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BOLLETTINO

DELLA

DEPUTAZIONE DI STORIA PATRIA
PER L' UMBRIA

VOLUME LXV

FASCICOLO PRIMO

PERUGIA - 1968
Pubblicazione semestrale - Sped. abb. post. Gruppo IV?

Arti Grafiche - Città di Castello - 1968

n
y

Memorie

La battaglia tra Natsete e Totila

nos d. C. in Piocopio

Questo studio analitico dei testi di Procopio sulla battaglia
tra Narsete e Totila del 552 d. C. che decise praticamente la fine
del dominio dei goti in Italia, ha uno scopo preciso : intende ripor-
tare alla fonte letteraria prima ed unica, che è Procopio, i problemi
topografici di quella battaglia per trarne le conclusioni piü proba-
bili, trascurando quasi del tutto quanto — ed è relativamente molto
— su essa è stato scritto, anticamente e recentemente !).

E mia convinzione che anche questa volta, come spesso è av-
venuto in casi analoghi, gli interpreti hanno letto Procopio con
alcune opinabili visuali soggettive, le quali hanno alterato, se non
proprio violentato, l'ovvia esegesi dei suoi testi che sono in parti-
colare i capitoli XXVIII, xxix, Xxx, xxxi e xxxii del quarto libro
della Guerra Gotica — T& Dox9««& —, che è, a sua volta, l'ottavo
e ultimo libro dell'opera completa : “Yrèp vàv roriéuewy ?).

È noto che Procopio terminò di scrivere nel 551 i primi sette
libri di quest'opera, che completò scrivendone nel 554 un ottavo,
in cui descrive la fine della guerra degli imperiali di Bisanzio contro
il regno dei goti in Italia *).

Come storico della guerra gotica, Procopio è fonte attendibilis-
sima, perché — tra l’altro — partecipò di persona alla prima fase
di essa come consigliere di Belisario, comandante supremo dell’eser-
cito bizantino.

Lui stesso al principio della sua opera scrive in terza persona
(11,09):

« TAVTWY ukMocx Suvatòg v «0E
Euyrpdpar xat’ XXAo0 piv oùddtv, br
A , ^

SÈ adr EvuBorlow fonuévo Bzca-

plo «Q oTPATMYD oyedov «t draot

«era in condizione particolare di
narrare tutti questi eventi se non
altro perché a lui toccò di essere
scelto consigliere del comandante

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uU Vorne

6 GINO SIGISMONDI

Tapayeveodar col; vexpaYyuévow Év- Belisario e di essere in qualche
VÉTECE ». modo vicino a tutti gli avveni-
menti ».

E, dopo aver detto che « soltanto la verità conviene alla storia »,
continua (ivi, 5).
«tà Tct Euveveydévia Éxxota dxpi- «ha narrato gli avvenimenti ac-
Boroyobpevog Euverodbarto elte ed atte cadutia tutti vagliandoli ciascuno
To XXÀy «roig sioydoda. EuvéBn ». accuratamente sia che furono fat-
. ti bene o male da essi ».

Procopio era stato nominato segretario o consultore legale di
Belisario dall'imperatore Giustino poco prima che morisse e cioè
nell'agosto dell'anno 527: lo afferma lo scrittore stesso che di Be-
lisario si dice rapedpoc, EbuBovdoc, èroypag=sc (cfr. tra l’altro, 1, 12,
13, 14). Con questa mansione specifica seguì Belisario nelle tre guerre
— Persiana, Vandalica e Gotica — che combatté in Asia, in Africa
e in Italia.

Nei primi tre libri, dei quattro in cui descrive la guerra gotica,
che durò dal 535 al 553, Procopio narra con abbondanza di parti-
colari e ordinatamente gli avvenimenti anno per anno ; nel quarto
libro, invece, é costretto a seguire un metodo di narrativa vario e
misto — lo dice lui stesso xo: — perché insieme con i fatti della
guerra gotica deve narrare anche le ultime azioni contro i Persiani,
che in quegli anni avevano di nuovo preso le armi contro Bisanzio

Benché sembra certo che Procopio non abbia seguito perso-
nalmente le vicende degli ultimi anni della guerra 552-553 quando
prese il comando dei bizantini Narsete, niente autorizza a credere
che ha minor valore la storia narrata nell'ottavo libro. I luoghi
ivi descritti erano in gran parte già noti a Procopio *), il quale era
senza alcun dubbio in grado di vagliare le informazioni — ufficiali
o no — in base alle quali scrisse gli ultimi e decisivi avvenimenti
della guerra gotica. L'obiettività di Procopio come storico è, perciò,
fuori discussione. Un'ulteriore garanzia di essa è data dal fatto che
Procopio ha scritto l'ottavo libro della sua storia uno o due anni
dopo gli avvenimenti.

NARSETÉ OLTRE RIMINI E A SINISTRA DELLA FLAMINIA

Ecco in breve e schematicamente, secondo le informazioni di
Procopio, gli antefatti della battaglia. Narsete fu nominato succes-
sore di Belisario dall'imperatore Giustiniano nel comando delle trup-

n
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i

m. mi;

LA BATTAGLIA TRA NARSETE E TOTILA 7

pe bizantine, cui era affidato il compito di liberare tutta l’Italia
dai goti, probabilmente nel giugno, certo dopo l’aprile, dell’anno
591 (efr. vii = 1v Guerra Gotica, 21, 6). Narsete muove da Salona,
in Dalmazia, verso l’Italia per affrontare i goti con un grande eser-
cito preparato con ogni cura (cfr. vii = rv, 26, 5-10).

Attraversato il territorio veneto, nonostante l’opposizione dei
Franchi (vini = rv, 26, 18-19), ed evitato lo scontro con il gotico
Teja presso Verona, l’esercito di Narsete avanzò lungo la costa
adriatica, superando i molti corsi d’acqua con ponti fatti di navi
(vini = IV, 26, 25), e raggiunse Ravenna, dove si fermò nove giorni
e dove si unirono al grosso dell’esercito di Narsete i nuclei di truppe
bizantine, già ivi di presidio al comando di Valeriano e Giustino
(vini = Iv, 28, 1-2). Ripresa la marcia lungo la costa, i bizantini
arrivarono nelle immediate vicinanze di Rimini, dove trovarono im-
pedito il passaggio perché poco prima del loro arrivo i goti avevano
occupato il ponte sul Marecchia (in latino Fluvius Ariminus), che
è il famoso ponte di Augusto. Nell’inevitabile scontro tra bizantini
e goti, questi persero il loro capo Usdrila. Narsete, però, non si curò
di conquistare Rimini, ma proseguì innanzi con tutto l’esercito dopo
aver attraversato il Marecchia senza difficoltà : « xpóoc Arerye «0
otpatevua 12. ddefotepov Yepupa Tòv rorauòdv Cesbtac diebifaoe vóvo oddevi
70v otpatòv dravra » (vini = Iv, 28, 11-12).

Narsete aveva fretta d’incontrare il grosso dell’esercito gotico
comandato da Totila e, perciò, trascurò di eliminare i vari spora-
dici presidi, che i goti tenevano qua e là nelle zone dell’Italia centro-
settentrionale in ‘loro possesso.

È Procopio stesso che attesta questa tattica militare di Narsete
(vr 1v;28, 11) 5.

« o0zc Y&p ’Apiunvov obre &XXo TL « Infatti né Rimini né alcun al-

Xoaplov Tpóc vOv Toreutwy &yópzvov
, Dd » € , , e» ,
EVOYAELV NOEAEY, QC UN TL ALTO Tpl-
Borto ypovoc undÈ «OQ ma«pépyo ^c
petas, otovdatotaTm SielpyoLto Tpd-
Et ».

tra località in possesso dei ne-
mici aveva intenzione di distur-
bare (occupare), sia per non per-
dere tempo e sia per evitare, con
azione secondaria, di trascurare
ció che era necessario e piü im-
portante fare ».

E proprio perché non intendeva perdere tempo in conquiste
secondarie, ma voleva scontrarsi in battaglia campale con Totila,
che era già in marcia da Roma verso l’Appennino, Narsete non

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8 GINO SIGISMONDI

seguì la Flaminia, che era stata sbarrata dai goti nel Passo del Furlo
— [antica Petra Pertusa *) — località fortificata e, perciò, non fa-
cilmente espugnabile. Fedele alla tattica propostasi, Narsete con-
tinuò la marcia al di là di Rimini verso l'Appennino, deviando a
sinistra della Flaminia. Procopio dice soltanto che questa devia-
zione a sinistra della Flaminia verso l’interno avvenne dopo Rimini,
da cui i bizantini proseguirono la marcia, senza nominare espressa-
mente la località dove la Flaminia lasciava la costa adriatica per
piegare verso l’entroterra. Sapendo, però, che la Flaminia lasciava
il mare a Fano per proseguire verso l'Appennino, è logico dedurre
che anche la deviazione dell’esercito di Narsete sia avvenuta dopo
Fano. Questa esegesi di Procopio, tra l’altro, è l’unica possibile :
una deviazione a sinistra della Flaminia dopo Rimini ma prima di
Fano, è impossibile perché a sinistra della Flaminia c’era il mare.
Narsete, d’altra parte, si doveva dirigere con tutto l’esercito verso
la catena degli Appennini, come in realtà avvenne.

È, perciò, l'esatta interpretazione del testo di Procopio — èy
&otocTco& fer — quanto scrive il Roisl : « Dies kann nur bedeuten, dass
er über Fanum Fortunae (Fano), wo die Via Flaminia von der
adriatischen Küste rechtwinkelig abbiegend ins Landesinnere führt,
hinauszog. Denn nur so konnte er, unter der Voraussetzung, Prokops
Angaben entsprechen den Tatsachen, nach links abbiegen » *.

Per l'importanza notevolissima ai fini del presente studio, ecco
l'intero testo di Procopio sulla deviazione di Narsete dalla Flaminia
(VIIE:= IV; 285119);

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0d60v ov 6 Napong dà TaDTA TV
ETIToUmTEPav &osic TV Bdouuov NEL».

«Lasciata poi la via Flaminia,
marciò a sinistra (di essa). Essen-
do stata, infatti, conquistata dai
nemici molto tempo prima Petra
Pertusa, di cui ho già descritto
nei libri precedenti la saldezza
della fortificazione naturale, [le
località] che si trovavano lungo
il percorso della via Flaminia era-
no inaccessibili e del tutto senza
passaggio libero ai Romani. Nar-
sete, per questi motivi, lasciata
la via più breve, seguì quella
più accessibile e sicura ».
LA BATTAGLIA TRA NARSETE E TOTILA 9

Secondo la testimonianza di Procopio, dunque, la Flaminia
aveva, ai fini dell'attuazione del piano strategico di Narsete, un
valore determinante e si sarebbe senz’altro messo per quella strada
— che portava a Roma, dove era o donde si era mosso da poco To-
tila — se fosse stata libera e sicura, perché era la strada più breve.

Impossibilitato a seguire la Flaminia bloccata dai goti al Furlo,
Narsete fu costretto a prendere un’altra strada più a sud, che por-
tava nell'interno e che aveva un percorso più lungo, ma senza diffi-
coltà di rilievo. Questo dato di Procopio elimina come assolutamente
improbabile l’opinione di alcuni storici italiani dei sec. xv-xvi 1°),
secondo i quali la battaglia tra Narsete e Totila sarebbe avvenuta
presso Brescello sulla destra del Po tra Parma e Guastalla. Tra
questi storici il più importante è, senza dubbio, Biondo Flavio da
Forlì s). Contro tutti questi antichi storici sta il testo di Procopio,
secondo il quale Narsete marciò verso gli Appennini per scontrarsi
con Totila piegando, sulla costa adriatica, verso l’interno oltre la Fla-
minia e a sud della Flaminia, e, perciò, a sinistra di essa. Incerto è,
invece, il percorso che l’esercito bizantino seguì per raggiungere l'Ap-
pennino, dove fermò la sua marcia di avvicinamento a Totila. Abban-
donata per necessità la vallata del Metauro percorsa dalla Flaminia
verso l’interno, non restavano che tre valli, prima di raggiungere
Ancona, le quali dalla costa adriatica conducevano all'Appennino :
la valle del Cesano che finiva in mare sotto l’attuale Marotta, la
valle del Misa che terminava a Senigallia e la valle dell'Esino ancora
più a sud. Procopio non dà alcuna informazione precisa sulla marcia
di Narsete dall’Adriatico all’Appennino ; dopo aver detto che l’eser-
cito bizantino marciò a sinistra della Flaminia, aggiunge solo che
raggiunse la catena appenninica (vii = rv, 29, 4).

Per ricostruire, ipoteticamente, la marcia di Narsete dall’Adria-
tico all'Appennino possiamo pensare a quest'ordine decrescente di
probabilità : la vallata del Cesano, quella del Misa e quella del-
l’Esino. Molti storici dànno quasi per certa la vallata del Cesano,
basandosi sopra una interpretazione probabilissima dei testi già ci-
tati di Procopio, dove si dice che Narsete aveva fretta di raggiun-
gere l'Appennino e, perciò, — dicono — avrebbe dovuto scegliere
la via più breve che era, senza alcun dubbio, quella cesanese. L'an-
tica strada romana lungo il Cesano univa l’Adriatico (a Pilum Phi-
lumeni della Tabula Peutingeriana ?) con Suasa (oggi S. Lorenzo
in Campo), il cui territorio era collegato direttamente con quello di
Alba Picena e di Sentinum.
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10 i GINO SIGISMONDI

Sono per la Cesanese tra gli altri il Pagnani '?) e il Roisl : « Nar-
ses war, von Ravenna kommend, zunáchst auf der Via Flaminia
bis Fanum Fortunae marschiert, dort von der Via Flaminia links
abgebogen und an der Adria entlang nach Marotta gezogen. Ab
der heutige Marotta beniitzte er die Cesanerstrasse nach Suasa (S.
Lorenzo) und gelangte schliesslich durch das Tal der Nevola über
Nidastore, Cabernardi in das Gebiet néchst Sentinum » 1°).

In realtà questo ipotetico percorso dell’esercito bizantino dal-
l’Adriatico verso l’interno sembra essere il più accettabile per chi
tenga presente che Narsete, secondo Procopio, dovette tenersi lon-
tano dalla Flaminia che era in potere dei goti almeno a Petra Per-
lusa, se non in tutto il suo tratto appenninico. Perciò niente in Pro-
copio ci autorizza a supporre, con qualche solido fondamento che,
dopo Suasa, Narsete, attraverso l’attuale Pergola sia sboccato sulla
Flaminia a Calle (Cagli), a una ventina di Km. a sud del Furlo.

È parimenti da considerarsi come affatto improbabile che Nar-
sete abbia rischiato le insidie della lunga gola del fiume Sentino
— circa una ventina di chilometri — collegata con la Flaminia
solamente con un semplice antico actus (perché è senz'altro da esclu-
dersi una comoda strada facilmente percorribile da un esercito, come
si dirà nell'appendice che segue a questo studio) nella mutatio Ad
Hensem (Scheggia).

Che Narsete, del resto, non abbia raggiunto l'Appennino né a
Cagli né a Scheggia é un dato certo per chi crede valide le indica-
zioni topografiche di Procopio e specialmente la distanza di cento
stadi (vii = Iv, 29, 4) tra l'accampamento bizantino sulla zona
appenninica e quello dell’esercito gotico a Tayèva, luogo unanime-
mente oggi individuato poco a sud-ovest dell’attuale Gualdo Ta-
dino. La mutatio Ad Hensem distava da Teyiva« oltre 25 Km. e
quella Ad Calem circa quarantacinque. Perció per logica esclusione,
tra l'altro, riteniamo con il Pagnani e con il Roisl che Narsete da
Suasa abbia piegato a sud-ovest e raggiunto l’agro di Sentinum.

In quale zona dell’Appennino precisamente si deve collocare
l'accampamento dell’esercito bizantino, secondo le indicazioni topo-
grafiche di Procopio, si vedrà più avanti.

ToriLA A Toyîvat

Il grosso dell'esercito dei goti al comando del loro re Totila
—- il nome proprio che era Badwila, come si sa dalle monete e da
LA BATTAGLIA TRA

NARSETE E TOTILA 11

Jordanes, non viene mai usato da Procopio — era fermo nei din-

torni di Roma.

Ma ecco il testo di Procopio (vii = rv, 29, 1-3) su Totila :

« Tovrtiag dè mxenvouévog NIN TÀ &v
Beveriar Euveveydevta Tetav u&v «à
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TpüTX XXi 17)) cUüv «Oc OTPATIÀV
, , ” , M [3 /
Tpoodeyouevog év «oic émi ‘Pounc
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"Artewivo ) rxalovuévo Yyevéuevoc,
> Led »
abTod évocpxcoTtcOsuoduévoc, Éus:vey
&yy!ozX Xin Tivmsp oi mr dptot
Tayivac '*). xadodoty ».

« Totila, poi, avendo già saputo
ció che era avvenuto nelle Vene-
zie, dopo avere anzitutto aspet-
tato Teia con il suo esercito, stava
fermo tranquillamente nei din-
torni di Roma. Ma appena arriva-
rono (cioè i soldati di Teia), ben-
ché mancassero ancora duemila
cavalieri, Totila, senza aspettare
costoro, levato il campo, si mise
in marcia con tutto l’esercito ri-
manente per scontrarsi con i ne-
mici in luogo favorevole. Ma du-
rante questa marcia, avendo sa-
puto quanto era accaduto ad
Usdrila e che i nemici avevano
oltrepassato Rimini, attraversata
tutta la Tuscia, arrivato ad un
monte chiamato l'Appennino, ivi
accampatosi, si fermò vicinissimo
ad un villaggio, che gli abitanti
del luogo chiamano Tayîvat ».

Procopio non dice chiaramente quale strada abbia seguito To-

tila per raggiungere da Roma l'Appennino a Tayîva, ma dal suo
testo si può dedurre una implicita indicazione della Flaminia, che
era, d'altronde, l'unica grande arteria di comunicazione tra Roma
e la costa adriatica settentrionale, lungo la quale avanzava Narsete.

Quando Totila durante la sua avanzata verso Narsete viene a
sapere che i bizantini erano già a sud di Rimini, secondo Procopio,
non si mette per strada diversa da quella presa a Roma, perché
quella che stava percorrendo era proprio la strada giusta per scon-
trarsi con essi. La Flaminia, che Totila aveva imboccato a Roma
e che per lunghi tratti, se non del tutto, era in possesso dei goti,
portava proprio all'Appennino, donde era facile recarsi nella località
dove già si trovavano o sarebbero giunti i bizantini di Narsete. E
Totila era bene al corrente della marcia di Narsete contro di lui,
12 GINO SIGISMONDI

e aveva tutto l’interesse, dato che ormai si profilava come inelut-
tabile la battaglia campale, di scegliersi la posizione favorevole per
combattere. Nel piano strategico di Totila c'era anche l'iniziativa
di far del tutto per scegliersi il campo di battaglia; e in realtà fu
Totila a schierare il suo esercito contro quello di Narsete già a Busta
Gallorum e a cominciare la battaglia (vin = 1v, 29, 10; 32, 2) sia
pure facendo gravissimi errori tattici, come afferma ancora Pro-
copio (viti = Iv, 32, 6-7).

Questa opinione, che, cioè, Totila abbia percorso la Flaminia
sembra fuori discussione perché Tayîva, dove pose il campo arri-
vato all'Appennino, è da identificarsi con Tadinae, che dalla grande
via consolare romana era attraversata nel mezzo 17).

L'identificazione è oggi accettata da tutti gli storici, commen-
tatori e traduttori di Procopio, mentre come alternativa ad essa
soltanto alcuni, e meno recenti, sostengono che Tayîva. è il torrente
«Le Teggine » in Toscana : opinione questa, tra l’altro, in netto
contrasto con il testo di Procopio che chiama Tayîvar villaggio (xp)
e non torrente.

È certo, poi, che le varie notizie che Procopio ci dà di Teytvc
si possono riferire tutte a Tadinae.

Teva, secondo Procopio, era un villaggio dell'Appennino e
Tadinae era un centro romano situato nella piana dalla quale si
eleva la catena appenninica.

È vero che Tadinae era un municipium, secondo Plinio che
pone i Tadinates tra i « populi » dei municipi romani dell'Umbria #*),
ma erano passati ormai oltre cinque secoli tormentati dallo splen-
dore dell'età augustea, e i barbari da oltre un secolo scorrazzavano
per la Flaminia, distruggendo quanto incontravano sul loro cam-
mino da e verso Roma. I fiorenti municipi imperiali romani, — chi
piü e chi meno, chi prima e chi dopo — ebbero a subire le terribili
conseguenze di queste invasioni barbariche, specialmente i muni-
cipi attraversati dalla Flaminia com'era appunto Tadinae. Nes-
suna meraviglia, perciò, che nella prima estate del 552 Tadinae è
ridotto a villaggio (x©un), anche se la notizia va interpretata nel
senso che il deterioramento a vicus non comportava, almeno ordi-
nariamente, la distruzione del municipium amministrativo.

Tadinae era ridotto a vicus di fatto perché quasi integralmente
distrutto nel suo nucleo urbano, pur rimanendo il suo territorio
autonomo nella vita politico-amministrativa del municipium. La de-
gradazione dei centri urbani, del resto, era nella logica dei barbari :

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T 5 NEI "——— Vulg v SOUR deam EDU. VP ^s. "bo RUIT LA BATTAGLIA TRA NARSETE E TOTILA 13

il cronista Fredegario racconta che ‘Arialdo circa il 656 — cioè un
secolo più tardi dalla battaglia del 552 — «con il suo esercito de-
vasta, distrugge, brucia Genova, Albenga, Varigotti, Savona, Oder-
zo ; saccheggia, spoglia, rende schiavi gli abitanti ; distruggendo sino
alle fondamenta i muri di tali città, ordinò che non si chiamassero
più civitates, ma vici » 1°).

Questa formalità giuridica del passaggio anche nel nome a vici
dei municipi romani sanzionava una situazione di fatto nel sec.
VII, e questa triste concreta condizione è pienamente aderente anche
al quadro storico di Tadinae del sec. vi: la testimonianza di Pro-
copio, perciò, non è contro la storia, ma l’arricchisce di un dato
aliunde sconosciuto.

Meno di 50 anni più tardi dalla battaglia tra Totila e Narsete
— e cioè nel luglio del 599 — il papa Gregorio Magno scriveva a
Gaudioso, vescovo di Gubbio, di presiedere l’assemblea dei fedeli
tadinati per l’elezione del vescovo, mancante da tempo. Ecco
i brani più importanti del documento pontificio : « Cognoscentes Ec-
clesiam Tadinatem diu sacerdotis proprii regimine destitutam frater-
nitati tuae eiusdem Ecclesiae visitationis operam solemniter delega-
mus... Fraternitatas tua ad praedictam Ecclesiam ire properabit et
assiduis adhortationibus Clerum plebemque eiusdem Ecclesiae admo-
nere festinet, ut... talem sibi praeficiendum expetant sacerdotem, qui
et tanto ministerio dignus valeat reperiri . .. Commonentes etiam fra-
ternitatem tuam, ut nonnullum de altera elegi permittas Ecclesia, nisi
forte inter clericos ipsius civitatis, in qua visitationis impendis offi-
cium, nullus ad episcopatum dignus, quod eveniri non credimus, po-
tuerit inveniri . . . » ?").

Sicuro documento questo del papa S. Gregorio Magno che Ta-
dinae sul finire del sec. vr, analogamente ad altri antichi municipi
romani, era ancora in uno stato di profonda depressione sotto ogni
rapporto, non escluso quello religioso.

Ancora. Secondo Procopio Totila attraversó tutta la Tuscia per
raggiungere il villaggio appenninico affermando, così, che Tayîva
era, si, nella Tuscia, ma al confine.

Questa topografia politico-amministrativa si adatta molto bene
a Tadinae. Situata nella zona umbra rimasta sempre tale nel corso
dei secoli, la città romana. di Tadinae faceva parte della regione
Tuscia et Umbria della Dioecesis Italiciana, in cui dal tempo di
Diocleziano era stato diviso il territorio italiano.

Successive variazioni della Dioecesis Italiciana non alterarono

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14 GINO SIGISMONDI

l’unione amministrativa della Tuscia et Umbria — spesso indicate con
il solo primo nome — delle due regioni augustee Etruria et Umbria.

Il quadro cronologico successivo di queste variazioni è, sche-
maticamente, il seguente. Fino al primo decennio del sec. v d. C.
si ha la denominazione di Tuscia et Umbria ®); poi si ha Tuscia
Umbrena e Tuscia cum Umbria, in Paolo Orosio si ha Umbria et
Etruria.

Cassiodoro — siamo sempre nel sec. v — usa una singolare
espressione, il cui significato è, però, indubbio : Tusciae utraeque ?).

Procopio, invece, semplifica ancora, chiamando soltanto Tuscia
l’unica provincia che in origine era Tuscia et Umbria.

Procopio, d’altra parte, non nomina mai l’Umbria come tale,
ma chiama sempre le sue città — Narni, Spoleto, Perugia — città
della Tuscia (cfr., tra l'altro, vin = Iv, 33, 9) : anzi per Procopio,
Perugia è la città più importante della Tuscia (vir = 135, 1):
« Ilspuotav xóAtw, 7, TewTy £v Tosoxotg obox ».

Come Procopio usano la sola denominazione di Tuscia — che,
evidentemente, comprende anche l'Umbria — Marcellino nell’ Auc-
larium, S. Gregorio Magno nei Dialoghi e il Liber Pontificalis **).

Ed è, perciò, comprensibile che quando i Longobardi fondarono
il Ducato di Spoleto, l'Umbria si chiamò — soltanto dal sec. rix ? —
Tuscia Romana (il territorio rimasto sotto il dominio di Bisanzio)
e Tuscia Langobardorum (territorio in possesso dei nuovi conqui-
statori) 24).

Che, poi, il territorio tadinate fosse territorio di confine della
Tuscia al tempo della guerra gotica, si desume dal fatto che l'Ap-
pennino lo divideva dalla regione transappenninica del Picenum et
Flaminia : nel così detto Catalogus Provinciae Italiae — un confuso
documento forse del sec. vir che si legge in Paolo Diacono: —
si dice che la ix provincia « Flaminia » era compresa tra Alpes Ap-
penninas et mare Adriaticum, e che la x « post. Flaminiam », cioe il
« Picenum » « ab austro habet Apenninos montes » ?*).

Procopio c'informa che Totila da Roma per recarsi a Tayîvat
attraversó tutta la Tuscia. Anche questo dato si realizza identifi-
cando Tayîva con Tadinae, terra di confine della Tuscia, sicura-
mente ad est e nord-est con il Picenum e, forse anche a nord e nord-
ovest con le regioni della Tuscia Annonaria e della Flaminia.

Nepi, oggi nel Lazio, secondo Procopio era città della Tuscia,
anzi, secondo il Catalogus Provinciae Italiae, la stessa Roma era
compresa nella Tuscia : ivi, dopo aver detto « Quarta provincia Tu-
LA BATTAGLIA TRA NARSETE E TOTILA 15

scia » se ne dànno i confini ad occidente e a oriente, rispettivamente
« Aurelia » e « Umbria ». E si aggiunge : « Roma aliquando totius mundi
extitit caput, in Umbria Perusium et lacum Clitorium et Spoletium
consistunt ».

Quando, perció, Procopio dice che Totila da Roma per recarsi
a Tayîva. nell'Appennino dove cominciava il Picenum ha percorso
«6 Tovoxiav» dà un'informazione esatta secondo la geografia
politica del sec. vi.

Queste concordanze tra Tayîva. di Procopio e Tadinae del tempo
hanno, peró qualche difficoltà sotto il profilo linguistico.

Tayîva ha un «vy» al posto della «8». Ma non è questa una
difficoltà che possa annullare l'identificazione di Tadinae con Ta-
yivc. Si sa che la consonante «d» è una consonante molto labile
e soggetta a variazioni — nelle tavole eugubine i Tadinates sono
Tarinates **) — e la grafia di Tadinae non dovette essere sempre
la stessa, se nell'/tinerarium Bordigalense del sec. rv è indicata
con lo strano nome di « Ptanias » 35).

Nei documenti medioevali dopo il mille, del resto, Tadinae è
divenuto Taynum : così nel Decimario Pontificio del 1334 paga la
quota di quattro libbre di soldi e cinque denari cortonesi « Bartho-
linus Putii clericus plebis olim de Tayno » 2°).

Anche oggi la località dove sorgeva la città romana nel lin-
guaggio popolare è chiamata «il piano di Taino ».

Né maggiore consistenza ha un'altra difficoltà contro l'identi-
ficazione di Tayîiva — Tadinae: secondo l'opinione più comune
tra gli storici, l'antica città romana si sarebbe chiamata Tadinum
e non Tadinae. L'identificazione, perció, esigerebbe, oltre il cambio
di «Y» in «8», un’ulteriore manipolazione linguistica.

Ma è proprio vero che il nome della città degli antichi Tadina-
tes era Tadinum ? Ci sono seri motivi per dubitarne. Anzitutto nes-
suna fonte letteraria ha Tadinum, a meno che non si voglia riscon-
trarlo nel Tadinatum delle cronache medioevali gualdesi dei sec.
XIII-XIV 8°),

Le uniche fonti storiche sicure — Plinio e, cinque secoli più
tardi, le lettere di S. Gregorio Magno — ci dànno soltanto l’agget-
tivo — Tadinas, Tadinatis *). Secondo Plinio, i Tadinates sono uno

dei 32 popoli della « vi Regio » l'Umbria, il cui nome è derivato da
quello del municipium mediante il suffisso —as, ates.

Ora non è vero che quel suffisso — il quale, secondo alcuni
glottologi **), sarebbe un suffisso ligure — presupponga sempre il

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16 GINO SIGISMONDI

toponimo delle città in —um, come, per es. gli Hispellates erano
cittadini di Hispellum.

Dal suffisso —as, —ates, talvolta deriva per il municipium la
desinenza a : così i Fulginates abitarono Fulginia, i Mevanates Me-
vania ecc. Anzi c'è talvolta, anche nell'Umbria, il municipium con
desinenza plurale: i Trebiates di Plinio erano gli abitanti di Tre-
biae. Ciò rende almeno probabile che il nome del municipium dei
Tadinates fosse Tadinae piuttosto che Tadinum. Ma, anche ammet-
tendo quest’ultima forma, non si deve escludere Tadinae, perché si
può pensare ad un uso indifferente delle due forme, come è documen-
tato per altre città romane. Per Foligno, per es. si hanno le forme :
Fulginia, Fulginiae, Fulgineae, Fulginium, Fulcinium, Fulgineum
ed anche Fulginias **). Questa ultima forma potrebbe spiegarci Pía-
nias del Bordigalense per Tadinae.

Esattamente, perciò, il padre della geografia storica, il tedesco
Filippo Clüver — latinizzato Cluverio — nell'Italia antiqua, che è
del 1624, usa la forma Tadinae per la nostra città, e così, dopo di
lui, molti moderni, tra cui il Nissen, il Philipp, il Roisl, il Radke,
il Devoto ?*) ed altri. Il Bormann, invece, ha Tadinum nel C.I.L..

Se poi si ammette l'identificazione di essa con Txyîvat, la forma
più probabile sarebbe Tadinae, di cui si avrebbe, e proprio in Pro-
copio, soltanto leggermente diversa — la « g » al posto della « d » —
la sicura documentazione storico-filologica.

Ma torniamo alle informazioni di Procopio sul luogo dell’ac-
campamento dell’esercito di Totila a Tayîva. Questo villaggio era
&yy.ota (= vicinissimo) alla località appenninica dove si accampò
l’esercito di Totila. Certo la pianura di Tadinae, attraversata dalla
Flaminia e irrigata da vari corsi di acqua benché non molto ampia
in larghezza, si prestava benissimo all'accampamento di un eser-
cito, ma l'informazione di Procopio è troppo indeterminata perché
sì possa ragionevolmente optare per una località invece che per
un'altra. L'esercito di Totila poteva trovarsi o immediatamente pri-
ma di Tayîvar o immediatamente dopo, oppure anche immediata-
mente a nord proprio a ridosso del pendio dell'Appennino. Questo
margine di qualche centinaio di metri — se non proprio di qualche
chilometro — è un dato, tra altri, da tenersi presente quando vo-
gliamo calcolare i cento stadi, che, secondo Procopio, dividevano
il campo di Totila da quello di Narsete.

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— i Im mmus DO EU CAS
Ay PA. T aen O cura ea fio RUE ns, EI
LA BATTAGLIA TRA NARSETE E TOTILA 17

IL SEPOLCRETO DI BusrA GALLORUM

Sull'accampamento dell'esercito di Narsete ecco le notizie di

Procopio (vir = Iv, 29, 4-5).

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TOY vexpOv éxelvov Tautindetc ci-
GL ».

« L'esercito dei Romani, al co-
mando di Narsete, non molto do-
po, accampatosi sul monte Ap-
pennino, stava fermo alla distan-
Za di circa cento stadi dall'eser-
cito dei nemici in un luogo, si,
piano, ma circondato vicinissimo
da molte alture, dove si dice che
un tempo Camillo, comandante
dei Romani, abbia distrutto la
schiera dei Galli dopo averli vinti
in battaglia. Testimonianza di
questa impresa porta a me, con-
servandone il ricordo, anche il
nome del luogo, chiamato Busta-
gallorum. Infatti i Latini chia-
mano « Busta » i resti del rogo.
Ivi poi sono, elevate da terra
moltissime tombe di quei morti ».

Su questa località dove Narsete fece accampare l’esercito bi-
zantino le notizie essenziali di Procopio sono tre: era situata sul-
l'Appennino, si chiamava Busta Gallorum ed era distante circa 100

stadi da Tadinae.

L'accampamento sul monte Appennino, benché possa essere an-

che inteso in senso lato di un luogo che si trovasse ai piedi e a ri-
dosso della catena montagnosa — come era, del resto, il villaggio
di Tayivar che pure è collocato sull'Appennino — molto più pro-
babilmente deve essere interpretato come indicante il complesso del-
l'Appennino vero e proprio. Procopio, infatti, precisa che l'accam-
pamento fu posto in un luogo, si, pianeggiante, ma circondato in-
torno intorno da molte alture. Si ha, con abbastanza chiarezza, l'in-
dicazione di un altipiano proprio sull'Appennino : così si compren-
de meglio perché Procopio parli di alture che circondano un terreno

‘ pianeggiante. Questi due dati topografici difficilmente si intendono

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GINO SIGISMONDI

se riferiti ad un piano circondato da colline, ma situato sull'avam-
posto appenninico. L'opposizione tra « alture » e « pianura » — espres-
sa nel testo con il solito formulario greco uè... 3& —- ha, invece,
un senso pieno ed esatto se si tratta di un vero e proprio « altipiano »
sull'Appennino.

Molto piü complessa é la questione del nome della località :
‘Busta Gallorum. Procopio con ogni evidenza si riferisce alla disfatta
dei Galli per opera dell'eroe romano Camillo: si riporta, cioè, al
principio del secolo quarto avanti Cristo ; è, perciò, da escludersi,
come pensano alcuni storici **), che qui Procopio si riferisca alla
battaglia di Sentinum del 295 a. C., ed abbia confuso M. Furio Ca-
millo con L. Fabio Rulliano. Questa sostituzione non è giustificata
dall’episodio così come è narrato da Procopio, il quale, a sua volta,
dipende, senza alcun dubbio, da Livio.

I testi liviani, da cui Procopio ha attinto, sono quelli dell’as-
sedio dei Galli al Campidoglio in Roma nel 390 a. C. — sopratutto
quelli relativi ai Busta Gallica — e, cioè, il capitolo 48° verso 1-3
del libro v e il capitolo 14° verso 11 del libro xx.

Racconta Livio : « sed ante omnia obsidionis bellique mala fa-
mes utrumque exercitum urgebat, Gallos pestilentia etiam, cum loco
iacente inter tumulos castra habentes, tum ab incendiis torrido et
vaporis pleno cineremque, non pulverem modo ferente, cum quid
venti motum esset. Quorum intolerantissima gens umorique ac fri-
gori adsueta cum aestu et angore vexata vulgatis velut in pecua
morbis morerentur, iam pigritia singulos sepeliendi promisce acer-
vatos cumulos hominum urebat ; Bustorumque inde Gallicorum no-
mine insignem locum fecere ». E che questo luogo detto Busta Gal-
lica fosse in Roma lo conferma Minucio che così parla contro il cunc-
tator Q. Fabio Massimo opponendo a lui l’energia di Camillo contro
i Galli, nel libro xx11 capitolo 14° verso 11: «Sed vir ac vere Roma-
nus quo die dictatorem eum ex auctoritate patrum iussuque po-
puli dictum Veios allatum est, cum esset satis altum Janiculum,
ubi sedens prospectaret hostem, descendit in aequum atque illo
ipso die media in urbe, qua nunc Busta Gallica sunt, et postero die
citra Gabios cecidit Gallorum legiones ».

Secondo la tradizione storica tramandata da Livio, dunque, i
Galli che assediarono il Campidoglio furono decimati da una vio-
lenta pestilenza nell’estate del 390 a. C. ed, essendo troppo nume-
rosi i morti, ne bruciarono ivi i cadaveri, e il luogo prese da ciò il
nome di Busta Gallica o Gallorum (= crematoi dei Galli). Non è

pe pae

LA BATTAGLIA TRA NARSETE E TOTILA 19

detto con esattezza dove si trovasse questa località detta Busta
Gallorum, — probabilmente era nella zona delle Carinae, nella bas-
sura a nord-ovest dell’Esquilino — ma è certo che essa era in Roma :
«media in urbe ».

Erra, perciò, Procopio quando pone nell’area dell’Appennino,

umbro-marchigiano quella Busta Gallorum, dove Camillo fece strage
dei Galli. Così ottimamente il Comparetti commenta il passo di Pro-
copio su Busta Gallorum : « Che il nome di Busta Gallorum prove-
nisse da una sconfitta subita qui dai Galli da Camillo è un errore di
Procopio, il quale dimentica che il luogo detto, pei Galli di Camillo,
Busta Gallica era in Roma » **). Così anche il Dewing, a proposito
di Camillo che sconfisse i Galli, scrive : « This statement is quite
untrue as it stands ». E su Busta Gallorum il Dewing annota : « Here
agains Procopius is far from the truth. The Busta Gallorum of Livy
v, 48 were in the city of Rome» #9).

Il fatto poi che Procopio associ il luogo dell'accampamento
dell'esercito bizantino con un ricordo dell’antichità romana rientra
nelle sue abitudini di storico, che, spesso, indulge all'erudizione clas-
sica. Cosi, per es., altrove rievoca la battaglia di Canne (via = rir,
18, 19) e i castra Hannibalis in Apulia, benché con scarsa approssi-
mazione collocando Canne a 25 stadi da Canosa, e pone il campo
di Annibale presso il monte Gargano, da cui, invece, dista varie deci-
ne di chilometri, anche nell’ipotesi che Procopio qui si riferisca alla
battaglia di Geronio nella Daunia e non a quella successiva di Canne.

Nel caso di Busta Gallorum, dunque, si ha una rievocazione
erudita di Procopio, anche se qui è incorso in errore. Un indizio,
poi, che lui stesso non fosse del tutto sicuro della identificazione
si ha quando avverte che si tratta di una tradizione : qaot.

Sull’origine di questa tradizione sbagliata raccolta da Proco-
pio siamo completamente all'oscuro; possiamo soltanto fare delle
ipotesi più o meno attendibili. La meno inverosimile sembra la se-
guente. È certo che nella località appenninica, detta erroneamente
Busta Gallorum, c'era un sepolereto : l'attesta Procopio (vini = Iv, 29,
6). Benché l’esistenza di questa necropoli sull’Appennino non sia do-
cumentata aliunde, sopratutto archeologicamente, la testimonianza
di Procopio non può essere considerata né dubbia né sospetta. È
arduo, però, determinare con precisione chi fossero questi morti
sepolti sull’Appennino.

La forma delle tombe, che erano a tumulo, coUo: ... Yso-
^ogot, dice Procopio — può far pensare a un sepolcreto italico dei

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20 GINO SIGISMONDI

sec. virr-v1 a. C. analogo ad altri trovati lungo la giogaia dell'Ap-
pennino, come quello venuto alla luce sulle pendici meridionali del
Monte Penna sopra Boschetto *) nel territorio nocerino o come le
poche tombe italiche trovate a Campogrande di Nocera Umbra nel
1898 *). Le tombe italiche umbre trovate intatte come quelle della
necropoli di Terni erano quasi tutte a inumazione — 5 soltanto ad
incinerazione su un totale di 80 — la quale «si eseguiva con lo sca-
vare una fossa che si contornava di pietre, e al di sopra, dopo seppel-
lito il cadavere, si ergeva un tumulo di forma circolare chiuso da
pietre a circolo » *?).

Questa ipotesi, cioè, di una necropoli umbra sull'Appennino
sarebbe confermata dal fatto che le tombe erano, come dice Proco-
pio, moltissime (rautàindeic). Ma, ricordando che dopo gli Umbri il
nostro Appennino fu abitato da nuclei di Galli, è da ritenere al-
meno altrettanto probabile quanto l’ipotesi di una necropoli umbra
quella che si trattasse di una necropoli celtica **).

È un fatto storico lo stanziamento lungo la dorsale appenni-
nica di questa zona di Celti qui rifugiatisi quando la progressiva
conquista romana dell'Umbria e del Piceno rese loro impossibile
fermarsi nei luoghi di pianura.

Sicura testimonianza di questi nuclei celtici appenninici è la
toponomastica : un monte Pennino — chiaro nome celtico di Gio-
ve 4) — si leva a sud-est di Nocera, un monte Penna nell'imme-
diate adiacenze di Gualdo Tadino — e si crede che una Dea Poe-
nina risponde, presso i Celti, alla Juno dei Romani **) —, e Pu-
rello, paese tra Fossato di Vico e l'odierna Sigillo, è anch'esso un
nome che deriva dalla radice celtica POR = monte.

I «óufor ... YedXogor di cui parla Procopio potevano appartenere
ai Galli perché era questo il loro modo di seppellire dal tempo della
cosidetta cultura di Le Tène **).

L'incertezza se sia stato umbro o celtico il sepolcreto appen-
ninico, di cui parla Procopio, sarebbe facilmente spiegabile se si
accettasse l'opinione di alcuni storici, anche recenti, i quali dànno
credito alla affermazione di Marco Antonio Gnifone — un erudito
di origine celtica, maestro di Cesare e di Cicerone — secondo cui
gli Umbri sono una propaggine dei Celti: Gallorum veterum propa-
ginem (Servio, ad Aen. 12, 753). Benché questa parentela degli Um-
bri con i Celti non sia in alcun credito presso i glottologi e gli archeo-
logi, qualche storico crede che essa « non sia da scartare completa-

mente » **).
LA BATTAGLIA TRA NARSETE E TOTILA 21

L’identico modo d’inumare, testimoniato da Procopio per il se-
polcreto di Busta Gallorum, — cioè le tombe a tumulo — renderebbe
di secondaria importanza se non inutile del tutto l’attribuzione o a
Umbri o a Celti, perché gli uni e gli altri avrebbero ereditato questo
rito funerario dalla loro comune origine.

Ma sia umbro o celtico il sepolcreto dell’ Appennino, il nome di
Busta Gallorum è errato.

Il nome di Busta Gallorum in Roma indicava il luogo dove erano
stati cremati i cadaveri dei Galli, ma non presupponeva un sepol-
creto di quei cadaveri. L’interpretazione più aderente ai testi di
Livio è che dei Galli a Busta Gallorum di Roma non rimanesse pro-
prio niente, ad eccezione del ricordo della loro cremazione perpe-
tuato dal nome.

La Busta Gallorum dell'Appennino, anche nell'ipotesi di una
necropoli celtica, sarebbe un errore della tradizione popolare locale,
divenuto un errore erudito in Procopio. Non è, però, da scartarsi
del tutto — benché ne manchino le prove — l’ipotesi limite che
l'errore sia solo di Procopio: lo storico bizantino avrebbe lettera-
riamente collegato l’antica necropoli appenninica con una località
ben nota dalle fonti classiche.

GLI STADI E I DATI TOPOGRAFICI

Per individuare il luogo dell'Appennino, dove Narsete mise il
campo, Procopio dà un’altra notizia: distava da Tayîva cento
stadi. S

Identificato il villaggio Tayîvar con Tadinae, dovrebbe essere
relativamente facile misurare questi cento stadi, parte dei quali,
se non proprio la maggior parte, lungo il corso dell’antica Flaminia,
deviando da essa dove c'era un raccordo, attraverso l'Appennino,
con il suo versante orientale. Da Procopio non appare affatto che
Narsete abbia passato l'Appennino dopo la deviazione a sinistra
della Flaminia, benché sapesse certamente che Totila era accampato
a Tayèvar.

Fu Totila, secondo Procopio, che portò il suo esercito dinanzi a
Busta Gallorum, dove erano accampati i bizantini.

Siccome i due eserciti nemici erano precedentemente uno di

qua dell’Appennino sulla dorsale umbra — quello gotico di Totila
a Tayiva — e l’altro sopra un altipiano montagnoso — quello di
Narsete — dove s'era accampato venendo dalla costa adriatica, è

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22 GINO SIGISMONDI

necessario supporre che per il loro scontro frontale l'uno si fosse
schierato di fronte all’altro percorrendo una strada, che, attraver-
sando la montagna, unisse il versante occidentale con quello orien-
tale dell'Appennino tra Tadinae e Sentinum. Ora esisteva soltanto
un raccordo stradale, secondo gli antichi itinerari, tra la Flaminia
e l’agro sentinate : quello « ab Helvillo-Anconam » **). Resta, perciò,
come unica possibilità, secondo le fonti storiche, che per scontrarsi
tra loro goti e bizantini abbiano dovuto percorrere il diverticulum
della Flaminia documentato dall’ Antonino, « ab Helvillo-Anconam ».
Tanto l’esercito bizantino quanto quello gotico erano grossi eserciti
bene equipaggiati e, perciò, per i loro movimenti strategici do-
vevano seguire strade abbastanza adatte, specialmente per la mar-
cia attraverso l'Appennino. Il diverticulum «ab Helvillo-Anconam »
dati la distanza e i luoghi dei due accampamenti secondo Procopio,
si presenta come l’unico probabile per il percorso dei due eser-
citi in vista della battaglia.

Helvillum distava da Tadinae soltanto sette miglia secondo l’Iti-
nerario Bordigalense, cioè 56 stadi in base al rapporto miglio-stadio
(un miglio = otto stadi) secondo Polibio (111, 39, 8 bis), sicuramente
noto a Procopio 5°). Questa strada che collegava Sentinum con Hel-
villum sulla Flaminia — cfr. l’ Appendice a questo studio — non è
stata presa in considerazione da quegli studiosi, i quali pongono la
battaglia tra bizantini e goti sulla stessa Flaminia: o a Scheggia
(che nel sec. vi d. C., però, non era certo unita con Sentinum, in
modo da esservi possibile il passaggio di un grosso esercito) 0, peg-
gio ancora, più avanti lungo la Flaminia, e cioè tra l’altro —
molto oltre i cento stadi che, secondo Procopio, erano frapposti tra
l'accampamento di Narsete e quello di Totila.

L'unica strada di comunicazione tra Narsete a Sentinum e To-
tila sulla Flaminia a Tayîvat — 0, almeno, l'unica strada più breve
transitabile per un numeroso esercito — tra i due versanti appen-
ninici era questa da Helvillum all’agro sentinate e si comprende,
perció, per quali motivi Narsete pose il campo sull'Appennino. Questa
località appenninica, erroneamente chiamata Busta Gallorum, do-
veva trovarsi non molto lontana dal raccordo stradale che univa
Helvillum e Sentinum, e si è fedeli al testo di Procopio se si con-
teggiano i cento stadi tra essa e Toyiv« in parte sulla Flaminia
— come s'é visto 56 stadi — e in parte su questo diverticulum.

Il calcolo degli altri stadi potrebbe individuare un altipiano
appenninico ben determinato, se fosse esatto il numero degli stadi

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LA BATTAGLIA TRA NARSETE E TOTILA ag

indicati da Procopio. Purtroppo questa esattezza manca. E ció non
solo perché Procopio stesso afferma l'approssimazione del suo cal-
colo — u&Mota (= circa) — ma anche, e sopratutto, perché quando
indica il numero degli stadi tra le varie località é, quasi sempre,
molto impreciso, almeno in quei casi che sono anche oggi facilmente
controllabili. Il suo calcolo talvolta presupporrebbe uno stadio di
circa m. 250 e altre volte si e no 150 metri, e soltanto poche volte
corrisponderebbe alla misura normale intorno ai 185 metri *). Questa
oscillazione nella misura degli stadi é da spiegarsi logicamente con
la mancanza di esattezza nel calcolo delle varie distanze indicate in
stadi, perché non si puó credere che Procopio non sapesse quanto fosse
lungo uno stadio, e cioè — in misura attuale — circa metri 185 52).

I cento stadi tra Teyîvar e il campo di Narsete, per questi
motivi, non ci dànno una distanza precisa, perché essa può variare
almeno da un minimo di 15 Km. ad un massimo di 25 Km. Ed anche
queste misure-limiti possono subire variazioni in più o in meno,
perché i cento stadi hanno, secondo lo stesso Procopio, un margine
di approssimazione.

I cento stadi, dunque, delimitano una zona appenninica incerta
almeno per una decina di km. Di più da essi soltanto non si può
dedurre.

La relativa utilità di essi può essere, però, integrata da altre
indicazioni topografiche, — oltre quella di un altipiano, che già
conosciamo — date da Procopio. Dopo il brano già riportato, Pro-
copio racconta che Narsete mandò un’ambasceria al campo di To-
tila perché si rendesse conto che egli, « capo di pochi uomini e rac-
colti da poco senza alcuna regola, non avrebbe potuto combattere
molto a lungo con tutto l'impero dei Romani » (vii = 1v, 29, 6).
Era una richiesta di resa a discrezione, che, naturalmente, Totila
rifiutò. Allora gli ambasciatori gli chiesero di fissare il giorno per
la battaglia, ed egli rispose che avrebbero combattuto tra otto giorni.
Riferita questa risposta a Narsete, egli capì subito che era un tra-
nello. « Il giorno seguente, infatti, Totila si presentò egli stesso con
tutto l’esercito » (vini = 1v, 29, 10).

Continua Procopio (vini = rv, 29, 10-15).

« 10. 79€ 8& X&XXMfAots Exdtepor dv- « E già si stavano schierando (i
texdonvio, où mAÉov 7) Svotv Ot£yov- due eserciti) l'uno di fronte al-
Tec TOSEVUATOY DoAaiv. l’altro alla distanza di non più

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« 15. Eom dé «i; yeuopoug Toù
YsoAó6Qou &mínpoc9ev, Tapd uèv TV
ATPATÒOV, Tig dpr Euvnodny, Toù dè
Xpou xovkwvtuxpu ob totpatotedeÙ-
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£ovroxv, iv xypQ uiv Euvibvieg GANN
otc, &c PAMAYYA SÈ ec £y oxevoy pla
EuviETAYLÉvOL ».

Vi era qui una piccola collina
che ambedue (gli eserciti) si sfor-
zavano di occupare, pensando che
fosse utile ad essi per colpire dal-
lalto i nemici e, poiché ivi la
località, come già ho detto, era
(circondata) da alture, era impos-
sibile che alcuni, passando per di
dietro, circondassero l’esercito dei
Romani da quella parte se non
attraverso un sentiero che esi-
steva dinanzi alla collina. Perció
necessariamente ambedue (gli e-
serciti) davano (a questa collina)
molta importanza : i Goti per cir-
condare i nemici durante il com-
battimento e colpirli da due lati,
i Romani per impedire che ció
avvenisse. Narsete, peró, preve-
nendo (i nemici), scelti cinquan-
ta fanti di truppa regolare, a not-
te fonda li mandó a prenderla e
occuparla. Ed essi, non opponen-
dosi loro alcuno dei nemici, ivi
giunsero e stavano fermi...».

«C'è poi un torrente dinanzi
alla collina, lungo il sentiero men-
zionato poco fa, dirimpetto al
luogo ove si erano accampati i
Goti ; lì (cioè : sulla collina), dun-
que, stavano fermi i cinquanta
[fanti], stretti insieme l’un l’altro
e schierati a falange (cioè : per
la battaglia), per quanto lo per-
metteva il luogo stretto ».

L'altipiano appenninico che si sa circondato da alture — e la
cosa viene qui ripetuta per la seconda volta — era, per questo,
inaccessibile meno che da una parte, ed aveva proprio su questo
fianco aperto una piccola collina percorsa da un sentiero e, paral-
LA BATTAGLIA TRA NARSETE E TOTILA 25

lelamente o quasi parallelamente ad essa, scorreva un torrente. Ben-
ché la collina fosse bassa (Bpayò) e stretta — ortevoywpia : 50 soldati
a file serrate ci entravano a stento — aveva, per la sua posizione
tra i due eserciti schierati l'un contro l’altro ad una distanza di
appena poche centinaia di metri una importanza strategica note-
vole. La sua conquista durante la notte da parte dei soldati di Nar-,
sete riuscì molto utile ai bizantini al momento dello scontro frontale.

Si spiegano, perciò, i vani sforzi di Totila per cacciarne i fanti
di Narsete.

Il torrente montano doveva avere poca acqua o, forse, non
aveva acqua affatto, perché si era nell'estate del 552 d. C. 5). Per
il sentiero lungo la collina si può fare una ipotesi probabile : era,
forse, parte del tracciato appenninico della strada «ab Helvillo -
Anconam », che doveva essere ridotta in quegli anni di decadenza
in pessime condizioni di viabilità. Ma anche scartando questa ipo-
tesi, il sentiero di cui parla Procopio doveva collegare in qualche
modo l’altipiano, nel quale si accampò Narsete, con la strada appen-
ninica dalla Flaminia per il Piceno.

Altipiano sull'Appennino chiuso da alture meno che da un lato,
donde unicamente era accessibile mediante un sentiero lungo i fian-
chi di una piccola collina-avamposto, ai piedi della quale scorreva
un torrente: questi, dunque, i dati di Procopio. Essi aggiunti a
ciò che già sappiamo indicano una località montana distante 15/25
Km. da Tadinae, facendone il calcolo parte sul tronco principale
della Flaminia — da Tadinae ad Helvillum — e parte sul diverti-
culum per il Piceno « ab Helvillo - Anconam ».

Altro da Procopio non si può ricavare, tranne, forse, la consta-
tazione che quei dati si capiscono meglio nel loro insieme se riferiti
ad una località almeno aperta — se non situata del tutto — sulla
dorsale umbra dell’Appennino. Identificare questi dati topografici
di Procopio con qualche ben determinata località dell'Appennino
tra Fossato e Sigillo è, certo, possibile, ma è difficile raggiungere
la certezza, perché, con il solo testo dello storico bizantino, non si
possono superare i limiti dell’opinabile.

La certezza sul luogo di battaglia, forse, potrebbe aversi se
qualche fortunato reperto archeologico venisse alla luce, lungo la
fascia appenninica determinata sui dati di Procopio, e fosse riferi-
bile ai goti o ai bizantini della metà del sec. vi. Purtroppo, però,
almeno sino ad oggi, questi dati archeologici mancano del tutto,
tanto in questa zona indicata secondo Procopio quanto in ogni

=,
26 GINO SIGISMONDI

altra zona dell’Italia centrale 5°). Sotto il profilo archeologico la
battaglia di Busta Gallorum custodisce ancora il suo segreto.

LO SCHIERAMENTO E LA BATTAGLIA

Nel seguito del capitolo xxix Procopio narra come i Goti ten-
tarono, senza riuscirvi, di impadronirsi della collina occupata dai
90 fanti bizantini. Nel capitolo xxx vengono riportate le arringhe
fatte ai rispettivi eserciti da Narsete e da Totila : sull’autenticità
di esse non è il caso di sottilizzare perché sono certamente compo-
sizioni immaginarie dello scrittore che imita gli storici classici a lui

ben noti.

Segue il capitolo xxxr, al principio del quale viene descritto
come si schierarono per la battaglia i due eserciti opposti (vi =

Iv, 31, 1-10).

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« 1. «& dì otpatesuata Ec udynv
Euvizr xai ETtdtavto de. petwrndby
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uev &ugorépo9ev dravteg. Eommoxy,
Qc Bodbratov «s xal meplunzeg 176
qXA«YYoc 2. TÒò uéveomov Tomotue-
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vot. 7v de ‘Pmuatwy xépac u£v «b
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abtol EL Ti &piovov 3. &v «à 'Po-
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9opupópgov te xol Omaontocróy "),
xoi BapB&pcv Ove, strevo 4. TA7-
dov dprotivèny cuveUAeYsuévov. xoà
detròv BaXepravoc te xol "lo&vvwc è
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Payàds £5» «à Aayiodato xxi ol xx-
li € ” 3 /,
1&Aourot ‘Popuator &xáExvcvo Tavtec.
D. metote uévcvot TOEbTAG Èx cvy xa-
TAALYOL OTPATIWTOY OxtaXITYIM OLE
uariota Eomnoav x«c' dupw «X xoc

T°Ò=. Hard uéca «Tj QXAvyYoG TOÙG
te AayfoBdpdag xol «6
E9vog °°) xal TavTtaG cobc KAAoUG Bap-
B&pouc ó Napong Etatev, Ex te cÓw

EpovAwy

« Gli eserciti si schierarono per
la battaglia disposti in questo
modo. Stavano tutti di fronte gli
uni agli altri tanto da rendere
più profondo e più esteso possi-
bile il fronte dello schieramento.
Narsete e Giovanni occupavano
l'ala sinistra dei Romani vicino
alla collina e insieme con essi [era
schierato | il fior fiore dell’eser-
cito romano. Oltre agli altri sol-
dati, infatti, dietro ambedue ci
erano un gran numero di lan-
cieri, di scudieri e gli Unni bar-
bari, scelti secondo il merito.

Sulla [ala] destra erano schie-
rati Valeriano e Giovanni Fagas
(= il Mangione), insieme con Da-
gisteo, e tutti gli altri romani.

Circa 8000 arcieri.a piedi della
truppa regolare dei soldati fu-
rono collocati su ambedue le ali
tanti da una parte e tanti dalla
altra °°). Nel centro dello schiera-
LA BATTAGLIA TRA

e , , M U 3
UO» GxoBukoxg xxt Teloùc sivi
x«cvacTnoXuevoc, órGG v un xoxoL
&y TO Épyco Yevóusvot 7) £9eXoxoxobv-
Tec, dv ob1Q ^«5yv, $c Uray@ynv è-
Ebtepor 6. &iev. TÒ uévcot répag xé-
pwg Tod sbovÓuou Toy '"Pouaxtiev us-
«mou NapoNg éyYowtov xoceoctjoa.xo
Tevtamaciove Te xal you irmeiG
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EvitaLda 7. ovfjo«c. Tpostonto dÈ «olg
uèv TevtazoGioe, ETELÙAYV ty voa cv
€ là ^ Lad , ,
Poyuatov «toi «paz vot Suuatn, éxi-
^ DI m , ^ e \
Bondeiv adroîs £v ortovdì, «oig dè
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YLALOLG, OTTMVIXA OÙ TOY TOASLLWY TE-
Col Epyfov kpyovtar, xatoriodev te
9 e , 4 , M ,
«O0vGv adrixa yeveocdar 8. xal &kuqi-
Boos motfjoao9o.
xxi ó TouciAag dì tpÓnxQ TO adrò
«olg moreutore &vclav «Tj» OTPATIÀV
Eburacay Èotmoe, x«i repuov «lv
olxziaw TAPUTAÉLV TOÙG OTPATLWOTAG
Tapedapovvé te xa, rapexdder Èc
> , , ^ M /
&£UüTOÀUL«V TPOCWITU) XX. AoYo.
Aug e c x POE pa
9. xa 6 Napolg SÈ TaDTtÒ ToÙTo
E IS (| eA L M T7 ncm V ^ 3
&mole,, VENA te xol oTtpertode xai
yo9wvobG ypoucoUc ÈTÌ x0vcQw pete
tà M HA » ^^ H \ 7
pgicac xai AXXa ATTA VG EG TÒ ALV-
Suvov rpoduutag drexxaruata avis
L , , ,
vóuevoc. 10. xpóvov SÉ riva udyns
ovdetzpoL Tioyov, GM fjovy T, dupérte-
étepot Tioyov, TAX Tovy T) &uqóce
pot Èuevov, mpoc8syÓusvot ^T «Ow
Evavtimvy ETideow ».

NARSETE E TOTILA 27

mento Narsete mise i Longobardi,
gli Eruli e tutti gli altri barbari,
dopo averli fatti scendere dai ca-
valli e stare a piedi affinché non
accadesse che, se fossero diven-
tati vili nella battaglia o volon-
tariamente codardi, potessero
mettersi in fuga. Narsete dispose
ad angolo l’estremità dello :schie-
ramento sinistro dei Romani, do-
po avervi collocato 1500 cava-
lieri. Diede poi ordine a 500 [di
essi] se avvenisse che alcuni dei
Romani improvvisamente fuggis-
sero, di venir subito in loro aiuto,
[ordinò |, invece, agli altri 1000,
appena attaccassero battaglia i
fanti nemici, di aggirarli imme-
diatamente alle spalle e prenderli
in mezzo.

Anche Totila schieró tutto lo
esercito di fronte ai nemici. E,
percorrendo il proprio schiera-
mento, animava i soldati e con
la persona e con la parola li esor-
tava al coraggio.

Altrettanto faceva anche Nar-
sete, mostrando su aste braccia-
letti, gioielli e freni d'oro e mo-
strando tutti gli altri incentivi
per affrontare il pericolo. Né l'uno
né l'altro per un certo tempo in-
cominciavano la battaglia, ma
stavano fermi, aspettando l'at-
tacco dei nemici ».

Questo testo di Procopio sullo schieramento dei due eserciti e
abbastanza chiaro, da non aver bisogno di commento.

Si puó osservare, a conferma delle buone informazioni, in base
alle quali Procopio descrisse lo schieramento e la battaglia, che i

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28 GINO SIGISMONDI

suoi dati sono perfettamente in armonia con la topografia già nota.

Nel seguito di questo capitolo xxxi, Procopio racconta il duello
tra il cavaliere goto Coca e il lanciere bizantino Anzala, che ebbe
la meglio e uccise il rivale. Poi viene narrato che Totila per guada-
gnar tempo finché arrivassero i 2000 cavalieri goti lasciati indietro
«cavalcando uno splendido cavallo, andava facendo esercizi come
alla giostra con grande abilità in mezzo ai due eserciti » (vili = Iv,
31, 19). Procopio descrive anche come era vestito Totila : « indos-
sava un’armatura tutta laminata d’oro ed era tutto ornato, dal-
l'elmo alla lancia, di bendoni e pendagli e di tanta porpora quanta
si ammira in un re» (vili = Iv, 31, 18-19).

Questo capitolo xxxi si chiude informando che Totila «per
rimandare ancora più in là il principio della battaglia» chiese un
colloquio con Narsete, il quale lo rifiutò. Precedentemente Procopio
fa una affermazione importante : Totila « facendo queste cose (cioè
i giuochi di abilità) passò le ore del mattino » 1).

Si può, così, ricostruire l’ordine degli avvenimenti : il giorno
prima era arrivato di fronte al campo bizantino l’esercito di Totila
che si schierò a poche centinaia di metri di distanza, durante la
notte avvenne l’occupazione della collina da parte di 50 fanti bi-
zantini, nelle prime ore del mattino del giorno seguente — e si fece
giorno molto presto perché si era in giugno o in luglio — ci furono
i tentativi dei Goti per strappare ai bizantini la collina ; il resto del
mattino trascorse senza nulla di rilievo, tranne i « giuochi » di To-
tila — in attesa di 2000 cavalieri goti — dinanzi al suo esercito
schierato e in vista dei soldati bizantini anch'essi già pronti per lo
scontro finale.

Nel capitolo xxxii Procopio racconta diffusamente la battaglia
tra i due eserciti, terminata con la fuga e la sconfitta dei Goti e
con la morte del loro re Totila.

Fu proprio Totila che prese l'iniziativa dello scontro poco dopo
l’arrivo dei suoi 2000 cavalieri e subito dopo aver fatto mangiare
i soldati, cui aveva per poco tempo ordinato di rompere lo schiera-
mento e indietreggiare, (vig = Iv, 32, 1: dtaAboavieg v1 mapatativ
òrio” dvéotpegoy = avendo rotto lo schieramento, si volsero indie-
tro). Dopo il pasto — e siamo già sicuramente nel primo pomeriggio
della lunga giornata estiva — (vii = rv, 32, 2-3)

« xxi ^h» TOY ÉTAWY oysuT peray- «fattili tutti di nuovo indos-

Quxckuevoc Umavtas °*) é&onAicaco uiv sare le armi al completo come

m———M— - 7 Rat a sE" d CUNT SESS e
LSU» q UNS CAPA AO o. cv s STAT Eu cA WR, I
LA BATTAGLIA TRA NARSETE E TOTILA 29

9 b , M , pel ,

ég v0 dxpifig év crpaciocOv ASSO,
> \ A M M , M '

cü9U0c SÈ TY OTPATIÀV ÈTTÙ vobc v0Ac-
uiovg éEXsv, drpocdéoxntog adtotg
erimeosida. olóusvoc xo taùtn aio?-

conviene a soldati, subito scagliò
l’esercito contro i nemici, cre-
dendo di assalirli all'improvviso
e, perció, vincerli ».

CEL D».

I bizantini, peró, non si fecero sorprendere impreparati : Nar-
sete (detoac Y&p ó Nepotis Ór:p &yéveco, UT) copio &xpooOoxf|rot; &rvxécotev
oi toXéutet = temendo proprio ciò che avvenne, che, cioè, i nemici si
gettassero contro di essi, vers. 3) dopo aver proibito ai suoi soldati
di prendere il riposo di deporre la corazza e di togliere il freno ai
cavalli, li aveva fatti mangiare èv «7j «á&et xai «fj TOV brAwy ox,
(= schierati e armati, vers. 4).

Procopio, però, nota che la battaglia cominciò con uno schiera-
mento dei bizantini in parte diverso da quello già descritto : (vi =
IV, 925 9).

«ma tra i Romani le ali, in cia-
scuna delle quali erano stati col-
locati 4000 arcieri a piedi, fu-
rono schierate, per ordine di Nar-
sete, in forma di mezzaluna (cioè,
a semicerchio) ».

« dia '"Pouatote-u&v «X x£oa, &v olc
M , € M ,
xa1& v&cpoxto y tA Lou; ol Telo c6 Óco
&lovf]«ewav, Emi «6 unvostdeg Tod

Napood Yvoun &vpkmeco ».

Totila mise la cavalleria innanzi alla fanteria, affinché «se si
volgessero indietro, i fuggiaschi (cavalieri) potessero rifugiarsi presso
i fanti e poi gli uni e gli altri insieme ‘ potessero subito avanzare »
(v. 6).

Procopio, a questo punto del racconto, indugia nel sottolineare
un errore fatto da Totila: comandò ai suoi soldati di servirsi sol-
tanto delle lance, e non delle frecce. Nota lo storico bizantino che
con questo strano ordine Totila « x«getyevo «oic Evavitore ThY adrtod
STpatiàv ove 7) OrAloer dvritovy obte «Tj TAbEL dvitpporov, oÜve «Q Go
aviitaAoy » (v. 7 = presentò il proprio esercito ai nemici inferiore
tanto nell'armamento quanto nello schieramento e in ogni altra cosa).
Tanto più grave questo errore di Totila in quanto i bizantini, nota
espressamente Procopio, usarono tutte le armi in loro possesso —
frecce, lance, spade ecc. — e adattarono la tattica alle necessità del
momento : « aleuni a cavallo ed altri a piedi stando nello schiera-
mento, secondo ciò che era adatto alle necessità, in un punto cir-

* Ti

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4

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hu

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-——

—À 9
30 GINO SIGISMONDI

condavano i nemici in un altro aspettavano quelli che avanzavano
e respingevano l’attacco con gli scudi ».

La battaglia durò varie ore dal pomeriggio sino a notte e si
delineò subito favorevole a Narsete.

La cavalleria gotica attaccò il centro dello schieramento bizan-
tino, ma fu respinta e accerchiata dagli 8000 arcieri collocati sulle
ali, che si erano disposte a semicerchio ; poi la fanteria gotica, vista
sconfitta la cavalleria, si diede a fuga precipitosa e disordinata in-

sieme con essa.

Ma ecco come Procopio descrive la battaglia (vii = iv, 32,

8-10).

« 8. ot de «àv Tl'óx0c» Lxxeic 7v
m , T , , ,
xebGv copio &xoAsAeupévov Ónloc,
uovors 9«pooD;vsG voic Sopot Ópuj
&verioxémzQ ETecav, Év Te «Q mÓvO
yevopevor «7j oqzcépxc &ovuALc &rxco-
vavto. 9. ÈTi uécouc Y&p TOÙs moAc-
pulovs Opunoavtec £Axtov coc arabe
Ev pio Telov «Ov ÓxcToxtoy UA Lov
Yevóuevot, Tolg te Toledbuaor móc
«TOv PaXAbpevor fxovíoo0ev drei
3 ' > x e Z EA D
Tov £09Uc Émcl oi TobbtaL Xpupo coU
METMITOV TX xépx Emi «6 unvostdìc
xatà Dpoayoó Èrperov, rio por 10.
» » \ ' S.
EuTpoo)ev clovyvat. x0AAobG uiv ov
» U Nc , -- ld
Uvdpus, toMobc dè trovi; &y TG) mÓvO
7oóvQ l'órv9o. &zíQaAov, oUm «oic
È) , re - ,
Evavttore Cuuultavtec, T-0ÀAOYy TE &vn-
xEoTwy xandiv Èc Telpayv EAD ÓvcveG dé
A. , > n E Si ,
Te XX, uOMtG EG TAV moAeulov dol-
XOvTO TV TQ TOLL ».

«I cavalieri dei Goti, invece,
lasciati dietro di sé i fanti, forti
soltanto delle lance, con impeto
cieco andavano all’attacco e, ar-
rivati allo scontro, colsero il frut-
to della loro follia. Scagliatisi, in-
fatti, contro il centro dei nemici,
sì trovarono senza accorgersene
nel mezzo degli 8000 fanti (ar-
cieri), colpiti da ambedue i lati
dalle frecce [scagliate] contro di
essi, e si persero subito di corag-
gio : gli arcieri, infatti, a poco a
poco avevano piegato a semicer-
chio ambedue le ali dello schie-
ramento, come da me è stato già
detto. I Goti, perciò, in questo
assalto persero molti uomini e
molti cavalli prima ancora che
sì scontrassero con i nemici, e,
avendo subito molte irrimedia-
bili perdite, tardi e a stento arri-
varono nello schieramento dei ne-
mici ».

Dopo aver fatto l'elogio nei vers. 11-12 dei combattenti bizan-
tini — sempre detti 'Pouxio, naturalmente — e dei loro alleati bar-

bari — Ébpuayor B&opaoo! — per lo slancio che misero nel resistere
LA BATTAGLIA TRA NARSETE E TOTILA 31

all’assalto dei cavalieri e nel respingerli, Procopio così continua

(Vin :—.1y,:32; 19-20):

» 1719 a) M \ [4 , T \
« NÎN 8$ dpi To pdc &onépav iv xol
x , , / bi ,
tà otpatoreda etarivalwo &xwTon,
e , , M > € *
&xX1epa, l'ór9cwv uiv &c drayoyày,
"Pouatov 14. SÈ éc 7fj» Stwév. opoyum-
, M , 5 \ , E) >
pévor Y&p &c adobe lócv9ot obx &v-
tetyov coic ToXeulotc, XXX. Evedidoczay
ETLOVTWY ocv xal TPOTPOTAÎNV Advé-
OTPEPOYV AATATETAÀNYLEVOL (TOV TO

€ / \ n” , 7; ,
te 15. óu(o xai «J| sóxocuíla. éc
dixiv Te oddau?) EBAerov, Gorep qà-
cuata émuceoóvva olo, 16. Seruat-

M9 , Lad [4 >
vovvec, Î) £& oùpavoi Toreuovpevot. di
, ? M 2 \ , M Y
oMfyov dÈ &c TETOLe «OvToicg TOÙC ogz-
LÀ DI / n” » m
TEPOUG APLIXO[LEVO!G Tt0ÀÀQ ETL ui 0v
76 xaxòv pero 17. xai mpóoc éyo-
pet. OÙ YÀp év xÓócu.o cT|v dvaydpnow
Torokuevor &c adTtodc TA90v, àc dva-
mvevcovtEg Te xai Gov adtolc avara-
E. LÀ KA » ^ , e
yovpevot, Nap eldiotat, 7) O910U0
7obc Otxovcvac armodpevor 7, Tadiw-
, sd ^^ » ^ ,
Ev Eyystploovveg 7) GOXmv TIVA TTOAE-
uou iOéxv, XAX obTtwi A TANTO (occ
«cV cct xal Ouep9do9at cj trerov
&mvreco9o7G tuvereoe. 18. dbrep aù-
tobc oi retoi oùte draotAvTEg èdet av-
LA IN LA > , ^
TO OÙTE OtxcOQoXpevot £ovcroav, XXAX
Ely acoic TpoTpordànv kravtzg Egzo-
yov. Èvda 87) xat 19. dAXNX0vg borep
£y vuxtopayia Suéoderpov. 6 TE TÉV
"Pou«tov otpatòc T°G exelvwv &mo-
LA D e
Nadovteg Oppwédlac, pudoî obdeutà
toÙg £v Tociv del Éxvzivov, oùte duu-
, » -) , e
vop£vouG obce dviLBAETELYV coAUOvca,
GINA GQXc adTOb TOi; ToXsptotc Ta-
pexopevovs d TL PBovAosvio ypRodar,
u M , Dd , l4 > ,
obvo dn abtoîc tà Te dsiuata éxpá-
ter. 20. xol &ov&v iEaxioyiNior uèv

« Era già verso sera e ambedue
gli eserciti si mossero improvvi-
samente [quello] dei Goti per la
fuga, [quello ] dei Romani, invece,
per l'inseguimento.

Infatti i Goti non resistettero
ai nemici scagliati contro di loro,
ma, mentre quelli avanzavano,
andavano indietro e precipitosa-
mente fuggivano atterriti dal loro
gran numero e dal loro ordine
perfetto. Non si curavano affatto
di resistere, spaventati come se
li assalissero dei fantasmi o si
combattesse [contro di loro] dal
cielo. Ma per essi rifugiatisi pres-
so i loro fanti in poco tempo la
sfortuna crebbe e aumentó ancora
molto di piü. Infatti, non essen-
dosi ritirati in ordine, giunsero
tra essi (cioè : tra i loro fanti)
non per riprendere fiato e in-
sieme con loro ricominciare poi
a combattere, come si è soliti,
[sia affrontando gli inseguitori
con scontri sia facendo improv-
visi dietro-front sia in altro modo
di guerra] ma cosi in disordine
che ad alcuni di essi accadde di
essere uccisi dalla cavalleria ve-
nuta [loro] addosso. Perció i fan-
ti né, aperto lo schieramento, li
ricevettero né, salvatili, stettero

fermi, ma insieme con essi subito ’

tutti fuggivano, e allora persino
si uccidevano l'un l'altro come
in una battaglia notturna. I sol-

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32 GINO SIGISMONDI

iy «Q Éoyo todro d&rédavov, tomo. dati romani, approfittando del

St oo&c adrobs eveyetproav voi; èvav- loro terrore, senza alcuna pietà,

lota ». uccidevano sempre quelli che in-
contravano, senza che si difen-
dessero o osassero alzare gli oc-
chi, mentre si arrendevano ai ne-
mici perché ne disponessero a
loro discrezione, tanto la paura
si era impadronita di essi e il
terrore li dominava. E di essi
6000 caddero uccisi in quella bat-
taglia, e molti consegnarono sé
stessi ai nemici ».

Per il momento i romani lasciarono vivi quelli che si erano
arresi, ma poi li uccisero, sopratutto quelli che dall'esercito romano
avevano disertato (vir = rm, 11, 7 e segg.) e si erano uniti con i
goti di Totila. I goti scampati a piedi o a cavallo non dovettero
essere molti.

Dopo queste notizie, Procopio ha un'annotazione sull'ora in cui
fini la battaglia (vini = Iv, 32, 22):

« dn uiv obv T) udyn &c TodDTO « Così, dunque, già la batta-
Ercdebta x«l Euveoxbtate tavtàtao glia finiva e già si faceva del tutto
701) ». buio ».

| | La descrizione della battaglia, come si vede, è diffusa e abbon-
dante anche nei particolari di minore importanza : indizio certo che
Procopio ha riprodotto fedelmente le fonti, le quali dovevano essere
abbastanza estese.

Dal testo di Procopio si possono dedurre alcuni dati di rilievo
per la storia della famosa battaglia. Anzitutto: essa duró soltanto
aleune ore di un pomeriggio estivo di un imprecisato giorno del
mese di luglio o, meno probabilmente, del mese di giugno dell'anno
552 d. C. Nessun dubbio su questo dato: il mattino di quel giorno
fatale per i goti Totila lo passó in giochi d'abilità in attesa dei 2000
cavalieri, e, appena giunti costoro, fece marciare l'esercito, e poco
dopo cominció lo scontro frontale della cavalleria gotica con i bi-
zantini, cui seguì la sua precipitosa ritirata presso la fanteria, la
quale, a sua volta, atterrita si mise in fuga inseguita implacabil-
mente dal grosso dell’esercito di Narsete. Procopio dice espressa-

PAL X

p x x Es imm CUIU ZITTA Pr È LA BATTAGLIA TRA NARSETE E TOTILA 33

mente che la battaglia era sostanzialmente vinta dai bizantini al
cadere della notte.

Anche a proposito del luogo dove avvenne la battaglia Proco-
pio dà indicazioni sicure ; essa cominciò e continuò sino alla fuga
dei Goti nel luogo dove si erano schierati i due eserciti, cioè dinanzi
e poco lontano dall’accampamento dei bizantini sull'altipiano ap-
penninico, chiamato erroneamente Busta Gallorum.

È stato l’esercito di Totila, secondo Procopio, che prese l’ini-
ziativa della battaglia, portandosi da Tayîva. a due tiri di freccia
— cioè a poche centinaia di metri — dinanzi al campo appenninico
dei bizantini, schierandosi di fronte.

L’ovvia lettura dei testi di Procopio non legittima in nessun
modo lo spostamento della battaglia molto lontano dalla località
appenninica cosi detta Busta Gallorum.

Improprio é, perció, anche il nome con cui é comunemente
ricordata dagli storici moderni cioè la «battaglia di Tagina ». In
questo caso non si tiene conto, tra l’altro, di due indubbie afferma-
zioni di Procopio : che, cioè, la battaglia avvenne dinanzi al campo
appenninico dei bizantini e non dinanzi a quello dei goti, accam-
pati, appunto, a Tayîvar, il cui nome — ed è il secondo dato certo
di Procopio — si deve rettamente italianizzare dal plurale greco
in Tagine e non in Tagina.

Un'ulteriore questione interessa gli storici: quanti erano i com-
battenti da ambedue le parti? Procopio dice soltanto che i bizan-
tini erano molti di più dei goti, ma non dà alcun numero sui combat-
tenti: sono dunque, una semplice congettura le cifre che si leg-
gono in alcuni storici. Il Salvatorelli **) suppone che Narsete avesse
un esercito di 30.000 uomini e Totila circa 15.000 soldati, cioè la
metà. Ma, forse, sono cifre che peccano per eccesso.

Procopio parla, è vero, di 6000 goti uccisi, ma si hanno buoni
motivi per credere che anche qui, come altrove, il suo numero sia
superiore a quello reale : si considera, per es., iperbolica la cifra di
30.000 che Procopio dà per i massacrati di Milano nell’inverno del
239 (vr = un, 21, verso la fine).

Si può concordare con il Pepe che di Procopio scrive : « È strano
che uno scrittore preciso, guardingo nelle sue affermazioni, dia sem-
pre cifre di morti per malattie o per battaglie o per conquiste di
città che risultano comparativamente assai superiori alle cifre che
si possono calcolare, da altri indizi, per la popolazione totale di
Italia » 94).
GINO SIGISMONDI

LA MORTE DI TOTILA

Il racconto che fa Procopio della battaglia del 552 d. C. termina
con la morte di Totila, re dei Goti.
Ecco il testo : (viti = 1v, 32, 22-28)

« 22. ToutiAay dè pevyovta &v oxó-

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TU GUv &vOpkotv où mÀAÉoy 7) révre
odor, @vrep Ó Zxutovao sic écoYya-
vev àv, «Ov Tves ‘Poparòy zSlwxoy,
> 70 / e / M ss -
ovx sidotec Gc Touc(Aag civ &v «oig
xai "Acp«3ov «óv 23. D'jmox3« Euvé-

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Bate eva. Go rep. &xel Toutiàg ayyo-
TATU ÉYévzvo, (Gc TO Idpaot aÙTòv
KATÀd TOY vorov 24. maícov èrmet.
Doz)uóv SÉ TL pepdxtov, ix TÎg
TouctA« oixtac pebrovit «Q OsoxócT,
érÓp.evov, «Oy te atatiodv c1] TÒTE
vapoUoay, &véxpoys Lera « TI coUo,
© X0O0V, 70V dsortotav «Óy cavtod
TANGWY Opounxac ; » ó uev oby "Aofla-
dac Et. Toutiday «6 3ópo oc9éve
Tavti Qocv, aùtic Sè Tpòg ToU Lx
Tovup TÙVv Oda abtod Euetve.
aùtoc dì Zxtrovap mpÓG TOUV TÓV

la M » e
Owoxóvvov 25. TANYZIG Eomn, ol te
Ebv 'Aofiáóo reromuivor Thy Otc-
Ev, TETTAPEG Bvtec, Grws aùtòv Otx-
cOGc0tycv0, oùzeti èdimxov, 26. XXX
' > e 2 , E AS 4 € bi
Eby aùrtoò Onlco daviotpepov. oi dè
ToutiAg &xtorcóuevot, Guoxety og&c Ext
Tobc Toreutovs olópevot, oùdev «t Tjo-
cov m-póco Miavvov xalreo aùtòv
xatplav TANYEVTA xoi Aetrovuyoùvta
BeParòtata EÉTAYbUevo, rpvtavevob-
ones «rolg TI dvayuns TÙv Blatov

e , bI > If

Spopov. 27. otadtove Sè dvbcavtec
TEéGCUPdC Te xa. Oydonzovta $c yw-
piov &obxov:o Karpac dvoua. où di)
40 Aotróv Novydtovieg Tovriàa cv

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e.

« Totila, poi, mentre fuggiva .
nel buio con non piü di cinque
uomini, uno dei quali era Sci-
puar, veniva inseguito da alcuni
romani, i quali non sapevano che
era Totila : tra costoro si trovava
il gepido Asbade, il quale, ap-
pena giunse vicinissimo a Totila,
l'assaliva per colpirlo alle spalle
con la lancia. Allora un giova-
netto gotico, della casa di Totila,
che seguiva il padrone in fuga,
sdegnandosi per quanto accadeva,
gridó ad alta voce: « Perché, o
cane, ti sei scagliato a colpire il
tuo padrone ? » Asbade, dunque,
scaglió con tutta la forza la lan-
cia contro Totila, ma egli stesso,
colpito al piede da Scipuar, ivi
rimase. Ma anche lo stesso Sci-
puar si fermó, colpito da uno de-
gli inseguitori, i quali — erano
quattro — dopo aver fatto l'in-
seguimento insieme con Asbade,
per salvarlo smisero l’insegui-
mento e ritornarono indietro in-
sieme con lui. Quelli poi che ac-
compagnavano Totila, credendo
che i nemici ancora li inseguissero,
non smisero di fuggire, pur tra-
scinandosi dietro con grandi sfor-
zi lui (cioè Totila) colpito a mor-
te e in fin di vita, poiché erano
costretti a una corsa forzata. Do-

INVASE E
È Sa) Li (9 LA BATTAGLIA TRA

Ty! Edeparsvov, Borzp où 70)}6
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Üovspov iv lov 28. éEeuéxpnosv.
£vvaU9a. Te adTòv ol ExtonÓuevot xo-
vavtec Ti YT dveyropnoav. «bcr Yé-
yove Tovriàa ^T Te &oyTjo xoi tod
, M so » "4

Blov xa cxccpogt,, rcr £voexo Tl'óxSev
Upiavii ».

