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BOLLETTINO

DELLA

DEPUTAZIONE DI STORIA PATRIA
PER L'UMBRIA

VOLUME LXIII

FASCICOLO PRIMO



PERUGIA - 1966











Pubblicazione semestrale - Sped. abb. post. Gr. IV°



Unione Arti Grafiche - Città di Castello - 1966









Memorie



La casa natale di S. Francesco
e la topografia di Assisi nella prima metà

del secolo XIII

Introduzione

Arnaldo Fortini, avvocato e già podestà di Assisi per molti anni,
è una figura largamente nota nel campo degli studi francescani
sia per aver egli pubblicato nel 1926 una Nova vita di S. Francesco ?),
sia ancora per numerose altre stampe relative anch’esse al Poverello
e alla Città Serafica : per tanta attività letteraria, e soprattutto per
l'appassionato attaccamento alla maggiore glorificazione del suo
immortale grande Concittadino, al plauso meritato e alla ricono-
scenza della sua patria e di molti cultori di scienze storiche si unisce
sinceramente anche il nostro.

Rielaborando poi alcuni suoi studi prima qua e là pubblicati e
facendo inoltre nuove ricerche, il chiaro A. ha creduto opportuno
nel 1959 ristampare quella Nova vita, che se originariamente era
tutta contenuta in un solo volume, oggi, oltre quello utilissimo dedi-
cato all' Indice, ne comprende quattro *). Troppi in verità, e alquanto
deludenti per gli studiosi della vita di S. Francesco e dei primordi
della istituzione minoritica.

. Invero, in questa nuova opera del Fortini, assai spesso e con
disappunto, il lettore si disorienta e si smarrisce, non potendo in troppi
casi — per l'impossibilità del controllo diretto delle fonti — distin-
guere il vero dal creduto tale, l'oggettivo dall'arbitrario, il reale dal
supposto, il certo dal dubitabile, e così via. È per questi motivi, ma
sopra tutto per l’eccessiva libertà interpretativa dei documenti che
vi si riscontra, che noi a questa seconda edizione della Nova vita
crediamo preferibile la prima, la quale, pur non essendo priva (com'e





6 GIUSEPPE ABATE

noto) di gravi deficienze ed errori *), nondimeno si presenta più sobria,
meno soggettiva, più leggibile.

Comunque, non è un esame critico completo e generale della
rimaneggiata opera fortiniana che noi ora intendiamo fare con questo
scritto. Il nostro scopo al presente è del tutto limitato e particolare :
esso riguarda solo un capitolo di quell’opera, e precisamente quello
che tratta dell’ubicazione della Casa paterna e natale del Santo di
Assisi, la quale (secondo quell’A.) non va più ricercata in Porta S.
Chiara e nell’Oratorio di S. Francesco Piccolino o nella Chiesa Nuova,
ma in Porta S. Giacomo e in una casa situata fra la chiesa di San
Nicolò di Piazza e quella di San Paolo.

Stando così le cose, noi, quantunque particolarmente interes-
sati all'argomento e assai di frequente chiamati in causa dal nostro
illustre contraddittore, avevamo fatto proposito di non reagire in
alcun modo alla nuova singolarissima tesi, sembrandoci più conve-
niente lasciarla svanire in un suo immancabile futuro silenzio ; e se
ora, cioè dopo sette anni dalla sua avvenuta pubblica manifestazione,
ci accingiamo con rincrescimento a trattarne, l'é perché ora s'é veri-
ficato in Assisi un fatto nuovo assai grave, un fatto che — oltre a
seminare nella Città di S. Francesco e fuori confusione e perplessità,
molto piü che non faccia la Nova vita predetta — con i suoi riflessi e
propositi pratici minaccia ed offende la verità e la giustizia : allu-
diamo alla propaganda che un periodichetto religioso .assisano ha
incominciato a fare (per proprio interesse) alla tesi fortiniana, pre-
sentando la «Casa di Via San Paolo» come la vera «domus beati
Francisci » degna di culto di venerazione ed erigendo all'uopo in un
locale della medesima un altare sacro con accesso pubblico.

*
SEDE

Come molti dei nostri lettori certamente ricordano, nel lontano
1939 compilammo un opuscolo «pro-manuscripto », nel quale si
presentavano agli studiosi non pochi documenti rintracciati negli
archivi assisani, con cui veniva ad essere confermata la tesi di vari
storici del nostro Ordine Francescano Conventuale, per i quali l'Ora-
torio di San Francesco Piccolino — esistente in Porta S. Chiara e
risalente alla metà del secolo xiu — fa parte di un edificio profano,
che una volta era stato la Casa natale del Santo *). Quel breve studio
suscitó parecchi echi nel mondo degli studiosi, e con essi, da parte
dei Francescani possessori della Chiesa Nuova di Assisi (ritenuta









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LA CASA NATALE DI S. FRANCESCO E LA TOPOGRAFIA DI ASSISI 7

dal 1615 in qua come «Casa Paterna» di San Francesco) la pub-
blicazione di alcuni scritti intesi a controbattere il nostro *).

Costretti a difendere le nostre argomentazioni e a rispondere
alle obbiezioni rivolteci, nonché corroborati da altri numerosi docu-
menti intanto rintracciati nei Protocolli dei Notari assisani, poco
piü di un anno dopo, cioé nel 1941, pubblicammo un volume, che,
oltre a dare in appendice riproduzione fototipica di non pochi docu- .
menti e riproduzione grafica e fotografica di alcuni dati monumen-
tali, recava quattro relazioni tecniche dovute ad un architetto, ad
uno storico dell'arte, ad un archivista e ad un paleografo *). A questo
punto, ci è doveroso confessare che l’angustia di non vedere ricono-
sciuta, anzi fortemente oppugnata la tesi da noi sostenuta, diede
al nostro discorso un andamento polemico che sarebbe stato più
saggio evitare, lasciando solo ai documenti la loro eloquente risposta.

Troppo numerosi, chiari e vari sono invero i documenti e gli
argomenti da noi presentati in quella trattazione per poterli qui
accennare in un breve riassunto ; perciò, dovendo al presente pur
dirne qualcosa, ci limitiamo a quanto segue, premettendo che i do-
cumenti sono tratti dall'Archivio del Sacro Convento (attualmente
presso la Biblioteca Comunale) o dai Protocolli originali dei Notari
assisani.

1. — Il primo documento risale al 1253. Esso riguarda la tardiva
divisione dell’eredità familiare (lungamente conservata « pro indi-
viso ») tra i due nipoti di San Francesco Piccardo e Giovannetto,
figli di Angelo della Pica fratello del Santo ; non è l’integro atto no-
tarile, ma è solo la cedola riguardante il primo dei due fratelli, nel
cui interesse fu estratta. Nel documento è detto, che nella quota
toccata a Piccardo (terziario francescano e procuratore ed economo
del Sacro Convento) è compresa « una casa sita nella contrada di
Porta Moiano i cui confini sono: al primo lato la strada, al secondo
un formello, al terzo la casa degli eredi della Sfassata, al quarto la
casa di Ugolino di Contedino ». Tale casa dal P. Abate è stata ricono-
sciuta e identificata in un antichissimo edificio compreso nel corpo di
fabbriche costituente oggidì l’ex-palazzo Francalancia, che ha la fac-
ciata e l'ingresso sulla Via del Ceppo della Catena e il fianco destro
sulla via detta la Scaletta dello Spirito Santo, sul quale fianco è
l'Oratorio di S. Francesco piccolino. Questo stabile, infatti, ha pre-
cisamente sulla fronte la via pubblica, sulla sinistra la casa già di
Ugolino di Contedino, sulla destra la casa già della Sfassata, e dietro







8 GIUSEPPE ABATE

un formello, ossia uno dei vicoletti ciechi utili per gli spurghi e per
l’aria e la luce, molto comuni nell’urbanistica medievale dell’Italia
del centro. Attraverso vicende secolari (dopo l’estinzione della fami-
glia di Pietro di Bernardone avvenuta nella seconda metà del se-
colo xiv), la casa pervenne nel '500 ad un ramo dei Bini, ricchi
assisiati.

2. — Altri documenti dello stesso secolo xin attestano poi il
progressivo adattamento al culto tradizionale e poi liturgico di un
locale dell'edificio : — nel 1261 Giovannetto figlio di Angelo della
Pica vuol fare testamento in casa di Piccardo, per quanto sia ma-
lato; — nel 1281-82 (ricorrenza del primo centenario della nascita
del suo Santo zio) Piccardo fa costruire un arco di riguardo sulla
fronte della sua casa — arco ancora esistente — appoggiandolo alla
sporgenza del contiguo fabbricato dei Contedini; — nel 1286 un
Lello di Guido di Giovanni «de Sancto» pur essendo ammalato
fa testamento familiare «in oratorio sancti Francisci de Assisio »
alla presenza di vari testimoni fra cui sette frati francescani ; — nel-
l’anno 1400 il ricco assisano Ser Puccio di Ser Pucciatto (che noi
abbiamo trovato Priore della Città nel 1382 e 1399) dispone, per
testamento, che venga rinnovata l’antica immagine di San Francesco
esistente sull'altare della Casa dove era nato *).

Innumerevoli sono i rogiti di tregue, paci, promesse di matri-
monio, sentenze arbitrali e contratti vari stipulati dentro quell'Ora-
torio e davanti al suo ingresso, nei quali é ricordato proprio col
nome di « domus » o «casa » del Santo e talora persino con la precisa
qualifica di «casa natale ».

3. — Non vogliamo tacere poi che numerosi altri documenti di
fonte archivistica non notarile attestano la perpetuazione della tra-
dizione dell'identità di S. Francesco piccolino con parte della casa
dove nacque e passó la sua giovinezza il gran Patriarca assisano ;
e similmente ci corre il dovere di fare un rapido accenno alle rela-
zioni tecniche che convalidano e giustificano quella identificazione.

La relazione dell'architetto Ugo Tarchi, della R. Accademia di
Belle Arti di Roma, attesta che la parte antica dell'isolato, nel quale
è incluso l'Oratorio, risale almeno al sec. xii, e che la parte occupata
da questo — caratterizzata da un formello — è quella che ebbe dap-
prima a pianterreno un vano normale di poi adattato a cappella o
chiesetta : ed è appunto S. Francesco Piccolo.






































LA CASA NATALE DI S. FRANCESCO E LA TOPOGRAFIA DI ASSISI 9

La relazione del prof. Emilio Lavagnino, storico d’arte, esamina
in S. Francesco Piccolo i resti delle antiche pitture (un vero palin-
sesto di affreschi) e delle antiche decorazioni a girari, giungendo
| alla conclusione che se questi possono essere assegnati agli ultimi
È decenni del sec. xir, lo strato meno antico di quelle pitture è dei
primi anni del sec. xv. Per quel critico, lo sbiadito affresco rappre-
sentante il misterioso Pellegrino, che si presentó alla casa di S. Fran-
cesco quando questi nacque, va attribuito alla prima metà del
secolo xiv.

La relazione del prof. Pericle Perali, Archivista dell' Archivio
Segreto Vaticano, esamina e confronta due antiche piante pro-
spettiche di Assisi concludendo che, tanto i dati positivi quanto i
dati negativi, depongono tutti a favore della tradizionale identi-
ficazione della « Casa dove nacque San Francesco » con l'« Oratorio
di San Francesco Piccolino ».

La relazione, infine, del prof. Angelo Silvagni, professore nel
Pontificio Istituto di Archeologia cristiana, esamina con critica
paleografica la scritta che si legge soprà la porta di S. Francesco
Piccolo, e stabilendone la primitiva dipintura fra il 1316 ed il 1354
E la legge cosi : « t Hoc oratorium fuit bovis : el asini stabulum in quo
nalus esl sanclus íranciscus mundi speculum Y ».

4. — Va ricordato infine, che nella trattazione del P. Abate
— sempre con fonti d’archivio — parecchie pagine sono dedicate
alle vicende di quella casa esistente in Piazza del Macello, che nel
1615 da un membro del secondo ramo della famiglia Bini venne
venduta allo spagnuolo Fra Antonio da Treio come casa «per an-
tica traditione » di Pietro di Bernardone padre di San Francesco.
Si tratta di quel complesso di fabbriche che, demolito, formò l’area
su cui sorse l’odierna Chiesa Nuova.

*
* ok

^ ‘Quella nostra pubblicazione ebbe allora da parte di un gran
numero di studiosi di gran nome e riconosciuta competenza, tanto
| italiani che stranieri, consensi e giudizi critici positivi *), che sarà
| opportuno un giorno render noti integralmente insieme a parecchi
altri documenti rintracciati nel frattempo *), e insieme ancora alla
rivelazione e documentazione di un ingiustificato intervento di
una Nazione straniera diretto a impedire che una Commissione







10 GIUSEPPE ABATE

di Stato italiana giudicasse della validità o meno della nostra do-
cumentazione e dichiarasse, eventualmente, l'Oratorio dove nacque
San Francesco « monumento nazionale » come s'é fatto, e si fa giu-
stamente, per tanti illustri italiani meno grandi senza dubbio del
Patriarca di Assisi, non escluso quell'Alberto Ganassa che nel '500
fu il famoso interprete di « Arlecchino ».

Ma poiché qualche studioso, pur non dubitando affatto dei
risultati concreti e certi del nostro studio, ha espresso il desiderio
che, per reprimere consumati intenti di svalutazione, qualche punto
di esso venisse maggiormente chiarito, eccoci prontissimi a soddisfarlo.

Il primo di tali punti riguarda la lacuna che c'é nella docu-
mentazione tra la fine del secolo xii e la fine del xiv : — Per un
secolo, si dice, gli Archivi pubblici assisani, che sono pure nume-
rosissimi, ignorano l'esistenza di una «domus Sancli Francisci ».

Dichiariamo :

1) Gli Archivi assisani per quel secolo ignorano una «domus
S. Francisci» nei riguardi di San Francesco Piccolino alla stessa
maniera che fino al 1615 la ignorarono per la casa di G. B. Bini
divenuta Chiesa Nuova e fino ad oggi 1966 per la casa di Via San
Paolo messa innanzi da Arnaldo Fortini; con questa differenza
però, che mentre per il vetusto oratorio tacciono sì le carte ma
parlano la tradizione, l’iscrizione del suo portale e i resti delle pit-
ture di quello stesso periodo esistenti nel suo interno, per le altre
due case tacciono sia le carte che i monumenti.

2) La nostra documentazione per la Casa di San Francesco
proviene quasi interamente dall'esame dei Protocolli dei Notari
assisani, che se sono parecchie centinaia per i secoli xv-xvi, non
se ne ha nemmeno uno del secolo xir e se ne hanno solo cinque
anteriori agli ultimi decenni del sec. xiv : eppure alcuni di questi
pochissimi cinque fanno espressa menzione della casa dove nacque
San Francesco.

3) Infine, se é vero che gli Archivi di Assisi sono numero-
sissimi, è pure vero che le carte riguardanti il sec. xiv sono rela-
tivamente poche. Riguardo poi all'Archivio Notarile Comunale è
da sapere, che esso è d’istituzione piuttosto tardiva, dato che i
Protocolli e le Imbreviature dei Notari erano fino alla metà del
sec. xv di proprietà privata, tanto che nel 1441 quelli di Giovanni
di Cecco di Bevignate vennero venduti per la somma di 60 fiorini
(cfr. Arch. Not., Protoc. di Costantino di Francesco, H. n. x, fol. x1
di quell'anno). A tutto ció si aggiunga, che durante il sacco dato









ip

LA CASA NATALE DI S. FRANCESCO E LA TOPOGRAFIA DI ASSISI 11

ad Assisi da Nicolò Piccinino (1442) le scritture pubbliche e le per-
gamene degli archivi, nella loro parte maggiore, alimentarono per
tre notti un falò nella Piazza del Comune (cfr. A. CRISTOFANI, Storia
di Assisi, ediz. 1902, p. 247).

Altro chiarimento richiestoci è quello che riguarda l’asserita
tradizione della Chiesa Nuova come ex-casa di Pietro di Bernar-
done padre di San Francesco: si vorrebbe sapere cioè, come e
quando essa sorse, e come e perchè essa potè poi durare sino ai
nostri tempi.

Ai predetti quesiti abbiamo dato ampia e documentata spie-
gazione in questo stesso « Bollettino della R. Deput. di Storia Patria
per l'Umbria » (vol. xLI-1941, pp. 69-78 e pp. 32-45 dell'Estratto),
allorchè, trattando de « La Casa Paterna di S. Chiara e falsifica-
zioni storiche dei secoli xVI e xvII intorno alla medesima Santa e a
S. Francesco d'Assisi », facevamo un parallelo storico-documentario
riguardante le false case paterne dei due Santi. In quello studio
fra l'altro, dicevamo : a

Un Bini, G. Battista, vende nel 1615 ad un religioso straniero,
il P. Antonio da Trejo, un suo fabbricato (posto in Piazza del Ma-
cello) presentandolo come Casa paterna di S. Francesco, mentre
invece non lo era.

Una Bini, Umilia, vende nel 1625 ad una religiosa straniera,
Giovanna di Seylans, un suo fabbricato (esistente a sinistra di
Porta Moiano) presentandolo come Casa paterna di S. Chiara,
mentre invece non lo era.

Negli strumenti compilati per la vendita e il pagamento del-
l'una e dell'altra Casa si fa interessato ricorso ad una asserita « tra-
dizione » e nondimeno questa non c'era.

Indubbiamente erroneo fu l'Attestato del Comune di Assisi
nei riguardi della casa di Porta Moiano, e similmente non vero
— perché obrettizio e surrettizio ") — fu l'Attestato che lo stesso
Comune rilasció nel 1740 nei confronti della Chiesa Nuova.

Trattando poi del'origine e della durata dell'asserita
«tradizione » delle predette Case paterne dei due Santi Assisiati
dimostravamo allora, che se il sorgere di quella erronea afferma-
zione era dovuto ad opera di falsari operanti in Assisi tra la fine
del sec. xvi e il principio del sec. xvri, il perdurare invece della
medesima è da attribuire al fatto che nessuno fece allora e poi spe-
ciali indagini per assodarne la fondatezza o meno, dato che essa,
in concreto non veniva a ledere i diritti delle vere Case dei due Santi :







12 GIUSEPPE ABATE

— non di quella di S. Chiara, situata in Piazza S. Rufino, perché
a tutti ignota fino alla dimostrazione fattane dal Fortini; non
di quella in cui é racchiuso l'Oratorio di S. Francesco Piccolino,
perchè, fino alla dimostrazione datane da noi, la comune e pubblica
conoscenza di essa non si estendeva oltre la cosiddetta Stalletta,
cioè al luogo dove era nato il Santo e perchè i religiosi e i pelle-
grini di quel tempo erano attratti massimamente dalla prodigiosità
della nascita ivi avvenuta.

Un ultimo chiarimento : esso riguarda il fatto (rilevato già
polemicamente dai custodi della Chiesa Nuova e testè riesumato
dal Fortini) della mancanza di proteste da parte dei custodi di
S. Francesco Piccolino, quando nel 1615 venne edificata quella
chiesa che gli attuali possessori di essa presentano ai pellegrini
non solo come «casa paterna » del Santo, ma anche come «casa
natale » del medesimo **).

Nel 1615 i Frati Minori Conventuali non potevano e non do-
vevano fare alcuna protesta.

L'affermazione errata del compratore spagnuolo, secondo la
quale la casa di G. Battista Bini di Piazza del Macello non solo
per « antica tradizione » era ritenuta in Assisi una volta proprietà
di Pietro di Bernardone ma anche luogo di nascita del
figlio Francesco, non fu resa pubblica. Essa — contenuta in una
lettera — accompagnava un atto privato di compera redatto si-
lenziosamente in un convento di fuori città e in questo pure si-
lenziosamente custodito fino al 1932. Al pubblico di Assisi nel
1615 si disse solo che si edificava, nel posto di una casa che si ri-
teneva essere stata della Famiglia del Santo, una chiesa in onore
della « Conversione di S. Francesco e di tutti i Santi dell'Ordine Mi-
noritico ». Perciò nessuno poteva e doveva protestare contro l’ere-
zione di quel tempio, che non minacciava allora nè intaccava in
alcun modo l’unica e vera tradizione e i plurisecolari diritti di
S. Francesco Piccolino.

Inoltre anche dopo il 1615 ogni diritto e possibilità di pro-
testa veniva di fatto a mancare, perchè gli stessi possessori della
nuova chiesa facevano sapere a tutti, in Assisi e fuori *), che se
l'ex-casa di G. Battista Bini era la casa paterna del Santo, l'antico
oratorio della vicina Via dello Spirito Santo era invece il luogo
dove San Francesco era nato: valgano, per tutti, le attestazioni
pubbliche degli storici Osservanti e Hiformati piü noti, come il
Wadding al 1625, il Vitali al 1626, il Lequile al 1664 e 1667, il De





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LA CASA NATALE DI S. FRANCESCO E LA TOPOGRAFIA DI ASSISI 13

Gubernatis al 1682, il Recolletto Van den Haute al 1777. Una
protesta quindi, in quei due secoli xvir e xvii, non avrebbe avuto
motivo di esserci.

Eppure nel Settecento una protesta ci fu: quella del dotto
Vescovo di Assisi Mons. Ottavio Ringhieri, Dottore in Utroque
Jure e in S. Teologia dell’Università di Bologna, fatta per iscritto
nel 1745 e rinnovata nel 1754, a proposito di un falso Attestato di
autenticità rilasciato dal Magistrato Assisano (a richiesta dei cu-
stodi della Chiesa Nuova) nell’anno 1740 e nei confronti di un Di-
ploma dato dal Re di Spagna Filippo nel 1741 (ma tenuto nascosto
al pubblico per tre anni) nel quale, in base alla petizione fatta a
quel Monarca, si affermava, contrariamente alla verità storica, la
nascita di San Francesco nell’ex-casa Bini di Piazza del Macello '*).

Ed ora, senza dilungarci in altri eventuali e forse superflui
chiarimenti, passiamo senz’altro ad esporre il procedimento critico-
documentario usato da Arnaldo Fortini nella esposizione e docu-
mentazione di quella sua tesi che nega alla « Ecclesiola Sancti Fran-
cisci Parvolini » il diritto e il vanto di essere venerato come il luogo
dove nacque il suo grande concittadino Francesco di Assisi.

*
*ok

Conveniente, se non pur doveroso, ci sembra esporre in breve
sintesi — prima di sottoporli a più completo e necessario esame —
i fondamenti documentari e i criteri storici, che hanno indotto lA,
della Nova vita di San Francesco a recedere dall’antica tradizione
locale e a presentare una tesi nuova intorno all’ubicazione della
Casa di San Francesco, la quale secondo lo stesso storico non va
ricercata nel fabbricato che racchiude l'Oratorio della Stalletta e
nemmeno in quello che nel secolo xvi diede luogo alla Chiesa
Nuova.

Il Fortini per la dimostrazione della sua tesi prende l'avvio da
un racconto contenuto in un Liber exemplorum reso noto agli studiosi
dal P. Livario Oliger nel 1927, e che questo insigne storico fran-
cescano giudicó risalire alla seconda metà del Duecento. In quella
narrazione, ove si riferisce il noto episodio del Pellegrino misterioso
che si presentó alla casa di Pietro di Bernardone quando venne al
mondo San Francesco, un certo Fra Nicola di Assisi asseriva che
la sua casa paterna era confinante con la casa di San Francesco.

Se dunque si potrà sapere — si dice giustamente — in quale









14 GIUSEPPE ABATE

parte della Città era situata la casa del genitore del predetto frate,
si verrà a conoscere al tempo stesso la località precisa dove era
nato il Santo.

Il Fortini ritiene di poter dimostrare che la casa paterna di
Fra Nicola era situata tra l’antica chiesa di San Nicolò di Piazza
e la chiesa benedettina di San Paolo, e perciò in quello stesso spazio
sorgeva quella di San Francesco. Fondamenti per tale identifica-
zione topografica sono :

a) il fatto rilevante — secondo la generale opinione 15) —
che quel frate Nicola è un tal frate Nicola di Giacomo, vissuto ap-
punto in quell’epoca, il quale prima di entrare nell’Ordine eserci-
tava la professione di pubblico notaro ;

b) la constatazione che accanto alla casa di Nicola di Gia-
como — secondo documenti del 1280 e 1282 finora non conosciuti —
si ha una casa che appartiene a Piccardo figlio dell’unico fratello
di San Francesco per nome Angelo (Piccardo di Angelo di Pica).
Non v'é dubbio (si dice ancora), che questa sia la casa paterna del
Santo. A conferma di ciò si aggiunge la notizia — per la prima
volta (si dice) pubblicata dall’A. della Nova vita — di una casa
che «i figli di Angelo di Pica », e cioè Piccardo e Giovannetto, pos-
sedevano intorno alla Piazza del Comune '*) Attribuita questa
nel 1253 a Giovannetto, essa passó alla morte di questi a «nuovi
proprietari », dai quali poi Piccardo la redime per sè nell’anno 1280 17).

Ma volendo questo Piccardo conservare immune da profa-
nazione la casa dove era nato il Santo suo zio, la cedette pochi
giorni dopo che l’aveva riscattata al devoto notaro (poi frate)
Nicolò di Giacomo, convenendo con questi una enfiteusi, il cui
canone annuo era di un denaro piccolo da pagarsi per la festa di
San Francesco, e cioè il quattro ottobre.

Nel 1282 infine — due anni dopo quella cessione — Piccardo
decide che non più i suoi eredi e successori, con i religiosi del Sacro
Convento e i discendenti di maestro Nicola, debbono essere gli
arbitri della futura sorte della casa, ma un Ente religioso — i Be-
nedettini della chiesa di San Paolo — ai quali cede i suoi diritti
di proprietà.

A termine del breve riassunto della tesi fortiniana, non vo-
gliamo omettere il richiamo che quell’A. fa all’attenzione degli
studiosi sulle seguenti circostanze da lui qualificate come piene
conferme :

1) Il primo affresco di Giotto nella Basilica superiore di



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LA CASA NATALE DI S. FRANCESCO E LA TOPOGRAFIA DI ASSISI 15

Assisi, nel quale quell’artista «volle per certo raffigurare uno di
quei momenti in cui il Santo, chiamato fuori della casa paterna
dai giovani amici, si avvia verso la piazza. Da quel luogo alla casa
che il Santo si lascia alle spalle [la casa di Via San Paolo] corre
una distanza di appena cinquanta metri » !).

2) La chiesa di San Nicolò è la parrocchia della casa di San
Francesco, e questi, «volendo essere da Dio illuminato sceglie come
luogo della rivelazione .... la sua chiesa parrocchiale, quella cui è
legata tutta la vita religiosa della sua infanzia e della sua giovi-
nezza ».

3) La chiesa di San Paolo, vicina alla casa del Santo 1°),
era «la residenza urbana dei monaci del monastero di San Bene-
detto di monte Subasio. Non vi è quindi dubbio, che costoro
abbiano conosciuto assai bene la famiglia di Pietro Bernardone, e
abbiano seguito con affettuoso interessamento tutta la vita del
Santo, dalla nascita fino alla conversione .. . ».

4) Per VA. della Nova vita, infine, è chiaro che la casa del
ricchissimo mercante Pietro Bernardone, non poteva non sorgere
che sul « Mercatum », come allora chiamavasi la piazza del Comune.
Quivi i mercanti avevano le loro case e i loro fondachi *°); qui essi
avevano alzato la chiesa di San Nicolò, protettore dei mercanti ?).
La casa di Pietro Bernardone è confinante con questa chiesa . . .??).

*
*ock

Questo, nei suoi tratti essenziali, il contenuto e lo svolgimento
della tesi fortiniana circa il tema storico-topografico riguardante
la Casa paterna e natale di San Francesco. Ci si consenta ora esporre,
preliminarmente e in breve sintesi, quanto con la disamina di quella
tesi — nonché di altre importanti questioni dall'A. della Nova vita
alla stessa tesi intercalate — ci proponiamo dimostrare con docu-
mentazione e critica nelle pagine seguenti, e cioé:

1) che i documenti del 1280 e 1282, posti alle basi di quella
tesi, nulla hanno di comune con la Domus Sancti Francisci, e, al
tempo stesso, che le argomentazioni addotte per illustrarla e confer-
marla sono di procedimento sofistico, essendo fondate su premesse
non tutte vere, e troppe volte anche arbitrarie ;

2) che l'ampliamento della Platea Comunis del 1228-29 non
si estese — anche perchè non avrebbe potuto estendervisi — alla
parte sinistra della medesima; ma si verificò invece nella parte





16 GIUSEPPE ABATE

opposta — ossia in quella prospiciente l’attuale Palazzo dei Priori
— nella quale e non altrove si trovava il fondaco dei figli di Angelo
el della Pica nipoti di San Francesco ;

do 3) che l'identificazione di quel frater Nicolaus de Assisio,
la cui testimonianza è in stretta relazione con la Casa di San Fran-
| cesco, con un magister Nicolaus Iacobi Rainucci de Assisio ricor-



e rente nei documenti del 1280-82 non solo é criticamente infondata,
“ n x . . . .

d ma è anche cronologicamente insostenibile. Inoltre, nessun docu-
i mento riferisce che la casa paterna di quell'antico frate, contigua

ng alla casa paterna di San Francesco, era situata in tale o in tal'altra
"E località di Assisi;

E 4) che la ricostruzione biografica del predetto maestro Ni-
^ coló di Giacomo — presentato nella Nova vita prima come pubblico
notaro e poi anche come religioso del Sacro Convento — è un in-
sieme di soggettive interpretazioni di testi diversi fra loro, nonchè
il risultato di non poche supposizioni senza base. Il Nicolò di Gia-
Mai como di Rainuccio dei documenti del 1280-82 fu solo un laico con
hd moglie e figli, e non fu mai un frate. Inoltre il suo « magisterium »
non essendo specificato in quei documenti, indica soltanto che egli
potè essere sia un notaro che un medico, sia un pittore che un la-
picida, un fabbro e simili. Infine, se ci fu in Assisi (come veramente
ci fu) un notaro pubblico con quel nome e con quella paternità,
egli, nei rogiti che di lui si conoscono, non si sottoscrisse mai con
Ad quel secondo patronimico che è necessario per non confonderlo
è I | con altri Nicola di Giacomo suoi contemporanei ;

5) che nessun documento autorizza a proclamare — come
fa la tesi fortiniana — l’identità storica e formale fra tre case che
sotto ogni aspetto risultano essere l’una diversa dall’altra : allu-
diamo alla casa di Porta Moiano, dove da una interminabile serie
di atti pubblici e dalla ininterrotta tradizione cittadina, è detta
fa) situata la « domus nationis beati Francisci » ; — alla casa (fondaco)
dei figli di Angelo della Pica, che si trovava indubbiamente sul
e lato destro della Platea Comunis, e cioè lontana sia dalla predetta
"aM casa di Porta Moiano e sia dalla zona di San Nicoló e di Via Portica ;
s — e, infine, alla casa di Via San Paolo-Portica, che, comprata e
B non ereditata da Piccardo di Angelo della Pica nel 1280, in nessun
j atto pubblico e privato ebbe mai la qualifica di « Casa di San Fran-
i cesco » ;
| 6) che la madre del Santo Patriarca di Assisi ebbe a bat-
ET tesimo il nome di Giovanna e non di Pica, e che inoltre essa non





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Ingresso di S.- Francesco Piccolino con Varco soprastante.









S. Francesco Piccolino.

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Interno di S. Francesco Piccolino.

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BOTRATTO DELLA PIANTA DI ASSISI

ZONA CHE COMPRENDE

“S.FRANCESCO PICCOLO,











LA CASA NATALE DI S. FRANCESCO E LA TOPOGRAFIA DI ASSISI 17

fu di origine francese come vorrebbe far credere l'A. della Nova
vila. «Pica» fu un nomignolo ; «Pica » non dice alcuna relazione
alla regione di Piccardia, come parimenti non la dice il nome Pic-
cardo portato dal famoso nipote di San Francesco ;

7) che la paternità letteraria del Liber exemplorum, attri-
buito dal Fortini a Fra Francesco di Bartolo della Rossa, è, fra l’altro,
inesorabilmente smentita dalla cronologia certa del presunto autore ;

8) che parecchie genealogie intercalate alla tesi fortiniana
non riscuotono intera fiducia, perchè non sempre redatte su do-
cumenti criticamente validi e sicuri; tra esse anche quelle degli
ascendenti di San Francesco e quella di Nicolò di Giacomo ;

9) che parecchi documenti dati dallo storico assisano come
pertinenti a Ciccolo di Giovannetto di Angelo — cioè a Ciccolo di
Piccardo, come più frequentemente è detto negli atti pubblici quel
pronipote di San Francesco — riguardano invece un altro cittadino
assisano a nome Ciccolo di Giovannolo, abitante in altra contrada
e fratello di un certo Matteo. Ciccolo di Piccardo non ebbe fratelli ;
ebbe solo una sorella ; :

10) che in Via Portica non ci fu mai un «fondaco » di San
Francesco : un'asserita tradizione intorno a ció é del tutto errata ;

11) che Ludovico di Città di Castello, contrariamente a quanto
si vuol dimostrare nella Nova vita, non affermò mai una tradizione
di culto per la casa di G. Battista Bini di Piazza del Macello ;

12) che il Liber Historiarum S. Romanae Ecclesiae, contenuto
nel famoso codice 341 del Sacro Convento di Assisi, non può attri-
buirsi a un non meglio specificato Magister Iohannes Elemosinae, che
fu un laico, mentre invece autore di quell'opera fu un frate Minorita.
Parimenti non può dirsi se il Frater Elemosina menzionato nella
facciata interna di quel codice, indichi solo il possessore e non an-
che il compilatore di quella Cronaca ; in ogni caso però (anche se
non si sa se il frate sia stato nativo di Assisi oppure di Gualdo) è
un arbitrio inserirne il nome nella geneaologia di un certo Giacomo
di Assisi;

13) che la domina Jacoba de Roma di alcuni documenti del
sec. xII non designa affatto la Beata Giacoma dei Settesoli, cioè
la celebre Frangipani devota di S. Francesco.

E qui facciamo punto, perchè quanto abbiamo elencato finora
è più che sufficiente per formare un giudizio sul procedimento
critico-documentario usato dal Fortini nella sua Nova Vita.













18 GIUSEPPE ABATE
NOTE

1) ARNALDO FortINI, Nova vita di S. Francesco, Milano, Casa editrice
Alpes, 1926, pp. 484.

2) AnNALDO FonriNI, Nova vita di S. Francesco. Edizioni Assisi presso
la Tipografia Porziuncola. Santa Maria degli Angeli, Assisi. Senza data, ma
1959. Cinque volumi. — Una segnalazione, piuttosto che una recensione, é
stata fatta da Lorenzo Di Fonzo, O.F.M. Conv., in Miscellanea Francescana»
tomo 62, 1962, pp. 498-500.

*) Cfr, per es., la recensione edita da Michele Bihl, O.F.M., in Archi-
vum Franciscanum historicum, An. xx, 1927, 157-161. « Presentata in uno
stile vivo, colorito e talvolta quasi romantico, appoggiata a scritti non tutti
e sempre sicuri, l’opera del Fortini — nella quale invano si cercherebbe
tutto S. Francesco con la sua spiritualità, con la sua santità, con la sua opera
riformatrice religiosa e sociale, coi suoi miracoli, col racconto della sua cano-
nizzazione e della sua glorificazione in Assisi, con l’erezione della famosa Basi-
lica — ha il merito di farci conoscere, attraverso un gran numero di documenti
nuovi, quale fu l’ambiente storico della patria del Santo dal tempo della sua
nascita a quello della sua morte e anche dopo. Si potrebbe aggiungere, che
quell’ambiente era quasi comune a tante altre città umbre (come Perugia,
Foligno, Todi, Orvieto) e a non poche altre regioni d’Italia ; ma ciò non dimi-
nuisce il merito dell’A. nel farcelo conoscere in particolare ed in concreto,
anche se con una esuberanza di dati e di notizie non sempre pertinenti o
trascurabili. La delusione pertanto è troppo forte per l'ansioso lettore della
Nova vita nel non trovare in essa nemmeno un documento nuovo riguardante
direttamente San Francesco, i suoi discepoli assisiati, Santa Chiara e lo stesso
movimento francescano ; e trovarne invece una vera infinità spettanti unica-
mente alla storia civile di Assisi e suo contado ».

1) ABATE P. GiusepPE, 0.F.M. Conv., La casa dove nacque S. Francesco
nella sua nuova documentazione storica. — Pro manuscripto. — Direzione di
Miscellanea Francescana, Basilica dei SS. x Apostoli, Roma (1939), p. 49.
Ed. f. comm.

5) BracALONI P. LEONE, O.F.M., Risposta al Pro-manuscripto de « La
casa dove nacque S. Francesco d'Assisi». Assisi, Tipogr. Metastasio (1939)
pp. 40; GornuBovicH P. GrinoraAMo, O.F.M., La storicità e autenticità della
Casa Paterna di San Francesco e la popolare leggenda della « stalletta ». Studio
critico. Firenze, Barbera (1940), pp. xvi-110.

*) ABATE P. GrvsEPPE, O.F.M. Conv., La casa dove nacque S. Francesco
nella sua nuova documentazione storica, in Miscellanea Francescana, xxxx
(1940), pp. xr11-424 ; in volume a parte : Gubbio, Casa editrice « Oderisi », 1941.

Scesi nuovamente in campo i nostri oppositori con altri loro scritti
polemici ai quali SALVATORE ATTAL (SoTER) contrappose un suo studio
critico dal titolo La casa dove nacque San Francesco, Roma, Tipogr. To-











LA CASA NATALE DI S. FRANCESCO E LA TOPOGRAFIA DI ASSISI 19

massetti, 1942, pp. 46 — noi, per amichevole suggerimento di alte persona-
lità della cultura, abbiamo preferito sino ad oggi non più insistere nel di-
battito memori di una antica sentenza che dice: Veritas defendit, non
defenditur.

?) Il testo preciso ha : «... Ifem, voluit, iuxit et mandavit quod in domo
in qua natus fuit beatus Franciscus depingatur super altare figura et immago
beati Francisci in ea forma qua modo depicta est » (Arch. della Cattedrale,
Strumenti, A., pag. 2). Nell’Oratorio di S. Francesco Piccolino, e precisamente
nella parete dell’altare e sopra altra pittura più antica, sono ancora visibili
(parte della testa del Santo con aureola) i resti in affresco dell'immagine più
tardi rifatta. .

8) Secondo tali giudizi la documentazione presentata dal P. Abate, oltre
ad essere veramente oggettiva e scientifica, è talmente conclusiva ed esau-
riente che non può essere smentita da ipotesi e supposizioni ; l’accumulazione
delle testimonianze è così schiacciante per il consolidamento della tradizione,
che ogni motivo di contendere si può considerare cessato ; la casa paterna del
Santo non può essere che quella designata nei documenti ora rintracciati ;
la dimostrazione, condotta con severa critica e con argomenti di fatto, ha
risolto la questione in modo così definitivo che un ragionevole dubbio ora non
è più possibile ; la logica ce ne dava l’intuizione, i documenti oramai ne danno
la prova assoluta.

Quelli che hanno espresso, per iscritto, tali giudizi sono stati (e non pochi,
grazie a Dio, lo sono ancora) Professori d’Università di Stato e Pontificie,
Dottori e Scrittori della Biblioteca Vaticana e dell'Archivio Segreto della
Santa Sede, Storici, Critici di riconosciuta fama ed autorità, come può facil-
mente rilevarsi dal seguente elenco (incompleto) che, a loro onore e per segno
di nostra gratitudine, ci permettiamo render noto :

Albareda Anselmo ; Argan G. C. ; Attal Salvatore ; Bacchiani Alessandro ;
Bartoli Alfonso ; Battelli Giulio; Bertini-Calosso Achille ; Bianchi-Cagliesi
Vincenzo ; Biordi Raffaello ; Bruni Bruno ; Bulgarini Domenico ; Calisse Carlo ;
Callaey Fredegando ; Canaletti-Gaudenti Alberto ; Carusi Enrico ; Cenci Pio ;
Cosmo Umberto ; Costantini Celso; De Romanis Alfonso; Di Marzo Salvatore ;
Fausti Romano ; Franchi de’ Cavalieri Pio ; Gallo Alfonso ; Giannini Ame-
deo; Giovannoni Gustavo ; Guidi Pietro; Inguanez Mauro ; Laurent Ma-
ria-Giacinto; Lavagnino Emilio; Lazzarini Andrea ; Leturia Pietro ; Loc-
catelli Giulio; Léw Giuseppe; Lugano Placido; Marchetti Longhi Giu-
seppe; Masseron Alessandro ; Mazzoni Guido ; Montenovesi Ottorino ;} Mu-
ratori Sante; Negro Silvio ; Nicolini Giuseppe Placido, vescovo di Assisi;
Nogara Bartolomeo ; Paribeni Roberto; Paschini Pio; Pellegrinetti Er-
menegildo ; Pelster Francesco ; Perali Pericle ; Perkins Mason; Pescetti
Luigi; Pontieri Ernesto; Raite v. Freunz Frh. ; Revelli di Beamont Paolo ;
Ruffini Ernesto ; Salvatorelli Luigi; Scaccia Scarafoni Camillo; Scoca Sal-
vatore ; Silvagni Angelo ; Sorbelli Albano ; Tacchi Venturi Pietro ; Toesca

















20 GIUSEPPE ABATE

Pietro; Turchi Nicola; Turcio Genesio; Valli Giuseppe; Vatti Giuseppe;
Zambarelli Luigi; Zolli Eugenio, ex-rabbino di Roma, Professore nel Ponti-
ficio Istituto Biblico e nell’Università dello Stato.

Ai nomi di tanti illustri esponenti della cultura è da aggiungere ora quello
— nel nostro caso specifico, di gran peso e molto significativo — del P. Li-
vario Oliger (t 1951), studioso particolarmente versato nella storia francescano-
medievale, Professore nel Pontificio Ateneo Antoniano e in quello parimenti
Pontificio del Laterano. Questi — come ci confessó egli stesso — non volle
mai avallare (non ostante le pressioni fattegli) per vero quello che a lui si pre-
sentava criticamente e storicamente errato, cioè l’asserita identità della Chiesa
Nuova con la Casa paterna di San Francesco, mentre invece riconosceva
probante e definitiva la nostra documentazione sulla identità dell’Oratorio
di San Francesco Piccolino con la Casa paterna e natale del Santo. Tale suo
giudizio egli espresse verbalmente, e più volte, tra i suoi colleghi cat-
tedratici dell'Ateneo Lateranense, dell'Università Gregoriana e dell'Angeli-
cum (per quest'ultimo siamo autorizzati a fare il nome del prof. P. Tommaso
Káppeli, Direttore dell'Archivum Fratrum Praedicatorum ; gli altri testi non
sono più tra i vivi); — e per iscritto in una relazione apposita da
lui redatta per il Definitorio Generale del suo Ordine, a comando del suo
Rev.mo Ministro Generale : quest'ultima informazione ci è stata data spon-
taneamente e secretamente dall’Oliger, dopo nostra promessa (da lui prima
richiesta) di renderla pubblica solamente dopo la sua morte.

*) Ai documenti strettamente relativi alla « Domus S. Francisci — Ec-
clesiola S. Francisci Parvuli » da noi pubblicati nel 1940 bisognerebbe ag-
giungerne ora piü che una trentina ; ma essendo essi dello stesso tenore di
quelli già editi, riteniamo superfluo, al presente, elencarli tutti e indicarne le
fonti archivistiche. Facciamo pertanto eccezione per i seguenti tra quelli
del secolo xv:

— 1404, 6 gennaio: Sentenza arbitrale «lata... et promulgata...
in Porta S. Clare ante domum que dicitur Domus SANcTI FRANCISCI, Cui a I
[latere] via, a r1 res olim Francisci magistri Thome»: Cfr. Arch. Notar., Pro-
tocollo di Gerardo di Giovanni, C. n. 4, fol. 7* . La casa di Francesco di maestro
Giovanni appare confinante dallo stesso secondo lato con la «domus Sancti
Francisci » nel documento n. 18, dell'anno 1398, già da noi pubblicato.

— 1404, 6 gennaio: Compromesso fatto « ante domum que dicitur Do-
mus SANCTI FRANCISCI DE AssISIo, cui a 1 via, a r1 res olim Francisci magistri
'Thome et alia latera...»: l. c., fol. 9v.

— 1418, 10 gennaio: « Actum... in via publica ante domum que vo-
catur LA CASA DE SANCTO FRANCESCO positam iuxta viam, Ser Gerardum
Jacobi et Iohannem Luciole, et alia latera ...»: Protoc. di Cecco di Bevi-
gnate, B. n. 18, fol. 377.

— 1422, 6 aprile: Atto di compera stipulato «... in via publica ante
DOMUM SawcrI FnaNcCISCI de Assisio: cui a 1 res Gerardi Pantesie, a 11 res









LA CASA NATALE SI S. FRANCESCO E LA TOPOGRAFIA DI ASSISI 21
Ser Gerardi Iacobi Cicchi magistri Angeli, a r11 DoMus SANCTI FRANCISCI ...»:
Protoc. di Costantino di Francesco, H. n. 3, fol. 182.

— 1427, 16 gennaio: È una «renunciatio ». « Actum... in Porta Sancte
Clare et in pomo SancTI FRANCISCI, cui a 1 via, a r1 Ser Gerardus Iacobi . . .»:
Protoc. di Gerardo di Giovanni, 1424-27, N. 9 bis (olim senza segnatura),
fol. 277%.

— 1458, 24 ottobre: Vendita : « Actum ... in domo Antonii Sanctis...
cui domui a 1 via publica, a 11 ECCLESIA SANCTI FRANCISCI PARVI, a 111 Rufi-
nus Andree ...»: Protoc. di Polidoro di Ludovico, M. n. 13, fol. 58. — Fac-
ciamo osservare, che la chiesa detta qui di San Francesco Piccolo è quello
stesso fabbricato (più esattamente una parte) che nel nostro docum. n. 57
del 12 maggio 1412 è qualificato come « la Casa di sancto Francesco » : il con-
finante dal terzo lato è infatti nei due documenti sempre il medesimo, cioè
Rufino di Andrea.

— 1528, 9 giugno: La vedova del celebre pittore Tiberio Diotallevi di
Ser Francesco di Assisi (la cui casa d’abitazione, come ci risulta da altri do-
cumenti, era nei pressi dell’Oratorio di San Francesco Piccolino) dinanzi al
Luogotenente della Città e presente anche Antonio di Matteo di Pietro di
Bina, vende al giurisperito Ubaldo di Giacomo d’ Insegna (la cui casa paterna
sovrastava e in parte circondava il « Sacellum in quo natus fuit seraficus
Pater et Advocatus sanctus Franciscus », cioé la « Ecclesiola sancti Francisci
Parvuli » dei nostri documenti nn. 110, 1412, 143, rispettivamente degli anni
1488, 1507 e 1508) un casaleno posto «in Porta sancte Clare et ante ostium
SACELLI IN QUO NATUS FUIT BEATUS FRANCISCUS DE ASSISIO » : Cfr. Protoc.
di Silvio Allegretti, R. n. 17, fol. 32 di quell'anno.

19) L’intervento diplomatico, al quale alludiamo, fu chiesto ed ottenuto
dai nostri oppositori, custodi della Chiesa Nuova. La Commissione poi era
formata tutta di illustri Cattedratici specialisti dell’Università di Roma,
ed aveva a presidente il senatore prof. Pietro Fedele ( 1943). Questi, che molto
amabilmente si degnava onorarci della sua amicizia, incontratoci a caso presso
il Senato, ci chiamò e ci disse le seguenti testuali parole : « ... Se esiste al
mondo una casa paterna e natale di San Francesco essa è l’Oratorio di San
Francesco Piccolino. Non c’è dubbio. La Commissione però da Lei voluta ed
ottenuta non si radunerà mai, perchè dovrebbe dar torto ad un grande e bene-
merito Ordine che ha molte Missioni nel mondo, e questo non è politico. È
più opportuno che si occupino della cosa le Autorità Ecclesiastiche. Del resto
— aggiunse — io non sono la persona più adatta ...». L’intervento diplo-
matico invocato aveva raggiunto il suo scopo.

Quella Commissione, infatti, non fu mai adunata, neanche quando il
quotidiano romano 7i Giornale d’Italia — in data 30 luglio 1943 — con un
lungo e chiaro articolo di Giulio Loccatelli dal titolo La casa del Patrono
d’Italia e una commissione che mancò al suo scopo, chiese autorevolmente
di riprendere la pratica temporaneamente sospesa e di dare alla Commis-



















22 GIUSEPPE ABATE

sione un capo, rinnovando l'incarico che era sempre in vigore. L'articolo
terminava con le parole : « Ne va del nostro decoro ». C'é peraltro da ricor-
dare, che allora si era in corso di una guerra terribile in fase irrimediabil-
mente perduta.

1) Cfr. PERICLE PERALI, Ottavio Ringhieri, Vescovo di Assisi, e la Casa
dove nacque S. Francesco. Lungo studio, con 9 tavole, ove si parla anche di
documenti asportati dall’ Archivio Vescovile di Assisi: in Miscellanea Fran-
cescana, vol. xLII, 1942, pp. 277-312. Per conto nostro aggiungiamo, che il
suddetto Vescovo Ringhieri rinnovava nel 1754 la protesta e la condanna di
quella falsità storica con un particolare scritto inserito in una sua opera cri-
tica (De Indulgentia Portiunculae, 2 grossi volumi autografi) che ora si con-
serva nell’Archivio Generalizio dei Frati Minori Conventuali di Roma.

12) In uno dei tanti foglietti che si distribuiscono alla Chiesa Nuova,
stampato a S. Maria degli Angeli il 1 agosto 1956, si legge testualmente :
« Il Santuario della Chiesa Nuova non è altro che la Casa dove nacque San
Francesco, e perciò una delle tante gemme della Città Serafica. Qui infatti
Egli venne alla luce, nel 1182 ; qui si svolse la sua infanzia e fiorì la sua gio-
ventù fino al 1207... Per circa quattrocento anni fu questa la Casa che
pellegrini e devoti venerarono, che gli studiosi ricercarono e descrissero . . . ».
Il testo continua ancora a lungo e non manca di svalutare con inserafico ar-
dore e ingiustificata sicurezza il piccolo oratorio di San Francesco Piccolino.
Il foglietto propagandistico reca (per la storia) nel suo sottoposto « Impri-
matur »: « Per l'Em.mo Cardinale Fr. Serafino Renzi, Vicario ». Cogliamo
questa occasione per ricordare, che in un decreto della S. Congregazione dei
Riti del 15 maggio 1881 la Chiesa Nuova é detta «prope locum aedificata
ubi Sanctus ipse ortum habuit ».

18) Tutta Assisi ricorda che fino a pochi decenni fa la formola usata dai
religiosi ciceroni della Chiesa Nuova nell’illustrare quel loro santuario era
questa : « Di qui — e s’indicava un’antica porta che fronteggiava la via e che,
protetta da una rete metallica, recava una iscrizione in versi — uscì la Madre
di San Francesco per andare a partorire il figliuolo nella Stalletta. Questa era
la casa, ma lì è nato ». L’iscrizione, da noi stessi tante volte veduta ed ora



sparita, diceva : « Per avviso celeste al parto spinta — Di qui andò la geni-
trice incinta»
14) Cfr. ABATE, La casa paterna di S. Chiara... in cit. » Bollettino d.

R. Dep. di Storia Patria per l'Umbria », vol. xr1-1944, pp. 76-77 ; pp. 43-44
dell Estratto.

15) Affermazione inesatta. Solamente il P. Abate, molti anni or sono,
affacciò la probabilità di quella identificazione ; ma poi, per la scoperta di
altre notizie, quella probabilità s’è del tutto dileguata. Del resto, non è da
premesse probabili che si possono trarre conclusioni certe.

16) La notizia alla quale l’A. qui accenna, nella parte che riguarda la Fa-
miglia di San Francesco e la presente questione, era nota agli studiosi già un





LA CASA NATALE DI S. FRANCESCO E LA TOPOGRAFIA DI ASSISI 23

secolo fa, essendo stata pubblicata nel 1866 dal noto e probo scrittore AN-
roNI0 CRISTOFANI nella sua opera sulla Storia di Assisi (3% ediz. 1902, p. 50).

17) Ciò secondo una notizia indicata dall’A. della Nova vita come finora
« sfuggita » a tutti, ma che invece era nota al P. Nicolò Papini oltre un secolo e
mezzo fa, e fin dal 1903 si poteva leggere nel Catalogo delle pergamene e degli
antichi autografi dell’ Archivio Comunale di Assisi (p. 45, nn. 405 e 406) re-
datto da Alfonso Brizi e stampato dalla Tipografia Metastasio in Assisi.

18) Questa prima pretesa conferma (mutuata da altri) è una ingenua
finzione poetica, mentre invece quella che segue immediatamente dopo non
corrisponde a realtà, perchè risulta in modo certissimo che la Parrocchia
della famiglia di San Francesco fu quella di S. Giorgio.

19) Documenti e topografia smentiscono che la chiesa di San Paolo fosse
vicina alla casa di San Francesco : tra l’una e l’altra correva tutta la Piazza
del Comune ed altro spazio ancora.

29) Che i mercanti avessero di solito i loro fondaci nella Platea Mercati
e con questi talvolta anche le case di abitazione è vero ; ma che invece aves-
sero sempre fondaci e case di abitazione in Piazza non è vero affatto, come noi
possiamo dimostrare con innumerevoli documenti. Al tempo di San Francesco
le cose a questo riguardo procedevano come si vedono procedere oggi sia in
Assisi che ovunque nelle città : non sempre alla « camera mercantiae » è unita
la « domus habitationis ». Un esempio ce lo porge lo stesso Avvocato Fortini,
che svolge la sua attività legale in uno studio situato in Via Portica, cioè a
pochi metri dal centro di Assisi, ed ha invece la sua casa di abitazione nella
parte alta della città.

2) Di questa chiesa assisana nessuno storico locale ha potuto mai ac-
certare la vera origine ; di essa si sa soltanto che esisteva nell’anno 1093 :
efr. Miscellanea Francescana, vol. x1 (1914), pp. 34-35. Dirla perciò alzata dai
mercanti è affermazione gratuita.

2) La casa di Pietro Bernardone non confinava con alcuna chiesa, avendo
sulla sua fronte una via, da tergo un formello, e agli altri suoi due lati case
di abitazione privata: ciò da documentazione autentica del sec. xiii ancora
esistente.







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24 GIUSEPPE ABATE



II.

La tesi fortiniana è in assoluto contrasto con i risultati critici anteriormente
acquisiti. — L'identità dell'Oratorium sancti Francisci Parvuli con la Domus
sancti Francisci oggi non è affatto un problema. — L’identificazione del Frater
Nicolaus de Assisio delle antiche fonti con il tardivo Frater Nicolaus Iacobi
è un incontestabile e gravissimo errore. — La biografia di questo personaggio
presentata dal moderno scrittore assisano non ha fondamento critico e storico.

L’identità della Casa paterna e natale di San Francesco col
vetusto e venerando Oratorio di S. Francesco Piccolino è, indub-
biamente, cosa d’importanza storica non piccola, ed essa, per la
sua nuova e scientifica documentazione, è un felice risultato di
indagini archivistiche lunghissime e spassionate, che, approvato da
tanti e tanti studiosi di indiscussa competenza, solo da alcuni è
stato rifiutato e combattuto. A questi — dei quali non riteniamo
opportuno ripetere il nome — s'é aggiunto ora buon ultimo il Fortini.

Egli, invero, non ha sottoposto a nuovo e personale esame
critico quella tradizione e quelle prove, essendosi indugiato a rie-
cheggiare vanamente sofismi ed errori altrui, tacendo peraltro
quanto a quei sofismi e a quegli errori é stato in seguito documen-
tariamente contrapposto ?). Il Fortini non ha detto, per esempio,
per quale grave e misterioso motivo si deve rifiutare come non
corrispondente al vero la testimonianza degli antichi Statuti della
Città ?), cioè di quell’autorevole codice di diritto pubblico e pri-
vato, che egli pure tanto spesso allega ad illustrazione o conferma
di tesi che a lui sono care, nei quali l'identità di quell'Oratorio é
tanto solennemente quanto espressamente proclamata; non ha
dimostrato essere false e bugiarde le innumerevoli, spontanee, di-
sinteressate testimonianze di tanti notari pubblici *) di Assisi, i quali
nei loro rogiti ci hanno trasmesso notizie e affermazioni concordi
a quella degli Statuti, poichè quando egli asserisce che l'identità
dichiarata in quegli atti è un errore comune invalso in Assisi in
seguito alla cosidetta leggenda della nascita di S. Francesco in
una stalla, egli non dà una dimostrazione, ma solo ripete senza
controllo un giudizio già da altri capziosamente formulato. Quel-
l’antica narrazione, infatti, riferisce solamente una circostanza non
ordinaria che si dice accompagnasse quella nascita (in una stalla),
e nulla dice dellubicazione della casa (o stalla) ove il fatto







LA CASA NATALE DI S. FRANCESCO E LA TOPOGRAFIA DI ASSISI 25

avvenne. Non è certo con questo ed altri simili espedienti che
si può screditare e demolire la nostra dimostrazione della indub-
bia identità della domus nationis S. Francisci col fabbricato in
cui — fin dal secolo xim, e specialmente per opera dei familiari
del Santo — venne eretto l’Oratorium S. Francisci Parvuli, ossia
quella minuscola cappella che con tutta certezza risulta legata alla
nascita e all’infanzia del Patriarca di Assisi; poichè quella nostra
dimostrazione — come fu giudicata a suo tempo — «è così com-
pleta sotto ogni rapporto, investendo il problema da ogni possi-
bile lato, che la convinzione non è più una scelta, ma una necessità.
Bisogna essere convinti per forza, se si vuole rimanere nel campo
dell'onestà spirituale . . .»*).

Ma, come abbiamo dimostrato in altre nostre pubblicazioni
corredate dalla riproduzione fotografica dei documenti, e come
faremo vedere anche in questa, non da tutti é stato sentito il dovere
di restare nel campo di tale onestà, perché il Fortini ha continuato
a comporre e decomporre i fatti a proprio talento, ad interpretare
e ad adattare i documenti alle proprie particolari vedute e ai suoi
interessi 5).

*
*ock

Solo a titolo d'informazione, ci si consenta annotare che
quanto venne fatto in Assisi nella casa dove nacque il Poverello
venne (in quello stesso tempo) fatto altrove per S. Domenico *)
e alcuni Santi Francescani, come per S. Antonio a Lisbona, per
Santa Rosa a Viterbo ; e poi anche per S. Bonaventura a Bagnoregio.
Ma si noti bene : la ecclesiola in onore di San Francesco in Assisi
venne creata a pianterreno della casa di Porta Moiano che
gli immediati familiari di Lui possedevano e in essa di continuo
abitavano ; e non già affatto in altra casa, quale avrebbe po-
tuto essere quella che gli stessi familiari possedevano anche nella
Piazza del Comune ad uso di fondaco, e nemmeno nella casa di
Piazza del Macello, che mai appartenne a Pietro di Bernardone,
come non gli appartenne la casa di Via San Paolo : in queste due
ultime case giammai nel secolo xin e seguenti vi fu chiesetta od
oratorio né in onore di San Francesco, nè di alcun altro Santo ?).
È questo un dato di fatto certissimo, non contraddetto da alcun
documento, che induce a fare una considerazione assai grave, poi-
chè oltre ad essere moralmente assurda in sè, appare anche oltrag-



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26 GIUSEPPE ABATE

giosa nei confronti della nobile città di Assisi, dei familiari del
Santo e dei Religiosi del Sacro Convento : assurdo, infatti, é pensare
che mentre ovunque, dopo la canonizzazione, si mettevano in culto
e in onore tanti luoghi dove San Francesco aveva soggiornato e
perfino le grotte dove aveva a lungo pregato *), solo in Assisi non
sarebbe stata posta da alcuno in venerazione la casa dove Egli era
nato e dove era vissuto per circa venticinque anni; oltraggioso
è poi per gli Assisani, per i familiari del Santo *) e per il Sacro Con-
vento pensare, che, presentando al mondo la casa e l’oratorio di
Porta Moiano come il luogo dove era nato il loro grande concit-
tadino, il loro santo zio, il loro padre spirituale, essi per ignoranza
o impostura abbiano venerato o presentato una casa non vera,
una casa sbagliata. Credat iudaeus Apella, non ego!, è il caso di
ripetere giustamente con le parole di un antico poeta latino 1°).

Ma non attardiamoci più in considerazioni generali e passiamo
senz'altro all'esame piü particolareggiato della tesi fortiniana.

Dovendo procedere con ordine e chiarezza, abbiamo ritenuto
necessario trattare primieramente delle argomentazioni e dei do-
cumenti diretti ed essenziali addotti dall'A. a fondamento della
sua tesi; in secondo luogo delle argomentazioni e dei documenti
che indirettamente e secondariamente dovrebbero essere una con-
ferma per la tesi; e, infine, tratteremo di alcune questioni pure
importanti, ma fuori tema, che il Fortini ha toccato nello stesso
capitolo, questioni — aggiungiamo subito — che, a somiglianza
delle altre, risultano manchevoli ed errate *).

Nella questione che trattiamo, il personaggio relativamente
piü importante — il personaggio-chiave si potrebbe dire, se fosse
lecito esprimersi così — è un non ancora troppo bene individuato
Fra Nicola da Assisi, perchè è sopra una asserita identificazione
di questi con un altro frate omonimo, e pure di Assisi, che il
Fortini ha costruito principalmente la sua tesi.

Quel fra Nicola, infatti, narrando nel Sacro Convento di As-
sisi — non si sa precisamente quando, ma certamente verso la
metà del secolo xir — di un episodio riguardante San Francesco
appena nato, asseriva, incidentalmente, che la casa di suo padre
(del quale, si noti bene, non faceva il nome) era contigua alla
casa di San Francesco. Quel racconto si legge in quel Liber exem-
plorum di uno o piü autori anonimi pubblicato in parte nel 1927
dall'illustre storico P. Livario Oliger, O.F.M.,") il quale con una
critica ineccepibile dimostró che, sela scrittura materiale del codice











LA CASA NATALE DI S. FRANCESCO E LA TOPOGRAFIA DI ASSISI 27

può sicuramente datarsi tra la fine del secolo xi e il principio del
xiv, il contenuto formale e storico del libro non può riportarsi al
di qua degli anni 1271-1280 : dal che risulta, che chi fece quel rac-
conto era già «frate» del Sacro Convento anteriormente
a questa data e non già do po come ci verrà affermato dal Fortini.

Dello stesso Fra Nicola di Assisi, un secolo dopo quell’Ano-
nimo **), scrisse il notissimo Fra Bartolomeo Rinonichi da Pisa,
traendo la narrazione di quell’episodio da fonte quasi identica a
quella del Liber exemplorum, ma arricchita dei seguenti due parti-
colari interessanti, cioè che la madre del frate ebbe nome Margherita,
e che il frate stesso fu, in tempo non precisato, guardiano nel con-
vento di Spoleto»). Anche nella narrazione del Pisano il patro-
nimico di Fra Nicola non è dato ; non è però taciuta la significativa
circostanza, che la madre del frate era vicina di casa e amica 14)
della madre di San Francesco ; tutto ciò, oltre a dirci che la
casa paterna del Santo e quella materna di Fra Nicola erano pros-
sime l’una all’altra per contiguità e vicinanza, ci dicono ancora
— tacitamente sì, ma in modo non meno vero e certo — che ma-
donna Pica, madre di San Francesco, e Margherita, madre di Fra
Nicola (perchè ben note l'una all'altra), erano piü o meno coe-
tanee, come del pari approssimativamente coetanei do-
vevano essere i loro figliuoli, cioè Francesco ed Angelo figli della
prima, Nicola figlio della seconda.

Da ciò risulta, che l’intero curriculum aetatis di Pica e di Mar-
gherita, e poi quello dei loro figliuoli, non deve essere stato per
numero di anni molto diverso l’uno dall’altro ; esso, per ognuna
delle due generazioni, deve essersi aggirato al massimo intorno ai
45-50 anni, dato che al tempo di San Francesco la durata media
della vita umana in Italia era molto bassa. Sappiamo, infatti, da
una dichiarazione di papa Innocenzo in (1216) che al tempo
suo pochi in Roma giungevano all’età di quarant'anni, pochissimi
ai sessanta !*).

Non sappiamo quando morì Pica :*), né del pari quando mori
Margherita ; ma sappiamo con certezza che San Francesco, nato
nel 1181-82, passò di questa vita nel 1226 all’età di circa 45 anni;
e che Angelo, fratello minore del Santo, era già defunto nel
1229", e quindi visse quasi la stessa età del Santo.

A quale età mori il Fra Nicola di Margherita, coetaneo,
© quasi, dei figli di Pica, Angelo e Francesco ?

Non lo sappiamo; ma anche concedendo «ad abundantiam »



28 GIUSEPPE ABATE

che egli sia sopravvissuto ad Angelo di Pica per un trentennio, è
da ritenere come quasi certo che nel 1260 Fra Nicola non era più
tra i vivi.

Ma Fortini pretende darci al riguardo ragguagli più precisi.
Egli, infatti, scrive che il «frater Nicolaus de Assisio », il figlio di
quella Margherita che era conoscente e vicina di casa della madre
di San Francesco, il frate del Sacro Convento di cui parlano il Liber
exemplorum e Bartolomeo da Pisa... era ancora in vita nell'anno
1326 1) ; il che é quanto dire (aggiungiamo noi), che sopravviveva
di un buon secolo al suo coetaneo San Francesco!

Nelle pagine 62-65 della Nova vita il Fortini — rifacendosi a
due documenti del 1312 e 1326, nei quali il P. Abate (cioè noi che
scriviamo queste note) credette, molti anni fa, scorgere un qualche
elemento per poter opinare che un certo Frater Nicolaus Jacobi
de Assisio, ivi menzionato e vivente in quegli anni nel Sacro Convento,
possa essere stato il Frater Nicolaus de Assisio dell'antica narra-
zione !*) — accetta come un dato sicuro quella identificazione, e
arzigogolandoci attorno con ardore, la pone a fondamento della sua
tesi e della irreale e confusa biografia che ci dà intorno al perso-
naggio ?"). Ci sia lecito pertanto pensare, che se il moderno storico
assisano avesse sottoposto — come avrebbe dovuto certamente fare —
quell'opinione al doveroso controllo critico che ora facciamo noi
in questo studio, assai verosimilmente non avrebbe scritto quanto
a questo riguardo per disavventura ha scritto.

*
* *

Invero, per identificare il Nicolaus de Assisio senza patro-
nimico delle antiche fonti con un altro personaggio dello stesso
nome e della stessa patria ma con patronimico, è necessario che
questo nuovo personaggio risulti dalla nuova documentazione quale :

1) coetaneo, o quasi, di San Francesco (1182-1226), cioè
| che per lo meno non fosse morto dopo il 1260 ;

2) vestito dell’abito francescano (frater) anteriormente E
alla data predetta di uno o più anni almeno;

3) figlio di « Margherita », come si ha nel Pisano.

Orbene, nessuna di queste tre condizioni si verifica nel per-
sonaggio (magister Nicolaus Jacobi de Assisio) che il Fortini, me-
diante una non pertinente documentazione, ha presunto identificare
con il frater Nicolaus de Assisio delle antiche fonti.



——

——

"1











LA CASA NATALE DI S. FRANCESCO E LA TOPOGRAFIA DI ASSISI 29

Infatti, il nuovo personaggio è sì omonimo dell’antico e della
stessa patria, ma:

1) non é un coetaneo, o quasi, del Santo: lo scrittore as-
sisano lo fa nascere nel 1240 e morire piü di cento anni poste-
riormente alla morte S. Francesco, cioé dopo il 1326 ;

2) non fu mai «frate » del Sacro Convento, né di altra reli-
gione. Fu solo un «magister» laico, un uomo secolare con moglie
e figli, come appare dai documenti noti al Fortini e anche a noi.
E se poi nella Nova vita egli viene presentato come Frate Minore,
ciò è fatto senza nemmeno una prova, ma solo per affermazione
dello scrittore, il quale per sostenere la sua tesi non si é fatto scru-
polo di inventare quella vestizione religiosa. Vestizione, è
ancora da notare, che se poi ci fosse stata davvero, essa non sa-
rebbe avvenuta anteriormente al 1260, ma circa quaran-
taquattro anni dopo questa avanzatissima data, come scrive
lo stesso Fortini ?!);

3) innessuno dei documenti nuovi presentati dal Fortini
come tutti riguardanti questo pseudo-frate (e forse anche pseudo-
notaro) è dato giammai al personaggio il matronimico «di Mar-
gherita », richiesto indispensabilmente dai canoni della critica.

È priva quindi di valida documentazione storica l’identifica-
zione in parola.

Non diversamente deve giudicarsi la biografia del presunto
notaro e presunto frate Nicola di Giacomo tanto minuta-
mente ricostruita dallo scrittore assisano, quanto criticamente inac-
cettabile, perchè fondata tutta su semplici omonimie, dubbie infor-
mazioni e interpretazioni soggettive.

Non basta, infatti, trovare in vari documenti coevi figure e
personaggi dallo stesso no me e dallo stesso patronimico
per concludere (se non ci sono altri elementi) che in quei docu-
menti si tratti sempre di una sola persona, perché tal volta si
tratta di persone che vivono nello stesso tempo e nello stesso
luogo, ma che, in verità, risultano poi essere persone diverse per
la diversità di un secondo patronimico, della qualifica della atti-
vità personale, del luogo di abitazione e simili.

