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BOLLETTINO

DELLA

DEPUTAZIONE DI STORIA PATRIA
PER L'UMBRIA

VOLUME LXIV

FASCICOLO SECONDO

PERUGIA - 1967
Arti Grafiche — Città di Castello — r968

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Aula Magna della Facoltà di Agraria

Convegno storico per il Millennio dell'Abbazia
di S. Pietro in Perugia

29 settembre 1966, ore 10

Pror. BAaRBONI. — Signore e signori, il Rettore Magnifico del-
l'Università, Giuseppe Ermini, si è trovato all'ultimo momento nella
impossibilità di intervenire a questa cerimonia inaugurale del Conve-
gno Storico per il Millenario dell’ Abbazia Benedettina di San Pietro
in Perugia. A suo nome e per suo incarico, per altro graditissimo,
rivolgo a tutti i convenuti, in ispecie alle autorità, alle gentili signore
e agli esimii studiosi, il saluto deferente dell’antichissimo Ateneo peru-
gino che da circa sette secoli, ininterrottamente, opera in favore del pro-
gresso dell’umano sapere. Noi sentiamo e comprendiamo appieno la
importanza e il significato di questo nostro Convegno, inteso com'é
a sottolineare sul piano storico, artistico, letterario, scientifico e so-
pratutto umano quei multiformi rapporti che da dieci secoli uniscono
l'Abbazia benedettina di Perugia alla storia della nostra amata città.
Desidero da ultimo rivolgere un ringraziamento vivo e cordialissimo a
Giovanni Cecchini, per la Deputazione di Storia Patria per l'Umbria,
a Giuseppe Guerrieri, per la Fondazione per l’Istruzione Agraria e
ai PP. Benedettini di San Pietro per avere offerto all’ Università di
Perugia, con tanto entusiasmo e competenza, la loro preziosa collabora-
zione sia nella parte riguardante la organizzazione del Convegno, sia
in quella, non meno importante, inerente la mostra documentaria,
sapientemente predisposta nell' Aula Magna dell’ Ateneo. Grazie.

CeccHINI. — Io desidero pregare È prof. Salvatorelli di assumere
la presidenza di questa tornata.

SALVATORELLI. — Do la parola al prof. Morghen, che svolgerà
la sua relazione: « Il monastero di S. Pietro in Perugia e la ri-
forma monastica del sec. XI».
8 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

Il monastero di S. Pietro in Perugia e la riforma.
monastica del secolo XI

Rievocare la storia di una grande istituzione monastica vuol
dire riproporre ancora una volta, calate nella vicenda del tempo
umano, le questioni fondamentali relative ad uno degli aspetti piü
significativi per estensione, qualità; capacità produttiva di opere
civili e di cultura, della tradizione medievale del Medioevo cristiano.

La civiltà monastica ha rappresentato l'espressione piü vigorosa
e feconda della rinata coscienza di vita dell'Occidente, dopo il tra-
vaglio delle guerre, delle devastazioni e delle rovine, non solo mate-
riali, determinato dal venir meno dello stato antico e dall'irrompere
della barbarie dei popoli nordici oltre i confini dell'impero. Il mona-
chesimo si sovrappose in Irlanda alle istituzioni tribali del paese;
in Italia, con Cassiodoro, diede inizio all'opera di conservazione
della cultura antica ; in Siria, nell'Egitto, in Palestina attuó l'ideale
del piü rigoroso ascetismo cristiano. Intorno al monastero si raccol-
sero, nei lunghi secoli del trapasso alla nuova età, vincitori e vinti,
sotto la fuitio di un santo, patrono e quasi sovrano effettivo, posses-
sore di beni e di sudditi, e appresero di nuovo la sacralità del lavoro,
non piü degradato alla funzione puramente materiale del lavoro
servile, ma impegnato a estendere, a moltiplicare e a migliorare
l'opera dell'uomo e il rendimento della terra. In una carta topografica
dell'Occidente nell'Alto Medioevo i monasteri figurerebbero numerosi
quanto i maggiori centri abitati di oggi e a buon diritto si puó par-
lare di una civiltà monastica nei secoli dal vi al x, poichè dinanzi
al monastero si arrestò l’ondata della barbarie, ed ebbe inizio il
riflusso. della ricostruzione civile ; intorno al monastero si attuò
quella opera di cristianizzazione del mondo alto-medievale, che,
ad una investigazione storica attenta, appare essere stata quanto
mai lenta e superficiale nelle strutture sociali del tempo, e dovuta
spesso piü a fattori e interessi politici, che non all'intima penetra-
zione degli ideali della vita cristiana nello spirito di popolazioni,
rimaste profondamente legate a tradizioni idolatriche e a costumi
pagani 1).

La storiografia dell'età moderna si é molto esercitata nelle
ricerche sul monachesimo medievale. Gli storici del cristianesimo

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DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 9

primitivo, dallo Harnack al Buonaiuti, ne hanno indagato le origini,
ed hanno cercato d'individuarne i caratteri peculiari dal punto di
vista della storia religiosa. Eruditi e storici del diritto hanno piut-
tosto volto la loro attenzione alla raccolta dei dati esterni della
vita monastica, alla pubblicazione dei regesti e delle carte di quei
grandi centri di vita economica, oltre che spirituale; allo studio
delle strutture giuridiche delle signorie territoriali formatesi nei
cenobi piü famosi, o a quello dei contratti agrari coi quali venivano
messe in valore le loro terre. Ma una vera storia dell'istituzione
monastica nel Medioevo é ancora da fare, ché troppe fonti appaiono
inesplorate o inutilizzate e troppe questioni sono ancora insolute e
troppa documentazione, pubblicata più o meno bene, è di non facile
e sicura interpretazione.

Il compianto amico Giorgio Falco, l’insigne storico di Monte-
cassino, di cui mi è caro rievocare in questa sede, con vivo rimpianto,
la memoria, mi diceva un giorno che gran parte della storia del po-
polo italiano è contenuta nei Regesti monastici. Ma quale difficile
lavoro richieda il tentativo di ricostruire la trama della società
rurale dell'Alto Medioevo e i modi di essere delle varie comunità,
e le consuetudini, e il costume, e il ricostituirsi dell'economia terriera
e l’incremento della produzione e il formarsi di nuovi ceti, attra-
verso lo studio dei registri monastici, sa bene chi ha cercato d'illu-
strare anche solo un minimo settore di tale storia. La difficoltà
dell'opera non deve, però, disanimare dall'affrontarla, anche se è
necessario inserire nella ricerca una piü viva coscienza dei valori
religiosi, dai quali non puó prescindersi quando si affronti qual-
siasi argomento relativo alle strutture della società dell’Alto Me-
dioevo. Ed è questo lo spirito che può aiutarci a comprendere la
funzione civile esercitata dal Monastero di S. Pietro in Perugia
nei secoli della sua millenaria vicenda.

Sta di fatto che il problema piü sconcertante per lo storico del
monachesimo medioevale consiste proprio nel ricercare le ragioni
di come sia stato possibile che, dall'ideale della fuga dal mondo e
dalla rinuncia, sia potuto germogliare tanto vigore di nuova vita
e tanta fecondità di opere umane.

Il monachesimo — com'é noto — è un fenomeno spirituale
diffuso, oltre che in tutto l'Oriente, nel sincretismo religioso del
mondo ellenistico romano dei primi secoli, sia che traesse alimento
da tradizioni iniziatiche delle religioni di mistero, sia che trovasse
i suoi precedenti nelle comunità giudaiche di Esseni, di Terapeuti, di
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10 CONVEGNO ‘STORICO PER IL MILLENNIO

Encratiti, che, assetati di spirituale perfezione, si riunivano in una
comune regola di vita fondata sul dominio delle passioni e sull'eser-
cizio delle virtù contemplative.

Ma il monachesimo cristiano ha caratteri peculiari, sia esso
sorto come reazione al compromesso col mondo, attuatosi quando,
alla fine delle persecuzioni, la Chiesa usci alla luce dalle catacombe,
per divenire uno dei maggiori fattori della vita sociale, col conse-
guente depauperamento del suo patrimonio spirituale ?), sia esso
nato come spontanea affermazione degli ideali della perfezione
cristiana, al di fuori e in contrapposizione al mondo di miserie, di
rovine, di delitti, che accompagnavano la decadenza dell'impero
e confermavano in pieno il pessimismo evangelico rispetto ai valori
della realtà terrena, é certo che nella tradizione monastica rivivono
con spiccata evidenza, anche nelle forme talvolta aberranti dell'asce-
tismo piü rigoroso, le ispirazioni piü profonde del Vangelo e in-
sieme il dinamismo spirituale che da esso deriva.

La metánoia, come esigenza prima del rinnovamento interiore,
l'attesa e la prefigurazione del regno di Dio come suprema realtà
escatologica e l'attuazione in terra di una regola di vita perfetta
nella quale si consumi provvisoriamente questa attesa, sono le co-
stanti fonti ispiratrici del monachesimo cristiano, sia che questo
si affissi all'ideale supremo di un continuo colloquio con Dio nella
solitudine dell'eremo, sia che esso attui, nel cenobio, l'ideale di una
vita associata nella preghiera e operosa nell'esercizio quotidiano
di una positiva attività sociale.

Tre parole riassumono il significato profondo dei principali
momenti della vocazione monastica: conversio, conversatio, refor-
matio. Tre parole e tre atteggiamenti dello spirito strettamente
collegati tra loro, nei quali si condensa l'essenza stessa del messaggio
evangelico.

La conversio è il momento della chiamata, nel quale l'individuo,
toccato dalla grazia, disprezzando i beni del mondo, decide di dedi-
care interamente a Dio la sua vita, con un capovolgimento integrale
della scala dei valori sui quali si fondava la sua visione della realtà.
Nella letteratura neotestamentaria questo momento unico e defi-
nitivo, nella vita del cristiano, è indicato con la parola metdnoia,
che assume un significato ben più intenso di quello di epistrofé,
pur usato in più limitata misura nei testi evangelici : metanoéin
significa, infatti, «cambiare i propri piani mentali », vuol dire « rin-
novarsi completamente nell’intimo della coscienza ». È il morire

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DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 11

del vecchio uomo; legato ai valori della gloria mondana, della po-
tenza e della ricchezza per rinascere con Cristo nell'umiltà, nella
povertà, nello spirito, nella carità attiva ?).

Nel Vangelo si parla appunto di báptisma eis metanoian, cioè,
di battesimo per il totale rinnovamento interiore. ,

Ma il momento della metánoia è irrepetibile ed è in funzione,
nel Cristianesimo primitivo, dell'imminente ritorno del Cristo, per
inaugurare il suo regno nell’eternità. Quando quest'attesa si pro-
lunghi nel tempo occorre che l'intensità e la validità integrale del
rinnovamento interiore siano consolidate e difese con un esercizio
continuo di dominio sulle passioni, e con un'attività di preghiera
e di opere, nelle quali si attui il modulo della nuova vita.

Ed in ció consiste la conversatio monastica, che non va confusa
con la conversio, come spesso avviene nella letteratura storica, in
quanto è l'attuazione nel tempo della vita rinnovata dalla conversio *).

A mostrare l'aderenza della vocazione monastica alle espressioni
più significative della tradizione evangelica è interessante notare
come la parola metánoia del testo greco dei Settanta assuma, nella
traduzione latina della « Vulgata », la denominazione di poenitentia.
E la poenitentia costituisce l'essenza della conversatio monastica,
attuando nell'ideale ascetico, il dinamismo spirituale insito nella
difficile dialettica del rinnovamento interiore. Dalla poenitentia-
conversatio emana necessariamente la necessità di una regola di vita,
la giustificazione dell'ascesi, come esercizio quotidiano dell'atleta
di Cristo nel combattere le tentazioni dell'istinto e delle passioni
e il promovimento delle attività umane, in quanto la fatica del
lavoro mortifica la carne e fuga l'ozio e produce beni, che servono
alla sussistenza della comunità e dei poveri, mentre l'attività cultu-
rale é in funzione dello studio della parola divina e dell'edificazione.

Renovalio e reformatio sono inoltre parole e momenti che ricor-
rono in tutta la storia del monachesimo medioevale.

La riforma, come ritorno costante ai principi, in funzione di
un continuo rinnovamento interiore è infatti uno dei caratteri ricor-
renti nella storia del monachesimo. La regola di S. Basilio, quella
di S. Benedetto, la regola di Crodegango e quella di Aquisgrana,
la riforma di Benedetto di Aniane, quella di Cluny e successivamente
di Citeaux, l'ideale della vita eremitica di S. Romualdo e di Vallom-
brosa, le nuove regole degli ordini mendicanti e degli ordini reli-
giosi della Riforma cattolica, contraddistinguono, in vari modi i
singoli momenti di questo continuo processo di adattamento degli
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12 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

ideali evangelici di perfezione e di rinnovamento interiore ai climi
storici delle diverse età. Poiché il monastero, nonostante l'ideale
della fuga dal mondo, fu sempre in relazione col mondo, sia domi-
nandolo dall'esterno col rigore esemplare della sua religiosità e la
fecondità delle sue opere umane, sia essendone dominato, quando
le ambizioni umane di potenza e l'avidità dei beni terreni entrarono
nel chiostro e fecero dei monasteri ricche signorie territoriali, stru-
menti di potenza mondana. .

Recentemente Giovanni Miccoli 5) ha mostrato come la costanté
ispirazione evangelica del monachesimo nei suoi dati essenziali di
rinuncia ai beni del mondo e di attuazione della perfezione cristiama,
abbia ispirato la riforma della Chiesa nel secolo xr. E proprio nel se-
colo x1 cade il periodo nel quale gli ideali del rinnovamento e della
reformatio riaffiorano con maggiore urgenza nella società del tempo,
anche se in un complesso contesto di relazioni tra potere spirituale
e sovranità temporale ; tra l'ideale del ritorno alla Chiesa primitiva
e alla Chiesa apostolica e l'affermarsi della teocrazia papale, fon-
data sul primato romano ; tra l'ideale della fuga dal mondo e l’im-
pulso alla conquista cristiana del mondo, fattori tutti convergenti
e talvolta contrastanti di una tradizione evangelica ed ecclesiolo-
gica, che contava un millennio di vita 9).

Già nel x secolo Oddone di Cluny riaffermava, in funzione
escatologica, la necessità di un rinnovamento spirituale della società
cristiana col ritorno agli ideali del Vangelo. E dalle celle monastiche
uscirono i principali protagonisti della lotta per il rinnovamento
della disciplina ecclesiastica e la libertà della Chiesa, quali Umberto
di Silva Candida, Pier Damiani, Ildebrando, nonché i monaci pre-
dicatori itineranti, che sparsero tra le folle di contadini e degli arti-
giani il nuovo seme dell'evangelismo.

E se, in definitiva, il monachesimo del secolo x1 rimane in parte
arroccato nelle posizioni della tradizione ecclesiologica carolingia,
è indubbio che la lotta sostenuta dal monachesimo per sottrarsi
alla giurisdizione vescovile e il suo rivendicare, attraverso l’esen-
zione, la sua diretta dipendenza da Roma, contribuì notevolmente
al formarsi della nuova Chiesa, accentrata sul primato romano
e a rinnovare il patrimonio spirituale della sua ispirazione evangelica,
nella riformata vita monastica di Cluny e di Citeaux.

Nel clima della riforma monastica del secolo x, verso il 966,
è sorto il Monastero di S. Pietro in Perugia da un privilegio

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DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 13

Papa Giovanni xnr, di cui si fa cenno nella notizia di una sentenza
di Silvestro 11 del 1002, nella quale Conone, vescovo di Perugia,
é costretto a rinunziare definitivamente al possesso del Monastero,
rivendicato, come di pertinenza della sua giurisdizione.

Le prime origini del Monastero sono avvolte nella oscurità.
Probabilmente esso nacque per iniziativa di laici particolarmente
sensibili ai motivi della spiritualità monastica, appartenenti forse
alla cerchia dei boni homines, che già nel secolo x fanno parte
della curia del vescovo di Perugia, patrono e di fatto, se non di
diritto, signore della città. Il vescovo Onesto protegge e proba-
bilmente dota del suo primo patrimonio il Monastero sorto fuori
delle mura urbane, in località «qui dicebatur Calvarius, vel Ca-
prarius ».

Ma il successore di Onesto, Conone, appare già in aperta lotta
col Monastero. Sembra che esso avesse già ottenuto l'esenzione
dalla giurisdizione vescovile, se Conone aveva invaso coi suoi armati
il luogo santo, aveva infranto le porte della Chiesa e depredato quanto
vi aveva trovato, per affermare di nuovo il suo diritto. L'abate
Pietro, forse della famiglia perugina dei Vincioli, fu il rivendicatore
dell'autonomia del monastero e il restauratore delle sue fortune.
Già in questo episodio sono messi in rilievo i dati che ci permettono
di collegare le prime origini del Monastero perugino al movimento
spirituale della riforma della Chiesa nel secolo xr. Il vescovo Conone,
seppur non ci risulti in modo esplicito, apparteneva forse alla nume-
rosa schiera dei vescovi simoniaci e concubinari del secolo x. Egli
ci appare piü nelle vesti di un uomo d'armi che di chiesa, circondato
di scherani, signore temporale, attento a conservare, e magari accre-
scere i diritti patrimoniali della sua chiesa, anche con la violenza.
Il santo abate Pietro, forse il primo successore del fondatore del
monastero, ne difende l’autonomia da Roma, nè bisogna dimenticare
che appunto la richiesta dell’esenzione della giurisdizione vescovile
e la desiderata e ottenuta dipendenza diretta dalla Chiesa di Roma,
è uno dei punti essenziali del programma della riforma monastica
del secolo x.

Giudice della controversia tra Conone e Pietro è d'altronde
Silvestro rr, il papa ottoniano della renovatio Ecclesiae e, d'altra
parte, la ricostituzione e la difesa dei patrimoni monastici contro
l'avidità di vescovi simoniaci e di signori laici, costituirà uno degli
aspetti essenziali della riforma della Chiesa, iniziata virtualmente
dai così detti « papes d'empire» dell'età ottoniana, e continuata
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14 CONVEGNO STORICO PER IL. MILLENNIO

dai papi dell'età di Gregorio vit, da Gregorio vi a Leone rx, ad
Alessandro 11. :

Giustamente il Leccisotti e il Tabarellij i benemeriti editori
de Le carte dell’ Archivio di S. Pietro di Perugia”) sostengono che le
origini del monastero non possono « porsi in relazione e in dipendenza
della badia borgognona di Cluny ». Tuttavia, se si tiene conto dei
viaggi effettuati in Italia dal santo abate Odilone per la diffusione
della riforma della vita monastica e dell’indubbia influenza da essa
esercitata nei monasteri di Roma e del Lazio al tempo di Alberico,
non è del tutto fuori di luogo pensare che tale influenza si sia eser-
citata anche nel territorio del comitato perugino, legato da secoli
alle vicende politiche e religiose di Roma 8).

Certo, il monastero appare unito da vincoli strettissimi di dipen-
denza e di collaborazione con i papi e gli imperatori del periodo
della riforma: monastica.

Il suo cartario si apre con la notizia del 1002 che sancisce
— come abbiamo detto — per bocca di Silvestro 11 l'esenzione del
monastero dalla giurisdizione del vescovo di Perugia ?). Benedetto
viii nel 1022 conferma al santo abate Pietro il monastero con tutti i
suoi possessi, insieme con le chiese di S. Lucia in Cibottola e Santa
Marta presso Monte Vibiano nuovo 1°). Per intercessione di Papa
Giovanni xix, l'Imperatore Corrado 11 conferma, ancora una volta,
all'abate Azzo i beni del monastero e lo pone sub mundeburdio della
tuitio imperiale 11). Il diploma di Corrado 1: del 1027 è forse la prima
carta nella quale appare ormai consolidata la tradizione più antica
del monastero.

Nel documento l’abate Pietro viene designato come il fondatore
del monastero stesso, mentre è fuor di dubbio ch’esso aveva avuto
origini anteriormente al suo regime abbaziale. Inoltre sono elencati,
nel diploma di Corrado rr i diplomi imperiali e le bolle pontificie
di donazione o di conferma di Ottone rz, Ottone ir, Enrico m,
Giovanni xii o xiv, Gregorio v, Silvestro 11, Giovanni xvii 0 XVIII,
Sergio rv, Benedetto viri, insieme con l'enunciazione particolare dei
possessi del monastero nel comitato di Perugia e di Assisi e nel ter-
ritorio di Todi ??).

Ma le lotte che si svolgono in Roma nella prima metà del secolo,
quando il seggio pontificio cade sotto il controllo delle grandi fami-
glie locali, dovettero avere ripercussioni di un certo rilievo anche
nei riguardi del monastero, strettamente legato — come abbiamo
visto — alle vicende del pontificato romano. Andrea, vescovo di

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DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 15

Perugia e creatura del tuscolano Benedetto rx, all'atto stesso della
sua consacrazione, aveva fatto al pontefice regolare rinunzia alla
giurisdizione sul monastero, caduto probabilmente di nuovo sotto
il.potere dell'episcopato perugino, nel periodo di grave decadenza
del pontificato romano, dopo la morte di Ottone ni. Tale rinuncia
Andrea aveva fatto alla presenza di numerosi vescovi, giurando
sugli evangeli « adiudicante ill sacramentum Gregorius (sic) ger-
mano praedicti papae». In seguito, pentitosi della rinuncia, il
vescovo Andrea, dopo aver insultato l'arciprete di S. Costanzo,
aveva rivendicato i suoi diritti sul monastero e forse aveva cercato
di affermarli di nuovo con la violenza. Ma il pontefice, probabil-
mente anche per non perdere il prezzo ottenuto per la consacra-
zione vescovile di Andrea, nel 1036 lo costringeva a rinnovare
la rinuncia, già pronunciata all'atto della sua elevazione al seggio
episcopale di Perugia. Ma sotto il governo dell'abate Bonizzone,
nel ventennio che va presso a poco dal 1045 al 1065, si consolidó
la potenza del monastero per la protezione vigile e gelosa dei papi,
che già s'ispiravano ai programmi della riforma gregoriana. È
del 1045 la bolla di Gregorio vi, che, pur deposto da Enrico mi
nel famoso Concilio di Sutri, fu l'effettivo iniziatore della riforma
della Chiesa, promossa dal pontificato romano. Nel documento ponti-
ficio, ai beni già menzionati nei precedenti diplomi o bolle di con-
ferma, si aggiunge il monastero di S. Sergio nella regione rv di Roma,
nella Suburra, e s'indicano con precisione le condizioni dell'auto-
nomia del monastero e della sua assoluta dipendenza da Roma:

che nessuna potenza laica possa esercitare alcun potere sul
monastero ;

che nessun vescovo possa vantare alcun diritto di fronte al
monastero o autorità, all'infuori della sede apostolica: « Romano
autem pontifici praedictus locus sit semper subiectus eique serviens
oboediat et sub nullius alterius iure vel potestate consistat»;

che nessun vescovo presuma di celebrare missarum solempni-
latem, se non sia invitato dall'abate ;

che l'elezione dell'abate avvenga per opera dei monaci, senza
alcuna intrusione di vescovi o laici aliqua cupiditatis causa (chiara
allusione alla simonia imperante allora nelle elezioni ecclesiastiche),
e l’abate sia consacrato dal pontefice ;

che i chierici del monastero siano ordinati da qualsiasi ve-
scovo scelto dal monastero stesso ;

che nessun vescovo possa scomunicare i chierici del monastero
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16 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

e delle chiese o delle celle da esso dipendenti e convocarli ad una
sinodo diocesiana, mentre gli stessi sono tenuti a intervenire alle
sinodo indette dal pontefice 18).

Enrico rr conferma con un diploma del 1047 la bolla di Gre-
gorio vi e tra i beni del monastero nomina per la prima volta la
massa della Casilina, il maggior possesso del monastero, che in
quella tenuta perfezionó nei secoli l'organizzazione della sua azienda
agraria. Essa era stata donata dal pontefice Benedetto ix e con-
fermata probabilmente dall’imperatore Enrico 11 19).

Leone ix, l'iniziatore consapevole di quell'opera di restaura-
zione della disciplina e del costume ecclesiastici, che culminerà
nella riforma gragoriana, confermò il diploma di Enrico rr. Note-
vole è nel privilegio pontificio l'accenno al diritto dell'abate e dei
monaci di scegliersi qualsiasi vescovo per le ordinazioni, «si tamen
ab episcopo in cuius diocesi tuum monasterium situm est (la bolla
e indirizzata all'abate) nec ordinationes, nec crisma potueris cano-
nice et gratis obtinere aut impetrare » :5). Il riferimento alla lotta
antisimoniaca è evidente. Cosi, la disposizione che nessun vescovo
possa condannare l'abate o i monaci del monastero che si siano
appellati al papa, già prelude a quella limitazione dei poteri vesco-
vili e a quel diritto di appello di un inferiore contro un superiore,
che avranno la loro espressione precisa nel Dictatus papae di Gre-
gorio vir).

Per quanto riguarda la parte finanziaria, spettano al mona-
stero le « oblationes, tam pro vivis, quam pro defunctis » e le decime
per l'accoglimento degli ospiti e dei pellegrini. Il vescovo diocesano
sia tenuto a dire « publicas missas et stationes facere » nel lunedi di
Pasqua e nel giorno della festa degli apostoli Pietro e Paolo. Cosi
si prescrive che l'elezione dell'abate, libera da ogni intrusione estra-
nea, sia fatta scegliendo idoneum fratrem della congregazione stessa,
che sarà consacrato absque praetio dal pontefice.

È da notare che nella bolla di Leone 1x, almeno per dad. che
riguarda le carte ancora esistenti nell'archivio del monastero, nellà
formula deprecatoria in cui si diffida, sotto pena di anatema qual-
siasi magna parvaque persona di molestare i monaci o di agire in
pregiudizio del monastero, appare per la prima volta anche il nome
dell'imperatore, segno evidente di un cambiamento che già si deli-
neava nei rapporti tra le due supreme autorità, proprio in relazione
alle future rivendicazioni della libertas Ecclesiae 1°). NEM
Stefano rx nel 1057 conferma al monastero tutti i suoi beni

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DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA T

e privilegi con una bolla esemplata in gran parte su quella di Leone rx
e dello stesso tenore è il privilegio, del 1059, di Nicolò rr, che
due anni dopo concede all’abate Bonizzone anche le decime dei
castelli di Arno, Civitella e Pilonico, appartenenti alla Massa di
S: PIetro ?^). ;

Nel 1065 Alessandro ri l’ispiratore della pataria milanese
divenuto papa per volontà d’Ildebrando, confermò i beni e i pri-
vilegi del monastero e, dopo il documento di Alessandro rr che
testimonia ancora una volta la cura assidua e senza soluzione di
continuità, da parte del papato della riforma, a favore dell'insigne
istituto monastico di Perugia, l'archivio del monastero tace, per
cirea mezzo secolo. Bisogna giungere al privilegio di Pasquale rr
del 1115, che conferma all'abate Giovanni tutti i beni e i privilegi
già concessi dai suoi antecessori, aggiungendo altre donazioni, per
riprendere il filo interrotto nelle relazioni che avevano legato stret-
tamente il monastero alla Chiesa di Roma durante il ventennio
che precede le fasi più drammatiche della lotta per la libertà della
Chiesa 18).

Si deve tale iato alla perdita della documentazione, dovuta a
devastazioni subite dall'archivio nel periodo tempestoso del pon-
tifieato di Gregorio vri, quando il monastero fu probabilmente
coinvolto nelle vicende piü aspre della lotta tra papato e im-
pero ?

È certo tuttavia che, se crisi ci fu, col pontificato di Pasquale 11,
il papa che ancora perseguiva i più alti ideali della riforma gre-
goriana, essa appare ormai superata: il monastero di Perugia
costituirà d’ora in poi una roccaforte della potenza di Roma, in
possesso di un vasto patrimonio terriero, che abbraccia tutta l’alta
valle del Tevere, bonificata e resa feconda dai suoi coloni e affit-
tuari; ormai definitivamente al riparo dalle rivendicazioni di ve-
scovi e dalle violenze di potenti laici, decisamente avviato a un pe-
riodo di splendore, per efficienza produttiva e per incremento dato
alle opere della cultura e dell’arte.

Dopo Pasquale n, Innocenzo mr, Lucio 11, Eugenio in e gli
imperatori Federico 1 ed Enrico vi gareggiarono nel concedere al
monastero conferme, donazioni, esenzioni, favori. Onorio ir, nel
1224, concede perfino all’abate di S. Pietro la facoltà di celebrare
i divini offici della Chiesa del monastero « clausis ianuis, excomuni-
catis et interdictis exclusis, non pulsatis campanis suppressa voce »
in tempo d'interdetto locale 9). Testimonianza evidente questa che

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18 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

il monastero di S. Pietro è cosa della Chiesa romana e con essa soli-
dale in ogni evenienza.

Nel colmo della rinnovata lotta tra papato e impero, al tempo,
di Federico 11, Gregorio rx rinnova le cure più gelose a favore del
monastero, confermando con privilegi degli anni 1228 e 1229 tutte
le bolle papali del periodo della riforma della Chiesa, dalla prima
di Gregorio vi a quelle di Leone rx, Stefano rx, Niccolò rr, Ales-
sandro rr. Ed anche questa è una chiara riprova che proprio in quel
periodo e per opera di quei papi, durante il regime abaziale di Pietro
e Bonizzone il monastero aveva assunto i caratteri e le funzioni
che contrassegnarono per tanta parte la vicenda della sua esistenza
millenaria.

E poichè la ricchezza e lo splendore mondano dovevano aver
portato al rilassamento del costume monastico, Gregorio rx, pro-
babilmente nel 1235, emanò alcuni síatuta reformationis del mona-
stero, ripristinando in essi integralmente la norma della regola
benedettina.

Molti monaci, contravvenendo al voto di povertà, possedevano
in proprium; negligenza e rilassatezza si notavano nell’esercizio
delle funzioni liturgiche e nel costume monastico : ostie fatte con
farina non bianca; palii d’altare macchiati; le messe servite non
da monaci o conversi, ma da estranei; vestiti raffinati sostituiti
ai rozzi panni voluti dalla regola; monaci che dormono fuori del
monastero; donne che entrano nel recinto claustrale ; priori e pre-
positi che durano in carica oltre i quattro anni e altre infrazioni.

Giovanni di San Germano, cappellano del Papa, fu incaricato
da Gregorio 1x di attuare la riforma del monastero con la promulga-
zione degli statuti sopra menzionati. Per il loro carattere di norme,
che investono la vita quotidiana del monastero nei suoi più minuti
particolari, essi possono costituire, oltre tutto, un prezioso esempio
di consuetudini monastiche nel sec. xItt. E con la riforma di Gre-
gorio IX, che si ricongiunge idealmente alla prima storia del mona-
stero nel secolo xi la mia esposizione si arresta.

Altri con maggior competenza parleranno delle vicende del
patrimonio agrario di San Pietro, della sua organizzazione produt-
tiva, dei vari aspetti economici e giuridici di essa ; altri potranno
parlare delle relazioni del monastero con la città di Perugia e con le
maggiori famiglie perugine ; altri potranno parlare delle opere d’arte
promosse e dei tesori di cultura accumulati nei secoli; altri della
decadenza del monastero nei periodi più tristi della storia della DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 19

Chiesa. A me basti aver delineato i momenti salienti della prima
storia del monastero nel tentativo di riconnetterlo a un movimento
spirituale che aveva indubbi rapporti col rinnovamento delle strut-
ture sociali dell'Europa del sec. x e xr, ma che traeva i suoi motivi
ispiratori da una nuova coscienza di valori che, nella tradizione
religiosa, hanno la giustificazione piü ampia e significativa.

NOTE

1) Il monachesimo nell’alto medioevo e la formazione della civiltà occiden-
lale, in « Settimane di studio del Centro Italiano di Studi sull'Alto Medio-
evo », IV, Spoleto 1957.

?) A. HARNACK, Il Monachismo, Piacenza, 1909, pp. 51-70 ; E. BUONAIUTI,
Storia del cristianesimo, I, Milano, 1942, pp. 461-495.

°) V. specialmente la lettera ai Romani di S. Paolo (2, 4), i Vangeli di
Matteo (3, 11) e di Luca (13,3 ; 17,3) e gli atti degli Apostoli (2, 38; 19,4 ;
26,20).

3) É. GiLson, Héloise et Abélard, Paris, 1938, pp. 16-36.

*) G. MiccoLI, Ecclesiae primitivae forma, in Studi Medievali, 3° serie,
I, 2 (1960), pp. 470-498, che appare rielaborato ed ampliato in Chiesa Grego-
riana, Firenze, 1966, pp. 225-299.

*) R. MonGHEN, Gregorio VII, Torino 1942, pp. 31-47.

?) T. LeccIsoTTI-C. TABARELLI, Le carte dell’ Archivio di S. Pietro di
Perugia, 2 voll., Milano, 1956.

*) E. SAcKuRr, Die Cluniacenser, 1, Halle, 1892, Pp. 300-314.

*) LECCISOTTI-TABARELLI, Le carte cit., pp. 2-4.

10) Ibidem, pp. 6-9.

11) Ibidem, pp. 9-13.

12) Ibidem, pp. 9-10.

1*) LECCISOTTI-TABARELLI, Le carte cit., pp. 19-24.

14) Ibidem, pp. 25-29.

15) Ibidem, p. 32.

1°) LECCISOTTI-TABARELLI, Le carte cit., p. 33.

1?) Ibidem, pp. 34-41, 48-51.

18) Ibidem, pp. 63-68.

1°) LECCISOTTI-TABARELLI, Le carie cit., pp. 133-134,

SALVATORELLI. — Il prof. Raffaello Morghen ha posto con quella

competenza che pochi posseggono come lui del mondo religioso, ecclesia-
stico e naturalmente anche politico dell’ Alto Medioevo, e più precisa-
20 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

mente del passaggio dall’ Alto Medioevo al Medioevo maturo, ha posto —
dico — le fondamenta del nostro Convegno storico, delineando in certo
modo come il quadro generale entro cui vanno visti le origini e lo svolgi-
mento dell’ Abbazia di San Pietro. Ma ha fatto anche di più, in quanto
che ci ha anche delineato con dati concreti e precisi la linea di svolgimento
di questo nostro istituto monastico. Adesso si tratta naturalmente di
completare questo quadro seguendo le diverse linee di svolgimento, e
uno dei contributi più utili certamente a questo completamento, sarà
per l'appunto di studiare più specificamente i rapporti dell’ Abbazia
di San Pietro con le maggiori potenze, i due luminari del tempo nella
loro «discordia concors » o piuttosto « concordia discors». E quindi po-
tremo certo sentire con nostra istruzione la comunicazione del dr. Wolj-
gang Hagemann su «I diplomi imperiali per l'Abbazia di San Pie-
tro ».

I diplomi imperiali per l'Abbazia di S. Pietro
di Perugia

L'importanza dell'Archivio dell'Abbazia di S. Pietro di Peru-
gia, cosi ricco di materiale prezioso, ha sempre attirato l'attenzione
degli studiosi italiani e stranieri recatisi a Perugia per i loro studi
storici. Cosi anch'io, appena nominato membro dell'Istituto Sto-
rico Prussiano in Roma — che divenne poco piü tardi l'Istituto
Storico Germanico — quando, esattamente trent'anni fa (1936),
venni a Perugia con il compianto prof. F. Bock, allora Vicediret-
tore di quell'Istituto, per iniziare nell'Umbria le ricerche sistema-
tiche sui diplomi imperiali e sui documenti riguardanti in qualche
modo la storia dell'Impero medievale, ho sentito subito il desiderio
di prendere visione dei numerosi diplomi imperiali conservati nel-
lArchivio di S. Pietro 1). Questo esame dettagliato e profondo si
protrasse a lungo e mi permise di raccogliere già allora, con mia viva
soddisfazione, tutti gli elementi essenziali per una pubblicazione
al riguardo che peró, per vari motivi, non si poté effettuare subito,
ma può essere messa a disposizione degli studiosi adesso *).

A quei tempi non esisteva ancora un vero e proprio « Codice
Diplomatico » di S. Pietro e si doveva lavorare non senza difficoltà

FACERENT Lau RENE DAD
DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 21

— anche se con l'appoggio sempre gentilissimo dell'archivista di
allora — con i documenti originali purtroppo non ordinati crono-
logicamente. Oggi questo problema, almeno per il materiale piü
antico, non esiste più: abbiamo adesso un eccellente strumento
di lavoro nella bella pubblicazione Le carte dell’ Archivio di: S. Pie-
iro di Perugia in due volumi, curata da Tommaso Leccisotti del-
lAbbazia di Montecassino e da Costanzo Tabarelli dell'Abbazia
di S. Pietro di Perugia, che ci offrono una edizione perfetta di tutte
le pergamene e carte dell’Archivio di 5. Pietro dal 1002 fino al 1437 *),
cioè fino al momento nel quale l’abbazia fu unita alla famosa Con-
gregazione di S. Giustina di Padova. Così ora, con il materiale ar-
chivistico più importante riportato in questa eccellente edizione
accompagnata da un ricco commentario, il lavoro di ricerca è molto
facilitato e gli studiosi attuali e futuri dispongono di un’abbondante
documentazione, utile per esaminare e risolvere i numerosi pro-
blemi di importanza generale e particolare connessi con la storia
dell’abbazia.

Come già detto, il materiale archivistico dell’Abbazia di S.
Pietro è ricchissimo, ma purtroppo ha subìto delle perdite gravis-
sime, probabilmente già in tempi molto remoti *. Non possiamo
dare delle cifre precise, ma già il numero delle citazioni fatte in do-
cumenti successivi di bolle pontificie e di diplomi imperiali che oggi
sono andati perduti parla un linguaggio chiaro ed eloquente. Così
ad esempio il Kehr, nella sua Italia Pontificia, fra 30 bolle pontificie
riguardanti direttamente S. Pietro fino all'anno 1198 che dà in un
elenco 5) come una volta esistenti cita non meno di 12 bolle oggi
perdute *) ; ció significa che adesso manca piü di un terzo del totale.

Assai simile è anche la situazione relativa ai diplomi imperiali.
Il più antico, destinato a S. Pietro, del quale ci sia conservato il
testo, è dell'anno 1027, cioè proviene dall'imperatore Corrado Il *),
ma proprio dal suo contesto apprendiamo che la nostra abbazia
aveva ricevuto già antecedentemente tre diplomi imperiali, e pre-
cisamente uno dall’imperatore Ottone rm (967, rispettivamente
973-983), uno da Ottone m: (983-1002) ed infine uno da Enrico rr
(1002-1024), l'immediato predecessore di Corrado. Questo significa
che ogni imperatore, dal momento della fondazione dell’abbazia
in poi, ha voluto concederle un suo diploma. Purtroppo ignoriamo
il contenuto di questi atti imperiali, perché l’imperatore Corrado rr
si limita a confermarli in generale, senza citarne alcun particolare.
Non se ne possono stabilire neanche le date di emanazione, ma
22 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

è assai probabile che siano stati concessi in occasione dei soggiorni
di questi imperatori a Roma, cioè per Ottone n negli anni 981 o
983, per Ottone ii negli anni 996, 998, 999, 1000 o 1001 e per En-
rico 11 nel 1014, ma può anche darsi che siano stati accordati in al-
tre occasioni, ad esempio — per quello che riguarda Ottone n — du-
rante il soggiorno di detto imperatore nel marzo 1001 a Perugia *).
Infine non ci é dato neppure sapere, se quei diplomi oggi perduti
siano stati emanati su preghiera del rispettivo papa in carica —
come nel caso del diploma di Corrado m — o su richiesta dell'ab-
bazia stessa oppure per intercessione di qualche altra personalità.
L'unica cosa certa è che i diplomi di Ottone 11, Ottone mi ed Enrico
H esistettero realmente, ma. dato che tutte le ricerche anche in altri
archivi non hanno condotto al ritrovamento degli originali o di qual-
che copia di essi, dobbiamo purtroppo considerarli definitivamente
perduti.

Come già accennato, il diploma imperiale piùa ntico per l'Ab-
bazia di S. Pietro che si sia conservato è quello di Corrado 11 del-
l'anno 1027, del quale esiste nell'Archivio dell'Abbazia di S. Pietro il
bell’originale che una volta aveva impresso un sigillo, andato pur-
troppo perduto nel corso dei secoli?) Nel diploma manca tanto
l'indicazione del mese quanto del giorno, ed il fatto che esso non ab-
bia una datazione più precisa potrebbe sembrar strano ; ma risulta
che diversi diplomi di quell'imperatore, tra gli altri anche alcuni
proprio di quell’anno, hanno anch'essi una datazione limitata al-
l’anno 1°). In ogni modo anche per altre ragioni possiamo conside-
rare questo documento senz'altro come originale. Per fissare meglio
la data della sua compilazione possiamo dire che, poiché il diploma
fu emanato a Roma, dev'essere stato scritto durante la permanenza
in città di Corrado rr, cioè certamente dopo il 26 marzo 1027, gior-
no della solenne incoronazione a imperatore ?), e prima della metà
del mese di aprile 1027, quando l’imperatore, partendo da Roma,
si trasferì temporaneamente nell'Italia meridionale ?). Nei giorni
che seguirono l'incoronazione di Corrado, devono esserglisi presen-
tati a Roma numerosi rappresentanti dei piü insigni enti e perso-
naggi ecclesiastici italiani, cioè di vescovi, capitoli, monasteri ecc.,
per ottenerne la protezione e la conferma di diritti, beni e privilegi
preesistenti. E fu così che in quelle settimane Corrado ri distribui
dei diplomi, tra l'altro, ai famosi monasteri italiani di S. Maria di
Farfa (28 marzo) :5), di S. Clemente di Casauria (senza data pre-
cisa) 1*), di S. Pietro in Ciel d'Oro di Pavia (2 aprile) '*), di S. Pon-

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DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 20

ziano di Lucca (soltanto con la data 1027) 1°), di S. Salvatore di
Monte Amiata (5 aprile)", di S. Salvatore di Sesto presso Lucca
(6 aprile) :*), di S. Gennaro di Capolona (soltanto con la data 1027) 1°)
e di S. Benigno di Fruttuaria (senza data precisa) ?°). A questo
elenco si deve aggiungere il nome della nostra abbazia, chiamata
nel diploma già citato monasterium Sancti Petri prope civitate Peru-
sina in Calvario monte, che ricevette dall'imperatore un solenne
privilegio per intercessione personale di papa Giovanni xix (1024-
1032). Un simile intervento del papa nella concessione di privilegi
dati dall'imperatore é assai raro e si trova in quel tempo soltanto nei
due diplomi per i vescovi di Fiesole (4 aprile) ?) e di Lucca (7 aprile) 2:).
Nel nostro caso esso si spiega senz'altro con il fatto che l'Abbazia
di S. Pietro apparteneva, come è detto espressamente nel diploma,
alla S. Sede, che perció dovette interessarsene direttamente attra-
verso il suo sommo rappresentante. Comunque, sia la concessione
dei numerosi privilegi emanati dall'imperatore per vescovi, capi-
toli e monasteri in Italia, sia in particolare l'esaudimento dei desi-
deri del papa da parte dell'imperatore in favore dei due vescovi ci-
tati, e specialmente nel caso della nostra abbazia, mostrano la per-
fetta armonia che in quell'anno 1027, in connessione con l'incoro-
nazione di Corrado 11, esisteva tra i due sommi poteri dell’umanità.

Circa il contenuto del diploma, possiamo dire che si tratta di
un privilegio di protezione e di conferma di tutti i privilegi prece-
dentemente dati dagli imperatori e dai papi relativi a tutti i beni
dell'abbazia. Come già detto, i privilegi imperiali confermati, oggi
purtroppo perduti, erano stati accordati da Ottone 11, da Ottone
in e da Enrico rr. I privilegi dei papi elencati come confermati nel
nostro diploma sono quelli di un papa Giovanni — probabilmente
Giovanni xir (965-972) —, di Gregorio v (996-999), di Silvestro
II (999-1003), di un altro papa Giovanni — probabilmente Giovanni
xvni (1003-1009) —, di Sergio rv (1009-1012) e di Benedetto vir
(1012-1024) ®). Come accennato, non sappiamo con certezza se i
privilegi dei papi di nome Giovanni siano stati concessi proprio dai
papi Giovanni xim e Giovanni xvin, perché nel diploma imperiale
essi sono citati senza un numero ordinale. Perció nel primo caso il
papa potrebbe essere stato anche Giovanni xiv (983-984) o Gio-
vanni xv (985-996), mentre il datore del secondo privilegio potrebbe
essere stato anche Giovanni xvir (1003). Il Kehr, il migliore co-
noscitore dei problemi delle bolle pontificie fino alla fine del xm
secolo, propende per Giovanni xiu e Giovanni xvin 2), e credo
24 CONVEGNO, STORICO PER IL MILLENNIO

che possiamo accettare senz'altro la sua interpretazione. La massa
di questi documenti papali elencati nel nostro diploma è perduta,
e ne ignoriamo il contenuto. Conosciamo sì una decisione di papa
Silvestro r1 nel sinodo Romano del 3 dicembre 1002, nella quale
il papa — contro la volontà del vescovo di Perugia — dichiara so-
lennemente l’appartenenza dell'Abbazia di S. Pietro alla Chiesa
Romana e la proclama esente in perpetuo dalla giurisdizione ve-
scovile ?*$), ma il privilegio di questo papa citato da Corrado m è
certamente un altro, cioè probabilmente un privilegio di conferma
dei beni, oggi perduto. Tra tutti questi privilegi, l’unico che ci sia
rimasto è quello di Benedetto vii del dicembre 1022 che contiene
una conferma generale dei beni dell’abbazia, senza specificare però
i particolari possedimenti ad eccezione delle chiese di S. Lucia in Ci-
bottola e di S. Marta di Monte Vibiano Nuovo *°). Nel complesso, il nu-
mero dei privilegi papali per S. Pietro fino al 1027, della cui esistenza
possiamo esser certi, è considerevole, e specialmente nel periodo
tra il 996 ed il 1024 ogni papa — con eccezione di Giovanni xvii
che peró regnó solamente pochi mesi — ha voluto emanarne uno in
favore di S. Pietro. È interessante osservare in proposito che l'im-
peratore si senti obbligato a confermare anche questi privilegi pa-
pali, cosa che normalmente non faceva. In ogni modo l'elenco for-
nito dal diploma di Corrado 1 è un chiaro segno della grande impor-
tanza che la nostra abbazia ha saputo guadagnarsi fin dai primi
decenni di esistenza.

Dopo i privilegi il diploma conferma anche tutte le donazioni
fatte all'abbazia e tutti gli acquisti effettuati dai diversi abati,
iniziando dal fondatore Pietro fino al contemporaneo abate Azzone.
Infine vengono descritti dettagliatamente i possedimenti dell'ab-
bazia. E così disponiamo del primo elenco dei beni abbaziali, una
lista assai interessante, nella quale però — stranamente — man-
cano le due chiese indicate nel privilegio di Benedetto viti del 1022.
La massa di questa proprietà era situata nel comitato di Perugia,
e precisamente tre plebes e la metà di un’altra, quattro chiese e la
metà di due altre oltre ad una curtis, mentre un’altra chiesa si tro-
vava nel comitato di Assisi e due altre chiese sul confine dei terri-
tori di Todi e Perugia. Di quasi tutti questi possedimenti, che in
fondo non erano troppo distanti dall’abbazia stessa, è possibile l’iden-
tificazione *?) : così sarebbe certamente interessante compilare una
carta topografica di questi primi beni dell’abbazia, aggiungendo poi
sulla stessa carta tutti gli acquisti successivi e le eventuali perdite.

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DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN®PERUGIA 25

Non vogliamo poi tralasciare di dire che l'imperatore Corrado
u qualche anno piü tardi, in occasione della sua seconda venuta
in Italia negli anni 1037/1038, durante la sua marcia attraverso
l'Umbria per recarsi nell'Italia meridionale, ebbe occasione di ve-
dere personalmente la nostra Abbazia di S. Pietro da lui, benefi-
ciata. Questo sappiamo perché ci consta che l'imperatore prese
alloggio iuxta Perusium in monasterio Sancti Petri intorno al 20
marzo 1038, data alla quale egli concesse un diploma al monastero
di S. Sisto di Piacenza **). È assai probabile che proprio in quell'oc-
casione l'imperatore abbia dato all'abbazia un secondo privilegio,
confermando al monastero il possesso della massa di Casalina già
concessa da Benedetto ix (1032-1045). Tanto l'atto della conces-
sione papale all'abbazia di questa proprietà assai importante — sulla
quale si parlerà ancora — quanto quello della relativa conferma da
parte dell'imperatore Corrado 11 sono andati perduti, ma la loro esi-
stenza è assicurata da una chiara citazione nel successivo diploma
dell'imperatore Enrico ii del 1047 2°). Possiamo in ogni modo
essere certi che i due privilegi oggi perduti devono essere stati ema-
nati nel lasso di tempo che va dal 12 novembre 1032 (data dell’ele-
zione di papa Benedetto ix) al 4 giugno 1039 (data della morte
di Corrado 11).

A Corrado mn successe il figlio Enrico mr, una personalità di
grande valore ed energia che riuscì in pochi anni a superare tutte
le difficoltà sorte in Germania. Nella seconda metà dell’anno 1046
scese in Italia, dove nel dicembre dello stesso anno, nei sinodi di
Sutri e Roma, ottenne la deposizione dei tre papi allora in lite fra
di loro, facendone poi eleggere uno nuovo nella persona del vescovo
di Bamberga che prese il nome di Clemente 1 *°). Questi, nel giorno
di Natale, incoronò solennemente Enrico imperatore *). Subito
dopo vediamo presentarsi davanti a quest’ultimo — come anni
prima, dopo l’incoronazione, a Corrado 11 — dei messi di diversi
enti ecclesiastici con la preghiera di voler confermare i vecchi pri-
vilegi o voler fare delle nuove concessioni. Fra i primi monasteri
beneficiati dall’imperatore c’era anche la nostra Abbazia di S. Pie-
tro. Una settimana dopo l’incoronazione, e precisamente il 3 gen-
naio 1047, l’abbazia ricevette un solenne diploma imperiale, che ci
è conservato intatto — manca soltanto il sigillo — nell’Archivio
di S. Pietro *?) Certamente il suo compilatore si è servito in gran
parte del testo del diploma di Corrado rr apportandovi però molte
modifiche ; così, ad esempio, ha cambiato la lista dei beni, proba-
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26 CONVEGNO” STORICO PER IL MILLENNIO

bilmente in base ad un nuovo elenco presentatogli dall’incaricato
del monastero. Nelle grandi linee il diploma di Enrico r1 corrisponde
a quello di Corrado rr, cioè contiene protezione, conferma dei privi-
legi, conferma dei beni. Per quel che riguarda la conferma dei pri-
vilegi imperiali troviamo qui lo stesso elenco riportato nel diploma
di Corrado rr, ma naturalmente con l'aggiunta del nome di quell'im-
peratore. Anche l’elenco dei privilegi papali confermati è preso dal
diploma di Corrado rr, ma mostra delle aggiunte assai significative.
Vengono così citati anche privilegi di Giovanni xix (1024-1032),
di Benedetto rx (1032-1045), di Gregorio vi (1045-1046) e di Cle-
mente 11 (1046-1047). Il privilegio di Giovanni xix è oggi perduto,
e così anche quello di Benedetto rx che doveva aver contenuto,
come abbiamo visto, anche la concessione della massa di Casalina.
In ogni modo l’atto di rinuncia del vescovo Andrea di Perugia ai
suoi diritti su S. Pietro a favore del papa, emesso il 2 novembre
1036 *), non può certo essere identificato con il privilegio di papa
Benedetto ix citato nel diploma di Enrico nm. Ci è conservato però
come originale il privilegio citato di Gregorio vi in favore di S. Pie-
tro che porta la data del maggio 1045 con un importante elenco
molto dettagliato dei beni dell’abbazia #4). Manca poi però oggi il
privilegio menzionato di Clemente n. È interessante osservare che
questo papa deve aver dato il privilegio immediatamente dopo la
sua elezione a pontefice, avvenuta il 24 dicembre 1046, cioé nel
corso della prima settimana del suo pontificato, perché già il 3 gen-
naio 1047 l’imperatore nel suo diploma menziona l'esistenza di
questo privilegio papale. Cosi possiamo constatare che — seguendo
una tradizione ormai affermatasi — ogni papa tra il 1024 ed il 1046
volle beneficiare la nostra abbazia che rimaneva direttamente alle
dipendenze della S. Sede e perció fu fatta segno di particolare at-
tenzione da parte dei sommi pontefici.

Certamente è interessante anche l'elenco dei beni confermati
dall'imperatore. Come già accennato, questa lista non corrisponde
a quella del diploma di Corrado ri mostra qualche cosa in più e
qualche cosa in meno e neppure corrisponde al lungo elenco dato
nel privilegio di Gregorio vr. Non ci é dato di sapere per quale ra-
gione l'abbazia abbia sottoposto all'imperatore soltanto un elenco
conciso, sebbene abbastanza consistente, perché vengono indicate
tre plebes e sette chiese e la metà di due altre chiese. La concessione

‘più importante dell’imperatore all'abbazia era però la conferma

della massa di Casalina, quella proprietà terriera importante, già .

PETE lA i D SEC iT ing ii EM CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO 27
concessa dal papa Benedetto ix e poi confermata dall'imperatore
Corrado 1, la quale doveva rimanere il massimo possedimento del-
l'abbazia che, come giustamente osservato, « rispecchió e simboleg-
giò nei secoli l'organizzazione nel monastero » *). Dal testo del no-
stro diploma potrebbe sembrare che Enrico im avesse già confer-
mato antecedentemente all'abbazia la massa di Casalina, ma di
questo fatto non esiste certezza assoluta **). A questa massa lim-
peratore aggiunge nel suo diploma ancora due altre masse, e preci-
samente quella di Posolo e quella di Filoncio situate vicino a S.
Valentino di Filoncio, oggi denominato S. Valentino della Collina,
nel comitato di Perugia *). Mentre l'ultima appare per la prima
volta in questo diploma di Enrico 111, la massa di Posola viene già
nominata nel privilegio di Gregorio vi del maggio 1045 **). Secondo
le indicazioni dei documenti dell'Archivio Abbaziale di S. Pietro,
la consistenza di quelle masse dev'essere stata considerevole, cosi che
questa proprietà ha fornito senza dubbio alla nostra abbazia la base
finanziaria della sua futura esistenza. La conferma di altri terreni
donati da singole persone non è così importante, ma la rinuncia
dell'imperatore alla prestazione del rilevante tributo del fodrum
de ecclesiis, villis et castellis el suis hominibus et omnibus sibi perti-
nenlibus è un segno della particolare benevolenza di Enrico i verso
la nostra abbazia e forse anche un segno di amicizia verso il papa,
con il quale l'imperatore si trovava allora in perfetta armonia. Que-
sta concessione è infatti una cosa singolare, perché sappiamo che
l’imperatore in altri casi, come, ad esempio, in quello dell'abbazia
di Farfa, insistette sulla conservazione di questo diritto fiscale,
costringendo perfino l'abate di Farfa a rinunciare alla sua carica,
perché questi si era mostrato poco zelante nell'elargire queste pre-
stazioni ). Questa concessione speciale ed importante dev'essere
stata in discussione fino all'ultimo momento, perché inizialmente,
nel documento originale, al posto dove oggi si trova quel passo,
era stato lasciato uno spazio in bianco, e soltanto dopo la definitiva
decisione positiva dell'imperatore fu aggiunta la riga riguardante
la concessione del fodrum. In ogni modo questo ampio diploma e
un segno chiaro che l’imperatore era pronto ad assecondare i desi-
deri del papa in carica, Clemente 1, il quale certamente in quei
giorni é intervenuto in favore della nostra abbazia, anche se il di-
ploma non ne fa menzione.

, Con la morte improvvisa di Enrico r1 non ancora quarantenne
nel 1056, finisce praticamente l'era delle buone relazioni tra Papato

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28 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

ed Impero, le quali, come abbiamo visto, avevano portato, per
quello che riguarda l'Abbazia di S. Pietro di Perugia, alla conces-
sione di molti privilegi da parte degli imperatori su preghiera dei
papi o d'accordo con essi. Da quella data comincia invece un periodo
di oltre un secolo caratterizzato da relazioni tese e perfino da lotte
aperte tra i due poteri, che conobbero soltanto raramente tempi di
tregua o di vera pace. Questa situazione generale ebbe cosi dei ri-
flessi anche sulla nostra abbazia. I papi in quel lasso di tempo con-
tinuarono a dare privilegi alla «loro» Abbazia di S. Pietro : cosi
Leone rx nel 1052 ‘°), Stefano x nél 1057 4), Nicolò rr nel 1059 :»),
Alessandro mr nel 1065 4), Pasquale nu nel 1115 *); Innocenzo n
nel 1137 +5), Lucio rr nel 1144 #6) ed Eugenio ni nel 1145 ‘°); tutta-
via in questa serie lunga e continua di privilegi papali rimangono
tre lacune piuttosto considerevoli, cioè per i papi da Gregorio viti
(1073-1085) fino ad Urbano nu (1088-1099), per i papi da Gelasio
1 (1118-1119) fino ad Onorio mn (1124-1130) ed infine per i papi
dopo Anastasio rv (1153-1154). Si potrebbe pensare ad un atteggia-
mento filoimperiale della nostra abbazia — rimasta alle dipendenze

dirette della S. Sede — in questi periodi, ma d'altra parte dopo

Enrico ir, nessun imperatore per oltre un secolo, almeno per quanto
sappiamo, ha concesso un nuovo diploma a S. Pietro, e perció l'ipo-
tesi di una presa di posizione della nostra abbazia in favore dell'Im-
pero contro l'autorità suprema della Chiesa in quei frangenti ap-
pare inverosimile, almeno fino al tempo del Barbarossa.

Infatti, soltanto sotto Federico 1 l'Impero mostrò di nuovo
un interesse vivo per i problemi italiani in concomitanza con lo
sviluppo della situazione politica generale. Come è noto, nell'anno
1159, dopo la morte di papa Adriano rv, scoppió una lite tra la mag-
gioranza del collegio cardinalizio, che elesse il papa Alessandro rii,
ed il partito dei cardinali filoimperiali, che opposero un loro candi-
dato nella persona di Vittore rv **). Una lotta feroce si sviluppò
tra i due partiti, durante la quale il papa Alessandro mi trovò un
valido aiuto nelle città dell'Italia settentrionale, specialmente in
quelle lombarde sotto la guida di Milano. Dopo avvenimenti mo-
vimentati ed aspri combattimenti, finalmente, nel 1162, Milano
dovette capitolare e venne distrutta **). Il cancelliere imperiale
Rainaldo di Dassel organizzò con pugno di ferro l’amministrazione
imperiale nell’Italia settentrionale ed in Toscana, intervenendo
nel 1163 anche in Umbria *). Nell'ottobre di quell’anno l’impe-
ratore Federico 1 scese di nuovo dalla Germania in Italia per con-

m E C e ont n en pronte DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 29
fermare i provvedimenti presi dal suo cancelliere e per prepararsi,
con l'aiuto delle forze raccolte nelle zone sotto la sua influenza,
ad agire e procedere contro Roma e contro il Regno di Sicilia #1).
In questa circostanza è significativo il fatto che, certamente per
crearsi basi sicure di partenza per la progettata campagna mili-
tare, l'imperatore concesse nel mese di novembre 1163 da Lodi,
dove aveva preso temporanea residenza, numerosi privilegi a città
ed autorità ecclesiastiche dell'Umbria e delle zone vicine. Cosi emanó
il 6 novembre tre diplomi, uno in favore del vescovo di Città di Ca-
stello 5), uno per il capitolo del duomo di questa città *) ed un terzo
in favore del monastero di S. Giovanni in Sansepolcro 55) ; l'8 no-
vembre confermó un trattato molto importante concluso tra Gub-
bio ed il cancelliere Rainaldo **) ed il 9 novembre assicurò al mona-
stero di S. Pietro in Gubbio **) ed al capitolo del duomo di Arezzo 5’)
la sua protezione. Il giorno successivo, e precisamente il 10 novem-
bre, concesse poi un diploma alla nostra Abbazia di S. Pietro 5*)
e tre giorni dopo beneficiò con un diploma analogo anche il vescovo
Giovanni di Perugia *°). Forse fu concesso allora un diploma anche
alla città di Perugia. La serie di tali concessioni viene conclusa con
un diploma in favore del convento di S. Donato di Polpiano nella
diocesi di Gubbio, emanato anche il 13 novembre 1163 ®). Le mire
della politica imperiale sono chiare : il Barbarossa cercava di gua-
dagnarsi in tal modo le simpatie delle città, del clero e dei più im-
portanti monasteri dell'Umbria, dove la maggioranza, di fronte
alla debolezza temporanea di Alessandro mr, si vide costretta a
schierarsi dalla parte dell’imperatore e del «suo» papa Vittore rv,
che si era recato anche al convegno di Lodi per incontrarsi con Fe-
derico.

Come già detto, fra i beneficiati dell’imperatore c’era anche la
nostra abbazia. L'originale del diploma del 10 novembre 1163 con
sigillo impresso, che purtroppo andò presto perduto, si era conser-
vato attraverso 1 secoli nell'Archivio di S. Pietro fino ai nostri tempi
e fu riprodotto — per fortuna — fototipicamente nell’ Archivio Pa-
leografico Italiano tra il 1892 ed il 1910, ma da allora manca ®).
Nelle linee generali anche questo diploma corrisponde a quelli ante-
cedenti, cioè assicura protezione e conferma i privilegi, i beni ed i
diritti dell'abbazia. Per quel che riguarda l'elenco dei privilegi im-
periali confermati, questo diploma riporta la lista del privilegio
di Enrico irt, ma aggiunge naturalmente anche il nome di quell'im-
peratore. Il fatto che nel testo, dopo Enrico mi non appaia alcun
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30 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

altro nome di imperatore come dispensatore di privilegi alla nostra
abbazia è assai significativo e fornisce una prova lampante che nes-
suno degli imperatori successivi — cioè Enrico rv, Enrico v, Lo-
tario gt e Corrado m — abbia concesso dei privilegi a S. Pietro.
In questo diploma viene inclusa poi anche la lista dei pontefici
che avevano elargito dei privilegi all'abbazia secondo l'elenco dato
nel privilegio di Enrico rr. È soltanto omesso il nome dell'ultimo
papa ivi citato, quello di Clemente ri. Dopo questi nomi il compi-
latore del testo del diploma di Federico r avrebbe dovuto aggiun-
gere quelli dei papi successivi che, come abbiamo visto, avevano
anch'essi emanato privilegi in favore di S. Pietro, ma evitò questa
fatica, includendo tutti nella formula seu aliorum alme urbis nostre
Rome pontificum, senza ulteriore specificazione. L'elenco dei beni
confermati nel diploma di Federico 1 é stato preso soltanto in parte
dal diploma di Enrico ni. Certamente fu presentata allora all’impe-
ratore una nuova lista che comprendeva numerosissime cappelle,
chiese, pievi ed altri terreni. È interessante osservare che questo
elenco non corrisponde neanche a quello dato dai diversi privilegi
papali della seconda metà dell'xr secolo e della prima metà del xt
secolo. Il problema di queste divergenze meriterebbe senz'altro uno
studio dettagliato, ma una cosa è certa : le proprietà dell’abbazia
devono aver subìto un fortissimo incremento nel secolo precedente
la concessione del privilegio del Barbarossa, anche se non sappiamo
con certezza quale ricchezza abbiano rappresentato tutte quelle
chiese, cappelle, pievi e terre. Il nucleo più importante di quei beni
era formato però dalle masse. Le tre masse di Casalina, di Posolo
e di Filoncio, già nominate nel diploma di Enrico rr, appaiono
anche in quello di Federico 1, il quale ne aggiunge un’altra, quella
di Vialata, la quale era situata nella zona di Petrignano ed appare
qui per la prima volta nei documenti come possedimento dell’ab-
bazia *?). È probabile che il rappresentante della nostra abbazia,
recatosi a Lodi per chiedere all'imperatore un privilegio, gli abbia
esposto anche il desiderio di veder confermata l'esenzione dal fo-
drum imperiale, esenzione concessa da Enrico III, ma il Barbarossa,
allora in una saldissima posizione politica, deve aver respinto la ri-
chiesta, perché nel suo diploma è detto espressamente che il fodrum
doveva rimanere diritto imperiale *). Ma a prescindere da questo
fatto l'abbazia poteva considerarsi assai soddisfatta di questo vi-

stoso diploma e della protezione solennemente promessa ed accor-
data dall'imperatore.

uM c — ÁÓ PM o Amen =_= mat imma cm.
DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 31

E significativo che il papa Alessandro m — anche dopo la pace
di Venezia del 1177 e dopo il suo riconoscimento ufficiale da tutte
le parti in lite —, almeno a quel che sappiamo, non abbia mai voluto
dare un privilegio alla nostra abbazia. Certamente l'atteggiamento
filoimperiale dell'abbazia, che si rispecchia nella richiesta rivolta
all'imperatore per ottenere un diploma, deve aver deluso e amareg-
giato moltissimo questo grande papa, che era rimasto fino alla con-
clusione della pace antagonista e nemico acerrimo del Barbarossa
e che si mostró anche dopo, fino alla sua morte, avvenuta nel 1181,
assai diffidente verso l'imperatore ed i suoi partigiani.

In ogni modo sembra che la città di Perugia, durante l’ultima.
parte del periodo di Federico 1, abbia perseguito una politica filoim-
periale, come si vede, ad esempio, anche dal fatto che re Enrico VI,
figlio del Barbarossa, abbia concesso a questa città — mentre suo
padre era ancora in vita — un diploma datato da Gubbio il 7 ago-
sto 1186, con il quale concesse a Perugia fra l’altro la libera elezione
dei consoli, il dominio su tutto il comitato con poche eccezioni, la
libera giurisdizione e l’esenzione dalla prestazione del fodrum **).
Queste concessioni erano assai estese e sicuramente destinate a
guadagnare le simpatie della intera cittadinanza. In questo diploma
però era contenuto anche un paragrafo — e questo è per noi la cosa
più interessante — nel quale Enrico vi confermò espressamente
all'abate di S. Pietro la giurisdizione sul castello di Casalina. Questo
dimostra che il comune si era fatto portavoce presso l’imperatore
anche degli interessi della nostra abbazia.

Soltanto dopo la morte di Federico 1 nelle gelide acque del
fiume Salef nel 1190 e con l’avvento al potere di Enrico vi sorgevano
delle difficoltà tra suo fratello Filippo, nominato dall’imperatore
duca di Toscana, e tra la città di Perugia, causate principalmente
dai tentativi di espansione di quel comune in direzione di Chiusi
e Cortona ©). Infine, Filippo di Svevia nel luglio 1195 si mosse per
l'assedio della città, ma si venne poi ad un’accordo ©). Il duca con
un suo diploma dell’8 luglio 1195 *) rinnovò a Perugia il privilegio
dato da Enrico vi nel 1186, e così le buone relazioni vennero rista-
bilite in pieno.

In questa atmosfera di armonia tra il potere imperiale e la città
di Perugia avvenne la venuta di Enrico vi in Italia nell’estate del
1196, con l’intento di chiarire particolarmente le sue divergenze
con la S. Sede ©*). A quanto sappiamo, l'imperatore si fermó nel
periodo dal 18 fino al 28 ottobre 1196 a Montefiascone, dove ri-
pa



32 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

lasciò diversi diplomi, così, ad esempio, per S. Pietro in Roma (18
ottobre)**), per il vescovo di Arezzo ?°) e per il monastero di:
Croce di Fonte Avellana ©) (entrambi il 21 ottobre), per S. Angelo
in Spada in Viterbo **) e per S. Sisto in Viterbo ?) (ambedue il 23
ottobre) ed infine per il vescovo di Pistoia **) e per la città di Città
di Castello **) (entrambi il 28 ottobre).

Peró quello che ci interessa in modo particolare e il fatto che
allora deve essersi presentato davanti all'imperatore anche un messo
della nostra abbazia con la preghiera di voler prendere alcune de-
cisioni in favore di S. Pietro. Come prima cosa quel rappresentante
ottenne dall'imperatore il 20 ottobre 1196 una conferma della sen-
tenza di un giudice Tolomeo in un processo tra S. Pietro da una parte
e le figlie di un certo Paolo, di nome Litterata e Berta, ed i loro ma-
riti Rigo e Gizzo dall'altra intorno a certi possedimenti presso S.
Elena e Luzzano. L'originale del diploma ci è conservato nell'Ar-
chivio Abbaziale di S. Pietro ; manca soltanto il sigillo di cera che
una volta vi era appeso, ma ci restano ancora i fili di seta, ai quali
questo era attaccato **) Purtroppo non sappiamo di piü su questa
lite : nessun atto del processo ci è rimasto e ci manca anche il testo
della sentenza del giudice Tolomeo, e perció non possiamo dire
neanche se si sia trattato di un giudice del comune di Perugia o di
un giudice imperiale. Non ci è dato neanche di sapere perché l'ab-
bazia si sia tanto interessata per ottenere una conferma della sen-
tenza da tanto alta autorità, ma probabilmente i beni contesi erano
cosi importanti per l'abbazia, che ritenne utile assicurarsi anche la
protezione imperiale.

Ma la cosa piü importante per l'abbazia era di ottenere un so-
lenne diploma generale di protezione e conferma dei privilegi e dei
beni, analogo a quello del Barbarossa. Infatti l'imperatore si mostró
benevolo e due giorni più tardi, e precisamente il 22 ottobre 1196, con-
cesse all'abbazia il diploma desiderato che, in originale, con il grande
monogramma — manca soltanto il sigillo una volta appeso alla «pli-
ca» — si trova ancora oggi nell'Archivio dell'abbazia "). Nella pri-
ma parte del testo il compilatore ha modificato parecchio : ha an-
che tolto il dettagliato elenco dei privilegi confermati, sostituen-
dolo con una breve dichiarazione sulla conferma del diploma di
Federico r e con una formula generale di conferma di alia omnia
privilegia imperatorum sive regum vel pontificum ipsi monasterio
concessa, senza ulteriore specificazione. Invece nella parte centrale
del testo, cioè nell’elenco dei beni, Enrico vi ha conservato la for-

pit cerro EGLI eee ci posso e II
DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 33

mulazione trovata da Federico r, dando cosi una ripetizione lette-
rale della lunga lista fornita dal diploma di suo padre. L'abbazia,
anche se dovette nuovamente obbligarsi alla prestazione del fo-
«drum all'imperatore, rimase certamente soddisfatta, perché vide
:così di nuovo confermati dalla massima autorità temporale i suoi
numerosi possedimenti, e la presenza di Corrado di Urslingen, duca
di Spoleto, come testimone all’atto, dava una ulteriore garanzia
per il mantenimento dei suoi diritti.
+». Ma la benevolenza dell'imperatore non si limitò a questi due
atti solenni; anche nel mese seguente (novembre 1196), quando
aveva già lasciato la zona di Montefiascone, aderì ad altre domande
-@ richieste presentategli dalla nostra abbazia. Passando per Foli-
gno l’imperatore era arrivato a Spoleto, dove il rappresentante di
:S. Pietro gli sottopose un problema speciale riguardante il castello
di Casalina, che era, come abbiamo visto, uno dei possedimenti
‘più importanti dell'abbazia, forse il più importante. In questo ca-
stello un marchese di nome Enrico (probabilmente Enrico il Su-
perbo negli ultimi tempi dell’imperatore Lotario 11, morto nel 1137)
aveva usurpato, rispettivamente ottenuto in qualche maniera di-
ritti su un ospizio ivi situato — malgrado il fatto che il castello
:appartenesse all'abbazia — e questa, temendo di essere costretta
ad un obbligo di ospitalità non desiderato, sollevò delle obiezioni '*).
Allora l’imperatore, con il diploma del 3 novembre 1196, del quale
l'originale ci è conservato nell'Archivio di S. Pietro — con il sigillo
originariamente appeso alla « plica», ma oggi purtroppo perduto —
«dichiarò di nuovo l'abbazia con il castello di Casalina e con tutti i
«beni sottoposta alla sua protezione e proibì ogni vessazione o mole-
«stia contro di essa, specialmente per quel che riguardava questo
‘Ospizio **). Ci mancano purtroppo particolari intorno alle pretese
connesse con l'istituzione o occupazione di questo ospizio e perció
mon possiamo precisare le ragioni che hanno indotto l'abbazia a
«chiedere un intervento dell'imperatore, ma in ogni modo si eliminò
così, con questa chiara decisione imperiale, ogni pretesa di altri
‘sul castello di Casalina.

Ma già due settimane dopo l’imperatore si dovette occupare
di nuovo dell'Abbazia di S. Pietro. Nel frattempo Enrico vi era
‘arrivato a Tivoli per iniziare delle trattative importanti con la S.
‘Sede, e qui gli fu esposta una nuova preghiera da parte della nostra
abbazia : questa volta si chiese la conferma di un accordo su certi
beni, raggiunto tra due privati di nome Rainaldo e Ranuccio da

3
34 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

una parte e l'abate Rainaldo di S. Pietro dall'altra. L'imperatore
si mostró pronto ad esaudire questo desiderio e rilasció in data 16
novembre 1196 un diploma, conservatoci in originale nell'Archivio
del'abbazia — manca soltanto il sigillo, ma i fili di seta pendone
ancora —, nel quale pronunció la conferma dell'atto come gli era
stato richiesto 8°). Purtroppo non ci è conservato il testo del docu-
mento confermato, ma certamente l'importanza dell'accordo rag-
giunto apparve tale da far ritenere essenziale all'abbazia una con-
ferma in «alto loco», come per la decisione del giudice Tolomeo,
pronunciato dall'imperatore il 20 ottobre 1196.

Tutto sommato, dobbiamo constatare che la concessione di ben
quattro diplomi per un solo monastero nel giro di meno di un mese
è un fatto eccezionale ed in ogni modo anche un segno della parti-
colare benevolenza dell’imperatore. Ma dato che la massima parte
delle azioni di Enrico vi si basava su un calcolo prettamente poli-
tico, si può anche pensare che questi atti in favore di vescovi, chiese
e monasteri — e così anche quelli in favore della nostra abbazia —
proprio nell’imminenza di trattative con la S. Sede, fossero desti-
nati anche a dimostrare pubblicamente in maniera lampante l'at-
teggiamento amichevole dell’imperatore verso la Chiesa in generale
e verso le sue particolari istituzioni. Così questi quattro diplomi
di Enrico vi nell’ottobre e novembre 1196 in favore alla nostra ab-
bazia si inquadrano perfettamente nella situazione politica gene-
rale di quegli anni.

Meno di un anno dopo, e precisamente il 28 settembre 1197,
Enrico vi morì improvvisamente e quindi cessava per il momento
ogni influenza dell'Impero sui territori che dovevano poi formare
lo Stato della Chiesa. Perugia diventò nei decenni successivi uno
dei centri del partito papale e né Ottone rv, né Federico rr hanno
mai potuto realmente sperare in una sottomissione di questa città,
diventata guelfa per eccellenza. Senz'altro esistevano nella città
partigiani di Federico rr, di Manfredi e perfino di Corradino, ma
era una minoranza senza importanza *). Dato questo atteggia-
mento politico di Perugia, l'Abbazia di S. Pietro nel x secolo
certamente non potè mai sperare di ottenere un nuovo privilegio
imperiale e anche la città di Perugia ricevette nuovi diplomi
reali soltanto dopo la morte di Federico 11, nel 1251, da Guglielmo
di Olanda *:) eletto re da un gruppo di principi tedeschi contrari
alla dinastia sveva. Perció la nostra abbazia dovette cercare di
nuovo la protezione e la tutela presso i papi che anche nel xur e

T.E: I e RT EWMI Do Folco 7 — E -
DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 35

xIV secolo si mostrarono assai benevoli nel concedere nuovi privi-
legi *). I vecchi diplomi imperiali, sempre gelosamente conser-
vati nell'archivio — anche per poter servire eventualmente come
base per la difesa di diritti e pretese futuri — rimanevano cosi per
sempre un bel ricordo del passato glorioso della nostra abbazia.

NOTE

1) Mi sia permesso di esprimere anche pubblicamente la mia profonda
gratitudine al prof. GrovANNI CEccHINI, allora Direttore della Biblioteca
Comunale di Perugia, per aver facilitato in ogni maniera il mio lavoro di
ricerca tanto nella Biblioteca Comunale, quanto negli archivi ecclesiastici
di Perugia, nei quali mi ha introdotto con le sue raccomandazioni. Gli sono
anche particolarmente riconoscente per il gentile invito rivoltomi di parlare
in occasione del Convegno Storico per il millennio dell'Abbazia Benedettina
di S. Pietro in Perugia.

?) La presente pubblicazione riproduce — con qualche lievissima mo-
difica — il testo della conferenza da me tenuta il 29 settembre 1966 in oc-
casione del Convegno Storico per il millennio dell'Abbazia Benedettina di
S. Pietro in Perugia. — Un vivo ringraziamento va alla dott.ssa LILIANA
Piu dell'Istituto Storico Germanico in Roma per i numerosi consigli preziosi
datimi per la compilazione del testo italiano, sia della conferenza, sia di
questa pubblicazione.

°) T. LeccIsoTTI - C. TABARELLI, Le carte dell’ Archivio di S. Pietro
di Perugia, 1 e rr, Milano, 1956. — Colgo l’occasione per esprimere i miei
ringraziamenti vivissimi al Padre CosTANZzO TABARELLI, Conservatore dello
Archivio dell'Abbazia di S. Pietro, per la squisita gentilezza, con la quale
mi ha permesso di controllare in archivio ancora una volta con tutta la
calma le mie annotazioni prese anni fa.

‘) Cfr. in modo particolare le osservazioni di LECCISOTTI - TABARELLI,
I, p. XIV 6 XXII.

5 P. F. KEHR, Italia Pontificia, 1v, Berolini, 1909, pp. 67-71.

) KEHRB, IV, Dp. 67-71. n. 1, 2; 3, 5, 6, 9, 10, 12, 14, 19, 23 e 26.
Cfr. anche LECCISOTTI - TABARELLI, Ip. XXII nota 14.

? Su quel diploma cfr. le indicazioni dettagliate date nella nota 9.

*) Questo soggiorno di Ottone Ir a Perugia risulta dal diploma di detto
imperatore per S. Lorenzo in Campo, rilasciato 1001 marzo 7, edito da TH.
SickEL, Monumenía Gérmaniae Historica, Ottonis III. Diplomata, Hanno-
verae, 1893, pp. 822-824 n. 392, in forma incompleta, in base a copie tar-
36 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

de. Recentemente è stato da me ritrovato nella Biblioteca Vaticana, Arch.
Barberini, Cartella rv n. 20, l'originale del diploma, che mostra tante di-
vergenze da renderne necessario una riedizione dando il testo originario.
| *) Orig., Perugia, Archivio dell'Abbazia di S. Pietro, Cass. vi n. 18.
Copia del sec. xvi, ibid., Liber A : Privilegiorum et brevium monusterii S. Petri,
fol. 2 - 2 verso. Riprodotto fototipicamente nell’ Archivio Paleografico Ita-
liano, 11, Roma, 1892-1910, Tav. n. 96. Ed. negli ultimi decenni da H. BrEss-
LAU, Monumenta Germaniae Historica, Conradi II. Diplomata, Hannoverae
et Lipsiae, 1909, pp. 116-117 n. 85, e da LECCISOTTI - TABARELLI, I, pp. 9-13
n. rr, con tutte le indicazioni su edizioni anteriori, su regesti e su citazioni
di detto diploma.

19) Vedi, ad esempio, i diplomi di Corrado n per S. Salvatore di Fonte
Taona (BressLau, Monumenta Germaniae Historica, Conradi II. Diplomata,
pp. 88-90 n. 71), per S. Ponziano di Lucca (ibid., pp. 99-100 n. 76), per
S. Gennaro di Capolona (ibid., pp. 117-118 n. 86), per S. Maria di Peter-
lingen (Payern) in Svizzera (ibid., pp. 118-119 n. 87), per il monastero di
Sansepolcro (ibid., pp. 138-139 n. 97), per il vescovo di Parma (ibid., pp. 139-
141 n. 98, e pp. 141-142 n. 99), per il monastero di Leno (ibid., pp. 142-
143 n. 100) ecc.

1) Sulla incoronazione cfr. H. BnEssLAU, Jahrbücher der deutschen
Geschichte, Jahrbücher des deutschen Reichs unter Konrad II., 1, Leipzig, 1879,
pp. 142-146. -

1) Probabilmente l’imperatore parti da Roma già il 9 aprile 1027.
Cfr. BressLau, Jahrbücher unter Konrad II., 1, p. 170, specialmente nota T:

13) Per tutti i particolari vedi l'edizione definitiva del diploma data
da BressLau, Monumenta Germaniae Historica, Conradi II. Diplomata,
pp. 90-92 n. 72. Il codice della Biblioteca Vaticana, dal quale deriva l'edi-
zione, porta però l'indicazione : Cod. Vat. Lat. n. 8487 e non n. 8287, come
indicato erroneamente da BmEssLAU. Cfr. anche BmnEssLAU, Jahrbücher
unter Konrad II., x, pp. 165-168.
1j Per tutti i particolari vedi l'edizione definitiva del diploma data
da BressLau, Monumenta Germaniae Historica, Conradi II. Diplomata,
pp. 92-94 n. 73. Cfr. anche BRESSLAU, Jahrbücher unter Konrad II., 1,
pp. 169-170.

15) Per tutti i particolari vedi l’edizione definitiva del diploma data
da BressLau, Monumenta Germaniae Historica, Conradi II. Diplomata,
pp. 95-99 n. 75. Cfr. anche BressLAau, Jahrbücher unter Konrad II., 1, p. 168.

16) Per tutti i particolari vedi l'edizione definitiva del diploma citata
nella nota 10. Cfr. anche BnEssLAv, Jahrbücher unter Konrad II., 1, p. 168.

17) Per tutti i particolari vedi l'edizione definitiva del diploma data
da Bressrau, Monumenta Germaniae Historica, Conradi II. Diplomata,
pp. 103-106 n. 79. Cfr. anche BressLau, Jahrbücher unter Konrad II., 1,
p. 168.

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3 x È VAT —
pee TP EI e EI LISTEN tea ge UE JE, CERE, TTM per DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 37

1) Per tutti i particolari vedi l'edizione definitiva del diploma data
da BnEssLAU, Monumenta Germaniae Historica, Conradi II. Diplomata,
pp. 106-109 n. 80. Cfr. anche BressLau, Jahrbücher unter Konrad II., x,
p. 168.

19) Per tutti i particolari vedi l'edizione definitiva del diploma citata
nella nota 10. Cfr. anche BnEssLAv, Jahrbücher unter Konrad II., 1, pp. 168-
169.

20) Per tutti i particolari vedi l'edizione definitiva del diploma data
da BnEssLAU, Monumenía Germaniae Historica, Conradi II. Diplomata;
pp. 119-121 n. 88. Cfr. anche BressLau, Jahrbücher unter Konrad II.,,
p. 165.

*?) Per tutti i particolari vedi l'edizione definitiva del diploma data
da BnEessLAU, Monumenta Germaniae Historica, Conradi II. Diplomata,
pp. 101-103 n. 78. Cfr. anche BressLAu, Jahrbücher unter Konrad II.,1,
pp. 159-162.

?) Per tutti i particolari vedi l'edizione definitiva del diploma data
da BnESsLAU, Monumenía Germaniae Historica, Conradi II. Diplomata,
pp. 112-113 n. 83. Cfr. anche BressLau, Jahrbücher unter Konrad II., t,
p. 162.

13 -Gfr.-anche- KEHH, 1v, p.407 ni.1,; 253; 550 e 7.

**) Vedi KEHR, Iv, p. 67 n. 1 e n. 5. LEccISOTTI - TABARELLI, p. 10,
espongono nelle note 6-11 tutte le possibilità esistenti, senza peró prendere
una decisione.

25) Orig. (?), Perugia, Archivio dell'Abbazia di S. Pietro, Cass. virt
n. 19. Copia del sec. xvi, ibid., Liber A: Privilegiorum et brevium monasterii
S. Petri, fol. 1 verso-2. Copia del 1778, [F. Garassi], Codex Diplomaticus
Perusinus, Eulistaeus appellatus, ibid., pp. 23-30. Riprodotto fototipica-
mente nell'Archivio Paleografico Italiano, 11, Roma, 1884-1907, Tav. n. 98.
Ed. da LeccIsoTTI - TABARELLI, I, pp. 1-4 n. 1, con tutte le indicazioni
su edizioni anteriori, su regesti e su citazioni di detto atto.

2) Orig., Perugia, Archivio dell'Abbazia di S. Pietro, Cass. 1, f. Co-
pia del sec. xvi, ibid., Liber A : Privilegiorum et brevium monasterii S. Petri,
fol. 1. Copia del 1778, [F. Garassi], Codex Diplomaticus Perusinus, Euli-
staeus appellatus, ibid., pp. 11-21. Riprodotto fototipicamente nell' Archivio
Paleografico Italiano, vi, Roma, 1906-1924, Tav. n. 1. Ed. da LECCISOTTI -
TABARELLI, I, pp. 5-9 n. II, con tutte le indicazioni su edizioni anteriori,
su regesti e su citazioni di detta bolla.

** Vedi la ricca documentazione in riguardo fornita da LECCISOTTI -
TABARELLI, I, pp. 10-13 nelle note 13-17.

*) Per tutti i particolari vedi l'edizione definitiva del diploma data
da BnESSsLAU, Monumenía Germaniae Historica, Conradi II. Diplomata,
pp. 365-366 n. 264. Cfr. anche le edizioni di G. DREI, Le carte degli Ar-
chivi Parmensi dei Sec. X-XI, in « Arch. Stor. per le Province Parmensi »,
P Cri

38 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

N.S. xxvr, Parma, 1926, pp. 167-168 n. LXv, e nel volume a parte, Le
carte degli Archivi Parmensi dei sec. X-XI, 11 (dall’anno 1001 all'anno 1100),
Parma, 1928, pp. 143-144 n. rxv.

29) Su quel diploma cfr. le indicazioni dettagliate nella nota 32.

39) Cfr. E. StEINDORFF, Jahrbücher der deutschen Geschichte, Jahrbü-
cher des deutschen Reichs unter Heinrich III., 1, Leipzig, 1874, pp. 313-315.

3) Cfr. SrEINDORFF, Jahrbücher unter Heinrich III., 1, pp. 315-317.

**) Orig., Perugia, Archivio dell'Abbazia di S. Pietro, Cass. vii n. 20.
Copia del sec. xvi, ibid., Liber A : Privilegiorum et brevium monasterii S. Petri,
fol. 9 verso-10. Riprodotto fototipicamente nell'Archivio Paleografico Ita-
liano, 111, Tav. n. 97. Ed. negli ultimi decenni da H. BressLAU e P. KEHR,
Monumenta Germaniae Historica, Heinrici III. Diplomata, Berolini, 1931,
pp. 221-223 n. 179, e da LECccISOTTI - TABARELLI, I, pp. 24-29 n. vi, con tutte
le indicazioni su edizioni anteriori, su regesti e su citazioni di detto diploma.

33) Orig., Perugia, Archivio dell'Abbazia di S. Pietro, Cass. vim n. 32.
Copia del sec. xvi, ibid., Liber A : Privilegiorum et brevium monasterii S. Petri,
fol. 2 verso-3. Copia del 1778, ibid., [F. GALASSI], Codex Diplomaticus Pe-
rusinus, Eulistaeus appellatus, pp. 31-72. Ed. da LEccISOTTI - TABARELLI,
I, pp. 14-19 n. rv, con tutte le indicazioni su edizioni anterioii, su regesti
e su citazioni di detto atto. Cfr. anche KEHR, Iv, p. 68 n. 11.

#4) Orig., Perugia, Archivio dell'Abbazia di S. Pietro, Cass. vir n. 13.
Copia del sec. xvi, ibid., Liber A : Privilegiorum et brevium monasterii S. Petri,
fol. 3-4. Riprodotto fototipicamente nell’ Archivio Paleografico Italiano, vi,
Tavole 2-3. Ed. da LeccIsoTTI - TABARELLI, i, pp. 19-24 n. v, con tutte
le indicazioni su edizioni anteriori, su regesti e su citazioni di detta bolla.
Cfr. anche KEHR, Iv, p. 68 n. 13.

35) Vedi LECCISOTTI - TABARELLI, I, p. XV.

**)) Il diploma di Enrico in dice: « massam Casalini a Benedicto papa
per privilegii paginam datam eidem monasterio et a patre meo et a me modis
omnibus ibidem confirmatam ». Si potrebbe pensare perciò ad una conferma
anteriore da parte di Enrico ni, ma forse l'espressione «a me . . . confirmatam »
si riferisce soltanto alla conferma pronunciata nel nostro diploma del 1047
genn. 3

37) Cfr. LECCISOTTI - TABARELLI, I, p. 146 nota 7.

3) Su quella bolla cfr. le indicazioni dettagliate date nella nota 34.
Cfr. anche LEccisoTrTi - TABARELLI, I, p. 146 nota 7.

3*) Cfr. SteINDORFF, Jahrbücher unter Heinrich III., 1, pp. 322-323.

4°) Orig. del 1052 marzo 9, Perugia, Archivio dell'Abbazia di S. Pietro,
Cass. vix n. 11. Copia del sec. xvi, ibid., Liber A : Privilegiorum et brevium
monasterii S. Petri, fol. 5-6. Riprodotto fototipicamente nell'Archivio Pa-
leografico Italiano, vi, Tavole 4 e 5. Ed. da LEccisorTI - TABARELLI, I,
pp. 29-33 n. vir, con tutte le indicazioni su edizioni anteriori, su regesti e
su citazioni di detta bolla. Cfr. anche KEHR, Iv, pp. 68-69 n. 15.

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DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 39

*?) Orig. del 1057 nov. 2, Perugia, Archivio dell'Abbazia di S. Pietro,
Cass. vri n. 9. Copia del sec. xvi, ibid., Liber A: Privilegiorum et brevium
monasterii S. Petri, fol. 6-6 verso. Copia del sec. xvir, Arch. Segr. Vat.,
Arm. Liv Tom. 4, C. MARGARINI, Thesaurus historicus sacrae et politicae veri-
lalis, 1v, fol. 285. Ed. da LeccIsoTTI - TABARELLI, I, pp. 34-41 n. vu,
con tutte le indicazioni su edizioni anteriori, su regesti e su citazioni di
detta bolla.

^) Orig. del 1059 febbr. 17, Perugia, Archivio dell'Abbazia di S. Pietro,
Cass. vir n. 5. Copia del sec. xvi, ibid., Liber A : Privilegiorum et brevium
monasterii S. Petri, fol. 7-8. Riprodotto fototipicamente nell’ Archivio Paleo-
grafico Italiano, vi, Tavole 11-12. Ed. da LeEccISOTTI - TABARELLI, I,
pp. 48-51 n. xr, con tutte le indicazioni su edizioni anteriori, su regesti
e'su citazioni di detta bolla. Cfr. anche KEHR, Iv, p. 69 n. 17. Inoltre esi-
ste una concessione particolare di Nicolò rr del 1059 ott. 14 riguardante
aleune decime in favore di S. Pietro di Perugia. Orig., Perugia, Archivio
dell'Abbazia di S. Pietro, Cass. vini n. 21. Copia del sec. xvi, ibid., Liber
A: Privilegiorum et brevium monasterii S. Petri, fol. 6 verso-7. Riprodotto
fototipicamente nell’ Archivio Paleografico Italiano, vi, Tavola 6. Ed. da LEc-
CISOTTI - TABARELLI, I, pp. 51-53 n. xII, con tutte le indicazioni su edizioni
anteriori, su regesti e su citazioni di detta bolla. Cfr. anche KEHR, Iv,
p. 69 n. 18. — Inoltre cfr. KERR, Iv, p. 69 n. 19.

^?) Orig. del 1065 apr. 17, Perugia, Archivio dell'Abbazia di S. Pietro,
Cass. vii n. 16. Copia del sec. xvi, ibid., Liber A : Privilegiorum et brevium
monasterii S. Petri, fol. 8-9. Riprodotto fototipicamente nell'Archivio Pa-
leografico Italiano, vi, Tavole 7-8. Ed. da LEccisorTI - TABARELLI, I, pp. 53-
62 n. xir, con tutte le indicazioni su edizioni anteriori, su regesti e su ci-
tazioni di detta bolla. Cfr. anche KEHR, Iv, p. 70 n. 21.

^*) Copia del sec. xvi della bolla del 1115 febbr. 8, Perugia, Archivio
dell'Abbazia di S. Pietro, Liber A: Privilegiorum et brevium monasterii
S. Petri, fol. 4-5. Copia del 1623, ibid., Liber EE: Perusina beneficiorum
processus, fol. 497verso-499verso. Copia del 1640, ibid., Liber F: Benefi-
ciorum, fol. 496 verso-498 verso. Ed. da LECCISOTTI - TABARELLI, I, pp. 62-68
n. XIV, con tutte le indicazioni su edizioni anteriori, su regesti e si citazioni
di detta bolla. Cfr. anche KEHR, Iv, p. 70 n. 22.

**) Copia del sec. xv della bolla del 1137 febbr. 10, Perugia, Archivio
dell'Abbazia di S. Pietro, Cass. vir n. 34. Copia del sec. xvr, ibid., Liber A:
Privilegiorum et brevium monasterii S. Petri, fol. 10verso-11verso. Copia
del 1623, ibid., Liber EE: Perusina beneficiorum processus, fol. 499 verso-
502verso. Copia del 1640, ibid., Liber F: Beneficiorum, fol. 498verso-
501verso. Ed. da LECCISOTTI - TABARELLI, I, pp. 71-77 n. xvi, con tutte
le indicazioni su edizioni anteriori, su regesti e su citazioni di detta bolla.
Cfr. anche KEHR, Iv, p. 70 n. 24.

^) Copia del sec. xvi della bolla del 1144 marzo 15, Perugia, Archivio
a

40 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

dell'Abbazia di S. Pietro, Liber A: Privilegiorum el brevium monasterii
S. Petri, fol. 11 verso-12 verso. Copia del 1623, ibid., Liber EE: Perusina
beneficiorum processus, fol. 502verso-504verso. Copia del 1640, ibid., Li-
ber F: Beneficiorum, fol. 501verso-503verso. Ed. da LeEccIsoTTI - TA-

BARELLI, I, pp. 77-82 n. xvir, con tutte le indicazioni su edizioni anteriori,’

su regesti e su citazioni di detta bolla. Cfr. anche KEHR, Iv, p. 70 n. 25. —
Vedi anche KEHR, Iv, p. 71 n. 26.

+?) Copia del sec. xvi della bolla del 1145 apr. 25, Perugia, Archivio
dell'Abbazia di S. Pietro, Liber A: Privilegiorum el brevium monasterii
S. Petri, fol. 13 verso-14 verso. Copia del 1623, ibid., Liber EE: Perusina
beneficiorum processus, fol. 505-507 verso. Copia del 1640, ibid., Liber F:
Beneficiorum, fol. 504-506 verso. Ed. da LECCISOTTI - TABARELLI, I, pp. 82-
87 n. xvii, con tutte le indicazioni su edizioni anteriori, su regesti e su ci-
tazioni di detta bolla. Cfr. anche KEHR, Iv, p. 71 n. 27. — Inoltre esiste anche
una decisione di papa Eugenio 11 del 1150 (o 1152) giugno 12 in favore di
S. Pietro di Perugia. Orig., Archivio dell'Abbazia di S. Pietro, Cass. vir
n. 39. Copia del sec. xvi, ibid., Liber A : Privilegiorum et brevium monasterii
S. Petri, fol. 12 verso. Ed. da LEccisorTI - TABARELLI, I, p. 91-93 n. xx,
con tutte le indicazioni su edizioni anteriori, su regesti e su citazioni di detta
bolla. Cfr. anche KEHR, 1v, p. 71 n. 29. i

4) Sullo scisma del 1159, sui fatti che lo precedettero e che lo segui-
rono cfr. P. Bnzzzi, Lo scisma inter regnum et sacerdotium al tempo di Fe-
derico Barbarossa, in « Arch. della R. Deputazione Romana di Storia Patria è,
LXII (N. S.-vI), 1940, pp. 1-98, che cita anche tutte le opere antecedenti
in riguardo.

49) Per i particolari cfr. Storia di Milano, 1v: Dalle lotte contro il Bar-
barossa al primo Signore (1152-1310), Milano, 1954, pp. 62-70, con la ci-
tazione delle pubblicazioni anteriori più importanti.

s°) Su Rainaldo di Dassel cfr. la biografia — però piuttosto antiquata —
di J. FicKER, Reinald von Dassel, Reichskanzler und Erzbischof von Kóln 1156-
1167, Kóln, 1850. I regesti dei suoi atti sono riportati nell'opera di R. KNir-
PING, Die Regesten der Erzbischófe von Kóln im Mittelalter, 11, 1100-1205,
Publikationen der Gesellschaft für Rheinische Geschichtskunde, xxi, Bonn,
1901. Cfr. anche H. Pnurz, Kaiser Friedrich I., 1, 1153-1165, Danzig, 1871,
pp. 345-348. Recentemente D. von DER NAHMER, Die Reichsverwaltung in
Toscana unter Friedrich I. und Heinrich VI., Aalen, 1965, pp. 30-35, ha
trattato dettagliatamente l'intervento del cancelliere Rainaldo di Dassel
nell'Italia centrale negli anni 1162 e 1163.

$2) Cfr., fra altri, F. von RAUMER, Geschichte der Hohenstaufen und
ihrer Zeit, 11*, Leipzig, 1857, p. 126, PRUTZ, I, p. 348, e W. von GIESEBRECHT,
Geschichte der deufschen Kaiserzeit, v : Die Zeit Kaiser Friedrichs des Roth-
barís, Leipzig, 1880, pp. 382-385. :
33) Orig., Città di Castello, Arch. Capitolare, Pergamene, Decade ri

DT rtm n ES i uius Rome ni ri EAEEUCNGUERNRUN SN ‘e

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DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 41

n. 10. Altre copie del sec. xvi, ibid. Riprodotto fototipicamente da G. Ma-
GHERINI-GRAZIANI, Storia di Città di Castello, 11, Città di Castello, 1910,
tra p. 70 e p. 71. Ed. da J. B. MITTARELLI et A. CostADONI, Annales Camal-
dulenses ordinis Sancti Benedicti, 1v, Venetiis, 1759, App., col. 13-14 n. vir,
da [G. Muzi], Memorie civili di Città di Castello, 1, Città di Castello, 1844,
pp. 14-15, e da MAGHERINI-GRAZIANI, II, pp. 289-290. Reg. K. F. STUMPF-
BnENTANO, Die Kaiserkunden des X., XI., und XII. Jahrhunderts, Inns-
bruck, 1865-1883, (= STuMPr) n. 3988. — Vivissimi ringraziamenti vanno
al prof. H. APPELT e al dr. R. M. HERKENRATH di Vienna per avermi fornito
con squisita gentilezza tutte le notizie in loro possesso sui diplomi di Fe-
de:ico 1 citati in questo lavoro, permettendomi così un proficuo controllo
con le mie annotazioni.

53) Orig. già nell’Arch. Capitolare di Città di Castello, Pergamene,
Decade iu n. 10, oggi a Cologny - Genève (Svizzera) nell'Archivio M. Bod-
mer. Per le copie cfr. l'elenco dettagliato dato da L. SANTIFALLER, .Bemer-
kungen zur Urkunde Kaiser Friedrichs I. für das Domkapitel von Città di
Castello von 1163 Nov. 6 (St. 3988a), in « Archivalia et Historica », Festschrift
für Anton Largiadèr, Zürich, 1958, p. 177. Riprodotto fototipicamente
da MAGHERINI-GRAZIANI, 11, tra p. 70 e p. 71, e da SANTIFALLER, tra p. 176
e p. 177. Ed. da P. ScuEgrrEen-BoicHonsrm, Urkunden und Forschungen zu
den Regesten der staufischen Periode, in « Neues Archiv der Gesellschaft
für àáltere deutsche Geschichtskunde », xxiv, 1899, pp. 165-167, da Ma-
GHERINI-GRAZIANI, II, pp. 291-292, e, con un ampio commentario, da SAN-
TIFALLER, pp. 177-180, che a p. 177 dà la completa bibliografia del diploma.
Reg. SruMPF n. 3988a.

54) Copia del 1246, Sansepolcro, Arch. Vescovile, Pergamene antiche.
Copia del sec. xv, Firenze, Bibl. Laurenziana, Cod. Plut. Lxvi n. 25, fol. 8
segg. Copia del 1542, Sansepolcro, Arch. della Curia Vescovile, Fasc. di
J. B. Cicada, fol. 23 verso-25. Ed. da MITTARELLI et COSTADONI, IV, Ápp.,
col. 10-13 n. vi, e da PRUTZ, I, pp. 448-450, Urkundliche Materialien n. 18.
Reg. Strumpf n. 3989.

55) Orig., Gubbio, Sez. di Arch. di Stato, Arch. Storico Comunale, Perg.,
Busta r, Diplomi Imperiali n. 1. Copia del 1374 maggio 20, ibid., Libro Rosso,
fol. 1-2. Ed. da L. WrILAND, Monumenta Germaniae Historica, Constitutiones
et Acta publica Imperatorum et Regum, 1, Hannoverae, 1893, pp. 309-310
n. 218. Per tutte le altre edizioni, regesti e citazioni cfr. W. HAGEMANN,
Kaiserurkunden und Reichssachen im Archivio Storico von Gubbio, 11, in
«Quellen und Forschungen aus italienischen Archiven und Bibliotheken »,
XXIX, 1938-39, p. 143 n. 1. Reg. STuMPF n. 3990.

** Orig, Roma, Arch. di Stato, Diplomatico, Fondo Gubbio, Bene-
dettini di S. Pietro, n. 1. Copia incompleta del sec. xvir, Gubbio, Sez. di
Arch. di Stato, Arch. Storico Comunale, Arch. S. Pietro, Fondo S. Pietro,
Perg. I 10 n. 1 in Busta 1. Ed. da K. F. SruMPr-BnENTANO, Die Reichs-
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42

CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

kanzler vornehmlich des X., XI. und XII. Jahrhunderts, x11, Acta Imperii
inde ab Heinrico I. ad Heinricum VI. usque adhuc inedita, Innsbruck, 1865-
1881, pp. 682-684 n. 486, e da P. CENCI, Codice Diplomatico di Gubbio dal
900 al 1200, in « Arch. per la Storia Ecclesiastica dell'Umbria », 11, 1915.
pp. 346-347 n. ccruxxiv. Cfr. HAGEMANN, Gubbio II, pp. 143-144 n. 2, per
tutte le altre citazioni di detto diploma. Reg. STruw»r n. 3991.

57) Orig., Arezzo, Arch. Capitolare, Perg. n. 425. Ed. da U. PASQUI,
Documenti per la storia della città di Arezzo nel medio evo, 1, Codice Diplo-
matico (An. 650? - 1180), Documenti di Storia Italiana pubblicati a cura
della R. Deputazione Toscana sugli Studi di Storia Patria, xI, Firenze,
1899, pp. 495-497 n. 367 (per errore di stampa n. 567 !). Reg. STUMPF n.
3992.

55 Su quel diploma cfr. le indicazioni dettagliate date nella nota 61.

59) Copia del sec. xir, Perugia, Arch. Capitolare, Pergamene, B9n:$25;
Copia del 1420, Perugia, Bibl. Comunale, LXXVII Miscellanee, Transsumptus
bullarum papalium et imperialium, fol. 4 verso. Copia del 1574, Perugia,
Arch. Capitolare, Registrum scripturarum ecclesiae Sancti Laurentii cathe-
dralis Perusinae (Libro Verde), fol. 12-13 verso. Ed. da STUMPF-BRENTANO,
in, Acta Imperii, pp. 684-686 n. 487, e da E. Ricci, Un diploma di Federico I
per il Duomo di Perugia, in « Arch. per la Storia Ecclesiastica dell'Umbria »,
1, 1913, pp. 397-400. Reg. StumPF n. 3994.

9) Il testo completo di questo diploma non ci è conservato ; esiste
peró un regesto, comprendente principalmente l'elenco dei beni confermati
dall'imperatore, in due manoscritti dell'Arch. del Seminario di Foligno,
indicati da CENCI, p. 347 n. ccLxxv, che ne pubblica il testo. Reg. STUMPF
n. 3995.

$) Dopo la perdita dell'originale, già esistente in Perugia nell'Archivio
dellAbbazia di S. Pietro, Cass. vin n. 1, ma riprodotto fototipicamente
nell’ Archivio Paleografico Italiano, 113, Tav. 98, esistono ora soltanto le
seguenti tre copie: Copia del sec. xvr, Perugia, Archivio dell'Abbazia. di
S. Pietro, Liber A : Privilegiorum et brevium monasterii S. Pelri, fol. 12 verso-
13 verso; copia del 1623, Liber EE: Perusina beneficiorum processus, fol.
492 verso-495 ; copia del 1640, ibid., Liber F: Beneficiorum, fol. 491 verso-
494. Ed. ultimamente da LECCISOTTI - TABARELLI, I, pp. 93-106 n. xxr,
con tutte Je indicazioni su edizioni anteriori, su regesti e su citazioni di detto
diploma. Reg. StumpF n. 3993 (non n. 2320, come indicato da LECCISOTTI -
TABARELLI).

6) Sulla massa di Vialata cfr. le indicazioni riportate da LECCISOTTI -
TABARELLI, I, p. 84 nota 2.

*3) Sul problema del fodrum richiesto da Federico 1 alla nostra abbazia
cfr. la dettagliata esposizione dei fatti, del resto molto convincente, di
C. Bnuzur, Fodrum, Gistum, Servilium regis. Die wirtschaftlichen Grundlagen
des Kònigtums im frünkischen Reich und in den frünkischen Nachfolgestaaten

m-———Ó DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 43

Deutschland, Frankreich und Italien vom 6. bis zum 14. Jahrhundert, « Kólner
Historische Abhandlungen», xiv, Kóln, 1967, pp. 737-740, con la citazione
delle opere anteriori che trattano tale questione.

1) Copia del sec. xir, Perugia, Arch. di Stato, Arch. Storico Comunale,
Libri delle Sommissioni, Vol. r1 (= A), fol. 35-36. Ed. da F. Banrorr, Storia
della città di Perugia, 1, Perugia, 1843-1845, pp. 253-256, e da J. F. Bón-
MER, Acta Imperii selecta, Innsbruck, 1870, pp. 155-157 n. 168. Reg. STUMPF
n. 4583. — Sono molto riconoscente al dr. G. BAAKEN di Tübingen per le sue
preziose informazioni sui diplomi di Enrico vi citati da me, che mi sono
state di grande utilità.

65) Cfr. TH. ToecHE, Jahrbücher der deutschen Geschichte, Kaiser Hein-
rich VI., Leipzig, 1867, p. 425.

6) Cfr. ToECHE, pp. 425-426.

67) Copia del sec. xir, Perugia, Arch. di Stato, Arch. Storico Comu-
nale, Libri delle Sommissioni, Vol. 11 (= A), fol. 36 verso. Ed. da J. FicKER,
Forschungen zur Reichs- und Rechtsgeschichte Italiens, rv = Urkunden zur
Reichs- und Rechtsgeschichte Italiens, Innsbruck, 1874, pp. 230-231 n. 188.
Reg. J. F. BóHMER, J. FickER e E. WINKELMANN, Regesta Imperii 1198-
1272, v, 1-10, Innsbruck, 1881-1901 (= BFW.) n. 3. Cfr. ToEcnHE, p. 426,
specialmente nota 1, nella quale, come data del diploma suddetto, viene
indicato erroneamente 1195 luglio 8.

6) Cfr. TOECHE, pp. 432-436.

**) Orig., Bibl. Vaticana, Arch. Capitolare di S. Pietro, Capsa x1 fasc. 18.
Inserto nell'originale del diploma dell'imperatore Sigismondo del 1433
maggio 31, ibid., Capsa xi fasc. 18. Ed. da P. ScHEFFER-BorcHorsT, Zizei
Unlersuchungen zur Geschichte der püpstlichen Territorial- und Finanzpolitik,
im «Mittheilungen des Instituts für Oesterreichische Geschichtsforschung »,
rv. Ergáünzungsband, Innsbruck, 1893, pp. 97-98, e da L. SCHIAPARELLI,
Le carte antiche dell’ Archivio Capitolare di S. Pietro in Vaticano, in « Archivio
della R. Società Romana di Storia Patria », xxv, 1902, pp. 352-353 n. rxxxit,
con tutte le altre indicazioni. Reg. STUMPF —.

?°) Inserto nell’originale del diploma dell’imperatore Federico 11 del
luglio 1225 (BFW. n. 1573), conservato ad Arezzo, Arch. Capitolare, Perg.
n. 546, del quale esiste anche una copia del 1273 a Firenze, Arch. di Stato,
Diplomatico, Fondo Castiglione Fiorentino n. 5. Ed. da I. Burani, Vite
de vescovi Aretini descritte, Arezzo, 1638, pp. 58-60, da F. UGHELLI, Italia
Sacra, 1, Romae, 1644, col. 471-469 (!), da F. UGHELLI, Italia Sacra, 1 *,
Venetiis, 1717, col. 420-422, da J.-L.-A. HurLLARD-BRÉHOLLES, Historia di-
plomatica Friderici secundi, 11, 1, Parisiis, 1852, pp. 508-511, da G. Cap-
PELLETTI, Le chiese d’Italia dalla loro origine sino ai nostri giorni, xv,
Venezia, 1864, pp. 120-123, e da U. Pasgui, Documenti per la storia della
città di Arezzo nel medio evo, 11, Codice Diplomatico (An. 1180-1337), Do-
cumenti di Storia Italiana pubblicati a cura della R. Deputazione Toscana
44 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

sugli Studi di Storia oes xiv, Firenze, 1916, pp. 43-44 n. 422. Reg. STUMPF
n. 5041.

1) Orig. , Bibl. Vaticana, Fondo Fonte Avellana, Perg. n. 141. Copia
del sec. XIII, "ibid, n. 141a. Ed. da SruMPr, Acta Imperii inedita, pp. dba
599 n. 428. Reg. SruM»rF n. 5042.

?) Orig., Viterbo, Bibl. Comunale, Perg. n. 996 (Fondo S. Angelo n. 71).
Ed. da F. Bussi, Istoria della città di Viterbo, Roma, 1742, pp. 402- 403,
App. n. x. Reg. SrumpF n. 5044.

73) Orig., Napoli, Bibl. della Società Napoletana di Storia Patria;
Fondo Fusco. Ed. da P. ScHEFFER-BorcHorsT, Urkunden und Forschungen
zu den Regesten der staufischen Periode, in « Neues Archiv der Gesellschaft
für altere deutsche Geschichtskunde » xxiv, 1899, pp. 223-224. Reg.
STUMPF.

*5) Orig., Firenze, Arch. di Stato, Fondo Vescovado di Pistoia. Inserto
nel diploma dell’imperatore Federico rr dell’agosto 1226 (BFW. n. 1672),
conservato in copia del 1226 agosto, ibid. Ed. da F. A. ZACHARIA, Anecdo-
torum medii aevi maximam partem ex archivis Pistoriensibus collectio, Au-
gustae Taurinorum, 1755, pp. 239-240 n. xxi e pp. 246-247 n. xxvi, da
J. M. FiorAvanTI, Memorie storiche della città di Pistoja, Lucca, 1758, Do-
cumenti p. 33-34, da HuiLLARD-BRÉHOLLES, II, 1, pp. 528-531, e da Ca»-
PELLETTI, xvii, Venezia, 1862, pp. 98-99. Reg. STUMPF n. 5045.

'5) Orig., Firenze, Arch. di Stato, Fondo Rondinelli Vitelli. Inserto
nel diploma dell’imperatore Federico 11 del gennaio 1240 (BFW.-), con-
servato in copia del 1246, ibid. Cfr. l'edizione di F. ScHNEIDER, Toscanische
Studien III, in «Quellen und Forschungen aus italienischen Archiven und
Bibliotheken », x11, 1909, pp. 59-61. Copia del 1368 ott. 21, Città di Castello,
Perg. all'anno 1196. Ed. da [Muzi], Meinorie civili, 1, pp. 19-21, da Bón-
MER, Acta Imperii selecta, 1, pp. 191-192 n. 209, e da MAGHERINI-GRAZIANI,
11, pp. 300-302. Reg. SruMPr n. 5046.

'S) Orig., Perugia, Archivio dell'Abbazia di S. Pietro, Cass. viu n. 40.
Copia del sec. xvi, ibid., Liber A : Privilegiorum et brevium monasterii S. Petri,
fol. 16. Ed. recentemente da LECCISOTTI - TABARELLI, I, pp. 106-107 n. xxr,
con tutte le indicazioni su edizioni anteriori, su regesti e su citazioni di detto
diploma. Reg. StumPF n. 5039 (non n. 90555 come indicato da LECCISOTTI -
TABARELLI, I, p. 106).

'7) Orig., Perugia, Archivio dell'Abbazia di S. Pietro, Cass. vii n. 17.
Copia del sec. xvi, ibid., Liber A : Privilegiorum et brevium monasterii S. Petri,
fol. 15 verso-16. Copia del sec. xvi, Perugia, Archivio della Curia Arcive-
scovile, Conventus et monasteria regularium, Busta 1. Copia del 1623, Archi-
vio dell'Abbazia di S. Pietro, Liber EE: Perusina beneficiorum processus,
fol. 495 verso-497 verso. Copia del 1640, ibid., Liber F: Beneficiorum, fol.
494 verso-496 verso. Riprodotto fototipicamente nell’ Archivio Paleografico
Italiano, 111, Tav. 88. Ed. recentemente da LECCISOTTI - TABARELLI, ‘I, DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 45

pp. 107-121 n. xx, con tutte le indicazioni su edizioni anteriori, su regesti
e,su citazioni di detto diploma. Reg. SruMPr n. 5043.

. .?*) Questi fatti risultano dal diploma di Enrico vr del 1196 nov. 3, - sul
quale cfr. le indicazioni dettagliate date nella nota 79.

m ') Orig., Perugia, Archivio dell'Abbazia di S. Pietro, Cass. xi n. 15.
Copia del sec. xvi, ibid., Liber A : Privilegiorum et brevium monasterii S. Petri,
‘fol. 10. Ed. recentemente da LECCISOTTI - TABARELLI, I, pp. 121-122 n. xxiv,
don tutte le indicazioni su edizioni anteriori, su regesti e su citazioni di detto
diploma (però : BòHMER n. 2894, e non n. 2849, come indicato da LECcCI-
SOTTI - TABARELLI, I, p. 121). Reg. STtuMPF n. 5048 (e non n. 5039, come
indicato da LECCISOTTI - TABARELLI, I, p. 121).
«i 8°) Orig. Perugia, Archivio dell'Abbazia di S. Pietro, Cass. vir n. 37.
Copia del sec. xvr, ibid., Liber A : Privilegiorum et brevium monasterii S. Petri,
fol. 10-10 verso. Ed. recentemente da LECCISOTTI - TABARELLI, I, pp. 122-
123 n. xxv, con tutte le indicazioni su edizioni anteriori, su regesti e su ci-
tazioni di detto diploma. Reg. STruMPr n. 5049.

81) Sia citato qui soltanto, per quello, ad esempio, che riguarda l'at-
teggiamento dei cittadini di Perugia nel tempo di Manfredi, la lettera di
questo re a Perugia, probabilmente scritta nella prima metà del 1261. Per
i particolari cfr. BFW. n. 4731. — Per il periodo di Corradino cfr. le in-
teressanti osservazioni di U. NicoLiNI, Un «éonsilium » inedito di Guido da
‘Suzzara e la lotta politica a Perugia nel tempo di Corradino, in « Annali di
Storia del Diritto », vii, Milano, 1964, pp. 349-355.

*) Infatti re Guglielmo di Olanda ha dato due privilegi a Perugia,
ambedue con la data del 1251 apr. 17. Il primo, riguardante una conces-
sione dei diritti della città su Città della Pieve e su Montone, esiste in orig.
a Perugia, Arch. di Stato, Arch. Storico Comunale, Pergamene, Cass. 1,
A n. 6, ed in copia del sec. x, ibid., Libri delle Sommissioni, Vol. 11 (= A),
fol. 148 verso. Fu pubblicato da FickeR, Urkunden zur Reichs- und Rechts-
geschichte Italiens, pp. 430-431 n. 418. Reg. BFW. n. 5035, dove si trovano
citate le edizioni anteriori. Il testo del secondo, riguardante la concessione
di. Castiglione Chiusino (cioè Castiglione del Lago) ci è conservato a Pe-
rügia, Arch. di Stato, Arch. Storico Comunale, Libri delle sommissioni,
Vol. 11 (= A), fol. 148. Fu pubblicato da Ficker, Urkunden zur Reichs-
und Rechtsgeschichte Italiens, p. 431 n. 419. Reg. BFW. n. 5036.
^ $9?) Vedi le numerose concessioni dei papi dei sec. xir e xiv per la nostra
‘abbazia, a cominciare dalla concessione di Onorio im del 1224 dic. 7 (ed.
da LECCISOTTI - TABARELLI, I, pp. 132-134 n. xxvii). — Sarebbe senza dubbio
osa assai meritevole compilare un elenco completo delle bolle papali in
quei secoli in favore di S. Pietro in Perugia, aggiungendo a quelle riportate
da LeccIsoTTI - TABARELLI le altre conosciute soltanto attraverso i Re-
gistri Vaticani.
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CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

SALVATORELLI. — L'esposizione del dr. Hagemann, che io credo
di poter ringraziare a nome di voi tutti, è stata — a me pare — un mo-
dello di come si possa trarre la storia dai documenti diplomatici uffi-
ciali ; per questa via si sale dalla diplomatica alla storia, e in questo
caso il procedimento del dr. Hagemann ha avulo per risultato di allac-
ciare una serie di fili non solo della storia della Abbazia, ma anche della
storia, per esempio, della dominazione imperiale in Italia. Lo ringra-
zio nuovamente. La discussione potrà essere fatta questa sera.

CeccHINI. — Con un piccolo cambiamento del programma, adesso
pisiteremo la Mostra che la Fondazione per l'Istruzione Agraria ha
allestito in un'aula. Poi ci recheremo alla inaugurazione della Mostra
documentaria e iconografica all’Università degli Studi.

29 settembre 1966, ore 17

Pror. LeopoLno SanpRI. — Nell’assenza del prof. Salvatorelli
ho l’onore di presiedere questa seduta e proseguendo i nostri lavori pre-
go il prof. Giorgio Cencetti dell’ Università di Roma di tenerci la sua
relazione dal titolo per noi quanto mai affascinante : « L’ Abbazia di San
Pietro nella storia di Perugia ».

L'Abbazia di S. Pietro nella storia di Perugia

(Note critiche e diplomatiche sui suoi più antichi documenti)

Certo, l'argomento della mia relazione è bello e affasci-
nante: purtroppo, però, il titolo promette una quantità di
cose che non potranno essere mantenute. Uno studio generale e
completo della storia dell'Abbazia di San Pietro nelle sue relazioni
con la città di Perugia dalla fondazione in poi potrà essere fatto
soltanto quando, oltre i documenti conservati nel suo archivio,
esemplarmente editi da Leccisotti e Tabarelli, avremo rintracciato
ed esaminato, con lunghe, faticose e pazienti ricerche, tutt? gli altri, DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 47

numerosissimi, che sono conservati negli archivi Perugini, e in primo
luogo nell'Archivio di Stato, da cui provengono alcuni dei più gu-
stosi fra quelli che abbiamo visto esposti stamani nell'aula magna
dell'Università. Vi chiedo perdono, dunque, se, invece di fare quella
scorsa su tutta la storia dell'abbazia che voi forse vi aspettavate e
che io purtroppo non sono in condizione di darvi, mi limiteró a ri-
prenderne in esame alcuni punti, in buona parte già egregiamente
trattati dai due relatori che mi hanno preceduto, per vedere se é
possibile spremere ancora qualche cosa dai documenti dei quali ab-
biamo conoscenza.

Il primo di quei punti è proprio la fondazione dell'abbazia. Per
tradizione è attribuita all’anno 966, e infatti noi siamo qui per cele-
brare il suo millennio : sennonché i due benemeriti editori delle
carte di San Pietro hanno gettato una grossa ombra su questa data.
Hanno osservato, come stamane è stato fatto notare dall’illustre
amico e collega Morghen nella sua ampia e penetrante disamina dei
documenti pontifici conservati nell’archivio abbaziale, che difficil-
mente la bolla di esenzione dalla giurisdizione episcopale, oggi per-
duta ma emanata certamente da un papa Giovanni, difficilmente
può essere attribuita a Giovanni xin. Noi ne abbiamo notizia ta-
traverso un giudicato di papa Silvestro 11, del 1002, il cui testo, di
tradizione incerta, è sicuramente corrotto. Per decidere la contro-
versia fra il vescovo perugino Conone che rivendicava la giurisdizione
episcopale sull'abbazia e i monaci di S. Pietro che la negavano, il
papa ordina a costoro di esibire i documenti in base ai quali essi se
ne ritengono esenti. Il giudicato, redatto, come tutti gli altri docu-
menti del genere, in forma narrativa, pone in bocca a Silvestro l’or-
dine: «veniant privilegia nostrorum antecessorum paparum, et
his perlectis censeant fratres coepiscopi quae sit aequitatis recti-
tudo ». E continua : « Prolatis ergo in medium privilegiis, Iohannis
scilicet papae atque Gregorii, eius successorum, ac omni synado
perlectis », il papa e i vescovi, presa visione del consenso all'esen-
zione prestato dal predecessore di Conone, danno ragione al mona-
stero e il vescovo si obbliga con giuramento a non molestarlo. Senza
dubbio, la parola «successorum », priva di senso, va emendata 1) :
Leccisotti e Tabarelli pensano di poter sostituire al plurale il singo-
lare « successoris », riferendo il genitivo «eius » a Giovanni. Gregorio
non può essere altri che Gregorio v, il quale pontificó dal 996 al
999 e fu successore immediato di Giovanni xv (985-996): a lui,
perciò, piuttosto che a Giovanni xin deve attribuirsi il primo pri-
48 ‘ CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

vilegio per S. Pietro, la cui fondazione va dunque spostata in avanti
di una ventina o una venticinquina di anni rispetto alla data tra-
dizionale.

A questo argomento se ne può aggiungere un altro. Se, come ha
fatto stamattina Hagemann, si combinano insieme il diploma del-
l’imperatore Corrado 1 del 1027 con quello di Enrico mi del 1047,
si ottiene l'elenco completo degli imperatori e dei papi che hanno
privilegiato il monastero fino al 1047. Corrado conferma tutte le
concessioni dei suoi predecessori, «Ottonis videlicet secundi atque
tertii necnon et beate memorie nostri predecessoris Heinrici, seu et
pontificum Romanorum, Iohannis siquidem, Gregorii, Silvestri,
itemque Iohannis, Sergii, Benedicti » ed Enrico, dopo aver aggiunto
agli imperatori anche il nome del padre suo, continua l’elenco dei
papi : « Iohannis, Benedicti, Gregorii, presentis domini Clementis » :
cioé, per esser chiari, Giovanni (se e il xv, dal 985 al 996), Gregorio
v (996-999), Silvestro 11 (999-1005), Giovanni (probabilmente xVIII,
1003-1009), Sergio rv (1009-1012), Benedetto viu (1012-1024),
Giovanni xix (1024-1033), Benedetto rx (1033-1044), Gregorio
vi (1044-1046), Clemente r1 (1046-1047). Di questi dieci documenti
solo quattro sono pervenuti fino a noi, quello di Silvestro 11 (1002),
quello di Benedetto vi (1022), quello di Benedetto rx (1056) e
quello di Gregorio vi (1045), ma di fronte alla chiarissima testi-
monianza dei due diplomi, che possediamo ambedue in originale,
non è certo possibile dubitare dell'esistenza anche degli altri sei.
Ci sono poi pervenuti altri quattro privilegi, uno, del 1052, di Leone
1x (1049-1054), uno, del 1057, di Stefano x (1057-1059), uno, del
1059, di Nicolò rm (1059-1061) e uno, del 1065, di Alessandro ri
(1061-1073). Sono dunque rappresentati tutti i papi che si successero
nella cattedra di S. Pietro dal 996 al 1073, con le sole eccezioni di
Giovanni xvi, che, consacrato a metà febbraio del 1003, nel dicem-
bre di quell’anno era già morto; di Damaso ri, eletto il giorno di
Natale del 1047, consacrato il 17 luglio del 1048 e morto 23 giorni
dopo, e di Vittore 11, che pure ebbe pontificato breve (consacrato
nell'aprile del 1055, muore nel luglio 1057) ?). Non diverso risultato
si ottiene esaminando l'elenco degli imperatori: sono superstiti
soltanto i diplomi di Corrado rr e di Enrico mi, ma ne esisterono
di Ottone 11, di Ottone 111 e di Enrico 11, né ci sentiremmo di esclu-
dere che ne fosse esistito anche uno di Enrico rv, il quale potrebbe
aver seguito poi la sorte (che supporremo più avanti) di tutte le
carte di quell’epoca. I monaci di S. Pietro avevano, dunque, consue- DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 49

tudine di chiedere ad ogni nuovo papa e ad ogni nuovo imperatore
la conferma dei loro privilegi. Perché, allora, essi avrebbero omesso
di fare quella richiesta ai successori di Giovanni xir fino a Sil-
vestro rr (se non a Benedetto vr, a Dono mr e a Giovanni xiv,
dal pontificato brevissimo, quanto meno a Benedetto vir e a Gio-
vanni xv)? È più verosimile supporre che la bolla di fondazione,
o meglio la prima concessione di privilegi, sia di Giovanni xv e
non di Giovanni xri.