NARSETE E TOTILA 39

po aver percorso 84 stadi giun-
sero ad un luogo chiamato Ca-
prae.

Quindi, fermandosi in questo
luogo, curavano le ferite a To-
tila, il quale non molto tempo
dopo cessò di vivere. Allora quel-
li che lo seguivano dopo averlo
ivi sotterrato si allontanarono.
Così finirono il dominio e la vita
di Totila, che aveva regnato sui
Goti per undici anni ».

Alla fine di questo Capitolo xxx1I, però, Procopio racconta un
po’ diversamente la morte di Totila (vini = Iv, 32, 33-36)

« 33. TIvÈg dì oby, oltw Td Ye xatà
TouriXay xol ThvÒe ThV uaygv Evu-
Bava, &XA& TPOTTHW TO &vépo paoiv
e > , ! 9 » 34
Óvxep uot dvaypavpacdtar où tor 34.
&T6 TpOTOL Èdotey elvat. A&Youct Y&o
00x. ATpPOPALOLOTEY ODE TApPdAOYOv civ
Orayo@yny Covevey9 von TO TTI
otpaTto &XA& '"Pouatov | dxpooA-

/ e / , !
Couévov cTivGv DBéXog &x Totsiuatog
e , , 4 > ^
TQ Tovriàa étarivalme &mUeosiy,
oùx Ex Tpovotag Tod éutbavtoc: Èreì
ToutiAaxc &v OTPATIOTOL ASSO @TA-
GUÉVOG TE XX TAapatetaevog Onou
97 Te qe or voc aTMueiMpevwc sot)
xet, o0 PovAouevoc xoig Todeplotg Év-
Snroc elvat, 009€ Ty adròv &c Ero
Aj» Tepey bevo, dia TÙync «aUa
cxevmpovpevne Tivòs xo) iduvdong xi
TÒ TOÙ &v9poT ou cà TÒv Ktpaxtov
xo adtòv pv xatplav BiNdtvra, óc
ÈVI ud)ucca Teprmduvoy Yeyevnuévov
Em Yyeveodar «Tj; qéAeyYoc Ebv re
34/7 i \ E) , 7 M
OAtYotc xata Bpayd Ortiow liévot. xol
35. uéypt uév ic K&rpac dvréyovta

« Alcuni, però, dicono che non
cosi, ma in altro modo andarono
gli avvenimenti relativi a Totila
e a questa battaglia ; e ciò a me
non è sembrato fuor di luogo rife-
rire. Dicono, infatti, che all’eser-
cito dei Goti accadde di mettersi
in fuga non senza motivo e irra-
zionalmente, ma che durante una
scaramuccia di alcuni romani una
freccia colpì improvvisamente To-
tila, senza espressa intenzione
di chi l'aveva scagliata. Toti-
la, infatti, armato come un sol-
dato [semplice] si trovava alli-
neato, senza alcuna precauzione,
in un punto qualunque dello
schieramento, non volendo dar
nell’occhio ai nemici né esporre
sé stesso a [particolare] attacco,
e, perciò, un disgraziato caso di-
resse la freccia contro il corpo di
lui: [dicono] poi che egli colpito
mortalmente, straziato da acu-

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D'óéxàov» otpariàv dUTE (Aoc à&róua-
Xov volg Evavtiore oboe), TAMA xoi
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cda, si uóvoc aoz6c obx iE &r Bou-
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Bandsin, xal dt’ adtod reprpéfovc te
xoi &90jouUc YeYs.uévouc £c Te óppo-
Stav Bpov obx Eyovoay xal bove
obzccG aloypàv &umeTOXÉevat.

> M ' bI LA , e

KA TQl [LEV TOUTWY AzYetO) Exa-
aTOG OT) YtvO03x&t ».

36 GINO SIGISMONDI

tissimo dolore usci fuori dallo
schieramento con pochi e a poco
a poco si ritiró indietro; resi-
stendo al dolore cavalcó sino a
Caprae, dove poi, essendo sve-
nuto, si fermó per curare la fe-
rita, ma non molto dopo arrivó
per lui lultima ora della vita.
Allora l’esercito dei Goti — che,
per altro, non era di pari forze
per combattere i nemici — es-
sendo stato messo fuori combat-
timento, contro ogni aspettativa,
il suo capo, fu sbigottito perché
il solo Totila, e senza che i ne-
mici lo colpissero di proposito,
era stato ferito mortalmente. Per-
ciò [i Goti] atterriti e scorag-
giati caddero in così illimitato
spavento che si misero in fuga
vergognosa.

Ma su queste cose ognuno pen-
sì come meglio crede ».

Procopio si rimette, così, al giudizio dei suoi lettori, ma da

parte sua fa comprendere abbastanza chiaramente che egli dà scarso
credito alla seconda versione degli avvenimenti sulla morte di To-
tila e sullo svolgimento della stessa battaglia tra goti e bizantini.
Secondo questa versione, tra l’altro, non ci sarebbe stata una vera
e propria battaglia, ma semplicemente una disordinata fuga dei
Goti spaventati per la morte improvvisa del loro re Totila. Il fatto,
poi, che Procopio si sia sentito in dovere di riportare anche questa
seconda versione, diversa da quella ufficiale da lui raccolta e narrata
diffusamente, conferma la sua attenta indagine critica sulle fonti
d’informazione, da cui attingeva con scrupolosa fedeltà.

C'é, però, un dato comune nelle due versioni, che, appunto
per questo, deve essere ritenuto come certo: la morte di Totila a
Caprae. La località, precisa Procopio, si trovava a 84 stadi dal luogo
dello scontro tra goti e bizantini. Tenendo presente quanto già si
è detto per il calcolo dei cento stadi tra Taytva. e il luogo della

Ca dii LOR ro 70 ERE VITO AD RA S SIT LA BATTAGLIA TRA: NARSETE E TOTILA 37

battaglia — approssimazione del numero di essi e impossibilità,
perciò, di un loro calcolo esatto — si deve ritenere, per analogia,
che la distanza di Caprae da Busta Gallorum oscilli tra i 12 e i 20
Km. Questa distanza è, comunque, un dato troppo incerto perché
su di esso si possa fare un sicuro affidamento per localizzare Caprae.
Dal testo di Procopio si può dedurre soltanto, benché non sia detto
espressamente, che Caprae si trovava nella zona già in possesso
dei Goti, cioè al di qua e non al di là dell’altopiano appenninico,
dove s'erano accampati i bizantini. Secondo Procopio, infatti, To-
tila ferito a morte si ritirò indietro (xatà Bpayò èrtom itva) dal
luogo della battaglia dandosi alla fuga inseguito da un gruppo di
guerrieri bizantini.

È interpretazione ovvia che questa fuga e che questo insegui-
mento siano avvenuti, in senso lato, nella direzione di Tayîvat,
donde si era mosso per la battaglia decisiva l’esercito dei Goti. Il
testo di Procopio rettamente inteso ci conduce a localizzare Caprae
nel versante umbro dell’Appennino.

Non sono, perciò, da accettarsi nemmeno come remotamente
probabili le identificazioni di Caprae con località troppo lontane
dall'area di Teyîva:. Anche senza altre considerazioni, Caprae di
Procopio non può essere né Capriglia (dintorni di Esanatoglia nelle
Marche), né Caprile (frazione di Badia-Tebalda in Provincia di Arez-
zo), né Carpesso (nei dintorni di Fossombrone), né Caprese Miche-
langelo in provincia di Arezzo.

Nessuna di queste località può essere Caprae, dove morì To-
tila, se i vari dati di Procopio vanno presi così come sono nel testo
e nel contesto

Il luogo, invece, che è in accordo con essi — intesi nel loro
complesso significato topografico, filologico e storico — è l’attuale
paese di Caprara, frazione del Comune di Gualdo Tadino.

Questa identificazione dell’antico luogo di Caprae trova con-
senzienti quasi tutti i più recenti studiosi, anche quelli che non
sono d’accordo nel fissare il luogo dove avvenne la battaglia tra goti
e bizantini.

Cosi, per es. pensano il Pagnani ** e il Roisl, il quale scrive
esattamente: « Was nun Caprae betrifft, so bilden auch hier die
Aussagen Philipp Clüvers und Holstenius die Grundlagen für die
Meinung einer grossen Mehrheit der Autoren. Beide erkannten im
heutigen Caprara — nordwestlich von Gualdo Tadino, einer Unter-
gemeinde von Gualdo Tadino — das von Prokop erwühnte Caprae
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38 GINO SIGISMONDI

wieder » °°). E a proposito dell'identificazione di Caprae con altre
località, il Roisl giustamente osserva che sono state indicate « le-
diglich auf Grund der Ahnlichkeit der Namen ohne Rücksicht auf
den Bericht des Prokops » *?).

Una conferma all'identificazione di Caprae con Caprara, secondo
alcuni studiosi, la darebbe la toponomastica. « Nella stessa Caprara,
scrive il Guerrieri, s'indica ancora una località con il nome di Bo-
schetto o Sepolcro di Totila... Anche negli antichi Libri Catastali
del Comune di Gualdo, una cascina del luogo appellasi Palazzetto
Totila » *9).

Si tratta, certo, di una tradizione popolare, ma, osserva ancora
il Guerrieri «le tradizioni popolari non sempre meritano la non-
curanza e il disprezzo, specialmente quando, come nel caso nostro,
sono confermate da dati storici e topografici » *»). Sarebbe, del resto,
difficile spiegare come mai ci sia qualche toponimo che ricordi To-
tila nel territorio di un paese lontano dalle vie di comunicazioni
come è Caprara se non ci fosse un fondamento nei fatti tramandati
di generazione in generazione. I dati toponomastici — non gene-
rici, ma specifici, non vaghi, ma precisi, come nel nostro caso —
possono costituire, essi stessi, una documentazione che confermi o
supplisca quella delle fonti scritte o la determini se la tradizione
letteraria da sé non ha elementi del tutto chiari. In proposito può
essere utile un esempio preso dalla toponomastica di una zona non
molto lontana da quella che ci interessa. I toponimi di « Campi di
Servilio », « Ara dei Cavalieri » e altri nell'area adiacente all'attuale
piano di Colfiorito — il IMeotiyy Xv, di Appiano: Hann. 9 —
restano come documenti vivi di una tradizione locale tenacissima,
che in quei luoghi dopo la battaglia del Trasimeno avvenne la scon-
fitta della cavalleria romana del console Servilio da parte dei Car-
taginesi di Annibale nell'estate del 217 a. C. *?).

Dopo oltre duemila anni il nome di Servilio documenta ancora
in una sperduta area appenninica il fatto d'arme del lago plestino.
Analogamente si deve pensare che il nome di Totila presente ancora
a Caprara sia una testimonianza attuale che in questa località il
re dei Goti mori e fu sepolto.

Questi dati toponomastici in favore dell'identificazione Caprae-
Caprara non hanno, peró, la conferma dei reperti archeologici. Si
è cercato invano il sepolero di Totila a Caprara: «i contadini di
lassù più volte hanno qua e là scavato il terreno, per ricercare gli
avanzi delle armi e delle armature preziose che, secondo un'antica

== EX UNDC SISSE Y
— e - x 7 prec vi MiA ^ YE PA, 2 T
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LA BATTAGLIA TRA NARSETE E TOTILA 39

credenza, pervenuta a loro di generazione in generazione, sarebbero
state calate dai Goti nella fossa con il cadavere del loro re » *:). Così
afferma il gualdese Guerrieri, diligentissimo e informatissimo sto-
rico di Gualdo Tadino e del suo territorio comunale.

Ma già in Procopio, integrato con quanto ci ha tramandato il
cronista bizantino Teofane, si ha, forse, una spiegazione sufficiente
della mancanza del reperto archeologico della ricca tomba di Totila.
Il tesoro funebre di Totila non è stato mai trovato o ‘perché Totila
fu sepolto in un sepolcro comune senza suppellettile preziosa, op-
pure perché — ma è ipotesi meno probabile — di essa fu spogliato
dopo una frettolosa sepoltura.

Si legge in Procopio (vini = rv, 32, 31-32) :

. «31. TovriAay yodv ‘Papato oO- «Che Totila fosse scomparso
«Oc té &vüpomov dpavuodfvar oòùx dagli uomini (cioè morto), i Ro-
£Yvo0xv, £oc adtoîc Juv) pia, l'óx9« mani non lo seppero finché una
YEvoc, Éopaoé te xo) tòv váqov éné- donna di origine gotica non lo
dertev. 32. ot te dxmuodvtec, oòùy èyià riferì ad essi e mostrò il sepolcro.

L]
,

TÒV Aovov elvat oibpuevot Èv TO y eplo Essi, però, udito ciò, non cre-

[
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Eyevovto, x«l v)» $41» Óxvfjst oó- dendo che le cose riferite fossero
Ssuit Bropbbavtes éEfjveYxa» uèv Tov- vere; si recarono sul posto, e
Tiaav Evdévdz vexpòv, Eriyvévies dì avendo scavato subito la tomba
adtov, dc quot, xa. Tobtov di Toò ne trassero fuori Totila morto, e,
deduatog EuTANOKuEvoL tiv opetépav si dice che dopo averlo ricono-
eruduulav addio adtòv ^] YN &xpujav, sciuto e dopo aver saziato il loro
£c te Napony tòv Tdvta adrixa &ví] desiderio di questa vista, di nuo-
veYxav AÓYovy ». vo lo seppellirono nella terra, e
riferirono poi a Narsete tutto
quanto era avvenuto ».

Procopio non dice altro, ma dal suo racconto si deduce che To-
tila dovette essere sepolto in grande fretta dalla sua piccolissima
scorta di soldati in fuga che l'avevano trascinato sino a Caprae.
sembra anche di capire che, appunto per il pericolo del sopraggiun-
gere a Caprae dei bizantini vittoriosi, i pochissimi soldati al seguito
di Totila seppellirono il loro re, senza mettere vicino al cadavere
— in deroga al rituale uso dei popoli barbari — il corredo funebre
d'oro. E un'ipotesi ben fondata sul testo di Procopio. L'ipotesi sa-
rebbe ancora piü probabile, se si accettasse per vera la seconda
versione — già per altro giudicata meno attendibile — che Procopio

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40 GINO SIGISMONDI

dà della morte di Totila, il quale sarebbe stato ferito (e, quindi,
fuggito) mentre combatteva con l'armatura del soldato semplice
senza insegne regali; oppure si accettasse la traduzione che di vim
(= Iv), 32, 2 dànno l’Haury e il Dewing in base ad una lezione
di congettura del testo procopiano.
Ma se Totila fu sepolto secondo il rituale barbarico a Caprae
— cioé con la suppellettile regia d'oro — si puó supporre che essa
gli fu tolta quando i bizantini fecero la ricognizione del suo cadavere.
Contro questa ipotetica sacrilega spoliazione si può obiettare
che essa urta il sacro principio, rispettato certo dai bizantini, del
« parce sepulto », ma, siccome la ricognizione del cadavere di Totila
fu fatta per iniziativa di alcuni bizantini all'insaputa di Narsete —
cui fu, poi, riferita — non è da rigettarsi come del tutto improbabile.
È certo, comunque, che i vestimenti regali di Totila furono
recati a Bisanzio. Racconta il cronista bizantino Teofane : « Narses . . .
Totilam, qui ultra decem annos regnaverat, interfecit et vestimenta
eius cruenta cum corona lapidibus pretiosis exornata misit regiam
urbem et iacta sunt ad pedes imperatoris coram senatu » ??).
Questa notizia sui vestimenti preziosi del morto Totila portati
a Bisanzio come trofeo di vittoria ed omaggio all'imperatore Giu-
stiniano ci fa comprendere perché non è stato mai ritrovato a Ca-
prara di Gualdo Tadino il sepolcro di Totila. L'armatura d'oro non
segui mai Totila nel sepolcro. Oppure nella peggiore delle ipotesi i
suoi nemici bizantini non furono generosi con il suo cadavere, per-
ché gli negarono l'onore di un sepolcro regio. Una comune fossa
terragna, senza alcuna distinzione, dovette accogliere le SPD mor-
tali di Totila, sfortunato re dei Goti.

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E uA WE 3A
LA BATTAGLIA TRA. NARSETE E TOTILA

NOTE

1) Ecco in ordine cronologico un elenco degli studi più notevoli specifi-
catamente dedicati alla battaglia tra Narsete e Totila :

G. CoLucci, Del luogo chiamato « Sepolcro dei Galli », ossia « Busta Gal-
lorum » nell’ Agro Sentinate e della sconfitta ivi data da Narsete a Totila re dei
Goti, in « Antichità Picene », Fermo, 1790, vol. vir, pp. 75-123.

F. MONTANI, Lettere sopra la battaglia tra Narsete e Totila, Venezia, 1749.

F. SOLDANI, Lettera critica circa il luogo della sconfitta e morte di Totila,
Pistoia, 1758.

P. PraTESI, Sul vero luogo della battaglia delta di Gubbio o di Tagina,
Torino, 1897.

J. B. Bury, History of the Later Roman Empire from the death of Theo-
dosius I to the death of Justinian (395-565 d. C.), London, 1958 (ristampa).

T. HopGKIn, Italy and her Invaders, vol. 1v, 1896. È ivi riportato quanto
aveva scritto negli Atti della Dep. Storia Patria per le Provincie di Romagna,
Serie rir, vol. 11, (1883-1884) fasc. 1, p. 35 e segg.

R. GuERRIERI, Storia Civile ed Ecclesiastica del Comune di Gualdo Ta-
dino, Gubbio, 1933, pp. 9-15.

A. PAGNANI, Sentinum, Sassoferrato, 1957, pp. 101-113.

H. Roist, Die Schlacht bei Busta Gallorum 552 n. Chr., in Die Geschichte
der Hunnen di F. Altheim, v, Berlin, 1962, pp. 363-377.

In questo studio del Roisl sono riportate anche le opinioni piü recenti,
specialmente degli storici tedeschi: H. DELBRÜCK, S. Fucus (1943), F.
SCHNEIDER (1929), PuiLiPP (nel supplemento vini alla R.E. del PAULY-Wis-
SOWA, 1932).

P. PaoLucci, Scheggia, 1966, Capitolo vir. Il Paolucci segue in tutto
l’Hodgkin che pone la battaglia tra Narsete e Totila a Scheggia.

?) Per il testo di Procopio seguo quello critico di H. B. DEWING edito
nel 1928 e ristampato rel 1954 nella collana « Loeb Classical Library » della
«Harvard University Press», Cambridge, Massachusetts.

Il Dewing, d'altra parte, tiene conto, annotandone le varianti, dei pre-
cedenti testi critici di Procopio, specialmente di quello di J. HAURY (1905-
1913), ristampato nel 1952 a cura di G. WinTH.

Molto utile mi é stato anche il testo, con traduzione italiana, edito nella
collana « Fonti per la Storia d'Italia » da DoMENICO CoMPAnRETTI, La Guerra
Gotica, tre volumi, Roma, 1895-1898.

3) A. M. CnorsET, Histoire de la Litterature Grecque, Paris, 1928, v, p.
1018.

Per le questioni culturali-storiche bizantine cfr. H. W. HaussiG, Storia
c cultura di Bisanzio, (trad. it.), Milano, 1964.

Cfr. anche per Procopio in particolare B. RuBIN, Prokopios von Kaisarea,

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Stuccard, 1954, riprodotto integralmente nella R. E., di PAULY - Wissowa,
XLv, 273-599.

Inoltre devono essere segnalate come particolarmente importanti le se-
guenti opere relative a Procopio :

F. DAHN, Prokopios von Caesarea, Berlin, 1865; W. GunLACH, Quae-
stiones Procopianae, Hanau, 1861; K. HANNESTAD, La guerre gothique de
Procope, in Classica et Medioevalia, 1960, pp. 136-183 ; J. HAURY, Procopiana,
Augsburg, 1891; J. Haury, Zur Beurteilung des Geschichtschreiber Proco-
pius, Münich, 1896-1897 ; I. Jung, Geographisch - Historisches bei Procopius
von Caesarea, in Wiener-Studien, Vol. 1m (1883) ; O. VeH, Zur Geschichtschrei-
bung und Weltauffassung des Prokopios von Kaisareia, 1955.

*) Per quanto riguarda, in particolare, la Guerra Gotica, Procopio si
dice autore della narrazione alla fine di ogni anno di essa ; fu mandato da
Belisario, mentre era a Roma, a Napoli (vi = rr, 4) e fu lui a dargli un utile
suggerimento durante l’assedio di Osimo (VI-;—: 11,:23).

‘) La traduzione in italiano del testo greco è la più letterale possibile
per rendere anche i minimi particolari di quanto dice Procopio. Gli incon-
venienti di una simile traduzione letterale sono specialmente gravi per lo
stile e la frase della lingua italiana, ma non ho creduto opportuno tenerne
conto, pur di rendere fedelmente il pensiero del testo greco. Dato lo scopo
specifico di questo studio esegetico di Procopio, mi è sembrato preferibile
una traduzione rigorosamente letterale ad una traduzione letteraria, spesso
soltanto sostanzialmente fedele.

*) Così è chiamato sempre in Procopio il Passo del Furlo (m. 190) una
spaccatura naturale tra il monte Paganuccio (m. 977) e il monte Pietralata
(m. 888), a 14 km. a nord di Cagli. Il nome di Petra Pertusa (= Pietra fo-
rata) è della tarda antichità ed è un nome generico : « Viae operibus maximis
munitae sunt; tunc cavati montes per Flaminiam sunt, quae vulgariter
Pertusa Petra vocitatur » (Cosi l'epitomatore SESTO AURELIO VITTORE del
IV secolo, citato da E. MaRTINORI in Via Flaminia, Roma, 1929, p. 185
nota 3). Secondo l'Itinerario Bordigalense degli anni 335-337 d. C. al Passo
del Furlo c’era una mutatio detta Intercisa (= Scogli tagliati) ; il nome Ad
Intercisa si legge anche nella Tabula Peutingeriana.

Nel più tardo medioevo il Passo si chiamò « Forulum » (= piccolo foro),
da cui deriva l’attuale Furlo. Il nome, naturalmente, indicava sopratutto
la galleria aperta nella montagna dall’imperatore Vespasiano nel 75d: O5
— come si legge ancora nell'epigrafe posta sopra il suo ingresso orientale,
cfr. CIL, x1/2, n. 6106 — e che ha una lunghezza di metri 38,30, una altezza
di m. 5,18 all'ingresso occidentale, di m. 5,95 nel mezzo e di m. 4,80 all'uscita,
e una larghezza di m. 5,35 all'entrata, di m. 9,47 nel mezzo e m. 5,23 alla
uscita. 5

Nella prima fase della guerra gotica, cioè nel 538, il re dei Goti Vitige
fortificò il passo Petra Pertusa, sbarrando l'ingresso e l'uscita con porta e
LA BATTAGLIA TRA NARSETE E TOTILA 43

ponendovi un presidio di 400 soldati, ma fu espugnato da parte di Belisario.
Totila successore di Vitige riuscì ad occuparlo di nuovo nell’anno 541 (Cfr.
Procopio vi = 11, 11, 10-14). Il nome di Petra Pertusa al tempo della guerra
gotica era dato anche ad un castello fortificato, costruito nell’immediate
vicinanze della galleria e che fu totalmente distrutto dai Longobardi tra il
570 e il 578 (Cfr. B. FELICIANGELI, I Longobardi ed i Bizantini lungo la Via
Flaminia nel VI secolo, Camerino, 1908).

?) H. RorsL, o. c., p. 364.

8) Per giustificare la mia traduzione di questo brano di Procopio, —
chiaro nel suo significato fondamentale e complessivo, ma involuto in un
frasario zeppo di pleonasmi e endiadi — ecco qualche nota particolare:
év9évde : per sé può significare o « da quel luogo » o «allora» (così in Tuci-
dide); ho preferito quest'ultimo significato temporale, ma piü sfumato, tra-
ducendo «poi». (Il Comparetti traduce con « quindi »);

arbpevta ... dèétoda : di questi generici neutri plurali, — che ho con-
cretizzato in «località » — il primo indica propriamente « intransitabili » e
il secondo «senza vie di uscita ». Con questo secondo aggettivo neutro Pro-
copio vuole mettere in evidenza che, se i bizantini si fossero messi per la
Flaminia, sarebbero caduti in un tranello, perché non avrebbero avuto via
di scampo in caso di sconfitta. Ho tradotto, perció, con «senza passaggio
libero » perché etimologicamente l’aggettivo privativo deriva da 3t££o8og =
passo, via. Nessun dubbio c'é su quanto Procopio intende affermare: era
impossibile per i Bizantini seguire la via Flaminia per raggiungere l'interno,
lasciando la costa adriatica. Il Comparetti traduce: «tutta la via Flaminia
era pei Romani ivi affatto impraticabile ».

Il Dewing: «... and consequently the road was closed to the Romans,
and it was out of the question to pass through, as far at least as the Flaminia,
way concerned » ;

B&owov : ho incluso nella traduzione tutti i possibili significati di questo
aggettivo : « praticabile » «accessibile » « dove si cammina con sicurezza »,
perché mi è sembrato in parallelismo antitetico con d&répevta ed ddittoda.
«Si mise per quella (via) che più eragli accessibile » (Comparetti). « Went
by road. wich could be travelled » (Dewing). Con più libera parafrasi un tra-
duttore del sec. xix: «il romano condottiero antepose al vantaggio della
brevità quello di una sicurezza maggiore ». (G. Rossr, Opere di Procopio di
Cesarea, T. I, Milano, 1838).

La traduzione qui proposta di questo testochiave esclude che sia esatta
quella accettata da qualcuno che, cioè, Narsete fasciò a sinistra la Flaminia
Testo e contesto escludono anche che, dopo aver marciato per qualche
via secondaria, Narsete si sia rimesso sulla Flaminia ad Acqualagna o a

Cagli. Per queste località come per Petra Pertusa, era impossibile passare
perchè «si trovavano lungo il percorso della via Flaminia » ed «erano inac-
cessibili, e del tutto senza passaggio libero ai Romani»: &rdpevta ‘Popuatotg
xal ravtiraoiv ddittoda Soa Ye xxrX ch» Diapeviav ó8óv Uvta ETvYYAVEY.

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44 GINO SIGISMONDI

*) Per Procopio i soldati bizantini al comando di Narsete sono «oi 'Po-
kator » perché l’impero di Costantinopoli si credeva l'erede legittimo, e or-
mai unico, dell’antica Roma imperiale. « Gli uomini forniti (per l’esercito
bizantino) sia dal reclutamento che dall’ingaggio volontario erano addirit-
tura, nel linguaggio amministrativo, considerati i soldati per eccellenza (otpa-
tota). Non che fossero migliori degli altri, ma apparivano quali rappre-
sentanti dell'esercito nazionale (vengono sempre chiamati oi ‘Popaîor) come
gli eredi delle vecchie legioni romane » (CH. DIEHL, La civiltà bizantina, trad.
it., Milano, 1962, p. 37).

Sull’esercito bizantino cfr. F. AussAnESsES, L'armée byzantine, Paris,
1909.

10) Secondo il GUERRIERI (0. c., p. 9) questi autori sono: « Giovanni
Magno, Biondo da Forlì, il Tarcagnota, Jacopo Filippo da Bergamo, Pan-
dolfo Collenuccio, il Valentini, il Ciotti e Leonardo Aretino, i quali scrissero
che Totila fu sconfitto e morì presso Brescello (provincia di Reggio Emilia)
sulla riva destra del Po, per opera dei Longobardi alleati dei Greci ».

Tra questi autori, i più hanno soltanto qualche semplice e breve riferi-
mento alla battaglia in cui morì Totila. Così:

LEONARDO ARETINO, in De Bello Gothorum libro rv, Venezia, 1528;
JAcoPo FILIPPO DA BERGAMO, in Chronicarum Supplementum, Venezia, 1483 ;
G. TARCAGNOTA, in Delle Istorie del mondo, Venezia, 1585, parte seconda,
p. 265; PanpoLFO CoLLENUCCIO (oriundo di Coldinoce di Sassoferrato :
1444-1504), in Historia del Reame di Napoli, Venezia, 1613, parte prima,
p. 36 ; F. CIATTI, in Delle memorie e annali et istorie delle cose di Perugia,
Perugia, 1638, Vol. ri, p. 72; G. VALENTINI, in Discorso Accademico su la
vita di S. Facondino, Macerata, 1660.

Un po’ più ampia è la narrazione di GrovanNI MacaNo (da Manson,
latinizzato in Magnus) (1448-1544), di origine svedese — anzi fu arcivescovo
di Upsala — ma vissuto a lungo e morto a Roma. Il Magno parla della morte
di Totila per opera dei Longobardi nell’opera De Gothorum Suenonumque
historia, Roma, 1554, libro xtv, capitolo 15, foglio 463, e capitolo xvi, foglio
464. « È ben noto, scrive il GUERRIERI (0. c., p. 12), che Giovanni Magno,
se scrisse che Totila fu sconfitto presso Brescello dai Longobardi alleati di
Narsete, ció fece perché a lui, goto di origine, ripugnava meno che i soldati
di Totila fossero stati sbaragliati da gente nordica e di sangue affine, anziché
dall'effeminata stirpe dei Greci». Sia vera o no questa faziosità razzista del
Magno, è certo che egli è storico poco attendibile, perché, come è stato detto,
ha scritto «con libera fantasia patriottica ».

11) Anzi lo storico forlivese (morto nel 1463 lasciando incompiuta la
sua opera) sembra essere la fonte letteraria da cui gli altri dipendono. Credo,
perciò, utile riportare i brani principali del suo racconto (Cfr. BLonDI FLAVII
FonLiviENsIS, Historiarum ab Inclinatione Romanorum, libri xxxi, Basilea,
1559, p. 90): «... Longobardi stativa apud Bryxillum habentes, multas

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interea ex Parmensibus Placentisque abegerznt praedas, multa commise-
rant incendia. Quare Totilas copiis undique ex Transpadanis raptim contrac-
tis, in Longobardos ducere perrexit : adeoque festinavit, ut accersitus ex
Verona Teias, non prius Ticinum amnem attigerit quam fuerit debellatus...
Ferunt Totilam, quod extremo vitae tempore multis saepe praestantissimis
evenit ducibus, nunquam melius struxisse aciem, numquam attentiori oculo,
quid hostis, quidve suus ageret miles circumspexisse, nunquam denique for-
tius numquam prudentius dimicasse... Sed erat illi certamen cum militum
robore gentis Longobardorum, quae cum aliis ducibus tum maxime sub
Alboino rege maximis erat innutrita bellis et ceteram barbariem Histri ripas
undique incolentes per multa tempora superaverat. Proelii vero istius qua
forma, quoque modo gestum fuerit non scribit Paulus, sed Totilam tantum-
modo dicit a Longobardis Narseti militantibus interfectum, omnesque Go-
thorum copias ad internecionem caesas fuisse. Guido autem Ravennas sacer-
dos, quem in hac Narsetis historia maxime sumus secuti, Totilam item a
Longobardis interfectum eiusque copias fuisse deletas dicit. Sed ita Bryxilli
et Tanneti oppidorum nomina implicat, ut satis contulisse ad Bryxillum
utramque gentem signa et pari promptitudine dimicandi copiam fecisse in-
telligat, sed utramque eadem die eodemque loco fuerit debellatum, ambigere
cogat: tanta erat eius seculi ineptia rusticitasque scriptorum. Sive igitur ad
Tannetum sive ad Bryxillum, inferiori proelio Totilas, ac omnino superatus
occiditur ».

Biondo sa che il suo racconto é in contrasto con quanto dice Procopio.
Per questo cita espressamente gli autori sui quali si basa : sono PAoro Dra-
coNo (720-799 ?), lo storico ufficiale dei Longobardi con l'opera Historia
Langobardorum, e, sopratutto, Guipo RAVENNATE «quem (dice espressa-
mente) in hac Narsetis historia maxime sumus secuti ». (Il Biondo crede che
Guido Ravennate sia l'autore della Cosmographia, traduzione latina del
sec. IX di opera greca del sec. vir, e che i critici oggi citano come Anonimo
Ravennate) E la testimonianza di Procopio ? Non merita alcun credito,
afferma drasticamente Biondo : « Qui itaque ducis istius (Narsetis) apparatum
belli, priusquam ab imperatore proficisceretur factum considerabit, intel-
liget nequaquam esse credendum, id quod supra ex Procopii traslatione
dicebatur: illumque quinque mille habentem venisse in Italiam ut sub Beli-
sario aut illi par bello ghotico interesset » (0. c., p. 90).

Per noi moderni é almeno strana questa preferenza data ad autori tar-
divi dei secc. vii-viti, invece che a Procopio storico contemporaneo degli
avvenimenti della guerra gotica. Si deve, certo, a questa legittima rivaluta-
zione di Procopio se l’opinione del Biondo fu, dopo i primi decenni del sec.
XVII, completamente abbandonata da tutti gli storici. Già nel sec. xvII l'eru-
dito B. BALDI scrisse uno studio contro il Biondo intitolato appunto La
difesa di Procopio contro le calunnie di Flavio Biondo, Urbino, 1627.

12) A. PAGNANI, 0. c., p. 107.

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1) EE IROISE;:0::6:;: p: 377:

14) Tra i significati di uévo sembra il più adatto quello che ha nei con-
testi militari, come qui, cioé : rimanere fermo aspettando il nemico.

15) In Procopio indica certamente l'intera catena dell'Appenniro, come
in Strabone che usa 46 pos 'Azéwwwov equivalente a «X '"Azéwwa di Polibio
e di Dionigi d'Alicarnasso. Forse solo in epoca posteriore al sec. vi il nome
generico della catena montagnosa divenne un nome Specifico di un monte
determinato e più volte ripetuto. Così abbiamo il Monte Pennino (m. 1571)
ad est di Nocera Umbra e nell'area del colle di Fossato un mons Apennini,
già presente in una pergamena dell'anno 1003, conservata nell'Archivio della
Cattedrale di Fabriano (cfr. R. Sassi, Stradario storico di Fabriano, Fabriano,
1953, pp. 118-119), e noto per il Monastero detto appunto di S. Maria de
Appennino.

^) E, evidentemente, un accusativo plurale, il cui nominativo è Tayîva.
All’insolita grafia di Teyivw ho creduto attenermi, per scrupolosa fedeltà
al testo di Procopio, invece che a quello comune di Tagina.

17) Ecco come in un codice medioevale del sec. xiv si descrive la città
romana : « Ex utraque parte viae Flaminiae in decoro situ, in planitie, aquis
irrigua, constructa fuit ab incolis patriae quam Romani victores carius te-
nuerunt. In qua tabernae et hospitia et victualia militibus et consulibus et
ducibus et imperatoribus transeuntibus et ibi repausantibus tribuebant »
(Cod. 11 - E - 18, nell'Archivio Armanni di Gubbio, fol. 28).

15) PLIN., Nat. Hist., 111, 114. È noto che i populi elencati da Plinio — il
quale, almeno, per quanto riguarda quelli dell’interno italiano, li copia da
una enumerazione dell’imperatore Augusto, in ordine alfabetico (Cfrs-D3
DETLEFSEN, Die Beschreibung Italiens in der Naturalis Historia des Plinius
und ihre Quellen, Leipzig, 1901) — appartengono ai municipia.

!*) La citazione è in G. PEPE, Il Medioevo barbarico in Italia, Torino,
1963, p. 241.

29) JAFFÉ LOEWENFELD, Regesta Pontificum Romanorum, Lipsia, 1881.
Lettera di comunicazione di questa delega al Vescovo di Gubbio perché
fosse eletto un Vescovo ai Tadinati, il Papa mandò clero, ordini et plebi Ta-
dinati.

^) Cosi nel C.I.L. x1 (titoli nn. 4118 e 5283) e nella Notizia Dignitatum
(ed. O. Seeck, Frankfurt, 1962, pp. 104 e 109).

*) Ecco i testi esatti :

a) Tuscia Umbrena nel cosìdetto Laterculus Veronensis in Notitia Di-
gnilatum cit., p. 250.

b) Tuscia cum Umbria nel Laterculus di Polemio Silvio in Notitia
Dignitatum ed. Seeck cit., p. 254.

c) Umbria et Etruria in Orosio, Hist., n, 21 (ed. Reifferscheid, nel
C.S.E.L., Wien, 1875).

d) Tusciae utraeque in Cass., Variae (ed. Mommsen in M.G.H.A.A.
LA BATTAGLIA TRA NARSETE E TOTILA 47

xi), IV, 14. Sembra che Cassiodoro abbia preso l'espressione da Jordanes,
Getica, 311 (ed. Mommsen, in M.G.H., v).
23) Le citazioni esatte sono le seguenti :
a) MARCELL., Auctarium, in M.G.H., AA. xr, pp. 105-107.
b) GnEG., Dial., in F.S.I. (ed. Moricca) 1, 10.
c) Liber Pontificalis, 1, 336 (ed. Duchesne, Paris, 1886).

24) Così credono molti storici ; cfr. S. MocHI Onory, L/ Umbria bizantina,
in L'Umbria nella Storia, nella Letteratura, nell'Arte, Bologna, 1954, p. 68.

Ma in una gentile comunicazione a chi scrive il prof. Donald Bullough,
dell'Università di Edimburgo, dice che « le due Tuscie (Longobarda e Romana)
sono i territori lungo la frontiera che corrisponde oggi quasi al confine regio-
nale del Lazio e della Toscana. Le due espressioni si trovano — credo per la
prima volta — nel Pactum dell'8i7 d. C. Certo Ameria e, forse, il Ducatus
Perusinus sono compresi nella Tuscia Romana, ma soltanto per ragioni di
ordinamento del testo del Pactum ».

25) Il testo in Historia Langobardorum, 11, 16.

2) Per la metà del sec. vi si può, forse, credere che il territorio tadinate
fosse territorio di confine non solo ad est e a nord-est, ma anche a nord.

La Dioecesis Italiciana, è noto, era divisa in due Vicariati: Vicariatus
Romae e Vicariatus Italiae. Ora è certo che nel Piceno la linea di confine tra
i due Vicariati seguiva il fiume Esino, a nord del quale c’era il Picenum An-
nonarium, e a sud il Picenum Suburbicarium. Non si sa, invece, con certezza
dove i due Vicariati fossero divisi nella Tuscia et Umbria. Mentre secondo
alcuni la linea di demarcazione seguiva la dorsale appenninica sino all’attuale
Liguria, secondo altri ottimi e più recenti storici, questa linea di confine,
almeno dall’anno 367 d. C., passava più a sud degli Appennini dividendo la
Tuscia in Suburbicaria ed Annonaria, rispettivamente a sud e a nord del-
l'Arno. Non sappiamo dove ad oriente dell'Arno avvenisse la saldatura tra
la Tuscia Suburbicaria e quella Annonaria, ma, con buona probabilità, si
può credere che essa avvenisse nel territorio tadinate. Qui conduce una linea
ideale che unisce i due fiumi di confine Arno e Esino.

Cfr. T. MoMMSEN, Die Italischen Regionen, in Beitráge zur alten Geschichte
und Geographie, Berlin, 1898, p. 95 e segg. ; C. CANTARELLI, La diocesi ita-
liciana, in Studi e Documenti di storia e diritto, xxii (1902), p. 88 e segg. ;
M. DE Dominicis, 7 distretti della prefettura urbana e le «regiones suburbi-
cariae », in Studi in onore di G. Zanobini, 1962, v, p. 87 e segg. ; M. DE Domr-
NIcIS, Il Rescritto di Costantino agli Umbri, in Bollettino Dep. Storia Patria
per l'Umbria, Lviti (1961), pp. 18-19, specialmente note 7 e 8; F. GIUNTA,
I Goti e Vl Umbria, in Ricerche sull’ Umbria tardo-antica e preromanica, Perugia,
1965, pp. 201-209; R. THoMSsEN, The italic Regions from Augustus to the
Lombard invasion, Kobenhavn, 1947, p. 250 e segg.

*?) G. Dzvoro, Tabulae Iguvinae, (2a ediz.) 1940, p. 274 « TuTA TARI-

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48 GINO SIGISMONDI

NATE: TRIFU: TARINATE », si legge nelle linee 16-17 della tavola 1b in alfa-
beto epicorico umbro.

Invece nella tavola vib (linea 54, 58 e linea 59) e nella tavola vira (11 e
12 e 47, 48) si legge « TARSINATEM, TARSINATER, TARSINATE ».

Nelle tavole vi e vir la scrittura è in alfabeto latino.

I TARINATI e TARSINATI sono compresi tra i popoli dell’« exterminatio »
€ sono ricordati il loro nucleo urbano, Tora, e il territorio circostante, TRIFU.

**) La civitas Ptanias sta a vini miglia dalla civitas Noceria e a vit miglia
dalla mansio Herbello. (Ctr. Itinerarium Burdigalense, ed. O. Cuntz, Leipzig,

1929). Data la distanza circa a metà del percorso della Flaminia tra Nuceria
e Helvillum — che, secondo, l'Itinerario Gaditano e la Tabula Peutingeriana,
distavano tra loro di xv miglia — non ci puó essere dubbio sull'identifica-
zione di Ptanias con Tadinae.

?*) P. SELLA, Rationes Decimarum Italiae, Umbria, Città del Vaticano,
1952, n. 4566.

Per i documenti del sec. xv su questa chiesa pievana che ha ereditato
in Gualdo il titolo dell'antichissima plebs tadinate cfr. R. CAsIMIRI, Frammenti
di Storia Ecclesiastica Tadinate della seconda metà del sec. XV, Roma, 1940,
pp. 57-58. In questi documenti si hanno le seguenti forme: «S. Maria de
Taino vulgariter dicta la pieve », « plebis Thayni » «plebis Tainj de Gualdo »
«plebis Thainj » « plebis Thaini ».

30) Sono:

a) Lectionarium S. Facundini (fine secolo xi?) il cui originale è ri-
tenuto il Cod. Vat. Lat. n. 7853;

b) Chronicon Gualdense (sec. xiv), reperibile oggi, tra l'altro, nel Cod.
Vat. Lat. n. 2666 ;

c) Leggendario dei Santi (sec. xiv), reperibile oggi soltanto parzial-
mente in vari codici.della Jacobilli in Foligno, del'Armanni in Gubbio e
nella Vaticana.

Ecco qualche citazione sulla forma Tadinatum nei primi due codici:
Cod. Vat. Lat. n. 7853: fol. 9t, 12t, 5, 32, 33-33t, ecc. ; Cod. Vat. Lat. n.
2666 : fol. 6, 9, 18-19-20, 24, 28-29, 35, 46, 51, 59, 76, ecc.

*) Questa forma è primitiva e più antica dell'altra, attestata dai docu-
menti medioevali, di Tadinensis (cfr. Cod. Vat. Lat. 7853, fol. 31t, 33t ; Cod.
Vat. Lat. 2666, fol. 23 ecc.). Esiste anche la forma Tadinatensis nel Cod. Vat.
Lat. 7853, fol. 33. Analogamente si ha, per gli abitanti di Mevania, Mevanates
€ quella più recente Mevanienses, e cosi per Fulginia abbiamo Fulginates e
Fulginienses (cîr., tra l'altro, Cod. Vat. Lat. 2666, fol. 51 per la prima forma
e Codice C-11- E - 18, fol. 64 dell'Archivio Armanni di Gubbio per la se-
conda).

?) G. PuLLÈ, Italia, Genti e Favelle, Torino, 1927, vol. 1, pp. 197-202.
°*) Cfr. G. Dominici, Fulginia, Verona, 1935, p. 10.
*!) G. DEVOTO, o. c., p. 274. Nell’indice il Devoto, però, mette Tadinum :
"E.

LA BATTAGLIA TRA NARSETE E TOTILA 49

é un semplice lapsus o un'implicita ammissione che coesistessero le due forme
di Tadinae e Tadinum ?

Per gli altri autori ecco le citazioni esatte: H. RoisL, o. c., passim ;
A. NissEN, líalische Landeskunde, 11/1, Berlin, 1902, p. 392 ; H. PnuiriPP nel
R.E. del PAvLY-WissowA, p. 1919 in 1v suppl.; G. RADKE nel R.E. del
PAvuLY-WissOWA, virt suppl., p. 1824.

35 La costruzione di questo brano è sintatticamente contorta, anche se
facilmente comprensibile.

Letteralmente : «... non molto dopo, anch'essi (cioè ad sensum : i sol-
dati bizantini), dopo essersi accampati sul monte Appennino, stavano fermi
ecc. ».

se) Sull'esattezza di questa traduzione letterale non ci possono essere
dubbi: X69ovg = alture, poggi (Comparetti), hills (Dewing). La traduzione
di X69ovg con «tumuli = tombe » come ha fatto qualche autore specialmente
antico — come il Maltreto, da cui dipende il Dindorf — suppone la lezione
4&qouc presente, ma solo marginalmente, nel codice Leidense Parigino 1699.
(Ctr. l'apparato critico di D. COMPARETTI, nr, p. 200). Le ultime e migliori
edizioni critiche di Procopio — che sono quelle dell'Haury e del Dewing —
non accettano la lezione di *ágouc, ma giustamente le preferiscono quella
di tutti gli altri codici e che è Aógouc. Questa, del resto, è la lezione in armo-
nia con il testo: i tipfor (= 7Ágo)) erano nel terreno pianeggiante e non
nelle immediate vicinanze intorno ad esso, come i AóQot.

37) Il significato di questo aggettivo YsÓXogoc, anche in forma sostanti-
vata usato piü volte da Procopio nel seguito del suo racconto, è letteralmente
«elevato da terra», perché composto da Y? (= terra) e Aógoc (= altura).
Le tombe galliche erano, perció, della tipica forma cosi detta «a tumulo ».
Invece il « tt YedAogov » del vers. 11 e il « tò YeÓAogov » dei verss. 12 e 14
vanno intesi nel senso derivato di «altura » « piccola collina », con implicito
il concetto di « elevate da terra ».

38) Così, tra gli altri, il PAGNANI (0. c., pp. 36-55). Sulla battaglia di Sen-
tinum — la cosidetta «battaglia delle nazioni» in quanto furono allora al-
leati contro Roma, gli Etruschi, gli Umbri, i Sanniti e i Galli Senoni — le
fonti essenziali sono Polibio, 11, 19, 6 e Livio x, capp. 27-29, che ha una narra-
zione più ampia. Allo scontro vero e proprio, però, presero parte, secondo i
migliori storici recenti, soltanto i Galli Senoni e i Sanniti. « Lo svolgimento
dello scontro di Sentino è narrato con ricchezza di particolari descrittivi e
psicologici di discutibile valore; ma quel ch’è certo, il console Decio che
comandava un’ala cadde combattendo, sia poi vera o no la sua devotio come
per il padre ; e l’esito finale fu decisamente vittorioso pei Romani, anche per
la forte strage dei nemici » (L. PARETI, Storia di Roma, Torino, 1952, 1, p. 762).

Secondo Livio, il console superstite Fabio «dimissis ad quaerendum
collegae corpus, spolia hostium coniecta in acervum Jovi Victori cremavit »
(x, 29). Questi nemici erano sopratutto Galli, e per questa cremazione il

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50 GINO SIGISMONDI

luogo avrebbe avuto il nome di «Busta Gallorum ». Questo toponimo di
Sentino non é, peró, ricordato da Livio, il quale, invece, l'assegna al luogo
in Roma, dove furono bruciati i cadaveri dei Galli decimati dalla peste du-
rante l'assedio del Campidoglio nell'estate del 390 a. C.

L'identificazione, perció, di Busta Gallorum con qualche località del-
l'agro sentinate non ha solido fondamento neppure in Livio.

?**») D. COMPARETTI, 0. C., III, p. 319 nota 1.

‘°) H. B. DEWING, 0. c., p. 353 note 2 e 3.

4) E. STEFANI, Scoperta di un antico sepolcreto in contrada Ginepraia
nel Comune di Nocera Umbra, in « Notizie degli Scavi », 1918, pp. 103-123.

* PASQUI-PARIBENI, Necropoli barbarica di Nocera Umbra, in « Monu-
menti antichi dei Lincei », vol. xxv (1919), pp. 137-360.

4*) G. SERGI, Gli umbri negli antichi sepolcri di Terni, in « Atti e Memorie
della R. Deputazione di Storia Patria per le Province di Romagna », 1915,
pp. 317-333. La citazione fatta è a p. 319.

44) Occorre, però, notare che se si accetta la testimonianza di Polibio
(11, 17), secondo cui i Galli vivevano in piccoli gruppi sparsi isolati, la necro-
poli appenninica con « moltissime tombe », come dice Procopio, ha una pro-
babilità minore di essere celtica piuttosto che umbra. (Sugli stessi problemi
dell'insediamento celtico, ma relativamente all'Emilia, dove « in nessun luogo
sono mai state trovate tracce di abitazioni » ma «esclusivamente sepolcreti »
cfr. G. A. MANSUELLI-R. ScARANI, L'Emilia prima dei Romani, Milano,
1961, pp. 272-285).

‘5) A. HoLDER, Alt-celtischer Sprachschatz, Leipzig, 1904, 11, p. 1021.

**) Così si accoglie la testimonianza dello scoliasta virgiliano Servio
(Aen. x, 13), il quale, a sua volta, deriva da Varrone. Identificando Poeninus
con Juppiter, Poenina ne sarebbe là divinità femminile in forma analogica
a Silvana da Silvanus. (Cfr. E. MANNI, Sull'origine e la romanizzazione del
culto di Giove Pennino, in « Bollettino Storico-Bibliografico Subalpino », xxv,
pp. 478-484).

*') La cultura di Le Téne comincia dal vi a. C.. Sui problemi
storici-etnografici relativi ai Celti cfr. T. G. E. PowELL, I Celti (trad. ital.),
28 ed., Milano, 1961.

Vedere anche: A. CALDERINI, Galli e Romani davanti alla storia, in « Ri-
vista Storica dei Liguri», 1942, p. 15 e segg. ; H. AUBERT, Les Celtes dépuis
l'époque de Le Tène, Paris, 1932.

48) Così Ugo Corr, L'organizzazione politica dell'Umbria preromana, in
Problemi di Storia e Archeologia dell'Umbria, Perugia, 1964, p. 157.

**) L’Itinerario Antonino conosce (oltre quello ab Helvillo-Anconam) an-
che un altro raccordo dalla Flaminia per Anconam, quello Nuceria - Anco-
nam. Ma questo raccordo deve essere considerato fuori di ogni probabilità
perché Totila si mosse oltre Tadinae, che, a sua volta, era già a nord di Nu-
ceria. Cosi non si puó pensare neppure all'actus che, forse, congiungeva Sen-

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LA BATTAGLIA TRA NARSETE E TOTILA 51

tinum con la località di Ad Ensem (l’attuale Scheggia) perché i due grossi
eserciti non potevano percorrere se non una strada vera e propria, qual’era
appunto il diverticulum da Helvillum all’agro di Sentinum.

5?) Veramente, secondo un passo della Guerra Gotica, sembrerebbe che
per Procopio un miglio romano era non di otto stadi ma di circa sei. Spie-
gando il significato del fiume Decennovium, (cioè 19 miglia) scrive: óc 8j
Eveaxaldexa mepuov onueta, Orso Ebverow dc Tpeic xal dexa xol sxatév otadiove
(v = 1, 11, 2). Se 19 miglia corrispondono a 113 stadi è evidente che un
miglio è di pochissimo minore a 6 stadi.

Siccome, però, neppure Procopio quando misura in stadi le distanze in
miglia — come si vedrà nei numerosi esempi più innanzi — tiene conto di
questa corrispondenza (un miglio, cioè circa metri 1480 = 6 stadi), neppure
noi siamo autorizzati a dare a questo testo un valore assoluto. E allora come
si spiega ? L'ipotesi più probabile è che siamo dinanzi ad un testo giunto a
noi scorretto, e, benché i codici non ne facciano testimonianza, la cosa è
possibilissima trattandosi di errore nei numeri, come ben si sa per casi ana-
loghi biblici o della letteratura classica. Come, d’altra parte, si può mettere
in dubbio che fosse ignoto a Procopio diligente conoscitore delle cose romane
e greche, l’esatto rapporto miglio-stadio, che era di uno a otto, da cui, oggi,
in misura metrica, deduciamo uno stadio equivalente a circa 185 metri ?
È, comunque, da escludersi che Procopio credesse uno stadio equivalente
a circa m. 248 — come sarebbe secondo v = 1, 11, 2 — quando, per es. lo
ammette di circa m. 150, secondo vi = II, 4, 9, dove fa corrispondente a
14 stadi la distanza della basilica di S. Paolo dalle mura di Roma, la quale
distanza è oggi, come nel sec. vi d. C. intorno ai 2 km.

5) Ecco un saggio delle misure in stadi in Procopio, con l'equivalente
relativo, vero o probabile, in chilometri, calcolati, naturalmente, sulle antiche
strade romane.

distanza
in Km.

distanza
in stadi

a) Basilica di S. Paolo dalle mura
di Roma (vi = II, 4, 9).
b) Ponte Milvio dalle mura di
Roma (Porta Flaminia) (v =
L 174)4. ut 045525 5c 726008 Km? (stadio... i8bamoscirca)
c) « Insula sacra »: distanza del
mare dal punto in cui il Tevere
si divide in due rami, e di-
stanza tra queste due rami-
ficazioni (v = 1, 26,5). . . 15 2,700 Km. (stadio = 180 m. circa)

d) Canusio-Canne (vii = II, 18,
10): 5935. s. 10S SL 020 56/7 Km. (stadio — 260 m. circa)

Km. (stadio — circa 143 m.)

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rativo, caratteristici delle prime società di mutuo soccorso italiane,
ad esempio le piemontesi.

Nell'ambito sociale gli iscritti erano raggruppati in tre diverse
categorie : soci attivi o effettivi, onorari e benemeriti.

I soci attivi dovevano versare, a titolo di contributo, una tassa
settimanale di centesimi 15 se uomini e 10 se donne. Inoltre era
richiesta, per l'ammissione, una tassa di « entratura », che variava
secondo il sesso e l’età.

La tassa per gli uomini era : da 31 a 35 anni compiuti, L. 1; da
36 a 40, L. 2; da 41 a 45, L. 4; da 46 a 50, L. 6; indi la tassa au-
mentava in ragione di L. 2 per ogni anno di maggiore età, divenendo,
per i membri tra i 59 e i 60 anni, età massima a cui era possibile
iscriversi, L. 26.

La tassa di ammissione per le donne era : da 20-a 25 anni, L. 1;
da 26 a 30, L. 2; da 31 a 35, L. 3; da 36 a 40, L. 4; da 41 anni
a 50 (età limite per le donne), la tassa cresceva di L. 2 per ogni anno
di maggiore età, fino a divenire, a 50 anni, L. 24.

L'iscrizione era subordinata ad un esame, da parte della Società,
concernente la moralità e l'integrità fisica del richiedente **).

In caso di malattia i soci attivi godevano di un sussidio, che non
poteva essere concesso per un periodo superiore ai quattro mesi
continui. Il sussidio, nei primi due mesi, era di una lira al giorno
per gli uomini, di settanta centesimi per le donne; nei due mesi
successivi le somme venivano dimezzate.

Non avevano diritto al sussidio i soci morosi e quelli la cui ma-
lattia derivasse da abuso di bevande alcooliche e da risse provocate.

I] socio, che si fosse ammalato, doveva darne notizia alla Giunta
direttrice, la quale provvedeva a inviare un medico della Società
che, constatata la malattia, rilasciava un certificato, presentando il
quale si aveva diritto al soccorso. Periodicamente, poi, l'ammalato
era visitato da una commissione di visitatori e visitatrici (ce n'era
una per ogni rione della città) che s'informava delle condizioni di
salute e finanziarie del socio, per riferirne alla Giunta direttrice.

Il soccorso non era dovuto al socio.attivo, se non dopo che fos-
sero trascorsi sei mesi dal giorno dell'iscrizione nell'albo della Società
e non si aveva diritto a sussidio per quelle infermità che, nella loro
durata, non eccedessero tre intere giornate.

Una malattia, che fosse divenuta abituale e per la quale fosse già
stato pagato, la prima volta, il sussidio stabilito, in caso di ricaduta,
dava diritto a 90 giorni di mezzo sussidio all'anno, a meno che ció
LA BATTAGLIA TRA NARSETE E TOTILA 53

condo il quale Narsete arrivò il 5 luglio a Ravenna, dove Procopio c'informa
che i bizantini si fermarono almeno 9 giorni (viti = Iv, 28,2). Si sa, del resto,
che Totila morì nell'undicesimo anno del suo regno (vini = Iv, 32,28). « L'un-
dicesimo anno di Totila si compieva nell'ottobre di quell’anno 552. Teofane
dice che la notizia arrivò a Bisanzio nell’agosto ; il fatto dunque dovette
avvenire nel luglio ed è pur questa la data negli Ann. Ravenn. da cui desume
Agnello ». (D. COMPARETTI, 0. €., 111, pp. 320-321 in nota).

5$) Il FucHs a sostegno della sua localizzazione della battaglia nella
pianura tra Sentino e il Pianello, cioè all’inizio occidentale della famosa gola
di Frasassi adduce, tra l’altro, il fatto che in quella zona sarebbe stato ritro-
vato il paraguancia dorato del tipico elmo gotico, chiamato dagli studiosi
tedeschi Spangenhelm. A parte la considerazione che un solo elmo non può
essere indizio sicuro di una battaglia con migliaia di morti, il RoIsL (o. c.,
p. 373) dice di non averlo potuto ritrovare né nel Museo di Fabriano né in
quello di Ancona, dove esiste, invece, (n. 133 dell’Inventario) uno Span-
genhelm rinvenuto a Roccascalegna nel 1922, e illustrato da G. MoRETTI in
Notizie degli Scavi, 1928, pp. 471-478. Benché questo elmo di Roccascalegna
sia, a parere degli esperti, un prodotto gotico, il Roisl pensa con il Behmer
che esso rappresenta una singolarità in una tomba gotica, perché «bei den
ostgermanischen Stámmen ein Brauch, den Toten Beigaben, vor allem von
Waffen, mitzugeben, nicht bestand » (o. c., p. 373).

57) La preposizione greca dpot significa : intorno, presso, vicino ecc. Ad
ogni modo, il significato qui non é in dubbio, anche per quello che dirà in
seguito Procopio sullo schieramento dell'esercito bizantino. L'ala sinistra di
questo schieramento era, sicuramente, vicino alla collina — « presso » (Com-
paretti) «near» (Dewing) — perché, appunto per l'esistenza della collina,
«Narsete dispose ad angolo l'ala estrema dello schieramento sinistro dei
Romani » (vini = rv, 31,6).

58) I lancieri (8opugópo) e gli scudieri (bm«oztozal) erano «militi scelti,
a cavallo, appartenenti a comandanti o duci, addetti alla loro persona, e di
loro proprietà ; di grado superiore i primi » (D. COMPARETTI, 0. C., III, p. 346).
Secondo Procopio, Belisario a Bisanzio ne aveva 7000 (vir = 1n, 1,20) e ne
ebbe un migliaio a Roma che lo difesero valorosamente (v = 1, 18,2; 11-12).

59) È la traduzione letterale del greco : x«*' dupw tà xai t&de. Del resto
nel capitolo seguente (viu = Iv, 31,5), Procopio specifica che le ali erano for-
mate ciascuna di 4000 arcieri a piedi.

6°) I Longobardi erano mercenari di Narsete (vi = rv, 26, 12). Anche
Paolo Diacono (Hist. Langob., 11, 1) ricorda l’aiuto che i Longobardi dettero
a Narsete per combattere i Goti di Totila : « Cum cireumquaque frequentes
Langobardorum victoriae personarent, Narsis chartularius imperialis, qui
tunc praeerat Italiae, bellum adversus Totilam Gothorum regem praeparans,
cum jam pridem Langobardos foederatos haberet legatos ad Alboin dirigit
quatenus ei pugnaturo cum Gothis auxilium ministraret ». Narsete, peró,
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54 GINO SIGISMONDI

dopo la battaglia in cui mori Totila, li licenziò, perché insopportabili (vi =
Iv, 33,2). Anche gli Eruli, popolazione germanica, erano mercenari dell’eser-
cito bizantino sotto il comando di Narsete.

*) La traduzione letterale del greco xatétprbe «iv 98:0 mola» è un
po’ difficile. Nel greco classico Set rpoí« significa = la prima parte o il
cominciare del pomeriggio, in opposizione a 9:0: ój(x = la seconda parte
o il terminare del pomeriggio.

La traduzione scelta, peró, tiene conto del fatto che Procopio é uno
scrittore del vi secolo d. C., quando già da tempo 3s0x aveva perduto il
significato proprio di « pomeriggio » e indicava qualunque «ora » del giorno,
determinata con esattezza dal nome che seguiva o precedeva e che in questo
caso è zpota, cioè « mattino ».

Il Comparetti traduce « passò tutta la prima parte del mattino » (o. c.,
III, p. 235), e il Dewing « he wore away the whole early part of the day » (o.
€. V; D. 379)

*) Ho accolto, seguendo il Comparetti, la lezione &ravtas del codice Am-
brosiano del sec. xiv e del Vaticano greco 152, anch'esso del sec. xtv, legger-
mente diversa da quella degli altri codici e di alcune edizioni, che hanno z&vzac.

Il Dewing, invece, seguendo l'Haury, ha la lezione &x«ox», che muta
notevolmente il senso del testo : in questo caso Procopio metterebbe in ri-
lievo che Totila prese l'armatura di un semplice soldato. Cosi traduce il DE-
"ING: «Totila changing his entire equipment he armed himself with all
care with the private soldier's equipment... ».

Ma più in armonia con il contesto sembra la lezione &ravtas, del resto
ben documentata dai codici, perché, certamente, per mangiare i soldati goti
dovettero deporre le armi ed è naturale che poi Totila diede loro l'ordine di
riarmarsi. È

La lezione del Dewing sarebbe, invece, in accordo con la seconda versione
sulla morte di Totila (cfr. vini = rv, 32, 33-36) riportata da Procopio, nella
quale si dice che Totila era armato, come un soldato semplice (vers. 34 :
iv otpATIOTOL Aóyo ri opévoc) durante la battaglia, nella quale fu ferito
a morte.

Ma a parte il fatto che Procopio stesso non tiene in molta considerazione
questo racconto sulla morte di Totila, pur non escludendo ogni probabilità
alla lezione &racav, si deve notare che essa, non essendo documentata dai
codici, è una semplice congettura.

Per un buon criterio di critica testuale, se non ci sono fortissime ragioni
in contrario, alla lezione di congettura è sempre da preferirsi la lezione tra-
mandata dai codici, e cioè, nel nostro caso, &ravtas, o l'equivalente réàvtas.

In questa lettura, naturalmente, i medi petauoteoduevos e ètotdlocaro
non hanno il più comune significato riflessivo — come l’intende il Dewing —,
ma il significato causativo, che é, del resto, un significato possibile e ben
noto per la forma media dei verbi greci.

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LA BATTAGLIA TRA NARSETE E TOTILA

63) L. SALVATORELLI, Storia d’Italia, 111, p. 196.

4. G. PEPE, 0::65p.187.

*5 A. PAGNANI, 0. C., p. 112.

**) H. RoisL, o. c., pp. 370-371.

*7) H. RoISsL;:0. c., p 371.

68) R. GUERRIERI, 0. C., p. 14.

**) R. GUERRIERI, 0. C., p. 14.

?*) Cfr. I. RossETTI, La Colonia Romana di Spoleto e gli Altopiani Ple-
stini nella Guerra punica, Camerino, 1963, specialmente p. 18 e pp. 32-35
(Toponomastica della battaglia).

1) R. GUERRIERI, 0. C., p. 14.

72) Hist. Miscell. xviri, 19. Cfr. D. COMPARETTI, 0. c., III, p. 321 nota 1.

APPENDICE

IL « DIVERTICULUM » DELLA FLAMINIA « AB HELVILLO-ANCONAM »

Nell'Itinerario Antonino — le cui annotazioni risalgono, so-
stanzialmente, all’epoca degli Antonini, (138-180 d. C.), anche se
la sua redazione é piü tardiva — oltre al percorso dell'intera Fla-

minia da Roma sino a Rimini, sono riportate due diramazioni che
recavano ad Ancona: la prima da Nuceria, attraverso Dubios, Pro-
laque, Septempeda, Trea ad Auximum, raggiungeva Ancona dopo
un percorso di 71 miglia; la seconda la raggiungeva partendo da
Helvillum ?).

Ecco il testo completo di questa seconda diramazione :

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ad Calem
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ad Pirum
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Queste località — oltre Helvillum, di cui si dirà più sotto, e
la ben nota Senigallia — sono identificabili così :

Ad Calem è oggi Cagli, direttamente sulla Flaminia per Ri-
mini, e che si trovava a 147 miglia da Roma;

Ad Pirum è l'ad Pirum Philumeni della Tabula Peutinge-
riana che lo pone sulla costa adriatica a 8 miglia dal fiume Metauro
e ad 8 miglia da Senigallia, proprio come nell’Antonino ; questa
distanza, a parte altre considerazioni, esclude l'identificazione con
Pergola, proposta dal Paolucci (o. c., p. 62 nota 8).

Ad Aesim si trovava alla foce del fiume Esino.

E evidente, perció, che la strada ab Helvillo-Anconam dell'An-
tonino, mentre riporta le tappe intermedie lungo la costa Adriatica
sino ad Ancona, tralascia tutte le località dell'entroterra ad ecce-
zione di Helvillum e di Cale, che, peró, erano síationes sul tronco
principale della Flaminia. Errata é la distanza di Helvillo ad Calem :
essa era non di 14 miglia soltanto, ma o di miglia 23, secondo lo
stesso Itinerario Antonino (d'accordo con il Gaditano), oppure di
miglia 24 secondo l'Itinerario Bordigalense. Altro errore evidente è
la distanza di otto miglia tra ad Calem e ad Pirum, cioé tra Cagli
e l'Adriatico ; inoltre non è possibile che non ci siano state tra Cagli
e l'Adriatico delle stationes intermedie.

Tutti questi errori vengono giudicati dagli studiosi dell'Itine-
rario Antonino come dovuti ad interpolazioni.

Quali, però, esse siano in concreto non è del tutto chiaro. Con
accordo unanime si ritiene che, nello scarno e sicuramente incom-
pleto elenco delle stationes, quelle che seguono ad Pirum indichino
il percorso lungo la costa adriatica sino ad Ancona. Restano, perció,
le stationes di ad Calem e quella di Helvillum, come probabili inter-
polazioni da eliminare. Chi crede fondamentalmente esatta la no-
tizia dell'Antonino di una strada ab Helvillo-Anconam — come nel-
l'intestazione, sotto la quale sono elencate le poche stationes — è
portato a dedurre che la statio interpolata è quella di ad Calem.
In favore di questa deduzione sta la sicura testimonianza dell'An-
tonino che indica Helvillum come punto di raccordo del diverticulum
della Flaminia per Ancona.

Accettando, invece, come corretta la statio ad Calem, anche se
implicitamente non si elimina Helvillum, se ne deduce che le statio-
nes indicate dall'Antonino come appartenenti alla strada ab Hel-
villo-Anconam siano, in realtà — sia pure in forma incompleta — le
stationes del diverticulum, che da Cale conduceva in Ancona. Cosi il

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LA BATTAGLIA TRA NARSETE E TOTILA 57

Cuntz ?, e l'Ashby, il quale scrive : « The existence of this road may
account for the confused entry in the Antonine Itinerary of a road
from Helvillum through Cale to ad Pirum and Sena » *.

Questa opinione, però, sembra molto improbabile perché, in
questo caso, l'Antonino avrebbe intitolato il diverticulum così: a
Cale-Anconam.

Perché indicare il raccordo sulla Flaminia ad Helvillum se esso,
in realtà, avveniva a Cale ?

Che una diramazione dalla Flaminia partendo da Cale, attra-
verso Pergola, lungo la vallata del Cesano raggiungesse l’Adriatico
e, quindi Ancona, — come oltre il Cuntz e l'Ashby, pensano anche
il Montecchini 4) e il Martinori 5) — si può senz'altro ammettere,
anche se non è documentata da nessun itinerario. Sarebbe illogico,
però, dedurne che la confusione delle stationes della strada da Cale
ad Ancona con quelle della strada ab Helvillo-Anconam porti con sé
la totale inesistenza di quest’ultimo diverticulum per Ancona dalla
Flaminia.

La testimonianza dell’Antonino, anche se deve essere purifi-
cata dagli errori delle síationes, non può essere distrutta : esisteva
realmente la diramazione ab Helvillo-Anconam come esisteva l’altra,
anche essa indicata dall'Antonino, da Nuceria ad Ancona *). La cer-
tezza di questo diverticulum per Ancona con raccordo a Nuceria e
una garanzia dell'esistenza dell'altro diverticulum, anch'esso per An-
cona, con raccordo più a nord e cioè ad Helvillum. Manca un motivo
sufficiente — tale non è, certo, l’interpolazione della statio di Cale —
per discriminare la duplice testimonianza dell’Antonino.

IL « MILIARIUS » DI SENTINUM

Ma questa strada ab Helvillo-Anconam è documentata — almeno
così sembra — anche da due titoli epigrafici riportati dal Bormann
tra quelli relativi alla Flaminia nel C.I.L., x1/2. Sono i titoli n. 6629
e n. 6630.

Il titolo n. 6629, visto dagli eruditi settecenteschi Sarti e Lan-
cellotti dinanzi alla casa della famiglia Cesauri di Sassoferrato, era
stato trovato qualche anno prima del 1750 nell'agro sentinate : in
praedio familiae Cesauriorum, specifica il Sarti. Si trattava di una
colonna marmorea con doppia epigrafe. Eccone il testo "):
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Da una parte
DDD. NNN.
FL. VALENTINIANO. ET
GRASANO. BONIS
FELICISSIMIS. TRIUN
FATORIBUS. SEM
PER. AUGGG. BONO
REIP. NATIS

CXLI

I tre De i tre n della prima riga e i tre c della sesta fanno pen-
sare che tre e non due erano gl'imperatori nominati, sicché il Bor-
mann crede che essa sia stata trascritta con errori perché la formula
era identica al titolo n. 6626a (trovata a Rosciano a due miglia da
Fano), al n. 6630 (trovata nell’agro di Arcevia) e al n. 6634 (trovata
a Rimini).

Si sa, d’altra parte, che Valentiniano non governò mai con il
solo Graziano, ma fu imperatore o con Valente soltanto — dal marzo
del 364 all’agosto del 367 — o insieme con Valente e Graziano dal
24 agosto 367 al 17 novembre 375. Dopo quest’ultima data e sino
al 9 agosto 378 Graziano governò insieme con Valente *).

L'epigrafe, perciò, va cosi completata e letta :

Dominis Nostris | Flaviis Valentiniano Valenti Et | Gratiano
Bonis | Felicissimis Trium [fatoribus Sem/per Augustis Bono | Reipu-
blicae natis | CXLI. :

Per la data di questo cippo dedicatorio agli imperatori Valen-
tiniano Valente e Graziano nessun dubbio - essa oscilla tra il 367 e
il 375, perché soltanto in questi anni quegli imperatori governarono
tutti e tre insieme, come già s'é detto.

Nell'altra parte del cippo era incisa la seguente epigrafe :

FL. Xi éC-T:0.:P
SEMP. AUG.
B.R.N.

CXLI

Scrive il Bormann : « polest fuisse Pius| F(eli)x (VI) CTOP,
et praecessisse nomen » *). Sicché essa, secondo il Bormann, andrebbe

letta cosi : Pius / Feliz Victor Julianus | Semper Augustus | Bono Rei-
publicae Nato | CXLI.
LA BATTAGLIA TRA NARSETE E TOTILA 59

L'epigrafe risale, perciò, agli anni in cui Giuliano, detto l'Apo-
stata, fu imperatore, cioé al periodo 361-363.

Anche se non tutto é chiarissimo nelle due epigrafi di questo
cippo stradale dell'antica Sentinum, è fuori dubbio il numero del
miliarius ripetuto due volte : il cippo indicava la distanza da Roma
in miglia 141. Ma su quale percorso ?

Secondo il Radke 1°) questo miliarius di Sentinum — come
quello del titolo n. 6631 trovato a Corinaldo, cui si accennerà più
avanti — appartiene al percorso più antico e primitivo della Fla-
minia, la quale, secondo lo studioso tedesco, dopo Forum Flaminii
(poco lontano dall'attuale Pontecentesimo) saliva, attraverso l'al-
tipiano di Plestea, a Camerino (il cui nome vero era Kamars-Klusiom)
e, passando attraverso Alítidium (Attigio), Tuficum (Albacina) e
Sentinum, raggiungeva il mare a Senagallica dopo un percorso to-
tale da Roma di 198 miglia.

Questa originaria Flaminia costruita nel 220 a. C., secondo il
Radke, sarebbe stata sostituita a poco a poco dal percorso, ben
noto dagli Itinerari, che, attraverso Nuceria, Cale e Forum Sem-
pronii raggiungeva il mare a Fanum: «una scorciatoia costruita
sotto il consolato di Sempronio Graeco nel 177 a. C. » 11).

Anche dando a queste idee cosi nuove del Radke la probabilità
di un'ipotesi — per molti motivi, peró, tutt'altro che necessaria ed
accettabile — si deve in ogni caso escludere che tanto il cippo stra-
dale di Sentinum quanto quello di Corinaldo documentino l'origi-
nario percorso della Flaminia per Camerino. Nel secolo quarto dopo
Cristo, quando furono collocati i due cippi (databili il primo, come
si é detto, negli anni 361-375 d. C. e il secondo negli anni 308-313
d. C.) l'ipotetico percorso secondario della Flaminia era, senza al-
cun dubbio, il percorso principale da Roma all'Adriatico e quello
sul quale avveniva il calcolo delle miglie, anche per le distanze se-
gnate sulle varie diramazioni. Cosi, per es. sul miliarius di Vespa-
siano trovato a Rio di S. Croce nell'agro nocerino e che apparte-
neva al diverticulum della Flaminia Nuceria-Anconam, le 115 mi-
glia ivi segnate indicano la distanza da Roma, calcolata in massima
parte sul tronco principale della Flaminia, donde si diramava con
raccordo da Nuceria, la quale era a 109 miglia dall'Urbe ?).

Occorre anche sottolineare il fatto che il diverticulum da Nuceria
ad Ancona è chiamato « Flaminia » ; nel testo dell'Antonino è, infatti,
riportato sotto la significativa dicitura : Flaminia ab Urbe per Picenum

Anconam (cfr. testo critico nell'edizione di O. Cuwrz, Leipzig, 1929).

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GINO SIGISMONDI

D'altra parte, gli stessi numeri del miliarius di Sentinum (141
miglia) e di quello di Corinaldo (184 miglia) escludono che il loro
calcolo sia stato fatto lungo l’ipotetico percorso per Camerino. An-
che supponendo che sia nei limiti la distanza di 43 miglia tra l’at-
tuale Sassoferrato e Corinaldo — ciò che, per altro è difficilmente
accettabile — quella tra Camerino e Sentinum risulta inferiore di al-
meno 25 miglia : da Forum Flaminii, che distava 100 miglia da Ro-
ma, a Kamars-Klusiom erano 30 miglia (= 45 Km. circa) e da qui
a Sentinum, attraverso Attidium e Tuficum, sono oggi intorno a
59 Km., cioè circa 37 miglia. Se il cippo stradale di Sentinum avesse
segnato la sua distanza da Roma attraverso Camerino avrebbe do-
vuto portare inciso il miglio 167 o giù di lì. L'ipotesi del Radke,
dunque, non ha un solido fondamento.

Escluso, però, il percorso per Camerino, resta ancora il pro-
blema di determinare la statio di raccordo sulla Flaminia, da cui
partiva il diverticulum sul quale — o sopra una sua diramazione —
era situato Sentinum a 141 miglia da Roma.

Il Bormann crede che questo raccordo alla Flaminia avvenisse
a Scheggia e che, perciò, il titolo n. 6629 — come gli altri due 6630
e 6631, di cui si tratterà più sotto — « ad eandem viam stetisse, cuius
in itinerariis mentio non fit, quae a mutatione Flaminiae ad Aesim
discesserit et per Sentinum Senam Gallicam petierit ».

Ma anche ció é difficilmente sostenibile. Pur non tenendo conto
che il passo di Scheggia é stato aperto come normale via di comu-
nicazione per Sassoferrato in tempi relativamente recenti — senza,
per altro, escludere, prima e dopo l'epoca romana, un qualche actus
lungo il corso del fiume Sentino — la distanza indicata dal milia-
rius di Sentinum sarebbe troppo piccola se essa fosse stata calco-
lata lungo la Flaminia sino a Scheggia e poi lungo la diramazione
per Sentinum. Scheggia — indicata con Haesim nell'Itinerario Ga-
ditano, con ad Ensem nella Tabula Peutingeriana e con mutatio
ad Hesis nell'Itinerario Bordigalense — si trovava a 134 miglia
da Roma. Poiché Sentinum, secondo il titolo n. 6626, si trovava
a 141 miglia, la distanza tra Scheggia e Sentinum avrebbe dovuto
essere di sole 7 miglia: una distanza inaccettabile, perché quella
reale era almeno doppia. (L'attuale strada tra Scheggia e Sassofer-
rato é di Km. 24, cioé, circa 16 miglia romane).

Dunque l'innesto sulla Flaminia della strada che passava per
Sentinum doveva avvenire molte miglia prima di Scheggia. Perció
l'ipotesi che avvenisse a Helvillum, da cui l'Antonino ci documenta
LA BATTAGLIA TRA NARSETE E TOTILA 61

sostanzialmente un diverticulum per Ancona, diventa quasi una
certezza. Helvillum si trovava a 124 miglia da Roma e la sua distanza
da Sentinum, attraverso un valico appenninico, calcolata in rap-
porto alle 141 miglia del titolo n. 6629, doveva essere di 17 miglia.
Ed è proprio questa, tenendo conto delle oscillazioni in più e in
meno nel calcolo delle miglia per un percorso reale che ci è noto sol-
tanto nei suoi punti estremi, la distanza tra l'antico Helvillum e l'anti-
co Sentinum. L'impossibilità di un calcolo preciso è determinata da
vari motivi. Anzitutto, non si sa con certezza dove era posto il mi-
liarius 141 del titolo n. 6629 : prima o dopo l’abitato di Sentinum,
che era situato a circa 2 Km. a sud-ovest dell’attuale Sassoferrato ?
oppure il cippo stradale era nell’agro sentinate ? ma, in questo caso,
quanto a nord o quanto a sud di Sentinum ?

S'ignora, inoltre, anche la sicura ubicazione di Helvillum sulla
Flaminia, benché gli studiosi quasi unanimemente accettino l'ipo-
tesi del Bormann.

Il Bormann lo pose poco lontano dal colle dell'attuale Fossato
di Vico, dove fu trovato il cippo dedicatorio a Marte, il titolo 5801,
«in proedio advocati Venturi diclo Comparone ad antiquam viam
Flaminiam ad radices collis 300 fere metris a Fossato, 100 metris a
ponte diclo Capo d'Acqua »??).

Nel cippo a Marte, infatti, si legge che il luogo sacro era stato
concesso «a vicanis Helv/(illatibus) ». E qui appunto conduce la
distanza di sette miglia che l'Itinerario Bordigalense pone tra la
civ. Ptanias (l’antica Tadinae, sicuramente situata in contrada Ra-
sina, a 4 Km. circa dall’odierna Gualdo Tadino) e la « mansio Herbel-
loni». Anche le 15 miglia tra Nuceria e Helvillum dell’Itinerario
Gaditano arrivano in questa zona.

Ecco perchè quasi tutti gli storici seguono, oggi, l'opinione del
Bormann : per costoro, perciò il moderno Sigillo non deriverebbe
dall'antico Helvillum, ma da un centro umbro (Suillum ?), i cui
abitanti Suillates sono nominati tra i popoli umbri da Plinio 14).

Ci sono, del resto, alcuni dati di fatto che confermano l’opi-
nione del Bormann ').

Ecco i dati: gli Helvillates del titolo 5801 sono, filologicamente,
diversi dai Suillates di Plinio, e, se si accettano come esatte le mi-
glia degli itinerari tra Tadinae e Helvillum e tra Nuceria e Helvil-
lum, si arriva poco al di là del Borgo di Fossato, anche se la misura
è fatta in linea d’aria, cioè secondo l’ipotesi-limite e più sfavorevole
di un continuo rettilineo.

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GINO SIGISMONDI

Occorre anche sottolineare che l’area del Borgo di Fossato di
Vico al voc. Capodacqua ha dato significativi reperti archeologici.
. Qui, oltre al titolo n. 5801, è venuto alla luce anche il titolo
n. 8046 (cfr. C.I.L., x1/3, p. 1352), dedicato anch’esso a Marte.
Sulla facciata della casa rustica in voc. Capodacqua è ben visibile
un mascherone venuto fuori dal sottosuolo.
Ancora: sempre nei vocaboli Comparone e Capodacqua sono

state trovate numerose colonne spezzate, di travertino e granito,

qualcuna con base, un grande coperchio di sarcofago ed altri re-
perti oggi conservati nell’area antistante alla Chiesa parrocchiale
del Borgo di Fossato insieme con il titolo n. 5801.

Più a nord, in voc. Aia della Croce 1°), sono stati trovati dieci
grandi rocchi di colonne doriche con scanalatura e che Oggi si con-
servano nelle immediate adiacenze di Casa Lombardi, già Miche-
letti, a Borgo di Fossato. Inoltre ivi vennero alla luce resti di pa-
vimento a mosaico, fatto con tessere bianche e nere a fondo di coc-
ciopisto rossastro. « Il pavimento, sui lati nord ed est, era circon-
dato da una zona a tessere bianche e nere formanti un disegno a
scacchiera, mentre sul lato ovest era un'ampia zona a linee obli-
que intersecantisi formanti un disegno a rombi. Presso l'estremità
nord della parete orientale del pavimento, si trovarono parecchi
frammenti d'intonaco dipinto ». Cosi scrive lo Stefani, sotto la cui
direzione fu esplorata sistematicamente la zona dell’Aia della Croce.

Il voc. Aia — la denominazione della Croce è di recente deri-
vazione cristiana — ha un preciso significato nella toponomastica
antica : sta ad indicare sempre una zona sacra. Tanto sacra doveva
essere questa località che l’ipotesi più probabile da farsi, sopratutto
per le sette grandi e bellissime colonne, è che qui sorgesse un tem-
pio 1’). Tanto più che in questa Aia è stata trovata nel 1868 la la-
mina di bronzo con iscrizione umbra, nella quale si nominano una
magistratura umbra, il maronato, e la Dea Cupra (= la Bona) del
pantheon italico 15). Si aggiunga che nell’area del Borgo di Fos-
sato è venuto alla luce un vaso con iscrizione al cristiano Gaudenius
(Gaudentius ?) del rv-v secolo d. C. 19),

Per la relativa abbondanza di tutti questi reperti si può pen-
sare con sufficiente fondamento critico che nella zona attuale in
voc. Comparone e in voc, Capodacqua (poco distanti dall'Aia della
Croce) esistesse l'antico « vicus » di Helvillum 20),

Anche per il valico appenninico attraversato dalla strada dal
Helvillum a Sentinum occorre affidarsi all'ipotesi. Siccome l’at-
LA BATTAGLIA TRA NARSETE E TOTILA 63

tuale passo di Fossato fu aperto nel sec. xvii, non resta che cer-
care un passo più a nord. Esso, con ottime probabilità, è da indi-
viduarsi in località Chiaromonte, ad alcune centinaia di metri a
sud-est di Val di Ranco.

