quella sulla destra di chi entra —
sono stati trovati circa trenta frammenti minimali di vasellame, dal-
l'inconfondibile stile orvietano del tardo medioevo. Un confronto
con la collezione di vasi orvietani medioevali del Museo dell'Opera
del Duomo permette alcune considerazioni per la datazione della
fontana :

1) manico di ciótola (simile alle ciótole della collezione del
Museo ai nn. 290, 308, 401) ;

2) frammento con righe grosse di color bruno (c. s. ai nn. 194,
212 anche per lo smalto)

3) frammento di boccaletto fino con le tipiche tre righe di
color bruno che spartiscono i campi dei disegni (c. s. ai nn. 161,
194, ecc.). :

Siccome i vasi della detta collezione sono databili alla fine del
sec. XIII o, al massimo, ai primi del sec. XIV, ne risulta che anche
i frammenti trovati nel vano sotterraneo della fontana sono dello
stesso periodo.

Concludendo, puó credersi che la fontana fosse adoperata tra
la fine del sec. XIII e i primi del sec. XIV. Non vi sono argomenti
per ritenere che ne proseguisse l'uso in periodo successivo, data la
assoluta mancanza di frammenti fittili posteriori. Mancano pure ele-
menti per pensare ad un rifacimento tardomedievale di fontana pre-
cedente, del periodo altomedievale o anche antico. Per quanto la na-
tura di raccolta d'acqua non artificiale, e solo adattata dall'uomo,
possa far pensare ad un uso assai remoto.di quella fontana.

DENOMINAZIONE TARDOMEDIEVALE DELLA FONTANA. — Fis-
sata, dunque, la datazione della fontana — nella forma in cui s'é
trovata — intorno al XIII-XIV sec. resta da cercarsi quale fosse nel
detto periodo la denominazione della località e quindi della fontana
Stessa.

Quanto alla località della fontana (o «bottino », per usare il
termine proprio, ancora in uso nel linguaggio orvietano) non è di
molta utilità la consultazione del catasto dell’anno 1292, per il con-
190 ANDREA LAZZARINI

tado (Ancn. ST. Onv., Catasto 1292, vol. II), perché questo, per sua
natura, registra le terre tassabili ; mentre la zona della fontana, per
le considerazioni sopra esposte, doveva essere «res Ecclesiae sancti
Severi», e, quindi, esente dal fisco orvietano. (L'abadia dei SS.
Severo e Martirio nel 1320 era tenuta ad un censo di 80 fiorini fioren-
tini alla Camera Apostolica : cfr. BACKMUND, op. cit., III, p. 449).

Tuttavia il detto catasto, nella parte riguardante la Villa Ca-
nalis (0. c., c. 187v. e segg.) elenca una serie di vocaboli campestri, che
dovevano confinare con le proprietà abadiali. Fra questi sono da
notarsi due:

1) Bottino e Fossato del Bottino: « Johannes Thebaldi habet
unam petiam terre posite in vocabulo Butini iuxta Raynaldum
Boncontis, haeredes Stephani domini Rollandini et fossatum Butini,
quae est duo mezales, et medius etc. » (c. 188v.).

2) S. Angelo: « Heredes Lunardi Bartholi de Griptis habent
unam petiam terre posite in vocabulo sancti Angeli iuxta Phi-
lippum Riccomanni et viam a duobus lateribus quae est unius mezalis
et medius; item habent inter dictos confines petiam unam terre
vineate quae est medius mezalis : item habent unam petiam terre
posite in vocabulo Macegi iuxta Philippum Riecomanni, Petrum
Pole et rem ecclesie sancti Severi quae est medius mezalis etc. »,
(c: 19D:

A. prima vista il vocabolo Bottino sembrerebbe riferibile alla
zona della fontana qui in esame, ma poi sembra preferibile il voca-
bolo S. Angelo, che dal testo risulta confinante con la proprietà aba-
ziale, o, per lo meno, assai prossimo. Anche il nome S. Angelo di-
mostra chiaramente che questa parte delle terre di Canale si Spin-
geva in direzione d'una zona appartenente, in qualche modo, a S.
Angelo de Surripa o a S. Angelo de Posterula ; e quindi alla abadia
premonstratense.

Purtroppo i residui documenti di contratti livellatici della abadia
non fanno riferimento alcuno a terre di questa zona (ARcH. Sr. Onv.,
Sexternus libellariorum monasterii Sancti Severi, a. 1296-97).

IL CULTO DELL'ARCANGELO E I CULTI DEMONIACI. — In conclu-
sione la fontana tardomedievale nella sua fattura conosciuta ma pro-
babilmente piü antica, perché raccolta naturale di acque piovane —
apparteneva, dunque, alla abadia dei SS. Severo e Martirio. E questa
aveva una filiale in Orvieto : la chiesa di S. Angelo de Posterula ;
nonchè terre sull'altipiano di Canale, che si denominavano anche
FONTANILE DEL XII? SECOLO IN LOCALITÀ « LE VELETTE ) PRESSO ORVIETO 191

esse dall'Arcangelo Michele. Ed è proprio in queste terre che può
collocarsi toponomasticamente la fontana.

Infatti la posizione sul culmine del promontorio detto « La
Culata » fa ipotizzare un culto locale dell'Arcangelo, di verisimile
origine altomedievale.

La leggenda orvietana della caduta del Demonio, sconfitto dal-
l’Arcangelo proprio in questa zona, si riferisce ai vocaboli « Culata »
e « Botto ».

Tutto fa pensare ad una evangelizzazione altomedievale (forse
sec. VI) sulla altura che doveva conservare residui di culti natura-
listici.

ANDREA LAZZARINI
CONVEGNO COMMEMORATIVO DEL CENTENARIO
DELL'ISTITUZIONE DELLA DEPUTAZIONE DI STORIA PATRIA
PER LA TOSCANA E L'UMBRIA

Perugia, 13-14 ottobre 1962
13 ottobre, ore 10,30 -
— Apertura del Convegno —

CeccHINI : Rivolgo il più fervido saluto e i più sentiti ringrazia-
menti alle autorità che con la loro presenza rendono più solenne e più
autorevole il nostro Convegno, agli esimi studiosi che si sono impe-
gnati a fornire dei contributi in materia storica, ai soci della Deputa-
zione e a tutti coloro che con la propria partecipazione hanno compiuto
un atto molto gradito di omaggio alle due Società Storiche, Toscana
ed Umbra in questa fausta ricorrenza. Il prof. Camerani mi autorizza
di rivolgere questo saluto anche a nome della Deputazione Toscana, la
quale sarà autorevolmente rappresentata dal prof. Rodolico, che è in viag-
gio e che arriverà un poco più tardi, perchè trattenuto ieri a Firenze da
una cerimonia che lo impegnava personalmente. Il programma di questo
Convegno si articola su due parti: nella prima parte saranno confe-
riti contributi su argomenti di diversa materia storica, con speciale ri-
ferimento a quel momento culminante dell’unità italiana in cui sono
sorte alcune Deputazioni di Storia Patria. Nella seconda parte si farà
una sorta di bilancio dell'attività svolta dalle due Società Storiche, la
Toscana e l'Umbra, in questo secolo di loro vita. L'occasione del Con-
vegno è offerta dalla ricorrenza centenaria; è plausibile, e direi natu-
rale, un ripensamento, secondo un rapido scorcio retrospettivo, dell’opera
svolta dalle due Società Storiche in questo lungo corso della loro esistenza.

Ma quale migliore occasione per portare l'esame anche al tema della

caratterizzazione, della funzione delle Deputazioni di Storia Patria
nella società attuale? Ed e per questo che io rivolgo un caldo invito
ai partecipanti al Convegno, perché si compiacciono portare a questo

13
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TES IT CEA Me t n Ci Si Rm

194 CONVEGNO DEL CENTENARIO

lema e anche ai problemi che sono ad esso connessi il concorso della
propria cultura, della propria esperienza e della propria fede nell'av-
venire degli studi storici in Italia. Ora se permettete, come è consue-
tudine, daró comunicazione delle adesioni al Convegno sin qui per-
venute.

Ministro della P. I. (rappresentato dal dott. Capizzi); Accademia
Naz. dei Lincei (rappresentata dal prof. L. Salvatorelli); Istituto Sto-
rico Italiano per il Medio Evo (Presid. prof. R. Morghen); Deputa-
zione Subalpina ; Archivio Storico Capitolino (Soprintendente prof. Pi-
rotta); Deputazione di Storia Patria per le Provincie Parmensi, Depu-
tazione di Storia Patria per le Venezie; Società di Storia Patria per
le Puglie; Accademia Virgiliana di Mantova; Società Storica Pisana;
Deputazione Storia Patria delle Marche; Accademia Lunigianese « G.
Capellini »; On. Prof. Giuseppe Vedovato; Prefetto di Terni; Arci-
vescovo di Perugia; Sindaco del Comune di Perugia; Sindaco del
Comune di Foligno; Sindaco del Comune di Gubbio; Sindaco del
Comune di Città di Castello; Sindaco del Comune di Todi; Sindaco
del Comune di Terni; prof. Nicolò Rodolico ; prof. Antonino Lombardo,
Ispettore Generale Archivi di Stato; dott. Scambelluri, Capo dell’ Ufficio
Centrale Archivi di Stato; prof. Raffaele Ciasca (Istituto storico età
moderna e contemporanea) ; Direttore Biblioteca Comunale di Piacenza ;
Direttore Archivio di Stato di Terni; Direttrice Biblioteca Paroniana
di Rieti; sen. Mario Cingolani; Giunta Centrale per gli Studi Sto-
rici (rappresentata dall’on. prof. G. Ermini); Società Romana di Storia
Patria (rappresentata dal prof. L. Salvatorelli); Società di Storia
Patria per la Sicilia Orientale (rappresentata dalla prof. C. Naselli) ;

Io pregherei l'on. Ermini di dirci due parole, come è gradita con-
suetudine.

ErMINI: Jo sono lieto di porgere a tutti i convenuti il saluto cor-
dialissimo della Giunta Centrale per gli Studi Storici, in rappresen-
tanza particolare del presidente Ferrabino, che si è trovato nell’impos-
sibilità, suo malgrado, di essere presente per altri impegni. La Giunta
Centrale sa bene, come sappiamo tutti, quale importanza abbiano
tutte queste Società e Deputazioni sparse in ogni regione e in tante
città d'Italia, a raccogliere e a coordinare il lavoro ed aiutare gli stu-
diosi, gli storici fortunatamente ancora numerosi del nostro paese; non
tanto numerosi, forse quanto la ricchissima storia d'Italia meriterebbe.
Pertanto si compiace, la Giunta Centrale, vivamente di questo cente-
nario raggiunto da due delle più illustri Deputazioni, quella Toscana
CONVEGNO DEL CENTENARIO 195

e quella Umbra. Augura buon lavoro al Convegno, augura che si
inizi il nuovo centenario con una ancora più intensa attività di quella
pur intensa che si è svolta nel centenario trascorso, e che i nuovi
cento anni di vita delle due Deputazioni, che oggi si iniziano, siano
ricchi di opere e di nuove conoscenze storiche. Mi si consenta di por-
gere anche a tutti loro il fervido augurale saluto della Università degli
Studi di Perugia, e il ringraziamento più cordiale per aver scelto
questa sede universitaria per il vostro Convegno. Un ultimo ringrazia-
mento ancora mi sia consentito, quello di Perugia e dell' Umbria, que-
sto come responsabile del bene politico di questa Regione. Ringrazia-
mento che va particolarmente alla Deputazione di Storia Patria per la
Toscana, per aver prescelto l'Umbria come sede comune di questo Conve-
gno. Ci auguriamo che il prossimo centenario sia celebrato in To-
scana, dove gli umbri verranno con tutto il cuore.

CeccHINI : Jo crederei opportuno che l'Assemblea pregasse l'on.
Ermini di presiedere questa prima parte delle nostre riunioni.

ERMINI : Grazie. Possiamo dare senz'altro inizio ai nostri lavori
dopo questa breve cerimonia di apertura del Convegno, e prego pertanto
il prof. Roberto Abbondanza di svolgere la sua relazione sugli Statuti
del Comune di Perugia nei secoli xi e xiv, di cui cura, mi pare, la
pubblicazione. ;

PRIMI APPUNTI SULLA LEGISLAZIONE STATUTARIA
DI PERUGIA DEI SECOLI XIII e XIV

La breve relazione qui riprodotta é solo il frutto di un primo
sguardo dato alla legislazione statutaria perugina appartenente agli
anni dal 1279 al 1342. Non posso dire, in coscienza, di essere ancora
riuscito ad abbracciare l'intero panorama, pure credo d'averne in-
dividuato i tratti essenziali, svolgendo la parte preliminare del la-
voro per la pubblicazione dello statuto del comune del 1279. Di tale
lavoro ebbi l'incarico nel giugno 1961, congiuntamente dalle Depu-
tazioni di Storia Patria per la Toscana e per l'Umbria insieme im-
pegnate nella celebrazione del loro primo centenario. Pubblicamente
mi dolgo qui d'aver reso vano lo zelo degli enti predetti, diretto alla
realizzazione del progetto perla data della celebrazione centenaria.

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196 CONVEGNO DEL CENTENARIO

D'altra parte si può anche tranquillamente supporre che, datala mole
del lavoro, una pubblicazione non affrettata sia per giovare, anzichè
per nuocere, alla riuscita dell’iniziativa con cui dovrebbe riprendersi,
in Umbria, la via maestra della pubblicazione critica delle fonti,
delle troppe fonti che giacciono ancora inedite, o ancora soltanto
non criticamente edite, nelle biblioteche e negli archivi. Circa lo
stato del mio lavoro posso dire (dicembre 1962) che la trascrizione,
già completata, non è che la prima tappa di un «iter » che esige il
confronto critico del testo del 1279 con altri testi felicemente riap-
parsi da poco, dei quali darò conto nella seconda parte della presente
esposizione.

Il codice che ho trascritto è un grande «in folio», che consta di
73 fogli di pergamena (dimensione media mm. 465 x 300), per com-
plessive 145 facciate, ovvero 296 colonne, di una bella scrittura go-
tica libraria della fine del'200, ricchissima di abbreviazioni (1). È la
sola superstite posseduta dall’Archivio di Stato di Perugia, delle tre
copie che a norma della seconda rubrica dello statuto stesso si do-
vevano compilare da tre notai scelti tra venticinque eletti in numero
di cinque per ciascuna delle cinque porte. Nonostante l’aspetto, sotto
il profilo paleografico, tutt'altro che scoraggiante, il codice unico che
abbiamo a disposizione, esemplato da un notaio di nome Nicola, non
è troppo corretto. Dove non soccorre la correzione coeva, interlineare
o marginale, bisogna perciò formulare delle congetture, ovvero inter-
venire, se possibile, mediante il confronto con frammenti statutari
anteriori o posteriori. Tutto sommato, si tratta di discrete difficoltà,
che possono spiegare la mancata prosecuzione dell’edizione iniziata
dal Fabretti, di cui ci restano le prime ottantacinque (ottantasei se-
condo una migliore numerazione) rubriche, stampate in un anno che
di poco dovette precedere la morte dell'illustre storico (?).

Lo statuto del 1279 non è, ovviamente, la prima redazione statu-
taria perugina. Ve ne furono senz’altro diverse prima di quell’anno,

. fino a riportarci, per i primi nuclei di raccolte normative, nel cuore

di quel XII secolo in cui prendono decisamente forma le strutture
comunali. Non sto a rammentare gli indizi numerosi in proposito
segnalati dall'Ansidei nella prefazione del suo Regestum (3). Ed è
anche noto come, dalla metà del'200, accanto allo statuto del Comune
dovette trovarsi quello del popolo, a cui quello fa spesso riferimento (*).
Ora, proprio nello statuto del popolo, che si era finora ritenuto per-
duto, mi sono imbattuto, esaminando una sorprendente miscellanea
CONVEGNO DEL CENTENARIO 197

di cui parlerò tra poco. Tornando allo statuto del Comune del 1279,
va ancora osservato che ove se ne estraessero le norme risalenti ad
epoche precedenti, per esempio al 1276, data che ricorre piuttosto di
frequente nel testo, sì da far pensare che in quell’anno avvenisse
una riforma statutaria di particolare importanza, se si facesse questa
operazione, quale contributo degli statutari del 1279 resterebbero
soprattutto le «additiones », che seguono spesso il testo dei vari ca-
pitoli. Ma tant'é, l'unico statuto comunale perugino del '200 rima-
stoci é quello del 1279, e questa data ha finito per assumere un valore
fatidico, a rappresentar quasi lo spartiacque tra due epoche della
storia perugina, sarebbe meglio dire della storia delle fonti perugine.
Non é mio proposito, d'altro canto, dirigere specialmente la mia at-
tenzione all'epoca che precede lo statuto del 1279 (anche se la pubbli-
cazione è destinata, come è naturale, anche a servire gli studi sul XIII
secolo), sibbene tenere lo statuto del 1279 come punto di riferimento
in un certo senso come elemento ordinatore, anche e soprattutto per
la sua completezza, nelle ricerche sul posteriore svolgimento, at-
tuatosi a un ritmo sempre crescente e sempre più confuso, della le-
gislazione comunale perugina. Che è fermata, nello statuto del 1279,
in modo singolarmente chiaro, anche senon propriamente sistematico.
Una divisione in libri, per esempio, nello statuto di cui si parla non
si riscontra. I titoli «titulus offitialium », «titulus malefitiorum »,
«titulus de portatione armorum » (questo in realtà una rubrica piut-
tosto che un «titulus »), preannunziano solo timidamente la riparti-
zione in libri, appaiono, in realtà, poco più che dei richiami a parziali
raggruppamenti di norme trattanti materie affini. Le prime ottan-
taquattro rubriche, non precedute da alcuna indicazione di materia,
contengono in prevalenza, è vero, norme di carattere costituzionale,
ma abbracciano anche altri svariati soggetti. In esse si tratta degli
uffici del podestà e del capitano, dei loro ufficiali, di alcune funzioni
costituzionali e amministrative che loro spettano; della ammini-
strazione della giustizia, delle collette, della guerra, delle rappresaglie,
della concordia e della pace da tenere tra i cittadini, di molte opere
pubbliche, di approvvigionamenti e di altro ancora (*). In questa
prima parte dello statuto spiccano undici capitoli « precisi », regolanti
materie — alcune le ho già citate, le collette, la pace, la guerra,
ecc., materie cioè finanziarie, di politica estera, di politica interna
particolarmente rilevanti — il cui regolamento è rigido e deve essere
rigorosamente osservato dai supremi organi costituzionali, il podestà
e il capitano, i quali invece hanno negli altri casi potere di iniziativa

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198 CONVEGNO DEL CENTENARIO

circa la modifica o l’abolizione o la sostituzione — con procedura
appositamente fissata — delle norme non più rispondenti alle esi-
genze della comunità.

Col « titulus offitialium » hanno inizio 196 capitoli che descrivono
il funzionamento di tutta una serie di uffici amministrativi e giu-
diziari, ovvero assai spesso amministrativi e giudiziari insieme, ai
quali sono affidati i più delicati settori della vita comunale : quello
annonario, quello viario, quello agricolo, e, con una accentuazione
tutta particolare (e attualissima per giunta), quello dell’approvvigio-
namento idrico, con l'elenco di ogni possibile fonte, rivo o acquedotto
da curare e da tutelare. Particolarmente importanti le norme sul
danno dato, che così spesso in altri statuti formano addirittura un
libro a sè, nonchè le norme regolanti la vita del contado e dei centri
agricoli e lacustri che assicurano l’alimentazione della popolosa
Perugia.

Il «titulus malefitiorum » preannunzia il libro «de malefitiis »
che troveremo in posteriori redazioni statutarie. I delitti e le pene
vi sono elencati per 228 capitoli, senza un ordine preciso. L'esercizio
di raggruppare delitti e pene secondo il sistema penale oggi vigente
potrebbe tuttavia rivelarsi, in questo caso, un procedimento meno
antistorico che non il ricercare ad ogni costo categorie giuridiche,
pubblicistiche o privatistiche, contemporanee, nelle restanti parti
del codice statutario di cui si discorre. Ciò che si spiega poco è la di-
zione «titulus de portatione armorum », che appare dopo settanta-
quattro rubriche e che sembra designare tutta la parte finale dello
statuto ; non introduce invece che una rubrica dello stesso oggetto,
da ricondursi anch’essa, insieme alle 153 che seguono, sotto il titolo
«de malefitiis ».

Dello statuto del 1279, che è ora affidato alle mie cure, si parlò
nell'adunanza generale dell’allora « Società Umbra di Storia Patria »,
tenutasi a Perugia il 9 novembre 1895. Presiedeva il Fumi, e l’as-
semblea si componeva dei nomi più celebrati della storiografia umbra.
Tra le proposte da esaminare ve n’era una destinata a durare, al-
meno in parte, irrealizzata fino ai giorni nostri. Era formulata nei
punti seguenti. Il primo : « Per un Regesto perugino compilato sopra
documenti concernenti la legislazione più antica fino al secolo XIV,
con riguardo speciale a quegli atti che hanno attinenze alla costitu-
zione comunale più antica e che precedono le compilazioni statu-
tarie ». Il secondo punto : « Per gli statuti del 1305 volgarizzati nel
1322, studiandoli a confronto della compilazione, antecedente del

rr.” dm

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CONVEGNO DEL CENTENARIO 199

1279 » (9). Su questo secondo punto parlò Oscar Scalvanti, profes-
sore di storia del diritto nell'ateneo perugino. E le sue parole si ri-
leggono volentieri, e direi con una certa commozione, anche se in
gran parte sono state superate dal progresso nella ricerca documen-
taria e metodologica. Sulla metodologia non voglio soffermarmi,
mentre sui dati di fatto ignorati dallo Scalvanti è utile che dica qualche
parola per introdurre la seconda parte di questa breve esposizione.

Lo Scalvanti riteneva che lo statuto del 1279 fosse stato rifor-
mato nel 1305, ed è senz’altro probabile che una riforma statutaria
abbia avuto luogo quell’anno ; era inoltre convinto che questa reda-
zione, del 1305, non giunta fino a noi, non si discostasse molto da
quella del 1279 ; riteneva inoltre che lo statuto volgare — quello,
per intenderci, poi pubblicato dal Degli Azzi nel « Corpus statuto-
rum »(?) — al quale attribuiva l'erronea data del 1322, fosse una
volgarizzazione dello statuto del 1305 e perciò si avvicinasse molto
per il contenuto allo statuto del 1279 (*). Qualche anno dopo il Degli
Azzi poteva dimostrare che lo statuto in volgare era da spostarsi
al 1342, dal 1322 in cui lo poneva lo Scalvanti, e che esso era la volga-
rizzazione di uno statuto latino sincrono non conservato (?). Un fram-
mento di rubrica in latino, compreso in un atto notarile, aveva for-
nito la prova incontrovertibile dell'esistenza della redazione statu-
taria in latino da valere come testo ufficiale. Chiudeva il Degli Azzi
il suo breve scritto, preludio all'edizione di quindici anni dopo, con
queste parole: « Né disperiamo di poter, con ulteriori ricerche nel
nostro ben poco esplorato Archivio Comunale, rintracciare, almeno
parzialmente, se non nell’integrità sua, il testo latino dello Statuto
del 1342, dal momento che già traccie non dubbie ci fu dato rinve-
nirne in un codice membranaceo, del quale altra volta terremo più
estesamente parola » (*°). E in nota : « Questo cod. rilegato in mezza
pelle e grosse assi di legno, è un voluminoso zibaldone di brani di
statuti di varie epoche confusi insieme senz’alcun ordine; porta sul
dorso la scritta : ‘ Frammenti de statuti’... Vi si trovano... fram-
menti d[iJ... riforme del 1285, del 1314, 1315 e 1380 tutte in latino ;
alcune constano di 7 libri anzichè di 4 come generalmente si trova » (11).
Non sembra che il Degli Azzi ritornasse sull’argomento. Ma vi tornò
sopra brevemente Antonio Briganti, negando che dallo statuto del
1279 si potesse essere passati direttamente a quello del 1342 e indi-
cando in Adamo Rossi colui che avrebbe fatto rilegare insieme i fram-
menti statutari ai quali alludeva il Degli Azzi (**). Dal canto suo un
altro Briganti, Francesco, si dava a raccogliere frammenti di statuti
papetti

IX

RES E ELDER TC T sl

200 CONVEGNO DEL CENTENARIO

medievali divenuti materiale di legatura nella forma di fogli di guardia
nei volumi delle riformanze del Comune di Perugia. Tutto questo
materiale, lo zibaldone e i frammenti appena accennati, pur senza
conoscere la nota del Degli Azzi nè quella di Antonio Briganti, colpì
la mia attenzione fin dai primi mesi della mia residenza a Perugia.
E ritenni che si dovesse far qualcosa. Accertatomi che la legatura
dello zibaldone, il volume n. 12 degli Statuti, secondo l'ordinamento
recentemente conferito all’archivio storico comunale (33), non era ori-
ginale, non risaliva al tempo degli statuti e nemmeno a un'epoca
posteriore ma sempre antica, potendosi tutt'al piü considerare otto-
centesca, dopo aver fatto microfilmare il codice nelle condizioni in
cui si presentava, mi permisi di smembrarlo, con tutte le precauzioni,
d'accordo, ma di smembrarlo (pronto naturalmente a compilare tutte
le necessarie tavole di raffronto ad uso degli studiosi). Parecchie
decine di frammenti pergamenacei di ampiezza diversa, dal singolo
foglio alla successione di parecchi quinterni ancora legati insieme,
si accumularono sul mio tavolo. La classificazione dei frammenti
fu lunga e non facile, né puó dirsi del tutto compiuta. Ad ogni buon
conto la ricostruzione che ho abbozzato con i materiali già sufficien-
temente classificati, mi permette di dar notizia a questa assemblea
del definitivo recupero agli studi di una redazione dello statuto del
comune datata 1285 e di un'altra, in ben sette libri, e in più di un
esemplare, dello statuto del popolo databile, in prima approssima-
zione, 1308-1315. Fra gli altri, anche grossi frammenti non ancora
ben potuti classificare; ve ne sono di quelli che riguardano assai da
vicino (misi consenta ancora la cautela) il famoso, non ancora rin-
tracciato, originale latino dello statuto del 1342, in ció confermandosi
la supposizione del Degli Azzi. È indubbio, del resto, che già quello
del 1308-1315, riemerso dallo zibaldone, è un testo capace diilluminarci
sulla genesi e la struttura del testo latino del 1342.

Ho accennato anzitutto al ritrovamento di uno statuto del 1285.
Sì tratta di tre quinti almeno, 331 rubriche, superstiti delle poco
più di 500 alle quali doveva assommare il tutto, di un testo statu-
tario coincidente in grandissima parte con lo statuto del comune
del 1279 (e ciò mi è stato di grande utilità per superare varie diffi-
coltà incontrate nella trascrizione di quest’ultimo). Di particolar-
mente notevole lo statuto del 1285 possiede la rubrica 188, « de legum
doctore pro comuni inveniendo », non compresa nello statuto del
1279, nella quale si son visti, non a torto, i primordii dell'insegna-
mento superiore a Perugia. Il professor Ermini ritiene, infatti, che
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CONVEGNO DEL CENTENARIO 201

in questa rubrica statutaria si trovi l'atto costitutivo dello studio
particolare di Perugia (^). Aveva spigolato a suo tempo questo testo
Adamo Rossi (55), che figura tra i pochi che abbiano consultato lo
zibaldone ora smembrato, che anzi, secondo quanto informa Antonio
Briganti, sarebbe quegli che lo zibaldone mise materialmente insieme.

Con l’altro degli statuti di cui ho abbozzato la ricostruzione il
panorama cambia e si fa decisamente più complesso e interessante.
Un primo fatto importante è da rilevare. La nuova redazione statu-
taria risulta dal confluire in uno delle norme comprese negli statuti
e del comune e del popolo. Prende nome di « statutum populi peru-
sini ». Il preambolo dice : « Hoc est volumen statuti populi perusini,
in quo et sub quo posita sunt et scripta capitula statuti Comunis
et populi perusini, ordinata poni et scribi in eo per sapientes ad hoc
habitos per consilium populi perusini ex utroque statuto et capitulari
ipsorum, secundum reformationem consilii populi perusini supra-
dictam, observatur ulterius pro statuto populi perusini secundum
reformationem dicti consilii ». La datazione di questo statuto non è
semplice. Non mi pare dubbio che la redazione base risalga al 1308 (19).

Ma decine e decine di capitoli conservano la loro datazione anteriore.

— tutta la gamma degli anni dell'ultimo ventennio del '200 e fino
al 1308, e spesso un paragrafo ha una propria data diversa da quella
di un altro paragrafo dello stesso capitolo ! Inoltre, in entrambe le
copie che si posseggono, al nucleo per cosi dire originario si aggiun-
gono e in non pochi casi nel nucleo originario s'inseriscono, modifi-
cando, cancellando, sostituendo, numerosi capitoli datati a incomin-
ciare dallo stesso 1308 (poche settimane soltanto dopo la chiusura
dello statuto) fino al 1314. Un gruppo di nuovi capitoli porta poi la
data del 1315, e un nuovo libro, addirittura, l'ottavo, si aggiunge in
questo stesso anno agli altri sette.

Lo statuto del popolo, dunque «dividitur in .VII. libros sive
partes ». Il primo libro tratta dell’epoca e del modo di elezione del
podestà e del capitano e delle loro «famiglie » ; della chiusura dello
statuto ; stabilisce minutamente i requisiti dei due principali ma-
gistrati comunali e quelli dei componenti il loro seguito; di questi
ultimi determina il numero e stabilisce il salario. Enuncia i diritti
e i doveri di ciascuno : « Qualiter potestas et capitaneus et eorum
familie se habere debeant in regimine faciendo », detta norme sul-
l'istituto del sindacato, sulle alienazioni dei beni comunali, sui pa-
gamenti da farsi dal comune ; tratta della «defensio subditorum »
e della «iustitia fieri facienda subditis » e di molte altre cose ancora.

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202 CONVEGNO DEL CENTENARIO

Il secondo libro «tractat de consiliariis populi et aliis offitiali-
bus et de conestabilibus parochiarum et de ambaxiatoribus et spiis
et de preconibus ».

«Tertius liber tractat de baylitoribus, consulibus mercatorum
et de ipsis mercatoribus et de aurificibus et de canpsoribus et de
tabernariis et picicarellis etc. », cioè dell'ordinamento corporativo.

Il quarto libro contiene il diritto penale, tratta cioè «de accusa-
tionibus, denuntiationibus et inquisitionibus, et de processibus contra
contumacem et de condenpnationibus et de diversis et variis malle-
fitiis et penis eorum et de bonis exbanpnitorum et condenpnatorum ».

Il quinto libro é specialmente riservato ai problemi dell'approv-
vigionamento idrico, quindi alle fontane, agli acquedotti, alle strade,
alle « comunantie », al territorio chiusino e del lago, di fondamentale
importanza, s'é già notato, peri rifornimenti alimentari della città.

Il sesto libro «tractat de laboreriis observandis et videndis et
de formis faciendis et de castris et villis et de aptatione et de comu-

nantiis castrorum et de quibusdam sententiis latis contra quosdam -

et de quibusdam aliis». Soprattutto importanti i capitoli concer-
nenti i rapporti del comune dominante con le città e i castelli del
contado.

Una miscellanea di capitoli « de novo condita », oltre che norme
«de auctoritate et vigore statuti... et de elemosinis dandis et de
quibusdam negotiis extraordinariis», costituiscono il settimo e
ultimo libro della raccolta. Ma si è detto di un ottavo che si aggiunge
nel 1315. Per affinità di materie queste norme del 1315, cioè « ordi-
namenta, statuta et corrigimenta artium civitatis et burgorum Pe-
rusii » dovrebbero andare a far parte integrante del terzo libro, ri-
servato, come s’è visto, alle arti.

Lo studio di questo statuto del popolo del 1308-1315 presenta
difficoltà che si possono senz’altro definire notevolissime. Quasi ad
ogni carta si deve ricostruire il tenore originario delle norme, sepolto
sotto la selva delle correzioni e delle « additiones ». Pure, proprio
per la sua tormentata complessità, lo statuto del popolo che ora ab-
biamo tra le mani è in grado di svelarci mirabilmente il processo
formativo di un codice statutario, e, sempre mantenendoci nel campo
storico-giuridico, per ciò che riguarda più da vicino Perugia, è in
grado di far progredire bene innanzi le nostre conoscenze, tuttora
assai scarse, sui rapporti tra statuto del comune e statuto del po-
polo. E inoltre dall'esame di questo statuto 1308-1315 dovranro
partire coloro che vorranno veder più chiaro sull’origine dello statuto
CONVEGNO DEL CENTENARIO 203

volgare del 1342 e nelle possibilità di concreta ricostruzione del sin-
crono statuto latino.
A questo punto si può spiegare come la necessità di far luce sulla
composizione di uno zibaldone di frammenti statutari capace di of-
frirci la sorpresa di almeno due redazioni di cui nulla praticamente si
sapeva, abbia prevalso sull’urgenza di pubblicare nude e crude le
508 rubriche dello statuto del comune del 1279. Oltre all’indubbio
vantaggio che ha rappresentato la possibilità di confrontare in non
rari punti dubbi il testo del 1279 su quello di poco diverso del 1285,
si è potuto considerare, sia pure, per ora, nelle sole linee generali, un
processo storico-giuridico nel suo svolgimento per un arco abba-
stanza ampio e significativo di tempo, e quindi si è potuto ricevere

un prezioso insegnamento per una più piena comprensione dei punti .

terminali di tale processo : lo statuto del 1279 da una parte e quello
del 1342 dall’altra, sulla cui strettissima parentela il povero, bravo,
Oscar Scalvanti, ignorando oltre sessant'anni di produzione sta-
tutaria, si faceva molte illusioni.

NOTE

(1) Per avere un’idea del numero di pagine che occuperà, una volta
stampato, lo statuto, si tenga presente l’opuscolo distribuito in bozze ai
partecipanti al convegno storico perugino del 13-14 ottobre 1962: Deputa-
zioni di storia patria per la Toscana e per l'Umbria, Statutum comunis Perusii
sub anno Domini factum MCCLXXVIIII. Edizione a cura di Roberto Ab-
bondanza, Perugia 1962, in 49, pag. 18. Tale opuscolo comprende le sole
18 colonne dell'indice finale delle rubriche, disposte tre a tre su ciascuna
delle sei ultime facciate del codice.

(2) A. FABRETTI, Statutum comunis Perusii a. MCCLXXIX digestum,
Torino, coi tipi privati dell'editore, s. a., pag. 104. Rubriche dello statuto
perugino del 1279 si trovano a stampa anche nelle seguenti pubblicazioni :
la rubrica 10 nel Giuramento del Podestà secondo lo statuto perugino del 1279,
edito da A. FABRETTI, Torino, con i tipi privati dell'autore, 1886 ; la rubrica
49, in G. DEGLI Azzi VITELLESCHI, Le rappresaglie negli statuti perugini.
Studio storico, Perugia 1895 ; le rubriche 44 e 53, in A. BRIGANTI, La donna
e il diritto statutario di Perugia, Perugia 1911 ; le rubriche 1-5, 8, 9-11, 15,
26, 29, 35, 42, 43, 49, 50, 54; 58, 84, 129, 130, 136-140, 242, 275, 279,
312, 411, 429, 496, 500, 503, 504, in G. BELELLI, L'istituto del Podestà in
Perugia nel secolo XIII, Bologna 1936, pagg. 93-137.

(3) V. AnSIDEI, Regestum reformationum comunis Perusii ab anno MCCLVI
ad annum MCCC, I, Perugia 1935, pagg. XIII e segg.

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204 CONVEGNO DEL CENTENARIO

(4) O. ScALVANTI, in Bollettino della Società Umbra di Storia patria,
II (1896), pag. 7.

(0)
(6) Op. cit., pag. 5.

(7) Statuti di Perugia dell’anno MCCCXLII, a cura di G. DEGLI AZZI,
Roma 1913-1916, voll. 2.

(8) O. SCALVANTI, Op. cit., pagg. 13 e segg.

(9) G. DeGLI Azzi, Un documento inedito sulla questione della data dello
statuto volgare di Perugia, in Bollettino della Deputazione di Storia Patria
per l'Umbria, IV (1898), pagg. 177-182.

(10) Op. cit., pagg. 181-182.

(Lb)#0p.:cit;; pag. 182:

(12) A. BRIGANTI, Le corporazioni delle arti nel comune di Perugia, Pe-
rugia 1910, pagg. 236-237.

(13) ARCHIVIO DI STATO DI PERUGIA, Archivio storico del comune di
Perugia. Inventario, Roma 1956, pagg. 11, 13.

(14) G. ERMINI, Storia della Università di Perugia, Perugia 1947, pagg. 5-6.

(15) Giornale di erudizione artistica, IV (1875), pagg. 349-350.

(16) Al principio del I° libro dopo l’invocazione, il preambolo

, il som-
mario dei sette libri e alcuni versi,

si legge un testo (incomincia : « Et quod
in volumine statutorum... ») al termine del quale è detto: «et id quod
continetur in presenti capitulo ab eo quod incipit Et quod in volumine sta-
tutorum etc. factum et conditum fuit anno MCCCVIII, Ind. VI, die XVI
septembris, in antea valiturum ». Ma la strutturazione dello st

atuto in sette
libri è senz'altro anteriore a tale data.

ERMINI: Noi ringraziamo vivamente il prof. Abbondanza. Credo
che gli dobbiamo essere molto grati per la serie numerosa di notizie nuove
che ha saputo darci. Anch'io, come Cecchini del resto, ero rimasto un
pò deluso nel sapere, giorni or sono, che Abbondanza non ci avrebbe
presentato senz'altro lo Statuto del 1279. Ora però vorrei dargli atto
che ha fatto bene ad estendere la ricerca a tutto il mondo dei diversi sta-
tuti perugini. E meritava, veramente, che questo venisse fatto, chiarire
i rapporti fra questo primo statuto del 1279, che, secondo ci dice, è uno
statuto ordinato in modo un pò ancora primitivo, uno statuto in com-
posizione — diciamo — e lo statuto del 1342, che è uno statuto ormai
completo: sarà una cosa di straordinario interesse. Per altro non manca
da parte di tutti noi verso il prof. Abbondanza la viva preghiera di voler
condurre ogni sforzo perchè, specialmente dopo quello che ci ha detto,
venga presto a nostra conscenza il testo dello statuto completo. Come
ci auguriamo che il lavoro proceda speditamente, sia pure nelle diffi-
coltà che nessuno si nasconde, e che possa giungere presto alla meta,
CONVEGNO DEL CENTENARIO 205%;

e questo aumenterà ancora di più la nostra gratitudine, di sto-
rici e direi anche di perugini, verso il Direttore del nostro Archivio di
Stato. Grazie, prof. Abbondanza. Dò la parola al prof. Ugolini.

LA PIÙ ANTICA CRONACA PERUGINA IN. VOLGARE

Offre materia alla mia comunicazione un insperato ritrovamento,
di singolare importanza per la conoscenza della più antica storia co-
munale di Perugia. E sono lieto di poterne dare l’annunzio e di rife-
rirne in questo convegno, che celebra il centenario di una istituzione
che stringeva insieme, ai primordi dell’Unità italiana, in comunione
di intenti e di opere studiosi toscani e umbri. Tornano alla mente,
a testimoniare una collaborazione già rivelatasi feconda da oltre
un decennio e antesignana degli eventi politici, i nomi del perugino
Ariodante Fabretti, del livornese Francesco Bonaini, del fanese per
nascita ma toscanissimo per elezione Filippo Luigi Polidori : di coloro
cioè che nel 1850 e nell’anno successivo in due memorabili volumi
del fiorentino Archivio Storico Italiano colmando una lacuna dei mu-
ratoriani Rerum Italicarum Scriptores avevano dato per la prima volta
alla luce le più importanti scritture relative agli avvenimenti cit-
tadini; volumi cui ancora oggi facciamo continuo riferimento nelle
nostre ricerche, per ogni approfondimento di indagine sulle vicende
secolari di Perugia. Alla nobile tradizione di dedizione agli studi,
impersonata da questi uomini, sentiamo il dovere di richiamarci :
alla loro memoria noi facciamo reverente omaggio, ricordandoli come
coloro che, oltre un secolo fa, hanno aperto a noi il cammino attra-
verso un terreno pressochè inesplorato e intravedibile solo di riflesso
dalle opere degli storici del Cinque e del Seicento.

L’Eulistea, con cui i benemeriti studiosi che ho ricordato apri-
vano la loro raccolta, rappresenta il primo momento della storio-
grafia perugina più antica. E tuttavia la sua importanza è limitata
come strumento di informazione intorno a uomini ed eventi, mentre
notevole è il fatto culturale che essa ci documenta. Anche se l’autore
potè, a quanto sembra, usufruire per il suo racconto degli atti uf-
ficiali del Comune, gli elementi favolosi pseudoclassici e i fopoi della
poetica medievale assunti a profusione, il tono encomiastico e i
grevi orpelli retorici inducono a molta cautela circa l'utilizzazione
quale fonte storica del poema. L’ornato pomposo e la turgidezza
206 CONVEGNO DEL CENTENARIO

espressiva del latino di Bonifacio da Verona, come ne rendeno a noi
poco attraente la lettura e non facile una sempre esatta intelligenza,
facevano già oscuri quei versi ai contemporanei. In effetto, finita
l'opera nel novembre 1293, i componenti del Consiglio del Comune ai
quali era stata presentata, pur ringraziandone l'autore, gli ordinavano
di dare del poema una versione in prosa: «ipsum opus prosaice di-
stinguere et ordinare et componere » (?).

Ma significativo é il compiacimento dei reggitori della città,
che attesta il nascente culto delle memorie patrie, per l'opera del
dotto forestiero, mentre contemporaneamente si appalesa l'esi-
genza di rendere accessibili anche in un ambito culturale più mo-
desto le memorie degli avvenimenti cittadini. Il Comune sente l’or-
goglio della sua forza, che viene consolidandosi ed estendendo il
suo raggio di influenza; e alle affermazioni sul piano politico si
accompagnano le prime manifestazioni di un interesse Sempre più
spiccato e accentuato verso i fatti culturali.

Frutto indubbio di questo interesse, per limitarci al campo che
ci interessa, è l’apparizione di una cronachistica in volgare, in cui
trovano soddisfacimento esigenze varie, la necessità di tenere pun-
tuale memoria delle pubbliche incombenze e dell’avvicendamento
delle magistrature, l'opportunità di registrare sincronicamente gli
eventi memorabili della vita municipale e, in via eccezionale, quei
grossi fatti politici europei e italiani che pur potevano localmente
riverberare la loro importanza ; e tutto questo, e qui si affaccia
l'elemento nuovo, non già nella lingua tradizionale degli uffici e dei
dotti, il latino, ma in un mezzo espressivo, accessibile anche alle
nuove classi di potere, i mercanti, gli artigiani, popolo minuto in
ascesa che ogni giorno di più entra nel vivo circolo delle responsabi-
lità della cosa pubblica. Compare così nelle scritture, tardivamente
rispetto alle regioni contermini, il volgare di Perugia. Che non è
dialetto, cioè lingua parlata, ma anch’esso una creazione letteraria,
creazione di gente colta, di notari, di giuristi, di chierici dalle molte
ed esperte letture. Il dialetto di Perugia, come è avvertibile ancora
laddove, nel contado, è superstite, era di impronta nitidamente
«mediana », apparteneva cioè alla grande famiglia centro-meridio-
nale con fievoli ma precisi riscontri dei parlari della Marca roma-

gnola ; il volgare di questi documenti nasce sotto una nitida influenza
toscana (e non soltanto sotto quella giustificabile geograficamente,
delle zone piü vicine, Arezzo e Siena), pur con l'ambizione di as-
sumere una propria specifica caratterizzazione, come indica la co-
CONVEGNO DEL CENTENARIO 207

stante assunzione nella lingua scritta di una fenomenologia che ri-
conosciamo tipicamente perugina.

Nella raccolta dell’ Archivio Storico Italiano le prime cronache
volgari perugine, che sono contemporaneamente per ambito di trat-
tazione le più antiche (con l’eccezione tutta particolare come s'é
detto dell'Eulistea), possono essere cosi elencate :

1) i Brevi Annali dal 1194 al 1352, la cui redazione il Fa-
bretti attribui a uno della famiglia degli Oddi (?) ;

2) la grande Cronaca di Perugia, che va impropriamente sotto
il nome di « Cronaca Graziani » e che comincia dal 1309 (?).

A questi due testi possono aggiungersene, perchè coprono una
area cronologica in parte identica, altri due, che il Fabretti fece cono-
scere nella sua splendida raccolta in cinque volumi stampata a To-
rino dal 1887 al 1894, e cioè :

le Memorie di Perugia del 1308 al 1335, di cui già egli si era
servito per colmare le lacune tra il 1320 e il 1327 esistenti nella Cro-
naca Graziani (*),

e le Memorie del cinquecentista Mariano del Moro, che prendono
pure inizio del 1309 (7).