E, infine, un terzo argomento. Non solo testi agiografici, come le
Vite pubblicate dal Mabillon e dai Bollandisti, ma anche precisi
testi diplomatici (alludo al diploma di Corrado rr) assicurano che il
fondatore e primo abate del monastero di S. Pietro aveva nome,
appunto, Pietro. Destinatario del privilegio di Benedetto viu, del
1022, è ancora un abate Pietro, che Leccisotti e Tabarelli identifi-
cano col fondatore, appartenesse o no, come vuole la tradizione, alla
famiglia Vincioli. Se l’identificazione è esatta, appare molto difficile
sostenere la data del 966 per la fondazione del monastero : Pietro
sarebbe stato abate non meno di 56 anni, e ciò sembra poco vero-
simile. Se, invece, quella fondazione si riporta ai tempi di Giovanni
xv, la sua carica abbaziale avrebbe avuto durata di una venticin-
quina d'anni, cosa tutt'altro che impossibile.

Tutto ciò contribuirebbe a rafforzare i dubbi suscitati dagli
editori delle carte di S. Pietro, quando notano contraddizioni fra le
due Vite del beato fondatore e aderiscono all’opinione di coloro i quali
pongono la successione del vescovo Onesto, che favori la nuova isti-
tuzione, patrocinandone personalmente il riconoscimento presso
il papa, all'anno 998-999. Tuttavia, mi sembra, rimane ancora qual-
che osservazioncella da fare. Innanzi tutto, l'emendazione « succes-
soris » proposta per il giudicato di Silvestro rr potrebbe non essere
incontestabile. Uno scambio di plurale per il singolare puó capitare
a tutti, ma qui sembra privo di giustificazione. Sembrerebbe piü
facile supporre che, prima .di « Gregorii », il distratto scriptor abbia
saltato uno o due nomi e che il testo originario fosse, invece, « Iohan-
nis scilicet papae atque ( Benedicti et ) Gregorii eius successorum ».
Oppure (e forse con maggior probabilità, perché nelle carte succes-
sive non si fa mai menzione di un ipotetico privilegio di Benedetto
vi) che il medesimo scriptor intendesse ripetere la parola « ante-
cessorum » : in questo caso l’« eius » andrebbe riferito non a Giovanni,
ma a Silvestro, che presiedeva il sinodo. Allora il documento par-
lerebbe soltanto, genericamente, di predecessori di Silvestro e sa-

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50

CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

rebbe assai meno perentorio di quanto risulterebbe accettando
l'emendazione Leccisotti-Tabarelli ?).

E c’è ancora qualcosa. Dal diploma di Corrado rr: sappiamo di
sicuro che anche Ottone ir rilasciò un privilegio al monastero di
S. Pietro. Oggi è perduto e ne ignoriamo la data : è possibile che ap-
partenesse a quegli anni 980-983 in cui quell’imperatore fu in Ita-
lia e concesse una lunga serie di privilegi a molte abbazie italiane
(Farfa, Montecassino, S. Vincenzo al Volturno, S. Andrea di Ra-
venna, S. Sofia di Benevento, S. Salvatore di Pavia). Lo ha già
detto stamattina Hagemann e sono lieto di questa sua autorevole
conferma preventiva a quel che avevo intenzione di dirvi io oggi,
aggiungendo (sia pure con un grosso punto interrogativo) che in
Italia Ottone 11 era già stato proprio (pare) nel 966, e nel 967 era
intervenuto al concilio di Ravenna, insieme col padre Ottone 1 e
appunto, col papa Giovanni xir. L'aggiunta è fatta con un grosso
punto interrogativo perché, per quante spiegazioni si possano im-
maginare, sembrerebbe certo molto strano che, per ottenere un
privilegio, un monastero si rivolgesse al giovane co-imperatore
piuttosto che al ben piü autorevole e potente padre suo e rinuncio
perció senz'altro a proporre il 966-67 come data del diploma di Ot-
tone 11 per S. Pietro di Perugia : ma ci son date che non hanno in-
terrogativi, e fra queste una é il 983, che segna la morte di Ottone
ri e un’altra è il 985, che è l'anno dell'elezione e della consacrazione
di Giovanni xv. Di qui non s'esce : se il privilegio di papa Giovanni
è di Giovanni xv, non può non essere posteriore a quello di Ottone
11: è più facile, invece, supporre che il privilegio pontificio abbia
preceduto quello imperiale. E allora il papa Giovanni che lo con-
cesse, escluso Giovanni xtv, del quale non si conoscono più di quattro
documenti, può essere soltanto Giovanni xii.

Un groviglio, dunque, forse inestricabile. Ma un barlume di luce
potrebbe forse apparire se rinunciassimo alla identificazione, propo-
sta da Leccisotti e Tabarelli, di Pietro, fondatore del monastero,
con Pietro abate nel 1027. Essi si fondano sul fatto che le fonti nar-
rative parlano di un solo Pietro e non di due e che — come dicono —
«non si conosce a quest'epoca alcun altro abate di nome Pietro,
mentre tutto il contesto del privilegio di Benedetto vin spinge
a pensare che si tratti dello stesso fondatore»: lo Stefano, che il
Bini, il Puccinelli, il Baglioni vorrebbero successore di Pietro Vin-
cioli, precisandone addirittura gli anni (1012-1024) difficilmente
potrebbe essere stato abate: potrebbe essere stato invece, un coa- DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA DI

diutore del Vincioli, dopo essergli stato compagno al tempo della
fondazione. Questi argomenti sono forse meno solidi di quanto ap-
paia a prima vista. Le fonti narrative (che si riducono, poi, alle
due Vite) sono tarde e la loro autorità è spesso messa in discussione
dai due editori delle carte del monastero; le fonti documentarie
dell’epoca sono scarsissime e il loro silenzio significa perciò ben poco.
D'altronde la morte di Pietro Vincioli è tradizionalmente posta al
1007, sebbene (come avvertono i due dotti benedettini) il Lancel-
lotti e il Puccinelli la ritardino al 1012, e, per quanto scarso possa
essere il valore da attribuirsi alla tradizione, non ci sembra poi molto
minore di quello di una semplice coincidenza di nomi, anzi di un no-
me tutt'altro che peregrino come quello di Pietro. D'altronde, se
il fondatore del monastero e l'abate del 1022 fossero una sola per-
sona, questo sarebbe l'unico predecessore dell'abate Azzone, desti-
natario del privilegio di Corrado 11 nel 1027, e invece il testo del pri-
vilegio medesimo induce a supporne ragionevolmente piü d'uno,
quando l'imperatore conferma « que adquisita sunt prelibato mona-
sterio per sanctum ac venerabilem virum Petrum abbatem, eius-
dem cenobii fundatorem atque suos cunctos successores usque
ad tempora presentis abbatis Azzonis ». Dire, come fanno i beneme-
riti editori delle carte di S. Pietro, che questa potrebbe essere niente
più che una clausola di stile, somiglia un po’ troppo a quello che, in
gergo sportivo, si dice « salvataggio in corner ».

In conclusione, anche se é impossibile negare il peso di alcuni
fra gli argomenti addotti, con elegante finezza, da Leccisotti e Tabarel-
li e rafforzati da osservazioni fatte da me stesso, da tutto il complesso
degli elementi critici affiorati nella ricerca si ritrae l'impressione che
non sia affatto impossibile attribuire a Giovanni xi la prima
bolla a favore del monastero e non risulti alcuna necessità assoluta
di ritardare di una venticinquina d’anni la data tradizionale del
966 per la sua fondazione, con relativa consacrazione nel 969. E acca-
drebbe allora qui un caso raro e peregrino : la celebrazione di un mil-
lenario che cade veramente a mille anni precisi dall’avvenimento
commemorato.

Chiedo ora il permesso di trattenermi ancora un momento sul
periodo della fondazione della nostra abbazia, per rilevare alcune
curiose coincidenze, già notate, o meglio accennate da Leccisotti
e Tabarelli, ma poi (forse con ragione) lasciate cadere senza insistervi
troppo.

Come è noto, alla fine del secolo x1 le abbazie del territorio Pe-
52 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

rugino immediatamente soggette alla Santa Sede ed esenti dalla giu-
risdizione episcopale erano tre: San Pietro di Perugia, San Salva-
tore di Montecorona e Santa Maria di Valdiponte. Anche quest'ul-
tima era stata fondata da un Pietro che ne era stato il primo abate
e anche questa doveva la sua esenzione a un privilegio di un papa
di nome Giovanni, identificato dal Fatteschi in Giovanni xix e dal
Mariotti in Giovanni xir: secondo il primo il documento sarebbe
del 1030, secondo l'altro del 970. E nel giusto il Mariotti, come ha
riconosciuto Vittorio De Donato, editore delle piü antiche carte di
Valdiponte, il quale, richiamandosi all'elenco dei funzionari, impie-
gati e scrittori della cancelleria pontificia fino al 1099 redatto dal
Santifaller, ha identificato in Guido vescovo e bibliotecario, datario
della bolla in questione, e nel suo scrittore Leone scriniario due ap-
partenenti alla cancelleria di Giovanni xir e, fondandosi sull'uso
dell'indizione anticipata, accertata per quella cancelleria, ha cor-
retto in 969 la data 970 proposta dal Mariotti : risultato, del resto,
corrispondente a quello cui era giunto nel 1898 il Kehr, primo edi-
tore del documento.

Anche a Valdiponte, dunque, il fondatore ha nome Pietro e
un abate Pietro é attestato dai documenti nel 1020, e ciò non ha
tanto suggerito quanto fatto vagare per l’aria l’idea della possibilità
che le due abbazie abbiano avuto un medesimo fondatore, Pietro
Vincioli. Ma Leccisotti e Tabarelli hanno respinto la tentazione,
fondandosi sulla testimonianza del vecchio Amatori, il quale asse-
risce che il fondatore di Valdiponte mori nel 1039 e che il suo corpo
giaceva, ancora, ai tempi suoi, sotto l’altare della chiesa. Ma anche
più che da questa nebulosa tradizione (alla quale tuttavia come sem-
pre, non è da negare ogni valore) noi siamo indotti a schierarci coi
due valorosi editori dei documenti di S. Pietro dalla ovvia conside-
razione della grossa improbabilità che una stessa e medesima per-
sona regga contemporaneamente, con lo stesso titolo di abate, due
abbazie ormai considerevoli, se non altro per essere ambedue im-
mediatamente soggette alla Santa Sede, senza che risulti né allora
né poi una dipendenza dell’una dall’altra, anche se in certi momenti
della loro storia hanno avuto qualche vicenda comune.

Mettiamo, dunque, da parte l’idea dell’identità dei due fonda-
tori: rimane, però, sempre il fatto della coincidenza dell’esenzione
dalla giurisdizione episcopale concessa cosi a S. Pietro come a S.
Maria da un papa di nome Giovanni, che è sicuramente Giovanni
xir per Valdiponte e non è affatto escluso (vorrei dire, anzi, è pro-

dire CEN rc ono NUNTII urTer_re- =" TE ES —
. DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 5a

babile) sia ancora lui per S. Pietro. Nulla di straordinario, non sa-
rebbe il primo caso di privilegi dello stesso genere rilasciati dal me-
desimo autore a monasteri dello stesso ordine e per di piü geogra-
ficamente vicini: ma c'é un'altra coincidenza curiosa, che sconcerta
e in qualche modo tormenta: la tradizione vuole che la consacra-
zione della chiesa di S. Pietro sia del 969 e la bolla d'esenzione per
S. Maria e proprio del 969. A questo punto, un diavoletto mi ha
indotto in una tentazione dalla quale, debole peccatore qual sono,
non ho saputo liberarmi e sono andato a dare un'occhiata alla tra-
dizione e al testo della bolla di Giovanni xmi per Valdiponte. La
tradizione è un po’ traballante. Il documento ci è pervenuto in due
copie : una, del 1787, tratta da un’altra copia in pergamena, non si
sa di che epoca, allora conservata nell'archivio dell'abbazia e comu-
nicata al Mariotti dall’abate ; la seconda, anch'essa copia di copia,
eseguita nel 1797 dal Fatteschi. Fatta salva non solo l’onestà, ma
anche la capacità tecnica dei due trascrittori settecenteschi, rimane
tuttavia da constatare che non abbiamo alcun elemento per dare
un qualsiasi giudizio sulla copia di cui si sono valsi e che, nonostante
alcune sconcordanze e alcune varianti, è probabilmente, tanto in un
caso quanto nell’altro, la medesima, cioè quella in pergamena allora
conservata nell’archivio del monastero e oggi non più esistente fra le
sue carte all'Archivio di Stato di Perugia.

Quanto al testo, sono stato colpito da una frase. Dice il papa,
rivolgendosi all'abate fondatore: «quia vero monasterium ipsum
destructum esse videtur, tuo namque studio tuoque labore reedi-
ficare et ad pristinum revocare statum desideramus », eccetera.
Ora, la tradizione ignora del tutto l'esistenza di precedenti costru-
zioni in Corbiniano, dove poi sorse l'abbazia di Valdiponte, e insi-
ste invece molto sull'edificazione della chiesa di S. Pietro sopra
0 presso quanto rimaneva della vecchia cattedrale abbandonata, dopo
il passaggio dell'episcopio a S. Lorenzo. Tutti sappiamo che cosa
può accadere a un documento, specialmente se capita in mano a
qualche monaco o a qualche notaio un po’ spregiudicato ; e se nella
bolla del 969 provassimo un momento a leggere «S. Pietro in Mon-
te Caprario » al posto di « S. Maria in Corbiniano », forse molte cose,
oggi ingarbugliate, andrebbero a posto... ma questa non è più
la tentazioncella di un diavoletto, è la grossa tentazione di un dia-
volone nero. Vade retro, vade retro.

Esorcizzato il demonio, vediamo di continuare a seguire un po' i
documenti del monastero di S. Pietro nella bella edizione di Lecci-
A.

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54 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

sotti e Tabarelli. Come stamane ci ha fatto osservare Hagemann,
essi provano un rapido, continuo, progressivo incremento patri-
moniale e giurisdizionale, attraverso l'acquisizione di possessi che
arrivano un po’ da tutte le parti: sono donazioni di privati (per
esempio quella di Monte Vergnano del 1130), sottomissioni di altre
chiese (come S. Angelo di Limigiano, di cui ci parlerà oggi stesso
don Sensi), concessioni pontificie (quale quella delle decime di Arno,
Civitella e Pilonico, fatta da Nicolò ir nel 1059) e anche di altri
monasteri, prima fra tutti la potentissima abbazia di Farfa, dalla
quale S. Pietro ebbe le chiese di S. Biagio della Valle, di S. Apolli-
nare e di S. Montano, in epoca non precisata, ma tuttavia sufficien-
temente determinata da d. Mauro Bini nelle sue Memorie storiche
manoscritte, nelle quali il degno religioso mescola curiosamente
ingenuità storiche e critiche colossali con intuizioni e procedimenti
accorti ed acuti.

In un passo che riprendiamo dalla pubblicazione fattane da Lec-
cisotti e Tabarelli a commento della bolla di Alessandro 11 del 1065,
egli scrive che da essa « apparisce che Ugone, figlio di Alberico e di
Teulada (nel 1030, come suppone, non so dove e con qual fonda-
mento, il ch.mo Annibale Mariotti) donó al monastero di S. Maria
di Farfa tutti li beni, castelli, ville, servi, ecc., appartenenti alle
sue chiese di S. Biagio della Valle, di S. Montano e di S. Apollinare,
posti nel territorio di Perugia e di Orvieto. Questa donazione fu
fatta a quel monastero, e mentre n'era abate Bernardo vin, come
si ha dalla detta bolla, egli fece cessione dei medesimi e di quanti

altri l'abbazia farfense aveavi aggiunto a Bonizone, abate di S.

Pietro, a titolo di enfiteusi, per l'annuo canone di 12 soldi della mo-
neta di Pavia; questa concessione venne sanzionata e approvata
da Nicolò 11». Tutto ciò è esposizione di fatti, ricavati dall'attenta
lettura della bolla di Alessandro 11 ; ma poi il Bini continua : « Poiché
questo stesso pontefice ebbe dato a favore del monastero nel di
17 febbraio 1059 altra bolla di privilegi ed esenzioni e di conferma
dei suoi possedimenti, fra i quali non vedonsi nominati questi ceduti
dal farfense abate, e poiché Nicolò 11 mori nel luglio del 1061, ne
inferiamo che egli facesse la conferma di tal cessione tra il febbraio
1059 e l’agosto del 1061 ». La conclusione è perfetta, e trova riscon-
tro, sia pure alquanto approssimativo, in una verifica nei documenti
Farfensi, oggi facile a farsi con l'ausilio dell'edizione Giorgi-Balzani
del Regesto di Farfa, ma allora certo meno agevole : da essi, infatti,
appare che quelle chiese erano possesso Farfense nel 1050 e ancora DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 55

nel 1051, data di una bolla pontificia di conferma dei beni dell'ab-
bazia, nella quale sono nominativamente indicate, mentre d'al-
tronde nelle carte il nome dell'abate Bernardo 1 (non vir) si trova
menzionato dal 1050 al 1089. Quello che, invece, è fuori posto, è
il dubbio sull'affermazione del Mariotti: infatti, nel Regesto, Gre-
gorio da Catino ha scrupolosamente trascritto una donazione uni-
versale di tutti i suoi beni nel Perugino fatta da Ugo del fu Alberigo
e da Tedrada all’abbazia nell’ottobre dell’anno vi di papa Giovanni,
indizione v. Gli elementi cronologici sono discordanti, perché l’anno
sesto di Giovanni xix corrisponde al 1029 mentre l'indizione quin-
dicesima, anticipata, porta al 1031: ma fra le due date è esatta-
mente compreso l'anno 1030 indicato dal Mariotti, che aveva, evi-
dentemente, sicura notizia di questa carta.

Chiusa questa disgressione, torniamo al filo del nostro discorso,
che, nell'esame dei documenti, si è arrestato al pontificato di Ales-
sandro rr. Dopo la bolla di questo papa, del 1065, c'é un'ampia la-
cuna, un grosso buco nell'archivio del monastero : non si trova più
neppure una carta per un periodo di mezzo secolo, cioè fino. a un
privilegio di Pasquale 11, del 1115, seguito da uno di Innocenzo
11 del 1137, da uno di Lucio 11 del 1144 e da uno di Eugenio ir. del
1145, tutti giunti fino a noi, sia pure in copia, mentre è perduto
quello, assai più che problematico, di Callisto rr, al quale accennerò
fra un, momento. Se stiamo al materiale di cui abbiamo conoscenza,
dunque, parrebbe che per cinquant'anni i monaci di S. Pietro aves-
sero perduto la secolare abitudine di chiedere a ciascun nuovo pon-
tefice una conferma, generale o particolare, dei loro beni e delle loro
concessioni e l’avessero poi ripresa, mezzo secolo dopo, per otte-
nerne una dal disgraziato papa del pravilegio delle investiture e dai
suoi successori. Assai strano per gente che, nel secolo xir, aveva
fatte, letteralmente, carte false per ottenere il possesso di un ospe-
dale subito fuori la porta di S. Pietro, appartenente in realtà all’or-
dine del S. Sepolcro di Gerusalemme, sorprendendo la buona fede
di Lucio 11 con l’esibizione di una bolla di Callisto rr riconosciuta
pubblicamente e umiliantemente apocrifa da Eugenio nr una tren-
tina d’anni dopo, nel 1150. Tanto strano quanto la parallela man-
canza di ogni documento, per lo stesso periodo, anche nelle carte
dell’archivio Capitolare, notata da Tabarelli e Leccisotti. Ma la stra-
nezza è solo apparente : questo, in realtà, è un fatto che si può con-
statare comune agli archivi ecclesiastici delle città italiane (e son
tutte, o quasi, quelle dell’Italia settentrionale e centrale) che, du-
56 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

rante la lotta delle investiture, aderirono alla parte imperiale e solo
gradualmente, a partire dal ritorno di Urbano n dalla Francia e
dalla sua predicazione della Crociata, tornarono all'ortodossia. Dopo
il concordato di Worms, col ristabilirsi dovunque dell'autorità di-
sciplinare della Santa Sede, i documenti dei rapporti con i papi
scismatici e con gli stessi imperatori erano diventati materiale se
non proprio compromettente (perché quel che era stato era stato e la
memoria dei fatti non si poteva cancellare) quanto meno inutile perché
quegli atti erano invalidi, e per di più molesto perché richiamava
troppo realisticamente il ricordo di un passato che, sí, era esistito,
ma era conveniente fosse dimenticato il più presto possibile : sic-
ché quei documenti furono generalmente «scartati», come oggi
si dice eufemisticamente in linguaggio archivistico, vale a dire
furono distrutti. D'altra parte, atti che riguardassero rapporti con i
pontefici ortodossi o non c'erano perché quei rapporti non c'erano
stati o consistevano in quelle esortazioni, quei rimbrotti e quelle mi-
nacce delle quali abbiamo esempio in tante pagine dei registri di
Gregorio vir, e allora anche questa era roba che non conveniva
conservare: non c'é quindi da meravigliarsi se tanti archivi eccle-
siastici e monastici sono cosí scarsi di documenti per quel periodo.
Caso mai, puó sembrare strano vedere documentato un riacco-
stamento all'ortodossia da parte del monastero di S. Pietro, se non
forse dell'intera città e dell'episcopato Perugino, proprio in,un pe-
riodo in cui, quasi in punto di morte la contessa Matilde (del resto
ormai da anni ritirata dalla lotta) pavido e incerto il papa, avviato
Enrico v verso Roma per farsi incoronare dall'antipapa, a sostenere
l'ortodossia era rimasto Guido di Vienna con pochi altri. Ma qui il
discorso esce dal campo della diplomatica per entrare in quello della
storia e io l'abbandono : ne sutor ultra crepidam. ;
- Come mi sembra aver già accennato poco fa, per quanto poco
numerosi, i documenti di S. Pietro pervenutici sono sufficienti tut-
tavia a mostrare l’alto grado di potenza raggiunto dal monastero
nel primo secolo della sua vita : ma devo aggiungere ora che sarebbe
un errore considerare quella potenza da un punto di vista diverso
da quello economico o tutt'al più da quello delle implicanze neces-
sarie dell'economia con la politica e con il diritto pubblico. S. Pietro
godeva di esenzioni, certo, aveva homines obbligati alla prestazione
di servizi reali e personali diversi, più o meno pesanti secondo i casi,
e questi erano suoi soggetti, sui quali poteva esercitare la sua auto-
rità entro i limiti di ciò che gli era dovuto, ma il suo abate non eser-

MU CNET e LIE eee ene e fe OE o
DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 57

citava giurisdizioni pubbliche, non aveva il placitum e il districtum
sopra gli uomini di un territorio solo perché residenti su quel terri-
torio: non godeva, insomma, di diritti feudali estesi come quelli di
alcuni abati di altri monasteri (per esempio e per non andar troppo
lontani, Farfa) che erano stati investiti di poteri pubblici. E, a parte
gli obblighi imposti ai coloni o agli ascrittizi, sui cui aspetti perso-
nali le carte (intendo dire quelle umbre in genere, perché a San
Pietro non ce n'é) sono piuttosto generiche, anche i due documenti
di assoggettamento che possediamo mostrano impegni assai limi-
tati, dai quali sembra esulare ogni promessa di fidelitas in senso ge-
nerale. Nel 1058 i signori di Limigiano, confermando l'assoggetta-
mento del monastero di S. Angelo fatto dal suo abate a quello di
S. Pietro si limitano a promettere a quest'ultimo di « defendere et
adiuvare te tuosque successores in placito et in pugna contra omnes
homines qui adversus vos et vestrum monasterium insurgere volue-
rint»: null'altro, cioè, che la defensio cui era tenuto qualsiasi alie-
nante di un diritto reale. Più ampi e circostanziati gli obblighi im-
posti ai signori di Vergnano, i quali nel 1130 cedevano quella loro
terra al monastero di S. Pietro e la riavevano in feudo, eccettuata
la chiesa e il castello, ove l'abate si riservava di costruire un borgo
e insediarvi coltivatori. « Et vos predicti donatores — egli dice
omnes insimul fecistis sacramentum ad sancta Evangelia... predic-
tum castellum defendere (segue qui un non da espungere) debetis
per vos vel alios homines, in pace sive in guerra, etiam si inde aliis
hominibus facere voluerimus guerram vos nos adiuvare sine fraude
debetis et quicumque homo, clericus vel laicus de iam dicto mona-
sterio, vel si fuerit in servitio eiusdem monasterii et ad predictum
castellum confugerit, vos recipere debetis et eum defendere quatenus
apud vos malum non patiatur ab illis hominibus illatum ». Come
si vede, qui c'è un vero auzilium militare, ma è soltanto difensivo
e limitato al castello di Monte Vergnano.

Tuttavia, fra esenzioni da una parte e obsequia e servizi dal-
l’altra, il potente monastero finisce col trovarsi in una posizione
che potrebbe forse sembrare un po’ ambigua a noi, ormai avvezzi,
in forza di una secolare elaborazione, alla definizione precisa dei con-
cetti giuridici, ma che era del tutto normale in un’epoca in cui quei
concetti (almeno come li configuriamo noi) erano molto più sfumati
e indistinti, non solo agli occhi del common people, ma forse anche a
quelli dei iudices, dei tecnici del diritto. Non aveva né placitum né
districtio, ma era in condizioni di poter tranquillamente facere guer-
AL.

^ com

58 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

ram, imporre con la forza armata i propri diritti o le proprie pretese,
salvo a risponderne all'unica autorità della quale riconosceva la giu-
risdizione, cioé il Papa, o a cedere di fronte a una potenza maggiore
della propria. E là dove una certa estensione di terra, anche note-
vole, era coltivata dai suoi homines o conditionales si trovava in una
condizione non diversa da quella di un vero e proprio signore feudale.
Questo era il caso, per esempio, di quella Casalina, che costituirà
presto una delle ragioni di lotta e di contrasto col Comune Perugino,
e che, rimasta di sua proprietà per secoli, è oggi sede di un'azienda
modello della Fondazione per l'istruzione agraria, cui fu assegnato
il patrimonio del monastero dopo le leggi di soppressione degli enti
ecclesiastici.

Di questa terra si ha ricordo in un documento datato del 760,
pubblicato prima dall'Amaduzzi nel 1773, poi dal Troya nel 1855 e
spesso citato dagli studiosi, ove si parla di una massa Sane que voca-
tur Casalina, ma si tratta di una confinatio del comitatus (sic!) di
Todi, stabilita d'accordo fra i missi di re Desiderio e di papa Paolo
I, e, a mio credere, quella carta va presa con le molle. In realtà la
prima menzione sicura di Casalina si trova nella conferma fattane,
insieme con gli altri beni del monastero, all'abate Bonizone da Gre-
gorio vi nel 1045, non molto dopo, cioè, che (come apprendiamo dal
diploma di Enrico rr del 1047) era stata donata a S. Pietro da un
papa Benedetto (come in tanti altri casi, non sappiamo se vin o
IX) e poi confermatagli dallimperatore Corrado rm e dallo stesso
Enrico i11 con documenti che non ci sono pervenuti 4). Il monastero
deve aver curato in modo particolare quel suo possedimento, orga-
nizzandolo in curtis difesa da un castrum e doveva portarvi inte-
resse tutto speciale se nel 1196 chiese ed ottenne da Enrico vi che
venisse esentato dall'hospitium, esatto nei tempi precedenti da un
marchese Enrico che né io né, credo, altri sappiamo chi fosse ma pos-
siamo immaginare investito di poteri pubblici dal medesimo impe-
ratore o da suo padre Federico ; e, da quel che seguí, centocinquanta
anni dopo, possiamo pensare anche che quell'immunità, almeno nelle
intenzioni dell'abate, non avesse scopo e contenuto soltanto fiscale.

È lecito, anzi, supporre, che, nel corso del rapido sviluppo eco-
nomico dei secoli xir e xir, la grossa unità territoriale costituita
da Casalina abbia assunto importanza preponderante fra i possessi
del monastero, forse in buona parte erunati e dispersi qua e là nel
Perugino, come ci mostrano i privilegi di conferma dei beni: vi si
trovava riunita una buona quantità di uomini, legati tutti dall'ob-

— (D m e eae ni a Y V air Lunar etm ettet È
DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 59

bligo di prestazioni reali e personali a S. Pietro e, col tempo, via via
più accomunati nel desiderio e nell'interesse di sottrarsi a quell'ob-
bligo ; è facile immaginare che essi, associandosi e dandosi un'orga-
nizzazione, abbiano dato vita effettiva, seppur non ancora legaliz-
zata, a uno di quei comuni rurali ben noti agli studiosi di storia
medievale italiana. Il Bonazzi, nella sua Storia di Perugia, che con-
tinua tuttora ad esser consultata con frutto, spende buone parole
per esaltare l'amicizia e la devozione che Perugia dimostró sempre
per il grande monastero benedettino, e sarà anche cosí, non voglio
affatto negarlo. Ma il Comune cittadino non poteva sottrarsi alle
insopprimibili necessità che erano sue come di tutti gli altri Comuni
italiani : quelle di sostenere i Comuni rurali per comprenderli e assi-
milarli nel suo territorio con un rapporto di comitatinanza, di ri-
durre man mano alla sua unica soggezione tutti gli abitanti del con-
tado appoggiando col suo favore coloro che cercavano di sottrarsi al
servizio di altri che non fosse il Comune medesimo e, infine, di sot-
toporre alla propria giurisdizione tutti coloro che, come feudatari
o come ecclesiastici, ne erano esenti. E proprio su questi fonda-
menti nasce un aspro contrasto fra il Comune e il monastero, sul
quale ha merito di aver attirata l'attenzione degli studiosi la dott.
Marinelli, con un articolo pubblicato alcuni anni or sono nel Bollet-
tino della Deputazione di storia patria, recante in appendice l'edi-
zione di importanti documenti allora non ancora conosciuti nel loro
testo originale.

Premuto da molti e diversi impegni, io non ho avuto (e ne
chiedo: perdono) la possibilità di consultare gli statuti Perugini
del 1279, né nell'originale né nell'introvabile e incompleta edizione
del Fabretti: non so dunque se vi si trovi qualche eco di un favore
dato all'inurbamento dei rustici oltre la nota disposizione, riportata
dal Briganti, per cui si concedeva la cittadinanza a chiunque avesse
tenuto residenza in Perugia per almeno dieci anni: comunque quel
favore esisteva certamente e, verso la metà del Duecento, un certo
numero di uomini di Casalina, non sappiamo se fidenti in quella di-
sposizione o in altre, venne ad abitare in città e a nulla valsero le
proteste dell'abate di S. Pietro, il quale finí per ricorrere al papa.
Dietro sua richiesta, nel 1249, Innocenzo Iv invita piuttosto ener-
gicamente il podestà, il Consiglio e il popolo di Perugia a costrin-
gere quegli uomini a prestare al monastero i servizi dovuti e, con
altro mandato, incarica l'abate di S. Fortunato di Todi di sorve-
gliare l'esecuzione dei suoi ordini, ricorrendo, se ce ne fosse bisogno,


60 CONVEGNO STORICO PER. IL MILLENNIO

alle censure ecclesiastiche, esclusa tuttavia la massima, la scomunica,
che non avrebbe potuto essere pronunciata se non dietro mandato
speciale della S. Sede 5).

Non è possibile sapere quale esito abbia sortito l'intervento di
Innocenzo iv. Sta di fatto, però, che diciannove anni dopo, nel
1268, Clemente rv torna sul medesimo argomento con un mandato
indirizzato al priore di S. Rufino di Assisi, ordinandogli di obbli-
gare il podestà, il Consiglio e il Comune di Perugia a costringere gli
uomini di Casalina a prestare i servizi dovuti a S. Pietro ; stavolta,
però, il linguaggio è un poco diverso. C'é si, l'affermazione, montée
en épingle dal Bini e, sul suo esempio, dagli altri storici Perugini,
che gli abitanti di Casalina sono homines de corpore monasterii e
c'è la condanna della loro emigrazione a Perugia e ad altri luoghi
del territorio Perugino ove erano liberi dagli obblighi servili, ma
l’accento è posto soprattutto sul fatto che essi, sebbene emigrati
e sebbene trasgressori dei loro doveri, pretendevano tuttavia conser-
vare le terre che avevano dall’abbazia : non era ammissibile che otte-
nessero il beneficio della libertà e insieme continuassero a godere
dei loro beni condizionali senza alcuna controprestazione. Perciò
— dice il papa — tornino alla residenza alla quale sono obbligati
«et dicto monasterio in premissis et aliis respondeant ut tenentur
et hactenus sunt facere consueti, vel saltem omnia bona que ab
eodem monasterio in castro et villa predictis eorumque pertinentiis
obtinent omnino dimittant ».

Meno di cosi, mi sembra, era impossibile chiedere : ma gli uomini
di Casalina non cedettero, sostenuti forse dall’inconscia certezza
che il loro torto di oggi era la ragione di domani, e d’altro canto
(a parte la materiale difficoltà di ridurre all'obbedienza un intero
paese) può darsi che qualche più o meno fondato diritto da accam-
pare l’avessero anche loro. Sicché, alla fine, uomini e monastero si
rimisero al giudizio che sarebbe stato pronunciato sulla contro-
versia da un laico, Ranaldo di messer Salomone da Deruta, scelto
come arbitro per comune accordo delle parti. Il suo lodo, reso il 20
agosto 1270, è un lungo documento, conservato in originale nell’ar-
chivio del monastero di S. Pietro e scritto in un latino duro, verboso,
oscuro e tutt'altro che facile da intendere, come mostrano gli errori
nei quali sono caduti quasi tutti quelli che han cercato di riassumerlo
e che (è necessario dirlo) si sono quasi tutti rifatti all’interpretazione
datane dal Bini nelle sue Memorie manoscritte, conservate anch’esse
nell’archivio di S. Pietro.
DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 61

In sostanza, messer Ranaldo che, sebbene non sia designato con
aleun titolo speciale, si rivela tuttavia, nel fatto, un esperto giu-
rista, consumato nella pratica legale, nel suo lodo stabilisce che :
gli uomini e l’universitas di Casalina, coi loro beni mobili e semoventi
siano dichiarati liberi da ogni vincolo di ossequio, di servizi e di
servitü, anzi, secondo la copiosa enumerazione del documento, che
puó esser dovuta certo alla ben nota ridondanza delle clausole nota-
rili, ma è interessante constatare come comprenda soltanto condi-
zioni servili originarie e non pattizie, «ab ipsorum potestate, fide-
litate, dominio, homagio seu singnoria, subiectione et servitute, ab
omni condictione collonaria, censita, abscriptitia et qualibet alia
condictione servili » ;

il monastero conceda a terza generazione agli uomini di Casa-
lina mezzo moggio di terra secondo la misura di Bettona (come è
noto superiore per estensione al solo moggio di Spoleto e inferiore a
quello di tutte le altre città umbre) nelle località di Corrotaldo (presso
Deruta), S. Gualtiero, S. Gregorio, S. Silvestro (sulla sinistra del
Tevere, le prime due a nord, la terza a sud-est di Casalina) e S. Lo-
renzo (che il documento Tudertino obbliga a cercare a sud di Ripa-
bianca, presso il confine con Todi, non fra Ripabianca e Casalina,
come vuole il Bini, e sulle sue orme, la Marinelli) : in ciascuna di que-
ste località saranno sistemate venti famiglie e non più e la distri-
buzione dei singoli lotti alle famiglie sarà fatta dal syndicus dell’uni-
versitas di Casalina ;

in caso di alienazione di alcuno dei detti lotti, dovrà essere
offerta la prelazione al monastero, rifiutata la quale ogni lotto non
potrà essere alienato se non a una sola famiglia, che dovrà assumersi
tutti gli obblighi dell’alienante ;

i frutti di dette terre saranno interamente goduti dai conces-
sionari, contro pagamento dell'annua pensione di un danaro, ma
la metà del raccolto di grano e un decimo degli altri raccolti del pri-
mo anno spetteranno al monastero (e la ragione è evidente : si era
ormai alla fine di agosto) ;

in cambio, gli uomini di Casalina dimetteranno al monastero
tutti i beni immobili in loro attuale possesso e quelli posseduti a
qualsiasi titolo nei sei anni precedenti, prendendo a loro carico
tutte le soddisfazioni dovute per l'eventuale carattere dotale di
taluni dei beni ceduti e rimanendo assolti da qualsiasi obbligo per
i beni che avessero cessato di possedere anteriormente al sessennio,
salvi sempre i diritti del monastero verso le persone estranee al lodo
È cam

62 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

(cioè, penso, i cessionari delle terre alienate dagli uomini di Casa-
lina anteriormente al sessennio), diritti il cui esercizio non deve,
però, danneggiare i Casalinesi ;

dalla cessione sono esclusi i beni siti in Casalina e nel suo ter-
ritorio, di proprietà di persone o di chiese diverse dal monastero di
S. Pietro e concesse in enfiteusi o a livello ai Casalinesi e i beni immo-
bili fuori del castello, costituiti in dote da forestieri a donne sposate
ad uomini di Casalina.

Questo lodo viene a prendere il suo onorevole posto nella sto-
ria delle affrancazioni collettive dei servi della gleba, tracciata esat-
tamente quarant'anni or sono dal Vaccari in un libro rimasto clas-
sico, anche se ha carattere del tutto diverso tanto dalla grande li-
berazione Bolognese del 1256 (che molti, con doppio errore, si osti-
nano a chiamare ancora costituzione « Paradisus ») quanto da quella
Fiorentina degli uomini del Mugello nel 1289, nelle quali il Comune
interviene direttamente con un suo decreto e paga esso il riscatto,
mentre qui sono gli stessi servi che si riscattano coi loro medesimi
beni: non é, dunque, un'affrancazione coattiva, ma una manumis-
sione volontaria e consensuale, anche se collettiva. Peraltro, nono-
stante la formalistica prolissità del documento e il puntiglioso studio
di precisare ogni particolare, che induce il suo redattore ad apposi-
zioni, ripetizioni, involuzioni e (come abbiamo già notato) finisce
con l'ottenere effetto opposto a quello desiderato perché non ge-
nera chiarezza ma oscurità e difficoltà d'interpretazione, molte cose
ci rimangono oscure. Noi tenteremo, comunque, di renderci conto
del significato e del valore di questo lodo, per quanto sarà reso pos-
sibile dall'estrema scarsità dei documenti di cui disponiamo e so-
prattutto dall'assoluta ignoranza in cui siamo dei termini della que-
stione dibattuta fra il monastero e gli uomini di Casalina, i quali,
visto il risultato della loro azione, non dovevano poi essere sprovvi-
sti di attendibili motivazioni giuridiche delle loro pretese. Resta
inteso, con ció, che se qualche conclusione riusciremo a formulare,
essa sarà provvisoria e soggetta a possibili revisioni e modificazioni,
anche profonde, se future, augurabili ricerche d'archivio più ampie,
estese ed approfondite porteranno alla scoperta di nuovi documenti.

Tralasciamo alcune questioni giuridiche, relative, per esempio,
allo status degli affrancati, i quali erano certamente servi (anzi,
secondo un documento pontificio, come abbiamo visto, addirittura
de corpore e non de lerra) seppur titolari di diritti reali, di evidente
origine contrattuale visto che ne avevano la disponibilità, tanto da

- 3 a EET. IS ARS rr] cu esaet -
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DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 63

poterli cedere al monastero stesso e da averli potuti alienare a terzi
cosi nel sessennio precedente al lodo come in tempo anteriore : è
una condizione di cose tutt'altro che peregrina, divenuta comune
da molto tempo, da quando cioè, come è noto, le condizioni dei servi
della gleba e quelle dei liberi conduttori di terre si erano andate via
via sempre piü accostando. E tralasciamo anche le possibili questioni
sul carattere del comune rurale di Casalina che trova, indubbiamente,
pieno riconoscimento nel lodo ma che, seppure in quell'occasione
rappresentato (com’era naturale) da un syndicus, investito di un
mandato temporaneo, si era certamente costituito da tempo, eleg-
gendo regolarmente un massaro o comunque fosse chiamato il rap-
presentante ordinario della comunità, incaricato della sua organiz-
zazione e della tutela dei suoi interessi. Ma perché quello strano
termine del sessennio per le terre che i Casalinesi, avendole alienate
a terzi, erano tenuti a recuperare e retrocedere a S. Pietro, mentre
per quelle alienate precedentemente essi erano esentati dall'obbligo
della retrocessione, mentre il monastero conservava il diritto di re-
cupero a proprie spese e senza alcun carico per gli alienanti ? Dal
punto di vista giuridico, il termine di sei anni non mi sembra dica
assolutamente nulla; storicamente, riporta all'anno 1264, cioè alla
predicazione della crociata contro Manfredi fatta in Perugia e al-
trove dal cardinale Ottobono Fieschi per ordine di Clemente rv,
ma non comprendo proprio quale legame possa esistere tra questo
fatto e le alienazioni di beni livellari degli uomini di Casalina. Può
darsi (anche se non nascondo il mio scetticismo) che un’accurata
ricerca nei fondi ancora inesplorati o malamente esplorati dell'Ar-
chivio di Stato (e sono molti!) possa dare una risposta a questo
interrogativo, ma per ora siamo costretti a confessare esplicita-
mente la nostra ignoranza.

Di una cosa, tuttavia, siamo certi: che si tratta di un episodio
della lotta fra il Comune di Perugia e gli enti ecclesiastici per la giu-
risdizione sul contado. Non è una mia scoperta perché lo ha dimo-
strato la Marinelli fin dal 1953, appoggiandosi giustamente alle
bolle di Innocenzo rv del marzo 1249 e a quella di Clemente rv. del
giugno 1268, anche se le è sfuggita la conferma più palese ed espli-
cita, costituita da un’altra bolla del medesimo Clemente rv, dell'ot-
tobre 1268, che abbiamo vista stamane esposta nell’aula magna del-
l’Università, nella quale il papa (cito il regesto datone nel catalogo)
condanna «i tentativi del capitano del popolo di sottoporre alla propria
giurisdizione un laico abitante nel castrum di Casalina, prende posi-
M EE indi nt rn MÀ

€4 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

zione a favore dell'abate e del monastero di S. Pietro, minacciati
dal Comune nella loro giurisdizione temporale sugli uomini del sud-
detto possedimento monastico e intima al Comune di astenersi per
lavvenire, pena la censura ecclesiastica, da ogni pressione sugli
uomini soggetti al monastero ».

Tenendo presente questa considerazione, alcune clausole dell'in-
tricato compromesso consacrato nel lodo di Ranaldo di ser Salo-
mone acquistano forse un significato che non a tutti è apparso chia-
ro finora. Ancora una volta a differenza delle affrancazioni Bolo-
gnesi e Fiorentine, non sj tratta di un riscatto completo e incondi-
zionato di tutti i servi stanziati su un territorio più o meno ampio,
ma del preciso e determinato numero di cento famiglie (venti per
ognuna delle cinque sedi previste) e non una di più. Cento focolari,
alla metà del secolo xu, sono un discreto stanziamento ed è anche
pensabile che, in pratica, costituissero tutta la popolazione del ter-
ritorio di Casalina : certo, meno di cento erano i capifamiglia che,
nella questione con l’abate, avevano affidata la loro rappresentanza
al syndicus Golato Bentese, giacché nel lodo si considerava la pos-
sibilità di ulteriori adesioni entro l'anno dalla pronuncia (pro hiis
scilicet qui diclum Golatum procuratorem et syndicum fecerunt . . .
vel ipsi procurationi et sindacatui . . . consentierunt aut consentient
cum efectu infra annum a die lati arbitrii). Non è detto, tuttavia,
che non fossero di più e ciò potrebbe dedursi anche dalla recisa e
precisa limitazione del numero degli affrancandi. È possibile imma-
ginare che non tutti i servi del monastero fossero disposti ad abban-
donare le terre che lavoravano per sottrarsi a una condizione che li
obbligava, si, a prestazioni pesanti, come le opere, l’ospizio e, cer-
tamente, le scufie al castello, ma economicamente doveva rendere
pi. del mezzo moggio libero da oneri (che non fossero la simbolica
pensione di un danaro) di cui si contentavano gli affrancati, i quali
d'altronde venivano automaticamente a trovarsi col Comune di
Perugia in rapporto di comitatinanza e perció soggetti anch'essi
a pesi non trascurabili, come la libra, le cólte, la guaita, l'obbligo
di rispondere alle chiamate per le gualdane e le cavalcate. Sicché,
alla fine, il maggior beneficiario dell'affrancamento finiva per essere
il Comune, che si trovava ad avere un certo numero di sudditi in un
territorio fin allora soggetto esclusivamente alla giurisdizione del-
l'abate e per loro mezzo poteva sorvegliarne, limitarne e comprimerne
la potenza. In più, stanziando a S. Lorenzo uomini da lui dipendenti,
otteneva uno stabile presidio del confine con Todi: esattamente ció

MÀ MÀ. A ift ce imr rn DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 65

che, venticinque anni prima, e sempre ai danni del monastero, non
era riuscito ad ottenere Todi verso Perugia.

Ignoriamo il motivo per cui l'abate aveva accettato di sotto-
porre a un laico la decisione della sua vertenza con gli uomini di
Casalina, specie dopo aver guadagnato il valido appoggio della bolla
di Clemente rv dell'ottobre 1268 : del tutto incerto è un pur suppo-
nibile collegamento indiretto con la disposizione accolta poi nella
rubrica 410 degli statuti del 1279, resa nota dal Briganti, per cui
il capitano del popolo avrebbe dovuto accordarsi col vescovo, con
l’arciprete di S. Lorenzo e con gli abati di S. Pietro, S. Salvatore,
S. Paolo e S. Maria Valdiponte perché le cause miste non fossero
trattate in curie site fuori Perugia e fossero decise da due giudici
Perugini, designati l'uno dal Comune e l’altro dal clero. Ci riesce
difficile del pari comprendere perché esso abbia accettate condi-
zioni che recavano il germe di un grosso pericolo per la giurisdizione
su Casalina, in quanto sembra giustificazione insufficiente l'impossi-
bilità di ricorrere alla protezione pontificia in tempo di sede vacante
durante il famoso conclave di Viterbo. In realtà, di quel pericolo il
monastero si era reso conto e aveva cercato di porvi qualche riparo
subordinando l'affrancazione ad alcune condizioni precise: l'espli-
cita inclusione degli alberi, dei molini e di diritti di navigazione sul
Tevere fra i beni che gli affrancati rinunciavano al monastero stesso ;
la rigorosa limitazione delle famiglie affrancate al numero di cento,
divise a gruppi di venti ciascuno in cinque luoghi diversi; la retro-
cessione incondizionata di tutte le terre fin allora coltivate dai servi
che ottenevano l'affrancazione.

Lo scopo della prima clausola é chiaro : per quanto riguarda gli
alberi si voleva ottenere la rinuncia alla cosí detta proprietà degli
alberi separata da quella del suolo, assai frequente in Umbria, spe-
cie per l'olivo e il noce ; per quanto riguarda molini e navigazione,
il monastero intendeva conservare intatti i proventi relativi. La se-
conda potrebbe confermare l'impressione che l'affrancazione, lungi
dall'essere un fatto generale, interessante tutto il territorio di Ca-
salina (come interessava tutto il Mugello, o.per lo meno tutto il Mu-
gello posseduto dagli Ubaldini, l'affrancazione Fiorentina del 1289),
fosse invece un fatto di valore ristretto, limitato a quella sola parte
della popolazione del territorio di Casalina (forse una minoranza)
che, subornata probabilmente da Perugia, l'aveva richiesta o pretesa
e sollecitata con ogni mezzo. Il monastero cedeva, ma, interessato
alla conservazione del castello e dei diritti sui molini e sulle acque

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66 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

del Tevere, ne allontanava gli affrancati dividendoli in piccoli gruppi
facilmente sorvegliabili dagli uomini rimasti in sua soggezione e
— per lo meno nel suo territorio — non permetteva che possedessero
più di mezzo moggio di terra, cioè una misura appena bastante per
campare la vita e non certo sufficiente a creare una potenza econo-
mica (e quindi politica) tale da impensierirlo. Infine, la retrocessione
incondizionata delle terre fin allora coltivate da coloro che avevano
ottenuto l’affrancazione gli garantiva l’avvenire, dandogli la possi-
bilità d’insediarvi uomini fedeli, che al bisogno avrebbero potuto
opporre forza alla forza. Cosi viste le cose, l’espressione homines
franchi de Casalina con la quale gli affrancati, da allora, per qualche
tempo usarono designare se stessi, perde il senso di orgogliosa osten-
tazione della conquistata libertà, che alcuni hanno voluto ravvi-
sarvi per assumere quello, più modesto, di distinzione fra essi e
coloro che erano rimasti in soggezione dell’abate o erano stati da
lui collocati nelle terre cedutegli.

Dal compromesso, dunque, il monastero esce in posizione di di-
fesa, seppure abbastanza forte ; gli homines franchi hanno ottenuto
poco più che la libertà, ma sono all’attacco. A quali episodi abbia
dato luogo questo contrasto ignoriamo del tutto e ignoreremo an-
cora se non verranno fuori nuovi documenti : sola cosa che sappiamo
per certo è che, già prima del 1276, presso S. Gualtiero (almeno
stando a una carta registrata nei Libri contractuum di S. Pietro e
citata da Leccisotti e Tabarelli in una nota al documento xLIX
della loro edizione) e cioè a pochissima distanza dal castello del
monastero, era stato edificato un castrum che sembra venisse chia-
mato castrum de Casalina laicorum. Ciò non poteva andare a
genio all’abate, il quale intentò una questione contro alcuni abi-
tatori di quel castello, richiamandosi alle bolle di Clemente rv e con
ciò rinnegando di fatto il lodo del 1270. Fosse fuoco del suo tempe-
mento o fosse reale gravità delle provocazioni dei «laici », fatto è
che, sebbene la causa seguisse il suo corso davanti all’abate di S.
Rufino di Assisi che ricordiamo appunto esecutore del mandato
del giugno 1268, egli, fatta masnada, assali il castrum laicorum, lo
prese, lo incendiò e fece razzia delle cose dei suoi abitanti. Costoro
ricorsero alla sede Romana e il papa Giovanni xx1 convocó in giu-
dizio davanti a sè l’abate Raniero. Come sia finita la cosa, al solito,
non sappiamo, ma è probabile che Raniero avesse giustificazioni
attendibili e non fosse del tutto dalla parte del torto, se non solo
rimase tranquillamente nel suo ufficio ma, tredici anni dopo, il Co-

iran SET i nt n ___nni eo
DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 67

inune di Perugia lo volle, subito accanto al vescovo, testimonio
della solenne ratifica del trattato di pace con Foligno, decretata
in piazza, a piè delle scale del Duomo, in publica et generali contione
et parlamento comunis et populi Perusini. Il Bini aggiunge anche che
«richiesto per ben due volte in vescovo della sua patria dal capitolo
di San Lorenzo, per ben due volte ei ricusò tal peso » : e sarà benis-
simo, ma, in assenza di qualsiasi citazione documentaria, un tal
rifiuto pute alquanto di «óxoc agiografico e fa arricciare il naso allo
studioso di storia, anche se non restio a concedere un certo valore
alla tradizione.

Con questo episodio siamo alle soglie del secolo xiv, che é quello
in cui il monastero di S. Pietro entra più vivacemente nella storia
di Perugia. Ma di ció vi parlerà il collega Ugolini, il quale ha com-
piuto quelle ricerche che a me non sono state possibili, e io smetto
di abusare della vostra pazienza nel seguirmi in una serie di osserva-
zioni e di considerazioni minute e pedantesche anziché in una pia-
cevole sintesi. Vi prego perdonarmi se, al posto del discorso di uno
storico, che forse vi aspettavate, io vi ho fatto invece assai piü
modestamente, la discorsa di un diplomatista quale sono.

NOTE

1) Secondo il collega ed amico Ovidio Capitani, la lezione è esatta, e si ri-
ferisce ai successori di Giovanni xirr. Gli argomenti che egli adduce sono sug-
gestivi e non mancherò di esporli e di prenderli in esame in un prossimo articolo.

2) Il Capitani mi suggerisce di por mente al fatto, veramente significativo,
che nel diploma di Enrico 11 si faccia menzione di un privilegio di Benedetto
IX, da lui fatto deporre pochi giorni prima, e insieme di uno del suo successore
Clemente 1r, da lui imposto e da pochi giorni consacrato. Pensa, acutamente,
di poter spiegare la cosa col fatto che, probabilmente, redattore del testo
del privilegio fu un monaco di S. Pietro (cf. M. G. H., Dipl., v, p. xxx) il
quale, venuto a Roma col testo bell'e pronto, si adeguò alla situazione nuova
facendosi rilasciare un privilegio anche da Clemente 11, ma a buon conto, non
volle fosse trascurato anche quello del suo antecessore, per quanto caduto in
disgrazia.

3) In calce al documento, come diligentemente annotano i suoi editori, è
la nota, di mano coeva, o quasi, « Iohannis videlicet, Gregorii atque Silvestri »,
piuttosto enigmatica e da mettersi forse in relazione con la preparazione de
68 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

successivo privilegio di Giovanni xvir o, più probabilmente, xvin, citato
nel diploma di Corrado 1.

4) Anche qui, con la consueta acutezza, Capitani mi fa osservare che si
puó seriamente mettere in dubbio l'esistenza di espliciti documenti di con-
ferma di Corrado n e di Enrico 111 prima del diploma del 1047, ove è rile-
vabile una abbastanza chiara contrapposizione fra il papa, che concede no-
minativamente, per iscritto, Casalina al monastero, e gli imperatori, i quali
riconoscono in modo tacito la concessione: «massam Casalini a Benedicto
papa per privilegii paginam datam ... et a patre meo et a me modis omni-
bus... confirmatam ».

5) Non molto tempo prima, nel febbraio 1245, come sappiamo da un do-
cumento del Registrum Vetus di Todi, riassunto dal Ceci nella sua Todi
nel Medioevo, (p. 134 sg.), anche questo Comune aveva cercato di allettare gli
uomini del monastero, invitando gli abitanti di S. Lorenzo di Casalina a sta-
bilirsi nel suo territorio e offrendo notevoli esenzioni fiscali, in cambio dell’ob-
bligo di assoggettarsi alla sua giurisdizione, di costruire un borgo con fosse
e steccati nel luogo che esso avrebbe scelto, di difenderlo e di partecipare alle
guerre e alle cavalcate. Dopo ciò potrebbe sembrare strano che Innocenzo
1v affidi proprio all'abate di S. Fortunato l'esecuzione del suo mandato, ma,
in mancanza di ulteriori notizie, si può supporre che il tentativo di Todi sia
andato fallito.

SanprI. — Il prof. Cencetti con un atto di umiltà ha voluto at-
tribuire al demonio tentatore l’origine degli interrogativi e dei dubbi
che i documenti fatalmente fanno sorgere in noi : il vero demonio è lui.
È evidente che l’analisi che egli ha fatto è quanto mai interessante ;
è evidente che questa analisi attraverso quella che lui chiama « discorso
di un diplomatista » porta al discorso dello storico, perchè la storia
entra per molte vie in questo discorso.

Quindi egli ha aperto a noi molti orizzonti, e ancora una volta ha
dimostrato come l’esame dei documenti così condotto ponga la base della
ricostruzione del fatto storico con più ampie prospettive. Indubbia-
mente questa analisi da lui impostata potrà essere oggetto di ulteriore
esame, e potrà anche essere principio di altre indagini, su quelle serie
di documenti che noi abbiamo e che ancora non sono stati sottoposti
a pari analisi. Egli si è fermato sui documenti di Santa Maria Val
di Ponte : indubbiamente sono documenti fondamentali ; la tentazione
dei raffronti c'è. Questi documenti ci parlano anche di luoghi e di lo-
calità che noi incontriamo nella storia di San Pietro ; quindi ci da-
ranno e ci possono dare quell’aiuto che noi vogliamo. È evidente che
quando verrà aperta la discussione su le lezioni che abbiamo ascoltate DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 69

fino ad ora, quella del prof. Morghen, quella di Hagemann, pericolo-
sissima — state attenti — dal punto di vista storico, perché Hagemann
ha lavorato di fino, e questa di Cencetti, che ancora più dettagliatamente
entra nel vivo non ci mancheranno elementi per un dibattito ampio e
proficuo. Del contributo offerto ai nostri studi, ringrazio, anche a
nome vostro, l’amico prof. Cencetti. Adesso do la parola al prof. Mario
Bellucci, il quale ci parlerà dei rapporti nel sec. xi: tra l'abbazia di
San Pietro e l'ospedale di Porta San Pietro dell' Ordine del Santo Se-
polcro.

Rapporti nel XII secolo fra l'Abbazia di S. Pietro
in Perugia e l'Ospedale di Porta S. Pietro
o del S. Sepolcro

Questa mia breve comunicazione riguardante i rapporti nel
x11 secolo fra l'Abbazia di S. Pietro in Perugia e l'Ospedale di Porta
San Pietro o del S. Sepolcro, va inserita nel quadro di una ricerca
assai piü ampia, concernente gli antichi ospedali locali, per uno
studio approfondito della charitas perugina dall'undecimo al vente-
simo secolo.

Dopo la pace costantiniana la diffusione del Cristianesimo
portó ad una espansione sempre maggiore delle istituzioni ospedaliere,
intese comunemente allora come luoghi di ricovero e di accoglienza
per pellegrini e viandanti poveri.

Mentre tale genere di assistenza rientrava nei compiti dei vescovi
e dei cristiani più dotati di mezzi, l'assistenza agli infermi era di
spettanza dei diaconi, che si recavano personalmente al domicilio
dei sofferenti.

Con il diminuire ed il cessare delle persecuzioni si diffonde
l'istituzione degli xenodochi, che sono i precursori dei moderni
ospedali. Nel rx e x secolo sorgono in gran numero tali istituzioni
sulle strade dei pellegrinaggi verso i grandi santuari, ma è nel pe-
riodo che va dall'undecimo al tredicesimo secolo che si ha la maggiore
fioritura di ospedali, fondati ed amministrati dagli Ordini religioso-
cavallereschi, istituzioni che hanno duplice funzione di ricovero

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70 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

per viandanti e pellegrini e di ospizio per malati poveri. Fra quegli
Ordini ben noti sono quelli dei Cavalieri dell'Ordine di S. Giovanni,
poi di Rodi e di Malta, dell'Ordine del Tempio, dell'Ordine Teuto-
nico, e di quello di S. Lazzaro.

Questi antichi ospedali o xenodochi sorgevano per lo piü in
luoghi ameni, ed avevano sede in edifici spaziosi, costruiti a navata
unica o multipla, talvolta con pianta a croce, godevano di approv-
vigionamento idrico autonomo, ed erano dislocati sulle principali
vie di accesso alle città, proprio in funzione particolare della ospi-
talità, che vi si doveva prestare ai viandanti ed ai poveri pellegrini,
talvolta anche colpiti da malattie.

Perugia, che. nel xvi secolo doveva contare fra le sue mura
oltre 20 di queste istituzioni, fondate sia da Ordini religioso-caval-
lereschi, sia da Congregazioni di tipo claustrale, sia da Conírater-
nite e da Collegi delle Arti, deve i suoi primi ospedali proprio alla
iniziativa di Ordini religioso-cavallereschi.

Fondamentali come fonti di notizie su tale primo periodo della
nostra storia ospedaliera sono appunto due documenti dell'Archivio
di S. Pietro in Perugia.

In un previlegio del 1145 papa Eugenio mi, da Viterbo, con-
ferma a Bernardo, abate di S. Pietro in Perugia, i privilegi ed i pos-
sedimenti dell'abbazia, fra i quali è citato per la prima volta l'ospe-
dale posto davanti a Porta San Pietro «hospitale quoque quod
ante portam Sancti Petri situm est, quemadmodum a predecessore
nostro felicis memorie papa Lucio vobis restitutum est, salvo jure
dominici Sepulchri » !, *, *).

In altro breve, che porta la sola indicazione del giorno e del
mese, ma presumibilmente è del 1150, Eugenio 11, dal Laterano,
ordina la restituzione di detto ospedale di Porta San Pietro da parte
dell'abbazia al rettore dell'ospedale stesso, che viene indicato, con
la sola iniziale P., poichè false sono risultate le lettere attribuite
a Callisto 11, che avevano indotto Lucio rr: nel 1144 a concedere
detto ospedale alla abbazia di San Pietro «salva questione pro-
prietatis y:4, 939062):

I due documenti dell’Archivio di San Pietro in Perugia, riguar-
danti l’attribuzione di detto ospedale all’abbazia, le controversie
sorte per il suo possesso, ed infine la restituzione all’Ordine, suo
probabile fondatore, sono la prima prova documentaria dell'esi-
stenza e dell’attività di un ospedale in Perugia e nel suo territorio ;
siamo a metà del xir secolo, di poco posteriore essendo la citazione DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 71

dell'Ospitale Rivi Cinerarii, attuale Cenerente, nel territorio peru-
gino di Porta S. Angelo, nominato nel libro dei censi della Chiesa
Romana del 1191, fra i vari luoghi soggetti alla Chiesa Romana nel
vescovato di Perugia °).

Questo ospedale di Porta S. Pietro, che viene menzionato come
«nomine Sancti Sepulchri o Sepulchri Jerosolimitani » aveva sede,
come è spiegato nel breve papale davanti alla antica Porta di San
Pietro, cioé non distante dalla Chiesa di S. Ercolano, nel cosidetto
Borgo San Pietro, parrocchia S. Stefano in Castellare, ed era quindi
ubicato, come la maggior parte degli ospedali contemporanei, su
una delle principali vie di accesso alla città, che rappresentava
l’inizio della strada per Roma.

Oltre ai documenti citati, esistenti nell'Archivio di S. Pietro
in Perugia, vanno menzionati anche la lettera di Callisto ir, poi
risultata falsa, con cui si concede al monastero di S. Pietro « hospi-
talem domum sancti Petri», del 1120 circa, riportata dal Kehr 4°),
ed il breve di Lucio rz, del 1144, con cui, esaminate le lettere di
Callisto 1r, viene restituito al monastero di S. Pietro in Perugia
l'ospedale, che é posto fuori porta San Pietro, «salvo jure dominici
sepulchri » anch'esso riportato dal Kehr ).

È evidente dall’insieme di questi documenti lo svolgersi: di
questa controversia fra l’abbazia di S. Pietro e l’ospedale di S. Pie-
tro o del S. Sepolcro, nell’arco di tempo che va dal 1120 al 1150
circa.

La lettera discussa di Callisto r1 ed il breve di Lucio rr pur
con un intervallo di circa venti anni, hanno per oggetto la resti-
tuzione dell'ospedale all'abbazia, restituzione confermata dal pre-
vilegio di Eugenio mi del 1145. Pur tuttavia è importante sotto-
lineare come sia nel documento di Lucio 11, sia in quello di Euge-
nio II, del 1145, è contenuta la frase « salvo jure dominici Sepulchri ».

Nel breve di Eugenio ir più tardo (circa del 1150) l'ospedale
viene invece restituito al rettore dell'ospedale, indicato con la sola
iniziale P., dopo un accenno alla controversia in atto fra abbazia
ed ospedale che il rettore richiedeva in possesso, « nomine Sepulchri
Jerosolimitani ». Nel breve papale si precisa inoltre che nell’edificio
di detto ospedale non debba avere sede alcuna famiglia religiosa
e si stabilisce che gli abitanti di Perugia e del borgo non vi siano
accolti nè in vita, nè dopo morti, con la sola eccezione che se qualche
abitante vi sia costretto a soggiornare per la sua povertà e vi deceda,
non gli debba essere negata la sepoltura. Si precisa inoltre che un
72 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

solo sacerdote ne offici la chiesa « sub obedientia magistri Sepulchri »,
quasi a sottolineare l'autonomia dell'ospedale e dell'Ordine fondatore.

La citazione « nomine Sepulchri Jerosolimitani » e le analoghe,
contenute negli altri documenti, farebbero pensare che a fondare
tale ospedale fosse stato l'Ordine del Santo Sepolcro, ordine che
ebbe nel xvi secolo il suo Gran Magistero in Perugia, negli edifici
annessi a San Luca, ma in contrasto con tale opinione sta il fatto
che tale ordine sia stato fondato da Enrico nr d'Inghilterra nel
1174 o 1176, quindi posteriormente al periodo di tale controversia.

Il Tarulli, nei suoi Documenti per la storia della medicina in
Perugia emette l'ipotesi che l'ospedale sia stato fondato dai canonici
del Santo Sepolcro, fuggiti da Gerusalemme, e stabilitisi in Pe-
rugia ??).

Né é da escludere con sicurezza l'ipotesi che l'ospedale fosse
stato fondato ed amministrato dai Cavalieri dell'Ordine Geroso-
limitano o di S. Giovanni, conosciuto piü tardi come ordine dei
Cavalieri di Rodi e di Malta.

L'esistenza e l'attività di questo ospedale assumono contorni
sempre piü imprecisi nel secolo posteriore : nel 1231 la trascrizione
di alcuni atti trovati in lettere papali, viene effettuata da Andrianus
magistri Francisci de Perusia, de Burgo Sancti Petri et parochie
E Hospitalis, notaro per autorità imperiale 1°)
= Il di Note catastali più tarde, della fine del tredicesimo secolo, men-
| zionano una parrocchia Hospitalis Sancte Crucis, con riferimento
ad un ospedale, che secondo il Bini, nelle sue memorie del Monastero
di S. Pietro 4), potrebbe essere identificato con quello cosidetto di
Porta S. Pietro o del S. Sepolcro, da noi menzionato, e sito in pros-
simità della omonima Chiesa di S. Croce in Borgo S. Pietro (in edi-
ficio non più esistente).

Anche se sullo sfondo turbinoso ed affascinante della vita del-
l’abbazia di S. Pietro permane imprecisa la fisionomia storica di tale
ospedale, ed incerti la sua ubicazione ed il suo destino, pur tuttavia
non va sottovalutato il contributo storico che i documenti menzio-
nati, esistenti nell’archivio dell’abbazia stessa, offrono per una mag-
giore conoscenza della storia ospedaliera della nostra città.

o DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA "23

NOTE

1) LEccIsoTTI T.-TABARELLI C., Le carte dellArchivio di S. Pietro in
Perugia, Milano, 1956, xvi, p. 82.

?) Kzun, Italia Pontificia, p. 71, n. 27.

3) JAFFÈ LoEWENFELD, n. 8739.

*) LECCISOTTI T.-TABARELLI C., OD: Cli, C. XX. D: 9T.

*) TARULLI L., Documenti per la storia della medicina in Perugia, in
« Boll. Dep. St. Patria per l'Umbria», Vol. xxv, p. 163.

*) KEHR, Italia Pontificia, p. 71, n. 29.

°) PFLUGK-HARTTUNG, Acta pontificum romanorum inedita. « Urkunden
der Paepste », Graz, 1958, 11, 348, n. 396.

8) JAFFÈ LoEWENFELD, n. 9396.

*?) MARIOTTI A., Compendio di memorie istoriche di Castelli e Ville di
Perugia : territorio di Porta S. Angelo.

10) KEHR, Italia Pontificia, p. 70, n. 23.

11) KEHR, op. cit., p. 71, n. 26.

13) TARULLI L., Doc. per la storia della medicina in Perugia, in « Boll.
Dep. St. Patria per l'Umbria », vol. xxv, p. 163.

13) TARULLI L., op. cit., vol. xxv, p. 204.

14) MARIOTTI A., op. ms., citato da TARULLI L.

14) BeLFORTI G.-MaRIOTTI D., Illustrazione storico-topografica della città
e del territorio di Perugia, ms. 1421 della Biblioteca Augusta, c. 349 v.

15) BiNI P., Memorie del Monastero di S. Pietro, ms. in Archivio di S.
Pietro, pp. 22-23.

SANDRI. — Ringrazio il prof. Bellucci per la chiara esposizione
fattaci di un particolare aspetto della storia ospitaliera di Perugia e dei
suoi rapporti con il Monastero di San Pietro, il quale monastero che
finora abbiamo conosciuto di non altro preoccupato che di vedere rico-
nosciuli i suoi privilegi, le sue esenzioni, le sue proprietà, una volta
tanto pianta delle grane per esercitare la carità : e questo torna a onore
del monastero. Ringrazio quindi il prof. Bellucci di questa nota ch'egli
ha portato nella ferrea analisi diplomatica che fino a qui è stata fatta
dei documenti. Adesso do la parola a don Mario Sensi, il quale ci for-
nirà delle precisazioni sulle vicende di una abbazia dipendente tempo-
raneamente da San Pietro di Perugia, cioè dall’abbazia di S. Angelo

di Limigiano della quale abbiamo già sentito parlare, ma soltanto di
scorcio.
CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

S. Angelo di Limigiano

Abbazia temporaneamente dipendente dal Monastero di 5. Pietro
di Perugia

Il monastero di S. Angelo sorgeva in diocesi di Assisi, all'interno
del castello di Limigiano sito tra Cannara, Cantalupo e Collemancio,
a circa due chilometri da Cannara. Attualmente é trasformato in
chiesa parrocchiale il cui titolare è l'abate commendatario di Sasso-
vivo, l'Arcivescovo di Spoleto.

Del monastero stese una breve storia lo Iacobilli nella Cronica
del monastero di Sassovivo *). :

L'autore probabilmente a quel tempo non conobbe le carte del-
l'archivio di S. Pietro di Perugia, ed avendo trovato tra le carte
di Sassovivo una enfiteusi di un campo sito «infra commitatum
Assisinatem, in loco dicitur Insula de Cannaio» fatta nel maggio
del 1170 da Vittone abate di S. Angelo di Limigiano a favore di
Gilio e Gillero presbitero, figli del q. Lucero *), documento che lo
Iacobilli reputò il più antico tra quelli riguardanti S. Angelo, cre-
dette che la data di fondazione fosse di pochi anni anteriore al docu-
mento. Nello stendere cosi la Cronica, scrivendo della morte di Mi-
chele abate di Sassovivo avvenuta nel 1163 e dell'elezione del suo suc-
cessore Attone, colse l'occasione per accennare alla fondazione del
monastero di S. Angelo: « Intorno a questo tempo, scrive l'autore,
fu edificato il monastero di S. Angelo nel castello di Limisano nella
diocesi di Assisi, sotto l'Ordine di S. Benedetto » *). Cosi la data
1163 veniva dall'autore presa come termine di riferimento abbastanza
vago.

Quando otto anni dopo compilò il terzo volume delle Vife de’
Santi e Beati dell' Umbria conobbe almeno un transunto delle carte
di S. Pietro, come si puó arguire dalle note marginali e, benché al
n. 20 del catalogo dei monasteri pose S. Angelo di Limigiano tra le
dipendenze di S. Pietro di Perugia ‘), al n. 47 del medesimo cata-
logo, l'autore riprese quanto precedentemente aveva scritto nella
Cronica, tralasciando il particolare cui l'anno 1163 si riferiva e attri-
buendo la fondazione agli stessi castellani di Limigiano : « Il mona-
stero di S. Angelo nel castello di Limigiano nella diocesi di Assisi,
fu circa l'anno 1163 eretto dagli huomini di detto castello, i quali

I DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 75

vi introdussero i monaci neri dell'Ordine di S. Benedetto et hebbero
sotto questo loro monastero molte chiese nella diocesi di Assisi » *).

Il Lubin nella sua storia delle abbazie d'Italia ripeté senza al-
cuna preoccupazione critica, quanto lo Iacobilli aveva affermato
nel n1 volume delle Vite 9). à;

Fu il Galassi il primo ad avvertire l'errore in cui lo Iacobilli era
caduto, riscontrando tra le carte di S. Pietro di Perugia sotto l'anno
1058 una donazione dove si dice che Adamo, abate di S. Angelo di
Limigiano, offre il monastero stesso all'abbazia di Perugia *).

Successivamente il Bini nelle sue Memorie storiche di S. Pietro di
Perugia riprese quanto il Galassi aveva scritto e cercó di conciliare
i documenti del monastero di S. Pietro con quanto lo Iacobilli aveva
affermato, tuttavia sottovalutó la serie ininterrotta degli abati,
pur fatta notare dallo Iacobilli 9).

Molto drastico fu invece il Kehr nei confronti dello Iacobilli :
«Errat itaque Jacobillius, qui narrat monasterium hoc erectum
esse circa a. D. 1163 ab hominibus castri Limisani », scrive l’autore
nell'7talia Pontificia e questa è forse l’unica volta in cui l'autore
contesta apertamente un errore dello Iacobilli, che pure cita così
sovente ?).

Recentemente si è interessato dell'argomento Pier Lorenzo Me-
loni al Convegno di Studi Umbri svoltosi in Gubbio nel maggio
1965 39):

L'autore fa notare nello Iacobilli il difetto di riscontro nella sua
stessa opera e parla di «giustapposizione di notizie contrastanti
accolte da fonti diverse ».

Mi sembra di poter ridimensionare la critica mossa allo Iacobilli,
basandomi sui seguenti punti:

1) La data 1163 segna la morte di Michele 11 abate di Sasso-
vivo e l'elezione del suo successore Attone, mentre per lo Iacobilli,
nell'opera Cronica di Sassovivo, rimane termine di riferimento ab-
bastanza vago per la fondazione di S. Angelo.

2) I documenti esibiti dallo Iacobilli nella Cronica trovano
riscontro tra le carte di Sassovivo, fatta eccezione di qualche varia-
zione di data appena insignificante.

3) Le brevi notizie su cinquanta monasteri umbri nel terzo
volume delle Vite, dovevano servire per successivi lavori: per que-
sto furono stese con una certa celerità e a ció dobbiamo l'impreci-
sione e la giustapposizione di notizie contrastanti nell'ambito della
stessa opera.
CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

4) Le carte di Sassovivo e quelle di S. Pietro non sono contrad-
dittorie, ma si completano a vicenda e ci permettono di conoscere
le vicende del monastero di S. Angelo dal sec. xr al sec. xvir, pur
lasciando dei punti oscuri.

VICENDE DEL MONASTERO

Il monastero di S. Angelo è menzionato la prima volta come di-
pendenza dell’abbazia di S. Pietro di Perugia nella già ricordata do-
nazione fatta il 4 ottobre 1058 allorchè Adamo, abate di S. Angelo
con il consenso dei suoi monaci: Adamo prepositus, Leto e Dome-
nico presbiteri, offrì il monastero e le sue possidenze a Bonizzone
abate di S. Pietro !), donazione che fu confermata nella stessa data
da Saraceno, Bernardo e suo figlio Alberico, signori del luogo, pro-
mettendo di difenderla contro gli usurpatori ?).

Non conosco i motivi che spinsero l'abate Adamo a sottomet-
tere il monastero all'abbazia di S. Pietro, ma nella diocesi di Assisi
trovo altri esempi simili di sottomissione *°).

La donazione fu confermata successivamente dai pontefici Ni-
coló 11 nel 1059, Alessandro rr nel 1065, Pasquale rr nel 1115, In-
nocenzo 11 nel 1137, Lucio rr nel 1144, Eugenio ri1 nel 1145 15).

Passeranno ottantasei anni da questa ultima conferma prima
che il monastero di Limigiano ricompaia tra le chiese dipendenti
da S. Pietro. Non lo menziona infatti il precetto di Federico 1 del
1163, né il privilegio di Enrico vi del 1196 !$), ma riappare soltanto
nella bolla di Gregorio rx del 1231: «Monasterium Sancti Angeli
in comitatu Asisinato, in loco qui dicitur Limisanus, cum cellis, ca-
pellis et omnibus suis pertinentiis »; ed è questa l'ultima menzione
del monastero tra le carte di S. Pietro 1).

Tuttavia bisogna far notare che nel 1231 il monastero di Limi-
giano era sicuramente indipendente e, poiché la serie degli abati
sembra ininterrotta, é improbabile un ritorno, pur breve, alle di-
pendenze di S. Pietro : cosi il documento di Gregorio rx deve inter-
pretarsi o come una ripetizione degli antichi privilegi e possessioni,
senza alcuna pregiudiziale nei confronti del monastero di Limi-
giano, o come una continuazione del patronato su Limigiano. Del
resto rimane ancora oscuro come e quando il monastero di S. Angelo
divenne indipendente dall'autorità degli abati di S. Pietro. Sembra
tuttavia che la data sia compresa tra il 1145 e il 1170, anno in cui
ra le carte di Sassovivo compare un Vittone, abate di S. Angelo. DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 74

Il periodo dell'indipendenza del monastero duró fino al 1333,
allorché il monastero fu unito a Sassovivo "). Di questo periodo
conosciamo i nomi di alcuni abati che ressero il monastero 18).

Serie degli abati. — 1170: Vittone. A nome del monastero concede
nel maggio di detto anno in enfiteusi a Gilio e Gillero presbitero,
figli del q. Lucero un appezzamento di terra, di proprietà del mona-
stero per costruirvi un edificio con fondo, appezzamento posto «in-
fra commitatum Assisinatem, in loco qui dicitur Insula de Cannaio »,
nelle vicinanze del fiume Timia 19).

1184: Raniero. Il 14 aprile 1184 Lucio nr con bolla « Religio-
sam vitam eligentibus » diretta a Raniero, abate di S. Angelo, acco-
glieva il monastero sotto la protezione della Sede Apostolica, con-
fermava la regola di S. Benedetto, i possedimenti, il diritto di acco-
gliere i novizi, la libera sepoltura e il diritto di eleggere l’abate in
caso di vacanza °°).

1194: Bonante. Nell'aprile del 1194 l'abate, chiamati a sè al-
cuni uomini fidati procedette alla ricognizione delle terre del mona-
stero e al rinnovo dei contratti ?!).

Non sappiamo quando il monastero di Limigiano ottenne l’esen-
zione dalla giurisdizione vescovile. Nel 1198 S. Angelo, come gli
altri monasteri assisani figura soggetto alla giurisdizione del vescovo
nella bolla « Sedis Specula» che Innocenzo ui inviò a Guido rr,
vescovo di Assisi: « Monasterium sancti Angneli de Limisano » ®).

1199 : Forte. Nel maggio 1199, « post obitum imperatoris Enrici »,
l’abate conferma a Bonagiunta, Boninsegna e Andrea delle terre
già date in enfiteusi ?8),

Nel 1213 lo stesso abate riceve da Rinaldo di Ranuccio la dona-
zione di un terreno sito «in curia Spelli, supra Maconescam iuxta
campum sancte Marie » 24).

1225 : Bartolo. L'11 febbraio 1225 l'abate Bartolo loca a cottimo
per 15 anni ad Andrea di Benincasa e per una terza parte ad Angelo
di Ranieri e ai fratelli Corrado e Baroncello per due parti, un campo
sito nella curia di Spello in località « Magonesce », consenzienti i
monaci Bartolo, Feliciano e Bartolo ®).
È came

Re o

78 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

Il 1° aprile 1234 lo stesso Bartolo insieme ai suoi monaci Bartolo
Diotesalvi, Bartolo di Cannara, Salvi e Jacobucio dà parere favore-
vole a Corentano, priore di S. Pietro di Tuscinnano per la permuta
con Giovanni di Matteo da Castelbuono, di una terra arativa nella
curia di Castelbuono in località. Tuscinnano ?*).

Nel 1237 è abate ancora Bartolo e il 14 febbraio, col consenso
dei suoi monaci Bartolo Diotesalvi, Bartolo di Cannara, Salvi, Al-
fredo, Giacomo, Taddeo, Accorimbona, Villano, Giovanni di Pie-
tro, concede in enfiteusi, a terza generazione, ad Accomando di Dio-
tesalvi diciannove pezzi di terra siti nella curia di Limigiano ed un
casalino, dietro versamento di trenta lire lucchesi e senesi e con l'im-
pegno di versare annualmente dodici denari lucchesi e la metà dei
raccolti ?°).

Dall'elenco dei monaci di Limigiano, ricordati nei tre documenti,
possiamo dedurre che, anche se la comunità monastica non era nu-
merosa, certamente non era inferiore alle altre comunità dei mona-
steri assisani non solo nello stesso periodo, ma anche successiva-
mente).

Al tempo di Bartolo non regnavano buoni rapporti tra il mona-
stero e i signori di Limigiano. Dopo che piü volte il nobile Napo-
leone di Rinaldo aveva tentato di assaltare il monastero, i monaci
si appellarono al Pontefice Gregorio 1x, il quale incaricó a compor-
re le parti Rinaldo, cardinale Ostiense. Questi, il 18 settembre 1235,
sentenziò a favore del monastero e Gregorio rx confermò la sentenza
del cardinale il 2 ottobre dello stesso anno ?).

Ma le liti continuarono : trovo infatti tra le carte di Sassovivo
una delega fatta a favore dell’abate di Limigiano nel 1258 per la
composizione delle liti 3°).

1256: Andrea. Il 9 gennaio 1256 l'abate Andrea con il consenso
dei suoi monaci Mancia, Bonagiunta, Ventura, Accursulus, e Bo-
nizo concede in enfiteusi a terza generazione a Diotesalvi quattro
stai di una terra sita in località Castriabbati per il prezzo di qua-
rantotto soldi, riservandosi la decima parte dei frutti della terra
e un censo annuo di un denaro ?!).

L'anno successivo, il 9 giugno, Tancredi, signore di Rosciano
cedette, forse sotto la pressione degli assisani, dietro compenso di
cinquecento cinquanta anconetani, ogni diritto su Limigiano, ca-
stello del comune di Assisi, riservandosi il patronato del monastero

di S. Angelo ?).

=_= DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 79

1258 : Mancia. Il 16 settembre 1258 l'abate Mancia, già monaco
dello stesso monastero, con il consenso dei suoi monaci Alfredo,
Bonagiunta e Giovanni cede un campo in località Limigiano a Bia-
gio di Gregorio 33).

Il 28 marzo dell’anno successivo con il consenso dei suoi monaci
Tebaldo, Alfredo, Cerentano, Giovanni, Morico, Domestico, Boni-
zo, cede in enfiteusi un casalino con tre pugilli posto in Cannara in
località S. Matteo 3).

Lo Iacobilli nella Cronica pone l'abate sotto l'anno 1268 9).

1270: Egidio. L'abate Egidio il 19 ottobre 1270, consenzienti
i monaci, concede ad Andreolo Bonante e a Pucio Ranutii da Li-
migiano una clausura sita in vocabolo Vignalium ®).

. L'anno successivo, il 24 dicembre, lo stesso abate conferisce il
beneficio di S. Maria di Castelbuono al suo monaco Mancia, per la
parte spettante al monastero, cioè i due quinti *?).

Il 2 ottobre 1303 Benedetto xi confermava a Guido Pucci,
canonico di S. Rufino in Assisi la nomina a priore della cattedrale ;
tra i destinatari della lettera è menzionato l'abate di Limigiano 99) ;
ignoro chi a quel tempo reggeva il monastero.

1305 : Giacomo. In questo anno cede in enfiteusi alcuni terreni
del monastero ?),

13..(?): Agostino. Lo Iacobilli nella Cronica dà un elenco degli
abati che ressero il monastero di Limigiano e sotto l’anno 1330 pone
Agostino 4). Non ho trovato il documento, ma evidentemente la
data si deve anticipare di qualche anno, poichè nel 1328 era già
abate Francesco.

1328 : Francesco. Il 15 settembre l’abate Francesco revoca la
procura fatta a favore di ser Benvenuto di ser Angelo da Beva-
gna 41),

Al tempo di Francesco un grave dissesto finanziario minacciava
l'economia del monastero. Da tale crisi, dovuta alla mancanza di
braccia necessarie al retto andamento delle aziende agricole, non
furono esenti neppure le altre comunità monastiche di Assisi : basti
ricordare che Pietro subito dopo l’elezione ad abate di S. Benedetto
al Subasio avvenuta nel 1332, per poter far fronte alle prime neces-
sità dovette ricorrere a un gravoso prestito 4).
— A

CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

L'abate Francesco, impossibilitato a contrarre nuovi debiti,
e non potendo far fronte alle gravi necessità del monastero, con il
consenso dei suoi monaci, sei sacerdoti e tre oblati, il 13 giugno
1333, stabili di sottomettersi al monastero di Sassovivo di cui era
abate Giacomo e costitui quale procuratore Simone, priore di S.
Masseo de Platea e Mauro da Gubbio 9). Il pontefice Clemente vi
incaricò per l'annessione Americo cardinale di S. Martino ai Monti 4),
questi suddelegó Paolo Trinci, vescovo di Foligno, il quale esegui
l’incarico nel 1334 4) e il 29 gennaio 1335 il pontefice confermò
l'operato del vescovo *$).

Vicende successive. — Non mi è stato possibile fare uno studio
sui priori che si susseguirono nella direzione del monastero, divenuto
ormai uno dei tanti priorati dipendenti da Sassovivo *), ma le vi-
cende del monastero rimangono quasi sconosciute.

Il secolo XIV registra la ripresa delle lotte tra i castellani di Li-
migiano e il monastero di S. Angelo: dapprima ci furono incur-
sioni armate; infine il monastero fu occupato e espropriato di al-
cuni campi. Lo Iacobilli nella Cronica dà un regesto del processo
tenuto da Bartolomeo Ciuccori il 30 gennaio 1356 per la ricomposi-
zione delle parti. Scrive l'autore: « Quest'abbate (Francesco d'As-
sisi, eletto il 2 maggio 1354), avendo inteso, che di giugno 1354
molti uomini del castello di Limisano avevano fatto un steccato,
e un fosso attorno al loro castello, et avevano serrate le terre, le
possessioni, e una parte del monastero membro di Sassovivo et oc-
cupato un suo terreno ; et inteso anco che l'anno avanti di marzo
erano entrati nel detto monastero di Limisano ; et avendo fatto un
fosso nel giardino di esso e tagliatovi molti alberi, e pergole, e fatti
molti insulti, e danni a' suoi monaci, si trasferirono subito a detto
monastero e pose dentro molti soldati armati e fece da loro gua-
stare il detto steccato, e riempire il fosso. E perché gli uomini
di Limisano ricorsero a Filippo vescovo di Fiorenza, rettore del
Ducato di Spoleto, il quale stava con l'esercito attorno al castello
di Collupino nel territorio di Spello, perché si era ribellato alla sede
apostolica ; vi mandó m. Chino da Terni suo giudice e luogotenente
con molta gente per quietar questa discordia ; ma non potendo far
cosa alcuna, quest'abbate ricorse al detto Cardinal Egidio Legato
il quale mandó commissario di questa causa Luca di Tatti dall'Aquila
suo Auditore, costui intese le parti, e formato processo di questa
causa, a dí 30 di gennaio 1356 sentenzió contro il comune di Limi-
Chiesa del monastero di S. A gelo di Limigiano.
DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 81

sano ; li scomunicó, e l'interdesse ; e proebì a tutti del Ducato, che
non potessero partecipare con gli abitatori di detto castello: e 107
pérsone di esso castello, con il Vicario e Scindico condannó ren-
dere all'abate e monaci di Sassovivo il terreno da loro occupato,
cento libre di denari per li frutti presi da esso terreno, in diece anni,
et a restituirli la torre, o Campanile occupata a detto monastero di
Limisano, et a detto monastero di Sassovivo cinque mila fiorini
d'oro per li danni, et interessi dati a detto monastero di Limisano
in più volte » 15).

| Verso la fine del secolo xiv il beneficio del monastero insieme
a quello della chiesa di S. Andrea di Limigiano fu annesso alla mensa
abbaziale e l’abate riservò a sé il titolo parrocchiale nominando
un vicario perpetuo con compenso annuo. Sino ai nostri giorni l'a-
bate commendatario di Sassovivo, l'arcivescovo di Spoleto, assume
anche il titolo di parroco di S. Angelo di Limigiano con i conseguenti
diritti e doveri.

Nel 1371 il castello di Limigiano era divenuto dominio dei Trinci,
signori di Foligno e tale rimase fino all'8 settembre 1439 allorchè
tornò alla Sede Apostolica.

I 13 marzo 1402 Ugolino dei Trinci, governatore del monastero
di Limigiano aumentó il patrimonio del monastero ricevendo tra-
mite il suo rappresentante Fr. Nicola d'Angeluccio dalla Valtopina,
camerlengo di S. Angelo, da Biagio di Lippo dei conti di Rocca di
Pietro, la stessa rocca di Pietro con tutti i suoi possedimenti ; all'atto
il camerlengo promise, a nome di Ugolino, di alimentare il conte
Biagio e sua moglie ‘9).

Di particolare interesse è la relazione sul monastero di S. Angelo
fatta da mons. Pietro Camaiani vescovo e principe di Ascoli, visi-
tatore apostolico di alcune diocesi umbre tra cui Assisi. Il 3 settem-
bre 1573 il visitatore da Cannara si recó nel pomeriggio nel castello
di Limigiano. Benchè la chiesa fosse stata restaurata precedente-
mente dal cardinale Spinola, abate commendatario di Sassovivo,
mons. Camaiani notó come all'interno il tempio fosse spoglio di or-
namenti e di sacre immagini; la suppellettile religiosa, ormai lisa,
doveva essere totalmente rinnovata; infine la canonica versava
in cattive condizioni statiche. Il rettore, don Marco Antonio Euse-
pii da Foligno, dopo un breve esame, fu dal visitatore giudicato
«inhabilem et imperitum pro animarum cura » «et tolleratum fuit
in novi missalis coerimoniis, hac tamen conditione ut abstineat ab
audiendis confessionibus ». Forse il rettore, abbastanza anziano,

6
82 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

era impreparato all'attuazione di tutte le nuove norme liturgiche
emanate dal Concilio Tridentino 5).

A quel tempo la famiglia parrocchiale contava ben settanta fa-
miglie e circa quattrocento abitanti. Ma negli anni successivi di-
minuì : trovo infatti che nella visita pastorale di mons. Nerli, ve-
scovo di Assisi, fatta in Limigiano il 15 ottobre 1686, gli abitanti
erano scesi a centrotrenta e tale numero di ‘abitanti è rimasto
fino ai nostri giorni, con piccole oscillazioni 51),

Recentemente è stata restaurata sotto le direttive della Soprin-
tendenza ai Monumenti dell'Umbria la chiesa parrocchiale ed oggi
ci appare in tutto il suo splendore *?).

La storia del monastero di S. Angelo non registra avvenimenti
di grande interesse : del resto la comunità monastica non fu mai
numerosa. L'indipendenza del monastero trovava poi dei limiti
nell’efficienza dei signori del luogo e nell’egemonia del vescovo di
Assisi che fino al 1334 mantenne dei diritti sul monastero.

Non conosciamo le attività di cui si rese meritevole il monastero
di S. Angelo, mancano assolutamente documenti; ma la vastità
dei possedimenti terrieri assorbì certamente gran parte delle attività
dei monaci 5). Soprattutto occorre ricordare l'azione pastorale dei
monaci nelle varie chiese e cappelle dipendenti dal monastero e men-
zionate nella cartula donationis del 1058 e nella bolla di Lucio it
del 1184.

Chiese dipendenti dal monastero. — Dalla cartula donationis :

. Maria di Baltignana 9).

Maria in Rivo.

Martino in Bracciano.
Gregorio in Montanaro.
Lorenzo del Colle delle Foreste.
Lorenzo di Petrignano.

v nuum

Dalla bolla di Lucio rir:

Chiesa di Tuscinnano.
S. Maria di Castello.
S. Maria di Cannara **).
DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 83

S. Sebastiano del castello di Ranuccio di Panzo di Godigliano **).
S. Gregorio di Montanaro.
S. Andrea di Limigiano.

NOTE

1) L. IacoBILLI, Cronica della chiesa e monastero di S. Croce di Sassovivo
nel territorio di Foligno, Foligno, 1653, p. 49 ; ibidem, 138, 143, 158, 260.

?) SPOLETO, Archivio arcivescovile, fondo Sassovivo, n. 397; P. MARI-
NurTI, Hegesto di Sassovivo (1646) : Biblioteca Iacobilli, Codex D. I. 45, fasc.
T4 n. 536,

*) IAcoBILLI, Cronica, p. 49.

‘) L. IacoBILLI, Vite de santi e beati del Umbria e di quelli, i corpi dei
quali, riposano in essa provincia, con le vite di molti servi di Dio dell' istessa,
e catalogo delle reliquie insigni, che vi si conservano, 11, Foligno, 1661, p. 296.

*) Ibidem, p. 315.

*) A. LuBIN, Abbaliarum Italiae brevis notitia, Roma, 1693, p. 190.

°) F. Garassr, Codex diplomaticus perusinus, Eulisteus appellatus, a.
1778, Archivio di S. Pietro di Perugia, cc. 93-95,

*) M. Bini, Memorie storiche del monastero di S. Pietro di Perugia del-
l'ordine di S. Benedetto, raccolte e redatte da un monaco di esso nel 1848...,
Archivio di S. Pietro di Perugia, cc. 15-16. Edito in Le carte dell'archivio di
S. Pietro di Perugia a cura di T. LECCISOTTI e C. TABARELLI, I, Milano, 1956,
p. 42, n. 1.

°) F. KeHR, Italia pontificia, 1v, Berolini apud Weidmannos, 1909,
Pi idd;

1°) P. L. MELONI, Monasteri benedettini in Umbria tra VIII e IX secolo
nella storiografia di Ludovico Iacobilli, « Atti del terzo convegno di Studi
Umbri », Gubbio, 23-27 maggio 1965, pp. 305-307.

1) ta Ego Adamo humilis monachus adque abbas venerabilis mo-
nasterii Sancti Angeli, consensu omnium monachorum fratrum meorum,
videlicet Adami prepositi, Leti et Dominici presbyteri, necnon et per con-
sensum et voluntatem donni Saraceni et Bernardi et sanguinei, seniorum et
dominatorum eiusdem loci, a presenti die, pro redemptione anime mee pari-
terque et anime abbatis Adami bone memorie, consanguinei mei, concedo,
trado et dono ad regendum adque dispensandum in perpetuum tibi, beate
Petre apostole, tuoque monasterio quod situm est iuxta civitatem Perusiam
in loco qui vocatur Caprario, in quo est donnus Bonizo religiosus presbyter
et monachus adque coangelicus abbas, tuisque servitoribus in perpetuum,

,
PS

S pres — - n
sami ME o nm

84 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

:dest ecclesiam que est ad honorem domini nostri Iesu Christi et beati Mi-
chaelis arcangeli, que sita est in loco qui dicitur Tullianum et Limiscianum,
cum omnibus libris et ornamentis suis, una cum domibus, cortis, hortis, vi-
neis, terris, molendinis, campis, pratis, pascuis et silvis, scoropetis, monti-
bus et collibus, plagis et planitiebus, puteis, fontibus, rivis, hedifitiis, pa-
rietinis, mobilibus et immobilibus seseque moventibus, servis et ancillis,
colonis et colonabus suis, una cum omnibus mansis vel cum omnibus sibi
pertinentibus intus vel foris immo et omnibus ecclesiis sive cellis adque cap-
pellis suis ; spetialiter ecclesiam Sancte Marie in Baltiniana, cum sibi perti-
nentibus, ecclesiam Sancte Marie in Rivo cum sibi pertinentibus, ecclesiam
Sancti Martini in Bracciano cum sibi pertinentibus, ecclesiam Sancti Grego-
rii in Montanari cum sibi pertinentibus, ecclesiam Sancti Laurentii in colle
Forestarum cum sibi pertinentibus, et medietatem ecclesie Sancti Lauren-

tii in Petrognanum cum sibi pertinentibus » .... GALASSI, Codex diploma-
ticus, pp. 87-95 ; ed. Le carte, doc. 1x, pp. 41-45.
By dq c c Igitur ego Saracenus et Bernardus cum filio meo Alberico

hac die promittimus, spondemus et pollicemur propria spontaneaque nostra
voluntate a presenti die usque dum vixerimus tibi donno Bonizzoni abbati
venerabilis monasterii Sancti Petri, siti iuxta Perusiam tuisque successo-
ribus, quod de monasterio Sancti Angeli cum omnibus que sunt sui iuris,
neque nos, neque heredes vel successoris nostri, neque ab aliqua persona a
nobis submissa amodo in posterum promovebimus aliquam litem, queri-
moniam, calupniam vel molestiam, sed si opus fuerit promittimus nos et
heredes nostri defendere et in omnibus adiuvare te tuosque successores in
placito et in pugna contra omnes homines qui adversus vos et vestrum mona-
sterium insurgere voluerint vel molestias inferre temptaverint . . .» GALASSI,
Codex diplomaticus, f. 96-101 ; ed. Le carte, 1, doc. x, pp. 46-47.

13) Nel secolo xr, in data imprecisata, Mevanio giudice eresse nel proprio
fondo il monastero di S. Apollinare del Sambro nelle vicinanze del Castello
del Colle in Collemancio e, dopo averlo offerto alla Chiesa, vi entrava egli
stesso come monaco. (Della bolla di Pasquale II diretta il 17 marzo 1116
all'abate di Sassovivo ; Edizione G. D(r) C(osrANzo), Disamina degli scrit-
tori e dei monumenti riguardanti S. Rufino vesc. e mart. di Assisi, Assisi, 1797,
pp. 391-392. Sul monastero: G. ANTONELLI, Le più antiche carte (Sec. XI) del
monastero di Sassovivo, « Benedictina » II, n. 1-11, (1948), p. 95-158 ; F. BAnRTO-
LONI, Suppliche pontificie dei secoli XIII e XIV, « Bollettino dell'Istituto sto-
rico italiano per il Medio Evo e Archivio muratoriano », LxvII, (1955),
pp. 15-21).

Nel 1088 Ubertino di Guittone per soddisfare una penitenza inflittagli
dal vescovo di Gubbio, eresse in Assisi una chiesa in onore di S. Giacomo,
in località Murorupto e la donò a Berardo, abate di Farfa perché vi mandasse
dei monaci per officiarla (Assisi, Archivio della Cattedrale, Fasc. r, n. 114:
Edizione DI CosTANZO, p. 386. Sulla chiesa: U. Panis, L’antica chiesa e

= ILE GARDEN
DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 85

monastero di S. Giacomo di Muro Rupto, ora laboratorio di S. Francesco, As-
sisi, 1937.

Nel 1091 il conte Lupo, figlio di Monaldo fece erigere la chiesa di S. Mas-
seo de Platea e nel 1101 la donó a Dionisio, abate di Sassovivo, questi vi
mandó monaci per officiare la chiesa e fu costituito cosi un priorato [I 00:
BILLI, Cronica, p. 40).

14) Le carte, docc. XI, XII, XIV, XVI, XVII, XVIII.

15 Ibidem, docc. xxr, XXIII.

1) Ibidem, doc. xxxiv.

.1?) BinI, in Memorie monastero, scrive che l'anno in cui il monastero di
S. Angelo fu unito a Sassovivo fu il 1332 ; si tratta evidentemente di una
disattenzione, poichè l’autore si rifà allo IAcoBILLI, (Cronica, p. 49, ib., 138)
dove si dice che l'annessione avvenne il 13 giugno 1333 : Memorie monastero,
p. 15.

18) La ricerca sulla serie degli abati presenta molte lacune, essendo at-
tualmente l'archivio di Sassovivo chiuso al pubblico perché in via di siste-
mazione, ed é stata condotta su due regesti appartenenti alla Biblioteca Iaco-
bili di Foligno: Regesto di Sassovivo : Summarium et inventarium scriptu-
rarum.ad abbatiam et monasterium S. Crucis de Saxovivo ..... desumptum,
et extractum nec non de ordine et mandato eminentiss. revenerendiss. domini
cardinalis Antonio Barberini S. R. E. camerarii, dictae abbatiae perpetui com-
mendatarii et administratoris presenti anno 1646, Romae confectum et compi-
latum cura et diligentia admodum ill.mi et r.mi domini Petri Simonis Mari-
nulli... Cod. D. I. 45, numerato; Nuovo regesto di Sassovivo : elenco pre-
parato nel 1919 da un gruppo di studiosi : Cod. D. I. 46, 47, 48, senza nume-
razione di pagine e di pergamene: i documenti sono posti in ordine cro-
nologico.

Tuttavia di alcuni documenti ho potuto consultare i microfilms eseguiti
dall'Istituto di Paleografia dell'Università degli Studi di Roma, che sta
preparando la pubblicazione del Caríulario di Sassovivo. Colgo l'occasione
per ringraziare il prof. Cencetti e i suoi gentilissimi assistenti, che sono stati
molto cordiali nel mettermi a disposizione il materiale richiesto.

19) Arch. Sass., n. 397.

20) Arch. Sass., n. 1293 ; Regesto Marinutti fasc. 79, n. 1098 ; IACOBILLI,
Cronica, p. 49 ; P. KEun, Papsturkunden in Umbrien, in « Gott. Nachr. », 1898,
h. 3, p. 388, n. 15; Nachtrage zu den Papsturkunden Italiens, I., in « Gott.
Nachr. », 1905, h. 3, pp. 359-360, n. 30.

2) Arch. Sass., n. 4828.

2) Assisi, Archivio Comunale, N. 1: Ed. G. Parpni, Archivi comunali
umbri, fasc. I, Archivio comunale antico di Assisi, Perugia, 1895, p. 9; A.
FortINI, Nuova vita di S. Francesco, Assisi, 1959, 111, pp. 543-545.

Da notare che il monastero di Limigiano non compare nel placito tenuto
dal duca e marchese « Rainerius » che nel giugno 1018 investì Giorgio, vescovo
86 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

di Assisi, nel possesso di beni e chiese della diocesi di Assisi : unico monastero
menzionato, « Monasterium Sancto Crispolito cum omnia sua perna »
(Arch. Catt., Fasc. vir, n. 8; Ed. Dr CosTANZzO, p. 369).

33); Arch. Sass.; n. 397.

84) Nuovo Regesto di Sassovivo, D. I. 46, anno 1213.

25) Arch. Sass., n. 2652; Nuovo Regesto, D. I. 46 ; il documento è sotto
la data 13 gennaio 1215: forse un errore di trascrizione.

**) Arch. Sass., n. 3345.

?7) Arch. Sass., n. 4590.

**) Nella diocesi di Assisi l'ordine benedettino enumera ben undici mona-
steri maschili e sicuramente sette monasteri femminili se si escludono
tre istituzioni locali che in seguito passarono al francescanesimo, sulle quali
mancano documenti. Ecco l'elenco a fianco del quale aggiungo il documento
più antico: S. Angelo di Limigiano (1058 : Le carte, doc. rx) ; S. Angelo di
Rosciano (1252 : Ann. Camald., 1v, 74) ; S. Benedetto al Subasio (1047-1051 :
Regesto di Farfa, docc. 809-884) ; S. Crispolto di Bettona (1018 : Arch. Catt.,
fasc. vri, n. 8) ; S. Nicolò di Campolongo (1066 : Arch. Catt., fasc. 1, n.:73);
S. Pietro in Assisi (1029 : Arch. Catt., fasc. 1, n. 21). Monasteri dipendenti da
S. Croce di Sassovivo : S. Apollinare del Sambro (1085 : Arch. Sass., n. 6804) ;
S. Masseo de Platea (1091: IAcoBiLLI, Cronica, p. 27); Monastero dipen
dente da S. Giuliano di Spoleto: S. Quirico di Bettona (1185, PENNOTTUS,
Historia Tripartita, pp. 710-712). Monastero dipendente da S. Maria di Farfa
S. Benedetto di Satriano (1039 : Regesto di Farfa, doc. 745). Monastero dipen-
dente da S. Silvestro di Nonantola: S. Maria di Valfabbrica (1101: Arch.
Catt., fasc. 11, n. 2). i

Monasteri femminili: S. Agnese (1316: Archivio S. Convento, in Co-
dex FRONDINI, voce monasteri); S. Apollinare delle Badesse (1229: Archi-
vio di S. Apollinare, perg. B) ; S. Caterina di Picaia (1259: Arch. S. Con-
vento, Str. 1, n. 34); S. Donato e Giacomo (1233 : Arch. Com., N. 1) ; S. Paolo
delle Badessa (1198: Arch. Com., M. 1); S. Maria degli Episcopi (1291 ;
Arch. S. Convento, Str. 11, n. 35) ; S. Croce del Ponte dei Galli (1300: Arch.
S. Convento, Str. v, n. 47). Istituzioni locali : S. Angelo di Panzo (1232:
Arch. Com., N. 1) ; S. Giovanni delle Rocche (1273 : Arch. S. Convento, Str.
I, n. 58) ; S. Nicolò dell’Orto (1349 : Arch. Com., B. 35 P. C. 3).

Tra i sopraddetti monasteri maschili ruolo di particolare importanza
fu ricoperto da S. Benedetto al Subasio -e in misura minore da S. Pietro in
Assisi; eppure il monastero di S. Benedetto, benché avesse una capienza di
quaranta monaci, non ospitó mai piü di 15 persone tra monaci e conversi
(E. D'ALENCON, L'abbaye de Saint Benoît au mont Subase prés d' Assise, « Etu-
des Franciscaines », estratto, Couvin, 1909, p. 15). Il monastero di S. Pietro
poi, aveva una capienza molto inferiore e nel 1316 al tempo dell'abate Vitto-
rino, i monaci erano in numero di sei (Arch. Com., M. 2, f. 6).

2*) Regesto Marinutti, fasc. 46, n. 585.

AME CC ERE MU el ON TUN O e contagi m n arno
DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 87

**) Arch. Sass., n. 4817 ; Regesto Marinutti, fasc. 18, n. 116,
31) Arch. Sass., n. 4839.
. *) Arch. Catt., fasc. irr, n. 94; Reg., FORTINI, II, p. 320.

*5)) Arch. Sass., n. 4806 ; altra enfiteusi il 31 ottobre dello tesso anno :
ibid., n. 4803.

34) Arch. Sass., n. 4796 ; altre enfiteusi nello stesso anno: 15 febbraio,
ibid., n. 4793 ; 30 nov., ibid., n. 4834.

*5)) IACOBILLI, Cronica, p. 49: l'autore dà l'elenco di alcuni abati che
ressero il monastero e a fianco aggiunge la data.

8) Arch. Sass., n. 4801.

37) Regesto, D. I. 57, sotto la data 24 dic. 1271.

**) Archivio Vaticano, Registra Vaticana, 51, c. 2; I. GRANDJEAN, Le
registre de Benoît XI, Paris, 1905, c. 6, n. 4.

39) Regesto Marinutti, fasc. 13, n. 79.

: 4°) IACOBILLI, Cronica, p. 49.

41) Arch. Sass., n. 1095.

42) D'ALENCON, Dp. 31.

4) Arch. Sass., n. 4306, 4272, 4463; IacoBILLI, Cronica, pp. 138-139;
nel Nuovo Regesto, D. I. 48, trovo il documento posto sotto la data vii giu-
gno 1333, si tratta evidentemente di un errore.

44) Regesto Marinutti, fasc. 46 n. 584; fasc. 79, n. 1096.

‘5) Paolo Trinci, dopo aver assegnato il giusto compenso al vescovo di
Assisi il quale rivendicava dei diritti sul monastero (Regesto Marinutti, fasc.
79, n. 1100) nominava procuratore per la cessione di alcuni beni al vescovo
di Assisi, lo stesso abate Francesco (Ibid., fasc. 79 n. 1099, 1100) quindi ope-
rava l'annessione (Ibid., fasc. 79, n. 1097).

^ IAcoBILLL Cronica, p. 138; KEHR, Italia Pontificia, 1v, p. 59.

**) Nell'elenco delle chiese dipendenti da Sassovivo fatto compilare dal-
l'abate commendatario, cardinale Rusticucci, nel 1586, edito da P. LUGANO,
Le chiese dipendenti dall'abbazia di Sassovivo presso Foligno, in « Rivista
Benedettina » vii (1912), p. 39, trovo che nel 1411 Giacomo abate di Sasso-
vivo nominò vicario di S. Angelo Fr. Francesco Bengarini di Acqua S. Ste-
fano, presso Foligno.

45) IACOBILLI, Cronica, p. 143 ; Arch. Sass., n. 2085.

‘*) Ibid., p. 158; Nuovo Regesto: copia estratta dagli atti di Rinaldo
di Tommaso, 15 marzo 1466, D. I. 48.

°°) AssISI, Archivio vescovile, Visita apostolica di Mons. (Pietro) Camaia-
ni, cc. 119»-121.

8) Ibid., Visita pastorale di Mons. Nerli.

*) S. Angelo di Limigiano, Archivio parrocchiale. I lavori iniziarono
nel febbraio 1948 e terminarono nel dicembre dello stesso anno : la chiesa
fu pavimentata, scalcinate le pareti e tolte alcune soprastrutture. La chiesa,
la cui costruzione si può far risalire al secolo xii, costruita a blocchetti di
88 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

arenaria, è a tre navate, divisa da pilastri ; il presbiterio è leggermente soprae-
levato e termina con tre absidi di cui una maggiore e due laterali: quella di
sinistra é adibita a cappella, quella di destra a sagrestia. Durante i lavori
sono venuti alla luce resti di affreschi di scuola folignate dei sec. xrv e xv,
mentre mancano tracce della cripta. Sulla facciata, cui é addossato un
voltone, é murato un rilievo romanico con due figure.

58) Il Regesto Marinutti, elenca tra le carte di Sassovivo alcuni catasti
dei beni di S. Angelo, nonchè libri di introitus et exitus dei sec. xvi-xvi:
catasto di terre (a. 1605, fasc. 108, n. 1406) ; tre libri introitus et exitus (sec.
xv e xvI1, fasc. 110, n. 1444, 1445, 1446) ; note di censi, (sec. xvi, fasc. 46,
n. 522 ; fasc. 113, n. 1476 ; fasc. 237, n. 1771).

L'Archivio antico comunale di Bevagna conserva un catasto dei beni
dei castellani di Limigiano (a. 1577), catasto che non menziona i beni del mo-
nastero. Lo stesso archivio conserva numerosi documenti dei secoli xIv, xv e
xvi riguardanti la comunità di Limigiano, mancano documenti sul monastero.

Notevole la decima che Pietro, economo di Sassovivo, pagó per il mona-
stero di Limigiano negli anni 1333 e 1334, prima ancora che fossero perfe-
zionate le pratiche per l'annessione : 23 libbre e 5 soldi cortonesi (P. SELLA,
Rationes decimarum Italiae, nei secoli XIII e XIV, Umbria, « Studi e Testi »,
161-162, Città del Vaticano, 1952, nn. 3417, 3717, 5001, 5151. Da notare che
mentre la prima rata del 1333 — 22 giugno — e l’ultima rata del 1334 — 24
dicembre — furono pagate in Assisi, la seconda rata del 1333 — 24 dicembre —
e la prima rata del 1334 — 22 giugno — furono pagate in Foligno. Il monastero
si trovava infatti nella diocesi di Assisi, ma era soggetto al monastero di Sas-
sovivo, della diocesi di Foligno : da qui la possibilità di saldare in Assisio in
Foligno). i

54) La chiesa di S. Maria, a differenza delle altre, pur dopo l’indipendenza
di S. Angelo rimase soggetta al monastero di S. Pietro ; venne confermata
da Federico 1 nel 1163 (Le carte, doc. xx1), da Enrico vi nel 1196 (Ibid., doc.
XXIII) e da Gregorio rx nel 1231 (Ibid., doc. xxxiv). Sulla chiesa: BiNtr,
Memorie delle chiese, pp. 82-85 : ed. Le carte, 1, p. 43, n. 2.

5) Da identificarsi con la chiesa di S. Maria in Rivo, menzionata nella
cartula donationis.

56) FORTINI (II, p. 459) identifica la chiesa di S. Sebastiano con quella
che in seguito divenne monastero di clarisse. Delle altre chiese, fatta ecce-
zione di S. Andrea che fu unita al beneficio di S. Angelo, mancano documenti.

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DOCUMENTI

I

INSTRUMENTUM EMPHYTEUSEOS
1170, maggio, indizione nr, (Limigiano).

Vittone, abate di S. Angelo di Limigiano, con il consenso dei suoi monaci,
concede a Gilio e a suo fratello Gillero, sacerdote, figli del q. Lucero, un campo
sito nel comitato di Assisi, in località Cannara, per la costruzione di un edificio
con fondo.

1
Fonte : originale, Arch. Sass., n. 397.
Regesto : Regesto Marinutti, fasc. 44, n. 536.

[S. T.] In Dei nomine. Dum ab omnibus non est conditus ?), sed pluribus
ma/nifestum esset videtur, qualiter vos Gilius et Gilleri presbiter viri / germani,
filii quondam Luceri, in convenientia veneste ?) ad me / abbas Victone de
monasterio S. Angeli in Limisano, peteste ^) et / rogaste me ut aliquid de
res predicte ecclesie in prestitum dedisse et unde / quidem vos iamdicti ve-
stram petitionem denegare noluit sed tantum expontanea / mea voluntate
et per consensum monachorum monasterii ?), sive familiaribus, concedo
et presto die/bus vite vestre et in perpetualiter vestre generatione, propter
edificium turrem et criptam / eo tali tenore: edificium muraveritis .xxx.
pedibus et postea muraverit ecclesia / qualecumque putem prehendere volue-
rit et successerit ad ecclesiam totum edificium/ veniat in ecclesia idest res
predicte ecclesie, qui est infra commitatum Assisinatem / et in loco qui
dicitur Insula de Cannaio. Et est inter fines petia una .i. latere fi/ni fluvio
i. fini via, .iii. et .iiii. Sancti Angeli infra predictis lateribus, quantum/ ad
istum edifitium oportum fuerit et extra edifitium .vii. pedibus in girum.
/ Nam non dedi potestatem vos predicti in alio [h]omine alienando sed
se[m]per te/neatis ad serviendum ecclesia[m]. Tunc promitto et obligo me,
meos succe/ssoribus 9), vos predicti vestrisque eredibus si ante constitu-
tum tullerimus aut litidio /) aut / causationem mittere quesierimus per nos,
vel per nostram sumissam persona[m] ali/o modo nisi sicut constitutum est
componere penam solidos .C. et hunc libellum / in sua maneat firmitate. Et
facti sunt anni Domini .M.c.LXx. die mense madio, indictione .iii.

T Singna manum abbatis qui hunc libellum fieri rogavit / Johannes Be-

®) conditus] per cognitus. b) veneste] per venistis. ^) peteste] per petistis.
d) monasterii] sopra il rigo. *) successoribus] per successores. 7) litidio] per
litigio.
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€0 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

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rarduco filius et Johannes Amerigo filius et Raino Guictone filius et
Mi/cha[e]le Berarduco filius et Franco de Martino huius sunt rogati testes. /
tf Ego Martinus notarius scripsi sic complevique.

II

PRIVILEGIUM

1184, aprile 14, indizione rr, Veroli.

Lucio III accoglie sotto la protezione della sede Apostolica il monastero
di S. Angelo di Limigiano di cui abate è Raniero e conferma la regola di S. Bene-
detto,i possedimenti, la libera sepoltura, il diritto di accogliere i novizi e la libera
elezione dell’abate in caso di vacanza. i

Fonte : originale, Arch. Sass., n. 1293.

Regesti : Regesto Marinutti, fasc. 79, n. 1098 ; IACOBILLI, Cronica, p. 49 ;
P. KeHR, Papsturkunden in Umbrien, in « Gott. Nachr. », 1898, h. 35. D. 999,
n. 15; Ibid., Nachtrage zu den Papsturkunden Italiens I, in «Gott. Nachr. »,
1905, h. 3, pp. 359-360, n. 30. I

LUCIUS EPISCOPUS SERVUS SERVORUM DEI. DILECTIS FILIIS RANERIO
ABBATI SANCTI ANGELI DE MISCIANO EIUSQUE FRATRIBUS TAM PRESENTIBUS
QUAM FUTURIS REGULAREM VITAM PROFESSIS IN PERPETUUM. / Religiosam
vitam eligentibus congrua nos oportet consideratione prospicere ne cuiquam
necessitatis occasio aut de fides faciat aut robur quod absit conversationis
infringat. Eapropter, dilecti in Domino filii, vestris iustis postulationibus
clementer annuimus, et prefatam ecclesiam cui divino mancipati estis obse-
quio sub beati Petri / et nostra protectione suscipimus et presentis scripti-
ris privilegio communimus, Statuentes ut ordo monasticus qui secundum do-
mini et beati Benedicti / regularem noscitur institutus ibidem perpetuis tem-
poribus inviolabiliter observetur. Preterea quascumque possessiones, que-
cumque bona eadem ecclesia in presentiarum / iuste et canonice possidet,
vel in futurum concessione pontificum, largitione regum, vel principum, obla-
tione fidelium, seu aliis iustis modis, prestante Domino, poterit adipisci,
vobis vestrisque successoribus firma et illibata / remaneant. In quibus pro-
priis [nominibus] ?) duximus exprimenda vocabulis. Locum ipsum, in quo
ecclesia memorata sita est, cum omnibus adiacentiis et pertinentiis eius
/ que de iure ad ipsum monasterium spectant et pacifice possidet, ecclesiam
de Tuscinnano, partem quam haberis in Sancta Maria de Castello, / medie-

4) nominibus] illeggibile perchè la pergamena è consumata. DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 91

tatem ecclesie Sancte Marie in Cannaio, ecclesiam Sancti Donati in Cannaio, ec-
clesiam Sancti Sebastiani de Castello Ranucii de Panzo de Godiliano me-
dietatem alterius ecclesie Sancti Sebastiani de Godiliano ecclesiam Sancti
Gregorli de Montanario, terras quas habetis in Sancta Maria de Laurentio,
| terras quas habetis in Castello Aboni, terras quas habetis in Cannascio,
terras quas habetis in Pulvise, terras quas habetis in Ca/trano, terras quas
habetis in Catrano, quecumque habetis in Manciano et in Ospello?). Liceat
quoque vobis clericos et laicos et seculo fugi/entes liberos et absolutos ad
conversionem recipere et eos in vestro collegio sine contradictione qualibet
retinere. Sepolturam / vero ipsius loci liberam esse decernimus ut qui se illic se-
peliri deliberaverit, nisi forte excommunicati vel interdicti fuerint, eorum devo-
tioni et extre/me voluntati, nullus obsistat, salva tamen iustitia illarum a
quibus mortuorum corpora assumuntur. Obeunte vero te nunc eiusdem loci / ab-
bate vel tuorum quolibet successorum, nullus ibi qualibet subreptionis astutia
seu violentia preponatur, nisi quem fratres comuni consensu vel / fratrum
maior pars consiliii sanioris secundum Dei timorem et beati Benedicti regulam
providerint eligendum. Prohibemus insuper ne / aliquis vos vel ecclesias vestras
contra statuta Lateranensis Concilii novis et indebitis exarctionibus gravare
presumat. / Decernimus ergo ut nulli omnino hominum liceat prefatam
ecclesiam [tem]ere ©) [perturbare] 9) vel eius possessiones auferre vel abla-
tas / retinere, minuere, seu [qui]buslibet ©) vexactionibus fatigare sed omnia
[integra] ^, conserventur eorum, pro quorum [gubernatione] 9) ac sustentatio-
ne / concessa sunt usibus omnimodis profutura, salva sedis aposto[lice auc]to-
ritate #) et diocesani episcopi canonica iustitia. Si qua igitur / in futurum ec-
clesiastica secularisve persona hanc nostre [constitutionis] ?) [pa]ginam ‘) sciens
contra eam temere venire temptaverit, secundo / tertiove commonita, nisi pre-
sumptionem suam congrua satisfactione [corre]xerit "), potestatis honori-
sque sui dignitate careat, reamque se divino iudicio existere de perpetra-
ta^) iniquitate cognoscat [et] °) a sacratissimo corpore et sanguine Dei et
domini Redemptoris nostri Iesu / aliena fiat atque in extremo examine di-
vine ultioni subiaceat. C[un]ctis ?) autem eidem loco sua iura servantibus sit
pax domini nostri / Iesu Christi, quatenus et hic fructum bone actionis [per-
cipi]ant?) et apud districtum iudicem premia eterne pacis / inveniant. Amen.
Amen. Amen.

b Ospello] per Hispello. 9) tem] corroso. 4) perturbare] quasi illeggibile perché
sbiadita. *) qui] corroso. f) integra; parola mancante perché la pergamena &
bucata. 7) gubernatione] quasi illeggibile perché sbiadita. h). lice auc] mancanti
perchè la pergamena è bucata. 1) constitutionis] quasi illeggibile perché sbiadita.

Ly pa] mancante perchè la pergamena è bucata. 7^ corre] quasi illeggibile perchè
sbiadita. ®) perpetrata] al posto di perpetuata. °) et] sbiadito. P) cunctis] le
lettere [un] mancanti perchè la pergamena è bucata. 2) percipi] mancante perchè
la pergamena è bucata.
yt

92 CONVEGNO STORICO PER IL. MILLENNIO

Ego Lucius catho[li]ce ^) Ecclesie episcopus ss. BV.

Ego Theodinus Portuensis et Sancte Rufine sedis episcopus ss.
Ego Enricus Albanensis episcopus ss.

Ego Paulus Prenestinus episcopus ss.

Ego Iohannes presb. card. tit. Sancti Marci ss.

Ego Laborans presb. card. Sancte Marie Transtiberim tit. Calixti ss. T
Ego Pandolfus presb. card. tit. basilice. xir. Apostolorum ss.
Ego Iac(intius) diac. card, Sancte Marie in Cosmidin ss.
Ego Gratianus Sanctorum Cosme et Damiani diac. card. ss.
Ego Bobo, diac. card. Sancti Angeli ss.

Ego Uctavianus Sanctorum Sergii et Bachi diac. card. ss.

Ego Soffredus Sancte Marie in via lata diac. card. ss.

Ego Albinus diac. card. Sancte Marie Nove ss.

— e de hd —R—R dd DL

Datum Verulis per manum Alberti Sancte Romane ecclesie presbiteri
cardinalis et cancellarii. xvi. Kal. madii, indictione. rr., incarnationis domi-
nice anno. M°. C?. LXXX... IIII., pontificatus vero domni Luci pape 11°, anno

tertio.
B. D.

III

VISITA APOSTOLICA
DI MONS. PIETRO CAMAIANI

1573, settembre 3, (Limigiano)

Mons. Pietro Camaiani vescovo e principe di Ascoli, delegato visitatore
apostolico nel Umbria dal pontefice Gregorio XIII, visita il 3 settembre 1573
la chiesa curata di S. Angelo di Limigiano, membro dell’abbazia di Sassovivo e
stende sulla visita una relazione particolareggiata.

Fonte: originale, Assisi, archivio vescovile, cc. 119'-121.