Per questo valico, infatti, passava la strada che, secondo una
sicura documentazione, prima del sec. xvii dal versante umbro
con raccordo alla Flaminia nelle vicinanze dell’attuale Borgo di
Fossato — l’antico Helvillum — immetteva nel versante marchi-
giano sboccando a S. Cassiano. Dalle Visitationes dei vescovi no-
cerini nei secoli anteriori al sec. xvirr, per es. appare che essi pas-
savano dal castrum Fossati in terra umbra all'Abbazia di S. Cas-
siano, che si trova immediatamente a ridosso dell'Appennino sul
suo versante marchigiano, per montem ?).

Cosi nel Liber Statutorum Terrae Sigilli, di cui si ha copia del-
l'anno 1616 — ma trascritta ex vetere statuto, per cui si può pensare,
anche per altri indizi interni, che la sua redazione risalga almeno
alla fine del sec. xv — si parla di un raccordo tra Sigillo e la strada
montana (certamente quella di cui si conosce anche aliunde l'esi-
stenza) che dall'Appennino portava a Fabriano e Sassoferrato. Il
raccordo sigillano, è detto, « da porta S. Martino va al Ranco, a Fa-
briano et a Sassoferrato » e che « va alla Chiusa et alla mucchia et
entra nella strada di Fabriano » ?°). Questa «strada di Fabriano »,
con cui si congiungeva il ramo secondario che partiva da Sigillo,
è senza alcun dubbio, quella che univa per montem i due versanti
appenninici deviando dalla Flaminia nel territorio di Fossato e
raggiungendo quello marchigiano a S. Cassiano.

Anche nella Dioecesis picta — una grande tela di tutto il ter-
ritorio della diocesi di Nocera del tempo del vescovo Battaglini
(1690-1716) — è chiaramente tracciata questa strada, che partendo
da Fossato e, attraversando l'Appennino tra Fossato e Sigillo, con-
duceva nelle parrocchie marchigiane dipendenti dalla giurisdizione
ecclesiastica dei vescovi nocerini ?*).

Di questa strada, completamente abbandonata dopo l’aper-
tura dell’odierno passo di Fossato, resta memoria nella toponoma-
stica locale : la tenue traccia appenninica ancora esistente si chiama
«strada del Postiglione » perché per essa passavano le vetture del
servizio postale. E lo storico, oggi, in mancanza di documenti più
specifici, può con sufficienti motivi di probabilità considerare la
medievale strada tra Fossato e S. Cassiano attraverso il valico ap-
penninico di Chiaromonte, l'erede del percorso per montem del-

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64 GINO SIGISMONDI

l'antico diverticulum, che da Helvillum sulla Flaminia portava nel-
l'agro sentinate ?*).

IL CIPPO STRADALE DI ARCEVIA r

Dall'odierno S. Cassiano il percorso stradale per Ancona poteva
piegare ad est e — passando, forse, per le romane Attidium e Tufi-
cum — raggiungere il mare lungo la vallata dell'Esino. Puó essere
stato questo il vero percorso della strada «ab Helvillo-Anconam »
testimoniata dall'Antonino, ma non si hanno cippi stradali che,
archeologicamente, lo provino con certezza.

Pure accettando questa probabilità, si deve, peró, senza alcun
dubbio, pensare all'esistenza di una diramazione, dall'attuale S.
Cassiano o poco dopo, per Sentinum : il miliarius del titolo n. 6629
trova soltanto cosi la sua retta interpretazione.

E, del resto, un fatto ben noto che anche le strade romane
erano collegate tra loro per servire il maggior numero di centri abi-
tati. Cosi sulla strada che da Nuceria recava ad Ancona si aveva
a Septempeda, un diverticulum per Urbs salvia e, poco prima di Au-
ximum, un altro diverticulum conduceva a Helvia Ricina.

Per il percorso da Sentinum alla costa Adriatica si conosce
approssimativamente solo il primo tratto: certamente una strada
collegava Sentinum con l'agro dell'odierna Arcevia, attraverso Alba
Picena. Cosi fa ritenere il cippo stradale di Arcevia riportato nel
C.I.L. x1/2, p. 995 sotto il titolo n. 6630 25). Anch'esso è un cippo
dedicatorio — come il miliarius di Sentinum, ma, a differenza di
questo, non ha l'indicazione delle miglia — agli imperatori Valen-
tiniano, Valente e Graziano: risale, cioè, agli anni 367-375 d. C.
La quasi identità dei due cippi suggerisce l'ipotesi — senza, natu-
ralmente, imporla come certa — che essi fossero collocati a Sen-
tinum e nell'agro dell'attuale Arcevia, forse simultaneamente, per
indicare qualche miglioria arrecata alla stessa strada che congiun-
geva 1 due territori. Per l'ulteriore percorso dall'agro arceviese al
mare sono ugualmente probabili ambedue le ipotesi: o che percor- i
rendo la vallata del Misa, sboccasse a Senagallica, o che, invece,
raggiungesse la vallata del Cesano nell'agro di Suasa (attualmente
S. Lorenzo in Campo) per, poi, toccare la costa adriatica. In que-
sta seconda ipotesi sboccava nel mare, forse, nei pressi della statio
di Ad Pirum Philumeni, certamente, peró, sopra Senagallica. A
questo secondo tracciato, nel tratto finale tra Suasa e il mare, ap-
LA BATTAGLIA TRA NARSETE E TOTILA 65

partiene il cippo stradale, trovato a Corinaldo, e dedicato agli im-
peratori Costantino e Massenzio — databile, perciò, tra il 308 e
il 313 d. C. — e che porta inciso il miliarius c.xxximr. Non è certo,
però, che questo miliarius di Corinaldo appartenesse alla strada
proveniente da Sentinum, perché la distanza tra Sentinum e l'agro
di Corinaldo è molto minore delle 41 miglia (poco meno di 60 km.)
quante ne segnano i due cippi n. 6629 e 6631. Forse, perciò, ne cal-
cola la distanza da Roma attraverso il raccordo di Ad Calem, come
già pensò il Bormann, e non attraverso il raccordo di Helvillum.
È fuori dubbio, comunque, che il miliarius di Sentinum — sia che
ne indichi il percorso principale, oppure una diramazione secon-
daria — attesta l’esistenza di una antica strada di raccordo del-
l’agro seritinate con la Flaminia ad Helvillum.

GINO SIGISMONDI

NOTE

1) Per i testi degli Itinerari cfr. C.I.L., x1/2, p. 995 e segg.

?) O. CuNTZ, in «Iahres Oesterr. Arch. Inst.», vir, p. 61.

3) TH. AsHBy, in The Via Flaminia, in « Journal of Roman Studies »,
xI, 1921, pp. 183-184.

Il NissEN (Italische Landenskunde, 11/1, Berlin, 1902, p. 392 nota 3),
sulla strada Helvillo- Anconam testimoniata dall’ Antonino, aveva già scritto :
«jedoch ist dieselbe nicht nachgewiesen und die Entfennungen ganz
entstellt ».

3) P. L. MoNTECCHINI, La strada Flaminia dall’ Appennino all’ Adriatico,
Pesaro, 1879, p. 43.

5) E. MARTINORI, Via Flaminia, Roma, 1929, p. 180.

*) G. Dominici, La Via Flaminia per Ancona, Perugia, 1942. (Estratto
di uno studio pubblicato nel « Bollettino della Deputazione di Storia Patria
per l'Umbria», vol. xxix, 1942).

Dell'esistenza di questa strada si é avuta una prova certa in un milia-
rius dedicato a Vespasiano trovato nell'aprile del 1953 tra le gole dell'Appen-
nino in vocabolo Rio di S. Croce. (Cfr. G. SIGISMONDI, Epigrafi romane tro-
vate recentemente a Nocera Umbra, in « Epigraphica », xiv (genn.-dic. 1952,
pubblicato nel marzo 1954), pp. 114-136). |

‘ Recentemente G. RADKE, in Ricerche su Camerino città umbra, Milano,
1964, p. 26, ha scritto che la piü antica allusione alla Flaminia Nuceria-

Anconam si trova in Cicerone, Phil. xir, 9, 23. Ma il testo non è così chiaro

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66 GINO SIGISMONDI

come crede il Radke. Così è discutibile anche l’altra allusione al nostro di-
verticulum che, secondo il Radke, sarebbe in Tacito, Ann. TIE, 193 1:

Sy GILL y xr/2,.p...999.

*) Cfr. R. CaaNar, Cours d'épigraphie latine, Paris, 1914, pp. 245-246.

SUC. LL., x1/2;. p.999:

1°) G. RADKE, o. c., p. 24. Il Radke sostiene questa opinione anche sotto
la voce Umbri nel R.E. del PAuLv-Wissowa, vin, suppl. coll. 1791-1798.

11) G. RADKE, 0. c., p. 21. Secondo il Radke, questo tratto di strada da
Forum Flaminii a Fanum, attraverso il passo di Scheggia, si dovrebbe chia-
mare Via Sempronia dal nome del suo costruttore. Analogamente alla Fla-
minia chiamata così dal costruttore Flaminio, che dette anche il nome a
Forum Flaminii, la Sempronia deriverebbe da Sempronio Gracco, che dette
anche il nome a Forum Sempronii, l'attuale Fossombrone. Già un erudito
del sec. xvii, un tedesco vissuto quasi sempre in Olanda, J. F. GRoNow (1611-
1671) chiamava Sempronia la strada dopo Foligno : « Viam demum Sempro-
niam a Flaminia oriri Fulginei in Umbria usque ad Forum Sempronii pro-
tendi a quo nomen accepit » (Antig. Rom. 111, p. 309).

?) Per le questioni topografiche relative al miliarius di Vespasiano e a
Nuceria cfr. G. SIGISMONDI, o. c., pp. 120-136.

HYSGT D: x1/2::p::853:

14) Nat. hist., 111, 14 (114). Il NIissEN (o. c., p. 392) riportata l'opinione
del Cluverio sull'identità Helvillum-Sigillo, scrive: «Die Aehnlichkeit der
beiden antiken und des modernen Namens ist die einzige Stütze für die Ver-
mutung. Es mag wol eine selbstündige Gemeinde im Thal gegeben haben ;
jedoch werden Beweise vermisst um sie bestimmen zu kónnen ». Identifica
dubitativamente peró, Helvillum con Sigillo — come già il Cluverio nel sec.
XVII —, il Martinori (o. c., p. 175). L'Ashby propende per l'opinione del Bor-
mann, ma non in senso assoluto : « The station of Helvillum seems to have
been below the hill of Fossato di Vico » (o. c., p. 180).

15) Anche negli atlanti storici più moderni Helvillum e Suillum vengono
riportati come distinti. Così in BARATTA-FRACCARO-VISINTIN, Aflante sto-
rico, Novara, 1954. E così nella carta dell’Italia antica nel volume Arte e
Civiltà dell’Italia antica redatto sotto la direzione di A. Marunr del Touring
Club Italiano, Milano, 1960.

1°) Per i reperti trovati in voc. « Aià della Croce » vedere: E. STEFANI,
Fossato di Vico. Antiche costruzioni scoperte in contrada « Aia della Croce », in
« Notizie degli scavi », vol. 1, serie vir, fasc. 4°-5°-6 °, Roma, 1940, pp. 171-179.

Il vocabolo « Aia », con ogni probabilità, sta per « Ara ». È toponimo che
ricorda un’antica ara sacra.

1?) Anche lo Stefani pensa che « una costruzione di non comune impor-
tanza, probabilmente di carattere sacro, e con avanzi di affreschi che ci ri-
portano al principio del rr stile, dovette sorgere sopra l'altura denominata
Aia della Croce » (o. c., p. 178).

— —
LA BATTAGLIA TRA NARSETE E TOTILA 67

15) Per il testo completo dell'iscrizione: cfr. — oltre R. S. CONWAY,
The Italic Dialects, Cambridge, 1897, n. 354 — V. PISANI, Le lingue dell’ Italia
antica oltre il latino, (2% ed.), Torino, 1964, n. 62, p. 220.

L’iscrizione fu rinvenuta fissata sopra il frammento di un grande orlo
cilindrico di terracotta nel fondo di una buca tonda del diametro di m. 2,40
ed altrettanto profonda, scavata regolarmente nel vivo di uno scoglio.

19) Cfr. F. LANZONI, Le Diocesi d’Italia, 1, Faenza, 1927, p. 453.

2°) I reperti archeologici attestano che Helvillum fu un vicus romano
di una certa importanza, perché statio sulla Flaminia anche se non giunse
ad essere municipium.

« Vici et castella et pagi sunt, quae nulla dignitate civitatis ornantur
sed vulgari hominum conventa incoluntur, et propter parvitatem sui maio-
ribus civitatibus attribuuntur». Così il Sigonio, (libro rr, capitolo primo)
citando Isidoro (cfr. MARTINORI, 0. c., p. 164, nota a).

Il Bormann pensa che il vicus di Helvillum appartenesse al municipium
di Tadinum, « cuius et tribus et magistratus ignorantur ». È una semplice ipo-
tesi. Ma sembra più probabile un’altra ipotesi. Nel titolo n. 5802 del GEL;
XI/2, p. 853, trovato nel 1752 tra Costacciaro e l'attuale Sigillo, si nomina
un Cn. Disinius, come duovir della tribù Clustumina. Forse, questo Disi-
nius è un magistrato dei Suillates. Helvillum è un vicus dipendente dai vi-
cini Suillates, piuttosto che dai lontani Tadinates.

^) Così il vescovo Pierbenedetti il 22 settembre del 1593 « discedens
de castro Fossati, transiens montem, pervenit ad Abatiam S. Cassiani » (Vi-
sitatio 1592-1593, fol. 93t nell'Archivio della Cancelleria Vescovile di Nocera
Umbra). Così il 16 luglio 1597 lo stesso vescovo « discedens de castro Fossati
transiens montem pervenit ad Ecclesiam seu Abbatiam S. Cassiani ». (Visi-
tatio 1596-1597, fol. 89t).

?) Il Liber Statutorum è conservato nell'Archivio del Comune di Sigillo.
I brani citati sono al fol. 14.

?:) L'attuale tela è una copia fatta nel 1784 al tempo del vescovo Mas-
saioli (1768-1800) dall'originale Dioecesis picta sotto l'episcopato del Batta-
glini. (Si conserva nell'episcopio di Nocera Umbra).

24) A sua volta l'antico percorso romano, con ogni probabilità, era stato
costruito seguendo un antichissimo actus, che dalla preistoria collegava i due
versanti appenninici. La sella di Fossato (m. 740) è nell'elenco dei dodici
passi transappenninici che il PuGLISI pensa siano stati località montane di
osmosi per i gruppi etnici pastorali della cosidetta facies appenninica (cfr.
S. PugLIsI, La civiltà appenninica, Firenze, 1959, p. 19). E nell’area appen-
ninica di Fossato si trova il valico di Chiaromonte, certamente più facile del-
l’attuale passo di Fossato. Per gli antichi Umbri, poi, che nei secoli protosto-
rici troviamo insediati lungo la dorsale occidentale dell'Appennino — quelli
che poi saranno gli Ikuvini, i Tarsinates e i Nucerini — molti studiosi oggi
accettano l'ipotesi che essi siano emigrati dal versante orientale specialmente

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attraverso alcuni valichi montani. Gli Atieidi, che, secondo le Tabulae Eugu-
binae erano una confraternita di Ikuvium, sono, senza dubbio, oriundi di
Attidium, l'attuale Attiggio poco lontano da Fabriano. Cosi per i Nucerini,
chiamati da Plinio Favonienses et Camellani (Nat. Hist. 111, 14/113), si può
accettare quanto afferma il Devoto: «l'attributo di Nuceria Camellaria
mostra il collegamento del territorio con i Camertes transappenninici di Ca-
merino » (G. DevoTo, Gli antichi Italici, 2% ed. Firenze, 1952, p. 102). Anche |
per il RADKE (o. c., p. 24) Nuceria «è senz'altro colonia camerinese ».

Ora l’esistenza nell’area di Helvillum di un culto della dea italica Cupra
— venerata nelle colline marchigiane digradanti verso l'Adriatico — è un buon
indizio che anche non lontano da Helvillum un valico unisse la fascia orien-
tale con quella occidentale dell’ Appennino (Cfr. G. ANNIBALDI, I rapporti
culturali tra le Marche e l'Umbria nell'età del ferro, in. Problemi di Storia e
Archeologia del" Umbria, Perugia, 1964, pp. 91-98). Cfr. anche U. CIOTTI,
Nuove conoscenze sui culti dell'Umbria antica, ivi, pp. 99-112).
» 85) Eccone il testo :

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fra gli artisti ed operai di Perugia
(1861-1900)

INTRODUZIONE

Quando si tratta di « Previdenza Sociale » ci si riferisce, general
mente, a un fenomeno proprio dell'epoca contemporanea, connesso
all'esistenza d'una gran massa di lavoratori salariati, con tutti i
problemi ad essa relativi.

Pur non condividendo il punto di vista di coloro che, rifacendosi
alle prime manifestazioni del sentimento di solidarietà, indubbia-
mente posto alla base della previdenza, giungono alla conclusione
secondo la quale l'origine di quest'ultima é da considerarsi contem-
poranea alla costituzione degli aggregati sociali, ci sembra peró pos-
sibile far risalire il fenomeno previdenziale ad un periodo anteriore
a quello comunemente considerato ?).

Rudimentali elementi previdenziali-assistenziali possono già essere
individuati nell'attività delle Confraternite 2), che nel mondo me-
dioevale svolgevano una funzione eminentemente caritativa. Pe-
raltro, in tali associazioni a carattere quasi sempre religioso, l'in-
tento previdenziale si coglie solamente come un riflesso dell'intento,
piü largamente e propriamente cristiano, di arrecare sollievo ai bi-
sognosi, mediante l'elargizione di sussidi *).

Ben piü evidente si presenta il caso delle Corporazioni d'arti e
mestieri. Nel Medioevo, la funzione assistenziale svolta in seno alle
Arti costituiva uno degli aspetti — e non il più importante — della
complessa solidarietà che legava i corporati; una solidarietà che
aveva la sua matrice in comuni interessi produttivi. Ma, col pas-
saggio dall'età di mezzo all'età moderna, é dato constatare che;
mentre si affievolivano le tradizionali e fondamentali funzioni delle
Corporazioni, quali quelle economica e politica, si rafforzava in-

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70 ALBERTO GROHMANN

tanto la funzione assistenziale, mutualistica e caritativa, nella quale
il contenuto previdenziale andò sempre meglio delineandosi ed af-
fermandosi, fino a rimanere il solo valido +). Pur essendo l'assistenza
collegata alla facultade de cassia, appare sempre più evidente il rap-
porto tra l'appartenenza all'Arte e il diritto a percepire determinati
sussidi, e si nota come tali forme di soccorso si colleghino al corri-
spettivo pagamento di tributi da parte dei soci 5).

Col tempo, le Corporazioni d’arti e mestieri, che in passato ave-
vano adempiuto alla funzione economica di equilibrio fra le varie
classi sociali, alla redistribuzione della ricchezza, a fini di mutua-
lismo, solidarietà ed aiuto scambievole, andarono perdendo la loro
importanza. Laddove si affermarono le nuove forme di organizza-
zione economico-produttiva, le Corporazioni cominciarono a scom-
parire ; finché, allo spirare del xvin secolo o, al più tardi, all'inizio
dell'Ottocento, motivi economici e ideologici, insieme, portarono alla
soppressione delle Corporazioni residue in tutti i Paesi dell'Europa
centro-occidentale *).

Questa soppressione segnò il trionfo dell’individualismo anche
nel campo dei rapporti di lavoro. Ma, quasi paradossalmente, pro-
prio dalla piena affermazione dell'individualismo nacque la spinta
verso nuove forme associative tra lavoratori, variamente configu-
rate: società di mutuo soccorso ?), società di resistenza, sindacati.

Come è noto, nei Paesi in cui il processo d'industrializzazione si
manifestó abbastanza presto, particolarmente in Inghilterra ed in
Francia, la scomparsa delle Corporazioni avvenne quasi contempo-
raneamente al nascere delle prime associazioni di operai salariati.
In Inghilterra queste sorsero fin dal xvi secolo, con quel nome
di Trade Unions che conserveranno fino ai nostri giorni ; in Francia
esistevano, già da tempo, associazioni quali i compagnonnages e le
confréries, che si distinguevano dalle Corporazioni per il fatto di
raggruppare solo elementi salariati. Tutte queste associazioni svol-
sero, in un primo tempo, una preminente attività di mutuo soccorso ;
in un secondo tempo passarono alla fase rivendicativa.

In Italia, i precoci segni d'una solidarietà operaia possono indi
viduarsi nella formazione delle prime società di mutuo soccorso *).
Il fenomeno possiamo datarlo ai primi dell'Ottocento, in quanto,
a nostro avviso, gli sporadici esempi settecenteschi sono da consi-
derarsi filiazioni delle Arti. Il ritardo, del resto, non desta mera-
viglia, badando alle generali condizioni economiche e sociali del no-
stro Paese.

——— MP LA SOCIETÀ DI MUTUO SOCCORSO FRA GLI ARTISTI ED OPERAI DI PERUGIA 71

L'Italia, nella prima metà del xix secolo, si trova ancora in uno
stadio pre-capitalistico. La trasformazione economica verificatasi tra
il 1750 ed il 1850 in Gran Bretagna, Francia e Germania, non ha un
equivalente nella nostra penisola. Tra le cause principali vanno an-
noverate : l'assenza di un mercato nazionale, conseguenza delle di-
visioni politiche ; la mancanza di capitali, di materie prime, d’idee
innovatrici ; la scarsezza e inadeguatezza di vie e mezzi di comuni-
cazione ; la completa anarchia dei sistemi monetari ; la prevalenza
d’una economia agricola povera e stazionaria ; la concorrenza stra-
niera ?).

Non è possibile, s'intende, fare un discorso unitario per tutto
il Paese. Bisogna ricordare che, soprattutto in questo periodo, in
Italia è assai vivo il contrasto fra città e campagna e, inoltre, si è
già instaurato il rapporto storico tra Nord e Sud, come quello di
una grande città a una grande campagna. In ogni caso, la trasfor-
mazione strutturale, in senso industriale, della nostra economia è
molto lenta. Le differenze fra il primo Settecento inglese ed il primo
Ottocento italiano, ad esempio, appaiono incolmabili 1°).

Secondo il censimento del 1861, la popolazione italiana era co-
stituita da 21.777.334 abitanti (escluse, s'intende, Roma e le Ve-
nezie), di cui il 75% circa popolazione rurale (16.284.833) ed il 25%
circa popolazione urbana (5.492.501) 1). Quanto alle professioni, gli
italiani erano ripartiti nel modo seguente: 7.708.631 addetti alle
industrie agricole ; 3.072.025 alle industrie manifatturiere ; 58.551
alle industrie minerarie, estrattive e di successiva lavorazione ;
473.074 ai servizi domestici ; 305.343 indigenti. Vi erano, inoltre,
7.850.574 individui classificati senza particolare professione, dei quali
non è dato sapere il peso nel computo delle classi lavoratrici 12).

Purtroppo, mancano organiche serie di dati sui salari nominali
e reali, sugli orari di lavoro, sul numero dei disoccupati, sul grado
di occupazione; ma non v’è da dubitare che i salari dei lavoratori
industriali, ed ancor più quelli dei braccianti agricoli, fossero d’una
meschinità desolante !*). D'altra parte, ancora nel primo decennio
post-unitario, per la maggioranza dei lavoratori delle industrie tes-
sili e sovente anche di quelle minerarie, meccaniche e metallurgiche,
non esiste un vero punto di scissione tra l’attività di operaio e quella
di contadino. Molti operai provengono da famiglie contadine e,
spesso, alternano il lavoro di fabbrica a quello dei campi. Questo,
da una parte, fa ‘sì che gli operai risentano meno delle periodiche
crisi dell'industria e della disoccupazione; dall'altra, permette agli

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72 ALBERTO GROHMANN

imprenditori di pagare salari di fame, e ritarda la formazione d’una
solidarietà di classe 1*).

L'arretratezza della situazione economica, la deficienza d’indu-
strializzazione e, quindi, la mancanza d’una numerosa classe sala-
riata spiegano perché, in Italia, il principale impulso al nascere
dell’associazionismo operaio sia venuto piuttosto dalla forza del-
l'imitazione e delle idee che dalla forza delle cose.

Le prime società di mutuo soccorso sorsero nel decennio 1840-
1850, diffondendosi soprattutto in Piemonte, Lombardo-Veneto e
Toscana 15). Inizialmente, esse non andarono esenti da una residua
influenza della tradizione corporativa, particolaristica, che ne osta-
colò seriamente lo sviluppo in senso orizzontale. Inoltre, dovendo
fare affidamento su contributi e donazioni piuttosto che su risorse
proprie, le società dovettero appoggiarsi a una ristretta cerchia di
soci protettori, generalmente estranei al mondo operaio ; i quali,
in cambio del patrocinio accordato, chiedevano agl’iscritti, a parte
determinati requisiti d'ordine morale, rispetto delle loro iniziative ed
apoliticità 1).

Inquadrati in questa prospettiva, i fini delle società, per un
certo tempo, si mantennero rigorosamente mutualistici, preoccu-
pandosi unicamente di garantire agli associati ed alle loro famiglie
la pura e semplice sopravvivenza in caso di eventi sfavorevoli alla
salute dei lavoratori o alla conservazione dell'impiego. Più tardi
s'istituirono anche cooperative di consumo e scuole per operai, men-
tre furono sempre assai rare le cooperative di produzione.

Dopo il 1860, una certa diversità d'impostazione puó riscontrarsi
fra società patrocinate o almeno largamente influenzate dal governo
e dal partito moderato e società d'ispirazione mazziniana ; ma il
divario riguarda piü le finalità politiche che quelle economiche E
In ogni modo, le società italiane di mutuo soccorso, anche se di
chiaro stampo mazziniano, nella maggioranza dei casi e per lungo
tempo non si trasformarono, almeno apertamente, in società di re-
sistenza ed in sindacati; assai scarsa, da noi, fu la diffusione di as-
sociazioni di marca anarchico-bakouniniana e marxista-internaziona-
lista.

La causa di ció é da riscontrarsi non meno nell'influenza del
pensiero mazziniano che in quella dell'ideologia liberale, dominanti
nel Risorgimento. Il tono del Mazzini, nei riguardi dei problemi
sociali, é all'opposto di quello di Marx : alla lotta di classe viene
sostituita la collaborazione ; viene dato piü peso alle responsabilità
+

LA SOCIETÀ DI MUTUO SOCCORSO FRA GLI ARTISTI ED OPERAI DI PERUGIA 73

che non ai diritti ; non si tende ad abolire la borghesia ma a educarla.
La quale borghesia — sia detto per inciso — in massima parte con-
servatrice e fautrice del liberismo più assoluto, implicitamente re-
spingeva l’esortazione mazziniana.

Il clero, a sua volta, fu inizialmente ostile al sorgere delle nuove
società operaie, per tema ch'esse si sviluppassero su basi areligiose ;
pur se non manca qualche isolato caso di società create, ancor prima
dell'Unità d'Italia, per iniziativa del clero stesso 18), Il successivo
notevole incremento di associazioni mutualistiche cattoliche fu fa-
vorito dall’elaborazione dottrinale operata dai cattolici nell’ambito
dell'Opera dei Congressi 1°), mentre, sul finire del secolo, il defini-
tivo impulso al movimento mutualistico cattolico fu dato da Leone
XIII:39); X
Nei primi decenni di vita dello Stato unitario, anche l'atteggia-
mento governativo, nei confronti delle società operaie, fu sostan-
zialmente ostile. Le associazioni venivano favorite nei loro scopi
assistenziali e religiosi, ma osteggiate quando sembravano volgersi
ad altro. Tuttavia, col passare del tempo, avvertendo che il mutua-
lismo poteva servire da freno e da valvola di sicurezza rispetto a
più pericolose iniziative, il governo e, in genere, la classe dirigente
preferirono controllare il fenomeno, distraendolo dalla tendenza sin-
dacale, piuttosto che reprimerlo ?).

Finalmente, quando le società, costituite legalmente, saranno state
capaci di coalizzare un numero crescente di lavoratori; quando la
consuetudine avrà permesso uno scambio d'idee sul piano degl'inte-
ressi comuni ; quando sarà stata promossa una certa educazione alla
vita civile ; solamente allora si avranno delle manifestazioni esorbi-
tanti il ristretto e specifico campo della mutua assistenza, investendo
il campo politico e sindacale. Ma, ormai, si sarà formata un’auten-
tica coscienza di classe, ed il mutuo soccorso avrà pressoché esau-
rito la sua funzione ??).

Per quanto il mutuo soccorso ed il movimento operaio in genere
siano stati studiati, ci sembra che, fino a questo momento, manchino
modelli concreti sui quali verificare, in termini qualitativi e quanti-
tativi, il processo che abbiamo genericamente delineato, affinché si
possa arrivare a qualche conclusione non opinabile sugli effetti che i
nostri organismi ebbero, in senso economico-sociale e, poi, in senso
politico-sindacale, direttamente sui gruppi associati e, indiretta-
mente, sulla società in seno alla quale operarono.

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74 ALBERTO GROHMANN

Un modello tipico di associazione operaia puó essere costituito
dalla Società di mutuo soccorso fra gli artisti ed operai di Perugia,
costituita nel 1861 ed ancor oggi funzionante, malgrado sia ormai
divenuta un anacronismo.

L'indicazione, ovviamente, non é casuale, e l'interesse nasce so-
prattutto dal fatto che, presso la sede sociale di Perugia, è costituito
un archivio nel quale é documentata la vita della Società fin dalla
sua fondazione. Recentemente, l'archivio della Società di mutuo soc-
corso fra gli artisti ed operai di Perugia è stato riordinato per inizia-
tiva del prof. Giuseppe Mira, Direttore dell’Istituto di Studi Storico-
Politici dell'Università di Perugia, che ne ha valorizzato l'eccezionale
completezza ?*).

Relativamente al periodo 1861-1900, sono attualmente disponi-
bili sedici grosse filze, distintamente intitolate a :

1) Fabbricati e mobili

2) Elezioni a cariche sociali e cariche onorifiche della Società

3) Biblioteca

4) Statuti e regolamenti - Leggi e progetti di legge

9) Sezioni : Inabili al lavoro - Vedove e orfani - Credito

6) Congressi - Esposizioni

7) Feste sociali di consorelle cittadine

8) Defunti - Onoranze - Monumenti

9) Soci onorari e benemeriti - Lasciti e elargizioni

10) Sussidi ad altre Società - Comitati di soccorso - Lotterie -
Tombole

11) Tasse amministrative

12) Impiegati - Ammissione e cancellazione dei soci

13) Risorgimento italiano - Elezioni amministrative e politiche
- Interessi cittadini - Miscellanea

14) Cooperative - Scuole arti e mestieri - Asili - Cucine eco-
nomiche

15) Statistiche e relazioni - Crediti - Liti

16) 1894: Inaugurazione della nuova bandiera - Congresso -
Banchetto e tombola.

Si conserva inoltre una serie di registri di vario formato, ma pre-
valentemente in folio, costituita da :

1) Verbali di adunanze particolari e generali dal 1861 al 1867
e di adunanze generali dall'anno 1867 all'anno 1872

2) Verbali di adunanze generali dall'anno 1873 all'anno 1883

3) Verbali dell'Assemblea generale 1883-1892
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LA SOCIETÀ DI MUTUO SOCCORSO FRA GLI ARTISTI ED OPERAI DI PERUGIA 75

4) Verbali delle adunanze generali dal 13 aprile 1892 al 13
novembre 1925

9) Verbali delle adunanze generali dal 30 novembre 1876 al 24
novembre 1923

6) Verbali del Consiglio generale dal 7 aprile 1865 al 20 gen-
naio 1867

7) Verbali del Consiglio generale dall'anno 1868 all'anno 1878

8) Verbali del Consiglio generale dal 1° gennaio 1887 al 29
agosto 1898

9) Verbali del Consiglio generale dal 30 settembre 1898 al 31
agosto 1913

10) Verbali della Giunta direttrice dall'anno 1868 all'anno 1877

11) Verbali della Giunta direttrice dall'anno 1877 all'anno 1881

12) Verbali della Giunta direttrice dall'anno 1881 all'anno 1884

13) Verbali della Giunta direttrice dall'anno 1884 all'anno 1888

14) Verbali della Giunta direttrice dall'anno 1888 all'anno 1892

15) Verbali della Giunta direttrice dall'anno 1892 all'anno 1904

16) Protocollo dal 1861 al 1882

17) Protocollo dal 1893 al 1900

18) Ruolo generale dei soci effettivi

19) Resoconti dall'anno 1861 all'anno 1887

20) Resoconti dall'anno 1888 all'anno 1900

21) Conseguimento della personalità giuridica

22) Preventivo dal 1861 al 1900

23) Libro mastro dal 1872 al 1880

24) Libro mastro dal 1881 al 1885

25) Libro mastro dal 1886 al 1887

26) Libro mastro dal 1888 al 1890

27) Libro giornale dal 1890 al 1891

28) Libro giornale dal 1891 al 1893

29) Libro giornale dal 1893 al 1895

30) Libro giornale dal 1896 al 1898

31) Libro giornale dal 1899 al 1900

32) Libro matricola

33) Verbali della Commissione per i sussidi d'inabilità.

Infine, la documentazione presente nella Società e integrata dalle
carte appartenenti un tempo a diverse associazioni operaie perugine,
della cui esistenza esse costituiscono una testimonianza preziosa per-
ché unica. Tali carte sono divise in quattro gruppi, come segue:

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ALBERTO GROHMANN

A) Consorzio di mutua beneficenza

1) Atti di adunanze generali dal 21 aprile 1861 al 23 novem-
bre 1876

2) Atti di adunanze particolari dal 4 febbraio 1862 al 22
giugno 1878

3) Adunanze del Consiglio 1870-1882

4) Atti del Consiglio 11 ottobre 1883-20 ottobre 1898

9) Adunanze del Consiglio direttivo 4 marzo 1899-19 agosto
1929

6) Giornale generale 1861-1871

7) Giornale di cassa 1 gennaio 1881-31 dicembre 1885

8) Protocollo 1872-1882

9) Protocollo 1883-1929

10) Indice alfabetico dei soci dal 1° gennaio 1862 al 31
dicembre 1901

11) Ruolo generale dei soci benefattori dal 1° gennaio 1862
al 31 dicembre 1901

B) Fratellanza artigiana rione Porta S. Susanna

1) Registro dei verbali delle adunanze dal 1872 al 1886

2) Registro dei verbali delle dunanze dal 7 ottobre 1886 al
2 maggio 1914

3) Libro giornale 1888-1893

4) Libro giornale 1894-1898

5) Libro giornale 1898

C) Società operaia del Rione

Registro dei soci

D) Fratellanza artigiana del Rione di Porta Eburnea

1) Verbali adunanze generali dal 30 maggio 1872 al 5 gen-
naio 1879
. 2) Verbali adunanze generali dal 22 gennaio 1882 al 31 ot-
tobre 1889
3) Bollettario dei mandati 1888-1889
Nelle pagine seguenti sono riassunti i risultati dell'analisi condotta
sul materiale archivistico elencato, con particolare riferimento alle
origini della Società di mutuo soccorso fra gli artisti ed operai di Pe-

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LA SOCIETÀ DI MUTUO SOCCORSO FRA GLI ARTISTI ED OPERAI DI PERUGIA 77

rugia ; alla struttura sociale, amministrativa e contabile ; ai rapporti
interni ed esterni; alla consistenza numerica degli associati ed alla
correlativa entità dei contributi e delle erogazioni; ai programmi
culturali, ai programmi politici e, in conclusione all’efficacia ed ai
limiti dei risultati conseguiti dalla Società nel primo quarantennio
d’attività, direttamente sul piano mutualistico-previdenziale e, indi-
rettamente, sul piano politico-culturale.

PARTE PRIMA

1. — Attività mutualistico-previdenziale dal 1861 al 1865

Formalmente fondata il 20 gennaio 1861, la Società di mutuo
soccorso fra gli artisti ed operai di Perugia ebbe di fatto inizio il 1°
marzo successivo, quando i primi 408 aderenti si riunirono in assem-
blea generale per discutere e approvare lo Statuto sociale redatto
dai soci promotori ?*).

La Società perugina nacque, dunque, con la grande ondata se-
guita all’Unificazione nazionale, che in un lustro portò il numero
delle società di mutuo soccorso italiane da 158 a 323 *5). Il fatto,
peraltro, appare giustificato in quanto l'Umbria partecipava, con
qualche aggravante, alla generale arretratezza politica, economica e
sociale che caratterizzava il resto d'Italia ; arretratezza assai poco
propizia alla formazione di categorie operaie cittadine, sufficiente-
mente educate ed omogenee per sviluppare le prime tendenze mutua-
listiche 2°).

Basterà aggiungere che in Umbria, all'atto in cui la regione si
affrancava dalla tutela dello Stato Pontificio, le campagne erano
abitate dall’87,86% della popolazione totale e l'agricoltura occupava
il 62,8% della popolazione attiva. Al settore industriale propriamente
detto, ed ancora a quello artigiano e commerciale, si può far conto
che non andasse più dell’11,76% della popolazione attiva e più
dell’8,96% della popolazione totale *?). La città di Perugia — che
dal censimento del .1861 risultava abitata da una popolazione di
14.885 anime — avrebbe ospitato, entro le mura, solamente 452
operai, compresi donne e fanciulli ?*). | sy

Detto questo,.non .desta sorpresa conoscere che la Società' in. di-
scussione venne concepita da un Comitato promotore costituito da
diciassette membri, sette,dei quali d’estrazione borghese o aristocra-

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78 ALBERTO GROHMANN

tica 2°). Il che mette in evidenza come, almeno in un primo mo-
mento, non si trattò d’un fenomeno o movimento genuinamente ope-
raio, bensì d’una di quelle tipiche manifestazioni cui diedero vita,
a mezzo del secolo xix, una certa borghesia imbevuta d'ideali maz-
ziniani ed una certa aristocrazia mossa da fini filantropici. Alle quali,
d'altra parte, non dovette essere neppure estranea la preoccupazione
di prevenire il formarsi, in Perugia come altrove, d'un fronte operaio
di resistenza. Non a caso, crediamo, lo Statuto approvato il 1° marzo
1861 impegnava la Società a non interessarsi di questioni politiche ?*).

Peraltro, occorre precisare che l'influenza determinante dei pro-
motori borghesi e aristocratici risultó limitata, di fatto, al periodo
iniziale della Società. Ad essi, infatti, fu attribuita la qualifica di
soci onorari, mentre alla categoria dei soci attivi ebbero accesso so-
lamente «gli artigiani, i mestieranti e coloro che prestano l'opera
manuale a mese o a giornata » ; con che, in definitiva, si salvaguardò
il carattere popolare del sodalizio O)

S'accorda, con questo, il carattere laicista subito assunto dalla
Società perugina, il cui Statuto non conteneva alcuna norma che si
richiamasse a principii religiosi e dal cui seno furono rigorosamente
esclusi gli ecclesiastici. Tuttavia, tale presa di posizione laicista e,
in alcuni casi, addirittura anticlericale, non significava tanto una
negazione della validità dell’ideologia cristiana, quanto una reazione
al precedente regime pontificio e un disconoscimento di efficacia
dell’azione svolta da una preesistente associazione di mutua benefi-
cenza d'ispirazione confessionale. Oltretutto, non si può dimenticare
che, in quegli anni di maturazione risorgimentale, il clero veniva
considerato, specialmente in Umbria, il principale elemento inibi-
tore dell'Unità nazionale.

Lo scopo fondamentale della Società fu quello di promuovere la
fratellanza ed il mutuo soccorso fra tutte le categorie lavoratrici
della città, come sopra accennato *). Lo Statuto del '61 concedeva
l'ammissione ad artisti, operai, professionisti e negozianti d’età com-
presa fra i 14 e i 50 anni, purché domiciliati in Perugia. Erano am-
messe anche donne dai 14 ai 40 anni; le quali, però, non avendo
diritto di voto, erano rappresentate negli agoni della Società dai
rispettivi padri, mariti o fratelli, purché questi, a loro volta, fossero
soci effettivi s»).

Si puó dire, pertanto, che l'associazione perugina, costituita nel-
l'evoluta forma della « società generale », abbia superato fin dal suo
nascere quelle forme di particolarismo, quel residuo spirito corpo-

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80 ALBERTO GROHMANN

non avvenisse più da cinque anni, nel qual caso era concessa l'assi-
stenza piena.

Ove poi la malattia avesse avuto carattere epidemico, non era
stabilita una tariffa di sussidio ; in proposito era fissato che « nelle
funeste evenienze di malattie contagiose od epidemiche, sviluppate
nella cittadinanza, e per le quali siano dall'Autorità prese disposi-
zioni sanitarie straordinarie, il Consiglio generale stabilirà se sia il
caso di sussidiare le famiglie dei soci colpiti ». La norma fu indub-
biamente dettata dalla preoccupazione che i fondi divenissero in-
sufficienti a sussidiare i numerosi malati in periodi epidemici 8°).

In base a quanto detto sopra, si puó brevemente concludere che,
fin dall'inizio, i rapporti fra i soci e la Società furono impostati sul
criterio della contrattualità, escludendo, dall'una e dall'altra parte,
atteggiamenti caritativi o pietistici. Il che ci sembra senz'altro la
constatazione piü rilevante, dal punto di vista di una corretta ap-
plicazione dei principii mutualistici e previdenziali.

Allo scopo di giudicare concretamente i limiti d'efficacia di queste
prime forme previdenziali, sarebbe ora indispensabile mettere a con-
fronto l'ammontare dei contributi pagati dai soci e dei sussidi ero-
gati dalla Società, con l'ammontare dei redditi ordinariamente per-
cepiti dai lavoratori; il che, purtroppo, stando ai dati statistici
disponibili, non puó essere fatto con tutto il rigore desiderabile.

È stato accertato che in Perugia, nel periodo 1861-1865, il salario
d’un operaio qualificato variò da un minimo di L. 1,50 ad un mas-
simo di L. 2,50 =). Un salario del genere, tenuto conto delle indi-
spensabili spese per vitto, abitazione, vestiario, riscaldamento, illu-
minazione, ecc., va considerato decisamente basso e tale, in ogni
caso, da lasciare ben scarse possibilità di risparmio. Basti dire, in
proposito, che nel trimestre agosto-ottobre 1861 il prezzo del grano
fu di L. 0,322 il chilogrammo *?); cosicché un salario medio giorna-
liero di L. 2 avrebbe avuto un potere d’acquisto, in termini di grano,
pari a kg. 6,211. Per soddisfare il quotidiano fabbisogno personale di
grano — calcolato per il periodo in questione in circa 350 grammi —
un operaio avrebbe dunque speso L. 0,1127, vale a dire circa la ven-

tesima parte del suo salario giornaliero **). Ma lo stesso operaio,
dovendo soddisfare il fabbisogno d’una famiglia composta di cinque
membri, avrebbe speso ben L. 0,5635, vale a dire oltre un quarto
dello stesso salario. Il confronto coi prezzi di altre merci non conduce
a risultati più confortanti sul tenore di vita della classe lavora-
triceis?). Boe ia ig !
LA SOCIETÀ DI MUTUO SOCCORSO FRA GLI ARTISTI ED OPERAI DI PERUGIA 81

Il contributo dovuto dai lavoratori alla Società di mutuo soccorso
fu senza dubbio fissato tenendo conto dell’obiettivo livello dei sa-
lari; la somma di 15 centesimi settimanali, infatti, non avrebbe in-
ciso sul salario medio considerato — 2 lire giornaliere — in misura
superiore all’1,3%. Di contro, il sussidio erogato dalla Società in
caso di eventi sfavorevoli al lavoratore avrebbe rappresentato esat-
tamente il 50% dello stesso salario. In termini reali, il sussidio sa-
rebbe stato sufficiente — col suo potere d’acquisto pari a circa
0,3105 chilogrammi di grano — ad assicurare il soddisfacimento
delle prime esigenze alimentari d’una famiglia operaia.

Abbiamo detto che i soci erano obbligati ad effettuare versamenti
settimanali ed a pagare una tassa d'ammissione. Queste però non
erano le sole entrate della Società in quanto, sin dall’inizio, essa poté
fare affidamento sia su contributi di soci onorari, sia su elargizioni
di vari enti morali. Nel primo anno d’esercizio, ad esempio, oltre
l’incasso di L. 3272,55, derivante dalle contribuzioni settimanali dei
soci, e di L. 197,16, dato dalle tasse d'ammissione, la Società rice-
vette L. 975,15 dai soci onorari e L. 846,04 da vari enti locali.
Quindi, per il 1861, le entrate non derivanti da versamenti dei soci
furono pari al 34% dell’introito totale (Tab. n. 1).

Tab. n. 1 — Contributi ordinari e straordinari versati alla Società di mutuo
soccorso fra gli artisti ed operai di Perugia, dal 1861 al 1865, in lire.

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Assoluti % Assoluti % Assoluti %
1861 3469,71 66% 1821,19 34% 5290,90 100
1862 4168,91 66% 2624,51 34% 7243,42 100
1863 3999,29 72% 1609,65 28% 5608,94 100
1864 4029,34 7896 1198,60 22% 5227,94 100
1865 4835,20 7896 1396,50 22% 6231,70 100
20502,45 70% 8650,45 30% 29602,90 100

La Società cercò sempre di procurarsi entrate superiori ai sem-
plici contributi dei soci, inviando petizioni, opuscoli, circolari ai vari
Enti della città. Possiamo ricordare fra questi il Comune, la Cassa

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82 ALBERTO GROHMANN

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di Risparmio, i Collegi del Cambio e della Mercanzia, l'Ospedale di
S. Maria della Misericordia, ed altri. Il risultato fu generalmente
favorevole ; lo dimostra il fatto che confrontando, per i primi cinque
anni, i versamenti dei soci attivi (contributi settimanali e tasse di
ammissione) con i contributi dei soci onorari e dei vari Enti locali,
risulta che l'ammontare di questi ultimi oscillò tra il 22 ed il 34%
del totale delle entrate sociali.

Il fatto che la Società abbia fatto affidamento, sin dall’inizio,
oltre che sui contributi dei soci sulle elargizioni di enti ad essa estranei,
fa sì che, ai nostri occhi, il rapporto contrattuale « socio-società »
appaia, almeno in parte, snaturato. Siamo qui ben lontani dalla fie-
rezza di alcune associazioni operaie — l’esempio di Genova è il più
calzante ‘°) — nei confronti della borghesia. In questo senso, anche
il carattere laicista ed a volte anticlericale della Società, notato in
precedenza, finisce per apparire piuttosto temperato. Basti ricor-
dare che tra gli Enti sovventori del primo esercizio, oltre il Municipio,
la Cassa di Risparmio, i Collegi del Cambio e della Mercanzia, figu-
rano anche le Confraternite di S. Domenico, della Giustizia, del Cro-
cifisso, dei Disciplinati di S. Benedetto, del SS. Sagramento del
Carmine. Tutte associazioni che non versarono spontaneamente il
loro sussidio, ma alle quali furono rivolte ripetute istanze, come ds
mostra il copialettere dell'associazione operaia 4).

Il fatto di poter contare su una certa aliquota di entrate straor-
dinarie permise alla Società di distribuire, sotto forma di sussidi,
quasi tutto il danaro proveniente dai contributi dei soci, senza per
questo abbandonare un prudenziale criterio di gestione del capitale
sociale. Al contrario risulta che, soddisfatti i diritti dei soci e pagate
le spese varie di amministrazione, la Società riusci a chiudere in
avanzo tutti i bilanci annuali, realizzando, nel periodo 1861-1865 un
incremento di capitale pari a L. 9.829,32. Vedasi, in proposito, la
tabella n. 2.

Nel primo periodo preso in esame il numero dei sussidiati, in
rapporto al numero dei soci attivi, fu marcatamente basso ed oscil-
lante, come oscillante fu, del resto, il numero dei soci regolarmente
iscritti alla Società.

Sarebbe stato interessante conoscere con quale ritmo si susse-
guirono le prime iscrizioni ; se non che, malgrado accurate ricerche,
non siamo riusciti a reperire dati completi in proposito. Sappiamo
che, il 22 febbraio 1861, la Commissione promotrice della Società
fece affiggere un manifesto ove si invitavano gli operai ad asso-

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LA SOCIETÀ DI MUTUO SOCCORSO FRA GLI ARTISTI ED OPERAI DI PERUGIA 83

Tab. n. 2 — Entrate e uscite sociali, dal 1861 al 1865, in lire.

i USCITE TOTALI
AVANI

ESSEN TOTALI i m SATO
1861 2.649,32 1.089,32 1.196,31 3.364,09
1862 10.809,03 4.496,71 4.590,08 1.726,24
1863 7.910,60 4.533,5 2.211,95 1.165,15
1864 6.806,32 4.349,50 1.070,01 1.386,81
1865 8.085,26 4.282,00 1.616,23 2.187,03

39.260,53 18.751,03 10.684,58 9.829,32

ciarsi **), e che, il 1° marzo 1861, giorno in cui ebbe luogo la prima
assemblea generale della Società, il numero degli iscritti era di 408 43):
Durante il primo esercizio il numero delle iscrizioni segui un anda-
mento decrescente fino al mese di settembre e poi via via crescente.
Ai 408 soci, risultanti iscritti il 1* marzo 1861, se ne aggiunsero 158
in aprile, 49 in maggio, 37 in giugno, 14 in luglio, 12 in agosto, 5 in
settembre, 17 in ottobre, 19 in novembre e 107 in dicembre DE

Tale andamento delle iscrizioni sarebbe spiegato dal fatto che la
Società, in base alle norme statutarie, non concesse, nei primi sei
mesi di esistenza, alcun sussidio **). Per cui gli operai perugini avreb-
bero pagato una tassa discretamente onerosa senza goderne una con-
tropartita immediata.

Soffermiamoci ora, un momento, ad esaminare il quadro stati-
stico del movimento dei soci, di cui alla tabella n. 3.

Si rileva subito che, da un anno all’altro, il numero degli iscritti
subì profonde variazioni. La differenza maggiore, come la tabella
mette in evidenza, si ebbe tra il 1861 e il 1862, in quanto il numero
dei soci passò, in questo periodo, da 826 a 546, con una diminu-
zione cioè di ben 280 unità. Da una relazione effettuata dal segreta-
rio della Società, Domenico Bavicchi, nel 1862 45), risulta come la
causa della variazione del numero dei soci, nel primo anno di vita
dell’associazione, sia da attribuirsi alla morosità dei soci stessi, la
quale, secondo le norme statutarie, ne comportava la cancellazione.
Una risposta alla ragione di tale morosità sembra possa trovarsi in

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84 ALBERTO GROHMANN

Tab. n. 3 — Numero dei soci iscritti dal 1861 al 1865.

ANNI N. Soci attivi N. Soci onorari N. Sussidiati
1861 826 150 43
1862 546 112 303
1863 621 73 153
1864 580 62 139
1865 637 59 121

quanto sopra detto per giustificare l'andamento delle iscrizioni nel
corso del primo anno, ossia nel fatto che la Società, nei primi sei
mesi, non concesse alcun sussidio. Le condizioni d’indigenza e l’im-
maturità della classe operaia dovettero determinare un senso di delu-
sione, in tale periodo, nei confronti della Società.

Abbiamo detto che nel primo esercizio il numero dei soci fu di
826 unità. Per mettere in evidenza quale percentuale della popola-
zione di Perugia si iscrisse alla Società, abbiamo utilizzato i dati
del censimento del 1861, riportati dal Francesconi. Il Comune di
Perugia avrebbe avuto, su una superficie di 42.690,243 ettari, una
popolazione di 44.130 abitanti (con una densità relativa di 103,37
abitanti per chilometro quadrato), di cui, peró, soltanto 14.885 risie-
devano nella città, distinti come nella tabella n. 4 47).

Tab. n. 4 — Popolazione del Comune di Perugia nel 1861.

CELIBI CONIUGATI VEDOVI
Maschi Femmine Maschi Femmine Maschi Femmine
4.546 3.994 2.662 2.563 326 834

Non esistono dati relativi a detta popolazione distribuita per
classi di età. Sappiamo, però, che in tutta la provincia di Perugia
erano presenti, nel 1861, 513.019 abitanti, dei quali 263.548 maschi.
Di questi ultimi 83.848 avevano un’età fra 0 e 14 anni, 158.570 fra

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LA SOCIETÀ DI MUTUO SOCCORSO FRA GLI ARTISTI ED OPERAI DI PERUGIA 85

i 14 e 60 e 21.130 oltre i 60 **). Ora, volendo considerare valide
queste proporzioni anche nell’ambito della città di Perugia, il che
ovviamente ci fornisce un dato solo parzialmente indicativo, pos-
siamo dire che su 7.494 maschi, esistenti in Perugia nel 1861, circa
4.500 dovevano avere un’età compresa fra i 14 e i 60 anni, ossia
un’età che permettesse l’iscrizione alla Società di mutuo soccorso.
Rapportando quest’ultimo dato al numero degli iscritti, otteniamo
che il 18,19% di quella parte della popolazione di Perugia, d’età fra
i 14 e i 60 anni, prese parte all’associazione. La cifra può sembrare
modesta ; si rammenti però la su citata situazione economica della
città ed il fatto che una massa operaia ed artigiana era, ivi, presso-
ché inesistente.

Sin dal suo sorgere la Società perugina non rimase isolata, ma
cercò di avere contatti con le istituzioni di beneficenza esistenti
nella città e con altre associazioni di mutuo soccorso *°). Ad esempio,
sin dal 1861, la Società cercò di accordarsi con il Sodalizio di S. Mar-
tino *°), antica istituzione perugina di beneficenza, per fare in modo
che i soci ottenessero, gratuitamente, i medicinali. Tra le due asso-
ciazioni s'instauró, da tale momento, una proficua collaborazione.

Sempre al fine di non rimanere isolata, la Società si preoccupò
anche di collegarsi con altre associazioni operaie italiane. Già nei
verbali del giugno 1861 si legge di una iniziativa presa dalla Società,
per diramare una circolare in tutte le città dell'Umbria per solle-
citare la classe lavoratrice a costituire società operaie e a collegarsi
con le consorelle italiane. Nello stesso anno si stipulò un accordo
con una società di mutuo soccorso di Milano #1), in base al quale
le due associazioni si impegnavano reciprocamente a soccorrere i
soci che, per qualsiasi ragione, si fossero dovuti spostare da una città
all'altra. Tale importante patto venne esteso, successivamente, an-
che alle società operaie di Arezzo, Cortona, Firenze, Bologna, San-
sepolcro, Pisa e a molte altre 5). Accordi del genere ci sembrano
molto rilevanti, in quanto, pur non costituendo ancora una forma
di fusione degli statuti, avvicinavano le società e i loro membri e
permettevano di determinare nuove forme di assistenza.

Lo spirito di fratellanza instauratosi fra le varie associazioni di
mutuo soccorso è, del resto, reso manifesto anche dagli aiuti che esse
vicendevolmente si arrecavano in caso di bisogno. Nell'archivio so-
ciale sono conservate numerose richieste di sussidi da parte di so-
cietà operaie di ogni parte d'Italia in occasione di particolari cala-
mità e sventure 5*) ; la Società, tenendo conto dei limiti del proprio

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86 ALBERTO GROHMANN

bilancio e del principio : «fate agli altri ciò che vorreste gli altri fa-
cessero a voi» (così spesso si legge nei verbali), cercò sempre con
ogni mezzo, di porgere il proprio aiuto.

Questo anelito alla fratellanza fra individui oppressi dalla mede-
sima sorte, questo innalzamento del significato del lavoro, che anche
sceverando l’enfasi e le forme retoriche, è vivo nei verbali, nelle cir-
colari, nelle manifestazioni sociali, ci fa comprendere come, sia nella
formulazione dello statuto, sia nello svolgersi della vita sociale, fosse -
presente lo spirito della predicazione mazziniana. Il quale è posto
anche in luce dall’esigenza, avvertita dalla Società, sin dal suo sor-
gere, del cooperativismo. In un primo tempo si tratterà soltanto
di cooperative di consumo, quindi, in un certo senso, d’un ulteriore
aspetto del mutualismo ; poi si passerà a forme di cooperative di
produzione, anche se si rimarrà generalmente vincolati al settore
della sussistenza (panifici, macelli, ecc.) e di credito 5°).

Tramite il cooperativismo si stringono meglio i vincoli delle ca-
tegorie lavoratrici. Il contatto favorisce la formazione d’una co-
scienza di classe, e questa sarà l'indispensabile premessa per una
coalizione di forze e d’interessi anche al di fuori del settore mutua-
listico,

2. — Attività mutualistico-previdenziale dal 1865 al 1887

Il secondo periodo preso in esame — 1866-1887 è quello nel
quale la Società di mutuo soccorso fra gli artisti ed operai di Perugia
ebbe il suo massimo sviluppo. I ventidue anni in questione racchiu-
dono, infatti, un lasso di tempo che va dal superamento delle diffi-
coltà iniziali e dalle prime modificazioni, fino al riconoscimento giu-
ridico della Società.

Nel 1865, anno in cui si data la prima variazione statutaria, si
ritenne opportuno ampliare la sfera d’influenza della Società. Fu-
rono ammessi alle iscrizioni non soltanto gli artisti ed operai, ma anche
gli esercenti professioni libere, gl’impiegati e i maestri elementari
che godessero di uno stipendio annuo non superiore a L. 2.000, e i
piccoli commercianti #5). Tale ampliamento produsse degli effetti po-
sitivi, in quanto, aumentando il numero dei soci, venivano accre-
sciuti i fondi disponibili; inoltre, la Società poteva disporre di ele-
menti sufficientemente istruiti per svolgere, disinteressatamente,
delle attività interne, particolarmente negli uffici amministrativi, e

=n (oM ICT:
LA SOCIETÀ DI MUTUO SOCCORSO FRA GLI ARTISTI ED OPERAI DI PERUGIA 87

per informare ed aggiornare gli operai su diversi problemi. Ma vi è
anche un aspetto negativo, da non sottovalutare, poiché la presenza
di elementi appartenenti al ceto piccolo-borghese provocava un certo
imborghesimento della Società, impedendo al proletariato di for-
marsi una sincera e salda coscienza di classe.

Tra le modificazioni apportate sempre nel 1865, possiamo ricor-
darne una riguardante i soci di sesso femminile. La commissione no-
minata per modificare lo statuto ritenne che la tassa d'ammissione,
a suo tempo stabilita per le donne, fosse troppo elevata in confronto
di quella fissata per gli uomini; ed inoltre, posto che una donna
volesse iscriversi alla Società all’età di 50 anni, escludendo quindi
l'eventuale sussidio per le malattie derivanti dal puerperio e dal
parto, questa praticamente trovava chiuso l’ingresso dall’esorbitante
tassa di L. 24. Considerate pertanto tutte le opportune circostanze, e
i vantaggi possibili per la cassa sociale, si stabilì che la tassa di am-
missione per le donne venisse così modificata: da 14 a 20 anni,
I5slisda 2lia30;L2fi daf3l#a 5:35; 535 :da30rar40;E; Dida
41 a 45, L. 8; da 45 a 50, L. 12 50),

Questa riduzione della tassa fece sì che il numero delle socie,
dal ’65 in poi, andasse via via incrementandosi.

Circa poi la durata del soccorso che, giusta l’art. 42 dello Statuto
originario, non avrebbe dovuto oltrepassare i quattro mesi continui,
e il cui ammontare era fissato per i primi due mesi, in una lira al
giorno per gli uomini e in sessanta centesimi per le donne, mentre
per i due mesi successivi le suddette somme erano ridotte alla metà,
la commissione esaminatrice ritenne conveniente ridurre il periodo
di soccorso a tre mesi, ma estendere il sussidio intero a tutto il pe-
riodo 57).

In seguito la voce contributi subì altre variazioni e, nel 1873,
vennero fissate tre possibili quote di contribuzione con i relativi
sussidi, ossia 55):

contribuzione settimanale di L. 0,25 sussidio di 1° grado L. 1,50 al giorno

» » » 0,25 » 29 » 0,75 » »
» » » 0,15 » 19 » 1,00 » »
» » ) 0,15 » 29 » 0,50 » »
» » » 0,10 » post» 0,60 » »
» » » 0,10 » 29.» 0,30 » »

Con tale pluralità di quote si volle permettere ad un numero
sempre crescente d'individui di partecipare alla Società, concedendo

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88 ALBERTO GROHMANN

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la possibilità di commisurare la contribuzione, e quindi l'eventuale
sussidio, alle proprie possibilità finanziarie.

In questo secondo periodo preso in esame la condizione del prole-
tariato perugino sembra peggiorare. La città resta sempre legata
all'agricoltura ed in parte all'artigianato, ma ambedue i settori sono
in crisi. Tra le cause principali : l'assenza di capitali e di idee inno-
vatrici; i vecchi e sorpassati sistemi di conduzione ; la sempre più
ampia concorrenza delle altre regioni, particolarmente settentrio-
nali, dove va affermandosi la meccanizzazione. Da un punto di vista
economico, a distanza di un quinquennio, gli effetti dell'Unificazione
si manifestano assai piü negativi che positivi.

In Perugia, per combattere la depressione economica e la concor-
renza, sia italiana che straniera, si fanno i primi larvati esperimenti
per aumentare la produzione. Certo si rimane sempre legati all'arti-
gianato, anche se si incrementa il settore dell'industria a domicilio.
La percentuale di addetti all'agricoltura nel Comune va decrescendo,
pur rimanendo elevata (32,27%), mentre aumenta quella degli ad-
detti all'industria (intesa nel significato suddetto), giungendo al
18,93% della popolazione totale 5°). Siamo anche in presenza di un
lievissimo fenomeno d'inurbamento ; infatti, mentre la popolazione
del Comune di Perugia, nel periodo dal 1861 al 1881, decresce di 1.317
unità, quella della città se ne incrementa di 2.510.

L'aumento dell'offerta di mano d'opera, causata principalmente
dalla crisi agricola, provoca, come logica conseguenza, una diminu-
zione dei salari. A titolo d'esempio citiamo alcuni dati, sufficiente-
mente attendibili, relativi alla situazione del settore tessile. Risulta
qui che il salario medio d'un lanaiolo, che nel 1861 poteva essere cal-
colato in L. 2,46 il giorno, nel 1870 era ridotto a L. 1,50. Il potere
d'acquisto di questo salario, in termini di grano, era parallelamente
ridotto da kg. 7,64 a kg. 4,79 0°),

Ora, se teniamo conto dei prezzi medi di alcuni generi di consumo
nel periodo 1870-76 ©), possiamo rilevare che, con un salario di L. 1,50
sarebbe stato possibile comprare, giornalmente :

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Pane di 2 qualità, Kg. 2 L. 0,838
Pasta di 22 qualità, Kg. 0,500 » 0,318
Carne di castrato, Kg. 0,200 » 0,2492
Vino, 1. 0,5 » 0,1369

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LA SOCIETÀ DI MUTUO SOCCORSO FRA GLI ARTISTI ED OPERAI DI PERUGIA 89

Tale esempio dimostra che, con un'entrata pari a quella riportata,
a malapena si sarebbero potute coprire le spese alimentari di una
famiglia operaia di cinque persone (genitori e tre figli), non rima-
nendo alcun margine per le esigenze di vestiario, di abitazione, di
medicine e, tanto meno per il risparmio.

Inoltre, se consideriamo ancora valido il fabbisogno annuo indi-
viduale di kg. 128 di grano (circa 350 grammi al giorno), stimato
per il 1861, la qual cosa ci sembra possibile, essendo questo un bene
a domanda estremamente rigida, possiamo calcolare che un sala-
riato a L. 1,50 il giorno avrebbe dovuto lavorare 26,6 giorni per ot-
tenere la quantità di grano a lui necessaria e 133 giorni per coprire
il fabbisogno della famiglia (supposta, sempre, di cinque persone).
Quindi, dato che su una media di 300 giornate lavorative annue il
guadagno di quell’operaio non avrebbe superato L. 450, la sola spesa
per consumo di grano, pari a L. 199,5, avrebbe inciso per il 44,33%
sul bilancio familiare.

In base a quanto sopra detto, possiamo giudicare che pur essendo
la cifra del contributo settimanale dovuto alla Società di mutuo soc-
corso (15 centesimi per gli uomini e 10 per le donne) di per sé assai
modesta, il sacrificio degli operai, date le peggiorate condizioni, do-
veva essere aumentato, ed ancor più gravoso doveva essere il versa-
mento del contributo d’ammissione, essendo quest’ultimo, ad esem-
pio, pari alla remunerazione di 17 e di 12 giornate lavorative, rispet-
tivamente per un uomo di 60 anni e per una donna di 50.

Di contro i sussidi dovevano essere sufficienti ad assicurare il
mantenimento in vita della famiglia dei soci. Sempre considerando i
prezzi di cui al precedente prospetto, con il sussidio di una lira si
sarebbero potuti acquistare, ad esempio, due chilogrammi di pane e
duecento grammi di carne di castrato. Con ciò la famiglia del socio,
temporaneamente invalido, si sarebbe sottratta alla necessità di ri-
correre all’accattonaggio, agli usurai o, nell’ipotesi più favorevole,
alla benevola munificenza della classe nobile e borghese, unici mezzi
dati per sopravvivere, prima che la Società venisse istituita.

Date tali condizioni di vita, non stupisce che le modificazioni ap-
portate alla tecnica delle contribuzioni e dei sussidi si siano riper-
cosse favorevolmente sul numero dei soci, come dimostra la tabella
n2 5.

Malgrado l'aumentato numero dei soci, la Società di mutuo soc-
corso fra gli artisti e operai di Perugia dovette sopportare la concor-
renza di varie altre società di mutuo soccorso che a partire dal 1870

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90 ALBERTO GROHMANN

Tab. n. 5 — Numero dei soci iscritti dal 1866 al 1887.

MI

SOCI ATTIVI
ANNI SOCI
Maschi Femmine Totale ONORSRI
1866 647 26 673 56
1867 671 31 702 42
1868 529 16 545 39
1869 485 22 507 38
1870 464 23 487 30
, 1871 536 30 566 26
M 1872-73 784 117 901 24
M | 1873-74 583 119 702 26
M 1875 582 100 682 26
B 1876 573 129 702 26
Mii 1877 556 134 690 17
di 1878 531 147 678 17
MN 1879 548 173 721 67
- WIE 1880 548 177 725 65
j LII 1881 539 200 739 65
B 1882 551 210 761
DURI 1883 579 222 801
| ai 1884 595 235 830
B 1885 598 195 793
X 1886 627 197 824
H || 1887 685 265 950

si andarono creando in Perugia. Nel 1871 fu fondata la «Società
dell'umanità fra gli artisti di Porta S. Angelo»; nel 1872, la « So-
cietà operaia del Rione di Porta S. Pietro», la « Fratellanza arti-
giana del Rione di Porta Eburnea », e la « Società operaia del Rione
di Porta Sole » ; nel 1883, la « Società di mutuo soccorso dei reduci
delle patrie battaglie » ; nel 1884, la « Società di mutuo soccorso fra-
tellanza fra barbieri e parrucchieri » °°).

Logicamente tali società, rivolgendosi a specifiche categorie di
cittadini, riducevano l’ambito entro il quale la Società di mutuo soc-
corso fra gli artisti ed operai, per sua natura rivolta a tutti gli operai
in genere, poteva reclutare i propri soci. Il che presentava aspetti
positivi e negativi. Positivi, nel senso che in tali associazioni minori,
trovandosi a contatto individui esercitanti spesso attività simili (si
ricordi che nella Perugia ottocentesca, come in quella medioevale,
gli esercenti la stessa arte erano in genere localizzati nei medesimi
rioni), si rafforzava lo spirito di categoria e si potevano avere più
frequenti scambi di idee circa le innovazioni tecniche. Negativi, nel

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91

^

LA SOCIETA DI MUTUO SOCCORSO FRA GLI ARTISTI ED OPERAI DI PERUGIA

8c'9ceT9 | SGc'8899 09'8TIS cg*9egrr | Oo'cccc 0C'69IL 09°889 GO°6S90T L88I
6469668 | OC'IOIS G8‘8ITOL | SGO'OccSTI | OO'GGGI 0c'IcOL 0r'9cy Gr'GcrOI 988I
6c/£9cec | €8'990Fv 019084 G6'c98IT | OO'GcG 0L°9801 03°L97 C0'T8L6 C881
6469909 | O0L°F8IE 01'I6c8 OS'GLVII | 00°GLS OC'€IOI CHIIF GT'9Lv6 T98I
cc'8ger9r | SESGIZI G6'LeT 08,698 06'ceG OL‘TOOL CEGII G£*0004 £88I
9c'6cGGy | G&£'GGTA G6'vccG 0gf09ecI | 00°OLIS C LFOI 0€'0cc 09°F6L T881
co'erese | SI'OCAE GI'LL€G 08',606 00f0ST 09*900T C8'681 G8‘0GFL 188I
€9°878IE | OZ'ITTC COSFELI CL°GGIG 00°0SF 09fCIII O1°T67 c0'T084 0881
P8‘LGEIE | 8I°9EIE cO°0GG9 £6/9896 £9'0GII 08'c96 0g'6cc OS°EFEL 6L8I
ESSELLLE | SFLOSI 09*L019 c0'C0TA 00069 08'cI€ 0€'c8 01'0c€9 8L8I
g0°8899% | SI°IESE ce'groc 0€'6Lv6 00°0081 08°OLg GL‘ESI c6'6£694 LT
cc.6£9gc | SS°09GT 01'c9c9 c9'ccT6 00*009 06266 00°E8I GL'eELL 9L8I
cc F£r£C | OSÍISGI G6'CLCL Gy'F088 00*098 0gfcIr cg'erc 08°LISL GL8I
C8°658%7 | YTVCOIV 09'GcT I6 POSSEEEI | 68'o8c OV°SIL GL°00L OG'FEOLI PL-EL8I
65446707 | 06°19E7 09°8E%7 060098 00*00c 09:69 GS°FO£ GE'OTEL GA CERT
6649GZLI | OF'988G 06861 08°ITS7 00°008 08°08S CUPI Gc'9rve TLT
T6S06SI | SE'ILSI 08°0S8% 08°1768 00°001 06°F6S 00'8G GL'89T€ OLST
6IL°T8ISI | OT'COLI 0r'ecoc OGGETTI 00*00c 0c'649 0c'4c6 0g'vrce 698I
L9'800FI | CcC'8S8LI 08',0c€ T0°9667 6:064 09'c04 €1'Ie 06'ILT€ 898I
ISCPIOSE |. AG'9I8 16*999rT 80°G87S OSI 0c'694 88'6* 0c'ocery L98I
ESGINZI | 95°8E6E 871% 8£°9908 GCLET 07°658 8e'4€ 09°F097 9981
99°8768 TE'GFGI PASTA cG'16c9 008 069601 GG c0'GIST C981
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1 i 92 ALBERTO GROHMANN
1 Tab. n. 7 « Società Cooperativa di Consumo di Perugia» —
RENDITE Somme Reso

Dalla vendita di Pane, Farina e Crusca come appresso : L. 27.707,83 |! An

Dalla vendita di Kg. 2.861 di pane di lusso Qi
D » » Kg. 21.046,850 di pane di 12 qualità C:
» » » Kg. 23.040,600 di pane di 22 qualità M
» » » Kg. 120.743,200 di pane di 32 qualità
» » » Kg. 24.657,300 di pane di 4 qualità
; + 5 Kg. 11.205 di fiore di farina 5
» » » Kg. 48.533,100 di farina burattata 2
, » » Kg. 38.465,730 di crusca 3
i C

Dalla vendita di generi diversi come appresso : E. 1.642,26

Dalla vendita di Kg. 709 di granturco in acini
» » » Kg. 3.611,400 di farina gialla S
» » » Kg. 1.000,200 di riso I
» » adque 186,200 di orzo A
» » » Kg. 235,800 di carta paglia S
» » » Kg. 7.200,280 di olio
» » JE 7.200,280 di olio
» » pel. 2.751,600 di legumi diversi
» » y-L 563 di esca

Da tasse di entratura L. 2

Dal sub. affitto della casa Remedi ; L. | 155

Totale delle rendite I5 29.507,09
26

| Reso Conto dell'esercizio 1874

LA SOCIETÀ DI MUTUO SOCCORSO FRA GLI ARTISTI ED OPERAI DI PERUGIA 93

S.P-EB SE Somme

Quote di ammortamento

Capitale immobilizzato L. 310,68

Mobili, attrezzi ed utensili L. 335,75 646,43

Spese inerenti alla lavorazione

Dazio di consumo, tasse macinato e spese di trasporto L. 14.286,36

Salario lavoranti L. 6.329,01

Combustibile e sale Li #31:702:32 22.317,69

Spese generali

Illuminazione L. 306,33

Affitti L. 657,—

Spese varie L.. 3.332,44 4.295,77
Totale delle spese 27.259,89
Utili dell’esercizio 2.247,20
Totale a pareggio 29.507,09

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94 ALBERTO GROHMANN
Tab. n. 8 «Società Coperativa di Consumo di Perugia» —
ATTIVO Somme
Grano esistente in magazzino Kg. 38.455,070 L. 10.107,21
Veccia ed esca » » Kg. 160,— L. 20,80
Farina grezza » ) Kg. 2.623,900 L. 839,65
Crusca » D Kg. 28.158,655 L. 5.068,67 L. 16.036,33
Granturco in acini » » Kg. 5.797,350 L. 1.043,52
Riso di 2® qualità » » Kg. 340,— L. 180,20
Olio » » l. 2.9090,— | L. 4.186,—
Legumi diversi » » l. 1.085,700 L 396,80
Esca » » l. 776,500 L. 83,18 T$ 5.889,70
Petrolio » » latte 3 L 39
Legna grossa » » metri 28 L 48
Fascine » » some 100 L 60
Scarsa » ) Kg. 10 16 3,60
Carbonella » » Kg. 400 L 19
Cenere » » Kg. 400 L. 4 L. 173,60
Capitale in mobilio, attrezzi ed utensili 1553.021,82
Capitale in immobili L. 2.796,19
Capitale in stampe e libri L. 381,30
Debitori diversi c/ anticipazioni [/:::2:925;95 I 8.525,26
Totale attivo L. 30.624,89
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Situazione economica al 31 dicembre 1874

LA SOCIETÀ DI MUTUO SOCCORSO FRA GLI ARTISTI ED OPERAI DI PERUGIA 95

|

BCASSSSCISV.O Somme
Fondo Sociale
Capitale da n. 800 azioni da L. 20 ciascuna come appresso : I: 16.000
Azioni vendute nell’anno 1873 n. 791 L. 15.820
3 Azioni vendute nel 1° trimestre 1874 n. 9 L. 180
Titoli Diversi
Da compratori per saldo utili sulle compere al 1872 L. 578,97
Da compratori per saldo utili sulle compere al 1873 L. 427,38
Dagli azionisti per saldo dividendo sulle azioni al 1872 LL. 12,—
| Dagli azionisti per saldo dividendo sulle azioni al 1873 L. 175,20 D: 1.193,55
Fondo di Riserva
Per dimin -7ione del debito verso gli azionisti al 1873. L. 539,76
Per aumento del delnto verso i compratori L. 24,20
Riparto degli utili dell’anno 1873 L. 300,05
Sopravanzo sociale ottenuto nel 1873 L. 1.875,72 Je 2.691,33
]
Credito di cassa dei gestori per anticipate provviste di generi risultanti in
essere come da attivo L. 8.492,81
i Totale passivo L. 28.377,69
Utile d’esercizio al 31 dicembre 1874 L. 2.247,20
Totale a pareggio L. 30.624,89

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96 ALBERTO GROHMANN

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senso che il moltiplicarsi delle associazioni riproponeva i problemi
del particolarismo, che erano stati superati con l’abolizione delle
Corporazioni. Inoltre, si trattava di associazioni a carattere parroc-
chiale, assai condiscendenti nei riguardi dei soci onorari e quindi
della classe nobile e borghese ; i loro scopi rimasero sempre vincolati
negli schemi del puro mutualismo **).

Ritornando all'esame specifico della Società di mutuo soccorso fra
gli artisti ed operai di Perugia, notiamo che l'andamento del numero
degli iscritti provocó, quale logica conseguenza, l'aumento delle en-
trate della Società ; in pari tempo crebbero i sussidi erogati. Come
però mostra la tabella n. 6, la differenza fra l'ammontare delle en-
trate e dei sussidi fu generalmente elevata, il che favorì l’incremento
del capitale sociale, che, da L. 8.923,66 nel 1865, passò a L. 61.356,58
nel 1887, moltiplicandosi quindi circa otto volte nel periodo consi-
derato.

Ai primi isolati casi di cooperative, istituite in periodi di rialzo
dei prezzi — si ricordi ad esempio l’acquisto di grano del 1861 —
si sostituì, dal 1868 in poi, nell’ambito della Società, una vera coo-
perativa di consumo, con regolamento, statuto e capitali autonomi.

Il miglioramento dell’organizzazione e la disponibilità di maggiori
fondi fece sì che la Società, a soli sette anni dalla fondazione, potesse
abbandonare il semplice campo previdenziale.

In tal modo i soci, oltre ad avere la possibilità di acquistare i pro-
dotti di prima necessità ad un prezzo sovente assai inferiore a quello
corrente del mercato (si pensi ad esempio che, sempre per il 1874,
mentre il prezzo di mercato per il grano era in media pari a L. 0,365
il chilogrammo, quello praticato dalla cooperativa era di L. 0,265),
riuscivano anche, partecipando alla divisione annua degli utili, ad
incrementare i loro magri introiti. Si veda, in proposito, l’unito bi-
lancio (Tabella n. 7 e n. 8) 94).

Al fine di migliorare, tramite il cooperativismo, la condizione della
classe operaia, nel 1881 la Società tentó di consociarsi con altre
associazioni di mutuo soccorso della città. Interessante è rilevare il
tono in cui appare redatta la relazione finale che accompagna tale
progetto. Vi si nota una gran differenza rispetto ai discorsi di venti
anni prima ; ormai il mutuo soccorso, inteso nel suo esclusivo senso
mutualistico-previdenziale, non è considerato più sufficiente. Così
infatti si esprime la Commissione di inchiesta : «..... le Società (di
mutuo soccorso) ormai abbastanza numerose (in Perugia) dovreb-
bero rivolgere la loro attenzione a consolidarsi e a prendere il posto

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LA SOCIETÀ DI MUTUO SOCCORSO FRA GLI ARTISTI ED OPERAI DI PERUGIA 97

che loro spetta, poiché il mutuo soccorso pur giovando in determi-
nate fortuite circostanze, nulla avvantaggia l’operaio nelle sue con-
dizioni economiche ». Come finalità delle società di mutuo soccorso
vengono indicate la cooperazione di credito, di produzione, di con-
sumo. Si rammentano più volte i vantaggi che la classe operaia avreb-
be potuto trarre « dalla potenza di unione, di attività e di lavoro » *).
Le varie società operaie avrebbero dovuto consociarsi pur mante-
nendo ognuna la propria individualità, al fine di creare in comune
delle cooperative a vantaggio della classe salariale.

Tale idea, per il momento, dovette rimanere un semplice progetto,
in quanto le società rionali di mutuo soccorso della città non vi ade-
rirono. Le ragioni sono da ricercarsi nell’influenza della borghesia
e del clero, che, lo abbiamo ricordato, controllavano queste società
a.carattere parrocchiale e, ovviamente, non vedevano di buon oc-
chio alcuna forma di coalizione operaia. I pochi verbali, che ancora
si conservano, di tali associazioni, relativi a questo periodo, mostrano
appunto come in ognuna di esse i soci onorari, quindi borghesi e
religiosi, si fossero opposti o almeno avessero caldamente sconsi-
gliato tale, pur parziale, fusione. Cause menzionate : diminuzione del-
l'individualità delle società rionali, possibilità di perdite nell'eser-
cizio delle cooperative, carattere laicista della Società di mutuo soc-
corso fra gli artisti ed operai **).

Questo tentativo di coalizione, ancora embrionale, e gli ostacoli
posti alla sua realizzazione, ci mostrano come nella città, con il
tempo, si vadano distinguendo e quindi contrapponendo una classe
lavoratrice e una classe borghese. La prima, superando il particola-
rismo, comincia ad avvertire una coscienza di classe e quindi il bi-
sogno di coalizzarsi per difendersi. La seconda cerca, con l'influenza
del proprio prestigio ed ammantandosi di atteggiamenti filantropici,
di ostacolare la formazione d'un unico gruppo operaio, che si sforza
di mantenere frazionato il piü possibile.

Con il tempo la Società di mutuo soccorso fra gli artisti ed operai
di Perugia andó ampliando i propri scopi. Al soccorso in caso di ma-
lattia, s'aggiunsero i contributi per i soci permanentemente inabili
al lavoro per vecchiaia o infortuni (1876) ; i sussidi alle famiglie dei
soci defunti (1881) ; l'istituzione, nell'ambito sociale, di una Cassa di
Risparmio per i soci (1887) °°). Tutte queste finalità oltre che dare
maggior prestigio all’associazione, la posero, sempre più, su di un
diverso piano in confronto alle consimili istituzioni perugine.

Sin dal sorgere della Società si era avvertita l’esigenza di prov-

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98 ALBERTO GROHMANN

vedere a soccorrere coloro che fossero divenuti inabili per vecchiaia
o per incidenti sul lavoro ; in una riunione dell'Assemblea generale
del 1861, infatti, si era fissato quanto segue : « Dopo 10 anni continui
d'iscrizione e di regolare pagamento di quote, il socio che per infer-
mità o vecchiaia od altro infortunio non imputabile a colpa restasse
inabile allavoro ..... . . riceverà dalla Società quei sussidi che avuto
riguardo ai fondi di cassa, il Consiglio di direzione crederà potergli
assegnare » **). Il sodalizio, quindi, contemporaneamente al suo sor-
gere, avvertì un'esigenza che, dopo vari anni, lo Stato italiano avrebbe
legittimato, con l'istituzione della « Cassa Nazionale » **).

Già alla fine del primo esercizio il suddetto articolo venne variato
e si previde che entro quindici anni la Società, con i capitali accu-
mulati, dovesse costituire un apposito fondo per pensioni **).

Nel 1875, puntualmente, avendo raggiunto un capitale di circa
23.500 lire, la Società si fece promotrice di una cassa pensioni per
vecchiaia da estendersi a tutti i cittadini di Perugia e di altre città
della provincia. Tale iniziativa non incontró, peró, una favorevole
accoglienza nel pubblico. Non ritenendo utile impiantare una simile
Cassa per i soli soci, la Società si limitó allora a creare, nel proprio
ambito, una Cassa speciale di sussidi per vecchiaia e permanente
inabilità al lavoro, che inizió a funzionare nel 1876, con un fondo
appositamente stanziato 7).

Norma base di tale sezione era che i soci effettivi, facenti parte
della Società da 15 anni, resi permanentemente inabili a qualunque
lavoro per vecchiaia, per malattia cronica incurabile o per infortuni
avvenuti nell'esercizio della professione, arte o mestiere, potessero
chiedere d'essere ammessi in questa sezione per godere del sussidio
d'inabilità. In un primo tempo venne fissato in sessanta il numero
massimo di sussidiati per ciascun anno.

La richiesta di sussidio doveva essere indirizzata alla direzione,
corredata di certificato medico comprovante l'inabilità. Non era am-
messo al sussidio il socio la cui inabilità al lavoro fosse dipesa da
cause a lui stesso imputabili, quali, ad esempio : tentativo di suicidio,
risse provocate dal socio medesimo, etilismo, ecc.