Illustriamo questa ovvia osservazione con un esempio riguar-
dante un membro della geneaologia di San Francesco : Petruccio
di Ciccolo di Piccardo.

Trovasi più volte menzionato in documenti ufficiali del 1340-1341
un Petruccius Ciccoli senz’altra nota individuante, cioè senza un





|
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30 GIUSEPPE ABATE

secondo patronimico ?*) : evidentemente si commetterebbe un grave
errore critico, se — senza il corredo di altre prove — si volesse da
alcuno presentare sicuramente come il pronipote di San Francesco,
ossia come il Petruccius Cíccoli Piccardi. Infatti, contemporanea-
mente a questi vivono in Assisi un Petruccius Ciccoli mag. Angeli ?»)
e un Pefruccius Ciccoli Bonaccursi **), che genealogicamente nulla
hanno di comune con quello.

Ancora: troviamo nel 1384 un Nicolaus Petruccii Ciccoli 3): è
questi ancora uno degli ultimi pronipoti di San Francesco, cioè un
figlio del summenzionato Pietruccio di Ciccolo di Piccardo ? Non
lo sappiamo; potrebbe essere invece figlio di Pietruccio di Ciccolo
di mastro Angelo, oppure figlio di Pietruccio di Ciccolo di Bonac-
corso **). Date perciò queste diverse possibilità, ogni identificazione
che si desse come certa e sicura, se soggettivamente sarebbe un
arbitrio, in concreto si risolverebbe in un pessimo inganno.

Ma torniamo ora al Nicolò di Giacomo e alla biografia che del
medesimo ci è stata presentata; non già perchè questo continuare
a parlarne (dopo quanto s’è constatato in precedenza) abbia una
qualche importanza ai fini del nostro problema, ma solo perchè
esso ci dà modo di rilevare ancora di più la superficialità del pro-
cesso critico-documentario usato dall'autore della Nova vita di
San Francesco.

Nella biografia il Nicola è presentato come Notaro pubblico,
come Consigliere del Comune, come Procuratore della
Basilica di San Francesco, e infine come Frate Minore; ma
se la prima qualifica è certa, la seconda è solo possibile, la terza
è assai dubbia, e la quarta è indubbiamente immaginaria.

Esaminiamo i relativi documenti e ragionamenti fortiniani :

1) Rogito del 1275: — È in base a questo documento che
dal Fortini si fa nascere il Nicola circa l'anno 1240 ; ma l’affermata
illazione è manifestamente contraddetta da un documento noto
e pubblicato dallo stesso Fortini: quella nascita infatti va sicura-
mente anticipata di almeno sette anni, cioè va arretrata al
1233; e poiché il Nicola della biografia da quell'A. si dice essere
stato in vita ancora nel 1326, ne viene di conseguenza che il Nicola,
notaro prima e frate dopo, sarebbe vissuto per oltre 93 anni,
ossia più del doppio della media di quei tempi, «quod est adhuc
demonstrandum ».

Il ragionamento del Fortini é questo :

«Il primo documento, in cui [Nicola] fa la sua apparizione,











LA CASA NATALE DI S. FRANCESCO E LA TOPOGRAFIA DI ASSISI DI

è un testamento del 17 novembre 1275, che egli roga come notaio »
e «si può ritenere che .... fosse in questo tempo sui trentacinque
anni» (Nova vita, p. 64).

Quel documento invece é uno dei tanti altri (forse migliaia)
stipulati da quel notaro tra un anno imprecisato (ma anteriore
al 1267) e il 1275 e che non sono pervenuti sino a noi ; non é di certo
il primo documento che il Nicola rogó come notaio.

Infatti sappiamo, che, alla data del 19 maggio 1267, i Frati
del Sacro Convento diedero ad Ubertino di Napoleone, Sindaco del
Comune di Assisi, una certa licenza redatta in forma legale dal
notaro Nicola di Giacomo. La notizia si trova in un documento
del 1279 pubblicato dal Fortini nel volume ni, p. 480-481, e con-
tenuto nella sua forma originale in Strum. S. Conv., t. rr, pergam.
n. 41: «... obligationem et promissionem [non permissionem, come
si legge nella cit. Nova vita] factam ab Ubertino domini Napoleonis
Syndico ipsius Comunis.... scriptam manu Nicole Ja-
cobi notarii». E vero che nel citato documento dato in re-
gesto dal Fortini la data di quella obbligazione non c’è; ma essa
si trova, insieme all’intero testo dell’atto, in Bullarium Sacri Con-
ventus ..., ediz. Alessandri-Pennacchi, 1920, p. 333, così espressa :
«Anno a nat. Mccrxvi, ind. r die xim exeunte mense mai».

Ancora un importante rilievo.

In quel documento del 1275 — come in tutti gli altri rogiti
di quel notaro : 1278, 1279, 1283, 1286 — giammai il Nicola di Gia-
como aggiunge quel secondo patronimico (di Rainuccio) ch'é del
tutto essenziale ai fini della identificazione del medesimo con il
Magister Nicolaus Jacobi Rainucii della nota casa di Via San Paolo
presentato dal Fortini come confinante della sua pseudo-Casa di
San Francesco. Perció mancando il predetto dato necessario, l'iden-
tificazione fortiniana dell'uno con l'altro deve ritenersi critica-
mente invalida ed arbitraria.

2) Documento del 1283: — In questanno — dice il Fortini
— Nicola di Giacomo é consigliere del Comune*?. Può
essere vero; ma il documento non lo dice, perché non gli dà la
qualifica di notaro, né aggiunge altra nota individuante atta a di-
stinguerlo da altri Nicola di Giacomo allora viventi in Assisi.

3) Documento del 10 aprile 1279: — È un atto di grande
importanza per la Basilica di Assisi, redatto dal notaro Tommaso
di Riccardo e non dal Nicola notaro (questo vi è solo menzionato
per una obbligazione da lui stipulata anni prima): « Vicino ai re-



A GIUSEPPE ABATE

ligiosi, — scrive il Fortini — e con essi... é il notaio Nicola
di Giacomo, Nicola Jacobi » (p. 64). Affermazione gratuita : il do-
cumento non dà a quel teste alcuna qualifica 2°). È invece as-
sai probabile che si tratti di quel Nicolaus Jacobi dominae Saporosae,
laico, forse (con Piccardo, primo) uno dei quattro Procuratori e 4
Sindaci del Sacro Convento *») che troviamo presente nello stesso
sacro luogo ad altro atto importante fatto ad istanza di Piccardo
nel 11282 »»).

4) Documento del 22 maggio 1291: — «Ma V’atto più im-
portante, — dice ancora il Fortini — che dimostra l'attaccamento
di Nicola di Giacomo [il notaro] alla chiesa e al convento di San
Francesco, é quello del 22 maggio 1291, che ce lo mostra, dopo
Piccardo, procuratore e sindaco dei frati» (p. 65). Affermazione
senza alcuna prova. Nel documento il Nicola non è detto notarius,
come pure non è detto magister, e non è detto Rainucii. Probabil-
mente è quello stesso Nicola di Giacomo teste che (unitamente
al Nicola di Giacomo notaro) abbiamo visto menzionato nel do-
cumento del 1279 (v. sopra al n. 3).

4) Eccoci ora al tratto più importante della biografia che esa-
miniamo.

È scritto nella Nova vita (pag. 65):

«da un ultimo atto del 3 settembre 1301, in cui interviene
come teste (Arch. S. Conv., fasc. vr, n. 8), Nicola di Giacomo scom-
pare dalla vita pubblica. Lo ritroviamo frate minore, come ab-
biamo visto ®), in quel convento da lui tanto amato ?*), nel 1312;
ma fino dal 1304 egli doveva avere indossato l’abito ... ».

Nessun documento si ha, è vero, posteriore al 3 settembre
1301 che attesti la partecipazione del Nicola ad atti di vita pub-
blica, ma asserire che il medesimo dopo quella data sia scomparso
da quella vita, solo perchè non c’è alcun documento che l’attesti,
è un’affermazione che va provata altrimenti. Si può scomparire dalla
vita pubblica per tanti motivi: per sopravvenuta impotenza fisica
o morale, per amore di riposo o di studio, per morte e simili. Per
| | il Fortini, il più che sessantenne notaro abbandonò la professione
| civile e la vita pubblica — e con esse casa e figli — per soprav-
venuta vocazione alla vita religiosa nell'Ordine di San Francesco.
Ma, come abbiamo precedentemente dimostrato, si tratta di una
vocazione intravista dalla fantasia creativa dell'A.

Ed ora una breve nota riassuntiva :

a) Il frater Nicolaus de Assisio del «Liber exemplorum »



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LA CASA NATALE DI S. FRANCESCO E LA TOPOGRAFIA DI ASSISI 33

e di Bartolomeo da Pisa fu indubbiamente un coevo di San Fran-
cesco, per cui il suo «curriculum aetatis » non può storicamente
estendersi al di qua dell'anno 1260 circa ;

b) è criticamente un grave errore identificare quell'antico
frate con uno dei vari Nicoló di Giacomo vissuti in Assisi fra la pre-
detta data e l'anno 1326;

c) il Nicola di Giacomo di Rainuccio, abitante in Via San
Paolo, se con grande probabilità non fu notaro, con tutta certezza
non fu mai frate del Sacro Convento.

Infine ci si potrebbe chiedere: — Ma non c'é proprio alcun
documento, all'infuori delle note due antiche fonti, che attesti la
presenza nel convento di Assisi di quel Fra Nicola che fu figlio di
Margherita e la cui casa paterna confinava con quella, parimenti
paterna, di San Francesco ?

Purtroppo, siamo costretti a rispondere, che finora tra le antiche
carte assisane quel documento non lo abbiamo incontrato, a meno
che il personaggio che ricerchiamo non sia quel Fra Nicola senza
patronimico e senza indicazione di patria (come lo sono, del resto,
gli altri sei religiosi presenti con lui alla redazione dello stesso ro-
gito) che si trova menzionato in un atto del 24 marzo 1247, ove si
legge : « Lectum et pubblicatum fuit hoc testamentum vel ultima
dispositio apud ecclesiam sancti Francisci asisinatis, presentibus et
ad hec vocatis et rogatis testibus..: fratre Nicola, fratre Gilio,
fratre Benenato, fratre Angelo, fratre Gratia, fratre Jacobo, fratre
Bonaventura et aliis»: Strum. S. Conv., t. n, perg. n. 8.

Non é certamente fuori di proposito ricordare, che nei rogiti
stipulati in quel tempo nel Sacro Convento, quando si voleva di-
stinguere un frate assisano da un omonimo non assisano, era di-
ligente cura del notaro indicare la patria di quest'ultimo. Tale ad
es., é il caso che si rileva in un rogito del 15 ottobre 1241, ove
fra tre religiosi dello stesso nome, si ha un frater Nicola de Tervisio,
un frater Nicola de Forcone, e un frater Nicola alius de Trevisio :
cfr. Strum. S. Conv., t. n, perg. n. 5.

Aggiungiamo infine, che tra i sei frati menzionati nel citato
documento del 1247, almeno due, cioé Fra Angelo e Fra Giacomo,
erano di Assisi, come si rileva dal Processo del B. Simone da Col-
lazzone fatto nel 1252: cfr. Miscellanea francescana, anno xIl,
1910, p. 118.















34 GIUSEPPE ABATE



NOTE

1) Qui fa a proposito la seguente sentenza di CICERONE : « Quemadmodum
turpe est scribere, quod non debeatur, improbum est non referre, quod debes »:
Pro Roscio.

?*) Negare é facile, ma nessuna negazione ha valore, se non è il risultato
di un processo storico spassionato e compiuto.

3) È risaputo che i rogiti dei notari, anche quando vertono su fatti o
interessi privati, per essere rivestiti di solennità legale e redatti da chi ha
autorità pubblica, sono ovunque considerati dalla critica come documenti
meritevoli di fede, purchè, naturalmente siano autentici, integri e non inter-
porlati : non è infatti lecito ad alcun notaro inserire nei suoi atti ufficiali alcun
che di falso, sia per non incorrere in penalità di legge e gravissimo disdoro per-
sonale, sia perchè in tal caso facilmente la frode, presto o tardi, viene scoperta
e riprovata. Ciò spiega perchè il notaro assisano Olivo Testa, nel registrare
nei suoi protocolli il famoso contratto del 1615 riguardante la casa di G. B.
Bini ivi detta « per antica traditione, casa del quondam Pietro Bernardone
ecc. », sentì il bisogno di far sapere a tutti che iltesto di quel contratto non
fu lui a redigerlo, ma che egli si limitò a riportarlo come gli era stato
presentato dalle parti contraenti. Evidentemente quell’onesto notaro non
ebbe l’animo di avallare con la sua pubblica autorità quell’affermata, ma di
fatto mai esistita, « antica traditione ». Oggi, è vero, c’è chi ha preteso pro-
varla, ma l’ha fatto applicando alla Chiesa Nuova documenti che sono propri
ed esclusivi dell’antico oratorio di San Francesco Piccolino.

4) Così l'illustre scrittore e storico francescano SALVATORE ATTAL in una
lettera al P. Abate, in data 7 maggio 1941.

5) Da tenere sempre a mente, quando capita d’incontrarsi in opere dj
scrittori che adattano i fatti e i documenti alla propria tesi: « Facta quae ad
propositum aliquod probandum studiose a scriptoribus aptantur, accuratius
erxpendenda sunt : qui enim ita procedunt, facile historiam quasi apriori
conficiunt » ; — « Qui novitate percellere et ad scenae dramaticae modulum
narrationem aptare affectant... aut ubique mirabilia vident... minori
fiducia excipiendi sunt...»: cfr. CARoLUS DE SMEDT, Intro-
ductio generalis ad historiam ecelesiasticam critice tractandam. Gandavi, C.
Poelman, 1876, p. 22.

6) Nella Vita del glorioso Patriarca San Domenico di Guzman (f 1221,
canonizzato 1234) scritta nel secolo xIII da RoDERICO DA CERRATO, O. P. e
conterraneo del Santo, si legge :

«Cum auditum esset in Hispania, quod canonizatus esset B. Domi-
nicus, frater Mames germanus ipsius venit Calarogam, et praedicans populo,
induxit eos, ut inloco illo, ubi natus fuerat B.Dominicus,
ecclesiam aedificarent, addiditque: facite, nunc ecclesiam





LA CASA NATALE DI S. FRANCESCO E LA TOPOGRAFIA DI ASSISI 935

parvulam, quia ampliabitur, cum placuerit, fratri meo. Quod cum li-
benti animo suscepissent, et de domo, inqua natus fuerat vir
Dei Dominicus certi essent, sed locum penitus ignorarent, nutu Dei
apertum est cacumen totius tecti, et tota domo completa pluviis, locus ille,
in quo natus fuerat B. Dominicus, siccus totaliter remanebat..... Gaudentes
igitur ecclesiam iuxta verbum viri parvulam construxerunt. Et in loco, ubi
natum fuisset B. Dominicum divinitus noverant, pro signo lapidem posue-
runt ...»: cfr. Santo Domingo de Guzman visto por sus contemporaneos (Introd.
gener. di José Maria de Garganta) Biblioteca de autores cristianos, Madrid
1947, p. 41.

*) La Chiesa Nuova è del 1615. Essa è il primo ed unico edificio sacro che
nella storia di Assisi s'incontra eretto nella Piazza del Macello : ogni contraria
affermazione sarebbe un manifesto mendacio. Intitolata a S. Francesco Con-
verso e a tutti i Santi dell'Ordine Francescano, sino ai nostri tempi non ebbe
mai nei sotterranei, o fondi, alcun oratorio o cappella ; e se ora (dal 1941) in
quegli stessi sotterranei, una volta legnaia e prima ancora ossario di morti,
ne ha uno con riferimento alla nascita di San Francesco, si tratta di un falso
ideologico, — fabbricato per controbattere la documentazione nuova di
«S. Francesco Piccolino » — che, quasi fosse indubitata verità, si addita alla
venerazione degli ignari e devoti pellegrini. Ignoriamo con quale licenza
questo falso sia stato perpetrato, ma ci è noto autorevolmente che il prof.
Achille Bertini-Calosso, allora Soprintendente ai Monumenti ed alle Gallerie
dell'Umbria, a salvaguardia della responsabilità del suo ufficio, con lettera « del
3 maggio 1941 fece sapere al Ministero l'opportunità di apporre una lapidetta
con l'iscrizione :

A. D. MCMXLI - XIX E. F.

Sul muro presso l'altare esiste oggi una lapide con la dicitura [anodina e in-
sufficiente, aggiungiamo noi]
FONDELLO
A. D. MCMXLI-XIX ».

Cosi da una dichiarazione scritta a noi e rilasciata il 14 febbraio 1957 dal
successore del Bertini-Calosso, attuale Soprintendente prof. Gisberto Mar-
telli, verso il quale ci professiamo profondamente grati.

3) E questa una autorevole e pubblica constatazione, che veniva fatta,
circa appena un trentennio dalla morte di San Francesco, dal Pontefice Ales-
sandro rv, in una sua Bolla dell’8 aprile 1255, con la quale si esortava l'Ordine
Francescano tutto intero (del quale era allora Ministro Generale San Bona-
ventura, e in Assisi era Procuratore e Sindaco della Basilica un membro della
Famiglia del Poverello) a non abbandonare mai il sacro luogo della Verna,
ma che anzi fosse perennemente abitato e posto in venerazione. In quel so-
lenne documento, infatti, si legge fra l'altro: «... ex animo cogimur... eiu-
sdem Sancti omnia pedum vestigia, latibula montium et













36 GIUSEPPE ABATE

cavernas terrarum cum reverentia, ut humana fragilitas simit,
indagare sollicite; et reperta cum omni reverentia
venerari...»: Bullarium Franciscanum, t. 11, Romae 1761, p. 29. I Frati,
poco tempo dopo questa lettera eressero nel luogo delle Stimmate alla Verna
una chiesa, che venne consacrata nel 1260 dallo stesso papa Alessandro, pre
sente anche S. Bonaventura. Come si vede, quel Pontefice si preoccupava
nel 1255 di vari luoghi legati al Santo (« pedum vestigia . . . ») e non si preoc-
cupava della Casa di S. Francesco certamente nato in Assisi. Perchè ? La
risposta più logica potrebbe essere questa : perchè quella Casa nel 1255 e
prima era già venerata in Assisi, come altrove altri « vestigia ». — Tra questi
degno di particolare menzione, per più rispetti, è senza dubbio quello di
Siena : lì, nella cella ove San Francesco stette ammalato d’occhi « post eius
mortem oratorium fuit aedificatum pro eius reverentia »: cosi Frate
Leone nello Speculum Perfectionis minus (edit. LEMMENS, Documenta antiqua
franciscana, 11, Quaracchi, 1901, p. 62).

?) Quattro di questi nei sec. Xirr-X1v. vestirono l'abito francescano e vis-
sero in Assisi: Giovanni e Francesco, frati del 1 Ordine ; Francesca, clarissa ;
Piccardo, Continente del rrr Ordine.

10) HoRATIUS FLACCUS, Satyrae, 1, v. 100.

1) Narrat tibifr. Nicolaus de Assis io: — Domus, inquit, patris
mei coniuncta est domui beati Francisci. Referebat autem sic mater mea:
Cum quiesceret in lecto post partum mater beati Francisci, ut solent
mulieres in puerperio, et vicine mulieres alique circa eam, ecce peregrinus ad
hostium quasi elemosinam petens cum accepisset partem pulli a matre beati
Francisci mittente, instare cepit et dicere velle se videre puerulum natum.

Et cum repelleretur a mulieribus que ibi erant, cepit asserere quod nullo
modo recederet misi puerulum prius videret.

Tunc domina Pica mater : Afferte, inquit, puerum ut videat. Quem com-
plexum etc. dixit hoc modo : Nati sunt duo pueri una die in vico isto, iste et
alius. Unus, hic scilicet, erit de melioribus mundi, alter pessimus erit. Quod
revera processu temporis verum esse rerum exitus docuit »: cfr. L. Oliger,
O.F.M., Liber exemplorum Fratrum Minorum saeculi XIII, in Antonianum,
1927, p. 262. — Il Fortini, che pure riporta questo tratto a p. 59, ha giusta-
mente annotato che il valore e l'attendibilità di questo Liber exemplorum
sono universalmente riconosciuti. Per conto nostro aggiungiamo, che l'epi-
sodio qui narrato fu dipinto (e si vede ancora) verso la fine del secolo xim
in una delle pareti dell'Oratorio di S. Francesco Piccolino. — É assai impor-
tante poi ricordare fin da ora, che il Fortini sembra non tenere in alcun conto
il seguente giudizio critico dell'Oliger: « ... Ex omnibus praedictis recte
concludere nobis videtur, materiam huius Libri exemplorum collectam esse
tempore Generalatus S. Bonaventurae (1256-1273), quamvis in hoc codice
scripta sit tantum vertente saeculo xim»: op. cit., p. 210.

12) « Anonimo » — si badi bene — per l’Oliger, per noi, e per tanti altri ;







LA CASA NATALE DI S. FRANCESCO E LA TOPOGRAFIA DI ASSISI 37

ma non già per il Fortini. Questi, infatti, nello stesso capitolo che esaminiamo,
con una sufficienza critica che stupisce, si sforza di attribuirlo a un frate del
Sacro Convento (Bartolo della Rossa), che nel 1280 non era nato o era appena
un bambino.

13) Ecco il testo dell'antico racconto, nel quale peró il semplice pellegrino
si vede tramutato in angelo, secondo che si legge nella edizione di Quaracchi :

«... Franciscus (parum ante iam natus) ad instar Christi, est traditus
ad videndum et amplexandum. Ut enim Legenda pandit antiqua et frater
Nicolaus de Assisio, guardianus post Spoleti, habuit a domina
Margarita sua matre, vicina etnota matri beati Francisci, matre
referente et pedissequa beati Francisci, ipso die, quo natus fuit beatus Fran-
ciscus, ad ostium domus beati Francisci quidam advenit angelus in specie
peregrini, petens instanter a famula, ut puer eidem ad videndum et tangen-
dum exiberetur.

Sed cum famula timeret hoc agere, ac in rogatu persisteret, tandem
mandato matris beati Francisci peregrino Franciscus est oblatus, qui eum
in suis ulnis accipiens, stringens et osculans, eius humeris in parte dextera
crucem impressit dixitque: — Hodie in isto vico nati sunt duo pueri, hic
Fransciscus et alius; hic erit de melioribus hominibus de mundo, et alius
erit de peioribus....»: BARTHOLOMAEUS DE Pisa, De conformitate vilae
beati Francisci ad vilam Domini Iesu, in Analecta Fransciscana, t. IV (1906),
pp. 108-9.

Secondo questo testo la madre di Fra Nicola non fu, é vero, un testi-
monio de visu ; fu peró un testimonio immediato de auditu, degnissimo per-
tanto della massima fede, perché apprese la narrazione dell'avvenimento
da chi non solo fu presente ad esso, ma ne fu anche protagonista : la madre
del nato Francesco e la «famula» di casa: «matre referente et pedissequa
beati Francisci ». — Errato è perciò il lungo e rettorico commento del Fortini,
nel quale la qualifica di pedissequa (corrispondente, nel nostro caso, a fan-
lesca, o, come si direbbe oggi, cameriera) è applicato, con grave ed evidente
distorsione del testo, a Margherita, madre di Fra Nicola ; quel ch'é poi peggio
nell’interpretazione fortiniana, è che ciò viene presentato come se fosse stato
detto dal Pisano : « Fra Bartolomeo ci dice che domina Margherita... fu
pedissequa beati Francisci...»: p. 71. Interpretando poi il termine pedis-
sequa nel modo che a lui fa più comodo, il Fortini — più che correndo,
volando — giunge a scrivere che la pedissequa Margherita «forse fu ter-
ziaria francescana ».

14) Noti, notorum (s. m. pl.): Amici, Domestici, Famigliari, dicono tutti
i lessicografi; conoscenti, nell’uso comune di oggi.

15) Cfr. CANEZZA A., Gli Arcispedali di Roma nella vita cittadina, nella
storia e nell’arte, Roma, 1933, p. 10.

Nella rivista Famiglia cristiana (1966, n. 2, gennaio, p. 48) leggiamo :
« da un'indagine dell'Istituto centrale di statistica si apprende che in Italia

















38 GIUSEPPE ABATE

la durata media della vita umana è attualmente di 67 anni per gli uomini
e di 72 anni per le donne. Nel 1899 era rispettivamente di 42 e 43 anni».

16) Di tale questione parleremo a lungo in seguito ; intanto avvertiamo
che il Fortini — sempre per adattare i fatti alla sua tesi — scrive che «se
Pica nel 1182 avesse avuto venti anni, ne avrebbe avuti settantotto nel 1240,
anno approssimativo della nascita del maestro Nicola [quel tale che lo storico
Assisano dice figlio di Margherita]. Vi era stato quindi tutto il tempo possi-
bile per conoscere la madre di quest'ultimo » (p. 69) : ecco qui uno dei moiti
esempi, in cui da una premessa non documentata ed opinabile si passa ad
una conclusione certa: se avesse avuto... vi era stato...

17) Giovannetto, figlio di Angelo, mori nel 1261 non molto piü che cin-
quantenne.

18) « Dal 1326 (ha già passato da qualche anno l'ottantina) non se ne
ha più traccia » : Nova vita, 11, p. 65 ; ma se ne potrebbe anche avere, qualora
si potesse dimostrare che il Frater Nicolaus vivente ai 28 Aprile 1335 nel
Sacro Convento era di Assisi e figlio di Rainuccio, due particolari questi
che il documento non dà: Sírum. S. Conv., vol. x, n. 7.

19) Cfr. ABATE, op. cit., p. 204. — Allora noi, opinando che il frater
Nicolaus doveva essere figlio di quel Jacobus Exfassiati che certissimamente
fu un confinante della casa paterna di San Francesco, non ponemmo mente
che il frate delle antiche fonti fu in modo indubbio un c o e v o di San Fran-
cesco, e perció non avrebbe potuto mai essere il fraler Nicolaus Jacobi men-
zionato nei documenti del 1312 e 1326. A proposito di questo nostro errore,
ci piace riportare due versi di un celebre nostro confratello — il P. Nicolò
Papini, autore di varie opere francescane — il quale, correggendo se stesso,
scrisse in margine ad una pagina stampata : « Chi ferra, inchioda, e chi cam-
mina, inciampa; — Sbaglia chi scrive, e sbaglia pur chi stampa ».

2°) Cfr. Nova vita, pp. 64-65.

21) «... fin dal 1304 egli doveva avere indossato l’abito . . . » : ivi, p. 65.

22) Cfr. ArcH. Com., Bollettari, vol. 1, ff. 12, 22, 29, 50; lo stesso Pie-
truccio col secondo patronimico, a fol. 9.

23) Cfr. Bollettario cit., fol. 42.

24) Cfr. Strum. S. Conv., t. vin, perg. n. 31.

25) ArcH. NOTARILE, Protoc. A. n. 1, fol. 36. Nello stesso ins. a fol. 38,
ricorre un Nicolaus Petrucii Cratiadey.

26) Il caso da noi riportato è uno dei tanti, in cui nemmeno due patro-
nimici sono sufficienti per identificare con la certezza necessaria allo storico
(tra i vari omonimi) la persona che interessa ; ed è proprio per questo motivo
che talvolta da notari scrupolosi ed avveduti si davano non uno o due patro-
nimici, ma anche tre e quattro. In Assisi, ad esempio, troviamo Ciccolus
Angeli Ciccoli magistri Angeli (Riformanze, vol. 4, al 1371, fol. 4) e Ser Ge-
rardus Iacobi Cicchi Angeli magistri Angeli (in un documento del 1422) ; —
a Viterbo : Jacobus Guerronis Girardi Guidonis de Guerro e lIacobulius Iacobi





SERATE ERR NUR se

I áÓ





RATTI RE JN ERES 5





LA CASA NATALE DI S. FRANCESCO E LA TOPOGRAFIA DI ASSISI 39

lacobi Girardi Ronzonis (Arch. della Cattedrale, pergamene n. 137 e 392,
rispettivamente del 1230 e 1294).

27) L’atto al quale alludiamo è del 10 aprile 1279 (cfr. Nova vita, p. 64)
e fu compiuto nel Capitolo del Sacro Convento. In esso é fatta menzione
di un rogito redatto qualche tempo prima «zanu Nicole Iacobi notarii ».
Presenti a questo nuovo documento furono tre frati e inoltre « Piccardo,
Nicola Iacobi et aliis pluribus» tutti secolari. Il trovare associato il nome
di questo Nicola di Giacomo a quello di Piccardo allora primo Procuratore
e Sindaco della Basilica, fa fondatamente pensare che il Nicola ne fosse il
secondo : i Procuratori allora erano sempre due e negli atti di grande impor-
tanza ben difficilmente si puó pensare che non fossero presenti entrambi.

28) Il Nicola di Via San Paolo — ricordiamo — non risulta mai essere
stato un notaro, era solo un magister in una ignota arte o professione, e sopra-
tutto quello che lo distingueva da ogni altro omonimo era il secondo patro-
nimico: «di Rainuccio ».

*) Di un Nicola di Giacomo teste ad un atto compiuto nel palazzo
del Comune di Assisi si fa menzione in un documento del 19 settembre 1278 ;
ma il personaggio non é indicato da particolari note individuanti, sicchè
sarebbe arbitrario identificarlo con alcuno dei suoi varii omonimi (almeno
tre!): « Actum in Palatio Comunis Assisii, presentibus domino Tudino do-
mini lannis, Latino Valerii, Francisco domini Leonardi, Iohanne Beraldi,
Egidio Domine Bone, Nicolao Iacobi, Angelo Cognoscentis et Angelo magistri
Rainerii testibus »: Strum. S. Conv., t. II, n. 29.

80) Infatti in esso, dopo i nomi dei frati, si ha solamente: « Picardo,
Nicola lacobi et aliis pluribus». Questo Nicola quasi certamente è quello
stesso personaggio dal medesimo nome e patronimico che, in qualità di Pro-
curatore e Sindaco, il 22 maggio 1291 ricevette una donazione fatta alla
Basilica da Vagnolo di Marcuccio : Strum. S. Conv., t. 1, perg. n. 52.

3) Un documento originale del 20 maggio 1280 c'informa, che insieme
a « Piccardo nipote di San Francesco » facevano le funzioni di Sindaci e Pro-
curatori del Sacro Convento «in solidum » altri tre cittadini laici di Assisi :
cfr. Arch. Comun., Strum. S. Conv., Busta 38, vol. xv.

3?) L'atto al quale alludiamo sarà da noi riprodotto integralmente ap-
presso ; crediamo però opportuno citarne qui la parte finale: « Actum in
Calzo post refectorium ecclesie sancti Franscisci, presentibus domino Leo-
nardo domini Somei, dompno Jacobo archipresbitero plebis de Valiano,
Dominico Johannis, Nicola Iacobi domine Saporose, et Mercatuccio Iacobi
testibus rogatis »: Arch. S. Conv., Strum. v, perg. n. 40 bis,

33) I1 frate del 1312 e del 1326 è un tardivo omonimo del notaro, e non
questi.

34) Frase qui priva di senso, come l'altra — ripetuta tante volte |! —
che il notaro Nicola di Giacomo fu un gran devoto di San Francesco. Tutto
ciò sarà stato anche vero ; ma non risulta da alcun documento.







40 GIUSEPPE ABATE

II.

Contrariamente a quanto afferma il Fortini, la casa dei figli di Angelo di
Pica non era situata nei pressi della Chiesa di San Paolo. — L’ampliamento ,
della « Platea Communis » del 1228 si ebbe nella zona destra di essa, e non in
quella opposta. — Una errata interpretazione degli « Statuti » della Città. — Non
ci fu alcun fondaco di Pietro di Bernardone in Via Portica.

Tolto definitivamente di scena il frater Nicolaus Jacobi, che
nella costruzione fortiniana è il primo e principale fondamento,
| vediamo di esaminarne il secondo, ch’è costituito dalla asserita iden-
i tità di una casa posseduta dai nipoti di San Francesco nella Piazza
| del Comune con la casa testé scoperta dal Fortini in Via San Paolo.

Per prima cosa intanto, contrastiamo la qualifica di domus
sancti Francisci data gratuitamente e di continuo a quella casa,
| che giammai, in sette secoli, nessun cittadino di Assisi e nessun
I. documento di archivio ha conosciuto e denominato «Casa di
| San Francesco ». Il primo ed unico dispensatore di tale onorifico
| titolo a un fabbricato che non ha assolutamente alcun diritto di È
averlo, è oggi il moderno storico assisano : invano infatti si cer-
| cherebbe di trovarne anche un minimo accenno presso l'Egidi, il
| Di Costanzo, il Frondini, il Loccatelli-Paolucci, i due Cristofani,
i il Leonelli, il Brizi, l'Alessandri, il Tini, il Pennacchi ed altri ancora,
| | i quali tutti (meno l’abate Di Costanzo) furono di Assisi e conob-
| bero assai bene le antiche memorie della Città Serafica.
|
|





| Per il Fortini la «domus sancti Francisci & quella situata al
| di là dell'odierno Palazzetto della Posta e della Pretura » (p. 80);
(RI e su ciò, aggiunge, non v’è dubbio. Noi pertanto, prima di dimo-
strare che ciò non è affatto vero, e affinchè il lettore del passo
citato non sia tratto nell’errore di credere quella casa più vicina
alla Piazza di quanto non è in effetti, riteniamo opportuno chiarire
li il valore topografico di «quell'al di là » che se, in parte é vero, in
n parte é equivoco.
I Quella casa é, si, al di là di quel Palazzetto (ex-chiesa di S. Ni-
coló), ma non é immediatamente al di là di esso, perché tra l'uno
| e l'altro fabbricato c'é un'altra casa (quella che una volta fu di
|
I
|
|
|

| Suppolo di Giacomo), e poi c'é ancora un vicolo (formello) : in una
| parola, quella casa che il Fortini vuol presentare come esistente
| | «in platea Comunis » é da questa ben lontana, tanto che i docu-









LA CASA NATALE DI S. FRANCESCO E LA TOPOGRAFIA DI ASSISI 41

menti che in particolare la riguardano (e che esamineremo più
avanti minutamente) giammai la dicono situata in piazza e
sempre la dicono posta fra due vie. Queste vie poi sono quella di
San Paolo per il lato superiore, e quella di Portica per il lato in-
feriore ; e la ormai famosa casa dista dal confine della piazza ri-
spettivamente diciotto (16--2) e venti (18--2) metri. Basterebbe
la considerazione di questo solo dato topografico per rigettare
senz'altro la surriferita affermazione fortiniana, che presenta quella
casa come situata «in piazza ».

*
*ock

Per l’A. della Nova vita la casa di Via San Paolo è quella stessa
che i nipoti di San Francesco possedevano, secondo un atto del
1229, circa plateam *). Essa, si dice ancora, era edificio di abita-
zione e insieme fondaco o bottega di Pietro di Bernardone : quindi
casa natale e paterna di San Francesco.

Per giungere alla predetta conclusione l'A. è partito dal fatto,
che l’ampliamento della Piazza del Comune avutosi nel 1228 ?)
— al quale ampliamento è documentariamente legata la casa dei
figli di Angelo di Pica — riguardava (secondo lui) la zona anti-
stante le chiese di San Nicolò e di San Paolo, e non già la zona
diametralmente opposta. Leggiamo infatti in quella Nova vita

(p. 42):

« Si puó stabilire con sicurezza che l'ampliamento della piazza del Comune,
ottenuto con le case acquistate o occupate da quest'ultimo, si estende alla
zona compresa fra l'attuale torre del popolo e lo spazio prospiciente la chiesa
di San Paolo, dove oggi si scorge la casa Costanzi ».

Argomenti o documenti addotti a prova della surriferita af-
fermazione sono:

A) un atto del 14 agosto 1237, nel quale si parla di case
appartenenti al Capitolo di San Rufino atterrate arbitrariamente
dal Comune (non è specificato quando), le quali «steterunt ante
ecclesiam sancti Nicolai ubi nunc est catena Comunis » *).

È vero, il documento attesta la demolizione di case che prima
si trovavano davanti alla chiesa di San Nicolò; ma le parole
ubi nunc est catena Comunis escludono chiaramente che quelle case
siano state di fronte all’ingresso della chiesa, dinanzi al quale non















42 GIUSEPPE ABATE

erano nè avrebbero potuto esserci catene, e invece affermano,
pure in maniera chiara, che quelle stesse case erano, sì, davanti
alla chiesa, ma dal lato che prospettava la via (quella di San Paolo),
dove solamente erano e potevano esserci catene. Ogni altra inter-
pretazione del documento è assurda, oltre che gratuita : le catene,
in quei tempi di frequenti guerre esterne e di più frequenti lotte
e tumulti interni, non si stendevano certamente dinanzi alle fac-
ciate delle case e delle chiese, ma si tiravano all’imboccature delle
vie per ostacolare il transito agli aggressori e ai loro cavalli e mac-
chine di guerra.

Far dire perciò al documento che esso attesta un ampliamento
dell'antica piazza di fronte alla facciata di San Nicolò sarebbe un
distorcere il senso ovvio di quello e tirarlo a vantaggio di una tesi
preconcetta. Quelle case invero, o furono abbattute per ampliare
l'imboccatura della preesistente Via San Paolo quando vi furono
poste le catene (che avevano anche funzioni di confine fra la piazza
e la via), oppure vennero atterrate per rettificare quel lato della
piazza, come ci risulta essere stato fatto in tempi posteriori in altra
parte della piazza medesima. Pertanto nell’uno o nell’altro caso,
è del tutto errato collegare quella demolizione col vero amplia-
mento della piazza avvenuto: — a) circa otto anni prima, cioè
nel 1228; — b) in altro lato della piazza; — c) con spesa quasi
quattro volte maggiore di quella sostenuta dal Comune per l’at-
terramento delle domus del Capitolo della Cattedrale‘).

B) Un secondo argomento è tratto dalla constatazione «che
gli atti di acquisto compiuti dal Comune in ordine alle case poste
in platea nova all’evidente scopo di ampliare la piazza, seguono
quasi tutti in una casa posta in San Paolo, dove si trasferiscono
il vicario del Podestà e il sindaco del Comune. L'ampliamento ot-
tenuto con tali acquisti si svolge dunque nelle vicinanze di San
Paolo » *).

Nulla diciamo della levità critica che mette in necessaria re-
lazione il luogo dove si stipulano i contratti con l'oggetto
del negozio; ma non possiamo fare a meno di rilevare, che l’af-
fermazione conclusiva dell'argomento («si svolge dunque»), per es-
sere piü larga della premessa, esula dalle buone regole della logica :
una lontana supposta probabilità contenuta in una premessa viene
poi nella conclusione presentata come un fatto certo *).

C) Il terzo argomento non è diverso dai primi due, cioè gra-
tuito e infondato. Esso è così esposto :







LA CASA NATALE DI S. FRANCESCO E LA TOPOGRAFIA DI ASSISI 43

«D'altronde anche la zona compresa accanto alla chiesa di
San Nicolò e nell’altra di San Paolo fa parte, come vedremo, con
le sue case della platea nova Comunis»; l. c.

A corroborare il suo asserto l'A. passa in rassegna ed esamina
le famiglie che — con quella di San Francesco — nel 1229 appaiono
proprietarie delle case poste circa plateam novam Communis. In
tale esame — fra una strabocchevole infinità di notizie «extra-
vagantes », che occupano quasi undici fitte pagine — l'A. parla si
di quelle famiglie, ma non produce un solo documento a con-
ferma della sua affermazione; affermazione — aggiungiamo —
che poi si ripete a p. 53, dicendo : «Siamo sempre nella contrada
di San Paolo, dove va ricercata anche la casa dei figli di Angelo
di Pica ».

Passiamo dunque ad esaminare in concreto anche noi alcuni
titolari di quelle famiglie :

a) Il figlio di Marangone: — La casa di questi — ammo-
nisce il Fortini — « deve essere presa in particolare considerazione».
Forse perchè si ha un particolare documento ‘che la colloca nella
contrada di San Nicolò e di San Paolo ? No, ma perchè essa nel
documento del 1229 «segue, a distanza di due sole case, l’altra
dei figli di Angelo di Pica » (p. 43) : cosa questa di nessun rilievo,
anche perché ignoriamo se nel citato documento i proprietari ob-
bligati a pagare il prescritto tributo di miglioria siano recensiti in
relazione alla successione topografica delle case. Quanto da quel
documento si può dedurre è che la casa del figlio di Marangone, in
seguito all'ampliamento noto, veniva a prospettare la «nuova »
piazza *). Null'altro; ma la «platea nova» non sorse affatto nella
zona di San Nicoló e di San Paolo.

b) Morescotto di Bernardo Dodici: questi, insieme ai suoi
fratelli, possedeva nel 1203 una casa «in Mercato », cioè nell’antica
piazza : quindi fuori della contrada di San Nicolò e di San Paolo
che giammai ha fatto parte del Mercatum, trovandosi tale contrada
al di là della predetta chiesa di San Nicolò e della contigua « ca-
tena » che segna il suo confine.

c) Benvenuto di Riccardo. La casa da lui posseduta nel 1228,
e che nel noto elenco segue immediatamente quella dei figli di
Angelo di Pica, probabilmente fu solo una «camera » (in genere lo-
cale terreno ad uso di negozio o di ufficio) ; prospettava anch'essa
la nuova piazza, ma ignoriamo il punto preciso, mentre sappiamo
che il Benvenuto dieci anni prima era stato possessore di alcune















44 GIUSEPPE ABATE

case poste lungo la strada «quae vadit versus plateam sancti Ru-
phini » *), ch'è nella parte opposta della zona di San Nicolò e di
San Paolo.

d) Ceccolino di Villana *). Nessun documento sincrono pre-
cisa l’ubicazione della casa di questi; eppure il Fortini afferma
che «era posta nelle immediate vicinanze di San Nicolò » (p. 50).
Lo stesso rilievo vale per la casa dei figli di Boninsegna, la quale
nel citato elenco segue immediatamente quella di Ceccolino. Perciò
anche in questo caso appare più infondata l’interpretazione del
Fortini, che colloca quelle case dove nessun documento attesta
essere State 1°).

*
* *

Abbiamo già veduto, come lo storico assisano per dare a cre-
dere che la casa dei nipoti di San Francesco era situata nella con-
trada di San Nicolò-San Paolo, ha fatto ricorso ad un ampliamento
dell’antica piazza giammai avvenuto in quella zona ; ora, per pro-
vare ancor meglio e più che quella stessa contrada era pure « piazza »,
egli fa ricorso a un testo degli Statuti della Città. Ma invano.

Nella Nova vita, 11, pp. 80-81, é scritto:

«... Non vi è quindi dubbio che la domus sancti Francisci è quella si-
tuata al di là dell'odierno Palazzetto della Posta e della Pretura, adattato
nel 1926 sugli avanzi dell’antica chiesa di San Nicolò .....

È questa la casa della piazza, circa plateam), contemplata nell'atto
del 1229 12), E invero tale casa, anche secondo gli antichi confini alla piazza
del Comune stabiliti negli Statuti, viene ad essere prospiciente a tale piazza !?).

Alla rub. 165 del ri: L. (Confines platee magne civitatis Assisii) e detto
che la piazza comincia all'angolo della chiesa di San Nicoló (angulus ecclesie
S. Nicolai, iuxta viam qua itur ad portam S. Iacobi) ; e da qui, con una linea
retta, corre alle opposte case (exit recte ad oppositas domus) ; mentre dalla parte
inferiore della stessa chiesa di San Nicolò, accanto alla strada che scende a
Portica (il formello del 1280) si ricongiunge alle case di fronte (et ex parte in-
feriori dicte ecclesie iuxta viam qua itur per viam Portice exit recte ad domum
heredum Bartholomei Petri aromatarii, que est prope domum Amatucii Evan-
geliste ; ».

Tutto bene sin qui, meno la zeppa arbitraria chiusa nella pa-
rentesi « il formello del 1280»;

«cosi che la chiesa di San Nicoló veniva ad essere compresa nel recinto
della piazza (includendo in dicta platea trasannam et capellam S. Nicolai).







LA CASA NATALE DI S. FRANCESCO E LA TOPOGRAFIA DI ASSISI 45

Siamo sull’estremo lato della piazza, che da Portica, all’altezza del caffè
Meccoli posto al di là del formello, si estende fino a San Paolo . . . ».

Abbiamo già dimostrato (quando s'é fatto l'esame del noto
documento del 1237) che la Piazza Grande di Assisi dalla parte che
prospetta la Via San Paolo non includeva tutto l'ambito della
chiesa di San Nicoló, ma includeva solamente lo spazio antistante
la facciata, comprendendovi due sporgenze ostacolanti la linea retta,
cioè quella che era data dalla fírasanna o porticus **) che faceva
da pronao alla cella della chiesa, e la sporgenza che proveniva dalla
capella **) addossata a un muro laterale della facciata stessa. Perciò,
quanto era al di là dell'angolo della chiesa di San Nicoló «iuxía
viam qua itur ad poriam S. Iacobi » e quanto era al di là del pronao
della chiesa non era più « piazza »: ambigua e fallace è perciò l’af-
fermazione : «così che la chiesa di San Nicolò veniva ad essere
compresa nel recinto della piazza ». L’interno invero di una
chiesa non potrà mai dirsi « piazza », come del pari in nessun caso
si diranno « piazze » le vie che fiancheggiano i palazzi dei quali
solamente la fronte si affaccia su una piazza.

Il confine della « platea magna Comunis » che esaminiamo sulle
precise indicazioni degli Statuti, è costituito da una linea retta di-
visa in tre parti:

a) una parte mediana, che si estende dall’uno all’altro spi-
golo della facciata di San Nicolò ; e noi abbiamo dimostrato che
al di là di quella facciata la « platea magna Comunis » non si esten-
deva, nè avrebbe mai potuto estendersi;

b) una parte superiore (cioè a destra della facciata della
chiesa), contigua alla parte precedente e in direzione del monte,
la quale partendo dallo spigolo della fronte di San Nicolò, e attra-
versando «recte » il principio della Via San Paolo, terminava alla
casa di fronte, cioè a quella che allora apparteneva al notaro Ser
Lorenzo Gambuti 1°). Orbene, tale casa era la prima della Piazza
Grande del Comune dal lato settentrionale (cioè quello del tempio
di Minerva) confinando essa da un suo fianco con il Palazzo del
Podestà (ossia con l'ex Palazzo del Capitano) e questo con la Torre
del Comune '. Dunque questa seconda parte del confine orientale
della Piazza era al di qua della Via San Paolo, ed é perció un











46 GIUSEPPE ABATE

arbitrio arretrarlo sino allo spazio antistante la chiesa omonima,
il quale ne è distante una ventina di metri;

c) una parte inferiore, che partendo dallo spigolo sinistro della
chiesa di San Nicolò, attraversava la discesa di Portica e terminava
«recte » alla casa degli eredi di Bartolomeo di Pietro
droghiere, la quale era accanto alla casa di Amatuccio di
Evangelista, droghiere anch'egli.

Orbene, innumerevoli atti di notari situano la «camera spe-
tierie Bartholomei Petri aromatarii »' nella via (cioè in quella
di Portica) e, mediante una «via vicinalis » (che oggi ha il nome
di Via degli Archi) accanto alla bottega di Amatuccio di Evan-
gelista. Or essendo questa « apotheca » al pianterreno e all’angolo
del Palatium Novum Communis (detto poi Palazzo Apostolico e
del Governatore), e sorgendo questo palazzo interamente «al di
qua » della Via di Portica, ne segue — secondo gli Statuti — che
anche dalla predetta parte inferiore il confine della Piazza e s c 1 u -
deva dal recinto di questa la chiesa di San Nicolò ; e perciò, se
l'escludeva, la stessa chiesa non vi poteva essere «compresa»,
come invece afferma lo scrittore assisano.

*
*ock

Egli inoltre, dopo aver tentato, ma invano, di trasportare
documentariamente la casa dei figli di Angelo di Pica dal lato oc-
cidentale della Piazza del Comune a quello orientale, anzi al di là
dei veri confini di questo lato, cioé assai addentro alla Via San Paolo
e assai addentro alla Via di Portica, afferma che « Vi é da pensare
che da questo lato della piazza [quello di Via Portica], piuttosto
che dall'altro di Via San Paolo, si aprisse la bottega di Pietro Ber-
nardone »: Nova vita, 1, p. 81.

La verità é, come ampiamente abbiamo dimostrato, che quella
bottega non si apriva affatto in alcuna via, perché l'unico docu-
mento autentico che si ha su di essa (quello del 1229) attesta invece
che si apriva in una piazza: via e piazza non sono termini iden-
tici, epperciò non vanno confusi giammai da nessuno, segnata-
mente quando si tratta di problemi di topografia essenzialmente
specifici.

Ma poichè l’A. della Nova vita (pp. 85-88), per puntellare la sua
tesi fa ricorso a pseudo-documenti dei secoli xvre xvir i quali
confermerebbero, a suo giudizio, l’esistenza del «vero fondaco »









LA CASA NATALE DI S. FRANCESCO E LA TOPOGRAFIA DI ASSISI 47

di Pietro di Bernardone in Via Portica, è qui più che mai oppor-
tuno indugiarsi alquanto per dimostrare che ciò non è vero.

« Va tuttavia presa in esame la tradizione (A), pervenutaci attraverso
fonti del sec. xvi e del sec. xvII, e tuttora viva in mezzo al popolo, che proprio
al confine della vecchia piazza del Comune (8), in via Portica sorgesse il
fondaco di Pietro Bernardone.

Fra Ludovico da Pietralunga scriveva (seconda metà del sec. xvi) se-
gnando l’itinerario del visitatore che sale per via Portica : « Seguitando poi
la detta strada, presso la piazza gli è una fontana a man sinistra : quasi di-
rimpetto, a man destra, alquanto più indietro, gli è una casa con botteghe,
quale era il fondaco del padre di S. Francesco, siccome amplamente potiamo
considerare per il segno del mercante, quale si vede in tal forma scolpito in
pietra ».

Eguale notizia si ritrova in un capitolo dei Frati di San Francesco del 3
settembre 1622, a proposito di una richiesta fatta dal Sermei ai frati stessi,
affinchè gli cedessero la bottega dei Moriconi ; così chiamavasi una delle bot-
teghe sul lato destro di chi sale per via Portica alla Piazza grande, la qual
bottega la tradizione diceva essere stata il fondaco di Pietro Bernardone
padre di S. Francesco » (c).

Questa bottega trovasi esattamente davanti alla domus sancti Francisci
(D). Da essa non la separa che la strada, per una larghezza di circa quattro
metri. Vi si scorge un portale architravato con decorazione che vien fatta ri-
salire alla seconda metà del quattrocento (E). Non è difficile dedurre che l’ubi-
cazione dell’antico fondaco si è spostata, nell’opinione dei secoli successivi,
dalla parte sinistra della via, riguardando verso la piazza alla parte op-
posta ..... » (F).

Qui, prima di continuare a riferire quanto è detto nella Nova
vita, fermiamoci alquanto per fare alcune note di commento al
tratto già citato:

A) Abbiamo qui un caso di faciloneria critica sconcertante :
vi si qualifica per «tradizione » quello che in realtà (come vedremo
appresso) non è altro che una «diceria », tardiva di quasi quattro
secoli, originata da un sicuro equivoco popolare. Chi non sa che
ogni tradizione, sia orale che scritta, per essere presa in qualche
considerazione deve risalire in qualche modo a fonti coeve o quasi
agli avvenimenti, e deve procedere da fonti valide e sicure ? Man-
cando queste due condizioni, per lo storico che tiene al suo buon
nome è preciso dovere trascurarla, o, volendola riferire, dichia-
rarne onestamente l’infondatezza.

B) Affermazione non vera : tra il reale e documentato con-









48 GIUSEPPE ABATE

fine della piazza e il presunto fondaco ci sono altre case e corrono
circa 16 metri; quindi quel «proprio al confine» è un’amplifica-
zione da ripudiare senz'altro.

C) Non è pure vero che quella « Eguale notizia etc. » sì trova
nel Libro dei Capitoli dei Frati del Sacro Convento : in questo
libro, alla data citata dal Fortini, non si fa menzione affatto di
alcun « fondaco » di Pietro di Bernardone !*), e quanto segue’ nel
citato brano della Nova vita: «così chiamavasi = Bernardone
padre di San Francesco » è una chiosa dell’autore (P. Giuseppe
Fratini) della Storia della Basilica e del Convento di S. Francesco
in Assisi, Prato, 1882, p. 241, e, conseguentemente, non può essere
presentata come un « documento » del secolo xvII.

D) Anche questa affermazione è infondata. La qualifica di

domus sancti Francisci dagli innumerevoli documenti pubblici resi
noti dal P. Abate è data unicamente ed espressamente
alla casa in cui è racchiuso l'Oratorio di San Francesco Piccolino ;
e non è data mai — nemmeno una volta — in alcun documento
a quella casa di Via San Paolo, che dal predetto storico assisano
è stata arbitrariamente battezzata per Casa di San Francesco.
i E) Per lo storico assisano (come è detto poco dopo nella
stessa p. 86) è certo che l’arma della bottega di Via Portica (N. 1E)
è quella dei Morico, signori del castello omonimo, detto anche Poggio
di Sopra. Essa — si aggiunge — nella parte inferiore porta una
testa, e in quella superiore dei gigli.

Se tutto ciò sia vero o meno non c’interessa; ma crediamo
doveroso far notare che tale stemma non può essere il «segno del
mercante » veduto da Ludovico da Pietralunga sulla facciata della
presunta bottega di Pietro di Bernardone : l'arma propria e spe-
cifica di una famiglia (nel caso nostro quella dei Morico) non può
dirsi certo un’insegna di un’arte o corporazione; quale è quella,
ad esempio, dei mercanti di lana, che rappresenta un agnello
passante.

Il «segno del mercante » veduto da Fra Ludovico nella bottega
di Via Portica e da lui riprodotto nel suo ms., era «un tondo, con
quattro ponti [punti] di qua et de là, al piede della croce che pas-
sava per mezzo il tondo » *°). Quel segno però non era certamente
quello che vi si vede ora, il quale invece è quello della Basilica di
Assisi per vari secoli proprietaria di quella casa, in seguito a un
lascito fatto nel 1485 per gli arredi della sua Sagrestia.

F) «Non è difficile dedurre ...». Tale deduzione è di sicuro





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LA CASA NATALE DI S. FRANCESCO E LA TOPOGRAFIA DI ASSISI 49
molto facile per chi è avvezzo a spostare arbitrariamente, e solo
sulla carta, gruppi di caseggiati da un lato della Piazza Grande
di Assisi a quello opposto, e per chi è tutto intento a presentare una
Casa di San Francesco insussistente ; quella stessa deduzione però
è del tutto impossibile per gli studiosi seri e ben dotati, che dal-
l’esame obbiettivo dei documenti sono costretti a dare un giudizio
assai diverso.

*
* *

Torniamo ora al seguito di quanto è scritto nella Nova vita
(p. 87):

« Ciò che interessa per il nostro assunto è che questa favola dei Morici e
dei Moriconi appare per la prima volta sulla fine del quattrocento ?) e che
precisamente in quest’epoca i documenti ci cominciano a designare la casa e
la bottega di via Portica come la domus Sancti Francisci e la apotheca Sancti
Francisci (G).

Non si può trattare, come assume il P. Abate, di una denominazione
derivante dal fatto che questa casa e bottega vengano da Antonio di Cristo-
fano, con testamento del 18 ottobre 1485, lasciate alla sagrestia di S. Francesco,
così che quel genitivo Sancti Francisci starebbe a significare il nome del nuovo
proprietario. Se così fosse, e tenendosi presente gli infiniti lasciti fatti in questo
tempo alla chiesa di S. Francesco, non si conterebbero più in Assisi le domus
sancti Francisci (H).

E d’altronde tale interpretazione (1) è esclusa categoricamente dai docu-
menti, già da noi citati, i quali specificano che tale appellativo deriva dal fatto
che ivi veniva indicata la bottega del padre di S. Francesco » (K).

Ecco ora il nostro breve commento :

G) Non ci sono documenti della fine del Quattrocento che
designano la casa e bottega di Portica come la domus sancti Fran-
cisci e come la apotheca Sancti Francisci. L’unico documento di
quel secolo riguardante quella casa e quella bottega è il rogito di
Mariotto di Ludovico (Arch. Notar., S.n. 4, fol. 53) dove invano
si cercherebbero le qualifiche ad esse gratuitamente qui date dal
Fortini: in quel documento quella casa e quella bottega sono pre-
sentate unicamente come domus et apotheca di Antonio di Fran-
cesco di Cristofano, e ciò alla data del 18 ottobre 1485. I documenti
poi del secolo seguente — a cominciare dal 1518 — nei quali si ha
la dizione « apotheca S. Francisci» e «domus S. Francisci » si ri-
feriscono al nuovo possessore, cioè San Francesco-Basilica («...re-

4











50 GIUSEPPE ABATE

liquit Sacristiae ecclesiae Sancti Francisci...»); San Francesco-
Persona era morto da oltre due secoli e mezzo. In un rogito di
Gianfrancesco Sammartini del 1503 (Protoc. T. n. 2, fol. 7) quella
bottega é detta giustamente « camera Capituli et Conventus S. Fran-
cisci». Accanto a questa «res sancli Francisci » era la « camera del
Moro»: cfr. Prot. di Alessandro Benigni, ccc, n. 18, fol. 53 del-
l'anno 1520, e ccc, n. 20, fol. 123 dell'anno 1523.

H) «Se così fosse .... non si conterebbero più in Assisi le
domus sancti Francisci». Verissimo ; ma non si conterebbero da
chi non comprende (o non volesse comprendere) che c'é differenza
fra il San Francesco-Basilica e San Francesco-persona. Nel caso
specifico poi si conterebbero di certo ; ma di fatto se ne conta una
sola : lo scrittore della Nova vita ignora che le infinite case lasciate
dai pii devoti alla Basilica venivano tutte regolarmente vendute
dai Sindaci e Procuratori di essa, e se non fu venduta la casa e la
bottega di Portica, ció avvenne perché quei Procuratori non avreb-
bero potuto alienarla senza fare un grave torto alla memoria del
donatore e senza nuocere fortemente agli interessi della Basilica.

Infatti nel rogito era stata apposta la seguente clausola :

Wi. cum hac conditione, videlicet quod dicta domus cum apotheca
ullo unquam tempore per aliquem possit vendi seu permutari, vel
aliquo pacto vel modo alienari, sed in perpetuum fructus vel pensio dictae
domus et apothecae convertatur seu expendatur in ornamentis et aliis rebus
pro dicta Sacristia, et si venderetur aut aliquo modo alienetur voluit iussit
et mandavit dictus testator dictam domum cum apotheca immediate deve-
niat ad Hospitale Sancti Spiritus de Urbe..... ».

I) L'interpretazione, che il P. Abate ha dato alla dizione
domus sancli Francisci e apotheca sancli Francisci della casa di
Via Portica, è della stessa legittimità e validità critica, che l'inter-
pretazione data dall'Avv. Fortini alle dizioni domus sancti Pauli
e domus sancti Rufini da lui incontrate in documenti assisani, cioè
quella di San Paolo-Monastero benedettino di Assisi e San Rufino-
Cattedrale : ogni altra interpretazione, infatti, sarebbe insensata.

Nè vale il dire che l’interpretazione del P. Abate è esclusa
dai « documenti » citati dallo stesso Fortini, perchè abbiamo dimo-
strato in precedenza che, al riguardo, non ci sono «documenti »
di sorta; ma c’è solo una «diceria » di Ludovico da Pietralunga
(t 1580), la quale, peraltro, è subito dopo dallo stesso scrittore resa
nulla. Infatti egli, nel suo noto scritto (zibaldone di appunti non











— m SSN



LA CASA NATALE DI S. FRANCESCO E LA TOPOGRAFIA DI ASSISI 51

elaborati e, in quella forma, non destinati al pubblico) fa sapere
ancora che la bottega del padre di San Francesco si vedeva al
tempo suo nel lato destro della Piazza del Comune. Natural-
mente, di questa seconda notizia, che smentisce la prima, e che
evidentemente non fa comodo per il suo assunto, l'A. della Nova
vita non fa cenno.

Ecco qui l’intero testo :

Ci... Seguitando poi la ditta strada [l'attuale Via del Seminario- Via
Portica] presso alla piazza gli é una fontana a man sinistra [quella sottostante
alla chiesa di San Nicoló] : quasi dirimpetto a man dextra, alquanto piü in-
derieto, gli è una casa con boteghe, quale era il fondecho del padre di S.
Francesco, sicome ampliamente potiamo considerare per il segno del mer-
cante, quale si vede nella facciata in tal forma sculpito in pietra.

Per spatio di 25 passi ti conduci nella piazza, dove che gli é, presso al
palazzo delli magnifici priori over consoli, una altra casa, qual era il fondacho
del padre di S. Francesco ; ma [Aha] alquanto di vano da avanti. Ma da arim-
petto overo incontro dalla altra banda over parte della piazza, gli era un tempio
della dea Palles (sic) : sicome fanno fede le sei collonne scannellate..... A):

L’attento lettore del precedente testo certamente avrà no-
tato che il fondaco del padre di San Francesco è detto :

a) situato in Piazza; i

b) di fronte al Palazzo dei Priori, che è al lato destro della
Piazza stessa ;

c) sulla linea del tempio di Minerva, ma, per chi guarda
dalla piazza, non certamente sul suo lato sinistro (interamente oc-
cupato dalla Torre del Popolo, dal Palazzo del Capitano e dalla
casa già del notaro Ser Lorenzo di Gambuto), sibbene dal lato
destro, cioè da quello ove si affacciano i Vicoli Tiberio di Assisi
e della Fortezza e la Via San Rufino ;

d) con alquanto di vano sul suo davanti. Questo «al-
quanto » — sinonimo di «un poco» — riferibile solo al fondaco,
determina ancora in modo più preciso l’ubicazione di questo ; ma
poichè l’unico antico fabbricato che, tra il Vicolo Tiberio di Assisi
e la via che dalla piazza conduce a San Rufino, abbia « alquanto
di vano da avanti» (oggi occupato da un portichetto sormontato
da un terrazzino) è l’attuale casa ov'é il « Ristorante Italia» vero-
similmente questa è la casa-fondaco indicata, circa il 1575, da Fra
Ludovico da Pietralunga. Stando così le cose, bisogna anche dire
che assai probabilmente essa potrebbe essere identificata con la















52 GIUSEPPE ABATE

domus dei figli di Angelo di Pica esistente nel 1228 in «platea
nova Comunis ».

K) La storia si fa con i « documenti », e non già con insussi-
stenti « dicerie » : gli atti dei notari, che sono documenti, menzio-
nando la casa e la bottega di Via Portica, dicono :

a) al 1504: «Actum... in Porta S. Francisci apud apo-
thecam ecclesiae et conventus sancti Francisci de As-
sisio in strata Porticae ...»: Arch. Notar., Protocollo di Giam-
pietro Bensi, E. n. 6, fol. 338;

b) al 1513: «camera Capituli et Conventus saneti
Francisci...»: Arch. Notar., Protoc. di Gianfrancesco di Sam-
martino, 1513-1514, T, fol. 7.

Pertanto se, come è canone di ermeneutica, «breviora per
longiora » e «obscuriora per clariora explicanda sunt », è con i sur-
riferiti documenti del 1504 e del 1513 — evidentemente più diffusi
e più chiari — che va interpretato ogni altro documento parallelo,
ma meno chiaro e meno diffuso, che viene a riguardare la mede-
sima casa e bottega di Via Portica ; e poichè i primi in modo espli-
cito si riferiscono a « San Francesco-chiesa e convento », è un’aperta
violazione di quella incontestabile regola far dire ai secondi che
essi si riferiscono a «San Francesco-persona ».

Non é perció affatto vero che l'appellativo di domus sancti
Francisci dato talvolta a quella casa e bottega «deriva — cosi l'A.
della Nova vita — dal fatto che ivi veniva indicata la bottega del
padre di San Francesco ».





e ii

LAI NR sepu



LA CASA NATALE DI S. FRANCESCO E LA TOPOGRAFIA DI ASSISI 53

NOTE

1) « E. questa la casa della piazza, circa plateam, contemplata nell'atto
del 1229 »: Nova vita, 11, p. 80.

?) Fa qui a proposito — anche perché fa comprendere non essere nuovo
il processo critico-documentario del Fortini — il seguente brano di una
Lettera del prof. Pericle Perali pubblicata in Miscellanea Francescana, vol. xLI,
1941, p. 325/2 :

«La Piazza Nuova del Comune era verosimilmente già aperta quando
si stipularono gli atti del 5 Marzo 1229 e cioè anche quando fu rogata la peri-
zia, che ho potuto restituire allo stesso anno 1229.

Tutto permette di supporre che quell'ampliamento fosse stato indispen-
sabile sino dai primi mesi del 1228, quando Assisi si preparava a ricevere
degnamente, nel Maggio, Papa Gregorio rx e doveva attrezzarsi per l'attrat-
tiva, che derivava dalla presenza del Papa in città e per i grandi affollamenti,
che poi si verificarono in Luglio, durante i giorni della canonizzazione di S.
Francesco.

Il Fortini (Assisi nel Medio Evo, Roma, 1941, p.-149, nota 46) afferma :
«La Platea Nova Comunis fu opera eseguita durante la vita del Santo. Nel
1228 e nel 1229 si abbatterono molte case per ampiarla » e rimanda alle
pp. 410, 412 e 413 della sua Nova vita di S. Francesco d’Assisi.

In quelle pagine non v’è alcun cenno dal quale risulti che la « Platea
Nova Comunis » era stata aperta prima della morte del Santo (4 ottobre 1226).

Nè quelli del 1228-1229 (e, per essere più esatti, del solo 1228) furono
«ampliamenti successivi », ma invece furono «i primi» ampliamenti, che
ebbe la Piazza Comunale, il forum, il mercatum di Assisi, nella sola direzione
in cui erano possibili [cioè nella parte opposta a quella di San Nicolò e di San
Paolo, spiega il Perali a p. 325/F] e forse furono tali, quali tuttora ci ap-
paiono ».

3) Nova vita, 1, p. 42.

4) Il prezzo pagato dal Comune per quelle case fu di cento libbre di
denari lucchesi, ossia circa 4-5 mila lire italiane di una ventina di anni fa ;
mentre il prezzo pagato nel 1229 per gli otto « casalini » della nuova piazza fu
di circa 380 libbre di denari pure lucchesi.

5) Nova vita, l. c.

6) La premessa era questa : « Un lungo e attento esame dei rogiti degli
archivi assisani ci dimostra che tali rogiti, e specialmente gli atti di vendita
di case, ove non seguano in un luogo sacro, o nel palazzo del Comune, o
nell'ufficio del notario rogante, vengono conclusi per lo più nelle imme-
diate vicinanze della casa che è oggetto del contratto, o nella casa confinante,
o in quella venduta, o sulla via davanti a quest’ultima » : Nova vita, l. c. —
Superfluo rilevare che il « per lo più » include la negazione di «sempre ».





















54 GIUSEPPE ABATE



*) Documenteremo nel prossimo capitolo, che essa sorgeva in quella
parte della piazza che era compresa nel distretto di Porta Perlice.

5) Cfr. Arch. della Cattedrale, rrr, n. 27 e 31; Nova vita, 11, p. 47.

*?) Non Ercolano di Villano, come ha il Fortini in Nova vita, cit., p. 50.

19) Giova qui ancora ricordare, che il documento del 1229 per nessuna delle
« domus » 0 « camorae » in esso menzionate indica il lato o parte della piazza,
ove esse venivano a trovarsi; ma se tace il « documento », parla chiarissi-
mamente il « monumento », cioè l’antico Forum o Mercatum. Scrisse a tale
proposito i! Perali :

«... È fuori di discussione che il Foro antico di Assisi... occupava
la parte della Piazza del Comune verso Nord-Ovest, dall’imbocco di Via
di Portica sino, almeno, a tutta la fronte del tempio di Minerva...

Li fu il mercatum medievale ; ma il nome di forum era sopravvissuto.

Infatti il Fortini, transuntando otto istrumenti relativi all'acquisto
ed al pagamento degli stabili occupati dal Comune per aprire la Piazza Nuova
(op. cit., pp. 412-413 e 475-476), in quattro di essi segnala tra i confini il
forum Asisii o semplicemente il forum.

Dunque alcuni degli stabili eliminati per aprire la Piazza Nuova del
Comune erano al di là del forum, verso Sud-Est, cioé verso «l'unica » dire-
zione in cui poteva estendersi ed ingrandirsi il forum stesso, ossia il merca-
tum, ossia la platea Comunis.

Per i notevoli dislivelli il forum non poteva ampliarsi verso Nord-Ovest, E
sul lato che sta tra la discesa di Via Portica e la salita di Via S. Paolo); —
nè si poteva ampliare sul lato di Nord-Est, dov’è punto fisso, il tempio di
Minerva ; — nè si poteva ampliare nel lato Sud-Ovest dove di fronte alla
Minerva, c'erano già i due più antichi Palazzi Comunali e dove, inoltre, il
dislivello discende assai ripido.

Si può esser certi che l'ampliamento del forum, la Platea nova Comunis
nel 1229, si estese verso Sud-Est e che, presso a poco, può identificarsi con
la parte della Piazza del Comune tuttora adorna d’una antica fontana esa-
gonale.

Alcuni degli stabili scomparsi nello sventramento per la nuova piazza
erano contigui al forum, col quale confinavano, altri invece erano dietro a
questi, perchè non confinavano col forum.