Die Tertia Septembris 1573.
LiMIGIANI. Curata Sancti Angeli extra Cannariam in oppido Limi-
giano membrum abbatiae Sassivivi.
Commendatarius cardinalis Rusticutius
Ex oppido Cannaria pomeridiano tempore accessit oppidulum Limigia-
num, ubi visitavit ecclesiam curatam ibidem sitam Sancti Angeli, quae est
membrum abbatiae Saxivivi Fulginaten. Cuius est commendatarius ill.mus
D. cardinalis Rusticutius,

7) li] mancante perché la pergamena e consunta.
DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 93

Fabrica templi deficit in pluribus. In maiori altari defectus est

in ornamentis, et sacris imaginibus, quae dipingendae aut scul-

pendae in eo erunt,

Tabernaculum indecentius; et ideo occurrendum.
euius templi fabricam reperit aliquantulum instauratam tempore abbatis
Spinolae predecessoris eiusdem ill.mi cardinalis et si pluribus indigeat ne-
cessariis maxime in tecto rimis pleno ornamentisque maioris altaris conse-
crati, una cum ipsa ecclesia in quo quidem altari aliquae sacrae umagines
depingendae aut sculpendae erunt cum sit inornatum ac nudum, praeterea
tabernaculum conficiendum ornandumque in forma, cum repertum sit satis
indecorum, ac vile licet asservetur sacra Eucharistia in pixide argentea,

Rogandus est cardinalis commendatarius ut curet ecclesiae pro-
videndi de ornamentis aliisque pro divino cultu requisitis.

atque ideo rogandus est in Domino ill.mus cardinalis commendatarius ut
dignetur pro Dei gloria praedictae ecclesiae providere de opportunis orna-
mentis, tam in fabrica quam in ceteris pro divino cultu Missae sacrificio
sacramentorumque administratione requisitis,

Vascula sacri Olei Cathecumenorum et Infirmorum conficienda
in forma.

Casulae, ceteraque paramenta vetustate semidetrita atque con-
sumpta et ideo aliquid singulis annis novamndum.

nam tam etsi Fons Baptismalis vascula tamen sacri Crismatis, Olei Cathe-
cumenorum et Infirmorum condecentius in forma sunt innovandae casulae
et cetera paramenta licet numero sufficientia // vetustate tamen semicon-
sumpta, et ideo aliqua annuatim de novo conficienda exequendaque ea quae
r.mus D. P. episcopus loci

decreta ac constitutione exequtioni demandanda.

alias in sua visitatione decrevit ac mandavit adhuc pro maiori parte execu-
tioni nondum demandata,

Praecipiendum affictuario Fulginaten. ut ex fructibus provi-
deat in curata hac ecclesia Sancti Angeli sub poena etc.

atque ob id praecipiendum erit sub poena arbitratu S.mi D. N. papae Ioanni
Bruno Cicci Fulginaten. affictuario membri tantum Sancti Angeli pro tre-
centum quinquaginta scutis de paulis decem pro quolibet scuto, quod ex
talibus fructibus provideat necessariis supradictis dictae curatae ecclesiae
Sancti Angeli habentis in cura ultra.

Familiae circiter 70.
Cappellanus dominus Marcus Antonius Fulginas iussus est com-
CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

parere ad reddendum rationem suae villicationis exibendumque
libros.

familias 70. Quamquam D. Marcus Antonius Eusepii Fulginaten. repertus
cappellanus in dicta curata, non liquidc cognoverit de numero praedictarum
familiarum excusando se quod tempore defuncti abbatis Spinulae fuerit ne-
gociorum gestor et non animarum curator, sed modo tantum resideat in tali
cura ad tempus quousque exigat quaedam sua credita decursorum fructuum
iussus est comparere Cannariae ad subiiciendum se examini et ad reddendum
rationem villicationis suae in spiritualibus, exhibendumque libros baptizato-
rum, ac contractuum matrimoniorum fideliumque comunicantium, et non
comunicantium.

Quatuor sunt altaria in hac curata, unum maius, secundum
gloriosae Virginis, tertium Sancti Angeli, quartum Sancti Blasii.

Sunt in eadem ecclesia praeter maius altare inornatum tria alia altaria,
quorum unum est gloriosae Virginis condecens, alterum Sancti Angeli cum
statua,

Statua Sancti Angeli indigna, et indecens ideoque etc.
Altare Sancti Blasii vel removendum, vel de novo debita forma,
ac modo, instaurandum.

ac imagine eiusdem Sancti Angeli satis invenusta, ac indigna christiano decori,
et ideo merito removenda eiusque loco aliqua alia venustior, ac dignior consti-
tuenda. Altare Sancti Blasii, aut omnino removendum tamquam incompo-
situm // aut de novo cum debita altitudine ac amplitudine construendum,
cum ornamentis in forma ecclesiae consuetae ut in caeteris sub poena suspen-
sionis a divinis inhibitum sit quibuscumque sacerdotibus. :

Cautum sit quibuscumque sacerdotibus in Sancti Angeli, et Bla-
sii altaribus celebrare et aliis inhumare cadavera in tumba confra-
ternitatis quam diu etc. sub poena etc.

in praedictis altaribus Sancti Angeli, et Sancti Blasii celebrare, et cadavera
sepellire, in tumba confraternitatis laicorum detta della Madonna, quandiu
non obtegatur lapideo cooperculo in forma.

Aedes presbyterales ecclesiae curatae adiacentes statim nimia
vetustate ruent nisi eiusdem occurratur qua re singulis annis etc.

Aedes Sancti Angeli amplae quidem sed vetustae quae brevi consumen-
tur et in maceries vertentur si non reparentur aliquantulumcumque quo-
tannis innoventur, ut facere inceperat ante suum ex vita discessum abbas
Spinula. Pro r.mo D. visitatori apostolico sufficit pro exoneratione suae
coscientiae reduxisse in memoriam ill.morum D.norum cardinalium deputa-
torum pro informatione S.mi D. N. papae. DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 95

Cappellanus praedictus tolleratus fuit in novi missalis cerimoniis, hac
tamen conditione, ut abstineat ab audiendis confessionibus compareatque
Assisii coram deputatis ad Missam dicendam sub poena ut supra.

Die Quarta Septembris 1573.

Comparuerunt duo homines nomine comunitatis castri Limigiani quo-
rum nomina haec sunt: Josephus Barnabucci et Bernabeus Petri et suppli-
carunt sub hac verborum forma.

R.mo Mons.r La comunità di Limigiano desidera quando sia con buona
grazia. di quella haver un altro cappellano acció che fusse di continuo duo
Messe, atteso che.alla cura di 400 anime non basti un sol cappellano, et non
[| possa supplire, il che torna danno delle povere anime come meglio S. S. R.ma
intenderà da questi mandati sopra ciò a posta, quella serà pregata per
amor de Dio pigliar sopra ció quel rimedio che gli parerà piü opportuno, et
con questo fine gli bagia reverentemente le sacrate mani che '1 Signor Dio la
conservi come desidera.

Quibus auditis idem r.mus D. visitator etiam ex relata aliarum persona-
rum consideravit in huiusmodi negotio idem fore statuendum ac precipiendum
quod in visitatione curatorum beneficiorum annexorum eidem abbatiae
Sassivivi in diocesi Fulginaten. existenti statutum et descriptum fuit, ut
pro eorum, ac presentis ecclesiae Angeli necessitatibus sublevandis consulan-
tur illlmi ac r.mi cardinales deputati, cum manifestum sit rationi conso-
num fore exequtioni demandare Caput. 4. Sess. 21 et interim D. S. tollerandum
censuit per 15 dies praedictum D. Marcum Antonium cappellanum quam-
quam inhabilem et imperitum pro animarum cura ut sibi constituit per aliud
privatum examen ut possit in eadem parrocchia administrare sacramenta
praet?r audiendas confessiones ut intra dictum terminum provideatur de alio
cur-.tore magis idoneo ; et tunc D. Marcus Antonius posset deservire pro se-
cundo cappellano in dicendo Missis tantum cum ecclesia ipsa sit insigne bene-
ficium quodam regulare ut manifeste apparet ex vestigiis amplarum aedium
vetustate consumptarum in forma claustri.

SANDRI. — Ringrazio don Mario Sensi per quesía ricostruzione
della storia di S. Angelo di Limigiano, indubbiamente interessante.
Adesso dobbiamo iniziare la discussione sulle relazioni di quest'oggi.
Prego quindi coloro che desiderano prendere la parola sulla relazione
del prof. Morghen, sulla relazione del prof. Cencetti e su quella del dr.
. Hagemann di volersi iscrivere. Chi desidera prendere la parola sulla
relazione Morghen è pregato di alzare la mano. Nessuno desidera par-
lare su questo argomento. Sentiamo chi vuole prendere la parola sulla
relazione del dr. Hagemann : p. Ugolino Nicolini, il prof. Segoloni.
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96 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

NicoLini. — Mi inserisco nella magnifica relazione del dr. Hage-
mann, chiedendo una spiegazione a proposito di quei diplomi concessi
al monastero di S. Pietro da Ottone II e Ottone III, perduti per noi,
ma dei quali si ha notizia attraverso i « praecepta» di Corrado II e
Enrico III. Diceva il dr. Hagemann che, probabilmente, tali diplomi
furono spediti da Roma, durante la dimora dei suddetti imperatori
nella città. Perchè da Roma e non anche da Perugia? mi domando.
Effettivamente, la storiografia perugina, almeno quella rappresentata
dal Bonazzi, esclude decisamente che qualcuno dei tre Ottoni sia mai
stato in Perugia, ripudiando come falso, per esempio, il diploma di
Ottone III per S. Lorenzo in Campo, dato a Perugia il 7 marzo 1001,
della cui autenticità tuttavia non dubitarono il Muratori, il Mittarelli
e gli ultimi editori dei « Monumenta Germaniae Historica » (L. Bo-
NAZZI, Storia di Perugia dalle origini al 1860, I, 2% ed., Città di Ca-
stello, 1959, pp. 152-3; cfr. L.A. MuratoRI, Antiquitates Italicae,
V, col. 489; I. B. MirrAaRELLI-A. CostapoNI, Annales Camaldulen-
ses, I, p. 157; M. G. H., Dipl., 1r, rz, pp. 822-4). Anche per quanto
riguarda Ottone I e Ottone II, forse non si può dubitare della loro
permanenza almeno nei dintorni di Perugia, data la testimonianza di
Sigeberto di Gembloux nella « Vita Deoderici ». Si sa infatti che
Thierry, arcivescovo di Metz, discese in Italia con Ottone II nel 970
per « la grande rapina dei corpi dei santi », della quale ha scritto recen-
temente E. Dupré Theseider (in Festschrift Percy Ernst Schramm,
Wiesbaden, 1964, pp. 420-32). « In saltu — si legge nella Vita Deo-
derici — qui Collis dicitur, qui Perusiae adiacet civitati. ubi tunc im-
perator autumnali exercebatur venatu, monasterium erat antiquissimum
super fluvium Tyberim ...» (PL 160, 711); dunque, le circostanze
indicate da Sigeberto sul passaggio del quindicenne Ottone II a Peru-
gia, forse in compagnia del padre Ottone I, accrediterebbero la notizia
dell'incontro dell'imperatore con Pietro, fondatore dell'abbazia perugina,
secondo la duplice redazione della Vita sancti Petri abbatis (cfr. T.
LEccisorri-C. TABARELLI, Le carte dell'archivio di S. Pietro di Pe-
rugia, I, Milano, 1956, p. 2, nota 2). Per finire, vorrei chiedere al
dr. Hagemann se risulta fondata l'affermazione del Bonazzi, secondo la
quale Corrado II, sicuramente a Perugia il 20 marzo 1038, vi avrebbe
soggiornato « alquanti giorni » (Storia di Perugia, I, p. 171; cfr. M.
G. H., Dipl. tv, pp. 365-366).
DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 97

Proc. DANILO SEGOLONI. — La relazione del dott. Hagemann è
apparsa particolarmente consona all’atmosfera celebrativa del millena-
rio della nostra abbazia. La rassegna dei praecepta imperiali e dei
privilegia pontifici, concessi nei secoli dal X al XIII, rappresenta la
migliore testimonianza della considerazione e della posizione godute dal
monastero di S. Pietro di Perugia, le quali, nelle terre della Chiesa a
nord di Roma, appaiono seconde solo a quelle di Farfa. Ma i diplomi
imperiali e le bolle pontificie, accanto all’interesse per le loro vicende
esteriori illustrate dal dott. Hagemann, sollevano molteplici questioni,
politiche e giuridiche sulla posizione della nostra abbazia nell’ambito
delle strutture costituzionali e associative della Chiesa e dell’impero
proprie dei secoli XI e XII.

Il diploma di Corrado II del 1027 presenta un interessante esempio
di « tuitionis mundiburdium » concesso « interventu .... summi pon-
tificis » e a condizione che il monastero « ad iura S. Sedis Apostolicae
firmiter inviolabiliterque perenniter consistat ». Questa clausola ten-
deva forse a risolvere a favore del papa eventuali conflitti nascenti
dal duplice rapporto di fidelitas, che legava il monastero al papa e
all'imperatore, e dai vari rapporti che potevano vincolarlo al vescovo
ed ai signori feudali. Il mundiburdium comportava, oltre la protectio,
anche un dominium e una potestas sul protetto che passava in ius et
dictionem del protettore. Il praeceptum di Corrado II attenua queste
conseguenze subordinando la protectio imperiale alla permanenza del
monastero «ad iura S. Sedis Apostolicae ». Si osservi anche come la
multa di cinquanta libbre di oro puro, che colpisce i violatori del prae-
ceptum, venga ripartita a metà tra il monastero ed il suo abbate da una
parte ed il Palazzo Lateranense dall'altra, in luogo della Camera im-
periale, come sarebbe legittimo attendersi e come infatti troviamo nel
diploma di Enrico III del 1047.

Il dott. Hagemann ha messo in rilievo, nel diploma di questo
imperatore, la concessione al monastero dell’immunità dall'esazione del
fodro: ma non si tratta soltanto dell'immunità negativa dal fodro
imperiale che avrebbe avvantaggiato, più che il monastero, le chiese,
i castelli, le ville e gli uomini che ad esso appartenevano ; ma della
facoltà di esigerlo a proprio vantaggio. Una simile concessione poneva
la signoria della nostra abbazia, sulle terre di sua pertinenza, tra le
più ampie che si potessero configurare nelle strutture politiche del-
l'epoca. Tuttavia il tuitionis mundiburdium di Enrico III non contiene
alcuna attenuazione ed. il monastero passa semplicemente in ius et
dictionem dell’imperatore.

VIMERCATE III.

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CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

Il diploma di Enrico III fu per altro unico e di breve durata,
sia nei suoi aspetti positivi che negativi. Stefano IX nel 1057 esenta
il monastero dal fodro imperiale, che in base al diploma di Enrico III
non avrebbe dovuto pagare, e ne riserva il diritto di esazione alla Sede
Apostolica e così faranno tutti i successori.

I privilegi papali mostrano via via una sempre maggiore indipen-
denza dall’impero in conformità con lo spirito della riforma ecclesia-
stica dell’epoca : già Gregorio VI nel 1045 aveva proclamato che nessun
re, marchese, principe e duca, o chiunque altro, potesse esercitare alcuna
potestas o vis sulle persone e sui beni del nostro monastero : il divieto
viene esteso anche all’imperatore nel privilegio di Leone IX del 1052
e passerà nel formulario di tutti i successivi privilegi pontifici.

Stefano IX e i suoi successori riservano alla Sede Apostolica non
solo il fodro, cioè la «extraordinaria collatio ad felicissimam regalis
numinis expeditionem » (Edictum de regalibus del 1158), ma anche il
servitium nel quale debbono ravvisarsi altre prestazioni in denaro im-
poste dalle leggi o dalle consuetudini.

I diplomi imperiali alla nostra abbazia tornano alla ribalta,
dopo oltre un secolo, nella nuova situazione politica creata in Italia
dagli imperatori svevi. Federico I nel 1163 pone il monastero e tutti
i suoi beni « sub imperialis tuitionis mundiburdio », ed Enrico VI nel
1196 «in spectialem maiestatis nostrae protectionem », di guisa che
tutti i beni elencati nei diplomi ed ogni altro comunque appartenente
al monastero siano «ab omni indebito gravamine et illicita exactione
semper libera el absoluta ».

In uno Stato di diritto potremmo chiederci quale bisogno ci sia di
emanare praecepta per salvaguardare da esazioni illecile e da gravami
indebiti ; le cose forse non andavano allora cosi liscie e piane nep-
pure per i monasteri, ma l'argomento potrebbe portarci fuori dei limiti
consentiti ad un intervento. Vogliamo però rilevare che sia Federico I
che Enrico VI si riservavano la esazione del fodro e la imperialis
iustitia, affermando il primo «salva in omnibus imperiali nostra
iustitia ac fodro », e l’altro «salva in omnibus predictis iustitia ac
fodro imperiali ». Federico I doveva aver guadagnato, o meglio costretto
alla causa imperiale e a quella dell’antipapa Vittore IV, anche il no-
stro monastero, come pure il vescovo di Perugia: la protezione im-
periale accordata nello stesso anno 1163 dovrebbe esserne la prova.

Ma Federico I ed Enrico VI non fecero grandi concessioni al
monastero oltre la protezione imperiale ; essi si riservarono, insieme al
fodro, la iustitia imperialis nella quale erano compresi, in quanto DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 99

applicabili, tutti i diritti di regalia elencati nell’editto di Roncaglia del
1158 e quanti altri risultassero dalle consuetudini anche locali. Tra
questi ultimi il monastero ebbe forse a temere che Enrico VI potesse
considerare l’hospitalitas nel castello di Casalina, già pretesa ingiu-
stamente dal marchese Enrico il Superbo (?), e chiese ed ottenne un
nuovo diploma, nel novembre dello stesso 1196, col quale Enrico’ VI
dichiarò la chiesa di S. Pietro e il castello di Casalina immuni dalla
hospitalitas e da ogni altra molestia.

A nostro modesto avviso, i diplomi imperiali e i privilegi pontifici
alla abbazia di S. Pietro meritano una più ampia e profonda inda-
gine che possa meglio inquadrarli nella situazione giuridica, politica e
religiosa del tempo per averne una piena cognizione e comprensione.

HAGEMANN. — Ringrazio i due oratori per i suggerimenti molto
interessanti che mi hanno dato. Per quel che riguarda la presenza
di Ottone II nel 970-971 nel Perugino, non vorrei completamente
escludere la possibilità che egli vi sia stato nel 970 oppure nel 971
con il padre *) ; ciò di cui dubito è però che veramente Ottone II, alla
età di 15-16 anni — quanti ne aveva allora — abbia potuto già ema-
nare un privilegio indipendentemente dal padre e alla presenza di
lui. Io ho soltanto affermato che preferisco l’ipotesi (ma è soltanto una
mia idea) che tanto Ottone II quanto Ottone III abbiano dato questi
privilegi in occasione della loro permanenza a Roma per l’incorona-
zione, perché più tardi abbiamo l’esempio di Corrado II che proprio
immediatamente dopo la sua incoronazione, su preghiera del papa,
ha concesso il suo privilegio per S. Pietro. La stessa cosa è accaduta
anche più tardi con Enrico III. Perciò, per una certa analogia, po-
trebbe darsi che anche Ottone II ed Ottone III abbiano dato questi
privilegi proprio a Roma, dopo l’incoronazione o durante un soggiorno
in questa città.

Per quel che riguarda il diploma di Ottone III del 1001 per
S. Lorenzo in Campo, sono certo che il diploma sia veramente un ori-
ginale?), ciò che avallerebbe la possibilità che il diploma di quell’im-
peratore per S. Pietro di Perugia — oggi perduto — sia stato dato
in occasione della sua venuta e permanenza a Perugia.

Circa il fodrum, devo dire che questo è un problema veramente
interessante. Tutto il complesso dei problemi connessi con il fodrum
è stato studiato recentemente, credo per ben dieci anni, dal prof. C. Brühl,
che è stato per lungo tempo ospite dell'Istituto Storico Germanico in
Roma e che attualmente ha alle stampe un lungo lavoro per cui utilizza

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100 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

tutto il materiale degli archivi italiani riguardante il fodrum *). Penso
in ogni modo che questo lavoro, poiché è stato fatto con criteri molto
seri, sia una cosa fondamentale, perché cerca di chiarire in primo
luogo in che cosa consistesse veramente il fodrum, per studiare poi.
le trasformazioni che questo ha avuto attraverso i secoli, dedicandosi
infine specialmente al problema della esenzione dal fodrum stesso.
Esaminando il diploma di Enrico III, proprio ora esposto nella Mostra,
si può vedere il fatto al quale ho accennato già nella mia relazione,
cioè che all’origine una riga del diploma era stata lasciata in bianco.
Più sotto segue la continuazione del testo : è un segno lampante che la
questione del fodrum era rimasta sospesa fino all’ultimo momento.
Poi, dopo la decisione definitiva, con la stessa scrittura, ma con carat-
teri molto più piccoli, fu aggiunta nello spazio lasciato precedentemente
in bianco la riga riguardante l'esenzione dal fodrum. Il testo di questa
aggiunta era però più esteso del previsto e perciò non si riuscì a farlo
entrare tutto nella riga, anzi, le due ultime parole dovevano trovar
posto ancora sul margine. Questo è un segno che il problema del fodrum
fu discusso a lungo davanti ad Enrico III. In ogni modo risulta che
proprio quest’imperatore in fondo non era incline a rinunciare alla
prestazione del fodrum ; nel nostro caso però deve aver ceduto a qual-
che preghiera, oppure ne ha concesso l’esenzione per ragioni speciali
che non possiamo sapere. Poi, più tardi, come giustamente fu detto,
Federico I non ha voluto concedere di nuovo l’esenzione dal fodrum
alla nostra abbazia. È naturalmente una cosa interessante l’osserva-
zione che più tardi nel diploma di Enrico VI per Perugia, come avevo
visto anch'io, viene fatta questa concessione. È proprio una cosa strana.
Forse dipendeva dal fatto che in quel momento, cioè nel 1186, Enrico VI
aveva bisogno dell'appoggio politico della città di Perugia, mentre
dieci anni dopo, nel 1196, la sua posizione come imperatore era molto
più forte, e perciò egli non ritenne più necessario cedere su questo
punto alle richieste dell'abbazia. Ma purtroppo queste sono soltanto
ipotesi, sulle quali non possiamo dire con certezza l’ultima parola

NOTE

1) A riprova della venuta di Ottone 1 nel Perugino potrebbe essere citato
un diploma di Ottone 1 del 971 marzo 1 (ed. dai Monumenta Germaniae
Historica, Conradi I., Heinrici I. et Ottonis I. Diplomata, Hannoverae, 1879- .
1884, pp. 546-547 n. 401) che dà come luogo per l'actum: in comitatu Pe-
rugiae in colle, qui dicitur apud Colle. L'edizione si basa peró soltanto sulla
DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 101

edizione antecedente del Lami. Molti anni fa sono finalmente riuscito a tro-
vare una copia manoscritta di detto diploma a Firenze, Bibl. Nazionale,
Strozzi Spoglio PP 1237 (Magliab. xxxvr 35) p. 341, presa da una copia
del 13 febbraio 1286. Nel 1962 ho avuto la fortuna di rintracciare questa
copia nel convento di Monte Oliveto Maggiore. Tuttavia, né queste copie,
né un controllo del testo eliminano completamente i dubbi sull'autenticità,
espressi già nell'edizione dei Monumenta Germaniae Historica, quantunque
non sembri da escludere che qualche diploma vero e proprio sia servito come
base. Per il luogo si deve confrontare anche la Vita Deoderici, Monumenta
Germaniae Historica, Scriptores, 1v, Hannoverae, 1841, p. 474, dove è citato
— attribuendolo peró al mese di ottobre 970 — il furto dello scheletro del
martire Asclepiodato, avvenuto vicino a Perugia in saltu qui Collis dicitur,
super fluvium Tyberim; la citazione del vescovo di Assisi, ad quem locus
pertinebat, esclude tuttavia che la località fosse troppo vicina a Perugia,
e fa piuttosto pensare ad una zona ai margini del comitato Perugino, verso
Assisi. Di conseguenza si può affermare che il soggiorno di Ottone 1 (con il
figlio Ottone 11) nella stessa Perugia non è suffragato da alcuna prova certa.

?) Per il diploma di Ottone mi del 1001 marzo 7 per S. Lorenzo in Campo
cfr. nota 8 del testo.

3) Per il titolo esatto del lavoro del Bnuznnr cfr. nota 63 del testo.

SEGOLONI. — Mi permetto di segnalare al prof. Cencetti qualche
elemento che possa indurlo a guardare con minore sfiducia alla notitia
della delimitazione dei confini tra Todi, Spoleto, Perugia, Assisi e
Bevagna eseguita al tempo di re Desiderio e di papa Paolo I.

Del documento, che si asserisce conservato a Todi sino al 1895
e poi perduto di vista, permane una copia autentica al foglio 15 del
Registrum Vetus Instrumentorum nell’archivio della stessa città
fatta il 20 febbraio del 1281 per mano del notaio imperiale Giovan-
nino di Bonifazio, da Collazzone. Altre copie nello stesso archivio,
sono segnalate dall’ Amaduzzi (in Anecdota Litteraria, I, pp. 446-
47) ma non ho avuto occasione di riscontrare l’annotazione, negli
istromenti rogati dal notaio Francesco di Bartolo il 27 e 28 giugno
1293 : altra copia ancora ne avrebbe redatta tale Iacobo di Simone,
da Todi, il 15 novembre 1320. Tutte queste trascrizioni sono state
usate per la confinazione di alcuni castelli e terre del comitato di Todi
verso quello di Spoleto.

Il contesto del documento ha fornito vari motivi per dubitare della
sua autenticità e insieme della sua veridicità. Lascio agli specialisti
di diplomatica ogni disquisizione in merito e al prof. Cencetti le sue
buone ragioni per «prendere con le molle» il documento.
——————À—M]À

102 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

Desidero tuttavia osservare che non è facile parlare di un falso
sostanziale : varie considerazioni inducono anzi a credere alla berita
della notitia se non all'autenticità del documento.

Sull'epoca della sua redazione potrebbe fornire un indizio la
menzione del comitatus Bevanatus che si puó supporre scomparso
insieme con la diocesi di Bevagna nel secolo IX : nei documenti del
secolo XI si vede ricordato solo il gastaldatus Bevanatus. Il più im-
portante elemento di veridicità è costituito dalla singolare coincidenza
ira la data del nostro documento — anno quarto regni eius (Desiderii)
indictione XIII — e quella della lettera di papa Paolo I a Pipino,
re dei Franchi : « per totum instantem aprilem mensem istius tertiae
decimae indictionis » (Codex Carolinus, ep. 19; in JAFFÈ, Biblioth.
Rerum Germanicarum, IV, pp. 86-88, Berlin, 1867).

Nella lettera suddetta, Paolo I annuncia a Pipino l’accordo in-
tervenuto tra i messi di costui e il re Desiderio sulla restituzione, entro
il prossimo aprile, di «omnes iustitias beati Petri ...., omnia vide-
licet patrimonia, iura etiam et loca atque fines et territoria diversarum
civitatum nostrarum rei publicae Romanorum ». Sembra lecito ritenere
con il Sansi (I Duchi di Spoleto, p. 58, Foligno, 1870) che la deli-
milazione dei confini «inler Comitatum Tudertinum, atque Spole-
tanum, sive Bevanatum, nec non et Asisinatum, et Perusinum » sia
da riferire alle operazioni previste nella lettera del Papa e sia stata
tra le prime ad eseguirsi, trattandosi di terre vicine a Roma, per ri-
spetto e timore del papa in quel particolare momento politico. Altro
indizio, se pur fragile, può forse desumersi dal fatto che alcuni topo-
nimi del documento non trovano riscontro, come gli altri, in più tardi
documenti di confinazioni o sul terreno.

Altri indizi sono forniti, a parte le ricordate confinazioni eseguite
in Todi intorno al 1300, dai diplomi imperiali e dai privilegi pontifici
del secolo XI, XII e XIII, che indicano di proposito, o solo occa-
sionalmente, i confini dei comitati o delle diocesi di Perugia, Todi,
Assisi, Spoleto. Tutti i suddetti documenti seguono le linee di con-
fine indicate dalla nostra charta.

Il diploma di Corrado II al monastero di S. Pietro di Perugia
del 1027, di Federico I ad Assisi nel 1160 e a Foligno nel 1170 ; la
bolla di Innocenzo III al vescovo della stessa città nel 1198 ; la elen-
cazione dei redditi e proventi delle terre e dei castelli del ducato di
Spoleto contenuta nel Liber Censuum ; il diploma di Federico II a
Spoleto nel 1241, il privilegio del cardinale legato Raniero Capocci
a questa stessa città del 1246, indicano tutti una confinazione che

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DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 103

corrisponde, spesso anche nei toponimi, a quella del nostro documento.

A questi indizi di veridicità di varia provenienza ed epoca, credo
di poterne aggiungere un altro: il messo Tupno che appare nel di-
scusso documento, sembra di poterlo ritrovare nel 772, sempre quale
messo di re Desiderio al papa, nella vita di Adriano I del Liber Pon-
tificalis ove è indicato come « Tunnonen, ducem Eburegias » cioé
d'Ivrea (Liber Pontificalis, p. 487, ediz. Duchesne). Se cosi fosse,
e non dovrebbe essere impossibile accertarlo con una più accurata
ricerca da estendersi anche all’altro messo Tebaldus, mi pare che il

documento possa essere accolto come una rara e preziosa testimonianza
sul secolo VIII.

CENcETTI. — Ringrazio il prof. Segoloni per la segnalazione del
documento, di cui terrò conto nella breve nota che ho intenzione di
fare in proposito. Il documento al quale io ho accennato è stato preso
per buono da tutti gli storici, locali e non locali, ma nessuno ne ha
mai fatto un preliminare studio diplomatico. Non è un documento
regio e pertanto non è stato preso in considerazione dal Chroust ; non
appartiene al Regno ma a un ducato e pertanto sfugge alla raccolta
dello Schiaparelli. Per mio conto, nel sommario esame che ne ho fatto
ho potuto rilevare più di un motivo di sospetto, a cominciare dalla
menzione di un comitatus di Todi e di giudici cittadini in età longo-
barda, per finire con la formula stessa della confinazione, stranamente
simile a quella dell'età feudale, anzi dei secoli XI e XII. Non posso
certamente escludere la realtà di una confinazione del territorio di
Todi nel corso delle trattative fra Paolo I e Desiderio, soprattutto se
ciò è confermato dall’altro documento cui allude il prof. Segoloni e
che io mi farò premura di esaminare: ma quel che a me sembra non
potersi assolutamente ammettere è la genuina originalità della carta,
la sua appartenenza, nel testo che possediamo, all’età longobarda e
all'anno 760. E, aperta questa strada al dubbio, rimane assai difficile
fidarsene.

SANDRI. — C’è nessuno che vuol prendere la parola sulla comuni-
cazione Bellucci ? sulla comunicazione Sensi ?

MELONI. — Poichè don Mario Sensi ha avuto la bontà di citarmi,
sento il bisogno d’intervenire per una precisazione ed alcune conside-
razioni.
^ com —

104 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

Come egli ha ricordato, mi sono brevemente occupato di S. Angelo
di Limigiano in una comunicazione, presentata l'anno scorso al III
Convegno di studi umbri, in cui mi proponevo la verifica delle notizie
lasciateci dallo Jacobilli su alcuni monasteri benedettini umbri tra
VIII e XI secolo.

In un primo momento mi era sembrato di dover escludere questo
monastero dalla mia trattazione perchè eccedente i miei termini crono-
logici. Infatti Jacobilli a p. 315 del III tomo delle sue Vite de’ Santi
e Beati dell'Umbria, nella scheda che gli dedica espressamente — la
n. 47 di quel suo ' catalogo’ in cui sintetizza le notizie raccolte su una
cinquantina di monasteri umbri e che è stato il principale oggetto del
mio lavoro — lo dà eretto circa l’anno 1163 « dalli homini del Castello
di Limigiano » e continua col riassunto delle notizie già fornite nella
Cronaca di Sassovivo. Poi però mi sono accorto che a p. 296 dello
stesso volume — quindi 19 pagine prima della suddetta annotazione —
nella scheda n. 20 relativa a S. Pietro di Perugia, egli aveva elencato
tra le pertinenze di questo monastero anche S. Angelo di Limigiano
citando vagamente a margine antichi documenti custoditi nell’archivio
dell’abbazia perugina.

Al Kehr questo particolare deve essere sfuggito, perchè altrimenti
non avrebbe lanciato quel suo perentorio ed unico « errat Jacobillus »,
che è basato sul privilegio di Nicolò II del 1059, il quale, molto proba-
bilmente, deve essere poi lo stesso da cui fu desunto l’elenco delle per-
linenze registrato dall’agiografo umbro. (KEun, Italia pontificia, IV,
p. 59).

Ecco perchè ho detto che S. Angelo di Limigiano costituisce nella
storiografia jacobilliana « un tipico esempio di giustapposizione di no-
tizie contrastanti accolte da fonti diverse ». Non mi riferivo, come pare
sia stato inteso, a quelle raggruppate nella scheda n. 47, che sostanzial-
mente non mettevo in dubbio, dato che è noto come Jacobilli conoscesse
l'archivio di Sassovivo ; né il mio voleva essere un facile giudizio ne-
gativo nei confronti dell’insigne storico umbro : intendevo solo carat-
lerizzare i modi e i limiti della sua opera storiografica che, anche per
me, rientra nella migliore tradizione erudita del nostro '600. Mi fa
quindi piacere il constatare che i documenti, trovati ed illustrati da
don Mario Sensi, confermino la mia convinzione che Jacobilli abbia
accolto notizie sostanzialmente vere sia in un caso che nell’altro. Unica
eccezione è quella « invenzione » della data di fondazione posta al 1163,
sulla cui genesi chiedo a don Sensi se si possono trovare altre ragioni
oltre a quelle che ci ha illustrato. Ì

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DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 105

Se le possibilità di attingere all'archivio di S. Pietro di Perugia,
che per lo storiografo folignate furono assai limitate e forse posteriori
ai suoi studi su Sassovivo, chiariscono almeno in parte l'origine di
questa « giustapposizione », resta comunque il fatto che Jacobilli non
vide o non ebbe modo di porsi il problema di fondo che, per S. Angelo
di Limigiano, è costituito dalla integrazione delle risultanze sicure della
duplice documentazione di cui dispone : le carte di S. Pietro di Perugia
e quelle di Sassovivo.

Il trentennio o poco piü d'intervallo che intercorre tra il privi-
legio di Eugenio III a S. Pietro di Perugia (1145) in cui S. Angelo
risulta ancora dipendente dall'abbazia perugina, e la data del primo
documento illustrato nella relazione Sensi, costituiscono un lasso di
tempo assai breve nella vita di una istituzione.

Ritengo quindi che bisogna ribaltare l’ipotesi di una frattura già
formulata da Bini — il quale non conoscendo i documenti dell’archivio
di Sassovivo, ma facendo in buona parte credito allo Jacobilli, ipotizza
un assai più lungo intervallo tra le due documentazioni (cfr. Le carte
dell'Archivio di S. Pietro di Perugia, a cura di T. Leccisotti e C. Ta-
barelli, Milano, 1956, I, pp. 42-43) — e pensare piuttosto alla conti-
nuità di questo monastero assisano, tanto più perchè il suo primo do-
cumento finito nell'archivio di Sassovivo è un contratto di enfiteusi.
Oltre che dell'autonomia raggiunta, abbiamo quindi la testimonianza
della preesistenza dell’istituzione alla data in cui esso viene stipulato,

Sarebbe certo di grande interesse sapere qualcosa di più su questo
sganciamento di S. Angelo di Limigiano dalla dipendenza dell’abbazia
perugina, conoscerne le cause e le modalità di attuazione, tanto più
che esso non risulta definitivo.

Come è noto nelle carte pubblicate dal Leccisotti e dal Tabarelli
la dipendenza del monastero assisano non risulta più nei diplomi im-
periali di Federico I (1163) e di Enrico VI (1196), mentre è di nuovo
registrata in quello del pontefice Gregorio IX (1231). Nel praecep-
tum del Barbarossa (la cui data curiosamente coincide con quella della
fondazione di S. Angelo presunta dallo Jacobilli), e così pure negli
altri due successivi sopra ricordati, compare invece, come dipendenza
dell'abbazia perugina, la chiesa di S. Maria di Baltignano o di Ro-
sciano che indubbiamente apparteneva al patrimonio del monastero
assisano fin dal tempo della sua unione a S. Pietro di Perugia, dato
che così figura nell'atto del 1058 (Le carte etc. I, 43 e n. 2).

Questo scorporo patrimoniale può far pensare ad una compensa-
zione? È il prezzo dell'autonomia?
106 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

Infine è certo che il distacco di S. Angelo di Limigiano coincide
con quel periodo di orientamenti filo-imperiali dell'abbazia perugina di
cui hanno parlato il dott. Hagemann ed altri relatori. Se, e come, sia
stato determinato da motivi connessi con quella situazione non pos-
siamo certo saperlo dalla scarsa documentazione di cui disponiamo.
L'indicazione mi pare però utile come orientamento per nuove ricerche
ed ulteriori studi.

SENSI. — L’anno 1163, che segna la morte di Michele, Abate di
Sassovivo, è preso dallo Iacobilli il quale probabilmente a quel tempo
non conosceva. le carte di S. Pietro di Perugia (mai infatti nelle note
marginali della Cronica è menzionato l’archivio di S. Pietro), come
termine di riferimento per la fondazione del monastero di Limigiano,
anticipazione arbitraria in base al documento del 1170 (Arch. Sass.,
n. 397); del resto l'autore della Cronica manifesta la sua incertezza :
«intorno a questo tempo, fu edificato il monastero di S. Angelo ». È
successivamente, nel Catalogo dei Monasteri, che si nota l'incongruenza :
mentre al n. 20 del Catalogo l’autore pone il monastero di Limigiano
tra le dipendenze di S. Pietro di Perugia, seguendo probabilmente le
carte stesse del monastero, al n. 47 sembra ignorarle, ripetendo quanto
già aveva scritto nella Cronica.

Convengo quindi con il prof. Meloni nel rilevare i limiti nell'opera
dello Iacobilli, ma quanto alla data dell'erezione del monastero di Li-
migiano allo stato attuale non mi è possibile dare altra soluzione, fa-
cendo rilevare che questo non é l'unico caso in cui lo Iacobilli fissa
le date di fondazione dei monasteri umbri anticipando di qualche anno
o addirittura di qualche secolo date fornite da documenti diligente-
mente consultati.

SANDRI. — Ringrazio gli oratori, ringrazio coloro che hanno
partecipato alla discussione e dichiaro chiusa la seduta.

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DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA

30 settembre 1966, ore 9

CeccHINI. — In attesa che arrivi la persona designata, assumo
temporaneamente la presidenza e dò la parola al prof. Martelli.

L'atchitettura nella basilica e nel monastero
di San Pietro in Perugia

Per una coincidenza abbastanza singolare mi trovo a prendere
la parola per fare una relazione sui lavori compiuti finora nella
illustre basilica di San Pietro Apostolo, e sui risultati delle ricerche
effettuate nel vivo delle strutture, proprio l'ultimo giorno del lungo
periodo di quasi quindici anni (si potrebbe dire una specie di sía-
bilitas loci per un funzionario) durante il quale ho diretto la Soprin-
tendenza ai Monumenti ed alle Gallerie dell'Umbria : il periodo piü
fecondo della maturità dell'uomo ha coinciso con un fortunato mo-
mento di ripresa degli studi, di accentuazione dell'interesse verso
le memorie del passato, e di un conseguente aumento — seppure
sempre in modesti limiti — di disponibilità finanziarie, anche per
gli interventi disposti dagli Organi locali dei LL.PP. in favore dei
monumenti. Cosi che non certo soltanto per mio merito, ma per
una favorevole congiuntura e per la buona disposizione di altre
persone, mi sono trovato a poter cumulare in questa Regione, cosi
ricca di memorie, una considerevole quantità di esperienze indi-
menticabili.

È il momento degli addii: ma è il giorno del rendiconto, del-
l'esame di coscienza che porta a far pesare maggiormente tutto
quello che non si è voluto o potuto fare, o non si è avuto modo di
fare : ma più ancora il rimpianto per tutto quello che non si è appro-
fondito sufficientemente, aspettando e rinviando l'affrontamento
del tema per girargli cautamente intorno.

Questo, appunto, è stato il caso del San Pietro Apostolo di
Perugia : la gravissima preoccupazione per lo stato delle coperture
e le responsabilità pesanti che ne scaturivano, non ammettevano
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108 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

la possibilità di scelte. Si è dovuto pensare esclusivamente alla rico-
struzione dei tetti; si sono dovuti convogliare tutti i mezzi finanziari
reperibili verso questa operazione, senza poter distrarre alcuna somma
al di fuori di quella che non fosse giudicata, almeno, pertinente al
necessario consolidamento delle murature.

L'essersi dovuti imporre limitazioni cosi rigorose, si riflette
in una minore messe di notizie: tuttavia i ritrovamenti effettuati
costituiscono sempre un considerevole apporto alla conoscenza di
questo straordinario monumento ; certamente la più bella chiesa
di Perugia, molto celebrata quanto poco studiata. |

Da quasi un decennio si erano fatte più vive le preoccupazioni
degli Organi responsabili per lo stato di conservazione della cittadella
benedettina nel suo complesso, e particolarmente per le coperture
della chiesa : tanto che, di fronte a così vasti problemi dell’insieme
dei fabbricati, si pensò di proporre addirittura una legge speciale
che, purtroppo, non venne mai perfezionata.

La Soprintendenza ai Monumenti, d’accordo del resto col Genio
Civile, dovette giungere ad un provvedimento molto grave : quello
cioè di chiudere al culto la chiesa, per evitare pericoli all’incolumità
delle persone. Ma chi poteva disporre qualcosa contro i pericoli
che correva il monumento in sè ?

La Soprintendenza ai Monumenti affrontò il problema finan-
ziario per intero, salvo un lotto disposto dalla Fondazione per l’Istru-
zione Agraria proprietaria dell'immobile; lotto che rappresenta
circa un sesto della spesa totale che si è resa necessaria.

I lavori sono stati iniziati nel 1959 e si sono conclusi solo nel
1965, per la scarsità di mezzi a disposizione che ci ha costretti ad
operare per lotti e per stralci. Tutte le coperture sono state rinnovate,
sia quelle che sovrastano le volte dell’abside e del transetto, sia
quelle che aderiscono al magnifico soffitto ligneo della navata cen-
trale, sia — infine — quelle che coprono i vani delle navate laterali.

Non si è trattato di riprese, di riparazioni o di ricostruzione
pura e semplice di coperture, previa l’eliminazione delle più grosso-
lane deficienze statiche : si è trattato invece di un nuovo impianto,
basato su uno studio particolare, che ha tenuto conto di tutti gli
aspetti del problema e di tutti quegli accorgimenti che dovevano
essere tenuti presenti per ridurre i rischi, anche attraverso l’accor-
ciamento dei tempi di lavoro (ecco una delle ragioni per cui si è
data la preferenza al ferro anzichè al cemento armato) ; studio che
ha voluto prevedere, nei limiti del possibile, tutte le cause che pote-
DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 109

vano comunque originare preoccupazioni, anche in un lontano
futuro. Si deve pensare che la copertura sopra al transetto ed al
coro poggiava il proprio rilevantissimo peso su pilastrini in mura-
tura di sezione molto ristretta, direttamente cresciuti sull'estra-
dosso delle volte: si che su ristrette superfici di queste venivano a
concentrarsi carichi enormi, con pericolo di sfondamento delle volte
stesse e quindi di crolli improvvisi ed imponenti.

La situazione, pertanto, era obbiettivamente molto piü preoc-
cupante in questa zona che in quella della navata maggiore ; e perció
sì convenne di affrontarla per prima.

Un lavoro dunque molto vasto, indaginoso, fonte di incertezze
e di timori per le responsabilità gravissime emergenti dalla altissima
qualità del monumento. Si sono dovuti costruire circa 1.500 metri
quadrati di falde.di tetto su una ossatura portante di ferro saldato,
con l'esclusione intenzionale del legname, anche perchè l’infestazione
termitica, imponentemente manifestatasi circa trenta anni or sono
nella zona del coro — minacciandone i pregevolissimi stalli — non
è del tutto scomparsa; anzi ha ripreso in questi ultimi tempi una
particolare virulenza che chiede nuovi, urgenti e massicci inter-
venti con i più aggiornati mezzi di lotta. Sono stati necessari, per le
strutture di sostegno del solaio inclinato di copertura in cemento
armato e laterizi forati, ben quattrocento quintali di travi di ferro
di diversi profili, anche di sezione molto considerevole; poiché le
incavallature di tipo tralicciato (fig. 1), cosiddetto all’inglese, rag-
giungono in corrispondenza al presbiterio la luce di 22 metri, senza
appoggi intermedi.

Della vecchia carpenteria in legname sono rimasti soltanto i
tiranti — o catene — delle vecchie capriate sopra alla navata mag-
giore, tiranti che non si potevano rimuovere perché su di essi era
stato costruito fin dall'origine il soffitto ligneo cinquecentesco, sof-
fitto che venne sostenuto con una rigida, generale incastellatura
(fig. 2) durante lo svolgimento dei lavori, per non togliergli quella
garbata ondulazione che l'assestamento del tempo gli aveva con-
ferito, a complemento della plastica vigorosa delle sue preziose
membrature ; evitando di conferirgli una innaturale rigidità di forme,
quale gli avrebbe dato un rimontaggio, anche il piü accurato.

Le poche travi lignee non hanno piü alcuna funzione statica,
essendo i pesi portati direttamente dalle nuove incavallature in
ferro, due per ciascuna trave; che rimane cosi affiancata e sostenuta
dalla nuova struttura.
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CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

L'andamento delle falde della copertura (fig. 3) sulla navata
maggiore e sulla navata di destra é stato notevolmente variato per
ripristinare quello originale, incidendo anche fortemente — ed in
un certo senso sfavorevolmente — sulla veduta del complesso dalla
città, poichè l'enorme e caratteristica falda ne è uscita dimezzata :
ma dopo non poche valutazioni si è dovuto accettare questo sacri-
ficio estetico, appena compensato dal maggior slancio che ha preso
il magnifico campanile, accentuando ancora la propria preminenza
sul complesso degli edifici della cittadella monastica.

Questa particolare forma delle masse esterne, ove il transetto
sembra sovrastare, per accogliere e riunire, quella delle tre navate,
è simile soltanto alla struttura da poco ripristinata del San Paolo
inter vineas di Spoleto, che è della seconda metà del xir secolo ?).

La parete sopra agli archi dei valichi verso la navatella destra
aveva dato qualche segno di sofferenza, manifestata attraverso defor-
mazioni che richiamavano quelle elastiche di pressoflessione, pro-
prie dei solidi caricati di punta. Infatti uno dei più gravi atten-
tati alla integrità statica del monumento fu commesso verso la
fine del xvi secolo quando, per incassare le dieci grandi tele, di
complessivi 300 mq., dipinte a Venezia da Antonio Vassillachis detto
l’Aliense, non si esitò ad incidere lo spessore dei muri laterali della
navata centrale, per tutti i trenta metri della sua lunghezza e per
oltre cinque metri: di altezza, praticandovi due immensi incavi di
quindici centimetri di spessore. Insomma su una superficie di parete
sopra gli archi di metri quadrati 210 per ogni lato, se ne incisero ben
metri quadri 160, riducendone lo spessore di un quarto : senza giu-
stificazione alcuna perchè le tele, con i loro telai relativamente
leggeri, potevano venire semplicemente appese; con l'aggravante
che essendo il muro costituito da due paramenti di mattoni con
un riempimento interno — per fortuna abbastanza consistente —
la riduzione di spessore deve essere considerata, agli effetti sta-
tici, molto maggiore della mera misura reale.

Si è cercato di rimediare a questo gravissimo indebolimento
della situazione statica delle murature — le cui cause nessuno finora
aveva rilevate e precisate, finchè non vennero discese le grandi
tele dalle pareti — attraverso la demolizione di pesanti sovrastrut-
ture che — forse nel tardo Cinquecento — erano state costruite
sul muro destro della navata centrale (fig. 4) per impostarvi inna-
turalmente la linea di colmo ; e con un riuscito tentativo di irrigi-
dimento, legando l’apparecchio murario degradato e sofferente alle
DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 111

murature esterne delle navatelle — che sono in ottime condizioni —
con una abbondante rete di tiranti in ferro (fig. 5), opportunamente
bloccati da profilati saldati sulla testata. Una vera e propria cuci-
tura per rendere solidali tra loro le strutture ed assicurarne la piü
lunga conservazione possibile. Ben più radicalmente si è potuto
operare in corrispondenza alla navatella sinistra, demolendo le
sopraelevazioni e le aggiunte che — per indifferenza verso il pre-
zioso monumento — erano state costruite verso la fine dell’Ottocento
per sistemarvi un laboratorio di chimica.

Per concludere su questa prima parte di lavori compiuti che
costituisce, direi, la parte essenziale per assicurare la conservazione
del monumento e restituirlo alla propria naturale funzione, debbo
ricordare l’opera del direttore dei lavori, il Soprintendente arch.
Renzo Pardi; la consulenza dell'ing. Sisto Mastrodicasa ; l'espe-
rienza dell'assuntore dei lavori sig. Romeo Tondini; la cordiale
collaborazione del prof. Giuseppe Guerrieri, Presidente della Fonda-
zione per l'Istruzione Agraria, e quella dei Padri Benedettini.

*
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Mi è sembrato giusto di parlare un po’ a lungo dei lavori eseguiti
nella basilica, perchè ci hanno tenuti impegnati per diversi anni;
ma soprattutto perchè si tratta di opere di ingente spesa, i cui risul-
tati sono avvertibili soltanto in minima parte ad un attento osser-
vatore : poichè un visitatore che torni nella chiesa oggi, dopo una
decina di anni dall’ultima visita, non si accorge che sono state con-
cretate vaste e difficili opere che per lunghi periodi ci hanno tolto
la tranquillità.

Avrei dovuto trattare dell’architettura del complesso abba-
ziale: ma essa è abbastanza nota, conosciuta ed illustrata ; con
l’eccezione forse di quel pregevolissimo terzo chiostro, il cosiddetto
chiostro delle «stelle» (fig. 6), ariosa composizione di Galeazzo
Alessi, purtroppo degradata dalla gelività della pietra serena delle
nobili membrature e ancora con i loggiati chiusi da muri e vetrate,
per una utilizzazione dalla quale deve essere al piü presto liberato.

Il nucleo centrale del complesso abbaziale è costituito dalla
chiesa : ed ivi si polarizza — ovviamente — il massimo interesse :
per l'architettura della basilica; per l'indagine sulle parti più an-
tiche — nascoste o sconvolte da strutture seriori — attraverso

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112 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

saggi per dar senso ai rilievi; per lo studio, infine, della datazione.
La restituzione in pristino si limita a ben delimitate, piccole parti
di strutture suscettibili appunto di venire ripristinate, senza che il
mirabile contesto ne esca menomamente compromesso nella sua
attuale unità figurativa, tanto piü singolare poiché formata da un
armonico, continuo incremento di bellezza, al quale l'architettura
di nessun secolo, fino al xvii ed al xix, è rimasta estranea.

Si tratta di un monumento eccezionale per piü aspetti e dei
piü difficili da trattare, tanto che non é mai stato oggetto di uno
studio particolare, e tanto meno di un programma adeguato ed
organico di ricerche preliminari soprattutto nel vivo delle strutture.
L'estrema difficoltà di operare tasti nelle pareti interne, tutte co-
perte da pregevoli decorazioni, ha sempre consigliato un prudente
rimando nell'affrontare il tema.

Nel corso degli ultimi lavori, ai quali abbiamo ampiamente
accennato, si é potuta compiere qualche indagine all'esterno delle
murature di perimetro e di quelle sopra ai valichi della navata cen-
trale: anzi si è potuto spingersi in questa parte fino al ripristino
delle strutture (fig. 7), con qualche buon risultato, specie nel fianco
nord che guarda verso la città. Ma l'urgenza contingente di rendere
efficienti le coperture perché alla chiesa si potesse restituire l'agi-
bilità — anche in vista di queste celebrazioni millenarie — non ha
permesso (e lo abbiamo già avvertito) di distrarre fondi per ricerche
approfondite, in punti ben determinati e specialmente sul suolo,
sotto ai pavimenti, per avere la risposta a molti inquietanti quesiti.

Le undici finestre (fig. 8) ritrovate su ogni lato della navata
maggiore (quindi, come mostra la sezione longitudinale — che e
uno schema di saggio grafico rievocativo — una di piü dei valichi
fra le colonne), risultano in effetti molto piccole e molto spostate
in alto, come se si fosse voluto creare una vasta superficie per sten-
dervi un ciclo di affreschi.

Non è stato purtroppo possibile, in nessun caso — per non
danneggiare la decorazione della fascia sopra alle tele dell'Aliense —
di esplorare gli sguanci interni delle finestre, alla ricerca di resti
di decorazione pittorica, di un termine ante quem stilistico che avrebbe
potuto piü sicuramente orientare l'attribuzione cronologica.

Le finestre (fig. 9) si aprono verso l'esterno su di un paramento
di corsi di mattoni, rigorosamente orizzontali, murati con molta
cura, con sottilissimi giunti di malta con stilatura inclinata ; perció
l'ossatura muraria é molto dissimile da quelle altomedioevali. Qneste

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della navata centrale durante i lavori di sostituzione delle coperture.
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Fig. 8. — PeRrucIa. Basilica di San Pietro Ap. Sezione longitudinale. Nella parte mediana (r si tratta di un saggio rievocativo. (Su rilievo degli architetti Capoc-

chia, Caronese, Stapone).
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Fig. 9. — PERUGIA. Basilica di San Pietro Ap. Una finestra della navata

centrale vista dall'esterno (lato Sud).


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Fig. 13. — PeRruGIA. Basilica di San Pietro Ap. Pianta sopra alla nav atella destra ed ai locali adiacenti verso Sud. In basso il muro della navata centrale con la posizione delle colonne, in alto la

loggia quattrocentesca. (Ril. A. Teolato).

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Fig. 14. — PznvarA. Basilica di San Pietro Ap. Pianta e sezione longitudinale della loggia del chiostro della metà del Trecento. (Ril. A. Teolato).
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DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 113

finestre centinate, munite di un sottile contrarco, sguanciate all'in-

terno ed all'esterno — e non tagliate semplicemente nel muro con
stipiti a pianta rettangolare — sono molto tarde e la loro forma

non mi sembra si discosti molto da quelle (fig. 10) che appartengono
alla sopraelevazione tardo-duecentesca della chiesa abbaziale di
San Salvatore di Montecorona presso Umbertide ?).

Io penso che le finestre, e tutta la muratura di laterizi della
navata centrale, si debbano datare al xim secolo : del resto io non
Ho mai ritenuto anteriori allo stesso periodo le strutture dell'antica
facciata, che circa venti anni orsono vennero scoperte sotto i forti
rimpelli murari occorsi per la costruzione del chiostro secentesco ;
né — del pari — ritengo anteriori alla fine del secolo xrv gli affreschi
che la rivestivano. Ed abbiamo già ricordate le analogie osservate
con le masse della chiesa di San Paolo inter vineas di Spoleto, abba-
stanza precisamente datata. Ai primissimi anni del Trecento sembra
siano da ascrivere le murature dei fianchi delle navatelle (fig. 11),
poiché le monofore lobate che sono state rinvenute appartengono
sicuramente a quell’epoca, e sembrano assolutamente sincrone alle
murature, e non risultanti da successive aperture in breccia. Alla
metà dello stesso secolo xiv sembra appartenere la serie di volte
a crociera costolonate (fig. 12), che per poco più di un secolo coprì
là sola navatella destra, prima della costruzione delle volte cinque-
centesche che limitano adesso entrambe le navatelle. Tre campate
sono ancora in sito con il loro intonaco bianco sui fondi e grigio
pietra serena con finti giunti nelle costolature : altre sette campate
sono state demolite in epoca imprecisata e ne restano i peducci e
le tracce sui muri. I rilievi hanno dimostrato la completa assenza
di concordanza fra l'imposta delle crociere e le sottostanti colonne
(fig. 13). Del tutto sincrone appaiono invece le altre crociere molto
simili, che coprono un lungo e stretto vano fra il muro perimetrale
della navata laterale e la loggia del chiostro quattrocentesco, ri-
chiusa poi da finestre nel Settecento per ricavarne un ambiente
che attualmente serve da refettorio.

Alcuni fortunati tasti hanno permesso di scoprire la serie com-
pleta di finestre trifore nel muro intermedio (fig. 14), completa-
mente chiuse da murature e molto guastate da successive aperture
praticate via via per la necessità del convento : molte di queste
trifore, delle quali nessuna è completa (fig. 15), conservano ancora
colonnine di marmi colorati con caratteristici e variati capitelli,
a reggere le arcate laterizie di accentuata falcatura.
114 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

‘Sembra finalmente di poter cogliere, per questa particolaro
struttura, una corrispondenza fra stile e notizie documentarie :
sembra infatti accordarsi a questa loggia, finora ignota, l'oggetto.
del contratto 3 febbraio 1338 fra l'abate Ugolino Vibi ed i fratelli
Bartolo e Mannuccio di Puccio da Torgiano per l’esecuzione di
quattro crociere sul chiostro, con finestre e colonne scolpite.

Si è potuto fare un piccolo saggio anche in corrispondenza.
ad uno dei pochi tratti conservati del grande rosone di facciata,
irrimediabilmente manomesso nel Seicento (fig. 16): la struttura
sembra appartenere ai primi anni del secolo xv, col suo contorno
di cornici fittili, con avanzi di coloritura rossastra : il rosone, di
diametro :molto considerevole, non ha mai avuto un frastaglio.

L’aspetto esteriore del monumento, quale ci appare nella rievo-
cazione ideale che inducono i ritrovamenti effettuati, ben si accorda
alle antiche documentazioni che fino a noi sono giunte : cioè all’im-
magine della miniatura della Matricola del Cambio che è del 1375
(fig. 17), nella quale appare ancora un rosone più piccolo e munito
di frastagli ; ed alla minuta, splendida veduta dipinta da Benedetto
Bonfigli nella cappella dei Priori alla metà del Quattrocento (fig. 18)
e rappresentante il trasporto della salma di Sant'Ercolano verso
la basilica. Questa volta il grande rosone è senza frastaglio e la fac-
ciata è arricchita dalla caratteristica quadrettatura di pietre bianche
e rosa, simile a quella di tante chiese trecentesche perugine: io
penso fosse in questo caso ottenuta con colori; e sarebbe interes-
sante ricercarne la traccie.

In entrambe le vedute ricorre il portico anteriore di cui si cono-
scono quattro colonne (quelle agli angoli del portico secentesco)
e si potrebbe trovarne l'andamento con un opportuno scavo: il
portico, che correva in fregio all'antica strada, è un elemento che
concorda — con altri che vedremo — ad attestare una sicura ascen-
denza romana. Nella veduta del Bonfigli la parte di facciata sotto
il portico è coperta da affreschi; altro puntuale riscontro con la
realtà.

Dal modello della chiesa di S. Pietro Apostolo nessun monu-
mento umbro ha mutuate le proprie forme; e questo rende ancor
più incerta la difficile via della datazione : il Salmi è l’unico autore

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DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 115

che ne intraveda una eco negli spazi e nel ritmo del Sant'Alessandro
di: Fiesole «lieto nel chiarore delle colonne di cipollino e dei capitelli
romani » ?).

*
* *

Per quanto le murature di conci di pietra delle navate laterali,
con le loro aperture di luce, siano chiaramente ascrivibili ad un
periodo abbastanza tardo, e per quanto si abbia la precisa convin-
zione che anche i muri della navata centrale sopra alle colonne
appartengano ad una ricostruzione duecentesca, tuttavia è innega-
bile che l’impressione che si ricava dalla vista dell’interno del mo-
numento, nel considerare il ritmo molto serrato dell’intercolumnio,
la forma degli archi e le proporzioni reciproche delle navate, è quella
di trovarsi di fronte ad un monumento esemplato alle forme basi-
licali di Ravenna — e specialmente di Roma — la cui desinenza
absidale sia stata distrutta per dilatarsi nel grande transetto del
xin secolo e, poi, nel coro poligonale certamente ancora più tardo.
Il Gurrieri, nella sua guida del monumento 4), accenna ad ascen-
denze romane, che individua specialmente nella chiesa di Castel
Sant'Elia (fig. 19), della quale presento una pianta schematica, testé
appositamente rilevata, ove notammo, or non è molto, relazioni con
la chiesa di San Paolo inter vineas di Spoleto 5); ed una veduta
interna (fig. 20) che giustifica, almeno in parte, l'accostamento pro-
posto col nostro San Pietro.

Avevo iniziato una sistematica ricerca ulla mbiente laziale
puntando sulla splendida chiesa di Sant'Andrea in flumine, presso
Ponzano Homano, sconosciuta alle guide e difficile da raggiungere,
per quanto proposta all'attenzione dei turisti dalla posizione adia-
cente l'autostrada del Sole, al 14° Km. da Roma nord. La veduta
dell'esterno, recentemente restaurato (fig. 21), mostra una sostan-
ziale differenza nel paramento, in mattoni soltanto nella parte verso
l'abside, con tufi e mattoni nel tratto verso la facciata: eppure
non sembra che tra le due strutture passi un apprezzabile periodo
di tempo. Il ritmo dei valichi e la forma degli archi (fig. 22) sem-
brano denunciare stretti riferimenti col nostro San Pietro : il pilastro
centrale che divide il ritmo delle colonne in due parti (fig. 23), si
accorda col brusco differire del parametro esterno, ed é marcato
anche da un lecforium piü tardo. Questo pilastro centrale lo si ri-
trova anche nella vicina, piccola chiesa di Sant'Antimo di Naz-
116 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

zano (fig. 24), certamente meno antica e di squisita eleganza (fig.
25); ed é elemento comune a monumenti fra loro molto lontani,
come il San Clemente di Roma, il San Pietro a Grado di Pisa, il San
Gavino di Porto Torres e il San Gregorio di Bari, monumenti ai
quali accostai qualche anno fa la Cattedrale di Gerace *). Il motivo
riporta ancora, del resto, all'ascendenza romana nella pianta della
primitiva basilica dei Santi Quattro Coronati, vale a dire l'edi-
zione del secolo rx dovuta a Leone rv.

Sant'Andrea in flumine non è stato ancora studiato e se ne
conosce soltanto l'antichissima origine: le ricerche dovrebbero
essere estese verso il Lazio per mettere insieme un vasto materiale
di confronto.

I risultati delle indagini sul San Pietro di Perugia fatte fino
ad ora, ed obbiettivamente esposti, testimoniano una grande vita-
lità del monastero nei secoli xir e xiv: ma sono purtroppo addi-
rittura deludenti per quanto riguarda epoche anteriori, e segnata-
mente la seconda metà del secolo x e la suggestione della tradizione
attorno alla figura di San Pietro Vincioli, il nobile abate fondatore
del monastero benedettino, elevato alla gloria degli altari. Il nostro
giudizio non vuole minimamente sminuire la personalità di Pietro
Vincioli : non è egli infatti un architetto, un protomagister, del quale
si cerchi di enucleare l’opera; ma bensì il fondatore di una gloriosa
cittadella benedettina, che vanta un millennio ininterrotto di attività
monastica.

Non è però, nel negare l'appartenenza delle strutture alla se-
conda metà del x secolo, che ci si voglia adagiare sulle tesi di Hans
'Thümmler ?) e del «dunkel Jahrhundert» della storia dell'archi-
tettura italiana, secondo il quale le rarissime testimonianze di quel
secolo sarebbero circoscritte alla sola Lombardia, dal San Pietro
di Agliate al San Vincenzo al Prato di Milano, in tutt'altra area
artistica : poiché mi sembra che il Thümmler, allorchè posticipa
allx1 secolo il San Pietro in Valle di Ferentillo presso Terni — noto-
riamente del secolo viti — non voglia riconoscere le molto evidenti
ragioni stilistiche che indicano con sufficiente concordanza l'epoca
della fondazione del duca Faroaldo 11. È appena, poi, il caso di
accennare alla più assoluta inconsistenza delle vedute di chi ritiene
— confondendo lo sciatto con l'antico — che la primitiva chiesa

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DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 117
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sia da riconoscersi in un misero ambiente a nord del complesso pe-

rugino.

Più importanti mi sembrano invece alcune considerazioni che
sono giunto a formulare via via che approfondivo la conoscenza
dell’argomento, per giungere a quella che è la mia tesi: e cioè che
l’intercolumnio e la serie degli archi che esso sostiene siano di molto
anteriori; e addirittura già esistenti nel secolo vr, quando la chiesa
di San Pietro Apostolo era la Cattedrale della città.

Circa trenta anni or sono — infatti — nel groviglio delle sepol-
ture dietro all'altare maggiore si rinvenne una muratura curva
(fig. 26), ottenuta con grandi conci — forse della cinta etrusca —
che accenna la curva esterna di una desinenza absidale, con i resti
di un contrafforte radiale : io ritengo che la muratura curva sia in
asse con l'intercolumnio e rappresenti la conclusione della navata
centrale di un organismo basilicale di tipo romano, senza transetto :
conclusione abbattuta nel secolo xii e ricostruita, appunto con un
grande transetto non sporgente. Sarebbe necessario scoprire inte-
ramente la muratura curva, verificarne con scrupolo l'apparente
concordanza con l'asse della navata, esplorare le murature dello
stilobate della nave centrale, quali appariranno sotto il pavimento ;
valutare, poi, ogni possibile ritrovamento.

La serrata sequenza delle colonne, lo scatto degli archi, i ri-
dotti interassi, danno l'impressione che l'intercolumnio sia ancora
quello ritmato nel secolo vi per la Cattedrale perugina, poi abban-
donata e, poco dopo, donata a Pietro Vincioli che la restaurò. È
nota la pia tradizione del miracolo attribuito a San Pietro Vincioli,
che, con un segno di croce tracciato nell’aria, avrebbe trattenuta
la seconda colonna di sinistra che stava per precipitare : e proprio
su questa colonna (fig. 27) e su quella vicina (fig. 28) si trovano
capitelli diversi da quelli classici di forme joniche che concludono
tutte le altre colonne, e di quelli corinzi dell’ultima coppia (fig. 29).

Meno probabile sembra l’attribuzione al secolo x della intera
costruzione dell’intercolumnio, anche — mi pare — per la presenza
dei pulvini (fig. 30), sebbene se ne abbiano esempi anche più tardi :
ma soprattutto appare ben poco credibile la circostanza che nella
seconda metà del secolo x ci fosse ancora in piedi in questa città
un importantissimo edificio romano da spogliare delle nobili mem-
brature, e dove reperire almeno sedici colonne e relativi capitelli
jonici, tutti uguali, ed ancora oggi così ben conservati.

Del resto Gregorio Magno nell’ultimo decennio del secolo vi
118 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

— e quindi quasi da contemporaneo — ricorda, incidentalmente,
nei Dialoghi questa chiesa, a proposito della sepoltura di Ercolano *) :
l'episodio cioé che il Bonfigli ha illustrato nel riquadro minore della
cappella del palazzo dei Priori.

La citazione di Gregorio ci dà certezza che una chiesa di San
Pietro Apostolo esisteva già nel secolo vi in questo luogo, detto
Monte Capraro; luogo che costituisce l'estremo sud del singolare
tessuto urbano di Perugia col gregge di case, raggruppato sui punti
più alti dei colli: tessuto che già a Leon Battista Alberti suggerì
l’immagine di una mano aperta, nel profilo dei dorsali emergenti
dal fondo verde dei valloni.

Quindi una chiesa molto antica, forse pressocchè coeva al tempio
circolare di Sant'Angelo, che occupa invece l'estremo nord dell’abi-
tato, esisteva in questo luogo: ed era l'antica cattedrale. I due
monumenti testimoniano il mantenersi di un elevato grado di civiltà
nei pressi della via che congiungeva Roma a Ravenna.

Io ritengo che — in sostanza — si sia ancora notevolmente
lontani da una ragionevole collocazione temporale della parte piü
antica del nostro monumento e cioè dell'intercolumnio: e che la
via per avvicinarsi il piü possibile sia — da una parte — quella della
ricerca di elementi nuovi nel sottosuolo (non dimenticando il caso
veramente istruttivo del San Salvatore di Brescia) °), per verificare
se sia vero — come io ritengo — che la ricostruzione del xii secolo
ricalchi l'andamento della fabbrica primitiva del vr, e — dall'altra —
quella del.confronto sempre piü attento e preciso, ma soprattutto
esteso al massimo numero di edifici fra Ravenna e Roma, senza
tralasciare il duomo di Chiusi, per tener conto di rapporti plani-
metrici e altimetrici, fra le larghezze delle navate e gli interassi,
fra questi e l'altezza delle imposte: cioé, in sostanza, lo studio
che mi ero proposto di portare a termine.

.Un po' di luce sul «secolo oscuro », sul x secolo, e particolar-
mente sul monumento che stiamo indagando, puó venire dalle ri-
cerche che si stanno per iniziare nella chiesa dei Santi Adalberto
e Bartolomeo all'Isola Tiberina che venne fatta costruire, negli
ultimi anni del secolo, durante il proprio soggiorno romano,: da
Ottone 111; chiesa inedita, che esula dai limiti della monumentale
opera del Krautheimer, Corpus Basilicarum Christianarum Romae.
Puó essere che si riesca ad enucleare con sicurezza maggiore di quella
degli schizzi molto sommari che presento (figg. 31 e 32), qualche
parte originale del monumento che abbia resistito ai vasti restauri
DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 119

fatti fare da Pasquale mr fra l’x1 e il xir secolo; ai gravi danni
dell'inondazione del 1557; e sia sfuggita alle ampie ricostruzioni
secentesche di Martino Longhi il giovane ; come è il caso dei resti
della cripta ad oratorio, veramente singolare a Roma, e sulla quale
di recente ho richiamata l’attenzione 1°), impostata sotto un tran-
setto non sporgente.

Proprio nella stessa occasione, in uno studio sulle più antiche
cripte dell'Umbria, uscendo di molto da quel rigido costume critico
che dovrebbe essere d’obbligo per chi si occupa di questi studi,
accennai alla basilica di San Pietro di Perugia ed all’opportunità
di scavare nel suolo in corrispondenza dell’altare per vedere se l’accli-
vità naturale del terreno in quel punto, avesse favorito nella basi-
lica l'aggiunta di una cripta : e su per giù la stessa cosa mi permisi
di dire per il caso di S. Maria di Otricoli 1), ove — a pochi mesi di
distanza — si è ritrovata intatta la sola camera longitudinale di
una cripta semianulare, chiaramente dimostrabile come pertinente
al rx secolo; e parte del corridoio curvo di accesso con le nicchie
per le lampade : sono ancora da identificare gli accessi dalla chiesa
e la camera delle reliquie sotto all'altare ed alla riedizione cinque-
centesca del ciborio.

Per questa veneranda basilica di San Pietro non siamo ancora
a questo punto : ma appare di estremo interesse e di ulteriore incorag-
giamento alla ricerca mediante scavi nel sottosuolo quanto ha scritto
l’abate Francesco M. Galassi, nella seconda metà del Settecento, nel
Defunctorum B a carte 19, a proposito della traslazione della salma
del vescovo di Lubiana, Sigismondo Cristoforo dei conti di Her-
berstein, morto in questo monastero nel 1716, dalla Cappella di S.
Benedetto al piede del pilastro in cornu evangelii all'inizio del tran-
setto, ove ancora si vede la ricca targa murale ed una piccola lapide
terragna :

«Raccontarono li muratori che fecero lo scavo della nuova
«sepoltura di Monsignore il Vescovo di Lubiana, che nel profondare
« che fecero il terreno, si imbatterono in una specie di nicchia, o vano di
«finestra tanto grande, che vi poterono collocare la vettina degli inte-
« stini del detto Prelato, e che affacciatisi ad una apertura che era in
« detta.nicchia, o vano nulla videro per l’oscurità : conobbero però, che
«ta: detta apertura corrispondeva in un ambiente di qualche estensione.
«Se ciò fosse vero, si darebbe luogo a conghietturare, che il detto
«ambiente contenesse in sè una chiesa sotterranea, o confessione,

«altrove anco chiamata scurolo, del quale sotterraneo non doveva
120 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

«essere senza questa antichissima chiesa. Ma siccome questo é un
«detto di detto, come suol dirsi, né alcuno si trovó allora presente,
« che suggerisse ai muratori di osservare con l'aiuto di qualche lume,
«dove andasse a finire quell'apertura, e prendere con ció una idea
«di quel vuoto ; così nulla più si può rilevare d'una confusa idea,
«che non dà luogo di pensare che confusamente. Ciò non ostante
«si è voluto indicare a solo oggetto, che servire possa di memoria ne’
«tempi a venire, per qualunque caso, in cui ciò servire potesse di
«lume per cercare ciò che ora per incuria di lavoranti non fu avvertito.
«Se il racconto fosse stato fatto dai muratori prima di riporre la cassa
«nel luogo destinato, si sarebbe per certo usata diligenza per venire
«in chiaro di ciò che dai muratori veniva asserito: ma siccome erano
«già non solamente deposte le casse nel tumulo, ma chiusa ancora
«la volticina che lo serrava, così non vi fu luogo di pensare ad altro
«che a farne questo semplice ricordo nella occasione di doversi fare
«la narrativa di tutto ciò che accadde nel farsi la traslazione e rico-
«gnizione del cadavere del piissimo Monsignore Sigismondo Cristo-
«foro de’ conti di Herberstein Vescovo di Lubiana... ».

La precisione del documento stimola a concretare lo scavo :
purtroppo non l’ho potuto eseguire per tante difficoltà connesse
anche con la designazione ad altro incarico.

*
Koc

Qualunque sia la datazione che si voglia assegnare alla icno-
grafia delle navate del San Pietro, non si puó fare a meno di notare
gli evidentissimi influssi basilicali romani, che trovano ulteriore
puntuale conferma nel portico antistante su sei colonne, il cui pre-
ciso ricordo ci è stato tramandato dal Bonfigli, nello stato nel quale
si trovava ancora nella seconda metà del Quattrocento.

La ricerca di precise ascendenze e correlazioni è dunque inte-
ramente da fare, attraverso precisi riscontri metrici e formali con
un gran numero di monumenti peraltro poco studiati, se non addi-
rittura inediti: ma deve muovere essa ricerca — l'abbiamo detto —
dai risultati di ulteriori esami delle strutture che non abbiamo ancora
potuto indagare, ma soprattutto degli scavi sotto la quota dei
pavimenti, anche in vista del risanamento del suolo con lo svuota-
mento delle tombe, che sono poi il terreno di coltura ideale per il
propagarsi dell’infestazione termitica, purtroppo ancora in atto
oggi sul muro del fianco sud.
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DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 121

L'insigne basilica di San Pietro Apostolo, millenaria nella storia

. benedettina e piü che millenaria nella storia della città, attende

uno studio particolare condotto con rigorosa metodologia, studio
al quale mi auguro di avere fornito qualche concreto, iniziale contri-
buto che serva a dipanare l'intricata cronologia delle singole parti.
Si tratta, io penso, di concludere con una scelta motivata : le attuali
strutture del xin secolo sono la riedizione di quelle del x secolo
o, più probabilmente, di quelle del vi?

NOTE

1) G. MARTELLI, 7l restauro della chiesa di San Paolo « inter vineas », in
« Spoletium », 12 (1966).

?) R. WAGNER-RIEGER, Die italienischen Baukunst zu Beginn der Go-
tik, Graz-Kóln, 1957, r1, p. 225.

3) M. SaLwr, Z'architettura romanica in Toscana, Milano, S. D. (1926),
p::35;,.n.: 18;

4) O. GURRIERI, La basilica di San Pietro in Perugia, ivi, 1965.

5) G. MARTELLI, 7l restauro cit., p. 8.

*) G. MARTELLI, La cattedrale di Gerace, in « Palladio », 111 (1956), p. 223.

*) H. THUEMMLER, Die Baukunst des 11. Jahrhunderts in Italien, in Rómi-
sches Jahrbuch für Kunstgeschichte, pp. 144 e segg.

8) Dialoghi, x1, 13.

?) G. PANAZZA, La chiesa di San Salvatore in Brescia, Milano, 1962, p. 193.

10) G. MARTELLI, Le cripte più antiche del" Umbria, in Atti del III Con-
vegno di Studi umbri. Gubbio 1965, Perugia, 1966, p. 331.

1) G. MARTELLI, Una delle chiese più antiche dell' Umbria meridionale :
Santa Maria di Otricoli, in Atti del XIV Congresso di Storia dell’ Architettura
di Brescia, 1965, in corso di stampa.

CeccHINI. — Ringrazio vivamente il Soprintendente Martelli
per la esauriente relazione che illustra acutamente la basilica di S. Pietro
nella ‘sua struttura architettonica, aprendo suggestive prospettive per
una più esatta valutazione delle vicende costruttive e della caratteriz-
zazione di alcuni essenziali elementi strutturali. Colgo l'occasione per
rivolgere all’arch. Martelli un caloroso saluto di commiato col più
fervido augurio di brillante carriera.
Cedo la presidenza al prof. Morghen.
122 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

MorcHEN. — Do la parola al prof. Ugolini per lo svolgimento
della sua relazione sull'Abbazia di San Pietro nel secolo XIV e la sua
influenza sulla vita sociale e politica di Perugia.

L'Abbazia di San Pietro nel secolo XIV e la sua
influenza sulla vita sociale e politica
di Perugia

Sia consentito a un filologo, prima di accingersi a parlare di un
argomento che lo riporta ai suoi primi studi universitari, quando
sotto la guida di Pietro Fedele si iniziava alla conoscenza del me-
dioevo italiano e delle sue fonti, di dare sottile ragione dei motivi
per cui, cedendo alle cortesi ma pressanti insistenze del Presidente
della Deputazione Giovanni Cecchini e del Rettore dell'Università
cui appartiene, Giuseppe Ermini, sia stato convinto a ritornare ec-
cezionalmente alle antiche predilezioni giovanili. Che cosa debba
la civiltà dell'Occidente all'Ordine di san Benedetto non c'é bisogno
ch'io lo ricordi, soprattutto in questa sede, a nessuno di coloro che
qui mi ascoltano ; ma c'é un legame particolare e meno appariscente
fra chi studia la lingua italiana delle primissime origini e i monaci be-
nedettini, che trasforma l'ammirazione in un vincolo piü segreto e
quasi direi affettivo ; un legame che é promosso da un fatto dalla
genesi alquanto misteriosa, ma che l'eloquente linguaggio dei docu-
menti conclama. |

Il volgare letterario dell'Italia mediana, il primo italiano ante-
riore a quello dei Siciliani, anteriore ai Toscani antesignani di Dante,
nasce e si registra fra le mura dei monasteri e delle abbazie benedet-
tine. Cassinesi sono le venerande formule volgari dei placiti del se-
colo x; dall'abbazia di sant'Eutizio di Norcia ci viene la formula
di confessione umbra del secolo successivo ; dalla badia di Fiastra
la carta marchigiana del secolo x11; da s. Pietro di Fondi l'inven-
tario, pure di quegli anni. E i primi vagiti della metrica volgare nel
millecento, il passaggio cioè da una lingua di ambito sociale a una
lingua d'arte, recano anch'essi il sigillo benedettino: da Monte-

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DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 123

cassino il Lamento della Vergine e il celebre Ritmo cassinese ; da
santa Vittoria in Matenano, nelle Marche ma propaggine di Farfa,
il ritmo marchigiano su sant'Alessio. Questo debito particolare
di gratitudine per coloro che hanno tenuto a battesimo il nuovo
mezzo espressivo e ce ne hanno tramandato le piü vetuste testi-
monianze un filologo romanzo non puó non sentirlo profondamente ;
e vuole attestarlo come gli é consentito nella circostanza presente,
esponendo i risultati di una sua ricerca intorno ai rapporti fra la
grande abbazia benedettina di san Pietro e la vita cittadina nel
primo secolo in cui compare una cultura perugina in volgare, il Tre-
cento.

Il 2 gennaio 1306 il pontefice Clemente Y nominava commenda-
tario dell'abbazia di san Pietro in Perugia il cardinale Giacomo
Colonna, il quale veniva cosi ad essere il successore di quell'abate
Alessandro, consacrato da Bonifacio vin con bolla in data 5 marzo
1303, il cui governo era durato meno di tre anni !). Con la sua deci-
sione Clemente V conseguiva due obiettivi: ricompensava moral-
mente e materialmente il perseguitato di Bonifacio, testé « reassum-
ptus ad cardinalatus statum, honorem et gradum », e risolveva in
pari tempo una situazione difficile venutasi a creare nell'ambito del
monastero.

In due votazioni successive i monaci si erano mostrati discordi
intorno alla persona da eleggere come successore di Alessandro :
un priore e un abate, entrambi monaci di San Pietro, si dividevano
i suffragi. Il primo si chiamava Pero, il secondo Ugolino *). Compare
cosi per la prima volta in una posizione di primo piano un nome,
destinato negli anni successivi a riapparire collegato con avveni-
menti della vita cittadina di singolare importanza.

La soluzione interlocutoria adottata dal Pontefice dovette non
incontrare il pieno gradimento dei reggitori del Comune se, neppure
a due mesi di distanza dalla nomina del commendatario, il 22 feb-
braio 1306, come risulta dagli « Annali decemvirali », essi si preoccu-
pavano che attraverso persone qualificate scelte dal Capitano del
popolo e dai Priori venisse assicurato ai monaci un tenore di vita
condecente : beninteso «expensis monasterii», a spese del mona-
stero ?).

Si aggiungeva inoltre che nessuna persona, « vel civis vel foren-

LITÀ ne iii a e t i aea e


124 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

sis», potesse entrare nel monastero stesso senza licenza del pre-
detto capitano *). Il provvedimento dimostra che si temeva da un
lato un depauperamento delle rendite ad opera del commendatario,
tale da incidere persino sulla vita del monastero, dall’altro che ele-
menti estranei potessero dal di fuori inserirsi a turbare l'equilibrio
a stento raggiunto con una soluzione di compromesso. Che l’equi-
librio interno fosse precario lo dimostra il fatto che, quattro anni
dopo, la situazione si ripete : l'elezione appare « in discordia celebrata ».
Ancora una volta sono di fronte, dopo la fugace apparizione di un
terzo nome, i due protagonisti della prima vicenda *). Ma stavolta
i cardinali, deputati a ciò dal pontefice, danno parere favorevole
per Ugolino. Cosicché in data 24 marzo 1310 Clemente V con una
sua bolla immette ufficialmente come abate quest’ultimo nel go-
verno del monastero di San Pietro e delle sue dipendenze *).

I rapporti frail nuovo abate e il magistrato cittadino si mostrano
ben presto sotto la migliore delle luci. Negli Annali decemvirali
del 1314 c'é una deliberazione che concede un particolare privilegio
al Vescovo di Perugia e contemporaneamente all'Abate di San Pie-
tro. La riferiró con le parole del Pellini, anche perché esse conten-
gono un errore, che ripetuto troppo sovente ha ingenerato confusioni
ed equivoci: «Fu concesso dunque dai Priori che, a’ famigliari
et servitori del Vescovo et dell'Abate di San Pietro, ch'era allhora
messer Ugolino Montebiani, fosse lecito per privilegio pubblico (no-
nostante i divieti che v'erano) di portar armi, et per la città, et per
lo contado a voglia loro » *).

Il Pellini fa qui tutt'uno di due personaggi dall'identico nome.
La notizia si riferisce invece al nostro Ugolino cui, come vedremo,
spetterà il distintivo cognominale dal luogo di origine, da Gubbio.
Ma a noi ora interessa constatare come Vescovo di Perugia e Abate
di San Pietro siano, in una disposizione di tanta importanza per
lordine cittadino, posti pressoché su un medesimo piano. Anzi
poiché in un provvedimento posteriore (del 1319) si concedeva a un
solo familiare dell'abate di andare armato, ecco che una disposi-
zione successiva consente ai familiari di Ugolino, sino al numero di
24 uomini, di poter portare armi di dì e di notte *). Il buon accordo del
Vescovo e dell'Abate di San Pietro con le autorità civili era dunque
tale che si poteva ad essi concedere di infrangere una norma generale
di polizia ; e per di più si consentiva all’abate di avere a propria di-
sposizione una sorta di milizia armata, pronta ad operare in qual-
siasi momento. Chi era questo personaggio che così autorevolmente,

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DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 125

e non soltanto per merito dell'ufficio, ma per qualità personali come
dimostrerà indi a qualche lustro la sua elezione al massimo grado
della gerarchia ecclesiastica perugina, al Vescovato, si propone alla
ribalta della vita pubblica cittadina ? Una omonimia con colui che
lo seguirà nel titolo abbaziale ha fatto si che Ugolino sia stato spesso
confuso anche nelle Cronache con il suo successore ; e, nel tentativo
di differenziare i due personaggi, é accaduto che indebitamente
egli sia stato considerato come appartenente alla famiglia dei Ga-
brielli di Gubbio, o, altrettanto indebitamente, gli sia stato attribuito
il patronimico dei Vibi *). Due documenti dei Libri contractuum mo-
nasterij sancli Pelri, ci apprendono che era della famiglia « de Ghel-
fonibus ».

Il 12 marzo 1335 «consideratis multiplicibus et gratiosis meri-
tis ac sinceris operibus venerabilis in Christo patris et domini dom-
pni Hugolini, presentis episcopi perusini et olim abbatis eiusdem
monasterij et liberalibus servitiis eidem monasterio per eundem
dompnum Episcopum et nobilem virum Ghelfonum Federutij eius
nepotem et ceteros de domo Ghelfonum dudum exhibitis et impen-
sis » si concede a titolo di donazione irrevocabile quanto di grana-
glie e di altra roba sia pervenuto indebitamente in mano « dicti
Ghelfoni vel alterius. pro eo» «apud arcem Cassaline membrum
dicti Monasterij seu apud dictum Monasterium »!°), mentre il 4
febbraio 1337, con una formula pressoché identica, « consideratis
meritis ac multis servitiis actenus receptis per dictum Monasterium
sancti Petri a venerabili in Christo patre et domino dompno Hugo-
lino olim abbate dicti monasterij et nunc episcopo perusino et ab
alis de domo sua » si conferisce al nobile uomo « Federutium filium
Ghelfonj de Ghelfonibus pronepotem ipsius dompni Episcopi» il
beneficio di San Clemente in Val Tiberina, costituendolo rettore
di quella chiesa «in temporalibus tantum » "). Apparteneva dun-
que Ugolino alla nobile famiglia dei Ghelfoni che nel Libro Rosso
del 1333 vedeva appunto elencati sotto Porta Sole non solo il ricor-
dato nipote « Ghelfonus Federutii de Ghelfonibus » ma altri due
suoi fratelli: «Ugolinus et Guidutius Federutij de Ghelfoni-
bus de Eugubio» e due consanguinei «dominus Hermannus» e
«dominus. Nallus » entrambi « domini Petri de Ghelfonibus » '*). Un
altro probabile fratello di Ghelfone figurava in porta Eburnea:
«Munaldutius Uffredutii de Ghelfonibus »). Verisimilmente Uf-
freduzzo (Federuzzo o Freduzzo è un ipocoristico di Oddofredo o
Offredo), padre di Ghelfone, era fratello del Vescovo Ugolino, ed

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126 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

aveva dato a uno dei figli il nome dello zio, mentre il figlio di Ghel-
fone ripeteva nel suo il nome dell'avo, secondo il noto costume delle
famiglie patrizie nei cui alberi genealogici si tramandavano di gene-
razione in generazione i medesimi nominativi, motivo per gli storici
di complicati rompicapo. I Ghelfoni erano originari di Gubbio e,
come tali, erano indicati nel Libro rosso ; per spiegare il fatto che
Eugubini potessero essere considerati magnati e nobili cittadini
perugini sarà sufficiente fare riferimento a quella legge del gennaio
1301, ricordata dal Pellini, «a favor di quelli che, etiandio che non
fossero nati nella città di Perugia, ma che vi fossero habitati tren-
t'anni et che vi havessero fatto quelle fattioni reali et personali
che vi havevano fatte i proprii Perugini, ancorché vi fosse lo statuto
in contrario, s'intendessero nondimeno essere cittadini, et dovessero
godere quei privilegi] et immunità che sogliono godere gli altri cit-
tadini originarij della città » #). E, a riprova di ciò, noi vediamo
nel ricordato Libro rosso, e proprio per il rione di Porta Sole, compa-
rire il nome di «dominus Bosone Novellus et fratres eius », altra
famiglia eugubina diventata magnate di Perugia 7).

Questo spiega perché nella Cronaca in volgare coeva da me pub-
blicata il nostro Ugolino è chiamato « meser Gulino d'Agobbio »'*;
e d'ora in poi così lo indicheremo anche noi, per distinguerlo dal
secondo Ugolino che sta per fare la sua apparizione.

Il 16 novembre del 1330 muore frate Francesco da Lucca, ve-
scovo di Perugia. Apparteneva all’ordine dei Domenicani e non pare
che troppo fosse in simpatia dei Perugini che in un anno (che il
Pellini sbaglia e che a me non è stato possibile precisare) avevano
dovuto fare pubblica istanza al pontefice perché il vescovo se ne
tornasse da Avignone, dove aveva assai dimorato, alla sua legittima
sede"). 1 canonici di san Lorenzo non pongono tempo in mezzo:
si adunano in consiglio ad appena una settimana di distanza e il
23 di novembre 1330 eleggono vescovo Ugolino da Gubbio. La Cro-
naca in volgare da me edita, che per questi anni ha valore di docu-
mento contemporaneo, la cui testimonianza per gli avvenimenti
che ci accingiamo a ricostruire è di eccezionale significato, dice ap-
punto sotto la data indicata che «e calonnacie de sa Lorenzo ales-
soro per ovescovo de Peroscia meser Gulino d’Agobbio, el quale
era abate de Sam Pietro de Peroscia » 15).

Di Ugolino da Gubbio non possiamo purtroppo, data la mancanza
di una sia pur sommaria biografia coeva, che farci una immagine
riflessa e dai contorni un po’ fluidi. Doveva avere una persona- DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 127

lità forte, non aliena dal suscitare quei contrasti che appunto i ca-
ratteri volitivi e decisi piü di frequente accendono nelle piccole e nelle
grandi comunità. Abbiamo già veduto che la sua elezione ad abate
nel 1305 era stata contrastata, e solo la commissione cardinalizia
del 1310 aveva risolto i contrasti di una seconda elezione, giudi-
candolo comparativamente. meritevole dell’alta carica. Ma, eletto
abate, aveva stabilito con l’ autorità comunale ottimi rapporti,
conferendo prestigio all’ufficio e alla sua abbazia. Riconoscendone i
meriti, maturati in vent'anni di abbaziale reggimento, i canonici
di San Lorenzo lo eleggono a vescovo della città. Ma anche ora
la sua elezione non trovò animi concordi; fu anzi la premessa
ad un evento luttuoso che divise profondamente la città e in cui
lAbbazia di San Pietro si trovò dolorosamente implicata, entro
un groviglio di interessi in cui cercheremo di gettare qualche po’
di luce, più di quanto sin qui sia stato possibile fare.

‘© Mi servirò soprattutto della Cronaca volgare, solo da poco acces-
sibile, a cui ho già fatto riferimento, più precisa e completa in pa-
recchi punti di testi già editi.

Non passano sette giorni dalla designazione di Ugolino da parte
dei canonici di san Lorenzo, ed ecco che, su petizione di Vinciolo
dei Vincioli, la domenica 2 dicembre 1330 nel palazzo del podestà
è convocato un gran consiglio « de grandeza e de popolo », di nobili
e di popolari. Prende la parola Vinciolo di messer Vinciolo e pro-
pone che si mandino lettere suggellate col sigillo del Comune al
Papa, perché, per amore del Comune di Perugia, venga fatto vescovo
frate Alessandro di messer Vinciolo di Uguccionello. È, probabil-
mente, un fratello del proponente : comunque, un membro della ca-
sata dei Vincioli, che il Libro rosso ci mostra ascritta a Porta san
Pietro ?*). Il significato della proposta è evidente: si tratta di scon-
fessare l’operato dei canonici di san Lorenzo, di annullare la loro
elezione, di restituire Ugolino all'Abbazia di san Pietro e di sosti-
tuirgli nel vescovato un Vincioli. Quale è la reazione del Gran Con-
siglio alla proposta ? Si leva a parlare un magnate di alta autorità,
un cittadino insigne per imprese di guerra e ambascerie di pace,
Oddo degli Oddi; si oppone alla proposta di Vinciolo. A lui si asso-
ciano alcuni popolari. Nasce un tumulto. Con grandissimo rumore
e tempesta molti chiedono che la proposta di Vinciolo sia approvata,
che siano suggellate le lettere con il nome di Alessandro indicato
come nuovo vescovo al Papa. A. metter ordine interviene la « fami-
glia » (come allora si diceva), e cioè il corpo di polizia, del podestà
128 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

e del capitano del popolo. Il rumore cresce. Interviene il podestà
in persona per fare sgombrare il palazzo dai tumultuanti, ma inutil-
mente. Dalla sala primo ad uscire sulla piazza è messer Baglione
di messer Gualfreduccio, con molta gente.

Indi esce messer Oddo degli Oddi, accompagnato da alcuni no-
bili e popolari e occupa il pergolo del podestà. Terzo ad uscire e
Vinciolo, con quasi tutti i popolari, che gridano: « Viva il popolo
e messer Vinciolo!»; questi raggiunge il Baglione presso il pergolo
del capitano del popolo. Le due parti si fronteggiano. Dopo un po'
l'assembramento si scioglie ; tornano i Baglioni e i Vincioli, entrambi,
si noti, di porta san Pietro, alle loro case, accompagnati dai popo-
lari che gridano : « Viva il popolo, e muoiano i Priori ! ».

Oddo degli Oddi, che aveva la sua dimora in porta Santa Susanna,
si accompagna con i Montemelino alle loro case, verisimilmente in
porta Eburnea, benché un altro ramo di questa famiglia avesse stanza
in Porta Sole. I seguaci di Oddo gridano: « Viva il popolo, e non
messer Vinciolo ! ».

Il popolino rifluisce in piazza e il capitano del popolo, spiegata
la sua bandiera, cerca di farla sgombrare con tutte le sue guardie
«armate di tutta arme ». Il popolo, a dileggio, gli si accoda, gridando :
« Viva il popolo, e muoiano i Priori ! ». Per troncare lo stato di agita-
zione della città il capitano fece bandire che nessun nobile o di schiat-
ta di nobile osasse uscire in piazza e che nessuno di essi si lasciasse
trovare oltre il limite di cinque case distanti dalla propria, sotto
pena degli averi e della persona. Cosi, almeno «pro tempore », fu
restaurata una certa tranquillità. A consolidare la quale, qualche
giorno dopo, i priori mandarono al confino i tre protagonisti e molte
altre persone « de grandezza e de populo ».

Ho indugiato sui particolari del racconto, perché ne risulti chiaro
lo schieramento delle parti.

Da un lato ci sono i Vincioli e i Baglioni, entrambi di porta San
Pietro, con il proposito ‘eversivo di mandare a monte l’elezione di
Ugolino d'Agobbio e di sostituirgli Alessandro dei Vincioli ; dall'al-
tro Oddo degli Oddi con i Montemelino, deciso ad appoggiare la
designazione di Ugolino a conferma della decisione dei canonici di
san Lorenzo. Il maggior numero dei popolari è con il Baglioni e i
Vincioli; pochi con Oddo. È chiaro altresì che il furore popolare
si riversa sui Priori, che non si sono mostrati acclini ad accogliere
la proposta di Vinciolo. Questa distribuzione dei partiti, se potes-
simo identificare nei popolari conniventi con i Baglioni e i Vincioli DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 129

il popolo minuto, ci indurrebbe a riconoscere in essi le tradizionali
divisioni perugine : i Raspanti e i Beccarini, i Raspanti cioè gli Oddi,
i Montemelino e le classi medie, e i Beccarini, cioè il popolo minuto
con i nobilissimi Baglioni e i Vincioli.

Comunque, i Priori tennero fermo il loro divisamento di non vo-
ler interferire nella nomina del vescovo, cosicché il 25 aprile 1331
«meser Ugolino d'Agobbio el quale era stato abate de sancto Pie-
tro de Peroscia entró per ovescovo nell'ovescovato de Peroscia ».
Ma non era ancora consacrato; venne consacrato il 19 di maggio
successivo alla presenza dei vescovi di Todi, di Orvieto e di Gubbio,
e. il comune promosse festeggiamenti d’eccezione, offrendogli 200
fiorini d’oro con cui gli furono comperati due bei cavalli : il resto gli
fu consegnato entro una coppa ?°).

Grande onore si riverberava da questa elezione sull’Abbazia
di San Pietro. Nel governo ecclesiastico di Perugia ad un domeni-
cano succedeva un benedettino, a un toscano un umbro, divenuto
ormai concittadino per elezione, affinato da un’esperienza più che
ventennale di uomini e cose locali.

Del nuovo eletto il comune era evidentemente soddisfatto ;
meno invece lo erano i grandi ceppi nobiliari di porta san Pietro,
che avevano cercato di elevare uno di loro al soglio vescovile. Il
prevalere di interessi che chiamerei di lignaggio, quasi a compen-
sare la ripulsa subita, ch’era, si badi bene, vittoria per il prestigio
dell'Abbazia e dell'Ordine, ma sconfitta per le potenti casate di
porta san Pietro, conduce a soluzioni delle quali si intravede la com-
plessità. Già prima della fine del febbraio 1331 sappiamo che i
monaci avevano designato a loro abate Ugolino di Nuccio da Monte-
vibiano, la cui conferma da parte del pontefice Giovanni xx11 reca
appunto la data del 27 di quel mese ®). Il ricordato Libro rosso
ci illumina sulla nobile famiglia, a cui il novello abate apparteneva.

In esso figurano tre suoi fratelli: « Guidutius, Vannutius et
Guiglottus filii Nutii Filipputii de Monte Ubiano », tutti dimoranti
a Porta san Pietro, cioè della medesima porta cui appartengono i
Baglioni e i Vincioli ?*).

A dì 16 di giugno 1331 tornava di Corte (non già da Roma, come
qualche cronaca amalgamando tarde postille suggerisce, sibbene da
Avignone) *) l'abate eletto, recando con sé la promozione papale.
La Cronaca volgare (« dì xvi de giungno arvéne de Corte don Guli-
no de Nucciolo da Montebiano, el quale fo aletto per lo nostro si-
gnore meser lo Papa Giovagne vigesimo secondo abate de Sam Pie-
130 CONVEGNO : STORICO PER IL MILLENNIO

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tro de Peroscia ») si rivela ancora una volta esattissima, confer-
mata com'é dai Libri contractuum *). Ora, si badi, questi ci
dicono che alla lettura della bolla pontificia assistono come testi-
moni fra gli altri ben tre di casa Bagliona: Paolo del fu Guidone,
Baglione Novello del fu Gualfreduccio, Baglione del fu Guidone.

Montevibiani, Baglioni, Vincioli : l'Abbazia di san Pietro appare
come una roccaforte dei nobili del rione, come un organismo poli-
tico che prende la sua forza da strutture di lignaggio.

Non è chiaro quale dei due Ugolini, il Guelfoni, abate uscente è
vescovo eletto di Perugia, o il Vibi, a lui subentrante quale abate
nel governo del Monastero, abbia ordinato al Vicario generale e al
Priore claustrale di ammettere alla professione monastica « nobi-
lem virum Balioncellum Hermannj de Perusio», cioó un membro
di un'altra famiglia nobile di Porta San Pietro. Come si desume da
un atto posteriore *) Balioncello era «filius [quondam] Hermannj
dompni Ugolini de Castiglione Ugolini, civis perusinus de porta
santi Petri et parochia sancte Marie de Mercato», vale a dire ap-
parteneva al ceppo dei signori di Castiglione Ugolino, consorti
dei Baglioni.

Nell'uno o nell'altro caso, risulta palese dai documenti che non si
voleva differire l'inserimento nella vita abbaziale di questo nuovo
elemento («.... ne predictus Balioncellus super hoc dictum [— per
la sua accettazione come monaco] maneat in suspenso»), mentre
resta incerto se l'ordine debba valutarsi come l'ultimo atto di go-
verno di Ugolino Ghelfoni (la lettera reca la data del 28 febbraio
1331) o come uno dei primi del nuovo abate, allora non ancora
insediato, Ugolino Vibi **).

Anche in questa circostanza, alla stesura dell'atto in data 3
maggio 1331 sono presenti Cucco e Carluccio « dompni Gualfredutij »,
vale a dire due dei Baglioni, fratelli di quell'Uccio priore di Fonte,
tragico personaggio, che si accinge ora ad entrare in scena.

Tuttavia, fra i Baglioni il rancore per lo scacco subito perdurava.
Quali progetti fossero andati delusi, quali disegni di predominio
avessero dovuto essere abbandonati noi oggi non possiamo concre-
tamente sapere, Restano i fatti che parlano un crudo linguaggio.
Il ricordo dell'intervento di Oddo degli Oddi, che dovette essere
decisivo perché portava ai Priori l'ausilio di quella parte dei nobili
che si era schierata a sostegno dei Raspanti, il ricordo dell'umi-
liazione patita doveva essere tanto cocente, che ad un anno
preciso dal «grande Consiglio di grandezza e di popolo », in cui DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 131

la candidatura caldeggiata dai Baglioni non era riuscita a passare,
la vendetta si compie nel modo piü sanguinoso. Il primo dicembre
1331, messer Oddo di messer Longaro degli Oddi, uscito sulla grande
piazza cittadina, la «piazza » di Perugia per antonomasia, viene
assalito da un gruppo di armati. Cerca scampo in una prossima
casa; ma inutilmente. Viene ucciso al piano terreno di essa, in una
stalla. Nella copia ufficiale della Cronaca volgare coeva a questo
punto si ha una pagina abrasa, ma dell'assassinio rimane il racconto
in altro esemplare, che elenca gli esecutori materiali del misfatto :
«lo occise el Priore de Fonte, altramente chiammato dom Uccio
de messer Gualfreduccio degli Baglione, e Filippuccio suo fratello,
e Cechino de messer Venciolo, con certe malandrine e fante loro » inr

Chi era «el Priore de Fonte»? La.sua figura è rimasta sempre
un po’ in ombra. Noi sappiamo ora che è sicuramente da identificare
con quel « Ucciolus dompni Gualfredutij prior ecclesie sancte Ma-
rie de Fonte», che compare il 28 aprile 1331 fra gli elettori del vi-
cario generale dell'abbazia ; che è tutt'uno con il «frater Uccio-
lus dompni Gualfredutij de Balglonibus prior ecclesie sancte Ma-
rie de Fonte » che il 16 giugno 1331 fa insieme con il Priore claustrale
e gli altri priori atto di obbedienza e di riverenza all'abate Ugolino
da Montevibiano *9).

È difficile negare la premeditazione dell'omicidio e la prepara-
zione di esso fra le mura di casa Baglioni. Undici giorni prima del 2
dicembre, il 20 novembre 1331 «in porta sancti Petri, in claustro
domorum domini Balionis Novelli et fratrum eius, presentibus
Chuco et Carlutio domini Gualfredutii de Balionibus ....» il
« nobilis et religiosus vir dompnus Oddo, alias dictus Ucciolus, quon-
dam domini Gualfredutij de Balionibus de Perusio, monachus su-
pradicti Monasterii sancti Petri de Perusio et prior ecclesie sancte
Marie de Fonte perusine dyocesis » vende e cede « omnes et singu-
los fructus, redditus et proventus percipiendos hinc ad novem an-
nos proxime venturos complendos », di un lungo elenco di beni per-
tinenti alla chiesa del suo priorato, santa Maria di Fonte, riceven-
done la somma di novantasei fiorini d'oro. L'atto é conservato nei
Libri contractuum dell’Abbazia ?*). Consapevole delle inevitabili
conseguenze del suo progetto criminoso, il Priore di Fonte, che la
bizzarria del destino vuole si chiami come la sua vittima, Oddo (Uc-
ciolo ne è il diminutivo : « Odducciolo »), si preoccupa tempestiva-
mente di procurarsi denaro liquido.

Quanto a santa Maria di Fonte essa è da identificare con l’odierno
132 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

toponimo Chiesifonte (cioè in dialetto : Chiesa di Fonte), in pros-
simità di san Martino in Campo. La chiesa più non esiste, e su quelle
terre l’abbazia non ha più giurisdizione.

Gli omicidi si rifugiarono nella chiesa di san Domenico; non
essendosi presentato per essere sottoposto a giudizio, il priore di
Fonte il 14 gennaio 1332, un mese e mezzo dopo l'omicidio, fu con
i suoi complici condannato nel capo *).

L'assassinio di Oddo destò larga eco di compianto in Perugia.
Cittadino e uomo d’arme fra i più ragguardevoli, aveva sovente gui-
dato i cavalieri perugini in fatti d’arme di rilievo (come alla battaglia
di Montecatini nel 1315, e successivamente in altre imprese d’im-
portanza nel 1325 e nel 1327). Ho rintracciato un lamento inedito per
la sua morte, scritto nella forma metrica del sonetto da un « Borscia de
Perussio », che il nome, o meglio il soprannome, suggerisce di rite-
nere uno di quei popolani di buona cultura da cui spesso sortivano
i giullari e i cantastorie del Trecento. Il sonetto è di risposta ad altro
di un perugino, Gillio di Lello, anch’esso inedito, che riproduco in
nota *). Il sonetto di Bórscia contiene espressioni così eloquenti
per accoratezza e per commozione che merita di esser tenuto pre-
sente come una testimonianza dei sentimenti di una parte almeno
della cittadinanza nei confronti di un delitto tanto efferato e dell’an-
goscia per le prevedibili ripercussioni di esso nell’ambito delle lotte
cittadine. Oddo non vi è espressamente nominato, ma l’accenno al
«giorno primo di bruma », il giorno primo di dicembre che spense

«l’onore e cortesia di tutta gente »

tolgono via ogni possibilità di incertezza sull’identificazione del
personaggio, di cui si piange la « spietata morte ».

BORSCIA DE PERUSSIO

Cadde nel petto l’angosciosa mente

gravata di sospir, con occhie chiuse,

per piache de pietà che fuoron fuse,

lo cor partito da l’alma dolente. 4
Oi me, ch'io lesse quella rima flente

ch'enla spietata morte se sopuse ;

Varianti grafiche: v. 1, chadde... pecto ; 3, piace ; 6, chela ;
prima di morte, la parola mente cancellata ;

e _- DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 133

lo giorno primo di bruma richiuse

l'onore e cortesia de tutta gente. 8
Oy me dolente, che faran colloro

ch'eran seguaci alla terribel fera ?

Surge, risguarda ch'ogn'om si dispera! 11
Ov'é l'orato campo con l'accuro ?

Egli é vellato mo daglie scur mante,

per ché conven che giustitia si cante. 14
O alto Iddio, a cui niente è oscuro,

che ’nluminaste il sole, el ciel lo copere ;

lasù ’1 discerne secondo suoi opere *). 17
8, tucta giente ; 11, surgie ... ongnom ; 12, chon ; 13, elgli
... dalglie schur ; 14, chante ; 15, chui... oschuro; 17, discierne.

Il documento del 14 gennaio 1332, con il quale Ugolino di Monte
Vibiano consentiva ad un monaco dell'abbazia di accettare il man-
dato della difesa del priore Uccio in sua assenza, ha indotto il Bru-
namonti Tarulli, che lo assegna erroneamente al giorno 19 ®), a
supporre che l’abate abbia favorito la fuga dell’uccisore e che non
abbia tralasciato di proteggerlo. Se dai Libri contractuum del Mona-
stero o da altri fondi non verranno fuori documenti più espliciti,
noi riconosceremo in quell’atto, la cui data coincide con il giorno
che la Cronaca segnala come quello della promessa costituzione
degli omicidi (promessa, e non mantenuta), un semplice provvedi-
mento di carattere interno, un permesso di natura gerarchica indi-
spensabile a un membro della comunità per accettare la designazione
a proprio avvocato difensore da parte di un contumace. Per quanto
sappiamo, di don Uccio, priore di Fonte, fuggiasco per lidi a noi ignoti,
nelle carte superstiti del monastero più non si discorre, mentre il 22
settembre 1342 dai Libri contractuum apprendiamo che priore di
Fonte era allora un altro monaco, Giovanni di Ceccolo di Ridolfo 4).

Il tragico episodio non pare abbia rallentato il vigoroso incre-
mento che, proprio a partire dall’elezione ad abate di Ugolino da
Monte Vibiano e, più che probabilmente, sotto l’impulso della forte
personalità di questi, l’attività della abbazia palesa attraverso la
documentazione offerta dai Libri contractuum.

Pare invece che dopo il 1332 l’influenza dei Baglioni si venga fa-
cendo meno sensibile, pure restando in evidenza la presenza fra i
monaci di nobili di porta san Pietro : compaiono nomi di nuovi com-
ponenti la comunità, prescelti personalmente dall’abate, cui viene
134 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

concessa questa facoltà in riconoscimento dei suoi meriti; fra essi
figura un «Nutius filius Guiglieti Nutij Phylipputij de Monte
Vibiano, civis perusinus de porta santi Petri» un nipote quindi
dell'abate stesso **).

Il trentennio in cui l'abate Ugolino da Monte Vibiano gover-
nó S. Pietro deve annoverarsi come uno dei piü splendidi e vitali
periodi nella storia plurisecolare del Monastero**). C'é da augurarsi
che alla pubblicazione delle Carte dell'Archivio, opera di don Tom-
maso Leccisotti e don Costanzo Tabarelli, a cui tanto siamo debitori,
segua la pubblicazione dei Libri contractuum trecenteschi dell'Ab-
bazia *). Solo allora sarà possibile tracciare con meno approssima-
zione i contorni di questa figura di cosi pieno rilievo. Procede alla vi-
sita delle chiese e dei priorati dipendenti, fa riesaminare i contratti per
modificarli o annullarli ove non risultino conformi a giustizia e dan-
nosi per gli interessi del Monastero, progetta nuove fabbriche e abbel-
limenti e ne appalta i lavori di esecuzione ®). È il momento in cui
l'Abbazia di san Pietro ha intorno a sé oltre centoventi dipendenze
e l'azienda monastica fiorisce con varietà di forme contrattuali e di
iniziative agricole. à

In armonia con le disposizioni date dai Priori cittadini, il 18
giugno 1332 l’abate nomina fra Tommaso Ceccoli suo soprastante
e ufficiale per i lavori di riempimento e spianatura del campo detto
il « Frontone di san Pietro » *) ; nel maggio del 1336 fonda il nuovo
ospedale di san Gualtiero, sito « prope Castrum francorum de Casa-
lina » il Castello dei liberi uomini di Casalina, feudo e propugnacolo
dell'abbazia *) ; il 3 febbraio 1338 affida a maestri muratori di
Torgiano una serie di opere relative al chiostro e vari altri lavori di
comodità e di abbellimento, il tutto da ultimarsi entro il maggio
venturo "); nel 1347 fa riparare il campanile del Monastero *).

La città doveva sentire l’orgoglio della sua grande abbazia,
bella e doviziosa. Quando nell’ottobre del 1346 il cardinale Bertrando,
legato del Pontefice, dirigendosi a Napoli, passa per Perugia, i Priori
dispongono che a loro spese egli sia ospitato per tre giorni in San
Pietro); e qui parimenti nell'ottobre 1353 al cardinale Egidio
Albornoz viene dato alloggio per un mese intero, mentre la città
gli fa donativo di mille fiorini d’oro e si indicono in suo onore giuochi;
feste e torneamenti *). Le quali disposizioni vengono indirettamente
a confermare gli eccellenti rapporti fra le autorità civili e l'abbazia
in questo periodo.

I Libri contractuum ci forniscono anche un’aneddotica significa- DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 135

tiva circa gli orientamenti culturali e i rapporti con l'Università
del Monastero. Alle scienze giuridiche e in particolare al diritto cano-
nico è data assoluta preminenza, e ciò mostra che la preparazione
dei monaci è posta al servizio degli interessi pratici e delle esigenze
dell'abbazia : nel 1336 un certo Antonio di maestro Giovanni di
porta S. Pietro si impegna a glossare e a trascrivere entro cinque mesi
dal 30 giugno il sesto libro delle Decretali di Bonifacio, per conto del
monaco fra Marino di Cristoforo #) ; il 19 agosto del 1339 lo stesso
abate stipula un contratto con l’amanuense Paolo di Guglielmo,
bolognese, perché trascriva la Lettura dell'Ostiense sui cinque libri
delle Decretali **) ; i1 18 ottobre del medesimo anno il solito fra Ma-
rino di Cristoforo, che, come testimone, assisteva anche alla stesura
dell'atto precedente, impegna un inglese, « Thomas filius quondam
Adam scriptor de Anglia et nunc habitator in civitate Perusij »
perchè gli trascriva la metà della Novella di Giovanni d'Andrea *).
E al medesimo fra Marino viene consentito dall'abate di uscire
nel 1337 dal Monastero per adempiere quanto gli è commesso dal
Comune di Perugia «circa Studium et occasione Studij Perusini » *9) ;
mentre, a missione compiuta, il 21 febbraio 1338 gli viene concesso
di accettare il compenso «occasione offitii actenus sibi commissi
a dicto Comune super conducendis et eligendis doctoribus ad Stu-
dium et in Studio perusino », ufficio invero eccezionale per un be-
nedettino, perché piü sovente esso era affidato dai Priori a religiosi
di altri ordini, come ad esempio ai Frati della penitenza #).

L'abate Ugolino consente anche che alcuni dei monaci fre-
quentino lo Studio cittadino e con provvedimenti di carattere ecce-
zionale viene incontro alle esigenze economiche che il seguire i corsi
universitari comportava : cosi il 3 febbraio del 1338 autorizza quel
frate Baglioncello di Castiglione Ugolino, di cui già si è fatto parola,
che segue i corsi di diritto canonico alla Università, ad utilizzare per
il proseguimento dei suoi studi l’usufrutto derivantegli dalla cessione
della sua quota di eredità dell'asse paterno *).

Questo frate Baglioncello doveva essere di temperamento piutto-
sto vivace e restio alle regole della disciplina conventuale ; per di
più, non era immune dalla tendenza ad immischiarsi negli affari
cittadini. C'é fra il 1338 e il 1340 tutta una serie di provvedimenti
che lo riguarda. Il 1° aprile 1338 l’abate Ugolino revoca a lui e a
fra Marino Cristofori, quello dei codici, la licenza di uscire dal mona-
stero « occasione dicti Studi], vel alia quacumque, sine ipsius dompni
Abbatis expressa licentia et mandato » 9),
136 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

Il 29 settembre il divieto è esteso a tutti i monaci, poiché «ex

nimio et inordinato monachorum et clericorum discursu »:insor-

gono cose «inhonestas; et fame dicti Monasterii plurimum dero-
gatur »*). :Senonché il 17 ottobre, considerato «quod scientia
in CrebrPgiosris-tet "clericis" sicut gem:umacmut-
gida resplendet in anulo», l’abate accorda a frate
Baglioncello di Ermanno, a frate Marino di Cristoforo e a frate Ugo-
lino di don Pietro di proseguire i loro studi in diritto canonico presso
lo Studio. perugino, «inibens — tuttavia — eis expresse ne sub

pretextu eiusmodi Studii discurrere audeant per plateam et pala-

tia communis Perusii » 5). Persona meno proclive ad immischiarsi
nelle civiche faccende doveva essere fra Corrado priore della chiesa
di san Donato di Montefrondoso a cui nel medesimo giorno con al-
tro provvedimento si accorda identica licenza per studiare il diritto
canonico e quella altra scienza che vorrà, senza che gli venga fatta
altra raccomandazione *).

Ma il fervido Baglioncello, insieme con altro chierico, esce dal
monastero senza il permesso dell’abate ; e l'abate lo perdona, as-
solvendolo dalla scomunica in cui era incorso il 19 agosto 1339.
(Due giorni prima era stato infatti deliberato di infliggere la scomu-
nica ai disobbedienti **).

Il 25 gennaio 1340, infine, l'irrequieto Baglioncello riceve licenza
di accettare l'elezione a priore del Monastero dell'eremita sant'UÜberto
in Montignano, del distretto di Bettona nella diocesi di Assisi. Se
lantica massima del « promoveatur ut amoveatur » abbia trovato
o no anche in questo caso la sua applicazione, non sappiamo. Se si,
non v'ha dubbio che l'abate Ugolino avrà tratto un forte respiro di
sollievo per l'allontanamento in sede piuttosto isolata di un frate,
che tanto faceva parlare di sé *9).

Questa ingerenza dei monaci nella vita cittadina non poteva,
come è naturale, tornare gradita a chi veniva da essa a subire conse-
guenze non gradite. Molto ci piacerebbe di conoscere il nome di quel
monaco di cui parla il contemporaneo Neri Moscoli in un suo sonetto
violento e disonestamente allusivo. Neri Moscoli apparteneva ai
nobili di Porta Eburnea, roccaforte dei Montemelino, e, a causa ap-
punto del monaco innominato, era stato inviato «di qua da Can-
talupo », verisimilmente al confino. E Neri si vendica con un compo-
nimento pieno di veleno, in cui non si risparmiano, con un linguag-
gio postribolare, le più infamanti accuse.

ge me

m è

DELL'ABBAZIA DI. S. PIETRO’ IN PERUGIA
NERIUS

Quello affamato, ensatiabel lupo

che s’è, no è gram tempo, incapucciato,

sotto la vista del qual monacato

preda non lassa in loco alto né cupo, 4
e d’encesto non cura né de strupo

per poder devorar ciò che li è grato,

àme, per lo dolor ch'io n'ó, cacciato

a demorar de qua da Cantalupo. 8
Glie cavrette e gn'ainel c'àn men malitia,

quey sol delecta de soddur tal frate ;

non molto cura de mangiar lor mate. 11
Esce del suo palazzo con tristitia,

socto la qual tanta pronteza tene

che ’ntra la gente a depredar sen vene **). 14
Grafie del codice: v. 3, monachato ; o: "Churad; 7, chacciato ;
8, Chantalupo ; 9, chavrette ; 11, chura ; 12, escie ; 14, giente.

Se poile accuse, cosi trasparenti pur sotto la metafora dei ca-
pretti e degli agnelli, avessero fondamento o non fossero piuttosto
frutto di risentimento e mirassero a diminuire nella reputazione
chi ne era fatto oggetto (i verseggiatori perugini del Trecento hanno
il sarcasmo e il vituperio facili), non credo che sia agevole accertare.
Il sonetto è tuttavia indice di uno stato d'animo ostile, che mostra
quanto saggia ed opportuna fosse la disposizione dell’abate Ugo-
lino di sottoporre ad attenta vigilanza l’attività dei monaci al di
fuori del monastero, entro la cerchia cittadina.

Ancora vivente Ugolino, nel 1357 si rinnovano i permessi di
frequentare lo Studio ; il che è indice che fra monaci e Università
si è instaurata una solida tradizione di rapporti e sottintende lo
sforzo di avere nell’abbazia una élite culturale, atta a mantenere il
prestigio e a sostenerne adeguatamente su terreno giuridico e ca-
nonico le aspirazioni 5). Non conosciamo la data esatta in cui Ugo-
lino di Monte Vibiano muore ; ma, grazie alle ricerche di don Tom-
maso Leccisotti e di don Costanzo Tabarelli, dai Registri avigno-
nesi di Urbano v apprendiamo che il successore di Ugolino viene
nominato il 24 novembre del 1362: è Coppolo, anche lui « Sancti
Petri perusini » che lascia per il nuovo il titolo abbaziale del mona-
stero di Sant'Arcangelo « supra lacum » 5°).

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138 CONVEGNO ‘STORICO PER IL MILLENNIO

Il governo di Coppolo è brevissimo, dura meno di un anno : lui
morto, i medesimi registri di Urbano v indicano nell’agosto 1363
già in carica il suo successore, Filippo *). Ritorna al supremo ver-
tice dell'abbazia un nobile della stessa famiglia di Ugolino, i Monte-

vibiani ; e con lui si fa di nuovo sensibile sul monastero la presenza .

egemonica di casa Baglioni. In Filippo si confondevano infatti due
sangui illustri, in quanto sua madre era Bianca Baglioni, sorella
di uno dei capi della casata, Oddo. L'equilibrio con tanta saggezza
mantenuto dal prudente Ugolino è travolto: l'abbazia diviene
di nuovo un focolaio di attività, un centro operante di parte nobi-
liare contro il governo dei Raspanti. Narra il Pellini ®) che nel
1368 Oddo di Baglione dei Baglioni, avendo il proposito di levare
il dominio della città ai Raspanti, voleva « mettere secretamente una
notte gente forestiera in San Pietro di Perugia, di consenso dell’Ab-
bate, ch'era della famiglia dei Vibij, il quale così perchè era parente
di messer Oddo per essere figliuolo di una sorella di messer Baglione,
come perchè era anch’egli mal satisfatto del governo popolare,
acconsentiva al trattato ».

Il disegno fu scoperto; i Baglioni si dettero alla fuga, e con essi
si sottrassero alla cattura «l’Abate di San Pietro, con alcuni de’
suoi monaci, e Baglioncello e Pietro dei Vibij suoi fratelli » *?). Hs

Avvenne allora un fatto singolare, che mostra la profonda irrita-
zione dei reggitori del comune contro Filippo e i suoi monaci. Lui
assente (e ne abbiamo visto le ragioni, diró cosi, di forza maggiore),
nel 1370 il Comune conferisce l'abbazia di san Pietro al perugino
Abate di Marsciano, il quale, per essersi impegolato in politici affari,
era stato estromesso con provvedimento ecclesiastico dall'abbazia
di cui a titolo regolare era a capo, quella di Marsciano : « Ancorchè
— nota il saggio Pompeo Pellini — alla maggior parte degli huo-
mini paresse cosa ridicola et vana che i Priori [di un Comune] con-
ferissero le abbazie»*). L'abate di Marsciano potè forse per un
anno (ma non n'é dato di conoscerne notizia certa) fruire delle prero-
gative pertinenti a questa investitura di così palese anormalità.
Accordatesi le due fazioni, Filippo fu reintegrato e poté al principio del
maggio 1371 tornare alla sua abbazia insieme con il fratello Pietro,
con.un nipote di messer Percivalle dei Baglioni, con altro bastardo
di questa casata e con Giovanni dei nobili di Coldimezzo ; ma poiché
non era ancora giunto il termine fissato nei patti per il rientro, fu
loro inibito di accedere nella cinta urbana di Perugia *). :

Il tentativo di raggiungere una vera e durevole rappacificazione

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I

meo n DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PEHUGIA 139

era destinato ad essere rapidamente frustrato. Scoppiano in porta
san Pietro di continuo tumulti. I Baglioni e Francesco di Ludovico
di messer Vinciolo (tornano a comparire in unità di intenti le due fami-
glie che nel lontano 1331 avevano congiurato contro Oddo degli
Oddi) protestano presso i Priori perché ritengono di essere offesi
e conculcati dai Raspanti. Si vociferava che, per rafforzare la fa-
zione dei nobili, l'abate Filippo avesse fatto secretamente venire
in san Pietro fanti forestieri ; ma, come i Priori poterono constatare,
era voce non rispondente a verità e artatamente diffusa %).

. Segue un periodo di distensione : fra gli ambasciatori perugini
inviati al nuovo legato pontificio, il Cardinale di Gerusalemme,
figura, difatti, l'abate Filippo dei Montevibiani; gli ambasciatori
incontrano il legato sulla strada che da Firenze porta a Bologna e da
lì lo accompagnano a Perugia, dove giungono il 30 dicembre 1371 *).

Una lapide sulla porta maggiore della Rocca di Casalina ci av-
verte, insieme, dei meriti dell'abate come rafforzatore di quel pre-
zioso possedimento di tanta importanza nella storia di San Pietro
e certo una delle più cospicue fonti della potenza economica abbaziale,
e del suo temperamento guerriero e risoluto. La porta vi è definita
« Fortis cunctis protectio nostris, Aspere sed sortis, ceterisque re-
bellibus hostis», «forte protezione per tutti i nostri, ma di dura
natura e nemica agli altri (quando siano) ribelli » 9”).