‘Nessuna di queste scritture è coeva al periodo più antico di cui
tratta. Ho rintracciato nei fondi della Biblioteca Augusta i m s. di
cui il Fabretti si è servito per i Brevi Annali e ho agevolmente po-
tuto constatare che si tratta di codici del sec. XVI o del secolo suc-
cessivo (5). Molte parti delle narrazioni contenute in questi testi
sostanzialmente coincidono ; indizio di un preciso rapporto intrin-
seco, che sinora però non è stato indagato.

Queste coincidenze, assai spesso letterali, davano adito alla
supposizione che ci si trovasse innanzi ad estratti di notizie, rica-
vati da memorie più antiche su cui, peraltro, non avevamo altra in-
formazione se non quella deducibile da una postilla pressochè iden-
tica che compare in due di quei codici e che non mi pare sia
stata indicata da chi usufruì di essi.

Nel codice Macinara del sec. XVII (?) si legge all'inizio dei
Brevi annali :

«Cavasi da un annale in carta pecora. Annali 1191 die prima
maij »; e nel codice Sozi del sec. XVI (5) :

« Annalis MCLXXXI, die prima maij, cavato da un Annale in
carta pecora ».

Se è certo che nessuno degli editori moderni ebbe la ventura di
vedere questi Annali scritti su pergamena, ho i miei fondati dubbi

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208 CONVEGNO DEL CENTENARIO

che anche il Sozi o il Macinara li abbiano davvero avuti fra mano o
si siano limitati piuttosto a trascrivere il loro testo da altra copia con-
tenente l’identica postilla.

Chi, invece, mostrava di conoscere direttamente una fonte cro-
nachistica antica e ad essa faceva riferimento con una certa copia
di particolari era il vecchio, l’infaticabile Pompeo Pellini (sempre
più ci rendiamo conto di quanto possiamo essere debitori al suo
lavoro di paziente ricercatore), che, a proposito di certi avvenimenti
del 1227-28, asseriva di aver veduto «un libro scritto a penna molto
antico, nel quale si fa memoria di tutti quelli che dall'anno MCXCI
insino al 1336 hanno havuto il governo di questa città » (°) ; e, altre
volte, come vedremo tornava a fare ad esso riferimento.

La concomitanza della data d’avvio induceva a supporre una
identità di allegazione ; tuttavia tanto gli Annali in pergamena ci-
tati dal Sozi e dal Macinara, tanto il libro scritto a penna «molto
antico » visto dal Pellini, o opere distinte che fossero o tutt'una,
non erano stati sino a oggi rintracciati, e si poteva ragionevolmente
supporre che queste vecchie carte fossero, nella dispersione dolorosa
di tanto materiale archivistico umbro avvenuta in tempi antichi
e recenti, andate definitivamente perdute.

Gli studi preparatori per una riedizione critica e sistematica
delle Cronache di Perugia mi hanno portato alla riscoperta di un
codice, che, come vedremo, con un'altissima percentuale di probabi-
lità puó identificarsi con il manoscritto veduto dal Pellini e da lui
usufruito. :

La storia di questo rinvenimento ha carattere aneddotico e,
forse, é di scarso interesse per i miei ascoltatori. Ne daró altrove
maggiore ragguaglio. Qui sarà sufficiente ritracciarne i punti sa-
lienti, sottacendo il pathos della filologica avventura. Utilizzando
per altre indagini i Facsimili di antichi manoscritti per uso delle Scuole
di Filologia neolatina pubblicati da Ernesto Monaci nel 1881 (39);
la mia attenzione fu sollecitata da una tavola di quella raccolta, la
ventiduesima, che in una limpida notarile trecentesca conteneva
un testo volgare di impronta sicuramente perugina. La sommaria
indicazione bibliografica premessa ai Facsimili dava questa colloca-
zione topografica : « Roma, Biblioteca di E. M., codice V ». Dalle
iniziali del nome del possessore era lecito dedurre che si trattasse di
un manoscritto appartenente alle collezioni private dell’editore dei

Facsimili, di un codice, in altre parole, di proprietà di Ernesto
Monaci.
CONVEGNO DEL CENTENARIO 209

Una ricognizione della bibliografia di questo insigne maestro
della filologia romanza (*) mi portò a escludere che il Monaci si fosse
mai occupato, sia pure per semplice accenni, del codice e del suo con-
tenuto, per ragioni che, confesso, mi sono rimaste ignote.

Bisognava dunque rintracciare il manoscritto, da cui era stata
ricavata la tavola. Il Monaci, spentosi nel 1918, legava i suoi libri
alla Società Filologica Romana ; ma i codici di sua proprietà veni-
vano dispersi e messi in vendita. Così uno di essi, la celebre silloge
di rime portoghesi Colocci Brancuti, veniva acquistato dalla Bi-
blioteca Nazionale di Lisbona ed emigrava colà, perduto irreparabil-
mente al nostro patrimonio librario.

Fortunatamente, il manoscritto perugino non prese una ana-
loga strada; fu acquistato da una nostra Biblioteca statale, dove
dal 1920 ad oggi é giaciuto, a quanto pare, negletto e ignorato, fino
a che chi vi parla ha avuto dalla sorte, sempre piü avara di inediti
di pregio per i ricercatori, ma stavolta eccezionalmente benigna, il
privilegio di poterlo rinvenire, di esaminarlo e di identificarlo.

L'esame del manoscritto ha consentito di accertarne la singo-
lare importanza. È la più antica cronaca in volgare di Perugia e,
quel che più importa, si tratta di un testo in trascrizione coeva. A
questo si aggiunga che le dimensioni dei fogli pergamenacei adope-
rati, di inconsueto formato (sono pagine che misurano in media

cm. 25 per 32,50), distribuiti regolarmente in quaderni, la pregevole

qualità del materiale scrittorio, l’ordine e la disposizione delle anno-
tazioni inducono a pensare che ci si trovi dinnanzi non ad un libro
di appunti di natura familiare o personale, ma a un documento di
carattere ufficiale, compilato su ordinazione e destinato ad essere
continuato nel tempo.

Il quarto e ultimo quaderno è mutilo, e di esso restano solo tre
carte; cosicchè le notizie degli avvenimenti contenute nel codice
(che prende l’avvio dal primo maggio 1191) si arrestano al 3
luglio 1336.

Ma la mutilazione è antica. Già nel Cinquecento il Pellini, che
citava, come abbiamo veduto, da un «libro scritto a penna molto
antico » notava appunto che l'ambito di esso era circoscritto fra il
1191 e il 1336. Da una allegazione :

«Da questi nostri scrittori a penna ne’ diarij loro si è detto che
nell’anno 1245 i nostri Perugini furono rotti (et queste sono le
parole lor proprie) nel piano di Foligno dalle genti
dell’imperadore Federigo »(»)

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210 CONVEGNO DEL CENTENARIO

che trova rispondenza letterale con le parole del nostro testo :

« In quisto millesimo (1245) fuoro sconffitte ei Peroscine
enllo piano de Foligno da la gente de Federigo
inperadore »,

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Ane 13

mi par lecito inferire un altro elemento per confermare la supposi-
hi | Zione già espressa circa l'identità del codice rinvenuto con il libro
scritto a penna visto dal Pellini.

Pure antico é l'allontanamento del codice da Perugia. Una po-
stilla ci dice che nel 1579 era già in mano di un messer Giovanni
WU Battista Seragnoli «cittadino cortonese et fiorentino privilegiato ».
Hi Incidentalmente diró che nessuna indicazione abbiamo circa la sorte
I che ha avuto il codice dal 1579 al momento in cui pervenne al Monaci ;
ATI né mi é stato possibile conoscere da chi e in qual anno egli lo ricevette.

Un primo punto fermo che il rinvenimento di questo testo, al
quale assegno per comodità di riferimenti la sigla P* (P iniziale di
Perugia, 1 per la sua priorità nel tempo) consente di stabilire é che
It da esso derivano, per tramite diretto o indiretto, nella parte di co- )
| i mune cronologia tutte le Cronache sin qui conosciute, e cioè : i Brevi
MI I annali, il Diario cosiddetto Graziani, le Memorie di Perugia, le Me-
ATTE RI morie di Mariano del Moro. Le congruenze sono letterali ; il che fa
TERI ritenere che l’« Annale in carta pecora» rammentato nelle postille
IH | dei codici Macinara e Sozi possa essere proprio il nostro ms., o altri-
H TERI menti una copia tratta in tempo antico da esso.

MN IE Il riconoscimento di P' quale fonte delle Cronache di redazione
H | o copia più tarde non è tuttavia che uno dei molti elementi di interesse
che il nostro testo ci propone.
| | Intanto, è possibile sfatare l'attribuzione dei più antichi Annali |
lj (ER di Perugia a «uno della famiglia Oddi », per adoperare l’espressione |
TE del Fabretti. La frase da cui essa era stata ricavata : « 1202. Fu scon-
A I i fitto Asese; e trovasi Buone d'Oddo di Buone ca-
JP EHE merlingo, e della casa de' nostri »(»), che proviene |
| di T dal solo codice cinquecentesco del Sozi, é una giunta seriore che ha |
1 una evidente impronta di esaltazione ancestrale. P' dice soltanto :
T | «Fo sconfitto Asese » (!), e registra il nome di « Buove d'Oddo de
HE Buove » come reggitore della città, non al 1202 ma sotto il 1214.
DH Ancora: il Bonaini riteneva che della Cronaca cosiddetta del
Wi EE, Graziani dal 1309 al 1491 uno solo fosse l'estensore (*). P: conferma
ABIT Ì la natura composita del Diario Graziani, già accertata per il periodo
d quattrocentesco dallo Scalvanti (*), e illumina sulla genesi di una

dat
CONVEGNO DEL CENTENARIO 211

tradizione cronachistica locale, in un primo tempo anonima e di |
stampo ufficiale o semiufficiale, e solo successivamente di impronta
privata e personale. Come Pietro Angelo di Giovanni continua nel |
1450 le Ricordanze di Antonio dei Guarnelli, interrotte a quella data |
| per la morte del compilatore, così Antonio dei Guarnelli, e altri an- MEI
cora prima di lui, aveva con una procedura non inconsueta per à cro- eM
nisti medievali incorporato nelle sue Memorie quelle di antecessori

piü vicini agli avvenimenti. Per il periodo 1309-1336, comunque,

la Cronaca cosiddetta Graziani, per la narrazione dei fatti, si identifica

con P:. Di essa Cronaca siamo dunque già in grado di accertare una

stratigrafia successiva dovuta a non meno di tre autori diversi.

Ma P1, rispetto alla Cronaca Graziani che principia con il 1309,
accoglie notizie che risalgono nel tempo sino al 19 maggio 1191;
e le accoglie ordinatamente anno per anno, mentre i Brevi annali
hanno andamento non continuativo e balzano con irregolarità e
omissioni cospicue dal 1194 al 1202, dal 1202 al 1218 e così via.

Se P' inaugura la serie consolare e podestarile con il 1191 non ci
lasceremo tuttavia trarre in inganno da questa data cosi antica per
ritenere che effettivamente a quel tempo risalga l'inizio dell'anna-
listica perugina. L'estrema aridità e la saltuarietà delle notazioni |
sino almeno al 1245 depongono per una informazione desunta indi- M
rettamente da documenti. Quanto alla datazione del ms., le prime
diciannove carte sono tutte della stessa scrittura e giungono sino : Il
agli avvenimenti del 7 maggio 1327; successivamente compaiono
mani diverse (una decina), che si spingono fino al 1336. Se giudico le
annotazioni di questi altri amanuensi sincrone agli avvenimenti cui
si riferiscono, per il primo scrittore non è possibile se non dire che
egli arrestó l'opera sua al primo semestre del 1327, restando per ora
imprecisabile quando egli l'abbia iniziata.

Ho già detto che l'aspetto esteriore del codice induce a ricono-
scere ad esso una fisionomia di carattere ufficiale. Aggiungo che anche AE
un elemento intrinseco concorre a consolidare questa congettura : | It
l'intonazione costantemente guelfa della Cronaca con una ostentata
punta di ortodosso ossequio verso il potere ecclesiastico che si mani-
festa nell'adozione di formule giuridiche restrittive come «salvo la
ragione de la Chiesa de Roma » (sotto l'anno 1291), o anche «salvo :
e reservato le ragione de la Chiesa né contra la Chiesa de Roma » AIINI
(sotto l'anno 1292) (11). UE

Se non fossero purtroppo andati perduti gli Annali decemvirali | ii”
proprio per il periodo 1327-1350 non ci sarebbe venuta meno la spe- | |
212 CONVEGNO DEL CENTENARIO

ranza di trovare negli atti ufficiali del Comune una conferma a quanto
ha per ora solo valore di supposizione. Il Pellini sotto l'anno 1366
riferisce difatti che in un consiglio e adunanza generale di quell'anno
«fu fatto un libro che si chiamò il Libro Giallo, dove erano scritti
tutti i fatti di questa città, et che fu posto nell'Archivio del nostro
Commune ». Ma anche il Libro Giallo già ai tempi del Pellini piü
non si ritrovava (18).
| Come ho detto, la parte di P riferentesi agli avvenimenti più
E i antichi é schiettamente annalistica. Per gli anni piü lontani ci si li-
AER LIT mita ad annotare il nome del podestà o, in caso di vacatio, del magi-
strato che ne assume le veci. L'elenco del nostro manoscritto é rego-
1 lare e preciso per ogni anno e risulta piü ricco di quello allestito nel
NITTI secondo volume del suo Saggio di memorie storiche da Annibale Ma-
IL HIE riotti (19).
l| Cosi ad esempio per il 1206, mentre il Mariotti omette ogni indi-
cazione, P' registra nella serie dei podestà il nome di Martolo de
Guardolo. :
| A poco a poco le notizie vanno infittendosi, ed estremamente
WE Scarne sino alla metà del secolo, cominciano a farsi più numerose |
| nel decennio successivo. Assistiamo al passaggio da una fase di regi- |

Il i strazione di crudo tipo annalistico (1194, « scarcarse le roche d’ Asese »,
È; ii cioè : furono demolite le fortificazioni di Assisi; 1202, «fo scomffitto
i | | Asese » ; 1217, « fo scomffitto Augubio » ; e addirittura con espressione
TR estremamente parsimoniosa : 1219, «scomffitto Castello », cioè Città
M I i di Castello) a una stesura meno esangue anche se ancora limitata
i all'essenziale, che prelude alla cronaca vera e propria. i

A mano a mano che si procede nel tempo, lo studioso vede sem- |
pre meglio appagate le sue esigenze, e particolari della storia comu-
i TE nale sin qui oscure o oggetto di controversia possono assumere una

t i loro fisionomia piü fededegna.

m I il Anche qui mi limiteró a un solo esempio. Il nostro codice tiene
AD ELE ERE ben distinto l'Ugolino da Gubbio abate di San Pietro, eletto vescovo
| di Perugia il 23 novembre 1330, dall'Ugolino di Nucciolo da Monte- |
AB i i biano o Montevibiano, che giunse a Perugia da Avignone il 16 giu- |
T : gno 1331, eletto dal Pontefice abate di San Pietro in evidente succes- |
11 | sione del primo, mentre curiosamente (e il fatto non mancò di colpire
| | il Fabretti, che manifestó la sua perplessità in una nóta) la Cronaca |
n HIE Graziani fa dei due personaggi uno solo (?). |
n E non sarà necessario, ritengo, insistere sopra il fatto che il rin- |
venimento di un codice trecentesco consente finalmente di fare rife-


cpu Eum II
CONVEGNO DEL CENTENARIO 213

rimento non più a materiali di seconda mano ma ad affermazioni
coeve su eventi di storia perugina di particolare rilievo. Così assume
significato ben più qualificato la notazione che nel 1301 « se comencò
in Peroscia lo Studio generale », finora conosciuta solo attraverso il
testo cinquecentesco dei Brevi annali, se si pensa che essa fu scritta
a distanza di pochi anni dall’evento dalla mano di un contempora-
neo : la bolla di Clemente V del 1308 sanciva dunque una situazione
di fatto anteriore di un settennio al privilegio concesso.

L'indagatore delle vicende municipali troverà qui conferma a
una quantità di notizie afferenti alla vita minuta della città : il 13 feb-
braio del 1278 l’acqua di Monte Pacciano giunse alla fonte della
piazza ; il 10 giugno del 1303 fu sistemato il pozzo della piazza e fu
trovato profondo 34 passi; il 17 febbraio del 1328 si cominciarono
a porre le catene per i borghi di Perugia, mentre il 2 maggio del mede-
simo anno le catene furono poste agli sbocchi della piazza.

Queste conferme non escludono, d’altro canto, la postulazione
di alcuni quesiti, che qui mi limito semplicemente a proporre, avver-
tendo che per dar loro risposta occorrerà un ampliamento e supple-
mento d’indagine. Non credo, così, che la scelta del 1° maggio 1191
per dare inizio agli Annali sia fortuita, o determinata da elementi
meramente casuali. Il 1° maggio è, nel periodo più antico, la data
di insediamento dell’ufficio podestarile, che in appresso fu spostata
all’inizio dell’anno solare ; più tardi, muovendo dal 1295, ridotta la
durata dell’ufficio stesso a sei mesi, si giunse a far coincidere le due
date d’ingresso con il gennaio e il luglio. Anche i più antichi Annali
senesi, che hanno qualche punto di affinità con P!, muovono dal 1186
vale a dire aprono il loro arco cronologico nel medesimo torno di
anni all'incirca del primo amanuense di P! (21).

Con il 1191 e con il nome di « dominus Stephanus Carzullus

romanus Potestas perusinorum » cominciava anche quel manoscritto

«di carattere antico che era in mano di monsignor della Corgna » ;
ma le allegazioni trattene da Annibale Mariotti che lo utilizzò nel suo
Catalogo dei Podestà, sono in latino (?). Dovremo noi congetturare
l’esistenza, accanto ai nostri Annali volgari, di altri Annales, ante-
riori o contemporanei, in latino (?) ? Come per gli Statuti volgari del
1342, così per questa Cronaca sono esistite forse due stesure ? Pro-
blemi aperti, risolvere i quali non sarà troppo agevole.

La menzione degli Statuti volgari del 1342 ci introduce a discor-
rere della forma linguistica di P!, Se confrontiamo la lezione del nostro
codice con la Cronaca Graziani o con i Brevi annali nelle parti che

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214 CONVEGNO DEL CENTENARIO

hanno in comune, risulta evidente come la trecentesca veste della
lingua sia stata in questi ultimi testi rielaborata e modificata con
larghezza nel senso che a espressioni caratteristiche dell'antico peru-
gino, di cui si sentiva ormai l'arcaismo, sono state sostituite le equi-
valenti, più generiche e comprensibili, della lingua comune model-
lata sul toscano. Restringo l’esemplificazione all’essenziale e tralascio
di indicare le molte modificazioni di portata fonetica o grafica. Ma
già le alterazioni lessicali sono imponenti. Il bel verbo umbro, che
compare anche in Jacopone, allecerare è modificato in « allicenziare » ;
fare covelle in «fare più niente»; palefecare in « pubblicare»; pa-
roffia in «parrocchia »; la camora del massaio (cioè del tesoriere)
del comuno diviene « camera del nostro comune » ; borgora si muta in
«borghi » ; i Becchette di santo Francesco divengono i « frati della pe-
nitenza » ; dua è sostituito da « dove », e dbuid le pietre da un semplice
« con le pietre » mentre uno sfonno, forma di terza plurale dell'indi-
cativo pres., tipica della morfologia umbra, è sostituito da « appa-
reno scripte ».

P! è, dunque, di prezioso ausilio per una compiuta delineazione
della fisionomia del perugino del primo Trecento nell’uso scritto ;
e l’autorità del nuovo testo è tanto più rimarchevole in quanto esso
ci riporta ad epoca anteriore agli Statuti monumentali del 1342,
e pressappoco alla medesima età dei pochi e meno estesi documenti
sinora pubblicati, quali la Cedola per la costruzione della rocca di
Castel della Pieve datata al 1326 (*). Altri inediti segnalati dal Bal-
delli, posteriori di qualche tempo al 1320, appartengono all’ambiente
delle confraternite e nascono sotto un diretto stimolo ecclesiastico (?**).
Della pluralità degli ambiti di cultura è anche testimonianza il va-
riare delle grafie per la rappresentazione di certe particolarità di
suoni, che è avvertibile da amanuense a amanuense nell’ultima parte
del nostro manoscritto.

Trattazione fenomenica minuta e un glossario conchiuderanno
nell’edizione definitiva il mio lavoro. Il lessico volgare delle nostre
Origini se ne arricchirà per un ampliamento e consolidamento di
attestazioni, che consentiranno di portare il discorso entro termini
più ampi. Su tre di queste attestazioni non sarà inopportuno che io
brevemente mi intrattenga.

La prima suscita un ricordo dantesco. Sotto il 1301 il cronista
dice che il comune di Perugia perdette Castel della Pieve : vi entra-
rono « pedoni e scarmeglone » della Val di Chiana. Gente cioè che
veniva di Toscana.
CONVEGNO DEL CENTENARIO 215

La parola « scarmiglione », come sostantivo comune, viene qui
attestata, secondo quanto conosco, per la prima volta. La adopera
sì Dante nel canto XXI dell’Inferno, ma in una congiuntura, per
cui tutti i commentatori senza eccezione dichiarano la voce come
nome proprio di uno dei diavoli :

«Ma quel demonio, che tenea sermone
col duca mio, si volse tutto presto
e disse : « Posa, posa, Scarmiglione ! » (**).

e i lessici la registrano come nome personale e con l’unico esempio
dantesco. |

Frate Guido da Pisa nel suo Commento inedito alla Commedia
è il solo a spiegare che «scarmillione lingua tusca tantum
valet quantum in gramatica valet raptor » (*). Insieme con i fanti
(i pedoni) scendevano dunque su Castel della Pieve, i rubatori, o
forse con accezione piü tecnica e militaresca, gli ausiliari raccogli-
ticci, armati (onde il nome) di raffi o di uncini. Alla luce del nostro
esempio puó anche avanzarsi l'ipotesi che Dante adoperi il vocabolo
in questo suo senso generico. Comunque, sia nome comune, o da so-
stantivo comune la fantasia del Poeta l'abbia trasferito a nome pro-
prio diabolico, la Cronaca perugina andrà d'ora innanzi citata a cor-
roborare e a chiosare il verso dantesco.

Il 12 giugno 1309 una memorabile tempesta si scatenó su Pe-
rugia ; il cronista ci dice che « fuoro molte bunita e luginia enll'ayrii »
e che nella cerchia urbana caddero dodici e più folgori. Bunita, che ha
altri riscontri, sta a significare i tuoni (**) ; ma luginia, «lampi », è un
unicum offerto dalla nostra Cronaca. Per spiegarlo, bisogna mettere
il vocabolo in connessione con alcune forme dialettali esclusivamente
settentrionali, la cui attestazione più meridionale è rappresentata
dal dialetto moderno di Urbino : lusiné, lampeggiare o lùsin, lampo (*).

La terza parola é un avverbio: chello. Chello fecero il guasto,
colà fecero il guasto ; e chello stettero più di, e colà stettero più giorni
(sotto l'anno 1336). E termine arcaico e comprovato unicamente
entro l'area mediana: se ne hanno esempi in un testo romanesco
del Duecento, le Storie de Troya et de Roma e in Jacopone da Todi (*?).
Ora, per la prima volta chello compare anche in un testo perugino.

Tre esempi, a mio modo di vedere significativi, perché quasi
emblematici per la posizione storica dell'antica lingua di Perugia,
punto di incontro di influenze linguistiche toscane, romagnole e
sabino-romanesche, su. un solido sostrato di base centro-meridionale.

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Le 32 AE - 216 CONVEGNO DEL CENTENARIO

Agli studiosi convenuti qui in Perugia per celebrare il primo
centenario della Deputazione umbra di Storia Patria mi sia consen-
tito di offrire come pegno di lavoro il testo di questa più antica cro-
naca cittadina, col rammarico che l’insufficienza del tempo non mi
abbia permesso di licenziare oggi l’introduzione, il commento storico
e linguistico, gli indici dei nomi e delle parole. Queste parti della mia
indagine, di cui ho esposto le linee riassuntive, compariranno fra
breve nel primo volume degli Annali della Facoltà di Lettere e Filo-
sofia dell’Ateneo perugino rinata dopo un silenzio secolare. Riaccen-
dere localmente l’interesse per le ricerche intorno alla cultura e alla
storia dell'Umbria, far sì che la nobilissima tradizione dei Vermi-
glioli, dei Conestabile della Staffa, dei Fabretti che Giuseppe Ermini,
Giovanni Cecchini e Luigi Salvatorelli hanno da pari loro nella nostra
generazione continuato e rinnovano, abbia fra i nostri allievi dei pro-
secutori attenti e preparati, questo è uno dei fini che con i miei col-
leghi ci proponiamo di conseguire; mi terrò pago se anche questo
mio contributo gioverà come incitamento alla buona causa.

NOTE

(1) Deliberazione del 16 novembre 1293, registrata negli Annali Decem-
virali di quell’anno. Pubblicata da G. MAZZATINTI, in Bollettino della Società
Umbra di Storia Patria, II (1896), pp. 560-61.

(2) Cronache e storie inedite della città di Perugia, ricordate, parte 18, Fi-
renze 1850, da p. 55 a p. 68.

(3) Op. cit., da p. 71 a p. 750. Altro manoscritto di questa Cronaca fu
ritrovato da O. SCALVANTI, che ne diede notizia (Sul ritrovamento di un codice
di cronaca perugina) in Bollettino della Società Umbra di St. P., II (1896),
pag. 155 segg. Lo Scalvanti pubblicò la parte inedita del nuovo ms. nei voll. IV
(1898) e IX (1903) del medesimo Bollettino.

(4) Cronache della città di Perugia edite da ARIODANTE FABRETTI, vol. I
(1308-1438), Torino, 1887, da p. 3 a p. 22.

(5) Opera qui sopra citata, da p. 67 a p. 123.

(6) Do le segnature dei due codici nelle note seguenti.

(7) È il ms, segnato 1163 della Biblioteca Comunale Augusta di Perugia.
La postilla si legge a c. 7 r.

(8) Ms. E. 70 della Biblioteca Comunale Augusta di Perugia. La nota è a
c. 135 v.

E questo sicuramente il « codice della Biblioteca Comunale » usufruito dal
Fabretti. E qui mi par necessario avvertire che in realtà il testo di questi
Brevi Annali si arresta al 1348 e termina con le parole: «...et le sepolture
de li corpi morti » (riga 15 di p. 68, ed. Fabretti). Il resto é un complemento
CONVEGNO DEL CENTENARIO 217

del Sozi, a cui verosimilmente si deve l’interpolazione, che ha portato ad at-
tribuire all'opera la falsa paternità di « uno degli Oddi ».

(9) Dell' historia di Perugia di PomPEo PELLINI, parte prima ..., In Vene-
tia 1664, p. 237. Il Pellini, nato nel 1523, mori nel 1594.

(10) Il frontespizio propriamente reca : « Roma, Augusto Martelli editore,
1881-92 » ; il che lascia supporre che i facsimili siano stati pubblicati a gruppi
e in piü riprese, con intervalli di tempo.

(11) Ernesto Monaci, l'uomo, il maestro, il filologo, Roma, Società Fi-
lologica Romana, 1920. La bibliografia ivi, a cura di Mario Pelaez, da p. 189
a p. 200.

(12) P. PELLINI, op..cit., vol. I, p. 247.

(13) Cronache e storie cit., parte I, p. 55 righe 3-4.

(14) Alla annotazione va innanzi il nome di « Ugo de Marcovaldo ». La
notizia è confermata dalla Eulistea prosificata : « Extymplo autem [Gripho-
nes] sub Martonaldi (sic) Ugone flagrant et excitantur in bellum......
Egreditur itaque ab urbis sue sedibus Perusina strenuitas..... ». (Crona-
che e storie cit., vol. I, p. 9 in nota). Martonaldi è fraintendimento di copista
per Marcoualdi.

(15) « A me sembra .... una raccolta di varie memorie, con grande amore
adunate da uomo, che letti i cronisti del paese, volesse attentamente guardare
anche a quelli delle altre città ... Impossibile è l'affermare quali tra i Peru-
gini annalisti il nostro compilatore seguitasse di preferenza pel secolo XIV . . . ».
Dalla prefazione alle Cronache cit., p. I, pagg. X X-XXI.

(16) V. al riguardo le p. 62 e segg. di O. ScALVANTI, Cronaca perugina
inedita di Pietro Angelo di Giovanni in continuazione di quella di Antonio
dei Guarneglie (già detta del Graziani) in Bollettino cit., IV (1898).

(17) Che riecheggiano alla lettera formule di atti pubblici: salvo in iis
omnibus praeceptum atque praecepta domini nostri Papae (trattato con Mon-
tone del 1210) ; Comune Perusinum non teneatur observare predicta et infra-
scripta contra matrem nostram sanctam Ecclesiam romanam ... (accordo con
Todi, Foligno, Gubbio e Spoleto del 1237).

(18) PELLINI, op. cit., vol. I, p. 1015: «il quale hoggi per quel che ho
potuto sin qui vedere non si truova ».

(19) Saggio di memorie istoriche civili ed ecclesiastiche della città di Peru-
gia e suo contado, T. I, P. II, Perugia 1806, p. 187 e segg.

(20) Cronache cit., I, p. 119.

(21) « 1187. Apreso scrivaremo da qui innanzi discrivare tutti gli ufiziali,
cioè signori e anco consoli stati in Siena, di poi l'anno 1186 cominciando a di
primo di giugno 1186 »: dalla Cronaca senese del tardo Paolo di Tommaso
Montauro, che copiava da testi anteriori di autore ignoto, pubblicata nei RR.
II. SS., XV, p. VI, (n. ed.) 1939, p. 180.

(22) Il MARIOTTI (op. cit., p. 187) aggiunge ancora: «... il quale fu
copiato da Vincenzio Tranquilli Perugino, e poi passó nelle mani del Conte
Girolamo Bigazzini, conte di Coccorano, chiarissimo Letterato Perugino ».

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218 CONVEGNO DEL CENTENARIO

(23) A una cronaca contenente i nomi dei podestà, affine ai Brevi annali
(ma «luna non copia dell'altra »), allude GIOVANNI BELELLI, L’istituto del
Podestà in Perugia nel secolo XIII, Bologna 1986, pag. 19 in nota. Tale cro-
naca, che a p. 19 si preannunzia come di imminente pubblicazione (« sta
per essere edita »), è data per « edita » a p. 87. Tutte le ricerche fatte per rin-
tracciare questa edizione o almeno per accertarne l’esistenza, hanno avuto
esito negativo.

(24) Edita da ApAmo Rossi, Saggi del volgare perugino nel Trecento,
Città di Castello 1882, e ripubblicate in B. MIGLIORINI e G. FOLENA, Testi
non toscani del trecento, Modena 1952, p. 21 e segg. (collazione di I. Baldelli).
Qui anche altri testi di data posteriore.

(25) I. BALDELLI, La lauda e i disciplinati ne La Rassegna della lettera-
tura italiana, 64 (1960), pp. 411-412.

(26) Inferno, XXI, vv. 103-105.

(27) Cito da La Divina Commedia nella figurazione artistica e nel secolare
commento a cura di G. BracI, Inferno, Torino 1924, p. 523. Il passo è rica-
vato dal codice di Chantilly.

(28) Cfr. in Buccro n1 RANALLO, Leggenda di S. Caterina d' Alessandria :
Et la terra commovere | Bonnire e tonetare, | Fulgori et allustrare (v. 481 sgg.),
e attestazioni dai moderni dialetti: Arcevia bonnì e arembonnì, rimbombare
(Crocioni) e Fabriano bondì, il tuonar cupo e rimesso, bonne, tuona (Marcoaldi).

(29) Cfr. lusiné, lampeggiare e lùssin, baleno, lampo, « propriamente di
quelli che scientificamente si dicono lampi o baleni di caldo...» (CONTI,
Vocabolario metaurense, Cagli 1898, s. v.) e l’it. sett. lucinare, lampeggiare,
presente con le variazioni fonetiche specifiche nel piem., lomb., lig., emil.,
veneto. :

(30) Storie de Troja et de Roma, ed. Monaci, Roma 1920, v. glossario
sotto Kello e i rinvii in FRANcEsCO A. UGoLINI, Postille al testo del Ritmo
Cassinese in Saggi e ricerche in memoria di Ettore Li Gotti III (1962), p. 339.

Jacopone da Todi, XLVII 73 segg. : Lo tacere è vitioso, Chello dò l'om
deve parlare, « il tacere è colpa, là dove si deve parlare » (testo ms. Chantilly).
Altro esempio romanesco è in una lauda trecentesca pubblicata da M. VATTASSO
Aneddoti in dialetto romanesco del sec. XIV, Roma 1901, p. 95, v. 216.

ERMINI: Ringrazio vivamente il prof. Ugolini che ci ha dato una
notizia di un fatto che mi sembra costituisca veramente una scoperta
e non so se si debba ringraziarlo di più di questa scoperta o dell'acume
delle osservazioni che egli ha fatto in rapporto al documento rinvenuto
e della piacevolezza dell'esposizione. Esprimo anche la più sincera gratitu-
dine per il dono che hai fatto alla rinata Facoltà di Lettere e ai congressi-
sti. Do ora la parola al prof. Aldo A. Crosara pregandolo di svolgere la
comunicazione sulla Simbologia nei monumenti medioevali perugini.
CONVEGNO DEL CENTENARIO ' 219

IL MESSAGGIO FIGURATO DELLA FONTE MAGGIORE
CON UN CENNO ALLA SIMBOLOGIA DI ALTRI MONUMENTI
DI PERUGIA

1. — La patria è costituita in primo luogo dalle virtù e dai
valori morali, che trasmessi per generazioni, rendono libero e -cor-
tese o capace di libertà e cortesia un popolo e quasi vivente una
terra. |

Le virtù e i valori morali, che hanno ispirato il messaggio di
questo monumento, producono in me, forse per ragioni personalis-
sime relative alla mia carriera di studente (non prive peró di qualche
fondamento nelle cose), gli stessi sentimenti che nelle aule del Liceo
m'infiammavano l'animo alla lettura dell'ode Marzo 1821.

Gli stessi sentimenti, per ragioni proprie alla mia generazione
e all'ambiente della mia giovinezza, si accompagnano ancora in
me al solo pronunziare il nome attuale della piazza ove la Fonte
sorge («4 novembre »), per i sacrifici puri e generosi (più belli di
tutte le liriche di ogni tempo sull’amor di patria) di tanta gioventù
a me amica o da me conosciuta, che la data del 4 novembre 1918
(ultima della tormentata formazione geopolitica della unità d’Italia)
mi ricorda (?).

Tali sacrifici non sono certo contaminati dalle buffonerie pseu-
dostoriche della cinematografia di oggi, quando si fa erede dei piü
spregevoli imboscati del 1917 raccogliendo ed esibendo delle scurrilità.

In piü spirabil aere, nella invocazione finale « Oh giornate del
nostro riscatto » della sua breve opera d'arte, il grande spirito di
Alessandro Manzoni, in lirico slancio, col gioioso saluto di chi offre
la vita stessa a «la santa vittrice bandiera », precorse di quarant'anni
l'unità d'Italia, ufficialmente proclamata. Pur trattandosi, per certi
aspetti, quasi di «vox clamantis in deserto », possa la voce della
Fonte, che scaturisce da una millenaria sapienza, intrecciata all'arte
di sommi scultori, essere semplicemente udita all’infuori di pro-
clamazioni ufficiali, in questa Italia costruita, tessuta dal grande
tessitore, ricostruita, ma bisognosa di risorgere ancora una volta
nell'animo, nelle convinzioni profonde e vissute al disopra delle
misere vicende del mondo, dei lupi mascherati da agnelli e (nel
campo intellettuale o quasi intellettuale) dei mediocri rivenduti per
aquile. Tali convinzioni sono tanto più necessarie quando sì sta
prospettando l’unità -europea.
CONVEGNO DEL CENTENARIO

Diverse le circostanze, uguali gli ideali sostanziali : la salvezza
temporale e quella eterna dell’uomo.

2. — Anzichè aprire il libro o il cartiglio del messaggio, ovvero,
che è lo stesso, ripetere senza ancora capirli i versi della poesia o le
proposizioni della prosa, come si fa a scuola in un primo tempo, ci
presentiamo la Fonte limitandoci nella descrizione a quanto inte-
ressa la lettura del messaggio.

Da un piano circolare che a settentrione è ora a livello della
piazza e negli altri versanti è rinfiancato da un muretto (dato che
qui attualmente la piazza pende verso sud-sud-est) si innalzano verso
la perpendicolare al centro del piano quattro gradini a corona
circolare. 3

Il Vasari, a detta di Ruskin, descrive il supporto con dodici
scalini a tracciato dodecagonale e John Ruskin (famoso critico
d’arte e di economia politica, maestro di Giacomo Boni e difensore
dei monumenti italiani prima. che sorgessero le Sopraintendenze
alle belle arti) ne ha fatto un disegno per le sue lezioni a Oxford
cent'anni fa circa (?). Ma il supporto non c'interessa qui che per
individuare il monumento, sebbene non sia da escludere un signi-
ficato anche nella forma del supporto originale (che ignoro ma che
probabilmente è la stessa descritta dal Ruskin) del 1278.

Sopra il piano circoscritto dal gradino piü alto posa la fonte
monumentale, che ora e da tempo ha perduto la sua funzione di
dare acqua per gli usi quotidiani della popolazione. La popolazione
attingeva l'acqua dalla vasca inferiore mediante mezzine di uso
pubblico fissate con catene (?).

Il monumento costituente la Fonte appare composto dalle se-
guenti parti :

I) Una vasca marmorea inferiore.

II) Una vasca marmorea superiore.

III) Una vasca bronzea soprastante a forma di coppa.

IV) Un recipiente bronzeo di efflusso dell’acqua sostenuto
(senza alcuno sforzo apparente data la genialità della disposizione
delle braccia) da tre figure femminili di un solo getto in bronzo,
poggianti (mediante un interposto piedistallo non visibile dal piano
della piazza) sul centro della vasca bronzea.

Il recipiente (al vertice) a sezione orizzontale circolare, visto
dal piano della piazza sembra affiorare appena sopra le teste delle 3
statue; il diametro della sezione del recipiente quasi raddoppia

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CONVEGNO DEL CENTENARIO 221

(a quanto appare) dal livello della base del collo delle 3 figure fem-
minili fino a quello del colmo della loro testa e si presenta largo al
colmo poco più delle spalle di una statua : le 3 statue disposte in
modo di avere lo sguardo verso l’esterno, con la testa inclinata di
30 gradi circa verso il basso, rispetto alla verticale, formano con
le loro spalle un triangolo equilatero. Il recipiente costretto alla
base in una larghezza pari al cerchio inscritto in tale triangolo,
finisce al colmo all'incirca con la larghezza del cerchio circoscritto.
Il culmine del monumento è costituito dall'acqua sgorgante. Tre
anse che si attaccano al recipiente al livello della base del collo
delle donne e a quello del colmo del recipiente sporgono negli inter-
valli fra le teste delle statue che con la mano sinistra tengono senza
alcuna tensione un’ansa ciascuna.

Da tale recipiente (ora a semplice scopo decorativo) l’acqua
effluisce cadendo nella vasca bronzea sottostante, da cui trabocca
nella molto più larga vasca marmorea superiore (II), di dove a sua
volta scende nella vasca marmorea inferiore (I) (più larga della
precedente e come essa a sezione orizzontale poligonale), per mezzo
di bocchettoni situati sotto le basi delle statue sporgenti davanti
agli spigoli della vasca marmorea superiore stessa (II).

Nel 1278, o poco dopo, le tre statue bronzee in cima al monu-
mento figuravano di distribuire realmente (come si è detto) un bene
materiale essenziale. Come simbolo l’acqua rappresenta di norma
i beni spirituali (secondo il pensiero dei Santi Padri indicato da
'THoMAS AQUINAS, Catena aurea nel commento del brano della Sama-
ritana al pozzo del Vangelo di S. Giovanni, IV), beni che per ana-
logia dissetano, lavano, fecondano. Si può notare che il «vivere
fontes » della poesia latina, incisa sulla cornice inferiore delle lastre
della vasca marmoréa superiore, ricorda il «dedisset tibi aquam
vivam » e il «fons aquae salientis in vitam aeternam » del Vangelo
di S. Giovanni.

3. — Poche note ancora sulla forma e la positura delle vasche
e sulla disposizione schematica delle sculture che le adornano, pre-
scindendo dai singoli soggetti o fatti rappresentati.

La vasca marmorea inferiore (T) é a forma quasi (*) prismatica
regolare, cioé con facce e spigoli tutti eguali, con 25 facce verticali
(corrispondenti in sezione orizzontale a un poligono di 25 lati).
Gli spigoli sono segnati ciascuno da un fascio di colonnine sporgenti
di cui 3 per ogni fascio appaiono a chi le guarda di fronte. Ogni
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222 CONVEGNO DEL CENTENARIO

faccia é divisa da una colonnina in 2 parti eguali, contenenti cia-
scuna una formella (56 formelle) di marmo scolpito a bassorilievo,
figurante per lo più operazioni umane.

La vasca marmorea superiore, meno larga dell’inferiore, è pure
a forma quasi prismatica regolare, con 12 facce lisce di colore rosso
pallido. Gli spigoli sono segnati da piccole statue (dell'apparente
altezza di meno di un metro), poggianti su basi sporgenti e coperte
in alto da mensole livellate col piano superiore della vasca : ogni
faccia appare divisa in 2 parti eguali lisce (incorniciate in pietra
bianca) da una statua con base e mensola del tutto analoghe a
quelle degli spigoli. Le statue sono quindi 24 (12 a spigolo e 12 a
metà di ciascuna faccia) e riproducono per lo più personaggi storici
individuati (7 di esse sono personificazioni geopolitiche o spirituali).
Questa vasca marmorea superiore per mezzo di un pilastro centrale
e di colonne disposte a sostegno della sua base emerge dalla vasca
inferiore di un’altezza inferiore a quella delle sue faccie.

La vasca di bronzo (III), a sezione orizzontale circolare (a forma
di coppa) larga, almeno all'apparenza (nel diametro dell’orlo) meno
di un terzo della vasca marmorea superiore, emerge, da quest’ul-
tima, di un’altezza superiore a quella delle faccie delle vasche mar-
moree. Questa vasca bronzea posa su una colonna centrale pure di
bronzo, la quale poggia (incastrata) a sua volta sul grosso pilastro
centrale dodecagonale del sistema di sostegno della vasca marmorea
superiore (II).

Dove il numero dei lati della sezione orizzontale poligonale è
pari (come nella vasca marmorea superiore, II), vi sono lati opposti
paralleli, e una retta che passa per il vertice di un angolo e per il
centro tagliail vertice dell'angolo opposto. Invece una retta, partendo
dal vertice di un angolo e passando per il centro taglia in due parti
uguali il lato opposto, e non esistono quindi lati opposti paralleli
(né angoli opposti), se il numero dei lati è dispari, come nella sezione
orizzontale della vasca marmorea inferiore (I).

4. — Presentato sommariamente il monumento, come si presen-
terebbe un libro nelle sue caratteristiche editoriali-tipografiche, si
chiede: di dove cominciare a leggere il complesso simbolico e in
ogni caso narrativo ?

Come in un circolo tracciato non si puó dire in base alla geo-
metria dove la circonferenza cominci, cosi in una pianta poligonale
non si può dire, in base alla geometria da quale lato (o soprastante
CONVEGNO DEL CENTENARIO 223

faccia) incominciare. Considerando poi nel complesso della Fonte
il prospetto, non si può dire a priori se cominciare in alto o in basso :
le pagine si leggono dall’alto, gli edifici si costruiscono dal basso.

Poichè 12 su 25 faccie della vasca marmorea inferiore indicano
i 12 mesi, sembrerebbe che si potesse cominciare dal gennaio. Ma
perché non cominciare da Adamo ed Eva che sono soggetto di un'al-
tra faccia della vasca ? e perché non dalla grammatica ? Andando
a tentoni, ancora piü incerti ci lascerebbero in proposito le statue
della vasca marmorea superiore o quelle bronzee soprastanti.

Se noi leggiamo un libro alla rovescia, ci poniamo nel posto
dell'analfabeta. E il monumento stesso avverte con parole scolpite
«Mira videre poles», ma ad una condizione «si bene prospicias ».
Sentiamo quindi i consigli del monumento, ora che, dopo le ripa-
razioni compiute nel 1948-49, tutto ci fa credere che esso sia ritor-
nato all'ordine datogli dai costruttori operanti sotto la direzione
di Fra Bevignate nel 1278 e in un periodo precedente.