Un'apposita commissione composta dalla Giunta amministrativa
della Società, dal medico e dai visitatori, giudicava delle domande di
sussidio e comunicava immediatamente la decisione presa al socio,
il quale, entro tre giorni, poteva fare ricorso al Consiglio generale.
Il sistema, quindi, era veramente democratico.

Nell'assegnare il sussidio la Commissione teneva anche conto
LA SOCIETÀ DI MUTUO SOCCORSO FRA GLI ARTISTI ED OPERAI DI PERUGIA 99

del fatto che il socio fosse inabile al proprio o a qualsiasi lavoro.
Il sussidio poteva poi essere ridotto o tolto, per deliberazione della
Giunta amministratrice o della Commissione di vigilanza, a quel socio
che, a giudizio del medico, fosse ridivenuto abile al proprio mestiere,
o notoriamente avesse esercitato un lavoro ricavandone un utile suf-
ficiente per vivere. Ulteriore causa d’esclusione dal sussidio era la
condotta immorale del socio. Nel caso in cui quest’ultimo, essendo
stato ammesso a godere il sussidio di inabilità, avesse dovuto tra-
sferire il proprio domicilio fuori Perugia, era concesso che potesse
delegare un terzo al ritiro della somma spettantegli. In tal caso,
però, il socio doveva mensilmente presentare un certificato compro-
vante il perdurare della impotenza al lavoro.

Era stabilito, inoltre, che gli ammessi nella sezione «inabili al
lavoro » dovessero continuare a versare il contributo settimanale, in
quanto, in caso di malattia, veniva loro concesso il sussidio fissato
per i soci malati, mentre era sospeso il sussidio per inabilità.

Il fondo assegnato alla sezione inabili andò di anno in anno au-
mentando e parallelamente crebbe il numero dei sussidiati. Questo
progresso è illustrato nel breve quadro statistico di cui alla tabella
no.

Tab. n. 9 — Numero ed ammontare dei sussidi per malattia erogati, dal 1876

al 1887.
Au iRD : Sussidio medio
ANNI N. sussidiati globale del GNU SRECtADLO
sussidio AU 3 S i
ciascun socio
1876 3 340,00 23.839,52 113,33
1877 6 270,00 26.688,02 45,00
1878 $8 300,00 27.712,53 37,50
1879 10 302,00 31.397,84 30,20
1880 10 301,00 31.828,63 30,10
1881 8 372,00 90:919,95 46,50
1882 10 443,40 45.529,26 44,34
1883 12 707,65 48.438,52 58,97
1884 22 1.196,05 50.662,79 54,67
1885 23 1.254,65 53.283,29 54,55
1886 26 1.271,50 55.263,79 48,90
1887 29 1.384,00 61.356,58 47,72

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Pur essendo rimarchevole l’aiuto che tale sub-associazione po-
teva fornire agli operai inabili, bisogna ricordare che si trattava pur
sempre di sussidi e non di pensioni, ossia di una somma che la So-
cietà in assemblea fissava anno per anno ; quindi, non una sovven-
zione predeterminata nel suo ammontare su cui l'operaio potesse
sicuramente contare.

Qui, piuttosto, va sottolineato che, già prima della fondazione
di questa Società di mutuo soccorso, si era da varie istituzioni prov-
veduto a soccorrere i vecchi e gli inabili; la differenza fra i vari
sistemi seguiti consiste nel fatto che, mentre nella Società operaia
il sussidio d’invalidità era qualcosa che si aggiungeva alla normale
attività previdenziale, nelle altre istituzioni il sussidio era concesso
a puro carattere di elargizione, senza corrispettivo. Inoltre mentre
le altre associazioni concedevano il sussidio a coloro che di volta in
volta ne avessero fatto richiesta e a cui si fosse ritenuto opportuno
accordarlo, il che avveniva ad esclusivo giudizio dell’ente, nella So-
cietà operaia, pur potendo variare l'ammontare del sussidio da un
anno all’altro, in base alle diverse entrate conseguite nell’esercizio,
esso non poteva però mai essere negato a quel socio che, ricorrendo
le modalità richieste, fosse stato iscritto nelle liste della sezione « ina-
bili al lavoro ».

Certo, l'ammontare del sussidio era piccola cosa. Infatti consi-
derando che per il periodo 1876-87 la media fu di L. 50,98 l'anno
e che il prezzo medio del grano, per lo stesso spazio di tempo, in base
ai dati riportati dal Geisser-Magrini, risulta di L. 27,23 il quintale,
l’assistito avrebbe potuto acquistare, con quel sussidio, 197 chilo-
grammi l’anno di detto cereale ?). È evidente, quindi, che il sussidio
concesso garantiva, e in modo sommario, appena l’indispensabile
alla sussistenza. Però, ove si tenga presente la situazione della classe
operaia, anteriormente all’intervento statale nel campo della pensio-
nistica, e si consideri che, per l’operaio, vecchiaia e impotenza al
lavoro erano gli equivalenti di fame ed accattonaggio, sembra giusto
riconoscere che, per quanto misero, il sussidio garantito dalla Società
rappresentava pur sempre un notevole progresso.

Una seconda sezione, in seno alla Società di mutuo soccorso fra
gli artisti ed operai di Perugia, venne istituita nel 1881 al fine di
soccorrere le vedove e gli orfani dei soci defunti. L’iniziativa venne
dalle socie onorarie, particolarmente dalla nobildonna Mary Gal-
lenga Stuart, che, con versamenti annui di L. 100 e con una fervida
propaganda, contribuì a costituire un apposito fondo ?*). L'impor-

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LA SOCIETÀ DI MUTUO SOCCORSO FRA GLI ARTISTI ED OPERAI DI PERUGIA 101

tanza, però, dal punto di vista dei sussidi concessi, malgrado l’ampia
pubblicità che se ne fece, fu assai scarsa.

Era fissato che le vedove dei soci, all’atto del decesso di questi,
presentando un certificato di morte, acquisissero il diritto ad un sus-
sidio annuo corrispondente a non meno di sei giorrate di sussidio
della categoria a cui il socio defunto fosse appartenuto. La Società
si preoccupava anche del fatto che gli orfani fossero ammessi in
qualche istituto di beneficenza, se la vedova non era in grado di
provvedere al loro mantenimento. In quest’ultimo caso veniva anche
fornito agli orfani il corredo richiesto dall’istituto.

Nell'eventualità che il defunto fosse stato, a sua volta, vedovo,
era stabilito che il sussidio fosse versato direttamente agli orfani,
finché questi avessero raggiunto i sedici anni. Decadeva da tale
diritto l'orfano che fosse stato internato in un istituto correzionale.

Tenendo conto di questo, la somma annua spettante alla ve-
dova può essere calcolata, secondo i casi, fra le L. 9 e le L. 3,60;
che sono cifre, come si vede, quasi irrisorie.

L'elemento interessante da prendere tuttavia in considerazione è
dato dal carattere di contrattualità che rivestiva il diritto in que-
stione. Il socio, con il consueto contributo, veniva a garantirsi, in
aggiunta ai benefici a lui stesso spettanti (sussidio in caso di ma-
lattia, sussidio per inabilità), un’assicurazione di morte vitalizia a
favore della propria famiglia. Anche in questo campo, quindi, l’azione
del mutuo soccorso anticipa qualcosa che soltanto dopo molti anni
lo Stato recepirà.

Il secondo periodo preso in esame si chiude con la creazione del-
l’ultima, ma non certo meno importante, sezione della Società : quella
riguardante la Cassa Risparmi e Prestiti 7).

Sul piano generale, l’iniziativa assume rilievo in quanto, nel con-
certo delle società di mutuo soccorso italiane, rappresentò un caso
abbastanza isolato. Tali società, infatti, non riuscirono quasi mai a
tradurre in pratica il desiderio, pur sentito, di sottrarre la classe
lavoratrice alla tirannia degli usurai, concedendo prestiti ai soci.

Sul piano locale, in particolare, l’iniziativa soddisfaceva l’esigenza
delle categorie artigiane — che nella Perugia ottocentesca costitui-
vano il fulcro delle forze produttive e si raccoglievano in maggio-
ranza nella Società di mutuo soccorso fra gli artisti ed operai — som-
ministrando loro, almeno in parte, i capitali d’esercizio di cui abbiso-
gnavano ; capitali che, diversamente, sarebbero stati forniti da pri-
vati prestatori, ad altissima usura **).

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La Società, per costituire la dotazione della Cassa Risparmi,
emise un prestito obbligazionario costituito da 1000 obbligazioni al
portatore, del valore di L. 10 ognuna, fruttanti il 4% e rimborsabili
alla pari nel termine di 10 anni, decorrenti dal 1° gennaio 1887.
Per favorirne il collocamento venne stabilito che le obbligazioni,
pur essendo preferiti gli iscritti alla Società, potevano essere sotto-
scritte anche da estranei. La Cassa funzionava, però, ad esclusivo
beneficio di quei soci effettivi che avessero posseduto almeno due
obbligazioni.

Si stabilì che la durata della Cassa dovesse essere di dieci anni
dalla fondazione, lasciando facoltà all'Assemblea generale dei soci
di prorogare tale termine. Facoltà che venne usufruita avendo svolto
la Cassa la sua attività sino al 1965, sebbene, dopo il 1907 *9), ragioni
d'indole amministrativa fecero sì ch'essa, pur restando sempre ad
esclusivo vantaggio dei soci, si separasse dalla Società acquistando
forma autonoma.

L'amministrazione della Cassa risparmi e prestiti fu, in un primo
tempo, affidata alla Giunta amministrativa della Società, successi-
vamente, ad un Consiglio di amministrazione autonomo, composto
dal presidente, vice-presidente, segretario e cassiere della Società,
nonché da un amministratore e quattro consiglieri, quest'ultimi tutti
possessori d'obbligazioni, da nominarsi dai sottoscrittori delle me-
desime, ogni anno.

La Cassa aveva il compito di raccogliere i risparmi dei soci, (cia-
scun versamento non poteva essere inferiore a 50 centesimi), conce-
dendo un interesse del 495. Le somme raccolte servivano a conce-
dere ai soci prestiti di ammontare non superiore a L. 100 — ancora
al tasso d'interesse del 4% — e per un periodo che non avesse ecce-
duto l'anno. Sui prestiti era richiesta una garanzia cambiaria.

I prestiti dovevano essere rimborsati in rate uguali mensili o
settimanali, a scelta del richiedente ; le rate non pagate alla sca-
denza erano soggette ad una multa fissa del 2% ed inoltre, per il
periodo in cui le somme restavano in sofferenza, doveva pagarsi
un interesse del 7%. Trascorsi 60 giorni di morosità, il Consiglio
direttivo procedeva agli atti legali.

Interessante è notare che venivano anche scontate note di lavoro
eseguito e fatture, in modo da permettere agli artigiani di rientrare,
nel più breve tempo possibile, in possesso dei capitali impiegati
nella produzione.

Visto quanto sopra, si può dire che nel secondo periodo preso

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LA SOCIETÀ DI MUTUO SOCCORSO FRA GLI ARTISTI ED OPERAI DI PERUGIA 103

in considerazione, esteso dal 1866 al 1887, l’attività della Società
di mutuo soccorso fra gli artisti ed operai di Perugia si presenta più
matura e feconda. Ad un primo tempo caratterizzato dal voler assi-
curare agli iscritti l’indispensabile all’esistenza, in caso di malattia
o infortunio, se ne sostituisce un secondo in cui vengono prese in
considerazione le condizioni degli operai inabili al lavoro e, in caso
di morte, delle loro famiglie; si perfezionano le forme cooperativi-
stiche nel settore del consumo e del credito ; si sviluppa, in conclu-
sione, anche se talora imperfettamente, un fenomeno che, a distanza
di qualche decennio, verrà ripreso e allargato dalle associazioni a
carattere nazionale, o recepito dallo Stato.

Possiamo perciò dire che, a distanza di ventisei anni dalla fonda-
zione della Società, gl’intenti dei promotori risultano, in linea di
massima, rispettati. L’attività dell’associazione, dal punto di vista
economico, non esorbita dal campo previdenziale, pur avendosi di
questo una visione sempre più ampia.

Non si assumono atteggiamenti rivendicazionistici o sobillativi,
altro che in circostanze eccezionali, e sporadiche. L’esempio più si-
gnificativo si ha nel 1873, quando, di fronte al continuo ribasso dei
prezzi ed al peggioramento delle condizioni della classe lavoratrice,
la Società si pone alla testa d’una manifestazione di protesta contro
il rincaro del costo della vita. In un memoriale indirizzato al Sin-
daco, da una commissione appositamente nominata, si chiede che
venga esercitato un controllo rigoroso sulla vendita del vino, del
pane, dei generi ortofrutticoli. Il testo conclude: «..... per ultimo
i sottoscritti interessano vivamente la S. V. Ill.ma perché il Municipio
trovi modo di intendere con l’ Amministrazione provinciale governa-
tiva e con i principali capi-fabbrica e commercianti, all’oggetto di
venire ad un accordo per aumentare in modo equo e proporzionato ai
bisogni attuali la mercede giornaliera dell’operaio onde questi possa
condurre meno strettamente la vita.......». Nello stesso mese
di luglio la Società sostiene un singolare sciopero di bevitori di vino,
che protestano contro l’alto prezzo e la qualità scadente del prodotto.
Ma, ripetiamo, si tratta di fatti che, pur se significativi, rimangono
isolati ??).

3. — Attività mutualistico-previdenziale dal 1887 al 1900

Il terzo ed ultimo periodo che si considera — 1887-1900 — si
apre col riconoscimento giuridico della Società di mutuo soccorso fra
gli artisti ed operai di Perugia.

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104 ALBERTO GROHMANN

Gli studi per il riconoscimento giuridico delle società operaie ri-
salivano a vecchia data. Se n'era occupata, fin dal 1870, la Commis-
sione Consultiva sulle Istituzioni di previdenza e sul lavoro ?*), ma,
dopo molte discussioni e progetti, fu solo il 15 aprile 1886 che una
legge in tal materia fu approvata. In essa si stabiliva, all'art. 1, che
potevano « Conseguire la personalità giuridica le società di mutuo
soccorso che si propongono tutti od alcuni dei seguenti fini : assicu-
rare ai soci il sussidio in caso di malattia, d'impotenza al lavoro o
di vecchiaia, venire in aiuto delle famiglie dei soci defunti ».

Per le società che concedevano pensioni in caso di vecchiaia o
permanente inabilità al lavoro, restava in vigore la disposizione per
cui la personalità giuridica poteva conseguirsi soltanto per decreto
reale, sentito il Consiglio di previdenza e delle assicurazioni sociali **).

A favore delle società « registrate » vi era l'esenzione dalle tasse
di bollo e di registro, dalla tassa sulle assicurazioni e dall'imposta
di ricchezza mobile, di successione e trasmissione per atti tra vivi,
dal sequestro e pignoramento dei sussidi dovuti dalla società ai soci ;
era inoltre concesso il gratuito patrocinio.

In una circolare del ministro Grimaldi, allegata alla legge, si
affermava che nessuna ingerenza era consentita al Governo nella
vita delle società di mutuo soccorso *°). Malgrado le agevolazioni
progettate, la maggior parte delle società operaie si mostró restia a
chiedere la registrazione. Al di là dei vantaggi economici prospet-
tati dal Governo, se ne intendeva chiaramente l'accorgimento po-
litico. Oltre i repubblicani e socialisti anche gran parte dei catto-
lici vi si opposero. (Vedi Tab. n. 10) &).

La Società di mutuo soccorso fra gli artisti ed operai di Perugia, in
un primo tempo, si mostró contraria a qualsiasi forma di controllo
da parte del Governo. Lo dimostrano gli atteggiamenti assunti nei
congressi operai di Bologna (1877) e Roma (1882), ove i rappresen-
tanti della Società protestarono contro tale progetto di legge « ten-
dente a distruggere piü che inceppare il piü fruttifero ramo che la
libertà di associazione fecondasse, attentando alla autonomia delle
Società di mutuo soccorso » *?).

Nel 1886 nell'ambito dell'Associazione si svolse una viva discus-
sione su tale argomento. Da un lato stavano i moderati, largamente
influenzati da alcuni soci onorari, favorevoli al riconoscimento giu-
ridico; dall'altro i progressisti, che vedevano nel riconoscimento
null'altro che una forma di controllo da parte del Governo, tendente
a soffocare la libertà d'azione della classe operaia. Alla fine prevalse

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LA SOCIETÀ DI MUTUO SOCCORSO FRA GLI ARTISTI ED OPERAI DI PERUGIA 105

Tab. n. 10 — Numero delle socieià di mutuo soccorso riconosciute giuridica-
mente, dal 1886 al 1904. (*)

Ann A Anno inte Agno rn
1886 78 1892 110 1898 53
1887 107 1893 88 1899 51
1888 100 1894 72 1900 59
1889 99 1895 46 1901 67
1890 98 1896 58 1902 66
1891 149 1897 67 1903 74
1904 64

(*) Cfr. A. CHERUBINI, op. cit., p. 115.

la corrente moderata capeggiata dal socio onorario, avv. Francesco
Innamorati, il quale così si era espresso : «..... se volete occuparvi
di politica non accettate la legge perché é dannosa, se volete stare
nel vero limite del mutuo soccorso, accettatela perché essa vi offre
grandi vantaggi » **).

Venne approvato, anche se non con l'unanimità dei voti, un or-
dine del giorno con cui si dava incarico al Consiglio di amministra-
zione di fare tutte quelle pratiche ed atti necessari per ottenere il
riconoscimento suddetto.

Il 7 febbraio 1887, con decreto del Tribunale civile di Perugia,
la Società ottenne la costituzione legale, e con altro decreto del 14
settembre 1888 consegui la conferma e l'ordine della sua trascrizione
nel registro delle società legalmente costituite, col godimento dei
vantaggi accordati dalla legge 15 aprile 1886 n. 3818; conferma
rinnovata con decreto del 13 aprile 1900, anno in cui fu pubblicato
il nuovo statuto ed annesso regolamento, approvati dalla generale
assemblea nelle adunanze del 3, 6, 7, 9, 10, 11 e 13 febbraio e 22
marzo 1900 8°).

In tale statuto vennero ribaditi lo scopo e la natura della So-
cietà. Con l'art. 3 vennero modificate quelle attività che, pur non
rientrando nel primitivo statuto, con gli anni la Società era andata

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esercitando. « Intento (dell’Associazione) — si legge — è di sussi-
diare i soci in caso di malattia, di vecchiaia o di assoluta e permanente
impotenza al lavoro, di concedere un sussidio alle vedove, nonché
agli orfani ammessi in istituti di beneficenza ; di provocare il benes-
sere dei soci promovendo l'istituzione di cooperative di credito, di
consumo, di produzione e di lavoro, nonché di facilitare il consegui-
mento dell’istruzione e della educazione morale di coloro che ne
fanno parte » 8°).

Ottenuto il riconoscimento giuridico, la Società conobbe il mo-
mento di massima espansione. Nel termine d'un quinquennio, a
partire dal 1887, le entrate annue toccarono L. 20.099,97 ; i sussidi
erogati, L. 22.696,65; il capitale sociale, L. 73.153,41. Intanto, il
numero dei soci regolarmente iscritti sali al massimo di 1.418 (Tab.
n. 11, n? 125 n.- 19):

Tab. n. 12 — Numero dei sussidiati per malattia, dal 1887 al 1898. (*)

Intero sussidio Mezzo sussidio È

Esercizi Totale 3
generale E:

M. F. Totale M. F. Totale z

1837 127 91 218 8 EH 12 230 13
1888 134 80 214 9 i 13 227 10
1889 164 94 258 15 9 24 282 21
1890 254 169. 423 16 5 21 444 28
1891 213 156 369 24 5) 29 398 32
1892 277 221 498 17 9 26 524 23
1893 192 156 348 17 11 28 376 25
1894 171 156 327 24 T4 35 362 27
1895 167 189 356 12 7 19 375 37
1896 175 162 337 12 8 20 357 23
1897 163 105 268 20 6 26 294 18
1898 192 283 475 12 13 25 500 27

(*) Il puerperio veniva sussidiato in ragione di cinque giornate di sus-
sidio ordinario della categoria a cui la socia apparteneva.

Questo sviluppo si giustifica, soprattutto, con l’incorporazione
nella Società di mutuo soccorso fra gli artisti ed operai d'un gruppo
di Società rionali. Andato a vuoto il tentativo, operato in questo
senso nel 1881 8°), nel 1888 la Società aveva riproposto una fusione
di tutte le associazioni mutualistiche perugine, alla quale aderirono,
nel 1889, le Società operaie di Porta S. Angelo e Porta Eburnea e,
nel 1890, la Società di Porta S. Susanna *?). Ciò spiega, appunto,

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108 ALBERTO GROHMANN

Tab. n. 13 — Movimento statistico dei soci dal 1887 al 1898.

Soci attivi
Anno Totale
Uomini Donne
1887 685 265 950
1888 740 334 1074
1883 900 409 1309
1890 962 448 1410
1891 950 468 1418
1892 746 407 1153
1893 755 416 1171
1894 705 398 1103
1895 699 383 1082
1896 745 401 1146
1897 700 388 1088
1898 637 378 1015

perché il numero degli iscritti sia salito da 1.074 nel 1888 a 1.418
nel 1891.

Quando si ricordi che le Società menzionate avevano assunto,
sul nascere, un carattere parrocchiale e paternalistico **), e che a
cagione di ció, nel 1881, esse si erano opposte alla fusione con la
Società di mutuo soccorso fra gli artisti ed operai, ci si rende conto
come, col passare del tempo, la classe operaia perugina si andò sot-
traendo all’influenza della borghesia e del clero. Senza dubbio, la
fusione avvenuta sotto l’egida della Società di mutuo soccorso fra gli
artisti ed operai significa che i lavoratori avevano finito per rendersi
conto che solo con la coalizione, animata da comuni interessi, sarebbe
stato possibile migliorare — sia pure, per il momento, in campo
esclusivamente mutualistico-previdenziale — la propria condizione.

Bisogna aggiungere, qui, che molto peso ebbe, nella decisione,
la pessima situazione in cui, volgendo il xix secolo alla fine, si tro-
vava costretta la classe lavoratrice **»). Anche in Umbria come e
forse piü che in altre regioni italiane, l'incipiente industrializzazione
si realizzava, molto spesso, a danno del nuovo proletariato, costretto
ad accettare contratti di lavoro sempre piü disumani, quotidiani
arbitrii degli imprenditori, regolamenti interni di fabbrica parago-
nabili a regolamenti carcerari *"). Il tutto per un salario che, nella
sua espressione media, sembra essere stato piü basso che nel periodo
precedentemente considerato.

= n E :
LA SOCIETÀ DI MUTUO SOCCORSO FRA GLI ARTISTI ED OPERAI DI PERUGIA 109

Infatti, anche ammettendo di poter assumere come salario no-
minale medio, per l’ultimo periodo in questione, quello calcolato per
il 1870-76, pari a L. 1,50 giornaliere per operaio qualificato, il suo
potere d’acquisto avrebbe in ogni modo subito una riduzione, dato
l’aumentato prezzo dei beni di prima necessità. A cagion d’esempio,
ricordiamo che, nel 1891, il salario di L. 1,50 non sarebbe più stato
sufficiente a coprire il modesto fabbisogno alimentare d’una famiglia
operaia, articolato come nell’esempio fatto in precedenza in base
ai prezzi del 1870-76 e ripetuto, qui sotto, in base ai prezzi correnti
del::1891593) :

Pane Kg. 2 e 09,90
Pasta Kg. 0,500 Qo. S1. da 20230
Carpe -K9g..0:200 5. orto 2M 207920
Vino -L:0:50. e eic cale 0109

Totale 15515082

L'incorporazione nella Società di mutuo soccorso fra gli artisti ed
operai di Perugia delle minori società operaie, giustificata per quanto
detto, segna il più alto punto di sviluppo del mutuo soccorso e, con
ciò stesso, l'inizio della decadenza. Presto, infatti, le teorie d'ispira-
zione mazziniana, fautrici del solidarismo e dell'autonomia di classe
verranno soppiantate dall'ideologia socialista e marxista. Ci si rende
conto che il mutuo soccorso, anche se inteso in senso vasto, esteso
alla cooperazione e all'istruzione, risente troppo del suo particola-
rismo congenito. A parte il fatto che, anche da un punto di vista
strettamente tecnico-organizzativo, l'accresciuto numero degli iscritti,
dei fondi disponibili e degli scopi rende il calcolo attuariale sempre
piü complicato e, di conseguenza, sempre piü difficoltoso il preciso
adempimento dei doveri.

Si opera pertanto uno spostamento di adesioni, dalla Società di
mutuo soccorso fra gli artisti ed operai, in due direzioni. Cioè a dire,
in campo mutualistico-previdenziale, verso le associazioni a carattere
nazionale, più vaste e meglio organizzate ; in campo sindacale-riven-
dicazionistico, verso le leghe di resistenza, organismi più agili, spre-
giudicati ed elastici, creati appositamente per la lotta di classe, ai
quali i salariati possono accedere in massa *).

La decadenza della Società è chiaramente documentata dalla
flessione del numero dei soci, manifestatasi nell’ultimo decennio del-

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114 ALBERTO GROHMANN

l'Ottocento. Ciò nonostante, la stessa Società continuò a svolgere
con impegno la sua attività fino al 1900 (Tab. n. 14, 15, 16, 17).
L'organizzazione cooperativistica ebbe addirittura, in questo lasso
di tempo, un ulteriore sviluppo, seppure sempre limitato al settore
consumo ??),

Nel 1889, essendo il prezzo del vino notevolmente aumentato,
la Società ne acquistó, a favorevoli condizioni, grandi partite per
rivenderlo poi a prezzo inferiore al corrente in una cantina sociale
che, aperta per la circostanza, continuó poi a svolgere la propria
attività (Tab. n. 18 e n. 19).

A prova del prestigio riscosso dalla Società nell'ambito cittadino,
ricordiamo che, quando nel 1897, in seguito alle agitazioni contro il
rincaro del pane, i vari enti morali e le associazioni cittadine vennero
invitati, dalla locale Camera del Lavoro, ad istituire un forno ed un
macello cooperativo, ad unanimità si stabili che l'attuazione dovesse
essere intrapresa dalla Società di mutuo soccorso fra gli artisti ed ope-
rat:9),

Anche nel settore della pensionistica la Società cercò di incre-
mentare la sua azione. Nell’anno 1893, infatti, furono fatte pratiche
sia presso il Ministero di Grazia e Giustizia, sia presso il Ministero
dell’Agricoltura, Industria e Commercio, e presso le Confraternite
locali, perché o fosse costituita, con i beni di quest'ultime, una Cassa
nazionale per invalidità e vecchiaia, o, con gli stessi fondi, fossero
sussidiate quelle società operaie che avessero già svolto una simile
funzione. Ma le speranze dell’Associazione andarono deluse, in quanto,
in base alla legge 26 dicembre 1889, i beni delle Confraternite furono
trasferiti alle Congregazioni di carità, che vennero appositamente
create in ogni Comune **),

La Società dovette continuare ad agire, anche in questo settore,
con i limiti già enunciati. Lo dimostra la seguente tabella n. 20.

Alle soglie del 1900, la Società di mutuo soccorso fra gli artisti ed
operai di Perugia continua ancora a sussistere, ma il numero dei
soci va scemando, mentre si esaurisce la sua funzione. Sono ormai
operanti, nella stessa Perugia, una Società cooperativa produzione e
lavoro, un Circolo socialista, una Camera del lavoro, tutte organiz-
zazioni che, agendo in campo sindacale-rivendicazionistico, raccolgono
sempre maggiori adesioni **). La Società sopravvive a se stessa e al
suo tempo, soprattutto, in quanto simbolo dell’associazionismo ope-
raio, da essa promosso nell’ormai lontano 1861.
LA SOCIETÀ DI MUTUO SOCCORSO FRA GLI ARTISTI ED OPERAI DI PERUGIA 115

Tab. n. 20 — Numero ed ammontare dei sussidi per malattia erogati dal 1888

al 1900.
Anni Numero sussidiati ede aet ipso
ciascun socio
1888 30 L. 1.484,00 L. 49,46
1889 32 2.575,00 80,46
1890 40 2.695,00 67,375
1891 sa 2.900,00 82,85
1892 41 2.730,00 66,58
1893 39 2.560,00 65,64
1894 36 2.660,00 73,88
1895 32 2.400,80 75,02
1896 32 2.173,30 67,91
1897 46 2.153,98 46,82
1898 57 2.215,98 38,87
1899 59 2.527,30 42,83
1900 59 2.302,85 39,03
PARTE SECONDA
1. — Organizzazione interna

La Società di mutuo soccorso fra gli artisti ed operai di Perugia
offre un modello d'organizzazione interna a base democratica, arti-
colato in organi deliberativi ed esecutivi, quali l'Assemblea generale,
il Consiglio generale, la Giunta direttrice, il Presidente.

Composta di tutti i soci attivi, l'Assemblea generale °°), a cui era
affidato il potere costituente, decideva su tutte le questioni di mag-
giore interesse, comprese le modificazioni dello Statuto. Era convo-
cata ordinariamente ogni sei mesi e straordinariamente ogni qual-
volta il Presidente della Società lo avesse ritenuto opportuno o il
Consiglio generale lo avesse decretato a maggioranza di voti. Ele-
mento interessante é che le decisioni dell'Assemblea potevano essere
prese soltanto per scrutinio segreto. Ció contribuiva a far si che i
soci potessero, senza timore, esprimere le proprie opinioni sottraen-
dosi quindi alle influenze che alcuni membri particolarmente autore-
voli, avrebbero potuto esercitare.

Altro importante organo interno era il Consiglio generale ?*), com-
posto di trenta membri eletti, ogni due anni, dai soci attivi riuniti

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116 ALBERTO GROHMANN

in assemblea generale. Tale Consiglio, che interpretava e metteva in
esecuzione le deliberazioni dell'Assemblea, veniva riunito la prima
domenica di ogni trimestre ed anche piü frequentemente, ove fosse
risultato necessario. Deliberava, senza possibilità d'appello, sul-
l'espulsione dei soci, in caso che questi fossero risultati morosi per
quattro mesi o avessero simulato malattia o impotenza al lavoro,
lucrando, cosi, con frode, una somma ai danni della Società. Il Con-
siglio svolgeva anche una funzione di controllo preventivo e succes-
sivo, esaminando i bilanci all'inizio e alla fine di ogni esercizio.

Anche quest'ultimo organo doveva essere costituito esclusiva-
mente di soci attivi, essendo tale facoltà preclusa ai soci onorari, i
quali, come stabiliva l'art. 39, avevano soltanto diritto «ad inter-
venire alle adunanze e prender parte alle discussioni, ma non pos-
sono dar voto deliberativo ». Il voto era accordato agli onorari solo
nel caso che questi avessero fatto parte di qualche commissione
speciale.

Alla Giunta direttrice era affidata l'amministrazione della So-
cietà **). Composta di nove consiglieri, eletti dal Consiglio generale
nella prima seduta di ogni anno, la Giunta sorvegliava gli interessi
sociali e contrassegnava tutti i mandati di pagamento. I membri,
che erano scelti fra i componenti i! Consiglio generale, restavano in
carica due anni. La Giunta veniva riunita ogni quindici giorni, tranne
che casi urgenti richiedessero la sua immediata convocazione. I mem-
bri erano obbligati a presenziare alle adunanze, le quali non erano
ritenute valide se non ne fossero intervenuti almeno la metà, sotto
pena di decadenza nel caso che, per tre volte, fossero stati assenti
senza giustificato motivo.

La rappresentanza della Società era affidata al Presidente nomi-
nato dall'Assemblea generale dei soci?:?") Questi convocava tanto
ordinariamente, quanto straordinariamente, sia l'Assemblea generale,
sia il Consiglio. In proposito l'art. 85 dello Statuto stabiliva : « La
convocazione dei soci in assemblea generale é obbligatoria per il
Presidente, quando sia stata richiesta da venti soci attivi almeno,
con istanza scritta in cui siano dichiarati i motivi e lo Scopo » ; l'art.
86 : «La convocazione del Consiglio è parimenti obbligatoria, quando
sia domandata da tre almeno degli individui che lo compongono con
istanza avente le forme suddette»:*). Questi due articoli dimo-
strano il grado di democrazia a cui si era giunti nell'ambito della
Società, ove, evidentemente, si voleva che anche gli interessi delle
minoranze fossero presi in considerazione.
LA SOCIETÀ DI MUTUO SOCCORSO FRA GLI ARTISTI ED OPERAI DI PERUGIA 117

Altri membri della Società erano : i Vice-presidente, il segretario,
il cassiere e il medico, che svolgevano tutti funzioni esecutive e
d’ispezione 1°).

Per garantire il regolare funzionamento della Società, lo Statuto
stabiliva che i soci attivi dovessero essere ripartiti in decurie e cen-
turie ; in generale il criterio distributivo era basato sul domicilio dei
soci distinti secondo 1 vari rioni della città. I decurioni erano incari-
cati di esigere i contributi settimanali e mensili che, poi, dovevano
versare ai centurioni ; questi, a loro volta, il giorno 10 di ogni mese,
versavano le somme riscosse al tesoriere della Società ed inoltre
svolgevano una funzione di controllo su tutti i soci, annotandone i
ritardi nei pagamenti, controllandone i bisogni, visitandoli in caso
di malattia 1°*).

In base a quanto sopra detto risulta chiaramente che la forma-
zione della volontà sociale, e quindi il potere di decisione, risiedeva
esclusivamente nelle mani dei soci attivi; ciò si verificò sin dal sor-
gere dell’associazione.

Ai soci onorari, borghesi o aristocratici, non venne concesso al-
cun potere di decisione nell’ambito sociale, essendo la loro influenza
limitata alla forza della loro personalità ed alla conseguente capacità
di trascinare la maggioranza operaia 1°). Non si accolse il principio
della nomina dall’alto, né quello della designazione fatta dai diri-
genti uscenti. La somma del potere risiedeva nell’Assemblea gene-
rale dei soci; concetto, questo, giuridico-politico, di tipo costitu-
zionale.

Quest'esigenza di far sì che la Società fosse l'effettiva manifesta-
zione della classe operaia, andò con il tempo accentuandosi. Infatti,
mentre l'art. 33 dello Statuto originario stabiliva che « quel socio o
socia onorari che per sopraggiunte strettezze economiche si trovas-
sero bisognosi di soccorso, quando da dieci anni faccian parte della
Società, dietro loro domanda possono esservi iscritti come soci at-
tivi, senz'obbligo della tassa d'entratura, assoggettandosi tuttavia
per l'ammissione alle norme richieste per l'associazione dei soci at-
tivi » 1*5); una Commissione, appositamente creata dalla Società nel
1865 per effettuare modifiche allo statuto, affermó nella sua rela-
zione : « da tutti fu riconosciuto il dovere di gratitudine e di soccorso
che si deve a coloro i quali concorsero con volontarie offerte al mag-
giore prosperamento della Società, quando disgrazie fortuite lor so-
praggiungono, ma non si convenne peró nell'ascriverli come soci at-
tivi, poiché nel numero di tali soci sonvi per lo piü persone di alto

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118 ALBERTO GROHMANN

ceto ovvero non bisognose, e queste potrebbero alla circostanza in-
fluire sulla massa della Società, in modo da operare quei cambia-
menti, che, purtroppo a nostra vergogna, avvennero in altre nobili
Istituzioni, le quali nate dal popolo, cambiarono poi e principii e
amministrazione, e vennero in altre istituzioni convertite per nulla
utili, ovvero utili in apparenza, dannose nella realtà.

« Nostro dovere adunque era se non accettare come possibili, pre-
venire almeno tali circostanze togliendo ai suddetti ogni diritto so-
ciale e per tal guisa fu ad unanimità approvata la modificazione del-
l'art. 33 come appresso : quel socio o socia onorari che per soprag-
giunte strettezze economiche si trovassero bisognosi di soccorso in
caso di malattia, quando da cinque anni faccian parte della Società
ed abbiano sempre soddisfatto agli obblighi assunti, dietro loro di-
manda, possono avere il sussidio che ai soci attivi spetta, senza peró
averne la qualifica » 109),

Assai diverso era lo spirito informatore delle altre società di mutuo
soccorso rionali, nelle quali larga era l'influenza dei soci onorari,
aristocratici e clericali. La differenza tra la Società di mutuo soccorso
fra gli artisti ed operai di Perugia e le altre associazioni di mutuo
soccorso della città è proprio dettata dal fatto che, in queste ultime,
gli iscritti si trovavano in una posizione di subordinazione nei con-
fronti della classe borghese-aristocratica e del clero, i quali, in defi-
nitiva, dirigevano l’azione sociale 17),

2. — Attività culturali

Se, come s’è visto, il tessuto era democratico, se la volontà dei
soci concorreva, in modo esclusivo, alla formazione della volontà
sociale, sembra lecito dire che la Società di mutuo soccorso fra gli
artisti ed operai aveva i requisiti per diventare una palestra di vita
associata nella quale i lavoratori-cittadini imparassero a manifestare
coscientemente e civilmente la propria volontà. In questo senso, non
si può tralasciare di considerare i mezzi adottati per l’affinamento
culturale dei soci. E qui conviene richiamarsi all’influenza dell’ideo-
logia mazziniana sulla formazione dello Statuto della Società ; ideo-
logia mediata da alcuni soci promotori, borghesi o aristocratici ma,
a quanto sembra, sinceramente liberali e, quindi, aperti a una certa
esigenza d’educazione popolare 1°*),

Fin dall’inizio, dunque, si mandò avanti un programma cultu-
i

LA SOCIETÀ DI MUTUO SOCCORSO FRA GLI ARTISTI ED OPERAI DI PERUGIA 119

rale, produttivo di effetti tanto sul piano interno quanto su quello
esterno.

Sul piano interno l’azione si sviluppò fin dal 1862, aprendo la
sede della Società a conferenze e dibattiti. Infatti, nell’aprile del
1862, il Consiglio direttivo della Società promosse delle conferenze,
invitando studiosi quali il prof. Giovanni Pennacchi, rettore del-
l’Università, letterato e patriota, costretto all’esilio negli ultimi anni
del Governo pontificio, e l'avv. Carlo Bruschi, per trattare di « scelte
polemiche dei più accreditati autori, sulla veduta che mercè di questo
mezzo si potesse stringere tra i cittadini unione e fratellanza, tanto
necessaria per il buon andamento specialmente di una numerosa
Società » 1°*). Nel luglio dello stesso anno, la Società istituì un corso
serale, riservato ai soci, per l’insegnamento del sistema metrico de-
cimale, sistema applicato, in seguito all'Unità, in tutto il Regno
d’Italia 11°).

Nel '63 venne organizzato un ciclo di conferenze tenute da pro-
fessori dell’Università e del liceo, su argomenti riguardanti la storia
d’Italia, quella umbra, le invenzioni utili alla classe operaia, i vari
tipi di industrie e le possibilità di lavoro, i principii basilari dell’eco-
nomia, ecc, in quanto come riportava un apposito manifesto : « Molti
fra i nostri artisti ed operai hanno certamente combattuto le batta-
glie della indipendenza e contribuiscono così alla riunione d’Italia e
allo svolgimento delle libere istituzioni, ma dobbiamo però ben scol-
pirci nella mente che, a rendere impossibile l’aborrito passato ed
incrollabile il presente stato di cose, più che la spada lo può l'istru-
zione civile e morale del Popolo » 111).

È qui evidente l’importanza data all’educazione quale mezzo di
progresso civile ed economico ; ed è interessante il fatto che la scelta
degli oratori sia sempre caduta su individui noti per le loro idee
liberali, e generalmente anticlericali, la maggioranza dei quali aveva
combattuto e sofferto per l’indipendenza italiana. Tra i tanti con-
ferenzieri merita ricordare Annibale Vecchi, opera del quale fu la
pubblicazione del settimanale « La Sveglia », che per oltre un triennio
tenne viva la fiamma delle più pure e sincere idee liberali nell'Um-
bria. Attiva fu la collaborazione fra il detto settimanale e la Società,
e notevole l'influenza del Vecchi su quest’ultima 1°).

Nel 1864, il Consiglio generale della Società stabilì che la sala
delle riunioni dovesse rimanere aperta, nei giorni festivi, per dar la
possibilità ai soci di intrattenersi a leggervi i giornali riguardanti
problemi operai; nei giorni lavorativi, la stessa Società provvedeva

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120 ALBERTO GROHMANN

a divulgare questi scritti nei vari rioni e sobborghi della città, nei
luoghi ove abitualmente gli operai si riunivano dopo il lavoro. L'in-
tento delle suddette letture era, come si legge nel libro dei verbali,
«di porgere conoscenza al Popolo de' suoi doveri e de' suoi diritti
si morali e civili, che politici, e d'indirizzarlo alla pratica della vita
pubblica, alla conoscenza della patria storia, delle industrie, delle
scoperte » '!*). Da notare che, in dette riunioni, essendo ancora nu-
merosi i soci analfabeti, quelli che ne erano in grado supplivano a
tale deficienza, leggendo ad alta voce argomenti di comune interesse,
sui quali poi si intavolava una discussione.

Quest'ultima attività è da prendersi particolarmente in conside-
razione. Essa segna il momento più espressivo della funzione educa-
tiva che il mutuo soccorso, in Perugia e in altre parti d’Italia, va
con il tempo assumendo. Siamo qui innanzi ad un gabinetto di let-
tura, ma la peculiarità è data dal fatto che questo sia promosso ed
utilizzato dalla classe operaia. Il messaggio educativo mazziniano è
qui accolto in pieno.

Nel 1865, come abbiamo ricordato in precedenza, si modifica lo
Statuto, aprendo le porte della Società alla partecipazione di cate-
gorie non strettamente operaie o artigiane. La presenza di questi
elementi più evoluti non può non tradursi in più accesi interessi
culturali. Così, di lì a poco, nel 1868, si apre una biblioteca, che fun-
zionerà come vera e propria sezione culturale all’interno della So-
cità 114), Sarà un’altra modificazione strutturale, al di fuori dei pro-
grammi meramente mutualistici. I

Sin dal suo sorgere, la biblioteca è luogo di riunione e discussione ;
vi si tengono periodici cicli di conferenze su argomenti per la maggior
parte dei casi concernenti l’economia politica e la storia ; corsi serali
per i soci, affinché questi imparino a leggere e scrivere. È interes-
sante il fatto che le lezioni vengano impartite gratuitamente dagli
stessi maestri che erano stati ammessi, in qualità di soci, in base
alla modificazione statutaria del 1865 115), È evidente, in questo,
come l'associazionismo stimoli il sentimento di fratellanza.

All'inizio la biblioteca funziona per i soli soci; i volumi proven-
gono in parte da acquisti effettuati con fondi della Società e, in
parte maggiore, da elargizioni dei soci onorari. Negli scaffali, accanto
ad opere classiche di Plutarco, Eschilo, Virgilio, Dante, vi sono
numerosi romanzi ed opere di economia dell'Ottocento, manuali tec-
nici dei vari mestieri, opere di statistica riguardanti le associazioni

‘ operaie ; il fondo più cospicuo è costituito da testi di storia 110
và.

LA SOCIETÀ DI MUTUO SOCCORSO FRA GLI ARTISTI ED OPERAI DI PERUGIA 121

Nel dicembre del 1882, quando si scioglie la Biblioteca circolante
cittadina, gestita dal Municipio, la Società riesce a farsene assegnare
tutti i volumi, con l'obbligo, però, di estendere la circolazione gratuita
a tutti i cittadini 11°).

Da questo momento la sede della Società diviene un nucleo di
vita cittadina. Nella sala adibita a biblioteca, oltre che libri, vi sono
i giornali, per i quali è ammessa soltanto la consultazione ; questo
favorisce gli incontri, gli scambi di opinioni, le discussioni.

Quella della Società è l’unica biblioteca gratuita della città, e
quindi l’afflusso va continuamente incrementandosi. Ad esempio,
nel 1895 il prestito è accordato a 377 persone, ciascuna delle quali
ha in prestito da 7 a 8 libri in media. Si tratta di 235 studenti, 84
operai e 58 individui di varia condizione 18) Dunque gli studenti
rappresentano oltre i tre quinti dei frequentatori, mentre la classe
operaia, alla quale principalmente era rivolto lo scopo dell’istituzione,
non è rappresentata che da poco più di un quinto dei medesimi.

In ogni caso, la circolazione annua dei libri è notevole. Sempre
per il 1895, abbiamo, ad esempio, ricostruito il seguente movimento :

Tab. n. 21 — Distribuzione mensile dei libri della biblioteca circolante n.le 1895

Libri distribuiti nella domenica
Mese Totale
I II III IV v

Gennaio 38 40 43 46 — 167

Febbraio 42 39 41 33 — 155

Marzo 47 53 60 52 66 278

Aprile 79 — 78 68 cs 219

Maggio 61 63 60 60 _ 244

Giugno — 66 47 53 52 218

Luglio 66 56 58 65 — 245

Agosto 61 52 54 51 — 218

Settembre 60 58 52 41 53 264

Ottobre 46 — 64 54 — 164

Novembre 38 58 45 64 — 205

Dicembre 68 68 50 58 41 285
| Totale 2.662
|

Occorre notare, però, che il maggiore incremento d’attività cul-
turale corrisponde ad un imborghesimento dell’Associazione, ed a un

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122 ALBERTO GROHMANN

allontanamento dagli ideali mazziniani, per un accostamento sempre
maggiore alla corrente governativa. Lo dimostrano gli abbonamenti
a giornali effettuati dalla Società 119),

Nei primi anni la Società è schierata con il gruppo mazziniano
perugino capeggiato da Annibale Vecchi, e si appoggia al settimanale
«La Sveglia » diretto da quest’ultimo :*°). La vita del periodico è
però breve, appena tre anni. L'influenza dei soci onorari, e quindi
del ceto borghese-aristocratico, si infiltra, anche se lentamente, sem-
pre maggiormente nell’Associazione. Le continue conferenze ed i cicli
di lezioni favoriscono quest'azione. La Società, dopo 1’80, viene a
schierarsi con la classe governativa !?). Articoli, notizie, avvisi del-
l'Associazione si riscontrano, da tale data, quasi esclusivamente sui
giornali « L'Unione Liberale » e « La Provincia dell'Umbria », il primo
appoggiato al partito costituzionale governativo, il secondo di sbia-
dita tinta d’opposizione parlamentare.

Anche in campo culturale si nota, quindi, un certo adeguamento
della Società alle direttive della classe dirigente.

3. Attività politiche

Parallelamente all’azione interna, si sviluppa anche un’azione
esterna della Società di mutuo soccorso fra gli artisti ed operai, diretta
a far pesare la volontà e gli interessi degli associati sulla vita politica
della città, della regione, della nazione.

Malgrado le varie edizioni dello Statuto dichiarino sempre la
necessità di estraniarsi dalle questioni politiche, bisogna notare che,
sin dai primi anni di fondazione, la Società prese viva parte alle
campagne elettorali. Nell'Assemblea generale dei soci, appositamente
convocata, venivano scelti gl’individui da presentare come candi-
dati agli elettori 122); nella maggioranza dei casi, peró, le persone
designate dalla Società non erano elette, in quanto, non sussistendo
ancora il principio del suffragio universale, non tutti i soci avevano
diritto al voto.

La rilevanza di tale attività è indiscutibile ; essa segna un su-
peramento delle prime forme di mutuo soccorso, individualizza un
gruppo d'operai che vanno sensibilizzandosi ai problemi politico-
sociali, acquistando una coscienza di classe sulla cui base, successi-
vamente, potrà svilupparsi un associazionismo operaio piü qualifi-
cato e conscio delle proprie responsabilità. Questo inserimento nel-

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LA SOCIETÀ DI MUTUO SOCCORSO FRA GLI ARTISTI ED OPERAI DI PERUGIA 123

l’attività politica segna il passaggio da un’associazione d’individui,
basata su principii caritativo-previdenziali, a un gruppo, saldato dal
volere della maggioranza, che lotta per conquistare determinate mete
utili al gruppo stesso.

L'Associazione iniziò a svolgere una simile attività sin dal 1863,
in occasione delle elezioni municipali e provinciali. In tale anno
venne fatto affiggere nella città un manifesto, datato 24 luglio 1863,
in cui si legge: «L’Associazione degli artisti ed operai di Perugia
non può farsi estranea all’elezione dei nuovi Consiglieri municipali,
nonché a quella del Consiglio Provinciale, poiché l’affidare impor-
tantissimi mandati a probi ed intelligenti cittadini, può valere il
miglioramento delle materiali condizioni della città nostra e dell’in-
tera Provincia, e di conseguenza il maggior benessere della operosa
classe artigiana » ???).

Un'intensa campagna elettorale si ebbe in occasione delle ele-
zioni politiche del 1865. In tale anno, l'Associazione, unita ad altri
comitati elettorali, e con l'appoggio del settimanale politico « La
Sveglia », s'impegnó in un'accanita lotta, proponendo il nome di
due personaggi noti nella città per le loro idee liberali : l'ing. Corio-
lano Monti e il prof. Ariodante Fabretti.

Nel suddetto settimanale, in data 1* ottobre 1865, si puó leggere
un manifesto della Società operaia, indirizzato agli elettori del primo
e del secondo collegio di Perugia, del seguente tenore: « Onorati
dalla Società operaia dell'incarico di raccomandare al vostro voto i
suoi eletti, ci facciamo in dovere di ricordarvi che voi siete chiamati
ad esercitare un diritto che per essere privilegio di pochi v'impone
lobbligo di tradurre in atto le aspirazioni del maggior numero di
cittadini. Respinti dall'urna per restrizioni della legge elettorale, ci
indirizziamo a voi perché vogliate associarvi ai desideri dei figli
delle officine, nel modo istesso con cui li voleste a compagni nel
cementare coll'opera e col sangue il solenne edifizio dell'Unità na-
zionale, quando faceste appello al loro voto per offrire a nome d'Italia
la corona di Re a chi cinse per lei la spada del Soldato » 124).

Le preferenze della Società operaia vanno a elementi ben accetti
a gran parte dei liberali indipendenti, e lo dimostra la favorevole
accoglienza della stampa democratica nazionale 125).

In merito a tale scelta è interessante notare come la Società ap-
poggiasse il Fabretti e non il barone Danzetta, ch'erano i candidati
ad uno dei due collegi perugini. Il barone Danzetta, appartenente a
famiglia perugina assai cospicua, era uno dei soci onorari della So-

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cietà e aveva fatto parte del Comitato promotore 5, mentre il
Fabretti non era legato in alcun modo all'Associazione. Tutto questo
puó mostrarci la maturità di pensiero dei soci, la scelta essendo uni-
camente dettata dal desiderio d'indirizzare i voti verso una persona
da tutti ritenuta abile e democratica. Inoltre il fatto che il Danzetta,
pur essendo socio onorario, non fosse stato prescelto, dimostra ul-
teriormente quanto dicemmo in precedenza, cioé che in questa So-
cietà si sentirono sempre assai poco le influenze paternalistiche della
classe agiata, cosi comuni, invece, nella maggioranza delle associa-
zioni di mutuo soccorso italiane 127),

La maturità politica dei soci è messa in evidenza dal programma
elettorale redatto da una Commissione appositamente nominata in
Assemblea generale per le elezioni del 1865.

In esso, dopo aver affermato l’importanza della estensione del
diritto elettorale, si affrontano, con chiarezza e precisione, problemi
di importanza nazionale. Siamo a quattro anni dalla fondazione, la
Società ha tendenze ancora mazziniane, l’influenza del gruppo ca-
peggiato da Annibale Vecchi è preponderante ; lo dimostra anche il
reciproco appoggio Società operaia - settimanale «La Sveglia ».

Nel programma elettorale, quindi, si chiede al Governo di prendere
decisioni per Roma e la Venezia. Si pongono in luce le carenze della
situazione finanziaria nazionale. « La soluzione della questione poli-
tica — così si legge nel programma — lungamente protratta e rin-
viata a tempo indefinitivo serra in angustie continuamente crescenti
l'erario italiano che accenna tuttodi ad imposte nuove, le quali per
la loro moltiplicità sono destinate a sciuparsi nelle numerose e com-
plicate amministrazioni, mentre le già versate e i ripetuti prestiti e
le vendite dei beni dello Stato non giunsero giammai a porre in ac-
cordi i pesi e le risorse della Nazione » 1**).

Dopo aver affermato che gl’intenti dei candidati proposti sono
per la vera libertà, quella che fu principio del nostro Risorgimento,
si pone in luce come, sia il Fabretti che il Monti, sempre « avversa-
rono ogni maniera di leggi eccezionali o di fori speciali, incompatibili
ognora colla libertà ; cosi come respingono quella facile tendenza di
molti ad accordare al potere maggiore forza di quella consentita dal
diritto ». Il programma termina con l'affermazione che la Nazione
«in un con la sua finale e compiuta indipendenza reclama il riordi-
namento della pubblica amministrazione, il discentramento (sic) che
renda la vita alla provincia, e la soppressione degli ordini religiosi
che converta i pingui possessi a beneficio dei comuni » 1*»),

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Quest'ultima frase individualizza gl'intenti politici dei primi anni
d'esistenza della Società. Anche il carattere laicista-anticlericale, co-
me sempre, vi appare.

A distanza di pochi anni dall'Unità, la burocrazia e l'accentra-
mento sabaudo offrono il fianco a continue critiche. Anche la classe
operaia si va, evidentemente, rendendo conto dell'esigenza del de-
centramento politico-amministrativo. Ci si accorge che l'eccessivo
accentramento alla lunga avrebbe finito col peggiorare le già misere
condizioni economiche.

Questo programma elettorale, in parte redatto ed approvato da
individui mancanti di un elevato grado d'istruzione ed avvezzi solo
al proprio lavoro, per secoli sottoposti all'indottrinamento clericale,
mostra il benefico influsso che il mutualismo esercita sulla classe
operaia ed artigiana. Con i contatti umani, con lo scambio di idee,
con una anche se assai sommaria istruzione, questi individui riescono
a redigere un programma ove, superando i particolarismi e gl'interessi
locali, si affrontano problemi di vasta gittata, importanti per tutta
la nazione.

Le speranze dei soci circa il Fabretti andarono deluse, in quanto
quest'ultimo, pur ricevendo un elevato numero di voti, risultó soc-
combente in ambedue i collegi cittadini. Eletti risultarono il Monti
e il Danzetta. Tale esito si ripeterà anche in altre elezioni 1*°). Ge-
neralmente la lotta, nell'ambito della Società, in occasione delle ele-
zioni politiche, si restringerà ad Ariodante Fabretti e al Danzetta.
Questi saranno i perenni antagonisti di uno dei due collegi perugini
fino a quando, nel 1876, il Fabretti verrà nominato senatore. Di
massima sarà il Fabretti a risultare vincitore, nell'ambito della con-
sultazione svolta in seno alla Società, anche se poi di fatto dovrà
soccombere al Danzetta, appoggiato da numerosi comitati del ceto
aristocratico !?).

A volte anche artigiani, facenti parti della Società, grazie anche
all’aiuto di questa, ricoprirono cariche nelle amministrazioni locali.
Ad esempio Domenico Bavicchi, che ricordammo quale componente
del comitato promotore, per due volte consecutive venne nominato
consigliere comunale 1*?).

Questa presa di coscienza dei propri interessi in rapporto agl'in-
teressi della collettività, che in un primo momento ci mostra la So-
cietà schierata con gruppi progressisti, anticlericali, mazziniani, su-
bisce, con il tempo, un processo d’involuzione.

La Società di mutuo soccorso fra gli artisti ed operai di Perugia,
126 ALBERTO GROHMANN

come in genere le associazioni mutualistiche italiane, è, al suo sorgere,
organismo nel quale ferve una pluralità di interessi: accanto al-
l'aspetto mutualistico-previdenziale, si sviluppano, non meno im-
portanti, quello sociologico, politico, educativo-culturale 133);

Con il tempo, peró, nell'ambito della Società perugina si crea una
frattura. L'aspetto previdenziale-assistenziale va sempre piü deli-
neandosi ed incrementandosi, mentre la Società si disinteressa della
politica sia locale che nazionale. Anche questo é simbolo di decadenza
del mutuo soccorso 124),

Giunti circa all'ultimo decennio dell'800, in Perugia troviamo da
un lato la Società operaia di mutuo soccorso che si interessa del campo
previdenziale, attività che ben presto verrà gradatamente assorbita
da enti a carattere nazionale, dall'altro Specifiche associazioni sin-
dacali, di resistenza, che, dividendo la massa operaia secondo le
varie tendenze, curano l’aspetto politico-sociologico.

Il disinteresse politico umbro non è, però, caratteristico soltanto
di questa Società, ma è proprio di tutta la regione. Il prefetto di Pe-
rugia, in una sua relazione a Roma del 1885, infatti scriveva : « Ri-
sente anche questa provincia di quella crescente indifferenza per la
cosa pubblica che da qualche tempo si manifesta nelle nostre popo-
lazioni. Ed alla indifferenza accennata si aggiunge la poca vitalità
economica, che, per manco di vigorose iniziative, le industrie e i
commerci locali non fioriscono come dovrebbero in un territorio
come questo dell'Umbria ». E trattando dell'attività dei partiti po-
litici diceva che, «in mezzo al languore della vita pubblica », essi
« dimostrarono nel semestre scorso una certa tendenza alle forme
conciliative e temperate » 185),

È noto che il socialismo internazionalista era apparso in Perugia
sin dal 1873; infatti, il 10 agosto 1873, al Congresso di Ancona dei
primi nuclei internazionalisti umbri e marchigiani, congresso presie-
duto da Andrea Costa, parteciparono i delegati delle federazioni lo-
cali di Ancona, di Perugia, di Macerata e sobborghi, di Fermo e cir-
condario, e delle sezioni di Camerata Picena, di Sassoferrato, di Fa-
briano, di Pergola, di Massignano, di Castignano di Jesi, di Montel-
paro, di Osimo, di Monfano e di Rotella 22)

Notizie della sezione perugina ci danno anche articoli di giornali
internazionalisti quali « Il Comunardo » e «La Plebe » e lo stesso
Costa, in una sua lettera alla « Sezione romana muratori » Ove an-
nunzia la nascita di questo attivo nucleo 12:

Ma, dopo poco tempo l'ondata reazionaria si abbatte sulla gio-
LA SOCIETÀ DI MUTUO SOCCORSO FRA GLI ARTISTI ED OPERAI DI PERUGIA 127

vane organizzazione umbra. In seguito ai moti beneventani del '77,
il Prefetto di Perugia scioglie tutte le federazioni e le sezioni interna-
zionaliste della regione 18*).

Inizia una lunga serie di perquisizioni, di denuncie, arresti, pro-
cessi, condanne a domicilio coatto. Il movimento internazionalista
anarchico-socialista umbro entra in crisi e decade.

Il predominio delle tendenze anarchiche, che, sin dalla Confe-
renza di Rimini del ’72, erano prevalse nel movimento socialista
italiano, non aveva certo giovato al movimento operaio ed interna-
zionalista, creando fratture e crisi all'interno, e ponendolo in cattiva
luce rispetto all'opinione pubblica 1**).

Malgrado le persecuzioni i dirigenti umbri cercano, ben presto,
di tessere nuovamente le fila dell'organizzazione. Ma, i rapporti pre-
fettizi ben lo dimostrano, si tratta di tentativi isolati, di gruppi
esigui, di élite intellettuali, ai quali la massa operaia dà una assai
scarsa adesione.

In una lettera del Berti al Crispi, del 30 ottobre 1889, troviamo
menzionate, per l'Umbria, cinque associazioni socialiste e ventisei
repubblicane, delle quali soltanto due hanno sede in Perugia ; ma,
come dicevamo, si tratta di gruppi poco omogenei, dotati di scarsa
forza d'urto 14°).

Nel 1890 l’azione dei gruppi anarchico-socialisti italiani si va
incrementando. Nell'aprile, in una riunione operaia a via Margutta,
a Roma, gli anarchici hanno il sopravvento. Si approva un ordine
del giorno in cui i lavoratori « affermano solennemente il diritto
all'umana esistenza e alla remunerazione utile ed indispensabile del
TAVOLO, ws e deliberano di fondare una vasta associazione che
unisca tutti i lavoratori. .... mediante la quale ....... abbattere
tutti i privilegi ed emanciparsi dalla schiavitù capitalistica e dal
falso ordinamento sociale » 14). Pochi giorni dopo, in tutt'Italia, si
celebra, per la prima volta il 1° Maggio come festa sociale operaia ;
nella maggioranza delle città italiane si verificano scioperi.

Da Perugia il prefetto Bianchi telegrafa al Ministero : « Tranquil-
lità perfetta in tutta la provincia .... nessun assembramento pub-
blico » 14°).

A Roma, sempre nel 1890, il 13 maggio, al Congresso democra-
tico, viene redatto da Felice Cavallotti il Patto di Roma. È il pro-
gramma della democrazia italiana per la xvi legislatura. Riguardo
alla questione sociale si cerca di risolvere gravi problemi; le otto
ore di lavoro quotidiano ; la istituzione delle Camere del Lavoro e i

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Collegi di probiviri ; responsabilità per infortuni sul lavoro ; la Cassa
pensioni per vecchiaia e inabilità al lavoro 142).

Il Governo è sordo nei confronti della questione operaia. Si crede
ancora che questa possa risolversi con la pubblica e privata bene-
ficenza.

Il 21 agosto 1891, a Milano in occasione del noto sciopero, gli
operai chiedono: aumento dei salari; diminuzione delle ore di la-
voro giornaliero ; abolizione o diminuzione di multe od altri aggravi ;
libera ammissione nelle fabbriche, cioè abolizione dell’obbligo di pre-
sentare la fede criminale; nomina di un collegio arbitrale di venti
operai per risolvere le questioni fra padrone ed operaio. Nutrito
intervento di forza pubblica discioglie la riunione, numerosissimi gli
arresti'144),

In Umbria ogni tentativo di sciopero è subito represso, nel com-
plesso la situazione è di massima calma.

Gl'internazionalisti aumentano la loro attività, gli scioperi, par-
ticolarmente nel settentrione, si moltiplicano, l’Inno dei lavoratori
echeggia in Italia come un canto di guerra.

La repressione governativa non tarda a sentirsi. Il 2 gennaio
1894, in Sicilia e in Puglia scoppiano violenti tumulti causati dalle
pessime condizioni economiche. Da Roma si ordina lo stato d’assedio.
Si sciolgono le associazioni di lavoratori, si istituiscono Tribunali
militari.

Alla notizia dei disordini, varie centinaia di anarchici insorgono
in Lunigiana. Si costituiscono bande armate, si barricano le strade
tra Massa e Carrara, si rompono i fili telegrafici 145),

L'azione governativa rincrudisce.

In varie parti d'Italia si hanno manifestazioni popolari, si ode
gridare: viva i martiri della Sicilia ; abbasso l'esercito ; morte ai
borghesi; viva la rivoluzione sociale.

Da Perugia il prefetto telegrafa, l'8 gennaio 1894, a Roma:
« Ieri sera in Terni anarchici e socialisti avevano progettato di riu-
nirsi ad una delle porte ed entrare in città per commettere disordini
prendendo a pretesto i fatti di Sicilia... visto disposizione preven-
tive autorità, assembramento si sciolse pacificamente ». Per il resto
della provincia la situazione era considerata di massima tranquil-
Iità 3*5), :

Mentre vediamo, anche se soltanto embrionalmente, le idee del
Saint-Simon attecchire anzitutto in Toscana, la stessa regione che
un secolo prima aveva accolto le idee della fisiocrazia francese ;

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LA SOCIETÀ DI MUTUO SOCCORSO FRA GLI ARTISTI ED OPERAI DI PERUGIA 129

l’operaismo socialista affermarsi dopo il '90 in Piemonte ; il preri-
formismo malonista accolto favorevolmente in Lombardia ; l’anar-
chismo svilupparsi nel Meridione ; in Umbria, dopo l’esplosione na-
zionalista risorgimentale, si riscontra, quale aspetto generale, un
anticlericalismo generalmente moderato, ma assai scarse appaiono
le correnti estremiste di ogni ideologia ; ogni fermento rivoluzionario
socialista viene ben presto soffocato dall’azione reazionaria del Go-
verno e dallo spirito conformista della popolazione. L'esperienza
della stampa locale ne è chiaro esempio 147).

I primi rimarchevoli movimenti di massa si hanno solo alla fine
del secolo, in Umbria. La guerra d'Africa e la carestia del '97 hanno
portato i prezzi delle derrate a livello insostenibile per la classe ope-
raia. Nei primi mesi del '98 si ha una serie di agitazioni in tutta la
regione. A Perugia, il 2 febbraio, in una manifestazione di protesta, la
folla grida contro l’elevato prezzo del pane. Moti anche a Foligno, Spel-
lo, Trevi, Todi, Città di Castello, Gubbio, Spoleto, Assisi, Narni 148),

Le repressioni contro il movimento operaio vengono intensificate
nel maggio del '98. Dopo i fatti di Milano, a Perugia vengono sciolti
il Circolo socialista, il Circolo repubblicano, la Camera del Lavoro 14°).

Quanto sopra dimostra che l’esperienza socialista, per tutto 1'800,
attecchisce scarsamente in Perugia e nell'Umbria in genere. Le cause
principali sono da riscontrarsi nella scarsa industrializzazione, nella
depressa situazione economica, e, ancor più, nel fatto che i capi
non hanno compreso la forza che risiede nella massa operaia ; l’ideo-
logia socialista si diffonde soltanto nei ceti intellettuali, ed ancora
non si è iniziato il processo di indottrinamento della classe lavoratrice.

La Società di mutuo soccorso fra gli artisti ed operai di Perugia,
dopo esperienze di colore mazziniano, si schiera, dall’ultimo venten-
nio del xix secolo in poi, con la corrente moderata. Nell'uno e nel-
l’altro indirizzo non fa che seguire le idee dominanti, nei vari periodi,
nell’ambito cittadino. L’attività politica continua ad essere eserci-
tata, particolarmente in occasione delle elezioni; ma ora l’appoggio
della Società è per i candidati di tendenza governativa 15°).

Quindi, come dicevamo, in Perugia sempre più si accentua la
scissione di compiti fra Società operaia, che pur interessandosi mar-
ginalmente di politica, cura soprattutto l’attività previdenziale, e
piccole associazioni politiche, continuamente in crisi, che sì interes-
sano del problema sindacale. Col nuovo secolo la funzione previden-
ziale verrà assorbita da associazioni a carattere nazionale ; nel campo
rivendicazionistico si avranno i sindacati di categoria.

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4. — Partecipazione a Congressi operai regionali e nazionali

A queste manifestazioni in campo politico, qualificabili in senso
moderato, e sostanzialmente coerenti nel tempo, sottostà una certa L
elaborazione ideologica, verificabile attraverso l'esame dei documenti
di cui sopra, ed anche tramite l’analisi della posizione assunta dalla

| Società in diversi Congressi operai, a partire dal 1861.
| Negli otto anni precedenti — 1853-1860 — le società di mutuo
|] soccorso italiane erano già state convocate in congressi annuali, nel
corso dei quali si vennero progressivamente delineando gli orienta-

menti della classe lavoratrice in senso politico-sociale 151),
| | Nel primo congresso svoltosi in Asti dal 17 al 19 ottobre 1853,
| furono impostati i temi dell'educazione popolare, della reciprocità
di trattamento per membri fuori sede, della cassa di ricovero per gli
inabili al lavoro, dei sussidi alle vedove e agli orfani, della cassa pen-
sioni per vecchiaia 15°).

| In genere, in questo primo periodo le società mantennero un ca-
LR rattere apolitico. Nel terzo congresso (Genova 23-25 novembre 1855)
d fu respinto appunto perché considerato di « indole politica », l'appello
di alla solidarietà fra gli operai di tutt'Italia per il mutuo soccorso.
iI Inoltre, le ragioni degl’incontri annuali vennero definite : « promuo-
ill | vere il benessere morale e materiale della classe Operaia per mezzo
E dell'istruzione e del mutuo soccorso; propagare cognizioni utili di
economia sociale e privata relativamente alle condizioni delle classi
industriali e operaie ; accumunare le cognizioni pratiche delle diverse
società per utilizzarle nel generale interesse » 158). La richiesta di
riconoscimento giuridico, avanzata da alcuni elementi filogoverna-
tivi, venne esclusa in quanto si obiettava che «le società di mutuo
soccorso ritraggono la ragione della loro esistenza dal diritto natu-
rale e dalle speciali disposizioni dello Statuto .... il loro fine econo-
mico si limita al ricambio favorevole dei soccorsi, sopperiti coi ri-
"NEI sparmi sul profitto degli individuali lavoratori . ... perciò non hanno

| bisogno di autorizzazione preventiva a sussistere » 154),

Nel congresso di Vigevano (10-12 ottobre 1856) si discusse «se
alle società operaie convenga, e sia conforme ai principii che le in-
formano, ricever doni». Si stabili che la presenza di soci onorari
poteva essere utile, e quindi accettabile, purché non facesse variare
la fisionomia istituzionale delle società, facendo loro assumere de-
formazioni « benefiche » 155),

Questa prima fase di sviluppo delle società di mutuo soccorso,
LA SOCIETÀ DI MUTUO SOCCORSO FRA GLI ARTISTI ED OPERAI DI PERUGIA 131

dominata dal carattere apolitico, spesso permeata dalla supremazia
della classe borghese con il suo atteggiamento paternalistico e filan-
tropico, può considerarsi chiusa con il congresso di Novi Ligure del
1859 15°). Qui infatti si stabili che la lotta politica non poteva consi-
derarsi estranea alle società operaie.

Nell’ottavo congresso di Milano (1860) si può notare una forte
influenza dei mazziniani e dei liberali; si discusse dei problemi ine-
renti al lavoro e si trattò degli strumenti di battaglia per la classe
operaia, specialmente dello sciopero ?**).

Nel nono congresso, tenutosi a Firenze (27-29 ottobre 1861), i
moderati non poterono piü sostenere la tesi del puro mutualismo e
si videro costretti a cedere la sala ai mazziniani. Furono approvati
ordini del giorno relativi all'unificazione delle società, al suffragio
universale, all'istruzione laica e obbligatoria. Si trattarono anche
problemi politici: la questione romana e la possibile cessione della
Sardegna alla Francia. Negli atti del congresso si legge : « Le nostre
Associazioni, nate e cresciute all'ombra della libertà, fino dalle loro
origini sentirono il bisogno d'intendere a piü vasta opera che non
fosse quella dell'assistenza, alla temporanea o cronica infermità fi-
sica dell'artigiano, e cercarono il rimedio contro la piü funesta di
tutte le infermità popolari che è l'ignoranza, e interpretando l'idea
del vicendevole soccorso nell'ampio significato di un grande soda-
lizio popolano per provvedere al miglioramento morale e materiale
della classe più numerosa e povera, usarono largamente i diritti di
libera discussione politica sanciti dallo Statuto ...»:5*)

Per la prima volta un congresso operaio assume posizioni chiara-
mente rivendicazionistiche. Le richieste fondamentali furono : au-
mento dei salari e riduzione delle ore di lavoro. Per la prima volta
tali questioni non vengono considerate quale semplice oggetto di
studio, ma come elementi fondamentali della politica statale. Ancora
la lotta di classe viene ripudiata, ma si chiede con insistenza l’aboli-
zione del divieto di associazione, passato dalla legge Le Chapelier
nella maggioranza dei codici penali dell'Ottocento 15°).

Le decisioni e gli atteggiamenti del congresso di Firenze solle-
varono, ovviamente, i dissensi della stampa borghese e conserva-
trice 1°), I moderati, che avevano abbandonato l'assemblea fioren-
tina, decisero di tenere un congresso in Asti; in proposito la « Gaz-
zetta del popolo di Torino » scrisse : «......il buon senso e l'onorata
fierezza degli operai protestarono dovunque contro il tranello di
Firenze. Ogni società operaia, ogni vera società di mutuo soccorso,
132 ALBERTO GROHMANN

è

aspira al momento di poter dare nel Congresso di Asti una lezione
solenne ai mestatori politici... .»19),

Interessante è esaminare la posizione assunta dalla Società di
mutuo soccorso fra gli artisti ed operai di Perugia che, essendo sorta
nel 1861, aveva inviato i suoi delegati a Firenze 16). L'Associazione
sì schierò con la corrente moderata e, non potendo inviare suoi mem-
bri al Congresso di Asti, per deficienza di fondi, indirizzò al presi-
dente di quest'ultimo una lettera ove si dichiarava che scopo della
Società era esclusivamente il mutuo soccorso e il miglioramento della
condizione economica e sociale della classe artigiana. Si aggiungeva
che, pur essendo utile, per attuare tale programma, il doversi interes-
sare a questioni politiche, riguardanti peró sempre la parte ammi-
nistrativa dello Stato ed attinenti agli interessi della classe artigiana,
si riteneva che da tali questioni dovessero considerarsi escluse quelle
inerenti alla politica estera. Infine si affermava che la Società operaia
non intendeva legarsi ad alcun partito politico, avendo «la radicata
convinzione che qualunque scissura politica (sarebbe risultata) fata-
lissima al benessere della Nazione » 102).

Il pensiero della classe operaia italiana va progressivamente ma-
turandosi : lo dimostrano anche i quesiti trattati nei vari congressi.
che sempre più riguardano la politica e i problemi sociali. Anche nel-
l'ambito dei congressi operai si ha però una scissione tra quelli pro-
mossi ed indirizzati da elementi filo-governativi e quelli nei quali
le ideologie democratiche socialiste hanno il sopravvento.

La Società di mutuo soccorso fra gli artisti e operai di Perugia,
coerentemente alla sua azione politica interna, si schiera con il gruppo
moderato. Partecipa infatti ai congressi promossi da tale corrente,
quali quelli regionali di Firenze del 1871 e di Arezzo del 1876, e
quello nazionale tenutosi a Bologna nell’ottobre del 1877, ove viene
rappresentata dal senatore marchese Gioacchino Pepoli, già commis-
sario straordinario per l'Umbria nel 1860 152).

In tale congresso si discute del progetto di legge sul riconoscimento
giuridico delle società di mutuo soccorso, presentato alla Camera dei
Deputati, il 19 giugno 1877, da parte del Maiorana Calatabiano,
ministro di agricoltura, industria e commercio nel gabinetto Depretis.
Il progetto prevedeva un minuzioso regolamento dell’attività delle
società ; fissava tassativamente disposizioni per quello che concer-
neva il numero dei soci, l'ammontare dei sussidi e dei contributi ;
istituiva una Commissione centrale per le società di mutuo soccorso
di nomina regia. Le associazioni che non si fossero adeguate ai prin-

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LA SOCIETÀ DI MUTUO SOCCORSO FRA GLI ARTISTI ED OPERAI DI PERUGIA 133

cipii dettati si sarebbero trovate ai limiti della legalità. La prospet-
tiva era tale da allarmare non solo le società maggiormente inserite
nell’ambito politico, ma anche quelle dirette da moderati e mazzi-
niani, che fino a quel momento avevano operato sotto il crisma della
legalità, ed erano state viste, anche dal ceto borghese, quale stru-
mento non pericoloso d’organizzazione della classe operaia.

L'assemblea bolognese, e questa fu anche l'opinione della Società
di mutuo soccorso di Perugia, si dichiarò favorevole al riconoscimento
della personalità giuridica delle società, ma si manifestò contraria
al principio dell’autorizzazione, della tutela e del controllo gover-
nativo 185),

Nel 1880 l'Associazione intervenne al congresso regionale operaio
di Roma, diretto dalla corrente moderata. In detta occasione anzi,
inviò a tutte le associazioni di mutuo soccorso dell'Umbria una cir-
colare per sollecitare la partecipazione in massa al congresso, « non
dovendosi dimenticare che dai progetti di legge proposti alla di-
scussione delle camere legislative può dipendere in gran parte l’av-
venire delle società di previdenza e quello dei singoli operai », e che
« gli interessi degli operai nessuno meglio potrà trattarli degli operai
stessi » 199).

Nell'82, mentre democratici e socialisti sono presi dalla que-
stione elettorale, si riapre il campo alla discussione in merito alle
leggi sociali. Dopo il fallimento dei progetti Maiorana e Miceli, il
tema viene riproposto dal ministro Berti. Visti i risultati dei congressi
del ’77 e dell’80, ove gli operai, ancor prima del Parlamento, avevano
bocciato le iniziative ministeriali, l'iniziativa, questa volta, fu presa
da ambienti più vicini al Governo. La sede fu fissata a Roma e l’in-
carico affidato specialmente ad Achille Grandi, direttore del pe-
riodico conservatore «Il patto di fratellanza » !°?). La stampa so-
cialista e democratica osteggiò il congresso che fu disertato dalle
società progressiste 1°). La Società di Perugia inviò una delegazione
a Roma, ma si mostrò contraria a tutti quei progetti tendenti a sna-
turare il carattere d'indipendenza del mutuo soccorso °°).

Nel 1894 la Società partecipò al congresso nazionale di Milano,
ove, rappresentata dall’artista perugino Napoleone Verga, si pre-
sentò anche all’esposizione artistico-industriale. Sempre nel 1894, in
settembre, si fece essa stessa promotrice del primo congresso delle
società di mutuo soccorso dell'Umbria, che costituì un ulteriore
mezzo per collegare le varie associazioni della regione. In detto con-
gresso venne decisa l’istituzione d’una Federazione regionale delle

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134 ALBERTO GROHMANN

società operaie umbre ?'?). Si fissarono importanti punti circa il trat-
tamento reciproco degli operai che avessero dovuto cambiar sede, la
possibilità di istituire cooperative, la protezione del lavoro delle
donne e dei fanciulli, la costituzione di una Borsa di lavoro 1°),

L'importanza di tali fatti, anche se in seguito non attuati com-
pletamente, ci sembra evidente ; con essi gli operai umbri dimostrano
di comprendere l'esigenza che si ponga fine all'isolazionismo, get-
tando le basi per una più proficua utilizzazione delle società operaie.
Ciò serve a preparare il campo alla istituzione di organismi più ampi
a carattere nazionale.

CONCLUSIONE

Uno sguardo di sintesi sulla Società di mutuo soccorso fra gli
artisti ed operai di Perugia, per il periodo 1861-1900, ci mostra come
la sua funzione, sia in campo economico-previdenziale, che politico-
sociale, segua un andamento parabolico, il cui vertice, e quindi
declino, si ha con l'ultimo decennio del xix secolo.

La Società nasce in seguito al grande movimento ideologico se-
guito all'Unificazione nazionale. L'esigenza d'una tale istituzione non
é tanto precipuo frutto della classe operaia, ancora poco consistente,
quanto di quella parte del ceto borghese e aristocratico imbevuto degli
ideali animatori del Risorgimento.

All'atto dell'Unificazione le condizioni economiche umbre sono
pessime ; l'attività industriale é quasi inesistente in Perugia, che
resta, fin verso la fine del secolo, collegata a forme di artigianato ed
industria a domicilio. L'agricoltura, un tempo fiorente, é in crisi;
scarseggiano i capitali, le idee innovatrici. La concorrenza delle re-
gioni settentrionali e degli Stati esteri é.sempre maggiore. La crea-
zione del Regno, almeno in un primo momento, non fa che peggio-
rare tale situazione economica. La mancanza di strade, l'accentra-
mento politico-amministrativo sabaudo, l'oblio in cui viene posta
la regione nei confronti dell'intervento statale, fanno si che l'isola-
mento umbro vada peggiorando dopo il '61.

L'ultima parziale salvaguardia dei propri diritti, sia in campo
rivendicativo che assistenziale, il lavoratore l'aveva persa da tempo
con l'abolizione delle corporazioni. In caso di malattia, di disoccu-
pazione, di vecchiaia, unico rimedio era l'accattonaggio, il prestito
usuraio o il ricorso, nei casi piü favorevoli, alla beneficenza, sia pub-
blica, che privata.

m 33
LA SOCIETÀ DI MUTUO SOCCORSO FRA GLI ARTISTI ED OPERAI DI PERUGIA 135

Il maggiore scambio d’idee del periodo Risorgimentale, la predi-
cazione mazziniana, che al di là dell’unificazione territoriale indica
la necessità di fratellanza tra le varie classi sociali, di quella fratel-
lanza basata sui principii etici di collaborazione ed educazione, fanno
concepire, ad un .gruppo di cittadini appartenenti in gran parte al
ceto borghese, l’idea di creare in Perugia una società di mutuo soc-
COrso.

Da parte degli operai, date le misere condizioni a cui si è accen-
nato, l'accoglienza favorevole è immediata.

L'impostazione della Società di mutuo soccorso fra gli artisti ed
operai di Perugia è, fin dall’inizio, essenzialmente laicista e democra-
tica ; assai scarsa è la possibilità d’azione lasciata alle classi borghese,
aristocratica e clericale. La creazione di una così fatta associazione,
che raggruppa, nel proprio ambito, le diverse categorie lavoratrici
della città, favorisce la graduale formazione d’una coscienza di classe
del proletariato perugino.

Sul piano pratico, pur con i limiti e gli errori riscontrati, s'ottiene
lo scopo di migliorare progressivamente il complesso delle presta-
zioni previdenziali, sempre basate sul principio contrattuale, e si
prepara il terreno alla successiva azione pubblica. Se in un primo
tempo si pensa solo a soccorrere il socio impotente al lavoro per
malattia, ben presto si provvede, pur se parzialmente, agli inabili,
alle vedove ed agli orfani. I contatti umani, gli scambi d’idee, l’in-
fluenza preponderante, almeno in un primo periodo, dell’ideologia
mazziniana, sono altrettanti incentivi alla formazione di cooperative
di consumo, di produzione, di credito. Il che, a sua volta, non fa che
accomunare maggiormente gl’interessi dei soci.

Ma l’attività della Società non si limita al semplice campo del
mutuo soccorso, anche se inteso nella sua accezione più vasta di soc-
correre il socio non soltanto in caso di malattia e disoccupazione,
ma anche in caso di vecchiaia ed impotenza al lavoro, e di assicurare
alla vedova ed ai figli un, pur limitato, sussidio in caso di morte.
La Società, e qui è chiara l'influenza mazziniana, cura anche l'edu-
cazione degli stessi soci, promuovendo corsi serali, conferenze, di-
battiti; istituendo una biblioteca propria. Tutto ció fa si che essa
divenga un fulcro di vita cittadina per la classe operaia.

Sul piano politico, in tutto l'arco di tempo considerato, la Società
svolge un'azione fiancheggiatrice del gruppo dominante nell'ambito
cittadino. Nei primi anni essa parteggia apertamente per i mazzi-
niani; lo dimostra, sia la posizione assunta in occasione delle ele-

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136 - ALBERTO GROHMANN

zioni, sia l'appoggio dato al settimanale «La Sveglia ». L'ultimo
ventennio del secolo vede, invece, la Società parteggiare per il gruppo
moderato d’ispirazione governativa. Tale orientamento, lontano da
impostazioni rivoluzionarie, ma, forse proprio per questo, capace
d’inserirsi nella più larga azione delle forze moderate nazionali, dalle
quali scaturirà, infine, la legislazione sociale di fine secolo, contri-
buisce a far sì che la Società prepari, sul piano previdenziale ed asso-
ciativo, il campo alla successiva azione pubblica.

L'impostazione anticlericale, o meglio non clericale, vede la So-
cietà allineata con lo schieramento laico ; cioè con lo schieramento
che, dai liberali ai radicali e socialisti, cercherà di portare a compi-
mento, sul piano popolare, il disegno del Risorgimento.

La fine del xix secolo segna il declino delle funzioni della So-
cietà, sia in campo previdenziale-assistenziale, sia, e forse ancor più
chiaramente, in campo politico-sociale. Tale è del resto la parabola
comune a tutte le associazioni italiane di mutuo soccorso.