Una notizia di cronaca, raccolta dal Pellini e che rientra in que-.

sto ambito cronologico in quanto si riferisce al 1373, merita di essere
addotta, in quanto che mostra San Lorenzo e San Pietro come i due
punti più cospicui entro cui è attiva la vita cittadina : all’avviso delle
vittorie delle genti della Chiesa (in Alta Italia) il Governatore or-
dina processioni di ringraziamento dalla chiesa di San Pietro al
Duomo ®).

Filippo Vibi muore in un giorno imprecisato dell’agosto 1374;
muore lungi da Perugia, a Pisa, tappa di un viaggio intrapreso
al fine di raggiungere Avignone per adempiere ad un incarico affi-
datogli dall'Abate di Monmaggiore, l’esecrato governatore di Pe-
rugia. Tanto esecrato che la voce popolare gli attribuiva di aver
fatto propinare il veleno a Filippo col proposito di liberarsi di un
testimone troppo autorevole: del suo malgoverno, di un uomo sti-
mato, che « più di quello che gli conveniva » voleva «con molta
alterezza et ardire nell'azioni pubbliche della Città ingerirsi» *?).

Racconta il Pellini che «fu-il suo corpo riportato in Perugia
et con molto honore sepelito in san Pietro, e tra molte cose che gli

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pi

! xe 140 CONVEGNO STORICO PER IL MiLLENNIO

furono fatte per honorarlo, furono sonate le campane che non erano
state per alcuno altro sonate », dato che per la pestilenza ne era fatto
divieto.

Con la morte improvvisa di Filippo dei Monte Vibiani, si deter-
mina nel monastero un periodo di acuta crisi. Sino ad allora, dai
principi del secolo, l'abbazia, quasi senza soluzione di continuità,
era stata retta da uomini di vigoroso temperamento, di capacità
non comuni, consapevoli della dignità e degli obblighi che la alta
carica imponeva. Anche se di parte nobiliare, é evidente il loro sforzo
per mantenere in un accettabile equilibrio i rapporti con le autorità
del Comune, mentre, all'interno, facendo leva sul principio di auto-
rità, essi procurano di contenere le turbolente aspirazioni individual
al servizio di interessi personali o di lignaggio.

Quel che nella loro azione può forse a noi oggi sembrare eccessivo
e poco consono all’abito religioso, scaturisce dal carattere della lotta
politica del tempo, dalla necessità di sopravvivere alla sopraffazione,
e, comunque, non appare mai disgiunto da una vigile ricerca di con-
temperamento.

Dal 1374 al 1379 la vita interna del Monastero è agitata da un
profondo travaglio. Manca l’abate, e la vacanza si protrae inten-
zionalmente in quanto in un atto del 1377 è formulato l’augurio
che essa abbia a durare a lungo ®). Gli atti ci mostrano una note-
vole stanchezza e quasi una tendenza generale a non assumere re-
sponsabilità dirette negli uffici, tendenza che si manifesta con il
rifiuto di essi o con le dimissioni dalle cariche. L’affievolimento della
disciplina provoca disordini interni che dànno in qualche caso ori-
gine a incidenti disdicevoli fra i monaci. In questo stato di carenza
il Comune si ingerisce negli affari interni con la revoca di Priorati.
Ma soprattutto è grave il disordine amministrativo. Il quale giunge
a tal punto che, nell’impossibilità di pagare le tasse imposte dal
Comune, si è costretti a dare in pegno oggetti preziosi appartenenti
al culto (come pianete, piviali, tovaglie, un pastorale d’argento e
così via) ?).

La situazione è divenuta tanto insostenibile che nel gennaio del
1379 il Capitolo, adunato dal Priore claustrale, decide di ricorrere al
Pontefice per la provvisione di un Rettore *). Urbano VI nomina
protettore del monastero il cardinale Simone di Borsano *). Uno dei
provvedimenti presi dal cardinale commendatario riguarda l'ammis-
sione di nuovi monaci, preludio a un ampliamento del collegio e
quindi. alla possibilità di giungere all’elezione di un abate. Il che
rif

DELL’ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 141

avviene nel 1381 : il nuovo eletto, destinato a reggere l’abbazia, sarà
Francesco di Simone di Ceccolo dei Guidalotti.

. Francesco Guidalotti è il protagonista di eventi cosi noti di sto-
ria perugina che su di essi non sarà necessario a lungo soffermarsi.
Il Pellini, non senza ricercata ambiguità, lo definisce « uomo molto
singolare e di costumi e di lettere » *). Apparteneva a una famiglia
non nobile per antica origine feudale, cresciuta all'ombra del mona-
stero. Il nome di un « Simone de Guidalotto iudex » si ritrova fra i
testimoni di atti rogati nel monastero sin dal tempo di Ugolino da
Monte Vibiano, accanto a quello dei Baglioni. Provenivano dunque i
Guidalotti dalla grassa borghesia del tempo, arricchita nell’eserci-
zio del giure e nella pratica dei commerci e potente negli armeggi
della politica. Per la prima volta nel corso del secolo un uomo di
estrazione popolare prende in mano il governo dell’abbazia. E come
spesso accade, il nuovo arrivato modella senza finezza la sua azione
su quella dei predecessori e ne esaspera le tendenze senza il lucido
rigore e la coscienza dei limiti che dà il lungo esercizio del potere
a chi per tradizione di famiglia e per remota formazione ambientale
vi è assuefatto.

Molto sensibile alle istanze familiari, Francesco non esita a far
mutilare nel 1388 il campanile di san Pietro della guglia con la sta-
tua bronzea del Santo, fino alla ghirlanda costituita da un fregio
di metallo dorato, per venire incontro al desiderio del padre Simone,
che in quell’anno era eletto arbitro sopra la guerra e ai cui piani mi-
litari la troppa altezza del campanile e la sua forma davano impac-
€10 19);

Nell’anno precedente (1387) due volte l'abate era stato desi-
gnato a far parte dellambasciata perugina al Pontefice, a Lucca
e a Firenze. A questa seconda missione egli non fu però presente **).

D'ora in avanti l’attività dell'abate fu strettamente collegata con
le tumultuose vicende cittadine, in cui egli strutturò la sua azione, ade-
guandosi alle esigenze della parte politica cui appartenevano i suoi
parenti. Nell'89 i nobili riprendono il potere e i Raspanti vengono
banditi. Paolo di Nino Guidalotti viene dai vincitori decapitato.
L'abate, fuoruscito con i suoi ") e dichiarato ribelle « contra sta-
tum et libertatem comunis et populi Perusini», è a Deruta *);
non vi si mantiene, perché gli vien meno il consenso dei Derutesi *).
Cacciato da Deruta, si fortifica in Casalina *). Nel 1392 Pandolfo
Baglioni, uno dei capi della fazione dei nobili, dàil guasto a Casalina,
«Castello allhora tenuto dall'Abbate de Guidalotti (come racconta
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142 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

il Pellini, ricavando le notizie dalle cronache contemporanee), et ció
fu fatto (egli dice), perché lo Abbate havea dato ricetto a Simone suo
padre et ad altri fuorusciti nella Rocca » *).

Nel trattato del 1392 fra Biordo Michelotti, che stava sempre
più imponendosi con la sua forza e il suo prestigio, e gli ambascia-
tori cittadini si conveniva «che il fatto di Biordo Michilotti et di
Simone di Ceccolo de Guidalotti et di tutti gli altri fuorusciti si ri-
mettesse nel Pontefice, et che all'Abate di san Pietro di Perugia,
ch'era figliuolo di Simone de Guidalotti, fosse lecito di potere stare
in Casanino (leggi : Casalina) e godersi le cose sue » *?).

Il 17 ottobre di quell’anno Bonifacio rx viene, su invito del Co-
mune, a Perugia; il 20 maggio dell’anno successivo il Pontefice
ordina che si condoni ogni pena agli esiliati popolari e che essi ven-
gano riammessi in patria. Nella convenzione fra il Papa e i Perugini
sì stabiliva, fra l’altro, «che tutti i palazzi della città fossero obli-
gati al servigio del Papa » e « che si potessero far ponti dall’uno al-
l’altro nella guisa ch'altre volte v'erano stati fatti, e che potesse
haver l’uso del Monastero di san Pietro quando a lui et agli altri
suoi successori piacesse di andarvi ad abitare per la commodità
dell’aria et dei giardini » *).

E difatti nel giugno il Pontefice deliberò di trasferirsi dal pa-
lazzo dei Priori «a san Pietro, et ivi fermarsi per tutta la state,
havendo prima tutto quel luogo di buoni et forti bastioni fatto cin-
gere, et buttare anco per terra la maggior parte del campanile della
Chiesa, ch'era (come dicono) dei più belli campanili di tutta To-
scana. E vi fu speso per iscaricarlo meglio di 180 fiorini d'oro da'
Magistrati della città » *»).

Nascono presumibilmente in questo torno di tempo quei rap-
porti personali fra il Pontefice e i Guidalotti che tanto peseranno
sullo svolgimento dei futuri eventi. Malgrado la presenza del Papa,
la convivenza entro le medesime mura fra nobili e Raspanti é resa
impossibile dall'odio e dallo spirito di vendetta. Pandolfo con molti
dei Baglioni e altri della loro parte vengono crudelmente uccisi
e taluni dei loro partigiani vengono gettati dalle finestre delle case
dei Guidalotti. La strage è tale che Bonifacio IX con la maggior
parte dei cardinali, sdegnato, abbandona la città e prende stanza
in Assisi. Riferiscono le cronache che a Simone di Ceccolo dei Gui-
dalotti e agli altri componenti la messaggeria a lui inviata per invi-
tarlo a recedere dal suo divisamento, il Papa dicesse che « doven-
dovi tornare (— a Perugia), voleva che a spese della Città si met-
DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 143

tesse in fortezza san Pietro (la sua prediletta abbazia di S. Pietro)
e che vi se facesse una roccha » *). Da Assisi Bonifacio successiva-
mente raggiunse Roma.

Uscito il pontefice da Perugia, vi entra il 3 agosto 1393 Biordo
Michelotti. Ha così inizio il breve periodo di effimera signoria del
condottiero perugino. I Guidalotti sono con lui. Simone di Ceccolo
Guidalotti, capo della casata e padre dell’abate, riceve a fine d’ot-
tobre del 1395 il mandato di andare a Roma perché tratti col papa
per riconciliargli Biordo. Alla fine del marzo 1396 Simone è a Roma
e conclude la pace fra Bonifacio e il Michelotti.

Forse da questo momento si impostano le premesse della con-
giura che porterà alla vicenda del tragico 10 marzo 1398. La pagina
del Pellini che narra i fatti attingendo a cronache contemporanee è
troppo nota perché sia ora qui il caso di rileggerla *). Sangue chia-
ma sangue: l’uccisione di Biordo Michelotti è seguita, contro le
aspettative dei congiurati, dallo sterminio di casa Guidalotti. L'ira
popolare non ha freno : Simone e Francesco Guidalotti, padre e zio
dell'abate, sono trucidati, le case della famiglia incendiate, lo stesso
monastero di san Pietro viene dato alle fiamme, con perdita di docu-
menti preziosi, e solo la chiesa resta intatta perché il magistrato
comunale provvede a farla tutelare. L'abate si salva a Casalina ;
ma è costretto a fuggire anche da quella rocca, che è presa e deva-
stata #?).

Esule da Perugia, il 17 giugno 1400 Francesco Guidalotti viene
a morte. Della benevolenza che il pontefice Bonifacio IX gli man-
tenne nel periodo ultimo della sua vita rimangono tracce nei re-
gistri della cancelleria apostolica 8).

*
LE:

Con la scomparsa di Francesco Guidalotti un altro secolo della
esistenza dell'Abbazia di San Pietro si conclude. Credo che dalle vi-
cende di essa che passo passo per tutto il Trecento alla luce dei do-
cumenti cogniti abbiamo seguite una constatazione precisa emerga :
che la storia dell'abbazia si svolge in uua singolare coincidenza di
luci e di ombre, di vitalità e di crisi, di grandezza e di depressione
con la storia cittadina.

Perugia e l'Abbazia di San Pietro si muovono in una simbiosi
singolare, vorrei dire quasi eccezionale fra una struttura politica
e una comunità religiosa. L'ascesa del Comune, il punto piü alto
144 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

della sua aspirazione di potenza coincide con l'operosità di due
grandi abati, che spiccano fra le figure piü eminenti nella storia mil-
lenaria del Monastero : Ugolino 1 da Gubbio, Ugolino r1 dei Monte-
vibiani; il declino dell'organismo politico comincia simultanea-
mente, quando l'abbazia entra in crisi per difetto di uomini, o quando
questi non credono piü alla grandezza e alla continuità ideale della
loro missione e volgono lo sguardo alla transeunte vicenda quoti-
diana in cerca di momentanee vittorie o supremazie.

Ma mentre le istituzioni legate agli interessi pratici o politici
decadono e scompaiono irrimediabilmente allorché questi interessi
inaridiscono, mutano o si trasformano, i grandi additamenti spiri-
tuali mantengono nel tempo la loro forza vitale, e la temporanea
inadeguatezza degli uomini non menoma la loro perenne vitalità.
Per questo noi siamo qui convenuti a celebrare i primi mille anni di
storia dell'Abbazia di San Pietro, per questo noi intendiamo cosi
fare onore ai figli di San Benedetto qui presenti, testimoni viventi
e prosecutori di una altissima tradizione di fede e di dottrina in cui
noi riconosciamo i remoti e attuali elementi formativi della nostra
civiltà.

NOTE

1) Reg. Clem. V, 1, 170-71, n.° 916. V. Le carte dell'archivio di s. Pietro
di Perugia a cura di T. LEccisorTI e C. TABARELLI, Milano 1956, 1, p. 188 in
nota.

?) Ugolino era allora abate di san Donato « de Pulpano, sive s. Bartho-
lomaei de Petrono»; Pietro o Pero d'Errico era priore di san Montano.

3) Annali decemvirali, lib. D, 236, 238; P. PELLINI, Dell'Historia di Pe-
rugia..., Venezia 1664, parte I, p. 343.

4) Ann. decemv., l. c.: «nulla persona civis vel forensis audeat ingredi
vel intrare audeat dictum monasterium pro turbatione status ipsius mona-
sterii et monachorum eiusdem sine licentia dicti domini capitanei ».

5) Ai due ricordati si era aggiunto il monaco Grigiolo, che poi ritirò la
sua candidatura.

*) Reg. Clem. V, v 242-247, n. 5797. Al candidato soccombente, Pero,
fu imposto il perpetuo silenzio.

?) Pompeo PELLINI, Dell' Historia di Perugia, cit., 1, p. 410.

8) Cito da M. Bini, Memorie storiche del monastero di s. Pietro di Perugia
dell'ordine di s. Benedetto, 1848, p. 40, opera che si conserva manoscritta

——,——

—Q—
————

DELL'ABBAZIA DI S. PIETRÒ IN PERUGIA 145

nell’archivio dell'Abbazia (in due volumi; cod. n.° 439, 1): «... ‘nel 1319
i consiglieri e priori di Perugia danno licenza al vescovo e all'abate di $. Pie-
tro di portare qualsivoglia arma dentro e fuori di Perugia, esclusi però i loto
officiali, e all'abate per un solo famigliare : ma nell'anno stesso (in Cancelle-
ria decemvirale, Lib. Diversorum, 320), all'abate Ugolino di s. Pietro vien
dato il permesso di portar armi e a 24 de’ suoi uomini ». :

*) Abbiamo già visto come il Pellini chiami l'abate di san Pietro in
carica nel 1314, col nome errato di Ugolino Montebiani. Contamina-
zione analoga fa il Bini, denominandolo « messer Ugolino V ibi da Gubbio »
(citazione in LEccIsoTTI-TABARELLI, Le carte dell'archivio cit. 1, 189 in n.).
Medesimo abbaglio in un tardo ms. di casa Massini, ivi pure rammentato.
L'errore ha origine remota: già la Cronaca cosiddetta del Graziani (Cronache
e storie inedite della città di Perugia ... parte 1, Firenze 1850 in Archivio Sto-
rico Italiano xvi, p. 1, p. 104) recava : «... postularo per vescovo de Peroscia
meser Ugolino de Vibiani el quale era abbate de santo Pietro de Pero-
scia » (p. 104), e ribadiva a p. 105: « Nel dicto mese de giugno (1331) meser
Ugolino da Monte Vibiano abbate de san Pietro arvenne da Roma
et era stato consacrato vescovo de Peroscia da papa Giovanni xxi». Il Fa-
bretti si avvide che le cose non quadravano e, là dove la Cronaca Graziani,
tornata a essere precisa, dava notizia della morte del vescovo Ugolino («a di
7 de ottobre (1337) passó de questa vita presente in Peroscia de morte natu-
rale meser Ugolino d’ Agobbio, vescovo de la cità de Peroscia, el quale
era nativo de la cità de Agobbio»), avvertì (op. cit., p. 119
in nota) che l’Ughelli nella sua Italia sacra osservava come nelle « tavole »
perugine si parlasse di due Ugolini vescovi, mentre i Registri vaticani ne
menzionavano uno solo. Con qualche perplessità il Fabretti inclinò a rite-
nere l’Ugolino vescovo come un Vibi, a ciò forse indotto dal VERMIGLIOLI,
Biografia degli scrittori perugini, 11, Perugia 1829, p. 324 in nota.

1) Documento edito da L. BRUNAMONTI TARULLI, Appunti storici in-

torno ai monaci Benedettini di san Pietro in Perugia fino ai primi del sec. XV.

in questo Bollettino x11 (1906) e xii (1907), sotto il n°. xiu (p. 48 e sgg. del
volume del 1907) dal Liber contractuum Monasterij... ab anno 1335 usque
ad annum 1340, 4, c. 3 bis t.

11) BRUNAMONTI TARULLI, art. cit. da Boll., xir, doc. n.° xvi, p. 51 sgg.
Questo e il precedente atto sono promossi dal « reverendus vir dompnus
Ugolinus de Monte Ubiano abbas » con il consenso unanime del capitolo
dei monaci. Sappiamo che il 5 novembre 1339 il beneficio di san Clemente
vacante «ad presens per obitum Federutij Ghelfoni olim rectoris eiusdem
ecclesie » viene conferito a un ser Desta « clericus de Perusia » (doc. xLII, p. 73).

13) Il Libro rosso fu edito da ARIODANTE FABRETTI in Documenti di sto-
ria perugina, 1, Torino 1887, p. 98 sgg. A p. 111 ultime due righe i nomi
di Ugolino e Guido, a p. 112 righe 17-19 gli altri.

13) Libro rosso, ed. cit., p. 121 riga 12.
146 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO:

14)-P. PELLINI, 0p..cil., 1,. p.322.

: 15) Libro rosso, ed. cit., p. 112 riga 7. Contro la « gente nova », i « veniticci »;
che non tutti dovevano appartenere al ceto dei nobili, si scaglia il perugino
autore di un poemetto in cinque capitoli (scritto prima. del febbraio: 1353);
edito da L. SALVATORELLI in questo Bollettino (1, Perugia 1953: La politica
interna di Perugia in un poemetto volgare della metà del Trecento, P. 18 sgg.).
Cosi egli fa parlare la sua città (vv. 113 sgg.) :

. Tiranneggiata sono con malitia
da tal che non se sa suo nasemento,
di sua progenie niuna se sa inditia ;

e, proseguendo (v. 131 sgg.):

Non v'acorgite de le nude spade,
. che manderanno ei vostre membra sparte,
di questa giente con gran crudeltade ?
Io, trista madre, voglio aprir le carte,
dirve chi sono et onde fuor costoro :
forse mo ve guardate da lor arte!
D’Ogubio e del contado molte foro,
Gualdese, Ascesciane e lor seguace ;
quei di Spolete me fan dentro coro ;

l'elenco degli inurbati continua ancora. E intanto le famiglie perugine, di
vecchio stampo guelfo, sono sopraffatte dai nuovi arrivati (v. 175 sgg.).

Veggio ’1 sangue di lor vene manchare
da tal dicendo : « Io so ghelpho anticho »,
che pur ier venne in Prosa (ms.: Perosa) ad abitare.

16) V. Annali e Cronaca di Perugia in volgare dal 1191 al 1336. Testo,
commentario, annotazioni linguistiche a cura di FRANCESCO A. UGOLINI (negli
Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia della Università degli studi di Perugia
I, 1963-64, p. 143 sgg.); il dato che ci interessa è raccolto sotto il 1330 : « In
quisto milesimo, a di xxii; de novembre, e calonnacie de sa Lorenzo ales-
soro per ovesscovo de Peroscia meser Gulino d’Agobbio, el qua-
le era abate de sam Pietro de Peroscia » (p. 224, 82 dell’estr., riga 9 Sgg.).
Sui rapporti fra questa Cronaca (che d'ora innanzi si citerà con la sigla « Ugo-
lini, Cronaca ») e quella cosiddetta del Graziani, si veda quanto ne scritto
a p. 259 (117 dell'estr.) dello studio testé citato. Essa si manifesta come una
fonte degna al massimo di fede per gli avvenimenti cittadini e andrà tenuta
nel debito conto per la ricostruzione della storia interna di Perugia.

7) Secondo il Pellini (1, 397) era stato fatto vescovo di Perugia nel
1312. Mori nel novembre del 1330 « di morte naturale » (Pellini, r, 510). Ugo-

h——— acer

DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 147

lini, Cronaca precisa il giorno (p. 224, 82 dell'estr.). Questa medesima fonte
annovera come predecessore di Francesco « messer Bolgaro, morto « di morte
naturale » il 23 novembre 1308 (Ug. Cronaca, p. 175, 33 dell'estr.). Ora, sotto
l'anno 1306 il Pellini riferisce che «fu fatto instanza al Pontefice che ’1 Ve-
scovo frate Francesco da Lucca dell'ordine de’ Predicatori
dovesse tornare alla sua residenza, essendo egli allora alla Corte, dov'era
pur assai dimoratc, et pareva loro necessario che vi tornasse, cosi per l'utile
del popolo Perugino, che sue pecorelle erano et desideravano d'essere dal
proprio Pastore vedute et pasciute, come anco per l'honor suo » (I, 348). L'an-
no é, dunque, sicuramente errato ; uno spoglio dagli Annali decemvirali,
che non ho ora la possibilità di compiere, permetterà di rettificare la data
(probabilmente, il 1326). Per Corte occorre intendere, com'é naturale, Avi-
gnone.

18) V. il rinvio puntuale sub nota 15.

19) Ug. Cron., p. 224 (82 dell’estr.). Andrà forse identificato con quel
«frate Alessandro di messer Vinciolo Vincioli, cavaliere gerosolimitano »,
di cui parla il Pellini (1, 460), che i Priori mandarono nel 1322 ad Avignone,
affinché informasse intorno alle cose di Assisi e di Spoleto e per persuadere
il Pontefice a non dar credenza. alle imputazioni mosse a Perugia dai Ghi-
bellini di Spoleto: «ma che aiutasse et abbracciasse i Perugini come veri.
sudditi et diffensori di santa Chiesa et delle sue giurisdittioni ».

?*) Ug. Cron. pp. 225-26 (pp. 83-84 dell'estr.).

*)) G. MoLLAT, Lettres communes de Jean XXII, x1, 157.

?) Libro rosso cit., p. 105 righe 24-25 (Emendo il Guiglettus dell'ediz.
Fabretti in Guiglottus). Un altro membro della famiglia si chiamava « Ba-
glione Filipputij de Monte Ubiano ».

?*) Così la Cronaca cosiddetta del Graziani (v. retro, nota 9).

4) Ug. Cron., p. 227 (85 dell'estr.. Nel documento n.° rv, edito dal
BRUNAMONTI TARULLI (art. cit. p. 40), datato 16 giugno 1331, si dà in capitolo
lettura della bolla papale con cui Giovanni xxir promuove « dompnum Hugo-
linum Nutij in abbatem ». Il nuovo eletto è presente, e riceve nel medesimo
giorno la promessa di obbedienza e riverenza dai monaci (ibid., documento
n.? y).

^) BRUNAMONTI TARULLI, doc. n.° xx (art. cit., p. 58 sgg.). Data: 3
febbraio 1338. Si concede a Balioncello di usufruire della rendite e dei pro-
venti della sua quota ereditaria per continuare a frequentare lo Studio peru-
gino. Sono ricordati i suoi fratelli (« Simonij, Nino, Carlutio, Berto et Ni-
cholao »), i cui nomi, con l'eccezione di « Carlutio », compaiono già (« Simon,
Ninus, Bertus et Nicolaus filii Hermannutii de Castilione Ugolini ») nel Li-
bro rosso (ed... Gil, p. 101. riga 1 e 2).

^) Vi può essere incertezza sull'attribuzione del provvedimento che viene
emanato in data 28 febbraio 1331: il Bini e il Brunamonti Tarulli (art. cit.,
P. 38, doc. 111) leggono concordemente: «licteras reverendi viri dompni Hu-
148 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

golini abbatis eiusdem dicti monasterij sancti Petri sigillatas . . . » ‘6;
di conseguenza, ritengono promotore dell’atto Ugolino Vibi; ma, se in luogo

di eiusdem, l'abbreviazione, come sostiene padre Tabarelli, va risolta quon-

darn, il « dompnus Hugolinus abbas » non può essere che il Guelfoni.

27) Si veda quanto in proposito ho scritto a p. 267 sgg. (125 sgg. dell’estr.) -

del lavoro già ricordato. La narrazione puntualmente continua: «Lo occi-
sero in quisto modo, cioè : che essi se rechiusero in una casa scontra a casa
de ser Gualfredo ; et la notte sequente celatamente, venendo in piazza me-
ser Oddo, usci de la dicta casa el priore de Fonte e li compagni, et si lo
assalirono alla strada ; onde che meser Oddo vedendo si fatto asalto, fuggi
in casa de ser Gualfredo, et essi el seguitaro, et occiserlo entro la stalla del
dicto ser Gualfredo ; et puoi fugirono tutti, et recoveraro nella chiesa de san
Domenico de gli frate predicatore ».

28) BRUNAMONTI TARULLI, art. cit., p. 36 (doc. 1) e p. 41 (doc. v). [altro
atto che riguarda il nostro personaggio si trova nel Liber contractuum del
1331 ed è il n.° 25 della ediz. TABARELLI, comparsa mentre il presente arti-
colo era in composizione. Porta la data del 21 giugno : fra i testimoni figura
«domino Balione Novello». In esso il «reverendus vir dompnus Ucciolus
quondam domini Gualfredutij de Balionibus, monachus dicti monasterij
sancti Petri, prior ecclesie sancte Marie de Fonte », approva gli atti relativi
ai debiti del monastero ordinati «in capitulo » nei giorni antecedenti « post
reditum domini abbatis monasterii sancti Petri nuper factum de curia Ro-
mana », debiti contratti dall'abate in periodo di sede vacante e per la propria
promozione. Uccio, in caso di propria assenza, delega per l'avvenire a sosti-
tuirlo il priore claustrale].

29) BRUNAMONTI TARULLI, art. cil., p. 427. Il documento sta in Libri
contractuum, 11, c. 83. La motivazione, per così dire, ufficiale della vendita
e cessione è la seguente :

«...causa solvendi collectam ipsi priori et ecclesie sue predicte im-
positam per dictum monasterium occasione debitorum contractorum in Ro-
mana Curia pro vacatione ipsius monasterii et pro promotione nuper facta
de reverendo et religioso viro domino Hugolino de Monte Ubiano assumpto
in abbatem dicti monasterii et etiam pro satisfaciendis aliis debitis
imminentibus monasterio prelibato ».

so) Ugol. Cron., p. 227 (estr. p. 85). I nomi che fa questa Cronaca sono i
seguenti: il Priore di Fonte, Cecchino di messer Ven-
ciolo, Filippuccio di messer Gualfreduccio, Venciarello da Bettona, ch'eran
quelli per cui era corsa voce che si volevano costituire. Non essendosi presen-
tati, furono dichiarati contumaci e tutti condannati ad avere il capo troncato
salvo Cecchino che fu « pecuniale ». I condannati furono diciannove.

"^ Un documento dei Libri contractuum, che reca l'identica data del 14 gen-
naio 1332, conferma la notizia della Cronaca: in esso labate Ugolino dà
licenza a Luca di Pauluccio, monaco, di assumere il mandato ad esso Luca

L-————
DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 149

conferito « per nobilem virum dompnum Oddutium sive. Ucciolum quondam
domini Gualfredutii de Balionibus de Perusio monachum ipsius monasterii
et priorem ecclesie sancte Marie de Fonte» mediante
strumento notarile, per essere difeso dinanzi.a Ottaviano de' Belforti di Vol-
terra, podestà di Perugia. Il Priore di Fonte aveva giudicato preferibile,
anziché presentarsi di persona, mandare innanzi un avvocato difensore;
ma, come S'é visto, il podestà sentenziò in contumacia dei colpevoli. La data
precisa della condanna (30 gennaio 1332) si può desumere anche da una
carta pubblicata dal Fabretti (Cronache, 1, p. 106 in nota) relativa a un ten-
tativo di rappacificazione fra i Baglioni e gli Oddi, dove due « procurato-
res nobilis viri Philipputii d. Gualfredutii de Balionibus porte sancti Petri
et par. sancti Donati » richiamano i precedenti dell'odio fra le due famiglie
«occasione homicidii iam commissi et perpetrati in personam d. Oddonis
d. Longari de Oddonibus — ad quem homicidium commictendum perso-
naliter dictus Philipputius interfuit una simul cum quibusdam aliis civibus
perusinis, ratione cuius dictus Philipputius fuit exbannitus et condempnatus
per nobilem dominum Attavianum de Belfortis de Vulterris, tunc honora-
bilem potestatem civitatis Perusii, sub annis domini w.ccc.xxxi die xxx
ianuarii — » ; seguono i nomi di numerosi Baglioni, implicati nel fatto. Man-
ca fra essi il nome del Priore di Fonte.

?)) Codice Vat. Barb. 4036, (già xLv-130). Descrizione del ms. in SAL-
VATORELLI, art. cit., p. 5 sgg. Il sonetto è a p. 99 ; nell'ordine, è il comp. 189.

GILLIUS LELLI

La spietata novella al cor mi versa,
dillecto amicho, ’nfinito dolore,
inmaginando che ’1 velato amore
del vostro cor parti la morte aversa. A
Ai, che permesso avesse che dispersa
fusse del mondo il possente Singnore |!
Ché senpre parte da vita ei milgliore
la dolorosa e schura più che persa. 8
O, che la vita che riman, per morta
fusse ingrimita dai suoi crudei piede,
ché poseria la pena che comporta! 11
Adonque, poiché dì e nocte la chiede,
e ciò non si può far, pregho, conforta :
che ll’alma sua beata innel ciel siede. 14

Per la migliore intelligenza del componimento, si noti che ingrimita
(v. 10) vale « ghermita » ; che il v. 11 va interpretato : «ché (allora) pose-
rebbe (cesserebbe, avrebbe requie) la pena che essa (= la vita) sopporta »
| 150 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

e che il chiede del v. 12 sta per «chiedi» (= invochi la morte), per il noto
fenomeno perugino dell’apertura della -i in -e.
La concordanza di certe espressioni (Gillio : spietata novella, ... del
vostro cor partì, . . . velato amore ; Borscia : spietata morte, . . . lo cor partito, . . .
velato daglie scur mante), ma soprattutto l'identità concettuale degli ultimi
| versi mi fanno supporre che in questo sonetto di Gillio vada identificata la
| rima flente cui fa cenno Borscia al v. 5 del suo sonetto. Si avverta come il
B sonetto di Gillio sia cauto e generico, di contro al più aperto e generoso
lamento di Borscia.

3?) Codice ricordato, comp. n.° 197 a p. 103. — Qualche nota interpreta-
tiva: v. 3, fuse, «effuse»; v. 7, bruma, « dicembre ». Brum nell'identico si-
| | gnificato è metaurense, brume vive a Città di Castello : v. C. MERLO, I nomi
MAL ! romanzi delle stagioni e dei mesi, Torino 1904, p. 70 e p. 105; v. 10, terrebil
fera, allude al leone dell'insegna degli Oddi. Ad essa si riferisce pure l'orato
Wu campo con l'azzuro del v. 12. Il Blasonario perugino indica appunto un leo-
MI ne turchino rampante in campo d'oro come stemma della famiglia. Dirò,
Nau fra parentesi, che mi par questa la più antica menzione che si conosca ger |
Mi il: segna degli Oddi. |
id 33) BRUNAMONTI TARULLI, art. cit., pp. 427-28.

li I ?5) Libri contractuum, III, 348 v. Ved. quanto ne dice il Bini, allegato
AN | ! in nota da LEccisoTTI-TABARELLI, op. cit., 1, pp. 101-2. Uccio doveva ancora
Nu essere in vita nel 1336, dato che Benedetto xir in data 11 giugno di quell’an-
no invitava il vescovo di Perugia a far revocare la sentenza del podestà e del
È M capitano contro l'omicida. ;
| | qi *) La motivazione della deliberazione, con cui si concedeva questa fa-
| i 4 | coltà all'abate, documenta il grande prestigio raggiunto da Ugolino Vibi:
I | IB (PRE monachi, considerantes et attendentes magnitudinem dilectionis
| | [ et fidei quam prefatus dompnus Abbas et sui omines semper habuisse pro-
| | || | bantur et habent, ac in futurum habere sperantur, circa honorem, statum |
| e NI et incrementum eiusdem monasterij, et quod se nimis laudabiliter gessit
Tl usque modo in recuperandis ac reinveniendis eidem monasterio nonnullis
. WII possessionibus, bonis et rebus, actenus a nonnullis personis diversimode et
i | i in diversis partibus et locis subtractis et distractis ac etiam usurpatis, nec
} NM | non considerantes et attendentes magnifica, grandia, utilia
MII et honorifica opera eiusdem dompni Abbatis..
BEEN 3wX3. w— 3 .—...- »(atto del 5 gennaio 1338 ; BRUNAMONTI TARULLI, n.° xx, pp. 54-55).
UL *) Di un probabile ritratto di Ugolino Vibi, datato 1333, come di altri
il monumenti artistici riconducibili al periodo in cui Ugolino 1 dei Guelfoni
fu vescovo di Perugia e Ugolino 1 dei Montevibiani fu abate di San Pietro
| discorreró, con corredo di illustrazioni, altrove. Ma già qui non sarà inutile
Bi i indicare come il loro nome è legato ad alcuni dei documenti artistici della
di | | Perugia trecentesca.
|

*

*) [La pubblicazione dei Libri si & ora iniziata con l'edizione del Liber
pe y m eee eme eem

DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 151

contractuum (1331-32) del' Abbazia Benedettina di San Pietro in Perugia a cura
di don CosrANzo TABARELLI, Perugia 1967, apparsa mentre il presente arti-
colo era in bozze].

| 35) BRUNAMONTI TARULLI, art. cií., p. 438 sgg., che attinge da Libri
contractuum 3°, 48 v. ; 4°, 15, 29; 4°, 73.

3°) Atto del 18 giugno 1332:

«... Visa et diligenter inspecta quadam reformatione nuper edita per
Dominos Priores Artium Civitatis Perusij super repletione et explanatio-
ne campi quod dicitur Frontone sancti petri et scripta manu
Nicholay Iacopelli notari eorum dictorum Dominorum Priorum Artium, ex
auctoritate sibi concessa per dictos dominos Priores, ....». V. BRUNAMONTI
TARULLI, art. cit., doc. xit, p. 47.

' *) Atto del 23 maggio 1336 :

EUN LSU Reverendus Vir Dompnus Ugolinus de Monte Ubiano, Abbas
dicti Monasterij Sancti petri de perusio, suo et ipsius Monasterij nomine et
tamquam patronus, fundator, constructor et hedificator hospitalis novi sancti
Gualterij, siti prope Castrum francorum de Cassalina. comi-
tatus perusij, omni modo, iure et forma quibus melius potuit fecit, consti-
tuit et ordinavit Vannem Francisci, ibidem presentem et suscipientem sui
et prefati hospitalis hospitalarium et custodem, syndicum et procuratorem,
actorem, factorem et nunptium specialem et dicti hospitalis gubernatorem
atque dispensatorem,..... » V. BRUNAMONTI TARULLI, art. cif., doc. xiv,
p. 49.

41) Atto del 3 febbraio 1338:

On ERIS Magistri Bartholus et Manutius fratres, filij Magistri Putij de
Castro Torsciani comitatus Perusij,..... pacto promiserunt et convenerunt
Reverendo viro Dompno Ugolino Abbati dicti monasterij, recipienti pro
eodem Monasterio, facere et laborare ad eorum magistros, manovales et
operarios quatuor cruceria de matonibus super claustro ipsius monasterij,
Et omnes fenestras que intrabunt et erunt faciende in pariete anteriore
versus dictum claustrum promiserunt laborare et sculpere de colunpnellis
et aliis laboreriis condecentibus. Et promiserunt facere filum exteriorem
supradicti parietis, et ghirlandam in plano voltarum infra de lapidibus sculp-
tis ad gravinam, Et filum interiorem ipsius parietis de matonibus, a ghir-
landa vero predicta supra promiserunt facere dictum murum pariete pecto-
rale et sedilia de matonibus, Item promiserunt facere quandam scalam, per
quam. ascenditur ad planum dictarum voltarum, de lapidibus scorniciatis
ét politis ad gravinam decoris et pulcritudinis prout magnificentie dicti
operis. viderint convenire, ac etiam exigetur. Item promiserunt mastricare
dictas voltas desuper, et etiam facere unum sedile de matonibus in sala dicti
opéris super dictas voltas ex parte muri palatij veteris. Item promiserunt
reddere et consignare dictum opus completum per totum mensem maij pro-
xime venturi.....». V. BRUNAMONTI TARULLI, art. cif., doc. n.° XXII, p. 57.
152 CONVEGNO. STORICO PER. IL. MILLENNIO

+ 9), V,.BRUNAMONTI TARULLI, art. cit., p. 430, che attinge dai Libri.con-
tractuum, 3?,:c. 260. : SEES
43) P. PELLINI, op. cit., 1, 571. Più precisamente, dal 21 a tutto il 23. ot-
tobre se si puó prestar fede alle Cronache del Graziani (Cronache cit., 1, 142).
14) P. PELLINI, op. cit., 1, 939, Venne il 12 di ottobre secondo la Cronaca

del Graziani (Cronache ,cit., 1, 170).

,45) Contratto del 30 giugno 1336. Documento n.° xv in. BAUNA MONTI
TARULLI, art. cit., p. 50 sgg. pu

55) Doc. n°. xL in BRUNAMONTI TARULLI, art. cif., p. 71 sgg. -

. +4?) Doc. n°. xLI in BRUNAMONTI TARULLI, art. cit., p. 72. sgg.

48) Doc. n°. xvin, datato 1° ottobre 1337, in BRUNAMONTI TARULLI,
art. cit., p. 53. | *

49) Doc. n.° xxiv, in BRUNAMONTI TARULLI, art. cit., p. 60 sgg. Sugli
uffici vari che venivano affidati ai Becchetti, o Frati della Penitenza in Pe-
rugia, si veda A. FANTOozzr-B. BucLirETTI, Il ferz'ordine francescano in. Peru-
rugia dal sec, XIII al sec. XIX in Archivum Franciscanum Historicum, xxxii
(1940), p. 55 sgg.

50) È il documento ricordato alla nota 25 (v. retro). A meglio a
giare i rapporti fra lo Studio perugino e le autorità ecclesiastiche gioverà
anche rammentare che con bolla del 30 agosto 1322 Giovanni xxII ordinava
all’Abate del monastero di s. Pietro e all’Arciprete della cattedrale di Perugia
di far corrispondere ai chierici forestieri che vengono a compiere i loro studi
in Perugia «fructus, redditus, proventus » dei loro benefici, e questo per il
tempo di dieci anni a venire.

51) Doc, n.° xxv, in BRUNAMONTI dr art...cit.,ip.::61:

5?) Doc. n.° xxxiv, in BRUNAMONTI TARULLI, art. cit., p. 67 sgg.

33) Doc. n.° xxxv, in BRUNAMONTI TARULLI, art. cit., p. 68 sgg.

54 Doc, n.° xxxvi, in BRUNAMONTI TARULLI, art. cit., p. 69 sgg.

5) Docc. n,° XXXVII e xxxix, in BRUNAMONTI TARULLI, art. cif., p..70
9-p. 71. p

5») Doc. n.° xLIII, in BRUNAMONTI TARULLI, art. cit., p. 74 sgg.

5) Riproduco il sonetto, già stampato da EnNEsTO Monaci, Dai poeti an-
tichi perugini, Roma 1905, p. 13 e da Manro MARTI, Poeti giocosi del tempo
di Dante, Milano 1956, p. 642, direttamente dal cod. Vat. Barb. n.° 4056,
dove occupa la p. 65, per presentarlo nella veste linguistica originale (a. v. 9
gn’ainel presenta un’assimilazione regressiva di timbro vernacolo, per gl'ainel,
« gli agnelli »). Il Marti vede nei « capretti » (cavrette è forma mascolina) e ne-
gli « agnelli » una denominazione generica dei «fedeli»; il v. 11 è così in-
terpretato : «né ha alcuno scrupolo nel mangiare le proprietà della madre
di quei cavretti ed agnelli, della Chiesa ».. Mi par più probabile l’accusa
di. corruttore di giovanetti. Quanto al « palazzo» del v. 12, l'espressione
ricorre nei documenti per designare il complesso degli edifici del mona-
stero di S. Pietro; così in un documento del 1331 (BRUNAMONTI TARULLI,
DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 153

art..cit., p. 433) si parla di una «sala palatii veteris » e di una « loya palatij
novi ». Sotto la vista del v. 3 è espressione equivalente al toscano antico sotto
la guardia, nel senso: «con la difesa, sotto la vigile protezione ». Per chi
pensasse a una possibile identificazione del lupo con Baglioncello, ricorderò
che. questi, già chierico perugino per lo meno dal 1325 (MoLLat, Jean XXII,
VI, 44), emette la professione monastica il 3 maggio 1331 (che s'è, non è gran
tempo, incappucciato fa pensare appunto all’entrata nell'ordine di S. Bene-
detto con la relativa assunzione del caratteristico cappuccio). Quanto al ver-
seggiatore, la grafia del nome oscilla nel codice fra Nerius Muscoli e Nerius

. Moscholi. Era un nobile: compare difatti nel Libro rosso (a p. 120 dell'ed.

FABRETTI): Nere Muscoli et Nicolaus eius filius. Aggiungo che Nerium Mu-
scoli appare ricordato in un atto dei Libri contractuum del 1° luglio 1331. E
ricordato anche dal Pellini (1, 465) sotto l'anno 1323, che postilla: «credo
della nobil famiglia dei Signorelli». Ecco le parole del Pellini: « Fu data li-
cenza a Neri di Muscolo ... et a tutti i nobili di poter pratticare a voglia loro
per i palazzi (del Comune), che n’ erano come altre volte si disse stati privi ».
Il provvedimento del confino (a cui si allude con il v. 8) era abbastanza fre-
quente : nella Ugol. Cronaca è detto che per il grandissimo «rumore » della
vicenda del 14 gennaio 1332 « quigle che commenzaro é remore fuoro mandate
a li cunfine » (op. cit., p. 227, 85 dell'estr.).

58) Libri contractuum, v, c. 83. i:

*) LEccisoTTI-TABARELLI, op. cit., 1, p. 210 sgg., n. 3: « Ugolino dunque
era morto negli ultimi tempi di Innocenzo vI ».

6°) LECCISOTTI-TABARELLI, op. cit., 1, p. 212 in n.

$5) P, PELLINI, OD. cif.;: 1, 1041,

.?) P. PELLINI, I, 1042. Secondo le Cronache dell'Arch. St. It. (x, 208
n. 5) nel mese di ottobre,

$3) P. PELLINI, 1, 1062: « Perché nel trattare del Borgo a San Sepolcro,
l'Abbate di Marsciano, ch'era anch'egli Perugino, s'intromise, gli fu da’
Ministri del Papa tolto quell’Abbatia et data, come dicono, al fratello di
messer Francesco di Bettolo, che era ribello: de’ Perugini ; i quali, mossi a
sdegno, operarono, perché l'Abbate non ricevesse danno, che li signori Priori
li dessero l'Abbatia di S. Pietro di Perugia, che per l'assenza dell'Abate de’
Vibiy, che n'era stato padrone, era vacante ». Reintegrato l'Abbate Filippo,
all'Abbate di Marsciano fu dato il palazzo dello Spedale di Colle.

64) P. PELLINI, r, 1092. Secondo una delle Cronache dellArch. St. It.
il rientro dei banditi («l’abate di Monte Vibiano, molti di casa Bagliona,
etc, ») avvenne di febbraio (1, p. 215).

*5) P. PELLINI, I, 1093, 1096.

$). P. | PELLINI,. 1,1119.

©) La lapide esiste tuttora: vedila riprodotta in MARIO MONTANARI,
Mille anni della Chiesa di S. Pietro in Perugia e del suo patrimonio, Foligno
1966, a p. 45, La ritrascrivo con compiutezza :

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154 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

Ianua sum fortis cunctis protectio nostris
Aspere sed sortis ceterisque rebellibus hostis
Quam pater et dominus Philippus figere iussit : —
Abbas Montebiani nobile stirpe refulsit $ *
Le pagine del Bini su Filippo sono pubblicate in LECCISOTTI-TABARELLI,
op. cit., p. 212 sgg. in nota.
$5 P PELUINI; 1; 1129:
$9) « Per la qual cosa venuto in sospetto all'Abbate (— di Montemag-

giore) che di questi tali nobili grandemente temeva, vogliono che per più

sicurezza dello stato lo facesse così iniquamente morire » : PELLINI, 1, 1133.

70) Atto del 10 marzo 1377 ; dai Libri contractuum, vri, c. 73.

71) Si veda quanto dice il Bini nelle sue inedite Memorie storiche ; i
passi relativi a questo periodo e a questi accadimenti sono pubblicati da
LECCISOTTI-TABARELLI, 0p. cit., 11, p. 8 in nota. La fonte è in Libri contrac-
tuum, vii, c. 124 v.

7) BRUNAMONTI TARULLI, art. cil., p. 465. Ma si tenga presente anche
il racconto del Bini (in LECCISOTTI-TABARELLI, l. c. nella nota precedente).

37) Il 14 marzo del 1380 Urbano vi, su istanza del priore claustrale,
dei monaci e del cardinale commendatario Simone, ordina che il monastero
« quod dudum solemne extiterat et etiam opulentum », ma che ora é in cón-
dizioni economiche rovinose «propter guerrarum turbines, que... longo
tempore viguerunt », limiti a dodici il numero dei monaci, in quanto non puó
mantenerne di più. Il documento è conservato nell'Archivio di S. Pietro. Suc-
cessivamente si pensó alle nuove nomine, condizionate dal numerus clausus
stabilito. Alla morte dell'Abate Filippo il capitolo era ancora costituito da
ventisette monaci, come si ricava da un atto del 29 agosto 1374, in cui, su
convocazione del priore claustrale Gregorio di Bartolo, vengono nominati
procuratori per l'amministrazione del monastero i fratres Angelo di Giacomo
e Benedetto di Paoluccio da Perugia (doc. nell'Arch. di San Pietro). Di tanto
in appena sei anni si erano ridotte le rendite abbaziali.

") P. PELLINI, 1, 1259. Nella bolla del 2 settembre 1377 di Gregorio
IX con cui si comunica l'interdetto al comune e al popolo di Perugia per la
rivolta contro l'Abate di Monte Maggiore del dicembre del 1375, fra gli eccle-
siastici colpiti sono tre monaci di san Pietro: uno di essi è « Franciscum
Symonis, monachum monasterii sancti Petri Perusii... ordinis sancti Be-
nedicti », in cui identifico il futuro abate (Arch. Segr. Vat., Reg. Av. c. 203).

*) Dalla Cronaca cosiddetta del Graziani (Arch. St. It., xvi, 1, 232):
«A dì... de novembre (1388) lo Abbate de san Pietro, figliolo de Semone
de Cecolo dei Guidalotti, homo astutissimo, fece levare dela cima del cam-
panile de san Pietro una statua overo figura de metallo orato, a figura e sta-
tura de san Pietro, quale era de altezza sette piey ; et quando ebbe fatta but-
tare a terra la dicta figura, fece scarcare al dicto campanile quasi dis ‘al
mezzo, et fu armurato et fatto el tetto alla grilanda de sotta ».


DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 155

E nelle Memorie di Perugia edite dal FABRETTI (Cronache citt., 1, Torino
1887, p. 47) : « Di questo mese l'Abate cattivo di san Pietro, figliolo di Simon
di Ceccolo Guidalotti, fece scaricare circa mezo il campanil di S. Pietro et
fece cadere una imagine di S. Pietro di metallo dorato, di misura di duo piedi,
Ja quale stava in cima del detto campanile ».

155 PC PEDLPINIZ DL 1349:

**) «Era di fuora Simon di Ceccarello e tutti i Guidalotti e finalmente
tutti i Raspanti » (FABRETTI, Cronache citt., 1, p. 48). Alcuni prigionieri con-
fessano che i fuorusciti avevano trattato con i Fiorentini per dare a questi in
mano la città : «l'ordine dato tra loro per occuparla era che da tre parti do-
vessero assalirla, prima dalla banda di San Pietro, et nella istessa
Chiesa farvi un forte detto da loro Bastia, un altro
in Monteluce, et l'altro in Montemorcino » : dal PELLINI, 11, p. 6.

78) Dalla Cronaca cosiddetta del Graziani sotto l'anno 1390: « Deruta
se era rebellata al nostro Comuno ....(I Derutesi) mandarono subito per lo
Abbate di san Pietro, cioè per lo abbate Francesco dei Guidalotti, el qual
incontinente ce andò et intrò dentro (si infenda : in Deruta) » (op. cit., p. 248).
V. anche P. PELLINI, 11, pp. 8 e 9.

7).P. PELLINI IL p. 12.

89) Secondo la Cronaca del Graziani questo avveniva il 19 giugno (p. 251).

81) «P.PELLEINI; II, p.31.

82)::P.-. PELLINI; it, p. 32.

8) P. PELLINI, II, p. 35 sgg.

*) P. PELLINI, 11, p. 43. Ma il soggiorno del Pontefice non andó esente
da manifestazioni ostili, a dar fede alle Cronache : «1393. A di 7 di giugno,
essendo il Papa in san Pietro, fur tagliate le viti nel giardino per suo dispetto ».
(Suppl. al Graziani, in Arch. St. It., xvi, 1, p. 257).

8)P:*PELLINI; 15 p. 49.

*) P. PELLINI, II, pp. 94-95. Una delle fonti del Pellini è, forse, identi-
ficabile con le Memorie di Perugia dall'anno 1352 all'anno 1398, coeve ai
fatti narrati, date in luce dal codice di antica segnatura 15564 della Biblio-
teca Comunale Augusta di Perugia, a cura del FABRETTI (Cronache, citt.,
Torino 1887, vol. 1): «..... Aveva Biordo, oltra la parentela, amistà gran-
dissima con Simone di Ceccolo Guidalotti ; et perché molto si fidava di lui,

ogni suo secreto le conferiva. Era in queltempo Abbate di San Pietro di Perugia

un figliolo del sopradetto Simone, il quale, avendo dal padre inteso il desiderio
di Biordo, mosso da invidia et da desiderio di far sé grande con l’altrui ruvina,
si mise nell’animo d’occider Biordo et dar la città di Perugia in mano al Papa,
sperando per questa strada esser fatto cardinale ; et conferito il tutto con duo
suoi fratelli, una domenica a mattina alli x di marzo, mentre ogn’uomo stava
‘alla’ predica, si parti da San Pietro e venne a cavallo fino a casa sua, ch'era
nel Colle di Landone ; et, lasciati i cavalli, si parti insieme con Aniballe fi-
gliuolo di detto Simone di Ceccolo et Armanno d’Ugolino suo consorte et
156 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

molti altri amici, ch'in tutto ascendevano al numero di 20 persone, et anda-
rono a casa Biordo, dove subbito gionti gli ferono intender che l'Abate
gli voleva parlare. Biordo allora si levava, et era solito prima ch'uscisse di
casa udir messa, ma non era ancora ora di farla celebrare, onde disse al mes-
so: «Digli ch’adesso verrò »; e caminando s'andava vestendo senza portar
arme di sorta alcuna. Come fu giunto, l'Abate molto alegro il prese per la
mano, et Giovanni et Aniballe gli tirarono adosso con le coltella, et l'uccisero.
Aveva Biordo con esso lui Giardone, del quale si sospettó che non ci avesse
tenuto mano, et alcun altri suoi famigli, i quali non lo poterono aiutare, tra'
quali ci era Ciarpellone ancora. Si va stimando ch'essi doppo ii fatto piü to-
sto temessero ch'altro ; perché, subbito che l'ebbero ucciso, si tornarono alle
case loro nel Colle di Landone, et quindi montati a cavallo se n'andarono
verso San Pietro, eccetto Armanno. Il qual, subbito cavalcato, venne in piaz-
za gridando : « Noi abbiamo morto il tiranno ! », credendosi aver seguito dal
popolo : ma non fu seguitato da nessuno. Simone di Ceccolo era alla predica
in San Francesco. Ma il popolo avendo inteso la morte di Biordo; ancorché
Sighinolfo e Ceccolino fussero a Todi, nondimeno s'armó et venne in piazza,
gridando : « Amazza, amazza i traditori!» ; e Andrea di madonna Fiore es-
sendo venuto in piazza, e vedendo Armanno, subito cominció a. gridare
insieme con certi compagni : « Amazza il traditore ». Il che inteso dal popolo,
cominciar subito tutti a dire il medesimo. Armanno, vedendo questo; voltando
il cavallo, se ne fuggi a San Pietro, dove l'Abate con moltissimi amici s'era
ritirato, né quivi si fermarono punto, ma subito se n'andarono a Casalina ».
(op. cit., p. 56 sgg.).

?7) Perugia decretó che in tutte le porte, «et in altre parti della città
e particolarmente ne' luoghi infami habitati dalle meretrici» venissero a
perpetua loro ignominia dipinte le immagini degli uccisori di Biordo, figu-
rate con il capo all'ingiü, e con essi, a maggior vilipendio, quella dell'abate
Guidalotti, accanto alla quale « vedevasi dipinto un demonio che gli parlava
all'orecchia ». (P. PELLINI, II, 98). La condanna dei Priori è del 12 aprile
(Annali Decemvirali a. 1398, c. 42) ; ma già fra l'11 e il 14 marzo erano stati
presi provvedimenti gravissimi contro i Guidalotti, con la « damnatio me-
morie ». In particolare, il 12 marzo fu deliberata la distruzione della rocca di
sant'Apollinare, che apparteneva al monastero di san Pietro e che era stata
« nunc recuperata » (Annali Decemvirali, cc. 28, 29,v., 30).

*5 L'8 maggio 1398 il Pontefice, « considerati i meriti e i servizi prestati
alla Romana Chiesa », accorda al Guidalotti il diritto di rilasciare salvacon-
dotti a chiunque ritenga opportuno «etiam Ecclesie Romane hostibus », il
17 dicembre scrive a uno spoletino perché provveda a punire Sacco di Ca-
salina, «laicus perusine dioecesis », se questi ha trattato di uccidere l'abate ;
il 10 giugno e il 10 dicembre del 1399 si rivolge ai Perugini dolendosi del
loro risentimento contro il Guidalotti. Il 20 giugno, pure del 1399, una bolla
pontificia diretta ai camerlenghi delle Arti di Perugia lamenta, oltre al man-
| ———

DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 157

cato rispetto dei capitoli della pace, che non siano ancora a cura del Comune
state tolte via le immagini dipinte a vituperio dei Guidalotti sui muri citta-
dini e che si insidi la giurisdizione dell'abbazia di san Pietro su Casalina. [Al-
cuni dei documenti qui ricordati furono esposti in originale alla Mostra do-
cumentaria e iconografica dell'abbazia benedettina di S. Pietro in Perugia come
risulta dal Catalogo pubblicato nell'occasione della celebrazione ufficiale del
Millenario (Perugia 1966); e precisamente i documenti: dell'8 maggio 1398,
conservato nell'Archivio di S. Pietro (n.° 53 del Cat.), e del 20 giugno 1399,
nell'Archivio di Stato (n.° 55).

MoRGHEN. — Ringrazio, anche a nome dell'assemblea, il prof.
Ugolini di questa puntuale esposizione analitica delle. relazioni del
Monastero di San Pietro con la città di Perugia nel sec. XIV. Una
esposizione ricca di contributi del più grande interesse per comprendere
quali siano stati i legami, i vincoli che hanno stretto il Monastero con
la città stessa nel groviglio delle lotte fra consorterie, fazioni, lotte anti-
magnatizie, che contraddistinguono la storia del Comune perugino in
quel periodo. Lo ringrazio di nuovo e credo che la nostra seduta possa
avere la sua conclusione almeno per questa mattina. Prima però di
chiudere definitivamente la seduta vorrei pregare il prof. Cecchini di
darci qualche notizia circa la pubblicazione del Liber contractuum,
che proprio il prof. Ugolini ha augurato fosse in breve portato a com-
pimento e pubblicato. Il prof. Cecchini forse può darci notizie della
iniziata pubblicazione, che sarà di utile complemento all’esposizione,
così ricca di spunti, del prof. Ugolini.

CeccHINI. — La Deputazione di Storia Patria per l'Umbria ha
creduto di contribuire direttamente alla celebrazione in corso con la
pubblicazione del primo Liber contractuum del 1331-32. Avremmo
desiderato presentare il volume nella forma definitiva ; purtroppo non
posso presentare altro che uno specimen di pubblicazione non com-
pleta, tanto per dare un’idea dell’impostazione del lavoro compiuto con
molto impegno da Don Costanzo Tabarelli. Il volume nella forma at-
tuale è ancora in bozze impaginate che sono tuttavia soggette a revi-
sione ; mancano ancora gli indici, che saranno ricchissimi, di località,
di persone, elc., e manca ancora l'Introduzione, alla quale sta atten-
dendo il prof. Giuseppe Mira. Voglio giustificare il ritardo con cui
il volume uscirà e nello stesso tempo darvi la sensazione della vastità,

° come fonte storica, di questo Liber contractuum, che è il più antico

rimasto attraverso le vicende piuttosto turbinose che hanno subito le
carte e i registri dell’ Abbazia.
158 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

30 settembre 1966, ore 17

MorcHEN. — Ora Silvestro Nessi ci parlerà su « Il tesoro pontificio
in Assisi e l'Abate di San Pietro Ugolino Vibi ». i

Il tesoto pontificio in Assisi
e l’abate di S. Pietro in Perugia Ugolino I

È già nota la vicenda del tesoro pontificio giunto a Perugia
al seguito di papa Benedetto xi e trasferito successivamente, in
parte, dopo l'elezione di Clemente v, per maggior sicurezza, in Assisi,
nella sacrestia della basilica superiore di S. Francesco 1).

A me l'argomento é capitato sott'occhio man mano che sono
andato raccogliendo materiale documentario, edito e inedito, rela-
tivo ad una delle figure piü interessanti, anche se poco nota, della
politica papale in Italia durante l'esilio avignonese prealbornoziano,
Giovanni d'Amelio : tesoriere (1318-1322), vicerettore (1323, aprile-
luglio), rettore del ducato di Spoleto (1323, 1° agosto-1332, 22 ot-
tobre) sotto Giovanni xxir. Poi, sotto Benedetto xir, di nuovo
in Italia, prima con missione particolare (1338, 30 ottobre-1339,
28 aprile), successivamente come nunzio apostolico e riformatore
delle terre del ducato (1339, 21 maggio-1340, ottobre). Rispedito
infine in Italia da Clemente vi nel 1346. Tra le sue numerose incom-
benze, ricevute durante la prima e piü lunga permanenza in veste
politica in Italia, figura quella di un controllo del tesoro papale,
della sua successiva inventariazione, del suo trasporto in Avignone *?).
Ed é appunto nel seguire l'espletamento di questa sua particolare
missione, cui dedicó gran parte delle successive permanenze in
Italia, che mi è capitato di incontrare anche l'abate di S. Pietro
di Perugia con i suoi compiti specifici affidatigli dal papa.

Ma vediamo prima in quali circostanze, e come, il tesoro papale
arrivò in Assisi. È vero innanzi tutto che esso vi giunse soltanto
dopo l’elezione di Clemente v ? Ufficialmente, si. Ma in effetti già
da molto tempo prima nel Sacro Convento di Assisi erano stati
DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 159

depositati, sia pur temporaneamente e saltuariamente, oggetti
preziosi, da parte di pontefici, di cardinali, di uomini di curia. Già
Innocenzo iv (1243-1254), forse a seguito del suo forzato soggiorno
in Francia, o, più probabilmente, al suo ritorno, quando risiedette
in Assisi, dall’aprile all’ottobre del 1253, vi aveva lasciato libri ed
oggetti preziosi; che il successore, con tutta celerità, richiedeva
poco dopo l’elezione *). Nel 1268 vi troviamo i beni mobili di maggior
valore del vescovo di Pafo, Andrea da Spoleto *); nonchè certe
armature di proprietà della S. Sede che nello stesso anno venivano
richieste *). Certi scrigni si faceva spedire Gregorio x nel 1273 5) ;
e tali richieste vengono successivamente ripetute da Nicolò rmn
nel 1278 e nel 1279 *) Mentre, nel 1289, Niccolò rv richiedeva i
preziosi del regno di Sicilia, inviati in Assisi quale censo dovuto
alla Sede Apostolica *). Sappiamo che il deposito a quel tempo era
di oltre 120 casse. Ma poi c'erano i denari del nipote del papa, Ber-
toldo Orsini, depositati anteriormente al 1284 *); c'erano quattro
scrigni di proprietà del cardinale Pietro Peregrossi, ritirati nel 1288
dal mercante Paolo di Spina !°) ; c'erano le argenterie e i paramenti
sacri di Benvenuto vescovo di Gubbio, depositati in quell’anno !). Ci
accorgiamo dunque come nella seconda metà del Duecento il Sacro
Convento di Assisi fosse divenuto una cassaforte sicura delle ricchezze
del papa e dei curiali. Quindi il tesoro della Chiesa non giunse in
effetti in Assisi nel 1310 per la prima volta ; nè il fatto costituì una
novità eccezionale, perchè ormai da oltre mezzo secolo ci si doveva
essere abituati a tale situazione, e il nuovo deposito, anche se più
consistente del solito, veniva a rientrare in una ormai abituale nor-
malità.

In che cosa consisteva il tesoro pontificio ? Anche qui è bene
ribadire il concetto che allora si aveva di « tesoro », perchè infatti,
sotto tale nome, insieme agli oggetti preziosi, alla moneta aurea,
vi troviamo — e in gran copia — libri, documenti, paramenti sacri,
stoffe pregiate, insieme agli oggetti più impensati: tutto ciò, nel
nostro caso, accumulato nella basilica superiore di Assisi, nella
sacrestia, nella più caotica confusione 7).

Per mezzo secolo il Sacro Convento rimase una fortezza inviolata
e inviolabile. Intanto però eventi storici di non lieve portata veni-
vano a sconvolgere la Chiesa, e con la Chiesa tutto il mondo medioe-
vale, con le sue convinzioni e le sue paure, che intorno ad essa si
era mosso. In mezzo ai disordini, ai complotti, ai tradimenti, alle
atrocità, alle eresie, agli entusiasmi ed esaltazioni collettive, nasceva

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160 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

la'coscienza moderna ribelle e scettica, con un parto che non due nè

facile, nè indolore, nè breve.

Varie furono le peripezie; del Thesaurus Ecclesiae, che. fino
allora non aveva mai avuto una sua ben definita sede fissa,
ma che smembrato dovette in parte restare stabilmente in Roma
presso le principali basiliche, in parte dovette seguire i papi, in
quegli spostamenti spesso improvvisi e drammatici, a Orvieto; a
Viterbo, a Rieti, ad Anagni, a Perugia e in altri luoghi ; altra parte
infine l'abbiamo vista affluire e defluire in Assisi, porzione questa

quasi di sicurezza e di emergenza. Ed altri depositi in tal senso,

non saranno certamente mancati altrove. Con certezza sappiamo
che dopo la elezione di Celestino v il tesoro (quello diciamo. così,
corrente, che seguiva sempre la curia) prese la via di L'Aquila e
successivamente di Napoli; che Bonifacio viru lo riportò a Roma
e in parte lo trasferì ad Anagni. Proprio durante uno di questi tra-
sferimenti, sulla via Anagnina, nel 1297, si verificó il primo cla-
moroso furto, perpetrato da Stefano Colonna !?).

Erano i tempi quelli in cui si discuteva animatamente e dram-
maticamente sulla « povertà evangelica », ed è evidente — anzi è
accertato — che una ondata popolare di sdegno investì la parte
mondana della Chiesa, della « nuova Babilonia », quale era consì-
derata anche dalle menti più ortodosse ed equilibrate dell’epoca.
Per questo i nemici della Chiesa si sentirono quasi autorizzati, certo
moralmente tranquilli, nel depredare ‘quel tesoro, accumulato du-
rante i lunghi secoli dell’alto Medioevo, quando la Chiesa era venuta
acquistando certe funzioni e certi apparati politico-amministrativi
che avevano dato vita alla monarchia pontificia. Ecco infatti che
dopo il furto dei Colonna avviene l’altro di ben più vasta riso-
nanza collegato alla presa di Anagni del 1303, da parte di Filippo
il Bello e Sciarra Colonna 1‘). Ma soltanto con la partenza del papa
per Avignone, e quindi col risorgere di un agguerrito, diffuso ghibel-
linismo, si dette l’assalto sfrenato ai tesori della Chiesa e delle chiese.

Quella parte che nel 1310 fu destinata da Perugia ad Avignone,
anzichè ad Assisi come il resto, morto il cardinale Gentile da Mon-
tefiore che condusse il prezioso carico fino a Lucca, fu quasi total-
mente depredata e dispersa nella sacrestia di S. Frediano che l’aveva
accolta 15). Muzio di Francesco, il capo dei ghibellini d'Assisi, parte
con le buone parte con le cattive maniere, mise le mani in tre suc-
cessive riprese sul tesoro conservato nel Sacro Convento, che più
ci interessa 1°). Intanto i ghibellini a Spoleto rubavano il tesoro della


m

DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 161

cattedrale '") ; quelli delle Marche il tesoro della S. Casa di Loreto 1°).
Ma non è che fuori d'Italia le ricchezze ecclesiastiche fossero meglio

trattate o avessero maggiori riguardi; perché la parte trasferita

in Avignone su richiesta di Clemente v, e, successivamente, nel 1311,
trasferita nel castello di Bastide nei dintorni di Vienne, alla morte

del papa, parte dai suoi stessi parenti parte da altri curiali francesi,

veniva saccheggiata a Monteuil e a Carpentras 1°).

Il 5 giugno 1320 Reginaldo di Sant'Artemia, rettore del ducato
di Spoleto, pubblicava sulla piazza grande di Perugia le bolle ponti-
ficie dirette contro il podestà, officiali, consiglio e comune di Assisi,
e contro Muzio di Francesco, per l'avvenuta manomissione del tesoro
pontificio. Tra la folla di prelati, chierici, dottori, presenti e testi-
moni all'avvenimento, troviamo, insieme al vescovo della città, il

venerabilis vir dominus Ugolinus abbas monasterii s. Petri de Pe-
rusio?*"). E la prima notizia che lo pone in rapporto con i fatti di

Assisi e col tesoro papale.

Quando poi Giovanni xxn tentò un riordinamento delle cose
ecclesiastiche si trovó a dover pensare anche agli sparsi brandelli
di quello che era stato il favoloso tesoro terreno della Chiesa; e
tra l'altro diede incarico al caorsino Giovanni d'Amelio, rettore del
ducato di Spoleto, e all'abate Ugolino 1 di fare un'ispezione a quella
parte del tesoro rimasta nel Sacro Convento di Assisi, e di trasferire
tutto in luogo più sicuro (1322, 24 settembre) ®). Sappiamo che
allora le chiavi della sacrestia della basilica superiore di S. Francesco
erano tenute, evidentemente da quando Assisi era stata soggio-
gata dalla guelfa Perugia (mentre prima le aveva avute il custode
del Sacro Convento), una dal rettore del ducato e l'altra dall'abate
di S. Pietro di Perugia. Successivamente, altro ordine del papa,
del 19 agosto 1323, ingiungeva ai due di redigere un inventario di

tutta la parte documentaria esistente nel tesoro — ritenuta senz'altro

di grande importanza — lasciando alla loro discrezione la possi-
bilità di trasferire quelle carte della S. Sede presso il convento dei
Domenicani in Perugia: dove oggi si trova l'Archivio di Stato, e,
dove, fin d'allora, il comune di Perugia aveva ritenuto opportuno
depositare la parte più preziosa dei suoi documenti ??). Altro incarico
venne conferito ai medesimi, ma questa volta vi troviamo aggre-
gato anche l'abate di S. Pietro di Assisi, il 14 dicembre successivo ;
ed è quello di ricercare nel tesoro papale i documenti relativi ai
miracoli attribuiti alla santità di Filippo arcivescovo di Bourges ?*).
Tuttavia dei trasferimenti suggeriti e consigliati dal papa non se ne

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162 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

fece nulla, e, nel 1327, I'8 agosto, a seguito di una ispezione effet-
tuata dagli inviati del papa, maestro Bertrando Cariti e Guglielmo Dol-
cini, procuratori generali dei Predicatori, quando si stendeva un nuovo
e più analitico inventario dei beni pontifici rimasti in Assisi, l'abate
Ugolino era ancora il consegnatario di una delle chiavi. Durante il
non lieve lavoro di inventariazione egli fu rappresentato dal monaco
Giovanni, che aveva seguito i due fino ad Assisi. A lui, il 19 dello
stesso mese, veniva riconsegnata la chiave da riportare all’abate 2‘).

Il tesoro, con la nuova carta stesa in quell’occasione, rivelò
una consistenza ancora molto considerevole 2°); tale, da non far
dormire sonni tranquilli al pontefice, che l'11 agosto dell'anno suc-
cessivo 1328 reiterava la richiesta affinchè il tesoro venisse trasfe-
rito dentro le forti mura della fedele Perugia, per essere poi, al mo-
mento opportuno, spedito in Avignone **). Il rettore del ducato
inviava poco dopo un messo, Bonifacio di Servallo, all’abate Ugo-
lino : ad conferendum cum eo de traslatione fienda de thesauro R. E.
existenti in Asisio, secundum tenorem licterarum domini nostri pape *").
Per la stessa cagione mandò successivamente allo stesso abate altre
ambasciate da parte di certo don Bartolo e di Giacomuccio da Spo-
leto **). Ma al principio dell'anno seguente, il rettore e l'abate dovet-
tero informare il pontefice che il trasferimento tanto desiderato
non si poteva fare. A tal proposito, fra le spese della curia ducale,
leggiamo ancora un pagamento a Johannecto ultramontano, per quem
misit licteras domini nostri pape que sibi dirigebantur pro parte ipsius
et domini Abbatis Sancti Petri de Perusio super translatione fienda de
Thesauro Ecclesie existente in Asisio Perusium quomodo non poterat
fieri (la registrazione è fatta sotto la data 28 aprile 1329) 2°).

Certo, la insicurezza del momento, in cui quasi tutte le terre
della Chiesa manifestavano spiriti di rivolta, non consigliò neppure
di affrontare il breve tragitto da Assisi a Perugia. L’impresa fu
per allora differita ; ed essa, poi, in successive riprese, fu affrontata
e felicemente portata a compimento da Giovanni d'Amelio quando
ritornò in Italia come riformatore delle terre della Chiesa #°). Ma
l'abate di S. Pietro, a quel tempo eletto vescovo di Perugia, non
vi ebbe più alcuna parte. E le due chiavi del tesoro, dalla nuova.
stesura di un inventario, terminata il 4 settembre 1339, le sappiamo
affidate — più ragionevolmente — al tesoriere della Marca e a quello
del Ducato 1).

Era stata quella dell’abate di S. Pietro, Ugolino 1, una funzione
isolata, di mero controllo, esercitato dall’elemento locale in parti-
DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 163

colare contrapposizione ai funzionari francesi — secondo un sistema
tipicamente medioevale — oppure lo stesso abate ebbe altri inca-
richi politico-amministrativi nel governo distrettuale del ducato di
Spoleto ? Da altri fatti e da altri elementi possiamo arguire che esso
rappresentó un valido aiuto del rettore nell'espletamento della
complicata funzione temporale e spirituale che egli aveva, che lo
teneva in continua tensione polemica sia con le libere e turbolente
istituzioni comunali, sia con le giurisdizioni vescovili e abbaziali,
con le quali ultime in special modo insorgevano continui e profondi
contrasti. Nel 1323 l'abate Ugolino ebbe incarico di far restituire
al vescovo di Spoleto Bartolomeo Bardi (incappato nelle sanzioni
della curia ducale) certi vasi e certa biada che gli erano stati ingiu-
stamente prelevati #2). Il 1° agosto dello stesso anno, sempre per
conto del papa, ricevé il giuramento di quel Giovanni d'Amelio,
con cui doveva in seguito tanto attivamente collaborare, nominato
rettore del ducato *») Nel 1324 ebbe mandato di assolvere, unita-
mente al rettore, Guido Ranieri marchese del Monte di S. Maria,
resosi colpevole di omicidio **). Nel 1325 si discuteva innanzi a lui
la questione della rocca della Pieve di Montefalco, tolta al vescovo
di Spoleto dalla curia ducale che voleva fissarvi la sua residenza ?).
E nel dicembre di quell’anno era di nuovo affiancato dal papa al-
l’Amelio, affinchè insieme reprimessero gli abusi verificatisi nei bene-
fici ecclesistici **). Ma la fiducia del papa verso il nostro abate andò
anche oltre quella semplice funzione coadiuvante. Infatti papa Gio-
vanni xxII ricorse a lui nel 1929, invitandolo, insieme ai vescovi
di Perugia e di Nocera, a far valere le ragioni di Elione da Villa-
nova, maestro dell'ospedale di S. Giovanni in Gerusalemme, che
rivendicava i diritti feudali già goduti sugli abitanti e sul luogo
di Pian del Carpine da un ospedale dello stesso ordine ivi esistente *?).
Mentre qualche mese dopo gli chiedeva informazioni sulla rimo-
zione di Giovanni da Fidanzola dall'Ufficio di inquisitore *8). Suc-
cessivi incarichi ce lo mostrano attivo nei confronti dei frati ribelli,
Pietro di Mino e Umile *°). Nel 1331, a seguito di una lunga causa
vertente presso la curia pontificia in Avignone, in cui si discutevano
abusi che avrebbe commessi il rettore del ducato nella soppressione
dell'antica abbazia di S. Eutizio in Val Castoriana incorporata alla
curia ducale, il papa chiese informazioni ad Ugolino, da poco eletto
vescovo di Perugia ‘°). Ecco quindi che la consegna di custode del
tesoro papale rientra nel quadro di una più vasta attività esercitata
per conto della S. Sede ; che ci fa supporre l’abate Ugolino 1 uomo
164 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

di doti e capacità non comuni, tale da meritare in un periodo cosi
difficile e tormentato, quale fu quello in cui egli si trovó ad operare,
incarichi tanto delicati nell'arco di un decennio. Tutto ció corri-
sponde alle parole dello storiografo dell'abbazia perugina, il Bini,
che senza conoscere tutti questi fatti, ci tramandó di lui la fama che
godette di « uomo di santa vita », « valente nel gius canonico, e che
sulle leggi fece dei commentari assai reputati » *').

L'attività di Ugolino al servizio dei papi potrebbe inserirsi
nella tradizionale fidelitas dell'abbazia perugina al papato romano
che risale al secolo xi, quando i pontefici ne incrementavano la
potenza e l'autonomia proprio per crearsi una fidelitas sicura nella
fidelitas malfida dei vescovi e feudatari imperiali.

Certo il fatto, cui gli storici perugini annettevano grande im-
portanza, quello di sapere che il magistrato di Perugia avesse con-
cesso al nostro abate il permesso e privilegio di poter portare armi
in dosso, mi sembra ormai superato da quello piü importante e
significativo, sottolineato particolarmente in questa comunicazione,
che egli, per molto tempo, ebbe in mano una delle chiavi del tesoro
pontificio. Quel tesoro che nel 1346 aveva, ormai nella piü gran
parte, raggiunto Avignone per merito di Giovanni d'Amelio.

E qui mi sia permessa una digressione, che é poi la conclusione,
e per dirla col Manzoni il sugo della mia comunicazione. Ed é questa :
di dover considerare, a distanza di tanto tempo dai fatti rievocati,
come tanti tesori fossero stati accumulati proprio sulle spoglie di
chi, come nessun altro al mondo, li aveva tanto detestati. Tanti
documenti e rogiti furono ammucchiati sulle ossa di colui che aveva
rigettato qualsiasi atto giuridico scritto e che aveva lasciato detto
nel suo testamento : « Ingiungo fermamente per obbedienza a tutti
i frati che, ovunque si trovino, non osino chiedere alcuna lettera
alla curia di Roma, né da sé né per interposta persona, né per una
chiesa né per un altro luogo qualsiasi, né col pretesto della predi-
cazione, nè per essere difesi dalla persecuzione » ‘). E quando aveva
ottenuto la concessione dell'indulgenza tutta speciale della Por-
ziuncola si disse soddisfatto di aver avuto a notaio Cristo, a testi-
moni gli angeli, come carta la Vergine **). Finalmente quelle ossa
frementi nello scoglio dove frate Elia le aveva fedelmente deposte,
liberate dalla «grave mora», avranno ancora laudato il Signore,
quando l’ultimo residuo di quella vana ricchezza, che tanto aveva
rifuggito in vita, veniva trasferita altrove.
DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA

NOTE

?) Cfr. F. EunLE, Zur Geschichte des Schatzes, der Bibliothek und des Ar-
chivs der Pápste im vierzehnten Jahrhundert, in Archiv . .. , 1 (1885) pp. 1-48,
228-364; IpEM, Historia Bibliothecae Romanorum Pontificum ..., Romae
1890, pp. 9-108.

*) Tale opera svolta da Giovanni d'Amelio, oltre che dai documenti ponti-
fici, risulta ampiamente dalle pubblicazioni citate nella nota precedente.

3) G. ZACCARIA O. F. M. Conv., Diario storico della Basilica e Sacro Con-
vento di S. Francesco in Assisi (1220-1927), in Miscellanea francescana, 63
(1963) p. 90, n. 43.

S Idem;:p. 100, n. 81.

*) Idem, p. 100, n. 82.

*-Idem; p. 101, n. 85.

?). Idem, p. 104, n. 94 ; p. 107, n. 103.

€) Jdem, p. 117, n. 135.

syeofdem; p. 111, n: 115.

19) Idem, p. 115, n. 127.

1) Idem, p. 116, n. 129.

13) F. EHRLE, Historia Bibliothecae..., op. cit., p. 3, così descrive il
complesso del tesoro pontificio : « Hic vasa auro gemmisque fulgentia, hic
arma militiarum ecclesiae, hic suppellex varia et copiosissima usui quoti-
diano totius curiae destinata, hic saeculi nummis aureis argenteisque referti,
hic sacrarum reliquiarum insignis multitudo, hic chartae pergamenae re-

gestra cancellarie, hic demum optimorum librorum copia ». Dunque nel te-

soro c'era anche moneta pregiata! E nel caso preciso di Assisi sappiamo
che vi era depositata la decima sessennale delle diocesi di Assisi e di Nocera
Umbra, su cui Muzio di Francesco mise, prima che su altro, le mani.

13) «Eodem millesimo (1297) Colopnenses romani acceperunt et dero-
baverunt magnum thexaurum auri et argenti domino pape Bonefatio » ; Chro-
nicon Estense, in Rer. ital. script., tomo xv, parte mr, fasc. 57, Città di Ca-
stello 1908, p. 53.

14) F, EHRLE, op. cit., p. 7: «palatium pontificis Anagniae insigni sce-
lere invaderetur ac militibus diripiendum traderetur, haud ita parva pars
thesauri romane ecclesiae dispersa periit ».

15) Tra le molte testimonianze scegliamo il passo di una lettera di Giovanni
xxII, del 30 aprile 1325 : « thesaurum, qui de Perusio ad eandem civitatem
Lucanam de mandato fe.re. Clementis papae v... portatus extirerat » ;
cfr. Archiv, op. cit., p. 236, nota 3. Per il furto, vedi G. Tomasi, Sommario
della storia di Lucca, in Arch. stor. ital., serie x, vol. 10, pp. 133 ss.

16) L. Fumi, Eretici e ribelli nel Umbria dal 1320 al 1330, in Bollettino

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166 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

della Deputazione di storia patria per l'Umbria, mi (1897), pp. 271-275.

" Cfr. A. SANSI, Storia del comune di Spoleto dal secolo XII al XVII,
vol. 1, Foligno 1879, p. 191.

19) L. FUMI, op. cit., p. 451, e nota 1.

19) F. EHRLE, op. cit., p. 12, nota 29: « Iuvat hic casus adversos huius.
thesauri Avenionensis breviter indicare. Is paullo post concilium in duas divi-
sus erat partes quarum altera in castrum de Montiliis delata, haud ita multo
post mortem Clementis a eius nepote Betrando de Guto, Leomaniae et Alta-
villaris comite, direpta est..., altera pars Carpentorati apud cardinales in
conclavi asservata, cum die 14 m. iulii an. 1314, omnia factionum turbis disii-
cerentur, similem etsi minus acerbam subiit iacturam ».

2°) L’atto è pubblicato in Archiv, 1 (1885) pp. 261-62, art. cit..

2) F. EHRLE, op. cil, p. 17.

?) Idem, pp. 17-18. :

^) Bullarium franciscanum, t. v, ed. C. EuBEL, Romae 1898, p. 259,
doc. 521.

24) A. PELZER, Addenda et emendanda ad Francisci Ehrle Historiae Ro-
manorum Pontificum tum Bonifatianae tum Avenionensis, Biblioteca Vati-
cana, 1947, pp. 25-66.

25) Vedi op. cit., nella nota precedente, dove è pubblicato integralmente
questo inventario.

2) Bullarium franciscanum, op. cit., p. 355, doc. 723.

2?) I registri del ducato di Spoleto, editi da L. Fumi, in Bollettino della De-
putazione di storia patria per U' Umbria, 11 (1897) p. 546, n. 306.

28) Registri cit., p. 546, n. 307.

2!) Registri cit., p. 547, n. 314. ;

°°) Vedere a tal proposito: Bullarium franciscanum, vi, p. 62 (n. 95),
p. 66 (n. 99), p. 81 (n. 129) ; THEINER, Codex diplomaticus S. Sedis, 11, p. 52
(n. LXv), p. 53 (n. LxvIII); F. EHRLE, op. cit., pp. 22-23.

*3) A. PELZEBR, op. cil., p. 38-39.

*) R. ABBONDANZA, Bardi Bartolomeo, in Dizionario biografico degli
italiani, vi, p. 283.

**) Arch. Vat.;..Secret. Joan:x-XXI1;:n;;111;;f.::326:

4 L. Fur, Eretici, op. cit., in « BDSPU», rv (1898) p. 440, nota 2.

25).-Registri,:cit:,-p. 528.

®) L. Fur, Eretici, op, cit., p. 262, nota 1.

*) JEAN xxII, Lettres communes, a cura di G. MoLLaT, vii, Paris 1906,
p. 120, n. 43829.

**) L. FUMI, op. cit., in « BDSPU», v (1899) p. 241-42.

?) L. Fur, op. cit., in « BDSPU», rv (1898) p. 239.

4°) L. FUMI, op. cit., in « BDSPU», tv (1898) p. 237, nota 1.

4) Cfr. Le carte dell'archivio di S. Pietro di Perugia, a cura di T. Lecci-
soTTI e C. TABARELLI, 1, Milano 1956, p. 189, nota 4.
DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 167

12) Tutti gli scritti di S. Francesco seguiti dai Fioretti, ed. curata da H. Funsr,
Milano, 1951, p. 56.

33) E. Giusto, O. F. M., L’indulgenza della Porziuncola, in L'Oriente sera-
fico, xxvi (1916-17), p. 24.

MoRGHEN. — Grazie, al signor Nessi, di questo contributo alla
conoscenza delle relazioni dell'Abbazia di San Pietro con il Pontifi-
cato Romano, in un periodo particolarmente importante del Pontifi-
cato stesso che, trasferitosi ad Avignone, aveva la necessità di essere
rappresentato da una autorità sicura per la difesa del suo tesoro. La
parola è ora al dott. Francesco Santi, che parlerà della « Pittura e
scultura nella Basilica di San Pietro ».

Pittura e scultura nella basilica di S. Pietro

x

Scopo di questa mia breve comunicazione non è, naturalmente,
prendere in particolareggiato esame le numerose opere d’arte di
questo illustre complesso monumentale, il solo, fra le grandi chiese
perugine, giunto sino a noi ancora quasi intatto nella sua ricchissima
suppellettile. Vorrei invece tentare di delineare con l’esame delle
opere superstiti e con quello dei documenti relativi alle scomparse,
un quadro sintetico della sua millenaria vita artistica per accertare
se vi è stato o meno un indirizzo di gusto, e quindi di scelte, e deli-
mitarne i caratteri.

Gli studiosi ben sanno che i documenti contabili 1) non rimon-
tano a date anteriori al 1331 ed anche, per tutto il secolo xiv e per
la prima metà del xv, con vaste lacune. Comunque i documenti del
Trecento e del primo Quattrocento, allo stato attuale delle ricerche,
non ci danno indicazioni su commissioni di opere di pittura, scul-
tura e oreficeria. Sappiamo solo che, con i disordini che seguirono
l’uccisione di Biordo Michelotti nel 1398, l'incendio del monastero
ed il saccheggio della basilica, furono asportati calices, cruces, libros,
sanclorum reliquias, ornamenta ecclesiastica, vasa aurea et argentea
ac stagnea, raminea et ferrea ?). .

Tuttavia non posso non considerare che traversie del genere
168 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

o comunque dispersioni subirono quasi tutti i centri benedettini
dell'Umbria, ma che si sono salvate preziose testimonianze della
cultura figurativa che appunto si era venuta formando nell'am-
biente benedettino, in specie nel campo della pittura romanica della
seconda metà del secolo xir e del secolo x1rt, ma anche nella scultura,
nella area umbra alla sinistra del Tevere. In sostanza non ci è ri-
masto per il S. Pietro di Perugia non dico un documento artistico,

ma nemmeno il ricordo di opere di arte di questa cultura ; e sap-

piamo poi che i saccheggi si indirizzarono verso gli oggetti di valore
venale, risparmiando quasi sempre le immagini sacre. Possiamo
cosi pensare con una certa fondatezza che il complesso benedettino
di S. Pietro, come del resto tutto il territorio perugino, rimase fuori
della importante corrente romanica umbra, che trova le sue piü
importanti affermazioni nella scuola pittorica spoletina del secolo
xn-xim ed in quella scultorea, decorativa e lignea, della area Assisi-
Spoleto-Todi. Certo, rimane arduo pensare che, ad esempio, la
grande abside originale della chiesa non fosse arricchita da una
decorazione degna della splendida architettura ; ma, naturalmente,
ció rientra nel campo delle ipotesi puramente fantastiche. Del resto,
il documento pittorico piü antico che ci é rimasto, gli affreschi del-
l'originale facciata della chiesa, in un luogo cioé di rilevante impor-
tanza, indicano interessi artistici estremamente modesti. Allo stato
attuale delle esplorazioni delle strutture, sono visibili sei affreschi :
un Cristo nel sepolcro fra gli strumenti della Passione, due Apostoli,
una scena mutila che potrebbe leggersi come un'Annunciazione, ma
che in effetti ha diverso significato, un S. Giorgio e il drago, un altro
frammento con un gruppo di persone ed una veduta di città, e, vicino
al campanile, un Cristo in trono in figura di Trinità fra due Angeli.
Orbene, tutti questi affreschi, sia per la disorganicità iconografica,
sia per la qualità artistica, hanno nettamente il carattere di ex-voto,
più che di monumentale decorazione. Essi appartengono alla cor-
rente popolare della pittura locale dell'ultimo Trecento, che in-
terpreta nel modo più inerte i ricordi senesi ed è estranea ai fermenti,
di provenienza orvietana e marchigiana, che avrebbero prodotto
il nuovo capitolo umbro della pittura gotica internazionale ; ove
si faccia eccezione, forse, per la scena che abbiamo chiamato del-
l'Annunciazione, nella quale appunto sono già i segni della nuova
corrente cosmopolitana *).

Poi, per tutta la prima metà del Quattrocento, non una sola
opera ci testimonia un qualsiasi interesse per le nuove esperienze DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA i 169

pittoriche, che da Taddeo di Bartolo ad Ottaviano Nelli, sino a
Bartolomeo di Tommaso renderanno la scuola umbra cosi densa
di possibilità. È soltanto con la metà del secolo che inizia una serie
di commissioni ‘), che, modeste all’inizio, andranno via via intensifi-
candosi sino al periodo di maggior splendore, quello del secolo xvi.
Nel 1445 il Bonfigli dipinse una Madonna, ora perduta, che è da
considerarsi la sua prima opera ; nel '65 e nell’83 il pittore lavorava
ancora nella chiesa e nel '67 dipingeva una vetrata per la sacrestia :
rara notizia sull’attività di vetriere dell’artista. È interessante
notare che in questo periodo si stava appunto arricchendo la sacre-
stia e la chiesa di una serie di vetrate dipinte : a tal fine nel '61 e
nel "67 lavorava Neri di Monte di Ser Cola da Perugia e nel '63 Don
Francesco Baroni, vetriere perugino. Anche Bartolomeo Caporali
presta la sua opera nel '64, nell'87 e nell'88 per vari dipinti perduti
e per la decorazione dell'orologio del campanile; e prestano anche
la loro opera Angelo di Baldassarre Mattioli ed il figlio Ludovico
(1468-1469-1483-1491), Nicoló del Priore (1483-1496) e Fiorenzo di
Lorenzo, che nel 1491 esegue un fregio nel refettorio, nel 1499 di-
pinge ancora nel monastero e nel 1504 esegue un S. Sebastiano.
Dall'esame di queste commissioni relative alla schiera di pittori
perugini nella generazione che precede quella del Perugino, si deve
trarre la conclusione che le opere — tutte scomparse — dovevano
essere cose di non grande importanza ; l'unico dipinto superstite di
questo periodo — la Pietà con S. Girolamo, datata 1469, conservata
sulla testata della navatella sinistra — attribuito dallo Gnoli a
Nicoló del Priore, é invece documento di un certo interesse perché
testimonia di una personalità pittorica assai vicina al Bonfigli, ma
da esso distinta. Né é qui da dimenticare le commissioni di splendide
miniature date a Giacomo Caporali (1473) ed a Pierantonio da Poz-
zuolo; ma un completo studio sui monumenti di arte scrittoria e
di miniatura nell'abbazia di S. Pietro é impresa da compiersi a parte.

Piü interessante é il quadro della scultura del sec. xv. Esso
si apre nel 1473 con l'invio da Firenze — come ricorda il Vasari —
della pala marmorea di Mino da Fiesole per la cappella di Baglione
Vibi; opera che, pur nella preziosa raffinatezza decorativa, mostra
un qualche impaccio prospettico. Piü significativa mi sembra la
serie di opere che il fiorentino Benedetto De' Zuanni detto Buglioni
e la sua bottega eseguirono nel 1487-88 per il refettorio, facendo
conoscere in Perugia il gusto delle maioliche invetriate toscane *).
Ma certo, anche per la scultura l'interesse é alquanto limitato, ove

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170 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

si confronti con le iniziative coeve che arricchirono la città della
attività di Agostino di Duccio.

Ricca ed importante è invece la serie di commissioni che nella
seconda metà del secolo vengono fatte agli orafi perugini. Nel '63
Luigi L. Cantagallina e Paolo di Ser Giacomo eseguono due turiboli ;
nel '71 un Giovanni di Rugio d'Alemagna opera ad una grande
croce ed a due candelieri d'argento con smalti. Ma è soprattutto
il nome di Mariotto d'Anastasio — il maggiore degli orafi perugini
prima dei Roscetto e autore delle celebri argenterie priorali — che
richiama il nostro interesse : richiesto di lavoro sin dal "70, presterà
la sua opera ancora nel ’79, ma disgraziatamente non sappiamo
che cosa esegui in particolare. E, dopo Mariotto, appunto i Roscetto :
nel '79 Francesco di Valeriano fa un calice e nel '91 due ampolle
d'argento. Vedremo che nel seguente secolo lavorerà in S. Pietro
anche il figlio Cesarino. È da ricordare infine Bino di Pietro che
nel '91 ebbe la commissione di un turibolo d'argento con smalti e
di una navicella *).

Anche i lavori in legname nella seconda metà del Quattrocento
preannunciano la splendida attività del seguente secolo. Fra il '72
ed il '74 i fiorentini Giusto e Giovanni eseguono gli armadi della
sacrestia ; ma piü importante opera, nell'87-88, si deve ad un gruppo
di artisti toscani — Giuliano e Antonio da Sangallo, Bartolomeo
Picconi pure lui da Sangallo e. Domenico del Tasso — le spalliere
cioè del refettorio, purtroppo perdute.

Il Cinquecento è il secolo di maggior splendore per la basilica
e per il monastero. Possiamo porne gli inizi con la monumentale
pala dell'Ascensione del Perugino (1495-96), sulla quale non mi
indugerò, tanto i problemi sia storico-critici, sia relativi alla sua
architettura sono stati dibattuti da numerosi e valenti storici. Ri-
corderò solo che l’opera è fra le maggiori del pittore e che signi-
ficativa per il gusto dei committenti e dello stesso artista dovette
essere la complessità dell’architettura, sulla cui progettazione da
parte dello stesso Perugino si è oggi quasi tutti d’accordo ?). La
grande pala era l’opera d’arte più importante della basilica : il suo
smembramento, iniziato nel 1567 ed ulteriormente effettuato nel
1591, la dispersione delle sue varie parti durante l'occupazione
francese non possono che destare il nostro più vivo rimpianto. E
mi piace ricordare qui, dopo l’ancona del Perugino il grande e cele-
berrimo coro ligneo, che, pur opera di una vasta schiera di artisti
(1525-1537), per l’intonazione squisitamente peruginesca, più che ——

DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 171

raffaellesca, dei rilievi — basti pensare alle grottesche del Cambio —
avrebbe formato un complesso di straordinaria unità con la grande
ancona ; se non sapessimo che il coro in effetti fu collocato al suo
posto nel 1591, quando l'ancona era già stata smembrata. Pure
in connessione con l'ambiente stilistico peruginesco potrebbe essere
stata l'opera di Cesarino Roscetto, un grande tabernacolo d'argento
ed un busto pure d'argento di S. Pietro Abate (1523-24), scomparsi.

Vasto fu poi l'intervento dei seguaci del Perugino. Giannicola
di Paolo, oltre la superstite lunetta del portale, dipinge nei pressi
dell'altar maggiore nel 1500; nel 1509 affresca la cappella detta
dei Re e nello stesso anno, rispettivamente con la collaborazione di
Eusebio da San Giorgio e di Giovan Battista Caporali, dipinge
nelle cappelle Ranieri e di Leonarda Baglioni. Domenico Alfani
esegue in più riprese (1508-38-42-43-46) vari lavori tutti scomparsi,
ma di lui ci resta, nel monastero, una bella pala del periodo 1530-
40, restaurata anni fa. Infine Polidoro Ciburri esegue nel 1530 la
tavola con la Visitazione.

Un capitolo assai significativo e nutrito è anche quello del
periodo manierista; aperto da Orazio Alfani con numerosi lavori
(1546-52-53) — ne restano gli affreschi vicino all’ingresso della
basilica — ebbe poi anche l’intervento dello stesso Vasari con i
due dipinti del 1566. Si può dire che sono reperibili qui in S. Pietro
tutti i minori locali della seconda metà del secolo: da Girolamo
Danti e Giulio Caporali a Giovanni Visconti, a Bernardo di Giro-
lamo Rosselli, a Scilla Pecennini; una schiera che decora un pò
ovunque nella chiesa e nel monastero.

La qualità assai scadente delle attività pittoriche di questo
periodo a Perugia non impedisce di indicare in questi molteplici
interventi un preciso indirizzo del gusto dei committenti.

Nè meno significativo per l’indirizzo culturale è il fatto che
verso la fine del secolo le commissioni si indirizzano al di fuori anche
dell'ambiente umbro e toscano. Al marchigiano Giovan Battista
Lombardelli ed ai fiamminghi Gerolamo Barca e Giovanni Wrage
segue Antonio Vassilachis detto Aliensis, che da Venezia invia nel
1592 le dieci grandi tele tintorettesche della navata centrale e nel-
l’anno seguente l’altra colossale tela con l’albero dell’Ordine. Scelte
che saranno forse discutibili, ma che testimoniano di una certa
apertura ; ne danno definitiva conferma le due belle tele di Ventura
Salimbeni (1606), con le quali-termina qui la pittura manieristica.
Ma le preferenze manieristiche sono testimoniate, più che dal ri-

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172 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

cordo dei lavori dell’orefice Giulio Danti (1541, 1571), soprattutto
dalla sontuosa e preziosa architettura dell’altar maggiore e del suo
monumentale tabernacolo (1592-1608), attribuita a Valentino Mar-
telli.

La fine del sec. xvi ed i primi del Seicento, se vedono da un lato
operare nella chiesa l’interessante Benedetto Bandiera (grande e
bel baldacchino sopra l’altar maggiore), assistono anche alla sterile
attività del Sassoferrato, copiatore del Perugino e di Raffaello. Ma
quasi subito prevalgono gli interessi barocchi: ad una tela carrac-
cesca con l’Orazione nell’Orto, a due dipinti attribuiti a Giovan
Francesco Gessi, all'interessante tela con Sansone e i Filistei, attri-
buita a Francois Perrier, seguono ben cinque dipinti (1676-79) del-
l’inquieto cortonesco Giacinto Giminiani; anche se gli artisti locali
non sono dimenticati come provano le due belle tele di Gian Dome-
nico Cerrini ed altra di Giovan Francesco Bassotti. Interessi barocchi

indicati infine anche dallo splendido Crocefisso bronzeo dell’Algardi,.

conservato nella sacrestia.

Modesto fu invece l’apporto settecentesco e quasi limitato nella
cappella del SS. Sacramento, ove affrescò la volta Pietro Carattoli e
dipinse cinque tele (1751, 1770) Francesco Appiani. Ancor più
modesto fu quello dato dallo scorso secolo, che si fa ricordare solo
per la piccola cappella di S. Giovanni (1857), decorata dall’Hoffmann
con un rilievo disegnato dall’Overbeck, e da Carlo Fantacchiotti
con la tela dell’altare *). i

Traendo le conclusioni da questa rapida scorsa alle memorie
artistiche di S. Pietro, possiamo stabilire che i più vivi ed organici
interessi si delimitano e si concentrano nei secoli xvi e xvir; ma
ciò che mi sembra più interessante è che le commissioni hanno,
in parte, carattere non locale, ma di vasta, anche se non sempre
fortunata, apertura verso i centri italiani più importanti del momento.

NOTE

1) Ringrazio il R. P. Costanzo Tabarelli O. S. B. per le indicazioni e i
consigli datimi relativamente alle notizie d’archivio sulla basilica ed il mona-
stero.

?) Bolla di Innocenzo vir, del 14 dicembre 1404, da Viterbo, con la quale
si comminava la scomunica a chi occupava o deteneva beni del monastero

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DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 173

provenienti dal saccheggio del 1398 ; pubblicata da T. LEccISOTTI e C. Ta-

-3ARELLI, Le carte dell’ Archivio di S. Pietro di Perugia, vol. II, Milano, 1956,
pp. 78-79.

3) L'accenno di D. Severi (Pittura duecenlesca in Umbria, in « Critica
d'Arte », n. 51, 1962, p. 49) ad « alcuni aspetti più aulici ed ellenizzanti della
pittura perugina (vedi affreschi di S. Pietro di Perugia «)...», o è frutto di
un equivoco, o di affrettata e comunque errata lettura di questi affreschi,
gli unici, anteriori al sec. xvI, esistenti nel complesso di S. Pietro.

4) Le notizie sulle opere di pittura scomparse sono desunte da U. GNOLI,
Pittori e miniatori nell’Umbria, Spoleto, 1923, passim. Da ricordare, oltre
quanto detto nel testo, che i monaci di S. Pietro commisero a Giovanni Boc-

cati nel 1480 due tavole, perdute, per le s inendenu chiese di S. Nicoló di
Celle e S. Salvatore di Pozzaglia.

*) In proposito è interessante la notizia riportata dal Manari (l. c. a
nota 6, 1v, pp. 458-457) del contratto del 1513 fatto dai monaci di S. Pietro
con i fornaciari Pietro Petrini ed Apollonio detto Calabria per la fornitura di
mattoni maiolicati a colori (bianco, verde, giallo, azzurro) per rivestire la
guglia del campanile. Ma i mattoni riuscirono male e l'opera non ebbe seguito.

*) Per le opere di oreficeria e di legname v. L. MANARI, Cenno storico
ed artistico della Basilica di S. Pietro di Perugia e Documenti e note ai cenni . . ,
in « L'Apologetico », Perugia, 11, 1864, pp. 450-464, 546-561 ; 111, 1865, pp. 52-
63 ; 1v, 1865, pp. 155-175, 249-262, 361-380, 440-468, 528 ; v, 1866, pp. 53-68.

?) Per un accurato riassunto delle questioni relative all'opera del Peru-
gino in S. Pietro, v. RENÉ JULLIAN, Le retable de l'Ascension par Pérugin au
Musée des Beaux Arts de Lyon, in « Bulletin des Musées et Monuments Lyon-
nais », vol. 11 (1957-1961), 1961, n. 4.

8) Per altre notizie sulla cappella di S. Giuseppe, v. il citato studio del
Manari, che dà anche particolareggiate notizie sul grande paliotto argenteo
dell’altare maggiore, gettato e cesellato dal perugino Fr. Bartoccini e che
rappresentava il Transito di S. Benedetto, pesante libbre 8, once 7 e den. 7.
Fu commesso nel 1723 dall’abate Baldizappi ed andò distrutto nel 1797,
insieme a quasi tutte le oreficerie della chiesa, 203 pezzi per complessive lib-
bre 129, once 8 e den. 18. Le oreficerie furono requisite, a seguito del Trattato
di Tolentino, dalla Cancelleria Vescovile ; l’elenco per la consegna alla Zecca
Pontificia recava la data del 2 dic. 1796 (Arch. Storico di S. Pietro, Mazzo
85, n. 3) ed era accompagnato da una lettera di Baldassarre Orsini, con una
«ricognizione ragionata », che sarebbe interessante rintracciare e studiare.
Ad eccezione di pochi calici, furono consegnati e fusi candelieri grandi e pic-
coli, reliquiari, calici, lampade, vasi, vassoi, croce processionale, coppe, sotto-
coppe, pastorale e, come s’è detto, il grande paliotto dell’altar s IBABRIOTS, Per
le notizie generali sui fatti, v. C. TABARELLI, Il monastero di S. Pietro di Pe-

rugia e la Repubblica del Trasimeno (1797-1799) nel racconto del Bini, in « Be-

nedectina », A. vin, gennaio-dicembre 1954, fasc. 1-1v, pp. 155 segg.
174 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

MonGHEN. — Grazie anche al dott. Francesco Santi per questo
cosi interessante contributo alla conoscenza dell'attività artistica del Mo-
nastero di San Pietro. Egli ci ha dato un succinto, ma molto chiaro
quadro, di questa attività artistica a cui sarà un opportuno comple-
mento la comunicazione del dott. Ottorino Gurrieri « Le opere dei Mae-
stri Settignanesi nella Basilica e nel Monastero di San Pietro ».

Le opere dei maestri settignanesi nella chiesa
e nel Monastero di S. Pietro

Una pagina importante nella storia dell'architettura del Rina-
scimento in Perugia é quella scritta dai maestri settignanesi operanti
nell'ultimo ventennio del '400 e nel primo trentennio del '500 in
alcune chiese cittadine, ma soprattutto nella Basilica e nel Mona-
stero di S. Pietro.

Le prime risonanze rinascimentali balenate in Perugia nel 1423
con Fieravante da Bologna architetto della Loggia e del Palazzo
di Braccio in Piazza Grande ?), come da quanto ci tramanda il Bon-
figli, pur mostrando nel concepimento, nella struttura e nella stessa
finestratura una persistente fedeltà agli schemi gotici non erano
state accolte con particolare accezione. Né Agostino di Antonio
di Duccio con la facciata di S. Bernardino accollata ad un tempio
ancor gotico, con la Porta di S. Pietro e con l'Altare in S. Dome-
nico portando i motivi della corrente albertiana, né Rocco di Tom-
maso da Vicenza incline logicamente alla scuola veneta, erano riesciti
a convincere gli architetti e le maestranze locali, più rivolti a colla-
borare con gli artisti lombardi, ed in particolare con i costruttori
del Palazzo del Capitano del Popolo, della Vecchia Università e
del Palazzetto dei Notai, ove motivi gotici e rinascimentali si fon-
devano e parevano integrarsi a vicenda ?).

Toccava piuttosto ad una piccola borgata dei dintorni di Fi-
renze, a Settignano, mandare qui gli artisti che per circa un cin-
quantennio avrebbero fatto prosperare — sia pure in ritardo, ma
amplissimamente — la corrente brunelleschiana di cui erano se-
guaci ; anche se il trascorrer del tempo li portava ad una rielabora-
DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 175

zione arricchita delle forme, cadendo inevitabilmente nell'appesan-
timento di quella essenzialità iniziata da Filippo Brunelleschi con
l'adorazione in umiltà dei classici e di Roma.

Nel 1463, cioé ventitré anni prima che giungesse in Perugia
Francesco di Guido di Virio capostipite della famiglia artistica
settignanese, un altro di Settignano, Bernardo Rossellino, aveva
dato consigli e certamente disegni per il nuovo campanile di S.
Pietro, orgoglio e simbolo di Perugia, innalzato da due maestri
fiorentini *). È improbabile che il Rossellino, il quale moriva appena
un anno dopo, avesse conosciuto l’allora giovanissimo conterraneo
Francesco di Guido di Virio. Certamente questi veniva fuori da una
delle botteghe fiorentine postbrunelleschiane come quelle di Laz-
zaro Cavalcanti, di Michelozzo, di Giuliano e Benedetto da Majano,
e di Ventura Vitoni. Ma la sua venuta in Perugia e le tante commis-
sioni e lavori di cui si trovò subito affollato, dimostrano come in
patria avesse già goduto una notorietà se non singolare per lo meno
di fiducia.

Adamo Rossi afferma che i maestri settignanesi giungono qui
con Francesco nel 1484. Erano cinquanta ed alcuni come soci impren-
ditori : Domenico Giovanni Bertini, Sandro, Cecco di Guido e Ciapto,
toscani o settignanesi anch'essi, dai quali Francesco in breve tempo
sì svincola, viene con loro anche alle mani o si trova contro di loro
davanti al magistrato, per poi lavorar da solo con la maestranza
che non l’aveva abbandonato e l’aiuto del figlio a cui aveva dato
il nome del nonno Guido, e più tardi del nipote che aveva preso
il nome suo, Francesco *).

Non é facile reperire a Settignano memorie e documenti validi
di questo artista, per quanto ne siano state fatte fino ad oggi ricer-
che. Il paese che vantava di aver dato i natali ad un olimpo di archi-
tetti e scultori, come Desiderio, il Rossellino, Meo del Caprina,
Simone Mosca, Bartolomeo Ammannati, Luca Fancelli e tanti altri,
sembra tenere nella penombra questo suo figlio. Eppure, a stabilire
per lui se non un'apertura almeno una fonte ispiratrice, basta var-
care la soglia della Parrocchiale di S. Maria di Settignano per ritro-
varci subito davanti ad alcune manifestazioni architettoniche che
possono apparire il punto di partenza di quello che sarà il lungo
cammino di Francesco di Guido di Virio. L'arcone del presbiterio,
che rimonta al 1475, cioé nove anni prima della venuta di Francesco
a Perugia, é molto vicino per impostazione agli arconi delle cappelle
architettate dal settignanese in Perugia a Monte Morcino Vecchio,
176 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

in S. Pietro, in S. Agostino e in S. Francesco. Il colonnato interno
della Parrocchiale appartiene, poi, ad una ricostruzione del 1518;
e nel cuore di Toscana questa duplice teoria di colonne dai capitelli
ionici ornati dal pulvino, potrebbe farci anche intravedere un ri-
torno e una conseguente utilizzazione dell'artista in patria. Fran-
cesco muore a Perugia verso il 1532, e chissà quante volte, in qua-
rantotto anni, avrà sentito il bisogno di rivedere e sostare nel luogo
natio. Non avrà allora consigliato ai ricostruttori della parrocchiale
di architettare qualche cosa che ricordava, oltre alle più antiche chiese
di Firenze, anche il tempio benedettino di Perugia e il colonnato
innalzato da S. Pietro Vincioli? Nella navata laterale sinistra,
poi, è la mostra di un altare dedicato a S. Lucia, datato 1475,
e impostato come lo saranno le mostre delle cellette esistenti nelle
diverse cappelle che Francesco costruirà nelle chiese perugine.

Grande merito, quindi, fu quello dei benedettini che lo chia-
marono in Perugia con la famiglia e i suoi aiuti. E qui se lo con-
tesero oltre i benedettini anche i monaci olivetani, i padri ago-
stiniani, i frati di S. Francesco al Prato, e poco mancò che i Duchi
di Varano, signori di Camerino, conosciutane la valentia, lo portas-
sero via secoloro.

La Basilica di S. Pietro e l’edificio conventuale non avevano
subìto, fino alla prima metà del secolo xv, trasformazioni così vaste
e profonde come quelle che ebbero per opera dei settignanesi. Ogni
secolo, dal x della fondazione, aveva lasciato impronte più o meno
rilevanti, ed ogni secolo che seguiva aveva spesso cercato di can-
cellare le impronte precedenti, sia per l’ansia del continuo rinnovarsi
nell’arte, sia per le stesse vicende politiche più turbinose che serene.
Ma è soltanto con i maestri settignanesi che divampa un incontenuto
fervore di opere e di lavori. I benedettini presi da una febbre di
iniziative e di idee, trovano il loro interprete ed esecutore nell’ar-
chitetto toscano che, con la sua schiera di tagliapietre, di scultori,
di scalpellini, di muratori, di calcinari cerca di dare alla basilica

e al convento un nuovo sembiante adorno ed elegante, e per quei
tempi, ritenuto certamente moderno.

Nell'anno 1487 Francesco già lavora da qualche tempo a Pe-
rugia. Gli archivi di S. Pietro parlano di un cospicuo pagamento
versato a lui e al socio suo Sandro « per tutto lo lavoro facto al mona-
stero ». In questa dizione « per tutto lo lavoro facto al monastero » è
facile intravedere una impresa di notevole portata *). E un anno
dopo, verranno altri pagamenti per le nuove finestre e le nuove
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DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 177

porte fatte nell'abbazia insieme all'altro socio Ciapto. In quell'epoca,
Francesco sul colle di Monte Morcino Vecchio, ove era sorto il primo
convento degli olivetani, lascia il primo grande segno della sua
attività, un segno che nessuno oggi ha più dubbio di attribuirgli.
Accanto ad una chiesa tardo gotica, del 1379, ricordata dal Mariotti
per nobile architettura e belle pitture, di cui rimangono solo i resti
absidali con il chiaro annuncio delle volte e delle pilastrate, e a quello
che sarà stato un cenobio di modeste proporzioni, Francesco affianca
la nuova Sala Capitolare, innalza il quadruplice colonnato del chio-
stro, oggi superstite appena per un lato con le arcate rimurate, e
ricrea le nuove aule, le nuove celle e i nuovi ambulacri conven-
tuali. Purtroppo, gli olivetani, cresciuti di numero e di autorità,
non si accontentarono di rimanere lassù, ma nel 1740-davano inca-
rico a Luigi Vanvitelli e al suo aiuto Carlo Murena di costruire il
grande edificio di Monte Morcino Nuovo, da cui Napoleone e Pio vii
li dovevano nel 1811 allontanare per farne la sede della Università
degli Studi. L'abbandono dei monaci provocó la fine di Monte Mor-
cino Vecchio. Con il dispregio che si aveva nel '700 verso i monu-
menti del medioevo e del rinascimento, dovettero venire demolite
molte parti del convento, il materiale recuperabile probabilmente
utilizzato nel nuovo che si andava costruendo, e forse anche venduto,
tanto che vediamo alcuni portali con la dicitura « Monte Morcino »
finire in città come porte di case private, e le colonne di tre lati
del portico trasferite chi sa dove, e rimaner solo come casa conta-
dina un quarto dell’edificio e la chiesa diroccata, con le sue memorie
e i suoi sepolcri. Ma ancora rimangono il portale di classico taglio,
che s’apriva sotto il portico del chiostro, quello immediatamente
restrostante che portava al corridoio delle celle monacali, e quello
che introduceva nella Sala Capitolare. Questa è ancora viva e salva,
anche se offesa dalla incuria degli uomini e del tempo che l’hanno
degradata a cantina.

La struttura architettonica della Sala Capitolare comincia a
rivelarsi anche esternamente nella sua semplicità quasi rustica e
nello stabilirsi dei volumi squadrati ed essenziali. L’interno costi-
tuisce una delle più elette manifestazioni del Rinascimento in Pe-
rugia. Una volta aerea e distesa, sorretta da arcatelle su peducci
per tutti i quattro lati copre il vano, quasi vela di nave gonfia di
vento e trattenuta ai bordi da nodi sicuri. Anche nell’abbazia bene-
dettina saranno gittate simili coperture nella Sala. Capitolare, nel
vestibolo del Refettorio e nel Refettorio stesso. Nel fondo è la Cap-

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178 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

pelletta o cella di altare. Siamo, invero, piuttosto lontani da quelle
che il Brunelleschi apriva nella sacrestia di S. Lorenzo e nella Cap-
pella de' Pazzi in S. Croce. Qui tutto é inteso con metro ridotto,
anche in rapporto al minore spazio che si aveva a disposizione.
L'umidità e il ribollir dei vini negli ampi tini e nei frantoi non hanno
ancora corroso e frantumato del tutto le eleganti sagome archi-
tettoniche, e la parete di altare conserva affreschi fra cui quello
con l'Arcangelo Gabriele che annuncia a Maria, e speriamo annunci
anche un altro più confortevole avvenimento : quello del restauro
del monumento e del ritorno a più nobili usi *).

Al finire del '400 si pone mano alla costruzione del Chiostro
Grande di S. Pietro. Il vecchio chiostro romanico viene per tre lati
distrutto e il quarto incorporato nei muri. Il Rinascimento entra
nell'abbazia benedettina con l’invadenza di un trionfatore, ed il
settignanese diventa uno dei tramiti maggiori. I cinquanta taglia-
pietre al suo servizio alzano le quarantotto colonne dei due piani,
quelle del primo in travertino, quelle del secondo, dopo una sola
in travertino, tutte in pietra arenaria, la bella pietra cilestrina,
senza venature e senza difetti, ma che esposta ai venti e alle nevi
perugine sarà presto corrosa e decaderà. Scolpiscono le basi, i capi-
telli, le cornici, i pilastri, le mensole, i gocciolatoi, sostituendo la
gaia e armoniosa spazialità toscana alla chiusa e difesa solidità
dell’architettura romanico - gotica umbra. Dopo il secondo ordine
ad arcate, un ultimo ordine, architravato come nel Chiostro Grande
di S. Croce e in quello di S. Lorenzo, a Firenze, doveva concludere
l'insieme ; ma la necessità di ricavare più ambienti per i monaci in-
dusse a rinunciarvi, e su le pilastrate e le basi che attendevano le co-
lonne vennero tirati i muri pieni con le finestrelle delle cellette quali
ancor oggi si vedono. La costruzione si appesanti inevitabilmente, e
piü tardi si dovette ricorrere al tamponamento di tutto il secondo piano
e le colonne dai leggiadri capitelli furono seppellite nelle nuove
muraglie da cui un restauro provvisorio li ha ieri, per la sollecitu-
dine della Fondazione per l’Istruzione Agraria, parzialmente ri-
messe in luce, onde invitare e convincere a quello che si dovrà rea-
lizzare in avvenire.

I settignanesi, dicemmo, nei loro lavori hanno voluto l'adozione
della pietra arenaria, prima d'allora qui scarsamente adoperata. Infat-
ti, la città non aveva mai abbandonato il travertino ed il calcare, e
nel '400 si era rivolta, limitatamente per le costruzioni civili, al
laterizio. L'arenaria, pietra tipica delle architetture fiorentine,
se

DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 179

veniva usata soltanto a Città di Castello, nell’alta valle del Tevere
e nei borghi rivieraschi del Trasimeno più vicini alle terre di Toscana.
| Negli anni 1505 e 1506 Francesco, oltre a continuare nel lavoro
di rinnovamento delle aperture e della finestratura del convento,
arriva a compiere altre due bellissime opere: costruisce nella basi-
lica, lungo la navata laterale sinistra, la Cappella detta di Madonna
Andromaca e quella detta di Messer Baglione orgogliosa del taber-
nacolo della scuola di Mino da Fiesole. Le due architetture dovet-
tero suscitare in Perugia interesse e favore, tanto che altrove ne
verranno richieste e costruite consimili. Sono entrambe simiglianti,
e: solo l'esame attento delle parti decorative rivela differenze più
di esecuzione che stilistiche dovute ai diversi artisti che le esegui-
rono. Ma la struttura fondamentale é per ambedue eguale e concisa.
Anzitutto, l'architetto fu costretto ad allargare con la soluzione
della doppia pilastratura lo spessore dei fornici di accesso, per le
muraglie perimetrali della basilica oltre le quali si protendevano
le cappelle. Oggi queste cappelle le vediamo sopraffatte dall'arric-
chimento di affreschi, di ornati e di tele, ingombre di pancali e di
tutto il corredo proliferato nei secoli successivi e da cui non ri-
mase indenne neppure un angolo della basilica. La nitidezza della
visione originaria s'è quindi perduta: ma se le spogliamo con la
mente di tutto, e le rivediamo chiare e linde come il settignanese
le aveva concepite, balzerà subito agli occhi la loro bellezza, nel
ricordo ispirato del timbro brunelleschiano. E forse, per avere una
idea esatta del come erano queste due cappelle, basterà entrare
in S. Agostino in quella detta del Buio, commissionata a Francesco
nel 1523 e che doveva essere, secondo contratto, a simiglianza « in
tutto e per tutto » di quella fatta per Messer Baglione in S. Pietro *).
Qui il recente restauro ha potuto restituire un monumento che
rappresenta le forme e lo spirito di come erano state concepite le
due in San Pietro, le quali divennero — poi — quattro, una accanto
alle altre, costruite le ultime due verso il 1530, e demolite nel '700
per sostituirle con la più grande del Santissimo Sacramento *). In
S. Agostino tutto è limpido : l'insegnamento del Brunelleschi alita
nella schematicità degli elementi, nella semplicità delle pilastrate,
delle cornici, della cupola, nella ripartizione degli spazi, nel gioco
della pietra serena che staglia sul fondo bianco e nudo delle
pareti. à
Nel 1509 Francesco aveva ultimato, sempre simile a queste,
la Cappella Armellini in S. Francesco al Prato, demolita nel se-
180 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

colo xvin per innalzare al suo posto il nuovo campanile. I frarti-
menti delle parti decorative non vennero allora tutti dispersi : tanto
che Guido Boccolini li poteva ritrovare e tentare parziali ricostru-
zioni nel 1939. Poi, nell'ultima guerra gran parte scomparvero ;
altri ancora piü tardi, e solo mesi fa, mi fu dato di salvarne gli ultimi,
pochi, dalla distruzione finale *).

Nel 1508 Francesco architetta un altro dei suoi lavori piü impe-
gnativi in S. Pietro : la Scala Nuova con l'Ambulacro Maggiore !*).
Questa come quello sono certamente il suo capolavoro. Il setti-
gnanese concepisce il vano con agilità di forme e arditezza di linée.
Non è una cosa grande volumetricamente parlando, ma lo diventa
per il suo insieme. Le colonne piuttosto piccole ed esili s'innalzano
e guadagnano con le arcate aeree l'alto; sembrano inseguirsi in una
modulazione ritmata fino a raggiungere come una meta il termirie
finale, compendiato in una piü solida pilastrata, e arrivano cosi
ad apparire anche piü grandi per misura ed equilibrio. Innegabil-
mente questa é una delle piü belle scale del Rinascimento ; la lar-
ghezza dei valichi, l'ampiezza degli archi e la prospettiva profonda
già appartengono al primo Cinquecento. Lo stesso sentimento per-
siste nell'Ambulacro Maggiore, con il portichetto iniziale concepito
a creare fra quello e la scala un collegamento, prima di sfociare nel
chiaro e nudo percorso ove s'aprono le stanze dei monaci.

Alcune opere più di ingegneria e di adattamento pratico Fran-
cesco eseguì, secondo documenti, nelle tenute agricole benedettine
di Casalina e di S. Apollinare. Ma quello che più doveva assillarlo
in quegli ultimi anni di sua vita era l’abbellimento interno della
basilica. Egli l'aveva trovata spoglia, o al massimo adorna di quei
disordinati affreschi votivi tanto frequenti nelle nostre chiese, e
che in S. Pietro avevano ammantato la stessa facciata; onde
iniziava tutto un lavoro di rivestimento, che fu, nel concetto, conte-
nuto e misurato per tradursi dalla fine del '500 a tutto 1'800 nell’im-
maginoso ammanto di affreschi, pitture, bronzi, marmi, argenti,
del soffitto intagliato e dorato, del mirabile coro, del prezioso altare
maggiore e delle teatrali tele del Vassilachis.

Francesco, e con lui il figlio Guido, il nepote Francesco e tutte
le maestranze si dànno così all'adornamento della basilica. Nelle
ampie pareti della nave maggiore, in quelle delle navi minori, fra
le moderate intrusioni gotiche dell'abside e della sacrestia, i setti-
gnanesi ringiovaniscono il tempio con il soffio del rinascimento
toscano. Il colonnato di Pietro Vincioli é evidentemente classico ;
DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 181

ché non lo incupiscono la minima intrusione o gravezza lombarda :
onde ben s'addice ad ospitare gli epigoni dell'antichità affaticati
nel far risorgere le stesse forme lessicali e grammaticali dell'archi-
tettura classica, dai grandi ai minori motivi di ornamenti. I setti-
gnanesi profilano e scompartiscono le pareti delle navate con pila-
strate e arcatelle a contener gli altari, e vi distendono fasce, cornici
e trabeazioni. Certamente anche la navata centrale dovette ospitare
una ripartizione architettonica a pilastrate e trabeazione terminale,
successivamente demolita per far posto al soffitto ligneo del 1554
e alle grandi tale del Vassilachis. La chiesa nel presbiterio viene
divisa da una transenna monumentale a separare, come in molte
chiese monastiche, i religiosi dal popolo, piü tardi trasferita con-
tro la parete di facciata. Nel 1521 Francesco, già avanti con gli
anni, disegna la mostra di fondo della Sacrestia, con un piü deciso
accenno, per lui ancora legato al sentire del '400, all'avanzar del
'500, e al centro apre la immancabile celletta con l’altare ; nello
stesso torno di tempo scolpisce i due amboni del previsterio »). Que-
sti sorgono dai calici ancora gotici che possono ricordare quelli del
pulpito del Palazzo dei Priori e del pulpito di S. Bernardino della Cat-
tedrale, e sopra ostentano gli specchi delle conche esuberanti di fregi e
di sculture. I seggi presbiteriali del coro sono sorretti da due paraste
con specchi, cornici e capitelli di grande finezza d'intaglio ; in una
delle quali il figlio di Francesco, Guido, lascia la sua firma segnan-
dosi perugino: affermazione della conquistata cittadinanza da
parte del primo erede e continuatore di questa famiglia di artisti.

L’Abbazia di S. Pietro, dal campanile al Chiostro Grande,
dalla Sala Nuova al Refettorio, dalla Sala Capitolare agli ambulacri
e soprattutto nel tempio finì con l’apparire una conclusione ela-
borata della prima rinascenza. Il grande complesso, non senza signi-
ficato nell'aura perugina ne diventò una delle espressioni artistiche
fondamentali. Le architetture e le decorazioni dei settignanesi
l'avevano rinnovato, ingentilito, organato con strutture eleganti
nel campo delle quali le strutture antiche non erano più che ti-
mide apparizioni.