5. — Nella vasca di marmo superiore, la didascalia che invita
il passante non già ad attingere acqua materiale, ma a guardare,
incomincia nella parte sud-ovest della fonte, ai piedi del bordo
inferiore della mezza faccia marmorea liscia color rosso pallido,
compresa fra la statua della teologia (« Divinitas excelsa ») e quella
(davanti a uno spigolo) dell'Apostolo delle genti.

Mentre le parole della didascalia « Aspice qui transis jocundum
vivere fontes, si bene prospicias mira videre potes » corrono da sini-
stra a destra (secondo l'uso nostro di scrivere e leggere e, nel monu-
mento, secondo il verso dello spostamento annuo apparente del
sole lungo i segni dello zodiaco, cioé contrario al moto delle lancette
dell'orologio), la soprastante figura della teologia, piegando legger-
mente la testa verso l'alto é assorta in contemplazione da destra
verso sinistra (di chi guarda e destra della statua). Proseguendo
con lo sguardo (e col passo) in tale direzione (la didascalia è infatti
solo complementare alla figurazione), a nord ovest del monumento
incontriamo nella vasca inferiore ripetuta 2 volte la figura di un
uccello che si ricorda, oltre che per l'altezza del suo volo, per l'acu-
tezza della sua vista. ;

Una delle aquile, quella di destra (rispetto a chi guarda) guarda a
sinistra (cioé in direzione uguale a quella del corso apparente gior-
naliero del cielo stellato), mentre l'aquila di sinistra della formella
appresso guarda a destra (di chi osserva la Fonte). Esse indicano

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224 CONVEGNO DEL CENTENARIO

convergenza di sguardi allo stesso punto, e sembrano stendere le
ali per innalzarsi ai piani superiori.

6. — In effetto a destra delle 2 aquile, la prima formella- in-
dica, per quanto riguarda l'umanità, un inizio, i progenitori Adamo
ed Eva, ed una cessazione di salvezza, in quanto essi sono scolpiti
non già nell'atto con cui sono creati, come nelle formelle del cam-
panile di Giotto (con motivi ripresi in pieno nelle porte del Ghi-
berti), ma in quelle dell’insidia del serpente che induce al peccato
originale la credula Eva, e, attraverso ad Eva, Adamo, con la cac-
ciata conseguente dall'Eden, scolpita nella formella appresso a
destra.

Si noti che immediatamente prima delle aquile (a sinistra di chi
guarda) é scolpita in una formella a bassorilievo la figura maestosa
e incoronata della filosofia, e che sopra le figure delle aquile al posto
delle didascalie come nelle altre formelle si trova una parziale (es-
sendo perduta la dicitura già scolpita sopra l'aquila di sinistra)
indicazione che pare relativa agli autori dei bassorilievi della vasca
inferiore, quasi a suggello dell'opera d'ornamentazione della. vasca
stessa.

A. proposito delle aquile nell'atto di spiccare il volo, scolpite
a seguito. della formella ritraente l’immagine simbolica della filo-
sofia, conviene richiamare il pensiero chiarito in quei tempi dal-
l'Aquinate sui rapporti fra sapienza filosofica e Rivelazione, ed
espresso più tardi brevemente dallo stesso Alighieri (Canzone II,
Trattato III, del Convivio o Convito che dir si voglia) :

«E puossi dir che ’1 suo aspetto giova
a consentir ciò che par maraviglia,
onde la nostra fede è aiutata
però fu tal da etterno ordinata ».

Del resto basta pensare alla deferenza di Virgilio (ragione) per
Beatrice (teologia) nei versi 79, 80, 115-117 e 134, 135 del Canto II
dell’ Inferno.

Tornando verso sud al punto da cui siamo partiti, cioè all’inizio
della dicitura « Aspice qui transis » sotto le statue della teologia e
di S. Paolo, nella vasca marmorea inferiore la settima faccia, con-
tando a destra di quella della caduta e della cacciata dei progeni-
tori, rappresenta esempi di violenza sleale e di frode, figurati per
mezzo di noti apologhi.
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dal n. 21439 ed. Alinari,

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CONVEGNO DEL CENTENARIO 225

Considerando il complesso delle 7 faccie a dittico (14 formelle)
e le soprastanti statue della vasca marmorea superiore, a occidente
del monumento, ci possiamo accorgere (se liberi da prevenzioni
antistoriche) che sia il dittico di Adamo ed Eva, sia quello raffi-
gurante violenza sleale e frode, sono inizi di moti storici (espressi
con spostamenti in senso contrario fra loro lungo le sequenze delle
facce della vasca inferiore) che tendono a incontrarsi a metà del ver-
sante ovest del monumento, fra i due inizi stessi. Tali inizi raffi-
gurano la natura umana decaduta (e talora imbestialita), il primo
nell’ambito della storia sacra, con la cacciata dei progenitori disob-
bedienti, ma con la promessa di Redenzione, il secondo nell’ambito
della storia profana con la slealtà, la violenza e la frode. Si tratta di
moti convergenti (come lo sguardo delle aquile di cui sopra) e che
trovano compimento sul piano delle statue della vasca superiore.
Il moto nei bassorilievi della vasca inferiore ci conduce, nell’ambito
della storia profana leggendaria, all’affermarsi del fondatore di Roma,
che trae auspici ancora fanciullo ; e nell’ambito della storia sacra
fino all’affermarsi della stirpe di David, col dittico centrale fra le 2
faccie estreme degli inizi dei due moti convergenti.

Questo dittico centrale fra i sette si trova sotto alla statua della
Chiesa Romana della vasca marmorea superiore: tale statua si
presenta leggermente a sinistra della colonnina che divide il dittico,
in maniera da poggiare sulla raffigurazione di David fanciullo con la
fionda piuttosto che su quella del gigante filisteo abbattuto a destra.

Nella stirpe di David la natura umana, pur restando distinta,
si unisce alla natura divina del Verbo, misteriosamente in unica
persona; nel monumento troviamo simboleggiato tale mistero, ar-
ticolo fondamentale della Fede Cristiana.

La statua di Roma come centro politico-civile del mondo (si

diceva della Cristianità) si trova subito a destra di quella della.

Chiesa Romana (a destra di chi guarda e a sinistra della Chiesa
stessa) e sovrasta il bassorilievo finale della storia profana scolpita
sulle faccie della vasca inferiore: Romolo fanciullo seduto tran-
quillamente a trarre auspici sulla fondazione della città fatidica.

A esprimere che la Chiesa è romana dall’incontro di Pietro con
la sede di Roma imperiale, la statua della Chiesa Romana si alza
in mezzo a una stessa faccia (del prisma marmoreo superiore), al
cui spigolo a destra (rispetto alla figura della Chiesa) sta Pietro,
e al cui spigolo a sinistra (sempre rispetto alla figura della Chiesa)
sta Roma (sedente). Abbiamo il concetto dantesco (Paradiso, canto

15
226 CONVEGNO DEL CENTENARIO

VI), medievale e non medievale, dell’incontro di due serie causali
di circostanze storiche relativamente indipendenti, quella sacra e
quella romana ; è un tipo d’incontro che, pur rispondendo metafisi-
camente (Aristotele, Boezio, Aquinate, A. Cournot, Ranzoli) alla
definizione del caso, appare nella straordinaria grandiosità del risul-
tato nella fattispecie di cui parliamo, provvidenzialmente diretto a
diffondere nell’umanità (affiorante dalla diretta disobbedienza a
Dio e dalla violenza e dalla frode verso il prossimo) i benefici della
Redenzione.

Questo ci appare meglio se, lasciando per un momento le 7 faccie
predette della vasca marmorea inferiore (che su questa traccia non
presentano dubbi interpretativi di rilievo), partendo dal punto
d’incontro storico fra Pietro e Roma, traversiamo in linea retta la
fonte dalla raffigurazione simbolica della Chiesa romana (*), pas-
sando per il centro della sezione orizzontale della vasca, esattamente
alla banda opposta, a oriente. Incontriamo così proprio lo « Ecce
Agnus Dei», figura del Redentore sulle braccia del Precursore Gio-
vanni Battista « maggiore di tutti i profeti ».

Di grande efficacia sono le figurazioni all’intorno del Precursore,
ma occorre qui lasciare i particolari per cogliere invece l’intreccio
fra i temi centrali della salvezza eterna e di quella temporale.

Col Battista indicante l'Agnello non poteva essere scelta una
figurazione-argomento piü significativa della porta alla salvezza
eterna, nascondendo ai profani (e per tendenza profanatori) ma
richiamando con efficacia agli attenti, insieme la divinità e l'umanità
del Redentore. « Ecce Agnus Dei»: il Battista indica con la mano
destra l'Agnello sostenuto col braccio sinistro. E la didascalia ripete
le stesse prime parole del Battista, alla vista di Gesü che gli viene
incontro, riferite nel capo I, n. 29 del Vangelo di S. Giovanni : Ecce
Agnus Dei.

Qualunque fedele, quando si accosta alla Sacra Mensa, sente
ripetere dal sacerdote tali parole. Non solo il sacerdote che offre
quotidianamente il Sacrificio, ma il semplice fedele, che conosca
almeno il Nuovo Testamento, ricorda poi tutto il brano (29-34)
di quel Vangelo, che continua « Ecce qui tollit peccatum mundi » e
finisce «hic est Filius Dei ».

Con l’episodio del Vangelo e tutto ciò che essa significa, la fi-
gura del Battista e dell’Agnello richiama al centro di tutta la litur-
gia, di cui certamente non era digiuno fra Bevignate, cioè alla rinno-
vazione sacramentale continuata nei tempi del Sacrificio Divino.
CONVEGNO DEL CENTENARIO 227

La figura simbolica della Chiesa Romana sul lato opposto della
vasca (sopra il bassorilievo di Davide con la fionda) ad occidente
(il versante dell’entrata ai sacri edifici) sostiene fra le mani un mo-
dello di tempio in muratura con una porta che ne occupa gran parte
della facciata : qui sul lato orientale, dove starebbe nel tempio l’al-
tare, è significato Chi vive nel tempio e ciò che nel tempio si opera.

La sapienza benedettina ha saputo dire, sottraendolo alla pos- (RARI Da
sibilità di profanazioni da parte degli spargitori di sangue fraterno DE.
o di zizzania (che proprio intorno alla Fonte diedero orrendo spet- BET
tacolo già qualche generazione piü tardi, con l'eccidio Baglioni), | |
il punto fondamentale della Fede Cristiana. BI

Oltre al Battista anche gli altri santi nominati nel Confiteor
romano sono raffigurati nel monumento : San Michele, San Pietro,
San Paolo. Ma come la persona di Cristo è nascosta agli ignari nel
simbolo dell’Agnello, così la persona della Madre di Dio è nascosta
nel simbolo della radice di Jesse, la stirpe di Maria.

7. — La sicurezza della netta distinzione, che non vuol dire
separazione e tanto meno opposizione, fra potere civile (potere su-
premo per la salvezza temporale e legato al Creatore-Legislatore I
sul piano morale naturale) e potere della Chiesa una, santa, catto- |
lica e apostolica (legata a Dio sul piano soprannaturale), può stu-
pire solo se non si tiene conto delle tradizioni culturali benedet-
tine e della regione e dell’epoca in cui il monumento sorse, quanto
allo sviluppo della dottrina politica. Non si trattava di abbondanza |
di parole e di segni volta a nascondere confusione di idee (ció che i
spesso Si riduce a un vero analfabetismo politico ricorrente in ogni
tempo in cui prevalgono le passioni), ma di formulazioni precise,
insidiate dagli influssi della cultura saracena vestita in abiti splen- |
: didi, attraverso alla quale era giunto all'Europa risorgente partendo ME
| dal centro alessandrino (d’Egitto) il pensiero greco deformato, spe- ill l il

cialmente in questo punto, dal fanatismo orientale maomettano, RITI
più pericoloso della spada dell'Islam. L’insidia era vinta dalla ri- Y Il
scoperta della Politica di Aristotele, con la traduzione latina diretta ll
(dal testo greco) a opera dell'olandese Moerbeke, usata tuttora e hi
voluta proprio in quei tempi e in questa regione (a Orvieto) dal |
Papa su sollecitazione dell'Aquinate e di Alberto Magno. |

Non è il caso qui di fare una digressione nel campo della storia MEI
della dottrina. Ma va ricordato che Tommaso d'Aquino era morto LE
di recente, nel 1274, e che egli già nel Commento alle sentenze di E

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228 CONVEGNO DEL CENTENARIO

Pietro Lombardo, alla fine del secondo libro, aveva definito l'auto-
nomia dei due sommi poteri, seguito più tardi alla lettera (a parte
l’idea dell’imperatore assoluto e del Veltro) da Dante, al contrario
di quanto credono gli orecchianti (non escluso Papini) e come mi
accertò di persona uno dei maggiori dantisti e certo il migliore cono-
scitore della filosofia di Dante, il padre Busnelli S. J., commentatore
del Convito per l'edizione maggiore delle opere dell' Alighieri.

La salvezza eterna dipende dal fatto storico dell'intervento
soprannaturale della Redenzione ed è evocata nel monumento
facendo capo all’allineamento suddetto (Chiesa Romana, Battista).
La verifica di tale allineamento ci porta a scorrere velocemente,
dinanzi a tutte le figurazioni scultoree. Così ci si mostra la figurazione
della salvezza temporale, partendo dal versante meridionale del
monumento (tutto occupato sul piano della vasca marmorea su-
periore da un gruppo di statue disposte simmetricamente attorno
a quella di una matrona raffigurante Perugia), facendo capo a un
altro allineamento passante pure per il centro della sezione oriz-
zontale della vasca marmorea superiore; esso unisce la statua di
Perugia sedente in segno di primato temporale fra le figure simbo-
liche di Chiusi e del Trasimeno a sud-sud-est, con quella del leggen-
dario fondatore Euliste a nord-nord-ovest.

Tale allineamento (ad angolo retto col diametro che unisce la
figura di Roma caput mundi a quella del re Salomone) è spostato
di 15 gradi (su 360 del piano orizzontale) rispetto alla perpendicolare
all’allineamento Chiesa Romana - « Ecce Agnus Dei». Detto sposta-
mento sembra imitare per analogia lo spostamento di simmetria
fra il piano della zodiaco (i cui segni sono accuratamente scolpiti
nelle formelle della vasca marmorea inferiore con le rappresenta-
zioni dei mesi) e l'equatore celeste (cioè della sfera delle stelle in
movimento apparente giornaliero).

Il mezzogiorno del monumento nella vasca marmorea superiore,
con la vita civile di Perugia, rappresenta l’umanità redenta, se 2
copula fra il versante occidentale (figurante l’incontro di Pietro con
Roma) della vasca marmorea superiore e il versante meridionale
rappresentante la rifiorente vita di Perugia, è collocata la statua
dell’Apostolo delle genti, con la simbolica spada sguainata. Tale
rifioritura oltre che dalla cornucopia tra le mani della figura di Pe-
rugia sedente ma non incoronata, sembra espressa per allusione nei
sottostanti bassorilievi di gennaio, febbraio, marzo, aprile, maggio
della vasca inferiore. La nuova parola, l'Evangelo, comunicata da
CONVEGNO DEL CENTENARIO 229

Paolo, nutre (gennaio), pesca nuovi discepoli «vi farò pescatori
di uomini » (febbraio), pota le tendenze meno desiderabili (marzo),
porta a splendida fioritura (aprile) ; infine con la cavalleria espressa
in una elegante partita di caccia a cavallo porta la donna anzichè
a una parità scimmiesca contro natura, come ora da taluni si pre-
tende, a un’intima specifica dignità non inferiore a quella dell’uomo
(maggio).

L’allineamento orizzontale della base della statua di Perugia
‘coll’asse centrale della vasca, sboccando esattamente alla statua
di Euliste, ci porta al versante settentrionale del monumento, dove
l'origine di Perugia civile-politica si intreccia con la sequenza sto-
rica delle massime figure dell'antico testamento, la quale arriva
piegando dal versante settentrionale a quello orientale, alla statua
dell’« Ecce Agnus Dei». Tale sequenza segna i tempi anteriori alla
redenzione, non sotto l'aspetto della proclività al male della natura
decaduta e dell'alternarsi di vicende esteriori, come nei bassorilievi
del versante occidentale della vasca marmorea inferiore, ma nello
spirito di profezia e di sapienza, che matura l’aspettazione del Messia.

La sequenza storica delle personalità dell’antico testamento si
lega a quella di Euliste fondatore (« Perusin[a]e conditor urbis »)
attraverso a Melchisedec, il sacerdote non solo precristiano, ma pre-
levitico, il cui nome significa re di giustizia, il cui sangue è cananeo,
cioè non ebraico, la cui dignità entra nel Genesi (cap. XIV) per
offrire pane e vino, cioè le specie del nuovo rito cristiano, già 2000
anni circa prima di Cristo. Ogni fedele sente il nome di Melchisedec
nel salmo 109, il primo cantato nei vespri della domenica. Melchi-
sedec é richiamato anche nel capo XXII di S. Matteo, e a lungo
nell'Epistola agli Ebrei, nonché ogni giorno nel Canone della Messa
dopo la Consacrazione. Don Abbondio stesso non avrebbe escla-
mato imbattendosi nel suo nome: «chi era costui ?», come fece
invece per Carneade, lo scettico alessandrino.

Mentre il ciclo di personaggi biblici precristiani si compie nel
Battista e sbocca nell’Agnello Divino (il Cristo che ammonisce
«Regnum meum non est de hoc mundo »), per Euliste, che pur si
trova intrecciato nel ciclo dei personaggi biblici, si tratta del regno
di questo mondo, cioè della salvezza temporale o dello Stato come
oggi si dice. Il fondatore appunto col suo inserimento nei millenni
anteriori a Cristo e al sacerdozio giudaico non appare investito del
suo potere da altro potere che da quello divino, anteriore storica-
mente alle istituzioni mosaiche e cristiane. La statua di Euliste
230 CONVEGNO DEL CENTENARIO

TEE ha alla sua sinistra quella di Melchisedec, alla sua destra quella
TE dello « Angelus munitus nobilis » il debellatore degli angeli ribelli
| | a Dio; appresso a sinistra e a destra rispetto alla figura centrale
TTE, di Euliste, sono le raffigurazioni delle magistrature, fatte risalire
simbolicamente nella loro perennità alla fondazione della città, ma
impersonate dal Podestà e dal Capitano del Popolo in carica al )
JU | tempo del compimento della Fonte. |
EET Il gruppo della fondazione della città (dello Stato) e della con-
AU PEE tinuità dell'autorità civile é collocato non solo nel versante (setten-
| trionale) che raffigura i tempi anteriori alla Redenzione, ma, sempre
| T nel senso del corso giornaliero del cielo stellato (e delle lancette
TEE dell'orologio), subito appresso alla caduta dei progenitori, signi-
| ficando che, perduta la salvezza eterna, restava loro con la promessa
del Messia venturo, la possibilità immediata della salvezza tempo-
| rale, di cui lo Stato è supremo presidio secondo ragione.
fi Pare quindi significativa anche la collocazione del gruppo del
INIT fondatore Euliste al disopra delle faccie della vasca marmorea
Wi inferiore che simboleggiano con le arti liberali e la filosofia il dominio
AOI | | della ragione. Col reggimento dello Stato non si tratta solo del lume
| I di pura ragione, ma di sostegno della volontà chiamata ad agire
| secondo ragione per il bene comune, sostegno espresso col fiancheg-
ud HEEL giare Euliste col re di giustizia, adoratore in spirito del vero Dio e
| ii | | i col capo degli angeli fedeli; il bene comune appare cosi come un
|
|
|

ZH bene per partecipazione al Bene sommo e trascendente. La logica
"i degli atti umani legata al sommo Bene è la stessa legge morale scol-
HI pita nel cuore dell'uomo, insufficiente dopo la caduta di Adamo alla
il salvezza eterna, ma sufficiente come guida alla salvezza temporale
Jn attraverso le istituzioni civili.

dM È Seguendo costantemente la legge morale, si formano le virtù
|| nii morali o politiche, richieste (richieste non significa esistenti di fatto,
A ETE se si é detto «qua parva cum sapientia regitur mundus ») in grado
i | eminente in chi governa lo Stato. |

"il nn 8. — Per la salvezza eterna, alla quale l'« Agnus Dei » ha aperto
AU ELEIHHEE la strada da percorrere sotto la guida del «Pastor della Chiesa »,
| ann || occorrono altre virtù, non più acquisite con la ripetizione degli atti
WIPE virtuosi, come quelle morali politiche, ma infuse dall'alto, le virtü
n M B teologali. Le tre donne fuse in un solo blocco, in alto, sopra la vasca
e D IN | di bronzo (come l’acqua che scende dal recipiente di efflusso da
Hi I d esse sostenuto rappresenta i beni spirituali), rappresentano, nella

Ad concatenazione dei concetti dell’ideatore del monumento, le virtù
teologali, della cui natura e dei cui legami con le virtù morali trat-
tano i teologi (e il Vangelo stesso). A parte il diadema di cui una
delle donne pare coronata e che spetterebbe alla carità, vi è un
indizio costruttivo (o meglio figurativo) proprio di Giovanni Pisano,
che fa pensare alle virtù teologali, indizio su cui è stata attirata
la mia attenzione da una persona appassionata alla storia dell’arte
e specie a questa Fonte, sulla quale tale persona tempestivamente,
con energia e competenza, mediante una campagna di stampa in
un giornale quotidiano, ha richiamato l’attenzione del pubblico nel
1947 dopo il furto del viso di una statua, quando correvamo il peri-
colo che monumento così mirabile, sia per l’arte che per i vitali pen-
sieri con l'arte espressi, precipitasse in completa rovina (*).

Tale indizio fa ricordare che, come è naturale, l’esecutore dei
singoli lavori era bene a parte del piano generale espressivo diretto
da Bevignate.

Le tre donne hanno sei avambracci, uno per ciascuna, il destro,
piegato in basso appoggiato su un fianco, l’altro (il sinistro) alzato
a tenere una delle tre anse del recipiente d’efflusso al vertice, ma tre
sole braccia leggermente inclinate in basso, in modo di adattarsi
a piegare l'avambraccio sia di una figura in basso (destro) che del-
l’altra figura in alto (sinistro), in quanto il braccio destro di una
statua è anche il sinistro di quella appresso, a significare l’unione
stretta delle virtù tendenti a unificarsi (come si unificano nella
carità della Chiesa Trionfante secondo lo stesso Paolo). In proiezione
orizzontale le 3 braccia sono aperte con angolo di 120 gradi, cioè
dividono in 3 parti uguali i 360 gradi del piano orizzontale. In sezione
verticale ciascun braccio piega facendo gomito (in vario modo)
sia in basso che in alto, dando luogo a 2 avambracci, uno destro
puntato al fianco destro rispetto a una statua, uno sinistro (rispetto
alla statua dall’altra banda) piegato in alto a reggere a posto il re-
cipiente con l’acqua di efflusso, al vertice del monumento.

La tensione fisiologica propria a un braccio piegato a reggere
qualche cosa al disopra della spalla col gomito in aria (non appog-
giato) è elisa perchè nel gruppo tutte le braccia risultano appoggiate.

Circa 25 anni dopo, adunque, questo particolare delle braccia
in comune è ripetuto da Giovanni Pisano (con una disposizione
invece diversa dagli avambracci piegati orizzontalmente o obli-

|

| :

| CONVEGNO DEL CENTENARIO 231
|

|

|

|

al corpo verticalmente all’ingiù) nelle tre statue delle virtù teolo-

quamente davanti, aderenti al petto e con le braccia comuni aderenti :
232 CONVEGNO DEL CENTENARIO

gali, che stanno ritte intorno alla colonna centrale di sostegno dello
splendido pulpito del duomo di Pisa. Punto altrettanto notevole, |
le tre virtü di Pisa hanno quasi per sgabello (base della colonna da |
esse circondata) un prisma a otto faccie con le arti liberali e la filo-
sofia, in bassorilievo come nelle formelle a settentrione della Fonte |
di Bevignate. Quasi certamente su ispirazione di Giovanni Pisano, |
poco prima che a Pisa, le tre virtù teologali, in tutto simili a quelle

il di Pisa, nei simboli, nelle figure e negli atteggiamenti, ma piuttosto

dure di fattura per l’eccessiva compenetrazione delle tre persone,

non separate nella parte centrale del dorso da una colonna, si ritro-

vano nel sostegno dell’acquasantiera di San Giovanni Fuorcivitas |
di Pistoia.

La figurazione statuaria della «victoria magna », il leone inti-
morito per i colpi inferti al rampollo, la fanciulla o giovane serva
(puella) portante la testa mozza del cadavere dell'uomo barbuto
i e pareggiata a un re, sono argomenti per sé senza difficoltà nel com-
UNI plesso del messaggio scultoreo, per quanto su di essi siano corsi

Ii torrentelli d'inchiostro. Ma non é il caso di prolungarci in questa
I | ! sede né su di essi, né sulle brevi sequenze di personaggi dell'antico
Im testamento, né su varie allusioni del monumento, specie delle sette
B faccie raffiguranti i mesi da giugno a dicembre, né sulle figure di
i teste di bestie dei bocchettoni ai piedi delle statue (che rammentano
ii il «conculcabis leonem et draconem» e il «salutem ex inimicis
il vestris » dei salmi). Chi abbia una cultura anche mediocre, ma volta
HE all'essenziale, nel campo religioso e politico, puó spiegarsi facilmente
tali punti. |

Solo vorrei notare, perchè l’argomento è più legato al settore |
specifico dei miei studi, che l’influsso del Cristianesimo sulla costi-
tuzione sociale (all’infuori dell’esercizio del potere politico) è pre-
sente in tutti i dittici dei mesi. Il personaggio principale delle for- D.
melle, a sinistra di ciascun dittico, porta il nome del mese cui si |
riferisce e figura come capo o maestro, il personaggio secondario |
che lavora od opera insieme, scolpito nelle formelle a destra di cia- !
scun dittico, quando non é una figura femminile indicata come
«uxor» nella dicitura, è costantemente qualificato come «sotius »
(socio, collaboratore) (*) non mai come servo. Paolo Allard ha illu-
strato nella sua magistrale opera Les esclaves chrétiens tutto il lavoro
della Chiesa fin dai primi secoli dell'E.V., per combattere la schia-
vitü, evitando di precipitare i tempi nella modificazione delle isti-
tuzioni che facevano capo alla politica. |

SEITE Rin

—rehe 2 STIANO RE AGC Ve SEE, h PESTO RE a Ta AEN » s Apc Are Ei y =" Mes. ——
CONVEGNO DEL CENTENARIO 233

Rispetto alla fonte più famosa del mondo io mi sento nei panni
del passante, cui la pietra si rivolge con la sua apostrofe : « Aspice
qui transis ». Guardare veramente, prima di parlare, è compito anche
dello scienziato.

Quante volte, in trent'anni, in momenti difficili per la patria
e per il mondo, ho guardato secondo l'invito! Ho guardato sostando
nel recarmi a lezione per parlare non della salvezza eterna, non’ della
salvezza temporale, ma solo di un presupposto della salvezza tem-
porale, cioé dell'adattamento (in atto) del mondo fisico e di questa
«bella d'erbe famiglia e di animali » alle esigenze di vita dell'uomo,

.tale essendo l’oggetto delle scienze economiche da me in primo

luogo coltivate.

La mia é anche la dottrina, del resto, che insegna come l'uomo
obbedisce al comando divino di «dominare la terra», che risuona
nella prima pagina del Genesi (I, 28). Tale dottrina interessa quella
della salvezza eterna perché il suo oggetto é principale campo di
esperimento dell’« antico avversaro », che assume le vesti di « mam-
mona ». E quanto alla dottrina della salvezza temporale, Aristotele
ha mostrato come l'economia da serva qual'é (e in questo senso
Cavour la definiva «scienza dell'amor di patria »), diventi padrona
degenerando dalla ctetica che é scienza dell'uso dei beni, a teoria
dell'ossessionante tendenza allarricchimento indefinito, o crema-
tistica.

La Fonte ha mantenuto a me e spero mantenga a molti la sua
promessa di lasciar vedere cose mirabili, cose gioconde e viventi
(ben altrimenti delle voci mascheranti una «fides mortua »), se è
atta a far meditare la buona novella della patria celeste nel suo
intreccio con la patria terrestre, in pochi punti espressi con tanta
geniale sobrietà dall'ideatore delle sequenze, e con tanto rilievo da
sommi scultori, che hanno preceduto il pennello di Giotto e la parola
di Dante, il grande padre della lingua nostra.

*
* >

Fin dal 1934 quando iniziai il corso di storia delle dottrine eco-
nomiche presso l'Università degli studi di Perugia notai il signi-
ficato del fatto che al piano terra del Palazzo dei Priori, cioè del
palazzo dello stato comunale perugino, sono collocate le sedi monu-
mentali delle 2 Arti (« universitates ») fondamentali, il Cambio (dalla
metà circa del Quattrocento) e la Mercanzia (all’incirca dalla fine

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234 CONVEGNO DEL CENTENARIO

del Trecento). Nei tempi in cui il Perugino ornava di affreschi la
sede dell'Arte del Cambio, fra Luca Paciolo (1445-1517) che,
per invito dei magistrati, dietro suggerimento dei mercanti di Pe-
rugia, nella seconda metà del Quattrocento aveva insegnato mate-
matica applicata agli affari presso l'Università, scriveva (Summa,
dist. IX, trac. IV)... «tolto el Cambio seria destrutto el fondamento
tutto de lo edificio mercantesco : senza el quale non è possibile le
ripubbliche mantenere e la vita umana sostentare». Il simbolo
della incorporazione architettonica delle arti principali nel Palazzo
della Cosa Pubblica perugina sembra illustrato pienamente da quelle
parole del grande matematico.

Sulle premesse materiali ed economiche della salvezza temporale
e sui rapporti sociali-politici della vita civile quotidiana aleggiava
una sicura concezione morale. Tale concezione si andava affievo-
lendo già ai tempi del Perugino, che pur affrescava, con la colla-
borazione dei suoi aiuti e seguito da un allievo, con personificazioni
ed esempi di virtù teologali e cardinali e con gli episodi della vita del
Precursore la sede dell'Arte del Cambio con l'annessa cappella
di San Giovanni Battista, sui dettami non piü di religiosi, ma del-
l'umanista Maturanzio.

Nei tre secoli anteriori (5) «...1 criteri di giudizio per la con-
dotta morale nei rapporti sociali politici erano cosi diffusi e dif-
fusivi, nei fermenti della vita rifiorente in una concezione cristiana,
che la loro luce si rifletteva perfino sulle pietre, mentre i criteri
stessi restavano impliciti nelle trattazioni.

«A Perugia sullo stipite sinistro del portone principale del pa-
lazzo dei priori sotto a un bassorilievo centrale rappresentante la
fede, si ammira un bassorilievo con la didascalia « humilitas » ;
al disopra tiene la fede sotto i piedi con la didascalia allegrezza (ine-
splicabilmente letta come avarizia nelle guide locali per piü di sei
secoli) una ambigua figura saltellante con l'espressione mescolata
della vanagloria e della pusillanimità. Sullo stipite destro, mediante
un chiasmo, l'umiltà é trasformata con l'assunzione del potere in
magnanimità con la figura della prosperità ai suoi piedi, mentre
la vanagloria pusillanime assumendo il potere é trasformata nella
superbia sotto al bassorilievo della prosperità. Per molti secoli
quelle pietre, che parlavano al popolo quando era diffusa la coscienza
del bene e del male sul piano pubblico, a giudicare dalle pubblica-
zioni, sono restate poi mute peggio di una sfinge.

«Ancor piü evidente, poco lontano, di fronte, nella attigua
CONVEGNO DEL CENTENARIO 235

piazza del Sopramuro, nella lunetta dell’altro monumentale portone
del palazzo del Capitano del Popolo, una bellissima figura matro-
nale, che fissa gli occhi al cielo e impugna come la predetta magna-
nimità una spada con la punta appoggiata alla spalla, rappresenta
la giustizia sociale, esplicitamente perchè sulla base (*) è scolpita
la dicitura «Domina virtutum ».

«A seguito del palazzo del Capitano del Popolo (o della giusti-
zia sociale) è il palazzo quattrocentesco della Sapienza, l'antica
Università, La luce di ogni finestra del lungo edificio è divisa in
quattro parti da un pilastro e da una traversa di pietra disposte
a croce. Sull’architrave di ciascuna finestra è scolpita la dicitura
di una delle opere di misericordia, a significare che la sapienza nella
sua luce trova il fondamento del bene comune rappresentato dalla
giustizia sociale, nella carità, concretata nelle opere di misericordia,
in modo che le opere della pace si trasformano con la sapienza nelle
opere di Dio.

«Le iscrizioni sugli architravi delle finestre del Palazzo della
Sapienza dove ebbe sede per volontà di Sisto IV dal 1483 l'Univer-
sità, che vi rimase fino al 1811 sono specchio della dottrina di 5.
Tommaso. Nella parete con prospetto sulla via conducente alla
chiesa di S. Ercolano l'architrave sopra la finestra porta scritto
« Et sitiunt iustitiam », seconda parte della quarta beatitudine la
cui prima parte si legge sulla contigua finestra prospiciente la piazza ;
segue verso sinistra la quinta beatitudine. Sono le due beatitudini
(Matth., V, 6, 7) corrispondenti secondo la IIa II?e dell'Aquinate
(Quae. 121, in corp.) al dono di pietà, che a sua volta corrisponde
alla giustizia (ibidem, proemio) e (ibidem, art. 1, in corp.) secundum
quam cultum et officium exhibemus Deo ut Patri, per instinctum
Spiritus Sancti». Sulle restanti finestre é indicato l'oggetto delle
operazioni della quinta beatitudine (Matth., XXV, 35, 36) e l’iden-
tificazione con Cristo di coloro che ricevono il soccorso (Matth. XXV,
40) abbreviata « Dixit Jesus: quamdiu fecistis uni ex his minimis,
mihi fecistis ». Sono circa 35 metri di iscrizioni, di cui pare che da
secoli nessuno si sia mai accorto ».

Riporto qui, come non feci nel saggio su S. Antonino, nel quale
ho indicato peró le fonti esatte, le parole scolpite : « Domus mise-
ricordiae esurivi et dedistis mihi manducare sitivi et dedistis mihi
bibere hospes eram et collegistis me nudus eram et cohoperuistis
me infirmus eram et visitastis me in carcere eram et venistis ad me
quamdiu fecistis uni ex his minimis mihi fecistis beati misericordes

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236 CONVEGNO DEL CENTENARIO

quoniam ipsi misericordiam consequentur beati qui esuriunt et
sitiunt iustitiam ». Qui la facciata del palazzo finisce verso oriente
sullo sfondo del cielo di Assisi e non vi é luogo per l'indicazione del
premio «et ipsi saturabuntur». Sembra trattarsi dell'ispirazione
morale (misericordia e sete di giustizia) che segnó il sorgere delle
Facoltà dei medici e dei giuristi.

Così un unico filo religioso e morale congiunge l'affermazione
della socialità dei dittici della Fonte, le Universitates campsorum
et mercatorum del palazzo dei Priori, che nel suo portale esalta l'umiltà
e la magnaminità, l’affermazione della giustizia sociale nel palazzo
del Capitano del popolo e la Universitas studiorum nel palazzo della
Sapienza, dove sono riprodotte le parole che Cristo stesso annunziò
come materia d’esame al giudizio universale.

Il patto, conosciuto col nome di pietra di giustizia, fra ottimati
e popolo, a garanzia contro le vessazioni fiscali, scolpito sul marmo
e fissato su un telaio di metallo infisso nel muro in piazza, anzichè
affidato ai quaderni e agli archivi, tuttora visibile, sebbene univer-
salmente dimenticato nella sua portata politico-sociale, sotto 1a
loggia di Braccio, sul fianco meridionale del Duomo, precede nel
tempo la Fonte Maggiore.

Sebbene non si tratti di un simbolo, ma di un accordo (libero
quindi) di volontà per il bene comune, è un simbolo il fatto che esso,
come la legge di Mosè o le dodici tavole, venne scolpito, fu reso mas-
simamente pubblico. con la collocazione nella piazza, redatto in
poche parole comprensibili a tutti (allora) e lontano dalla selva di
leggi contraddittorie non di rado, indecifrabili spesso e inconosci-
bili alla massa dei cittadini, che sarebbe il fondamento delle moderne
garanzie per il popolo.

Nella successione cronologica il patto di giustizia è della prima
metà del secolo XIII, la Fonte maggiore della seconda metà dello
stesso secolo, il portale del palazzo dei priori della prima metà del
secolo XIV, i palazzi del Capitano del Popolo e della Sapienza della
seconda metà del secolo XV. Per avere una idea dell’atmosfera
della vita civile europea di questo periodo si può leggere il mio
articolo Come nacque e morì la corporazione cittadina, in Rivista
di storia del pensiero economico (dicembre 1935).

Tale lavoro scritto contro la faciloneria prevalente di chi par-
lava di corporazioni nel 1935, mentre proprio allora riprendeva
anche in Italia il deragliamento dai binari della moralità economica,
specialmente col cattivo governo monetario (che confonde tuttora
CONVEGNO DEL CENTENARIO 237

il mondo economico italiano ed estero) non potrebbe essere compreso
nel suo intento polemico di allora senza un richiamo di elementi
di giudizio ora facilmente dimenticati, ma non ha bisogno oggi di
aggiornamenti essenziali nella parte prevalente che qui interessa,
cioè quella storica con le valutazioni sul Duecento e sul tentativo
di riaffermazione della città comunale e della morale economica e
pubblica nel Quattrocento. A uno degli esponenti italiani maggiori
di questa reviviscenza quattrocentesca, il popolo di Perugia del
Quattrocento ha eretto un monumento imperituro per la sua espres-
sione di armonia con la facciata della chiesa di San Bernardino da
Siena, vivificata dallo scalpello di Duccio.

NOTE

(1) Ho esposto nella « Presentazione » del mio volume La distribuzione dei
redditi familiari (Roma, Ed. Studium, 1959) le ragioni per cui i combat-
tenti delle forze armate italiane caduti nella guerra 1915-1918 vanno compu-
tati circa 800.000 non già 600.000 come si continua a ripetere senza cognizione
di causa. Nelle cifre non vi è altra ufficialità che quella della verità, come fu
riconosciuto anche al Congresso internazionale di Statistica, tenuto a Roma
nel 1953.

(2) Vedi il vol. 32° dei 39 volumi delle Opera Omnia di RusKin, edizione
per le biblioteche.

(3) Leggi severissime ed osservate regolavano in tutti i particolari l’uso
della Fonte. Al contrario di oggi i sommi magistrati del Trecento, che non
facevano osservare la legge, venivano puniti alla scadenza dalla carica, con
pene, quintuple rispetto a quelle stabilite per i semplici cittadini. Vedi
MARIA ANNA NiNA PaccHIONI, La Fonte di fra Bevignate, nel giornale La
Nazione, ed. di Perugia, 26 settembre 1947.

(4) Le faccie sono tutte concave verso l’esterno.

(5) Il viso della statua della Chiesa Romana già staccato e imperniato
con un ferro fu rubato nell’estate 1947 quando la folla invadeva le vasche
asciutte del monumento per assistere ai comizi. Poichè allora esaminavo
quotidianamente il monumento fui io stesso il primo ad accorgermene e a
denunciare il furto alla Pubblica Sicurezza, al Comune e alla Stampa (al
conte Spetia junior de La Nazione). Per dare un’idea dell’arte dei Pisani
(anzi in ispecie di Giovanni Pisano) in questo monumento, il Toesca ripro-
duce tale statua (naturalmente prima del furto) e il gruppo bronzeo. La
fotografia perfetta dell'immagine originale della Chiesa Romana con ai lati
S. Pietro e Roma caput mundi si trova al n. 21439 delle edizioni Alinari,
formato 18 X 25 cm.
298: .CONVEGNO DEL CENTENARIO

(6) Vedi gli articoli di N. PAccHIONI nel giornale La Nazione di Firenze,
ediz. di Perugia in 23 pagina, il primo dal titolo Monumenti di civiltà e segni
di barbarie dell'11 luglio 1947, gli altri del 26 settembre 1947, 18 dicembre
1947, 18 maggio 1948, 24 giugno 1948.

(7) Eccetto che nella cornice del dittico del « giugno », forse rifatta,
priva di dicitura sopra la formella destra.

(8) Riporto in questa nota quanto scrissi nel mio saggio La dottrina di
Sant'Antonino di Firenze (Ediz. Studium, Roma, 1960) a pp. 40-43, a
proposito dei messaggi perenni di vari monumenti perugini. Nel precedente
testo della presente memoria ho illustrato sommariamente il messaggio della
Fonte, il quale é la matrice di quelli degli altri monumenti perugini, qui
richiamati.

(9) Per errore di memoria locale nel saggio citato La dottrina di S. An-
tonino di Firenze è detto «sull'aureola » anziché «sulla base». Sul concetto
di giustizia sociale si può vedere la mia Teoria della moneta come potere di
acquisto, III Ediz., Roma, Studium, 1961, pp. 46-49.

ERMINI : Grazie tante, caro Crosara, di questa originalissima co-
municazione che comprenderemo meglio quando sarà pubblicata, data la
sua complessità.

La tornata mattutina viene chiusa per consentire ai parteci-
panti al Convegno di recarsi al Palazzo dei Priori, dove sono stati
ricevuti dall’ Assessore alla Pubblica Istruzione rag. Cotani, che a
nome dell’Amministrazione Comunale ha offerto un rinfresco agli
ospiti.

13 ottobre, ore 17,30

CeccHINI : Comunico altre adesioni che sono giunte nel frattempo.
La prima non è un’adesione ma è una comunicazione che ci rammarica
molto ; è del prof. Rodolico, che per ragioni di salute non è potuto venire, e
delega il prof. Camerani a sostituirlo. Quindi il prof. Camerani rappre-
senta in toto la Deputazione Toscana di Storia Patria. Poi c'è il tele-
gramma del prof. Raffaele Ciasca, che invia l'adesione, formulando
auguri, a nome dell’ Istituto per la Storia Moderna e Contemporanea.
L'Accademia Lunigianese nella celebrazione delle Deputazioni formula
voti. Il prof. G. B. Piccotti è delegato a rappresentare la Società Storica
Pisana. Prego il prof. Camerani di voler assumere la presidenza.
CONVEGNO DEL CENTENARIO 239

CAMERANI: Mentre ringrazio il prof. Cecchini di avermi dato
l'onore di assumere qui la presidenza, che assumo semplicemente in
qualità di sostituto del prof. Rodolico, desidero anche portare il saluto MERONI =
e il ringraziamento della Deputazione Toscana alla Deputazione Umbra la ih) i
e a tutte le autorità di Perugia. Oggi, durante il pranzo, sono stato discre- TELIDI-
tamente sollecitato da qualcuno a prendere la parola per dire «grazie »;
sarà perché io non sono molto conformista, sarà perché non me la sen-
tivo di fronte a quelle buone pietanze, il fatto è che a me è sempre sem- I
brato poco simpatico, anche se è tradizionale, che, proprio mentre si sta "II
tranquillamente a tavola, ci si alzi a parlare, e inoltre è pericoloso per TH
l'oratore, perchè l'oratore si piglia un sacco di antipatie da tutti i pre- il
senti, che hanno voglia di stare tranquilli. Appunto per questo, io non il
ho parlato in quel momento, ma adesso lo faccio molto volentieri e mi
spiace molto che sia solo la mia modesta parola a portare qui il ringrazia- È
| mento della Deputazione Toscana per tutto ciò che i colleghi dell’ Umbria |
| e le autorità perugine hanno fatto in questa occasione; dico, spiace a |
| me di dover fare questo, perché il prof. Rodolico l'avrebbe fatto molto |
|

più autorevolmente di me. In ogni modo, se questo ringraziamento viene ie
da una persona modesta come me, tuttavia non é meno caldo né meno | ü

affettuoso per tutti quanti. Ora riprendiamo i lavori, e cominciamo con
la comunicazione del prof. Ignazio Baldelli: Codici toscani nell' Archi-
vio delle Confraternite dei Disciplinati di Perugia. Pregherei tutti |
quanti di essere piuttosto rapidi e brevi, perché questa sera se ne de-. c
vono fare cinque, se non sbaglio, di comunicazioni, anzi sei. |

CODICI TOSCANI NELL'ARCHIVIO DELLE CONFRATERNITE
DEI DISCIPLINATI PERUGINI

La diffusione del toscano è stata sempre riportata dagli studiosi {Uil
all’eccellenza delle opere dei tre grandi trecentisti, particolarmente AIME
di Dante e del Petrarca ; per cui, almeno durante tutto il Trecento, |
«i testi in prosa sono molto più arretrati di quelli in versi per ció - 4t MI
che concerne l'accoglimento di una norma comune fondata sul | M |
toscano » (1). BI:

Questo vale, in linea di massima, anche per Perugia : qui, negli |
stessi anni della prima metà del Trecento, si è affermata una prosa
amministrativa e pratica, che culmina negli Statuti del 1342, in cui
(C300 pre

a dada

pri asta anicrria dee

e ————— M—MÉÓ—

240 CONVEGNO DEL CENTENARIO

la fonetica e la morfologia sono abbastanza compatte, con una com-
pleta assunzione del perugino, mentre il lessico e la sintassi debbono
rispondere alle esigenze di definizione legale e riflettono quindi un
andamento da testo giuridico latino. La stessa dominante presenza
del perugino, questa volta anche nel lessico, é rilevabile pure nella
lingua dell'unica prosa letteraria perugina di questo periodo, il
Romanzo di Corciano e Perugia. Dall'altra parte, sempre nella prima
metà del Trecento, nei poeti perugini del codice Barberino Latino
4036, la pressione del toscano é fortissima, dato che l'imitazione dei
poeti toscani é qui talora cercata e intenzionale ; anche se, come in
altra sede ho cercato di dimostrare (?), appaia una certa cosciente
apertura verso il volgare perugino, che viene ad essere talora esposto
in rima, cioè nella parte più stilisticamente tesa. Anche a Perugia
è quindi rilevabile il paradigma di una prosa linguisticamente più
chiusa, più compattamente locale, e dall’altra parte di una lirica
che già sicuramente tende a plasmarsi secondo i moduli linguistici
toscano letterari.