Forse si trattava d’un intiero isolato, cinto da viuzze e con un lato sul
forum ...»: PeRICLE PERALI, Lettera intorno alla casa paterna e natale
di S. Francesco, intorno a un documento « perentorio » ma superfluo, e intorno
ad una casa dei nipoti del Santo prospiciente sulla « Platea Nova Comunis »,
edita in Miscellanea Francescana, vol. xLI, 1941, pp. 325/F-325/G.

11) Come possa accadere che una casa (È questa la casa) si trovi ad
essere intorno (circa) ad una piazza è cosa del tutto incomprensibile ;
mentre invece si comprende benissimo, che nel circuito di una piazza ci pos-
sano essere molte case.



-
I
Î





LA CASA NATALE DI S. FRANCESCO E LA TOPOGRAFIA DI ASSISI 55

12) Si allude alla casa dei nipoti di San Francesco.

13) Vedremo appresso, che questa affermazione è infondata e contrad-
detta dagli Statuti non soltanto nel Libro ir, rubrica 165, ma anche nel
Libro 1v, rubr. 31, ove si distingue espressamente la «plateola» che e
situata nei pressi di S. Nicoló (cioé quel «largo » che fronteggia la chiesa
di S. Paolo e il lato di San Nicolò che dà sulla via) e la « platea Comunis »
(cfr. Nova vita, 11, p. 58).

14) L’esistenza di questa £rasanna, detta anche porticus, 6 convalidata
anche da altri documenti, che riteniamo superfluo qui citare.

15) Si tratta di maestà, con altarino per la celebrazione della Messa,
addossata alla fronte della chiesa. Di essa alla rubrica 237 del Libro 1 è detto :
«... reparetur... capella ipsius ecclesie [Sancti Nicolai] que est supra
fontes ipsius ecclesie... in platea ». Perció confonderla con la chiesa e con
tutto it perimetro di essa (nel quale perimetro scorre il lato prospiciente la
Via San Paolo) sarebbe un grave errore o una astuzia polemica, per cui cri-
ticamente deplorevole è l’affermazione «che la chiesa di San Niccolò ve-
niva ad essere compresa nel recinto della piazza ». La cappella, si; la chiesa
al di là del pronao, no.

16) Ciò si rileva dal testo intero contenuto negli Statuti, il quale cosi
si esprime : °

« Confines Platee Magnae Comunis Assisii, iuxta quam sunt palatia,
sunt isti, videlicet :

Angulus ecclesie S. Nicolai iuxta viam qua itur ad Portam S. Iacobi:
et exit recte ad oppositas domos Ser Nicolai Ser Laurentii de Gambutis
prout capit.

Ex parte inferiori dictae Ecclesiae iuxta viam qua itur per viam Porticae
exit recte ad domum heredum Bartholomei Petri aromatarii, que est
prope domum Amatucii Evangeliste, includendo in dicta Platea trasannam
et capellam S. Nicolai ».

1?) Ser Lorenzo di Antonio di Gambuto fu un notaro e spesso nei suoi
protocolli registra l'ubicazione precisa della sua casa. Pertanto crediamo
qui bastevole al nostro scopo il seguente documento del 15 Marzo 1439:
«Actum... in palatio habitationis domini Potestatis, cui a primo [latere]
platea, a secundo res mei Laurentii Antonii...»: Arch. Notar., Protoc.
V. n. 1, fol. 18 di quell'anno, e poi ancora altre volte nello stesso protocollo.

18) Questa domus oggi corrisponde a quella ove si trova la Farmacia
Cogolli, la quale segna il principio di Via Portica. Un documento del 12

maggio 1416 ha: «Actum... in strata Portice Porte Sancti Francisci,
videlicet ante apothecam Petri Iacobi de Assisio, iuxta dictam apothecam
a 1 latere, a 11 Platea publica Comunis Assisi...»: Arch. Not., Protoc. di

Francesco di Ser Bevignate, C. n. 21, fol. 77 ; in altro documento si ha che
la camera (spezieria) di Bartolomeo, figlio del precedente Pietro di Giacomo,
confina da un lato con la via pubblica e da un altro con la «res heredum





















56 GIUSEPPE ABATE

Ludovici Amatucci»: Prot. di Donato di Ser Costantino, CC. n. 22, fol. 2,
all’anno 1443; al 1505 si ha: « Actum . . . in apotheca [drogheria anche questa]
heredum Amatucii Evangeliste, iuxta Plateam magnam » ; Protoc. di Fran-
cesco Bovi, M. n. 8, fol. 297 ; la bottega di Amatuccio e poi di suo figlio Lu-
dovico è «sub Palatio novo »: Arch. della Cattedrale, Strumenti « A », fol. 14,
al 1401 ; Arch. Not., Protoc. di Francesco di Benvenuto, C. n. 24 (1419-22),
fol. 117 del 1420.

19) Ecco il testo preciso, favoritoci gentilmente dal R. P. Giuseppe
Palumbo, Archivista del Sacro Convento e direttore della Biblioteca Co-
munale di Assisi :

«A di 3 settembre 1622 si propose al Conseglio di PP. dal M. R. P. Cu-
stode se dovesse dare la Botega Moricone di Portica per dipingere il Coro,
e si concluse si vedesse se era del Convento. Doppo la morte sua, e se non
era si facesse il Coro, si ballottò, e di 17 voti n’ebbi 16.

Ita est Fr. Seraphinus qui supra Cancellarius ». Dal volume « D » dei
Libri dei Consigli (1597-1631), fol. 162r, esistente nell'Archivio del Sacro
Convento, e non presso la Biblioteca Comunale.

2°) Cfr. Bollettino della Regia Deputazione di storia Patria per l Umbria,
vol. xxvI, (1926), pp. 64 e 74. — Nella Guida dei Pellegrini ..., stampata
in Assisi da Iacomo Salvi, 1618, p. 16, leggiamo : « Bottega di Pietro Ber-
nardone, padre di San Francesco : conoscesi dalla Pietra, che sta sopra la
porta, dove è intagliato un cerchio diviso in croce con una palla per ciascuna
quarta parte, e nella cima un T ». In verità il segno così descritto in quel
luogo non c’è ; ma sull’architrave della nota bottega si ha (o almeno c’era sino
a pochi anni fa, e noi allora ne prendemmo nota) un T con una lettera e un
punto per ognuno dei due lati (lettere e punti assai deteriorati): le lettere
dovevano essere S e C, che puntate significano Sacro Convento ; esse in-
sieme al Tau formano lo stemma di « San Francesco-Basilica », che posto
sulla fronte dei fabbricati da essa dipendenti costituisce titolo giuridico
di proprietà.

21) Affermazione che non tocca la questione che trattiamo ;. ma se
si vuole collegare la « favola » con i documenti che si dicono (ma non è vero !)
cominciare ad apparire sulla fine del quattrocento, bisognerebbe anche colle-
gare a questi il tono « favoloso » di quella.

35) Cfr. Bollettino... cit., p.. 74.







LA CASA NATALE DI S. FRANCESCO E LA TOPOGRAFIA DI ASSISI 57

IV.

Contrariamente a quanto presume Arnaldo Fortini, i documenti del 1280-
1282 da lui presentati nulla hanno di comune con la Casa paterna e natale di
San Francesco.

Un altro dei fondamenti presentati dallo scrittore assisano per
dimostrare che la nota casa di Via San Paolo va considerata come
la vera casa paterna e natale di San Francesco, è costituito da tre
documenti del 1280-1282 da lui per la prima volta scoperti.

A parte il fatto, già da noi precedentemente rilevato, che quei
documenti erano noti da lungo tempo e nessuno studioso mai li
ha collegati con la domus del Santo, la verità palpabile ed evidente
è che quei medesimi documenti, come tosto vedremo, assoluta-
mente nulla hanno di comune con quella casa.

Non basta invero apprendere da quelle antiche carte che Pic-
cardo, nipote di San Francesco, nel 1280 diveniva possessore di
una casa situata nelle vicinanze della Piazza Grande di Assisi, per
poi dedurne che quella stessa era stata in tempo anteriore della
famiglia del Santo, e che, inoltre, essa va identificata con quella
casa che Piccardo, insieme al fratello Giovannetto, possedeva nel
1228 nella Platea nova Comunis : il possesso di quella casa infatti
provenne a Piccardo non per successione ereditaria, ma per un
libero atto di compera. Egli, perchè abbondantemente ricco, era
senza dubbio in grado di poter comprare non una sola, ma parec-
chie altre case, vicine e lontane tanto dal fondaco di Piazza, quanto
dalla casa d’abitazione in Porta Moiano.

Non basta anche apprendere da quei documenti che la casa
comprata nel 1280 da Piccardo confinava con quella di un ma-
gister Nicolaus Iacobi, per poi dedurne che essa era quella stessa
di cui si parla nel Liber exemplorum, cioé la casa di Pietro di Ber-
nardone: in quei documenti infatti non si parla di due case
contigue, ma di una sola casa divisa in tre parti (in senso
orizzontale certo), ossia di uno stabile con tre piani uno sull'altro,
uno dei quali apparteneva a mastro Nicola, e gli altri furono acqui-
stati da Piccardo. Il Nicola poi, possessore di uno dei tre appar-
tamenti di detta casa, non e affatto il Nicolaus de Assisio del « Liber
exemplorum » come già abbiamo precedentemente dimostrato e
documentato.



















58 GIUSEPPE ABATE

È perciò un evidente sofisma mettere in relazione i documenti
del 1280-1282 con la casa natale e paterna di San Francesco, non
essendovi in realtà tra quelli e questa assolutamente nulla di comune.

Ma poichè lA. di Nova vita riporta quei documenti e vi appone
delle abbondanti chiose, noi crediamo di essere in dovere di fare
altrettanto ; faremo anzi di più, perchè di quei documenti daremo
una riproduzione fotografica (come, in simili casi, abbiamo fatto
altre volte) per comodo di quei nostri Lettori che volessero sotto-
porli ad un esame diretto.

Il primo documento è del 10 Marzo 1280 1).

Esso dice :

T In Dei nomine. Amen. Anno eiusdem Millesimo ducentesimo. octoge-
Simo. die decima mensis Martii. / Indictione vir tempore Domini Nicolai
pape tertii. — Domina Letitia filia quondam Nicole domini H u-
golini de/sancto Paulo?) presente consentiente Polto Leonardi de
Bictonio m[arito suo et] domina Francisca filia / olim dicti Nicole pre-
sente consentiente et volente Andrea quondam domini Leonardi Mer[angonis
marito suo] per se et suos / heredes vendiderunt et tradiderunt ad proprium
in perpetuum Picardo Angeli [de Pica civi Asisin.] recipienti et
cui / dare vel concedere voluerit res infrascriptas silicet duas partes pro indi-
viso [iuris et proprietatis unius domus] site in civitate / Asisii in parochia
sancti Nicolai, cui a duabus partibus sunt vie, et a tertio [latere tenet Su]p-
polus Iacobi / mediante formello, et a imr latere est res sancti Pauli Asisi-
natis vel si al[ia sunt ipsi domui latera] veriora vel confines / cum hiis om-
nibus ex quibus dicte domus partes constant et cum introitu et exitu suo et
omnibus suis pertinentiis et utili/tatibus et omnibus suis debitis et consuetis
servitutibus. Concedentes et mandantes eidem omne jus et omnem actionem
/ quod et quam habent et habere possunt dicte venditrices vel earum al/tera
in dictis duabus partibus domus predicte et muris / ipsius domus. et in om-
nibus ipsarum partium pertinentiis et utilitatibus et in platea ante domum
dictam, cui a duabus partibus via, in / ri. et irri est res Ecclesie sancti Ni-
colai Assisin. ita ut a modo inde possit ipse Picardus agere excipere / et re-
plicare seque tueri in judicio et extra directis et realibus actionibus cessis et
mandatis, constituentem eum / procuratorem et dominum tamquam in res
suas, et ponendo eum in locum suum. Et promiserunt ei de fraude et colludio. /
Et hec pro pretio ducentarum librarum bonorum denariorum usualium parvo-
rum, quod pretium [confitentur] dicte domine vendi/trices ab eodem emptore
recepisse et penes se habuisse. Renunciantes excep[tioni justi] pretii vel pe-
cunie non / habite non numerate et non recepte et beneficio senatus consultus
Velleiani, omnibusque aliis exceptionis et juris / beneficiis eis in hac parte
competentibus vel competituris. Et constituerunt se dictas duas partes do-





LA CASA NATALE DI S. FRANCESCO E LA TOPOGRAFIA DI ASSISI 59

mus predicte / ipsius emptoris nomine possidere. dantes ei licentiam posses-
sionem ipsam intrandi sua auctoritate et inde ei / tradere promiserunt liberam
vacuam et expeditam possessionem. Et eiusdem partes domus ei ab omnibus /
litigantibus legitime defendere promiserunt in judicio et extra earum omnibus
sumptibus et expensis. Et statim / lite mota ex sola vocatione vel libelli por-
rectione litem et judicium in prima secunda et tertia causa / et quousque
causa esset de predictis rebus vel aliqua predictorum suscipient. et suscipere
promiserunt dicte domus / venditrices legitimo et solemni modo. et finient
omnibus suis sumptibus et expensis in omni lite que / ei vel suis successoribus
moveretur causa predictarum rerum. Et remiserunt ei per speciale pactum
jus / denuntiandi de evictione. Et dampna et expensas pro his observandis
vel ipsorum occasione ei reficere promiserunt. / Et hec omnia dicta et singula
predictorum dicte domine venditrices presentibus et consentientibus dictis
earum maritis / eidem Picardo emptori pro se et suis heredibus et succes-
soribus recipienti et stipulanti perpetuo observare promiserunt / et non venire
contra sub pena dupli dicti pretii vel pecunie et obligatione suorum bonorum.

Actum Assisii ante domum filiorum domini Leonardi Merangonis, pre-
sentibus dompno Benvenuto de sancto Nicolao /. Magistro Iacobo magistri
Villani. Merangone dompni Leonardi. Iohanne Leonardi. Benvenuto Guidi.
Philippuc/cio Albertucii et Sanctuccio Ser........ |. 'Testibus rogatis.

(S. T.) Ego Bonaventura notarius hiis omnibus interfui rogatus / et
auctoritate etc.

Dal riferito documento si apprende innanzi tutto che le sorelle
Letizia e Francesca del fu Ugolino da San Polo (quindi di origine
non locale) vendono a Piccardo di Angelo (assisano, com’è detto nel
documento successivo) le due terze parti della loro casa paterna,
e, insieme a queste, un piccolo spazio (platea, plateuncula come
si legge altrove) antistante alla casa stessa; la rimanente terza
parte della casa nel documento non è menzionata, ma sappiamo
dal rogito seguente essere proprietà di un certo maestro Nicola
di Giacomo di Rainuccio di Assisi.

Dallo stesso documento ci si fa noto ancora, che la casa predetta :

a) è situata nella parrocchia di San Nicolò, la quale è nel
distretto civico di Porta San Giacomo ;

b) ha una via sulla sua fronte (quella di San Paolo) e un’altra
nella parte opposta (la Via di Portica) ;

c) confina da uno dei fianchi, quello verso la chiesa di San
Nicolò, con un’altra casa, e ciò mediante un formello, ossia un vi-
coletto ;

d) è contigua dal quarto lato con la «res» (orto e chiesa)
del monastero di San Paolo.















60 GIUSEPPE ABATE

Nessun accenno si ha nell’atto ad una pretesa domus sancti
Francisci ; e similmente non c’è una parola o una frase, che possa
far pensare ad una anteriore appartenenza di quella casa a un membro
qualunque della famiglia di San Francesco.

Peraltro nè l’uno, nè l’altro accenno avrebbero potuto esserci.
La domus sancti Francisci, cioè la casa di Pietro di Bernardone pas-
sata in eredità ad Angelo, fratello del Santo, e da Angelo a Piccardo
e Giovannetto suoi figli, e infine a Piccolo figlio di Giovannetto :

a) è situata nella Parrocchia di San Rufino (e prima di San
Giorgio) e nel distretto di Porta Moiano (di poi Porta di S. Chiara) ;

b) ha sulla fronte una via;

c) e nella parte opposta un formello ;

d) confina immediatamente nei suoi fianchi di sinistra e di
destra con case di persone private, e con nessuna «res» di alcuna
chiesa.

Tutto ció non soltanto é attestato da una lunghissima serie di
documenti pubblici, alcuni dei quali sono anteriori al tempo in cui
Piecardo compró per 100 libbre di denari le due parti della casa di
Via San Paolo ; ma é un fatto constatabile da tutti anche in questo
anno di grazia 1966.

Essendo dunque la casa di Via San Paolo del tutto diversa per
parrocchialità, per distretto civico e per indicazioni topografiche
dalla casa di Porta Moiano tradizionalmente e documentariamente
indicata come la domus sancli Francisci, € un attentato alla verità
che si compie, trasferendo tale titolo da questa casa venerata da
tanti secoli dalla città di Assisi a quell'altra finora a nessuno degli
Assisani, in alcun tempo, nota con la qualifica che le dà il Fortini.

*
*ock

L'A. della Nova vita, a p. 67, riassumendo il contenuto del
predetto documento, scrive tra l'altro :

«... Davanti alla casa trovasi una piazza (A), sulla quale pure si esten-
dono pro raía i diritti di Nicola di Ugolino. Confinanti alla piazza: dal 1 e
dal 11 lato la strada, dal terzo e dal quarto la proprietà della chiesa di San
Nicoló di Assisi.









LA CASA NATALE DI S. FRANCESCO E LA TOPOGRAFIA DI ASSISI 61

L’atto è stipulato davanti alla casa dei figli di Leonardo di Marangone.
Sono costoro i figli e gli eredi diretti di quel filius Morengonis che nel lodo del
1229, come abbiamo veduto, è il proprietario di una casa prossima a quella
dei figli di Angelo di Pica. È chiaro che la casa, di cui adesso Piccardo acquista
i due terzi, è posta nelle immediate vicinanze della casa del figlio di Maran-
gone, situata quindi anch’essa nelle prossime adiacenze della chiesa di San
Nicolò e della chiesa di San Paolo (8). È questa una conferma che la casa dei
figli di Angelo di Pica, quale risulta dall’atto del 1229, e cioè la famosa casa
della piazza, trovasi nella identica località...» (c).

Il nostro commento :

A) Non è una vera piazza, ma è solo uno spiazzo, cioè
un tratto di suolo privato tra una casa e la via pubblica, il quale non
merita il nome di piazza ; perciò più esattamente lo stesso notaro,
nel successivo rogito di tre giorni dopo, la disse plateuncula *).

B) È verissimo, che la casa (camera-bottega) del figlio di
Marangone *) nel 1229 risulta prossima a quella dei figli di Angelo
di Pica ; ma é falso, che l'una e l'altra casa si.trovavano « nelle im-
mediate adiacenze della chiesa di San Nicoló e della chiesa di San
Paolo », poiché esse si trovavano invece (come già abbiamo dimo-
strato) nel lato perfettamente opposto, cioé in quella parte della
Platea Nova Comunis da cui si dipartono le vie di San Rufino e di
Santa Chiara, nonché la recente Via Roma.

Il figlio di Marangone del 1229 é il Bonusiohannes Maragoni,
che troviamo menzionato nel noto elenco di cittadini dell'anno 1233,
e la domus filiorum Boni iohannis Maragonis, in documenti di tempo
posteriore, è detta situata nella Piazza e nel distretto di Porta Per-
lice, cioè di fronte al Palazzo dei Priori e nel lato settentrionale della
piazza stessa : cfr. Arch. Comun., Documenti N. n. 1, fol. 33 ; Arch.
Comun., pergam. n. 442 ; Arch. S. Conv., Strum., i11, nn. 62 e 63;
Arch. del Monastero di S. Chiara, in Arch. Franc. Hist., v, 1912,
p. 681 ; Arch. della Cattedrale, Ms. 91, ff. 79 e 90.

Fatti questi rilievi e dato che il problema che trattiamo è d’in-
dole prevalentemente topografica, potremmo passare senz'altro al-
l'esame del secondo documento : la questione infatti sullo scopo
inteso da Piccardo in quella compera, e se egli fece acquisto delle
due parti della casa di Via San Paolo unicamente a nome suo e non
anche a nome di altri, nel caso concreto apparisce superflua e non
pertinente, anche perché nulla al riguardo si riscontra nel documento















62 GIUSEPPE ABATE

e nessuno può arrogarsi, in tale caso, il diritto d’interpretare e giu-
dicare delle non manifeste intenzioni altrui.

L’A. della Nova vita è, ciò non ostante, di parere diverso, poichè
scrive a pag. 73 :

«Il prezzo che Piccardo pagó per l'acquisto fu assai notevole : duecento
libre di buoni denari piccoli.....

Orbene, se Piccardo spende questa somma notevolissima 5) sol perchè
questa casa non vada in mani di gente estranea ed ignota, e venga custodita
con particolare affetto da persone che dimostrino un sicuro affidamento
[affermazioni gratuite ed acritiche, perchè del tutto non giustificate da alcuna
fonte], è chiaro che a tale casa doveva sentirsi legato da un amore e da una
venerazione assolutamente di natura eccezionale, quale appunto la memoria e
la venerazione del Santo suo zio, fratello di suo padre, dovevano ispirargli...».

Pertanto né San Francesco, né la sua casa nel documento son
menzionati, come dell'uno e dell'altra nulla è detto nei rogiti che
esamineremo appresso ; eppure lo scrittore assisano ha l’audacia di
presentare al mondo le venditrici delle due parti della casa di Via
San Paolo come « proprietarie della domus sancti Francisci »!

Il secondo documento è del 13 marzo 1280 *).
Esso dice :

f In Dei nomine. Amen. Anno eiusdem Millesimo Ducentesimo octo-
gesimo. die tertiadecima /
mensis Martii. Indictione virr*. Tempore domini Nicolai pape tertii. — P i-
cardus quondam Angeli de Pica/
civis Assisiensis per se et suos heredes dedit et concessit iure emphiteotico
Magistro Nicole Iacobi/
Ranuccii recipienti pro se et suis filiis et nepotibus eius masculinis
et femininis usque /
in suam tertiam generationem legitimam exactam duas partes pro indiviso
iuris et proprietatis eiusdem /
Picardi unius domus que sita est in civitate Asisii in parrochia sancti Nicolai
Assisien. cui /
a r latere et r1 sunt vie publice, et a tertio latere tenet Suppolus Iacobi me-
diante formello. et /













LA CASA NATALE SI S. FRANCESCO E LA TOPOGRAFIA DI ASSISI 63

a quarto latere est res Ecclesie sancti Pauli Assisien. vel si alii sunt ipsi
domui veriores confines. vel latera. /

cum hiis omnibus ex quibus dicte due partes domus predicte estant. cum
introitu et exitu suo et omnibus et sin- /

gulis suis pertinentiis et utilitatibus partium predictarum. et duas partes pro
indiviso unius platee ante ipsam /

domum mediante via. in eadem parrochia cui a duabus partibus vadit via. a
tertio latere est ecclesia sancti Ni- /

colai. et a quarto latere est res dicte ecclesie sancti Nicolai predicti. cum
omnibus suis pertinentiis et utilita- / .
tibus. ad habendum tenendum et possidendum partes predictas et ad dan-
dum vel reddendum eidem Picardo vel /

suis heredibus annuatim usque predictum tempus tertie generationis in festo
sancti Francisci unum denarium parvum /

usualem nomine pensionis. quam pensionem confitetur idem Picardus iam
ab eo recepisse et sibi bene /

solutam esse pro viginti et novem annis proximis venturis. de qua vero pen-
sione dictorum viginti et novem annorum /

fecit ei dictus Picardus finem et refutationem et pactum de ulterius non pe-
tendo. Et si in eadem /

pensione solvenda offenderetur idem emphiteota vel sui heredes et requisitus
legitime ei emendare promisit offensam infra mensem post requisitionem
predictam. alias ei vel suis heredibus non preiudi- /

cet facta dicta emendatione. Et hec fecit ei predictus Picardus pro eo quod
ipse magister Nicola per se et suos /

filios et filias et nepotes et heredes eius promisit et convenit eidem Picardo
recipienti et stipulanti reliquam /

tertiam partem suam propriam pro indiviso domus predicte. et predictas
alias duas partes alii non vendere /

nec donare nec alienare nec jus vel actionem alteri cedere vel dare nec ea-
rum dominium vel proprietatem /

in aliam transferre personam vel personas sine licentia habita et obtenta ab
eodem Picardo vel suis /

heredibus qui proprietatem ab eodem habent predictarum partium domus
prenominate. et a Ministro provincie sancti Francisci /

Assisien. seu a Custode fratrum dicti loci sancti Francisci. Et dictus Picardus
dedit licentiam et potestatem eidem /

emphiteote in dictas duas partes domus sua auctoritate ingredi et tenutam
ipsarum tenendi per idem tempus. /

Et easdem duas partes ei legitime defendere promisit in judicio et extra. ab
omnibus litigantibus. suis /

omnibus sumptis et expensis. Et voluerunt ipsi contrahentes quod quicunque
filiorum vel filiarum aut /













































64 GIUSEPPE ABATE

nepotum vel neptium ipsius magistri Nicole presentium vel futurorum de-
cederet sine prole legitima, /

supraviventes vel supervivens ex eis succedat in dictis duabus partibus sic
decedentibus vel decedenti eorum. /

Et hec omnia dicta et singula predictorum, ut dictum est et superius conti-
netur, ipsi contrahentes inter se vicissim /

facere et observare promiserunt, et non venire contra nec facere aliquo modo.
vel causa sub pena /

ducentarum librarum denariorum. et obligatione bonorum omnium cuiuslibet
eorum. Et sumptus litis alter alteri e- /

orum reficere promisit pro hiis observandis.

Actum in Capitulo sancti Francisci Asisinatis. presentibus fratre Iacobo
olim domini Agrestoli. fratre Deotalevi de Perusio. fratre Iohanne de Bictonio
fratre Petro de Trebio. Domino Bernardo domini Somei. et Mello domini
Tacobi. Testibus rogatis etc.

(S. T.) Ego Bonaventura notarius hiis omnibus interfui rogatus et au-
ctoritate etc.

Se infondata ed arbitraria è l'interpretazione data dall'A. della
Nova vita al documento del 10 marzo 1280, addirittura romanzesca
è l’interpretazione che quello stesso A. dà al surriportato secondo
documento redatto, appena tre giorni dopo quello, dallo stesso no-
taro e per conto dello stesso nipote di San Francesco.

Nel primo documento il Fortini ha intravisto un Piccardo che
con quella compera «riscatta » ?) due parti di una casa che nè egli
nè la sua famiglia avevano mai posseduto anteriormente a quella
data ; in questo secondo documento poi egli scopre, e presenta ai
lettori della sua opera, nel famoso nipote di San Francesco un per-
sonaggio ch’è diverso da quello che è storicamente noto, poichè
attribuisce a Piccardo sentimenti che mai ebbe ed azioni che giam-
mai compì.

Il documento, che è un normalissimo atto di enfiteusi, nella sua
sostanza non attesta altro che Piccardo, tre giorni dopo aver com-
prato da estranei a sè e al suo parentado la casa di Via San Paolo
(intendiamo dire sempre i due terzi di essa), la cede in uso sino alla
terza generazione ad un altro estraneo (il maestro Nicola di Giacomo
di Rainuccio) per il canone annuo di un denaro da pagarsi a lui o
ai suoi eredi per la festa di San Francesco, cioè il 4 ottobre.







































Il Centro di Assisi in una pianta topografica del 1599 stampata in Roma da Jacomo Lauro.







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SE e Senseo EY Mia ES e Voga.

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Assisi, Arch. Stor. Comunale, n. 405.





















LA CASA NATALE DI S. FRANCESCO E LA TOPOGRAFIA DI ASSISI 65

Nel documento invero non si contiene assolutamente altro da cui
possa; in maniera critica e legittima, dedursi :

1) che Piccardo aveva un qualsiasi interesse di natura senti-
mentale e spirituale per quella casa, come arbitrariamente si afferma
dall’A. della Nova vita (cfr. pp. 73 e 78). Quel supposto interesse
Piccardo non avrebbe potuto averlo per più ragioni, ma sopratutto
perchè la casa di Via San Paolo (come abbiamo già ampiamente
dimostrato) nulla aveva di comune con la casa dove erano nati il
suo santo zio Francesco ed Angelo, suo padre, nonchè egli stesso e
il fratello Giovannetto ; casa che nell’anno 1280 possedeva egli an-
cora insieme al nipote Ciccolo figlio di Giovannetto e che poi due
anni dopo, nel 1282, fece abbellire con un arco di protezione posto
sulla fronte della parte tramutata in pubblico oratorio ;

2) che Piccardo, già vecchio e alla vigilia della morte, era
preoccupato per la sorte futura della casa acquistata, temendo che
essa in seguito andasse a finire nelle mani di gente che non avesse
dato garanzie di devozione (Nova vita, p. 74). Nulla nel docu-
mento giustifica questa presunta preoccupazione, e nessuna clau-
sola di « devozione » vi si legge; e se poi in esso sono registrate
delle garanzie, queste, oltre ad essere comuni a tutti i contratti di
enfiteusi, sono di ben altra natura che « devozionale » come vedremo
appresso ;

3) che Piccardo cedette quella casa ad estranei e non ad al-
cuno della sua famiglia — a Ciccolo, per esempio — perchè nessun
membro di questo, e Ciccolo in particolare, gli dava le garanzie che
invece offriva Nicolò di Giacomo, l'estraneo (cfr. Nova vita, pp. 74,
75). Nulla di questo ingiusto e ingiurioso sospetto lascia trasparire
il documento : la congettura di quell’A. che vi sia da credere che Cic-
colo non avesse riguardo alla casa di San Francesco la stessa sensi-
bilità di Piccardo e che questi era diffidente nei confronti del nipote
(op. cit., p. 79) è assolutamente arbitraria e deplorevole. Ciccolo, che
esercitò l’ufficio papale di Procuratore e Sindaco della Basilica e del
Sacro Convento dal 1284 al 1328 *) non fu da meno di Piccardo nel-
l’onorare e abbellire la domus dov'era nato il suo Santo congiunto :
infatti fu negli ultimi decenni di quel secolo che quel devoto sacello
venne arricchito di decorazioni pittoriche *), e fu nel 1316 che venne
fatto il bell’arco gotico dell’ingresso, ornato alcuni decenni dopo
della iscrizione che narra della nascita di San Francesco in quel
luogo 1°).





















66 GIUSEPPE ABATE

Ed ora veniamo ai rilievi giuridici fortiniani.

È scritto nella Nova vita (p. 68), che Piccardo acquistò le due
parti della casa di San Paolo espressamente (questo non è detto nel
documento, ma parla comunque il fatto) allo scopo di cederla in en-
fiteusi al maestro Nicola di Giacomo di Ranuccio. E ciò va bene;
non va però bene affatto la ragione che il Fortini assegna, quasi
fosse intervenuto tra il direttario Piccardo e l’enfiteuta Nicola un
patto di indole del tutto insolita ed eccezionale con cui veniva in-
terdetta a quest’ultimo non solo l’alienazione delle due parti avute
in enfiteusi (perchè non sue), ma anche e in ogni caso l’alienazione
di quella terza parte della casa che era unicamente sua, il che se-
condo l’intero testo del documento non è affatto vero.

Ecco le parole esatte, compresa la sottolineatura, dell'Avvocato
Assisano :

«La ragione di tutto questo è chiaramente spiegata nel seguito dell’atto
del 13 marzo : « E ciò fece il predetto Piccardo con esso (maestro Nicola) per
questo che lo stesso maestro Nicola, per se e suoi figli e figlie e nipoti, e suoi
eredi, promise e convenne con esso Piccardo, accettante e stipulante, che
l’altra sua terza parte, che gli spetta in proprietà indivisa sulla casa predetta,
e le altre due parti, non dovrà vendere, nè donare, nè alienare, nè cedere e
dare per alcun diritto ed azione ad altri, nè trasferire il loro dominio o pro-
prietà in altra persona o persone ?!).

Ecco ora il seguito del testo dal quale risulta chiaro che Nicola,
volendo, avrebbe potuto alienare la sua terza parte della casa,
purché ne avesse chiesta ed ottenuta licenza dallo stesso Pic-
cardo o da chi per lui:

«... sine licentia habita et obtenta ab eodem Picardo vel suis heredibus
qui proprietatem ab eodem habent predictarum partium domus prenomi-
nate et a Ministro provincie sancti Francisci Assisien. seu a Custode fratrum
dicti loci sancti Francisci...»??).

Ora se é norma ordinaria di ogni contratto enfiteutico l'inseri-
mento in esso del divieto all'utilista di alienare senza licenza del
direttario i suoi diritti su quanto ha ricevuto in esso, del pari non è
norma insolita ed eccezionale l'inserimento nello stesso contratto
di un patto con cui si proibisce all'enfiteuta di alienare la res sua che
é unita «pro indiviso » (qual é il caso di una domus) alla res del di-
rettario, specialmente quando costui possiede la parte maggiore



1
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CRITICO I n e



LA CASA NATALE DI S. FRANCESCO E LA TOPOGRAFIA DI ASSISI 67

del «tutto », senza averlo prima interpellato e averne ottenuta li-
cenza. Di questo patto, ch'é fondato nel diritto di prelazione, non
solo si riscontrano innumerevoli esempi, ma se ne trova il formulario
in ogni Ars notariae **).

Sono perciò affermazioni sofisticate quelle del Fortini, quando
scrive (p. 75) che Piccardo fa inserire quelle clausole,

«affinchè non avvenga che, per qualsiasi eventualità, pur durante la
vita di maestro Nicola, e sopratutto alla sua morte, per il fatto dei suoi eredi,
Ja casa possa finire nelle mani di gente che non dia sufficiente garanzia di de-
vozione.....

-.... Se Nicola di Giacomo accettava questa grave limitazione alla li-
bera disponibilità della sua quota di proprietà, obbligandosi a non venderla,
né comunque a cederla se non dopo avere riportato il consenso di Piccardo
e dei suoi eredi, e sopra del Sacro Convento, vuol dire che in lui questo spe-
ciale amore alla casa, questo interesse alla sua conservazione, questa preoc-
cupazione che fosse affidata a gente che l'avesse in particolare venerazione,
non erano inferiori a quelli dimostrati da Piccardo . .. . . ». 14)

Ecco un’altra errata interpretazione :

« Ciò che interessava era di affidare la casa, che conservava un così pal-
pitante ricordo del Santo !5), ad una futura generazione di gente che sapesse
custodirla e difenderla da ogni profana intromissione.

Ed ecco un’altra norma inserita nel contratto, diretta allo stesso scopo, di
natura assolutamente eccezionale, quale inutilmente si ricercherebbe in con-
tratti del genere: «E i suddetti contraenti vollero che chiunque dei figli o
delle figlie, o dei nepoti o delle nepoti dello stesso maestro Nicola, presenti
o futuri, venisse a mancare senza prole legittima, i sopravviventi, o il soprav-
vivente fra di essi, succedano nelle stesse parti a quelli, o a quello, che tra
essi venissero a morire ».

Non dunque un diritto trasmissibile a qualunque erede, come sarebbe
stato logico in qualsiasi contratto di enfiteusi, ma un particolarissimo ordine
di successione nel diritto enfiteutico, al quale venivano ad essere chiamati sol-
tanto i figli e i figli dei figli . . . » (Nova vita, p. 74).

La norma inserita in quel contratto è di natura ordinaria, perchè
esso è di quel genere di enfiteusi che era detta « precaria » ; di essa poi
si trovano esempi, particolarmente nei Formulari ad uso dei notari.
Ne citiamo qui uno.

Nel formulario Tabellionum di Irnerio (t c. 1130), redatto in
nuova forma al principio del sec. xir, tra l'altro si ha :



















68 GIUSEPPE ABATE

«Ego quidem Rogerius..... concedo tibi Titio tuisque heredibus fi-
liis ac nepotibus vel masculis, qui si desierint tunc in filiabus et neptibus vel
feminis, deveniat, usque in tertiam generationem expletam, in quartam ad
renovandum ..... nec ullo modo habeatis licentiam vendendi, nisi iuxta
legem ..... Et si quis ex predictis precariis mortuus fuerit sine predicto he-
rede, mortui pars ad vivos precarios, propinquiores tamen, ad unum vel ad
plures deveniat. Et omni anno tu precarius vel tui filii ac nepotes, filieque
vel neptes michi meisque successoribus unum denarium exsolvatis..... » 19).

Il terzo documento è dell’11 marzo 1282. 1?)
Esso dice :

t In Dei nomine Amen. — Anno eiusdem a nativitate Millesimo du-
centesimo octuagesimo secundo. Indictione decima. die undecima mensis
Martii. residente domino Martino /
papa m9. Dompnus Petrus abbas monasterii sancti Benedicti de monte
Subasio ut abbas et syndacario et procuratorio nomine ipsius monasterii
et con- /
ventus eiusdem per se et eius successores in ipso monasterio. presentibus et
consentientibus dompno Matheo Rectore infradicte ecclesie sancti Pauli,
dompno Davino, fratre Andrea et fratre Be- /
nedicto monachis dicti monasterii et ipsi monachi una cum dicto Abbate
consideratis utilitate et melioramento ex permutatione huiusmodi dicto
monasterio /
subsequutis, permutationis titulo dederunt tradiderunt cesserunt et transtu-
lerunt ad proprium et in perpetuum Picardo Angeli recipienti pro
se et eis quibus /
dare vel concedere voluerit, duo staria pro indiviso ad mensuram Asisinatem
a quacumque parte accipere maluerit et sibi fecerit mensurari /
de terreno sive orto ecclesie sancti Pauli de Assisio ad dictum monasterium
pleno iure spectantis (sic). cum accessibus et egressibus suis pertinentiis
et utilita- /
tibus supra infra et sub se habitis et contentis cum omni quod jure et actione
usu seu requisitione ipsis ecclesie sancti Pauli et monasterio competenti et

competituris. /

ad habendum et quicquid inde voluerit iure proprio faciendum reservato
ipsi ecclesie sancti Pauli et monasterio integraliter usufructu eousque quod
dictum monasterium /

ipsam ecclesiam sancti Pauli non permutaret alienaret vel aliquo modo con-













LA CASA NATALE DI S. FRANCESCO E LA TOPOGRAFIA DI ASSISI 69

cederet religiosis vel quibuscumque personis. vel quod ipsam ecclesiam sancti
Pauli dimitteret, /

immo ad ius et proprietatem ipsius monasterii teneretur per ipsius monasterii
abbatem et conventum. Et si secus fieret, ipso facto dicta duo staria terreni /
prout accipere placuerit quoad proprietatem et usumfructum ad ipsum Pi-
cardum vel suos heredes et eis quibus dare vel concedere voluerit deveniant /
et libere revertantur, usufructu ipsius rei dictorum monasterii et ecclesie sic
extincto. nulla prescriptione temporis vel diuturnitate obstante. Qui ortus
positus est in civitate Assisii prope ipsam ecclesiam sancti Pauli. ab uno
latere eius murus antiquus. a. 11 claustrum ipsius ecclesie. a rrr. heredes fi-
liorum Cichini et Nicola Iacobi. /

que duo staria confitentur dicti Picardi et suorum heredum et eorum quibus
concedere vellet nomine possidere quousque ipsorum possessionem acciperet
corporalem in /

quam intrandi et accipiendi ac retinendi licentiam sibi et suis heredibus et eis
quibus dare vel concedere vellet et potestatem plenariam, nomine eorum et /
dicti monasterii et eorum successorum contulerunt atque dederunt propria
dumtaxat auctoritate. usufructu tamen ut supra dicitur reservato. Et pro-
miserunt / .

eidem Picardo stipulanti de fraude et colludio. Et predicta ideo dicti abbas et
monachi nomine eorum et dicti monasterii et conventus eiusdem et succes-
sorum eorundem /

fecerunt dicto Picardo stipulanti, ut dictum est, quia ipse Picardus per se
et eius heredes simili permutationis titulo dedit cessit et mandavit iure /
proprio et in perpetuum dicto abbati et monachis nominatis recipientibus
pro iam dictis monasterio et ecclesia sancti Pauli duas partes pro indiviso
unius domus site /

prope ipsam ecclesiam sancti Pauli, a 1 ipsa ecclesia. a 11 et n. latere via.
salvo magistro Nicola I acobi Rainuc ii et suis posteris ac etiam
reserva- /

to emphiteotico jure quod sibi dictus Picardus in dictis duabus partibus domus
dicte dicitur concessisse eidem. et apparere dicitur instrumento scripto /
manu Bonaventure notarii. Item et quia idem Picardus dedit et tradidit jure
proprio et in perpetuum permutationis titulo nulla juris reservatione /
facta terram casalina sive ortum posita in parrochia sancti Stephani prefatis
abbati et monachis recipientibus pro dictis monasterio et ecclesia sancti Pauli /
infra hos fines. a r. latere terre sive casalini via. a rr. res dicte ecclesie sancti
Pauli. a irr. heredes Iohannis Bonincontri Letanie et Ruphinus Tebaldi. /

a 1. latere orti Deotaccomandus Petri Saverii. a rt. Bonaventure Blanke et
si qui alii sint confines. Quas duas partes domus salvo jure dicti ma- /

gistri Niccole et dictam terram vel casalinum et ortum idem Picardus consti-
tuit se nomine dicti monasterii et dicte ecclesie sancti Pauli possidere donec
possessionem ac- /





70 GIUSEPPE ABATE

ceperint corporalem. quam accipiendi auctoritate propria et licentiam dictis
abbati et monachis pro dictis monasterio et ecclesia omnimodam contulit
atque dedit. et /

de fraude et colludio promisit eisdem. salvo jure magistri Nicole predicti
in duabus partibus domus superius nominate. Et sic predicti abbas et mo-
nachi per se et / "
eorum successores nomine ipsius monasterii et conventus eiusdem et dicte
ecclesie sancti Pauli promiserunt et conveneruunt dicto Picardo stipulanti
pro se et suis heredibus et eis quibus dare /

vel concedere vellet dicta duo staria usufructu tamen ut supra dicitur reser-
vato. et dictus Picardus per se et eius heredes dictas duas partes domus iam
dicte, salvo /

jure magistri Nicolai predicti, et dictam terram vel casalinum et ortum pre-
fatis abbati et monachis stipulantibus pro dictis monasterio et ecclesia sancti
Pauli promisit le- /

gitime defendere et auctorari in judicio et extra et litem nec controversiam
movere per se vel aliam submissam vel submittendam personam. Immo dare
et tradere /

liberam vacuam et expeditam possessionem et subire judicium in prima se-
cunda tertia causa statim lite mota. jus denuntiandi defensionem interse
remittendo /

per hanc initam pactionem. Que autem omnia et singula et in singulis capitulis -
dicti abbas et monachi per se et eorum successores nomine dicti monasterii
et conventus /

eiusdem et dicte ecclesie sancti Pauli ex una parte et dictus Picardus per se

et eius heredes ex alia promiserunt inter se vice mutua rata habere et invio-

labiliter / . î
observare et in nullo contra facere vel venire et dampna litis et expensas re-
ficere. sub pena mille librarum usualis monete parve corton. in solidum in
singulis /

capitulis promissa et legitime stipulata solvenda a parte non observante parti
observanti. ipsa pena tamen in solidum committenda componenda et exigen- /
da, quatenus contra predicta vel eorum alterum ventum fuerit vel venire
presumptum. renuntiando juri si quod est quod dictum monasterium vel
dictam ecclesiam seu /

dictum Picardum liberaret vel absolveret a dicta pena in totum vel pro parte
ipso jure vel per aliquam exceptionem. et pro hiis omnibus inviolabiliter
attendendis / -
idem abbas et monachi obligaverunt ipsi Picardo bona dicti monasterii et
ecclesie supradicte et fecit predicta omnia et promisit ipsi Picardo dictus
abbas ut abbas et syndacario nomine monasterii et ecclesie predictorum
et vice conversa Picardus obligavit illis pro monasterio et ecclesia dictis pro
observatione /























LA CASA NATALE DI S. FRANCESCO E LA TOPOGRAFIA DI ASSISI TE

predictorum singula bona sua et dicta pena soluta vel non, predicta rata
sint et firma.

Actum in Calco post Refectorium ecclesie sancti Francisci. presentibus
domino Leonardo domini Somei. dompno Iacobo archipresbitero plebis de
Valiano. Dominico Iohannis. Nicola Iacobi domine Saporose et Mercatuccio
Iacobi testibus rogatis.

(S. T.) Ego Martinus Apostolice Sedis auctoritate notarius "e omni-
bus interfui et ut supra legitur rogatus scripsi et publicavi.

Anche questo terzo documento nulla ha in comune con la do-
mus sancti Francisci, né, come abbiamo già dimostrato esaminando
i due precedenti, avrebbe giammai potuto averne.

Esso, nella sua sostanza, non contiene altro che l'atto di permuta
delle note parti della casa di Via San Paolo possedute da Piccardo,
e due anni prima da lui concesse a Nicola di Giacomo, con un pezzo
di terreno attiguo alla medesima casa e appartenente ai monaci
benedettini della vicina chiesa di San Paolo. Per quale scopo poi
quel nipote di San Francesco abbia stipulato quel cambio, e se l'abbia
fatto apparentemente in suo nome e in effetti sotto quello del Sacro
Convento di cui era allora Procuratore 5), nel documento non è
detto, né noi vogliamo indagarlo perché ció non é pertinente alla
nostra questione.

Ma L'A. della Nova vita pretende saperlo dall'analisi del docu-
mento e lo racconta anche a noi. Piccardo — egli dice — aveva sì
provveduto alla futura sorte di quella casa affidandola al « devoto »
Nicola e ai suoi discendenti, nonchè alla « vigilanza » !*) dei ministri
del Sacro Convento, ma, trovandosi nell’ultimo periodo della sua
vita, «ancora un dubbio lo agita su ciò che con tanta forza di senti-
mento e con tanta consumata esperienza di uomo di leggi *°) ha
predisposto circa l'avvenire della domus sancti Francisci *). Potrebbe
sembrare una mania di vecchio diffidente, se non fosse la piena no-
stalgia dei ricordi di giovinezza, allorquando ogni stanza, ogni muro,
ogni pietra gli rappresentavano la grande figura di colui al quale,
forse in ammenda dell'antica incomprensione dell'avo Pietro e del
padre Angelo, egli aveva saputo rimanere ardentemente e tenace-
mente fedele. Uno solo sarà l'erede di tutto ció che egli possiede, il
nepote Ciccolo. Ma saprà egli osservare puntualmente le rigorose
norme ?) contenute nell'atto del 13 marzo 1280 ?

Per esso [l'atto del 1282], Piccardo decide che non piü soltanto **













2 GIUSEPPE ABATE

i suoi eredi e successori dovranno essere, con i religiosi di San Fran-
cesco e i discendenti di maestro Nicola, gli arbitri della futura sorte
della casa, ma un Ente religioso che, per la sua gloriosa tradizione,
per i rapporti avuti con il Santo, per i vincoli affettuosi che lo legano
alla famiglia dei Frati Minori, dà a lui, che sta per chiudere ormai
gli occhi alla vita terrena, una ben maggiore tranquillità . . . » **).

Interpretazioni piene di fantasia queste, che, se non riguardas-
sero un tema storico serio, qual é la Casa di San Francesco,
farebbero certo ammirare con compiacenza la fertilità immagina-
tiva dello scrittore assisano. Si tratta di licenze che denunziano
una mancata retta intelligenza delle fonti, un «iter» ermeneutico
per vie manifestamente errate, una delle quali — nel nostro caso —
é quella di intendere troppo nel testo per una malintesa cupidigia
di sapere, o, quel ch'é più grave e pericoloso, per far servire il docu-
mento ad una tesi preconcetta. « Una tale esegesi — scrisse il Fonck —
trova dei grandi misteri anche in piccolezze che nulla dicono, e in
ogni testo sa escogitare segreti meravigliosi, ai quali una sobria e
regolata interpretazione non scorge alcun appiglio. Essa quindi non
espone, ma suppone » 2°).





ange.









LA CASA NATALE DI S. FRANCESCO E LA TOPOGRAFIA DI ASSISI 73

NOTE

1) Arch. Com. Pergam., n. 405. — Il documento è riportato nelle sue
parti essenziali in Nova vita, 1n, pp. 399-400. La pergamena é notevol-
mente lacera in due punti ; noi suppliamo il testo mancante con i passi paral-
leli della pergamena n. 406, che é dello stesso notaro e versa sullo stesso
argomento.

2) San Polo, paese della Sabina.

3) Presso il notaro Giovanni di Cecco di Bevignate, Prot. B. n. 2, al
fol. 176 dell’anno 1412, si ha « plateola sive spiazza ».

4) Non sempre, nei vari documenti che lo riguardano, il nome di questo
personaggio è scritto allo stesso modo.

5) Qui VA. della Nova vita esagera. Sappiamo infatti che il Comune di
Assisi una trentina di anni dopo (1316) comprò delle case ad un prezzo che
variava dalle 450 alle 970 e perfino 1300 libbre : cfr. Arch. Comun., M. n. 2,
fol. 54 ss. dell'antica numerazione.

5$) Arch. Comun., Pergam. n. 406. — Il testo di questo documento è
stato pubblicato dal Fortini quasi per intero in Nova vita, III, pp. 400-401,
ma in maniera assai scorretta, come ognuno può constatare confrontandolo
con la riproduzione fotografica che alleghiamo. Il documento è dato da quel-
VA. come redatto in «ottobre », mentre invece fu redatto in « marzo», e,
alla fine, si dà Deotesalvi invece di Deotalevi, Ayello invece di Mello ; e Te-
salvo Rayneri invece di Testibus rogatis eíc.

*) Nova vita, p. 81. — Altrove si dice «recuperata », p. 79.

8) L'ultimo atto pubblico, che noi conosciamo, compiuto da Ciccolo
risale al 1323 ; ma pare che fosse ancora vivo nel 1332 ì cfr. Arch. S. Conv.,
Sírum., vi, n. 47 ; vit, n. 1.

*) Cfr. Miscell. Franc., vol. XL, 1940, pp. 713-719, oppure ABATE, La
casa... pp. 393-390, ove è pubblicata la Relazione del prof. EMiLIo LA-
VAGNINO (f 1963) illustre critico e storico d'arte.

19) Cfr. Misc. Franc., l. c., pp. 701-712, e 739-744 ; oppure ABATE, Lu
casa... pp. 381-392, e 419-424, ove sono pubblicate le Relazioni dei pro-
fessori UGo TARCHI e ANGELO SILVAGNI, il primo dell’Accademia delle Belle
Arti e il secondo del Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana di Roma.

1) Nova vita, p. 68, dove in nota si aggiunge: « Generalmente questa
facoltà di alienare era concessa all'enfiteuta ». V. HARTMANN, Untersuchungen
Leipzig, 1889, p. 86 ; MowMsEN, Die Bewirischaftum, vol. 1, p. 45 e ss.

1?) Cfr. Documento sopra riportato, riga 25 ss.

13) Un esempio del pactum che communiter solet apponi instrumento
Livellario, cioé di enfiteusi, si ha in quell'Artis Notariatus tomi duo che furono
stampati a Venezia da Domenico Giglio, anonimi e senza data, nel Cinquecento,
AI tomo tI, fol. 60 verso, si ha :











74 GIUSEPPE ABATE

«Cum pacto apposito... quod si dictus conductor vel alius legitimus
successor... aedificium super dicto terreno vendere voluerit in totum vel
in partem ... teneatur et debeat denuntiare, per publicum instrumentum
dicto priori [Nicola Soderini, direttario] seu eius successori... tribus vicibus
in tribus mensibus continuis, videlicet quolibet mense semel, se velle ven-
dere, et tunc si dictum aedificium prior emere voluerit... Verum si infra
dictum tempus et terminum pro parte dicti prioris nollet fieri emptio pre-
dicta ... liceat dicto condutori et suis successoribus, ut supra illud vendere,
cui et quibus voluerit, dum tamen alicui magnati, ecclesiae vel loco reli-
gioso, clericis hospitalariis, etiam quantuncumque prophanis vel religiosis
societati universitati collegio vel congregationi comuni...nullatenus ven-
dere seu tradere possit, aut etiam in ultima voluntate relinquere seu aliquo
alio modo alienare etc. ».

14) Nessun segno di « particolare venerazione », ha mai avuto quella
casa nè da parte del « devoto » (!) Nicola di Giacomo, nè da parte dei suoi
eredi e successori sino a pochi mesi fa, cioè sino a che i frati del Terz'ordine
Regolare di San Francesco, fidando nella verità della tesi fortiniana e met-
tendo in non cale la tradizione multisecolare della Città Serafica, hanno
osato erigervi un altare presentando quella casa, nei loro Bollettini, come
la «storica dimora » di San Francesco.

15) Ripetiamo ancora una volta, che quella casa non conservava affatto
alcun ricordo di San Francesco, sia per non esserci nato, sia per non esserci
vissuto.

16) Cfr. Augustus GAUDENZI, Bibliotheca Juridica Medii Aevi, Bono-
niae, 1888, tom. 1, p. 214.

1?) Arch. S. Conv., Strum., t. v, pergam. n. 40 bis; Nova vita. rit, p. 510,
in transunto e con errori.

18) Ricordiamo che già due secoli fa, esaminando quell’atto, il famoso
critico francescano P. Nicolò Papini vi aveva scritto sul retro : « Nihil ad
Sacrum Conventum, nisi forte nomine Picardi filii Angeli fratris S. Fran-
cisci, cui dantur terrae, veniat Conventus»; una mano antica (sec. xiv)
vi aveva apposta la nota: « Instrumentum spectans ad ecclesiam ».

19) La tanto decantata, e innumerevoli volte ripetuta, speciale « devo-
zione » del Nicola per San Francesco è una invenzione non risultando da
alcun documento. I ministri poi del Sacro Convento, secondo il testo dell’atto,
non erano autorizzati ad usare alcuna « vigilanza » su quella casa ; solamente
nel caso di una eventuale alienazione della medesima, essi insieme a Pic-
cardo e ai suoi eredi dovevano darne «licenza », il che è una cosa diversa.
Ciò fa giustamente pensare che il vero proprietario era (oppure sarebbe poi
stato) il Sacro Convento e la Basilica di San Francesco, e non già Piccardo :
le espressioni che si leggono in tuttii documenti del genere sono : sine licentia
livellantis... sine consensu domini... absque domini voluntate. La storia
del diritto italiano insegna essere stata allora norma comune che « il livellario,

Roc





————















LA CASA NATALE DI S. FRANCESCO E LA TOPOGRAFIA DI ASSISI 40.

venendo a morire, trasmetteva il proprio diritto ai suoi eredi legittimi, anche
se non erano stati espressamente contemplati nei patti; ma invece per re-
gola non gli era permesso alienarlo senza il consenso del proprietario e tra-
sferirlo ad estranei » : cîr. A. PERTILE, Storia del diritto italiano dalla caduta
dell'impero romano alla codificazione, Padova, 1873, vol. 1v, p. 306.

20) Nessuno ha mai detto che Piccardo fu « uomo di leggi » ed « esperto
conoscitore del diritto », come afferma il Fortini (pp. 76 e 78).

21) Quanto Piccardo dispose quell’anno stesso per la domus sancti Fran-
cisci — la quale era pure la sua casa — lo documenta ancora, oltre un rogito
originale esistente nell’Archivio del Sacro Convento, l’arco di sostegno e di
protezione che vi fece erigere sulla sua fronte.

2) Abbiamo già documentato che quelle norme non erano insolite ed
eccezionali, ma semplicemente comuni a quel genere di enfiteusi.

23) Con la permuta dell’11 marzo 1282 tanto Piccardo che i suoi eredi
e successori, e insieme ad essi i religiosi del Sacro Convento, perdettero ogni
diritto sulla casa di Via San Paolo, passando questo unicamente ai monaci
benedettini: quindi quanto qui si afferma dallo storico assisano è in con-
traddizione col documento. Superfluo aggiungere, che quei Monaci giammai
in tanti secoli hanno venerato e presentato quella casa come la domus sancti
Francisci. 2

*) Nova vita, p. 76.

?*) L. FoNck, JI metodo del lavoro scientifico, Roma, Pustet, 1909, p. 200.
Innumerevoli sono le interpretazioni fantastiche che s'incontrano nella
Nova vila, il cui A. troppo frequentemente intravede o ipotizza vincoli di
parentela e comunioni di case ove di fatto non sono. Citiamo qui solamente
due casi, i quali sono in qualche modo relativi alla questione che trattiamo.
Il primo è quello che riguarda il Nicolaus de Assisio dal Fortini erroneamente
identificato con il Nicolaus Jacobi della nota casa di San Paolo: sappiamo
di sicuro, che la famiglia del primo non era imparentata con quella di San
Francesco per essere la madre di lui solamente «vicina el nota matri beati
Francisci»; eppure lo scrittore assisano a p. 65 prospetta seriamente la
possibilità o probabilità di quella parentela ; alle pp. 74 e 75 presenta Pic-
cardo e Nicola di Giacomo quali persone legate entrambe a San Francesco
«da vincoli di sangue », e come « congiunti del suo sangue » ; e a p. 79 quanto
alle predette pp. 74 e 75 era stato asserito senza riserve viene dato al condi-
zionale : « Se si ammettesse... ecc. ». Il secondo caso è quello di Nicola di
Ugolino, che sappiamo non essere stato assisano, ma originario di un paese
della Sabina (de sancto Paulo = San Polo); eppure nella Nova vita, p. 79
si ha: «Se si ammettesse un vincolo di parentela tra le famiglie di Nicola
di Giacomo e delle figlie di Nicola di Ugolino e quella di Pietro Bernardone,
sarebbe anche più facile spiegare il trapasso, in virtù di conguagli divisori
o di nuove assegnazioni e ripartizioni di beni comuni ». È questa un’ipotesi,
che, per trovarsi in contrasto coi documenti, esce fuori della sua ragion d’essere.









76 GIUSEPPE ABATE

V

Personaggi da escludere dalla genealogia di San Francesco. — La madre
del Santo ebbe nome Giovanna ; Pica fu un nome aggiunto. — Pica e Piccardo
non sono appellativi di origine francese. — L'identità dell' Oratorio di San Fran-
cesco Piccolino non ha alcuna dipendenza dalla storia o leggenda della nascita
del Santo in una stalla. — Francesco di Bartolo non fu l’autore del « Liber exem-
plorum ». — Assisi al tempo del Santo era divisa in « porte » e non in « vici ». —
La casa di abitazione della famiglia di San Francesco fronteggiava un « vicolo »
e non già una « piazza » — Documentata interpretazione di un testo di Ludo-
dovico di Città di Castello. — La « domus-oratorium » di San Francesco di-
pendenza della Basilica assisana fin dal sec. XIII-XIV. — Valore delle genealo-
gie contenute nell’opera del Fortini. — Ciccolo di Giovannetto, pronipote del
Santo, non va confuso con Ciccolo di Giovannolo. — Non ebbe casa di abitazione
in Porta Perlice e non fu uomo di parte. — Un « Frate Elemosina » da espun-
gere dalla genealogia di Suppolo. — Elemosina di Giacomo non può essere iden-
lificato con il « Frate Elemosina » presunto autore del famoso «Liber histo-
riarum S. Romanae Ecclesiae ». — La « Jacoba de Roma » di alcuni documenti
assisani non è la celebre devota di San Francesco madonna Giacoma dei Sette-
soli. — Un giudizio generale sulla « Nova vita ».

Dimostrata acritica e priva di basi documentarie la singolare opi-
nione fortiniana intorno alla Casa paterna di San Francesco, avrem-
mo dovuto porre un «Explicit » alla nostra disamina col capitolo
precedente ; purtroppo però ci è doveroso continuare in questa,
perchè lo storico assisano ha intramezzato al tema principale del
suo scritto una infinità di rilievi, di appunti e di questioni — più o
meno, o anche per nulla, interessanti l'argomento — le quali hanno
tutte il solito marchio dei procedimenti storici dalla mera sogget-
tività.

Si tratta, è vero, di rilievi e di questioni d'indole secondaria; ma
non possono dirsi privi d'importanza per la vera storia di San Fran-
cesco, della sua famiglia e della sua Casa paterna e natale ; questioni
inoltre, che dall’A. della Nova vita sono esposte, discusse e terminate
unicamente per far prevalere le sue tesi precostituite e facendo sue
affermazioni erronee già da noi o da altri confutate.

La prima questione che ci si fa innanzi è quella riguardante
l’albero genealogico di San Francesco.

La compilazione di un albero genealogico veramente serio e
degno di fede non può non essere fondato che su documenti autentici











LA CASA NATALE DI S. FRANCESCO E LA TOPOGRAFIA DI ASSISI 77

e criticamente certi ; e se a volte — come può accadere — tale cer-
tezza non si ha per qualche nominativo, per essere il medesimo solo
apparentemente legato all’albero genealogico che si vuol redigere, è
saggia e prudente norma o totalmente escluderlo dall’albero, oppure,
nel caso che vi si voglia inserire, accompagnarlo con un segno di dub-
bio e una nota giustificativa al riguardo.

Bene perciò ha fatto il Fortini in questa seconda edizione della
sua opera ad espungere del tutto dall’albero genealogico di San Fran-
cesco quell’Adamuccio, che nel 1926 aveva erroneamente ritenuto
bisavolo del Santo per aver trovato in un documento del 1193 un
Bernardonus Adamucci, e per aver creduto che il nome Bernardone
— alterazione dell’originario Bernardo — non poteva essere caratte-
ristico se non di una sola persona ?). Infatti, il nome Bernardone in
quei tempi in Assisi non era affatto caratteristico di un solo individuo,
avendolo noi trovato comune a parecchi personaggi della Città e del
contado ?).

Non crediamo, però, che lo stesso storico ‘assisano abbia fatto
parimenti bene ad includere nell’albero genealogico, che presenta
ora agli studiosi, i nominativi Pietro (sec. xit), Bernardo (1116-1124),
ancora un altro Pietro quali ascendenti di Bernardone nonno di San
Francesco, e un Rustico (1135) quale fratello di Bernardone ?) : sono
infatti nominativi tratti da dati troppo incerti e troppo insuffi-
cienti per fabbricarvi una appena plausibile ipotesi, senza dire che
gli stessi dati sono facilmente applicabili a parecchie altre genealogie.
A tutto ciò infine si può aggiungere, che il noto scritto « De cognatione
beati Francisci » compilato nel 1365, cioè quando erano ancora in
vita gli ultimi discendenti di Pietro di Bernardone, non menziona
affatto alcuno di quei nominativi messi innanzi dal Fortini. *)

*
* *

Ma ci sono altri nomi nel casato di San Francesco, che per es-
sere strettamente legati alla questione che trattiamo meritano di
essere esaminati ; nomi intorno ai quali l’A. della Nova vita discorre
parecchio, ma con dubbi, interpretazioni e induzioni campate in
aria : sono i nomi di Pica madre del Santo, e di Piccardo primo ni-
pote del medesimo.

Alludendo a un nostro studio *) nel quale documentavamo che
la madre di San Francesco per battesimo si chiamava Giovanna
e che solo per una circostanza apparentemente strana e bizzarra veri-











78 GIUSEPPE ABATE

ficatasi nella nascita del suo primo figlio (Francesco) ebbe poi dalla
voce popolare il soprannome di « La Pica » *), lo storico assisano
mostra di dubitare sia dell’una che dell’altra nostra affermazione,
per insistere poi nel suo vecchio ma insostenibile avviso (per il quale
poi, come in altri casi, si sforzerà ma invano di addurre conferma)
che invece il vero nome della madre del Santo fosse Pica e che perciò
la donna non ebbe alcun soprannome, e che infine quello stesso nome
richiama il paese di origine della donna medesima.

Intanto, prima di riportare il testo esatto della Nova vita e di
farvi le necessarie chiose, crediamo opportuno segnalare che non è
solo dalla « Vita S. Francisci anonyma » di Bruxelles *) che il vero
nome della madre di San Francesco viene indicato in quello di Gio-
vanna, ma la medesima indicazione (non certo recente, nè sospetta)
ci è stata data dal celebre umanista fiorentino Giannozzo Manetti
(1396-1459), il quale, in una sua opera rimasta incompiuta e inedita,
scrisse :

« Franciscus in oppido Asisii, Bernardonis cuiusdam mercatoris et Io -
hannae uxoris suae filius, tantis et tam magnis naturae muneribus or-
natus fuit ..... » 8).

Le testimonianze sono concordi e indipendenti *). Esse inoltre
non offrono alcun appiglio a dubitare della loro validità storica, e,
aggiungiamo, per questo stesso motivo suppongono una fonte piü
antica, che ancora é a noi ignota.

Se pertanto noi volessimo, in questo caso, far nostro il criterio
tante e tante volte messo innanzi ed usato dal Fortini, che nella con-
suetudine assisana si dava al primo nepote il nome dell'avo pa-
terno se maschio e quello dell'ava materna se femmina, avremmo
una doppia conferma dell'asserto dell'Anonimo di Bruxelles e di
Giannozzo Manetti: una positiva, e una negativa.

La prova positiva è costituita dal fatto che la prima nipote della
madre di San Francesco ebbe nome Giovanna (Johannola, figlia di
Giovannetto) ; la prova negativa è data pure dal fatto che nessuna
femmina del casato del Santo ebbe mai il nome di Pica !°) come in-
vece avrebbe richiesto l’uso testè ricordato. Si sa infatti, che quattro
furono le nipoti di Madonna Pica fin tanto che la «cognatio ultra
non processit »: due, monache clarisse entrambe, si chiamarono
Francesca e Chiara ; le altre due invece ebbero il nome Giovanna.
Noi, comunque, crediamo che il nostro caso non ha bisogno di alcuna
conferma, bastando all’uopo quelle antiche testimonianze.













LA CASA NATALE DI S. FRANCESCO E LA TOPOGRAFIA DI ASSISI 79

*
* *
In Nova vita, p. 94, è detto :

«Secondo l’ Anonimo di Bruxelles, Pietro Bernardone !), cittadino di
Assisi, habuit uxorem nomine Iohannam. Se questa notizia è esatta, bisogne-
rebbe dedurne che il nome di Pica, con il quale nei biografi anteriori e negli
stessi documenti fu chiamata la madre del Santo, altro non sia che un nome
aggiunto, o soprannome (A). Non crediamo tuttavia che esso sia da spiegarsi
con Pica, voglia o desiderio bizzarro in stato di gravidanza, che dovrebbe
essere emesso con il desiderio (B) che spinse la moglie di Pietro Bernardone a
recarsi in una stalla per partorire, ma piuttosto richiami il paese di origine
della donna 13).

L’origine francese di Pica, affermata da fonti ispirate probabilmente
ad un’antica leggenda, ma non anteriori al secolo xvi è tutt’altro che impro-
babile se si pensa ai frequenti viaggi di Pietro Bernardone in Francia ; al
nome di Francesco, sinonimo di francese, che egli volle imporre al proplio
figlio ; alla buona conoscenza che il Santo ebbe della lingua francese ; all'amore
che sempre serbó per la terra di Francia (C).

Nulla tuttavia ci puó confermare in questa ipotesi tranne quel nome
stesso di Pica, che potrebbe stare a significare la regione di provenienza della
madre del Santo. Si vuole infatti che dalla parola francese « pique » abbiano
assunto la loro denominazione gli antichi abitanti della Picardia (D).....

Una conferma di quanto affermiamo potrebbe vedersi nel fatto che il
fratello del Santo, « Angelo di Pica », cosi conosciuto anche negli atti pubblici,
volendo trasmettere il nome materno !*) ad uno dei suoi figli, e non avendo che
discendenti maschi, chiamó uno di questi, e probabilmente il maggiore, Pi-
cardus, e cioè Piccardo ..... ».

Il brano riportato é lungo e molte le inesattezze in esso contenute.
Ecco pertanto il nostro commento :

A) Nulla è in ciò di sorprendente e di eccezionale. È uso anti-
chissimo riscontrato ovunque, che ad un nome personale originario,
in seguito a particolare circostanza o avvenimento, accada talvolta
se ne aggiunga un altro, che poi del tutto soppianta il primo non
soltanto negli atti privati, ma anche negli atti pubblici *?). Il santo
Patriarca di Assisi, ad esempio, ebbe a battesimo il nome di Giovanni,
ma in quasi tutti i documenti che lo riguardano fu detto Francesco
dal nome poi datogli dal padre.






































80 GIUSEPPE ABATE

B) Che cosa precisamente voglia dire il testo fortiniano, noi
non sappiamo ; comunque, crediamo opportuno riportare, per quei
lettori che non l’avessero sotto mano, il breve ed onesto racconto.

L’Anonimo, dopo aver detto che la moglie di Pietro di Bernar-
done fu una donna piissima, aggiunge :

«Hec enim sepulcrum Domini et locum beati Michaelis ar-
cangeli. ac limina Apostolorum devotissime visitavit et alia sanctuaria visi-
tare cotidie affectabat. Cumque devotissime in suis oracionibus filium Domino
postularet: semper ipsum iuxta Dei beneplacita postulabat: Cum autem
mater filium concepisset et ipsa more solido ad partum devenisset, et languere
cepisset propter angustias sui partus : Et cum ipsa puerum parere non posset :
occurrit sibi ad memoriam partum Virginis gloriose et locum hu-
militatis. in quo Dominum parturivit. Unde affectans: stabulum
ipsa peciit et descendens: cum ibi bovem et asinum adduxissent:
iuxta suum beneplacitum voluntatis. ia medio corum suum
filium cum paucis doloribus parturivit...» (Cod. cit, fol. 1 ; cfr. ABATE,
Storia e leggenda . . ., in Misc. Franc., 1949, p. 532 ; estratto p. 21).