Il secondo Cinquecento, poi, invaderà tutto quasi con la ric-
chezza anticipatrice del fasto seicentesco e settecentesco. Nelle

‘ pareti, per le navate, nelle volte, ovunque, non vi saranno più nè

riposo nè pausa, e S. Pietro diventerà il dovizioso museo che ancor
oggi è. Nel Settecento una verniciatura in finto marmo rosso, spal-
mata su tutte le architetture e le sculture in pietra serena, sfigurerà
182 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

pesantemente l'insieme, facendo perdere la armonica tonalità grigio
cilestrina vanto del tempio rinato sotto la luce del Rinascimento.

I settignanesi in un cinquantennio avevano rinnovato anche
tutta la finestratura e le aperture del convento. Tale rinnovamento
portava nelle cose di più modesto impegno un tono senza dubbio
artigianale, e non s'era limitato al cenobio benedettino ma anche
ad altri conventi e chiese e palazzi e case di Perugia. Il cantiere
dei toscani trapiantatisi in Perugia doveva avere assunto per quei
tempi una fisionomia che oggi giudicheremmo commerciale. In
S. Pietro il lavoro fu vastissimo. Porte, portali, finestre, finestrelle
vennero aperti nel vecchio edificio come nei nuovi ampliamenti,
animando d'un respiro insolito l'abbazia, un tempo dal sembiante
ostile e fortificato, creando con la loro diversa misura di grandezza
e impegno di esecuzione delle evidenti gerarchie, sia che si trattó
dell'accesso ad un vano sacro, o ad una aula capitolare, ad un refet-
torio, ad un ambulacro, o alle cellette dei monaci.

Francesco aveva portato la sua attenzione all'accesso della
Sala Capitolare affiancato, come d'uso, da due finestre, nel sotto-
portico del chiostro. Nel riecheggiare di motivi che arrivano ad
apparire, come impostazione, anche medioevali, le bifore di delicato
e snello disegno ricordano quelle di Palazzo Medici, del Cortile di
Palazzo Vecchio fino a quelle lauranesche del Palazzo Ducale di
Urbino.

I molti portali dell'edificio conventuale sono misurati, di pro-
porzioni perfette, con trabeazioni di freschi intagli, e sopra, in taluni,
le lunette dal classico respiro. Non uno é concepito simile all'altro.
Una feconda immaginazione prende la mano degli artisti, ed ognuno
immagina, studia e scolpisce secondo fantasia, con finezza da orafi,
con la parsimonia signorile dei fiorentini. A volte, la schematicità
del disegno chiede l'ausilio d'una nota di colore che la maiolica
robbiana riesce a fornire ; a volte la mostra è sormontata da una
fiamma che si espande a guisa di pianta a foglie palmate, a volte
si fa superba della valva d'una conchiglia. Ed è sempre la pietra
serena, bel nome di questa che fu la materia prima, cara agli artefici
toscani, ad essere l’unica o quasi delle porte, dei portali e della fine-
stratura del Monastero di San Pietro.

Questa fu l’opera dei settignanesi a Perugia. Quando la fami-
glia toscana si estingue o non ha più voce, regnerà in Perugia un
grande artista, che diventa il nuovo architetto di fiducia dei bene-
dettini : Galeazzo Alessi, educato a Roma forse alla scuola di Miche-
DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 183

langelo, con i suoi allievi e seguaci. Ed il Cinquecento vorrà e saprà
dire una parola nuova e diversa, nel rinnovarsi continuo e imperituro
dell'arte.

NOTE

I] primo studio sistematico con buona indagine e lettura di documenti
su. Francesco di Guido e le opere condotte in Perugia e nell'Umbria dai maestri
settignanesi si deve a Guipo BoccoLiNnI che nel 1939 pubblicava Carat-
teri degli influssi toscani nell’architettura umbra del Quattrocento e Francesco
di Guido da Settignano, ed. Carlo Colombo, Roma, in Atti del II Convegno
Nazionale di Storia dell’ Architettura.

Fondamentale per la documentazione è il Cenno Storico artistico della
Basilica di S. Pietro in Perugia, pubblicato nell’« Apologetico » dall'Abate
LuIGI MANARI con la collaborazione di Don Girolamo Santorelli. Valide pure
alcune notizie nelle guide del Morelli, Crispolti, Orsini, Galassi, Siepi, Rossi
Scotti, Marchesi, Gambini, De Stefano, ecc.

1) BomBE W., Perugia (Bei Kunststátten 64) 42.

?) M? Pietro da Venezia e M? Domenico detto « el Farino », forse suo con-
terraneo, lavorano nella chiesa di S. Costanzo a Perugia nel 1472 (« L'Apo-
logetico », Periodico religioso, rv, 253-254). Nel 1473 è affidata la fabbrica
del palazzo del Capitano del Popolo, in Perugia, a M* Gasperino d'Antonio
e Leone di Matteo lombardi (« Giornale d’Erudizione Artistica », rv, 261, 271 ;
« L'Apologetico », rv, 157). A Filippo di Giovanni da Meli nel 1476 é allogato
un:altare, ora disperso, nella Chiesa di S. Domenico di Perugia (« Giornale
d^Erudizione Artistica », 11, 228-30). Pietro Paolo di Andrea da Como esegue
nel 1477 l’altare della Madonna del Verde nel Duomo di Perugia (« Gior-
nale d'Erudizione Artistica », 11, 230 e segg.). M? Giovanni di Giampiero, nel
1492 costruisce il mausoleo del giureconsulto Baldo Bartolini, già nella Chiesa
di S. Maria dei Servi, oggi conservato nell'Università di Perugia.

3) É ricordo dei maestri fiorentini: Puccio, che nel 1463 presentava il
disegno per la costruzione del campanile di S. Pietro in Perugia (« L'Apolo-
getico », rv, 165) ; Giovanni di Betto, capomastro della fabbrica del campa-
nile di San Pietro in Perugia, nel 1468 (« L'Apologetico », rv, 169) ; Benedetto
Buglioni di Giovanni, autore di lavori eseguiti nel 1487 e nel 1488 nella chiesa
di S.Pietro e in quella di S. Lorenzo in Perugia (« Giornale d'Erudizione
Artistica », 11, 251); Sandro o Sante di Lorenzo e Francesco di Filippo, ricor-
dati come fiorentini o come settignanesi in documenti del 1486 e 1487 a pro-
posito di lavori nel Monastero di S. Pietro e nel Palazzo della Signoria in
Perugia (« L'Apologetico », 1v, 364, 371, 372, 373; «Giornale d’Erudizione
Artistica », 11, 234-235, 272); Marco di Michele e Bartolomeo di Michele,
184 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

attivi a Perugia nel 1487 (« L'Apologetico », rv, 364) ; per tacere dei Sangallo,
Giuliano, Antonio e Bartolomeo, di Domenico del Tasso e di Giuliano da
Maiano, autori questi due ultimi del Coro della Cattedrale di Perugia datato
1491 (« L'Apologetico », rv, 368-369, 370 ; « Giornale d'Erudizione Artistica »,
1, 70, 72, 96, 97, 98, 99 e 101). Appartiene al gruppo dei maestri settignanesi
venuti in Perugia anche Giovanni Roccioli, autore di un «lavamano », ora
scomparso, eseguito nel 1490 per il refettorio del Monastero di S. Pietro in
Perugia.

4) « Giornale d'Erudizione Artistica», 11, 292; «L'Apologetico », Iv, 363
e nota 2, 366 ; « L'Apologetico, rv, 363 ; « Giornale d'Erudizione Artistica »,
n, 293; «Giornale d'Erudizione Artistica », 11, 293; MANARI, « L'Apologe-
tico», rv, 363 n. 2; THIEME-BECKER, Kunster Lexicon, xit, 307.

5) «L’Apologetico », rv, 364; « Giornale d’Erudizione Artistica », 11, 293.

€) SiepI S., Descrizione Topologica-Istorica della città di Perugia, n1,
773. L'iscrizione, in caratteri romani, dice: AERE PRIOR CLARA BICCVTA EX
GENTE PATERNA BARTHOLOMAEVS OPVS SIC DEDIT EXIMIUM 1487.

7) «Giornale d'Erudizione Artistica », III, 53-55.

8) « L'Apologetico », 1v, 366.

9) « Giornale d’Erudizione Artistica », rr, 336 e segg.

10) «L’Apologetico », 1v, 365.

11) « L'Apologetico », rv, 365-66 ; «Giornale d'Erudizione Artistica », rr, 338.

MorcHEN. — Ringrazio vivamente il dott. Ottorino Gurrieri per
questa così appassionata e vivace illustrazione di quanto il Monastero
conserva ancora della bellezza del suo rinnovamento durante l’epoca
rinascimentale.

Ora dovremo procedere alla discussione delle comunicazioni fin
qui svolte, e cioè quelle del signor Nessi, del dottor Santi e del dottor
Gurrieri.

Chi vuole prendere la parola su queste comunicazioni è pregato
di dichiararlo. Il professor Battelli ha la parola sulla comunicazione
Nessi.

BATTELLI. — Innanzi tutto mi unisco al prof Morghen per espri-
mere al sig. Nessi i più vivi rallegramenti per la sua accurata esposi-
zione. Solo su due punti vorrei aggiungere qualche osservazione.

In primo luogo, a proposito del tesoro pontificio depositato nel
Sacro Convento di Assisi, quasi in contrasto con le idealità francescane,
ho avuto l’impressione che il relatore si sia lasciato trascinare, nell’entu-
siasmo della ricerca, da un’impostazione irreale. Quando nei documenti
si parla di tesoro, non dobbiamo pensare a somme di denaro, nè a grandi
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DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 185

quantità di oro : basta scorrere gli inventari del 1339 per veder elencati
oggetti liturgici, vesti, libri, documenti. Il denaro della Chiesa, cioè
il ricavato dei censi, delle decime e delle altre tassazioni allora vigenti,
era depositato presso i mercatores, cui ne erano affidati i trasferimenti.
E proprio in quel tempo il denaro era scarso. Perciò è fuor di luogo
cercare una giustificazione ideologica alla ruberia dei Colonna, quasi
st volesse punire la Chiesa colpendola nella sua ricchezza e riportarla
alla povertà àvangelica. La ruberia dei Colonna è semplicemente un
alto di violenza e di brigantaggio.

In secondo luogo, ritengo che non si debba sopravalutare l'impor-
lanza dell'abate di San Pietro nella Curia pontificia per i dieci o venti
incarichi ch'egli ebbe. Se egli ebbe molte commissiones ciò prova che era
persona gradita e stimata, ma l'uso di affidare incarichi giudiziari
o amministrativi o politici a vescovi e ad abati era un uso normale. La
Chiesa, non avendo un corpo di funzionari per tali incombenze, si
serviva come poteva di alti ecclesiastici. Si trattava certo di persone
di fiducia, ma non per questo di persone di primo piano. Sarebbe er-
rato guardare i fatti del medioevo senza tener conto della prassi ammi-
nistrativa del tempo.

MonGHEN. — C'é nessun altro che vuole prendere la parola sulla
comunicazione Nessi? Siccome nessuno vuole prendere la parola sulle

comunicazioni del dottor Santi e del dottor Gurrieri, ringraziando viva--

mente coloro che hanno parlato e sono intervenuti sulla esposizione
delle singole comunicazioni e relazioni, dichiaro chiusa la seduta.

1 ottobre 1966, ore 9

BATTELLI. — Sono altamente onorato di presiedere questa seduta,
in cui parleranno studiosi illustri per meritata fama. Primo fra questi
è il nostro caro Leclercq: mi permetto di dirlo nostro, perchè egli è
spesso tra noi, gradito ospite di congressi italiani, dove porta una pa-
rola sempre nuova, frutto delle sue meditate ricerche. Ed è nostro anche
perchè partecipa ai nostri congressi con quella sua propria giovialità
serena e cordiale, che lo rende a tutti amico. Egli è il grande specialista,
il conoscitore profondo della vita monastica nei secoli XI-XIII. Sono
lieto di dargli la parola.
186 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

Variazioni sui millenari monastici

Ci troviamo, per cosi dire, in pieno millenarismo monastico.
Se l'istituzione monastica ha, sia in Oriente come in Occidente,
almeno quindici secoli di esistenza, il monachesimo occidentale
riformato o rinnovato ha circa mille anni. Cosi in tutta l'Europa
si celebrano da alcuni anni dei millenari, i più importanti dei quali
furono, nel 1966, quello di S. Pietro di Perugia e quello del Mont-
Saint-Michel. In un certo qual modo si spiegano a vicenda gli uni
gli altri, nel senso che tutti si situano nello stesso vasto riformismo ;
le loro manifestazioni in Italia, come al di là delle Alpi, offrono dei
punti in comune. Le considerazioni generali che a tale proposito
si possono fare consistono nel richiamare che queste riforme non
hanno fatto parte di un'iniziativa universale e organizzata nella
Chiesa, ma furono regionali; tuttavia, tutte hanno risposto alla
medesima esigenza profonda, che conferisce la sua unità a tutto
questo insieme di fatti.

Anzittutto bisogna considerare il carattere, in qualche modo
anarchico del riformismo monastico degli anni che vanno dal 950
al 1050 circa, questo secolo nel corso del quale si effettuarono le
fondazioni o rinnovazioni delle quali noi celebriamo il millenario
in questi anni. Carattere anarchico o, se si vuole, acefalo, che distingue
questo riformismo da quello che inizierà dopo, all'epoca cosi detta
gregoriana, verso la metà dell'xi secolo, a partire da Leone rx e
da Ildebrando-Gregorio vii poi. Questo primo riformismo non è
affatto di carattere ufficiale. Non venne deciso da nessuna autorità
centrale. Nessuno che prenda l'iniziativa generale di queste « riforme
monastiche » delle quali bisogna parlare al plurale. Non esiste nessun
uomo, un fondatore o un riformatore, un santo, un capo qualunque,
al quale si possa attribuire il merito di questa organizzazione.

In particolare l'iniziativa e l'animazione non vengono dal papato,
che a quei tempi aveva anch'esso il bisogno d'essere riformato, e
che non aiuterà queste riforme che in seguito, quando cioè la ri-

———————— ÀJ 'üi ara

DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 187

forma si compirà nel suo seno in parte per opera del monachesimo.
Si trova, soprattutto riguardo ai monasteri italiani e specialmen-
te nelle regioni poco lontane da Roma, particolarmente nell’epoca
finale qui considerata, qualche privilegio dei papi, confermando i
beni di alcuni monasteri, aiutandoli o ricompensandoli nella loro
impresa di riforma. Il papato aiuterà anche Cluny, ma non è esso
che riformerà il monachesimo.

Non sarà neppure Cluny e nemmeno qualche altro grande centro,
l’influenza del quale si estende al monachesimo intero. Non è più
necessario, dopo i lavori storici dell’epoca recente, di dimostra-
re che sovente prima si era esagerata l’importanza del fatto
cluniacense. Cluny non spiega tutto in questa materia nemmeno
al di là delle ‘Alpi, neppure in Francia, e nemmeno. in Borgogna.
Cluny ha dei rapporti con dei monasteri come quello di Pavia, ove,
l'anno prossimo, si celebrerà il millenario dell'intervento di S. Maiolo.
Ma esso tra i tanti rimane un caso particolare, e Pavia si situa nel-
l'Italia settentrionale. Il centro animatore non è neppure l'abbazia
di Gorze di cui quest'anno si è ugualmente celebrato il millenario.
Non è neppure Montecassino, che anch’esso aveva bisogno d’essere
riformato.

Il riformismo non si attuerà neppure per opera di qualche impe-
ratore, o di un principe qualsiasi, così come fu il caso ai tempi di Car-
lo Magno e di Ludovico il Pio. Dunque l’esistenza di una riforma pre-
gregoriana non la si può affermare ; esistono varie riforme, sì e so-
prattutto esiste un riformismo, vale a dire un vasto movimento di
riforma, il quale è una manifestazione spontanea della vitalità del
monachesimo, e questo costituisce un aspetto della vitalità della
Chiesa. Ogni volta che nella storia si constata un rinnovamento di
vita della Chiesa, si osserva un rinnovamento del monachesimo, e que-
sta legge si fa sentire oggi come in altre epoche. Così prima della rifor-
ma istituzionale e organizzata e più o meno centralizzata e perchè essa
si potesse verificare, bisognava che vi fosse, — e allora vi era — una
riforma spontanea. La reazione vitale dell'organismo monastico pre-
cede l’organizzazione : questa potrà aiutare la prima, ma essa può an-
che soffocarla.

Ora questo concetto anarchico delle riforme pre-gregoriane
si spiega con due degli elementi fondamentali del monachesimo.
Il primo consiste nel fatto che il monachesimo è per se stesso
una istituzione di riforma, ma di riforma personale, vale a dire di
continua «conversione » delle persone. Se esiste il monachesimo
Fu! ELI T3 presa m iO

188 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

esso non puó non riformarsi benché nessuna autorità ne prenda
l'iniziativa : potrà aiutarla, incoraggiarla, ma essa non sarebbe sufti-
ciente e non é sempre necessaria perché la riforma si faccia.

E questo fermento di riforma personale, ascetico-spirituale,
che all'epoca pre-gregoriana ha manifestato la sua attività nel mo-
nachesimo, e questo ha contribuito a mantenere in tutta la Chiesa,
l’idea e l’ideale di riforma. Così anche il monachesimo, poteva,
doveva riformarsi, senza il soccorso di un'organizzazione centrale ;
esso l'ha fatto.

Il carattere acefalo delle riforme monastiche d'allora è ugual-
mente legato al fatto che l'istituzione monastica e decentralizzata
0 più esattamente non centralizzata ; essa non ha avuto un fondatore,
nel senso che non ha avuto un fondatore particolare, unico ; ma essa
ha avuto dei fondatori conosciuti o anonimi. S. Benedetto non ha
fatto iniziare il monachesimo neppure in Occidente, e nessun altro
santo, anteriore a lui, o venuto dopo, o a lui successore, tale S. Bene-
detto d'Aniano, ha esercitato questo ruolo. Si puó dire soltanto
che lentamente dal vir al x secolo la regola di San Benedetto è di-
ventata la regola fondamentale e principale del monachesimo in
Occidente. Quando, qualche anno fa, si celebró il millenario della
riforma di S. Gerardo di Brogne, ci si chiese se fosse la regola di San
Benedetto che egli avesse adottato. e non fu possibile dare una ri-
sposta chiara a questa domanda.

II

Se non é esistito un movimento di riforma unico, vi furono dei
movimenti di riforma regionali, nel senso largo di questa espressione :
vi furono dei focolai che servirono da centri per l'espansione del
monachesimo riformato. All’inizio non hanno nessuna relazione tra
di loro ; a volte sono indipendenti gli uni dagli altri; in un secondo
tempo, piü o meno tardi, si creeranno tra alcuni di loro dei rapporti
che in certi casi saranno persino di carattere giuridico. A questo pro-
posito bisogna soprattutto ricordarsi quali furono questi monasteri,
poi citare degli esempi.

Questi centri di riforma sono il piü spesso costituiti da mo-
nasteri nuovi, o rinnovati, non da quelli antichi e potenti certo,
ma invecchiati, troppo vincolati nella rete delle istituzioni feudali,
politiche ed economiche, troppo presi da preoccupazioni temporali

| —XX DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 189

di ogni specie. Per esempio nella seconda metà del decimo secolo,
la grande abbazia imperiale di Farfa é in piena decadenza con degli
abati simoniaci e concubinari. A Montecassino, é il tempo del-
l’abate Mansone, che suscita lo scandalo di S. Nilo, allorchè questi
sente suonare le chitarre in chiesa. Sono quasi sempre dei mona-
steri giovani come Cluny e Mont-Saint-Michel, S. Pietro di Perugia,
o ringiovaniti come Gorze, che riformano il monachesimo e alcuni
dei quali riformano dei monasteri antichi. Ad esempio Farfa adot-
terà le consuetudini di Cluny, ricevute da S. Apollinare di Ravenna,
ove S. Romualdo aveva fatto professione.

Cosi — e l'ultimo caso citato illustra bene questo fatto — la
riforma è per cosi dire contagiosa e si creano dei legami tra i vari
monasteri che desiderano profittarne. Questa specie di attrazione
reciproca tra case riformate o in via di riforma appare in parec-
chie regioni: S. Pietro di Perugia ad esempio é un relazione con
Santa Maria di Val di Ponte e con S. Salvatore di Monte Acuto.

Il monachesimo subalpino costituisce un'altra unità geografica
di riforma. La regione di Ravenna ne rappresenta un'altra, ed essa
ha delle relazioni con S. Michele di Cuxa e S. Benigno di Digione.
Brogne, in una parte della Lotaringia, e in un'altra Gorze, son altri
esempi, e se ne potrebbe allungare la lista. E certuni di questi mo-
nasteri o gruppi di monasteri, conoscendosi e trovandosi d'accordo
si uniscono (a volte) e si organizzano piü o meno, o se restano indi-
pendenti spesso si aiutano.

Un caso tipico è quello del Mont-Saint-Michel; come in altri
luoghi la riforma si attua introducendosi là dove vivevano dei cano-
nici a volte irregolari ; essa profitta dei rapporti con Saint-Wandrille,
con Borgne, con Gand; avrà relazioni col monachesimo della Bre-
tagna e d'Inghilterra, con Cluny e Digione, e, attraverso Digione,
essa riceverà uomini, testi ed idee da Fruttuaria nella regione Su-
balpina e da Ravenna. Giovanni di Ravenna, ammiratore di S. Ro-
mualdo e discepolo di Guglielmo di Volpiano, diverrà abate del
monastero di S. Benigno e riformatore di Fécamp, e non rimarrà
certo senza influenza su Metz nella Lorena, e sul Mont-Saint-Michel
in Normandia, nè sull' Inghilterra.

La serie stessa dei vari nomi con i quali si designa il medesimo
personaggio — Guglielmo di Volpiano, di Fruttuaria, di Digione;
Giovanni di Ravenna, di Fruttuaria, di Digione, di Fécamp, ma
egli stesso si chiamava Giannellino — è evocatrice del genere di reti
di relazioni che allora si creano ; esse sono vaste, ma rimangono limi-
190 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

tate, non sono universali, non sono né organizzate né istituzionaliz-
zate, sono fatte di rapporti personali e sostenute dalla comunione
di tutto il monachesimo nuovo o rinnovato al medesimo ideale di
riforma. E già con Giannellino siamo arrivati ai tempi della riforma
Gregoriana, la quale, d'altra parte conserverà qualcosa, anzi molto,
di questa diversità e autonomia dei movimenti di riforma anteriori.
Ma prima di questo periodo di organizzazione e di centralizzazione
relativa, esistono nei monasteri nuovi, che sono dei centri di riforma,
delle aspirazioni simili e dei rapporti umani tra persone e comunità ;
non vi sono, tuttavia, né legami giuridici e neppure unità di usanze
e osservanze. Di queste ultime, del resto, in molti casi non conosciamo
nulla.

III

Infine benché sia mancata un'organizzazione, se vi sono dei
centri di riforma, tra i quali alcuni portano la loro luce lontano,
molto lontano, questo si spiega perché esistono dei mezzi d'influenza
diretta, le relazioni umane, i rapporti da uomo a uomo. Se le idee
viaggiano, è solo perchè dei monaci viaggiano. S. Romualdo è un
grande viaggiatore che va di monastero in monastero, animando do-
vunque il fervore. Gli abati di Cluny anch’essi viaggiano molto :
San Odilone è venuto cinque volte in Italia e questo senza alcuna mis-
sione ufficiale, senza potere, ma non senza autorità ; egli ha l’autorità
della sua persona, il prestigio della sua santità e dell’ideale di vita
che rappresenta. Giovanni di Fécamp, da Ravenna si recò in Nor-
mandia. Questi santi e questi abati furono instabili a profitto della
stabilità monastica.

Non dimentichiamo dunque l’importanza di questi viaggi,
che permisero degli scambi non solo tra i monasteri d’Occidente,
ma tra questi e quelli d'Oriente, così come lo si è ricordato in un altro
millenario recente, quello del Monte Athos. S. Nilo ha, come tanti
altri, viaggiato ed è andato a Montecassino. L’abbazia di S. Alessio
sull'Aventino era un luogo d’incontri per uomini venienti da mona-
steri italo-greci o latini di molte regioni. Al di là delle consuetudi-
ni e osservanze esisteva una grande comunione d'ideali, tra Italia-
ni e Transalpini, Occidentali e Orientali, eremiti e cenobiti.

Con gli uomini viaggiavano i testi e le idee che essi propagavano,
testimonianze del monachesimo antico, come le regole di San Ba-
silio, delle quali si trova un esemplare almeno in molti centri di ri-
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——

DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 191

forma ; opere dei Padri della Chiesa, greci e latini (e tra questi ultimi
soprattutto S. Agostino) che hanno mantenuto presente e vivente
l'ideale di «riforma », scritti di monaci contemporanei : le preghiere
di Guglielmo di Volpiano furono copiate a Polirone, quelle di Giovanni
di.Fécamp circolavano largamente.

Bisogna poi non dimenticarsi del ruolo importante che ha avuto
l'amicizia : uomini di Dio come S. Maiolo di Cluny, S. Romualdo
di Ravenna, S. Guglielmo di Volpiano, S. Nilo di Grottaferrata si
conoscevano, s'incontravano, si incoraggiavano. Cosi, in questo
secolo che va dal 950 al 1050,si assiste ovunque a un intensa fer-
mentazione dell’ideale riformatore, ed esso conferisce la sua
profonda unità a tutto questo riformismo nonostante, la mancanza
di un’organizzazione tra le diverse riforme. E questo fermento non
poteva essere che l’effetto dello spirito monastico, vale a dire dello
spirito dei monaci, finalmente dello Spirito Santo in essi. Per rifor-
mare il monachesimo e tutto il resto, ciò che è più importante che
l’organizzazione, la centralizzazione, le istituzioni, è il fervore.

BATTELLI. — Il P. Leclercq ci ha offerto una lezione veramente
magistrale, quale egli solo forse poteva dare, nell’illustrare i fermenti
di vita religiosa e di aspirazioni monastiche che furono propri del se-
colo in cui sorse il Monastero di San Pietro. Abbiamo così rivissuto
il senso della sua fondazione e il segreto del suo rapido fiorire, consi-
derando l’aspetto spirituale, cioè un aspetto della sua storia così diverso
da quelli finora studiati nelle precedenti relazioni. Dato che il tema
trattato del P. Leclercq è diverso anche da quello che seguirà, ritengo
opportuno aprire subito la discussione, se qualcuno dei presenti desidera
prendere la parola.

MonGHEN. — Prendo la parola sopratutto per ringraziare anche
personalmente P. Leclercq della lezione veramente mirabile che egli
ci ha offerto, frutto della competenza riconosciutagli universalmente nel
campo degli studi di storia religiosa e specialmente della tradizione
monastica. Essa è frutto di un’acuta sensibilità dell'importanza del
fatto cristiano nella storia della civiltà.

Senza dubbio, la riforma monastica è un fatto che sorge spontanea-
mente quasi per generazione spontanea, in quanto si riferisce a qual-
cosa di immanente nella tradizione cristiana, l’esigenza, cioè, della
renovatio, che costituisce l'alteggiamento fondamentale del Cristiane-
simo e di tutta la rivelazione evangelica. La metánoia, come atteggia-
192 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

mento essenzialmente escatologico dà la giustificazione storica dell'in-
timo dinamismo spirituale caratteristico del fatto cristiano che investe
non solamente la vita spirituale e religiosa nel senso specifico della
parola, ma che trabocca e informa anche tutta la vita civile, quando
il monastero soggiace alle influenze del mondo esterno. Certo manca
nella prima riforma monastica l’elemento centralizzatore che interviene
in un secondo momento, quando il movimento monastico rifluisce sul-
l'autorità centrale della Chiesa e la Chiesa fa proprio il programma
di rinnovamento e con la sua azione dall’esterno lo favorisce sia con la
concessione di privilegi, sia con l’opera riformatrice di Gregorio VII.
Il fatto su cui credo si debba insistere è che il monachesimo stesso cerca
di avere un punto di riferimento, nella dipendenza diretta dalla Chiesa
di Roma, che costituirà poi la base su cui il primato romano si affer-
merà più decisamente contro l’episcopalismo e contro i diritti dei pri-
mati, che vengono in certo modo molto abbassati per il fatto stesso ché
l’episcopato è in gran parte inficiato dalla simonia e dal concubinato
che dilagheranno specialmente nel mondo ecclesiastico del secolo x°.

Mi auguro che nel quadro tracciato da Don Leclercq si sviluppi
tutta una serie di studi che mettano in evidenza le linee direttive che
egli ha così magistralmente. indicato.

LrEcLERCQ. — Forse direi una parola, non per completare ciò
che ha detto il nostro maestro e amico prof. Morghen ; soltanto per insi-
stere ancora di più, cioè sul fatto che, come egli ha detto, è il mona-
chesimo che contribuisce alla riforma della autorità, la quale poi contri-
buisce alla riforma del monachesimo. Qui siamo in una specie di dia-
lettica storica. Quando si leggono certi manuali di storia monastica
(non parlo di quello di Penco che su questo punto è perfetto, penso
piuttosto a quelli più antichi, scritti quando io ero giovane), si ha l'im-
pressione che la storia monastica è come un fiume maestoso che si svi-
luppa senza crisi ; tutta una serie di posterità, di influssi culturali,
spirituali ecc. In questi giorni sto leggendo le bozze dei volumi di mi-
scellanea del Mont-Saint-Michel, e non penso che la storia di San
Pietro di Perugia sia molto diversa : andiamo di crisi in crisi, è una
specie di crisi più o meno sormontate, quindi di riforme, e non si può
mai dire che il monachesimo abbia trovato una perfetta stabilità spi-
rituale : è normale che si passi di crisi in crisi, quindi a volte le isti-
tuzioni si aiutino l'uno l'altro. Il monachesimo contribuisce alla ri-
forma del papato, il quale poi è necessario che intervenga : dal 1050
in poi, per tutto il sec. xit, il papato deve intervenire o per riformare il

-—- +4
DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 193

monachesimo vecchio nel senso benedellino o per mantenere il monache-
simo nuovo, per esempio cislerciense, sempre anche lui in pericolo di
decadenza o almeno di crisi, quindi c'é questa dialettica continua di
riforme e di riformatori. Questo per dire che ciò che c’è di indipendenza,
di carattere anarchico nelle riforme monastiche, come ho detto, (e non
era uno scherzo) non è anarchista, perché non c’è una opposizione al-
l'autorità ; però si tratta di due linee diverse di vitalità ecclesiastica
che a vicenda si aiutano, ed è di questo che ringrazio il prof. Morghen
per averlo sottolineato una volta di più.

BATTELLI. — Poichè nessun altro chiede di parlare, prego il prof.
Baltadori, illustre professore di questa Facoltà di Agraria, di svolgere
la relazione annunziata : « San Pietro nelle scienze matematiche, fisiche
e naturali ».

L’Abbazia di S. Pietro in Perugia
nelle scienze matematiche, fisiche e naturali

È necessario precisare subito che qualsiasi riferimento alla spe-
culazione umanistica o scientifica svolta dai singoli Benedettini
non potrebbe essere circoscritta ad una certa località o ad una certa
Abbazia, per quanto attiva e famosa essa sia stata, perchè i figli
di S. Benedetto formano una famiglia i cui componenti si spostano
continuamente da un cenobio all’altro, a seconda delle esigenze del
momento e del piano generale dei superiori, particolarmente quando
si trattava di Benedettini che, per la loro specifica attitudine nel
campo del sapere, avevano bisogno di recarsi, per la loro prepara-
zione e le loro ricerche, in altre località, oppure erano richiamati
in altri posti ove più importante veniva considerata la loro opera.

Dovendo parlare perciò dell'importanza dell'Abbazia di S. Pie-
tro in Perugia nelle scienze matematiche, fisiche e naturali, mi sem-
bra opportuno accennare all’attività tutta dei figli di S. Benedetto,
anche se mi fermerò più a lungo su Benedetto Castelli, Andrea
Bina e Bernardo Paoloni, perchè in questo monastero di Perugia
hanno svolto parte della loro attività.
194 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

*
*ock

Ad « ora et labora » si ispirava e si ispira l'attività dei Benedettini:
per S. Benedetto, come appare dalla Sua Regola, il monastero ve-
niva concepito come una cittadella del servizio divino, che doveva
essere autosufficiente e che necessariamente, insieme con le altre
artes, richiedeva quella particolare della medicina, che i monaci do-
vevano coltivare. Perché, pur dimorando nel monastero, i cenobiti
erano a contatto con gli ospiti, che fin dai primi tempi dell'istitu-
zione monastica non mancavano mai ; ed erano non soltanto devoti
fedeli, o poveri pellegrini, ma anche dotti ed infedeli, come Totila,
ai bisogni spirituali e materiali dei quali era necessario avvicinarsi
per avvicinarli a Dio +). E non bisogna dimenticare ancora che nel
monastero, composto da individui di ogni età e costituzione, si pote-
vano trovare degli infermi che necessitavano di assistenza e cure,
particolarmente ricordati dal Santo nel c. 16 della sua Regola *).
Naturalmente questo contribui a sviluppare lo studio della scienza
medica (e delle altre scienze annesse) nei monasteri durante tutto
il Medio Evo, anche perché quelle comunità avevano la possibilità
intellettuale ed economica necessaria a tale sviluppo.

Il primo che ha portato un contributo alle scienze mediche, e alle
scienze naturali legate alla medicina, è stato Cassiodoro, il quale,
essendo ancora vivo S. Benedetto, lasció la corte di Teodorico e si
ritrasse a vita monastica nel cenobio di Squillace. Egli possedeva
una vasta conoscenza enciclopedica scientifico-letteraria, e con la
sua attività ha svolto opera di mediatore tra la coltura sacra e la
coltura profana, tra mondo ellenistico e mondo occidentale, anche
se il suo monastero di Vivarium non puó essere ancora considerato
un vero monastero benedettino *).

A parte dunque la sua ben nota attività letteraria, storica e di
raccolta e di traduzione di manoscritti, incitava i suoi religiosi ad
apprendere « l’arte salutare », l’arte cioè di conoscere le erbe, di stu-
diare le virtù curative, di preparare balsami soavi per guarire gli
infermi: «... Imparate perciò la natura delle erbe e studiate con
diligente pensiero il modo di riunire le specie diverse », dice, fra
l’altro Cassiodoro in una delle sue opere; e continua : « Che se voi
siete istruiti nelle greche lettere, prima di tutto abbiate l’erbario
di Dioscoride, il quale con mirabile proprietà descrisse e dipinse le
erbe dei campi. Dopo ciò leggete Ippocrate e Galeno tradotti in lin-
gua latina, cioè la Terapeutica di Galeno. Di poi il trattato di Medi-
DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 195

cina di Aurelio Celso, e quello dell'erbe e delle cure di Ippocrate ;

piü i diversi altri libri composti intorno all'arte di medicare, che io,

coll'aiuto di Dio, vi ho lasciati riuniti nella mia biblioteca » *).
L'opera di Cassiodoro ha esercitato la piü forte influenza sul-

l'attività scrittoria e scientifica dei monasteri del Medio Evo, perché

egli considerava molto importante per i monaci lo studio sia della
storia, sia della geografia e delle scienze naturali *). Le opere di
Cassiodoro vennero diffuse in diversi monasteri ove venivano stu-
diate e arricchite da altri scritti di autori antichi, mentre diligente-
mente si procedeva alla istituzione di collezioni di erbari a scopo te-
rapeutico. Nei monasteri le collezioni di erbe disseccate erano di due
tipi: nel primo tipo si elencavano le virtü medicamentose e nel
secondo si forniva la loro descrizione morfologica °),. facendo cioè
un lavoro di carattere farmaceutico nel primo caso e botanico nel
secondo.

Fra i Benedettini che nei secoli successivi continuarono e svi-
lupparono questa attività, voglio ricordare l'ateniese Egidio, il quale
nel secolo vir si fece monaco a Montecassino e scrisse un « Trattato
sui veleni, sulle orine e sulla conoscenza dei polsi», mentre nel se-
colo rx è noto il dotto Abate Bertario, trucidato dai saraceni nel
883, che scrisse opere di medicina e s'interessó alla raccolta di « co-
dices medicinales de innumeris remediorum utilitatibus » *).

Senza dubbio la Scuola Medica Salernitana deve molto ai Bene-
dettini che insegnarono fra i primi in quella Scuola, mentre la Scuola
Medica di Montecassino era famosa quanto quella Salernitana.
Verso la fine del secolo xr, il grande Abbate Desiderio, prima di
vestire l'abito monacale, si occupava di studi di medicina, e nella
Scuola Medica Salernitana ebbe l'occasione di conoscere il chierico
Alfano. Diventati amici, decisero di farsi monaci benedettini a
Montecassino *). Alfano fu nominato arcivescovo di Salerno, e De-
siderio, da Abate, fu eletto papa, succedendo a Gregorio vir col
nome di Vittore mi. Alfano conosceva profondamente i medici
antichi, di cui tradusse De natura hominis di Nemesio di Emesa.
Egli scrisse De pulsis, De unione corporis et animae come pure De
quattuor humoribus corporis humani. Le due prime opere sono per-
dute e soltanto l'ultima é stata scoperta nel 1927 come compendio
di un discepolo »).

Comunque, nella Scuola Medica Cassinese il primo posto spetta
senz'altro a Costantino l'Africano, chiamato «Magister Orientis
et Occidentis ». Egli nacque a Cartagine agli inizi del secolo x1 e
196 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

studiò a Babilonia matematica, fisica ed astronomia *°). Dopo aver
percorso per circa quaranta anni l’Oriente e l’Africa (India, Etiopia,
Egitto) — ove prese contatto con le Scuole Mediche ivi esistenti —
giunse intorno al 1060 a Salerno. Si converti dall'islamismo al catto-
licesimo e passó il resto della sua vita a Montecassino, ove come
monaco mori forse nel 1087. L'opera di Costantino fu molto impor-
tante non soltanto perchè egli mise al servizio dei suoi confratelli
e degli studiosi del tempo le conoscenze acquisite in tanti anni di
studio, ma anche perché egli tradusse e diffuse le piü recenti opere
scritte dagli studiosi orientali di medicina, particolarmente dagli
arabi. « Imponente rimane, dice Penco +), il complesso delle sue
traduzioni, il cosidetto Corpus Costantinianum, comprendente il
Liber completus artis medicinae qui dicitur regalis disposito: o Pan-
tagni di Ali Ibn Abbas (t 994), il Liber diaetarum universalium et
particularium, il Liber urinarum, il Liber febrium, il Liber de gradi-
bus di Ishaq Israeli e varie altre opere di medici islamici ».

Le traduzioni e i suoi scritti divennero manuali di anatomia e
fisiologia anche nella Scuola di Chartres '*), e il suo allievo Giovanni
Afflacio fu un famoso specialista nella farmacopea.

I monaci di S. Benedetto cominciarono dunque, sin dalla fondazio-
ne, a curare gli infermi, a studiare il corpo umano, e a studiare e cata-
logare le erbe medicamentose, portando i primi contributi nello studio
dell'anatomia, della fisiologia, della botanica, della farmacologia.

I Concilii di Roma nel 1139 e di Tours nel 1163 proibirono ai mo-
naci l'insegnamento e il pubblico esercizio della medicina, e dal se-
colo xir in poi non si parla più di monaci che insegnano o esercitano
medicina, ormai assai diffusa in Italia. I Benedettini continuarono
però a preparare medicinali nelle loro rinomate farmacie.

Nel secolo xiv è da segnalare il monaco Basilio Valentino, con-
siderato come uno degli uomini più dotti del suo tempo ; egli era
versato nelle scienze naturali, e si segnalò specialmente in chimica,
tanto da essere chiamato « filosofo molto insigne e principe dei chi-
mici ».

Nel secolo xvi si possono ricordare Benedettini noti per il loro
contributo alle scienze fisiche, matematiche, astronomiche e natu-
rali, come Angelo Pietra,'detto Pria, particolarmente per le mate-
matiche; Teofilo Marzio, diventato celebre per i suoi studi mate-
matici ed astronomici, fu invitato da Gregorio xir a prendere parte,
insieme ad altri dotti del suo tempo, alla riforma del calendario,
e prese tanto a cuore l'incarico che si deve in gran parte a lui la ri-

de DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 197

forma gregoriana !*). Anche il Benedettino Adriano Amaltea, va-
lentissimo in astronomia, si occupò del Calendario Gregoriano.

Nel secolo xvi, che è il secolo del Galileo, di Keplero, di Newton,
di Torricelli, molti sono i monaci Benedettini che contribuiscono allo
sviluppo di tutte le attività scientifiche.

Possono essere ricordati come insigni matematici : Silvio Stella,
di Brescia ; Serafino Casulano, di Siena ; Vittorino, di Parma ; Se-
rafino da Quinziano, di Brescia; Fortunato, di Padova; Ludovico
Mayner, nato a Aix, in Provenza, e monaco nel monastero Lirinese ;
Valeriano de’ Franchi, di Catania ; Paolo Racchi, di Ravenna, ben
noto anche come astronomo ; Paolo Andrea Gualtieri, di Catanzaro,
che scrisse parecchi trattati di matematica; Giuseppe Guffanti,
di Milano; Pietro Vecchia, di Padova; Anselmo, di Genova; Ci-
priano, di Brescia; Ippolito Pugnetti, di Piacenza; Alderano De-
siderio, di Aquila, noto anche come insigne astronomo; Anselmo
Pajolo, di Ferrara, il quale scrisse, fra l’altro, un Trattenimento Ma-
rittimo, ove si parla del flusso e riflusso del mare 1‘).

Mi sembra utile ricordare ancora che i Benedettini di Vallom-
brosa occupano un notevole posto nella storia della meteorologia.
Essi hanno eseguito, almeno dal 1° gennaio 1656 al 31 dicembre
1667, regolari osservazioni meteorologiche che inviavano al Gran-
duca di Toscana Ferdinando II, il quale aveva tentato, per la prima
volta al mondo, l’organizzazione di una vera rete internazionale di
stazioni meteorologiche '*).

Ma fra tutti emerge la figura di Benedetto Castelli, che è legato a
S. Pietro in Perugia per l’invenzione del Pluviometro 1°).

Nato a Monte Isola, in quel di Brescia, nel 1577 da antica e no-
bile famiglia bresciana, il 4 settembre 1595, ancora diciottenne,
vestì l’abito di S. Benedetto nel Monastero di San Faustino in Bre-
scia da dove, dopo aver compiuto i suoi studi teologici e filosofici,
venne inviato a Padova nel Monastero di S. Giustina, perchè avesse
la possibilità di seguire in quella Università gli studi per i quali mo-
strava grande inclinazione. A Padova egli diventa « uditore e disce-
polo » di Galileo, frequentando la casa del Maestro e assistendo alle
sue esperienze, fra le quali quelle che servirono di fondamento alla
invenzione del termometro, come risulta dal carteggio fra Galileo
e Benedetto Castelli 17).

Si è potuto stabilire che nel 1607 interviene al Capitolo Generale
tenuto nella Badia di Cava dei Tirreni, al seguito di un Abate dell’Or-
198 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

dine, e poi fino al 1610 mancano precise notizie ; forse è stato a
Montecassino, perché là si conservano di quel tempo due mano-
scritti autografi, uno intorno allo studio delle macchie solari, inedito,
e l'altro Galileo, delle cose che stanno sull'acqua **).

Quando Galileo Galilei lasció la Serenissima per andare a Basi
il Castelli volle stare vicino al Maestro « per poter — come egli scrive —
far di quei guadagni che si fanno con la conversazione di V. S. quali
sono da me stimati sopra ogni altro bene di questo mondo ». E il
Galilei di lui scriveva : «. .. la felicità del Suo ingegno non lo fa bi-
sognoso dell’opera mia nè di altri ».

Il Castelli si fa trasferire nella Badia di Firenze e diventa il più
assiduo ed intelligente dei collaboratori di Galileo, particolarmente
nelle osservazioni dei Pianeti Medicei per una più esatta determi-
nazione dei loro periodi ; lo studio delle macchie solari (è del Castelli
il metodo di osservarle, ottenendone la proiezione attraverso il tele-
scopio sopra una carta, per non offendere l'occhio); e infine sui
dibattiti circa le cause del galleggiare dei solidi '*).

Poichè si era reso vacante il posto di lettore di matematica nel-
l’Università di Pisa, con l’appoggio di Galileo, e col favore della
corte di Toscana, egli la ottenne ; ed è a Pisa appunto che il Mae-
stro gli indirizzó la famosa lettera «circa '| portar le Scritture Sacre
in dispute di conclusioni naturali », che fu la causa principale dei ben
noti processi.

Quando il cardinale Maffeo Barberini diventó papa, volle con sé
a Roma il Castelli, per utilizzarlo come consulente in materie idrau-
liche, come istruttore di Taddeo Barberini, e come lettore di mate-
matiche nella Sapienza di Roma. Ed é a Roma che egli stese « quel
trattato della misura delle acque correnti, che è l'opera per la quale
il suo nome è stato fin qui maggiormente raccomandato alla reve-
renza della posterità » *°).

Si sa che il Castelli enunciò una ben nota legge di fotometria.
Discutendo «con alcuni letterati che facevano difficoltà come po-
tesse la terra illuminare più la luna di quello che fa la luna la terra »,
egli giunse alla legge che «l’intensità del lume scemi nella propor-
zione in cui crescono i quadrati delle distanze ».

Il Favaro, che di Benedetto Castelli è stato uno dei più auto-
revoli biografi, afferma : « Quella medesima considerazione del lume
secondario della luna che gli era stata scorta a formulare questa
‘legge, lo conduceva appresso ad una divinazione che sola basterebbe
ad attestarne la mente superiore. Congratulandosi con Galileo per i

en
DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 199

nuovi scoprimenti da lui fatti nella Luna, il 14 novembre 1637 scrive
d'esser riuscito nel mese precedente a vedere in modo assai distinto
questo lume secondario quando la luna era vicino al primo quarto,
e richiamandosi a quello che il Maestro aveva scritto nel Sidereus
Nuncius, e nel Dialogo dei massimi sistemi, aggiunge testualmente :
giudicai ancor io a’ giorni passati che ritrovandosi la luna meridionale
dovesse essere illustrata dalla terra, e peró mi venne in mente che le
terre meridionali a noi incognite debbono essere vastissime provincie,
e che però riflettono gagliardo lume nella luna ; tale concetto ripor-
tava la piena approvazione di Galileo; e così parecchi anni prima
che venisse effettivamente scoperta, il Castelli divinava la esistenza
del continente Australiano » ?).

I] Castelli fu Maestro del Cavalieri, del Borelli e del Torricelli,
e mise i suoi allievi in relazione con Galileo, tanto che essi furono con-
siderati discepoli di quest'ultimo.

Come ho accennato, il Castelli ha inventato il pluviometro pro-
prio qui nel Monastero di San Pietro in Perugia. In una precedente
comunicazione ho riportato il testo della lettera con la quale, nel
1639, il Castelli comunicava al Galileo di aver misurato la pioggia
proprio in uno dei chiostri di questo Monastero *).

Voglio infine ricordare che Benedetto Castelli non è stato soltanto
un grande scienziato, ma anche uno zelantissimo monaco : egli, in-
fatti, fu Abate di Praglia, di Foligno e di altri due monasteri in Sicilia.

Un'altra figura di Benedettino della fine del secolo xvii da ri-
cordare, fu quello di Benedetto Bacchini. Egli non fu soltanto un
dotto in teologia, in Sacra Scrittura e in filologia, ma anche in fisica,
meccanica e in medicina. Tradusse alcuni Saggi di Anatomia e si
occupó di studi interessanti riguardanti le oscillazioni del barometro
durante i temporali **).

Fra i Benedettini del secolo xvii mi piace ricordare Alberto
Colombo; famoso professore di meteorologia.

L'insegnamento della meteorologia nell'Università di Padova
fu iniziato già nel 1583, come insegnamento libero, e nel 1678 entrò
nel novero delle cattedre ordinarie con l’aggiunta della lettura del-
l’astronomia. Nel 1744 fu stabilito che gli alunni «i quali si fossero
dedicati allo studio dell'Astronomia e Meteore potevano conseguire
la laura e gli altri gradi accademici nella stessa guisa come quelli
che frequentavano le lezioni dei filosofi ordinari ». Nel documento
di nomina del Colombo a titolare della cattedra di Astronomia e
Meteore, si dice che per la dottrina e per il talento suo distinto
200 CONVEGNO : STORICO PER IL MILLENNIO

ha stabilito al proprio nome un ottimo e degno concetto anche ap-
presso agli esterni letterati e, con l’erudite stampe date alla luce,
fatta spiccare la piena cognizione che tiene nelle materie filosofi-
che, matematiche ed altre scienze » ?*).

L’abbazia di San Pietro in Perugia lega il suo nome ad un altro
famoso Benedettino, Andrea Bina, nato a Milano il 1° gennaio 1724
e insegnante di filosofia nei conventi Benedettini di Padova, Peru-
gia e Milano. Dagli argomenti trattati nelle sue pubblicazioni si può
arguire che il Bina era un buon fisico.

Fu proprio a Perugia, in questo Monastero, che Andrea Bina
inventò il sismografo. Nel suo lavoro, pubblicato a Perugia nel
1751 e dedicato a Don Carlo Gonzaga dei Duchi di Mantova, a quel
tempo Governatore di Perugia, Ragionamento sopra la cagione de’
Tremuoti, ed in particolare di quello della terra di Gualdo e Nocera
nell' Umbria seguito l'anno 1751, egli così scrive a pagina 46 : « So-
speso ad una trave della stanza di piano superiore (poichè costì
alquanto più sensibili riescono gli scuotimenti) un mobilissimo pen-
dolo, nella di cui estremità inferiore sia inserito un globo di piombo
di notabile peso, ed in questo sia impiantato uno stilo di circa un
pollice e mezzo di lunghezza, colla punta verso il pavimento ; si
riempia di finissima arena o di qualche sostanza molle, ma di po-
chissima tenacità, una cassetta di legno all’altezza di due o tre pol-
lici, e questa si posi sull'acqua contenuta in un vaso di molta am-
piezza, cosicchè galleggi, e la punta dello stilo sia un tantino intinta
nell'arena o materia molle. Dalli solchi che essa vi scaverà si potrà
conoscere la qualità, e l'impeto delle scosse; se il tremuoto sarà
stato regolare o di ondeggiamento, rettilinei saranno i solchi; se
tremolo ed irregolare, saranno tortuosi; se sarà stato verticoso o
di sovversione, si conoscerà ció dalla profondità, a cui lo stilo sarà
penetrato entro la materia molle ; e secondo che piü lunghi o piü
brevi saranno stati li solchi, come pure a misura che piü o meno
veementi saranno stati li crolli che il tremuoto avrà cagionato ».

Nello stesso opuscolo Andrea Bina espone la sua teoria circa
la ragione dei terremoti. Dopo aver passato in rassegna le varie
opinioni degli antichi sulla natura dei terremoti, e dopo aver abbel-
lito con erudizione storica e classica la sua esposizione, egli attribui-
sce alla elettricità la loro causa. Per questo puó essere considerato
come il precursore di due successivi capiscuola di sismologia, il Bec-
caria e lo Stukeley, che pur partendo da diverse opinioni, afferma-
vano più tardi che il terremoto è dovuto all’azione dell'elettricità **).

— —

DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 201

*
* *

‘Non credo opportuno continuare ad elencare altri illustri Bene-
dettini distintisi nelle scienze matematiche, fisiche e naturali. Ma
non posso fare a meno di concludere questo mio scritto con un re-
verente omaggio alla cara memoria di Bernardo Paoloni, che ebbi
la fortuna di conoscere personalmente e con il quale ho collaborato,
particolarmente nella sua rivista « La Meteorologia Pratica ».

Bernardo Paoloni, originario di Norcia, ha svolto la sua iniziale
attività di studioso sotto la guida dell’Abate Giuseppe Quandel, che
nel 1876 aveva fondato l'Osservatorio Meteorologico di Montecassino.

Alla morte di Quandel, Bernardo Paoloni divenne Direttore del-
l'Osservatorio Meteorologico e dal 1908 uno degli uomini più attivi
per gli studi e le ricerche di meteorologia pura ed applicata in Ita-
lia 2°).

Paoloni fu il primo, dopo la scoperta della radiotelegrafia da parte
di Marconi (con il quale ha avuto una numerosa corrispondenza)
a studiare i disturbi atmosferici nelle trasmissioni radio, stabilendo
una propria scala di tali disturbi. L’attività in questo campo fu
riconosciuta importante dalle autorità scientifiche del tempo, e il
Consiglio Nazionale delle Ricerche istituì nel 1928, sotto la dire-
zione del Paoloni, il « Servizio Radioatmosferico Italiano », forte
di 24 stazioni permanenti sparse in tutta Italia.

Sempre per iniziativa di Bernardo Paoloni, che l'aveva solleci-
tato dal 1923, fu fondato nel 1930 il « Servizio Meteorico Sanitario
Italiano », che può ben considerarsi uno dei primi servizi per studi
e ricerche di bioclimatologia non solo in Italia, ma nel mondo.

Già dal 1914 egli aveva istituito un « Servizio Meteorico Agrario »
in Terra di Lavoro, che praticamente cessò di funzionare quando
Bernardo Paoloni lasciò Montecassino per venire a Perugia nel 1931.

A Perugia egli continuò ad occuparsi intensamente dei servizi
creati e nel 1937, dopo molte fatiche, riuscì ad installare un Osser-
vatorio Sismologico, intitolato ad Andrea Bina, l’inventore del

sismografo.

Dal 1920 aveva fondato la rivista « La Meteorologia Pratica »,
che erà praticamente la continuazione del « Bollettino » dell'Osser-
vatorio Meteorologico di Montecassino, sul quale egli non si limitavà
a trascrivere i dati meteorologici registrati, ma ospitava articoli
e dibattiti sulla meteorologia pura ed applicata. Si puó affermare
che per molti anni « La Meteorologia Pratica » fu il centro di tutto

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202 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

il movimento di studi e di ricerche della meteorologia italiana, tanto
che nel 1930 diventó organo ufficiale della Società di Meteorologia
Italiana. E la Società non conobbe maggiore attività come in quel
periodo con Paoloni Segretario Generale. Per la stesura del presente
scritto, la rivista di Don Bernardo è stata preziosissima fonte
d’informazioni.

Molte sono le pubblicazioni scientifiche del Paoloni. Egli, fra
l’altro, ideò un anemometro fotoelettrico, costruito e distribuito
dalla Società costruttrice « Salmoiraghi ». Fu un assiduo sosteni-
tore di tutte le attività scientifiche collegate alla meteorologia e un
vero amico dell’ecologia agraria, che egli seppe difendere e propagare.

Non dimenticherò mai la paterna affettuosità che egli sempre
volle elargirmi, i consigli, l’incitamento perchè io continuassi con
passione gli studi intrapresi. Quando parlava delle questioni riguar-
danti le sue attività, si eccitava e diventava più giovane di noi nel-
l'entusiasmo, tanto che a volte, preso dalla foga della discussione,
diventava anche brusco. Ma poi prevaleva in lui il monaco Bene-
dettino, si pentiva e con modestia cercava la pace e l'amicizia. D'al-
tra parte, chi non crede fermamente nelle sue idee e non le difende
con entusiamo e foga, chi non ha l'ambizione di scoprire e dare qual-
che cosa di nuovo, non potrà mai contribuire al progresso del sapere.
Il suo ricordo ed i suoi insegnamenti rimarranno sempre cari al mio
cuore.

*
*ock

Ho cercato di dare succintamente uno sguardo sull'attività dei
figli di S. Benedetto nelle scienze matematiche, fisiche e naturali.
Come ho detto al principio di questa mia esposizione, non era possi-
bile poter parlare soltanto dei Benedettini di San Pietro in Perugia,
perché i Benedettini non appartengono ad una Abbazia, ma bensi
all'intera Famiglia dell'Ordine.

Da quanto ho esposto emerge che i Benedettini furono sempre
superiori, o almeno non inferiori, ai secoli in cui vissero anche per le
scienze matematiche, fisiche e naturali. In mezzo alle vicende dei
tempi, fra le immense difficoltà che anche il loro Ordine ha incon-
trato dalla fondazione, essi seppero partecipare al progresso del sa-
pere umano, con dedizione ed entusiamo, in perfetta armonia e cor-
rispondenza al loro bellissimo motto «ora et labora ».
DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA

NOTE

1) PAOLONI B., Il contributo dato in 14 secoli dai Benedettini cassinesi
alle scienze fisiche, astronomiche, mediche e naturali, e il cinquantenario della
fondazione dell’Osservatorio di Montecassino, in « La Meteorologia Pratica »,
Vol. vir, n. 6, novembre-dicembre 1926, p. 196.

*) PENCO G., La storia del monachesimo in Italia, Edizioni Paoline, 1959,
p. 465.

3) PENCO G., op. cit., pp. 465-466.

*) PAOLONI B., op. cit., p. 196.

P) BENCO:.G; 50D. etl. p. 13.

*) Idem, p. 468.

7): Idem; p. 467.

*) PAOLONI B., op. cit., p. 198.

*))' PENCO G; op. “cit p. 409,

15-"PAOLONI Bi, op. cili: p.199:

"Jdem, op: cit., p. 470:

1?) Idem, p. 470.

1*) PAOLONI B., op. cil., p. 201.

14) CAIRA A., Le scienze nel secolo XVII ed i Benedettini Cassinesi, in
«La Meteorologia Pratica », Vol. vir, n. 6, novembre-dicembre 1926, pp. 236-
242.

15) Borrrro G., I Benedettini di Vallombrosa nella storia della Meteo-
rologia, in « La Meteorologia Pratica», Vol. vir, n. 6, novembre-dicembre
1926, p. 244.

1°) BALTADORI A., Un secolo e mezzo di osservazioni meteorologiche a Pe-
rugia, in « Bollettino della Deputazione di Storia Patria per l'Umbria », Vol.
xii (1946).

1?) FAvARO A., Benedetto Castelli nella storia della scienza, in «La Me-
teorologia Pratica », Vol. vir, n. 6, novembre-dicembre, 1926, p. 8.

15) AMELLI A. M., Don Benedetto Castelli, brevi cenni sulla vita e sulle
opere, in «La Meteorologia Pratica», Vol. vir, n. 6, novembre-dicembré
1926, p. 248.

19) FAVARO À., 0p. cit., p. 9.

:0)-. idem, p.:10;

31) idem, p. 10-11.

?) BALTADORI A., op. cil.

*3) CAIRA A., op. cit., pp. 241-242.

24) CRESTANI G., L'insegnamento di Meteorologia all’ Università di Padova
di Giovanni Alberto Colombo, in « La Meteorologia pratica », vol. nr, n. 6,
D+ 224.
204 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

25) AGAMENNONE G., L'inventore del sismografo a pendolo, in « La Meteo-
rologia Pratica », Vol. vir, n. 6, p. 265.

26) MARESCALCHI A., Venticinque anni di attività meteorologica del P.
Paoloni, in « La Meteorologia Pratiea », vol. xv, n. 1, 1934, pp. 3-6.

‘ BATTELLI. — Ringrazio vivamente il prof. Baltadori, a nome an-
che dei presenti, di averci dato un’illustrazione così viva e precisa di un
aspetto delle attività svolte dai Benedettini di San Pietro, che a molti
di noi era ignoto o poco noto. Prego ora il prof. Velatta, anch'egli do-

cente nella Facoltà di Agraria, di parlare di un tema che in questi,

ultimi anni ci ha tenuti in trepidazione : il lago Trasimeno.

L'opera di un benedettino a salvaguardia
del Trasimeno

Nel riferire sull'opera di un famoso benedettino a favore del Lago
Trasimeno cominceremo con qualche accenno all'oggetto stesso di
tante cure. Esso fino a ieri interessava una superficie complessiva
di 309 kmq. di cui: 126 kmq. pari al 41% circa, rappresentano la
superficie dello specchio liquido, mentre il restante, pari a 183 kmq.
costituisce la superficie del bacino scolante. La linea di spartiacque
per 180% del suo andamento passa attraverso cime di modeste
alture tutte inferiori a 500 m. s.l.m. salvo il buon tratto setten-
trionale compreso tra il Colle dei Termini (m. 577 s.l.m.) a Nord di
Terontola, il Colle Torre Civitella (m. 607 s.l.m.) a nord-est di Passi-
gnano. Le parti più elevate del bacino imbrifero sono formate da de-
positi lacustri del Pliocene (Colli di Chiusi), a oriente da arenarie e
da argille marmose. Le parti basse invece sono ricoperte da una
coltre di depositi fluviali sovrapposti a terreni del quaternario an-
tico. Il lago è alimentato dalle piogge che cadono sul suo bacino e che
mediamente raggiungono un'altezza da 700 a 800 mm. ; è poco pro-
fondo con altezze d’acqua che nella maggior parte sono al disotto dei 3
m. e sporadicamente raggiungono i m. 7. Esistono sul lago tre isole :
la Maggiore, la Minore e la Polvese per un complesso di 80 Ha. La
maggiore d'esse é la Polvese. L'assenza di emissario naturale e le
conseguenze disastrose della escursione di livello richiamarono sem-
pre l'attenzione dei governi e dei tecnici anche dei secoli passati.
) EA E

DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 205

Si ritiene infatti, con fondatezza che il problema del lago sia stato
preso in considerazione già dai Romani ai quali si attribuì la costru-
zione di un cunicolo che doveva permettere il deflusso delle acque
durante il periodo di piena. Di tale cunicolo non è rimasta traccia
sicura ma la presunzione che l’emissario fatto costruire nel 1420
da Braccio Fortebraccio da Montone, signore di Perugia, rappresen-
tasse un ripristino dell'emissario romano. E ciò soprattutto per la
circostanza che vi furono ritrovate monete e medaglie romane.
L’emissario di Braccio Fortebraccio denominato «cava », tut-
tora esistente, segna un tracciato irregolare e tortuoso per una
lunghezza di 1057 m. di cui 900 in galleria per attraversare la Sella
situata tra San Savino e Monte Petreto. Il dislivello fra gli estremi
è di m. 1,44 ed il cunicolo, che in corrispondenza del culmine massimo
della sovrastante collina corre ad una profondità di m. 37,72 ha la
sezione all'imbocco rettangolare larga m. 1,46 ed alta m. 3 mentre
allo sbocco è larga m. 1 ed alta m. 1,40. Il cunicolo comunica con
l'atmosfera attraverso nove pozzi di altezza variabile. A valle le
acque dell’emissario si dirigono nell’alveo del torrente Caina che
perviene al fiume Tevere con l’intermedio del fiume Nestore. Ma
anche l’emissario medioevale di Fortebraccio da Montone non ri-
sultò sufficiente ai fini di una efficace moderazione delle piene. Le
escursioni di livello del lago negli anni piovosi rimasero abbastanza
sensibili tanto che venne attuata dal Papa Sisto v, nell’anno 1482,
la deviazione dei torrenti Tresa e Rio Maggiore, già tributari del
Lago Trasimeno, immettendoli nel lago di Chiusi. Nel 1490 si ri-
corda una forte alluvione e così dicasi del 1602 nel qual anno si re-
gistrò una piena di m. 3,45 sopra la soglia dell'emissario tanto che
Clemente vin decise di rinettare la « Cava » come ci ricorda una let-
tera datata 15 giugno 1602 con la quale il pontefice incaricava mon-
signor Maffeo Barberini della esecuzione dei lavori. Il codice Barbe-
riniano Latino dellArchivio Vaticano contiene infatti un lungo
manoscritto nel quale gli architetti Paolo Maggi, Giovanni Rosa,
e Carlo Maderno espongono alcune loro idee circa i lavori da farsi.
Ma l'incarico di studiare e proporre le opere per la bonifica fu, da
Monsignor Barberini, affidato poi agli architetti Giovanni Fontana,
Giovanni de Rosis e Paolo Maggi, i quali « dopo aver compiuto una
visita insieme a SS. Ill.ma del lago » e dopo aver compiuto numerosi
«rilevamenti » scrissero una dettagliata relazione nella quale è in-
nanzi tutto detto che le « cagioni perchè il lago sia alzato circa 16
palmi sono tre. La prima perchè l’emissario sotterraneo di detto

—on
206 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

lago che si chiama la Cava .... patisce diverse rotture et dilamature
che lo turano ed impediscono il corso dell'acqua ; la seconda perchè
detta Cava fu tenuta serrata hor fa sei anni, per lo spatio di 18 mesi
continui, con l'occasione di risarcitarla et altre volte pure s'é te-
nuta serrata per la medesima occasione, di ripari; la terza per le
piogge straordinarie degli anni passati, che hanno fatto crescere
non pur questo lago, ma tutte le altre acque d'Italia. I tre archi-
tetti dopo aver eseguito una serie di rilievi precisano il da farsi :
«Nel punto dove la cava è più profonda rispetto al terreno, quivi
è allamato dentro di modo che non s'é potuto penetrare, e nettare,
e riparare tale allamatura, nè assicurarono, perchè essendovi stato
lavorato dentro molte volte, et levata la materia senza aver assi-
curato con muraglia il connesso del suolo sovrastante, ha causato
che essendo la dentro il tutto di una materia di pietre che si sciol-
gono, sentendo l’aria, sempre si sono andate smuovendo et sono
commosse tutte, et quando più se ne cava più se ne cascono delle
altre et per questo si è risoluto di schifar questa rottura con far
un pozzo nuovo dal fondo del quale si dovranno cavar due braccia
di cava nuova che andranno a trovare la vecchia fuori della rottura
et queste due braccia guideranno la cava a drittura essendo ella
in quel luogo assai storta ». Prima della fine del 1602 i lavori furono
ultimati giacchè la lapide che ricordava l'avvenimento porta la
data del 1602. I « risarcimenti » alla Cava dovettero essere efficaci
giacchè per molti anni non si hanno più notizie di inondazioni. Ma
senza la manutenzione diretta da Benedetto Castelli le cose non sa-
rebbero andate così. Successivamente alla scomparsa di questo
personaggio di lamentarono ancora inondazioni di borgate e cam-
pagne rivierasche, cosicchè negli ultimi anni del secolo scorso si
addivenne alla costruzione di una capace galleria, emissario che
garantì da qualsiasi esondazione. Tale provvedimento tecnico tutta-
via comportò altra deficienza del sistema idraulico in parola ; giac-
chè periodicamente il lago soffriva di pericolose asciutte. Sicchè
si addivenne in questi ultimissimi anni alla reimmissione nel lago
di torrenti che nei secoli scorsi ne erano state divertiti a cagione
delle inondazioni accennate.

Attualmente l’immissione dei torrenti Tresa, Rio Maggiore,
Mojano e Maranzano nel Trasimeno, incrementando da kmq. 183
a kmq. 258, cioè di 75 kmq., pari al 40% del primitivo, il bacino
tributario del lago, lo ha salvato dal ricorrente paludismo. È infatti
ormai indiscusso che il Trasimeno, con i precedenti suoi 183 kmq.
—L

DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 207

di bacino imbrifero e la diminuzione di profondità conseguente alla
soglia del 1898 non poteva assolutamente affrontare le cicliche sic-
citosità senza lo stabilirsi del paludismo.

"L'incremento, regolabile sino all'esclusione eventuale, di bacino
imbrifero ottenuto con le ultime opere comporta una notevole ri-
serva liquida che sostituisce quella che si accumulava nel lago — inon-
dando peraltro campagne e paesi — fungendo da volano idrico, prima
che si stabilisse la efficiente soglia del 1898. Il ritorno graduale alla
normalità, con precipitazioni vicine alle medie, era previsto per
l'anno 1969. Una maggior piovosità del previsto ha invece condotto
il lago a sfiorare il Sabato Santo del 1964. I laureandi dell'Istituto.
di Idraulica agraria dell'Università di Perugia, ebbero la ventura
di effettuare un'esercitazione straordinaria, misurando, mediante
mulinello idrometrico, la portata all'imbocco della galleria emissa-
ria in quella storica giornata, che praticamente seguiva a quaranta.
ánni di sofferenze del Lago, sorgente a nuova vita con un anticipo
di cinque anni sul previsto.

Ed ora veniamo piü particolarmente a quel personaggio legato.
al. Trasimeno, che abbiamo finora appena accennato o poco piü. .

Padre Benedetto Castelli (al secolo Antonio) nacque non si sa
se a Brescia o nei suoi dintorni, in data non precisata, ma proba-
bilmente nell'anno che segnó la nota pestilenza del 1577. Per un
malinteso, chiarito successivamente, nello scorso secolo alcuni cre-
dettero di poter fissare la data di nascita in discorso al 24 giugno
1577. Tale erroneità è sopratutto sostenuta dal Guerrini. È da ri-
levare tuttavia che la data del 1578 — da taluni affacciata — sa-
rebbe contraddetta da un importante documento del secolo scorso,
dato alle stampe solo nel 1961. Si tratta della relazione prodotta.
avanti alla Giunta municipale di Brescia addì 4 ottobre 1878 da
parte dell’abate A. Lodrini, eminente studioso bresciano. Secondo
un albero genealogico compilato dal Lodrini, Benedetto (al secolo
Antonio) Castelli nacque nel 1577, primogenito, e nel 1578 sarebbe
nato il secondogenito, Ortensio.

Padre Benedetto conobbe Galileo a Padova verso il 1604 e poi lo

raggiunse nel 1611 a Firenze, dove collaborò con il Maestro nelle,

ricerche di Astronomia. A partire dal 1613 nell'Università di Pisa
lesse Matematiche.

Urbano vin consultò il Castelli per lavori di Idraulica, e così,

nacque in Padre Benedetto l’avvio allo studio delle acque correnti.
Nel 1626, il Nostro venne chiamato dallo stesso pontefice a.
n

208 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

hi

Roma per tenere la cattedra di Matematica alla Sapienza, cattedra
che occupò sino alla fine dei suoi giorni terreni.

In alcune lettere del carteggio Galileo - Castelli, ricorrono inte-
ressanti considerazioni sul lago, in quanto Castelli era l’idraulico uf-
ficiale pontificio, e quando ancora il cardinal Barberini, poi salito
al papato, era prefetto delle strade, per suo conto il Castelli, dovette
occuparsi dello emissario. A tal proposito egli ci lasciò scritto :

« Queste materie di acque, e per quanto sinora ho in diverse
occasioni osservato, si trovano involte in tante difficoltà, e molti-
plicità di stravagantissimi accidenti, che non è meraviglia nessuna,
se continuamente da molti, ed anco dalli ingegneri stessi, e periti
si commettono intorno a quelle importanti errori: e perché molte
volte non solo intaccano gli interessi pubblici, ma ancora i privati, di
qui è, che non solo appartiene a Periti trattarne, ma bene spesso
ognuno del volgo pretende darne il suo giudicio : ed io mi sono ab-
battuto piü volte, necessitato a trattare non solo con quelli, che o
per pratica, o per istudio particolare intendevano qualche cosa in
queste materie, ma ancora con persone ignude affatto di quelle co-
gnizioni, che sono necessarie per potere con fondamento discorrere
sopra cotal particolare ; e cosi molte volte ho incontrato più diffi-
coltà ne i duri capi delli uomini, che ne’ precipitosi torrenti, e vaste
paludi. E particolarmente ebbi occasione gli anni passati di andare
a vedere la Cava, ovvero emissario del lago di Perugia, fatta già
da Braccio Fortebraccio, molti anni sono, ma per essere poi con
grandissimi danni dal tempo stata rovinata, e renduta inutile, fu
risarcita, con opera veramente eroica, e meravigliosa da monsignor
Maffeo Barberini, allora Prefetto delle strade, ed ora Sommo Ponte-
fice Romano (Urbano VIII). Ed essendo io necessitato per poter cam-
minare dentro la Cava, e per altro, a fare serrare le cateratte della
detta cava all'imboccatura del lago, non sì tosto le ebbi serrate, che
accorrendo una gran moltitudine di gente de’ castelli e terre intorno
alle riviere del lago, cominciarono a fare doglianze grandi, rappre-
sentando, che tenendosi serrate quelle cateratte, non solo il lago
non aveva il suo debito sfogo, ma allagava tutte le riviere del lago
con gravissimi danni. E perchè a prima apparenza il loro motivo
aveva assai del ragionevole, io mi trovai a mal partito, non vedendo
modo il persuadere a tanta moltitudine, che quel pregiudizio, che
essi pretendevano, che io facessi loro con tenere chiuse le cataratte
due giorni, era assolutamente insensibile, e che con tenerle aperte,
il lago non si sbassava nel medesimo tempo nè meno quanto era
E ——— EA

DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 209

grosso un foglio di carta: peró mi convenne valermi di quell'auto-
rità, che io teneva, e cosi seguitai a fare il mio negozio, come conve-
niva, senza riguardo nessuno a quella plebe tumultuariamente ivi
radunata. Ora che il mio lavoro si fa, non con zappe, e con le pale,
ma con la penna, e col discorso, intendo dimostrare chiaramente
a quelli, che sono capaci di ragione, e che hanno inteso bene il fonda-
mento di questo mio trattato, che era vanissimo il timore, che quella
gente aveva concepito. E peró dico, che stando l'emissario, o Cava
del lago di Perugia nel modo, che si trova di presente, e camminando
l'acqua per essa con quella velocità, che cammina ; per esaminare
quanto puó abbassarsi il lago nello spazio di due giorni, dobbiamo
considerare, che proporzione ha la superficie di tutto il lago alla mi-
sura della sezione dell'emissario, e poi inferiore che avrà la mede-
sima proporzione la velocità dell’acqua per l'emissario all'abbassa-
mento del lago ; e per istabilire bene, e chiaramente questo discorso,
intendo dimostrare la seguente proposizione».....
Proposizione che dobbiamo tralasciare per ragione di spazio.

Ma in altre occasioni Benedetto Castelli, che aveva nel frattempo
vie piü affinato il suo intuito idraulico ebbe ad esercitare il suo man-
dato di tecnico idraulico sul Trasimeno, e ne è prova nella lettera
da lui diretta a Galileo addi 18 giugno 1639 : « A giorni passati ri-
trovandomi in Perugia, dove si celebrava il nostro Capitolo generale,
avendo inteso che il lago Trasimeno, per la gran siccità di molti
mesi, era abbassato assai, mi venne curiosità di andare a riconoscere
occultamente questa novità, e per mia particolare soddisfazione,
ed anco per poter riferire a’ padroni il tutto con la certezza della
visione del luogo. E cosi, giunto all'emissario del lago, ritrovai che il
livello della superficie del lago era abbassato cinque palmi romani
in circa dalla solita altezza, in modo che restava piü basso della so-
glia dell'imboccatura dell'emissario, e peró non usciva dal lago punto
di acqua, con grandissimo incomodo di tutti i paesi e castelli circon-
vicini, per rispetto che l’acqua solita uscire dal lago fa macinare
ventidue macine di mulini, le quali non macinando necessitavano
tutti gli abitatori di quei contorni a camminare lontani una giornata
e piü per macinare al Tevere.

Ritornato che fui in Perugia, segui una pioggia non molto grossa,
ma continovata assai, ed uniforme, quale duró per ispazio di otto
ore in circa: e mi venne in pensiero di voler esaminare, stando in
Perugia, quanto con quella pioggia poteva essere cresciuto e rial-

14
210 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

zato il lago, supponendo (come aveva assai del probabile) che la
pioggia fosse universale sopra il lago, ed uniforme a quella che
cadeva in Perugia ; e così, preso un vaso di vetro di forma cilindrica,
alto un palmo in circa, e largo mezzo palmo, ed avendogli infusa un
poco d’acqua, tanto che coprisse il fondo del vaso, e poi l’esposi a
l’aria aperta a ricevere l’acqua dalla pioggia che ci cascava dentro,
e lo lasciai stare per ispazio d’un’ora, ed avendo osservato che nel
detto tempo l’acqua si era alzata nel vaso considerai che, se io avessi
esposti alla medesima pioggia altri simili ed eguali vasi, in ciasche-
duno di essi si sarebbe rialzata l’acqua secondo la medesima mi-
sura : e pertanto conclusi, che ancora in tutta la ampiezza del lago
era necessario che l’acqua si fosse rialzata nello spazio d’un’ora la
medesima misura. Qui però mi sovvennero due difficoltà, che po-
tevano intorpidare ed alterare un tale effetto, o almeno renderlo
inosservabile, le quali poi considerate bene, e risolute, mi lascia-
rono, come dirò più a basso, nella conclusione vera che il lago do-
veva essere cresciuto nello spazio di otto ore, che era durata la piog-
gia, otto volte tanto. E mentre io di nuovo, esponendo il vaso, stava
replicando l’operazione, mi sopravvenne un Ingegnero, per trattare
meco di certo interesse, del nostro monastero di Perugia, e ragio-
nando con esso li mostrai il vaso dalla finestra della mia camera,
esposto in un cortile, e li comunicai la mia fantasia, narrandogli
tutto quello che io aveva fatto. Allora m’avvidi che questo galan-
tuomo formò concetto di me che io fossi di assai debole cervello :
imperocchè sogghignando disse :

«Padre mio, v'ingannate: io tengo che il lago per questa piog-
gia non sarà cresciuto, nè meno quant’è grosso un giulio ». Senten-
dolo io pronunziare questa sentenza con grande franchezza e riso-
luzione, gli feci istanza che mi assegnasse qualche ragione del suo
detto, assicurandolo che io avrei mutato parere alla forza delle sue
ragioni, ed egli mi rispose che aveva grandissima pratica del lago,
e che ogni giorno ci si trovava sopra, e che era molto bene sicuro
che non era cresciuto niente. E facendogli io pure istanza che mi
assegnasse qualche ragione del suo parere, mi mise in considerazione
la gran siccità passata, e che quella pioggia era stata come un niente
per la grand’arsura. Alla qual cosa io risposi : « Signore, io pensava
che la superficie del lago, sopra del quale era cascata la pioggia, fosse
bagnata », e che però non vedeva come la siccità sua, ch’era nulla,
potesse aver assorbito, per così dire, parte nessuna della pioggia.
In ogni modo persistendo egli nella sua opinione, senza punto piegarsi

+ — --

DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 211

per lo mio discorso, mi concedè alla fine (cred'io per farmi favore)
che la mia ragione era bella, e buona, ma che in pratica non doveva
uscire. Allora per chiarire il tutto feci chiamare uno, e di lungo lo
mandai alla bocca dell'emissario del lago, per ordine che mi portasse
precisamente ragguaglio come si trovava l'acqua del lago, in rispetto
alla soglia della imboccatura. Ora qui, signor Galileo, non vorrei
che V. S. pensasse che io mi avessi accomodata la cosa fra le mani
per stare su l'onor mio, ma mi creda (e ci sono testimoni viventi)
che, ritornato a Perugia la sera, il mio mandato portó relazione che
l'aequa del lago cominciava a scorrere per la cava, e che si trovava
alta sopra la soglia, quasi un dito ; in modo che, congiunta questa
misura con quella che misurava prima la bassezza della superficie
del lago sotto la soglia avanti la pioggia, si vedeva che l'alza-
mento del lago cagionato dalla pioggia era stato a capello quelle
quattro dita che io aveva giudicato. Due giorni dopo, abbattutomi
di nuovo con l'Ingegnero, gli raccontai tutto il fatto, e non seppe
che replicarmi ».

« Le due difficoltà poi, che mi erano sovvenute potenti a contur-
barmi la mia conclusione, erano le seguenti. Prima considerai, che
poteva essere, che spirando il vento dalla parte dell'emissario alla
volta del lago avrebbe caricata la mole, e la massa dell'acqua del
lago verso le riviere opposte, sopra delle quali alzandosi l'acqua
si sarebbe abassata all'imboccatura dell'emissario, e così sarebbe
oscurata assai l'osservazione. Ma questa difficoltà restó totalmente
sopita dalla grande tranquillità dell'aria, che si conservó in quel
tempo, perché non spirava vento da parte nessuna, né mentre pio-
veva, né meno dopo la pioggia.

La seconda difficultà, che si metteva in dubio l’alzamento era ;
che avendo io osservato costi in Firenze, ed altrove quei pozzi, che
chiamano smaltitoi, nei quali concorrendo le acque piovane dei cor-
tili, e case, non li possono mai riempire, ma si smaltisce tutta quella
copia d'acqua, che sopravviene per le medesime vene, che sommini-
strano l'acqua al pozzo, in modo, che quelle vene, che in tempo asciut-
to mantengono il pozzo, sopravvenendo altra copia d'acqua nel pozzo,
la ribevono, e l'ingoiano. Cosi ancora un simile effetto poteva se-
guire nel lago, nel quale ritrovandosi (come ha del verisimile) diverse
vene, che mantengono il lago, queste stesse vene avrebbero potuto
ribevere la sopravvenente copia d'acqua per la pioggia, e in cotal
guisa annichilire l'alzamento, ovvero scemarlo in modo, che si ren-
desse inosservabile. Ma simile difficoltà risolsi facilissimamente con
212 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

le considerazioni del mio trattato della misura dell’acque correnti ;
imperocchè avendo io dimostrato, che l'abbassamento di un lago
alla velocità del suo emissario ha reciprocamente la proporzione,
che ha la misura della sezione dell'emissario del lago alla misura della
superficie del lago, facendo il conto, e calcolo, ancora alla grossa,
con supporre, che le vene sue fossero assai ample, e che la velocità
dell'acqua per esse fosse notabile nell'inghiottire l'acqua del lago,
in ogni modo ritrovai, che per ingoiare la sopravvenuta copia d'acqua
per la pioggia, si sarebbero consumate molte settimane, e mesi : di
modo che restai sicuro, che sarebbe seguito l'alzamento, come in
effetto è seguito.

E perchè diversi di purgato giudizio mi hanno di più posto in
dubbio questo alzamento, mettendo in considerazione, che essendo
per la gran siccità, che aveva regnato, disseccato il terreno, poteva
essere, che quella striscia di terra, che circondava gli orli del lago,
ritrovandosi secca, assorbendo gran copia d'acqua del crescente
lago, non lasciasse cresce in altezza. Dico pertanto, che se noi con-
sidereremo bene questo dubbio, che viene proposto, nella medesima
considerazione lo ritroveremo risoluto; imperocché, concedasi,
che quella striscia di spiaggia di terreno, che verrà occupata dalla
crescenza del lago sia un braccio di larghezza intorno al lago, e che
per essere secca s'inzuppi d'acqua, e però questa porzione d'acqua
non cooperi all’altezza del lago ; conviene altresì in modo, che noi
consideriamo, che essendo il circuito dell’acqua del lago trenta mi-
glia, come si tiene comunemente, cioè novantamila braccia fiorentine
di circuito ; e pertanto ammettendo per vero, che ciaschedun brac-
cio di questa striscia beva due boccali d'acqua, e che di più per l'al-
lagamento suo ne ricerchi tre altri boccali, avremo, che tutta la
copia di questa porzione d’acqua, che non viene impiegata nell’al-
zamento del lago, sarà quattrocento cinquanta boccali d’acqua, e
ponendo, che il lago sia sessanta miglia riquadrate, tremila braccia
lunghe, troveremo, che per dispensare l’acqua occupata nella stri-
scia intorno al lago, sopra la superficie totale del lago, dovrà essere
distesa tanto sottile, che un boccale solo d’acqua venga sparso so-
pra a dieci mila braccia riquadrate di superficie : sottigliezza tale,
che bisognerà, che sia molto minore di una foglia d’oro battuto, ed
anco minore di quel velo d’acqua, che circonda le bollicine della
stessa acqua : e tanto sarebbe quello, che si dovesse detrarre dall’al-
zamento del lago ; ma aggiungasi di più, che nello spazio di un quarto
d'ora del principio della pioggia, tutta quella striscia si viene ad
DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 213

inzuppare dalla stessa pioggia, in modo che non abbiamo bisogno
per bagnarla, di impiegarci punto di quell’acqua, che casca nel lago.
Oltre che noi non abbiamo posto in conto quella copia d’acqua, che
scorre in tempo di pioggie nel lago dalla pendenza de i poggi, e monti,
che lo circondano, la quale sarà sufficientissima per supplire a tutto
il nostro bisogno. Di modo che, nè meno per questo si dovrà met-
tere in dubbio il nostro preteso alzamento. E questo è quanto mi è
occorso intorno alla considerazione del lago Trasimeno.

Dopo la quale, forse con qualche temerità inoltrandomi troppo,
trapassai ad un’altra contemplazione, la quale voglio rappresentare
a V. S. sicuro, che ella la riceverà, come fatta da me con quelle cau-
tele, che sono necessarie in simili materie, nelle quali non dobbiamo
assicurarci di affermare mai cosa nessuna di nostro capo per certa,
ma tutto dobbiamo rimettere alle sane, e sicure deliberazioni di
Santa Madre Chiesa, come io rimetto questa mia, e tutte l'altre,
prontissimo a mutarmi di sentenza, e conformarmi sempre con
le deliberazioni de i superiori. Continuando dunque il mio di sopra
spiegato pensiero, intorno all’alzamento dell’acqua nel vaso di so-
pra adoperato, mi venne in mente, che essendo stata la sopra men-
tovata pioggia assai debole, poteva molto bene intravvenire, che
cadesse una pioggia cinquanta, e cento, e mille volte maggiore di
questa, e molto maggiore ancora intensivamente (il che sarebbe
seguito, ogni volta, che quelle gocciole cadenti fossero state quattro,
o cinque, o dieci volte più grosse di quelle della sopra nominata piog-
gia, mantenendo il medesimo numero) ed in tal caso é manifesto,
che nello spazio di un'ora, si alzerebbe l'acqua nel vaso due, e tre
braccia, e forse più ; e conseguentemente quando seguisse una piog-
gia simile sopra un lago, ancora quel tal lago si alzerebbe secondo
l’istessa misura. E parimente, quando una simile pioggia fosse uni-
versale intorno a tutto il globo terrestre, necessariamente farebbe
intorno intorno al detto globo, nello spazio d’un’ora un alzamento
di due, e di tre braccia. E perchè abbiamo delle sacre memorie, che
al tempo del diluvio, piovve quaranta giorni e quaranta notti, cioè
per ispazio di 960 ore, è chiaro, che quando detta pioggia fosse stata
grossa dieci volte più della nostra di Perugia, l’alzamento delle acque
sopra il globo terrestre sarebbe arrivato e passato un miglio ; oltre
che le preminenze de’ poggi e de i monti, che sono sopra la superfi-
cie terrestre, concorrerebbero ancora esse a far crescere l’alzamento.
E pertanto conclusi, che l’alzamento delle acque del diluvio tiene
ragionevole convenienza con i discorsi naturali, delli quali so benis-
214 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

simo, che le verità eterne delle divine carte non hanno bisogno ;
ma in ogni modo mi par degno di considerazione cosi chiaro riscon-
tro, che ci dà occasione di adorare, ed ammirare le grandezze di Dio
nelle grand'opere sue, potendole ancora noi talvolta in qualche modo
misurare con le scarse misure nostre.

Moltissime notizie ancora si possono dedurre dalla ade ina
dottrina, le quali tralascio, perchè ciascheduno da se stesso le potrà
facilmente intendere, fermata bene che avrà questa massima ; che
non è possibile pronunziare niente di certo intorno alla quantità
dell'acqua corrente, con considerare solo la semplice misura volgare
dell'acqua senza la velocità, siccome per lo contrario: chi tenesse
conto solamente della velocità senza la misura commetterebbe er-
rori grandissimi, imperocché trattandosi della misura dell'acqua
corrente è necessario, essendo l'acqua corpo, per formare concetto
della sua quantità, considerare in essa tutte tre le dimensioni, cioé,
larghezza, profondità, e lunghezza: le prime due dimensioni sono
osservate da tutti nel modo comune, ed ordinario di misurare le acque
correnti; ma viene tralasciata la terza dimensione della lunghezza,
e forse tal mancamento é stato commesso, per essere riputata la
lunghezza dell'aequa corrente in un certo modo indefinita, mentre
non finisce mai di passare, e come infinita è stata giudicata incom-
prensibile, e tale che non se ne possa avere determinata notizia,
e pertanto non è stato di essa tenuto conto alcuno : ma se noi più
attentamente faremo riflessione alla considerazione nostra della ve-
locità dell’acqua, ritroveremo che tenendosi conto di essa, si tiene
conto ancora della lunghezza, conciossiacosachè mentre si dice la
tale acqua di fronte corre con velocità di fare, mille, o due mila canne
per ora, questo in sostanza non è altro che dire, la tale fontana sca-
rica in un'ora un'acqua di mille, o due mila canne di lunghezza.
Sicché sebbene la lunghezza totale dell'acqua corrente è incompren-
sibile, come infinita, si rende peró intelligibile a parte a parte nella
sua velocità. E tanto basti per ora di avere avvertito intorno a que-
sta materia, con isperanza di spiegare in altra occasione altri par-
ticolari più reconditi nel medesimo proposito ».

Come si vede, ad onta di quello strano «ingegnero » era nato,
per l'ingegno di Castelli, il pluviometro, apparecchiatura deal E
fin che si vuole, tuttavia mai prima realizzata.

Questa lettera del Nostro è di forte interesse, anche ai fini gene-
rali della valutazione dello spirito autocritico che lo distingue e .che
si estrinseca laddove esamina il problema della imbibizione dei terreni
>

DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 215

di gronda e dove affaccia col suo acume, forse per primo, il fenomeno
delle « sesse » dei grandi laghi, per cui temeva che potesse abbassarsi
il pelo liquido in corrispondenza dell’emissario.

Altri scritti ancora padre Benedetto diresse al suo grande Maestro.

Galileo, dall’esilio di Arcetri, rispondeva con effusione, all'ex .

discepolo, divenuto suo amico e collaboratore, con lettere 8 agosto,
19 agosto, 1° settembre 1639.

8 agosto

« Mentre stavo aspettando lettere dalla P. V. Reverendissima,
m'è pervenuto il trattato dell’acque correnti da lei ristampato con
l'aggiunta delle sue curiosissime e ingegnose lettere, da lei a me scritte
in proposito del lago Trasimeno e del diluvio universale registrato
nelle sagre carte. Per lo che la ringrazio della memoria che tiene
di me, e del procurare che il mio nome non s'estingua, ma si vada
continuando nelle memorie delle future genti ». -

19 agosto

« Sento con diletto l'applicazione che la Paternità Vostra Reve-
rendissima fa con l’intelletto a nuove speculazioni dipendenti da
questo suo ultimo trattato in proposito del lago Trasimeno, e starò
con desiderio aspettando di parteciparne, conforme a che ella me ne
dà speranza. Quanto alla moltitudine delle gocciole cadenti sopra
una -superficie data, ed al modo di trovarla, le dirò solo la conclu-
sione e l’operazione, lasciandone la dimostrazione al discorso di lei ».

1° Settembre

« Con la gratissima sua ho ricevuto la scrittura in proposito del
rimediare all'incomodo che talora si patisce nel macinare per man-
camento d'acqua nel lago Trasimeno, e credami la P. V. Reveren-
dissima che vi ho ricevuto grandissimo gusto vedendo con quanta
accortezza e chiarezza ella espone un si rilevato benefizio che sarà,
per mio credere, impossibile che.non sia ricevuto e messo in opera dai
Padroni: e come accade nei ritrovati bellissimi ed utilissimi, che il
piü delle volte sono facilissimi e brevi, cosi questo si riduce all'avver-
tire qual semplice canovaio che, quando la cannella di mezzo della
botte non getta più, egli ne rimetta un’altra più abbasso, attesochè
=

216 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

la botte non è secca, ma vi resta ancor del vino da trarsi, quando
vi sia l’esito. Resto con desiderio di sentir gli altri suoi trovati, che
in conseguenza di questi primi pensieri ne vengono ».

Ma resta un dubbio su quanto possa aver condiviso Galileo dal
suo esilio di Arcetri, la dissertazione di Castelli sul Diluvio univer-
sale in relazione con i ragionamenti da lui fatti sul Trasimeno.

Teniamo presente infatti la lettera da lui inviata al Castelli già
il 21 dicembre 1613, dove Galileo spiega come deve usarsi la Sacra
Scrittura in materia di scienze naturali come deve intendersi il
passo delle Sacre Scritture dove si narra aver Dio fermato il sole
a preghiera di Giosuè. Lettera che — insieme a quella diretta a Cri-
stina di Lorena nel 1615 — doveva portare Galileo alla censura da
parte del S. Uffizio.

Un aspetto ammirevole della figura di Benedetto Castelli, è l’at-
taccamento sempre mantenuto verso il suo grande Maestro Galileo.
Lo difese nel processo del 1633 avanti al S. Ufficio e intrattenne con
lui una nutrita corrispondenza direttagli a Bellosguardo e successi-
vamente ad Arcetri. E allamato Maestro aveva anche procurato
un assistente della statura di Evangelista Torricelli, al quale Gali-
leo, ormai cieco, dettò il dialogo della quinta giornata sopra le defi-
nizioni e le proposizioni di Euclide, così come prima aveva dato
tante soddisfazioni al Maestro ponendolo a contatto con Bonaven-
tura Cavalieri, fondatore del metodo degli indivisibili per il calcolo
di aree e volumi ed istitutore della geometria degli infinitesimi.

Benedetto Castelli indubbiamente soffrì del dramma galileiano.
Nel secolo xviri già si poteva scorgere sicuramente da che parte
fosse la verità, non così nel xvir. Galileo nelle felici sue intuizioni
non fallì abbracciando il sistema copernicano, ma direttamente non
potè dimostrare l'esattezza. Il suo genio (e non quello di Descartes)
fondò la Meccanica, scienza moderna, che doveva poi divenire stru-
mento di dimostrazione di verità copernicane ; ma all'epoca del do-
loroso processo, le maree, la declinazione dell'ago magnetico, la di-
minuizione di peso per forza centrifuga venivano erroneamente
adottati come prove da Galileo, mentre solo uno di detti fenomeni
dipendeva dal moto della Terra ed il modo di provarlo non c'era
ancora.

Ora, e già molto prima d'ora, non si pensa a ció, in quanto altre
prove, altre osservazioni furono assunte a corroborare la teoria
copernicana. Occorre tener presente, in omaggio alla verità, all'ob-
biettività, che «la genesi storica di un'idea non rassomiglia,-sovente,
+

DELL'ABBAZIA. DI S. PIETRO IN PERUGIA 217

per nulla a quella che si immaginerà in avvenire ». La dottrina di
Galileo — a parte la questione delle orbite circolari (anzichè ellit-
tiche) a lui tanto care — non era errata, ma errate erano le prove
presunte da lui addotte.

In questo clima puó comprendersi la dolorosa condanna che non
era tuttavia di una persona che contava fra i giudici l'amico card.
Bellarmino e che aveva goduto il lungo favore dello stesso papa
Urbano vu.

Due epoche si urtavano e non uomini: «alla vecchia fisica si
trovavano legate tutte le immagini abituali della scienza, della re-
ligione, del pensiero comune, tutto questo mondo di Dante che a
riformare occorsero un secolo e mezzo di riflessioni su Copernico ».

Funck-Brentano ebbe a scrivere. «Da quel momento la Terra
non fu piü il grande orbe piatto sormontato dalla volta celeste con-
tro la quale si urtavano i cervi volanti che i bimbi facevano volare
alla sommità delle colline ; dalla volta azzurra il buon Dio non sor-
vegliava, con occhio severo e benevolo a un tempo, le azioni, le pa-
role ed anche i pensieri degli uomini ; gli angeli custodi non vi sali-
ranno né ne discenderanno piü, né i santi per venir a conversare
familiarmente con Giovanna d'Arco ; la terra non è più che un pic-
colo punto, infimo, invisibile ad occhio nudo, perduto nell’infinito ».

Tali espressioni, con la loro spigliatezza che tuttavia non vuol
suonare irriverenza, non sono giocose. In realtà esse esprimono un au-
tentico « pathos », che, ricorda lo stato d’animo dei pensatori del '600.

Ora, pur non volendo troppo entrare in tanto delicato argomento
ci pare che Benedetto Castelli non fosse convinto della giustezza della
sentenza, e ció per il suo intuito scientifico. Sappiamo che in Fran-
cia Mersenne, campione d'ortodossia, diffonde le ideee galileiane al
punto da terrorizzare il pacifico Descartes ; e cosi Wendelin, curato
di Beats presso Namur, nonché l'astronomo Bouliau, sacerdote, e
il canonico Gassendi. Nessuna noia essi ebbero, e godettero di ec-
cellente reputazione in seno alla Chiesa. Se Descartes, pauroso
per natura, relegó in un cassetto il manoscritto del trattato « Du
Monde» pronto per le stampe, le opere degli « eliocentristi » soprad-
detti si stamparono alla luce del sole e ad onore dei loro autori.

In un clima che non era — a quanto pare — di completo asso-
lutismo, il discepolo Castelli dunque intratteneva rapporti scien-
tifici ed altamente umani col maestro Galileo.

Comunque, se non allo stesso modo di Mersenne, Castelli non
ebbe paura di esporsi stando attaccato al Galilei (specie dopo che

SE | Vin T Y pj: Ca a” m
A E CEN Mae rc d TIR ALIDA ——
218 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

questi perdette la dilettissima figlia Virginia prima, la vista poi).
Cosi come altri benedettini, due secoli dopo in Perugia non esitarono
a salvar da sicura morte alcuni ricercati politici, storia questa del
resto che si ripete ancor ai tempi nostri nei monasteri di tutto il
mondo, e che non sempre com'é noto, dà luogo a sentimenti di rico-
noscenza, o anche soltanto a forme di rispetto, a posteriori, delle
famiglie ospitali.

L'amore di B. Castelli alla verità scientifica, trae evidente ori-
gine dall'insegnamento di Galileo, e cosi anche un certo estro pole-
mico a difesa dei propri assunti.

Amiamo — noi veneziani — ricordare che il Nostro si occupó
della Veneta Laguna, e mi permetto di riportare un suo energico
intervento che dà la misura delle capacità polemiche testé accennate.

(Discorso sopra la Laguna di Venezia al signor Giovanni
Basadonna).

« Nel tempo che io leggeva pubblicamente le matematiche nello
studio di Pisa, ed anco dopo che mi trovo al servizio di N. S. Papa
Urbano vir, ho avuto più volte occasione d'impiegarmi in diverse
imprese in materia d’acque, nelle quali imprese, valendomi di quelle
notizie, che io aveva guadagnate nelli studi miei di Geometria, e
Filosofia sotto la disciplina dell'Unico al Mondo signor Galileo Ga-
lilei, aiutato da Dio, mi riuscirono in fatti sempre felicissimamente,
e così essendo stato mandato da S. Santità a servire l'Illustrissimo
e Reverendissimo Monsignor Corsini, che fu deputato Commis-
sario Generale sopra l’acque di Bologna, Ferrara, Romagna, ecc.
con i medesimi fondamenti scopersi diversi particolari di gran mo-
mento, i quali non erano stati interamente riconosciuti. E dope
nel corso di 16 anni ho avuti alle mani diversi negozi d’acque, come
d’asciugare pantani, come di regolare acque per mulini, ed altri,
colle quali imprese con i medesimi fondamenti, mezzi, ed aiuti,
ho dato compita soddisfazione a quelli i quali si sono compiaciuti
comandarmi. È ben vero ; che come quegli, che era necessitato dalla
ragione di proporre spesso pensieri, e fare risoluzioni totalmente
contrarie all'opinioni degli Ingegneri e Periti, ho incontrato sempre
grandissime difficoltà, e sempre maggior fatica mi e stata l'acco-
modare gli animi, ed i cervelli delliuomini, che il porre in freno le
gran forze de' fiumi, e de' precipitosi torrenti, e rasciugare varie
paludi. Queste difficoltà erano di varie sorte, ma le piü principali

—L-
E

DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 219

erano l'ignoranza, e l'interesse altrui, e bene spesso la malignità,
e l'invidia. Alle volte veniva assediato da una sola di loro, alle volte
da due, ed anco da tutte insieme, in modo che difficilmente mi po-
teva riparare, e difendere, massime quando mi conveniva trattare
con piü potenti di me, ed accreditati.

Tra queste armi, che cosi fieramente mi assalivano, l'una era
potentissima colla quale si procurava da quelli, che da me dissenti-
vano, di escludermi totalmente da i negozi (e gli è venuto fatto
alle volte con notabili pregiudizi degli interessati) questa era che
andavano spargendo con concetto, che sebbene io aveva qualche
notizia in queste professioni delle matematiche, e che sapeva in
cattedra, ed in discorso le cose mie con qualche vantaggio, in ogni
modo mi mancava la pratica, parte principale, e senza della quale
assolutamente non si puó fare cosa nessuna di buono, e che peró
non mi sarebbero riuscite le cose in fatto, come nel discorso io andava
nelle occorrenze rappresentando, ed in cotal guisa si cercava di scre-
ditarmi, ed escludermi fuori da' maneggi: e sebbene nel progresso
del tempo in moltissimi casi io dimostrava, che la buona teorica
applicata bene alla pratica era la vera anima delle mie imprese, in
ogni modo io era sempre col medesimo pretesto affrontato. Caso
notabilissimo è stato quello, che mi è occorso in Venezia mentre
ho rappresentato il mio pensiero intorno alla Laguna, e Porti, dove
essendo il mio pensiero tanto intorno al disordine, quanto intorno
al rimedio totalmente contrario all’opinione comune, ed inveterata,
è stato sul principio di poco, e di nessun momento riputato. Nè io
pretendo sostenere ostinatamente contro a migliori ragioni il mio
pensiero, ma quietandomi alle risoluzioni de’ padroni starò aspet-
tando l’esito e mi rimetto totalmente alla decisione, che farà la na-
tura stessa, come a diffinitiva sentenza. Ma perchè ancora in questa
occasione della Laguna mi viene opposta la medesima eccezione di
sempre, cioè che ancorchè i miei pensieri sieno belli nel discorso,
non però nella pratica possono riuscire; però ho determinato di
mettere in considerazione a V. Eccel. alcune cose in questo propo-
sito, sottomettendole al purgatissimo giudizio del suo intelletto arric-
chito per le scienze nella teorica, e per i gravissimi negozi da lei
maneggiati nella pratica, dichiarandomi che mai non mi sono com-
piaciuto, né mi compiaccio d’aver lodato un discorso teorico, che
mi rimanesse poi dalla pratica condannato.

Prima dunque considero, che comunissima fantasia non solo
appresso gli uomini ordinari, ma ancora appresso i Periti, ed Inge-
220 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

gneri, ed anche appresso a’ Filosofi stessi, è che le verità matema-
tiche sono vere sì, ma in astratto, in discorso, ed in teorica ; ma poi
applicate alle materie, e ridotte alla pratica non riescono, e di que-
sta loro sentenza adducono alcune prove, le quali appresso di me,
ed a mio giudizio, non concludono niente, con tutto ció hanno una
certa apparenza cosi a prima faccia, che molti ne rimangono ingan-
nati. Per dichiararmi meglio porró un esempio, col quale questi
che impongono alle matematiche questo difetto, ed imperfezione,
dicono.

Che sia il vero, che le verità matematiche non si verifichino nella
applicazione : Noi vediamo, che si fanno spesso modelli in piccolo,
nei quali pare, che la cosa riesca, ma quando poi si riduce alla pra-
tica ; ed all'esecuzione, ci troviamo ingannati: e peró da tale suc-
cesso concludono, che le matematiche non riescono alla pratica :
nel medesimo modo i filosofi si sottoscrivono ancora loro a questa
sentenza, dicendo, che le matematiche si verificano in astratto se-
parato dalla materia, ma poi applicate alla materia, ed in concreto
riescono false, e cosi dicono. Che la sfera tocchi in un punto solo il
piano, é verissimo in astratto, ma é falso applicato alla materia,
ed in concreto. Nel quale discorso mi occorre dire, che quando viene
affermata una proposizione controversa, per camminare ordinata-
mente, la negativa dee cascare precisamente sopra quella afferma-
tiva, che é stata proposta, e non sopra un'altra cosa della quale non
si è trattato, perché così si rompe il filo del discorso, ed è impossibile
concludere mai cosa nessuna, come qui nel proposito nostro. La pro-
posizione dei matematici é questa: la sfera tocca il piano in un
punto solo, ed é affermativa, e chi la vorrà negare dee dire, che la
sfera non tocca il piano in un punto solo applicata alla materia,
intendendo di quella stessa sfera, e piano de' quali é stata pronun-
ziata l'affermativa dal matematico, altramente seguirebbe, che si
confonderebbe il discorso, affermandosi dal matematico una cosa,
e negandosene un'altra dal filosofo. E che sia vero, che nel caso
nostro si commetta tale mancamento, è manifesto: imperocchè
quando in ristretto il filosofo adduce la prova della sua conclusione,
noi vediamo che la sfera del filosofo non è più la sfera del matema-
tico, né meno il piano, ed il punto del filosofo è quello del matema-
tico, talchè chi volesse dire in chiaro: la proposizione del filosofo bi-
sognerebbe dire : la sfera, che non è sfera matematica non tocca in
un punto solo il piano, che non è piano matematico. Ma io sono ben
sicuro, che nessun matematico ha mai detto in contrario, anzi io
DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 221

prometterei per parte di tutti i matematici del Mondo, che pre-
steranno il loro assenso intero alla proposizione filosofica. La verità
dunque è, che le proposizioni matematiche sono verità, che sempre
sono state, sono di presente, e saranno ancora per l'avvenire vere,
ed eternamente vere, ed in astratto, ed in concreto e congiunte colla
materia, e da essa separate. Voglio ancora dichiararmi meglio in
termini logicali. Le proposizioni hanno due parti principali ; la prima
vien detta il subietto, la seconda il predicato, che viene ancora chia-
mato il quesito. La proposizione sfera: tangit planum in puncto ha
per subietto sfera, le parole seguenti fangit planum in puncto, rap-
presentano il quesito, o vogliamo dire il predicato : e però chi vorrà
negare questa proposizione li converrà negare il toccamento di una
sfera in un punto solo, che è quello che viene affermato dal mate-
matico.

Di più io concederò al filosofo, che le proposizioni matematiche
sono false, applicate: ma perchè i matematici hanno per propo-
sizione vera, che moltiplicandosi il numero dispari per dispari, il
prodotto è sempre dispari, come per esempio il 3. moltiplicato per 5.
fa 15. che è numero dispari in astratto ; sarà obbligo del filosofo
dimostrare che in concreto tre volte cinque meloni facciano un nu-
mero di meloni pari ».

Le benemerenze idrauliche di Benedetto Castelli sono di due
ordini, che si fondono, al postutto fra di loro come avviene sempre
di grandi ingegneri, perchè di un ingegnere idraulico si tratta. Nel-
l’uno abbiamo la fisionomia istituzionale, nell’altro quella applica-
tiva. E della applicativa senz'altro molta parte ha l'opera tendente
a sistemare il Trasimeno. Ma è doveroso non dimenticare l’altro
aspetto della sua attività idraulica. Nella sua opera fondamentale
Della misura delle acque correnti, sono rappresentati i suoi meriti
principali nel campo idraulico. È importante ricordare come egli
abbia visto chiaro in principi sino allora non intravisti e stranamente
non voluti riconoscere dai più dei suoi contemporanei.

Fra gli altri la possibilità di misurare, col pluviometro, di sua in-
venzione, la pioggia caduta; la necessità di misurare non solo la
profondità e la larghezza dei corsi d’acqua fluente, bensì anche
la velocità del liquido per dedurne la portata ; la esistenza del feno-
meno delle sesse dei laghi, l’importanza della scabrosità delle pa-
reti nel fenomeno del moto dell’acqua nei condotti.

Commettendo grave ingiustizia si è voluto — in un clima anti-
clericale — alla fine del secolo scorso togliere al Nostro i suoi meriti.

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222 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

e — quel che é peggio — tacciarlo di plagio o di truffa scientifica
nei confronti nientemeno di Galileo.

E ben vero che il Nostro prese abbaglio nel considerare certi
problemi della Laguna Veneta :.ma è altrettanto vero che analoghi
errori commisero successivamente altri che sostennero i suoi punti
di vista nell'esame degli stessi problemi. Il Favaro autorevolmente
ha affermato, molto giustamente a tal proposito che al Castelli
«non mancarono neppure le difese postume, ma così infelici che il
Castelli stesso le avrebbe ripudiate ». E si sofferma il Favaro sul
delicato argomento dicendo : « noi abbiamo indagato le cause che lo
avevano indotto ad un erroneo giudizio, sicchè resta soltanto a de-
plorarsi ch’egli non abbia vissuto abbastanza per riconoscere da sè
l'errore suo; il che avrebbe fatto certamente, quando avesse rico-
nosciuto non conformi al vero i dati fondamentali che gli erano
stati forniti e dai quali era partito ».

Ma in generale l’intuito idraulico del Nostro non si lacsiava fuor-
viare da elementi esterni, così come quando iniziava coraggiosa-
mente la bonifica del Maccarese proprio allorchè veniva abbando-
nata la bonifica pontina affidata ad una compagnia olandese. E il
26 maggio del 1640 Castelli scriveva a Galileo : «Quanto a quella
essiccazione, è riuscita, per grazia di Dio, tanto felicemente e con
pochissima spesa, che è cosa di stupore havendo superato ogni im-
maginazione altrui ».

Abbiamo accennato all'avversione di troppi contemporanei alle
vedute scientifiche di Benedetto Castelli, e le opposizioni erano
molto strane. Basti riportare — per averne idea — quelle di Don
Pietro Petronio da Foligno, che suonavano come appresso : «....la
sentenza «ignorato motu ignoratur natura», non viene ben appli-
cata al caso del quale si tratta, perchè dal moto dell'acqua non cono-
sceremo la sua natura et se sia acqua di bagni, acqua dolce od acqua
salsa ». Ed ancora lo si accusava, da parte del medesimo autore,
di non aver tenuto in conto «il trino che si trova in tutte le cose create
e non create, come è nella matematica della quale si tratta, cioè :
acqua ferma, acqua andante ed acqua corrente ».

Alle ingiustizie perpetrate contro il Castelli persino ancora nella
seconda metà del secolo scorso, si opposero le serene coscienze di
profondi studiosi, che al principio di questo secolo mostrarono chia-
ramente le falsità dette ad offesa del Nostro.

Benedetto Castelli, tormentato negli affetti della sua famiglia
d'origine si avvió rapidamente a morte verso il 1644. Secondo la
DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 223

citata relazione di mano del sacerdote Lodrini, il Nostro non sarebbe
trapassato, come spesso si afferma, nell'anno 1644, bensi «circa»
il 19 aprile 1643. Come si vede, quanto a date una fatale labilità
circonda il Castelli, che anche nei suoi riferimenti, vita natural
durante, è generalmente stato, nelle datazioni retrospettive, piut-
tosto impreciso.

Abbiamo così finito questa breve rievocazione di un religioso
idraulico, forse abusando nelle citazioni e nei riporti di suoi scritti.
Ci conforta il fatto che quelle pagine sono comunque, anche sti-
listicamente, fra le più belle della magnifica prosa scientifica della
Rinascenza e che pertanto esse abbiano potuto di per se stesse su-
scitare l’interesse generale.

NOTE

ABETTI GioRGIO, Amici e nemici di Galileo, Milano, Bompiani, 1945.

ANTINORI VINCENZO, Scritti editi ed inediti a cura di TABARRINI MARCO.
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veteris Romae, Dissertationes tre, Roma, Bussotti, 1680.

FABRONI ANGELO, Vitae Italorum doctrina excellentium qui saeculis XVII et
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pluviometro, ibidem.

lpEM, Leonardo da Vinci e Galileo Galilei, in « Raccolta Vinciana », fascicolo
II, luglio 1905-luglio 1906. i
224 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

GALILEI GALILEO, Epistolario a cura del Ministero di Agricoltura, Industria e
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LoMBARDINI ELIA, Della origine e del progresso della scienza idraulica nel
milanese ed in altre parti d’Italia. Osservazioni storico critiche, ecc.
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Faenza, Lega, 1957, n. 8.

TonNI Bazza Vincenzo, Benedetto Castelli e la Scuola di Galileo, in « Com-
mentarii dell'Ateneo di Brescia per l'anno 1901 ».

ZIEGELBAUER MaGnoALDO, Historia rei literariae Ordinis S. Benedicti in
IV partes distributa..., Augustae Vind. et Herbipoli, sumptibus Mar-
tini Veith, 1754.

Vedasi anche Histoire de la Science edita da «La Pléiade» in Parigi
nel 1957, sotto la direzione di Maurice Daumas.

BarrELLri. — Siamo grati al prof. Velatta per la sua chiara ed
interessante comunicazione, che ci ha fatto rivivere le esperienze e le
intuizioni del Castelli, e quasi assistere alle sue scoperte.

Data la ristrettezza del tempo, ritengo sia opportuno rinviare al
pomeriggio la comunicazione della dott. Scaramucci.

NicoLIinI. — Poichè il prof. Velatta ha fatto un accenno, sia pure
per inciso, al significato del termine « ingegnere » nei testi antichi,
vorrei pregarlo di chiarire — se possibile — con quale accezione la pa-
rola « ingegnere » (incignerius) fosse usata a Perugia nel Duecento.
La cosa interessa specialmente — come è noto — per la storia della fon-
tana, nella cui progettazione ea esecuzione sia Boninsegna che fra Bevi-
gnate sono indicati nei documenti perugini « ingegneri» e «soprastanti »
(cfr. G. Nicco Fasora, La fontana di Perugia, Roma, 1951, p. 8).

VELATTA. — Le locuzioni « perito » e « ingegnero » nei secoli XV,
XVI, XVII e, almeno in parte, XVIII, non hanno sempre un signi-
ficato preciso. Qualche volta, cioè, si faceva confusione fra « perito »
DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 225

é « ingegnero », talchè addirittura si arrivava a ritenere i titoli equiva-
lenti. In genere tuttavia gli stati più progrediti nel governo delle acque
tenevano distinti i due titoli, dando naturalmente maggiore rilievo a
quello di « ingegnero ». Prendendo ad esempio la Repubblica Veneta,
certamente maestra nel campo delle acque e dei boschi, osserviamo che
allorchè un magistrato del « Provveditorato sopra i beni inculti » (che
provvedeva alle bonifiche ed alle irrigazioni, fondato nel 1545) si re-
cava in sopralluogo alle paludi da risanare o per altro che fosse sempre
di iniziativa del governo, con sé recava « inzegneri ». Invece quando si
trattava di semplice istruzione, per così dire, corrente, di domande di
effettuazione di scoli od altre opere, domande inoltrate da cittadini,
allora si faceva luogo a visite di « periti et pratici ». Esisteva poi a
Venezia anche la figura del « matematico », che la propria cultura
fisico-matematica ad un livello che oggi si dice universitario poneva al
servizio della tecnica idraulica. E talora costui era chiamato « idro-
statico ». Tutto sommato credo che si possa pensare più al « matema-
tico » quale scaturigine dell’attuale ingegnere che non allo « ingegnero ».
Comunque un «perito» e per esser autodidatta quanto a materie di
base (quali Matematica e Fisica) e per essersi ben documentato nel
campo applicativo, era suscettibile di divenire quello che si può imma-
ginare potesse esser un discreto ingegnere ragguagliato ai tempi, in
base cioè alle nozioni di quei tempi. Che se poi un « perito » fosse stato
nientemeno che un Fra’ Bevignate,. il titolo di ingegnere od architetto
a malapena sarebbero bastati a classificarlo. E qui ricadiamo nell’ar-
gomento della confusione accennata.

A complicare le cose vediamo, ad esempio, che nello Stato Ponti-
ficio i personaggi tecnici che comparivano nelle discussioni sulle acque
e sulle costruzioni idrauliche erano lo « idrostatico », lo « architetto »,
il « perito architetto », il « conservatore », lo « ingegnere camerale », il
« geometra », per tacer d'altri. Nell'acme della lunghissima diatriba fra
reatini e ternani riguardante il sistema idraulico Nera-Velino, vediamo
dal Tribunale Rotale nel 1783 sostituiti da « un nuovo perito » alcuni
«ingegneri camerali ». Il che farebbe supporre che « perito » potesse
anche essere un « ingegnere ». Senonchè nel corso della lite vennero
emesse scritture dalle quali appare che «idrostatico » e «geometra »
era chi dava « idrostatico-matematica » dimostrazione di fenomeni idrau-
lici. E ci si burlava anche di quegli « idrostatici », che, certo non disin-
teressatamente, si facevan, o meglio, da parte di taluni si tentava di
far passare per dei semplici infatuati visionari, lontani dalla realtà
di ogni giorno. E si diceva con disprezzo, da parte di certi avvocati,

15

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226 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

che le «discussioni idrostatiche » appartenevano ai «professori del-
l’arte » ed in buona sostanza si affermava che ciò che era « idrostatico »
doveva rimaner fuori delle discussioni concrete sui fatti sopra i quali
il tribunale doveva decidere. Si soggiungeva che le leggi a disposizione
della difesa degli interessi avanti ai tribunali riconoscevano e davano
mandato a « periti » e non a coloro che appartenevano al « mondo idro-
statico e matematico ».

È tuttavia da osservare che si menzionano in quelle carte anche
« periti architetti », il che fa supporre che almeno (come già osservato
circa gl'ingegneri) non fossero esclusi dal ruolo dei periti coloro che
fossero per loro ventura architetti. Comunque si tratta di un problema
anche filologico che occorrerebbe studiare a fondo e con criteri compara-
tivi fra le varie regioni (allora stati) italiane.

1 ottobre 1966, ore 16,30

CeccHINI. — Apro la tornata pregando la dott. Scaramucci,
bibliotecaria della Facoltà di Agraria, di riferirci sulla biblioteca
dell’ Abbazia, o meglio su quello che rimane della biblioteca dell’ Abbazia.

La biblioteca dO ADEM di S. Pietro

Impossibile ricostruire in forma organica, anche sommaria, la
vita e lo sviluppo della biblioteca dell'Abbazia di S. Pietro 1) dal
suo originario formarsi al suo disgregarsi e frantumarsi durante la
demaniazione napoleonica. Possiamo peró, dall'indagine attenta e
paziente dei documenti dell'Archivio di questo monastero, trovare
messe abbondante di notizie che la riguardano dalla seconda metà
del '400 a tutto il '700.

Per quanto si riferisce alla sua sede, nel '400 stanze anonime
sono adibite a questo scopo. I lavori piü notevoli per la « fabbrica »
della biblioteca furono proposti e in parte eseguiti nella seconda
metà del '500 e nella prima del '600. I progetti al riguardo furono
molteplici e piuttosto grandiosi, anche se, in verità, solo parzial-
mente realizzati. Dai documenti risulta che, nel maggio del 1578, si
tenne nel monastero di S. Pietro il Capitolo Generale della Congre-
DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 227

gazione Cassinese. «In questo Capitolo fu ragionato della fabrica
della nostra Libreria, et presenti tutti li Padri Diffinitori, et tre
delli nostri Abbati professi, fu concluso che si dovesse fare al paro
del piano del Dormitorio vecchio sopra la sala dipinta et la loggetta
di sotto, mediante però alcune cammore d'infermeria secondo il
Modello di Messer Galeazzo Alessi»). Anche il Bini, nella sua storia
manoscritta del monastero, ci parla dell'ubicazione dei locali della
progettata libreria : secondo il disegno dell'Alessi, essa doveva oc-
cupare alcune camere poste sopra la parte antica del monastero,
verso levante, nel piano allora detto infermeria, oggi Foresteria o
Definitorio. Egli dice inoltre che « forse in occasione di avervi a fare
la nuova Libreria un gentiluomo voleva lasciare a questa i suoi libri,
ma a tali condizioni che il monastero non credè potersi ammettere, e
di fatto vennero riprovate ancora dai Visitatori, che in questo tempo
vennero di officio a visitare il monastero ; gli fu risposto o che do-
nasse liberamente al monastero quei suoi libri o glieli vendesse » ?).
Del 12 giugno 1579 c'é poi un decreto fatto dagli abati deputati
dal Capitolo Generale ad esaminare il disegno della « fabbrica nuova »,
dove si doveva fare anche la biblioteca ; essi stabilirono che entro
cinque anni fosse terminata tale opera.

Oggetto di questo decreto era appunto di rendere abitabili le
camere della cosidetta «fabbrica nuova », per la quale allora si in-
tendevano due piani, detti in origine Foresteria o Infermeria e che
nel 1800 comprendevano il pianterreno del noviziato nuovo e della
Procura, nei quali erano state costruite due balaustre lunghe quanto
la facciata. In tali nuove camere, costruite sopra il terzo chiostro,
si fecero la biblioteca e il definitorio *). Nel 1582 si fecero le cinque
camere che sono « verso il Frontone ». Da alcuni ricordi sembra po-
tersi arguire che una di queste camere, in seguito abbandonate,
venne destinata a libreria. L'ingresso era dal chiostro del « capi-
tolo » 5). Nel 1622 si fece un cottimo con maestro Paolo muratore
per fare la libreria sopra un lato del chiostro della foresteria, che è
il chiostro detto delle stelle. È certo che vi si fecero di pietra i conci
delle finestre con modiglioni e con un cornicione che girava tutto
intorno. Similmente di pietra fu fatto lo stipite della porta e un fi-
nestrone. Posteriormente, nel 1642, detta libreria fu dipinta dai pit-
tori Muto e Guido Francese ; si ornarono forse gli scaffali o forse le
pareti con argento battuto e vi.si fecero vasi di legno e diciotto palle
e, per la porta, rose e rosoni ?). Sempre nell'opera del Bini leggiamo :
«Già abbiamo veduto che tra le diverse fabriche e bonifici che si

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228 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

facevano in monastero si attendeva ancora a fare una biblioteca, e
sembra che si volesse questa magnifica e perció vediamo che si erano
provedute pietre pel suo ornamento ; convien dire peró che il locale
scelto non era forse suscettibile di certi ornati; onde vediamo che
nel 1624 furono vendute al Convento di S. Maria Nuova quelle pietre
che dovevano servire per ornato della biblioteca » *). Il Bini parla
ancora della pittura da farsi nella nuova biblioteca, che allora fu
stabilito doversi collocare nel quartiere poi detto del Procuratore
Generale, verso mezzodi, nel dormitorio della nuova foresteria e
definitorio, dove si fecero diverse opere *). Dallo stato attuale del
fabbricato riesce difficile determinare con precisione le varie sedi
della biblioteca perche, da piü di un secolo, le denominazioni delle
diverse zone in cui era situata, in seguito alla soppressione del mo-
nastero, sono andate perdute. Tuttavia dalle vaghe indicazioni dei
documenti e dalle precisazioni del Bini si puó supporre che essa fu
sistemata prima nei locali ora occupati dall'Istituto di Entomologia
agraria, poi in quelli degli attuali Istituti di Zoologia e di Estimo
della Facoltà di Agraria.

Comunque, anche se non sappiamo con certezza quali furono
le realizzazioni di tali progetti, le spese sostenute per i lavori eseguiti
appaiono frequenti e a volte rilevanti ?).

Interessanti sono pure le notizie di dotazioni in favore della
biblioteca. Ci limiteremo a citarne solo alcune : Francesco di Ludo-
vico Manfredi di Cibottola il 6 aprile 1472, lasciando i suoi beni al
monastero di S. Pietro, ordina di impiegarne 30 fiorini secondo le
decisioni del priore del monastero ; tutto il resto «in emptione li-
brorum pro dicto monasterio ». In caso contrario, se i suoi beni doves-
sero essere devoluti all'ospedale di S. Maria della Misericordia di
Perugia, e se detto ospedale non volesse accettare gli oneri della
donazione, i beni andranno al monastero di S. Maria di Monte Mor-
cino 1°).

Il 4 luglio 1622 il monastero acquistò da Giandomenico Pecci
di Perugia un podere nel castello di Monestevole (Marsciano) nella
persona del cellerario del monastero, che rappresentava la biblio-
teca che in quel tempo si stava costruendo, e lo pagò 1035 scudi
con i soldi derivati dai beni patrimoniali di Alessandro Pocompagni
di Brescia, abate di S. Pietro; si stabilì di assegnare tale podere
come dote della biblioteca, dietro ordine di detto abate ".