Ma, fra le condizioni linguistiche della prosa e della poesia
lirica, nella prima metà del Trecento, ci furono delle situazioni, per
così dire, intermedie, in cui l’influenza del toscano fu abbastanza
efficace, senza necessariamente passare attraverso i testi di Dante
e del Petrarca, e naturalmente senza poi raggiungere la sùbita in-
tensità che si ebbe appunto nella lirica. Ciò si determinò in zone
di cultura essenzialmente religiosa, ma religiosa popolare, assai
lontane evidentemente dal Petrarca, come, per ragioni diverse ma
altrettanto determinanti, da Dante, verso la cui opera avranno
certo pesato, negli ambienti a cui ci riferiamo, le condanne che cul-
minarono in quella del Capitolo Provinciale dei Domenicani tenuto
in Santa Maria Novella di Firenze l'8 settembre 1335, che colpiva
non solo le opere latine, ma anche « libellos per illum qui Dante nomi-
natur in vulgari compositos ».

Così nel Laudario perugino, in cui non si colgono echi danteschi,
e tanto meno petrarcheschi, sono evidentemente presenti forme fio-
rentine. L’ipotesi più semplice a spiegare le quali è che si tratti di
sovrapposizioni di copisti posteriori (il codice più antico che ci tra-
manda il laudario è probabilmente di subito dopo la metà del Tre-
cento), che avevano sentito in qualche misura l’influenza dei grandi
trecentisti : « nel 1379, a Perugia, l’opera dantesca è presa addirittura
con valore antonomastico : «livero de Dante o simiglie » è un arti-
colo della gabella di quell’anno » (*). D'altra parte, per decidere del-
CONVEGNO DEL CENTENARIO 241

l'incidenza dei copisti sulla lingua originaria in testi mediocri di tal
genere, non abbiamo molto : nemmeno l’esame delle rime può dare
risultati abbastanza sicuri, perchè qui la rima imperfetta è addirit-
tura quasi normale, per cui trovare in rima terze persone plurali
di tipi fiorentino anno e vanno con quelle di tipo perugino ònno e
vonno, non è rilevante per la definizione della forma linguistica ori-
ginaria. Ma v'é almeno un caso in cui l’alternanza forma perugina
forma toscana non può essere che degli estensori delle laudi, perchè
garantita dalla misura del verso.

Di solito le terminazioni -aie, -eie, -oie e simili () contano per
una sola sillaba, sia nel caso di -e epitetica, sia di vocalizzazione di
1 palatizzata nei plurali maschili (esemplifico dalle laudi pasquali
perché, in endecasillabi e settenari, relativamente piü rigorose nella
misura; e aggiungeró dalle passionali, in ottonari-novenari, casi in
cui Si salirebbe a dieci o si scenderebbe a sette, ove non si seguisse
l'alternanza nel senso che si indica (3) :

ché per noie tornen puoie che l'hon trovato 78, 76 (end.)
la possedete voi cogli agnoi belli (5, 12) (end.)

e de taie donamenta già non prese (12, 28) (end.)

agli agnoie suoie ha comandato 108, 29 (ott.)

descepoie mieie non ve turbate 129, 31 (ott.)

ei maie pensiere e gli omicidia 146, 44 (ott.)

Ma possono contare anche per due sillabe :

gli agnoglie von cantando tuttavia (2, 32) (end.)
che costuie ceco fosse 72, 66 (ott.)
puoie che me suscitaste 85, 25 (ott.)

A realizzare anche graficamente questa doppia possibilità, gli
autori del laudario perugino ricorrono talora alla forma toscana (io)
voglio, servendosi invece di solito della forma perugina (io) voie,
quando sia necessaria una sola sillaba :

ed en Damasco a Saulo voi che vade 293, 94. (end.)
ché voie venire ad esso 79, 105 (sett.)

che voie mia sinagoga fare 117,2 (ott.)

con voie non voie piü ragionare 202, 29 (ott.)

ch'el padre voie gire ad orare 202, 30 (ott.)

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244 CONVEGNO DEL CENTENARIO

alcuno non pensasse ch'elli ») di La prima deca di Tito Livio, volgarizzamento
del buon secolo per cura del Prof. C. Dalmazzo, Torino, 1845-46.
(9) Due grandi carte (mm. 225 x 295), a due colonne, con le rubriche
e le iniziali in rosso, presentemente collocate D. i. 1, che servivano da guardie
| del volume di contabilità della Confraternita del Crocifisso, più tardi annessa
| a quella di S. Agostino, A. VI. 509. Il testo delle due carte corrisponde ai
| capitoli 153-168 (da «uscire o onde ella à uscita» a «al giudicamento - de
E RNA dio s’elli doveano venir alla ») di Libro di Sidrach, a cura di A. Bartoli, Bo-
| | logna, 1868. i
(10) Sugli intenti e sul tono del Laudario perugino, vedi I. BALDELLI,
La lauda e i Disciplinati, in La : Rassegna della letteratura italiana, LXIV.
1960, pp. 396-417 (anche in Il Movimento dei disciplinati cit., pp. 338-67),
EDO (11) Si rimanda soprattutto alle analisi di simili volgarizzamenti esperite
| lid da C. SEGRE: Volgarizzamenti del Due e Trecento, a cura di C. Segre, Torino,
[dl | 1953 ; C. SEGRE, Jean de Meun e Bono Giamboni traduttori di Vegezio (Saggio
1| | sui volgarizzamenti in Francia e in Italia), in Atti Acc. Scienze Torino,
i I1 | | LXXXVII, 1852-53, II, pp. 119-53 ; La prosa del Duecento, a cura di C. Segre
li e M. Marti, Milano-Napoli, 1959.

BI E CAMERANI: Jo ringrazio vivamente il prof. Baldelli per la sua
AL EE interessantissima comunicazione sulla quale vorrei che qualche linguista

| E : potesse effettivamente portare una parola competente, che io non posso
| portare. Do la parola al prof. Crispino Ferri.

BB ALCUNI ASPETTI DEI RAPPORTI
RES | TRA ORVIETO E LA TOSCANA NEI SECOLI XVI E XVII

Nel centenario della Deputazione di Storia Patria Toscana,
| | alla quale fino al 1896 rimasero aggregati gli studiosi Umbri, é dove-
I roso esprimere a questo secolare sodalizio la riconoscenza di quanti
ii orvietani attendono alla valorizzazione delle patrie memorie.

(E E Nel 1884, a cura della Deputazione di Storia Patria della Toscana,
I | E Umbria e Marche, per i tipi del Vieusseux, usci il Codice Diploma-
Il | lico della città di Orvieto, compilato dallo storico Luigi Fumi (1).

L'opera, recentemente definita «La Bibbia della Storia Orvie-

tana», é stata quindi ed é guida preziosa per quanti si sono rivolti
CONVEGNO DEL CENTENARIO

e si rivolgono alla storia di Orvieto e ad essa continuano a far rife-
rimento tutte le pubblicazioni sulla nostra vita ‘comunale (2).

La nobile Toscana dette cosi l'avvio sostanzioso allo studio delle
memorie d’una città, la quale nei secoli, per l’arte, la letteratura,
le vicende politiche e le tradizioni religiose, ha sempre presentato
con questa troppe affinità da essere considerata sua parte integrante.
Nel 1884 si iniziò tra studiosi toscani ed orvietani quella collabora-
zione proficua per gli studi e per le ricerche, e se eminenti perso-
nalità della cultura di Firenze, Arezzo, Siena, Lucca e Pisa vi contri-
buirono nell’ambito dell’Accademia La nuova Fenice, non bisogna
dimenticare quali attenzioni ebbero i figli di Orvieto per questa terra,
culla dei maggiori esponenti del genio italico (*).

E stata ricordata da altri l'opera di Luigi Fumi nell'Archivio di
Stato di Lucca ed i suoi studi su argomenti di detta città e su Siena
nella quale dimoró a lungo negli ultimi anni della sua vita (5:

Domenico Tordi, uno dei primi soci della Deputazione di Storia
Patria per l'Umbria e poi membro dirigente di alcuni importanti
sodalizi culturali fiorentini, fu instancabile studioso di storia toscana,
ed il suo amore a questa terra lo dimostró alla sua morte, avvenuta
nel 1933, lasciando a Firenze interessanti raccolte librarie e di stampe,
e a Certaldo molte pubblicazioni riguardanti il Boccaccio (5)

Nel sec. XIV, per opera sopratutto dell’Albornoz, venne deli-
neandosi quella suddivisione di piccoli stati durata poi fino al 1860
e fu allora che Orvieto perdette l'autonomia comunale.

L'antico comune medioevale ebbe nelle istituzioni e nei sistemi
di vita civile ed economica, nelle tradizioni religiose le medesime
caratteristiche dei grandi Comuni toscani, Arezzo, Firenze e Siena,

la quale fu acerrima rivale nelle mire espansionistiche verso la Ma-

remma e verso le coste tirreniche (*).

Con l’incorporazione nello Stato pontificio non vi fu per Orvieto
l'autonomia politica che alcuni studiosi hanno voluto intravedere,
ma quella dipendenza che non poteva essere troppo rimarcata
per essere parte di uno stato non completamente accentratore.
Si spense nei secoli la libertà di uno dei piü illustri comuni che
conobbe le tempestose lotte e le sfolgoranti vittorie, le bellezze
dell'arte e la sapienza dei maestri insigni, l'espansione economica
per il fiorire dei commerci e dell’artigianato e il senso dell’equità e
della giustizia nella vitalità delle istituzioni giuridiche ed ammini-
strative (*). Orvieto portò quindi nella nuova struttura statale
l'orgoglio del fiero Comune medioevale toscano e per alcuni secoli

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246 CONVEGNO DEL CENTENARIO

mantenne chiaramente le caratteristiche di quella che era stata una
organizzazione locale nel campo civile ed in quello religioso. Come
nell’età medioevale seppe circoscrivere nei giusti limiti l'influenza
imperiale o pontificia, così in seguito con evidenti dimostrazioni
giuridiche seppe far rispettare tutti quei diritti, indistruttibile
patrimonio della libertà antica, costituito a volte per intervento
morale ed economico di tutti i cittadini (*).

Bagliori di libertà furono peró dei fuochi fatui, mentre si accen-
tuarono nei secoli i segni della decadenza. Orvieto, la cui economia
entró nel raggio di azione della comunità statale, si trovó ad essere
lontana dalle dirette vie di comunicazione, fiaccata da epidemie e
da guerriglie con relative invasioni di eserciti e distruzioni *71*),
La guerra di Castro, che nel sec. XVII divampò nel centro dell’an-
tica zona di influenza orvietana e che avrebbe ben potuto forse
segnare una ripresa nel campo economico, fu prova della fedeltà
assoluta al potere pontificio, essendosi così espresso il Consiglio Comu-
nale «.....dovendosi fin qui gloriare che le nostre operazioni
siano derivate da una lodevole eredità, e da sincera e devota inten-
tione verso la Santa Sede Apostolica » (1°). La città fedele alle diret-
tive del governo centrale per contrastare la marcia del duca di Parma,
si limitò a delle rimostranze per i danni subiti ed in parte non voluti
dalle superiori autorità, come risulta dal seguente passo delle deci-
sioni consiliari «...se si proverà essersi cooperato non si stima
danno ma acquisto notabile, come di tutti li cittadini si faccia a
somma gloria potere con lo spargimento del proprio sangue con-
fermare l’antica devotione verso la Santa Sede Apostolica, ma se si
troverà il contrario e che questo taglio, o in tutto, o in parte sia
stato eseguito contro la mente della Santità Sua e che non sia stato
necessario al buon servitio della Santa Sede, la città tutta si pro-
testa di tutti li danni, spese et interessi patiti e da patirsi contro
chi haverà trasgredito li ordini dei Signori Superiori domandando
intanto che si venga alla stima dei detti danni... » (18-20),

È ora evidente che, sotto certi aspetti, pur nella nuova situazione
politica, l’impronta toscana rimase sempre nella vita cittadina e
furono rimarcate quelle note di gentilezza e di nobiltà proprie di
quella regione, culla dell’arte e della letteratura, ravvivate dai vicen-
devoli trasferimenti di famiglie o causate soprattutto da ragioni
commerciali o per l’esercizio di cariche pubbliche.

Se, a somiglianza dei grandi Comuni medioevali dell’Italia cen-
trale, in Orvieto il culto dell’Assunta fu al centro della tradizione
CONVEGNO DEL CENTENARIO 247

religiosa, non bisogna dimenticare che i sodalizi di carità e di culto
si uniformarono a quelli degli altri centri.

Nella seconda metà del secolo XIII iniziò il suo apostolato nella
città l'Ordine, sorto in Toscana, dei Servi di Maria, mentre il papa
Niccolò IV nel 1288 accordò all'Ospedale di S. Maria della Stella
la Regola di S. Giacomo d'Altopascio nella Diocesi di Lucca (21).
Il periodo aureo dell'età comunale vide nella vigilia dell'Assunta i
rappresentanti delle comunità soggette a Orvieto presentare ai magi-
strati, sulla scalea della chiesa di S. Andrea, gli annuali censi ed
offerte. Agli albori del sec. XVI tale tradizione venne riconosciuta
dall’autorità pontificia e, tra le comunità legate in Orvieto da tale
rapporto, vi furono alcune della Toscana quali Abbadia S. Salva-
tore, Chiusi, Chianciano, Orbetello, Pian Castagnaio, Pitigliano,
Sorano, Sartiano unitamente agli « Heredes Tancredi Domini de
Ansedonia » (??).

Ma è ovvio che nel campo dell’arte, nei secoli XVI e XVII, si
continuò l’unione di Orvieto alla Toscana. Il Duomo fu il centro
propulsore di ogni attività artistica e artigianale che, per tale ra-
gione, sì sviluppò con una impronta particolare e, con proprie carat-
teristiche, si mantenne poi nel tempo. Vicino al Signorelli ed ai suoi
allievi, al Circignani, al Montelupo, al Sangallo e altri pittori e scul-
tori, vanno aggiunti i numerosi e modesti artigiani che dai centri
maggiori della Toscana si trasferirono nella nostra città al seguito
degli illustri maestri o favoriti dagli stessi reggitori del Comune.

L’arte della seta, per la quale già dal sec. XVI si supplicò il
Consiglio Comunale per una più larga diffusione, veniva riorganiz-
zata nel sec. XVII con nuovi ordinamenti anche per l’intervento
di maestri toscani. Se nel 1557 i membri dell’Università dell’ Arte
della seta in una supplica al Consiglio Comunale esposero la situa-
zione della loro arte dicendo tra l’altro che « per molti anni che si
principiò dicta arte anchorchè si sia augmentata assaj da certo tempo
in qua non per questo si è venuto, nè anco si può venire in augmento
notabile e questo si è per la carità di manifactori e maestri di dicta
arte e per essere noi desiderosi che tanto notabile exercitio non vadi
a terra, havemo ogni diligenza at mo'possibile cercato di havere
in questa magnifica città quello ch'é più d’importanza » (2-25).

Non bisogna dimenticare che furono nei secoli i maestri della
vicina regione di Arezzo, Firenze, Lucca e Siena a dare nuova linfa
alle attività cittadine.

Chiamati dai magistrati per arricchire e completare la Cattedrale,

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248 CONVEGNO DEL CENTENARIO

i sommi artisti, con i loro allievi, quasi sempre dettero la loro opera
in edifici privati di proprietà di famiglie toscane quali i Benincasa,
i Duranti, i Medici, i Petrucci, i Piccolomini e i Ridolfi (15-39),

I secoli XVI e XVII furono quindi periodi di decadenza per la
vita civile ed economica della città, nei quali non vennero meno le
attività artistiche ravvivate da una secolare tradizione di collabo-
razione con i centri vicini. Non bisogna dimenticare che quello fu
il tempo nel quale l'orvietano Ippolito Scalza dette la sua opera
nella Cattedrale di Montepulciano, mentre alcuni concittadini, per-
fezionatisi nelle arti minori, si trasferirono nella regione finitima (2°).

Se fossero stati conservati gli archivi delle confraternite, eredi
delle antiche corporazioni delle arti, oggi certamente completa
potrebbe essere la conoscenza del contributo dato dalla Toscana
ad Orvieto, anche quando tra queste fu eretta la barriera della divi-
sione politica. Questo incontro di studiosi delle due regioni, promosso
per una celebrazione cosi importante e significativa, sia auspicio
per una maggiore collaborazione negli studi e nelle ricerche nell'in-
teresse della cultura e per la valorizzazione del patrimonio spirituale.

NOTE

(1) Codice Diplomatico della città di Orvieto. Documenti e Regesti dal
Secolo XI al XV e Ia Carta del Popolo, Codice Statutario del Comune di
Orvieto con illustrazioni e note di LurGr Fumi. A cura della Deputazione
di Storia Patria per le Provincie di Toscana, dell'Umbria e delle Marche,
Firenze, G. P. Viesseux, 1884.

(2) WALEv DANIEL, Contributi alle fonti della storia medioevale orvietane,
in Bollettino dell’Istituto Storico Artistico Orvietano, anno IV, fasc. II (luglio-
dicembre 1948), Orvieto, Marsili, 1948.

(3) TAammaRO ConTI Lucia, Bibliografia di Luigi Fumi, in Bollettino
dell'Istituto Storico Artistico Orvietano, anno XIV, fasc. unico, 1958, Or-
vieto, Tipografia degli Orfanelli, 1960.

(4) LazzanEScHI EuGENIO, Le Nunziature del Cardinale Francesco Buon-
visi a Colonia, a Varsavia e a Venezia, in Notizie degli Archivi di Stato, anno
III, 402 (aprile-giugno 1943), Roma, Istituto Poligrafico dello Stato, 1943.

(5) Tonpr: DowzwiCo, Testamento, Firenze, Carlo Mori, 1937.

(6) MarRARA DANILO, Storia Istituzionale della Maremma Senese, Siena,
Editoriale d'arte Meini, 1961.

(7) RoBERT Davipsonw, Storia di Firenze, Firenze, Sansoni, 1960.
(8) PERALI PERICLE, Luigi Fumi orvietano, in Notizie degli Archivi di
CONVEGNO DEL CENTENARIO 249

Stato, ann. X, nn. 1-2 (geunaio-agosto 1950), Roma, Istituto Poligrafico
dello Stato, 1950. i

(9) PRUNAI GiuLIo, Fondi diplomatici senesi nell'archivio di Stato di
Firenze, in Bullettino Senese di Storia Patria pubblicato dall'Accademia Se-
nese degli Intronati, anno LXVIII (Terza serie, anno XX) 1961, Siena,
Tipografia La Galluzza.

(10) MARTINI Giuseppe. Siena da Montaperti alla caduta dei 9 (1260-
1355), in Bullettino Senese di Storia Patria pubblicato dall'Accademia Senese
degli Intronati, anno LXVIII (Terza serie, anno XX), Siena, Tip. La Gal-
]uzza.

(11) BisorI Guripo, Discorso celebrativo per il decennale dell’ Istituto Sto-
rico Artistico Orvietano, in Bollettino dell' Istituto Storico Artistico Orvietano,
fascicolo unico, 1955, anno XI, Orvieto, Tip. Orfanelli, 1955.

(12) WaLEYy DANIEL, Lo Stato Papale nel XIII secolo, in Rivista Storica
italiana, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1961.

(13) PeRALI PeRICLE, Note storiche di topografia. Note storiche d’arte
dalle origini al 1800, Orvieto, Marsilio Marsili, 1919.

(14) BeRTINI CALOSSO ACHILLE, Orvieto e il suo territorio, in La Cassa
di Risparmio di Orvieto nel primo centenario, 1853-1953, Orvieto, E. Mar-
sili, 1953.

(15) Fumi SALVATORE, Dagli Istituti di beneficenza alla Cassa di Rispar-
mio, in La Cassa di Risparmio di Orvieto, nel primo centenario, 1853-1953,
Orvieto, E. Marsili, 1953.

(16) Archivio Storico Italiano, anno CXIV, fascicolo 410-411, Notizie de-
gli Archivi Toscani. Volume pubblicato in occasione del III Congresso Interna-
zionale degli Archivi. Firenze, settembre 1956, Firenze, Leo S. Olschki, 1956.

(17) Archivio di Stato di Orvieto, Fondo Comunale. Riformanze a. 1643,
CCI 57305 594.

(18) GraMPAOLI LonENZO, Memorie storiche di Nostra Signora della Fonte
che si venera in Orvieto nella Chiesa Abbaziale di S. Giovanni, Orvieto, E.
Tosini, 1878.

(19) Archivio di Stato di Orvieto, Fondo Comunale, La Guerra di Castro
1641-1644, Voll. 3 manoscritti.

(20) Codice Diplomatico della città di Orvieto, già citato.

(21) FAGGIOLI RoBERTO ManrA O. S. M., La Chiesa ed il Convento di
S. Maria dei Servi in Orvieto, in Studi storici dell'Ordine dei Servi di Maria,
anno VII (1955-'56), fasc. I, IV, Roma, Facoltà Teologica * Marianum ', 1958.

(22) Archivio di Stato di Orvieto, Fondo Comunale. Riformanze aa.
1500-1501, cc. 69 e 70a.

Nel medesimo codice alla carta 71a si legge: « Infrascripta est imposita
grani facta pro Comune urbevetano annuatim Communitatibus terrarum
Nobilibus Baronibus et aliis dominis personis infrascriptis qui secundum
antiquam consuetudinem solvere tenentur pro habundantia prefate civitatis

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250 CONVEGNO DEL CENTENARIO
urbevetane prout reperitur in antiquis libris et codicibus dicti comunis.
Comunis Castri Chianciani salmas grani 500, Comunis terre Sartheani salmas
500, Comunis Castri Scitoni salmas 900, Comunis Castri Sancti Casciani
salmas 200...».

(23) Archivio di Stato di Orvieto, Fondo Comunale. Riformanze 2a::1557,
c. 146a, a. 1631, c. 42a. Nella seduta del 13 marzo 1631, esaminata la do-
manda di « Michael q. Sanctis de Luca et Ercules Maccionus urbevetanus »,
il Consiglio nominò quattro consiglieri per la compilazione delle norme per
l'esercizio dell'arte della seta e per la concessione di eventuali contributi.

(24) Archivio di Stato di Orvieto, Riformanze a. 1529, c. 59 C., a: 1557,
cc. 762, 82a. Nei secoli XVI e XVII vi furono dei provvedimenti del Comune
per l'esercizio dell'arte. della lana al cui incremento collaborano artigiani
toscani.

(25) PRUNAI GruLIo, Il legato Bichi Borghesi nell’ Archivio di Stato di
Siena, in Notizie degli Archivi di Stato, anno II, n. 3 (luglio-settembre) 1942,
Roma, Istituto Poligrafico dello Stato, 1942,

(26) DE Corr: SANDRO, L'Archivio Cartari Febei, in Notizie degli Archivi
di Stato, anno IX, nn. 1-3 (gennaio-dicembre) (1949), Roma, Istituto Poli-
grafico dello Stato, 1949.

(27) MANGIONE KAHNEMANN MARcELLA, La Tomba Petrucci di Michele
Sanmicheli in S. Domenico in Orvieto, estratto da Arte veneta, anno XV,
Sn-t. i
(28) CANUTI FronENZO, Nicolò Circignani detto il Pomarancio, in Bol-
lettino della Deputazione di Storia Patria per l'Umbria, Vol. XLIX, Spoleto
Panetto e Petrelli, 1952.

(29) Archivio di Stato di Orvieto, Registro delle Parrocchie Urbane di
Orvieto. Parrocchia di S. Maria della Stella (Duomo), Registro dei Batte-
simi, aa. 1513-1555. Il 17 febbraio 1537 è registrato Simone Mosca padrino
di Oratio et Grisostomo figlio di un ser Agapito Albano.

(30) BonELLI RENATO, Ippolito Scalza e il Duomo di Montepulciano, in
Bullettino senese di Storia Patria, N. S., ann. X (1939), Siena, Arti Grafiche
Lazzaro, 1939.

CAMERANI : Ringrazio vivamente il dott. Ferri. Segnalo sempli-
cemente che l’on. Ermini questa mattina ha chiesto che fra cento anni
il prossimo convegno si faccia a Firenze. Adesso il dott. Ferri dice che
fra cento anni si concreti il frutto di una proficua collaborazione fra
le due Deputazioni, torno a dire che io personalmente non posso assu-
mere impegni a tanta distanza. Per conto mio, niente in contrario. Do
la parola al prof. D'Addario che parla di Giustiniano Degli Azzi nel-
l'Archivio di Stato di Firenze.
CONVEGNO DEL CENTENARIO 251

GIUSTINIANO DEGLI AZZI
NELL’ARCHIVIO DI STATO DI FIRENZE

La mia breve comunicazione vuole essere un omaggio reso ad
uno studioso perugino recentemente scomparso, ricordandone l’opera
svolta come collaboratore del lavoro archivistico fiorentino e come
ricercatore erudito, ordinatore e editore di fonti storiche toscane
oltre che umbre.

Giustiniano Degli Azzi Vitelleschi venne nell'Archivio di Stato
di Firenze il 10 luglio 1902, da Lucca, ove era stato archivista di
prima nomina per un anno.

Lo accompagnava una lettera del Fumi al Gherardi, per racco-
mandargli il «bravissimo giovane, che, se vorrà rimanere negli
archivi, ne sarà un giorno ufficiale distintissimo ». Nello stesso tempo,
il direttore dell'Archivio lucchese chiedeva al collega fiorentino di
dare al nuovo impiegato un permesso speciale, perchè potesse tor-
nare per qualche settimana nella sede di provenienza, per portare
a termine alcuni lavori di inventariazione — sono i volumi dei Re-
gesti del diplomatico lucchese — che stavano per essere pubblicati.

Questi particolari hanno un qualche valore in quanto ci danno
una prima idea della già ampia esperienza di studio e di ricerca
erudita con cui il Degli Azzi entrava a far parte di un Istituto quale
quello fiorentino, inspirato ancora dalla tradizione bonainiana con-
tinuata degnamente dal Guasti e dal Gherardi.

Quali fossero queste qualità, egli lo dimostrò poco dopo, in oc-
casione degli esami che, allora come oggi, i giovani impiegati dove-
vano sostenere, per dare un saggio della loro capacità di paleo-
grafi e di ordinatori delle carte.

Per avventura, il Degli Azzi affrontò quelle prove, nel 1903,
dinanzi a paleografi e ad archivisti quali il Rostagno, lo Schiaparelli
e il Gherardi ; e le sostenne in gara con uno dei più intelligenti ed
originali tra i giovani impiegati di quegli anni, con Antonio Panella,
da poco entrato arche lui in servizio nell'archivio fiorentino, pro-
veniente da Napoli, e che sarebbe divenuto un maestro di dottrina
archivistica.

La trascrizione paleografica ed il commento diplomatico fatto
dal Degli Azzi non incorse in alcun errore ; il giudizio degli esami-

natori fu unanime nel rilevarne la grande perizia ; lo svolgimento

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252 CONVEGNO DEL CENTENARIO

del tema di archivistica, però, pur ottenendo anche esso una valu-
tazione lusinghiera, non soddisfece il Gherardi. Infatti, posto di
fronte al problema dell’ordinamento di un archivio familiare, il
Degli Azzi aveva fatto riferimento ad una sua recente, personale
esperienza, scrivendo cose esatte, ma limitate nell’ambito di un
particolare archivio, quello che gli era noto come ordinatore.

Diversamente da lui, il Panella aveva trascritto meno bene, ma
aveva affrontato il tema archivistico con una chiara impostazione
di metodo, che ancora interessa, pur nel suo limite di composizione
per un esame, chi legga lo svolgimento conservato negli atti della
Direzione fiorentina.

Due personalità, dunque ; due esprienze culturali già maturate
come frutto di un lavoro precedente ; due tipi di interessi di studio
emergevano dalla prova sostenuta in comune. Nel Degli Azzi si
notava la vastità della esperienza di ordinatore e di editore di fonti,
nel Panella si intravedeva l’analizzatore del metodo e lo studioso
di problemi storici e di questioni archivistiche.

I due non sarebbero rimasti insieme molto tempo ; infatti,
il Degli Azzi nel 1914 avrebbe lasciato praticamente il servizio archi-
vistico e avrebbe dato le dimissioni un anno dopo, il 19 ottobre
1915, per malattia. E, del resto, la sua permanenza nell’ Archivio
fiorentino era stata lungamente interrotta da ripetute missioni,
compiute a Perugia — per ordinarvi gli archivi della Prefettura
e quelli del Tribunale — e a Borgo San Sepolero e Pieve Santo
Stefano — per inventariare le carte di quelle comunità.

L’inventario dell’archivio di San Sepolcro fu l'ultimo lavoro di
ordinamento compiuto dal Degli Azzi come impiegato negli archivi
di Stato. Anche esso fu piü volte interrotto dalle malattie che lo
tormentarono, delicato come egli era nella salute, fino da giovane.
Esso fu, mi sia lecito il rievocarlo, anche l'occasione per un nuovo
giudizio espresso dai superiori sulle caratteristiche del suo lavoro
archivistico. :

Dopo il Gherardi, era divenuto direttore dell'Archivio di Stato
fiorentino il Marzi, severo funzionario quanto generosa e magnanima
personalità ; legato, tuttavia; ad un particolare modo di concepire
il lavoro degli archivisti. Quale fosse la diversità di ‘concezioni tra
lui e i suoi collaboratori lo si può facilmente immaginare pensando
che essi furono, tra gli altri, il Barbadoro, l'Anzilotti, il Panella, il
senese Cecchini, studiosi di problemi storici medioevali e moderni,
con un ampio campo di indagine e con una mentalità abituata a
CONVEGNO DEL CENTENARIO 253

superare nella sintesi storica l’iniziale analisi dei particolari offerti
dal documento.

Anche il Marzi dimostrò con le sue ricerche di essere avviato
sulla stessa strada; ma volle essere anche il rigido custode di una
disciplina di lavoro che oggi — e, mi sia permesso dire, per fortuna —
non si saprebbe più comprendere.

Il caso del Degli Azzi e del suo ordinamento dell'archivio di
Borgo San Sepolcro ci mostra i limiti di questa concezione. Con un
lungo rapporto, formalmente cortese ma sostanzialmente duro, il
Marzi espresse il proprio giudizio negativo sull’operato del suo subor-
dinato, il quale, recatosi in quel comune con l’incarico di « inven-
tariare y le carte, aveva poi pubblicato negli Archivi della Storia
d’Italia il risultato del lavoro, con una ampiezza di particolari ed
una ricchezza di riferimenti eruditi che al superiore sembrava esor-
bitare dal compito dell’archivista e perciò era giudicata contraria
al dovere del funzionario. Nello stesso tempo, si rimproverava al
Degli Azzi la pubblicazione di documenti d'archivio, anche essa
considerata inconciliabile con le mansioni vere e proprie dell'archi-
vista.

Sarebbe troppo lungo, e si presterebbe ad una facile polemica,
il sottolineare i gravi limiti di questo giudizio e di una concezione
come quella del Marzi, dell'archivista come freddo ed anonimo regi-
stratore dei dati esterni del documento, compilatore di schede,
quasi fosse privo di entusiasmo per le carte ; sarebbe troppo facile
richiamare alla memoria il lavoro di tanti altri pur benemeriti ar-
chivisti, e degli stessi predecessori del Marzi, il cui operare fu ispi-
rato da un entusiasmo che solo la cultura, la piü vasta e varia pos-
sibile, poteva dare, con la conseguente maggiore intelligenza delle
carte ordinate ed inventariate.

Con questo viatico, il Degli Azzi usci dagli archivi, per volontarie
dimissioni, dovute al persistere di una lunga malattia, documentata
anche dal carteggio ufficiale.

Vicende grigie, forse, quelle vissute dal Degli Azzi nell’Archivio
Fiorentino, ma che ci permettono di porne in evidenza la personalità
di studioso quale fu vista da coloro che lo ebbero vicino, che in
grandissima parte ne compresero il valore e ne aiutarono l’attività.

Oggi, dileguatasi la polemichetta contingente e limitata a quel-
l'episodio, resta di lui un ricordo convalidato dalla particolare rico-
noscenza degli studiosi per uno di loro che apriva la strada alla
ricerca e vi partecipava con dignità e con frutto. Per la Toscana,

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254 CONVEGNO DEL CENTENARIO

inoltre, il lavoro del Degli Azzi ha un valore ancora maggiore, per-
ché l'interesse per le fonti della storia di questa regione accompagnò
continuamente nell'animo di lui la passione per le ricerche erudite
di argomento umbro.

Insieme ad un altro umbro del quale fu collaboratore e conti-
nuatore, il Mazzatinti, egli si occupó per molti anni di una pubblica-
Zione che ancora oggi resta un esempio di iniziativa coraggiosa di
censimento e di illustrazione archivistica delle fonti storiche comu-
nali. Gli Archivi della Storia d'Italia non fu una pubblicazione di
argomento soltanto toscano o umbro ; essa intese abbracciare tutta
la penisola, raccogliendo in una serie di molti volumi la descrizione
di documenti piü diversi, contenuti negli archivi di famiglie, di città,
di enti pubblici e privati, religiosi e laici. Ma, come tante altre ini-
ziative italiane fondate solo sulla generosità e sullo spirito di sacri-
ficio di pochi, essa non potè resistere a lungo alle difficoltà derivanti
dalla lunghezza e dalla ampiezza del lavoro. Lo stesso esaminatore
del Degli Azzi, lo Schiaparelli, avrebbe alcuni anni dopo tentato
una iniziativa del genere, con la Guida Storica degli Archivi e delle
biblioleche, ma avrebbe anche lui visto ben presto esaurito l'intento
iniziale per mancanza di aiuti e per l'impossibilità di sostenere una
simile mole di lavoro con pochi collaboratori sforniti di mezzi adeguati.

Tuttavia, il Mazzatinti prima e il Degli Azzi poi riuscirono a
pubblicare due serie di volumi, nove in tutto, interessanti molte
regioni. Qui in modo particolare ricordiamo le città toscane chie-1
due eruditi vollero rappresentate nell'opera, cioè Anghiari, Colle
Val d’Elsa, Cortona, Marradi, Pieve Santo Stefano, Borgo San
Sepolero ; di queste due ultime abbiamo già detto come fossero
state oggetto dell’attenzione del Degli Azzi negli ultimi tempi del
suo lavoro archivistico.

Considerata da un punto di vista retrospettivo, quella iniziativa
oggi appare superata nei metodi, forse troppo eruditi e inorganici,
per l’attenzione rivolta più alla segnalazione del documento prezioso
che alla apertura di orizzonte sulle serie e sugli interi archivi. Oggi
altre iniziative ripercorrono la stessa strada, ma con idee più
ampie; proprio la Deputazione Toscana di Storia Patria SI: fece
iniziatrice, alcuni anni or sono, di una vasta raccolta di segnalazioni
degli archivi di famiglie, di città, di enti, di banche, di istituti laici
e religiosi, e ne pubblicò in due riprese il risultato nell’ Archivio Storico
Italiano ; proprio qui in Umbria sono stati pubblicati recentemente
dalla Soprintendenza Archivistica due volumi di mole diversa, ma
Lamm gg:

CONVEGNO DEL CENTENARIO 255

ambedue rivolti a compiere per la illustrazione degli archivi conser-
vati nella regione quel lavoro che il Mazzatinti e il Degli Azzi ave-
vano preventivato per tutta l'Italia. Mezzi e intenti diversi sosten-
nero e guidarono queste due iniziative, che, però, in nulla dimi-
nuiscono la originalità e l'efficacia della lontana impresa tentata dai
due isolati studiosi umbri, silenziosamente operanti in un passato
che è ancora vicino a noi, ma che sembra già così lontano, e nella
impostazione del metodo e nella diversità delle conclusioni.

Nel Degli Azzi, quella erudizione che al Marzi era sembrata ec-
cessiva e innaturale in un funzionario degli Archivi, era apparsa,
invece, naturalissima ed opportuna agli archivisti lucchesi, che lo
avevano avuto per qualche tempo collaboratore e collega.

Singolare, infatti, fu l’ambiente archivistico lucchese, tra la
fine del secolo XIX e i primi decenni del XX. Nel seguirne il lavoro
compiuto sulle carte, se ne possono facilmente delineare le caratte-
ristiche ; esso si presenta, infatti, come lo svolgimento del motivo
centrale indicato dal Bonaini quale compito fondamentale degli
ordinatori delle carte appartenenti all'antica repubblica.

Negli anni in cui il Degli Azzi collaboró con gli archivisti luc-
chesi, essi stavano sviluppando il secondo tempo previsto in quel
programma. |

Da pochi anni il Bongi aveva portato a termine l’ Inventario
Sommario dell Archivio di Stato, e già, tra il 1903 ed il 1911, e proprio
per opera del Degli Azzi, si intraprendeva sotto la guida del Fumi
la regestazione delle carte piü importanti. I due primi volumi,
affidati a lui, compresero le pergamene piü antiche, dal 790 al 1115.
Furono anni di lavoro metodico, dal quale scaturirono le pagine
della premessa diplomatica ai testi pubblicati e la stesura dei re-
gesti, i primi di una serie che continua tuttora, illustrativa dei docu-
menti piü significativi della storia repubblicana.

Qui veramente il Degli Azzi non trovó limite alcuno nella sua
ricerca erudita. Lucca era stata fino allora, e lo sarebbe stata an-
cora per molto tempo, un ambiente favorevole allo studio delle fonti
documentarie ; nell' Archivio, nell’ Accademia, l'amore per le memorie
di un passato glorioso di ininterrotta autonomia municipale aveva
suscitato un clima favorevole alle ricerche erudite, che si spiega in
gran parte con un riferimento al generale indirizzo storiografico
ma che ebbe una particolare accentuazione in una città come Lucca,
che si rivolgeva con orgoglio ai ricordi del proprio medioevo e della
propria storia moderna.

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256 CONVEGNO DEL CENTENARIO

Un analogo favore il Degli Azzi trovò anche a Firenze, nella
comprensione del Gherardi, che gli facilitò le frequenti missioni a
Perugia, anche se le assenze del collaboratore dall'Archivio obbli-
gavano proprio lui, il Direttore, a darsi da fare per supplirlo come
poteva, data la carenza di impiegati.

Col Gherardi, il Degli Azzi lavorò alla compilazione dell’ Inven-
tario Sommario dell’archivio fiorentino, per presentarne le prime
| pagine al Congresso Storico Internazionale. Anche in questo caso,
| | il valore della collaborazione prestata fu messo in risalto dalle note
n : riservate, che esprimevano la soddisfazione del maestro per il lavoro
| prestato dal giovane archivista. Il carteggio tra i due, quale ci appare
Li . dalle lettere conservate nell'archivio della Direzione fiorentina, fu
IB sempre improntato al massimo rispetto formale ; ma nei giudizi del
bu primo si puó spesso mettere in rilievo una stima che va oltre l'espres-
| sione burocratica e diviene anche manifestazione di una comunanza
Li di intenti scientifici. |
| .Non si puó dire, peró, che a causa di questo intenso lavoro l'at-
tenzione del Degli Azzi si distogliesse dalle ricerche di argomento
LEM umbro. Una lunga lettera al Gherardi gli dà il modo di manifestargli
| il le sue ansie per le contrarietà di cui temeva l’insorgere, dannose alla
{RO : continuazione delle ricerche e delle pubblicazioni che gli erano care.
um | La sua stessa bibliografia — già egregiamente raccolta dal Bel-
| forti nel LVII volume del Bollettino della Deputazione Um-

bra — ci dimostra quale attenzione egli prestasse in quegli anni per

i problemi della sua terra di origine. Del 1913, infatti, è la prege-

vole pubblicazione degli Statuti Perugini del 1342. Tuttavia, tra

il 1904 ed il 1909, egli trovò modo di fare nell'archivio fiorentino

una accurata ricerca preliminare alla pubblicazione delle fonti fio-

rentine delle relazioni intercorse tra Firenze e l'Umbria nei secoli

XIII e XIV; dai carteggi e dai registri delle deliberazioni, egli

trasse un materiale di notevole valore e di grande interesse, com-
piendo un lavoro erudito che resta ancora esemplare.

Non furono questi soltanto gli interessi che resero feconde le

i giornate fiorentine ; ma alcuni brevi saggi su cose aretine (Documenti

i su opere d’arte e su pittori aretini), su episodi di storia del secolo XVI

: (L'assedio e la distruzione di Montecatini del 1554, narrati da un

contemporaneo), su argomenti di storia medicea (II consiglio medico

di maestro Ugolino da Montecatini ad Averardo de Medici), su aspetti

b ; del diritto fiorentino nel secolo XIV, e su altri temi ancora, non lo

ll. distrassero da quelli che sembrano essere stati i suoi interessi cen-

CU CONVEGNO DEL CENTENARIO 257

trali. Anche da Firenze egli pensava a Perugia, alla storia della città,
alle fonti di quella storia. E a Perugia, come abbiamo detto, tor-
nava frequentemente per seguire il lavoro erudito cittadino, per
inventariare carte d’archivio, per pubblicare saggi e raccolte di
documenti, per commemorare amici come il Mazzatinti o avvenimenti
significativi come l’insurrezione del 1859 contro il dominio papale.

À chi esamini, anche se rapidamente, questa parte della
bibliografia del Degli Azzi, gli anni vissuti a Firenze e nell’ Archivio
fiorentino sembrano senza dubbio i migliori del suo lungo lavoro di
archivista, di ricercatore, di editore di fonti.

Ampiezza di interessi, fecondità di studi, vivacità di attuazione,
appaiono facilmente dal confronto delle date e dall’esame del con-
tenuto dei lavori usciti in quel periodo.

Ma non intendo fare qui una più lunga rassegna di quanto deb-
bano al Degli Azzi gli studi storici toscani nel primo Novecento.
I miei hanno voluto essere solo brevi cenni su di uno studioso che
seppe inserirsi con frutto in un ambiente di ricerca quale fu quello
della Firenze dei primi decenni di questo secolo, operando in un
Istituto che non fu certo ai margini della ricerca storica, che, anzi
seppe esserne al centro, con la operosità dei suoi archivisti e con
il pregio del loro lavoro specializzato.

Mi limito ad augurarmi che il ricordo di questo studioso e di
quel felice incontro di uomini possa essere stimolo per tutti noi alla
ricerca e all'approfondimento di nuovi motivi nei rapporti culturali
tra le due regioni, legate da tanta storia e da un passato di col-
laborazione scientifica. Il ricordo del Degli Azzi, il quale seppe vivere
degnamente la sua giornata toscana inserendo studi e ricerche perso-
nalissime nel tessuto dei vasti interessi storici ed archivistici che
sollecitavano l'ambiente in cui era venuto a vivere, dandoci con ció
una lezione di probità filologica e di ampiezza di erudizione, puó
indurci non solo ad approfondire il senso del valore di questi legami
ma a trarne l'incoraggiamento per ulteriori sviluppi e per una rinno-
vata e ugualmente feconda collaborazione.

CAMERANI : Jo ringrazio vivamente il prof. D'Addario che ha illu-
minato cosi bene la figura di studioso e una figura cosi cara anche
a me. Quando io sono entrato in Archivio, ho avuto occasione di cono-
scere proprio Degli Azzi, che, seppur vecchio, continuava a frequentare
il nostro Istituto, e l'ho apprezzato e gli ho voluto bene per quella simpa-

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lica cordialità, per quella affettuosa simpatia con cui accoglieva tutti i
giovani che entravano in Archivio e ai quali dava la speranza di poter
continuare il lavoro che aveva cominciato lui. Sono lieto di dare la parola
al prof. Picotti che desidera fare qui un piccolo intervento in proposito.