Come si rileva da questo testo, la volontà in Madonna Giovanna
solo apparentemente e agli occhi del volgo fu una voglia bizzarra
originata da psicacismo, mentre invece in realtà fu una pia ispira-
zione suscitata dalla meditazione delle circostanze della nascita di
Gesü in quella grotta di Betleem, che la donna poco tempo prima
aveva visitato. Pertanto fu il «fatto » esterno, insolito, colorito,
stravagante, che originò l’ironico nomignolo, non già la pia ispira-
zione nota a pochi familiari e forse non intelligibile e apprezzabile
per gli strati inferiori del volgo.

C) L’affermazione che la presunta origine francese di Pica
si debba «probabilmente » a un’antica «leggenda » è una trovata
dello scrittore assisano ; non sembra infatti che ci siano « antiche »
leggende al riguardo, nè mai alcuno anteriormente al 1703 — cioè
prima che il P. Claudio Frassen (un francese) scrivesse che madonna
Pica fu della famiglia Bourlemont in Provenza — attribuì alla madre
di San Francesco una provenienza gallica. Manca perciò una accetta-
bile e valida tradizione.

Nella prima edizione della Nova vita, p. 42, nota 74, era detto
che «l'ipotesi che la madre del Santo, Pica, fosse di origine francese . . .
e tut'taltro che suffragata da buoni argomenti » ; in questa seconda
edizione della stessa opera, l’A. invece — nella persuasione di poter

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! e foe miti fin paia stò St fit ormone $8 Comes fs int fe mit
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23.7

Assisi, Arch. Stor. Comunale, n. 405,



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Archivio storico del Sacro Convento di Assisi: Strum. V, Pergam. N. 40b.









Tav. XVIII




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LA CASA NATALE DI S. FRANCESCO E LA TOPOGRAFIA DI ASSISI 81

egli dare i buoni argomenti — afferma proprio il contrario, dice cioé
che quella stessa ipotesi «e tutt'altro che improbabile », salvo poi a
scrivere poche righe dopo che nulla può confermare quella stessa ipo-
tesi tranne il nome stesso di Pica, il che equivale a dire che gli argo-
menti da lui stesso ora apportati a favore di quella più che proba-
bilità non valgono nulla.

Ed è vero.

Troppo ingenuo è difatti asserire che i frequenti viaggi compiuti
da un Tizio mercante in un paese straniero possano seriamente far
pensare che la moglie sia originaria di quel tale paese; come ingenuo
è del pari, allo stesso scopo, trarre argomento dal nome « Francesco »,
dalla conoscenza che il Santo ebbe della lingua francese, nonchè
dall’amore particolare che lo stesso Patriarca di Assisi ebbe per la
terra di Francia.

Invero, se l’A. della Nova vita avesse tenuto conto (come avrebbe
dovuto fare) dell’eruditissimo studio di M. Biur, edito in Arch. Franc.
Hisl., xix, 1926, pp. 470-529, avrebbe lodevolmente risparmiato ai
lettori della sua opera la sgradevole impressione che producono nel-
l'animo quelle infondate e poco serie osservazioni critiche. In quello
studio infatti si prova che non pochi personaggi vissuti anterior-
mente e contemporaneamente al Santo di Assisi ebbero nome Fran-
cesco, senza che peraltro avessero origini francesi ; e si prova inoltre,
che in nessun modo si può dimostrare che la sposa di Pietro di Ber-
nardone fu originaria di Piccardia o di Provenza, o di altra regione
di Francia, a meno che non si faccia ricorso a «stolte genealogie »
oppure (aggiungiamo noi) a distorte e gratuite interpretazioni filo-
logiche.

D) Che gli abitanti della Piccardia (con due c in italiano, e
non già con una) abbiano assunto la loro denominazione dalla parola
francese « pique » è notizia che, nel nostro caso, va integrata con la
spiegazione in italiano della stessa parola qui citata ; e ciò va fatto
non per vana pignoleria polemica, ma perchè dalla conoscenza esatta
di quel significato possano trarsi conclusioni chiare e rette.

« Pique » in francese, primieramente e nel suo significato proprio,
vuol dire arma in asta con punta di acciaio, a lingua di carpione ;
Secondariamente poi, e in senso translato « pique » significa punti-
glio, risentimento e simili. Orbene se l'uno o l'altro dei due signifi-
cati puó avere relazione con « Piccardia » regione di Francia, non

6











82 GIUSEPPE ABATE

può invece averne alcuna col nomignolo di « Pica » dato ironicamente
alla madre di San Francesco dal popolo di Assisi, perchè in italiano
tale vocabolo si riferisce a un certo uccello detto gazza nel suo
significato proprio, e a voglia di donna incinta nel suo significato
translato e medico.

Mettere dunque in relazione Madonna Pica (che non fu certo
...un’arma da guerra, nè una donna turbolenta e ostinata) con la
Piccardia è un grave errore filologico e storico.

A proposito di quanto abbiamo detto sopra ci sia consentito
riportare quanto si legge presso CH. DezoBRY-TH. BACHELET, Dic-
tionnaire général de biographie et d’histoire..., Paris Dezobry et C.
éditeur, 1861, 11, p. 2119:

«lle le nom de Picardie, employé pour désigner la reunion de ces pe-
tites souverainités ne parait pas remonter audelà du xiu? siécle : on le fait dé-
river, soit du latin Picardus, soldat armé de la pique, parce que les habitans
de ces contrées étaint habils dans le maniement de cette arme, soit du vieux
mot francais Picard, signifiant turbulent, querelleur...». Le stesse cose son
dette da M. N. BourLrET, Dictionn. universel d'histoire et de geographie, Paris,
Hachette, 1893, p. 1497.

*
* *

Pertanto se è un errore mettere in relazione di dipendenza il
nome personale Pica con la regione francese di Piccardia — anche
perchè in tal caso la forma di quel nome dovrebbe essere in latino
e in italiano Picca (arma) e non Pica (uccello) — è parimenti errore
far dipendere, in ogni caso, il nome personale Piccardo dal vocabolo
geografico Piccardia : il primo infatti, che significa «soldato porta-
tore di picca », è storicamente anteriore di molto al secondo.
Perciò anche se la madre di San Francesco si fosse chiamata Pic-
carda e non Pica, quel nome non sarebbe stato probativo per sup-
porla di quella terra di Francia !*).

E, invero, affermazione unanime, e documentata, degli studiosi
di onomastica od antroponimia, che un nome personale di signifi-
cato geografico non implica affatto di per sé una relazione col paese
al quale si intona !*), come nel caso specifico che trattiamo non è
per nulla accertato che Piccardo equivalga a nativo od originario
della Piccardia, non potendosi trascurare, fra l’altro, le radici germa-
niche pick = pungere, ferire, donde in italiano picchiare, beccare, e
hard, hart = forte, ardito 1°).







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LA CASA NATALE DI S. FRANCESCO E LA TOPOGRAFIA DI ASSISI 83

Del resto poi (tanto per restare ancora un pó in argomento) chi
volesse fare delle indagini sulla diffusione in Italia del nome perso-
nale Piccardo sia per il tempo in cui visse il famoso nipote di San
Francesco, come anche per prima e dopo, troverebbe che non pochi
furono gli individui, i quali, pur avendo quel nome singolare, tuttavia
nulla ebbero di comune con la regione francese di Piccardia. Noi,
ad esempio, ne abbiamo trovato uno a Chiavari nel 1163, un altro a
Cosenza nel 1278, un terzo a Ninfa del Lazio, un quarto a Vezzano
nel 1312 ; e, infine, restringendo le ricerche alla regione Umbra, un
Piccardino (vezzeggiativo di Piccardo) a Narni quasi contempora-
neo di San Francesco ; un Piccardo di Manente a Spoleto nel 1302 ;
e nella stessa Assisi un Piccardo di Vegnata, il quale fu presente in-
sieme al Piccardo di Angelo (nipote di San Francesco) a un rogito
stipulato in San Rufino nel 1266 ; e, per ultimi, un Piccardo padre
di un Martino che ricorre al 1316 ed era della balia di San Nicolò,
nonchè un Piccardo di Nicola, che troviamo a del Sacro Con-
vento nel 1312.

Ed ora, senza alcun ulteriore commento sulla italianità di San
Francesco anche da parte materna *), passiamo ad altro.

*
* >

Per l’A. della Nova vita — come già per altri — la nascita di
San Francesco in una stalla non è che una leggenda e, per di più,
una leggenda « inattendibile » (p. 21), come se mai nessuno al mondo,
per una circostanza o per un’altra, fosse nato in una stalla, mentre
invece è storia che ci sono nati tanti, e tra questi San Camillo de Lellis e
San Giuseppe da Copertino, per i quali noi abbiamo già dato la rela-
tiva documentazione in uno studio particolare sulla nascita del
Santo di Assisi ?*), studio che lo scrittore assisano (pur conoscendolo)
s'é dimenticato di citare a p. 22, nota 4, ov'egli dà la bibliografia
piü recente intorno alla attendibilità o meno della leggenda stessa.

Pertanto, se l'opinione personale di quell'A. c'interessa poco,
non possiamo fare a meno di osservare (come abbiamo scritto altre
volte) che la questione della casa paterna di San Francesco é del
tutto indipendente dal fatto vero o leggendario se il Santo sia nato
o no in una stalla *°), e perciò il Fortini avrebbe dovuto trattarla a
parte, e non frammischiarla alle questioni sulla casa, ripetendo poi
i soliti luoghi comuni messi già innanzi dagli altri. Ma poichè quel-
l’A., senza alcuna esitazione, senza un « forse » di prudenza e di ri-















84 GIUSEPPE ABATE

serva, quasi che quella nascita fosse per sua natura impossibile
ed assurda, afferma che la cosiddetta leggenda «è evidente -
mente ispirata dal desiderio ... di voler fare della vita di Fran-
cesco una copia perfetta di quella di Gesù Cristo » (p. 22), ci sia con-
sentito chiedere allo stesso A. come da un « desiderio » semplicemente
affermato o supposto (premessa) si possa avere l'evidenza posi
tiva o negativa di un «fatto » esterno che altri fattori affermano
o negano. Che il Fortini dia la prova, sicura e non sofistica, di tale
evidenza, perchè noi crediamo, che una verità va qualificata
evidente solo quando essa — tanto è chiara e manifesta in se
stessa — non può in alcun modo essere sottoposta a dubbio. Ma
ciò non si verifica per l’ispirazione asserita, dato che il fatto narrato
dalla cosiddetta leggenda può essere realmente avvenuto per San
Francesco, come realmente è avvenuto per altri, e perciò è per lo
meno possibile; e dove c'è una possibilità contraria, l'evidenza
non ci potrà mai essere.

*
* *

Una trattazione estranea al tema della Casa di San Francesco
è quella che lo scrittore assisano fa alle pp. 53-56 e 61-62, ove tesse
la biografia del famoso fra Francesco di Bartolo della Rossa d'Assisi,
Michelista e compilatore del noto Trattato sull’Indulgenza della
Porziuncola ®!) nonchè (secondo il Fortini) autore di quel Liber
exemplorum, del quale s'é parlato prima in questo studio. Purtroppo
peró tale trattazione (lo diciamo con molto nostro rincrescimento)
é tutta una confusione per i molti suoi dati inesatti e per le sue non
poche congetture contraddittorie e infondate.

È vero, che il « curriculum vitae » di Francesco di Bartolo della
Rossa non ci é del tutto noto, non ostante i vari studi che di recente
siano stati fatti dal SABATIER ®), dal Fumi ®) e dal MERCATI **);
ma non è da credere in alcun modo che il Fortini abbia portato «im-
portanti documenti a tutt'oggi sconosciuti », perchè i cosiddetti nuovi
documenti non possono riguardare in alcun modo il Bartoli della
Rossa, vivendo allora in Assisi almeno un altro individuo dallo stesso
nome e dallo stesso primo patronimico, il quale non era frate.

Quasi tutti i dati biografici che si hanno sull’autore del Trat-
tato sull'Indulgenza (eccettuati quelli che son venuti fuori dopo, stu-
diandolo come Michelista) sono i seguenti, ed essi ci sono stati tra-
mandati un secolo e mezzo fa dal P. Nicoló Papini :



“III utt BEES 2e rm











LA CASA NATALE DI S. FRANCESCO E LA TOPOGRAFIA DI ASSISI 85

« Negli ultimi anni del secolo xmr abbracciò l’Istituto.

Nel 1307 era di famiglia in Assisi con Fra Alvaro Pelagio .....

Nel 1312 di studio a Perugia.

Nel 1316 Baccelliere nell'Università di Colonia, da dove rimpatriando
(non so se licenziato o Maestro) portò seco con l'autentica di quell'Arcive-
scovo de'16 settembre 1317 cinque teste delle SS. Vergini compagne di S.
Orsola, e il capo di S. Gereone, come pure de' Capelli e dell'Abito di S. Ludo-
vico Re di Francia, reliquia avuta in dono passando per Parigi dalla Princi-
pessa Bianca figlia del Santo e Monaca Clarissa con l'autentica segnata in
Agosto 1318.

Nellanno 1326 era di stanza nel Convento della Porziuncola....-:
Per qualche anno vi fu Lettore di Sacra Scrittura, cioé la spiegava le Do-
meniche e Feste tra l'anno moralizzandovi sopra ......

Anche nel 1336 egli era occupato in questo lavoro [cioè la compilazione
del Trattato sulU Indulgenza] . . .

Apparisce da un Instrumento conservato in Assisi che nel 1332 era Guar-
diano a San Damiano » ?5).

Noi possiamo aggiungere, che ai 7 luglio 1341, insieme ad altri
frati e secolari, intervenne alla redazione di un testamento (Arch. S.
Conv., Strum., vit, n. 50), come pure teste ad altro rogito testamen-
tario era stato, presso il monastero di S. Chiara, il 16 settembre 1334
(Arch. Comun., Pergam., n. 466): nei due documenti però non è
indicato il secondo patronimico della Rossa, ma si ha solo «. . .fratre
Francisco magistri Bartholi » *°).

Ma se questo è il «curriculum vitae » del Bartoli datoci dagli
studiosi sunnominati, e piü recentemente anche dal P. MicHELE
BiuL?*), diverso e fantastico nel suo complesso è quello presen-
tato dal Fortini, il quale non solo fa nascere il Bartoli circa mezzo
secolo prima di quando è realmente nato e poi morire quasi cente-
nario, ma inoltre — con documenti assai male interpretati — fa in-
tervenire il Bartoli ad atti pubblici ai quali questi indubbiamente
mai partecipò.

Il Bartoli era già frate professo, e da alcuni anni, in Assisi nel-
l'agosto del 1315; in quello stesso anno si trova a Perugia come
studente di teologia; nel 1316-17 è pure studente a Colonia, e nel
1317-18 se non ancora a Colonia, probabilmente a Parigi, come non
senza fondamento opina il Bihl **) : € perció da ritenere come certo
che a quel tempo il Bartoli fosse un giovane di circa 25-30 anni al
massimo, il che equivale a dire che era nato circa il 1288-93.

Non é poi da supporre che al Fortini i predetti certissimi dati









86 GIUSEPPE ABATE

dello studentato del Bartoli fossero sconosciuti, perchè in
verità li riporta anch’egli a p. 54; ma, persuaso com’è che quel
frate verso il 1260 era un adolescente di circa venti anni
(p. 61), non si accorge che, con la sua cronologia, presenta il Bartoli
come studente di teologia a Perugia e a Colonia quando era già
vecchio di 75-78 anni.

Esaminiamo ora gli «importanti » documenti che, nell’opinione
dello storico assisano, vengono ad integrare le notizie sul Bartoli
' dateci dal Waddingo, dallo Sbaraglia e dal Sabatier. Essi sono:

1) Un atto dell'Arch. Com. del 3 dicembre 1298, dove egli
(Franciscus Bartoli) interviene come teste in un patto di pace (M 2,
f. A» : Nova vita, p. 54). Ma in questo documento si ha un « Franciscus
Bartoli » ch'é un omonimo del nostro frate : difatti non ha la qualifica
di religioso ed é il primo di quattro testimoni che sono tutti laici,
senza dire che a quell'anno il Bartolo della Rossa non era in età di
far da testimonio in un atto pubblico perché era ancora un ragazzo ;

2) «Si sa che aveva la casa in porta S. Giacomo ; un rogito
dell'Archivio della Cattedrale del 1303 (fasc. rv, n. 2) figura actum
Asisii in porta Sancti Jacobi, ante domum olim Franciscoli Bartholi,
onde si deduce che in quest'anno la casa non era piü sua, forse
perchè egli aveva già preso l’abito dei frati Minori » (l. c.). L'inge-
nuità dell’identificazione fortiniana e relativa chiosa — dopo quanto
abbiamo detto sopra — ci dispensa da ogni commento ;

3) « Nel 1310 è teste con Ceccolo di Piccardo, a un atto sti-
pulato nella chiesa di San Francesco » (l. c.) : « Actum Asisii, in loco
beati Francisci, presentibus Cicolo Picardi . .. et. magistro Francisco
magistri Bariholi » Anche questo è un documento che nulla ha di
comune con il Bartoli del Trattato : il personaggio in esso menzio-
nato è un omonimo di quello, ed è un laico. Difatti non ha la qualifica
di frate, senza dire che il Bartoli-frate nel 1310 non solo non era un
« Magister » in Teologia, ma non era ancora nemmeno uno « studens »
della medesima sacra disciplina, come abbiamo già documentato e
come ci fa sapere lo stesso Fortini nella medesima p. 54 ??).

Ed ora passiamo ad esaminare l’altra gratuita affermazione,
che si ha nella Nova vita, quella cioè che il Bartoli della Rossa va con-
siderato come l'autore del Liber exemplorum.

Ecco il testo fortiniano (p. 53):

«Fra Mariano da Firenze, nella sua Vita di San Francesco narrando
l'episodio del Pellegrino che prese nelle sue braccia il Santo appena nato,





pc gum ORT













LA CASA NATALE DI S. FRANCESCO E LA TOPOGRAFIA DI ASSISI 87

scrive : « Dipoi nella destra parte della spalla con la sua mano l’imprexe el
segno della crocie, dicendo : — Oggi in questa via sono nati due fanciulli, uno
dei quali è questo che sarà uno de’ migliori uomini del mondo. Ma l’altro dei
più chattivi. Et questo fu uno che si chiamò Azolino de Navata, come scrive
maestro Francesco de Assisi, il quale fu uomo pessimo et fecie di molto
male » 89).

Questo maestro Francesco di Assisi altri non è che il maestro Francesco
di Bartolo da Assisi, autore del famoso Tractatus de Indulgentia ».

Come si vede, l’affermazione fortiniana non ammette dubbi, non
affaccia probabilità : è categorica (« è »); ma è del tutto gratuita ed
arbitraria. Nessun documento la prova ; nessun bibliografo mai ha
detto ciò ; nè, in verità, dà un appiglio a sospettarlo lo stesso fra
Mariano da Firenze, il quale peraltro, conoscendo il Bartoli del
Trattato, lo avrebbe indicato in maniera più precisa e meno generica.

Del resto, a dimostrare irrimediabilmente acritica l’attribuzione
fortiniana bastano i due seguenti rilievi :

1) L'autore del Liber exemplorum — come ammette anche il
Fortini *) — ascoltò alcuni dei suoi racconti tra il 1271 e il 1280, e
allora certamente fra Francesco di Bartolo della Rossa non era nem-
meno nato ;

2) L'autore di quel libro raccolse e registró quegli « exempla »
in Assisi, a Parigi e in altri conventi francescani da «frate », e Fran-
cesco di Bartolo non si fece « frate » se non posteriormente di alcuni
decenni alla composizione di quel Liber.

Ma l'importanza di questi rilievi non é sfuggita alla mente sofi-
stica dello scrittore assisano, e perció, nello sforzo di annullarne la
« vis » probativa, ha opposto ad essi un ragionamento esegetico che,
sebbene immeritevole della minima considerazione, crediamo utile
riportare, affinché i nostri lettori giudichino anche da sé quali siano
i procedimenti critici usati, anche in questo caso, dallo scrittore della
Nova vita di San Francesco d' Assisi :

«... l'autore degli Exempla ebbe due centri principali di raccolta, Parigi
e Assisi... Altri anneddoti riguardano la Germania, e piü specialmente
Colonia...

Tutto ció ci porta a domandare se l'autore di tali Exempla non possa
essere quel Francesco di Bartolo che, come vedemmo, fu nel convento di
Assisi..... si recó nel 1316 in Colonia..... frequentó nel 1318 lo studio
di Parigi.....

A questo proposito [la dimora del Bartoli nel convento di Assisi nel 1315]
è anche interessante l'episodio riferito al n. 95 *). Un vecchio artigiano di











88 GIUSEPPE ABATE



ASSISI, raccontava molte cose intorno alla nascita di San Francesco . . . .
affermando di averlo veduto .....

Poichè, a nostro giudizio, la circostanza dell’avere Severino veduto il
Santo va riferita a quello stesso tempo della nascita di questi, come è fatto
palese dal senso logico e grammaticale, se ne deduce che, anche ove Severino
fosse stato in tale tempo un ragazzo, l’epoca del suo racconto, ammettendo
che il longum senium avesse potuto consistere in una età di novanta anni,
doveva essere verso il 1260 ®3). In questo tempo Francesco di Bartolo era
dunque un adolescente. Se ne potrebbe concludere che aveva circa venti anni
quando frequentava per la prima volta il convento di Assisi. Nè è detto che
tale frequenza dovesse necessariamente trovare una spiegazione nella sua
qualità di religioso, poichè abbiamo numerosi esempi di persone che, essendo
nel secolo, si recavano frequentemente nel convento, partecipavano alla vita
dei frati ed erano parte grandissima nei loro affari, specialmente per quanto
riguardava la costruzione della chiesa. La qualifica di maestro data al padre
di Francesco, Bartolo, potrebbe confermare tali rapporti ..... 84),

La scrittura del codice, secondo il P. Oliger, è della fine del sec. xi 0
del principio del sec. xiv.

Tenuti presenti questi elementi, si arriva alla conclusione che il Liber
exemplorum fu compilato da un frate che si trovó nel Convento di Assisi, fra
l'altro, nel 1315. Tale frate puó identificarsi con quel Francesco di Bartolo
di Assisi, il quale scrisse la maggior parte della sua opera [il detto Liber exem-
plorum] dopo il suo ritorno in Assisi da Colonia e da Parigi, e cioè tra il 1318
e il 1319 » (Nova vita, pp. 60-62).

Pertanto la verità é, che tenuti presenti gli elementi messi in-
nanzi nelle pagine testé riassunte, si arriva alla conclusione che
nella tentata attribuzione del Liber exemplorum a fra Francesco di
Bartolo si riscontra ancora una prova della acriticità che accompagna
ovunque la Nova vita fortiniana.

x"

Nella narrazione dell'episodio del Pellegrino fatta dalla Leg-
genda dei tre Compagni, e da tutte le altre antiche fonti che riferi-
scono quell’avvenimento, si ha una frase che localizza la Casa di
San Francesco come esistente in un vicus (in vico isto), che il P. Abate
in armonia con analoghi documenti assisani e con la realtà mate-
riale e visibile, nonchè sull’esempio di antichi storici dell’Osser-
vanza **) ha interpretato per vicolo, ossia via stretta.

Quella breve frase pertanto cosi intesa impedisce radicalmente
che possa essere presa in qualche considerazione sia la pseudo-casa







LA CASA NATALE DI S. FRANCESCO E LA TOPOGRAFIA DI ASSISI 89

paterna (oggi Chiesa Nuova) messa innanzi nel 1615 da Giambattista
Bini, sia la finora ignota casa di Via San Paolo oggi presentata dal
Fortini come la vera casa di Pietro di Bernardone : infatti i soste-
nitori dell'una e dell'altra casa — pur differendo nella designazione
della località precisa — convengono nell’affermare che la domus
sancti Francisci (quella di abitazione) era in una piazza, e proprio
nella Piazza del Comune. Piazza e vicolo non sono certa-
mente la stessa cosa.

Nessuna meraviglia quindi, se il Fortini e i suoi consorti si siano
molto affannati a sostenere — in contrapposizione al P. Abate —
che la parola vicus, nel testo dell’accennata narrazione, ha il signi-
ficato di contrada, rione, quartiere ?*).

Nella Nova vita (p. 63) è detto :

«Questo punto della controversia si supera facilmente, ove si pensi che
la parola vicus ha qui [cioè nella Leggenda dei Tre Compagni] un significato
proprio, che va messo in relazione con le antiche suddivisioni della città al
tempo del Santo. :

Già fin dal tempo di Roma le città erano divise in vici, nel senso di con-
trade, quartieri, vere unità non soltanto territoriali, ma altresi amministra-

La città longobardo-franca accetta tale divisione, onde nel sinodo tici-
nese dell’850 si parla di urbium loci .... . ecc. » 87).

Canto fuori coro. Lo sanno tutti quanto dal Fortini viene qui
riferito riguardo all'antica Roma e alle città longobardo-franche ;
ma il punto della questione nostra é un altro, cioé se la città di As-
sisi al tempo di San Francesco era divisa per vici oppure per porte, e
inoltre se vicus nella stessa Assisi non avesse nel linguaggio comune
il significato di via, via stretta, vicolo. Noi lo abbiamo affermato e
documentato ; ma ciò non ostante il nostro contraddittore scrive :

« Il P. Abate sostiene che la città di Assisi conobbe nel medio evo una di-
visione per porte o terzieri, ma non una divisione per vici ?*). Ció non è esatto
per l'epoca del Santo, nella quale si ha traccia proprio di una divisione per
vici e vicinie. E invero in un atto dell'Arch. Catt. del 1193 (fasc. 11, n. 149), la
vendita riguarda parte di una casa in vico sancti Ruphini, la quale indicazione
verrà, nei contratti posteriori, sostituita con quella della porta. In un atto del
1218 (Arch. S. Conv., Strum., vol. rv, n. 4) è contenuta la vendita di una casa
e di un casalino posti in porta Sancti Antonii, confinanti la strada e la torre di
Perlici, nonché altro casalino posto in eadem convicinia » (Nova vita, p. 63).











90 GIUSEPPE ABATE

Orbene, restringere l’interpretazione del vicus del documento
del 1193 a «quartiere » è un arbitrio, perchè quello stesso termine
può significare anche «vicolo, via vicinale, strada stretta fra ceppi
di case » come si riscontra nelle carte assisane *?).

Che poi al tempo di San Francesco (nato nel 1182 e morto nel
1226) Assisi fosse divisa in portee non in vici lo provano
indubbiamente i seguenti documenti del 1214 e 1218:

a) An. 1214: — Rogito riguardante una casa situata in
porta Sancti Ruphini (Arch. della Cattedr., fasc. mi, n. 18; presso
Fortini, 111, p. 300);

b) An. 1218: — Altro atto riguardante una casa e un casa-
lino situati in porta Sancti Antonii (Arch. S. Conv., Strum., rv, n. 4;
documento citato sopra dallo stesso Fortini, Nova vita, 11, p. 63).

Ma se importante è la constatazione che vicus in Assisi non è
usato nel suo significato classico e antico di contrada, rione, borgo,
non è meno notevole il fatto che la stessa parola dai notari assisani è
adoperata unicamente per designare un vicolo, ossia una stradetta
tra casa e casa :

a) An. 1405 : — Actum... in strata sancti Francisci, iuxta
ipsam stratam pubblicam, vicum mediantem ipsas domos, (Arch.
Notar., Protoc. di Cecco di Bevignate, B. n. 2, fol. 17) ;

b) An. 1434 : — Controversia fra due possessori di case con-
finanti situate in Porta S. Chiara: «... Item sententiamus quod
porta et murus ipsius portae, qui sunt in quodam vico inter domum
Christofani et domum Egidii...» (Prot. di Angelino Allegretti, R.
n. 7, fol. 80);

c) An. 1511: — Il notaro Silvio Allegretti nel descrivere i
confini di una casa di Porta S. Chiara situata in quel vicolo (ora
chiuso da una parte) che si trova a ridosso della Casa di S. Francesco,
ha: «...iuxta stratam pubblicam ab imo versus planum, ab alio
versus sanctam Claram et Portam Novam vicum sive re m-
boccum et domum quae fuit olim dicti emptoris, ab alio versus
montem et stratam magnam [la Via del Ceppo della Catena] domus
Lippi Galassi..., ab alio versus Perusium domus Mariocti Jacobi
Insegniae... [Abbiamo altrove ampiamente documentato che la casa
di questo Mariotto circondava e sovrastava immediatamente l'Ora-
torio di S. Francesco Piccolino, detto dallo stesso notaro Allegretti,
nel 1508, « Sacellum, in quo natus fuit Seraficus Pater et Advocatus
noster Sanctus Franciscus »] (Arch. Not., Protoc. R. n. 13, fol. 247) ;

d) An. 1519: — «Actum ...in Porta Sancti Rufini, in quo-

















LA CASA NATALE DI S. FRANCESCO E LA TOPOGRAFIA DI ASSISI 91

dam vicoseurembocco juxta domum Raynaldi...» (Arch.
cit., Protoc. di Battista Bini, Q. n. 35, fol. 70) ;

e) An. 1527: — «Actum... in Porta Sancti Rufini, in
vicho sive rembucco juxta domum heredum Angeli Biga-
relli . . . » (stesso notaro, Q. n. 37, fol. 642).

*
*ock

Sempre intento ad accogliere e a ripresentare come vero quanto
è stato detto da altri per svalutare la documentazione che identifica
l'Oratorio di San Francesco Piccolino con la casa paterna e natale
del Santo, l'A. della Nova vita prende in esame, a p. 34, una testimo-
nianza della seconda metà del sec. xvi'?) per poi concludere (ma
erroneamente) che a quel tempo c'erano in Assisi due edifici
distinti — cioé una «casa paterna » situata nel luogo dove oggi tro-
vasi la Chiesa Nuova, e una «stalletta » della nascita — i quali per
diverse ragioni erano fatti segno all'osservazione e al culto dei fedeli:

« Nella Guida scritta intorno al 1570 dal Minore Conventuale fra Ludovico
da Pietralunga si legge : « Passando poi la piazza, seguendo la strada a man
destra a piano, per spazio de un trare de sasso, gli è la Casa di S. Francesco.
Presso lì a un certo vicolo, gli è accanto un vicolo, gli è una chiesetta pic-
cola detta S. Francesco piccolino ». Si tratta evidentemente di due distinte
località : la casa della futura Chiesa Nuova, cui si perviene, percorsa la
piazza del Comune, volgendo a destra, lungo il lato del Palazzo comunale
leggermente in declivio ; la « stalletta », posta anche oggi alla fine del vicolo
che dalla piazzetta della Chiesa Nuova si svolge sino ad incrociare con l’altro
vicolo, detto dello Spirito Santo, lungo il quale è posta la stalletta stessa » *!).

Ed ora, mentre preghiamo i nostri cortesi lettori di consultare
anche quanto a riguardo di questa testimonianza scrivemmo già
nel 1941 nel nostro volume La casa etc., pp. 251-52 e 355-56, ecco
il nostro commento :

a) «Passando poi la piazza, seguendo a man destra la strada » :
La piazza è quella del Comune. Dal lato destro di essa allora *)
non si partivano che due strade : quella a sinistra e in salita che con-
duceva alla chiesa di San Rufino, e quella a destra e al livello della
piazza che conduceva alla chiesa di Santa Chiara e sino ai tempi a
noi vicini era detta Via del Ceppo della Catena.

Tra l’angolo estremo del Palazzo dei Priori e il principio della
Via di Santa Chiara o del Ceppo della Catena, cioè nel lato meridio-

















92 GIUSEPPE ABATE

nale della piazza del Comune, non c'era — come non c'è nemmeno
oggi — alcuna strada, ma c'era e c'é l'accesso in discesa alla
Piazzetta del Macello, detta ora Piazzetta della Chiesa Nuova. Una
catena, una volta, segnava il confine fra la Piazza grande e la Piaz-
zetta. Quell'accesso una volta era in declivio maggiore di quanto
non sia attualmente ; esso era in pendio come la vicina e parallela
Via dell’Arco dei Priori.

Fra Ludovico parla di una strada e a piano, e non dice
— come invece avrebbe dovuto dire, se avesse voluto indicare l’ac-
cesso alla Piazza del Macello — «percorsa la piazza del Comune,
volgendo a destra, lungo il lato del Palazzo comunale...» come,
distorcendo il documento, fa dire al frate l’Avv. Fortini.

b) «a piano ». — Come opportunamente ha messo in rilievo
Giustino Cristofani nella prefazione alla stampa dello scritto di fra
Ludovico, questo autore « tutto minutamente descrive e con grande
esattezza ». Ciò è vero anche nel nostro caso. Per quell’antico frate
la dizione «a piano » equivale «a paro », cioè al medesimo livello ;
riferendosi alla Basilica di San Francesco egli scrive :

«... avanti gli è una piazza... alpiano di ciascheduna chiesa »: cfr.
« Bollettino della R. Deput. di storia Patria per l'Umbria » 1926-27, Estratto
p.9; — «Circa all’intrata discende un gradile overo scalone solo, poi
a piano doi cruciere...»: l. c. ; — « Peró, intrato che serai della porta,
etdisceso ungrado, vaapiano ; il simile é il primo quadro delli cinque
della navata...»:p. 12; —«..... et andandove verso l’altare maggiore . . -
nel secondo quadro dei cinque, in sino a mezza la chiesa over navata, si
discende dolcemente; ilresto del corpo della chiesa vaapiano»:
p. 12; — «... ciascheduna chiesa hala sua sacristia... al paro overo al
piano»: p. 14; — «Poi...insino a mezza chiesa si discende over
se va dolcemente, poi spiana, con un pavivento de pietre com-
messe molto bello ...»:1. c.; — «... ancora la sua intrata si è a piano
come quella di sotto »: p. 66.

c) «...per spazio de un trare de sasso, gli è la Casa di San
Francesco . . . ». — Difatti in Via del Ceppo della Catena, alla distanza
di circa metri 40 c’è un assieme di fabbricati, in cui resta incorpo-
ratala «Domus sive Cappella, quae dicitur la Casa de Santo
Francesco »; fabbricati — aggiungiamo — nel 1574 tutti apparte-
nenti al 1° ramo della famiglia Bini, ai quali si accedeva allora, e
anche adesso, dalla Via del Ceppo della Catena o di S. Chiara #).

d) « Presso lì a un certo vicolo ...»; Fra Ludovico, subito









LA CASA NATALE DI S. FRANCESCO E LA TOPOGRAFIA DI ASSISI 93

dopo avere indicato la « Casa di San Francesco », avverte che essa
fa angolo con un vicolo (l’ex-Arco dei Bini, ora detto la Salita dello
Spirito Santo) che permette di scendere sul fianco della casa e di
raggiungere, con una dozzina di gradini e un otto o dieci passi, quella
« chiesetta piccola » che — come afferma lo stesso frate — fu il luogo
dove «nacque San Francesco ».

Fra Ludovico quindi non parla di d u e distinte località, come
afferma il Fortini interpretando soggettivamente il testo; ma di
una sola, e di ciò se ne ha duplice conferma dallo stesso antico frate :

1) la prima conferma ci è data nella riga finale del Ms. auto-
grafo di quell’autore (riga, che nell’edizione per una svista venne
saltata, ma che noi presentiamo in riproduzione fotografica), dove il
Ludovico riassumendo i luoghi da lui fatti visitare ai pellegrini li
enumerava dicendo : « Fondeco. Casa di meser Bernardo. Vescovado.
S. Francesco picolino. et. S. Chiara » **). Nessuna menzione di una
«casa di San Francesco » in Piazza del Macello ;

2) la seconda conferma si ha dal GranpiNELLO edito da Fra
Ludovico una prima volta a Perugia nel 1580, -poi l'anno seguente in
Assisi, e ancora a Perugia nel 1659, ove facendo l’elenco, dandone
una breve descrizione, de « Le Chiese e Luoghi della Città d'Assisi
solite a visitarsi da i Pellegrini » non fa alcuna menzione della pretesa
«Casa paterna» di San Francesco in Piazza del Macello, mentre
invece enumera e menziona : la Porziuncola ; la Basilica di San Fran-
cesco ; la Casa che fu del B. Bernardo da Quintavalle ; la Cappel-
letta [« Appresso la Piazza »] «chiamata S. Francesco piccolino,
luogo dove egli nacque»; la chiesa Cattedrale di S. Rufino, dove
S. Francesco fu battezzato ; S. Damiano fuori della Città ; la chiesa
del luogo delle carceri, dove S. Francesco faceva penitenza ; la Cap-
pelletta del luogo di Rivotorto, dove S. Francesco « principiò il suo
ordine de’ frati Minori, et vi habitò circa due anni, con i suoi dodeci
Compagni...» #5).

*
LE

Dimostrata arbitraria ed errata l'interpretazione fortiniana della
dizione «a piano » di Fra Ludovico, secondo la quale nella seconda
metà del sec. xvi si additava alla osservazione e al culto dei fedeli **)
una pretesa « casa paterna » di San Francesco in Piazza del Macello,
cioè dove poi nel 1615 sorse la Chiesa Nuova, non possiamo fare a
meno di dimostrare (e, secondo il nostro costume, con la riproduzione











































94 GIUSEPPE ABATE

fotografica dei documenti) la arbitrarietà di un’altra affermazione
che si legge a p. 26 della Nova vita (attribuita, è vero, ad altri, ma dallo
storico assisano non criticamente controllata), secondo la quale i
frati Minori del Sacro Convento di Assisi non hanno avuto la custodia
e il possesso dell'Oratorio di San Francesco Piccolino fin dai tempi
più antichi, dato che «tale custodia può essere tutto al più fatta
risalire al sec. xVII ».

Che ciò non sia vero risulta evidente dai seguenti fatti e docu-
menti.

1) Fin dalla prima metà del Trecento (se non anche dalla
morte di Piccardo, nipote di San Francesco e Procuratore della
Basilica, avvenuta circa il 1284) i Frati del Sacro Convento hanno
conservato nelloro Archivio — fra gli strumenti originali comprovanti
le proprietà della Basilica dal 1228 in poi — gli atti legali riguardanti
la «domus-oratorium » di San Francesco Piccolino. Sul retro di uno
di essi, un frate archivista non italiano (e probabilmente teutonico)
lasciò scritto, nella prima metà del sec. x1v, le seguenti parole signifi-
cative: «questa e la Karta dell'argo de la Kasa de cekole », cioè «questa
e la carta dell'arco della casa di Ciccolo »: Ciccolo, pronipote di San
Francesco, fu successore di Piccardo nell'ufficio di Procuratore della
Basilica dal 1285 a circa il 1320, e l'arco della sua casa è quello fatto
fare da Piccardo, suo zio, nel 1281-82 a decoro e sostegno della parte
della casa dove era nato il suo Santo congiunto, cioé dell'Oratorio
di San Francesco Piccolino **).

È cosa nota che nel Medio Evo il trapasso della «carta » era
considerato mezzo di trasmissione di un negozio giuridico, e perciò
il trapasso dell'atto originale riguardante quell'Oratorio dalla fa-
miglia di San Francesco alla Basilica di Assisi va considerato come
un trapasso di proprietà «9).

2) Nel 1449 il Sacro Convento per mezzo del suo Sindaco e
Procuratore — il droghiere Bartolomeo di Pietro — fa delle spese
per la « domus sancti Francisci » in occasione del Perdono (1 Agosto)
€ a riguardo di certe pietre esistenti nei pressi dell'Oratorio di S.
Francesco Piccolino: prova evidente che quella Casa-Cappella era
sotto la sua giurisdizione e custodia :

a) «Item [Procurator] solvit pro pipere et croco pro illis
qui serviebant Domui sancli Francisci »: due soldi e 6 denari 48) :
ció subito dopo la data del 30 luglio (cfr. Arch. storico del S. Convento

mite









A





LA CASA NATALE DI S. FRANCESCO E LA TOPOGRAFIA DI ASSISI 95

ora presso la Biblioteca Comunale, Registro di spese (1430-1465),
Cod. n. 374, fol. 92") ;

b) «Item dedit [Procurator] pro preconizatione pro lapidibus
Sancti Francisci Parvi...» — «Item dedit illis qui levaverunt
lapides qui erant in via qua itur ad Sanctam Claram per preceptum
Priorum ...»: ció alla data del 29 agosto (Cod. cit., fol. 92").

3) Per il principio del sec. xvr, in un libro di spese del Sacro
Convento si ha: — «Die prima augusti 1506 solvit [Procurator]
fratri Bartholomeo heremite stanti ad Cappellam sancti Francisci
Parvuli prope plateam tempore Indulgentie P. 15. sol. 5 » *).

Per.la fine dello stesso secolo, tra i molti documenti, citiamo solo
i due seguenti :

a) «Per la Chiesiola di S. Francesco Piccolino, luoco ove
nacque il Padre nostro Serafico, si determini un Padre di matura
età, il quale tenga la cura di quella Chiesola, e ve vadi con un Laico
a dirvi la Messa quando bisognerà » (Arch. Stor. del S. Conv., Libro
degli ordini, Cod. 36, all'anno 1592, $ 19);

b) 1594, Luglio 28 : « Si determina chi abbia a stare a Santo
Francesco Piccolino per il Perdono per offitiare et per raccogliere
le elemosine o reformati o altri...» (Arch. cit., Cod. n. 19, Misc.
R., Giornale di Sagrestia, fol. 3, ove poi, alla data del 31, si aggiunge :
« Si fa la processione per la città et si va a Santo Francesco Piccolino
dopo pranzo ...»); «A di 16 [Settembre] si va a dire vespero a
Santo Francesco Piccolino, et la matina seguente vi si canta la Messa
con tre o quattro messe lette .... et vi si canta il secondo vespero . . »
(Id. id., fol. 5).

*
*o

La Nova vita del Fortini, come abbiamo precedentemente ac-
cennato, abbonda di alberi genealogici. Infatti se nel capitolo che
esaminiamo ce ne sono otto, in tutta l'opera se ne contano presso
che novanta ; quelli peró di essi che, in un modo o in un altro, possono
interessare lo studioso della vita di San Francesco e della fondazione
minoritica del secolo xir sono pochissimi, riguardando tutti gli altri
la storia civile della città di Assisi. Non é pertanto sul loro numero
esorbitante e sullo scarso interesse che troppi di essi presentano,
che noi ora intendiamo richiamare l'attenzione dei nostri lettori,
bensi sul procedimento critico con cui quelle genealogie sono state
redatte.





















96 GIUSEPPE ABATE

Presentate dall’A. come risultanze sicure di un approfondito
studio dei documenti, quelle genealogie in molti casi e per tanti
nominativi risultano invece ora dubbie ed ora lontane dal vero per
essere talvolta fondate su semplici omonimie e talvolta su deduzioni
soggettive del compilatore *) estremamente incline a intravedere,
anche dove non sono, comunanze di sangue, parentele e consorterie.
Della oggettività di questa nostra affermazione abbiamo dato alcune
prove trattando precedentemente di Nicola di Giacomo, di Ugolino
di Nicola e di Pietro di Bernardone ; ne diamo ora qualche altra ri-
guardante due personaggi ricorrenti nello stesso capitolo della Nova
vita sulla « Casa paterna di San Francesco » cioé Ciccolo di Piccardo,
pronipote del Santo, e Frate Elemosina presunto autore di un'opera
storica parecchio nota a studiosi di memorie medievali.

Di Ciccolo — detto nei documenti «di Giovannetto » dal nome
del padre, « di Buonagrazia » dal nome della madre, e « di Piccardo »
da quello dello zio — se ne menzionano gli ascendenti e i discen-
denti a p. 100 del vol. 11 della Nova vita, e ciò in conformità delle note
genealogie della seconda metà del sec. xiv contenute nei codici
415 e 558 del Sacro Convento di Assisi e di quanto avevamo scritto
e documentato noi stessi nel nostro studio sulla Casa di San Francesco.

Ciccolo — come già il padre Giovannetto, il nonno Angelo e
l’avo Pietro di Bernardone — ebbe la sua casa d’abitazione in Porta
Moiano - S. Chiara e in Parrocchia di S. Rufino senza mai trasfe-
rirsi in contrada e parrocchia diversa come risulta fino al 1335 *);
e similmente nella stessa contrada di porta S. Chiara abitò il figlio
suo Petruccio vivente ancora nel 1344. Inoltre egli non ebbe alcun
fratello, ma ebbe solo una sorella a nome Giovannola, come si ha nel
testamento fatto dal padre in punto di morte. Infine, da nessun
documento si apprende, che egli si fosse mai immischiato attivamente
nelle lotte cittadine.

Eppure il Fortini, nella persuasione di dare nella sua Nova vita
documenti nuovi e sconosciuti riguardanti lo stesso Ciccolo, scrive
alle pp. 98-99 del volume citato, che il detto pronipote di San Fran-
cesco, lasciate nel 1282 la casa ereditata dal padre 5), si trasferisce
in Porta Perlici, dove partecipa alla vita della contrada e alla stessa
lotta delle fazioni. i

Nulla di vero in tutto ciò.

I documenti « nuovi » messi innanzi dallo scrittore assisano non
riguardano affatto Ciccolo di Giovannetto, ma si riferiscono invece
ad un omonimo — o meglio ad un quasi omonimo — cioè ad un Cic-





——————————



Tav. XXII



Arch. del Sacro Convento, Strum., vol, II, Pergamena n. 12, tergo. (Il testo dice : « questa e la
Karta dell'argo de la kasa de -cekole »).

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Arch. Notarile di Assisi, Protoc. di Angelino Allegretti, R. n. 6, fol. 18v, rogito del
24 gennaio 1433.



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LA CASA NATALE DI S. FRANCESCO E LA TOPOGRAFIA DI ASSISI 97

colo di Giovannolo *), il quale ha un fratello a nome Matteo ed è della
contrada di Porta Perlice, cioè di quella parte della città dove nessun
documento ha mai affermato esserci stata una casa di proprietà
della famiglia di San Francesco.

Ci si consenta qui di rilevare, che questa nostra notizia che di-
mostra arbitraria l’affermazione fortiniana, si trova in quella stessa
fonte — cioè Arch. Comun., M. n. 2 — da cui sono stati tratti gli
asseriti « documenti nuovi ».

Nella Nova vita si ha al luogo citato :

«Nel 1316 egli (Ciccolus Iohangnoli) è tra i rectores de Porta Perlaxii
preposti all'ampliamento della città ; è teste in alcuni contratti di acquisto
stipulati a tal fine dal Comune (Arch. Com., M. 2, f. 41, 41 t., 42 t., 44 rispet-
tivamente alle date 13, 14, 23 e 28 novembre, Ceccolo Iohangnoli); è teste
(Ciccolo Iohagnoli) in un atto dell'Arch. Catt. (25 ottobre, fasc. rv, n. 9).
Nel 1317 é pure testimonio ad un atto stipulato nella chiesa di Santa Chiara
(Ceccolo Iohangoli, Arch. Com., M. 2, f. 62). Nel 1323 é arbitro in un lodo
(Arch. S. Conv., Istrum. iu, 47)59). Nel 1332 è confinante (Cicculus Pic-
cardi) ad un terreno posto in vocabolo Fontis Camorate (ivi, vir, 1) »: l. c.,
p. 99.

In questa stessa pagina si attribuisce a Ciccolo di Piccardo il
documento dell'Arch. Comunale, Pergam. B 2, P. A. 23, dell'anno
1299, il quale invece riguarda Ciccolo di Giovannolo.

La notizia data sopra da noi é in Arch. Com., M. n. 2, f. 33
dell'antica numerazione. Essa dice che ai 4 Nov. 1316 Ciccolo di
Giovannoto e Matteo suo fratello fecero una permuta di ter-
reni col Comune dandone essi uno esistente « in contrata Calcinarii
sancti Antonii » e ricevendone in cambio un altro situato « in con-
trata que dicitur infra muros». Queste due località si trovavano
nella zona di Porta Perlice, e non in quella di Porta S. Chiara.

Un altro documento (l. c., fol. 21") ha: «Ciccolus, Ven-
tura, Mascarellus et Mattiolus fratres, fili Iohannoli Ventura
Béne» vendono al Comune un loro terreno situato «in contrata
S. Antonii et Perlatii infra muros novos et veteres ».

Nella genealogia di Suppolo di Giacomo (Nova vita, l. c., p. 72)
è inserito un « fr. Elemosina-1311»; ma l'inserzione di questo frate
assisano non è giustificata da alcun valido documento.

Visse, si, nel Sacro Convento di Assisi nel sec. ximr-xiv un
Frate Elemosina (ancora non si sa bene se autore, oltre che posses-











98 GIUSEPPE ABATE



sore, del famoso codice assisano n. 341, nonchè dell’altro, parimente
noto e contenente una seconda redazione della medesima opera,
che oggi si trova nella Biblioteca Nazionale di Parigi con la segnatura
Lat. 5006) ; ma di lui si conosce unicamente il nome personale « Ele-
mosina » e si ignorano, oltre il patronimico, gli anni precisi in cui
visse 5). Non si sa nemmeno se fu nativo di Assisi, o non piuttosto
di Gualdo, come dal fatto che uno dei due codici fu da lui donato
al convento di questo paese, e da altre particolari notizie, alcuno ha
creduto, non senza ragione, di poter prospettare.

Ma il Fortini, avendo trovato nell’archivio del Sacro Convento
un rogito del 1311 #) nel quale è detto che « Elemosina et Petrutius
fratres et filii quondam Iacobutii...de Assisio » vendevano in quella
data un loro terreno, ha creduto di potere scrivere nella sua Nova
vita: «Si può ritenere che quell’Elemosina, figlio di Giacomo e fra-
tello di Pietruccio e di Suppolo, sia l’autore del famoso codice n. 341
della Biblioteca di Assisi Liber Historiarum S. Romane Ecclesie ».

In verità, come si possa ritenere valida tale identificazione noi
non vediamo (nè, crediamo, alcuno altro la vegga), dato che nel
codice 341 frate Elemosina non è detto «figlio di Giacomo », e dato
ancora che nello strumento del 1311 l’Elemosina non è detto « frate ».
Per il Fortini il primo di questi due ostacoli critici evidentemente
non ha alcun valore ; il secondo poi si supera facilmente, ritenendo
che l’Elemosina venditore di un terreno nel 1311 «sarebbe entrato
nel convento dopo questa data » : l. c., p. 71.

E così, ecco ancora un laico (l’altro, come abbiamo veduto, è
stato il notaro Nicola di Giacomo) che nella Nova vita viene gratuita-
mente presentato agli studiosi come un frate del Sacro Convento
di Assisi.

*
*ok

Ancora un ultimo rilievo prima di dar fine alla nostra incomple-
tissima disamina del capitolo della Nova vita dedicato alla Casa
paterna di San Francesco.

A p. 57 del cit. vol. i1 l'A. identifica una domina Iacoba de Roma
o de Urbe la cui menzione ricorre in alcuni testamenti degli anni
1258 5), 1273 **) e 1282 *?), con la famosa nobile dama Giacoma dei
Settesoli, vedova di Graziano Frangipane, che devotissima di San
Francesco, dopo il 1226, andò a risiedere in Assisi vivendovi la re-
gola del Terz'Ordine e morendovi poi in anno imprecisato °).





sa



LA CASA NATALE DI S. FRANCESCO E LA TOPOGRAFIA DI ASSISI 99

È ben vero che quella identificazione prima che dal Fortini era
stata fatta dal Sabatier e accettata da altri; ma è anche vero, che
in una Nova vita di San Francesco, pubblicata nel 1962 con intenzioni
critiche, il lettore avrebbe desiderato che si fosse tenuto conto di
quei risultati storico-documentari più recenti, che dimostrano er-
rata e impossibile quella identificazione : alludiamo all’accurato
studio di Maria Castiglione-Humani edito nel 1933 *), nel quale si
riporta il parere del P. Eduardo d'Alencon (primo e piü importante
storico della Settesoli), secondo il quale ora — in base a nuovi
documenti — l’antica opinione non s’è riscontrata esatta.

In particolare, è un indulto *) concesso dal Papa (Nicolò Iv)
tra l’agosto e il settembre del 1288 a favore di « Jacopa da Roma,
detta Cristiana, dimorante in Assisi», ciò che fa ritenere essere
vissute nella Città Serafica nel secolo x111 due « dominae » dallo stesso
nome e dalla medesima città di provenienza : una, la Settesoli, che
nessun documento dice avere avuto l’appellativo di Cristiana; e
un’altra, che nell’Indulto papale ha tale appellativo, ed alla quale
— come a poverella — vengono fatti dei piccoli lasciti « pro indu-
mentis » e per altre urgenti necessità della vita. La Settesoli era ricca,
e dall'ultimo documento certo che si ha su di essa risulta che fino al
1237 era alla testa della amministrazione familiare.

Quello peró che induce a ritenere che la « Jacoba » dei tre testa-
menti e dell Indulto non sia la Frangipani, è la considerazione che essa
vivendo ancora nel 1288 si Sere trovata ad avere circa cento
anni **).

Ed ora concludiamo.

L'assenza di critica, che non abbiamo potuto fare a meno di
rilevare nella trattazione che il Fortini fa circa la Casa di San Fran-
cesco non è purtroppo un caso isolato °°).

Molte altre parti dell’opera peccano di questo stesso grave di-
fetto ; si veda, ad esempio, la parte relativa alle fonti della biografia
di San Francesco, ove le gravi questioni tuttora dibattute vengono
affrontate con leggerezza eccessiva, con una vera e propria sicumera,
mentre gravi deficienze bibliografiche ingenerano piuttosto il forte
dubbio che tutta la questione non sia stata esaminata con la neces-
saria ponderata serietà.

Non meno gravi sono le perplessità che suscitano altre parti















100 GIUSEPPE ABATE



ancora : non è a sufficienza posto in rilievo e meditato, il senso
dell'incontro con Innocenzo mi, davvero di portata storica, come
quello che dava a dei laici l'autorizzazione a predicare sia pur la sola
penitenza e a predicare una rigorosissima povertà, senza temere
perciò uno slittamento verso l’eresia.

Non è chiarito in particolare quale senso e significato possa avere
la povertà di San Francesco nell’ambito e sullo sfondo dei numerosi
movimenti di « pauperes Christi » che, eretici e non, pullularono nel
corso del secolo xII.

Più grave di tutti, infine, sembra il non aver posto in luce debi-
tamente l’importanza dell’adesione a Gesù Cristo, che è chiave e luce
per approfondire la psicologia e, insieme, l’azione di San Francesco.

Ampia vastissima opera dunque, ma non quella che noi vogliamo
e attendiamo sul Santo. Nè bastano a darcela i documenti d'Assisi,
bene o male intesi che siano.

Giuseppe ABATE 0.F.M. Conv.







LA CASA NATALE DI S. FRANCESCO E LA TOPOGRAFIA DI ASSISI 101

NOTE

1) Nova vita, 1 ediz., p. 42.

?) Un Bernardonus Crassus viveva nel 1196, e tre Bernardonus delle
balie di Capodacqua, di Gabbiano e di Sterpeto sono menzionati in una lista
di focolari del 1232: cfr. Arch. della Cattedrale, Pergam., fasc. 11, n. 154;
Arch. Comun., Documenti N. n. 1.

3) Nova vita, r1 ediz., vol. rr, p. 100.

4) Cfr. il codice del Sacro Convento di Assisi 558, fol. 121; e il codice
della Biblioteca Nazionale di Parigi, lat. 12.707, fol. 113. Cfr. studio di F.
M. DELORME, in Miscell. Franc, vol. 42 (1942), p. 113. Qui alla fine si
ha:«... Petruccius autem genuit filiam nomine Franciscam, que adhuc
vivit et est adhuc juvencula anno Domini M" ccc*. Lxv. — Bernar-
dus autem habuit aliam filiam nomine Johannam, que etiam adhuc
vivit ». Presso Fortini, il quale cita lo stesso cod. 558 del Sacro Convento
come fa il Delorme, si ha un Giovanni e non si ha la Giovanna menzio-
nata nel documento qui citato. Anche nel codice 441 del S. Convento
di Assisi, i nominativi degli ascendenti di Bernardone non sono indicati ;
e la serie della « progenies » finisce poi cosi: «... Petrutius et Bernardus.
Ex Bernardo lohannes. Et ulterius non processit genealogia S. Fran-
cisci deficiens in mortalitate ». Ricordiamo che gran mortalità fu in Italia
nel 1348 e 1361, e che l’esistenza di un « Johannes Bernardi Ciccoli Piccardi »
ci risulta certa da un codicillo testamentario del 1363-70 da noi segnalato
nel 1941.

5) Cfr. ABATE, La casa dove nacque S. Francesco ..., p. 171.

6) Questo nome tanto in latino che in volgare italiano si trova sempre
scritto alla stessa maniera. Superfluo notare che i soprannomi erano allora
in uso in Assisi, come ovunque, e noi ne conosciamo numerosi esempi,
come La Rossa, La Spoletina, La Sfacciata, La Torta ; e poi per gli uomini :
Bestiaccia, il Guercio, Maccarone, Tignoso, Boccazitta, Malafaccia, Ruf-
fiano e cento altri.

*) Ecco il testo: « Fuit vir venerabilis in civitate Assisii Franciscus
nomine : cuius pater erat Petrus Bernardonis, eiusdem civitatis: qui habuit
uxorem nomine Iohannam devotissimam supra modum ...»: cfr. ABATE,
La casa ..., Docum. n. 25, riproduzione fotografica.

8) Il brano surriportato (lo diamo in riproduzione fotografica insieme
al presente scritto) è contenuto nell’opera del MANETTI che porta il titolo
Adversus Judaeos et Gentes libri decem : Biblioteca Vaticana, Cod. Urb. lat. 154,
fol. 148r. Segnalazione di questa importante testimonianza venne fatta in
Arch. Franc. Histor., xx1, 1938, p. 213. Anche il frate Osservante SALVA-
TORE VITALI seppe che la madre di San Francesco ebbe anche nome Gio-
vanna : cfr. ABATE, Storia e leggenda ..., estratto, p. 27.



















102 GIUSEPPE ABATE

9) «... Quando due o più persone, completamente indipendenti tra di
loro, ci riferiscono lo stesso avvenimento, esso è da ritenersi vero, poichè è
troppo difficile che due o più persone non d’accordo tra loro, inventino la
stessa cosa, 0 che la travisino allo stesso modo ...»: Bruno ALBERS, Ma-
nuale di propedeutica storica, Roma, Pustet, 1909, p. 74. S

19) Ciò evidentemente perchè Pica era un soprannome e non un nome.
Nessuno mai infatti impone ai figli un nomignolo invece che un nome, spe-
cialmente quando esso è di origine ironica e non piacevole.

11) Non è forse inopportuno qui ricordare per tanti che non lo sanno
e per non pochi che troppo facilmente, pur sapendolo, ci passano sopra, che
la dizione Pietro Bernardone non è esatta, e che per essere in questo caso
Bernardone un patronimico e non già un cognome (come alcuno potrebbe essere
indotto a credere), bisogna sempre dire «di Bernardone ». Simile è il caso
di un famoso Minorita, l'Olivi (tanto per intenderci), il quale assai comu-
nemente è detto Piergiovanni, mentre la dizione esatta è Pietro di Giovanni.

1?) Riguardo a un soprannome che soppianta un nome, esatte sono le
seguenti osservazioni di A. DAuzaT, Les noms de Persons. Origine et évolution.
Paris, Delagrave, 1925, p. 165 ss. : «... Le surnom étant généralement péjo-
ratif ou ironique, ceux qui en sont l'object cherchent à s'en libérer, mais ils
y parviennent rarement et ils finissent par le subir, voire pour l'accepter...
En dépit de quelques hésitations, le surnom tend à se fixer d'abord, à se
cristalliser ensuite. Par une des lois qui dominent le renouvellement du lan-
gage, il se substitue peu à peu au nom pour le remplacer dans son emploi,
en se vidant de son contenu ironique et plastique... Stabilisé, le surnom
ne se fixe pas seulement chez l'individu, mais il tend à passer à ses descen-
dants, à devenir hereditaire, collective ». Riguardo al nomignolo usato negli
atti pubblici cfr. lo stesso A. a p. 171, ove per l'Italia si cita il lavoro di T.
ZANARDELLI, I! Cognomi, p. 12. Del soprannome che diventa nome ha scritto
anche B. MicLIoRINI, Dal nome proprio al nome comune, Ginevra 1927,
(Archivum Romanicum).

13) Vedremo subito che questa congettura dello scrittore assisano è
del tutto arbitraria, anche se messa innanzi solo per puntellare una tesi prima
ripudiata e ora tanto fervidamente difesa.

14) Come VA. della Nova vita possa asserire ciò con tanta sicumera è
per noi un profondo mistero. Al caso — pensiamo — avrebbe dovuto chia-
mare quel suo figlio maschio Pico, perchè il nome materno era Pica ; invece
(distrattone !) l'ha chiamato Piccardo !

15) Nessuno, per es., s'è mai sognato di mettere in relazione con la Pic-
cardia quella Piccarda Donati che Dante ricorda nel canto terzo del Paradiso
e che si sa essere stata di una delle più antiche e nobili famiglie di Firenze.

16) Esempi, che noi stessi potremmo largamente documentare, sono :
Alamanno, Bulgaro, Burgundio, Conversano, Danese, Fara, Francia (nome
di uomo), Genova, Ginevra, Greco, India (nome di uomo), Normanno, Par-





————

——





LA CASA NATALE DI S. FRANCESCO E LA TOPOGRAFIA DI ASSISI 103

migiano, Pisano, Romagna (nome di donna), Venezia, Vienna (nome di uomo).

1?) Cfr. A. BonGIOVANNI, Nomi e cognomi, 'Torino, Bocca, 1928, p. 182:

18) Cfr. pure le buone osservazioni del TAnDpvuccr, op. cil., pp. 90-91 a
dimostrazione che Madonna Pica non fu di origine francese.

19) G. ABATE, Storia e leggenda intorno alla nascita di San Francesco
d’Assisi, in « Miscellanea Francescana », t. 48 (1948), pp. 515-549; t. 49
(1949), pp. 123-153, 350-74.

29) Ricordiamo che le circostanze di quella nascita furono volute dalla
madre stessa di San Francesco, secondo la narrazione dell'Anonimo di Bru-
xelles.

2) In Nova vita, p. 53, si cita : « Ediz. Sabatier, 1900, Parigi, ediz. De-
lorme in Studi Francescani, x11, 1926 ». Una edizione Delorme di quel Tracta-
ius esiste.; si ha invece nella rivista e luogo citato un articolo di quell'A.
dal titolo : Un recueil de miracles ou exempla source de Francois Bartholi.

2) PAUL SABATIER, Fratris Francisci Bartholi de Assisio Tractatus de
Indulgentia S. Mariae de Portiuncula, Paris, Fischbacher, 1900, Introduz.
p. xcIx ss. I dati biografici del Bartoli presentati dal critico francese sono
conformi a quelli registrati dal Papini, con l’aggiunta che in quanto alla data
di morte non si hanno indicazioni, ma il Sabatier inclina a credere che essa
fu assai tardiva, cioè non prima del 1372 (ivi, p. c).

28) L. Fur, Eretici e ribelli nel Umbria dal 1320 al 1330, in Bollett.
della R. Deput. di Storia Patria per l'Umbria, 11-v (1897-99); estratto,
Perugia 1899.

24) A. MERCATI, Frate Francesco Bartoli d’ Assisi Michelista e la sua
ritrattazione, in Arch. Franc. Hist., xx (1927, 260-304. Questo A. fa due osser-
vazioni, una delle quali è indubbiamente esatta, e l’altra no : la prima, quella
esatta, é che il Bartoli non é il Frater Franciscus de Assisio, per assolvere il
quale Giovanni xxii concesse facoltà al Vescovo di Firenze ed all'inquisitore
Pietro di Prato il 2 novembre 1331 ; difatti questo Fra Francesco era figlio
di Vanne, e non di Bartolo, senza dire che la sua attività michelista s’era’
svolta nei territori di Firenze e d'Assisi ; — l’altra osservazione del Mercati,
quella non esatta, così è espressa : « Seguendo il Cod. 344 della Biblioteca
di Assisi, Papini, Faloci e Sabatier chiamano Francesco anche Rubee o della
Rossa ; dev'essere una identificazione errata, come dedurrei dal Fumi, l. c., v,
279, confrontato col continuo esclusivo Fr. Bartholi de Assisio dell’altro codice
e del documento Vaticano » (AFH, l1. c., 261): noi però sappiamo, che il
Cod. 344 — posteriore al Cod. 417 — fu scritto nello stesso Sacro Convento
circa il 1381 dall'Armarista (bibliotecario) e scriptor Fra Giovanni di Jolo,
il quale senza dubbio non ignorava che l'autore del Trattato era il Bartoli
della Rossa, e non un altro Franciscus Bartholi dello stesso convento e dello
stesso tempo. Il secondo patronimico « Rubeae » nel citato Cod. 344 ricorre
non una volta sola, ma sei volte. Ricordiamo che il detto Cod. 344 presenta
lezioni piü esatte del Cod. 417.

















104 GIUSEPPE ABATE

25) Cfr. PAPINI, Notizie sicure ..., ediz. 2*, Foligno, 1824, p. 215. I.docu-
menti da cui il Papini trasse le sue notizie esistono ancora, e parecchie di
queste si leggono nel Trattato scritto dal Bartoli.

26) Menzione di un frater Franciscucius magistri Bartholi (al quale viene
lasciata una certa somma per una tonaca) troviamo pure in un testamento
del 30 Gennaio 1343 (Arch. S. Conv., Strum., t. x, n. 16) ; ma non sappiamo
se in lui possa identificarsi il fra Francesco di Bartolo della Rossa, il quale
in nessun documento é dato con quel vezzeggiativo. Un Frater Francischinus
de Assisio, michelista come il della Rossa, si trova come studente a Milano
nel 1329 : cfr. MERCATI, op. cit., AFH. xx (1927), pp. 265 e 291.

?7) Cfr. Arch. Franc. Hist., xxix (1936), p. 236 ss.

28) L. c., p. 265.

29) In nessun documento si riscontra applicata al Bartoli la qualifica
di Maestro in Teologia ; probabilmente fu solo Licenziato.

8°) La notizia è presa da ABATE, La casa etc, p. 22, dove però nessun
accenno viene fatto al Bartoli.

81) Nova vita, p. 60: « Non si può mettere in dubbio che fra il 1271 e
il 1280 l’autore del Liber exemplorum ascoltò questi racconti nel con-
vento di Assisi... ».

8) Riferiamo dall’OLIGER, op. cil., p. 250 : « Exemplum de illo Severino
fabro sene apud Assisium, qui dicebat multa de primordio beati Francisci
quem viderat etc. A quo confecto iam longo senio cum quesisses quot annos
habere te putas, respondit: Nihil annorum me puto habere, quia totum
tempus quod habui de vita elapsum est, et iam nihil habeo vel habere possum
illius temporis, aut illorum annorum. Sed quantum de futuro habiturus
sim nescio, Deus scit ».

33) Pertanto, se il vecchio Severino contava novanta anni nel 1260 e
il Bartoli alla stessa data era un adolescente ventenne, vuol dire che questi
era nato intorno al 1240. Ma poiché tra il 1240 e il 1316, anno in cui il Bar-
toli dallo Studio di Perugia passó a quello di Colonia, corrono 76 anni, ne
risulta che lo stesso Bartoli della Rossa fu un emulo sconosciuto di Catone
il Censore che, com’è noto, non disdegnó di andare a scuola di greco all'età
di ottanta anni.

84) Di che cosa fosse magister il padre di Fra Francesco non è detto
in alcun documento, ma l’A. della Nova vita mettendo il Bartolo in relazione
con la costruzione della chiesa fa comprendere che questi fosse un mastro
muratore o falegname : ciò perchè qui al Fortini fa comodo un « magister »
di queste arti, come prima facendogli comodo un notaro, attribuisce gratui-
tamente questa qualifica a Nicolò di Giacomo di Rainuccio, il quale dai
documenti è detto genericamente «magister ». i

85) Fra Mariano da Firenze ha: « Oggi in questa via sono nati due
fanciulli ...»: cfr. Nova vita, 1. c., p. 53; Fra Giacomo degli Oddi nella sua
Franceschina (ediz. curata dal P. Cavanna nel 1931, vol. r, p. 6) ha «... in
questa strada».







LA CASA NATALE DI S. FRANCESCO E LA TOPOGRAFIA DI ASSISI 105

3) Cfr. ABATE, La casa..., pp. 19-20, ove la nostra affermazione è
corroborata da numerosi documenti, dei quali però il Fortini si compiace
non tenere alcun conto.

8?) L’A. della Nova vita... cita in nota — ma a modo suo — quanto
si ha in G. MenGozzi, La città italiana nell’alto medio evo, Firenze, 1931,
p. 286. La citazione è tendenziosa, perchè il Mengozzi a p. 284 scrive : «... Le

prime fonti medievali, continuando più antica abitudine, indicano il quartiere
col nome della porta a cui mette capo [qui il Mengozzi aggiunge a piè di
pagina, che la cosa è tanto nota che è inutile citare la numerosa biblio-
grafia ...]; e questo nome talvolta era determinato da ragioni topografiche
e locali ; come la porta romana di numerose città, la porta vercellina di Mi-
lano etc. e non di rado — specialmente in seguito — fu quello di un santo . . . » ;
poi a p. 286 : «... Della consistenza delle portae è altra e più sicura prova
la menzione esplicita degli urbium vici fatta dal sinodo ticinese dell'850 . . . ».