Ben presto i compiti delle società operaie locali verranno recepiti
da più complesse associazioni a carattere nazionale e dallo Stato.
In campo previdenziale, sin dal luglio 1898, gran parte dei compiti
verranno assorbiti dalla « Cassa nazionale di previdenza per invali-
dità e vecchiaia », tramite la quale si volle rimediare a parte delle
gravi carenze del mutualismo ; infatti, oltre che rispetto all’invalidità
e vecchiaia, l’attività delle società operaie era, in genere, assai ri-
dotta, e talvolta addirittura nulla, anche nei confronti della mater-
nità e dell'infortunio sul lavoro. L'attività rivendicazionistica di-
viene, sempre piü, dominio dei sindacati di categoria, associazioni
più agili e spregiudicate, e quindi più adatte alla lotta di classe.

Il mutuo soccorso, in Perugia come altrove, con il tempo, va ri-
ducendo, se non gli aderenti, i suoi compiti. La Società di mutuo soc-
corso fra gli artisti ed operai continuerà ad esistere, e, nel semplice
ambito assistenziale, per alcuni decenni, avrà ancora florida vita.
I soci continueranno ad essere beneficiati oltre che con i normali
sussidi, con aiuti straordinari in casi di epidemia, con distribuzione
di generi alimentari a un prezzo inferiore a quello corrente del mer-
cato, con l'istruzione gratuita, ecc. Tuttavia, gli scopi della Società
sempre piü si andranno restringendo al campo del puro mutualismo,
e ció farà si che, a poco a poco, gli operai si staccheranno da essa
per rivolgersi verso organizzazioni dotate di casse di resistenza.

ALBERTO GROHMANN
LA SOCIETÀ DI MUTUO SOCCORSO FRA GLI ARTISTI ED OPERAI DI PERUGIA 137

NOTE

1) Cfr. A. BuFFA, Origini e sviluppo della previdenza sociale in Italia,
Roma, 1934, p. 9; G. VorPE, Medioevo italiano, Collana storica Vallecchi
a cura di E. Codignola, Firenze, 1923, vol. x, p. 255; G. Mrna, Mutualità,
solidarismo e previdenza nell'associazionismo operaio dalle prime manifesta-
zioni fino all'inizio del XX secolo, in Previdenza Sociale, Roma, marzo-
aprile, 1961.

?) Cfr. A. SapORI, I precedenti della previdenza sociale nel Medioevo, in
« Studi di storia economica, sec. XIII-XIV-XV », vol. 1, Firenze, 1956, pp. 427-441.

3) Cfr. G. M. MonTI, Le confraternite medioevali dell’alta e media Italia,
Venezia, 1927, vol. 1, pp. 78-185 ; vol. 11, pp. 5-11. Cfr. Atti del convegno in-
ternazionale (Perugia, 25-28 settembre 1960). I| movimento dei Disciplinati
nel Settimo Centenario dal suo inizio (Perugia - 1260), Appendice n. 9 del
«Bollettino della Deputazione di Storia Patria per l'Umbria», 1962.

3) Cfr. G. EspinaAs, Le droit d’association dans les villes de l° Artois et de
la Flandre francaise depuis les origines jusqu'au début du XVI siècle, in L'or-
ganisation corporative du Moyen Age à la fin de l’Ancien Régime, Paris,
1943, p. 220; A. DonzEN, Le Arti fiorentine, Firenze, 1940, pp. 194-195, 353-
54; A. FANFANI, Storia del lavoro in Italia : dalla fine del secolo XV agli inizi
del XVIII, Milano, 1959, pp. 243-254.

5) Cfr. G. M. MonTI, Gli inediti capitoli quattrocenteschi dei barbieri di
Napoli, in Dal Duecento al Settecento, Napoli, 1925.

5) Cfr. L. DAL PANE, Il tramonto delle Corporazioni in Italia (sec. XVIII
e XIX), Milano, 1940 ; In., Storia del lavoro in Italia: dagli inizi del secolo
XVIII al 1815, cap. viz, Le Corporazioni nel periodo della decadenza, Mi-
lano, 1958.

7) In un primo tempo, sotto questo nome vennero spesso accomunate
sia le nuove società di mutuo soccorso sia le antiche confraternite. Nel 1882,
ad esempio, Antonio Ciccone, trattando delle associazioni di mutuo soccorso,
così si esprimeva : «sotto questo capo si comprendono due forme di associa-
zione, l'una antica, l'altra recente... le une e le altre sono connesse col sen-
timento religioso che informa le opere di scambievole carità fraterna... ».
Cfr. A. Ciccone, La questione economica, (opera premiata nel concorso al
«Premio Ravizza » per l’anno 1882 sul tema: « Quale indirizzo debbano
prendere la filantropia e la scienza di governo per migliorare le condizioni
delle inferiori classi sociali, di fronte agli svolgimenti attuali delle dottrine
socialistiche »), Napoli, 1884, p. 169.

8) Sul sorgere delle società operaie vedi: G. Bosro, Repertorio delle pub-
blicazioni fatte in Italia dal 1945 al 1948 sul movimento operaio italiano dalle

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origini alla prima guerra mondiale, in « Quarto Stato», a. rv, n. 4-5, Milano,
1949 ; L. BuLFERETTI, Introduzione alla storiografia socialista in Italia, Fi-
renze, 1949; G. Cavi, Sulle società di mutuo soccorso per gli artigiani, in
« Rivista Europea», 1843, rrr, p. 348 e segg. ; E. CHADWICK, Les Associations
ouvrières en Angleterre, Paris, 1869 ; A. CHERUBINI, Jl problema sociale e il
mutuo soccorso nella stampa senese (1860-1893), Siena, 1967 ; G. D. H. Cors,
A short history of the british working-class movement, 1789-1947, London,
1948; G. D. H. Corre and A. W. Firson, British Working-class movements,
Select documents, 1789-1875, London, 1951 ; G. D. H. CoLe and R. PosTGATE,
The Common People 1746-1946, London, 1949; L. Conti, L'assistenza e la
previdenza sociale, storia e problemi, Milano, 1958 ; F. DELLA PERUTA, Per una
bibliografia delle pubblicazioni storiche delle società di mutuo soccorso, in « Mo-
vimento operaio», a. rrr, n. 17-18, Milano, giugno-settembre, 1951, p. 691 e
segg. ; E. DoLLÉANS, Histoire du mouvement ouvrier, Paris, vol. 11, 1936-39
(Trad. italiana, Roma, 1948); E. DorrÉANs et M. CnozrER, Mouvements
ouvrier et socialiste: Angleterre, France, Allemagne, Etats Unis (1750-1918),
Paris, 1950; Foster HR. DuLLEs, Labor in America: a history, New York,
1950 ; E. FANo, Della carità preventiva e dell'ordinamento delle Società di Mutuo
Soccorso in Italia, Milano, 1868 ; O. FANTINI, Cooperazione e mutualità nella
storia economica, in « Economia e Storia », Milano, 1959, pp. 570-590 ; P. S.
FowEn, History of the Labor movement in the United States from Colonial
Times to the founding of the American Federation of Labor, New York, 1947 ;
A. Gori, Appendice bibliografica a Albori del Socialismo (1775-1848), Firenze,
1908; K. R. GREENFIELD, Economia e liberalismo del Risorgimento, Bari,
1964; D. L. Horowirz, Il movimento sindacale in Italia, Bologna, 1966;
R. HosTETTER, Le origini del socialismo italiano, Milano, 1963 ; LAURENT, Le
paupérisme el les associations de prévoyance, Paris, 1863 ; LupLow and JoNEs,
Progress of the working class, London, 1867, pp. 215-216 ; G. MANACORDA,
Sulle origini del movimento operaio in Italia, in « Società », 1947, pp. 37 e
segg. ; E. MARTUSCIELLI, Le società di mutuo soccorso e cooperative, Firenze,
1876, pp. 155-209; F. MEHRING, Geschichte der deutschen Sozialdemokratie,
Stuttgart, 1897-98, (Trad. italiana di G. SACERDOTE, Storia della democrazia
sociale tedesca, Roma, 1900-1907); R. MicHELS, Appendice bibliografica a
Storia del Marxismo: in Italia, Roma, 1909; R. MicHELS, Storia critica
del movimento socialista italiano, dagli inizi fino al 1911, Firenze, 1926 ; J.
MonTREUIL, Histoire du mouvement ouvrier en France des origines à nos jours,
Paris, 1946; PERDIGUIR, Question vitale du compagnonnage, Paris, 1863;
A. Ponno, Delle associazioni di mutuo soccorso, in « Rivista Europea», 1845,
pp. 258-59 ; R. Ricora, Storia del movimento operaio italiano, Milano, 1947 ;
A. Romano, Storia del movimento socialista in Italia : l'unificazione nazionale
e il problema sociale, Milano, 1954; R. Romeo, Risorgimento e capitalismo,
Bari, 1963; N. RosseLLI, Mazzini e Bakunin. Dodici anni di movimento
operaio in Italia (1860-1872), Torino, 1967 ; Sipney and B. WEBB, The his-
LA SOCIETÀ DI MUTUO SOCCORSO FRA GLI ARTISTI ED OPERAI DI PERUGIA 139

tory of Trade Unionism, London, 1950; E. TagLiacozzo, Gli studi storici
sul movimento operaio in Italia nel cinquantennio 1861-1915, Pisa, 1937;
G. TREVISANI, Storia del movimento operaio italiano, Milano, 1965; G. TRE-
VELYAN, Storia della socialità inglese, Torino, 1948; W. ENGLISH WALLING,
Le mouvement ouvrier et la démocratie aux Etats Unis, (traduzione francese),
Paris, 1930; R. ZANGHERI, Gli studi storici sul movimento operaio italiano,
in «Società», vir, 1951, p. 308 e seg. ; Bibliografia del socialismo e del movi-
mento operaio italiano, Ente per la Storia del socialismo e del movimento
operaio italiano, Roma-Torino, 1962.

*) Cfr. R. HosTETTER, op. cil., p. 18; C. BARBAGALLO, Le origini della
grande industria contemporanea, Firenze, 1951, p. 218 e ss. ; D. DEMARCO,
L'economia degli Stati italiani prima dell' Unità, in « Rassegna storica del
Risorgimento», a. XLIV, aprile-settembre 1957; G. LUZZATTO, L'economia
italiana dal 1861 al 1914, Milano, 1963.

19) Cfr. A. GRAMSCI, Il Risorgimento, Torino, 1949, p. 96 ; G. TREVISANI,
op. cit., p. 70; E. CorBINO, Annali dell'economia italiana, Città di Castello,
1931, vol. 1, p. 3; E. CIccoTTI, Sulla questione meridionale, Milano, 1904,
vol. 11, p. 60; D. DeMaRco, L'économie italienne du Nord et du Sud avant
l'Unité. Aux sources de la « question méridionale », in « Revue d'histoire éco-
nomique et sociale », 1956, n. 4, p. 370 e segg.

1) Statistica d’Italia, popolazione, parte 1, Censimento generale (31 di-
cembre 1861), a cura della Direzione della statistica generale del Regno,
Firenze, 1867.

12) N. ROSSELLI, op. cit., p. II.

13) Abbiamo notato in precedenza come, nel 1861, il 75% della popo-
lazione fosse dedito all'agricoltura ; erano i lavoratori che vivevano nelle
condizioni più precarie. Nella relazione, che accompagna i risultati dell’in-
chiesta Jacini, si dice che su 31.188 famiglie ben 27.565 « vivono assai male ».
Male nel senso più assoluto della parola, per mancanza di cibo, di vestiario,
di case decenti. Cfr. Atti ufficiali dell'inchiesta Jacini, vol. x1, 1882, p. 123.

Sui salari vedi : A. GARELLI, I salari e la classe operaia in Italia, Torino,
1874, pp. 416-455 ; E. MAGRINI - G. GxissER, Contribuzione alla storia e sta-
tistica dei salari industriali in Italia nella seconda metà del secolo XIX, in
La Riforma Sociale, Torino-Roma, 1904, pp. 753-906; P. M. ARCARI,
Le variazioni dei salari agricoli in Italia dalla fondazione del Regno al 1933,
in « Giornale degli Economisti », 1937, p. 303; L. Bopio, Sui contratti agrari
e sulle condizioni materiali di vita dei contadini in diverse regioni d'Italia,
in « Materiali per l'etnologia italiana », Annali di Statistica, s. 11, vol. 8, 1879 ;
L. Bopio, Prime linee di una statistica delle condizioni di vita degli operai,
in « Reale Accademia dei Lincei », s. rrr, vol. VI, 1882; L. Bopro, Saggio di
statistica delle mercedi, in « Annali di Statistica», S. IV, 1888 ; Contribuzione
per una slatistica delle mercedi, in « Annali di Statistica », s. III, vol. 14, 1885 ;
A. GRAZIANI, Sul pagamento dei salari in Italia, in «Riforma sociale », 1894,

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140 ALBERTO GROHMANN

pp. 471-476 ; MINISTERO D'AGRICOLTURA, INDUSTRIA E COMMERCIO, Bilanci
di famiglie coloniche. Notizie sulle condizioni dell'agricoltura negli anni 1878-
79, Roma, 1882; Saggio di statistica delle mercedi pagate agli operai degli
stabilimenti meccanici e dei cantieri navali, Roma, 1888; S. Somogi, Cento
anni di bilanci familiari in Italia (1857-1956), in « Annali dell'Istituto G. Fel-
trinelli », Milano, 1959; C. VANNUTELLI, Occupazione e salari dal 1861 al
1961, in L'Economia italiana dal 1861 al 1961. Studi nel 1 Centenario del-
l'Unità d'Italia, (Biblioteca della rivista « Economia e Storia » n. 6), Mi-
lano, 1961.

14) G. Luzzatto, L'economia italiana dal 1861 al 1914, cit., p. 176.

15) Cfr. D. L. Honowrzz, op. cit., pp. 28-29.

^*) Il Giolito, in proposito, reca l'esempio della Società di mutuo soc-
corso fra i calzolai, sorta a Pinerolo nel 1844 ; l'iniziativa è sostenuta dalla
borghesia d’avanguardia liberale, ostacolata dai conservatori che l'accusano
di mene rivoluzionarie, antimonarchiche, di « principi antisociali.... onde
il governo non avrà piü da combatterli nell'individuo ma nella classe *.: (Cfr.
G. GroLITo, Sviluppo sociale e forme di associazione operaia in Pinerolo nella
prima metà dell'Ottocento, in « Movimeuto operaio », gennaio-febbraio, 1953,
p. 37)

Questa fu la caratteristica comune delle prime società di mutuo soccorso
piemontesi, create spesso sotto l'egida della borghesia agiata ; esse rappre-
sentano, per oltre un quarantennio, l'ala più moderata del movimento ope-
raio. Infatti i loro statuti sanciscono di « essere per la conciliazione delle classi
abbienti e di quelle non abbienti, del capitale e del lavoro per il progresso
in quanto si uniformi col rispetto dovuto a tutti ». (Cfr. P. SPRIANO, Socia-
lismo e classe operaia a Torino dal 1892 al 1913, Torino, 1958, p. 37).

1?) Cfr. G. Luzzatto, L'economia italiana dal 1861 al 1914,.cit:, p.177,

1) Un esempio lo abbiamo proprio in Umbria, ove, a Città di Castello,
il 17 marzo 1846, un sacerdote, don Giovanni Rigucci, fondava una società
operaia posta sotto la protezione di S. Vincenzo de’ Paoli e per la quale il
vescovo della città scelse i primi soci.

Sul movimento cattolico vedi L. Riva SANSEVERINO, Jl movimento sin-
dacale cristiano dal 1850 al 1939, Bologna, 1950.

1°) A. GAMBASIN, Il movimento sociale nell'opera dei Congressi (1874-
1904), Roma, 1958, p. 18 e segg.

?°) Leone xri, infatti, dopo maturo esame, venne incontro al movimento
cattolico sociale, i cui punti fondamentali furono sanzionati dal papa nella
celebre enciclica Rerum Novarum (15 maggio 1891). Con essa, affermando
la necessità di una legislazione sociale, di sindacati operai, dell'intervento
statale nei conflitti fra capitale e lavoro, si miró a sottrarre le masse operaie
alla crescente influenza socialista, ed anche a colpire le idee conservatrici
dei partiti liberali. L'enciclica giunge, peró, al momento in cui il mutuo soc-
corso, come vedremo meglio in seguito, ha esaurito la sua funzione,
LA SOCIETÀ DI MUTUO SOCCORSO FRA GLI ARTISTI ED OPERAI DI PERUGIA 141

Precedentemente all’enciclica ricordata, più volte Leone xir si era in-
teressato al problema sociale mettendo in luce le piaghe del regime liber ista.'
Tra i tanti scritti vogliamo qui ricordare un passo di una pastorale indiriz-
zata dal Pecci al popolo di Perugia in occasione della Quaresima del 1877 :
« Quali doglianze e quanto solenni non ci toccó di sentire anche in Paesi che
sono stimati tenere la cima della civiltà, per le soverchianti ore di lavoro
imposte a chi deve guadagnare il pane col sudore della fronte! Ed i poveri
fanciulli condotti negli opifici ad intisichire in mezzo a precoci fatiche, non
contristano forse l'osservatore cristiano, non obbligano governi e parla-
menti a studiare leggi per mettere ostacoli a quel traffico disumano ? » (G.
Pecci, La Chiesa e la Civiltà, lettera pastorale per la quaresima del 1877,
in Leone XIII e l'Italia di R. BowxcGur, Milano, 1878, pp. 155-168).

Nell'enciclica Quod apostolici muneris, del 1878, si tratta proprio delle
società operaie ed artigiane, ma queste vengono considerate piü che altro
un mezzo per sottrarre gli operai all'influenza delle teorie materialistiche.
Infatti, trattando « Del socialismo, del comunismo e del nichilismo », il Pecci
cosi si esprimeva : « Siccome i seguaci del socialismo principalmente si cer-
cano fra gli artigiani e gli operai, i quali avendo per avventura preso in ug-
gia il lavoro, si lasciano assai facilmente pigliare all'esca delle speranze e
delle promesse di beni altrui, cosi torna opportuno di favorire le società
artigiane ed operaie, che poste sotto la tutela della religione avvezzino tutti
iloro soci a tenersi contenti della loro sorte, a sopportare con merito la fa-
tica e a menare sempre quieta e tranquilla la vita ». (LEONE xri, Quod apo-
stolici muneris, 1878, in Tutte le encicliche dei Sommi Pontefici, Milano,
1940, p. 418).

In merito alle idee sociali di Leone xIri vedi: C. CRISPOLTI - G. AURELI,
La politica di Leone XIII da Luigi Galimberti a Mariano Rampolla, Roma,
1912; E. VercesI, Tre papi: Leone XIII, Pio X, Benedetto XV, Milano,
1929 ; E. SoDERINI, Jl pontificato di Leone XIII, Milano, 1932-33 ; F. Hav-
WARD;.Léon; XIII, Paris, 1937.

2) Cfr. L. BuLFERETTI, Socialismo risorgimentale, Torino, 1949, p. 356.

?) Cfr. D. DEMARCO, Il tramonto dello Stato pontificio. Il papato di Gre-
gorio XVI, Torino, 1949, p. 94.

?3) Cogliamo volentieri l'occasione per ringraziare il prof. Ferruccio Fer-
rero, attualmente Presidente della Società di mutuo soccorso fra gli artisti
ed operai di Perugia, il quale si è prodigato per facilitare, in ogni circostanza,
il nostro lavoro di ricerca presso l'Archivio sociale.

24) Archivio Società operaia di mutuo soccorso fra gli artisti ed operai
di Perugia, (A.S.M.S.P.), Statuti e regolamenti - Leggi e progetti di legge, 1861.

2) Cfr. A. FossaTI, Lavoro e produzione in Italia dalla metà del sec. X VIII
alla seconda guerra mondiale, Torino, 1951, pp. 133-34. Ecco come l'autore
classifica le società di mutuo soccorso italiane in base all'anno di fondazione :
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142 ALBERTO GROHMANN

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Piemonte 17 98 53
Liguria — 9 8
Lombardia 4 27 63
Veneto 9 7 "7
Emilia "7 6 39
Marche 1 1 34
Umbria E — 18
Toscana 4 6 51
Lazio 2 — $1
Abruzzi e Molise 1 — 3
Campania — 2 14
Puglie == = 7
Basilicata —— — —
Calabria — —— 1
Sicilia 2 — 22
Sardegna — 2 —
'Totale 48 158 329

25) Sulle condizioni economiche dell' Umbria prima dell’ Unificazione vedi :
C. AgosTINI, La pellagra in Umbria dal 1854 al 1904, Perugia, 1901; Alma-
nacco per lo Stato pontificio a cura del dott. Bandera, Bologna, 1847-48 ; G.
BALDACCINI, Il vitto del contadino e la produzione del podere. Osservazioni,
Foligno, 1892; G. BaALDACCINI, Condizioni agricole ed economiche del terri-
torio di Cannara, Foligno, 1882 ; L. BeLLINI, Appunti per una storia dell’eco-
nomia umbra dal 1840 al 1910, in « Bollettino della Deputazione di Storia
Patria per l'Umbria», vol. LxI, Perugia, 1964; A. Brizi, Sulla mezzadria
della pianura di Assisi, in « Atti dell’Accademia Properziana del Subasio »,
vol. 3, n. 3-4, 1909 ; G. CALINDRI, Saggio statistico-storico sullo Stato ponti-
ficio, Perugia, 1829; D. DEMARCO, Il tramonto dello Stato pontificio, cit. ;
A. GALLI, Cenni economico statistici dello Stato pontificio, Roma, 1840 ; O. Par-
MIERI, Topografia statistica dello Stato pontificio, Roma, 1857 ; A. PREZIOTTI,
I consumi del contadino nel comune di Cannara, in «La Riforma Sociale »,
agosto, 1906 ; G. O. PrioRE, Una famiglia di mezzadri nella media valle del
Tevere, in «La Riforma Sociale», agosto, 1906; E. SELLA, Le condizioni
economiche dei contadini dell’ Umbria, in « La Riforma Sociale », agosto, 1909 ;
ZUCCAGNI-ORLANDINI, Corografia fisica, storica, statistica dello Stato ponti-
ficio, Firenze, 1843.

*') Cfr. F. FRANCESCONI, Alcuni elementi di statistica dell' Umbria, Pe-
rugia, 1872.

Ecco come un contemporaneo descriveva l'Umbria: « Dodici sono le
città principali dell'Umbria, cioè Perugia, Orvieto, Spoleto, Fuligno, Terni,
Rieti (capoluoghi dei 6 circondari), Città di Castello, Gubbio, Todi, Narni,
Assisi e Norcia, capoluoghi dei principali mandamenti; vi sono poi altre
LA SOCIETÀ DI MUTUO SOCCORSO FRA GLI ARTISTI ED OPERAI DI PERUGIA. 143

dodici città di minore importanza, e più di dugento città, paesi e castella.

Questo territorio sì fertile e sì ricco in altri tempi era assai popoloso,
ma la mano del prete e peggio quella del monaco insterilì ogni sorgente della
pubblica ricchezza, usurpò due quinti del territorio (peggio del soldato lon-
gobardo che ne prendeva un terzo) e sparse la miseria e la desolazione in
questa provincia. Vi basti sapere che Gubbio, che ha una popolazione di sei
mila anime, contiene quindici conventi, e sui ruoli municipali appaiono ben
2.700 accattoni! Questa città in altri tempi famosa, ricca e popolata di ben
ventimila anime, prima dell’infausta restaurazione del 1815, aveva ben cin-
quanta famiglie opulente, una popolazione operosa ed agiata : ora non si con-
tano che due o tre famiglie ricche, le altre o si spensero o sono debitrici dei
frati, che le hanno spogliate, e ben metà della popolazione vive di elemo-
sina. Questo cenno statistico è una condanna inappellabile del sistema di
governo della curia romana.

Ma che dirò di Perugia, di questa antichissima città, la quale, quando
reggevasi a popolo ebbe perfino ottantamila abitanti, che albergava le più
nobili famiglie d’Italia, fra cui Dante rammemora con onore i Baglioni, gli
Oddi, gli Staffa ed i Ranieri, che dié vita agli uomini più insigni che ono-
rarono l’italico nome ? Or questa città, scaduta da tanta grandezza per l'am-
bizione de’ pontefici, e le libidini dei loro nipoti, conta appena ventimila
abitanti, le sue grandi famiglie o decaddero o scomparvero, e sparirono al-
tresì le industrie e le arti che vi tenevano stanza. Ma come poteva essere al-
trimenti, se un nugolo di frati si era qui appollaiato, fino a possedere qua-
rantasette conventi e le terre circostanti più ricche. Come non doveva avve-
nire ciò, quando l’avarizia clericale usurpò i beni di questa altre volte rino-
mata Università, annullò l'Accademia di belle arti, distrusse o fece perire
ogni lustro forense, e alla operosità, alle armi, alle lettere tanto ben colti-
vate da questo popolo sostituì la degradante elemosina, che dalle ricche
abbazie e dalle porte dei magnifici chiostri il monaco parassita gittava al
popolo » (« Gazzetta dell'Umbria », Perugia, lunedi 18 febbraio 1861).

28) Cfr. F. FRANCESCONI, op. cit., tavole, tav. 36; Archivio di Stato
di Perugia (A.S.P.), Governo Francese, n. 296, anni 1809-1813, fasc. 1-29.

29) Cfr. A. LuPATTELLI, Cenni storici sulla origine e sull'andamento della
Società generale di mutuo soccorso fra gli artisti ed operai del Comune di Peru-
gia. Memoria pubblicata in occasione del 50° anniversario di fondazione della
Società, Perugia, 1911, pp. 3-4.

Come abbiamo accennato, la Società di mutuo soccorso fra gli artisti ed
operai di Perugia ebbe, di fatto, inizio il 1° marzo 1861, giorno in cui, nel
Ginnasio comunale, si riunirono i primi soci in assemblea generale, per di-
scutere ed approvare lo statuto della Società, redatto dai Soci promotori.
Una inaugurazione formale della Associazione si era, però, già avuta il 20
gennaio 1861; in tale giorno, come ricorda un articolo della « Gazzetta del-
l'Umbria », tutti gli artisti dei cinque rioni della città si erano adunati in

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144 ALBERTO GROHMANN

Porta Sole, da dove erano partiti in corteo, recando cartelli con le scritte :
« Viva lo Statuto che protegge le associazioni»; dopo esser passato tra le
acclamazioni per il Corso Vannucci, il corteo era giunto al Ginnasio comunale,
ove il presidente della Commissione promotrice, avv. Giacomo Negroni, lesse
un discorso inaugurale. (Cfr. « Gazzetta dell' Umbria », n. 18, 22 gennaio 1861).
Promotori della Società furono : avv. Giacomo Negroni, cav. prof. Carlo
Bruschi, barone Nicola Danzetta, prof. Ugo Calindri, dott. Annibale Camil-
letti, dott. G. Battista Miniati, Carlo Baduel, Gaetano Marocchi, Camillo
Vagnini, Licurgo Ricci, Gaetano Brugnoli, Domenico Singhi, Domenico Ba-
vicchi, Carlo Cerquali, Vafrino Fabretti, Raffaele Omicini, Alfonso Vitalucci.
Di alcuni dei promotori, in special modo di quelli che parteciparono ai
moti perugini del 1859, è stato possibile rintracciare dati attendibili. Di
essi Carlo Bruschi (n. a Perugia il 27 maggio 1820, m. ivi il 10 febbraio 1878)
fu patriota perugino, che si distinse nei moti del giugno 1859 ; fervente fau-
tore della idea monarchica, di idee liberali e acceso anticlericale. (Cfr. Diz.
del Risorgimento Nazionale, Milano, 1933, pp. 432-433 ; C. FANI, Necrologio
di C. Bruschi, Perugia, 1878; «Il Progresso. Corriere dell'Umbria », n. 267
del 14 febbraio 1878).
Nicola Danzetta (n. il 6 maggio 1820 a Perugia, m. il 26 marzo 1895,
ivi) appartenne ad una delle famiglie più illustri di Perugia, fu amministra-
tore del Collegio della Mercanzia e dell’Accademia del Casino, Consigliere-
cassiere della Cassa di Risparmio. Durante l’insurrezione di Perugia del
giugno 1859, il Danzetta fece parte del Governo Provvisorio. Costretto a
rifugiarsi in Firenze, ritornò, a Perugia, con le regie truppe il 14 settembre
1860 e fu subito eletto capo della Commissione municipale provvisoria col
titolo di Gonfaloniere. Nello stesso anno fu nominato consigliere del Comune,
di cui fu il primo sindaco, e, nei pochi mesi in cui coprì tale carica, fece de-
cretare la demolizione della fortezza Paolina, antico simbolo del potere tem-
porale dei papi. Il 27 gennaio 1861 fu eletto deputato al Parlamento del se-
condo collegio di Perugia, che, per tre altre legislature, lo volle suo rappre-
sentante, finché, nel novembre 1873, il re lo nominò senatore. (Cfr. Diz. del
Ris. Nazionale, cit., pp. 834-835 ; V. AnsIDEI, Necrologio a Nicola Danzetta,
in « Bollettino della Deputazione di Storia Patria per l'Umbria », cit., 1895,
p. 427 ; L. Bonazzi, Storia di Perugia dalle origini al 1860, Città di Castello,
1960, vol. 11, p. 621 ; V. ANSIDEI, Cenni biografici di Nicola Danzetta, Perugia,
1896 ; « Arch. Storico del Risorgimento Umbro », Iv, p. 101 e seg.).
Raffaele Omicini, (n. nel 1825 a Perugia, m. il 16 settembre 1909, ivi)
uomo di idee liberali, fu il primo presidente della Società. Iscrittosi giova-
nissimo all'Accademia di Belle Arti, s'affermó ben presto come scultore.
Nel giugno 1859 fu uno dei promotori e capi del movimento insurrezionale,
e ne subì atroci conseguenze all'atto della Restaurazione. Rifugiatosi in Fi-
renze, ritornó a Perugia nel 1860 e collaboró alla Giunta municipale provvisoria.
Fu acceso anticlericale e probabilmente iscritto alla massoneria. (Cfr. Diz.
LA SOCIETÀ DI MUTUO SOCCORSO FRA GLI ARTISTI ED OPERAI DI PERUGIA 145

del Ris. Naz., cit., p. 733); «Arch. Storico del Ris. Umbro», cit., vit,
p. 190 e segg.).

Di Alfonso Vitalucci sappiamo che fu persona appartenente a famiglia
socialmente ed economicamente cospicua se il figlio tredicenne, dopo la sua
morte (1885), poté permettersi di studiare in collegio a Zurigo e a Milano.
(Cfr. Necrologio. Alla cara memoria di Antonio Vitalucci gli amici, a cura
dell'Avv. Ciro Moroni, Perugia, s. a.). Anche Carlo Baduel dové essere per-
sona benestante dato che in base al catasto del 1877 risultava proprietario
di cinque case, una bottega e tre orti. (Cfr. CowuNE DI PERUGIA, Catasto
dei Fabbricati, Registro delle partite, vol. 1, dalla partita n. 1 alla 182, ese-
guito a Firenze il 1° ottobre 1870, partita n. 121, Baduel Carlo fu Costanzo).

30) Vedi Appendice, Síatuto. A conferma di quanto sopra detto, ecco
uno stralcio del discorso inaugurale del socio onorario Carlo Bruschi: « Ri-
cordatevi che l'associazione di mutuo soccorso non deve avere altro scopo
tranne quello di aiutarsi reciprocamente e fraternamente. Dargliene qualunque
altro sarebbe travisare e tradire l'istituzione. Guai se le associazioni operaie
si riducono a partiti, e se sotto il manto della filantropia si alimentano idee
ed affetti politici. Le idee e gli affetti politici si sono, lode al cielo, unificati
in Italia! In Italia non vi é e non vi devono essere che una sola idea, quella
della nostra nazionalità : in Italia non vi possono essere che un affetto poli-
tico, quello cioé che ci lega eternamente al re della nazione al glorioso Vittorio
Emanuele r1 ». (Cfr. « Gazzetta dell’Umbria », n. 73, 30 marzo 1861).

81 Dopo pochi mesi il suddetto articolo venne variato e l'ammissione
venne concessa « agli artigiani, ai mestieranti, a coloro che prestano l’opera
manuale a mese o a giornata, agli esercenti professioni libere e ai capi di ne-
gozio i quali abbiano domicilio in Perugia ». A.S.M.S.P., Statuti e regolamenti,
1861.

3) Del summenzionato discorso del Bruschi, un altro passo ci sembra
interessante, in quanto illustra un ulteriore intento dei promotori, quello
cioè di contribuire, tramite l'associazione, all'educazione della massa ope-
raia. «... (L’) utile immenso che procura l'associazione di mutuo soccorso
all'artista ed operaio che vi appartiene cosa chiede da esso per corrispettivo ?
chiede il pagamento di soli quindici centesimi per ogni settimana! Forse
potrà dire taluno che il pagamento anche di quindici centesimi per ogni set-
timana se é da riguardarsi come una inezia per chi puó disporre di qualche
cosa oltre il necessario, diventa grave per tanti cui appena basta il profitto
delle proprie fatiche per campare meschinamente la vita. A chi però ragio-
nasse in tal guisa osserverei. Chi è fra gli artisti ed operai che nel corso di
una settimana non ispende qualche centesimo, non azzarderò dire in giuoco
e gozzoviglie, ma in ciò che non è assolutamente necessario ? Io son certo
che se facessi a voi tutti una tale domanda mi rispondereste schiettamente
— qualche centesimo lo gettiamo tutti —. La privazione di un bicchiere di
vino, e di un sigaro in tutta la settimana, vi farà risparmiare i quindici cen-
tesimi che dovreste pagare per l'occasione. Che se a molti fosse grave pri-

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146 ALBERTO GROHMANN

varsi di qualche cosa, sebbene superflua, non vi è forse altro modo per sup-
plire ad una somma sì tenue ? cinque o dieci minuti di più consacrati in ogni
giorno al lavoro, daranno bene in tutta la settimana un aumento di guada-
gno per quindici centesimi |... ».

In quest'incitamento al risparmio, cui certo la classe meno abbiente
non doveva essere abituata, anche in dipendenza delle pessime condizioni
di vita, é evidente un intento educativo che l'oratore attribuisce alla Società ;
intento che non si limita al solo risparmio, ma esorta a « volere usare util-
mente e saggiamente di quelle istituzioni liberali, ad ottenere le quali lot-
taste con tanta energia; di quelle istituzioni liberali che sono per voi meri-
tato premio all'ardire dimostrato nei momenti del pericolo, e giusto com-
penso dei dolori e dei sacrifici sofferti nei giorni dell'oppressione ». (Ctr. « Gaz-
zetta dell'Umbria», n. 73, 30 marzo 1861). '

33) Appendice, Statuto, art. 24.

34) Appendice, Statuto, art. 34.

35 A.S.M.S.P., Regolamenti, 1861.

35) F. FRANCESCONI, op. cit., tav. 36.

?7) Il prezzo del grano è stato ottenuto dalla media aritmetica ponderata
dei prezzi rilevati sulla piazza di Perugia nel periodo 9 agosto 1861-30 ottobre
1861. I dati sono estratti dal giornale « Gazzetta dell'Umbria », nn. 186, 192,
197, 206, 210, 215, 222, 230, 236, 240, 248, 253. Vedi Appendice, Tab. n. 22.

35) Cfr. Annuario statistico italiano, Roma, 1900, p. 551.

?**) A semplice titolo d'esempio si pensi che, sempre nel medesimo pe-
riodo, in una vendita di liquidazione, ove certo i prezzi erano inferiori a quelli
correnti di mercato, una dozzina di fazzoletti di tela scadente costava in
media L. 6,97 ; una camicia, L. 8,25 ; un metro di tela comune per tovagliati,
L. 1,16. (Cfr. « Gazzetta dell'Umbria », Perugia, 2 gennaio 1861, n. 1).

4°) Sul movimento operaio genovese cfr. B. MonTALE, La Confedera-
zione Operaia Genovese e il movimento mazziniano in Genova dal 1864 al 1892,
Pisa, 1960. Interessanti in proposito anche gli articoli della rivista « Movi-
mento Operaio e Contadino in Liguria », poi « Movimento Operaio e Socia-
lista ».

3) A.S.M.S.P., Resoconti dall’anno 1861 all'anno 1887, 1861.

4) A.S.M.S.P., Statuti e regolamenti. Leggi e progetti di legge.

4) A.S.M.S.P., Verbali di adunanze particolari e generali dal 1861 al
1867 e di adunanze generali dall'anno 1867 all'anno 1872.

44) Ibidem.

45) A.S.M.S.P., Statuti e regolamenti. Leggi e progetti di legge.

49) A.S.M.S.P., Statistiche e relazioni. Crediti. Liti, 1862.

*) F. FRANCESCONI, op. cit., tavole, tav. 1 G.

48) Ibidem.

**) Da una statistica governativa, eseguita nel 1861, risulta che, il primo
gennaio 1847, venne fondato un « Istituto di mutuo soccorso per gli esercenti

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LA SOCIETÀ DI MUTUO SOCCORSO FRA GLI ARTISTI ED OPERAI DI PERUGIA 147

le arti salutari della città e provincia di Perugia », il cui scopo era soccorrere
i soci caduti in miseria per malattia o vecchiaia. (A.S.P., Amministrativo
1860-70, cart. 17). Successivamente, nel 1850, venne istituito, nella città,
il « Consorzio di S. Elisabetta » con lo scopo di concedere sussidi per vec-
chiaia, cronicità e inabilità permanente. Pur essendo stato istituito nel 1850,
il « Consorzio di S. Elisabetta », iniziò, però, causa i divieti pontifici, a svol-
gere un'effettiva attività solo con il 1° gennaio 1862, con il nome di « Con-
sorzio di mutua beneficenza ».

50) A.S.M.S.P., Interessi cittadini. Miscellanea.

51) A.S.M.S.P., Verbali di adunanze particolari e generali dal 1861 al 1867
e di adunanze generali dall'anno 1867? all'anno 1872.

52) Ibidem.

53) A.S.M.S.P., Sussidi ad altre Società. Comitati di soccorso. Lotterie.
Tombole.

54) Ad esempio, nell’agosto del 1861 venne istituito, nel seno della So-
cietà, un « Comitato di previdenza », « allo scopo di provvedere perché i soci
effettivi.... (avessero) la certezza di non mancare del pane nei mesi del
futuro inverno, e perché il grano non risultasse per essi di un prezzo superiore
a quello corrente in giornata ». Detto comitato stabilì l'acquisto di 500-600
rubbie di grano (1080,96 — 1297,152 quintali), successivamente distribuito
ai soci, ridotto in farina, al prezzo di costo. Per effettuare tale provvista si
fece appello ai vari proprietari terrieri della Provincia affinché s’impegnas-
sero a tenere a disposizione della Società una quantità di grano, pari alla
suddetta, al prezzo del mese d’agosto, ossia subito dopo il raccolto.

55 A.S.M.S.P., Statuti e regolamenti, 1865; Verbali di adunanze parti-
colari e generali dal 1861 al 1867 e di adunanze generali dall'anno 1867 all'anno
1872.

59) Ibidem.

57) Ibidem.

58 A.S.M.S.P., Verbali di adunanze generali dall'anno 1873 all'anno 1883.

59) Cfr. Censimento della popolazione del Regno d’Italia al 31 dicembre
1881, vol. rr, Popolazione classificata per professioni, Roma, 1884; Censi-
mento della popolazione del Regno d’Italia al 31 dicembre 1881, vol. 1, Roma,
1883.

°°) Cfr. F. FRANCESCONI, op. cit., tav. 36; La remunerazione del lavoro
delle donne in Italia, (statistiche annesse al discorso pronunciato da G. Nathan
al primo congresso della Federazione britannica, continentale e generale,
tenuto a Ginevra nel settembre 1877), Neuchatel, 1877, tav. xc.

&) I dati, riguardanti bollettini di prezzi desunti dalle mercuriali del
Municipio, sono stati estratti da « Il Corriere dell’Umbria », annate 1870-76.
Secondo il NiccoLi, (Prontuario dell'agricoltore e dell'ingegnere rurale, Mi-
lano, 1907, p. 39) le misure di conversione da ettolitro a chilogrammo per i
prodotti agricoli sono :

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148 ALBERTO GROHMANN

grano hl. 1 — kg. 75-78 ; granturco hl. 1 — kg. 74-77 ; legumi hl. 1 —
kg. 78-82; olio hl. 1 — kg. 92-94.

Dovendo effettuare delle conversioni abbiamo considerato i valori medi,

ossia :
grano hl. 1 = kg. 76,5 ; granturco hl. 1 = kg. 75,5 ; legumi hl. 1 = 80. Î

9) A.S.M.S.P., Feste sociali di consorelle cittadine. Statistiche e relazioni. |
Utili notizie in proposito si reperiscono anche nelle carte delle varie associa- |
zioni mutualistiche perugine conservate nell’archivio sociale.

*3) In un opuscolo di un anonimo contemporaneo si legge : « A noi sem-
bra anzitutto che in Perugia la Società di mutuo soccorso la quale meriti
maggior appoggio, perché più valide garanzie offre e più numerosi vantaggi
arreca, sia la Società Generale Operaia, che la nostra città ha la fortuna di
avere nel suo seno (si tratta della società da noi considerata).... Dobbiamo
invece deplorare che oltre la Società Generale sianvi in Perugia, parecchie
altre Società di mutuo soccorso, le quali frazionano e disperdono forze che
dovrebbero raccogliersi insieme e moltiplicarsi: essendo anche provato dalle
statistiche della probabilità come una società di mutuo soccorso corra un
rischio tanto maggiore quanto più ristretto è il numero dei soci...... »
(Cfr. Il mutuo soccorso a Perugia tra gli operai, Perugia, 1901).

64) A.S.M.S.P., Cooperative. Scuole arti e mestieri. Asili. Cucine econo-
miche. Libro mastro dal 1872 al 1880.

5) A.S.M.S.P., Statistiche e relazioni. Verbali di adunanze generali dal-
l'anno 1873 all'anno 1883. Verbali di adunanze generali dal 30 novembre 1876
al 24 novembre 1923.

8) A.S.M.S.P., Archivio Consorzio di mutua beneficenza, Adunanze del
Consiglio 1870-1882 ; Archivio Fratellanza artigiana rione Porta S. Susanna,
Registro dei verbali delle adunanze dal 1872 al 1886.

67) A.S.M.S.P., Sezioni: Inabili al lavoro. Vedove e orfani. Credito.

68) A.S.M.S.P., Verbali di adunanze particolari e generali dal 1861 al 1867.

**) Cfr. A. CHERUBINI, Profilo del mutuo soccorso in Italia, dalle origini
al 1924, in Per una storia della previdenza sociale in Italia, Roma, 1962, p. 130.

70) A.S.M.S.P., Statuti e regolamenti, 1861.

71) A.S.M.S.P., Verbali della Commissione per i sussidi d’inabilità.

?) Cfr. GEISSER-MAGRINI, op. cit., pp. 753-906.

73) A.S.M.S.P., Sezioni: Inabili al lavoro. Vedove e orfani. Credito, 1880.

74) Ibidem.

5) Una ricerca nella matricola per gli anni 1881-85 ci mostra che i soci
esercitavano 38 mestieri. Uomini: arrotini, braccianti e giornalieri, barbieri
e parrucchieri, caffettieri e liquoristi, calzolai, conciapelli e sellai, canapari,
cappellai, cuochi, domestici, doratori, fabbri ferrai, falegnami ed ebanisti,
fornai, impiegati e maestri, infermieri, legatori di libri, macellai, maniscalchi,
meccanici ed ottonari, fornaciari e muratori, negozianti e commercianti,
orefici, osti e locandieri, pastari, pittori e verniciatori, sarti, scrivani, scultori
LA SOCIETÀ DI MUTUO SOCCORSO FRA GLI ARTISTI ED OPERAI DI PERUGIA 149

e scalpellini, tintori, tipografi. Donne: cucitrici, domestiche, donne di casa,
maestre, negozianti e commercianti, sarte, stiratrici, tessare. A.S.M.S.P.,
Libro Matricola.

7°) Dal 1907, infatti, la Cassa iniziò a funzionare come sezione coopera-
tiva di credito, con una speciale commissione di sconto e con un’amministra-
zione autonoma. A.S.M.S.P., Sezione : Credito.

77) Cfr. F. ALUNNI PieRuCCI, Il socialismo in Umbria. Testimonianze e
ricordi, Perugia, 1960, p. 66.

78) Commissione istituita con R. D. 25 novembre 1869, n. 5370.

7?) Era inoltre concesso di « cooperare alla educazione dei soci e delle
loro famiglie, dare aiuto ai soci per l’acquisto degli attrezzi del loro mestiere
ed esercitare altri uffici delle istituzioni di previdenza economica » (art. 2).

89) La circolare aggiungeva : la legge « determina la loro azione, lo Stato
nei limiti di questa fissa le norme della loro esistenza, l’autorità giudiziaria
ne accerta le condizioni estrinseche e le richiama all’osservanza della legge
allorché deviano dal fine pel quale lo Stato fu ad esse largo di favori ».

81) Cfr. A. CHERUBINI, Profilo del mutuo soccorso in Italia, dalle origini
al 1924, op. cit., pp. 113-114.

8) A.S.M.S.P. Verbali delle adunanze generati dall'anno 1873 all'anno
1883; Atti del Congresso Nazionale fra le Società di mutuo soccorso italiane
(Bologna 28, 29, 30 e 31 ottobre 1877), Bologna, 1878, p. 44 e segg. ; G. MANA-
conDa, Il movimento operaio italiano attraverso i suoi congressi (1853-1892),
Roma, 1953, pp. 108-118 e 148-152.

83) A.S.M.S.P. Verbali dell'assemblea generale 1883-1892.

84) A.S.M.S.P., Conseguimento della personalità giuridica.

85) A.S.M.S.P., Statuti e regolamenti, 1900.

86) Vedi p. 96, e nota 66.

87) A.S.M.S.P., Verbali dell’assemblea generale 1883-1892.

88) Vedi p. 96; cfr. Il mutuo soccorso ira gli operai di Perugia, discorso
di anonimo, Perugia, 1901.

89) Lo stesso Prefetto dell'Umbria in un rapporto inviato al Ministero
dell’agricoltura, industria e commercio, nel 1894, poneva in evidenza tale
situazione. « In questa provincia la vita industriale punto attiva, è in mas-
sima parte sussidiata dagli agenti naturali. Anche l’industria agraria non ha
lo sviluppo che pure facilmente dovrebbe avere. La conseguenza di questo
stato di cose, di fronte ad un aumento progressivo della popolazione, è la
miserevole condizione della classe lavoratrice, la quale si dibatte fra mille
difficoltà per vivere. In generale le donne non sono soggette a lavori assai
pesanti. I pochi opifici nei quali portano l’opera loro sono ben areati. Però
sono retribuite assai poco in proporzione del lavoro all’orario, e di fronte
ai bisogni di prima necessità, e quindi si cibano giornalmente di farinacei ed

acqua, meno la festa, nei quali giorni bevono vino e mangiano carne quando
il capo di casa ha lavorato nella settimana ..... All’agricoltura poche sono

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in questa città le donne che sono chiamate come braccianti per lavori agri-
coli, vigendo qui il sistema di mezzadria semplice, che è il contratto fra il
proprietario e l’agricoltore, col quale uno dà la terra come capitale e l’altro
si impegna a lavorarla. Di conseguenza il colono, per ritrarre maggior pro-
fitto nei campi, vi lavora assiduamente con tutta la famiglia. E per econo-
mizzare denaro in caso di lavori urgenti si scambiano fra coloni vicini gior-
nate di lavoro... ma il lavoro agricolo non è mai sufficiente ad una alimen-
tazione equa...» (Cfr. «Gazzetta di Foligno», 3 febbraio 1894).

°°) Cfr. F. ALUNNI PIERUCCI, op. cit., pp. 54-56.

) I prezzi sono tratti dal giornale « L'Umbria Agricola», annate 1889,
1890, 1891. Vedi tabelle in Appendice.

*) Cfr. F. ALUNNI PIERUCCI, op. cit., p. 51 e segg. ; C. ROMETTI, Ses-
sant'anni di Socialismo nell’ Alta Umbria e in Italia, Città di Castello, 1954.

?*) A.S.M.S.P., Resoconti dall'anno 1888 all'anno 1900 ; Libro giornale
dal 1899 al 1900.

*) Aderirono all'iniziativa: Società Reduci Patrie Battaglie, Gruppo
il Risveglio, Società Cooperativa Produzione e Lavoro, Società operaia di
Porta Sole, Circolo Socialista, Tipografi, Società operaia di mutuo soccorso
fra gli artisti ed operai di Perugia, Gioventù operosa, Rappresentante della
Giunta comunale, Società operaia di Porta S. Pietro, Società operaia di Porta
S. Angelo, Società operaia di Porta S. Susanna, Associazione Antonio Fratti,
Società Reduci dell'Esercito, giornale « La Provincia ». A.S.M.S.P., Coope-
rative.

Sull'origine della Camera del Lavoro di Perugia non si ha, finora, al-
cuna notizia precisa. L'idea di una tale istituzione si ebbe nel congresso ope-
raio umbro del 1894, ma l'attuazione sembra sia del 1896. Di preciso si sa
soltanto che la Camera del Lavoro fu sciolta in seguito ai moti milanesi del
1898. Arch. Centrale dello Stato (A:C.d.S.), Arch. Crispi, fasc. 270.

°°) A.S.M.S.P., Leggi e progetti di legge.

°°) Cfr. F. ALUNNI PIERUCCI, op. cif., pp. 104-116.

°?) Appendice, Statuto, art. 58-62.

**) Appendice, Statuto, art. 63-73.

**) Appendice, Statuto, art. 74-83.

1*0) Appendice, Statuto, art. 84-86.

101) Ibidem.

1°*) Appendice, Statuto, art. 87-92 e 98-99.

103) Appendice, Statuto, art. 94-96.

194) Appendice, Statuto, art. 32-33.

105) Appendice, Statuto, art. 33 ; A.S.M.S.P., Verbali di adunanze parti-
colari e generali dal 1861 al 1867 ; Statistiche e relazioni, 1865.

106) Ibidem.

10?) A.S.P., Amministrativo, 1860-70, cart. 17.

1*5) Appendice, Statuto, art. 2.

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LA SOCIETÀ DI MUTUO SOCCORSO FRA GLI ARTISTI ED OPERAI DI PERUGIA 151

109) A.S.M.S.P., Biblioteca, 1862; Verbali di adunanze particolari e gene-
rali dal 1861 al 1867.

110) Ibidem.

111) A.S.M.S.P., Miscellanea.

12) Tra i tanti conferenzieri ricordiamo : Annibale Vecchi (n. il 10 mag-
gio 1819 a Perugia - m. il 1° dicembre 1880, ivi), famoso patriota perugino.
Nel 1840 conseguì il diploma di Farmacia all’Università di Roma, tornato
a Perugia vi aprì una farmacia che divenne subito il centro di tutti gli affi-
liati della « Giovane Italia » di cui il Vecchi, in diretta ed assidua corrispon-
denza col Mazzini era il fiduciario dell'Umbria. Dal 1861 al 1880 occupò la
cattedra di chimica farmaceutica nell'Università di Perugia. (Cir. G. ER-
MINI, Storia dell’ Università di Perugia, Bologna, 1947, p. 660; Diz. del Ris.
Naz., cit., vol. rz, pp. 535-536 ; L. BONAZZI, op. cit., vol. II, p. 505 e seg.).

Cesare Ragnotti (n. il 17 gennaio 1819 a Perugia - m. il 15 dicembre
1899), compiuti i primi studi nel seminario vescovile, conseguì poi la laurea
in giurisprudenza, ma agli studi legali preferì quelli di storia e di filosofia.

‘Costretto a rifugiarsi in Toscana per la sua propaganda patriottica, dopo la
liberazione dell'Umbria poté rientrare a Perugia ove ebbe la cattedra di
storia al Collegio della Sapienza e quella di filosofia al liceo. In seguito diresse
«L’Unione Liberale » di Perugia, organo del partito monarchico. (Cfr. Diz.
del Ris. Naz., cit., vol. n, pp. 13-14).

Ruggero Torelli (n. il 3 maggio 1820 a Perugia - m. il 15 marzo 1894,
ivi) di idee liberali fondò con Tiberio Ansidei il Comitato nazionale di Perugia.
Fu docente alla facoltà di Medicina dell’Università di Perugia. (Cfr. Diz.
del Ris. Naz., cit., vol. 111, pp. 454-459 ; G. ERMINI, op. cit., p. 686; E. DE
Paorr, Professore Ruggero Torelli, in « Annuario dell’Università di Perugia
per il 1894-95», p. 169 e segg.).

Torello Ticci (n. nel 1830 - m. il 5 febbraio 1913 in Castellina in Chianti)
studente a Pisa, nel 1848, fece parte del battaglione distintosi a Curtatone e
Montanara. Tenne per molti anni la cattedra di diritto commerciale a Perugia.
(Cfr. Diz. del Ris. Naz., cit., vol. 111, p. 433).

113) A,S.M.S.P., Verbali di adunanze particolari e generali dal 1861 al 1867.

114) A.S.M.S.P., Biblioteca.

115) A.S.M.S.P., Statuti e regolamenti.

116) Cfr. Catalogo delle opere complete esistenti nella Biblioteca Circolante,
opuscolo edito a cura della Società operaia, Perugia, 1889.

117) A.S.M.S.P., Biblioteca, 1882.

118) Ibidem, 1895.

119) In un primo tempo la Società è abbonata al periodico « La Sveglia »,
successivamente ai giornali « L'Unione Liberale », « La Provincia dell' Umbria ».

129) Cfr. L. BELLINI, « La Sveglia ». Dalle lotte elettorali del '65 al mes-
saggio a Benito Juarez, l'azione e i limiti del primo giornale democratico peru-

gino, in « Cronaohe Umbre », 1954, n. 2.

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152 ALBERTO GROHMANN

1) La lettura dei verbali della Società, relativi a tale periodo, lo di-
mostra chiaramente. A.S.M.S.P., Verbali di adunanze generali dall'anno 1873
all’anno 1883; Verbali dell’ Assemblea generale 1883-1892.

122) A.S.M.S.P., Elezioni amministrative e politiche.

123) A.S.M.S.P., Elezioni amministrative e politiche. Il manifesto termina
con l’indicazione dei nomi dei candidati prescelti : « A consigliere provinciale
da eleggerne uno : Friggeri cav. Silvestro, Bruschi cav. Carlo, Omicini prof.
Raffaele. A consiglieri municipali da eleggerne undici: Friggeri cav. Sil-
vestro, Omicini prof. Raffaele, Cesarei conte Gaspare, Bruschi cav. Carlo,
Tavolacci Francesco, Massari Luigi, Vitalucci Ambrogio, Degli Oddi conte
Oddo, Boschi prof. Giovanni, Pucci nobile Federico, Benvenuti prof. Nicola,
Vicarelli Luigi, Bavicchi Domenico, Francesconi prof. Francesco ».

7!) Settimanale «La Sveglia», n. 6, del 1° ottobre 1865.

75) Ecco alcuni stralci di giornali dell’epoca che dimostrano il favore
con il quale la corrente indipendente aveva accettato i nominativi proposti
dalla Società operaia.

Dall’« Elettore » di Torino : « Bravi gli elettori di Perugia! I due vostri
candidati il professore Ariodante Fabretti, ed il dottore Coriolano Monti
sarebbero due eccellenti Deputati. Sappiamo di loro che entrambi furono
rappresentanti del popolo alla costituzione romana; epperciò non nuovi al
movimento Italiano, non facile acquisto alle seduzioni del potere. Buona
fama circonda entrambi: di senno politico entrambi diedero buona prova
nelle difficili circostanze in cui versó la repubblica romana nel 1849. Essi
non possono essere ligi alla dominazione straniera, si chiami essa oppressione
od influenza ». ;

Dall’« Italia »: « Se la candidatura dell'ingegnere Monti non trova dif-
ficoltà presso i liberali di ogni gradazione, i quali hanno aderito di accet-
tarlo per un collegio, quella del cav. Fabretti, proposta come prima dalla
democrazia per l'altro collegio debbe (sic) lottare contro due o tre razze di
avversari. Contro il partito della consorteria, contro i rugiadosi che nel van-
tarsi suoi amici personali, falsificano il suo programma lealmente indiriz-
zato ai promotori della candidatura di lui fin dal 1861, e alla fine contro quei
poveri di spirito che credono di fare dispiacere a Danzetta od a taluni suoi
parenti se gli sostituissero un uomo di merito eminente in valore politico e
scientifico . . . ».

Dal « Sole » di Milano: « In Perugia le candidature sono cosi fissate nel
concetto di tutto il partito liberale: per un collegio l'ingegnere Coriolano
Monti, senza competitori ; per l'altro professore Ariodante Fabretti in con-
correnza con l'ex deputato barone Danzetta. Come leali, onesti e gelosi della
propria dignità possiamo darli tutti e tre a prova: ma in quanto a idee libe-
rali e di progresso, ed in quanto a indipendenza derivante da maggiore o
minore capacità di mente, v'é molto a distinguere. Il Monti ed il Fabretti
sono sempre della schiera di quei magnanimi che a Roma proclamarono de-

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LA SOCIETÀ DI MUTUO SOCCORSO FRA GLI ARTISTI ED OPERAI DI PERUGIA 153

caduto di diritto e di fatto il governo temporale del papa, e che affrontarono
l'esiglio seguendo costanti l'apostolato di unità e libertà. Essi non verranno
mai a conciliazione col prete, e lo spirito onde s'informava la gloriosa repub-
blica romana li anima in tutto il loro programma politico-sociale. Sono poi
uomini di meritata riputazione per dottrine speciali, e tali da non lasciarsi
influenzare né bene né male dalle parole o dai sofismi di chicchessia. Il Dan-
zetta per contrario nel suo liberalismo non rifugge da moderate conciliazioni,
è favorevole alla pena di morte, è vincolato in un certo modo da vari rapporti
coll’aristocrazia, e per difetto di profonda capacità si trova di votare sempre
con tutti i ministeri che governano ....». (Gli stralci sono contenuti nel
settimanale «La Sveglia», n. 11, del 19 ottobre 1865).

125) Vedi nota 29.

127) Particolarmente le piemontesi. Cfr. E. R. PAPA, Origini delle società
operaie-Libertà di associazione e organizzazioni operaie di mutuo soccorso in
Piemonte nei primi anni dopo lo Statuto 1848-1861, Milano, 1967.

128) Cfr. «La Sveglia», n. 11, del 19 ottobre 1865.

129) Membri del Comitato erano: Andriani Giuseppe, Dottorini Tito,
Mencarelli Leone (presidente della Società operaia), Bettini Zenobio, Lotti
Giuseppe, Rossi Tommaso, Vitalucci Alfonso, Carattoli Raffaele.

139) Il risultato delle elezioni fu :

Primo Collegio Coriolano Monti Voti. 179
Ariodante Fabretti 85
Secondo Collegio Nicola Danzetta 252
Ariodante Fabretti 101

(Cfr. «La Sveglia », n. 13 del 28 ottobre 1865).
Il ballottaggio del 20 ottobre ratificó tale risultato in quanto i voti si

ripartirono come segue :

Primo Collegio Coriolano Monti voti 165
Ariodante Fabretti 139
Secondo Collegio Nicola Danzetta 246
Ariodante Fabretti 140

(Cfr. «La Sveglia», n. 14, del 14 novembre 1865).

13) A,S.M.S.P., Elezioni amministrative e politiche.

182) Cfr. C. BruscHI, Per le elezioni amministrative di domani. Discorso,
Perugia, 1874.

133) In occasione delle elezioni del 1882, avendo la legge elettorale esteso
il suffragio universale a tutti coloro che avessero compiuto i ventuno anni
e sapessero leggere e scrivere, la Società operaia svolse un’intensa propa-
ganda, tramite opuscoli e circolari, presso i soci, accordandosi anche con i
notai perugini Mario Lanzi, Agostino Fabiani e Francesco Tei, affinché questi
gratuitamente autenticassero le domande dei soci, ad essere ammessi nelle

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154 ALBERTO GROHMANN

liste elettorali; ciò al fine di far sì che i soci approfittassero « del maggiore
dei diritti che la legge accorda ai liberi cittadini ». (A.S.M.S.P., Elezioni am-
ministrative e politiche, 1882).

193 A.S.M.S.P., Verbali di adunanze generali dal 30 novembre 1876 al 24
novembre 1923. |

135) A.C.d.S., Rapporti dei prefetti, f. 12, Perugia, b. 7, fasc. 46, 17 ot-
tobre 1885.

Anche nel 1884 così il prefetto riferiva a Roma : «
di questa Provincia durante il 2°
soddisfacenti.

Le condizioni politiche
semestre del decorso anno si sono mantenute
A dimostrare la verità di tale asserzione sta principalmente |
il fatto che in tutta la Provincia durante il predetto periodo di tempo non
si è verificato alcun avvenimento che potesse mettere in pericolo l’ordine
pubblico ..... Un certo risveglio si è verificato negli ultimi sei mesi nel
partito repubblicano. Infatti i pochi che lo costituiscono dopo avere preso
parte al Congresso democratico di Bologna, hanno tentato di formare anche
in questa città il così detto Comitato regionale ..... Tutto ben considerato
può dirsi che qua il partito ultra democratico non ha che poca importanza,
e quasi direi che è impotente a seriamente compromettere l’ordine pubblico.

I socialisti poi sono in numero esiguo senza ca

pi che possano o sappiano
dirigerli

dano Il partito clericale si è mantenuto nei limiti legali né ha com-
messo atti da richiamare una speciale attenzione

PAIA. Le Società operaie
del pari si sono mantenute nei limiti del proprio statuto ». (A.C.d.S., Rapporti
Prefetti, f. 12, b. 7, fasc. 46, 26 febbraio 1884).

1?*) ARCH. DI STATO DI BoLogna, Tribunale civile, processo n. 4130, fasc.
V5:20;:f0::35 : Cfr: ^E. SANTARELLI, L’internazionale in Umbria, in «
Umbre », 2-16 aprile 1955 ; E. CONTI, Le orig
1880), Roma, 1950, p. 157.

12?) «Il Comunardo » di Fano, 11 dicembre 1873; «La Plebe » 8 no-
vembre 1873; Cfr. F. DELLA PERUTA, Nuovi documenti sulla internazionale
in Roma, in « Movimento operaio », 1 novembre 1949.

138) «La Plebe», 8 maggio 1877; A.C.d.S., Minist. Grazia e Giustizia,
Miscellanea, b. 37, 19 aprile 1877.

13°) Cfr. E. SANTARELLI, op. cit.

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156 ALBERTO GROHMANN

13 Cfr. A. COMANDINI - A. MontI, L'Italia nei cento anni del secolo
XIX (1801-1900), giorno per giorno illustrata, Milano, 1929, p. 1309.

14) A.C.d.S., Archivio Crispi, fasc. 316. In proposito il giornale « La
Provincia», nel numero del 2 maggio 1890, pubblicava : « Anche Perugia,
come Terni, fu messa in stato d'assedio. Truppe consegnate (...) pattuglie
di carabinieri e agenti di pubblica sicurezza perlustravano le strade. Tuttavia
molti operai si astennero dal lavoro e molte botteghe chiusero i battenti,
specie nei sobborghi (...). In serata gli operai, riuniti nella sede delle rispet-
tive Associazioni votarono il seguente ordine del giorno : Gli operai di Perugia
riuniti la sera del 1° maggio del 1890, facendo plauso alla iniziativa generale
della classe lavoratrice, si rendono solidali con essa e si dichiarano pronti a
partecipare a tutte quelle manifestazioni e a quei movimenti che si reputeranno
utili e necessari per conseguire le rivendicazioni tutte che sono l’obbiettivo della
classe operaia ».

Anche l’anno successivo il 1° maggio si celebra nel medesimo modo a
Perugia. Una Commissione di anarchici, socialisti e repubblicani, fa affiggere
il seguente manifesto : « Cittadini! Temino o disprezzino i privilegiati e gli
egoisti la data del 1° maggio : ai lavoratori, al popolo, sorride consacrazione
dei diritti del lavoro, speranza di giustizia sociale : solenne perché concorde,
simultanea ed armonica la manifestazione — oggi pacifica — afferma la ne-
cessità di una vita umana civile, senza privazioni umilianti e depravatrici,
quale corrispettivo di un lavoro dignitoso, cosciente, adeguato. Rivendica ai
lavoratori il diritto di unire nelle stesse mani produttrici — capitale e la-
voro — ai fini di provvedere alla propria emancipazione . . . » (Cfr. F. ALUNNI
PIERUCCI, op. cit., p. 101).

In effetti, sia quell’anno che i successivi, le aspirazioni degli anarchici
e socialisti perugini andarono deluse, gli operai non si astennero dal lavoro,
o almeno se ne astennero soltanto pochissimi.

142) A. COMANDINI - A. MONTI, op. cit., p. 1311.

144) Ibidem, p. 1334.

14) A.C.d.S., Archivi Crispi, fasc. 598, Sicurezza pubblica.

146) Ibidem.

14?) Cfr. R. MicHELs, Cenni metodologici e bibliografici sulla storia del
movimento operaio italiano, in « Riv. Internazionale di Filosofia del Diritto »,
1933, pp. 18-47; R. TrEvES, La dottrina sansimoniana nel pensiero italiano
del Risorgimento. Contributo alla Storia della filosofia sociale in Italia nella
prima metà del secolo XIX, Ist. giuridico dell'Univ. di Torino, 1931, (in pro-
posito si veda la recensione di C. Curcio, in « Riv. Int. di Filosofia del
Diritto », 1932, pp. 142-143).

. 145) Cfr. G. GALLI, Note sul movimento operaio umbro. I moti del ’98, in
«Cronache Umbre », 17-30 marzo 1955.

149) Cfr. G. GALLI, Sviluppo del movimento operaio, in « Cronache Um-

bre», 31 marzo-13 aprile 1955. L'autore scrive: «(In Umbria) dal 1879 al

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LA SOCIETÀ DI MUTUO SOCCORSO FRA GLI ARTISTI ED OPERAI DI PERUGIA 157

1891 si ebbero 20 scioperi con la partecipazione di 3.225 scioperanti. Gli
scioperi furono frequenti anche negli anni successivi — nel periodo dal 1892
al 1899 se ne ebbero 18 con 3.807 scioperanti — particolarmente nelle aziende
che impiegavano mano d’opera femminile dove più inumano era lo sfrut-
tamento ».

150) A.S.M.S.P., Elezioni amministrative e politiche.

151) Sui primi congressi operai e sulle società che li promosséro, cfr. Le
società operaie di Torino e del Piemonte, sunto storico dal 1850 al 1865, (Ano-
nimo, ma di G. BorranI), Roma, 1883; GIANTOMMASO BECCARIA DA Mow-
povi, Storia delle società di mutuo soccorso d'Europa dalla loro origine fino
ai tempi nostri, Torino, 1867, v. 2; S. BoLDRINI, Brevi cenni intorno ai con-
gressi generali degli operai, Firenze, 1861 ; M. MaccHI, Le associazioni operaie
di mutuo soccorso, in « Rivista contemporanea», 1862, vol. xxvii; G. GIo-
LITO:0p;scit.;;«E:::Rii PAPA;:0psrcili;;-p.::151 'e.segg.

153). Cfr.:iG.. GIOLITO,. 0p. cil., p..38.

153) Cfr. G. MaNACORDA, Il movimento operaio italiano attraverso i suoi
congressi, cit., p. 27 e segg. ; Ip., Il socialismo nella storia d'Italia, Bari, 1966,
p2:69:

154) Ibidem. Vedi anche, Sunti degli atti del terzo Congresso Generale delle
Associazioni Operaie dello Stato tenutosi il 23, 24, 25 novembre 1855 in Ge-
nova, pubblicato originariamente a Genova dalla tipografia di Andrea Mo-
retti e ristampato in « Movimento Operaio», rrr, 14, Milano, dicembre 1950
e gennaio febbraio 1951; D. L. Honowmrrz, op. cit., p. 30.

155) G. MANACORDA, Il movimento operaio italiano attraverso i suoi con-
gressi, cit., p. 38. ;. D. L.. Honowmrzz, op..cit., p. 31.

156) Cfr. A. CHERUBINI, op. cit.

157) Cfr. Sunto degli atti del VIII Congresso generale delle società operaie
italiane, tenutosi il 26, 27, 28 ottobre 1860, in Milano, Milano, 1861.

158) Cfr. Atti del IX Congresso generale, tenuto a Firenze dalle Società
degli artigiani d’Italia nei giorni 27, 28, 29 ottobre 1861, Firenze, 1861.

159) Cfr. G. MANACORDA, Il movimento operaio italiano attraverso i suoi
congressi, cit., p. 55.

169) In proposito, la «Gazzetta dell'Umbria » scrisse: «Noi credevamo
le società operaie capaci di tutelare i loro interessi da per sé, ma siamo pure
d’avviso che non si abbiano a respingere gli uomini agiati disposti a farne
parte e che hanno tempo ed esperienza per adoperarsi a loro vantaggio. Ma
se costoro sono uomini politici, e non l’amore delle classi lavoratrici né lo
zelo filantropico li muove, bensì lo spirito settario e la speranza di farsi sga-
bello delle associazioni di operai per salire, allora è preferibile che gli operai
provveggano da loro ai propri interessi ». (« Gazzetta dell'Umbria », Perugia,
n. 237, 11 ottobre 1861).

161) Cfr. «Gazzetta del popolo di Torino «, Torino, 21 ottobre 1861.

182) La Società aveva proposto al congresso i seguenti quesiti : 1) aumento

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158 ALBERTO GROHMANN

delle mercedi agli operai ; 2) richiesta al Governo affinché le manifatture e
gl altri oggetti ad esso occorrenti fossero esclusivamente affidati a braccia
italiane. (A.S.M.S.P.), Verbali di adunanze particolari e generali dal 1861 al
1867 e di adunanze generali dall'anno 1867 all'anno 1872).

1**) A.S.M.S.P., Congressi. Esposizioni, 1861.

164) Cfr. Atti del Congresso Nazionale fra le Società di mutuo soccorso ita-
liane, (Bologna 28, 29, 30 e 31 ottobre 1877), Bologna, 1878, pp. 179-180.

165) Cfr. Atti del Congresso Nazionale fra le Società di mutuo soccorso ita-
liane, (Bologna 28, 29, 30 e 31 ottobre 1877), Bologna, 1878, pp. 158-159 ;
A.S.M.S.P., Verbali del Consiglio generale dal'anno 1868 all'anno 1878; Ip.,
Congressi. Esposizioni, 1877.

155) A.S.M.S.P., Congressi. Esposizioni, 1880.

16°) «Il Patto di Fratellanza », Rassegna mensile delle Società operaie
di mutuo soccorso e degli Istituti di previdenza in Italia; poi «Rassegna
mensile delle Società operaie di mutuo soccorso e degli Istituti di previdenza
in Italia » ; poi « Monitore degli operai e delle Società operaie di mutuo soc-
corso d'Italia » ; poi « Monitore degli operai e delle Società di mutuo soccorso
e cooperative d'Italia »; poi « Rassegna della Consociazione cooperativa fra
le Società operaie di mutuo soccorso d'Italia »; poi « Cronaca della previ-
denza in Italia e delle Società di mutuo soccorso d'Italia » ; fondato e diretto
da A. Grandi, Roma ; Cfr. Bibliografia del socialismo e del movimento operaio
in Italia, Roma-Torino, 1956, vol. I, periodici, scheda n. 2523, p. 656.

168) Scriveva l’« Avanti»: « Il congresso indetto a Roma, sotto le mo-
deste apparenze di una discussione bandita intorno a soggetti economici, è,
invece, altamente politico, perché tende nullameno che a snaturare il carat-
tere fin qui indipendente delle società dandole mancipio al governo ». E
«Il Secolo » : « Molte società hanno rifiutato di prendervi parte, perché sem-
bra che i promotori..... appartengano a quella scuola che tien lontano
l'operaio dalla vita pubblica... Non deve — soprattutto oggi che ha ac-
quistato il diritto al voto — dimenticare l'operaio ch’egli è anche cittadino

. e le riforme economiche non potrà mai ottenerle da un Parlamento al
quale sia rimasta estranea la sua voce o almeno la sua influenza». (Ctr.
« Avanti», n. 16, 28 agosto 1881; «Il Secolo», 17-18 marzo 1882).

16°) A.S.M.S.P., Congressi. Esposizioni, 1882.

?**) « Elenco delle Società di M. S. esistenti in Umbria fornito dai rispet-
tivi Municipi alla Società di mutuo soccorso fra gli artisti ed operai di Perugia,
avanti il Congresso del 1894.

SPOLETO : Soc. Operaia Luigi Pianciani, Fornai e Maccaronai, Cappellai,
Tipografi, Calzolai, Fabbri ferrai, Muratori e scalpellini, Falegnami, Agri-
cola in S. Giacomo (fraz. di Spoleto), Agricola in Beroide (fraz. di Spoleto) —
SPELLO : Soc. operaia di M. S. (di antica istituzione) — RIETI : Associazione ar-
tigiana di Previdenza, Soc. operaia di M. S., dei Cappellari, dei Calzolai, dei
Fabbriferrai, degli Agricoltori, dei Reduci dell'Esercito, dei Reduci delle patrie

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LA SOCIETÀ DI MUTUO SOCCORSO FRA GLI ARTISTI ED OPERA1 DI PERUGIA 159

battaglie, dei Fornari — NARNI: Soc. di M. S. fra operai, Soc. di M. S. fra
operai (fraz. delle Vigne) — CERRETO DI SPOLETO : Soc. operaia di M. S. —

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CONE : Soc. operaia di mutuo soccorso — Assist : Soc. operaia maschile, Soc. i
operaia femminile, Soc. operaia fra falegnami e muratori (S. Maria degli |
Angeli) — Topi: Soc. operaia, Soc. di M. S. fra calzolai — GuALDO TADINO : |
Soc. operaia di M. S. — PIETRALUNGA : Soc. operaia di M. S. — BEvAGNA :
Soc. operaia — MaGIoNE: Soc. operaia di M. S., Soc. operaia di M. S. (di
Agello), Soc. operaia di M. S. fra i Canottieri di San Feliciano del Lago —
NocERA UMBRA : Associazione monarchica-liberale di M. S., Soc. operaia di
M. S., Soc. Agniola operaia di Gaifana — TARANO : Soc. di Mutuo soccorso —
MoNTEFALCO : Soc. di M. S. fra gli artisti, Soc. di M. S. fra i Reduci delle
patrie battaglie e militi dell'esercito — PANICALE : Soc. di M. S. fra gli operai
1 di Panicale, Soc. di M. S. fra gli operai di Tavernelle — UMBERTIDE : Soc.
operaia di M. S., Soc. dei muratori — Morawo : Soc. di M. S. fra gli operai —
CoLLEVECCHIO : Soc. operaia di M. S. — Poaaro BusTOoNE: Soc. operaia di
M. S. — NonciA : Soc. operaia, Soc. dei calzolai — LaBRO : Soc. operaia di
Labro, Soc. operaia di Colli di Labro — CEsi: Soc. operaia di M. S., Soc.
operaia di M. S. di Portaria — CAMPELLo : Soc. operaia di M. S. — BASTIA:
Soc. di M. S. fra gli operai, agricoltori, artisti e professionisti — STIMIGLIANO :
Soc. di M. S. — ORviETO : Soc. fratelli operai, Soc. di M. S. — CITTÀ DI CA-
STELLO : Soc. patriottica degli operai, Soc. di mutua beneficenza, Soc. dei
Cappellari, Soc. dei Calzolai, Soc. dei Fabbri, Soc. dei Falegnami, Soc. dei
Sarti, Soc. dei Barbieri, Soc. dei Muratori, Soc. dei Fornari, Soc. dei Caffet-
tieri e cuochi, Soc. cooperativa tra i muratori e scalpellini, Soc. dei Reduci

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LUGNANO IN TEVERINA : Soc. operaia di M. S. — TREVI: Soc. di M. S. — | Í

Massa MARTANA : Soc. operaia di M. S. — TORRICELLA SABINA : Soc. operaia WM |

+ di M. S. — MonTOPOLI DI SABINA : Soc. Operaia di M. S. — CANNARA : Soc. | D
| operaia maschile di M. S., Soc. operaia femminile di M. S. — RoccANTICA.: IN. 7
| Soc. operaia di M. S. — SELLANO : Soc. di M. S. — FoLiGno : Soc. di M. S. — aT 1
| SIGILLO : Soc. di M. S., Soc. operaia — ToRRI DI SABINA : Soc. Operaia di nu
M. S. — ACQUASPARTA : Soc. operaia di M. S. fra artisti ed operai — STRON- |

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dall’esercito, Soc. dei Reduci dalle Patrie Battaglie — ScANDRIGLIA : Soc. T
operaia di M. S. — CoLLescipoLi : Soc. di M. S. — VALTOPINA : Soc. operaia
di M. S. — CasrEL GrorcIo : Soc. operaia di M. S. — SANGEMINI: Soc. di
M. S. Patria e Lavoro — CorrEsTATTE: Soc. di M. S. — Fossato DI Vico:

Soc. operaia di M. S. — Torgiano : Soc. di M. S. Conte Alberto Baglioni — MU
MONTELEONE DI SPOLETO : Soc. di M. S. fra gli operai — CALVI DELL'UMBRIA : | M
Soc. di M. S. — ALLERONA : Soc. di M. S. — Cascia : Soc. di M. S. fra gli
operai — MansciANo : Soc. di M. S. fra Reduci dalle Patrie battaglie ed eser- |
cito, Soc. operaia di M. S. (Spina), Soc. operaia di M. S. (Cerqueto) — Tuoro : INIT] ^
Soc. di M. S., Soc. dei Canottieri (Isola Maggiore) — TERNI: Soc. generale Il (B
operaia, Soc. di M. S. tra gli operai della Regia Fabbrica d'armi — FEREN- |»
TILLO : Soc. operaia di M. S. — SALISANO : Soc. operaia di M. S. — Conti- |


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160 ALBERTO GROHMANN

GLIANO : Soc. di M. S., Soc. di M. S. fra i reduci dall'esercito e dalle patrie
battaglie — CONFIGNI : Soc. fra gli operai — PoGGIo MIRTETO : Soc. operaia
di M. S. — DERUTA : Soc. operaia « Giuseppe Garibaldi » — BascHI: Soc.
operaia di M. S. — GuBBIo : Soc. operaia, Soc. fra i muratori, Soc. fra i cal-
zolai, Soc. dei falegnami.

N. B. I dati sono comprensivi dei Comuni facenti parte del circondario
di Rieti. A.S.M.S.P., Congressi. Esposizioni, 1894.

171) A.S.M.S.P., Congressi. Esposizioni, 1894, Comitato direttivo della
federazione regionale; delle Società operaie umbre di mutuo soccorso.

APPENDICE

I — STATUTO DELLA SOCIETÀ DI MUTUO SOCCORSO FRA
GLI ARTISTI ED OPERAI DI PERUGIA. Anno 1861.

TIitoLo 1. NATURA E SCOPO DELLA SOCIETÀ

Art. 1. — Lo Statuto del Regno proclama il diritto di associazione, ed
è sotto la tutela dello Statuto, e per goderne i benefici effetti che venne fon-
data in Perugia una Società, la quale prese il nome di Società di mutuo soc-
corso fra gli artisti ed operai.

Art. 2. — Lo scopo della Società è la fratellanza e il mutuo soccorso
degli artigiani fra di loro, sovvenendo quei Soci che sono resi impotenti al
lavoro da età o da malattia temporanea. Tende inoltre a promuovere l’istru-
zione, la moralità ed il benessere.

TrroLo 2. DISPOSIZIONI GENERALI E FONDAMENTALI

Art. 3. — La Società é rappresentata da un Consiglio generale com-
posto di 30 consiglieri eletti in Assemblea generale dal cui seno elegge due
vice presidenti, un segretario, un vice segretario, un segretario contabile e
un cassiere.

Art. 4. — Ha inoltre una Giunta direttrice che amministra la Società,
una Commissione di visitatori e visitatrici e due Sindaci o revisori di conti.

Art. 5. — Il sigillo della Società è di forma circolare con in mezzo un
trofeo composto coi più comuni strumenti da lavoro ed intorno la leggenda
* Associazione degli artieri fondata in Perugia 1861 ».
LA SOCIETÀ DI MUTUO SOCCORSO FRA GLI ARTISTI ED OPERAI DI PERUGIA 161

Art. 6. — La Società potrà avere una propria bandiera da conservarsi
nella sala delle adunanze, e la porterà con sé quando come corpo, o per mezzo
del Consiglio e della Giunta intervenisse a feste o solennità pubbliche.

Art. 7. — Il giorno primo di marzo di ogni anno si potrà fare la comme-
morazione dell'Istituzione della Società in quel modo che verrà determinato
dalla Giunta; le spese per la medesima saranno sostenute con volontari

contributi.

Art. 8. — Ogni socio promette e si obbliga sul suo onore di osservare
lo Statuto sociale e di condurre una vita operosa e morale.

Art. 9. — I diritti sociali e i vantaggi che da questi derivano non sono
trasferibili né trasmissibili.

Art. 10. — Le somme dovute ai soci dipendentemente dai diritti so-
ciali, non possono andar soggette a sequestro.

Art. 11. — I soci individualmente non hanno responsabilità verso i
terzi. La Società non è tenuta che entro i limiti dei propri averi.

Art. 12. — I terzi che contrattano con la Società, perciò solo e senza
bisogno di patto espresso, soggiacciono alle disposizioni dello Statuto e non
possono impugnarle o violarle.

Art. 13. — La Società può accettare legati e doni purché siano offerti
senza nessuna condizione contraria alle regole della Società e senza lederne

la indipendenza.

Art. 14. — Un socio non può tenere contemporaneamente due uffici.

Art. 15. — Chi rinuncia ad un ufficio dopo averlo accettato, non può
abbandonarlo prima che sia nominato il successore.

Art. 16. — Gli uffici devono essere esercitati gratuitamente.

Art. 17. — Ogni ufficio eccetto quello dei visitatori e visitatrici dura
un anno.

Art. 18. — Chi cessa da un ufficio senza perdere la qualità di socio

può essere rieletto.

Art. 19. — Le deliberazioni del Consiglio generale e quelle della Società
non possono essere impugnate dai soci né formare oggetto di giuridica con-

troversia.

11
162 ALBERTO GROHMANN

TrronLo 3. DEI SOCI LORO DOVERI E LORO DIRITTI

Art. 20. — I Soci sono attivi ed onorari. Potranno esservi dei soci be-
nemeriti.
Art. 21. — Non possono essere ammessi come soci :

a) coloro che furono condannati per delitti infamanti ;

b) coloro che conducono vita notoriamente scostumata ed immorale ;

c) coloro che hanno perduta la pubblica stima ;

d) coloro che vivono questuando ;

e) coloro che all’epoca della domanda di ammissione sono affetti da
infermità o da altro difetto incurabile che li renda inabili al lavoro.

Art. 22. — Si ammettono come soci attivi dall’età di anni 14 ai 50 gli
artigiani, i mestieranti, coloro che prestano l’opera manuale per mercede a
mese o a giornata, gli esercenti professioni libere e i Capi di Negozio i quali
abbiano domicilio in Perugia.

Art. 23. — Potranno essere ammessi come soci attivi anche gli individui
di età maggiore ai 50 anni pagando bensì una tassa di ammissione come alla
tabella.

Art. 24. — Sono ammesse come socie attive anche le donne dai 14 ai
40 anni, purché siano rappresentate di fronte alla Società dai rispettivi Padri,
Mariti o Fratelli o prossimi parenti, non essendo loro concesso di intervenire
alle adunanze.