Camerani di non occupare che cinque minuti. Però occorrono tre pre-
messe, rapidissime : dapprima una preghiera, che rivolgo a Camerani,
certo di interpretare il pensiero di tutti i presenti, di mandare un tele-
gramma all’amico Rodolico, esprimendogli il nostro rincrescimento per
non averlo con noi e augurando che la sua nobilissima esistenza sia con-
servata per molti e molti anni ancora, per l’onore dei nostri studi. La
| seconda premessa è il rinnovare l’adesione della Società Storica Pisana,
la quale adesione della Società é stata annunziata una prima volta sta-
mattina, una seconda volta oggi dopo pranzo, indicando me come rap-
presentante. Io in verità ho poco merito, perchè, quantunque sia socio,
anzi, credo, vicepresidente, non ho cooperato che in piccolissima parte.
Però desideravo segnalare pubblicamente l’attività di questa Società
storica, la quale, oltre a darci regolarmente un Bollettino storico assai
nutrito, ha anche procurato l’edizione di pubblicazioni di assai notevole
importanza. Ed ora verrebbe la comunicazione mia, ma devo fare un’altra
scusa, perchè, non pensando affatto di parlare, non ho con me nep-
pure un appunto. E quindi mi devo servire della. memoria. E ripe-
leró qualche cosa, che è stata stampata nell'ultimo tempo; se non
che è stata stampata in una rivista di « Studi Medievali» ancora
assai giovane, la quale non credo sia venuta nelle mani di molti dei
presenti. Perciò quello che dirò potrà essere una novità, la quale vor-
rebbe allora riparare ad una piccola lacuna del nostro Convegno, che,
cioè, mentre noi siamo assai grati — ripeterò le parole dell’amico
Camerani — alla Deputazione Umbra della grande larghezza e gene-
rosità e cordialità, con la quale ci ha ospitati, non ultimo quel lucul-
liano pranzo di poco fa, che resterà bene impresso nella nostra memoria
lamentiamo che in fatto di comunicazioni, se ne siano udite diverse )
rispetto all' Umbria, interessantissime e due amici abbiano parlato :
molto eloquentemente ed esaurientemente, l'uno delle relazioni fra
Orvieto e la Toscana, l'altro lumeggiando la figura di Giustiniano
Degli Azzi, ora la Deputazione Fiorentina sia stata, se si eccettui la
parola del presidente dell’ Assemblea, completamente muta. Dirò dunque
brevissimamente di uno statuto, che per una combinazione singolare
ho potuto vedere. Di questo vi è una copia cartacea nell’ Archivio di
Stato di Firenze; ma nelle mie mani è venuto l’originale, un grosso

CONVEGNO DEL CENTENARIO

PicotTI : Promissio boni viri est obligatio. Ho promesso all'amico

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Jet gi) CONVEGNO DEL CENTENARIO 259

volume in pergamena. Si tratta degli statuti del Comune rurale di
Santa Croce sull’Arno, il volume comprende un periodo di circa 150
anni, dal 1370 o 77 fino al 1530 circa e ci dà modo di seguire, almeno
in parte, lo svolgimento della vita di Santa Croce sull' Arno.

Non ci faranno meraviglia certi strani accostamenti per esempio,
di trovare che, vicino alle feste in onore della Beata Cristina, si discorra
dei porci che circolano per le strade di Santa Croce e degli uomini di
Fucecchio ; ci verrebbe fatto di pensare che per i buoni statutari i porci
e gli uomini di Fucecchio fossero qualche cosa di simile ; e non ci farà
neppure meraviglia che a un capitolo in cui si discorre degli animali
(buoi e porci), che ciascuno può tenere presso di sè, seguano immedia-
tamente due capitoli che parlano del Cancelliere e del Maestro di scuola
del Comune ; accostamenti, i quali potrebbero anche parere volontari ed
ironici.

Lo statuto — ripeto — ci dà il modo di seguire la vita di questo
Comune ; ma serve anche a qualche altra cosa, e su questo io richiamo
in particolare la vostra attenzione, perchè penso che anche altri statuti
comunali, che potrebbero saltare fuori da accurate ricerche possano
darci qualche notizia simile : dal nostro statuto possiamo trarre notizie
anche sullo sviluppo del Comune di Firenze, da cui Santa Croce, come,
tutti sanno, dipendeva. Non è, per esempio senza interesse che noi
leggiamo che gli statuti si conchiudono in palatio dominorum, e, dopo
un certo periodo in palatio populi Florentini, poi, dopo un altro
periodo, in palatio magnifici domini Laurentii de Medicis, e poi
ancora in palatio magni ducis Florentini ; c’è tutta l'evoluzione storica
del Comune di Firenze, adombrata qui. E potrei portare altri esempi,
ma li lascio perché voglio tener fede alla mia promessa. Resta tuttavia
una domanda, che sarà venuta probabilmente al pensiero di tutti voi :
dov'è questo codice di statuti? Scusatemi: non ve lo voglio dire: è
in mano sicura, perchè bisognava metterlo al coperto da certe velleità ;
a me per esempio è stato detto che res clamat ad dominum, e che quindi,
trattandosi di uno statuto del Comune di Santa Croce, il Comune di
Santa Croce aveva il diritto di rivendicarlo. Io ho risposto che questo
volume uscirà da quelle mani sicure, in cui esso à, quando ci si dimo-
strerà che veramente il Comune di Santa Croce l'aveva conservato nel
suo Archivio e ci si dirà anche come è uscito da questo Archivio ed è
andato in mano d’altri. Nessuno s'é fatto più vivo, e perciò è lecito che
io termini con un augurio, che da quelle mani sicure esso possa uscire,
quando lo Stato o l'Archivio statale di Firenze o la Direzione generale
degli Archivi. o il Comune di Santa Croce sull' Arno o qualche persona

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260 CONVEGNO DEL CENTENARIO

che voglia magari procurarsi a Santa Croce un piedistallo elettorale
per le prossime elezioni politiche, si deciderà ad offrire quella piccola
somma che sarà domandata per metterlo a disposizione degli studiosi.
E chi faccia questo, farà anche un'opera buona, perché, se, come forse
avrete capito, alle mani, di cui si discorre, chi vi parla non è del tutto
estraneo, la somma — qualunque fosse — non sarebbe intascata da lui.
Il codice è ora proprietà di una Congregazione, alla quale appartiene
anche mio figlio, la quale compie nell' Africa fra i negri una meravi-
gliosa opera di cristianizzazione e di italianità ; e il denaro che venisse,

servità per comperare le mentine che servono ad attirare alle M issioni
una quantità di piccolo negri.

CAMERANI: Ringrazio vivamente il prof. Picotti e, anticipando
appena appena la comunicazione mia di domani mattina, vi annuncio
che di statuti rurali già si sta occupando il prof. Rodolico in una
collezione che comincia a uscire. Però ho il piacere di dare la parola
al comm. Scambelluri che è qui per rappresentare gli Archivi di
Stato ed è il capo del nostro ufficio, perchè deve dire qualche cosa.

SCAMBELLURI : Jo anticiperei questo, che, accogliendo la proposta

| del prof. Picotti, senz'altro dico che il Ministro dell' Interno sarà lie-

tissimo di acquistare questo codice e naturalmente

CAMERANI : ... di inserirlo nella collezione degli. statuti; -AT-
lora adesso do la parola al prof. Luigi Salvatorelli.

RIVOLUZIONE DELL'ITALIA CENTRALE

Che cosa dobbiamo intendere per « Rivoluzione dell'Italia Cen-
trale »? La domanda sembrerà pedantesca ; pure c’è qualche cosa
da precisare, sia nel senso geografico sia in quello sostanziale del
termine. Nel senso geografico osservo che questa rivoluzione del-
l’Italia centrale ha come primo atto i fatti del 27 aprile a Firenze ;
poi vengouo Bologna e a distanza di qualche giorno, Perugia a metà
di giugno. E Perugia è ancora Italia centrale, ma Bologna si calcola
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CONVEGNO DEL CENTENARIO 261

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generalmente come Italia settentrionale. Faceva parte delle Lega-
zioni, mentre le altre regioni dello Stato pontificio si chiamavano De-
legazioni. Il rilievo geografico richiama l'attenzione sul nesso che si
era stabilito precisamente fra Bologna e la Romagna, appartenenti
all'Italia settentrionale, e le provincie dell'Italia centrale, nesso di
cui il merito, diciamo cosi, era in questo caso del Papa. Il fatto che
lo Stato temporale del pontefice abbracciasse in sé provincie dell’Ita-
lia settentrionale e provincie dell'Italia centrale ha avuto la sua im-
portanza nello svolgimento del Risorgimento, perché ha connesso
fra loro parti differenti, e quindi ha contribuito alla unificazione
del movimento nazionale.

Un'altra osservazione — questa di sostanza — è sulla formula
« Rivoluzione dell'Italia centrale ». È molto facile, direi che si fa
abitualmente, la confusione tra rivoluzione e rivolta. La rivolta é
l'atto di violenza, l'atto di forza, il quale — come sapete benissimo —
nella Rivoluzione dell'Italia ^entrale, sia a Firenze, sia a Bologna,
sia a Perugia, non ci fu, perché granduca e legati pontifici se ne an-
darono tranquillamente. Invece bisogna insistere sul valore della
parola rivoluzione, che é quello di introduzione di un nuovo ordine
di cose. E da questo punto di vista la rivoluzione dell'Italia centrale
é degna di particolare attenzione in una ipotetica « sociologia delle ri-
voluzioni » perché si ha in essa lo spettacolo, per molti mesi, di re-
gioni e di popolazioni rimaste in uno stato di sospensione ; esse non
fanno piü parte di fatto dei vecchi stati, ma non fanno ancora parte
dello stato nuovo ; e con tutto ció si mantengono in condizioni ordi-
nate e tranquille. Cosa che ebbe una grande importanza per l'opinione
pubblica europea ; se ci fossero stati dei torbidi, naturalmente tutti i
conservatori avrebbero detto che il popolo italiano non era capace di
reggersi da se stesso. È questo un fatto che evidentemente non sco-
pro io, perché anzi è notissimo; ma su cui mi pare non si rifletta abba-
stanza. Non ci si riflette troppo perchè la letteratura storica su quello
che successe giorno per giorno, sia in Toscana sia in Romagna, in quel
periodo intermedio — in quel periodo, diciamo, di purgatorio o di
limbo — è scarsissima. Qualche studio è venuto fuori proprio adesso,
in occasione del centenario dell’unità, particolarmente sul come funzio-
narono i governi provvisori; talora anche notevole ; ma è augurabile
che ne vengano degli altri, e si formi una veduta d’insieme. Ciò
anche perchè non è da credere che tutte le opinioni fossero già uni-
ficate completamente.a loro del programma naziouale.

Questa rivoluzione dell'Italia centrale ha una sua preistoria :.

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262 CONVEGNO DEL CENTENARIO

sarebbe ingenuo credere che i moti siano sorti così improvvisamente

e contemporaneamente in una serie di luoghi; e che non ci fosse

improvvisazione, lo dimostra il fatto che ognuno di questi moti
locali (Firenze, Bologna, Perugia etc.) sorge sulla stessa piattaforma,
con la stessa imposizione. Non è che fin da adesso si neghi e si ro-
vesci il vecchio governo, ma semplicemente si dice : noi, popoli della
Toscana, della Romagna, dell'Emilia, vogliamo associarci alla guerra
di indipendenza. Questa impostazione, che forma il passaggio tra
l'ordine e la rivoluzione, evidentemente risponde ad una parola d'or-
dine. C'é stata dunque una preistoria della Rivoluzione dell’Italia cen-
trale, e abbastanza lunga, ma anche poco nota. Bisogna risalire, se-
condo me, alle condizioni dello Stato pontificio posteriori alla caduta
della Repubblica Romana, e della Toscana dopo che la restaurazione
granducale chiarì la sua fisionomia di pura e semplice reazione e
di soggezione completa all'Austria.

Come è noto, in quei primi anni dopo il 1849, l’influenza di
Mazzini, che pure era stato sconfitto dagli avvenimenti, fu molto
forte, e restò tale fino al fallimento del moto del 6 febbraio 1853
a Milano, che dette un colpo gravissimo all’influenza mazziniana.
Dopo questo periodo che cosa avviene ? Avviene un lavoro in gran
parte sotterraneo, di cui sappiamo molto poco, ma di cui intrave-
diamo i lineamenti essenziali : un lavoro sotterraneo per cui si ve-
rifica un incontro tra moderati da una parte e mazziniani dall’altra
(chiamo con questi nomi due tendenze diverse e oscillanti, non due
partiti pienamente formati). I moderati rinunciano, almeno in ipo-
tesi, all'idea riformistica, cioè di condurre pacificamente il loro go-
verno sulla strada dell'indipendenza e della libertà ; ammettono che
bisogna cambiare governo : le riforme non bastano, ci vuole la rivo-
luzione. Diventano quindi rivoluzionari in spe, in idea, se ancora non
in azione. I mazziniani a loro volta, e più in generale i repubblicani o
semplicemente i democratici, si avvicinano all'idea che, se si vuole
essere pratici, se si vuole veramente arrivare a fare qualcosa, bi-
Sogna concentrarsi intorno a quello che é l'unico centro, l'unico go-
verno in condizioni di prendere in mano la causa nazionale.

Questo lavorio sbocca nella posizione presa da Daniele Manin
e nella costituzione della «Società Nazionale », la quale ha questo
programma : « Saremo col Piemonte, se il Piemonte assume la causa
nazionale ; se no, no». La Società Nazionale é la manifestazione
pratica dell'incontro di due correnti: una corrente di destra che si
sposta verso sinistra, ed una corrente di sinistra che si sposta verso
CONVEGNO DEL CENTENARIO 263

destra, e l’incontro si fa su un programma di unità nazionale mo-
narchica, parlamentare-liberale, e non più repubblicana a cui, anche
chi non rinuncia idealmente, riconosce che non è possibile per ades-
so arrivare.

C'é un fatto reale, ma che ha il valore di un simbolo, per questo
incontro : ed è il famoso colloquio che — chi sa perchè — qualche
bizzarro repubblicano, di quelli che io chiamo « vecchie barbe », vor-
rebbe mettere in dubbio, mentre non c’è proprio nessun motivo per
farlo, e nessuno storico serio (che io sappia) lo fa : il colloquio del
settembre (non ricordo il giorno esatto, ma non fa niente) 1856, fra
La Farina e Cavour, che lo riceve, secondo la sua abitudine, di pri-
missimo mattino, e gli dice chiaro e tondo : « Io so quale è il vostro
movimento, conos: o le vostre intenzioni; vi dirò che io, per conto mio,
credo alla possibilità che fra pochi anni l’Italia sia tutta unita, che
Roma sia addirittura la capitale d’Italia ; però io non posso impegnar-
mi, come governo, su questa linea di azione, perché io sono il primo
ministro del Re di Sardegna e non posso comprometterlo in un mo-
vimento di cui intorno a me non c’è nessuno che creda alla sua riu-
scita ». Lui stesso del resto, tre o quattro mesi prima, in una famosa
lettera a Rattazzi che ha fatto tanto il gioco dei repubblicani, degli
anticavouriani, aveva scritto : «l’Unità d’Italia e altre corbellerie ».
Ma dopo il colloquio — avesse pensato sul serio o no, tre o quattro
mesi prima, ció che aveva scritto (io ritengo che fosse un'espres-
sione «currenti calamo », ho anche cercato in un mio studio di
spiegare come possa essere venuta fuori) — fatto sta che il contatto
si mantiene sempre. Noi sappiamo pochissimo di come si é svolto
questo contatto, e si capisce, perché in sostanza Cavour si limitava
a parlare con La Farina e con qualche altro fido, in questi famosi
colloqui del mattino ; ma si può ritenere — direi — certo che il lavoro
fatto dalla Società Nazionale dall'autunno del 1856 alla vigilia della
guerra del 1859 (al principio della guerra del 1859 la Società Na-
zionale sospese per alcuni mesi il suo lavoro) era diretto sistema'ica-
mente da Camillo Cavour. Del resto, delle ripercussioni di questo
fenomeno di avvicinamento fra i due grandi settori del movimento
nazionale e particolarmente della concentrazione di attenzione sulle
provincie dell'Italia Centrale, ne abbiamo una prova al Congresso di
Parigi, nel quale la discussione piü lunga — non unica, perché fu-
rono discussi naturalmente anche i Borboni, però la più lunga e an-
che la più delicata, la più vivace — fu proprio sulle condizioni delle
provincie del Papa, di cui si denunciavano tutti gli inconvenienti,

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264 CONVEGNO DEL CENTENARIO

e prima di tutti il fatto che in queste provincie non si poteva andare
evanti, semplicemente nella vita quotidiana, senza l'occupazione stra-
niera, l'occupazione austriaca.

Tra il 1856 e il 1859 l’azione diplomatica intorno a questo pro-
blema continuò, e non soltanto da parte del Piemonte : tanto è vero
che tra Francia e Austria, nel 1857, ci fu una vera e propria tratta-
tiva diplomatica per varare un programma di riforme da raccoman-
dare, o — diciamo — imporre, al Governo pontificio.

Arriviamo adesso al Convegno di Plombières. In esso si trattò
di ben altro che della semplice annessione della Lombardia al Pie-
monte (come Mazzini affermava, in base ad informazioni che egli
dichiarava autentiche. Tutta l’Italia centrale salvo il Lazio (forse,
neppure tutto intero) venne presa in considerazione per la riorga-
nizzazione dell’Italia sullo schema dei tre stati, più Roma papale.
C'é una lettera di Cavour del 18 maggio ’59 che prova come lo sta-
tista includesse nei suoi calcoli immediati « operazioni che dovranno
esonerarlo (il pontefice) dal pensiero di governare le Legazioni, le
Marche e l'Umbria ».

La situazione cambiò prima ancora di Villafranca, perchè Na-
poleone III si orientò nel senso della conservazione del possesso pa-
pale. Qui arresto il mio discorso, perchè nella storia della Rivoluzione
dell’Italia centrale si volta pagina e quanto segue è perfettamente
noto.

PRESIDENTE CAMERANI : Ringrazio molto il professor Salvatorelli
della sua interessantissima comunicazione, a proposito della quale avrei
da aggiungere diverse cose e da chiedere particolari, ma per l’ufficio
che momentaneamente io ricopro sono costretto per ora a rinunciare
a tale mio proposito. A questo punto è bene considerare quello che dob-
biamo fare; nel programma è annunciata una comunicazione del prof.
Mancini dal titolo Prolegomeni all’identificazione di due laudi di
Jacopone da Todi. Siccome per domani mattina sono previste due
sole comunicazioni ritengo opportuno rimandare a domani quella del
prof. Mancini. Avverto che domattina alle ore 9 il prof. Mancini svolgerà
la sua comunicazione su Prolegomeni all’identificazione di due laude
di Jacopone da Todi. Poi seguiranno le altre comunicazioni in pro-
gramma. Poichè si è fatto tardi ritengo inutile riaprire in questo mo-
mento la discussione su tutte le comunicazioni, ma spero che domani
mattina rimanga il tempo per fare questa discussione.

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CONVEGNO DEL CENTENARIO 265

14 ottobre, ore 9,30

Presiede il prof. Morghen

MoRcHEN : Allora proseguiamo nei nostri lavori, esaurendo le co-
municazioni che devono essere ancora svolte. Prego il prof. Mancini
di prendere la parola.

PROLEGOMENI ALL'IDENTIFICAZIONE DI DUE NUOVE
LAUDE DI IACOPONE

Premetto che il mio lavoro è fissato provvisoriamente, ha ca-
ratteri quindi della fretta ; ritengo che questa mia comunicazione
potrà suscitare discussioni; ma io ho sempre cercato la verità,
possibilmente, non solo, ma ho sempre cercato anche nei miei studi
su Jacopone di restituire, se possibile, quello che gli spetta, forse
mi attarderò in questioni un pò allotrie, sulla ortodossia o meno,
come in parte già scontate. La studiosa che ufficialmente pare che
prepari l'edizione critica di Jacopone esclude un gruppo notevole di
laude iacoponiche, per cui, rientrando proprio nell'argomento di
questa mia ricerca, non ho creduto del tutto inopportuno soffermarmi
su queste medesime questioni.

La storia del testo iacoponico rimane un problema aperto, tra i
piü difficili della filologia italiana. È, infatti, acclarato come il poeta
francescano rifuggisse e per temperamento e per particolari convin-
zioni religiose dal dare un ordine alla sua produzione poetica. Anche
nell'epoca tarda di sua vita, egli continuó ad affidare versi a carte
e pergamene, estremamente provvisorie, che subito circolavano in
conventi e fraternite. Riconoscibili, del resto, sia per l'argomento
— talvolta forse anche suggerito — sia per l'insistenza della formula
didascalica, i componimenti dovuti a un committente. Qualche
« dittato », inoltre, indirizzò idealmente egli stesso a destinatari ben
noti (fra Ranaldo, XVII ; Pier da Morrone, LIV ; fra Giovanni dalla
Verna, LXII), quando non addirittura a mo' di missiva, come nel
reiterato appello a papa Bonifacio (LVI, LVII).

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x. 266 ì CONVEGNO DEL CENTENARIO

Contrastanti giudizi accompagnarono la morte di Iacopone (aspra
era ancora la polemica tra spirituali e lassisti, cocente il ricordo della
prigionia sofferta dal poeta, grande la perplessità per l’inattesa
conclusione del pontificato di Bonifacio VIII); ma, a riscattar la
sua fama da pesanti accuse di ribellione, si adoperarono, unitamente
ad alcuni buoni religiosi francescani, i fedelissimi e potenti amici del
frate di Todi, cioè i conti di Coldimezzo.

Recenti indagini mi hanno persuaso che ai Coldimezzo va rico-
nosciuto il merito di essersi per primi interessati alla raccolta delle
laude (qualcuno della famiglia doveva possedere numerosi autografi
€ apografi) e alla costituzione di una Vita esemplata sulla leggenda
francescana : sarebbe tuttavia impreciso e forse erroneo, almeno
allo stato attuale degli studi, attribuire ai Coldimezzo la primitiva
silloge delle laudi e la redazione dell'antica Vita : pure essendosi co-
storo posti il problema dell'una e dell'altra e pur avendone proget-
tata la soluzione, si pensa che la materiale esecuzione delle due opere
spetti a qualche comunità di minori francescani, che io vedo volentieri

risiedere nel Convento di San Lorenzo in Collazzone o in uno dei fi-
nitimi luoghi. Certo è che l'archetipo non si costituì in Todi, ambiente
ostile a Iacopone: e neppure i primi discendenti, che vennero in-

vece copiati a Collepepe, a Ripabianca, a Bevagna, ad Assisi, a

Perugia. A Todi abbiamo codici «di ritorno » e solo negli ultimi
del '300 (se non nella prima metà del '400), allorché l'aureola di
beato soffondeva ormai senza contrasto l'austero capo del frate
poeta.

Per quanto é poi lecito supporre circa gli itinerari dei manoscritti
iacoponici é da dire che Perugia fu un importante centro di avvio :
a Perugia, nel 1333, si era trasferito il ramo economicamente
piü cospicuo dei nobili di Coldimezzo, i quali, con il florido affer-
marsi della borghesia comunale, si erano dedicati fruttuosamente ai
commerci e all'attività bancaria. Méta ambita e presto raggiunta,
Firenze, che nel 1490 offrirà, ad opera del pio tipografo Francesco
Bonaccorsi, l'edizione principe delle laude.

Inconfondibili particolarità linguistiche, sovrappostesi all'origi-
nale todino, quali l'uso dell'articolo plurale maschile gle (a Todi si
ha in genere li), la notevole incidenza delle finali atone in — e (meno
frequente a Todi), l’epitesi di -0, la dittongazione di ò e di è toni-
che in sillaba libera, l'assenza perentoria di ogni influsso del dialetto
romanesco e soprattutto la presenza di tratti aretino-cortonesi con-

vincono che da Perugia o dalle sue vicinanze nord-orientali sia

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CONVEGNO DEL CENTENARIO 267

migrata a Gubbio una pergamena del primo Trecento (della quale
G. Mazzatinti dava sommaria notizia in Miscellanea Francescana,
1886, fasc. 2, pag. 34 e, successivamente, negli /nventari dei mss. delle
Biblioteche d'Italia, Forlì 1891, giudicandola del sec. XV). La per-
gamena contiene due laude di Tacopone, alle quali non fu dato —
come del resto ad altre — di rientrare nel novero dell'archetipo ;
(ovviamente l'autore della prima raccolta non ebbe a disposizione
tutto il materiale né il tempo e l'intento di procedere a un'accu- |
rata revisione : l'archetipo si presenta, dunque, con sempre piü mar-
cate caratteristiche di excerptum, suscettibile di sottrazioni e di ag- iii
giunte). Per le due laude in questione il motivo della mancata TI
ospitalità può ritrovarsi nel fatto che, connesse, com'erano, strettis- il |
simamente a un disegno, presentassero notevoli difficoltà di copia. til

La pergamena eugubina (sul cui dorso si legge il passo del Van- MIT
gelo di Matteo — cap. 16, 16/22 — che doveva pur figurare nell’ori- B
ginale) non riproduce infatti il disegno, ma lascia, al suo posto, tra
| luna lauda e l'altra, un allusivo spazio bianco. Allusivo cioé alla
' Scala virtutum che costituisce il tema grafico delle due laude : com- TH
misti insieme, virtù e doni del Paracleto vengono elencati a | | 4
coppie (si tratta, invero, soltanto di alcune virtù e di alcuni doni) |
e corrispondono ai primi otto gradini della Scala: chè il nono è
tutto di Perseveranza, il decimo di Amore. Viticci, rami frondosi | |
sovraccarichi di frutti adornavano la Scala, ai piedi della quale ar- |
deva un fuoco di sette colori (i sette doni dello Spirito Santo). A m
| J ogni virtù o dono la prima lauda dedica una, due o piü strofe. | It (Lie

La seconda lauda — collaterale — organata con maggior libertà, | T
canta esclusivamente Amore. Di tono prevalentemente mistico é Wu.
assai piü effusa della precedente — di cui pur continua la parte |
finale — e si accosta in maniera inconfondibile allo stile, alle im- E
magini eai concetti di componimenti come XL, XC e XCI, ingiu- Mi
stamente sospettati di apocrifia. Con questi ha in comune il motivo pc
dell'abbassamento come premessa di salire a Dio, del ripudio di ogni
proprio volere, dell'ineffabile stato di quiete.

Di componimenti iacoponici ascetici o mistici, nati in simbiosi jJ M
| con un disegno, non è questo l'unico caso : abbiamo nel laudario il
| esempi come LXIX, LXXI e, probabilmente, anche LXXXVIII, t
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con i quali la prima delle due nuove lauce è specialmente vicina
anche per il lessico, i modi sintattici e l'uso grammaticale. M
q^ Tali procedimenti sono riconducibili, se vogliamo, a quelle tec- |
niche giullaresche che, al fine di rendere intelligibile la rassegna
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268 CONVEGNO DEL CENTENARIO

degli episodi, si giovavano di appositi cartelloni figurati. Se, tuttavia,
nel poeta francescano non fu consapevolezza di certe affinità, risulta
comunque ben precisa a questo tipo di laude la volontà di raggiun-
Sere, atiraverso un esplanamento di concetti di per sé difficili,
anche le intelligenze meno provvedute. S'accorda con tale inten-
zione lo stile volutamente vulgato, del pari rifuggente da forme idio-
matiche come da troppo arditi latinismi. Si preferisce in genere l'ado-
Zione di un linguaggio già passato al collaudo della poesia pro-
fana, francese e provenzale, frequente il ricorso all'anafora. bes do
un lato, adagiata entro questi schemi, l'individualità poetica di Iaco-
pone perde buona parte del suo smalto, dall'altro più evidenti si
fanno le libertà del metro e le anomalie della rima. Ciò si verifica
in ambedue le laude della pergamena eugubina, in special modo
nella prima, la quale, per aver andamento di trattato, oltre a pre-
ferire quasi sempre l'assonanza alla rima (come accade in numerosi
versi della LXIX), presenta altresì una labilissima distinzione strofica :
cosi che noi possiamo collocare i due componimenti ai limiti estremi
dell'atteggiamento polemico o addirittura anarchico della tecnica
versificatoria di Iacopone. Al quale rimangono peró estranee le
rozze didascalie della pergamena, che ripetono alla rinfusa emistichi
e versi delle due laude ; opera artigianale, dovuta forse all'autore del
disegno, le didascalie, hanno mera funzionalità di indici riferiti tout
court ai particolari dell’illustrazione, facilissimi epitomi per chi non
voglia o sappia leggere più distesamente. Tali didascalie, già nei testi-
monî del sec. XV, si saldano alla prima delle due laudi con conse-
guenze facilmente immaginabili.
Questi testimonî, stando al Tenneroni (Inizî di antiche poesie;
Firenze 1909) sono per la prima lauda il membranaceo 9. 7. 15 della
Civica di Bergamo, il cartaceo 519 (H3) della Comunale di Perugia,
il cartaceo 195 (codice Petti) della Comunale di Todi (cui si debbono
però aggiungere: l'Hamilton 348 della Bibl. di Stato di Berlino,
A.D.IX.2 della Braidense, il parigino 607, il corsinieno-romeno 43-
A-22, il napoletano XII-H-4 della Nazionale e il cimelio n. 6 cella
Biblioteca di Ascoli Piceno) : tutti compreso il Petti
all’edizione Tresatti, parte a un ms. di Bevagna largamente con-
taminato), appartenenti al gruppo veneto (il perugino — nonostante
là provenienza dal Convento di Monte Ripido — fu pure esemplato
su di un testo veneto) cui spetta — dati gli intenti edificanti e di-
vulgativi — il maggior numero di laude attribuite a Iacopone.
La seconda lauda ci é tramandata da codici piü accurati, anche

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CONVEGNO DEL CENTENARIO 269

se non tutti propriamente iacoponici, che, grosso modo, potremmo
porre con il gruppo toscano. Il Tenneroni elenca, oltre al solito Petti,
il cartaceo Laurenziano Ashburnhanmiano 423 XV, il Magliabe-
chiano (II, VI, LXIII), il cartaceo (sec. XV) dei conti Colonna,
il Chigiano LVII. 266 (si aggiunga, come sopra, il berlinese, il codice
della Braidense e altri due, i mss., cortesemente segnalatimi dalla
prof. Ageno, il Vaticano Chigiano L. IV. 120 e il Conv. Soppr.
C. 2, 608 della Nazionale di Firenze). Dei quali testimoni quello che
più richiama la mia attenzione — il ms. dell'Archivio dei conti Co-
lonna — è purtroppo, fin dall’ultimo conflitto, escluso da qualsiasi
possibilità di collazione.

MoRrcHEN : Mi compiaccio col prof. Mancini per l'accurato studio
linguistico condotto sull’argomento che investe, si può dire, tutta la
figura di Jacopone, poeta, mistico, e anche — direi — per quelle
che sono le sue relazioni con l'eresia ; la documentazione filologica cosi
puntuale, cosi precisa, che sarà un vero apporto agli studi iacoponici,.
metterà lo specialista in grado di approfondire tutte le questioni — e
ne rimangono ancora parecchie — su questo che é uno dei più famosi
poeti del periodo francescano. Forse sarebbe opportuno collegare queste
ricerche anche con le ricerche storiche sulla figura di Jacopone: forse
Lei potrebbe vedere con qualche utilità anche quel volume pubblicato
dal Centro di Studi sulla spiritualità medievale di Todi, in cui c'è una
bella relazione di Monteverdi su Jacopone poeta e poi c'è anche una
bella, originale e nuova comunicazione di Arsenio Frugoni su Jaco-
pone francescano. Specialmente per la valutazione d'insieme della cul-
tura di Jacopone, quello che rappresenta la sua poesia rispetto ai suoi
atteggiamenti mistici, è importante vedere quello studio.

Ora possiamo passare senz'altro a quelle relazioni che riguardano
più specificamente il tema del nostro Convegno ; cioè la celebrazione del
Centenario delle Deputazioni di Storia Patria per la Toscana e per
l'Umbria. Prego il socio Camerani di presentare la sua relazione sul-
l’opera della Deputazione di Storia Patria per la Toscana nel
dopo-guerra.

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270 CONVEGNO DEL CENTENARIO

L'ATTIVITÀ DELLA DEPUTAZIONE DI STORIA PATRIA
PER LA TOSCANA NEL DOPOGUERRA

Agosto 1944: Firenze sconvolta dalla pesante occupazione te-
desca, colpita dalle distruzioni operate nel centro e alla periferia
dall'esercito hitleriano prima di abbandonare la città, riprendeva a
vivere, dopo l’ultima e più dura prova, nota sotto il nome di « emer-
genza », che segno la fine del lungo e triste periodo. Coloro che
erano usciti indenni dai quotidiani pericoli provavano uno strano
senso di stupore, misto a sollievo, si trovavano nella stessa condi-
zione d’animo di chi, dopo aver vissuto parecchi mesi nella convin-
zione di essere affetto da una malattia mortale, apprende finalmente
che il pericolo è superato e sente con gioia di essere entrato in con-
valescenza.

Fra quei fortunati c'ero anche io e, com'é naturale, dopo aver
sistemato alla diavola le poche cose salvate dal disastro comune,
mi avviai verso l'ufficio, l'Archivio di Stato, per vedere che diamine
fosse successo anche là, dove la cornice era costituita da vetri rotti,
porte sfondate, calcinacci e sudiciume. E là appunto appresi che l’edi-
tore Aldo Olschki, che reggeva da tempo la nota, benemerita Casa
Editrice, legata a filo doppio alle iniziative della Deputazione di
storia patria per la Toscana, dopo essere scampato a mille pericoli,
pur colpito da gravissime perdite patrimoniali, aveva ripreso con
indomita volontà a ricostruire sulle rovine l’attività della Casa,
e in una stanzetta lì vicino, cedutagli dalla Soprintendenza alle
Gallerie, aveva stabilito il suo ufficio, riceveva il pubblico, riprendeva

il cammino interrotto.

Andai, e dopo lo scambio consueto delle personali notizie e la
sincera reciproca gioia di esserci ritrovati dopo tante vicende, do-
mandai all’amico Olschki, in qualità di segretario della Deputa-
zione, se non sarebbe stato il caso di riprendere la pubblicazione
dell’ Archivio storico italiano," la nota rivista che rappresentava,
per così dire, il fulcro dell’attività dell'Istituto, e mi sentii rispon-
dere con la maggior naturalezza del mondo, che certo, si, bisognava
riprenderla : beninteso, per il momento un solo fascicolo all'anno
(le spese di stampa le sosteneva, secondo un vecchio contratto del

1925, l'editore), e di un limitato numero di pagine, ma intanto si
poteva ricominciare, e subito.
CONVEGNO DEL CENTENARIO 271

A vent’anni di distanza vien fatto di chiedersi se a ragionar
così, in quella situazione, dimostravamo d’essere proprio sani di
mente. Progettare di riprendere la pubblicazione di una rivista
storica a carattere strettamente scientifico, diffusa in Italia nelle
biblioteche e negli Istituti di cultura che avevano da tempo cessato
ogni attività e non si sapeva quando sarebbero stati in grado di
riprenderla, e ancor più diffusa all’estero, quando la guerra era
ancora alle porte di Firenze (l’esercito tedesco in quel momento
doveva trovarsi a Prato o giù di lì), e le comunicazioni erano prati-
camente tagliate con tutto il resto dell’Italia, per non parlare della
Europa, era un atto di ottimismo, che definire esagerato è poco.
Si può dire piuttosto che fosse un atto di fede. Ma Aldo Olschki ha
sempre avuto la fede nelle sorti della sua Casa Editrice e nella fun-
zione di alta cultura da essa esercitata e questa funzione intendeva
ridarle con quella rinnovata energia che fluiva in lui come in tutti
coloro che usciti dall’incubo, tornavano a sollevare il capo con fidu-
ciosa baldanza.

L’iniziativa di chiedere la ripresa del periodico era stata mia,
in quanto il Vice Presidente della Deputazione, Antonio Panella,
come direttore dell'Archivio di Stato, era occupato a registrare
sconsolatamente i numerosi danni che la guerra aveva lasciato in
eredità all'ufficio, e il Presidente, che era Niccolò Rodolico, si sa-
peva che s'era rifugiato a Fiesole, ma poi, se avesse avuto la fortuna
di uscire indenne da quei disastri che si favellava fossero avvenuti
nella celebre collina, era un mistero che solo il tempo avrebbe risolto.

Lo imparammo pochi giorni dopo: Rodolico stava benissimo
ed era rientrato in Firenze carico di energia e di progetti, con quella
stessa volontà di fare che avevo riscontrato in Olschki.

Niccolò Rodolico era divenuto Presidente della Deputazione
di storia patria per la Toscana nel 1935 e subito aveva impresso,
al placido passo dell’Istituto, un ritmo più spedito. Aveva organiz-
zato nel 1937 un Convegno storico ad Arezzo, centrato sul problema
degli Archivi privati (al quale più tardi fu data una soluzione concreta,
anche se non felicissima, con la legge del 1939), e sulla ricognizione
di fonti archivistiche che condusse poi alla pubblicazione della col-
lana di Fonti e studi delle corporazioni artigiane del Medio Evo di
cui prima della guerra uscirono quattro volumi (*). Nel 1938 era stato
organizzato un secondo Convegno su « Toscana marinara e Toscana
mineraria » che diede luogo alla pubblicazione dello Statuto di Massa
Marittima, pregevolissima per la collaborazione di illustri studiosi

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272 CONVEGNO DEL CENTENARIO

e per l'eleganza dell'edizione (?). Poi, per forza di cose, questo fer-
vore di iniziative s'era arrestato.

La ripresa fu lenta, difficile, ma ci fu ; e i risultati furono superiori
alle più rosee speranze. -

Basterà un breve elenco a dimostrarlo.

Archivio storico italiano. Subito dopo la guerra sono stati pub-
blicati i tre indici dei cento anni della rivista, a cura di Eugenio
Rossi : una fonte bibliografica preziosa e consultatissima (3);

Sono da ricordare poi i numeri unici pubblicati per il centenario
del 1848, di Lorenzo il Magnifico, per il III Congresso internazionale
degli Archivi (Notizie degli Archivi loscani, seguite dal volume di
appendice pubblicato nel 1960) e infine il numero unico sul ricono-
scimento del Regno d'Italia pubblicato nel 1961 per il centenario
dell’Unità.

Giungevano talvolta alla redazione grossi lavori che non avreb-
bero potuto trovar posto nella rivista se non in un lungo seguito di
puntate. D'accordo con l'editore fu creata la Biblioteca dell’ Archivio
storico italiano di cui sono stati pubblicati finora 14 volumi (*).

L’editore fece presente che la vecchia e gloriosa Biblioteca storica
toscana, che contava i volumi notissimi di Volpe, Barbadoro e Sa-
pori, era ferma dal 1933. Bisognava ridarle vita per evitare che en-
trasse nel numero di quelle collane che sono «storiche » per il con-
tenuto e per il vago ricordo che di loro si serba. Ed ecco i volumi
del Sapori, del Fiumi e dell'Ugurgieri della Berardenga (*).

Un'altra notissima collezione, quella dei Documenti di storia

italiana era rimasta sospesa da gran tempo. C’erano ancora due
volumi stampati solo a metà, che per varie circostanze non era mai
stato possibile condurre in fondo : la seconda parte del volume delle
Relazioni di Carlo d'Angió con Firenze a cura di Sergio Terlizzi e
l’altro dei Documenti sull’antica costituzione di Firenze a cura del
Santini (°). Il Presidente ebbe l'ottima idea di chiudere la serie,
raccogliere i fogli stampati, munirli di un indice e dar fine così a
due opere che si trascinavano da anni. Ma bisognava anche iniziare
la seconda serie che doveva essere in veste e formato più moderni.
Ed ecco gli Statuti di Volterra a cura di E. Fiumi e i Protocolli di
Lorenzo il Magnifico a cura di M. Del Piazzo (7).

Ma la collana che ha avuto maggior sviluppo ed è giunta felice-
mente al termine è quella delle Fonti sulle corporazioni artigiane del
Medio Evo, di cui si è già parlato. Dopo la guerra, con l’aiuto essen-
ziale della Camera di Commercio di Firenze, si è arricchita di altri
CONVEGNO DEL CENTENARIO 273

volumi per cui tutti gli Statuti delle arti fiorentine maggiori e minori
(eccezion fatta per l’arte dei Giudici e notai i cui ‘statuti sono illeg-
gibili perchè danneggiati dall’inondazione secoli fa) sono stati pub-
blicati (8).

Un complesso di volumi dunque veramente notevole, tale da riva-
leggiare con la produzione di altre consorelle pecuniariamente più
fornite. :

Nè l’attività subisce soste : il Presidente è sempre pronto a pro-
gettare nuovi studi, a spronare quelli in corso. Chiusa la collana
degli Statuti delle Arti, si è dato inizio a quella degli Statuti rurali,
di cui sono usciti due volumi (*?) e intanto sono in corso di stampa
gli Statuti di Montepulciano ed in preparazione quelli di Perugia che
saranno pubblicati in collaborazione con la Deputazione Umbra.

Non spetta a me rilevare l’apporto recato dalla Deputazione
toscana nel campo degli studi storici : sembrerebbe che io facessi
una lode a me stesso, per giunta del tutto immeritata, perchè io
sono solo — come segretario — l’esecutore materiale, meglio, l'or-
ganizzatore pratico di quella vasta concezione di lavoro che è stata
progettata esclusivamente per opera e volontà del Presidente, ma
è giusto sottolineare che tutto il programma non si discosta dall'in-
dirizzo tradizionale documentario e in grande prevalenza medioeva-
listico che fu dato al glorioso Istituto dai suoi fondatori un secolo fa.

NOTE

(1) A. DonEN, Le arti fiorentine, trad. di G. B. KLEIN ; 2 voll, 1940;
Statuti dell’ Arte della Lana, a cura di A. M. ENRIQuES AGNOLETTI (1940).
Statuti dei Rigattieri e Linaioli, a cura di F. SARTINI (1940).

(2) Ordinamenta super arte fossarum rameriae et argentariae civitatis
Massae, a cura di N. RopoLico, A. PANELLA, F. SARTINI, M. CASELLA (1938).

(3) Archivio storico italiano. Indice 1842-1941, 3 voll. (1945).

(4) L. BuLFERETTI, Introduzione alla storiografia socialista in Italia
(1949) ; A. Lazzari, Parisina (1949) ; G. CAMERANI Manni, I documenti com-
merciali del fondo diplomatico mediceo (1951); R. RAMar, Il Guicciardini e
la tragedia d'Italia (1953); F. WiNSPEARE, La congiura dei cardinali contro
Leone X (1957); A. PrucHER, I « Mémoires » di Philippe de Commines e
l’Italia del Quattrocento (1957); A. M. TRIvELLINI, Il cardinale Francesco
Buonvisi (1958); B. SIMONETTA, Dialogo di Luigi di Piero Guicciardini tra
Francesco Zati e Pieradovardo Zacchinotti (1959) ; D. LANFREDINI, Un anta-
gonista di Luigi XIV (1959); A. PRucuER, Figure europee del primo Ottocento

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274 CONVEGNO DEL CENTENARIO

nel « Diary » di Lady Campbell Bury (1961); A. Corsini, I Bonaparte a Fi-
renze (1961) ; F. WINSPEARE, Isabella Orsini (1961) ; A. TAMBORRA, Gli Stati
italiani, l'Europa e il problema turco dopo Lepanto (1962); G. UGURGIERI
DELLA BERARDENGA, Avventure alla conquista di feudi e corone (1962).

(5) A. SaporI, La compagnia dei Frescobaldi in Inghilterra (1946) ; E.
Fruwr, L'impresa di Lorenzo de’ Medici contro Volterra (1948) ; E. FiuMI,
Storia economica e sociale di S. Gimignano (1961); G. UGURGIERI DELLA BE- .
RARDENGA, Gli Acciaiuoli di Firenze (1962).

(6) Sono il vol. XII e l'Appendice al volume X della Collezione.

(7) Statuti di Volterra, a cura di E. Fiumi (1952) ; Protocolli del carteggio
di Lorenzo il Magnifico, a cura di M. DeL PrAzzo (1956).

(8) Statuti dell’arte degli Albergatori, a cura di F. SARTINI (1953) ; Statuti
dell’ Arte del Cambio, a cura di G. CAMERANI MARRI (1955) ; Statuti delle Arti
dei Fornai e Vinattieri, a cura di F. MoRANDINI (1956) ; Statuti delle Arti dei
Corazzai, Chiavaiuoli e Fabbri, a cura di G. CAMERANI MARRI (1957) ; Statuti
delle Arti dei Legnaiuoli, a cura di F. MonANDINI (1958) ; Statuti delle Arti
dei Coreggiai, Tavolacciai, Scudai, Vaiai, Pellicciai, a cura di G. CAMERANI
MARRI (1959) ; Statuti delle Arti degli Oliandoli Pizzicagnoli e Beccai, a cura
di F. MORANDINI (1961).