38) In ciò Assisi era come la vicina Perugia : cfr. A. MARIOTTI, Saggio
di memorie istoriche civili ed ecclesiastiche della Città di Perugia, Perugia
1806, 1, p. 15, ove è detto : «... Nel 1255 Perugia era divisa in parte di sopra
e parte di sotto. Nella prima eran comprese Porta S. Angelo, Porta S. Susanna,
e Porta Sole ; nella seconda Porta S. Pietro e Porta -Borgne. Tutta la Città
fin dai più antichi tempi . . . fu divisa in cinque Porte, o Rioni, che dal centro,
o sia dal più alto della Città, ove sono le due Piazze maggiori, si distendono
per cinque lati come altrettanti raggi pel dorso del monte... ».

89) Scrive il Fortini (1. c., p. 64); «Del resto negli antichi biografi
si trovano passi in cui la parola vicus sta per strada, qualunque strada, e
non per vicolo ». Non facciamo commenti.

40) È il Ms. 148 del fondo moderno della Biblioteca Comunale di Assisi,
del quale abbiamo dato notizia in una nostra nota precedente. Ricordiamo
che il Ludovico era detto anche da Città di Castello (Tiphernas).

* Cfr. Nova vita, p. 34. Diamo anche il seguito della citazione for-
tiniana : « Quest'ultima [la stalletta] era stata già specificamente indicata
negli Statuti approvati l’anno 1469, L. rrr, rub. 167, là dove tra i confines
Macelli era posto «l'angolo del Palazzo dei Magnifici Signori Priori nella
parte posteriore versus ecclesiam in qua natus fuit beatus Franciscus ».

*) Allora l'attuale Via Roma non esisteva.

45) Battista Bini, notaro, parla spesso di questa «strata publica qua
itur versus templum divae Clarae » e indica la propria casa «juxta domum
Matthei de Binis » : cfr. Arch. Not., Protoc. 1515-20, P. n. 35, fol. 26, e tante
altre volte. La casa di questo Matteo Bini faceva parte di quell'assieme di
fabbricati nei quali era incorporato l'Oratorio di S. Francesco Piccolino. Ai
tempi di Fra Ludovico essa era abitata dal notaro Matteo Bini, padre di
quella Venerabile Diomira (t 1608), della quale lo stesso genitore, in una
testimonianza resa per iscritto due anni dopo, lasció scritto che «spesso se
ne stava in una stanza della Casa nostra sopra dove nacque













106 GIUSEPPE ABATE

il Padre nostro San Francesco con gran devotione conti-
nuando de dì, et di notte ; nella quale stanza fece un altare di non poca devo-
tione come al presente si vede, et ogni sera mentr’era sana andava a sonare
l'Ave Maria di detta Chiesa chiamata San Francesco piccolo, dove come ho
detto nacque il Santo Padre»: da «Miscellanea Leonelli», vol. 13, n. 16,
in possesso dell'Avv. Fortini, da noi anni fa consultata per gentile conces-
sione di questi.

44) Cfr. l’ediz. citata, estratto : Fondaco in Piazza: p. 74; S. Fran-
cesco Piccolino : p. 75 ; Casa di Bernardo da Quintavalle : ivi; Vescovado :
ivi; S. Chiara: p. 77.

45) Cfr. Io. Hyac. Sbaralea, Supplementum ... ad Scriptores Trium Ordi-
num S. Francisci, editio 1t, Romae 1921, Nardecchia, 111, p. 195, ove é men-
zionata (dal Wadding) anche una edizione perugina del 1571. L'edizione
da noi veduta é quella che si trova nella Biblioteca Nazionale di Firenze
(Miscell. cccrvir, opusc. 4) e che ha questo titolo: « GIARDINELLO ornato
di varij fioretti. Raccolto da Frà Lodovico da Città di Castello, detto il Filo-
sofo, dell'Ordine Minore. Nuovamente dato in luce a consolatione di quelli, che
sono divoti del Serafico Padre S. Francesco. Di nuovo ristampato e corretto.
In Perugia, per Sebastiano Zecchini 1659 ». Sono ff. 12 non numerati, in 16°.

49) Cfr. il nostro volume La casa etc, pp. 215-220, ove si dimostra docu-
mentariamente che in Piazza del Macello non ci fu mai una « Domus S. Fran-
cisci» e nemmeno un « Oratorium » dedicato al Santo. Aggiungiamo ora,
che in nessun dei 95 Protocolli lasciatici da sette Notari usciti, tra il 1515
e il 1613, dalla Famiglia Bini si ha menzione di un qualunque luogo di culto
in Piazza del Macello, mentre invece si hanno parecchi rogiti riguardanti
l’Oratorio di San Francesco Piccolino, tra i quali sei di Battista Bini agli
anni 1514, 1516 e 1521 ; uno di Girolamo al 1519 ; due di Giammaria al 1563
e 1567.

4?) Diamo riproduzione fotografica di questo documento a tavola n. 20.

48) « È noto che, negli ultimi tempi dell’impero romano, ad imitazione
di costumanze orientali, si era divulgato l’uso dei documenti, per garantire
meglio i negozi giuridici. Ma il diritto romano attribuiva al documento sol-
tanto virtù di prova dell’avvenuto negozio. Invece nel medio evo... noi
vediamo che la carta tende a poco a poco a diventare la forma costi-
tutiva del negozio, che possiede autorità di creare e di trasmettere il diritto
con essa stabilmente legato, sicchè si giunge a consentire il trapasso della
carta come trapasso di diritti...»: ARRIGO SoLmI, Contributi alla storia
del Diritto comune; Roma 1937, pp. 65-66.

49) Impegnatissimi in quei giorni con le confessioni delle molte migliaia
dei pellegrini accorrenti in Assisi per il Perdono, i Frati del Sacro Convento
destinavano alla custodia del piccolo santuario dov’era nato San Francesco
(mèta anch’esso, come gli altri luoghi francescani) religiosi di altri ordini
o secolari di fiducia, che poi gratificavano con qualche dono.







TIRATI











LA CASA NATALE DI S. FRANCESCO E LA TOPOGRAFIA DI ASSISI 107

59) A. TINI, Della Stalletta in cui nacque S. Francesco di Assisi, Assisi,
1896, p. 31. Il documento originale è contenuto in Arch. S. Conv., Codice
amministrativo N. 377, fol. 11”.

51) Ad illustrare più compiutamente il procedimento critico usato dal
Fortini nella compilazione della sua Nova vita togliamo dal capitolo da lui
dedicato alla Casa paterna di San Francesco, il seguente florilegio (vol. 11,
pp. 22-88):

« Sembra che — potrebbe essere



possa — ci potrebbe — sembra che —

non si potrebbe pensare — doveva esistere — non pare verosimile — può
aver subito — ci sembra — non ci sembra — si deve ritenere — potrebbe
far pensare — ciò che sembra — forse — vien fatto di credere — si potrebbe
pensare — non può essere spiegata — doveva dunque trattarsi — non è
difficile identificare — forse — da identificarsi — forse — si può pensare — è
facile pensare — è da credere — si sarebbe — se ne dovrebbe dedurre —
bisognerebbe riconoscere — portano a ritenere — non sembra — ciò ci porta
a domandare — ove si pensi — si può ritenere — potrebbe essere — forse
— ciò che starebbe — è da pensare — forse — si può ritenere — il quale
sarebbe — Sarebbe da prendere — forse bisognerebbe — potrebbe essere

— poteva essere pensato — potrebbe sembrare — si può giustamente pensare
— sarebbe questa — vi è da credere — ciò spiegherebbe — nè vi sarebbe — vi
è quindi da pensare — possono senz’altro ritenersi — è quindi da ritenere —

non è difficile dedurre — forse — forse — forse — così si spiega, a nostro
giudizio ».

9?) Cfr. documento scoperto e pubblicato dal Fortini in Nova vita, 11,
pp. 30-31.

53) Ciò avvenne in seguito ad una permuta fatta con lo zio Piccardo,
il quale cedette a Ciccolo una casa posta in Parochia sancti Rufini, parrocchia
questa che già dal 1259 aveva incorporato quella di San Giorgio, nella quale
si trovava la casa della famiglia di San Francesco. Morto Piccardo circa il
1284-85, l’antica casa «era ritornata al nepote Ciccolo, suo erede», come
giustamente asserisce anche il Fortini (1. c., p. 31).

54) Il nome Giovannolo, comunissimo nelle carte assisane, non si trova
mai confuso con quello meno frequente di Giovannetto, pur derivando l’uno
e l’altro dal nome Giovanni.

5) L’indicazione del volume è errata ; si tratta del vi e non del n. Nel
lodo si ha « Ciccolus Piccardi ».

5) Il titolo dell’opera è « Liber historiarum S. Romane Ecclesie» e la
narrazione si estende fino all’anno 1335. Nella facciata interna del cod. 341,
da mano del sec. xIv, è stato scritto : « Liber iste memorialis diversarum
ystoriarum ponetur in armario S. Francisci de Assisio, quia sic compromissum
fuit inter custodem S. Francisci et fratrem Elemosinam de volun-
tate et consensu ministri, tamen usu ipsius libri fratri Elemosine
reservato dum vivit ».





















108 GIUSEPPE ABATE

Molti sono gli storici, italiani e stranieri, che si sono occupati di questa
Cronaca (cfr. un recente studio del P. SERvUS von ST. ANTHONIS, pubblicato
in Collectanea Franciscana, t. 35, 1965, fasc. 1-2, pp. 165-176) ; ma nessuno
finora ha potuto indicare con certezza il nome vero dell'autore. In ogni caso
peró, noi ci permettiamo di escludere quel Fra Giovanni Elemosina d'Assisi
ch'é stato congetturato da alcuni, perché a noi risulta che un minorita assi-
sano di tal nome e cognome non è mai esistito. Causa pertanto di tale con-
gettura è stata l’errata interpretazione della seguente notizia trovata fra
gli scritti del celebre P. Nicolò Papini: « In Archivio S. Rufini adest testa-
mentum magistri Iohannis Elemosine de Assisio sub die 18 feb. 1339». Per
noi é evidente, che qui si tratta non di un frate, ma di un laico forse notaro,
medico, artigiano (magister), cioè di un tale a nome Giovanni che era figlio
di un Elemosina, assisano, omonimo di quel notaro (magister) Giovanni di
Elemosina di Suppolo di Giacomo (1313-1343) che è manzionato dal Fortini
(1. c., pp. 71 e 72). Del resto, basta riflettere che nel testamento veduto
dal Papini la qualifica di « frate » non ci doveva essere, altrimenti quel meti-
coloso autore non avrebbe mancato di rilevarla ; e poi si sa che i Frati Minori
non possono far testamento dopo la professione religiosa, essendo obbligati
(al caso) a farlo prima della loro ammissione definitiva all'Ordine, cioè mentre
sono ancora giovani novizi, e perciò non ancora « magistri ».

57) Il documento si trova nel volume vi degli Strumenti, e non nel vo-
lune rv, come invece si legge a p. 71 della Nova vita. Inoltre, in esso si tratta
di due rogiti entrambi riguardanti lo stesso negozio, dei quali uno è stato
stipulato il 15 novembre del 1311 e l’altro il 31 dicembre dell’anno seguente.
Infine, non è inopportuno far notare che lo stesso atto era stato citato dal
Fortini, cinque pagine prima, ma con due errori : uno di data, perché è detto
del 1302 ; e l’altro di redazione, perchè vi è detto compilato dal notaio Gia-
como di mastro Nicola, mentre invece il redattore dell’atto fu il notaro Fran-
cesco di Nuto, e un « magister Iacobus magistri Nicole », che non è qualificato
notaro, fu uno dei testi.

58) An. 1258, 8 Aprile: Testamento di Giovanna di Benvenuto, nel
quale tra i numerosi lasciti alle chiese di Assisi, ai lebbrosi, ai frati di San
Francesco e alle Clarisse, sì ha : « Relinquo domine Jacobe de Roma mu libras
pro indumentis »: Arch. S. Conv., Strum. 1, n. 39.

59) An. 1273, 17 Ottobre: Testamento di Marsibilia, nel quale si ha
un legato di venti soldi « domine Jacobe de Roma »: l. c., n. 58.

6°) An. 1282, Gennaio 23: Testamento fatto in Perugia da Simonetta
di Forteguerra, nel quale si ha: «Item reliquit et indicavit de suis bonis
domine Iacobe de Urbe que moratur apud Assisium, quadraginta soldos ». —
Questo documento è stato pubblicato dal P. Ugolino Nicolini a p. 377 del
volume «JI movimento dei disciplinati nel settimo centenario dal suo inizio
(Perugia-1260) Perugia 1962 (Deputazione di Storia Patria per l'Umbria,
Appendici al Bollettino, n. 9).













LA CASA NATALE DI S. FRANCESCO E LA TOPOGRAFIA DI ASSISI 109

61) Secondo alcuni la Settesoli morì 1’8 Ottobre 1239; secondo altri
nel 1236, ma questa seconda data certamente non è esatta. Nella 1 ediz. della
Nova vita del Fortini, p. 368, è indicato l’anno 1274.

9?) MARIA CASTIGLIONE-HumanI, Frate Jacopa. Donna Giacoma dei
Settesoli patrizia romana. Roma, 1933, 11 ediz.

$3) Si tratta di facoltà ad ascoltare le confessioni della pia donna.

64) Si sa che madonna Jacopa nel 1210 era già maritata e madre di un
figlio chiamato Giovanni. Il d’ALENGON (op. cit., p. 67) disse: «... cal-
colando che Jacopa abbia sposato Graziano Frangipane nella fresca età
dei suoi 16 anni, era nata al più tardi nel 1188. Dunque nel 1288 siamo al
secolo. Infatti mi sembra fuor di dubbio che la Jacoba de Roma del 1288 è
una sola persona con la « domina Jacoba de Roma » del 1258 e 1273... ».

*:) Altro caso, anch'esso di notevole importanza storica per la città di
Assisi, è quello che riguarda l'ubicazione della « Casa paterna di Santa Chiara ».
Su questo argomento noi abbiamo pubblicato già due studi (un terzo ricco
di nuovi documenti l'abbiamo quasi pronto) in questo Bollettino della Depu-
tazione di Storia Patria per l'Umbria: uno nel volume xLI-1944, e un altro
nel volume r-1953. In essi identificavamo la Casa paterna della Santa nel cosi
detto Palatium Prioris seu Ecclesiae Sancti Rufini (qualificato in documenti
del Cinquecento come « vetus » per distinguerlo dall'attuale Canonica, ch'é
nella parte opposta) esistente nel fianco sinistro della Piazza della Catte-
drale, e contiguo al Campanile, cioé in quella parte del suolo che sale verso il
monte.

Pertanto, se quella nostra indicazione e identificazione trovó aperto
e pubblico favore presso alcuni studiosi competenti (Emma Zocca, Salvatore
Attal, Andrea Lazzarini, Giulio Loccatelli ed altri), incontrò invece parere
diverso presso il Fortini. Questi, infatti, nella sua Nova vita del 1959, come
prima altrove, sostiene che il Palatium Prioris Sancti Rufini si trovava
invece (e si trova) nella parte destra della Piazza, cioé sul lato che prospetta
la pianura, e nelle vicinanze della Cappella del Battistero dedicata a
S. Giovanni Battista. In una parola, quell'A. identifica quell'antica casa
signorile con l'attuale Canonica, ch'é di costruzione piü recente.

Poiché non è possibile in una breve nota riassumere le argomentazioni
del nostro oppositore ed esporne l'infondatezza, ci permettiamo solo pre-
sentare — anche fotograficamente — alcuni documenti di valore risolutivo
nei confronti dell'ubicazione della Cappella del Salvatore, cappella secondo
noi situata sul lato sinistro e interno della chiesa, contigua al Campanile
e all'edicola con altarino dedicata a S. Maria, e conseguentemente anche al
Palatium Prioris Sancti Rufini fronteggiante l'edicola. Inoltre, noi avevamo
asserito che la detta Cappella del Salvatore era tutta una cosa con la Cappella
del Volto Santo (si pensi al Salvatore- Volto Santo di Lucca); ma il Fortini
ritiene di poter negare tale nostra affermazione, e, di una sola cappella fa-
cendone due, scrive che la Cappella del Volto Santo sorgeva dalla parte destra













110 GIUSEPPE ABATE

della facciata della chiesa, cioè dal lato della Piazza che fronteggia il piano.
E poichè quell’A. dice ancora, a p. 380 della sua Nova vita, che «è esse n-
ziale per il nostro dibattito, che essa [la Cappella del Salvatore] fosse tutta
una cosa con la cappella del Volto Santo », e da un lato indubitabile della
chiesa, ecco i seguenti documenti che glie ne dànno ampia assicurazione :

1) Anno 1433, 24 Gennaio : Promessa di matrimonio : — « Actum . . .
in ecclesia Sancti Ruffiniantealtare Sancti Salvatoris sive Vultus
Sancti situm in dicta ecclesia... »: Arch. Not., Protoc. di Angelino
Allegretti, R. n. 6, fol. 18 v;

2) Anno 1428, 22 Marzo : — Donazione di un terreno a Don Angelo
di Onofrio rettore « Cappelle Sancte Marie misericordie situate in ecclesia
Sancti Ruffini supra altare Salvatoris versus montem..»:
Arch. e Notaro cit., Protoc. R. n. 3, fol. 41v. Qui ci permettiamo ricordare,
che il Notaro Giovanni di Bevignate al 1430 affermava che « contigua »
alla detta Cappella del Volto Santo-Salvatore era la « porta seu hostium per
quam vel quod intratur in palatium vel domum Sancti Rufini » ; e che questo
stesso «palatium vetus Domini Prioris» dal Notaro Cherubino Cilleni, al
1520, veniva indicato come esistente nei pressi del Campanile e della Piazza
di S. Rufino (iuxta turrim et plateam) : cfr. Arch. cit., Protoc. B. n. 12, ff. 120
e 121; Protoc. n. 1, fol. 209.

Ma, infine, c'é un documento antichissimo e importante, il quale attesta
che la casa del Priore di San Rufino — dalla parte opposta a quella della
piazza e perció da quella piü in alto e sulla costa del monte — si trovava
nella zona di Perlice e non in quella « versus planitiem » come vorrebbe il
Fortini. Tale documento (noto anche al nostro oppositore, perché lo riporta
nel vol. rr, p. 331 della sua Nova vita) è del 21 Febbraio 1296 e si trova al
n. 144, Fasc. n, delle Pergamene della Cattedrale ; esso dice, che il Sindaco
del Comune di Assisi vende a certo Petriolo «plateam seu solum que vel
quod est ante domum Prioris S. Rufini.... positam infra
arces Gurge Perlaxii...»

PILAR









(RARI











Le difficoltà finanziarie

del Comune di Perugia alla fine del Trecento

Premessa

È noto come i vari Comuni italiani lungo tutto il corso del xiv
secolo, quale già nella prima metà del secolo, quale piü tardi, si siano
trovati di fronte a problemi finanziari più o meno gravi. Sono noti
anche, almeno in linea generale e, in modo più approfondito rela-
tivamente a qualche Comune, le cause di fondo generatrici di tali
problemi, nonchè i mezzi con cui gli organi responsabili dei Comuni
stessi cercarono di fronteggiarli '). Può purtuttavia essere interes-
sante completare il quadro di questo capitolo della storia economica
italiana — il cui contenuto non fu certo scevro di conseguenze sul
piano politico — relativamente a taluno dei Comuni delle città mi-
nori, ai quali gli storici, salvo quelli locali, ma ovviamente con una
visuale piuttosto ristretta e parziale, hanno, almeno fino a pochi
decenni or sono, prestato scarsa attenzione, indirizzando invece le
proprie ricerche ai centri maggiori ritenuti, con un pò di esagera-
zione, quelli che «avevano fatto la storia » di quello come di altri
periodi.

Sotto tale riguardo ed al fine sopra indicato, le vicende del Co-
mune perugino ritengo possano offrire materiale di notevole valore,
soprattutto se si tien conto che la storia della Città di Perugia, nota
nei suoi aspetti più strettamente politici, lo è ancora in modo limi-
tato in quelli economici, mentre la documentazione esistente negli
Archivi della Città ed in parte quella già pubblicata sono in grado
di riempire soddisfacentemente tale lacuna.

Le note che seguono intendono per l’appunto recare un piccolo
contributo alla problematica cui si accennava all’inizio relativa-
mente a Perugia, a quel Comune cioè che, allora come oggi, era il
centro principale dell'Umbria nonchè uno dei più importanti del-
l’Italia Centrale, un centro che, in quanto tale, costituiva motivo
di attenzione, per lo più interessata, da parte delle città o degli



















T19 GIUSEPPE MIRA

Stati piü potenti: dalla Signoria fiorentina allo Stato della Chiesa
per finire col Duca di Milano.

1) Le finanze del Comune di Perugia all’inizio del xrv secolo.

Già in un precedente saggio avemmo modo di studiare quello
aspetto dell'economia della città umbra che oggi chiameremmo la
finanza pubblica, relativamente soprattutto al primo decennio del
xiv secolo, ma con alcune prospettive anche sui decenni succes-
sivi 2). In particolare potemmo accertare come i soli redditi di natura
patrimoniale di spettanza del Comune perugino — redditi derivanti
per due terzi da proprietà terriere e per poco meno di un terzo dai
diritti di pesca sul lago Trasimeno *) — fossero in grado di coprire
totalmente il fabbisogno finanziario della città.

Ricorderemo ora come la cosa si presentasse di notevole inte-
resse soprattutto considerando che un terzo di detto fabbisogno
finanziario, sempre nel primo decennio del xiv secolo, era già costi-
tuito da spese militari, spese che, come tali, non presentavano certo
il carattere della normalità *). Vero é — rilevavamo nel ricordato
studio — che occorre tener presente come nelle finanze medievali
sia difficile effettuare una netta distinzione fra spese ordinarie e
spese straordinarie, attesa la frequenza con cui certi fatti, per propria
natura aventi carattere di straordinarietà, si verificavano. Pur-
tuttavia la circostanza secondo la quale, malgrado tali eventi, le
sole entrate patrimoniali o, al piü, queste con l'aggiunta del gettito
di qualche gabella e di qualche imposta, giungessero a pareggiare un
bilancio che dalle conseguenze di tali eventi era fortemente gravato,
sta a dimostrare, almeno per questo primo periodo, l'importanza
finanziaria delle entrate patrimoniali stesse e quindi a giustificarne
il mantenimento nonché l'eventuale accrescimento *).

Ben diversa appare la situazione, almeno per quanto riguarda
il fabbisogno del Comune perugino, nel 2°, 3° e 4° decennio del secolo.

Sempre nel citato studio, ricordavamo come, per tale periodo,
non si posseggano i dati completi nè per quanto riguarda la spesa
complessiva, nè per quanto riguarda le sue componenti. Pur tuttavia
anche i pochi elementi di cui si dispone mentre accertano una rela-
tiva staticità nella maggior parte delle voci di spesa, denunciano in
modo chiaro il rapido, indiscriminato incremento delle spese mili-
tari. Siamo cioè di fronte a quel fenomeno che vedrà, verso la metà
del Trecento, a fianco di una somma complessiva per spese ammini-











LE DIFFICOLTÀ FINANZIARIE DEL COMUNE DI PERUGIA 113

strative, ambasciate, lavori pubblici, assistenza ecc. pari — secondo
alcuni sondaggi da noi effettuati — al 33% del fabbisogno totale,
una somma per spese militari pari al 67% del fabbisogno stesso.
È questo allora il momento in cui si pone il problema del ruolo che,
nel nuovo quadro del fabbisogno finanziario del Comune, dove-
vano giocare gli altri tipi di entrate, in primo luogo i dazi e i pedaggi,
poi le imposizioni dirette sulla base dell’estimo o catasto *).

2) Natura e frequenza delle principali spese del comune di Perugia
negli ultimi venticinque anni del Trecento.

Premesso questo breve panorama della situazione finanziaria
perugina fin verso la metà del Trecento, e riservandoci in altro
studio di continuare detto esame sistematicamente, nel quadro
però dell’andamento di tutta l'economia della città e del suo terri-
torio, effettuiamo ora un salto di circa trent'anni, portandoci cioé
alle soglie dell'ultimo venticinquennio del secolo.

Ricordiamo, anzitutto, come tali trent'anni non avessero co-
stituito per Perugia — né lo avrebbero potuto, date le vicende po-
litiche di gran parte dell'Italia proprie del periodo stesso, nelle quali,
volenti o nolenti, Perugia veniva a trovarsi coinvolta — un periodo
di tranquillità. Contrasti interni fra le varie fazioni, mutevolezza
di rapporti con i Comuni limitrofi, nonché con città di maggiore
rilievo come Siena, ed ancora con il Pontefice, (con la pace di Bologna
nel dicembre 1370 si impone, sia pure in gran parte solo formal-
mente, il pieno dominio pontificio) nonché infine con le Compagnie
di ventura, costituivano avvenimenti o situazioni i quali, nel mentre
congiuravano gradualmente nel creare quello stato di disagio che,
direttamente o indirettamente, finiva con il minare le fondamenta
stesse dello Stato, avevano tutti un riflesso più o meno pesante, ma
sempre grave, sulla situazione finanziaria del Comune. Se, poi, a
tutto ciò aggiungiamo eventi naturali, che se non avevano raggiunto
la gravità che aveva caratterizzato la carestia degli anni 1340-1341
e la pestilenza del 1348 (la famosa peste nera) da cui la città di Pe-
rugia, così come tante altre, del resto, era stata in precedenza colpita
avevano pur sempre lasciato una traccia profonda, ci si rende conto
della natura e della entità dei problemi che i responsabili della cosa
pubblica in Perugia dovevano, di volta in volta, ma spesso anche
contemporaneamente, affrontare.

Ora, tutto ciò ci fa agevolmente intuire come, per l'appunto

8













114 GIUSEPPE MIRA

all’inizio dell'ultimo venticinquennio del secolo xiv, la situazione
generale e, soprattutto, finanziaria, del Comune perugino non do-
vesse certamente essere migliore di quella sia pur in linea di massima
accertata relativamente al periodo compreso fra il 4° e il 5° decennio
del secolo.

Non possiamo, allo stato attuale delle nostre indagini, dare un
quadro, sul tipo di quello che si è potuto redigere per il primo decen-
nio del secolo, da cui emerga sia il fabbisogno complessivo del Co-
mune sia, e soprattutto, con quale proporzione le varie spese si
presentavano nel quadro del fabbisogno generale. Di un solo ele-
mento disponiamo a proposito della entità complessiva della spesa
pubblica, che ci viene offerto direttamente da quella che costituisce
la fonte più organica e continuativa di notizie, cioè i Registri delle
Riformanze del Comune, detti più comunemente gli Annali Decem-
virali, cioè i verbali delle riunioni del Consiglio dei Priori, l'organo
principale di governo delle città. Informa infatti una riformanza del
21 aprile 1377 come il Consiglio avesse deliberato la nomina di una
commissione di 20 boni homines scelti fra le varie Porte, cioè quar-
tieri, della città, per studiare il modo di sistemare le entrate del
Comune in modo che queste ultime potessero arrivare a 100.000
fiorini.

Ora ci sembra appaia chiaro da tale documento che : 1) il bi-
lancio del Comune nel 4° ventennio del secolo aveva raggiunto
una cifra (sia pure probabilmente solo orientativa) che superava di
ben cinque volte quella del 1° decennio (lire 63.500 circa pari a 18.000
fiorini costituiva l'ammontare della spesa in quel periodo) ?) ; 2) che
le entrate del Comune, sempre nella stessa epoca, non riuscivano a
coprire il suddetto fabbisogno.

Ma la documentazione di cui disponiamo, sempre per la stessa
epoca, non si limita a questi elementi. Di fatto la Commissione, dopo
aver espletato il proprio lavoro, era pervenuta ad alcune conclusioni
le quali, sempre per il nostro scopo, appaiono di notevole interesse,
e precisamente : 1) che dopo aver effettuato il calcolo del gettito
delle varie entrate di cui il Comune perugino normalmente poteva
disporre, risultavano ancora mancanti, a raggiungere la suddetta cifra
di 100.000 fiorini, costituenti il fabbisogno totale, ben 26.000 fiorini
pari quindi ad oltre un quarto del fabbisogno stesso ; 2) che di con-
seguenza occorreva prendere alcune misure per aumentare le entrate
sia attraverso la riforma di alcune imposte indirette (vedi la gabella
sul macinato), sia a mezzo di un più adeguato accertamento dell’im-











LE DIFFICOLTÀ FINANZIARIE DEL COMUNE DI PERUGIA 115

ponibile (vedi la introduzione nella libra o catasto di tutti i beni
mobili cosa, quest'ultima, fino a quell'epoca solo molto imperfetta-
mente attuata *) ; 3) che occorreva frenare le spese ?).

Non é difficile da queste informazioni dirette sulla situazione
finanziaria del Comune perugino nell'anno 1377, ricavare come non
solo la spesa pubblica fosse enormemente aumentata, ma come, con
ogni probabilità, ció fosse avvenuto in modo disordinato e forse
non sempre per motivi giustificati. Ancora appare confermato
quanto già risultava implicitamente dalla motivazione che aveva
determinato la nomina della Commissione d'indagine e cioé che le
entrate quali di fatto in quel periodo il Comune stesso era in grado
di realizzare, lasciavano un vuoto considerevole, accertato, come si
è visto, in oltre un quarto delle spese totali.

Queste notizie costituiscono un punto di partenza di notevole
importanza per la migliore comprensione degli sviluppi della situa-
zione finanziaria del capoluogo umbro.

Come abbiamo già accennato, conoscere sia pure con una certa
approssimazione l'ammontare annuo di ogni singola voce di spesa
non ci è ora possibile. Ci è però dato riconoscere, con una certa pro-
babilità di essere nel vero, quali voci dovevano emergere sia per la
frequenza che per la entità della somma con cui si presentavano.

Vediamo di considerarle basandoci sempre sulla documentazione
dell’Archivio perugino.

Non v’ha dubbio che la massima percentuale della spesa fosse
assorbita dalle spese militari. Lo abbiamo già accertato nei confronti
di un quarantennio avanti lepoca che si sta considerando indivi-
duando tale percentuale in oltre il 60% della spesa totale. È questa
delle spese militari infatti, come già si è ricordato, una palla al piede
di tutti i Comuni, che ne intralcia per ogni verso l’attività e, soprat-
tutto, che li pone allo sbaraglio di qualsiasi altro evento sia eco-
nomico che di altra natura.

Ora, la situazione non appare mutata a partire dall’ultimo
venticinquennio del secolo ; se mai, da vari indizi, essa risulta aggra-
vata. Solamente che l’espressione spese militari appare la risultante
di elementi diversi, anche se tutti confluenti nell’unico risultato
rappresentato da un aggravio della spesa.

Anzitutto vi sono le spese inerenti direttamente agli impegni
militari che Perugia si era direttamente assunti o nei quali si era tro-
vata coinvolta.

Proprio all’inizio dello stesso anno 1377 in cui veniva nominata





















116 GIUSEPPE MIRA

la Commissione di indagine sulle entrate e sulle spese, il ritorno da
Avignone di Papa Gregorio xI e le immediate pretese di quest'ultimo
verso Perugia, come verso altre città, sia in denaro che in altre pre-
stazioni, costringevano la città a mettersi sul piede di guerra 1°). Di
fatto la guerra non ebbe luogo, data la sopravvenuta morte del Pon-
tefice nell'anno seguente e la pace, a buone condizioni, conclusa
da Perugia con il suo successore Urbano vi. Ma la scomparsa del
pericolo di una guerra non eliminava gli impegni che, in relazione
alla situazione politica generale, Perugia si era assunta senza contare
che, in seguito alle discordie interne, quasi sempre collegate con i
rapporti esterni, occorreva pur sempre che i Priori tenessero pronti
un certo numero di cittadini armati per provvedere alle necessità
più urgenti. Per avere un’idea della portata di tali impegni basti
ricordare come verso la fine sempre dello stesso anno 1377, Perugia
dovesse versare alle truppe della Lega costituita con Barnabò Vi-
sconti e Firenze contro il Papa, una rata di 4.500 fiorini. Vero è che
detta somma venne anticipata, come informano gli Annali Decem-
virali, e senza alcun peso di interessi, dalla Società dei Mercanti
e dal Collegio del Cambio, cioè dalle due corporazioni più doviziose
della città 1); ma essa, ad evitare altri inconvenienti, avrebbe pur
dovuto essere restituita, tanto è vero che il Consiglio dei Priori aveva,
all'uopo, impegnato le somme che avrebbero dovuto essere versate
ai Cassieri del Comune dagli acquirenti dell’acqua del lago, cioè dei
diritti di pesca nel Trasimeno 7).

Di fatto, però, le spese per la partecipazione ad azioni belliche
o per la difesa della città dai nemici interni ed esterni, si assomma-
vano ad altre, spesso, anche se non sempre, connesse con le precedenti,
il cui peso sulle finanze del Comune non doveva essere minore sia
per la entità di esse, che, e soprattutto, per la circostanza dell’impre-
vedibilità che quasi sempre le accompagnava. Vogliamo alludere alle
spese inerenti alle milizie mercenarie.

L’impiego di tali milizie era divenuto fatto consuetudinario
anche per Perugia già a partire dal quarto decennio del secolo,
quando, ad es. per la guerra contro Arezzo del 1335 e per il solo
periodo luglio-novembre i versamenti per il saldo dei 136 Cone-
stabili e delle loro compagnie avevano raggiunto la somma enorme
di 38.897 fiorini 1). Ma nella seconda metà del secolo la cosa si era
aggravata, non tanto o non solo perchè l’impiego delle milizie fore-
stiere rappresentava un gravame finanziario molto superiore a quello
che comportava l’impiego di truppe cittadine, date le enormi pretese















LE DIFFICOLTÀ FINANZIARIE DEL COMUNE DI PERUGIA LET

di quelle, quanto perchè, una volta stabilitesi nella penisola, tali
truppe avevano costituito, indipendentemente dall'atteggiamento
che esse avrebbero tenuto, nelle singole circostanze, verso quella o
quell'altra città, un pericolo permanente, pericolo che era d'uopo
cercare di allontanare o per lo meno di limitare fin dove e fin quando
fosse stato possibile.

Ora, come già si è detto sopra, Perugia era già stata costretta a
valersi di tali truppe e quindi ne conosceva i pregi — il più delle volte
indiscutibili sul piano militare — ma anche i gravi difetti e di conse-
guenza i pericoli che esse rappresentavano qualora nei loro confronti
non fossero stati presi opportuni e tempestivi provvedimenti. Ecco
perchè quando, nel marzo dell’anno 1379, si profila la venuta nel
territorio perugino ..... dominorum ultramontanorum ..... cum
magna gentium quantitate, (in un documento successivo del 9 marzo
si precisa trattarsi, fra gli altri, dell’Imperatore e Re d'Ungheria)
poi specificati come brigate italicorum et brigate anglicorum, il Consiglio
dei Priori, su richiesta degli Ufficiali dell'abbondanza, dà mano li-
bera a questi ultimi per provvedere a quei problemi di loro compe-
tenza che l’arrivo delle milizie straniere avrebbe con quasi assoluta
certezza fatto sorgere !*). Evidentemente, si trattava di problemi
inerenti al rifornimento di viveri e, soprattutto, di grano che dalle
suddette truppe sarebbe stato richiesto, problemi d’altra parte piut-
tosto gravi in quanto venivano ad inserirsi in una situazione generale
in materia annonaria che, come avremo modo di ricordare in seguito,
era in Perugia e nel suo contado tutt’altro che brillante.

Ma il rifornimento dei generi alimentari, cui del resto 1 respon-
sabili di tali settori in Perugia provvidero, a quanto pare, con note-
vole tempestività :5), costituiva solo un aspetto del problema più
generale che la venuta di truppe mercenarie poneva al popolo di Pe-
rugia e ai suoi governanti, Il problema vero e proprio consisteva
nello studiare ogni mezzo affinchè le temute truppe non invadessero
il territorio perugino. Ora, in effetti, la cosa era possibile, come pre-
cedenti esperienze insegnavano; solamente che essa implicava il
versamento di una forte somma alle truppe stesse. Comunque, tale
e tanto era il pericolo paventato che i dirigenti la cosa pubblica in
Perugia preferirono adottare quest'ultima soluzione, pur se essa signi-
ficava un ennesimo aggravio per le finanze del Comune. I relativi
accordi vennero stipulati in un primo tempo con la Societas Italico-
rum Sancli Georgii sulla base di un versamento di 2.000 fiorini '*),
ed un mese dopo circa con la Socielas anglicorum et teutonichorum con




















































118 GIUSEPPE MIRA

un versamento di 4.000 fiorini 7). Alle quali somme si debbono pe-
raltro aggiungere quelle preventivamente erogate dal Comune per
rinforzare e ricostruire i fortilizi esistenti nella zona ove le truppe
mercenarie sarebbero verosimilmente transitate e ció per prevedere
sia l'eventualità di un mancato accordo con le truppe stesse, sia
quella, non meno improbabile, di una successiva violazione dello
stesso 18).

Quale terza conseguenza della situazione di guerra o di pericolo
di guerra in cui Perugia venne a trovarsi, ma in modo sempre piü
accentuato, nell'ultimo scorcio del xiv secolo, dobbiamo ricordare
l'abbandono delle campagne da parte della popolazione rurale e la
conseguente crisi dell'agricoltura. Conseguenza indiretta questa,
ma non meno grave della precedente se non altro perché essa, nel
mentre aveva come immediato risultato una diminuzione della pro-
duzione agricola, con ció aggravando quella situazione che per altri
motivi si era venuta determinando, dall'altro costringeva le finanze
del Comune ad intervenire sia per sopperire alle carenze del fabbi-
sogno, soprattutto cerealicolo, locale, sia per favorire una ripresa
dell'agricoltura, interventi i quali, entrambi, si concretavano in
sempre nuove spese.

Poiché sulla crisi agricola nel Perugino e sui conseguenti provve-
dimenti intrapresi dal Comune già ci siamo soffermati nel piü volte
ricordato studio sulle entrate patrimoniali del Comune, rimandiamo
a questultimo. Fermeremo invece l'attenzione su quello che fu
invece specificamente la politica annonaria di questo periodo.

In base alle notizie dei contemporanei, nel periodo che stiamo
considerando, l'unica grave carestia che avrebbe colpito Perugia e
il suo territorio sarebbe stata quella occorsa negli anni 1389-1390.
Leggiamo infatti nel cosiddetto Diario del Graziani, sotto la data del
20 ottobre 1389, come venisse emanato in Perugia un bando che sta-
biliva il prezzo del grano, dell'orzo e della spelta rispettivamente a
fiorini 1 e mezzo, lire 4 e soldi 45 per ogni mina, mentre i prezzi del
mercato erano di fiorini 2, lire 6 e soldi 60 sempre per ognuno di detti
prodotti rispettivamente !*). Successivamente, con altro bando del
17 gennaio 1390, il prezzo ufficiale del grano era fissato a fiorini 2,
mentre in pratica esso veniva venduto a 3 fiorini *°). Il bando veniva
ripetuto il 12 febbraio, « ma » — dice sempre il cronista — « non se
ne fece esequzione veruna »?). Seguiva il divieto ai forestieri che
fossero venuti ad abitare a Perugia da meno di 3 anni di restare
«et questo fu fatto per cagione della carestya peró che il grano di















LE DIFFICOLTÀ FINANZIARIE DEL COMUNE DI PERUGIA 119

continuo rencarava et valeva fiorini 4 la mina et fiorini 4 e mezzo »,
cifre queste che sarebbero salite nel marzo anche a fiorini 5 e mezzo
e fiorini 6 (l’orzo a fiorini 3 e la spelta a fiorini 2) ?°).

Ora è indubbio che gli anni 1389-90 furono anni veramente ecce-
zionali, anche perchè, a quanto pare, l’assedio che i fuorusciti pone-
vano alla città rendeva ancor più difficili i rifornimenti sia dal con-
tado che da altre regioni. Purtuttavia, ciò che le cronache non di-
cono e che invece risulta dalla documentazione, è che in realtà tutto
il periodo in questione — che, in sostanza, si può far risalire alla
grave carestia del 1340-41, alla successiva del 1346-47 ed infine alla
peste nera del 1348 — appare caratterizzato da una penuria, or più
or meno accentuata, ma sempre grave. Del resto, era la natura
stessa delle cause che determinava tale situazione, in quanto si
trattava di cause non sporadiche (anche se queste non mancavano,
ed in tal caso esse venivano ad aggravare le cose), ma permanenti
in quanto collegate, come già si è accennato e come, ripetiamo, si
è più ampiamente trattato altrove, con la crisi agricola che aveva
colpito tutto il territorio perugino. .

Tanto per portare dei semplici esempi, ricorderemo come già
nel settembre del 1377 il Comune decidesse di riattivare vari molen-
dina ad secchum rimasti inoperosi per molto tempo, ut victualium in
copiositate in civitate Perusie inveniatur, eleggendo due boni et
valentes viri che avessero a provvedere in merito col denaro del Co-
mune ??),

Ancora, nel dicembre dello stesso anno il Comune di Città della
Pieve chiedeva di acquistare nel Contado di Perugia 200 corbe di
grano data la carestia, cosa che veniva concessa onde il predetto
Comune rimanesse fedele a Perugia ?*).

Nel novembre del 1378 venivano confermate le pene a chi avesse
portato grano e biade fuori della città e del distretto sine bolletino
el expressa licentia offitialium super abundantiam **).

Nel gennaio 1379, essendo risultato che molto grano veniva clan-
destinamente inviato fuori città, il Consiglio dei Priori aveva no-
minato altri ufficiali sopra l'abbondanza, oltre a quelli che già esi-
stevano, perché provvedessero ad eliminare l'inconveniente ?*). Nel
febbraio dello stesso anno gli ufficiali sulla abbondanza chiedevano,
ed ottenevano, di far conciare e di mettere sul mercato 2.000 corbe
di grano di proprietà del Comune che si trovavano nell'ospedale
della Misericordia e nella mensa della Chiesa di S. Francesco ?*).

Nel maggio seguente si decideva di costruire un edificio da






























































120 GIUSEPPE MIRA

destinarsi appositamente alla conservazione del grano del Co-
mune ?*),

Nell'agosto il Consiglio dei Priori emanava tutta una serie di
norme per gli ufficiali dell'abbondanza, ordinando di non vendere
in aleun modo grano e, nel caso di assoluta necessità, di venderlo a
non meno di 40 soldi la mina, norme che, con varianti ed aggiunte,
venivano ripetute nel settembre successivo ?*).

Nell'ottobre del 1380 da una supplica degli uomini del Castello
di Castiglione Chiusino veniamo a sapere come, cum in extate provima
preterita recollegerunt parvam quantitatem grani et bladi que vere
deficit pro victu ipsorum et pro semente faciendo in Clusio perusino,
molti avrebbero abbandonato la zona lasciando le terre non semi-
nate con grave danno e conseguente carestia ; pertanto detti abi-
tanti del Chiusi chiedevano una sovvenzione di 200 corbe di grano
da restituirsi entro l’estate successiva, richiesta che veniva accolta
dai Priori, previo accertamento delle verità di quanto lamentato
dagli interessati *°).

Ancora nel dicembre dello stesso anno, in quanto si erano udite
lamentele circa la mancanza di grano sulla piazza di Perugia, veniva
nominata una Commissione di 10 cittadini, due per porta, con tutti
1 poteri, onde ricercassero detto grano. In seguito a ciò, veniva ema-
nata tutta una serie di norme, sia relative al consumo (con limita-
zioni varie anche in merito ai permessi di residenza in Perugia),
sia relative al rifornimento che, infine, ai prezzi ®).

Sempre in riferimento alla accertata carenza di grano sul mer-
cato, nel gennaio 1381 venivano nominati 3 boni homines con il com-
pito di acquistare fotum granum seu partem grani juxta el secundum
eorum discretionem quod reperiuntur in civitate et comitatu Perusii . .. . .
disponendo che detto grano avesse ad essere recato a Perugia dagli
uomini dei castelli e delle ville ove esso era stato reperito, fissando
la quantità massima di cessione, il prezzo, nonché dando altre pre-
scrizioni per evitare possibili evasioni ??) ; evasioni che infatti dove-
vano essere tutt'altro che ipotetiche, se due mesi più tardi il Con-
siglio dei Priori denunciava che diverse persone erano riuscite ad
estrarre dalla città infinite quantitates grani et alterius bladi con

gravissimo danno per la stessa, per cui veniva deciso che il Podestà,
il Capitano del Popolo ed altri alti esponenti del pubblico reggi-
mento, ad istanza degli ufficiali dell'abbondanza effettuassero inda-
gini su tutte persone onde accertare coloro che si erano resi colpe-
voli di tale reato **).











LE DIFFICOLTÀ FINANZIARIE DEL COMUNE DI PERUGIA 121

Pochi giorni dopo venivano ribadite le disposizioni dell'anno
precedente e che vediamo riprese, sempre con aggiunte e varianti,
nel maggio, nel settembre e nell'ottobre dello stesso anno **). Nel
gennaio dell'anno 1382 veniva dato ordine agli ufficiali del campione
del grano (che erano i consegnatari dei depositi granari del Comune)
di dare agli ufficiali dell'abbondanza 500 corbe di grano di qualsiasi
tipo o provenienza si trovasse nelle loro mani onde venisse posto
in vendita sulla piazza del Comune, e pochi giorni dopo, per assi-
curare i rifornimenti, veniva dato ordine al massaro (uno dei cassieri
del Comune) e ai compratori o agli ufficiali della gabella dell'orzo
e della spelta, 500 e 600 fiorini d'oro rispettivamente per l'acquisto
di grano :*), mentre altri 2.500 sarebbero stati loro consegnati per lo
stesso scopo dai conservatori della moneta (altri cassieri del Comune),
nel successivo luglio *°).

Ma non è il caso di dilungarsi oltre, perchè, pur con non poche
varianti, tutte, comunque, denuncianti un costante aggravamento
della situazione, i provvedimenti che vediamo presi dal Comune per
fronteggiare una carestia che ormai può definifsi cronica, sono, anche
per gli anni seguenti, più o meno gli stessi.

Ora non v’ha dubbio che quasi tutti questi interventi si risol-
vevano in continui e sempre più pesanti oneri finanziari per il Co-
mune. Acquisto diretto di cereali da cedersi sul mercato a prezzi
politici e quindi con più o meno grave perdita, confezione gratuita
o semigratuita di pane per gli indigenti, affitto di locali per sistemare
i relativi depositi granari, nonchè addirittura, come si è visto, costru-
zione di un apposito edificio, stipendi ai funzionari — in numero sem-
pre più elevato — incaricati di vari compiti nell’ambito dell’annona,
perdita di cereali acquistati dal Comune o perchè requisiti da ribelli
stanziatisi nel contado, o perchè deterioratisi nei magazzini stessi
del Comune *?), sono tutti motivi sufficienti per dimostrare la verità
di tale asserzione.

Naturalmente, quando la crisi si aggravava a seguito di una
particolare carestia dovuta a fenomeni climaterici del tutto sfavo-
revoli o a specifici fatti di guerra, allora la situazione diveniva tra-
gica. Ed e per l'appunto ciò che abbiamo visto avvenire nel biennio
1389-90 quando il grano in pochi mesi vide quintuplicarsi il proprio
prezzo, che pertanto impegnò i dirigenti del Comune in una lotta
senza quartiere per assicurare, se non il fabbisogno totale di cereali
alla città, almeno i quantitativi necessari per sovvenire le esigenze



























122 GIUSEPPE MIRA

dei meno abbienti, e che quindi costrinse il Comune stesso a nuovi
sforzi finanziari.

In effetti, è proprio in questa occasione che vediamo, nel quadro
della politica annonaria di Perugia, un fatto nuovo. Mentre nel pe-
riodo che chiameremo normale, pur con quel significato che all’agget-
tivo « normale » si deve dare in relazione ad una situazione di carestia
cronica, la ricerca dei cereali veniva effettuata più che altro nel ter-
ritorio stesso perugino, quando si determinava una crisi acuta, il
Comune era costretto a provvedere al fabbisogno della città attra-
verso acquisti effettuati in località lontane. Ed è quello che infatti
vediamo verificarsi nell’aprile del 1390 quando veniamo a sapere, da
una lettera pervenuta ai Priori da Jacobo Angelelli da Marsciano,
oratore di Perugia presso Gian Galeazzo Visconti, che quest’ultimo
aveva concesso in prestito al Comune di Perugia 2000 sacchi di grano
(pari, come si precisa in un successivo documento, a 15.000 corbe)
che già il Duca di Milano aveva provveduto a far inviare al porto di
Fano *). Fatto nuovo, abbiamo detto, sia per la notevolissima en-
tità del quantitativo, sia perchè tale grano doveva di conseguenza
essere ricercato in mercati lontani non colpiti o meno colpiti dalla
carestia, sia, infine, per l’evidente introdursi nella questione anno-
naria di un fatto politico, quale indubbiamente non poteva non
essere considerata, tenuto conto della situazione generale dei rapporti
fra le città del centro Italia e il Visconti, la fornitura di tale ingente
quantitativo di grano, sotto forma di prestito, da parte del Duca
di Milano.

3) Vie seguite dal Comune di Perugia per coprire il fabbisogno fi-
nanziario.

Riservandoci di ritornare più oltre su questo ultimo interessante
particolare, vediamo ora se e in qual modo il Comune di Perugia
riuscisse a far fronte, sul piano finanziario, ai crescenti impegni
che i fatti bellici, nelle loro varie manifestazioni e conseguenze,
nonchè i problemi posti da un perenne stato di carestia, particolar-
mente aggravato in alcuni periodi, imponevano al Comune stesso
di sostenere, impegni che si aggiungevano — occorre non dimenti-
carlo — alle spese ordinarie pur esse spesso soggette a non lievi
incrementi ??).

Alla fine del paragrafo 2° di queste note, ricordavamo, riferen-
doci sempre al nostro precedente studio sulle entrate patrimoniali

















LE DIFFICOLTÀ FINANZIARIE DEL COMUNE DI PERUGIA 123

del Comune di Perugia, come quest'ultimo avvicinandoci alla metà
del sec. x1v, pressato da un crescente fabbisogno finanziario, potesse
ormai contare solo in minima parte sul gettito delle proprie fonti
di entrata di natura patrimoniale, e dovesse invece ricercare la coper-
tura del fabbisogno stesso nelle imposte indirette, nelle imposte di-
rette ed infine nei prestiti obbligatori.

Ora non vi è alcun motivo per ritenere che, negli ultimi decenni
del secolo, le entrate del Comune perugino, considerate secondo la
loro diversa origine, fossero mutate, mentre ve ne sono molti — e sono
praticamente quelli che siamo venuti considerando nel precedente
paragrafo — che portano a confermare, per tale ulteriore periodo,
forme di entrate proprie del periodo precedente. In sostanza, le en-
trate originarie, di fronte ad un fabbisogno che ormai doveva aver
superato il famoso traguardo dei 100.000 fiorini denunciato dal Con-
siglio dei Priori nell’anno 1377, rappresentavano ormai una quota
sempre più limitata del fabbisogno stesso (meno di un quinto, si è
detto, se ci vogliamo riferire all'ammontare di tali entrate verso il
1340) ; così che la gran parte del fabbisogno doveva essere ricoperta
— 0, per lo meno, il Comune doveva tentare di ricoprirla — con
altre fonti.

Diciamo subito come non ci sia stato possibile, almeno fino ad
ora, ricostruire un quadro completo delle varie entrate, anche se
non escludiamo che lo sia in futuro attraverso una piü approfondita
ed ampia consultazione dei documenti dell'Archivio perugino, so-
prattutto relativamente ad uno dei primi anni del periodo in esame,
ché, man mano che ci avviciniamo alla fine del secolo, le cose, anche
su un piano strettamente contabile, si complicano alquanto. Cer-
cheremo peró ugualmente, sempre del resto a mezzo della documen-
tazione disponibile, di cogliere nelle sue linee generali l'evoluzione
subita dai principali gruppi di entrate, di comprendere i motivi di
tale evoluzione nonché le conseguenze di essa sia sul piano economico
che extraeconomico.

Anzitutto le entrate di carattere patrimoniale. Come si è accen-
nato piü sopra, esse erano fondate, nella prima metà del secolo, so-
stanzialmente sui redditi di terreni di proprietà del Comune, in par-
ticolare quelli del Chiusi e sui cosi detti « frutti » del lago Trasimeno,
cioè sul gettito dei diritti di pesca.

Ora, sempre dal nostro precedente studio ricaviamo come tali
due gruppi di entrate avessero subito, nella seconda metà del secolo,
un andamento del tutto opposto. Di fronte al progressivo decadere






























































124 GIUSEPPE MIRA



dell'apporto costituito dalle affittanze dei terreni, sta un progressivo
incremento di quello derivante dalle acque del laco de Peroscia.

In effetti, da una serie di dati relativi al periodo 1351-1384,
ricaviamo che entro il periodo stesso la media di entrata, in natura,
derivante dal Chiusi perugino si aggirava intorno alle 2700 corbe
di fronte alle 8000 corbe che costituivano la media dell'importo
dell'affittanza, sempre in natura, durante il primo trentennio del
secolo **). Vero è che le entrate del Chiusi non esaurivano i redditi
dei terreni di proprietà del Comune, in quanto vi erano altre pro-
prietà terriere che nel periodo 1315-40 avevano dato un reddito di
circa 4.400 fiorini, pari a poco piü della metà del reddito del Chiusi,
redditi peró dei quali non conosciamo le variazioni relativamente
al periodo successivo. Non crediamo peró che i motivi i quali ave-
vano determinato la diminuzione della maggiore e più omogenea
proprietà terriera del Comune — e che, come abbiamo potuto con-
statare, sempre nel nostro studio, confermato da quanto si è potuto
accertare nel precedente paragrafo, si identificano nello stato generale
di depressione dell’agricoltura nel territorio perugino, a sua volta
conseguenza dei fatti di guerra — non avessero giocato negativa-
mente anche nei confronti delle altre. Cosa, oseremo dire, tanto più
verosimile in quanto a favore dei terreni del Chiusi il Comune, du-
rante tutta la seconda metà del secolo, e con sempre maggiore insi-
stenza man mano che la situazione si aggravava, aveva preso impor-
tanti e, per quanto a noi fu dato constatare, non del tutto infrut-
tuosi provvedimenti 4).

Come si è detto, le entrate derivanti dai Diritti di pesca sul lago,
durante la seconda metà del Trecento, vanno invece aumentando.
Di fronte ai 5.000 fiorini che costituivano in media il risultato del-
l'appalto della così detta comunanza delle acque del lago entro i primi
40 anni del Trecento, stanno, ad es., i 10.300 e i 13.750 fiorini deri-
vanti dall’appalto rispettivamente degli anni 1365 e 1366 4. Non è
il caso ora di specificare se detto rilevante aumento derivasse da un
incremento della produttività del lago, oppure da una intensifica-
zione dell’attività peschereccia. Abbiamo affrontato l'argomento in
altra sede e ad essa rimandiamo 4). A_ noi basti rilevare come, in de-
finitiva, il maggior gettito che i frutti dell'acqua del lago garan-
tivano riuscissero più o meno a compensare la flessione propria delle
altre entrate di carattere patrimoniale e, in particolare, di quelle
derivanti dai terreni del Chiusi.

Questa conclusione positiva non deve però ingannare. In effetti,









LE DIFFICOLTÀ FINANZIARIE DEL COMUNE DI PERUGIA 125

più che della entità dell'ammontare dei due tipi di entrate — e,
data la sua rilevanza, soprattutto di quella derivante dai diritti di
pesca sul Trasimeno — occorre rendersi conto del modo con cui

dette entrate venivano impiegate. Non bisogna infatti dimenticare
come si trattasse di un complesso di somme le quali, nei primi de-

cenni del secolo, nella loro entità complessiva — costituita allora
in maggior misura dai frutti dei terreni, e in minor misura dai frutti
del lago — giungevano a coprire un fabbisogno il quale, malgrado

la non indifferente presenza di spese militari, poteva sempre, sia pure
con una certa riserva, considerarsi un fabbisogno normale. Ora, di
fronte all'enorme aumento della spesa pubblica, quale posizione ave-
vano finito con l'assumere le due massime entrate di natura patri-
moniale del Comune perugino ? Erano esse ancora destinate a co-
prire le entrate ordinarie del Comune stesso, oppure il relativo am-
montare veniva subito assorbito dalle spese straordinarie non appena
queste si presentavano ?

Per quanto riguarda le entrate derivanti dalla proprietà terriera
e, in particolare, dal Chiusi, la risposta è facile. È d’uopo infatti
ricordare come la maggior parte di tali gruppi di entrate fosse in
natura. Ora, lo stato perenne di carestia, aggravato in alcuni parti-
colari periodi per impegni assunti verso le truppe mercenarie sono
due argomenti che facilmente fanno intuire, anche in assenza di
qualsiasi documentazione, quale finisse col divenire la destinazione
delle 3.000 corbe di grano circa di cui il Comune poteva annual-
mente disporre, una destinazione non certo normale, — quale avrebbe
potuto essere, a parte un certo accantonamento per riserva, la vendita
del grano stesso e la conseguente destinazione del ricavato alla coper-
tura delle spese ordinarie — ma anzi del tutto anormale, anche se,
atteso il suo presentarsi sempre più frequente, non certo eccezionale.

Non molto diverso è il discorso per quanto riguarda le entrate
derivanti dai frutti del lago. In effetti, tali entrate venivano rapida-
mente impegnate in spese quasi sempre di carattere eccezionale.
Non solo, ma, dato che frequentemente l’appalto della « comunanza »
era effettuato per più anni, si verificava spesso che le somme che
avrebbero dovuto servire per coprire il fabbisogno finanziario di più
esercizi, venissero in meno di un anno interamente consumate. Così
ricorderemo, a semplice titolo di esempio, come nell’aprile del 1379
ai compratori dell’acqua del lago venisse ingiunto di versare 5.000
fiorini, quale acconto del loro debito verso il Comune, alla Camera
Apostolica e ciò in seguito ai patti che Perugia aveva da poco con-



























































126 GIUSEPPE MIRA

cluso con il Pontefice **); come, nel febbraio 1381, avendo Perugia
un residuo debito con Venezia di 17.000 fiorini, ed avendo i Priori
deciso di restituirne una parte, essi risolvessero il problema ordi-
nando agli acquirenti della « comunanza » del lago, il versamento di
10.000 fiorini, somma che, grosso modo, non doveva essere molto lon-
tana dal gettito totale della « comunanza » stessa **). Così ancora nel
marzo 1391 venivano prelevati dai frutti dell’acqua del lago — che,
cosa, questa, quanto mai sintomatica, viene definita la forma più ce-
lere per avere denaro — 1.000 fiorini, per farne deposito presso un
cambiatore e ciò al fine di pagare il grano che si sarebbe acquistato in
considerazione della carestia imperversante ‘°), mentre quattro mesi
dopo veniva imposto agli ufficiali dell'abbondanza di non prelevare
più di 1.500 fiorini dai frutti dell’acqua del lago **), segno evidente
che, preoccupato di questa dispersione in spese straordinarie delle
somme che avrebbero dovuto servire a coprire il fabbisogno ordi-
nario del Comune, quest’ultimo cercava, probabilmente però con
scarso successo, di mettere un argine.

Esaurite le risorse costituite dalle entrate di carattere patrimo-
niale, o, più probabilmente, in concomitanza ad esse, il Comune
poteva valersi del gettito delle imposte indirette.

Parecchie erano queste ed alcune assicuranti, almeno in linea
normale, un gettito cospicuo. Fra queste, la gabella dei contratti
che nell’anno 1368 assicurava al Comune circa 4.000 fiorini, il pe-
daggio delle salme grosse che all’incirca nello stesso periodo rendeva
7.300 fiorini, la gabella del vino che dava un gettito di 8.000 fiorini,
la gabella del bestiame che fruttava 1.200 fiorini ed infine altre gabelle
minori per un totale di circa altri 1.500 fiorini 4). Complessivamente,
cioè, verso l’inizio dell’ultimo trentennio del secolo xrv, le finanze
perugine potevano contare su una entrata derivante da imposte
indirette pari a circa 22.000 fiorini, una somma cioè corrispondente
al doppio delle entrate derivanti dalle acque del lago per lo stesso
periodo. Somma rilevante, senza dubbio, ma che rappresentava però
sempre poco più della classica goccia nel mare del fabbisogno finan-
ziario ognor crescente del Comune perugino. Con ciò si spiega perchè,
quando il Comune di Perugia aveva nominato nell’aprile 1377,
come abbiamo ricordato all’inizio delle presenti note, la Commis-
sione di 20 boni homines, incaricata di sistemare le entrate, onde giun-
gere alla copertura del noto fabbisogno di 100.000 fiorini, questa
ultima, fra le altre provvidenze, avesse proposto un aumento della
tariffa della gabella del macinato, precisando — e ciò allo scopo di











LE DIFFICOLTÀ FINANZIARIE DEL COMUNE DI PERUGIA I27

evitare quanto già accadeva per i frutti dell'acqua del lago **), e cioe
che i responsabili della cosa pubblica finissero con il.... mangiare
il fieno in erba — che la gabella stessa dovesse essere esatta diretta-
mente dagli organi del Comune e non venduta.

Di fatto, peró, i Dirigenti del Comune dovettero rendersi conto
che l'aumento delle imposte indirette aveva un limite e che questo
limite era dato dalla impossibilità pratica di gran parte della citta-
dinanza, attesa la situazione generale di depressione economica, ed
attesa la natura delle imposte indirette che finivano col colpire in
modo indiscriminato abbienti e non abbienti, di subire degli ulte-
riori gravami. Ció é tanto vero che dopo il provvedimento preso nel-
laprile 1377 circa l'aumento della gabella del macinato, non pare
che il Comune insistesse molto su tale via per ottenere un aumento
nelle entrate. Anzi vediamo come nel marzo 1391, quando peró per
la carestia e la guerra la situazione generale si era aggravata, i Priori
nominassero una Commissione incaricata di studiare i criteri per uno
sgravio della tassa delle bocche e di quella del macinato *°) e nell’aprile
successivo decretassero, sempre esplicitamente a causa della miseria
e della guerra, la revoca della tassa salaria *'). Solo quando la spe-
cifica situazione finanziaria tese ad aggravarsi, il Comune fu costretto
a ricorrere nuovamente all’imposizione indiretta aggiungendo, a quelli
già esistenti, altri gravami. Ciò avvenne, ad esempio, nell’aprile 1392
quando venne introdotta una imposta di dieci soldi per ogni corba
di grano raccolta e di cinque soldi per ogni corba di orzo. spelta o
altri cereali, nonchè per ogni salma di vino *?) ; ma ormai ci si avviava
verso la fase più critica della situazione finanziaria del Comune, per
cui anche di fronte a provvedimenti impopolari e per di più estrema-
mente dannosi all'economia generale, già per altri motivi depressa,
come quello di un’imposta sui prodotti della terra, i responsabili
della cosa pubblica non erano più in grado di arrestarsi.

D'altra parte, anche per quanto riguardava le imposizioni
indirette e sempre sotto la pressione crescente del bisogno, vediamo
come venisse spesso seguito quel criterio, già adottato per le co-
munanze, in seguito al quale, per coprire le spese straordinarie, il
Comune finiva col privarsi del flusso ordinario delle sue entrate
vendendo, e spesso per diversi anni, il diritto di esazione delle im-
poste stesse. È ciò che vediamo, infatti, attuato nell’ottobre del
1390 quando i Priori ordinano di vendere la gabella del macinato
e ciò esplicitamente al fine di pagare, con il ricavato della vendita,
i debiti contratti a suo tempo dal Comune *?).























128 GIUSEPPE MIRA

Accanto alle risorse derivanti dalle imposizioni indirette, si
poneva una terza fonte di entrate : quella derivante dalla imposi-
zione diretta, cui si può affiancare, in considerazione della natura
similare e tenuto conto del fatto che spesso esso si trasformava in
reale imposizione, il prestito obbligatorio.

Da tempo esistente, come altrove, del resto, questo particolare
strumento della finanza perugina — tanto che già nel xim secolo
vediamo che il Comune configura il proprio catasto o estimo dei
beni immobili e mobili — vede rapidamente aumentare, dopo la
metà del xiv secolo, la sua applicazione. Occorre ricordare, in ef-
fetti, come per norma statutaria risalente all'anno 1279, la col-
letta, come veniva chiamata l’imposizione diretta, fosse applica-
bile solo in pochi casi e cioè quando il Comune avesse dovuto
sostenere spese di guerra e quando ne fosse stato richiesto dal Pon-
tefice o dall'Imperatore. In conseguenza di ciò, non pare che l'ap-
plicazione stessa, almeno per un certo periodo, avesse luogo con
molta frequenza. Comunque, nei casi in cui essa venne introdotta
e cioè entro la prima metà del secolo xiv, essa lo fu non già per
esigenze generiche di bilancio, ma per provvedere alla copertura di
una specifica spesa 5**). Chiaro e peró che quando le spese del Co-
mune cominciarono rapidamente ad aumentare e ad aumentare pro-
prio soprattutto per cause di guerra, il Comune perugino trovó
giustificato e soprattutto comodo avvalersi ampiamente di tale
nuova fonte di entrate.

Prendendo le mosse dalla fine del terzo venticinquennio del
secolo e piü precisamente dal dicembre dell'anno 1375 dopo cioé
la vasta lacuna di cui soffre la più organica documentazione della
storia perugina, cioè gli Annali Decemvirali, poco prima della no-
mina della più volte ricordata commissione di boni homines incari-
cata, nell’aprile 1377, di sistemare le entrate del Comune, e precisa-
mente nel marzo, vediamo fissata una colletta di un fiorino per ogni
cento lire di somma accertata nel catasto oltre a 20 soldi per ogni
casa abitata, gabella che nell’aprile successivo, forse per le difficoltà
stesse dell’applicazione, appare prorogata 55).

Una colletta di fiorini 8 per centinaio di lire di catasto e di
soldi 20 per focolare vediamo imposta nel successivo settembre °°).
Non siamo però ora in grado di dire se si trattasse della colletta
fissata nel marzo e poi prorogata, oppure di una nuova imposizione.
Comunque, anche nel primo caso, sarebbe sempre sintomatico il
fatto dell’aumento dell’aliquota da 1 a 8 fiorini, per altro spiegabile











“ac A









LE DIFFICOLTÀ FINANZIARIE DEL COMUNE DI PERUGIA 129

proprio con la stessa motivazione con la quale il provvedimento
viene preso dai Priori : le sempre nuove necessità e le spese crescenti.

Negli anni immediatamente successivi la collelta non pare
trovi molta applicazione, mentre essa appare ampiamente sosti-
tuita dalle prestanze obbligatorie. Queste appaiono applicate in
due tmodi : o sull'intera collettività, oppure su specifici settori della
popolazione attiva perugina, più specificamente: sulle corpora-
zioni delle Arti e sulla Comunità ebraica.

Cosi l'insieme delle Arti vediamo che viene chiamato a contri-
buire con un prestito obbligatorio complessivo di 3816 fiorini nel-
l’anno 1368, mentre gli ebrei, nella stessa prestanza, vengono quo-
tati per 500 fiorini *?).

Nel 1374 sempre dagli ebrei vengono ottenuti 700 fiorini senza
interesse 5). Nel luglio del 1376, e cioè specificamente per esigenze
di guerra, viene imposta alla comunità ebraica un’altra prestanza
di 1000 fiorini 5°).

Ancora da un documento del novembre 1377 risulta che la
Società dei Mercanti e il Collegio del Cambio avevano prestato al
Comune 4500 fiorini ; e ciò, come si è visto più sopra, per pagare la
rata alle truppe in conseguenza della lega effettuata con Bernabò
Visconti a Firenze °°).

Un prestito di 500 fiorini viene imposto agli ebrei nel giugno
1380 ®), ed altro ancora alla stessa Comunità per 1000 fiorini l'anno
seguente, da destinarsi alla costruzione del magazzino per il depo-
sito del grano di proprietà del Comune *), mentre nell'ottobre 1382,
sempre in considerazione della carenza di denaro soprattutto per
pagare gli «stipendiari» — segno, questo, evidentissimo che le
entrate ordinarie del Comune, le quali, fra l’altro, avrebbero dovuto
servire a coprire quelle che, per l'appunto come gli stipendi dei di-
pendenti del Comune, costituivano una classica spesa ordinaria,
erano già state tutte impegnate — sono ancora le Arti che ven-
gono chiamate a versare una nuova prestanza °*).

Man mano che ci inoltriamo verso il periodo più critico delle
finanze del Comune, le prestanze assumono sempre più un carat-
tere di generalità *). Così nel dicembre 1391 vediamo che i Priori
decidono di imporre un nuovo prestito obbligatorio da applicarsi
su tutti i cittadini, sempre a causa della guerra e, si aggiunge,
quasi a giustificare questo nuovo gravame, « solo per questa» A
Sempre per fini bellici viene applicato, nel marzo dell’anno seguente,
un nuovo prestito di 3000 fiorini ‘*), mentre, nel maggio successivo,

9





























130 GIUSEPPE MIRA

ne vediamo introdotto altro col sistema della colletta, cioè con ali-
quote varie a seconda della cifra di allibramento al catasto **).

Nel 1394 sono ancora il Collegio della Mercanzia e quello del
Cambio che vengono obbligati a versare rispettivamente 3000 e
1500 fiorini *), e quattro anni più tardi, per gli impegni assunti
verso il Papa, oltre che per le solite spese militari, viene applicata
un’altra imposta o colletta di 1 fiorino e 1/2 per ogni 100 lire di
somma accertata nel catasto *°).