Art. 25. — Coloro che verranno delegati per la rappresentanza che so-
pra, non avranno voto deliberativo che nelle domande che faranno alla So-
cietà o alla Giunta nell’interesse delle loro rappresentate.

Art. 26. — Il socio attivo che dopo la sua ammissione muta domicilio
ha l’obbligo di darne notizia al Presidente.

Art. 27. — Tutti i cittadini indistintamente i quali mostrano interesse
e sollecitudine per la sorte degli operai e concorrono a provvedere ai loro
bisogni con doni pecuniari e pagamento dei rispettivi contributi, sono soci
onorari.

Art. 28. — Per essere ammessi come soci attivi è necessario :

a) farne domanda in iscritto alla Giunta direttrice in cui sia indicato
l'età, il domicilio reale, le condizioni domestiche o stato di famiglia, e tutte
le altre qualità del richiedente, ovvero essere proposto da due soci confermanti
le qualità che sopra ;

b) unire alla domanda la fede di nascita e un certificato medico di
buona salute ;

c) essere approvati dalla Giunta medesima la quale non ostante la
LA SOCIETÀ DI MUTUO SOCCORSO FRA GLI ARTISTI ED OPERAI DI PERUGIA 163

esibizione del certificato medico può far visitare il postulante dal medico
della società, o richiedere il certificato del medesimo.

Art. 29. — Per essere ammessi come soci onorari basta una domanda
anche verbale, la notoria moralità, e una deliberazione della Giunta direttrice.

Art. 30. — Per essere ascritti alla Società come benemeriti è necessario
il voto dei soci attivi riuniti in assemblea generale.

Art. 31. — I soci attivi pagheranno una tassa di entrata e una tassa
settimanale.
Art. 32. — I soci onorari non pagano tassa d’ammissione e i loro con-

tributi mensili sono facoltativi, non intendendo di porre un limite alla filan-
tropia di quei cittadini che vogliono interessarsi per il bene degli operai.
Per questa classe di soci, sia dell’uno che dell’altro sesso non viene deter-
minata l’età per essere ammessi non partecipando a quei vantaggi materiali
cui hanno diritto i soci attivi solamente.

Art. 33. — Quel socio o socia onorari, che per sopraggiunte strettezze
economiche, si trovassero bisognosi di soccorso, quando da dieci anni faccian
parte della Società dietro loro dimanda possono esservi iscritti come soci
attivi senz'obbligo della tassa d’entratura, assoggettandosi tuttavia per l'am-
missione alle norme richieste per l’assunzione dei soci attivi. Nel caso di
ammissione avrà i diritti corrispondenti al tempo in cui fecer parte della
Società come soci onorari.

Art. 34. — I soci attivi per tassa settimanale pagano, se uomini cen-
tesimi 15, se donne centesimi 10 ; per l’entratura tasse diverse secondo quanto.
viene dichiarato qui sotto :

TASSA DI ENTRATURA PER GLI UOMINI

Dagli anni 31 ai 35 compiti pagano I
36 ai 40 » 2
41 ai 45 » 4
46 ai 50 » 06

Indi aumenterà in ragione di L. 2 per ogni anno di maggior età ; cioè °°

Dagli anni 50 ai 51 compiti pagano I4 8

51 ai 52 » 10
52 ai 53 » 12
53 ai 54 » 14
54 ai 55 » 16
55 ai 56 » 18
56 ai 57 » 20
57 ai 58 » 22
58 ai 59 » 24
59 ai 60 » 26

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164 ALBERTO GROHMANN

TASSA DI ENTRATURA PER LE DONNE

Dagli anni 20 ai 25 compiti pagano Iw
26 ai 30 i2
31 ai 35 ESS
36 ai 40 » 4
Art. 35. — La Società in assemblea generale potrà portare la tassa

settimanale a cent. 20 per gli uomini e a cent. 15 per le donne qualora circo-
stanze straordinarie lo richiedano.

Art. 36. — Le tasse di entratura vengono pagate o nell’atto dell’iscri-
zione sul ruolo dei soci o in eguali rate mensili entro un anno da dichiararsi
in antecedenza perché venga notato nel rispettivo libretto.

Art. 37. — Le tasse settimanali sono pagabili posticipatamente, e pos-
sono essere pagate anche mensilmente anticipate nella prima settimana del
mese. Colui però che entra nella Società a mese incominciato paga alla fine
del mese la tassa intera.

Art. 38. — I soci attivi

a) hanno diritto ad un mese di sussidio giornaliero in caso di malattia
che li renda inabili al lavoro per più di tre giorni.

Per le infermità che nella loro durata non eccedono tre intere giornate
non vi è diritto al sussidio, giacché il sussidio principia sempre a decorrere
dopo il terzo giorno da quello in cui dichiara il medico aver avuto principio
la malattia. Hanno diritto al sussidio di L. 5 per una sola volta le socie at-
tive in istato di puerperio legittimo e constatato dal medico mentre le malattie
originate dal parto non danno diritto al sussidio che 10 giorno dopo il parto
stesso.

b) Quelli che per vecchiezza sono inabili al lavoro e che da 10 anni
facciano parte della Società, hanno diritto ad un sussidio in quella misura
che sarà consentita dal fondo a quest’uopo specialmente assegnato e da de-
terminarsi dall'Assemblea generale sulla proposta della Giunta direttrice.

Art. 39. — I soci onorari e benemeriti hanno diritto ad intervenire alle
fl adunanze e prender parte alle discussioni, ma non possono dar voto deli-
B berativo.

Con tutto ció godono del voto deliberativo, quando faccian parte di
qualche commissione.

Art. 40. — Il soccorso non è dovuto al socio attivo se non che decorsi
sei mesi dal giorno della sua iscrizione nel numero dei soci, e per le socie at-
Hl n tive dopo un anno.

Art. 41. — Non hanno diritto al soccorso :
a) Le malattie derivanti dall'abuso del vino, dei liquori, o da risse
provocate, o da malattie acquisite dalle medesime.

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LA SOCIETÀ DI MUTUO SOCCORSO FRA GLI ARTISTI ED OPERAI DI PERUGIA 165

b) Le malattie d'utero ripetute per la 2% volta perché allora saranno
considerate come malattie croniche.

c) Le semplici malattie di mestruazione.

d) La malattia che riveste il carattere di cronicismo dichiarato dal
medico.

e) L’arresto al pagamento settimanale o alle rate della tassa d’ammis-

sione.

Art. 42. — La durata del soccorso giornaliero non può oltrepassare i
quattro mesi continui e non può eccedere la misura seguente : nei primi due
mesi, per gli uomini una lira al giorno, per le donne centesimi 60 al giorno.
Negli altri due mesi la metà delle somme suddette.

Art. 43. — Il socio che, reso inabile al lavoro, viene ammesso a parte-
cipare di un sussidio temporaneo a seconda dei mezzi di cui può disporre la
Società, non ha diritto al soccorso in caso di malattia, durante il sussidio
sovraindicato.

Art. 44. — Il socio sorpreso da malattia dovrà farne consapevole il
proprio decurione il quale staccherà un biglietto di chiamata per il medico,
e dove sia assente dal domicilio o sivvero lo abbia trasportato fuori del limite
territoriale dovrà far consapevole la Giunta dentro 10 giorni.

Art. 45. — In quest’ultimo caso dovrà inviare al Presidente un certi-
ficato del medico curante, autenticato dalla firma del sindaco del luogo, in
cui trovasi occasionalmente, o in cui dimora, e se in quel luogo esistesse una
società operaia il certificato sia vidimato anche dal presidente della medesima.

Art. 46. — Sono sospesi dall’esercizio dei diritti sociali, e sono dispen-

sati dal pagamento delle tasse settimanali o mensili e dall’onere degli uffici :

a) I soci che prestano servizio militare coatto.

b) I soci che prestano servizio di distaccamento fuori del proprio co-
mune come Guardie nazionali.

c) I soci chiamati a far parte della Guardia Nazionale mobile.

d) I soci che partiranno volontari per la difesa dell'indipendenza e
della libertà d'Italia.

Art. 47. — Cessato il servizio militare i soci suddetti riprendono l'eser-
cizio dei diritti e dei doveri sociali, purché non vi siano esclusi pel disposto
dell'art. 21.

Art. 48. — Il socio arretrato di due mesi al pagamento delle tasse set-
timanali, rimane sospeso dall'esercizio di ogni diritto sociale e la sospensione
non cessa fintanto che non abbia pagato il suo debito. Se continua nella mora
fino a 4 mesi compiti perde irremissibilmente la qualità di socio.

Art. 49. — Chi abbia perduto la qualità di socio pel motivo indicato

nell'art. precedente non puó essere riammesso nella Società che come nuovo ,

ammesso.
166 ALBERTO GROHMANN

Art. 50 — La qualità di socio si perde :
a) Per i motivi che a tenore dell’art. 21 impediscono di acquistarla,
b) Per mora al pagamento delle tasse come è stabilito all’art. 48.
c) Simulando una malattia, o l'impotenza al lavoro, e così giungendo
con frode a lucrare una somma qualunque a danno della società a titolo di
sussidio.

Art. 51. — 1) Perdendo la qualifica di socio per i motivi accennati
nell’art. precedente, paragrafi 1° e 3°, non si potrà essere cancellato dai ruoli
della Società che per giudizio di 12 soci giudici di fatto sulla domanda o del
consiglio generale o della commissione dei visitatori i pei dovran fare tale
dimanda al presidente della società.

2) Il presidente estrae a sorte alla presenza del consiglio di direzione
il nome di 12 soci aventi l'età di anni 30 almeno. Questi giudici di fatto de-
vono essere tosto radunati, affinché sul loro onore e scienza, decidano se il
socio stato denunciato debba essere cancellato dai ruoli della società, oppure
debba esservi conservato.

3) I giudici di fatto potranno a maggioranza di due terzi dei presenti
dichiararsi favorevoli o no per la cancellazione. Essi deliberano sul rapporto
del presidente, in seguito, e senza scritti,

4) Il presidente appena estratti i nomi dei giudici di fatto, li notifica
al socio denunciato, il quale ha diritto di rifiutarne fino a 6. In questo caso
il presidente riempie il posto dei rifiutati con una seconda estrazione a sorte
che sarà decisiva.

9) Quando risulti del ravvedimento di un socio cancellato dai ruoli,
la direzione, sopra favorevole giudizio dei centurioni e decurioni, potrà riam-
metterlo sempre però come nuovo socio ammesso.

Art. 52. — Chiunque cessa per qualsivoglia motivo di far parte della
Società, non ha diritto ad ottenere la restituzione delle somme pagate.

TitoLo 5. DELLE DECURIE E CENTURIE
Art. 53. — I soci attivi sono ripartiti in decurie e centurie.

Art. 54. — Le decurie e le centurie saranno costituite dalla Giunta
direttrice con soci abitanti il più possibile nello stesso rione.

Art. 55. — La nomina dei centurioni e decurioni si farà dalla stessa
Giunta, qualora il Consiglio generale non decreti che vengano dopo il primo
riparto formati per estrazione a sorte dalla Giunta in presenza del Consiglio.
In tal caso il numero degli estratti sarà sempre superiore di 10 per ciascuna
decuria e tra questi la Giunta sceglierà coloro che crederà più idonei al disim-
pegno di tale ufficio.

I centurioni esigono i contributi mensili raccolti dai decurioni delle ri-
spettive centurie, ne rilasciano quietanza e ne fanno il versamento al teso-
riere sociale il giorno 10 di ogni mese. Invigilano sui bisogni e sulla condotta
up

LA SOCIETÀ DI MUTUO SOCCORSO FRA GLI ARTISTI ED OPERAI DI PERUGIA 167

dei soci appartenenti alla loro centuria, visitano gli ammalati e vidimano
le bollette di chiamata inviategli dai decurioni.

Art. 56. — I decurioni esigono i contributi settimanali e mensili dai
membri delle rispettive decurie, ne rilasciano quietanza, ne fanno il versa-
mento al centurione nei primi 8 giorni di ogni mese e riferiscono al segre-
tario della società ogni qual volta avvenga la morte di qualche socio.

Art. 57. — I decurioni e centurioni restano in carica un anno, possono
sempre essere rieletti.

TiroLo 5. ASSEMBLEA GENERALE

Art. 58. — L'Assemblea generale é il potere costituente della società
ed é composta di tutti i soci addetti alla medesima.

Art. 59. — Essa si raduna di pien diritto ordinariamente ogni sei mesi,
e straordinariamente quando il Presidente lo crede opportuno o il Consiglio
generale lo deliberi a maggioranza di voti.

Art. 60. — Per la legalità delle adunanze si richiede qualunque numero
dei soci presenti attivi.

Art. 61. — Spetta all'Assemblea generale :

a) La nomina del Presidente della Società.

b) La nomina del Consiglio generale. :

c) Le variazioni dello Statuto, o regolamenti o modificazioni proposti
dalla Giunta e dal Consiglio generale.

d) Tutto ció che attenga al miglioramento morale ed alla prosperità
economica della Società. Tuttavia nessuna proposta potrà essere discussa e
messa ai voti se non annunziata nell'ordine del giorno.

e) Le adunanze ordinarie e straordinarie sono convocate per mezzo
di avvisi a stampa affissi nei luoghi piü frequentati della città ove siano
indicati gli oggetti di cui si tratta. Ció si farà tre giorni avanti a quello del-
l'adunanza e con biglietto a stampa diramato dai decurioni ove si contenga
lindicazione di sopra accennata. Per le adunanze straordinarie é necessario
inoltre un invito da consegnarsi al domicilio di ciascun decurione, nel quale
sia dichiarato lo scopo della riunione. I partiti nelle Adunanze generali sono
vinti a maggioranza di voti.

Art. 62. — Le votazioni non possono aver luogo per acclamazione.

TrroLo 6. DEL CONSIGLIO GENERALE

Art. 63. — Il Consiglio generale rappresenta la Società ed è il potere
deliberante della medesima. Esso si compone di 30 consiglieri eletti nel seno
della Società.

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168 ALBERTO GROHMANN

Art. 64. — Le elezioni dei consiglieri si fanno dai soci attivi riuniti in
Assemblea generale.

Art. 65. — Il diritto elettorale è personale.

Art. 66. — Nessun elettore puó farsi rappresentare né mandare il suo
voto per iscritto.

Art. 67. — Le elezioni si fanno per schede segrete.

Art. 68. — I consiglieri eletti restano in carica due anni, ma alla fine del
primo anno si estrarranno a sorte 15 consiglieri per sortire, i quali non pos-
sono essere rieletti che dopo un anno, e tal condizione resta pure per coloro
che negli anni successivi sortono per anzianità.

Art. 69. — Nella prima seduta il Consiglio generale presieduto dal Pre-
sidente eletto dall'Assemblea generale, elegge dal suo seno due Vice-presi-
denti, un Segretario, un Vice-segretario, un Segretario contabile ed un Cas-
siere.

Art. 70. — Il Presidente della Società è anche presidente del Consiglio
generale.

Art. 71. — Le adunanze del Consiglio generale non sono valide se non
v'intervenga almeno la metà di coloro ond'é composto.

Art. 72. — Il Consiglio si riunisce la prima domenica di ogni trimestre
ed anche piü spesso dove sia necessario. Delibera senza appello sulla espul-
sione dei soci, quando ció debba avvenire per le cause considerate all'art. 48,
e nella prima adunanza generale dà notizia delle sue decisioni alla Società.

Art. 73. — Il Consiglio
a) Nomina il medico e gli inservienti e stabilisce lo stipendio di questi.

b) Stabilisce le norme disciplinari per entrare nella sala delle adunanze
generali, e prender parte alle discussioni e alle votazioni.

c) Delibera intorno al bilancio presuntivo dell’annata proposto dalla
Giunta direttrice, e intorno al bilancio consuntivo compilato da essa, al fine
di proporli all'approvazione della Società.

d) Stanzia le spese di ordinaria amministrazione.

e) Propone l'abrogazione di qualche articolo dello Statuto le aggiunte
e le modificazioni di cui gli sembri meritevole.

f) Delibera intorno a tutte le altre cose che toccano gli interessi so-
ciali, ancorché non indicate espressamente, purché non siano affidate dallo
Statuto a qualche commissione od a qualche ufficiale particolarmente.

— 7 "Uam
LA SOCIETÀ DI MUTUO SOCCORSO FRA GLI ARTISTI ED OPERAI DI PERUGIA 169

TiroLo 7. DELLA GIUNTA DIRETTRICE

Art. 74. — La Giunta direttrice essendo l'amministratrice della Società
sorveglia gli interessi sociali e contrassegna tutti i mandati di pagamento.

Art. 75. — Essa si compone di n. 9 consiglieri eletti dal Consiglio generale
nella sua prima seduta d’ogni anno e nel proprio seno.

Art. 76. — I consiglieri eletti possono restare in carica due anni qualora
non debbano sortire dal Consiglio generale come all’art. 68.

Art. 77. — È dovere strettissimo del consigliere di assistere a tutte le
adunanze, ed in caso di legittimo impedimento sarà tenuto darne avviso
verbale o per iscritto al Presidente in tempo debito.

Art. 78. — Ogni consigliere che per la terza volta sarà trovato mancante
all’adunanza del Consiglio generale o della Giunta direttrice, senza legittimo
impedimento, sarà considerato decaduto dalla medesima qualità.

Art. 79. — Nella prima seduta la Giunta elegge dal suo seno un direttore
e 2 vice direttori.

Art. 80. — Fanno parte della Giunta anche il segretario, il contabile ed
il cassiere.

Art. 81. — Le adunanze della Giunta non sono valide se non v'inter-
vengono almeno la metà di coloro ond'é composta.

Art. 82. — La Giunta si riunisce ogni 15 giorni ed anche piü spesso dove
sia necessario.

Art. 83. — La Giunta direttrice

a) Propone al Consiglio la quantità della cauzione che deve dare il
cassiere.

b) Sospende provvisoriamente il medico e gli inservienti. Stabilisce
apposite convenzioni coi nominati impiegati pei rispettivi obblighi.

c) Ordina il riscontro della cassa tutte le volte che lo stimi opportuno.

d) Delibera intorno all'ammissione sospensione e riammissione dei soci.

e) Delibera intorno alla concessione dei sussidi e alla quantità di essi.

f) Nomina i decurioni e i centurioni qualora il Consiglio generale non
decreti doversi fare per scrutinio segreto dall'Assemblea generale.

g) Delibera intorno a tutte le altre cose risguardanti l'amministra-
zione dei fondi e contributi sociali, ancorché non indicate espressamente,
purché non siano affidate al Consiglio e all'Assemblea generale dallo Statuto.

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170 ALBERTO GROHMANN

TItoLo 8. DEL PRESIDENTE

Art. 84. — Il Presidente

a) Rappresenta la Società dirimpetto ai terzi tanto in giudizio, quan-
to fuori giudizio.

b) Vigila all'adempimento dei doveri degli ufficiali e degli inservienti
della Società.

c) Convoca ordinariamente e straordinariamente, tanto la Società,
quanto il Consiglio generale.

d) Presiede le adunanze della Società e del Consiglio.

e) Concede e toglie la parola agli oratori, regola la discussione, prov-
vede alla conservazione dell'ordine e del decoro della Società.

f) Firma le deliberazioni della Società e del Consiglio e le significa a
coloro a cui interessa.

g) Autentica colla propria firma la copia degli atti della Società.

. Art. 85. — La convocazione dei soci in Assemblea generale é obbliga-
toria per il Presidente, quando sia richiesta da venti soci attivi almeno, con
istanza scritta in cui ne siano dichiarati i motivi e lo scopo.

Art. 86. — La convocazione del Consiglio é parimenti obbligatoria,
quando sia domandata da tre almeno fra gli individui che lo compongono
con istanza avente le forme suddette.

Trroro 9. DEI VICE PRESIDENTI

Art. 87. — Il Vice-presidente più anziano esercita tutti i poteri del Pre-
sidente nel caso della di lui assenza o impotenza.

TrroLo 10. DEL SEGRETARIO

Art. 88. — Il Segretario :

a) Tiene un libro in cui registra il nome, il cognome, il domicilio,
l'età, la professione, il numero d'ordine di tutti i soci, e più particolarmente
di quelli attivi, il giorno in cui per morte o per altro motivo cessano di far
parte della Società ; l'elenco degli ufficiali e degli inservienti della Società.

b) Tiene la corrispondenza epistolare.

c) Firma gli inviti per le adunanze.

d) Riceve qualunque carta gli venga presentata, e che abbia rela-
zione a cose sociali, vi nota il giorno della esibizione e il nome della persona
che la fa.

e) Assiste alle adunanze della Società e a quelle del Consiglio e della
Giunta con voto deliberativo ; distende i processi verbali e li firma dopo il
presidente direttore.

f) Conserva i libri e i registri e generalmente tutte le carte dell’archivio
sociale.
LA SOCIETÀ DI MUTUO SOCCORSO FRA GLI ARTISTI ED OPERAI DI PERUGIA 171

TiroLo 11. DEL VICE-SEGRETARIO

Art. 89. — Il Vice-segretario adempie a tutte le ingerenze del Segretario
nel caso di mancanza od impotenza di questo ultimo.

TrroLo 12. DEL CASSIERE

Art. 90. — Il Cassiere è obbligato a prestar cauzione per la somma che
viene stabilita dalla Giunta. Questa per motivi di moralità e solvibilità notori
può dispensarlo dalla cauzione.

Art. 91. — Il Cassiere
a) Riceve e custodisce il denaro e i documenti di credito della Società.

b) Riscuote i crediti della Società, le tasse dei soci dai centurioni e
ne fa ricevuta.

c) Soddisfa i mandati di pagamento fatti dal contabile e firmati dal
presidente o direttore, e ne ottiene quietanza.

d) Tiene regolarmente un giornale di entrata e di uscita.

e) Significa alla Giunta direttrice e al Consiglio il nome dei soci mo-
rosi al pagamento di un bimestre e di un quadrimestre di tasse per gli effetti
stabiliti.

f) Presenta al Consiglio e alla Giunta un prospetto che mostri le con-
dizioni della cassa in tutte le sedute di ogni fin di mese.

g) Si presta al riscontro della cassa tutte le volte che gli venga or-

dinato dal direttore o dal presidente.

Art. 92. — Dove il cassiere non paghi i sussidi giorno per giorno, non
potrà mai pagarli per più di 2 giorni in una sola volta, e i sussidi per un tempo

maggiore di 5 giorni.

TiroLo 13. DEL SEGRETARIO CONTABILE

Art. 93. — Il Segretario contabile

a) Compila il bilancio preventivo intorno a cui deve deliberare il
Consiglio.

b) Esegue le deliberazioni del Consiglio.

c) Stacca i mandati di entrata e uscita compresi quelli relativi a sus-
sidi.

d) Tiene regolare scrittura.

e) Presenta al Consiglio il rendiconto della gestione passata, affinché
venga sottoposto all'approvazione della Società.

f) Fa qualunque altro atto proprio di un ragioniere, per quanto non
indicato espressamente, purché dallo Statuto o dal Consiglio non sia com-

messo ad altra persona.

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172 ALBERTO GROHMANN

TrroLo 14. DEI VISITATORI E DELLE VISITATRICI

Art. 94. — Le Commissioni di visitatori e visitatrici sono composte dei

decurioni o decurione di ogni Centuria presieduta dal rispettivo centurione o
centuriona.

Art. 95. — I visitatori e le visitatrici

a) Si recano al domicilio degli ammalati e di coloro che domandano
sussidio, quante volte sia creduto opportuno, e scrupolosamente s’informano
delle condizioni sia finanziarie che economiche della famiglia di coloro che
domandano sussidi straordinari ed ordinari.

b) Notano con diligenza tutte le particolarità da cui sorga sospetto
di simulazione di malattia o di impotenza al lavoro per parte dei soci o delle
socie.

c) Prendono notizia delle condizioni di salute di questi e di quelle.

d) Riferiscono in voce alla Giunta direttrice il risultato delle inda-

gini fatte, propongono la concessione o il ritiuto del sussidio o della pen-
sione.

Art. 96. — Dietro invito della Giunta o del Presidente sono obbligati
a presentarsi nella sala della Società per conferire con quella o col Consiglio.

TiroLo 15. DEGLI INSERVIENTI

Art. 97. — Il numero, l’ufficio, e lo stipendio degli inservienti sono pro-
posti dalla Giunta e approvati dal Consiglio.

TiroLo 16. DEL MEDICO

Art. 98. — Il medico

a) Verifica lo stato della malattia del socio o socia dietro richiesta
dei medesimi o dei decurioni e centurioni.

b) Spedisce i certificati di malattia sulla richiesta tanto dei soci ma-
lati quanto della Giunta e dei visitatori, dichiarando nel certificato la natura
della malattia.

c) Rende avvisata la Giunta allorché verifica che in qualche modo
si tenta dal socio o socia di simulare o protrarre la malattia.

Art. 99. — I reclami dei soci o dei visitatori contro il medico saranno
indirizzati in iscritto alla Giunta direttrice.

TiroLo 17. DEI FONDI SOCIALI
Art. 100. — Gli introiti ordinari, cioè quelli procedenti da contributi

dei soci effettivi, sono impiegati nelle spese d’amministrazione e nei soccorsi
ordinari in causa di malattia e di parto previsti.

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RITI EIS a a aa n LA SOCIETÀ DI MUTUO SOCCORSO FRA GLI ARTISTI ED OPERAI DI PERUGIA 173

Art. 101. — Gli introiti straordinari, cioè contributi d’ingresso e mensili
dei soci onorari e donazioni non vincolate servono a costituire il patrimonio
sociale. Questo fondo non potrà esser toccato se non per evenienze straordi-
narie e dietro espressa deliberazione dell’adunanza generale.

Art. 102. — Pei primi 12 anni i frutti dsl patrimonio sociale vanno in
aumento del patrimonio stesso, e dopo il 12° anno di esistenza della Società
cioè a tutto il 1873 vanno invece impiegati in soccorsi per vecchiaia o disgra-
zie straordinarie.

Art. 103. — Il danaro che in seguito all’approvazione del conto consun-
tivo viene passato al patrimonio sociale, dovrà versarsi nella Cassa dei Ri-
sparmi a nome della Società, purché sian sempre in vigore le condizioni già
esistenti fin dal primo versamento fra la Cassa e la Società.

Art. 105. — Nel deposito, verrà particolarmente indicato che non può
essere il denaro restituito senza speciale autorizzazione del Consiglio, quando
il ritiro oltrepassi la somma di L. 200.

La Società non potrà mai sciogliersi spontaneamente, né allo scopo di
dividere fra i soci il patrimonio sociale. Nel caso di legale scioglimento i fondi
della Società passeranno ad uno degli istituti di beneficenza stabilito in ge-
nerale adunanza. Coll'espressa riserva però che tolto l'impedimento alla vita
civile dell'associazione, debba quello degli stabilimenti designato restituire
integralmente i fondi che gli pervennero.

Art. 105. — Si redigerà un inventario della sostanza sociale firmato
dalla Giunta, sul quale s'iscriveranno tutte le modificazioni che avessero ad
occorrere. Al principio di ogni anno, mediante protocollo scritto sullo stesso
libro inventario, la Giunta che scade, consegnerà la sostanza della Società
alla Giunta che entra in carica.

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Incassate da n. 826 soci attivi
Tassa d'ammissione a carico di soci superiori agli anni 50
Incassate da n. 150 soci onorari
per aumento di moneta
per vendita libretti del regolamento della Società
per sussidi elargiti da corpi morali

Frutti capitalizzati per depositi fatti alla Cassa di Risparmio

Totale incassi

3.272,55
197,16
975,15
199,21
117,85
846,04

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LA SOCIETÀ DI MUTUO SOCCORSO FRA GLI ARTISTI ED OPERAI DI PERUGIA 175

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55 1 Spese impianto ed amministrazione L. 609,82
16 2 Spese di viaggio del Presidente al IX Congresso di Firenze » 78 [.
i; 3 Perdita per varietà di moneta sulle riscossioni dei soci onorari ) 4 Da
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21 BE Spese per acquisto di mobilio ED 88,27 1 |
85 5 Spese per assegnamenti mensili al bidello » 314,94 M
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il B Sussidi pagati a soci ammalati dal 6 settembre al 31 dicembre » 1.089,32 È
7 7 Regalie e gratificazioni D 101,28 | È
il |
Totale pagamenti » 2.285,63 | | I
|.
Rimanenza di cassa » 3.364,09 | [.
79 Totale a pareggio » 5.649,72 Il [:
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176

ALBERTO GROHMANN

Bilancio dell'eseri

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Titoli ATTIVO Somme 1
itoli
1 Ammontare dei contributi settimanali di n. 637 soci T 4.389,10 |
1
Ammontare di riscossioni fatte in conto arretrati 1864 L. 423,92
Ammontare di quote pagate per tasse d'ammissione L. 22,—
Vendita di n. 215 libretti del nuovo Statuto L. 27,33 4.8025
2 Ammontare del contributo mensile pagato da n. 59 Soci 2
onorari L: 1.090
3 Doni fatti alla Società dalla Banca Nazionale L. 50
Doni fatti alla Società dal Municipio L. 200 3
Doni fatti alla Società dal Presidente della Società, Sig. i
Leone Mencarelli L. 50 300 |
|
4
4 Ammontare di due rappresentazioni fatte in pubblici teatri j
a vantaggio della Società T5 1.017,
5 Capitalizzazioni degli interessi sui depositi alla Cassa di
Risparmio L. 249,97 5
Credito per n. 422 libretti venduti ai Soci L. 48,50
Libretti in essere da vendersi L. 325,—
Stampati L. 144,97
Utile sulla vendita dei libretti L. 40,83 809,2
Totale attivo L. 8.085
LA SOCIETÀ DI MUTUO SOCCORSO FRA GLI ARTISTI ED OPERAI DI PERUGIA 177 È
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1 Sussidi pagati a n. 121 soci malati L. 4.102 | Si
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Sussidi straordinari T5 180 j | 1 |
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Offerta in favore dei danneggiati dal colera di Ancona | È
4.8625 e S. Severo I; 100 4.382. | I-
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2 Gratificazione al chirurgo della Società L. 232,80 .
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uc Regalie L 28,15 |
Gratificazione accordata al bidello TRE 11,40. 272,35
3 Salario del bidello della Società I° 383,04
M Fitto della sala da maturarsi a tutto giugno 1866 15 25 408,04 | | y
300 | | ————— | p^
4 Spese per stampa del nuovo Statuto I5; 260,49 M |
1.017,1 Spese varie L 173,45 ill |
Il
Acquisto di un lume a petrolio L. 8 441,94 |
5 Crediti inesigibili sui soci morosi del 1864 L. 332,76 I | e
Consumo di stampati L 38,03
Consumo di mobilio D: 9,11
Consumo di olio del 1864 L. 14 393,90 |
|
809,2 I
{ Totale passivo L. 5.898,23 |
Saldo L. 2.187,03 I
Ii
Totale a pareggio
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178 ALBERTO GROHMANN
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Bilancio d eserdibr ]*c
Titoli ATTI Vo Somme Pitoli
1 Capitali attivi esistenti al 1° gennaio 1900 1
AN
Valore del fabbricato sociale T 20.500 (|
Banca di Perugia - somme in deposito D 26.5750] 2
Valori pubblici ’ 13.024 |
Crediti diversi » 9.79855
Valori diversi » 7.3504
2 Rendite e sopravvenienze attive
Sopravvenienze attive : » 9394 | 2
Rendite ordinarie : Contribuzione dei soci effettivi » 14.5764)
Interesse sui capitali sociali » 1.259,92
Pigioni del fabbricato sociale , 1.775. ] à
Contribuzione dei soci onorari » 1.041,20
Biblioteca » 100,25
Rimborso dalla sezione vecchiaia » 160
Rimborso dalla sezione vedove ed orfani » 20 ]
Rendite straordinarie : Tasse d'ammissione » 565
Elargizioni Banco di Perugia » 1.000 |
il
» Nobile Collegio del Cambio » 100 |
» Banca Popolare » 100
» Varie » 88,40
3 Movimento di capitali » 13.493,91
Aumento di capitali delle Sezioni: Inabili al lavoro D 1.859,8f
Vedove e orfani » 446,2
Totale attivo » 114.794,4
NUUS 2 eserdzior l’anno 1900

LA SOCIETÀ DI MUTUO SOCCORSO FRA GLI ARTISTI ED OPERAI DI PERUGIA 179

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Somme \itoli

3.493,91
1.859,8ff 4

446,2

PASSIVO

Somme

Capitali passivi esistenti il 1° gennaio 1900
Fondo residui per la Ditta esterna e tabelle
Fondo per rimborso n. 130 cartelle della tombola
C/C con la Banca di Perugia

Fondo a disposizione della Sezione vedove e orfani

Fondo a disposizione per le azioni del forno cooperativo

Credito degli azionisti della Cassa Risparmi
Credito degli inquilini per pigioni anticipate

Sopravvenienze passive

Somme ritenute inesigibili per contribuzioni soci effettivi

Somme ritenute inesigibili per tasse soci effettivi

Somme ritenute inesigibili per contribuzione soci onorari

Spese dell'anno 1900

Ordinarie : Sussidi ordinari ai soci effettivi
Sussidi alla Sezione vedove e orfani
Sussidi alla Sezione Inabili al lavoro

Spese di amministrazione

Straordinarie : sussidi straordinari

Varie

Spese eventuali

Quote depennate per somme inesigibili su contributi soci effettivi

Quote depennate per somme inesigibili su contributi soci onorari

Quote depennate per somme inesigibili su tasse d'ammissione

Ammortamento

Movimento di capitali

Totale passivo

Totale pareggio

176,45
78
10.000
145,72
400
179,89
66,84

464,35
155,30
14

11.214,75
150
2.200

4.137,58
261

841,85

372,10
10
1.262,85
59
1.567,18

13.493,91

68.875,54

45.918,92

114.794,46

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INDICE DELLE TABELLE

Contributi ordinari e straordinari versati alla So-
cietà di mutuo soccorso fra gli artisti ed operai di
Perugia, dal 1861 al 1865, in lire.

Entrate ed uscite sociali, dal 1861 al 1865, in lire.

Numero dei soci iscritti dal 1861 al 1865.
Popolazione del Comune di Perugia nel 1861.
Numero dei soci iscritti dal 1866 al 1887.
Riscossioni, erogazioni, capitale sociale della So-
cietà di mutuo soccorso fra gli artisti ed operai di Pe-
rugia, dal 1865 al 1887, in lire. ; :
Società cooperativa di consumo di Perugia - reso-
conto dell'esercizio 1874 . 3 :
Società cooperativa di consumo di dei - situa-
zione contabile al 31 dicembre 1874. i
Numero ed ammontare dei sussidi per malattia
erogati dal 1876 al 1887 :

Numero delle società di mutuo soccorso ricono-
sciute giuridicamente dal 1886 al 1904 .
Riscossioni, erogazioni, capitale sociale della So-
cietà di mutuo soccorso fra gli artisti ed operai di Pe-
rugia, dal 1887 al 1900, in lire .

Numero dei sussidiati per malattia dal 1887 al
1898

Movimento statistico dei soci dal 1887 8 1898
Sezione vedove ed orfani

Sezione inabili al lavoro . ? è ;
Sezione Cassa Hisparmi - conto delle rendite e
delle spese, dal 1887 al 1893 . :
Sezione Cassa Risparmi - stato dei capitali, dal
1887 al 1893 ; :
Cantina sociale - conto delle vendite e dale spese
dal 24 ottobre 1889 al 10 novembre 1891.
Cantina sociale - stato dei capitali dal 24 otto-
bre 1889 al 10 novembre 1891 : ;
Numero ed ammontare dei sussidi per malattia
erogati dal 1888 al 1900 .

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LA SOCIETÀ DI MUTUO SOCCORSO FRA GLI ARTISTI ED OPERAI DI PERUGIA

Tab. n. 21 -

Tab. n. 22 -

Tab. n. 23 -

Tab. n. 24 -

Tab. n. 25 -

Tab. n. 26 -

Tab. n. 27 -

Tab. n. 28 -

Tab.:n. 29:-

Distribuzione mensile dei libri della biblioteca cir-
colante nel 1895 : : :
Prezzi del grano, rilevati sul mercato di Perugia,
dal 9 agosto al 30 ottobre 1861, in lire. i
Prezzi di alcuni beni rilevati sul mercato di Pe-
rugia nel 1870, in lire . : : :
Prezzi di alcuni beni rilevati sul mercato di Pe-
rugia nel 1872, in lire . : .

Prezzi di alcuni beni rilevati sul mercato di Pe-
rugia nel 1874, in lire . 3 :

Prezzi di alcuni beni rilevati sul mercato di Pe-
rugia nel 1876, in lire . : ; :
Prezzi di alcuni beni rilevati entro la cinta ais
ziaria di Perugia nel 1889, in lire :
Prezzi di alcuni beni rilevati entro la cinta dazio:
ria di Perugia nel 1890, in lire :
Prezzi di alcuni beni rilevati entro la cinta decia:
ria di Perugia nel 1891, in lire

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INDICE SOMMARIO
INTRODUZIONE

PARTE PRIMA

1) Attività mutualistico-previdenziale dal 1861 al 1865.
2) Attività mutualistico-previdenziale dal 1865 al 1887.
3) Attività mutualistico-previdenziale dal 1887 al 1900.

PARTE SECONDA

INIT 1) Organizzazione interna

2) Attività culturali

3) Attività politiche : : à : ;
ili | 4) Partecipazione a Congressi operai regionali e nazionali
|| CONCLUSIONE

TR NOTE

APPENDICE

lil 1) Statuto del 1861
2) Bilanci : : : ; : : : :
3) Prezzi di derrate agricole sul mercato di Perugia

INDICE DELLE TABELLE

69

103

115
118
122
130

134
137

160

160
174
180
RECENSIONI

ELISABETH CARPENTIER, Une Ville devant la Peste. Orvieto ‘et la Peste Noire
de 1348, Paris, École Pratique des Hautes Études. Demographie e So-
cietés, Sixiéme Section, 1962, pp. 284.

Nell'introduzione al suo lavoro, la Carpentier esaurientemente spiega
lo scopo della pubblicazione, risultato di pazienti ricerche. Presenta alla
luce di una completa documentazione le funeste conseguenze di un morbo,
che nel passato é apparso frequentemente in Europa, in una visione totale
di un triste periodo di vita cittadina all'infuori di qualsiasi altra finalità cul-
turale e scientifica.

Per condurre a termine la sua lodevole fatica, a lei commessa dall'École

Pratique des Hautes Études di Parigi, l'A. ha diligentemente consultato,
come dimostra la precisa e ricca bibliografia, numerose opere di storia me-
dioevale orvietana ed ha accuratamente esplorato il prezioso fondo comu-
nale nell'Archivio di Stato. L'ingente materiale, in questo conservato, ha
anzi orientato le ricerche su Orvieto, dove l'epidemia del 1348 dette un colpo
non indifferente alla vita cittadina segnando l'inizio della sua lenta deca-
denza politico-economica. i

La ricostruzione di un tale avvenimento porta qualche lieve inesat-
tezza dal lato tecnico, archivistico e bibliografico, mentre le valutazioni
personali o i dati cronologici, economici e demografici possono fornire og-
getto di ulteriori discussioni e precisazioni.

È da ritenere utile e prezioso il contributo dato dalla Carpentier alla
quale vanno, unitamente agli apprezzamenti degli studiosi, le espressioni
di riconoscenza di Orvieto.

La peste del 1348 si diffonde in una città dilaniata dalle lotte intestine
e prostrata dai continui cambiamenti del potere politico che nel secolo xiv,
tra lutti e rovine, hanno reso precaria la situazione economica ed hanno dato
inizio ad una decadenza demografica.

La Carpentier esamina particolarmente la situazione del Comune ne-
gli anni precedenti alla peste con riferimenti a quanto è già stato scritto dal
Fumi, dal Pardi e da altri e con citazioni delle Riformanze, del Catasto del
1292 e dei libri della Colletta.

Per questo l'opera esprime nuovi metodi di ricerca ed auguriamo che
possa essere modello per altre fatiche utili agli studi storici del medioevo
nell'Italia centrale.

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REGENSIONI

Una dettagliata descrizione di Orvieto dal lato geografico e demogra-
fico dà una ben chiara idea della divisione della città in quartieri ed in re-
gioni e delinea le fasi dell'espansione dell'influenza territoriale del Comune
unitamente ai rapporti politici ed economici con le autorità confinanti.

Sono bene individuati nella città i luoghi delle manifestazioni politiche
e religiose e quelli di attività economiche, mentre i fenomeni demografici
sono esposti con richiami al Wolf, al Fiumi, al Russell ed al Beloch. Sono
tratteggiate le vicende del Comune di Orvieto dalla seconda metà del secolo
xir alla vigilia della peste con considerazioni sulle magistrature e sulle loro
«competenze.

La Carpentier, anche se si attiene all'opinione degli storici del passato,
conduce tale argomento con chiarezza e precisione e con rilievi sulle vicis-
situdini delle fazioni politiche e sulla breve dittatura di Ermanno Monal-
deschi che, nel periodo 1334-1337, rese stabile il governo cittadino e rafforzò
l'influenza politica sul territorio.

Ma dove maggiormente interessante riesce la parte introduttiva della
pubblicazione é nella ricostruzione della vita economica e sociale della città.

Non solo vengono descritte le varie culture nel territorio orvietano nel
medioevo, ma anche esposti i vari problemi ad esse connessi per la regola-
mentazione dei lavori nei campi. Così infatti VA. parla della vendemmia :
«La date des vendanges est réglementée : nul n'a le droit de vendanger avant
un jour fixé par la commune. La date varie suivant les années, probable-
ment d'aprés le degré de maturité du raisin, lui-méme soumis aux variations
de climat. Chose curieuse, deux dates sont toujours édictées, délimitant deux
régions qui ne varient guére..... ?.

Alle attività agricole si aggiungono la caccia, la pesca, la silvicultura e
la pastorizia unitamente al commercio del bestiame e del legname i cui dati
sono ricavati dal libro della Colletta.

«Tous ces animaux font l'objet d'un commerce actif et la Commune
s'efforce de concentrer les transactions dans la ville, soit lors des marchés
normaux sur la place de la Commune et la place du Peuple, soit lors de la
grande foire annuelle de S. Severo. Le bétail était alors rassemblé sur un
« campo » spécial, au nord de la ville, non loin de la place du Peuple : le « cam-
po» S. Croce.

Completano il quadro della situazione agricola orvietana le deliberazioni
comunali per provvedere al rifornimento idrico delle popolazioni ed all'ir-
rigazione dei campi per la scarsezza di acqua nella città e nel contado.

Nella continuazione dell'esame dell'economia, la Carpentier descrive
le attività artigianali e quelle commerciali, con opportuni riferimenti alle
norme riguardanti quest'ultime. L'agricoltura e l'artigianato non possono
essere sufficienti alla vita del comune e, per Ia favorevole posizione geografica,
fioriscono i commerci, mentre per opera degli ebrei si sviluppano le attività
monetarie.

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RECENSIONI 193

L'impulso all'artigianato nel medioevo è dovuto, per certi mestieri,
dalla costruzione del Duomo, quando artisti, in maggioranza toscani, nel-
l'avvicendarsi per eseguire i vari lavori, chiamano a collaborare e quindi
perfezionano la mano d'opera locale.

Precisa appare l'esposizione, nella vita sociale di Orvieto, delle classi
allora esistenti.

La borghesia, prevalentemente agricola, accresce i suoi vasti patrimoni
per volontà testamentarie o per ben ponderati acquisti, mentre i redditi
delle varie attività, inferiori a quelli di alcuni comuni dell'Italia centrale,
non favoriscono l'accrescersi eccessivo della schiera dei facoltosi.

Opportune sono le considerazioni sulle classi professionali in relazione
al fiorire della cultura nella vita comunale. E noto infatti che giuristi orvie-
tani sono ricercati maestri di diritto non solo in molte città d'Italia, ma si
spingono perfino nei paesi dell'Europa orientale.

Dopo la presentazione degli anni antecedenti al 1348, che non hanno av-
venimenti di grande rilievo, la Carpentier passa alla descrizione della città
assalita dal grave morbo.

Premessa la causa dell'epidemia e presentata la sua rapida diffusione
nelle altre città italiane, sono esaminati, con l'ausilio di chiari e precisi gra-
fici, i fatti salienti di quell'anno nefasto.

La città, che si va spopolando e depauperando, deve prendere provve-
dimenti immediati per l'accentuarsi del male e per fronteggiare la precaria
situazione economica.

Se i cronisti del passato fanno ancor oggi rivivere i momenti drammatici
delle epidemie, la Carpentier ricostruisce attraverso i documenti, renden-
dola quindi piü efficace, la vita di Orvieto e del suo territorio in quel cala-
mitoso momento.

Si legge infatti nell'opera in esame: « En octobre 1348 au contraire,
la Commune commence par avouer qu'Orvieto, à cause de la peste manque
des médecins et d'hommes experts en médecine et qu'il est necessaire qu'un
bon médecin soit engagé pour demeurer dans la ville ».

La peste ha veramente prostrato Orvieto e, dopo la bufera, i numerosi
provvedimenti del Comune, per far ritornare la vita, cercano di far rifiorire
i commerci e di facilitare l'afflusso di persone da altre località.

Ad un quadro desolante degli anni 1349-1350 segue la conclusione, nella
quale per dimostrare la gravità del danno che per ovvie ragioni non può es-
sere testimoniata da una completa documentazione, la Carpentier cosi os-
serva: « Une guerre, ou une révolution, provoque un bouleversement des
institutions humaines qui laisse des témoignages accessibles à l’historien.
Batailles, annexions de territoires, changements constitutionels, réformes
sociales ou économiques sont relatés par les contemporains et sanctionnés
par des documents sur lesquels la posterité peut établir ses jugements. Une
catastrophe comme celle de 1348 a des conséquences bien plus graves et

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194 RECENSIONI

plus profondes qu'une guerre ou une révolution. A Orvieto méme, elle a fait,
en quelques mois, plus de victimes que les luttes civiles et militaires qui se
déroulaient dans la ville et dans le contado depuis des années ».

Completa lo studio la pubblicazione di molti documenti, con la pre-
messa che alcuni sono stati riportati dal Fumi e dal Pardi nelle loro opere.

A questa si aggiungono l'elenco delle fonti esaminate, la bibliografia
e l'indice delle persone e dei luoghi.

La Carpentier con questa fatica suscita certamente nuovo interesse per
Orvieto che nei secoli ha resistito alle calamità ma ha trovato la forza di
mettere a disposizione le sue fortune per la costruzione della Cattedrale.

Sull'esempio di questa giovane studiosa francese altri possano dare nuovi
contributi agli studi di storia orvietana, considerando che nelle ricerche
non può essere mai raggiunta la perfezione, ma da esse possono essere di-
schiusi nuovi e piü larghi orizzonti.

CrIsPINO FERRI

OLGA MARINELLI, Le confraternite di Perugia dalle origini al sec. XIX. Bi-
bliografia delle opere a stampa, Perugia, Edizioni «Grafica », 1965,
pp. 1035.

Il volume della Marinelli in parte riproduce in estratto, ed in parte
anticipa, i risultati delle sue costanti indagini sulle confraternite perugine,
che sono già apparsi, o appariranno, negli « Annali della Facoltà di lettere
e filosofia dell'Università degli studi di Perugia » : i quali hanno finora ospi-
tato i nn. 1-1414 della presente « bibliografia », nel vol. 11 (1964-’65), pp. 289-
544; ed i nn. 1415-3389 nel vol. n: (1965-66), pp. 9-364.

Lo spunto ad occuparsi con assiduità dell'argomento fu offerto all'a.,
quasi un decennio fa, da un apprezzato contributo dedicato alla Compagnia
di S. Tommaso di Perugia. Ed é significativo che innanzi tutto Perugia (che
da qualche anno ha dato il via ad un filone di fervide ricerche sui disci-
plinati) ora presenti un moderno repertorio delle sue confraternite di de-
vozione, pur se sensibilmente monco, malgrado la mole: perché privo degli
indici, ch'erano in questo caso indispensabili.

La bibliografia della Marinelli si riferisce soltanto alle confraternite
di cui ha trovato documentazione a stampa e che sono esistite prima del
1860. Il decreto di soppressione degli ordini religiosi (per Perugia, dell’11
dicembre 1860) determinò infatti trasformazioni radicali nella vita di tali
istituzioni: nell’idea ispiratrice e nella struttura.

Un censimento complesso, come si vede, ed un compito non «lieve »,
bene osserva l’a., che però ci assicura «di non aver lasciato nulla di in-
tentato ». Così si legge nelle pagine introduttive di questo volume, su cui
sosteremo un po’ più del consueto : perché ad esso, per il suo genere, in-
nanzi tutto si addice che si presenti da sé.
RECENSIONI 195

Chiunque abbia familiarità con la tecnica, difficile e necessariamente
severa, della ricerca bibliografica sa quanto sia complicato, perché ben
nasca un repertorio specializzato, studiare un razionale ed organico piano
di spogli, a largo raggio e a tappeto, e senza esclusioni o limitazioni sog-
gettive. La bibliografia, come nessun’altra disciplina, deve servire agli
altri prima che a sé stessi.

Queste dunque, anche per la Marinelli, le faticose premesse dell’opera
odierna : per la quale tuttavia non si conosce che cosa è stato « tentato ».
Non si ha, per esempio, notizia dei periodici spogliati: per cui il lettore
(curioso, interessato o competente) è costretto a desumerne l'elenco di-
rettamente, e con difficoltà, sfogliando pagina dopo pagina il volume. An-
che per quanto si riferisce alle opere a sé stanti (opuscoli, volumi o contri-
buti accolti in sedi diverse) un lettore pedante potrebbe chiedersi perché
in alcuni casi — come in quello dello stimolante tema delle « Quarant'ore »
— le segnalazioni sono state circoscritte agli elementi che « per la materia
e l’epoca sono apparsi più significativi». I criteri personali non possono
coincidere sempre con la varietà d’interessi di tutti quelli che consultano
uno strumento di bibliografia specializzata: che dovrebbe essere, se così
si può dire, intelligentemente anonima nel concepire le sue «scelte ».

L’ordinamento del materiale (molto copioso, ben 5692 numeri) è al-
fabetico, con utili rinvii alle denominazioni ufficiali delle confraternite, san-
cite dai rispettivi statuti. Ciascuna «voce » si articola in tre sezioni : statuti
e studi relativi, offici e libri di preghiera ; opere varie concernenti l’istitu-
zione o comunque pertinenti.

La suddivisione in pratica poi si confonde (si osservi, per esempio, alle
pp. 58-96, che si riferiscono alla Confraternita di S. Andrea) ; e non si segue
agevolmente, perché le tre sezioni si agganciano l'una allaltra senza un
po' di respiro, che avrebbe reso piü semplice la consultazione di un'opera
(tanto piü se priva d'indici): alla quale lo studioso competente ricorre con
idee chiare e con il desiderio di trovare subito ció che gli occorre.

Il materiale posseduto dagli archivi di Perugia reca in calce alla re-
lativa scheda la sigla della sede di appartenenza. Negli altri casi, invece,
nessun avvertimento localizza le positive ricerche della Marinelli, svolte
«nelle principali biblioteche cittadine e italiane, particolarmente a Roma
e a Firenze, in istituti bibliografici specializzati ». E si pensi quanto sarebbe
stato utile (visto che si era fatta l'eccezione per Perugia) conoscere l’ubi-
cazione di materiale talora raro e non facilmente reperibile.

Ultima avvertenza. L'a. ha preferito sciogliere in ogni caso il titolo
dei periodici menzionati nella bibliografia, « per evitare la continua consulta-
zione del siglario ».

Ci si perdoni se anche su questa precisazione avanzeremo qualche ri-
serva. La citazione distesa del periodico, tante volte ripetuta (com'é naturale
avvenga in oltre mille pagine) è pesante ed anche disadatta ad una biblio-

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196 RECENSIONI

grafia specializzata ; il ricorso al siglario non è mai « continuo » per lo stu-
dioso (né qui si tratta di libro di comune lettura), che di solito, posto dinanzi
a sigle ragionevoli e consuete, è piuttosto navigato nell’intuire a quale pe-
riodico si riferiscano ; quel siglario, infine, era proprio ciò che innanzi tutto
si voleva in questo volume, per conoscere, come già si è detto, i periodici
spogliati dalla Marinelli. E con quali limiti cronologici di partenza e di
arrivo ?

La bibliografia concerne un centinaio di sodalizi, di cui si dà l’elenco
alfabetico nelle finali pp. 1033-1035, con l’indicazione della pagina d’inizio
della rispettiva trattazione. L’elenco fornisce anche un chiaro prospetto
dei criteri onomastici prescelti nella disposizione delle confraternite: la
cui parola d’ordine non sempre convince, dal punto di vista concettuale
più che freddamente biblioteconomico. Citiamo un solo esempio (tra quelli
che disordinano la materia religiosa): la parola d’ordine SS. Sacramento,
cui si giunge con regolare rinvio da Corpo di Cristo. La serie comincia con
il «SS. Sacramento di S. Andrea » e finisce con il « SS. Sacramento di S. Si-
mone » ; e si penserebbe ad un « SS. Sacramento » divenuto prerogativa della
Vergine e di molti Santi, anziché a numerose confraternite «del SS. Sa-
cramento », erette in chiese dedicate all’uno o all’altro Santo, oppure alla
Vergine.

La bibliografia, molto giustamente, abbraccia anche le confraternite di
devozione costituite dagli artigiani, riservate cioè a coloro che esercitavano
un determinato mestiere. Tale è il caso della confraternita dei SS. Andronico
e Atanasia (p. 131), riservata ad argentieri ed orefici «non collegiati » e
alle loro donne. Si tratta di istituzioni che, a parte la precisa limitazione del-
l'ingresso, in nulla differiscono, dal punto di vista della devozione, dalle co-
muni confraternite ; e che pertanto, a nostro avviso, vanno regolarmente
censite e conosciute con la stessa cura dedicata alle altre.

Da quanto puó dedursi dal materiale presentato dalla Marinelli, le
confraternite di Perugia denunciano un'area agiografica piuttosto varia,
con titoli piü legati a tendenze cultuali generali che locali ; ma, come quelle
di tanti altri luoghi, esse documentano due filoni devozionali di assoluta
prevalenza: quello mariano e quello cristocentrico, entrambi molto tipici
della pietà popolare. :

Si é peró qui di fronte ad un caso di diffusione tarda del culto euca-
ristico : posteriore alla significativa svolta rappresentata dallo sviluppo
delle confraternite del Corpus Christi nella sfera della riforma tridentina,
ed esclusa dal censimento di Giuseppe Barbiero (Le confraternite del Santissimo
Sacramento prima del 1539, Vedalago 1941).

L'unica antica confraternita perugina fondata per devozione al SS. Sacra-
mento (nel 1487, come afferma il Barbiero) fu quella dedicata a S. Giuseppe,
che nel volume della Marineli é rimasta al di fuori della propria sezione,
e senza «rinvii ».. Esso registra due confraternite sotto questo nome. La

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RECENSIONI 197

prima è la « Confraternita di S. Giuseppe » (pp. 472-557), che, come emerge
dagli stessi frontespizi riprodotti, è la « Confraternita del Santissimo Corpo
di Cristo e di Santo Ioseppo ». La seconda è la « Confraternita di S. Giuseppe
dei falegnami » (pp. 557-573). Si tratta proprio di due confraternite distinte ?
O di posteriori precisazioni onomastiche della medesima ? La frequenza con
cui ricorre, per la seconda, l'orazione delle « Quarant'ore » (a ragion veduta
ci si lamentava, più avanti, della decimazione bibliografica imposta a questo
tema) indurrebbe ad identificarla con quella di cui parla il Barbiero ; la
quale potrebbe avere espresso poi anche nella denominazione la sua per-
spicua tendenza devozionale, chiamandosi «del Corpo di Cristo e di San
Giuseppe ».

Basti questo esempio per dimostrare quanta attenzione richiedereb-
bero, per chi volesse veramente fare la storia delle confraternite laicali,
pochi ma essenziali problemi: varianti onomastiche, trasferimenti di sedi,
fusione di sodalizi diversi. Tre elementi, da cui può derivare qualsiasi equi-
voco ed ogni confusione.

Ma le notizie fornite dalla Marinelli in calce a ciascuna scheda vole-
vano piuttosto offrire un paziente filo conduttore per quella storia: sulla
specie del quale si è già espressa con molto entusiasmo Anna Maria Vinti,
in una breve segnalazione di questo volume, pubblicata nell’« Italia che
scrive », L (1967), pp. 175-176. Noi, forse per colpa di una vera malattia
professionale, dovremmo esprimerci al riguardo in forma più sobria e mi-
surata. Ma qualsiasi osservazione, sul piano strettamente tecnico oltreché
scientifico, non intaccherebbe la fatica della Marinelli (cui d’ora in poi tutti
ricorreremo), pur avendo una giustificazione precisa. Quando un nuovo
ferro del nostro quotidiano mestiere ci giunge tra mano, e sempre ben-
venuto, si ha il dovere di esaminarlo con obiettivo rigore.

LiA SBRIZIOLO

Enzo CARLI, Il Duomo di Orvieto, Roma, Istituto Poligrafico dello Stato,
1965, pp. 148, ill. in nero ed a colori 267.

Veramente molto bella è la letteratura sul Duomo di Orvieto. Non
c'è paura di sbagliare a definirla degna del famoso monumento. Basterebbe
soltanto rammentare qui, per citar solo le più importanti tappe della vi-
cenda storico-critica, il libro così vivace, così moderno pei tempi di Padre
Guglielmo della Valle (1791), la minuziosa, analitica descrizione del Luzi
(1866), quella più stringata ma pur eccellente del Fumi (1891), tanto im-
portante anche per la connessa documentazione. E come dimenticare il
lavoro del Perali su Orvieto (1919), così preciso, acuto, amoroso, nel tratteg-
giare le vicende della chiesa, utilissimo ancor oggi a tutti coloro i quali si
interessano ad essa per una ragione o per l’altra ?
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198 RECENSIONI

D'altra parte, un complesso artistico di tanta importanza, allo stesso
modo che necessita di continui, incessanti lavori di manutenzione e di re-
stauro (e di una accorta vigilanza perché non venga manomesso ed alterato),
sollecita altresì un'altra opera, di continuo lavorio critico. Difatti anche
chi ha una mediocre consuetudine con questi ultimi decenni di studi sa che
molto, moltissimo è stato scritto sugli svariati argomenti offerti dalla celebre
chiesa. È naturale allora che cosi gran dovizia di contributi renda presto
superate le opere di carattere generale, ancorché eccellenti come quelle cui si
€ fatto cenno piü su, e richieda sempre nuovi lavori di riepilogo e di ripen-
samento, sempre nuovi sforzi di sintesi.

A tale scopo mira appunto il recente lavoro di Enzo Carli, uno studioso
il quale non ha davvero bisogno di esser presentato ai lettori del Bollettino,
studioso, ben converrà aggiungerlo, tanto piü adatto all'impresa, quanto
piü ha vissuto, si puó dire giorno per giorno, la vicenda del monumento in
questi ultimi decenni, aggiungendovi l'originale apporto di suoi studi specifici.

Ora, come l'autore stesso scrive nella prefazione, il suo lavoro «non
vuole essere una storia del Duomo » (sul genere, ad esempio, di quella del
Della Valle) e tanto meno una « illustrazione di tutte le opere d’arte in esso
esistenti o che per esso vennero create» (come sono in certo senso i libri
del Luzi o del Fumi o dello stesso Perali) ; il Carli ha piuttosto inteso trat-
tare le questioni più importanti, cioè quelle di maggior significato per la
Storia dell'arte, alla luce della scienza moderna. Ed è perciò che il suo libro
si articola in sei capitoli, ciascuno dei quali è indipendente dall’altro ed è
conchiuso in sè come una piccola monografia, ciascuno dei quali riesce ben
equilibrato, proporzionato, esauriente. Insomma il Carli, pur maneggiando
una materia quanto mai difficile e complessa, raggiunge assai bene (ed il
lettore potrebbe addirittura pensare, senza sforzo), lo scopo che si era pre-
fisso, quello cioè di mettere a disposizione del dotto e del profano, un quadro
nitido e chiaro dei maggiori argomenti artistici relativi al celebre Duomo.

D'altro canto è affatto naturale che i capitoli più densi ed originali
siano quelli dedicati ad argomenti per i quali l’autore aveva condotto già
sue ricerche, affacciato sue ipotesi, avanzato sue soluzioni ; specialmente,
come tra poco si vedrà, circa la « vexata quaestio » delle sculture della fac-
ciata, cui aveva appunto dedicato un ampio studio pubblicato nel 1947.
Ma poiché questa questione é strettamente connessa con la storia stessa
dell'edificio e con le sue vicende costruttive, ecco che sono proprio i primi
capitoli del volume a risultare i più vivaci e stimolanti, quelli più ricchi di
idee e di suggestioni e naturalmente anche quelli i quali più volentieri in-
vogliano a ragionare e discutere con lui.

Sulla storia della costruzione il Carli, dopo aver riassunto molto chia-
ramente i diversi pareri degli studiosi, accetta sostanzialmente la ricostru-
zione critica che di quella vicenda offrì il Bonelli nel suo libro Il Duomo
d’Orvieto e l’Architettura italiana del Duecento-Trecento (1952), libro

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RECENSIONI 199

nel quale si riscontra forse la disamina più precisa e completa di tutta quanta
la questione. Solo che invece di lasciare, come fece quello studioso, nel-
l'anonimato il primo e più grande architetto del Duomo, il Carli lo imper-
sona decisamente (scartando la rivendicazione a Fra Bevignate sostenuta
dal Cellini) in Arnolfo di Cambio.

E certo son numerosi gli argomenti su cui egli appoggia la sua attri-

buzione, già del resto affacciata da precedenti autori. Per esempio il Carli ,

ricorre al Fumi quando questi, notando come ad Orvieto Arnolfo lavorasse
al sepolcro del Cardinale De Bray in San Domenico (1282-85), proprio
mentre il vescovo Francesco andava rimuovendo tutte le difficoltà e tutti
gli ostacoli i quali ancora si frapponevano alla realizzazione della grande
impresa, conclude esser stato assai probabile che ci si fosse rivolti per il
progetto al maggiore artista allora sulla piazza. Congettura la quale viene
magnificamente rincalzata dal fatto che lasciando la cattedra episcopale
d'Orvieto per quella fiorentina, Francesco (gran tempra di organizzatore
dové esser costui !), scelse come architetto proprio Arnolfo per la costruenda
cattedrale di Santa Maria del Fiore.

Su questa piü che ragionevole ipotesi storica il Carli innesta poi argo-
menti di carattere stilistico, mettendo in rilievo gli stretti legami esistenti
tra il Duomo d'Orvieto e Santa Croce, monumento tradizionalmente at-
tribuito ad Arnolfo ; facendo notare i rapporti con quei rifacimenti ed ag-
giunte in Santa Maria dell'Aracoeli a Roma che secondo un recente studio di
Pico Cellini (1962), dovrebbero appunto riferirsi al grande maestro toscano ;
cercando più precise connessioni formali tra la «vigorosa plastica » ed «il
ritmo concluso » delle absidiole nei fianchi del Duomo » ed il modo con cui
i sei celebranti si staccano dal fondo e si allineano sul prospetto del sarco-
fago del cardinale Annibaldi, scolpito appunto dal Nostro nel 1276.

Che son tutte belle e ingegnose considerazioni; e tuttavia, a nostro
modesto avviso, non tali da dissipare interamente ogni dubbio circa il nome
dell'autore. Non tanto per la pur buona ragione che mancano affatto riferi-
menti documentari relativi ad Arnolfo nei riguardi della costruzione ; quanto
perché le affinità e le concordanze di stile notate dal Carli, se valgono ad
individuare una stessa poetica figurativa per tutte le opere di cui sopra,
non riescono in modo assoluto ad escludere che gli autori possano esser stati
diversi. Vogliamo cioé dire che non siamo qui tanto di fronte a monumenti
nei quali l'invenzione possa inequivocabilmente riconoscersi unitaria, quanto
dinanzi ad idee affini, nate nello stesso clima artistico, nella stessa temperie
culturale.

Verissimo d'altra parte che Arnolfo fu non solamente l'artista piü
grande di quella cultura, ma anche il realizzatore piü alacre proprio sull'asse
Roma - Orvieto - Firenze, negli ultimi trent'anni del duecento ; sicché l'ipo-
tesi di Arnolfo quale primo ispiratore, se non proprio primo architetto del
Duomo, appare certamente piü fondata delle altre. Ed é ad ogni modo vero

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che con questa bella trattazione del Carli, quell’ipotesi viene ad acquistare
un’evidenza critica quale non poteva aver prima.

Meno convincenti appaiono invece gli argomenti avanzati dall’autore
per rivendicare all’enigmatica figura dello scultore senese Ramo di Paga-
nello un ruolo di primo piano nelle vicende costruttive, attribuendogli la
direzione dei lavori in tutto il periodo intermedio tra la prima fase arnolfiana
(1285-1293) ed il capomaestrato di Lorenzo Maitani (1310-1330). Cosa ci
dicono difatti i documenti intorno a Ramo ? Che fu sbandito dalla patria
perchè sorpreso, a «jacere cum quadam muliere » ; che in seguito si rifugiò
«in partibus ultramontanis » donde ritornò nel 1281, quando la pena gli
venne revocata, essendo egli uno dei « bonis intalliatoribus et scultoribus et
subtilioribus de mundo qui inveniri possit » ; che intorno al 1288 lavorò nel
Duomo di Siena, suscitando, a quanto pare, le gelosie di Giovanni Pisano ;
che nel 1293 se ne stava ad Orvieto nella Loggia « ubi fit concimen lapidum »
pagato con un salario superiore a quello di tutti gli altri artisti. Secondo il
Petrangeli, poi lo scultore era ancora ad Orvieto nel 1310 quando il Maitani,
forse per togliersi di torno un pericoloso rivale, lo mandò a sorvegliare le
cave di Parrano. Secondo il Venturi egli sarebbe da identificare con quel
Ramulus de Senis che munito di una lettera di salvacondotto di re Ro-
berto d’Angiò doveva recarsi nel 1314 da Napoli ad Orvieto per assoldare
esperti marmorari ed acquistare materiale per la decorazione del palazzo
di Bartolomeo da Capua, Protonotario del Regno.

Ce ne è abbastanza per intravedere il ritratto di un irregolare, di un
artista avventuroso ed irrequieto, non già, mancando affatto sue opere do-
cumentate, per ricostruirne l’attività. Difatti i caratteri francesizzanti del
primo disegno « monocuspidale » per la facciata del Duomo e di alcune scul-
ture lignee orvietane, come pure di alcuni rilievi della facciata e di certi
capitelli dell'interno (nonchè di altre opere più o meno legate al gusto fran-
cese in Umbria, quale la tomba cosidetta di Filippo di Courtenay nella
chiesa inferiore di San Francesco d’Assisi), non offrono argomento decisivo
al riguardo, tanto più che nel cantiere orvietano ebbe a lavorare tutta una
maestranza cosmopolita tra cui particolarmente numerosi furono gli «ol-
tramontani ». E poi, da quale spunto documentario veniamo autorizzati a
ritenere che Ramo fu non soltanto scultore ma anche architetto ?

Con ciò non si vuole affatto concludere che quanto qui dice il Carli,
mettendo a frutto certe osservazioni del Keller sul carattere senere dei
due disegni per la facciata, certe altre osservazioni del Weinberger sulle
strette correlazioni tra un particolare del primo disegno e la Madonna
lignea la quale si trova nel Museo dell'Opera del Duomo d'Orvieto, ag-
giungendovi alcune altre sue ingegnose chiose, non debba contarsi tra le
cose possibili; potrebbe ben darsi che domani la scoperta di un docu-
mento venga a confermarlo. Qui si vuol dire soltanto che il lettore rimane
perplesso nell’accettare, sulla base delle conoscenze attuali, le perentorie
RECENSIONI 201

conclusioni dell’autore : « Col riconoscimento che il progetto monocuspidale
è opera di Ramo di Paganello e documenta una fase intermedia tra la rea-.
lizzazione, non portata a termine, dell’originale progetto di Arnolfo ed il
definitivo assetto della facciata, condotto per venti anni sotto la direzione.
di Lorenzo Maitani, la storia del Duomo d’Orvieto esce dall’anonimato ».

Insomma se un’obiezione viene fatta al Carli (come del resto a molti
di coloro i quali si sono per una ragione o per l’altra occupati del monu-
mento orvietano), essa è appunto quella di voler legare determinati fatti
artistici a determinati nomi, per i quali i documenti risultano ambigui od
incerti. E del resto egli stesso, nel trattare nel secondo capitolo l’altra spi-
nosissima questione dei rilievi nei quattro pilastri della facciata, ha pre-
ferito non insistere nel volerli attribuire ai personaggi citati dai documenti,
e neppure insiste qui nel voler individuare l’opera di Ramo di Paganello,
come pure aveva tentato nel suo libro del 1947. Anche non respingendo la
evenienza che il senese possa aver scolpito alcune figure nei pilastri interni
quali lo Jesse e l'Adamo dormienti, od il David ed il Salomone, il Carli pre-
ferisce riconoscere in tutto il lavoro sopratutto due personalità dominanti,
da lui indicate convenzionalmente in un « Maestro delle Profezie Messianiche
e delle Storie Neotestamentarie », il quale lavorò appunto nei registri in-
feriori dei due pilastri centrali ed interruppe probabilmente l’opera nella
seconda metà del primo decennio del 300 per recarsi a Perugia onde scol-
pire il monumento funerario a Benedetto xi in San Domenico, ed un « Mae-
stro della Genesi e del Giudizio » autore dei migliori rilievi nei due pilastri
estremi, attivo dopo il 1310, cioè dopo l’arrivo del Maitani ad Orvieto ed
alla sua assunzione come capomaestro della fabbrica.

Soluzione che è, a parer nostro, la più ragionevole cui si possa giungere:
dopo un esame stilistico accurato e dopo un’analisi obbiettiva della lette-
ratura artistica. Perchè più si studiano gli originali, più si vagliano le ipo-
tesi dei vari critici, e più ci si convince che due rimangono in tutto il com-
plesso, gli avvenimenti veramente significativi, o, come si direbbe oggi,
che due sono le principali « insularità » poetiche. Nelle Profezie Messianiche
e nelle Storie del Nuovo Testamento, da un gusto quanto mai vario ed
eteroclito, intrecciato di classicismo nicoliano, di fonti bizantine e di motivi
gotico-francesi, sortono effetti delicatamente decorativi ed insieme un senso
arcano, quasi favoloso del racconto ; mentre nelle scene della Genesi e del
Giudizio vive un sentimento dell’arte più moderno, più aperto, un'arte
che certo affonda le sue radici nello stesso complesso sostrato culturale del-
l’altro scultore, ma poi si muove in parallelo, come ben dice il Carli, con l’arte.
dei pittori senesi Duccio e Simone, derivando da loro non soltanto certa
ritmica lineare ma anche il particolare accento lirico e la stessa intonazione
ambientale. Si tratta di una fantasia quanto mai duttile e varia, capace di
passare dai toni delicati ed umbratili delle storie dei progenitori fino ai più
violenti, convulsi effetti di pittoresca drammaticità nell’intreccio dei Dannati.
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RECENSIONI

Per i rapporti intimi con la pittura senese, questo «Maestro sottile »
è stato ritenuto di Siena dalla maggioranza degli studiosi e dal Carli stesso ;
ed anzi si vuol per solito identificarlo col Maitani, in favore del quale fu
eseguito nel 1330 un pagamento «pro colando acquilam », ovverosia per
fondere la sculturea bronzea del San Giovanni sopra uno dei pilastri, la
quale, al pari delle altre sculture degli Evangelisti e del gruppo degli an-
gioli che sollevano le cortine del baldacchino sopra la Madonna marmorea
della lunetta centrale, ha affinità strettissime coi rilievi ‘in questione (mentre
il Cellini individua l’artista in Lando di Pietro per certe somiglianze con il
Cristo ligneo dell’Osservanza presso Siena).

Ma se questa interpretazione appare la più ragionevole non si può
darla per certa. Per esempio non si può rigettare a priori l'ipotesi che il
«Maestro sottile », come di recente è tornato a suggerire il Previtali, (« Pa-
ragone », n. 181, marzo 1965), sia stato un umbro, ispirato dai grandi maestri
della pittura senese. E certo appare singolare il fatto, notato anche dal
Carli, che questo artista dai più ritenuto il Maitani, e così bene edotto del-
l’arte di Duccio, di Simone e forse degli stessi Lorenzetti, non abbia intrat-
tenuto proprio alcun rapporto con gli scultori senesi suoi contemporanei quali
Tino di Camaino, Goro di Gregorio, Agostino ed Agnolo di Ventura, Gano
di Fazio ed altri siffatti ; come pure singolare è il fatto che la sua arte ab-
bia avuto riecheggiamenti in Siena soltanto dopo la sua morte. Non po-
trebbe esser questo un indizio che la sua formazione avvenne proprio nel
cantiere di Orvieto, cioó in un ambiente cosi fervido di disparate sugge-
stioni, in un confluire cosi ricco dei piü diversi motivi stilistici ?

Anche più incerta è del resto la patria dell'altro scultore (il quale per
il Cellini è Fra Bevignate). Il Carli pensa che anche esso sia stato senese
ma, ancora una volta, ci mancano le prove per poterlo dire con sicurezza.
Nè ci pare argomento convincente quello avanzato dall’autore, cioè
la testimonianza di Pio rr: nei Commentari, laddove il grande pontefice
umanista, dichiara esser stati gli scultori del Duomo d’Orvieto «maiori
ex parte senenses»; troppo generica dichiarazione, in verità, per poterne
inferire, come fa il Carli, che tutti gli artisti principali e dunque anche il
Maestro delle Profezie Messianiche e delle Storie Neotestamentarie, dovesse
essere effettivamente di Siena. E ció a tanta maggior ragione, quanto piü
la scultura senese, in questi suoi primi aspetti, resta ancora avvolta in una
nebbia la quale attende di essere completamente diradata.

La conclusione anche qui é analoga a quella relativa alla questione ar-
chitettonica : ricostruire per filo e per segno la vicenda della scultura in un
ambiente cosmopolita come quello di Orvieto, in un momento cosi ricco e
fluttuante per la storia di quell'arte, quando tra i maggiori centri toscani,
laziali ed umbri i rapporti sono cosi strettamente intrecciati, é allo stato
attuale delle nostre conoscenze, un impresa troppo ardua.

D'altra parte, quanto si é ora detto non deve venire interpretato come

+
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RECENSIONI 203

sfiducia o scetticismo nei confronti degli sforzi degli studiosi. Proprio un
libro come questo dimostra i continui progressi compiuti nell'approfondire
la reale consistenza dei fatti. E se si può essere in disaccordo col Carli per
certe sue opinioni, certe precisazioni d'autore o di scuola, non possiamo poi
negare al suo lavoro il merito di aver ben chiarito i fondamentali aspetti
del problema della decorazione dei pilastri, distinguendo convincentemente
i due principali momenti in cui l'opera si realizzó e bene mettendo a fuoco
le personalità dei due protagonisti maggiori.

Del resto questo libro é stimolante anche sugli aspetti per cosi dire mi-
nori della famosa questione, come potrebbero essere il riconoscimento del-
l'opera dei numerosi collaboratori, oppure la interpretazione iconografica ed
iconologica del complesso. E ricco di spunti é anche il terzo capitolo dedicato
a tutte le altre sculture della facciata, anche se esso prende un andamento
piü rapido e descrittivo, evitando di impegnarsi troppo a fondo su ciascun
argomento. Ad ogni modo il lettore ha sempre dinnanzi un quadro ben cir-
costanziato (e sempre ben appoggiato a referenze documentarie e biblio-
grafiche), sui bronzi, sui marmi del rosone, sulle statue delle nicchie ; in-
somma su tutto questo grande museo di scultura all'aria aperta dal tre-
cento al settecento, da Andrea Pisano al Federighi, allo Scalza, al Moschino,
fino al romano Vincenzo Pacetti ; un insieme di opere Ie quali offrono ancora
tanta materia di ricerca per gli studiosi. Dispiace davvero non poterne
adesso, per ragioni di spazio, accennare neppure fuggevolmente.

Se, come abbiamo detto più sopra, i capitoli più interessanti sono i
tre primi, come quelli i quali esprimono i più forti interessi dell’autore,
buoni appaiono anche i tre successivi, dedicati alle più antiche pitture del-
l’interno, agli affreschi della Cappella di San Brizio, al famoso reliquiario
del Corporale ed alla grande vetrata di Giovanni di Bonino. Veramente,
a proposito della pittura più antica del Duomo, cioè la Madonna di San
Brizio, conservata nella famosa Cappella dello stesso nome, il Carli non si
sbilancia troppo, essendo il suo seritto anteriore alla pulitura ed al restauro
dell’opera (eseguite ottimamente da Giovanni Mancini nel 1963-64); dopo
di che essa è risultata cosa molto notevole, forse orvietana ma in rapporto
assai stretto con la pittura romana ed umbra (cfr. F. SANTI, V Mostra di
Opere restaurate, Perugia, 1964, pp. 9-10). E per quanto si vogliano in essa
ravvisare accenti arcaicizzanti, non par giusto portarla molto oltre il 1300.

Quanto all’altra importante tavola esistente nell’interno del Duomo,
la Madonna dei Raccomandati firmata Lipus de Sena, oggi conservata nella
Cappella del Corporale, il Carli la ritiene giustamente di Lippo Memmi, e
strettamente connessa con la sua attività giovanile in San Gimignano (la
pittura dovrebbe essere anteriore al 1320).

Ma il merito maggiore del quarto capitolo sta, a parer nostro, nella giusta
204 RECENSIONI

rivalutazione delle opere di scuola orvietana e sopratutto (perduti gli affre-
schi della Cappella del Corporale per lo sciagurato rifacimento ottocentesco
del Bianchini e del Lais, perduti praticamente anche gli antichi mosaici di
facciata), del superstite capolavoro di Ugolino di Prete Ilario, il ciclo con
la Natività della Vergine nella grande abside rettangolare (1374-1384).

Certo, ebbe ragione il Longhi ad entusiasmarsi dinanzi ad un racconto
così vivace, così sciolto, prezioso ed umoresco a un tempo, in cui è dato re-
spirare una singolare aria di freschezza, di felice libertà espressiva, un estro,
un fermento i quali veramente preludono a nuove stagioni dell’arte! Ed
ebbe ancora ragione, quel famoso critico e scrittore, nello svincolare il com-
plesso da una stretta soggezione all’arte di Siena, con la quale esso ha sì
svariati rapporti, ma non certo di puntuale dipendenza!

Nellammirare siffatte pitture (è un altro merito del libro avercene
offerto belle riproduzioni a colori ed in bianco e nero), vien fatto di chie-
dersi come mai esse siano state e siano ancora così poco considerate ri-
spetto al loro merito reale. Furono i celebri affreschi del Signorelli nella vi-
cina Cappella di San Brizio a monopolizzare tutta l’attenzione dei profani
e dei critici? Eppure le pitture di Ugolino avevano attirato l’interesse fin
dal tempo della riscoperta settecentesca dei primitivi, dal tempo del libro,
veramente fondamentale, di Padre Della Valle, quando anche i giovani
critici-pittori come l’Ottley o il De Superville ebbero a studiarle, dise-
gnandole nei loro taccuini.

Ad ogni modo questo libro del Carli dovrebbe effettivamente contribuire
a creare attorno a queste opere bellissime ed attorno a tutta la scuola
orvietana trecentesca un maggiore interesse critico ; e non solo a farne me-
glio conoscere le origini, strettamente legate, come giustamente dice il Carli,
cogli sviluppi della pittura viterbese (specie attraverso la personalità di
Matteo Giovannetti, e, per lui, con l’arte in Provenza), ed a meglio compren-
derne gli svolgimenti verso il Quattrocento, con Cola Petruccioli, Pietro
di Puccio, Andrea di Giovanni, tutti attivi qui in Duomo ; ma anche a pun-
tualizzare il significato che essa ebbe nei confronti di tanti altri artisti, come
lo stesso Gentile da Fabriano, per il quale ci par sempre suggestiva la vecchia
ipotesi del Longhi di una sua giovanile esperienza orvietana (ma la bella
Madonna dipinta a fresco dal grande pittore nella navata sinistra è una
opera tarda, eseguita nel 1425). Ci si deve cioè convincere che Orvieto fu,
nella seconda metà del Trecento, un centro di pittura originale ed autonoma
oltreché di alto livello. Diventeranno allora storicamente meglio spiegabili,
aleuni episodi della pittura del primo Quattrocento umbro-marchigiano
(ancor oggi troppo unilateralmente considerato in rapporto coi centri to-
scani e coi centri tardo gotici del Nord), come per esempio la scuola di Fo-
ligno, quella di Camerino, quella di Fabriano e quella stessa di Gubbio
con il suo maggior rappresentante Ottaviano Nelli.

Insomma questo capitolo del Carli sulle pitture piü antiche stimola


p 6

RECENSIONI 205

vivacemente i pensieri del lettore ; quello che semmai risulta meno bril-
lante é il capitolo successivo, dedicato alla decorazione della Cappella di
San Brizio, ove l'autore si limita a riprendere, con opportuni aggiornamenti,
un suo vecchio lavoro del 1946, ricco certo di buone osservazioni, ma senza
sostanziali tentativi di nuova esegesi e di valutazione critica, che oggi, so-
pratutto si impongono nei confronti dell'arte cosi complessa e « problema-
tica» di Luca Signorelli.

Infine c'é il sesto ed ultimo capitolo: per la parte che analizza il fa-

moso reliquiario del Corporale, massimo monumento della oreficeria senese :

trecentesca e capolavoro di Ugolino Vieri, rimandiamo il lettore alla re-
censione di Crispino Ferri relativa al libriccino dal Carli stesso dedicato a
questo soggetto, edito dal Martello (cfr. «Bollettino della Deputazione di
Storia Patria per l'Umbria», 1965, pp. 276-79): il testo qui stampato non
fa che ripeterne i principali motivi. Quanto alla vetrata di Giovanni di Bo-
nino, il Carli dà come al solito preciso conto dei vari problemi connessi con
la sua esecuzione (1325-1334) e con i molti rifacimenti e restauri intervenuti
nel corso dei secoli, senza tuttavia poter entrare a fondo nella questione,
stanti le difficoltà di ricognizione e di indagine. Del resto, sul Maestro as-
sisano si annunciano grosse novità da parte di uno specialista della pittura
di vetrate, quale Giuseppe Marchini, il quale, in occasione della ricorrenza
del centenario giottesco, ha particolarmente studiato l'artista cercando addi-
rittura di immedesimarlo nel cosidetto « Maestro di Figline ». Ma di ció,
ad altra e speriamo prossima, occasione.

Per concludere il « Duomo d'Orvieto » del Carli si allinea degnamente
accanto a quei testi cui si accennava in principio, riesce assai utile sia per
la serietà del testo che per la ricca e ben scelta documentazione fotografica.
Peccato che questo libro risulti privo di una bibliografia generale e sopra-
tutto di un indice analitico, per cui sarebbe certo risultato di molto piü
agevole consultazione agli studiosi. 5

PrETRO SCARPELLINI

Luciano SiLvEsTRI, Luigi Mancinelli direttore e compositore, Milano, Ga-
staldi editore, 1966, pp. 192 con 9 tavole f. t. e numerosi esempi musi-
cali..;L.. 1.500;

Una sera, assente il direttore d'orchestra, la rappresentazione di Aida
venne salvata affidando la direzione dell'opera al giovane primo violoncello.
Lo spettacolo si svolse con perfetta regolarità ed ebbe successo : l'improvvi-
sato concertatore, che da li inizió una carriera brillantissima nel mondo,
dimostró di conoscere perfettamente la partitura e di possedere doti di capa-
cità animatrice e d'energia. Puó essere l'avvio, abbastanza consueto del re-
sto, ad una biografia di Arturo Toscanini. Ma è anche l'inizio della vita ar-
tistica di Luigi Mancinelli, direttore e compositore, come compendia l'a.