(9) Statuti di S. Eugenio a Monastero, Monteriggioni, Sovicille, a cura
di G. PRUNAI, che è anche il direttore della collezione (1961) ; Statuti di Santa
Maria a Monte, a cura di B. CASINI (1962).

MonGHEN : Ringrazio il dott. Sergio Camerani della relazione
sull'attività della Deputazione di Storia Patria per la Toscana, che senza
dubbio é esemplare ; non voglio dire che sia la prima donna fra le
Deputazioni, ma senza dubbio l'autorità, il prestigio della Depuíazione
Toscana, specialmente con l'Archivio Storico, con il Gabinetto Vicus-
seux è nota a tutti, e questa tradizione è stata continuata in maniera
veramente egregia. Io proporrei perciò che al telegramma che abbiamo
già stabilito di inviare al prof. Rodolico, si aggiungesse una frase che
riconoscesse quest'opera della Deputazione di Storia Patria per la
Toscana, la quale sotto la sua autorevole ed esperta guida ha raggiunto
i risultati che noi abbiamo ascoltato per bocca del dott. Camerani.
Formulerei il telegramma così : « Partecipanti Convegno Centenario,
dopo aver ascoltato relazione dott. Camerani sull’attività Deputazione
Storia Patria Toscana svolta sotto la sua autorevole guida, inviano
deferente saluto formulando voti augurali ».

Do' adesso la parola al dott. Cecchini perchè faccia la sua relazione
sull’attività della Deputazione Umbra di Storia Patria.
CONVEGNO DEL CENTENARIO

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LA DEPUTAZIONE DI STORIA PATRIA PER L’UMBRIA

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Mi rincresce — ma non è esclusivamente colpa mia — di non ni
poter, dopo la brillante esposizione dell'attività svolta dalla Deputa- Ju
zione Toscana in questi ultimi anni, non dico contrapporre, ma al- WE
meno presentare una attività altrettanto intensa e autorevole ; |
anche perchè io ho creduto di dover fare un cenno delle vicende che Ì i
sono seguite alla costituzione in forma autonoma della Deputazione III
Umbra. M

A. poca distanza di tempo dal distacco delle Marche dalla Depu- |
tazione toscana segui quello dell'Umbria, in parte per imitazione del
primo, ma in parte maggiore per rinvigorito spirito di autonomia
regionale nel settore della cultura e degli studi storici.

Più penoso, forse perchè piuttosto a lungo patteggiato, e più pa-
tetico fu il distacco degli umbri dalla società toscana, anche perchè,
mentre le Marche vi erano state aggregate in un secondo tempo
— nel 1863 — la Deputazione sin dall'origine aveva raggruppato
umbri. e toscani. Ispiratore del movimento fu il senatore Ariodante
Fabretti ; stratega dotato di molta finezza diplomatica fu il conte
Luigi Fumi, che seppe trarre partito dall’apertura di spirito e dalla
condiscendenza mostrate dal Paoli per vincere le resistenze degli
avversari della separazione, che facevan capo al presidente Marco
Tabarrini. Lamentavano gli umbri di essere nella società relegati WE
in un cantuccio — tre soci ordinari su ventiquattro — di non aver Il
posto sufficiente nell'Archivio Storico Italiano per un'adeguata do-
cumentazione storica della propria regione. In realtà nell'ultimo de-
| cennio del secolo scorso numeroso, operosissimo e di ottimo rango
era il nucleo di cultori di studi storici in Umbria : Luigi Fumi, Leo-
| poldo Tiberi, Vincenzo Ansidei, Francesco Guardabassi, Annibale M
| Tenneroni, Giuseppe Bellucci, Luigi Lanzi, Giovanni Magherini INI

Graziani, Michele Faloci Pulignani, Oscar Scalvanti. |
| Concluse in via ufficiosa e amichevole le trattative per la separa- |
| : zione dell'Umbria dalla Toscana, il 12 settembre 1894 fu fondata |
| la Società Umbra di Storia Patria ; presidente Luigi Fumi, segretario |
Vincenzo Ansidei. i

Rapidamente iniziate le pratiche per ottenere il riconoscimento
di R. Deputazione con l’interessamento dei deputati umbri Fani,

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di H 276 CONVEGNO DEL GENTENARIO

Bracci e Pompilj fu felicemente conseguito l'obiettivo con l'istituzione
| della Deputazione di Storia Patria per l'Umbria sancita dal decreto
I. 27 febbraio 1896, n. 74. :
| Ammirevole il fervore con cui l'organo direttivo e gran parte dei
soci si diedero ad assicurare col concorso degli enti locali e del Mi-
IBI nistero della P. I. i mezzi finanziari occorrenti per lo sviluppo del-
l’attività societaria. Nel corso di assemblee dei soci fu individuato
il vasto campo operativo che veniva affidato alle cure e allo spirito
| realizzatore del nascente istituto e venne abbozzato un essenziale
IM programma di lavoro.
1B E mi vien fatto di ricordare per identità di posizione, salvo le
TE | . proporzioni tra le due regioni, le parole che in situazione analoga
LE pronunciò il 17 maggio 1873 Rinaldo Fulin, l'animatore dell’ Archivio
(RI Veneto, in sede di Comitato promotore della Società di Storia Patria
hi per le province venete : « Il campo, che più particolarmente pare ri-
servato a noi, è sì vasto che a gran fatica possiamo mirarlo col guardo.
Non crediamo di essere eccessivi dicendo che non v’ha parte della
nostra istoria, la quale non debba essere riveduta sui documenti.
Non vogliamo dire con questo che tutto ancora sia da fare, ma forse
potremmo dire che nulla ancora fu fatto da rendere inutili nuovi
studi ».

Fin dai primi anni strumento base per l’attività pubblicistica e
di studio dei soci fu il Bollettino, che usciva in grossi fascicoli qua-
drimestrali, zeppi di memorie, saggi critici, trascrizioni e illustra-
zioni di documenti, serie di regesti, inventari di fondi archivistici,
B recensioni e segnalazioni bibliografiche.

MI Ben presto alla pubblicazione del Bollettino si aggiunse quella
n delle Appendici al Bollettino, che presero a divulgare monogratie
storiche e saggi critici su particolari argomenti.

Nel corso dell'esistenza della Deputazione umbra si possono age-
volmente distinguere tre periodi, che si succedono dal 1894 alla con- |
| clusione della prima guerra mondiale, dal 1920 circa allo Scoppio )
| della seconda guerra mondiale; dal 1945 in poi; caratterizzazione
| spontaneamente dovuta a naturale evoluzione delle condizioni am-
| bientali, alla successione di nuovi cultori di studi storici e colla-
il SIAE boratori ai vecchi declinanti, a modificazione e rinnovamento, se pur
FARCITI lento, graduale e parziale, dei criteri e indirizzi storiografici predo-
- HIER minanti.

Tutti o quasi tutti i collaboratori più assidui al Bollettino nel
primo periodo seguivano il metodo storico, che si veniva affermando |

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CONVEGNO DEL CENTENARIO 271

e diffondendo in Italia a beneficio sopratutto degli studi locali, i
quali prosperarono rapidamente in tutte le regioni italiane, talora
con felici risultati, anche se limitati e parziali.

Nel programma fissato sin dai primi tempi, oltre alla pubblica-
zione del Bollettino e delle Appendici, era prevista una collezione di
Fonti per la storia dell Umbria e una impresa di grande impegno, la
cui mancata realizzazione anche oggi reca grave danno alla cono-
scenza della consistenza storica e del profilo spirituale dell'Umbria e
quindi alla sua piena valorizzazione; intendo dire la Bibliografia
Storica dell' Umbria. Ne fu redatto il piano di lavoro, furono stabi-
liti i criteri per la compilazione delle voci, assegnati gli specifici
compiti ai collaboratori; ma dopo i primi passi il lavoro si arenó
irrimediabilmente.

Purtuttavia la: Deputazione veniva via via approfondendo ed
estendendo la sua benefica azione di tutela e di incoraggiamento di
ogni seria impresa che tornasse a vantaggio o a decoro degli studi
storici e dell'incremento culturale ed artistico della Regione.

A] progressivo sviluppo dell'attività culturale e scientifica della
Deputazione in questo periodo portarono il proprio contributo come
collaboratori o come soci, oltre quelli già nominati Pietro Tomma-
sini Mattiucci, Giuseppe Sordini, Torquato Cuturi, Ciro Trabalza,
Luigi Lanzi, Giustiniano Degli Azzi, p. Lugano, Angelo Sacchetti
sassetti, Enrico Filippini, Pericle Perali, Giustino Cristofani.

Il conflitto mondiale 1915-18 e l'immediato dopoguerra, oltre che
un inevitabile rallentamento nell'attività della Deputazione, costi-
tuirono una svolta sopratutto nell'orientamento seguito da alcuni
soci nella propria attività di storici. I tempi venivano cambiando ed
è certo che, considerando gl'indirizzi prevalenti nella cultura ita-
liana in rapporto alle correnti filosofiche dominanti e all'idealismo
crociano e gentiliano sopratutto, gli studi storici, senza esser messi
da parte, avevano perduto quel peso di esclusivo strumento di cono-
scenza delle forme concrete della civiltà umana che incontrastata-
mente possedevano tra la fine dell'Ottocento e il principio del No-
vecento.

Anzi bisogna riconoscere alle Deputazioni di Storia Patria in ge-
nere il merito, connesso forse con un certo carattere provinciale, di
essersi mantenute estranee nella loro opera di elaborazione storica
da effimere tendenze innovatrici e da dubbie formule di comodo,
proseguendo quel filone di seria produzione concreta nei modi e nei
risultati che si era già validamente affermata nei decenni precedenti.

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278 CONVEGNO DEL CENTENARIO

È doveroso ricordare, sia pure succintamente, il Congresso delle
Deputazioni di Storia Patria, che si svolse a Perugia il 21 settembre
1923 con larga rappresentanza di società storiche. Gli argomenti trat-
tati, le discussioni che vi si tennero, le conclusioni a cui si giunse fu-
rono rimarchevoli : su tutto emerse la constatazione dello squilibrio
di rapporto esistente tra gli auspicati programmi di lavoro, i fini
societari da una parte e gli strumenti, i mezzi per attuarli dall'altra.

Il presidente Francesco Guardabassi defini il motivo dominante
del Congresso nel rilevare la necessità urgente di una piü stretta
collaborazione fra le società storiche regionali per attuare un coordi-
namento nell'attuazione di un programma di lavoro qualificato da
una certa organicità. Tale tesi fu confermata da molti delegati e
accentuata dal presidente della Deputazione di Storia Patria per le
Romagne, prof. Emilio Costa, il quale propose che all'Istituto Sto-
rico Italiano venisse confermato l'incarico, attribuitogli per disposi-
zione di legge, di coordinare i lavori delle singole Deputazioni, in
modo che la produzione scientifica sotto un'unica direttiva potesse
dare risultati migliori di quelli sino allora ottenuti.

Numerosi furono i voti formulati dal Congresso — e tutti di pal-
pitante attualità ancor oggi —. Tra l'altro vennero auspicati: 1)
l'aumento dei contributi governativi alle società ; 2) l'intensificazione
nella pubblicazione dei documenti riguardanti l'Italia conservati
negli archivi delle altre nazioni ; 3) l'interessamento piü operoso da
parte degli studiosi per la pubblicazione delle monografie e dei docu-
menti riguardanti gli argomenti storici più vari nei Bollettini regio-
nali, a cui il materiale storico stesso si riferisce, non solo per una più
ampia e sicura conoscenza della storia regionale, ma per raccogliere,
stimolando nei modi più efficaci le energie giovanili, un materiale
ancora più ricco, da utilizzare nella compilazione della storia della
nazione ; 4) la prosecuzione della compilazione degli Indici generali
di tutti i lavori d’indole storica nelle varie regioni, già per Firenze
incominciati dal Gherardi e per il Piemonte dal Cipolla e continuati
da pochi altri ; 5) la maggiore attività negli scambi fra i Bollettini e
le varie pubblicazioni delle singole società per rendere più facile la
ricerca bibliografica ; 6) la necessità di più frequenti affiatamenti
per meglio provvedere ad un indirizzo uniforme e quindi più orga-

| nico fra le singole società mediante periodici convegni nelle città

sedi delle medesime.
La Deputazione Umbra aveva appena rinnovato, nel 1932, il
proprio statuto quando per iniziativa del ministro De Vecchi ven-
CONVEGNO DEL CENTENARIO 279

ne attuata la radicale riforma di tutto il settore degli istituti di studi
storici a carattere nazionale e regionale.

Per la Deputazione Umbra il rinnovamento strutturale socie-
tario si attuò sotto la guida di Federico Chabod, allora docente
di storia moderna presso la locale università.

Da allora la produzione storica e critica si concentrò nel Bollet-
tino, a cui una nuova leva di collaboratori prestava la propria opera
piuttosto saltuariamente : Edoardo Martinori, Gaetano Gasperoni,
Aldo Cerlini, Pietro Pizzoni, Raffaele Belforti, Gino Franceschini.
A Chabod, trasferito da Perugia, successe per breve tempo nella pre-
sidenza Romeo Gallenga Stuart e poi a lungo Achille Bertini Calosso,
che impegnò tutte le proprie energie nelridare vitalità all’istituzione,
sull'esempio dei primi fecondissimi anni. Ma il nuovo conflitto mon-
diale e i crucciosi anni del dopoguerra ostacolarono e ritardarono for-
temente le possibilità di ripresa di una continuativa, produttiva at-
tività. :

È ovvio constatare che nell'evoluzione subita in questi ultimi
anni dal nostro Paese nella strutturazione degli organi della pubblica
amministrazione in modo da lasciar intristire alcuni degli organi già
esistenti e tradizionali per dar luogo alla costituzione di nuovi, le
Deputazioni sono venute a trovarsi al margine, anzi fuori del flusso
della vita attiva.

Purtroppo in occasione di alcune manifestazioni locali di
carattere culturale abbiamo dovuto constatare, senza nessuna punta
di recriminazione personale, che la Deputazione è stata dimenticata.
È da escludere che ciò avvenga per prevenzione; ma conferma
appunto (sarà forse colpa nostra) questo accantonamento in una
marginale zona d’ombra in cui essa può venire a trovarsi nella vita
attiva, in un certo senso pubblica, ufficiale, della Regione. Ci sono
state circostanze per cui ad una manifestazione di carattere cultu-
rale, storico-culturale, cerimonie inaugurali di nuovi Istituti o cose
del genere, la Deputazione è stata dimenticata. C'é un caso recentis-
simo, che mi permetto di ricordare, perchè è un pò collegato anche
alla mia precedente attività : la celebrazione del V Centenario del
Monte di Pietà di Perugia. Si è concretata questa manifestazione
(molto ben riuscita, credo) in un brillante discorso introduttivo
dell'on. Ermini (così mi hanno detto, perchè non l'ho sentito), in
un ottimo contributo storico a cui ha partecipato uno dei nostri
soci, il p. Nicolini, col quale ci compiacciamo vivamente, e in una
— mi dicono molto bella — mostra documentaria. Orbene la Depu-

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280 CONVEGNO DEL CENTENARIO ‘

tazione non solo non è stata invitata a partecipare in una forma

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. collaterale a questa manifestazione, ma neppure è stata invitata

alla cerimonia celebrativa. Questa dimenticanza si è manifestata
tanto più stridente in quanto all'ufficio rappresentativo di Presi-
dente della Deputazione veniva a trovarsi la medesima persona che,
come direttore dell’Archivio di Stato, nel 1943 aveva salvato dallo
scempio gran parte dell’Archivio Storico del Monte di Pietà. Nel-
l'inverno del '43, facendosi più frequenti i bombardamenti sulle
città umbre da parte dell’aviazione alleata, la Federazione Fascista,
che occupava la sede dell’antico Ospedale, decise di creare nei fondi
un ricovero con due accessi da tenere aperto anche la notte. Il tecnico
incaricato del lavoro, probabilmente nella sua ingenuità non ren-
dendosi conto della gravità del suo atto, ritenne di far passare un
corridoio d’accesso a tale ricovero attraverso una delle stanze occu-
pate dall'Archivio della ex Congregazione di Carità, e precisamente
quella in cui era concentrato l'Archivio del Monte di Pietà.

Non pensò di costruire di fianco al muro laterale che costituiva
una delle pareti del corridoio, un altro qualsiasi fondello in mura-
tura ; si contentò di spostare gli scaffali in legno con tutto il materia'e
archivistico sopra, il quale veniva a fare da parete. Naturalmente
dopo 4 o 5 giorni del materiale archivistico era accaduto uno scem-
pio; mi precipitai sul posto, presi subito contatto con l’allora Com-
missario del Monte ing. Giulio Scassellati Sforzolini, che mi autorizzò
a ritirare tutto. Dopo la liberazione, il resto dell'Archivio dell'ex
Congregazione passò all’Archivio di Stato, dove fu regolarmente
inventariato. Risultò purtroppo che la parte più antica e più pre-
ziosa, cioè quella del sec. XV dell'Archivio del Monte di Pietà, era
andata quasi completamente distrutta ; sfogliati i volumi, stracciati
i fogli, bruciacchiati, mescolati con una infinità di rifiuti d’ogni
genere, per cui irrecuperabili. Il Monte di Pietà si dimenticava di
invitare ad una manifestazione così solenne il Presidente della Depu-
tazione di Storia Patria che appunto, sia pure adempiendo i doveri
del suo ufficio, aveva messo in salvo gran parte del patrimonio docu-
mentario dell'Ente. Ma è da aggiungere che non tanto per questo
la dimenticanza è significativa, quanto perchè indica che non si
riconosce più quel prestigio e quella funzione di consulenza storico-
culturale che la Deputazione ha esercitato in un passato ormai
remoto. | |

Noi celebriamo con un certo senso di commozione e di orgoglio,
non tanto per noi, quanto per l'istituzione al cui governo del nostro
ne

CONVEGNO DEL CENTENARIO 281

meglio provvediamo, celebriamo, dico, il centenario di due Deputa-
zioni : toscana e umbra. Un secolo ; quanto lungo tratto di tempo per
la nostra breve vita, quanto lavoro ! Ma nel momento in cui formu-
liamo questo pensiero si richiama alla mente in una fugace veduta
di scorcio un riepilogo di opere, una specie di mentale bilancio. È na-
turale che in una simile circostanza si faccia un bilancio, che senza
computistiche pignolerie, può impostarsi così: quanta parte del
programma di lavoro che lo stesso decreto istitutivo del 1862 pre-
cisava, cioè « raccogliere, scegliere e mandare in luce per mezzo della
stampa storie, cronache, statuti, documenti diplomatici ecc.» è stata
attuata nell’ambito di sua competenza dalla Deputazione di Storia
Patria per Umbria ? Una minima parte. Ma allora, si dirà, che cosa
contiene la serie piuttosto pingue dei volumi del Bollettino e delle
Appendici? Contiene apprezzabilissimi e validissimi contributi alla
migliore conoscenza di certi aspetti, di certi momenti, di certi perso-
naggi della storia regionale con riflessi nella storia generale italiana.
Ma non c’è la presentazione, sarei per dire, la manipolazione sistema-
tica, organica delle vere e proprie fonti storiche : fondi diplomatici,
atti ufficiali amministrativi, politici, economici di potestà e magistra-
ture di enti pubblici, carteggi ecc. La serie delle fonti storiche è stata
aperta molto degnamente dal volume di regesti delle riformanze del
Comune di Perugia preparati dall'Ansidei e si è fermata lì. E questo
perchè ? Perchè, non ostante i buoni propositi dei dirigenti e dei soci
più attivi, non è mai stato possibile portare sul piano di pratica at-
tuazione un programma di lavoro di largo respiro, per la mancata
disponibilità di congrui mezzi finanziari di sicura provenienza e per
l'impossibilità quindi di impegnare in un lavoro di lunga durata un
certo numero di collaboratori.

Se si dovesse dedurre da questa constatazione un giudizio conclu-
sivo si direbbe con una punta, forse, di pessimismo, che la Deputa-
zione ha svolto, rispetto ai compiti istituzionali, un lavoro marginale
costituito soltanto da contributi parziali di talora buona e talora
eccellente qualità, da molti dei quali nondimeno si irradiano in-
tuizioni ed illuminazione di notevole valore storico.

Allo stato presente le difficoltà per l’approvvigionamento dei
mezzi finanziari e per l'attivazione di una qualificata, variata e con-
tinuativa collaborazione, specialmente per la parte di rassegna bi-
bliografica sono.cresciute per la struttura, le forme e le tendenze che
la società contemporanea è venuta assumendo in questi ultimi tempi.
Oggi il lavoro, qualsiasi lavoro e impiego di tempo, anche se prestato



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282 CONVEGNO DEL CENTENARIO

da elementi giovani, esige un corrispettivo finanziario. Perciò la
Deputazione, se riesce a superare le difficoltà che sussistono per la
compilazione. e la pubblicazione del Bollettino, non è assolutamente
in grado di impostare la realizzazione di alcuni punti programmatici ;

come la prosecuzione della pubblicazione delle fonti storiche del’Um- -

bria, la preparazione della bibliografia dell'Umbria, la formazione del
Centro di raccolta e d’informazione bibliografica, archivistica e arti-
stica sui Disciplinati.

Riunendo le forze tra Deputazione toscana ed umbra si è riusciti
a ‘impostare la pubblicazione dello Statuto del 1279 del Comune di

Perugia. L'Accademia Spoletina ha testé dato alla luce lo statuto.

comunale spoletino del 1296. Ma a cent’anni dalla fondazione della
Deputazione ci domandiamo ancora con mal dissimulata indiffe-
renza quando potranno esser pubblicati lo statuto comunale di Fo-
ligno, già trascritto e commentato dal compianto Angelo Messini,
e quelli di Umbertide del 1362, di Spello del 1360, di Amelia del 1340
e di altre località ; e i regesti o almeno gl’indici delle riformanze degli
organi deliberanti per più che la metà dei comuni dell'Umbria risa-
lenti al XV, al XIV e talora al XIII secolo.

Dietro suggerimento del prof. Rodolico, allo scopo di disporre
di concreti elementi di orientamento in vista di questo convegno ho
chiesto alle varie Deputazioni di storia patria notizie concernenti la
data d’istituzione, la dotazione finanziaria, il carattere e il volume
della attività svolta. Delle 22 società storiche interpellate 5 sole
hanno risposto e precisamente : la Deputazione di Storia Patria per
le Venezie, quella Subalpina, la Società di Storia Patria per la Puglia,
quella per la Sicilia orientale, l'Accademia lunigianese di Scienze
« Giovanni Capellini ». Sono tuttavia sufficienti queste poche risposte
a renderci certi che la situazione è piuttosto precaria ovunque e
analoga a quella della nostra Deputazione. Solo a prezzo di personale
impegno dei dirigenti e di spericolati equilibrismi per impattare il
dare con l’avere è possibile per ciascuna di queste isituzioni svolgere
una degna e continuativa attività culturale e scientifica. Basta con-
siderare che la dotazione annua ordinaria conferita dal Ministero
della P. I. nella misura più alta, attribuita soltanto alle più grosse
deputazioni (Piemonte, Toscana ecc.) è di L. 75.000 lorde. Per il resto
si va alla questua ogni anno col cappello alla mano al fine di mettere
insieme quel tanto indispensabile a far fronte alle spese anche minime
di gestione e di stampa, cioè quel milione e mezzo, quei due milioni
necessari per un minimo segno di decorosa vita culturale.

—— ——— —
CONVEGNO DEL CENTENARIO 283

Non vorrei potesse sembrare che queste note siano state stese
sotto l'influsso di un umor nero ; e che in sostanza il succo di tutto
ciò venisse ad essere un giudizio negativo sull'opera della nostra De-
putazione che, specie in questa circostanza, sarebbe perlomeno in-
tempestivo. Ritengo invece che sia da pensare tutto il contrario ; ma
bisogna nel contempo riconoscere che per alimentare una vera cor-
rente di produzione storica regionale occorre adeguata disponibilità
di mezzi finanziari e di persone disposte a lavorare. Bisogna avere
il coraggio di dire queste cose e di battersi perchè si attuino le condi-
zioni favorevoli a un concreto progresso nella produzione di organiche
raccolte di fonti storiche.

A tal fine mi permetto sottoporre all'attenzione dell'Assemblea
alcuni quesiti, secondo me, di attualità, che costituiscono il tema fon-
damentale di questo Convegno.

1. — Si ritiene utile e opportuno aumentare il carattere pubblico
delle Deputazioni ? E in caso affermativo per mezzo di quali attribu-
zioni o servizi d'istituto ? po

2. — Si ritiene utile e attuabile una intesa fra tutte le deputazioni
e società storiche per la formulazione di un piano organico per la
scelta, la preparazione e la stampa delle fonti storiche inedite o mal
edite da attuarsi gradualmente ?

3. — Si ritiene necessario indire un’apposita riunione di delegati
delle deputazioni e società storiche per un obiettivo, approfondito
esame della situazione, per la definizione dei fini, delle attribuzioni,
in una parola della funzione di esse in armonia con le esigenze, le
tendenze e i caratteri della odierna struttura sociale e nazionale e per
la formulazione finale di una risoluzione che indichi le vie da seguire
per raggiungere la valorizzazione di tali istituti ?

MorcHEN : Ringrazio vivamente il prof. Cecchini della sua rela-
zione, che ci ha fornito i dati per una discussione approfondita e spero
feconda di risultati. La relazione del prof. Cecchini, insieme a quella
del prof. Sergio Camerani, ci ha mostrato in sintesi tutta la storia
gloriosa di queste istituzioni, che hanno accompagnato il formarsi
della nostra unità, il consolidarsi del nostro sentimento nazionale ;
storia gloriosa, la quale è stata presentata anche nelle sue ombre e nelle
sue luci. Mi pare che da quello che è stato detto emergano due punti
che, secondo me, dovrebbero essere tenuti presenti nella discussione.
Perciò io mi permetto, come Presidente, di indicarli, non per anticipare
una conclusione, ma per orientare la discussione : il primo punto è

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284 CONVEGNO DEL CENTENARIO

che queste società storiche sono state promosse dal potere statale, in
quanto si riteneva che questi studi di carattere regionale, volti special-
mente ad illustrare la storia patria, fossero confacenti all’indirizzo
generale dello spirito pubblico di rinsaldare nella tradizione il senti-
mento nazionale attraverso gli studi storici. Questo, mi pare, è un punto
che noi dobbiamo tenere presente, proprio nel riappellarci agli organi
di governo e alle autorità, perchè questo, che è stato il primo impulso
dello spirito della nuova Italia ricostituita in unità, ha dato origine
a questa istituzione. Il secondo punto da tener presente, secondo me,
è questo : che questi studi regionali erano in gran parte affidati, ed erano
merito di quegli studiosi locali, che purtroppo vanno sempre più dira-
dandosi. Erano anche una certa classe, diciamo così: erano i canonici,
i Faloci Pulignani, erano i conti Ansidei, i signori colli ; ora questi
studiosi locali sono venuti meno, si sono venuti molto diradando =
quindi bisogna in certo modo dal basso fornire un nuovo personale
scientifico, che non è tanto più legato alla regione, ma è legato invece
a certi interessi specialmente culturali e scientifici di erudizione e di
ricerca storica. E quindi bisogna avere i mezzi adeguati per ricostruire
questo personale. Mi pare che questi due punti fondamentali debbano
essere tenuti presenti e che su di essi debba svolgersi la discussione dei
temi proposti dal prof. Cecchini. Apro senz'altro la discussione.

PicortI: Domando se si può discutere solamente sulle relazioni
Camerani - Cecchini oppure su tutte le relazioni.

MORGHEN : Io direi che per uno svolgimento ordinato della nostra
discussione, adesso discutessimo solamente sulle due ultime relazioni.

SALVATORELLI : Propongo una mozione d'ordine. Ritengo che
una discussione su tutte le relazioni passate sia una chimera. Adesso
si faccia la discussione sulle due relazioni più recenti. Poi, se ci sarà
un margine di tempo, quelle due o tre persone che hanno desiderio di
intervenire su qualcuna delle altre si facciano avanti ; non più di
questo.

Prcorri : Mi pare che siano d'accordo il presidente e il prof. Salva-
torelli, e sono d'accordo anch'io, domandando senz'altro la parola se si
venisse non ad una discussione, ma ad una trattazione di carattare scien-
tifico. In quanto alla questione pratica, mi sembra che dobbiamo essere
tutti d'accordo. I meriti che possono avere i fondatori delle Deputazioni
di Storia Patria, non possono farci dimenticare né far passare in se-
conda linea il merito grande di coloro che hanno risollevato le Depu-
tazioni di Storia Patria e gli studi storici dalle condizioni in cui erano
stati gettati dalla guerra e dal primo dopoguerra. Per uno di loro, a
rie

CONVEGNO DEL CENTENARIO 285

Nicolò Rodolico, molto giustamente l’amico Morghen ha aggiunto nel
telegramma che io avevo proposto una parola che alludesse a quest'opera.
A. Sergio Camerani, la cui sorridente bonomia ha voluto nascondere
quanto meritoria sia slala l'opera sua, non può andare che il nostro
plauso più entusiastico. A Giovanni Cecchini, il quale — ed ho sen-
tito con vivo dolore dell'animo mio, — francamente — ci ha rivelato
a quale gravissimo pericolo sia andato incontro l’ Archivio del Monte
di Pietà, e come egli sia riuscito a fatica a salvarne una parte, per
questo e per l’opera che egli ha prestato dopo va insieme ad un plauso
nostro, l'augurio che la Deputazione umbra di Storia Patria sia messa
finalmente in grado di poter funzionare in modo efficace.

MoncnrN : C'é altri che chiede la parola ? Salvatorelli ?

SALVATORELLI : Jo preferirei veramente che parlassero quelli che
non fanno parte del Consiglio Direttivo. Ad ogni modo io avrei poi
da dire una cosa.

MorcHEN: Allora sentiamo Abbondanza.

ABBONDANZA : Nonostante la mia scarsa esperienza, il fatto di
seguire solo da pochi anni, cioè da quando ho cominciato ad interes-
sarmi di studi storici, l’attività delle Deputazioni di Storia Patria,
dopo aver ascoltato con molta attenzione quanto hanno riferito e il
dott. Camerani e il dott. Cecchini, vorrei semplicemente esprimere
una impressione mia ; è indubbio che le attività di questi benemeriti
organi vadano il più possibile sostenute e appoggiate e naturalmente
a incominciare dallo Stato, che, come il prof. Morghen ha osservato, le
promosse e le concepì in funzione dell’unificazione nazionale e cultu-
rale. Però vorrei anche esprimere un’impressione : bisogna evitare una
eccessiva burocratizzazione di queste istituzioni : queste istituzioni,
è una chimera che possano vivere se non vi sono le persone delle più
diverse provenienze, dei più diversi orientamenti culturali, non timo-
rose — naturalmente — di scontrarsi, anche, nella diversità degli
indirizzi, intorno a concreti problemi che sono poi quelli di edizioni
di fonti e di pubblicazioni di opere storiche. E la loro prima premessa
di vita è l'elemento umano, cioè la feconda collaborazione con l'Uni-
versità, con gli storici dell’ Università, la loro — diciamo — prepara-
zione di piani di lavoro che siano seriamente e scientificamente ela-
borati, perchè ovviamente la pubblicazione dello Statuto, come ho
cercato di dimostrare nella mia breve relazione di ieri, è qualcosa
che involge non il semplice problema della trascrizione del testo, ma
si allarga ad una più ampia considerazione di tutta la produzione
statutaria : questo per quanto riguarda lo Statuto. Ecco perchè, pur
. Montesperelli. Tu: Salvatorelli, parlerai allora per ultimo ?

286 CONVEGNO DEL CENTENARIO

ritenendo estremamente fondate le lamentele che sono state sollevate e
auspicando anch'io — naturalmente — che gli organi preposti alla
cultura nazionale intervengano efficacemente, vorrei dire che le condi-
zioni materiali, pur essendo molto importanti, non si sostituiscano a
quella che deve essere la prima base, cioé il concentrarsi in queste
istituzioni di quanto di meglio offre la Regione e la città sul piano |
storico e sul piano della produzione storica. Questo è, diaciamo, il
mio punto di vista.

MoncHEN : Ecco il prof. Salvatorelli. C'è anche Camerani, c'é

SALVATORELLI: Non é che io tenga a parlare per ultimo ma
vorrei sentire...

MonGHEN : Sentiamo allora Montesperelli.

MonTESPERELLI : Il prof. Morghen, molto giustamente, | attri-
buiva almeno una causa della poca efficienza delle Deputazioni di
Storia Patria alla mancanza di una classe di studiosi locali che possano
dedicarsi a questo genere di ricerche e di attività ; e quindi accennava
alla necessità di ricreare, in qualche modo, questa classe. Però il prof.
Morghen non ha accennato a come potrebbe essere ricreata questa classe :
ora, io faccio presente la mia esperienza personale; del resto tutti
quanti parlano un pò secondo la propria esperienza personale.

MoRGHEN : Proprio questo serve: raccogliere i dati delle singole
esperienze.

MONTESPERELLI : Jo sono insegnante di scuola media, e il mio
Preside, che è qui presente, sa che io puntualmente ogni mattina sono
a scuola all'ora stabilita, e passo sostanzialmente tutta la mattina a
scuola. Ora, chi può fare queste ricerche. se non coloro che, anche per
ragioni professionali, si dedicano a questo genere di attività? D'altra
parte, però, fintanto che gli studiosi sono impegnati nel genere di
attività strettamente professionale, come fanno ad occuparsi di questi
studi, di queste attività? Ora, penso che si dovrebbe promuovere una
azione presso il Ministero della P. I. perchè, di fronte a casi di merito
(e non intendo certo proporre me stesso), potesse anche concedere qual-
che — non dico vacanza — ma riserva di tempo da dedicare a questo
genere di attività di ricerca ; perchè se no questa nuova classe di stu-
diosi locali, importantissima, io non saprei come e dove andarla a
trovare.

MorcHEN : Allora il prof. Camerani.

CAMERANI : Scusate se riprendo la parola, ma volevo dire una
cosa al prof. Cecchini. Egli ha auspicato una riunione di Deputazioni
CONVEGNO DEL CENTENARIO 287

e'c. C'é già stato anche l'anno scorso, questo tentativo, anzi una riu-
nione a Roma, alla quale partecipò anche lui. Allora ricordo che presi
la parola, e dissi una cosa, e la ripeto qui in assemblea, perchè, per
quanto sia pessimistica, è la realtà. Accordo fra le Deputazioni : tutti
vengono, tutti stabiliscono un piano di lavoro ; questo è un principio
generale, che viene affermato. A me è capitata una cosa : alcuni anni
fa si stabilì di fare un comitato permanente di Studi Storici in Toscana,
e pubblicare una rivista ; io fui incaricato di dirigere la rivista, ma
sempre sotto il controllo del comitato permanente costituito dai rap-
presentanti di tutte le province ; illustri personaggi che dovevano colla-
borare e contribuire. Abbiamo convocato il comitato quattro, cinque,
sei volle ; non s'é mai visto nessuno. Questa è stata la collaborazione
che noi abbiamo avuto da tutti i diversi rappresentanti di società sto-
riche ; dopo di che la rivista è stata portata avanti da me e altri colla-
boratori, così alla diavola, finchè finalmente l'abbiamo affidata all'edi-
tore Olschki, e si tira avanti così ; ma il comitato non esiste più. Questa
è la collaborazione che purtroppo io penso che verrà fuori dagli istituti
storici.

MonGHEN : Ed ora il prof. Segoloni.

SEGOLONI : Jo mi permetto esprimere un desiderio da sottoporre
all'attenzione della Presidenza e del Consiglio Direttivo della nostra
Deputazione di Storia Patria. Dico un desiderio, e non certo un con-
siglio, perchè ancora non ho tanti capelli bianchi da poter dare con-
sigli. Ed è precisamente questo : un rilievo che mi è stato suggerito
dal programma di questo Convegno ; cioè a dire, nel programma io
ho trovato gli argomenti più svariati ; noi siamo passati dagli statuti

del 1279, che ci ha illustrato il prof. Abbondanza, alle laude iacopo- '

niche e alla attività della rivoluzione dell’Italia Centrale, illustrata
dal prof. Salvatorelli. Ora, evidentemente, quando noi ci raduniamo
qua, per discutere una giornata e mezzo, tutti questi argomenti, così
svariati, che abbracciano un periodo così vasto di tempo, ci troviamo
di fronte ad argomenti che non permettono nè di essere tutti seguiti
adeguatamente nè di intervenire nella discussione con qualche appro-
fondimento di quelle che sono state le relazioni o le comunicazioni
stesse. Perciò io mi proporrei di esprimere proprio questo desiderio,
e questo credo che possa comportare una qualche utilità ai nostri lavori
e ai nostri studi, che per gli anni successivi, per le riunioni venture
venga stabilito un argomento di carattere locale, da affrontare in sede
di riunione. A proposito dell’opportunità di adottare’ programmi limi-
tati ad un determinato argomento e ad un determinato periodo, que-
L pil BRA PROSTATITE KS Qe cai Dd a B din

VAR iet ai Lt AAT MAMET T 205 9d v o S P

288 . CONVEGNO DEL CENTENARIO

st'anno (scusatemi ancora se esprimo questo mio parere) noi abbiamo
celebrato il centenario delle Deputazioni di Storia Patria per l'Umbria
e per la Toscana ; ora, questo centenario offriva il destro per un magni-
fico argomento. Del resto voi avete ricordato qui Giustiniano Degli
Azzi nella sua attività di studioso negli archivi della Toscana e nella
sua opera relativamente all' Umbria. Ora, uno dei lavori di Giusti-
niano Degli Azzi concerne proprio le fonti archivistiche sulle relazioni
fra il Comune di Perugia e quello di Firenze e la Toscana in genere.
Un argomento di questo genere di prestava magnificamente ad essere
oggetto di studio e di approfondimento in occasione di questo cente-
nario delle due Deputazioni di Storia Patria Umbra e Toscana. E
mi pare che forse entro questi limiti il.nostro Convegno avrebbe potuto
dare, proprio in occasione di questo centenario, un' utilità forse maggiore,
Ed ancora un altro desiderio io mi permetto di esporre, esprimere,
alla Deputazione e al Consiglio Direttivo : io sono stato, e credo altri
come me, che sono un modesto socio corrispondente, io sono stato infor-
mato della riunione del Convegno, dalla circolare della stessa Depu-
tazione, nella quale erano date alcune notizie di carattere generico
relativamente alle relazioni e alle comunicazioni che si sarebbero svolte.
Ora, io non so come le comunicazioni e le relazioni vengano scelte, chi
venga officiato e con quale sistema si è officiato per le relazioni e le co-
municazioni. Normalmente, per tutti i Convegni di studio si suole
esporre un programma (appunto per questo io mi riferivo al programma),
si invitano, (ed é naturale che essendoci dei Soci ordinari e dei Soci
corrispondenti si invitino anche questi Soci) a voler fare, se se la sen-
lono, delle comunicazioni sull'argomento. Naturalmente alla Presidenza
e al Consiglio Direttivo starà poi di scegliere quelle che sono ritenute
utili e opportune in relazione agli argomenti, in relazione al tempo e
a tutto il resto. Mi pare che questo possa essere un buon sistema (non
so se mi sbaglio ; esprimo — come dico — un desiderio, non certo un
consiglio), per far si che nelle nostre riunioni si porti un contributo
pià valido ai nostri studi.

I] Presidente Cecchini chiede di rispondere e il prof. Morghen
lo invita a farlo subito.

CeccHINI : Per tranquillità del prof. Segoloni devo dire i criteri
che sono stati seguiti d'accordo con la Deputazione Toscana nell'orga-
nizzazione di questo Convegno. Solitamente la Deputazione nostra
segue la prassi normale, che é quella cui ha accennato il prof. Segoloni :
così è accaduto, per esempio, per il Convegno Storico regionale di Terni,
e così accadrà per i Convegni Storici regionali futuri. Quindi non è
CONVEGNO DEL CENTENARIO 289

una novità, questa che il prof. Segoloni dice. È un indirizzo che è stato
sempre seguito, da quando è sorta la Deputazione di Storia Patria.
Per questo Convegno, molto speciale, d'accordo, e direi anche con pre-
cise indicazioni caldeggiate (e il prof. Camerani me ne può dar atto)
dal prof. Rodolico, si è preferito, data anche la ristrettezza di tempo,
innanzitutto di non assegnare un tema unico al Convegno, anche per
dare la possibilità a studiosi e a soci che provengono da settori diversi
di poter contribuire con una certa maggiore varietà di trattazione ; e in
secondo luogo si é stabilito di ordire il programma del Convegno su —
diciamo — sollecitazioni impartite proprio dagli organizzatori del Con-
vegno ; a numero bloccato in sostanza, per evitare che si potesse giungere
a esclusioni poco simpatiche e per evitare anche il sovrapporsi di un
numero eccessivo di comunicazioni. Se questo criterio sia stato giusto 0
sbagliato, lascio giudicare a voi. Comunque questo è stato il criterio
adottato conformemente agli accordi presi, ed è stato appunto esatta-
mente seguito ; abbiamo fatto una sola eccezione, e per questo mi per-
metto di chiedere scusa ; abbiamo dato la possibilità a Franco Mancini di
aggiungersi fuori programma, all'ultimo momento, essendo la sua co-
municazione venuta pochi giorni fa ; questa è una infrazione di cui mi
rendo responsabile io.

MorGHEN : Nessuno potrà dolersene ...

CeEccHINI : Chiedo scusa eventualmente a tutta l’assemblea.

MoRcHEN : Allora mi pare che debba parlare Uguccione Sorbello.

SoRBELLO : Jo sono incoraggiato a parlare dal fatto che mi pare

che il prof. Abbondanza e il conte Montesperelli hanno detto che bisogna.

sentire le persone di varie provenienze. Io non sono uno storico, ma ap-
punto incoraggiato dal fatto che volete allargare la discussione anche
a chi non è precipuamente della materia, volevo fare qualche precisa-
zione, che ho già fatto anche in passato sui giornali. Io parlo natural-
mente della situazione di Perugia (la situazione toscana non la conosco).
La situazione a Perugia, se è guardata in faccia, è molto triste : questa
era una città di circa 10.000 abitanti e aveva un editore, che era il Ba-
duel, aveva della gente che scriveva e pubblicava ; poi è diventata, nel-
1800, una città di 17.000 — 18.000 abitanti, ha continuato a pubbli-
care ; è diventata una città di 120.000 abitanti e non pubblica quasi più
niente. Questa è la verità. Non c’è un editore, non escono libri. Questo,
anzi, è un anno albo lapillo, perchè, per lo meno, abbiamo avuto il
libro di p. Ugolino Nicolini, che è veramente fondamentale per lo studio
della banca nel ’400, e poi speriamo di avere il Piccolpasso. Sarà qualche
cosa, anzi sarà qualche cosa d'unportante. Ma io penso che qui ci sono

19

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nal Ee 290 CONVEGNO DEL CENTENARIO

proprio delle carenze che si sono prodotte attraverso lunghi anni in cui
non si pubblica più niente. Io sono portato naturalmente a guardare
più la divulgazione che la ricerca pura, ma io dico : se arriva uno a
Perugia e chiede che gli si metta in mano una storia della città, bisogna
ricorrere al Bonazzi, che si ferma a 100 anni fa. Qui non c'è modo di
dire a noi perugini, e a chi viene da fuori, che cosa è successo in cento
anni, non c’è niente. Io parlo non di una storia, ma anche di una sem-
plice cronistoria, cioè proprio avere l'elenco dei fatti, di quello che av-
viene ogni anno, perchè noi sappiamo che la storia più si avvicina al
presente e più diventa cronaca.

SALVATORELLI : Questo non è compito della Deputazione di Storia
Patria : abbia pazienza, noi studiamo il passato...

SORBELLO : Jo parlo del passato, ma parlo del passato di cento
anni, comunque arrestiamoci pure a trent'anni fa, per non passare
dalla storia alla politica...

SALVATORELLI : Se ne fa anche troppa, di storia contemporanea.

SORBELLO : A Perugia non se ne fa niente, di questa storia con-
temporanea.

SALVATORELLI : E si perde il senso della storia . . .

SORBELLO : Forse è questione di intenderci dove comincia la sto-
ria contemporanea e dove finisce la storia storica...

SALVATORELLI : Queste lacune che Lei constata e che effettiva-
mente esistono, sono lacune di carattere tecnico, che possono essere col-
mate da iniziative individuali, o ad ogni modo da iniziative anche, se
si vuole, ufficiali, ma non dalla Deputazione di Storia Patria : hanno
un altro carattere.

SoRBELLO : Jo non so se sia fuori sede parlarne qui, ma se la
Deputazione ha un limite, diciamo, di data ai suoi interessi . . .