Ma il problema finanziario non poteva risolversi con una sem-
pre più intensa applicazione di imposte e prestanze obbligatorie.
A parte il fatto che vi è da dubitare circa i risultati concreti di
tale settore della politica finanziaria del Comune perugino — e
ciò, come abbiamo avuto già modo di accertare, anche i documenti
ufficiali lasciano trasparire — in quanto la crescente pressione fiscale
non poteva non determinare un certo ostruzionismo da parte dei
contribuenti, nonchè notevoli evasioni, il gettito delle imposte e
delle prestanze appare sempre al di sotto anche di una sola delle
voci della spesa, soprattutto di quelle a carattere straordinario.
Ed è allora che Perugia ricorre alle due ultime risorse per cercare
di sanare o perlomeno salvare la situazione finanziaria : i prestiti
esteri e la svalutazione della moneta.

Sulla svalutazione della moneta il discorso è estremamente
complesso e difficile, come tutto ciò che riguarda il settore mone-
tario soprattutto in epoca abbastanza remota e pertanto ci riser-
viamo di effettuarlo in altra sede. Ricorderemo solo come anche
per Perugia il problema si ponesse in modo estremamente grave
se — e ci limitiamo a questo semplice, ma significativo dato — il
fiorino che negli anni 1326-1340 era valutato soldi 79 circa in mo-
neta di conto, nel periodo 1380-83 appare quotato 88 soldi.

Circa i prestiti esteri tre sono da segnalare relativamente al
periodo considerato, di cui due si collocano entro il periodo più
critico delle finanze del Comune. L’uno è quello che risulta essere
stato concesso da Bernabò Visconti anteriormente l’anno 1379
per un importo non inferiore ai 62.000 fiorini **). L'altro & quello
ottenuto da Venezia nei primi mesi dell'anno 1380 per un ammontare
di 20.000 fiorini ?) e del quale l’anno seguente rimanevano ancora
da restituire 17.000 fiorini, pagati parte nello stesso anno e parte
in quello successivo.

Il terzo prestito, molto più vistoso, viene richiesto a Gian Ga-
leazzo Visconti, Duca di Milano, e da lui ottenuto nell’aprile 1390.











LE DIFFICOLTÀ FINANZIARIE DEL COMUNE DI PERUGIA 131

Esso si presentava però — nel 1390, siamo, come si è già ricordato,
nel pieno di una gravissima carestia — sotto forma di concessione
di 2000 sacchi di grano pari a 15.000 corbe che, al prezzo politico
di 2 fiorini la mina, fissato dagli organi preposti all’annona (ma, in
pratica, scrive il Pellini, si vendeva a 3 fiorini e non se ne tro-
vava), significava un valore di almeno 120.000 fiorini ??).

Non è qui la sede di esaminare tutte le vicende della politica
interna italiana che avrebbero portato, fra l’altro, all’assunzione della
Signoria di Perugia da parte di Gian Galeazzo Visconti ?*). Solo è
interessante rilevare come il prestito in natura, in un momento
particolarmente difficile per Perugia, sia per la carestia che per
la carenza di mezzi finanziari abbia, con ogni probabilità, costi-
tuito una facile occasione, per il Duca di Milano, di intraprendere
anche con la città umbra quella politica che lo avrebbe portato,
sia pure per poco tempo, ad estendere il suo dominio fin nell’Ita-
lia centrale.

Il ricorrere, sia pur quale ultima risorsa, agli aiuti finanziari
di una potenza che, soprattutto nell’epoca in questione, non avrebbe
mancato di far sentire, presto o tardi, sul Comune perugino il peso
della propria forza, con ciò, si noti, annullando anche in parte di-
rettamente o indirettamente l’efficacia degli aiuti finanziari offerti
al Comune ?*), è una ulteriore prova dello stato di impotenza cui
gli organi dirigenti della cosa pubblica nella città, verso l’ultimo
decennio del secolo, erano pervenuti. In effetti, se la gravità della
situazione finanziaria in cui Perugia si dibatteva, era indubbia-
mente dovuta al progressivo accrescersi delle spese soprattutto
straordinarie che essa, in conseguenza della situazione bellica, non-
chè della carestia, aveva dovuto sostenere, non v’ha dubbio che ad
aggravarla non poco o ad impedire che ad essa si ponesse qualche
rimedio che non costituisse un semplice palliativo, dovette contri-
buire un certo stato di disordine generale nella finanza.

La cosa, come si ricorderà, era già stata denunciata dai respon-
sabili massimi del Comune, cioè i Priori, nell’anno 1377 quando,
già in epoca di spese crescenti, era stato posto chiaramente il pro-
blema di raggiungere la cifra complessiva di entrata di 100.000
fiorini costituenti il fabbisogno annuo finanziario del Comune. Il
fatto, ad esempio, che nelle conseguenti delibere, il Consiglio dei
Priori avesse insistito sulla opportunità che le gabelle venissero
riscosse dal Comune e non vendute (e ciò ad evitare l'inconveniente
di prosciugare in poco tempo le fonti di entrata), ancora la disposi-


























































132 GIUSEPPE MIRA
zione in base alla quale dovevano essere posti nella libra o catasto
anche tutti i beni mobili; la successiva disposizione tendente ad
includere nell’imposizione dei carichi fiscali anche le categorie fino
allora esenti, come i chierici e gli stranieri (a proposito di questi
ultimi nel novembre dello stesso anno 1377 veniva stabilito, sempre
a causa dell'urgenza di denaro, che i non soggetti alla giurisdizione
di Perugia, ma aventi beni nella città e suo territorio, pagassero il
quadruplo delle collette imposte *5); l’altra ancora con cui si imponeva
una revisione dei libri delle Comunanze, dato che in essi erano stati
rilevati vari errori ?*); ma soprattutto la esplicita richiesta di fre-
nare le spese, se dimostrano le buone intenzioni dei Priori di met-
tere ordine in questo importante settore della cosa pubblica, fanno,
nel contempo, intravvedere che molte cose o non funzionavano 0
funzionavano male.

La cosa trova, naturalmente, conferma negli anni successivi.
Nel febbraio 1382 il Comune doveva pagare i propri dipendenti e
mancava il denaro necessario (...pro paupertate el necessitale vi-
gente) *), mentre pochi giorni dopo i Priori rilevano in una loro
delibera che vi è una immoderata moltitudine di spese e nominano tre
persone che abbiano a studiare il modo per ridurle ?). La carenza
di denaro per pagare gli « stipendiari » si ripete nell'ottobre e ad
essa si provvede, come si è ricordato più sopra, con una prestanza
obbligatoria sulle Arti. Sempre nello stesso mese i Priori rilevano
che vengono effettuate troppe spese in conviti, nozze e funerali,
il che è contra bonum statum civitatis Perusiae, per cui sì nominano
due boni homines che col Cancelliere provvedano ad emanare ordini
al riguardo ?*), disposizione, questa, che viene ribadita, con talune
modifiche, pochi giorni dopo con motivazione anche più esplicita
(sine refrenatione et moderatione dicte expense ipsum Comune Perusie
ad extremum conducetur)**) nonché, sempre per una limitazione
delle spese, nel marzo 1383 1).

Passando all'ultimo decennio del secolo, non pare che le cose
mutino di molto malgrado gli aiuti finanziari del Duca di Milano,
ché anzi veniamo a sapere, sotto la data dell'11 gennaio 1392, che
il Podestà ed il Capitano del popolo non erano stati ancora pagati,
onde vengono assegnati i 100 fiorini a testa loro spettanti traendoli,
secondo il solito criterio, dai frutti della gabella sul macinato *),
mentre alla fine dello stesso mese sono gli ambasciatori inviati
qualche tempo avanti a Genova che attendono i loro salari e il rim-
borso delle spese sostenute **). Sempre nel gennaio dello stesso anno















LE DIFFICOLTÀ FINANZIARIE DEL COMUNE DI PERUGIA 133

vengono nominati cinque camerarii per effettuare un reperimento
esatto delle spese e delle entrate **).

Naturalmente vi sarebbe da chiedersi se tutte queste disposi-
zioni tendenti a frenare le spese, se queste commissioni nominate
e investite normalmente di vasti poteri riuscissero in qualche modo
nel loro intento. Ora e chiaro che una risposta sarebbe possibile solo
attraverso una ricostruzione dei bilanci del Comune, cosa forse
realizzabile, come già si é detto, ma che richiederebbe l'esame appro-
fondito dei Registri dei Conservatori della Moneta, di quelli dei Mas-
sari, nonché degli eventuali altri consegnatari del pubblico denaro.
Certo, qualche risultato si dovette raggiungere. Ne possono essere
esempio la soppressione di spese relative a taluni uffici del Comune
decisa nella più volte ricordata delibera dell’anno 1377 **), nonchè
di quella, decisa nel marzo 1391, attinente all’affitto di locali tenuti
dal Comune stesso, soppressione, anche quest’ultima, decisa con
esplicito riferimento alla necessità di una politica di restrizione *). Ma
vi è da dubitare che, anche se attuata con un certo coraggio, una
eventuale compressione delle spese normali — chè, in definitiva,
si trattava soprattutto di queste, atteso che quelle straordinarie,
proprio a causa della loro natura, non potevano essere eliminate —
riuscisse a mutare la situazione.

Situazione che però non impediva ai responsabili della cosa
pubblica in Perugia di assumere qualche provvedimento, che per
il suo contenuto umano e sociale, nonchè — e soprattutto — per lo
spirito con il quale espressamente esso veniva accompagnato, è,
riteniamo, interessante sottolineare.

Sempre gli Annali Decemvirali, sotto la data del 6 ottobre
1382, ci informano come i Priori avessero deliberato di concedere
anche per il corrente anno, secondo la consuetudine, una elemosina
in grano ai poveri per un ammontare complessivo di 300 corbe,
cioè 60 per ogni Porta *°). La delibera della concessione appare, nel
documento, preceduta da un preambolo in cui si afferma come fosse
sempre risultato che, facendo l'elemosina, il Comune «... semper
de bono in melius augebatur et quod cessante ipsa elemosina ipsum
Comune numquam in bono pacifico statu prosperavit ». Ora questo
considerare il consueto atto di carità effettuato, come dice sempre
la delibera, «... amore Dei el sue genetricis Virginis Marie ad honorem
el reverentiam s.ti Johannis decollati el omnium Sanctorum et Sancla-
rum», quasi una garanzia per ottenere dal Cielo la pace e la sicurezza
per la città, mentre fa supporre che, almeno in un primo momento,















134 GIUSEPPE MIRA

la delibera avesse trovato qualche opposizione, atteso che il Comune
si era messo chiaramente su un piano di austerità (di pochi giorni
dopo sarebbe stato il provvedimento già ricordato, tendente a fre-
nare ogni spesa superflua), mostra come il Comune stesso, pure in
momenti critici sul piano politico ed economico che lo avevano o lo
avrebbero in seguito sollecitato ad assumere atteggiamenti di facile
compromesso, ritrovasse, probabilmente per la voce di alcuni suoi
uomini migliori, lo spirito proprio degli antichi Comuni, attraverso
l'applicazione concreta di uno dei precetti fondamentali dell'ordine
cristiano, cioè la carità **).

Certo, malgrado tale gesto di solidarietà verso i propri figli
più bisognosi, il buono e pacifico stato della città, già pochi anni
dopo diveniva per Perugia una sempre più vana aspirazione. Ma è
chiaro come allora nessun atto di carità avrebbe potuto richiamare
l'occhio benevolo di Dio e dei Santi protettori di Perugia sulla città,
chè, se mai, comportamento di privati e azione pubblica congiura-
vano per allontanarlo da essa. Il fatto è che tutto va rapidamente
mutando e se Perugia è matura per la sua Signoria, i suoi abitanti
o, per esser più precisi, quelli che possono, sono sempre più pronti
a godersi la vita e quelli che non possono si limitano ad attendere
una beneficenza, che, oltre ad essere sempre meno abbondante, è
forse più suggerita dal timore del turbamento che i « miserabili » e i
«vagabondi » potevano recare alla propria sicurezza, che non da un
reale spirito di carità.

Giuseppe MIRA

NOTE

1) Circa la questione, in generale, vedi G. Luzzatto, Storia economica
d’Italia, Il Medioevo, Firenze, 1963, Cap. X, soprattutto ai paragrafi 1-5,
e A. FANFANI, Storia economica, Parte Prima, Torino, 1965, Cap. V, para-
grafo 97. Sempre valida è la Storia delle dottrine finanziarie del Ricca SALERNO,
mentre, per ciò che concerne i problemi finanziari relativamente ad alcune
grandi città, ci si può ancora molto utilmente riferire ai lavori del BARBADORO,
del CeEssi ed ancora del LuzzaATTO.

2) G. Mira, Le entrate patrimoniali del Comune di Perugia nel quadro
dell'economia della città nel XIV secolo, in « Annali della Facoltà di economia
e commercio della Università di Cagliari, anno accademico 1959-60 », Cuneo,
Ghibaudo.





Fn







‘>



LE DIFFICOLTÀ FINANZIARIE DEL COMUNE DI PERUGIA 135

*) Gli altri redditi, costituenti circa un quindicesimo sempre delle entrate
di origine patrimoniale, derivavano da fitti di case e dal Diritto di Zecca.

*) Ecco quali erano le spese del Comune di Perugia, ripartite fra le varie
voci, nel primo decennio del Trecento :

Spese per salari a dipendenti del Comune lire 21.299 pari al 33,54%

Spese per cause di guerra (soprattutto





per il soldo alle milizie) lire 21.022 pari al 33,06%
Spese per risarcimento di danni causati
dai condannati live 02720 pari al. .9.86°5
Spese per ambasciate lire 2.420 pari al 3,80%
Spese per lavori pubblici lire 5.050 pari al 7,94%
Spese per elemosine lire 3.600 pari al 5,66%
Spese varie lire 3.909 pari al 6,14%
Totale lire 63.575 100,00

G. MIRA, Le entrate patrimoniali del Comune di Perugia nel quadro dell'economia
della città nel XIV secolo cit., p. 21. ,

9) G. MIRA, Le entrate patrimoniali ecc., cit., p. 22, 23.

*) G. MIRA, Le entrate patrimoniali ecc., cit., p. 26, 27.

?) Vedi p. 135 nota ‘*).

8) V., a questo proposito, G. MIRA, / catasti perugini dal XIII al XV se-
colo, in « Economia e storia », aprile-giugno 1955.

*) ARCHIVIO DI STATO DI PERUGIA (A.S.P.), Annali Decemvirali, Vol. 25,
cc. 122 t.-132. Talune di queste notizie sono riportate anche dal PELLINI
(Dell’ Historia di Perugia, di Pompeo PELLINI, in Venetia, MpcLxIv, Parte
Prima, pag. 1183).

1°) L. BoNAzzI, Storia di Perugia, Città di Castello, 1959, Vol. I, p. 387.
Il Bonazzi, anzi, attribuisce i provvedimenti del Comune perugino tendenti
ad aumentare le entrate — ed ai quali egli accenna sia pure in modo generico —
a tali avvisaglie di guerra. Di fatto, come si è accennato, essi avevano causa
ben più profonda.

11) Già,in altra occasione le Arti erano state specificamente chiamate a
fornire somme all’erario pubblico, come, ad es., nel 1368 quando avevano
dovuto versare, quale prestanza obbligatoria, 3816 fiorini. Anche in questo
caso, circa la metà della somma venne fornita dalla Società dei Mercanti e
dal Collegio del Cambio (G. Mira, Aspetti dell’organizzazione corporativa in
Perugia nel XIV secolo, in « Economia e Storia », fasc. 3, 1959, p. 390 e segg.).
Secondo il Bonazzi (op. cit., p. 392) ancora verso il 1379 la somma di cui
Bernabó Visconti era creditore verso Perugia ammontava a ben 62.000 fio-
rini. Hl Bonazzi aggiunge però, argutamente, che « è da credere che i perugini
lo pagassero con le feste che fecero quando Bernabò annunziò loro il matri-
monio della sua figliola con il nipote Gian Galeazzo ».

12) A.S.P., Annali Decemvirali, Vol. 23, c. 259 t., 13 novembre 1377.



















136 GIUSEPPE MIRA

13) G. Mina, Le entrate patrimoniali ecc., cit. p. 23.

15) A.S.P., Annali Decemvirali, Vol. 27, c. 47 t.

15) In data 9 marzo, infatti, i Priori disponevano che un mulino che
già funzionava durante la guerra con lo Stato della Chiesa, venisse riat-
tivato (A.S.P., Annali Decemvirali, Vol. 27, c. 53 t, 54), mentre in data 18
marzo veniva dato incarico agli Ufficiali dell’abbondanza di tenere pronte
200 corbe di grano (idem, idem, c. 57 t).

16) A.S.P., Annali Decemvirali, Vol. 27, c. 65 t. Con delibera del 25
marzo il Consiglio dei Priori, atteso che la suddetta Societas era disposta
a non invadere le terre del Perugino qualora il Comune avesse versato ad
essa 2.000 fiorini, accettava tale proposta e dava ordine di stipulare i re-
lativi patti. Con delibera del 9 aprile (c. 80 t.) i Priori decidevano di ag-
giungere al versamento in moneta anche la cessione di un certo quantitativo
di vettovaglie e ció, dice espressamente la disposizione, tanto piü che nel
territorio già si trovavano l'altra Societas teutonichorum et anglicorum per
cui era buona cosa non inimicarsi quella degli Italici.

17?) A.S.P., Annali Decemvirali, Vol. 27, c. 96.

18) A.S.P., Annali Decemvirali, Vol. 27, c. 62 t., 21 marzo 1379. .

19) Cronache e storie inedite della Città di Perugia dal MCL al MDLXIIT
etc. Parte I, Cronache della Città di Perugia dal 1309 al 1491 nota con il
nome di Diario del Graziani, in « Archivio Storico Italiano », Tomo XVI,
Parte I, Firenze, 1850, p. 237.

*°) Diario del Graziani, cit., p. 242. Aggiunge anche : « pure se vendeva
secretamente dopo il bandimento a fiorini doi e mezo e a fiorini tre e. non
se trovava da comparare » (V. anche A.S.P., Annali Decemvirali, Vol. 38,
c. 2 t, 3 gennaio 1390).

81) Diario del Graziani, cit., p. 243. a

?) Diario del Graziani, cit., p. 244 e 252. V. anche A.S.P., Annali
Decemvirali, Vol. 38 c. 11 t., 22 febbraio; nel relativo provvedimento si
parla addirittura di espulsione di cittadini fiorentini.

23) A.S.P., Annali Decemvirali, vol. 25, c. 214, 3 settembre 1377.

320 +» » » vol. 26, c. 10 t., 19 dicembre 1377.

3) » » vol. 26, c. 320 t., 9 novembre 1378.
36) 3 » » vol. 27, c. 10 t., 14 gennaio 1379.
Mi.» » » vol. 27, c. 26, 10 febbraio 1379.

8o » » vol. 27, c. 103, 4 maggio 1379.

3). » » vol. 27, c. 162 t. 163, 200 segg., 6

agosto e 20 settembre 1379.

39) A.S.P., Annali Decemvirali, vol. 28, c. 165, 17 ottobre 1380.

amy » » vol. 28, cc. 207 t., 211, 212, 10 di-
cembre e 14 dicembre 1380.

82?) A.S.P., Annali Decemvirali, vol. 29, c. 8 t, 11 gennaio 1381.

35 è » » vol. 29, c. 38 t, 11 marzo 1381...







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138 GIUSEPPE MIRA

reddito derivante dall'acqua del lago di ventimila fiorini ; ma anche in questo
caso la cifra appare esagerata.

4*) G. MIRA, Le entrate patrimoniali ecc., cit., p. 46 e segg.

4) A.S.P., Annali Decemvirali, vol. 27, c. 91 t., 23 aprile 1379.

15) » » » vol. 29, c. 16, 1" febbraio 1381.
4) 0» » » val. 38, cc. 37, 32. 1., 2, margo . 1391.
a0» » » vol. 38, c. 56, provvedimento in data

20 giugno 1390.

*55 G. Mina, Le entrate patrimoniali ecc., cit., pp. 24, 25.

4°) A.S.P., Annali Decemvirali, vol. 25, c. 123 t., 125.

89 0» » » vol. 38, c. 37, 13 marzo 1391.

8) 0» » » vol. 38, c. 45, 8 aprile 1391. Tale tassa
sarebbe stata peró nuovamente introdotta nel dicembre successivo, limi-
tatamente alle persone piü abbienti. I tassati furono infatti solo 446 e l'im-
posizione varió da un minimo di 6 fiorini ad un massimo di 30 (A.S.P., An-
nali Decemvirali, vol. 38, c. 142 seg.).

52) A.S.P., Annali Decemvirali, vol. 39, c. 68 t., 8 aprile 1392.

53) » » » vol. 38, c. 112 t., 8 ottobre 1390.

54) G. MIRA, Le entrate patrimoniali ecc., cit., p. 26.

55) A.S.P., Annali Decemvirali, vol. 25, c. 62, 20 marzo 1377, cc. 74,
2 aprile 1377.

56) A.S.P. » » vol. 25, c. 219 t., 11 settembre 1377.

5?) G. MIRA, Aspetti dell’Organizzazione Corporativa in Perugia nel XIV
secolo, in « Economia e Storia », 1959, fasc. 3, p. 390 e segg.

5) PELLINI, op. cit., Parte Prima, pag. 1374.

59) A.S.P., Annali Decemvirali, vol. 24, c. 124, 5 luglio 1376.

**) V. pag.

*9) A.S.P., Annali Decemvirali, vol. 28, c. 83, 8 giugno 1380.
Sx » » vol. 29, c. VI (70), 2 maggio 1381.
Shi » » vol. 30, c. 147 t., provvedimenti in

data 20 ottobre 1382. In questo caso la somma non appare precisata in quanto
viene disposto che ogni camerario delle Arti possa e debba imporre agli arte-
fici una prestanza. Molto probabilmente si tratta della prestanza ricordata
dal PELLINI (op. cit., parte 12, p. 1296).

4) V. infatti il PELLINI, (op. cit., Parte II?, p. 4) il quale, sotto l'anno
1390, informa che erano stati chiesti molti denari per comperare grano.
*5 A.S.P., Annali Decemwirali, vol. 38, c. 131 t., 14 dicembre 1391.

4) » » » vol. 39, c. 42 seg., 3 marzo 1392. A
provvedimento segue l’elenco dei prestatori divisi per Porte.

*") A.S.P., Annali Decemvirali, vol. 39, c. 79 t., 27 maggio 1392.

**) PELLINI, 0p. cit., parte II, p. 63.

**) PELLINI, op. cit., parte II, p. 103.

19?N. nota 11 a p. 135,











LE DIFFICOLTÀ FINANZIARIE DEL COMUNE DI PERUGIA 139

n) A.S.P., Annali Decemvirali, vol. 28, cc. 26, 41 e bdo.

") V. p. 122.

*3) Vedansi, in proposito, soprattutto gli studi di G. FRANCESCHINI,
Biordo Michelotti e la dedizione di Perugia a Milano, in « Bollettino della
Deputazione di Storia Patria per l'Umbria», anno 1948, pag. 92 segg. e:
La dedizione di Perugia a Gian Galeazzo Visconti Duce di Milano, in « Archivio
storico Lombardo, anno XC, pagg. 287-305.

'j Direttamente in quanto, ad es., come ci informa il PELLINI (0p.
cit., Parte II, p. 86), nell’anno 1397 Perugia, a causa dell’impegno che si
era assunta di tenere a proprie spese molte lance a disposizione del Duca,
si era nuovamente trovata in difficoltà, tanto da dover inviare un’ambasciata
a Gian Galeazzo Visconti per ottenere un alleggerimento dell’impegno stesso ;
indirettamente perchè, entrando Perugia nell’orbita del Ducato di Milano,
si metteva automaticamente contro gli avversari di quest’ultimo esponen-
dosi con ciò a tutte le possibili reazioni e rappresaglie. Così, ad esempio,
poco dopo la concessione del prestito a Perugia, Gian Galeazzo aveva chiesto
ai Perugini, tramite il proprio Commissario, Luchino de Casate, 600 fiorini
da destinare alla costruzione di fortilizi contro i nemici comuni (A.S.P.,
Annali Decemvirali, vol. 38, c. 45, 8 aprile 1391).

75) A.S.P., Annali Decemvirali, vol. 38, c. 264, 24 novembre 1377.

7)» » » vol 25, c. A4 t,.4 dicembre 13/7.

7) 0» » » vol. 30, c. 24 t., 15 febbraio 1382. In
seguito a tale constatazione i Priori ordinano ai Massari di vendere al miglior
prezzo il legname che era stato preparato per effettuare delle costruzioni e
riparazioni per conto del Comune.

78) A.S.P., Annali Decemvirali, vol. 30, c. 27 t., provvedimenti in data
20 febbraio 1382.

7) A.S.P., Annali Decemvirali, vol. 30, c. 184 t, 25 ottobre 1382. Oc-
corre ricordare, a proposito di spese superflue, che già nell’anno 1376 erano
state emanate in Perugia delle norme suntuarie, con quale risultato, però,
non ci è dato sapere (A.S.P., Annali Decemvirali, vol. 24, c. 172 t. segg.).

0) A.S.P., Annali Decemvirali, vol. 30, c. 200 t, 31 ottobre 1382.

81) » » » vol. 31, c. 46 t - 47.
83) » » » vol. 39, c. 6 t.
8) 0)» » » vol. 39, c. 20, 31 gennaio 1392. In tale

occasione si chiede ai compratori dell'acqua del lago di anticipare i 200 fiorini
che avrebbero dovuto versare nei mesi di marzo ed aprile, ma la delibera
viene revocata il 7 febbraio successivo (c. 27 t.) essendosi rinvenuto altrove
il denaro necessario.

#4) A.S.P., Annali Decemvirali, vol. 39, c. 14 - 14 t., 23 gennaio 1392.

#5) Fra l’altro, come ricorda anche il PELLINI (op. cit., Parte Prima,
p. 1183), venivano ridotte le spese per il vitto dei Priori, mentre veniva
fissata in un massimo di 10 fiorini al bimestre la loro « provisione ».

















140 GIUSEPPE MIRA

**) A.S.P., Annali Decemwvirali, vol. 38, c. 39, 15 marzo 1391.

B) » » vol. 30, c. 153, 6 ottobre 1382.

$) Puó essere interessante ricordare ancora come nello stesso anno
1382, e precisamente il 24 gennaio, avessero deciso, a titolo di ringrazia-
mento per la vittoria ottenuta contro iribelli, di dare «...super elemosinis
faciendis et erogandis amore Dei », 25 fiorini d'oro (A.S.P., Annali Decemvirali,
vol. 30, c. 13 t.). Dal PELLINI (op. cit., Parte II, pp. 75-86), siamo informati
che tale consuetudine venne mantenuta anche negli anni seguenti, anche
se l'ammontare dell'elemosina appare sempre piü limitato. In effetti, una
ne venne concessa di 10 corbe per ogni Porta nell'anno 1396 per celebrare
la pace conclusa con il Pontefice, ed una di 100 corbe complessive nel 1397
durante la Quaresima. A quest'ultimo proposito il Pellini aggiunge che tale
elemosina era prevista dalla legge, ma che si effettuava di rado.





















Note e documenti

L'ATTIVITÀ PATRIOTTICA, POLITICA
E PARLAMENTARE DI CESARE FANI

Nella prefazione del volume AMEpEo Fawi, Cesare Fani, 70
anni di vila politica italiana (Perugia, 1964), l'A. espone breve-
mente come egli sia stato indotto da pietà filiale, congiunta a
sicura coscienza della importanza e del valore morale e politico-
nazionale di suo padre, a stenderne la biografia in occasione del
cinquantennio della sua morte. Dichiara di aver avuto l'ausilio pre-
liminare del dott. Mario Roncetti, vicebibliotecario del Comune di
Perugia, per il riordinamento del ricco archivio paterno ; e per la
stesura del libro «la preziosissima collaborazione di S. E. Michele
Berarducci », intimo di suo padre e della famiglia, « dell'on. Umberto
Guglielmotti, acuto studioso della nostra storia politico-parlamen-
tare, dell’insigne giurista avvocato Giuseppe Schirò, e infine del
giovane collega Rodolfo Valdina » per la parte professionale. Questo
ultimo tem, infatti, ha assunto un largo sviluppo prendendo l'intera
parte seconda dell’opera. Non ritengo di dovermene qui occupare :
mi limiterò a ricordare la intensità e l’eccellenza dell’opera di Ce-
sare Fani avvocato, e a rilevare il nesso naturalmente esistente tra
la personalità del Fani giurista e avvocato e quella del Fani poli-
tico, che spiegò per l’appunto in prevalenza nel campo giuridico la
sua attività di parlamentare e di uomo di governo,

E neppure sulla parte familiare ci fermeremo, anche per ragioni
di spazio: ci limiteremo a ricordare, sulla scorta del biografo,
che il nonno paterno di Cesare, avvocato Giuseppe, « professionista
attivo, intelligente ed erudito, era stato un appassionato bibliofilo »,
e che egli nel 1796 si trasferì da Bevagna a Perugia. Quivi Ce-
sare il 5 febbraio 1844 nacque da Angelo, direttore del Monte di
Pietà di Perugia, e da Eugenia Angelini « appartenente ad ottima e
stimata famiglia perugina ». Cesare fu avviato verso la carriera


















































142 LUIGI SALVATORELLI

del nonno. Poco si sa dei suoi studi secondari, salvo « che egli, ap-
palesatosi di fervida e brillante intelligenza, era stato uno dei mi-
gliori allievi delle scuole perugine ».

La prima comparsa del Fani sulla scena pubblica risale a vari
anni prima del suo corso universitario : e la cosa è tanto più no-
tevole in quanto nulla ci è detto di particolari atti o sentimenti
politico-nazionali dei suoi genitori. Il 20 giugno 1859 il quindicenne
Cesare «prese le armi» (è detto da una testimonianza ufficiale)
in difesa della patria contro le truppe svizzere spedite dal Papa
a sottomettere la città di Perugia ». Ma uno dei capi della difesa,
il Bruschi, passando in rivista i volontari schierati sugli spalti di
San Pietro, quando giunse all’ultimo plotone dei più giovani —
« plotone dei ragazzi » lo chiama egli stesso nelle sue memorie —
ordinò che quel plotone si recasse a presidiare le carceri. E così
Cesare Fani e i suoi compagni (che possiamo congetturare fossero
in grande maggioranza un po’ meno ragazzi di lui) non poterono
fare alle fucilate con gli Svizzeri di Schmid.

Che, però, quello del ragazzo Cesare non fosse fuoco fatuo,
lo prova il fatto che nel 1866 egli, laureando in legge, anticipò in-
sieme con altri studenti l'esame di laurea e con loro si arruolò vo-
lontario, militando questa volta in prima linea sotto Garibaldi
nella campagna del Trentino; e nella giornata di Condino (16 lu-
glio 1866) si batté cosi valorosamente che il capitano della sua com-
pagnia incaricó lui di stendere il rapporto della compagnia e di
fare le proposte di onorificenze, per gli altri e per se stesso : al quale
ultimo incarico egli si rifiutó dicendo di avere «la coscienza di aver
fatto né piü né meno del mio dovere», con la conseguenza della
rinunzia a stendere il rapporto.

« Cesare Fani, che si era congedato con il disciogliersi del corpo
dei volontari garibaldini, nell'ottobre 1867 si trovó di nuovo tra
essi con il suo grado di sergente e partecipó il 3 novembre con le
4700 camicie rosse al combattimento di Mentana » (p. 20). Qui in-
volontariamente si dà l'impressione che il corpo garibaldino com-
battente a Mentana fosse né piü né meno che la continuazione
o la ricostituzione di quello regolarmente costituito dal governo
per la campagna del 1866. Per quanto Rattazzi e re tentassero ef-
fettivamente l’ardito giuoco di lasciar marciare Garibaldi su Roma
per intervenire loro al momento buono — e anzi proprio per ciò
— i volontari del '67 non avevano formalmente nulla a che fare con
il corpo del '66. L'atto del Fani ha tanto piü valore, mostrando













L'ATTIVITÀ PATRIOTTICA, POLITICA E PARLAMENTARE DI CESARE FANI 143

che un giovane divenuto dopo non molto tempo un maggiorente
della parte liberale (o moderata) a Perugia — ove liberali e de-
mocratici si batterono aspramente fra loro per un cinquantennio
almeno — aveva voluto scendere in campo prima del 1870 nelle
file garibaldine, che finirono rudemente sconfessate dal re. Ed è
probabile che per quella sua partecipazione alla campagna gari-
baldina del '67 il ventitreenne Cesare si sia trovato in contrasto
con il suo ambiente familiare e sociale : ciò che spiegherebbe che
della giornata di Mentana « Cesare Fani non amava parlare e quindi
sulla sua personale partecipazione non si ha alcuna particolare
notizia » (p. 21).

*
*ock

Della partecipazione di Cesare alla vita amministrativa peru-
gina e umbra — egli fu consigliere e assessore comunale e consigliere
provinciale per lunghi anni — il biografo dà cospicue notizie, ri-
manendo quasi interamente sul terreno tecnico-amministrativo, pur
con lo sfondo della personalità morale di lui. Tutta questa parte e
degna di lettura, e costituisce un utile contributo alla storia citta-
dina e regionale, senza offrire per il recensente in questa sede
materia a rilievi speciali. Veniamo pertanto alla parte politica
propriamente detta.

Integrando i dati del nostro biografo, ricorderó che Cesare
Fani fu eletto la prima volta deputato di Perugia (primo collegio)
nelle elezioni generali — XVI legislatura — del maggio 1886, indette
dal sesto (salvo errore : non è facile il computo dei ministeri De-
pretis) ministero Depretis, le quali furono le prime elezioni gene-
rali dopo il famoso voto parlamentare del 19 maggio 1883, con-
sacrante il cosiddetto « trasformismo », cioè l’incontro fra la mag-
gioranza della Sinistra e una parte della Destra : incontro preco-
nizzato durante la campagna elettorale dell’ottobre 1882 da De-
pretis nel discorso (terzo) di Stradella dell’8 ottobre, e da Minghetti
in quello di Cologna Veneta del 15. Amedeo Fani si limita a darci
notizia che Cesare fu proposto dal patriota conte Zeffirino Faina,
nominato senatore, a suo successore come deputato ; e che fu eletto
«con elezione che potremmo dire plebiscitaria e che doveva rinno-
varsiì ininterrotta per ben nove legislature e cioè fino alla sua morte »
(p. 187). Non essendoci qui distinzione fra quella prima elezione e le
seguenti, si potrebbe credere che Cesare non abbia avuto serie com-













144 LUIGI SALVATORELLI

petizioni per tutto il suo corso deputatizio. Certamente non era
questo che intendeva dire il biografo, e che, in fin dei conti, smi-
nuirebbe l'importanza politica del padre. Competizione ci fu: il
partito repubblicano, e piü genericamente la sinistra avanzata ed
estrema, ebbe in Perugia già nel periodo umbertino — e piü ancora,
se non ricordo male, nel seguente — una consistenza rispettabile ;
e di un suo candidato deputatizio, il prof. Leopoldo Tiberi, ho io
adolescente ricordo personale, per averlo avuto professore di Storia
al Liceo e averlo visto e inteso presiedere nel 1903 un comizio irre-
dentistico e antitriplicista. È tuttavia esatto — per quel che ri-
cordo — che la parte liberale o moderata (gli avversari l’appella-
vano consorteria) rimase costantemente al disopra, nel campo poli-
tico come in quello amministrativo.

Il biografo ci presenta la candidatura del Fani come di un
«esponente della Destra storica : ciò che è conforme alla designa-
zione del senatore Faina. Ma, come ho indicato sopra, la Destra sto-
rica, già precedentemente alla elezione del Fani, si era divisa: e non
ci vien detto a quale delle due parti si accostasse il Fani. Occorre
del resto avvertire che non era una divisione netta, e tanto meno
organizzata; si trattava di parlamentari liberi delle proprie azioni,
e riservanti espressamente la propria libertà. Possiamo illustrare
la situazione di quelli appoggianti in massima il governo con un
passo di una lettera del Luzzatti al Minghetti (9 gennaio 1885;
Memorie, II, p. 185), per il quale bisogna tener conto delle pe-
culiarità dello stile luzzattiano: occorreva comportarsi « con certa
serenità, come chi guarda dall'alto », e assecondare l'indirizzo attuale
senza mai fidarsi e abbandonarsi interamente.

Mi sembra che la notizia sul Fani di Teleforo Sarti ne Il Par-
lamento subalpino e regionale: «schierato nelle file del centro de-
stro, ha per lo più appoggiato il governo, ed è stato fra coloro che
seguirono il Depretis nel tentativo di trasformazione dei partiti »,
risponda discretamente alla caratterizzazione da me fatta sopra
della destra governativa o paragovernativa. Fani, entrato alla Ca-
mera pochi mesi prima della morte (10 dicembre 1886) del Min-
ghetti, proseguì nell’indirizzo di lui anche dopo la morte del Depretis,
come mostra il fatto, segnalato dal nostro biografo senza indica-
zione di date e di luogo, che egli fu tra gli aderenti al banchetto
di Torino (25 ottobre 1887) in onore del nuovo premier Crispi.

È detto dal biografo che « Cesare Fani nei primi anni del suo
mandato prese più volte la parola, partecipò attivamente al lavoro













L'ATTIVITÀ PATRIOTTICA, POLITICA E PARLAMENTARE DI CESARE FANI 145

delle commissioni, curò con somma diligenza i legittimi interessi
dei suoi concittadini» (p. 190). E il Sarti ci attesta : « alla Camera ha
prestato efficace ed alacre opera, ha tenuto brillanti e dotti discorsi,
ha fatto parte di Commissioni importanti, riscuotendo anche dagli
avversari omaggi di stima per le belle qualità di mente e di cuore
onde mostrasi adorno ».

Il biografo insiste, piuttostoché sull’aspetto politico-parlamen-
tare, su quello giuridico, pur nel quadro del parlamento : e segnala
il discorso da lui tenuto nella seduta del 28 novembre 1888, sul
disegno di legge per l’unificazione della Cassazione in materia pe-
nale, discorso che procurò al Fani «larga messe di consensi », e fu
come l'avviamento alla sua carriera governativa : tre volte sottose-
gretario alla Grazia e Giustizia (in tre ministeri Di Rudinì, 1897-98)
e poi ministro dello stesso dicastero con Luzzatti (1910-11). Prima
ancora, però, della salita al governo, il biografo dà molto rilievo,
e con ragione, alla partecipazione del Fani alla famosa Com-
missione parlamentare del Sette, creata per assodare le responsa-
bilità politiche e morali in relazione alla Banca Romana. La let-
tura di quella relazione alla Camera, il 23 novembre 1893, provocò
le dimissioni del primo ministro Giolitti. Dice il biografo, che «a
Fani giunsero in quella occasione lettere, telegrammi e affermazioni
di solidarietà in gran numero » (p. 191), confermanti l’alto grado di
prestigio da lui raggiunto ; e riporta testualmente un lungo ordine
del giorno in proposito della Associazione Liberale monarchica di
Perugia. Sta il fatto che all’opera della Commissione il Fani deve
aver dato più lavoro di tutti, visto che — evidentemente come
più giovane — ne fu il segretario 1). È dunque pienamente giusti-
ficato l'apprezzamento fatto dal Fani di quella eccezionale fatica
del padre. Non è esatto però, dire che la Commissione «fece piena
luce nella questione delle banche »; né tale era il suo compito. La
«piena luce» fu piuttosto portata dalla inchiesta Finali disposta
da Giolitti; e la questione delle banche, o per dir meglio il risa-
namento e riordinamento del sistema bancario, fu effettuato feli-
cemente dalla legge Giolitti, rapidamente apprestata e approvata.
E quest'ultima fu, davvero, il «collaudo» dell'opera di Giolitti
in proposito.

*
*_*

L'ultimo periodo del sottosegretario Fani fu quello dei torbidi
del Novantotto, in seguito ai quali Di Rudini dovette lasciare il

10















146 LUIGI SALVATORELLI

governo. Fu proprio in quell'ultimo periodo — ultimi mesi o piut-
tosto ultime settimane — che l'attività governativa del Fani, sot-
tosegretario alla giustizia, ebbe un cómpito di primo piano, nella
preparazione dei progetti di legge repressivi che il Di Rudini ritenne
necessari: provvedimenti che sotto la sua insegna non arrivarono
neppure alla discussione — essendosi l'ultimo suo ministero ritirato
senza attendere il voto parlamentare iniziale — ma che furono so-
stanzialmente ereditati dal ministero Pelloux, portando alla storica
lotta dell'Estrema ostruzionista e della recisa opposizione costitu-
zionale di Zanardelli e Giolitti.

Il biografo Fani insiste molto sulla parte avuta dal padre nella
preparazione di quei progetti, restrittivi principalmente della li-
bertà di associazione e di stampa ; e si appoggia per ció sull'archivio
paterno. Egli difende giuridicamente e politicamente i progetti
medesimi sulla scorta, per l'appunto, di quegli incarti e di una rap-
presentazione assai colorita sia della pericolosità dei tumulti, sia
delle responsabilità per essi dei partiti estremi (i cui capi furono
colpiti dalle durissime condanne dei tribunali militari). Le prove
addotte per l’una e l’altra asserzione si riducono, se vedo bene, a
inserti giornalistici trovati nelle carte paterne, scarsi di numero e
di peso ; mentre nulla è detto della gravità della repressione, parti-
colarmente di quella di Bava Beccaris a Milano, nè delle condanne
veramente straordinarie sopra ricordate. Egli sembra non ren-
dersi conto del fatto che gli avvenimenti italiani del Novantotto
sono entrati ormai da un pezzo, come si dice, nella storia : e cioè,
che su di essi esiste una «communis opinio » per i punti essenziali,
un giudizio storico, notevolmente diverso da quello che appare
essere stato allora di Cesare Fani, condiviso adesso dal biografo
figlio.

Non intendiamo, dicendo questo, di pronunciare nessuna con-
danna morale del pensiero e dell’azione di Cesare Fani, in quel-
l'episodio. Mi sembra che Amedeo Fani, a questo proposito, non si
sia messo dal punto di vista giusto : errore che ben si spiega con la
intensità della sua venerazione per il padre (e probabilmente anche
con le sue convinzioni personali). Non si trattava, a mio parere,
di assolvere o di condannare la condotta paterna : si trattava e si
tratta di spiegarla, tenendo in ciò anche presente la di lui respon-
sabilità limitata e subordinata. È ben naturale che il Fani, giovane
ancora di carriera politica, erede delle tradizioni ben vive allora
(le « sante memorie ») della Destra storica, incline forse anche, come















L'ATTIVITÀ PATRIOTTICA, POLITICA E PARLAMENTARE DI CESARE FANI 147

giurista, a una rigorosa affermazione della legge, a una preventiva
tutela dell'ordine pubblico — non era vecchia di molti anni, o piut-
tosto era sempre attuale, la famosa alternativa del «reprimere o
prevenire » — è naturale, dico, che egli fosse disposto a condivi-
dere le vedute che di quegli avvenimenti e delle loro conseguenze
dovettero avere i suoi capi politici, mentre certamente era sincero,
e non isolato, nel ritenere (come il biografo ci espone) che a limi-
tare l’arbitrio governativo, meglio valesse una legge restrittiva pre-
cisa, che non una più larga, ma anche più elastica.

*
* *

Non crediamo di doverci fermare — in questa nota già troppo
lunga — sulla relazione stesa dal Fani per la legge Gianturco del
1897 sulla istruzione superiore, a cui il biografo dedica il capi-
tolo terzo della Parte quarta (politica). E non offre neppure ma-
teria a rilievo storico il capitolo seguente su Fani e lo scandalo Nasi.
Diremo solo che mentre la prima trattazione conferma l’interesse
intenso e oculato del Fani per la coltura superiore, la seconda —
cioè la sua opera come presidente della Commissione parlamentare
che propose il deferimento di Nunzio Nasi al Senato costituito
in Alta Corte di Giustizia — conferma la competenza giuridica,
il rigore morale, l’imparzialità di Cesare. Stonata bensì in duplice
senso — ci permetta questo franco giudizio il nostro Autore —
la conclusione : « Della sorte di Nasi approfittò Giolitti — del quale,
notisi, Cesare Fani era avversario politico — che dell'ingegno di
Nunzio Nasi era gelosissimo, soprattutto per la non celata ambi-
zione del Nasi nell’aspirare a reggere le redini dello Stato » (p. 262).
Il fatto dell’ambizione è autentico; ed è anche vero che al Nasi
non mancarono fautori (Marcora lo avrebbe proposto a Zanar-
delli per ministro degli esteri); ma che egli abbia avuto posizione
di serio competitore con Giolitti, è fantasia : e non c’è, ch’io sappia,
il minimo indizio che Giolitti lo abbia mai considerato tale.

Soggetto ben più interessante, politicamente e moralmente, è
il discorso alla Camera del 22 febbraio 1908 in cui Fani combattè
l'insegnamento religioso nelle scuole elementari, ricollegandosi —
dice il biografo — «al principio cavouriano con particolare accen-
tuazione della sovranità dello Stato ». Quel discorso — che io venti-
duenne ascoltai dalla tribuna del pubblico plaudendo antiregolarmen-
tarmente alla fine — fu una affermazione notevolissima di libera-

















148 LUIGI SALVATORELLI

lismo separatistico : e bene avrebbe fatto il biografo a darne un
largo sunto nel testo e a riportarlo integralmente in appendice.
Egli invece ha preferito insistere sull'aspetto religioso — che noi
non escludiamo, ma che doveva rimanere secondario — della pro-
posta del Fani, in quanto essa voleva «lasciare l'insegnamento re-
ligioso alla famiglia ed alla Chiesa » (il sottolineato è del biografo),
e «non sostituire la voce dolce della madre con quella di un in-
segnante distratto : non sovrapporre alla parola del sacerdote quella
di un estraneo .... Altissimo fine morale, dunque, perchè l’azione
del maestro non distruggesse l’opera dei genitori » (pp. 266-67). Lo
spostamento — diciamo così — del significato del discorso paterno è
evidente. Conclude poi — e noi non commentiamo superfluamente — :
« Cesare Fani doveva trovare un riconoscimento postumo delle sue
opinioni nel concetto che sulla stessa materia seguì il Concordato
tra l’Italia e la Santa Sede. Infatti oggi l’insegnamento religioso,
elevato nelle classi superiori a importanza filosofica, è impartito
da religiosi e costituisce, sia pur nello stesso ambiente scolastico,
un settore a sè stante » (p. 269). -

*
*ock

Siamo cosi arrivati al periodo politico culminante di Cesare
Fani, ministro di grazia e giustizia nel ministero Luzzatti (31 marzo
1909-29 marzo 1911).

Il biografo incomincia ricordando che il Luzzatti arrivó alla
presidenza del Consiglio dopo il secondo ministero Sonnino, «e
cioè dopo un’altra breve pausa di quella che potremmo chiamare
la dittatura parlamentare di Giovanni Giolitti... che seguiva il
metodo di ritirarsi dal potere quando riteneva opportuno lasciare
ad altri il compito di risolvere situazioni difficili ... Giolitti era uso
considerare i suoi successori solo come temporanei luogotenenti »
(pp. 273-74).

Questa leggenda — creata dalla routine di certa storiografia
cattedratica o giornalistica, più ancora che dal variopinto anti-
giolittismo di anteguerra — è stata da me demolita nel mio saggio
Giolitti, in «Rivista storica italiana » del 1910, pp. 495-532; (ristam-
pato, con appendici, in Miti e storia). La demolizione ha richiesto
meno di una pagina, tessuta peraltro di dati concreti incontestabili,
e non di supina ripetizione di arbitrari luoghi comuni.

Nel caso presente non si sarebbe trattato di un ritiro di comodo,











L'ATTIVITÀ PATRIOTTICA, POLITICA E PARLAMENTARE DI CESARE FANI 119

ma di un rifiuto a tornare. Effettivamente, Giolitti fu designato da
Sonnino, al termine dei secondi Cento giorni: « Ma le convenzioni
marittime e la riforma tributaria, per le quali Giolitti era impe-
gnato con soluzioni che la Camera aveva respinto, rendevano im-
possibile il suo ritorno immediato al potere ». Cosi scrive esattamente,
l'antigiolittiano insospettabile Luigi Albertini (Venti anni, II, p. 33).

A parte il caso Luzzatti, Giolitti designó tre volte Sonnino
come suo successore, e non si sognó mai di farne il suo luogotenente
poiché — anche a non contare la profonda stima nutrita sempre
per lui e altamente espressa nelle Memorie — lo designó in base al
principio dell’alternanza con l'opposizione, cioé al principio op-
posto a quello della dittatura : principio da lui sempre sostenuto
e concretamente promosso per quel che poté. Nè Giolitti fece nulla
per provocare o affrettare le due cadute di lui. Tanto meno approvò,
o affrettò, la caduta di Fortis — che poteva esser considerato suo
«luogotenente », ma luogotenente parlamentare regolare, visto che si
trattò allora (marzo 1905) di sostituire Giolitti, malato reale e non
finto, come è stato sostenuto per anni e decenni dalla solita leg-
genda. Ma il biografo pensa precipuamente alla caduta del ministero
Luzzatti: e di ciò diremo più avanti. Veniamo adesso alla forma-
zione, al programma e all’azione del ministero Luzzatti, con parti-
colare attenzione al ministro Fani.

« Nel governo Luzzatti troviamo in germe le più importanti
riforme sociali che in seguito dovevano avere piena attuazione »
(p. 275). La involontaria esagerazione è evidente, ma è un fatto che
il programma presentato al parlamento fu assai vasto : taluno disse
troppo vasto, e lo confrontò per questo aspetto ai programmi son-
niniani dei Cento giorni. Se però si legge riposatamente il testo delle
dichiarazioni luzzattiane, si vedrà che, se l'amplificazione è eccessiva,
non fa al caso neanche la critica svalutatrice. Nel programma mini-
steriale risulta chiaramente distinta una parte di riforme immediate,
e una di problemi importanti da prendere successivamente in esame.
Piuttosto sarà da rilevare che tanto la composizione del ministero
quanto il suo programma non possono esser considerati opera del
solo Luzzatti: per ambedue ci fu, costitutiva, l’influenza radicale,
tanto che si parlò di ministero Luzzatti-Sacchi. Terza, ma non ul-
tima influenza, quella di Giolitti, la cui maggioranza rimaneva la
base parlamentare più larga dal nuovo ministero. S’intende poi
che discrepanze fra ì tre fattori non mancarono, pur rimanendo per
allora superate : e così si disse che i radicali avrebbero voluto al mi-















150 LUIGI SALVATORELLI

nistero dell'interno Orlando, e Giolitti invece Tedesco : la mediazione
fu ottenuta tenendosi Luzzatti l'interno come aveva fatto e fece
sempre Giolitti, ma non Zanardelli nel suo primo e ultimo ministero.

Il Fani, che di ciò nulla dice, scrive : « Luzzatti riuscì a realiz-
zare una coalizione che per qualità di uomini e per vastità di pro-
gramma non potè non preoccupare Giolitti » : preoccupazione di cui
peraltro non cita nessuna testimonianza. Io direi che, se in Giolitti
una preoccupazione allora ci fu, dovette essere quella di tenere com-
patta la sua maggioranza nel sostegno del nuovo Premier.

«Quanto alla politica estera il ministero Luzzatti, pur accet-
tando il fatto compiuto della Triplice Alleanza, si proponeva strin-
gere saldi rapporti di amicizia con le potenze che costituirono la
Triplice Intesa : Francia, Russia e Inghilterra » (p. 276). Parlare nel
1910 di accettazione della Triplice come fatto compiuto — dopo tre
rinnovamenti formali e due taciti — può ingenerare confusione in
qualche lettore inesperto : occorre rammentare, a questo proposito,
che proprio allora iniziò una ininterrotta attività di quattro anni
e mezzo il ministro degli esteri Di San Giuliano, triplicista convinto.
(Ciò non gli tolse affatto di procedere nella crisi del 1914 con
perfetta indipendenza e ampiezza di vedute per il maggior vantaggio
italiano). Nè Luzzatti poteva proporsi di stringere, ma piuttosto di
continuare i rapporti amichevoli con la Francia risalienti alla svolta
del secolo, e tanto meno con l' Inghilterra, per cui risalivano addirit-
tura agli inizi dello stato unitario. Ma anche per quel che riguarda
la Russia, era di pochi mesi innanzi (24 ottobre 1909) l'accordo di
Racconigi, concluso da Giolitti e Tittoni. Scrivo tutto ció non per
pedanteria di «esperto»; ma perché occorre, a questi lumi di luna,
per esigenza storica e pedagogica, riaffermare a ogni buona occa-
sione la fisionomia vera della politica estera — oltreché dell'interna —
italiana di anteprima guerra.

*
*ok

È opportuno il risalto dato dal Fani alla concezione dei rapporti
Stato-Chiesa formulata dal ministero Luzzatti alla presentazione,
e oggi dimenticata : sia perchè caratteristica dell’uomo e di tutto il
ministero (a cominciare, come dice il Fani biografo, dal Fani mini-
stro); sia perchè tale concezione dette luogo a un elevato dibattito
parlamentare. Si tratta della formula : « religioni libere nello stato
sovrano », coniata dal Luzzatti non saprei dire se in sviluppo o













L'ATTIVITÀ PATRIOTTICA, POLITICA E PARLAMENTARE DI CESARE FANI 151

in correzione — sostanzialmente platonica — della formula cavou-
riana. Quella discussione del 29-30 aprile 1910 è stata riassunta
dal Fani con due lunghi tratti della critica di Meda, e con cinque
righe per la replica del Luzzatti, nulla dicendo dei propositi luzzat-
tiani di sorveglianza maggiore sulle scuole e di difesa della illimitata
libertà scientifica.

Rilevo questo silenzio, perchè esso è il preludio di quello, ancor
più completo, sulle discussioni circa un presunto nuovo indirizzo
concreto di politica ecclesiastica del ministero Luzzatti, e specifica-
tamente del Fani. Il 13 giugno 1910, in risposta a una interpellanza
dell’on. Murri circa l'insegnamento impartito nei seminari, di tipo
— secondo l’interpellante — neoteocratico, il ministro Fani convenne
che non si dovesse lasciare la gioventù dei seminari in balia della
Chiesa ; riaffermò per il governo il diritto di vigilanza ; assicurò di
aver chiesto informazioni al magistrato circa i gesuiti insegnanti
denunziati dal Murri ; ricordò infine che lo Stato aveva lasciato alla
Chiesa rendite per l’istruzione dei giovani chierici, aggiungendo che
«sarebbe strano che quelle rendite servissero per il pagamento di
persone rivestite di una qualità che noi non dobbiamo riconoscere ».
Si alludeva con questo allo stato giuridico dei Gesuiti secondo la
legislazione italiana. Più tardi, nel dicembre 1910, il Fani nella
discussione sul suo bilancio ebbe a riferirsi alle congregazioni reli-
giose in genere, dichiarando che la legge non poteva vietare associa-
zioni di persone riunite a scopo di preghiera, «ma ben può e deve
impedire che si ricostituiscano con comune patrimonio »; citò due
sentenze della Cassazione romana dichiaranti nulle le donazioni,
anche se fatte per interposta persona, quando fossero destinate a
una corporazione religiosa anche se di mero fatto ; e promise di stu-
diare se non convenisse in tali casi una azione da parte del pubblico
ministero.

Terminerò questi miei completamenti per l’opera e la figura di
Fani ministro avvertendo che in quel dicembre 1910 egli seppe anche
tener testa alle esigenze anticlericali dell'isolato Murri dicendogli
che il governo non poteva foggiarsi un cattolicismo a modo di lui ;
e richiamó parole dette nello stesso senso al Murri dal Luzzatti nella
prima presentazione alla Camera. C'é poi da tener conto di due cir-
costanze particolari che rendevano allora (dopo tanta quiete) il ter-
reno ecclesiastico alquanto scabroso ; l'affluenza di religiosi profughi
dal Portogallo, per la rivoluzione repubblicana-anticlericale colà av-

















152 LUIGI SALVATORELLI

venuta; e l'atteggiamento di protesta assunto dal Vaticano contro
la celebrazione cinquantenaria del regno d'Italia.

*
* ok

Il F. accusa Giolitti, per la caduta di Luzzatti, di un« colpo basso »
(p. 289) a proposito delle sue dichiarazioni parlamentari il 18 marzo
1911, non favorevoli al progetto Luzzatti di riforma elettorale : e ció
dopo avergli detto precedentemente: «La tua proposta é molto
buona ed io l'appoggeró pienamente ». Parole che sarebbero state
pronunciate da Giolitti alla presenza di Amedeo Fani, cioé del nostro
biografo, il 12 luglio 1910.

Si tratta di una attestazione fatta di memoria, dopo tanti anni
(il Fani, almeno, non parla di un appunto preso a suo tempo o poco
dopo) : e la memoria, in circostanze simili, é fallibile in tutti, e par-
ticolarmente in chi non abbia sufficiente familiarità con la ma-
teria ricordata. Dico questo perche dalla critica, che per debito di
storico farò di questa testimonianza, è assente qualsiasi dubbio sulla
buona fede della medesima.

Dice dunque il Fani che il 10 luglio 1910 fu solennemente cele-
brato a Torino il centenario della nascita di Cavour, e che il giorno
12 Luzzatti si recò a Bardonecchia per un incontro con Giolitti,
accompagnato dal nipote Aldo Pontremoli e da Cesare e Amedeo
Fani. « Il colloquio fu a quattr’occhi e Giolitti trattenne a colazione
il presidente del Consiglio » ; il Fani e i due giovani desinarono in
albergo. « Siccome la visita si protraeva oltre il termine previsto,
a un certo momento Cesare Fani spedì suo figlio Amedeo e Pontre-
moli al villino Giolitti per ricordare a Luzzatti che si approssimava
l'ora della partenza. Amedeo Fani e Pontremoli bussarono alla vil-
letta Giolitti, e venne loro ad aprire Donna Rosa in persona che li
introdusse in sala da pranzo dove ancora si attardavano i due sta-
tisti... Si stava parlando proprio in quel momento dalla riforma
elettorale e Luzzatti concludeva la illustrazione del suo progetto di
legge e del voto obbligatorio. Giolitti dopo averlo ascoltato con at-
tenzione, dichiarò : « La tua proposta è molto buona ed io l’appog-
gerò pienamente ». Alla prima occasione e senza alcun preavviso
prese invece, come si è visto, netta posizione contraria » (pp. 287-288).

In questo racconto è innanzi tutto sbagliata la data ; non il 12
luglio, ma il 12 agosto avvenne l’incontro, essendo Cavour nato il
10 agosto. Ma questo poco importa, salvo la conferma che il Fani



SESIA NE







L'ATTIVITÀ PATRIOTTICA, POLITICA E PARLAMENTARE DI CESARE FANI 153

scrive di memoria fallibile. Più importa, che dopo aver parlato di
un colloquio Giolitti-Luzzatti «a quattr'occhi », durato tanto tempo
che il ministro Fani si ritenne lecito avvertire il Presidente del Con-
siglio che era ora di andarsene, Luzzatti « attardato » con Giolitti
in sala da pranzo solo allora avrebbe concluso alla presenza dei due
giovani la sua esposizione, e Giolitti avrebbe pronunciato, senza
osservazioni o commenti di alcun genere, il suo assenso.

Tuttavia potremmo pensare che alla presenza dei due giovani
ci sia stato semplicemente uno scambio di battute finali, riassumente
i lunghi discorsi precedenti. Ma anche cosi si inceppa in un grave
ostacolo. Il biografo parla come se fin da allora, al momento cioe
del colloquio, allargamento del suffragio e voto obbligatorio fossero
appaiati nella riforma elettorale. Ci furono in realtà due tempi nella
elaborazione della riforma ; quello del puro e semplice allargamento,
che incontró ostilità di vario genere (se non erro, prevalentemente dei
conservatori) : per placare l'ostilità di questi ultimi, si credette bene
di equilibrare l'allargamento col voto obbligatorio, e in ció concorse
— dice il biografo, ed é cosa ovvia — l'opera del Fani. Ciò che in
ogni caso è certo, è che il voto obbligatorio fece la sua comparsa in
un secondo tempo, in autunno, e forse in autunno avanzato (il pro-
getto fu presentato alla vigilia delle vacanze natalizie) e non in
agosto ?).

Con questo, però, non è detto tutto, e anzi neanche l’essenziale,
rispetto al preteso « colpo basso ». Il Fani mostra di ignorare le cir-
costanze precise in cui Giolitti pronunciò la famosa dichiarazione,
sboccata nella introduzione del suffragio quasi universale. Il 18
marzo 1911 non si discuteva formalmente del progetto, ben lontano
ancora dall'inizio della discussione parlamentare: bensi della con-
dotta della Commissione (dei « Diciotto » nominata dalla Camera,
per riferire, e accusata dall'Estrema di voler tirare le cose in lungo,
per far incagliare la riforma. Erano state presentate due mozioni
per fissare un termine alla Commissione. Giolitti dichiaró invece che
avrebbe votato qualsiasi ordine del giorno esprimente fiducia nella
Commissione (ció che equivaleva anche alla fiducia nel governo)
e un ordine del giorno del genere fu votato a grande maggioranza.
Bensi, essendosi la discussione inevitabilmente allargata al merito
della riforma — ció che succedeva del resto da mesi, fuori e dentro
Montecitorio — Giolitti ritenne, e lo disse, di non poter tacere la
sua opinione. Egli espresse l'idea che convenisse riconsiderare tutta
la materia elettorale, e in particolare il criterio troppo ristretto per



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l
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Î
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154 LUIGI SALVATORELLI

lallargamento del suffragio. Del voto obbligatorio egli non parló
affatto, neppure per allusione. Poiché era proprio la Commissione
a invocare un largo, ponderato esame, il governo non era compro-
messo dalla mossa di Giolitti : sarebbe bastato che Luzzatti, dopo la
dichiarazione Giolitti, si fosse alzato a dire che era perfettamente di-
sposto al riesame generale invocato da lui perché il ministero rima-
nesse padrone della situazione. Egli, invece, tacque : i più dei depu-
tati radicali votarono contro l'o.d.g. della maggioranza (votato
invece da Giolitti), e i ministri radicali si dimisero, provocando essi
le dimissioni del ministero. In verità, quella discussione del 18 marzo
1911 — lo stesso mese e giorno in cui cadde la Destra nel 1876 — fu
una delle più importanti del parlamento italiano nell’anteguerra ;
e l’iniziativa giolittiana segnò un punto di svolta nella storia della
Italia unitaria. A quel passo egli fu indubbiamente mosso da un
duplice motivo di equilibrio ; quello fra Nord e Sud, e l’altro fra una
politica estera di necessaria espansione (erano già in corso i torbidi
marocchini sboccati nella crisi di Agadir, nel definitivo accordo
franco-tedesco per il Marocco, e di rimbalzo nella guerra di Libia)
e quella interna di democrazia in ascensione.

Lo stesso F. del resto scrive : « La discussione finì tuttavia con
l'approvazione di un ordine del giorno che di per sè stesso non avrebbe
provocato la caduta del gabinetto » (p. 288). Abbiamo visto qualcosa
di più : l’o.d.g. approvato, e dallo stesso Giolitti patrocinato, impli-
cava la fiducia al governo. Si dirà che Giolitti non poteva non pre-
vedere, almeno come ipotesi, la mossa radicale, e l'incapacità di Luz-
zatti di fronteggiarla : e si dirà cosa ragionevole. Ma la verità piü
profonda é che una volta convintosi della necessità e della urgenza
— per le ragioni anzidette — di quella sua mossa, Giolitti non po-
teva arrestarsi neppure di fronte alla ipotesi della caduta del governo.
Cosi egli avesse agito — potrà dire taluno — con la stessa risolutezza
nel 1914-1915.

Il libro ha un’appendice documentaria quasi unicamente di
lettere, senza rilevante interesse storico. Fa eccezione cospicua la
lettera 30 aprile 1901 (p. 477) alla Associazione liberale monarchica
di Perugia, in cui il Fani rivendica l’indipendenza e dirittura dei suoi
voti parlamentari; e ricorda fra l’altro di aver votato contro Pel-
loux « fino a svolgere in nome della destra indipendente l’ordine del
giorno contro i decreti-legge ». Se il biografo avesse inserito o rias-











L'ATTIVITÀ PATRIOTTICA, POLITICA E PARLAMENTARE DI CESARE FANI 155

sunto o comunque utilizzato quelle lettere nel testo, me ne sarei
valso a tempo.

All’appendice segue una ricca bibliografia, quasi tutta degli
scritti del Fani. Nel testo sono intercalate numerose e belle illustra-
zioni di carattere personale.

LuiG1 SALVATORELLI

NOTE

?) L'A. parla a questo punto di «terribile (sono io che sottolineo)
collaudo politico » di Giolitti: frase che sembrerebbe indicare un Giolitti
coinvolto, anzi travolto, per effetto di quella relazione, negli scandali della
Banca Romana : ciò che non risponde alla realtà storica. Più avanti, infatti,
si parla di rapporti « mai completamente acclarati, con la Banca Romana »;
ma tutto si riduce alle quarantamila lire che Giolitti avrebbe avuto a scopo
elettorale, secondo denuncia di Tanlongo, che poi (se ricordo bene) se la
rimangiò. Giolitti ha sempre negato — non senza qualche buon argomento —
di avere chiesto o avuto quella somma ; e la Commissione dichiarò l’accusa
«non provata ». Bazzecole in ogni modo, rispetto a quel che risultò poi per
Crispi, che pur divenne successore di Giolitti.

2) Potrebbe anche congetturarsi che le parole di Giolitti si riferissero
ad altro progetto di legge.

























Winspeare - Ricci - Morlacchi
(1815-1819)

È noto che Davide Winspeare, alla caduta del re Gioacchino
Murat, ne accompagnò la moglie Carolina da Napoli a Trieste e che,
per questo semplice atto di cavalleria, il re Ferdinando I di Borbone,
tornato sul trono avito, lo destituì dalla carica di avvocato generale
della Corte di Cassazione e lo esiliò dal Regno. È noto anche che egli,
nel 1818, potè tornare a Napoli ed ivi esercitare prima l’avvocatura
libera, di poi dedicarsi tutto agli studi filosofici. Non è noto invece,
che io mi sappia, come e dove egli trascorse il suo breve esilio. Al-
cune lettere, edite e inedite !?), ci forniscono qualche notizia in pro-
posito.

*
*ock

Davide Winspeare, licenziatosi non senza commozione dall'in-
fortunata regina, prese stanza a Venezia e quivi strinse ben presto
amichevoli relazioni con gentiluomini dediti agli studi e specialmente
col dotto abate Iacopo Morelli, Direttore della Biblioteca Marciana ?).
Era a quel tempo ancora a Napoli, ma meditava di ritirarsi a Rieti,
sua patria d’elezione, il cav. Angelo Maria Ricci, il quale, dopo avere
esercitato durante il Decennio vari uffici amministrativi e letterari,
aveva conservato alla Restaurazione soltanto quello di professore
d'eloquenza in quell'Università.

Il nostro cavaliere, fin dal ritorno dei Borboni a Napoli, aveva
cominciato a comporre l’Italia, poema epico in dodici canti, col quale
si proponeva di celebrare la Restaurazione così nel Regno Lombardo-
Veneto come nello Stato Pontificio. Venuto a conoscenza che l’im-
peratore Francesco I, nella primavera del 1816, avrebbe visitato
con grande solennità le sue terre d’Italia, pensò che sarebbe stato



















158 ANGELO SACCHETTI SASSETTI

opportuno mandare innanzi al poema, che richiedeva ancora le ultime
cure, un canto lirico. Cosi, in un momento di felicissima ispirazione
scrisse un'Ode ; ne mandó i] manoscritto a Winspeare, il cui indirizzo
potè facilmente avere da Antonio, padre dell’esule e cultore di poe-
sia 5), con lettera del 10 marzo 1816, rimettendosi in tutto e per tutto
al suo giudizio per la pubblicazione. L’amico la lesse e la trovò bella ;
bella, molto bella, la trovarono tutti coloro, ai quali egli in Venezia
la lesse, e senz'altro la fece stampare ‘) e ne mandò alcune copie
all'autore, ma non le pubblico.

«Non pubblicheró qui quest'ode (cosi scriveva Winspeare a Ricci), se
non nel ritorno dell'Imperatore, e procureró di scegliere tutte le circostanze
che possano rendere maggiore l'applauso e il gradimento dovuto a questa
bella produzione. Faró anche a vostro nome la scelta d'una gentile protet-
trice de’ vostri versi, e se essa corrisponderà ai miei desideri, ve la farò
conoscere, e lascerò il resto alla riconoscenza d’un’anima ispirata » 5).

La malattia dell'imperatrice Maria Luigia a Verona ritardò la
pubblicazione dell'Ode. Guarita, essa fu largamente distribuita il
17 aprile.

« Ier l'altro del corrente (cosi Winspeare a Ricci) ho fatto dare la mag-
giore possibile pubblicità al vostro bel componimento Pindarico. Fu presen-
tato all'Imperatore e a tutta la Corte riunita per la ristaurazione del Leone
Veneto sovrapposto alla colonna della piazzetta di S. Marco. Mi parve che
il giorno fosse il più opportuno per meritare all’Ode una gradevole acco-
glienza così da parte del Sovrano, come del pubblico.

L’Ode è sembrata a tutti classica ed ha fatto desiderare qui le altre
cose vostre. Ho cattivato la benevolenza de’ dotti, perchè l'ho mandata per
vostra commissione a tutti coloro che sono o vogliono esser tali. Ho procurato
insomma, per servirmi d'una vostra espressione, che la riflessa immagine
dell'opinione pubblica influisse anche sul gradimento del Sovrano. Mustoxidi*)
ha scritto un articolo pel giornale di qua, che vi rimetterò oggi stesso se
mi giungerà in tempo, o colla prossima posta. L'ho mandato a Milano e lo
farò inserire nello Spettatore Milanese ».