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206 RECENSIONI

nel titolo del volume, di alti, nobili meriti, ove la nobiltà si esprime non solo
nella correttezza e nel rigore dell’azione artistica, ma in una pretta misura
estetica che, senza motivarsi in polemica d’ostentata controcorrente, sceglie
quasi in via naturale il meno consueto e il meno popolare. Almeno, spesso.
Non è luogo, certo, per un rapporto di paralleli tra il Mancinelli e il To-
scanini, malgrado l’inizio stranamente comune, compresa l'Aida: separati
quasi da una generazione artistica e con fortune e patrimoni alquanto di-
versi. Ché se il Toscanini visse in una temperie improvvida d'astio politico
e trovò nel volontario esilio una nuova esaltazione anche postuma, il mae-
stro orvietano fu individuo, direttore di melodrammi e di concerti, uomo
normale nella misura, nei rapporti, nella signorilità e nella fortuna di un
mondo meno agitato e meno diviso. Intorno a lui — e si sta parafrasando il
Silvestri — non si formò, né in vita né poi, il mito ch’egli, del resto, non fa-
vorì affatto : «non assunse atteggiamenti originali, non affettò stravaganze,
non si rese famoso per collere e scoppi d’ira che sovente concorrono a fare
di un direttore un personaggio terribile e affascinante agli occhi delle masse ».

I rapporti, si può inserire qui, tra Mancinelli e Toscanini furono abba-
stanza cordiali. C'é una battuta ironica di Mancinelli, controllato anche sul
podio ed alle prove, verso Toscanini che getta via la partitura di Vally in
uno scatto di rabbia e c’è pure la Cantata del lavoro che il maestro umbro
dedica al più giovane collega emiliano. E c’è Toscanini che dirige nel 1898
Ero e Leandro di Mancinelli. Più tardi interviene la gelosia di mestiere. Man-
cinelli ammette nel collega « un nobilissimo modo di sentire », che non è poi
tanto a legger bene; Toscanini rifiuta la collaborazione di Mancinelli nel-
l’orchestrazione del Nerone di Boito e gli preferisce prima l’operista istriano
Antonio Smareglia e, dopo aver rotto con lui, il più modesto compositore
romano Vincenzo Tommasini. Piccole cose.

Se del Mancinelli rimane tutta l’opera scritta, abbastanza vivida du-
rante la vita dell’autore e tramontata oggi senza oneste speranze di nuove
aurore, del direttore d’orchestra, del più grande direttore d’orchestra tra
Franco Faccio ed Arturo Toscanini non si possiede nulla. Sì l’autorevole te-
stimonianza dei contemporanei — egli morì nel 1921 e fu per vari sensi nelle
stesse epoche del Toscanini e del De Sabata — e la ripetuta ammirazione di
Wagner, di Boito, di Verdi, di Massenet e il dominio delle « piazze » di Lon-
dra, di Madrid, di Nuova York. Manca però ciò che adesso felicemente serve
a trasmettere ai posteri non solo il documento di un’interpretazione, ma la
materia disponibile per una critica ed un accertamento. Quella materia ap-
punto che serve, e servirà, ad ammirare, ci si scusi l'insistenza, il Toscanini
verdiano ed a discutere il Toscanini mozartiano. Stranamente, invece, del
Mancinelli non si ha neppure un frusto 78 giri da versare in un’incisione a 33.
E pure il fonografo era uscito dalle fasi sperimentali e si dimostrava accetta-
bile già all’inizio della prima guerra mondiale, quando fu incisa tutta la Fran-
cesca di Zandonai e prima ancora, 1907-8, i Pagliacci in edizione Victor. In

go Cyn
RECENSIONI 207

fondo, se ci resta sia pur esile di volume, come non fu, la voce di Tamagno
lo si deve esclusivamente a questo periodo della discografia. Mancinelli forse
non volle, forse non ebbe persuasivi inviti: su ciò la biografia del Silvestri,
altrimenti compiuta ed esauriente, tace e non va oltre il rammarico. È del
tutto marginale : però, le sollecitazioni determinate proprio dal libro dili-
gente, affettuoso e pure equo, fanno maggiormente sentire l’insoddisfatto
bisogno di una conoscenza autentica ed impossibile del concertatore dalla
tanta e universale fama e soprattutto dei caratteri della sua direzione in
quanto a lettura, a scelta, a prospettive sonore ed espressive delle partiture.
Più che la preferenza a generi di repertorio.

L’elenco dei melodrammi da lui diretti, stilato dal Silvestri, è in realtà
quello di un maestro fine-principio di secolo : i capolavori e le opere occa-
sionali, Mozart ed anche Leoncavallo, tredici spartiti di Verdi, nove di Do-
nizetti e otto di Wagner, portando per primo Otello e Falstaff al Covent Gar-
den, ad esempio, e facendosi apostolo in Italia e non solo in Italia della mu-
sica wagneriana.

Fu egli ad inserire Lohengrin nella stagione dell’Apollo di Roma nel
1879. Wagner, pur trovandosi nei pressi di Roma, non intervenne perchè
indisposto. Avuta notizia del successo inviò a Mancinelli un messaggio molto
breve e di straordinaria icasticità : « Bravissimo ». Mancò così l’incontro tra
il compositore e l’interprete, come venne meno qualche mese dopo a Perugia.
Anche qui Wagner in città e Mancinelli in teatro a dirigere Gioconda e Messa di
Verdi. Wagner, invitato da una rappresentanza cittadina, rifiuta e, sembra,
in maniera non molto diplomatica : sono noti i suoi limitati entusiasmi per
la musica italiana, basta leggerne in « Musica dell’avvenire ». La conoscenza
personale è ancora rimandata. La stima cresce: « Vous étes le Garibaldi des
chefs d’orchestre ! », una frase, ci dice il Silvestri, usatissima in ogni articolo,
in ogni biografia di Mancinelli, e di cui la eco oggi è soltanto di meraviglia.
Il maestro orvietano era, sia pure in arte, l’opposto di Garibaldi.

Mancinelli nel gennaio del 1882 dirigerà di seguito, per la prima volta
nel mondo, Preludio e morte di Isotta, che da allora è divenuta pagina unica
nei programmi sinfonici: comunque, non è solo la sicura e approfondita
conoscenza dell’opera wagneriana a mettere in particolare rilievo la situa-
zione estetica del Mancinelli, talora distaccata dal tempo che fu suo, quanto
la sua attività di direttore di concerti sinfonici, ch’erano scarsi e non popo-
larissimi nel nostro Paese. Sostenitore con Faccio e più decisamente di lui
della musica strumentale; precedendo Martucci, cosa dirige, a chi informa i
programmi nell'età melodrammatica italiana ? negli anni ottanta c’è Mo-
zart, c'è Beethoven, ci sono Weber, Haendel, Schumann, Wagner. E, ma-

gari, Bazzini, Goldmark e la riscoperta di padre Martini. Nel secolo nuovo:

dirige Bach, Strauss, Debussy. Di questi impone musica e nome, anche se
l'aecolgano bordate di fischi, come all'Augusteo nel 1909.

Indiscutibile l'autorità, la potenza del direttore, l'informazione del-

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A AE 208 RECENSIONI

l’artista e la cultura. Nel 1910 il Colon di Buenos Aires s’impegna a versargli
venticinque mila lire oro al mese : forse un dieci milioni delle nostre. Appena
una nota aneddotica. Dicevamo, l’artista e, cioè, il creatore vero, nella sua
mediazione, della pagina musicale. Va nettamente oltre le esecuzioni dei me-
diocri Gobatti, Marchetti, Petrella, Leoncavallo e si pone su di un piano
nettamente attuale nel rispetto dei movimenti in un misurato concetto del- 4
l’agogica come è constatabile nelle sue stesse composizioni, scrupolosissime
nel segno e nelle indicazioni.
| Perchè Mancinelli fu anche autore. Non copiosissimo, ma rispettabile e
degno d’esame, rimasto alquanto in ombra, almeno in parte per la schiac-
| ciante fama del direttore, dominatore acclamato di tanti teatri d'Europa
I e d'America. Sul compositore indugia con acume e, ripetiamo, con affetto
| il Silvestri. Un affetto comprensibile in un giovane scrittore che s'anima del
| tema e del protagonista e che, pur non esagitandosi, viene involontariamente
Wi ill meno alla fredda valutazione critica, soprattutto quando egli attende una
Tn rivalutazione della musica mancinelliana alla luce, prosegue, di un gusto
LLLI più evoluto e di una più ricca esperienza storica.
Hi Non v'é bisogno di toglier nulla alla realtà artistica per non essere della
il medesima intesa. La cosiddetta esperienza storica non può restituire pre-
|| sente e pregnante quello che non é piü tale: appunto, l'operista Mancinelli
. è compiutamente storicizzato per un suo inserimento nel vecchio mondo
dell’opera lirica tra i due secoli. Vissuto nell’atmosfera verdiana e wagne- ]
riana di un differente e acceso romanticismo gremito d’esclamativi, a con-
tatto con il verismo della giovane scuola italiana, non estranea viceversa,
specie nel Puccini, alle seduzioni della contemporanea musica francese da
Debussy a Satie, il Mancinelli cerca e, in alcun senso, trova una via diversa
almeno come svincolo da forme e da contenuti e da effetti tradizionali o
troppo diffusi. Un wagneriano che non fa del post-wagnerismo, un diret-
tore, che ha in repertorio una dozzina di opere veriste, e che non fa del ve-
rismo, come non fa del Bizet e del Massenet : ecco il merito, l’aristocrazia
del compositore Mancinelli.

Troppo signore per venire incontro ai desideri di un pubblico talora fa-
cile ed epidermico nella ricettività e nelle reazioni, forse insidiato nel tempo
e nell’indipendenza d’ispirazione dal continuo agitar di bacchetta nel melo-
dramma e nel concerto, forse anche privo della scintilla del genio, egli non
pervenne al capolavoro che, superato, dura. Prova, magari un po’ triste,
lesumazione nel 1948, centenario della nascita, di Paolo e Francesca, data
all'Opera di Roma, diretta dal Bellezza, e quindi ad Orvieto, senza seguito :

| si era nel gusto più evoluto e nella più ricca esperienza storica, invocati dal-
TE l'a., ma la resurrezione non si è verificata.

Non è a credere, quindi, nelle generose speranze di una ripresa di Isaias
î| di Ero e Leandro, di Paolo e Francesca, almeno sul piano dello spettacolo
| teatrale. La rivalutazione critica non è necessaria. Può concordarsi con quasi

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RECENSIONI 209

tutte le conclusioni del Silvestri sui disegni melodici, sulla proporzione del
discorso lirico, sull’adesione al verso così da mantenere alla parola ogni forza
espressiva, senza dire dell’uso drammatico del recitativo. Ciò è moderno,
riferendoci non solo al Verdi di Otello e di Falstaff ed al Pizzetti, ma al De-
bussy (vedi, esemplando casualmente, i Trois poèmes de Stéphane Mallarmé).
Appunto, in Paolo e Francesca, manifestazione di un superamento artistico
e di un lungo lavoro settennale, tra 1900 e 1907, quando Pizzetti non ha an-
cora scritto Fedra, ma Debussy ha composto Pelléas, Images e molta musica
vocale da camera. D'accordo Mancinelli non echeggia direttamente Debussy
e, meno ancora, lo ripete come il Puccini, non s'inserisce neppure in un for-
malismo estetizzante, né in un preziosismo incantato e distillato.

Peró non va oltre ad un gusto raffinato, ad un perfetto tessuto armonico,
al vigilato colore orchestrale, all'allusività evanescente delle persone musi-
cali ed a pagine singole di bella vibrazione. Di quale metallo sia, un buon me-
tallo, questa vibrazione l'a. esempla nel « Maggio, bel maggio » di Francesca
e nel piü cospicuo canto di Paolo : « Pensa che mai piü ».

Era un estremo romanticismo, prossimo e già dentro alla decadenza, e
quasi una misura neo-classica del romanticismo, a nascondere istintivamente
con la decadenza il decadentismo : nel disegno del rinnovamento senza po-
tenti colpi d'ala i limiti fatali.

Cosi della numerosa produzione mancinelliana, dalle giovanili romanze
per canto e pianoforte alla musica sacra, al Frate Sole (1918) ed al Giuliano
l'Apostata (1920) dedicati a pellicole cinematografiche, qui preceduto solo
dal Pizzetti e dal Mascagni, ed agli inni patriottici puó rimanere la testimo-
nianza di un impegno e di una fede. Le stesse Scene Veneziane e d'esse la po-
polare Fuga degli amanti sono scomparse perché non v'é piü chi le esegua.
Comprese le bande : e non é un diminuire Mancinelli.

A parte i valori artistici, Ero e Francesca non torneranno alle scene:
è il crepuscolo, anzi la notte dell'opera lirica, succeduti al meriggio dell'Ot-
tocento e del primo Novecento, dopo il mezzogiorno solare del Mozart del
Don Giovanni e del Flauto. Le opere più tipicizzanti del nostro tempo
— Porgy and Bess di Gershwin, Wozzeck di Berg, Guerra e pace di Proko-
fiev — appartengono più a ieri che non a domani.

Luigi Mancinelli è nella storia musicale recente — e gli poniamo non
molto lontano il ternano Stanislao Falchi — e meno recente della musica
in Umbria e dei musicisti umbri. Il volume in esame, di cui vogliamo sotto-
lineare una volta ancora lo scrupolo, la sensibilità, i riferimenti abbondanti
e controllati a cose, avvenimenti, persone e scritti, serve a confermare il me-
ritato collocamento di lui in questa vicenda secolare, con Matteo da Perugia,
col Diruta, l’Angelini Bontempi e con il Morlacchi. E ciò ci auguriamo che
giustifichi se si è parlato un poco a lungo di Luigi Mancinelli e del suo valo-
Toso esegeta.

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210 RECENSIONI

MaRIO MONTANARI, Mille anni della chiesa di S. Pietro in Perugia e del suo
patrimonio, Foligno, Poligrafica F. Salvati, 1966, pp. 278, ill.

La Fondazione per l'Istruzione Agraria é l'erede dell'Abbazia benedet-
tina di S. Pietro e, come tale, ne amministra per conto dello Stato la pro-
prietà fondiaria, ne custodisce il patrimonio storico e artistico e prosegue
una delle fondamentali attività dei monaci, quella dell'economia agricola.

Alla scadenza del millennio dell'Abbazia la Fondazione ha voluto par-
tecipare particolarmente alla celebrazione della solenne ricorrenza col pub-
blicare un valido contributo storico illustrativo del venerando cenobio com-
posto con amorevole cura e provveduta conoscenza dell'argomento da un
valorosó suo funzionario, Mario Montanari.

Anche S. Pietro di Perugia entra nel folto gruppo di abbazie benedet-
tine sorte in Europa nella seconda metà del sec. x e nei primi del successivo :
ma tutt'altro che certa é la data della sua fondazione. Infatti dai dati de-
sumibili dagli specifici contributi storici conferiti al Convegno storico e ba-
sati sull'esame formale e sostanziale degli atti ufficiali dell'epoca, in parti-
colare diplomi imperiali e privilegi papali, non risulta con lampante cer-
tezza la data di fondazione, che spazia per una ventina di anni nella seconda
metà del secolo x.

La bolla di esenzione dellabbazia dalla giurisdizione vescovile, oggi
perduta, difficilmente potè essere emanata da Giovanni xim. Il giudicato
di papa Silvestro 11, in forza del quale i monaci di S. Pietro si sottrassero
definitivamente alla giurisdizione episcopale, controbattendo, sembra, con
valide prove le pretese del vescovo Conone, ricorda i privilegi concessi da
un papa Giovanni non precisato e da papa Gregorio. Se, come 6 verisimile,
si tratta di Gregorio v, il predecessore Giovanni è il xv? (985-996) e non il
xii? (965-972), come potrebbe supporsi riferendosi al diploma di Ottone rr,
che nel suo contenuto non si conosce perché perduto ; e in tal caso la fon-
dazione del monastero andrebbe portata avanti di una ventina di anni ri-
spetto alla data del 967, indicata da una generica tradizione. D'altro canto
autorevoli fonti diplomatiche e storiche indicano che l'abate fondatore si
chiamasse Pietro ; papa Benedetto vir indirizzó nel 1022 un privilegio al-
labate Pietro. La tradizione secondo cui sia da ritenere che si tratti della
stessa persona — tradizione accettata da Leccisotti-Tabarelli, editori delle
carte dell’Archivio di S. Pietro — indurrebbe ad ammettere che questo
Pietro avrebbe ricoperto l'officio di abate di S. Pietro per un periodo di
tempo non inferiore a 55 anni; il che sembra poco credibile.

Montanari ha svolto prevalentemente la trattazione dell'argomento
sull'orditura fornita dalla. cronaca del monastero, ricorrendo nondimeno
nei casi dubbi o per necessità di più ampi dettagli al conforto dei documenti
d'archivio.

Il lavoro si divide in quattro parti: nella prima son narrati la origine
RECENSIONI 211

e la vita della comunità benedettina di S. Pietro ; la seconda tratta la for-
mazione e l’amministrazione del patrimonio ; nella terza sono esposte le
vicende e le fasi della edificazione della basilica, del campanile e del mo-
nastero ; la quarta è dedicata alla narrazione della organica costituzione
dell'ente Fondazione per l’Istruzione Agraria in Perugia. Naturalmente
per l’ufficio ricoperto per lungo tempo con perizia e con encomiabile im-
pegno in seno alla Fondazione e per la sua specifica competenza la seconda
parte costituisce il contributo maggiore per completezza e novità d’infor-
mazione e per singolare interesse circa la costituzione della rilevante pro-
prietà terriera del monastero, le forme di conduzione, i metodi di tecnica
agraria, le complementari attività economiche.

Il volume è fornito di utilissimi indici ed è arricchito da un largo cor-
redo di ben scelte illustrazioni che costituiscono una eloquente integrazione
del testo.

GIOVANNI CECCHINI

Liber Contractuum (1331-32) dell’ Abbazia Benedettina di San Pietro in Pe-
rugia, a cura di Don Costanzo TABARELLI O.S.B. con introduzione
di Giuseppe MIRA (Fonti per la storia dell'Umbria, n. 3), Perugia,
Deputazione di storia patria per l'Umbria, 1967, pp. x11-568, L. 10.000.

Conosciuto ed apprezzato da secoli da parte degli studiosi di storia
perugina ed umbra per i suoi ricchi fondi documentari, l'archivio dell'ab-
bazia di S. Pietro ha cominciato ad essere studiato in maniera più organica
particolarmente in quest’ultimo dopoguerra per iniziativa della Fondazione
agraria risiedente nell’abbazia stessa. Tale archivio presenta infatti una
documentazione abbondantissima e pressochè ininterrotta a partire dall’alto
Medio Evo fino ai tempi più recenti, offrendo un esempio tipico e forse
unico nel suo genere di gestione monastica conservatasi quasi intatta fino
al dissolvimento delle grandi proprietà ecclesiastiche. A seguito della pre-
cedente pubblicazione Le carte dell’archivio di S. Pietro di Perugia, curata
nel 1956 (Milano, Ed. Giuffrè) in due volumi da T. Leccisotti e C. Tabarelli
e avente per oggetto i documenti di più diretto interesse storico (v. la re-
censione di A. Pantoni in questo « Bollettino », LIV, 1957, e la nostra in
«Rivista di storia della Chiesa in Italia », xir, 1958, pp. 142-145), vede ora
la luce il Liber Contractuum del medesimo monastero perugino per gli anni
1331-32. L’editore, il p. Costanzo Tabarelli, archivista del cenobio di S. Pietro
e già valente collaboratore della precedente pubblicazione, ha curato-in questo
grosso ed elegante volume la trascrizione del secondo di una serie di otto
volumi concernenti le importanti vicende patrimoniali dell'abbazia nel de-
corso del secolo xiv. Si tratta della serie dei Libri Contractuum, i quali, oltre
ad illustrare in maniera quanto mai perspicace la vita economica ed am-

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212 RECENSIONI

ministrativa del monastero perugino in un periodo ben definito della sua
millenaria esistenza (i documenti del presente volume vanno infatti dal
28 aprile 1331 al 21 agosto 1332), contribuiscono anche, per riflesso, a do-
cumentare piü precisamente la vita stessa di quel Comune, colmando cosi
le lacune esistenti al riguardo negli « Annali decemvirali ». T

I documenti qui pubblicati con accurato metodo storico-diplomatico
sono in tutto 322. Naturalmente il centro dell'interesse é costituito dal mo-
nastero stesso con le sue numerosissime dipendenze e la sua varia articola-
zione gerarchica, con la sua complessa gestione economica e le sue vicende
interne: é il periodo che vede i primordi del regime dell'abbate Ugolino
Vibi (v. in proposito il doc. 14 del 16 giugno 1331, pp. 23-25), figura di
primo piano nella lunga storia del monastero, come é stato rilevato tra l'altro
anche nel recente Convegno storico dedicato appunto al millennio dell'ab-
bazia di S. Pietro (Perugia, ottobre 1966). Dal punto di vista storico-eco-
nomico — e si tratta di un particolare unico stando alle indicazioni del
Liber Contractuum — l'interesse più rilevante di tale regime abbaziale è
costituito dall’imposizione di particolari contributi alle singole dipendenze
al fine di poter versare al papa Giovanni xxr, allora ad Avignone, la somma
richiesta per il riconoscimento dell’elezione stessa. Le conseguenze di simile
imposizione si tradussero in una riscossione anticipata dei frutti prove-
nienti dalle diverse mense e, ancor più, in un abbassamento del canone plu-
riennale a confronto di quello ordinario. L’entrata complessiva di 3812
fiorini costituisce appunto la somma straordinaria raccolta dal monastero
in base alle diverse forme di concessione (non escluse quelle più tradizionali,
come il cottimo lavoreccio), al fine di far fronte ad una richiesta così ecce-
zionale. E al versamento in denaro si devono aggiungere anche quei com-
plementi in natura che esprimono forse con maggior concretezza, pur entro
limiti molto ristretti, il vivo delle vicende economiche ed agricole. Per quanto
non si possiedano elementi diretti di confronto atti a stabilire un rapporto
tra i canoni riscossi e le superfici terriere, i dati forniti dai documenti si
rivelano pur sempre di primaria importanza per tutta l'economia umbra del
periodo in questione, tenendo presente che si tratta di un complesso di beni
saldamente amministrati da un unico, grande centro monastico, non an-
cora inserito in nessun organismo religioso piü vasto, come invece avverrà
nel secolo successivo con l'ingresso nella Congregazione benedettina di S. Giu-
stina.di Padova.

Lo storico dell'economia medievale constaterà agevolmente — come 3
del resto è posto limpidamente in risalto nell'Introduzione, p. rx — la quasi
completa scomparsa delle concessioni enfiteutiche e le conseguenze positive
di un simile regime nei secoli precedenti, dato l'alto ed immediato utile che
il monastero potè ricavare: negli anni 1331-32. Alla soddisfacente circola-
Zione monetaria é strettamente associata la rivalorizzazione delle case ru-
rali, conseguenza al tempo stesso di quel nuovo clima di.sicurezza generale
RECENSIONI 213

favorito dalle istituzioni comunali contemporanee. È un patrimonio ancora
sostanzialmente intatto ed omogeneo, di cui i fondi archivistici così op-
portunamente messi a frutto in questi ultimi anni ci rivelano tutta l’im-
portanza, come del resto è ben noto a quanti hanno dovuto occuparsi per
un motivo o per l’altro del celebre cenobio perugino. D’altro lato, lo storico
delle istituzioni monastiche non rimane insensibile ai vari aspetti di quella
«storia umana del monachesimo » che viene oggi sempre più approfondita
mediante lo studio delle vicende ordinarie dei monaci ordinari. I documenti
relativi alla professione monastica (doc. 4) o all’oblazione (docc. 40, 163,
228, 303, 305), alle promesse di obbedienza (docc. 19, 22, 32) o ai prov-
vedimenti circa la posizione giuridica di un ospite e dei suoi beni (doc. 185)
ci introducono un po’ più addentro nel mondo claustrale di cui rimangono
aspetti non meno interessanti. In particolare le notizie relative al numero
dei monaci e dei conversi (docc. 15 e 16), come pure le preoccupazioni mo-
tivate dalla « paucitas et defectus monachorum qui possint divinum exer-
cere offitium » (doc. 30 27-28) o le disposizioni circa il vestiario dei monaci
(docc. 281 e 286) gettano maggior luce sulle esigenze quotidiane della co-
munità monastica, benchè non si debba pretendere da questo genere di
fonti un discorso più esplicito sulla vita propriamente spirituale della co-
munità stessa. Si tratta di semplici accenni, degni tuttavia di essere rilevati.
Va infine segnalato che, come già i due volumi delle Carte editi nel 1956,
anche il presente volume è corredato di un fitto commento storico e topo-
grafico atto a soddisfare anche il ricercatore più esigente, sulla base di una
informazione bibliografica (manoscritti e opere a stampa), di cui un elenco
a parte (pp. 565-568) fornisce i dati completi. Amplissimi pure gli indici
delle chiese dipendenti, dei nomi di persona, di luogo e delle cose notevoli,
per quasi un centinaio di pagine (pp. 467-564).

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Necrologi

TONI REINHARD
(1917-1965)

Ricorre in questo mese ormai il terzo anniversario della morte
di Toni Reinhard, professore ordinario di filologia romanza all’Uni-
versità di Basilea, spentosi improvvisamente il 23 marzo 1965.

Nato a Basilea il 25 giugno 1917, vi aveva frequentato il liceo
classico, studiando poi le lingue neolatine sotto la guida di Walther
von Wartburg, non dimenticando tuttavia l’importanza della cul-
tura germanica e completando la sua formazione con vari soggiorni
all’estero. ill

Sin da giovinetto aveva nutrito una particolare predilezione Il
per la lingua e la patria di Dante. La sua tesi di laurea: L’uomo
nel Decamerone. Saggio di vocabolario semantico, Assisi, 1951, fon-
data su uno spoglio integrale del capolavoro del Boccaccio, è de-
dicata con accurato esame dei suoi termini relativi alla vita umana
raggruppati secondo il « Begriffsystem » di Hallig - von Wartburg, |
sistema che trova qui la sua prima applicazione all'italiano. Pochi LUI |
anni dopo vedevano la luce le sue Umbrische Studien (« Zeitscrift TH
für romanische Philologie» 71. 172-235 (1955) e 72. 1-53 (1956), dove
espone in modo magistrale la storia del vocalismo tonico dei dia-
letti umbri e di quelli immediatamente confinanti. Ma la sua mente
era già da tempo occupata da altri lavori di maggiore mole. Pos-
sedeva uno schedario immenso cui aveva affidato durante anni i
risultati della sua vasta esperienza e che costituiva il nucleo di
un grande dizionario etimologico italiano. Profondo conoscitore
della cultura europea, scienziato rigoroso ed esteta di rara sensi-
bilità, aveva saputo come pochi assimilare ogni espressione d'ita-
| lianità, ed era l’uomo designato per l’opera che vagheggiava e che
purtroppo è rimasta un sogno.

Collaboratore del Franzósisches Etymologisches Worterbuch di
Walther von Wartburg, professore di francese e d’italiano nei licei
di Basilea dal 1946 al 1957, lettore di spagnolo all’Università dal
1947 al 1954, poi libero docente alla stessa, fu chiamato nel 1957
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216 NECROLOGI
a Vienna come ordinario di filologia romanza. Ma già due anni
dopo tornava definitivamente all’Università di Basilea per suc-
cedere al suo maestro. Conscio dell'importanza politica e sociale
della scuola, si era fatto eleggere deputato al Gran Consiglio del
Cantone per poter dare il suo contributo attivo alla soluzione dei
suoi problemi che tanto gli stavano a cuore. E come se non bastasse
aveva assunto poco prima della sua morte la presidenza della Fa-
coltà di Lettere. Nonostante la sua infermità che andava aggra-
vandosi aveva sempre cercato di comprendere ed aiutare il pros-
simo, soprattutto gli studenti, non risparmiando nessuna fatica e
posponendo tutte le sue attività piü care.
Si spense con lui non solo un grande romanista nel senso piü
ampio della parola, ma soprattutto l'amico che sopra ogni altra
cosa s'occupava del bene altrui.

Basilea 3 marzo 1968
MicHAEL METZELTIN

BIBLIOGRAFIA

L'uomo nel Decamerone, Saggio di vocabolario semantico (Tipografia Por-
ziuncola - Santa Maria degli Angeli, Assisi), 1951, pp. 111 + 139.
Umbrische Studien, in «Zeitschrift für romanische Philologie», LXxI, 1955,

pp. 172-235, LXxI, 1956, pp. 1-53.
Anhang Zur Beeinflussung von *potere durch *volere im Italienischen (ag-

giunta all’art. Die progressive Analogie di K. BALDINGER), in Mélanges

. Maurice Delbouille, vol. 1, Gembloux 1964, pp. 78-80).

Vom Wesen der Volksetymologie, ‘in « Typographische Monatsblátter »,
Schweizer Graphische Mitteilungen. Revue suisse de l'imprimerie, n.
1, gennaio 1965, pp. 16-17.

Recensione a MIGLIORINI-FOLENA, Testi non toscani del Trecento, 1952;
... del Quattrocento, 1953, in « Zeitschrift für romanische Philologie»,
LXXH, 1956, pp. 129-132.

Recensione a CroRANEsCU, Diccionario Etimológico Rumano (A-Farm), 1958-
1959, in «Kratylos», vir, 1963, pp. 63-70.

Articoli redatti da Toni Reinhard per il Franzòsisches etymologisches
Wórterbuch di W. v. Wartburg. Nel vol. vi: Macedonia, Machiavelli, Ma-
deira, magia, magicus, magma, magnanimiías, magnanimus, magnates, M agnes,
magnesius, magnificare, magnificatio, magnificus, magniloquentia, magnitudo,
Magnol, magnus, magus, maiestas, Maillard, makaria, makarites, mala, ma-
lacticus, malacus, malagma, malaxare, Malchus, Malebranche, maledicere

I 37» NAVES COND, TIA: 3 TCA E
| in e -
NECROLOGI 217

maledictio, male habitus, Malvesie, mancus, mandare, mandator, mandatum,
mandere, mandibula, manducare, mane, manganeia, *manganes-, manganorn,
manica, manicatus, *maniculare, manicus, Mansard, margarita, maritalis,
maritare, maritus, marmaritis, marmor, marmorarius, marmoratus, marmo-
reus, materia, materialis, materiamen, *materiamentum, materiarius, mate-
riosus, materium. Nel vol. vii: Neptunus, panicium, panicum, pastinaca.
Nel vol. x: resolubilis, resolutio, resolvere. Nel vol. xir: statua, statuere.
Nel vol. xvi: vacare, vacatio, vacca, vaccinium, vaccinus, vacillare, vacivus,
vacuare, vacuitas, vacuus, vagabundus, vagare, vagina, vagire, vagitus, vagulatio,
vagus, valvae, valvula, vanari, vanescere, vaniloquentia, vanities, vannus,
vanus, vapor, variabilis, variantia, variare, variatio, vavaricosus, varietas,
variola, varius, varix, vehemens, vehementia, velocitas, velox, vena, venabu-
lum, venari, venatio, venator, venatus, venna, ventilabrum, ventilare, vento-
sus, ventus, virga, virgarius, virgatus, virgella, virgifer, virgula, virgultum, vitel-
lus (kalb), vitiligo, vitulus, vituperabilis, vituperare, vituperatio, vituperativus,
vituperator, vituperium, vulgaris, vulgaritas, vulgator, vulgatus, vulgus.

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218 NECROLOGI

NALLO MAZZOCCHI-ALEMANNI

. La mattina del 6 maggio 1967, passando per Todi, volli tornare
a visitare il prof. NaLLo MazzoccHI-ALEMANNI, li ricoverato da
molti mesi, nella Clinica dell'Ospedale della Sua città nativa: mi
dissero che aveva una crisi, ripartii, mai immaginando che quel
giorno egli ci avrebbe lasciati per sempre. E da allora ho pensato
spesso a lui, perchè non mi sembrava vero ci avesse abbandonato,
con quel suo spirito così sereno, che gli aveva consentito di soppor-
tare lunghe ed inenarrabili sofferenze e di dar coraggio lui stesso
alla dilettissima moglie che gli era compagna sempre più dolce e
più spiritualmente vicina, sperando fino all’ultimo. Ed ho pensato
a lui, non solo come ad un amico, ma come ad un uomo raro, nel
quale la profonda cultura tecnica non aveva soffocato le qualità
umane, anzi le aveva esaltate.

Un uomo raro, signore nei modi non solo per quanto gli derivava
del passato e dalla nobile famiglia, ma perchè lo era nell’animo,
semplice, senza mai presunzione, che capiva gli altri, e, attraverso
lo studio si avvicinava all'uomo, per amarlo, per dare alla vita il
senso di un cammino, non solo verso la cultura, ma verso la bontà.
Lo ricordo nel tempo nel quale ebbi la fortuna di incontrarlo, valido
e competentissimo Consigliere di Amministrazione della Cassa del
Mezzogiorno, che scoperta mi sembrò di fare. E pensando ad un
mio nonno notaio orvietano, comprendevo di più come nella verde
Umbria di Todi, il Mazzocchi avesse coltivato in sè legami con il
passato e sognasse un avvenire di progresso per tutti, e gli tosse
pertanto spontaneo adoperarsi perchè via via si camminasse verso
un avvenire migliore, vivendo tutti in spirito di amicizia. Uno di
quegli uomini da ricordare dai suoi collaboratori con le parole che
l'Ariosto fa dire, del suo capo, nell'Orlando a Medoro « pensando
come sempre mi fu umano ». |

All’aspetto fisico non gli si davano i suoi 78 anni (era nato il 4
maggio 1889) e sì che si era ben consumato, nel tempo, a lavorare :
nè aveva ancora smesso, tanto il lavoro, o meglio lo studio, era per
lui un modo di vita. Prima di laurearsi in Scienze Agrarie, nel 1912,
all'Università Agraria di Perugia, si era recato nell'Africa Orien-
tale italiana, facendo poi una puntata in quelle inglese e tedesca,

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NECROLOGI 219

onde preparare convenientemente la sua tesi di laurea sulla « valo-
rizzazione del Giuba » (un viaggio di 10 mesi con un compagno, da
cui riportarono ben 45 casse di documentazione) e tale. contatto
con l'Africa fascinosa l'aveva avviato a tornarci. Così, la prima
continuativa attività professionale ebbe a svolgerla a Tripoli,
nel 1913-14 quale Segretario della Commissione Governativa per
lo studio agrologico della Tripolitania: e poi nel ’14-’19 quale

Capo dell’« Ufficio Colonizzazione Italiana di Agricoltura Indi- :

gena » all’Ufficio Agrario della Tripolitania. E là in Tripolitania,
mentre veniva affrontando le possibilità di un’agricoltura nuova
sperimentandola attraverso l’impianto di stazioni e di aziende tipi-
che, utilizzando la contemporanea esperienza di altri paesi e ciò
pure con le difficoltà del periodo di guerra, il Mazzocchi-Alemanni
diede pienezza alla sua vita costituendosi la propria famiglia e chia-
mando la giovane sposa a dividere con lui i disagi, lieta di cammi-
nare insieme a lui in perfetta unione verso l’avvenire.
Abbandonata la Tripolitania nel 1920, egli divenne direttore
dell'Istituto Agricolo Coloniale di Firenze, presso il quale fu inse-
gnante di Economia Rurale Coloniale fino al 1923 : e in quel periodo
eseguì pure missioni di studio a Rodi per il Catasto Fondiario del-
l'Isola, in Anatolia ed in Cirenaica. Dal 1923 al 1929, dopo ampi
studi preparatorii, realizzò opere di bonifica in Italia ed in Oltre-
mare e fu anche in missione di studio nell’Angola Portoghese ed
ancora nel Giuba, onde predisporre progetti di valorizzazione. Giu-
stamente è stato rilevato come, con i sistemi di comunicazione di
quel periodo, in assenza di qualunque organizzazione che rendesse
sicuro e facile il lavoro ed il suo svilupparsi. egli dovesse avere nel
suo lavoro un entusiasmo, un interesse, una passione insoliti, tali
da far risplendere la sua figura come quella di un precursore.
Intanto, questo suo lavoro sempre affiancato allo studio, ne
aveva delineata la particolare personalità, così che nel 1930 l'Isti-
tuto Centrale di Statistica lo chiamó a capo dei suoi Servizi Agri-
coli, conferendogli l'incarico di dirigere la formazione del nuovo Ca-
tasto Agrario Italiano comprendente 97 volumi di gran formato:
e di riorganizzare i Servizi della Statistica Agraria Nazionale. Nel
mentre, fino al 1935, svolgeva questi compiti, fu altresì Membro
del Comitato Direttivo dell'Istituto Nazionale di Economia Agraria.
Essendo state iniziate da qualche anno le opere di bonifica e va-
lorizzazione dell'Agro Pontino, nel 1935 l Opera Nazionale Com-
battenti lo chiamò all'Ispettorato Generale dell'Agro Pontino e Pt x^
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220 NECROLOGI

gliene affidò la direzione. E in quel periodo, fino al 1939, oltre al-
l’Agro Pontino, egli ebbe a seguire la trasformazione fondiaria del
Tavoliere di Puglia e del Volturno e la prima colonizzazione italiana
in Etiopia, dato che era membro della Consulta Coloniale : fu anche
incaricato dall'Università di Napoli per « Corsi Speciali di Coloniz-
zazione ». Successivamente fino al 1944 egli ebbe un altro periodo
di lavoro intenso, quale Direttore Generale dell'Ente Colonizza-
zione del latifondo Siciliano, il cui sviluppo fu poi impossibilitato
dal progredire della guerra.

Ma dall'esperienza del prof. Mazzocchi (che nel periodo in cui
fu in Sicilia venne incaricato del «corso di bonifica » nella facoltà
di Agraria dell'Università di Palermo) venne fatto tesoro princi-
palmente del periodo 1945-48 nella ricostruzione post-bellica,
quando egli fu consulente progettista delle « Direttive della trasfor-
mazione agraria» per una dozzina di Consorzi di Bonifica : Com-
prensorio del Tavoliere di Puglia, dell'Aurunco, del medio Tevere,
della Valle del Liri, della Conca di Sora, dell'alto Potentino, del
Bradano, di Corigliano Calabro, di Cassano allo Ionio, della Tre-
xenta del Flumendosa, del Fucino, del Liscia di Gallura. E si dice
«che venne fatto tesoro » perché l'avere allargata la sua visione a
pressochè l'intero Mezzogiorno rese molto più proficuo il suo suc-
cessivo lavoro quando dal 1949 al 1953 fu membro della Commis-
sione Generale per la legge di Riforma Agraria e poi, dal '50 al '54
Consigliere di Amministrazione della Cassa per il Mezzogiorno e
dal °52 al '54 membro del Comitato per la Produttività e Presidente
del « Gruppo di lavoro per l'agricoltura », e ancora, dal '53, Com-
missario per il Settore Agrario per la Rinascita della Sardegna.

Intanto, Commissario Governativo della Fondazione Agraria
di Perugia dal 1948 al 1951 si era occupato della bellissima tenuta
di Casalina (dove venne tenuto nel '66 parte del Convegno della
Deputazione di Storia Patria dell'Umbria pel Millennio dell'Ab-
bazia di S. Pietro di Perugia) e nel 1949 ebbe ad istituire un « Co-
mitato per lo studio e la pubblicazione dei documenti storico-eco-
nomici dell'Archivio dell'Abbazia di San Pietro in Perugia» alla
cui attività si deve far risalire la pubblicazione dei documenti di ar-
chivio, cosi utile per il citato convegno, che ebbe come inizio la stampa
dei due volumi «Le carte dell'Archivio di San Pietro di Perugia »
avvenuta nel 1956 da parte dell'Editore Giuffrè di Milano.

Né qui si ferma l'attività del Nostro. Mentre maggiore impor-
tanza e maggior peso assumono le sue pubblicazioni, eccolo dal
NECROLOGI 221

1957 Consulente della OTI (Organizzazione Tecnica Internazionale)
con la quale ebbe a collaborare per la FAO all’Assistenza Tecnica
in Grecia ; nello stesso 1957 incaricato dall’ Associazione per lo Svi-
luppo Economico dell'Umbria del « Piano Regolatore per l’utiliz-
zazione irrigua delle Acque Umbre » che venne poi pubblicato nel
1962 ; dal 1959 fu Vice-Presidente della Commissione del Comitato
dei Ministri per il Mezzogiorno per l'Assistenza dello Sviluppo Agra- .
rio, e nel periodo 1960-65 Presidente della OTI.

Si è detto delle pubblicazioni, che si inquadravano nella sua at-
tività accademica dato che da molti anni era Accademico dei Geor-
gofili. Particolare valore documentario ha, fra le sue opere, la Re-
lazione Generale sul Catasto Agrario, mentre come a tipo dei suoi
studi di bonifica ci si può riferire e al volume sulla Trasformazione
fondiaria del Tavoliere di Puglia ed a quello sulla Bonifica della
Valle del Liri. Ma poi gli scritti del Mazzocchi sono tanti che poco
vale riferirsi ad altri dei suoi volumi fra i quali l’ultimo, del 1958,
raccoglie parecchi studi che sotto il titolo Scritti vari di economia
agraria si incentrano sulla bonifica integrale e le nostre strutture
agrarie, in quanto moltissimi sono i succosi ed approfonditi studi
da lui pubblicati su riviste tecniche di Economia Agraria, e così
pure tante e tante le lezioni e le conferenze di aggiornamento tec-
nico, anche non raccolte. Ricorderemo, fra queste, una conferenza
pronunciata nel 1963 alla Federazione dei Dottori in Agraria, il cui
titolo già ne sintetizza lo spirito; Problemi posti dalla Storia all’ Agri-
coltura Italiana. Non si può quindi, non avendo poi neppure grande
spazio, dilungarsi ad illustrare in dettaglio il pensiero del Nostro :
mentre è invece molto interessante, per rendersi conto almeno dei
fini cui tendeva questo immane lavoro, soffermarsi a guardare i
«temi» che venivano affrontati in alcuni di questi studi.

Così, abbiamo un estratto della « Rivista di Economia Agraria »
del 1948 Nota sul colonizzamento di un demanio Lucano, nel quale
la acuta intuizione e la conoscenza lo spinge, allora, in pieno fer-
vore di riforma agraria, a deprecare le conseguenze derivanti
dall'aver spezzato la unità organizzativa di vaste proprietà pub-
bliche : e un altro studio del '50 sulla stessa Rivista nel quale
nel trattare de L'irrigazione della media valle del Tevere e la sua
economia si documenta che non vi é una realtà negativa delle col-
tivazioni legata ad una «negatività fisica » ma quello stato deriva
da cause morali, da un complesso di negatività, umane, storiche,
organizzative. E poi, ecco, ne « Il Dottore in Scienze Agrarie » del
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222 NECROLOGI

1962 un saggio sugli Aspetti umani della crisi evolutiva nell'ambiente
mezzadrile dell'Italia Centrale; nel quale si illumina quale sia il va-
lore dell'uomo in tutte queste vicende, aspetto che poi l'Autore
riprenderà da par suo nel 1963 sulla « Rivista di Storia dell'Agri-
coltura » con lo studio Un secolo di Agricoltura Italiana dopo aver
altresi studiato altrove la Evoluzione contadina del Mezzogiorno e,
nei quaderni di sociologia rurale, ancora nel 1963, il particolare
aspetto del mondo contadino su Alfabeto e analfabetismo.

Ma questo seguire nei suoi valori umani e culturali l'evoluzione
contadina (come con uno degli ultimi scritti nella « Rivista di Eco-
nomia Agraria» del 1965 sull’Assistenza umana per una efficiente
agricoltura) è poi espressa in modo particolare nel suo studio del
1963 su L'anima del latifondo siciliano nella poesia di Alessio di Gio-
vanni : è un poeta dialettale che egli ebbe a conoscere nel '39 quando
andò a lavorare nel latifondo siciliano : e si domanda il Mazzocchi-
Alemanni : «ma cosa c'entra l'impegno di un'opera di bonifica con
un grande poeta dialettale ? E la spontanea domanda di certo pres-
sapochismo bonificario : che si prodiga, giustamente, in analisi pe-
dologiche o, che so io, in determinazioni di parametri irrigui o nel
calcolo delle unità foraggere di un erbario, ma ignora compiuta-
mente, dimenticandolo nel modo più assoluto, l’uomo: a servizio del
quale, tuttavia e solamente, quelle analisi e determinazioni attin-
gono significato ».

Non dovrebbe essere questo il segreto di tutto il nostro lavoro,
il fine del nostro lavoro e cioè il riconoscimento del fratello uomo ?
Passeremo lungo i campi che furono di Mazzocchi, lambiti dal Te-
vere, rivedremo le case-torri della sua Todi, e il cuore ci farà male :
perchè un Maestro non solo di scienza, ma di vita, un Maestro come
lui difficilmente si potrà ritrovare.

PiERO GRASSINI
NECROLOGI 223

BIBLIOGRAFIA

] La trasformazione fondiaria del Tavoliere di Puglia, Roma, Ed. Colombo, 1936.

Il catasto agrario italiano. Relazione generale Roma, Poligrafico dello Stato,
pp. 159 grande formato, 1939.

La bonifica della Valle del Liri, Napoli, Ed. Cassa del Mezzogiorno, pp. 322,
1952.

La riforma agraria, Asti, Ed. Arethusa, pp. 295, 1955.

Scritti vari di economia agraria (che si incentrano su problemi della bonifica
integrale e della nostra struttura agraria) Milano, Ed. Giuffré, 1958,
pp. 396.

Piano Regolatore per la utilizzazione delle acque umbre (in collaborazione con
l'Ing. Gioia e il Dott. Luciani), Roma, OTI, 1963, pp. 275.

L'anima del latifondo siciliano nella poesia di Alessio Di Giovanni, Palermo,
Ed. Sciascia, 1964.

La pubblicazione dei documenti di S. Pietro di Perugia, Prefazione, Milano,

Giuffrè, 1956, Estratto.

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NECROLOGI

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ITALO CIAURRO

Italo Ciaurro, nato a Terni il 3 novembre 1887, si è spento,
il 3 gennaio 1968 a Roma, nella città dove da oltre sedici anni vi-
veva, e dove, per ristabilire un legame ideale con la sua terra, pose
ogni energia a che l’associazione « La famiglia umbra » rifiorisse.

Compiuti i primi studi in quella Scuola Normale di Perugia
che fu fertile vivaio di pedagogisti di chiara fama, egli dedicò gli
anni della sua giovinezza all'insegnamento, mostrando un parti-
colare interesse per quei motivi innovatori che dovevano portare,
il poi, alle riforme ed agli attuali orientamenti didattici. A questo
n periodo risalgono i primi suoi studi e le prime sue pubblicazioni
ll Il di carattere pedagogico come: il Breviario spirituale dell'educatore
il italiano (Bemporad) ; il Contributo alla bibliografia per uno studio
della scuola primaria in Italia (« Rivista Pedagogica», Anno x, fasci-
| colo r, Milano, Albrighi e Segati, 1917) ; Per la storia della Scuola
IH primaria nell' Umbria dal sec. XV al 1911 (due volumi rimasti ine-
"M diti); Salviamo il fanciullo (Legnano, Tip. E. Mercati, 1915), oltre
HI ad alcuni libri per la gioventü, editi da Sandron, e vari testi sco-
TAI lastici da Carabba.
SIGA(AIIITI Nel 1928 lascia l’insegnamento per seguire quella che gli si
rivela essere la sua vera vocazione : il giornalismo e gli studi storici.
TUE Diviene redattore per l'Umbria del « Piccolo » e della « Tribuna » ;
| ha incarichi di inviato speciale, e collabora in terza pagina. La sua
attivissima opera giornalistica si svolge investendo una vasta gamma
| di problemi politici, amministrativi, economici e culturali; col-
labora in varie rassegne italiane. Con Oreste Tarquinio Locchi
dirige la rivista « Latina Gens» (1931) nella quale, come sempre,
ha modo di mettere in evidenza il suo amore per l'Umbria, per le
TUE sue bellezze, e per la sua importanza storica.
MI Dopo la devastazione operata a Terni dai bombardamenti
aerei, che distruggono anche la sua casa, egli si trasferisce a Perugia
dove, finita la guerra, riprende l'attività giornalistica temporanea-
THE mente sospesa. Diviene capo della redazione locale del « Nuovo
UTE corriere », del «Giornale d'Italia» e corrispondente del « Corriere
l della Sera ». Sempre a Perugia tenta di far rivivere la vecchia ri-
TE vista storico-letteraria « La Favilla» (1946), di cui usciranno al-
| cuni interessanti numeri che avranno per collaboratori: Giusti-

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NECROLOGI 225

niano degli Azzi, Achille Bertini Calosso, Francesco E. Marcianò,
S. F. Downing, Mariano Guardabassi, Francesco Briganti, Valen-
tino Chiodi, e molti altri.

Ma questa intensa attività giornalistica non esclude nè limita
le sue indagini bibliografiche ed archivistiche, che dovranno fornire
largo materiale di consultazione agli studiosi di cose umbre. Nel
1938 pubblica quella Bibliografia della città di Terni e del suo ter-
ritorio (Alterocca, Terni), di cui aveva presentato un primo contri-
buto nell'Assemblea generale della Deputazione di Storia Patria
per l'Umbria, del 20 settembre 1922, facendo eco al voto espresso
in quell’occasione in favore di una Bibliografia storica regionale,
e che, tuttavia, resta opera insuperata e largamente compulsata.

Nel 1963, nel quadro delle Celebrazioni per il centenario del-
l'Unità d'Italia, dà alla luce, edito da Cappelli, il volume L'Um-
bria e il Risorgimento che ottiene il premio « Terni» e merita la
lusinghiera segnalazione dell’illustre storico Luigi Salvatorelli, in
un articolo sulla « Stampa» del 29 aprile 1964. Riconoscimenti
questi che dovevano coronare le lunghe, pazienti indagini dell'au-
tore, sia negli archivi di Stato che in quelli privati e fino allora
inesplorati.

Anima sensibile, in ogni sua opera e in ogni suo articolo, scritti
con somma chiarezza e scioltezza di stile, egli doveva portare una
segreta vena di poesia, insieme a quel calore umano che 1o distin-
gueva nei rapporti coi propri simili, e a quell'attrazione di viva sim-
patia che emanava dalla sua personalità. Non poteva questa sua
struttura interiore restare sorda ai richiami della lirica e della nar-
rativa. Infatti nel 1958 scrive un romanzo Miracolo al Terminillo,
che ottiene il Premio « Roma - Sabina»; e a Perugia che egli amava
chiamare «sua seconda patria», dedicherà delicati versi ispirati
dalla bellezza, dalla grandiosità monumentale e dalla antichissima
storia della città. Fra questi Fontana muía: la Fonte Maggiore
non ancora ravvivata dalle iridescenze dell’acqua: poesia pubbli-
cata ne « Il Giornale dei poeti», il 25 aprile 1957. Fu socio della
Deputazione di Storia Patria per l'Umbria.

Egli lascia tra noi profondo rimpianto ed inestinguibile memoria
oltre che per la sua preziosa e multiforme attività, per quell'in-
condizionato, filiale amore verso la sua terra, alla quale dedicó,
sempre, la parte migliore della sua anima e del suo brillante ingegno.

ANGELO BIAGETTI.

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BIBLIOGRAFIA

Sarebbe pressoché impossibile, oggi, raccogliere ed elencare qui la gran
mole di articoli scritti da Italo Ciaurro ; ci limiteremo, quindi, a segnalarne
alcuni che si riferiscono a Terni e all’Umbria in genere ; e ad integrare l'elenco
delle pubblicazioni già citate con le altre di cui non si é fatto cenno nel testo.

Annuario Parlamentare Italiano. Cronistoria dell'anno 1910, Roma, 1911.

Gli Ospizi Marini di Terni etc. (Premiato con medaglia d'oro all'Esposi-
zione internazionale di igiene a Roma), Terni, Tip. Visconti, 1912.

La Chiesa di S. Salvatore (di Terni) edito dalla Riv. « Latina Gens $,: 1931.

Di alcuni uomini illustri di Terni, nella Riv. «Latina Gens » 1931.

L’opportunità di eseguire scavi metodici e razionali nella Regione Umbra-
Etrusca, in « Vita umbra», A.LN.L, Terni, 1928.

La Mostra di Arte applicata umbro-senese ad Orvieto, in Riv. «L'Industria
dell'Umbria », Anno mi, n. 8, Foligno, 8 settembre 1930.

Monumenti antichi e moderni, in « Giornale d'Italia », 21 gennaio 1926.

Frate Francesco a Terni, in « Giornale d'Italia», 21 febbraio 1926.

La nascita dell' Imperatore Traiano e la statua di Tacito in una lettera di Fran-
cesco Stelluti, in « Giornale d'Italia», 24 settembre 1926.

Orme e recessi francescani : lo Speco di S. Urbano, in « Giornale d'Italia »,
21 agosto 1927.

Dove si trova la casa ternana di Tacito, in « Giornale d'Italia », 21 dicem-
bre 1927.

Problemi e questioni di estetica cittadina a Terni, in «Giornale d’Italia »,
22 dicembre 1927.

Le grotte degli Umbri sarebbero a Terni e servirono di rifugio ai primi cristiani,
in « Giornale d'Italia », 3 luglio 1929.

Antichi monumenti di Terni dimenticati in una pregevole opera architettonica,
in «Giornale d'Italia », marzo 1930.

L’avvenire delle città umbre, in « Giornale d’Italia » 6 settembre 1931.

Morte di Riccardo Gradassi Luzi, in « Giornale d’Italia » 23 febbraio 1926.

Collegi e Istituti di Cultura, in « Giornale d’Italia », 19 marzo 1926.

I più grandi impianti idroelettrici in Italia, in « Giornale d’Italia » 26 set-
tembre 1926.

Lo sviluppo dell'energia elettrica in Italia verso un primato. I colossali lavori
delle Marmore, in « Giornale d’Italia » 1 settembre 1927.

Lo sviluppo industriale di Terni. Nuovi stabilimenti di Papigno e Nera Mon-
toro, in « Giornale d’Italia », 7 marzo 1930.

Sviluppo delle imprese elettriche in Italia. Lo spostamento del corso del Nera
presso Terni, in « Giornale d'Italia», 13 novembre 1031.

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CENTRO DI DOCUMENTAZIONE
SUL MOVIMENTO DEI DISCIPLINATI
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Di alcune fraternite laicali di disciplinati dei secoli

XVI-XVII regolate dalla spiritualità cappuccina

Per la storia dell’ultima fase del movimento dei disciplinati,
possono riuscire interessanti alcune notizie sulla reviviscenza di
queste fraternite laicali nel clima della riforma cattolica cinque-
centesca, ed in particolare del rinnovamento religioso post-tridentino.
La disciplina, sia come pratica ascetica ispirata iam ab antiquo
dai testi paolini di 1 Cor. rx 27 e Col. 1 24, sia come diretta o
indiretta propagginazione dal movimento dei disciplinati, torna in
onore nelle fraternite di quell’età, sollecitata e guidata dalla pe-
culiare spiritualità dei molti ordini religiosi che nel Cinquecento
videro la luce; primo, fra questi, l'ordine cappuccino.

LA DISCIPLINA NELLE COSTITUZIONI CAPPUCCINE. — La riforma
cappuccina, per quel suo caratteristico ritorno alle origini, per-
seguito dapprima entro le strutture costituite del movimento fran-
cescano ed indi seguendo l’indole della propria vocazione, fece
sua la pratica ascetica della flagellazione, già entrata nelle con-
suetudini degli ordini francescani. Sono note, a questo riguardo, le
disposizioni delle Costituzioni alessandrine del 1501 che, ispiran-
dosi ai saggi ammaestramenti di Giovanni da Capistrano *), im-
ponevano, al capitolo v, l'esercizio della disciplina tre volte alla
settimana, lunedi mercoledi e venerdi, e ne fissavano a grandi
linee il rituale, basato sulla recita dei salmi Miserere mei, Deus
e De profundis particolarmente cari ai francescani *), e perdurato,
pressoché lo stesso, sino ai nostri giorni *). La pratica della disci-
plina era stata resa ancor piü frequente dal ministro generale Fran-
cesco de Angelis Quifiones il quale, nelle sue disposizioni per i Re-
colletti di Spagna emanate dal convento di Valladolid il 27 luglio
1523, prescriveva, oltre alla consueta flagellazione tre volte alla
settimana, la flagellazione in tutti i giorni di quaresima, eccezion
fatta per le domeniche e i giorni di festa *). Nelle disposizioni per
i Recolletti d'Italia poi, emanate ad Assisi il 28 maggio 1526 in

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occasione del capitolo generale che vide il Quifiones confermato
nella carica, le prescrizioni circa la disciplina furono ulteriormente
aggravate : «Quia autem exterioris hominis castigatio interioris
hominis est vigoratio, volo quod per totum annum tribus diebus
in hebdomada faciant disciplinam, scilicet feria secunda quarta et
sexta, etiam quum solemnitates aliquae his diebus occurrant » *).
Queste norme furono date nel momento stesso in cui la riforma
cappuccina muoveva i suoi primi passi tra non pochi contrasti :
nel novembre dell'anno precedente lo stesso Quifiones aveva sco-
municato nelle Marche Matteo da Bascio e i fratelli Ludovico e
Raffaele da Fossombrone.

Proprio con i cappuccini la prassi della disciplina toccó, con
perfetto climax, nell'ambito del movimento francescano istituzio-
nalizzato, la sua massima intensità. Nelle Costituzioni di Albacina
del 1529, le quali, come è ormai accertato, subirono l'influsso delle
varie Costituzioni del movimento francescano e, tra esse, quelle
del già menzionato Francesco de Angelis Quifiones *), si prescrisse,
a quanto sembra di poter intendere, l’uso della flagellazione collet-
tiva tutti i giorni dell’anno: « Item statuimus ut consueta flagel-
latio quotidie post matutinam horam fiat, praeterquam in hyeme
ubi frigidiora sunt loca: tunc enim ad diei vesperum transferri
poterit » ?). Un impegno così rigido, più adatto a penitenti di vita
eremitica (quali erano, del resto, i cappuccini all'origine, come è
confermato dalla stessa titolazione delle Costituzioni albacinensi,
denominate appunto Constitutiones Fratrum Minorum vitae ere-
miticae) che a religiosi di vita comunitaria *), subì ben presto mi-
tigazioni, ed ebbe più chiara codificazione nelle nuove Costitu-
zioni del 1536, autorevolmente elaborate da p. Bernardino di
Asti come commento ed interpretazione della regola francescana :
«Et accio che il nostro corpo non recalcitri contra il spirito, ma
li sia in tutto obediente, et in memoria de la acerbissima passione
et specialmente de la penosissima flagellatione del nostro dulcis-
simo Salvatore, se ordina che le discipline consuete, cio è il luni,
mercuri et venere, non si lassino etiam ne le grandi solemnità.
Et se faciano dopo Matutino ; excepto quando fusse molto grande
freddo, se faciano la sera. Et ne la Septimana santa se faciano
ogni nocte. Et disciplinandosi li Frati pensino cum il core piatoso
il suo dolce Christo, Figliol de Dio, ligato a la colona ; et si sfor-
zino di sentir una particella de li suoi penosissimi dolori. Et dopo
la Salve Regina si dichino cinque devote oratione» *). Le prescri-

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DI ALCUNE FRATERNITE LAICALI DI DISCIPLINATI DEI SECOLI XVI-XVII 231

zioni rimasero pressoché invariate nelle Costituzioni del 1552, e
in quelle del 1575 e del 1609, nelle quali, per altro, si fissarono le
preghiere da dirsi nel tempo della flagellazione e che sono quelle
stesse delle Costituzioni alessandrine già menzionate 1°).

L’uso della disciplina tra i primi cappuccini fu intensissimo
e costante, come diffusamente narrano le cronache dell'Ordine 11),
Si propagò anche la consuetudine di ripetere sul proprio corpo le
presunte 6666 battiture che subì Cristo nella sua flagellazione :

così narrasi, ad esempio, di frate Antonio Córso (f 1548) !) e di -

san Giuseppe da Leonessa (f 1612) !*), ambedue religiosi della
provincia umbra, celebri per le loro austerità. La pia credenza de-
rivava dall’influsso che ebbero sulla spiritualità cappuccina, almeno
nell’ambito della provincia serafica, le opere delle mistiche tedesche
Gertrude e Matilde 1‘). Costituiva, in ogni caso, un aspetto parti-
colare di quella pietà cristocentrica tutta tesa verso l’umanità
dolorante del Cristo, fatta oggetto di meditazione assidua e di
sofferta imitazione *). Dall’interno dei romitori e dei conventi
quella spiritualità uscì ben presto all’aperto, ed impregnò di sé i
corsi di predicazione al popolo e le forme di culto. Per meglio tu-
telare la nuova fioritura di vita religiosa, nacquero fraternite
laicali di ispirazione cappuccina, devote alla passione dei Cristo
e al servizio dell'umanità povera e sofferente ; ed in esse si intro-
dusse quasi sempre l'uso della disciplina 1°). Talvolta, anzi, la pra-
tica della flagellazione pubblica fu adottata, per opera dei predi-
catori cappuccini, da intere masse di ascoltatori, non vincolati da

specifiche regole di fraternita 17).

L’OraToRIO DEL Buon GesÙ A ForiGNo. — Vorrei discorrere
più dettagliatamente di due fraternite laicali di ispirazione cap-
puccina, delle quali è giunto a noi il rituale della flagellazione. È
questo infatti l'aspetto che qui mi interessa rilevare ai fini del di-
scorso iniziato, lasciando ad altra occasione una più ampia analisi
del modo in cui una spiritualità tipicamente conventuale veniva
adattata a laici.

La prima delle due fraternite è quella detta « del buon Gesù »,
sorta a Foligno il 19 marzo 1561 ad opera del Servo di Dio Giovanni
Battista Vitelli (1538-1621), con sede presso il vecchio ospedale
di S. Feliciano, che era «in que’ tempi, se ben dentro la città, un
luogo solitario et quasi derelitto » 18). Il Vitelli, di professione tes-
sitore, si proponeva di ravvivare nella sua città le esigenze dello

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spirito «a termine di vicina estintione ridotto »:*); ed a questo
scopo istituì il suo oratorio. Per lo statuto si rivolse al consiglio di
un giovane, ma già stimato, religioso cappuccino, p. Mattia Bel-
lintani da. Salò (1535-1611), «soggetto per efficacia di predicatione,
per bontà di vita et eminenza di contemplatione a tutti noto » 30):
Il Bellintani era giunto a Foligno da poco tempo : l’aveva asse-
gnato alla provincia umbra, come predicatore e lettore, il vicario
generale dell’Ordine p. Tommaso Gnotti da Città di Castello nel
capitolo ‘generale di Roma del 4 maggio 1561; e fu subito nomi-
nato primo guardiano del nuovo convento di S. Francesco al monte,
il terzo abitato dai cappuccini in Foligno 21), Il Vitelli, colpito dalla
originalità e dall’ardore de «la bella e santa riforma » dei cappuc-
cini, visse sempre con essi in ottimi rapporti *?), ispirandosi alla
condotta di quei frati che al loro primo apparire avevano susci-
tato in Foligno: grande ammirazione *), e indirizzando ad essi le
migliori vocazioni fiorite nel suo oratorio, il quale anzi finì per
esser chiamato «il seminario de’ frati (cappuccini) » 24). Era quindi
logico che dalla loro spiritualità mutuasse principi e pratiche : parti-
colarmente l’orazione mentale, le « quarantore », la disciplina. L'or-
dinamento di quest'ultima, almeno nei primi decenni di vita del-
l'oratorio folignate, sembra desunto di peso dalle. Costituzioni
cappuccine.

Due codici della Biblioteca Jacobilli: di Foligno hanno tra-
smesso sino a noi il testo delle regole dell'oratorio «del buon Gesù »,
non nella redazione originaria del Bellintani, ma in quella già per-
fezionata dall'esperienza di oltre un sessantennio di vita. Il primo
di essi, segnato C.rv.1, che il Faloci ritiene « autografo di Lodovico
Jacobilli » (ovviamente dello Jacobilli giovane) *5), contiene, senza
un ordine preciso, testi appunti e notizie riguardanti la vita del-
l'oratorio. L'elaborazione del materiale raccolto per tirarne fuori
un testo omogeneo ed essenziale da sottoporre alla approvazione
della competente: autorità ecclesiastica, si ritrova nell'altro codice
della jacobilliana,. segnato D.1.25, preparato appunto per la stam-
pa **). La redazione ultima del documento fu dovuta allo stesso
Jacobilli e a Curzio Cirocchi, i quali sottoscrissero la lettera dedi-
catoria (Foligno, 19 novembre 1627) diretta all'abate Giacomo Cre-
scenzi, il discepolo prediletto di S. Filippo Neri e devotissimo al
Vitelli, allora potente e munifico abate commendatario dell'Ab-
bazia di S. Eutizio in Val Castoriana *). La prima parte del do-
cumento tratta della « Institutione et origine della Compagnia del
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San Pietro, Pala dell’altare (sec. XVI).
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DI ALCUNE FRATERNITE LAICALI DI DISCIPLINATI DEI SECOLI XVI-XVII 233

Buon Giesü di Foligno et dell’opere nelle quali s'impiega » (ff. 4r-
15r); e facendo brevemente la storia dei «capitoli» della compa-
gnia, narra che il Vitelli li richiese al Bellintani, « persona di molta
dottrina, di assidua contemplatione, di fervente predicatione et
di eminente bontà » ; e che, desiderando il Vitelli che «la spiegatura
di essi fusse semplice et che tendesse più all’interno che all’esterno,
et aprendogli maggiormente la sua volontà, gli somministrò alcune
materie et punti principali. Il tutto con molta prontezza et carità
fu eseguito da quell’ottimo religioso. Questi capitoli furono poi
approvati et confirmati da mons. Tomasso Orfini, vescovo della
città, et nel 1573 da mons. Pietro Camaiano, vescovo di Ascoli et
visitatore apostolico, et nel 1575 furono di nuovo approvati et
migliorati dalla S. Congregatione de’ Cardinali, e d’ordine di essa
dal card. fra Felice Peretti da Montalto » #). La seconda parte,
invece, riporta il testo delle regole, divise in un proemio ed in quat-
tordici capitoli, tutti sine titulo (ff. 15v-28v) 2°). Della disciplina si
parla al capitolo 6° con poche parole: «S'ordina ancora, per più
castigo della carne da’ santi tanto frequentato, ch’ogni venardì,
o in altro tempo come parerà espediente, si faccia la disciplina da
tutti quelli che saranno ammessi dalli rettori » (f. 21r).

Si notino, tra l’altro: la motivazione puramente negativa
della flagellazione (non anche la conformazione a Cristo flagellato,
ma solo il «castigo della carne ») 2°); e la riduzione della pratica
della disciplina collettiva ad un solo giorno della settimana, soli-
tamente il venerdì. Si intravvede, per questa seconda questione,
il tentativo di mitigare l’asprezza di un esercizio che, per quanto
ammorbidito dal rituale, era sempre gravoso ed umiliante.

L’uso che della disciplina facevano il Vitelli e le sue congrega-
zioni, quella degli uomini e quella dei giovani, non era, all’origine,
quello codificato nel 1627. Nella parte storica del codice, infatti,
descrivendosi le « devotioni che si fanno nella Compagnia et Ora-
torio del Buon Giesù » (ff. 8v-11v), si dice della disciplina: « In
tutti i lunedì dell’anno nell’oratorio vecchio, et in tutti i mercordì
et venardì nell’oratorio nuovo, sonata la campana dell’Ave Maria
‘della sera, si fa la disciplina, dicendovisi li salmi Miserere et De
profundis, con l’antifona et oratione corrente et altre orationi,
dopo le quali il rettore fa una breve et efficace essortatione a gli
assistenti » *). Altre discipline venivano fatte: per i peccatori,
nei giorni di carnevale insieme alle « quarantore » *) ; per i morti,
alla sera della festa di tutti i santi *). Non mancarono discipline

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straordinarie per circostanze diverse: in occasione dell'inaugura-
zione dell'oratorio nuovo, avvenuta il 24 febbraio 1599, giorno
delle ceneri **); del giubileo concesso da Paolo v nel 1617, allor-
ché il Vitelli dette inizio con i giovani dell'oratorio alla pratica
della visita alle sette chiese, subito imitato dalle altre confraternite
della città ®*); di particolari «scandali» cittadini 29)3

Anche la «congregazione dei giovani», fondata dal Vitelli nel
1600 e facente capo allo stesso oratorio del buon Gesù, pur diffe-
rendo e per membri e per scopi e per mezzi, accolse l'esercizio della
disciplina tre volte alla settimana *?. Si avverta parimenti che,
«sebené tutte le sopradette attioni et essercitii si fanno ordina-
riamente da i fratelli della Compagnia et dell'Oratorio, non di
meno vi convengono a fare molte di queste sante opere quantità
assai grande di altri che non sono del numero, essendo questo luogo
aperto ad ogn'uno in ogni tempo, et non essendo particolare di
nessuno. Il che cagiona confidenza, frequenza e frutto straordi-
nario » ?5).

Il cod. D.1.25 però non riporta alcun rituale per la flagella-
zione ; questo si trova invece nel cod. C.1v.1. In tre fogli (ff. 14-16),
che risultano tagliati sul margine esterno e quindi provenienti da
altro codice, sono trascritte due istruzioni: l'una riguardante il
modo di fare l'orazione mentale ?9) ; e l’altra concernente il « modo
di far la disciplina il mercordi et venardi a sera nell'Oratorio del
Giesù » 4°). In questo rituale va soprattutto notato l'inserimento,
nel bel mezzo della flagellazione, di un vero sermone a carattere
penitenziale, con preghiere per le varie necessità della Chiesa e
dell'oratorio.

Per completare il quadro dei rapporti tra i cappuccini e l'opera
del Vitelli, va rilevato che la prima adozione spirituale dell'ora-
torio folignate avvenne proprio da parte dei cappuccini. Ed infatti
il ministro generale dell'Ordine p. Paolo da Cesena, con documento
dato in Foligno il 28 gennaio 1618, «ricevé per figlioli spirituali
della sua Religione, a contemplatione del padre Gio Battista Vi-
telli da Foligno, tutti quelli che frequentaranno il suo Oratorio,
facendoli partecipi di tutte l'orationi predicationi discipline digiuni
obedienze penitenze vigilie mortificationi sante messe et di cia-
scun'altra opera buona che in tutta la Religione de Cappuccini
si farà per l'avenire mediante l'aiuto divino » 41).

La fama dell'opera del Vitelli varcó i confini di Foligno e si
diffuse per tutta Italia. Le nuove istituzioni, che sorgevano al-
DI ALCUNE FRATERNITE LAICALI DI DISCIPLINATI DEI SECOLI XVI-XVII 235

lora a ritmo serrato, fecero propri, come attesta il Cirocchi, i ca-
pitoli composti dal Bellintani : « Essendo dettati con eguale spirito
e prudenza, molti di varie città d’Italia l'hanno con modi spontanei
ricevuti per loro leggi, anche in riguardo dell'eminente bontà del
legislatore » 4). E difatti, «si come erasi divolgata la fama di Gio.
Battista et dell’Oratorio suo, così in alcune città de Italia si spar-
sero i semi di quello fertilissimi. Germinò con modi particolari
in Macerata, et produsse una Congregatione che deve riconoscer
Gio Battista per legislatore, poiché da lui volse i capitoli et gli
instituti 4). Diede anche molti aiuti spirituali a gli oratorij di Terni,
di Todi 44), d'Assisi, et ad altri. Questi nell’occorrenze riceverono
da lui animo documenti et calore; et quelli gli portavano amore
et riverenza come a padre. L'istesso spirito egli participó all'Ora-
torio di S. Lorenzo in Damaso di Roma, nella cui chiesa, mediante
il p. Felice Veronici, curato di quella et divotissimo di Gio Battista,
s'introdussero l'oratione delle quarant'ore et il communicarsi il
giovedi del carnevale, ad essempio dell'istituto del nostro padre.
Il che si prosiegue e moltiplica tuttavia con apparato et concorso
degno della pietà e magnificenza romana » **).

Cordiali rapporti furono instaurati con il beato Ippolito Ga-
lantini, coetaneo del Vitelli e tessitore di professione (1565-1619),
che a Firenze aveva fondato i benemeriti « Vanchetoni » della « Con-
gregazione di S. Francesco della dottrina cristiana », propagatasi
ben presto anche in ambiente umbro, a Perugia *°).

Se poi i suoi discepoli si trasferivano in altre città, il Vitelli
non mancava di seguirli con consigli ed esortazioni, e di appog-
giarli, per il bene della loro anima, a fraternite laicali che ripetes-
sero gli schemi del suo oratorio. È illuminante, a questo riguardo,
il carteggio del giovane Ludovico Jacobilli, il principe della sto-
riografia umbra del Seicento, allora allo studio di legge a Perugia **).

LA CONGREGAZIONE DEL B. GIUSEPPE A LEONESSA. — All’ora-
torio folignate si rivolse il cappuccino p. Girolamo Pulcini da Leo-
nessa, coordinatore del processo di beatificazione del servo di Dio
Giuseppe Desideri da Leonessa, per chiedere i capitoli sui quali
modellare quelli dell'erigenda, in Leonessa, « Congregazione del b.
Giuseppe». I capitoli furono effettivamente inviati dal Cirocchi
il 1° aprile 1629 :*). Il procuratore generale dei cappuccini, p. Fran-
cesco Di Negro da Genova, approvò in linea di massima l'istitu-
zione della suddetta congregazione ‘°), la quale mirava esclusiva-
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236 GIUSEPPE CHIARETTI

mente alla formazione spirituale degli aggregati, tenendo presenti
motivi ed esempi della eroica vita del santo concittadino, e colti-
vandone la memoria in vista di una glorificazione canonica allora
ritenuta assai vicina. Ció era facilitato dal fatto che l'oratorio ove
riunirsi era quello «del Suffragio », cui faceva capo altra congre-
gazione omonima e del quale venne posta la prima pietra il 28
giugno 1629; era stato ricavato nella casa paterna del santo, de-
stinata per testamento a scopi di pietà e di carità so).

Orbene, anche nelle regole della fraternita leonessana com-
pare, e con molto rilievo, l’uso della disciplina collettiva.

Questa non doveva riuscire affatto insolita o stravagante nel-
l’ambiente, giacché era già in uso presso altre fraternite laicali.
Non è possibile stabilire quante delle numerose fraternite leones-
sane facessero uso della disciplina, giacché le regole e i documenti
che se ne conservano non vanno, nella maggior parte dei casi, oltre
la seconda metà del secolo xvi #). La fraternita più antica, o una
delle più antiche, che faceva uso della disciplina, è quella di « Santa
Maria delle Grazie », appoggiata agli agostiniani ed anzi operante
nell’oratorio adiacente alla cripta della chiesa di S. Agostino (poi
S. Pietro) *). In quell'oratorio trovasi tuttora, come pala d'altare,
una tela cinquecentesca di discreta fattura, ove è raffigurata la
Vergine del Gonfalone secondo la consueta tipologia, che vede
genuflessi sotto il di Lei manto: a sinistra due confratelli vestiti
di sacco con cappuccio e cinti di corda, e a destra due monache
agostiniane con la cocolla bianca su veste nera stretta ai fianchi
dalla cintura. Mentre le monache reggono tra le mani la corona del
rosario, i confratelli recano, infilato con un anello all’indice della
mano destra, un flagello composto di undici nodi disposti in or-
dine crescente e terminanti con un fiocco. La funzione penitenziale
di quel flagello è pure riconoscibile nell'emblema della fraternita
che i due portano sul petto, nel cui campo è nuovamente effigiata
la Vergine del Gonfalone che copre col manto due confratelli genu-
flessi e incappucciati, dai cui fianchi pende la fune della flagellazione.

L'uso regolare della disciplina da parte della fraternita leones-
sana di « Santa Maria delle Grazie » è perdurato fino ai primi anni
del nostro secolo 5); ed è un vero peccato che di essa sia rimasta
così misera documentazione **).

La pratica della flagellazione ebbe nuovo impulso ad opera
dei cappuccini. Ad essi, infatti, giunti a Leonessa assai per tempo 55),
si deve l’istituzione della fraternita detta «del Salvatore perm
DI ALCUNE FRATERNITE LAICALI DI DISCIPLINATI DEI SECOLI XVI-XVII 237

un oratorio sottoposto alla giurisdizione dei frati conventuali, con
i quali i cappuccini di Leonessa furono all’inizio strettamente col-
legati. La fraternita era diretta alla formazione spirituale dei suoi
membri e ad opere caritative ed assistenziali; e una delle pratiche
in uso fu quella della disciplina settimanale, certamente ogni ve-
nerdì, (ma non è possibile dire se anche il lunedì e il mercoledì).
Quivi prese amore all'orazione e alla penitenza, ad anche ai cap-:
puccini che quelle avevano fomentato, il giovane Eufranio Desideri,
che, ancora decenne, verso il 1566, vi fu ammesso, ed attese, insieme
con gli adulti, alla pratica della flagellazione ogni venerdì 5). La
fraternita crebbe in stima per l'impegno e la serietà di intenti che
la distingueva ; sicché non mancarono legati e donazioni testa-
mentarie, tra cui quella del fratello di Eufranio, Ligario Desideri,
che volle beneficiare le giovani povere e l'ospedale affidato alle
cure della fraternita. Quest'ultimo, anzi, fu il trait d'union che con-
senti l'aggregazione della fraternita leonessana alla arciconfraternita
della SS. Trinità di Roma; fondata nel 1548 da S. Filippo Neri e
detta anche « di ponte Sisto », ottenuta con diploma del 7 novembre
dell'anno giubilare 1575 **). La fraternita « del Salvatore » conservó
il fervore originario per molto tempo, e giudizi lusinghieri, a di-
stanza d'anni dalla sua fondazione, lo confermano *»).

Come ben si avverte, c'erano a Leonessa condizioni favorevoli |
perché potesse fiorire una ennesima fraternita laicale con la pra- | |
tica della disciplina: e fu appunto la « Congregazione del b. Giu- |
seppe», della cui istituzione si rese benemerito, come ho detto,
p. Girolamo Pulcini, con il preciso intento di far vivere gli aggre-
gati «secondo le regole ch'in vita soleva dare il benedetto padre
(Giuseppe) » *°). Anche in quella furono in auge, oltre alla flagel-
lazione, le pratiche di pietà tipicamente cappuccine dell'orazione
mentale e delle « quarantore ».

Ho già avuto occasione di pubblicare ed illustrare le regole
della nuova fraternita laicale di disciplinati *). Quelle, suddivise
in una «prefatione » ed in quindici capitoli, non coincidono con
le regole dell'oratorio folignate, le quali costituirono una guida;
o fors'anche una trama, che un ignoto ma dotto religioso, presumi-
bilmente cappuccino, rielaboró completamente, coordinandone me-
glio le varie parti e tenendo conto di altri motivi ispiratori piü
consoni all'ambiente *?), senza peraltro completarle *). La sostanza
delle disposizioni è, comunque, pressoché la stessa, e lo scopo asce-
tico-formativo. ‘è raggiunto .con gli stessi mezzi: frequenza ai. sa-

PURIS LUMINE SL
| hd Y 233 GIUSEPPE CHIARETTI

de,

cramenti, obbligo della comunione una volta al mese, orazione
mentale ogni giovedì, disciplina collettiva periodica. A guardar
bene possono scoprirsi alcune differenze : ma non è questo il mo-
mento per farle rilevare, interessando ora solo la questione della
disciplina. Si avverta che la motivazione ascetica di essa è ricon-
dotta, secondo le migliori tradizioni cappuccine, alla memore e
devota imitazione di Cristo sofferente; mentre la pratica è resa
obbligatoria solo ogni quarto venerdì del mese, lasciando in fa-
coltà del governatore, «se li fratelli infervorati li dimanderanno
licenza di far'aleuna volta la disciplina oltre il consueto, conce-
derlo se vedrà che sia buon fervore; e negandolo lui, habbino pa-
tientia perché sicome in narrare il modo di far l’oratione e la di-
sciplina non se li concede dal oratorio alcuna facoltà, così in tutte
l’altre cose la deve havere assuluta, e prevaglia il placet d’esso go-
vernatore a quello di tutti li confratelli insieme, di maniera che
nella sua negativa o affermativa stia tutto il negotio » **).

Anche per questa fraternita è conservato il rituale della fla-
gellazione, il quale anzi costituisce il capitolo 10° delle regole **).
Il rituale della fraternita leonessana si presenta più agile e variato,
anche se alquanto artificioso, rispetto a quello dell’oratorio foli-
gnate, dando luogo, in pratica, ad un continuo dialogare tra con-
fratelli da una parte, e accolito e guardiano dall’altra ; il sermone
infra actionem è ridotto ad una brevissima esortazione alla con-
trizione perfetta messa in bocca ad uno dei confratelli ; si aggiunge
la preghiera per chi della fraternita morirà per primo ; si conclude,
infine, l'esercizio con un gesto altamente drammatico, e cioé l'ado-
razione ed il bacio ad «un bel crucifisso grande», destinato solo
a quell'uso, «disteso in terra sopra un bel tappeto, fra dui torchi
accesi ».

L'originale conclusione ci riporta, più che alle scenografiche
drammatizzazioni tipiche del movimento dei disciplinati, allo stile
oratorio dei cappuccini, i quali solevano terminare le loro pre-
diche con siffatte scenografie di alta suggestività, inalberando di-
nanzi all'uditorio il crocifisso o un simulacro della Madonna a fine
di suscitare sentimenti di contrizione e di amore **).

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Credo di aver illustrato a sufficienza certe fraternite consi-
derabili come epigoni del movimento dei disciplinati, il quale ap-
DI ALCUNE FRATERNITE LAICALI DI DISCIPLINATI DEI SECOLI XVI-XVII 239

punto rifiorì con inusitato vigore nell’età della riforma cattolica
ad opera dei movimenti religiosi di recente istituzione, primo tra
tutti quello dei cappuccini. Per costoro, inseriti nel miglior contesto
delle tradizioni francescane, la flagellazione non fu tanto un cla-
moroso gesto penitenziale per affliggere la propria carne ribelle,
quanto, principalmente, un umile segno di simpatia per meglio
compenetrarsi della passione di Cristo. E questo sentimento essi’
tentarono di calare tra le costumanze ascetiche del popolo cri-
stiano, in Italia e fuori d’Italia, ottenendo plebiscitari consensi
e successi insperati.

Nel momento stesso, però, in cui, con opportuna iniziativa,
si regolava minuziosamente e si disciplinava la prassi della fla-
gellazione collettiva, nuovamente adottata da cosi vasti strati di
devoti, si ponevano i germi della sua intima dissoluzione, giacché
perdeva di convinzione e di spontaneità, e rinchiudendosi nel se-
greto delle congreghe, diveniva sempre piü rito di misteriosa ini-
ziazione, corposo simbolo, cerimonia.

GIUSEPPE CHIARETTI

NOTE

1) Cf. lettera « datum in Lipsia, xv novembris 1452 », in Analecta Fran-
ciscana seu Chronica aliaque varia documenta ad historiam Fratrum Minorum
spectantia edita a Patribus Collegii S. Bonaventurae. Tomus 1, Ad claras
aquas prope Florentiam 1887, 343: «Item, quod disciplina fiat secunda
quarta et sexta feria, sicut eis praedicatum est generaliter ».