Del 31 ottobre 1623 è l'atto capitolare con la donazione del po-
dere di cui sopra '?). E ancora: D. Benedetto Giuliani, professo del
DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 229

monastero di S. Pietro, nel 1752, chiede ai superiori la licenza di
dare al monastero scudi 300 con l'annua corrispondenza di scudi
15 sua vita durante; dopo la sua morte detta corrisposta vada a
beneficio della libreria. Ottiene rescritto favorevole dall’abate e
dai monaci di S. Pietro. I 300 scudi erano frutto di risparmi del
detto monaco, il quale volendo contribuire all'aumento del bestiame
dei poderi del monastero, li cede a questo per tale scopo, riservandosi
il suddetto vitalizio 1*).

E infine l’abate Federico Chiaramonti di Brescia, che nel 1780
aveva fatto la sua professione nel monastero di S. Giustina di Padova
e che fu dotto nella letteratura italiana e latina, nelle lingue ebraica
e greca, nelle scienze sacre e profane, nelle facoltà filosofiche e na-
turali, non appena fu affiliato al monastero di S. Pietro di Perugia,
essendo chiuso il suo di Praglia, arricchì la biblioteca di libri che egli
aveva in Brescia e poi ne acquistò dappertutto ; si tratta di molte
opere pregiate sia per celebrità di autori che per rarità di edizioni,
delle quali egli, espertissimo bibliofilo, aveva conoscenza 14).

Per quanto poi si riferisce all'acquisto diretto di libri da parte
del monastero, abbiamo scorso i libri contabili dell'Archivio di S.
Pietro dall’anno in cui questi cominciano, il 1461. Si tratta di libri
mastri, a cui corrispondono i giornali che però, per questo periodo,
sono quasi completamente mancanti. Gli stessi mastri incominciano
dalla lettera H. Tra i titoli di spese è sempre notificata quella per
la libreria e la cartoleria ; spesso i conti relativi all’acquisto di libri
sono compresi sotto la seconda denominazione. Naturalmente il
mastro riporta sunteggiato il conto che nel giornale è più detta-
gliato. Tuttavia anche il giornale si rifà sempre a libri contabili
parziali (ad es. a quello del cellerario, ecc.), che contenevano la di-
stinta dettagliata degli acquisti e delle spese, di cui ora non rimane
traccia. Quindi spesso la partita tratta genericamente di acquisto
di libri senza indicare il titolo dell’opera e l’autore. A volte, tuttavia,
sono indicate tutte, o quasi, le note tipografiche del volume !5).

Attraverso una rapida panoramica si possono ricostruire, a
grandi linee, gli interessi culturali della Comunità di S. Pietro : pur
prevalendo, come è naturale, la parte teologica, morale e scritturi-
stica '*, si nota un’accentuata presenza di testi classici e scientifici,
che servivano, oltre che all’erudizione dei monaci, anche all’insegna-
mento delle materie specifiche alle nuove leve monastiche 1°).

Il commento scarno alle cifre diviene vivida pennellata, tes-
sera preziosa per ricomporre il complesso mosaico di questo lon-

| EN e pate TSI AGUA x so FISSE
230 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

tano passato: dalla sollecita cura nel conservare il patrimonio li-
brario del monastero incatenando le opere piü pregevoli *) o im-
primendo «ex libris » :°), al riverbero, negli acquisti, della vita reli-
giosa cittadina *) o di particolare interesse per l'ambiente fisico
in cui tale vita si svolgeva ?). |

Folta é la presenza di tipografi, editori, librai con i quali il mo-
nastero era in stretti rapporti *?).

I libri venivano acquistati o sulla piazza di Perugia oppure a
Venezia, Firenze, Roma *) e anche a Foligno, durante la fiera *).
Era relativamente facile per i monaci venire a conoscenza delle opere
di maggiore interesse, data la presenza nelle città menzionate di
monasteri benedettini in stretto contatto con il nostro ed, inoltre,
per i frequenti viaggi dei monaci nelle maggiori città italiane.

L'acquisto dei libri è notevole per numero ed importanza nel
"500 e nella prima metà del '600, si affievolisce nella seconda metà,
per riprendere poi vigoroso nel ’700 ; verso la fine di questo secolo
troviamo menzionata un'assegnazione annua al bibliotecario per
l’acquisto di libri 5).

Poi il passaggio all’autorità civile per la demaniazione napoleo-
nica. Al riguardo citeremo alcune notizie dai documenti dell’Ar-
chivio di S. Pietro.

Nel marzo 1798 Cocchi con Giovanni Battista Vermiglioli por-
tarono via l'indice della biblioteca e il 19 aprile dello stesso anno
quest’ultimo portò via dalla libreria, per ordine della Centrale, di-
versi libri spettanti al Museo. Ne fece ricevuta al padre abate **).
E dall’opera del Bini : « Nel 1798, all’atto di soppressione del mona-
stero, le chiavi del museo e della biblioteca furono affidate a Giovan
Battista Vermiglioli, il quale, con ordine dell'amministrazione cen-
trale e dipartimentale, il 19 aprile, portó via dalla biblioteca alcune
opere voluminose e ben legate e ne rilasciò ricevuta » ?).

E infine la lettera del Commissario per la soppressione Anselmi,
che riportiamo per intero:

« A] Cittadino Rossetti ex Abbate del Monastero di S. Pietro Gio.
Anselmi Commissario per la soppressione.

Per ridurre a compimento il riscontro de' Libri del soppresso
Monastero di S. Pietro é necessario di avere le Chiavi de' Manoscritti,
delle edizioni del 1400, come altresi degli altri luoghi chiusi a chiave
in questa Libreria. Si rende altresi inevitabile la restituzione di quei
libri, che molti individui del medesimo Monastero tengono appresso
di loro. Sarà pertanto vostra cura invitare tutti i Monaci a riportare
DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 231

in Libreria tutti i libri appartenenti alla medesima, come di invitare
il Bibliotecaro a consegnare in mani del Cittadino Giuseppe Belforti
tutte le Chiavi delle credenze della libreria ; tuttoció dovrà seguire
prima delle dodici di domani mattina, e vi auguro
salute e Fratellanza
Anselmi Comm.o » *9)

Dopo il periodo demaniale napoleonico la biblioteca è ridotta,
come risulta da appunti di un anonimo ritrovati nell'Archivio di S.
Pietro, in stato veramente miserevole : « Pochi e spreggevoli rottami
dell'antica, già copiosa e nobile Biblioteca riebbero i Monaci, quando
nel 1816 tornarono ad abitare la Badia. Nel 1820 posero mano a ri-
comporla cominciando l'opera dal rimattonarne il pavimento e fare
gli scaffali e fenestre, che dell'antico niente piü esisteva. Molto si
è venuto comprando dal Monastero, moltissimo dai particolari che
vi hanno convissuto in monastica colleganza. Di presente somma ad
un diecimila volumi incirca » E questa è la consistenza libraria,
che passó poi allo stato italiano con l'incorporazione dei beni eccle-
siasticl, ed é pure la consistenza attuale. Nella seconda metà del
sec. xix questi libri furono trasferiti nella sala capitolare ; nei primi
decenni del sec. xx nell'attuale refettorio dei monaci; infine, nel
1939, nel locale ricavato sotto il coro della basilica di S. Pietro (in
seguito ai lavori di restauro del coro stesso invaso dalle termiti),
dove si trova anche attualmente. I volumi sono in buono stato di
conservazione, molti sono rilegati in pergamena, finemente decorati
e arricchiti di stupende incisioni.

Esamineremo rapidamente le caratteristiche dei vari fondi della
ricostituita biblioteca, adottando per maggiore schematicità, una
divisione per materia.

FONDO TEOLOGICO-ECCLESIASTICO-RELIGIOSO. — La maggior
parte dei libri che lo compongono è costituita da edizioni del 1700,
seguono edizioni del 1600, del 1500 e 1800. Ha una nota eclettica,
ma non così anonima che non si possano individuare degli interessi
culturali precisi e rilevare una quanto mai significativa apertura sulla
produzione storico-teologica del tempo (specie dei secc. xvVII-XVIII).

Teologia dogmatica. — È noto che i benedettini si attennero
in teologia piuttosto al contatto diretto con la Scrittura ed i Padri
senza troppo indulgere alle elucubrazioni speculative caratteristiche
della Scolastica decadente.

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232 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

Nel 1600-1700, i secoli delle controversie teologiche sulla grazia,
soprattutto dell’importantissimo e complesso fenomeno del gian-
senismo e del gallicanesimo, essi, pur mantenendosi indipendenti
dalle lotte teologiche fra domenicani e gesuiti, erano portati a favorire
la tendenza agostiniana (tomista) contro il molinismo (l'edizione
monumentale di Agostino é opera dei Maurini) Cosi venivano a
trovarsi anche in simpatia con la corrente giansenista, che ad Ago-
stino si rifaceva e che in generale caldeggiava un ritorno alla purezza
di costumi e di disciplina della Chiesa primitiva, proprio attraverso
lo studio dei Padri della Chiesa.

Nel fondo dogmatico son rappresentate le seguenti scuole teo-
logiche : i

a) domenicana con opere di N. ArExANDRE 0. P., M. Cano
O. P., T. M. Cergoni 0. P., F. D’Avira O. P., P. M. GAZZANIGA
O. P., J. B. Gone 0. P., vari commentatori della Summa Theo-
logica, il Cursus theologicus Salmanticensis, voll. 9, Venetiis, 1677
(Carmelitani di Salamanca, tomisti), manuali teologici tomisti, ecc. ;
opere di S. ANTONINO;

b) agostiniana : con i suoi tipici rappresentanti : F. BELLELLI
O.E.S.A., L. Berti O.E.S.A., E. Nonis 0.E.S.A.; :

€) francescana : esigua appare invece la rappresentanza degli
autori francescani con qualche opera di S. BoNAVENTURA, e poche
opere di indirizzo scotista ;

d) poco notevole è pure quella dei teologi dogmatici gesuiti.

Ci troviamo ora di fronte alla parte più interessante del fondo
che è costituita da opere francesi (alcune in versione italiana, altre
in latino) gianseniste o filogianseniste nella maggior parte.

a) Opere espressamente gianseniste : tutte le opere di A.
ARNAULD, le opere del celebre moralista e antimistico P. NicoLe,
del giansenista olandese J. OpsTRAET, del celebre P. QuESNEL.
Nella corrente di Port-Royal é il commento alla Scrittura, ed è sen-
z'altro giansenista, di J. Le MAISTRE DE Sacy, Le Nouveau Testa-
ment de Notre Seigneur Jésus-Christ, Paris, 1836. Giansenista è
pure l'opera di B. Racine, Abrégé de l'histoire ecclesiastique, voll.
13, Cologne, 1752-1754 (ed. it., Storia ecclesiastica, voll. 21, Firenze,
1778-1784 ; gli ultimi 4 libri sono una apologia costante del gianse-
nismo). Nella corrente figura anche L. S. TiLLEeMoNnT, Mémoires
pour servir à l'histoire écclesiastique des six premiers siécles, voll. 16,
Venise, 1732-1739, di grande valore storico. i

b) Autori filogiansenisti (una categoria difficile da precisare;


233

DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA

perché sovente si tratta di valenti teologi che hanno assorbito alcune
idee del loro tempo) come L. E. Dupin, C. Wirasse, G. JUENIN,
L. HaBeERT, R. CeiLLIER 0.S.B., L. TILLEMONT. à; MIRI

c) Interessante documentazione sul giansenismo italiano : Atti Uil) I
e decreti del concilio diocesano di Pistoia dell'anno 1786, Pistoia, 1788 ;
P. TAMBURINI, De summa catholicae de gratia Christi doctrinae prae-
stantia, utilitate ac necessitate dissertatio, Florentiae, 1776. Il Tam-
burini fu il cervello e l'anima del movimento giansenista in Italia. |

Strettamente collegato con il giansenismo è il gallicanesimo che HA
è ben documentato nella biblioteca. Vari autori sopranominati sono Il
anche gallicani, per es. Dupin, Gonet (gallicanoide). Inoltre: P.
PrrHov, L. MarmBouRre, P. DE Marca, L. VEerrH S. J., e molti EIU
altri. Nella scia è anche C. FLeuRry, Storia ecclesiastica, voll. 27, TDI
Genova, 1769-1777, ma equilibrato. Esistono in biblioteca anche hi
altre opere sue sul problema affine chiesa e stato a proposito del Il ll "d
febronianesimo. TINI

La documentazione esistente nella biblioteca sulla problema- (ill (BS
tica teologica e religiosa, che occupò i secc. xvi e xvir, testimonia I | »u
l'appassionato interesse con cui i Benedettini di S. Pietro seguirono "m
le conquiste culturali del tempo. |

1) In primo luogo va messo in evidenza un ottimo fondo I]
patristico. È a tutti noto come nel 1600-1700 i Maurini si siano dati
a un fecondissimo lavoro editoriale pubblicando le opere di parecchi
Padri della Chiesa : basti citare fra tutti il Mabillon, di cui esistono
in biblioteca quasi tutte le opere. Oltre a queste edizioni sono pre-
senti peró anche altre, fra cui varie del 1500 di S. Basilio Magno,
di Firmiano Lattanzio, di Origene, di S. Giustino, di Dionisio Areo-
pagita, di S. Leone Magno, di S. Gregorio Magno, di S. Isidoro, di
S. Gregorio Nazianzeno, di S. Bernardo, di S. Bonaventura.

Altre del 1600 : S. ATrHANASIUS, Opera omnia, voll. 3, Parisiis,
1698; S. BeRNARDUS, Opera, voll. 6, Parisiis, 1640-1642 ; Ip., De
consideratione, Mediolani, 1667; S. Bepa, Opera omnia, voll. 4,
Coloniae Agrippinae, 1688; S. AucusTINUS, Operum, voll. 2, Pa- |
risiis, 1683. WI

Parecchie del 1700: segnaliamo la collezione dell'oratoriano
A. GALLANDI, Bibliotheca veterum patrum, voll. 14, Venetiis, 1765-
1781, oggi rara; la grande edizione maurina di S. AUGUSTINUS,
Operum, voll. 12, Venetiis, 1729-1734; S. AwBnosiUs, Opera, voll.
4, Venetiis, 1748-1751 ; S. AnsELMUS, Opera omnia, voll. 2, Venetiis
1744 ; S. ArHANASIUS, Opera omnia, voll. 4, Patavii, 1777 ; S. BER-
. ^ MN

e E E e tr me e

234 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

NARDUS, Opera, voll. 2, Parisiis, 1719 ; IoANNES CASSIANUS, Opera
omnia, Lipsiae, 1733; S. IoANNES CHRYSOSTOMUS, Opera omnia,
voll. 13, Parisiis, 1718-1738; S. EPHRAEM, Opera omnia, voll. 3,
1737-1743, ecc.

Del 1800 esiste la Collectio selecta SS. Ecclesiae Patrum del
CA1LLAU (voll. 42, Parisiis, 1829-1840), e alcune altre edizioni.

Concludendo : il fondo patristico testimonia la preferenza be-
nedettina per lo studio dei Padri (anzichè dedicarsi troppo agli sco-
lastici). Si trovano qui, infatti, i padri greci, latini, siriaci nelle ca-
ratteristiche edizioni in folio.

2) Accanto al fondo patristico un ottimo fondo scritturistico,
che, se oggi ha un interesse puramente storico, è però un documento
del vivo aggiornamento culturale dei Benedettini di S. Pietro.

Cominciamo con le edizioni della Bibbia : la più antica è la
Biblia sacra stampata a Venezia nel 1476; seguono: una Bibbia
stampata a Venezia nel 1494; quella di Basilea del 1498-1502 con
la postilla del card. Hugo; una Bibbia gotica (Parigi, 1519); tre
Bibbie di Lione (1529, 1536, 1546); due di Parigi (1554, 1556) ;
una di Anversa (1567) e un’altra di Venezia (1572).

Del 1600 : una Bibbia di Parigi, in 8 voll., del 1642, e soprat-
tutto la famosa poliglotta del vescovo anglicano B. Walton (1657),
in 7. voll.

Del 1700 : la Bibbia ebraica, in 4 voll., edita da J. Leusden ad
Amsterdam nel 1705 ; la famosa Bibbia di Vence (Avignone, 1767-
1773), che qui esiste nella versione italiana dell’800 (voll. 23, Mi-
lano, 1830-1835).

Esistono poi numerosi sussidi per lo studio della Scrittura
come A. CarwET O. S. B., Dictionnaire historique, critique, chro-
nologique, géographique et littéral de la Bible, voll. 4, Paris, 1730 ;
F. J. ScaLeusNER, Novum lexicon graeco-latinum in Novum Testa-
mentum, voll. 2, Glasguae, 1817; DionIGI CERTOSINO, In quatuor
evangelistas enarrationes, Parisiis, 1552.

Si puó constatare che l'interesse per la S. Scrittura procede
€ va di pari passo con quello per i Padri. E, con il fondo patristico,
quello più ricco. Siamo nella linea benedettina : Scrittura-Padri.

3) Anche il fondo liturgico è buono senza distinguersi in parti-
colare. Testimonia anch’esso del vivo scambio con l’ambiente fran-
cese: si sa che il giansenismo estendeva alla liturgia le sue preoc-
cupazioni. In esso è presente, come in tutti gli altri fondi, il fervore
delle nuove edizioni delle fonti, che caratterizzò ogni ramo del sa-
DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 235

pere teologico-ecclesiastico nei secc. xvir-xvin. Così, per es., ci
sono le edizioni liturgiche di I. Bona, Rerum liturgicarum libri duo,
Parisiis, 1672; Augustae Taurinorum, 1753 ; E. ManrTENE O. S. B.,
De antiquis Ecclesiae ritibus, voll. 4, Venetiis, 1783 ; J. MABILLON
O. S. B., De liturgia gallicana, Parisiis, 1783, ecc.

4) Il reparto Concili e Sinodi contiene le rinomate edizioni

di E. BaruzE, Nova collectio conciliorum, Parisiis, 1707 ; S. Bini,
Concilia generalia et provincialia graeca et latina, voll. 10, Lutetiae
Parisiorum, 1636; P. LaBBE S. J., Sacrosancta Concilia, voll. 16,
Lutetiae, 1672 (è quella che precede l'attuale del Mansi).

9) La Monastica contiene : J. MaAnBiLLoN O. S. B., Acta Sancto-
rum Ordinis Sancti Benedicti, voll. 9, Venetiis, 1733-1738; Ip.,
Annales Ordinis S. Benedicti, voll. 6, Lucae, 1739-1745 ; gli Annales
Cistercienses del MaNRIQUE (voll. 4, Lugduni, 1652-1659); quelli
Camaldulenses del MirrarELLI (voll. 9, Venetiis, 1755-1773), e altre
opere di notevole interesse. Sono da menzionare i lavori di R. P.
Tassin O. S. B., Histoire littéraire de la Congregation de Saint-Maur
de S. Benoît, Paris, 1770, e di S. P. LE CERF O. S. B., Bibliothèque
historique et critique des auteurs de la Congrégation de St. Maur, La
Haye, 1726. Vivissima doveva essere l'ammirazione per i confra-
telli maurini. |

6) Teologia, Storia dei dogmi e della Chiesa. — Ci sono le prin-
cipali opere del padre della teologia positiva, il famoso gesuita D,
PETAU S. J., Opus de theologicis dogmatibus, voll. 3, Venetiis, 1721 ;
Ir., De doctrina temporum, voll. 3, Veronae, 1734 ; In., Rationarium
lemporum, Parisiis, 1652; varie monografie su questioni particolari
di disciplina della Chiesa antica o delle eresie antiche, alcune opere
di L. THomassin, sempre sulla linea della teologia positiva. Carat-
teristica la presenza dell'opera dell'anglicano J. BrxcHAM, Operum,
voll. 11, Halae Magdeburgigae, 1725-1728, 1751, sulle antichità cri-
stiane delle origini, il primo saggio di una visione sintetica su tale
materia. Inoltre vari dizionari di teologia, manuali, ecc., oltre a nu-
merose storie della Chiesa, compreso Baronio, il Platina e altre storie
di chiese particolari. Insomma l’erudizione, caratteristica del 1600-
1700, sia essa storica, teologica, ecc., caratterizza pure la nostra
biblioteca.

Teologia morale — Fondo non molto notevole, testimonia an-
ch'esso dei problemi dei secc. xvrr-xvir, che conobbero la ten-
denza rigorista di solito rappresentata dai documenti (è però tipica
anche nei giansenisti e affini) e quella più comprensiva dell'umana
236 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

fragilità (gesuiti: sorgere della casistica). Accanto ai vecchi mora-
listi del 1500, quali M. AzPiLcuETA, P. ArRAGON O.E.S.A., da ri-
cordare un famoso probabilista del sec. xvir il domenicano
D. Concina O. P., Theologia christiana dogmatico-moralis, Bono-
niae, 1760; voll. 2, Romae, 1764. I gesuiti sono rappresentati ad
es. da P. LAvMANN, J. Luco, D. Viva S. J. Sono presenti opere
scolastiche, manualisti, opere di casistica, sul problema del pro-
babilismo, ecc. Anche in questo campo varie traduzioni dal francese,
anche di lettere pastorali di vescovi, ecc.

Ascelica — Fondo interessantissimo e piuttosto copioso, pre-
valentemente del 6-700. Influsso francese con varia gamma di
tonalità dal moralista Nicole a operette quietiste o semiquietiste.
Si potrebbe da esso ricostruire tutta la spiritualità del tempo. Man-
cano però del tutto i grandi autori spirituali francesi del sec. xvii,
quali De Bérulle, Olier, Condren, ecc. Ció pone il problema del cri-
terio di scelta o della diffusione di tali autori.

Catechetica — Decisa preponderanza di opere della seconda
metà del 1700 e dell’800.
Predicazione — Fondo abbastanza ricco e nutrito. I grandi

oratori francesi del '600: J. B. BossueT, L. BouRDALOUE S. J., C.
De LA CoroMBiÉnE S. J., E. FLÉcHIER, F. COMBEFIS.

Diritto canonico — Varie opere del '500 : di J. DE TORQUEMADA
O. P., Nicora DE’ TEDESCHI, A. BaRrBOSA. Opere storico canoni-
che del 1600 di E. BaLuze, A. J. ASSEMANI e manualisti vari del
7-800. La presenza di varie opere gallicane ricollega questa parte
a quella sopra segnalata dogmatico-morale per ispirazione identica.

FONDO LETTERARIO, STORICO, FILOSOFICO. — È ottimo, anche
se appare lacunoso. Presenta il carattere generale della biblioteca :
l'erudizione. Mentre il fondo precedente gravita sui secc. xvir-
XVIII, questo abbraccia i secc. xvi-xix. Dal suo esame appare
evidente che i monaci di S. Pietro furono degli umanisti. i

Le lettere latine sono rappresentate in edizioni dei secc.
XVI-XVII, alcune tecnicamente pregevoli, ma in genere di scarso
interesse sotto l’aspetto testuale e critico.

Nella sezione delle lettere greche prevalgono le grammatiche
dei secc. xvi-xviri accanto al Thesaurus graecarum antiquitatum di
J. Gronow (Venetiis, 1732-37) in 13 volumi.

Per le lettere italiane si rinvengono alcuni classici, compresa

i
DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 237

la bella edizione della Gerusalemme liberata con vignette di G. B.
Piazzetta (Venezia, 1745) periodici e dizionari.

Poche opere inglesi e spagnole ; presente l' Encyclopédie (Livorno,
1770-79) di DipeRoT-D’ALEMBERT.

Storia. — Il fondo storico è abbastanza ben fornito. Vi pri-.

meggiano le monumentali edizioni di L. A. MuraTORI, Annali
d'Italia, voll. 23, Roma, 1752-1754 ; Ipr., Antiquitates Italicae Medii
Aevi, voll. 6, Mediolani, 1738-1742 ; voll. 17, Arretii, 1773-1780 ;
Ir. Rerum Italicarum Scriptores, voll. 28, Mediolani, 1723-1751 ;
Ip., Dissertazioni sopra le antichità italiche, voll. 3, Milano, 1751;
J. G. GRAEVE, Thesaurus antiquitatum et historiarum Italiae, voll. 9,
Lugduni, 1723-1725 ; In., Thesaurus antiquitatum Romanarum, voll.
12, Venetiis, 1732-1737 ; In., Thesaurus antiquitatum et historiarum
Siciliae, voll. 8, Lugduni Batavorum, 1723-1725.

Vi si trovano gli storici italiani di ogni secolo, in edizioni del
1800 e antecedenti, cosi pure i francesi e gli inglesi dello stesso pe-
riodo: opere generalmente ben scelte (alcune, di una certa rarità)
che denotano gli interessi europei dei monaci.

Arte e Archeologia. — Fondo molto depauperato nei periodi
repubblicano e napoleonico; buone collezioni di riproduzioni, di
numismatica, alcune fonti di storia dell’arte, periodici, ecc.

Filosofia e diritto. — Fondo non molto ricco con largo indirizzo
eclettico, con opere di R. DescaRTES, N. MALEBRANCHE, J. G.
HEINECKE, R. J. PorHIER, A. GeNovesI, P. GALLUPPI, M. Giora.

Ci sembra che da quanto rimane di questo fondo si possano
rilevare le incertezze filosofiche caratteristiche in campo ecclesia-
stico nel periodo illuministico.

Fonpo TECNICO SCIENTIFICO. — Il fondo tecnico-scientifico
per eccellenza è costituito da oltre un migliaio di opere depositate
presso la Biblioteca centrale della nostra Facoltà di Agraria.

Sono, in prevalenza, trattati di botanica e biologia ; vi si tro-
vano infatti le opere piü significative degli scienziati piü noti del
'600 e del '700 : M. MaLpiGHI, Opera omnia, voll. 2, Lugduni Bata-
vorum, 1687; Ip., Opera posthuma, Amstelodami, 1700; A. L.
Lavoisier, Trattato elementare di chimica, voll. 2, Venezia, 1792;
voll. 4, Venezia, 1796; A. CanpoLLE (de), Théorie élémentaire de
la botanique, Paris, 1813; L. SPALLANZANI, Opuscoli di fisica ani-
male e vegetabile, voll. 2, Modena, 1776; Ip., Fisica animale e ve-
getabile, voll. 3, Venezia, 1801; C. Linnaeus, Species plantarum,

——————__
238 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

voll. 2, Vindobonae, 1764; Ip., Flora Zeylanica, Holmiae, 1764;
Ip., Flora Svecica, Stockholmiae, 1755; Inp., Fundamentorum bota-
nicorum, voll. 3, Coloniae Allobrogum, 1786-1787; Ip., Species
plantarum, voll. 10, Berolini, 1797-1810 ; G. GALILEI, Opere, voll. 4,
Padova, 1744; Ip., Discorso al serenissimo Don Cosimo II, Duca
di Toscana, intorno alle cose, che stanno sull'acqua, o che in essa si
muovono, Bologna, 1655; J. L. LEecrEeRc DE Burrow, Storia natu-
rale generale e particolare, voll. 59, Venezia, 1782-1791.

Vi figurano, oltre ai classici dell'antichità (Columella, Stra-
bone, Teofrasto, Plinio), interessanti studi, illustrati spesso con ni-
tide tavole, impreziositi da incisioni altamente decorative, nei piü
svariati campi della scienza e della tecnica, agraria in particolare
(idraulica, meccanica, tecniche colturali). Numerose le enciclopedie, i
dizionari, gli atlanti : Encyclopédie méthodique (Botanique), voll. 20,
Padova, 1784; Encyclopédie méthodique (Beaux arts), voll. 3, Pa-
dova, 1742; Encyclopédie méthodique (Arts et métiers mécaniques),
voll. 22, Padova, 1784; Maison Rustique du XIX° siècle (Ency-
clopédie d’agriculture pratique), voll. 6, Paris, 1836-1845; Nuovo
dizionario universale tecnologico o di arti e mestieri, voll. 51, Venezia,
1830-1859; F. GERA, Nuovo dizionario universale e ragionato di
agricoltura, voll. 27, Venezia, 1834-1850; Nuovo dizionario geogra-
fico universale statistico-storico-commerciale, voll. 16, Venezia, 1826.

Una panoramica retrospettiva, soprattutto del '700, di note-
vole interesse per il ricercatore scientifico, una gioia per gli occhi
del bibliofilo e dell'esteta, un’ulteriore testimonianza di quanto
vasta fosse la gamma di interessi culturali nel mondo benedettino.

N:O-TSE

1) Ci riferiamo soltanto al complesso delle opere a stampa, non ai ma-
noscritti, di cui si occuperà il prof. G. Battelli.

*) Libro di Ricordi dal 1527 al 1610, c. 32a (Diversi 38).

*) M. BinI, Memorie storiche del monastero di S. Pietro di Perugia, P. 1,
p. 139; Libro di Ricordi, op. cit., c.: 124b.

+) M. BiNwi, op. cit., P. m, p. 21; Exemptionum et onerum MM,
pid (P: Di..36).

5) MX&BInI, 0p.:cit., P. imm, p. 19.

*) Ibid., p. 24.
dr

DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA

?) Ibid., p. 159.

*) Ibid., p. 166.

*) Spese più rilevanti e documentate per i lavori della libreria : « scudi |
189 e baiocchi 37 spesi per la fabrica che si fa per la libraria sopra il chiostro HU
della forestaria in questo modo, videlicet scudi 39.65 in opere di scarpellino
a far le finestre di pietra e cornicioni, scudi 52.12 in 17375 mattoni da Oratio
e M. Menico, scudi 35 in 2900 quadrucci in condotta di detta robba, scudi
4.50 in 650 sacchi di rena, scudi 50 dati alla Ferretti a conto delle taglie
della calcina data e scudi 30 a R. Paolo per a bon conto del cottimo di
detta fabrica ».

«scudi 4, baiocchi 20 alli renaioli per sacchi n. 6000 di rena per la (JIN
fabrica della libraria..., scudi 3 a M. Francesco scarpellino a conto della | |
porta della libraria ...». Z--

«...scudi 21 a M. Oratio fornaciaio per 7000 mattoni da lui presi | n.
per servitio della fabrica della libraria... ».

«a M. Vincenzo fornaciaio scudi 42 per 14000 mattoni; scudi 10,
baiocchi 10 per 3000 quadrucci, scudi 3 per 7000 pianelle da tetto, scudi 5,
baiocchi 40 per tavole maritate servite per la fabrica della libraria ». LI

«scudi 71, baiocchi 78... videlicet... a Paolo muratore... a conto || | |
di tutte le fatiche per la fabbrica della libraria nuova ..., per gesso per far |
le volte ..., per condotta di 1550 mattoni..., per 4000 sacchi d'arena... $ mn .
per pagamento di 9750 mattoni, di 2400 quadrucci, di 210 tegole e di 100 | | | Ü j
pianelle da tetto serviti tutti per detta fabbrica... ». | |

«...Scudi sborsati a Paolo muratore a conto della fabrica della
libreria (sc. 15.75) ».

«...scudi 30 per 1000 mattoni, e scudi 2 per 600 quadrucci per la

libreria ».
«saldo a Francesco scarpellino per 50 piedi di cornicione di pietra
e di 34 modiglioni per la libraria... ».

«scudi 11.80 per pietre, bolloni, cerchi, bocchette, viti, madreviti,

ferri, chiave, ecc. per servizio della libraria ».

Giornale 122, c. 26b, c. 46a, c. 49a, c. 50b, c. 92b, c. 57b, c. 58b, c. 61a,
c. 66a. |

E ancora altri pagamenti in natura o denaro: Ibid., c. 67a, c. 68a, ill
c. 78a, c. 81a, c. 83a, c. 88b, c. 91b. Giornale 136, c. 171b. ME

Nel febbraio del 1643 sono registrati « scudi 7.8.60 per 6 migliara d'ar- ill y ,
gento battuto per la libraria ; scudi 4.8.30 per vasi di legno, 18 palle, ro- | p,
sette e rose per la porta della libraria ». Era allora abate di S. Pietro Leone | | n
Pavoni di Todi, geniale e attivo. Ibid., c. 173b.

10) Liber contractuum 14, cc. 38b-39a.

11) «... perpetuo ac usque ad saeculi consumationem fructus omnes dI
ex dicto potere percipiendos applicavit... praecipue et specialiter dictae Il Il
bibliothecae atque illius ornamento, cum expressa conditione, declaratione, |
240 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

protestatione quod dicti fructus in predictum et non alium usum conver-
tantur, quod quidem potere constituit in dotem et pro dote dictae biblio-
thecae ...» Id. 43, cc. 19b-21a.

12) Ibid., cc. 42a-43a.

1) Mazzo VI (1).

1) :M. BINi;#opi cit.) P':1,: pi 238.

15) Sono, in genere, messali, offizioli della Madonna, vite di Santi, bre-
viari, dottrine cristiane per il noviziato e per le monache soggette al mo-
nastero. Frequentemente citate le spese per la rilegatura dei testi, a volte
acquistati in pecie. Giornale 116, c. 101a, c. 161a c. 187a; Id. 117, c. 265b ;
Id. 118, c. 41a, c. 67a ; Id. 119, c. 129a; Id. 121, c. 8a ; Id. 122, c. 36a ;
Id. 124, c. 258a, c. 293b, c. 313b ; Id. 126, c. 92a ; 1d; 129; c. 6b, c. 71a;
c. 88a, c. 91a, c. 150b, c. 186b, c. 202a; Id. 130, c. 66b, c. 75b c. 162a ;
Id. 131, c. 48a; Id. 132, c. 192a, c. 254b; Id. 133, c. 90a, c. 192a ; Id.
134, c. 21b ; Id. 142, c. 24b, c. 132b ; Id. 145, p. 30. Giornale di cassa 160,
c. 73a; Id. 163, maggio 1752, luglio 1753, febbraio 1754, maggio 1754,
agosto 1755. Mastro 12, c. 64a; Id. 13, c. 86a, c. 190a, c. 292a ; Id. 20,
c. 86a; Id: 21, c.' 172a; Id. 23, c. 179a; Id. 24, c. 62a ; Id. 25, c... 65a;
c. 138a.

16) Riportiamo. solo alcuni riferimenti in merito, anche se, natural-
mente, molti altri acquisti su tali argomenti compaiono ripetutamente in
varie note: Giornale 116, c. 209a, c. 229a; Id. 129, c. 139a. Mastro us
c. 140a ; Id. 14, c. 142a ; Id. 19, c. 25A ; Id. 23, c. 91a, c. 396a. Libro di
cassa 163, dicembre 1751; Id. 164, gennaio 1761.

17 C'é menzionato proprio l'acquisto di un libro da parte di uno stu-
dente: Mastro 6, c. 115a.

Inoltre vi figurano opere di Orazio, Virgilio, Cesare, Cicerone, Columella,
Aristotele, Euclide ; testi di filosofia e fisica : Mastro 5, c. 221a; Id. 23,
c. 252a, c. 325a; Id. 24, c. 136a. Giornale 116, c. 2290:;51d:1119,* c. 5a;
Id. 124, c. 122a ; Id. 126, c. 85a ; Id. 128, c. 38b, c. 70b, c. 92b; Id. 131;
c. 68b ; Id. 140, c. 85b.

18) Si registra la spesa di soldi 54, per l'acquisto di «otto catene da in-
catenare per la libraria »: Giornale 116, c. 229a.

3) Otto giornate di lavoro, compensate con scudi 1.60, per imprimere
il nome di S. Pietro sopra i libri di diversi monaci: Giornale 128, c. 115b.

20) L'acquisto di sei libretti della traslazione delle reliquie di S. Pietro
Vincioli, stampati in occasione delle feste per la traslazione di queste e di
quelle dei Santi perugini Bevignate ed Ercolano (1609) : Giornale 129, c. 168b.

2) Padre Isidoro acquista a Firenze un grande libro per l'alluvione del
Tevere: Giornale 124, c. 131a.

22) Tra i numerosissimi citati appare anche il nome del grande tipo-
grafo e libraio perugino Francesco Cartolari. Giornale 116, c. 152a ; Id. 117,
c. 131b ; Id. 121, c. 14a; Id. 122, c. 24a; Id. 124, c. 120a, c. 299b ; Id.
DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 241

125, c. 181a, c. 1865 ; Id. 126, c. 106a ; Id. 129, c. 87b ; Id. 130, c. 221b;
Id:-191; c. 71a; 1d.:132, c. 112a ; Id: 133, c. 57a ; Id. 135, c. 45b; Id. 142,

c. 29b, c. 146b. Libro di cassa 164, maggio 1759, maggio 1760, maggio 1761,
maggio 1762.

**) Spesso vengono precisate anche le spese per il trasporto dei libri
dal luogo di acquisto al monastero, come, ad esempio, quelle sostenute per
portare dodici some di libri di Prospero Podiani da Roma a S. Pietro. Molto
probabilmente il vetturale é Giorgio della Molinella e la somma registrata

è a titolo di deposito, perchè le spese di trasporto sono addebitate al Po-
diani. Giornale 127, c. 24a.

Citazioni di altri luoghi di acquisto di libri: Id. 118,.c.' 2b, 6: 3b; Id.
121, c^ 49a; Id. 122, c. 28a;. Id. 127, c. 24a, c. 116b; Id. 128, c. 103b;
Jd. 130, c. 132b; Id. 131, c. 31b. Mastro 2, c. 251a; Id. 12, c. 165a;
1d.::20; :c; 192a ; Id; +23, :c... 252a.

24) Giornale: 117, c. 107b.

^) Libro di cassa 165, maggio 1765, maggio 1766.

2) Mazzo xLV (6).

27) BINI, Op. cit.;;-part: I, p. 206.

2) Mazzo cxxi (5).

CEccHINI. — Mi compiaccio vivamente per la impegnatissima
analitica comunicazione della dott. Scaramucci su questa biblioteca,
che costituisce una rivelazione, perché in sostanza si tratta di fondi
librari praticamente fino ad oggi inaccessibili. Mi auguro che, non
so se per sollecitudine della Fondazione Agraria o di altri benemeriti;
si possa procedere ad una accessibilità costante mediante una scheda-
tura completa, secondo i criteri bibliografici che sono oggi solitamente
adottati dalle biblioteche, anche se non pubbliche ; perché mi pare di
avere capito, per quella conoscenza che posso avere delle biblioteche
locali, che parte di questi fondi librari costituiscono una integrazione
dei fondi librari per lo meno delle altre due grosse biblioteche perugine
a carattere pubblico, cioè la Biblioteca Augusta e la Biblioteca Centrale
dell’ Università. Mi pare di aver capito che non si è riusciti a localiz-
zare la sede dove era collocata questa biblioteca, perché le indicazioni
che si ricavano dal Bini sono un po’ generiche, indicano solamente
i lati dell’edificio in cui essa era allogata.

Io vorrei esprimere al prof. Ugolini quella unanime avocazione
a questa cattedra, che è stata dall’assemblea segnalata prima che egli
avesse la compiacenza di entrare qui; perchè io ho avviato la discus-
sione in mancanza di persone più qualificate ma vedo che adesso
egli è presente e perciò lo prego di salire qui.
242 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

Ucoriwr. — Mi pare che nel programma di oggi a questa co-
municazione che è stata rinviata da stamani segua la comunicazione
del prof. Giulio Battelli, che invito allora a voler prendere la parola.

Il prof. Giulio Battelli ci parlerà degli antichi codici del Monastero

di San Pietro. Do la parola al collega prof. Battelli.

Gli antichi codici di San Pietro di Perugia

Negli ultimi anni si è avuto un rifiorire di ricerche attorno al mo-
nastero di San Pietro, ai suoi monumenti d’arte, alla storia, all’ar-
chivio, ma le vicende della sua antica biblioteca non sono state oggetto
di studi particolari, per cui non conosciamo neppure quali e quanti
fossero i codici da essa posseduti prima della dispersione avvenuta
a seguito della soppressione napoleonica. Mentre i documenti del-
l'archivio *) mostrano le benemerenze dei monaci nel campo della
agricoltura, quasi nulla sappiamo delle loro attività culturali fino
alla Rinascenza.

Per questo ho accettato volentieri l’invito del Presidente della
Deputazione di Storia Patria a trattare un tema finora rimasto in
ombra, nella speranza che altri possano poi estendere ed approfon-
dire la ricerca *).

I codici che oggi si conservano a San Pietro, annessi all'archi-
vio, sono quasi sconosciuti, non essendone pubblicato neppure un
elenco sommario : esistono solo due elenchi manoscritti di modesta
pretesa, redatti a fini amministrativi, che contengono anche libri
d’archivio, manoscritti recenti fino al sec. xix e libri a stampa. Il
primo di essi è l’« Indice dei codici che dalla Biblioteca di S. Pietro di
Perugia nel 1841 furono trasportati nel: suo Archivio » compilato
da D. Mauro Bini: i singoli articoli sono elencati senza un ordine
e senza numero progressivo. L'altro é nell'« Inventario delle carte
e dei libri conservati nell'Ex-Badia di San Pietro in Perugia », re-
datto nel 1890 a scopo di ricognizione patrimoniale da Adriano
Cappelli, sottoarchivista del R. Archivio di Stato di Milano: i co-
dici (e i libri a stampa, ecc.) sono descritti in altro ordine, con una
numerazione progressiva che non corrisponde a quella dell'attuale
segnatura.

————————— —
DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 243

. Altri codici, passati nella Bibl. Augusta, sono indicati dal
Bellucci *) ma non tutti; altri ancora sono andati dispersi. Cosi
non é facile impresa ricostituire l'entità dell'antico patrimonio li
brario del monastero e seguire le vicende.

Mancano anche inventari più antichi. Il Kehr *) cita « Elenchum
codicum, qui adservantur in bibliotheca S. Petri de Perusio » conges-
sit G(iuseppe) Di Costanzo saec. xvi ex. *), ma tale elenco, che l’au-
tore stesso nel 1803 prestò all'amico G. B. Vermiglioli, deve consi-
derarsi perduto, non avendosene più notizia dopo quell’anno *). Il
Kehr aggiunge « aliud catalogum invenies in Hier. Amati M iscellanea,
saec. XIX, cod. Vat. lat. 9779 » : si tratta però di una nota di soli sette
codici visti da Giovanni Cristoforo Amaduzzi circa il 1771, sulla
quale torneremo ?).

1. Nel considerare la storia del monastero che, sorto nel sec. x,
nei due secoli seguenti ebbe almeno 20 solenni privilegi di protezione
e di conferma dei beni da parte dei papi, e non meno di 10 diplomi
analoghi da parte degli imperatori *), acquistiamo la certezza che
esso raggiunse presto un’importanza notevole. Per quanto poco si
sappia delle sue strutture architettoniche, i resti del chiostro recen-
temente riconosciuti ci assicurano che nel sec. xir la fabbrica era
già grandiosa. Una simile ampiezza suppone un buon numero di
monaci : occorrevano dunque libri, oltre che per le esigenze dell’uso
corale e liturgico (Salteri, Lezionari, Sacramentari, Epistolari, Evan-
geliari), anche per la scuola e per gli studi sacri. Certo doveva
esservi, come ovunque negli altri monasteri, una sala destinata
alla conservazione dei libri e forse un’altra per lo scriptorium,
dove essi venivano scritti.

Ma per tutto il tempo fino al '400 le notizie cronistiche e docu-
mentarie relative ai libri sono scarsissime e incerte. La prima no-
tizia, che riguarda codici fatti scrivere per il monastero, risale ap-
pena al tempo dell'abate Ugolino IT Vibi?), che nel 1336 ordinò
con contratto ad Antonio di maestro Giovanni da Perugia un esem-
plare del Liber VI delle Decretali, e nel 1339 ordinò due altri libri,
cioè la Novella di Giovanni d'Andrea e la Glossa dell'Ostiense sulle
Decretali, facendone contratto rispettivamente con uno scriba in-
glese e con certo Paolo di Guglielmo. Si tratta di tre opere di diritto
canonico, cioè di codici universitari (come oggi si dice), la cui ese-
cuzione avveniva di regola nell’ambito di amanuensi professionali ;
perciò la notizia di libri fatti scrivere fuori del monastero, ricavata

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244 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

dai registri dei contratti, non porta luce sull'esistenza di uno scripío-
rium interno.

La biblioteca, come entità distinta, non viene menzionata in
occasione delle distruzioni del marzo 1398.. Narra il Bini 9) che il
popolo di Perugia, insorto dopo l’uccisione proditoria di Biordo Mi-
chelotti procurata dall’abate Francesco Guidalotti, il giorno 11 marzo
« corse... in monastero e lo spogliò, togliendo tra altre cose molte
scritture e privilegi, e nel seguente giorno, che fu martedì, pose il
fuoco al monastero stesso ».

Quando Bonifacio IX interviene a favore del monastero é
con bolla del 20 ottobre 1400 +) concede la facoltà di scomunicare
coloro che occupano e detengono i suoi beni, nomina fra questi :
«...domos, vineas,... instrumenta publica, litteras autenticas, li-
bros, ornamenta domorum, ...». Nella enumerazione di beni mobili
e immobili e di natura cosi diversa, non siamo certi che con libri
si voglia alludere a codici della biblioteca e non a registri d'ammini-
strazione, cioé libri d'archivio, o a corali ed altri libri liturgici.

Sembra piü esplicita la menzione riportata in una seconda bolla
emanata appena dodici giorni dopo **), con la quale lo stesso ponté-
fice concede ad Annibaldo Guidalotti i beni mobili già apparte-
nuti al defunto abate Francesco e da lui acquisiti « personalibus
laboribus et industria », cioè ogni credito, «necnon libros, annulos,
vasa aurea et argentea, suppellectilia, iocalia . . . ». Ma anche in questo
caso la menzione e generica e, quand'anche si riferisca a codici, viene
il sospetto che si tratti di una elencazione di oggetti facente parte
di una formula consueta. Ad ogni modo si tratterebbe di libri perso-
nali dell’abate, non del monastero.

Ugualmente generica, rispondente più ad una formula che à
fatti reali, è la menzione che si ripete in una terza bolla, con cui
Innocenzo VII il 14 dicembre 1405 ??) ritorna sul recupero dei beni
del monastero occupati indebitamente nella sommossa del 1598:
si ripete anche qui «... domos, vineas, ..., calices, cruces, libros,
sanctorum reliquias, ornamenta ecclesiastica . . . ».

Le notizie riguardo alla presenza di libri a San Pietro fino agli
inizi del '400 sono dunque poche e incerte. Nella seconda metà del
secolo abbiamo finalmente un elemento concreto : molti codici, fra
quelli rimasti, portano la nota di possesso del monastero, che per-
mette di riconoscere con certezza la loro appartenenza.

Dopo che Eugenio IV dispose la riforma dell'ordine benedettino
e San Pietro fu annesso alla Congregazione di S. Giustina di Padova
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DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 245

ci fu un riordinamento, e forse un accrescimento della Biblioteca.
Una mano quattrocentesca segnò allora l'ex-libris : « Iste liber est
congregationis S. Iustine usui monasterii S. Petri destinatus » (o si-
mile), seguito da un numero in cifre arabiche. Spesso il numero é
corretto da mano poco posteriore. L'unione con S. Giustina durò firio
al 1504, perció le note sono certamente anteriori a questa data.

Dai numeri possiamo ricavare per la prima volta una notizia
concreta sull'entità del patrimonio librario: da un rapido esame
dei codici rimasti a San Pietro i numeri risultano saltuari, fino a
590 14), il più alto che abbiamo incontrato. Dunque i codici erano
allora almeno 590.

A prima vista, un tale numero relativamente alto, in confronto
con il modesto numero dei codici rimasti, suscita una certa sorpresa.
Viene il dubbio che siano stati compresi nel numero, con i mano-
scritti, anche libri a stampa ; ma il fatto sarebbe insolito, oltre poi
che dovrebbe trattarsi caso mai di pochi incunaboli, dato il tempo.
Il confronto con inventari di altre biblioteche della regione ci con-
vince peró che i libri esistenti allora a San Pietro erano tutti mano-
scritti : l'inventario di Assisi del 1381 ':) descrive 181 mss. nella
Biblioteca pubblica e 537 in quella segreta ; i tre inventari del con-
vento di San Domenico di Perugia, degli anni 1430, 1446 e 1458
contano rispettivamente 543, 403 e 785 codici :°) ; la biblioteca del
domenicano Leonardo Mansueti contava, nel 1478, 519 codici 17).

Il rinnovamento della chiesa e dei chiostri, il grazioso campa-
nile ottagonale, la serie dei magnifici corali ad uso della chiesa sono
una testimonianza diretta che la Rinascenza aveva trovato in San
Pietro una eco profonda; ne fa prova anche il ripetuto soggiorno
di papi: di Pio II nel 1459, di Giulio II nel 1506, di Clemente VII
nel 1532, di Paolo ITI nel 1535 e nel 1538 15).

Ma, oltre le note di possesso segnate sui codici e il loro numero,
poco sappiamo della vita culturale del monastero, di cui i codici
stessi sono la testimonianza. E l'età del Perugino, del Perotti, di
Iacopo Antiquario, del Maturanzio: dobbiamo pensare che San
Pietro fosse aperto agli umanisti, se Francesco Maturanzio (t 1518)
lasció al monastero i suoi codici Non sappiamo quanti essi fossero,
non essendo stato trovato il testamento, né l'atto di consegna fatto
dopo la sua morte; eppure dovette esserci una consegna regolare
da parte dell'esecutore testamentario perché nei codici stessi si trova
l'annotazione « Ex testamento Francisci Maturantii», con un numero
romano e la firma del notaio « Simon, notarius monasterii S. Petri »:?).

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246 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

Abbiamo contato piü di 20 codici a lui appartenuti, nella maggior
parte greci, alcuni di grande interesse. Egli li aveva comprati a
Rodi e a Creta, durante il suo viaggio in Grecia del 1473 *°); altri
ne aveva ricevuti o aveva scritto lui stesso a Vicenza, quando era
stato alla scuola di Ognibene da Lonigo, di cui fu successore. *).
sembra che, dopo i codici del Maturanzio, ne siano venuti altri
appartenuti a D. Basilio Zanchi ( 1558) a cura di Prospero Po-
diani ( 1615), che fu appassionato raccoglitore di libri, fondatore
e primo bibliotecario della Bibl. Augusta *).

Nei codici del Maturanzio si trova spesso l’invocazione sacra
Miserere mei, Deus o Misereatur mei, Deus; quest’invocazione è
stata considerata come caratteristica per riconoscere l’apparte-
nenza a San Pietro **), ma essa si trova anche in altri che non risulta
siano appartenuti al monastero perugino **).

Note di possesso del secolo xvii sono un altro mezzo per rico-
noscere i codici e insieme aver notizia della loro numerazione in
quel tempo. La forma usuale è : Est monasterii S. Petri de Perusio
o simile, seguita da Laus Deo o da un numero arabico ; in alcuni
casi la scritta è ripetuta, una volta con l'invocazione sacra e poi con
il numero, come si riferisse a due momenti dell’opera del bibliote-
cario. Il numero più alto finora riscontrato è 200, nel cod. 173 (C. 56)
della Bibl. Augusta.

Alla fine del ’700 abbiamo finalmente due elenchi descrittivi,
limitati però a pochi manoscritti. Il primo è negli appunti lasciati
da Giovanni Cristoforo Amaduzzi, da cui Girolamo Amati derivò
la nota già ricordata *5). Essa indica sette codici, di cui uno solo è
rimasto a San Pietro, tre sono nella Bibl. Augusta, due nella Vati-
cana e uno non è stato finora identificato *°).

Il ricordo di un gruppo di manoscritti poco più numeroso si ha
nella testimonianza dello stesso abate Di Costanzo che aveva com-
pilato l'Elenchus codicum. Nell’Odeporico **) accenna ai codici da
lui visti a San Pietro « ne contai fino a cento, fra’ quali XVII greci »
e ne nomina dodici, oltre «varie opere di Aristotele » **). Ed aggiunge :
« Vi ha pure una buona raccolta di Classici Latini profani, sì Poeti,
che Storici, Oratori etc., come ancora di Biblici, SS. Padri, Teo-
logi, Moralisti, Canonisti etc., oltre vari Filologi specialmente del
sec. xIv, e alcuni pezzi e traduzioni in lingua volgare antica che
tutti trovansi segnati nel suddetto Elenco . . . », cioè il suo Elenchus
codicum ora perduto. ;

Il Di Costanzo scriveva questo brano dopo il febbraio 1797,

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DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 247

quando era cominciata l'occupazione francese, perchè prosegue :
«. .‘.'.. Elenco, che ho in animo di confrontare meglio in qualche
occasione che dovrò portarmi a Perugia. Non so però se dopo la
Rivoluzione Democratica non ne siano stati rapiti alcuni o perduti,

come ho gran motivo di credere ...»*). Il controllo fu fatto, ed .

anzi il Di Costanzo segnò con un asterisco i codici « mancati in tempo
del Vandalismo francese » *°).

Essendo perduto l'Elenchus, non possiamo accertare quanti fos-
sero i codici prima della dispersione; se la testimonianza del Di
Costanzo deve prendersi alla lettera (« ne contai fino a cento »), non
sappiamo spiegare per quali cause il loro numero fosse così dimi-
nuito già prima della soppressione del monastero.

Prima del 1809, in conseguenza della seconda occupazione fran-
cese, i codici furono portati alla Pubblica Biblioteca, cioè nell’ Augu-
sta. In questo tempo Giovanni B. Vermiglioli, insigne erudito perugi-
no, compilò un catalogo descrittivo dei manoscritti più importanti
delle biblioteche di Perugia e, nel descrivere i codici allora posse-
duti dalla Biblioteca Pubblica, indica con cura quelli venuti da San
Pietro. Questo catalogo, conservato manoscritto nella stessa Bi-
blioteca Augusta *), è di un'importanza fondamentale per il rico-
noscimento dei codici.

Nella prefazione della sua opera, il Vermiglioli riconosce di non
saper spiegare come mai i codici di San Pietro siano così pochi :
«convien dire che i suoi mss. o in tutto, od in gran parte si smarrisse-
ro, e andassero soggetti alle vicende delle umane cose ». Egli ricorda
di aver avuto l’elenco dell’ab. Di Costanzo e di aver visto « bellissimi
pezzi » a San Pietro, « fra i cento e più codici da noi ivi esaminati,
passati quindi nella pubblica libreria ». Ritorna il numero di cento
già indicato nell’Odeporico, senza poter accertare, anche in questo
caso, se sì tratti dei codici da lui esaminati in quanto lo interessa-

vano o del numero complessivo dei codici esistenti.

Resta incerto anche in quale anno sia avvenuto il trasferimento,
se per singoli codici (come sembra) o tutto insieme, e per ordine di
chi. Il Vermiglioli loda lo zelo di Luigi Canali, bibliotecario dal 1803,
il quale « ne condusse a salvamento moltissimi nella stessa Biblio-
teca » **); ma altra volta attribuisce a se stesso il merito : nella de-
scrizione della Grammatica di Manuele Moscopulo annota «Fu
presso i PP. di S. Pietro, da dove passò mercè le nostre cure e pre-
mure nella pubblica biblioteca » **).
Una parte dei codici tornò poi nel monastero ; fu fatta certo
248 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

una scelta, riportando quelli di contenuto sacro e lasciando nella
Bibl. Pubblica i classici. Alcuni passarono in mani estranee e fuz
rono venduti.

Nel 1841 i codici restituiti alla biblioteca di San Pietro passarono
all'Archivio, dove tuttora si trovano. L'indice compilato in quel-
l'occasione è stato già ricordato.

2. Delineate a grandi linee le vicende dell'antica biblioteca di
San Pietro, ho cercato di riconoscerne la consistenza, per quanto
possibile, tenendo conto delle note di possesso e delle notizie che si
ricavano dalle descrizioni dell' Amaduzzi, del Di Costanzo e del Ver-
miglioli piü volte citate, oltre che dal catalogo della Biblioteca
Augusta del Bellucci **) e dalle accurate descrizioni dei codici greci
dell'Allen **) e del Mioni *°). ip

E stato possibile formare quattro elenchi che indicano: (A) i
codici tuttora esistenti nel monastero provenienti dall'antica bi-
blioteca, (B) quelli ora appartenenti alla Bibl. Augusta, (C) i pochi
che è stato possibile rintracciare in altre biblioteche, e (D) quelli
finora non ritrovati o recentemente perduti.

Nella ricerca ho preso in considerazione solo i «libri», cioé i co-
dici contenenti opere sacre o letterarie, anteriori alla metà del sec.
xvi; oltrepassa questo limite solo il ms. 44 dell’Arch. di S. Pielro,
descritto anche dal Vermiglioli, nel quale una parte porta la data
del 1586 e 1587. Hestano cosi esclusi i preziosi corali conservati
nella sagrestia e le raccolte documentarie, come la « Raccolta di
privilegi accordati da papa Eugenio rv alla Congregazione Cassi-
nese » (Arch. di San Pietro, ms. 60), e il Liber taxarum di tutti i
monasteri e vescovati, del sec. xv (ivi, ms. 19). ;

Alla breve indicazione del contenuto e dell'età dei singoli codici
(che tuttavia non abbiamo avuto il tempo di controllare sistemati-
camente) abbiamo aggiunto mediante sigle il riferimento agli elen-
chi e cataloghi che li attribuiscono a San Pietro, tranne che sia detto
diversamente **).

A. CODICI ESISTENTI A SAN PIETRO.

La sezione « Manoscritti») annessa all’ Archivio conta 448 numeri,
ma di essi solo 50 interessano la nostra ricerca per il contenuto e per
il tempo. Restano esclusi i sette codici indicati qui appresso, che
non risulta appartenessero all’antica biblioteca del monastero, men-
de

DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 249

tre portano l’ex-libris di altra biblioteca o mostrano di provenire da
altra chiesa o convento per la natura stessa del testo. Forse perven-
nero a San Pietro per errore nella restituzione del monastero dopo
la prima soppressione napoleonica :

Ms. 20: Costituzioni della Compagnia di S. Tommaso d'Aquino in Pe- -

rugia (membr., sec. xv).

Ms. 21: Regola della Confraternita di S. Tommaso d'Aquino in Pe-
rugia (membr., an. 1482, scritto da Iohannes Georgii de Cagnonibus de Ama-
trice, rector S. Nicolai de Parione de Perusio).

Ms. 24: Charta charitatis ordinis Cisterciensis (membr., sec. xiv), ora
mancante.

Ms. 28: Rivelazioni di S. Brigida (membr. e cart., sec. xv: Est S. Spi-
ritus).

Ms. 38: Annotazioni ad ius canonicum et civile, ecc. (cart., sec. xv:
Iste liber est abbatiae Florentinae).

Ms. 58: Breviario (cart., sec. xiv: di S. Girolamo di Bologna).

Ms. 59: Auctoritates plurimorum doctorum extractae (cart., sec. xv:
Ex bibliotheca Carmelitarum S. Simonis Perusiae).

Non abbiamo compreso in quest'elenco, ma in quello dei codici
perduti (D), due mss. citati dal Vermiglioli e descritti nell’« Indice »
del 1841, scomparsi prima del 1921.

Dei codici elencati qui sotto, trenta sono attribuiti a San Pietro
dal Vermiglioli ; uno solo é citato anche dall'Amaduzzi. Il ms. 17
contenente la Regola di S. Benedetto, che l'ab. Di Costanzo ritiene
non originario di S. Pietro, ma venuto al monastero quando furono
restituiti i codici dopo la prima soppressione, è però attribuito a
S. Pietro dal Vermiglioli. Degli altri codici molti hanno l'ex libris
del monastero, ma per alcuni la provenienza resta incerta o non
provata.

1. — Ms. 1: Bibbia (membr., sec. xri in., incompleto).

2. — Ms. 2: Giovanni da Imola, Glossa del Liber Clementinarum (cart.,
an. 1450 ; scriba : Giorgio da Perugia).
NM essel. 1, n CxXXwi.

3. — Ms. 3: Giovanni Calderini, Repertorium canonicum (cart., sec. xv).
Viel]; n. xal.

4. — Ms. 4: Graziano. Decretum (membr., sec. xri).

5. — Ms. 5: Breviario monastico (membr., an. 1490).

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250 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

6. — Ms. 6: Goffredo da Trani, Summa super titulis decretorum (membr.,

Sec. XIV).
V: cl 1. n. Ccxxxv.

7. — Ms. 7: Messale monastico (membr., sec. xv).
8. — Ms. 8: Messale romano (membr., sec. xv).
9. — Ms. 9: S. Girolamo, Epistole (membr., sec. xv).

10. — Ms. 10: Giovanni Cassiano, Collationes SS. Patrum; Isacco di
Siria, De contemplatione (membr., sec. Xv).
A XM ECCLD-L DO CROXTXIV:

11. — Ms. 11: Bartolomeo da Pisa O. P., Summa de casibus (cart., sec.
xv, mutilo in fine).
Wee oliin Lxxv

12. — Ms. 12: S. Attanasio, Opuscoli tradotti in latino da Ognibene
da Lonigo (membr., sec. Xv).

13. — Ms. 13: Salmi penitenziali, Officio dei Morti (membr., sec. xv).

14. — Ms. 14: Costantino Lascaris, Grammatica greca (cart., sec. xv),
V: cl. Iv, n. XXXV.

15. — Ms. 15: Gioacchino da Fiore, Super prophetiis, e Super Ieremiam
(membr., sec. xri).
Vit CEE n^ oxrnVvi.

16. — Ms. 16: Martirologio (membr., an. 1326).
M.Sc SLinDn: LEX.

17. — Ms. 17: Regola di S. Benedetto (in latino), con versione italiana ;
Cerimoniae regularis observantiae dei monasteri di Subiaco e del Sacro Speco
(membr., sec. XIV):

D : non era di S. Pietro wWocL B nx.

18. — Ms. 18: Giorgio Purbach (f 1461), Sulluso dello gnomone geo-
metrico ; Andrea Conerio, Sulla misura dei vasi ; Mileo o Menclao, Spheri-
con (cart., sec. xvi: an. 1515 ?).

M TOOL UOIE D. - XOIX.

19. — Ms. 22: Giovanni Cassiano. Regula monachorum Aegypti (membr. ,
Sec. XIV).
Nus Chil, n. LIV.

20: — Ms: 23 Vitde " SS.' Patrum (membr., sec. XIV).
V: cL n.LXxxxiv.

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DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 251

|, 21. — Ms. 25: S. Antonino arciv. di Firenze, Summa, parte seconda
(membr., sec. xv).

22. — Ms. 26: Giovanni Marchesino O. F. M., Mamotrectus in subsi-
dium pauperum clericorum (cart., sec. xv).
Woseb- n n.-cv.:

23. — Ms. 27: S. Gregorio, Dialoghi ; Epistola D. H. abbati de Sactiis :
Historia S. Brandani ; Albertano di Brescia, De doctrina dicendi atque ta-
cendi, e De consolatione et consilio (membr., sec. xiv).

NS eL ^n XOCVIIT.

24. — Ms. 29: Omelie sui Vangeli (membr., sec. viv).
Vos 0h X, ni LVIII:

25. — Ms. 30: Giovanni Torquemada (t 1468), Expositio regulae S. Bene-
dicli (cart., sec. xv).
Vitt Li

26. — Ms. 31: Francesco Patrizi (f 1492), Commento a Quintiliano ;
Aristotile, Retorica (versione del Filelfo) ; Cicerone, Le Tuscolane (cart.,
an. 1464).

27. - Ms. 32: Epistolario (membr., sec. xv).
We CLTC EXXOXUI

28. — Ms. 33: Lexicon theologicum et scholasticum (membr. sec. xv).
Va: ‘cli “I, DN. (CXGXI.

29. — Ms. 34: S. Giovanni Crisostomo, Omelie ; S. Bernardo, De inte-
riori domo aedificanda (membr. e cart., sec. xv).
VESTA SI n. XX

30. — Ms. 35: Valerio Massimo, Memorabilia (cart., sec. xv).
IV sseliiIr, nos X XXVIIL:

31. — Ms. 36:5. Bernardo, Super cantica canticorum, ecc., (cart., sec. Xv).
Ve eL na: cvi.

32. — Ms. 37: Pietro Comestore, Historia scholastica (membr., sec.
XII ex.)
MSUOLSBLens x XXI.

33. — Ms. 39: De imitatione Christi ed altri opuscoli (cart., sec. xv).
N cli CXXXIHIE

34. — Ms. 41: Trattati morali, parte in latino e parte in italiano (cart.
Sec. XV).

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252 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

35. - Ms. 42: Nuovo Testamento (cart., an. 1451, scritto da Antonius
Francisci monachus mon. S. Petri de Perusio).
WV.ch. I ni. XIV;

36. — Ms. 44: Opuscoli di Bernardo Bergomense, monaco Cassinese
(cart., sec. xvi, in parte an. 1586 e 1587).
Mss EG. nj GLVIL

37. — Ms. 46: S. Bernardo, Omelie in Coena Domini ante festum Paschae
(cart., sec. XV).
M COGL T D XCIX.

38. — Ms. 47: Tractatus de VII itineribus aeternitatis, attribuito a Franc.
Rodolfo de Bibraco O. F. M. (cart., sec. xv).
Nc: cL. 3, D. QGXXX.

39. — Ms. 48: Litanie dei Santi, Ufficio dei Defunti e della B. Vergine,
ecc. (membr. sec. Xv).

40. — Ms. 49: S. Bernardo, Sermoni feriali e festivi (cart., sec. Xv)..

41. — Ms. 50: Sermoni domenicali ed altri (membr., an. 1500, scritto
a Bologna da fr. Iacopo Guidi di Firenze).

42. — Ms. 51: Vita di S. Bernardo, ecc. (membr., sec. xv).
Neh 0° LXXXY.

43. — Ms. 52 : Salterio (membr., Sec: XIV).

44. — Ms. 53: Miscellanea di umanisti e di classici: L. Valla, Cicerone,
Domizio Calderini, Nicola Perotti, Cornelio Vitelli, Giovenale, Sallustio (cart.
sec. xv).

WV :—CIEBEHIDSGn. XL:

45. — Ms. 54: Miscellanea di classici: Plinio, Cicerone, Stazio, Ovidio,
Persio (cart. sec. . xv).
NOS CIS IT D EINE

46. — Ms. 55: S. Agostino, De poenitentia ; altri trattati (cart. sec. Xv).
Nersc Er, D'SXCVI:

47. — Ms. 56 : Speculum munditiae cordis ; Matricula monachorum omnium
qui professionem emiserunt in congr. S. Iustinae de Padua, fino al 1507 (cart.,
sec. xv).

48. - Ms. 57: Ex scintillario de virtutibus, ecc. (cart., sec. Xv e xvr).

49. — Ms. 66: Vangelo (cart., sec. XVI).

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DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 253:

50. — Ms. 69 : Opuscoli ascetici (cart., sec. xvr, in tre volumi non rile-.

gati).

B. CODICI ESISTENTI NELLA BIBLIOTECA AUGUSTA.

Il riconoscimento è dato dalle attestazioni dell'Amaduzzi, del

Di Costanzo e del Vermiglioli, nonchè dalle note di appartenenza
rilevate dal Bellucci, dall’Allen, dal Mioni e da me stesso. Due altri
codici sono stati segnalati nel catalogo della Mostra documentaria
e iconografica dell'abbazia benedettina di S. Pietro in Perugia...
(Perugia, 29 sett.-20 ott. 1966), allestita in occasione del presente
convegno, dove però le segnature dei codici non sono indicate.

È stato così possibile compilare un elenco di 48 numeri, che con-
sidero però provvisorio, in quanto l’esame diretto di altri mano-
scritti porterebbe certo ad ulteriori trovamenti.

Appartenne forse alla Bibl. Augusta uno dei codici non iden-
tificati (vedi: elenco D).

1. — Cod. 51 (A 51): Simplicio, In Aristotelem de Caelo commentaria
(cart., sec. xv, in greco : Ex testamento Fr. Maturantii).
D?-:--Vzckrrv;inoxxv ^AFLF3 |'M'179:

2. — Cod. 67 (B. 11): Stefano di Bisanzio, Efhnica (cart., sec. xv, in
greco : Ex libris Fr. Maturantii Perusini).
D''w'cL Iv, n. xix B'*'non lo attribuisce a S° Pietro A15
M 180.

3. — Cod. 90 (B. 34) : Senofonte, Opere (membr., sec. xv, in greco ; scriba:
Gerardo).
D Alo M 182.

4. — Cod. 108 (B. 52) : Boezio, De divisione (cart., sec. xv).
Vi: cl. I, n. xv B:non lo attribuisce a S. Pietro.

9. — Cod. 159 (C. 42) : Macrobio, Saturnali (cart., sec. xv).
V : cl. 11, n. LX, : fu del Maturanzio B : non lo attribuisce a S. Pietro.

6. — Cod. 168 (C. 51) : Boezio, Opere filosofiche (cart., sec. xv).
V: cl. nur, n. xiv: fu del Maturanzio, forse di sua mano B: non
lo attribuisce a S. Pietro.

7. — Cod. 170 (C. 53) : Stazio, Tebaide, con commento (membr., an. 1399).
V: cl. I, n. L: fu del Matüranzio B: non lo attribuisce a S. Pietro.

8. — Cod. 172 (C. 55): Aristotile, Ethica; Teodoro Gaza (membr., sec.

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254 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

xv, in greco, scritto da Giorgio Cretese: Ex testamento Fr. Maturantii).
V:ckrivnxvr AL d M 185.

9. — Cod. 173 (C. 56) : Simplicio, In Epicteti enchiridion (cart., an. 1471,
in greco, scritto da Giovanni Roso ; al f. 1: Ex testamento Fr. Maturantii e
più sotto quasi cancellato: Est monasterii S. Petri Perusini sign. n. 200, e
inoltre : Hic liber est D.ni Prosperi Podiani).
D2- Al8 M*:1806.

10. — Cod. 177 (C. 60) : Plauto, Commedie (cart., sec. xv).
Vis::cl. 1, n. HI.

11. — Cod. 185 (D. 3): Teodoro Gaza, Grammatica (cart., sec. xv, in
greco).
V: cl. rv, n. xxxvi A19m 187

12. — Cod. 224 (D. 42): Lucano, Pharsalia (cart., an. 1407 seritto in
Perugia ; Ex testamento Fr. Maturantii).

Vi: cl. n, n. xLIv B: non lo attribuisce a San Pietro.

13. — Cod. 237 (D. 55): Commenti alla Retorica di Cicerone (cart. sec.
xIV; Ex testamento Fr. Maturantii).

B : non lo attribuisce a S. Pietro Mostra cit., n. 138.

14. — Cod. 239 (D. 57): Celso, De Medicina (cart., sec. xv; Ez testa-
mento Fr. Maturantii).

B : non lo attribuisce a S. Pietro. Mostra cit *n:- 130.

15. — Cod. 285 (E. 32): Festo, Epitome ; Nonio, De varia verborum si-
gnificatione (cart., sec. xv).

V: cl. rt, n. LXII: fu del Maturanzio B: non lo attribuisce a S.
Pietro.

16. — Cod. 295 (E. 43) : Suida, Ethimologicum (cart., sec. XV, in greco,
scritto da Giorgio Gregoropulo).

D V:cl iv, n. xxx: forse portato dalla Grecia dal Maturanzio
B : non lo attribuisce a S. Pietro M 191.

17. — Cod. 298 (E. 46): Manuale sive orationale monasticum secundum
consuetudinem monachorum de Observantia congregationis S. Iustinae (membr.,
sec. xv).

B : non lo attribuisce a S. Pietro. Mostra cit., n, 126.
18. — Cod. 299 (E. 47): Strabone, Geografia, in versione latina (cart.,
an. 1462).
Vi: cl. I, n. XX B:non lo attribuisce a S. Pietro.

19. — Cod. 305 (E. 53): Miscellanea umanistica (cart., sec. xv).
Vi cl. nr, n. .xLI B: non lo attribuisce a S. Pietro.
DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 25

n

20. — Cod. 309 (E. 57): Florilegio umanistico (cart., sec. xv).
V: cl. 1, n. xx B: non lo attribuisce a S. Pietro

21. — Cod. 317 (E. 65): Senofonte, Institutiones Cyri (cart., sec. xv, in
greco, scritto da Demetrio Castreno ; appartenne al Maturanzio).
Di. Mrelrv, nm xiv Aldi M:1494.

22. — Cod. 380 (F. 54) : Porfirio, Isagoge ; Aristotile, Organon (cart., sec.
xv ex., in greco ; Ex testamento Fr. Maturantii).
V:chliv,n.xxiv | Al-15/;^M- 196.

23. — Cod. 385 (F. 59) : Giovenale, Satire (cart., sec. xv ex. o xvI in.).
V : cl. rr, n. LI, 2: testo e note marginali del Maturanzio B : non
lo attribuisce a S. Pietro.

24. — Cod. 403 (F. 77): Nuovo Testamento (membr., sec. xiv).
B: donato a S. Pietro nel 1442.

25. — Cod. 412 (G. 1): Stazio, Tebaide, (cart., sec. xv).
V : cl. 11, n. LI: di mano del Maturanzio B : non lo attribuisce a
S. Pietro.

26. — Cod. 430 (G. 19) : Esopo, Favole ; Esiodo, Scutum Herculis ; Versi
aurei dei Pitagorici (membr., sec. xvi, in greco ; scriba: Novello).
Dp-H-*ALPIG M200.

27. — Cod. 482 (G. 71): Aristotile, Politica (cart., an. 1495, in greco:
Ex testamento Fr. Maturantii).
B. AL 17: —-M:201.

28. — Cod. 491 (G. 80): Moscopulo, Grammatica (cart., sec. xv, in
greco; scriba: Cesare).
B AlI18 M 202.

29. — Cod. 494 (G. 83) : Lexicon greco (cart., sec. xv).
WP cL Iy; (Ti. «XXXI Al 19 M 203.

30. — Cod. 506 (G. 95): S. Gregorio, Liber pastoralis ; S. Gregorio Na-
zanzieno, Apologeticum ; S. Ambrogio, Liber pastoralis (membr., sec. xim).
A3 B

31. — Cod. 524 (H. 8) : Cicerone, Retorica (membr., sec. xtv).
V : cl. rr, n. vir: fu del Maturanzio.

32. — Cod. 577 (H. 62): Quintiliano, Institutiones oratoriae, Orationes ;

A. Gellio, Noctes Acticae (Cart., an. 1484).
B

A AIMEE d DEVUMM Gd dr x. cuf
256 CONVEGNO STORICO. PER IL MILLENNIO

33. — Cod. 582 (H. 67) : Sallustio, Cicerone, Ovidio, ecc. (cart., sec. xv).
V:clirnn.xxmH B: nono attribuisce a S. Pietro.

34..— Cod. 603 (H. 89): Eutropio, Paolo Diacono, ecc. (cart., sec. ia
V : cl. 11, n. LvII. B: non lo attribuisce a S. Pietro.

35. — Cod. 607 (H. 93): VORAUS congr. S. Iustinae 0. SB: (cart.,
an. 1475).
B

36. — Cod. 621 (I. 14) : Dom. Cavalca, Pungilingua (membr., sec. XV).
V: cl. v, n. xxIa1 B:nonlo attribuisce a S. Pietro.

37. — Cod. 624 (I. 17) : Salterio, mutilo (membr., sec. xr ex., o XII in.):

B

38. — Cod. 626 (I. 19): Vite di S. Costanzo, S. Pietro ab., S. Ercolano ;
Officio per le loro solennità (membr., sec. xiv).
Vcb pine EXXOGVI B : non lo attribuisce a S. Pietro.

39 — Cod. 629 (I. 23) : Rime sacre in volgare (membr., sec. xv).
B

40. — Cod. 637 (I. 31) : Manuel Moscopulo, Erotemata grammatices «memos
sec. XIV, palinsesto).
M 207.

41. — Cod. 651 (I. 46) : Svetonio, Vite, ecc. (cart., sec. xv).
V : cl. rr, n. Lv : da un esemplare di Ognibene da Lonigo.

42. — Cod. 661 (I. 56): Miscellanea : Sedulio, Marco Ant. di Coccio Sa-
bellico, ecc.) (cart., an. 1492: scritto da Hilarion Vercellensis . . . in mona-
sterio S. Petri de Perusio).

NS SPOL ^B ns CIV:

43. — Cod. 708 (I. 102) : Miscellanea : Ausonio, ecc. ; al f£. 80: versi greci
(cart., sec. xv 0 xVI ; fu del Maturanzio, in parte di sua mano).
V:clinn.rx B:nonlo attribuisce a S. Pietro M 210.

44. — Cod. 739 (I. 133) : Libanio, Epistole (cart., sec. xv, in greco).
A CD WV. Cb IV, D. XXVII B: non lo attribuisce a S. Pietro

45. — Cod. 780 (L. 32) : Diurno monastico (membr., sec. xiv).
B

46. — Cod. 828 (L. 80): S. Gregorio, Dialoghi (membr., sec. xII in.).
A B

A

————— € —

t ia AMNES so

DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 257

47. — Cod. 829 (L. 81): Terenzio, Commedie (cart., an 1446 ; Ex ftesta-
mento Fr. Maturantii).
B

48. — Cod. 1115 (N. 67): Breviario benedettino (membr., sec. xv, con
l’ex-libris di S. Pietro).
B: non lo attribuisce a S. Pietro; Mostra cit., n. 2.

C. CODICI ESISTENTI IN ALTRE BIBLIOTECHE.

Il riconoscimento di codici dispersi, entrati a far parte di altre
biblioteche, costituisce il risultato imprevisto di questa nostra in-
dagine. È stata finora accertata l'appartenenza di sei codici, ma il
loro numero é destinato ad aumentare :

C. CODICI ESISTENTI IN BIBLIOTECHE FUORI PERUGIA.

1. — Città del Vaticano. Bibl. Vat., cod. Ott. lat. 2032 : Cicerone, De fini-
bus bonorum et malorum (membr., sec. xv ; f. 1 in alto: Ex testamento Fran-
cisci Maturantii, nel margine inferiore : Est mon. S. Petri de Perusio, sig.
n. 26, e quasi svanito : Simon Francisci notarius monasterii S. Petri).

2. — Ivi, cod. Ross. 117 : Breviario monastico (membr., sec. xir ex.: nel
margine inf. del f. 5 : Iste liber est congregationis S. Iustine de Padua ad usum
monachorum monasterii S. Peíri de Perusio. S. 376).

3. — Ivi, cod. Vat. gr. 2156 : Appiano, Storia italica (cart., an. 1450, in
greco).
Ar cp meet IX2no Xo

4. — Ivi, cod. Vat. gr. 2157 : Arriano, La spedizione di Alessandro (cart.,
an. 1454, in greco).
A D -:V:clriv,n..xxr:.fu,del Maturanzio.

5. — Londra, British Museum, Burney 164: Cicerone, Rethorica ; Enar-
rationes in Ciceronis de Inventione (membr., sec. xv; porta l'ex-libris di S.
Pietro).

6. — Parigi, Bibl. Nat., Suppl. gr. 1095 : Omero, Iliade e Inni ; Batraco-

miomachia (cart., sec. xv : alla fine: Est S. Petri de Perusio).
D:VSScbagv,n-ir

Il cod. Ottoboniano sembra uscito da Perugia prima del sec.
XIX. La legatura con il dorso di pelle marrone ornato di fregi do-

17

E

LA


— PÁ
258 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

rati e con i piatti coperti di carta marmorizzata marrone, é uguale
a quella di molti codici oggi esistenti a S. Pietro. Si vede appena,
abraso, Miserere mei Deus; sopra è scritto, di mano del Podiani
D. Basilii Zanchii Berg(omensis). Prosperi Podiani.

I due codici Vat. gr. 2156 e 2157 corrispondono esattamente alla
descrizione datane dal Vermiglioli. Inoltre, nell'inventario ms. della
Bibl. Vaticana è annotato in margine al primo: Perusinus...;
si presume che i due codici siano entrati nella biblioteca prima della
metà del sec. xix.

Il cod. di Londra fa parte di una collezione di manoscritti rac-
colta dal rev. Charles Burney (T 1817), acquistata dal British Mu-
seum nel 1818. L'appartenenza a S. Pietro é dichiarata espressa-
mente nel catalogo **).

Il cod. greco di Parigi appartenne al barone francese Joseph
de Gérando, filosofo, generale e uomo politico, che nel 1809 fu mem-
bro della Consulta di Perugia, nominato da Napoleone *°) ; comprato
nel 1844 dal Libri alla vendita della biblioteca del Gérando (11842),
fu venduto nel 1847 al conte d'Ashburnham e poi acquistato nel 1888
dalla Biblioteca Nazionale di Parigi ‘°). Esso porta due note di posses-
so, che erano state coperte con striscioline di carta per dissimulare la
provenienza. Una di queste note servi da modello al Libri per imitare
l'ex-libris di S. Pietro Est.S. Petri de Perusio, che aggiunse, a scopo
fraudolento, su undici manoscritti rubati ad altre biblioteche *».

D. CODICI PERDUTI O NON IDENTIFICATI.

Alcuni dei codici citati dall’Amaduzzi, dal Di Costanzo e dal
Vermiglioli non sono stati finora trovati:

1. — Senofonte, Opere in versione latina (membr., sec. xII).
A

2. — Esiodo, Aspis.
D

3. — Oratori greci: Andocide; Iseo ; Dinarco ; Antifonte ; Licurgo ; Gor-
gia ; Arpocrazione, De dictis X Rethorum (cart., sec. xv).
beve te mo dE XxIm

4. — Horae S. Crucis, ecc. (membr., sec. xIv).
NEL DS XIII,
DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 259

9. — Palladii Reslilii Tauri Aemiliani, De re rustica libri XIV ; Liber
vindemiae a Burgundione [= Giovanni Burgundio] de graeco in latinum tran-
slatus (membr., an. 1324).

Vel 11, Nî:LVI.

‘ 6. - Bartolomeo da Pisa O. P., Summa de casibus (membr., an. 1339).
V: cl. 1, n. LxxIv. È descritto nell'Indice dei codici trasferiti nell’ Ar-

chivio di S. Pietro nel 1841 (vedi sopra), a p. 302, n. 7; era già mancante
nel 1921.

7. Guglielmo Baraldo O. P., Summa de virtutibus (membr., sec. xv).

Vcl. n. nxxir. Iste liber fuit emptus per ... [cosi] S. Petri de Pe-

rusio a fr. .... [cosi] de Ragusio pretio lib. sexdecim, die III iunii 1418 ....
È descritto nell’Indice del 1841, p. 306 ; già mancante nel 1921.

Forse il n. 4 (Horae S. Crucis) deve identificarsi con il codice
perduto della Biblioteca Augusta, che portava la segnatura L. 21,
descritto dal Bellucci (p. 61).

Sommando i quattro elenchi, i codici riconosciuti sono finora
111, di cui 7 dispersi. Il numero è modesto, di fronte ai 590 e più
codici attestati dalle antiche segnature, ma risulta notevole, se si
tien conto della dispersione di altre biblioteche antiche : per es.,
i codici di S. Domenico di Perugia finora riconosciuti sono appena
36 di fronte a 785 descritti nell’inventario del 1458, e di essi 26 sono
a Perugia, 9 a Roma e 5 all’estero +).

3. Riconosciuti, per quanto è stato possibile, i codici apparte-
nenti a S. Pietro, possiamo aggiungere qualche breve osservazione.

Il più antico è del sec. xr ex. o del xir in. : un Salterio (Biblio-
teca Augusta, 626) attribuito a Farfa per il contenuto *») che però
non ha l’aspetto tipico dei codici farfensi.

Seguono due codici della prima metà del sec. xir, cioè la Bib-
bia di S. Pietro (ms. 1), nota per le sue grandi lettere ornate :*),
e i Dialoghi di S. Gregorio della Biblioteca Augusta (cod. 828), che
sono forse un prodotto locale +).

La menzione della Bibbia di S. Pietro richiama il problema della
sua relazione con l’altra preziosa Bibbia della Biblioteca Augusta
(cod. 807 = L. 59), che è quasi contemporanea e mostra lo stesso
stile decorativo +‘). Fu detto anzi che le due bibbie siano della stessa
mano. Le figure a piena pagina che precedono il testo, nella Bibbia
dell'Augusta, sono state giudicate le più monumentali, le più so-
260 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

lenni del secolo xir in Italia, e attribuite a scuola umbro-romana ;
é stata anche proposta Roma come provenienza, ma senza un fonda-
mento concreto. La determinazione dell’origine è legata alla solu-
zione di due quesiti rimasti finora senza risposta : chi sia il personag-
gio centrale della quinta miniatura, che certamente rappresenta il
santo patrono della chiesa o monastero cui il libro appartenne, e
come si debba completare la lettura di una scritta posta nell'ultima
pagina. È una dedica, letta dal Toesca : HUNC LIBRUM BIBLIE SCI ...
SIGNAV. PETRUS DE ME... NECNON CANONICUS PLEBIS ....... SCI
PETRI. La lettura é difficile, anzi alcune parti sono assolutamente
illeggibili perchè tutta la scritta fu coperta d’inchiostro : solo
una fotografia ai raggi ultra-rossi permetterebbe forse di decifrare le
parole coperte. Il Garrison ha proposto di completare le ultime
parole : PLEBIS.SCI. .... (DE MONASTERIO) SCI PETRI; ma poiché
il de monasterio non convince, vorrei piuttosto proporre : PLEBIS SCI
[sILvESTRI DE PORTA] sci PETRI. La pieve di S. Silvestro, men-
zionata in due documenti imperiali del sec. xir (di Federico I,
an. 1165; e di Enrico VII, an. 1196) e in un privilegio di Grego-
rio IX del 1231 *) apparteneva a San Pietro ed è la sola, tra le pievi
di Perugia, che sia indicata nei documenti con l'appellativo de porta
S. Petri; nè fa difficoltà supporre che avesse canonici, cioè un.pro-
prio clero che seguisse una regola di vita comune, com'era uso.fre-
quente in quel tempo. In ogni modo, benché sembri innegabile un rap-
porto della Bibbia con S. Pietro, sia pure attraverso una chiesa di-
pendente, non risulta che essa sia appartenuta al monastero.

Al secolo xin appartengono 5 codici, di cui 3 sono a San Pie-
tro, un Decreto di Graziano (ms. 4), un Gioacchino da Fiore (ms.
15) e un Pietro Comestore (ms. 37) ; uno é nella Biblioteca Augusta
cioè un S. Gregorio (cod. 506); ed uno nella Biblioteca Vaticana,
il Ross. 117. Della loro origine non si puó dire nulla di sicuro : l'ori-
gine locale é da escludere per il primo perché ha carattere universi-
tario, e per l'ultimo a causa delle forme della scrittura. Per gli altri
è molto dubbia, tranne forse per il S. Gregorio.

Con il secolo xiv i codici sono ancora poco numerosi, appena
13, di cui 7 a San Pietro (mss. 6, 16, 17, 22, 23; 27 e 29) e sei alla
Biblioteca Augusta (codd. 170, 403, 524, 626, 637 e 789). C'é poi
il codice greco piü antico, il cod. 207 della medesima biblioteca.

I rimanenti, cioè 90, appartengono ai sec. xv e xvi. Di essi, 15
sono greci, di cui uno non conosciuto dall'Allen, né dal Mioni (Arch.
S. Pietro, ms. 14).
DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 261

': Fra i codici latini rimasti, dodici sono datati. Ne diamo l'elenco
in: ordine cronologico :

an.
a fan.
. an.
an.
an.
an.
an.
an.
an.
an.
ano
an.
an.

1326
1399
1407
1446
1450
1451
1462
1464
1475
1484
1490
1492
1500

Arch. S. Pietro, ms. 16.

Bibl. Augusta, cod. 170 (G. 53).
ivi, cod. 224 (D. 42).

ivi, cod. 829 (L. 81).

Arch. S. Pietro, ms. 2.

ivi, ms. 42.

Bibl. Augusta, cod. 299 (E. 47).
Arch. S. Pietro, ms. 31.

Bibl. Augusta, cod. 60 (F. 93).
ivi, cod. 567 (H. 62).

Arch. S. Pietro, ms.. 5.

Bibl. Augusta, cod. 661 (I. 56).
Arch. S. Pietro, ms. 50.

Figurano cinque nomi di copisti latini, tutti in codici datati :

Georgius de Perusia, an. 1450 (Arch. di S. Pietro, ms. 2).

Antonius Francisci monachus mon. S. Petri de Perusio, prior S. Mariae
de Pitignano, an. 1451 (ivi, ms. 42).

Hilarion Vercellensis, in monasterio S. Petri de Perusio, an. 1492 (Bibl.
Augusta, cod. 661 — I. 56).

Iohannes Franck de Buswiler, an. 1464 (Arch. di S. Pietro, ms. 31).

fr. Iacobus Ghuidi de Florentia, an 1500 (ivi, ms. 50).

Quattro codici greci portano la data :

an.
an.
an.
an.

1450 — cod. Vat. gr. 2156.

1454 — cod. Vat. gr. 2157.

1471 — Bibl. Augusta, cod. 173 (G. 56).
1495 — ivi, cod. 482 (G. 71).

Nei codici greci figurano i seguenti nomi di scrittori :

Cesare (Bibl. Augusta, cod. 491 — G. 80).

Demetrio Castreno (ivi, cod. 317 — E. 65).

Francesco Maturanzio, che firma Francesco Perugino in greco **) : ivi nel
cod. 708 (I, 102) il Mioni legge al f. 800... veavioxov ctc repovoivov.

Gerardo (ivi, cod. 90 = B. 34).

Giorgio Cretese (ivi, cod. 172 = C. 55).

Giorgio Gregoropulo (ivi, cod. 295 = E. 43).
262 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

Giovanni Roso (ivi, cod. 173 — C. 56).
Novello (ivi, cod. 430 — G. 19).

Con queste poche osservazioni dobbiamo per ora fermarci. I
dati esposti sono provvisori: prima di affrontare temi piü vasti,
come la presenza e i caratteri di una scuola scrittoria, e le attività
culturali dei monaci, occorre estendere la ricerca in ampiezza e in
profondità.

Sarà tuttavia merito di questo Convegno aver iniziato un discorso
ed aver posto un problema.

NOTE

1) Ricordo specialmente la pregevole pubblicazione documentaria, ac-
compagnata da ricco corredo di note storiche e da indici accurati, di T. LEc-
cISOTTI e C. TABARELLI, Le carte dell’ Archivio di S. Pietro di Perugia, 2 voll.,
Milano, 1956.

?) Compio il gradito dovere di ringraziare cordialmente Mons. José
Ruysschaert viceprefetto della Bibl. Ap. Vaticana, il Dott. Vittorio Peri
scrittore della medesima biblioteca, la Dott. Olga Marinelli e la Dott. Maria
Pecugi Fop, rispettivamente. direttrice e vicedirettrice della Bibl. Augusta
di Perugia, M.me Genevois dell’Inst. de Recherche et d’Histoire des Textes
di Parigi e, in modo particolare, D. Costanzo Tabarelli, archivista di S. Pietro,
per l’aiuto datomi nella presente ricerca.

?) Nell'inventario descrittivo dei codici della Biblioteca Comunale (Au-
gusta) pubblicato da A. BeLLUCccI in G. MazzariNTI, Inventari dei mano-
scritti delle biblioteche d'Italia, vol. v, Forlì, 1895, pp. 56 ss.

^) P. F. KEHR, Italia Pontificia, rv: Umbria Picenum Marsia, Bero-
Iini,. 1909; p..66.

?) Sulla vita e le opere dell'abate Giuseppe Di Costanzo (f 1813), vedi
l'articolo di G. MoscHINI, in Biografia universale antica e moderna, vol. xIII,
Venezia, 1823, pp. 398-400 e le notizie raccolte da M. FALOCI-PULIGNANI,
L'Odeporico dell'abbate Di Costanzo, in Archivio Storico per le Marche e per
Umbria, x1 (1885), pp. 510 ss.

*) Non si sa se l'Elenchus sia stato restituito ; MoscHINI, loc. cit., afferma
che gli scritti dell'ab. Di Costanzo « vengono presso alla sua famiglia custo-
diti » ma le ricerche del Faloci Pulignani (op. cit.) furono vane.

? La nota dell'Amati ( 1834) si trova al f. 113 del cod. Vat. lat. 9779
che contiene molti appunti da lui presi dalle carte del noto erudito Giov.
Crist. Amaduzzi (f 1792), conservate a Savignano ; nella stessa pagina se-
DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 263

gue l'indicazione di alcuni codici della cattedrale di Perugia, con l'annota-
zione « Odeporico autunnale erudito dell'an. 1771». Sembra certo che gli
appunti sui codici di S. Pietro siano stati presi nello stesso anno. i

*) Vedi in questo stesso volume l’accurata comunicazione del dott. W.
Hagemann.

*) La notizia, tratta dai Libri contractuum, è riportata nelle Memorie .

storiche del monastero di S. Pietro . .. compilate da D. Mavuno BInI (T 1849),
conservate manoscritte nell'archivio del monastero. Ampi brani sono ripor-
tati in LECCISOTTI-TABARELLI, op. cit., dove (vol. 1, p. 201 in nota) si trova
quanto qui ci interessa.

19) In LECCISOTTI-TABARELLI, 0p. cit., vol. 11, p. 25 in nota.

1) Ed. LECCISOTTI-TABARELLI, op. cil., vol. 11, p. 45.

1) Arch. Vaticano, Reg. Vat. 317, f. 88; pubblicata in LEccISOTTI-
TABARELLI, Op. cit., vol. rr, p. 27 in nota.

18) Ed. LECCISOTTI-TABARELLI, op. cit., vol. II, p. 78.

14) Arch. di S. Pietro, ms. 54.

15) L. ALESSANDRI, Inventario dell'antica biblioteca del Sacro Convento
di S. Francesco in Assisi compilato nel 1381, Assisi, 1906.

16) T. KAEPPELI, Inventari di libri di S. Domenico di Perugia (1430-80),
Roma, 1962, pp. 51-194 (Sussidi eruditi, 7).

17) KAEPPELI, op. cit., pp. 195-310.

18) LECCISOTTI-TABARELLI, Op. cit., vol. I, p. XVII.

19) Vedi per es. qui appresso il n. 1 dell’elenco C.

20) G. B. VERMIGLIOLI, Memorie per servire alla vita di Francesco Matu-
ranzio oratore e poeta perugino, Perugia, 1807, pp. 21 e 23, ricorda l’acquisto
di manoscritti contenenti orazioni di Demostene, tragedie di Eschilo, comme-
die di Aristofane e l'Etimologico di Suida. Quest’ultimo è forse il cod. 295
(E. 43) della Bibl. Augusta ; è probabile che anche le altre opere stiano nella
medesima biblioteca, per es. l’Aristofane è quasi certamente il cod. 712 (I.
106), che fu terminato di scrivere nel gennaio 1473, cioè lo stesso anno del
viaggio del Maturanzio in Grecia: vedine la descrizione in E. MIionI, Cata-
logo di manoscritti greci esistenti nelle biblioteche italiane, vol. 11, Roma, s. a.,
n. 211 (Indici e Cataloghi, xx). Esso appartenne al Podiani, ma la sua appar-
tenenza a San Pietro non è attestata.

21) Alla scuola di Ognibene si collegano alcuni codici del Maturanzio,
per es. il ms. 12 dell’Arch. di S. Pietro e il cod. 651 (I. 46) della Bibl. Augusta.

22) Sul Podiani vedi BeLLUCCI (op. e loc. cit). A p. 58, trattando dei co-
dici venuti alla Biblioteca Augusta a seguito della soppressione di monasteri
e conventi avutasi nel 1810, il Bellucci ricorda che la Biblioteca si arricchì
anche «di quelli del p. Basilio Zanchi, acquistati dal Podiani, ma rimasti
a S. Pietro ». Quali essi siano non risulta.
| 33) T. W. ALLEN, The greeks manuscripts of Perugia, in Centralblatt für
Bibliothekswesen, x (1893), p. 472, n. 6) (cod. 90 — B. 34 della Bibl. Augusta.
264 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

24) Per es., nei codici greci della Bibl. Vaticana 1556, 1577, 1584 e 1593
(C. GIANNELLI, Codices Vaticani graeci, codd. 1485-1683, Città del pacino,
1950, specialmente pag. 181). :

Il cod. 1577 porta sul f. 1 il nome Prosperi Podiani ; il cod. 1584 è di
mano del Maturanzio che firma in greco (DpoAxioxog Iepovobvoc e porta sul
f. 1 la nota di possesso : D. Prosperi Podiani Perusini ex bibliotheca D. Basilii
Zanchi Berg. ; cors. anche il cod. 1593 porta i due nomi, al f. I: D. Prosperi Po-
diani e alf. 1: D. Basilii Zanchi Berg. Sembra probabile che i quattro codici
siano appartenuti al Maturanzio, poi allo Zanchi e al Podiani.

25) Vedi nota 7.

2) Vedi qui sotto nell'elenco A : ms. 10 ; in B: codd. 506, 739 e 828 ; in
C : codd. Vat. gr. 2156 e 2157 ; in D : Senofonte.

*7) L'Odeporico fu definito scherzosamente dallo stesso Autore «un zi-
baldone di varie cose osservate e notate viaggiando » (MoscHInI, in Biografia
universale cit., p. 400) ; benché fosse di singolare interesse per le notizie che
contiene di codici, documenti, monumenti, iscrizioni e oggetti archeologici,
restò praticamente sconosciuto fino alla pubblicazione fattane dal FaLocI
PULIGNANI, op. cit., pp. 510-702.

Il testo fu elaborato in varie riprese. L'esemplare definitivo fu copiato
nel luglio 1805 e corretto dall'autore (op. cit., p. 511, n. 2).

28) FALOCI PULIGNANI, Op. cil., p. 531.

I dodici codici greci sono ora dispersi: sette nella Bibl. Augusta, due
nella Biblioteca Vaticana, uno a Parigi e due non sono stati finora identifi-
cati. Negli elenchi sono contrassegnati con la sigla D.

29) Le Memorie dell'ab. M&uno BINI ricordano la spogliazione che il mo-
nastero ebbe a subire, durante l’occupazione francese, di quadri, argenti,
oggetti del museo archeologico, « opere voluminose e ben legate della biblio-
teca », ma non si parla dei codici : vedi C. TABARELLI, Il monastero di S. Pie-
iro di Perugia e la repubblica del Trasimeno (1797-1799) nel racconto del Bi-

ni, in Benedictina, vii (1954), pp. 153-165. :

?9) In una lettera scritta da Assisi il 13 giugno 1803, il Di Costanzo chie-
deva al Vermiglioli che gli restituisse l'Elenco dei codici di S. Pietro e spiega
che « Quegli asterischi di che mi domanda, debbo averli messi per indicare i
codici mancati in tempo del Vandalismo francese » (Cento lettere inedite di
LVII uomini illustri italiani e stranieri .... scritte al cav. Giov. Battista Ver-
miglioli, Perugia, 1842, p. 62).

®1) Porta la segnatura cod. 221 (D. 39) ed è costituito da più di mille
pagine, con il titolo : CCCCLX e più codici latini greci e italiani anteriori al
secolo XVII, divisi in cinque classi, tratti dalla pubblica Biblioteca e da altri
luoghi della città di Perugia, illustrati con opportune annotazioni da servire di
un secondo appendice alla storia degli scrittori perugini (Qui si allude ad altra
opera del Vermiglioli) L'introduzione porta la data del 10 settembre 1810.

Le cinque classi sono cosi divise :

ST wem
DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 265

Classe I — codici sacri
» ‘II — classici latini e greci tradotti
» III — codici latini vari
» IV — codici greci
^ V — codici italiani.

8) G. B. VERMIGLIOLI, Cenni storici sulle antiche biblioteche pubbliche '

di Perugia, Perugia, 1845, p. 29.

83) VERMIGLIOLI, CCCCL X e più codici ..., ms. cit., p. 1013.

*4) BELLUCCI, op. cit., pp. 56 ss.

85) ALLEN, op. cit. pp. 470-476.

36) MIONI, op. cit.

37) Spiegazione delle sigle usate negli elenchi dei codici :

A = Amaduzzi, elenco ms. di codici (an. 1771), cit. nella nota 7.

Al = Allen (1893), op. cit., nella nota 23: alla sigla segue il numero
progressivo dell’Allen.

B = Bellucci (1895), op. cit., nella nota 3.

D = Di Costanzo, Odeporico (ant. all'an. 1797), citato nelle note 5 e 27.

M = Mioni (1965) ; op. cit. nella nota 20 ; alla sigla segue il numero
progressivo del Mioni.

V = Vermiglioli (1810), ms. citato nella nota 31; alla sigla segue il
riferimento alla classe e al numero del Vermiglioli.

*8) Catalogue of manuscripts in the British Museum, N. S., vol. 1, parte
II (The Burney Manuscripts). London, 1840, p. 53.

39) L. Bonazzi, Storia di Perugia, vol. II, Città di Castello, 1960, p. 404.
Il Gerando (o Degérando) svolse in Italia notevole attività culturale : risol-
levò l'accademia dell'Arcadia e il 16 agosto 1810 tenne un solenne discorso
in Campidoglio (Orazione di S. E. il sig. Barone G. M. GERANDO . .. fra gli
Arcadi Biante Ilisséo, Roma, s. a.); pure in Roma, nell’ottobre dello stesso
anno, fondò (o meglio restaurò) l'Accademia Romana di Archeologia (F. MAGI,
Per la storia della Pontificia Accademia Romana di Archeologia, in Atti della
Pont. Acc. Rom. di Arch. serie 111, Rendiconti, vol. xvi, 1940, p. 118.

4°) L. DELISLE, Catalogue des manuscrits des fonds Libri et Barrois, Paris,
1888, p. 125; C. AstRuc-M. L. Concastvy, Bibliothèque Nationale, Catalo-
gue des manuscrits grecs, parte 111: Le Supplément grec, t. mi, Paris, 1960,
p. 226.

^) DELISLE, op. cit., tav. vir, n. 7 (cf. p. 280) riporta la riproduzione
dell’ex-libris autentico di S. Pietro e al n. 10 della stessa tavola la riprodu-
zione di uno degli ex-libris falsi.

I codici ai quali il Libri aggiunse la nota falsa sono : Paris, Bibl. Nat.,
Nouv. acq. lat. 442, 446, 1592, 1593, 1598, 1599, 1601, 1618, 1624, 1627, e
inoltre Lyon, Bibl. mun. 403 (DELISLE, op. cit., passim ; a p. 281 è citato
per errore il ms. Nouv. Acq. 1586).

42) KAEPPELI, op. cil., p. 320.
266 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

*) Secondo l'annotazione scritta da D. Francesco Galassi su un foglio
aggiunto, il codice fu sottratto al monastero nel 1782 e restituito nel 1783,
senza peró il calendario che esisteva al principio. La menzione nel calendario
delle feste di S. Lorenzo (6 febbr.), S. Tommaso ab. (10 dic.) e di S. Vittoria
(23 dic.) prova la sua derivazione farfense, ma non che fosse ivi scritto ; nep-
pure é certo che esso facesse corpo col resto del manoscritto. Vedi le osserva-
zioni di E. B. GaRRISON, Studies in the history of mediaeval Italian painting,
vol. 11, Firenze, 1955, p. 124, cf. anche p. 126, nn. 1, 2 e 5.

*3) GARRISON, 0p. cit., vol. 1 (1953-1954), p. 89.

*5) GARRISON, 0p. cit., vol. i11 (1957-1958), pp. 160 e 169.

*') Descrizione, accurato studio e bibliografia in GARRISON, op. cil.,
vol. I (1953-1954), p. 65 e passim ; vol. 11 (1955), pp. 25 e 185 ; vol. rm (1957-
1958), passim.

4?) LECCISOTTI - TABARELLI, Le carte cit., pp. 94, 108 e 147.

**) Vedi un esempio nel cod. Vat. gr. 1584 sopra citato (nota 24). .

UGoLINI. — Desidero vivamente felicitarmi con Giulio Bat-
telli per questa sua mirabile ricostruzione della storia del fondo
manoscritti dell'Abbazia di San Pietro. È una esposizione così ricca
di elementi, direi così misurata e così profonda che rappresenta un
contributo, senz'alcun dubbio, fra i più imponenti di questo nostro
raduno. Certo l’esposizione di Battelli apre il campo a una quantità di
interrogativi, a una quantità di dati. Vorrei dire questo, che proprio
di recente noi siamo riusciti ad assicurare a Perugia, alla Biblioteca
Augusta un manoscritto che proveniva proprio dal Fondo di Matu-
ranzio; cè scritto «est Francisci Maturantii ». In che momento
questo libro che avrebbe dovuto venire qui a San Pietro ha preso un’al-
tra strada? Questo non lo sappiamo : probabilmente (ma qui ci vorreb-
bero gli esperti a dire la loro parola) dato che manca la notarile,
l’evasione del manoscritto è avvenuta tra la morte del Maturanzio
e l’ingresso del grande fondo nella biblioteca di San Pietro. Questo
manoscritto è una cronachetta non di grande importanza, ma che pure
ha un certo rilievo nella storia della preparazione culturale del Matu-
ranzio. Comunque queste dispersioni sono avvenute in vari tempi.
Battelli ci ha dato una ricostruzione magistrale, con certe precisazioni
che veramente rivelano la mano del maestro che Battelli è. Io desidero
di nuovo a nome di tutti noi fargli le felicitazioni per questa sua ri-
cerca così attenta e condotta anche nella minuzia tecnica con tanto en-
tusiamo e con tanto fervore.

La discussione avrà luogo, come è nostra consuetudine, al termine

>

—-

—. >»

DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 267

della riunione e allora io pregherei la dott. Olga Marinelli di voler

‘cortesemente venire al banco della presidenza e parlarci del benedettino

Galassi e gli eruditi perugini-del suo tempo.

Il benedettino Francesco Maria Galassi
e gli eruditi perugini del suo tempo

Quando si pensa alle manifestazioni letterarie e culturali del
Settecento, la mente corre subito all'Arcadia?) e più per sottoli-
nearne i difetti che non per riconoscerle la funzione e i meriti, che
pure ebbe. Ma l'Arcadia non rappresenta e non esaurisce l'attività
intellettuale del secolo; un’altra forma ed espressione di cultura
gli dà anzi più vera sostanza e tono: la ricerca storico-erudita.

Monumenti e reliquie delle antiche civiltà italiche riaffioravano
sempre più dal suolo patrio e si trattava di esaminarli, interpre-
tarli, stabilirne l’epoca sulla scena del tempo. Una dottrina archeo-
logica, sia pure permeata di ipotesi, di dubbi, di congetture, si veniva
formando, aiutata dall’ambizione delle case patrizie di avere nelle
proprie sale oggetti e cimeli di antichità reperti da scavi e fruttuosi
sondaggi.

Ma soprattutto un'enorme congerie di materiale documentario
si era venuta accumulando fin dall'Alto Medioevo nelle cancellerie
del Comune, degli Enti ecclesiastici, di istituzioni e magistrature
particolari, di famiglie della maggiore nobiltà, intaccata spesso da
ingiurie del tempo e degli uomini, ma ancora e sempre imponente
nella sua vastissima mole.

Li era scritta la nostra vita dall'età di mezzo in poi e li biso-
gnava andare a cercarla e quindi ricostruirla.

Ludovico Antonio Muratori aveva dato un potente avvio alla
ricerca negli storici archivi; il suo impulso si era propagato e se
ne erano risentiti gli echi negli ambienti colti delle città più varie ;
pertanto anche nella nostra Perugia.

Un discendente della famiglia del fondatore del monastero
benedettino di S. Pietro, l'abate conte Giacinto Vincioli ?), ingegno
vivace e versatile, quanto spirito estroso e bizzarro, era stato. in
relazione col Muratori.
268 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

Avrebbe voluto questi inserire nel grande corpus dei Rerum
Italicarum anche qualche cronaca perugina, ma quelle segnalategli
varcavano i limiti al di là del quale si era prefisso di non trascorrere,
il secolo xv; e così non ve ne fu accolta nessuna, con dispiacere
personale anche del grande raccoglitore e divulgatore di narrazioni
delle nostre vicende passate. Ispirate dall'opera muratoriana, sor-
sero più menti con vocazione e attitudine a frugare e indagare nelle
carte dormenti da secoli negli archivi cittadini. E spontaneamente
si vennero esse collegando in una operosità comune « senza rivalità
nè invidia, ma con feconda reciprocanza di servigi da cui infine
è la scienza che s'avvantaggia » ?).

Una testimonianza di quanto proficua fosse in atto tale col-
laborazione è costituita e viene rilevata dal gruppo di lettere del
noto e celebrato erudito perugino Annibale Mariotti al benedettino
Francesco Maria Galassi, conservate nell'Archivio di S. Pietro *),
sconosciute agli studiosi e dalle quali ha preso vita il mio interesse
per il dotto monaco cassinese, perfettamente inserito come forza
viva e operante nellambiente culturale cittadino e nazionale.

Le lettere così dense di notizie storiche, archeologiche, epi-
grafiche mi hanno indicato nel destinatario un uomo di vasta cul-
tura, appassionato ricercatore di memorie patrie, studioso attento
ed oculato.

Di Francesco Maria Galassi aveva tenuto l’elogio funebre nel-
l’adunanza della Colonia Augusta degli Arcadi, il 29 settembre 1792,
Reginaldo Ansidei. L'orazione fu data alle stampe da Carlo Baduel *)
e gli studiosi che seguirono e si interessarono del Settecento a Pe-
rugia non fecero che ripetere le notizie fornite dall’Ansidei.

Gaetano Gasperoni che per primo rivalutò il contributo dato
dall’Umbria alla cultura nazionale del Settecento, modificando il
giudizio che fino ad allora si era dato di una regione statica, quasi
assopita, traccia del Galassi un profilo più ricco *), ma incompleto.

Il lavoro del Gasperoni fu pubblicato nel Bollettino della Depu-
tazione di Storia Patria del 1940. Nel 1945 Enrico Carusi nel vo-
lume in onore di Vincenzo Federici ebbe occasione — come vedremo
meglio in seguito — di ricordare il monaco erudito. Così egli scriveva :
«... poco sappiamo del P. Francesco Maria Galassi; credo perciò
opportuno pubblicare... un avviso necrologico che l'Abate di
S. Pietro di Perugia inviava ai confratelli alla morte del P. Galassi. È
un documento di pietà cristiana ed insieme anche un riconoscimento
dei meriti del modesto monaco che occupò santamente la vita tra
DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 269

il disimpegno dei doveri del suo stato religioso e gli studi pre-
dilettr...»»?). !

Dalle ricerche ora condotte nei vari archivi e biblioteche citta-
dine, di Roma e Bologna 5), è fiorito numeroso e interessante materiale
che se consentirà di precisare alcuni dati biografici, permetterà
soprattutto di far conoscere la vasta attività di studioso di Fran-
cesco Maria Galassi.

Nato a Bologna nel 1717, l’8 marzo 1735 *) fece la professione
religiosa come canonico regolare della Congregazione Renana ;
fu in seguito destinato a Perugia come vicario della canonica di
S. Maria dei Fossi, l’attuale collegio femminile di S. Anna.

Il 16 gennaio 1750 in una petizione alla Sacra Congregazione
dei Vescovi e Regolari :°) il Galassi chiedeva di passare alla religione
dei Padri -Cassinesi di Perugia «chiamato da divina ispirazione ed
impulso per il bene della sua anima ».

Egli ottenne l’approvazione e, dopo i sei mesi di noviziato pre-
scritti, entrò a far parte della famiglia benedettina. Gli furono ben
presto ‘affidati incarichi di fiducia : lo troviamo subito censuario del
monastero, riconfermato per vari trienni, amministratore della
cassa della sagrestia, archivista, e dal 12 giugno 1751 priore di S.
Costanzo 11).

Alle attività del suo stato svolte con cura e zelo encomiabili,
attestati dalla documentazione d’archivio, Francesco Maria Galassi
univa lo studio assiduo e appassionato della paleografia, dell’archeo-
logia e della storia cittadina. Tanto profondo indagatore fu di que-
st'ultima che anche Annibale Mariotti, generalmente considerato
il massimo esponente della cultura settecentesca perugina, in una
delle lettere, pubblicate in appendice e indirizzate al monaco,
scriveva: «ho per le mani alcune bazzecole appartenenti a certi
punti di Storia Perugina, de' quali ella si mostra singolarmente
curiosa ; e perció prima che mi escan di mente, voglio cosi alla buona
comunicargliele ; quantunque io pensi che ció facendo, vengo a por-
tar legne al bosco : tanto son persuaso che nulla io riferir Le possa,
che a Lei non sia già a bastanza noto ». E Giambattista Vermiglioli
nella sua Biografia degli scrittori perugini (T. 1, p. 56) annota : « Per la
lunga dimora del P. Galassi Bolognese fatta in Perugia, ed i vari
scritti pubblicati ad illustrare le perugine cose, onde assai beneme-
rito si rendette della nostra storia, potea ben meritarsi questo dottis-
simo religioso luogo distinto con un articolo separato in quest'opera ;
ma noi ci siamo proposti di parlare in essa dei soli Scrittori che eb-

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270 CONVEGNO ‘STORICO PER IL MILLENNIO

bero il nascimento o nella patria o suo contado, o le di cui famiglie
furono perugine ».

Il carattere della comunicazione non consente l'esame detta-
gliato degli scritti del P. Galassi?); riferirò quindi solo su alcune
delle sue opere più importanti.

E innanzi tutto sulle ampie e dettagliate schede che egli an-
dava raccogliendo delle iscrizioni perugine e del materiale archeo-
logico. Sono le « schede Galassi», alle quali tanto spesso il Vermi-
glioli fa riferimento nella sua opera Antiche iscrizioni perugine,
pubblicate dal Baduel negli anni 1804-1805 e, una seconda volta,
negli anni 1833-1834.

Ho rinvenuto tale materiale allegato al C. M. 126 dell'Archivio
di S. Pietro che contiene l'opera di Domenico Scutillo, di mano
di Giuseppe Belforti : Iscrizioni della città di Perugia e suo territorio.
Il codice era appartenuto al Mariotti, al quale il Galassi aveva in-
viato il materiale raccolto accompagnato dalla seguente lettera :

« Quas huc illucque tam in templis, quam in aedibus (si praetorii exci-
pias, quas ad mei libita non licuit excribere) et foris dispersas collegeram
inscriptiones infimi potissimum aevi Perusiae extantes, ne temporum iniuria,
vel pedum attritu pessumdane deperirent, has ad te mitto, Mariotte doctis-
sime, cui tantum studiis tuis, atque utilibus disquisitionibus parens tui,
altrixque Perusia debet. In schedis namque meis, informique libello, prout
opportunitas dictabat, inordinate exscriptas, forsan aliquando vel ignis
absumisset, vel minimum blattarum, et tinearum dentes exedissent ; tanta
est rerum mundanarum vicissitudo, et futurorum eventuum incerti casus.
Ne autem, quantum in me est, infortunium hocce eveniat, illas in unum recol-
legi, et in hoc volumine, quod ad te mitto, ipse ego transcripsi, non maiuscu-
lis litteris, uti exsculptae sunt, sed charactere illo, quo, forte non omnino
incorrupto, (absit verbo invidia) currenti calamo scribo. Et ut fuerit labor
ille meus, improbus certe, in illis colligendis, iterumque exscribendis, tem-
pus non omnino teruisse putabo, quoties colletionem hanc, utcumque ea
sit, gratam, acceptamque habebis, et in adbito aliquo selectae bibliothecae
tuae angulo collocabis. Vale, Mariotte dulcissime, et te superi patriae decori,
amicorumque solatio diutissime sospitent ».

Il Mariotti opportunamente aveva unito le schede del Galassi
al manoscritto dello Scutillo, che al capitolo Lxx elenca il materiale
archeologico allora sistemato nel primo chiostro dell'abbazia di
S. Pietro. Edificato nel sec. xvi, vi si cominciarono a raccogliere iscri-
zioni e reperti archeologici etruschi, romani e cristiani dall’anno
DELL'ABBAZIA: DI S. PIETRO IN PERUGIA 271

1780 ad opera degli abati Stefano Rossetti, Mauro Squarzoni, Ma-
riano Carocci, Giuseppe Lauri.

L'impulso maggiore alla raccolta fu dato dal Galassi che rac-
coglieva e otteneva in dono da amici materiale pregevole. Lo stesso
Galassi ricorda tra i donatori Cesare Meniconi, Francesco Sozzi;
i conti Oddi e i fratelli Alfani; tra i piü generosi il cardinale Ste-
fano Borgia, per il quale il Galassi compose una lapide incisa in
marmo rosso di Perugia che fu apposta nel chiostro *). L'intera
collezione passó nel 1812 all'Università degli Studi e fu quindi in-
corporata dal museo cittadino e in seguito collocata in massima parte
nel chiostro del convento di S. Domenico, dove mi è stato possibile
identificare un buon numero dei pezzi raccolti dal Galassi »).

Altro appassionato raccoglitore di pezzi archeologici era a quel
tempo il patrizio Francesco Friggeri uditore della Sacra Rota, che
proprio con la sua donazione, fatta nel 1788 5), diede origine al-
l'attuale museo cittadino.

Il Galassi ebbe viva consuetudine con il Friggeri, che è ricor-
dato spesso nelle lettere come uno dei componenti l'attivo cenacolo
di studiosi perugini.

Le ricerche fatte nell'archivio privato di casa Friggeri che
con tanta liberalità é stato messo a mia disposizione non sono state
purtroppo fruttuose; materiale relativo all'amicizia tra il Galassi
e il Friggeri manca completamente. Dispersioni, purtroppo, da
lamentare presso altre storiche famiglie perugine.

Documentati sono invece gli interessi comuni di studio oltre
che con Annibale Mariotti, con Giuseppe Belforti.

Il C. M. 126 dell'Archivio di S. Pietro è frutto della collabo-
razione dei due studiosi e si riferisce sempre alla raccolta delle iscri-
zioni della città di Perugia.

Ma con il Belforti il Galassi condivideva anche la passione del
ricercatore d'archivio, di trascrittore e raccoglitore di documenti.

Risultato di tale attività è il Codex diplomaticus di cui una
copia si conserva anche alla Nazionale di Roma, lì giunto nel 1891
in occasione della vendita Manzoni *). Con la cura che gli era abi-
tuale, il Galassi ha raccolto documenti tratti dall'Archivio del
monastero benedettino, da quello di S. Giuliana, di Monteluce,
da ‘quello decemvirale e da opere a stampa. Seguono utilissimi
indici dei nomi, delle chiese e monasteri.

.. In un certo senso il Galassi faceva opera di erudizione anche
quando scriveva il Libro di memorie del monastero, quello degli

^ . }
—————— M Óg È
272 CONVEGNO STORICO PER. IL MILLENNIO

ordini de’ professi o, come visitatore delegato, stendeva gli atti delle
visite alle chiese dipendenti dall’abbazia di S. Pietro, o quando fungeva
da segretario in viaggi nella Toscana, nel Lazio e nel Napoletano 7).

I suoi manoscritti sono sempre arricchiti di note storiche ed
erudite ; persino come priore di S. Costanzo, nella compilazione
dei libri dei morti della sua parrocchia o di quelli delle decime, o dello
stato d’anime, tutti accuratissimi nella scrittura e nell'eleganza
delle carte, il Galassi trova modo di inserire Memorie e ricordanze
di diverse materie e di compilare indici preziosi. Trascrivo dalle
Visitationes Ecclesiarum una pagina relativa alle impressioni ripor-
tate dal Galassi nel giungere alla chiesa di S. Marta di Monte Vi-
biano Nuovo :

«Eadem die 28 mensis iulii Monte Lagello commigrati praedicti admo-
dum reverendi Patres Visitatores per praeruptas et asperas montium vias
pervenerunt cum solito eorum comitatu circa horam 15 ad ecclesiam ruralem
S. Marthae positam in pertinentiis, et in districtu parochiae Montis Vibiani
Novi. Inter ecclesias de membris monasterii S. Petri, haec inter eas, que po-
tiori antiquitate gaudent iure merito est recensenda ; quippe quae expresse
nominatur in Bulla Benedicti Papae vir...

Pervenerunt igitur ad hanc ecclesiam, ... , sonante interim parva cam-
panula locata in parvo campanili quasi collabente. Externi parietes fere disie-
cti, et angusta ianua cum fenestella effracta internam | desolationem nimis
indicarunt. Interim miserabili huius ecclesiae facie tristati, ubi primum in
ipsius portae limine pedem fixerunt, mixtus dolore stupor eorum animos
affecit. Etenim domum Dei in cellam vinariam, atque in horreum permuta-
tam, altare pollutum, sepulcrum sacrati lapidis apertum, sanctorum reli-
quias dispersas, imaginesque deletas invenerunt, quod maximae tristitiae
fuit iustissima causa. Doliola lignea vini, et testacea vasa olearia hinc inde
locata, varia leguminum genera huc, et illuc coacervata, cum frustis emucidis
carnis succidiae partim a muribus, et blattis corrosae, et supra ipsam aram
positis, pernae laqueari appensae, asses cum caseis ab ipso pendentes abo-
minationem, et iram incutiebant; et tota intus, et foris ecclesia, antiqua
eius forma amissa, profanitate, et pollutione undique operta cernebatur. Sola
campanula in eius vertice adhuc permanens pro signo devastatae ecclesiae
remanserat, quae voce sua flebili quasi vindictam contra profanatores, et com-
miserationem pro illa postulabat ...»!5.

Vi si riflette la passione dello studioso, dell'amatore d'arte,
del custode geloso di memorie patrie. Sono pagine accorate per la
sorte disastrosa subita dalla chiesa, colpita dall'insensibilità e dal-
l’ingiuria degli uomini.
DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 273

E la pena del religioso e dell'erudito che vede andar distrutte
quelle testimonianze che con tanta cura cercava di salvare e rac-
cogliere.

Nel Libro di memorie del monastero compilato dal Galassi, fitte pa-

gine, sotto la data del 1781, sono dedicate al ritrovamento delle :

ossa di S. Costanzo sotto l'altare della chiesa a lui dedicata. Entu-
siasmi, incertezze, ansie accompagnarono i giorni dalla sera del
6 a quella dell'8 febbraio. Il Diario di quelle giornate fu pubbli-
cato dal Galassi coi tipi del Costantini, anch'esso anonimo come
quasi tutte le opere del Priore di S. Costanzo. Nel diario sono date
anche notizie sui monumenti pagani, venuti alla luce durante gli
scavi condotti nei pressi di quella parrocchia. E molti furono i lavori
di recupero di materiale archeologico e di abbellimento della chiesa
condotti dal Galassi. Ne fanno fede i libri contabili conservati nel-
lArchivio di S. Pietro, compilati con mirabile esattezza.

Particolare interesse il Galassi pose nello studiare la Catte-
drale di Perugia, e preziosissimo gli fu l'aiuto del Mariotti. La let-
tera piü nutrita del gruppo che ora si pubblica é densissima di no-
tizie sulle iscrizioni, sulla statua di Giulio III, sui monumenti funebri
del duomo, su avvenimenti ad esso relativi, tratti da cronache ma-
noscritte. Né poteva tralasciare l'erudito benedettino di interessarsi
alla stupenda chiesa del suo monastero e la descrizione di questa,
divenuta oggi opera preziosa perché consente di conoscere i tesori
dell'abbazia prima della spoliazione napoleonica, ebbe tre edizioni,
nel 1774, 1788 e 1792. Al suo apparire suscitó la polemica da parte
di Baldassarre Orsini a proposito dei disegni del coro che il Galassi
sosteneva non essere di Raffaello. Infine il compilatore della Guida
al forestiere per l'augusta città di Perugia dovette ricredersi e accet-
tare la tesi del dotto monaco.

Alla passione per la storia, l'archeologia e la paleografia egli
univa l'oculatezza del raccoglitore di codici, documenti e materiale
prezioso, che andavano ad arricchire la sua biblioteca privata.

Nella trascrizione delle vecchie carte gli fu di valido aiuto il
benedettino Mauro Mazzichi, avviato agli studi paleografici dallo
stesso Galassi, il quale, scrivendo la vita del suo allievo prediletto,
si autodefinisce « uomo di non molta dottrina », che aveva peró « una
qualche superficiale cognizione degli antichi caratteri e dell'arte
diplomatica ». Del lavoro svolto con tale modestia metteva a parte
gli amici perugini e segnalava documenti e codici ai numerosi suoi
corrispondenti, quali Giuseppe Garampi e Stefano Borgia. Spesso,

18
274 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

con una generosità che forse un poco stupisce donava rari pezzi
ai suoi amici. Così il 19 novembre 1768 inviava in dono al Borgia
l'originale della cartula testamenti **) di Ageltrude datata da Came-
rino il 22 dicembre 907. Il Galassi aveva acquistata la preziosa carta
beneventana otto anni prima a Foligno per mezzo dell'abate Giovanni
Mengozzi.