Il poeta avrebbe desiderato che i giornali avessero parlato anche
dell Italiade, alla cui composizione attendeva, ma l'amico, chiuden-
do la lettera, giustamente gli faceva osservare : « L'altro articolo del
poema ho voluto trattarlo subordinatamente a questo, anche per
rendere più disinteressato l'omaggio ») ».





















WINSPEARE - RICCI - MORLACCHI 159

*
*ock

Davide Winspeare, sui primi di settembre del 1817, era a Dresda.
Quivi conobbe Francesco Morlacchi perugino, che era, com'é noto,
alla Corte di Sassonia. Il maestro, volendo recarsi a Napoli per ra-
gioni professionali, gli manifestó il desiderio d'avere da lui una let-
tera commendatizia per Ricci, di cui a Roma aveva sentito parlare.
Winspeare lo contentò subito. Ecco la lettera :

« Carissimo Signor Cavaliere
Dresda 2 di Settembre 1817

La parentela di Euterpe e di Calliope mi serve di ragione per presen-
tarvi e raccomandarvi il Sig.r Maestro Morlacchi. Egli brama altresì cono-
scervi, dopo quel che ha inteso di voi a Roma. Sono sicuro che voi tro-
verete in lui, oltre al suo gran merito nell’arte divina che professa, molte
altre pregevoli qualità d’ingegno e d’istruzione. Vi prego ad introdurlo e
presentarlo presso tutti coloro che si distinguono per la filarmonia, senza
dimenticare le donne, che sono i più amabili mecenati. Insomma voi mi
farete un grandissimo piacere adoperandovi per lui in tutto quel che potrete.

Come v'é piaciuto l'Anacreonte *) ? Feci leggere a Monti la vostra ode,
allorché passai per Milano, e mi disse pieno di trasporto : bisogna confessare
che non è in Italia chi scrive come Ricci. Di questo ero persuaso, ma mi
fece molto piacere sentirlo da lui. Conservatemi la vostra amicizia, mettete
qualche volta alla pruova la mia, e credetemi per sempre vostro

Dev.mo Ob.mo Ser.re amico
DAVIDE WINSPEARE »

Non è a dire se Ricci, che a Napoli conosceva tante persone,
tra le quali vuol essere qui ricordato Domenico Barbaja, noto appal-
latore di quel Teatro, s’adoperasse, come meglio seppe e potè, per
favorirlo. Il poeta finalmente, nel marzo del 1818, si trasferì da Na-
poli a Rieti e di qui scrisse due lettere a Morlacchi, che sapeva ri-
tornato a Dresda. La prima lo invitava a mettere in musica un Inno
a S. Barbara, che gli rimetteva e lo pregava di farglielo avere per la
festa della Santa (4 dicembre), Protettrice della città di Rieti; la
seconda gli chiedeva il modo di far giungere così ai suoi Sovrani
come alla Biblioteca Reale una copia della sua /taliade, d’imminente
pubblicazione. Il maestro così gli rispose :













160 ANGELO SACCHETTI SASSETTI

«Signor Cav. Stimatissimo
Dresde 1 novembre 1819

Rispondo a due delle sue lettere, appena terminato il gran lavoro,
che mi teneva occupatissimo, di un componimento Dramatico, che si é
eseguito per le altre Nozze che abbiamo aute del nostro Principe Eredita-
rio, e che ho dovuto comporre in somma fretta. Ora tutto è passato, e tutto
andò bene ; ma l’Inno a S. Barbara pel 4° Dec. è fisicamente impossibile di
farlo, mancando il tempo materiale. La sua bella Poesia m'inspira! ma
prima della metà di Dec. non potró spedirla ; onde si regoli. Queste seconde
Nozze hanno mandato a monte l'affare di Napoli per la prossima quaresima,
benché Berbaja nuovamente mi propone di scrivere un'opera nel corrente
dell'anno 1820.

Dunque ora il suo Poema sarà alla luce! vorrei già averlo. Mi sono
dimenticato avvisarlo che per spedirmi le Copie commesse si fosse servito
del mezzo del Sig.r Adorni Incaricato degli affari della nostra Corte presso
la S. Sede ; e questo lo potrebbe fare col mezzo del Cardinale Consalvi ; come
farò io quando le manderò l’Inno a S. Barbara.

Riguardo alla Copia per la Biblioteca Reale sarebbe bene se coll’istesso
canale la dirigesse a S. E. il Conte Einsied Detles primo ministro di S. M.
uomo colto, e pieno di bontà ; ma la sua lettera sarebbe bene che fosse in
francese.

Tanti saluti alla Consorte, ed ai suoi Germani. Ella non può credere
come io mi rammento di tutti Loro, e con qual piacere ! bramerei di poterli
rivedere e presto.

Mi conservi intanto la sua amicizia e mi creda sempre il di Lei

Sig. Cav. Stimatissimo

Dev. Servitore ed Amico
MORLACCHI »

Il giovane e già tanto ricercato maestro mantenne la promessa.
L'Inno a S. Barbara, partitura originale a quattro voci con orchestra,
si conserva oggi a Dresda e reca la data del 22 dicembre 1819. Una
copia di esso venne ad arricchire l'Archivio Musicale della Cattedrale
di Rieti, ma non mi consta che sia stato qualche volta eseguito. Gio.
Battista Rossi Scotti, primo biografo del maestro, pensava di dedi-
carlo al papa Leone XIII, ma poi abbandonò l'idea *).

*
*ok

La Biblioteca Paroniana del Comune di Rieti possiede un fram-
mento (segn. F, 3, 39) del Gianni di Parigi (1818) e propriamente il







i

np





WINSPEARE - RICCI - MORLACCHI 161

Duetto del secondo atto, il quale, lungo il margine sinistro dell’ultima
pagina, reca scritto : Autografo del M. Morlacchi e accanto, come
autentica, il nome del proprietario : Gio. Battista Rossi Scotti. Quando
e come questo cimelio Morlacchiano sia andato ivi a finire, noi non
sappiamo nè mai forse sapremo.

ANGELO SACCHETTI SASSETTI

NO EE

1) Queste ultime, riportate o citate nel testo, si conservano nella Bi-
blioteca Paroniana del Comune di Rieti: Fonpo Ricci.

?) Vedi Lettere indiritte al Marchese di Villarosa da diversi uomini
illustri, raccolte e pubblicate da Michele Tarsio, Napoli, Tip. Porcella, 1844.
Jacopo Morelli a Carlo Antonio de Rosa, Marchese di Villarosa, Venezia,
14 febbraio 1815 (p. 262) e 5 gennaio 1816 (p. 264).

*) Antonio Winspeare ad A. M. Ricci, lettere varie s. d.

*) Ecco il titolo: A Sua Maestà C. R. A. Francesco I Imperatore
d'Austria. Oda. Venezia, Picotti, 1816, in 8*.

*) D. Winspeare ad A. M. Ricci, Venezia, 2 aprile 1816.

*) Andrea, di Corfü, noto letterato.

*) D. Winspeare ad A. M. Ricci, Venezia, 19 aprile 1816.

#) Tradotto dal padre e preceduta da un Ritratto poetico di A. M.
Ricci.

*) GABRIELLA Ricci Des FERRES-CANCANI, Francesco Morlacchi, un
maestro italiano alla Corte di Sassonia (1784-1841), Firenze, Leo S. Olschki
Editore, McMLvrir, pp. 164.

11











è





RECENSIONI

WerieLe Fritz, Die Matrikel der Deutschen Nation in Perugia (1579-1727).
Tubingen, Max Niemeyer Verlag, 1954.

Per ragioni interne di redazione che non vale riferire, si viene a parlare
con alquanto ritardo dalla sua pubblicazione, del volume del dott. Weigle
apparso nelle edizioni dell’Istituto Storico Germanico di Roma, e in cui è
data alle stampe la Matricola degli Studenti Tedeschi che hanno frequentato
l’Università di Perugia per lo spazio di più secoli passati.

Alla storia del nostro Ateneo il Bollettino della Deputazione ha rivolto
sempre particolare attenzione, e dello stesso Autore ha recensito altri scritti
ad esso relativi. Il presente ha tutto speciale interesse poichè documenta
con testi finora inediti l’importanza e l’attrattiva che nel corso andato del
tempo ha avuto lo Studio Perugino nell'ambiente intellettuale europeo tali
da avervi condotto allievi da ogni parte del vecchio mondo.

Degli studenti forestieri qui affluiti, la Germania ha dato nel tempo
il maggior contingente. Ci rimangono Matricole generali dell’ Universitas
degli Scolari, che vi appaiono ripartiti all’interno dello Studio in quei rag-
gruppamenti fatti con criteri geografici, etnici, linguistici, politici, che si chia-
mavano Nazioni o anche Provincie.

La scolaresca Tedesca oltre il suo posto di Nazione nello Studio, aveva
ed era riunita (lo ha già bene chiarito in un precedente scritto lo stesso dott.
Weigle, ed è opportuno ancora ripeterlo) in un proprio sodalizio o « Com-
pagnia » con particolari ordinamento e funzonalità. Ci sono di questo soda-
lizio rimasti preziosi documenti, fra cui la Matricola degli iscritti, conservata
nella Biblioteca Augusta e testè appunto edita nel suo testo integrale.

Queste Matricole studentesche giunte fino a noi non hanno alcun valore
dal lato estetico, e senza dubbio per tale ragione si sono salvate dalla di-
spersione, mentre tant’altre di varie istituzioni estintesi nel correre del se-
colo xvi, per il loro pregio di miniature, legature ed ornamenti, hanno
esulato nel mercato antiquario, ed han concluso il loro viaggio in raccolte
fuori di Perugia loro naturale e logica sede.

Ma se prive di pregi estrinseci, le Matricole ne hanno uno intrinseco
di alta misura, poichè ci mettono a immediato contatto cogli abitanti, chia-









164 RECENSIONI

miamoli cosi, dello Studio, succedutisi per lunghi e lunghi anni della sua
esistenza.

L'esistito sodalizio composto di Tedeschi, da cui proviene la Matricola,
era un complesso associativo derivato da una anteriore Societas Gallorum
el Germanorum comprendente « ultramontani » residenti a Perugia, non solo
a fine di studio, ma pure di lavoro, commercio od altro, e resosi ad un certo
tempo esclusivo e riservato proprio a studenti, e solo tedeschi, sancendo
con apposito deliberato che ullus nisi Germanus superior inferiove aut Imperio
subiectus matriculae nosírae iscribatur.

E della precedente Compagnia di Francesi e Tedeschi non é rimasta
che la pietra terragna del già comune sepolcro nella Chiesa di S. Maria Nuova
davanti al proprio altare nella crociera. La Matricola comincia con la divina
invocazione Anno Domini MDLX XIX. In nomine omnipotentis Dei, glorio-
sissimae Virginis Mariae, S. Crucis, et S. Barbarae protectricis inclitae Na-
tionis Germanicae ... e quindi seguono distinti dall'A. successivamente con
numero progressivo per i diversi anni i nomi degli immatricolati.

Speciale interesse della enumerazione sta nel fatto che al nome è aggiunta
la città o la regione di origine, i titoli nobiliari, le cariche ricoperte, ed altro
che possa meglio individuare il soggetto. Materiale che può servire allo stu-
dioso germanico per ricerche biografiche, genealogiche, araldiche. Ma rimar-
chevoli ancor più le notazioni aggiunte da diversa mano all’iscrizione auto-
grafa, e portanti notizie dello studente dopo già uscito dall’Università ;
testimonianza che il sodalizio seguiva con interessamento le susseguenti
vicende degli appartenutivi ; notizie direttamente attinte o pertate da nuovi
sopravvenuti studenti. Notizie della loro vita : vivit quidem libenter (n. 1223) ;
nunc oplimus doctor medicinae (n. 621) e della loro morte, repentino tactus
symptomate obiit cum medicinae insignia specimina dedisset (n. 961).

Vi si possono, in queste caratteristiche annotazioni, spigolare curiosità
della condizione personale e sociale degli iscritti. Vi si trova (n. 939) imma-
tricolato un supremus falconum magister Ferdinandi II Rom. imp. Un chi-
tarista germanus è iscritto per grazia al posto di un bidello (che era un per-
sonaggio autorevole) non padrone della lingua tedesca (n. 1540); un tale
che in contemptu dictae nationis rivolle la moneta data per l'iscrizione, ut
membrum putridum abscissus est et ab inclita exclusus (n. 1704).

Ma vi é anche (n. 1324) un S. Rom. Eccl. cardinalis factus, legatus impe-
ratoris Romae ; uno che (n. 981) occisus a marito quare confessionem suae
coniugis revelare noluerit, est in spe proxime canonizandi ; uno che inflicto
a sagitta vulnere lethali animoque milites iam exanimatos resuscitans Hercules
occubuit generose ... (n. 1480). È evidente il sentimento nazionale in queste
annotazioni, che valgono come significativo documento umano.

Sono questi studenti germanici in genere di elevata classe sociale ; nume-
rosi gli ecclesiastici insigniti di alte dignità religiose ; i civili di alte cariche
presso la gerarchia imperiale. È tutto un insieme che porta per qualità oltre









RECENSIONI 165

che per numero un incontestabile contributo di prestigio allo Studio Pe-
rugino.

Non tutti però gli studenti di origine germanica venuti nel nostro Studio
erano iscritti alla suddetta Compagnia, e il diligentissimo A. per darne un
quadro più vicino possibile ad esser completo, ha integrato l’elenco dato
dalla Matricola con nomi tratti da altre fonti storiche universitarie. Anzi-
tutto la Matricola generale della Università degli Scolari che si conserva in
due volumi nella Biblioteca Comunale, e abbraccia il Cinque, Sei e Sette-
cento. Poi gli Atti del Dottorato, cioè dell’esame e conferimento delle lauree,
che si conservano nell’Archivio universitario, e vanno dalla fine del secolo xv
a quella del secolo xvii.

In fine gli Acía scholarium del Cinquecento esistenti nella Biblioteca
Comunale e che si riferiscono a elezioni in seno alla scolaresca.

Sono in complesso più di duemila nomi che ci passano sotto lo sguardo,
destando molte considerazioni a chi vi ponga un’attenzione non fuggevole.

Potrebbe negarsi che da questa elencazione vengano fuori singolari
tratti della fisonomia dell’antico Studio Perugino, nella sua dominanza cultu-
rale, di maestri, e nella sudditanza di discepoli che ne ricercano e ne ascoltano
la parola ? :

Si trova che vengono a laurearsi qui (le lauree sono in massima parte
in Teologia e Filosofia) individui già in possesso di dottorato ottenuto altrove,
segno che il titolo qui acquisito aggiungeva un superiore valore agli altri
già conseguiti.

Un Bavarus Monacensis afferma con palese compiacimento d'essere
laurea insignitus in hac alma eí celeberrima universitate perusina. Siamo nel
1671, ed è significante quel superlativo quando, per la verità storica, la sua
età aurea era già passata, ma la fama ne durava ancora in pieno.

Soffermandoci a rilevare le città di origine di questi studenti, potrebbero
individuarsi delle correnti di cammino culturale che qui si indirizzano e con-
vergono da vari punti; per dirne qualcuna, dal Trentino, dalla Baviera ;
e che portano luce su quel movimento che nei secoli scorsi circolava tra di-
versi territori e popolazioni diverse per stirpe, tradizioni, linguaggio.

E torna ancora ad apparire come l’Università sia stata non solo scuola,
ma tramite di rapporti spirituali e materiali, personali e collettivi. Fattore
di socialità, veicolo di contatti tra le varie genti, che mentre ha operato a
precisare e rafforzare la individualità propria delle singole nazioni, le ha anche
avvicinate e fatte conoscere fra loro.

RAFFAELE BELFORTI

PRETE PeDRINI MARIA Rosa, Umbria con una carta geografica e 6 tavole
a colori fuori testo, 255 figure e 23 cartine geografiche nel testo. « Le
Regioni d’Italia » n. 9, Torino, Unione Tipografico-Editrice Torinese, 1963.

Questo bel volume fa parte della collezione « Le Regioni d’Italia » di-











166 RECENSIONI

retta da Roberto Almagià e pubblicata sotto gli auspici del Comitato ordi-
natore della Mostra delle Regioni italiane in seno al Comitato nazionale per
la celebrazione del Primo Centenario dell'Unità d'Italia 1861-1961.

La benemerita casa editrice, che aveva già dato parecchi decenni fa
l'analoga collezione « La Patria », ha inteso fornire una rassegna complessiva,
viva ed organica delle singole regioni italiane, anche in rispondenza al rico-
noscimento della validità storico-economico-amministrativa che di esse è
consacrato nella costituzione della Repubblica Italiana.

« Ciascuna monografia — afferma Roberto Almagià nella Presentazione —
è poi inspirata al concetto di mettere in vista le caratteristiche fondamentali
della regione descritta : quelle cioè che nel campo fisico, umano, economico,
storico, artistico, ne individuano la peculiare fisonomia e le danno linea-
menti propri ». Ed aggiunge : « Ogni collaboratore — uno ed uno solo per
ciascun volume — ha redatto la propria monografia in modo che essa
possa essere intesa facilmente da qualsiasi persona colta ; si è perciò evitato
il più possibile uno stretto tecnicismo e si è fatto uso di un linguaggio e di
uno stile chiari e vivaci, così da rendere attraente la lettura ».

Bisogna riconoscere che, per quanto riguarda questo volume, i cri-
teri informatori della collezione sono stati rispettati. La monografia, appunto
perchè redatta da una sola persona, offre vari pregi ; particolarmente quelli
di un proporzionato sviluppo delle parti che la compongono, di costante
coerenza nel ritmo e nella forma dell’esposizione, una unità concettuale di
valutazione che postula una visione unitaria del tema trattato.

Al contrario, poichè una persona sola, per quanto ben dotata di cultura
scientifica e storico-letteraria, non può essere approfonditamente enciclo-
pedica, compaiono qua e là nel testo piccole mende dovute a insufficiente
o non aggiornata informazione. Ad esempio l’edizione del Digestum vetus
giustinianeo, la prima nel mondo, non vide la luce nel 1471 (p. 28) che fu
l’anno in cui venne introdotta la stampa a Perugia, ma il 23 aprile 1476.
Forse fu fatta confusione con la Lectura super I et II parte Digesti veteris
di Bartolo da Sassoferrato, che appunto vide la luce nel 1471. Così la deno-
minazione di Raspanti e di Beccherini (p. 28) è attribuita alle fazioni peru-
gine in modo opposto a quello che era in realtà. Inoltre l’abate di Monmag-
giore più che costruire due fortezze (p. 29) fece allestire un poderoso sistema
di fortificazioni che andava da Porta S. Antonio al colle di Porta Sole.

Si potrebbe anche osservare che nell’elaborato processo di determina-
zione dell’estensione territoriale della regione attraverso i secoli accanto
alla delineazione dei cartografi sarebbe stato opportuno tener conto della
documentazione archivistica, che dalla fine del secolo xvi avrebbe fornito
dati più certi mediante gli elementi desumibili dalla delimitazione delle
circoscrizioni amministrative, cioè le delegazioni di Perugia, Spoleto, Orvieto,
Città di Castello, Rieti.

La monografia tuttavia nei quattordici capitoli in cui è suddivisa









RECENSIONI 167

presenta una completa ed adeguata configurazione dell'Umbria nella sua
formazione storica e nella sua attuale condizione. Dopo i primi capitoli con-
tenenti uno scorcio storico della regione, la descrizione oro-idrografica e la
caratterizzazione climatica di essa, vengono ordinatamente svolti gli argo-
menti delle suddivisioni territoriali (regioni naturali, storiche e tradizionali,
amministrative) dei caratteri e della distrubuzione della popolazione con le
sue costumanze, delle attività economiche per passare poi negli ultimi tre
capitoli a una piü ravvicinata considerazione delle subregioni: Val Tibe-
rina, Conca di Gubbio, Territorio Perugino, Valle Umbra, il Folignate,
Spoleto e lo Spoletino, il Ternano, l'Orvietano e Todi.

Utilissimo complemento del lavoro sono, oltre alla Nota bibliografica,
le diciotto tabelle e le ventitré cartine dimostrative inserite nel testo. As-
sai pregevole la documentazione offerta dalle illustrazioni, alcune delle quali
a colori, scelte fra mezzo a una ingente quantità di fotografie appositamente
eseguite con spiccato intuito rappresentativo. Ottime la stampa e la presen-
tazione.

Tuttitalia: UMBRIA. Enciclopedia dell’Italia antica e moderna, Firenze,
Edizioni Sadea Sansoni, 1964.

Il volume fa parte di una collezione che si propone di fornire l’inter-
pretazione etnico-storica di ogni regione italiana e di divulgarne la conoscenza
sotto tutti gli aspetti di geografia fisica e antropica, dell’organizzazione e
delle vicende politiche e militari, del paesaggio e dello sviluppo urbanistico,
della produzione agricola, industriale e artigianale, in rapporto anche alla
rete delle vie di comunicazione, della creazione artistica e letteraria, del
costume e delle tradizioni popolari e via dicendo.

Opere di così vasto disegno, anche se applicate al tema offerto da una
regione come l'Umbria, abbastanza circoscritto se non proprio unitario, sono
condannate a portare sin dalla nascita il germe dell’insuccesso. Esso con-
siste nell’inconciliabile contradizione esistente tra l’obiettivo di fornire una
rappresentazione organica, unitaria, ben fusa nelle sue parti del tema assunto
a trattare e la necessità di servirsi dei contributi di un certo numero di col-
laboratori auspicabilmente specialisti delle singole discipline. Non si sfugge
fatalmente al risultato, all’effetto della composizione a mosaico. Nel caso
presente poi gli orditori del piano redazionale dell’opera hanno ancor di più
affrontato il rischio della raffigurazione, anzichè sintetica, frammentaria,
suddividendo il lavoro in un’infinità di capitoli e affidandone la stesura a
tante brave persone prese singolarmente, ma che non formano un coro di
consonanze, culturalmente parlando, perchè di impostazione ideologica, di
tendenza spirituale, di formazione culturale e professionale assai diversa
e persino divergente con una gradazione che va dal cattedratico e dallo
specialista puro al giornalista. Fra tanta selva di nomi è risultato escluso













168 RECENSIONI

quello di Aldo Capitini, ad esempio, che é l'unico ad aver scritto un'acuta
interpretazione dell'intimo spirito di Perugia.

Escluso pertanto il quadro prospettico complessivo e quindi la sintesi
del carattere della regione e della sua funzione nel concerto della storia e
della vita nazionale, resta la consolazione d'imbattersi in alcuni pezzi di buono
ed in altri di eccellente fattura con l'apporto di nuove valutazioni critiche
e di più appropriate tesi scientifiche. E, tanto per esemplificare, va segna-
lata l’Introduzione di Guido Piovene, caratterizzata da un vigilante spirito
meditativo della materia che tratta con grande finezza e da un acuto in-
tuito interpretativo accompagnato da sottile originalità nella rilevazione degli
aspetti preminenti della spiritualità della regione ; salvo il peccato veniale
della porta del morto.

La suddivisione della trattazione di un tema in vari capitoli affidati
per la compilazione a diversi collaboratori non solo ha reso più frammen-
tata che mai la rappresentazione dell'Umbria come regione storica, ma ha
portato di conseguenza a disparità e a contrasto di giudizi e di dati. Per
ovviare questi inconvenienti, pur mantenendo un tale piano dell’opera, sa-
rebbe occorso un rigoroso lavoro di coordinamento e di revisione. Sul tema
Il lago Trasimeno e Città della Pieve sono allineati cinque scritti: uno vaga-
mente descrittivo con rapida rassegna delle cittadine e dei castelli che cir-
condano il lago, ed è di Ottorino Gurrieri. Segue l’articolo di carattere idro-
geologico-economico di Maria Rosa Prete Pedrini; poi quello di Ludovico
Scaramucci, che con impegno assolve l’ingrato compito di mettere insieme
un estratto di vicende storiche del lago e di Città della Pieve. Vengono
infine una nutrita rassegna artistica di Pietro Scarpellini, una rievocazione
dei costumi e delle feste e tradizioni popolari di Averardo Montesperelli e
un brioso itinerario attraverso il territorio intorno al lago di Uguccione Ra-
nieri, che però, come altri di questi scritti, finisce per sembrare una collanina
in cui sono infilate, al pari di perline colorate, le consuete notizie pertinenti
a ciascuna località. E come più appariscente conseguenza di questo spez-
zettamento di trattazione descrittiva di un tema di per se nemmeno di straor-
dinario rilievo si ha la ripetizione, sia pure variamente modulata, di uno
stesso argomento : l’emissario del lago, la battaglia tra Annibale e Flaminio,
la congiura di Magione e via dicendo.

Accade ugualmente, se non vado errato, che tra tanti pezzi dai roboanti
titoli dannunzianamente decadenti ripartiti fra tanti collaboratori alcuni
indici o fattori di progresso culturale e civile siano stati esclusi, come la
stampa, che l’Umbria è stata fra le prime regioni italiane a coltivare con
prodotti di gran merito, e l’importantissimo Studio perugino.

Il volume, abbondantemente dotato di belle illustrazioni in bianco
e nero e a colori, si presenta a prima vista in un aspetto formalmente assai
curato, mentre alla lettura con frequenti refusi tipografici e probabili tagli
nei testi rivela frettolosa insufficienza nella revisione.











RECENSIONI 169

Come s'é detto, a parte il pregio di alcuni pezzi, tanto valeva con molto

minore spreco di spazio e maggiori risultati tentare, bandendo qualsiasi

proposito enciclopedico, una raffigurazione etnico-geografico-storica dell'Um-

bria affidandone la cura a pochi specialisti che ne ricostruissero la fisionomia

unitaria con la trattazione dei principali aspetti ; con criteri diversi da quelli
adottati in questa collezione, la cui formula è male impostata.

GIOVANNI CECCHINI

MancixI FRANCO, Saggio per un’aggiunta di due laude estravaganli alla vulgata
iacoponica, in « La Rassegna della letteratura italiana », LXix (S. vir),
n. 2, 1965, pp. 238-353.

Anticipando le conclusioni alle quali lo studioso è giunto al seguito di
un fittissimo vaglio degli elementi esterni ed interni che caratterizzano le
due laude in questione (Volendo incomengare e Ihesù nostra speranca, cui
seguono alcune Didascalie), diremo che è oggi possibile, grazie al Mancini,
arricchire il patrimonio iacoponico di altre due gemme. Si è voluto anti-
cipare il risultato positivo della indagine compiuta dallo studioso per dar
risalto all’emozione che ha occupato il lettore a compimento del difficoltoso
e talora intricato ifer che ha condotto il critico all’attribuzione delle due
laude a Iacopone. L'emozione nasce nel momento in cui si vedono corrispon-
dere in modo convincente i tratti fondamentali delle due laude con i moduli
piü certi che la tradizione degli studi iacoponici ha ormai assodato, sia per
ció che riguarda il mondo spirituale di Iacopone, sia per ció che riguarda le
sue tecniche espressive. In questo senso lo studio di Franco Mancini appare
esemplare.

Ovviamente egli non trascura alcuno dei dati fino ad oggi a disposizione
degli studiosi e lumeggia sapientemente gli aspetti critici della tradizione
iacoponica introducendo una acuta e articolata visione storica del problema.
La lezione del testo costituita dal Mancini è fiancheggiata da una nutrita
documentazione delle lezioni dei codici seriori ed è accompagnata da un
ampio sommario linguistico e da un glossario.

La prima notizia relativa ad «una pergamena contenente due laude
adespote di Iacopone » conservata nella Comunale di Gubbio, risale al Maz-
zatinti (« Miscellanea Francescana », I, 2, 1886, p. 34), che ne dette una descri-
zione alquanto sommaria. Fu successivamente menzionata dal Tenneroni,
dal Galli e dal Brugnoli, i quali, peraltro, non ebbero mai occasione di ve-
derla. Qualche anno fa la pergamena fu trasferita dalla biblioteca Sperel-
liana di Gubbio alla locale sezione archivistica di Stato, dove attualmente
si trova, priva di collocazione. Nessuna indicazione di rilievo esiste intorno
alla nascita e al luogo d'origine di questo documento : peraltro lo studioso
ritiene di poterne stabilire la provenienza attingendo a preziosissimi dati
della fisionomia linguistica del documento stesso. La scrupolosa indagine











170 RECENSIONI

che investe questo aspetto del manoscritto conduce alla conclusione che il
testo della pergamena sia stato copiato piü sicuramente a Perugia (o nelle
sue vicinanze) che ad Assisi. Tra i numerosi fenomeni indiziari della pro-
venienza perugina che lo studioso descrive, basterà qui ricordarne due, che
hanno valore definitivo : 1) la presenza dell'articolo maschile plurale gle, 2)
la presenza del numerale doie. Sono entrambi tratti che ricorrono frequen-
tissimi nel testi perugini e che comprovano l'ipoteca perugina su quella che
si suol definire la famiglia umbra dei manoscritti iacoponici. Agli occhi esperti
del Mancini la pergamena rivela notevoli novità rispetto alla descrizione del
Mazzantinti. « Sul dorso, in caratteri trecenteschi e quindi coevi a quelli del
testo poetico ... leggesi il passo di Matteo 10, 16-22, che par davvero la ve-
tusta matrice di quanto predica l'incipit nei codici veneti: «laudes... ad
utilitatem et consolationem omnium cupientium per viam crucis et viriutum
dominum imitari ». Ma piü spettacolare é l'altra caratteristica del documento
eugubino, cioé «la distribuzione delle parti scritte, che delimitano spazi
bianchi ormai soltanto emblematici, ma chiaramente allusivi a un disegno
dell'antigrafo ». Nello spazio centrale doveva chiaramente figurare una Scala
virtutum, adorna di rami frondosi e frutti; ai piedi della scala un fuoco di
sette colori (i sette doni dello Spirito Santo) e al sommo della medesima una
Perseveranza (al nono grado) e il trono d’Amore (al decimo grado). Le due
laude sono disposte ai due lati, e in parallela sequenza (dieci a destra e dieci
a sinistra) le didascalie. La prima lauda in specie ( Volendo incomengare) « sta
rigorosamente a ogni particolare del disegno » e « talune sfumature espres-
sive e perfino qualche procedimento sintattico si spiegano come contrappunto
alla figurazione che inevitabimente va supposta a latere ». Diremo, insieme
allo studioso, che non è questo l’unico caso di componimenti iacoponici nati
in simbiosi con un disegno : del resto il procedimento era già assai noto alle
tecniche giullaresche. La figura della scala è altresì elemento familiare agli
itinerari allegorici del medioevo mistico-ascetico, tanto che sembrerebbe su-
perflua una esemplificazione. Ma questa della pergamena ha una sua vitalità
tutta particolare, una forza tutta iacoponica ; mi pare che il Mancini la indi-
vidui molto bene quando nota : « E tanto questo contrasto (tra virtü e vizi)
è vissuto da non mantenersi sempre a livelli puramente allegorici, ma da
scendere — per la collusione già detta — sul piano d’una strategia effettuale
che per oggetto non ha più l’errore ma, in concreto, gli erranti . . . Nella Scala
virtutum l’ombra degli avversari non è presente, ma non si può neppure dire
lontana. L’ipotiposi non è a caratteri fissi e la staticità dell’attributo cede
piuttosto all’azione del verbo ; salendo dal basso in alto, Virtù e Doni non si
annunciano immobili come i bassorilievi dei portali gotici; s’affacciano vit-
toriosi e tuttavia memori della lotta e in procinto di scendere di
nuovo in campo: Umiltà chiede per sè vergogna e vituperio, Povertà
rifiuta eredità e ricchezza, Larghezza si ride dell’avaro giudizio del se-
colo, Pietà fa proprio ogni altrui male, Obbedienza sta apparecchiata

——

RECENSIONI INI

al comando, Giustizia e Temperanza minacciano la sentenza finale, Con-
siglio si china sulla saggezza, Sapienza oppone il suo libro (liber scrip-
turae o forse liber vitae ?) alle frivolezze terrene, la Castità figge nel prossimo
i suoi occhi purissimi, Intelletto balestra saette di fuoco, Fortezza e Magna-
nimità, sempre ben armate, calcano sotto i piedi i nemici; Fede e Speranza
Si recano concordi ambasciatrici dell’Anima ad Amore, Perseveranza infine
è quella che vince il palio, suggellando ogni sforzo ».

Queste movenze iacoponiche, per ora così felicemente delineate, trovano
in seguito appoggio e sostegno sulla base di una /abula concordantiae che an-
nette le due laude ad altre iacoponiche, e in particolare Volendo incomencare
col settore delle iacoponiche LXIX, LXX, LXXI, LXXIX, LXXX, LXXXVIII,
LXXXIX e Ihesà nosira speranja con LX, xc, xci, xcu. Le due laude,
poi, completandosi a vicenda, continuano allo stesso modo la trama dello
intero laudario, ripetendone i due diversi timbri stilistici tanto peculiari
al tudertino e le apparenti disarmonie della dialettica intelletto-affetto,
ragione-amore. In Iacopone l'aridità di taluni componimenti e l'impetuosità
di altri «é soltanto un fatto di linguaggio e di tecnica (o per, ripetere la
nota teoria auerbachiana, di sermo humilis e di stile sublime) : i due mo-
menti appartenendo per il resto ad un medesimo -processo ascetico-mistico ».
La prima lauda della pergamena (Volendo incomencare) appartiene a quel
gruppo della produzione iacoponica che è stato autorevolmente definito « po-
vero di sentimento ». Essa consta di un prologo (vv. 1-28), di una parte cen-
trale o narratio (vv. 29-188) e di un epilogo o peroratio (vv. 189-260). Di gran
lunga più interessante è per il Mancini quest’ultima parte, anche perchè ricca
di elementi molto significativi. Vale subito la pena di notare, ai vv. 211-12,
il richiamo alla legge fisica dello scendere e salire dell’acqua, certo derivata
da una summa di sapere enciclopedico (la nozione si può leggere nella versione
del « Tresor » di Brunetto Latini); questa conoscenza, come poi per succes-
sive prove sarà confermato, documenta un’ampia conoscenza della materia
francese (morale, scientifica, romanzesca), nonchè la regola rettorica che la
governa. Anche la scelta e la figurazione delle Virtù e Doni della Scala si
ispirano a modelli cavallereschi e cortesi : il nostro rimatore va colorando le
sue sacre metafore delle più vistose apparenze mitologiche e culturali del
secolo. La seconda lauda (/hesù nostra speranca) consegue alla prima per nu-
merosi addentellati di forma e di sostanza (intanto per il recupero in chiave
mistica del motivo ascensionale, poi ancora per i richiami naturalistici, come
quello della calamita (v. 35) e quello dei quattro elementi (vv. 117-18)) e ne
costituisce il tema levitante. La tensione suasoria qui « tende a dilatare i nodi
della dimostrazione nel ritmo piü largo e copioso dell'eloquenza. E se è vero
che notevoli errori di struttura (influisce tirannicamente il parallelismo con
la prima lauda) rallentano il raptus in stazioni raziocinanti — tanto più sof-
ferte quanto piü la méta amorosa è intuita come prossima e raggiunta —
bisogna pur dire che da queste pause si dipartono veloci forze centrifughe











172 RECENSIONI

in ampio oscillare di esortazioni, di esclamazioni : la concitazione esortativa
e la spiegata sentimentalità delle invocazioni avvolgono cosi d'un alone so-
noro i grumi dimostrativi, sfilacciandoli in appendici che vanno assai al di là
della comune e semplice chiosa ».

I procedimenti stilistici onde tali risultati sono raggiunti, la nuova in-
terpretazione della fenomenologia e della fisica tradizionale, il grande tema
della demenza amorosa innestatosi in quello della stultitia propter Christum
(tema cui va strettamente ricollegata la clausola cortese de fore contraria-
mente a drento, che è il mondo interiore o dello spirito) sono qui elementi ai
quali lo studioso dà spiccata risonanza e ai quali dedica attento esame. La
identità del religioso rimatore « mi par si sia venuta ormai a sovrapporre e a
coincidere con quella di Iacopone » conclude il Mancini ; e alla raccolta bonac-
corsiana « vorrei appunto che queste due laude si aggiungessero, se non altro
per la loro formula stilistica, eminentemente caratterizzatrice e capace di
rivelare l'identica ispirazione di componimenti già definiti impetuosi sovrab-
bondanti e prolissi e di componimenti, in cui « resta qualcosa di stentato e di ri-

gido ».
MARIA CLOTILDE OTTAVIANI

MENCARELLI MaRrINO, L’abate Raffaele Marchesi (1840-1871). I tempi - La
vita - L’opera. Presentazione di G. Cecchini, Padova, 1965, pp. 374, 26
tavv. f. t.

Mi è capitato recentemente di leggere una inedita storia di Magione
scritta da Giuseppe Fabretti, padre di Ariodante, e non vi ho trovato rife-
rimento alcuno alla attività patriottica del magionese Raffaele Marchesi,
scrittore e letterato dell'Ottocento. Eppure il Fabretti, che nel detto ma-
noscritto descrive le bande del 1847 che «a bandiere spiegate sfilano per
campagna e città al grido di Viva Pio Nono », doveva ben sapere che l'inno
al Pontefice liberale, declamato in quei giorni, era dell'abate Marchesi. Il
silenzio è dovuto ad animosità politica, come dettato da animosità politica
è il profilo tracciato dal Bonazzi di questo scrittore, definito «superbo e
dogmatico nelle sue opinioni », «il maestro più dannoso alla gioventù peru-
gina ». Perfino i meriti letterari gli sono contestati dal Bonazzi per motivi
politici: « Al tempo del Marchesi scrivevano già da cristiani il Pennacchi
e il Fabretti, ma scrivevano dall’esilio, altri che aveva già scribacchiato
qualche cosa, vagava per l’Italia chiedendo pane ad altri studi ; il Marchesi
aveva campo libero a Perugia ».

Per confutare tale giudizio negativo, e per ridare il dovuto posto a
questo scrittore nella cultura artistica e letteraria in Perugia del secolo xix,
Marino Mencarelli ha pubblicato un accurato lavoro sui tempi, la vita
e l’opera dell’abate Raffaele Marchesi (Padova 1965), al quale Giovanni
Cecchini ha premesso una breve introduzione. Il Mencarelli ha seguito con











RECENSIONI 173

scrupolosa diligenza la biografia del personaggio dai primi studi in seminario
fino alla morte, ed ha raccolto in Appendice alcuni scritti piü significativi,
senza dimenticare una rassegna in ordine cronologico delle opere del Mar-
chesi. Il Mencarelli ha ricordato uomini e fatti del Risorgimento umbro,
centrando la sua attenzione sul periodo che va dalla elezione sul soglio pon-
tificio di Pio 1x alla fine del dominio temporale del Papato in Umbria.

A proposito di questo meritevole lavoro è possibile dire che il Menca-
relli ha impostato la biografia dell’abate di Magione con limitati interessi
locali, nel senso che ha interpretato talvolta i contrasti di tendenze politiche
come contrasti personali, ha considerato il Risorgimento un fenomeno emi-
nentemente patriottico, e non ha valutato in chiave critica certe generiche
manifestazioni di sentimento nazionale. Dà fastidio al lettore smaliziato il
tono solenne, e si possono formulare riserve allorchè egli fa l’elogio della
«classe di nobili famiglie perugine, pronta ad accogliere e a sviluppare ogni
idea di progresso politico e sociale del proprio paese, fervida di pratiche
iniziative, pensierosa e capace negli studi e che durante il Risorgimento
dette largo contributo, nel campo del pensiero e dell’azione, alla comune
opera di affrancamento da ogni straniera e domestica soggezione » (p. 246).

Nonostante queste limitazioni, il Mencarelli-ha il merito di aver ripro-
posto il problema della diffusione del neoguelfismo in Umbria, una re-
gione sottomessa direttamente all’autorità papale ed in quegli anni affidata
alle cure del vescovo Gioacchino Pecci. E l'argomento ci sembra davvero
importante non solo perchè, attraverso lo studio del giobertismo, si indivi-
duano le forze moderate e si può riesaminare l’atteggiamento del Pecci di
fronte alle tendenze liberali.

SALVO MASTELLONE

BorzomatI Pietro, Un centro dell’Italia in sviluppo industriale. Opinione
pubblica, stato religioso, classe politica, stampa a Terni dal 1840 alla
fine del sec. XIX, Perugia, Libreria Carlo Betti ed., 1965, pp. 132,
L. 2.500.

Lo studio della trasformazione economica e sociale italiana, legata al
sorgere ed allo sviluppo della grande industria negli ultimi decenni dell’800,
presenta spunti di considerevole interesse nell’analisi della morfologia di quei
centri che per primi sperimentarono il processo di svecchiamento delle loro
strutture economiche. È questo il caso di Terni che, priva di ogni apertura
economica durante la dominazione pontificia al pari del resto dell'Umbria,
conobbe con l’impianto delle prime industrie metallurgiche un sensibile
mutamento. Esso investì e condizionò non solo le tradizionali risorse della
zona, cioè l’agricoltura e l’artigianato, ma, in quanto rivoluzione industriale,
stimolò una serie di problemi di ordine sociale e politico, che, pur nella ri-









174 RECENSIONI

dotta dimensione della città umbra, corrisposero a quelli piü vasti e complessi
affrontati dalla società italiana dopo l'unità.

Particolarmente degna di interesse si presenta da un lato la posizione
dei moderati nell'amministrazione della città e dall'altro la funzione delle
nuove forze sociali e dei partiti che a queste offrirono appoggio ed alterna-
tiva politica. Il libro di Pietro Borzomati su Un centro dell’Italia in svi-
luppo industriale intende appunto presentare gli aspetti del momento di
transizione e delle difficoltà ad esso connesse. Il proposito è quello di «far
luce su quel fenomeno che a Terni si ebbe dopo il 1885, quando cioè ad una
classe di moderati e di notabili subentrò nella direzione politica del circon-
dario ternano una sinistra radicale e socialista decisamente massimalista,
incapace di reagire alla grande crisi del 1887, ma anche alla classe padronale
ed ai dirigenti dell’industria, poco sensibili ai problemi sociali dei lavora-
tori » (p. 12).

Spiegarsi tale incapacità significa per il Borzomati collocare il radica-
lismo e il socialismo nell'ambiente in cui sorsero e quindi, innanzi tutto, esa-
minare la situazione culturale, sociale ed economica di Terni prima del rinno-
vamento industriale. Al centro di una zona agricola asfittica, di carattere
prevalentemente mezzadrile, Terni offriva le scarse risorse di un centro arti-
gianale, di cui era espressione sociale e politica una classe di notabili, legata
al governo pontificio più per oppcrtunismo che per sincera fedeltà. Fu proprio
l’immobilismo economico e la scarsa lungimiranza di questi notabili a fre-
nare ogni impulso innovatore nella città sin da quando nel 1842, l’inizativa
di alcuni operatori francesi nella Ferriera condusse alla fondazione della
Cassa di Risparmio di Terni.

Nel 1860, quando il Commissario Generale per l’Umbria Gioacchino
Pepoli propose l’istituzione di un Istituto Tecnico nell’ambito delle « riforme
economiche e sociali, che dovevano rivelarsi determinanti per il futuro in-
dustriale umbro » (p. 29), l'opposizione provenne proprio dalla classe dei
notabili. Essi avevano vissuto gli anni del Risorgimento senza aderire ai nuovi
ideali, ma con l’opportunismo di chi riteneva «ormai compromesse le sorti
dello Stato pontificio e quindi, allo scopo di mantenere il potere e la clien-
tela non mancarono di appoggiare la causa dell’Italia ». All'Autore sembra
che le loro attività si limitassero ad accumulare i capitali ed « alimentare
quell’anticlericalismo tradizionale nelle popolazioni umbre » (p. 33): da qui
Vincapacità di presentare una candidatura umbra, o meglio ternana, alle
elezioni del '61 e di «sostenere le grandi iniziative industriali dopo gli anni
'80». I moderati ternani, diversamente dai liberali umbri, erano quindi,
come ripetutamente afferma l’Autore, « non solo opportunisti e politicamente
impreparati, ma credevano che la loro azione politica dovesse esplicarsi in
un forte anticlericalismo per sradicare nella popolazione i principî della re-
ligione cattolica in cui credeva la maggioranza del popolo umbro » (p. 34).
A questo proposito sarebbe stata opportuna una maggiore chiarezza da parte



F











RECENSIONI 175

del Borzomati poichè, a parte la contraddizione con quanto è stato affermato
poco sopra sull’« anticlericalismo tradizionale », ci sembra che l'analisi da
lui compiuta sulla classe dei notabili offra un aspetto assai vago della sua
composizione, dei suoi interessi economici, dei motivi della sua incapacità
politica, genericamente additati dall’Autore nella mancanza di tradizioni
culturali e politiche.

Le caratteristiche della classe dei notabili permasero immutate anche
dopo l’inizio dello sviluppo industriale. Tra il 1875 ed il 1884 sorsero a Terni
la Fabbrica d’Armi del Regio Esercito, gli Alti Forni e gli stabilimenti
metallurgici che costituiranno la caratteristica industria siderurgica della
città. L’iniziativa partì da uomini che, come il padovano Stefano Breda
o il ministro della guerra Ricotti, avevano assai poco a che fare con i nota-
bili ternani, i quali «si disinteressarono delle vicende della grande industria,
particolarmente durante la crisi del 1887, quando lo stabilimento si trovó
a dover affrontare difficoltà finanziarie gravissime a pochi anni dalla sua
inaugurazione » (p. 53).

Lo sviluppo industriale fece di Terni un centro operaio ed a questo
punto l'indagine del Borzomati si allarga alla nuova classe sociale ed alle
organizzazioni operaie sorte in seguito all'avvenuta industrializzazione. So-
prattutto la presenza di operai venuti dalle zone industriali del Nord impresse
alle organizzazioni un carattere radicale, socialista e repubblicano che non
avrebbero più perduto nemmeno quando, con la crisi del 1887, il nucleo
degli operai immigrati sarà costretto a staccarsi dal partito repubblicano
per il regionalismo e la diffidenza degli operai ternani.

I partiti di sinistra, che andavano da un generico radicalismo a punte
anarchiche, si posero come naturali antagonisti della vecchia classe dei no-
tabili moderati, che aveva controllato la città sin dal 1860. La crisi econo-
mica del 1887 costitui il banco di prova di entrambi i gruppi: i notabili e
la Cassa di Risparmio dettero prova, come si é visto, di scarso interesse e di
superficiale attenzione per i problemi dell'industria, che incontrava note-
voli difficoltà economiche per mancanza di finanziamenti. I partiti operai
rafforzarono le loro posizioni fino a raggiungere una maggioranza radicale,
socialista e repubblicana in seno al Consiglio Comunale dopo il 1890. Nono-
stante ció questi ultimi sarebbero stati incapaci, al pari dei notabili, « di
affrontare adeguatamente le varie crisi che si ebbero dopo 1’87 », nè avreb-
bero avanzato « proposte concrete per attutire gli effetti della crisi stessa »
(p. 68), dal momento che persino le cause dei licenziamenti erano state frain-
tese e non sì comprendeva che erano connessi alla « mancanza di commesse
di lavoro e al mancato intervento del governo » (p. 70).

Piuttosto che preoccuparsi delle condizioni economiche e sociali della
classe operaia, le società ed i partiti di sinistra avrebbero preferito le
polemiche anticlericali, come del resto si comportavano gli stessi notabili.
L’unico provvedimento adottato fu quello cautelativo di non suscitare nè













70 RECENSIONI

fomentare disordini di alcun genere per non esasperare la reazione della classe
padronale. Essi in genere ritenevano che la crisi sarebbe stata risolta se si
fosse cessato di assumere i contadini che lasciavano l’agricoltura per il
lavoro negli stabilimenti.

La conseguenza della scarsa sensibilità politica e sociale dei gruppi operai
e delle scissioni che si verificarono nel loro seno fu la vittoria dei moderati
i quali, con il facile appoggio del governo, riacquistarono la maggioranza
nel Consiglio Comunale nelle elezioni del 1892. Di fronte al permanere della
crisi che investiva industria ed agricoltura, la stessa classe operaia riconobbe
la propria impotenza e scivolò in una sorta di moderatismo nella convin-
zione che «la vittoria dei partiti governativi avrebbe assicurato il benessere
economico e sociale della città » (p. 75). I difetti di fondo permasero durante
gli ultimi anni dell’800 e il primo decennio del ‘900, condannando all’immobi-
lità i partiti operai.

Essi non riuscirono a reagire ed a sostenere un ruolo determinante per la
soluzione dei problemi economici e sociali degli operai e della città perchè,
secondo il Borzomati, le forze socialiste, radicali e repubblicane «tralascia-
rono di inculcare nelle masse i loro idealismi e si disinteressarono dei problemi
culturali », ma soprattutto furono incapaci di «intavolare un dialogo con le
forze operaie cattoliche » (pp. 63, 76).

Ci sembra che le conclusioni a cui 1’ Autore è pervenuto non offrano
una soluzione convincente alle numerose questioni poste dalla trasforma-
zione economica e sociale del ternano. Parlare di una possibilità di dialogo
tra socialisti e cattolici nei primi anni del '900, o addirittura alla fine del
secolo xix, presuppone l’esistenza di un’organizzazione sociale cattolica
consistente e di una comune base programmatica, che le « forze operaie cat-
toliche » erano ben lungi dal possedere. La pregiudiziale antisocialista, nono-
stante l’apertura sociale della « Rerum Novarum », permaneva in tutto il
suo valore e con tutto il suo peso. La possibilità di un accordo, inattuabile
anche in una prospettiva nazionale, era assai problematica, sul piano locale,
tanto più che l'Autore non chiarisce affetto la consistenza, la posizione, l'at-
teggiamento dei cattolici nel delicato periodo di transizione e di crisi attraver-
sato dal centro umbro. Il proposito di analizzare il ruolo dell’opinione pub-
blica e delle classi politiche e sociali durante la rivoluzione industriale ternana
richiedeva un maggiore approfondimento della ricerca ed una maggiore
chiarezza nel delineare l’aspetto e la funzione delle forze sociali,

Nonostante la cura dedicata dall’Autore alla stampa ternana, e l’inte-
ressante elenco dei periodici usciti nell’ultimo quarto di secolo, manca nel-
l’opera una veduta convincentemente completa della fisionomia della città
umbra. La connessione tra le questioni economiche e sociali ternane ed i
contemporanei problemi nazionali è stata lasciata in ombra, ed in tal modo
se ne sono ridotti inevitabilmente il significato e la portata.

ADRIANA PACI







—KÀ—







RECENSIONI 177

Tipografia ed Editoria in Umbria : Assisi, a cura di Fernando Morotti. Fonti
per la Storia dell'Umbria, n. 2. Perugia, Deputazione di Storia Patria
per l'Umbria, 1966. In 89, pp. LxvI-262, con xxv tavv. f. t., L. 5.000.

Si rimane stupiti nel riscontrare in questo volume la enorme produzione
tipografica ed editoriale di un piccolo centro umbro, qual era Assisi, nell'arco
di oltre tre secoli e cioè dal secolo successivo all’invenzione della stampa sino
quasi ai nostri tempi. Effettivamente Assisi non conobbe l’arte tipografica
subito, nel sec. xv, come avvenne per Trevi, Foligno e Perugia. Tutte le
altre arti, con relativa produzione e commercio, erano state meglio organiz-
zate con i nuovi Statuti pubblicati nel 1543, ma essi non fanno alcun cenno di
stampatori ed editori sia del posto o comunque immigrati. Si dovrà arrivare al
1581 quando si ebbe un tentativo di introdurvi l’arte tipografica con Giacomo
Bresciano.

La città del Poverello attirava crescenti masse di pellegrini quando
ovunque era già in atto una favorevole ripresa economica e più evidenti erano
le prospettive della restaurazione cattolica. Il richiamo per l’acquisto del
Perdono, con la famosa indulgenza della Porziuncola, avrà suggerito ai reli-
giosi della Basilica di S. Francesco e alle autorità comunali di chiamare da
Perugia quel Giacomo Bresciano, staccandosi dal fratello Andrea, ivi molto
attivo sino dal 1544.

Il suo primo libro stampato in Assisi reca la data del 1581.

È una breve guida della città con i suoi santuari e monumenti, cui segue
una raccolta di preghiere in latino ed un elenco delle reliquie del Santo.

Questo fenomeno di carattere popolare dell’introduzione della stampa in
Assisi rimase isolato. L’esattezza dell’informazione non è l’unico dato positivo
delle lunghe ricerche che si riscontra nell’ardua fatica del Morotti. Occorre
pertanto risalire ai lontani anni della sua giovinezza quando, ultimati gli
studi nella locale scuola normale, nel 1917, incominciò a concretarsi il propo-
sito di raccogliere gli annali tipografici della sua patria. Con gli impegni d’im-
piego, come contabile in aziende commerciali, occasionalmente al Morotti fu
possibile raccogliere le prime 420 schede.

L'informazione emerse da una riunione del Consiglio di Presidenza del-
l'Accademia Properziana del Subasio, nel 1961, nella quale, tra le varie ini-
ziative presentate, avevo sottoposto all'approvazione un analogo proposito e
in fase avanzata con l'unica e completa catalogazione di tutti i fondi a stampa
conservati nella Biblioteca Comunale di Assisi.

Il volume del Morotti comprende 1943 schede e vede la luce tra le Fonti
per la Storia dell’ Umbria, perchè effettivamente si tratta di una « utilissima
opera di indagine, di confronto, di definizione, di catalogazione » svoltasi
tra molte difficoltà e non lievi sacrifici in ventidue biblioteche pubbliche e in
quattro grandi archivi.

L'A. con il suo volume ha inteso pure raccogliere il voto espresso nel lon-

12









178 RECENSIONI

tano 1943, in occasione della Mostra dell' Arte della Stampa umbra per « una
ripresa di indagine storica e definitiva valutazione critica sull'arte della stampa
in Umbria nei secoli precedenti al nostro » (p. VII).

Ma a parte la valutazione del lavoro e del metodo con cui é stato condotto,
occorre sottolineare la produzione, ossia i risultati di quei tipografi che si af-
faticano per dodici o quattrordici ore al giorno intorno ad un torchio che è,
più o meno, ancora quello di tre secoli prima. Il loro è tuttavia considerato
un nobile mestiere a cui erano interessati anche le autorità comunali.

In Assisi, dopo l’esperimento di Giacomo Bresciano, «il Gonfaloniere
ed i Priori della città sentirono il bisogno di invitare in Assisi un altro peru-

| gino Pietro Paolo Orlandi (1590) al quale assicurano due some di grano, casa
e bottega sulla Piazza Maggiore, la esenzione da ogni gabella oltre all'impegno
di trasportare a proprie spese nella nostra città la sua stamperia » (p. x1).

Seguirono poi Jacomo Salvi (1608-51) da Assisi, che stampò anche mu-
sica ; il libraio Marc’ Antonio Cintelli da Assisi (1652-64); Stefano Leonardi
da Todi (1671-1710); Antonio Mariotti (1685-1717); Lorenzo Mastici (1693-
1722); Michel’ Antonio Bertagna da Saluzzo (1711-15), il quale era « stampa-
tore del Sacro Convento » di S. Francesco e in cui morì nel 1715; Andrea
Sgariglia (1727-80) altro assisano, cui successe il figlio Ottavio (1780-1852)
il più prestigioso e fecondo stampatore, chè per oltre un settantennio la sua
attività dovette passare tra mutamenti politici e polemiche religiose.

L’esemplificazione bibliografica dello Sgariglia apporta un notevole con_
tributo alla conoscenza delle correnti spirituali e culturali del tempo, e soprat-
tutto quella in difesa dell’ortodossia cattolica contro gli scritti di illuministi,
regalisti, giansenisti, ecc., compresa la devozione al Sacro Cuore da essi osteg-
giata. È innegabile che l’antigiansenismo « ebbe nell’officina sgarigliana di
Assisi il suo vero e proprio quartiere generale » (p. xvii), cui avrà dato sug-
gerimenti ed assistenza un suo fratello prete, Gioacchino, che risiedeva in
Roma. Questa peculiare attività di Ottavio Sgariglia potrebbe fare supporre
in Assisi l'esistenza di un cenacolo culturale antigiansenistico e sostenuto da
segreto mecenatismo, cui era legato lo stampatore, mettendovi a disposizione
i propri torchi (p. xx). Invece sembra piü verosimile trattarsi di un fenomeno
puramente commerciale che lo Sgariglia seppe opportunamente síruttare
quando la polemica antigiansenistica aveva raggiunto fasi esasperanti. Lo
stesso dicasi della diffusione che ebbe la Gazzetta Universale.

Ai due Sgariglia seguirono : Pietro Cannetti (1852-62); Domenico Sensi
(1862-85) ; un Mario Recchi con una Succursale Sgariglia (1871-79); il Con-
vitto Nazionale voluto da Ruggero Bonghi ebbe la sua Tipografia Froebel
(1882-1908) ed altri.

Il volume si completa degli opportuni indici, cui la ricerca di nomi e
dati conduce ad una sorprendente e densa documentazione (bandi, editti,
pseudonimi, anonimi, ecc.) che naturalmente e spesso invano si cercherebbe
in archivi.





—__ c





RECENSIONI 179

L'esposizione, come la lettura, sarebbe apparsa piü chiara se i docu-
menti riportati per intero, invece di figurare tra le note si fossero raggruppati
cronologicamente in una seconda Appendice. Inoltre le note poste alla fine
del testo erano da collocarsi alla fine di ogni pagina, per l'immediata infor-
mazione richiesta dal lettore, evitandogli una seconda e poco agevole ricerca
per trovarla in pagine più lontane.

GIUSEPPE ZACCARIA, O. F. M. CONV.



















'ecrologi

ARNOLFO BIZZARRI ARCHITETTO

Arnolfo Bizzarri appartenne alla schiera degli architetti artisti
che il trascorrere dei tempi ci farà perdere, cioè di quelli formatisi
nella scuola di un maestro insigne presso le Accademie di Belle Arti,
alla insegna del libero esercizio delle discipline artistiche, cresciuti
in un’epoca che seppe dare alle città italiane un volto ed uno stile
che proprio oggi, sotto nuove tendenze, torna ad essere corrente e
ad affermarsi con rinnovato vigore.

Molti come noi, che siamo in grado di testimoniare l’ardore vis-
suto in quelle scuole, possono affermare altresì che Arnolfo Bizzarri
Visse con grande impegno la sua profonda preparazione spirituale.

Per molti anni architetto nelle Soprintendenze ai Monumenti,
venne poi chiamato all’alta magistratura di Soprintendente alle
Belle Arti per l'Umbria, dove ebbe occasione fortunata di tutelare
molte opere di inestimabile valore, riconducendone altre allo splen-
dore primitivo.

Gli architetti dell'Umbria nell'immediato dopoguerra lo elessero
loro presidente affidandogli la tutela dell’ordine professionale che
per molti anni resse con grande dignità.

Arnoldo Bizzarri fu un attento presidente, fedele interprete dei
sentimenti altrui, che con la sua eccezionale dote di umanità seppe
amalgamare la difficile categoria degli architetti.

Nato in Orvieto il 26 ottobre 1883 si trasferì con la famiglia a
Perugia (il padre di lui, Scipione, era impiegato presso la Soprinten-
denza ai Monumenti e Scavi). A Perugia frequentò dal 1901 per sei
anni l'Accademia di Belle Arti proseguendo poi i suoi studi di Ar-
chitettura presso l’Istituto di Belle Arti di Roma dove, nel 1909,
conseguiva l’ambito titolo.

La sua carriera nelle Soprintendenze ebbe inizio nel 1910, nel









182 NEGROLOGI

quale anno vinse un concorso per l'amministrazione statale, passando
dalla Soprintendenza di Perugia a quella degli Scavi e dei Musei di
Ancona per rimanervi circa 10 anni dedicandosi alle campagne di
scavo nelle grotte di Frasassi, a Pianello di Genga, a Belmonte
Piceno, a Novilara, a Grottamare, a Filottrano ed a Fano, nelle quali
campagne venivano messe in luce importanti testimonianze delle
piü antiche civilità. i

Successivamente vinceva il concorso per architetto e passava
alla Soprintendenza delle Marche e di Zara rimanendo in quella
sede di Ancona. Qui ebbe inizio la sua responsabilità diretta in im-
portanti restauri, oltre cinquanta, fra i quali due esemplarmente
condotti : quello della chiesa di Santa Maria di Piazza in Ancona,
difficile e rischioso, che condusse allo scoprimento del primitivo
tempo cristiano e quello altrettanto difficile e notevole della cripta
della Basilica di San Nicola di Tolentino.

Tasferitosi nel 1929 presso la Soprintendenza di Perugia, vi
rimase per oltre un ventennio, culminando la sua carriera statale con
la nomina di Soprintendente ricevuta nel 1950.

La nota dei restauri condotti dall’architetto Bizzarri in Umbria
si fa particolarmente nutrita. Di maggior rilievo possiamo elencare
quelli della chiesa di Sant'Angelo in Perugia, oggetto anche di una
comunicazione al V? congresso di Architettura tenutosi in Assisi
nel 1948.

Tra gli altri importanti restauri sono particolarmente da ricor-
dare quelli di Sant'Agata, San Pietro, Santa Giuliana e di San Giu-
stino della Colombella in Perugia; di San Domenico in Orvieto,
della Cripta nella Basilica di Santa Chiara e di San Francesco in
Assisi, di San Francesco di Gubbio, di San Fortunato di Todi, di San
Nicolò di Sangemini : oggetto questo di una comunicazione al II°
Congresso nazionale di Storia dell’Architettura tenutosi in Assisi
nel 1937.

Un raro esempio di restauro di Architettura Civile ci viene rap-
presentato dal Palazzo Trinci di Foligno dove l’architetto Bizzarri
intervenne in un lavoro arduo e completo.

Nell'anno 1933 prese parte al Congresso Internazionale di Scienze
Storiche a Varsavia, nella sezione « L’évolution de plan de ville dans
le Moyen Age» con la presentazione di una importante relazione
sull'abitato medioevale di Pontecuti di Todi.

Sopraggiunti i limiti di età cessó la sua pubblica attività nella
Sopraintendenza, ma non la sua attività privata. Troviamo al suo



NECROLOGI 183

attivo, tra l'altro, la progettazione della originale cappella presso la
Pro Civitate Cristiana di Assisi.

Fra le principali onorificenze attribuite ad Arnolfo Bizzarri
vanno annoverate quella conferitagli dal Sovrano Ordine di Malta,
quella di Cavaliere Ufficiale e quella di Socio Ordinario della Depu-
tazione di Storia Patria dell'Umbria. Fu Accademico di Merito della
Perugina Accademia delle Belle Arti, alla quale istituzione dedicó
sempre il suo autorevole interessamento.

Pietro FRENGUELLI







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*
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A











ATTI DELLA DEPUTAZIONE

Premio « A. BERTINI CaLosso » 1965

RELAZIONE DELLA COMMISSIONE GIUDICATRICE

La Commissione Giudicatrice del primo concorso (1965) per il Premio
« A. Bertini Calosso », nominata dal Consiglio Direttivo della Deputazione
di Storia Patria per l'Umbria nelle persone dei proff. Eugenio Dupré Thesei-
der, Adriano Prandi, Luigi Salvatorelli, si è costituita nominando Presidente
il prof. Luigi Salvatorelli e Segretario relatore il prof. Adriano Prandi, ed
ha tenuto tre sedute, nei giorni 20 ottobre 1965, 14 e 20 gennaio 1966.

Anzitutto la Commissione ha constatato con compiacimento la larga
partecipazione di studiosi al Premio.

I Commissari hanno proceduto singolarmente all’esame dei nove lavori
presentati, che nelle due successive sedute sono stati poi discussi in modo
comparativo. Taluni di essi, o per la tenuità del contenuto, o per deficienze
di metodo, non hanno potuto essere presi in considerazione, e la Commis-
sione ne è dolente. Ha fermato piuttosto la sua attenzione sui seguenti lavori :

P. MARIANO DA ALATRI 0.M.C., Documenti sulla vertenza del 1355/56
fra Inquisizione e Tudertini ;

IrALO CrAumnnO, L'Umbria e il Risorgimento ;

P. LucrANo CaNoNICI O.F.M., La Porziuncola e gli inizi dell'Ordine
Francescano ;

Mons. Gino SIGISMONDI, La battaglia fra Narsete e Totila nel 552 d. C.
in Procopio.

Si tratta di lavori in vario grado impegnati, che affrontano temi interes-
santi. Fra essi lo studio del Sigismondi appare ottimamente condotto e con
autentico rigore filologico. Tuttavia la Commissione ritiene che nessuno di
tali studi, per motivi diversi, raggiunga il livello che si richiede per il conferi-
mento del Premio.

Per contro la Commissione è unanime nel giudicare degno di particolare
attenzione il lavoro : PP. SrtANISLAO MAJARELLI 0.F.M. e UGoLINO Nico-
LINI 0.F.M., Il Monte dei Poveri di Perugia. Periodo delle origini (1462-1474).

Si tratta di un grosso libro, edito a cura della Banca del Monte di Cre-
dito nel V Centenario della sua fondazione (Perugia, 1962).

È introdotto da Giuseppe Ermini, che lo definisce « un buon contributo
alla migliore conoscenza di uno dei più interessanti capitoli della storia eco-
nomica del mondo civile ».

Si tratta invero di una istituzione che fa onore a Perugia, e che, se-
condo la tradizione locale, confermata dagli AA., è la più antica del genere.







186 ATTI DELLA DEPUTAZIONE

Lodevolmente gli AA., ben alieni da ogni acritica rivendicazione di carattere
municipale, e ancor piü da sfoghi polemici (purtroppo frequenti in simili casi),
passano in rassegna tutte le affermazioni che sono state fatte nei riguardi
di analoghe fondazioni in altre città, confermandone o dimostrandone la
insussistenza. Si soffermano particolarmente sui rapporti di priorità nei ri-
guardi delle due istituzioni piü vicine alla perugina : quella di Orvieto e quella
di Ascoli Piceno.

E la ricerca, condotta sempre con sicuro metodo e notevole obbiet-
tività di giudizi, si concentra poi sul problema dell'origine dell'istituto peru-
gino, esaminando criticamente la tradizione, per porre in evidenza (con molto
buon senso) il carattere collegiale della fondazione, e facendo risaltare spe-
cialmente l'interesse della figura del perugino fra Fortunato Coppoli, del
quale gli AA. hanno anche ritrovato a Cortona un prezioso «consilium ».

Il grosso libro si divide in due parti: la narrazione ed analisi dei modi
di fondazione del Monte e del suo funzionamento nel primo decennio ; e
una ricca e importante raccolta di documenti, tutti inediti, riguardanti gli
Ebrei di Perugia, l'attività sociale dei Francescani nella città, la « matricola »
del Monte con le disposizioni e statuti del 1462-1471, e infine i capitoli di
vari Monti di Pietà dell'Umbria sorti nel sec. XVI, dopo naturalmente quello
di Perugia.

Per molti aspetti la ricerca si presenta degna di nota: per un quadro
scrupolosamente documentato delle condizioni politiche, economiche e so-
ciali della città nel secolo XV ; per la ricostruzione, con molti aspetti di
novità, della « presenza » degli Ebrei in Perugia e della loro attività presta-
toria, delle vicende del delicato trapasso dal loro monopolio del prestito a
interesse al prestito pubblico, organizzato dal Comune. Vengono esaminati
con estrema cura la struttura e il funzionamento del Monte, e gli AA. non
rifuggono nemmeno dall'addentrarsi in particolari tecnici talora ardui, né
trascurano di accennare, in modo forse troppo succinto, alla controversia
teologico-canonica sul problema di fondo, della liceità dell'usura. Chiudono
con un'utile « cronologia » delle vicende del Monte, viste attraverso la docu-
mentazione ufficiale degli Annali Decemvirali, e con una Bibliografia, che
peraltro avrebbe potuto utilmente segnalare anche qualche lavoro dei piü
recenti.

Data la genuina importanza che il libro ha in sé, come ricerca che puó
dirsi esemplare nel suo genere, e nei riguardi della storia di Perugia in parti-
colare, la Commissione è lieta di proporlo per il conferimento del Premio
intitolato alla indimenticabile personalità di Achille Bertini Calosso.

Visto, approvato e sottoscritto.

La Commissione Giudicatrice

LUIGI SALVATORELLI Presidente

EuceENIO DuPRÉ THESEIDER
ADRIANO PRANDI







ula

CENTRO DI DOCUMENTAZIONE
SUL MOVIMENTO DEI DISCIPLINATI



no

















————————.

Ricerche sulla sede di Fra Raniero Fasani

fuori di Porta Sole a Perugia

Se è vero che la storia non consente, per lo più, giudizi defi-
nitivi sulla personalità di certi suoi protagonisti nè soste alla ricerca
di nuovi elementi che li proiettino con maggiore rilievo all’atten-
zione degli studiosi, ciò si potrebbe affermare quasi esemplarmente
per il promotore del movimento dei Disciplinati del 1260 : fra Ra-
niero Fasani.

Una storiografia recente, complessa nelle impostazioni tema-
tiche, nella conseguente elaborazione e nelle conclusioni, va eserci-
tandosi intorno al moto penitenziale dell’eremita perugino, conside-
rato, tante volte, punto di partenza o svolta di una particolare
religiosità medievale, come anche occasione dell'origine della lauda
drammatica italiana.