?) Cf. Cap. m della Regula I Fratrum Minorum, in Opuscula Sancti Pa-
iris Francisci Assisiensis, Ad claras aquas prope Florentiam 1949, 28.

*) Cf. Constitutiones Alexandrinae, in Chronologia historico-legalis Se-
raphici Ordinis Fratrum Minorum Tom. 1, Neapoli 1650, 167. Si veda an-
che VENANTIUS A LisLE-EN-RIGAULT, 0.F.M. Cap., Monumenta ad Constitu-
tiones Ordinis Fratrum-Minorum Capuccinorum pertinentia, Romae 1916, 171a :
«Feria secunda, quarta et sexta, nisi solemne festum occurrerit vel aliter
videretur praesidenti, valvis ecclesiae ac fenestris clausis, fratres faciant
humiliter disciplinam, dicendo psalmum Miserere cum Gloria Patri et psal-
mum De profundis cum Requiem et Christus factus est pro nobis obediens cum
oratione Respice quaesumus et ea quae sequuntur. Qua finita, dicatur Salve
Regina ab omnibus cum versiculo Ave Maria et cum his orationibus, videli-
cet: Famulorum tuorum, Deus cui proprium est, Ure igne S. Spiritus, Deus
qui Ecclesiam tuam B. Francisci, et Actiones nostras. Et ubi toties guardiani

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hoc persuadere fratribus non possent, semel saltem in hebdomada non de-
ficiant, aliter inter regulares non habeantur ».

*) Cf. Lucas WappinG, O.F.M., Annales Minorum xvi, Romae 1736,
170 n. xxix : « Fiat disciplina in communitate omnibus diebus majoris qua-
dragesimae, dominicis diebus ac festis duplicibus exceptis. Alio vero tem-
pore totius anni, ter in hebdomada fiat in communitate disciplina, diebus
videlicet Lunae, Mercurii et Veneris, excepto quando die sequenti fuerit
duplex festum ; disciplina vero die Veneris nullo modo omittatur, nisi fuerit
festum valde principale ».

*) Il testo di queste ordinazioni, conservato nel Vat. lat. 11.526 (ant.
13.474) ff. 148r-153r, è stato pubblicato da JUAN MESEGUER FERNANDEZ,
O.F.M.: Constituciones recoletas para Portugal, 1524, e Italia, in « Archivio
Ibero Americano» s. 11, 21 (1961) 459-489 (il passo citato è a p. 473).

*) Cf. MELCHIOR A PoBLADURA, O.F.M. Cap., Historia generalis Ordinis
Fratrum Minorum Capuccinorum. Pars prima: 1525-1619, Romae 1947,
109 n. 98.

?) Cf. ZAcHARIAS BOVERIUS A SaLuzzo, O.F.M. Cap., Annales Ordinis
Minorum Capuccinorum Tom. 1, Lugduni 1632, 118; Anal. O.F.M. Cap. 5
(1889) 14b n. 7. Il testo italiano di quelle Costituzioni è invece notevolmente
diverso : « Item ordiniamo che la disciplina si faccia dopo il Matutino, ec-
cetto in luochi molto freddi, dove l’inverno si possi far la sera»: cf. MAT-
THIAS BELLINTANI A SALÒ, O.F.M. Cap., Historia Capuccina 1, Romae 1946
(Monumenta Historica O.F.M. Cap. t. v), 161; PAULUS VITELLESCHI A Fo-
LIGNO, O.F.M. Cap., Origo et progressus Ordinis Fratrum Minorum Capuc-
cinorum, Romae 1955 (Mon. Hist. O.F.M. Cap. t. vi), 61; EDUARDUS AB
ALENCON, O.F.M. Cap., Primigeniae legislationis O.F.M. Capuccinorum
textus originales seu Constitutiones, in Liber Memorialis O.F.M. Cap. quarto
iam pleno saeculo ab Ordine condito, Romae 1928, 379a n. 56 nota. Data la
diversità delle due recensioni, si pone il problema di quale sia il dettato au-
tentico delle Costituzioni di Albacina. Per mio conto, ritengo di poter in-
tendere il « quotidie » che é — dal punto di vista esegetico — una lectio
difficilior, nel senso di «quotidianamente, ogni giorno», e non di «ogni
qualvolta [la flagellazione] si fa ». Un’interpretazione stretta è postulata sia
dal rigore ascetico del primo gruppo dei cappuccini, inclini alla vita ere-
mitica, sia dallo zelo personale di p. Paolo Barbieri da Chioggia che quelle
Costituzioni ispiró, redigendone il testo latino. Tuttavia la durezza del det-
tato costituzionale convinse quasi subito i moderatori della nascente co-
munità religiosa a introdurre mitigazioni, reinserendosi con ció nel filone
delle collaudate tradizioni ascetiche francescane. Della recensione meno
severa sono testimoni sia il Bellintani che il Vitelleschi, (per il Bellintani
si veda anche Historia cit., 287: «...et la disciplina, la quale si fa da tutti
i frati tre volte alla settimana per spacio d'un quarto d'hora incirca, can-
tandosi in commune il Miserere e De profundis con l'antifone della passione
DI ALCUNE FRATERNITE LAICALI DI DISCIPLINATI DEI SECOLI XVI-XVII 241

e della Madonna, et alcune orationi »). Il Boverio invece contaminò le due
recensioni, e intese il testo di p. Paolo da Chioggia alla luce delle interpre-
tazioni posteriori, precisando, a margine del testo latino tràdito, che le fla-
gellazioni da farsi « quotidianamente » dopo il mattutino erano le « consuetae
flagellationes ternae in hebdomada » : cf. Annales 1, 118. A documentare il
rigore ascetico dei primi cappuccini negli anni 1529-1536, soccorre un epi-
sodio narrato da BERNARDINO DA COLPETRAZZO, O.F.M. Cap., Historia Or-
dinis Fratrum Minorum Capuccinorum (1525-1593). Liber tertius: Ratio
vivendi Fratrum, Romae 1941, 24: « Assaissimi non dormivano dopo il Mat-
tutino, ma se ne restavano in chiesa all'oratione. Et una volta nel luogo di
S. Valentino di Foligno vi vennero dua religiosi, et per osservargli ci alber-
gorno la notte ; et quando veddono che, finito il Mattutino, tutti si ritirorno,
et pensando i detti religiosi che se ne fossimo andati a riposare, per chia-
rirsene acceseno il lume et andorono alle loro celluzze ; et non trovandogli
né in chiesa né in cella, restavano stupefatti dove fossimo. Et con questa
ammiratione uscendo dal detto loghetto, a caso diedono in certi oratorij
che ciascuno di loro si haveva fatto di frasche ; gli sentirono battere ; et
alcuni con molte lacrime perseveravano in oratione. Et per chiarirsene bene
stetteno insino alla mattina per vedere quello che loro facevano. Conob-
bono che nissuno di loro dopo Mattutino si era andato a riposar, ma erano
perseverati in disciplinarsi et in fare oratione. La mattina, volendosi par-
1 tire, disseno : * Padri miei, perseverate ; questa è la vera riforma, di fatti
et non di parole ' ». — E vero che trattasi di flagellazioni private, e non col-
lettive ; peró c'é chiara correlazione tra i due ordini di costumanze asce-
tiche, le quali fanno esplicito riferimento ad una vita rigorosa e penitente
di tipo ancora eremitico, nel cui contesto va appunto inquadrato, come si
è detto, il «quotidie » delle Costituzioni di Albacina. Traccia della prassi
originaria dei cappuccini di vita eremitica puó essere la stessa prescrizione
delle Costituzioni del 1536, che limitava l'uso della flagellazione quotidiana
ai soli giorni della settimana santa. È parimenti vero che in queste stesse
Costituzioni (1536) sono dette « consuete » proprio le discipline trisettima-
nali; ma non è possibile accertare quanto esse risentano di una prassi già
invalsa o di considerazioni d’altro genere: onde il dubbio rimane.

Checché ne sia della questione e della interpretazione qui suggerita,
si tenga presente che i punti controversi circa le contrastanti recensioni
delle Costituzioni di Albacina, sono più d'uno; ed anzi di quella magna
charta del movimento cappuccino « usque adhuc textus primigenius au-
thenticus desideratur » (cf. MELCHIOR A PoBLADURA, Historia generalis cit.,
110 n. 100).

8) A stendere in latino le Costituzioni di Albacina fu, come si è detto,
p. Paolo Barbieri da Chioggia, il quale, desideroso di vita sempre più au-
stera, prima di giungere ai cappuccini era passato attraverso varie espe-
rienze : da notaio a sacerdote, a frate minore osservante (1512), ad eremita.

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242 GIUSEPPE CHIARETTI

Di grande importanza per la presente questione è l’istituzione della fraternita
del SS. Crocifisso, detta anche «dei battuti », la quale ha avuto notevole
influsso nella vita spirituale di Chioggia fino al secolo scorso : p. Paolo la
fondò nel 1524 ispirandosi chiaramente al movimento dei disciplinati, e
ne scrisse egli stesso gli statuti e gli ordinamenti, ottenendo nel 1528 la ap-
provazione del vescovo Bernardino Venier, il quale concesse locali adatti
per le riunioni e indulgenze ai confratelli che si disciplinavano. Tra le pra-
tiche obbligatorie di pietà e di penitenza c’era infatti anche la disciplina
domenicale, che i confratelli facevano indossando un sacco con larga apertura
sulla schiena, attraverso la quale colpire la nuda carne. Durante la peste
che afflisse l’Italia nel 1527-1528, i confratelli improvvisarono persino una
sacra rappresentazione («una divota historia o dimostratione ») per meglio
purificare e sollevare gli animi abbattuti. Tra le pratiche di pietà erano
previste l'orazione mentale, la visita domenicale alle chiese con canti e pre-
ghiere, la confessione e la comunione mensile (consigliate), e quelle nei giorni
di Pasqua, Corpusdomini, Assunzione e Ognissanti (obbligatorie); proces-
sioni mensili per lucrare le indulgenze concesse all’arciconfraternita della
SS. Trinità di Roma, cui la fraternita « dei battuti » di Chioggia fu ascritta
nel 1580 ; le « quarantore » ; una particolare devozione al ss. Salvatore, pro-
tettore della fraternita, festeggiato nel giorno della Trasfigurazione, al Cristo
flagellato, campeggiante nell'emblema della fratria col motto «Per flagella
tua adiuva nos, Domine Deus », alla ss. Trinità, alla Madonna detta « del-
l'asinello ». Per esercizio di carità questuavano pane e denaro per i poveri;
assistevano i moribondi, facendo loro ricevere i sacramenti ; concedevano
sussidi dotali alle giovani in miseria; ospitavano viandanti e religiosi di
passaggio ; insegnavano catechismo ; procuravano lavoro ai disoccupati e
persino libertà agli schiavi in mano dei saraceni. Su questa importante fra-
ternita, i cui ordinamenti mostrano tanti punti di contatto con le fraternite
di Foligno e di Leonessa, argomento della presente ricerca, e dei quali anzi
dovette tenere esplicito conto p. Mattia Bellintani da Saló nell'orientare
loratorio folignate «del buon Gesü», si veda MaRrIUS A MERCATO SARA-
CENO, O.F.M. Cap., Relationes de origine Ordinis Minorum Capuccinorum,
Assisi 1937, 502-512 (assai interessanti le notizie sulla sacra rappresenta-
zione del 1527-1528: argomento, apparato, attori); GIANCRISOSTOMO DA
CITTADELLA, O.F.M. Cap., P. Paolo Barbieri da Chioggia e la Confraternita
del SS. Crocifisso, Padova 1936; Lexicon Capuccinum, Romae 1951, 1298s
(bibl.).

*?) Cf. EDUARDUS AB ALENCON, Primigeniae legislationis cit., 379a. Il
paragrafo 56 delle Costituzioni cappuccine del 1536, riguardante la flagel-
lazione, é l'ultimo del capitolo terzo, il quale capitolo tratta, in ambedue le
Regole francescane, «de divino officio et ieiunio ». Cf. MELCHIOR A PoBLA-
DURA, Historia generalis cit., 111s.

19) Cf. EDUARDUS AB ALENGCON, Primigeniae legislationis cit., 379b (Co-
DI ALCUNE FRATERNITE LAICALI DI DISCIPLINATI DEI SECOLI XVI-XVII 243

-

stituzioni del 1552) ; VENANTIUS A LisLE-EN-RIGAULT, Monumenta ad Con-
stitutiones cit., 171 art. 61.

11) Qualche citazione esemplificativa: BERNARDINO DA COLPETRAZZO,
O.F.M. Cap., Historia O.F.M. Cap., Liber primus: Praecipui nascentis Or-
dinis eventus, Assisi 1939, 283: « Molto si esercitavano nel far delle disci-
pline, le quali pigliavano che gli servissero a prepararsi alla santa oratione.
E molti di loro dicevano : * Se non si gusta in qualche modo la passione di
Jesü Christo, non par che si possa far oratione ' ^; MATTIA BELLINTANI DA:
SaLò, Hisloria Capuccina 1, 156 : « Oltra le discipline usate di tre volte la
settimana, spesso e con l'esempio e con le parole si eccitavano l'un l'altro
a farne insieme ». Il flagello era uno dei pochi oggetti concessi per uso per-
sonale, ed anzi, come ci informa Bernardino da Colpetrazzo, i frati giunti
in fin di vita, « sempre rassegnavano il breviario, la Regola, la disciplina e
il fazzoletto al p. guardiano ».

7") Cf. BERNARDINO DA CorPETRAZZO, Historia O.F.M. Cap. Liber se-
cundus: Biographiae selectae, Assisi 1940, 251-252: « [Antonio Corso] fece
più volte la disciplina, dandosi seimila seicento settantasei battiture. Et,
si come io hebbi dalla sua bocca, si ritirava in un luogo secreto, si cavava
tutti li panni che egli portava, et con la disciplina si flagellava dal capo in-
sino ai piedi, dicendo continuamente salmi. Durava nel detto flagellarsi
cinque ore... La insegnò a molti divoti frati, i quali, facendola, pochi po-
tevano condursi all’ultimo, et questo per le molte molestie che in quello atto
gli dava il demonio... «Et sappi, — mi disse — che questa disciplina
è molto grata al nostro Signore, e chi la finisce riceve grandi gratie di Dio.
Io l’ho insegnata a molti, e tra gli altri a frate Ranieri dal Borgo [Sanse-
polero, t 1589, venerabile] ; si provò nella chiesa di Foligno di farla di notte
e non la puoté finire, perché il demonio l'impedi. E vi dico che più volte
ho visto il demonio, e tra le altre, uscendo dalla chiesa di Foligno, il viddi
sopra la cisterna con dua vasi in mano, come volesse attinger dell’acqua.
Et mirandolo io gli dissi: O malatesta, ti è venuto sete? Il che (sentito),
subito disparve come fumo ». Sul Còrso, morto a Montecasale nel 1548, cf.
Lexicon capuccinum cit., 89 (bibl.).

7) Le testimonianze sulle aspre discipline del santo sono innumerevoli.
Eccone alcune, i cui documenti cito — qui e in seguito — secondo la nu-
merazione che ho loro dato in Archivio Leonessano, Roma 1965 : « Era anco
assiduo nell'oratione, et ben spesso quelle accompagnava con discipline
quali faceva con catenelle di ferro » (p. Ruffino Ruffini da Montereale, 1612,
in doc. 608 f. 2r); «Et in particolare la notte del venerdi santo faceva
con quella (catena di ferro) strepito et romore » (p. Matteo Silvestri, da Leo-
nessa, 1612, in doc. 608 f. 3r) ; «.. Descipline, quali se faceva del continovo
con catene di ferro » (p. Filippo Alessi da Leonessa, 1612, in doc. 608 f. 5r) ;
«Gli ho ben visto ancora una disciplina di ferro che la portava su la
manica, con la quale se desciplinava continuamente » (Gio. Francesco Ar-

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244 GIUSEPPE CHIARETTI

genti maestro di scuola, 1629-1633, in doc. 702, f. 476r) ; « Le sue discipline
erano catene, et alle volte corde con stelle triangoli et acucchie ; et questo
lo faceva, oltre nelle chiese... , mi sonno incontrato nelle selve, in cam-
pagna, che lui non mi vedeva, et il vedevo lui flagellasse a sangue ; et questo
è stato più et più volte » (Fabrizio Sinibaldi da Leonessa, 1639-1641, in doc.
430 f. 154r); e così via. Fu tale il rigore e la frequenza delle penitenze del
santo, che Benedetto xtv affermò nella bolla di canonizzazione (1746) Humani
generis : « difficile sit alium reperire, qui novissime hisce saeculis paeniten-
tiae ac mortificationi magis addictus fuerit ». Il flagello entró, con gli altri
strumenti di penitenza, nella iconografia del santo come uno degli elementi
caratteristici della sua personalità: una piccola tela, ad esempio, non fir-
mata né datata ma del sec. xvii (cm. 30 x 24), esposta nel Museo dei cap-
puccini (Roma) al n. 338, riproduce il « penitente » nell’atto stesso di battere
il suo corpo. Cf. i miei articoli Un raro motivo : il penitente in contemplazione,
ed Emblemi e tipi iconografici, in Leonessa e il suo Santo 2 (1965) n. 9, e
3 (1966) n. 14.

14) Citazioni e trascrizioni di brani delle loro opere si trovano disperse
qua e là nei codici manoscritti del santo, custoditi presso l'Archivio generale
dei cappuccini (Roma). Così nel cod. 8 (ff. 204r, 248v : trascrivendo «ex re-
velationibus a D.no Jesu Christo sue passionis ad beatam Methirdam, ad
s. Brigidam, ad s. Elisabeth », nota, tra l’altro, «le 18mila centoventicinque
gocciole di sangue sparse ») ; cod. 12* (ff. 1v-11v: con grafia rotonda e ri-
cercata, risalente presumibilmente al periodo del noviziato, trascrive molti
passi « ex lib. 4 Gertrude », indugiando su particolari di ordine sentimentale :
saluti, abbracci, numero delle preghiere recitate, apparizioni ecc.); cod. 17
(tre dei sette fascicoli di cui è formato il codice, contengono sunti ed estratti
dalle opere gertrudiane : in italiano (ff. 11r-24r) con grafia ben curata ana-
loga a quella del cod. 12*, e in latino (ff. 25r-34) ; cod. 23 (f. 33r. A f. 28r
cita : « passus est Christus vulnera quinque millia 475, ut ait Landol. Carthus.,
lib 6 De meditatione Christi») Su un foglio volante conservato nel me-
desimo Archivio generale è annotato con grafia del santo: « Gocciole del
sangue: trent'octo milia quater cento et 3; le piaghe dalle quali uscitte
sangue et dal capo: cinquemilia 70; le battiture : sei milia sei cento ses-
santasei ».

A. conferma dei rapporti tra la formazione ascetica dei cappuccini um-
bri del Cinquecento, ispirata a un sano eclettismo, e la mistica gertrudiana,
posso segnalare uno di quei «libretti spirituali scritti a mano » concessi in
uso ai «sacerdoti et chierici che non sanno predicare» (cf. Costituzioni di
Albacina, in MaATTIA DA Sarò, Historia Capuccina 1 cit., 164 n. 24; cf. an-
che Anal. O. M. Cap. 5 (1889) 17a n. 22, e Le prime Costituzioni dei Frati
Minori Cappuccini, Roma 1913, 23 n. 22). È un codice miscellaneo della
biblioteca del convento dei cappuccini di Leonessa, segnato n. 1592, scritto
nei primi anni del sec. xvi ove, accanto agli opuscoli bonaventuriani e ad
DI ALCUNE FRATERNITE LAICALI DI DISCIPLINATI DEI SECOLI XVI-XVII 245

altri trattatelli ascetici di autori francescani, non francescani e cappuccini
(Tommaso da Kempis, il Navarro, il Granata, p. Cristoforo Facciardi da
Verucchio ecc.), si trovano ampi estratti dalle opere delle mistiche medio-
evali Gertrude Metilde Brigida, e si dà credito agli inconfondibili dettagli
pietistici già ricordati: si veda ai ff. 356v-357r l'enumerazione, in rapporto
alla passione di Cristo, dei pugni infertigli in faccia (123) e sulla bocca (30),
delle spinte (140), delle battiture alla colonna (6666), delle piaghe mag-
giori (72), delle lividure (1199), delle gocce di sangue (18.125), dei soldati:
armati (518), ecc.

Trattasi comunque di aspetti del tutto marginali, qui rilevati solo per
documentare un certo costume ascetico ; ché principale impegno del vero
cappuccino era «leggere alcuna lectione delle sacre scritture et qualche li-
bretto divoto et spirituale, che tirino all’amor di Christo et ad abbracciar
la sua croce » (cf. Le prime Costituzioni cit., 24 n. 25).

15) Cf. MATTIA DA SALÒ, Historia Capuccina cit., 156 : « Fuor dell’opere
necessarie in altro non si occupavano che a fare oratione, havendo quella
per essercitio lor proprio ; et in essa massimamente meditando la passione
di Gesù Christo Nostro Signore. La qual meditatione si è dopo sempre in-
segnata a novitij, et da tutta la Congregatione posta in pratica, come anco
propria a frati di S. Francesco, il cui studio fu sempre di conformarsi a Christo
crocifisso ». Sulla spiritualità cappuccina del secolo xvi (istruzione, sussidi,
maestri, frutti) si veda MELCHIOR A PoBLADURA, Historia generalis cit.,
163ss. (bibl.).

16) Qualche esempio: la fraternita c.d. «dei neri», fondata a Fermo
da p. Bonaventura Schimizzi da Reggio (f 1572); le fraternite volute a
Trapani da p. Arcangelo Caprona da Palermo, per le quali dettó egli stesso
le regole imponendo l'uso della disciplina quattro volte alla settimana (cf.
Statuta et documenta . . . , Panormi 1573) ; la fraternita « del Sangue di Cristo »,
fondata a Firenze nel 1575 da p. Silvestro Franco da Rossano ; le numerose
fraternite, sia maschili che femminili, istituite o riformate in molti paesi
d'Europa da p. Mattia Bellintani da Saló, per la qual opera ebbe ampie
facoltà con breve Inter ceteras di Gregorio xir del 25 giugno 1577; e tante
altre. Cf. MELCHIOR A PoBLADURA, Historia generalis cit., 271-272. Profili
bio-bibliografici dei religiosi menzionati si vedano in Lexicon Capuccinum
cit., rispettivamente alle colonne 245. 119-120. 1597-1598. 1078-1080.

L'operosità del Bellintani circa le confraternite meriterebbe un discorso
a parte. A titolo esemplificativo si può ricordare la «confraternita della
Passione », istituita a Praga durante il suo commissariato in Boemia, e lo-
data da Paolo v che ne approvò i capitoli con breve del 28 gennaio 1604.
I confratelli « vestivano con austera semplicità ; praticavano la mortifica-
zione corporale ; ascoltavano la s. Messa ogni giorno e si dedicavano alle
opere di carità. Nel venerdì santo andavano in processione per le vie della
città : alcuni di essi portavano la bianca veste di penitenti e si disciplina-

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246 GIUSEPPE CHIARETTI

vano durante il cammino ; altri, vestiti di nero, portavano gli emblemi della
passione » Cf. CuTrHBERT or BrIGHTON, O.F.M. Cap., I Cappuccini. Un
contributo alla storia della Controriforma, Faenza 1930, 320. Per i documenti
pontifici citati cf. Bullarium Capuccinorum 1v, 277 (breve del 28 gennaio
1604), e v, 3-5 (breve Inter caeteras del 25 giugno 1577).

") Al termine delle prediche, fatte uscire le donne, san Giuseppe da
Leonessa soleva rimanere in chiesa con gli uomini e si flagellava con essi.
Narra il suo compagno fra Bernardino da Sterpete di Foligno : « Predicava
(nella chiesa di S. Sabino a Giano, fatta restaurare dal santo), et anco ci
faceva fare da quelle genti la disciplina, et cosi anco faceva in alcune altre
chiese che sono in altre ville di detto luogo di Giano » (in doc. 702, f. "/16r).
Altri testimoni fanno menzione di fraternite di disciplinati: « So ch'in Bor-
bona, nella chiesa della Misericordia, ogni sabbato verso la sera si faceva
la disciplina con li confratri et altra gente di Borbone » (notaio Filauro Qua-
glia di Borbona, in doc. 430, f. 132v) ; « Quando si faceva al sabbato a sera
la disciplina nella Compagnia della Misericordia, lui si batteva molto forte,
et al suono delle battiture parevano catene: e detta disciplina durava un
quarto d'ora» (Romeo Moriconi di Borbona, in doc. 430, f. 1381).

Queste flagellazioni ex-lege erano abbastanza diffuse : possono conside-
rarsi tipiche quelle descritte da un anonimo piacentino ne La trasforma-
zione di Piacenza operata da Dio col mezzo delle prediche quaresimali e ser-
moni della settimana santa all’oratione delle Quarantore, fatti nel duomo l'anno
1617 dal R.P.F. Giacinto da Casale, predicatore capuccino, Brescia (s.a.).
Per iniziativa del celebre p. Giacinto Natta da Casale Monferrato (1575-
1627) si ebbero flagellazioni collettive durante tutta la quaresima : « Crebbe
tanto infin dal principio il fervore di spirito, massime in molti giovani nobili,
che non solo con fermi propositi abborrivano i peccati, ma, essendo ansiosi
sempre piü d'assomigliarsi al crocefisso Signore, bramavano anch'essi di
crocefiggere e mortificare la carne propria ; onde tre volte alla settimana,
ad una mez'hora di notte, si radunavano in un gran salone del vescovado
circa a 250, quasi tutti giovani nobili e titolati, ove animati dal p. predi-
catore, con un sermoncino d'un quarto d'hora, a risolversi una volta d'esser
veri soldati di Christo e di seguirlo al Calvario con la croce della penitenza
e mortificatione, facevano una buona disciplina. E se bene il padre voleva
che in quel mentre si cantasse il Miserere et altri divoti salmi et orationi,
era impossibile di farlo per le copiose lagrime che spargevano, per i singulti,
per i gemiti e per le confuse voci che chiedevano misericordia, nelle quali,
quasi che scoppiando di dolore de’ proprii errori e di compassione verso
l'appassionato Christo, erano sforzati a prorompere quei cuori pentiti che
gli ardeva di dentro. Cosa veramente c'havrebbe spezzato et intenerito qual
si voglia cuore, anco che duro et ostinato. Venivano a questa disciplina per-
sone delicatissime, e giovani tali che prima non haveriano fatto un atto
simile di penitenza s'havessero pensato di guadagnar thesori ». Le flagella-

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DI ALCUNE FRATERNITE LAICALI DI DISCIPLINATI DEI SECOLI XVI-XVII 247

zioni si ripeterono durante le « quarantore » indette a conclusione della qua-
resima, dalla domenica delle palme al mercoledì santo : « Si segnalarono
grandemente i fratelli della Torricella i quali, se ben non portavano croci
in spalla, scalzi nondimeno, ne i loro ruvidi habiti, portavano chi teste et
ossi di morti, chi anatomie intiere, chi quadretti ov'era dipinta la morte
o l'inferno con motti di proposito, chi catene, chi funi, e chi flagelli; si che
tiravano dietro a sé e gl’occhi e i cuori di tutta la città cha sapeva quanti
nobili fossero tra loro; facevasi dopo il sermone ordinare una disciplina
asprissima anco con grosse catene di ferro da diversa sorte di persone, parte
sopra il palco, parte di sotto, per il spatio d'un buon quarto d'hora, et
era sì grande il numero di quei che concorrevano a quest'effetto che
non gli capiva il luogo» (Citazioni in AnsEeNIo D'Ascorr, O.F.M. Cap.»
La predicazione dei Cappuccini nel Cinquecento in Italia, Loreto 1956,
206-207, 288).

18) Cf. FRANCESCO CiroccHI, Vita del Servo di Dio Gio Battista Vitelli
da Foligno, fondatore dell'Oratorio del buon Giesù in essa città, Foligno 1636,
40. Di questa interessante opera agiografica si ebbero in breve tempo due
edizioni: la prima nel 1625, e la seconda nel 1636, ambedue a Foligno per
i tipi di Agostino Alterii. Indicheró le due edizioni con Viía I e Vita II.

19) Cf. F. CiroccHI, Vita II cit., 33: «Il communicarsi la Pasqua, chi
lo faceva, lo faceva per uso, et come suol dirsi a stampa. Alle messe i giorni
feriali non vi andava quasi veruno, et i festivi pochissimi; piü tosto per
cicalare et per altri oggetti, che per fare oratione. Et se a sorte qualche per-
sona zelante... voleva disporre i morienti alla confessione, i familiari di
casa piü congiunti erano oppositori et i maggior nemici dell'anima del mo-
ribondo, e sotto pretesto di non apportargli spavento, impedivano et bene
spesso discacciavano i buoni servi di Dio ». In Vita I, 43 precisa che ad ac-
costarsi ai sacramenti infra annum erano appena tre uomini in tutta Foligno.

20) Cf. F. CrroccHI, Vita II cit., 42.

2) Cf. Lopovico JacoBILLI, Vite de Santi e Beati del Umbria 11, Fo-
ligno 1656, 142; GIANNANTONIO M. pA BrescIA, Vita del padre Mattia Bel-
lintani da Salò, Milano 1885, 35-37. 39. 79. 88 ecc.; FRANCESCO DA VI-
cENZA, Cenni biografici del p. Mattia Bellintani da Salò. Da un documento
inedito, in « Collectanea Franciscana » 6 (1936) 250-252 ; MELCHIOR A POBLADU-
RA, in MATTIA DA SALO, Historia Capuccina cit., xL-xLI. I cardini della chiara
e solida dottrina ascetica del Bellintani furono l’orazione mentale, il culto
alla passione di Cristo tramite la pratica tutta francescana della Via Crucis,
e quello all’eucaristia per mezzo delle « quarantore » di adorazione continua,
esercizio, quest’ultimo, tipicamente cappuccino e che il Bellintani «ita
excoluit, ut is primus, sermonibus per singulas horas distributis, celebra-
verit: ita ut novus illius institutor visus fuerit »: cf. ZACHARIAS BOVERIUS,
Annales 11, 868 n. 12. Si veda anche MELGHIOR A PoBLADURA, Historia ge-
neralis cit., 178. 194. 268.

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248 GIUSEPPE CHIARETTI

*) Cf. F. CiroccHI, Vita II cit., 21: «della cui Religione (cappuccina)
fu devotissimo, et da quella ricevé aiuti segnalati fino alla morte ».

*) Cf. Saggi della Cronaca di Suor Caterina Guarneri da Osimo,
delle clarisse di S. Lucia di Foligno, a cura di MicHELE FaLoci Pu-
LIGNANI, in «Archivio Storico per le Marche e per l'Umbria» 1, Foligno
1884, 315.

** Cf. F. CrroccHI, Vita II cit., 205: « Furono quei che condusse a
vestirsi l'abito capuccino di numero molto grande. Quindi nacque che al-
cuni di quella Religione, pariando dell’Oratorio di Gio. Battista, soleano

chiamarlo seminario de’ frati», (si veda anche, per i rapporti con i cap- .

puccini, alle pp. 61s. 70. 71-78. 127s. 180-182. 232. 268. 278. 347s. 355);
MicHELE FaLoci PuLIGNANI, Notizie del ven. Gio. Batta Vitelli da Foligno
e del suo carteggio, Foligno 1894, 22-23 ; EDUARDUS AB ALENCON, Ven. Servus
Dei Ioannes Baptista Vitelli Ord. Min. Capuccinorum amicus et benefactor,
in « Anal. O.F.M. Cap.» 11 (1895) 250-256, e in Miscellanea Franciscana 6
(1895) 133-136 ; M. FALOCI PULIGNANI, La venuta dei Cappuccini in Foligno,
in Quarto centenario della Provincia Serafica dei Minori Cappuccini 1530-
1930, Assisi 1930, 70-71.

5) Cf. Inventari dei Manoscritti delle Biblioteche d'Italia. xL1: Foligno,
Firenze 1930, 151 n. 416. Il titolo del codice (in mediocre stato, di cm. 23 x 17,
di ff. 31) è: « Institutione et Capitoli della Ven. Compagnia del Buon Gesù
di Fuligno, mandati in luce ad istanza della medesima Comp., et da essa
dedicati all’Illmo e R.mo Sig. Giacomo abbate Crescentii ».

**) Cf. Inventari cit., 182 n. 542. A f. (2)r trovasi il titolo, che è quello
stesso del cod. C. rv. 1. La grafia è chiara ; manca la numerazione dei fogli,
che sono comunque 28.

*' Cf. cod. D. 1. 25, f. (3)r. Sul Crescenzi (1570c-1638) e l'abbazia
di S. Eutizio si veda Pietro PIRRI, L'abbazia di Sant'Eutizio in Val Casto-
riana presso Norcia e le chiese dipendenti, Romae 1960, 192-207. Il fratello
dell'abate Crescenzi, il card. Pietro Paolo, già « ammirando estimatore delle
pregiate doti » del Vitelli, ebbe incarico di riferire in Congregazione dei Riti
sul processo fatto a Foligno auctoritate ordinaria, a fine d'ottenere le lettere
remissoriali per il processo auctoritate apostolica: cosa che egli fece «egre-
giamente », «con celerità divotissima », già nel marzo 1624: cf. F. CrRoc-
aH; Vd 11;5350) 31354;

**) Cf. cod. D. 1. 25, f. (4)v. Circa i fini e le attività specifiche dell'Ora-
torio si afferma: «L’instituto principale di essa è di impiegarsi nella con-
versione delle anime et in specie di ridurre a penitenza i peccatori, et l'ora-
tioni et operationi di lui sono indirizzate a questo fine, non solo in vita ma
anche nel punto della morte. Et peró i rettori et altri confratri s'impiegano
in aiutare a ben morire gli habitatori di Foligno indifferentemente » (f. 5v).
Se ne mette in risalto la attività caritativa (i confratelli questuavano setti-
manalmente pane e denari da ridistribuire ai poveri, facendosi in ciò « coa-

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DI ALCUNE FRATERNITE LAICALI DI DISCIPLINATI DEI SECOLI XvI-XVi1 249

diutori » della Compagnia di S. Martino cui spettava «la cura universale di
ciò per tutta la città », (f. 6r), e quella educativa a favore della gioventù
(con un «ragionamento spirituale » fatto nei venerdì dell’anno «a tutti i
scolari della città », e con l’insegnamento della dottrina cristiana impartito
in duomo ai fanciulli per ordine del vescovo Marcantonio Bizzoni, f. 6v).
Cf. anche F. CrroccHI, Vita II cit., 78-82.

29) Per un riscontro con documenti consimili, indico brevemente il con-
tenuto di ogni capitolo: Incipit (Proemio): « Perché non è cosa al mondo,
più honorevole et utile che servire a Dio...» (f. 15v); 1: Doveri fonda-
mentali verso Gesù, la Madonna, i santi (f. 16r); i1: Ammissione degli
aspiranti (f. 16v) ; i111: Obbligo di partecipare alla messa e alla predica (pos-
sibilmente «ogni giorno», f. 17v); rv: Orazione mentale («In ogni festa
commandata, udito da tutti il vespro in S. Feliciano o vero in altre chiese
secondo la loro devotione, se potranno, convenghino subito nell'oratorio
a farne almeno una mezz’hora », f. 18v-19r); v: Confessione e comunione
(«Siano esortati e pregati tutti i fratelli a communicarsi ogni festa, o al-
meno ogni domenica. Non s'intendino peró obligati da questi Capitoli se
non per una volta al mese : la quale sia in ogni terza domenica », f. 19v-20r) ;
vi: Digiuno in preparazione alla comunione, e disciplina (f. 20v) ; vin: Ri-
spetto dei giorni festivi, comunione generale- il giovedi grasso ed il primo
giorno dell'anno (f. 21r); vi: Fuga di certi peccati scandalosi e delle oc-
casioni cattive (f. 21v) ; rx : Correzione e punizione degli erranti (f. 22v);
x: Elezione dei due rettori («in ogni due mesi», f. 23v) ; x1: Esercizio di
umiltà tramite l'imbussolamento generale dei confratelli due volte l'anno,
per Natale e per i ss. Pietro e Paolo (f. 24v) ; xir: In caso di malattia dei
confratelli (f. 25r) ; xiu: In caso di morte dei confratelli (f. 26v) ; xiv : « Si
dichiara finalmente che non intendiamo per questi Capitoli obligare i tran-
sgressori a qualsivoglia sorte di peccato mortale e veniale, o grande o pic-
colo; ma quanto a questa parte di peccare, lasciamo ogn'uno in quella li-
bertà che era ancora avanti che si facessero i capitoli o che loro entrassero
nella compagnia...» (f. 27r-28v). Si noti che per i capitoli vir e Ix è
annotato : « Reformato per il card. Felice Montalto, che fu poi papa chia-
mato Sisto v ».

so) Anche il Vitelli, tuttavia, insisteva su questo aspetto afflittivo : cf.
F. CiroccHI, Vita II cit., 67: « Figliuoli miei, se la notte astutamente vi
assale il demonio, la notte istessa et in quell'istesso punto fatevi una buona
disciplina, colla quale la carne rubella resterà debilitata dalla sferza et l'ini-
mico superato dalla gratia di Dio ».

3) Cf. anche F. CiroccHI, Vita II cit., 63 (Nell'oratorio « ordinaria-
mente ogni quarta et sesta feria si disciplinava assieme con i fratelli, senza
però quelle discipline che ei faceva da se stesso frequentemente sino all'ef-
fusione del sangue »), 128s (« Ne' giorni della settimana maggiore, et in par-
ticolare il venerdi santo a sera, piü del ordinario assai si aumentava il con-

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250 GIUSEPPE CHIARETTI

corso alla disciplina »), 178 («...i lunedi, i mercordi et i venerdi a sera
si facea nella disciplina all'oratorio »).

*) Cf. cod. D. r. 25, f. 10r: «Ne i lunedi e martedì sopradetti (di
carnevale) nell'hora altre volte narrata, nell'oratorio vecchio si fa la di-
sciplina per li poveri peccatori ».

*) Cf. cod. D. r. 25, f. 11r: « Nella festa di tutti i Santi, dopo il mez-
zogiorno si recita tutto l'offitio de morti, et la sera si fa la disciplina per
l'anime del Purgatorio ».

*:) Cf. F. Crnoccnur,- Vita II cit., 136: «La medesima sera fu ivi la
prima volta fatta la disciplina, et furono settantadue ».

*5) Cf. F. CiroccHI, Vita II cit., 177: «La sera, infin quasi la meza
notte, andavano molti disciplinandosi con molta effusion di sangue ».

**) Cf. F. CrRoccHI, La vita II cit., 179: in occasione di un gran ballo,
cui partecipavano un centinaio di gentildonne, il Vitelli « convocó i giovani
dell'oratorio, et uniti tutti, fecero al solito, et piü del solito, aspre disci-
pline ».

*') Cf. F. CiroccHI, La vita II, cit., 186: «Ogni lunedi sera si disci-
plinano, et l'istessa fanno parimente i mercordi et i venardi a sera». La
nuova istituzione del Vitelli, più adatta alla mentalità giovanile, ebbe « molto
successo » (cf. cod. D. 1. 25, f. 7r). Era pur essa incentrata sulla preghiera
collettiva e sul culto eucaristico. Con fine intuito psicologico, fu valorizzata
la partecipazione e l'impegno dei gruppi; la pratica delle « quarantore »
venne ridotta a sole «sette ore» (riforma tipica del Vitelli) ; si introdusse
il canto «a voce piena alla cappuccina » dell'ufficio dello Spirito santo, ecc.
Cf. F. CrroccHI, La vita II cit., 107. 184-190. Si faccia attenzione alla qua-
lificazione del canto, che trova la sua ragion d’essere nel dettato delle co-
stituzioni dell'Ordine : « Circa: l’officio divino, essorto et ordino che si dica
devotamente, con le pause, senza code o biscanti, et voce feminile » (cosi
nelle Costituzioni di Albacina del 1529); «Si ordina etiam che si dica l'of-
ficio con ogni debita devotione, attentione, maturità, uniformità di voce
et consonantia di spirito, senza code o biscanto, cum voce non troppo alta
o bassa, ma mediocre » (così nelle Costituzioni del 1536). Cf. EDUARDUS AB
ALENGON, Primigeniae legislationis cit., 371a. Non era caduta a vuoto la
lezione di san Filippo Neri a proposito della educazione dei giovani.

3S) C£ Cod. Dior 25,9f. dry.

?**) Cf. C. rv. 1, f. 14v: «Ordine di far l'oratione commune nell'Ora-
torio del Giesù di Foligno in tutte le feste commandate et nell'altri giorni
di tutto l'anno. Congregate le genti subito finito il vespero, li due rettori,
postesi al loro banco ordinario et fattosi il segno della santa Croce, il primo
rettore cominci con alta voce Confiteor Deo omnipotenti etc. ; e li fratelli
rispondino tutti insieme nel medesimo tuono Misereatur, poi ripetino an-
che essi il Confiteor ; e, finito, il rettore dica (Misereatur) nostri etc., e se è
sacerdote dica Indulgentiam, absolutionem etc., (se...) è secolare, l'Indul-

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DI ALCUNE FRATERNITE LAICALI DI DISCIPLINATI DEI SECOLI XVI-XVII 251

gentiam lo dica un sacerdote. Poi s’invochi a bassa voce cinque volte il san-
tissimo nome di Giesù et Maria. Poi (....) in un'istessa voce l'inno Veni
Creator Spiritus, e seguitino tutti i primi quattro versi, e li fratelli rispon-
dino nel medesimo tuono . . . », ecc. Poiché, in questa come nell’altra istru-
zione, i fogli sono tagliati nel margine esterno, molte parole risultano monche
o mancanti del tutto. î

40) Si noti l'omissione del lunedi come giorno di disciplina.

Cf. doc. 1 in Appendice. i

3) Cf. Cod. D. 1. 25, f. 14r. A questa seguirono analoghe adozioni da
parte del preposto generale della congregazione dei Chierici Regolari Tea-
tini p. Andrea Piscara da Castaldo (Roma, S. Silvestro di Monte Quirinale,
27 aprile 1620), del ministro generale dei Minori Conventuali p. Giacomo
da Bagnacavallo (Foligno, 15 ottobre 1620), del ministro generale dei Mi-
nori Osservanti (Roma, S. Maria d'Araceli, 15 febbraio 1623).

3) Cf. F. Cigoccur, La vita II cit., 43.

4) In CrroccHI, La vita I, 308, sono riportate due lettere dei confra-
telli dell'oratorio di Macerata, nella prima delle quali (15 ottobre 1610)
chiedono la presenza del Vitelli tra loro «per goderla qui qualche giorno
et ricevere i suoi santi ricordi», o « almeno i capitoli, per crearli conforme
allo stile dell'oratorio suo; -at_-quate desideriamo aggregarci»; e- nella -se-
conda: (29 ottobre 1610), eletti già gli officiali in virtù dei capitoli ricevuti,
desiderano « di haver il modo tenuto in esporre il ss. Sacramento, non solo
per le quarant’hore, ma per le sette ».

44) Forse ad affari della fraternita di Todi si riferisce la lettera che il
card. Baronio scrisse al Vitelli da Frascati l'8 ottobre 1604, pubblicata da
M. FaLoci PuLienanI, Notizie del Ven. Gio. Batta Vitelli cit., 35.

15) La citazione è derivata dal Crnoccur, La vita II cit., 289. Ne La vita I,
309, si pubblica una lettera di p. Felice Veronici inviata al Vitelli da Roma
il 1° febbraio 1606 per ringraziarlo dei capitoli e delle istruzioni ricevute :
«Li ho mostrati a i fratelli di questo nostro (oratorio), principiato in questa
chiesa ; et havendo a tutti data ogni maggior sodisfatione, speriamo ab-
bracciarli come nostre leggi. Intanto V.S. ci aiuti con le sue orationi. L'in-
stituto del vostro oratorio di far le orationi delle quarant'ore et communi-
carsi il giovedi detto il grasso, qua l'habbiamo abbracciato già quattro anni
SONO ».

4) Cf. F. CrroccHi, La vita II, 264: « L'istessa sera il nostro padre
volse convenire alla disciplina con gli altri di quell'oratorio (di Firenze)...
Fu sì numeroso il concorso et così stretta la calca, che non poté Gio. Bat-
tista battersi in modo veruno. Rimase egli edificatissimo della gran divo-
tione et pietà dei fiorentini, essagerandola più volte, ritornato a Foligno,
per maggiormente infiammarne all’esempio quei dell'oratorio suo ».

A p. 288 si fa menzione anche del fondatore dell’oratorio di Camerino,
p. Angelo Matteucci, il quale volle trascorrere « molti mesi » nell’oratorio

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252 GIUSEPPE CHIARETTI

del Vitelli per trarne insegnamenti e motivo di edificazione. Il Matteucci
(Camerino 1561-1629) era stato in gioventü alla scuola dei cappuccini di
Sanseverino (Marche). Fu per due anni aggregato all'Oratorio di Sanse-
verino, su esortazione dell'oratoriano p. Bartolomeo Achillei. Tornato in
patria, venne nominato custode del santuario della Madonna delle Carceri,
nel suburbio camerte, ove nell'ottobre 1591 dette inizio con altri confratelli
alla Congregazione dell'Oratorio di Camerino, approvata nel 1602 da Cle-
mente vin. Cf. AnonIMO del 1641, Vita del P. Angelo Mattheucci Fondatore
della Cong.ne dell'Oratorio di Camerino, Camerino, Bibl. Valentiniana, cod.
misc. 100a, ff. 176-187 ; R. MARIANI, Selva di memorie, id. id., lib. 1v doppio,
ff. 145v-146 ; PrETRO Riposati, Vite de’ Servi di Dio della Congr.ne di S. Fi-
lippo Neri di Camerino raccolte da me Pietro Riposati in succinto per man-
darne le notizie a Napoli. 1693, Camerino, Cancelleria Arcivescovile, cod.
cart. di ff. 40; A. CowTI, Camerino e i suoi dintorni, Camerino 1872, 109-
110; P. SaviNi, Storia della città di Camerino, Camerino 1895, 157 e 263;
L. ALLEVI, Guida di Camerino e dintorni, Terni 1927, 165; C. GASBARRI,
Lo spirito dell'Oralorio di S. Filippo Neri, Brescia 1949, 159 (erra intorno
alla patria del M.).

*') Cf. lettera dello Jacobilli al Vitelli, scritta da Perugia il 23 dicem-
bre 1617, in M. FArociri PuLIGNANI, Notizie del Ven. Gio. Batta Vitelli citi;
97 : « Vo seguitando, come Lei m'ha consigliato, la congregatione di Giesuiti,
che fornisce de molte buone opere che loro fanno fare in detta congrega-
tione, et vi é di grandissima gente, tutti quasi nobili, che talvolta il sab-
bato a sera a far la disciplina passa il numero de 400 o 450 persone, e nelle
feste pure vi é assai gente ; e il giorno di S. Tommaso andó la congregatione,
che eravamo da 300, a far le sette chiese insieme, e si andava nelli luoghi
dove non vi era gente, cantando le lettanie, salmi, e altre orationi ».

*) Cf. GiusEPPE CHIARETTI, Archivio Leonessano. Documenti riguar-
danti la vita e il culto di San Giuseppe da Leonessa, Roma 1965, 250 n. 310.

**) Cf. Archivio Leonessano cit., 250 n. 312 (lettera del 14 aprile 1629).
Per la storia della « Congregazione del b. Giuseppe» si veda l’opera sud-
detta alle pp. 312-314.

5°) Cf. Archivio Leonessano cit., 34-36. 38-42. 304. 574-579.

*) La dispersione è dovuta all’incuria, ma anche ad incendi e a terre-
moti, il più disastroso dei quali fu quello del 1703, nel quale soffrì gravi
danni anche la chiesa di S. Pietro : cf. Archivio Leonessano cit., 580 nota 100.

^?) Il documento più antico, da me sinora rintracciato, è una perga-
mena dell’ottobre 1558, conservata nell’archivio parrocchiale di S. Pietro in
Leonessa. Misura cm. 58 x 47, e la data indicata è ricostruita, non letta,
essendo il testo lacunoso. Il card. Antonio Facchinetti, cardinale dei SS.
Coronati poi papa Innocenzo rx, autorizza l'uso delle entrate per gli scopi
caritativi e cultuali della fraternita, per il restauro del cadente monastero
di s. Antonio delle monache agostiniane e per il sostentamento delle me-

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DI ALCUNE FRATERNITE LAICALI DI DISCIPLINATI DEI SECOLI XVI-XVII 253

desime. Si afferma, tra l’altro : « Cum dicta ecclesia seu cappella per vos,
per longtum tempus cuius initii hominum memoria forsan non existit, recta
et gubernata fuerit..., vestrisque bonis et laudabilibus operibus christi-
fidelium devotio ac concursus ad eam valde creverit prout in dies vobis in
huiusmodi vestris operibus perseverantibus illam magis crescere speratis,
dictamque ecclesiam seu cappellam vestris et aliorum christifidelium ele-
mosinis ampliaveritis ac picturis et aliis ecclesiasticis ornamentis ornave-
ritis. .». Le pitture di cui si parla sembrano doversi identificare con la pala
dell’altare dell'oratorio, e non con gli affreschi votivi che ornano le pareti,
essendo questi datati « 1610 ». Nel 1608 la fraternita leonessana fu aggre-
gata all’arciconfraternita della Madonna del Gonfalone di Roma, come è
detto nel proemio delle regole inviate alla corte di Napoli per ottenere il
regio assenso, concesso il 9 gennaio 1778, (si veda il documento in perga-
mena presso l’archivio parrocchiale di S. Pietro). Nel testo di quelle regole
si fa menzione della adorazione durante le « quarantore » di Pentecoste,
«principale istituto » della fratria, ma non si parla della disciplina. Tra le
‘opere caritative della fraternita, due ebbero grande importanza e sono du-
rate sino a qualche decennio fa: il monte di pietà e il monte frumentario ;
c'erano poi le consuete elargizioni di sussidi dotali a dodici zitelle povere,
scelte tra le iscritte alla fraternita.

5) Ed anzi, in forme del tutto episodiche e non collettive, è perdurato
fino ad un ventennio fa. Mancando documenti che descrivano tempi e modi
dell’esercizio della disciplina da parte della fraternita, si possono ricordare
quelli che ne attestano l’esistenza. Nell’oratorio è tuttora esposto un tabel-
lone a tre scomparti, con 24 levette retraibili (e quindi capace di elencare
in complesso 72 nominativi), il quale reca la titolazione « FRATELLI | DELLA
DISCIPLINA / DI M.a SS.ma PIETÀ E GRAZIE» (sec. XIX). C'é anche una pic-
cola croce lignea (m. 1 x 0,45), usata per le pratiche indulgenziate della fra-
ternita, sulla quale è dipinto « UN ANNO e 150 GIORNI D'INDULGENZA » (sul
braccio orizzontale), e « BACIANDO LA S. CROCE» (sull'asta verticale) (sec.
xvin). Per le donne ascritte alla fraternita c'é un altro tabellone, con un
denso elenco di nomi suddivisi secondo le cinque principali strade della
città, e risalente al 1829. Si conserva infine un flagello di corda lungo cm.
35, che, dopo l'impugnatura rafforzata con filo di ferro, si apre in sette
cordicelle di diversa lunghezza, munite di uno o piü uodi.

La partecipazione delle donne alle attività della fraternita era cosi
fissata nelle Regole del 1777 : « Le consorelle iscritte alla confraternita sono
escluse da ogni carica ed onere; partecipano solo al godimento delle indul-
genze; possono seguire l'insegna della confraternita in alcune processioni
penitenziali o in tempo di giubileo o di missioni ».

Nessuna traccia v'è di manifestazioni «teatrali» ad opera della fra-
ternita. È giunta sino a noi una suggestiva manifestazione scenografica
della settimana santa, che è qualcosa di più di una semplice processione

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254 GIUSEPPE CHIARETTI

e si rivela imparentata con le scenografie del tardo Seicento. Al cap. vi delle
Regole suddette è così ricordata : « Debbono tutti i fratelli adunati in detta
cappella recitare nella settimana di Passione i salmi penitenziali e conti-
nuarli per tutto il martedì santo ; e poi ne’ seguenti giorni di mercoledì gio-
vedì e venerdì santo, vestiti di sacco, cantare gli offici della settimana santa.
Il giovedì santo, vestiti pure di sacco, tutti debbono trasportare processio-
nalmente la statua della Madonna della Pietà, con esser tenuti nella mat-
tina di Pasqua, dopo comunicati, portarsi processionalmente alla visita de
Sagramenti ». La paraliturgia del mercoledì santo a sera prevedeva, fino a
qualche anno fa, dopo il canto dell'ufficio, la «salita » della Pietà (un si-
mulacro ligneo, copia artigianale cinquecentesca della Pietà di Michelan-
gelo) dalla cripta, ove è abitualmente conservata e nascosta al pubblico,
al « monte Calvario », ricostruito, con grandioso scenario coperto di borrac-
cina, nell’intero vano absidale della chiesa superiore di S. Pietro. Durante
il rito, scandito dal ritmo delle marce funebri e culminante nella predica
sull’Addolorata, la chiesa veniva tutta illuminata con croci e centinaia di
caratteristici lumini ad olio. Il giovedì santo si svolgeva una lunga proces-
sione per tutte le vie della città, seguita da tre ragazze scalze e vestite di
nero raffiguranti le tre Marie, con sosta del simulacro de la Pietà nelle chiese
principali per la visita ai «sepolcri» Identica manifestazione si ripeteva,
con il prezioso simulacro del Cristo morto deposto dalla croce, (donato — a
quanto sembra — da un autorevole membro della fraternita), il giovedì
santo a sera ed il venerdì santo nella chiesa di S. Francesco ad opera della
fraternita di Santa Croce, pur essa antichissima e legata all'ospedale ed al
monte frumentario omonimi. I ragazzi, durante la processione, sorregge-
vano emblemi della passione : la colonna, il guanto di ferro, la lancia con
spugna, il flagello ecc. ; una delle tre ragazze di cui sopra fungeva da « Ve-
ronica ». Queste grandiose scenografie, qui appena ricordate, comportavano
una trasformazione della stessa aula della chiesa, il cui presbiterio, occul-
tato l’altare sotto le palcature (a S. Pietro) o per mezzo di un fondale ligneo
(a S. Francesco), era ridotto a scena ; e possono aver sostituito più antiche
«sacre rappresentazioni » curate dalle fraternite animate da spirito di emu-
lazione, o almeno aver tratto ispirazione dalla particolare vocazione «tea-
trale » delle medesime. È certo, comunque, che le scenografiche paraliturgie
leonessane della settimana santa sono opera non recente delle fraternite.

54) Fraternite di disciplinati esistevano ab antiquo nelle città viciniori.
Alla fraternita reatina di S. Maria, appoggiata ai religiosi agostiniani, il
vescovo Biagio di Leonessa (1347-1375) dette lo statuto che prevedeva « quod
quilibet de Fraterna, et omnes ad insimul, debeant se congregare quatuor
vicibus in anno et facere frustam »: cf. ANGELA M. TERRUGGIA, Attività
teatrale a Rieti nei secoli XV e XVI, Perugia 1966, 5 e doc. rr.

Ai disciplinati di Cascia il vescovo di Spoleto, il minorita Bartolomeo
de Bardis, accordó speciali indulgenze con suo breve del 30 dicembre 1329:
DI ALCUNE FRATERNITE LAICALI DI DISCIPLINATI DEI SECOLI XVI-XVII 250

cf. pergamena originale nell’arch. comunale di Cascia. All'attività della
fraternita va fatta risalire, probabilmente, la scenografica processione del
venerdì santo a sera, detta « dei penitenzieri », tuttora esistente, cui pren-
dono parte penitenti scalzi, incappucciati e vestiti di sacco nero, recanti
grosse croci sulle spalle e pesanti catene ai piedi.

55) E cioè prima del 1549, nel qual anno p. Matteo Silvestri da Leo-
nessa, già medico condotto in patria, passato alla riforma cappuccina dopo
una breve esperienza religiosa tra i francescani conventuali e divenuto fon-
datore della provincia cappuccina d’Abruzzo, uomo di vita austerissima e'
zelante, ottenne al capitolo generale di Napoli «di poter pigliare il luogo a
Leonessa. Et fu preso, et ci stetteno i frati cinque anni in circa. Ma dipoi
morendo il santo homo, i frati lasciorno il detto luogo con molta admira-
tione di tutta quella terra, et di poi molti anni fu ripreso ». Cf. BERNARDINO
DA CorPETRAZZO, Historia O.F.M. Cap. n cit., 148. I cappuccini tornarono
nuovamente a Leonessa nel maggio 1571.

56) In mancanza di migliore documentazione, si faccia attenzione ad
alcune coincidenze «esteriori» con la fraternita «dei battuti» di Chioggia
(cf. nota 8), tra cui la comune devozione al ss. Salvatore e alla ss. Trinità.

57) Ecco la testimonianza di Fabrizio Sinibaldi, suo compaesano e coe-
taneo: «Riprendeva l'altri giovani et l'essortava al vivere col timor de
Dio, et li condoceva a far la disciplina (all'oratorio del Salvatore), come
ho visto piü volte, et m'ha condotto assieme a tale essercitio ; et cominció
tal vita dall'età di diece anni» (cf. doc. 430, f. 153r).

58) Cf. pergamena (cm. 55 x 43) nell'arch. del vicariato generale di Spo-
leto in Leonessa. L'attività della fraternita è così indicata : « dicta confra-
ternitas sancti Salvatoris in dicta terra Leonisse vocetur Ecclesia Hospitale
ac Confraternitas Sancti Salvatoris Sanctissime Trinitatis Convalescentium et
Peregrinorum ; ac quod confraternitas prefata orationibus invigilet, con-
valescentes recipiat, peregrinos hospitetur, et alia pia charitatis opera ad
instar et prout Archiconfraternitas nostra solet et consueta est exerceat ».

59) La fraternita «fu istituita da capuccini e in quel tempo fioriva in
virtü » (p. Girolamo Pulcini da Leonessa, in doc. 705, parte 59 86v). In
Leonessa «vi è una compagnia che si chiama del Salvatore, d'huomini laici,
che è molto bene amministrata et s'essercita in cercare elemosine, distri-
buendole poi a poveri infermi, carcerati et altre miserabili persone » (don
Scipione Berardi, pievano di Pianezza, al convisitatore don Ercole Ran-
gono durante la visita pastorale del vescovo di Spoleto card. Maffeo Bar-
berini alle parrocchie del Leonessano, 25 agosto 1611, in Visitatio E.mi Bar-
berini 1610. Liber secundus, f. 234v, presso l'arch. vescovile di Spoleto).
Per notizie su questa fraternita si veda il mio Archivio Leonessano cit., 314
nota 9, 568 nota 23.

so) Cf. doc. 427, f. 175v. Cito il brano completo che si riferisce alla fra-
ternita, dal quale risulterebbe che la disciplina veniva eseguita ogni ve-

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256 GIUSEPPE CHIARETTI
nerdì, e non solo ogni quarto venerdì del mese, come è prescritto nello sta-
tuto: «Nella detta chiesa et oratorio del beato Gioseppe vi sono aggregati
quasi tutti li cittadini di Leonessa, e non vi si può essere aggregato nesuno
non viva di entrata e sia di vita esemplare. Vivono secondo le regole ch'in
vita soleva dare il benedetto Padre : due volte la settimana vi sermoneggia
per ordinario un capuccino, et il venerdì fanno la disciplina, et in ambi li
giorni fanno oltre agl'altri esercitii un hora d'oratione mentale ». Cf. Ar-
chivio Leonessano cit., 304.

Poiché lo scritto di p. Girolamo da cui é tratta la citazione (La vita del
beato fra Gioseppe da Leonessa . . .) è databile tra il 1637 e il 1639, le costu-
manze che egli attesta sono posteriori, e integrative, allo statuto che non
va oltre il 1634. Cf. Archivio Leonessano cit., 301 e 546.

s1) Cf. Archivio Leonessano cit., doc. 806 pp. 545-556. Il testo delle regole
trovasi nell'archivio vescovile di Spoleto e forma fascicolo a sé, stralciato
da un libro di amministrazione, ora perduto, della stessa congregazione.
Reca l'approvazione del vescovo di Rieti Gio. Battista Toschi (1621-1634).

$) Si veda, ad esempio, l'impegno sollecitato alla fine del cap. xi a
ben conservare «in luogo honesto e mondo i libri spirituali e carte dove
stanno scritte le cose sacre», o, alla fine del cap. xir, l'invito acché « ho-
norino tutti li religiosi e sacerdoti dalli quali si riceve, come da strumenti
divini, tutto che alla salute dell'anima c'ha destinato il Signore » ; espres-
sioni, queste, tipicamente francescane ; ed anche certe locuzioni beneau-
guranti alla fine del cap. xiv, che si ritrovano tali e quali nelle lettere di
san Giuseppe da Leonessa. Cf. Archivio Leonessano cit., 556 nota 13.

$) Il testo sembra infatti incompleto, come suppongo in Archivio Leo-
nessano cit., 556 nota 14.

4) Cf. Cap. xi delle regole, in Archivio Leonessano cit., 554.

$5) Per facilitare un immediato confronto con il rituale dell’oratorio
folignate, riporto il documento in Appendice, n. 2.

ss) In margine ad una predica di san Giuseppe da Leonessa «in an-
nuntiatione B. Mariae Virginis », scritta nel 1582 mentre era di stanza a
Perugia, egli annota verso la fine, prima di iniziare la lunga preghiera con-
clusiva : «Hic cum alii ostende populo Mariam, et dic orationem istam et
Ave Maria», (cf. cod. n. 13 (Mariale) presso l'Archivio generale dei cap-
puccini (Roma), f. 20r. Il sermone è stato trascritto da BALDUINUS AB AMSTER-
DpAM, O.F.M. Cap., Doctrina de Immaculata Conceptione B. Mariae Virginis
in scriptis inedilis S. Josephi a Leonessa, in Regina Immaculata, Romae
1955, 377-396). Del crocifisso che portava sempre con sé, « si serviva per
mostrarlo a convenevol tempo nell'atto della predica, e tenendolo in mano,
con parole nude, senz'altro artificio d'humana eloquenza, secondo che lo
portava l'impetuosa forza dello Spirito santo, predicava Cristo crocefisso
e faceva frutti mirabili» (p. Girolamo Pulcini da Leonessa, in doc. 705,
‘parte 5°, f. 89v). « Mentre si cavava il Crucifisso di petto, ch'era solito a por-
DI ALCUNE FRATERNITE LAICALI DI DISCIPLINATI DEI SECOLI XVI-XVII 257

tare di continovo, faceva piangere, per così dire le pietre, nonché le per-
sone » (Fabrizio Sinibaldi, doc. 430, f. 153v).

Queste coreografie — per così dire — estemporanee, suggerite dalle
diverse circostanze, si affiancavano all'uso di inalberare sul pulpito, o sul
palco eretto per l'occasione, un grande crocifisso, che il predicatore salutava
prima e dopo la predica e verso il quale si rivolgeva a colloquio per la pe-
rorazione e la preghiera finale. L’origine cappuccinesca dell’uso è messa
in evidenza dai cronisti dell’Ordine : « Da questi servi di Dio (e cioè i primi
cappuccini inviati a predicare da p. Ludovico da Fossombrone) ebbe ori-
gine il tenere il Crucifisso nel pergolo, che prima non era solito » (cf. BER-
NARDINO DA CorpeTtrazzo, Historia O.F.M. Cap., Liber secundus: Bio-
graphiae selectae cit., 188 ; cf. anche Liber tertius: Ratio vivendi Fratrum
cit., 287) : « Per dar forza alle parole di Dio introdussero di tener sul per-
gamo il santo crucifisso » (cf. MATTIA BELLINTANI DA SALÒ, Historia Ca-
puccina cit., 416).

Il rituale dell'oratore cappuccino, quale s'era venuto formando a poco
a poco ed era stato codificato dal Boverio, prevedeva per la conclusione
del solenne discorso del venerdì santo sulla passione una cerimonia parti-
colare : il predicatore prendeva una grande croce appositamente preparata
e, affiancato da due inservienti con le torce accese, la innalzava alla vene-
razione del popolo e tracciava su di esso il segno di benedizione : cf. ZA-
cHARIAS BovEniUS, De sacris ritibus usui Fratrum Minorum S. Francisci
qui vulgo Capuccini nuncupantur accomodatis libri tres, Neapoli 1626, 87s.

Ed ecco un giudizio conclusivo : « I cappuccini amavano molto la parte
coreografica delle predicazioni, riuscendo peró a dare a tutte le cerimonie,
anche extraliturgiche, quel senso di serietà e di raccoglimento che aiutava
il popolo a meditare i misteri di Cristo e della Vergine... Cosi queste cla-
morose dimostrazioni pubbliche di fede non degeneravano mai in una pura
esteriorità emozionante o in una vana cerimonia » (cf. ARSENIO D’ASCOLI,
La predicazione dei Cappuccini cit., 289).

DOCUMENTI

I

Foligno, 1627 : « Modo di far la disciplina il mercordi et venardi a sera
nell'Oratorio del Giesù » (Foligno, Bibl. Jacobilli, cod. C. rv. 1, ff. 15rv).

«(f. 15r) Congregati li fratelli al suono dell'Ave Maria, overo un poco
avanti, il primo rettore, stando nel suo luogo ordinario, faccia cenno et il
sagrestano dia le discipline a quelli che la vorranno fare ; poi, fatto di nuovo
cenno, il sagrestano nasconda il lume, e il rettore cominci il Confiteor con
il medesimo ordine che si é detto nell'oratione, eccetto che non (f. 15v) si

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dice l'inno Veni Creator Spiritus : ma invocato il santissimo (nome) di Giesü
e di Maria, cominci solo, con voce alta, il Miserere, e i fratelli comincino a
battere e rispondino tutti insieme il secondo verso, et così si fa sino alla fine,
un verso per uno. Et finito detto salmo, il rettore dica : Domine non secun-
dum peccata nostra (retribuas) nobis; et li fratelli rispondino : Neque se-
cundum iniquitates nostras retribuas nobis. Il rettore: Parce Domine, parce
populo tuo ; i fratelli: Qui redemisti precioso sanguine tuo, ne in aeternum
irascaris nobis. Da poi il rettore dica tre orationi, cioè : Deus qui culpa of-
fenderis, Ecclesiae tuae quaesumus. Domine preces, et Deus a quo sancta de-
sideria etc. Finite le dette tre orationi, dica Pater (noster). Da poi il rettore
facci una meditatione, overo consideratione qua(nto) piü sia possibile in
forma di sermone, o sopra il vangelo della d(omenica) corrente, o sopra la
passione, o detestatione del peccato, o sopra a quello che Dio lo spirerà, e
poi termini con far raccomandare li bisogni di santa Chiesa con il Sommo
Pontefice, il nostro vescovo con tutti gli altri superiori e capi di essa, ela
nostra città, il nostro ora(torio), per l'anime del purgatorio, per tutte le
persone inferme, tribu(late), carcerate, e per tutto quello che si compiacesse
nostro Signore di essere pregato, e per l'altre cose come di sopra si é detto
nell'oratione. Et acciò il Signore si degni d'essaudir queste preghiere faccia
dir in secreto due volte il Pater noster e l Ave Marie, invocando tre volte
Veni Sancte Spiritus in voce alquanto alta, tutti insieme. Poi il rettore
dica tre volte Mater humilitatis, et invochi li santi avvocati e l'altri, come
di sopra ; et infine Omnes sancti et sanctae Dei ; e, facendo cenno con le mani,
si cessi di battere. E fra tanto (ci..) si riveste, si faccia dir cinque volte
il Pater noster con l'Ave Maria per li bisogni di santa Chiesa; e finiti, il
rettore dia il cenno, et il sagrestano cacci fuora il lume, e mentre si va ri-
pigliando (le) discipline, si dica l’hinno Veni Creator Spiritus ad un ver-
s(etto) per uno. E poi il rettore dica : Emitte Spiritum tuum et creab(untur) ;
et li fratelli respondino : Et renovabis faciem terrae. E poi il re(ttore) dica
la sua oratione Deus qui corda fidelium. E risposto dai fratelli Amen, il ret-
tore dica Sempre sia laudato e ringratiato Iddio, e dia licenza ».

II

Leonessa, 1629-1634 : « Capitoli e regole da essere osservate da tutti quelli
che saranno ricevuti et iscritti nella Congregatione dell'Oratorio del Servo di
Dio fra Gioseppe Capuccino da Lionessa. Cap. 10: Della disciplina » (Spo-
leto, Arch. arcivescovile, cod. E. 8 (1628), ff. 7v-9v).

Bibl.: GrusEPPE CHIARETTI, Archivio Leonessano, Roma 1965, 552-554.

Cap. 10°: Della disciplina.

«[f. 7v] Dovendo l’oratorio havere per scopo sempre le dolorosissima
passione del Nostro Salvatore, conviense il descendere a qualche pratica
DI ALCUNE FRATERNITE LAICALI DI DISCIPLINATI DEI SECOLI XVI-XVII 259

che, dove può, la vada immitando e mantenendo viva la memoria d’essa.
Peró si ordina che il quarto venardi di ogni mese si faccia essa disciplina
nell'oratorio et si proveda secondo (?) il modo dell'oratorio nell'invitare, [f. 8r]
cioè un'hora prima, e si lega la lettione di venturieri ?) né si manchi mai;
e, venuta l'hora, si serrino le finestre e si facci la disciplina nella maniera
che qui si discrive.

Il guardiano et un'acholito si compartino così che l'acholito [sia] in
fondo all'oratorio sotto tutti li fratelli, et il guardiano sopra in capo, di
maniera che tutti dui habbino nel mezo li fratelli. Dirrà l'acholito in voce
alta et in tuono di evangelio : Jube domne benedicere. Risponderà il guar-
diano: Passio Domini nostri Jesu Christi sit semper in cordibus vestris. Ri-
sponderanno tutti li fratelli insieme : Amen, et all'hora cominciano a disci-
plinarsi. Et in tanto l'acholito dica: Fratres, Christus factus est pro nobis
obediens usque ad mortem, mortem autem crucis, propter quod et Deus exaltavit
illum et donavit illi nomen quod est super omne nomen, ut in nomine Jesu omne
genu flectatur, celestium terrestrium et infernorum, et omnis lingua confiteatur
quia Dominus nosler Jesus Christus in gloria est Dei Patris Amen. Fenita
questa lettione e di già dispogliati li fratelli, ripigli l'acholito in voce alta:
Servite Domino in timore. Risponderanno li fratelli : Et exultate ei cum tre-
more. Acholito: Apprendite disciplinam ne quando irascatur Dominus ; fra-
telli all’hora si comincino a battere, e rispondendo : Ne pereatis de via iusta.
Acholito : Domine [f. 8v] Jesu Christe filii Dei vivi. Fratelli: Miserere nobis.
Acholito : Qui sedes ad dexteram Patris. Fratelli: Miserere nobis. Acholito :
Christus factus est pro nobis obediens usque ad mortem. Fratelli : Mortem

+; autem Crucis. Acholito : Domine exaudi orationem meam. Fratelli: Et clamor

meus ad te veniat. Acholito : Oremus. Domine Jesu Christi, qui hora sexta
crucis patibulum ascendisti, et usque in finem. La qual oratione finita, dirrà
il guardiano: Pater noster, et tutti cessando di battersi diranno il Pater
noster ; il quale finito, dirrà il guardiano: «pregamo, fratelli, per tutti li
carnali, adulteri, concubinarij » Ripigliarà l’acholito : Christe exaudi nos;
et li fratelli battendosi risponderanno : Christe exaudi nos, tre volte a vi-
cenda, e cessano di battersi. Et il guardiano : « pregamo, fratelli, per tutti
li biastematori e tutti che sono in peccato mortale ». L'acholito al solito,
et li fratelli Christe exaudi nos. Prosequa poi l'acholito, finito che sarà li
Christe : A subitanea et improvisa morte. Li fratelli: Libera nos Domine. A.
morte perpetua. Libera nos Domine. Domine exaudi orationem meam. Fratelli :
Et clamor meus ad te veniat. Oremus. Parce Domine parce populo tuo ut [f. 9r]
dignis flagellationibus castigatus in tua miseratione respiret. Per Christum
Dominum nostrum. Amen, rispondino li fratelli. Et sia finita la disciplina.
Finita la disciplina, non si raccendono li lumi sin che non si sono fatti gl'atti
di contrittione, li quali si faranno di tal maniera che, havendo havuto il
carico un fratello dal governatore, il quale haverà cura di provedere et avi-
sare all'oratorio inanzi quello che egli giudicherà al proposito servendosi
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260 GIUSEPPE CHÍARETTI

di tutti, venirà questo fratello preparato non per fare un sermone, ma per
dire in modo di esortatione diece o quindici parole che mostrino la gravezza
del peccato, l'offesa del Signore, il danno universale e particolare simili ;
et cosi tutti li fratelli percotendosi con compuntione il petto, si induchino
all'atto della contrizzione interno et tutti unitamente l'esprimino con la
boccha col dire: miserere mei, e simili. Dopo l'atto della contrizzione, il
guardiano faccia pregare per li bisogni di Santa Chiesa, per il Sommo Pon-
tefice ... per li bisogni dell'Oratorio et.... Dopo si venghi al secondo atto
di contrizzione, il quale si propone e fa per la prima anima che uscirà di
questo mondo per presentarsi al giudice, e si prega il Signore che, se non é
in sua gratia, l’illumini e li dia la sua gratia e la converta ; e tutti unita-
mente come la prima volta esprimano l'atto della contrizzione. Finita sarà
qui la disciplina, si canterà il « Nunc dimittis servum ». Ad «lumen, ad re-
velationem gentium » si accenderanno li [f. 9v] lumi; et essendo alle mani
un bel Crucifisso grande, si presentarà con queste parole pronuntiate dal-
l'acholito : Ecce lignum Crucis in quo salus mundi pependit ; risponderanno
li fratelli: Venite adoremus. Disteso per terra sopra un bel tappeto, fra dui
torchi accesi, facciano ad uno ad uno l'adoratione, la qual finita si levi il
Crucifisso e si riponga in una cassa o necchio o altra cosa fatta aposta, dove
stia coperto, né si cavi se non per l'occasione dell'adoratione. Dica il guar-
diano il rendimento di gratie: Agimus, e ognuno parta con silentio.

NOTA

a) I « venturieri » (dal lat. venturus, colui che sta per venire) erano i
confratelli che giungevano alla spicciolata. Durante l'attesa, per non per-
dere tempo in chiacchiere inutili, si facevano letture spirituali a voce alta,
«la lettione — appunto — de venturieri ».

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XIEECULSORGAEE

INDICE DEL VOLUME

Memorie

GINO SIGISMONDI, La battaglia tra Narsete e Totila nel 552 d. C. in
Procopio... . HS Mone S Pag. 5
ALBERTO GROHMANN, D Società di Mund soccorso fra gli artisti ed
operait-di Penugia.(1501-1900) 7 — — o oo os ) 69

Recensioni

ELISABETH CARPENTIER, Une Ville devant la Peste. Orvieto et la

Peste Noire de 1348, Paris, 1962 (Crispino Ferri). . . . . » 191
OLGA MARINELLI, Le confraternite di Perugia dalle origini al

sec. XIX. Bibliografia delle opere a stampa, Perugia, 1965 (Lia

Sbriziolo) . . . » 194

4 Enzo CARLI, Il Duomo di Oreicto: Roma; 1965 (Pietro Scarpellini) » 197
Luciano SiLvestRrI, Luigi Mancinelli direttore e compositore, Mi-

lano, 1966 (Virgilio Coletti). . . . : T » 205

MaRIO MONTANARI, Mille anni della chiesa di San Pietro in Pe

rugia e del suo patrimonio, Foligno, 1966 (Giovanni Cec-

chini)t:. 9«* » 210
Liber Roach (1331- 39). dell Atnazia Roncato di San

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Pietro in Perugia a cura di Don CosTANZO TABARELLI O. S. B. d
con introduzione di GrusePPE MIRA, Perugia, 1967 (Gregorio : i
Penco) |. st e qo OR oos P 2l B
è
Necrologi B.
MicHAEL METZELTIN, Toni Reinhard (1917-1965) . . . . . » 215
Piero GanassiNr, Nallo Mazzocchi-Alemanni . . . . . . . » 218
"ANGEDO BIAGETTI; Jlalo"Ctaurro- .-. o Piet o oes » 224

CENTRO DI DOCUMENTAZIONE
SUL MOVIMENTO DEI DISCIPLINATI

GiusEPPE CHIARETTI, Di alcune fraternite laicali di disciplinati dei
secoli XVI-XVII regolate dalla spiritualità cappuccina. . » 229

Pror. GIOvANNI CECCHINI - Direttore responsabile
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PUBBLICAZIONI

della Deputazione di Storia Patria per l'Umbria

| BOLLETIIINO

Numero di serie Anno N. dei fasci- ^ Prezzo di ogni Prezzo

coli per annata fascicolo dell’annata
vol. I 1895 3 L. 3.000 L. 9.000
vol. II 1896 2 » 3.000 » 6.000
vol. III 1397 3

(fasc. 1 e 2 L. 3.000 cad. ; il prezzo del fasc. 3 in corso di ristampa anastatica
è da stabilire).

| voll. da IV a IX 1898-1903 3 » 3.000 » 9.000
| vol. X 1904 3
il (fasc. 1 L. 3.000; fasc. 2 e 3 in corso di ristampa anastatica).
- vol. XI 1905 2
(in corso di ristampa anastatica).
vol. XII 1906 3
| (in corso di ristampa anastatica).
| vol. XIII 1907 » 10.000
| (copia anastatica in un solo volume).
| vol. XIV 1908 2
| (fasc. 2-3 L. 3.000 ; fasc. 1 in corso di ristampa anastatica).
voll. XV, XVI, XVII 1909-11 2 » 3.000 » 6.000
vol. XVIII 1912 A
(fasc. 2-3 L. 3.000 ; fasc. 1 in corso di ristampa anastatica).
| vol. XIX 1913 1 » 3.000 » 3.000
Il vol. XX 1914 2
dh (fasc. 2-3 L. 3.000; fasc. 1 in corso di ristampa anastatica).
vol. XXI 1915 3 i;
| (fasc. 1 e 2 L. 3.000 cad. ; fasc. 3 in corso di ristampa anastatica). B
| vol. XXII 1916 2 |.
| (fasc. 2-3 L. 3.000 ; fasc. 1 in corso di ristampa anastatica). |-
| vol. XXIII 1918 1 » 7.000 È
(copia anastatica). È | |
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Numero di serie Anno N. dei fasci- Prezzo di ogni Prezzo

coli per annata fascicolo dell'annata
vol. XXIV 1920 1
(in corso di ristampa anastatica).
voll. XXV e XXVI1922-23 1 L. 3.000 L. 3.000
vol. XXVII 1924 2 » 3.000 » 6.000
vol. XXVIII 1925 1 » 3.000 » 3.000
vol. XXIX 1926 2 » 3.000 » 6.000
voll. da XXX a LI 1927-54 1 » 3.000 » 3.000
voll. LII-LIII 1955-56 1 » 6.000 » 6.000
(Volume doppio contenente gl'Indici dei voll. I-L]).
voll. da LIVa LVIII 1957-61 1 » 3.000 » 3.000
voll. da LIX a LXII 1962-65 1 » 4.000 » 4.000
voll. LXIII e LXIV 1966-67 2 » 3.500 » 7.000

BIBLIOGRAFIA UMBRA

Bibliografia umbra n. 1 (estratto dal vol. LV del Bollettino) L. 600

Bibliografia umbra n. 2 » » LVI » » 400
Bibliografia umbra n. 3 » >» EX ) » 600
Bibliografia umbra n. 4 » n DIXIT 2» » 600

FONTI PER LA STORIA DELL'UMBRIA

1 — Vincenzo ANSIDEI, Regestum Reformationum Co-
munis Perusii ab anno MCCLVI ad annum MCCC,

vob I; Perugia, 1999. ia. L. 5.000
2 — Tipografia ed editoria in Umbria: Assisi a cura à di
FERNANDO MoROTTI, Perugia, 1966 . . . . » 5.000

3 — Liber contractuum (1331-32) dell’ Abbazia Benedet-
tina di San Pietro in Perugia a cura di Don Co-
STANZO TABARELLI O.S. B. con introduzione di
GIUSEPPE MIRA, Perugia, 1007 .. sori. » 10.000

APPENDICI AL BOLLETTINO

1 — Lurc1 Fumi, Inventario e spoglio dei registri della Te-
soreria Apostolica di Città di Castello dal R. Ar-
chivio di Stato in Roma, Perugia, 1900. (Estratto

dal vol. VI (1900) del Bollettino).
att

2 — Luici Fumi, Inventario e spoglio dei registri della Te-
soreria Apostolica di Perugia e Umbria dal R. Ar-
chivio di Stato in Roma, Perugia, 1901. .. . esaurito

3 — Le relazioni tra la Repubblica di Firenze e l' Umbria
nei secoli XIII e XIV secondo i documenti del R.

Archivio di Stato di Firenze per cura del Dott. G.
DeGLI Azzi VrrELLESCHI, vol. I, Perugia, 1904. esaurito

4 — Le relazioni tra la Repubblica di Firenze e l'Um-
bria nei secoli XIII e XIV secondo i documenti del
R. Archivio di Stato di Firenze per cura del Dott.

G. DEcLr: Azzi VirELLESCHI, vol. II, Perugia,
1909 Qr : L. 2.500

9 — Sacre Wu ein Her le siratet nite di Onzitto
nel Cod. Vittorio Emanuele 828, Perugia, 1916. » 2.000

6 — I documenti su Pietro Perugino per cura di UMBERTO
GNOLT, Perugia; 1029 . . =... » 2.000

7 — Sergio MocHI OnoRy, Minen ein del

diritto statutario. Studio di alcuni « banni » inediti

del 1256 del Comune di Città di Castello, Città di

Castello;s 1923 esaurito
8 — L’insurrezione di Perugia (14-20 Giugno 1959) alia
pubblicistica contemporanea, Perugia, 1959. : L. 1.500

9 — Il Movimento dei Disciplinati nel settimo centenario
dal suo inizio (Perugia, 1260). Convegno Interna-
zionale : Perugia, 25-28 settembre 1960, Perugia,
pup c e pu OIN LEE uU IM » 7.000

QUADERNI DEL CENTRO DI DOCUMENTAZIONE
SUL MOVIMENTO DEI DISCIPLINATI

1 — Indici del volume Il Movimento dei Disciplinati

nel settimo centenario dal suo inizio (Perugia, 1260)

a cura di Lopovico ScarAMuccI, Perugia, 1965. L. 1.000
2 — UcoriNo NicoLini 0. F. M., Nuove testimonianze

su fra Raniero Fasani e i suoi Disciplinati.
— Emizio Arpu S. J., Capitoli della Confraternita dei

Disciplinati di S. Croce in Torino, Perugia, 1965. » 600
3 — EmiLio Annu S. J., Inventario scritture della Con-
fraternita dei Disciplinati di S. Croce in Torino
(1809), Perugia, 1965 .

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4 — ANGELA M. TeRRUGGIA, Attività teatrale a Rieti
nei secolt 2GV e XoV.I,;- Perugia; 196615. 5. 5 : L.
9 — Ucorivo NicoLinI O.F.M., Ricerche sulla sus
di fra Raniero Fasani fuori Porta Sole a Perugia.
— ANGELA M. TerRrUGGIA, Battuti della Fraternita di
S. Maria di Cividale.
— EmiLio Arpu S. J., Lo statuto cinquecentesco del-
l'Arciconfraternita dei disciplinati di S. Francesco
e S. Bernardino in Cavaglià, Perugia, 1967. . . »

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N. B. - I prezzi segnati sono correnti dal 1 luglio 1968.

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