Le lettere intercorse tra il Borgia e il Galassi a questo proposito
e conservate nell'Archivio di S. Pietro, sono state pubblicate da
Enrico Carusi, ricordato all'inizio ?").

Un bel codice pergamenaceo del secolo xvi contenente le Co-
stituzioni della Sapienza Nuova fu donato al Mariotti il 15 luglio
1786. La lettera che accompagnava il dono è contenuta nel codice,
pervenuto alla Biblioteca Comunale. Ma già il Mariotti ringraziava
il Galassi del dono di un bel codicetto con una lettera dell'anno
precedente, rimandandogli indietro alcuni documenti su S. . Carlo
Borromeo che soggiornó a Casalina.

Nel desiderio di formarsi una cultura aperta e completa, il
Galassi, fin dal 1752 2), aveva chiesto e ottenuto dalla Sacra Con-
gregazione il permesso di leggere libri proibiti, permesso che concesso
dapprima con qualche riserva, gli fu poi ampiamente rinnovato di
triennio in triennio. E a prendere per vero quello che Vincenzo
Marcarelli, grecista, prete irrequieto e turbolento secondo il Bo-
nazzi; uomo colto e tutto dedito all'insegnamento secondo il Ver-
miglioli, scriveva a Francesco Maria Galassi, la vita degli studiosi
a Perugia non doveva essere molto facile. Egli avrebbe voluto illu-
strare una medaglia sacra, ma lamentava di non avere a disposizione
il materiale da consultare per una ricerca proficua. « Dove si ripesca
qui da noi in Perugia che siamo come se fossimo all'Isole Malucche ? ».

Nella lettera ritornano i nomi dei comuni amici, di quegli uomini
che in mezzo a difficoltà e incomprensione, lavoravano silenzio-
samente e tenacemente, sensibili al nuovo afflato di cultura, con
passione ed entusiasmo vivificati da uno spirito di collaborazione
che lascia molto pensare e ammirare. Ognuno si sentiva debitore
dell'altro per l'aiuto ricevuto e per l'incoraggiamento a proseguire
nei propri comuni studi. Giuseppe Belforti esprimeva la propria
gratitudine per essere stato introdotto nella cognizione «di quei
caratteri che solamente presso gli infingardi passano oscuri e inin-
telleggibili » 2) ad Annibale Mariotti; questi era grato al Galassi
che gli era esempio insigne nella ricerca di memorie della storia
patria; il dotto, quanto modesto monaco si sentiva da parte sua
"P — "BÀ

DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 275

onorato di appartenere al cenacolo erudito della città che l’ospitava.

Non si vuole certo pretendere che tutto quello che è uscito dal
lavoro di questi studiosi sia opera perfetta e di grande risonanza ;
risente dei difetti, insiti del resto, nell'epoca in cui essi vissero e
manca a volte di sufficiente criterio critico. Resta tuttavia a testi-
moniare che anche in Perugia e negli ambienti piü qualificati, l'esem-
pio dei nostri grandi del Settecento era sentito e seguito, che un
fermento c'era anche nella nostra città e che forse un po' troppo
precipitosamente si é parlato di sterile ambiente accademico sta-
tico e provinciale.

Con questi nostri eruditi Perugia entra anch'essa dignitosamente
nell’attività storiografica che caratterizzò il Settecento, prendendo
le mosse dalle due altissime personalità del Vico e del Muratori.
Il Vico dà l'indirizzo filosofico della storiografia, scorrendo gli avve-
nimenti umani alla luce d’un pensiero superiore che li penetra, li
interpreta nel loro nesso, nella loro legge. Al Muratori, invece, fa
capo l’indirizzo filologico della storiografia, che lavora sui materiali
costruttivi della storia : i documenti, le memorie, le testimonianze,
vagliandole e valutandole. In questo campo hanno militato e ope-
rato i nostri eruditi, che possono dirsi idealmente dei discepoli del
Muratori, con intensità, con assiduità, con passione. E noi anche
oggi ricorriamo alle loro feconde ricerche e ci gioviamo delle loro
compiute fatiche.

Ad essi, infine, si deve l’inizio metodico e l’approfondimento
degli studi di storia patria, per essi quegli studiosi hanno ricercato
e indagato durante una intera vita.

L'ultima lettera del Galassi al Mariotti porta la data del 26
luglio 1792 *) con accluse alcune brevi notizie sui miniatori che
avevano lavorato nel monastero di S. Pietro. Ma l’amico erudito
era anche il medico dei benedettini e il Padre Galassi che già comin-
ciava a sentir vacillare la sua salute, gli chiede una visita come tale.
Lo prega di affrettarsi poichè desiderava recarsi in Assisi e aspettava
il mezzo che ve lo conducesse. Sarà proprio là, nella cittadina del
carissimo allievo Mauro Mazzichi che l’operoso, intelligente, bene-
merito cenobita si spegnerà a distanza di poco più di un mese *).
TINTI TIENI

pe À—ÓÀÁÀ

276 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

NOTE

1) Come diramazione dell’Arcadia romana, fu istituita a Perugia, nel
1797, la Colonia Augusta degli Arcadi.

Sorta in mezzo ad ostacoli e contrarietà, riferiti in un autografo di Gia-
cinto Vincioli (ms. 3237 Bibl. Aug.), che ne fu il fondatore, continuò a vivere
fino al sec. xix, con fasi alterne di splendore e decadenza. Ebbe la sede
estiva nel giardino del Frontone nell’anfiteatro ideato da Baldassare Orsini ;
e tra i suoi pastori annoverò oltre il Crescimbeni e il Giovio, quasi tutti gli
eruditi perugini: Vincenzo Cavallucci, Giuseppe Crispolti, Annibale Mariotti,
G. B. Vermiglioli. Per la morte del Galassi gli Arcadi perugini composero il
seguente epitaffio :

FRANCISCO - MARIAE - GALASSIO / DOMO - BONONIA / CONGREGATIONIS
- CASINATIVM / ORDINIS - S - BENEDICTI - ALVMNO / POPVLI - ADDICTI -
ECCLESIAE - S - CONSTANTH - ANNOS - P - M - XL / RECTORI - VIGILANTIS-
SIMO / PIETATE - DOCTRINA - MORVM - SVAVITATE : PRVDENTIA - ERVDITIONE /
CONSPICVO / QVOD / RELIQVIAS - EIVSDEM - S - CONSTANTII - MARTYRIS /
PERVSIAE - CIVIS - EPISCOPI - ET - PATRONI / DIVTVRNA - AETATE / SECVLO
- POST - MORTEM - XVIII - IN TEMPLO - EI - SACRO - QVIESCENTES / SED -
OMNIBVS - ABSCONDITAS + ERVERIT,/ EIQ + MAIOREM - RELIGIONIS - PIETATISQ *
CVLTVM - CONCILIAVERIT / MONIMENTA - ANTIQUORVM - LAPIDEA - QVAE è
PARTIM - SVB - TERRA - IACVERANT / IN - APRICVM - PROTVLERIT / PARTIM
- EX - ERVDITIS - ET - DOCTIS - HOMINIBVS - COMPARAVERIT / IISQ - PERISTY-
LIVM - QVOD - ADSTAT - AD - SACRAS - AEDES - S - PETRI / MVLTA ELEGANTIA
- EXORNAVERIT / ET - IN - EODEM - COENOBIO / MVSEVM - VARII - GENERIS
- CIMELIIS - REFERTVM / INSTITVERIT / PERVSINIS - EPISCOPIS - PROVINCIAM

SVAM - LVSTRANTIBVS / OPERA - ET - CONSILIO - ADIVTOR - EXTITERIT /
IN - DIPLOMATIBVS - STVDIVM - IMPENSE - POSVERIT / EAQ - ILLVSTRAVERIT /
VIRO - OPTIMO / DIV - ODIOSO - MORBO - CONFLICTATO / AD - SEDES - TAN-
DEM - COELESTIVM / PLACIDO - EXITV - ASSISII - APVD - SVOS - EMIGRATO /
IV - IDVS - SEPT - AN - CIO - ID - CG - XCII - AETAT - SVAE - AN - LXXV /
BENEMERENTI / COLONIA - ARCADICA - AVGVSTA / MOERENS - PARENTAT /
ANIMA - DVLCIS / IN - PACE - IVSTORVM - QVIESCE - ET - IN AETERNVM - VIVE /

2) Su G. Vincioli (1684-1742), esponente della cultura perugina del '700,
autore di numerosi scritti storici, poetici e di varia erudizione, docente di di-
ritto civile nella nostra università si veda soprattutto G. GASsPERONI, Movi-
mento culturale umbro nel secolo XVIII, in « Bollettino della R. Deputazione
di Storia Patria per l'Umbria ». xxxvii (1940), pp. 114-116, e G. ERMINI, Sfo-
ria della Università di Perugia, Bologna, 1947, pp. 480-481.

Il voluminoso e interessante carteggio con i personaggi più eminenti
del secolo xvin è raccolto nei mss. 892-902 ; 917-924 della Biblioteca Augu-
DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 277

sta. Le lettere del Muratori sono state pubblicate da M. CAampori nel vol.
VII dell'Epistolario, Modena, 1904.

3) G. DEGLI Azzi, Giuseppe Belforti erudito perugino del secolo XVIII.
Cenni bio-bibliografici, in « Bollettino della R. Deputazione di Storia Patria per
PUmbria », xv (1909), pp. 356-357.

4) Archivio S. Pietro, mazzo civ (1).

5) R. ANSIDEI, Delle lodi del molto R. P. D. Francesco Maria Galassi .. .
orazione ... recitata nella pubblica ... adunanza della Colonia Augusta degli
Areadi ..., Perugia, 1793.

9) G. GASPERONI, op. cit., pp. 114-116.

?) E. CaRUSI, Come mons. Stefano Borgia ebbe la «cartula testamenti »
dell'imperatrice Ageltrude, in Scritti di paleografia e diplomatica in onore di
Vincenzo Federici, Firenze, 1945, p. 368.

#) Bologna, Biblioteca Archiginnasio.

9) Archivio S. Pietro, mazzo XLIII.

19) Ibid., mazzo xxix (2).

11) Ibid., Libri di cassa 1750 e seg. ; mazzo xxxvmt.

1?) Opere mss. : Arme di alcuni cardinali e vescovi con poche notizie de! sog-
gelli ai quali esse appartengono (a. 1770), C. M. 110 ; Codex diplomaticus peru-
sinus Eulistaeus appellatus (a. 1778) C. M. 111; [Vita di S. Pietro Vincioli
perugino e di altri Abati di S. Pietro di Perugia], C. M. 114 ; [Collectio inscrip-
tionum] C. M. 126 ; Raccolta di scritture spettanti alla materia della Visita Pa-
storale delle Chiese (a. 1768) C. M. 155 ; Visitationes Parochiarum et Ecclesia-
rum Monasterii S. Petri Perusiae (1763-1778), Div. 14, 16; Memorie storiche
della vita del beato Ugo da Pisa, C. M. 162 e ms. 390 (F. 64) Biblioteca Augusta,
Libro di memorie del monastero di S. Pietro di Perugia (1774-1786), Diversi
93; Miscellaneo di varie materie messe insieme l'anno 1789, Arch. Privato
di S. Pietro.

Non si elencano qui le copie da opere a stampa o mss., di documenti,
i libri di cassa o parrocchiali che facevano parte dell’archivio di S. Costan-
zo o di quello privato del Galassi, che, purtroppo incompleto, si conserva
nell'Archivio storico e privato di S. Pietro. Alcuni registri parrocchiali sono
confluiti nell' Archivio di Stato di Perugia.

Opere a stampa : Descrizione delle pitture di San Pietro di Perugia chiesa
de’ Monaci Neri di S. Benedetto . . . con le notizie de’ loro Autori, Perugia, 1774
(altre edizioni nel 1788 e 1792) ; Mauri Mazzichi Assisinatis Monachi Casi-
nensis S. Benedicti elogium emortuale ... (Perugia, 1775) ; Descrizione della
Basilica di S. Lorenzo cattedrale di Perugia delle pitture che l'adornano ... Pe-
rugia, 1776 ; Diario dell'invenzione o ritrovamento delle ossa di S. Costanzo .. .
Perugia, 1781; Leggenda di S. Ercolano ... tratta da quanto ne lasciò scritto
S. Gregorio... Perugia, 1790.

13) Stephano Borgia Patricio -Veliterno / S. C. de Propaganda Fide ad
secretis / quod largitate sua / collectionem hanc lapidariam / dono xvi
278 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

inscriptionum lit. B signatarum / auxerit (Archivio S. Pietro, Diversi 93,
p. 87).

^) Accanto alle iscrizioni sono attualmente segnati dei numeri corri-
spondenti, quelli in rosso, al catalogo Bellucci, quelli in nero, all'inventario
del 1886 e quelli in verde al piü recente inventario del 1950.

Di quest'ultimi corrispondono ai reperti, un tempo conservati nel chio-
stro di S. Pietro, i nn. 67, 74, 89, 91, 96, 97, 99, 100, 101, 107, 108, 114, 116,
117, 118, 119, 122, 123, 128, 138, 141, 152, 154, 166, 185, 192,.451, 501, 502.

15) Figlio di Filippo e Lucrezia Baldeschi, Francesco Friggeri fu profes-
sore di diritto nella nostra Università. L'atto di donazione dei pezzi che ini-
ziarono il Museo Archeologico cittadino é conservato nell'Archivio di Stato
(Cause 49, 26). :

16) A, TENNERONI, Di un « Codex diplomaticus perusinus » nel ms. « Vit-
torio Emanuele » 493, in « Bollettino della R. Deputazione di Storia Patria per
l'Umbria », v (1899), pp. 763-774.

") Archivio di S. Pietro, Libro di cassa 167.

15) Ibid., Diversi 14, cc. 38r, 36r;

!9) Archivio privato S. Pietro, Micellaneo di varie materie messe insieme
l’anno 1789.

2°) Altri assidui corrispondenti del Galassi furono il card. Francesco Car-
rara, il vescovo di Messina Gabriele Blasi, Andrea Giovannelli di Ripabianca,
il card. Giuseppe Carampi e i card. Finocchietti e Pallotta (Archivio S. Pietro,
mazzo CIV (1)).

21) Archivio S. Pietro mazzo xxix (2), mazzo vi (1). Nel permesso della
Sacra Congregazione si dà facoltà al Galassi di « retinere et legere libros pro-
hibitos de Theologia scholastica, dogmaticos et morales, de jure canonico,
de concionibus, de expositione Sacrae Scripturae et de historia ecclesiastica
dummodo auctores eorum sint catholici. Item philosophicos, mathematicos,
gramaticos, poeticos, rhetoricos et de historia profana. Exceptis astrologicis,
iudiciariis, ceterisque superstitiosis et operibus Guirnerii, Cav. Molingi,
Nicolai Machiavelli, Pierre Bayle, historia Giannoni et Maimbourg aliaque
historia gallicae ab anonymo, italice a Selvatico Canturano edita, libro in-
scripto Istruzioni intorno la S. Sede tradotte dal francese. Lucrezio, italice
reddito: t. la Pucelle d'Orleans, opere de l'Esprit et omnibus in quibus
ex professo aut de obicenis contra religionem agitur ».

23) G.:DEGLI: AZZ1, op. cit; p.:355.

2) Bibl. Augusta, ms. 1820.

*) Archivio S. Pietro, Giornale 87 (1791-92); Giornale 88 (1792-1793). DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA

APPENDICE
DR
Molto Rev.do Padre, e Sig. Padrone Colendissimo.

Sul proposito del discorso seco avuto stamane, ho riscontrato la vita di
Virgilio attribuita a Donato, ed ho in essa trovato il passo da Lei ricercato,
il quale è di questa maniera : Accessit aliud presagium. Siquidem virga po-
pulea. more regionis in puerperiis eodem statim loco depacta, ita brevi coaluit,
ut multo ante satas populos adequavit. Que arbor Virgilii ex eo dicta, atque con-
secrata est, summa gravidarum, et fetarum religione, suscipientium ibi, et sol-
ventium vota. Nella storia poi di Virgilio scritta dal P. de la Rue, e anteposta
alla edizione dello stesso poeta ad usum Delphini, esaminando egli se dir si
debba Vergilius o Virgilius, riferisce che alcuni credono che scriver si debba
in questa seconda maniera, deducendo l'etimologia del suo nome a Virga
populea, que post eius ortum more gentis humi defixa est.

Per mia curiosità ho voluto cosi in fretta ricercar la ragione di questo
costume ; e finora non ho trovato cosa, che mi capaciti. Il pioppo è da Teo-
frasto contato fra gli alberi di corta durata, e Gio: Bodeo parla come di un
prodigio di un pioppo di cento, o dugento anni, che si osservava a suoi tempi»
nel vecchio cimitero di Amsterdam. Sicché per ragione di longevità non potea
il Pioppo venire a simboleggiare la lunghezza di vita augurata al nato bam-
bino. Lo scogliaste di Teocrito narra ch'Ercole disceso all'inferno, presso il
fiume Acheronte trovó un bianco pioppo, il quale poi fu da lui portato
agli uomini, ond'é che Omero chiamò quell’albero Acheroida. Si vuole
inoltre che Ercole si coronasse delle sue foglie, e che i suoi sacerdoti, anzi gli
stessi Salii, per testimonianza di Virgilio nel 7 dell'Eneide, a lui sagrifi-
cando portassero simigliante corona. Ad esempio d'Ercole, altri eroi ancora
amarono di ornarsi le tempie delle foglie del pioppo, e cosi gli atleti, e simil-
mente gli amanti, per dimostrare l'allegrezza, che succedeva alle fatiche sof-
ferte. Questa poté forse essere una ragione, per cui dopo la nascita di un
bambino si piantasse un ramo di pioppo. Ma intanto di questa pratica in simi-
gliante occasione non trovo veruna testimonianza presso gli autori finora
da me veduti, i quali pur trattano eruditamente di tutto ció che riguarda i
vari usi di quest'arbore in tutti i generi. Il vario colore della foglia del pioppo,
che da una parte é molto bianca, e dall'altra é di un verde oscuro, trovo es-
ser stato occasione che una tal pianta fosse presa per simbolo del Tempo, cioé
del giorno, e della notte, che son le parti principali del tempo. Ma per dimostra-
re questa stessa cosa furono in uso altri simboli ; e per la nascita di un fanciullo
non vedo che debba avere gran congruenza l'albero di cui si tratta. Prima
dunque di stabilire, che veramente gli Etruschi, e i Romani avesser quest'uso
di piantare un ramo di pioppo nella nascita di un bambino, io vorrei vedere

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280 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

se la cosa fosse veramente cosi, e non fosse stato piuttosto in costume di pian-
tare un ramo d'albero di qualunque sorta, e non già precisamente di pioppo.
Nel caso di Virgilio, abbiamo espressamente nominato il pioppo, ma troviamo
ancora, che ció fu fatto more regionis, come dice l'autore della vita attribuita
a Donato ; e more gentis, come scrive il de la Rue, dall'altra parte poi e la fa-
vola delle sorelle di Fetonte, e l'autorità di piü scrittori, e massime del Mat-
tioli ci assicura, che il pioppo nascitur frequentissima in Agro Mantuano,
ac Ferrariensi, non modo in Padi ripis, sed et per agros, et prata, in fossarum
aggeribus. Chi sa dunque che per l'abbondanza di questa pianta nel Mantovano,
non fosse in uso di piantare il pioppo in occasione di qualche nascita, sola-
mente in detto paese ; e che poi altrove non si adoperasse in tal congiuntura
qualche altra pianta ? Se la costumanza di piantare il pioppo si dovesse
provar solamente collautorità del caso di Virgilio, io certamente non ve-
drei come si dovesse estendere questa pratica ancora a' popoli tanto lontani
da Mantova, quanto erano gli Etruschi.

Io peró m'accorgo benissimo ch'io parlo a caso, e dico forse, e senza forse
degli spropositi i più madornali del mondo. La somma gentilezza, e bontà
del P. Priore saprà peró scusarmi ; giacché io con questa mia lunga diceria
tirata giù alla peggio, e senza la minima riflessione, non ho preteso di far
altro che procurarmi una occasione da restar meglio istruito del fatto, di cui
fu tra noi parlato questa mattina, riguardante la spiegazione delle figure de'
vasi etruschi già noti. Perdoni ella di grazia la libertà, che con Lei mi son
preso annoiandola con queste ciancie, e mi creda immutabilmente

della P. V. molto Rev.da
Umilissimo, devotissimo, ed Obbligatissimo Servitore
Annibale Mariotti
di casa 5 marzo 1772

Stimatissimo P. Priore Sig. e Padrone Colendissimo

Ho per le mani alcune bazzecole appartenenti a certi punti di storia
perugina, de’ quali ella si mostra singolarmente curiosa ; e perciò prima che
mi escan di mente, voglio così alla buona comunicarglieli ; quantunque io pensi
che ciò facendo, vengo a portar legne al bosco : tanto son persuaso che nulla
io riferir Le possa, che a Lei non sia già a bastanza noto. Niente altro dunque
io intendo di fare, se non che di dare a Lei una prova del pensiero che anch'io
mi prendo di ricercare le patrie memorie, e di seguitare in questa parte il suo
onorevole illustre esempio. Sed longe sequor, et vestigia pronus adoro.

Primieramente dunque intorno a quel benedetto Ugolino vescovo, ecco
quanto ho trovato in un ms., che può servire a darne qualche particolare
notizia.

«1330 morì il Vescovo di Perugia chiamato Monsig. Francesco da Lucca
DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 281

delli Frati Predicatori ; el Capitolo e Canonici di San Lorenzo, a cui stava
in quel tempo di eleggere, elessero per Vescovo di Perugia Monsig. Ugolino
d'Agobbio. Ma M. Venciolo voleva Lettere al Papa per cagione del Vescovato
dal Consiglio di Perugia (in marg.: voleva far Vescovo Alessandro suo Fratello) ;
e perció si ragunó detto Consiglio, et haveva havuto dette Lettere, si non che

M. Oddo delli Oddi li si oppose, e fece stracciar dette Lettere, e ci fu gran

rumore ; per il che li Priori confinarono il detto M. Oddo e li suoi sequaci,
et anche M. Venciolo. — 1331. Si consacró Monsig. Ugolino Vescovo, e fece l'en-
trata in Perugia, e gli fu fatto grande honore e presente d'una Coppa d'argento
con ducento fiorini d'oro. Nel medesimo anno tornó Monsig. Ugolino da
Montebiano confirmato Abbate di S. Pietro da Papa Giovanni in Avignone
sendo prima stato eletto in Perugia ; li Abbati allhora erano perpetui, e pa-
droni assoluti. — 1332. Hebbe principio la Fraternita di San Pietro martire,
e fu presa in protettione da Mons. Ugolino Vescovo. — 1337, die... Mensis
Maii. In questo dí morse Monsig. Ugolino d'Agobbio Vescovo di Perugia ;
e fu sepellito in San Pietro di Perugia, et li Canonici elessero Vescovo Monsig.
Francesco di M. Grazia loro Arciprete. — 1339. Monsig. Francesco di M. Gra-
zia ritornò in Perugia confirmato, e consecrato Vescovo, e gli furono fatti molti
honori et presenti dal Popolo Perugino.» Da tutto questo racconto parrebbe
che Ugolino Vibi dovesse escludersi dalla serie de’ vescovi perugini !)
e che il vescovo sepolto in S. Pietro con lapide, e inscrizione gotica sia
quell'Ugolino da Gubbio morto nel 1337. Di fatto in un catalogo de’ vescovi
di Perugia, scritto a parte in detto ms. alla pag. 13 leggo sotto questi tempi
nella seguente maniera.

« Andrea Poggi 1309.

Fra Francesco Poggi 1310.

Ugolino Gabrielli da Gubbio 1331.

Francesco Graziani Perugino 1352.

Andrea Bontempi Perugino 1352».

Ma intorno a questo proposito, basti cosi: aggiungendo solamente che il
detto ms. da me citato, é un libro in foglio di carte 67 in cui son notate varie
memorie di Perugia, esistente in casa Graziani.

Ora le diró un'altra cosa riguardante la Chiesa di S. Pietro, che ho trovato
in un Ms. del Macinara appartenente alla suddetta Casa Graziani, la quale
credo non debba essere discaro d'intendere tal quale é registrata dal detto
Macinara nell'accennato libro ms. di Memorie di Perugia del 1630, carta
40, a t."

Sotto il mese di aprile. « Si fa preparamento per il Capitolo nel Monastero
di S. Pietro, e perciò si è cavata fuori una Lampada d'Argento fatta fare a
Fiorenza a spese del P. Abbate D. Zenobio d'Antria di valuta di Scudi... Si
vede sopra l'Altare il nobile e sontuoso Tabernacolo di porfido con n°... fi-
gure di metallo dorato fatto far in Roma a spese del P. D. Angelo da Brescia
Abbate hora titolare professo in detto Monastero. Il qual Capitolo si comin-

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282 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

ciarà Sabbato 20 del corrente, essendo fatta preparazione grande, come
tuttavia si prepara ; qual Capitolo si doveva fare in Mantova, ma per i ro-
mori di guerra si fa qua detto Capitolo in cambio di Mantova ». Alla pag. 41
a t.° siegue cosi. « Domenica si fece il Presidente dei Monaci di S. Pietro, che fu
eletto il P. D. Modesto da Padova Abbate di Roma» e poi «Giovedì il
giorno si fece la Mostra dei Cavalli delli RR. Monaci di S. Pietro, ch'erano
di n°. 60 con il Trombetta avanti. Lunedi 29 Aprile si mostró l'Anello al P.
Presidente di S. Pietro, e altri Abbati, e all'illustrissimo Sig. Joseffe Gianetti
da Velletri ». Da questo racconto del Capitolo, ecco ricavata la notizia
del tabernacolo di S. Pietro, il quale per essere stato lavorato in Roma, e a
spese di un particolare, non é meraviglia che da Lei non sia stato trovato
registrato ne' Libri delle spese di codesto Monistero.

La sua bella fatica della raccolta delle inscrizioni che si trovano in Pe-
rugia e suo contado, interessa troppo un buon cittadino, perché io non me ne
compiaccia, e non me ne rallegri seco moltissimo. Su questo proposito non
voglio lasciare di porle in vista un merito ch'ella si é fatta in iscoprire la in-
scrizione posta a Prospero Podiani da' Gesuiti. Né il Lauri, né il Lancel-
lotti, che parlano del vario destino della Biblioteca Podiana, si trova che
faccian menzione della lascita fattane dal Podiani a' Gesuiti ; forse per rispetto
ch'essi ebbero al passo ridicolo fatto dai buoni Padri in questa faccenda. Ma
se non ne parlarono essi, ne parló bene l'ingenuo spregiudicato critico Gian-
vicenzo Rossi, o sia Nicio Eritreo nella sua Pinacoteca P. 3. cap. 72. Io non
ho presso di me quest'opera sua, ma ecco ció che il Moreri scrive all'art. Po-
diani, sull'autorità dell'Eritreo : « Avendo promesso il Podiani a certi Reli-
giosi di lasciar loro la sua bella Biblioteca ?, fecero in marmo ad onor suo
una Inscrizione nella quale esaltavano a meraviglia la sua liberalità, e fa-
cevan risplendere la loro riconoscenza. Ma quando essi seppero ch’esso col
suo testamento avea fatto passare in altre mani la sua Biblioteca, scancella-
rono subito la inscrizione, e non lasciaron di essa che le prime tre Lettere
D. O. M., le quali da alcuni belli spiriti furono poi interpretate con queste
parole Daturis Opes Meliores ». Or non è bella la scoperta da Lei fatta di que-
sta inscrizione, con cui si mostra la verità di quanto scrisse l'Eritreo, e sl
rinova un'occasione da dar la quadra a' buoni Ignaziani, che pur furono in
ogni cosa cosi spiritosi ?

Sul proposito delle inscrizioni di Perugia, come già mi pare di averle
detto una volta a bocca, alcune ne riporta Monsig. Lauri che dice qui ritro-
varsi, senza però accennare il preciso luogo : e sono:

Merces Vitae Laus: Balionus Montevibianus Clarissimorum Civium
Optimus, et Optimorum Clarissimus Patriam Juris disciplina illustravit etc.

Quella di Gio : Paolo Lancellotti, ch'era in S. Francesco, riportata ancora
dall'Oldoino.

Altra di Gio: Paolo Lauri, che comincia : Quisquis es, ne te non terreat
communis mortalitatis reputatio Jo : Paulum Laurum specta etc.

»

—— DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 283

Altra di Bianca Maria Bevilacqua, che comincia: Blanca mihi nomea, | N
Comites Utrumque parentem, Collaltus Matrem dat, Bevilaqua Patrem etc. |i LN

Io non dubito che tutte queste le cadranno sott'occhio, ricercando le no- |
stre chiese. Se mai s'imbattesse in altre inscrizioni spettanti a^ medici, La
prego a farmene parte.
* Or che dirà lo stimatissimo Padre Priore di tutte queste freddure a lui
presentate in una stagione, che ci conviene abbrividire per troppo freddo ?
Io prima di tutti confesso ch'esse sono inopportune, e che perciò io debbo
comparirle un importuno. Ma comunque sia la cosa, a me basta che almen
tale non mi dichiari per la premura che nutro vivissima di cercare ogni occa- |
sione: da dimostrarmi HE

Suo
Devotissimo, ed Obbligatissimo Servitore, ed Amico
Annibale Mariotti |

Di casa li 3 del 1775.

3.

Stimatissimo P. Priore A. C. e Padrone Principalissimo.

Sulla speranza di suo sollecito ritorno non mi son preso finora il pensiero
di trasmetterle quelle notizie ch’ella mi fece l'onore di affidare alle mie ricerche. |
Ma non per questo si dee figurare che io abbia trascurato di servirla. Ho cer-
cato : ho copiato : ho armato il naso di un bel paio di occhiali : ho letto da me :
| e quando lo scritto alla distanza di una spanna non voleva esser visto da me,
| io l'ho fatto assaltare da un valente anagnoste che me lo ha poi dettato esat-
tissimamente. Ora dunque che sento dal P. Fantoni ch'ella brama di aver
costi le divisate notizie ; eccomi da Lei per soddisfare nel miglior modo possi-
bile al mio dovere.

Per cominciare dalle iscrizioni, che sono sotto all'organo grande nella
cattedrale, mi portai mattine fa col Dr- Sig. Ludovisi in faciem loci, e dopo aver
chiesta la dovuta licenza al sagrestano, con l'aiuto di alcuni cherici furono
scansati dal muro i due confessionali, che coprivano i depositi, e furono letti
con tutto l'agio i due epitaffi. Quello che resta vicino alla cappella dello Spi-
rito Santo, e che fu fatto per onor del Bonciario, è quel medesimo ch'egli si |
compose da sé, e che vien riferito dall'Oldoino nell'Ateneo Augusto alla p. 229, | |
e da Gio: Battista Artemio dopo l’orazion funebre da esso fatta e detto
Bonciario suo Maestro alla pag. 37 ; ed è il seguente :

Adeo Sum Visus Infelix Ut Noo Mecum Sortem / Mutasset. Adeo Autem
Non Fui Ut Nec Ego Cum / Quoquam, Iustus Est Deus Aeque Singulis Indul-
get / Ut Liberis Pater Infirmis Ut Mater Alia Te Hospes Volebam Et Tu |l
Expectas Qui Unde Quamdiu Sed / Frustra Proe diem Nobiscum Futurus |
Dico Propediem Noa etiam Si Fueris aut Salem Licet Obstupescas / Hoc Ce-
PIT
I

284 CONVEGNO. STORICO PER IL MILLENNIO

lerius Iter Conficies Quo Plenior Ibis / Annorum Igitur coram Tu Roga Ut
Beati Quod / Potest Non Ut Tardi Quod Non Potest / Obiit die rx. Ian.
An. Dom. mpcxvi. Aet. Suae LXII

M. Antonio Bonciario S.

Junior

Re
P;

A piè del deposito in uno scudetto si vede inciso a bassorilievo lo stem-
ma del Bonciario, ch'é un calice, o bichiero fatto a forma di calice, con una
stella sopra, di cui parlalo stesso Bonciario nelle sue Lettere Lib. 12. ep. 23.

Da questa inscrizione si rileva che né l'Artemio suddetto, né il Crescim-
beni colsero il vero, quando scrissero che il Bonciario mori di anni 61 ; ma
che bensi il Crispolti fu piü veridico di tutti quando scrisse ch'egli fini di
vivere in età di anni 63. L'epitaffio poia me pare assai concettoso ; e secondo
il gusto del secolo, e la maniera del Lipsio, che tanto piacque al Bonciario,
bastantemente bello, ed elegante. Il detto deposito, come si vede, fu fatto
al vecchio Marco Antonio Bonciario, dal iuniore Marco Antonio suo nipote,
il quale insieme con Bernardino altro nipote, dedicó la prima decade degli
esempi latini lasciati inediti dallo zio, al Pontefice Urbano vii, facendola
stampare in Perugia presso Angelo Bartoli nel 1641 in 12, è da avvertire che
tutto l'epitaffio suddetto é senza interpunzione di sorte alcuna, salvo che nel
fine a que' luoghi : Die rx. Ian. etc. come troverà segnato.

L'altro sarcofago, che resta similmente sotto l’organo, verso l’altare
di S. Stefano, e che nella struttura corrisponde moltissimo a quello del Bon-
ciario, è di Fulvio Paolucci. La Famiglia Paolucci è la stessa che le Sozi, e
Tramontana. In certe memorie di queste famiglie che io conservo mss. presso
di me, parlandosi degli uomini illustri della famiglia Paolucci, si fa anche
memoria del suddetto Fulvio, e si dice che Mariotto di Costanzo di Mariotto
di Costanzo e di Susanna di Fiore Boncambi fu protonotario apostolico, che
servì i cardinali Armellini, Giacobacci, Parisiani e Cornia, e nel 1535 fu Ca-
nonico della cattedrale. Ora questo Mariotto nell’anno 1572 rinunziò il suo
canonicato a Fulvio di Sforza Paolucci, il quale dopo essere stato governa-
tore di Loreto, e di Orvieto, protonotario apostolico, e camerier segreto de’
pontefici Paolo v e Gregorio xv ed archidiacono della cattedrale successo per
morte di Mons. Corradi, finalmente morì l’anno 1577. È riferito in queste
memorie mss. l’epitaffio sepolcrale a lui posto nella cattedrale, il quale però
è scritto con qualche varietà, e si vede ch’è stato copiato dall’opera dell’O1-
doini, ove si vede riferito alla pag. 129, e non dalla lapide medesima, in cui,
come Le accennai, si trova in qualche piccola cosa diverso. Ecco come si
trova scolpito nella lapide.
DELL'ABAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 285

D.O.M.

Fulvio Paulucio. Qui In Templo Hoc Primario Archidiaconatum /| Lau-
reti Praefecturam. Venetiarum. Perusiae. In Alma Urbe / S. Mariae Trans
Tyberim Vicaria Munia. Cum Decore Habita. Cum / Fide Obita. Et Claras Viro-
rum. Civitatumque Principum Dignationes / Umbrae Somnium. Serio Sen-
tiens. Et adversus Suave Venenum Non / Semel Sibi Intimo Summorum Ponti-
ficum Pauli v. et Gregorii xv. / Cubiculario. Ab Romana Aula Propinatum.
Vivo Se Mortis Firmans / Antidoto. Vivens Sarcophagum Hunc. Qui. Quod
Clusile Sui Foret / Depositario Iure Cluderet. In Antesolutum Struxit- Mente
Ad Illum / Qui Comprehendi Nequit erecta. Anno Dni (1) MDcLxxvir. Aetat.
Suae LXXVII, /

Constantius Archid. Patruoparenti. Bene De Se Merito.

Bene Moerens Parentat. :

Tutto l'epitaffio é in 12 righe, distinte come le troverà qui trascritte,
e con quella bizzarra interpunzione, che vi vedrà notata. A piedi del depo-
sito si vede lo stemma della famiglia Paolucci, ch'é un orso rampante nero
in campo d'oro, come lo descrive anche il Vincioli.

I nomi degli Artefici, ch'ella volea sapere, sono i seguenti :

Domenico Sergardi Romano

Pietro Piazza Parmigiano

Francesco Caselli Perugino scalpellino.

L'epitaffio di Lodovico Sensi non fu possibile né a Lodovisi né a me di
raccapezzarlo per quante diligenze vi usassimo intorno. Io peró non dispero
che se ne potesse cavare qualche costrutto, se si potesse aver tutto l’agio
di esaminarlo. A buon conto non é poco che dalla sua lapide si ricavino ad
evidenza queste parole — Vixit Ann. Lxx. D. xm. Ob. vm. Id. Novembr.
MDLXXIX. — Con che si viene a fissare il tempo preciso della sua morte,
il quale per semplice congettura fu pensato dal nostro peraltro diligentissimo
Sig. Cavallueci, che potesse essere sotto l'anno 1579 ; non avendo egli avuto
la minima cognizione di questa sua sepoltura in S. Lorenzo. L'Oldoini ancora,
e l'Alessi ne furono affatto all'oscuro ; e perció sarà sempre un merito del P.
Priore l'illustrazione di un punto di storia risguardante un Uomo si celebre,
lasciato finora indeciso da tutti quelli che di proposito parlavan di lui.

Dalle memorie mss. di Rafaelle Sozi esistenti presso i PP. Filippini,
se non ho potuto ricavare l'epitaffio del Sensi, giacchè non lo riporta, ho però
rilevato qualche altra notizia appartenente alla nostra cattedrale, che potrà
forse servire per la sua storia.

A car. 199 descrive il detto Sozi la consecrazione fatta della chiesa di
S. Lorenzo dal vescovo Anton Maria Gallo cardinale, il dì 5 di aprile del 1587.

A car. 160, 161 parla del fonte battesimale, e della cappella per esso eretta
di rimpetto a quella dello Spirito Santo da M. Polidoro Oradini fratello di
Monsig. Giulio Oradini, ed è molto notabile ciò che a questo proposito lo sto-
rico aggiunge a onor de’ canonici, scrivendo come segue : « Fu quasi che in-

pittori
PIETER

286 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

fame, e di non piccolo disonore il luogo, il vaso, e l’altre cose del Fonte sud-
detto, che ardirò dire che non si vedeva per avventura nella più minima chiesa
del nostro Contado il Battesimo così poco ornato, quanto (e m'arrossisco
di scriverlo) trascuratamente nella nostra Cattedrale si teneva. E sebbene
se ne faceva in tutti i tempi molta istanza, altro giammai non si traeva che
vane e fallaci speranze, cercando i capi di quella Chiesa trattener il Popolo
con promettere di acconciare, et abbellire il Battesimo : et è stato gran caso
che in tutta l'età mia sempre di questo si è fatto romore colli R.di Sigg. Cano-
nici, e mai da loro si è dato pure un minimo principio, sebbene quella Chiesa
da nostri antichi fu comodamente proveduta di buone facoltà, che dovreb-
bero, oltre gli spartimenti loro, servire alle cose necessarie di quella Chiesa
tanto amata, e guiderdonata da’ nostri maggiori, che finora si vedono alcune
reliquie della molta pietà loro, che si fanno alcune retenzioni agli offizi pub-
blici per sovvenimento di quella Chiesa, che a miei giorni molte onorate cose
di queste entrate si son fatte, e massime l’Altar Maggiore, l’Occhio in piedi
della Chiesa, e la Porta Principale di Piazza, ma non già si vede cosa rilevata
dalla massa che distribuiscono i Sig. Canonici, che a util loro si converte e non
giammai all'ornamento di quella Chiesa ; essendo che la Chiesa, e la Cano-
nica tutta sia stata fabbricata da' nostri Maggiori, e mantenute sempre da
noi Laici, e non da coloro che l'entrate di essa possiedono, e che per debito
loro dovrebbero almen riparar quelle cose che la necessità ne mostra. Ho
fatto questa digressione trasportato dall'amore che io porto a quel venerando
e nostro particolar Tempio avendo non piccolo dispiacere di veder tanto ag-
ghiacciati all'onor suo coloro, che piü caldi di noi Laici dovrebbero essere.
Laonde M. Polidoro etc. » e qui siegue il Sozi a discorrere della cappella fatta
fabbricare da detto Polidoro Oradini pel fonte battesimale nell'anno 1579,
la quale, per quanto ora poi si vede, fu in appresso destinata al Gonfalone.

A car. 145 descrive il Sozi la cappella dello Spirito Santo, e ne dà le se-
guenti notizie: «Era stata questa Cappella cominciata da Mons. Leone
Baglioni, ma non mai finita. Fu fatta istanza da Monsig. Giulio Oradini,
acció fosse a lui data, presso i figli del Sig. Ridolfo Baglioni ; ma finché visse
il detto Monsig. Oradini non fu possibile ottener nulla. Da M. Polidoro suo
fratello fu peró con tanto calore seguito l'impegno, che ottenne finalmente
la detta Cappella Baglioni, e se ne stipuló contratto tra lui, e il Capitolo. Diede
subito a fare il Quadro, e ordinó a diversi scultori gli ornati. Fece fare la se-
poltura di Mischio nuovamente trovato a Lacugnano per la sepoltura di Monsig.
Giulio Oradini ; e fu talmente, e con tanta esquisita diligenza sollecitata que-
st'opera, che alli x1 di Giugno del 1576 il Lunedi della Pentecoste fu aperta,
e vi si celebrarono piü Messe. Ogni anno in tal giorno vi si deve cantar la
Messa da un Canonico; e parimente vi si deve ogni anno far l'esequie a
Monsig. Giulio, e un Offizio a M. Polidoro. Si è fatta nel principio dell'entrata
della Cappella la onorata sepoltura, secondo il Testamento di Monsig. Giulio,
per gli scolari, dottori, ed altri onorevoli Uomini forestieri, che moriranno
DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 287

in Perugia. Vi si vede in un lato la sepoltura di Mons. Giulio, che riesce pur
vaga e bella ; e gli dà molta grazia la nuova maniera d'ornamento attorno alla
Tavola dell'Altare, del Mischio di Lacugnano ».

A car. 86 parla il Sozi dell'abito dei canonici, de’ quali dà le seguenti
notizie: « Giulio 11 avendo ridotto in buono stato la Chiesa di S. Lorenzo,

di Canonici Regolari di S. Agostino, li fece sudditi alle cotidiane distribuzioni.'

Fece un Arciprete il quale nelle distribuzioni dovesse avere il doppio di un
Canonico : a ciascun Canonico assegnò il doppio di un Benefiziato, o Cappel-
lano perpetuo : a ciascun benefiziato il doppio di un cherico perpetuo. Ordinó
16 Canonici, che prima erano stati solamente 12; otto Cappellani perpetui,
e 4 Cherici; oltre altri Cappellani, e Cherici movibili. Ordinó che l'Arciprete
portasse un Rocchetto, e sopra una veste negra; et i Canonici una pelle
sopra la spalla, e cotta: e i Cappellani una Pelle nel braccio ; non essendo
per allora data alcuna insegna a’ Cherici perpetui. In questa guisa vestirono
fino ai 9 di Agosto del 1571. Il Cardinal Fulvio della Corgna Vescovo per de-
corare vie più il Capitolo, chiese in grazia a Pio v, che concedesse a’ nostri
Canonici l’honorato abito de’ Canonici di S. Pietro di Roma ; e sentendo il
S. Padre la dimanda esser onesta, e per compiacere al Cardinale, spedì su
ciò un Breve in occasione che il Cardinale tornò a Perugia ; il quale poi diede
l'abito il detto giorno 9 Agosto 1571 in tal guisa ; che dal Sabbato Santo fino
all'Ognissanti si vestissero di un fino rocchetto, e sopra vi portassero una
Cotta ; et a Cappellani perpetui il medesimo, benché senza rocchetto, lasciando
ambedue gli Ordini la Pelle, e nella Vigilia poi di tutti i Santi l'ultimo di Otto-
bre prendessero gli abiti pavonazzi, e quelli de' Canonici foderati di pelli
bianche ; de' Cappellani perpetui fodrati di pelli bigie ; et il simile li 4 Cherici
perpetui : e l'Arciprete la State sopra il Rocchetto dovesse portare una veste
di Ciambellotto tané, et all'Ognissanti, volendo, di pavonazzo, e in cosi fatta
maniera poi nel Coro, nelle Processioni dovessero tutti insieme riempire di
molta magnificenza quella Chiesa, e la Città nostra tutta ».

Ma a che proposito tutte queste chiacchiere ? dirà il P. Priore. A che
proposito ? Per farle vedere, che io non ho lasciato di notare tutto quello che
in ordine alla Cattedrale ho trovato scritto dal Sozi, autore di molta fede, per
avere scritto delle cose da lui stesso vedute, ed avvenute al tempo suo. O fac-
ciano esse, o non facciano al caso suo serviranno sempre per mostrarle la
mia diligenza in procurare di renderla intesa di tutto quel poco, che puó
essere a mia cognizione sull'argomento di cui ella scrive ?).

Circa lo stemma scolpito nella pietra vicina al pulpito di S. Bernardino,
io presentemente non l'ho potuto rivedere, per essere in parte coperto dai
drappelloni posti nella facciata del duomo pel vescovo Amadei. Ho bensì
ricercato tra gli stemmi de' vescovi, e legati, e governatori, se ve n'era al-
cuno con tre teste di leone, com'ella mi accenna, e niuno ve ne ho trovato
di questa sorta. Ho bensi veduto che tra le armi delle famiglie nobili peru-
gine, la Casa Frollieri aveva per arma una fascia d'oro con sopra tre te-
288 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

ste di leon linguato, e sotto tre palle d'oro in campo azzurro; e che la Ri-
dolfini avea tre teste di leon d’oro linguato partite da fascia d'oro in campo
azzurro, secondoché scrive il Vincioli. Ella che ha presente allà memoria 1o
Stemma scolpito in detta pietra, potrà intendere se possa esso riferirsi ad al-
cune delle dette famiglie.

Ora voglio darle parte di tutto quel poco ch'io so circa la statua di Giu-
lio 111, della quale ella pur vuol parlare nella sua storia. Il di 3 di maggio del
1553 il magistrato, di cui era capo Borgaruccio Ranieri, deliberò di erigere
una statua in onore di Giulio ri, e in grata riconoscenza della grazia fatta a
Perugia della restituzione de' magistrati etc. Fu questo partito proposto
al general consiglio de' Priori, e Camerlenghi il di 7 dello stesso mese ; e da
questi in numero di 41 fu stabilito che si facesse ; e furono per essa destinati
mille scudi d'oro, e una campana, che servi già per lo Studio, di 1800 libbre
di peso, venduta per scudi 100 alla comunità di Castel Rigone il di 27 del mese
suddetto Ai 10 dello stesso mese di maggio i Priori dederunt, et locaverunt
Iulio Pervincentii Dantis aurifici, et Vincentio eius filio Civibus Perus. pre-
sent. stipulant. et recipient. pro se etc. fabricam statue S. D. N. Iulii PP. rir,
con alcuni patti, e convenzioni, che in detto atto si trovano espresse in ita-
liano ; la prima delle quali é che i detti Giulio, e Vincenzio suo figliuolo si
obbligano a far detta Statua di metallo simile alla immagine di N. S. Papa Giu-
lio III d’altezza di sei piedi stando a sedere in una sedia etc. Tra le altre con-
venzioni, che risguardano la sollecitudine, e l’esattezza del lavoro, a me pare
molto notabile quella in cui si stabilisce, che, finita l’opera, i detti Danti
per mercede della loro fatica si rimettono al giudizio del cardinal della Cor-
gna, del legato, e dei Priori pro tempore, e a ciò che da questi verrà stabilito
essi promettono starsi intieramente. Tanta era la buona fede, e il concetto,
di cui allora godevano i superiori, e i magistrati; e tanto si ripromettevano
le persone dal loro arbitrio. Non so se ne’ tempi a noi più vicini si trovi negli
Annali Decemvirali altro contratto simile. Agli 8 di maggio del 1555 «M.
D. P. personaliter accesserunt ad locum ubi olim erat ecclesia et Conventus
Fratrum Servorum S. M., in quo hora xx conflata fuit statua enea facta
ad imaginem S. M. Iulii olim PP. mi per Vincentium Iulii Dantis aurificis,
expensis et sumptibus civitatis, ipsis M. D. P. presentibus, et videntibus,
et satis per optimo cum successu» cosi si legge nell'annale 1555, f. 123. Ed
ecco stabilito il giorno, ed il luogo, e la solennità con cui fu gettata la nostra
statua. Non è negli Annali registrato il tempo preciso in cui fu posta nel luogo
ove ora si vede. Fu peró certamente nello stesso anno 1555, come scrive an-
che il Crispolti, e come si ha in una delle inscrizioni del piedistallo. A spese
dei Danti fu trasportata, e collocata nel luogo ove sta sulle scale del duomo
da un certo Maestro Giovanni Murator Fiorentino per soli scudi 9: spesa
veramente tenuissima (Annal. 1555, f. 185 t^). Per la compra dei metalli,
cera etc. i Danti sborsarono scudi 701, 70.2. t. Per loro mercede poi ebbero
dalla città scudi 550 ; cioè 397, 19 in una bottega, e magazzino ad essi ceduto
DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 289

dalla città nella Piazza di Sopramuro, e il resto in contanti (ibid.) ; oride a
questo conto la statua venne a costare in tutto scudi 1251,70.2 t. In certi
miei mss., ove son riportate tutte le inscrizioni di detta statua, trovo anch'io
scritto in quella che comincia Fulvio Feltrio etc. queste parole Borgarutius
Rainerius et College P. Xviri. Questo P cosi isolato non potrebbe dire Perusini

Xviri ? Altra interpretazione io non saprei dargli. Primi Xviri non può dire ;

mentre questo Borgaruccio, e gli altri erano in offizio nel mese di maggio ;
onde venivano ad essere non i primi, ma i secondi Xviri di quell'anno.

.. Or che ne dice, P. Priore? Non l'ho io seccato a bastanza ? E pur mi
rimane a dirle ancora un'altra cosa. La proposizione di Rafaelle Sozi circa la
detrazione di una certa somma dalle paghe pubbliche per benefizio della
chiesa cattedrale, sa che ho trovato ov'abbia il suo fondamento ? Spedi
Giulio 111 un Breve nel 1553 in cui ordinò che dalle paghe, e dai salari pubblici
si togliesse un bolognino per ogni fiorino, da erogarsi per la fabbrica di
S. Lorenzo. Accettó la città questo Breve il di 27 giugno 1553 con patto espresso
peró che i detti denari fossero veramente impiegati per benefizio di detta
chiesa, e non per altro ; come si legge nell'Annale 1553, f. 12 a t°. Anche pre-
sentemente si seguita a detrarre dai salari pubblici l'accennata quantità rag-
guagliata ai nostri scudi ; ma per un altro contratto posteriormente fatto
col Capitolo della città, ora si paga alla cattedrale a solo titolo del mante-
nimento dei tetti della medesima. I tetti non si vedono ; e perció la cosa non
credo che vada male pel Capitolo. Non so se S. Paolo potesse anche qui dire
queritur inter dispensatores ut fidelis quis inveniatur.

Ma sarebbe ora mai tempo di finire questa lunghissima diceria. Attri-
buisca peró tanta lunghezza al piacere ch'io provo in trattenermi a parlar
con Lei. Se posso in altro servirla, mi comandi. Si prevalga di queste belle
giornate per fare uso de' bagni ; e mi creda ad ogni prova.

Devotissimo, ed Obligatissimo Servitore ed Amico

Annibale Mariotti
Perugia ultimo Agosto 1775

Stimatissimo P. Priore

Ricevei martedi sera dal procaccio di Firenze un pachetto a me diretto,
ove trovai una copia della mia lettera sopra la chiesa di S. Ercolano *).
Il mio primo pensiero fu di trovar subito chi ne avesse avuto più esemplari
per averne uno da trasmettere a Lei, che per tutti i titoli esigeva da me que-
sta attenzione. Prima d’oggi non mi è riuscito di appagare i miei desideri
non avendo prima d'oggi trovato chi me ne abbia voluto cedere una copia colla
promessa a lui fatta di restituirgliene un altro esemplare nel futuro ordina-
rio, avendo io fatto premura per altra parte per averne qualch’altra copia

19

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290 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

più presto che sia possibile. Eccole dunque la lettera accennata, ed eccole
con essa un attestato di quella sincerissima stima, e di quel profondo rispetto
con cui sono
Devotissimo ed Obbligatissimo Servitor Vostro
ed Amico

Annibale Mariotti
Di casa 28 settembre 1775

5.

Rev.mo P. Priore, A. e Padrone singolarissimo

Bagni di Lucca 13 Luglio 1783

Dovrà ella ricordarsi benissimo delle smanie da me fatte piü volte con
esso lei sul destino della statuetta etrusca perugina da Lei donata all'insti-
tuto di Bologna. Si ricorderà quante volte invaso da violento amor patriotico,
e preso da un certo fremito di non peccaminosa invidia, ho avuto il coraggio
di dire a Lei medesima, che quella statuetta mi sarebbe molto piü piaciuto
che fosse rimasta su quel piedistallo di quel piccolo andito che conduce alle
sue camere, anziché vederla andar confusa fra i cimelj di un estranio museo,
ove si potea credere che rimanesse sempre assai men curata di quel che ri-
chiedesse il suo merito: e mi rammento benissimo ch'Ella più volte univa
le Sue alle mie querele sulla stravagante, e direi quasi inurbana maniera, con
cui ci pareva che fosse stato corrisposto alla gentilezza, e alla liberalità del do-
natore. Ora per accidente ho avuto occasione di calmare le mie inquietudini;
e di vedere in qualche modo riconosciuto il merito di Lei per questo fatto ;
e perciò non posso fare a meno di parteciparlene il mio giustissimo compia-
cimento. Sappia Ella dunque, che essendo capitato a questo Sig. Dottor Ben-
venuti l’ultimo tomo degli Atti dell’Istituto di Bologna stampato in quest’an-
no, ed avendolo io da lui avuto per leggerlo, ho trovato che il Sig. Dott. Seba-
stiano Canterzani successore del celebre Francesco M. Zanotti nell’impiego di
segretario di detto Instituto, ricordando ne’ Comentari premessi agli Opu-
scoli tutte le cose aggiunte in questi ultimi anni al Museo Bolognese, nell’arti-
colo che ha per titolo « de iis que Instituto ad facultates varias amplificandas
accesserunt» rammenta ancora la statuetta da Lei regalata, ne’ seguenti
termini Numismata Instituto donavit etiam civis egregius Guido Antonius
Zanettus numaria eruditione excultissimus etc. quibus omnibus non modi-
cam affirmare possumus antiquarum rerum suppellectili accessionem esse
factam. Ad quam augendam petivit quoque et vas etruscum, quod cum ca-
lice vitreo, qui sub initium seculi xv usui sacro fuisse creditur, Instituto
legavit civis de patria semper optime meritus Jo: Dominicus Cataneus ; et
votivum Simulacrum pariter etruscum Perusiae inventum, quod civis item
Patriae honori praeclare serviens Franciscus Maria Galassius Monachus Ca-
sinas, dono misit: quorum utrique magnum etiam e doctissimis pereruditi
DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 291

di

viri Jo: Baptistae Pasteni commentationibus lumen accedit (ex Comment.
Acad. Instit. Bononiens. Tomo VI, pag. 22). Mi consoló tanto questa onore-
vole significazione di riconoscenza fatta dallo storiografo dell'Instituto alla
persona di Lei, e alla statua nostra ; che non ho voluto aspettar tempo a par-
tecipargliela, con sicurezza che non le possa esser discara.

Mi scrisse già il nostro Sig. Belforti della inscrizione trovata nello scavo
vicino alla chiesa di S. Ercolano. Io già me la figuro collocata nel portico di
S. Pietro, e penso che a quest'ora ella abbia già ripescato sufficienti notizie
di quel nostro Bartolommeo priore del S. Sepolcro. Lo stemma inciso nella
lapida le avrà servito di un gran lume. Al mio ritorno, che seguirà fra pochi
giorni, avró il piacere di sentire il risultato delle sue erudite indagazioni. Frat-
tanto pregandola de' miei saluti al Sig. Auditore Friggeri, e al Sig. Belforti, ed
esortandola ad aver cura della sua preziosa salute, con tutto l'ossequio mi
confermo, dopo averle anche presentato i complimenti della Sig.ra Costanza.

Di Lei Padre Priore Riverendissimo

Devotissimo, e Obbligatissimo Servitore,
ed Amico
Annibale Mariotti

6.

È tanto pregiabile, ed opportuno il grazioso dono del codice, che il vene-
ratissimo P. Priore Galassi si degnó trasmettere al suo servitore Annibale
Mariotti ; che questi non sa dir altro in riconoscenza di tanto favore, se non
se tanto essere il peso degli obblighi suoi verso chi glielo ha compartito, che e
per questa, e per altre infinite sue grazie si trova troppo mortificato, ed Op-
presso per poterne adeguatamente parlare. Sarà pensiero di chi scrive il ri-
tornare al P. Priore il foglio relativo al S. Cardinal Borrommeo, insieme con
altre cose che gli dee fin da gran tempo restituire. Intanto gli trasmette una
copia per Lui già fatta della iscrizione della nota porta ; e co’ più vivi sen-
timenti di sincera obbligazione, e di profondissimo ossequio si conferma Suo
devotissimo, e affezionatissimo servitore.

Di Casa 14 Luglio 1785.

74

Stimatissimo Padre Priore A. e Padrone

È verissimo che Vincenzi Tranquilli perugino il quale sotto il nome d'In-
sipido Insensato scrisse un’operetta intitolata « Pestilenze che sono state in
Italia da anni mmcccxi in qua » stampata in Perugia per Baldo Salviani
1576 in 4°, a carta 15, parlando della peste del 1374 scrisse cosi: « In Perugia
si fecero molte provisioni e fra le altre cose fu vietato il sonare le campane a
morto. La qual prohibitione non ostante furono poi sonate del mese d’agosto
1374 per honorare il funere di M. Filippo nato dall’antichissima et nobilis-
sima famiglia de’ Vibii, allora Abbate perpetuo di S. Pietro, il quale essendo
sotto pretesto d'honore mandato in Avignone (dove era allora la corte) dal-
292 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

l’Abbate di Mon Maggiore governatore di Perugia, per viaggio essendo in

Pisa mori di veleno non senza sospetto che il Governatore predetto l'havesse

fatto attosicare per levarsi dinanzi quel huomo terribile d'ingegno et di

troppa autorità in Perugia. Onde recato il cadavero, furono honorate le sue

essequie con ogni sorte di honore funerale et etiandio con le campane fin d'un
anno prima non udite e che da poi gran tempo non s'udirono, avvenga che la
peste due anni durasse». Qui egli cita per autorità gli Annali pubblici
della città di Perugia. Ma il fatto sta che presentemente in Cancelleria mancano
gli Annali dal 1352 a tutto il 1374 e perció mi vedo tolto il mezzo di servir
meglio lo stimatissimo P. Priore come desideravo di fare col consultare
quell'atto pubblico, da cui il Tranquilli avrà preso la suddetta notizia.
Vero è però che anche il Pellini (Par. I, lib. 8°, p. 1135) parla quasi ne'
medesimi termini intorno alla morte di M. Filippo ; e soggiunge che il suo
corpo da Pisa riportato in Perugia fu con molto onore sepellito in S. Pietro

e tra molte cose che gli furono fatte per onorarlo, furono sonate le campane

uu che non erano mai state per alcun altro sonate, da che ne fu fatto l'editto per

Iu la pestilenza. ta

Io poi le voglio qui trascrivere l’elogio che di questo soggetto fece l'Alessi

e che io trovo nella sua opera ms. autografa che conservo presso di me intito-

| lata « Elogia virorum illustrium Auguste Perusie a Caesare Alexio I. U. C.

Hi Perusino conscripta » alla p. 1166 ed è questo:

Il | « Philippus Vibius in umbratili monasticae vitae solitudine tantum verum
mathematicarum et philosophiae peritiam adeptus est, tantumque non solum
in Monasteriorum gubernatione, sed in aliorum negotiorum privatorum et pu-

1 blicorum tractatione solertiam, et prudentiam gerendi ut omnium Monachorum
if | consensu divi Petri Monasterii perusini Abbas fuerit electus. Ex eo autem
quod eximiae tanti viri prudentiae copulata fulgebat summa nobilitas tam ex
paterno, quam ex materno Balionum latere una cum preexcelsa animi. ma-
gnitudine quam rebus in omnibus et praesertim in Arcis Casalinae erectione
ostendit Populo Perusino ac Raspantibus affectate tyrannidis patrie suspicio-
nem tam magnam praebuit ut una cum nobilioribus civitatis in exilium pro-
ficisci Pisisque degere fuerit coactus ubi non sine propinati veneni suspicione
magno omnium luctu recubuit ex quo credebatur eundem in patriae episco-
pum fuisse electum vel fore eligendum. Illud tamem pro certo habemus Pa-
triae campanas ob diram luem longo temporis spatio pro mortui ad sonan-
dum ligatas, in tanti viri funere in publici doloris ac moestitiae signum fuisse

solutas ».
L'Alessi, come ella vede, non combina né col Tranquilli, né col Pellini

intorno alla cagione della sospetta morte dell'Abate Vibi. L'origine dello
sbaglio nell' Alessi nacque dall'aver confuso un fatto relativo a questo soggetto
| con un altro suo fatto posteriore di più anni al primo. Per intelligenza di che
!] si contenti di dare un'occhiata a quello che ora le aggiungerò e che ho tratto
da alcune Memorie, che io conservo mss. presso di me intorno agli uomini

—————— ee oi ira
-

= cerano sem rtc
DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 293

illustri della easa Vibi. Ecco dunque tutto quello che io vi trovo notato in
ordine al nostro Abate :

\- .«« Filippo di Giuliotto, di gran lettere e prudentissimo fu Abbate com-
mendatario perpetuo di S. Pietro, quale fabricó la Rocca di Casalina: e per
aver dato ricetto nel suo Monasterio a soldatesca foruscita che armar dovea

per la nobiltà contro i Raspanti, questi come ribelle lo discacciarono fuori

della città nel 1368 (Pellini, Par. I, lib. 8*, p. 1042). Tornato alla Patria nel
1370, raccolse di nuovo e tenne ne' suoi chiostri da 500 fanti per servizio de'
nobili nel 1371 senza riceverne da Raspanti affronto alcuno. Nel 1374 incam-
minossi verso Avignone per negoziare con Gregorio xi per l'Abate di Mon-
maggiore governatore di Perugia, il quale avvelenatolo con artificio per la
autorità con la quale dominava in Perugia, essendo in Pisa, pagó alla natura
il tributo comune di dove fu riportato alla Patria il cadavere e ricevuto con
lugubre suono di tutte le campane le quali non s'erano sentite per spazio d'un
anno rispetto al contagio ».

Tutto questo é quel poco che intorno all'abate Filippo Vibi ho potuto
finora raccapezzare e che in tutto o in grandissima parte a Lei già sarà noto
per altro verso. Gradisca non pertanto il desiderio che io ho d'impiegarmi in
tutto ció che penso possa essere di suo piacere e con tutto l'ossequio mi con-

fermo di Lei, P. Priore Gentilissimo
Dev.mo e Obbl.mo Servitore e Amico

Annibale Mariotti
Di casa 22 agosto 1789

1) Si veda la relazione di F. Ugolini in questo volume.

3) L’iscrizione, scoperta dal Galassi nella chiesa del Gesù è riportata
da G. B. VERMIGLIOLI, Biografia ..., alla voce Podiani Prospero.

‘ 3) Il primo settembre, da Casalina, il Galassi ringraziava il Mariotti e
scriveva tra l’altro : « quanto opportune mi siano state le notizie, ed erudi-
zioni in esso trascritte Ella riconoscerà dall'uso che n’ho fatto, ed altri ancora
potrebbero riconoscerlo, se volendosi imbrattare l'auguste stampe si produ-
cessero al pubblico le poche notizie della Cattedrale...» (Biblioteca Augu-
sta, ms. 1814).

^) Bibl. Augusta, ms 1821.

UcoriNr. — La dott. Marinelli ci ha portato la voce di un secolo
che finora non era stato rappresentato, e ci ha parlato con tanta dot-
trina e tanto fervore, per cui io mi rallegro con lei per questo contributo
veramente degno. Dunque rallegramenti e felicitazioni.

E ora aperta la discussione sopra le tre relazioni di oggi, per pri-
ma quella della dott. Maria Scaramucci, e se qualcuno desidera inter-
venire, lo prego di voler dare il nome. Venga dunque il prof. Battelli.
" Ow Pn ro mà rn -
MÀ LL e e

e

294 CONVEGNO STORICO PER, IL MILLENNIO

BATTELLI. — Mi rallegro vivamente con la sig.na Scaramucc
per averci dato una visione così ampia e profonda della storia esterna
e del contenuto della biblioteca di S. Pietro. Attraverso l’esame delle
opere possedute ella ha tracciato un quadro estremamente interessante
dei diversi interessi culturali coltivati nel monastero.

Ma vorrei richiamare l’attenzione su un aspetto della sua esposi-
zione, apparentemente più modesto, cioè sulle accuratissime ricerche
da lei compiute sulle spese per lavori e per forniture. È particolar-
mente interessante l’ordinazione di catene fatta nel 1511. Certamente
dovevano servire per « incatenare » i codici, come usava nelle maggiori
biblioteche : e questo fa supporre un uso pubblico, un salone e ampi
banchi, nei quali i codici erano riposti e fissati. Forse altre ricerche
potranno portar luce sul numero dei manoscritti allora esistenti, le
eventuali accessioni e lavori di riordinamento, per es., attraverso l’or-
dinazione o la riparazione degli armadi.

Si potranno avere notizie della rilegatura dei codici. Ho notato
che molti codici hanno una legatura in mezza pelle con fregi d’oro,
e sui piatti c'è una carta marrone marmorizzata ; la stessa carta è
anche su libri stampati e perciò si potrà stabilire l'epoca del suo uso.
Ma si trova anche sul codice Ottoboniano della Vaticana: si potrà
così fissare una data post quam per l’uscita del codice da San Pietro.

Mi rallegro dunque per l’accuratezza con cui la sig.na Scaramucci
ha condotto l'indagine in diverse direzioni, nella certezza che dalle sue
ricerche verranno anche nuove notizie sulla storia dei manoscritti.

MonGHEN. — Vorrei fare una osservazione su quanto ha detto
la dott. Marinelli. La dott. Scaramucci ci ha dato notizie molto im-
portanti dal punto di vista culturale, nel mettere in evidenza come
nella biblioteca esistano dei fondi molto importanti. Ora, fondi giu-
dicati molto importanti sono anche nella Biblioteca Corsiniana di
Roma, e questi fondi si devono sopratutto alla operosità di un biblio-
tecario, mons. Bottari, che la signora Marinelli ha nominato e che
era in corrispondenza col Galassi. Secondo me, sarebbe molto impor-
tante approfondire queste relazioni. Nella: Corsiniana noi abbiamo
sette grossi volumi in folio che raccolgono la corrispondenza di mons.
Bottari, che è stato il primo bibliotecario della Corsiniana sotto l'egida
del cardinale Vieri Corsini, sotto papa Clemente XII, e che faceva
parte di quella schiera di alti prelati che aveva il suo centro nella
cosidetta Scuola della Scaletta, una specie di centro di riforma religiosa,
non tanto in senso ideologico, ma di giansenismo morale, quale era

TT DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 295

specialmente il giansenismo di tipo muratoriano. Quindi sarebbe
molío interessante, secondo me, approfondire le relazioni fra il Galassi
o aliri monaci di San Pietro e mons. Bottari, cosa che è possibile in
quanto è stato pubblicato recentemente proprio l'inventario delle lettere
di mons. Bottari contenute in questi sette grandi volumi in folio che
raccolgono la corrispondenza ch'egli ha avuto con tutti i maggiori
studiosi d'Europa. Quindi è evidente che probabilmente ci sono anche
lettere al Galassi e corrispondenze che possono dare le pezze d’appoggio
per le relazioni strette tra questi due enti ecclesiastici.

UcGoLINI. — Prende ora la parola sulla comunicazione del prof.
Battelli il dott. Caleca.

CALECA, — Vorrei che il prof. Battelli mi chiarisse alcuni punti
della sua relazione, in cui ha così felicemente effettuato un inizio di
ricostruzione dell’antica biblioteca di San Pietro. |

Vorrei sapere perchè egli data al sec. XI il Salterio farfense .o
supposto farfense, che finora è stato sempre datato al secolo XII ; in-
fatti, nella stessa Biblioteca Augusta, c'é un altro codice, da conside-
rare quasi un gemello del farfense: esso è il Salterio sublacense (Ms.
F. 25), databile ad annum al 1140 in base al calendario che contiene
all’inizio. Esso proviene molto probabilmente da San Pietro, perchè,
come il codice farfense, contiene (alle cc. 11/r, 170|r e 172[v), alcune
annotazioni manoscritte del Galassi ; anche le legature sono estrema-
mente simili. I due codici presentano una singolarissima simiglianza
nell'ornamentazione, tanto che il Garrison (Studies on the history
of the mediaeval italian painting, II, p. 124) parla per il supposto
farfense di origine sublacense. Tenuto conto di tutto ciò, vorrei sapere
quali elementi fanno inclinare il prof. Battelli ad una datazione: al
Sec e XT Disse
Per quanto riguarda poi la Bibbia di San Pietro, credo che il pro:
blema sia molto vasto, e vorrei segnalare all’attenzione del prof. Battelli
un codice che secondo me può essere molto utile per lo studio delle Bit
bie. « Atlantiche », tra cui si annoverano sia la Bibbia di San Pietro
che la Bibbia dell’ Augusta : si tratta del ms. 1-2 della Biblioteca Comu-
nale di Todi, contenente i Moralia in Job di San Gregorio ; esso ha un
precisissimo terminus ante quem in un epigramma datato 1040 e compo-
sto da un Tudinus Abbas, che io credo si possa forse identificare con
un abate di San Fortunato di Todi, chiesa presso cui il codice si tro-
vava già verso il 1228. Tutto ciò, secondo me, rimette in discussione
296 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

tutto il problema cronologico delle Bibbie « Atlantiche », perchè di solito
esse sono datate non prima del 1070-80. In ogni modo, credo che bi-
sogni andare estremamente cauti nella datazione di questo gruppo ‘di
codici, che sembrerebbe a tutta prima omogeneo, mentre invece è molto
vario e differenziato (tra l'altro, ne troviamo persino alcuni scritti
e decorati in Dalmazia). Infine, mi ha interessato anche un altro dato,
riferito anche dal prof. Ugolini nella relazione di ieri ; se non erro,
tra gli scribi che vengon pagati dal convento di San Pietro, ce n'é uno
inglese, Thomas de Anglia ; ciò, secondo me, è molto interessante per
riuscire a districarsi tra il groviglio di codici giuridici della fine del
'200 e del '300 che troviamo conservati in terra umbra. Di essi sono
particolarmente ricche la Biblioteca Comunale (già di S. Fortunato) di
Todi e quella Comunale (già di San Francesco) di Assisi. Tali codici
ci presentano calligrafie e decorazioni spesso molto differenti tra di
loro, ed alcune, probabilmente, di mano straniera. Ma dati come quello
relativo a Thomas de Anglia ci fanno supporre che queste produzioni,
pur quando sono opera indubitabile di mani francesi o inglesi, sono
state spesso eseguite in terra italiana.

BarTELLI. — Il dott. Caleca ha richiamato l’attenzione su due
problemi che non possono essere qui risolti. Non è tanto facile stabilire
la datazione precisa e la provenienza del Salterio attribuito a Farfa
o a Subiaco, tanto più che il calendario ad esso annesso è perduto.
L'origine del testo, poi, non coincide sempre con il luogo della scrittura.
Ritengo anch'io che sia del sec. XII piuttosto che del XI ; per la pro-
venienza sarebbe necessario approfondire la ricerca anche sulla relazione
con il testo di altri monasteri.

Quanto alle Bibbie atlantiche, il contributo portato dal Garrison
è notevolissimo e ritengo che, tranne forse per casi particolari, i ri-
sultati da lui raggiunti siano validi. Se tuttavia la Bibbia di Todi
contiene elementi storici (cioè nomi di persone), che non sono stati
bene interpretati, è da augurare che lo studio di essa porti a nuove
determinazioni.

NicoLINI. — A proposito delle intricate vicende della biblioteca di
S.Pietro, esposte dal prof. Battelli, vorrei ricordare il caso altrettanto oscu-
ro occorso all’archivio della stessa abbazia, anche se questa volta si tratta
fortunatamente di un arricchimento, non di una dispersione. Mi ri-
ferisco a quelle 16 bolle del monastero delle clarisse di Monteluce (14
del sec. XIII e 2 del sec. XIV), il cui elenco, tratto dal Regesto in tran-
sunto del De Stefano, è stato pubblicato da Ignazio Baldelli (Codici e
DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 297

carte di Monteluce, in Archivio italiano per la storia della pietà,
I [1951] pp. 387-93). Queste bolle furono viste dallo Sbaraglia nel
monastero perugino delle clarisse, e poi pubblicate, almeno in parte,
nel Bullarium | Franciscanum (1759-1768). La data del passaggio
delle bolle da Monteluce a S. Pietro cade probabilmente tra il 1800 e il
1806 ; nessun'altra notizia illumina la vicenda. Ho notato infatti
che l'Indice nuovo dell'archivio benedettino, redatto da Giuseppe Bel-
forti nel 1800, non elenca i documenti di Monteluce. Ma lo stesso Bel-
forti, quando curó un Indice delle pergamente di Monteluce nel 1806
(l'uno e le altre ora nell' Archivio di Stato di Perugia), non trovò quelle
16 bolle, che in realtà non figurano nel suo inventario. Esse invece
sono recensite nell'Indice ragionato dell'archivio benedettino, compi-
lato dal Bini morto nel 1849.

Per quanto poi concerne alcuni codici della biblioteca di S. Pietro,
illustrati dal prof. Battelli con la competenza che lo distingue, vorrei
chiedere se per tre di essi, l'antifonario (ms. E 46), il breviario (ms. 1115)
e la:« Vita » di San Pietro abate (ms. 626), tutti alla Comunale Au-
gusta di Perugia, del sec. XV, ma non datati (trascuro quindi il bre-
viario ms. 5 della biblioteca benedettina, datato 1490), considerando
l'elemento liturgico della festa di san Pietro abate, comune almeno
ai primi due codici, non si possa proporre come data « post quem »
di compilazione la ripresa del culto di san Pietro abate, connessa pro-
babilmente con l’« inventio » dei corpi dello stesso san Pietro e di santo Ste-
fano, avvenuta il 21 dicembre 1436 secondo il Pellini (Dell'historia
di Perugia, JI, Venezia 1664, pp. 398-9) e la cosidetta « Cronaca del
Graziani » (Cronache e storie inedite della città di Perugia, in Ar-
chivio Storico Italiano, XVI, parte 18, Firenze 1850, p. 410), fonte
del Pellini stesso. Il culto liturgico di san Pietro ebbe inizio certamente
a una certa distanza dalla morte del fondatore e, secondo la « Vita »,
fu occasionato da una grande tempesta abbattutasi su Perugia e sul
suo contado. I due lezionari dei secoli XI-XII (uno dell'archivio capito-
lare di Perugia, ora mutilo del fascicolo comprendente la « Vita », l’al-
tro dell'archivio di S. Pietro, perduto) che, secondo la testimonianza
dello Jacobilli e degli editori della «Vita» stessa conteneva-
no le più antiche redazioni della «legenda», sono una riprova
dell’esistenza del culto. Di esso tuttavia non si hanno ulteriori testi-
monianze fino alla suddetta « inventio », tranne la menzione di una con-
fraternita « sancti Petri abbatis» nel 1364 (Archivio di S. Pietro,
Solut. can. 7), menzione che per essere probabilmente un errore
materiale del notaio del monastero, che nel registro ripete continua-
265 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

mente il nome della confraternita di san Pietro « Apostolo », fa pensare
alla persistente devozione popolare verso il santo fondatore. Ovvia-
mente, per affermare qualche cosa di definitivo sulla storia del culto
di san Pietro a Perugia, le ricerche dovrebbero estendersi ai calendari
delle varie diocesi umbre, quantunque un tentativo da me fatto nei vari
codici liturgici dell’archivio capitolare di Perugia non abbia dato al-
cun risultato : al 10 luglio non figura mai la festa di san Pietro abate.
C'é per esempio, quello splendido « orationale vetus » del sec. XI (ms.
31), all’inizio del quale è stato inserito durante il sec. XV, come credo,
un fascicolo con un calendario perugino che presenta le seguenti feste
locali :

9 gennaio: dedicatio ecclesie in honore[m] sancte Marie in Pe-

rusia ;

10 » nativitas sancti Pauli heremite et Decentii in
Perusia ;

17 » nativitas sancti Victoris in Perusia ;

29 » nativitas sancti Valerii episcopi et Constantii

; «in Perusia;

1 marzo: nativitas sancti Herculani in Perusia;

7 aprile: translatio sancti Decentii in Perusia ;

15 maggio: nativitas sancti Valentini in castellum Perusinum ;

26 » nativitas sancti Peregrini in Perusia et Felicis-
sime ;

7 giugno: nativitas sancti Pauli episcopi; in insula Pul-
vense dedicatio Sancti Secundi;
25 » dedicatio Sancti Salvatoris in Perusia ;
1 settembre : nativitas sancti Prisci; in Perusia dedicatio
Sancte Marie et Sancti Egidii ;
7 novembre : decollatio sancti Herculani ;
7 dicembre: nativitas sancte Barbare in Perusia ;

in questo elenco di feste, forse compilato ad uso di qualche prelato peru-
gino, non é ricordato san Pietro abate. Mi sono fermato su alcuni par-
ticolari, quale il culto del fondatore dell'abbazia, per proporre, come ho
detto, qualche elemento che possa orientare nella datazione di alcuni
codici benedettini di S. Pietro e per additare l'importanza di uno studio
critico sulla duplice redazione della « Vita » di san Pietro abate.

UcoriNr. — Per concludere io mi permetto di porre al collega e
amico Battelli un piccolo quesito : io non sono riuscito a trovare in. al-
cun documento traccia dell’esistenza di uno scriptorium in San Pie-
b

DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 299

iro. Giustamente Battelli ha fatto notare che questi tre amanuensi, di-
ciamo così « noleggiati », sono dei copisti che trascrivono dei testi uni-
versitari, in particolare dei testi di diritto canonico, per uso personale
dei monaci. Ora questo fatto, il fatto cioè di permettere ad amanuensi
di entrare in rapporto col monastero per trascrivere dei testi scolastici,
può essere considerato come un argomento per negare l'esistenza di uno
scriptorium ? So che nessuno forse meglio di Battelli può illuminarci
sopra un aspetto della storia del monastero di San Pietro che mi ha
dato da pensare. Fra parentesi, diró che osavo sperare che dalle carte
trecentesche del suo archivio, dalla sua biblioteca venisse fuori qualche
documento, anche esiguo per accrescere la nostra documentazione sul-
l’uso del volgare perugino nei suoi primordi letterari. Voi sapete che
non conosciamo testi in volgare perugino anteriori al 1320. La mia ri-
cerca non ha dato risultati positivi. Ho avuto l'impressione che questo
scriptorium non ci fosse ; ma è soltanto una impressione? Mi permet-
lerei di chiedere lumi al riguardo al collega Battelli.

BATTELLI. — Sono grato al prof. Ugolini che mi dà la possibilità
di chiarire un punto della mia comunicazione. Effettivamente quando
le « Memorie» del Bini affermano che l'abate Ugolino II arricchì
la: biblioteca e, come prova, ricordano i contratti fatti con tre scrittori,
estranei al monastero, per l'esecuzione di libri, si ha l'impressione che
mancasse a San Pietro chi potesse copiarli, cioè mancasse quello
scriptorium di cui cerchiamo le tracce. Ma la qualità dei libri ordinati
ci convince che tale testimonianza non ha valore rispetto al problema
dell'esislenza di un'attività scrittoria dei monaci, attestata esplicita-
mente solo in due codici del sec. XV. |

I codici ordinati dall'ab. Ugolino sono opere canoniche d'uso uni-
versitario, cioè di testi sottoposti ad una speciale disciplina degli statuti
universitari per assicurarne la copia da un buon exemplar controllato
dall’università stessa. Per ottenere quei testi, era normale ricorrere d
scrittori professionali.

Perciò l’ordinazione di libri di carattere universitario a scribi
estranei non è in contrasto con l’esistenza di uno scriptorium.

UcoLINI. — Io ringrazio Battelli di questo chiarimento. Ora
vorrei chiedere se qualcuno vuole intervenire sulla comunicazione della
dott. Marinelli. Nessuno chiede di parlare; pertanto la seduta viene
chiusa.
-300 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

Casalina, 2 ottobre 1966, ore 10

CECCHINI. — Prego il prof. Bandini di assumere la presidenza
di. questa tornata.

BANDINI. — Si può dunque cominciare la giornata. Abbiamo que-
sta mattina tre importanti conferenze, quella del prof. Guerrieri su
«L’Abbazia di San Pietro nella economia e nella tecnica agraria in
Umbria », quella del prof. Gregorio Penco su « Forme ascetiche e pra-
tiche penitenziali nella tradizione dell'Ordine benedettino », e quella
del prof. Raoul Manselli che tirerà le conclusioni del Convegno. Detto
questo, credo di dare senz'altro la parola al prof. Guerrieri per la sua
trattazione.

L’Abbazia di S. Pietro nella economia
e nella tecnica agraria in Umbria

Il decreto Pepoli dell'11 dicembre 1860 stabili la soppressione
dell'abbazia di San Pietro, riservando però l’utilizzazione del patri-
monio ai monaci, fino a che ne fossero sopravvissuti almeno tre,
in ricordo dell’atto generoso da essi compiuto a vantaggio di al-
cuni patrioti perugini, perseguitati dopo gli eventi del 20 giugno
1859.

Quando nel 1890, per la morte avvenuta il 26 febbraio del più
vecchio dei tre monaci superstiti, si verificò il passaggio effettivo
di tutta la proprietà alla costituenda Fondazione per l’ Istruzione
agraria, che ne ereditò. insieme alla basilica ed al convento, il pa-
trimonio fondiario, questo ammontava a 2.361 ettari, suddivisi
in 81 unità poderali.

L’importante complesso terriero, unito intorno a quattro nu-
clei principali: di Casalina, di Sant'Apollinare, delle Romite e di
S. Costanzo, era ciò che attraverso le vicissitudini di oltre nove
secoli la famiglia benedettina aveva conservato, spesso faticosa-
mente, partendo dal nucleo iniziale che, nell’anno di grazia 965, il
vescovo di Perugia Onesto trasferì alla Santa Sede, insieme alla

_____ _——_____Ésp——_ DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 301

ormai abbandonata cattedrale di Monte Caprario, perché ne fosse
fatto dono all'abate Pietro Vincioli, per consentirgli di far sorgere
il monastero, che poi resterà dedicato, come già la vecchia catte-
drale, al Principe degli Apostoli.

Non é compito facile compiere un esame dell'evoluzione e delle
varie vicende che la proprietà fondiaria della abbazia subi durante
questo lungo arco di tempo ed anzi occorre subito precisare che ció
cercheremo di fare nel perfezionamento del lavoro in un tempo
successivo, mentre in questa sede non possiamo che limitarci ad
una veloce panoramica, soffermandoci magari su taluni periodi
particolarmente importanti.

Prima ancora peró di esporre ció che siamo riusciti a racco-
gliere, non possiamo non esternare il nostro vivo senso di meravi-
gliato stupore nel constatare come, pure attraverso il travaglio di
secoli agitatissimi, che hanno visto le piü appassionate, esaltanti
e talvolta tristissime vicende, e che in tutti i campi hanno segnato
la piü profonda evoluzione verso il sorgere degli stati moderna-
mente intesi e del modo di vita attuale, gli sforzi di tante genera-
zioni della famiglia benedettina siano riusciti a, conservare prati-
camente integri almeno i nuclei più importanti delle proprie pos-
sessioni.

Alla base di ció stanno evidentemente le premesse poste nella
Regola di S. Benedetto, che non solo assegnavano particolare
valore all'attività lavorativa dei monaci, sempre cosi caldamente
raccomandata e cosi minuziosamente preordinata, ma anche. po-
nevano i monasteri di fronte alla necessità di darsi una loro parti-
colare e stabile organizzazione. Infatti il monastero, come voluto
da S. Benedetto, non ha molte occasioni di contatto con l’esterno
ed anzi è previsto che questi contatti devono esser ridotti al mi-
nimo, evitando non solo di uscire dal monastero (c. 66), ma anche
di intrattenersi senza permesso con gli ospiti (c. 53). Il monastero
deve quindi trovarsi fornito di ogni mezzo necessario alla sua vita
ed al suo sostentamento 1).

Ne deriva che per questa voluta separazione dal mondo, rea-
lizzabile solo in una concreta autonomia economica del monastero,
i monaci dovessero impegnarsi a produrre direttamente ciò che a
loro e alla loro attività risultasse necessario. Naturalmente l’agri-
coltura era allora — e tale per lunghi secoli resterà — l’attività eco-
nomica assolutamente preponderante, la base della vita del tempo.
È naturale, quindi, che ad essa fossero dedicate dai monaci le cure

— d
lieti! —
302 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

più assidue, volte non solo ad ingrossare più che possibile l'ampiezza
delle possessioni, ma a continuamente migliorarle e renderle piü
produttive. Questo non vuol dire che i monaci si dedicassero so-
prattutto ai lavori manuali richiesti dai campi, che anzi questi
hanno sempre piü rappresentato, soprattutto con il passare degli
anni, una attività marginale, fra quelle cosi numerose alle quali
i religiosi si applicavano ; vuole però significare come grande cura
essi sempre abbiano rivolto alla conservazione e all’amministra-
zione del patrimonio terriero. Non potrebbe veramente in altro
modo spiegarsi la persistenza che tali grossi accentramenti fondiari
hanno mostrato traverso un così ampio numero di secoli e traverso
così complesse vicende.

Sembra probabile che il primo nucleo di beni immobili che
passarono al costituendo monastero fosse costituito dagli stessi
che sino ad allora erano appartenuti alla chiesa cattedrale di Monte
Caprario. Dire però della loro ampiezza e consistenza è assoluta-
mente impossibile. Probabilmente in un primo momento il nucleo
iniziale restò invariato, tenuto anche conto che il monastero, pur
essendo nato sotto gli auspici dell'episcopato perugino, trovò su-
bito difficoltà proprio con il vescovo Conone, successore di Onesto,
suo patrocinatore. Più grave preoccupazione di questo periodo fu,
senza dubbio, quella di sottrarsi alla giurisdizione episcopale, ciò
che avvenne definitivamente per l'intervento di Silvestro rr, che
nel 1002 emise un preciso giudizio sulla controversia *).

Il primo riferimento al patrimonio immobiliare del monastero,
ancorchè generico, lo possiamo trovare nella bolla di Benedetto vini,
con la quale nel 1022 veniva confermato all’abate Pietro Vincioli il
possesso del monastero con tutte le case, celle, edifici ed orli, insieme
coi suoi fondi e casali e vigne e terre, campi, prati, pascoli e selve,
nonchè la chiesa di S. Lucia e di S. Marta con tutte le loro pertinenze
mobili ed immobili *).

I non molti anni intercorsi fra la fondazione del monastero
e la data della bolla, nonchè la situazione particolare nella quale
in questo periodo si venne a trovare il sorgendo istituto, fanno ap-
parire fondata l’asserzione del Montanari, che si ritiene indotto a
pensare «che ad eccezione dei beni appartenenti alle chiese di
S. Lucia e di S. Marta, tutti gli altri beni terrieri citati nella bolla pro-
venissero dal patrimonio della abbandonata Cattedrale e ciò anche
per il fatto di trovarli citati unitamente agli edifici che della vec-
chia cattedrale avevano fatto parte» ^).
DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 303

E certo che, una volta definitivamente confermata l'indipen-
denza dall’autorità vescovile, il monastero accrebbe notevolmente
e rapidamente il proprio patrimonio, sia per concessioni effettuate
dalla Santa Sede, che nel « Comitatus Perusinus » contava nume-
rose ed ampie possessioni, sia per concessioni dei vari imperatori,
sia per donazioni di privati, sia per apporto dei nuovi membri che
via via entravano a far parte della famiglia, o per diretti acquisti.
Già di questo andamento si può prendere atto nel diploma che Cor-
rado rir, imperatore di Germania e re d’Italia, rilasciò nel 1027
all'abate Azzone, ove, in una analitica elencazione dei beni che
vengono posti sotto la imperiale protezione — insieme al mona-
stero — si parla di beni posseduti ed acquistati e di queste possi-
denze se ne conosce l’antico diritto del monastero su di esse e il
molto che in pochi anni esso acquistò *).

La lunga elencazione di beni, fra i quali sono comprese un
gran numero di chiese sparse in vasto territorio (due delle quali
addirittura a Roma), con le proprie pertinenze, rende necessaria
una precisazione, che riteniamo importante per non incorrere in
facile confusione.

Quando vogliamo indicare e precisare il patrimonio terriero
del monastero, dobbiamo distinguere quello che ad esso perveniva
in proprietà da quello che, appartenente a varie chiese parrocchiali,
era affidato alla cura del monastero stesso, il quale aveva anche
il diritto alla nomina del parroco. Da esso il monastero ricavava
annualmente solo un tributo, estremamente variabile da caso a
caso, ma mai molto cospicuo, quale atto di sottomissione del par-
roco e riconoscimento della dipendenza.

Il vero e proprio patrimonio diretto del monastero va quindi
individuato solamente in quella parte di beni che ad esso sono per-
venuti per donazioni papali, imperiali, di privati, o diretto acquisto ^).

In ogni caso rimane assai difficile quantificare il patrimonio
terriero. Questo indubbiamente ebbe una notevole espansione e
un definitivo consolidamento con la concessione della grande te-
nuta (o «massa » come viene nelle carte indicata) di Casalina, che
veramente simboleggió nei secoli l'organizzazione economica del
monastero e dalla quale provenne gran parte della sua floridezza.
Il momento preciso della sua acquisizione non è individuabile ;
è certo che essa fu donata da Benedetto rx (1032-1045) *) e fu con-
fermata al monastero dall'imperatore Corrado mir.

In verità la « massa » di Casalina risulta nominata per la prima

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304 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

volta nella bolla di Gregorio vr del 1045, nella quale il Papa, a ri-
chiesta dell'abate Bonizzone, conferma i beni e i diritti di S. Pietro.
In detta bolla ad un certo punto viene detto « confirmamus etiam
supradicto monasterio Sancti Petri massas duas; una quae voca-
tur Casalini ed altera quae vocatur Posulo, cum. ecclesiis, casis,
vineis, campis, hortis, montibus, cultis et incultis, silvis. et arbo-
ribus pomiferis, fructiferis, et infructiferis, aquis, aquarumque de-
cursibus, vel cum omnibus adiacentiis ac pertinentiis earum, ter-
ritorio Perusino positis » °).

A distanza di due anni, e precisamente nel 1047, Enrico. III
rilascia all'abate Bonizzone un diploma di conferma nel quale tro-
viamo : «nichilominus et massam Casalini a Benedicto papa per
privilegii paginam datam eidem monasterio et a patre meo ed a
me modis omnibus ibidem confirmatam ad usum et consuetudi-
nem et redditus aliarum massarum Perusini comitatus » ^).

Il secondo grande tenimento che il monastero ha conservato
attraverso il tempo: quello di Sant'Apollinare, fu concesso in
enfiteusi nel 1060 da Bernardo, ottavo abate del monastero di
Farfa, al quale era pervenuto circa 30 anni prima per donazione
effettuata da certo Ugone, figlio di Alberico. L'enfiteusi fu con-
fermata sino al 1441, quando l'abate di Farfa Giovanni Orsini,
dietro ripetute richieste dell'abate di S. Pietro, ne concesse, il
10 dicembre, l'affrancazione mediante l'esborso di 8 ducati d'oro
da impiegare nella confezione di calici d'argento per la chiesa di
Farfa 1°).

Ancora nell'ultimo scorcio del sec. xi e nel successivo sec.
xii il patrimonio del monastero si accresce, soprattutto attraverso
varie donazioni effettuate e dalla Santa Sede e da privati. Nel 1058,
ad es., Adamone, abate del monastero di S. Michele in Tulliano,
donó all'abate Bonizzone il detto monastero con tutte le sue chiese,
case, servi e serve. Nel 1130 Ranuccino di Tebaldo, Ubertino di
Alberico, Vibiano di Gillerio ed altri donarono il castello di Monte
Vergnano, con le sue dipendenze.

Altre assegnazioni risultarono effettuate da Innocenzo ir che
nella bolla del 10 febbraio 1137, all'elenco delle possessioni confer-
mate, aggiunge, oltre ad alcune chiese, il priorato di S. Salvatore
di Pozzali »). Importante fu soprattutto quest'ultima concessione,
perché il priorato di Pozzali aveva in proprietà oltre 100 ettari di
pianura, che tutt'ora fanno parte della tenuta di Casalina. Varie
vicende ebbe in realtà questo possesso che, nel tempo, venne ripe-

PT e Sue
DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 305

tutamente tolto al monastero e poi restituito, sino a che fu defi-
nitivamente « ammensato » da papa Eugenio rv con bolla del 27
giugno 1437 1°).

Nel 1199 i conti di Colle di Mezzo donarono all’abate Rainaldo
i propri beni posti nei territori di Assisi, Perugia e Todi, ricevendoli '
poi, con lo stesso atto, in enfiteusi sino ad estinzione della famiglia,
con un canone puramente figurativo di 4 soldi annui. Questo atto
di donazione, nei secoli xiv e xv, fece sorgere dei gravi dubbi
sulla sua validità, dai quali derivarono talune controversie. In ogni
caso è certo che vasti appezzamenti di terreno nei pressi del fiume
Puglia, che àncora oggi fanno parte della tenuta di Casalina, pro-
vengono dalla indicata donazione *).

Poi per un lungo periodo le carte del monastero tacciono di
nuovi apporti patrimoniali. Si era d'altra parte nel frattempo ar-
rivati a costituire un solido complesso terriero, di cui però non è
possibile, senza ulteriori, difficili ricerche presso gli archivi comu-
nali di Perugia, Todi, Assisi, Gualdo Cattaneo, Bevagna ed altri,
dare una valutazione quantitativa precisa. Infatti gli elementi che
si ritrovano nei documenti dell'archivio appaiono sempre parziali.

In una nota del 1498 riguardante «tutta la proprietà che il
monastero aveva nel territorio di Perugia, estratta dal catasto e
cabreo originale del suddetto monastero, conservato nella sala o
archivio dei catasti vecchi chiamata l'Armario della città di Peru-
gia » viene indicata una superficie di mine 4861 *), a cui corrispon-
dono circa 2126 ettari. Dall’elenco delle località menzionate risulta
però che non vennero considerati i beni posseduti in località di As-
sisi, Todi, ecc. Orbene è da tener presente che i soli terreni delle
Romite e della valle del Puglia, non compresi nel territorio peru-
gino, assommavano ad alcune centinaia di ettari.

In un documento del '700 *) redatto a scopi fiscali, viene in-
dicata la proprietà terriera del monastero, distinguendola in « beni
di primo acquisto » e «beni di secondo acquisto ». I primi beni, co-
stituiti da terreni entrati nel patrimonio del monastero nei primi
secoli dopo la sua costituzione, erano tenuti distinti dagli altri per-
chè godevano di particolari esenzioni fiscali. Essi sono ricordati
in complesso per mine 3224, pari a circa 1410 ettari. Con i beni
di « secondo acquisto » la proprietà assommava in complesso a mine
9324, pari a ha. 2329. Anche questo documento, però, non elenca
tutte le proprietà.

Quale che fosse la reale superficie del patrimonio rustico del

2)
306 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

monastero, appare in ogni modo chiaro che esso costituiva in quel
tempo un importante complesso, ben organizzato e ben funzio-
nante, sotto la guida di capaci abati. Molti considerano che il piü
grande sviluppo economico il monastero l’abbia registrato proprio
verso la metà del sec. xiv, quando a capo di esso fu un illuminato
abate, Ugolino dei nobili di Montevibiano (1331-1362), rimasto
nella storia di S. Pietro non solo per le sue preclare qualità di reli-
gioso e di giurista, ma anche per la grande attività espletata nei
riguardi della cura e del miglioramento del patrimonio del mona-
stero.

Subito dopo peró il monastero di S. Pietro comincia veloce-
mente a declinare, come già da tempo era avvenuto per altre, an-
che più importanti istituzioni similari. Devastato nelle sue finanze :*)
a causa delle continue guerre, rimasto per alcuni periodi senza abate,
coinvolto poi dai successori di Ugolino, tutti appartenenti alla no-
biltà perugina, nelle lotte civili della città, che con alterne vicende
misero di fronte nobili e raspanti, il monastero decadde sino a
subire, sotto l'abate Francesco Guidalotti nel 1398, la rovina quasi
completa, con l'incendio e il saccheggio dei beni.

E evidente come in mezzo a cosi gravi tempeste nessuno po-
tesse prendersi cura del patrimonio, che anzi subi sensibili falcidie
perché, ricercandosi in questo periodo la salvezza nella forza e nelle
armi, ricchi terreni furono dati in permuta di fortezze e castelli
e grandi spese furono sostenute per fortificare il monastero e i suoi
dintorni "), e per la fondazione e fortificazione della Rocca di Ca-
salina.

Le vicende del monastero si fanno via via piü tristi, la situa-
zione economica si deteriora sempre più.

S1 giunge intanto al 19 maggio 1436, quando il papa Eugenio rv,
proprio nel tentativo di sanare una situazione che si faceva
ognora piü preoccupante, sospese in perpetuo l'abate Oddone Gra-
ziani ed uni il monastero di S. Pietro alla Congregazione detta del-
l'Osservanza di S. Giustina da Padova, di recente stabilita :*).

Il monastero di S. Pietro con questo atto perdeva, è vero,
la sua gloriosa e secolare autonomia, ma si inseriva proprio nel mo-
mento opportuno in un grande organismo, che nei tempi mutati
maggiore garanzia poteva dare per il proseguimento, anche se su
scala ridotta, della propria vita operosa.

Inoltre l'avvento di giovani forze provenienti dalla Repub-
blica Veneta e dal Ducato di Milano, dettero nuova vita al mona-

— i
DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 307

stero, che in breve periodo risanò le proprie ferite e procedette sol-
lecitamente al riordinamento dell’unità patrimoniale ed al miglio-
ramento dei sistemi di conduzione.

E ricomincia subito l'afflusso di nuovi beni, o per private do-

nazioni, o per concessioni della Santa Sede.

Ricordiamo solo alcuni atti fra i tanti che in questo periodo
si riscontrano nella documentazione del monastero. Nel 1472 è
certo Lodovico Manfredi di Cibottola che lascia i suoi beni al mo-
nastero ; nel 1476 é Mirra Berardelli che fa donazione di un molino
a grano. Nel 1509 Giulio 11 riconferma il pingue priorato di S. Bia-
gio della Valle; nel 1519 gli uomini di Casalina cedono le terre del
loro castello, e quelli di S. Biagio della Valle donano due chiese.

Fra le piü importanti donazioni dobbiamo ricordare quelle
di Agnese Malatesta, vedova Baglioni, che nel 1502 lasció parte
dei suoi beni posti a Spina, Monte Vibiano e Compignano ; della
nobildonna Leonarda, vedova di Oliviero Baglioni, nel 1509; di
Bianca, vedova di Agamennone degli Arcipreti, nel 1564; del no-
taio Giovanni Andrea di Antonio di Francesco, nel 1575 »).

Accanto a nomi di casate perugine illustri come Baglioni, Trinci,

Crispolti, Della Corgna, Vibi, ecc. si uniscono come donatori umili,

nomi, quali Peregrina Mariotti, che nel 1596 lasciò un fondo a
S. Feliciano; o come il droghiere Fabrizio di Filippo, che nel 1603
donó un terreno a Torgiano; o come Taddeo Guerra che in due
volte, nel 1608 e nel 1610, donó due case ed alcuni terreni nei pressi
della città e nella zona del lago Trasimeno. Piü cospicua la dona-
zione effettuata da certo Bino di Agostino, che nel 1618 donó otto
case nel paese di Papiano e 7 poderi giacenti nella medesima zona.

Nello stesso periodo numerosi sono anche i contratti di acqui-
sto di terreni, molini, botteghe e case, mentre si nota anche una
notevole attività di vendita di appezzamenti, o fondi distaccati
e.di permute, nell'intento di ottenere terreni prossimi alle piü grosse
tenute. Fra le permute particolarmente importante appare quella
effettuata nel 1624 con l'Ospedale di SS. Giacomo e Filippo di De-
ruta, al quale vengono dati i poderi di S. Montano, ricevendone
altri, posti nelle vicinanze di Casalina e Deruta ®). Nello stesso pe-
riodo occorre ricordare una importante acquisizione, che il mona-
stero effettuó comprando dai conti di Sterpeto per 9.000 scudi al-
cuni beni siti in Torchiagina *).

Nella seconda metà del '600 e nei primi decenni del '700 si
registra un arresto nell'attività fondiaria. Cessano completamente

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308 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

gli acquisti, si fanno piü rare le donazioni. La piü cospicua di que-
sto periodo fu probabilmente quella effettuata nel 1716 da Cristo-
foro Herberstein, vescovo di Lubiana, consistente in mobili, arredi
sacri e in due poderi in località S. Martinello. Infine, con i beni do-
nati da donna Gentile Moretti e da Angela Vibi, si registrano le
ultime donazioni che, nella seconda metà del sec. xvi, chiudono
definitivamente il periodo dell’incremento patrimoniale del mona-
stero di S. Pietro.

Precedentemente però, essendosi fatta piuttosto precaria la
situazione economica del monastero, che si era fra l’altro grave-
mente indebitato a seguito del prolungato stato di guerra fra la
Santa Sede e i duchi di Parma e Toscana, e per le ridotte produ-
zioni conseguenti alla paurosa diminuzione dei lavoratori agricoli
per le guerre e per le epidemie ?°), erano state effettuate alcune ven-
dite importanti. Infatti, con la firma di 22 monaci, in data 30 novem-
bre 1679, fu inoltrata richiesta alla Sacra Congregazione di autoriz-
zare a vendere diversi terreni (Torchiagina, Monte Lagello, Piegaro,
S Casciano, Molinella e la Vigna dell’Abbate) e 2 botteghe in Firenze
per un valore complessivo di 50.000 scudi.

In realtà, essendo tardata l’approvazione, giunta solo nel 1681,
non tutti i beni furono alienati, ma ugualmente si dette luogo ad una
cospicua mutilazione.

Una nota delle possidenze, redatta nel 1760, anche questa
però senza alcun dubbio non completa, fa ascendere la proprietà
del monastero a 5853 mine, pari a circa 2546 ettari. In realtà l’esten-
sione del patrimonio rustico del monastero doveva essere assai
maggiore se dopo 100 anni, avendo subito le falcidie degli ultimi
decenni del secolo xvii, delle quali fra poco diremo, il patrimo-
nio relitto era inferiore a quello indicato con la nota segnalata di
soli 185 ettari.

Gli avvenimenti politici della fine del sec. xvin e dell’inizio
del sec. xix, mentre produssero perturbamenti e rovine in tutta
l’Italia, arrecarono gravissime ripercussioni al monastero di
S. Pietro. Questo non solo fu per due volte addirittura soppresso :
prima nel 1799 *) e poi nel 1810 *), ma vide il patrimonio fondiario
profondamente intaccato, per sovvenire alle pesanti richieste, prima
dei francesi e poi della Reggenza. Senza entrare in analisi si può
precisare che il monastero dovette in brevissimo periodo dare al-
l’armata francese circa 20.000 scudi e all'armata tedesca ed alla
Reggenza circa 24.000 scudi *).
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-


DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 309

Considerate le già poco floride condizioni economiche del mo-
nastero, i monaci non poterono far fronte alle richieste formulate
prima dai francesi e poi dalla Reggenza, che con delle cessioni pa-
trimoniali. D'altra parte i ristrettissimi tempi imposti per il paga-
mento delle varie somme (la prima richiesta da parte dell'ammini-
strazione centrale costituita dai francesi che fu effettuata il 18 aprile
1798, imponeva la consegna di 6.000 scudi entro 48 Ore) non consen-
tirono di fare le cose con la dovuta tranquillità e di ció indubbia-
mente approfittarono taluni speculatori, che riuscirono ad acqui-
stare alcuni beni per un prezzo notevolmente inferiore al valore
reale.

Per il gruppo delle richieste «francesi» furono venduti a di-
versi acquirenti 6 poderi e due appezzamenti staccati, per una su-
perficie complessiva di mine 308 e tavole 96, pari a circa 136 ha. i

Per le richieste successive furono venduti, pure a vari acqui-
renti, 4 poderi ed un appezzamento staccato per complessive 419
mine e 56 tavole, pari a circa ha. 184. In totale in pochi anni furono
alienati terreni per oltre 320 ettari.

Aggiungendosi a questa notevole diminuzione patrimoniale tutti
i gravi oneri e danni derivanti dalla prolungata occupazione, o pas-
saggio, da parte della truppa dei vari eserciti, che dell’Italia ave-
vano fatto in quel tempo un continuo campo di battaglia, è com-
prensibile come il monastero non riuscisse più a riprendersi. D'al-
tra parte anche l’ultimo trentennio dello Stato Pontificio, di cui
Perugia faceva parte, fu assai travagliato e non potevano non aver-
sene sfavorevoli riflessi anche nella conduzione patrimoniale del
monastero.

Infine ci fu il precario possesso susseguente alla definitiva Sop-
pressione dell'abbazia che, e per difficoltà economiche, e per la par-
ticolare condizione del privilegio che limitava ad un tempo defi-
nito la utilizzazione del patrimonio, determinó un ulteriore assai
grave peggioramento delle condizioni della maggior parte dei terreni
del monastero.

Ormai la situazione era definitivamente cambiata ; l'avvenire
non poteva piü essere condizionato dalla volontà tenace di miglio-
ramento e progresso che nei secoli passati aveva contraddistinto
l'opera di tante generazioni di monaci. La dimostrazione piü chiara
ed evidente é data dalle condizioni in cui nel 1890 furono trovate
le varie proprietà che lo Stato italiano veniva prendendo in con-
segna e soprattutto dalle forme di conduzione alle quali, durante
310 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

gli ultimi decenni, erano state sottoposte le singole aziende. In con-
trasto, infatti, con l'indirizzo costante che la famiglia monastica
aveva sempre adottato per i beni accentrati, tutte le aziende al
1890 risultarono affittate, tranne quella di Casalina, e piccola parte
(circa 6 ettari) di quella posta in prossimità del monastero. Questa
ultima, anzi, risultava affittata senza bestiame, che era stato anni
addietro portato nella tenuta di Badiola, ove alla fine di un lungo
periodo d'enfiteusi si era rimasti completamente privi di scorte.

*
* >*

I monaci però non furono solo preoccupati di accrescere e poi

‘conservare la consistenza patrimoniale, ma si dimostrarono anche,

quasi in ogni contingenza, degli ottimi amministratori.

Per poter giudicare ciò grande interesse assume l’esame delle
forme di conduzione che il monastero adottò per le sue aziende at-
traverso il tempo e l’analisi della evoluzione subìta dai vari rap-
porti di lavoro, che nei secoli legarono i lavoratori manuali al mo-
nastero.

Per quanto riguarda le forme di conduzione è necessario sof-
fermarci su una constatazione pregiudiziale, che ci consente di chia-
rire il diverso comportamento che il monastero adottò nei riguardi
dei singoli tenimenti. Infatti la linea d'azione costantemente se-
guita prevedeva la conduzione diretta sia per le aziende più impor-
tanti, che per quelle vicine al monastero. L’azienda di Casalina,
perla della proprietà monastica, fu, ad esempio, sempre condotta
direttamente, se si escludono brevissimi periodi, durante i quali
essa venne affittata esclusivamente sulla spinta di particolari con-
tingenze e di insopprimibili necessità e solo per il tempo stretta-
mente necessario. Anche quella di Sant'Apollinare fu condotta quasi
sempre direttamente, almeno sin verso la fine del sec. xvi.

Del resto questo comportamento oltre che manifestarsi sponta-
neamente sia dai primi secoli di vita del monastero, fu successivamente
anche imposto dalle superiori gerarchie. È interessante, infatti,
ricordare che quando si addivenne alla nuova sistemazione di San
S. Pietro, dopo l'unione alla Congregazione di Santa Giustina di Pa-
dova, furono via via dettate numerose e particolari norme. In una
di esse del 1453 si proibisce all'abate di S. Pietro di affittare le
aziende di Casalina, Papiano, Massa e Piano di Bagnaia. Nell'anno
successivo 1454 testualmente «si concede licenza all'abate e al con-
DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 311

vento di San Pietro di Perugia affinché sia possibile affittare le
terre e le possessioni del detto monastero, eccettuati i tenimenti di
Casalina, di Papiano, delle Masse e del Piano di Bagnaia, se sembri
opportuno allo stesso abate e ai suoi deputati ».

Per le altre proprietà, che si trovavano troppo lontane dal mo-
nastero, o che costituivano complessi eccessivamente frazionati
ed in ogni caso troppo piccoli per permettere una efficiente organiz-
zazione diretta, si provvedeva invece, di volta in volta, con parti-
colari e vari contratti, tramite i quali veniva affidata ad altri la
conduzione.

Ció dimostra come in ogni tempo i responsabili del monastero
avessero ben presente la opportunità di occuparsi direttamente
dei problemi della direzione aziendale, almeno fino a quando ció
non fosse in contrasto con precise ragioni di convenienza econo-
mica. Ne deriva che risulta evidente il particolare attaccamento
e le oculate cure (come poi appresso meglio vedremo) che in ogni
tempo venivano dedicate dai monaci alle proprietà fondiarie, con
l'animo di un vero e capace imprenditore, nel senso piü moderno
che a questo termine si é usi dare.

Naturalmente la gestione a conduzione diretta della parte
piü importante del patrimonio pretendeva una organizzazione ac-
curata e competente. Ed anche in questa fase occorre affermare
che i monaci seppero amministrare con rara intelligenza il patri-
monio che nei secoli, con le alterne vicende che abbiamo schemati-
camente indicato, il monastero ebbe a disposizione.

L'amministrazione di tutti i beni patrimoniali era affidata al
cellerario, spesso aiutato da un secondo cellerario. I cellerari di-
pendevano direttamente dall'abate (giova ricordare che la strut-
tura dei monasteri benedettini è strettamente piramidale, con alla
sommità l’abate, il quale ha i più ampi poteri non solo in campo
morale, ma anche in campo materiale), dal quale assumevano gli
ordini, che poi mettevano in esecuzione sotto la propria personale
responsabilità.

L’opera amministrativa era poi controllata dal collegio dei
monaci decani, presieduto dallo stesso abate.

Tutta l’attività di direzione e sorveglianza, in fase di realizza-
zione, era esercitata attraverso numerosi altri incaricati (monaci
o laici) che erano i « ministri delle corti », che avevano la direzione
tecnica delle singole fattorie, a loro volta coadiuvati da personale
in sott’ordine, quali fattori, magazzinieri, custodi, ecc.

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312 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

Si trattava quindi di una organizzazione complessa, ma ben
articolata, che aveva una logica unitarietà di impostazione e d'in-
tenti, pur nell’indispensabile decentramento di molte funzioni e
nella reale, se pur parziale, autonomia delle unità periferiche.

Naturalmente poi nel campo delle realizzazioni pratiche molto
dipendeva dalla scelta delle persone preposte all'organizzazione
tecnica e soprattutto dei « ministri delle corti». Scorrendo le cro-
nache del monastero appare che purtroppo in taluni momenti al-
cuni degli incaricati non si dimostrarono all'altezza dei propri com-
piti, ma piü spesso va invece notata la passione e la capacità mo-
strata dalla maggior parte di essi e fra i tanti nomi che potremmo
segnalare ci piace ricordare quelli di Fra Pietro Teci e Fra Vincenzo
Cupini, che, dirigendo la tenuta di Casalina il primo e quella di San-
t'Apollinare l’altro, operarono con grande perizia per il migliora-
mento delle aziende loro affidate. i

Cura particolare era anche applicata alla rilevazione e regi-
strazione di tutti i fatti economici che si verificavano nelle aziende,
in una forma di contabilità che non puó non destare ammirato stu-
pore per la perfezione metodologica e formale con la quale era stata
impostata e fu poi costantemente tenuta. E da osservare che na-
turalmente la contabilità non riguardava solo le aziende agrarie,
onde veramente appropriata ne fu la definizione del Marenghi ?7),
che nel suo noto lavoro la chiamó «contabilità domestico-patrimo-
niale ».

Tutto ció che riguardava la gestione economica e patrimoniale
della comunità puó ritrovarsi in numerosi documenti che sono:
i libri economici ; i libri d'istrumenti e contratti; i libri diversi ;
le scritture diverse in mazzi ; ecc.

Mentre la documentazione relativa al periodo che va dalla
costituzione del monastero a tutto il sec. xiv è relativamente scarsa,
probabilmente per varie vicende dipendenti dalle lotte politiche,
che frequentemente si verificarono in quei secoli *), dalla seconda
metà del sec. xv ®), sino alla soppressione del monastero la docu-
mentazione è abbondantissima. Si può anzi definirla sotto ogni
aspetto completa, perchè le eventuali lacune che appaiono in talune
documentazioni sono colmabili con i dati offerti dalla pluralità di
altri testi, che riguardano gli stessi intervalli di tempo e che si inte-
grano vicendevolmente.

Sotto il termine generico di libri economici sono compresi il
giornale e il mastro che sono, com'é noto, le due fondamentali rile-
DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 313

vazioni di ogni contabilità. Il giornale è diviso in due parti; nella
prima, che é una specie di prima nota, si registrano, i fatti di ordi-
naria amministrazione, in ordine cronologico, con note sullo stato
dei magazzini eseguite a scadenze non definite ; nella seconda sono
registrate, pure in ordine cronologico, tutte le entrate del mona-
stero da qualsiasi parte esse provenissero. Nel mastro le registra-
zioni vengono eseguite con il metodo della partita doppia, ossia
ogni atto viene registrato due volte, in due ben distinti conti. La
doppia registrazione deve peró considerarsi incompleta sino al 1564,
perché le variazioni quantitative e qualitative del patrimonio non
sono poi compendiate in un sol conto. A partire da tale anno, con
l'introduzione di due nuovi conti: «Introito generale del mona-
stero » ed « Esito generale», funzionanti il primo come bilancio
di apertura ed il secondo come bilancio di chiusura, la partita dop-
pia diviene completa.

È da notare che la tecnica della partita doppia fu illustrata
prima di ogni altro da Fra Luca Paciolo nella sua opera principale
«Summa de Aritmetica, Geometria, Proportioni et Proportiona-
lità », stampata a Venezia nel 1494.

I monaci di S. Pietro, pertanto, utilizzavano per la loro con-
tabilità la partita doppia assai prima che Fra Luca Paciolo (da
taluni con evidente errore ritenuto addirittura l’inventore di tale
metodo contabile) ne divulgasse la metodologia con la sua celebre
opera, più sopra ricordata.

I due libri fondamentali erano integrati da numerosi ausiliari
che possono distinguersi nei seguenti gruppi: a) generici; b) speci-
fici; c) delle corti; d) probatori; e) censuari; f) statistici.

È proprio l'abbondanza di questi libri ausiliari che dimostra
l'estrema accuratezza e analiticità delle registrazioni sistematiche
di tutti i fatti amministrativi e l’importanza che i monaci annet-
tevano a queste rilevazioni, alle quali senza dubbio attribuivano
non soltanto funzioni di controllo e di notizia, ma anche conside-
ravano fonte di elementi indispensabili per la più corretta inter-
pretazione dei fatti economici e per la scelta della conseguente più
conveniente impostazione tecnico-produttiva delle aziende.

L’anno amministrativo, almeno da quando il monastero en-
trò a far parte della Congregazione Cassinese (costituita come è
noto con la bolla Super Cathedram di Giulio zr del 15 novembre
1504), decorre dal 1° giugno. Questa norma, comune a tutti i mo-
nasteri dipendenti dalla Congregazione Cassinese, è motivata dal

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314 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

fatto che proprio in quel periodo dell'anno si era soliti celebrare
il capitolo generale e veniva per lo più cambiata buona parte degli
officiali, che passavano ad altri monasteri. Si dava cosi modo ad
ognuno di dimostrare ció che lasciava e di conoscere con precisione
ció che altrove ritrovava.

Parte del patrimonio terriero era peró, come già detto, al di
fuori della conduzione diretta del monastero. Esso veniva affidato
ad altri imprenditori con diversi contratti, fra i quali spiccano per
importanza l'enfiteusi e l'affitto.

All’istituto dell'enfiteusi, che comporta il sorgere di un diritto
reale sull'immobile a vantaggio dell'enfiteuta, il quale ne ha in per-
petuo, o a tempo determinato il pieno godimento, contro i due ob-
blighi fondamentali del pagamento del canone e dell'esecuzione
dei miglioramenti fondiari, il monastero frequentemente in ogni
tempo ha fatto ricorso.

E noto che l'enfiteusi ebbe largo sviluppo soprattutto nell'Alto
Medio Evo e riguardò in genere terreni da dissodare, migliorare ‘e
colonizzare. Spesso questo contratto fu utilizzato per evitare il pro-
gressivo spopolamento delle campagne, cercandosi tramite esso di
fissare i lavoratori al suolo e sovente allora assunse la forma di con-
cessione perpetua. Equivaleva, quindi, quasi ad una totale aliena-
zione, che si era evitata, (anche se il canone spesso, avendosi avuto
un cospicuo esborso iniziale, era ridotto a valori minimi) perchè
il feudatario o il signore volevano conservare ancora il dominio
diretto su vasti territori, per ragioni che esulavano dal campo eco-
nomico.

I monaci di S. Pietro, perseguendo evidentemente altri scopi,
non sono mai ricorsi a questa forma di enfiteusi. Essi, infatti, nel
contratto hanno visto sempre i lati migliori, quelli cioè che fecero
dire al Valenti, forse anche con un entusiasmo un pò eccessivo, che
«l'enfiteusi del diritto romano risponde meravigliosamente alle
più moderne teorie economiche » e soprattutto che traverso ad essa
«la società trova nel fine dell'enfiteusi,. per il semplice impulso
dell'interesse. privato, raggiunto un fine che è anche suo, l'incre-
mento della fertilità naturale del suolo ed il conseguente aumento
della produzione agricola ».

Sotto questa inquadratura vanno viste tutte le enfiteusi con-
tratte dal monastero che, infatti, sono sempre a tempo determi-
nato (per un certo numero di anni; vita natural durante ; sino alla
terza generazione ; sino all'estinzione della linea: maschile; ecc.);
DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 315

sono spesso stipulate per canoni molto esigui; ma sempre preve-
dono ampi e precisi obblighi di miglioramento. Cosi si chiarisce lo
scopo ultimo del monastero che è quello di potere, in un domani
piü o meno lontano, questo poco importa, disporre di terreni bo-
nificati, migliorati, resi più produttivi, rinunciando magari a red-
diti attuali assai più consistenti. Si è sempre mirato, in sostanza,
non solo a non perdere la proprietà ®), ma anzi ad accrescerne la
potenzialità economica con intervento altrui, quando fosse risultato
impossibile determinare ciò con più sollecitudine e con diretto in-
tervento.

Diversa fu senza dubbio l’importanza che l’enfiteusi ebbe nei
vari secoli rispetto alla proprietà terriera del monastero. Grande,
nei secoli immediatamente posteriori alla costituzione del monastero,
si ridusse progressivamente col passare degli anni e col mutare delle
condizioni economiche e sociali delle campagne.

Non é facile dare una indicazione precisa di questo andamento,
anche se qualche elemento ci sembri indispensabile riportare. Sino
al xvi secolo il contratto di enfiteusi si riscontra molto frequente-
mente e viene fatto indifferentemente sia per importanti superfici,
che per piccoli appezzamenti. Una nota caratteristica è data dalla
esistenza di numerosi contratti riguardanti appezzamenti di ter-
reno situati nelle immediate vicinanze di. Perugia, nella zona di
Porta S. Pietro. Si tratta spesso di piccoli appezzamenti, ma non
infrequentemente riguardano anche appezzamenti di notevoli di-
mensioni (il più grande viene indicato con una superficie di 41 mine,
pari a circa 18 ettari) ben arborati, con orto e casa colonica. Questi
ultimi sono in genere goduti per secoli da nobili famiglie perugine
come Ranieri, Graziani, Cini, Righetti, ecc. Evidentemente in que-
sti casi hanno avuto peso rilevante considerazioni di carattere extra-
economico ; traverso queste concessioni probabilmente si cercava
di procacciarsi alleanze e protezioni.

Il canone enfiteutico è spesso pagato in natura : cera, pepe,
ecc. Quando invece è monetario, diversa è la moneta di riferimento,
che può ‘essere quella cortonese, perugina, lucchese e ravennate.

‘Nel '700 l'enfiteusi vede ridotta grandemente la sua impor-
tanza, tanto che una attendibile valutazione #1) fa ammontare la
superficie occupata in complesso dai vari enfiteuti a poco più di
60. ettari. Negli ultimi decenni di tale secolo il monastero o per ri-
scatto, o per. estinzione del contratto, riprende in conduzione di-
retta aleuni:terreni di Ripabianca (nel 1771, 1779 e 1798); di

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316 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

S. Fortunato (nel 1782) ; di Sant'Apollinare (nel 1795) e la maggior
parte di quelli giacenti alle porte della città (nel 1770, 1771, 1773,
1785, 1790, 1795 e 1797). In tal modo a fine secolo la superficie
complessiva ancora rimasta in enfiteusi si era ridotta a circa 30 et-
tari. Nella prima metà dell'800, infine, tutti i beni in questione ri-
tornarono definitivamente nella piena proprietà del monastero.

Ancora piü frequente é il ricorso all'affitto, che, sempre, sia
riguardi intere aziende, che piccoli appezzamenti, viene effettuato
con la compilazione di atti accuratissimi e minuziosi, dai quali tra-
spare la vigile cura, ognora dimostrata dal monastero per le sue
terre. Le norme prese in esame sono sempre molte, ma non si ha
tema di scendere ad una analisi esagerata, nello sforzo di evitare
che i terreni, affidati ad estranei, possano essere danneggiati, o sem-
plicemente sfruttati irrazionalmente.

In una zona, come la nostra, ove in tempi piü recenti l'affitto
in agricoltura ha avuto una diffusione assolutamente limitata e
dove dai piü esso viene considerato come una forma di conduzione
condannevole, perché si sostiene che inevitabilmente determina
un peggioramento delle condizioni di produttività dei fondi, fa
meraviglia trovare che in un passato cosi lontano si era riusciti
invece a dare al contratto di affitto il suo vero e reale contenuto
economico. Che non è altro, in fondo, che quello di portare, viste
determinate specifiche condizioni, alla gestione della terra le per-
sone piü adatte a compiere, proprio in quel determinato contesto
tecnico ed economico, le insopprimibili funzioni imprenditoriali.

E fa meraviglia dover constatare che la piü recente e perdu-
rante mentalità contraria per principio all'affitto in agricoltura
(che d'altra parte, come è ben noto, in altre zone d'Italia, per non
parlare di altri Paesi, si é posto alla base dello sviluppo tecnico
e sociale della moderna agricoltura) si è proprio venuta a formare
per gli inevitabili insuccessi ai quali questa forma di conduzione
ha dato luogo, quando è venuto a mancare quello che è il presup-
posto fondamentale che sta alla base di un buon funzionamento
di esso, che é costituito dalla formazione di un analitico contratto
e dalla cura che il proprietario deve mettere perché tutte le norme
in esso, a ragion veduta, introdotte, vengano scrupolosamente ri-
spettate.