Egli bensi, il Fasani, é rimasto per secoli nascosto nel testo
latino, oscuro la sua parte, di una Lezenda di origine bolognese,
restio ad affacciarsi alla storia. Le ricerche negli archivi di Perugia
sono valse finalmente a richiamarlo in vita e a schierarlo di nuovo in
battaglia con i suoi Flagellanti *), secondo l'immagine manzoniana.

Ma, si diceva, non sono consentiti risultati definitivi in questo
campo dove le ricerche sono appena iniziate.

Non c'é dubbio che pur evitando — circa il contenuto della
Lezenda bolognese — qualsiasi valutazione in chiave di antitesi
vero-falso, l'immagine ch'essa ci dà di fra Raniero e della sua rive-
lazione della «disciplina » come mezzo per la salvezza del mondo,
deve essere vista alla luce della piü dettagliata precisazione degli
elementi materiali (positivisticamente parlando, i «dati») in essa
contenuti e delle circostanze esterne quali risultano dai documenti.
Dopo tale sforzo di precisazione sarà possibile una completa valu-
tazione della figura dataci dall'immaginazione dell'anonimo autore
della Lezenda?). i£ per questo motivo che, ancora una volta, si
tenta di inquadrare con nuovi elementi l'attività di fra Raniero
Fasani a Perugia negli anni immediatamente successivi al 1260.



190 UGOLINO NICOLINI O. F. M.

Si é detto come la Lezenda ponga il rione di Porta Sole al centro
dell'esperienza religiosa di fra Raniero. Tra la chiesa di S. Fiorenzo
e quella di S. Bevignate (ancora in costruzione nel 1260), si sno-
dano i borghi di S. Fiorenzo, S. Simone, Fontenuovo e, più in alto,
S. Antonio. Gran parte di questo rione era proprietà del capitolo della
cattedrale *) fin dal tempo della divisione della mensa episcopale
da quella canonicale, agli inizi del sec. x1 *). In tutte le parroc-
chie di Porta Sole — S. Severo, S. Fiorenzo, S. Simone, S. Maria
Nuova, S. Antonio, S. Andrea, S. Lucia e S. Giovanni del Fosso *) —
il capitolo possedeva vigne e «casalini», sia dentro che fuori le
mura; gli edifici venivano dati in locazione generalmente per
29 anni contro un canone annuo (livello) di pochi «solidi denario-
rum»; le vigne e i terreni si davano a cottimo per 10 anni circa
a buoni e legali lavoratori, secondo l'espressione del formulario *).
I più antichi registri di tali censi o livelli, conservati nell'archivio
capitolare, mostrano un intensissimo movimento economico e sociale
nella Perugia del Duecento, con frequenti testimonianze sull'affran-
cazione, l'ominanza e l'amiscere dei numerosissimi sudditi della
canonica, sparsi nella città e nel contado ?).

Nessuna meraviglia, per conseguenza, che tra le categorie di
contratti che riguardano le possessioni di Porta Sole se ne trovi
uno stipulato con fra Raniero Fasani e molti altri con suore peni-
tenti, che ci illuminano sull’ambiente materiale e spirituale o sem-
plicemente ecclesiastico con cui l’eremita si trovava a contatto ;
precisamente quell’ambiente di penitenti e solitari — uomini e
donne — che dovevano formare una specie di Tebaide in quella
zona deserta e raccolta fuori di Porta Sole, intorno a S. Bevignate,
nella quale aveva abitato nel luogo « domini Favaronis » — detto
poi semplicemente Favarone — frate Egidio e forse lo stesso S. Fran-
cesco 5).

È impossibile rintracciare nella Lezenda gli uomini che servi-
vano Dio in quella solitudine, ma è certo che essi sono presenti non
meno di S. Bevignate e di S. Girolamo, come quel sagrestano Man-
za *), nella drammatica notte della rivelazione e nella scena della
lettera venuta dal cielo, presentata al vescovo da fra Raniero ;
saranno certamente gli stessi « quidam religiosi » che, fatti corag-
giosi da quella specie di « mandatum » soprannaturale, chiederanno,
insieme al Fasani, le ferie generali al podestà per la grande « disci-
plina » 1°).

Ora, se la storia ignora del tutto i rapporti intercorsi tra l’ere-

*

A







RICERCHE SULLA SEDE DI FRA RANIERO FASANI ECC. 191

mita perugino e il suo vescovo Bernardo Corio all'inizio del moto
penitenziale, essi risultano invece — in un piano niente affatto
religioso — con i sacerdoti della cattedrale nel 1262.

È infatti verso la fine di questo anno che il capitolo della cat-
tedrale di Perugia dà in affitto a fra Raniero Fasani per 29 anni
un «casalino » posto a Fontenuovo, fuori del borgo di Porta Sole.
Tra le clausole del contratto si fa espresso riferimento al divieto di
adibire il locale per qualsiasi uso religioso : «... et non faciet
ibi oratorium vel ecclesiam nec submictere ipsum locum alicui cle-
rico vel religioso, domino pape vel episcopo » ?). Il significato della
presenza di tale clausula oltrepassa certamente il valore della for-
mula notarile corrente, se appena tre anni dopo fra Raniero — per
non aver mantenuto la promessa — provoca le rimostranze, non
solo verbali, del monastero di Monteluce ed é costretto a demolire
l'oratorio abusivamente costruito. Non é facile spiegare l'opposi-
zione delle monache alle mire di fra Raniero, tanto piü che nel 1264
esse non contrastarono l'iniziativa di Favarone di costruire un ora-
torio nella sua proprietà, non meno lontana di quanto fosse Fon-
tenuovo, dal monastero ; ma intanto si sa che anche i canonici teme-
vano seccature dall'attività di fra Raniero. Se la casa fosse stata
presa in affitto dal Fasani solo per l'abitazione della moglie e delle
figlie, non si giustificherebbe la precauzione dei canonici. Il divieto
non ricorre infatti in analoghi contratti stipulati per altri « casalini »
di Fontenuovo con « soror Margarita Boncompagni » e « soror Clara »
sua compagna, con «Soror Sperandeo » nel 1264, con «soror Heli-
sabeth Finiguerre » e «soror Ricca » nel 1268, con «soror Bene-
dacta » nel 1271 *) e neppure in quelli stipulati con uomini, nel
1272, come risulta dagli accennati registri 1).

Non si può fare a meno di osservare che mentre la zona di S. Be-
vignate pullula in questo tempo di eremiti, suore «incarcerate »,
penitenti privati — come la famiglia di Favarone — che cercano
di organizzarsi e costruiscono oratori per fare penitenza o celebrare
gli atti del culto, al Fasani non riesce trovare una sede per i suoi
fedeli o per svolgere qualche opera caritativa 1‘), forse fino al 1267 15).

Prendendo atto dell'importanza, anche se modesta, del nuovo
documento che riguarda fra Raniero e senza proporre altre conget-
ture sul suo significato, si possono ora riassumere i dati biografici
che finora si sono potuti mettere insieme su questa singolare figura,
tutti desunti da fonti perugine, estranee alla Lezenda bolognese.

Nel mese di maggio del 1260 ha inizio, secondo la testimonianza





m s |

192 UGOLINO NICOLINI O. F. M.

delle Riformanze del comune di Perugia, la «generalis devotio »
organizzata da fra Raniero; qualche gruppo di flagellanti giunge
a Spoleto. Il moto perugino è seguito da un’ondata di fervore reli-
gioso che pervade tutta l’Italia ; la migliore sintesi di tale movi-
mento, desunta dalle fonti medievali più attendibili, è quella che
si legge nelle Historiae de Regno Italiae di Carlo Sigonio ; le fonti
tuttavia non pongono in particolare rilievo l’opera di fra Raniero
fuori di Perugia, tranne quel suo consiglio per l’elezione del po-
destà di Foligno, dato al parlamento perugino il 31 dicembre.

Nell'ottobre del 1262 il Fasani è pregato da Pietro Parenzi
podestà di Perugia di adoperarsi per pacificare gli abitanti del-
l'Isola Maggiore del lago Trasimeno. Il 12 dicembre dello stesso
anno stipula un contratto con i canonici della cattedrale che gli
concedono un fondo in Porta Sole, nel borgo di Fontenuovo, per
29 anni; egli s'impegna a non edificarvi un oratorio. Purtroppo
la promessa non viene mantenuta dal Fasani, che si vede costretto,
dietro sollecitazione delle clarisse di Monteluce, dall’abate di S. Pie-
tro, il 13 febbraio 1266, ad abbattere o almeno a non destinare l'edi-
ficio ad uso di oratorio, « hospitale », chiesa o monastero.

Fino al 1277 tutto tace intorno a fra Raniero ; in questa data
egli riscuote, per mezzo del suo procuratore Guglielmo di Ugo, no-
taio !*), una elemosina di tre lire dal Comune di Perugia. Nel 1281,
19 ottobre, tra i confinanti di un pezzo di terra della chiesa di S. Fio-
renzo, posto verso Fontenuovo, c’è anche la « uxor Ranerii Fagani » ;
la stessa moglie e le figlie « olim Ranerii Fagiani » il 26 marzo 1282
(e poi il 30 dicembre 1286 e 16 dicembre 1290) ricevono, proprio come
una pensione, le tre lire che riceveva il padre") La successione
di queste date e il caratteristico uso dell'avverbio «olim » forse
permettono di fare l’ipotesi che fra Raniero Fasani sia morto tra
il 19 ottobre 1281 e il 26 marzo 1282 15).

UcoLINO NICOLINI 0.F.M.

NO:EE

1) Cfr. E. Arpu S. J., Frater Raynerius Faxanus de Perusio, in Il mo-
vimento dei Disciplinati nel settimo centenario dal suo inizio (Perugia 1260).
Atti del convegno (= Atti), Perugia 1962, pp. 84-92 ; A. FRucoNi, Sui Fla-
gellanti del 1260, in Bullettino dell’Istituto Storico Italiano per il Medio Evo
e Archivio Muratoriano, 75 (1963), pp. 211-37; U. NicoLINI O. F. M., Nuove











RICERCHE SULLA SEDE DI FRA RANIERO FASANI ECC. 193

lesltimonianze su fra Raniero Fasani e i suoi Disciplinati, in Bollettino della
Deputazione di Storia Patria per l'Umbria, Lx (1963), pp. 331-45 e nel Qua-
derno 2 del « Centro di documentazione sul movimento dei Disciplinati »,
Perugia 1965, pp. 3-17. Si tenga presente che il presente lavoro può consi-
derarsi come la continuazione del discorso iniziato con l’altro Nuove testi-
monianze, che non viene citato continuamente per non rendere troppo fasti-
diosa l’autocitazione.

2) È opportuno rilevare di nuovo che il migliore studio tanto sui « dati »
della Lezenda che sulla loro interpretazione complessiva rimane quello del
Frugoni, testè citato, da integrarsi con i contributi posteriori.

*) Nel 1728 le piante catastali mostrano ancora i possedimenti cano-
nicali a Fontenuovo. In queste mappe (Archivio di Stato di Perugia [= ASP],
Piante catastali, n. 38 e n. 49) la strada del borgo (oggi via Enrico Dal Pozzo)
divide le parrocchie di S. Simone e S. Antonio ; tuttavia non mi è stato pos-
sibile raggiungere una certa sicurezza nella identificazione dei vocaboli,
numerosi negli antichi catasti descrittivi ma scarsi nelle piante citate ; ragion
per cui, rinunciando al proposito di allegare una pianta topografica, mi limi-
teró — qualora si presenti l'occasione — a raccogliere nelle note i vocaboli
catastali della zona seconda la piü antica documentazione.

4) La spartizione risale almeno al 1038 quando il vescovo Andrea confer-
ma ai canonici i beni che si trovano « extra portam que dicitur a porta Sulis
inter duos temiegentie coepi finis de primum tenimentum feni ipsa via pu-
blica que pergit a Sanctum Giorgium ...»; (L. FuMI, L’« Iter Urbevetanum
et Perusinum » del Garampi, in Bollettino della Deputazione di Storia Patria
per l’Umbria, 14 [1909], p. 612); nel 1185 la canonica possiede terre «in
Tribliniano » ; (Archivio Capitolate di Perugia [= ACP] Istromenti, I, c. 30r) ;
il catasto del capitolo di S. Lorenzo, rinnovato nel 1369, descrive i seguenti
fondi esistenti nella parrocchia di S. Simone a Fontenuovo : « Item aliud
tenimentum domorum olivellariorum extra dictam portam Solis, fines qua-
rum ex uno latere strata, a pede Fons Novus, a capite murus civitatis...;
item aliud tenimentum terreni vineati et orti positum extra portam Sancti
Simonis, fines cuius ab uno latere via Marofe, ab uno via per quam itur
ad fontem Tribiglani et ab alio latere supradicte domus olivellarie usque
ad portam novam Fontis Novi ; item aliud tenimentum vinearum et orti
positum prope civitatem in loco dicto Tribliglano, fines cuius ab uno latere
via, ab uno latere res monasterii de Monte Lucido, ab alio latere res Sancti
Florentii, in parte mediante fossatu et in parte non et a capite strata...;
(ACP, Istromenti, II, fascicolo licenziato e non cartolato).

5) Cfr. ASP, Libra, 1, cc. 59r-92v. Questo registro, che contiene l’impo-
nibile di tutti i cittadini di Perugia per l’anno 1285, è anche un ottimo re-
pertorio anagrafico della città e il più adatto strumento per l’identificazione
dei personaggi perugini della seconda metà del sec. xim.

6) Ecco alcuni di questi livellari e cottimatori della parrocchia di









194 UGOLINO NICOLINI O. F. M.

S. Simone che nell'ottobre del 1272 pagavano il canone annuo alla cattedrale :
«Perusius domine Marie, Fortis Girardi, Uguidutius domine Bencevenne,
domina Maria Boniscagni uxor olim Gilii, Andreas Guidonis, Ufredutius
Bonaiunte Alfani, Iacopellus Masci, Michael barlectarius, Pelegrinus Fu-
masii pro se et fratribus suis, Iohannellus Viridis, Iacobus Complite et Buco-
lus Marie, Stephanellus domine Roscine, domina Facciamare, Benvenutus
Petri, Guerrolus Benvenuti»; sono complessivamente 16 «casalini» che
fruttano, insieme, 93 soldi e 33 denari; (ACP, Istrumenli, I, c. 179r-v).

?) I tre registri membranacei di grandissimo formato (misura media
interna mm. 390 x 260), di oltre 300 carte ciascuno i primi due e di 100 il
terzo — ma la cartolazione originaria di tutti e tre imporrebbe uno studio
a parte — che contengono i censi della seconda metà del sec. xir con
« exempla » di documenti del sec. xir, forse da secoli non sono stati consul-
tati; lo stesso Cernicchi nell'inventario L'Acropoli sacra di Perugia e i suoi
archivi, Perugia 1911, pp. 46-7, non sembra conoscerne il contenuto piü antico ;
non li conobbe il Garampi nel suo viaggio archivistico del 1752 (cfr. L'« Iter
Urbevetanum », pp. 593-617) e rimasero ignoti anche ai grandi eruditi pe-
rugini dei secoli xvin-xix come il Belforti, il Mariotti, il Siepi, il Vermi-
glioli e il Rossi. È facile ammettere l'importanza della documentazione sva-
riatissima contenuta in questi registri, quando si pensi che essi vennero
redatti in quella stessa canonica che nel Duecento ospitó papi e conclavi.
L'esame da me fatto, per quanto non approfondito, mi permette di addurre
almeno un esempio, nel quale la testimonianza di questi registri è risolutiva.
Il Potthast, discutendo ampiamente tutte le fonti disponibili per datare
l'elezione e la consacrazione di Clemente rv ne! 1265, conclude con la felice
ipotesi del 5 (elezione) e 15 febbraio (consacrazione, cfr. Regesta Pontificum
Romanorum, 11, Berolini, 1874, p. 1542-3). Recentemente il Pantoni, sull'auto-
rità del Nicolas, scriveva : « Il 30 gennaio 1265 Clemente rv, giusto all'inizio
del suo pontificato ...», annotando : « Fu coronato infatti il 5 febbraio
1265 » (A. PANTONI, Santa Caterina di Perugia, in Benedectina, 5 [1951],
p. 235 e nota 9; 6 [1952], p. 240 s. ; qui l'errore banale « 1265 » anzichè « 1266 »
si rileva anche dalla contraddizione con l'indizione nona, trascritta esatta-
mente). Le seguenti intestazioni di due atti del notaio Benvenuto « Ben-
veniatis » confermano la suddetta ipotesi del Potthast: 1) « Anno Domini
.M.CC.LXV., indictione .vrr., tempore electionis facte de venerabili patre
domino Guidone episcopo Sabinensi qui in summum pontificem est electus,
die .xr. intrante mensis februarii » (ACP, Zstrumenti, I, c. 204v) ; 2) « Anno
Domini .M.cc.Lxv., indictione .virr., tempore domini Clementis pape quarti,
die .virr. exeunte mensis februarii » (ACP, Istrumenti, II, c. 80r). Risulta
così che la consacrazione avvenne tra l'1l1 e il 21 febbraio, probabilmente
la domenica 15.

8) La piü recente critica storica in campo francescano assegna gli anni
1215-19 alla dimora del beato Egidio a Favarone, rifiutando nello stesso tempo





RICERCHE SULLA SEDE DI FRA RANIERO FASANI ECC. 195

la variante « Fabrione — Fabriano » di qualche manoscritto (cfr. Leben und
« Goldene Worte » des Bruders Aegidius a cura di L. Hardick, Werl/Westfalen,
1953, p. 38, nota 19). L'antichità delle « carceri » eremitiche nel luogo, l'ubi-
cazione (fuori di Porta Sole, vicino al monastero di Monteluce, oggi ospedale-
policlinico, ma non «in planitie Perusii » come afferma l'autore della vita
egidiana cfr. L. LEMMENS, Documenta antiqua franciscana, Quaracchi, 1901,
p. 43 — frase quasi incomprensibile sulla penna di fra Leone, a cui dovevano
essere familiari questi luoghi —) lo stesso proprietario che ospitò Egidio, e le
ulteriori vicende del luogo, risultano chiaramente dai documenti 1 e 3, che si
conoscono per la prima volta, pur non trascurando il problema costituito
dai due toponimi «Sanctus Benedictus de Fabrione» e «Sancta Maria de
Fabrione », chiese benedettine poste a S. Nicolò di Celle, sulla destra del
Tevere, di fronte a Deruta e proprio «in planitie Perusii », aperte al culto
anche nel sec. xm (cfr. T. LEccISOTTI-C. TABARELLI, Le carte dell'archivio
di S. Pietro di Perugia, Milano; 1956,;:1,- pp. 11,-nota 15:89, nota 4.113,
nota 10; 1r, p. 53, nota 2; ASP,.Giudiziario,. Podestà, an; 1276; [«liber
testium quasi inutilis comuni »], 21 febbraio, registro non cartolato). Nel 1268
un « dompnus Bonus rector ecclesie Sancti Orfiti de via Spargente » paga un
canone annuo di 2 soldi al capitolo della cattedrale (ACE, Istromenti, 1, c.
243v) ; non c’è dubbio che si tratti dello stesso luogo di Favarone perchè la
«via Spargente » è data sempre nei documenti fuori di Porta Sole, verso S.
Bevignate. Nel secolo xIv sorse nel luogo un monastero col titolo di S. Paolo
di Favarone, riunito, nel secolo seguente, a quello delle clarisse di Monteluce
(cfr. F. BRIGANTI, Conventi, monasteri ed altri luoghi francescani in Perugia, in
Il tempio di San Francesco al Prato in Perugia, ivi, 1927, pp. 105-7); oggi è
proprietà degli eredi Tarocchi. In questo luogo sostò san Francesco, come
sembra secondo la vita egidiana di fra Leone (Documenta antiqua, p. 45).
Un'altra tradizione perugina, raccolta solo all’inizio di questo secolo dal
Cavanna, attesta la dimora di san Francesco fuori di Porta Sole a Fontenuovo,
e precisamente nel luogo « Buonriposo ». Poichè i soli autori che accennano alla
tradizione non hanno notizia alcuna sull’antichità del vocabolo « Bonriposo »
(Cfr. R. GIGLIARELLI, Perugia antica e Perugia moderna, ivi, 1907, p. 977;
N. CAVANNA, L’Umbria francescana, Perugia, 1910, p. 174; F. BRIGANTI, Con-
venti, p. 121), ho creduto opportuno pubblicare il doc. n. 5, l’ultimo di una
lunga serie di provvedimenti del Comune di Perugia circa questa località ; degli
altri documenti dò una sommaria indicazione : « Ordinamentum super aconci-
mine stratarum civitatis et Bonreposi Porte Solis ; . . . locus sive transitus qui
vocatur Bonreposo extra portam Fontis Nove Porte Solis; decem camera-
riorum electio super aconcimine stratarum civitatis et Bonreposi ; bullecti-
num 70 florenorum pro reparatione Bonreposi Porte Solis» (ASP, Riformanze,
89, 26-27 dicembro 1453, cc. 142v, 143r, 144r); «... locus sive passus qui
vocatur et dicitur Bonreposo extra portam Fontis Nove Porte Solis in quo
inceptum fuit certum calzum ad fortificationem ... et firmitatem dicti







196 UGOLINO NICOLINI O. F. M.

passus »; (ASP, Riformanze, 91, 29 maggio, 3 e 7 giugno 1455, cc. 72r-v,
74v, 76r); «electio duorum camerariorum ad videndum si quidam locus
qui dicitur Buono reposo eget reparatione; relatio supradictorum duorum
camerariorum electorum ad videndum si locus qui dicitur Buono riposo
eget reparatione » (Asp, Riformanze, 96 17-18 maggio 1460, cc. 47v-48r).
Si osservi che in tutti questi provvedimenti non si fa menzione di chiesa
o cappella alcuna, contrariamente alla tradizione raccolta sul posto dal.
Cavanna che vorrebbe qui un ricordo di san Francesco, all'altezza del civico
134 della via E. Dal Pozzo. Con questo stesso nome di « Buonriposo » e con
identica tradizione esisteva un convento francescano presso Città di Castello
(cfr. CAVANNA, L’Umbria francescana, pp. 385-7).

?) Di lui la Lezenda dice che dopo aver partecipato alla disciplina «in
capite octo dierum defunctus est » (Atti, p. 95). Sarà utile fare osservare che
quel «Mancia Gualfredutii» testimonio all'atto stipulato nella canonica
perugina il 12 dicembre 1262 tra il Capitolo e Raniero Fasani era sicura-
mente un «familiaris » della cattedrale, poiché si trova innumerevoli volte
in funzione di teste negli atti rogati tra l'11 agosto 1259 e il 19 febbraio 1280
(ACP, Istromenti, 11, c. 38v ; x, c. 278r) ; nella « Libra » del 1285, si trova,
sotto la parrocchia di S. Fiorenzo, un « Angelus Mancie » con un imponibile
di 200 libbre; nella parrocchia di S. Simone figurano « Iohannis Mancie »
e « Petrutius Mancie » con 25 libbre ciascuno (ASP, Libra, 1, cc. 72r e 78v).

19) Su questi « quidam religiosi » e che cosa si volesse intendere a Perugia
con tale qualifica circa il 1260, credo opportuna una precisazione ; essa deve
riferirsi a Nuove testimonianze, p. 332, e conferma l’ipotesi del Meersseman
che vede nell’espressione un’allusione ai fratelli della penitenza mentre io
vi includevo anche gli Ordini mendicanti, come il domenicano e il fran-
cescano. Infatti risulta che i componenti della famiglia di Favarone (vedi
doc. n. 3) — padre, figlio e nepote — sono qualificati «religiosi viri »; uno
di costoro, Monalduccio, nel 1288, é cittadino di una certa importanza e
«frater de Penitentia » (cfr. A. FAnTOZZI-B. BuGHETTI, Il Terz'Ordine Fran-
cescano in Perugia dal secolo XIII al secolo XIX in Archivum Franciscanum
Historicum, 33 [1940], pp. 68-9; viveva ancora nel 1317: cfr. BRIGANTI,
Conventi, p. 106); per il 1269 è preziosa la testimonianza : «...item cum
dominus Nichola Morici, Monaldutius domini Favaronis, Bartucollus domini
Oderisii et Iohannellus Guidonis domine Verderose et dominus Iacopus de
Copollis, viri religiosi, ellecti fuerint a consulibus mercatorum de voluntate
maioris consilii ad extimationem faciendam de dampno dato domino Sal-
vatico in vinea sua occasione aque ducende pro fonte fatiendo in burgo
parte sane Angeli... 9 (ASP, Aifonmanze, 0, c, 219r; cfr..c. 283v), mee-
diante la quale si vengono a conoscere alcune figure principali del Duecento
francescano di Perugia ; infatti, oltre Monalduccio di Favarone, é personaggio
noto Giacomo di Bonconte Coppoli, il nobile perugino che ospitó per tanti
anni nella sua casa di Monteripido il beato Egidio (cfr. FANTOZZI, Documenta











RICERCHE SULLA SEDE DI FRA RANIERO FASANI ECC. 197

Perusina ad Indulgentiam Pontiunculae spectantia, in Arch. Fr. Hist., 9 [1916],
pp. 239-44 ; si noti che il 14 febbraio 1276, nella sala capitolare del convento
di S. Francesco al Prato, all'atto della donazione del Coppoli sono presenti
anche Monalduccio di Favarone e Giovannello di donna Verderosa; pur
ammettendo che non tutte le « personae de penitentia » a Perugia fossero
organizzate in questo periodo dai Minori — come risulta chiaramente dal
testamento di Simonetta « Fortisguerre » del 1282 (Atti, p. 378) — è tut-
tavia significativo che quando s’incontrano singolarmente, questi penitenti
si trovano legati all'ambiente francescano. Esistono forse le premesse per
affermarlo anche di Raniero Fasani.

1) Vedi doc. n. 2 pp. 199-200.

1) Doc. n. 4; ACP, Istromenti, I, c. 40r ; «item eadem die 23 octobris
1272, in via pubblica, ante vineam canonice de Porta Solis... soror HRHicca
dedit et solvit predicto dompno Iohanni pro canonica recipienti .v. solidos
denariorum pro pensione unius casalini positum in dicta parochia cui de
ante est via, de retro vinea canonice » ; (ibid., 179v ; cfr. c. 181v-182r e II,
c. 197v 138r).

18) È naturale che con particolare diligenza cercassi, nel periodo dei 29
anni previsti dal contratto, il ricordo o una qualsiasi menzione di fra Ra-
niero, ma l'indagine é stata senza risultato. Vedi anche la nota 6.

14) Per le « carceri » e le suore « carcerate », cfr. il doc. n. 1; il vocabolo
« Cisianu » è ricordato anche nel 1250, 1 dicembre, quando fra Nero, sindaco del
monastero di Monteluce, acquista da Bove « Maffei Acconis » un pezzo di terra
«positam in contrata monasterii predicti, in loco qui dicitur Cisianu, cui a
duobus lateribus res dicti monasterii, a pede via et ab alio latere Iacobus
Munaldi » (ASP, Corporazioni Religiose Soppresse, Monteluce, pergamene,
cassetto rv, L, 3) ; il 26 ottobre 1272 «in claustro canonice Perusine, coram
domino Guillelmo canonico... frater Sensus dedit et representavit et dedit
dicto domino Andree canonico et vestiario ... recipienti .x1r. solidos dena-
riorum pro domina Angela Carletti pro pensione presentis anni pro pensione
unius casalini positum in parochia Sancti Simonis, cui de ante est via ...»;
(ACP, Istromenti, 1, c. 180r); evidentemente questo «frater Sensus» (per
cui cfr. E. Arpu, Frater Raynerius, in Atti, p. 89, nota 1) non va confuso
con un altro «frater Sensus Ghercoli », che nel 1269 era morto e la cui figlia
Filippa fu badessa di Monteluce negli anni 1269-71 (ASP, Corporazioni Rel.
Sopp., Monteluce, pergamene, cassetto rv, r, 5; cassetto v, s. 18) ricordo,
inoltre, che il 12 agosto 1273 venivano assolti due perugini che nel mese di
maggio .erano stati arrestati sotto l'accusa d'aver derubato « quadam nocte
ortum et locum sororum Cataline et Angele religiosarum que sunt in loco
qui dicitur Cisianu de porta Solis » (ASP, Giudiziario, Podestà, ad an., c. 97) ;
lo Statuto perugino del 1279 tra i vari luoghi religiosi affidati alla tutela
del podestà e del capitano elenca un « hospitale Benedictoli Rubei », un « locus
filiarum Ufredutii » e un altro « Sancte Ugoline » dei quali non si conosce la





198 UGOLINO NICOLINI O. F. M.

porta di appartenenza (ASP, Statuti, 1, rubrica 411, c. 57r; per il «locus
Sancte Ugoline in Monte Pecorario », cfr. ASP, Giudiziario, Podestà, an. 1276,
c. 111v; in sostanza, si può ritenere che la chiesa intorno alla quale gravi-
tava l’eremitismo perugino di Porta Sole fosse S. Bevignate che sorse nei
pressi o proprio sul posto di una chiesa dedicata a S. Girolamo, ricordata
fin dal 1253 (ASP, Giudiziario, Podestà, [Liber exbannimentorum an. 1270
nell’esterno della coperta], c. 125r). La costruzione della chiesa di S. Bevi-
gnate incrementò probabilmente l’organizzazione degli eremiti e penitenti,
tanto che nel 1286 il comune eroga un’elemosina di 40 libbre di denari « soro-
ribus religiosis que vocantur Fratelle et que morantur iuxta ecclesiam Sancti
Benvegnatis, pro indumentis » (ASP, Massari, 23, c. 55r ; cfr. anche il doc.
n. 5 e il lungo elenco di recluse del 1290, ibid., 26, c. 180v).

1) Penso infatti che potrebbero essere i discepoli di fra Raniero quei
«fratres Sancti Bevegnatis » che il 14 febbraio di quest'anno si interessano
della canonizzazione del santo ; (ASP, Riformanze, 6, c. 161r).

16) E. Arpu, Frater Raynerius, in Atti, p. 87; era notaio e come tale
scrisse, insieme a Giovannello « Amate » lo statuto nuovo del popolo nel 1286
(ASP, Massari, 23, c. 55v) ; lo trovo anche come teste in un atto della cano-
nica perugina stipulato nel 1268 (ACP, Istrumenti, I, c. 15v).

1?) E. Annv, Frater Raynerius, in Atti, pp. 87-8.

1) Dopo la morte, solo con la ripresa del culto di san Bevignate, verifi-
catasi verso la metà del sec. xv secondo il Kern (cfr. H. DELEHAYE, Analecta
Bollandiana, 49 [1931], p. 222), rivive il ricordo di fra Raniero Fasani; a
testimonianza di ciò si è accennato (Nuove testimonianze, p. 339) alla « Porta »
e alla « Fonte di fra Raniero » in Porta Sole. Ora dal seguente documento
si può identificare coll’attuale « Porta del Giglio » o «dei Montesperelli», la
«Porta di fra Raniero »: « Ordinamentum pro luminaria fienda in festo
sancti Florentii»; «... magnifici domini priores... deliberaverunt ut anno
quolibet in dicto die [1? mensis iunii] a dicta ecclesia recedendo, eundo per
dicta civitatem et per plateam Supramuri et per rembucchum Salse et per
plateam magnam... et per ecclesiam Sancti Laurentii, per portam veterem
dicte civitatis que dicitur Porta fratris Rainerii ad dictam ecclesiam redeundo,
fiat processio » (ASP, Riformanze, 77, 23 aprile 1441, c. 36r-v) ; nel libro mi
dello statuto edito da Girolamo Cartolari a Perugia nel 1523, si legge:
«... pro Porta Solari [declarantes] eam esse stradam regalem que incipit
in capite platee magne a manu dextra stando versus septemtrionem et eundo
versus Portam Berardam vulgo nuncupatam Portam fratris Rainerii » (ibid.,
tra le «additiones » della rubrica 11, fol. viii; cfr. anche rubrica 12, c.
viH verso ; la porta « Berarda » si trova fin dal 1266 ; cfr. ASP, Giudiziario,
Podestà, ad annum, c. 129v. ; Statuti di Perugia dell'anno 1342, a cura di
G. Degli Azzi, r, Roma 1916, pp. 99 e 103) ; una curiosa notizia leggo poi
nella Scorta Sagra di Ottavio Lancelotti; nel 1617 un muratore scopri sotto
la parete di una casa — ritenuta quella di fra Raniero Fasani — un’imma-

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RICERCHE SULLA SEDE DI FRA RANIERO FASANI ECC. 199

gine della Madonna ; il Lancellotti sembra riportare la notizia sull'autorità
di G. B. Lauri, altro erudito perugino del sec. xvi (cfr. Scorta Sagra, Ar-
chivio di S. Pietro di Perugia, ms. 305, p. 1205).

DOCUMENTI

1. — Perugia, 1261, marzo 15 e aprile 13. — Testimonianza di Umile
e Alorita, suore dimoranti nel « carcere » di Cisiano fuori del borgo di Porta
Sole, sulla fuga di Vicina dalla casa paterna. (ASP, Giudiziario, [Liber Petri
Parentii capitanei], anni 1261-2, cc. 428r, 430r; 431r-v).

Liber testium super maleficiis, tempore Petri Parentii proconsulis Ro-
mani, Dei gratia dignissimi capitanei Perusii, anno Domini .M.CC.LXI, in-
dictione .v., die .xv. martii.

Testes Iacobi contra Simionem.

Intendit probare Iacobus Andree quod Simione Berardi contra suam
voluntatem astulit et conduxit seu conduci fecit falsis suasionibus secum
et retinuit dominam Vicinam filiam suam et cognovit eam et conrupit eam
carnaliter et conduxit seu conduci fecit et ascondidit et ascondi fecit ipsam
fraudulenter et malo modo in carcere posito iuxta fontem Cisiani, in qua fa-
milia domini capitanei eam reinvenire fecit et reinvenit et dixit de hiis omni-
bus est publica vox et fama.

In carcere fontis Cisiani qui dicitur quod est de parochia Sancti Antonii,

Soror Umilis carcerata ... dixit quod... Vicina filia dicti Iacobi venit
ad carcerem suum et clamavit ut aperiret ei... Mota ad pietatem aperuit
ei et ipsa intravit in carcerem et stetit ibi usque diem iovis...

Soror Alorita carcerata, sotia dicte Umilis... dixit quod proximo die
veneris quadragesime in hora matutinali dicta Vicina... venit ad carcerem
ipsum et clamavit ut aperiret . . .

2. — Perugia, 1262, dicembre 12. — Accursetto arciprete della catte-
drale di Perugia e i canonici Guglielmino, camerario, Pietro, priore, Ranaldo
di Andrea, Bonaventura e Andrea, canonici, danno in affitto a fra Raniero
Fasani un «casalino » posto nella loro vigna in Porta Sole sopra la fonte. (ACP,
Istromenti, II, c. 92v).

[Porte Solis et parochie Sancti Simonis]

In nomine Domini, amen. Anno Domini millesimo .ccLx1., indictione
.v., tempore domini Urbani pape .rrr., mensis decembris, die .xrr. intrantis.
Dominus Accursectus archipresbiter Perusinus una cum donpno Guililmino
camerario, donpno Petro priore claustri, donpno Ranaldo Andree, donpno

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200 UGOLINO NICOLINI O. F. M.

Bonaventura et domino Andrea, canonicis dicte canonice, per se et eorum
successores, dederunt et locaverunt hinc ad .xxvrimm. annos completos fra-
tri Ranerio Fagiani unum cassalinum de vinea eorum Porte Solis
supra fontem versus vineam .xx. pedibus iuxta viam .xxx. longum, qui
promiserunt ei non auferre set legitime defendere contra omnem hominem
et personam usque ad dictum tempus, et dictus frater Ranerius pro-
misit eisdem dare pro pensione ipsius quolibet anno .virr. solidos denariorum
in festo beati Michaelis archangeli nomine pensionis ipsius cassalini et non
facere ibi oratorium vel ecclesiam nec submictere ipsum locum alicui clerico
vel religioso, domino pape vel episcopo et si faceret vel submitteret, contrattus
non teneat et promiserunt quod de eo non dederunt ius alicui et si appa-
ruerit promiserunt ipsum indenpnem conservare in omnibus et inter se pro-
miserunt tenere, actendere et observare et non contrafacere vel venire sub
pena .c. solidorum de qua pars non observans parti observanti dare et sol-
vere promisit, rati et non dati et concessa asque et omni legum auxilio et
pena soluta vel non hec omnia firma permaneant.

Actum Perusii in dormitorio canonice Perusine, coram Mancia Gual-
fredutii et Fordevogla Arlotini testibus.

(S. T.) Et ego Angelus apostolice Sedis notarius predictis omnibus
interfui et ut supra legitur de mandato partium scripsi et publicavi.

3. — Perugia, 1264, giugno 7. — Bernardo, vescovo di Perugia, dà la
facoltà a Favarone di Angelerio, al figlio di lui Monalduccio e al nipote Iacopello
di fare ufficiare l'oratorio da essi costruito nel colle « Sancti Orfiti de Cissiano »
fuori di Porta Sole da un sacerdote approvato dallo stesso vescovo e di poter
concedere il luogo alle persone della loro stessa condizione che vi volessero risie-
dere per fare penitenza. (ASP., Corporazioni Religiose Soppresse, Monteluce,
perg. mm. 262 x 235, cassetto, 3, G, 2).

In nomine Domini, amen. Anno Domini .w cc Lxinr, indictione .vir.,
tempore domini Urbani pape quarti, die .vir. intrante mensis iunii.

Venerabilis pater dominus Bernardus episcopus Perusinus, ad instan-
tiam et petitionem religiosorum virorum domini Favaronis Angelerii, Munal-
dutii filii eius, Iacopelli nepotis eiusdem domini Favaronis, dedit et concessit
ipsis et successoribus ipsorum omnibus tam masculis quam feminis, licentiam
et liberam potestatem celebrandi et celebrari faciendi missas et alia offitia
noturna et diurna in loco ab eis hedificato in solo iuris et proprietatis ipso-
rum nomine oratorii, in pertinentiis seu in colle Sancti Orfiti de Cissiano
vel si aliter ibi dicitur ; quod oratorium promiserunt ad manus ipsorum omnium
utriusque sexus ex eis descendentium et familiarum tam masculorum quam
feminarum retinere et nullis aliis monasteriis, ecclesiis vel locis seu personis
ecclesiasticis exentis vel non exentis submictere vel supponere vel per ali-
quem titulum aliquibus ex predictis personis ius aliquod concedere sine
ipsius domini episcopi et suorum sucessorum licentia et consensu, inposita

*





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RICERCHE SULLA SEDE DI FRA RANIERO FASANI ECC. 201

in oratorio predicto nomina cathedratici et in signum reverentie pro cathe-
dratico duorum soldorum quantitate usualis monete parvule sibi et suis
successoribus in festo sancti Laurentii annis singulis exsolvendi ; quod cathe-
draticum prenominati dominus Favaronus, Munaldutius et Iacopellus per
se et eorum successores ipsi domino episcopo pro se et suis sucessoribus sti-
pulanti annis singulis exsolvere promiserunt ; capellanum autem ipsi et eorum
sucessores omnes in infinitum tam masculos quam feminas eligendi, mic-
tendi, retinendi et exeundi quotiens eis videbitur et placuerit, liberam ha-
beant facultatem quem ipsi et eorum sucessores ipsi domino episcopo pre-
sentabunt vel sucessoribus eiusdem ; quem capellanum tam ipse quam sui
sucessores sine malitia st omni dificultate confirmare teneantur, promis-
sione obedientie et reverentie non exacta nisi forte contingeret predictum
oratorium parochiam seu populum habere qui non esset de domibus predic-
torum, salva canonica portione ipsi episcopo debita eorum qui ibidem per
tempora extra eorum familie eligerent sepulturam ; in aliis vero bonis et
rebus religiosorum predictorum et predictarum, domibus, terris, vineis,
rebus mobilibus et stabilibus et se moventibus non contingentibus orato-
rium memoratum nullum novum ius ipsi domino Bernardo episcopo et suis
sucessoribus acquiratur. In personas tamen volentium ibidem penitentiam
agere ipsorum vel consimilis condictionis ipsorum oratorium dictum tran-
sferre possent et de hoc liberam habeant potestatem, salvo iure ipsius domini
episcopi et suorum sucessorum ut superius est expressum. Que omnia et
singula inter se ad invicem stipulantes promiserunt alter alteri tenere aten-
dere et observare et nullo tempore contrafacere vel venire ocasione aliqua
vel exceptione, sub pena .c, librarum bonorum Perusinorum minutorum;
quam penam pars non observans observanti solempni stipulanti dare et
solvere promisit et ea soluta vel non nichilominus dicta superius senper in
sua permaneant firmitate.

Actum in civitate Perusii in palatio episcopatus civitatis ipsius, coram
domino Passolo Taurelli, domino Munaldo Boniohannis, Matheo domini
Sinibaldi, Tholomeo domini Rusticini de Senis, Iohanello Guidonis, Fortino
notario et multis aliis testibus rogatis et vocatis.

(S. T.) Et ego Bencevene Trovalveri, apostolica auctoritate iudex et
notarius, hiis omnibus suprascriptis presens interfui et ut supra legitur de
partium voluntate scripsi et publicavi.

4. — Perugia, 1264, ottobre 10 e dicembre 5. — Con due alti distinti
i canonici della cattedrale di Perugia danno in affitto due casalini situati presso
Fontenuovo di Porta Sole a suor Margherita Boncompagni e a suor Sperandio.
(ACP, Istrumenti, I [Quaternus instrumentorum vestiariorum], c. 33v).

In nomine Domini. Anno Domini .w.cc..xmir, indictione .vir, apo-
stolica sede vacante, die .x. intrante mensis octubris. Dominus Guilielmus

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202 UGOLINO NICOLINI O. F. M.

vestiarius canonice Perusine una cum domino Acursecto archipresbitero
dicte canonice, locavit et concessit per se et suos sucessores sorori Margarite
Boncompagni pro se et sorore Clara eius sotia et earum heredum hinc ad
.xxviIH. annos proxime completos, medium cassalinum in vinea dicte cano-
nice positum in Porta Solis in ea parte que est prope Fontem Novum ; quod
casalinum sit .xxx. pedum per longum et .xirr. et dimidium per amplum ad
pedem ipsius vestiarii et promisit ei non auferre usque ad dictum tempus
sed ipsum eis et earum heredibus defendere et predicta conductrix per se
et suos heredes promisit eidem vestiario pro dicta canonica recipienti dare
et solvere annuatim in festo sancti Angeli de vindemia nomine pensionis
dicte rei .1ur. solidos denariorum Perusinorum minutorum. Que omnia et
singula promiserunt dicte partes inter se tenere, actendere et observare et
non contravenire sub pena .c. solidorum denariorum ; quam penam pars
non observans parti observanti et observare volenti dare etiam solempni
stipulatione promisit et pena soluta vel non contractus iste sit firmus.

Actum in claustro dicte canonice, coram domino Andrea et domino
Ranaldo canonicis dicte canonice, testibus.

In nomine Domini, amen. Anno Domini .M.cc.Lximnr., indictione .VII.,
appostolica sede vacante, die .v. intrante mensis decembris. Dominus Gu-
lielmus vestiarius canonice Perusine per se et suos sucessores concessit et
locavit sorori Sperandeo pro se et suis heredibus recipienti, medietatem
unius casalini in vinea dicte canonice posita in Porta Solis in suburgo dicte
porte, que sit longitudine .xxx. pedum et in amplitudinem sive latitudinem
.XII. pedum et dimidium ad pedem ipsius vestiarii, hinc ad .xxvrimr. annos
proxime completos...

Actum in claustro diste canonice, coram domino Libriaco Libriocti
et Grinta domini Oddonis, testibus.

(S. T.) Et ego Benvenutus Benveniatis comunis Perusii auctoritate
notarius... de partium voluntate scripsi et publicavi.

5. — Perugia, 1277, maggio 26 ; giugno 5 e 15. Elenchi di suore « incarce-
rate » in Porta Sole e di frati penitenti, cui il comune di Perugia, mediante il
massaro, concede elemosine a norma dello statuto. (ASP, Massari, 3, cc. 55v,
58v e G6lr).

Item, dedit dictus massarius Benvenuto Fasti et Iohanni domine Marie
recipientibus pro sororibus Iohanna, Gratia, Angela, Beatrice, Iacoba, Io-
hanna, Sibillia et fratre Florentino et sororibus Complite, Leutie, Imelde,
fratri Gilio, sorori Palmerie et Maddalene, Agne et Meligne (?) et sorori Mar-
garite et sorori Anese et sorori Horabili et Lene et Sperite (?) et Agliate, que
sunt in carcere in Porta Solis et porta Heburnea, pro elimosina, ad rationem
.x. solidorum pro qualibet, .x. libras denariorum.

Die .v. mensis iunii.







RICERCHE SULLA SEDE DI FRA RANIERO FASANI ECC. 203

Item, dedit et solvit infrascriptis incarceratis, scilicet sorori Brune,
sorori Sperie, sorori Achae, fratri Iohanni, sorori Paulucie, sorori Caterine,
sorori Ugoline, sorori Isabelle, sorori Iohanne, sorori Christiane, sorori Bene-
dicte, sorori Luminate, sorori Imillie, sorori Philipe, sorori Philipuzie, sorori
Margarite, sorori Amatuzie, sorori Lisabet, sorori Philipe, sorori Honeste,
sorori Ricce, fratri Concuno (?), sorori Mathie, sorori Clare, sorori Rosane,
sorori Berte, sorori Angele, sorori Clare, sorori Palunbe, sorori Angele, sorori
Sperandee, sorori Palmerie, sorori Guiduzie, sorori Panfilie, sorori Complite,
sorori Iohanne, fratri Iohanni, sorori Beldi (Imelde ?) fratri Iacobo, fratri
Maffeo, fratri Giliolo, fratri Benvenuto, fratri Lotario, pro elimosina, se-
cundum formam statutorum.

Hec. sunt expense facte per Andream Iohannis de Sancto massarium co-
munis Perusii, scripte per Marcum Finiguerre notarium.

Die .xv. mensis iunii.

Dedit et solvit dictus massarius sorori Benevenute pro elimosina, .x.
solidos ;

item, dedit sorori Christiane et sorori Clare et sorori Perusine et fra-
tri Senso, pro elimosina, .xr. solidos.

Item, dedit sororibus Clare, Berte, Beldine, Margarite, Filipe, Nesolle ;
item, sorori Clare, Lucie, Lucie, Clare, Riche, Imiglie, Beldine, Scacaldine,
Iohannelle, fratri Iohanni, fratri Benvenuto, sorori Gilliole, sorori Beatrici,
fratri Marco, sorori Bone, sorori Rumite, sorori Clare, sorori Benedicte, sorori
Clare, fratri Iacobo, sorori Letitie, sorori Augustine, sorori Marine, sorori
Gellate, sorori Cicilie, sorori Margarite, sorori Benedicte, sorori Iohanne,
sorori Sifine, sorori Clare, sorori Pace, sorori Philipe, sorori Amadie, sorori
Rosse, sorori Dolce, sorori Clare, sorori Bardesche, sorori Agate, omnibus
religiosis, pro unaquaque ipsarum .x. solidos pro elimosina, .xxr. libras de-
nariorum.

6. — Perugia, 1462, dicembre 8 e 10. — Delibera e relativo bollettino di
pagamento falli dai priori delle arti per la riparazione del muro di « Buonri-
poso » nel borgo di Fontenuovo in Porta Sole. (ASP, Riformanze, 98, 1462,
cc. 101v e 102v).

Provisio .xxx. florenorum pro muro fiendo in loco dicto JBuonreposo.

Item cum iuxta portam Fontis Nove in loco dicto Buonreposo pro acta-
tione vie et ipsius reparationis fuerit per comune Perusii deputata certa
quantitas pecunie, que quantitas per superstites electos utilissime fuit
expensa et nisi provideatur a latere superiori versus monasterium Sancte
Marie de Monte Lucido et costruatur murus prope grippam a latere supe-
riori, dicta via totaliter devastabitur et per medium ipsius intervalli dictum











204 UGOLINO NICOLINI O. F. M.

monasterium minabitur ruinam et hoc cederet in dampnum et verecundiam
comunis Perusii, eo quia dicta via semper frequentatur et sorores in dicto
monasterio degentes bonam gerunt vitam... deliberaverunt... quod
expendantur in constructione muri in dicto loco fiendi, florenos triginta ad
rationem .xxxvi. bolognenorum pro quolibet floreno...

Bollectinum Tome Vici Baldi et Benegni Augustini de florenis .xxx.

Item detis et solvatis Tome Vici Baldi et Benegno Augustini de Peru-
sio suprastantibus per nos electis muro fiendo in contrata Bonreposi, flore-
nos triginta ad rationem .xxxvi. bolognenorum pro quolibet floreno, vigore
legis edite per magnificos dominos priores et camerarios sub presenti mil-
lesimo et die .virr. decembris manu mei notarii infrascripti cum fuerit inter
nos sollempniter obtentum ad bussulam fabas albas et nigras secundum for-
mam statutorum.











Privilegio d'indulgenza del 1345
alla fraternita di S. Maria di Cividale

. Nel mr volume delle pergamene della Famiglia De Portis, ms.
1228 della Biblioteca Comunale di Udine, è inserita, c. 16, la perga-
mena che riproduciamo fotograficamente in bianco e nero, mentre
la pittura a tempera è a bei colori delicati.

Sarebbe rimasta ancora a lungo sepolta nel grosso volume se
l'originalità del dipinto, che raffigura una processione di Flagel-
lanti, non avesse attirato l'attenzione del bibliotecario dott. Gio-
vanni Del Basso, che appunto come una curiosità me l'ha mostrata.

E un privilegio rilasciato ad Avignone il 28 novembre 1345
da due arcivescovi e ventidue vescovi (i nomi dei vescovi sono 23,
ma Paulus Suacensis figura due volte, nel testo e aggiunto a margine),
che concedono ognuno 40 giorni di indulgenza alla Fraternita di
S. Maria «De Civitate Austrie » (Cividale).

La pergamena misura mm. 589 x 755; i caratteri del testo
sono in minuscola gotica ; in corsiva la convalida del Patriarca di
Aquileia Bertrando data l'8 marzo 1346 «in nostra patriarchali
Civitate Austria» (Bertrando aveva trasportato la sua sede da
Aquileja a Cividale prima, poi nel 1348 a Udine).

Alcuni dei numerosi sigilli sono ancora pendenti, ma non iden-
tificabili. Al centro la pergamena porta i segni della piegatura.

I volti di quelli che si battono hanno lineamenti femminei, forse
per farli apparire giovani. Il Santo con in mano il turibolo ha invece
un accenno di barba. L'Angelo ha le ali e sembra sospingere la pro-
cessione con il palmo delle mani tese, la destra atteggiata a bene-
dire. Tutti sono scalzi. La processione si è arrestata per rendere
omaggio alla Madonna incoronata, che regge il Bambino : infatti
il fratello che porta la Croce si è inginocchiato. Da notare la foggia
del suo cappuccio che si allarga in mantellina, penso per coprire le
spalle lasciate nude dalla cappa. Si spiega così la posizione delle









206 TERRUGGIA ANGELA M.

braccia di quelli che si frustano: con la mano sinistra alzano il
cappuccio mentre con la destra manovrano la frusta, che qui sem-
bra formata da cinque capi terminanti o con un grosso nodo o con
un sasso o un pezzo di ferro.

Privilegi di questo tipo devono essere stati rilasciati con una
certa facilità nel periodo avignonese perché quasi tutte le Frater-
nite (anche non di Disciplinati) ne posseggono uno, ma purtroppo
gli originali sono andati per lo piü smarriti. Ne ricordo tre per un
raffronto: a Brescia ?, privilegio in S. Nazaro e Celso, un Arci-
vescovo e otto Vescovi concedono 40 giorni ognuno, dato in Avignone
il 1341,20 aprile, approvato dal Vescovo di Brescia il 28 luglio 1343.
Secondo privilegio è in S. Alessandro: tre Arcivescovi e dodici
Vescovi concedono anche loro 40 giorni ognuno, dato in Avignone
il 26 ottobre 1343. In calce alla regola del 1470 della Fraternita di
S. Maria Maddalena di Bergamo ?): due arcivescovi e tredici
vescovi danno 40 giorni ognuno il 3 novembre 1343.

Un secolo dopo le Fraternite si preoccupano di sommare tutte
le indulgenze e ne risultano delle cifre considerevoli: 52 anni e
120 giorni secondo il ms. D. 94 dell’Ambrosiana ?) e il ms. ASHB 1178
della Laurenziana, che è della Fraternita di S. Maria Maddalena
di Bergamo ; mentre nel ms. ASHB 1177, della Fraternita di S.
Defendente di Lodi, gli anni sono solo 51 4). Lo Statuto dei Battuti
di Marano *) porta una somma identica al D. 94: 52 anni e 120
giorni. La Fraternita dei Devoti di S. Maria di Bologna nello statuto
del 1454), eleva di molto la somma: «le multe indulgentie le
quali emo redute in suma infine de lo libro di li statuti de la Com-
pagnia grande sono di 80 anni 4 mesi e 20 giorni ». Però queste pa-
role sono state scritte su altre completamente abrasate.

Oltre che per l’iconografia questo privilegio interessa per la
specificazione delle persone che possono lucrare l’indulgenza : non
solo i fratelli che si battono (da notare che le donne non sono no-
minate), ma anche quelli che si uniscono a loro nelle opere di
pietà (Messa, accompagno del Viatico e dell’Olio Santo, funerali)
e nelle opere di carità (elemosina, consiglio) fruiscono del beneficio
spirituale ; anzi si dice espressamente che lo scopo è di convogliare
verso la Fraternita gli aiuti dei benefattori. Sull’esempio di Bo-
logna, le Fraternite di Cividale, Udine, Pordenone (come quella di
Bergamo e molte altre del Nord) mantengono a lungo la processione
con la disciplina, alla quale però non tutti gli iscritti partecipano
(p. es. le donne), mentre tutti debbono contribuire alle spese per



CCS



PRIVILEGIO D'INDULGENZA DEL 1345 ALLA FRATERNITA ECC. 20/7

l'ospedale, che in queste regioni non è riservato ai pellegrini ma
ai poveri, ai vecchi, agli ammalati.

Nonostante la scarsità dei documenti rimasti raffrontando e
completando quelli di una Fraternita con quelli delle altre Frater-
nite, e non importa se di località diverse, si può fare chiaramente
la storia dello sviluppo e della vita dei Battuti nel Friuli. E si sarebbe
tentati di farlo se il tempo a disposizione non ne imponesse il rinvio.

A Cividale, dove i Flagellanti giunsero il 30 novembre 1260
accompagnati da Asquino di Pagnacco decano del Capitolo di Aqui-
leja, si era formata ben presto la Fraternita dei Battuti di S. Maria ;
già nel 1290 aveva gli statuti che iniziano : « Li infrascriti ordina-
menti e statuti fati cum conseglo de savi frari minor e predicator
e de altri savi e boni homini de Cividal in Millesimo cc e novanta
a di vir intrant setembrio ». La fradalia è composta di uomini e di
donne, ma le donne vengono nominate soltanto quando si parla
delle processioni o dell'obbligo «de' pagar ogna annoin lo di de
Sancta Maria de candeli denarj ij in aiutorio deli poviri»; mentre
per la disciplina sono nominati soltanto i frari: « Item chizaschaduno
frari debia quant el po batir lo so corpo ogna domeniga e ly festi
di tuti ly apostoli e per ogni fiata chi ven fata prosesione dir xxv
pater noster e xxv avemaria » ?).

Lo Joppi pubblica anche, estraendola dai « quaderni de' Came-
rari della Fraterna de' Battuti di Cividale una spesa fatta per
comperare carta per copiare canzoni: a. 1355. adi vir di seseledo
si fo spindut per un quaderno per scrivir li chanzon soldi 5 (. . .) »*).
Non essendo stato conservato il laudario di Cividale si deve ricor-
rere ai due laudari lirici di Pordenone *) e Udine *), quasi uguali
tra loro, per sapere quali fossero le « canzoni » cantate dai Battuti
di Cividale. E per le rappresentazioni, che certamente si dovevano
fare anche in questa città, dove é conservato il famoso « Planctus
Mariae», ce ne puó dare un'idea l'altro laudario di Pordenone *),
nonostante Piero del Zocolo abbia riscritto a metà del '400, abra-
sando l’antico testo, le rappresentazioni della Resurrezione e della
Assunzione.

ANGELA M. TERRUGGIA











208 TERRUGGIA ANGELA M.

NOTE

1) BreEscIA, Archivio di Stato, Fondo Ospedale S. Cristoforo, ms. 99,
cap. 1.

*) RoncALLI A. G., Gli Atti della Visita apostolica di S. Carlo Borromeo
a Bergamo (1575), Firenze 1937, vol. 11, p. 210.

?) MinANO, Bibl. Ambrosiana, ms. D 94, cc. 6Y e 34.

*) FIRENZE, Bibl. Laurenziana, ms. ASHB 1178 c. 9v. ec. 47re v per
due volte leggiamo, scritto a tutte lettere : « Quinqueginta duorum annorum
et centum viginti dierum ». Anche il ms. ASHB 1179 doveva avere una
uguale somma, ma a c. 39v c'é una abrasione di cinque righe nel contesto
delle indulgenze. Con la lampada ho potuto leggere: «... peccatorum ...
quinq...annorum centum ... camera bonorum...» ; ms. ASHB 1177, c. 13.

5) VICENZA, Bibl. Comunale, ms. 556 c. 13v. (Ed. MorsoLIn B., La
matricola della Congregazione de’ Battuti di M. V., Vicenza, 1881).

È da notare il riferimento (che si trova anche negli altri Statuti) agli
orginali dei privilegi conservati a Bologna: a c. 14 il testo delle indulgenze
continua «(...) si apare a loro per privilegij e per Scripture reponu nel
hospedale de Sancta Maria de la Misericordia de la dicta compagnia di batu
de la cita de Bologna de le quale sie exempi e registri in la cita de Cremona
in la giesia de San Zuane e se alguni non fusse fidi ne credesse per le predicte
cosse tosto potra cognoscere la verita in fino a tanto chel volesse andare a
Bologna e a Cremona alla casa di batu ».

*) BoroGNa, Bibl. Archiginnasio, Fondo Ospedali, ms. 10.0 2.

*) JoPPr V., Testi inediti friulani dei sec. XIV al XIX. Raccolti e an-
notati da J. V., in Archivio Glottologico italiano, 1878, p. 324, Appendice :
VII Testi italianeggianti scritti nel Friuli, dal 1290 alla metà del sec. XV.
1. Statuti della Fraglia de Battuti di Cividale (da apografo del sec. xiv,
nell'Arch. notarile di Udine, Varia Historica, vol. 1). Vedi anche MonacI E.,
Crestomazia italiana dei primi secoli, Città di Castello, 1889-98, fasc. II
pp. 424-25.

Il testo latino dei primitivi Statuti si ha nel ms. 1352/2, c. 33 che ap-
parteneva alla Fraternita dei Battuti della Villa di Moimacco : « In nomine
patris, et Filij, et Spiritus Sancti Amen. Anno Domini millesimo ccc? qua-
dragentessimo terzio indictione x3? primo die intrante aprilis. Exemplar
Statutum, et Constitutioni batutorum fraternitatis Sancte Marie Virginis
Austrie Civitatis.

Anno Domini M Ducentessimo nonagessimo. Indictione tertia. die
septimo intrante setembris. Presentibus domino Francisco presbitero ter-
gestino, domino Utussio de Portis (...). In ecclesia Beati Stefani Martiris.
Cum consilio fratrum Minorum Predicatorum et aliorum Sapientum pre-

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PRIVILEGIO DI INDULGENZA 209

dista fraternitas fuit commoniter affirmata e propria voluntate omnium
fuit taliter ordinata (. ..)».

*) JorPr V., Ibidem, p. 188.

?) PARIGI, Bibl. Nazionale, ms. it. 2104.

19) UDINE, Bibl. Comunale, Fondo Ospedale, ms. senza segnatura (tutti
i manoscritti provenienti dall’Ospedale sono solo in deposito); ed. FABRIS
G., Il più antico laudario veneto, Vicenza, 1907.

1!) Roma, Bibl. Nazionale, ms. V. E. 366.

PRIVILEGIO DI INDULGENZA

Privilegio di indulgenza rilasciato collettivamente da due arcivescovi e ven-
tidue vescovi alla fraternita dei Verberati di S. Maria di Cividale, dato da
Avignone il 28 novembre 1345 e ratificato dal Patriarca d’Aquileja residente
a Cividale l°’8 marzo 1346. (Udine, Bibl. Comunale, ms. 1228, Pergamene
Famiglia de Portis, vol. III, c. 16).

Universis Sancte Matris Ecclesie filiis ad quos presentes littere
pervenerint Nos miseratione divina Johannes Edessiensis 1), Poncius
Seleuciensis?) archiepiscopi, Bernardus Ganensis 3, Paulus Sua-
censis *), Benedictus Sorranensis * Thomas Tiniensis *, Benedictus
Simisiensis*), Gregorius Oppidensis*), Johannes Tribuniensis >»
Amedeus Lengoniensis 1°), Paulus Suacensis 1), Nicolaus Modo-
nensis ?), Bonifacius Corbaviensis 1), Johannes Caelcarensis (?) 19,
Johannes Delmitensis 5), Petrus Lexinensis '*, Franciscus Urdien-
sis "). Avancius Xanchiensis '*), Manfredus Aiacensis »), Petrus Cal-
liensis *), Tropetus Brunacensis s), Johannes Signensis *), Raphael
Nubiensis *»), Willielmus Traiectensis *), Antonius Trapesundensis 2%)
episcopi, salutem in Domino sempiternam. Quoniam, ut ait aposto-
lus, omnes stabimus ante tribunal Christi accepturi prout in corpore
gessimus sive bonum fuerit sive malum, oportet nos igitur diem
messionis extreme misericordie operibus prevenire, quoniam qui
parce seminat parce et metet et qui seminat in benedictionibus de
benedictionibus et metet vitam eternam. Cupientes igitur ut fra-
ternitas seu Societas Verberatorum de Civitate Austrie ad honorem
beate Marie Virginis instructa congruis honoribus frequentetur et
a christifidelibus iugiter veneretur ac piis christifidelium elemo-

14







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210 TERRUGGIA ANGELA M.

sinis sustentetur augmentetur et gubernetur omnibus vere peni-
tentibus et confessis qui ad dictam fraternitatem seu societatem
verberatorum ingressi fuerint et in singulis diebus quotiens conve-
nient missas dicte fraternitatis seu societatis verberatorum devote
audierint et pias elemosinas largiti fuerint vel quique subsidium
caritatis auxilium consilium fratribus seu societatibus verberatorum
favorem verbo aut opere prebuerint seu qui dictam societatem
quandocumque fit processio cum cruce devote asociaverint et ad
honorem dominice passionis eosmet verberaverint aut qui corpus
Christi vel oleum sanctum cum ad infirmos dicte fraternitatis seu
societatis verberatorum portentur secuti fuerint vel qui exequiis
mortuorum dicte fraternitatis et sepulturis interfuerint; necnon
qui ad sustentationem dicte fraternitatis seu societatis verberato-
rum manus adiutrices porrexerint; aut qui in eorum testamentis
vel extra aurum argentum vestimenta libros calices redditus agros
lerras possessiones animalia blada aut quevis alia dicte fraterni-
tati seu societati verberatorum necessaria donaverint legaverint
et transmiserint aut donari vel legari procuraverint ; et pro omnibus
predicte fraternitatis seu societatis verberatorum benefactoribus
vivis et mortuis pie Deum exoraverint. Quocienscumque quando-
cumque et ubicumque premissa vel aliquid premissorum devote
fecerint de omnipotentis D[ei] misericordia et beatorum Petri et
Pauli apostolorum eius auctoritate confisi singuli vestrum. xr. dies
indulgentiarum de iniunctis eis penitenciis misericorditer in Domino
relaxamus dummodo diocesani voluntas ad id accesserit et consen-
sus. In cuius rei testimonium sigilla nostra presentibus litteris
apposuimus. Datum Avinione .xxvir die mensis novembris anno
Domini M. ccc. xrv. et pontificatus domini Clementis pape .vti.
anno quarto.

Segue la conferma del patriarca in corsiva :

Ceterum Sancte sedis Aquilegiensis Dei gratia Nos Patriarcha
Bertrandus *) suprascriptas indulgentias ratas et gratas habentes
nostrum eis prebemus consensum pariter et assensum. In cuius
rei testimonium presentes fecimus nostri sigilli appensione muniri.
Datum in nostra patriarchali Civitate Austrie die octavo mensis
martii anno dominice nativitatis millesimo trecentesimo quatrage-
simo sexto, indictione quartadecima.





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PRIVILEGIO DI INDULGENZA ZIE

NOTE

1) Iohannes David aep. Edessen. c. 1343 (EuBEL C., Hierarchia Catho-
lica Medii Aevi, 2% ed. Munster 1913, p. 235).

?) Poncius Seleucien. aep. 1345 aug. 7 (EuBEL, p. 444).

3) Bernardus Ganen. 1317 (EuBEL, p. 259 n. 1).

^) Paulus Suacen. ep. 1345 iunii 4 (EUBEL, p. 466).

5) Benedictus Sorren. ep. 1344 sept. 13 (EUBEL, p. 458).

6) Thomas Tinien. 1339-50 (EuBEL p. 486, n. 2).

*) Benedictus Simisien. seu Simiscanten. ep. 1345 iulii 3 (EUBEL,
p. 445).

*) Gregorius Oppiden. ep. 1339 mart. 1-1349 (EUBEL, p. 377).

*) Iohannes de Mobili, Tribunien. ep. 1345 iunii 20 (EuBEL, p. 496).

19) Amadeus de Alba, Langonen. ep. 1342 iulii 7 (EunBEL, p. 292).

11) È scritto a margine ; è lo stesso vescovo della nota 4.

12) Nicolaus Mothonen. (anche Modon.), in Grecia, ep. 1347 iunii 18
(EuBEL, p. 351). Il nome è aggiunto a margine.

14) Bonifacius Corbavien. ep. 1332 junii 3 (EuBEL, p. 208).

14) Non trovato.

15) Iohannes Delmiten. ep. 1345 iunii 20 (EuBEL, p. 230).

1$) Petrus Lexinen, ep. 1338 aug. 11 (EuBEL, p. 303).

17) Franciscus Urdiensis, (o Urbiensi) non rintracciata neppure la diocesi.

18) Avancius Xanchien. ep. 1354 (DELEHAYE H., Les lettres d'indulgence
collectives, Bruxelles 1928, p. 117).

1$) Mandredus Ayacien (Non sono registrati i nomi dei vescovi in EUBEL,
p.71).

20) Petrus Callien. ep. (EuBEL, p. 158, n. 5).

21) Tropetus de Cancellis ep. 1344 maii 28 (EuBEL, p. 149).

?) Iohannes Signen. ep. 1333 jan. 4 (EuBEL, p. 450).

2) Raphael Spinulae Nubien. (Nebien.) ep. 1332 aprile. 13 (EUBEL, p. 360).

24) Willielmus Traiecten. Non c'é nell'EUBEL a p. 491.

25) Antonius Trapezunden. ep. 1345 (EuBEL, p. 493).

26) Betrandus di S. Genesio Aquilegien. Patriarcha 1334 iulii 4-ob. occ.
1350 jun. 6 (EUBEL, p. 99).












INDICE

Memorie

ABATE GIUSEPPE O.F.M. Conv., La casa naíale di S. Francesco e la
topografia di Assisi nella prima metà del secolo XIII.
MirA GiuseEPPE, Le difficoltà finanziarie del Comune di Perugia

alla fine del Trecento

Note e documenti

SALVATORELLI LuIGiI, L’attività patriottica, politica e parlamentare
di Cesare Fani

SACCHETTI SASSETTI fino, laser Ricci. Atortaroni ‘(1815-
1819)

Recensioni

WeieLE FrITz, Die Matrikel der Deutschen Nation in Perugia
(1579-1727) (Haffade Beladi . . . . .
PnHETE PHDEINID MARIA Hos, UUmnpDnü . . . . . . $e.
Tuttitalia: Umbria (Giovanni Gecchini) . . . . 2
MaNciN1 FRANCO, Saggio per un'aggiunta di due nie estrava-
ganti alla vulgata iacoponica (Maria Clotilde Ottaviani) .
MENCARELLI MARINO, L’abate Raffaele Marchesi (1840-1871)
(Salvo Mastellone) . . i
BorzomatiI PieTRO, Un centro dell’ Italia in siii industriale.
Opinione pubblica, stato religioso, classe politica, stampa a
Terni dal 1840 alla fine del sec. XIX (Adriana Paci)
Tipografia ed editoria in Umbria: Assisi a cura di FERNANDO
MorotTI (Giuseppe Zaccaria O.F.M. Conv.).

Necrologi

Pietro FRENGUELLI, Arnolfo Bizzarri architetto .

Pag.

111

141

157

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165
167
169

172

173

177

181





214 INDICE

Atti della Deputazione

Premio « A. Bertini Calosso » 1965. Relazione della Commissione
PUBMEMHE E ov 4 o ec n.r PM DN 1

CENTRO DI DOCUMENTAZIONE
SUL MOVIMENTO DEI DISCIPLINATI

NicoLINI UGoLINO 0.F.M., Ricerche sulla sede di fra Raniero Fa-

sani-Juori di Porta Sole oa Penuia .. | |... . » 189
TERRUGGIA ANGELA M., Privilegio d’indulgenza del 1345 alla

Fraternita di S. Maria di Cividale. . . . . si » 205







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