SALVATORELLI : Non è questione di data, ma è che evidentemente
ci vuole una certa proporzione. La Deputazione di Storia Patria per
forza di cose deve occuparsi precipuamente del passato.

SoRBELLO : Ma io parlo del passato, anzi volevo dire che proprio
il presente, il vicino presente lo escluderei per ragioni contingenti e
politiche, ma cent'anni non sono più il presente.

SALVATORELLI : Guardi, c'è tanta gente — e di questo è anche
responsabile nientemeno che Benedetto Croce, se posso dirlo — la quale
crede che veramente l’Italia, il popolo italiano, la nazione italiana
abbia cominciato ad esistere nel 1860, o addirittura, se si va più in-
dietro, nel 1815, o al massimo, al tempo della rivoluzione francese ;
ma la storia d’Italia comincia con la storia romana, anzi con la prei-
CONVEGNO DEL CENTENARIO 291

storia della storia romana ; quindi noi abbiamo venti secoli di storia
nazionale, e se le Deputazioni di Storia Patria, gli organi, appunto,
creati apposta per promuovere la conoscenza storica dell’ Italia, concen-
trano tutti i loro sforzi sulla cronaca annuale dal 1870 in poi tra-
scurando conseguentemente tutti i secoli anteriori, allora, possiamo
anche rinunciare alla nostra coscienza nazionale. i

SoRBELLO : Non mi pareva che nelle mie parole io escludessi la
storia antica, comunque...

SALVATORELLI : Lei capirà, non si può mica far tutto, questo
è chiaro.

MoRGHEN : Adesso, Sorbello, esponga chiaramente il suo pensiero . .

SorBELLO : Il mio pensiero lo riassumo brevissimamente : mi
pare che dovrebbe esistere, o sarebbe auspicabile che sorgesse una ini-
ziativa o delle iniziative che in un certo senso incanalassero i giovani
studiosi, i quali in genere — nelle università — vanno cercando un
argomento più o meno indicato dai loro professori, a riempire certe
lacune che noi constatiamo. Adesso Lei mi dirà : non è la Deputazione
di Storia Patria che lo deve fare, ma sempre di storia io parlo ; per lo
meno mi pare di non uscire dall’argomento proponendo che a Perugia
sorga qualche iniziativa, magari col concorso finanziario di banche, di
istituti, per colmare la lacuna cui ho accennato. Noi vediamo gli enti
provinciali del turismo incoraggiare iniziative di premi, per la poesia,
per la pittura, etc. ; si potrebbe pensare a un premio annuale o bien-
nale, che sia però centrato su un argomento, per procacciare su di esso
uno studio serio, una monografia di buona divulgazione.

MorcHEN: È una proposta interessante, ma esula un pochino
dalla trattazione dei temi generali che riguardano la Deputazione.

SALVATORELLI : Se passiamo a discutere quello che si può fare
per promuovere in genere la conoscenza storica, possiamo natural-
mente andare avanti fino a stasera, e non avremo esaurito l’argomento.
Dobbiamo affrontare qui due o tre punti...

MoRrGHEN : Ti prego di manifestare il tuo parere in proposito.

SALVATORELLI : Ma non ho per l’appunto intenzione di esaurirli
io... Avevo una cosa principalmente da dire, da avvertire cioè che
questo sarebbe il momento opportuno per impostare veramente, in
maniera fondamentale, la questione delle risorse perchè innanzi tutto
è una questione di risorse finanziarie, per lo sviluppo, per la conserva-
zione delle Deputazioni di Storia Patria. In secondo luogo si potrà pre-
cisare meglio quali sono gli argomenti, quali sono le cose più importanti,
etc.; ma secondo me, in fondo, ogni Deputazione di Storia Patria se
292 CONVEGNO DEL CENTENARIO

la dovrebbe porre da sè, la questione. E dirò che condivido in una certa
misura lo scetticismo di Cameranì circa quel che si può cavare dai
collegamenti. Io su questi collegamenti, francamente, non insistesei
troppo. È tanto semplice: la Deputazione di Storia Patria di una
regione deve promuovere la conoscenza della storia di quella regione.
Potranno accadere dei doppioni, e sarà poco male. Ci potranno essere
effettivamente dei temi i quali, proprio per il loro sviluppo, necessitino
di contatti fra due o più Deputazioni : e si istituiscano pure questi
contatti particolari. Ma l’idea di istituire una specie di burocrazia
organizzativa e direttiva delle Deputazioni di Storia Patria, io per conto
mio la respingo nettamente. Bisogna tener conto delle necessità caso
per caso, che si possono presentare, per le quali, ripeto, la questione
è principalmente di risorse. Per il problema delle risorse, con i relativi
fondi finanziari, organizzazione finanziaria etc., ci sarebbe adesso
un'occasione per impiantarlo in una maniera non dirò definitiva,
ma per lo meno organica, seria. Si costituiranno le Regioni : ormai
queste regioni, o piacciano o non piacciano (Dio mi liberi dall'entrare
adesso nella questione), si faranno : quei tanti o quei pochi che com-
battono questo istituto (e possono avere anche qualche buona ragione
in quello che dicono) farebbero meglio a fare opera di controllo sulle
regioni che adesso sorgono e sul come poi si svilupperanno : farebbero
un’opera molto, ma molto più utile e più nazionale, e, direi anche
molto più di buon senso ; perchè quando si sa che una cosa ormai deve
succedere — cosa che sta nella costituzione del 1948 — è ridicolo ormai
frapporre ad essa difficoltà pregiudiziarie. Dunque si costituiranno
prossimamente in tutta Italia le regioni, possiamo credere ragione-
volmente : ora, siccome le Deputazioni di Storia Patria hanno precisa-
mente un carattere regionale e hanno per scopo principale di illustrare
la storia delle singole regioni, è proprio il momento di farsi avanti,
per incastrare — diciamo — nel nuovo istituto regionale, in quella orga-
nizzazione finanziaria (e anche entro un certo limite sostanziale, per
quello che riguarda le direttive generali) il fabbisogno concernente le
Deputazioni ; e vedere finalmente di risolvere il problema in questa
sede. Mi pare, ripeto, che sarebbe proprio la sede più opportuna se
non per risolverlo, per lo meno avviarlo ad un progresso ; e questa
era veramente l’unica cosa che io avevo in mente di dire. Ho inteso
altri che hanno toccato altri temi importanti come quello della organiz-
zazione delle Deputazioni. Su ciò non ho nulla di mio da dire. C'é
poi la questione degli studiosi locali : bisogna considerare a questo pro-
posito che la situazione è cambiata completamente. Una volta c'erano
CONVEGNO DEL CENTENARIO 293

veramente questi isolati cultori di memorie locali, questi piccoli centri
provinciali ; ognuno non corrispondeva con l’altro o aveva pochissime
relazioni ; la gente non si muoveva ; le grandi biblioteche pochi le po-
tevano frequentare. Adesso gli studiosi locali sorgono dagli stessi isti-
tuti che si sono moltiplicati : si sono moltiplicate le Università, si sono
moltiplicate le direzioni di Archivi di Stato e non bastando le direzioni,
si sono fatte anche le sezioni di Archivi di Stato, e via dicendo. Così
forniamo da capo : questi stessi enti regionali, naturalmente, possono
essere l’occasione, lo stimolo a questi studi locali. Il problema degli
studiosi locali va proprio risolto su questa base : non si può pretendere
di ricostruire quella casta chiusa. Bisogna usufruire di queste nuove
energie, che sono locali perchè appunto si trovano nel centro della Re-
gione o almeno in altre città importanti della Regione, e su quella base
si può veramente, secondo me, fare molto. Del resto a proposito c’è
stato il prof. Montesperelli che ha detto cose molto ragionevoli. Il Mi-
nistero della P. I. potrebbe favorire con qualche concessione per colti-
vare gli studi storici alcuni professori di scuole medie, la cui categoria
è sempre stata una semenza per i professori d’ Università e il prof.
Picotti ne è un insigne esempio.

ABBONDANZA : Io volevo aggiungere una sola parola a proposito
di quanto ha detto Ranieri di Sorbello, ed è questa : ho avuto l’impres-
sione che il suo intervento volesse dire una cosa molto giusta : sono in
certo senso i problemi che noi ci proponiamo, quelli che generano poi un
concorso di energie che si può produrre anche su scala privata, oltre
che pubblica, intorno ai problemi stessi. Egli alludeva, mi pare, chia-
ramente al fatto che manca una nuova sintesi storica (e per il caso qui
di Perugia) che stimoli con la problematica che porrà la necessità di
questa nuova sintesi storica, il lavoro in diverse direzioni, che non sono
necessariamente quelle degli ultimi cento anni, ma sono quelle del ’400,
del °300, etc. Ho voluto semplicemente permettermi di esplicare quello
che mi sembrava il pensiero che ha guidato l'intervento di Sorbello.

MorcHEN : Allora se non c'è nessun altro che chiede la parola,
potremmo cercare di riassumere e di concludere ? Io, a quello che hanno
detto coloro che sono intervenuti, vorrei aggiungere qualche considera-
zione, senz’altro appoggiando molte delle cose che sono state dette, e
aggiungendo anche alcune proposte, che mi sono suggerite un pò dal-
l’esperienza che io ho della vita di queste Deputazioni, un pò dagli
studi storici coltivati da molti anni. Ora, io credo che la prima cosa che
noi dobbiamo affermare, accettando in pieno senz'altro il suggerimento
opportunissimo di Salvatorelli, è che in relazione alla formazione delle
294 CONVEGNO DEL CENTENARIO

regioni, noi dobbiamo di nuovo richiamarci all’azione dello Stato, che
è stata promotrice della fondazione di questi istituti regionali, come ri-
conoscimento delle funzioni essenziali degli studi storici per lo sviluppo
della coscienza civile e nazionale. Mi pare che in un ordine del giorno,
che noi potremo fare, questa frase, almeno espressa in questa forma 0
in un'altra forma simile, dovrebbe entrarci ; dovrebbe esserne il capo-
saldo. Questo non limita affatto le libertà culturali delle singole Deputa-
zioni : è ovvio. Anzi direi che se è stata tentata qualche volta, ha dato dei
risultati pessimi : non si è potuta nemmeno stabilire. Senza rifarsi a
storia recente, mi rifarò alla storia più antica, di quando fu fondato
l’Istituto Storico Italiano, di cui facevano parte proprio anche i rappre-
sentanti delle singole Deputazioni, e si pensò di coordinare proprio,
secondo uno dei fini che era stato stabilito, di coordinare il lavoro. La
conclusione fu che si produsse una scissione immediata, capeggiata dal
Carducci, da quella Deputazione Romagnola che ha sempre, con tutta la
Romagna, sventolato in italia la bandiera rossa della rivolta. I mezzi
per il sostentamento normale e per l’attività delle Deputazioni e delle
Società Storiche devono essere forniti da Enti Pubblici, sia lo Stato, sia
la Regione e altri Enti Locali, in quanto la funzione che esse adempiono
è di carattere pubblico. In questo senso si inserisce la proposta concreta
fatta dal prof. Cecchini inerente, cioè, alle più ampie funzioni che deb-
bono essere attribuite a dette Società per armonizzarle con le esigenze e
le direttive della vita contemporanea.

SALVATORELLI : Pur riconoscendo l’opportunità di queste consi-
derazioni, è da tenere sopratutto in conto la necessità preminente di
una stabile erogazione di fondi finanziari adeguati alle necessità.

MoRGHEN : D'accordo, ma d'altra parte è necessario che la Depu-
tazione figuri e sia rappresentata in tutte le iniziative e in tutte le ma-
nifestazioni che concernono la cultura storica della regione. A proposito
dell’altro punto, quello che riguarda il lavoro concorde e unitario delle
Deputazioni, si potrebbero avanzare delle proposte concrete nel senso
sopratutto di fare sì che, magari per sollecitazione della Giunta Centrale
per gli Studi Storici, esse si riunissero periodicamente per lo scambio
di opinioni e di frutti di esperienza. In un recente Convegno tenuto .a
Milano, al quale hanno partecipato storici universitari e non universi-
tari dei vari campi specialistici, si è universalmente sentita la necessità
del riconoscimento all’opera storica e ai suoi cultori, non solo rispetto
alla elaborazione di carattere scientifico ma rispetto a una funzione
che non è soltanto scientifica, ma che è anche formativa della coscienza
morale, civile e politica in senso alto. C'é anche qualche impresa che

Lum 2 PR CONVEGNO DEL CENTENARIO 295

le Deputazioni collettivamente potrebbero assumere e io penso ai Re-
rum Italicarum Scriptores che attualmente si trovano in crisi, anche
per un difetto di impostazione originaria e alla risoluzione della quale
crisi le Deputazioni potrebbero concorrere fornendo un nerbo di colla-
boratori scelti fra i propri soci. Riferendomi poi al criterio ormai uni-
versalmente accettato della necessità di riservare al campo dell’indagine
scientifica un certo numero di ricercatori a cui non siano attribuite
altre incombenze, ritengo che sia giunto il momento di fare altrettanto
nel campo delle scienze storiche e morali. Ora, come ci sono dei ricerca-
tori nel campo della fisica nucleare, è necessario che ci siano dei ricerca-
tori nel campo delle scienze storiche, perchè in seno alle scienze storiche
risiede perspicuamente la metodologia di tutte le scienze umane, le
quali progrediscono parallelamente alle scienze fisiche; non vi sono
settori che vanno avanti mentre altri restano indietro. Il pensiero scien-
tifico o progredisce tutto insieme o non progredisce affatto ; quindi è
indispensabile promuovere la costituzione di nuclei di ricercatori nel
campo delle scienze storiche e morali che potrebbero anche in certa mi-
sura essere forniti dai soci più qualificati delle Deputazioni di Storia
Patria. Mi parrebbe quindi acconcio che questi propositi enunciati
anche in varia forma in alcuni interventi che sono stati fatti, fossero
condensati in un ordine del giorno da inoltrare in seguito alle autorità
competenti. Propongo pertanto che sia sospesa per qualche minuto la
seduta per procedere alla compilazione dell’ordine del giorno che sarà
poi messo in discussione per l’approvazione.

Breve sospensione.

MorcHEN : Do allora la parola al prof. Cecchini per la lettura del-
l'ordine del giorno che è stato concordato sulle idee espresse nel corso
della riunione. Riterrei che dopo la discussione e l'approvazione del-
l'ordine del giorno avesse luogo la chiusura dei lavori rinunciando alla
discussione delle comunicazioni, le quali, essendo di carattere prevalen-
temente scientifico dall’abbondante contenuto di riferimenti e dati molto
precisi, non si prestano ad una discussione proficua.

Cecchini legge l’ordine del giorno.

SALVATORELLI : Attribuzioni precise e corrispondenti finanzia-
menti significherebbero che ogni Deputazione potrebbe vedersi asse-
gnato un cartellino burocratico per cui venisse imposto alle Deputa-
zioni stesse il lavoro che esse dovrebbero svolgere con una precisa specifi-
cazione e in corrispondenza ai mezzi finanziari avuti in assegnazione ;
e questo non mi pare conveniente.

CeccHINI : Secondo me dalle attribuzioni di funzioni discende poi
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296 CONVEGNO DEL CENTENARIO

logicamente, necessariamente l'assegnazione dei mezzi ; altrimenti decade
anche la esigenza, la giustificazione dei mezzi di sostentamento quando
siano congrui e continuativi.
. SCAMBELIURI : Suggerirei di adottare la dizione : l'apprestamento

dei mezzi per far fronte alle tradizionali attribuzioni.

MorcHEN : Il prof. Cecchini pensava, se ho ben capito, a funzioni
di carattere pubblico . . .

CeccHINI : Appunto pubbliche e rappresentative...

MoRGHEN : Ma siccome nell'ordine del giorno è detto « rappresen-
tate » forse il concetto è assorbito in questa formulazione.

CeccHINI : Allora leviamo l’espressione « con attribuzioni precise ».

SCAMBELLURI : Meglio che « essere reppresentate » si potrebbe dire
«essere presenti ».

CeccHINI : Ecco il testo dell'ordine del giorno modificato secondo
i suggerimenti forniti.

«I partecipanti al Convegno di Studi Storici indetto a Perugia
nei giorni 13 e 14 ottobre 1962 dalle Deputazioni di Storia Patria
per la Toscana e per l'Umbria al fine di celebrare il centenario della
fondazione della Deputazione di Storia Patria per la Toscana e per
l’Umbria attuata all'indomani dell'Unità nazionale ;

approvando le relazioni presentate da Sergio Camerani e. Gio-
vanni Cecchini, e tenendo conto della discussione svoltasi su di esse ;

richiamandosi ‘all’azione promotrice dello Stato nella fonda-
zione degli istituti storici regionali come riconoscimento della fun-
zione essenziale degli studi storici per la formazione della coscienza

civile della Nazione,

fanno voti

affinché nel futuro ordinamento regionale si tenga adeguato
conto delle esigenze funzionali e finanziarie delle Deputazioni e
Società storiche regionali in modo che esse possano essere presenti
in tutte le iniziative e le manifestazioni che interessano la cultura
storica nazionale ;

e affinchè vengano indette a cura della Giunta centrale per
gli Studi storici annuali riunioni di delegati delle Deputazioni di
Storia Patria e Società storiche regionali per la trattazione di comuni
interessi inerenti all’attività scientifica degli Istituti ».
L'ordine del giorno è approvato all'unanimità.
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CONVEGNO DEL CENTENARIO

MorcHEN: Poiché coi voti espressi dall'ordine del giorno testé
approvato viene rivolto un appello agli organi centrali, è opportuno
renderne partecipe il Ministero della P. I. con un telegramma il cui
testo può essere il seguente : « Partecipanti Convegno Storico per Cen-
tenario Deputazioni Toscana ed Umbria inviano deferente saluto au-
spicando favorevole accoglimento voti per rinnovamento € potenzia-
mento Deputazioni di Storia Patria. Morghen Presidente Assemblea ».

Ringraziando tutti gli intervenuti, felicitandomi anche per i ri-
sultati conseguiti e per questo spirito che anima tutti per il rinnova-
mento degli studi storici esprimo il convincimento che abbiamo assolto
il nostro compito e dichiaro chiuso il Convegno.

| Partecipanti al Convegno :

Prof. Roberto Abbondanza — dott. Giovanni Antonelli — prof.

Danilo Segoloni — dott. Lodovico Scaramucci — sig.na Adele Cate-
rini — dott. Remo Bondi — prof. Giulio Agostini — p. Mariano da
Alatri — avv. Vincenzo Mazza - prof. Luigi Salvatorelli — prof.
‘Adriano Prandi e signora — prof. Giovanni Bizzozzero — prof. Cri-
spino Ferri — prof. Carlo Pietrangeli — prof. Sergio Camerani — dott.
Olga Marinelli — prof. Italiano Italiani — p. Ugolino Nicolini — ing.
Piero Grassini — dott. Mario Scaramucci — prof. Ignazio Baldelli
— prof. Raffaello Morghen e signora — p. Giuseppe Abate — dott. Mario
Roncetti — dott. Mario Pericoli — prof. Francesco A. Ugolini — prof.
Gioacchino Nicoletti — prof. Franco Mancini — prof. Gianfranco
Contini — dott. Leonardo di Serego Alighieri — prof. Giuliano Inna-
morati — dott. Luigi Bellini — prof. Giovanni Cecchini — dott. Paola
Scaramucci — prof. Giovanni Battista Picotti e signora — prof. Car-
melina Naselli e signorina — prof. Leopoldo Sandri — prof. Arnaldo
D'Addario — dott. Ercole Capizzi — dott. Wolfgang Hagemann e
signora - march. Uguccione Ranieri di Sorbello — dott. Mario Biz-
zarri — mons. Luigi Piastrelli — dott. Maria Scaramucci — march.
dott. Ubaldo Degli Azzi Vitelleschi — rag. Angelo Biagetti — prof.
Anna Paoletti — sig. Armando Comez — cap. Fernando Costantini
— p. Giuseppe Zaccaria — dott. Angela Maria Terruggia — prof. Ave-
rardo Montesperelli — sig.ra Teresa Della Torre — prof. Guido Ale-
magni Pimpinelli — prof. Salvo Mastellone — prof. Adolfo A. Crosara
— sen. avv. Giuseppe Salari - Rappresentante del Sindaco di Foli-
gno — prof. Francesco Francescaglia — prot. Pierlorenzo Meloni —
dott. Francesco Santi — dott. Filippo Griffi e signora.

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RECENSIONI

OLca MaRINELLI, La Compagnia di San Tommaso d'Aquino di Perugia,
Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1960, Temi e testi, n. 8.

Della Compagnia di San Tommaso d’Aquino di Perugia, tranne i cenni
del Mariotti e del Bonazzi, non si aveva notizia prima che Olga Marinelli,
utilizzando due manoscritti inediti del sec. XV della Biblioteca dei Padri
Benedettini di S. Pietro, ne pubblicasse in questo volume lo statuto, la
matricola e il Liber precum col corredo di ampio commento dichiarativo e
critico.

Il volume, oltre alla Presentazione e alla tavola delle abbreviazioni»
contiene: una narrazione delle vicende della Compagnia dall’origine alla
presumibile fine (secc. XV-XVII) (pp. 13-25); l'esposizione di un largo
squarcio di vita della Pia Casa delle Derelitte nei secoli XVI e XVII (pp. 26-
39) in cui alla fine si torna a parlare della Compagnia nell'ultima fase della
sua esistenza ; la descrizione dei due manoscritti (contradistinti coi numeri
20 e 21) con un raffronto nel testo del Liber precum fra il manoscritto e l'edi-
zione che del suo contenuto fu fatta a Venezia da Francesco di Leno nel
1560 (pp. 40-46).

Segue il testo dello statuto accompagnato da minuziose notazioni di
natura codicologica talora persino superflue dato il carattere del testo ; viene
poi l'elenco nominativo dei confratelli contenuto nella matricola, al quale,
oltre alle notazioni formali, é attribuito un diffuso corredo di note bio-biblio-
grafiche relativo a molti soggetti.

Con tutto il rispetto dovuto all'eminente studioso, mi sembra privo
di fondamento e sotto tutti i rispetti inopportuno il suggerimento dato da
padre Meersseman ad Olga Marinelli «di non dispendersi in confronti con
altre costituzioni». E, secondo me, Olga Marinelli avrebbe fatto molto bene,
nell'interesse degli studi storici e per la compiutezza del suo diligente lavoro,
a metter da parte quel suggerimento. Non si trattava certo di affrontare
il confronto con le norme statutarie delle confraternite di altre città, ma
almeno le confraternite fiorite nella stessa epoca a Perugia considerate nella
loro consistenza, nelle loro finalità, nel loro regime spirituale e sociale,
sarebbe stato assai conveniente tener presenti; anche per comporre, sia
pure nelle linee maestre, il quadro degli enti laici di spiritualità religiosa
esistenti in Perugia e il volume delle concrete forme di pietà seguite dal

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300 REGENSIONI

popolo perugino, e quindi per definire la funzione, il ruolo che nell'insieme -

delle compagnie ha svolto questa di San Tommaso d'Aquino. A dire il vero,
fuori da qualsiasi proposito comparativo, é qui seguita con assidua compul-
sazione di documenti d'archivio la funzione sociale più rilevante esercitata
dalla Compagnia di San Tommaso per oltre un secolo : la vigilanza della Pia
Casa delle Derelitte. Ma una puntata piü addentro alla storia della pietà
in Perugia con particolare riguardo alle compagnie laicali ivi esistenti avrebbe
risolto o avviato a soluzione più di un problema, i cui termini sono posti nel
commento storico-critico del volume, ma senza che il quesito sia sempre
nettamente impostato.

Un problema che mi sembra di notevole importanza è quello riguardante
l'eventuale e possibile cambiamento d'indirizzo della Compagnia. Il dubbio
è legittimo. Infatti lo statuto del 1445 al capitolo quinto De la confessione
e comunione dà.le seguenti prescrizioni: « E perchè, chomo dicie Salamone,
la stultitia, cioè la nigligentia e la pigritia è legata nel chuore- d’alchuni, ma
la disciplina la toglie e chaccia via ; pertanto volemo che chi non se chonfessa
e comunicha, chomo è ordinato de sopre, per la prima volta sia publicha-
mente represo denance a tuta la Chompagnia e aggia una descieplina dal
priore frate sechondo la chascione a sua discretione ; per la seconda volta,
si non s'emendasse, glie sia data una descieplina circhulare da tutte, e se la
nigligentia el giognesse a la terca, glie sie data la descieplina circulare in
nudo e petitentiato dal priore frate, più e meno secondo lo delitto e la cha-
gione, e quando fusse ribello de non volere ubidire, sia chasso de la matri-
chola e de la Compagnia » (pp. 50-51). Quindi la disciplina ha in questa com-
pagnia il solo impiego punitivo per evidenti casi gravi di sordità morale e
spirituale.

Ma una riformanza del Consiglio dei Priori e dei Camerlenghi del Comune
di Perugia del 7 aprile 1538 (Consigli e riformanze, Vol. 32, cc. 150r. e v.)
accogliendo un’istanza avanzata dalla Compagnia dispose la concessione
alla fraternita di 40 corbe di calcina da usare per l'ampliamento della sede,
la cui spesa in 8 fiorini fu puntualmente contabilizzata (Depositario Teso-
riere, n. 39, c. 48 v.). La riformanza dice testualmente : «... cum pro parte
fraternitatis et disciplinatorum Sancti Thome de Aquino de Perusia fuerit
humiliter supplicatum quod dicti disciplinati propter numerum disciplina-
torum vellent ampliare oratorium eius fraternitatis cum oratorium moder-
num non sit capax et in eo non possint permanere omnes disciplinati. ..».
Sorge inevitabilmente il quesito : nel corso degli anni dal 1445 al 1538 la
Compagnia, modificando — quando ? — le costituzioni, si era trasformata
in compagnia di disciplinati? Sembrerebbe superfluo che nell’orbita del
convento di S. Domenico un’altra confraternita di disciplinati si aggiungesse
a quelle già esistenti di S. Domenico e di S. Pietro Martire. A questo propo-
sito val forse la pena di ricordare che quella di S. Pietro Martire ebbe la sede
nelle case, ora trasformate, che sorgono nel cortile cui si accede dalla porta

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RECENSIONI 301

a sinistra di chi entra dalla piazza nel chiostro grande. La sede della con-
fraternita di S. Domenico era situata nell'edificio che nella tavola I di questo
volume è posto a sinistra della chiesa di S. Domenico vecchio ; questa sede,
a detta del Siepi (II, 488-89) fu rinnovata nel secolo XVI ed infatti sulle
pareti e sulle volte dell'edificio, che durante lPoccupazione del 519 reggi-
mento fanteria era adibito a scuderia prima e a garage poi, e che ora é impie-
gato ad uso di magazzino del Museo, si vedono tuttora residui di pitture
di buona mano del pieno Cinquecento con raffigurazione di santi e di profeti.

Vari argomenti fanno ritenere che la qualifica di disciplinati sia da
intendere nel senso concreto e storico della parola, sia perché il termine stesso
non poteva avere nel secolo XVI altra accezione, sia perché, come consue-
tudine, il cancelliere nel redigere la riforma teneva presente il testo della
petizione inoltrata dai priori della compagnia, desumendone gli estremi
formali. La coincidenza delle date 1538 e 1539 potrebbe far pensare che siano
in connessione la qualifica di compagnia di disciplinati e l’attribuzione ad
essa della funzione di vigilanza sulla Pia Casa delle Derelitte. ,

Oppure potrebbe pensarsi che questo nuovo indirizzo assunto dalla Com-
pagnia fosse in connessione con un orientamento generale prodottosi in alcune
confraternite operanti nell'orbita dell'Ordine domenicano, come per disposi-
zione dell'inquisitore della Lombardia è accaduto nel 1534 per le compagnie
di S. Pietro Martire, di cui dà notizia padre G. G. Meersseman (Etudes sur
les anciennes confréries dominicaines, II, Les confréries de Saint Pierre Martyr,
in Archivum Fratrum Praedicatorum, a. XXI (1951).

Nel volume la matricola ha un nutrito corredo di dati biografici relativi
ai nomi di molti confratelli, che inducono alla qualificazione sociale e cultu-
rale di essi e quindi concorrono alla caratterizzazione della compagnia. A
conseguire meglio questo scopo avrebbe forse giovato una maggiore discri-
minazione e, in certi casi, una integrazione di questi dati. Ad esempio a pro-
posito del vescovo Vincenzo Ercolani, che fu una figura di notevole rilievo
nella storia della pietà nella seconda metà del sec. XVI, in quella travagliata
fase di arginatura della riforma o eresia protestante, andrebbero ricordate
la posizione di battaglia e la rete di relazioni con eminenti personaggi del
suo tempo testimoniate dal carteggio conservato nella Biblioteca Augusta
(ms. C 18). Egli mostró tendenze savonaroliane, fu amico di S. Filippo Neri,
membro di una commissione teologica in Roma per la stampa di testi di padri
greci; ha adempiuto una delicata missione nei Paesi Bassi come Visitatore
per dare un qualche ordine a quelle regioni assai turbate dalla riforma, con
l'introduzione e l'applicazione delle norme emanate dal Concilio di Trento :
a Perugia, favori l'introduzione dell'opera ospedaliera dei Fatebenefratelli.
L'assegnazione della porpora cardinalizia gli fu interdetta dalla morte del
papa Gregorio XIII.

GIOVANNI CECCHINI
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302 RECENSIONI

M. A. JOHNSTONE, The Griffin, the Coat-of-Arms of Perugia, in Studi Etruschi,
XXX (1962), pp. 335-352.

L'Autrice è una persona di grande cultura storica e d'uno spirito sempre
pronto ad accogliere nuovi temi di ricerca nonostante l'età molto avanzata,
contro cui siamo felici ch'ella reagisca cosi bene quasi protettà davvero dalla
magia d'un grifo. Si tratta di un ammirevole interesse nettamente legato
a Perugia, dove la Johnstone si reca ogni anno e dove il grifo é di casa.

Precede uno schizzo della figura del grifo nel tempo e nei vari monumenti
e luoghi, condotto serratamente. Una vivacità espositiva e critica anima le
osservazioni erudite ed i ricordi letterari, Dante principalmente, ch'ella sup-
pone sia stato a Perugia in base alle evocazioni nel Purgatorio e nel Paradiso,
che le sembrano vissute in posto. Una trama araldica e una terminologia con-
veniente chiariscono le posizioni fondamentali di grifo passante o rampante,
con corona, rappresentato, nella parte anteriore, con artigli di volatile (non
con arti leonini), presente come stemma e come simbolo in sigilli civici medie-
vali, con una zampa levata in alto. Esso appare come carico di significato
profondamente protettivo, che si affonda nel tempo piü antico.

Le conclusioni in questo senso presuppongono un senso locale ancestrale
del grifo, che nello scritto della Johnstone è esaltato anche con enfasi, perché
in realtà è una traccia nuova di studio o scoperta, anche se oggi se ne parla
come per vecchia ammissione o banale conoscenza. Senza dubbio lA.
è riuscita a darci il quadro, tutto condotto secondo un nobile genere accade-
mico, della fortuna del Grifo in Perugia. In esso rientra il Grifo della porta
settentrionale del Palazzo dei Priori, accoppiato alla statua del Leone (gra-
dienti entrambi).

Del Leone come classico, anzi che medievale, l'A. tace, come di materia
polemicamente non attinente, mentre esso costituisce, non dimentichiamolo, un
problema artisticamente parallelo e coevo, anche se per ora meno aggredibile
sul piano della discussione filogicamente attrezzata.

L'A. elenca per il Grifo di bronzo alcune differenze rispetto al tipo aral-
dico, ch'ella dice tali riguardo anche alla tipologia antica. Tuttavia fa una
Strana confusione a tutto vantaggio della tesi non medievalistica, perché
conferma indirettamente un modello classico fuori della iconologia. medie-
vale. Nel momento stesso in cui ella nota che le basi su cui posano le due
celebri statue, sono una stonatura o veste inadatta, che il grifo é passante e
non porta la corona (che si vede invece negli stemmi), inoltre non presenta gli
artigli d'aquila e via dicendo, implicitamente ammette che qualcuno aveva
avuto ragione nel sostenere che il Grifo perugino di bronzo non fosse nato
dall'insegna perugina, ma l'avesse preceduta. :

L'A., concludendo intanto che il pezzo é puramente decorativo e non é
in connessione con lo stemnia, non dice le ragioni del perché rigetti la tesi
dell'attribuzione ad età classica e produzione forse etrusca, ma suppone,

includendo nel giudizio, per dire il vero, anche il Leone, che i due pezzi ap-
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RECENSIONI 303

partenessero come bronzi ornamentali ad un vecchio edificio distrutto di
Piazza Maggiore e fossero il prodotto d'un movimento artistico italiano non
meglio precisato, mentre per Francesco Santi sarebbe ancora postulata l'ori-
gine veneziana.

Il vantaggio dello scritto della Johnstone è questo : per quanto riguarda il
famoso bronzo, non si puó parlare di stemma. La prova s'innesta sull'argomento
della non-corrispondenza di alcune parti con quelle del grifo raffigurato, sugli
stemmi.: Questa non corrispondenza era già stata rilevata come fondato so-
spetto per la classicità del pezzo, ma — e qui é il lato negativo e forse arti-
ficioso dell'articolo saggistico della Johnstone — essa viene detta anetrusca.

Non si intende affatto quale tipo di grifo la Johnstone ritenga etrusco per
escludere che il Grifo di bronzo non lo sia. È una negazione priva delle pre-
messe. Infine il pezzo é detto decorativo. Sarebbe stato bene dirlo una scul-
tura monumentale.

Le differenze dallo stemma sono dovute a fattori classici operanti. Questa
conclusione logica dovrà ormai guidarci. Il punto cui dunque dobbiamo mi-
rare é l'esame antiquario e stilistico da vicino sulla speranza di potere sta-
bilire esattamente la classe e la cronologia del Grifo e del Leone dentro l'at-
tività bronzistica antica, forse umbra. Dice l'A. : ornavano un vecchio palazzo
preesistente nella Piazza. Ma quale? e non potevano ornare un monumento
romano od etrusco ? Sia detto ció come ipotesi di studio.

Cimelii lo erano ancora prima del tempo in cui erano conservati in Duo-
mo ed esposti al pubblico per la festa di S. Ercolano.

GiACcOMO CAPUTO

MAJARELLI STANISLAO, Niconrwi UGoLINO, Il Monte dei poveri di Perugia.
Periodo delle origini (1462-1474). S. Maria degli Angeli, 1962. Con i Tipi
della Tipografia Porziuncola.

Tra gli studi di storia perugina di più recente apparsi si pone in prima linea
questo volume dei due dotti Padri Francescani, pubblicato a cura della Banca
del Monte di Credito di Perugia nel V? Centenario della sua fondazione.

Era ormai una notizia acquisita e incontrastata, almeno fra di noi, che
il Monte di Pietà di Perugia fosse il primo «fundatus in orbe ». Ma anche le
affermazioni tradizionali piü ripetute e sostenute vanno ad un certo momento
risottoposte a controllo, per quello spirito critico che oggi si è venuto facendo
sempre più urgente e incontenibile.

Così per il Monte perugino il momento propizio è stato quello del suo
centenario celebrativo.

A chi non si fosse ancora addentrato sull'argomento, potrebbe a prima
vista il Monte dei Poveri apparire una istituzione marginale, con scarsa inci-
denza nelle vicende storiche della città. Di esse al contrario, si manifesta
un fattore influentissimo, perchè rivolto a vantaggio della classe dei poveri
che erano forse la più parte della popolazione urbana e del contado, compren-

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304 RECENSIONI

dendovi anche gli artieri in possesso solo della propria forza di lavoro ; e la
cui importanza sociale era tutt'altro che trascurabile, potendo a volte col
loro massiccio intervento avere un ruolo determinante nei rivolgimenti civili.

Bisogna a questo riguardo porre un punto fermo. Perugia non è stata
mai una città di abbondante ricchezza. Situata su di una altura a cui non
salgono vie di traffico, che meglio percorrono e s'intrecciano ‘in località di
pianura, ha vissuto delle risorse della sua agricoltura in terre non fecondissime,
all'infuori dei tratti pianeggianti, terre spesso devastate da battute di guerra,
da incursioni predatrici e distruggitrici; e dei proventi della sua produzione
artigiana non molto espansiva in mercati vicini e lontani. Mancano in Perugia
salienti figure di imprenditori, banchieri, mercanti, tipiche della fine Medioevo
e sviluppato Rinascimento, intorno a cui si polarizzano gli affari, e con loro
le fortune di un paese.

Tale l'ambiente che dà origine ed efficienza al Monte dei Poveri e lo im-
mette negli esigenti bisogni del complesso cittadino.

Si aggiunga ora che la funzione del Monte varcando la pura azione eco-
nomica e caritativa, assorge anche all'importanza dottrinale d'una contro-
versia teologico-canonica, poiché investe il problema della legittimità del-
l'interesse del danaro dato a prestito. Era quanto mai ragionevole che le
somme mutuate dall'Ente dovessero essere restituite con una lieve maggio-
razione rappresentante il rimborso delle spese di gestione. Ma questo veniva
a cozzare col principio dominante dell'improduttività del denaro : « nummus
nummum non parit»; e contraria al precetto evangelico: « mutuum date,
nihil inde sperantes ».

Ecco quindi entrare in campo la teoria di chi stava stretto alla norma
più rigoristica, e di chi si atteneva ad una interpretazione canonistica e civi-
listica meno rigida e consenziente alla liceità d'una aggiunta d'un modico
frutto alla sorte del prestito.

Scendono in polemica gli ordini religiosi : Francescani da un lato, Do-
menicani e Agostiniani dall'altro, pro e contro l'interesse ; e l'esistenza stessa
del Monte viene in discussione.

Entrano nellagone anche i Dottori dell'Università Perugina, con
tutta l'autorità dello Studio allora famoso, e cosi l'istituto auspicato con la
piü semplice e piana finalità di bene diventa ragione di contesa e travaglio
nel superiore campo speculativo.

Gli Autori ci conducono nel bel mezzo di questo contrasto, quanto vale
per farci intendere gli incombenti riflessi ideologici della novella istituzione,
su cui vengono a convergere interessi materiali e istanze intellettuali che tutti
si intrecciano sul vivente tessuto cittadino.

L'istituzione e lo sviluppo del Monte sono stati un'avventura che si puó
anche dire drammatica.

I già accennati dibattiti etico-religiosi e giuridici, insufficienze finanziarie,
difficoltà amministrative, insorgono a ostacolarne la nascita, a intralciarne il
cammino. :
RECENSIONI 305

Uno degli attori del dramma sono gli Ebrei. Il Monte è sorto contro di
loro, per stroncarne l’esosa attività feneratizia, e liberare il popolo dalle
morse dell’usura senza freno. Gli Autori dedicano parecchie pagine a illustrare
i rapporti tra il Comune di Perugia e gli Ebrei evocando i momenti della
loro lenta ma sicura avanzata nella vita cittadina. Prestatori di danaro che
non poteva attingersi ad altre fonti, la loro presenza assunse un peso note-
vole sull’economia locale. Sovventori di cospicue somme al Comune, questo
nei loro riguardi ha dovuto assumere un contegno oscillante, tra di condi-
scendente tolleranza, e di aperta ostilità. Nella classe popolare l’avversione
verso di essi era accentuatissima : non vi entravano ragioni di fede, ma di
vario risentimento per certo loro modo di comportarsi e sopratutto per l’ecces-
siva pretesa di interesse sulle somme che davano a mutuo. Le lagnanze popo-
lari giungevano al Comune che non poteva restarvi sordo. Ma facendo divieto
agli Ebrei di fornire denaro in prestito, da chi altri poteva esercitarsi questa fun-
zione pur necessaria tra una popolazione dove prevaleva una media povertà ?

La logica degli avvenimenti portava alla creazione di qualche istituzione
che vi provvedesse. È così che lievita l’idea di quello che sarà il Monte dei
Poveri : sostituzione d’un prestito pubblico organizzato dal Comune a quello
privato ebraico, incontrollato e strozzante.

Come in tutti gli eventi che rivoluzionano un intollerabile stato di fatto
occorre una parola che prepari, che illumini, che inciti, così anche in questo
processo storico la parola ci fu e venne da rappresentanti della Famiglia
Francescana, tra cui primeggia il grande Bernardino da Siena.

I Francescani sono i principali attori sulla scena che si conchiude colla
comparsa del Monte di Pietà. L’opera loro nella città nostra è coronata da
questo successo che si inserisce tra gli altri ottenuti con la predicazione per
il trionfo della moralità, della carità, della giustizia. Sicché possono ben dire
gli Autori che la celebrazione della fondazione del Monte è una celebrazione
francescana.

Il Monte entra nella diretta sfera d’azione del Comune, e il sollievo che
reca al ceto non abbiente è opera non solo di umanità, ma anche di buona
politica. Scrivono gli Autori che calcolando gli abitanti di Perugia e contado
non superiori alle 50 mila unità, nel primo sessennio della sua esistenza già
il 36 per cento ne avevano beneficiato.

La città nella sua interezza non poteva non interessarsi all'andamento
del Monte. Dicono gli AA. che non si sa dell'atteggiamento tenuto verso di
esso dai nobili e dai ricchi. Parrebbe però che con la loro tendenza ad acca-
parrarsi tutte le cariche pubbliche, fattivamente partecipassero alla sua con-
dotta. L’elenco degli ufficiali del Monte dal 1462 al 1474, pubblicato a pagina
395, novera tra di essi parcchi nobili, e alcuni del più alto rango : un Perinelli,
un Benincasa, un Graziani, un Ranieri, un Coppoli, un Barigiani, un Baglioni,
un Montemelini, un Della Corgna... E potevano qualche volta pur loro usu-
fruire del prestito. In un registro di vendita di pegni appare un libro « chia-
mato Lattanzio » impegnato da un Baglioni, e riscattato da un altro Baglioni.

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306 RECENSIONI

Nae tem PERITI

| Riassumendo, il Monte dei Poveri si innesta nelle strutture della società
dove sorge ; ne partecipa al moto, con penetrazione ed effettti ben più che
i marginali, rispecchiandone singolari e significativi aspetti.
| j Di qui la portata e l'interesse di una sua apposita particolareggiata
| | storia quale ci presenta questo volume.
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Gli Autori hanno riesaminato quanto è stato scritto e pubblicato sul
Monte di Pietà; hanno con esperta sagacia di ricercatori rintracciato in
manoscritti, carte di biblioteche e archivi locali e d’altre città, quanto possa
avere attinenza all'argomento, dandone un amplissimo conto.
| Ne risultano determinati alcuni elementi essenziali, quale la priorità del
| | Monte Perugino, la cui data di fondazione deve fissarsi al 28 aprile 1462,

B giorno in cui ne fu approvato lo Statuto, mentre l'inizio della sua attività

ul va al febbraio del 1463. A chi vadano attribuiti l'idea prima e il progetto del

| | Monte viene largamente discusso, se non conclusivamente, ed è impossibile,

d | risolto. Peró é certo che l'idea ha germogliato in suolo umbro.
P H | Del Monte vengono via via per gli anni enunciati nel programma, esposte
la legislazione costitutiva, l'organizzazione, il finanziamento, estendendosi lo
sguardo comparativo anche agli altri istituti congeneri a mano a mano sorti
| per suo influsso in altre città. Cosicchè il valore della ricerca e della narrazione
| HW supera i limiti della nostra storia locale e spazia fin dove la provvida istitu-
WEB zione ha impresso la sua orma.
! L’appoggio della documentazione è continuo, con la dovuta indicazione
i| | delle fonti. Ma la riproduzione integrale di documenti forma un pregio parti-
iù il H colare del volume. Delle sue quasi 500 pagine una metà le sono riservate.
SEHE Il documento dato nel suo testo completo è prezioso, perché plurivalente.
Non serve solo agli assunti del particolare tema per cui viene addotto, ma
puó contenere indicazioni che giovano a tanti altri connessi e anche remoti.
Segnaliamo, ad esempio, le notize che.ci da della vita privata del tempo,
quell'elenco dei pegni in vendita con la stima in valuta : oggetti di vestiario,
JEN di ornamento, strumenti di lavoro, armi, biancheria, stoffe, libri: Virgilio,
Cicerone, Bartolo, Baldo. .. Dovevano certo essere degli studenti, gli impe-
| 1 gnanti. E una disposizione del Comune stabiliva che sollecitamente doveva
!| essere espletata la pratica del pegno agli studenti. È Perugia che ha a cuore
i suoi ospiti più cari.

Bisogna resistere alla intenzione di affermare che tale studio sui primi
Ì anni del nostro Monte dei Poveri sia del tutto esauriente. Si sa che questi
| studi non sono mai esaurienti e definitivi. Puó sempre saltar fuori qualche
elemento o documento che costringa a ripensare e anche a correggere.