I contratti di affitto stipulati dal monastero hanno sempre
mirato nelle loro varie parti alla tutela ed al potenziamento della
proprietà. Evidente appare la preoccupazione di individuare nel
DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 317

modo piü analitico possibile la proprietà che veniva affittata, per
la quale, anche se talvolta negli atti più antichi non troviamo chiare
indicazioni della superficie, troviamo sempre peró indicazioni pre-
cise circa la consistenza dei fabbricati, del patrimonio arboreo e
del bestiame. Della consistenza patrimoniale per lo più non veniva
data alcuna valutazione (e del resto non avrebbe avuto significato
alcuno), mentre il bestiame veniva indicato capo per capo e ne ve-
niva imposta la riconsegna per «quantità» e «qualità ». Questa
forma razionalissima di rapporto con l'affittuario, che tendeva a
conservare integra la consistenza del patrimonio zootecnico, a pre-
scindere dalla variazione che il valore del capitale stesso avesse
potuto assumere alle singole scadenze del contratto, fu adottata
anche nei primi contratti con i quali furono regolati i rapporti con
i lavoratorij man mano che questi venivano acquistando un di-
verso status giuridico. Senza dubbio questa é una importante con-
statazione, perché ci fa apparire i monaci di allora come assai piü
lungimiranti di aleuni moderni agricoltori, che, soprattutto in Um-
bria, nelle apoche coloniche del sec. xix e xx vollero, per non
chiare ragioni, sostituire la consegna «a qualità» con quella «a
valore » determinando prima le pesanti ragioni di indebitamento
dei coloni nel periodo deflazionistico susseguente alla prima guerra
mondiale e successivamente i gravi contrasti di quest'ultimo dopo-
guerra, sfociati nelle alterne dispute giudiziarie in merito all'appar-
tenenza del cosidetto « plus-valore » sul bestiame, ed infine nella
apposita legge del 29 maggio 1956, n. 500.

Successivamente il contratto si occupava degli obblighi che
l'affittuario si doveva assumere per assicurare la buona coltiva-
zione dei campi e la conservazione e miglioramento del patrimonio.
Tali obblighi riguardano in primo luogo la cura delle arginature
dei corsi d'acqua che attraversavano la proprietà e l'attenta manu-
tenzione della rete scolante. In secondo luogo viene controllato
l'allevamento del bestiame, che non può essere immesso al di fuori
di quello consegnato dal monastero ; viene prevista la esecuzione
di determinate operazioni colturali: come l’aratura #) e «l’occa-
tura», o stirpatura; viene imposto lo spargimento sul fondo di
tutto il letame prodotto e viene impedita la vendita della paglia
dei cereali, tranne minimi quantitativi. Vi sono poi le norme che
regolano le nuove piantagioni ; in ogni contratto è precisato il nu-
mero di alberi (si tratta soprattutto di viti, olivi e gelsi) che l’af-
fittuario deve piantare e il tempo entro il quale debbono esser pian-

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318 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

tati. Quando si tratta di vigneto specializzato viene anche indicato,
oltre alla superficie, l'appezzamento sul quale dovrà essere impian-
tato il vigneto.

L'affittuario, inoltre, non solo deve curare le riparazioni delle
case coloniche e padronali, ma molto spesso viene obbligato ad ese-
guire a sue spese degli ampliamenti, sia per la parte adibita ad abi-
tazione, che per quella destinata a ricovero del bestiame. Talvolta,
anche se piü raramente, viene imposta addirittura la costruzione
di qualche nuovo fabbricato.

Infine venivano introdotte le clausole che riguardavano la
misura del canone e delle altre regalie che l’affittuario doveva an-
nualmente versare al monastero. Il canone per i grandi affitti era
in genere fissato in denaro ed era rivisto man mano che le miglio-
rie cominciavano a dare i previsti risultati. In altri casi era invece
fissato in generi (grano, legumi, castagne, ecc.), ma questo per lo
più avveniva o nel caso di piccoli appezzamenti, o nel caso di af-
fitto al lavoratore, quando il contratto in verità tende sostanzial-
mente, come poi vedremo, a prendere la forma di un rapporto di
colonia.

La durata era molto variabile e dipendeva secondo noi da di-
verse cause, alcune delle quali assolutamente contingenti. Gli affitti
più lunghi erano quelli che prevedevano particolari obbligazioni,
realizzabili solo a lunga scadenza, e quelli che riguardavano le pro-
prietà più lontane e più arretrate rispetto all’opera di bonifica.
Talvolta affitti molto lunghi erano conseguenti a donazioni dei ter-
reni, dei quali però il donante si riservava per sè e per i suoi eredi
l'uso, con l'esborso di un canone quasi simbolico. Affitti per periodi
molto brevi erano dovuti, al contrario, alle impellenti e indilazio-
nabili necessità che il monastero si trovava a dover affrontare.

In tali casi spesso era richiesto il versamento anticipato dei canoni

relativi a tutto il periodo di affitto.

In ogni modo le durate piü frequenti per i contratti brevi erano
da tre a sette anni. Per i contratti lunghi, quando la durata era pre-
cisata, questa era fissata o in 29, o in 99 anni ®); quando invece
la scadenza non era precisata l'affitto poteva essere o vita natural
durante, o a terza generazione. In tal caso, spesso, dopo la seconda
generazione, era esclusa la linea femminile.

L'entità dei beni affittati è sempre stata piuttosto notevole,
ma nel tempo ha registrato un andamento quasi diametralmente

opposto a quello che ha caratterizzato lo sviluppo. dell’enfiteusi.'

i E DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 319

Del resto ciò è anche facilmente comprensibile se si tiene presente
che, in linea di massima, erano sempre quei gruppi di terreni (pur
di consistenza assai variabile nel tempo) che venivano interessati
dai due contratti.

» Senza tener conto dell'ultimo trentennio di precario possesso,
durante il quale, come già si è accennato, gran parte delle proprietà
furono affittate, il periodo di maggior diffusione di questo contratto
cade nei decenni centrali del '700. In questi anni si può valutare *)
che fossero affittati terreni per circa 2600 emine, pari a circa 1175
ettari.

Nei 71 libri dei contratti che sono conservati nell’archivio e
che purtroppo risalgono solo sino ai primi decenni del sec. xiv,
non c'è solo la storia dell'amministrazione del patrimonio, degli
acquisti, delle cessioni, delle enfiteusi e degli affitti, ma anche quella
di così palpitante interesse, dei rapporti di lavoro intercorrenti fra
il monastero ed i lavoratori della terra.

Nei primi secoli di vita del monastero evidentemente i rap-
porti con i lavoratori non creano problemi, in quanto i medesimi

costituivano un tutto inseparabile, insieme ai terreni, agli alberi,
i al bestiame. Il lavoratore ha ancora la figura giuridica del servo
della gleba e la sua presenza viene ricordata nell'elencazione dei
possessi insieme ai terreni ed alle scorte. Nel « privilegium » di Gre-
gorio vi dell'anno 1045, ad es., viene detto, dopo aver indicato i
vari possessi che venivano confermati: «cum omnibus earum per-
tinentiis ac adiacentiis, ceterasque terras, cultas et incultas, servos
quoque et ancillas . . . ». Negli « instrumenta donationum », del 1199,
con il quale i conti di Colle di Mezzo facevano donazione al mona-
stero dei propri beni posti nei territori di Perugia, Assisi e Todi,
era precisato che la donazione riguardava «castella, villas, castrum
Collis de Medio, ecclesias, oratoria, patronatum, casas, casalina,
terras, vineas, silvas, aquas, aquemolos, pascua, rivos, fontes,
homines, familias, usarias, servitia, cultum, incultum et totum
quod 523»

Dopo questo primo periodo si entra peró nel vivo dei secoli
XII e xim, quando la società è pervasa da un inarrestabile moto
di affrancazione definitiva dalle servitù. Nelle campagne il movi-
mento é piü lento, ma l'esistenza di una decisa tendenza nei primi
decenni del sec. xix a mutare profondamente i rapporti sui quali
sino ad allora era basata l'economia agricola, risulta del tutto evi-
dente. Al posto del tradizionale ordinamento basato su. inamovi-

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320 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

bili vincoli personali e reali e su prestazioni consuetudinarie, si
cerca gradualmente di sostituirne uno nuovo di carattere contrat-
tuale.

Il monastero inizialmente tenta ripetutamente di far resistenza
al moto di affrancazione che, soprattutto i lavoratori di Casalina,
perseguivano con tenacia, affiancati in questa loro azione dal Co-
mune di Perugia che, evidentemente, cercava di affermarsi nelle
campagne con la promessa delle franchigie già da tempo possedute
dalle plebi della città. A dimostrazione di ciò basta ricordare la
raccomandazione inoltrata da Lione il 15 marzo del 1249 da Inno-
cenzo rv al podestà, al consiglio e al popolo perugino perchè si asten-
gano dall’aiutare i lavoratori di Casalina ad eludere i diritti che
su di essi il monastero detiene **) e l'ordine emanato da Viterbo il
18 giugno 1269 *) da Clemente rv al priore di S. Rufino di Assisi,
affinché il podestà, il capitano e il consiglio e Comune di Perugia
siano invitati ad obbligare gli uomini a fornire al monastero le con-
suete prestazioni. In tale atto i lavoratori di Casalina vengono an-
cora definiti «de corpore monasterii ».

Tutto ció non poteva peró in realtà fermare l'evoluzione verso
la quale ormai tenacemente tendevano i lavoratori della terra e i
monaci si dovettero sollecitamente convincere di ció e dovettero
paventare che un loro irrigidimento accelerasse e completasse quel
fenomeno di esodo dalle campagne che in quel momento aveva,
fra le altre, la sua piü valida motivazione proprio nella ricerca del
raggiungimento della completa affrancazione personale *). Ed è
tanto vero ciò che il 20 agosto del 1270 l'abate Raniero 11 Coppoli
e i lavoratori di Casalina, rappresentati dal loro procuratore Go-
lato Bentese, sottoscrivessero un lodo che come prima clausola pre-
vedeva «che il monastero emancipava e rendeva liberi e franchi
gli uomini di Casalina, presenti e futuri e da ogni servitü scioglieva
ancora i loro beni, semoventi e mobili, che da sei anni ritenevano » 88).

Negli anni immediatamente successivi l'applicazione del lodo
dette luogo ancora ad accese controversie, che peró dovettero esser
definitivamente composte nel 1276, con l'intervento di Giovan-
ni XXI, dato che dopo tale data non si ha notizia di ulteriori incidenti.

Da tale epoca i nuovi rapporti che si instaurarono fra i liberi
lavoratori ed il monastero scaturiscono da una contrattazione di
cui troviamo nell’archivio ampia testimonianza, anche se i libri
dei contratti che ancora si conservano non inizino subito dopo la
stipulazione del lodo, ma soltanto, come già detto, dai primi de-
DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 321

cenni del sec. xiv. E l'esame attento del susseguirsi dei vari con-
tratti, delle variazioni e modificazioni che via via vengono appor-
tate, ci dà l'indicazione della lenta evoluzione che il rapporto di
lavoro iniziale ha subito, per giungere a quella forma di colonia
parziaria, successivamente generalizzatasi in tutta l'Umbria e con-
fermatasi, traverso il tempo sino ad oggi, con minime modificazioni.

Nei primi contratti che sono reperibili nell'archivio e in molti
dei successivi per un periodo di tempo piuttosto lungo, il rapporto
più frequente ci appare quello di « laboritium », che forse più che un
vero contratto di colonia, come poi successivamente verrà inteso,
puó essere considerato come un affitto al coltivatore, con canone
non fisso, ma dipendente dai risultati produttivi. Infatti nei con-
tratti di «laboritium », dopo aver fissata la durata, venivano spe-
cificati i singoli obblighi del coltivatore e veniva indicata la quota
di prodotto che costituiva la spettanza del monastero. Una clau-
sola caratteristica, e sempre ricorrente, mostra chiaramente che in
pratica la conduzione era affidata ai lavoratori. In tale clausola,
infatti, era specificato che il lavoratore doveva avvertire il mona-
stero prima di iniziare le operazioni di raccolta dei vari prodotti
(trebbiatura, vendemmia, ecc.) e doveva provvedere al vettova-
gliamento del sorvegliante che il monastero avesse inviato. Il lavo-
ratore aveva, quindi, libertà di scelta delle coltivazioni, mentre
clausole particolari gli imponevano di allevare esclusivamente il
bestiame datogli in consegna dal monastero.

La durata del contratto era molto variabile. Nel 1335-1359
abbiamo trovato dei contratti per 9 anni; altri per 7; altri ancora
perso.

Molto diversa anche, da caso a caso, la quota di prodotti di
spettanza del monastero. In un contratto del 1335 si prevedeva
che tutti i prodotti venissero divisi a metà; nello stesso anno in
un altro contratto si statuiva che il monastero dovesse avere 3 parti
su 5 del grano, della spelta e dell'orzo e la metà dei legumi e della
lana, cosi come a metà dovevano essere divisi i prodotti della vigna e
degli alberi da frutto. In un contratto del 1337 il monastero si era
riservato 3 parti su 5 di tutti i prodotti ; in altro contratto la divi-
sione di tutti i prodotti avviene a metà, ad eccezione di quelli ortivi,
per i quali il monastero chiede solo la terza parte. È evidente in
ogni modo che, nella estrema difformità che ancora caratterizzava
l'ambiente agricolo, si doveva tener conto caso per caso della reale si-
tuazione dei terreni che venivano affidati ai lavoratori ed erano le

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322 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

diverse condizioni di coltivabilità e di fertilità che determinavano
in definitiva le singole quote di ripartizione. Queste poi potevano
anche esser influenzate dalla incidenza di alcuni obblighi partico-
lari che talvolta venivano compresi nel contratto, come quello ab-
bastanza frequente di partecipare alla costruzione della casa colo-
nica o di completarne i lavori già avviati. E probabilmente proprio
questa mancanza di uniformità, in una agricoltura che stava at-
traversando profonde trasformazioni, non consenti per lungo tempo
l'affermazione del tipico contratto di colonia, con le sue ben defi-
nite clausole valevoli in ogni caso.

Man mano peró che l'opera di bonifica si generalizzava, i rap-
porti con i lavoratori venivano sempre piü frequentemente standar-
dizzati sotto la forma delle «apoche» o «scritti» che ritroviamo
conservati nell'archivio.

Esaminando una qualsiasi di quelle sottoscritte verso la fine
del sec. xvi, si può vedere come il contratto abbia ormai confi-
gurato un vero rapporto di mezzadria. La durata è limitata all'anno,
con possibilità di rinnovo mediante «riferma » che può anche non
essere scritta ?*); tutti i prodotti e tutte le spese vengono divise
a metà. Da allora sino al 1943 le linee fondamentali del contratto
di mezzadria restano sostanzialmente immutate; c’è solo da os-
servare che i lavoratori gradualmente si liberano dei particolari
obblighi ancora presenti nelle « apoche » del sec. xvi ed acquistano
una maggiore stabilità e sicurezza per il loro lavoro *°).

In ogni caso il contratto perde le sue caratteristiche di accordo
aziendale e si inquadra, anche per i poderi del monastero, negli
schemi redatti su base provinciale.

Un breve cenno meritano anche alcuni contratti particolari
che riguardavano gli allevamenti zootecnici. Il monastero nel de-
siderio di potenziare al massimo tale settore aveva assai spesso
rapporti di gestione con estranei; manteneva cioè del bestiame
anche in fondi di proprietà altrui. Normalmente venivano usati
due tipi di contratto: la « soccida » e la « collaia ». Nel primo caso,
pur mantenendosi la proprietà del bestiame al monastero, si accen-
deva un vero e proprio rapporto di società onde « dovendosi vendere
dette bestie e farne retratto, si debba cavar prima la sorte principale
per il soccio maggiore e l'utile o danno che vi sarà si deva partire
la metà per ciascuno » 41).

Nel secondo caso, invece, si trattava di un vero e proprio af-
fitto di bestiame (in genere da lavoro) onde il lavoratore aveva
DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 323

l'obbligo di « governarlo et alimentarlo come conviene, e di pagare
ciaschedun’anno la somma convenuta ; finita la collaia il padrone
di detto bue debba ripigliarselo, vaglia più o meno che non valeva
al principio, in modo che l'utile o danno sia sempre del padrone » *).

Entrando infine nella parte conclusiva desideriamo porre in.
evidenza alcuni degli aspetti piü interessanti che hanno contraddi-
stinto la gestione dei monaci e che ci consentono di affermare come
per lunghissimi periodi essi si siano tenuti, rispetto ai tempi, alla
avanguardia della conduzione agricola.

Le linee direttrici lungo le quali il monastero si é mosso, per
determinare nei propri fondi le migliori condizioni di produttività
risultano chiaramente evidenziabili.

Costante, ad esempio, é stata nei monaci la preoccupazione di
potenziare il patrimonio arboreo, al quale è stata sempre attribuita
una fondamentale importanza come fonte di reddito e come elemento
equilibratore dell'impiego del lavoro umano. E l'interesse non era
solamente rivolto alla vite ed all'olivo, pur rappresentando giusta-
mente queste due piante gli indirizzi più importanti dell'arbori-
coltura locale d'ogni tempo, ma anche ai vari alberi da frutto, ai
gelsi e ad ogni altra pianta, perfino ai modesti olmi, dai quali, se
non altro, si potevano ritrarre annualmente le foglie per l'alimen-
tazione del bestiame, allora in larga misura assicurata, mancando
ancora le tradizionali colture foraggere avvicendate, proprio dalle
produzioni silvane.

E questa opera di intensificazione del patrimonio arboreo era
fatta non solo direttamente nelle terre che il monastero manteneva
sotto la propria conduzione, ma anche indirettamente traverso gli
obblighi che venivano imposti, sia nei contratti di enfiteusi, che in
quelli di affitto o di colonia.

In moltissimi dei contratti che abbiamo potuto esaminare
ricorre regolarmente la clausola che prevede la piantagione di un
certo numero di alberi, fruttiferi o no, o l'impianto di una determi-
nata superficie di vigneto.

E si ponevano allo stesso momento vincoli precisi per la con-
servazione delle superfici boschive, soprattutto nelle zone collinari.
Infatti si annetteva grande importanza all'esistenza dei boschi e
delle macchie, non solo per la produzione del legname necessario
al monastero per le piü diverse esigenze *), ma anche per le possi-
bilità che dalla esistenza di esse venivano offerte agli allevamenti
zootecnici.

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324 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

Vincoli particolari erano posti ai lavoratori che avevano avuto
il compito di impiantare i vigneti. Ad esempio in un contratto del
xIV secolo viene precisato il divieto di coltivare fagioli od altri
legumi negli interfilari.

Del conto in cui si teneva il patrimonio arboreo fanno fede
anche le minuziose rilevazioni assai spesso ripetute nelle quali è
elencata la consistenza delle varie specie, in ognuna delle unità
aziendali.

Per le viti e per gli olivi il monastero ha curato anche la produ-
zione diretta in appositi vivai delle piante da porsi a dimora. In
molti contratti viene precisato che, a fronte degli obblighi di pian-
tagione che venivano imposti, il monastero da parte sua si impe-
gnava alla fornitura delle pianticelle, che appunto in tali vivai
impiantati in diverse località venivano allevate.

In verità appare chiaro che i monaci non si lasciavano sfuggire
alcuna occasione per estendere gli impianti arborei. Approfittavano
anche dei terreni che il Tevere, nel suo incessante mutamento di
percorso, lasciava liberi, ma non subito idonei ad una coltivazione
intensiva, per impiantarvi l’essenza legnosa che si adattava a que-
ste circostanze : il pioppo. A titolo di esempio, possiamo ricordare
un particolare contratto stipulato nel 1335, con il quale il mona-
stero cedeva ad un lavoratore due appezzamenti di terreno in pros-
simità del Tevere, perchè a cura di questi venisse impiantata nel
successivo mese di marzo una pioppeta. Il contratto aveva la du-
rata di 29 anni, alla scadenza dei quali la pioppeta sarebbe stata
abbattuta e divisa a perfetta metà. Il lavoratore si obbligava pure
a piantare altri pioppi con gli stessi patti, sul terreno che a confine
con i due appezzamenti menzionati il Tevere avesse lasciati liberi.

Cure particolari furono inoltre dedicate ai gelsi, che ancora
sino a pochi anni or sono si ritrovavano in gran numero nell’azienda
di Casalina *). Il gelso rappresenta, com’è noto, la base dell’alleva-
mento del baco da seta e furono proprio i monaci benedettini ad
introdurre per primi i bachi da seta in Umbria e a potenziarne l'al-
levamento. Anzi, in un primo tempo, il monastero attrezzò una
piccola industria per la utilizzazione diretta dei bozzoli, costruendo
a casalina, presso il podere al Voc. Fontana, un apposito edificio,
dotato di quattro caldaie «e di tutti gli occorrenti loro arnesi per
trarre la seta all'uso, come suol dirsi, calabrese » 4). L'iniziativa
però ad un certo punto fu abbandonata, ritenendosi più conve-
niente prima vendere i bozzoli e poi, forse per una progressiva in-
DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 325

sufficienza di mano d'opera, cedere addirittura la foglia dei gelsi

a dei mercanti, che direttamente ne curavano la raccolta.

Un altro settore sul quale fu sempre concentrata l'attenzione
dei monaci è quello zootecnico. È noto che il grande progresso tecnico
dell'agricoltura si è prodotto con l'adozione, intorno al 1730, parti-.
colarmente in Inghilterra ed in Lombardia, del sistema di rotazione
continua, che porta all'abolizione del maggese ed all'introduzione
delle leguminose foraggere ‘*°). Sino a tale data il progresso tecnico
era stato attuato praticamente nellambito di uno schema fisso,
che puó farsi risalire a quello classico romano « dei tre campi ». Vale
a dire il terreno veniva per un terzo coltivato a grano, o altri ce-
reali invernali; un terzo a cereali primaverili, o leguminose ; ed
un terzo era lasciato a maggese. L'allevamento del bestiame aveva
quindi scarse possibilità di foraggiamento, onde tanta importanza
avevano oltre agli «scioiti », come già detto, i boschi e le piante
sparse, delle quali utilizzare le foglie. D'altra parte il progresso dei
sistemi colturali era proprio assicurato da una consistente presenza
di bestiame che, oltre a fornire il prezioso letame, allora unico ele-
mento fertilizzante a disposizione dell'azienda agraria, costitui-
vano con i bovini e con gli equini gli indispensabili motori per la
esecuzione dei piü pesanti lavori e per i trasporti.

I monaci furono sempre consci dello stretto collegamento esi-
stente fra progresso agricolo e allevamenti zootecnici, e non trascu-
rarono mai occasione di svilupparne le consistenze sia nelle aziende
a conduzione diretta, che nelle altre, attraverso anche quei parti-
colari contratti che già sono stati ricordati.

A titolo d'esempio, come dimostrazione di questo atteggia-
mento, è interessante ricordare che il cellerario del monastero An-
gelo Morriga, veronese, negli anni 1612-1615, per aumentare il red-
dito del settore zootecnico «et anco per far letame, acció venissero
meglio bonificate le terre », spese ben 767 scudi e 55 baiocchi per
l'aequisto di un notevole numero di vacche, cavalli, somari, pecore,
porci, che furono dati in consegna a diversi lavoratori che «o n'ha-
vevano puochi rispetto al podere dove stavano o non havevano
niente a soccio col monasterio, ma con altri secolari » *?).

Non si accontentavano peró solo di potenziare le consistenze,
per assicurare con larghezza i mezzi di lavoro sufficienti per le
necessità, sempre crescenti, che le nuove terre messe a coltura ri-
chiedevano, ma anche cercavano per i bovini di mettere in risalto
le altre attitudini produttive. In fondo ciò che in questo settore

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326 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

al presente noi cerchiamo di realizzare, fu attuato nel lontano '500
con grande sagacia dal monastero di S. Pietro. Infatti, consta-
tando probabilmente che l’indirizzo economicamente più valido
era quello volto alla produzione del latte, il monastero impiantò
nel 1557 sull’altopiano di Colfiorito un cospicuo allevamento di
vacche da latte, con annesso caseificio per la trasformazione del
latte in burro e formaggio. Il monastero non aveva terreni nella
zona, ma per la bisogna ne prese in affitto alcuni fra quelli, vastis-
simi, che la Camera Apostolica possedeva sull’altopiano di Col-
fiorito. I risultati furono senza dubbio soddisfacenti se, nonostante
la distanza, l’onere dell’affitto, ecc., l’attività fu continuata per di-
versi decenni. E quando, all’inizio del ’600, divenne impossibile
mantenere in permanenza la mandria, che era mediamente costi-
tuita da circa 60 capi, a Colfiorito per i dissesti idrologici che ren-
devano i terreni sottoposti alle acque per lunghi periodi in ogni
stagione, non si rinunciò a questa attività, ma anzi nella tenuta
di Casalina, nella bassa pianura del Tevere, presso il podere Ca-
scina seconda che meglio degli altri si prestava per la presenza di
estesi e pingui «scioiti », fu sistemata una vaccheria modello, che,
a partire dal 1615, accolse le vacche provenienti da Colfiorito #).
Interessante è anche sottolineare che non si rinunciò però alla pos-
sibilità di integrazione dell'ambiente di piano, con quello di monte,
tanto è vero che le vacche venivano normalmente portate a Col-
fiorito per alcuni mesi, nel periodo estivo-autunnale. Questa ini-
ziativa poi, per ragioni che non appaiono ben chiare, dopo 120 anni
dal suo sorgere cessò completamente, quando nel 1677 «furono
smessi gli appalti dei pascoli, vendute le mucche e gli stili da fare
burro e formaggio » **). Il fedele cronista del monastero Don Mauro
Bini commenta il fatto, anche per lui evidentemente di non facile
spiegazione, dicendo che «è vero però, che vi hanno taluni, i quali
giunti ad avere in mano la direzione come della economia, così della
politica amano farsi un nome deviando dai sistemi praticati, e rin-
novandoli affatto ». E poi argutamente soggiunge che questo modo
di agire spesso è caratteristico proprio di « quelli che hanno minore
o forse nessuna pratica delle cose » 5°).

Resta il fatto che successivamente si cercò di tornare su que-
sto indirizzo, e fu ripresa a Casalina una certa attività casearia,
ma con ben minore slancio e con prospettive assolutamente limi-
tate, tanto che, piano, piano definitivamente scomparve. Si deve
poi attendere sino al 1947 per un primo tentativo e poi al 1961 per
DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 327

la riaffermazione su larga scala di quell'indirizzo che in altre zone,
anche se piü dotate dal punto di vista ambientale, ha sempre rap-
presentato uno dei principali elementi dell'economia agricola, e
che i monaci con tanto attaccamento e lungimiranza avevano per-
seguito anche in tempi cosi remoti.

Tra tutte le colture erbacee nel massimo conto fu sempre te-
nuto il grano, che in realtà costituiva la base dell'alimentazione
umana, e della cui preziosità danno atto tutti i controlli ai quali
il raccolto era sottoposto ed il divieto di commercializzazione, du-
rato come è noto sino al sec. xvi. Importanti furono anche i
cereali minori e le leguminose, alle quali pure si ricorreva frequen-
temente per l'alimentazione umana.

Una certa diffusione ebbe anche il mais, che i monaci intro-
dussero in Umbria fra i primi. Infatti di tale coltura troviamo men-
zione nei registri del monastero per la prima volta nel 1615 51) e già
da allora appare coltivato sia a Casalina, che nei terreni che il mo-
nastero aveva nei pressi di Perugia.

Il tabacco sembrò in un certo momento destare l'interesse
del monastero e se ne tentò e fece tentare la sperimentazione. Da
ricordare al riguardo un contratto di affitto del 1666, con il quale
si cedeva ad un certo Pargioli da Perugia «un podere vicino al-
l’acqua per seminare in una parte di esso il tabacco » *?). I risultati
però non dovettero essere confortanti se in seguito la coltura nè
nel sec. xvii, nè nel sec. xix ebbe alcuno sviluppo.

Ma dove l’opera dei monaci ha lasciato le impronte più rimar-
chevoli e dove veramente ha assunto un carattere distintivo è nella
bonifica idraulica delle pianure limitrofe al Tevere e ad altri corsi
d’acqua (Nestore, Genna, Caina) e nella colonizzazione, effettuata
soprattutto nelle due grandi aziende di Casalina e di Sant'Apolli-
nare.

I documenti conservati nell’archivio storico attestano quale
immensa mole di lavoro, e quali importanti investimenti siano
stati dedicati nei secoli e al prosciugamento dei terreni dalle acque
stagnanti e alla regolamentazione delle acque di scolo e alla difesa
contro le alluvioni e le erosioni causate dai più importanti corsi
d’acqua. E, insieme all’elenco dei materiali impiegati per le singole
opere, esiste un grandissimo numero di progetti, eseguiti di volta
in volta per fronteggiare la sempre incombente minaccia rappre-
sentata soprattutto dal Tevere, che con il suo corso tortuoso attra-
versa per oltre 6 Km. la tenuta di Casalina.

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CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

Scorrendo questi documenti si ha la viva testimonianza del-
l'impegno e della ingegnosità applicata dal monastero in questa
opera che non aveva praticamente sosta, né fine, perché sempre
nuove esigenze sorgevano e nuovi problemi dovevano essere ri-
solti. E sempre la situazione veniva affrontata ricorrendo all'au-
silio della migliore tecnica del tempo, ai consigli dei piü qualificati
specialisti e all'impiego dei materiali più adatti. Naturalmente
particolare rilievo aveva allora l’opera dell’uomo e per sopperire
a queste necessità il monastero occupava un piccolo esercito di
uomini e di donne, che quasi in permanenza veniva dedicato a que-
sto genere di lavori.

Altra opera di vastissimo impegno è stata quella relativa alla
suddivisione dei terreni in unità poderali, il che ha comportato,
fra l’altro, la costruzione delle case coloniche, con tutte le attrez-
zature complementari. Naturalmente tale opera si è iniziata solo
quando lo hanno consentito la sistemazione ambientale, i rapporti
con i lavoratori, le condizioni politiche. La vera e propria coloniz-
zazione per il nostro monastero inizia nel ‘500; prima nella collina
e poi man mano che le opere idrauliche rendevano sicura la val-
lata del Tevere, anche nella pianura. Nel '600 l’insediamento sparso
ha un rapido incremento, determinato anche dalla maggiore tran-
quillità politica, per cui le popolazioni rurali non temevano più
di abbandonare le mura dei castelli. Nel '700 poi il fervore delle
opere è notevolissimo ; si costruiscono ancora numerose case, so-
prattutto per frazionare le unità poderali che si rilevano troppo
ampie man mano che si intensificavano i sistemi culturali; si ri-
paravano e ampliavano quelle costruite nei due secoli precedenti.

Anche di questa opera si hanno notizie amplissime nei docu-
menti dell’archivio storico. Numerosissimi sono i disegni eseguiti
per la progettazione delle case; analitiche sono le descrizioni delle
opere, corredate sempre da minuziosi preventivi. Per questi ultimi
poi ricorre sovente l'osservazione che per quanto i lavori vengano
bene eseguiti raramente a conclusione appaiono rispettate le spese
preventivate, a dimostrazione di come di poco mutino certe situa-
zioni anche con il passare dei secoli.

Esaminando ora i progetti che il monastero eseguiva per la
edificazione delle sue case, o quelle stesse costruzioni che ancora
rimangono, dobbiamo mettere in evidenza quale cura fosse appli-
cata a questo delicato compito. La casa colonica, infatti, pur ruo-
tando intorno ad una impostazione fissa, dettata naturalmente
DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 329

dalle esigenze alle quali doveva rispondere e che sinteticamente
riguardavano la convenienza di distribuire nel piano terra i rico-
veri per il bestiame (soprattutto per quello bovino) ed i « comodi »
per la famiglia come : la cantina, il forno, il telaio, ecc., e al piano
superiore i locali per l'abitazione (cucina e camere da letto) e il ma-
gazzino, viene poi eseguita su linee costruttive diverse che tengono
conto e dellambientazione e dellampiezza che essa dovrà assu-
mere. Mentre, quindi, è in genere preferita la pianta rettangolare,
si ricorre talvolta anche a quella quadrata o a piante irregolari. In
ogni caso occorre riconoscere che, soprattutto in taluni periodi,
si è cercato, e spesso con successo, di unire alla necessaria funzio-
nalità, una certa nobiltà di linee che fa di talune costruzioni
rurali del monastero un esempio imitato per secoli. Di taluni ele-
menti si é addirittura cercato di valorizzarne l'aspetto estetico e
al riguardo possiamo ricordare i porticati, sovente aperti sulla fac-
ciata principale, la loggetta della scala, quando essa era esterna, e
il palombaio. Per quest'ultimo elemento, che a guisa di torre s'in-
nalza o al centro della casa o verso una delle estremità, c'é da co-
statarne la armoniosa linea e le equilibrate dimensioni che ven-
gono ripetute identiche in numerose costruzioni, anche se eseguite
in tempi diversi.

Di particolare interesse è il rilievo che le grosse opere di colo-
nizzazione con la costruzione di nuove case, davano luogo da parte
del monastero a precise valutazioni economiche. Mi piace citare
ad esempio la lettera-relazione inviata nel gennaio 1776 alle auto-
rità religiose di Roma, con la quale si chiedeva l'autorizzazione di
intraprendere la costruzione di ben 6 case coloniche nella tenuta
di Sant'Apollinare. In questa relazione si spiegava che delle 1781
emine costituenti la tenuta, oltre 624 risultavano ancora prive di
case coloniche e di arborature e nel proporre la creazione di 6 nuove
unità poderali si affermava che il reddito attuale di scudi 3,6 per
ogni rubbio »), sarebbe divenuto dopo la trasformazione sicura-
mente maggiore di 9 scudi per rubbio. Tenuto presente il costo
del miglioramento i monaci volevano quindi dare una precisa di-
mostrazione della convenienza economica dell'opera di trasforma-
zione.

Per concludere dobbiamo ancora soffermarci su di un aspetto
di notevole interesse e di particolare attualità. È noto come uno
dei problemi che al presente più frequentemente viene affrontato,
allo scopo di consentire all’imprenditore agricolo di ottenere il suo
330 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

giusto reddito, pur riducendosi i prezzi dei suoi prodotti, è quello
della integrazione verticale dei vari settori produttivi. L'impren-
ditore cioè non deve limitarsi ad ottenere il prodotto greggio, ma deve
esso stesso essere l'autore delle varie fasi di trasformazione e della
stessa commercializzazione, onde eliminare i vari redditi di interme-
diazione che per lo piü vanno ad altre categorie economiche.

Per il monastero di S. Pietro questo era un problema di pieno
interesse già alcuni secoli or sono, se é vero che esercitava una in-
tensa attività di trasformazione e di commercio, per giungere alla
vendita diretta dei suoi prodotti principali ai consumatori.

Per il grano, infatti, oltre ai numerosi molini posseduti lungo
il Tevere, il Chiascio ed il Nestore, che trasformavano il grano delle
aziende in farina, il monastero giungeva anche alla panificazione
diretta tramite i vari forni aperti a Perugia, a Casalina e Deruta.

Nelle stesse località il monastero possedeva, affidandone peró
la gestione ad altri sotto il controllo del cellerario, anche macelle-
rie ed osterie, dove venivano direttamente smerciati gli altri prin-
cipali prodotti che le aziende davano : le carni bovine, ovine e suine
e il vino. E le carte dell'archivio mostrano come piü volte il mona-
stero sia intervenuto decisamente per rimuovere gli ostacoli che
ripetutamente, sia i privati commercianti che le autorità cittadine,
opponevano all'azione dei monaci.

Ci è piaciuto chiudere questo esame che, pur essendo rimasto
alla superficie di molti problemi ha in realtà occupato un tempo
maggiore del previsto e forse del lecito, con l'accenno all'attività
di commercializzazione dei prodotti agricoli effettuata dai monaci,
perché in fondo anche questo aspetto come tanti altri ci conferma
come molti dei problemi che attualmente ci preoccupano non ab-
biano in realtà nulla di nuovo e come, quindi, anche sotto questo
punto di vista l'esame storico delle vicende umane sia non solo
di grande interesse culturale, ma anche fonte di riflessione e di in-
segnamento.

NOTE

1) G. Penco, Storia del monachesimo in Italia, Roma, 1961, p. 72.

*) L'unico indizio che la concessione della cattedrale di Monte Caprario
{nsse stata accompagnata dall’acquisizione di alcuni beni (forse anche acqui-
sinti al momento) si trova nel giudizio espresso da Silvestro m circa la

»
DELL'ABDAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 331

vertenza con il vescovo Conone, ove nelle ultime righe si legge: « monaste-
rium illud praenominatum Sancti Petri non longe a Perusina civitate con-
stitutum, cum omnibus ad idem monasterium pertinentibus . . . . ». È il primo
documento conservato nell'archivio, del quale peró si dubita circa l'origina-
lità. Probabilmente si tratta di una copia redatta nello stesso monastero,
durante il xir secolo. T. LEccISOTTI-C. TABARELLI, Le carte dell'archivio di
S. Pietro di Perugia, Milano, 1956, vol. I, p. 4.

3) LECCISOTTI-TABARELLI, Op. cit., 1, pp. 6-7.

4) M. MONTANARI, Mille anni della chiesa di S. Pietro e del suo patri-
monio, Foligno, 1966, p. 108.

5) LECCISOTTI-TABARELLI, Op. cit., 1, p. 10.

*) Che questa distinzione sia opportuna, oltre che logica, appare an-
che dal fatto che nel ricordato decreto Pepoli nei 2361 ettari che passarono
alla Fondazione per l'Istruzione Agraria non erano compresi i fondi appar-
tenenti alle 19 parrocchie, dipendenti in effetti dal monastero, ma le pro-
prietà terriere delle quali non erano entrate a far parte del patrimonio
abbaziale.

?) Forse l'anno di riferimento può precisarsi nel 1036, quando Bene-
detto rx in un Concilio Sinodale, correndo la v indizione, risolse un nuovo
attrito sorto fra il monastero e il vescovo Andrea, esortando il vescovo a
non infastidire, né reclamare diritti sul monastero, che fu e sarà sempre
sotto la S. Sede. Nella stessa occasione dota l'abbazia prediletta di un altro
possedimento apostolico: appunto quello di Casalina.

8) LECCISOTTI-TABARELLI, op. cit., 1, pp. 22-23.

»)"Ibid.; 1)-p. A29.

10) Jbid., 1, pp. 57-58 n. 4.

uyTbid;, 1, p. 74.

1?) Liber A. Privilegiorum et brevium venerabilis monasterii S. Petri
de Perusia, cc. 47r-48v (P. D. 2, Arch. st. S. Pietro).

13) LECCISOTTI-TABARELLI, Op. cit., 1, pp. 129-132.

14) La mina è composta di 150 tavole. Ogni tavola comprende 225 piedi
quadrati. Dato che il piede perugino ha una misura di 36 cm. ne deriva che
ogni tavola misura 29,16 mq. e ogni mina corrisponde a 4374 mq.

15) Mazzo xxxIx (Arch. st. S. Pietro).

1) Si ricorda che per tale grave situazione Urbano vi con una sua
bolla del 1380 vietò al monastero di mantenere un numero di monaci su-
periore a 12. LECCISOTTI-TABARELLI, Op. cit., it, pp. 20-21.

1?) Sono di questo periodo le massicce mura che fiancheggiano il giar-
dino del Frontone.

18) LECCISOTTI-TABARELLI, Op. cit., 11, pp. 163-167.

19) Questa donazione creó ad un certo punto notevole imbarazzo zi
monaci. Infatti il donatore aveva disposto che l’immissione al possesso dei
beni avvenisse solo al momento dell'estinzione della famiglia, mentre nel frai-
332 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

tempo i monaci avrebbero dovuto celebrare ogni giorno un ufficio funebre
in suffragio della sua anima. Dovettero passare ben 144 anni prima che la
donazione divenisse operante ; prima di tale momento peró i monaci avevano
richiesto ed ottenuto dalla Santa Sede una riduzione del numero degli offici
tunebri.

20) Liber coniractuum 43, cc. 48r-54r (Arch. st. S. Pietro).

21) Casaline, Turris Clusine, p. 751 (P.:D. 34, Arch. st. S. Pietro).

?) Interessante è ricordare ciò che appare in una relazione portante la
firma dell’abate, del priore claustrale, del padre cellerario e del padre cen-
suario, eseguita in data 31 maggio 1665. In tale relazione dopo aver esposto
la situazione debitoria del monastero, che viene fatta ascendere a 67.089
scudi, e dopo aver lamentato che da tempo «li frutti delle terre non corri-
spondono ai pesi dei censi », se ne indica la causa non solo nelle solite av-
versità atmosferiche e nel peso delle « collette et imposte », ma soprattutto
nella scarsezza della mano d’opera. Al riguardo viene detto che «in questo
contado da più anni in quà vi è penuria di contadini per esser loro morti
e dove prima una famiglia lavorava un sol podere, ora coltiva due o tre po-
deri, arando e seminando le terre migliori e le altre lasciando incolte e dei
debiti solchi private ».

23) Questa prima soppressione ebbe in realtà un brevissimo periodo
di efficacia, perchè i monaci, che a seguito della notizia di soppressione
avvenuta il 29 aprile 1799 avevano abbandonato il monastero il 3 giugno,
caduto il governo repubblicano, rientrano in S. Pietro verso la fine del mese
di agosto dello stesso anno.

24) Il secondo abbandonò di S. Pietro avvenne il 17 giugno 1810, in
ottemperanza del decreto imperiale, che nel maggio precedente aveva san-
cito la soppressione di tutte le case religiose in Italia. I monaci furono rein-
tegrati nel possesso dopo la caduta dell'Impero.

25) Libro di memorie del monastero di S. Pietro di Perugia, p. 138 (Di-
versi 93, Arch. st. S. Pietro).

26) Le vendite furono tre: la prima riguardó 2 poderi a Castiglione
della Valle e Monte Vibiano per 71 mine e 63 tavole ; la seconda 3 poderi
a Bagnaia, S. Martino dei Colli, e Poggio delle Corti per 196 mine e 18
tavole ; la terza 1 podere in voc. Monterone nei pressi di Perugia e 2 appez-
zamenti sempre nei pressi della città in voc. Prepo per 41 mine e 15 tavole.

2?) E. MARENGHI, Quattro secoli di contabilità | domestico-patrimoniale
nel monastero di San Pietro in Perugia, Perugia, 1915.

?)) Basta al riguardo ricordare la devastazione e l'incendio ai quali
furono sottoposti i locali del monastero da parte dei perugini vendicatori
di Biordo Michelotti nel 1398.

29) I primi libri contabili completi conservati nell’archivio risalgono
precisamente al 1461.

®°) A tale riguardo sino dai primi contratti enfiteutici conservati nel-
DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 333

l'archivio (cfr. LECCISOTTI-TABARELLI, Op. cit., It, p. 230) risulta che ve-
niva impedita ogni alienazione che non fosse stata notificata al monastero
con tre citazioni, di 10 giorni ciascuna. Il monastero poteva esercitare di-
ritto di prelazione ; in tal caso aveva il privilegio di riscattare il fondo pa-
gando due soldi di meno per ogni libbra del prezzo che l'enfiteuta aveva
ottenuto da altri.

*?) Abbiamo parlato di valutazione perchè non in tutti gli atti enfiteu-
tici viene riportata la superficie precisa. In ogni caso si puó giungere ad una
stima della medesima facendo riferimento al canone fissato.

3) Nei riguardi dell'aratura viene precisato che questa deve essere
effettuata, secondo la dizione usata nei contratti, «almeno a tre solchi ».
Il che significa che non deve essere troppo superficiale, ma deve raggiun-
gere una certa profondità.

?*3) Quest'ultima forma prendeva negli atti la curiosa denominazione
di «affitto d'enfiteusi ».

84) Anche in questo caso per taluni terreni non si ha la misura esatta,
che peró puó con notevole approssimazione essere desunta dal canone.

35 LECCISOTTI-TABARELLI, Op. cil., 1, pp. 158-159.

35 Ibid 1, “ppi, 160-107:

37) È noto infatti che a guisa di altri anche il giovane Comune di Pe-
rugia sin dagli inizi del sec. xm aveva promulgato particolari disposizioni
secondo le quali i servi che avessero abbandonato il fondo rifugiandosi in
città, potevano, dopo un certo periodo, acquisire la condizione di uomini
liberi.

38) LECCISOTTI-TABARELLI, Op. cit., 1, pp. 167-182.

?**) In un contratto del 1591 è detto « che se alle volte piacesse al P. Cel-
lerario raffermare dette terre senza alcun contratto s’intendono ben raffer-
mate con li patti convenuti nel presente capitolo ».

40) Nel contratto già ricordato viene esposta questa clausola : « sia lecito al
Cellelario vedendo le terre mal lavorate da lavoratori et non essere obbe-
dienti detti lavoratori di togliere li poderi o quanta quantità di terra gli
parerà et darla a chi piacerà ad esso cellerario etiam fra anno ».

41) MONTANARI, Op. cit., p. 151.

asy Ibid... pi t5lt.

43) La selva dell'abate nei pressi di Perugia, divisa in selva piccola e
selva grande, viene ricordata per essere in parte costituita da essenze re-
sinose d'alto fusto come: pini, larici e abeti, che venivano utilizzate per le
grandi travature ai tetti della chiesa e del monastero.

44) Nel 1786 nella sola tenuta di Casalina esistevano ben 9724 gelsi,
dei quali 8262 in produzione, 1347 in allevamento e 115 vecchi cadenti.

45) Visita de’ beni del monastero di S. Pietro consistenti nei beni adia-
centi ed in quelli delle due Corti, cioè Casalina e S. Apollinare, fatta negli anni
1787 e 1788, p..113 (L. E.,231, Arch. st. S. Pietro). :

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334 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

** M. BANDINI, Politica Agraria, Bologna, 1966.

4?) Ricordi dal 1612 al 1616, cc. 139v, 142r (Diversi 111, Arch. st.
S. Pietro).

48) Ibid., cc. 107v, 109v.

4°) M. Bir, Memorie storiche del monastero di S. Pietro di Perugia,
ms., par. I, p. 174 (Arch. st. S. Pietro).

30): Ibid. p.:174.

3) E noto che il mais, pianta di origine americana, fu introdotta in
Italia dalla Francia intorno al 1532. Coltivata inizialmente come erbaio,
già nel 1554 nel Polesine e nel basso Veronese aveva assunto notevole dif-
fusione e veniva utilizzata per la granella.

5) MONTANARI, Op. cit., p. 160.

53) Il rubbio romano equivaleva a 4 mine e quindi ad ettari 1,7496.

BANDINI. — Io credo che la relazione del prof. Guerrieri si pre-
senta da se stessa, e gli applausi di cui gli avete dato testimonianza
dimostrano il modo in cui è stata fatta l’eccellente esposizione. Permet-
fetemi di aggiungere qualcosa : questa relazione — e i reverendi Padri
mi permettano di prendere a prestito qualcosa da loro — non è qualcosa
che chiude, ma qualcosa che apre. Le osservazioni fatte sono molto
interessanti, svelano molti aspetti della tecnica agraria e delle trasfor-
mazioni sociali nella lunga epoca di vita della Fondazione Agraria,
e ci portano veramente la sensazione di continuare. Ora, siccome mi
avete messo a questo posto, vorrò concludere a mia volta le conclusioni
generali con qualche proposta pratica; mi concederete alla fine non piü
di dieci minuti. Do ora la parola al prof. Penco, che deve svolgere la
sua relazione.

Forme ascetiche e pratiche penitenziali
nella tradizione monastica

Nel quadro delle ricerche particolari intese ad approfondire
alcuni aspetti della millenaria vita di S. Pietro di Perugia sul piano
storico, economico ed artistico, é parso opportuno inserire anche
un'indagine di carattere piü generale e di impostazione dottrinale.
E ciò per un duplice motivo : innanzi tutto quasi per un più esplicito
richiamo, al termine del Convegno, a quei valori spirituali già rile-
DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 335

vati all'inizio dal prof. Morghen, proprio a ricordare che la vita piü
vera di una istituzione religiosa, monastica, benedettina non puó
considerarsi esaurita in imprese di carattere economico, artistico o
culturale. È anzi questa la prima fase, la fase storico-sociologica
— tanto cara alla storiografia romantica — della riscoperta odierna
della tradizione monastica, a cui peró gli attuali orientamenti storio-
grafici chiedono un'integrazione sempre piü vasta e sensibile ai
valori spirituali. E in secondo luogo per ricollegare idealmente
anche il nostro Convegno perugino ai tanti che, negli anni scorsi,
in questa stessa regione — a Spoleto, a Todi, a Gubbio — hanno
rilevato e al tempo stesso rinfocolato l’interesse verso i multiformi
aspetti della storia e della spiritualità monastica del Medio Evo
cristiano.

*
* *

Una visione d’insieme, per quanto limitata e sommaria, delle
varie pratiche e concezioni ascetiche sviluppatesi in seno alla tra-
dizione monastica occidentale non può evidentemente consistere
soltanto in una indagine, sia pure attenta e comprensiva, di ciò
che potremmo chiamare una «fenomenologia della penitenza » per
opera del monachesimo. Innanzi tutto perchè quest’ultimo costi-
tuisce primariamente un movimento ideale ed una corrente spiri-
tuale, e si alimenta perciò di presupposti dottrinali e biblici, richia-
mandosi costantemente — e poco importa se il più delle volte solo
in maniera implicita — ad una vera e propria « teologia della peni-
tenza ». È su di essa che hanno insistito infatti con particolare ac-
cento i grandi padri e dottori del monachesimo al fine di riscoprire
e di ribadire — contro ogni deviazione pratica o dottrinale, in difetto
o in eccesso — il vero senso della penitenza cristiana e monastica
nella multiforme varietà delle sue espressioni e dei suoi moventi
spirituali 1).

Inoltre, se le indicazioni fornite dalle fonti storico-letterarie
provenienti dai diversi ambienti e momenti del monachesimo cri-
stiano sono al riguardo, come é ben noto, straordinariamente ab-
bondanti *), anche su questo piano, imbattendoci in descrizioni o
in esortazioni che possono sembrarci eccessive o anguste, é neces-
sario ricordare in proposito il peso, spesso determinante, dei luoghi
comuni e della relativa tradizione letteraria e spirituale, quanto
alle varie forme di esagerazione e di stilizzazione. Coloro che parlano

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336 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

o che scrivono su tali argomenti, con tono e fine diversi a seconda
dei differenti generi letterari e dell'uditorio a cui si rivolgono, sono
per lo più i padri stessi e i maestri della vita monastica, e ne rap-
presentano perció le punte piü avanzate e significative. Dietro di
loro sta tutta la grande moltitudine dei minori o degli sconosciuti
che si sono certamente ispirati a quell'insegnamento e lo hanno
attuato in misura piü o meno larga e fedele a seconda di tanti fattori
costituiti dalle diverse esigenze di formazione personale, di abi-
tudine e di capacità spirituale. Inoltre, proprio in quanto mirante
a tradursi in una prassi, l'ascetismo cristiano non è limitato né
limitabile alle testimonianze di carattere storico-letterario le quali
| ne hanno solo fissato qualche momento o ne hanno riferito qualche
il espressione più significativa senza pretendere di esaurirne la straor-
dinaria vitalità.

i Anche in questo settore della vita monastica si è verificato
I ció che é constatabile in quello affine, relativo alla preghiera e alla
Î contemplazione : si va da un massimo di intensità e di continuità
corrispondente al fervore eroico delle origini ad una pratica più
equilibrata ed armonica, passando dai testi legislativi (Regole e
Consuetudini) ai trattati dottrinali, dalle usanze transitorie ed
isolate ad altre più stabili e durature, una volta che l’ascetismo
cristiano, in quanto istituzione storica, ha trovato la propria chiara
funzione in seno alla società ecclesiale *).

L'insieme delle pratiche penitenziali costituisce ciò che i primi
monaci chiamano la vita actualis (o «attiva »), somma di « esercizi »
di varia indole ed intensità destinati a combattere i vizi e ad acqui-
stare le virtü, quale preparazione e presupposto della vita con-
ii templativa o mistica, in cui culmina tutto l’itinerario spirituale
dell'anima. Ogni forma ascetica e penitenziale, per quanto aspra
e severa, deriva il suo significato da codesto fine a cui essa tende
| logicamente, giacché non ha scopo né senso per se stessa. La sua esi-
il stenza è invece occasionata e legittimata dal desiderio di riconqui-
stare una posizione perduta e di ristabilire un equilibrio che la rive-
IH lazione cristiana insegna infranto dal peccato e quindi sempre insta-
| bile e precario. Se infatti molti di tali esercizi ascetici sono material-
mente riscontrabili in forme assai simili anche nelle varie religioni,
specialmente in quelle superiori, giacché l'indole dell'uomo rimane
| sempre la stessa, dobbiamo proprio ai maestri dell'ascesi cristiana
| le piü esplicite e consapevoli affermazioni circa la loro relatività
e la loro piena validità solo se messe al servizio dell'ideale cristiano *).

LIEU
DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 337

Di qui la lotta contro gli « otto vizi » frequentemente descritta,
nella tradizione occidentale a partire da Cassiano, in numerosi trat-
tati 5), e la prosecuzione di un impegno che intende approfondire
e ribadire la consacrazione avvenuta nel Battesimo. Se condizione

necessaria di quest’ultimo, secondo il frequente monito evangelico,

è la metánoia o «conversione » ai fini dell'ingresso nel Regno di
Dio °), ne deriva logicamente il concetto o-züeglio il tema spirituale
della vita ascetica e monastica come «secondo Battesimo ?), in
quanto condizione permanente di penitenza e di abrenuntiatio. Ed
è questo il motivo per cui i primi monaci hanno anche assunto il
nome di abrenuntiantes o apotaramenoi *), riprendendo uno dei
termini tecnici dell'iniziazione cristiana. In epoche in cui l'impegno
battesimale é scorto in tutta la sua esigenza dinamica di rinnova-
mento interiore, il passaggio dallo stato secolare a quello monastico
viene considerato ovviamente con la massima naturalezza ed ur-
genza escatologica. Come già nel rito battesimale — « consepulti
enim sumus cum illo per baptismum in mortem » (Gal. 3, 27) — cosi
mediante l'aggregazione allo stato monastico il fedele è infatti di
nuovo immerso misticamente nella morte del Cristo, di cui tutto
ora gli parlerà allo spirito, fino alle più minute osservanze claustrali
del cui simbolismo tanto si compiacquero gli autori del Medio Evo.

In tal modo al monaco è possibile, anzi, doverosa, quella « imi-
tazione di Cristo » in cui si riassume tutta la dottrina ascetica del
Nuovo Testamento *). E poiché il Cristo, annunziato dal profetismo
dell'antica Legge quale vir dolorum (Isaia, 53, 3), è il centro di tutta
l'economia salvifica e la sua Croce, quasi albero cosmico, abbraccia
tutte le dimensioni dell'universo e della storia; impegnarsi alla sua
imitazione significa anche mettersi alla scuola dei grandi modelli
di perfezione che lo hanno preceduto ed annunziato, i profeti, di
cui lo stesso Nuovo Testamento ricorda che vissero nelle spelonche
e nei deserti, rivestiti di pelli e. perseguitati dagli uomini (Hebr.
11, 37-38). Modello ideale di questa ascesi profetica e « monaco del
Nuovo Testamento » è in particolare S. Giovanni Battista, al cui
esempio si rifaranno nel decorso dei secoli tutti i teorici della tradi-
zione monastica 1°).

Riallacciandosi in tal modo ai più alti esempi ascetici della
tradizione biblico-evangelica, il monachesimo vuole tenere desta
nella società ecclesiale la tensione delle origini, in cui l’ingresso
nella Chiesa era preceduto dal lungo e laborioso periodo del cate-
cumenato, strettamente congiunto a sua volta con la disciplina
338 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

quaresimale. Proprio a causa di tale intimo rapporto S. Benedetto
dichiara che tutta la vita monastica dovrebbe essere contrassegnata
dal carattere penitenziale della Quaresima, cosi come quest'ultima,
nello spirito della liturgia e dell'ascesi, vuole riprodurre il classico
periodo di purificazione e di penitenza vissuto dal popolo ebraico
nei quarant'anni di peregrinazione attraverso il deserto nonché
la quarantena trascorsa dal Cristo nella solitudine e nella tenta-
zione *). Alla penitenza del periodo del catecumenato va pure stret-
tamente congiunta la catechesi mediante cui il candidato si impegna
all'apprendimento della legge di Dio e allo studio della Regola,
in base ad una particolare disciplina che richiama in qualche modo
quella a cui è sottoposto il catecumeno ?).

Ma l'ascesi monastica si riporta alle origini cristiane anche e
soprattutto perchè il monaco è l'erede ed il prosecutore del martire,
secondo una dottrina unanimemente condivisa e ribadita dai padri
monastici d'ogni epoca e ambiente !?). Anche per tale via veniamo
ricondotti al fondamentale tema della conversio battesimale e al-
l'impegno penitenziale che ne deriva, giacché il martirio, quale
lavacro di rigenerazione nel sangue, é l'espressione piü evidente
e concreta di quella morte che si realizza misticamente nel Batte-
simo stesso. Partendo da codesti presupposti spirituali si intenderà
agevolmente come la vita monastica, in base ad una profonda sup-
plenza interiore, abbia tenuto luogo talvolta della vera e propria
vita sacramentale e liturgica, resa spesso impossibile dalle circostanze,
e sia stata addirittura considerata superiore ad essa, perché appunto
destinata ad offrire a Dio un sacrificio spirituale, consumato «in
ara cordis » **).

L'ascesi penitenziale cristiana e monastica possiede pure un
valore escatologico, perché l'eliminazione del peccato dal mondo
e la conversione degli infedeli attraverso il sacrificio personale e
nascosto deve accelerare il ritorno glorioso del Cristo nel mondo
sottomesso ormai alla sua volontà !5). Una simile opera si attua
mediante la sofferenza del fedele che, con la propria « passione »,
viene incorporato in quella di Cristo 19) e si inserisce così nel più
vasto piano salvifico o soteriologico, da cui nasce l'umanità nuova,
perfettamente docile alla grazia battesimale. Ma, come si può consta-
tare per il parallelo mondo della preghiera, sarebbe esagerato voler
affermare che la coscienza comunitaria inducesse i primi monaci
al fervore spesso eroico delle loro pratiche penitenziali unicamente
in base ad un criterio ecclesiologico, al fine cioè di offrire e di inter-
DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 339

porre la propria sofferenza per la salvezza spirituale dei fratelli. Il
carattere individuale ed espiatorio dell'ascesi, insieme con quello

pedagogico e medicinale, rimane infatti prevalente, senza che sia

possibile cogliere — almeno in misura sensibile — questa particolare

sfumatura «apostolica », maturatasi in epoche piü recenti. Con

ció si puó spiegare pure la parte avuta dai monaci, ad esempio da
S. Colombano, nella compilazione dei libri penitenziali e l'influsso
determinante sulla cosiddetta penitenza privata 1).

Più largamente e remotamente attestato è invece il concetto
del monaco quale «pubblico penitente », in quanto l’ingresso in
monastero, fin dall’antichità e dall’alto Medio Evo, veniva talvolta
considerato come il mezzo più idoneo per praticare la penitenza
canonica imposta solennemente dall’autorità ecclesiastica 1), cosi
come nell’antichità cristiana la penitenza pubblica dei fedeli avvi-
cinava questi ultimi ad un tenore di vita pressochè identico a quello
dei monaci : e forse anche per questo remoto legame ideale trai due
stati di vita (il monaco come penitente pubblico), i primi asceti si
ritenevano indegni di accedere agli ordini sacri 1°), dimodochè l'ordo
poenitentium e l’ordo monachorum, pur socialmente differenziati e
distinti, si presentavano dal punto di vista spirituale assai affini.
Solo nel sec. xvii le rinfocolate correnti ascetiche che daranno vita
alla riforma della Trappa indurranno l'abbate Rancé a riprendere
questo tema in tutto il suo rigore, giungendo perfino a considerare
il monaco come un carcerato volontario che si imprigiona delibera-
tamente per espiare, anche di fronte alla società civile, la propria
« criminalità » 2°).

Un'ulteriore e ultima sfumatura spirituale, diffusasi special-
mente a partire dal sec. xr, è quella che intende attribuire alla prassi
ascetica e penitenziale anche un fine devozionale, il desiderio cioé
di rivivere i singoli momenti della Passione del Signore, di assaporare
i suoi dolori fisici e spirituali, di ricevere le sue piaghe e le sue umi-
liazioni, di essere presente e partecipe alla sua agonia. Anche questa
componente ideale non mancava certo nella spiritualità monastica
dei primi secoli, ma a partire dall'epoca romanica essa viene quasi
isolata da tutto il contesto ascetico tendendo a trasformarsi sempre
piü in un aspetto autonomo, alimentato dalla crescente devozione
all'umanità di Cristo. Così, di S. Domenico Loricato S. Pier Da-

miano poteva dire che « stigmata Jesu portavit in corpore et vexillum -

Crucis non tantum in fronte depixit, sed cunctis etiam undique
membris impressit » ?). E le testimonianze potrebbero moltiplicarsi

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340 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

senza numero, sempre in base alla profonda convinzione dell'unità
del sacrificio di Cristo con quello dell'anima fedele **). Da un acuto
senso della Passio Domini, attestato da tanti documenti monastici
d'ogni genere — spirituale, agiografico, drammatico — ad un piü
vivo senso della compassio mediante qualche pratica afflittiva o
qualche applicazione devozionale alle diverse ore della preghiera
il passo è breve: e da ciò deriva quella particolare sensibilità reli-
giosa che la corrente cisterciense trasmetterà alla scuola francescana
e poi alla devotio moderna.

*
* *

Su di uno sfondo spirituale così vivamente ed unanimemente
interessato ai problemi dell’ascesi e della penitenza da rendere assai
precario, al riguardo, ogni tentativo di periodizzazione, apparirà
ben naturale come tutto, nella tradizione monastica, venga consi-
derato alla luce di codesti principii ascetici.

Già l'elemento più esterno ed ambientale, la dimora stessa dei
monaci, quale che ne sia la forma o la grandezza, viene per lo più
concepito come luogo destinato appositamente all’espiazione e alla
mortificazione. Quante volte nelle cronache dei monasteri, negli
atti di fondazione, nelle vite di monaci ed abbati è constatabile
una simile insistenza su questo aspetto penitenziale : luoghi deserti
ed inaccessibili, selvaggi ed inospitali, freddi e malsani, dimore
costituite spesso, almeno in origine, da capanne o da tugurii o spe-
lonche, di cui nella toponomastica mediterranea è rimasta la carat-
teristica attestazione di valva o arma nel significato precisamente
di grotta eremitica 25). È il «locus horroris et vastae solitudinis »
della tradizione biblica ?**), su cui sembra gravare il peso della male-
dizione perchè ancora preda dei culti idolatrici, o il sepolcro nel
quale l’asceta si rinchiude ad imitazione del Cristo deposto dalla
Croce, in attesa della Resurrezione gloriosa ?°).

L'ideale ascetico della ristrettezza dell'abitazione — la steno-
choreia — vale non solo per le correnti eremitiche ?**), ma anche per
gli ambienti cenobitici: e se, a partire da S. Benedetto, si passa
dalla cella isolata degli antichi padri al dormitorio comune per poi
ritornare, nel sec. xv, per influsso dell'individualismo umanistico,
alla cella separata ?), ciò avviene sempre in base ad un preciso
programma ascetico. Ne fanno fede le giustificazioni dottrinali,

più abbondanti nei secoli xi-xir. Per Pietro di Celle il cenobio ri-

— DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 341

veste uno specifico fine penitenziale, è il « vicarium -crucis » **).
S. Bernardo, rivolgendosi ad Aelredo di Rievaulx, gli ricorda che
il monastero non é luogo di comodità e di agi, ma di lavoro e di
fatica, giacché ivi «inter rupes et montes agrestis et rusticus victi-
tans, pro diurno pane in securi desudes et malleo, ubi magis discitur
silere quam loqui, ubi sub habitu pauperum piscatorum coturnus
non admittitur oratorum »?*). Adamo di Perseigne si dichiara ben
lieto di abitare il « Cisterciensis philosophiae tugurium » *?)) e Gu-
glielmo di S. Thierry, contro ogni ricerca di mondanità negli edifici
claustrali, elogia coloro che amano anche in ció la sancía simplicitas
e la povertà ?). Quale che sia stato, particolarmente presso i me-
dievali, il senso della natura e delle sue bellezze, essi non se ne dimo-
strano affatto schiavi: e se l'ambiente monastico suggerisce talvolta
alla loro riflessione spirituale l'immagine del Paradisus claustri, si
tratta di una condizione anticipatoria e quindi escatologica, di uno
stato e non di un luogo, tuttora sovrastato dall'albero salvifico
della Croce ?).

Certo, non tutte le pratiche e le prove ascetiche del monache-
simo antico o orientale, spesso di una crudezza estrema, vennero
accolte e assimilate da quello occidentale, particolarmente da quello
legato alla Regola di S. Benedetto: basta pensare alla singolaris-
sima esperienza degli stiliti o ad altri tentativi del genere nella lotta
contro il sonno o nel rifiuto degli agi della comune convivenza. Ma
la stessa tradizione monastica facente capo alla Regola benedettina,
almeno a partire dal sec. viri proprio per i suoi profondi adden-
tellati con il monachesimo delle origini e per il suo incitamento
esplicito a superare la norma ordinaria fissata per tutti **), era desti-
nata ad accogliere largamente e a favorire molte di codeste forme
ascetiche, al punto che nel monachesimo occidentale é praticamente
impossibile distinguere e separare l'influsso benedettino da quello
della piü generale tradizione monastica : ed é merito dei piü recenti
studi al riguardo l'avere riaffermato in sede storiografica questa
solidarietà al di sopra delle regole e delle osservanze ?*).

E ben noto d'altra parte come, in Occidente, una corrente
monastica, quella irlandese, fosse pure caratterizzata da una parti-
colare asprezza penitenziale: ma anche in questo caso l'influsso
sulla tradizione continentale e benedettina fu notevole. Basta pen-
sare alla pratica del nudipedio o gimnopodia, che certo non è pre-
vista da S. Benedetto e anzi è da lui positivamente esclusa ?5), e
che invece in seno al monachesimo celtico e irlandese godeva di

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342 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

uno straordinario favore *°). Né tale pratica, come si potrebbe pen-
sare, è riscontrabile solo presso la corrente romualdino-camaldo-
lese 3°) e in particolare presso S. Pier Damiano ?*) o gli eroi da lui
celebrati 3°). Come per altri casi del genere, una simile usanza è
infatti attestata dalle fonti piü diverse per epoca e localizzazione
geografica. Già ai primordi del monachesimo occidentale la si ri-
scontra in un contemporaneo di S. Benedetto, S. Severo di Agde **),
né si tratta certo di un caso isolato. Circa mezzo secolo dopo, a pro-
posito di S. Amato, vengono fornite ulteriori indicazioni, giacchè
tale santo « calciamentis nullo ibidemque tempore utebatur. Locellus
autem. in quo ad molendum pedes extendere consueverat, minutis
et acutissimis lapillis repletus erat» *). Come molti altri santi mo-
naci dei secoli virr-x, anche S. Landeberto di Utrecht pregava di
notte davanti alla Croce a piedi nudi *). |

E peró innegabile che, al pari di analoghe forme penitenziali,
una simile tendenza si accentua a partire dal sec. x1 : ne dà l'esempio,
dal canto suo, il grande rappresentante della riforma ecclesiastica
lorenese S. Leone rx *), imitato da una lunga serie di asceti di
quell'epoca ‘*), tra cui basterà ricordare specialmente il celebre
abbate Benedetto di S. Michele delle Chiuse **) o S. Adelelmo, pre-
sentato dai testi agiografici come «nudis pedibus, corporis mace-
ratione languidus » **). E l’intera congregazione monastica italica
di Pulsano seguirà poi questo uso con a capo S. Giovanni da Matera.
Su di una simile pratica penitenziale si innesta talvolta un intento
devozionale, come nel caso di S. Pietro Orseolo che, alla vista del
monastero pirenaico di Cuxá, come Mosé sul monte, « discalciatis
pedibus nititur velut quadrupes carpere gressum adeuntis coe-
nobii» ^), atteggiamento spirituale di cui non tarderà a sorgere
una sorta di giustificazione ai fini di una maggiore interiorità **).

In maniera del tutto naturale la pratica del nudipedio richiama
un'altra forma ascetica, quella della peregrinatio, anch'essa a prima
vista esplicitamente esclusa dalla Regola di S. Benedetto, in forza
del principio della stabilitas, formante addirittura oggetto di un
voto **). Eppure, anche in questo caso, il mondo monastico medie-
vale prosegue e sviluppa in maniera del tutto ovvia e legittima
aleune costanti della spiritualità biblica e patristica, in base alle
quali il cristiano è e si sente un pellegrino, uno straniero in questo
mondo. Tale presupposto spirituale si traduce spontaneamente, nel
campo ascetico, nella pratica della peregrinatio, che è ben altra cosa
dal pellegrinaggio, giacché quest'ultimo tende di per sé ad una

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DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 343

méta determinata, costituita per lo piü da un santuario. La pere-
grinatio monastica nasce invece non da un presupposto devozionale
bensi da un movente penitenziale, dal desiderio cioé di abbando-
nare gli agi e la sicurezza della propria patria per avviarsi verso
nuovi paesi e distaccarsi da ogni cosa. Venendo via via a contatto
con altri popoli ed ambienti, tosto lasciati per la ricerca di una piü
completa solitudine, l'asceta avverte in pieno il senso della preca-
rietà dell'esistenza : ne ignora la lingua e le usanze, non vi gode,
proprio in quanto straniero, di alcun diritto, ma anzi è esposto ad
ogni pericolo e ad ogni privazione. In tal modo egli diviene un esi-
liato volontario che è conscio di non possedere alcuna patria quaggiù.

La stessa predicazione itinerante, largamente perseguita da
codesti peregrini provenienti da tutte le regioni dell'Europa medie-
vale, rimane qualche cosa di occasionale e di sporadico, non rien-
trando in alcun piano di evangelizzazione o di missione. Caso mai il
movente ideale piü profondo é dato dal desiderio di incontrare il
martirio in terra pagana, come è attestato particolarmente nella
corrente di S. Romualdo, che anche sotto questo rispetto si presenta
come uno dei momenti cruciali dell'esperienza monastica del pieno
Medio Evo. La vita di codesti peregrini mira in sostanza a distac-
care i monaci che la conducono dal loro contesto sociale e ambien-
tale, dal «gruppo » il cui vincolo è così forte nelle civiltà primi-
tive 5°). Come è comprensibile, simile tenore di vita è inscindibile
dalle più aspre penitenze fisiche, prima fra tutte l’incertezza del
sostentamento e la consuetudine di viaggiare senza l’aiuto di caval-
catura.

Per una profonda legge di affinità spirituale, l’ideale ascetico
della peregrinatio è a sua volta strettamente connesso con un’altra
forma monastica apparentemente trascurata o superata anch'essa
dalla ‘Regola di S. Benedetto, l’eremitismo. Gli asceti che abban-
donano la patria divenendo così dei peregrini, mirano infatti a diven-
tare dei solitarii che indirizzano tutta la propria esistenza alla ri-
cerca di Dio solo («soli Deo »). La solitudine eremitica è perciò inse-
parabile dalla peregrinatio, appunto perchè la custodia della prima
induce il peregrinus ad un pressochè continuo cambiamento di luogo,
così come la pratica della peregrinatio esige un distacco incessante,
un passaggio dalla normale condizione cenobitica a quella eremitica.
Anche l'eremitismo, pur nella grande varietà delle sue forme orga-
nizzative e dei suoi indirizzi spirituali, appare sempre piü chiara-
mente come un fenomeno diffuso in ogni àmbito e momento del

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344 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

Medio Evo cristiano fino alle soglie dell'età moderna, attraverso
una continuità ininterrotta che congiunge i padri del deserto con la
rinascita dei secoli x-xr, senza alcuna sostanziale frattura o lacuna,
per quanto ce lo consente una conoscenza resa evidentemente piü
difficile dalla singolarità stessa delle rispettive fonti *).

Il fine ascetico di tale genere di vita è evidente, ed è già rile-
vato da S. Benedetto (Regula, c. 1), anche se di per sé l'eremitismo
é destinato ad attuare quella perfezione superiore (la vita contem-
plativa) di cui ogni ascesi costituisce solo il presupposto. Secondo
la tradizione monastica la vita nella solitudine rappresenta la prova
piü ardua per l'asceta a cui perció egli puó accedere normalmente
solo dopo aver fatto le sue prime armi nel cenobio, concepito anche
per questo come una schola. Neppure tale pratica è di per sè continua
e assoluta, ma temporanea e intermittente, potendo essere seguita
anche da cenobiti specialmente nel tempo quaresimale, in cui la
penitenza rivendica tutta la sua primitiva austerità *). Particolar-
mente il vitto è rozzo e austero, attinto da ciò che la natura stessa
può fornire, come erbe e radici **). L'isolamento materiale e la pri-
vazione di ogni conforto umano vogliono rinnovare il mistero della
tentazione di Cristo nel deserto e mirano a raggiungere quella libertà
spirituale e quel fervore penitenziale resi spesso difficili dalla vita
comune del monastero 5**). Tutto ciò si attua in una povertà più
rigorosa e in modo speciale nell’applicazione al lavoro, divenuto
per gli eremiti una sorta di peculiarità 5), una volta portata al
massimo della concretezza quella « separazione dal mondo » in cui
deve esercitarsi tutta l’esperienza del combattimento spirituale 5°).
Quando poi questa solitudine eremitica diviene totale e perpetua,
si ha la reclusione volontaria, fiorente in modo particolare negli
ambienti monastici del basso Medio Evo 57).

Una simile concezione agonistica non conosce limiti nè di tempo
nè di modalità, esprimendosi in forme che, pur remote dalla menta-
lità odierna, ne rilevano tutto lo slancio interiore. Tra l’altro, un
uso largamente propagato dai monaci celti e tosto diffusosi anche
nei vari ambienti occidentali è quello dei bagni freddi in pieno in-
verno 55), come si desume dalla vita di S. Bernardo 5°) e, per l'am-
biente monastico italico, da quella di S. Giovanni da Matera 9°).

Ma, tra codeste forme penitenziali di carattere piü personale e
libero, una sembra acquistare una posizione di favore: la prassi
della flagellazione volontaria. Ben nota ai primi asceti dell'Oriente
e dell'Occidente, imposta dai libri penitenziali dell'alto Medio Evo
DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 345

come punizione per i peccati propri o altrui, essa riveste tuttavia
agli occhi dei suoi promotori un preciso carattere spirituale : l'imi-
tazione del Cristo sottoposto alla pena della flagellazione. Tale
pratica era talmente diffusa che alla metà del sec. x1 S. Pier Da-
miano poteva svilupparne una illustrazione dottrinale e teologica
insistendo sul tema della partecipazione alla Croce come pegno
della gloria celeste e sul rinnovamento spontaneo del martirio anche
in tempo di pace per la Chiesa. Tutto ció mira ad ottenere il perdono
dei peccati espiati proprio attraverso l'afflizione fisica ed il pro-
fondo senso religioso della condizione umana *).

Una considerazione al tempo stesso realistica e spirituale di
quest'ultima induce l'ascetismo cristiano a non trascurare nessun
aspetto che in qualche modo abbia relazione con la concreta esi-
stenza di ogni giorno, alla ricerca di un equilibrio di cui lo stesso
uomo moderno avverte l'esigenza e la difficoltà. È per questo che
i padri antichi e medievali hanno praticato e celebrato cosi alta-
mente il digiuno *), specialmente nei periodi più sacri dell'anno,
come la Quaresima, alla quale spesso parecchie altre se ne aggiun-
gevano. Tale prassi consisteva essenzialmente nel ridurre il numero
delle refezioni giornaliere spostando per lo più quella del mezzo-
giorno verso la sera. Ma, anche qui, le necessità del lavoro e del
servizio verso i fratelli non facevano dimenticare la possibilità di
un «supplemento », la cui somministrazione veniva anch’essa minu-
tamente precisata *). E gran parte delle Consuetudini medievali è
appunto destinata a fissare un ordo convivii **) a cui tutta la comu-
nità possa attenersi.

Strettamente congiunta alla penitenza nell’alimentazione è
quella relativa al sonno, problema variamente risolto dai diversi
legislatori e ancor più dalle singole individualità ascetiche special-
mente in rapporto alla preghiera notturna. Ciò appare tanto evidente
da rendere addirittura un luogo comune della letteratura agiografica
il particolare del monaco che anticipa per conto proprio le vigilie
e si trattiene in coro anche dopo che l’ufficio è finito. Per quanto
la preghiera liturgica della notte mirasse primariamente alla santi-
ficazione di questo tempo e non ad altro scopo penitenziale, indiret-
tamente essa si risolveva in una diminuzione del sonno, tanto più
sensibile quanto più la salmodia tenderà a farsi lenta e « prolissa » *5),
a danno spesso dell’altro elemento base della giornata monastica,

. il lavoro.

Tutto ció, per giunta, si svolge in un particolare clima reli-

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346 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

gioso di cui é custode il silenzio, concepito non solo in funzione
ascetica ma anche spirituale e contemplativa, e attuato spesso in
base ad una minuta disciplina, il cosiddetto «linguaggio silen-
zioso » 9°).

Ed è il clima nel quale il monaco, oltre che pregare, deve lavo-
rare, ottemperando così a quel generale comando imposto al genere
umano quale pena del peccato. Il fine ascetico del lavoro monastico
è evidente, giacchè si tratta di una pratica essenzialmente e prin-
cipalmente religiosa — la fuga dell’ozio — i cui frutti mirano anche
al sostentamento dei poveri *) e i cui concomitanti di indole eco-
nomica e produttiva, spesso così notevoli, acquisteranno un va-
lore a sè solo in un secondo tempo, nè sempre a vantaggio del carat-
tere religioso del lavoro stesso. Nè dobbiamo pensare, in proposito,
soltanto al rude lavoro agricolo o artigianale. Anche altri tipi di
attività, più prossimi a quella intellettuale, acquistano un carat-
tere di penitenza, esplicitamente sottolineato dagli interessati. Si
pensi alla trascrizione dei manoscritti e al travaglio o addirittura
al « tormento » che essa richiede dal copista, come afferma un mo-
naco del sec. rx, Arduino di S. Wandrille : « qui nescit scribere factu,
Scire eciam potuit numquam tormenta laboris » **). |

Come è ovvio, al lavoro è intimamente unita la povertà, quale
movente ascetico del lavoro stesso. Benchè in seno al monachesimo
una teoria relativa all’ascesi della povertà si sia formata abbastanza
tardi nè se ne faccia cenno nelle antiche formule di professione giacchè
la rinuncia ai propri beni mirava innanzi tutto a riprodurre ideal-
mente la comunità cristiana dell'era apostolica, anche tale prassi
sì risolveva in una forma penitenziale, mirando a quello spoglia-
mento da ogni cosa di cui già S. Girolamo diceva che « nudos amat
eremus » **). E ciò sia al fine di combattere più speditamente con
l'avversario *?), sia per il desiderio di imitare più perfettamente il
Cristo, fonte di ogni ricchezza spirituale e divenuto per amore degli

x

uomini privo di ogni bene "). La vita monastica è infatti inconce-

x

pibile senza la povertà *) e quest’ultima è inseparabile dalla Croce
di Cristo : la concatenazione di questi diversi concetti è efficace-
mente rilevata in un testo relativo a S. Angilberto, in cui si dice che
il santo aveva intrapreso la vita monastica affinchè « abdicatis
mundanis honoribus cum suis illecebris, crucem Christi baiulandam
in contubernio pauperum, id est monachorum, pauper et ipse tota
virtute acciperet » 7). La considerazione dell'umanità di Cristo e

della sua Passione suggerisce a Guerrico d'Igny l’immagine del

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DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 347

costato trafitto: «De vulneribus humanitatis sanguis et aqua :
sanguis in voluntario paupertatis martyrio, aqua in lacrymis piis p 4).
Riecheggiando anche in questo tutta la tradizione precedente S. Ber-
nardo poteva affermare in proposito: « Ordo noster abiectio est,
humilitas est, voluntaria paupertas est»'*), aggiungendo in altra
occasione : « Labor et latebrae et voluntaria paupertas, haec sunt
monachorum insignia, haec vitam solent nobilitare monasticam » 9).

Povertà e umiltà, ribadite dalle innumerevoli prescrizioni 0
osservanze claustrali di ogni tempo e dalle stesse esigenze della vita
comune nei suoi vari aspetti regolari, disciplinari, spirituali. Se
tutto ció puó particolarmente colpire l'uomo moderno, bisogna
ricordare come ogni autentica ascesi cristiana e monastica non
intende pronunciare in ultima analisi alcun giudizio di valore sulle
realtà che essa respinge o supera: è dell'agire umano in concreto
che essa si occupa, vivificando tutte le prescrizioni con la discretio
ed escludendo per ciò stesso ogni forma di moralismo. Al di là di
ogni sforzo ascetico anche il più aspro e gravoso, la tradizione mo-
nastica dell'Oriente e dell'Occidente ha mirato a condurre le anime
alla più piena libertà spirituale e a riconoscere innanzi tutto l’amore
del Padre nel Cristo Crocefisso per essere invasi dal suo Spirito
vivificante, ed entrare così nella gioia e nella pace.

NOTE

7) Per una prima messa a punto di carattere spirituale v. B. CALATI, La
penitenza nel monachesimo, in Tabor, 9 (1955), pp. 301-317 ; ai vari problemi
della penitenza cristiana è dedicato tutto un fascicolo della « Rivista di vita
spirituale », 19 (1965), pp. 137-348.

?) Per il monachesimo antico v. i testi segnalati da G. CoLomBAs, El
concepto de monje y vida monastica hasta fines del siglo V, in « Studia Mona-
stica », 1 (1959), pp. 274-291.

?) G. PeNco, La preghiera nella tradizione monastica, in La preghiera
nella Bibbia e nella tradizione patristica e monastica, Roma, 1964, pp. 265-324.

4) G. PeNco, 7 Padri della Chiesa di fronte all'ascetismo non cristiano,
in Oikoumene, Catania, 1964, pp. 77-92. ;

5) I. HaAusHERR, L'origine de la théorie des huit péchés capitaux, in
« Orient. Christ. Period. » 30-3 (1933), pp. 164-175; M. W. BLooMrIELD, The
origin of the concept of the seven cardinal sins, in « Harvard Theological Re-
348 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

view », 34 (1941), pp. 121-128. Per la tradizione medievale v. i nuovi testi
(con bibliografia) editi da J. LEecrERcQ, Priéres attribuables à Guillaume et à
Jean de Fruttuaria, in Monasteri in alta Italia dopo le invasioni saracene e
magiare (sec. X-XII), Torino, 1966, pp. 159-162.

*) Matt. 3, 2; F. GIARDINI, La rinuncia cristiana nel Vangelo e nelle Let-
tere di S. Giovanni, in « Riv. di Ascetica e Mistica », 10 (1965), pp. 224-239.

*) J. LEcLERCQ, La vita perfetta (trad. ital.), Milano, 1961, pp. 130-138.

5) H. HANTScH, Die abrenuntiatio im Taufritus und die M ònchsprofess :
ihre Beziehungen zu einander und zu zeitgenòssischen Rechitsanschauungen,
in « Oesterreichisches Archiv für Kirchenrecht », 11 (1960), pp. 161-189. Sul
significato originario del termine conversatio quale condizione stabile di vita
religiosa derivata dalla conversio v. J. WINANDY, Conversatio morum, in Coll.
Ord. Cist. Reform., 22 (1960), pp. 378-386 (con bibliografia).

9) V. L’imitazione di Cristo nella tradizione monastica, in « Atti del v
Convegno italiano di studio sulla spiritualità monastica », Camaldoli, 1965
(in corso di pubblicazione).

19) G. PENCO, S. Giovanni Battista nel ricordo del monachesimo medievale,
in « Studia Monastica », 3 (1961), pp. 7-32.

11) S. BENEDETTO, Regula, 49, 1; G. PEwco, Il tema dell' Esodo nella
spiritualità monastica, in Bibbia e spiritualità monastica, Roma, 1966.

12) Ne è rimasta una traccia esplicita in qualche testo monastico, ad es.
nel Prologo della Regula Magistri, su cui v. E. MANNING, Une catéchèse baptis-
male devient Prologue de la Règle du Maítre, in « Revue Mabillon », 52 (1962),
pp. 61-73.

13) Per l'epoca patristica v. E. MALoNE, The Monk and the Martyr, Wa-
shington, 1950 ; per quella medievale v. G. PENCO, La spiritualità del martirio
nel Medio Evo, in « Vita monastica », 20 (1966), pp. 74-88.

14) Per una documentazione in proposito relativamente alla letteratura
agiografica v. G. PENCO, Eucarestia, ascesi e martirio spirituale, in « Vita mo-
nastica », 19 (1965), pp. 102-115.

15) Circa gli antecedenti patristici di questa dottrina, ad es. presso il
Pastore di Erma, v. D. BARSOTTI, La dottrina dell'amore nei Padri della Chiesa
fino a Ireneo, Milano, 1962, pp. 137-153.

16) S. BENEDETTO, Regula, Prol., 50.

1?) J. LAPORTE, Le Pénitentiel de S. Colomban, Tournai, 1958.

5) J. LECLERCQ, La spiritualité du Moyen Age, Paris, 1961, pp. 68-71.

19) M.-B. CARRA DE VAUX SAINT-CyR, Histoire du sacrament de péni-
lence, in « Lumière et Vie », n. 70 (1964), p. 36.

20) Alcuni testi al riguardo sono citati da F. VANDENBROUCKE, Humi-
liations volontaires ? La pensée de l'abbé de Rancé, in « Coll. Cist. », 27 (1965),
p. 199 ; in generale v. G. PENCcO, Monasterium-Carcer, in « Studia Monastica »,
8 (1966), pp. 133-143.

2) S. PreR Damiano, Vita S. Dominici Loricati, 22, in J. MABILLON,
DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 349

Acta SS. O.S.B., vi-2, Venezia, 1740, p. 157; per qualche altro esempio v.
Vita II S. Richardi Verdun., 31, ibid., vi-1, p. 487.

2) G. PrENcOo, L’unità del sacrificio, in « Vita monastica », 20 (1966),
pp. 131-143.

23) G. D. SERRA, Del mito e delle origini della voce « balma », in Convegno
di Studi Apuani, Carrara, 1956, pp. 15 di estr.

24 V. ad es. Vita S. Rodingi, 12, in MABILLON, 1v-2, p. 547 : « Secessit
in locum horroris et vastae solitudinis, et deinceps habitavit secum » ; cfr.
Deut., 32, 10.

25) Nel monastero di Apa Apollo a Bawit (Tebaide), le celle dei monaci
erano edificate su cappelle funerarie e vi assomigliavano, a causa del culto
tributato ai monaci defunti: H. Torp, Some aspecís of early coptic monastic
architecture, in « Byzantion », 25-27 (1955-57), pp. 513-538 ; per la tradizione
occidentale v. G. PENco, Il monastero sepolcro di Cristo, in « Vita monastica »,
17 (1963), pp. 99-109.

26) Su di esse v. J. HuBERT, L'érémitisme et l'archéologie, in L'eremiti-
smo in Occidente nei secoli XI e XII, Milano, 1965, pp. 462-487 ; per l'ambiente
atonita v. P. M. Mvrowas, L'architecture du Mont Athos, in Le Millénaire
du Mont-Athos, 11, Chevetogne, 1964, pp. 229-246.

?) Per la prima fase di questo passaggio v. A. DE VoGué, « Comment
les moines dormiront ». Commentaire d'un chapitre de la Règle de S. Benott,
in.« Studia Monastica », 7 (1965), pp. 25-62 ; per la seconda fase v. P. MINARD,
Du dortoir à la cellule, in La vie bénédictine, 46 (1948).

28) PrETRO DI CELLE, De disciplina claustrali, 8, in P. L. 202, 1108 D.

29) S. BERNARDO, Epist. ad Aelredum abbatem, ed. A. WILMART, in « Rev.
d'Ascét. et de Myst. », 14 (1933), pp. 389-390.

30) ADAMO DI PERSEIGNE, Epist. XIII,ed. J. Bouver, Paris, 1960, p. 200.

?) GuGLIELMO DI S. THieRRY, Epist. ad fratres de Monte Dei, 1, 12,
36, in P. L. 184, 332 A.

3) J. LECLERCQ, Le cloítre est-il un paradis ?, in Le message des moines
à notre temps, Paris, 1958, pp. 141-159.

33 S. BENEDETTO, Regula, 73.

84) Su tale orientamento delle ricerche contemporanee rinviamo alla
nostra Rassegna di studi sulla spiritualità. monastica medievale, in « Rivista
di storia e letteratura religiosa », 2 (1966), pp. 93-115.

35 Si possono leggere al riguardo le proteste del Butler di fronte alla
rappresentazione di S. Benedetto e dei suoi monaci a piedi nudi nella cripta
di Montecassino per opera della scuola pittorica di Beuron: C. BuTLER, Be-
nedictine Monachism, London, 1919, pp. 44-45.

35) L. GouGAUD, Anciennes traditions monastiques, 11, La gymnopodie,
in « Rev. d’Ascét. et de Myst. », 4 (1923), pp. 140-156.

3) S. Prer Damiano, Vita S. Romualdi, 26, ed. G. TABAcco, Roma
1957, p. 56 ricorda i monaci « discalciatos » del Pereo.
III COE

350 GONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

38) « Nudipedalia passim per eremum cunctis temporibus exercebat :
in cellis vero nec caligas induebat »: Vita S. Petri Damiani, 16, in MABILLON,
v1-2, p. 260. 1

39) « Nudis praeterea pedibus et cruribus iugiter in cellulis morabatur » :
S. PreR DauraNo, Vita S. Dominici Loricati, 3, in MABILLON, vi-2, p. 150;
«nudis semper cruribus et pedibus... psallere non cessabat»: Ip., Vita S.
Rodulphi Eugubini, 6, ibid., p. 160.

10) Vita, 13, in MABILLON, I, p. 550; v. anche LETALDO DI Micv, Liber
Miraculorum S. Maximini, 32, ibid., p. 588.

45 Vita;/8, ibid.; 15;:p: 122:

42) « Nudisque plantis discalciatis pedibus »: Vita S. Landeberti, 5, ibid.,
III-1, p. 63; v. anche Vita S. Egwini, 8, ibid., p. 319 ; Vita S. Willelmi Gellon.,
21, ibid., 1v-1, p. 78 ; Vita S. Jacobi erem., 24, ibid., p. 161 ; Vita I S. Adal-

berti, 11, ibid., p. 828.

^3) Vita S. Leonis IX, 11, 2, ibid., v1-2, p. 67.

44) Vita S. Elphegi Cantuar., 4, ibid., vi-1, p. 106; Vita S. Wolphelmi,
26, ibid., VI-2, p. 689 (Frumoldo) ; Vita S. Geraldi Silvae Maioris, 8, ibid.,
p. 854; Visio monachi de Eynsham, 2, in « Anal. Bolland. », 22 (1903), p. 240.

55 Vita S. Benedicti Clus., 23, in MABILLON, vi-2, p. 706.

46) Vita S. Adelelmi, 3, ibid., p. 867.

^) Vita S. Petri Urseoli, 12, ibid., v, p. 856.

48) Seguendo il comando di Dio a Mosè, il monaco deve infatti togliersi
‘calzari perchè abita una terra santa: « Per calceamenta, quae de pellibus
animalium fiunt mortuorum, intelliguntur exempla hominum saecularium,
quorum vita est mors, vel morte deterior. Calceamenta ergo de pedibus sol-
vuntur, cum monachi mores saecularium non imitantur, sed viros spiritua-
les, ut sancte vivant : sicut terra sancta est, in qua et ipsi stant » : GIOVANNI
ABBATE, Tract. de professione monachorum, 1, 6, ed. Pez, Thes. anecdotorum,
1-2, 1721, col. 596. Sul piano disciplinare é ben nota la ripresa di tale prassi da
parte dei Francescani ; per le controversie circa il ristabilimento di essa presso
i Carmelitani riformati v. p. Bruno Dr G. M., S. Giovanni della Croce (trad.
ital.), Milano, 1938, pp. 144-145.

49) S. BENEDETTO, Regula, 58, 17. V. ad es. : « Romam nudis pedibus et
discalceatis ire proposuit », Vita S. Theodorici, 21, in MABILLON, vI-2, p. 572.

5°) Un accurato profilo della genesi storico-ideologica della peregrinatio
monastica sulla base di numerosi testi è tracciato da J. LEcLERCQ, Aux sour-
ces de la spiritualité occidentale, Paris, 1964, pp. 35-90: «Monachisme et
pérégrination ».

51) Ampio materiale è ora raccolto nel volume miscellaneo L’eremitismo
in Occidente nei secoli X e XII, Milano, 1965, ricco di contributi non solo sul
piano erudito ma anche su quello problematico e metodologico.

5) V. ad es. i Miracula S. Columbani, 3, in MABILLON, i1, p. 38 : « Soli-
tariam vero ibi agens vitam soli Deo vacabat in ieiuniis et orationibus, tan-
DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 351

tumque sabbato vel diebus festis ad monasterium revertebatur: totaque
Quadragesima illic mansisse perhibetur ».

53) Vita S. Lanfranci, 6, in MABILLON, v1-2, p. 635.

54) « Ut austeritatem vitae persequeretur... elegit secedere in eremum » :
Vita S. Jacobi, in MABILLON, tv, 2, p. 160.

55) V. i testi segnalati da J. LEcLERcQ, L'érémitisme en Occident jusqu'à
l'an Mil, in L'eremitismo in Occidente, cit., p. 40.

59) J. LECLERCQ, La séparation du monde dans le monachisme au moyen
áge, in La séparation du monde, Paris, 1961, p. 83.

5?) L. GouGAUD, Ermites et reclus, Ligugé, 1928.

58) L. GoucauD, La mortification par les bains froids spécialment chez
les ascètes celtiques, in Bull. d'anc. littér. et d'archéol. chrét., 4 (1914), pp. 96-108.
Per la tradizione monastica continentale v. ad es. Vita S. Wandregisili, 8,
in MABILLON, II, p. 506; Vita S. Wilfridi, 28, ibid., 111-1, p. 185; Vita S.
Aldhelmi, 8, ibid., 1v-1, p. 686 ; Vita S. Cadroae, 14, ibid., v, p. 487 ; per te-
sti editi piü recentemente v. ad es. Narratio Cadelica I de S. Comgallo, ed.
P. GROSJEAN, in « Anal. Bolland. », 52 (1934), pp. 354-355.

55). Vita I. S. Bernardi; 6, in P.L..185, 230 C.

69) Vita, 1, 4, Putignano, 1938, p. 5.

61) Cfr. J. LECLERCQ, La flagellazione volontaria nella tradizione spirituale
dell'Occidente, in Il Movimento dei disciplinati nel Settimo Centenario dal suo
inizio, Perugia, 1962, pp. 73-83.

9?) P.-R. RÉGAMEY, La tradition occidentale, in Redécouverte du jeune,
Paris, 1959, pp. 111-128. Circa il fondamento biblico del digiuno, quale rife-
rimento al tempo della Passione, allorchè «lo Sposo sarà tolto » dalla vista
dei discepoli v. F. G. CREMER, Die Fastenansage Jesu. Mk II, 20 und Paral-
lelen in der Sicht der patristischen und scholastischen Exegese, Bonn, 1965.

$3) Cfr. B. STEIDLE, Ante unam horam refectionis ..., in « Studia Ansel-
miana », 42, Roma, 1957, pp. 73-104.

64) V. ad es. De convivio monachorum, ed. J. SEMMLER in Corpus Consue-
tudinum Monasticarum, I, Siegburg, 1963, pp. 51-63 e i testi affini inseriti
in tale collezione.

$5) V, qualche esempio in PENcCo, La preghiera nella tradizione monastica,
cit., p. 309.

9$) L. GouGAUD, Le langage des silencieux, in « Revue Mabillon », 29
(1929), pp. 93-100.

9) M. PÉREZ DE LABORDA, Trabajo y caridad. Un aspecto poco conocido
del^monacato antiguo, in Yermo, 3 (1965), pp. 127-152.

$8) Testo edito da J. LAPORTE, Fécamp et le copiste Hardouin de Saint-
Wandrille, in « Bulletin de l'Association des Amis du Vieux Fécamp et du
Pays de Caux », 1965, p. 40.

69) S. GIROLAMO, Epist. 14, 1, in P. L. 22, 348.

79) « Nudum cum nudo, id est cum diabolo certare oportet, qui non habet

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352 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

sarcinam terrenae possessionis »: testo bernardino ed. da H. RocHais, in i

« Analecta Monastica », vi (« Studia Anselmiana », 50), Roma, 1962, p. 141.
7) « Pro divite Christo angustam pauperiem pati, non tam labor, quam
ingens amor erat » : Vita S. Adalberti. 15, in MABILLON, v, p. 830.
??) S. PIER DAMIANO, Epistola, ed. J. LECLERCQ, in « Studia Anselmiana >»,

18-19, Roma, 1947, p. 286 elogia due eremiti che sono passati «ad heremi- i

tice districtionis inopiam ».
*) De Miraculis S. Angilberti, 1, in MABILLON, Iv-1, p. 125.
'* GuERRICO DI IaNv, De languore animae amantis, 4, in D. DE WILDE,

De B. Guerrico abb. Igniacensi eiusque doctrina de formatione Christi in nobis,
Westmalle, 1935, p. 196.

75) S. BERNARDO, Epist. 142, 1, in P. L. 182, 297 C.

** S. BERNARDO, De mor. et off. episcop. 37, in P. L. 183, sentenza citata
anche nella Vita S. Petri Abrinc., in « Anal. Bolland. », 11 (1883), p. 492.

BANDINI. — Ringrazio a nome di tutti il prof. Penco per questa
sua apprezzatissima relazione, che io non posso evidentemente com-
mentare per mancanza di competenza. Do la parola al prof. Manselli
per la conclusione del Convegno.

MANSELLI. — Concludere — dico una cosa ovvia — è sempre arduo,
sia per un dato obiettivo, perché dopo vari giorni siamo tutti un po’ stan-
chi, sia poi perché è molte volte difficile rendere giustizia, in un discorso
necessariamente breve, a tutto quanto è stato detto e discusso nel corso
di varie giornate. E quindi io credo di essere scusato se rinuncio di
proposito ad un esame particolare di ognuna delle singole relazioni e
comunicazioni. In alcuni casi l’elogio rivolto a maestri di indiscussa
competenza potrebbe sembrare uu'inutile adulazione, mentre, d'altra
parte, esaltare la passione di giovani risulterebbe superfluo. Noi ab-
biamo inoltre, più volte, avuto in questi giorni l’occasione di apprez-
zare il sacrificio, la dedizione, il fervore di quanti hanno trascorsi
giorni e giorni o nell’archivio o nella biblioteca di San Pietro o sui
documenti di Perugia.

Mi permetterete allora di cominciare con um immagine: man
mano che io, in questi giorni, come un buon notaio stavo attento a
ciò che veniva detto, seguendo le varie relazioni e comunicazioni, mi
sentivo un po’ come colui che (avevo letto già libri e documenti relativi
a San Pietro) aveva già trovato un diamante, già di per sé bello : questo
poi nelle mani di un abile artista veniva, con le sue varie sfaccettature,
svelando uno splendore di straordinaria bellezza. Il diamante in questi
nostri giorni, perdonatemi se insisto nell'immagine, si è andato sco-

A.
DE (cbe oec NT 145.

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DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 353

prendo in tutta la sua bellezza. E appunto per questo io desidero co-
minciare ringraziando tutti quelli che hanno contribuito alla riuscita
scientifica del nostro Convegno : i relatori. che nel giro dell'ora pre-
scritta hanno dovuto — ammiro con quanta perizia, peraltro preve-
dibile — condensare lavori di anni, qualche volta esperienze di vita,

ed i presentatori di comunicazioni, che son riusciti a mostrarci in un

minor ambito di tempo, ma spesso con grande sforzo di concentrazione,
aspetti solo in apparenza minori della millenaria vita di San Pietro.
Essa si è venuto via via, da un relatore all’altro, svelando nella sua
ricchezza, nella sua varietà, nella sua intensità di manifestazicni e
di vila. Tutto ciò io mi permetterò di richiamare in sintesi alla vostra
memoria, cercando di sottolineare quel che è stato ormai acquisito,
quel che forse rimane in zona d’ombra, prospettando, se mi permettete,
qualche ulteriore possibilità di ricerca, sì che questo nostro Convegno
possa concludersi col vanto non solo di avere messo una pietra per
terminare un’epoca, ma anche di avere per lo meno intuito ed indicato
ulteriori possibilità di ricerca.

Infine, di San Pietro io vorrei indicare, sì che un po’ rimanga
nel ricordo di queste giornate, ognuna delle tappe fondamentali che
l’attuale Millenario celebra. Prima di tutto va detto — ed è forse una
delle cose più interessanti — che dei fasci di luce, da tante direzioni,
sono stali proiettati sul discusso e tormentato problema dell’iniziv.
Non penso che si possa giungere a determinare con assoluta certezza
un giorno, un anno, una persona specialmente perché le origini di
San Pietro sono state giustamente collocate nella linea di fervido
sforzo di rinnovamento interiore del monachesimo che, come è stato
argutamente rilevato, porta oggi gli studiosi di millenario in mille-
nario, da Mont Saint-Michel, come ricordava il P. Leclercq, a Pi-
nerolo, che permetterete proprio a me di ricordare e poi, a tante altre
famosissime abbazie. Ma d’altra parte la fondazione di San Pietro
in una significativa concordia con quanto era stato affermato, è ri-
sultata anche manifestazione locale, precisa, di quell’anelito dell’uomo
a Dio, di quella conversio che si fa conversatio e vuole concretizzarsi
nella fondazione di un monastero in un luogo e in un’epoca deter-
minata. Proprio oggi ci è stato ricordato, direi significativamente, il
valore spirituale del monachesimo ; valore spirituale che ha, per così
dire saldato quanto già da due parti avevamo ascoltato circa il signi-
ficato di questo straordinario fenomeno che rinnovò la vita europea.
Naturalmente entro questo quadro non sono stati dimenticati — e non
dovevano esserlo — tutti quegli elementi temporali e pratici, che si

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354 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

presentano sempre laddove opera ed agisce l'uomo, che, lo sappiamo
benissimo, non è fatto solo di spirito ma è un essere di una realtà
concreta fatta anche di terra, di denaro, di lotta. E allora ricorderemo
che il Monastero di San Pietro venne a trovarsi in una situazione
forse singolarmente analoga a quello di Santa Maria di Val di Ponte ;
e ne viene quindi l’importanza da dare al fatto che assai presto — e
perché non fin dall’origine? — essi furono esenti e direttamente di-
pendenti da Roma: il monastero ebbe così una garanzia di libertà,
ma costituì anche, per questo, alle porte di Perugia, una presenza di
Roma e del Papato, costituendo così una premessa di quella penetra-
zione nell' Italia Centrale e in modo particolare nell’ Umbria, che venne
in seguito realizzandosi in maniera ben più cospicua.

L’abbazia di San Pietro nasce, quindi, alla confluenza di esigenze
assai complesse, e di vita spirituale, politica, intellettuale, civile. E do-
vette realizzare quanto la sua fondazione esigeva e voleva, come mostra
quella pleiade di privilegi imperiali e papali la cui importanza po-
litica e — stamane abbiamo visto — anche economica ci è stata in
modo così interessante illustrata. Papi e imperatori hanno per secoli
protetto questa Abbazia. Non dobbiamo certo, qui, ripercorrere la
lunga serie dei diplomi papali ed imperiali, ma possiamo però sotto-
lineare che essi segnano la manifestazione tangibile dell’ascendente,
del rispetto, dell'importanza spirituale e, diciamolo ancora una volta,
anche temporale, che aveva in Umbria. Per San Pietro il tempo pur-
troppo ci ha sottratto quello che poteva mostrarci la confluenza delle
offerte minori e minime, l’arricchimento provocato non dalle grandi
donazioni, ma dai piccoli testamenti, dalle piccole elargizioni fatte
in punto di morte o, diremmo noi oggi, per grazia ricevuta ; elargi-
zioni che ci avrebbero permesso come è stato per altri monasteri, di
cogliere non solo l’ascendente suo presso i grandi, ma anche l’influenza
sugli uomini e le persone della vita quotidiana della città. In tal modo
noi avremmo potuto cogliere ancora una volta quale fosse l’autorità
che un grande monastero aveva sul mondo circostante : il monaco
veniva sentito perciò da chi lo vedeva, da chi lo coglieva nella pratica
della sua vita monastica come un angelo, come un rappresentante di
quella benevolenza celeste che il monastero diffondeva, cittadino della
Gerusalemme celeste sulla terra. Da questo stato d’animo è nata l’im-
portanza, l'arricchimento, l'espansione di San Pietro, ma anche il
suo inserimento in un preciso, concreto tessuto compiuto e coerente,
sociale, religioso. Quella bella Rocca che abbiamo veduto oggi è stata
una realtà essenzialmente agraria, legata ad un possesso della terra,
DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 355

che, per quanto ci è stato dato di constatare, è stata amministrata sem-
pre o quasi con cura e con occhio attento anche ai valori ed ai signi-
ficati economici. Se mi permettete non un elogio — i monaci non ne
hanno bisogno — ma una constatazione molto semplice, venendo qui
noi abbiamo veduto il rigoglio delle vegetazioni che ci circondano ;
queste vegetazioni sono manifestazione di un’opera che è appunto
l’opera millenaria dei monaci. Accanto alla realtà economica è, non
meno rilevante, quella politica, che nasceva dal suo rapporto con Pe-
rugia. Divenuto un potente comune dell’Italia centrale, lotta con grandi
e medi signori feudali della regione, dà fastidio anche a San Pietro,
che costituisce un grande ostacolo alla sua espansione territoriale.
Veramente il contrasto con Perugia — lo hanno notato assai bene
alcuni relatori — ricompare anche nel rapporto tra l’abate e il vescovo
della città, tra il vescovo cioé che voleva controllare l'abbazia e l'abbazia
che desiderava l’esenzione. Ma per chi ricorda, nei primi tempi del-
l'abbazia, come il vescovo potesse essere anche l'espressione della vita
politica cittadina e non soltanto di quella ecclesiastica, non dobbiamo
forse considerare escluso il problema se nelle vicende complesse dei
rapporti tra vescovo ed abate non si celasse un più o meno larvato
desiderio di estendere la propria autorità a questo grandioso complesso
economico, religioso e politico. Direi che ciò vien confermato da una
parte dall’abile gioco politico con il quale i monaci riuscivano a tenersi
in equilibrio tra papato e impero (non ritorno ancora sull’elenco
di diplomi papali e imperiali di cui s’è più volte parlato). Ve ne è
poi una precisa indicazione in un fatto che io considero decisivo,
come uno dei più significativi della storia monastica di San Pietro,
la vicenda di Casalina. Voi mi permetterete ancora una volta di par-
larne. Ho detto poco fa che l'abbazia doveva costituire una spina nel
fianco per Perugia, e due circostanze particolari mi pare che lo indi-
chino : due feudatari dei dintorni, quello di Montevergnano nel 1130
e quello dei conti di Colle di mezzo nel 1199 si danno all'abbazia. Ma
per ragioni ben poco religiose ; in realtà si sentono sotto una pressione
economica e politica che viene da Perugia. Il monastero evidentemente
offre allora come un ostacolo che, in qualche modo arresta, sia pure in
una zona, l’espansione del Comune. Questo allora reagisce, quando si
sente ormai ben forte, agli inizi del Duecento, cioé quando ha comin-
ciato ad essere una città tra quelle di cui il papa ha più avuto bisogno
nella sua espansione nell’ Italia Centrale, in più circostanze, e nella sua
lotta contro Federico II. Perugia ne profitta per attizzare il fuoco a
Casalina ; sono ancora oggi state ricordate queste vicende e non le

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44

Za 356 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

ripeto. Vorrei però ricordare, perché non mi pare che altri l'abbia
fatto, una bolla di Clemente IV del 26 ottobre del 1278, che fu segna-
lata a suo tempo dalla dott. Marinelli, in cui il papa deplora, non
come abbiamo visto negli altri documenti, il priore di San Rufino o
quello di San Tommaso ; ma si rivolge direttamente al Podestà perché:
intervenga presso il capitano del popolo, il quale sobilla i coloni di Ca-
salina contro il Monastero. C'é poi un’espressione ancora più signifi-
cativa che vogliamo segnalare : a Casalina iidem abbas et conventus iu-
risdictionem obtinent temporalem cioé Casalina é una zona sulla quale
si esercita la giurisdizione temporale soltanto e unicamente dell'abate.
Ed è ancora più caratteristico il fatto che il famoso lodo di cui abbiamo
parlato varie volle in questi giorni, sia del 1270, in un lungo periodo
di sede papale vacante. Proprio in questo momento è evidente che i
perugini sono riusciti a mettere in difficoltà l'abate e lo hanno ob-
bligato a questo lodo, che costringeva gli abati (forse l’espressione non
è esatta e i giuristi presenti nella sala me ne scusino) e il monastero
a non intervenire. I monaci lo subirono con rammarico e disappunto.
La controprova ci viene dall’assalto dato a Casalina dall’abate che
evidentemente voleva rifarsi o non sapeva più trattenersi dal far le sue
vendette. Con questo lodo e con questa vicenda di Casalina si conclude,
se non erro, un momento storico della vicenda millenaria dell'abbazia,
perché in realtà finisce il potere dell’abate come signore temporale nel
senso più ampio del termine. L’abate ha certo sempre una enorme
importanza, ma finisce per essere implicato e legato alle vicende della
città. Non è più un corpo, non vorrei dire estraneo, ma autonomo od
indipendente dalla città di cui fa parte. Questo si chiarisce puntual-
mente nelle vicende che sono state così valorosamente illustrate, di
Perugia e dell’abbazia nel corso del Trecento, vicende violente, qualche
volta tra il grottesco e il boccaccesco. Sfogliate il Liber contractuum
e qualche altra cosa verrà fuori, come la vicenda dell’abate Ugolino
Vibi che fu obbligato a vendere e a dare in pegno roba del monastero
perché era andato su e giù da Avignone, ove, non lo si dice proprio chia-
ramente, ma è piuttosto trasparente, per la sua elezione ha dovuto,
come si dice, ungere le ruote.

Questo ed altri fatti analoghi segnano l’inizio della crisi, che
ha avuto anche ripercussioni economiche e portò infine all’adesione
alla Congregazione di Santa Giustina.

Questa conclusione non è un fallimento : i primi cinque secoli
del monastero di San Pietro sono stati davvero importanti, anche se
non sempre possiamo rendercene conto pienamente e consapevolmente.
DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 357

Troppo scarse infatti e troppo unilaterali le fonti. In particolare
quando si tratta di storia monastica, noi ci troviamo sempre di fronte
ad un problema. Lo storico del monastero studia vendite, compre, do-
nazioni, permute, documenti cioé economici da una parte, e documenti
politici dall'altra. Deve allora avere il coraggio di sottolineare decisa-
mente che accanto ai fatti economici e politici c'è ancora un aspetto del fe-
nomeno monastico ed è quello della vita religiosa, quale si è fatta, e si è
concretata nelle norme di vita (e oggi ne abbiamo sentito parlare) e che
opera sul concreto tessuto della storia come forza spirituale. Noi non
possiamo documentare, giorno per giorno, il lavoro compiuto dai monaci,
qui a San Pietro come del resto altrove, nella vita spirituale, da monaci
senza nome. Con dom Leclercq si parlava del fatto che bisognerebbe
erigere un monumento al monaco ignoto, per ricordare tutti gli umili
monaci, qui a San Pietro come altrove, che non hanno fatto grandi cose,
per cui sia rimasto un documento particolare, ma che hanno però aiutato
i poveri, soccorso gli affamati, consolato gli afflitti. Non si deve cre-
dere che i monaci di San Pietro abbiano aiutato soltanto i liberali
del 20 giugno 1859. Perché non dobbiamo dire quanto, nella millenaria
sua vicenda, San Pietro abbia offerto d’aiuto a poveri e pellegrini ?
Non ne abbiamo i documenti, ma non dobbiamo perciò trascurare
questo aspetto del monachesimo e della sua influenza storica.

Dopo la svolta nella sua storia e col lodo di Casalina e dopo la
conclusione definitiva della lotta con Perugia, il monastero iniziò la
seconda fase della sua vita che ha un andamento abbastanza tranquillo,
regolare, diverso però nella sua fisionomia mentre nei primi cinquecento
anni poco sappiamo, o quasi nulla, della sua attività culturale, nella se-
conda parte del millennio abbiamo invece tutto un fervore di vita cul-
turale, nel quale abbiamo potuto notare in primo piano personaggi
dediti al culto della scienza. Mentre nella prima fase del monastero
quindi poco sappiamo della sua cultura anche storica, della sua ric-
chezza artistica, nella seconda fase abbiamo avuto la gioia di ve-
dere le tappe di questa cultura che dal Quattrocento in poi si è venuta
articolando e scoprendo: ieri sera abbiamo sentito come fosse addi-
rittura commovente la preoccupazione perché la biblioteca fosse arre-
data bene, ci fosserc le dorature e quanto potesse accrescerne il decoro.
A questo punto la relazione non è più con ta città. ma con la cultura,
nel senso più ampio del termine ; quello che noi abbiamo sentito sul
suo rapporto col mondo della cultura giansenistica e con quello dei
Maurini è — possiamo dirlo senz'altro — una dimensione nella
quale S. Pietro merita attenzione e rispetto. Accanto alla cultura
358 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

storica, teologica, artistica, quella scientifica : le pagine del Castelli
a proposito del lago Trasimeno rimarranno senz'altro tra le cose più
gradevoli anche dal punto di vista letterario che in queste nostre giornate
abbiamo ascoltato. Ideali dunque che nella varietà delle loro vicende,
nella molteplicità dei loro impegni, veramente hanno dato luogo a
tutte le forme della vita di manifestarsi e di esplicarsi : potenza eco-
nomica come potenza politica, come vastità di cultura.

Mille anni, dunque, possiamo dire, bene spesi.

Concludendo vorrei rivolgere una preghiera ed un’esortazione, che
ritengo. doverosi : quando, qualche anno fa, mi è capitato di dare
un'occhiata, non più di un'occhiata, all'archivio di San Pietro, io ho
notato con ammirazione la quantità e l’importanza dei suoi atti :
è una massa enorme di documenti sottratti alla distruzione, e che per
la più gran parte sono inediti (non offendo nessuno, perchè quelli che
abbiano anche loro dato un’occhiata a San Pietro sanno che se parec-
chio s'é fatto, ancora lavori innumerevoli sono da fare). Ebbene io vorrei
esprimere qui l’augurio e la speranza che questo immenso materiale,
che non riguarda soltanto la vita del monastero, ma la vita di una
città e di una regione, e fa conoscere le forme, gli aspetti e la rappre-
sentazione di una realtà, di una struttura, di una vita economica,
siano pubblicati. È una speranza, un augurio, un desiderio, ma io
vorrei concludere dicendo a Perugia ed ai perugini che solo così si posso-
no gettare le basi perché ai primi mille anni altri ne succedano equal-
mente fecondi.

BANDINI. — Ringrazio il prof. Manselli per la sua chiara e intensa
panoramica dei lavori svolti e delle conclusioni che da essi sono state
tratte. Personalmente devo anche ringraziarlo perchè dalla breve matti-
nata di questo interessantissimo Convegno ho tratto motivi di ulteriore
riflessione.

Vorrei brevemente concludere. Le parole con le quali si è chiuso
il Convegno vengono incontro a un desiderio che da tanto tempo ha
interessato chi ha vissuto e ha operato a Perugia, e ha avuto modo di
avvicinarsi a questo meraviglioso materiale storico. Venti anni fa feci
visitare questo materiale a Luigi Einaudi, il quale venne a Perugia, ed
egli ne rimase così fortemente impressionato da scrivere, poco tempo dopo,
che, secondo la sua opinione, esistevano in Italia due archivi « gioiello » :
quello Marco Datini di Prato e questo della Fondazione Agraria di
Perugia. Auspicava lui stesso che questo archivio fosse valorizzato.
E valorizzarlo non è facile, data la sua complessità. Non dimentichia-
DELL'ABBAZIA DI S. PIETRO IN PERUGIA 359

mo tuttavia ch'esso presenta un carattere assai diverso da quello di
molti altri archivi : la continuità delle registrazioni economiche accom-
pagnata dalle registrazioni dei fatti sociali, dei contratti agrari, delle
valutazioni delle popolazioni, delle opere di bonifica e di trasformazione
che sono avvenute. Vi sono pochi archivi, appunto, di una simile con-
linuità. Ricordo l'opera dell'economista inglese Rogers, che copre un
periodo di sei secoli. Egli riusci solamente a trarre elementi base per
una statistica temporale dei prezzi e dei salari, e potè andare oltre
solo grazie alla sua intuizione storica, ma non ai documenti. Se pen-
siamo all'opera di D'Avenel in Francia, uno dei più grandi storici
della economia francese, che pure dovè limitarsi a pochi elementi di base ;
se consideriamo anche tutta l’opera che è stata eseguita in Italia, ma
sempre su un periodo relativamente circoscritto : ricordiamo i massimi
studiosi di storia economica e sociale, anche gli esteri che hanno aperto
la via a molti dei nostri, la Storia dell'Impero Romano fino al Doren
con la sua Wirtschaftsgeschichte Italiens im Mittelalter si basano sui
documenti di Farfa e di Nonantola.

Se andiamo, anche recentemente, alle ricerche fatte dal Vóchting
sulla Italienische Sudfrage, opera monumentale ma limitata perchè
forzatamente ridotta dalla non completa disponibilità di documenti ;
se pensiamo a quelle che sono state le famose ricerche del Sapori sulle
Compagnie dei Bardi e dei Peruzzi, o quelle che sono state le ricerche
successive di tanti altri storici dell'economia italiana ; noi veramente
abbiamo l’impressione del valore di ciò che abbiamo qui a Perugia.
Non vi è solamente una serie di fatti, ma quella possibilità di inter-
pretare 1 fatti in funzione degli andamenti generali, delle trasforma-
zioni sociali, della storia che si svolge e che domina anche lo sviluppo
economico in questo settore. Vediamo dalla relazione del prof. Guer-
rieri, che, data la mia specifica competenza, è quella che ho più parti-
colarmente seguito, come vi sia la possibilità di conoscere e di interpre-
fare le trasformazioni che sono avvenute : i vecchi contratti si sono spo-
stati verso l’enfiteusi, ma l'enfiteusi ha dato luogo ad una progressiva
trasformazione verso la colonia e poi verso la mezzadria, finchè si arriva
al punto attuale in cui la mezzadria stessa cede, completando il suo
multisecolare ciclo. Ora, quali caratteri ha avuto questa trasformazione,
in quali momenti particolarmente la modificazione dei contratti agrari
è avvenuta? Quali sono state le caratteristiche dei contratti agrari al
di sotto della formula giuridica? Il prof. Guerrieri ha rilevato come la
mezzadria o la colonia parziale inizialmente fosse un contratto di affitto
ma poi ha cambiato, ha subito trasformazioni, si è modificata. La in-

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360 CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO

troduzione di una tecnica nuova, le bonifiche, le nuove tecniche sono
altri elementi fondamentali della evoluzione che ha subito questo vasto
campo. Se sapremo collegare tutto l'andamento, con gli influssi esterni
che sono stati moltissimi perverremo nel modo più ampio, a documen-
tare la storia non di questo stretto territorio, ma l’apporto di tutto un
complesso di riferimenti economici e sociali che si sono determinati,
per cui spesso accade — lo abbiamo sempre rilevato, anche negli anni
passati — che la stessa Perugia ignori l’importanza di quanto ha nei
suoi archivi. L’opera di conoscere, elaborare è opera che forse trascende
le capacità di un uomo solo : occorre a mio avviso un’opera sistematica,
occorre un'istituzione permanente, occorre la collaborazione di diversi
tipi umani, dallo storico all’economista, al tecnico, a colui che sappia
trarre da questi documenti quello che veramente contengono. Sarei vera-
mente lieto se, riprendendo idee e proposte già altre volte fatte, da questo
Convegno al suo termine potesse nascere un voto : il voto cioè che su
iniziativa locale, poiché solo se qualcuno si muove qualcosa si fa, e
non è che dal cielo possano cascare le cose già fatte, si facciano promo-
lori, per esempio l'Università degli Studi, la Fondazione per l’Istru-
zione Agraria, la Deputazione di Storia Patria, i Padri Benedettini,
potesse crearsi un Comitato, un gruppo di persone che prendesse a cuore
la situazione dell’archivio di San Pietro e promuovesse un ufficio per-
manente per la elaborazione e lo studio di questo materiale. Quando si
vuole e si cerca, mezzi non mancano. Varie istituzioni nazionali e in-
ternazionali possono soccorrere: io penso al Consiglio Nazionale delle
Ricerche, dato il suo allargamento alle ricerche nel campo non stretta-
mente scientifico e spostandosi anche alle ricerche economiche, morali
e storiche ; potrebbe interessarsi a fondo di tutto ciò. Ma penso anche
all' Unesco, l’organizzazione specializzata delle Nazioni Unite per la
scienza e per la cultura, che è sempre largamente venuto incontro ai
desideri, e ha pubblicato opere veramente qualificate e degne di essere
ricordate, e che potrebbe appunto essere interessata a questo lavoro.
L’archivio di Perugia diventi un centro di studi storici, non solamente
economici, collegati a tutto il complesso della storia anche sociale di
questo territorio : questo Perugia potrebbe offrire al mondo degli stu-
diosi, al mondo della cultura, dei documenti storici forse oggi non an-
cora pienamente considerati. Vorrei concludere questo Convegno con
questo auspicio già varie volte espresso, e raccomandare a tutti coloro
che hanno promosso queste interessantissime giornate di studio di non
fermarsi ma di procedere.
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CONVEGNO STORICO PER IL MILLENNIO DELL'ABBAZIA

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riforma: monastica del. secolo «XI... gia, » 8 ]
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WoLrGANG HAGEMANN, / diplomi imperiali per l’ Abbazia di i
SssPlefro dL. Perugia i ec RS » 20
GiorgGIo CENCETTI, L'Abbazia di S. Pietro nella storia di Perugia ) 46

Manrio BELLvucct, Rapporti nel XII secolo fra l'Abbazia di S. Pietro
in Perugia e l'Ospedale di Poría S. Pietro o del S. Sepolcro » 69

MARIO SENSI, S. Angelo di Limigiano Abbazia temporaneamente

dipendente dal Monastero di S. Pietro di Perugia . . . . » 74
GisBERTO MARTELLI, L’architettura nella basilica e nel monastero

di S. Pietro in Perugia SJ IR eu » 407
FRANcESCO A. Ucoriwmi, L'Abbazia di S. Pietro nel secolo XIV

e la sua influenza sulla vita sociale e politica di Perugia . ». 122

SILVESTRO NErssi, Il! tesoro pontificio in Assisi e l'abate di S. Pie-
troc PerugiawUgolino 1 — — ot oo ei 9-158

FnRANcESCO SANTI, Pittura e scultura nella basilica di S. Pietro E167

OrroniNo GURRIERI, Le opere dei maestri settignanesi nella chiesa
ei neb monastero. divS; Piefro i UOS Ls » 174

JEAN LECLERCQ, Variazioni sui millenari monastici . . . . . » 186

ANDROKLI BaLTADORI, L'Abbazia di S. Pietro in Perugia nelle
Scienze: mdatematiche, fisiche e natura 1 1 sn » ‘193

Massimo VELATTA, L’opera di un benedettino a salvaguardia del
Trasimeno vv. a ciue e A LR » 204

Y. P Ue
362 INDICE

MARIA ScaRAMUCCI, La biblioteca dell’ Abbazia di S. Pietro
GiuLIO BATTELLI, Gli antichi codici di S. Pietro di Perugia .

OLGA MARINELLI, Il benedettino Francesco Maria Galassi e gli
eruditi perugini del suo tempo

. . . . . .

GiusepPE GUERRIERI, L'Abbazia di S. Pietro nella economia e
nella tecnica agraria in Umbria

GREGORIO PENco, Forme asceliche e pratiche penitenziali nella
tradizione monastica .

RAUL MANSELLI, Conclusione .

PRoF. GIOVANNI CECCHINI, Direttore responsabile

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