Peró questo denso e coscienzioso lavoro dei P.P. Nicolini e Majarelli
come é impostato e svolto, inquadrato e condotto, viene ad essere uno dei
fi migliori saggi attuali di storia perugina, prezioso per essa e non soltanto
I per essa.

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Necrologi

FRANCESCO MANCINI

Il 25 dicembre 1962 una breve malattia ha troncato in Fran-
cesco Mancini una vita dedicata con slancio e tenacia al progresso
della sua Foligno. Era nato in questa città il 7 settembre 1889 da
Giovanni e da Silfide Gilj; membri della sua famiglia si erano di-
stinti nel sec. XIX per cariche sociali : il ten. col. Innocenzo Man-
cini era stato il comandante del Battaglione della Guardia Nazionale
nel 1848.

Il Nostro, laureatosi in medicina e specializzatosi in stoma-
tologia, ha partecipato con giovanile entusiasmo tra gli arditi della
prima guerra mondiale, meritando la medaglia d’argento al V.M.
con la seguente motivazione : « Collocato il posto di medicazione
ad immediato contatto con i combattenti, usciva coraggiosamente
dalla linea per rincuorare e medicare i feriti più gravi. Malga Zugna,
23 maggio 1918 ».

Alla fine della guerra era accorso in Sicilia per alleviare le sof-
ferenze di quelle popolazioni falciate dalla spagnola ; tornato nella
città natale si dedicava con perizia alla sua professione di medico
e dentista ; nel 1924 si sposava con Emilia Meneghini, figlia del colon-
nello Fausto comandante del 1° Regg.to di Artiglieria di Foligno.

Amante della natura, era un appassionato e competente agri-
coltore delle proprie terre, ove soleva trascorrere il tempo libero
per ritemprare ognora lo spirito ed il corpo ; generoso ed altruista,
pensava al bene del prossimo : divenne un pioniere nell’elevare il
tenore di vita dei suoi contadini, ai quali soleva recare ogni sabato
il proprio aiuto materiale e morale, trascorrendovi insieme, specie
con i più giovani, qualche ora in utili e confortevoli conversazioni ;
e questa opera di bene svolgeva anche durante l’ultima guerra, per-
correndo il cammino con zaini ripieni di provviste, e prodigandosi
ad aiutare i cittadini durante i bombardamenti aerei.

Più tardi, nella piena maturità degli anni, Francesco Mancini
Si avviava verso una vita di dedizione e di instancabile attività
308 NECROLOGI

per lo sviluppo economico-sociale di Foligno ; l’amore per il natio
loco, l'intelligenza non comune, la- tenacia e la capacità spingevano
Francesco Mancini sempre a nuove realizzazioni ed iniziative ; sia
con lo sviluppo del turismo che con le rassegne zootecniche e arti-
gianali egli tendeva sempre al miglioramento delle condizioni sociali
della città.

Si interessava alla conservazione ed alla il'ustrazione dei monu-
menti, di cui fu ispettore onorario ; ricostituiva nel dopoguerra la
Società Pro-Foligno, primo centro di attività cittadina e culturale,
di cui fu presidente ed instancabile animatore ; superando gravi
difficoltà di ogni ordine otteneva per Foligno il ruolo di Azienda di
Soggiorno e Turismo, di cui fu presidente ; organizzava mostre arti-
gianali ed artistiche, conferenze culturali aperte a folle di popolo,
rassegne e mostre d’importanza nazionale nella meccanizzazione
agricola e nella produzione zootecnica. Fondava un ostello per la
gioventù e patrocinava la realizzazione del foro boario ; animatore
della Giostra della Quintana e del Settembre Folignate, era sempre
il primo difensore degli interessi cittadini nella lotta per il potenzia-
mento delle comunicazioni stradali.

In questa sua vasta e dinamica operosità non v’era ombra d’am-
bizione, ma solo amore per Foligno, onestà e disinteresse personale.
Per tali doti era chiamato a presiodere il Consiglio di Amministra-
zione della Cassa di Risparmio, la Commissione Provincia'e di Agri-
coltura, l'Opera Pia Bartocci, il locale Rotary Club.

La sua migliore realizzazione è stata e rimane il Centro Profes-
fessionale di addestramento agricolo ; istituito nel 1954, è assurto
recentemente a scuola pilota degli altri Centri d’Italia ed è stato
intolato al nome di Francesco Mancini.

La Deputazione non perde in Francesco Mancini lo studioso,
ma il patrocinatore degli studiosi ed amanti della storia locale ;
conosceva la storia di Foligno e non la divulgò : uomo pratico ed
attivo preferiva agli scritti le opere feconde di benessere, ma non
sapeva esimersi da una emmirazione quasi nostalgica verso i ricer-
catori delle patrie memorie, ai quali offriva con entusiasmo prote-
zione ed aiuto.

FELICIANO BALDACCINI
ie alii. agro

ATTI DELLA DEPUTAZIONE

ADUNANZA DEL CONSIGLIO DIRETTIVO
DEL 16 LUGLIO 1961

Presenti : il presidente prof. Giovanni Cecchini, il vicepresi-
dente dott. Francesco Santi, e i consiglieri p. Giuseppe Abate e prof.
Luigi Salvatorelli. Ha giustificato l’assenza il consigliere dott. Fran-
cesco Briganti.

Il Presidente, aperta la seduta alle ore 11, dà lettura del verbale
della precedente adunanza, che viene approvato all'unanimità.

Il primo argomento che il Presidente propone all’attenzione del
Consiglio è il Convegno storico regionale, che sarà tenuto nella città

di Terni nel mese di ottobre, poichè prima non sarà possibile avere

a disposizione il relatore ufficiale prof. Giuliano Innamorati. Il prof.
Salvatorelli propone che la data sia fissata per i primi di novem-
bre, così da evitare la concomitanza con altri convegni.

Per ciò che concerne l’organizzazione, il Presidente riferisce circa
l'ospitalità che ha potuto ottenere dall'Amministrazione Comunale
e dall'Ente del Turismo di Terni; il dott. Santi promette di interes-
sare il proprietario delle Terme di Sangemini, avv. Violati, per avere
anche da lui un concorso di ospitalità. La discussione sul prossimo con-
vegno continua toccando vari altri punti : l'ordine di svolgimento dei
lavori, gli inviti da diramarsi, la convocazione dell'Assemblea gene-
rale dei Soci da effettuarsi in quella occasione.

Il Presidente mette quindi il Consiglio al corrente dei contatti
ch'egli ha ritenuto di prendere con il prof. Rodolico, presidente della
Deputazione di Storia Patria per la Toscana, per celebrare degna-
mente il centenario della fondazione delle due Deputazioni, che sor-
sero insieme (per poi staccarsi nel 1896) in grazia del Regio Decreto
27 novembre 1862, n. 1003. La celebrazione dovrebbe articolarsi nei
seguenti punti : un Convegno, da tenersi in località umbra o toscana
da destinarsi, di soci delle due Regioni ; la pubblicazione (lungamente
e vivamente desiderata da questo Consiglio Direttivo) dello Statuto
del Comune di Perugia del 1279, rimasto sinora inedito.

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310 ATTI DELLA DEPUTAZIONE

Si conviene che per il finanziamento della manifestazione — e

la stampa dello Statuto sarà molto costosa — oltre al parziale con-

corso della Deputazione di Storia Patria perla Toscana, occcorrerà
provvedere con sudditi straordinari da parte di enti pubblici e di
imprese industriali locali.

L'incarico dell'edizione, col preventivo parere favorevole del prof.
Rodolico,viene affidato al prof. Roberto Abbondanza, Direttore del-
l'Archivio di Stato di Perugia e Socio Corrispondente di questa Depu-
tazione, che effettuerà la trascrizione del testo accompagnandolo con
opportuno commento storico-giuridico. :

Si passa poi a parlare delle pubblicazioni della Deputazione : il
volume contenente gli Atti del Convegno sui Disciplinati é ora tutto
in tipografia, superati faticosamente gli ostacoli frapposti dalla len-
tezza con cui vari autori hanno restituito il materiale.

Il vol. LVII del Bollettino è in corso di preparazione: conterrà
la prosecuzione della Cronaca di G. B. Marini e alcuni altri articoli
(uno del socio ing. Piero Grassini; una cronachetta inedita di un
abate todino del Settecento, curata dal socio prof. Franco Mancini,
la relazione di scavi condotti nel territorio orvietano dal socio prof.
Mario Bizzarri etc.), sui quali intervengono a chiedere delucinazioni
e a fornire suggerimenti il prof. Salvatorelli e il dott. Santi. Comple-
teranno il vol. LVII del Bollettino alcune recensioni e alcuni necro-
logi, accompagnati come al solito da bibliografie quanto piü possi-
bile complete. Per quella relativa al prof. Chabod, il consigliere Sal-
vatorelli consiglia di scrivere al prof. Ghisalberti.

La discussione sulle pubblicazioni si chiude con un ritorno all'in-
soluto argomento della continuazione del Regesto Ansidei, delle cui
carte sembra finora improbabile che si venga in possesso.

Il Presidente introduce in ultimo l'esame della situazione finan-
ziaria della Deputazione, nella quale pesa duramente la mancata cor-
responsione, per il secondo anno, del contributo straordinario del
Ministero, che rappresentava l'introito maggiore ; il Consiglio con-
viene sulla necessità di insistere ancora perché sia ripristinato tale
indispensabile contributo.

Il prof. Salvatorelli fa poi rilevare la possibilità di ottenere aiuti
piü consistenti dalla Giunta Centrale per gli Studi storici, che ha ot-
tenuto un aumento di contributi dal Ministero, e promette di inte-
ressarsi a tal fine presso il presidente Ferrabino.

Per ultimo il Consiglio delibera un leggero aumento del prezzo
di vendita al pubblico del Bollettino e delle altre pubblicazioni, rac- ATTI DELLA DEPUTAZIONE 311

comandando anche il rinnovo di ulteriori premure presso i soci mo-
| rosi per la regolarizzazione della loro posizione. B
[is La seduta é tolta alle ore 13. IM

La Segretaria : PAoLA SCARAMUCCI-

4 Il Presidente : GIOVANNI CECCHINI

ADUNANZA DEL CONSIGLIO DIRETTIVO
DELL'8 MAGGIO 1962

Presenti : il Presidente prof. Giovanni Cecchini, il vicepresidente
dott. Francesco Santi, i consiglieri p. Giuseppe Abate e prof. Luigi
Salvatorelli. |
Il Presidente, aperta la seduta alle ore 11, dà lettura del verbale
della precedente adunanza, che viene approvato all'unanimità.
| Il Presidente informa il Consiglio che il Convegno regionale ha
M suscitato interesse in alcuni elementi della città di Terni, i quali
hanno richiesto che si istituisca nella loro città una sezione della De-
putazione. Il Consiglio non ritiene opportuno disperdere i mezzi finan-
ziari e culturali (appena sufficienti — oggi — per la vita della Deputa-
zione) ; in particolare il prof. Salvatorelli consiglia di mantenere una
situazione di prudente attesa, almeno fino al giorno in cui si sia creato
il complesso minimo di circostanze che giustifichino la istituzione di
una sezione ternana : e cioè un congruo numero di soci locali, un
apporto di contributi storici da parte di detti soci, un'adeguata con-
tribuzione finanziaria da parte degli enti locali.
Il primo punto che l'ordine del giorno propone è la celebrazione
centenaria delle due Deputazioni per la Toscana e per l'Umbria. Il Pre-
| sidente comunica che i mezzi finanziari occorrenti sono per la massima
LI parte reperiti, e informa il Consiglio sui contatti che vengono man-
tenuti con il prof. Rodolico, presidente della Deputazione Toscana.
Il primo punto programmatico della celebrazione sarà, come è
noto, la pubblicazione dello Statuto del Comune di Perugia del 1279,
della cui trascrizione ha ricevuto l’incarico il prof. Roberto Abbon-
danza. Se, come si prevede, il volume non potrà essere pronto entro
l’anno, il Consiglio pensa che al Convegno interregionale potranno
intanto essere distribuite le copie a stampa delle rubriche dello Sta-
| tuto, e verrà presentata dal prof. Abbondanza una relazione di carat-

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ONE ag Abel lat A hb. OPES OX Y. di 312 ATTI DELLA DEPUTAZIONE

tere storico-giuridico sull’attività statutaria del Comune di Perugia
nei secoli XIII e XIV. Per ciò che concerne il Convegno, esso dovrà
aver luogo, negli intendimenti del Consiglio, in ottobre o in novembre,
in località umbra o toscana da convenirsi. Fra le comunicazioni ne
dovranno necessariamente figurare due, che facciano la storia del-
l’attività delle due Deputazioni, alle quali se ne aggiungeranno al-
cune altre.

Il Presidente legge poi al Consiglio una lettera con la quale il
dott. Giulio Vicarelli non accoglie l’invito rivoltogli di consegnare
alla Deputazione il materiale lasciato dal conte Ansidei, a lui
pervenuto in eredità e dalla Deputazione richiesto per la continua-
zione della pubblicazione dei regesti delle riformanze degli organi
deliberanti del Comune di Perugia. Il Consiglio decide quindi di con-
siderare chiusi i rapporti con il dott. Vicarelli e di proporre la prose-
cuzione del lavoro a due studiosi locali e soci della Deputazione (p.
Ugolino Nicolini e don Costanzo Tabarelli) che il Presidente inter-
pellerà in merito.

Per ciò che concerne le pubblicazioni della Deputazione, il Pre-
sidente informa che il vol. LVII del Bollettino è tutto in tipografia.
Allo stesso punto si trova il volume di Atti del Convegno sui Disci-
plinati, che il Consiglio decide di stampare in edizione di 500 copie.
Il Consiglio ritiene conveniente che sia curato il lancio di questa
importante pubblicazione, provvedendo anche tempestivamente a
promuovere autorevoli recensioni in qualificati periodici.

Facendo il punto della situazione finanziaria il Presidente co-
munica che un contributo è stato conferito dalla Giunta Centrale
per gli Studi storici; ma il Consiglio è tuttavia concorde nel ritenere
che si debba continuare ad insistere presso il Ministero della P.I.
per la corresponsione del contributo straordinario, sospeso ‘negli ul-
timi esercizi, ed assolutamente necessario alla vita della Deputazione.

Si ricorda che nel Convegno di Terni vennero presentati alcuni
ordini del giorno : per quello concernente la celebrazione di Scipione
Lapi, la commemorazione sembra avviata, e si pensa ad un even-
tuale Convegno da tenersi a Città di Castello nel 1963. L'ordine del
giorno sugli Archivi Ecclesiastici è stato inviato a tutti i Vescovi
della Regione, fra i quali hanno dato sinora risposta solo i Vescovi
di Norcia, di Todi e di Assisi.

Dopo alcune osservazioni del Presidente sulla eventuale attri-
buzione di funzioni anche di carattere pubblico che potrebbero ri-
dare vita alle Deputazioni inserendole nel flusso della vita attiva,

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ATTI DELLA DEPUTAZIONE 313

e altre del dott. Santi sulla sorveglianza che le Deputazioni stesse
esercitano per legge sulla toponomastica, si conclude la discussione
proponendo di convocare l’Assemblea dei Soci Ordinari alla fine di
giugno o ai primi di luglio.

La seduta è tolta alle ore 13.

La Segretaria : PAOLA SCARAMUCCI

Il Presidente : GIOvANNI CECCHINI

ASSEMBLEA DEI SOCI ORDINARI DEL 12 FEBBRAIO 1961

Sono presenti i Soci Ordinari : p. Giuseppe Abate, prof. Ignazio
Baldelli, rag. Angelo Biagetti, prof. Giovanni Cecchini, prof. Raffaello
Morghen, prof. Luigi Salvatorelli, prof. Leopoldo Sandri, dott.
Francesco Santi. à |

Hanno giustificato l'assenza i Soci: dott. Raffaele Belforti,
dott. Francesco Briganti, prof. Aldo Capitini, prof. Giuseppe Mira.

L'assemblea inizia i suoi lavori alle ore 10.30 ; presiede il Pre-
sidente prof. Giovanni Cecchini, il quale dà lettura del verbale
dell'ultima Assemblea ordinaria, che fu tenuta il 28 ottobre 1956:
il verbale viene approvato all'unanimità.

Il Presidente ricorda i Soci ordinari defunti nel quadriennio.

Il Presidente inizia poi la sua relazione, esponendo la situazione
finanziaria della Deputazione, con particolare riguardo alle spese
e alle entrate relative al Convegno sui Disciplinati, e ai fondi neces-
sari per la stampa degli Atti del Convegno stesso ; ricorda anche la
vicenda dei contributi ministeriali, che sotto l'aspetto ordinario
sono in misura minima, mentre il principale mezzo di sussistenza della
Deputazione deriva dall'erogazione dei sussidi ministeriali straor-
dinari. Quest'anno la Deputazione non ha ancora ricevuto l'assegna-
zione del sussidio straordinario, nella consueta misura di un milione
di lire. Il Presidente ha avuto anche recentemente affidamento dal
Capo di questo servizio al Ministero per l'assegnazione di tale con-
tributo nel corrente esercizio.

Si parla poi del Bollettino, la cui stampa è in ritardo di un solo
anno.

Per quanto riguarda la pubblicazione degli Atti del.Convegno
sui Disciplinati, l'Assemblea propende a che essa sia fatta in volume

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314 ATTI DELLA DEPUTAZIONE

a sè, nella serie delle Appendici al Bollettino, anche per facilitarne
la vendita. A coprire le spese che questo comporterà, sarà parti-
colarmente necessario il contributo del Ministero, cui sopra s'é
fatto cenno.

Per quanto riguarda il materiale per la formazione del Bollet-
tino, è indicato l'argomento di vari contributi che possono essere
pronti in breve e di spogli bibliografici e recensioni, per i quali e
opportuno interessare alcuni docenti della Facoltà di Lettere.

Si torna poi all'argomento dei Regesti degli Annali decemvirali

compilati da Vincenzo Ansidei, alla pubblicazione dei quali si frap-
pongono numerose difficoltà, e degli Statuti dei Comuni medievali,
in particolare di quello perugino del 1279. Il prof. Salvatorelli in
special modo insiste sulla necessità che sia pubblicato tale Statuto.

Il catalogo della Mostra storica sui Disciplinati, che per ritardi
nella consegna del materiale non poté essere pronto in occasione del
Convegno, é ora preparato dal prof. Baldelli, con il quale l'Assem-
blea concorda sul proposito di pubblicarlo a conclusione del volume
degli Atti.

Il prof. Morghen ricorda il proposito — formulato a chiusura
del Convegno — di istituire presso la Deputazione un Centro di
informazioni bibliografiche sui Disciplinati. Il Presidente pensa che
a questo possano utilmente essere interessate le Confraternite peru-
gine, che potrebbero fornire l'aiuto finanziario indispensabile. Per
il momento si inserirà l'indice dei codici relativi nel volume degli
Atti, come l'Assemblea decide su proposta del prof. Morghen.

Il Presidente delinea il programma della futura attività della
Deputazione : é in programma un Convegno regionale, che dovrebbe
in linea di massima vertere sulla storiografia umbra nel secolo XIX.
I soci discutono a lungo sull'eventuale relatore e sui limiti da dare
al tema stesso ; si propende per la seguente formulazione: La sto-
riografia umbra nel sec. XIX. Si potrà decidereasuo tempo in quale
sede (fuori di Perugia) debba svolgersi il Convegno.

Per ció che concerne le quote sociali, l'Assemblea decide di
aumentarne la cifra portandola a L. 1.500 per i soci ordinari e corri-
Spondenti, a L. 1.000 per i soci aggregati.

L'Assemblea discute poi il problema dei Soci morosi, decidendo
di dichiararli decaduti se non abbiano provveduto a mettersi in
regola entro il termine di tre mesi dalla partecipazione del conto
individuale.

L'Assemblea rileva che la sede della Deputazione si presenta
T».

ATTI DELLA DEPUTAZIONE ‘315

ora fornita di sufficienti comodità : si spera che il Ministero della
Pubblica Istruzione voglia definitivamente concedere il già promesso
e indispensabile arredamento di mobili e scaffali metallici.

Presentato dal Presidente anche il rendiconto del Convegno
sui Disciplinati, l'Assemblea approva il conto consuntivo del qua-
driennio 1956-60, già controfirmato dai Revisori dei conti, e il conto
preventivo per il 1961.

Tali conti sono qui di seguito trascritti

Conto consuntivo 1 ottobre 1956-31 dicembre 1960 :

Avanzo di cassa al 30 settembre 1956 I: —[:735: 110
Riscossioni operate dal 1 ottobre 1956 al 51 dicembre 1960 :

Sussidi ordinari E. 99.800

Sussidi straordinari 15: 7.155:050

Quote sociali pu 195.000

Vendita pubblicazioni L. 967.205

Premio « A. Bertini Calosso » 15 667.540

L. 9.088.405 L. 9.088.405

L. 10.823.515

Pagamenti effettuati dal 1 ottobre 1956 al 31 dicembre 1960 :
Presidenza (spese di rappresentanza,

rimborso spese di viaggio, etc.) L. 149.635
Compensi al personale L. . 625.000

Posta, teleg., telefono, minute spese I. 449.811
Stampati e cancelleria : L. 149.174
Stampa Bollettino e pubblicazioni L. 3.344.260
Sussidi per studi e ricerche d’archivio 1:7. 150.000
Biblioteca L. 109.300
Premio « A. Bertini Calosso » L. 440.500
VII Centenario Movimento Disci-

plinati L. 1.440.385

Li :6,858.105.. E... 6.858.105

L. 3.965.410

L. 2.000.000

Titoli premio « A. Bertini Calosso »
Avanzo di cassa al 31 dicembre 1960 L. . 1.965.410
I Revisori dei Conti

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FRANCESCO DURANTI

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ATTI DELLA DEPUTAZIONE
Conto preventivo per l’anno 1961

ENTRATA

Ministero della Pubblica Istruzione
contributo ordinario
contributo straordinario
Giunta Centrale Studi Storici
Ente Nazionale Carta e Cellulosa
Provincia di Perugia
Comune di Perugia

»
»

Gubbio

Passignano
Monteleone d'Orvieto
Guardea

Orvieto

Marsciano

Camera di Commercio di Perugia
Cassa di Risparmio di Foligno
Quote sociali

Vendita pubblicazioni

USCITA

Stampa e spedizione del Bollettino
Compensi al personale

Spese presidenza

Mezzi di trasporto

Cancelleria, stampati, etc.

Posta, telegrafo e minute Spese

Biblioteca
Varie

25.000

1.000.000 '

250.000
100.000
150.000
100.000
20.000
10.000
2.000
2.000
10.000
15.000
20.000
20.000
100.000
250.000

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2.080.000

750.000
400.000
20.000
70.000
40.000
90.000
100.000
50.000

tob ESESHCUETUES

1.550.000

Si procede quindi alle votazioni per il rinnovo del Consiglio,
dopo aver preso atto con rammarico delle dimissioni del vicepre-
sidente dott. Raffaele Belforti, causate da motivi di salute.

Risultano eletti all'unanimità : il prof. Giovanni Cecchini pre-
-— DD _—

ATTI DELLA DEPUTAZIONE 317

sidente, il dott. Francesco Santi vicepresidente, il p. Giuseppe
Abate, il dott. Francesco Briganti e il prof. Luigi Salvatorelli con-
siglieri, che costituiranno il Consiglio Direttivo per il prossimo
quadriennio (1960-64).

Risultano rieletti come Revisori dei conti il rag. Angelo Bia-
getti e il dott. Francesco Duranti ; nonchè la segretaria dott. Paola
Scaramucci, alla quale l'Assemblea decide, su proposta del Pre-
sidente, che sia aumentato l’assegno mensile.

Vengono quindi presentati elenchi di nominativi proposti per
ciascuna delle tre categorie di soci. Risultano eletti Soci Ordinari
i seguenti :

1 — prof. Massimo Pallottino
2 — prof. Carlo Pietrangeli

Vengono passati alla categoria dei Soci Ordinari i seguenti
Soci Corrispondenti :

— dott. Umberto Ciotti

— ing. Piero Grassini

— dott. Franco Mancini

— dott. don Mario Pericoli
don Costanzo Tabarelli

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Sono eletti Soci corrispondenti i seguenti :

dott. Roberto Abbondanza
— dott. Emilio Ardu S. J.
dott. Luigi Bellini

— dott. Mario Bizzarri

— conte prof. Giorgio Cansacchi

— conte dott. Carlo Faina

— dott. Ottorino Gurrieri

— p. Ilarino da Milano

— prof. Giuliano, Innamorati

— p. Mariano da Alatri

— prof. Raoul Manselli

— prof. Gisberto Martelli

13 — gr. uff. dott. Nallo Mazzocchi Alemanni
14 — prof. G. G. Meersseman O. P.

15 — prof. Adriano Prandi

16 — dott. Ugolino Nicolini o.f.m.

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ATTI DELLA DEPUTAZIONE

17 - dott. Ludovico Scaramucci
18 — prof. Pietro Scarpellini.

Sono eletti Soci aggregati i seguenti:

1 - avv. Fausto Andreani

dott. Virgilio Coletti

. Francesca Dalessandro
— dott. Ubaldo Degli Azzi Vitelleschi
— prof. Leopoldo Giombini

6 — prof. Marcello Grego

i 7 — prof. Cesare Lippi Boncambi

ili 8 — dott. Andrea Manna

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9 — avv. Vincenzo Mazza

10 - conte Ghino Meniconi Bracceschi
11 - dott. Mario Montanari

12 - dott. Maria Clotilde Ottaviani

26 — Adele Caterini
27 — prof. Italiano Italiani à
28 — p. Francesco Russo M.S.C.

29 — p. Giovanni Michele Bastianini
30 — prof. Marino Fioroni

I] Presidente espone uno schema di regolamento del premio
intitolato ad Achille Bertini Calosso e l'Assemblea, dopo avervi
apportato alcune modifiche, lo approva nella forma. seguente :

Premio di incoraggiamento agli studi storici « Achille Bertini Ca-
losso » presso la Deputazione di Storia Patria per l'Umbria. }

i 13 — prof. Pietro Pambuffetti
MNIII 14 — arch. dott. Renzo Pardi
DIEN 15 — dott. M. Virginia Prosperi Valenti
IRR 16 — conte gen. Vittorio Pucci Boncambi
D 17 — march. dott. Uguccione Ranieri di Sorbello
INERTI) 18 — Mario Roncetti
JAM 19 — Agostino Serantoni
EH 20 — conte dott. Leonardo Serego Alighieri
| i Niji 21 — Sergio Luigi Sergiacomi de’ Aicardi
|: GER 22 — mons. Gino Sigismondi
i i IRR 23 — conte Ludovico Silvestri
MI 24 — prof. Mario Solinas
| il 25 — dott. Enzo Storelli
aM
Wm
ATTI DELLA DEPUTAZIONE 319

Regolamento
Art. 1

| Al nome del prof. Achille Bertini Calosso, valoroso critico e
storico dell'arte, Commissario e Presidente della Deputazione di
Storia Patria per l'Umbria, per onorarne la memoria e in attestato
di gratitudine per il férvore e l'abnegazione con i quali ha presieduto
questa Società storica, a Lui cosi cara, in un periodo particolar-
mente difficile, viene istituito un premio di cultura storica.

ATL: 2

Il premio biennale « Achille Bertini Calosso » di L. 200.000 è
corrispondente al reddito del capitale attuale di L. 2.000.000 costi-
tuito dalle oblazioni conferite a questo scopo da Enti pubblici,
Istituti ed Associazioni culturali, parenti, amici e conoscenti. Nel
caso in cui non abbia luogo l'assegnazione del premio, l'importo
del premio stesso andrà ad aumento del capitale.

NTU 3

Sia il premio che il capitale suddetto, investito in titoli di Stato
‘a reddito fisso, sono amministrati dalla Deputazione di Storia Patria
per l'Umbria e, per essa, dal Consiglio Direttivo.

Il capitale suddetto potrà essere accresciuto, ma non diminuito

o alienato.

Art, 4

Il Premio « Achille Bertini Calosso » andrà assegnato all'autore
o autrice di un contributo alla storia politica, economica, sociale,
letteraria, artistica, religiosa dell'Umbria, inedito o pubblicato negli
ultimi cinque anni.

Art::5

L'assegnazione del premio è fatta da un'apposita Commissione
nominata dal Consiglio Direttivo della Deputazione.

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320 ATTI DELLA DEPUTAZIONE

Art. 6

In caso di soppressione della Deputazione il premio «Achille
Bertini Calosso » sarà trasferito col capitale e col presente regola-

mento a un ente culturale dell'Umbria che ne assicuri la continuità
e le finalità.

La seduta è tolta alle ore 13.

La Segretaria Il Presidente

PAOLA SCARAMUCCI GIOVANNI CECCHINI

ASSEMBLEA DEI SOCI ORDINARI
DEL 13 OTTOBRE 1962

Presenti i Soci ordinari : Abate Giuseppe, Baldelli Ignazio, Bia-
getti Angelo, Ciotti Umberto, Mancini Franco, Morghen Raffaello,
Pericoli Mario, Santi Francesco, Salvatorelli Luigi.

Il Presidente Giovanni Cecchini alle ore 16, in seconda convo-
cazione, apre la seduta, alla quale dà inizio con la lettura del verbale
dell'Assemblea del 12 febbraio 1961.

Il prof. Morghen domanda chiarimenti circa la provenienza della
somma raccolta dalla Deputazione per costituire il fondo per il pre-
mio Bertini Calosso. Il Presidente risponde che i fondi sono stati
raccolti in via straordinaria da enti, amici, ammiratori del compianto
Presidente.

L'Assemblea approva all'unanimità il verbale dell'Assemblea dei
Soci Ordinari del 12 febbraio 1961.

Il Presidente riferisce che riguardo all'attività della Deputa-
zione non c'è molto da dire, sostanzialmente, dall'ultimo Convegno,
in cui è stato fatto un rendiconto dell’attività stessa. La Deputazione
vive al limite minimo di attività che è determinato dalla disponi-
bilità di mezzi e di persone ; quindi si può dire che miracolosamente
è stato possibile indire questo Convegno, per merito principalmente
del socio prof. Morghen che remotamente ne suggerì la scadenza ;
ATTI DELLA DEPUTAZIONE 321

Convegno che con il consenso e con l'appoggio del prof. Rodolico
e della Deputazione Toscana si è attuato adempiendo uno stretto
dovere. Quello che sopratutto in questa circostanza soddisfa è la
pubblicazione dello Statuto del 1279, che rappresenta un sogno cul-
lato da tantissimi anni; d’altra parte sembra strano che Degli Azzi,
che era profondo conoscitore della situazione, abbia preferito curare

l’edizione dello Statuto del 1342, tralasciando questo che rappresenta .

in materia statutaria una fonte più genuina. Per il resto il Consiglio
ha in cantiere varie cose, che aspettano di essere varate e di cui il
Presidente si ripromette di parlare meglio il giorno successivo, quando,
facendo un bilancio riassuntivo del passato, tratterà anche dei pro-
grammi futuri. Se si guarda all’attività attuale della Deputazione
Umbra, afferma il Presidente, bisogna dire che essa (al pari delle
altre) non ha strettamente ottemperato ai fini istituzionali. Baste-
rebbe leggere il decreto istitutivo del 1862 per riconoscere che non
si è adempiuto, senza colpa personale di alcuno, ai fini precisamente
determinati dall’articolo 2 del decreto, che indubbiamente puntava
sulla pubblicazione delle fonti storiche, di quello cioè che è il mate-
riale indispensabile per fare vera opera storica. Dobbiamo ricono-
scere che sono stati fatti progressi minimi a causa in gran parte,
in questi ultimi tempi, del cambiamento delle condizioni sociali e
delle disponibilità di collaboratori e dell’insufficienza di mezzi finan-
ziari ; infatti per poter sviluppare un'adeguata attività in tal senso,
occorre provvedere gli strumenti indispensabili ad assicurare conti-
nuità di svolgimento. La stessa Bibliografia storica umbra, che la
Deputazione di Storia Patria per l'Umbria, appena costituita, subito
impiantó con un programma che fu riesumato dal Presidente al Con-
vegno di Terni, fece i primi passi con la distribuzione dei compiti
ai vari collaboratori, raccolse qualche po' di materiale che esiste
tuttora in Archivio, e poi tutto si fermó. Perché ? Perché sin da al-
lora evidentemente i mezzi non erano adeguati ; eppure allora i mezzi
complessivamente erano in proporzione notevolmente superiori a quel-
li che sono oggi a disposizione. Le opere che la Deputazione ambisce
di attuare sono molto serie, e ad esse non ci si puó affidare se non si
ha la sicurezza di poterle portare avanti e possibilmente a termine.
Allo stato attuale si è prodotto un certo ritardo nella pubblicazione
del Bollettino, perchè molte cure sono state richieste dalla pubbli-
cazione del volume degli Atti del Convegno sui Disciplinati, e perché
ritardi veramente imprevisti sono stati frapposti dalla tipografia che
per sovraccarico di lavoro, contrariamente agli anni passati, non offre

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322 ATTI DELLA DEPUTAZIONE

più le abituali garanzie di puntualità. Però per il volume Lvii dal
punto di vista redazionale ci si può considerare a buon punto, es-
sendo quasi completo il materiale che vi sarà compreso.

In questo volume, oltre agli Atti del rv Convegno storico regiona-
le, che ne occuperanno buona parte, vi saranno: un ampio saggio di un
nostro compianto socio, il gen. Carlo Cansacchi, su un singolare per-
sonaggio, quell’Agapito Geraldini amerino che fu cancelliere di Ce-
sare Borgia ; uno studio del socio prof. Mario De Dominicis sull’editto
costantiniano di Spello ; un’altra puntata della Cronaca di Giambat-
tista Marini.

Nella collezione delle Fonti storiche dell'Umbria è in cantiere
lo Statuto del Comune di Perugia del 1279 ; è sperabile che ad esso
il prof. Abbondanza possa dedicarsi con maggior assiduità di quello
che non sia accaduto finora, pur riconoscendosi il carattere estrema-
mente impegnativo del lavoro, al quale, per tale ragione, non si può
assegnare una tassativa scadenza. Dopo aver espresso la speranza
di poter radunare le forze per affrontare l’attuazione di quei program-
mi che sono stati progettati e ai quali non si può mettere mano se
non si dispone di mezzi adeguati e di persone idonee, il Presidente,
abbinando i primi due punti all'ordine del giorno, per poi dare ai
Soci presenti la parola sul conto consuntivo del 1961, approvato e
firmato dai Revisori, passa a leggere le cifre in cui esso si compendia
e dalle quali si ricava che esso si chiude in avanzo.

Il prof. Morghen prende la parola per rallegrarsi col Presidente
per l'attività della Deputazione : egli, nella sua visione di quella che
dovrebbe essere l'attività della Deputazione, la ritiene scarsa e troppo
limitata, mentre il prof. Morghen la giudica ottima, specialmente per
il lavoro svolto in questi ultimi anni e per la pubblicazione degli Atti
del Convegno sui Disciplinati, seguiti a breve distanza da un volume
e poi da un altro del Bollettino.

Interviene poi il prof. Salvatorelli, il quale si associa all'elogio,
rilevando che il volume sui Disciplinati è indubbiamente imponente
ed è frutto di un'attività veramente notevole. Di questa attività i
Soci debbono essere in gran parte grati al Presidente, che ha inten-
sificato l'operosità della Deputazione e che con zelo giorno per giorno
si interessa della vita di questa Società storica e dei problemi ad essa
connessi. Tra le iniziative della Deputazione, accantonando quelle
che per il momento non sono suscettibili di un'attuazione immediata,
il prof. Salvatorelli pensa che si puó seguitare ad incrementare quelle
attuabili, come il censimento di tutte le Confraternite, anche se si

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ATTI DELLA DEPUTAZIONE

riesce a farlo solo in parte ; poi la pubblicazione dello Statuto, che è
un lavoro molto importante, e oggi non è più concepito come una
volta, cioè semplice pubblicazione di un testo, ma vero studio storico-
giuridico, perchè si tratta di ricostruire tutta la struttura dell’orga-
nizzazione comunale, definendo le stratificazioni che si sono sovrap-
poste nel tempo. In opere simili lo stesso indice diventa da solo un
lavoro scientifico. Quindi, se la Deputazione riuscirà a pubblicare
questo Statuto secondo i vigenti criteri, farà un’opera veramente no-
tevole. Il prof. Salvatorelli tocca quindi il problema della prosecu-
zione dei regesti delle Riformanze comunali dell’Ansidei, chiedendo
se si tratti di veri regesti.

A questo punto accedono nella sala i soci corrispondenti p. Ugo-
lino Niccolini e dott.Crispino Ferri. Padre Nicolini interviene preci-
sando che quelli compilati dall’Ansidei sono regesti sui generis, nel
senso che alcune parti degli atti originali sono tralasciate ; si tratta
di una scelta di atti fatta con notevole intelligenza, tuttavia secondo
un criterio che può essere ritenuto soggettivo.

Il prof. Morghen ne deduce che siffatti regesti non corrispondono
ai criteri modernamente adottati, in quanto attualmente si preferisce

. pubblicare integralmente i documenti e, quando ciò non sia possibile

o conveniente, se ne compilano regesti, tralasciando però solamente
quelle formule che si ripetono in quasi tutti i documenti, e facendo
rifluire nella trascrizione regestata tutti gli altri elementi contenuti
nell’atto, conservandone la locuzione linguistica.

Replica il prof. Salvatorelli, riguardo all’opportunità di scelta
degli atti da regestare, nel senso che, se si considera che le rifor-
manze stesse vertono su materie di diversissima importanza e talora
di scarsissimo interesse, può considerarsi un criterio discutibile quello
di includere nella regestazione tutte le riformanze indistintamente.

Dopo che il prof. Morghen ha ribadito che i provvedimenti di
ordinaria amministrazione offrono allo storico, anche con un semplice
particolare, uno spiraglio verso possibili soluzioni impreviste, il pre-
sidente Cecchini ritiene che si possa concludere che nella regestazione
vadano comprese tutte le riformanze di cui va dato il dispositivo
completo, con i dati essenziali, di nomi di persone, di luoghi etc.

Riprende la parola il prof. Morghen, suggerendo che sul piano
pratico si preghino gli editori dei regesti di farne qualche. campio-
natura, condensando poi in un loro giudizio i dati positivi dell’espe-
rienza fatta, in modo da stabilire insieme con l’organo direttivo della
Deputazione i criteri di massima da adottare nella prosecuzione del

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324 ATTI DELLA DEPUTAZIONE

lavoro. Per quello che riguarda le finanze della Deputazione, compa-
rate a quelle di altre Deputazioni, il prof. Morghen pensa che si possa
giudicarle soddisfacenti; ma riconosce che questa Deputazione ha
disponibilità finanziarie inadeguate a compiti che oltrepassino i li-
miti di normale competenza di una Società storica regionale. Egli
crede che per incrementare le entrate bisognerebbe provvedere con
maggior impegno alla vendita delle pubblicazioni, specialmente delle
collezioni del Bollettino, colmando le eventuali lacune esistenti per

qualche volume con ristampe anastatiche. Nei riguardi del Ministero

della Pubblica Istruzione, il Presidente ricorda che negli ultimi tre
anni il sussidio straordinario o è mancato o è stato ridotto notevol-
mente e che, usufruendo dell’aumento del capitolo di bilancio per Con-
vegni e Congressi, la Deputazione ha ottenuto per questo convegno un
contributo sensibilmente più alto, che ha permesso di effettuare una più
larga ospitalità. La Giunta Centrale, al caloroso invito rivolto al
Presidente affinchè partecipasse a questo Convegno, ha risposto in-
viando un contributo straordinario di L. 300.000.

Il Presidente esprime la propria convinzione che se le Deputa-
zioni e le Società storiche, tutte d’accordo con mutuo sforzo di vo-
lontà, non riescono a trasferire la propria funzione su un altro piano,
non sarà possibile superare il punto morto in cui esse sono venute
a trovarsi.

Si passa al terzo punto dell’ordine del giorno : la nomina di
nuovi Soci. Per la categoria ordinari sono proposti i seguenti : sig.ra
Alba Buitoni, proff. Mario Bizzarri, Mario De Dominicis e Giuliano
Innamorati. Per i Soci corrispondenti ; prof. Giovanni Ambrosi, prof.
Giovanni Antonelli, prof. Italo Ciaurro, prof. Elio Lodolini, on. Elia
Rossi Passavanti, prof. Caterina Santoro, prof. Paolo Toschi. Per la
categoria dei Soci aggregati: prof. Vittorio Antonini, prof. Giovanni
Bilancini, dott. Carlo Alberto Calistri, cav. Emilio De Pasquale, prof.
Francesco Francescaglia, prof. Pietro Frenguelli, rag. Renato Ippo-
liti, prof. Giovanni Lazzaroni, dott. Ascanio Marchetti, ing. Sisto
Mastrodicasa, dott. Pierlorenzo Meloni, prof. Averardo Montesperelli,
sig. Lamberto Morelli, p. Giovanni Odoardi orm, dott. Giuseppe
Orsini, dott. Vittorio Paolillo, prof. Candido Piatti, gen. Celso Ra-
nieri, mons. prof. Eraldo Rosatelli, m? dott. Francesco Siciliani,
prof. Rolando Teofoli, dott. Angela Maria Terruggia, prof. Sante
Vincenti, avv. Luigi Volpetti. Il Presidente ricorda che oltre ai nomi
suddetti l'assemblea può proporne altri, limitatamente alla categoria
dei soci aggregati, essendo le altre al completo.

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ATTI DELLA DEPUTAZIONE 325

Il prof. Ferri propone che nella categoria degli aggregati siano
inclusi il prof. Franco Moretti e l’avv. Salvatore Fumi di Orvieto.

L'Assemblea all'unanimità elegge i signori sopranominati Soci
nelle rispettive categorie.

Esauriti gli argomenti posti all’ordine del giorno il Presidente
dichiara chiusa la seduta alle ore 17,15.

La Segretaria Il Presidente

PAOLA SCARAMUCCI GIOVANNI CECCHINI

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INDICE

Memorie

Gino SIGISMONDI, I Sinodi simmachiani e la sede episcopale di No-
cera Umbra 5 ESA AI
GIOVANNI CECCHINI, Holdrino da Pinicale O erge

Fonti

MARIO Roncetti, Statuti di Torgiano del 1426. :
Cronaca di Giambattista Marini. 'Trascrizione di MARIO RONCETTI.

Note e documenti

ANDREA LazzaniNi, Fontanile del XII secolo in località « Le Ve-
lette» presso Orvieto.

CONVEGNO DEL CENTENARIO
Perugia, 13-14 ottobre 1962

Apertura del Convegno , : ; : 2
RoBERTO ABBONDANZA, Primi anna SUE TOUT status
taria di Perugia dei secoli XIII e XIV. pne:
FnRANCEsCO A. UGoLINI, La Dun anlica cronaca perugina in
volgare sea VS
ALDO A. CROSARA, ds messaggio figurato della Fonte Maggiore
con un cenno alla simbologia di altri monumenti di Perugia.
IcNAzio BALDELLI, Codici toscani nell’ Archivio delle Confrater-
nite dei Disciplinati perugini. 5
Crispino FeRRI, Alcuni aspetti dei rapporti id Qroreto. e la To-
scana nei secoli XVI e XVII. :
ARNALDO D’AppaRIO, Giustiniano Degli Azzi nell’ VEM di
Stato di Firenze. ROG e NR ARE LS AERIS
Luigi SALVATORELLI, Rivoluzione dell’Italia Centrale.
Franco MANCINI, Prolegomeni all’identificazione di due nuove laude
di JOcopone.
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RR A Fina de NRE MIND 328 INDICE

SERGIO CAMERANI, L’attività della Deputazione di Storia Patria
peri-la:=Toscana:-nel:*dopoguerra:;:«-——. 5 5 o o
GIOVANNI CECCHINI, La Deputazione di Storia Patria per l'Umbria.

Recensioni

OLGA MARINELLI, La Compagnia di San Tommaso d’Aquino di
Perugia, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1960,
Lemi-estesti;n.-8 (Giovanni Gecchini)- <.<; <#.

M. A. JOHNSTONE, The Griffin, the Coat-of-Arms of Perugia, in
Studi Etruschi, (1962), pp. 335-352 (Giacomo Caputo)

MAJARELLI STANISLAO, NICOLINI UcgoLINI, Il Monte dei poveri
di Perugia. Periodo delle origini (1462-1474), S. Maria de-
gli Angeli, 1962, con i tipi della Tipografia Porziuncola
(Raffaele Belforti) . È : ^ :

Necrologi

Francesco Mancini (Feliciano Baldaccini)

Atti della Deputazione

Adunanza del Consiglio Direttivo del 16 luglio 1961 .
Adunanza del Consiglio Direttivo dell'8 maggio 1962.
Assemblea dei Soci Ordinari del 12 febbraio 1961 .
Assemblea dei Soci Ordinari del 13 ottobre 1962. .

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